19, HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY | OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. Ta SAS EA Lista SE | | MaNAMEG BINDERY. TORNA L, uu OUT LEA TION ATA Van (21 BUMUN DELLA 3) SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI \ DA) ARA 2 SV, ASINI ARAKI x 4A NOZIO NN \èl VA N \hSj RAI (A na 6 a è I AS VAI: NO) VOLUME III. pa fan NUZZIA ANNO 1864 N97 \/f me con 7 Tavole litografiche I M I L A N 0 SI COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. Dia 1862. 3 "e “pre a (i Fi PI Di #5) UNA (0 REST A AAnaetsi (al Tao LIE, FRASI Hi MAR AO Vio7 0.” URANO ni È SEDI ATTI DELLA SOCIETA ITALIANA SCIENZE NATURALI VOLUME III. Anno 1861. MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI DI GIO. 1861 MEN UA PPT di tall MO AA wi; ASTI ld É Aia Ai lt 43 Ci i Adunanza del 3 febbrajo 1861. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il presidente Cornalia espone a viva voce alcune noti- zie sul bombice dell’ailante, e propone che si elegga una commissione per Istudiare questo insetto e il suo alleva- mento. Diversi soc] approvano questa proposta e fanno alcune osservazioni intorno alla futura commissione. Bellotti Cristoforo legge una breve Nota sulle osserva- zioni fatte da lui e dai colleghi Cornalia e Vittadini su molte partite di uova di bachi da seta. Parecchj socj esprimono il desiderio che questa Nota venga prontamente stampata e pubblicata (0). Omboni dà lettura di una Memoria del socio Gastaldi sugli oggetti d’industria umana trovati nelle marniere e nelle torbiere di varie parti d’Italia. Tinelli osserva che nelle torbiere di Angera e Sessa non furono trovati oggetti simili, ma esiste un gran nu- mero di tronchi d’albero, specialmente verso lo sbocco del lago che anticamente occupava il posto della torbiera attuale; e che anche là si trova fra la marna bianca in- (1) Questa nota fu pubblicata nel numero 455 del Giornale La Persere- ranza, ne furono tirate a parte molte copie, e queste furono distribuite a tutti i socj ed anche a molti estranei alla società. 4 ADUNANZA DEL 3 FEBBRAIO 18614. feriore e la vera torba, la materia nera e gelatinosa, che disseccandosi si fa dura e si sfalda in lamine. Omboni rammenta che la materia bianca e questa ma- teria nera si trovano anche nelle torbiere al mezzodì del lago di Varese. Omboni presenta una Nota del socio Polonio sul genere Aulostomum. Sono ammessi socj effettivi mediante votazione segreta i signori: CapeLLINI GrovaNNI, professore di geologia nella R. Università di Bologna, proposto da Cornalia, Omboni e Stoppani; Micnaun AnpreA Luigi GASPARE, naturalista, cava- liere della Legion d'Onore, ec., di Saint-Foy-les-Lyon (Rhòne) in Francia, proposto dai fratelli Villa e da Om- boni; BrertoLI sac. GIovANNI, canonico di Chiari, proposto da Molinari, Stoppani e Villa Antonio. Si decide a voti unanimi, sopra proposta della Presi- denza: 1.° di prolungare fino al 31 dicembre 1861 l’anno sociale 1860-61 (che dovrebbe terminare col 30 novem- bre 1860), affinchè da quell'epoca in poi l’anno sociale coincida sempre coll’ anno solare ; 2.° che la quota annua di 20 lire italiane debba es- sere pagata tutta in una volta, nel primo trimestre d’ogni anno, e non in due rate semestrali, come si fece fino ad ora. Dal giorno 23 dicembre fino ad oggi la Società ha ri- cevuto i seguenti libri: De Bosis, Zl Montagnolo, Studj e Ossercazioni. Fano 1859. — Dono dell’ Autore. ADUNANZA DEL 5 FEBBRAJO ASGI. 8 De Bosis, Ancona e dintorni, Cenni di Storia Naturale. Ancona 1860. — Dono dell’ Autore. Grimaup pe Csux, Za question des soies a l’Academie des sciences. (Revue et Magazin de Zoologie, N.° 4, 1859). — Dono del signor Guerin-Méneville. Marcnaxo, Circolare sui libri di Guerin-Méneville intorno alla seta del l’Ailante. Parigi, 1860. — Dono come sopra. Gueriv-Mevevitte, Education des vers a soie de l’ailante et du ricin et culture des végetaur qui les nourrissent. Paris, 1860. — Dono dell’ Autore. Gueris-Mexevinue, Etude sur les Graphiptères ( Revue et Magasin de Zoologie, N.° 12, 1859). — Dono dell’ Autore. Guerin-Mexeviuce, Mélanges de sériculture. ( Revue et Magasin de Zoo- logie, 1859). — Dono dell'Autore. Gceerm-Mixevitte, Rapport a S. M. l'Empereur sur les travaux en- trepris par ses ordres pour introduire le ver a soie de l'Aylanthe en France et en Algerie. Paris 1860. — Dono dell'Autore. Gervais, Zoologie et Paléontologie francaises. Deuxième édition. — Paris, 1859. Un grosso volume in 4.° e Atlante di 84 tavole. — Comperato a spese della Società. Scumenuinc, Récherches sur les ossements fossiles découvertes dans les cavernes de la province de Liége. Volumi I e Il. Liége, 18533. Atlante di 70 tavole. — Comperato a spese della Società. Bulletin de la Societé des sciences naturelles de Neuchatel. Tomes II, Ill, IV e V (Premier et deuxième cahier). Neuchàtel, 1852, 1855, 1858, 1859, 1860. — Da quella Società, in cambio coi nostri Atti. Secondo volume. -- Fisica e Matematica. — Seduta della Società. — Doni diversi. — Memorie sulla proprietà del ferro lavorato, sulla propaga- zione del moto nei corpi, sui movimenti molecolari, sullo seolo delle acque nei tubi delle fonta e, sulla formazione della rugiada, sulle vibrazioni del- l’aria, sulla natura della luce, sui mieroscopj di Oberhauser, sul magne- tismo dei corpi, sull’ elettricità prodotta dal vapore che sî forma, sulla filo- sofia delle matematiche, sulle approssimazioni, ece. Meteorologia e Astro- nomia. — Osservazioni meteorologiche fatte a Neuchîtel. — Temperatura ADUNANZA DEL 5 GENNAJO 1861. nel pozzo artesiano di Montdarf. — Fenomeni ottici dell’ atmosfera. — Piog- gie straordinarie. — Pioggie di sangue, di fango. — Trasporto di polveri del vento. — Pioggie d'insetti. — Influenza della rotazione sulla direzione dei venti. — Aurore boreali. — Chimica e farmacia. — Modo di sco- prire l'ozono. — Jodio nell'aria. — Allume di Roeca. — Diversi acidi organici. — Cotone fulminante. — Indurimento del legno nell'acqua. — Ed altri argomenti meno importanti. — Geografia. — Viaggi di Leiekardt nella Nuova Olanda. — Ipsometria del:bacino del Mar Morto, del Giorda- no, ece. -— Geologia, Mineralogia e Botanica. — Idec di Lecoq sulla for- mazione dei ghiacciaj. — Fenomeni erratici del Baltico, della Scandinavia e dell'America del Nord. — Metalli dell'America del Nord. — Miniere del- l'Isola d'Elba. — Ossa nei terreni recenti di Eussia. — Miscela di fossili di diversi piani. — Apparizione successiva o contemporanca di diverse specie alla superficie del globo. — Distribuzione geografica e modo d’apparizione attuale degli animali alla superficie del globo, secondo Agassiz. — Bota- nica, — Azione dell'acido pettico sulla vegetazione. — Studio comparativo degli animali inferiori e delle piante che accompagnano l’uomo in Europa e in America (Agassiz). — Vegetazione americana. — Zone dei vegetali nelle Montagne Bianche nell’ America settentrionale. — Licheni giuresi. — Fanghi del paese. -—- Zoologia. — Cultura delle sanguisughe. — Genera- zioni alternate negli elminti. — Larve ostili. — Sarcopto della scabbia. — Riproduzione artificiale dei pesci. — Serpenti di mare. — Potere fascinatore dei serpenti. — Locomozione delle vipere. — Fauna ornitologica di Neu- chàtel. — Classificazione dei mammiferi. — Castoro del Rodano. — Arvi- cola nivalis. — Letargo del moscardino. — Anatomia, fisiologia, igiene pubblica e privata, balneologia, tossicologia, materia medica, terapeutica, medicina legale, anatomia patologica, patologia, chirurgia, ospitali, economia rurale e domestica, tecnologia e statistica, molte notizie e co- municazioni intorno ad argomenti relativi a tutte queste scienze. Volume III. — Sedute, doni, ece. — Sui tavoli giranti. — Colonna me- toorologica di Neuchîtel. — Antichità trovate nei laghi di Svizzera. — Fisica. — Catene galvaniche. — Barometri aneroidi. — Fluoreseenze. — Del Cosmos di Humboldt. — Meteorologia. — Climi d'America. — Nebbie. — Grandini. — Terremoti. — Colori del lago di Neochàtel. — Chimica, Ozono. — Geologia e Mineralogia. — Formazione del ferro sideralitico. — Quarzo aurifero di California. — Roccia jodurata di Saxon. — Diversi de- positi dei ghiacciaj. — Cascata del Niagara. — Piano valanginiano e suoi echinidi. — Eehinidi fossili. — Loess. — Analisi delle rocce e teoria di Bunsen. — Morena del Giura. — Limite delle rocce lisciate dai ghiacciaj. — Botanica. — Mostruosità. — Metamorfosi di due 2gylops in tritieum. — Zoologia. — Piscicultura a Neuchàtel. — Riproduzione dei polipi. — Nuova rana. — Riproduzione delle tenie. — Distribuzione degli animali marini. — ADUNANZA DEL 5 GENNAJO 1861. 7 Effetti del colore rosso sui serpenti. — Ricerche di Vogt sugli animali infe- riori. — Diverse Memorie di Medicina. Volume IV. Sedute e doni. — Accampamenti celtici del lago di Neuchà- tel. — Abitazioni lacustri antichissime. — Tavola d’orientazione della ca- tena delle Alpi. — Correnti elettriche dei fili telegrafici. — La rugiada sui vetri. — Pendolo di Fomault. — Terremoto del Vallese. — Osservazioni meteorologiche. — Movimento delle acque nei laghi di Neuchatel e Bienne. — Alluminio. — Corpi ossidanti. — Analisi dei vini rossi. — Silicio. — Spaccato geologico del tunnel per la ferrovia della. Chaux-de-Fonds. — Saurio gigantesco trovato nel Cantone di Basilea. — Carta geologica del dintorni di S.° Croix. — Clivaggio delle rocce, — Studj geologici per la costruzione del tunnel. — Fossili del neocomiano di Neuchîtel. — Diversi studj geologici nei dintorni di Neuchàtel. — Formazione delle praterie d'America. — Piano valangiano. — Terreni glaciali. — Rocce lisciate. — Danni prodotti da insetti nelle foreste. — Funghi vari. — Coltura della canna da zuccaro a Serrières. — Combattimento fra una puzzola e un co- lubro. — Lamprede. — Diverse Memorie di medicina. — Barometro metal- lico di Bourdon. — Materia tessile dell’ananas-vova e midi d'uccelli del paese. i i Volume V. Primo fascicolo. — Sedute. — FAVRE, Rugiada di giorno. — DesoR, Oggetti raccolti nel Jago di Neuchatel. — KoPP, Evaporazione del lago. — DESOR, Caverne presso Nochefort, nuovamente scoperta. — DESOR, Fontane pel paese di Pesaux. — PERREGAUX, Annientazione delle monta- gne. — PeRrES, Modo di riconoscere le macchie di sangue col microscopio. — ToRBOLEL e FAVRE cd altri, Antichità raccolte nel lago. — SAUSSURE, Picchj del Messico. — Desor, Oggetti antichi raccolti nel lago. — LERE- BOULLET, Gamberi di Strasburgo. -— CopET, Chitonidi. — MARCO, neo- comiano del Giura. — Kopp, Sulle Osservazioni meteorologiche. — KoPP, Rapporto fra l’acqua che piove e quella portata via dai fiumi. — CORNAZ, Trasposizione totale dei visceri. —- CAULON, Solchi fatti sulle strade dalla pioggia. — FAvRE, Tartufi d'autunno. — Kopp, Barometro metallico di Bourdon e Richard. — GopeT, Nuove specie indigene di Helix. — CAULON, Dente di saurio del portlandiano. — CcuLEN, Vaso antico. — LORDAME, Notizie mineralogiche. — Drsor, Viaggio geologico nel mezzodì della Francia. — HrsscH, Osservatorio di Neuchîtel. — GUILLAUME, Bolide. — Conaz, Movimento dell'ospedale Pourtalès. — Osservazioni meteorologi- che. — Doni e libri. Volume V. Fascicolo secondo. Anno 1859-60. — Sedute. — CouLon, Antichità celtiche nuovamente trovate. — Kopp, Livelli dei laghi. — HIRscH, Altitudine di Neuchàîtel. — Hirscn, determinazione della differenza di la- titudine fra Ginevra e Neuchatel. — GuIiLLAUME, Diabete. — MORTILLET, Viaggio alle isole Orcadi e Shetland. — VoxGA, Sviluppo delle trote e loro 8 ADUNANZA DEL d GENNAJO 1861, allevamento. — KoPP, Osservazioni meteorologiche. — Kopp e KNAB, Livello dei laghi svizzeri. — HirscH, Altitudine dell’ Osservatorio di Neu- chàtel. — DesoR, Antichità celtiche. — DESsoR, Ricerche di Rouchér de Perthes ad Amiens. — GurLLAUME, Livello del molo di Neuchatel. — HirscH, Orologio giapponese. — GUILLAUME, Operazione dello strabismo. HrirscH, Nuovi piccoli pianeti — HirscH, Differenza di longitudine fra Ginevra e Neuchatel. — GUILLAUME, Fune telegrafica sottomarina dall’ In- ghilterra al Belgio. — Societa’. Visita all'Osservatorio di Neuchatel, e descrizione degli istrumenti che vi sì trovano. — Desor, Viaggio in Italia. — Eclisse di sole del luglio 1860. — Osservazioni meteorologiche ; comprese quelle sull’altezza, temperatura, ecc. dei laghi di Neuchàtel, Bienne e Morat. — Kopp, Riassunto dei lavori di Schònbein sull’Ozono. — Corwaz, Noti- zie mediche dell’ ospedale Pourtalès. — Doni e libri. Memoires de la Societe des sciences naturelles de Neuchatel. Tomes I, 3, HI, IV. Neuchàtel, 1836, 1839, 1846, 1859. — Dono di quella Società. Volume I. — Rego'amento della Società. — JoANNIS, Sunto dei lavori di fisica, chimica, matematica, ecc. — AGASSIZ, Sunto dei lavori di storia naturale e scienze mediche. — AGASSIZ, Ciprini del lago di Neuchàtel. — MONTEMOLIN, Terreno cretaceo del Giura. — NicoLET, Calcare litografico della Chaux-des-Fonds. -—- MonTMOLIN, Livello del lago di Neuchatel. — ALLEMAND, Costumi degli animali domestici. — DE CASsTELLA, Guari- gione d’ un aneurisma. — BoRrBL, Idrofobia. — MoxTMOLIN, Popolazione del principato. — CouLon, Animali nuovi o poco noti del museo. — AGASSIZ, Fossili del terreno cretaceo del Giura. — ASTERIVALD, Altitudine del lago di Neuchatel. — LADAME, Sulla formazione della superficie attuale del globo. — AGASSsIZ, Prodromo d'una Monografia degli Echinodermi. — Bullettino bibliografico. — LyELL, Movimento del suolo della Svezia. — BraUuD o ErIcson, Genere Meloe. Volume II. — Riepiloghi dei lavori di chimica, fisiea, storia naturale, matematiche, ecc. — Nuovi acquisti del Museo. — NrcoLeT, Geologia della Valle della Chaux-des-Fonds. — GopEeT, Vegetali vascolari del Cantone di Neuchatel. — TscnupI, Batraci, vivi e fossili. — AGASSIZ, Modelli interni dei molluschi vivi e fossili. — BONAPARTE, Selacj, Rettili o Amfibj. Ta- vole sistematiche. — AGASsIZ, Organizzazione degli Euriali. — MoNnT- MOLIN, Carta geologica del Cantone di Neuchatel. — BosseT, Sulla cari- naria del Mediterraneo. — Bosser, Un Ophidium nel corpo d’ una oloturia. — Acassiz, Mya alba. — Auc. P. pe CAUDOLLE. Notizia su Challet. Volume III. — Nuovi acquisti del Museo. — Membri della Società. — LesQUEREUX, Ricerche sulle paludi torbose. — LesquEREUX, Muschi della ADUNANZA DEL 3 GENNAJO 1861. 9 Svizzera. — AGASSIZ e VoGT, Anatomia dei Salmoni. —— MARCOU, Terreno giurese del Giura occidentale. — GuroTr, Carta del fondo dei laghi dj Neuchatel e Morat. Volume IV. — DesoR e GRESLY, Studj geelogici sul Giura di Neuchàtel. — Kopp, Variazioni di livello del lago di Neuchàtel. Osrenwaro, Carte de la principauté de Neuchatel, lecée de 180A{ia 1806, et completée en 4837. — Colorita come carta geologica. — Dono della Società di Scienze Naturali di Neuchatel. Atti dell'Ateneo di Milano. Anno 1839-60. Volume I della Nuova Serie. — Dispensa 4.° — 1860. — Cosrarpi, Parallelo fra il sordo- muto non istruito e il cieco dalla nascita. — Vita, Sull’origine delle perle. — Grirrini, Sulla abolizione della tassa del pane. — Vacani, Sulla Riforma edile della città di Milano. — Processi ver- bali delle sedute 11 e 30 agosto 1860. — Elenco dei libri man- dati in dono. — Elenco dei Socj. — In cambio coi nostri Atti. Arriconi, Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe. — Volume primo, fascicolo terzo. — Dono dell’ Autore. Il Politecnico. Fascicoli 54 e 55. — Milano 1860 e 1861. — Vinci- Lio, Delle condizioni economiche delle provincie liguri. — Giraxetti, L’uomo e i codici nel nuovo Regno d’Italia. — Mavrecazza. Prime linee di fisiognomonia comparata delle razze umane. — Cremona, Prolusione al corso di Geometria superiore. — L’ Istituzione Smith - soniana in Washington. — Società degli Ingegneri in Brescia. Sommario delle prime adunanze. — Carraneo, Sulla concessione delle ferrovie di Napoli e Sicilia. — Lowsarpin, Dell’ origine e del progresso della scienza idraulica nel Milanese e in altre parti d’Italia. — Mmror, L’arte di rigenerare e conservare le razze dei bachi da seta. -- Roseruni, Del credito personale, del credito reale e delle loro fasi. — Carvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza. — Notizie diverse. — In cambio coi nostri Atti. Anrowio Viuta, /otizie di scienze naturali ed agronomia. — Lettera a D. Pietro Buzzani (Giornale dell’Ingegnere Architetto. Anno VIII, Milano 1860). — Dono dell’ Autore. 10 ADUNANZA DEL 5 GENNAJO 1861. Antoxio Vita, Straordinaria apparizione d’ insetti carnivori. — (Giornale dell’Ingegnere Architetto. Anno VIII, Milano 1860). — Dono dell’ Autore. Avnrosio Viuta, Osservazioni zoologiche eseguite durante l’eclisse par- ziale di sole del luglio 41860 (dagli Atti della Società italiana di scienze naturali, vol. Il). — Dono dell’ Autore. Vacani, rapporto della Commissione incaricata di esaminare la ri- forma edile della città di Milano (Dagli Atti dell'Ateneo di Mi- lano del 1860). — Dono dell’ Autore. Cantoni, Ossercazioni della Società proponente la riforma edile ed ampliamento della città di Milano. Milano, Agnelli, 41860. — Dono del socio Vacani. CENNI SU ALCUNE ARMI DI PIETRA E DI BRONZO TROVATE NELL’IMOLESE, NELLE MARNIERE DEL MODENESE E DEL PARMIGIANO E NELLE TORBIERE DELLA LOMBARDIA E DEL PIEMONTE DI BARTOLOMEO GASTALDI SEGRETARIO DELLA SCUOLA DI APPLICAZIONE DEGLI INGEGNERI AN TORINO Da alcuni anni parecchi distinti geologi si occuparono a cercare nuovi fatti e a scoprire nuovi elementi di discussione che possano guidarci a risolvere la questione, se i primi uomini abbiano vissuto assieme ad alcuno dei grandi animali di cui è formata la più recente fauna fossile, al Mammouth per esempio, all’Orso delle Caverne, ece. Il bisogno di risolvere tale questione fa sì che lo studio dei resti la- scialici dalle razze umane che vissero in epoche, delle quali non è con- servala memoria nè nelle storie nè nelle tradizioni, cessa di essere una specialità dell’ Archeologo ed entra nella cerchia del campo geologico. È perciò interessantissima sotto al doppio aspelto archeologico e geo- logico la scoperta recentemente fatta presso Abbeville ed Amiens di selci lavorate, frammiste ad ossa dell’ZE/ephas primigenius e del Rhi- noceros-thicorhinus; e non solo di alto interesse ma affatto conclu- dente dovrebbe considerarsi tale scoperta se ci fosse dato, come pare lo sia, di escludere ogni sospetto che quei resti di animali spenti potes- sero già essere fossili quando le acque, rimaneggiandoli, li stratifica- rono assieme ai grossolani prodotti dell’ industria delle razze primitive. Coteste selci lavorate cioè freccie, lancie, ascie, seghe, scaglie ecc. sono certamente i più antichi oggetti archeologici che noi conosciamo e segnano, se non l'apparizione dell’uomo sulla terra, i primi risultati da lui ottenuti nel cercare di soddisfare ai suoi bisogni. In alcune località della Svizzera, della Germania, della Francia, della Danimarca e dirò altresi dell’Italia trovansi esclusivamente sca- glie di selce piromaca e pezzi di osso e di corno tagliati in forma di armi e di strumenti, accompagnati da grossolani utensili di terra mal 12 B. GASTALDI, cotta. In altre trovansi promiscuamente armi ed utensili di pietra e di rame o bronzo: metallo, l’uso del quale precedette di molto, come è ben noto, quello del ferro; e finalmente in altre trovansi frammisti a quelli di pietra e di rame, oggetti di ferro, L’uso della pietra lavorata, quello del rame o bronzo e finalmente quello del ferro, in particolare, segnando tre gradi ben distinti pei quali lo sviluppo intellettuale delle razze umane salì al punto in cui noi le troviamo, indussero alcuni archeologi a suddividere l’ epoca umana in tre età, cui diedero il nome di etd della pietra, età del bronzo ed età del ferro. Quando 1’ uomo seppe costruirsi armi ed utensili di bronzo, non pensò certamente a gettar via quelle che già possedeva di pietra, anzi, per molto tempo, e probabilmente fino alla scoperta del ferro non potè dimenticarsi della superiorità che alcuni degli oggetti di pietra avevano, per molti usi, su quelli di rame e di bronzo; è perciò naturale altresì che noi troviamo in certe località, gli uni e gli altri commisti insieme. Età della pietra. — In Italia appartengono paroip bile al alla età della pietra le molte armi di selce, fra le quali una anche di osso, trovate dal signor G. Cerchiari sui colli che le propagini dell’Apen- nino formano presso Imola e particolarmente in alcune località della Parrocchia di Goccianello. Queste armi vennero descritte e molto ben raffigurate dal mio amico dottore Scarabelli G. F. distinto geologo in una sua nota pubblicata negli Annali delle Scienze Naturali di Bo- logna nel 1850. Sono circa 30 cuspidi di lancia o di freccia e due ascie (couteau-hache); delle cuspidi le une sono appena sbozzate, le altre di un lavoro finito, circostanza, che, aggiunta all'altra di essersi trovata una di tali cuspidi presso un mucchio di scheggie di varie specie di pietra focaja e di essere buona parte di tali armi fabbricate con selci che si incontrano nei dintorni, fa credere che siano state lavorate nel paese e nelle stesse località in cui furono rinvenute. Posterior- mente alla pubblicazione della nota sovra citata si scopersero, negli stessi luoghi, globetti di argilla cotta con foro nel mezzo, piccole macine di un talco-scisto granatifero proveniente probabilmente dalla Valle di Aosta, ed alcuni strumenti od armi, cioè: 4. Mazzuolo di diorite a grani finissimi, a tinta azzurro-nerastra, su cui spiccano cristalli meno esili di feldspato bianco. Questo maz- ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 15 zuolo, da una parte, è tagliente e dall’altra a martello, e, verso questa, attraversato da un foro circolare, di diametro quasi costante, (24 mil- limetri da un lato, 19 dall’altro) e di mirabile regolarità. è 2. Accetta cuneiforme , della stessa roccia. 5. Accetta cuneiforme, di roccia probabilmente feldspatica , molto dura e di un bel verde. 4. Due accette cuneiformi, di diaspro nero (quarzo Lidio). Queste armi, quantunque di roccie durissime, sono lavorate con molta finitezza. i - Armi della stessa epoca vennero testè scoperte dal signor barone Anca in alcune caverne della Sicilia e consistono in freccie, ascie, coltelli, ecc. di roccie vulcaniche, rinvenute confusamente frammiste ad ossa di cervo e di majale (1). Prima di lui il signor Forel aveva tro- vato sulle nostre spiaggie, in parecchie caverne aperte presso Men- tone, buon numero di selci lavorate in forma di freccie, di accette, di dischi appiattili e taglienti, frammiste ad ossa e denti di cervo, capriolo, pecora, antilope?, bue, cavallo, majale, orso?, lupo, gatto, coniglio, e a conchiglie, crostacei e frantumi di carbone (2). Ilo detto parermi probabile che gli oggetti sovra nominati appar- tengano all’epoca della pietra, perchè essi furono trovati in quantità considerevole e senza miscela di oggetti di metallo. Accennerò ora scoperte molto più importanti di armi ed utensili della età del bronzo. Eta del bronzo. — In un fondo detto Cumarola, di proprietà del signor De Gatti, a poche miglia di distanza da Modena, nell’autunno del 1836 si rinvennero, nel fare lavori di sterro, circa 40 scheletri umani, sepolti a più di tre metri di profondità, nella nuda terra. Essi erano disposti in due file parallele, e tutti colla testa rivolta verso il meriggio, ed a canto di essi vedevansi armi di bronzo e di pietra. Un articolo (3) dell’egregio signor professore Cavedoni, stam- pato sul Messaggiere dî Modena, fece pubblica questa scoperta, ed io mi servirò delle parole del dotto professore per dare preciso rag- guaglio delle particolarità notate e degli oggetti trovati. (4) V. Bull. de la Soc. Géol, de France, année 1860. (2) Forel. Notice sur les instruments en silex et les ossements trouvés dans les ca- vernes de Menton. (3) Ragguaglio Archeologico intorno allo scoprimento di un antico poliandrio 0 sia tumulo sepolcrale di circa XL. guerrieri colle loro armi. — Messaggiere di Modena 24 dicembre 1856. -- N.° 1486. 14 B. GASTALDI, « Ciascuno di essi (scheletri) aveva, dal lato sug destro, una cuspide di lancia di rame volta allo insù, e dal lato sinistro una cuspide da saetta di pietra focaja; e inoltre quale di essi avea dal lato destro una cuspide cunciforme di bronzo, quale una simile cu- spide di serpentino verde durissimo, e quale al disopra del capo una mazzuola di serpentino nerastro non tanto duro, e finiente dal Jato opposto in forma di acetta. Uno fra tutti si distingueva per avere dal lato destro una lancia assai più grande ed elaborata, e al disopra della testa un tubo di ferro (1), che, infrantosi, apparve ripieno di materia incerta ridotta in minuzzoli a guisa di semola. » Quindi l’autore dà la seguente descrizione degli oggetti accennati: « 4. Lancia di rame (forse con leggera mistura di stagno), di lama soltilissima con costola nel mezzo, lunga 0", 43, e larga 0", 07 alla base; ed ivi fornita della sua coda, lunga 0", 025, con foro nel mezzo, per vie meglio fermarla in capo all’asta di legno, di cui rimaneva qualche traccia, e che pare fosse assai grossa ed inveslisse in parle anche la cuspide alla base. « 2. Cuspide di pietra focaja irregolarmente tagliata, lunga 0", 06 e larga 0", 02 con codetta lunga 0", 02. « 3. Cuspide cuneiforme di bronzo lunga 0", 10, larga 0", 04 verso il taglio e 0", 02 verso l’altra estremità. « 4, Uuspide cuneiforme di serpentino verde durissimo simile alla precedente (N.° 3.) ma un po’ più corta. « 8. Mazzuola di serpentino nerastro sparso di macchiette bian- chiccie, con capocchia tonda, e finiente dalla parte opposta in forma di acetta a taglio ottuso, con foro nel mezzo più largo da un lato che non dall’ altro, nel quale andava inserto un corto manico di le- guo grosso poco più di un dito indice, di cui rimase qualche traccia nel terreno. Essa è lunga 0", 08, larga 0", 03 verso il mezzo e 0", 04 nel taglio. « (Gli scheletri, accompagnati dalle sovra descritte diverse armi, erano assai ben conservati, ed avevano tutti i loro denti candidi e integri. Parecchi altri di que’ scheletri dovettero essere stati scoperti (4) Seppi dal signor De Gatti essere per niente certo che quel tubo fosse di ferro; è d’ altronde troppo naturale che non lo fosse, poichè fra le armi e strumenti, da cui erano accompagnati tutti li scheletri, neppur uno se ne trovò di tale metallo, ma tutti indistintamente erano di bronzo 0 di pietra. ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 45 e dissepolti allor che, intorno all'anno 1773, venne aperta la via nuova Giardini, poichè essa taglia a traverso una delle due file degli scheletri or discoverti: e probabilmente in allora vi saranno state rinvenute due armi simili alle nostre, che si conservano nel gabinetto della Regia Università. » Il mio amico prof. Doderlein, direttore del nominato gabinetto, volle cortesemente comunicarmi queste due armi onde potessi ottenerne mo- delli. Una di esse ha la forma di luna crescente, dal lato concavo della quale parte una larga ed appiattita appendice, che doveva servire ad innestare l’arma al manico. È formata di serpentino verde scuro con laminette di diallaggio che si lasciano facilmente scalfire, mentre la pasta scalfisce con qualche difficoltà il vetro, non senza però sof- frirne essa stessa; l’altra ha forma di accetta (couteau-ltache) ed è di una pasta feldspatica (saussurite o petroselce) a tinta verdognola con macchie nerastre; riga facilmente il vetro , resiste alla lima, lascia travedere essere scheggiosa, e si fonde al cannello, dando però un vetro verde scuro, quasi nero. (Un ascia di nefrite proveniente dalla Nuova Zelanda ed esistente nella collezione mineralogica della Scuola di Ap- plicazione degli ingegneri si lascia, con facilità, scalfire dalla lima). Accennerò ora ad una osservazione che mi occorse di fare relaliva- mente alle razze umane che in epoche remote vissero nell’ agro mo- denese : osservazione che potrà, per ora, parere di poca importanza od insignificante, ma che potrebbe forse anche aprirci la via a nuove e concludenti scoperte. Trovandomi quest’ estate in Modena (1) ed avendo notato nel bel Museo di Anatomia due teschi (provenienti da scavi praticati, se ben mi ricordo, nel Reggiano), l'uno dei quali è, dalla scritta che por- ta, qualificato di razza Zingana, io esternava al signor De Gatti il rammarico che non fossero stati conservati i teschi dei 40 guerrieri scoperti a Cumarola onde vedere se per ventura non avessero appar- tenuto alla stessa razza. Poco tempo dopo, nel settembre scorso, il signor De Gatti, mosso dal generoso desiderio di fare qualche scoperta che potesse tornar utile alla scienza, dava opera ad uno scavo in continuazione di quello (1) Ho fatto in quest’ occasione, debbo dirlo, per la prima volta conoscenza colle opere del Ramazzini, del Venturi, del Brignoli, del Cavedoni, ecc., e la debbo all’estrema cortesia del signor Domenico Luppi archivista del Municipio di Modena. 16 DB. GASTALDI, in cui eransi trovati i più volte nominati scheletri, e ne rinveniva un nuovo; per tratto poi di squisita cortesia, che io son lieto di fare qui pubblico, volle non solo trovarsi presente al lavoro onde potermi comunicare le osservazioni che gli occorresse di fare, ma volle altresì inviarmi in dono gli oggetti tutti rinvenuti, compreso il teschio, il quale, sgraziatamente mancante della parte faciale e di parte dell’oc- cipite, lascia dubbio a qual razza abbia appartenuto (1). Ho tuttavia osservato che questo teschio, quantunque di un individuo dell’ età di 2% a 30 anni, ha molto apparente la sutura fronto-frontale. Ora accade che, leggendo il Saggio di Storia Naturale degli Stati Estensi dei signori Brignoli e Reggi, vedo che gli autori fanno cenno di due teschi (probabilmente quelli stessi da me notati nel Museo Anatomico di Modena) trovati a circa 4 metri di profondità nel luogo di Cadelbosco presso Reggio. Uno di questi teschi, dicono gli autori, sembra ap- partenente ad un Cinganus, l’altro japparliene certamente ad un individuo della razza Caucasica, ma quest’ultimo, che è di un adulto (4) Il signor De Gatti, annunziandomi la scoperta da lui fatta, mi scriveva... e Or- dinai che si scavasse il terreno colla massima diligenza fino a che si fossero ri- conosciuti li soliti indizi; infatto, dopo non molto lavoro si conobbe la diversità «del terreno che indicava l’interramento di un cadavere, e sì cominciò a scoprire piccole ossa, che si supposero dei piedi; osservai diligentemente se le ossa fossero altra volta state smosse, ma ho veduto che ciò non era accaduto per la regolarità in cui erano poste. La lunghezza dello scheletro parendomi fuori del comune, ne ho misurato col metro la lunghezza e la trovai di 1m, 94. Si proseguì colle mani a pulire le ossa dello scheletro, e alla distanza di 0m, 57 a partire dal cranio per venire verso i piedi trovammo un gruppo di terra verdastra. Pulito con ogni precauzione l’indi- cato gruppo di terra, ci presentò un oggetto della lunghezza dì 0m, 08, e largo 0", 065, che da me e dagli astanti fu giudicato essere una decorazione, che doveva posare sul petto dell’ estinto; dalle indagini fatte sì è potuto rilevare che tale decorazione fosse composta di tessuto ed avesse la forma di raggio oblungo con piccoli tubetti (fili di rame) imprigionati nel tessuto: e in mezzo al raggio vi era altro piccolo oggelto più lungo. Tentammo tutte le maniere per conservare intera la descritta decorazione, ma non fu possibile; il tessuto che la univa era distrutto e la terra su cui poggiava, sotto l'impressione dell’aria, si ridusse in minuti frantumi; ho però diligentemente raccolto i tubetti e 1° oggetto che trovavasi in mezzo ad essi. Proseguendo a sco- prire, trovammo a destra dello scheletro la solita lancia di metallo (bronzo) e più sotto un oggetto altresi di metallo in forma di cuneo. Allorchè Ella mi parlò degli scheletri trovati nel 1856 a Cumarola, sentii che si do- leva non se ne fossero conservati ì teschi; procurai perciò che colla massima diligenza venissero raccolte le ossa di questo scheletro ora da me scoperto, e portai oggiTil_tutto a Modena per metterlo a disposizione della S, V.... » » ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 17 ( dell'età dai 350 ai 35 anni), presenta la particolarità di offrire apparente tuttora la sutura fronto-frontale; e si sa, soggiungono, che comunemente dopo di sette anni di età non più la si scorge; però è caso, benchè raro assai, che è stato notato da parecchi anatomici », Ecco adunque due teschi’, l’uno trovato presso Reggio, l’altro a Cumarola presso Modena, ambedue scoperti a 4 metri circa di pro- fondità, I uno di razza Caucasica, l'altro di razza incerta, offrenti ambidue la non ordinaria particolarità di presentare apparente la su- tura fronto-frontale. Mi pare che nella coincidenza di questi due fatti intervenga qualche cosa di più che il semplice azzardo (1). Marniere. — Nelle provincie di Parma, di Reggio e di Modena trovansi, in alcuni siti, considerevoli depositi di una terra giallo- bruna o bruno-neriecia considerevolmente ricca di sostanza animale. Queste terre sono molto apprezzate e vengono utilizzate per emen- dare e concimare i prati; nel paese sono conosciute col nome di Marne, il Venturi le chiamò ferre cimiteriali. Nelle Marniere trovansi terraglie, utensili, monete, ecc., dell’ e- poca Romana; armi, utensili, terraglie di un epoca più antica; e fi- nalmente ossa umane, di cavallo, di bue, di cervo, di majale: il tulto sovente frammisto a ceneri, carboni, cereali carbonizzati, ecc. Trascriverò quì l’analisi di una di queste terre, dovuta al Profes- sore Merosi e pubblicata dal Venturi nella sua Storia di Scandiano. 400 grani di terra cimiteriale molto sciolta, cioè renosa ed allu- minosa hanno dato : Acqua di assorbimento . . ....... Ant a E ALIBI LR AA Pietra sciolta e ghiaja, parte selciosa ed in parte calcare . ... 30 Fibre vegetali indecomposte . ......., MAAII FR. 9 Rena selciosa fina... ..... RINO PIPNII, RI) DI 196 Qesa*tnanie: inde composte Srslearnon piastantt si 4 DID, OMO, 25 275 (i) Recatomi espressamente a Modena nello scorso dicembre, ho potuto accertarmi che i due teschi conservati nel Museo anatomico di quella città sono infatti quelli di cui parlano il Brignoli ed il Reggi nel loro Saggio di storia naturale, e mi venne fatto vedere dall’egregio sig. cav. Gaddi, direttore di quel Museo, un terzo cranio di adulto colla sutura fronto-frontale; questo cranio fu rinvenuto nel 1858 dal sig. prof. Cesare Costa nello scavare un pozzo nell’ interno di Modena, e giaceva inlun sarcofago romano con coperchio chiuso ed impiombato. Vol. HI, 2 18 BD. GASTALDI, Somma, reltog seni vio La materia rimanente, divisa al minuto e filtrata ha dato: Garbonato ditalee. lea Carbonale. di masnesiaz... iride POPE TEO TEZINORAO.| Materia principalmente animale, distruttibile col sir siae 43 SIlice sla ein dr re O ANO at i eo NA e 3 VISSIROL AIA ERRO in a Materia solubile, principalmente fosfato e solfato di potassa, ed estralto, veselo-anumale Li li cilea ale di 8 Solfandiealee ala ; ii ade si Pasta di CAlEe i i i) ta AT Totaleva: 40 Gr «71599 Il Venturi, come ho già detto, chiama tali depositi terre cimite- riali e li divide in tre categorie. Nella prima comprende le terre più antiche, quelle che egli suppone essere o specie di cimiteri in cui si sepellirono dai Boii (Nazione Gallica) i guerrieri periti nelle bat- taglie, o avanzi di roghi e sacrifizii della stessa epoca; nella seconda comprende quelle che sono ricche di avanzi sepolcrali dell’epoca Ro- mana; e finalmente nella terza comprende gli amassi risultanti dalla rovina di antiche fabbriche consumate dal tempo o dall’ incendio. ll Cavedoni in un articolo su una spada di bronzo trovata nella marniera di Marano e da lui creduta Romana [/ndicatore Modenese anno 2.° N.° 18] accede ad una delle opinioni emesse dal Venturi e considera tali marne come avanzi di roghi e sacrifizii, notando molto in proposito che « la materia componente le marniere ( quelle a lui note ) essendo distinta a strati accumulati 1° un sopra l’altro successi- vamente e non già ad un tratto e tumultuariamente, poichè ciascuno di quegli strati suol essere ricoverto da un ordine di sassi e di fran- tumi di mattoni di terra cotta e di terra naturale, » tali marniere non si possono, per le accennate ragioni, considerare come « cumuli di cadaveri morti in battaglia e di prede incendiate dai Galli Boii, come in primo luogo suppone il Venturi, » ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 49 Dietro indicazioni cortesemente datemi dal professore Doderlein io visilai Ja marniera di Casin-Albo e quella di Ponte Nuovo presso Sassuolo. Alla marniera di Casin-Albo vidi un deposito, generalmente formato di letti orizzontali di un argilla brunastra, in massa, contenente molti frantumi di terraglie Romane ed in particolare di embrici sepolcrali accompagnali da ossa umane e di quadrupedi, nonchè da ciottoli ro- tolati di considerevole grossezza. La stratificazione è in molti punti poco apparente: in altri lo è di più, ed indicata da sottili letti di ciottoli rotolati. In altri punti I’ argilla contiene molto carbone e di- vien nera; e finalmente in altri vi si rinvengono conchiglie palustri e terrestri. La marniera è profonda 3 metri circa. Osservasi ad un di presso lo stesso a Ponte Nuovo. Ivi però non incontransi grosse terraglie Romane come a Casin-Albo, ma frantumi di vasi di terra nera o rossastra impastante granellini di quarzo. An- che quì il deposito è un alternanza di ciottoli rotolati, argilla nera- stra, ossami, carboni, e rottami di stoviglie, il tutto frantumato in piccoli pezzi. Se mi fosse lecito trarre qualche giudizio da quel poco che ho ve- duto, direi che nè il Venturi nè il Cavedoni stesso non hanno notato un fatto capitale; non hanno osservato cioè che nella maggior parte delle marniere gli oggetti che vi si rinvengono furono spostati e rimaneggiati dalle acque e più non trovansi nel sito da essi occupato al momento in cui vennero interrati. Parmi che la scoperta fatta nel 1856 a Cumarola dei 40 guerrieri sepolti nello stesso sito, possa sino ad un certo punto metterci sulla via per giungere ad interpretare la origine delle marniere. Premetterò che tutte le marniere del Reggiano, del Parmigiano e del Modenese, di cui fanno parola il Venturi ed il Cavedoni, sono poste in prossimità di torrenti (osservazione che già erami stata fatta dal Professore Doderlein). È noto che le regioni in cui incontransi quei depositi furono nei secoli scorsi sottoposte a devastatrici inondazioni causate probabil- mente da una parte dall’ allagamento del Po. e dall’ altra dallo *stra- ripamento dei torrenti che, discendendo dall’ Apennino, sboccano nella Valle Padana. 20 B. GASTALDI, Noi sappiamo finalmente che parecchie di. queste marniere sono stratificate. Ciò posto, se noi ci figuriamo quella specie di Cimitero scoperto a Cumarola nel 1856 od un altro consimile posto ad un livello più basso, tagliato, lavato, rimaneggiato da acque inondanti le circo- stanti regioni, noi capiremo facilmente che ne risulterà un deposito molto analogo alle così dette marne, un deposito cioè stratificato, consistente in sabbia, argilla e ciottoli e contenente ossa ed oggetti di industria umana. Che se nello strato che soprasta a quell’ antico cimitero (4 metri circa) vi fossero per ventura state sepolte terraglie ed altri utensili dell’epoca Romana o post-Romana, il deposito che ne risulterebbe sarebbe allora una marniera delle più complicate , . delle più compiute. Se dal poco, lo ripeto, che ho visto, e che ho potuto togliere dagli scrittori, che prima di me parlarono di quelle curiosissime terre, mi è lecito trarre generali deduzioni, io opino che la maggior parte delle marniere siano avanzi di sepolereti Romani, e avanzi di cimiteri, di roghi e forse anche di conviti (Kicekken-Moedding) dell’ epoca del bronzo, rimaneggiati dalle acque. IHo detto che le. marniere sono avanzi di sepolcreti Romani; ed j frammenti dei notissimi embrici di cui si servivano i Romani. per comporre le casse sepolcrali, le lucerne, i lacrimatoi, le monete e gli altri utensili di quell’ epoca, che in alcune marniere incontransi fre- quentissimi, mi dispensano dal provarlo. Ho delto altresì che sono probabilmente resti di cimiteri, e di roghi dell’ epoca del bronzo, e ciò perchè non infrequenti trovansi in esse, commiste a ceneri, carboni ed ossa umane: 1.° armi e strumenti di pietra, e particolarmente dardi di selce accompagnate da armi di bronzo, cioè spade, cuspidi di lancia, accette cuneiformi, ascie con ripiegature laterali (celt), dardi di freccia (Museo di antichità di Modena), ami, ec. 2.° vasi rozzamente lavorati, mal cotti, di color nero o rosso cu- po, fabbricati con argilla impastante granellini di quarzo (1) nonchè (4) Nelle marniere del Modenese le terraglie e massimamente Je pre-Romane rin- vengonsi sempre in frammenti: ma avendo visto nella Storia di Scandiano del Venturi che nel Museo di Parma esistevano alcuni vasi interi provenienti dalle marniere dei ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 24 quelle certe pallottole di terra cotta traversate da un foro, chiamate dal Cavedoni fusaiuole (1) (Cavedoni) Di un antica spada romana rin- venuta nella così detta marna di Marano. — Indicatore modenese, anno 2.°, n.° 18), le quali rinvengonsi altresì, come già abbiam detto, nell’Imolese: oggetti tutti identici a quelli che nella Sviz- zera, nella Germania, nella Danimarca ed in altri paesi sono carat- teristici di epoche pre-Romane e particolarmente di quella detta del bronzo. Ho poi finalmente detto essere altresì probabile che le marmniere siano resti di conviti, e ciò a motivo della grande quantità di ossa in- frante di bue, cervo, porco, ee., che vi si trovano, ma particolarmente perchè le due sole ossa lunghe (tibia e radio di un grosso cervo) (2), che mi occorse di esaminare e che provengono da una marniera (quella di Ponte Nuovo presso Sassuolo), sono amendue rotte ad una estremità , quasi nel modo stesso che gli antichi Scandinavi usavano ed i Groenlandesi e Lapponi usano tuttora, per rompere le ossa vuote all'oggetto di estrarne la midolla. Ecco in propositociò che scrive il sig. Morlot ne'suoi Studii geo/o- gico-archeolegici (Lausanne, 1860), parlando degli oggetti trovati nei Kjoekken moedding : — «Une circonstance à signaler c'est que tous les os pleins, non creux, de quadrupèdes sont entiers, tandis que ceux, qui sont creux, se prèsentent presque sans exceplion cassés, montrant souvent dintorni, visitai nello scorso dicembre quel museo, e mercè l’estrema cortesia del direttore sig. cav. Lopez vi ho trovato una serie di vasi che, per lavorio, per maleria e per forma, in una parola, per quell’assieme di caratteri che in storia naturale è conosciuto col nome di facies, rassomigliano a quelli dell’epoca del bronzo trovati nelle torbiere di Mercurago e di San Martino, di cui parleremo più sotto. (4) È singolare che all’appellativo di fusaîuole dato dal Cavedoni a quelle pallottole corrisponda così bene quello di pesons de fuseau con cui vengono indicate dal Troyon. Habitations lacustres des temps anciens et modernes par Frédéric Troyon. Lausan- ne, 1860. (2) Queste due ossa, le ebbi in dono dall’arciprete della parrocchia di Sassuolo,, sig. Leopoldo Grassi, appassionato raccoglitore delle curiosità naturali del suo paese. Egli mi fece altresì dono di molti interessanti oggetti tratti dalle marniere, ed in par- ticolare di due punte di freccia in selce, di pezzi di corna di cervo lavorate, e dì una macina di quello stesso talcoscisto granatifero, che, come già ho detto, parlando delle armi di pietra trovate nei dintorni di Imola, pare sia proveniente dalla valle di Aosta, essendo affatto simile a quello che vedesi in posto nell’antichissima miniera di rame di S. Marcel. 22 B. GASTALDI, la marque du coup qui les a ouverts. La population primilive était évidemment avide de la moélle, qu'elle prenait partout où elle se trouvait, soit pour la manger, soit pour l’employer avec la cervelle dans la préparation des peaux, comme le font les sauvages de l’Amé- rique septentrionale »». Enumerando quindi gli oggetti rinvenuti in mezzo alle palafitte (abitazioni lacustri) dei laghi della Svizzera soggiunge : — «Le piloiage de Moosseedorf a fourni une abondance d’ossements concassés d’ani- maux. On voit qu’ici, comme dans le Nord, Vhomme a ouvert tous les os creux , pour en extraire la moélle ». Ritornando alle ossa trovate nelle marniere noterò che il prof. Do- derlein da molti anni aveva osservato che le ossa lunghe presentano traccia di colpi di accetta. Ho esaurito quel poco che aveva a dire sulle marniere del Parmigiano e del Modenese e fo punto, confidando che qualcuno dei dotti naturalisti, di cui si vantano le Università di Parma e di Modena, darà opera a studiare quei curiosi depositi meglio che io non abbia potuto fare, ed a formare una ricca raccolta degli oggetti che vi si rinvengono, la quale ci permetta un giorno di poter dare come certi molti fatti, che io non posso ora annunziare se non colla prudenziale riserva del dubbio. Torbiere. — Una delle naturali bellezze del fertile paese che sulla sinistra del Pò si estende ai piedi delle Alpi sono i laghi. Tutti, si può dire, questi laghi, a partire da quelli di Avigliana e di Trana sino a quello di Garda, sono laghi morenici, racchiusi cioè negli an- fiteatri circondati da antiche morene. Considerevole è il mumero di questi laghi, alcuni dei quali sono molto piccoli, altri coprono su- perficie di ragguardevole estensione; per poco però che si venga a studiare le regioni nelle quali, in certo qual modo, si aggruppano, come sarebbero i dintorni di Avigliana, quelli di Ivrea, di Arona, di Como, ece., tosto si acquista la certezza che in epoche da noi non grandemente remote di molto maggiore era il numero dei piccoli laghi e maggiore l’ estensione di quelli che ora ancora sono vasti; e che i piccoli laghi scomparsi e quei tratti di bacino sui quali una volta maggiormente estendevansi le acque dei laghi oggidì ancora grandi sono in generale divenuti torbiere. ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 25 Si è perciò che, in Piemonte per esempio, tutte le torbiere di qualche importanza sinora coltivate sono torbiere moreniche. Esse trovansi a due differenti livelli e possono dividersi in torbiere di 1.° ordine ed in torbiere di 2.° ordine. Quando il fondo dell’anfiteatro circoscritto dalle morene è occupato da un gran lago (Lago d'Orta, Maggiore, di Garda), si trovano tor- biere, il di cui livello è di poco superiore a quello del lago stesso; quando il fondo dell'anfiteatro non è occupato da un gran lago (an- fiteatro di Rivoli, e di Ivrea), ma è percorso da un torrente, si tro- ‘vano torbiere elevate soltanto pochi metri, al dissopra del livello del torrente. Tali sono le torbiere che io chiamerei torbiere di 4.° or- dine; esse sono, per lo più, molto estese, ad esempio quella di An- gera, che è un antica ansa del Lago Maggiore, e quella di Avigliana, la quale è in continuazione col lago che porta questo nome. Le torbiere che io chiamerci di 2.° ordine trovansi in bacini piut- tosto ristretti e posti ad un livello molto più alto, sul dosso cioè della morena stessa. Tali sono le torbiere di Alice, di Meugliano, di San Martino presso Ivrea, e quelle di Mercurago, di Oleggio Castello e di Borgo Ticino presso Arona. ©, 4 DET o.) a" {li (rr ie ID e FEACIRREDII CSI ILZLLAILIFIIST TI 14414420, a. Torbiere di 1.° ordine — b. Torbiere di 2.° ordine — e. Lago occupante il basso fondo dell'anfiteatro. Quando non vi esiste lago, detto fondo è percorso dal torrente d — . A. Erratico. — B. Dilugium. In generale si è nelle torbiere che in Lombardia e nel Piemonte si scopersero antichi oggetti di industria umana e particolarmente dell’jetà del bronco. Nel 1856 i signori fratelli Villa di Milano pubblicavano una breve notizia, corredata di due buone figure sopra un ascia (celt) di bronzo e parecchie sclci tagliate in punta di freccia trovate nella orbiera di Bosisio, alla profondità di circa 5 metri. 24 B. GASTALDI, I signori Villa opinano che quelle selei lavorate siano « della natura di quelle selci che trovansi nel marmo magulica giacente sulla calcaria rossa ammonilifera dei monti posti tra il Lago Maggiore e quello di Garda »; quest’opinione però non è divisa da alcuni dei geo- logi Lombardi che io ebbi occasione di interrogare in proposito, e certamente lo stato frammentario in cui si trova la selce piromaca nei campioni favoritimi dall’ ingegnere De Mortillet lasciano grave dubbio che con tale varietà di piromaca siensi potute ottenere cuspidi di freccia. Il prof. Doderlein mi ha però assicurato che ad Enego, nella valle dell’Astico (Vicentino), si estraeva, anni sono, e si lavorava la focaja proveniente dalla majolica per ridurla in pietra da fucile. Oggetti di bronzo furono altresì scoperti nelle torbiere di Brenna, giacenti presso a scheletri, che, sventuratamente trasportati subito ed inumati in un vicino cimitero, vennero sottratti allo studio. È final- mente il signor De Mortillet mi disse aver visto a Verona presso il sig. Martinati un ascia di bronzo proveniente dalle torbiere del Veneto. Torbiere di Borgo-Ticino e di Mercurago presso Arona. — Le più belle scoperte si fecero nella torbiera di Mereurago, piccolo luogo distante mezz'ora di cammino da Arona. Ivi il signor Professore Moro oltre ad armi e strumenti di pietra e di bronzo, oltre ad utensili, ordigni e vasi di pietra, di legno e di terra colta, scoperse una pa- lafitta in posizione e condizioni tali, da persuaderci che nel piccolo lago di Mercurago , prima che si formasse la torba, abbiano esistito abitazioni lacustri, del genere di quelle i cui avanzi incontransi oggidi in quasi tulti i laghi della Svizzera (1). Avendo fatto parecchie corse alla torbiera di Mercurago ed av dolo altresì in custodia gli oggetti trovati, posso darne qui minuto rag- guaglio. Sin dagli anni scorsi si erano a più riprese rinvenuti, nello scavare la torba, freccie (cuspidi) di selce ed una cuspide di lancia di bronzo, nonchè molti frammenti di terraglie fabbricate con un argilla nerastra impastante granellini di quarzo, e finalmente un’ancora di legno lunga più di un metro, la quale terminava da una parte in due uncini, (4) Vedansi in proposito le Memorie del signor Keller negli atti della Società degli anliquari di Zurigo, quella recentemente pubblicata dal sig. Morlot, Etudes géologico- archeologiques nel Bulletin de la Société Vaudoise des Sciences Nalurelles, e le Habita- tions lacustres del sig. Troyon già citate. ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 23 e dall’ altra era forata per ricevere la corda. In quest'anno (1860), a piccola distanza dal sito in cui si era trovata l’ dncora, si scoperse da prima un canotto formato di un tronco di albero scavato, della lunghezza di 1", 90, della larghezza di un metro circa, e della pro- fondità di 0”, 30. Non ostante le cure che, in seguito alle calde rac- comandazioni del signor Professore Moro, si ebbero per estrarlo e conservarlo intero, questo canolto non tardò a disfarsi, staccatesi per l’innoltrata macerazione le pareti laterali, e screpolatosi in tante stri- scie longitudinali il fondo stesso, mentre si essicava. Quando io lo vidi, potevansi ancora scorgere sul fondo larghe traccie lasciate dallo strumento che fu adoperato per scavarlo; non lontano: dal canotto rinvenivasi altresì uno spillone di bronzo ed un disco di terra cotta con foro nel mezzo, simile alle fusazuole trovate nelle marniere del Modenese e presso Imola. Oblunga è la forma della torbiera di Mercurago, e tutti gli oggetti di cui ho fatto menzione si trovareno in un ristretto spazio all’ estre- mità N., a circa 40 metri dalla sponda, ed in un sito in cui l’acqua (quando la torbiera era lago) poteva avere, al più, 2 o 3 metri di profondità. In questo istesso spazio si scoprì, aprendo un fosso, una serie di pali del diametro di 0", 15 a Om, 23, infissi verticalmente nel limo grigio che forma il fondo sottostante alla torba. Cortesemente avvertito dal signor Professore Moro di questa sco- perta, io mi recai secolui a Mercurago, ove l’intelligente direttore dei lavori della torbiera signor Maffei aveva fatto estrarre con molta di- ligenza uno di questi pali, e potemmo persuaderci che lo strumento adoperato per aguzzarlo doveva avere il taglio in forma di arco, poi- chè le traccie da esso lasciate sono sensibilmente concave. La lunghezza dei pali è di 1%, 60 a 2°; sono profondamente pian- tali nel limo e si elevano per un metro circa della loro altezza nella massa della torba, la quale li ricopre ancora per un metro circa di spessore. Oggidiì la superficie dello scavo, sul fondo del quale vedonsi i pali, è un quadrato avente 9 metri circa di lato. Su questa superficie si trovarono 22 pali piantati verticalmente e legati assieme da pa- recchie traverse; al basso poi dello strato di torba, e nel piano di separazione fra la torba stessa ed il limo, si scoperse in mezzo ai pali una vera lettiera o strame di felci pigiate, su cui si trovarono tanti fram- 26 B. GASTALDI, menti di terraglie da riempirne un grosso cesto, tre vasi di terra ancora intatti, uno spillone di bronzo, una lunga scaglia, alcune frec- cie ( punte) e molte scagliette e frammenti di selce, nocciuole , cor- niole, ec. Tutti questi oggetti e le condizioni stesse in cui essi trovavansi ben dimostrano che su quella palafitta piantata nel lago a piccola distanza dalla sponda era costrutta un abitazione in cui viveva, prima che incominciasse a formarsi la torba, una famiglia umana; l’ essersi poi trovato, assieme a selci lavorate ed a rozze terraglie di argilla nerastra impastante granellini di quarzo, uno spillone di bronzo, di- mostra altresì che quella famiglia visse nell’ epoca di transizione fra quella della pietra e quella del bronzo. Le punte di freccia sono, d’ordinario, di un lavoro finitissimo; la scaglia di selce di cui or ora ho fatto cenno è lunga 0", 122 e larga incirca Om, 017; longitudinalmente essa piegasi un pò in arco ed ha la superficie inferiore formata da una sola faccia o piano e la supe- riore da due piani obliqui, che si tagliano longitudinalmente, dando luogo ad uno spigolo molto ottuso; i due piani obliqui poi, di cui è formata la superficie superiore, venendo ad incontrare il piano for- mante la superficie inferiore, ne risultano due spigoli laterali molto acuti, od in altre parole due tagli. Uno dei tagli fu poi ridotto a forma di grossolana sega, mediante una fitta serie di colpi di piccolo martello, i quali, staccando altrettante scagliette, produssero un adden- tellato. Ha di singolare questa scaglia (la quale potrebbe considerarsi come un rozzo coltello-sega) che la forma sua generale è affatto ana- loga a certe scaglie di ossidiana, che il gabinetto mineralogico della Scuola di Applicazione degli ingegneri ricevette dal Messico unita- mente ad alcuni esemplari della stessa roccia aventi la forma di un oliva molto allungata e che presentano dei larghi solchi longitudinali. La forma delle scaglie fa supporre che esse vennero staccate da tali masse mediante un forte colpo di martello portato su una delle loro estremità ; l'assoluta identità di forma che vi ha poi fra le scaglie di ossidiana del Messico e quella di piromaca rinvenuta nella torbiera di Mercurago farebbe presumere che quest’ ultima fu staccata collo stesso processo da una massa oblunga di selce (1). (4) Vedi altresi Troyon, op. cit., pag. #62, e tav. V, fig 22, ARMI DI PIETTA E DI BRONZO 2 Generalmente le terraglie sono di un lavoro molto grossolano, e fabbricate senza il sussidio del torno. Pare appartengano altresì all’età del dronzo alcuni vasi che, a piccola profondità, incontransi nel dissodare i boschi in una regione chiamata il Pennino, collina morenica che dalle alture di Mercu- rago si estende sino a Borgo-Ticino. Questi vasi o pignalte sono for- mati di quella stessa pasta nera tempestata di granelli di quarzo, di cui constano quelli che si trovano' nella torbiera, e contengono, per lo più, ossa carbonizzate, e qualche volta oggetti in bronzo; due di questi, una smaniglia cioè ed una fibula, io ebbi in dono dal sig. Moro, il quale li aveva egli stesso trovati in una di quelle pignatte. Seppi poi da alcuni lavoratori che, anni sono, si rinvennero in un solo gruppo 48 di tali vasi, e che ogni vaso era sostenuto e ricoperto da una lastra di pietra. Quantunque di un lavoro molto più finito e di una forma più ri- cercata, è probabile appartengano ancora alla stessa età o forse ai primi tempi della susseguente (del ferro) alcuni vasi graziosamente donatimi dal prete Ambrogio Radice prevosto di Sesto-Calende; essi furono trovati nelle circostanti regioni di Sant'Anna e dei Gropetti. I vasi trovati a Mercurago, se si paragonano a quelli dell’ età del bronzo, che ricevetti dalla Svizzera, in generale risultano al confronto di molto più rozzi, non solo per il lavorio, ma ben anche per la pasta di cui sono composti. Le pareti ne sono molto grosse e quindi, in proporzione , i vasi molto pesanti; si rinvennero tuttavia alcuni frammenti con ornati, invero molto semplici, eseguiti a scalfit- tura, ossia a punta mentre la pasta era ancora molle, e consistenti in figure triangolari, tratteggiate con linee parallele a due dei lati. Quelli che ebbi in dono dal sig. Radice (1) si avvicinano, per Ja forma, il genere di lavoratura e in particolare per la sottigliezza delle pareti, a quelli da me posseduti, della Svizzera; hanno anche essi or- nati a scalfittura e consistenti, ora in linee che corrono orizzontali , le une parallelamente e più o meno vicine alle altre, attorno al vaso, ora in serie di linee corte ed oblique, dalla cui associazione risultano (4) Questi vasi, in numero di cinque, sono identici a quelli raffigurati dal Giani ( Battaglia del Ticino tra Scipione e Annibale) ai numeri 46, 17 e 18 della Tav. IV, ed al n.° 4 della Tav, VII; essi però ‘non presentano traccie di sigle. 28 B. GASTALDI, figure geometriche (consimili a quelle notate sui frammenti trovati a Mercurago) o grossolane imitazioni di rami guarniti di foglie. Questo genere di ornamenti dà ai vasi trovali a Sesto Calende un certo grado di rassomiglianza con alcuni di quelli rinvenuti nelle tombe scoperte e con tanta amorevole cura e dottrina illustrate dal marchese G. Gozzadini (1). Fra le figuline Romane di varia forma e lavoratura che io ebbi occa- sioue di esaminare, ne trovai pochissime con ornamenti a scalfittura; eccone tuttavia un esempio. Negli scavi praticatisi a Torino per l’aper- tura della via Cernaja, e particolarmente per gettare le fondamenta dello Scalo della ferrovia Vittorio Emanuele, si rinvennero, presso a ruderi di antichi muri, gli avanzi di un vasto sepolcreto. Le tombe consistevano, per lo più, in grosse anfore, terminanti inferiormente in punta e superiormente in istretto collo, ed aventi il ventre talvolta oblungo, talvolta sferico. In queste anfore trovavansi lucerne, fiaschi, statuette, vasi varii di terra rossa, alcuni dei quali finissimi è con ornati a impronta o di riporto, vetri di varia forma e colore, meda- glie imperiali, oggetti di bronzo, di ferro, di avorio, lastre circolari e quadrate di una lega metallica durissima e levigalissime , ossa in- frante, ec. E siccome le dimensioni di questi oggetti non avrebbero loro permesso di passare per la stretta gola delle anfore, queste erano state tagliate trasversalmente al dissotto del collo, ove il ventre si allarga, e, riposti gli oggetti nella parte inferiore; si era questa coperchiata colla superiore, e turata l’ apertura della bocca con un disco di terra cotta od una piastra di bronzo. Ora, in tutte queste anfore, fra le varie altre figuline che, ben vedevasi, erano affatto nuove, si trovò un vasetto di terra cotta, le cui macchie nere dimostrano essere esso stato esposto alla fiamma; questi vasetti presentano un grossolano ornato formato di scalfitture, che corrono, or tagliandosi a vicenda, or no, obliquamente all’asse del vaso stesso. Quantunque io qui senta il bisogno di dichiararmi assolutamente (1) Di un sepolcreto etrusco scoperto presso Bologna. L’ autore aveva già notato (pag. 8) l'analogia che esiste fra parecchi dei vasi da lui raffigurati, e taluni di quelli illustrati dal Giani (op. cit.), i quali provengono altresì dai dintorni di Sesto Calende. Sono gratissimo al sig. cav. A. Fabretti di avermi fatto conoscere e comunicato l’egre- gio ed elegante lavoro del Gozzadini. ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 29 profano in fatto di archeologia, parmi tuttavia poter dire che il se- polereto etrusco descrilto dal Gozzadini, del quale ho qui sopra fatto cenno, è di data posteriore al sepolereto scoperto nel 1836 a Cuma- rola presso Modena, e posteriore altresì all’epoca in cui vennero fabbri- cali gli oggetti che oggidì incontransi in parecchie delle marniere. Egli è ben vero che le armi trovate cogli scheletri a Cumarola non si pos- sono quasi paragonare cogli utensili rinvenuti nel sepolcreto etrusco di Villanova presso Bologna, poichè fra questi non vi erano armi che in minima quantità, ma tuttavia si sente che in un epoca in cui già si sapeva unire al bronzo il ferro e lo smalto, in un epoca in cui si lavoravano con tanta maestria le figuline, non si adoperavano più le armi di pietra, nè si costruivano que’rozzi vasi, i cui frammenti rin- vengonsi oggidì in molte delle marniere. Se adunque pare evidente che le tombe descritte dal marchese Gozzadini sono posteriori alla inumazione degli scheletri scoperti a Cumarola, e, per analoghe ragioni, anche alle antiche abitazioni lacu- stri di Mercurago, non è men vero che esistono fra tutti questi avanzi di epoche remote parecchi punti di colleganza. Infatti, ornati consi- mili a quelli che vedonsi sui frammenti di terraglie trovati a Mercu- curago sono riprodotti, noi già lo abbiamo detto, sui vasi provenienti dai dintorni di Sesto Calende e riprodotti altresì su alcuni di quelli del sepolcreto etrusco di Villanova presso Bologna. Se poi esaminiamo le belle tavole pubblicate dal Gozzadini, noi scorgeremo che, astrazion fatta dal più perfezionato lavorio, le fusaiuole da lui raffigurate nella Tav. VII hanno, ad un di presso, la stessa forma di quelle trovate a Imola, nel Modenese, a Sesto Calende (V. Giani, op. cit. Tav. VI fig. 18 a 22) e altorno alle palafitte delle torbiere di Mercurago e dei laghi della Svizzera; scorgeremo inoltre che gli spilloni raffigu- rati nella Tav. VII e il coltello nella Tav. VI sono, per forma, iden- tici a quelli rinvenuti a Nidau, Estavayer et Chevroux in Svizzera; che tutti indistintamente gli ornamenti delle figuline sono eseguiti a graffito, e potremmo citare infine ancora altri termini di rapporto, se questo scritto non fosse, per buone ragioni , rivolto a dare cenni piuttosto che a fare dissertazioni. Qaei curiosi dischi o pallottole di terra cotta traforati, che il Ca- vedoni chiamò fusaiuole, trovansi non solo nell’ Imolese , nel Bolo- 30 B. GASTALDI, gnese, nel Modenese, presso a Sesto Calende e nelle torbiere di Mer- curago, ma altresì nei dintorni di Cagliari, in mezzo a banchi di con- chiglie marine, che incontransi a partire quasi dal livello del mare sino a parecchi metri di elevazione; negli stessi banchi poi, come altresì in una di quelle costruzioni chiamate Noraghe , si scopersero frammenti di terraglia della stessa natura di quelle che trovansi nelle marniere e nelle torbiere (1); nè, a quanto pare, sono rare in Sar- degna le ascie di bronzo a ribordi laterali, conosciute col nome di Celt. La cuspide di lancia (bronzo) trovata nella torbiera di Mercurago e quelle trovate a Cumarola presso Modena hanno forma diversa, ma presentano tutte la particolarità di essere molto sottili e di avere, alla parte inferiore, una sporgenza in guisa di codetta, la quale do- veva entrare ed innestarsi in una fenditura praticata alla estremità dell’asta, meglio raffermatavi poi da una o due chiavelle. La sotti- gliezza delle cuspidi ed il sistema di inserzione dimostrano quanto poco solide e terribili fossero quelle armi di offesa. Ho veduto in alcune nostre collezioni altre cuspidi di lancia in bronzo, ma proba- bilmente esse sono di epoca più recente, poichè già munite di ap- posito astuccio per l'inserzione dell'asta. Lo stesso sistema di inser- zione, mediante cioè un prolungamento della lamina raffermato al manico con chiavelle, notasi nella spada di bronzo rinvenuta nella marna di Marano e descritta dal Cavedoni ed in alcune cuspidi di lancia provenienti dalla Sardegna (Armeria Reale). Ultimamente si seoperse a Mercurago un utensile od ordigno di legno di un lavoro molto curioso. Ha la forma di una ruota, non però esattamente circolare; nel mezzo porta un buco, nel quale entra un pezzo di tubo a guisa di mozzo, e tra il mozzo e la periferia vi sono due vani in forma di mezza luna. Concorrono a formare questo utensile tre pezzi di tavola (probabilmente di noce), e per tenerli uniti si collegarono assieme con due rinforzi a metà legno, calettati a coda di rondine; il rinforzo poi non corre in linea retta, parallelamente cioè al dia- metro della ruota, ma bensì in arco, quasi parallelamente cioè alla (41) Vedi La Marmora, Voyage en Sardaigne, troisitme partie; tom. I, pagina 375 a 380. ARMI DI PIETRA E DI BRONZO dI periferia, talchè per farlo entrare si dovette necessariamente renderlo pieghevole; il rinforzo è di larice, e, nella parte inferiore, carbo- nizzato. ll prof. Moro, sapendo per esperienza che gli oggetti di legno trovati nella torbiera non possono conservarsi, perchè, essicando, si deformano interamente, mi fece pervenire incassato ed inviluppato entro muffa e fieno inzuppati d’acqua l’ utensile in discorso, in modo che giunse a Torino allo stato pastoso in cui fu rinvenuto, ed il sig. Comba potè ottenerne un modello di gesso, che pienamente risponde all'originale, il quale, come al solito, si ridusse in minuti frantumi. Nella torbiera di Borgo-Ticino (torbiera di 1.° ordine), posta quasi a livello del Lago Maggiore, si trovarono vasi di terra affatto simili a quelli scoperti nella torbiera di Mercurago. Trovossi anche gran numero di vasi di terra, di freccie (punte) di selce ed oggetti in bronzo nella vicina torbiera di Gagnago, ma tutto andò rolto, venduto, disperso. Sulla sponda di questo bacino ho an- cora visto infitti nella torba pali identici altresì a quelli di Mercurago, ma che presentavano la particolarità di portare alla estremità supe- riore traccie di sofferto incendio. Del resto osserverò che carboni e ceneri e particolarmente legnami e tronchi di albero con traccie di patito incendio incontransi frequenti in tutte le torbiere dei dintorni di Arona e dei dintorni di Ivrea. I tronchi di albero, che a dovizia trovansi in tutte queste torbiere, appartengono, per lo più, ai generi pino, quercia , alno, betula, salice, noce, ecc., e pare che, in ge- nerale. abbiano vegetato sul sito. Venti anni sono la torbiera di Ga- gnago era un pascolo; si estrassero da 8 a 6 metri di torba, ed oggidi il bacino è divenuto ciò che era anticamente, un lago. Nella vicina torbiera di Conturbia si rinvennero oggetti di epoca più recente, fra i quali nominerò alcuni pali trovati infitti quasi nel mezzo della torbiera, e mi è stato detto dall’agente che uno di questi pali era munito inferiormente di punta di ferro; ho potuto procurar- mene uno, privo però della punta di ferro, ed ho visto che era stato aguzzato con strumenti dello stesso genere di quelli che noi adope- riamo a tale uso, Le torbiere di Mercurago, di Gagnago e di Conturbia sono torbiere di 2.° ordine; lo stesso dicasi di quello di Revislate, partendo dalla DI 2 B. GASTALDI, quale per andare a Borgo Ticino si incontra, a metà cammino, un enorme masso erralico chiamato nel paese, pietra grezzana ; esso misura in un senso circa 18 metri, 10 in un altro, e sporge dai 4 ai 5 metri fuori terra. Torbiere di San Martino e Torre Baîro presso Ivrea. — | risul- tati ottenuti dalle ricerche iniziate alla torbiera di Mercurago dal Professore Moro mi incoraggiarono a visitare quelle di san Martino poste presso Ivrea: visita che io intrapresi con tanto maggior piacere inquantochè, da molti anni in corrispondenza coll’ egregio signor dot- tore Gatta amministratore della Società, che è proprietaria di quella torbiera, non solo io lo ebbi compagno nella mia gita, ma ottenni da lui tutte quelle informazioni e quei mezzi che potevano rendermi più facili le osservazioni che io aveva in animo di fare. La torbiera di san Martino è posta sul dosso della morena là dove questa, cessando, al ponte dei preti, di essere laterale, di correre cioè in retta linea, comincia ad inarcarsi e divenire frontale. Il ba- cino che la rinchiude è quasi ovale, il suo gran diametro misurando circa due chilometri ed un chilometro il piccolo. Circondato da prati e campi intersecati da macchie di alberi di alto fusto, questo bacino, sulla sponda settentrionale del quale si eleva, in mezzo ai castagni ed ai noci, il borgo di san Giovanni, ha un aspetto gajo e pittoresco, qualità che di rado incontransi nei luoghi torbosi. Da parecchi anni i lavori di estrazione sono abilmente diretti dal signor Barbano, e da lui seppi che sinora in quella torbiera non fu- rono scoperte traccie di regolari palafitte, le quali possano far sup- porre che nell’ antico lago di san Martino abbiano esistito abitazioni lacustri. Furono bensì trovati in questi ultimi anni due vasi di terra ed una selce lavorata, l’uno dei quali mi venne cortesemente donato dal Dottore Gatta, l’altro e Ja selce lavorata già erano stati dallo stesso donati al signor A. Sismonda. Quello che io possedo, fab- bricato senza l’ajuto del torno, è di un lavoro molto rozzo, ma lascia tuttavia vedere che si cercò di ornarlo, poichè a qualche cen- timetro al dissotto dell’ orlo ha un giro di impronte grossolanamente fatte con una scheggia di legno, di pietra o di altro corpo duro. La sua forma è quasi cilindrica, non presentando che un lieve ristringi- ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 35 mento verso la base; la pasta, simile in tutto a quella di cui sono formati i vasi trovati a Mercurago ed in molti luoghi della Sviz- zera, è un’argilla nera con granellini di quarzo. L’esservisi trovata: una selce lavorata ed i vasi dei quali abbiamo fatto cenno prova che in riva od in vicinanza del lago, che, una volta, occupava il bacino torboso di san Martino', abitò una tribù Celta, e porge argomento a credere che si finirà col trovare nel bacino stesso resti di abitazioni lacustri. Anzi, la scoperta di tali resti mi pare probabile, poichè, non essendosi finora scavato che un primo e superficiale strato di torba, e rimanendo ad estrarsi un secondo strato, in parecchi punti alto più di un metro, si è in questo strato inferiore che si dovranno incon- tirare le teste dei pali, se essi esistono. In questa ed in altre circo- stanti minori torbiere furono inoltre trovate alla. profondità di un metro circa nasse di vimini; in una di tali torbiere, posta in territorio di Torre Bairo, si scopersero frantumi di terraglie, che pajono fab- bricate col torno; e finalmente in un’altra fu altresi trovata una pic- cola macina. E qui conviene notare che nell’ apprezzare i diversi oggetti di industria umana incontrati in queste torbiere giova andar cauti, poichè, se è vero che i loro dintorni furono frequentati da po- polazioni che di molto precedettero l’era volgare, locchè pare suffi- cientemente dimostrato dai vasi e dalla selce lavorata trovati nella torbiera di san Martino, egli è fuori dubbio che quelle stesse regioni furono frequentatissime nell’epoca Romana; ciò che si può argomentare dalla quantità di tombe di cotto che si incontrano dissodando i bo- schi, tombe che d’ ordinario contengono terraglie di forma varia- tissima. Per rendere possibile e facile l’ estrazione della torba nel bacino di san Martino, si dovette aprire, con grave ma necessario dispen- dio, un profondo canale di scolo, il quale, tagliando, in tutta quasi la sua lunghezza, la torbiera, permette di studiarne il suolo. Gene- ralmente questo è formato di un’ argilla biancastra, che, in massa, vedesi regolarmente stratificata, e che d'altronde lasciasi facilmente suddividere in esilissimi letti, i quali presentano improute di piante erbacee. In alcuni siti trovasi su "questa argilla un potente strato di una sostanza nerastra , ricca assai di materia combustibile, la quale es- Vol. HI. 5 S4 B. GASTALDI , sicando diviene dura, sì rompe irregolarissimamente in piccoli pezzi e si riduce finalmente in frantumi. Se questa stessa sostanza venga manipolata, impastata cioè, e ridotta in mattonelle, allora acquista an alto grado di coesione e dà un eccellente combustibile, massime se, nello impastarla, le si unisca una certa quantità di tritumi di torba fibrosa. La sostanza di cui parliamo o, per meglio dire, la melma ne- rastra ha, in certi siti, 50 centimetri, un metro ed anche più di spessore, e su essa posa poi la vera torba a tessitura più o meno fitta. In altri siti, tutta o quasi tulta Ia massa torbosa è formata di uno strato di melma di color bruno sporco tendente al verdastro, la quale, essicando, si gonfia, si suddivide, si apre in sottilissime lamine come fa un libro mal legato, il di cui dosso cioè sia più stretto che nol com- porti la quantità dei fogli. L’argilla stratificata e i letti di torba di diversa natura che la rico- prono ci dicono chiaramente che il bacino torboso fu dapprima esclu- sivamente acqueo, od in altre parole che fu un lago. Finalmente, il sotto-suolo è formato di deposito erratico con massi di considerevole volume e ciottoli, alcuni dei quali puliti e rigati dal ghiaccio. Partendo dal centro e camminando verso il lato S. O. del bacino, si vede che lo spessore della torba diminuisce a misura ehe ci avvi- ciniamo al bordo della torbiera, ed ivi la vanga, nel tagliare la zolla, è sovente arrestata dall’ incontro di grossi tronchi di alberi, i quali vedonsi a varie profondità spuntare dalle pareti risultanti dal taglio della massa torbosa. Taluni di quei tronchi hanno dimensioni conside- revoli, 50, 40, 50 centimetri di diametro, c trovansi frequentemente coi loro ceppi e radici, talehè non vi ha dubbio che vissero sul luogo; sono d’ ordinario pini, quercie, nocciuoli, alni, ecc. Accade il più spesso di incontrarne parecchi insieme, posti gli uni sopra gli altri a catasta; giaciono in posizioni diversissime, ma, nell’assieme, pare che tendano di preferenza a volgere la loro punta verso il centro del bacino, locchè non impedisce che parecchi giacciano in senso paral- lelo all’ andamento della sponda. Ordinariamente essi sono coperti da un metro di torba, ma lo spessore di questa diminuisce, come abbiamo detto, a misura che ci avviciniamo alla sponda, e nello stesso tempo aumenta il numero dei tronchi. ARMI DI PIETRA E DI BRONZO 55 Tutto ciò osservasi sopra una superficie considerevolmente estesa, ed è forza arguirne che una intera foresta siasi abbattuta sulle sponde del bacino prima che esse venissero occupate dalla torba. At primo colpo d’ occhio poi si vede che Ia torba, che copre questa antica fo- resta, si suddivide, come nel centro stesso del bacino, in straticelli di diverso colere e tessitura, i quali tutti si piegano in arco su ciascun tronco, dimodochè, facendo correre l’occhio sopra un taglio o parete che si estenda per buon tratto della torbiera, vedesi che gli strati tor- bosi, invece di correre parallelamente al piano che forma il suolo della torbiera stessa, presentano una lunga serie di ondulazioni corri- spondenti ad altrettanti tronchi o gruppi di tronchi. Se bene ho apprezzato i fatti sovra accennati parmi debba da essi emergere, che dapprima vi era nella parte mediana del bacino uno stagno, in fondo al quale si depositò il limo di cui ho fatto parola, e che, in seguito, sviluppatasi, poco a poco, la vegetazione lacustre o paludosa, questa sottentrò, in parte, alla massa acquea ; e che at- torno allo stagno vegetava una foresta di alberi, i quali, caduti per vetustà o atterrati da qualche oragano, furono, col tempo, ricoperti dalla vegetazione torbosa che dal centro procedeva verso Ie sponde del bacino. È noto che la vegetazione torbosa ha appunto al più alto grado la proprietà di estendersi e di invadere i luoghi circostanti a quelli in cui si è dapprima fissata, e particolarmente poi di impadro- nirsi dei vecchi tronchi. In tutte le altre piccole torbiere che trovansi a ponente di quella di san Martino osservasi lo stesso fatto, che cioè verso le sponde esistono in gran numero tronchi arborei sepolti sotto ad uno o due metri circa di torba, ‘e, per non dimenticare l’ argomento di cui ci occupiamo, dirò che molti di questi tronchi portane traccie di sofferto incendio. Ma il maggior numero di tali tronchi che io abbia visto nel più ristretto spazio si è alla torbiera del signor Antoniono, posta sul territorio di Torre Bairo nella regione Palude lunga. Sono alberi interi, per lo più di pino e di quercia, e trovansi (a quan- to mi diceva il proprietario della torbiera, il quale ha, con molto discernimento , interpretato i fatti, che presentavansi al suo occhio) intatti, colla scorza cioè, coi rami, colle foglie e coi frutti (strobili e ghiande). Il signor Antoniono ini faceva osservare che, quando in- 56 B. GASTALDI » contrasi un gruppo di tronchi gli uni sovrapposti agli altri, notasi ge- neralmente che gli inferiori sono contusi al punto in cui sono caval- cati dai superiori, e che questi, allo stesso punto, sono rotti. La quantità di questi tronchi è tale, che nel solo taglio di torba da lui eseguito or sono due anni si estrassero 190 quintali metrici di legna. Fra quei tronchi, se ne trovarono dei conservatissimi e lunghi 18, 16 e 17 metri, talchè il signor Antoniono potè con essi costrurre |’ ar- matura del tetto di una cascina di considerevole estensione che egli fece testè fabbricare vicino alla torbiera. In questo breve scritto avendo particolarmente cercato di indicare le scoperte fattesi recentemente nella Italia Centrale e Settentrionale di armi e di strumenti di pietra e bronzo , e di quelle più recenti ancora relative alla esistenza di antiche abitazioni lacustri nei bacini delle nostre torbiere, parmi possa da queste semplici indicazioni «emergere che molto si debba da noi operare per riescire a nuove e più importanti scoperte; il che certamente non richiede grandi sforzi, nè presenta serie difficoltà, essendo io pervenuto in pochi mesi, anzi in non molti giorni di lavoro, ajutato invero dalla sorte. a riunire i risultati di cui ho quì sopra fatto cenno. Alcuni mesi sono io ignorava affatto che in Svizzera fossero stati scoperti, in questi ultimi anni, avanzi di abitazioni lacustri dell’epoca della pietra, del bronzo e del ferro. Il Professore Desor, venuto in Italia per istudiare i nostri laghi sotto al punto di vista archeologico, mi iniziò alla ricerca delle antichità Celtiche, e nello scorso maggio mi volle compagno in una corsa che femmo ad Arona all’ oggetto di scoprire resti di palafitte lungo le sponde di quella parte del Verbano ehe, a valle di Angera e di Arona, si estende sino a Sesto Calende , ove il Ticino riprende il suo corso, Le indicazioni favoriteci dal si- gnor Professore Moro e quelle che raccogliemmo da alcuni pescatori ei avevano fatto sperare di riescire nel nostro intento, ma le acque, in quella stagione sempre grosse, mandarono a vuoto le nostre speranze. Ventura volle che ciò che noi cercavamo nel lago venisse scoperto nella vicina torbiera di Mercurago, ed in condizioni molto più favo- revoli per lo studio. Tale scoperta è dovuta al signor Professore Moro, il quale volle altresì graziosamente donarmi tutti gli oggetti da lui ARMI DI PIETRA E DI PIOMBO 357 trovati; essi, quantunque ancora in piccolo numero, offrono un alto interesse e sono destinati, unitamente a quelli che ebbi in dono dal signor De Gatti di Modena, dal signor Grassi, Arciprete di Sassuo- lo, dal signor Radice, Prevosto di Sesto Calende, e dal. Dottore Gatta di Ivrea, a formare il nucleo di una raccolta celtica. Si è per ciò che io non li considero come miei, ma bensì del pubblico, e ri- volgendomi a tutte le persone che vorranno occuparsi o si troveranno in caso di fare qualche scoperta dell’ ordine di quelle cui si riferisce questo breve scritto, io lo terminerò colle parole che il signor Vouga indirizzava ai suoi connazionali. iu un articolo da lui pubblicato sulle abitazioni lacustri della Svizzera. « Les antiquités d'un pays lui appartiennent; ce sont des actes « historiques que l’individu n'a pas le droit d’accaparer pour orner «Sa cheminée ou les jeter comme jouet à ses bambins. Aussi j'aime « è croire que le public, dont cet article aurait pu attirer l’atten- « tion, ne profitera des renseignements qu'il contient que dans son « intérét méme, c’est à dire en déposant dans les collections publi- « ques les objets qu'il pourrait découvrir. » AGGIUNTE. Armi di pietra. — Ho ricevuto, pochi giorni sono, una bellis- sima ascia (conteau -hache) di saussurite, trovata in un burrone della valle della piccola Stura, torrente che discende dall’Appennino della Liguria ed immette nell’Olba presso Ovada; quest’ascia misura 0,9 15 in lunghezza, e 0,° 065 nella massima sua larghezza ; la sua forma è esattamente quella delle ascie raffigurate dal sig. Scarabelli, ed ha il taglio in arco. Mi viene inoltre scritto dall'ingegnere Enrico Grabau essersi trovate selci lavorate sul promontorio del Capo Argentale, ed il sig. cav. Promis custode della Biblioteca e del Medagliere di Sua Maestà ha voluto farmi dono di un accetta cuneiforme di quarzo Lidio e di varie fusaiuole di terra cotta provenienti dalla Sardegna. Ho pregato il signor Craveri, che abitò per 16 anni il Messico, ad esaminare quelle olivole allungate di ossidiana , di cui ho parlato a 38 B. GASTALDI , ARMI DI PIETRA E DI BRONZO pag. 18, e mi disse che esse sono appunto i residui delle masse dalle quali gli indigeni staccarono le scheggie che loro servivano per la confezione degli strumenti da taglio; mi ha inoltre soggiunto che trovasi una grande quantità di tali olivole e di scheggie al Cerro de los Navajas (collina dei coltelli) posto presso la cordigliera di Pachuca. Gli Apaches e varie altre tribù selvagge del Messico settentrionale adoperano ancora oggidì quasi esclusivamente le freccie per la caccia; alcune di tali freccie sono di ossidiana, ma la maggior parte sono di selce, non perchè l’ossidiana sia rara in quelle regioni, poichè ab- bondantissima in tutta la Repubblica,.ma perchè la selce è preferita, a quanto pare, per la sua maggior resistenza. Armi di bronzo ed ossa infrante. — Una spada di bronzo di rara conservazione, trovata nel 1830 in una torbiera detta la More- gna sita presso il lago di Viverone (Ivrea), mi è stata recentemente comunicata dal sig. conte Carlo Mella di Vercelli, e l’arciprete L. Grassi mi ha mandato i seguenti oggetti : 4.° Varie ossa lunghe, tutte, ad eccezione di uno, rotte alle estremità: furono trovate nella marniera di Ponte Nuovo. 2.° Un Celt. 3.° Un coltello di bronzo a due tagli. 4.° Un frammento di una forma (di talco scisto), che ha servito per la fondita delle cuspidi di lancia; questi oggetti provengono da una marniera del Reggiano. MONOGRAFIA” DEL GENERE AULOSTOMUsi Allorehè nel 1826 Moquin-Tandon levò dal genere Linneano /7i- rudo la specie Sanguisuga di Muller, Gmelin, Pennant, Johnston e Carena, Gulo di Braum, Z°orax di Pelettier, Johrston e Huzard, per farne un genere a parte, ebbe ad incontrare, per la poca conoscenza anatomica che si aveva di questi esseri, non poche difficoltà; che se alcuno più tardi, come Blainville, Gervais, Savigny e De Filippi convennero nel doverla levare da quel genere, la posero i primi nel Pseudobdella, nell Y@emopis i secondi; generi, che pei loro carat- teri bene distinti non hanno nulla di comune coll’ Aulostomunm. Una sola specie prototipo del genere viene ammessa dai Zoologhi, che è ricca di undici varietà, portanti i nomi di nigra, fuliginosa, olivacea, cinerescens, viridescens, punctata, maculosa, girescens, flava, castanea ed ornata. Le dieci prime in fatto non sono che va- rietà, ma non così puossi dire dell’undecima, l’ornata del De Filippi, ch’ è una vera specie, distinta dalla Gu/o. Vero è che il De Filippi, e il Daverney con lui, nel 1837 sbagliò quando scrisse a pag. 35 e seg. nella sua memoria sugli anellidi della famiglia delle sanguisughe edita a Milano: — Nel genere Ha- mois il tubo intestinale è ben diverso dalla descrizione e dalla fi- gura che ne ha dato il Moquin-Tandon. To mi accertai bene della specie alla quale appartenevano gli esemplari prima di esaminarii, e riconobbi a tutti 1 caratteri l’Hamopis vorux, — dando poi nella fi- gura 3 l’immagine del tubo intestinale caratteristico del genere Aulostomum. Ma non pertanto egli riconosceva che tra la sua /7@e- mopis vorax, comune nella Lombardia, esisteva una differenza speci- fica da quella che vive tanto abbondante nei contorni di Pavia, a segno, che ne faceva una specie a parte (e nella fig. XIV della tavola annessa alla suddetta memoria ne ritraeva l’immagine, che, se non del tutto dovevasi dire esalta, poteva però passare per buona; e che in- giustamente si ridusse a semplice varietà, come fece nella sua se- conda edizione il Moquin-Tandon e più tardi ii Diesing, la specie del 40 1 A. F. POLONIO, Zoologo Italiano. È bensì vero ch'io stesso nel mio catalogo delle Bdellidee Italiane la misi come una semplice varietà della Gulo, ma confesso che in quell’ epoca non avevo veduti che gli esemplari ra- colti dal chiarissimo professore Balsamo-Crivelli e conservati in alcool nel Museo di Storia Naturale di Pavia, e che non potei studiare come sarebbe stato il mio desiderio. Più tardi, ricercando degli esemplari della Trocheta subviridis, della quale non avevo che un solo esem- plare, l’unico trovato in Italia, ebbi campo di raccoglierne un numero enorme, che mi potè convincere che il De Filippi aveva avuto ra- gione se ne aveva fatta una specie distinta, ch'io trovai ricca di va- rietà , sì considerato il colore, come la disposizione generale delle macchie. lo non mi intratterrò nella descrizione parziale degli organi, es- sendo ciò già stato fatto dallo stesso Moquin-Tandon e poi dal De Fi- lippi, da Ebrard e più tardi ancora dal Gratiolet, ma solo dirò che la specie in discorso e che io chiamo /Ztalicum, diversifica dalla Gulo, per non avere la parte anteriore repentinamente attenuata, per avere gli occelli disposti nel 1.° 2.° e 3.° annello cefalico, e non nel 1.° 2.° 4.° e 7°, per avere i denticoli più ottusi, e per avere costantemente sul dorso una serie di macchie a catena. Genus Autosronen. Moquin-Tandon. Hirudo Anct. Haemopis, Savigny et De Filippi. /seudobdella , Blainville, Aulacostoma, Wiegmann. Corpus subeylindricum antrorsum angustatum, annulis ad 95 subx- qualibus, annulis quinis segmentum constituentibus. Caput corpore continuum. Os amplum, oblique terminale, labio supero producto, lanceolato, infero subnullo, maxillis internis tribus, ovalibus, haud compressis, sparse obtuse dentatis, plicis cesophageis longis duodecim. Ocelli decem. Acetabulum subbasilare ventrale, sessile, circulare. Androgina; penis inter 24 et 25 tum, apertura genitalis feminea inter 29 et 30 mum annulum. Tratus intestinalis unicruris, ano sti- patus; anus dorsalis supra acetabulum, semilunaris. — Ovipara, coccum formantia; animalia voracissima. — In fossis et piscinis, aut supra terram humidam, GENERE AULOSTOMUM 44 Avosronum Guro, Moquin-Tandon. Corpus subcylindricum parum depressum, antrorsum subito angu- statum, supra nigro-brunneum, v. nigro olivaceum, subtus pallide oli- vaceum. Ocelli 4° in 8.° annulo 2.° in 2.°, 2.° in 4.°, et 2 in 7.° Longit. 0,07 — 0, 4; Cras. retr. 0,012; med. 0,009: ap. 0,003. Syn. sp. Hirudo maxime apud nos vulgaris Rai? Hist. insect. 5. — nigra abdomine plumbeo Hill? Hist. animal. Ill. 16. — sanguisuga Miller: Hist. verm. I. 2. 38. — —— Gmelin: Syst. nat. 3095. — —— Pennant: Brit. Zool. IV. —_ —— Johnston: Treat med. Leech. 31. Carena: Monog. gen. Hirud. Tav. XI. fig. 7. 8. et 4223.125326. _ Gulo Braum: System. Beschr. einig. Egelart. Tav. 1 1-7. _ vorax Johnston: Treat. med. Leech. 62. —_ —— Pellettier et Huzard:Rech. genr. Hir. Journ. pharm. 1828. 121. Hemopis nigra —Savigny: Syst. des Annel. 116 Brandt: Med. Zool. Tav. XXIX. B. 12-17. — vorax. De Filippi: Mem. delle Sanguis. 26. Fig. III. Pseudobdella nigra Blainville : Dict. des sc. nat. XLVII. 249. LVII. 560. _ vorar. Gervais: in Guerin. Dict. III. 628 Tab. CCOXI 6. 6.a. Db. Aulostoma nigriscens Moquin. Tandon: Monog. des Hirud. 124 Tab. VI. 3. — —— Duverney: Wieymann's Arch. 1837. 2. 253. _ Gulo. Moquin-Tandon: Monog. des. Hirud. nouv. edit. 343 Tav. V. 1-20. - vorar Gratiolet: Annal. des sc. nat. 3 ser. XIV. 188. Aulacostoma nigriscens Wieymann und Ruthe: Handb, d. Zool. 2. Aufl. 554. 492 A. F. POLONIO , Aulacostomam gulo Grube: Famil. d. Annal. 110 et 148. Aulastomum Gulo Diesing. Rev. dar Myzhel. Sitzungsber. Ak. des Wissensch. XXX. II. 499 und XXXV 448. — ——. Gervais et Beneden: Zool. medic. Il. 187. Fis. 158-145. — —— Ebrard: Nouv. Monogr. Sargs. 64. Tab. VII et VIII, _ —— Cavier: Regn. anim. 5. edit. Annel. Tab. XXI. 4. Aulostomum Gulo Diesing: Syst. Helm. I. 464 et 632. — —— Polonio: Catal. del. Bdell. ltal. pag. 7. Varietà. x. Nigra. Corpus supra nigrum, concolor. Polonio. Cat. Bd. It. pag. 7. In fossis agri Patavini. 8. Fuliginosa. Corpus supra fuliginosum , concolor Moq-Tand. 2 edit. Tab. V. 3. Polon. G. B. I. pag. 8. In agro Me- diolanensis. Y. Olivacea. Corpus supra griseo-olivaceum rufescens, concolor. Moq.-Tand. 2. edit. 313. . Cinerescens Corpus supra cinereum concolor. Moq.-Tand. 2. edit. SAD. . Virescens. Corpus virescens, concolor. Ebrard. Nouv. Mon. Sargs. Tab. VII. Fig. 67. (e7) m 6. Viridescens. Corpus supra viridolam, concolor. Moq.-Tand. 2 edit. DAB. . Flava. Corpus flavenens. Ebrard. N. M. S. Tab. VIII Fig. 68. w S . Castanea. Corpus castaneum, concolor Ebrard. N. M. S. Tab. VIII. Fig. 69. In agro Ticinensis. :. Punctata. Corpus supra olivaceum, nigro-punctatum. Moq.-Tand. 2 edit. Tab. V. 4. Pol. C. B. I. Apud. Ticini, rara. x. Maculosa. Corpus supra olivaceum, maculis oblongis fuxis longi- tudinaliter dispositis. Moq.-Tand. Tav. V. bd. Habitaculum. Europa, in fossis, stagnis, piscinis et supra terram humidam ubi coccum abscondunt. GENERE AULOSTOMUM 45 Aucostomum IraLicum. Polonio. Corpus subeylindricum supra nigro-brunneum vel viridulum, vitta pallida mediana cateniformi, punctis nigris limitata, subtus pallide brunneum concolor vel punctatum. Ocelli decem, 6 in annulo primo, 2 in secundo et 2 in quinto. Long. 0,05 — 0,07 Zat. 0,006 — 0,008. Syn. spec. Hemopis ornata. De Filippi: Mem. sugli annel. della fam. delle sang. . pag. 23. Fig. XIV. Aulostomum Gulo v. ornata. Moquin-Tandon. Monog. fam. Hirud. i nouv. edit. pag. 543. Tab. V fig. 6. = —— Diesing. Syst. Helm. Tom. l. pag. 461. —_ —_ Polonio, Catal. delle Bdell. Ital. pag. 8. Variet. gr . Lincata. Corpus supra brunneum rosaceum, nigro-punctatum, punctis in lineis longitudinaliter dispositis; sub- tus pallide punctatum. 8. Niridescens: Corpus supra viridulum, nigro-brunneum punctatum, subtus pallide concolor. . Ornatissima. Corpus supra griseo-olivaceum, lineis duabus nigris in quadratis dispositis, omni quinto annulo in- terrupte ; duabus nigris elipticis, centro oliva- ceum, omni tertio annulo interrupte; subtus ni- grum punctatum. è. Picta. Corpus supra olivaceum, nigro-punctatum, margini- bus flavis; subtus olivaceum, marginibus, ni- gris punctis limitatis. > Habitaculum. Agrum Ticinensis; in fossis aquae limpide et currentis (De Filippi). Ranas assiliunt et devorant; coc- cum supra terram humidam abscondunt (Po- lonio). Pavia, dicembre 1860. Antonio FepERICo Poronio. CARTE DES ANCIENS GLACIERS DU VERSANT ITALIEN DES ALPES par GABRIEL pe MORTILLET Memoria letta nell’ adunanza del 23 dicembre 4860. Je viens de terminer l’étude générale, commencée depuis trois ans, des anciens glaciers du versant Italien des Alpes et j'ai pu en dresser la carte a peu près complète gràce au concours bienveillant de Mes- sieurs Gastaldi de Turin; Cornalia, Villa frères, Omboni, Stoppani de Milan; Parolini de Bassano, et Pirona d’Udine. Les glaciers anciens remplissaient toutes les grandes vallées alpi- nes du nord de l’Italie, depuis celle de la Stura, à l’ouest, jusqu'à celle du Tagliamento, à l’est. Ils venaient en partie dégorger dans la plaine du Pò et pour le Tagliamento dans celle de l’Adriatique. Je vais rapidement passer en revue ces divers glaciers, puis jétudierai en détail les phénomènes glaciaires, y compris les allu- vions anciennes qui ont précédeé les glaciers et les alluvions récentes qui ont commencé avec la période de retrait des glaces. De cette triple étude j'espère faire ressortir très -nettement que c'est l’affouil- lement produit par les glaciers, dans le sol meuble, qui a creusé le bassin des grands lacs du nord de l’Italie. I. Enumeération des anciens glaciers du versant Italien des Alpes. La vallée italienne la plus au sud-ovest de la chaine des Alpes est celle de la Stura de Coni. Malgré sa position méridionale elle conte- nait autrefois un glacier qui descendait de la Pointe Bernardo et des G. MORTILLET., ANCIENS GLACIERS DES ALPES 48 cimes voîsines du col de la Madelaine qui met la vallée en commu- nication avec Barcelonette, sur le versant francais. Ce glacier dépas- sait Demonte et venait jusque vers le hameau de Casali, entre Ga- jola et Borgo-San-Dalmazzo, où l’on trouve encore, plaqué contre la montagne, une porlion de moraine, reposant sur la terrasse la plus supérieure de l’alluvion ancienne de la Stura de Coni, et contenant des boues glaciaires et des blocs erratiques en partie anguleux, en partie arrondis. Mais ce glacier n'a pas laissé de moraine terminale en hémy- cicle, d’amphithéatre, expression trés heureuse, employée par M. Gastaldi pour désigner cette disposition de moraine. Le glacier venait, pour ainsi dire, finir en pointe. Il avait une longueur de 46 kilo- mètres. Dans la vallée de Ja Maira, située entre les hautes montagnes qui alimentaient le glacier de la Stura et celles qui entrétenaient les divers glaciers du Mont-Viso, il devait aussi y avoir un glacier spé- cial, mais je n'ai pu m'assurer du fait. Je l’ai donc tracé théori- quement. Du massif du Mt. Viso partent trois vallées: celle de la Varaita, la haute vallée du Pò et la vallée du Pellice. -Ces trois vallées ont été étudiées par M. Gastaldi qui a bien voulu me communiquer ses observations. Les anciens glaciers n’occupaient que le sommet de ces vallées et s'arrétaient auprés de Samperre pour la Varaita, de Pae- sana pour le Pò supérieur et de Luserna pour le Pellice. Ils n’a- vaient environ que 18 à 20 kiloméètres de long. Le glacier de la vallée du Chisone, en amont de Pignerol d’après les renseignements que je tiens de M. Gastaldi s’arrétait aux environs de Perosa. Le glacier de la Dora-Riparia descendait du Mt. Genèvre, du Mt. Thabor et du Mont-Cenis. Il débouchait dans la plaine du Pò tout près de Turin. Il avait 95 kilometres de long. Ses moraines termi- nales constituent les collines qui partant du sud-ouest de Sant'Ambro- gio, passent par Avigliana, Trana, Villarbasse, Rivalta, Rivoli et Pianezza. Ces collines contiennent des blocs erratiques tellement gros qu'ils ont parfois èté pris pour des roches en place. — Lorsqu’on vient de France, en descendant le Mont-Cenis, on peut apercevoir au fond de la vallée de la Cenise, une belle moraine signalée, en 46 G. MORTILLET, 1841, par M. Leblane (1). C'est contre elle que s’appuit et s’abrite le village de Ferriére. En chemin de fer, de Suse è Turin, on peut faire une étude suivie des phénoménes glaciaires. Les tranehées pré- sentent de belles coupes de la moraine entre les stations de Sant'Am- brogio et de Colegno. — Le glacier de la Dora-Riparia a été parfai- tement décrit et figuré, en 1850, par Messieurs Martins et Gastaldi dans un excellent Mémoire intitulé: Zssai sur les terrains superfi- ciels de la vallee du Pò aux environs de Turin (2), qui a été com- plété, en 1853, par M. Gastaldi (3). Le glacier de la Stura de Lanzo, formé de trois petits glaciers qui descendaient des hautes cimes qui séparent le Piéimont de la Maurienne, entre les montagnes de ikoche-Melon et de la Levana, n’a pas pris de développement et, d’après les renseignements qui m'ont été fournis par M. Gastaldi, s'arrétait aux environs de Lanzo. Le glacier de l’Orco, produit du Mt. Sassièére et du Mt. Iseran, devait se développer davantage, d’autant plus que très probablement il recevait des affluents latéraux, sur sa gauche, déscendants du grand glacier actuel de Monei, et du massif de la pointe de Lavina et de Roesa de Banchi. Ce dernier affluant occupait en tout ou en partie la vallée de la Soana qui débouche à Ponte. Malheureusement je man- que sur le glacier de l’Orco de renseignements précis. Il n’en est pas de mème pour le glacier suivant, le grand-glacier de la Dora-Baltea. De tous les anciens glaciers de I'Italie c’est in- contestablement le mieux observé. Il est aussi connu, dans tous ses détails, que les anciens glaciers de la Suisse. Il a été étudié successi- vement, dans ses diverses parties, du sommet jusqu'à l’estrémité , par Messieurs Carrel, Gal (4), Agassiz, Guyot (5), Forbes, Ed. Col- (1) Note sur les traces de glaciers anciens au Mont-Cenis, avec fig.: Bull. de la Soc. géol. de France, vol. 13, p. 425 à 127, 1844. (2) Bull. de la Soc. geologique de France, ser. 2, vol. 7, p. 554, 4850; et edition in-4.9, 44 pages, 1 pl. et fig. dans le texte. (3) Appunti sulla geologia di Piemonte, 1853, in-4°, 32 pages avec de belles planches. (4) Sur les stries et les moraines des glaciers de la vallee d'Aoste, Bull. de la Soc. géol. de France, ser. 2, vol. 2, p. 728, 41845. (5) Note sur la topographie des Alpes Pennines. Bull. de la Suc. des sciences nat. de Neuchùtel, 1847. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 47 lomb (1), Martins et Gastaldi (2). Ce glacier formé par l’amoncellement des glaces de toute la face sud-est du massif du Mont-Blane, qui vénaient se réunir à Courmayeur par lAllée-Blanche et le val Fer- ret, recevait un grand nombre d’affluants. Ceux de la rive droite, vallée de La Thuile, descente du Petit-Saint-Bernard, Val Grisanche, Val de Rbèmes, Val Savaranche et Val de Cogne, sont tous en amont d'Aoste. Ceux de la rive gauche, le Grand-Saint-Bernard, le Val Pel- lina débouché de la Dent d’Herins, le Val Tournanche débouché du Mt. Cervin, les vals Challant et Lesa ou de Gressonay débouchés du Mt. Rose, sont tous en aval. Ce grand glacier de la Dora-Baltea avait 130 kilomètres de longueur, et ses moraines latérales s’élèvent, en général, à 650 mètres audessus du fond de la vallée. Il débouchait dans la plaine du Pò, à Ivrée, et sy développait largement. Il y a laissé un magnifigue bémycicle, presque un cerele, de collines qui for- maient sa moraine terminale. Ce sont les collines comprises entre celles longitudinales désignées sous le nom de La Serra, les collines de Caluso et celles de Brosso. Studer (3), en 1844, et Guyot (4), en 1847, sont les premiers qui ont parlé des moraines d'Ivrée et sur- tout de La Serra, la plus remarquable de toutes. D’énormes blocs erraliques se trouvent disséminés à Agliè, Orio, Barone, Montalen- ghe, Caluso, Mazzé, Moncrivello, Maglione, Cavaglià, ete. Je me suis fort étendu sur ce qui concerne le glacier de la Dora-Baltéa par- ceque les crèles qui entourent cette vallée offrant encore de nom- breux glaciers, ceux de la Vallée de Cogne; le vaste glacier de Monei, au sommet du Val Savaranche; les glaciers du Mt. Iseran, de la Galise et de la Golette, au sommet du val de Rhèmes; les glaciers qui terminent le Val Grisanche; le glacier de Ruitors, audessus de La Thuile; les glaciers du Miage, de la Brenva, de la Lée-Blanche et de Triolet, au Mont-Blane ; les glaciers du Val Pellina; ceux du Mt. Cervin et du col St. Théodule; enfin ceux da Mt. Rose, glaciers (4) Entre autre une note sur le Val Tournanche publiée dans l’Essai sur les ferrains superf. de la valtée du Pò de Martins et Gastaldi. (2) Leur Essai contient des coupes, une carte et une trés bonne description de l’an= cien glacier de la Dora-Baltea et de ses moraines, 41850. (3) Lehrbuch der physicialischen geographie, vol. 4, p. 237, 4844. (4) Topogr. Alpes Pennines, 1847. 48 G. MORTILLET, d'Ayas et de Verra dans le Val Challant, et glacier de Lesa dans le Val de Gressonay, on-peut ètudier les phénomènes glaciaires qui se produisent de nos jours et suivre d’une maniére continue les traces de ces phénomènes, dans les parties ou le glacier a disparu, jusque dans la plaine aux limites inférieures de l’ancien glacier. Le glacier de la Sesia, descendant du massif du Mont-Rose, mais sur le développement duquel il me manque des renseiguements cer- tains. Le glacier de la Toce prenant son origine dans le groupe des montagnes de la Furka, recevant les glaces du Simplon et une partie de celles du Mt. Rose et du Mt. Moro, par le Val Anzasca, venait se heurter, dans le bassin du lac Majeur, vers Pallanza, contre le glacier du Tessin et se rejetait dans la vallèe du lac d'Orta, a l’extré- mité méridionale du quel se trouvent ses moraines terminales. Son étendue, est d’une centaine de kilomètres. Déja, en 41845, M. Mar- tins a décrit le glacier du Val Anzasca (1). Le glacier du Tessin, assez compléxe, provenait du Saint Gothard et du Bernardin. 11 se ramifiait dans le canton du Tessin, venait remplir le bassin du lac Majeur et s’étalait entre Lugano et Varèse. Les moraines extrémes de ce glacier s’arrondissent à l’extrémité méridionale du lac Majeur entre Arona, Borgo-Ticino et Somma. Elles remontent ensuite vers Varèse. Ces moraines indiquées, en 1850, par Messieurs Martins et Gastaldi (2), ont été signalées, en partie, enj1834, par M. Zollikofer (3), puis trés bien décrites et figurèes, en 1859, ainsi que celles du lac d'Orta, par M. Omboni (4). Je dois à M. Stop- pani des renseiguements sur celles de Varèse qui forment des zones concentriques au sud-est du lac. — Le glacier du Tessin avait envi- ron 150 mètres de développement courbe, décrivant presque un S dans sa plus grande étendue, depuis le sommet de la vallée du Tes- sin, pres du saint Gothard, jusqu'à l’extrémité du lac Majeur à Borgo- Ticino. (41) Bull. de la Soc. géol. de France. Ser. 2, vol. 3, p. 420, 41845. (2) Essai sur les terrains superficiels de la vallée du Pò, p. 24. (3) Geologie des environs de Sesto Calende dans le Bull. de la Soc. Vaudoise des sciences nat. 1854. (4) Sul terreno erratico della Lombardia, avec une carte, Atti della Soc. Italiana! di scienze nat., vol. 2, 1859-60, p. 6 a 21. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 49. Le glacier de l’Adda, provenant du Splugen et du Stelvio, rem- plissait le bassin du lac de Come et, glissant entre diverses monta- gnes, venait s'étaler sur toute la Brianza. De Mendrisio à Lecco, il décrivait un vaste demi-cercle, dont le milieu de la courbe se rap- prochait de Monza, vers le nord du parc. L’étendue de la plus grande branche, provenant de la Valteline, était de 190 kilometres. — Ce glacier communiquait avec celui du Tessin par Menaggio et Porlezza, ouverture qui donne accès sur le lac de Lugano, et par Piazza et Chiasso, qui ouvrait Ja plaine mammelonnée de Mendrisio. — Ce gla- cier a été signalé, dès 1844, par Messieurs Villa (1). Je lai visité en partie, ainsi que le suivant, au mois de septembre 1860, avec Messieurs Mérian, Studer, Desor, Omboni et Stoppani. Dans ses Elementi di geologia, Collegno en 1847 èà décrit les blocs erratiques du lac de Come et de la Brianza en repoussant la théorie glaciaire. Le glacier de l’Oglio descendant du Mt. Tonale et venant se ter- miner un peu audela du lac d’Iseo, où il a laissé un bel hemycicle de moraines qui va d’Adro à Provaglio en passant par Erbusco , Calino et Paderno, avait 110 kilomètres de long. — Une petite bran- che, partant de Lovere, occupait le sommet de la vallée du Cherio, jusqu’audela du petit lac Spérone. — Le glacier de l’Oglio indiqué par M. I. B. Villa, en 1837 (2), a été decrit et figuré en parlie dans ma /Vote geologique sur Palazzolo et le lac d'Iseo, 1859 (3). Le grand glacier de l'Adige, qui réunissait les glaces de tout le versant méridional des Alpes du Tyrol, dont le centre est le Brenner. Ces glaces accumulées dans le territoire de Trente, ne pouvant pas continuer par la vallée de l’Adige qui, audessous de Roveredo devient fort etroite et trés profonde, se sont jetées à l’ouest et sont venues remplir l’immense bassin du lac de Garde, formant à son extrémité méridionale un vaste cercle composé d’un double ou triple rang de collines. C'est sur ce cercle, qui partant de Salò revient du coté op- posé jusqu'à Lazise et Bardolino, que se trouvent Lonato , Castiglione, (4) Memoria geologica sulla Brianza, à l’occasion du Congrés des savants Italiens réunis à Milan. (2) Osservazioni geognostiche e geologiche fatte in una gita sopra alcuni colli del Bre- sciano e del Bergamasco, nel Giornale dell'Ing Arch. ed Agron, année 5. (3) Bull. de la Soc. géol. de France, ser. 2, vol. 16, p. 888 à 905, une planche. Vol. III. 4 b0 G. MORTILLET , Solferino, Cavriana, Volta, Valeggio et Sommacampagna. La plus grande étendue du glacier de l'Adige est de 270 à 280 kilometres. De tous les glaciers du versant Italien des Alpes, c'est le plus important. L’amphithéatre formé par ses moraines terminales au milieu duquel se trouvent Deésenzano, San-Martino et Peschiera, est traversé dans sa plus grande largeur par le chemin de fer de Milan à Venise. Ce bel amphithéàtre a été fréquemment indigué par les géoloques qui ont gerit sur les glaciers, mais on n'a commencé a l’étudier d’une ma- nière spéciale que ces temps derniers. C'est M. Paglia qui a entre- pris cette étude (1). — Au point où le glacier quitte la vallée de l’Adige pour se jeter dans le bassin du lac de Garde, à Mori, existe une magnifique moraine calcaire. Le Dante frappé de l’aspect chao- tique de cet amas de blocs en a parlé dans son Znferno (2). — Le glacier se rejetant à l’owest a débordé dans la vallée de la Chiese qu'il a remplie jusqu'à l’extrémité du lac d'Idro. Le glacier de la Brenta, provenant des cimes porphyriques et gra- nitiques qui séparent le Val Susana du Fleims Thal, descendait jusqu'à Primolano, puis trouvant la gorge dans laquelle coule la rivière trop étroite et trop abrupte, s'étalait sur les hauts plateaux au nord du coté d’Arsiè, et au sud contournant les crétes , s’étendait sur le plateau des Sette-Communi, par Enego, Foza, Gallio, Asiago et allait jusqu'à Rozzo. Les bloes erratiques de porphyre et de ro- ches granitiques de ce plateau entièrement calcaire et dolomitique , méme dans les crétes qui le dominent, ont été signalés, en 1840, par M. Catullo (3), ensuite par M. Parolini qui en a parlé en 1847, au Congrès des savants Italiens de Venise (4). Le glacier de la Piave qui, descendant du Mt. Paralba, è l’extré= mité du Bellunais, occupait toute la vallée jusqu'à Feltre recevant de nombreux affluants latéraux provenant de la région granitique et (4) Colline di terreno erralico al sud del lago di Garda; Atti Soc. Italiana, sci. nat 41860, vol. 2, 4 pl. (2) Inferno, chant 12. (3) Dei massi erratici che si veggono sui monti e nelle valli adjacenti dello Stato ve- neto, 1840, dans les Atti dell’Istituto veneto, vol. 4, p. 44 et p. 158. Prospetto degli scritti pubblicati da T. A. Catullo, in-4, 1847. Parle aussi des blocs du Bellunais. (4) Les Actes du Congrès de Venise n’ont pas été publiés par suite des événements de 1848. ANCIENS GLACIERS DES ALPES BI porphyrique du Tyrol. C'est ce qui fait que M. Catullo (1) a trouvé à Alpago, près d’un torrent qui coule à gauche de la paroisse, une grosse masse de granite blanc, et dans la vallée du Vesez, audessus de Santa-Giustina, également des granites et des porphyres. — À Feltre le glacier de la Piave, venait buter contre un de ces glaciers laté- raux descendant des cimes granitiques, celui de la Cismone , qui au lieu de se diriger vers le midi, comme les eaux de la rivière le font actuellement, se redressait vers le nord du còté de Feltre, par Fonzaso et Arten, puis remplissant le Val de Seren, franchissait en partie Ja Forcella Zioa et se deversait dans la vallée du Tegorzo, qu'il remplissait jusque vers Quero (2). — Un petit bras du glacier de la Piave s’engageait dans la vallée du lac de Santa-Croce où il a laissé deux belles moraines calcaires, la première à l’extrémité sud du lac de Santa-Croce, la seconde un peu plus loin à V’extrémité sud du lac d’Aqua-Morta. Enfin le glacier du Tagliamento qui recevait l’écoulement de toutes les glaces provenant de la crète des Alpes Carniques, qui séparent la Carintie du Frioul. Ce glacier venait déboucher dans la plaine au- dessus d'Udine et y a laissé plusieurs séries de collines qui partant de San Daniele se rendent à Tricesimo et Collalto, en décrivant un demi-cercle qui va jusqu’à Martignacco à trois quarts d’heure d’Udine. Jai étudié cette magnifique moraine terminale avec M. A. Pirona qui depuis longtemps avait remarqué sur ce point des cailloux striés (3). Parmi les blocs erratiques, qui couvrent les collines, nous avons re- trouvé toutes les roches des diverses formations géologiques qui se développent successivement dans la vallée du Tagliamento. Le plus grand bras du glacier du Tagliamento, qui se coudait deux fois pres- que a angle droit, avait environ 70 kilomètres de longueur. (4) Prospetto degli scritti da Catullo, p. 458. (2) Les blocs erratiques de granite blanc, porphyre, micaschiste, etc., de cette vallée ont éié signalés par M. Catullo. Prospetto, p. 159. (3) M. Pirona a adressé à la Société Italienne des sciences naturelles une note in- iitulée: Antiche morene del Friuli, qui a. été lue dans la méme séance, que mor travail. Atti della Soc. Italiana, vol. 2, 1860, 1 pl 52 G. MORTILLET , Il Alluvions anciennes. Le dernier soulèvement des Alpes à donné à la charpente rocheuse de la région alpine la forme générale qu'elle affecte actuellement. Ce soulèvement a completé l’exhaussement des montagnes et a des- siné les vallées. Depuis lors les actions atmosphériques et sur tout les eaux plu- viales ont lentement, très lentement, dénudé les sommets et les croupes, élargi les fentes de rochers et formé les cluses, comblé les fonds et nivelé les vallées et les plaines. C'est a cette époque désignée successivement sous les noms de di- luvienne, quaternaire, post-pliocène, pleistocène, époque de l’allu- vion ancienne, etc., que se sont accumulés dans le fond des vallées et dans les plaines ces vastes dépots de cailloux, de graviers, de sables et d’argiles, à stratification plus ou moins régulière, mais tou- jours horizontale. Ces: dépots peuvent s'étudier facilement au débouché de toutes les vallées des Alpes, parceque les cours d’eau qui sortent actuellement de ces diverses vallées les ont profondément creusés et coulent, à un niveau bien inférieur, au pied de hautes berges présentant de magni- fiques coupes. Dans la coupe de Pianezza, donnée par M. Gastaldi (1), on voit la Doire couler au pied d’une berge de 35 méètres de haut, formée dans toute sa partie inférieure de diluvium plus on moins bien stra- tifié, supportant le terrain glaciaire et erratique dépourvu de toute trace de stratification. A l’extrémité du lac de Come le terrain diluvien ou de l’alluvion ancienne est trés développé. Le chemin de fer de Milan à Camerlata, immédiatement avant la station de Cucciago, à une hauteur de 49 mètres audessus du niveau du lac de Come, traverse en tunnel ce terrain formé d’un poudingue horizontal. La colline couronnée par (1) Appunti sulla geologia del Piemonte, 1853. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 55 les boues glaciaires et les blocs erratiques, s'éléve à une hauteur de 24 mètres au dessus de la voie (1). En remontant le torrent qui, aboutissant à Come, coule entre l’an- cienne et la nouvelle roùte de cette ville à Lecco, on voit, audessous de Solzago, l’alluvion ancienne horizontale, s’appuyer contre les couches redressées de la scaglia et ètre également recouvertes par les boues glaciaires et les blocs erratiques sans stratification. Jai visité cette localité, au mois de septembre 1860, avec Messieurs Desor, Studer, Mérian, Stoppani et Omboni. L’Adda, entre Lecco et Cassano, coule au pied de berges compo- sées aussi de ces alluvions anciennes, qui supportent le terrain gla- ciaire de la Brianza. En passant l’Oglio, on remarque la méme chose. Cette rivière, en remontant de Palazzolo jusqu'au lac d'Iseo, est profondément. en- caissée entre des berges de cailloux, graviers et sables, affectant la stratification torrentielle, toujours horizontale, et passant habituelle- ment à l’état de poudingue. Sous le viaduc de Palazzolo ces berges ont 23 mètres de haut (2). Elles sont encore plus élevées en se rappro- chant du lac d’Iséo. Leur niveau supérieur est au moins à 40 mètres an dessus de celui des eaux du lac. Auprès de Sarnico on voit cette formation, qui dans la plaine forme un vaste plateau, se couvrir de boues glaciaires du còté du village de Paratico, et supporter du coté opposé, a Montecchio, une portion de moraine avec ses boues et ses blocs. Dans l’intérieur de l’amphithéatre glaciaire de la plaine d’Iséo on voit le poudingue de l’alluvion ancienne former des mammelons sur- montés d’habitations isolées el de villages et en grande partie revélus de boue glaciaire. Au dessus de Provaglio, la route d’Iséo à Brescia coupe ces poudingues, et on voit très bien que leur partie supérieure, formant plateau, sert de base et de support aux magnifiques moraines terminales qui circonscrivent l’amphithéatre. (4) Ipsometria della rete delle strade ferrate Lombardo-Venele, par G. de Mortillet, dans Atti della Soc. Ital. di scienze nat., vol. 2, 1860. Station de Cucciago 261 mètre audessus de la mer, sommet de la colline sur le tunnel 285. Le lac de Come est à 212 métres d’après les travaux trigonométriques de Lutz. Lavizzari, Altitudini dei luoghi principali del Ticino, 1860. (2) Ipsometria della rete Lombardo-Veneta. Station de Palazzolo 183 métres audessus de la mer. Oglio sous le pont du chemin de fer 150 mètres. BA G. MORTILLET, Le méme fait s'observe à la Dora-Baltea, au Tessin, à VAdige partout depuis la Stura de Coni jusqu’au Tagliamento. Pour se rendre d'Udine à la belle moraine terminale de l’ancien glacier de ce fleuve, il faut traverser le Cormor qui coule au pied d’une haute .berge for- mée d’alluvion ancienne — sables, graviers et surtout cailloux, — avec des indices très nets d’une stratification horizontale; la partie supé- rieure de cette formation a passé assez généralement à l’état de pou- dingue. Elle forme un vaste plateau sur lequel reposent les boues glaciaires et s'élévent les moraines. A Castellerio, hameau de Pa- niaco, situé audessus d'un pont sur le Cormor, se trouve un ravin qui coupe la formation de l’alluvion ancienne. On voit des graviers à stratification torrentielle, avec lits de cailloux plus gros et nids len- ticulaires de sable intercallés. Le tout est surmonté d’une couche de poudingue qui constitue Je sol horizontal du plateau. En remontant le ravin on rencontre bientòt les argiles glaciaires et les bloes erra- iiques reposant sur la formation précédente et accidentant fortement le sol. L’église de Paniaco est déjà construite sur ce revétement glaciaire. Les dépots de l’alluvion ancienne a stratification torrentielle hori- zontale, supportant les dépots glaciaires sans stratification, se mon- trent non seulement dans la grande plaine au débouché des vallées, vers l’extrémité des anciens glaciers, mais encore dans l’intérieur des vallées elles-mémes. Il me suffira de citer Bellune. La Piave en- taille profondément des dépots de l’alluvion ancienne qui supportent des argiles glaciaires comme en peut l’observer au près du cimetière de la ville. De. toutes ces observations il faut conclure qu'après le dernier soulevement des Alpes, qui a donné au pays sa configuration actuelle, il s'est écoulé un laps de temps très long pendant le quel les eaux des montagnes entrainant des quantités prodigieuses de débris de ro- ches ont comblé Ie fond des vallées à un niveau bien supérieur au niveau actuel. C'ést aussi pendant cette très longue période que s'est opéré le grand atterrissement de la plaine extéricure des Alpes, plaine qui depuis cette époque a été sillonnée et creusée de toute part par les cours d’eau sortant des vallées alpines. Ces dépòts, ces alluvions, ces atterrissements ont eu lieu avant ANCIENS GLACIERS DES ALPES 55 l’époque glaciaire, ou tout au moins pendant que les glaciers com- mencaient à se former et à se développer au sommet des montagnes, car partout dans les vallées et sur tout an débouché des vallées on voit les dépòts glaciaires, bones à cailloux striés et bloes erratiques, reposer sur ces alluvions anciennes, les revétir et les recouvrir, sans qu'il y ait intercalation. C'est tout au plus si l’on peut constater quel- que fois un léger mélange è la partie tout à fait supérieure de l’al- luvion ancienne, ce qui n'a rien de surprenant au point de contact de deux dépòts meubles. L'alluvion ancienne est done entièrement distinete des formations glaciaires. Elle repose directement sur les terrains plus anciens. Dans la vallée de la Stura de Coni, entre Gajola et Roeca-Sparvera on la voit en contact immédiat avec le terrain jurassique alpin. Dans lamphithéàtre du glacier de la Doire Baltée le contact de l’alluvion ancienne avec les conches pliocènes, caractérisées par les fossiles subapennins, se montre sur plusieurs points, surtout auprès du lac de Candia, sans qu'il y ait aucun débris glaciaire interposé. La séparation de l’alluvion ancienne des dépòts glaciaires et son antériorité comme formation sont si clairs que M. Omboni les indique très nettement dans son résumé Sullo stato geologico dell’Italia, en 1856, époque où il n’admettait pas encore la théorie glaciaire. « Il terreno erratico lombardo sembra potersi dividere in due parti, che hanno la stessa composizione, ma differente struttura. La parte inferiore è di depositi regolari, la superiore di depositi irregolari : tutte due sono formate di sabbie, ghiaie e argille, variamente disposte e alternanti fra loro in differenti maniere. » Le puddinghe che fiancheggiano i nostri fiumi dopo Ta loro uscita dai laghi e formano alcuni depositi superficiali nelle alte valli alpine, appartengono pure a questo terreno. l loro strati sono orizzontali, talora separati da sabbie, e sempre ad altezze maggiori di quelle a cui giungono i fiumi attuali. » I massi erralici formano un deposito importante nel terreno er- ratico di Lombardia, e si trovano nella sua parte superiore (1). » (4) P. 37 et 38 Sullo stato geologico dell’Italia, petit volume, in-12, avec cartes eoupes et figures. Milan, 1856. d6 G. MORTILLET , On voit par ce passage que les alluvions anciennes, stratifiées , horizontales, sont bien audessons des boues glaciaires, composées des méèmes eléments, mais en amas irréguliers, sans stratificalion, et audessous aussi des blocs erratiques. Les poudingues qui constituent principalement les alluvions antérieures à l’époque glaciaire, abon- dants au point d’écoulement des lacs, correspondent a des poudingues analogues qui se trouvent dans les vallées en amont des laes. Messieurs Martins et Gastaldi sont encore plus explicites coneer- nant l’indépendance de l’alluvion ancienne et sa position audessous des dépots glaciaires. Décrivant l’alluvion ancienne, qu’ils désignent sous le nom de di- luvium, ils disent: « Les cailloux sont lisses, arrondis, jamais rayés ni entremélés de fragments ou de blocs anguleux (1). » Jls ajoutent, entre plusieurs autres citations que je pourrais faire: « Comme les moraines de Rivoli, celles d’Ivrée reposent sur le diluvium alpin, superposé lui-méme aux sables pliocènes marins de Ja vallée du Pò (2). » Et plus loin: « La position du diluvium rélativement aux terrains glaciaires et aux couches pliocènes marines ne peut faire l’objet d’un doute. Il est inférieur aux premiers, supérieur aux secondes. A Alpignano, a Pianezza, près de la moraine de Rivoli, on reconnait que les nombreux canaux d’irrigation qui partent de ces points sont creusés dans le diluvium alpin, surmonté de moraines ou de terrain glaciaire épar- pillé. »» lis donnent aussi une coupe prise dans Je torrent de la Chiusella , entre San Giovanni et San Martino, près d’Ivrée: 1° A la base, 10 à 12 mètres de sables pliocènes marins avec fos- siles caractéristiques. 2° Diluvium alpin variant de 10 à 412 mètres à 20 à 50. Assez bien stratifié. 5° Au sommet ferrain morainique avec cailloux striès et blocs er- raliques (3). (1) Essaî sur les lerrains superficiels de la vallee du Pò aua environs de Turin, par Martins et Gastaldi, 1850, in-4°, p. 30. (2) Id. p. 48. (3) Id. p. 32, avec figure. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 57 Au débouché des vallées les alluvions anciennes sont généralement composées de cailloux de grosseur moyenne. On n'y voit pas de ces énormes pierres roulées, qui se montrent en si grande abondance vers la partie supérieure du sol de la plaine, au pied des Alpes. Cela prouve qu’à l’époque où se déposaient ces alluvions, les courants n’é- taient pas très violents. En comparant le cailloutage ancien au cail- loutage actuel des rivières sortant des Alpes, on reconnait que les cours d’eau Alpins au commencement de l’époque quaternaire devai- ent beaucoup se rapprocher de ceux de l’époque actuelle. Ce qui est tout naturel, puisque les bassins sont les mèmes. Il ne devait y avoir que des différences de pentes. Lorsqu'on examine la nature des cailloux de l’alluvion ancienne au débouché d’une vallée quelconque des Alpes, on reconnait des fragments de toutes les espèces de roches, qui se montrent dans le bassin de la vallée, jusqu'à ses extrémités les plus reculées. Ce mé- lange des diverses roches de la vallée a également lieu et dans les mémes proportions que la vallée soit pleine, c’est a dire forme un plan incliné conlinu, depuis son sommet jusqu’'à son débouché, sans profonde dépression, comme les vallées de la Dora-Riparia, de la Dora-Baltea et du Tagliamento; ou bien que ces vallées soient actuel- lement coupées, interrompues par un lac, comme les vallées du Tes- sin, de l’Adda et de l’Oglio. Des faits qui précèdent on doit forcément conclure que les lacs qui barrent actuellement certaines vallées n’existaient pas au com- mencement de l’époque quaternaire, au moment où se déposaient les alluvions anciennes. En effet le Lac Majeur à 797 mètres de profondeur dans un de ses etranglements, entre le rocher de Santa Catterina sur la rive orien- tale et celui de Farre sur la rive occidentale (1); comment admettre que les cailloux du haut de la vallée descendaient dans cette profon- deur, sans la combler, pour remonter ensuite a un niveau supérieur (4) La profondeur du Lac Majeur est celle donnée par M. Elie de Beaumont dans une note destinée a combattre la théorie glaciaire. Bull. Soc. géot. France ser. 2, vol. 7, 4849-50, p. 605. L'indication du point le plus profond est tirée de l’Itineraire de la Suisse par M. Joanne, p. 455. La distance de ce point à Pèxtrémité inférieure du Jac mesurée sur les cartes est de moins de 20 kilométres. 58 G. MORTILLET , à celui des caux du lac, en moins de 20 kilomètres , c’est-à-dire gravissant une. pente moyenne de 4 °/ et que malgré cet. énorme obstacle ils se relrouvent à l’extrémité inférieure du lac dans les mémes proportions et du méme volume que si la vallée avait été sans dépression aucune? Ce simple énoncé suffit pour montrer }’ab- surdité de la proposition. Le Lac de Come et Lecco a une profondeur de 587 mètres, celui d’Iséo de 298 mètres (1), auxquels il faut encore ajouter 50 a 40 mètres, hauteur de l’alluvion ancienne sur leurs bords. Les cailloux du haut de la vallée de .l’Adda et ceux du haut de la vallée de 1’ Oglio auraient dù descendre dans ces profondeurs pour remonter bien au dessus du niveau des eaux du lac. A Iséo ils auraient dà gravir une pente de plus de 4°/o. C'est contraire à toutes les lois de la dynamique, de l’hydrostatique et de l’équilibre des corps et en aucun cas admissible. Si les lacs qui se trouvent au débouché des vallées alpines, et qui en occupent toute la largeur, avaient existés à l’époque où se for- maient les énormes dépòts de l’alluvion ancienne ils auraient été immediatement comblés. C'est là un fait incontestable. Les cailloux de l’alluvion ancienne ne pouvaient aller se déposer, d'une manière régu- lière, audela du bassin de ces lacs sans les avoir préalablement remplis. Le dernier soulèvement des Alpes, quia eu une puissance énorme, a dù produire dans le fond des vallées de grandes inégalités de sol, de nombreux bassins; en effet nous: voyons ces valiées ètre une suc- cession plus ou moins fréquente d’étranglements et d’élargissements. Pour combler tous ces élargissements, pour se frayer un passage à travers les étranglements l’eau a dù employer une immense période de temps. C'est pendant cette immense période que se sont déposées les alluvions qui ont successivement comblées tout le fond des val- Iées, l’ont nivelé, n'y laissant aucun creux capable de former un lac et se sont largement étendues dans la plaine. Les cailloux roulés sur un plan incliné continu, descendaient du haut de la vallée pour ve- nir former les amas d’alluvions anciennes qui se montrent en aval de tous les grands lacs actuels. Puis est venu l’époque glaciaire. (4) Elie de Beaumont. Bull. de la Soc. géol. de France, ser. 2, vol. 7, 4849-50, p. 605. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 59 HI. Etude des phenomènes glaciaiîres. Les glaciers ont commencé à se former sur le sommet des mon- tagnes, leur développement été graduel, peu à peu ils sont descen- dus dans les vallées, qu’ils ont lentement envalies. Pendant cette longue période d’aceroissement les alluvions anciennes ont dù conti- nuer à se former. Le dépòt des alluvions anciennes peut donc étre, en partie, contemporain de l’époque de l’accroissement des glaciers, mais, ainsi que je viens de l’établir, il est incontestablement anté- rieur à leur plus grand développement, puisque dans le bas des val- lées et au débouché dans la grande plaine du Pò, boues glaciaires et blocs erratiques reposent sur l’alluvion ancienne ou sont plaqués contre elle. Dans son ensemble l’époque de l'alluvion ancienae est donc antérieure à l’époque glaciaire. Les dépòts de cette première époque supportent toujours ceux de la seconde, Les glaciers en avancant, par leur poids et leur frottement, usaient, arrondissaient, moutonnaient les roches inférieures. Ces roches mou- tonneés se montrent sur un grand nombre de points. Je me conten- terais de citer celles de la plaine Saint-Nicolas, an Mont-Cenis, appar- tenant au jurassique alpin, et celles de Cavone, près Iséo, apparte- nant à la majolica. J'ai montré ces dernières, en diverses reprises, à Messieurs Mérian, Studer, Desor, Cornalia, Omboni, Stoppani, Villa. Cette action de frottement, sous une très forte pression, avec des matières interposées, — les débris des roches usées, — en mème temps qu’elle moutonnait les roches, les polissaient et y tracait de for- tes stries quand une pierre dure se trouvait engagée entre la roche et la glace. Cette pierre faisait l’effet d’un burin. Messieurs Martins et Gastaldi citent dans la vallé de la Dora-Riparia, entre le petit lac d’Avigliana et le mammelon qui porte cette ville, une surface de serpentine couverte de stries souvent d'un mètre de long. La roche est creusée par des sillons dont l’un est assez large pour contenir un homme; ses bords sont arrondis, l’intérieur de Ja cavité est strié 60 G. MORTILLET, et les stries se continuent sans interruption avec celles de la surface plane (1). Polies et striés s’effacent rapidement par l’effet des actions atmo- sphériques, mais on les voit dans toute leur intégrité quand on dé- couvre une roche qui est toujours restée abritée sous les boues gla- ciaires. Ainsi audessus du Cavorame, dans une rectification de la roùte de Bellune à Feltre, j°ai vu des grès marneux tertiaires, qui s’altèrent si vite à l’air, montrer un beau poli, avec de profonds sillons, parce qu’ils avaient été protégés par des boues glaciaires qu'on venait seulement d’enlever. En remontant les vallées des Alpes le moutonnement des roches, leur polissage et leur striage se montre bien mieux que dans le bas parceque les glaciers, qui fondaient graduellement, y ont disparus depuis moins longtemps, et aussi parce que les roches y sont souvent plus dures et par conséquent moins altérables par les actions atmo- sphériques. C'est ainsi que M. Collomb dit avoir trouvé dans le val Tournanche une des plus belles roches polies et striées qu'il ait jamais rencontré dans les Alpes (2). Les glaciers en usant les roches sur lesquelles ils glissaient lente- ment, en écrasant par leur poids énorme les fragments de pierre qui se trouvaient audessous d’eux, formaient une espèce de boue, mélange des éléments les plus divers, mais en général très grasse et très pàteuse, c'est ce qu'on nomme la dove glaciaire, formation dont le cachet est tout particulier. Les fragments de pierre avant d’ètre entièrement triturés se dis- séminaient dans cette boue sans aucun ordre. En se frottant les uns contre les autres ils se polissaient mutuellement, s’usaient et s'arron- dissaient. Les plus durs couvraient les plus tendres de stries d’autant plus profondes, que les frangments é taient plus gros et offraient ainsi une résistance plus grande. Puis une pression de la glace brisait le cailloux sur un de ses cotés, brisure dont les angles s’usaient bien vite, mais à la quelle succédait une autre brisure, de sorte que le fragment, au lieu de s’arrondir entièrement par le frottement restaît toujours irrégulier. (1) Essai sur les terrains superficiels, ec., par Martins et Gastaldi, p. 3. (2) Ibid., p. 43. ANCIENS GLAGIER$ DES ALPES 61 Ces boues glaciaires, avec leurs cailloux striés et irréguliers, ont été déposées partout où il y a eu des glaciers. C'est un témoin des plus irrécusable. Elles sont un guide très sur pour bien déterminer l’extension qu'ont eu les anciens glaciers; guide d’autant plus sur que vu leur nature grasse et pàteuse, vu la pression qu’elles ont supportée, elles ont facilement résisté aux actions de dénudation, et qu'il en reste toujours quelques lambeaux là où elles ont été déposées. Leur aspect est tellement particulier, qu’une fois qu'on les a exa- minées ayec soin, on les reconnait à première vue quand on en ren- contre de nouvelles. Les boues glaciaires se distinguent des alluvions par les caractères suivants: Boues glaciaires 4,° Stratification nulle. _2.° Le pierres se trouvent au milieu de la terre et péle méle avec elle. 35.° La terre est un mèlange de toute espèce d’éléments: ar- gile, sable et calcaire. 4.° Les cailloux sont distri- bués au milieu de la boue sans aucune distinction de grosseur. 8.° Les cailloux se trouvent au milieu de la boue dans toutes les positions; parfois le sommet du grand axe en bas, sur le coté le plus étroit, ou suivant diver- ses inclinaisons hors des lois de l’équilibre. 6.° Les cailloux sont généra- lement irréguliers, avec des cas- sures sur divers points plus ou moins fraiches. Alluvions 1.° Stratification plus on moins nette. 2.° Les pierres sont toujours lavées el séparées de la terre. 3.° Les divers éléments des terres se séparent par le lavage et décantage naturel. Le sable, les parties marnocalcaires et les argiles se déposent è part. 4.° Les cailloux de diverses grosseurs se groupent généra- lement ensemble formant des lits séparés. 3.° Les cailloux sont toujours posés dans le sens horizontal de leur grand axe et sur leur face la plus plane, dans l’équilibre le plus stable. 6.° Les cailloux sont arrondis et généralement réguliers sans traces de cassures récentes. 62 G. MORTILLET, 7.° Beaucoup de ces cailioux 7.° Les cailloux ne sont ja- sont couverts de stries. mais striés. fl est done très facile de distinguer les alluvions anciennes des boues glaciaires et de reconnaître la superposition de celles-ci sur les premières. Les crétes qui dominaient les glaciers des montagnes, les pics élevés, le sommet des rochers, laissaient tomber sur leur surface des blocs énormes et des masses de débris, qui se trouvaient charriés en méme temps que la glace jusqu'à l’extrémité des vallées. Comme sur les glaciers actuels ces blocs et débris se déposaient sur les cotés des glaciers anciens et y formaient de longs bourrelets, ou bien parvenaient jusqu'à leur extrémité et s'y amoncelaient en- tourant la glace d’une série de collines composées de matériaux di- vers deposés dans le plus grand désordre. C'est ce qu'on a désigné sous le nom de Moraine. Les bourrelets longitudinaux sont les morcines latérales et les collines de l’extrémité sont les moraznes frontales ou ter minales. Le phénomène de la formation des moraines, du transport des blocs erratiques et de leur distribution a été trop bien étudié d’une manière générale par Messieurs de Charpentier, Agassiz, Guyot, Desor, Forbes, Collomb, Escher de la Linth, ete. et d’une manière plus spécialement italienne par Messieurs Martins et Gastaldi (4), pour que je sois obligé de m°y arréter. Il me suffira de rappeler que la distribution des blocs erratiques se fait d'une manière régu- lière, suivant certaines lois parfaitement constatées, ce qui permet dans tous les cas de reconnaitre d'une manière sure la provenance du glacier qui les a apportés. L’étude de ces bloes en Italie, commen- cée avec beaucoup d’intelligence par M., Omboni, servira à déterminer les affluants de chaque glacier et l'espace qu'il occupait, ce qui par- fois est assez difficile à tracer lorsque deux glaciers se trouvent en contact, comme cela a lieu pour ceux de la Toce et du Tes- sin, entre Baveno et Pallanza; ceux du Tessin et de l’Adda, entre Lugano et Varèse; etc. (41) Martins et Gastaldi, Essas sur les terrains superficiels de la valle du Pò, 1850. Gastaldi, Appunti sulla geologia di Piemonte, 1853. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 63 Le glacier de la Dora-Baltea offre un magnifique exemple de la régularité des lois qui président à la distribution des bloes erratiques. et par suite à la formation des moraines. Ce glacier ayant des affluants beaucoup plus considérables sur la rive gauche que sur la rive droite a développé beaucoup plus ses moraines gauches que les droites, ainsi que l’ont fait observer très judicieusement MM. Martins et Gastaldi (1). La colline de Brosso n'a ni la largeur, ni la longueur, ni la hauteur de la Serra. Les bloes erratiques se montrent dans les vallées alpines de l’Italie et a leur debouché avec tous leurs caractères distinetifs. Les trois principaux sont leur volume, leur position sur des points parfois très elevées et la conservation de leurs arètes. Le volume des blocs erratiques dépasse généralement celui des blocs qu'on peut supposer avoir été entrainé par des courants d’eau, surtout quand on songe à la distance qui les sépare de leur point de départ. Les roches de l’extrémité supérieure des vallées ont four- nis des blocs erratiques qui sont actuellement au débouché de ces mèmes vallées. La moyenne grosseur des blocs peut s’estimer entre 2/- de mètre cube et un mètre cube. Mais s'il en est beaucoup de plus petits, il en est aussi d’infiniment plus gros. A Pianezza, sur la Dora-Riparia, Martins et Gastaldi (2) citent un bloc d'euphotide avant 25 mètres de long, sur 14 de haut et sur 12 de large. On a établi à son sommet une chapelle qui n’en occupe pas toute la surface. Le volume de ce bloc peut ètre estimé 2300 metres cubes. Dans la mème région, ils citent, un bloc de serpentine qui a 20 mètres, sur 12 et sur 8. Un autre bloc d’amphibolite, riche en fer oxidulé, sort de terre et à une circonférence de 40 à 80 mètres, sur 7 à 8 au dessus du sol. Un bloc de diorite a longueur 18 mètres 30, largeur 14 mètres, bauteur 6. — Etc. A Induno, près Varèse, il y a un bloc qui mesure 10 mètres de long, sur 7 de large et 8 de haut. Un autre à lui tout seul a fourni les colonnes pour l’église de Valmadrera (3). (4) Essai sur les tervains superf., ec., p. 19. (2\ Ibid., p. 6, ct Appunti, p. 7, avec figure, pl. 4. (3) Omboni, Sullo stato gcotogico dell’ Italia, p. 38. 6% G. MORTILLET, M. Catullo cite un bloc tellement gros, à peu de distance de l’é- glise de Rozzo, dans les Sette-Comuni, qu’un maréchal-ferrant s’en servait pour abriter sa forge (4). Audessus d’Erba, en Brianza, j'ai vu avec Messieurs Studer, Mé- rian, Desor, Stoppani et Omboni un bloc d’une belle roche graniti- que, nommée Serizzo ghiandone, de 7 mètres de long, sur 5 de large et trois ou quatre d’épaisseur. Ce bloc était régulièrement. exploité et fournissait tous les matériaux d’un escalier, outre des montants de portes et fenétres. Il provient du Val del Masino, vallée latérale du bas de la Valteline, sur la rive droite de l’Adda. ll a donc, pour parvenir au point où il se trouve actuellement, dù parcou- rir 65 à 70 kilomètres, en traversant le lac de Como et Lecco qui a une profondeur de 387 mètres. Ce bloc granitique d’Erba se trouve à 180 ou 200 mètres au- dessus du niveau du lac de Como et Lecco. Mais les blocs erratiques au bord de ce lac s’élèvent bien plus haut. Ainsi audessus de Bel- lagio, il y a un bloc de granite, remarquable par sa forme anguleuse, qui a 18 mètres de long, sur 12 de large et 8 de haut (2). Il se trouve dans l’Alpe de Pravolta, sur le mont San Primo à 700 mètres audessus du niveau du lac. Sur toutes les montagnes qui bordent les anciens glaciers on rencontre les blocs à une très grande hauteur, ce qui montre combien était élevé Ie niveau supérieur de la glace. Il suf- fira de rappeler que dans la vallée de la Dora-Baltea ce niveau était environ à 650 mètres audessus du fond de la vallée, comme le prou- vent les trainées de blocs erratiques qui existent à cette hauteur. Mais ce qui caractérise surtout les blocs erraliques c’est la conser- valion de leurs formes irrégulières et de leurs arétes. Ils sont nulle- ment arrondis. Jamais ils n’ont été roulés. Ce caractère est le plus important, le plus décisif. Il permet de reconnaître de suite les blocs erratiques, etdes’en servir pour déterminer l’étendue des glaciers. C'est done gràce à la présence de ces blocs et a celle des boues gla- ciaires que j'ai pu dresser d'une manière assez précise la Carte des anciens glaciers du versant Italien des Alpes. (4) Prospetto degli scritti pubblicati da Catullo, p. 458. (2) Décrit et figuré par de La Béche, Manuel géologique, 2.° édit. 41832, traduìt par Brochant de Villiers, 1837, p. 148 — et Collegno, Elementi di geologia. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 65 Comme je lai dit, les bloes erratiques, mélés a des débris de ro- ches, se déposaient surtout le long des bords supérieurs des glaciers et y formaient des bourrelets, des terrasses, composés d'un mélange sans ordre de fragments de roches diverses de toutes dimensions. Ces dépòts sur des pentes rapides ont souvent été détruits, mais en bien des endroits on les voit se dessiner encore d’une manière très nette. Lorsqu’en venant de Milan, avant d’arriver à Camerlata, on regarde à droite les hauteur qui dominent l’extrémité du lac de Come, on voit se dessiner une de ces terrasses, dont la ligne de pente est lé- gèrement inclinée d’amont en aval et qui forme le haut-plateau sur le quel se trouvent les villages de Brunate et Civiglio. A l’est de la ville d’Iséo se dessine également très bien une terrasse, légèrement inclinée d’amont en aval et toute composée de blocs erratiques de diverses natures et de débris glaciaires. Lors qu'en venant d’Arsié, en- tre Feltre et Bassano, on arrive au dessus de Primolano, on voit sur la rive opposée de la Brenta, à une très grande hauteur, une terrasse glaciaire fort bien tracée. Les blocs erratiques et les débris qui parvenaient jusqu'à l’ex- trémité des glaciers, s'y amoncelaient également sans aucun ordre et y formaient des collines constituant les moraines terminales. Ces moraines supérieures aux boues glaciaires, le sont encore à plus forte raison aux alluvions anciennes. Presque partout on les voit re- poser sur les plateaux formés par ces alluvions. C'est ce qui a lieu pour les moraines terminales des glaciers de la Dora-Riparia, de la Dora-Baltea, du Tessin au sud de Sesto-Calende, de l’Oglio, de VA- dige à l’extremité du lac de Garde, du Tagliamento. Ce n'est que par exception et sur quelques rares points, que ces moraines termi- nales s'appuient, en partie, contre des roches anciennes en place comme dans la Brianza pour les moraines du glacier de l’Adda. Les glaciers fortement resserrés dans les étroites vallées alpines en arrivant dans la plaine, trouvant de l’espace, s'y étalaient large- ment. Leurs moraines terminales formaient de vastes demi-cercles, parfois mème des cercles presque entiers comme autour d’Ivrée et à l’extrémité sud du lac de Garde, c'est ce qui a fait désigner, avec beaucoup de justesse, par M. Gastaldi, ces enceintes de moraines sous le nom d’amphithéeatres glaciaires. Vol. Il, b) 66 G. MORTILLET, Ces moraines terminales, formant amphithéatre, ont été trés bien décrites et figurées pour les glaciers de la Dora-Riparia et de la Dora-Baltea par Messieurs Martins et Gastaldi; pour les glaciers de la Toce et du Tessin par M. Omboni; par moi, pour le glacier de Oglio; et par M. Pirona pour celui du Tagliamento , il n°y a done pas lieu de revenir sur leur description générale. Celles des autres glaciers ressemblent à celles qui ont été decrites. Les moraines formées aux points extrèmes atteints par les glaciers sont les moraines principales. Mais en se retirant les glaciers, par- fois, ont éprouvés des moments d’arrét et ont alors formés des mo- raines dans l’intérieur des vallés, ce sont les moraines de retraît. Celle de Ferrière, au Mont-Cenis, en est un bel exemple. Il est en outre un autre genre de moraine, que je dois signaler d’une manière particulière, parceque leur nature toute spéciale a échappée anx nombreux observateurs qui se sont occupés jusqu'à présent de l’étude des glaciers. Ce sont les moraines secondaires. Elles sont formées de roches peu variées, provenant toutes du voisi- nage, ce qui les a souvent fait prendre pour des eboulis de monta- gne. Mais les éboulis forment des cones dont la base s'élargit et s'applatit, tàndis que les moraines dont je parle forment des arrétes. Dans les grands éboulis la base est énorme comparativement è la bauteur, dans les moraines la hauteur l’emporte sur la base. Dans les eboulis l’impulsion que recoivent les blocs en tombant les fait s’assoir solidement. Dans les moraines ces blocs sont posés dans les positions les plus hardies. La plus remarquable de ces. moraines secondaires est celle, toute calcaire, qui barre la vallée de l'Adige , au près de Mori, au point où la rivière va s'engager dans les gorges étroites de La Chiusa. Cet énorme amas de calcaire en désordre, traversé par le chemin de fer du Tyrol, est connu sous le nom de Slavini de Marco. Dans la vallée que suit la route de Serravalie à Bellune se trou- vent deux moraines secondaires, toutes calcaires, qui barrent entiè- rement la vallée. Celle de Cima Nove qui ferme au sud le bassin du petit lac d’Acqua Morta et lui enlève tout écoulement. Et celle de Cima Fadalto qui sépare le lac d'Acqua Morta du lac de Santa Croce. Ces moraines secondaires, formées d’élements provenant de la ANCIENS GLACIERS DES ALPES 67 localitè se sont formées au moment de la fonte des glaciers, par l’af- faissement des glaces accumulées dans des bassins fermés, qui entrai- naient des blocs et débris de roches de l’endroit, alors que les blocs de roches éloignées ne pouvaient plus parvenir. Ces moraines se trouvent donc toujours à un niveau bien inférieur à celui des moraines principales. On en rentontre en Savoie de fort beaux exemples: la moraine calcaire de La Roche, au débouché de la vallée de Borne et la moraine calcaire de Cusy, au débouché de la valle du Cheran, val- lées formant larges bassins fermés par une cluse, qui toutes les deux avaient servies de reservoir de glace. Les moraines calcaires de Santa Croce et du lac d'Acqua Morta sont le produit de l’écoulement des glaces de la vallée de la Tesa. La moraine secondaire de Mori doit son origine à la descente des glaces qui se trouvaient accumulées dans les mon- tagnes calcaires qui séparent le Tyrol du Véronais et du Vicentin. Les glaciers avaient une énorme difficulté a pénétrer dans les gorges trop étroites. Aussi quand le glacier de l’Adige est arrivé audessous de Roveredo, aux gorges de La Chiusa, les glaces n’ont pas pu s'y engager, elles se sont accumulées dans le territoire de Trento et franchissant les croupes les moins élevées, elles se sont jetées dans la vallée de la Sarca et du lac de Garde, par le passage de Vezzano et du petit lac Doblino et par le passage de Mori et du petit lac Loppio. De méème le glacier de la Brenta au lieu de pénétrer dans la gorge étroite qui encaisse profondément la rivière audessous de Primolano, restait sur les hauteurs et s’étendait sur les plateaux au nord du coté d’Arsié, où il a laissé de gros blocs de granite blanc et de por- phyre, et au sud, tournant les erétes par Enego, il est allé recouvrir le plateau des Sette Comuni. Le glacier au dela d’Arsiè était séparé de celui de la Cismone par une énorme barrage, à Bellegonte, formé de débris de roches dolomitiques, barrage qui existe encore en par- tie et qui en partie a été détruit par la rivière qui se jette acluelle- ment dans la Brenta. L’extension du glacier de la Brenta sur le plateau des Sette-Comuni est d’autant plus nettement indiqué que ce plateau contient de nombreux blocs erratiques de toutes les roches charriées par ce glacier, granites blancs, porphyres divers, micaschi- stes, ete. roches qui n’éxistent pas dans les erétes qui dominent le plateau. 68 G. MORTILLET, Le Mt. Miesna qui resserre le lit de la Piave a l'est de Feltre, offre un passage très étroit, dont les parois sont fort elevées, aussi le glacier de la vallée de la Piave, au,lieu de s’engager dans cette gorge et de suivre le cours du fleuve se rejetait vers l’ouest, du coté de Feltre, où il allait buter contre le glacier de Ia Cismone. L’étude des phénoméènes glaciaires sur le versant Italien des Alpes m’a permis de compléter les observalions que j’avais commencées en Savoie, concernant les moraines secondaires et m’a montré d’une maniére très évidente la puissante difficulté que éprouvaient les gla- ciers à pénétrer dans les gorges étroites et profondes. Ce sont là, je erois, deux faits nouveaux qui offent un grand intérét. IV. Creusement des lacs. Comme je lai établi dans mon second paragraphe, avant l’exten- sion des glaciers, les vallées s’étaient remplies d’alluvions, qui avai- ent nivelé leur fond et comblé toute dépression capable de servir de bassin à un lac. Ces alluvions s’étaient méme abondamment ré- pandues dans la plaine en dehors de vallées. C'est sur ces alluvions qu’ont dù reposer les glaciers puisque c'est sur elles que reposent leurs produits inférieurs, les boues glaciaires à cailloux striés, aussi bien que leurs produits supérieurs, les blocs erratiques. Puisque les glaciers en mouvement usaient, rongeaient, arrondis- saient, mammelonnaient, moutonnaient, striaient, polissaient et tritu- raient, en agissant d’amont, en aval, les roches les plus dures, les plus résistantes, solidement en place, quelle ne devait pas ètre leur action sur des dépòts meubles, sur des alluvions ? Les glaciers produisaient une énorme pression verticale qui, par suite du mouvement;d’écoulement des glaces, agissait suivant la pente des vallées. Cette pression était si forte qu'elle à usé, mammelonné, et poli toutes les roches en places, mémes les plus dures, les grani- tes, les porphyres, les calcaires compacts, les grès ancigns. N'est-il pas tout naturel d’admettre que lorsqu'elle a agi sur des terrains ANCIENS GLACIERS DES ALPES 69 meubles, fussent ils méme déjà en partie consolidés sous forme de poudingue, elle a dù les écraser, y enfoncer les glaces, qui conti- nuant leur mouvement d’écoulement, les labouraient profondément, refoulant en aval les divers matériaux du dèpòt et creusant ainsi de vastes bassins ? Ce n'est pas là une pure hypothèse, c'est une déduction logique de tous les fails observés. La pénétration des alluvions par les glaces devait d’autant plus avoir lieu que la pression agissait d’une manière très irrégulière, comme le prouvent les nombreuses cassures qui se remarquent sur les cailloux contenus dans les boues glaciaires. Ces cassures, qui en très peu de temps perdaient leurs angles et finissaient par disparaître, prouvent que les glaciers poussaient en avant les cailloux en les arrondissant. Les stries dont sont couverts les cailloux empàtés dans les boues glaciaires prouvent aussi le mouvement imprimé aux cailloux et l’irregularité de la pression. En effet ces stries on été produites par le frottement des cailloux les uns contre les autres, frottement qui n’aurait pas eu lieu si toute la masse avait eu un mouvement uni- forme et régulier. Les roches en place non seulement sont moutonnées et polies, mais encore sont striées longuement dans le sens des pentes, dans le sens de la marche du glacier. Les stries sont formées par le frottement de cailloux, qui poussés par le glacier, glissaient contre tes roches La poussée en avant des matériaux meubles se trouvant audes- sous des glaciers est donc incontestable. Ces materiaux réduits en grande partie en boue se trouvent, du reste, en abondance à l’éxtré- mité des glaciers. Ils forment un des éléments les plus importants des moraines terminales du versant Italien des Alpes. Ces moraines en effet contiennent généralement en bien plus fortes proportions les bhoues glaciaires, refoulées par la partie inférieure des glaciers, que les blocs et debris erratiques arrivés par la partie supérieure. L’action des glaciers sur les alluvions anciennes peut du reste se déduire de l’observation directe des fails. Jai montré précédemment que presque toutes les moraines termi- nales étaient assises sur les alluvions anciennes. En déhors de l’am- 70 G. MORTILLET, phithéàtre formé par ces moraines on voit le plateau composé d’al- Invion ancienne se continuer d’une manière régulière. Il est simple- ment coupé et sillonné par l'érosion des cours d’eau. — Si les sim- ples cours d’eau produisent de profondes érosions dans ce dépòt, quelle n'a pas dù étre l'action des glaciers agents infiniments plus puissants? — Au contraire en dedans de l’amphithéatre des moraines on ne voit presque plus de traces de l’alluvion ancienne. Elle a com- plètement disparue, ou s'il en reste ce ne sont plus que des lam- beaux isolés, fracturés, bouleversés. Il est evident que les glaciers ont produits une violente action destructive sur ce dépòt. Les belles moraines qui forment l’amphithéàtre d’Iséo reposent sur un plateau d’alluvion ancienne. Cette alluvion est formée en grande partie d’un poudingue assez dur. On en voit encore des porltions en dedans des moraines près de leur base, mais l’affleurement est très bouleversé, on reconnait que le dépòt a été violemment brisé et re- foulé. Il est cerlaines portions qui se trouvent actuellement sur la base des moraines à un niveau supérieur à celui de la surface du plateau. Dans l’intérieur du bassin de l’amphithéàtre l’alluvion an- cienne a généralement disparue, pourtant sur certains points où le poudingne était plus dur que sur les autres, aulieu d’avoir été dé- truit, il a simplement été mammelonné, moutonné, comme le sont les roches plus compactes; comme l’ont été les calcaires majolica de Cavone, de l’autre coté d’Iséo. Ces mammelons d’alluvion ancienne sont des témoins qui montrent que le dépòt existait dans tout le bas- sin. Là où il n’existe plus il n'a pu étre détruit que par l’action gla- ciaire, qui a imprimé son cachet sur les témoins restant et qui a réjété sur la base des moraines des fragments de la roche détruite. Si Je glacier de l’Oglio a pu creuser le bassin de la plaine d’Iséo, pourquoi n'aurait-il pas continuani son action plus en amont creusé le bassin du lac lui-méme? Les mammelons d’alluvion ancienne vien- nent jusqu'au bord du lac, ce dépòt ne pouvait pas s'arrèter là, il devait s'étendre dans le bassin du lac méme, remplir ce bassin et venir correspondre aux autres dépòts d’alluvion ancienne qui se voyent avec les mèmes caractéres en amont du lac du coté de Lo- vere. Immédiatement avant l’époque glaciaire le bassin du lac for- mait une plaine ayant un niveau plus élevé que celui actuel des ANCIENS GLACIERS DES ALPES 74 eaux du lac. Les dépòts des deux extrémités correspondent à ce ni- veau. Depuis l'epoque glaciaire existe le lac, il est donc tout simple de conclure qu'il a été creusé par le glacier. Puisque le bassin de la plaine d’Iséo a été creusé par lui, pourquoi, je le répéte, ce glacier n’aurait-il pas creusé aussi le bassin du lac? On trouve des blocs erratiques à plus de 300 mètres d’élévation, audessus du niveau du lac d’Iséo sur les montagnes qui le bordent. Le glacier avait done au moins celte épaisseur, ce qui fait qu'au ni- veau acluel des eaux, chaque méètre carré supportait un poids d’environ 300,000 kilogrammes. Des glaces se mouvant sous cette énorme pression n’étaient-elles pas capables de pénétrer dans des alluvions et de les chasser devant elles? Mais, dit-on, le lac d’Iséo à une profondeur de 298 mètres: com- ment supposer que les glaces aient pu creuser si profond? La plaine d’Iséo contient en abondance des boues glaciaires è cailloux striés. Ces boues forment en majeure partie les moraines qui entourent la plaine. Les boues à cailloux striés sont des produits de la partie inférieure du glacier. Si le bassin du lac d’iséo existait avant l’époque glaciaire, presque toutes ces boues, avec leurs cail- Joux, ont dù déscendre dans le fond du bassin, à 298 mètres audes- sous du niveau actuel des eaux et remonter, par une pente moyenne de 4 °/,, jusqu’au point qu’elles occupent actuellement. Le glacier creusant progressivement le bassin du lac, en le deblayant des al- luvions qu'il contenait, et en transformant ces alluvions en boues glaciaires, avec cailloux striés, ne présente-t il pas un phénoméène plus simple et plus facile a admettre ? L’objection de la profondeur du lac est donc plus contraire aux anciennes idées qu’à celles que j expose actuellement. Les moraines terminales du glacier du Tagliamento, comme celles du glacier de l’Oglio, reposent sur un plateau d’alluvion ancienne. Ce plateau existe intact en dehors des moraines mais en dedans de l’amphithéàtre il est complètement détruit. Sur le point le plus élevé de ces moraines, le coteau de Moruzzo, à peu de distance du som- met et à 80 ou 90 mètres audessus du niveau du plateau de l’alluvion ancienne, M..Pirona et moi, avons rencontré des blocs de poudingue de cette alluvion. Cela prouve très clairement que c'est le glacier qui 72 G, MORTILLET , a detruit le dépòt antérieur à la formation de ses moraines et qu'il en a repoussé et relevé des blocs jusque vers leur sommet. C'est juste- ment l'action qui s'est produite pour le creusement des lacs, Cet affouillement de l’alluvion ancienne par les glaciers peut se démontrer aussi par des faits. dans la vallée de la Stura de Coni. Lorsqu'on suit la route de Borgo-San-Dalmazzo à Demonte, au som- met de la rampe qui descend au pont de l’Ola, on trouve un amas de blocs énormes remaniés de l’alluvion ancienne inferieure, comme le prouvent des restes de poudingue encore attachés à ces blocs. Ces {trois exemples pris aux deux extrémités de la région des Alpes Italiennes, la Stura de Coni et le Tagliamento, et dans le mi- lieu de cette région, au lac d’Iséo, sont, je pense, suffisants pour prouver la généralité de l'action d’affouillement des alluvions ancien- nes par les glaciers. L’objection faite, concernant la profondeur du lac d’ Iséo, pourrait à plus forte raison, étre mise en avant concernant la profondeur du Jac Majeur, le plus profond de tous les lacs d’Italie. Sa profondeur est de 797 mètres (1). Mais on peut répondre à cette objection par le méme raisonne- ment fait pour le lac d’Iséo. A en juger par le niveau supérieur des blocs erratiques qui se trouvent sur les montagnes qui entourent le lac Majeur, le glacier s'élevaii à plus de 500 mètres audessus du niveau acluel des eaux; chaque mètre carré, à ce niveau, supportait donc un poids de 800,000 kilogrammes, c’est là une terrible force d’affouillement, surtout si on refléchit qu'a ce poids colossal il faut ajoriter une force de poussée (4) D’après Elie de Beaumont; Bull. de la soc. géol. de France, ser. 2, vol. 7, 1849-50, p. 605, la profondeur de ces divers lacs est: Fac Majeurht. ot 427 Ametnes Lac de Lugano .... ». 459 Lac de Como et Lecco . 587 PACIS RIS Lactde:Garde! i si 02N290 D’apres Lavizzari, Carta delle profondità del Ceresio, lago di Lugano, 4859. la plus grande profondeur du lac de Lugano serait 279 métres, dans Ja branche de Lugano a Porlezza, profondeur qui se maintien sur une assez grande étendue. Tous vont donc audessous du niveau de la mer, le lac de Lugano, le plus glevé, n’étant qu’à 274 métres d’altitude, I ANCIENS GLACIERS DES ALPES ; Da du nord au sud encore bien plus grande. La résultante de ces deux forces devait agir obliquement d’amont plongeant en aval. Le point où se trouve la plus grande profondeur est situé entre les roches de Santa Catterina, sur la rive orientale et de Farre sur la rive occidentale, en aval des Iles Boromées, sur un point d’étran- glement du lac. Le glacier arrivé là se trouvait énormément resserré dans le sens de sa largeur, il devait done tendre violemment à se dilater dans le sens vertical. La plus grande profondeur coincide juste avee le point où a dù s'opérer la plus grande pression contre le sol inférieur. La dilatation verticale dans les étranglements est un fait buriné sur les rochers par les stries dans ce sens qui se trouvent aux res- serrements des vallées. M. Guyot a constaté ces stries verlicales en aval d'Aoste, par tout où la vallée se retrécit, près de Saint Vincent, au Mt. Jovet et au fort de Bard (1). A Vextrémité du lac Majeur, comme à l’Oglio, comme au Taglia- mento, comme partout, le platean d'alluvion ancienne qui supporte les moraines terminales, bien conservé en dehors de la zone de ces moraines, est bouleversé et détruit du coté du lac, dans l’interieur de l’amphithéàtre glaciaire. Ces alluvions du reste devaient s’étendre dans tout le bassin du lac comme je l’ai établi dans mon second paragraphe. Les boues glaciaires à cailloux striés sont extrémement abondan- tes à Vextrémité du lac Majeur; si l’on admettait l'existence de ce lac avant l’époque glaciaire, il faudrait faire descendre tous les matériaux composant ces boues et cailloux dans ce profond entonnoir de 797 mètres et les faire remonter ensuite du coté opposé, par une pente de 4 °/, en moyenne, pour venir occuper la place où on les trouve actuellement. Cette opération est plus difficile à concevoir que le déblaiment suc- cessif des alluvions par suite de la poussée et de la pression des glaces, poussée et pression que l’on sait parfaitement exister et qui, de l’avis de tous les glaciéristes, faisaient cheminer les éléments meu- bles se trouvant sous les glaces en les striant, les polissant, les bri- sant et les réduisant en pèàle. (41) Guwot, Note sur la topographie des Alpes Pennines, 1847..Bull. de la soc. des sciences naturelles de Neuchalel. 74 G. MORTILLET, Objectera-t-on que des lacs n’existent pas a l’extrémité de tous les glaciers? Cela est tout simple, dans bien des cas les roches solides, en place, sous-jacentes ont pu étre peu profondes et s’oppo- ser ainsi à un affouillement important. Dans d’autres les alluvions récentes provenant de la fonte des glaciers et des écoulements de l’époque actuelle ont été assez considérables pour combler le bassin des anciens lacs glaciaires. C'est ce qui parait avoir eu lieu au Ta- gliamento. Tout fait présumer que les moraines terminales fermaient autre fois le bassin d’un lac qui maintenant est complétement com- blé. Il n’en reste, pour ainsi dire, qu'un échantillon, le lac de Cavaz- zo, séparé du cours du Tagliamento par une barre de graviers. Depuis longtemps M. Pirona, en déhors de toute idée de système, frappé par l’observation de divers faits, avait été conduit à admettre Vexi- stence de cet ancien lac. Ces diverses considérations me paraissent démontrer de la manière la plus nette que les lacs qui se trouvent en Italie au débouché des grandes vallées alpines doivent leur formation à l’action des glaciers. Les glaciers, outre les grands lacs qu’ils ont creusés en affouillant profondément l’alluvion ancienne, lacs qu'on peut désigner sous le nom de Zacs d’affouillement, ont donné naissance a de pet its lac enfermés dans leurs moraines, ce sont les Zacs morainiques. Les grandes moraines forment généralement des séries de collines ou mammelons irreguliers, qui se groupent ensemble suivant certai- nes directions générales longitudinales ou circulaires, mais qui lais- sent entre elles des petits vallons plus on moins fermés, plus ou moins isolés. Les eaux pluviales lavant les boues glaciaires entrainent les éléments argileux au fond de ces vallons et y laissent des dépòts étanches. C'est dans ces bassins ainsi enduits d’argile imperméable, dans ces grandes cuvettes que se forment de petits lacs. Tels sont ceux d’Avigliana et de Trana dans la moraine terminale du glacier de la Dora-Riparia; tel est le lac de S. Daniele dans la moraine terminale du glacier du Tagliamento. Mais la plupart du temps ces petits lacs ont été envabis par la végétation et peu à peu se sont remplis de tourbe. C'est ainsi que se sont formées, entre un grand nombre d’autres, les tourbières de Trana et de Sant'Ambrogio dans les moraines du glacier de la Dora-Riparia: celle de Torbiato, dans les moraines du glacier ANCIENS GLACIERS DES ALPES 75 de l’Oglio; celle des communes de Poltremole, Cavajon, Calmasino Lazise, Colà, Sandra et Pastrengo dans les moraines à l’est du lac de Garde (1); celles de Fagagna dans les moraines terminales du glacier du Tagliamento. Ce qui prouve bien que ces tourbières étaient autre fois des pelits lacs, c'est que dans celle de Mercurago, située au milieu des moraines du glacier du Tessin, M. Moro, a trouvé toute une stalion d’habitations lacustres. Il y avait une série de pi- lotis qui autrefois supportaint des cabanes audessus de l’eau, et autour de ces pilotis on a découvert divers objets et ustensiles servant à la vie usuelle des peuplades primitives. Il y avait entre autre un tronc d’arbre creusé pour servir de canot. Dans un travail fort intéressant sur les lacs Suisses dans lequel, en passant, il est fait plusieurs fois mention des lacs Italiens, M. De- sor (2), admet que les lacs des Alpes, qu'il divise en lacs orographi- ques et en lacs d’érosion, sont antérieurs a l’époque glaciaire, et qu’ils se sont conservés intacts, pendant cette époque, gràce à la glace qui les occupait. Les glaces n’étant venues que longtemps après les énormes dépòts de l’alluvion ancienne, comme je l’ai précédemment démontré, cette explication de la conservalion des lacs n'est pas admissible. Elle ne tient du reste aucun compte des transports infé- rieurs des glaciers qui sont très considérables. J'admets parfaitement avec M. Desor que /es dassins des lucs oro- graphiques sont un effet du soulecement des montagnes. Mais il me semble que je viens d’établir très nettement que ces bassins s’étant remplis d’alluvions avant l’époque glaciaire, ont été déblayés el cu- verts de nouveau par le puissant affouillement des glaciers, affouille- ment auquel est dù le creuvement des lacs d’érosion. C'est l'obser- vation directe des faits qui conduit è trancher ainsi la grande difficult. (4) Studi sopra alcune torbe veronesi, 4856. rapport d’une commission, fait par C. Tonini. (2) E. Desor, De la physionomie des lacs Suisses. extrait de la Revue Suisse, 1860. Les mots en italique sont tirés des pages 27 et 49. 76 A G. MORTILLET, V. Allucions recentes. Les alluvions récentes peuvent se subdiviser en trois classes: 1.° Les alluvions contemporaines de la grande extension des glaciers. 2.° Les alluvions de l’époque de retrait. 5.° Les alluvions postérieures à la fonte complète du glacier ou alluvions actuelles. Il est fort difficile de suivre ces diverses classes d’alluvions dans tous leurs détails et de toujours les distinguer les unes des autres. Cependant on peut très bien reconnaître leurs caractères généraux. 1.° Allugions contemporaines de la grande extension des glaciers. Ces alluvions ont fait, pour ainsi dire, suite aux alluvions ancien- nes. Elles les recouvrent, les entament par fois, mais généralement se maintiennent à un niveau supérieur. Leur grand caractère distinetif est la puissance des matériaux qui les composent. J'ai dit précédem- ment que les alluvions anciennes aux débouchés des Alpes, étaient généralement formées de cailloux petits et moyens. Les alluvions con- temporaines de la grande extension des glaciers conliennent au con- traire d’énormes cailloux, arrachés aux moraines terminales et abon- damment disséminés autour d’elles, dans toute la plaine, jusqu'àè de irès grandes distances. Dans ma Note sur la geologie de Palazzolo j'avais cru que les énormes blocs roulés, arrondis, qui couvrent toute la surface du pays, gtaient le produit d'une débacle. Mais leur distribution presque uni- forme sur une vaste étendue, sans qu’ils aient produit de grands ravinements montre qu’ils ont été chariés par les eaux qui s'écoulaient régulièrement de la vallée. Seulement par les chaleurs ces eaux de- vaient acquérir une grande puissance par la fusion superficielle du glacier dont la surface était immense. Ces masses d’eau arrachaient aux moraines des blocs erratiques qu’elles entrainaient en les arron- dissant et qu’elles disséminaient partout, ce qui prouve qu’à cette époque il n’y avait point encore de sillons ouverts, de dépression s entre des terrasses longitudinales. Il n'y avait que les cones de dégor- ANCIENS GLACIERS DES ALPES 77 gement de l’alluvion ancienne, signalés par messieurs Martins et Ga- staldi. Cones très surbaissés, formant pour ainsi dire plaine, mais pourlant assez prononcés pour que les eaux des glaciers divagueht sur leur surfaces, répendant les matériaux charriés, tantòt d’un coté fantòt d’un autre. Les alluvions de cette époque peuvent ètre désignées sous le nom d’alluvions morainiques parceque ce sont les moraines qni ont four- nis leurs éléments les plus caractéristiques. 2.° Alluvions de l’epoque de retrait. Avec l’époque de retrait a commencé un phénomène tout different. Les eaux au lieu d’accroitre les dépòts d’alluvion ont entamés ceux qui existaient précédemment. Ces eaux beaucoup plus puissantes que pendant les époques précédentes, puisqu’aux pluies normales se joi- gnaient, par la fonte des glaces, une partie des pluies tombées an- térieurement, ont corrodés les alluvions morainiques et les alluvions anciennes, donnant naissance à ces divers étages de terrasses longi- tudinales qui se voyent le long de tous les cours d’eau descendant des Alpes, et finalement se creusant un lit plus ou moins profond au pied de hautes berges. L’époque du retrait des glaciers a donc été caractérisée par l’éro- sion des alluvions anterieures. D'après toutes les prévisions c'est le contraire qui aurait dù avoir lieu. « Toutefois, disent messieurs Martins et Gastaldi, l’étude des an- ciennes moraines d’Ivrée et de Rivoli nous présente une difficulté que nous n'avons pas su résoudre, et que nous nous empressons de signaler à l’attention des géologues. La quantité de diluviuam accu- mulée devant ètre évidemment proportionnelle à la fusion du glacier, c'est pendant sa période de fusion ou de retraite qu'il doit donner lieu à la plus grande masse de diluvium. Imaginons done les glaciers des vallées de Suse et d’Aoste en voie de retraite, ils devaient pro- duire par leur fusion un diluvium énorme, qui se serait accumulé contre les moraines que le glacier a laissées devant lui, et les aurait enterrées en partie. Or c'est ce qui n'a pas eu lieu, nulle part les moraines ne sont flanquées par des accumulations de diluvium. Par tout le niveau du diluvium est inférieur à celui de la base du terrain glaciaire. Il semblerait donc que les glaciers ont donné lieu à une 78 G. MORTILLET, moindre masse de diluvium en se retirant qu'en avancant, ce qui est contraire à l’expérience et au raisonnement. » (1) Il est incontestable que les glaciers, en fondant, ont abandonnés une grande abondance de débris qui se sont joints au contingeant babituel fourni par les montagnes de la vallée. Que sont devenus tous ces débris ? Ils ne se trouvent pas accumulés à la surface du sol. lis n’ont pas été entrainés puisque l'eau aulieu de former des dé- pòts nouveaux corrodait les dépòts anciens. Il faut donc forcément qu'ils aient été enfouis dans le fond de la vallée. C'est là un des plus puissants arguments en faveur de l’affouillement des glaciers. Les glaciers en descendant avaient affouillé profondément Je fond de toutes les vallées. En se retirant il leur a fallu recombler ces vallées, c'est ce qui fait qu'ils ont fourni peu d’alluvions entrainées. Lorsque l’affouillement a é1é trop profond et le bassin affouillé trop vaste, les débris fournis par le glacier se sont trouvés insuffisants pour le combler, et il est resté un bassin qui s'est rempli d’eau. C'est là l'origine des grands lacs. La difficulté indiquée par messieurs Martins et Gastaldi n’existe plus. L’action érosive des eaux de cette époque se trouve aussi parfai- tement expliquée. Tous les débris servant à combler les creux pro- duits dans les vallées par l’affouillement des glaciers, les eaux abon- dantes se trouvaient libres de tout charrois, dépourvues de toutes matiéres à transporter; elles devaint donc attaquer avec toute leur force, toute leur énérgie les anciens dépòts sitòt qu'elles les altei- gnaient et leur emprunter des matières à charrier. En outre le remplissage des vallées n’étant pas si complet qu’avant l’extension des glaciers, le fond de ces vallés réstait à un niveau | plus bas, les cours d’eau pour régulariser leur pente étaient obligés de corroder l’ancien terrain. L’affouillement des glaciers explique donc parfaitement tous les phénomènes. 3.° Allucions actuelles. Les alluvions actuelles continuent le travail commencé par les (4) Essai sur les terraines superficiels de la vallee du Po, p. 33. ANCIENS GLACIERS DES ALPES 79 alluvions de l’époque de retrait. Elles comblent de plus en plus les vallées et tendent a remplir les lacs, mais la lenteur de leur action montre combien à dù ètre longue la période de l’alluvion ancienne, pendant la quelle se sont formées de si grandes accumulations de débris, ME Conclusions genérales. C'est le dernier soulèvement des Alpes qui a donné à la chaine de montagne son relief actuel, produisant dans les vallées une succes- sion de bassins et de barrages. Il s'est ensuite formé d’énormes alluvions qui ont comblées les bassins, remplies toutes les vallées qu’elles ont nivelé, et qui se sont étendues dans la plaine au débouché des Alpes. Ces alluvions attei- gnaient un niveau bien supérieur aux alluvions actuelles. Leur stra- tification torrentielle est toujours sensiblement horizontale, ce qui montre que depuis leur dépòt il n'y a plus eu de grands soulève- ments. Ces anciennes alluvions existent en aval comme en amont des grands lacs Italiens, avec les mèmes caractères, avec des cailloux des mémes roches, dans les mèmes proportions et du mème volume, enfin avee une semblable régularité de stratification ce qui prouve qu'il y avail continuité de formation et que les grand lacs n'éxistaient pas à cette époque. Sur ces alluvions anciennes repose le terrain glaciaire, caractérisé par ses boues à cailloux striés et ses blocs erratiques à arrétes vives. L’ètude de ces boues et de ces blocs montre qne les anciens gla- ciers ont remplis toutes les grandes vallées du versant Italien des Alpes, depuis celle de la Stura de Coni au sud-ovest jusqu’à celle du Tagliamento à l'est. Les glaciers de la Stura de Coni, de la Maira, de la Varaita, de la partie supérieure du Pò, du Pellice, du Chisone, de la Stura de Lanzo, de l’Orco, de la Sesia, de la Brenta, de la Cismone et de la Piave ne sortaient pas de la vallée. Ceux de la Dora-Riparia, de la Dora-Baltea, de la Toce, du Tessin, de l’Adda, de l’Oglio, de l'Adige et du Tagliamento sont venus s'é- taler plus on moins largement dans la plaine. 80 E. MORTILLET , Ils ont iaissé au débouché des vallées de vastes moraines termina- les, semi-circulaires; formant amphithéatre, en général encore par- faitement conservées. Celles de la Dora-Baltea et celles qui entourent le lac de Garde, débouché du glacier de l'Adige, sont mème presque circulaires. C'est sur les hauteurs et les pentes de ces moraines du lac de Garde que se trouvent Solferino, Cavriana, Castiglione et San-Martino. Le glacier de l'Adige s'est jeté dans le bassin latéral du lac de Garde, parceque arrivé à Mori, il a été arrété par les gorges trop étroites, a parois trop élevées, de La Chiusa, dans les quelles s’en- gage la rivière. Les glaciers éprouvaient une très grande difficulté a s'écouler par les gorges trop resurrées. Ce fait s’observe parfaite- ment en Italie. Ainsi le glacier de Ia Brenta au lieu de suivre les gorges qui, audessous de Primolano, laissent passer la rivière, s'est étendu sur les hauts plateaux des montagnes du coté d’Arsiè au nord et du coté des Sette-Communi au sud: Le glacier de la Piave, près de Feltre, au lieu de s'engager dans la gorge qui resserre le fleuve, s'est porté du coté de la ville, dans la plaine tertiaire. Un autre fait glaciaire, très intéressant, qui s’observe très bien en Italie, est celui des moraines secondaires, composées d’éléments locaux, de roches du voisinage, par suite de l’écoulement de glaces qui s’étaient accumulées dans des vallées latérales formant réservoir. On peut citer la moraine de Mori, près de Rovérédo, et celles du lac d'Acqua Morta et du lac deSanta Croce, entre Serravalle et Belluno. Ce sont les glaciers qui en déblayant les grands bassins remplis d’alluvion ancienne ont creusé les lacs actuels du nord de l’Italie: lac d’ Orta, lac Majeur, lac de Varese, lac de Lugano, lac de Come et Lecco, petits lacs de la Brianza, lac d’Iseo, lac d’Idro et lac de Garde. Tous ces lacs se trouvent dans la region glaciaire. fl n'y en a pas en déhors. En effet les glaciers entrainaient les matières meubles qui se trou- vaient audessous d’eux, comme le prouve le polissage et striage des roches en place, le striage et l’arrondissement des cailloux conte- nus dans les boues. Ils chassaient ces matières en avant et les accu- mulaient dans leurs moraines terminales. Cette aclion devait se pro- duire d'une manière d’autant plus puissante qu'aux points où se trou- vent les lacs, les glaces exercaient une pression verticale de trois à ANCIENS GLACIERS DES ALPES 81 cing cents mille kilogrammes par mètre carré qui se combinait avec une force de poussée encore bien plus grande, dans le sens de la vallée, cést-a-dire presque horizontale. La résultante était donc une oblique, agissant de haut en bas, et par conséquent enfoncant les glaces mouvantes dans le sol meuble et l’affouillant profondément. La destruction des alluvions anciennes par les glaciers peut du re- ste s’observer directement dans l’interieur de toutes les enceintes des moraines terminales. On voit imèéme des Dblocs de poudingue de ces alluvions relevés, sur les moraines, à un niveau bien supérieur à celui qu'occupait ce dépot. Les alluvions qui se formaient pendant la grande extension des glaciers ont fait suite aux alluvions anciennes. Elles les recouvrent et se maintiennent à un niveau supérieur. Leur caractère distinctif est la puissance des matériaux qui les composent. Ces alluvions répandues sur les plateaux tout autour des anciennes moraines, contiennent des cailloux énormes. Ce sont des blocs erratiques provenant des morai- nes qui ont été entrainés et arrondis par les eaux Pendant la période de retrait ou de fonte des glaciers, les alluvions devaient devenir plus abondantes; l’observation montre qu’au contraire les eaux de cette période, au lieu d’accroître les anciens dépots, ont profondément entamés les précédents. Ces eaux ont creusé les terrasses longitudinales successives, au fond des quelles se trouvent actuellement emprisonnés tous les cours d’eau sortant des Alpes. C'est là une grande preuve des puissants affouillements produits par les glaciers. En se retirant ils laissaient dans les vallés des succes- sions de bassins entiérement denudés, qui absorbaient pour se combler toutes les alluvions. Mais lorsque ces bassins se sont trouvés trop profonds et trop vastes, les alluvions nouvelles ont été insuffisantes pour les combler, et il est resté de grands vides qui se sont remplis d'eau. C'est là l’origine des lacs actuels qui se trouvent à l’entrée des grandes vallées Italiennes des Alpes. C'est là aussi l’origine de presque tous les lacs alpins de la Savoie et de la Suisse, comme je l’ai déjà dit, en 1859, dans ma Vote sur la géologie de Palazzolo et du lac d’Iseo, et en novembre 1860 dans une Note sur le lac d’Annecy publiée dans la Lecue Savoisienne. Milan, 25 décembre 1860. Vol. III. 6 89 Seduta del 24 febbrajo 1861. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Stoppani legge una sua Memoria sugli strati ad avi- cula contorta e sul piano infraliasico. A varie domande fattegli, dopo la lettura, da Cornalia, Bellotti, Manzi e Tinelli, risponde Stoppani, che il gruppo dell’ Azzarola forma una zona quasi continua attraverso le Prealpi lombarde, vedendosi in Val Solda, a Bene, al M. Galbiga, in Tremezzina, nella Valle di Guggiate, a Barni (Vallassìina), in Val Ritorta (M. Baro), a Civate, nella Valle della Galavesa (Praa lingér), nelle Valli Ta- leggio, Imagna, Brembilla, a S. Pellegrino, intorno @ Leffe e Gandino, a Pian Gajano, sul Lago d'Iseo ( Pre- dore e Lòvere), a Polàveno, in Val Sarezzo, in Val Sab- bia, in Val di Ledro, e in diverse altre località del Bre- sciano. Soggiunge che questo gruppo si trova sotto la dolomia superiore (che è certamente liasica) e sopra la dolomia media e il gruppo d'Esino (certamente del ter- reno triasico); che non forma un passaggio fra il las e il trias, perchè le specie ben determinate che contiene sono certamente liasiche, benchè l’/Rabitus di alcune sia triasico; che le piccole bivalvi di Guggiate non sono bene determinabili; che non fu trovata finora alcuna discor- danza di stratificazione fra questo e gli altri gruppi di strati, nè in Lombardia, nè altrove; che la vera località tipica dell’Azzarola è un certo sperone che sporge dalla base settentrionale del Monte. Baro, di fronte a Valma- drera, e si avanza fin alla strada postale da Lecco ad Erba; che egli spera di trovare nuovi avanzi di verte> SEDUTA DEL 24 rebBraso 1861 ‘85 brati, meglio determinabili dei già raccolti, e paragona- bili a quelli del bone-bed d'altri paesi; e finalmente che il banco madreporico è ora sopra, ora in mezzo al gruppo fossilifero dell’Azzarola, così che deve ritenersi con esso in- timamente collegato. — Presenta a corredo della sua Me- moria i fossili più caratteristici e molte tavole litografate. che li rappresentano e che faranno parte della terza serie della Paléontologie lombarde. Cornalia espone a viva voce un'importante notizia co- municatagli per lettera dal signor Desor, intorno agli oggetti di bronzo delle antiche razze umane d’ Europa. I dotti tedeschi pretendono che questi oggetti sì siano sparsi colla civilizzazione progressiva dalla Germania alle altre parti d'Europa. Or bene, analizzati si trovano contenere nickel; e risulta dalle statistiche mineralogiche che non sì trova rame nickelifero se non nel versante meridionale delle Alpi. Dunque questi oggetti, o almeno le materie di cui sono fatti, devono considerarsi come produzioni dei popoli abitanti al di quà delle Alpi, e specialmente nel- l’alto Piemonte. Cornalia parla poi di un botriocefalo espulso da un suo amico nato in Lombardia, ma da genitori originar) della Svizzera tedesca, e rammenta in proposito essersi finora trovato il botriocefalo al di là delle Alpi, e la tenia al di qua. Cornalia annuncia la morte di tre socj: il conte Ar- chinto, il pittore fotografo Luigi Sacchi e il signor Luigi Brocca. Sono ammessi per votazione segreta soc] effettivi 1 si- gnori: De Bosis ingegnere FRrAncESCO, di Ancona, proposto da Omboni, Cornalia e Stoppani. 84 SEDUTA DEL 24 FeBpraso 41861 Costa AcHiLLe, professore di Zoologia nella R. Uni- versità di Napoli, proposto da Robiati e dai Fratelli Villa. Casati nobile CAMILLO, di Milano (Contrada S. Nazaro Pietrasanta, 6), proposto da Bellotti Cristoforo, Cornalia e Omboni. Si nomina una Commissione incaricata di studiare il bombice dell’ailante e il suo allevamento, e composta dei Soc] Cornalia, Bellotti, Tinelli e Manzi. Si ammette la associazione a spese sociali all /conogra- phie générale des ophidiens par M. le professeur Jan, directeur du musce de Milan. Sono presentati i seguenti libri, pervenuti alla Società dal giorno 4 corrente fino ad oggi: MicHAuD, Description des coquilles fossiles découvertes dans les environs de Hauterive ( Dròme ). Lyon, 1855. — Dono dell’ Autore. Verhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft in Basel. — Fascicoli, 1, 2,3, 4 della prima parte, e fascicoli 1, 2, 3, 4 della seconda. — Basilea. 1854, 1855, 1856, 1857, 1858, 1859, 1860. — Da quella Società, in cam- bio coi nostri Atti (Fisica e Chimica. Molti articoli di SCHONBEIN su argo- menti di fisica e di chimica, alcuni altri di WIEDEMANN, di BURCKHARDT, di Z6LLNER e di HAGENBACH.) — Meteorologia, P. MERIAN. Osservazioni meteorologiche. — Geognosia, P. MeRIAN, Terreni di Mendrisio. Fossili del M. Salvatore presso Lugano. Fossi.i di La Presta. Terreno terziario del Giura. Formazione d’acqua dolce in Basilea. Nautilus Aturi nella molassa Svizzera. Formazione di S. Cassiano del Vorarlberg e del Tirolo settentr. Petrefatti dello Stockhorn, delle Alpi italiane e dei dintorni di Lugano. Dente di orso speleo di Massmiinster. Astartiano di Seuven e Hobel. Legno petrificato del ter- reno à chazlles. Petrefatti della trincea per la strada ferrata presso Liestal. Il così detto Bone-bed. — MiiLLER. Anormale stratificazione nel Giura presso Basilea. Miniere di rame nello Stato di Michigan. Osservazioni geognosti- che sul territorio di Basilea. — Paleontologia. MERIAN, Petrefatti eretacei dei dintorni di Palermo. Sulle Belemniti. Impronte di pesci nel Sundgau. Petrefatti degli strati di Kossen di Scesa plana. Vertebra di saurio nel cal- care oxfordiano di Cesigna. — RUTIMEYER, Sui porci e generi affini, vi- venti e fossili. Nuovo genere di cetaceo, Encheizyphius. Antracoterii della Svizzera. — Mineralogia. MiivLER, Minerali di manganese del Giura Cloruro sodico del Vesuvio. Una pseudomorfosi della Miinsterthal. Osserva- SEDUTA DEL 24 rFeBprasO 41861 85 zioni sui cristalli di rocca e sui granati. Diverse pseudomorfosi. — Entoma. logia. Imnorr. Nuova specie di scolopendra. — Fisiologia. BRUCH. Diver- sità nel colore del sangue venoso e dell’arterioso. Cristalli del sangue. Ri- generazione dei nervi troncati. Sulla esistenza del micropilo negli animali. — RurIMEvER. Anencefalia umana. — Zoologia. MERIAN. Dreissena poly- morpha e Paludina vivipara nel canale di Miilhausen. MEISsNER. Dell’uova dell’ Echino esculento. Sulla filaria medinese. — Botanica. MuncH. Fragaria stagenbachiana. CHRIST. Geografia botanica del Vallese. Il Politecnico, fascicolo 55. — (MANTEGAZZA, Prime linee di fisiognomonia comparata delle razze umane. — MaARzOoLO, Profitto dell'educazione dei ciechi nel 1860. — Lior, Su la generazione spontanea e su un nuovo regno nella natura. — ARNAUD, Monografia d’'illustri italiani. Il conte Luigi Ferdinando Marsigli. — CATTANEO, La China antica e moderna. — Noti- zie.) — Dalla Redazione in cambio coi nostri Atti. SULLE CONDIZIONI GENERALI DEGLI STRATI AD AVICULA CONTORTA SULLA LORO SPECIALE COSTITUZIONE IN LOMBARDIA E SULLA COSTITUZIONE DEFINITIVA DEL PIANO INFRALIASICO MEMORIA DELL'ABATE ANTONIO STOPPANI Letta nella seduta del 245 febbrajo 1864. PRELIMINARI Lo splendido fatto della successione delle faune è una delle più fortunate conquiste della scienza moderna. Essa ci dischiude per questo i tenebrosi abissi del passato, e noi, uomini d'oggi, ricon- duce per mano ben oltre le scaturigini dell’umana schiatta, e per milioni di secoli ci pone spettatori delle divine meraviglie, quali si succedettero sotto il solo occhio creatore dell’ Eterna Sapienza. Ma se aperta è la via, non dissi già nè compiuto il retrogrado cammino, nè che giovi precipitarvisi: troppo si è già errato per chi volle tutto vedere, tutto decifrare al primo crepuscolo. La teoria della esclusività delle faune pe’ diversi piani è il principale e più doloroso documento di tale precipitazione, dalle cui conseguenze a gran stento si rinven- gono i geologi, portati ormai dalla evidenza dei fatti, piuttosto che a smembrare e sminuzzare il colosso della creazione, a studiare i nessi per cui le membra si congiungono, e le parti per mutua di- pendenza si fondono in un sol tutto meraviglioso. Quali sono i nessi di un piano coll’ altro, e qual è il loro valore individuale? Fra due terreni contrassegnati da due faune assoluta- mente distinte. quali strati si frappongono; ossia che avvenne sulla STRATI AD AVICULA CONTORTA 87 terra al tramutarsi di un’ epoca perfettamente caratterizzata, in un’ altra con caratteri del pari esclusivi? La creazione e la cessazione dei viventi furono continue, o avvennero ad intervalli? Tali e mille altre domande si va dirigendo la geologia oggigiorno con singolare insistenza, e chi sa fino a quando dovrà attendere la soluzione di sì astrusi quesiti. I geologi frattanto si buttano avidi sui confini delle diverse formazioni, si creano dei ferreni di congiunzione, li martel- lano, li sviscerano, ansiosi di strappare il segreto che maturi una nuova teoria in sostituzione della crollante esclusività. È così che pigliano tale sviluppo e presentano tanto interesse i nuovi studii sui primordii del terreno quaternario già segnati da umana impronta; che tanto si è combattuto per l’ epoca del terreno nummulitico; che, specialmente tra noi, tante opinioni divergenti si manifestarono circa l'epoca della scaglia e della majolica, ai confini del giura e della creta. Nell’accingermi ad uno studio completo del deposito dell’Azzarola e degli scisti che gli sono subordinati, indubitabili equivalenti degli strati di Kossen dei Tedeschi, del piano infraliasico dei Francesi, del bone-bed degli Inglesi, degli strati ad Avicula contorta dei più recenti lavori, ecc., infine di un terreno che, a qualunque epoca lo si voglia ascrivere, sta però sempre inappellabilmente ai confini tra il trias e il lias, sento di por mano ad un argomento di attualità. Chi dia uno sguardo alla copia dei documenti cui deve svolgere chi voglia in oggi parlare del terreno citato, dovrà invero meravigliarsi , che i più rinomati e più recenti manuali di geologia o non abbiano un motto che gli si riporti, o accennino appena ad una formazione che crebbe nella scienza così imponente, e sta per poco a divenire uno de’ più sicuri orizzonti geologici in Europa, e la chiave forse di infinite importantissime soluzioni. Ma pure è così. Cento trattarono degli strati infraliasici, accennandoli sotto cento nomi diversi, col- piti ciascuno da singolari apparenze di depositi considerati isolata- mente, in determinate località. Inglesi, Francesi, Tedeschi, Italiani si cimentarono così sul campo novello, intenti alla stessa meta, senza quasi intendersi, senza vedersi, e l’ esito che ottennero si potrebbe paragonare a tanti brani di muro, che, costrutti con più o meno di intelligenza dai singoli sulla linea stessa, trovansi finalmente for- 86 A. STOPPANI, mare una muraglia, ineguale, è vero, scucita, ma pure una mu- raglia che altri può rattoppare, e render solida e diritta. — Tale la- voro ora già si può tentare. Le più recenti pagine di Oppel, Terquem, Hauer, d’Archiac, ecc.., ne danno sentore. Winkler nominatamente ha preso l'argomento sotto il punto di vista più generale, e le brevi pagine dove tesse, diremo, la storia degli strali ad A. contorta, sono, per mio avviso, il lavoro più completo che fino ad ora sia uscito sull’argomento. lo ritento la via, fornito di nuovi documenti ma, più di tutto, esperto di nuove località dove i rapporti stratigrafici forse più spiegati, e la riechezza di una splendida fauna, sonmi un pegno ch'io non avrò forse ricalcate le orme altrui senza imprimerle più si- cure e senza portarmi più oltre verso la meta. L'argomento è abbastanza vasto per esigere una trattazione ben ordinata. Bivido il mio lavoro in tre parti. La prima versa sugli strati ad 4. contorta in generale; comincia con un cenno storico che pre- senta in generale il progresso delle cognizioni relative al deposito in discorso; tratta quindi più parzialmente de’ suoi caratteri paleonto- logici e petrografici, della sua potenza, estensione, posizione, e ne di- scute l’ epoca in base alle nozioni stratigrafiche e paleontologiche. La seconda parte si occupa in particolare del gruppo dell’Azzarola ; studia cioè gli stratî ad Agicula contorta in Lombardia, offrendone pure la storia, definendone i caratteri, e distinguendoli in due de- positi (assises) particolari, dei quali presenta le faune. La terza parte è riservata alle conclusioni generali, che desumo dal confronto degli strati a 4. contorta in Lombardia coi loro equivalenti in Eu- ropa, donde risulta la costituzione definitiva del piano infraliasico. STRATI AD AVICULA CONTORTA ; 89 PARTE I. DEGLI STRATI AD AVICULA CONTORTA IN GENERALE ENTRO I LIMITI ATTUALI DELLA SCIENZA. I. BIBLIOGRAFIA. A scanso di infinite ripetizioni, e per abbreviare le citazioni, ecco la lista delle opere che si riferiscono alla geologia od alla paleonto- logia del terreno che ci occupa. Si intende ch'io non cito che quegli scritti dove si tratta espressamente o in generale o in particolare di esso, omettendo i molti da’ quali, benchè estranei al nostro argo- mento, attinsi importanti nozioni specialmente paleontologiche. Di queste caso per caso a suo luogo. — Tutte le seguenti opere furono da me consultate e studiate, ad eccezione delle opere di d’ Alberti (1834) e di Portlok (1843), che io non ho potuto in verun modo pro- curarmi, il che tuttavia non mi nuocerà punto, trattandosi di scritti i cui risultati, in quanto fanno per noi, vennero già fusi nei posle- riori. Per questo oggetto io mi riporterò singolarmente agli eccellenti estratti che ne presenta il signor D’ Archiac nell’ ultimo volume della Histoire des progrès de la Geologie. 1854. D’Auserti, Beitrag zu einer Monographie des Bunten Sand- steins, Muschelkalk und Keuper, cte. Stuttgart und Tiibingen. 1858. Levmerie, Mémoire sur la partie inférieure du système secon- daire du departement du Rbòne (Mem. Soc. géol. de France, tom. III, pag. 515, pl. 23, 24). 1845. PortLok, Report on the geology of the county Londonderry, etc. Dublin, Londres. 1846. Dusger, Ueber die in dem Lias bei Halberstadt vorkommenden Versteinerungen (Pale@ontographica, tom. 1, pag. 34, pl. 6). 1849. Emmericn, Ueber die Gliederung des Alpen-Kalkes in Bayeri- schen Gebirge (Zeonh. u. Bronn. Jahrb., pag. 457). 90 A. STOPPANI è 18381. Haven, Ueber die Gliederung des Alpen-Kalks in den Ost-Alpen (Zeonh. u. Bronn. Jahrb., pag. 384). — Lirowp, Schilderung des Tinnengebirges (Jahr. &. X. geol. ftei- chsanstalt, tom. Il, pag. 19). — Srur, Die liassischen Kalksteingeb. von Hirtenberg und Enzen- feld (Jahr. k. k. geol. Reichsanstalt, tom. IT, pag. 79). — Scuarnevri, Geogn. Untersuchungen des siudbayerischen Alpen- gebirges. Minchen. n n Neue Petrefacten des sidbayerischen Vorgebirges (Zeonh. u. Bronn. Jahrb., pag. 407). 1852. — Der Teisenberg (Zeonh.u. Bronn. Jahrb., pag. 129). _ — Geogn. Bemerkungen iber den Kramerberg. ( Zeonh. u. Bronn. Jahrb. pag. 129). — Kuoernarscn, Geol. Notizen ans den Alpen. (Jalr. k. &. geol. Reichsanstalt, tom. lil). — Lipop, Geol. Stellung der Alpenkalksteine, etc. (Jahr. k. £. geol. Reichsanstalt,, tom. HT). 1855. Exmericn, Geogn. Beobachtungen aus den éstlichen bayerischen Alpen. (Jahr. k. k. geol. Reichsanstalt, tom. IV). — Hauer, Ueber die Gliederung der Trias-Lias-und-Juragebirge in den nordòstlichen Alpen (Jahr. %k. k. géol. Reichsanstalt, tom. IV, pag. 745). — Escner v. d. Linth, Geol. Bemerkungen iber das nòrdliche Vo- rarlberg und einige angrenzenden Gegenden. Zurich. — Srur. Die geol. Beschaffenheit des Henns-Thales (Jahr. k. k. geol. Reichsanstalt, tom. IV). 1853-54. 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Wixxcer, Die Schichten der Avicula contorta inner und aus- serhalb der Alpen. Minchen. 1886-60. D’Arcniac, Histoire des progrès de la géologie, tom. 6.°, 7 485 Parisi II. RIASSUNTO STORICO SUL PROGRESSO DELLE INDAGINI RELATIVE AGLI STRATI AD AVICULA CONTORTA. Chi, per comprendere la questione, della quale stiamo per occu- parci, e persuadersi della sua importanza, si volgesse unicamente ai trattati di geologia, anche a’ più recenti, a mala pena vi troverebbe alcun che di appena determinato. Al lias, inteso nella strettezza del senso primitivo della parola, succedono invariabilmente le arenarie variegate , il Keuper, infine, sotto nomi diversi, il trias superiore. D’Orbigny, p. e., (4) cita il grés infraliasique, il gres du Luxem- bourg, il calcare di Halberstadt, ed altri depositi che con minore 0 maggior esattezza vengono parallelizzati agli strati ad 4. contorta, e li ascrive al suo lias înferieur, ossia étage sinémurien; ma facen- doli sinonimi del calcaire da Gryphée arquee, mostra quanto male abbia compreso il valore stratigrafico di quei depositi. — Lyell nel suo Manuale si intrattiene de’ più minuti particolari del bone-ded d’Inghilterra e del Wirtemberg; ma è solo, io credo, nel Supple- mento alla 3. edizione, che tocca di volo i rapporti tra il bone-bed e gli strati ad A. contorta. Necessario quindi sarebbe che il lettore, (1) Cours elementaire, ecc., pag. 434. — Prodrome, ecc,, T. I. 7.° étaga. STRATI AD AVICULA CONTORTA 935 per mettersi alla portata della questione, durasse la noja e la fatica di ripescarne in una indigesta congerie di documenti gli sparsi ele- menti, e ricomporli. Tale noja e fatica mi propongo di risparmiargli . Le prime nozioni sul terreno infraliasico sono descrizioni di par- ziali depositi; è così che ci è reso noto dapprima il gres di Tibin- gen o il done-bed co’ suoi vertebrati studiati da Cuvier e da Agassiz, è così che fu noto il calcare dî Yalognes, in cui Defrance scoprì la nuova specie da lui descritta sotto il nome di Zecten valoniensis, che è ora delle più caratteristiche dell’infraliasico, e che servi quasi come l’Avicula contorta, però con assai meno di sicurezza, a rin- tracciarne e rannodarne le sparse membra. La memoria di Leymerie sulla parte inferiore del sistema secon- dario nel dipartimento del Rodano, rivela già assai bene la natura, l estensione, i rapporti e la giacitura del piano che ci occupa, da lui pel primo detto infraliasico. Sotto il calcare a Grypheù arcuata distingue due piani così disposti in ordine ascendente: 1.° i grés ?n- feriori quarzosi contenenti marne e calcaree magnesiache, senza fos- sili, e che riposano immediatamente sul terreno antico; 2.° il choin baitard, ossia de’ calcari compatti o un po’ marnosi, con lumachelle e fossili differenti da quelli che trovansi ordinariamente nel calcare a Gryphea, ma pure con qualche G. arcuata in giovane età. Notisi, per ciò che diremo a suo tempo, questa circostanza che Leymerie, citando la G. arcuata nel choin batard le aggiunge esplicitamente il distintivo jeune dge. È il choin batard ch’ ei non dubita punto di ri- ferire al calcare di Yalognes, al grés di Luxembourg e di Hettange e in generale ai depositi riconosciuti infraliasici dai geologi più mo- derni, e avvicinati agli strati ad A. contorta. Vi si scoprono infatti colla Lima punctata i Pecten valoniensis e lugdunensis, due specie ora avute come caratteristiche dei detti strati. Il choîn datard costi- tuiva adunque per lui un piano inferiore al lias. Quanto al grès n.° 4.° egli lo considerava come probabile equivalente del Keuper. I dati offerti dalla memoria in discorso circa l’ estensione del piano infra- liasico in Francia hanno per certo una singolare importanza. Un altro lembo che, studiato isolatamente da Dunker e da Jui ascritto al lias, si riconobbe poi appartenere all’ infraliasico, sono i calcari arenacei e scistosi, ricchissimi, di fossili presso Malberstadt. 94 A. STOPPANI, Ma del resto nulla in Germania finora di ben deciso circa l’esistenza di un nuovo piano, destinato ad assumervi tanta importanza. È bensi vero che nel 1828 il celeberrimo de Buch aveva scoperti gli strati a Gervillie (G. inflata) alla Gruberalpe sul Setzberg a Sud del Tegernsee in Baviera, quindi Murchison e Lilienbach li avevano trovati, nel Salisburghese, che finalmente Schafhàutl nel 1840 scoperse e segnalò all'attenzione dei geologi la classica località di Késsen (1). Ma i geo- logi parvero tutti d’ accordo nel vedervi semplicemente il Giura bruno. Dall’ Inghilterra dovevano venirci, se non gli indizii di un nuovo piano, almeno i caratteri per rintracciarne gli equivalenti e marciare per via d’induzioni e di felici applicazioni alla sua ricostruzione in tutta Europa, schiudendosi alla geologia un nuovo campo vasto e luminoso. Già da lungo tempo vi era studiato un deposito singolarissimo. So- pra le marne rosse, ascritte al ew fed (keuper), riposano delle. marne oscure: fra queste si distinguono alcuni strati estremamente fossiliferi; là confusi in gran copia ossa, squame, denti di pesci e di rettili, per cui quel deposito, il cui spessore non è che di pochi decimetri, fu chiamato bdone-bed (letto ad ossami). La località più ricca di tali fossili è Aust-Cliff presso Bristol, dove i musei e le pri- vate collezioni abbondano di quegli avanzi e specialmente di den- ti (2). Il done-bed inglese acquistò a poco a poco una importanza singo- lare. Nel Viirtemberg fin dal 1847 Plieninger aveva pubblicato 1’ il- lustrazione di due denti molari fossili, raccolti in una breccia ossi- fera posta tra il lias e il trias (3). Era il famoso Microlestes antiquus Plien., mammifero insettivoro che, con altri mammiferi del terreno oolitico, minaccia di scalzare certe teoriche troppo esclusive. Il fatto più interessante ora per noi è la scoperta del done-bed sul Conti- (4) Se si guidi una linea da Innsbruck a Salzburg, passa questa in Kossen a circa 13 miglia dal primo e 7 dal secondo paese. La località ricca di petrefatli si trova presso il !uogo detto Reut in Winckel pel cammino di mezz’ ora, lungo un sentiero chiamato Klemm dagli abitanti, attraverso il quale passa la strada che mena da Reut in Winkel a Kossen. (Vedi Wirkler, Die Schich. d. A. contorta.) (2) Wurtemb. Naturviss, Jahveshefte, 3 Jahr., Stuttgart, 41847. (3) Vedi Oppel, Juraformation,, ete. STRATI AD AVICULA CONTONRTA, 95 nente. Successivamente nell’Alsazia, nella Svevia, nel Lussemborgo , in Borgogna e in molti altri luoghi lo si veniva scoprendo, e si co- minciava così a trovare un nuovo anello di congiunzione tra i terreni delle isole britanniche e quelli del continente. Ma felice oltremodo fu la scoperta negli strati di Portrush in Irlanda di un piccolo mol- lusco, cui Portlok nel 1843 segnalava sotto il nome di Avicula contorta. Non si trattava che di un piccolo acefalo, niente singolare per sè, una nuova specie. che non poteva quindi per sè presentare alcun rapporto per facilitare o la determinazione dell’epoca degli strati che la ricettavano, o la ricerca degli equivalenti. Non è già che gli strati di Portrush venissero tuttaprima identificati col done- bed. Ma vedremo in seguito come i fatti legandosi mano mano a guisa degli anelli di una catena, dovessero in fine svelare la loro mutua dipendenza. Dall’ epoca degli strati ad 4. contoria dedurre l'epoca del bone-bed, è anch’ esso uno degli scopi del presente di- scorso. L’epoca del done-ded rimaneva diffatti incerta tuttavia. Benchè De la Beche, Murchison, Conybeare, Phillips, Marcou, Plieninger, Terquem, ece. fossero d'accordo o in quell’ epoca o più tardi nel- l’ascriverlo al lias, altri lo volevano compreso ancora nel trias, che nè i vertebrati nè i molluschi avevano un voto inappellabile da pro- nunziare. La piccola 4. contorta, navigando per dir così, dalle Isole sul Continente, e facendovi sosta in mille punti e mostrandosi ovanque copiosa, costante ne’ suoi caratteri eminentemente specifici, doveva rendere facile estremamente e sicura la ricerca degli equivalenti. Una volta questi trovati, si sa che ciascuno si arricchisce delle ric- chezze di tutti, ciascuno riflette la luce di tutti, ciascuno ha una risposta da dare, nè può tardare ad aversi Ja definitiva. L’ importante era che cogli strati ad A. contorta apparivano quasi ovunque tracce del done-bed, ed è per tale concomitanza di fatti che all’#. contorta si devono il rapido sviluppo nella ricerca degli equivalenti al bone- bed inglese, e le splendide conseguenze che ne derivarono alla scienza. La risposta definitiva circa l’ epoca del done- ded non doveva, e forse non potrà mai il done-ded darla a sè stesso; ma può bene attenderla dagli equivalenti trovatigli sul Continente. È qui infatti che si cominciò e si continuò con ricchi argomenti di rapporto, che 96 A STOPPANI. si andavano mano mano raccogliendo, la disputa circa l’esistenza, la posizione e l'epoca di quel deposito che, ascrivasi al lias, o si con- giunga al keuper, avrà pur sempre i caratteri di un nuovo piano geologico di primaria importanza. Emmerich nel 1849 accennava all'esistenza di un nuovo deposito tra i membri del calcare alpino in Baviera, scoprendovi nuove specie fossili, tra gli altri la famosa Cardita, simile o identica alla Cardita crenata, che doveva esser poi tal pietra d’inciampo. Colle nuove specie altre ne indicava però proprie del Giura bruno. Più tardi (nel 1853), descrivendo egregiamente la formazione di Kòossen, sotto il nome di Strati a Gervillie ( Gervillienschichten) la reputava equivalente al San Cassiano quanto all’epoca, distinguendola però dal vero San Cassiano: notava a proposito alcune differenze che pas- sano tra la Cardia crenata e la Cardita degli strati a Gervillie. La ricca fauna che vi raccolse (forse 100 specie, tra le quali la interes- sanlissima Ostrea intusstriata) porse materia alle elucubrazioni dei paleontologi, e fu diffatti dietro le osservazioni di Emmerich che Hauer primieramente avvisò che negli strati a gervillie si dovessero cercare gli equivalenti del San Cassiano. Aveva intanto Schafhîntl incominciato a pubblicare le sue im- portanti osservazioni sulle Alpi bavaresi. A lui si deve certamente gran messe di fatti circa la costituzione e la paleontologia degli strati a Gervillie. Cominciò colle Geognostiche Untersuchungen, dove ci informa aver egli trovato che gli strati a Gervil'ie riposano sopra al- tri ne’ quali scopronsi dei fossili che convengono con quelli di San Cassiano. Giudica quindi che gli strati a Gervillie debbansi ritenere antichi almeno come il lias e forse più. Ritornando sull’ argomento in quattro altre successive memorie, inserite nell’ Annuario di Leon- hard e Bronn, impinguò provvidamente la fauna di quel nuovo e ancora incerto deposito. È così che conoscemmo la Gervillia inflata, il Megalodon scutatus, la Pholadomia lagenalis, ed altri fossili nuovi che divennero altrettante guide alla ricerca più estesa degli equiva- lenti; è così che, credo per la prima fiata, ci vedemmo innanzi 1 4. contorta divenula continentale, benchè confusa con altra specie sotto il nome di 4. inequiradiala Schaf. Un altro fossile di molta importanza è il Myrilus Schafhiutli. Schafhàutl ne aveva trovato dei frammenti, STRATI AD AVICULA CONTORTA 97 rimanendo affatto incerto circa la sua natura. Stur, esaminando i depositi liasici di Hirtenberg e di Engenfeld, trovò lo stesso fossile negli strati inferiori della massa liasica, e lo nominò Modiola Scha- fhiiutli, indizio certo dell’esistenza del piano infraliasico colà. Tor- nando a Schafhàutl, dirò che se nelle sue memorie sono a lamen- tarsi troppo visibili confusioni di terreni, avvicinamenti paleontolo- gici troppo precipitati, e le figure dei nuovi petrefatti invero poco felici; ciò non toglie che all’illustre geologo non debbasi attribuire gran parte di merito nell’illustrazione del piano infraliasico nelle Alpi. Le osservazioni di Emmerich e di Schafbiutl, per quanto ancora incomplete, produssero l’effetto di risvegliare l’attenzione dei geologi sovra formazioni troppo ancora mal note. Il signor Hauer si affaticò tosto a porre in rapporto le osservazioni fatte dai due citati geologi nelle Alpi bavaresi, con quelle raccolte da lui stesso nell’ Au- stria. I primi lavori dell’ flauer, furono seguiti da quelli di Kuder- natsch, Foetterle, Ehrlich. Vi si discute a lungo sui rapporti degli strati a Gercillie (equivalenti degli strali ad 4. contorta) e del Da- chstein. Ma le loro conchiusioni essendo o già rigettate in parte, 0 in parte rischiarate assai meglio e riassunte nelle opere posteriori, principalmente del signor Hauer stesso, non ci tratteremo qui più oltre. Più interessante pel caso nostro è la memoria di Stur sulla valle dell’Enns. Nel suo precedente lavoro sul calcare di Hirtenberg , ecc., aveva, citando specie ora assai caratteristiche degli strati ad 4. contorta, rivelata la presenza del deposito în quei dintorni. In questo nuovo lavoro ne parla assai più determinatamente, distinguendolo nettamente nella serie stratigrafica, e collocandolo al suo vero luogo, cioè tra la formazione di Hallstatt e il Dachstein (18353). Ma il merito maggiore in argomento nessuno dubiterà doversi at- tribuire ad Escher della Linth. Fu egli, per mio avviso, che anterior- mente al lavoro di Stur meglio abbracciò l'impianto, precisò i rapporti, individuò la natura, e tenne dietro su più vasta estensione al nuovo piano, cui indicò col nome di Sun Cassiano superiore. Prescindendo dalle sue deduzioni, troppo aneora disputabili, ed alle quali non possiamo sottoscrivere, sarà sempre vero che egli porse ai geologi i migliori elementi per gli studii posteriori sul piano infraliasico. Mentre Emmerich e Schafhàutl percorrevano la Baviera, egli passava Vol. HI. 7 98 A. SPOPPANI 4 minutamente in rassegna i paesi più meridionali, il Vorarlberg, il Tirolo, la Lombardia. I suoi studii erano diretti a tracciare la nuova carta geologica della Svizzera (1) cooperando a Studer e Merian, carta in fatti dove la zona degli strati ad 4. contorta compare, nelle regioni da lui percorse, così continua, così ben definita sotto il nome di Aossener Schichten 1.° Giacchè abbiamo parlato del Vorarlberg e del ‘Tirolo, citeremo le osservazioni di Gimbel, «il quale più tardi (1856) rivedeva quelle provincie. Quanto agli strati ad 4. contorta egli riusciva alla stessa conclusione che il signor Escher, per ciò che riguarda la stratigrafia , collocandoli tra le dolomie inferiori indeterminate per mancanza di fossili, e il calcare del Dachstein: facendo allora delle suddette do- lomie la base del lias, a più forte ragione riferiva al lias gli strati ad A. contorta. Terquem studiava intanto i terreni inferiori alla formazione liasica nella provincia di Luxembourg e nel dipartimento della Mosella. Suo scopo principale si era di descrivere il gres d’//ettange, ma per ar- rivarvi trattò di tutto il sistema degli strati inferiori al lias ed alla Gryphea arcuuta. Il gres di Hettange, ricco di una bella fauna spe- ciale assai copiosa, non è evidentemente un perfetto equivalente degli strati ad 7. contorta ; è certo però un deposito infraliasico, racchiude, alcune specie degli strati stessi ad 4. contorta, ed alla sua base trovasi il bone-bed; l’opera di Terquem riescì uno dei documenti più impor- tanti per lo studio del piano infraliasico. Ma la fauna del grès di Het- tange restava tuttavia come isolata poichè, sebbene il sottile strato di bone-bed suggerisse dei rapporti sufficienti per orientarsi, lo studio del complesso e dei parziali equivalenti ai quali poteva attaccarsi, si faceva contemporaneamente al lavoro di Terquem, e in gran parte lo susseguì. Gli è solo tre anni poi che il signor Terquem, rispon- dendo agli attacchi del signor Dewalque , si affrettò in apposita motu di raccogliere i frutti di studii più recenti, pigliando a considerare il suo deposito da un punto di vista mollo più esteso. Aveva preso cognizione degli scritti di Dunker, Quenstedt, Oppel, Merian, ece. e potè quindi parallelizzare il grès di Hettange al calcare di //al- (4) Studer,.ec, Escher v. d. Linth, Geol. Karte d. Schweiz. Winterthur, STRATI AD AVICULA CONTORTA 99 derstadi, riconoscere nel grès di elmsingen un equivalente della eloaca svevica e degli strati di Kòssen, aggiungendovi il bdone-bed che rimaneva tra i due depositi citati. Ritorneremo sulle conclusioni di questa nota. Qui, continuando il nostro cammino, entriamo in un campo altret- tanto vasto, quanto brillante. Siamo all’epoca del maggior fervore degli studii sul piano infraliasico. Su mille punti in Germania, in Francia, in Savoja, nella Svizzera, in Italia i geologi gli si adope- rano attorno con indicibile ostinazione; le loro produzioni si appa- jano, si urtano, si accavallano, chè gli è impresa non indifferente il tener dietro a tutte, e peggio il cavarne da tutte una unità di con- cetto. Speriamo di non smarrirci per via. Infaticati illustratori del nostro deposito primi ci si fanno innanzi i signori Oppel e Suess. Aveva quest’ultimo già pubblicato la sua bella Monografia dei Brachiopodi degli strati di Kòssen. Forse, come vedremo, egli ampliò troppo il valore del nome, tendendo, piuttosto che a stabilire un deposito parziale, a sostituire il nome di Aossener Schichien all’altro meno determinato di lias inferiore. Meglio distinti gli strati di Kòssen furon dai due geologi nella loro Memoria sugli equivalenti degli strati di Kossen nella Svevia. | fossili più caratteri- stici vi sono descritti e figurati. Rimane ancora incerto se al Keuper piuttosto che al lias vadano ascritti quegli strati, ma vi si stabilisce a tutta evidenza, che essi strati corrispondono a quelli che in Fran- cia contengono il Pecten valoniensis Defr., ed al done-bed degli Inglesi. — Oppel ritornò sull’argomento nelle prime pagine del suo faticoso lavoro sulla formazione del Giura, che lo occupò dal 1856 al 1858. Sembrandogli che nessun fossile liasico non fosse constatato nel done-bed o negli strati di Kòssen, tende ad ascriverli al Keuper, o piuttosto ci lascia ancora affatto incerti sul loro valore geologico, benchè soddisfi pienamente alle ricerche della stratigrafia. Importan- tissima scoperta fu quella che diede luogo ad una sua più recente memoria nel 1858, Il siguor Hével, sotto al bone-bed del Luxembourg aveva scoperto i fossili più caratteristici degli strati ad 4. contorta. Chi richiami gli studi di Terquem sul grès di Hettange, 1’ infralias, e ricordi che il done-ded è alla base di questo, non durerà fatica ad ammettere che gli strati ad 4. contorta appartengono al Keuper. Ed 100 A. STOPPANI, è questa conclusione che ne tirò il sig. Terquem nella nota già citata, Le scoperte di Hòvel furono più tardi confermate da quelle di Martin nel dipartimento della Costa d'Oro, in modo pienamente conforme, ed anche di queste fu organo il signor Oppel, che nella sua recen- tissima memoria del 1859, conchiude che la linea tra gli strati ad A. contorta e la zona ad A. planorbis, è con tutta sicurezza la linea di confine tra il Trìîas e il Giura. Il che vuol dire, attenendoci ad Oppel, che, gli strati ad 4. contorta col bone-bed appartengono al Keuper, il grés d’ /Zettange, e in generale i depositi tra la Griphea arcuata e il bone-bed, appartengono al Lias. Ma ci siamo spinti troppo innanzi sulle traccie di Oppel, mentre per giungere alla citata conclusione, che sarebbe come l’ ultimatum della questione, giovarono altre opere importantissime da noi non citate. Annoveriamo fra queste Vopera di Quenstedt intitolata 7 Giura. Da pazientissimi studii sui terreni giuresi della Svevia gli risulta essere difficilissimo il rispondere alla questione dove co- minci il Giura. Sopra la massa enorme del Keuper egli scorge un’arenaria gialla, che è alla sua volta coperta da uno strato di done- bed. È in queste arenarie che il signor Deffner scoprì presso Niirtin- gen una quantità di fossili. Lo stesso deposito si ripete nei dintorni di Esslingen sotto e sopra il detto done-ded, il quale qui pure ri- copre le arenarie gialle fossilifere, e sopporta le calcaree ad 4. Psilonoti (lias). A ciò che il bone-bed di Esslingen, ricco di ossami, lo è singolarmente di coproliti, è dovuto il nome di c/oaca svevica alla località e di cloacino al deposito, che il signor Quenstedt ebbe l’idea abbastanza bizzarra di attribuirgli. I fossili di Nirtingen poi furono poeticamente chiamati precursori, come quelli che, vissuti al tra- monto dell’epoca triasica, portavano quasi le insegne di novella fauna, forieri del lias. L’Avicula contorta non sdegnava nemmeno di cacciarsi nella spegica cloaca, ma con mentito nome un’altra volta, facendosi chiamare Geroillia striocurca Quenst.; il done-bed svevico co suoi strati a conchiglie si ritenne da Quenstedt appartenere ancora al Keuper; ma egli non mancò di dichiarare che la mancanza d’un punto sicuro, sul quale stabilire confronti con depositi d’altre località, salvo qual- che analogia col San Cassiano, lo obbligava a considerare quel de- posito come isolato, e tale si rimase nell’opera di Quenstedt. Vedremo STRATI AD AVICULA CONTORTA 40 a suo tempo come non solo dai fossili precursori e cloacini, che rivelavano così evidentemente gli strati ad A. contorta, ma eziandio dalla serie dei terreni superiori descritti da Quenstedt può cavarsi ma- teria a sciogliere la questione. i; Fu precisamente a quest’ epoca che io compiva i miei Studii geo- logici e paleontologici sulla Lombardia. Era un tentativo di una completa geologia e paleontologia lombarda, ed era un primo ten- tativo; oso dirlo francamente, per quanto prima di me molti avessero scritto sulla Lombardia, non avendo mancato di dare a ciascuno il suo. Ma per avere il merito di un primo tentativo doveva averne an- che i difetti. Per ciò che riguarda gli strati ad .4. contorta io non aveva alle mani che la bella memoria di Escher e più tardi il primo fascicolo di Quenstedt. Ho già detto sopra quale importanza io attri- buisca al lavoro di Escher; ma chi fin d’ allora aveva ammassata una ingente quantità di fossili appartenenti agli stratà ad A. contorta, chi sopratutto era in potere della fauna dell’ Azzarola, cui la Mono- grafia da pubblicarsi rivelerà sì copiosa e forse sì strana per mistura di elementi, quale partito doveva cavare dalle poche specie determi- nate dall’ Escher? Io non insisterò qui sull’argomento, poichè le mie osservazioni, e le mie tesi svolle di nuovo e portate a livello della scienza attuale, devono naturalmente prestar la materia principale alla seconda parte. Dirò solo brevemente, che la formazione, po- tentissima in Lombardia, che ora si deve ritenere un perfetto equiva- lente agli strati ad 4. contorta, veniva da me, come è infatti, collocata tra i terreni liasici, e i terreni del trias superiore. Veniva però di- stinta in due piani, l'uno ch’io chiamai deposito dell’ Azzarola, l’altro gruppo degli scisti neri marnosi, il San Cassiano L4 di Escher. Sulla determinazione di alcuni fossili, e dietro alcune verbali comunicazioni fattemi dal signor Hauer, congiunsi il deposito del- lAzzarola al lias, di cui formava la base, e sulla autorità del signor Escher, e dietro la determinazione di altri fossili, collocava io pure gli scisti neri marnosi nel San Cassiano. Diverse modificazioni a tal modo di vedere furono già da me consegnate alla Rivista geologica di Lombardia; più determinatamente, benchè assai brevemente , mi espressi nella conclusione allo studio dei petrefatti di Esino (1), il (4) Les petrifications d'Esino par l'abbé A. Stoppani, 1858 1860 ( Paleont. lombarde, 1.° Série.) 102 A. STOPPANI , più resta a farsi; portare Ie prove ampie, invincibili del mio presente inodo di vedere. Certamente io aveva posto in luce molti fatti, di cui la scienza poteva giovarsi, come aveva incappato in molti errori che potevano scombujarla. Ma io non posso nè vantarmi di averle giovato, nè addolorarmi di averle nociuto. Ai libri italiani è accordato scarso e tardo l’onore d’ esser letti dagli stranieri, ed io mi consolo di po- tere coi presenti studii portare un rimedio al male, dove e’ è, 0 forse anticiparlo al male istesso. Ma continuiamo. Dagli scritti passali in rassegna finora si sarà veduto che i geologi in generale propendevano a porre nel trias gli strali ad 4. contorta. Il signor Rolle fu dei pochi che si pose con sicurezza a propugnare la tesi opposta. Nella sua memoria sui limiti tra dl kewper e il lias ei si domanda : dove questi limiti si porranno ? Nella Svevia osservansi due depositi, l’inferiore arenaceo come in generale il keuper, il supe- riore calcareo come di solito, il lias. Mentre i pesci deporrebbero in favore del lias, i molluschi propendono pel Trias. L’ autore. però sarebbe stato il primo, come egli asserisce, ad indicare con sicu- rezza molluschi liasici nel done-ded, ed a dichiararlo appartenente al lias, e cita in prova una sua dissertazione inaugurale (1). Tra i fossili del bone-bed annovera Vl Am. Magenowi Dkr., specie che ap- partiene assolutamente al lias inferiore, il Cardia philippianum Dkr., e il Pecten Z/eliù d'Orb., e attesta la somiglianza della fauna del done-ded con quella di Hettange e di Halberstadt. Sostenitore delle ragioni del Lias continuava pure a farsi il signor Hauer, e diede alle sue tesi ampio sviluppo ragionando dei Aòs- sener-Schichten in Lombardia, nella sua illustrazione alla carta geo- logica di questo paese. Ei vi ripete e vi sostiene la tesi già iniziata ne’ suoi scritti antecedenti (2), essere cioè il Dachstein ora superiore, ora inferiore agli strati di Kossen; formava quindi del Dachstein- Kalk, coi Aòssener-Schichten un gruppo solo sotto il nome di Unterer-Lias. Siccome questo modo di vedere era basato singolar- mente sulle sue osservazioni fatte in Lombardia, mi prestò materia di confutazione nella mia Aivîsta, ed io dovrò pur di questo trattare (41) Versuch einer Verglcichung des nord deutschen Lias mit dem schwabischen. Ham burg, 1853. (2) Gliederung dev Trias, ecc. — Durschnitt von Passau, ecc. STRATI AD AVICULA CONTORTA 405 in seguito. Secondo me le osservazioni del signor Hauer, certo non basate su argomenti inconcussi, tolsero agli strati ad A. contorta la loro preziosa individualità, perdettero la prerogativa di segnare, qua- lunque ne fosse l’ epoca, un sicuro rettissimo orizzonte. Ma farà d’ uepo che noi ritorniamo più tardi su tale argomento. Intanto continuano le ricerche, e stavolta, per rompere la mo- notonia, ci si parla di un deposito di filliti in grembo agli strati ad A.contorta. Fu scoperto dal Prof. Braun nell’ Alta-Franconia (Ober- Franken), e prestò argomento ad una interessante comunicazione del signor Giimbel. Sopra le marne e arenarie variegate del Keuper medio, scrive Gilmbel, scopresi una serie di banchi arenacei, de’ quali i superiori sono contraddistinti dalla presenza di abbondanti calemiti. Intercalati agli strati superiori sonvi straterelli di scisti argillosi, zeppi di filliti ben conservate. È sopra gli strati a filliti che trovasi il done-bed, co’ suoi ossami, e cogli indizii dei celebri precursori del Zias. L’au- tore in questo scritto ascrive al keuper il done-bed, e conseguente- mente a più forte ragione gli strati a filliti. Una zona di scisti ar- gillosi di circa due metri, si stende sopra il done-ded; questa rappre- senterebbe gli strati ad 4. planorbis e psilonotus, ed è ricoperto dagli strati ad 4. Buklandi e Gr. arcuata. Di calamiti nel Bone-bed parlano pure Definer e Frass. Essi pure studiarono nella Svevia il deposito in questione, e proposlisi di de- scrivere geologicamente i dintorni di Langenbriicken, passandone in rassegna i diversi terreni, ci informano con molta esattezza del imodo di essere colà degli strati ad 4. contorta. Sopra il keuper diviso in quattro sezioni riposa il gruppo del done-bded, diviso pur egli in due sezioni, cioè 1.° il Zonebed-Sandstein, arenarie e marghe con una nuova specie di calamite (C. posterus); 2.° il Bonebed- Thone, alter- nanza di marghe e di arenarie, tra le quali osservasi il vero bdone- bed col suo corredo di ossami caratteristici, una nuova specie di Pterodattilo, 1.4. contorta, il P. valoniensis, ecc. — Il gruppo del bone-bed è sormontato 4.° dal Psilonofen Bank con A. psilonotus, 2.° dal banco ad 4. Buchlandi, 5.° da marghe a Gryphea arcuata, etc. Gli autori non si decidono circa il collocare il loro bone-ded Gruppe nel keuper piuttosto che nel lias. Le calamiti, p. es., richiamano 410% A. STOPPANI, piuttosto il trias che il lias, mentre lo Pterodaciy/us primus si ras- somiglia alle specie del Giura. Lo riguardano però ad ogni modo come il deposito di confine tra il Trias e il Giura. Gli strati ad 4. contorta non mancarono di chi li studiasse pure in quel paese così gravido di geologici problemi, campo di osserva- zione e di lotta tra i più rinomati geologi, donde la geologia aspetta importanti soluzioni. La Carta geologica della Svizzera di Studer ed Escher mostra, ai limiti esteriori delle Alpi, tre punti segnati (4, che debbonsi quindi riportare agli equivalenti degli strati ad 4. contorta. Sono essi 1.° gli scogli all’O. de Meillerie sulle sponde del lago di Ginevra, 2.° altre roccie all’ E. dello stesso villaggio presso Loccou, 3.° il letto della Dranse. Il signor Mortillet (1) trovò tra i fossili di Bioze (letto della Dranse) il Pecten valoniensis e VA. contorta. Le domande che egli volse al signor Escher circa il collocamento di quegli strati diedero luogo ad una risposta da parte del geologo svizzero, che noi citeremo più tardi. Tutto considerato, il signor Mortillet arrivava alla conclusione essere cosa la più naturale il riferire allias gli strati della Dranse, ecc... di cui esse formavano la parte assolutamente inferiore. Le stesse località, e sotto gli stessi rapporti, furono studiate eon molta cura dal signor Favre. Egli descrive (2) gli scogli di Meillerie, dove distingue tre piani sovrapposti: 1.° il Toarcien, 2.° il Sinému- rien, 5.° gli strati di Kossen. Le rupi della Dranse offrono la stessa serie tra il ponte di Bioze e il lago di Ginevra, ove gli strati di Késsen contengono, secondo Escher, il Cardium austriacum, la Pli- catula intusstriata, la Gercillia inflata e il Bactryllium striolatum. Gli stessi strati sembrano trovarsi sul Grammont, che si eleva non lungi da Meillerie, e a Matringe essi strati vantano uno spessore di circa 50 piedi. Le citate località porsero quasi nella sua integrità la serie dei fossili più caratteristici degli strati ad 4. contorta, e il fatto più rimarchevole si è la miscela di fossili del gres d’/ettange, descritto da Terquem, coi fossili di Késsen. Il signor Favre crede che gli strati di Assen siano 1 equivalente di ciò che fu chiamato quarto piano del lias dal signor d’ Archiac, e strati di Schambelen dal signor Marcou. (4) Géol. et minér. de la Savoie. (2) Sur les terrains lias. et trias. de la Savoie. STRATI AD AVICULA CONTORTA 4105 Tutti gli studii precedentemente citati stavano sparsi senza legame, e tutt'al più formavano diversi gruppi come i risultati di studii par- ziali o di parziali confronti. Solo le più recenti memorie danno fiato dell’aver i geologi incominciato a misurare, l’importanza dell’ argo- mento, e ad intendersi fra loro. Winkler fu il primo che abbia ab- bracciato il nuovo campo rella sua ampiezza, sebbene non ancora nella sua integrità, presentando gli strati ad 4. contorfa come un vero piano segnalato dalla parzialità della sua fauna, dalla costanza e certezza della sua giacitura, dalla imponenza del suo spessore e dalla vastità della sua estensione. Dopo aver dato sicuramente il più completo prospetto della fauna degli strati ad _7. contorta, descrivendone e figurandone diverse nuove specie, il signor Winkler, tratta l'argomento nella sua gene- ralità. Fissata la straligrafia del deposito, determinatane la potenza, e descrittane la costituzione petrografica, passa storicamente in ri- vista gli studii dei diversi autori, singolarmente tedeschi, discuten- done mano mano le conclusioni. Chiude con un capitolo interessante, dove espone il risultato delle sue proprie osservazioni. La fauna degli strati ad 4. contorta concorda pienamente con quella del done-ded degli Inglesi; la sua posizione stratigrafica è certa e costante ovun- que; ma checchè abbiano conchiuso i geologi dalle identità specifi- che in favore piuttosto del lias che del trias, nulla vi ha di certo secondo Winkler. Finora non si scoprirono, secondo lui, negli strati di 4. contorta nè specie evidentemente liasiche nè specie triasiche: il tutto si riduce all’ habifus della fauna, che è tutto triasico: se vi ha pure qualche specie del lias commista a quelle degli strati ad 4. contorta, come p. es. l Ammonites planorbis osservato da Oppel coi resti del bdone-ded, ciò non serve che a provare potervi essere mi- stura tra i fossili di due epoche. Ecco dunque come il signor Winkler, dopo aver sottomesso ad esame le opposte conclusioni de’ diversi autori, dopo avere studiato la fauna degli strati ad A. contorta su una scala più ampia che i suoi predecessori, conchiude assolutamente coll’ascrivere quella forma- zione all’epoca triasica. È dunque risolta Ja questione? — Affrettiamoci a rispondere che gli argomenti addotti dal sisnor Winkler non ci pajono troppo con- 106 A. STOPPANI , eludenti, e che perciò non ci tornò strano affatto il leggere nel gior- nale Z’/nstitut (8 Fevr. 1860) che il signor Stur lesse all’ Accademia delle scienze in Vienna (1.° Dicembre 1859) una memoria sugli strati liasici di Kossen del N O d’ Ungheria dove è detto che « sarebbe un » fare gratuitamente violenza ai fatti, ed alle loro conseguenze lo- » giche il persistere nel vedere negli strati in questione una suddi- » Visione dei depositi keuperiani ». Ancora più recentemente leggiamo negli Archives de Genève (20 Ottobre 1860, pag. 159) che il signor Wright ha pubblicato (1) una memoria sugli strati ad 4. contorta. d’Inghilterra. Egli vi descrive, con molti particolari, gli strati ad 4. contorta di Garden Cliff, presso Westbury sulla Severn, riguardan- doli come il tipo di tali strati per rapporto all’ Inghilterra , e per rapporto alle altre località segnalate dalla presenza del bone- bed. Il P. valoniensis, VA. contorta, il C. rheticum abbondano in quasi tutti quegli strati e in molte località loro si associa il bone-bed. Gli è certamente un fatto molto interessante questo di scorgere le specie più caratteristiche degli strati ad 4. contorta associate al done-bded di modo, che è posta fuor di dubbio l'equivalenza di essi strati con tutti quelli già dalla presenza del done-ded caratterizzati. Ma il signor Wriglt a giudicarne dall’estratto della sua memoria, non si spinge fino a sciogliere la questione se in ultima analisi gli strati ad 4. contorta appartengono piuttosto al lias che al trias. Eccoci dunque a quest'epoca, come risulta dal saggio storico ora com- pito, senza una conclusione definitiva, e noi entriamo ultimi in un campo ancora disputato. Abbiamo noi la pretesa di far piegare la bilancia?... Certamente tanto, quanto ciascuno che ha tentato lo stesso argomento , e tanto più in quanto nell’ordine delle questioni scientifiche va fal- lito il proverbio che chi tardi arriva male alloggia. Quanto al mondo scientifico noi non abbiamo altra pretesa che di recare in campo nuovi elementi che servano ad affrettare Ia conclusione circa la na- inra, i rapporti e l’ epoca di un terreno così interessante, poichè del resto una questione non si può dire risolta se non allorquando il mondo scientifico accetti universalmente la conclusione, e la scriva, per così dire, nell’ordine dei fatti compiuti. Giovati dalle osservazioni di tali (4) D." Th. Wright, On the Avicula, ece. ( Assoc. britann, réunie a Oxford en 4860, — The Geologist, 1860, III, 210). STRATI AD AVICULA CONTORTA 107 che ci precedettero, e con alle mani una fauna di lunga mano più ricca di quanto venne finora in luce di ciò che appartiene agli strati ad 4. contorta, la nostra pretensione non è affatto fuori di luogo. Rifaciamo il cammino per conto nostro, nella fiducia di progredi- re, e forse di raggiungere la meta. HI. CARATTERI DEGLI STRATI AD 47ICULA CONTORTA. $ 4.° Principali sinonimie già ammesse. Quì registro quelle sinonomie del deposito in questione che indub- biamente sono tali lasciando da parte quelle che richieggono sciolte precedentemente le questioni sugli equivalenti. Le conclusioni a cui verremo allungherebbero la tavola delle sinonomie assai più che non sia finora ammesso dai geologi. Per ora ci basti soltanto ciò che in- dichi ai lettori sommariamente su quale campo ci troviamo. Bone-bed degli autori inglesi e di Oppel. Infra-lias de Levmerie. Gerqillienschichten dA’ Emmerich, di Gùmbel, ecc. Oberer S.! Cassian t4 di Escher e dei geologi Svizzeri. Cloacinus di Quenstedt. Kossener Schichten dei geologi austriaci. Schichten der A. contorta di Winkler. Zone der A. contorta di Oppel. Schiefer der Wetzsteinformation, ece. di Schafhiutl. Gruppo dell’Azzarola di Stoppani. $ 2.° Principali caratteri paleontologici degli strati ad A. contorta. La discussione sul valore specifico di un buon numero di fossili scoperti negli strati ad 4. contorta, tenne finora indecisa la que- stione circa la loro epoca geologica. Ma ciò che più importa si è di potere assegnare a detto deposito de’ caratteri paleontologici proprii, incontestabili, universali, che lo costituiscano per dir così nella sua individualità, e ciò deve precedere ogni investigazione circa i suoi rapporti. Per buona sorte tali caratteri non mancarono. anzi riusci- 108 A. STOPPANI. rono così belli, così spiccati, così universali, che gli strati ad A. con- torta trovarono presto un posto distinto nella serie geologica, sicchè oramai quando si parla di strati ad 4. contorta, tutti i geologi sanno di che si tratti, sanno che si accenna ad un deposito ben caratteriz- zato, ben distinto per sè stesso, che non si può confondere con nes- sun altro terreno finora descritto; che se esso terreno può e deve avere dei rapporti, dei legami con altri terreni, se l'entità di tali rapporti è ancora discussa e-se non sono ancora precisati i suoi li- miti non cessa per questo di presentare una propria incontestata individualità. — Dei caratteri paleontologici non accenneremo quì che i principali, cioè ciò che vi ha di veramente proprio al deposi- to, che lo distingue affatto indipendentemente da ogni suo rapporto statigrafico e paleontologico. Carattere marcalissimo è primieramente il celebre bdone-ded, cioè lo strato a ossami. È in questo letto che si scoperse il Microlestes antiquus Plien., il più antico mammifero, che. se la scienza non errò, respirasse sulla terra. Un buon numero di rettili contemporanei al Microlestes furono specialmente per gli studii di Plieninger richia- mati alla vita. Ma non è sulle specie ch'io mi fondo, essendo il va- lore di alcune, che si vollero identiche a specie del Muschelkalk, abbastanza disputabile. È piuttosto dal valore complessivo di quello strato rigurgitante di ossa, di squame, di denti, di coproliti, scoper- tosi in tante località, nell’ Inghilterra, nel Wiirtemberg, nell’Alsazia, presso Metz, nel Luxemborgo, a Semur nella Burgundia, a Salins nel dipartimento del Giura, ecc., che risulta uno dei caratteri più saglienti del deposito in discorso. I molluschi come ci offrono essi pure un complesso assai caratte- ristico, così ci danno delle specie ben definite, costituenti una pic- cola fauna che spesso nella sua quasi totalità, e sempre almeno in parte, non si rifiuta mai di manifestarsi in qualunque luogo il depo- sito venga alla luce. Ecco le specie proprie agli strati ad 4. contorta che noi troviamo essere le più caratteristiche. Pholadomia lagenalis Schaf. Cardium cloacinum Quenst. Neoschizodus posterus Quenst. Anatina precursor Quenst, STRATI AD AYICULA CONTORTA 109 Cardita (Cardium) austriaca Hauer. Leda Deffneri Oppel et Suess. Mytilus (Modiola) Schafbàutli Stur, Pecten valoniensis Def. — Falgeri Mer. Avicula contorta Porti. Gervillia inflata Schaf. Plicatula ( Ostreea) intusstriata Emmer. Terebratula gregaria Suess. Del resto la fauna degli strati ad 4. contorta è ricchissima. Em- merich ritiene di poter annoverare ben 100 specie di molluschi negli strati delle Alpi bavaresi: io ne prometto ben di più dagli strati .lom- bardi, e se mi si concederanno certi avvicinamenti la fauna degli strati ad 4. contorta emulerà in ricchezza quella dei piani più fe- condi di avanzi organici. $ 5. Caratteri petrografici. 1 caratteri petrografici non sono già certo un buon argomento per la determinazione di un deposito, sopratutto quando lo si abbracci nella sua generalità; ma ad ogni modo giova conoscerli, e nel caso nostro non mancano per certa loro costanza di un qualche valore speciale. In Inghilterra il deposito riferibile agli strati ad 4. contorta, p. es. a Coomb Hill e a Wainlode Cliff è costituito da argille oscure sci- stose. ll bone-ded vi è inserito, formandone parte. Se passiamo in Francia, il choin-bétard del dipartimento del Ro- dano, descritto da Leymerie, contenente il P. valoniensis, consta di calcari compatti o un po’ marposi. — Nel dipartimento della Mosella a Hettange e nella provincia di Luxembourg Gran-Ducato (Olanda ) il deposito (assise) che comincia con uno strato di éone-bed consta secondo Terquem, di un calcare greso-bituminoso. — | fossili degli strati ad 4. contorta raccolti da Martin nei dintorni di Semur (dipar- timento della Costa d’Oro) e altrove, giacciono in un gres con arkose. In Savoja sono, al dire di Mortillet, delle calcarie grigie affumi- 110 A. STOPPANI, cate, contenenti una certa dose di argilla, e talora vere dolomie ed anche, secondo Favre, delle marne nere, gialle, delle calcaree gri- gie a coralli e delle calcaree testacee d’un bleu carico. Il deposito di Malberstadt, che si può limitatamente riferire agli strati ad 4. contorta, presenta calcari molto arenacei, duri, ordina- riamente grigi e talora bruni o gialli. Sono essi talvolta un po’ sci- stosi, e si osservano da loro dipendenti letti argillosi giallastri o bleu rassomiglianti alle marne del Keuper. Presso Bamberg nell'alta Franconia il done-bed è accompagnato da gres e da scisti marnosi. Gli strati ad 4. contorta nella Svevia furono minutamente descritti da diversi autori. Presso Nuùrtingen e a Esslingen sono generalmente i gres quarzosi che accompagnano il done-bed e contengono le specie più caratteristiche degli strati ad 4. contorta. Sono associati ai gres sottili strati di marna tendente al bleu, o grigia o gialla o bianca. Il bone-bed si compone sovente di un conglomerato siliceo ed ocraceo. Nei dintorni di Langenbriicken troviamo una alternanza di marne arenacee bleu-chiaro, ricche di mica bianco, che riposano sopra una massa potente di gres compatto, giallastro. Presso Malsch gli stessi strati argillosi e sabbiosi, neri, ricchi d’ossido di ferro, irre- golari, nodosi, alternanti con leggeri strati di gres duro e scistoso. Gli strati ad 4. contorta nelle Alpi orientali della Baviera furono ben minutamente descritti da Emmerich. La roccia più distinta, e, per dir così, più classica è il calcare grigio, compatto, bituminoso. A lui subordinati trovansi dei calcari neri con spato, Tra gli uni e gli altri veggonsi insinuarsi delle calcaree marnose ricche d' argilla, e degli scisti argillosi che facilmente si decompongono in falde ed in aghi. Il colore ne è generalmente nero, ma varia spesso facendosi più o men chiaro. Col decomporsi del calcare, e col prodursi quindi in più alto grado l’ossidazione del ferro, la superficie degli strati diventa rosso-bruno o giallo di argilla, e le marne argillose conver- tonsi in fango giallo, discretamente grasso. Certi strati sono privi di fossili; altri invece sia calcarei, sia marnosi sono un vero impasto di molluschi, specialmente di acefali. Si può presso a poco ripetere la stessa descrizione parlandosi de- gli strati ad 4. contorta nel Tirolo, nel Vorarlberg e nella Lombar- STRATI AD AVICULA CONTORTA Iii dia; ma quanto a quest ullimo paese io mi riservo naturalmente di darne a suo luogo più minuto ragguaglio. Da quanto si è detto si desume, che, benchè le arenarie (grès) siano talora prevalenti agli strati ad 4. contorta, come in Francia e nella Svevia, tultavia le più caratteristiche sono le rocce calcaree, argillose, bituminose, ocracee, scistose. Tali roccie non mancano mai anche là dove prevalgono le arenarie, ed esercitano altrove un dominio esclusivo. Così è in Inghilterra, così in Savoja, così nelle Alpi bavaresi, così principalmente nel Tirolo, nel Vorarlberg e sopratutto in Lombardia, dove il deposito in questione attinge forse il maximuimn del suo sviluppo sia per rapporto alla sua potenza sia relativamente al numero ed alla varietà dei fossili. $ 4.° Potenza. Prima di parlare della potenza degli strati ad 4. contorta, biso- guerebbe aver sciolte diverse questioni, relative sopratutto agli equi- valenti di questo piano ed alle zone che lo devono comporre. Quì per ora non possiamo dare che alcune cifre riportate dagli autori e rela- live soltanto agli strali ad 4. contorta propriamente detti. In Inghilterra il deposito infraliasico caratterizzato dalla presenza del done-bed, misurato a Coomb Hill e a Wainlode Cliff, non conta che da 35 a 3 metri di spessore: 8' piedi circa ne possiede a Esslin- gen, e circa Al' a Nurtingen. Sul Krammerberg e ad Hindelang lo spessore degli strati ad 4. contorta, non è che di 350 a 40 piedi: 50 piedi circa attingono essi strati a Matringe in Savoja. Queste cifre sono tutt'altro che imponenti, e dovrà quindi far meraviglia il vedere come il signor Escher attribuisca al suo San Cassiano superiore, cioè appunto agli strati ad .4. contorta in Lom- bardia uno spessore di 600, 800, e fin 1000 piedi. Ed io asserisco che la cifra dataci da Escher non è punto una esagerazione, come meglio apparirà a suo luogo. Ad ogni modo ripeto che la questione della potenza da attribuirsi agli strati ad 4. contorta è affatto prematura, finchè non sia sciolta precedentemente quella di molto maggior importanza, sui limiti da assegnarsi a tale deposito. 0. A. STOPPANI « IV. ESTENSIONE GEOGRAFICA DEGLI STRATI AD 47 ICULA CONTORTA, Dai molti autori che, studiando i diversi paesi, si sono imbattuti in un terreno înfraliasico, dalla moltitudine delle località già citate come contrassegnate dagli strati ad 4. contorta, già si può arguire di quanta estensione goda il nostro deposito. Ma formarsene un’ idea adequata, gli è oggi impossibile. Sarebbe uopo che dopo le osserva- zioni e le scoperte che hanno tutte più o meno una data molto re- cente, si fossero pubblicate delle carte geologiche dove. gli strati ad A. contorta figurassero nei loro rapporti e sopratutto nella loro estensione. Ne abbiamo in fatti alcune, dove, sotto diversi nomi gli strati citati occupano il loro posto distinto, ma nella maggior parte delle carte generali o parziali d'epoca appena non recentissima, il terreno infraliasico va sommerso in que’ riempimenti arbitrarii che colla vastità della lor tinta uniforme piuttosto che a determinazione di terreni, accennano troppo spesso alla mancanza assoluta dei par- ticolari. — Certo si è che gli strati ad 4. contorta segnano ormai uno dei più vasti, dei più sicuri orizzonti geologici d° Europa, oriz- zonte che non tarderà guari ad essere seguito recando il vantaggio di una più certa delimitazione dei terreni, e del più facile riscontro di preziosi rapporti. — Offriamo tuttavia per quanto ci è possibile, un'idea della estensione degli strati ad 4. contorta, intendendo sotto questo nome anche i loro più ammessi equivalenti. Gli scritti del signor Portlok ci scoprono gli strati in questione in Irlanda e precisamente nel Londonderry. Il bone-bed, in condizioni abbastanza singolari, è pure indicato all’ estremità Nord della Scozia, nella contea di Sutherland. Egli vi riposa sopra strati ripieni di conchiglie d’acqua dolce (4). In Inghilterra trovasi in diversi punti il done-ded tra il lias e gli strati tanto noti di marne e argille rosse e verdi. Gli è particolar- mente nei dintorni di Axmouth, Devonshire, lungo le spiagge dira- pate di Westburg et d’Aust, Glocestershire, e sulle sponde della (4) E il signor Robertson che ha constatato questa circostanza. Vedasi pei particolari d’Archiac, Mist. des progrés de la Géologie, Vol. VI. pag. 23. STRATI AD AVICULAÀ CONTORTA 1415 Severn. La località più fossilifera è Aust-Cliff presso Bristol. Il com- plesso di quelle località dà una estensione di 112 miglia, sulle quali il done-bed si trova costantemente allo stesso livello. geologico cioè un metro circa sopra la marna verde che termina il trias. Dalle isole britanniche passa sul continente, e si stende nelle pro- vincie settentrionali della Francia e nelle meridionali della Germania. Dagli studii di Leymerie, Terquem, Martin, Hovel, Oppel, ecc. ri- sulta come gli strati ad 4. contorta o i loro equivalenti si possono seguire per enormi tratti in Vestfalia, nel Lussemborgo (1), nei di- partimenti della Mosella, della Meurthe, della Costa d’ Oro, dell’ Yon- ne, del Rodano, nella Borgogna, e in alcune parti del Giura (2). Braun studiò il bdone-ded co' suoi fossili precursori nella Franco- nia, nei dintorni di Bamberg, Bayreuth et Thurnau. i Proseguendo verso Est noi vediamo, come riporta Lyell (3) che gli strati di Koòssen furono seguiti su 185 chilometri dai dintorni di Gi- nevra a quelli di Vienna. Difatti le opere di Plieninger, di Quens- tedt, di Schafhàutl, di Winkler, di Oppel, di Emmerich, ecc. ci fanno conoscere quanto il bdone-ded co’ suoi equivalenti sia sviluppato e sparso nel Wiirtemberg, nella Svevia dove sono famose le località di Esslingen, Nirtingen, e nella Baviera, principalmente a Werden- fels. Gli strati ad 4. contorta sono sviluppatissimi, secondo Stur, tra la Saale, Waindring, Lofer e la frontiera bavarese, occupando una specie di bacino tra le alpi austriache e le bavaresi. Basta poi prendere la carta geologica della Svizzera, tracciata da Studer ed Escher de la Linth per vedere l’ estensione immensa degli strati ad 4. contorta (S.* Cassian t') sui versanti delle Alpi, dove essi strati si vedono sulla sponda meridionale del lago di Ginevra, studiativi dai signori Mortillet e Favre, in diverse località della Sviz- (4) Località molto distinta nel Luxembourg è Ellingen presso Dahlheim, due ore a S. E. della città di Luxembourg. ( Vedi Oppel, Weiît. Nachw.) (2) « Les études de M. E Dumas dans le Jura cénevol peuvent faire penser que la » couche de dolomie et celle qu’il nomme infralias, placées au-dessous des gryphées » arquées, représentent la période comprise entre le trias et le lias, attestée en Alle- » magne par les nombreux débris du bone-bed ». Descript. geol. des envir. de Mont- pellier par M. Paul-Gervais de Rouvelle (Arch, de Genève, 1855, T, XXVIII, pag. 71). | (3) Manuel ete. Suppl., pag. 48. Vol, III. 8 444 A. STOPPANI, zera e della Savoja (1), estesissimi nel Vorarlberg, nel Tirolo, estesi da un capo all’altro della Lombardia, ovunque toccando una straor- dinaria potenza, ovunque meravigliosamente caratterizzati. (4) A complemento delle notizie circa l’ esistenza e l'estensione degli strati ad A. con- torta che si possono cavare dagli scritti dei signori Mortillet et Favre, credo bene di quì trascrivere una lettera direttami gentilmente dal primo, che contiene notizie per mio avviso interessanti. Milan, le 24 novembre 4860. Mon cher Collegue, L’infra-lias ou couches de Kossen, caractérisé par l’Avicula contorta, a élé signalé, en Savoie, dans le Chablais, sur les bords du lac de Genéve, depuis assez longtemps par M. Escher de la Linth, quì, conjointement avec M. Studer, l’a indigué sur leur Carte geologique de la Suisse par la lettre #4 en trois points différents. Depuis j’ai visité ce gisement et jai reconnu (Trias du Chablais, 1856), le méme terrain de l’autre coté du lac, è la Dent de Jaman, Canton de Vaud, Suisse, M. Favre après avoir étudié avec soin, dans son Mémoiîre sur les terrains. liasiques et keuperiens de la Savoie 41859, les couches des localités indiquées en Chablais par M. Escher, au lieu de )es poursuivre, comme moi, en Suisse, les a poursuivies en Savoie et les a retrouvées jusque sur Ies confins nord du Faucigny. Il a recueilli au Mole, près de Bonneville, plusieurs fossiles des grès d’Hettange, et a Matringe entre St. Jeoire et Taninge, en abondance des Avicula contorta. Au dela rien ne décelait plus l’existence de l’infra-lias quand en 41858, Messieurs de Vignet et Pillet découvrirent, au fort de l’Esseillon, au milieu des Alpes de Maurienne, à peu de distance du Mont-Cenis, un calcaire fossilifère. Les fossiles sont en trés mau- vais ètat, cependant M. Louis Pillet dans ses Etudes géologiques sur les Alpes de Maw- rienne, 4860, les rapporte au genre Lima et les estime triasiques. Plus tard, dans une iettre du 30 octobre 1860, M. Pillet me dit; « Le fort de l’Esseillon avec ses » Avicula est incontestablement du Kossen. » Et il me demande si je n’ai reconnu dans cette partie des Alpes aucun fait qui powrrait corroborer cette assertion. A cela j°ai répondu que dans les couches calcaires qui dominent Bardonéche. du téco du Mt. Thabor, vers le col de la Rowe, et dans eelles qui s’elèvent au-dessus des granges du Galibier, en Maurienne, couches qui, eomme celles de l’Esseillon, reposent sur des quarzites, parlie supérieure des grès anthracifères, Pai rencontré des Polypiers rameux, formant des veines ou bourrelets spathiques, noirs, qui serpentent et s’enchevètrent dans la pierre. Cette couche à Polypiers pourrait se rapperter au calcaire contenant beaucoup de coraux, couche 6 et couche 496 de la coupe de Meille- rie, au bord du lac de Genève, donnée par Favre, couches qui font partie de l’infra- lias a Avicula, signalé par M. Escher. La couche a Polypiers de Mavrienne a aussi de Panalogie avec le banc madréporique de Lombardie qui forme un horizon entre le lias inférieur ou sinémurien et l’infra-lias, couches de Kòssen a Avicula. Agréez, mon chér collégue, mes salutations les plus cordiales. Votre tout déevoue GABRIEL DE MORTILLET. STRATI AD AVICULA CONTORTA {415 Gli strati ad 4. conforta non mancano di venir indicate dai geo- logi austriaci in ben altre parti dell'impero, e infine la memoria del signor Stur, annunciata dall’ /nstitut ci assicura della esistenza di essi strati nella Ungheria. Infine riassumendo questo schizzo dell’ estensione degli strati ad A. contorta, nel quale non abbiano certo abbondato di particolari, si può dire che questi strati o meglio questa formazione, prescindendo dalla presenza del bone-bed nel Sutherland in condizioni affatto anor- mali, si mostra su una larga zona, che dal Nord dell'Irlanda e dal mezzodì dell’ Inghilterra, passando sul continente, occupa le regioni settentrionali della Francia e dell’Italia, e le meridionali della Ger- Più tardi il sig. Mortillet mi indirizzava la seguente nota: « Pour compléter les détails, que je vous ai adressés sur les couches de Savoie, qui peuvent, avec plus ou moins de certitude, étre rapportées à l’infralias, je dois re- sumer une lettre que je viens de recevoir de M. l’abbé Vallet. » (Ce savant, aussi actif que modeste, après avoir reconnu è Matringe, dans la partie nord du Faucigny, les couches qui depuis ont -été décrites par M. Favre, les a pour- suivies jusqu’au centre de la Savoie. Il les a reconnues è la montagne de Chatillon entre le Grand-Bornaud et le Reposoir, où elles se trouvent renversées sur le poudin- gue nummulitique, par l’effet d’une trouée qui s’est opérée obliquement. Il les a re- connues encore près de Serravalle, à la montagne de Sullens, entre la Tournette et le Mont Charoin. On remarque là, comme au Reposoir, en partant d’en bas: » 4.° Cargneule et gypse. » 2,° Calcaire marneux rouge. » 3.° Calcaire dur cristallin pétri de petits acéphales et de petits gastéropodes. » 4.° Dans la partie supérieure grande épaisseur de calcaires noirs dont les cou- ches sont disposées en éventail. M. Vallet y a recuilli des Ammonîtes et des Belemnites de grande 1aille, qui, dit-il, rappellent les formes du lias. « Lec couches n.° 3 appartiennent bien à l’infralias, comme vous pouvez vous en assurer par les fossiles que M. Vallet a bien voulu vous envoyer en communication et parmi lesquels on rémarque plusieurs Avicula contorta. » Ho esaminato i fossili inviatimi. Giacciono in un calcare nero, testaceo, formando una vera lumachella affatto somigliante a certe varietà che appartengono ‘al gruppo delle nostre lumachelle e scisti neri infraliasici. Non parlerò dei piccoli gasteropodi , belli invero e svariati (almeno due specie di Cerithium , una Phasianella, un’Acteo- nina e un piccolo Turbo elegantissimo), ma che non offrono rapporti ben decisi colla nostra fauna infraliasica. Non credetti dunque a proposito di occuparmene direttamente. La copia e l’habitus dei piccoli acefali, di cui la roccia è gremita, dona invece al de- posito di Sullens una grande rassomiglianza colle lumachelle de’ nostri strati ad A. contorta. Ma ciò che v’ha di meglio concludente si è il trovarvi infatti delle specie di essi strati. Oltre IA. contorta, già indicata dal sig. Mortillet, di cui sono ricono- scibili diversi esemplari, vi ho distinto Ie seguenti specie: Myophoria inflata Emm., Cardita austriaca? Hau., Avicula gregaria Sss., Anomia Schafhautli Winkler. Pi. 116 A. STOPPANI, mania, una zona che divide quasi per mezzo |’ Europa in direzione da NO a SE, una zona che non tarderà mollo a compirsi per gli ulteriori studii, svolgendosi non interrotta dalle Isole brittannicbe all’ Ungheria, dall’ Atlantico fin quasi al Mar Nero. V. POSIZIONE DEGLI STRATI AD 47 ICULA CONTORTA Mentre sono così sparse le notizie sugli strati ad 4. contorta, e così disputata è ancora la loro pertinenza ad uno piuttosto che ad altro terreno d’epoca già stabilita, è incoraggiante del pari che inte- ressantissimo il vedere il pieno accordo dei geologi sulla loro posizione stratigrafica. Appartengano gli strati ad _/. contorta, coi loro equiva- lenti, in tutto o parzialmente piuttosto al trias che al lias, è questione, non v ha dubbio, di somma importanza, ma in cima a tulto sta di precisarne la posizione, e questo già si ottenne per modo, che i risultati intorno a ciò debbono aversi come un fatto tra i meglio av- verati e precisati. — Gli strati ad 4. contorta stanno tra il lias in- feriore e il lias superiore, e la fauna di essi strati, considerata nella sua specialità, è media tra i fossili di San Cassiano e la fauna im- prontata dalla Gryphwea arcuata e dall’4. Bucklandi. Il gres di Tibingen, vale a dire lo strato ad ossami (done-bed) è posto dal signor d’ Alberti in testa alle marne iridate, e alla base del calcare a G. arcuata pone Leymerie il deposito distinto dai fossili caratteristici degli strati ad 4. contorta. — La stessa posizione stra- tigrafica è assegnata agli strati ad 4. contorta da Portlok nel Lon- donderry, nè altrimenti avviene del done-bed di Aust-Cliff, e delle altre località in Inghilterra. Riportandoci agli scritti di Terquem e Martin troviamo che tra il calcare a G. arcuata e le marne iridate esistono: 1.° un gres calca- roso (il gran deposito fossilifero di Hettange e di Luxembourg), 2.° un calcare greso-bituminoso. Gli è all’orizzonte di questo calcare greso-bituminoso che si riferiscono il done-bded e i fossili degli strati di Kossen scoperti da Martin. Dunque è sempre tra il lias in- feriore e il trias superiore che trovano luogo gli strati ad 4. con- torta, e ciò fu verificato su un’ immensa estensione di paese in Vest- STRATI AD AVICULA CONTORTA 417 falia, nel Lussemborgo, nei dipartimenti della Mosella, delia Meurthe, della Costa d'Oro, ecc. Del resto è inutile proseguire per citare le prove di ciò che è universalmente ammesso, poichè qualunque geologo si consulti, ap- pena parli degli strati ad 4. contorta e di alcuno de’ suoi equivalenti nel Wirrtemberg nella Svevia, nella Baviera, nella Svizzera, nel Worarlberg, nel Tirolo, in Lombardia, ovunque la loro giacitura è fissa, immancabile tra gli ultimi strati del trias e i primi del lias. Il citare qui i bellissimi profili dati in proposito dai diversi autori sa- rebbe superfluo allo scopo. L'accordo dei geologi nel collocamento degli strati ad 4. contorta, o dei loro equivalenti, per rapporto stratigrafico ad altri terreni già completamente noti, fu provvido oltremodo, in mezzo alle incertezze che risultavano dall’affacendarsi contemporaneo di tanti geologi in- torno ai diversi frammenti di questo terreno sparsi sovra immensa estensione. e quindi dal loro non intendersi, dall’ applicazione di una infinità di nomi diversi, da avvicinamenti teorici o falsi od inesatti. Fu provvida, io dissi, poichè una volta acconsentita la giacitura stra- tigrafica del terreno, la questione principale, quella da cui dipendono le altre, è sciolta. Per ciò io non penso che Ia confusione prodotta dalle appreziazioni poco fondate fatte dai signori Studer, Escher, Merian e, debbo aggiungere, anche da me, sia così terribile come è sembrata al signor d’Archiac (1). Se i geologi svizzeri, pigliando la parola S. Cassiano come significato di un gruppo complessivo, hanno posto alla sua sommità gli strati infraliasici, si ingannarono per rap- porto all’epoca nella qnale li comprendevano, ma assegnarono ad essi il loro posto di diritto nella serie stratigrafica. Anche in oggi nella serie stabilita da Escher (2) non vi ha, per rapporto alla Lom- bardia, nulla a cangiare, salvo le questioni relative al calcare a Me- galodus (la mia dolomia superiore), questioni più di parole che di fatto, la cui soluzione dipende dal valore da attribuirsi definitiva- mente alle due parole, che suonarono finora troppo indeterminate, Dachstein e Cardium triqueter. Tale questione io credo di averla riso- luta abbastanza nettamente per rapporto ai fatti, quali si presentano (4) Hist. des progrès de la Géol. Vol. 7, pag. 350. (2) Escher, Geol. Bemerk. 4118 A. STOPPANI, in Lombardia, sia nella mia Aivista, sia nell'opera Les pétrifications d’Esino. Del resto la questione, se gli strati ad 4. contorta debbansi riportare piuttosto al lias che al trias non fu sollevata dai geologi svizzeri: la è una questione vivamente discussa, e forse più del bi- sogno, dai geologi inglesi, tedeschi, francesi, svizzeri, italiani: tutte le nazionalità contribuirono colla lor parte sia di merito, sia di colpa. Or lo vedremo. VI. EPOCA DEGLI STRATI AD 47 TCULA CONTORTA DEDOTTA DAGLI SCRITTI DI DIVERSI AUTORI. Acconsentita unanimemente la posizione stratigrafica degli strati ad A. contorta, resta semplificata assai la questione circa la loro epoca, non rimanendo luogo a scelta, che tra il classificarli nei terreni triasici, 0 il porli nei giuresi, considerandoli o come al vertice degli uni, e come alla base degli altri. Ma anche il decidersi fra questi due termini non era punto agevole cosa, e ne fa fede il persistente disaccordo dei geologi, e più l'incertezza che in quasi tutti si rivela, quando, esplorati minutamente quegli strati problematici, e discusso a tutto rigore il valore degli organismi che li riempiono, stanno essì ancora indecisi circa il comprenderli piuttosto nel lias che nel trias. Vediamo se, raccogliendo i principali documenti relativi alla questio- ne, possiamo risolverla. Il signor d’Alberti, il primo, io credo, che parlasse determinata- mente di uno degli equivalenti degli strati ad 4. contorta, e ne in- dicasse i veri rapporti stratigrafici, mentre collocava nel trias il gres bianco ‘di Tàùbingen e il superiore bone-bed, osservava pure che i fossili di quel gres non sono tutti esclusivamente triasici. Così i denti di Spherodus non si trovano punto al dissotto del lias; un ./crodus, forse 14. nobilis, appartiene a quest’ ultimo terreno; un //ybodus è più vicino alle specie oolitiche che a quelle delle marne iridate e del Muschelkalk, ecc. (4). Il signor Leymerie considerò il choîn-bdtard come costituente |’ in- fimo piano del lias. Ne aveva una buona ragione, se coi 2. valonien- (4) D’ Archiac , Hist., VIII, pag. 457. STRATI AD AVICULA CONTONTA f19 sis, lugdunensis, considerati ora come caratteristici degli strati ad A. contorta, esiste la Lima punctata, come egli la indica (4). Nulla di più concludente presentano gli studii di Emmerich. Egli che inclinava dapprima (2) a collocare nel lias gli strati @ Gervillie, finì (3) coll’ammetterle come equivalenti del S. Cassiano. Lo stesso Schafhiutl, cui di tanto va debitrice la fauna dell’infraliasico, si pronunciò molto dubbiosamente circa l'epoca de’ suoi fossili. Ma una delle specie più singolari da lui scoperte presta un buonissimo argo- mento in favore del lias. Difatti, come accennammo, la Modiola Schaf- houtli, una delle specie ora più caratteristiche degli strati ad A. contorta, è citata da Stur con molte specie determinatamente liasiche nel calcare di Hirtenberg. Già ripetutamente si è accennato come Escher, Merian e Studer avessero posto senza dubitarne gli strati di Assen alla sommità della formazione di S. Cassiano, avendo creduto di potervi sancire la presenza dell’ Oliva alpina, dello Spondilus obliquus e della Cardita crenata. Quanto alle due prime, non v° ha dubbio che la determinazione fu precipitata; quanto alla C. crenata però la cosa pende ancor dubbia, poichè non credo punto che siasi finora rinvenuto un carattere che decisamente distingua la C. crenata dal Cardium austriacum Hauer. I geologi svizzeri rinunciando affatto al sostenere il valore attribuito alla loro primitiva determinazione, non accettarono però nemmeno le contrarie conclusioni dei geologi austriaci, e, se bene sono in- formato, persistono a credere la questione non decisa (4), ritenendo (4) Jo ho determinata questa medesima specie tra i fossili dell’Azzarola. (2) Ueber die Gliederumg, etc. (3) Geog. Beobacht, ete. (4) Credo bene qui riprodurre la lettera del signor Escher de la Linth al signor Mortillet, riportata da quest’ ultimo nella sua Géologie de la Savoie a pag. 185. « Ce » qui est noté dans la Carte géologique de la Suisse t5, terrain de Saint Cassian, n’est, » d’après des recherches plus nouvelles, pas l’équivalent du véritable Saint Cassian; » mais ce f4 est le représentant et la continuation directe des Kòssener-schichten des » géologues autrichiens. Nous sommes tous d’accord que ces Kòssener-schichten repo- » sent au-dessus des Dolomies triasiques, qui, elles mémes, sont superposées au Keuper » ou Saint Cassian, de maniére qu°il n’°y a pas de divergences d’opinion sur le gise- » ment. Toute la difference consiste en ce que les Autrichiens renferment les Kossener- » Schichten dans le lias, en disant qu’ils contiennent un certain nombre de véritables » fossiles liasiques, tels que Am. bisulcatus Brug., Am. Kridion Hehl., Lima gigantea, » Spirifer Minsteri, ete., tandis que M. Merian et moi considérons le Kòssener-sehichten » comme l’étage le plus supérieur du trias: 120 A. STOPPANI, come assolutamente dubbie le determinazioni di fossili ritenuti liasici dai signori de Hauer, e Suess, ecc. (1). Il signor Hauer in fatti, rinunciando alla opinione da lui prece- dentemente emessa, che negli strati di Késsen dovessero cercarsi gli equivalenti del S. Cassiano, sostiene (2) che gli strati di Kossen hanno a considerarsi decisamente come liasici; 1.° perchè in essi strati si rinvengono Brachiopodi e Lamellibranchi liasici; 2.° perchè ad Enzenfeld, fossili degli strati di Kòssen vanno commisti ad ammo- niti liasici; 5.° perchè gli strati di Gresten contengono coi fossili di Késsen, bivalve liasiche. — Questo modo di vedere era diviso dal signor Suess. fo ho già dato nella mia vista (pag. 231) una breve analisi della ‘memoria di Suess sui drachiopodi degli strati di Kbssens per ora basti il richiamare come egli giudichi detti strati liasici, e tenda anzi a sostituire il nome di strati di Assen all’ altro men determinato di lias inferiore. L’argomento in favore era la mistura di brachiopodi speciali agli strati di Késsen con quelli degli strati di Starhemberg, ecc., certa- mente liasici. lo già espressi i miei dubbi circa il difetto di dati stratigrafici sufficienti, per giustificare la miscela paleontologica, ed ho motivi per credere che lo stesso signor Suess dubiti ora del valore di alcune delle sue vedute, anche per rapporto all’ avvicinamento di certi terreni fra loro. Ad ogni modo, per quanto si potessero deside- rare schiarimenti per emettere alcune conchiusioni, per dir così, » 4.° Parce que, dans les contrées que nous connaissons nous n’avons trouvé dans » ces couches aucun fossile qui soit connu du lias des autres contrées. » 2.9 Parce que les couches à Ammonites arieles se trouvent constamment au-dessus des Kossener-schichten. » 3.9 Parce que la faune des Kòssener-schichten rappelle par plusieures formes, no- » tamment pas ses Avicul@e gryplueate , les formes triasiques. » Vous pouvez done considérer les couches indiqueés 14 comme trias le plus supérieur » (facies marin des couches les plus hautes du Keuper allemand), ou bien comme lias » le plus inférieur, mais dont l’équivalent n'est, jusqu’aà present, nulle part compris » sous le nom de lias, exeepté dans les travaux des Autrichiens. » (4) I fossili liasici rinvenuti secondo Hauer e Suess negli strati di Kossen sarebbero i seguenti: Nucula complanata Son., Pinna folium Y. er B. Pecten liasicus Nvst., Te- rebratula cornuta Sow., Spirifer rostralus Schl., Spivifer Minsteri David. (2) Ueber die Gliederung, ete. îz STRATI AD AVICULA CONTORTA 424 laterali, sembrava che l’ accordo perfetto tra i due distinti geologi Hauer e Suess e gli argomenti addotti, ponessero fuor di dubbio, doversi gli strati di Kòssen ascrivere al lias. Ma senza parlare di al- tri lavori posteriori in cui le conclusioni dei due gegologi austriaci sono rivocate in dubbio, basti osservare come ih uno de’ più recenti, nella memoria del signor Winkler, si asserisca al tutto francamente che se i fossili determinati da Merian come triasici, non si ritennero tali che per errore di determinazione, lo stesso conto devesi fare dei fossili determinati come liasici da flauer. Anzi già prima i signori Suess e Oppel, nella loro memoria col- lettiva sugli equivalenti degli strati di Kòssen, dichiaravano non es- servi aleun sicuro argomento per unirli piuttosto al lias che al trias, e si accontentavano di designarli col nome indeterminato di strati confinanti, (Grenzen-schichten), quasi quelli che segnano i confini tra il trias e il lias. Nello stesso stato di incertezza si mantiene Oppel nella sua bellissima opera sul Giura (1). Discutendo la questione re- lativa al done-ded, molti, egli dice, considerano il bone-bed come strati confinanti, lo ascrivono al lias; così De la Bèche, Murchison, Conybeare, Philipps, Marcou, Plieninger, Terquem. Pochi furono d’accordo nel collocarlo nel keuper. Primieramente non può dirsi che alcun fossile caratteristico del done-ded, o de’ suoi equivalenti siasi rinvenuto negli strati del lias. Se si parla dei vertebrati, è bensì vero che Plieninger asserisce che 4 specie di essi sono communi al Mus- chelekalk ed al done-bed (2), ma primieramente, continua Oppel, (1) Die Juraformation, etc. (2) Gli avanzi di vertebrati, appartenenti al bone-bed del Wurtemberg, determinati da Plieninger ( Wurtemb. Naturw. Jahresk,1847.— Beitrage zur Paleont. Wiirlemb.pag.126) sono i seguenti = Microlestes antiquus, Nothosaurus, Termatosaurus, Gyrolepis Al- berlii, tenuistriatus, Saurichthys acuminatus, apicialis, breviconus, longiconus , longi- dens, Spherodus minimus, Psammodus, Ceratodus trapezoides, Acrodus minimus, acutus, Thectodus glaber, crenatus, tricuspidatus. inflatus, Nemacanthus filifer, moni- lifer, Hybobus minor, cuspidatus, subl@vis, attenuatus, orIhoconus, aduncus, bimar- ginatus. L'autore asserisce che 4 specie di vertebrati sono communi al Muschelkalk ed al bone-bed. Sei di queste specie sì trovano con molti altri ittioliti nel bone-bed sulle sponde della Severn à Aust-Cliff (#7. minor, A. minimus, N. filifer, monilifer, S. acu- minatus, longidens), gla riportati al trias da Agassis ( Tableau general des poissons fossiles, Neuchàtel, 41844j. Cinque di esse specie furono pure indicate nel bone-bed dei dintorni di Tewkesbury (&. fenuistriatus? S. apicialis, A. minimus, H. minor, N. mo- 122 i 4. STOPPANI, la piccolezza dei denti, sui quali è basata la determinazione, la rende meno certa, poi altre specie, che mancano al trias, hanno molta analogia con specie liasiche, finalmente in diverse località gli avanzi dei vertebrati appartenenti al done-ded si innalzano parzialmente nel calcare ad 4. planorbis indubitatamente liasico. Questo fatto impor- tantissimo fu verificato dallo stesso Oppel, nè vi ha luogo a dubitarne. Quanto ai molluschi trova Oppel aver essi molte affinità con quelli di S. Cassiano, nè finora gli studii si possono dir sufficienti, perchè sia posta fuor di dubbio la loro convenienza coi fossili del lias. Con- chiude dicendo che se non si può asserire, senza tema di errare, che i vertebrati appartengono al Xeuper, bisogna però ammettere che siano vissuti in questo periodo; cioè, se gli strati a ossami si deposi- tarono al principio della formazione liasica, ciò che in alcune loca- lità può indursi dalla forma dei molluschi, quelle ossa avevano per lo meno vissuto nel periodo del Keuper. Nella sua più recente memoria (1) anzichè decidersi piuttosto per il lias che per il trias, pare che l’ indecisione si aceresca. Non sa- rebbero più i soli fossili, presi come specie, che non si prestano ad assicurare l’ epoca del deposito, ma sarebbe il deposito, preso nel complesso de’ suoi caratteri, che, per dir così, si diverte a masche- rarsi, per isfuggire alle importune indagini dei suoi perlustratori. milifer). L° Acrodus minimus si trova pure con altre specie nel bone-bed de Sutherland. Ognun vede quanta importanza deve attribuirsi ad un così gran numero di vertebrati, e quel partito potrebbe cavarsi per la discussione che qui si agita, se, come ne è incontestaia la giacitura e la contemporaneità, ne fosse del pari assicurata la deter- minazione ed il valore di essa. Ma il raggiungere questo scopo richiederebbe uno studio di lunga lena e dilicalissimo, e quand’ anche sentissimo il potere ed il corrag- gio di intraprenderlo ci troveremmo poi paralizzati dell’ assoluta mancanza dei mate- riali. Non crediamo tuttavia che nulla ciò debba togliere alla forza dei nostri argo- menti; si rifletta, che ad onta delle asserzioni di Agassiz, Plieninger, ecc. nè Lyell, né Oppel, né Quenstedt, sentirono di potersi dichiarare nettamente in favore del trias; che i geologi austriaci e il signor d’Archiac, ecc. si dichiararono, e si dichiarano. pel lias. Che mentre perciò si mantiene affatto dubbio l’argomento cavato dai vertebrati, quelli cavati dai molluschi, vanno sempre acquistando una maggiore certezza. Qua- lunque sia il valore dei vertebrati del bone-bed, esso appartiene all’epoca degli strati ad A. contorta; una copiosissima fauna di molluschi, tra i quali molte specie di certe e facili determinazioni, danno argomenti bastanti per discuter circa i rapporti di essi strati, anche prescindendo dai vertebrali del bone-bed. (4) Weitere Nachweise etc. STRATI AD AVICULA CONTORTA 1235 La formazione del bone-bed o degli strati di Aòssen, come si voglia, presenta due tipi diversi. Mentre da una parte, stendendosi dalla Svevia in direzione Ovest attraverso la Francia e l’ Inghilterra, figura come lo strato superiore del Keuper, dall’altra, dirigendosi a S E per lunga serie di paesi, sembra immedesimarsi col lias inferior- Ma mentre la fauna verso l'Est si arricchiva, non cresceva quella d’Ovest in proporzione sufficiente per stabilire equi confronti. Questa memoria però ci tramanda un fatto oltremodo interessante del tro- varsi presso Dahlheim i molluschi degli strati di A6ssen sotto il vero bone-bed, per cui almeno è semplificata la questione da ciò che il bone-bed è un vero equivalente degli strati di Kòssen. Ma di questo più tardi. Oppel, però, non è tale da tenersi pago di ciò che resta indeter- minato. Ritorna quindi recentemente sull’argomento degli strati ad A. contorta (1) in occasione delle scoperte del sig. Martin nel di- partimento della Costa d’ Oro. Dietro gli studii di Martin, Winkler e Giimbel (2), sente egli altamente 1’ importanza delle scoperte rela- tive agli strati ad 4. contorta, ed ammira il bello orizzonte che stan per segnare, e conchiude attestando la necessità di stabilire un no- vello piano, scegliendo per denominarlo alcuna località più classica, ed assegnandogli caratteri paleontologici speciali. ll signor Martin tuttavia ebbe per risultato che alcune specie degli strati ad A. con- torta passano al Lias inferiore: onde deduce che l’ infimo lias ed il supremo keuper vantano specie comuni. L’ ultima conclusione del signor Oppel è questa: se noi, dice, mettiamo la linea di confine tra il trias e il giura sopra gli strati ad 4. contorta e sotto la zona ad A. planorbis, possiamo considerare tal modo di distinzione come pienamente appoggiato ai fatti paleontologici, tanto che ben di rado ci verrà fatto di raggiungere l’ eguale sicurezza relativamente agli altri terreni. Se tuttavia, soggiunge egli, si trovano delle transizioni, ciò non deve punto farci meraviglia; avrem provato una volta di più avverarsi il passaggio di identiche specie come tra due zone dello stesso piano, così tra due formazioni contigue. (2) Die neueren Untersuch. etc. (3) I nuovi studii di Gumbel-Ueber die Bildung der bayerischen Alpen sono qui citati da Oppel come ancora inediti; ignoro se furono poi pubblicati. Più di 130 specie degli strati ad A. contorta vi sarebbero descritte. #24 A. STOPPANI, La questione è qui piuttosto protratta che sciolta. Che gli strati ad A. contorta debbano costituire un piano a sè, è ciò che io piena- mente accetto, anzi consacrerò alla tesi un paragrafo a parte. Ma ancora questo piano a qual terreno appartiene ? al lias o al trias? Al trias, rispondono unanimi i signori Oppel e Martin. Sia; ma quando sarà provato.che veramente specie triasiche si rinvennero negli strati ad 4. contorta, il che non credo siasi ottenuto finora. Valeva meglio quindi considerarli quasi un piano isolato, un piano di transizione, come han fatto Deffner, Fraas e Quenstedt, il quale osservò tuttavia che i grani di quarzo onde è composta la roccia a Esslingen, ecc., la indicano formata nel mare a spese delle arenarie keuperiane, il che è certo un argomento in favore del lias. Non è bisogno del resto che io chiami l avvertenza speciale del lettore sul fatto annunciato del passaggio di specie d’essi strati nel lias, fatto che sta tutto contro le riportate conclusioni. Chi pronunciossi in via più assoluta per la liasicità degli strati ad 4. contorta, è Rolle, come si è visto precedentemente. Tre o quat- tro molluschi del done-ded trovansi nel lias inferiore; a Elysium e a Tibingen lo strato a ossami trovasi nel calcare che contiene Vl 4m. Hagenowi Dkr., ciò, dice il signor Rolle, esclude ogni relazione tra lo strato a ossami e il trias. Dello stesso parere furono Lipold e Giimbel. Il primo dice assolutamente che gli strati di Kòssen siano dipendenze del lias, il secondo, preferisce di considerare essi strati come termini distinti posti tra le marne iridate e il lias, ma da riportarsi piuttosto a quest'ultimo, di cui rappresenterebbero la fauna inferiore. Le osservazioni fatte sugli strati ad .4. contorta sulla sponda del lago di Ginevra, sono al proposito nostro interessantissime. Il signor Favre non entra propriamente in questione circa l'epoca di essi strati, ma dice semplicemente essere d’avviso che gli strati di Kés- sen siano equivalenti di ciò che il signor d’Archiac appella quarto piano del lias. Il signor Mortillet indica tra i fossili di Bioze un Lelem- nites coll’ 4. (Escheri) contorta, e negli strati di Meillerie trova col P. valoniensis un’ Ostrea che sembra affatto identica ad una specie che si incontra non punto di là discosto, negli strati ad 4. bisulca- tus, Kridion. Crede adunque cosa più naturale il riferirli al lias, di cui costituirebbero Ja parte più profonda. STRATI AD AVICULA CONTORTA 125 Non ripeteremo le già citate conclusioni di Winkler, che lasciano ancora il tutto indeciso, accordando però al trias una decisa prefe- renza, desunta dall’ kabditus della fauna. Ma lo stesso Winkler ci dice che lAm. planorbis, specie prettamente liasica, si è trovato colle specie degli strati ad 4. contorta. Gli concedo io pure che la sola presenza dell’/m. planorbis, lungi dall’ autorizzare |’ unione degli strati ad A. contorta col Lias, sta come testimonio che l’opera della creazione avvenne nel tempo, ma non ad intervalli; ciò quando si vogliano considerare essi strati come uno spicchio (ein Abschmitt) nella formazione della crosta terrestre e, come direbbesi, un’ epoca a sè. Ma se vuolsi accordare la preferenza al trias, avrei desiderato indicata almeno una specie indubbiamente triasica negli strati ad 4. contorta. Vediamo se gli studii di Terquem e di Martin nel Luxembourg, € nei dipartimenti della Mosella, della Costa d'Oro, ece., conducono a più definitive conclusioni. La serie stabilita da Terquem (1) è in or- dine discendente così: 1.° Calcaire a Gryphées arquées ; 2.° Gres calcareux (quello di cui l'Autore presentò la ricca fauna); 5.° Calcaire greso-bitumineux, senza G. arcuata, discordante col deposito seguente. (Hl n.° 5.° comincia con uno strato legge- rissimo di done-bded.) 4.° Grés cristallin micacé, concordante colle 3.° Marnes irisées. Il n.° 4.9, dice l’ Autore, non saprebbe venir compreso nella forma- zione liasica, ma « les troîs assises supérieures, concordantes entre » elles constituent tout le systéeme de l’étage inferieur du lias, et se » distinguent les unes des autres autant par leur petrographie, que » par leur paléontologie. » Non parliamo per ora del grès de Hettange etc. n.° 2, cui vedremo potersi già comprendere negli strati ad 4. contorta, formandone l’assise superieure. Il calcare greso-bituminoso « un calcaire d’un » gris noiràtre; avec des marnes subordonnées, grisàtres, ou le plus » souvent, noires, très-bitumineuses, se divisant en feuillets très- minces, » che perciò anche petrograficamente ha dell’analogia cogli (4) Paléont. de Luxemb,, etc. 126 A. STOPPAPI, strati ad 4. contorta, in Lombardia, in Tirolo, ecc., potrebbe esso pure considerarsi come un altro parziale equivalente degli strati ad A. contorta. Le leggi statigrafiche, ci autorizzano a ciò, e in questo caso non ci avremmo una piccola fauna liasica (4m. tortilis, Hage- nowi, Cardinia similis, Lima punctata) che sciorrebbe la questione in favore della liasicità degli strati ad 4. contorta. Ma qui non è ancor luogo di trattare dei singoli equivalenti, che possono entrare nell’assieme degli strati ad 4. contorta, come le assises di un solo piano. Nel bone-bed, avremmo veramente un rappresentante dei no- stri strati. Ma quì nasce una questione ch'io non saprei come scio- gliere. Nel lavoro di Terquem sulla Paleontologia del grès di Hettan- ge, ecc., vedemmo il done-bed associato al calcare gréso-bituminoso discordante dal deposito inferiore n.° 4.° (1); posteriormente invece (2) trovo il bone-ded associato al n.° 4.° (grès de Helmsingen et de Lo- velange), e l'un e l'altro posti nel keuper. Di più in detto grès keuperiano il signor Terquem riconosce gli equivalenti della cloaca di Quenstedt, degli strati di Xòssen, in fine degli strati ad A. con- torta (3). Questo avvicinamento del signor Terquem dovrà certo im- barazzare alquanto la soluzione della tesi, mentre lasciandosi il done- (1) Io noù credo di errare dicendo ciò. Parlando del rilievo formato dalle marnes trisces, il signor Terquem dice « C'est sur ce relief que s'est effectué le premier de- » pòt liasique, le calcaire gréso-bitumineux... Cette assise commence par une couche » trés-mince a Jaquelle les Anglais out donné le nom de bone-bed. » Ora questo bone- bed dovrebbe essere discordante dalle marnes érisées come l’assise che da lui incomincia. (2) Note en réponse, etc. (3) Nelle citazioni del signor Terquem, leggo il seguente periodo: « Enfin MM. Mé- ‘v rian et Escher de la Linth, ont reconuu dans le marbre rouge des environs du lac » de Come, deux couches fossilifèeres dans le keuper, le St. Cassian inférieur, et le » Supérieur, celui-ci se rapportant è l’assise de Kòssen, et par conséquent à celle du » Luxembourg. » (Oppel, pag. 24). A pag. 24 (Juraformation) Oppel parla delle sco- perte di Escher de Linth, ma io non ho potuto verificare testualmente ciò che risul- terebbe dalla citazione di Terquem. Ciò che importa qui di rettificare, si è che Escher non intese mai di accostare il calcare rosso dei dintorni del lago di Como, al suo S. Cassiano superiore (strati di Kossen), il deposito alla sommità dei terreni giuresì, con quello che è alla Joro base. È curioso di vedere come la confusione che derive- rebbe da questa citazione di Terquem, e di cui sono lontano di far carico all’illustre autore, è quella gia commessa da d’ Orbigny nel suo Cours élementaire T. II, a pag. 4166 e 168. Si può sperare che a poco a poco cessi Ja Lombardia e quasi l’Italia di non essere geologicamente che un calcare rosso ammonitico. Noi abbiamo ora una stratigra- fia bene stabilita, che meriterebbe d’esser meglio conosciuta e valutata dagli stranieri. STRATI AD AVICULA CONTORTA 127 bed unito ai deposili superiori, essa era oltremodo semplificata, ed avremmo già avuti argomenti preziosissimi in favore del lias, argo- menti che non ci verranno meno però, quando avremo confrontata la fauna degli strati ad 4. contorta, con quella del grès d’Hettange e del Luxembourg. Noi abbiamo già citato l'opinione ultimamente emessa dal signor Stur, che cioè sarebbe far violenza ai fatti ed alle loro conseguenze logiche il persistere nel considerare gli strati ad 7. contorta come appartenenti al keuper. Come prova egli la sua tesi? Eccolo secondo il breve rapporto del giornale 1’ /nstitut: « Les Acéphales fossiles des » couches de Késsen et du bdone-bed ressemblent plus à ceux du » trias, que à ceux du lias, mais les Brachiopodes de ces couches, » géologiquement plus importants et susceptibles d’une détermination » plus précise, ne sauraient ètre comparés qu’à ceux du lias, et » lA. planorbis, forme essentiellement liasique, se retrouve dans » les conches de Kéòssen. D’autres espèces fossiles passent également » de ces conches au véritable lias, qui leur est superposé, et auquel » elles se relient par de nombreuses transitions pétrographiques et » stratigraphiques. » Noi daremo finalmente l’ opinione di due illustri geologi, i cui la- vori sono di tale natura d’ averli obbligati a riassumere quanto fu scritto e pensato circa i varii terreni. Il signor Lyell nel Supplemento alla 5.° edizione del Manuale di geologia così si esprime: « Certains géologues rapportent les lits de » Késsen et du Dachstein au lias, d’autres au trias, et plusieurs les » considèrent comme étant d’àge intermédiaire. Suivant M. Suess, » les lits de Késsen correspondraient au lit à ossements supérieur de » Souabe, dans lequel a été découvert le Microlestes; mais il ne faut » pas oublier que cette couche contient de véritables espèces triasi- » ques. En somme les lits 4 e 2 ( Aòssen et Dachstein) montrent une » faune très-particulière ... » o Ma noi abbiamo già visto come la determinazione di vertebrati triasici negli strati in questione è ritenuta per molto dubbia. Il signor d’Archiac (1), dopo aver discusso tutti i documenti relativi (4) Hist. des progrés de la Géologie, T. VIII. 128 A. STOPPANI, alla questione, non credette assolutamente di trovarvi un argomento decisivo in favore della triasicità del done-ded e de’ suoi equivalenti, e nel volume apparso or ora, rifacendosi sulla questione dell’epoca del done-ded, dichiara apertamente: nous persistons a reunir cette couche au lias, par les motifs que nous avons déja données. Riassumendo l’ esposto nel presente paragrafo, io mi dimando: 4.° quali argomenti stanno in favore del trias, quali in favore del lias? 2.° A quale serie d'argomenti si può accordare la prevalenza. Non v'ha questione nella quale possiamo meno appoggiarci alla autorità. La maggior parte dei geologi, anche quelli il cui giudizio pende di preferenza piuttosto verso l’una che l’altra parte, lascia- rono la cosa più o meno indecisa. Volendo farne tre categorie, se- condo che si spiegarono più o meno decisamente, o non credettero di poter nulla conchiudere, li avremmo distinti come segue: 1.° Af- fatto indecisi, Schafhiutl, Oppel. 2° Propensi al trias, Mérian, Escher, Studer, Alberti, Emmerich, Winkler, Terquem, Martin, Lyell. 3.° Pro- pensi al lias, Leymerie, Hauer, Suess, De la Béche, Murchison, Cony- Peare, Phillips, Rolle, Mortillet, Stur, D’Archiac. Vediam quindi piuttosto d’apprezziarne gli opposti argomenti. 1.° Argomenti petrografici. Benchè in molti luoghi la litologia avvicini gli strati ad 4. contoria al gruppo delle marne ‘iridate, altrove la loro struttura calcareo-marnosa li assomiglia ai depositi del lias. Del resto gli argomenti petrografici sono, generalmente par- lando, di poco o nessun valore, sopratutto se trattisi, come nel caso nostro, di un deposito che occupi molta estensione. 2.° Argomenti stratigrafici. Non verificandosi in nessun luogo una discordanza ben decisa tra gli strati ad 4. contorta ed i terreni nei quali sono incassali, nessun argomento stratigrafico sta piuttosto per il lias che per il trias. 5.° Argomenti paleontologici. Si mettono in campo a favore del trias: 41.° diverse specie di vertebrati comuni al trias e al done-ded ; 2.° specie di molluschi e l' haditus complessivo della fauna, analoghi a quelli di S. Cassiano. Si oppone a favore del lias: 41.° i vertebrati giudicati come identici a quelli del trias sono di incerta determina- zione (Oppel); 2.° diverse specie di vertebrati, mancanti al trias, hanno molta analogia con specie liasiche (Oppel); 5.° il genere STRATI AD AVICULA CONTORTA. 129 Spherodus non si trova al dissotto del lias, e l'Acrodus nobilis appartiene probabilmente al lias; un Z/ybobus è più vicino alle specie giuresi che alle triasiche (Alberti); 4.° alcune determinazioni di molluschi, ritenuti come triasici, furono rifiutate dai loro stessi autori (Mérian, Escher); 5.° gli avanzi del done-bded in diverse lo- calità si innalzano parzialmente nel calcare ad 41m. planorbis (Oppel); 6.° alcune specie di molluschi degli strati ad 4. contorta passano nel lias inferiore (Martin, Rolle, Stur); 7.° il done-bed trovasi nel calcare che contiene 14. Hagenowi (Rolle); 8.° un Lelemnites fu scoperto negli strati ad 4. contorta (Mortillet); 9.° i brachiopodi degli strati ad 4. contorta non potrebbero paragonarsi che a quelli del lias (Stur); 10.° colla IModiola Schafhiutli, specie caratteristica degli strati ad .4. contorta, si banno fossili decisamente liasici (Stur); 11.° molte specie determinate come liasiche si trovano coi fossili degli strati ad 4. contorta, come Am. planorbis (Winkler, Stur), Lima punctata (Leymerie), MNucula complanata, Pinna folium, Pecten liasinus, Terebratula cornuta, Spirifer rostratus, Spirifer Miinsteri, Lima gigantea (1) (Hauer, Suess). A tal copia di argomenti in favore della liasicità degli strati ad A. contorta si è tentati di ripetere la sentenza di Stur, che cioè il considerarli ancora come appartenenti al keuper gli è un far violenza ai fatti ed alle loro logiche conseguenze. Ma se vuolsi pure conside- rare la questione come indecisa, gli è uopo introdurvi degli elementi nuovi, cioè altri studii, altre osservazioni. ] fatti che io porrò in luce circa la costituzione degli strati ad 4. contorta in Lombardia, sono appunto per la massima parte elementi nuovi, quei tali, spero, che valgano a far piegare definitivamente la bilancia. Accingiamoci ad esporli ed a discuterli. (4) Si citano anche tra i fossili determinati dai geologi austriaci Am. bisulcatus , Kridion. Ma tali determinazioni pajono non aver altro fondamento che nella soverchia estensione data da loro ai Kossener-schichten, per cui vi si comprendevano depositi decisamente liasici. Le altre specie invece da me indicate si sarebbero rinvenute pro- priamente negli strati ad A. contorta. Vol. III. 9 150 A. STOPPANI, PARTE II. GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA DEGLI STRATI AD A. CONTORTA IN LOMBARDIA. I. STATO DELLE COGNIZIONI PRECEDENTI CIRCA GLI STRATI AD 4, CONTORTA 1N LOMBARDIA. Nella / Parte dovetti già far cenno degli studii più importanti che si riferiscono agli strati ad 4. contorta in Lombardia. Qui giova un breve riassunto di ciò che fu pubblicato in proposito antecedente- mente al presente lavoro che ci segni il nostro punto di partenza. Il primo, io credo, che abbia in modo speciale chiamata l'atten- zione dei geologi sugli scisti di Guggiate fu il sig. Collegno (1) che, descrivendoli, vi citò diverse specie giuresi , tratto forse in errore da analogia di forme. Ma egli li riferiva al suo immenso gruppo giurese, senza assegnar loro un posto distinto, e mettendoli in un fascio sia coi marmi di Varenna (deposito triasico inferiore ai petrefatti di Esino), sia coi calcari di Moltrasio (lias, formazione di Saltrio). Una colle- zione abbastanza ricca di fossili, raccolta da lui e dal sig. Trotti, veniva communicata al sig. d’ Orbigny, che avrebbe potuto per av- ventura spargere qualche luce sulla natura del terreno, se trattando con decisa noncuranza le scoperte e le osservazioni del dotto Ita- liano, non avesse confuso in uno i fossili degli scisti dé (Gruggiate e quelli del calcare rosso ammonitico di Erba, ec., cacciando a forza nel suo foarcien i fossili che stanno alla base dei nostri terreni giu- resi e quelli che ne riposano quasi sul vertice (2). Gli studii de) sig. Escher, già più volte citati, apportarono tale una luce sulla natura, sulla potenza, sulla estensione, sui rapporti degli strati ad 4. contorta in Lombardia che non era certo in proporzione alle cognizioni che se ne avevano precedentemente. lo non dubito di (4) Sui terreni stratiflcati delle Alpi lombarde (Bibl. Ital. 1845, T. 40, pag. 476). - Elementi di geologia, 1847, pag. 263. (2) D’Orbigny, Cours éléem. de Paléont. et Geol. stratigr. T. 2, pag. 466. - Prodrome de Paleont. univ., 9.° ètage. STRATI AD AVICULA CONTORTA 154 ripetere o di sostenere che il lavoro del sig. Escher sugli strati ad A. contorta nel Tirolo, nel Vorarlberg e in Lombardia è forse, all’e- poca in cui venne pubblicato, l’opera la più importante, non solo per ciò che riguarda le provincie studiate, ma anche per ciò che ha rap- porto allo studio generale dell’ infralias. Non insisterò sui particolari di un’opera che ci fornì già tanti elementi per le tesi esposte: dirò solo sommariamente che quella pubblicazione importante ci presentava la gran zona degli strati ad 4. contorta in Lombardia conosciuta e studiata nella sua massima estensione, ne’ suoi più essenziali caratteri petrografici, paleontologici e stratigrafici, benchè ascritta troppo im- maturamente al San Cassiano. | Le osservazioni fatte dal sig. Balsamo-Crivelli di conserva col sig. Omboni, abbracciando però minore estensione di paese, riusci- vano, benchè indipentemente dalle osservazioni del sig. Escher, quasi allo stesso termine. Il sig. Omboni, pubblicandole posteriormente alla comparsa del lavoro del geologo svizzero (1), mentre delineava la zona degli scisti neri ben decisamente compresa e tracciata, rima- neva tuttavia in forse sull’ascriverla con certezza piuttosto al lias che al San Cassiano, poichè, tenendosi strettamente entro'i limiti della pura stratigrafia, rimaneva sospeso tra le opposte conclusioni del sig. Escher da una parte, che citava fossili di San Cassiano, e del sig. d’Orbigny dall’ altra, che dettava una lista di fossili liasici. Il sig. Curioni aveva rimarcato (2) le marne cardoniose e le cal- caree nere , cioè gli strati ad 4. contorta a Marone e lungo la valle dell’ Opol, cioè sulla sponda sinistra del lago d’Iseo, come ne aveva riconosciuta nello stesso tempo la giacitura superiore alla dolomia ad Avicula e C. triqueter , cioè al gruppo della dolomia media che sulla stessa sponda del lago contiene 1’ 4. exzlîs, ed una delle grosse bivalve che si riferivano al C. triqueter. Anch’egli, come Escher, vi accennava la Cardita crenata, onde era messo in dubbio che quegli scisti non fossero gli scisti marnosi di San Cassiano (con questo nome indicando il gruppo di Gorno e Dossena) sotto ingannevoli apparenze di giacitura. (4) Omboni, Elementi di geologia , Milano, 1854. Série des terr. séediment. de la Lombardie. (Bull. de la Soc. géol. de France, 2.€ série, T. 12, pag. 517). Sullo stato geologico dell’Itatia, Milano, 1856. (2) Sulla successione normale, ec. (Mem. dell’ Ist. Lomb. 1853, T. V, pag. 334). 152 A. STOPPANI, Più tardi (1) convenne pienamente nel modo di vedere degli autori precedentemente citati, descrisse distesamente la formazione di Kossen in Lombardia, designandola col nome locale di scisti di Guggiate (2). A questa formazione associa definitivamente, come di ragione, le rocce di Marone or ora accennate, entra in molti particolari circa il suo sviluppo topografico, tra i quali meritano speciale attenzione quelli che spettano alle località importantissime di Barni in Val-Assina e di Caino in Val-Sabbia. Non ripeterò ciò che io abbia fatto ne’ miei Studi? geologici e pa- leontologici sulla Lombardia, dove gettava le basi della distinzione degli strati ad 4. contorta in due depositi (assises) secondarii, e dove rivelava le nuove località di Val-Solda, di Barni, di Val-Ritorta , di Praa lingér , di Predore , ec. Le osservazioni e la carta geologica di Lombardia, pubblicate dal cav. de Hauer posteriormente a tutte le opere citate, mentre riassumevano gli studii fatti, e mettevano in piena luce i rapporti dei nostri scisti neri, ec. colla formazione di Kossen e co’ suoi diversi equivalenti, mi aper- sero il campo a ritornare sull'argomento, correggendo diversi errori, aggiungendo molte particolarità relative a nuove o men conosciute località , distruggendo il parallelismo degli scisti neri col gruppo de Gorno e Dossena, rivocando ir dubbio la loro pertinenza al san Cas- siano. Questo lavoro, in parte di complemento, ebbe aumento nella Conclusione all'opera sui Petrefatti di Esino, dove unii definitivamente il gruppo deyli scisti neri al deposito dell’ Azzarola. Ù Quanto vado ad esporre è dunque un riassunto degli studii fatti da Escher, Balsamo, Omboni, Curioni, Hauer c da me, coll’aggiunta di quanto valga, nell’ordine della riflessione e nell’ ordine dei fatti , (1) Appendice alla memoria sulla successione , ec. (Atti dell’ Istituto Lombardo, 1857, T. VII, pag. 4123). (2) 1 fossili di Guggiate resero primitivamente, ma assai incompletamente, noto, come abbiam visto, gli strati ad A. conforta in Lombardia. È per questo che il si- gnor Curioni li significa col nome di scisti di Guggiate. Ma notisi che ia pubblicazione de’miei Studii precedeva di qualche mese 1° Appendice del sig- Curioni ; del resto le ragioni che mi fecero e mi fanno conservare come nomi locali quelli di deposito del- V Azzarola e di gruppo degli scisti merì marno-carboniosi sono esposte in nota al Cap. V., n.° 4 della mia Rivista. STRATI AD AVICULA CONTORTA 135 a portare la cognizioue sull’infralias lombardo al livello attuale della scienza. II, CaratTERI DEGLI STRATI AD 4. contorTA IN Lomparpia. $ 4. Caratteri petrografici. Per l'intelligenza di questo e dei seguenti paragrafi prevengo il lettore che io distinguo ancora gli strati ad 4. contorta in due depositi , l'uno superiore (deposito dell’ Azzarola), 1° altro inferiore (gruppo degli scisti neri). In apposito paragrafo si discuteranno le ragioni e il valore di tale distinzione. Al deposito dell’Azzarola con- giungo il Ganco madreporico che sempre lo accompagna. La massa principale degli strati ad 4. contorta è in Lombardia costituita da scisti nerî marnosi. Tali scisti o sono fogliettati , accar- tocciati, offrendo mille accidentalità di clivaggio, o sono a strati re- golari esilissimi, che si spezzano in regolarissimi romboedri. La frat- tura recente 0 è d’una lucentezza cerea, o iridescente al riflusso dei raggi solari. Assai di frequente la superficie alterata è intensamente rugginosa, il che è dovuto alla decomposizione delle piriti, le quali, in certi luoghi, come a Selino in Val-Imagna , si raccolgono intatte in globetti, che si isolano facilmente dalla roccia. I fossili contenuti in tali scisti sono frequentemente , come a san Pietro sopra Civate , convertiti in pirite, o riempiti da questo minerale in decomposizione» Talora il calore degli scisti è d’un rosso intenso di ematite. Talvolta gli scisti per maggior reciproca adesione, formano degli strati più o meno potenti di calcaree nere scistose marnose. Gli scisti del Gaggio, singolarmente gli strati più fossiliferi, sono terrosi, e come composti di fango conereto. Disseminati frequentemente nella massa scistosa , scorgonsi arnioni calcarei, talora d’una durezza porfirica, spesso assai più ricchi di fossili che il restante della massa. Dopo gli scisti sono osservabili le marne , formanti talora depositi considerevoli a sè, più spesso alternanti colle calcaree. Il loro colore è assai vario : bigio, bruno, verdiccio, giallastro, ec. Facilmente si decompongono formando un detrito fangoso, dal quale si svolgono in- tatti i fossili. 4354 A. STOPPANI, Le calcaree offrono pur esse una folla di varietà. Abbiamo dei banchi di calcarea nerastra , compatta , molto ocracea , che si insi- nuano principalmente nella massa degli scisti neri. I calcari luma- chelle sono talora molto sviluppati; sono calcari bianchi, rosei, neri, Digi, frequentemente gialli per la compenetrazione della tinta ocracea, a spezzatura testacea. Nella parte superiore del deposito predominano le calcaree compatte, marnose, in banchi talora assai potenti, di co- lore bruno, nerastro, grigio-ceruleo, che ai limiti superiori assumono in qualche località, come in Val-Brembilla, i caratteri delle calcaree communi del lias, o passano, come in Val-Ritorta, al calcare dolomi- tico. Ben di rado la roccia presenta struttura arenacea. È singolare da osservarsi una roccia che io incontro nella parte media del depo- sito, così costante e sviluppata, principalmente nella provincia di Bergamo, da servire per sè sola, in mancanza di migliori argomenti, ad accennarne la presenza. È questa costituita quasi esclusivamente da un intreccio di vene spaliche, i cui interstizii sono riempiti di calcare ocraceo, o semplicemente d’ocra pulverulenta. La roccia, vuotata, per l'esposizione all’ atmosfera, del suo riempimento, si assomiglia ad un tufo commune. Troppo lungo, o meglio impossibile, sarebbe il designare i vicen- devoli rapporti di tali rocce . quali li ho potuto osservare in mille diverse località. Osserverò soltanto , ciò che dovrò ancor presto ri- chiamare, che la parte inferiore del deposito è costituita preferibil- mente dalla massa degli scisti neri, dai calcari scistosi e dalle luma- chelle. La parte superiore risulta invece piuttosto da una alternanza di marne, e di calcaree marnose. Per dare un’idea adequata della costituzione petrografica del gruppo complessivo degli strati ad A. contorta in Lombardia, non c’è di me- glio che riprodurre qui compendiato il Profilo preso con tanta esat- tezza da Escher (1) tra Menaggio e i monti sopra Bene. È in ordine ascendente. 1) Dolomia (2). (1) Geol. Bemerk., pag. 89. (2) Questa dolomia appartiene al gruppo della Dolomia media (trias superiore, petrefatti @dEsino). E la stessa che ad E. di Menaggio contiene l’Avicula emilis con gasteropodi. STRATI AD AVICULA CONTONTA 4155 2) Calcare nerastro a frattura testacea, della potenza di oltre 400 piedi (Gervillia inflata? Schafh). 5) Scisti neri margacei, grassi, a superficie intensamente ocra - cea, con arnioni di calcare nero (4. speciosa? (1) Bactrillium strio- latum. Heer.) 4) 50’ Calcare nerastro. b) 8' Scisti neri. 6) 16’ Calcare. 7) 8’ Scisti neri (Cardita crenata, Cardium rheticum, A Escheri, piccoli acefali, avanzi di rettili). 8) 2’ Calcare. 9) 6'— 8’ Scisti neri come il n.° 5 (G. in/lata). 10) 6’ Roccia grigia, somigliante a dolomia, decomponentesi come il Rauwacke. 414) Scisti e calcari alternanti (4. speciosa, avanzi di rettili ). 42) Banchi potenti di calcare compatto. 13) Marne nere. (4. Escheri). 14) 80' — 400’ Calcare compatto, grigio a strati potenti, ricco in coralli, con grosse bivalvi somiglianti al Megalodus scutatus. 4%) Scisti e marne. 16) Banco di calcare compatto , grigio, zeppo di coralli. 47) Calcare grigio-nero e scisti marnosi un po’ arenacei (C. cre- nata, P. obliqua, A. Escheri, Trigonia, grossa Pholadomya). 418) Strati calcarei con un banco a terebratule lisce. 49) Strati calcarei alternanti con marne (G. anflata). 20) 50’ Calcare compatto. 24) Calcare impuro, grigio-oscuro, la cui superficie è ricoperta di figure irregolari, di tessitura più scistosa, prominenti (2). 22) Marna grigio-oscura con piccole bivalve. (4) È inutile chio richiami come l'A. Escheri, la Cardita crenata e la Plicatula obliqua nominate in questo profilo sono l’A. contorta Port. il Cardium (Cardita) austriaca Hau. e la Plicatula intus-striata Emm. (2) Tali figure osservate da Escher a Bene e in Val-Brembilla , si trovano pure svi- luppatissime all’Azzarola. Sembrano, a vederli, vegetali intrecciati, anastomizzantisi, impietriti nella roccia alla maniera dei fossili superficiali, cioè in parte affondati nella roccia, in parte prominenti. Coprono vaste superficie. 156 A. STOPPANI, 5) 1000-1200’ caleare grigio-affumicato (Lias) (1). (95) I $ 2. Potenza complessiva. La potenza complessiva degli strati ad 4. contorta in Lombardia, assai considerevole per sè stessa, è veramente straordinaria se la si consideri in rapporto colla potenza verificata ovunque altrove per la stessa formazione. Si richiami quanto si è detto sopra circa la po- tenza degli strati ad ,7. contorta in generale. A partire dal limite inferiore della dolomia superiore (calcare a Megalodon scutatus di Escher, cui vogliam per ora considerare come affatto disgiunto dagli strati ad 4. contorta) fino ai limiti superiori della dolomia inedia (Arias superiore), gli è duopo percorrore una di- stanza non mai minore di 100 metri, come p. es. può essere all’ Az- zarola , e talvolta maggiore di 300 metri. La formazione misurata da Escher nei dintorni di Bene, vanta non meno di 600 piedi di spessore, e 1000' appunto ne avrebbe nelle valli Imagna e Brembilla. Ma biso- gna notare che Escher attribuisce un tale spessore alla sola massa degli scisti neri, nella quale sono scavate per la loro massima profon- dità le valli nominate. Ma se vuolsi tener calcolo delle calcaree com- patte con fossili infraliasici, e del banco madreporico, costituenti in dette valli una zona potente, decisamente distinta dalla zona degli scisti a cui incombe , bisognerà introdurre nel calcolo uno spessore di forse altri 30 metri. $ 5. Estensione geografica degli strati ad A. contorta în Lombardia. Giusta il mio solito metodo seguirò il corso degli strati ad 4. con- torta da Ovest a Est (2). Si ritenga che ovunque invariabilmente si (4) Il n.° 23 rappresenta la massa principale del lias lombardo, la mia formazione di Saltriv. Ma tra questo gruppo e quello degli strati ad A. contorta ve n° è una non molto potente di calcare, generalmente dolomitico (dolomia superiore), che anche nei dintorni studiati da Escher è ben marcata, segnando quella zona bianca , così visì- bile anche in distanza, che da Sala in Tremezzina, ascende e cinge a mezzo la sua altura il M. Galbiga, discendendo dietro Bene a tuffarsi nel lago di Lugano. È in questa zona abbondantissimo un grosso Cardium. (2) Come I° ho dimostrato ne’ miei Studi, e come visulta dalle carte geloogiche di STRATI AD AVICULA CONTORTA 157 verifica la distinzione di due depositi, cioè di una massa calcarea e marnosa superiore, e di una massa inferiore di seisti neri e di luma- chelle, quasi ovunque del pari si verifica l’esistenza del danco ma- dreporico, che piglia in diverse località uno sviluppo straordinario. Nella porzione estrema occidentale di Lombardia, cioè tra il lago Mag- giore e il lago di Lugano, non vi sono ancora indizii certi che per- mettano di discernere dalla massa stratificata inferiore al lias gli strati ad 4. contorta. Le eruzioni porfiriche e il metamorfismo hanno reso difficile lo studio dei terreni inferiori alla formazione di Saltrio (lias). Cominciando invece dal lago di Lugano l’infralias procede distinto, continuo, segnando una zona, talora dupla o multipla per ripiega- mento degli strati, che corre a toccare le sponde del iago di Garda. Gli scisti neri coi calcari sovrapposti occupano tutta la Val-Solda, tra Lugano e Porlezza. Partendo dalla estremità settentrionale del lago di Lugano, cingono il monte Galbiga, e scendono ad occupare la Tremezzina , formando quella zona semicircolare , così ben descritta da Escher. Attraversato il ramo occidentale del lago di Como, il no- stro deposito occupa col suo spessore lo spazio dalla penisola di Bel- laggio fino a oltre Guggiate , riempie, dirigendosi a S. E., tutta Ta Val-del-Perlo, si mostra bene sviluppato a Limonta, a Vassena, a Barni, a Onno, infine su tutta la sponda occidentale del ramo orientale , 0 lago di Lecco , tra Bellaggio e Valbrona,, sostenuto sempre dalla do- lomia media, e ubbidiente alle sue ondulazioni. Tali ondulazioni ob- bligano- qui il deposito a tenersi su tre linee parallele , per cui, at- iraversato il monte Corna-di-Canzo e le sue dipendenze, si mostra in Val-Ritorta, ed occupa il fondo delle tre vallate laterali, dette Val-dell’Oro sopra Civate, Val-Daho e Val-Pianezzo sopra Valma- drera. Ma io rinuncerò ad occuparmi di particolari che non potreb- bero essere agevolmente compresi, se non mediante una carta geolo- gica corredata di numerosi spaccati. Seguirò dunque semplicemente l'andamento del deposito. Sulla sponda orientale di Val-Ritorta en- trano gli scisti neri e i calcari sovrapposti nella compage del M. Baro; è alle falde di questo monte la classica località dell’ Azzarola. Lombardia finora pubblicate , la direzione generale dei depositi regolarmente sovrap- posti é da 0. N. 0. a E./S. E. 158 A. STOPPANI, Fin qui il banco madreporico si mantiene sempre nella parte su- periore. Si attraversa il lago dl Lecco e l’infralias. si mostra svilup- patissimo sopra Belledo e Maggianico, quindi passa nella valle della Galavesa, occupandone la parte più profonda a N. di Erve, dove la lo- calità di Praa-lingér presenta gli scisti neri così ricchi di fossili. Qui vediamo il banco madreporico occupare la parte media del deposito superiore, dove pare si mantenga sempre in seguito procedendo verso Est. Dalla valle della Galavesa si getta il deposito nelle valli confluenti al Brembo , e stante la sua potenza e la disposizione strati- grafica dei terreni riempie la Val-Taleggio, la Val-Imagna, la Val- Brembilla colle vallette che ne dipendono. La sponda destra della Val-Brembana, dallo sbocco della Val-Brembilla fino ai dintorni di San Pellegrino è occupata dagli strati ad 4. contorta. ]l deposito con- tinua sulla sinistra, ma siamo in difetto di particolari sul suo anda- mento per entro alle montagne che su questo tratto separano la Val- Brembana dalla Val-Seriana. Sappiamo però che riempie la Val-Ver- tova , stendendosi specialmente a Sud di essa valle, ed è su questo punto che attraversa la Val-Seriana e continna verso Est, a Sud di Gandino , cingendo sviluppatissimo da questa parte il bacino porfiro- lignitico di Leffe, e si porta in Val-Cavallina. Ma nella stessa Val-Se- riana il deposito segue contemporaneamente una linea più a Sud e si scopre alle falde settentrionali del M. Misma. Così bipartito conservasi anche in Val-Cavallina. A Nord occupa il Pian-Gajano e viene a met- ter capo al lago d’ Iseo presso Riva di Solte ; a Sud si volge ad oc- cupare la Val-Adrara, e ritrova pure il lago d’ Iseo e Predore, altra fra le più classiche località per la ricchezza dei fossili, e per la fa- cilità di studiare i rapporti del deposito. Passato il lago d’ Iseo, noi lo troviamo a Marone, e ovunque bene sviluppato nelle montagne tra il lago d'Iseo e la Val-Trompia. In questa valle è pnre bene svilup- pato, ed è noto singolarmente nella regione inferiore della Val-Gob- bia, ad 0. di Lumezzane, ad E. di Val-Gobbia (paese). Dalla Val-Trom- pia passa in Val-Sabbia: nei dintorni di Caino il banco madreporico, e la massa delle calcaree e delle marne sono sviluppatissimi. Da Caino si inoltra verso il lago di Garda. Il sig. Regazzoni lo verificò in molti punti; ma le montagne che sorgono sulla sponda occidentale del lago STRATI AD AVICULA CONTORTA 139 di Garda sono ancora quasi inesplorate. Certamente gli strati ad A. contorta , seguendo l'impulso di tutti gli altri terreni, prendono qui piuttosto bruscamente la direzione S. O. N. E. per la quale i terreni lombardi vanno a continuarsi coi veneti. Prova ne sia il trovarsi degli strati ad A. contorta nella Val-san-Michele, tra Gagrinano e Limone, e sulle sponde del lago di Ledro (Trentino), secondo le indicazioni dei signori Ragazzoni ed Hauer. Conchiudasi che gli strati ad 4. contorta occupano in Lombardia la prima serie delle Prealpi, e costituisce una zona talora sem- plice, più spesso multipla, non mai interrotta da’ suoi confini occiden- tali ai confini meridionali. S. 4. Posizione stratigrafica degli strati ad A. contorta in Lombardia. La questione circa il posto da assegnarsi nella serie lombarda agli strati ad 4. contorta e circa i loro rapporti cogli strati confinanti, è certo la più importante, come quella da cui dipende la soluzione de- gli altri quesiti. Per buona sorte io ho già trattato e quasi esaurito 1’ argomento ne’ miei scritti antecedenti per ciò che la serie da me stabilita pei membri del trias superiore aveva di disputabile (1). Quì basterà dun- que richiamare semplicemente ciò che serve a fissare i rapporti degli strati ad 4. contorta nella serie dei terreni in Lombardia. Sotto il calcare rosso siliceo ad Aptichi giuresi ed al calcare rosso ammonitico, rappresentanti dai terreni giuresi superiori, abbiamo in ordine di- scendente : 41.° Formazione di Sultrio (2), massa calcarea varia d'aspetto e di potenza, con 4. bdisulcatus, G. arcuata ( Lias ). 2.° Dolomia superiore. Zona calcarea o dolomitica in generale poco potente, finora senza confine determinato dalla parte superiore, infe- riormente invece ben distinta dallla formazione seguente. Infatti, scar- sa o meglio priva di fossili, presenta negli strati inferiori una grossa (4) Vedi specialmente Rivista, ecc. IV. 4. - Les Petrifications d’ Esino, Conclusion. (2) Stoppani, Studii ecce., C. VI, 3. 440 A. STOPPANI, bivalva simile o identica al M. scutatus Schaf. e in certe località, come per es. al Sasso degli stampi sopra Bonzanico in Tremezzina, è ricca di coralli e di gasteropi. Queste circostanze, ma più di tutto la sua costante superiorità agli strati ad 4. contorta, assicurano in questa zona un perfetto equivalente del Dachsteinkelk dei geologi austriaci, e del calcare a Megalodon scutatus di Escher. 3.° Strati ad Avicula contorta. Distinti in due depositi secondarii come li abbiamo descritti. Il superiore 0 deposito dell’ Azzarola, com- prende anche il banco madreporico il quale affatto superiore ad esso doposito a Barni, si fonde co’ suoi strati superiori all’ Azzarola, ne occupa il mezzo a Val-d’ Erve e discende quasi alla sua base a Caino. ‘4. Dolomia media. Questo gruppo è caratterizzato dalla fauna di Esino, ed è quindi un equivalente del deposito di Hallstatt ed anche del S. Cassiano con quelle norme da me esposte nella Conclusione all’ opera sui ZPetrefautti di Esino. Alcune specie di Esino ( Zvinospon- gia cerea, Avicula exilis, Gastrochena ohtusa, Ammoniti globosi, chemnitzie lisce, gasteropodi, ecc.) sono sparse in tutto lo spessore del gruppo. La fauna di Esino, concentrata nella sua quasi totalità nel- la parte inferiore del gruppo, ne costituisce la base sotto il nome di deposito dei Petrefatti di Esino. Il gruppo della dolomia media forma il membro superiore del frias superiore . 5.° Gruppodi Gorno e Dossena. Secondo Hauer è un equivalente de- gli strati di Raibl ( faibler-Schichten ) dei geologi austriaci: corris- ponde assai bene al keuper e più specificatamente alle marne iridate. \ II. Divisione DEGLI STRATI AD 4. comrorta IN Lowparpia IN DUE DEPOSITI SECONDARII. Richiamo come ne’ miei Studii geologici e paleontologici sulla Lom- bardia io avessi diviso in due depositi, l'uno all’ altro sovrapposto, la massa che ora comprendo sotto il nome complessivo di strati ad A. contorta. Il superiore era da me chiamato deposito dell’ Azzarola, ed ascritto al lias: l’ inferiore veniva riportato al S. Cassiano, e di- stinto col nome di gruppo delle lumachelle e degli scisti neri marnosi. Ma tale distinzione più non regge sotto questo punto di vista. Una STRATI AD AVICULA CONTORTA 141 paziente e scrupolosa analisi dei fossili ch’ io avea già riferiti al San Cassiano, mi fece persuaso che in molti casi l’ identificazione proce- dette da errore di determinazione, e in molti altri lo stato di conser- vazione dei fossili, la loro picolezza, ecc., non permettevano di farne base a conclusioni d'importanza, che valeva quindi assai meglio consi- derare buona parte di quei piccoli acefali come specie indeterminabili od indifferenti, piuttosto che incagliare l'andamento della scienza con una faraggine di argomenti dubbiosi. Nuove ostinate indagini arricchi- rono quindi la mia collezione, e mi trovai in grado di rifarmi allo stu- dio paleontologico del deposito con elementi ben più certi, e di retti- ficare quanto aveva erroneamente asserito. Tale rettificazione, iniziata nella fivista ( pag. 54), fu compita ed annunziata nella Conclusione all’opera sui Petrefatti di Esino (1), dove scriveva che il deposito de/- lAzzarola unito al gruppo degli scisti neri rappresenta gli strati ad A.coutorta. Ho potuto infatti verificare che molte specie, anzi le più caratteristiche, benchè rare od abbondanti, piuttosto nell’ inferiore che nel superiore, sono però communi ai due depositi. Citerò tra que- ste V 4. contorta, la G. inflata, il C. philippianum, la Cardita au- striaca ecc. Geologicamente parlando adunque il deposito dell’ Azzarola e il gruppo degli scisti neri costituiscono una sola formazione, un solo piano ( étage ), comunque lo si voglia appellare, e sono complessiva- mente un equivalente degli strati ad 4. contorta. Con tutto questo io manterrò ancora la distinzione dei due depositi, e ne studierò la fauna in due distinte monografie, perchè infatti il rleposito dell’ Azzarola sì distingue dal gruppo degli scisti neri. 1.° Petrograficamente. Il deposito superiore è costituito quasi esclu- sivamente da un'alternanza di marne chiare e di calcaree compatte, mentre l’inferiore consta di calcari neri, di lumachelle e di scisti neri marnosi con tale prevalenza di questi ultimi che in certe località le altre rocce si possono considerare come semplicemente accidentali. Anche il sig. Escher, parlando della gran massa degli scisti neri nel- le valli Imagna, Brembilla, Taleggio, dice che essi scisti formano la parte più profonda del San Cassiano superiore (strati ad 4 contor- (1) Les Petrifications d’ Esino ( Paleònt. lombarde, 4.° Serie, pag. 442 ). 1492 A. STOPPANI, ta): osserva di più come e a Bene e in Val-Imagna le marne sopra gli scisti neri diventano più grigie, e il calcare che le copre prende un ben altro aspetto. Per precisarsi la nozione di questo fatto, si ri- veda il profilo tra Menaggio e Bene trascritto quì sopra. È difficile in esso profilo od in qualunque altro precisare un confine tra i due depositi, nè forse è possibile, trattandosi di due che si fondono geo- logicamente in uno. Partendo dal citato profilo io comprenderei nel gruppo degli scisti nerì i n.i 2-11, e il deposito dell’ Azzarola mi sarebbe rappresentato dai n.i 12-22. All’ Azzarola come in tutta la Val-Ritorta, il deposito superiore consta di calcaree compatte marnose; le marne alternanti vi figurano come parte accidentale. Così nelle valli bergamasche, dove i calcari superiori costituiscono una massa ancor più compatta, in pieno contrasto con quella degli scisti neri così fria- bili, che ingombrano di mobile fangoso detrito il fondo e i fianchi delle valli stesse. 2.° Stratigraficamente. Fermi i caratteri petrografici indicati, e fermi i caratteri paleontologici da indicarsi, i due depositi si man- tengono sempre reciprocamente allo stesso livello. 3.° Paleontologicamente. Benchè molte specie, e le più caratteri- stiche sieno disseminate nell’intiera massa degli strati ad 4. contorta, pure, distinti i due depositi in base ai caratteri petrografici ed ai rap- porti stratigrafici, presentano ciascuno una fauna particolare. La fauna degli scisti neri è discretamente ricca ed importante, quella dell’ Az- zarola, oltre all’ essere complessivamente diversa, è assai più ricca e d’ una importanza incomparabilmente maggiore. Ciò risulterà prima delle liste paleontologiche che sono in grado di inserire nel presente scritto, meglio poi dalle due monografie; che sto per mettere alla luce. Ad onta di tali argomenti dichiaro che io non attribuisco alla sta- bilita distinzione, nessuna importanza maggiore di quella che si deve ad una suddivisione puramense locale, e che di buon grado avrei ac- consentito a fondere in una le due faune, di quel modo che son elle già per la comunanza delle specie intimamente legate. Una volta in- fatti che i geologi accettino le mie conclusioni, tale distinzione diviene una cosa ben indifferente; ma lo stato della questione, per rapporto singolarmente all’ epoca del deposito, cioè a’suoi rapporti piuttosto col STRATI AD AVICULA CONTORTA 145 irias che col lias, mi impone di depurare gli argomenti, ridurli a tutto il rigore logico, anche a rischio di una vana pedanteria. E in- fine per prevenire un’ obbiezione, l’ unica, io credo, che possa emer- 9 t 7) gere contro le mie conclusioni, ch'io mantengo la distinzione dei due depositi. IV. PALEONTOLOGIA DEGLI STRATI AD A. conTorta IN Lomsarpia. SA. Si previene un’obbiezione desunta dalla potenza e dalla estensione degli strati ad A. contorta in Lombardia. Prevenendo ciò che dovrà derivare dalla ispezione delle liste pale- ontologiche, ecco la principale conclusione alla quale mi portano i miei studii: Gli streti ad A. contorta appartengono aila serie dei terreni giuresi, costituendone la base. Tale conclusione sarà autorizza- ta dal fatto, che mentre nessuna specie indubbiamente triasica si sco- pre negli strati ad 4. contorta di Lombardia, molte invece sono de- cisamente liasiche. Ora i geologi che non ammisero finora una tale conclusione per gli strati ad 4. contorta in generale, potrebbero op- pormisi così: » Voi mi narrate meraviglie della potenza degli strati » ad 4. contorta in Lombardia; 300 e più metri; voi mi dite che, » conservando uno spessore sempre assai considerevole si stendono » da un capo all’altro della Lombardia; potete invero compiacervi » d’avere un campo d'osservazione ben vasto. Ma siete poi parimen- » te sicuro d’aver ben rilevati i rapporti dei singoli strati, dai quali » avete cavato i vostri fossili? In tanta vastità non è egli possibile » che voi abbiate scambiato uno strato liasico per uno infraliasico, » e che le vostre specie liasiche fossero da quello provenienti? » Ma tale obbiezione non ha veruna sussistenza. Quando io darò la fauna del deposito dell’ Azzarola, non intendo già di offrire una fauna ragranellata qua e ià nell’immensa estensione del deposito , ma una fauna affatto speciale di una località particolare; ma io verrò tuttavia a porgere la fauna dell’intiero deposito, per la ragione semplicissima che, salve pochissime eccezioni inconcludenti, tutte le specie appar- tenenti al deposito superiore si trovano già tutte riunite all’Azzarola. Anzi la fauna da me raccolta non si trova già disseminata in tutto Io {4K A. STOPPANI, spessore della massa calcarea, ch'io riporto al deposito dell’Azzarola, ma tutta concentrata in pochi strati che ne occupano la parte supe- riore. Desidero che i geologi, i quali vorranno degnarsi di pigliare in esame le mie conclusioni, riflettano ben bene a questo punto. La località dell’ Azzarola, che io ho altrove precisata (1), presenta dap- prima un banco dolomitico distinto dallo sviluppo meraviglioso di un gigantesco polipajo (darco madreporico) ; immediatamente sotto, ed in intima conessione con esso, succedono degli strati calcarei, alter- nanti con marne verdastre e grigie. Lo spessore complessivo di que- sti strati, distinti per singolare abbondanza e varietà di fossili, non oltrepassa gli 8 metri, e sono scoperti su breve estensione. La su- perficie esplorabile non sarà maggiore di 20 metri quadrati ed è su questa breve superficie ch’ io raccolsi tutta la fauna dell’ Azzarola. Non verificai nemmeno che vi sia qualche cosa di appena notevole circa la distribuzione dei fossili nei pochi strati costituenti il depo- sito, ma tutti vi stanno indifferentemente mescolati, e scopronsi ugual- mente nelle argille come nelle calcaree. Io non so se si possa con maggior sicurezza stabilire la contemporaneità di tutte Je specie co- stituenti la fauna dell’Azzarola, nè quali obbiezioni per ciò si possano accampare contro le mie conclusioni, eccetto che non si notino er- rori nella determinazione delle specie. Quanto alla fauna del deposito inferiore, cioè del gruppo degli scisti neri, io l'ho radunata da varie località, nè più valeva la pena di of- frirne altrettante faune speciali, dal momento che alle conclusioni da me prese di mira arrivava già direttamente e pienamente per mezzo della fauna dell’Azzarola. Or ecco finalmente nelle tre seguenti liste gli elementi non solo per le speciali conclusioni relative agli strati ad 4. contorta in Lom- bardia, ma anche i nuovi che noi andavamo cercando per la solu- zione generale delle tesi risguardanti i rapporti di questo terreno in Europa. La prima lista stabilisce i rapporti tra il deposito dell’Azza- rola e il gruppo degli scisti neri, per cui vengono a formare un solo piano, gli strati ad 4. contorta. La seconda e la terza stabiliscono la distinzione dei due depositi. (4) Studii, ec., pag. 401. - Rivista, ec., pag. 58. STRATI AD AVICULA CONTORTA 145 S$ 2. Fossili degli strati ad A. contorta în Lombardia. À. Fossili communi alle due zone degli strati ad A. contorta in Lombardia. Pholadomya lariana Stpp. Cardita austriaca Hauer. Cardium philippianum Dkr. Pinna miliaria Stpp. Mytilus psilonoti Quenst. Mytilus Schafhàutli Stur. Avicula contorta Port]. gregaria Stpp. Gervillia inflata Schaf. B. Fossili appartenenti alla Zona superiore o deposito dell’ Azzarola. RertiLi. (Osso della mascella inferiore d’un Cro- codiliano e disco mediano di un’ £mys.) Pesci. (Osso frontale d’un pesce e denti di Pycnodus. ) Crostacei? (Un piccolo fossile assai problematico. CEFALOPODI. * i Chemnitzia Quenstedti Stpp. sp. (due specie indeterminate). Natica sp. Neritopsis tuba Schaf. Olde Stpp. Trochus rapidus Stpp. sp. Solarium sp. Turbo sp. (due specie indeterminate). Ditremaria pracursor Stpp. Pleurotomaria turbo Stpp. Cerithium sp. Acerati ortoconchi. Pholadomya lagenalis Schaf. margaritata Stpp. Mactra securiformis? Dkr. Vol. II. 10 STOPPANI 9 Corbula Azzarole Stpp. Cyprina? lens Stpp. sp. (tre specie indeterminate). Cardium barnense Stpp. ? rhynchonelloides Stpp. pentagonum Stpp. Ragazzoni Stpp. nuculoides Stpp. phaseolus Stpp. cucullatum Goldf. sp. (due specie indeterminate). Isocardia Azzarole Stpp. parvula? Roem. Corbis depressa Roem. ? sequilateralis Stpp. Opis? barnensis Stpp. ? bifrons Stpp. Cardita aspera Stpp. munita Stpp. ‘T'alegii Stpp. Jorica Stpp. Quenstedti Stpp. Luere Stpp. sp. Trigonia. Azzarole Stpp. Myophoria inflata Emm, liasica Stpp. Arca cultrata Stpp. Azzaroke Stpp. imperialis? Roem. Nucula Hausmanni Roc. subovalis Goldf. oppeliana Stpp. Sp. Leda complanata Goldf. Pinna Hartmanni? Ziet. Mytilus rugosus? Roem. arctus Stpp. Lithophagus? faba Winkler, STRATI AD AVICULA CONTORTA 447 Acerati pleuroconchi. Avicula Azzarole Stpp. ineequiradiata Schaf. sp. (due specie indeterminate). Lima punctata Sow. discus Stpp. acuta Stpp. Azzarole Stpp. subdupla Stpp. ? oliva Stpp. sp. Pecten Foipiani Stpp. Falgeri Mer. janiriformis Stpp. aviculoides Stpp. Massalongi Stpp. Azzarole Stpp. barnensis Stpp. punctatus Stpp. Winkleri Stpp. sp. (quattro specie indeterminate). Plicatula intusstriata Emm. leucensis Stpp. Plicatula? papyracea Stpp. hettangiensis? Tqm. barnensis Stpp. Ostrea nodosa Goldf. palmetta Sow. costulata Roem. ascendens Quenst. ‘conica Stpp. Marshii? Stpp. hinnites Stpp. sp. (due specie indeterminate ). BRACHIOPODI. Spirifer Misteri Dvds. Terebratula gregaria $ss. pyriformis Sss. grossulus ? Sss. 148 A. STOPPANIy BRIOZOARI. Defranceia? Azzarole Stpp. Diastopora? infraliasiea Stpp. CRINOIDI. Pentaerinus sp. EcHinipi. Cidaris Curioni Stpp. Cornaliae Stpp. Omboni Stpp. Fumagalli Stpp. radioles. verticillata Stpp. spina-christi Stpp. Azzarole Stpp. caudex Stpp. alternata Stpp. sagittata Stpp. stipes Stpp. Hypodiadema Balsamì Stpp. Desori Stpp. radioles. obliquè-lineata Stpp. gracilis Stpp. Potipi. Trochocyathus? Cermelli Stpp. Stylina Capellini Stpp. Balsami Stpp. Savi Stpp. Montlivaultia Gimne Stpp. Gastaldi Stpp. Thecosmilia Omboni Stpp. Lancisii Stpp. Buonamici Stpp. sp. (due specie indeterminate). Rhabdopbyllia langobardica Stpp. Meneghini Stpp. Sella Stpp. De-Filippi Stpp. Bartalini Stpp. STRATI AD AVICULA CONTORTA 149 Isastrea Azzarole Stpp. Bastiani Stpp. Thamnastraea Meriani Stpp. Escheri Stpp. Batarre Stpp. Micrabacia? sp. Lepiconus Bassi Stpp. Cyatophyllum Cocchi Stpp. Pyxidophyllum Edwardsii Stpp. SPONGIARI. Eudea Graadi Stpp. Cupani Stpp. Cnemidium Monti Stpp. Vallisnieri Stpp. Chenendopora Marsili Stpp. Jerea Michieli Stpp. Cupulispongia Balsami Stpp. C. Fossili appartenenti alla zona inferiore o gruppo delle lumachelle e degli scisti neri marnosi. CEFALOPODI. Chemnitzia infraliasica Stpp. sp. Neritopsis? sp. Turbo Picteti Stpp. Sp. Stomatia Trotti Stpp. Cerithium Hemes d’Orb. crassè-costatum Stpp. Donati Stpp. AceraLi ortoconchi. Pholadomya Mori Stpp. Lucina civatensis Stpp. circularis Stpp. sp. Cyprina Pure Stpp. sp. (due specie indeterminate). Cardium eloacinum Quenst. 150 A. STOPPANI 4, Soldani Stpp. ? sp. Anatina Baldassari Stpp. preecursor Oppel. Suessi? Oppel. Amici Stpp. Zannoni Stpp. Passeri Stpp. arista Stpp. Myophoria isosceles Stpp. Rezia Stpp. Stenonis Stpp. Nucula Matani Stpp. Bocconis Stpp. sp. (nove piccole bivalve indeterminate pos- possono riferirsi al genere Nucula) Leda Borsoni Stpp. Deffneri Oppel. Schiavi Stpp. claviformis Sow. Sp. Pinna papyracea Stpp. Mytilus glabratus Dkr. productus Tqm. sp. AceraLi pleuroconchi. Avicula aviculoides Stpp. falcata Stpp. sp. (due specie indeterminate). Gervillia Galeazzi Stpp. Sp. Lima lineato-punctata Stpp. Pecten Zannichelli Stpp. Breislakii Trotti. sp. (due specie indeterminate ). Anomia Schafhiutli Wink, Mortilleti Stpp. Talegii Stpp. Favrii Stpp. STRATI AD AVICULA CONTORTA Ostrea Archiaci Stpp. BrACHIOPODI. =: Lingula Suessi Stpp. be VEGETALI. Bactryllium striolatum Heer. deplanatum Heer. giganteum Heer. (BI PARTE HI. CONCLUSIONI GENERALI CIRCA ALLA COSTITUZIONE GEOLOGICA DEGLI STRATI AD AVICULA CONTORTA I. CONFRONTO SOMMARIO TRA LA COSTITUZIONE DEGLI STRATI AD .4. CONTORTA IN LOMBARDIA, E QUELLA D’ESSI STRATI ALTROVE. Or eccoci al punto di raccogliere ciò che abbiamo seminato, se si è seminato a dovere. Nella /. Parte abbiamo adunati i vecchi ele- menti, nella //. Parte abbiamo aggiunti i nuovi che dovevano venire in appoggio ai primi, ritenuti insufficienti dalla maggior parte dei geologi. Possiamo ora sperare di superare le difficoltà che si oppone- vano alla definitiva soluzione delle questioni relative al valore geclo- Premettiamo un confronto sommario tra il modo di essere della formazione in Lombardia e quello della stessa formazione in tutta Europa. Da tale confronto risulta Ja massima convenienza tra il nostro de- posito e gli equivalenti d’ altrove. Non entrerò punto in particolari, che sarebbero inutili ripetizioni. 1.° Paleontologia. Furono notati dai geologi della varietà abba- stanza sensibili cui presenta l’infralias quando lo si studia nelle regio- ni occidentali piuttosto che nelle orientali. Tali confronti potrebbero da sè soli offrire argomento di una memoria certo interessantissima . per la geologia e paleontologia generale, che dovrebbe però tener dietro al mio lavoro, piuttosto che precederlo. lo mi accontenterò di osservare come i caratteri paleontologici del deposito in Lombardia non differiscono in generale da quelli che esso presenta altrove, 4.° Le specie più sparse e più caratteristiche si trovano tutte in Lombar- A. STOPPANI, STRATI AD AVICULA CONTORTA 155 dia (1). 2.° Si nota anche in Lombardia l'abbondanza specifica, o almeno numerica degli Acefali, dei Brachiopodi e dei Polipai, e la scarsità in proporzione dei Gasteropodi. 3.° Si nota la scarsità o piuttosto Y assenza dei Cefalopodi (2). Anche altrove, a meno di non unire agli strati ad 4. contorta certi depositi inferiori al lias, come la zona ad 4.planorbis, ecc., non vi ha specie di Cefalopodi che loro sia pro- pria. 4.° In Lombardia non si è scoperto finora il vero done-bded, quale lo si deserive, cioè uno strato distinto dalla singolare abbondanza di rettili e pesci. Ma gli indizi di tali vertebrati negli strati ad 4. con- torta in Lombardia sono abbastanza frequenti, e danno promessa di ulteriori scoperte. Come abbiamo già avuto occasione di menzionare, reliquie di rettili furono raccolte da Escher nei dintorni di Bene; io ne raccolsi all’ Azzarola. 2.° Stratigrafia. Gli strati ad 4. contorta, in Lombardia sono, come ovunque, distesi tra il lias e il trias superiore. Quanto ai limiti supe- riori, nessuna eccezione da porre in campo: la Formazione di Sal- trio rappresenta benissimo il lias ; e Ia dolomia che sta tra detta formazione e gli strati ad 4. contorta, rappresentando benissimo il Dachstein colla sua grossa bivalva, non abbiam nulla che non si, ve- rifichi del pari in Germania. Quanto ai limiti inferiori, se il nostro gruppo di Gorno e Dossena corrisponde veramente, come lo vorreb- bero alcuni suoi caratteri, alle marne iridate, gli strati ad 4. contorta (4) Le specie proprie degli strati ad A. conforta già citate dagli autori, e che, come risulta dalle liste esposte, si trovano anche in Lombardia, sono: Chemnitzia Quen- stedti Stopp., Merilopsis tuba Schaf., Pholadomya lagenalis Schaf., Cardita austriaca Hau., Cardium cloacinum Quenst., Anatina precursor Opp., A. Suessi? Opp., Myophoria inflata Emm. Leda Deffneri Opp., Plicatula intusstriata Emm., Avicula contorta Portl., A. inequiradiata Schaf., Mytilus Schafhautli Stur. Lithophagus? faba Winck. Gervil- lia inflata Schaf., Pecten Falgeri Mer., Anomia Schafhdutli, Wink., Terebratula gre- garia Suess., T. pyriformis Suess. — Altre specie non meno sparse delle precedenti negli strati ad A. contorta in Lombardia ed altrove sono da me ritenute specie lia- siche: così il Cardium philippianum Dkr. ( C. rheticum Mer. ), il Mytilus psilonoti Quenst. ( M. minutus di diversi autori }, elc. (2) Tra le tante migliaja di fossili da me raccolti dagli strati ad A. contorta non mi avvenne mai di imbattermi in un Cefalopodo. Escher, Balsamo, Collegno, ecc., nessuno pure ne accenna. Unicamente il sig. Curioni nella sua Appendice fa menzione di ur Ammonites trovato a Barni. 154 A. STOPPANI, occuperebbero sotto questo rapporto una posizione eccezionale in Lombardia e nelle regioni finittime in confronto coll’ Inghilterra, colla Francia, colla Svevia, ecc. Essi infatti, non cessando di essere superiori alle marne iridate, ammettono tra sè ed esse marne un deposito cal- careo e singolarmente dolomitico di parecchie centinaja di metri, cioè tutto il gruppo della Volomia media e dei petrefalti di Esino. Ma tale condizione di cose non è affatto un’ eccezione. Winkler, per es., ci fa noto che ad Hindelang gli strati ad 4. contorta sono sostenuti da 500-600 piedi di dolomite non fossilifera. A Meillerie, secondo le os- servazioni del signor Favre, si trovano sotto gli strati di Kòssen dei calcari dolomitici cellulesi o cargneules con marne iridate somiglianti a quelle del Keuper. Nella gora della Dranse, il gruppo delle marne îridate è rappresentato da calcari magnesiaci, da dolomie e da car- gneules di vario aspetto. Presso Armoy questa formazione raggiunge gli 800 metri circa di potenza, e non vi si scoprono fossili. Le stesse dolomie, cargneules e gessi si trovano a Matringe sotto gli strati di Kossen, ma tra le due tormazioni esiste un letto di calcare marnoso, rosso, della potenza di 80-100 piedi. La nostra dolomia media è del resto l Hauptdolomit di Escher, ecc. Tali anomalie, se pur meritano questo nome, rientrano in uno studio, che è, come dissi, da farsi, sui modi particolari di presentarsi degli strati ad 4. contorta, secondo le diverse località. 5. Petrografia. Si richiami quanto si è detto sia nel paragrafo precedente, dove si tratta dei caratteri petrografici degli strati ad A, contorta in generale, sia in quello che ne presenta le specialità in Lombardia. La proporzione minima delle rocce arenacee in confronto delle calcaree, argillose e marnose, è la sola differenza che presenta il deposito in Lombardia in rapporto ad alcune località, dove le rocce arenacee prevalgono. 4.° Potenza. Lo spessore singolare degli strati ad 4. contorta in Lombardia ne forma una nota caratteristica in confronto delle altre località. Ciò per altro non serve che a stabilire il fatto che gli strati ad 4. contorta sono in Lombardia molto sviluppati. STRATI AD AVICULA CONTORTA 155 II. Lo stTUDIO DEGLI STRATI AD A. conTorTA IN LomBARDIA CONFERMA LA LORO ASSOCIAZIONE AI TERRENI GIURESI. Gli argomenti discussi nella I. Parte e recati sommariamente al Cap. VI, cui prego il lettore a questo punto di rivedere, sembreranno aver già stabilito inappellabilmente doversi gli strati ad 4. contorta riportare piuttosto al lias che al trias 0, più esattamente, ai terreni giuresi. I nostri studii particolari danno piena conferma alla tesi. Nessuna specie triasica si potè da noi citare, che, in tanta massa di organismi d’ogni ordine appoggiasse il collocamento degli strati ad A. contorta nel trias. La sola Cardita austriaca non presenta caratteri tali per cui venga decisamente distinta dalla C. crenata. Un buon nu- mero invece di fossili liasici od oolitici riclamano pei terreni giuresi; sono i seguenti: ?Neritopsis tuba Scaf. (4) Leda claviformis Sow. Trochus rapidus Stopp. (2) Pinna Hartmanni? Ziet. Mactra securiformis? Dkr. Mytilus psilonoti Quenst. Cardium philippianum Dkr. (3) rugosus ? Roem. cucullatum Goldf. Lima punctata Sow. Isocardia parvula? Roem. subdupla Stopp. (3) Corbis depressa Roem. Ostrea nodosa Goldf. Arca imperialis? Roem. palmetta Sow. Nucula Hausmanni Roem. costulata Roem. subovalis Goldf. ascendens Quenst. oppeliana Stopp. (4) Marshii? Sow. Leda complanata Goldf. Spirifer Miinsteri Davids. (1) Dubito che questa specie non sia identica alla N. varicosa Morvis e Lycett ed alla Nerita jurensis Roemer, citate come specie giuresi. (2) Ritengo questa specie assolutamente identica al T. imbricatus Oppel (non Sower- by), fossile liasico ( Mittl. Lias Schwab. ) (3) Identico al C. rheticum Mer. (4) È identica alla N. infleva Oppel ( Mittl. Lias Schwab.) non Roemer. (5) Identica al Plagiostoma dupinm var. Quenstd, ( Der Jura ). 156 A. STOPPANI , Abbiamo adunque pei terreni giuresi 24 specie, 6 dubbie e 18 certe, che aggiunte alle altre già citate dai diversi autori come ap- partenenti agli strati ad 4. contorta, daranno un sufficiente da fare a chi voglia il tutto rigettare sul semplice argomento di erronea de- terminazione. È da notarsi che tutte queste specie appartengono al deposito del- l’Azzarola, ossia al deposito superiore, ad eccezione soltanto della Leda claviformis Sow., appartenente al deposito (assise) degli scisti neri. Quanto all’ha ditus della fauna, gli è propriamente vero ciò che fu asserito da diversi autori, che egli cioè deponga in favore del trias? La fauna lombarda presta buoni argomenti e pro e contra. In favore del trias sarebbero presso a poco le ragioni già offerte dalle faune ad’ altre località. Desumiamole dai diversi ordini dei molluschi. Gasteropodi. Nessuna specie offre un habitus esclusivamente triasico: le Chemnitzie lisce o adorne di coste, i piccoli Cerithium carichi d’ ornamenti, ecc., sono comuni tanto al trias superiore che al lias. Acefali ortoconchi. La Cardita austriaca e le Myophoria Vitale liasica sono specie il cui hHabitus è decisamente triasico. Acefali pleuroconchi. Le Avicule della sezione delle grypheate furono già indicate come quelle che offrono un habditus più distin- tamente triasico; sono tali 1’ A. contorta Port., V A. inequiradiata Schaf. e diverse specie indeterminate da me raccolte. Brachiopodi. Nessuna specie di habitus esclusivamente triasico. Ripetiamo lo stesso ordine di confronti per rapporto all’ habitus liasico. Gasteropodi. L'unica specie di Matia da me scoperta, benchè in- determinata, appartiene alla sezione delle natiche allongate, caratte- ristiche dei terreni giuresi: il genere ZDitremaria è pure assai carat- teristico degli stessi terreni. Acefali ortoconchi. Le Pholodomya lagenalis, lariana, Mori, pre- sentano un tipo decisamente giurese. Dicasi lo stesso dell’/socardia Azzarola, dell’ Arca cultrata, della Pinna miliaria, papyracea, ecc. Acefali pleuroconchi. Le lime e le ostriche sono pur esse forme assai preferibilmente giuresi, STRATI AD AVICULA CONTORTA 1B7 Brachiopodi. Le terebratule trovano le migliori affinità con specie giuresi. Echinodermi. Raccolti in tanta copia negli strati lombardi prestano elementi nuovi e di molta importanza. Il genere Pentacrinus comin- cia, è vero, colla formazione di San Cassiano, ma presenta il suo massimo sviluppo nei terreni giuresi. Le belle Cidaris dell’ Azzarola furono da me sottoposte all'occhio del sig. Desor, durante l'ultima Congresso dei naturalisti svizzeri in Lugano, come è già noto pei diversi relativi rapporti pubblicati. Nessuno penserà ch’ io potessi scegliere un giudice migliore. Il sig. Desor dichiarò riconoscere in quelle cidariti una cert’ aria di famiglia, che le rassomiglia alle spe- cie di San Cassiano. E infatti sono piccole specie che trovano dei buoni raffronti con quelle di San Cassiano; ma tutte del pari, ed alcune in special modo, si trovano assai bene in confronto con specie giuresi. Anzi osserverò che una delle note più caratteristiche delle cidariti di San Cassiano sì è d’ avere i tubercoli a collo liscio: due sole specie fanno eccezione. Ora le cidariti dell’ Azzarola come la €. Desori, citata da Winkler tra i fossili appartenenti agli strati ad 4. contorta, portano i tubercoli a base fortemente crenulata, come è stile, con scarse eccezzioni, delle cidariti giuresi: anche i radioli isolati pre- sentano forme giuresi a preferenza. Il genere //ypodiadema di cui io cito due specie, fondate su esemplari provenienti dagli strati ad 4. contorta del lago di Como, comunicatimi dal sig. Balsamo-Crivelli, è proprio del San Cassiano, ugualmente che del lias. In ultima analisi la fauna lombarda degli strati ad 4. contorta quanto all’ habitus complessivo, collima precisamente con ciò che venne dedotto dalle faune di altre località, compresivi i vertebrati tanto famosi: cioè, mentre da una parte abbiamo un habitus triasico, dall’altra non si può negare l'habitus liasico. Anzi 1 habitus giurese è sostenuto con assoluta preferenza dalla fauna lombarda, Che se ne dedurrebbe? La fauna degli strati ad 4. contorta è intermedia tra il lias ed il trias, e come tale deve naturalmente partecipare ai ca- ratteri delle due epoche. Ma appartenendo, per l’ assoluta identità di tante specie all’epoca giurese, l’habitus giurese deve manifestarsi a preferenza, come avviene di fatto, 158 A. STOPPANI, Il. GLi STRATI AD A. CONTORTA - COSTITUISCONO UN PIANO A SÈ, PIANO INFRALIASICO. Dopo le tante prove addotte per dimostrare che gli strati ad A. contorta appartengono alla serie dei terreni giuresi, ci si può di- mandare se in ultima analisi detti strati sono il las. No, rispondo, non sono punto lias, hanno però del pari caratteri così propri, così esclusivi, che non si possono ritenere come equivalenti del lias, il quale invece si mantiene ovunque e impreteribilmente a loro superiore. — Sono dunque una parzialità del lias, o, come fu detto, la zona inferiore del piano liasico? ... Nè luna nè altra. Un de- posito che, costantemente interposto tra il lias e il trias, attraversa tutta intiera l’ Europa, un deposito che gode d’una potenza sempre considerevole, talvolta enorme, un deposito a caratteri petrografici abbastanza distinti, un deposito ricco di una fauna propria impor- tante, di cui gran parte reca un marchio tutto particolare, non può considerarsi nè come un deposito parziale, nè come una semplice zona del lias ... Che sarà dunque?... Un piano a sè, il primo piano del gran sistema giurese; un piano che non si trova finora espresso nella sua totalità da nessun nome applicato a’suoi più marcati equiva- lenti, nè da quello di done-bed, nè da quello di strati di Aossen, e nemmeno da quello più generico di strati ad 4. contoria. Noi volendo designare questo piano, lo nominiamo piano infraliasico. Nè il concetto nè il nome sono nuovi certamente ; gli è aneora l'infralias di diversi autori, il quatrième élage du lias del signor d’Archiac, ete. ma noi intendiamo di assegnargli ora un valore più determinato, di costituire in via definitiva un piano che abbraccia non solo tutti i veri equivalenti degli strati ad 4. contorta, ma anche quei depositi che vi hanno rapporto, come l'hanno fra loro le zone d’ uno stesso piano. STRATI AD AVICULA CONTORTA 459 IV. Limiti E COMPRENSIVITÀ DEL PIANO INFRALIASICO 1. Il piano infraliasico sta tra le marne aridate, e il calcare a Gryphea arcuata. Il piano infraliasico comprende tutti ì depositi che stanno tra il trias superiore (Aeuper, Marnes irisées, Saliferien) ed il lias. I li- miti inferiori del lias noi li mettiamo negli strati, noti da così lungo tempo, come contenenti la Gryph@ea arcuata e VA. Bucklandi. Il piano infraliasico adunque partendo dalla superficie superiore delle marne iridate o de’ suoi equivalenti, tocca alla superficie inferiore del calcare a Grifea arcuata. Per giustificare i limiti da noi assegnati al piano infraliasico, dob- biamo 1.° annoverare i diversi depositi conosciuti tra le marne iri- date ed il calcare a grifee, mostrando come esistano fra loro i rappor- ti che si convengono o agli equivalenti od alle zone di uno stesso piano; 2.° mostrare come i terreni, che incassano il piano infrraliasico, hanno tali caratteri da non potersi con questo confondere. 2. Depositi compresi nel piano infraliasico. Conseguentemente all’ esposto comprendiamo nel piano infraliasico gli strati a Avicula contorta ed ì suoi veri equivalenti. Sono questi “strati che hanno la speciale impronta di un’ epoca intermedia al lias e al trias; questi saranno qui soltanto nominati, dovendo riuscire ormai superfluo ogni cenno ulteriore sulla loro natura e sui foro rapporti. Ma gli strati ad A. contorta e i loro veri equivalenti non costituiscono la totalità del piano infraliasico ; altri depositi sono a loro legati da stretti rapporti, non già come loro equivalenti ma come le zone d’uno stesso piano. Questi ci ‘arresteranno alquanto per au- torizzarne appunto la fusione nel piano infraliasico. Il piano infraliasico comprende come 0 equivalenti, 0 sinonimi, 0 depositi parziali d'uno stesso piano i depositi seguenti: 1.° Strati ad À. contorta. 2.° Strati di Kòssen ( Kossener-Schichten). 160 A. STOPPANI, 3.° Bone-bed (strato ad ossami). I fossili degli strati ad A. contorta furono raccolti in più luoghi e superiormente e inferiormente al bone-bed. Da recente communicazione di Wright risulta che nelle più classiche località del bone-bed in Inghilterra trovansi ad esso associati i fossili più caratteristici degli strati ad 4. contorta. 4.° Precursori del lias e cloaca ( Yorlàufer der Lias, schwà- bische Kloake). 8.° Grès di Helmsingen e di Levelange. Noi abbiamo già più volte nelle pagine precedenti fatto allusione ad un avvicinamento del famoso deposito di Hettange, del quale il signor Terquem ha illustrato la splendida fauna, agli strati ad 4. contorta. Tale avvicinamento non è nuovo: già il signor Rolle aveva ammesso che gli strati ad 4. contorta fossero equivalenti del grès di Hettange. Ciò non è tuttavia esatto. Il deposito di Hettange, ecc., è superiore agli strati ad 4. contorta, ma ha con questi tali rapporti quali appunto si richiedono perchè si consideri a loro unito, come zone di uno stesso piano, e sia quindi collocato nel piano infraliasico. Ma qui, per spiegarci, dobbiamo discutere tutta la serie dei depositi collocati dal signor Terquem tra le marnes irisées, e il calcaire d Gryphees arquées, per vedere quale di questi sia da riconoscersi vero equivalente dagli strati ad 4. contorta, e quali possano sot- t'altro rapporto entrare nel piano infraliasico. Ecco un’altra volta la serie ammessa da Terquem (4): 4.° Calcaire à Gryphées arqueées. 2.° Grès alcareux ou grès de Hettange et de Luxembourg. 5.° Calcaire gréso-bitumineux. 4.° Bone-bed. 5.° Grès de Helmisingen et de Loevelange o grès cristallin mi- cacé, concordant avec les 6.° Marnes irisées. Ammesso il principio che il piano infraliasico abbia a compren- dere tutti i depositi che stanno tra le marne iridate e il calcare a Grifea arcuata, i numeri 2, 3, 4, 8 apparterrebbero già a detto (4) Paleont. du Luxemb., elc. STRATI AD AVICULA CONTORTA. 4161 piano. Ma questo principio, da noi enunciato come semplice pre- messa, è ciò appunto che cerchiamo di provare studiando i rapporti dei singoli depositi. Cominciamo dal grès de MHelmsingen et de Levelange. Esso grès è inferiore o meglio unito al done-bed, parziale ma certo equivalente degli strati ad 4. contorta, e riposa sulle marne iridate. Stratigrafi- camente adunque nulla di meglio equivalente agli strati ad 4. con- torta. Difatti Jo stesso Terquem (41) ritiene questo deposito come in- timamente unito al done-bed e come equivalente della cloaca di Quenstedt. Lo stesso deposito, sotto il sinonimo di grès et sable de Martinsart, de Ekingen et Dahlheim, fu parallelizzato agli strati di Kossen dal signor Oppel (2), dacchè il signor Hoòrel vi scoprì i fos- sili degli strati ad A. contorta. È, se ho ben inteso, in un equivalente del grès in discorso, che il signor Martin trovò, nel dipartimento della Costa d’oro quasi tutte le specie più caratteristiche degli strati ad A. contorta. Il signor Terquem sostiene ancora come keuperiano questo equivalente degli strati ad 4. contorta ; vuol dire che il si- gnor Terquem si mette coi molti altri illustri geologi, che detti strati collocarono nel trias, e su tale questione s° è detto abbastanza e più del bisogno. Ma fa d’uopo avvertire di più come il signor Terquem ammette una discordanza tra il grès in discorso e i depositi superiori (calcaire greso-bitumineux e grés de Hettange) a caratteri liasici. Il fatto sarebbe di grande importanza; sarebbe l’unico caso in tutta Europa, se sono bene informato, di una discordanza tra gli strati ad A. contorta, e i depositi superiori. Il signor Devalque nega assolu- tamente una tale discordanza, come appare dalla risposta, in questo punto meno persuasiva, fattagli da Terquem (3). In ordine al fatto la questione non mi appartiene; io non ho a mani che gli scritti, e questi senza l’ajuto di spaccati che pongano il fatto in evidenza. Mi permetterò solo di domandare al signor Torquem: la discordanza è proprio evidente? non sarebbe ella nulla più che una delle tante ap- (4) Op. cit. (2) Bull. de la Soc. Geol. de Fr, 4858, T. XV, pag. 625. (3) Note en réponse etc. Vol. III. IA 162 A. STOPPANI, parenze che non ha guari trascinavano i geologi ad ammeitere discor- danze ad ogni piè sospinto? gli illustri geologi che egli cita come partecipi della sua opinione, verificarono il fatto sui luoghi (41)? Se il fatto è ammesso, perchè non ne trassero partito i tanti che sosten- nero gli strati ad 4. contorta indipendenti dai terreni giuresi, e di- pendenti dal trias? — Fatto sta che in tutta Europa non si verificò altrimenti una tale discordanza, e se i geologi furono così divisi circa l’ascrivere gli strati ad 4. contorta piuttosto al lias che al trias, fu appunto perchè li trovarono coll’uno e coll’ altro in perfetta con- cordanza. Che se una discordanza così parziale fosse pure constatata , sarebbe una piccola eccezione troppo spiegabile con un parziale mo- vimento del suolo avvenuto durante l’ epoca infraliasica, e gli strati ad A. contorta non dovrebbero per nessun modo considerarsi come disgiunti dai terreni superiori, coi quali, come vedemmo e meglio ancora vedremo, sono legati da si stretti rapporti geologici e paleon- tologici. Basti del gres di Zelmsingen e di Levelange, vero equivalente degli strati ad 4. contorta. Parliamo del deposito che gli sta sopra. 6.° Calcare grèso-bitumineux. — Può egli questo calcare associarsi agli strati ad A. contorta, ritenendone però sempre la superiorità? Stando a quanto ne disse Terquem, che cioè esso comincia con uno strato di done-bed (2), nulla di meglio per ritenerlo associato agli strati ad 4. contorta. Ma più tardi lo stesso signor Terquem associa il done- bed al grès sottoposto di cui abbiamo or ora trattato (3). Ignoro le ragioni di questo mutamento. Prescindiamo adunque dal bone-bded. Il calcaire grèso-bitumineux contiene una fauna assai povera; eccola se- condo Terquem: A. tortilis d'Orb. ( A. psilonotus plicatus Quenst.), (4) Parmi che il signor Terquem, quando in favore della discordanza ammessa eita ciò che si è osservato altrove per rapporto agli strati di Kossen, non abbia voluto appoggiar la sua tesi ché con argomenti indiretti. Volle dire cioé, che, ritenendosi triasici gli strati di Kossen, la discordanza del loro equivalente nel Luxembourg, di- veniva più ammissibile. Del resto non cita discordanze altrove osservate tra gli strati di Kossen e i terreni superiori, quali sono i depositi ad A. planorbis, A. angulatue, etc. (2) Paléont. de Luxemb., etc. (3) Note en réponse, etc. STRATI AD AVICULA CONTORTA 165 A. Hagenovvi Dkr. (4. psilonotus legis Quenst.), Cardinia Deshayesi Tqm., C. similis Agass., Lima punctata Desh., Ostrea legiuscula Miù. — absence complète de Gryphées arquees. — Abbiam dunque la £. punctata che discende anche negli strati ad 4. contorta, ab- biamo l'assenza della G. arcuata, abbiamo la posizione stratigrafica, tutto ciò in fine che combina a far ritenere il calcaiîre gréso-bitumineux come infraliasico. Del resto, essendo esso calcare perfetto equivalente della zona ad A. planorbis di Oppel, ete., troveremo, parlando quì sotto di questa zona, altri argomenti in favore della sua associazione agli strati ad 4. contorta. Veniamo al gran deposito fossilifero, che attinge superiormente al calcare a Grifea arcuata. 7° Grès calcareux ou grès de Hettange et de Luxenbourg. — I famosi strati arenacei che offrirono gli elementi al signor Terquem per la ricostruzione di una splendida fauna, presentano certamente dei caratteri liasici, contenendo in buon numero fossili del lias; ma essi non son più che una eccezione, quando si pongono in confronto col numero stragrande di specie nuove. Il deposito del resto è inferiore al calcare a Gryphea arcuata, nel quale non v ha geologo che non riconosca i limiti inferiori di ciò che sempre fu inteso per lias, per cui e paleontologicamente , e stratigraficamente, e petrograficamente il grès del Luxembourg non ha minor diritto di venir considerato come terreno a sè, di quello che ne vantino gli strati ad 4. contorta. È in questo senso appunto che il signor Terquem e i geologi tutti l'hanno considerato. Già per ciò solo è dunque infraliasico. La- seiando da parte il gran numero delle specie nuove, che po: tranno diventare in seguito altrettante caratteristiche, e ferman- doci su alcune già conosciute, rimarcheremo l’Ammonites angulatus. Questa specie è costantemente inferiore al calcare a Gryphea ar- cuata e caratterizza una zona molto costante: è una vera specie infraliasica. Ma su ciò dovremo ancor ritornare. La Lima punctata è quella specie che discende sovente fin negli strati ad 4. contorta. Ma vorremmo trovar di meglio per provare come il grès di Hettange è in istretto rapporto cogli strati ad 4. contorta. È qui dove i nostri studii sulla Lombardia meglio ci sovvengono all'uopo. Ecco i fossili 164 A. STOPPANI, ch’io trovo indicati da Terquem nel grès di Hettange e di Luxem- bourg, e che io rinvenni del pari negli strati ad 4. contorta di Lom- bardia: 1.° Nel deposito dell’ Azzarola — /licatula intusstriata Emm. {Spondylus liasinus Tqm.), Plicatula hettangiensis? Tqm., Cardium philippianum Dkr., Mactra (Donax Dkr., Hettangia Tqm.) securi- formis? Dkr., Lima punctata Sow., Pinna Hartmanni? Ziet. — 2.° Nel deposito degli scisti neri — Cardium philippianum Dkr., Mytilus productus Tqm., Mytilus glabratus Dkr. Aggiungerò che la fauna di Hettange offre nel suo habitus, spe- cialmente per rapporto agli acefali, una rassomiglianza singolare con quelle degli strati ad 4. contorta in Lombardia. Nessun deposito adunque può figarar meglio come l’assise superiore del piano infraliasico, e questo piano è rappresentato dalla serie dei depositi ammessi da Terquem tra le marne iridate e il calcare a Gryphea arcuata nella sua più perfetta integrità e delimitazione. 8.° Psilonotenbanck di Quenstedt, Zone des A. planorbis di Oppel. — Ne parliamo in unione al deposito seguente. 9.° Angulatenschichten di Queustedt, Zone des A. angulatus di Oppel. — Sopra gli strati ad A. contorta trovansi quasi costante; mente due depositi contrassegnati l'uno della preseuza dell’ 4. an- gulatus Schl., l'altro dall’ 4. planordis Sow. e A. Hagenowi Dkr. — Quì non abbiamo che la riproduzione di ciò che osservammo a Het- tange, ecc. La zona inferiore ad 4. planorbis è un perfetto equiva» lente del calcaire grèso-bitumineux di Terquem (1); la zona a A. angulatus equivale al grès di //ettange e di Luxembourg (2). Ciò che valse là a sostegno delle nostre tesi, si ripete adunque qui per lo stesso scopo. Possiamo però aggiungere in proposito nozioni im- portanti. I due depositi formano un solo complesso che sta sotto al calcare a Gryphaa arcuata ed A. Bucklandi ( Arictenkalk di Quenstedt). Essi sono, giusta le osservazioni dello stesso Quenstedt, intimamente (4) Nell’ uno e nell’altro deposito si trovano: A. Hegenowi Dkr. A, iortilis d’ Orb, Vedi sopra n.° 6.° (2\ Vedì sopra n.° 7.9 STRATI AD AVICULA CONTORTA 165 fra loro congiunti. Diffatti la zona ad A. angulatus divide la sua fauna colla zona ad A. planorbis: nell’uno e nell’ altro deposito noi troviamo i fossili seguenti (1): — Cardinia Listeri Agass., Unicar- dium cardiodes d’ Orb, Lima punctata Sow., Lima pectinoides Sow., Mytilus levis d Orb. Il complesso dei due depositi è eminentemente infraliasico per la sua posizione stratigrafica, e per la natura dei fossili; si trova è vero, in essi qualche specie liasica: Oppel accenna Ja Lima punetata ormai resa inevitabile nel lias e sotto il lias, e la Lima pectinoides, ma la piccola fauna dei due depositi è fauna propria, e si arresta ai limiti inferiori del calcare a Gryphea arcuata. A questi dati, che già per sè avvicinano tanto le due zone agli strati ad 4. contorta loro costantemente sottoposte, aggiungeremo degli argomenti diretti. Che in fatti i fossili della zona ad 4. planor- bis si confondano con quelli degli strati ad A. contorta, fu già da noi accennato. Sappiamo da Oppel che gli ossami del bone-bed si innalzano parzialmente in diverse località nel calcare ad A. planor- bis (2), che VA. planorbis siasi trovato misto a specie degli strati ad A. contorta è un fatto ammesso anche da Winkler. La Lombardia reca anch’ essa la sua prova. Tre specie che entrano nella fauna delle due zone in discorso, furono da me raccolte o nel deposito dell’ Az- zarola. ( Plagiostoma (Lima) punctatum Sow., Plagiostoma duplum (var. Quenst.)o abbondantemente e nell’ Azzarola e negli scisti neri (Modiola (Mytilus) psilonoti Quenst.) In fine ripetiamo ciò che abbiam detto a proposito del grès di Het- tange, ece. Nulla di meglio delle due zone ad A. planorbis ed A. angulatus per rappresentare una zona superiore del piano infraliasico, 10.° Z/Vhite Lias dei geologi inglesi. — Contiene 1° 4. planorbis, e lA. Johstoni; è dunque un pretto equivalente della zona ad A. planorbis. 41.° Calcare di Halberstadt. — Il signor Rolle serive il calcare di Halberstadt come equivalente degli strati ad 4. contorte. Noi am- (4) Oppel, Juraformation, ècc (2) Op. cit. 166 A. STOPPANI, meltiamo tale avvicinamento, ma nel senso che sostenemmo pel grès di Hettange, di cui è un vero equivalente. Basti per prova quanto ce ne dice il signor Terquem: « Pour Halberstadt, M. Dunker nous » en a envoyé seize fossiles, parmi lesquels nous avous reconnu » quatre espèces analogues et douze identiques avec les notres (fos- » siles du grès de Hettange) (1) ». Il Cardium philippianum Dkr., e la Modiola (Mytilus) glabrata Dkr. sono fossili di Halberstadt che rinvengonsi anche negli strati ad 4. contorta di Lombardia. 12° Calcaire de Valognes. È un deposito già da lungo tempo con- siderato dagli autori come infraliasico. Il Pecten valoniensis Defr. è specie molto sparsa negli strati ad 4. contorta: penso tuttavia che il calcaire de Valognes appartenga alla zona infraliasica superiore. Lo stesso dicasi del 13.° Choin-batard © Infralias di Leymerie, dove si trovano il P. valoniensis Defr., il P. lugdunensis Leym., e la Lima punctata Sow., fossili cioè che si scoprono sovente negli strati ad 4. contorta. 44.° Pierre bise 0 Foie de Veau del sig. Martin. È un perfetto equivalente del grès di Hettange. 15.° Marnes de Jamoignes. Queste marne sono cOme da Op- pel (2) come equivalenti delle due zone ad A. planorbdis e A. angu- latus. Insorsero dei dubbii circa il loro assoluto parallelismo col grés de Luxembourg, come si può vedere nella nota di Terquem (3) già spesso citata; ma riguardano unicamente la determinazione delle as- sises e le suddivisioni locali. Potrebbero essere fors’anche equivalenti degli strati ad 4. contorta. Ad ogni modo appartengono certo al piano infraliasico. 16.° Sinémurien di d’ Orbigny in parte. — Tra i piani fissati dal sig. d’Orbigny, sarebbe il 7.°, cioè il Sinémurien chiamato a rap- presentare l’infraliasico. Diffatti egli vi ascrive dei depositi ricono- sciuti come infraliasici, come l’infralias di Leymerie, ( Unterer Lias di Roemer, il grès de Luxembourg, il calcaire de Walognes. ‘Ma a questi congiunge i depositi caratterizzati della \G. arcuata, ecc. Nello (4) Paleont. du Luremb., ete., pag. 229. (2) Bull. de la Soc. géol. de Fr., 1859, T. 416, pag. 267. (3) Note en réponse ete. STRATI AD AVICULA CONTORTA 167 stato attuale della scienza, l’etage Sinémurien, quale è concepito dal sig. d’Orbigny, non puo più sussistere. 17.° Quatrième étage o grès inférieur du lias del sig. d’Archiac. È al quarto piano del Lias che lo stesso sig. d’Archiac riporta i più espressi equivalenti degli strati ad 4. contorta. Nella sua Storia dei progressi della geologia più volte si pronuncia in proposito. Eccone un periodo in cui la tesi è dichiarata nel modo più esplicito. « Ainsi, » par leur position comme par leurs fossiles, les calcaires de Dach- » stein et les couches de Kòssen sont les équivalents, sur le versant » nord des Alpes, de notre quatrième étage, ou grès inférieur du lias de » l’est de la France; des calcaires magnésiens si développés autour » du plateau central dont la faune marine, peu riche et peu connue » encore, n’avait été signalée, d’une manière particulière, que dans » la Normandie et les environs de Lyon. Ces deux derniers points » sont sans doute bien éloignés l’un de l’autre, mais le second se » trouve dans le prolongement occidental de la grande zone jurassique » que nous venons de décrire. Nous placerons donc, malgré leur + développement bien plus considérable les couches de Dachstein et » de Késsen sur l’horizon géologique des calcaires de Zalognes et » d’Osmanville de la lumachelle de la Bourgogne, du choîn bétard » avec grès et macigno du département du Rhone (4) ». 48.° Dachstein o Calcare a Megalodon scutatus Schaf. — I rap- porti del Dachstein apersero largo campo di disputazione, come ebbimo già occasione di accennare. l sig.i Hauer e Suess vollero il Dachstein così intimamente connesso cogli strati di Kossen, da farne con questi un solo deposito: il primo dei lodati geologi spinse la tesi fino al punto di negare uno stabile rapporto stratigrafico tra le due forma- zioni, dichiarando il Dachstein ora superiore, ora inferiore agli strati di Késsen, basandosi sulla promiscuità dei fossili, e sulla determina- zione finora molto incerta dei grossi Cardium che si trovano supe- riormente e inferiormente agli strati di Késsen, e dicendo dei depo- siti, ciò che al caso doveva dirsi semplicemente dei fossili. In fondo però tali dissensi sono di poca importanza considerati in rapporto (1) Zist. des progres de la Geol., T. VII. p. 403. 168 A. STOPPANI, coll’ argomento che quì si tratta. Dalle stesse osservazioni del sig. Hauer risulta che il posto del Dachstein è normalmente superiore agli strati ad 4. contorta. Il Dachstein o calcare a Megalodon scu- tatus è da Escher sovrapposto invariabilmente agli strati ad _4. con- torta. Winkler attesta che a Hindelang gli strati ad 4. contorta sono ricoperti di 3-6 piedi di calcare a M. scutatus, col quale si trovano in intima connessione. La stessa giacitura e gli stessi rapporti si osservano invariabilmente nelle Alpi bavaresi, tirolesi, svizzere, lombarde, secondo Schafhàutl, Giimbel, Escher, ecc. Il Dachstein è adunque in intima connessione cogli strati ad 4. contorta, ma è a loro superiore. Si mantiene però sempre inferiore al vero lias, cioè agli strati a Gryphea arcuata ed A. Bucklandi. Rappresenta adun- que egregiamente la zona superiore del piano infraliasico, e sarebbe equivalente nelle nostre Alpi alle zone ad 4. planorbis e A. angu- latus, al grès di Hettange ecc. 19.° Dolomia superiore di Lombardia. — Questa formazione è alla base della formazione di Saltrio, la quale è perfetto equivalente in Lombardia del calcare a G. arcuata ed A. Bucklandi. La dolomia superiore, intesa nei limiti ristretti che io le ho assegnato nella mia Rivista, distinta cioè affatto dalla dolomia media, colla quale venne da me e da Hauer frequentemente confusa, è il calcare a M. scuta- tus di Escher, equivalente al Dachstein, sempre inteso che il nome di Dachsteinkalk significhi unicamente i depositi superiori agli strati ad 4. contorta, non già gli inferiori ai quali venne da diversi geologi applicato. Comprende la corna bresciana, e costituisce così una zona non mai interrotta che corre tra il deposito dell’ Azzarola e la forma- zione di Saltrio. Essa zona è talora d’uno spessore poco rilevante, ma talora, per es. all’ Azzarola, ha una potenza non minore di 30 metri. Alla sua base è unita intimamente col deposito dell’ Azzarola, e sin- golarmente col banco madreporico dove esso banco, come ovunque nella provincia di Como, sta superiormente al deposito dell’ Azzarola. I grossi Cardium che distinguono la dolomia superiore trovansi nella sua parte più profonda, sicchè, per es. a Barni e in Tremezzina, negli strati a Cardium si trovano gli stessi zoofiti che nel banco madrepo- STRATI AD AVICULA CONTORTA 469 rico. La dolomia superiore equivale in Lombardia alle zone ad 4. planorbis, ed A. augulalus, e al grés di Hettange, ecc. (1). (4) A proposito dei grossi Cardium o Megalodon e degli strati che li contengono,” dei quali si è parlato molto e da molti in diverso senso, ma sempre in rapporto al ter- reno infraliasico, io non tendo per ora tanto a discutere le teorie, quanto a stabilire i fatti: ma vorrei che questi almeno fossero una voita intesi ed ammessi, e non mi avvenisse ancora, come mi avvenne sovente, di vedere attribuito un valore maggiore ai nomi delle cose piuttosto che alle cose stesse. Quando io parlo p. e. di Dachstein- kalk, di calcare a Megalodon scutatus, ec., è evidente ch’ io mi diparto dalla linea della semplice esposizione dei fatti, per entrare in quella delle induzioni, che io tendo non già a stabilire le cose, ma i loro rapporti. Nel campo delle induzioni io posso facilmente smarrirmi, ma dal mio errore commesso nell’ applicare i fatti, non sarebbe logico il conchiuderne la negazione. — Riassumo ora brevemente 1’ esposizione dei fatti quali mi si presentarono in Lombardia così ripetutamente e con tanta evidenza, che il volerli impugnare non può provenire altrimenti che da esagerato spirito di sistema. Gli strati ad Avicula contorta delio spessore di 40 a 300 metri sono costantemente in Lombardia incassati tra due zone calcaree. Vi ha dunque una zona superiore agli strati ad A. contorta; è una zona calcare e talora dolomitica (dolomia superiore) so- vrapposta immediatamente al deposito dell’Azzarola. Gli strati inferiori di questa zona sono in alcune località (Barni, Guggiate, Bolvedro) ripieni di giganteschi Cardium, e fusi di tal modo colla parte superiore degli strati dell’ Azzarola, da non potersene segnare con sicurezza i reciproci confini. A Barni e Guggiate i grossi Cardium sono appena sovrapposti al banco madreporico, e a Bolvedro in Tremezzina abbiamo! sopra i veri strati dell’ Azzarola con Terebratula gregaria, P. intusstriata, ecc., un banco di circa 40 metri, che è il vero banco madreporico, poi un banco dello spessore pur egli di altri 40 metri, ricco del pari di polipaj. Di questo secondo banco fa parte il famoso Sasso degli stampi, strato che si mostra a nudo per l’estensione di 400 a 500 metri quadrati, tutto coperto senza interruzione dalle sezioni dei grossi Cardium. La zona inferiore é posta precisamente alla base degli scisti neri a Bactryllium senza alcun passaggio petrografico, succedendo agli scisti neri marnosi argillosi una vera dolomite (dolomia media). In questa dolomite, ma non precisamente negli strati su- periori, sibbene ad una certa profondità (Sarezzo in Val-Gobbia, Caino in Val-Sab- bia, ecc.) si trovano grossi Cardium in grande abbondanza. Coi grossi Cardium (Storo in Val-d’ Ampola, Corno-de’ trenta passi sul lago d’lseo, Caino) e talora senza di loro, ma allo stesso livello (Inzino in Val-Trompia, Val-Ritorta, Sud di Guggiate, Grianta in Tremezzina, ecc.) sì trovano fossili di Esino ( Avicula exilis, Gastrochena obtusa, ecc.). Da ciò che le due zone calcaree o dolomitiche, l’una sotto, l’atra sopra agli strati ad A. contorta presentano entrambe grossi Cardium, si conchiuderà che il Duchstein- kalk, segnalato in Germania costantemente dalla presenza di grossi Cardium, è nello stesso tempo e sotto e sopra, oppure, come altri conchiuse, ora sotto ora sopra agli strati ad A. contorta? Sarebbe mandare a spasso la stratigrafia, per sostituirvi al pri- mo posto la paleontologia, alla quale si addice per lo meno il secondo, come a colui 170 A. STOPPANI, Ma GIUSTIFICAZIONE DEI LIMITI ASSEGNATI AL PIANO INFRALIASICO Ci resta il secondo quesito propostoci ( C. IV, $ 4.°), mostrare cioè come i terreni che incassano il piano infraliasico hanno tali caratteri da non potersi con questo confondere. ehe fa je veci di un altro in sua mancanza. Stabiliamo adunque due fatti, il prime stratigrafico, l’altro anche paleontologico. 4.° fatto. — Vi ha in Lombardia una zona calcarea o dolomitica superiore agli strati ad A. conforta, ed un’altra dolomitica inferiore ad essi strati: 1’ una e l’altra contengono grossi Cardium presunti appartenere alla divalva del Dachstein. 2.° fatto. — La zona superiore è in intima connessione cogli strati ad 4. contorta e ne sembra la continuazione; la zona inferiore contiene dei veri petrefatti di Esino. Per cavare il miglior partito dai fatti finora stabiliti, bisognerebbe ora rispondere definitivamente ad alcune questioni affatto paleontologiche, alla soluzione delle quali non pare siasi finora seriamente pensato, e sarebbero: 1.° Ja Dachsteinbivalve è iden- tica al C. cardium triqueter Wulf. e questo al M, scutatus Schaf.? 2.° i grossi Cardium lombardi sono identici alla bivalva del Daehstein? 3.° 1 grossi Cardium della zona superiore sono identici a quelli della zona inferiore ? — To non posso per ora rispondere ehe all’ultima delle questioni ed avrò fatto abbastanza per condurre a buon termine la questione principale. Stabilisco a questo riguardo un 3.° fatto. I grossi Cardium della zona calcarea superiore agli strati ad A. contorta sono specificamente diversi da quelli appartenenti alla zona inferiore dolomitica. In prova di questo fatto già annunciato dal signor Curioni, e confermatomi per let- tera e di presenza dal signor Balsamo-Crivelli, anticipo alcune nozioni da un’appo- sita Appendice che terrà dietro alla Monografia deì fossili appartenenti agli strati ad A. contorta, e dove darò pieno sviluppo all’ argomento, quando abbia eseguito nuove esplorazioni, e radunato, come spero, gli elementi necessarii pel confronto dei nostri Cardium con quelli del vero Dachsteinkalk di Germania. Ecco una breve descrizione delle sue specie, basata però unicamente sul eonfronto de’ nuclei, non avendo ancora elementi bastanti per confronto dei guscì e non conoscendo aleun particolare dei Car- dium. Avverto però che possiedo diversi nuclei ben conservati della specie appartenente alla zona superiore, provenienti da Guggiate per gentile comunicazione deì signori Rezia, Villa, Balsamo-Crivelli, e gran copia di nuclei dell’altra specie raccolti da me stesso a Sarezzo, Storo, Songavazzo, ecc. i. Conchiglia della zona superiore agli strati ad A. contorta. Conchiglia gigantesea, ventruta, molto più larga ehe lunga e d’uno spessore quast parì alla larghezza. Lato boccale cortissimo, e molto scavato; lato anale arcuato re- golarmente; lato palleale quasi dritto mentre il suo margine cade quasi ad angolo STRATI AD AVICULA CONTORTA (74 Gli studii più recenti sulla geologia stratigrafica conducono alla con- elusione ormai universalmente ammessa che, osservandosi frequente- mente, per non dir sempre, ai limiti dei terreni una fusione più @ retto sulla linea esterna del lato anale: questo è limitato esteriormente da un solco ben incavato e quindi da un rilievo angoloso che circoscrive un’area anale enorme, più o meno compressa. Uncini assai elevati, grossi, ottusi, assai ricurvi verso il da- vanti e ripiegati verso l'interno, di modo che le due sommità si trovano faccia a faccia. Per ciò gli uncini trovansi assai ravvicinati. Linee di accrescimento abbastanza mar- eate sul nucleo. Impressione boccale iadicata da un risalto ellitico regolare, ben pro- nunciato. 2. Conchiglia della zona dolomitica inferiore agli strati ad A. contorta. Conchiglia meno grossa della precedente (il maggior esemplare non ha che 100 millim. di larghezza), e in proporzione più lunga e di minore spessore. Lato boccale. abbastanza lungo, meno incavato che nell’altra specie, e lato anale meno arcuato. Lato palleale arcuato. Solco anale a spigolo esterno meno angoloso. Uncini poco eleyati, sottili, acuti, ricurvi verso il davanti, ma non ripiegatì verso l’interno, sicché le due sommità, affatto esterne, non si guardano punto e sono per conseguenza assai distanti fra loro. Nessun indizio di linee d’accrescimanto sul nucleo. L'impressione palleale molto indicata, e l'impressione boccale è così robusta che il nucleo porta sulle som- mita dell’ espansione boccale due grossi tubercoli in forma di cornetti acuti. Quanto alle dimensioni proporzionali, ecco il confronto fra tre esemplari di ciascuna specie ben conservati. 4.2 Specie 2.3 Specie Larghezza millim. 437 463 4186 64 78 87 Lunghezza °°/,00 89/100 22/100 1° epatiti liano Sal iok Spessore 24/100 MITI 8°1 00 Olga! <"leoo 0° lisa Poco valore però deve attribuirsi alla differenza di lunghezza proporzionale, mentre gli spigoli laterali, più o meno ben conservati nei nuclei, possono dar luogo a diffe- renze sensibili. Difatti un quarto esemplare di Guggiate (4.* specie), avendo la cresta palleale e l’ espansione boccale intatte, da le dimensioni seguenti: Larghezza, 450 millim.; lun- ghezza, °/,00; Spessore, #8/ioo- L'enorme sproporzione che quì sì verifica per la lun- ghezza è da attribuirsi in buona parte alla maggiore incurvatura degli uncini, donde un sensibile restringimento. Infine però sono appunto l’incurvatura e il contorcimento degli uncini che costituiscono il carattere specifico più sagliente e più sicuro per di- stinguere la specie infraliasica dalla triasica. Quì del resto non farò parola d’ un’altra specie di Cardium, il più giganteseo, appartenente egli pure alla dolomia media e la cui forma bizzarra e affatto singolare persuaderà che gli era veramente poco logico l’ acclamare su’ due piedi al C. triqueter ogniqualvolta eadessero sott'occhio impronte o sezioni cardiformi. Io non saprei tro- vare un riscontro alla specie cui accenno, se non forse nel Cardium cardissa. 172 A. STOPPANI , meno evidente di caratteri paleontologici, è impossibile di stabilire una linea netta, precisa di confine tra i terreni d’ epoca diversa, sia specialmente tra i piani d’uno stesso terreno e più ancora tra le zone di uno stesso piano. Quando si parla di limiti e distinzione dei ter- reni, piani e zone, è sempre sottintesa questa restrizione imposta dalla logica dei fatti. Per distinguere un terreno dall’ altro, o molto meglio un piano dall’altro, basterà il poter stabilire che i caratteri distintivi o proprii siano tali e tanti, che i caratteri communi non figurino più che come eccezioni. Parlando del nostro piano infraliasico , abbiamo qualche carattere che lo può avvicinare al trias superiore. Ma questi sono, come abbia- mo provato, pochi e molto dubbiosi. Caratteri più decisi invece, sopra- tutto in numero abbastanza considerevole di specie identiche, avvici- nano già i primi strati del piano infraliasico (strati ad A. contorta ) al lias; i nessi col lias vanno crescendo tanto più, quanto più ci avviciniamo a lui cogli strati infraliasici superiori ( Zona ad 4. pla- norbis, A. angulatus, Grès di Hettange ). Ciò ci valse dapprima a stabilire che col piano infraliasico ha principio la serie dei terreni giuresi. Ma col lias l’infraliasico non si potrà confondere giammai ; amendue i piani con rapporto stratigrafico costante, hanno caratteri petrografici proprii, ma sopratutto ciascuno una fauna propria ric- chissima, a caratteri marcatissimi, della quale non dividono fra loro che una porzione affatto eccezionale. } Ma ammettendosi l’ infraliasico come piano ben distinto nel suo complesso, sono ben definiti i suoi limiti superiori, portandoli alla base del calcare a G. arcuata ed A. Bucklandi ? Parmi di sì, anzi meglio forse che i limiti di altri piani universalmente ammessi. Men- tre infatti le diverse zone dalle quali, secondo il nostro avviso, risulta il piano infraliasico, sono in così stretto rapporto fra loro , sembra Per venire alla conclusione, le due zone r contatto, l’ una superiormente, l’ altra inferiormente, cogli strati ad A. contorta, sono fra loro affatto distinte, sia in via stra- tigrafica che in via paleontologica. La superiore cade sotto Ie conclusioni che si de- dussero dall’analisi degli strati ad A. contorta, cui ella ricopre: l’inferiore segue le sorti del deposito dei petrefatti di Esino che le stanno alla base: la superiore 6 infra- liasica; l’ inferiore è triasica. STRATI AD AVICULA CONTORTÀ 175 che al comparire della Gryphea arcuata e dell’A. Bucklandi inco- minci un’ era novella. Qualche superstite dell’ epoca infraliasica rimira la nueva fauna che s'innalza sulle ruine di quella che la precedette, ma meno di lei ricca e potente. L’Ostrea arcuata e VA. Bucklandi Ron potevano meglio venir scelti per caratterizzare il lias, e per collocarli come termini tra lui e il piano infraliasico. lo non so che lA Bucklandi fosse sorpreso mai entro i confini infraliasici, e nep- pure, con certezza, lO. arcuata. È vero che il sig. Terquem indica nel suo grés infraliasique VO. arcuata, e ve la trova anzi talora molto abbondante. Ma badiam bene al come si esprime egli stesso in pro- posito. Dopo aver detto che il calcaire è Gryphées arquées, presenta frequentemente di queste conchiglie in uno stato anormale, e dopo aver indicate queste forme anormali, dice espressamente: » c’est à ces » formes que nous avous rapporté des coquilles du grès, que nous » considérons plutòt analogues qu'identiques avec les Gryphées ar- » quées, et dont ancune ne présente ni l’épaisseur du test, ni le talon » recourbé, ni la nervure latérale si caracteristiques. » Anche il sig. Leymerie indica nel choîn-batard quelques Gryphées arquées, ma opportunamente le contraddistingue colle parole jeune age, il che vuol dire che assai probabilmente non sono nè punto nè poco la G. arcuata. Vi ha poi il vantaggio che le due specie indicate, essendo assai abbondantemente sparse in tutta Europa, è ben difficile che si trovi venir meno un carattere al quale è singolarmonte appoggiata la de- limitazione del piano infraliasico. Anche in Lombardia alla dolomia supertore succede immediatamente la formazione di Saltrio che non manca di offrirci l O. arcuata e VA. Bucklandi. VI. PrANO INFRALIASICO SUPERIORE E INFERIORE. Lo studio degli equivalenti (HI $ 2.°) ci maturò un’altra conclusione importante, e si è che il piano infraliasico può dividersi in due sotto- piani (sous-étages), che noi chiameremo superiore ed inferiore. Tutti i depositi in fatti da noi compresi nel piano infraliasico si possono dividere in due serie. Scriviamo nella prima tutti gli equivalenti delle 174 A. STOPPANI, zone ad A. planorbis e A. angulatus e cappresentano il sotto-piano superiore; per la seconda sono riservati i veri equivalenti degli strati ad A. contorta. e formano il sotto-piano inferiore. Caratteristiche petrografiche del piano sono a preferenza le arenarie (grès), le cal- caree, e la dolomite; il secondo consta pure di grès, ma a prefe- renza di calcaree marnose, marne e scisti marnosi ocracei, lutulenti. La fauna del piano infraliasico superiore ammirasi nella sua mag- giore ricchezza e comprensività negli strati di Hettange e di Luxem- bourg, e fu già pubblicata da Terquem. La fauna del piano-infralia- sico inferiore non è meno distinta, ricca, interessante; ma finora non se ne pubblicò che una parte, certo la più caratteristica; l’ illustra- zione dei fossili infraliasici di Lombardia ch'io sto per offrire agli studiosi, porrà, spero, le due faune in pari condizione, Proponiamo anche di dividere ciascun sotto-piano in due zone. Le due zone dell’infraliasico superiore sono già abbastanza in generale ben distinte e ben caratterizzate. La distinzione delle due zone del- l’infraliasico inferiore è invece basata per ora unicamente sulle no- stre osservazioni in Lombardia. Scegliamo come caratteristica per la superiore una specie che le è esclusiva, e vi è sparsa a profluvio; per l’inferiore troveremo assai caratteristici i Zactryllium, illustrati da Heer, e che io trovo esclusivi e sparsi in singolare abbondanza negli scisti neri; quindi presentiamo lo schema seguente, che sarà completato dalla T'arola sinottica che chiude la presente memoria. Piano infraliasico superiore A. Zona ad Ammonites angulatus. B. Zona ad Ammonites planorbis. Piano infraliasico inferiore C. Zona a Terebratula gregaria. D. Zona a Bactryllium gigarnteum. VII. COSTITUZIONE DEFINITIVA DEL PIANO INFRALIASICO. Riassumendo il fin qui detto, ecco come è costituito il piano ine fraliasico. 3: Sinonimie. Il piano infraliasico conta come sinonimo o parziale © STRATI AD AVICULA CONTORTA 175 totale ogni equivalente delle zone ad 4. plunorbis ed A. angulatus e degli strati ad A. contorta. Stratigrafia. IL piano infraliasico riposa sul trias superiore (San Cassiano, Marnes irisées) ed è coperto dal calcare a G. arcuata. Epoca. Il piano infraliasico incomincia la serie dei terreni giuresi. Distinzione dei depositi secondarii. Il piano infraliasico è distinto in superiore e inferiore, da caratteri petrografici complessivamente diversi, e da due faune pure distinte ed assai rieche. Alcune specie sono communi ai due sotto-piani. Paleontologia. Caratteristiche dell’infraliasico inferiore sono 41.° po- sitivamente, la presenza del done-bed, co suoi vertebrati, 1’ abbon- danza degli acefali, specialmente delle /oicule della sezione delle grypheate, i Bactryllium, e, come più diffuse e marcate, le specie A. contorta Pertl., G. inflata Schaf., P. intusstriata Emm., C. au- striacum Hau., T. gregaria Sss.; 2.° negativamente, l’ assenza forse assoluta di Cefalopodi e di specie triasiche. — Caratteristiche del sotto-piano superiore sono: 4.° positivamente, l’ abbondanza dei Gaste- ropodi, la comparsa abbastanza numerosa di Cefalopodi con habditus liasico, e di specie liasiche assai più numerose che nell’inferiore e, come specie più diffuse e marcate l’ 4. planorbdis Sow. lA. angula- tus. Schl., 2.° negativamente, 1’ assenza del bone-ded e delle Avicule grypheate e dei Bactryllium. Estensione. Il piano infraliasico fu riconosciuto su una vasta zona quasi continua che attraversi l' Europa da 0. a E. Potenza. La potenza massima del piano infraliasico è quella osser- vata in Lombardia; essa giunge da 300 a 400 metri. Prima di chiudere questo lavoro colla Tavola sinottica (1) che ne presenta il riassunto, una parola confidenziale ai molti illustri geologi (4) Nella tavola sinottica la serie dei terrenì ammessi dai geologi austriaci è modi- ficata a seconda delle mie proprie osservazioni; è perciò che la formazione lombarda indicata da Hauer col nome di Raibler- Schichten, e da lui collocata al dissopra del cal- care d’ Esino (Hallstatter-Schichten), è da me riunita al deposito identico, detto dallo stesso Hauer Sf. Cassianer-Schichten, inferiormente al deposito d’Esino. Così Escher indica i petrefatti di Esino al disopra della dolomia triasica, mentre ne costituiscone la base. 4176 A. STOPPANI, STRATI AD AVICULA CONTORTA. i di cuni scritti mi fornirono la maggior massa degli elementi per comporlo. Sul campo libero della scienza, non chiederò scusa del non aver sempre divisa la loro opinione. Ma avendo dovuto trattare di luoghi e di cose a me per la maggior parte ignoti altrimenti che pei loro scritti, posso aver errato nell’interpretarli. Siccome dovrò rive- dere e completare il lavoro quando avrò ultimata la pubblicazione delle due faune dell’infraliasico lombardo, chiunque mi farà accorto di un errore, di una falsa interpretazione, o mi porgerà nuovi ele- menti a rischiarare l'argomento, sarà sempre il benvenuto, comunque mi si presenti o come critico, o come maestro. i TAVOLA SINOTTICA DEL PIANO INFRALIASICO PIANO INFRALIASICO D’'ORBIGNY ; Geologi Inglesi. (Cours élément. ) SUPERIORE INFERIORE HAUER, SUESS ete (Diff. opere. ) ESCHER (Geol. Bemerk.) OPPEL QUENSTEDT TERQUEM | (Juraformation. ) (Der Jura.) (Paléont. Luxemb.) ETA N, SSL RI RE TI pig RO Ed Zone des A. Buck- | Arielenkalk. Calc. à G. arquees. landi Zone des A. angu- Jatus (Marnes de ad A. angulatus. Cal. a G. arcuata et A. Bucklandi. 8° Ér. Liasien. Thalassitenbanke oder Angulalen- Grés calce. ou grés d'Hettange et de Luxemb. (Pierre breccie an der Formations gren- ze des Keupers di Plieninger. (01 Bactryllium. und Lias-Vorliufer TRIAS SUPERIORE Keupermergel. Rother Keupermergel. Jamoigne d’ 0- schichten. bise ou foie-de- malius ). veau di Martin). DI ep Se Sa S | Zone des A. pla- L DT Calcaire gréso-bì- DUE TO a Psilonolenbank. RO > 3 GI Il < S| Z S | Bone-bed oderzone a = È des A. contorta e Si (Knochenbreccie dx v. Tàibingen d’Al- CE pr ai 5 berti - Knochen- Kloake E cacé ou grés de Helmsingen et de Loevelange. Marnes irìsées. Starhemberg-Gres - tener-Schichten. Formazione di Saltrio. White lias a A.pla-, norbis e A.John- stoni. Parte del Sinému- rien (Cale. de Valognes, de Hal- berstadt, etc.) Bone-bed di mouth, Aust- cliff, Walchet Wainlod Glilf'ete. Ax- Dachsteinkalk. Kossener-Schichten. Kalk mit Megalodon scutalus Schaf. Dolomia superiore di Lombardia. Oberes S. Cassian t.4 Deposito dell'Azza- | rola e banco madreporico. Gruppo delle luma- | chelle e degli sci- | sti nervi marno- si. Keuper.-New Red e Et, Saliféri 9.° Et. Saliférien. Marl (Atti, Vol. IT, pag. 176.) Dolomite. Hallstaller - Schich- ten (EsinoKalk). Raibler - Schichlen e S. Cassianer- Schichlen (di Lom- bardai.) Hauptdolomit. Petref. von Esino. Keuper (Lellen-kohle Bunte Mergel.) Dolomia media A. Dol. media propriamente della. B. Petrific. d'Esino Gruppo di Gorno e Dossena. | | _TTTTT | «<= <==<-ET5CCÙ©i a [ «po &&&&& Seduta del 24 marzo 1861. Trovandosi assente per malattia il presidente Cornalia, ne tiene il posto il vicepresidente Antonio Villa. Î letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il segretario Omboni dà lettura d'una Memoria del socio Strobel sulla comparsa periodica dei cimici longi- scuti nell’ Agro Pavese, e sulle piante sui quali si trovano. Il segretario Stoppani dà lettura della prefazione d’una Memoria del socio Tacchetti, in cui sono descritte le specie del genere C7rysopa. È presentata una breve Memoria del socio Rondani, nella quale sono descritte le specie europee del genere Phasia. Queste tre Memorie su diversi gruppi d’insetti saranno pubblicate negli Atti. Il socio Bollini presenta alla Società e dona alcuni semi d’una pianta della Nuova Granata, chiamata in quel paese Almissillo o Almiscillo. Questi semi furono portati dai Missionarj. Ne fu dato un certo numero anche al Comizio Agrario di Milano. E il signor Bollini promette di comu- nicare dei cenni più completi intorno a detta pianta, ap- pena potrà averli dai Missionar} per mezzo del signor Ferdinando Tonini. Vol. HI. 19 178 SEDUTA DEL 24 marzo 1861. La Società ringrazia il signor Bollini del gentile dono, e si propone di trarne partito, affidando i semi a qual- che botanico, perchè ne tenti la coltivazione in qualche giardino. Dal giorno 24 febbrajo fino ad oggi sono giunti alla So- cietà i seguenti libri : Cantoni Gaerano, L'amico del contadino. Anno |, 1860. 24 fascicoli. — Anno II, 1861, fascicoli 1-4. — Dono dell’ Autore. Anno I. — La vigna se ne va. Modo di solforare le viti. — Le società agrarie. — A proposito del frumento gigante. — Catechismo agrario. — Le imposte prediali. — La mezzeria. — Apicoltura. — L’arnia Oetti. — Del sale in agricoltura. — Il vivajo perpetuo per le viti. — Sulla potatura delle viti. — Calendario dell’ apicoltore. — La coltura intensiva e 1 esten- siva. — Del miglioramento dei fondi affittati. — Ancora del sal comune in agricoltura. — I pubblici macelli. — Assurdità del giudiear tutto con un sol peso e con una sola misura. — L'assicurazione contro gli infortunj celesti. — Il sovescio e la concimazione. — Collocamento delle arnie. — I boschi e il clima. — La vegetazione spontanea e l’ agricoltura. — Delle distillerie in agricoltura. — Influenze della luna. — Coltivazione di bachi da seta del Chili. — I tormentatori di piante. — Il pomo d’oro. — Il va- lor dell’ azoto. — I concimi perduti. —- La ruggine del riso. — L’ azione del governo nell’agricoltura. — Il congresso agrario. — Dei nemici delle api, e in qual modo preservarle. — Cattivi effetti della cimatura delle piante. — Del dare l’avena ai cavalli prima o dopo della bevanda. — Prepara- zione della semente dei cereali. — Dell’uso delle ossa nella coltivazione dei foraggi. — Sulla malattia delle viti. — Il contadino lombardo. — Sulla crittogama delle uve. -- Schiudimento artificiale delle uova. — Istituzioni agrarie nel Belgio. — L'insegnamento agricolo. — Le sementi e la semi- nazione. — Dell’esposizione del letame sul terreno per lungo tempo. — I possidenti e le aste giudiziali. — La scalogne, orobanche ramosa, paras- sita della canape. -— L'azione della calce nel terreno. — Col denaro è fa- cile coltivar bene. — Del metodo Leroz per piantare le barbatelle di vite. — Origine del suolo arabile. — Taglio parziale delle piante. — Macera- zioni salubri del lino e della canape. — Climatologia e Meteorologia per le serre. — Del modo di trattare le Api in inverno. — Cronaca agricola. - Meteorologia agricola. — Notizie commerciali. AnNo IH. — L’acclimatazione delle piante. — Vinificazione. — Sunto SEDUTA DEL 24 marzo 1861. 179 dei Nuovi principj di fisiologia vegetale. — L'almanacco valtellinese. — Dello zucchero nel mosto e nel vino. — Sulla malattia dominante del pol- lame. — Il pomo di terra germinato è velenoso? — Sull’azoto e sull’ ufficio delle foglie. — Sulla potatura della vite. — I raccolti e l’ esaurimento del terreno. — La birra di ghiande. — Cronaca e meteorologia agricola. — Notizie commerciali. Gasrapi, Frammenti di Geologia del Piemonte. Sugli Elementi che compongono i conglomerati mioceni del Piemonte. Torino, Stam- peria Reale, 1861. Dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie Il, Tomo XX. — Dono dell’ Autore. De Monnier, Votes geologiques sur la Savoie. (Revue Savoisienne, novembre 1860). — Dono dell’ Autore. Leoxnarp und Broxy, Neues Jahrbuch fur Mineralogie, ec. Anno 1860, fascicolo 7. — In cambio coi nostri Atti. (Barnayve, Nuove prove della maggiore estensione della flora primordiale nell’ America del Nord. —Wiser, Comunicazioni cristallografiche. — Corrispondenze . Letteratura, Estratti). nn i Aran fera; lano salt nr dn an ode NA UNE A Keo AT hyk? ue Re e] t A SAL PAT, sioni #À ani vu IPA: ad > e! AA deri pi di Mile con A den pat n fine x nn boblote: drmziniara “alog £ n siurola artt vi TARE 48 ne fa boni n Vr Dt] da pad j SA: Ladin he te SIM. pat Mer di: PS i Li oto ù pari 193 STA 4 da “#) i Lat) pie isa ‘6; pose LTTCIENIACIO Ta MY so OA VRNEGIETLO) - Fri vat rif tI dani Leste DA 4 Code: i PRA ibi e; aa i fare muarizpiotza i ii utt ‘910 po h SAGGIO BI OSSERVAZIONI FENOLOGICHE RELATIVE AI CIMICI DELL’ AGRO PAVESE È STUDII SU LA FLORA DA ESSI PREDILETTA MEMORIA DI PELLEGRINO STROBEL Les insectes ne sont un petit objet que pour ces hommes disgraciés, qui ignorent profondément, qu'il n’est_ rien de petit dans la nature; et qu’une mite peut absorber toutes les coneep- Lions du Génie le plus étendu. BoNNET. Allora quando nella Strenna pavese pel 4837 io inseriva la prima parte di un lavoro sulle cimici dei contorni di Pavia , prometteva pure, alla pag. 75, come seguito alla enumerazione delle specie lero , un quadro indicante le epoche dell’anno , in cui, secondo la mia conoscenza, compajono quegli insetti, ed in quale stadio di svi- luppo; prometteva pure una flora corefila, ossia Vindicazione e qua- lificazione delle famiglie vegetali su cui quelle cimici dimorano , e dei sughi di cui sembrano pascersi. Gravi cure e lavori scientifici urgenti, che qui non giova che ac- cennare a mia discolpa, mi impedirono sinora di mantenere la pa- rola. E veramente io dovrei innanzi tutto terminare la enumerazione slessa delle specie. e poi occuparmi del tema melcorico-botanico. 1892 P. STROBEL, Però, riflettendo che altro è lo scopo e la portata di un trattato si stematico popolare da strenna,. ed altro l'indirizzo e la meta di un lavoro filosofico-fisico puramente scientifico ; stimai che l’uno potesse compiersi indipendentemente dall’altro , e che perciò entrambi po- tessero stare da sè. Quindi, riserbandomi di continuare a tempo op- portuno il catalogo sistematico e la descrizione delle specie, e di completare la fauna relativa, mi restringo per ora all’ esame delle osservazioni fenologico-botaniche istituite in proposito durante gli ultimi quattro anni di mia dimora in Pavia. Le osservazioni di questo primo articolo non risguardano che la sezione (0 famiglia) dei LonciscutI, Scutata. quella stessa che forni il soggetto dell’accennata prima parie del la- voro sistematico già pubblicata. A questo primo articolo terranno dietro gli altri, man mano che avrò potuto ordinare il materiale relativo ad una delle altre sezioni ; l’ultimo articolo riepilogherà gli antecedenti e darà l’ultima sintesi delle osservazioni complessive. I. OsseRVAZIONI FENOLOGICHE. I fenomeni periodici che si succedono nel regno animale, quali effetti de’ processi meteorici, non sono ancora conosciuti, parlando in generale , con quella precisione che richiedesi per poterne de- durre le leggi naturali che regolano que’ fenomeni. Sinora il mezzo quasi eselusivamente impiegato per darci delle idee in proposito, era la parola, sempre più o meno vaga a fronte della cifra; e quindi quelle idee non poteano riuscire che oscure, indefinite. Per poterle avere chiare, ossia espresse con matemalica precisione , fa mestieri che anco il zoologo s’ accinga a battere la via del meteorologo e del botanico, istituendo osservazioni coscienziose e continuate sui feno- meni periodici in discorso, e registrandone minutamente i risultati — via faticosa sì, ma che condurrà con sicurezza alla meta sopraenun- ciata: per tal modo si determineranno que’ fenomeni in modo positivo, OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 185 ossia con falli provati alla mano, non con asserli vaghi ; si com- prenderà il nesso intimo che esiste tra la vita degli animali ed il mezzo in cui vivono; e si spiegherà la concatenazione di tutti i feno- meni periodici in un modo che risponda alle esigenze della scienza. Le osservazioni registrate in questo scritto non riguardano che un piccolo numero di specie, e non furono in realtà istituite con quella continuità di tempo ed estensione di terreno, che forse si richieg- gono, perchè sui risultati da esse dedotti si possano stabilire con certezza delle leggi. Ciò non pertanto impresi a publicarli onde im- pegnare gli entomologhi italiani ad occuparsi di questo genere di ricerche, che in realtà sono minuziose e richiedono una applicazione ed assiduità continua, ma che se venissero generalizzate, sommini- strerebbero , come or ora si provò , dei dati molto interessanti , ed aprirebbero un campo vastissimo alla speculazione ed alla pratica. Circa alla comparsa periodica annuale degli emitteri, ed alla quantità loro maggiore o minore a seconda dei vari mesi di un anno , ossia alla ripartizione annuale quantitativa, serisse già Carlo /vitsch nel 1852 (1). Questo saggio però non si riferisce che agli emitteri (eterotteri ) di Praga, non contiene che le osservazioni di due anni, 1849 e 1850, e non entra nelle specialità, cioè non indica che i ge- neri su cui cadono le osservazioni , ed il numero delle specie loro , senza determinarle. Però esso lavoro ci offre già un termine di con- fronto fra taluni fenomeni vitali periodici degli insetti di quelle con- trade e delle nostre più meridionali. — A sole 15 riduconsi le specie di cimici /ongiscute, che forniron campo alle osservazioni dello Fritsch, c spettano ad 8 generi, come segue: delia, Bellocoris, Eurydema, Jalla, Pentatoma, Scutellera, Tetyra, Thyreocoris (2). Supponendo anche, senza tema di errare di molto, che le specie di cui occupossi l’autore siano le più ovvie in que’ paesi, siccome quelle che neces- sariamente debbono offrirsi più facilmente allo sguardo dell’ osserva- tore, pure non oserei stabilirle, pel motivo che egli non accennò nè (1) Jihrliche vertheilung der Hemipteren, inserito nel fascicolo di ottobre 1852 dei resoconti delle sedute (Sitzungsberichte) della classe mat. fis. dell’academia imp. delle scienze in Vienna. (2) Vedi il primo prospetto annesso a questo articolo. 184 P. STROBEL, meno gli autori dei generi, vale a dire, non indicò qual valore deb- basi dare a que’ nomi generici, valore vario , più 0 meno ristretto , secondo i varii entomologi , e nomi che talora indicano. gruppi di specie ben differenti, a norma dei differenti serittori. Adunque dob- biamo limitarci a dei confronti generali (1). La comparsa de’ longiscuti dura tre mesi di meno a Praga ehe non a Pavia, ove vogliasi ritenere normale la apparizione degli £urydema osservata a Praga nel febbrajo, anzi che accidentale, ciò che potreb- besi supporre dalla mancanza totale di longiscuti nel successivo marzo. A Pavia la Pentatoma mogbissus, che non è comune, fu ad intervalli raccolta all’aperta dal gennajo al dicembre; — individui isolati del- l’Asopus luridus e dell’ Acanthosoma interstinctum, pure non fra le specie ovvie, apparvero del pari nel novembre e dicembre ; mentre a Praga nessun longiscuto è più visibile, all’aperta, dopo il mese di ottobre; però cimici di altre sezioni durano tuttavia alla temperatura di novembre, ma non più oltre. Queste differenze dipendono dalle differenze di clima tra una e l'altra località, e se abbisognasse, ne avremmo una conferma anche dalle sole osservazioni istituite a Pavia, ove nel mese più freddo, e quindi meno propizio alla vita degli ani- mali, non fu veduto che un solo longiscuto, Vaccennata Pent. mog- bissus, mentre nei meno freddi di febbrajo e dicembre ne compar- vero già almeno tre fra i seguenti: ,/sopus custos, luridus e coruleus, Pent. mogbissus, Acanthos. interstinctum. E per rendere vie più pa- lese questa legge, ossia questa relazione tra le fasi della vita animale e l'aumento o la diminuzione di temperatura, questa influenza del calore sulle funzioni degli esseri animati, conviene porre sempre a canto delle relative esperienze Vl indicazione almeno della tempera- tura media del mese, in cui quelle esperienze si istituirono. È così operò anche Fritsch nel lavoro fenologico che precedette di un anno l’accennato articolo sugli emitteri, e che risguarda i coleotteri della stessa località (2). Ivi egli stabili pure che i fenomeni entomo-fenolo- gici non possono ritenersi normali, se non in quanto lo furono con- (1) Confronta i prospetti I. e H. del presente articolo. (2) Resullale zweijahriger beobachtungen riber die jihrliche vertheilung dev Kdfer. In- seriti negli atti academici preaccennati, 1851 novembre. OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 185 temporaneamente anco gli atmosfero-termici. Quindi fece seguire quelle osservazioni dalla tabella indicante non solo le temperature medie mensili, ma benanco le medie giornaliere : e dal confronto di queste venne a constatare, che durante quei due anni di osservazioni, 1849 e 1830, non vi fu anormalità in proposito , e conchiuse perciò che i risultati relativi doveano essere rignardati per normali, sin tanto che osservazioni estese ad un maggior numero di anni non provassero il contrario. Pel prospetto Il., unito a questa memoria e relativo ai longiscuti pavesi, non potei procurarmi che l'indicazione delle medie mensili, stabilite dal defunto professore Belli sulle osservazioni di dieci anni da lui fatte a Pavia. Poste queste medie mensili di Pavia a confronto con quelle di Praga, rilevasi, come quivi la temperatura media in ambo i mesi di dicembre e gennajo sia inferiore a zero (— 0,08 e — 2,453), mentre a Pavia non lo è che la sola di gennajo (— 1,3); come la media di dicembre a Praga sia di 0, 25 soltanto inferiore a quella dello stesso mese in Pavia, mentre la media di febbrajo nella capitale de’ Boemi è già di 0, 64 più bassa di quella contemporanea nella città lombarda in discorso, e la media di gennajo lo è di 1,58. Adunque nella sta- gione invernale la massima differenza tra il freddo medio di quelle due località ha luogo nel gennajo. Maggieri sono le distanze tra le medie estive delle due contrade poste a paragone. fn giugno la media di Praga è inferiore di 0, 68 a quella di Pavia, in agosto già di 1,45, ed in luglio di 2,3. In questo mese quindi la media del calore estivo di quei paesi raggiunge la massima differenza. Scostandosi i medesimi maggiormente per rispetto al caldo, che al freddo , si potrebbe de- durne a priori, che sarà più probabile di trovare nell’ agro. pavese specie dell'Europa settentrionale, che non nei contorni di Praga specie della meridionale; e che perciò a Pavia si dovrà rinvenirne ur nu- mero maggiore che non a Praga. Da uno sguardo dato ai primi due quadri che accompagnano l’ ar- ticolo, si comprende inoltre come la apparizione degli insetti, e degli emitteri in ispecie, sia in primavera naturalmente più rapida a Praga che non a Pavia, giacchè mentre colà dalla media di +- 1°,87 del marzo, si passa in aprile ad una media di -+- 8"%,24, quasi pari a 186 P. STROBEL quella contemporanea di Pavia, vale a dire si aceresce il caldo di 6°,37; in quest’ultimo paese, nello stesso lasso di tempo, la me- dia non sale che da 4- 6.° a + 9°, ossia non aumenta che di soli 5 gradi, ossia della metà; quivi non ha luogo lo sbalzo di tempera- tura che prova quella contrada boema. Di più, in questa, per quasi tutte le famiglie di cimici, non che di scarafaggi, 1° accrescimento primaverile della popolazione avviene con maggiore rapidità, che non il decrescimento autunnale della medesima; e ciò accade per lo stesso motivo sopra accennato, vale a dire, perchè l’ aumento del calore in primavera avviene subitaneo, mentre la diminuzione sua in autunno succede lentamente, per gradi. Avvertasi però, come, per ec- cezione, a Praga questa legge non regga pei longiscuti, a quanto pare, giacchè la loro scomparsa in novembre vi segue più bruscamente, di quanto si effettui rapido il loro aumento in aprile. Nel pavese sia l’uno che l’altro fenomeno. procedono , come rileveremo in seguito , per gradi quasi uguali. Frilsch constato, come infra gli scarafaggi vi siano delle famiglie che per popolazione preponderano in primavera, altre che loro su - bentrano in estate, ed altre che compajono più numerose in autunno. Di queste famiglie poi, alcune raggiungono il massimo della diffusione due, altre una sola volta nell’anno. L’ epoca della minima diffusione e successiva scomparsa totale di individui cade per tutte le famiglie e concordemente e naturalmente nell’inverno; per le famiglie che toc- cano due massimi di popolazione all’anno, l’epoca del secondo minimo, o per dir meglio , della seconda diminuzione, coincide col mese di luglio; — l’epoca del primo massimo tiensi, secondo le famiglie, tra l'aprile ed il giugno, quella del secondo tra l'agosto ed il settembre. Le cimici spettano a quella categoria di insetti, che raggiungono due massimi di popolazione nell’anno. Per quanto riguarda le cimici di Praga, osservò il signor Fritsch, come essi nei mesi invernali di di- cembre e gennajo, durante i quali il suolo è costantemente coperto di neve, scompajano totalmente, ciò che ebbimo già ad avvertire ; come coll’aumento della temperatura dell’atmosfera, colla primavera, essi si moltiplichino sino in giugno, indi, in luglio, diminuiscano sen- sibilmente ; ma subito, in agosto, rieompajano abbondanti anzi. più OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 187 abbondanti che in giugno, per modo, che in quest'epoca, in cui si effettua per la seconda volta dell’anno un maggiore sviluppo di popo- lazione e di vila, esso sia anco il massimo — come a Praga è anco massima in quel mese la temperatura media (+ 13,03). Da agosto in poi vi incomincia un decrescimento di popolazione non interrotto, da prima lento, poi alquanto rapido, in fine ha luogo la totale scom- parsa delle cimici sino alla venuta della prossima primavera. In generale questi fenomeni osservati da Fritseh nei cimici dei contorni di Praga, coincidono con quelli offertimi dai cimici dell’agro pavese, e segnatamente dai longiscuti , de’ quali soltanto dobbiamo qui occuparci. Giunti però a questo punto, è mio debito di far rile- vare, che. mentre io instituiva osservazioni sulla comparsa delle sin- gole specie e sulle fasi loro , Fritsch invece notò la cifra proporzio- nale dei giorni nel mese, in cui gli si offrirono individui perfetti dei singoli generi. Quindi rigorosamente le nostre deduzioni non sono paragonabili, giacchè nol sono nè meno i risultati delle nostre osser- vazioni. Ma supponendo che la massima diffusione degli individui completi di un dato genere, e più ancora di una data famiglia, cal- colata per giornate, avvenga contemporaneamente alla comparsa del massimo numero di specie di quel genere o di quella famiglia , in individui del pari perfetti, come parrebbe dover succedere per ana- logia, que’ dati si rendono sino ad un certo punto confrontabili ; € ciò tanto più, in quanto non risguardano nè le specie nè tampoco i generi, ma solo le famiglie o le sezioni. — Soltanto due terzi fra le specie longiscute pavesi si prestarono ad osservazioni che possono riguardarsi complete; e quindi solo queste 22 fra le 553 specie, e le osservazioni ad esse relative ponno offrire materia alle seguenti de- duzioni. Il massimo numero di queste specie , in individui allo stato completo , venne raccolto in agosto, cioè 16, ossia 0,73, ove la somma loro totale di 22 si ponga eguale a 1,00. Il minimo numero fu preso in gennajo, cioè 1 = 0,08 — nonchè in dicembre. Il se- condo massimo nell’anno cade in maggio, mel qual mese si presen- tarono 15 di quelle specie in individui perfetti, ossia 0,70. In aprile e giugno erano 14, ossia 0, 64; in luglio e settembre 12, ossia 0,58; un numero di un terzo inferiore , cioè di 8 specie , fu raccolto in 188 P. STROBEL, marzo ed ottobre , e nel febbrajo e novembre un numero minore della metà e più, ossia 2 a 4 specie. Con ciò si confermano dn com- plesso anche per Pavia e pei suoi longisculi i fenomeni naturali già osservati in proposito da Fritsch; giacchè anco a Pavia questi insetti, se non scompajono come a Praga, almeno veggonsi rarissimi nei mesi invernali , poi si fanno più numerosi ed aumentano rapida- mente da febbrajo a marzo (6 specie) ed aprile (6 specie), sino in maggio, nè però sino in giugno, come avviene a Praga ; a quanto pare , perchè il calore medio di maggio a Pavia si accosta già più alla media di giugno a Praga, che non a quella di maggio della stessa località. In giugno però il numero delle specie pavesi tiensi quasi pari a quello di maggio; s'abbassa alquanto in luglio, ma molto meno che non a Praga, sì che non potrebbe , come quivi, dirsi un secondo minimo, ma solo nn numero medio. E ciò è forse pure do- vuto ai fenomeni termo-atmosferici, poichè a Pavia la massima tem- peratura: media mensile dell’anno si verifica in luglio , sebbene di solo mezzo grado superiore a quella di agosto, mentre a Praga è in questo mese che cade quella massima temperatura. La seconda gene- razione, che proviene dalle uova deposte in maggio, epoca del primo sviluppo massimo, ha campo di giungere ancora in luglio allo stato di insetto perfetto, sia pel maggior lasso di tempo che scorre tra un massimo annuale di diffusione e sviluppo e l'altro , sia per la mag- gior somma di calore e quindi di vitalità di cui ponno fruire. În agosto osservasi nei contorni di Pavia il massimo numero di specie longiscute , come a Praga, in questo stesso mese, la massima diffu- sione di individui. Indi dall’agosto al novembre le specie diminui- scono a poco a poco, ossia a gradi (4, 4, 4.) pari, mentre a Praga i longiscuti sembrano scomparire in novembre bruscamente , come già avvertimmo ; ciò che non sarebbe in consonanza coi fenomeni termo-atmosferici della stessa contrada, e forse non verrà confermato da ulteriori e più estese osservazioni. Non mi fu dato di potere osservare accoppiate che 10 delle specie longiscute dell’agro pavese, ossia meno di un terzo. Le epoche in cui mi accade di poter ciò vedere, sono i mesi di aprile, poi di giugno sino in settembre; in maggio nessuna specie mi offerse questo fenomeno. leto) OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 189 Apparvero individui in istato incompleto, sia di larva. sia di ninfa, dal maggio sino in settembre, ed alcuni benaneo in marzo ed aprile, ma non potei ben precisarne la specie, credo appartenessero all’ .4- sopus coruleus ed alla Pent. oleracea. Da queste osservazioni para- gonate con le precedenti relative all’accoppiamento , si può dedurre che talun longiscuto passi la stagion invernale in istato incompleto , fors'anco nell'uovo, ma che la maggior parte però raggiunga lo stato di cimice perfetto prima che entri quella stagione. — Sopra le 55 specie non ravvisai in istato incompleto che sole 25. ossia 0, 70. II. OssERVAZIONI SULLA FLORA DE' LONGISCUTI. Un secolo or fa, nel 1732, Linneo pubblicava una Rospita insecto- rum flora, che inseriva nel tomo HI. delle /inenitates academic@. In questa dissertazione erasi desso limitato agli insetti della Svezia. Ri- toccando sei anni dopo questo lavoro nella Pandora insectorum, pub- blicata nel 5.° tomo della detta raccolta di memorie, egli estese Je indicazioni agli insetti di tutto il mondo conosciuto e descritti nel suo Systema nature. Più tardi nel 1791, Giacomo £rez , approfit- tando degli opuscoli di Linneo, diede alla luce la /lore des insecto- philes. Tanto Vuno che l’altro autore posero per meta dei Joro studii la enumerazione di tutte le specie di piante sulle quali osservarono degli insetti, indicando poi a cadauna di esse tutte le specie di in- setti che la abitano , sia per trarne nutrimento , sia per servirsene solo come asilo; e questo elenco dovea poi servire all’entomologo di guida nelle sue ricerche, che per tal modo si rendevan più facili : dovea fornirgli inoltre del materiale per la biografia delle singole specie di inselli., e somministrare infine all’ agricoltore dei dati per poter conoscere quali specie di questi animali gli riescan o possan riuscire utili, e quali nocive, e ritrovare i mezzi per favorire la pro- pagazione de’ primi e riuscire alla distruzione dei secondi. Ma questo non fu per verità lo scopo principale delle presenti os- servazioni botaniche relative alle cimici. Appare bensì anco da esse. a tratti generali, quali specie vivano delle piante di una data fami- glia; oppure, almeno, a quali specie servano di dimora le piante di 190 P. STROBEL, un determinato gruppo , per modo che trovata una di queste , si può con tutta probabilità presentire quale specie di cimici vi si possa rinvenire; ma lo scopo più speciale di queste osservazioni è ben di- verso da quello posto da Linneo e da Brez nei lavori anzi eitati. lm- portava di potere stabilire quali famiglie di vegetabili siano, a fronte delle altre, prescelte dalle cimici, sia per loro cibo , sia per loro stanza, e perchè; — importava ed importa di trovare la relazione tra Ja cimice e la pianta che la alberga. Quanto alle specie fitofaghe dei cimici, è certo che saranno i sughi delle piante, per le proprietà loro fisico-chimiche, che determineranno quelle specie a preferire piuttosto, luna che l’altra famiglia vegetale per loro nutrimento, — ed i sapori forse di que’ sughi non saranno estranei a questa scelta. Anche sulle specie zoofaghe delle cimici le piante sulle quali si tro- vano, esercitano, e per lo stesso motivo ora accennato parlando delle cimici fitofaghe, una influenza, ma non più diretta, come su queste, bensi mediata : nutrendo cioè coi loro suchi gli animali fitofaghi, che alla lor volta servono di pasto a quelle specie carnivore o ra- paci. Per questo studio dei rapporti esistenti tra le specie vegetali e le animali, specialmente quelle della classe degli insetti, si deve giugnere alla conoscenza di importanti leggi fisiologico- geografiche. Duolmi che le poche cognizioni botaniche, fisiologiche e chimiche acquistatemi con studio e fatica propria , non siano sufficienti per potere da simili osservazioni, deduzioni e raffronti ricavare quel frutto, che devesi poter ottenere da questi studii. Il mio lavoro adun- que non può riuscire che un debole tentativo su di una via, per quanto mi sappia, nuova; sarò pago di averla tracciata, di avere accennato qualche fatto, sospettata qualche legge ; e non piccola certo sarà la mia sodisfazione , se riuscirò con questo mio saggio ad eccitare qual- che naturalista versato nelle accennate discipline ad impossessarsi di questo argomento e svolgerlo con quella rieca suppellettile che le dette scienze sole sono in grado di somministrare. Linneo nelle accennate memorie non indica che una decina di specie di cimici, siccome viventi su determinate specie di vegetabili, e Brez, nella sua opera, non ne enumera più di una trentina. Fra queste 6 soltanto appartengono alla sezione dei longiscuti, e 4 vivono OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 49% anche a Pavia; esse sono: Odontoscelis scarabeoides , Eurygaster lineatus , Asopus coerulens e Pentatoma oleracea. E quasi ognuna delle specie, nei detti lavori, non figura se non vivente o trovata su di una sola specie botanica. Quindi anche per questo rapporto il pre- sente lavoro riesce d’assai più esteso — e per lo meno gli rimarrà il merito di essersi avvicinato parzialmente, cioè relativamente agli emit- teri, alquanto di più alla meta prefissasi dai detti autori, che non essi medesimi. Ove ne prevedessi molta utilità , potrei rendere di pub- blica ragione anche I elenco delle singole specie stesse di piante , sulle quali raccolsi le cimici, nè solo la semplice enumerazione delle famiglie loro, quale rilevasi dal IH. quadro unito a questo articolo. Per ora l'economia di spazio e di tempo mi consigliano a tenerlo nella cartella, quale documento a prova delle mie asserzioni. Perfino gli autori antichi presentirono il rapporto che esiste tra la forma esterna dei vegetabili, e le proprietà loro. Linneo enunciò che le piante dello stesso genere godono di proprietà simili, quelle della stessa famiglia di proprietà analoghe. e che fra le proprietà delle piante di una stessa classe esistono pure dei rapporti di somiglianza ed affinità. De Candolle accettò l’idea di Linneo, e provò che queste affinità esistono ove si confrontino le parti simili dei vegetabili ed i suchi corrispondenti. Anzi nel suo saggio sulle proprietà delle pian- te (4), egli tira una delle varie prove dagli istinti degli insetti. Fra questi articolati vi sono di quelli che nutronsi indifferentemente del suco di ogni pianta o di piante disparatissime, ma altri son legati ai liquidi di una determinata specie . altri di un dato genere , altri infine non possono cibarsi che delle sostanze dei vegetabili di una medesima famiglia. Anzi è per lo più entro questo limite che le specie di insetti non fito-onnivore scelgono il loro cibo, come De Candolle si convinse , non solo per le osservazioni, ma benanco con delle esperienze, che chiunque può a suo bellagio ripetere. Preso uno di que’ bruchi da farfalla , i quali, come una gran parte de’ bruchi di quest'ordine di insetti, si nutrono delle foglie di un determinato genere botanico, gli somministrò le foglie non più delle piante di (4) Essai sur les propriétés médicales des plantes, 2.° édition, 1846. 192 P. STBOBEL, quel genere, ma di una o più altre della medesima famiglia, e vide che si appagava e nutriva di questo cibo forzato — quantunque le foglie siano fra le parti del vegetabile quelle che elaborano i sughi speciali ed offrono quindi le maggiori differenze quanto alle proprietà. Però queste differenze, come già possiamo arguire dal fatto addotto, non si manifestano fra le piante della stessa famiglia, bensì fra quelle di famiglie diverse ; e fra queste le differenze offerte dai sughi delle foglie loro sono maggiori di quelle che si riscontrano nelle altre parti della pianta, e pel motivo or ora enunciato. — D'altra parte , proprietà che sembrano simili, e sono offerte da vegetabili di fami- glia diversa , sono prodotti da principii realmente diversi ; mentre quelle stesse proprietà manifestate da piante della medesima fami- glia, ripetono la loro causa dai medesimi principii chimici. Così, a mo’ d'esempio, il sapore amaro non è dovuto in tutte le piante alla medesima materia della stessa loro parte . però in tutti i vegetabili dell'una famiglia sarà indizio del principio velenoso, in quelli di un’altra del resinoso, ec. I narcotici estratti dalle piante di diversa fa- miglia producono, come è notorio, azione ben diversa a norma della famiglia cui speltano quelle piante, ma i narcotici ottenuti dalle piante di una medesima famiglia sono di eguale azione. Lo stesso dicasi dei suchi astringenti , e così via. 4.° che specie vegetali della medesima famiglia, ove questa sia Da quanto siamo sin qui venuii esponendo, possiamo stabilire : stabilita su basi naturali, godono di proprietà analoghe ; e quindi 2.° che l'indicazione delle famiglie, cui spettano le piante sulle quali raccelsi le cimici, è sufficiente allo scopo prefissomi, di stabi- lire cioè dei fatù e dedurre dei corollarii generali circa l'influenza della flora sulla fauna degli emitteri anzidetti. i Ora accingiamoci a stabilire questi fatti, per quanto si riferiscono alla sezione de’ longiscuti. Ma prima convien avvertire che le osser- vazioni non caddero che sopra 28 delle 35 specie pavesi di que’ ci- mici; da che mi mancano quelle per 1 Qdontoscelis fuliginosus trovato morto, e pel Lodops inunctus, che raccolsi sfiorando colla rete Verba de prati, senza potere verificare su quale specie vegetale particolar- mente si tenesse; e quanto agli ZetkYs (€vdnus) flavicornis, Tropi OSSERVAZIONI FENOLOGICHE 195 coriîs (Pentatoma) rufipes e Rhaphigaster griseus Fab. non mi con- sta che siano fitofaghi, mentre gli autori asseriscono che nutronsi di sughi animali viventi, ovver morti. Invero anche il Sehirus (Cyd.) morio, (Pent.) la Strachia oleracea e la Pentat. dissimilis succhiano gli umori animali, ma sono in pari tempo anche fitofaghi , si cibano promiscuamente e di sostanze animali e di vegetabili; — quindi di queste specie ci convien tener calcolo nel presente discorso. Ventotto fra le 127 famiglie di piante che costituiscono la flora fanerogama dell’agro pavese, albergano cimici longiscuti; quali esse siano appare dal prospetto III. in fin di articolo. Vengono prescelte da quegli insetti le Composte, giacchè il numero senza paragone mas- simo di specie, 15 sopra 28, ossia quasi la metà (0,46) vive su di esse. È ben vero, che questa famiglia, e per diffusione e per numero di specie, può rappresentare oltre il decimo (0,130) della flora lo- cale; ma tuttavia questo numero, che indica il rapporto quantitativo tra quella famiglia vegetale e le altre della stessa flora, non è uguale a quello che raffigura la proporzione numerica che passa tra le specie di longiscuti che vivono sulle Composte e le altre della medesima fauna: la cifra proporzionale delle Composte è. come si vide, 0,150, quella dei longiscuti 0,464. Adunque, avuto anche riguardo alla so- vrabbondanza delle Composte , sta pur sempre il fatto, che i longi- scuti le preferiscono sopra le piante delle altre famiglie; — e ne abbiamo un’altra prova. La famiglia di piante, su cui, dopo le Com- poste , rinviensi il maggior numero di specie longiscute, si è quella delle Graminacee. Ma, quantunque il numero di specie pavesi di questa famiglia sorpassi d’assai la ventesima parte delle specie fane- rogame della stessa contrada, cioè stia come 0,076 a 4, e superi quindi di molto la metà del numero proporzionale delle specie Com- poste, che è di 0,150; pure la cifra delle specie longiscute viventi sulle Graminacee è invece inferiore della metà di quella delle specie dimoranti sulle Composte, giacchè tocca appena il numero di 6 specie, ossia sta al numero totale delle specie longiscute come 0,24 ad 1. — Dopo le Graminacee seguono, per rispetto alla proprietà in discorso, di offrire cicè un asilo più o meno gradito ai longiscuti, in ordine lentamente decrescente , da prima le Ombrellifere e Verbascee , poi Vol. ll. 15 19% P. STROBEL, le Chenopodee, Labiaie , Lonicerce, e Papilionacee, indi le Asperi- foglie e Losacee, infine Je Crucifere, Pomacee, Scrofularie ed Orti- cacee. Sulle piante delle altre famiglie non incontrai più di una delle diverse specie di longiscuti. Alcune specie di queste cimici sembrano tenersi ad una sola fami- glia di vegetabili, come la /sacasta alle Asperifoglie, gli Zurygaster e le Aelia alle Graminacee ; Ja Pent. helianthemi sembra pure legata alle Composte. Lo stesso dir si potrebbe di altre sette specie , ove non si volesse tener calcolo della insufficienza probativa delle uniche o poche osservazioni falte sul conto loro; siccome non sono specie ovvie nei contorni di Pavia, Così I Arma custos parrebbe vivere sol- tanto sulle Loniceree, e la Zurida sulle Pomacee, i Selirus albomar- ginatus e dubius solo sulle Composte; 1° £ysarcoris mogbissus sem- brerebbe limitato alle Labiate , it Rhaphigaster prasinus alle Verba- scee ; infine 1’ Acanthosoma s’atterrebbe unicamente alle Betulinee. Alcune specie danno, a quanto pare, la preferenza ai vegetabili di date famiglie ; così la Strachia ornata presceglie le Crucifere, la Str. oleracea queste e le Composte ; le Peni. verdasci e baccarum amano queste ultime, le Ombrellifere e le Verbascee,, e la Pent. dissimilis le Verbascee, Solanacee, Papilionacee e Loniceree. Ammesso che le specie fitofaghe si mutrano dei suchi delle piante sulle quali dimorano , come per la maggior parte è verificato , ten- tammo di far conoscere nel quadro III. le proprietà ed i sapori de’ sughi di quelle piante su cui tengonsi i Longiscuti pavesi, e ciò onde poter scuoprire quali umori vegetabili si confacciano al gusto ed alla nutrizione di quelle cimici. Dall'esame di quel quadro ci sembra poter dedurre: che la mas- sima parte delle specie, 0,67, libano suchi astringenti; ad un minor numero 0, 25, garbano gli aromatici; i rinfrescanti ed i diuretici sono ancor meno accetti. solo a 0,2t; meno ancora gli stimolanti, soltanto a 0,14; pochissimo infine i solventi, a 0,44. Quanto al sapore, l’amaro sembra essere il prediletto dalle cimici longiscute, giacchè 0,68 nutronsi di sughi amari ; il sapore dolce è pure assai gustato da essi, da 0,34; viene poi l’ acre che piace a 0,50 — a pochissimi invece, a 0,44, garba il sapore acido. Pel OSSERVAZIONI GENOLOGICHE 195 gusto di quesli insetti pare adunque esistere maggiore analogia fra îl sapore amaro ed il dolce, che non fra questo e l'acido. La Psacasta, il Sehirus morio, il Dorydéres, V Acanthosoma sem- brano nutrirsi esclusivamente di sughi astringenti ed amari ; e sughi del pari astringenti pare che siano prescelti dall'’Arma lurida, dalla Strachia ornata, dall’ Eysarcoris perlatus e dai fhaphigaster prasi- nus e purpuripennis. Di suchi aromatici amari si accomodano i Sehi- rus dubius ed albomarginatus, e di aromatici del pari, ma dolci, l Eysarcoris mogbissus. Gli Eurygaster e le Aelia non sembran libare che sughi dolci e zuccherini. La Graphosoma, la Strachia oleracea , e le Pent. dissimilis e verbasci si cibano indistintamente di ogni sorta di sughi o quasi di ogni serta — sono fito-onnivore. Mentre pongo così termine a questo breve ragionamento entomo- logico, non posso a meno di far avvertire di bel nuovo, che le os- servazioni le quali ne furono l'oggetto , non sono abbastanza estese, nè per l’ ampiezza del terreno, nè pel numero delle specie su cui cadono, da dare diritto a stabilire delle leggi naturali in base ai fatti che dalle medesime si deducono. Solo quando avremo passato a ras- segna tutte le specie di cimici da me raccolti nei contorni di Pavia, potremo forse avanzare tale pretesa; — intanto his utere benevole leclor. Parma, 41% marzo 1861, PeLLEGRINO STROBEL, 196 (gIntnegY) o[isaowi erpawi eImyesOdwA] D) D) L‘ey o'Te 759 L'II VALSSI L'6I GY 0 v'I (O) ‘019010 SE — ‘1009 6 e 2 = = dA — 9° — VI = = _ ‘ousni8 £ — ajride 03 (- — —_ 80 —_ = es SF —_ — —_ Coni 94QUI9]]9S G _ = i 8‘0 3 — 9 — —_ _ —_ _ ‘quanos gf — 00313 9 = = L'8 0°13 8 ‘0 8% 07} 09 URI _ — = ‘“01q000 Ly — apide 63 = = Ve =S = == == = = = =" = 04G0]10 LI GF “a = 79° | e V9 9 c‘OV Lo = v = ‘quaosoz — ‘10Q9J 6 = == el 0° (Ohid? = 87 XI Lo = _ = ‘9190000 €& — ajude Ka 0‘ 80 ‘quo)]9s 3I -— 0183e1 g Ò ——-_-—.__—_—m6cref&}(. ]J/P"—————Itceo—c@. 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SUINCUI fo ° 2. E 1a o ide —_— —_— ria ecdei d d vi LA pene "*** SMojua]]joy J0SCSIINT] ePS Tp Pi a ss —— ui I d d fica Ea i" * ‘+ muezuowopado | to SE di ? O ai —_— —_— n Ù “sa 24 na paso cre ORarisio iui. pia CIAVOL 5 da _— di GEN i wo” Ea ec ES *** susouisi “S| ra 4 we “> E aa nas « _ —__ || saprorqraros siaosoguopo SS | BE, i SI —_— —- CS; aa ara “dl nt = [ om (PERE? —— —r — — e a "© pro _— — —_——— 6T——+ |-———n 00 : ( INUNEY ) 5 5 È _—— _—-— n = = )Q + 06.4 || dol QjisuouI CIipowu gIneJodwa], es o ‘ + LASCIA] OLE | | 52 + 06 0 Il i (O | (90 | 063 CIA Ln x > e. _——_—_|—T_|—T—_ | \ dt: uni ea = A o 330N ojidy OZICH ofeuggo DI ofeuuos ONNY TENCO IST | “w Sn nix Wav qu L ° . . 9 ITUIDOICI | TUOAON] O1TONO |"Awanogi 0]s08y | 01]3ny | ou3nt9 | oif IH. OLLIAdSOYd (2 198 _@t@@r1;sg,g[ò Specie longiscule, disposte secondo il Catalogus He- mipterorum, edito dalla Societa entomologica di Stettino, 41859, iii Corimelena searabreoides , . . Odontolarsus grammicus . .. Psacasta pedemontana. .... Eurygaster hottentotus. . . . . maurus.. Graphosoma lineatum Arma custos lurida Zicrona ceerulea......... Sehirus morio albomarginatus .... dubius Scop. _} albomargineltus $ di Dyroderes marginatus Strachia ornata... oleracea Pentatoma dissimilis F. procopops. | * verbasci De Géer baccarum | sphacelata ..... helianthemi .. .. baccarum L. t nigricornis | ©’ Eysarcoris perlalus. ...... mogbissus Rhapbhigaster prasinus L, smaragdulus | purpureipennis . Acanthosoma griseum L. interstinetum Aelia acuminata. ......,. Inflez@ È... EGs.: nz TETTO Somma: Specie Generi 43. Specie 28. TSI Lolà D | l- a [Sole 2|sglzo 5 2001 Mc CA 3 |E@|5S|ES/3s/®è 2 [Se [5° 355 6 |S_[o= _— —<|-— n _—— 22|35 | 4/41 n Asperì- sE: E E eci Solendi PI E e È. E REICI WGP PIRCE GIN RO Evo | foglie Betu- a edera rid 7:23 Mali Ae agi Lola E È ne pone er: Psr E ORTETRRE È o. s “leg Cheno- ne ST Fees rd e i fn ENER i e Fine : ene Nota. — Il segno 4- indica che la specie ama! do Endlicher ) (secon o ZIA A PRE VIENE ble Ò S (E: 8 ‘Do|S9 E2/Eo so - 22 Slo] as |28| s | =elssjoelzo|28 asl %| s [ST] 2 Alec elzo|sà PISA TIE sel $s È Sosia ESSI | £ ola DE RZ E = | Les | pi — ——— — — ___m |__| Dreferenza sulle piante della famiglia che porta il segno. Astrin- 199 Natura dei sughi gente scante Rinfre- |Sotvente _? BREVI CENNI SOPRA ALCUNE SPECIE LOMBARDE DEL GENERE CHRYSOP.A RACCOLTE E DESCRITTE DAL nopiLe sienor CARLO TACCHETTI MEMBRO DI DIVERSE SOCIETA’ DI SCIENZE NATURALI TE ll genere Chrysopa (della famiglia dei Neurotteri) che dagli anti- chi naturalisti veniva confuso con molti altri generi sotto il nome di Hemorobius, fa da Leach così denominato distinguendolo dagli altri per i bellissimi cechi risplendenti color d’oro che possedono indi- slintamente tutti gli individui di questo genere. Il genere Chrysopa fu contemplato da Burmeister fra Sysira e Polysteochotes. — Non posso dir nulla sopra queste due specie perchè non le conosco; ma ritengo che tanto per la forma che per i diversi colori sia bene formarne un genere separato, col dividere Chrysopa da Hemorobius, da Myrmicoleone, e da Osmilus in vista anche che le larve di questi ullimi vivono nell’aequa e nella sabbia, mentre le iarve di Chrysopa vivono sopra le piante. Descrizione delle uova e lurce di Chrysopa. La più parte delle uova sono prima di un color verde, o verde azzurro, più tardi divengono di un verde bruno; alcune si trovano attaccate sopra uno stelo di circa due linee, ed altre in piceolissimi gomitoli da 10 a 40 aggruppati assieme, Le Jarve somigliano a quelle del Myrmicoleone, solo la struttura di quelle di Chrysopa è di forma più allungata. ed il loro metodo di vila è intieramente diverso da quelle del Myrmicoleone; le larve di C. TACCHETTI, SUL GENERE CHRYSOPA 201 quest’ultimo vivono nella sabbia, ed in vece quelle di Chrisopa vi- vono sopra gli alberi infetti da pidocchi pascendosi di questi. La loro metamorfosi succede mediante la trasformazione in Crisa- lidi che somigliano a piccole pallottole di colore bianco sporco. — Dopo 414 giorni circa ne sorte l’ insetto perfetto. Dichiarazione delle abbrepiature. Linn. Linneo Kol. Kollar Leach. Leach Br. Brauer Wesm. Wesmaél Burm.. Burmeister Schn. Schneider. SEZIONE |. Con nervatura delle ali verdi o rosse, con alcune linee trasversali 9 nere vicino alla radice. a) Nessun punto nero fra le antenne. Nersatura delle ali verdi o rosse. 1. Chr. perla Linn. corpo verde erba; antenne di un bruno chiaro : tarsi bruni, col resto delle zampe verdi; nervatura delle ali verde erba coperte di piccoli peli neri; (1) bocca e parti anteriori del corpo rossiece; lungezza, colle ali di- stese, da 6-7 linee. Antenne 1/, più corte delle ali. Com- parsa, da maggio a tutto agosto sopra qualunque pianta infetta da pidocchi (comune). a) Var. primacaria Br. Corpo rossiccio con una striscia giallo- verde sopra l’ addome, e due punti rossi per ogni annello; nervature delle ali di un giallo chiaro. Comparsa, nei pri- mi giorni di primavera (comune). 6) Var. incarnata Kol. Corpo chiaro, o rosso scuro, con una (4) Onde osservar bene le nervature ed il colore delle ali nella famiglia dei retico- lati (Neurotteri) è d’uopo poggiarle sopra un fondo scuro. 202 C. TACCHETTI striscia rosso-chiara ai trè primi annelli del torace che termina all’ano; nervatura delle ali rosse. Comparsa, nella primavera nel mese di marzo e nel mese di novembre in autunno. Nell'inverno nelle camere e fra le finestre (co- mune). Ò e) Var. rubropunctata Br. Corpo verde erba, con striscia gialla bianca al torace, ed all'addome; all’ estremità d’ogni an- nello 2 puti rossi; nervature delle ali verdi, Comparsa dal settembre a tutto novembre (comune). VB. Le dette tre varietà non sono realmente che variazioni della Chrysopa perla, che va cambiando di colore a seconda delle stagioni. 6) Con un punto nero fra le antenne, ed alcune linee trasver- sali dello stesso colore alla radice delle ali. 2. Chv. Phyllochroma Wesm. Corpo di un colore verde azzurro; i primi annelli delle antenne verdi, alla radice neri, avanti d’ogni occhio un punto nero; labbro superiore di un bruno chiaro, bocca e tarsi rossi, piedi verdi; nervatura delle ali dello stesso colore del corpo. Lunghezza, colle ali di- stese, dalle 8!-6 linee; antenne un po’ più corte delle ali. Comparsa nel mese di giugno (rara). SEZIONE ll. Colla maggior parte delle nervature delle ali macchiate di nero. a) Nessun punto nero fra le antenne. 5. Chr. Flavifrons Br. Corpo di un verde azzurro chiaro nei mezzo della testa e parti della bocca gialle macchiate di rosso. Antenne gialle, tarsi bruni, il rimanente dei piedi verdi, nervature ‘delle ali di un verde azzurro; lunghezza, colle ali distese, da 7-81;, linee; antenne della stessa lungezza. Comparsa: in agosto (non comune). 4. Chr. Microcephala Br. Corpo di un verde-giallo sbiavato, 0 d'un SUL GENERE GHRYSOPA 203 verde azzurro chiaro, parti della bocca rossa, piedi verdi; tarsi bruni, addome nel mezzo chiaro, senza nessun segno sulle rimanenti parti del corpo; nervatura delle ali verdi- gialle. o di un verde azzurro chiaro, colle linee trasver- sali del tutto nere alla radice; testa più piccola di quella delle altre specie; lunghezza, colle ali distese 6 linee. Antenne 4/; più corte delle ali. Comparsa: in luglio (rara). 3. Chr. Alba Linn. Corpo di un bel colore verde-giallo; antenne gialle; labbro superiore rossiccio; labbro inferiore verde- giallo; tarsi bruni-chiari; nervatura delle ali di un verde chiaro quasi bianco; le nervature trasversali vicino al to- race e vicino alla radice delle ali, nere, lunghezza, colle ali distese, 41 linee. Lunghezza delle antenne 5 linee, Com- parsa: nei mesi di giugno e luglio (non comune). 6. Chv. Heydenii Schn. Corpo di colore verd’ erba scuro; torace del tutto verde ; tutto il corpo coperto di piccoli peii neri; antenne di un bruno rosso; parti della bocca rossiccie; davanti ad ambidue gli occhi, due punti neri, l’uno vicino all’altro. Lunghezza, colle ali distese da 7-8 linee. An- tenne tanto lunghe quanto le ali. Comparsa: giugno ed agosto (rara). 6) Con un punto nero fra le antenne. 7. Chr. Prasina Burm. Corpo di un colore verde azzurro; parti anteriori della bocca brune macchiate di nero; zampette verdi, con tarsi gialli; antenne di un bruno chiaro; ner- vature delle ali, verdi azzure chiare, con un punto nero alla fine d’ogni linea trasversale; lunghezza, colle ali di- stese, da 7-8 linee. Antenne un po’ più corte delle ali. Comparsa: dal giugno al settembre (comune). 8. Chr. Abdomine punctata Br. Corpo di un colore verde azzurro chiaro (varietà della suddetta) antenne, i primi annelli macchiati di nero, gli ultimi del tutto neri; le nervalure delle ali azzurro-verdi con un punto nero al principio di ciascheduna delle linee trasversali; lungezza: colle ali di- stese, da 8-9 linee. Antenne tanto lunghe quanto le ali. Comparsa da luglio ad agosto (rara). 9 PA 04 C. TACCHETTI 9. Chr. Nobilis Br. Corpo di un colore verde azzurro chiaro, colle parti anteriori vicino alla bocca, rossiccie, e tarsi dello stesso colore; nervatura delle ali verdi-azzurre ; lunghezza, colle ali distese, da 9-10 linee. Antenne 6 linee. Comparsa luglio ed agosto (non comune). 10. Chr. Formosa Br. Corpo di un verde azzurro; prima delle antenne due punti neri; bocca rossiccia, palpi neri; piedi verdi, coi tarsi bruni; antenne brune; nervatura delle ali verdi-azzurre; lunghezza, colle ali distese da 7-8 linee. Antenne tanto lunghe quanto le ali. Comparsa: giugno e luglio (rara). At. Chr. Pusilla Br. Corpo verde azzurro con un punto nero avanti ad ogni antenna, secondi annelli di queste ultime neri, gli altri bruni con punti neri sopra lo scudo, al vertice, ed alla parte di dietro della testa; piedi verdi- azzurri; dal principio delle linee trasversali delle ali, fino alla radice del tutto nere. Lunghezza, colle ali distese, da 51/; 6 linee; antenne più corte delle ali. Comparsa in ago- sto (rara). 42. Chr. Reticulata Leach. Corpo verde azzurro, verso la testa più chiaro, al vertice ed ai primi annelli delle antenne una linea nera; dietro della testa nera, sullo scudetto, due mac- chie nere; palpi neri; torace sotto e sopra nero, colle parli laterali verdi; i primi annelli delle antenne verso la radice neri, gli altri bruni; tutte le nervature e le linee trasver- sali delle ali superiori nel mezzo verdi, il resto nere; ali posteriori: Je nervature per la lunga verdi, e le lince trasversali del tutto nere, il resto, verso la radice, verdi; lunghezza, celle ali distese da 7-8 linee; antenne più corti delle ali. Comparsa, da maggio all'ottobre (comune). 13. Chr. Pini Br. Corpo di un brano nero; scudetto nero; labbro superiore rosso, testa gialla; primi annelli delle antenne neri, il resto bruni, piedi bruni neri, toltone le coscie che sono verdi; torace e nervatura delle ali come Ch. reticu- lata, le nervature per altro qualche cosa più ristrette di SUL GENERE CHRYSOPA 205 quelle di reticulata: lunghezza, colle ali distese, da 7-8 linee: antenne più lunghe delle ali. Comparsa; luglio ed agosto (non comune). 14. Chr. Tricolor Br. Corpo di un bel verde giglio, o verde-az- zurro, coperto di piccoli peli neri, fronte e vertice verdi; antenne, e labbro superiore di color carne; occhi di un verde scuro lucente d’oro; nervatura delle ali dello stesso colore del corpo, palpi bruni; torace, sotto e sopra verde- giglio, o verde azzurro: lunghezza, colle ali distese 3 linee, colle ali allungate 9 linee. Comparsa in ottobre (comune). Salò, li 20 marzo 1861. —_=pae3 — — SPECIES EUROPEZE GENERIS PITASHIA LATREILLEE OBSERVAT ET DISTINCTA A CAMILLO RONDANI Commentarium XVII Pro Dipterologia Italica Ro: SII ll genere Phasia fu stabilito e circoscritto dal Latreille nel 1804, per quel gruppo di Insetti Ditteri che il Fabricius riuniva nel suo genere T'hereva nel 180%, nome che venne in seguito adottato dal Fallen. ll Meigen nel 1824 ritenendo il primo vocabolo generico Phasia, ne accrebbe di molto il numero delle specie europee, senza modi- ficarne i confini, e dentro questi si mantenne fino al 1830, nel quale anno il Robineau Desvoidy pubblicava il suo saggio sulle Miodarie, in cui divideva le Fusie in quattro generi, cioè: Elomja, Alophora, Hyalomya e Phasia. Questi generi furono adottati dal Macquart, nella sua opera sui ditteri del nord della Francia nel 18553, e nel suo seguito a Buffon nel 1833, e dal Curtis nel 1838. Il Mcigen nel suo supplimento del 1838 ritiene due dei generi di Robineau, congiungendo alle //ophore le Hyalomie, ma nell’ac- cettare quello delle Elomywe ne cambia il nome chiamandolo Anan- tha, perchè, come dice, quello di Zlomya è troppo simile all’ altro gia esistente nei Ditteri, di Elomyza. Nel 1840 Westvood adotta i tre generi come il Meigen, ma in- vece del nome Alophora accetta quello di //yalomya, e ripudiando il nome di Anantha proposto in cambio di 4/elomya. C. RONDANI, SUL GENERE PHASIA 207 il Zetterstedt nel suo Diptera Scandinavie del 1844, conoscendo come buoni i generi del Robineau, non crede utile di adottarli per le poche specie di questo gruppo d’insetti che trovansi descritte nella sua opera: e le riunisce perciò nel genere Phasia, quantunque siano quindici da lui osservate; ma non pare però che alcuna di queste si possa riferire alle vere Z/omy@, cd alle Phasie in senso ristretto. Forse la ragione stessa avrà indotto il Walker nel 18553 a ritenere soltanto il genere Phasia per le tre specie da lui trovate nella Gran Brettagna. Nel mio Prodromus Dipterologia Italic@e 1836 mi sembrò con- veniente di adottare le viste del Meigeu e del Westvood, riunendo le Alofore colle Jalomie, ritenendo però come il Meigen il nome di Alofora, e conservando come il Westvood quello di Elomia in vece dell’Anantha dell’autore tedesco, perchè se il vocabolo E/omya somi- glia a quello di Elomyza, non è tuttavia eguale, e se si volesse se- guire l’esempio di mutare tutti i nomi simili, si porterebbe il caos nella nomenclatura zoologica già abbastanza intralciata. Quando però io riuniva le /7yalomie alle Alophore, di questo ultimo genere non conosceva che due femine sole, ricevute dalla Germania; ma avendo in seguito ottenuti alcuni maschi dello stesso paese (1), dall'esame dei nuovi oggetti mi accostai all’ opinione che questi due gruppi generici si avessero a mantenere distinti. Ma avendo scoperto recentemente nelle colline parmensi una nuova specie, che presenta alcuni caratteri delle Jalomie, ed alcuni delle Alofore, formandone quasi come l’ anello di congiunzione, sono per- plesso nel giudicare, se più convenga di formare pel nuovo dittero un genere intermedio, o se sia meglio congiungerlo cogli altri nel primitivo delle Alofore. In queste dubbiezze ho pensato di mantenere per ora la mia pri- ma divisione dall’antico genere /hasia, ma di notare nel tempo stesso i caratteri pei quali le non poche specie incluse in quello delle Alofore si potrebbero riferire a tre distinti gruppi generici, (4) Nessuna specie delle vere Alofore di Robineau fu ancora scoperta in Italia. 208 G. RONDANI, richiamando in vigore il già adottato da alcuni delle Z/yalomy@, e formandone uno nuovo per la specie italiana recentemente scoperta. x Characteres Gen. Phasie Latr. Antenne sat breves: articulo secundo subaqua longitudine tertii, ad apicem rotundati: Arista dorsualis nuda, vel subnuda — Proboscis brevis — Palpi breves subelavati. Caput thorace latius; oculis nudis magnis, in fronte superne salis proximi, in utroque sexu — Carine faciales serie setularum in- structa — Peristomium barba brevi preeditum, sed setis ad mar- ginem oris destitutum. Abdomen breviter piligerum; setis validis nullis vel subnullis. Ale inermes, in mare late — Calyptera ampla, squama infera latiore — Pedes pilosi, tibiis tantum setulosis (4). Genus nunc in tria sic digisum. A. Alarum vena longitudinalis quarta, quinte conjuneta ante costa- lem, vel in costali. — Fig. 41, 2, 5. B. Vena quarta longitudinalis, quinte conjuneta, circiter contra apicem tertie, plus minusve longe a costali, ista intus non incurvata — Fig. 4,2. Gen. Alophora Desg. BB. Vena quarta longitudinaiis, satis extra apicem tertie, cum quinta conjunete in costali, ista intus incurvata, — Fig. 3. Gen. Elomya Dese. AA. Alarum vene longitudinales quarta et quinta sejunclim costali producte. — Fig. 4. (4) Differentize sexuales — mas.: genitale incurvo, tnberculum formante, articulato, non sulcato — Ale latiores — Ungues et pulvilli longiores. Fem.: appendices anales sub ventre non reflex, si tuberculo terminate, sulcato et stylum nitidum ineluden- te, sepe manifestum et aliquando porrectum — Ale et ungues minores. SUL GENERE PHASIA 209 Gen. Phasia Latr. Genus ALOPHORA Desv. Macq. Mgo. Rndn Phasia Latr. Mgn. Zett. Walk: Thereva Fabr. Fall. Pnz: Hyalomya Desv. p. Macq. p. Westw. Char. Phasiarum, sed distinctum. Alarum vena longitudinalis quarta, ad apicem, quinte conjuncia, circiter contra apicem terlize, et magis vel minus longe a costali: ista vero ad apicem, intus non incurvata — Fig. 1, 2. — Sic subdividendun — A. Vena quinta longitudinalis a cubito ad apicem intus non manife- ste flexa, et angulum rectum vel sub-rectum cum quarta ad apicem efficiens. F. 2. G. Hyalomya Desy. AA. Vena quinta longitudinalis inter cubitum et apicem plus minusve intus flexa, et cum quarta angulum magis vel minus acutum efficiens. F. 1. B. Setulze in seriebus facialibus omnes subaquales, vibrissis nullis distinctioribus. F. 5. Tarsi anteriores in masculis satis dilatati. (. Alophora Deso. BB. Vibrisse infera distinctiores in setis facialibus. Fig. 6. Tarsi omnes etiam in mare non dilatati. G. Phorantha Mili. (gen. IIVALOMYA Deso. Macq. Wstw. Reti Alophora Mqn. Rndn. Vol. HI. Au 210 C. RONDANI , Species observate, vel ab auctoribus sat distincie. A. Fibriss®@ ulriusque sexus in setis facialibus distincte. Thorax in mare macula flava magna destitutus. B. Abdomen saltem in segmentis duobus ultimis apicalibus, distinete ct determinate griseum, vel cinereum. GC. Halteres nigricantes. Sp. A. Pusilla. Mgn. CC. Halteres lutescentes. D. Abdomen, in segmento basali, vel duobus basalibus nigro-opacum; duobus vel tribus posticis cinereis. €. Abdominis segmenta duo basalia tota et perfecte nigra, duobus apicalibus cinereis. .Sp. 2. Semicinerea. Mgqn. EE. Abdominis segmentum primum tantum sed totum nigrum; tria apicalia vel tota, vel late cinerca. F. Ale marium (1) tote sed dilute fuseae, medio non distinete fu- siore — Abdomen inferne, et femora ad basim albo-pilosa. Sp. 5. Muscaria. all. FF. Ale marium late fuscae, in medio fuscedine sat obscuriore — Abdomen inferne, et femora etiam ad basim fusco-pilosa. Sp. h. Obesa £abr. DD. Abdominis eliam segmentum basale fere totum vel postice sat late cinereum aut griseum. (4) Ip hoc, ut in aliis generibus proximis, species plures nisi charateribus maseu- lorum distincte sunt, quarum fiemini, vix aut non manifeste diversa, in diversis speciebus SUL GENERE PHASIA 2414 G. Abdomen in utroque sexu cinereo canum, non grisco-sublute- scens — Ale maris plus minusve infuscate, apice quoque fusco. H. Ale maris fuscedine in margine antico usque ad apicem conti- nuata, seu in costa non interrupta — Abdominis incisure segmentorum nigro-nitidi limbata, Sp. 5. Fuligipennis ». IH. 4/@ maris fuscedine in costa ante apicem interrupta — Abdomen etiam ad incisuras segmentorum cinerei unicolor. Sp. 6. Umbrata 77al0. GG. Abdomen griseo-sublutescens, non cinereo-canum — Ale maris fuscedine ad apicem non extensa, seu apice hyalino. Sp. Murina n. BB. Abdomen totum vel fere totum nigro-metallicum, vel nigro-ca- ruleum, non aut parum cinerei adspersum, presertim ad la- tera (1). I. Ale maris tote infuscate, limbo postico dilutiore, fuscedine in costa continuata usque ad apicem. Sp. 8. Atropurpurea mqn. II. Ale maris partim fuse, partim hyaline: fuscedine costali, vel ad apicem non producta, vel ante apicem interrupta. K. Ala maris late fusc®, arcolis fere omnibus, vitta hyalina sub- intermedia signatis, (1) Species due Fallenit: Pygmea et Hyalipenis, ab auctoribus, Phasiinis adseripta hic locum haberent. nisi Tachininarum Stirpi cas pertinere crederem, ubi in genere Slevenia enumerate sunt, ut in Tom. IV Prodromi, cito evulgando. A Phastinis renovandas esse putavi, preesertim quia vibrissas distinetas et decus- satas ad orem pra:bent. 242 C. RONDANI, Sp. 9. Areolaris n. KK. Ale maris late hyaline, fascia fusca per venas transversarias irregulariter transeunte. L. Caliptera etiam in squamis inferis albida. Sp. 10. Nebulosa. Pns. LL. Caliptera saltem in squamis inferis distinete infuscata. Sp. 11. Violacea. Mgn. AA. In setis facialibus validiusculis, /ibrisse dIstinete validiores non adsunt. — Thorax maris macula magna flava antice tri» fida, in dorso instructus. . Sp. 12. Bonapartea. find. Gen. ALOPHORA. Deso. Macq. Mqyn. findn. Hyalomya Westw. Species obsercate vel ab auctoribus sat distineta. (1) A. Thoracis latera tomentosa, non pilis longis, fulvis pradita. — Alarum areola quinta exterior, ovato-subtrigona. Sp. 1. Subcoleoptrata. Lin. AA. Thoracis latera pilis longis, fulvis hirta. — Alarum areola quinta exterior ovato-lanceolata. B. Ale costa tota fusca, seu fuscedine ante apicem non interrupta. — Caliptera squamis inferis nigricantibus. (41) Generìs hujus nulla species bucusque inventa fuit in Italia, sed facilius in plagis Alpinis vel Apenninis aliqua in posterum colligenda. SUL GENERE PHASIA 215 Sp. 2. Obscuripennis. Hgn. BB. Alarm costa non tota fusea, seu fuscedine ante apicem magis vel mipus late interrupta. — Catiptera squamis inferis fulve- scentibus vel sordide luteis. C. Ale ad basim late et apice fuse. Sp. 5. Haemiptera. Fabr. CC. Ale ad basim non infuscate, apice tantum fusco. Sp. 4. Orthoptera n. Gen. PHORANTHA. Andn. Species unica observata. Sp. d. Musciformis. w. Gen. ELOMYA Deso. Macq. findn. Phasia Mgn. 4. — Anantba Mgn. 7. Species observate. A. (Maris) abdomen nigro-nitens, grisei magis vel minus adsper- sum, nec lateribus nec apice rufescens. B. Ale utriusque sexus limpide. — Caliptera albida. Sp. 1. Lateralis. Mgn. . . » . . . » . ‘a BB. Ae maris in medio distincte infuscate — Caliplera fusco-flavida. Sp. 2. Lugubris n. AA. Abdomen (maris) lateribus, vel etiam apice plus vel minus ru- fescens. Ale (maris) in medio magis vel minus sed distincte infascate. 2414” C. RONDANI, © Sp. 5. Umbripennis ». CO. Ale (maris et fem.) etiam in medio limpide. Sp. 4. Ornata. Mgn. Gen. PHASIA. Mgyn. Latr. Deso. Macq. Lett. Walk. Rndn. — Thereva Fab. Pall. Species observatze. A. Ale in utroque sexa fusco-fasciatae vel fusco-maculate, salten fascia vel macula fusca costali manifesta. — Abdomen magis vel minus ad latera rufescens, vel partim nigri- cans, non totum definite cinerascens. 3. Alarum (in masculis) (1) macula fusca costalis intermedia, in duas divisa, a vitta longitudinali pallida vel distincte dilutiore, ct margo posticus aut fusco-limbatus aut fusco-maculatus. U. Tibia postie@ tote vel fere tote nigra vel nigricantes, nec te- staceze nec fusco-rufescentes. — 4bdomen maris, rufo-rube- scens, vel rufo-testaceum, raro fulvescens, vitta dorsuali ni- gricante sat variabili, marginibus irregularibus, aliquando sa- tis parva, angusta, aut nulla. Sp. Dissimilis. Andn 18492. Annal. Bologna. ((C. Tibi@ posticae testacere aut fusco-rufescentes, nec nigra nec nigricantes — A4bdomen maris aut late nigrum grisci vel ci- nerei micans, aut late fulveum fascia nigra dorsali, lata, mar- ginibus subrectis, et non variabili. D. Abdomen maris late vel latissime fulvum, fascia lata dorsuali (4) V. observationes meas in diariis, Nuovi annali delle scienze naturali. Bologna 1842, ex quibus patet mares nonnullos tamquam feminas descriptas fuisse a Robineau et aliis auctoribus, qui feeminas aliquas cum masculis etiam confundunt. SUL GENERE PHASIA 245 nigra, marginibus subrectis, et sat distincla, etiamsi incisure segmentorum nigro-limbate sunt, ut raro videtur. Sp. 2. Dispar. Aindn. 1842. 1. c. DD. 4bdomen maris late vel latissime nigrum, cinerei plus minusve micans, fascia nigra dorsuali in nigredine non distineta, etiam si vittae fulvae laterales adsunt. Sp. 3. Nigra. Deso. BB. 4/e marium, macula fusca costali intermedia integra, ut in alio sexu; et margine postico, nec fusco-limbato, nec maculato. E. Ale maris apice fuscescente. — Tibie postice subtestacer. Sp. 4. Adulterina n. EE. 4l@ in utroque sexu, apice limpido. — Tibie postice nigra vel nigricantes. Sp. 3. Treniata. Pns. AA. Ale tote limpide, etiam macula costali destitutae. — Abdomen, saltem femine, totum et definite grisco-cinereum. Sp. 6. Sola n. Species nove diagnosibus distincte. Gen. Hyalomya. Sp. 3. Fuligipennis. Maris Longit. Mill. 4. Ale late fuliginose, limbo postico anguste sublimpido; fuscedine in costa non interrupta, vitta costali satis obscura inter venu- lam radicalem et secundam longitudinalem. — Catliptera paulo fusca. — /alteres latei. — Abdomen cinerascens, suturis seg- mentorum et vitla dorsuali nigricantibus. 216 C. RONDANI, Differt ab OQbesa Lubr. Zitta costali alarum satis obscura, et pra ceteris, segmento primo abdominis non nigro-opaco, sed ut se- quentia cinerco-griseo, vix ima basi excepta. A specie vero Umbrata Walb. distineta est, non solum pictura alarum sed etiam incisuris abdominis nigricante-limbatis. Exemplar speciei a me observatum a Germania accepi nomine distinetum UVmbripennis Mgn., cui certe non referendum nam color abdominis speciei meigenianae, nigro-seneus, non ut in nostra cinerascens. Sp. 7. Murina. — Longit. Mar. et Fiem. Mill. 4. Maris Ale in parte apicali et postice ad basim subdecolores, fascia lata fusca arcuatim margini posteriori producta. — Caliptera albida. — A4bdomen dorso, eliam primi segmenti griseo sub lutescente, non cinereo albicante, nisi vix ad latera, et vitta nigricante dorsuali non manifesta. Frem. .4l@ versus basim, ut in masculis paulo lutescentes, sed alibi omnino decolores. — 4bdomen pariter dorso griseo non cinereo-cano etiam in segmento primo, vix ima basi ut in mare nigra. Differt a Grisea Zett. colore abdominis non cinereo albicante, et absentia linee fuscre dorsualis. Exemplaria observata Germanica, quorum masculum, nomine dis- tinetum Obesa et femineum Cinerea missa fuerunt, sed nec il- lud nec istud speciebus notatis pertinet, et eorum nota distin- ctivae non specifica sed sexuales tantum videntur. Obesa et Cinerea ab hac differunt non solum colore cano abdomi- nis, sed ctiam segmento primo ejusdem toto nigro opaco, qua murina mex non conveniunt. Sp. 9. Areolaris. — Longit. (maris) Mill. 4. Similis mari Atropw-puree Mgn. Glis pariter fere totis infuscatis, sed areolis omnibus vitta vel puncto hyalino in medio distinete si- gnatis, excepta tantum areola prima in costa alarum tota infuscata. Unicum masculum observavi collectum a D. Mussino in Liguria. SUL GENERE PIASIA 217 Sp. 12. Bonapartèa. Rndn (in Litt. et in Museo Bononiensi). Long. Maris Mill. 9-10. Fem. 8-9. Maris. Zrons flavicante-grisea. — Sete fuciales validiuscule, et cir- citer usque ad radicem ariste assurgentes, in quibus vibrissa non distincte. — Thorax in dorso macula magna, flava, antice trifida ornatus. — Caliptera sat infuscata. — A4bdomen ventre testaceo, dorso in medio late fusco-violaceo nitido, lateribus, et ad bassim lalius rufescentibus, apice fulvo limbato. — Ale vel late flavescentes, vel flavo fuscescentes, sepius maculis tri- bus fuscioribus distinetis, et basi semper flavida. — Pedes nigri, libiis posticis non raro paulo rufescentibus. Fiem. Thorax macula flava destitulus, fusco-cinerascens, vittis ni- gricantibus. — Ale sub limpide basi subflave. — Abdomen nigricante-nitidum etiam in ventre, dorso non violaceo, lateribus preesertim ad basim magis vel minus rufescentibus: segmentorum basi cinerei paulo fasciata: cseteri characteres circiter ut in mare. Non raro legitur in collibus ditionis parmensis supra flores solida- ginarum, mense octobre. Genus. Alophora. Sp. 4. Orthoptera. Mas. Similis mari Hemipterze, tamen manifeste major et distinetus, preesertim alis totis flavidis, ad apicem tantum late et distincte fusce, et vena secunda longitudinali anguste nigro-limbata. Unicum exemplar sp. observatum e Germania misit Clar. De-Roser. Genus. Phorantha. Sp. A. Musciformis. — Long. (maris et fem.) Mill. 6-7. Maris. Caput albido-sericeum, fronte paulo grisea, vitta intermedia lata concolore, lunula prope antennas nigro-nitida — Antenne cum arista nigre. — Palpi lutescentes. — Zorax fusco-griseus vittis quatuor nigricantibus, scutello nigro paulo grisescente. — 248 C. RONDANI, Caliptera luride lutea. — ZZalteres lutescentes. — 4bdomen lateribus plus minusve testaceis, vel rufis, fascia dorsuali et apice late nigricante-griseis. Ale ad basim dilute fuliginos®e, macula in medio, prope costam fusciore. — /edes nigri. Fieminae corpus non depressum et totum griseo-cinerascens. — Ca- lipieris albis. — Alis limpidis vix ad basim paulo lutescentibus. — Ano appendice cornea, valida, atro-nitida, et duobus un- cis, inferis, arcuatis porrectis armato: crateri characteres circi- ter ut in mare, exceptis sexualibus, seu fronte postice angu- stiore, et pulvillis tarsorum parvis. Raro legitur primo vere in collibus agri parmensis. Genus Elomya. Sp. 2. Lugubris mih. Mas. Nebulosa Desv Macq. (non Pnz. nec Latr.) Fam. Nigra Desv. Macq. Clar. Robineau et Macquart marem speciei istius Nebulose Panzerii perlinere credunt, sed non rite, nam vix iconem germanici entomologi observando cognoscitur, non £/omyis sed A7yalomyis Phasiam suam /ebulosam referendam esse, preterea fremina speciei tamquam alia et distinceta, descripta fuit ab auctoribus supra citatis, quare vocabulo novo specifico nuncupanda erat, ut feci Mas variat, alis in medio plus minusve infuscatis. — A4bdomine magis vel ‘minus cinerei aut grisei adsperso, linea punctorum nigrorum nune salis nunc parum distineta. — Calipteris satis aut minus infuscatis, cte. Sp. non rara in collibus, rarior in planitic parmensis ditionis. — Vivit etiam in Insubria (d’Arco) in Etruria (Pecchioli) in Sar- dinia (Genè). Sp. 3. Umbripennis. — Long. maris Mill. 6-7. Fem. B, 6. Mas similis mari Zugubris, abdomine excepto magis vel minus late testaceo ad latera vel ad apicem, et ab Ornata Meigenii pre- cipue diversa colore alarum in medio distinete infuscato. Variat abdomine vel fere toto testaceo-fulvo, vitta dorsuali nigra, SUL GENERE PHASIA 219 vel in medio nigro-nitido basi ad latera et apice nune magis nunc minus late tastaceo. Alis vero nune satis nunc dilute in medio infuscalis. Freminas non cognovi, forte ab aliis specierum affinium non di- stinguendas. Mense majo non frequenter legitur in agri parmensis collibus. Genus. Phasia. Sp. 2. Dispar. Rndn. (Annali di Bologna 1842). \ Crassipennis Fab. Latr. Pnz. Mgn. Desv. (/em.) Macq. | Discoidea. Mgrl. Mgn. — Varia Mgrl. Mgn. Feem. Analis. Fabr. Pnz. Mgn. Desv. (mas) Macq. Mas. et Faem. Macq. S. B. Mas. a congeneribus prasertim distinctus. Mas. Alis fusco-maculatis et marginatis, fascia fasca costali interme- dia in duas divisa a vitta longitudinali distinete pallidiore — Abdomine Vate fulvo, fascia lata dorsuali nigra marginibus sub- rectis, aliquando segmentorum suturis vel marginibus exterio- ribus nigricantibus. — Pedibus maxima parte testaceis, et saltem tibiis posticis luteo. vel fusco rufescentibus. Faem. ab aliis feminis diversa, precipue colore pedum maxima parte testaceo, aut saltem tibiis posticiis ut in mare rufescentibus. Frequenter legitur in Italia. Sp. A. Dissimilis Rndn (ann. Bol. 1842). Mas. Arvensis et Oblonga Desv. Mac. Mgn. — Discoidalis Macq. Mgn. — Campestris et Agrestis Desv. Frem. Albifacies: et Obscuripennis: Desv. — Analis gar. Alior. Maris Ale circiter ut in sp. precedente. — A4bdomen rufo-rube- scens, vel rubeo-testaceum, raro rufescens, vitta dorsuali nigra, nunc exilis, nunc brevis, nunc deleta, aut omnino nulla, ali- quando latiuscula sed marginibus semper irregularibus, vel po- stice in maculam dilatata. — Pedes partim nigri et partim testacei, sed tibiis posticis semper, magis vel minus nigricantibus. Frem. differt ab aliis, praeserlim colore tibiarum posticarum semper nigricante. 220 C. RONDANI, SUL GENERE PHASIA Vulgaris tempore saltem autunnali in collibus Italiae, media, et copulata seepe legitur. Sp. 4. Adulterina. Mas. similis mari 7@niate Panz. sed distinetissima — 4.° Magnitu- dine distinete majori. — 2.° Abdomine late nigro albidi nitente, lateribus preesertim ad basim testaceis. — 3.° Pedibus partim testaceis, saltem tibiis posticis totis. —.4. Alis apice late infu- scalo, proeter maculam magnam intermediam in costa. — 3.° Squamis ferrugineis, non fulvis. A precedentibus vero difert alarum margine postico nec fusco maculato nec marginato, et macula fusca costali integra non in duas sejuncta, ete. Masculum tantum legi mense augusto in collibus agri parmen SIS, Sp. 6. Sola. Fiem. a congeneribus omnibus sat distincta, Alis nec fusco ma- culatis nec fusco-fasciatis, sed limpidis basi tantum paulo flave- scentibus: praeterea, Antenne omnino atre ctiam basi. — Ca- put album sericeum, vertice solum lutescente, et vitta ferrugi- nea interoculari. — Corpus totum griseo-cinereum, thoracis vittis fuscis obsoletis. — Caliptera alba. Malteres pallidi. — Abdominis setulae, vel omnes flex, vel duo marginales, erecte, sed parva, in dorso segmenti secundi. — edes omnino atri, paulo cinerei adspersi, pulvillisque tarsorum albis. Semel capta in agri parmensis collibus, mense augusto 1885, in floribus dauci carota, et iterum inventa in Etruria 1859 a D.° Piccioli. leonum explicatio (fab. 1, fig. 1.) 4. Alophore Ala... . 2. Elomyz Ala. 5. Hvalomywe Ala. . 0... & Phasix Ala. 3. Alophore Caput. . . 6. Phoranthe Caput. Seduta del 28 aprile 1861. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il padre Cavalleri legge delle Osservazioni storiche e comparative sull’'Epyornis. Lombardini osserva che Marco Polo ha forse adoperato i passi veneziani per dare la misura delle giraffe da lui vedute, ed i passi comuni per le aquile gigantesche de- scritte tai viaggiatori. Cavalleri risponde di non poter ammettere in LEN Polo queste differenze. Cornalia rammenta credersi da :molti all'esistenza di Epyornis tuttora viventi nell'interno del Madagascar, e aggiunge che la forma e lo spessore del guscio delle uova dell’ Epyornis inducono a collocare questo uccello cogli struzzi e non fra i rapaci; e che l’osso d’Epyornis, finora ben noto, cioè l’estremità inferiore della tibia, indica aver avuto quest’ uccello tre dita anteriori, come lo struzzo d'America. Il segretario Omboni legge una Memoria Sugli antichi ghiacciaj e sul terreno erratico della Lombardia. Il socio Panceri comunica alcune sue osservazioni fatte sopra un gambero ammalato. Egli ha veduto sulle bran- chie di questo gambero una quantità innumerevole di individui spettanti al genere Cothurnia, infusorj molto vicini alle vaginicole. « La sterminata congerie di quegli animali, dice il signor Panceri, potrebbe credersi cagione 2292 SEDUTA DEL 28 APRILE 41861. della malattia, tanto più se si osservasse in altri luo- ghi, perchè questi animali occupano materialmente tutta quanta la superficie delle branchie, e, respirando alla lor volta, devono incagliare la respirazione del gambero. É poi interessante il sapere, che quegli infusor) muojono quando si tenga per qualche tempo in asciutto il gambero; e quindi si potrebbe proporre, come operazione utile a far cessare la malattia dei gamberi, il tenere per qualche tempo asciutti i viva] in cui sono gamberi destinati alla nostra alimentazione. » Egli si riserva di comunicare più tardi nuove osservazioni in proposito. Si annuncia dalla Presidenza che i semi dell’al/miscillo donati dal socio Bollini furono dati a diverse persone, perchè li abbiano a coltivare con cura, e a dare più tardi notizia della loro riuscita. Il sig. Guerin-Méneville di Parigi ci ha mandato alcuni altri bozzoli del baco dell’ ailanto. Saranno conservati e osservati giornalmente fino alla nascita delle farfalle, e poi si alleveranno da Cornalia e da qualche altro socio i bachi che nasceranno dalle uova deposte dalle farfalle. Sono nominati soc] effettivi i signori: Perazzi CostantTINo, ingegnere nel corpo reale delle Miniere a Torino, proposto dai socj Sella, Cornalia e Omboni. Gappi Antonio, di Milano (Corso di P. Nuova, 1468), proposto dai socj Cornalia, Omboni e Stoppani. IsseL Arturo, di Genova (Via Caffaro, 7), proposto dai soej Doria Gia- como, Cornalia e Omboni. UzieLu Virrorio, di Livorno (Via S. Francesco, 18), proposto dai socj Doria Giacomo, Cornalia e Omboni. KeLLer ALserto, di Milano (Contr. di S. Paolo, 13), proposto dai soci Villa fratelli e Marani. SEDUTA DEL 28 APRILE 1861. 225 Dai giorno 26 marzo fino ad oggi sono giunti alla so- cietà i seguenti libri: Atti del R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti. Vol. 1 com- pleto, e Vol. II, fascicoli 4 a 44. Milano, 1858, 1859 e 4860. Vol. I. Elenco dei membri dell'Istituto. — Ragguaglio dei lavori dell’Isti- tuto nel 1857. — LOMBARDINI, Notizia sulla straordinaria piena del Po, av- venuta il 23 ottobre 1357. — CAVALLERI, Di un nuovo sismometro, collocato nel collegio di Monza. — MAGGI, Di alcune tradizioni intorno all’origine delle lingue. — Cossa, Del volume VI degli Atti della Società Filologica della Servia. — MAINARDI, Diverse memorie di calcolo sublime geometrico, ecc. — LOMBARDINI, Dei progetti intesi a provvedere alla deticienza delle acque irrigue nel Cremonese. — CurroNI, Riassunto dei lavori della Commis- sione per lo studio della malattia delle viti. — Adunanza solenne del 31 maggio 1858. — PoLLI, Dei progressi della chimica e della sua influenza sull’avanzamento delle altre scienze. — Concorsi, giudizii e quesiti pro- posti. — BoRDONI, sul parallelismo. — MAGRINI, sulla procella che colpì la città e i contorni di Milano, il 30 luglio 1858. — BrIoscHI, Sulla tras- formazione delle equazioni algebriche. — PORTA, Sui tumori folliculari se- bacei. — MAGRINI, Sulla scoperta di correnti elettriche continue a circolo aperto. — CARLINI, Sulla distribuzione delle pioggie nei diversi climi. — BrioscuIi, Sul metodo di Kronecker per la risoluzione delle equazioni di quinto grado. — CAVALLERI, Di due elioscopi polarizzanti, applicabili a qualunque cannocchiale. — Cossa, Intorno alla collezione Monumenta graphica medii evi. — CAGNONI, Sul deflusso dell’aria compressa per lunghi tubi, e sulle relative applicazioni, segnatamente al traforo del Ce- nisio. — MAGRINI, Intorno ai risultati di parecchie esperienze poco ricor- date sull’ efflusso dell’aria a differenti pressioni per diversi orifizii, e per tubi più o meno lunghi e di vario diametro. — PANCERI, Studii sull’ana- tomia della giraffa. — GASPARINI, Ricerche sulle specie europee del ge- nere Asplenium. — PORTA, Anastomosi interne nuove dell'arteria femorale obliterata per arteritide ce gangrena. — VITTADINI, Sul modo di distin- guere nei bachi da seta la semente infetta dalla sana. — Rapporto sulla proprietà letteraria e artistica. — MAGRINI, Sopra uno speciale sonometro per accordare gli strumenti a suoni fissi. — MAGRINI, Sopra una nuova forma di pila voltiana. — POSSENTI, Secondo abbozzo di progetto di un canale per irrigazione ed usi domestici dei comuni dell’alto milanese. — MAGRINI, Sopra un metodo di togliere alle nubi maggiore copia di elettricità, col- l'ordinario parafulmine. — Curronr, Intorno al bolide caduto nel terri- torio di Tronzano, il 12 novembre 1856. -—- MAGRINI, Alcune generali ve- 2q24% SEDUTA DEL 28 APRILE 1861. dute sull’istruzione graduata e distribuita in ragione dei bisogni. — PORTA, Della libertà d’ insegnamento. — Rossr, Alcune idee sulla istruzione del popolo. Vol. II. Elenco dei membri dell'Istituto. — Lavori dell’ Istituto. — De CRrISTOFORIS, Intorno alle migliori armi da fuoco che si costruiscono at- tualmente in Europa. — De CRISTOFORIS. Sopra una piattaforma mobile pel trasporto degli ammalati. — VERGA, Commemorazione del prof. F. Casorati. — CORNALIA, Sulla mummia peruviana del civico Museo di Milano. — Re- STELLI, Sulla proprietà letteraria e artistica. — BELLI, Intorno a diverse particolarità della crosta terrestre, approssimativamente dedotte da alcuni calcoli sulla dissipazione del calor centrale della terra. — MAGRINI e CAT- TANEO F., Sul modo di diffondere la pratica del nuovo sistema metrico. — LANFOSSI, Crocieri a doppia fascia. — CANTU CESARE, Notizie su Milano, spigolate negli archivj di Firenze. — CAVALLERI, Sul punto cieco dell’oc- chio. — MAGRINI A., Apparato di rotazione continua per azioni elettro-ma- gnetiche. — PORTA, Disarticolazione del cotile.— Programmi per concorsi. — AMBRosSOLI, Sulla ricerca intorno all’ origine dei poemi omerici. — FER- RrARIO, Analisi chimica dell’ acqua medicinale della valle delle Messe. — Rossi, intorno all’opera di A. Thierry, Récits de l’histoire romaine au V Sièele. Derniers temps de l’empire a’ Occident. -- PoRTA, Snll’emostatico Crespi, detto acqua del soldato. — BIONDELLI, Sulle monete auree dei Goti in Italia. — Avviso di concorso ai premii industriali e agricoli per il 1861. — Ragguaglio dei lavori dell’ Istituto. — GIANELLI, Gli infermi poveri dei comuni lombardi, e la nuova legge 23 ottobre 1859 sull’ ammi- nistrazione comunale. — MAGRINI, Sui manoscritti di Alessandro Volta.— Osservatorio meteorologico proposto da Alessandro Volta sino dal 1791. — VOLTA, Sulle osservazioni meteorologiche. — MAGRINI, Notizie biogra- fiche e scientifiche di Alessandro Volta. Memorie del R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti. Vol. VII, completo, e Vol. VIII, fascicoli 1-5. Milano, 1858, 1859 e 1860. Vol. VII. — Elenco dei membri dell’Istituto. — BeLLI, Pensieri sulla consistenza e sulla densità della crosta solida terrestre e sopra alcuni fe- nomeni che vi hanno relazione. Parte III, Articolo III. — Copazza, Sulla distribuzione del vapore e sull’ effetto utile nelle ordinarie macchine mo- trici. — ZAMBELLI, Influenza degli Arabi del medio evo sulla letteratura. — BaLsaMo-CRIVELLI, Nuovo crostaceo della famiglia dei Branchiopodi fil- lopodi. — CuRIONI, Appendice alla memoria sulla successione normaledei diversi membri del terreno triasico in Lombardia. — LOoMBARDINI, Inon- dazioni avvenute in Francia, e relativi provvedimenti. — MAGRINI, Modo facile di costruire macchine elettriche molto potenti. — MAGRINI, Tra- sEDUTA DEL 28 APRILE 1861. 295 sporto delle molecole dei conduttori nelle scariche elettriche. — Rossi, La Società latina. — PossEntI, Sull’ edifizio magistrale milanese per la dispensa delle acque d'irrigazione. — FRISIANI, Nuovi apparati fotome- metrici, con appendici sulla visione binoculare, sugli elioscopii e sulla fo- tografia celeste. — FERRARIO, Analisi dell’ acqua salsoiodica di Sales nel Piemonte. Guida alle analisi delle acque minerali. Vol. VIII. — Copazza, La storia delle macchine a vapore e la teoria dinamica del calore. — DE CRISTOFORIS, Progetti per ottenere una forza disponibile in dati più convenienti che colla attuale macchina a vapore. — PoLi, Del metodo storico nelle scienze morali, e della sua recente appli- cazione all'economia politica. — LOMBARDINI, Regime delle acque del pro- gettato canale marittimo di Suez e dei laghi amari interposti. — VERGA, Nuova fonte salso-iodica di Miradolo. — BIoNDELLI, Lingua azteca e suoi rapporti col grande stipite ariano. — MAGRINI, Alcuni fenomeni d’in- duzione elettro-magnetica, ottenuti coll’apparato di Ruhmkorft. — PALEO- CAPA, Corrente litorale dell'Adriatico. Esame di una memoria del cav. Bri- ghenti. — CORNALIA, Nnova specie di crostacei sifonostomi. — PANIZZA, Mostro umano doppio. — FRISIANI, Ricerche sul magnetismo terrrestre. — LOMBARDINI, della origine e del progresso della scienza idraulica nel Mi- lanese e in altre parti d’Italia. — CopAZza, Sulla teoria dei generatori di vapori. Atti dell’ I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo VI della serie terza. Dispensa 4.°, 2.°%, 3.° e 4.® Venezia, 1860-61. CaruLLO T. A. Delle miniere delle Alpi Venete, e principalmente di quelle del Bellunese. — BERTI, Osservazioni fisiche fatte durante l’eclisse solare del 18 luglio 1860, — BERTI, Sul terremoto di Venezia del 19 lu- glio 1860.— ZANTEDESCHI, Leggi del clima milanese. — CAvALLI e MENIN, Rapporto sui premj di poesia. — GALVANI, Preparazione del tannato di bismuto col metodo Cap. — MassaLonGo, Molluschi terrestri e fluviatili delle provincie venete. — ZANARDINI, Intorno ai nuovi principii di fisio- logia vegetale del dottor Cantoni. — BELLAvITIS, Alcune quistioni di ma- tematica pura elementare. — NARDO, Disposizioni da prendersi per l’ospizio dei trovatelli. — SAGREDO, Sugli scritti del Lazari. — SoRro, Sul tesoro di Brunetto Latini. — Monn, Il sottordine degli acrofalli. — PERINI, Os- servazioni sulla malattia dominante dei bachi da seta. — Visrani, Della vita scientifica di Abramo Massalongo. — NAMraAs, Del morbillo epidemico in Venezia. — Processi verbali delle Sedute. Vol. II. th 226 SEDUTA DeL 28 APRILE 1861, Memorie dell’ I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Vo- lume IX, Parte prima e seconda. Venezia 1860 e 1864, CAPPELLETTO, Modo di evitare alcuni difetti nelle caldaie delle locomo- tive. — TuraZzza, Sulle metamorfosi delle potenze naturali e sulla con- servazione delle forze. — ZANARDINI, Ficee nuove o rare dell'Adriatico. — Bizio, Soluzione senza soccorso di affinità chimica. — FAPANNI, Segala coltivata per foraggio. — MENIN, Esame dell’opuscolo di Chancel, intito- lato Cham e Japhet, o dell’emigrazione dei Negri presso è Bianchi, con- siderata come mezzo provvidenziale di rigenerare la razza negra. — Narpo, Quistioni giuridiche sulla identità dei figli abbandonati. — Vr- SIANI, Descrizione di cinque piante serbiche. — BELLAVITIS, Sulla riso- luzione delle equazioni ed esame dell’opera di Salmon: Lessons introduc- tory to the modern higher Algebra. — NAMIAS, Sulla tubercolosi dell’ u- tero e degli organi ad esso attinenti. Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft. XI Band. 4 Heft. Berlino, 1860. Protocolli di sedute. — Corrispondenza. — LosseNn, Di alcune lituiti. — RATH, Schizzi del territorio vulcanico del Basso Reno. — HosIns, Ma- teriali per la geologia della Vesfalia. — KARL von FRITSCH, Schizzi geo- gnostici dei dintorni di Ilmenau nel Thiiringerwald. — BORNEMANN, Os- servazioni sulle foraminifere del terreno terziario dei dintorni di Magde- burgo. — GRIEPENKEHL, Nuova forma di ceratite del Wellenkank inferiore. Abhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft zu Gorlitz. X Band. Gorlitz, 1860. JAcoBI, Geografia. Stato meteorologico, geologico, agricolo, indu- striale, ece., del prussiano Oberlausitz. — Protocolli delle sedute. Haincer, Ansprache gehalten in der Jahressitzung der k. k. geolo- gischen Reichsanstalt am 50 october 1860. L'autore fa la storia dell’origine e dei lavori, ed esprime le sue speranze sull’avvenire dell'Istituto geologico. Wiener Entomologische Monatschrift. IN Band. Num. 12 ed ultimo. — V Band., num. 41, gennajo 1861. Namias dott. Giacinto, Sulla tubercolosi dell'utero e degli organi ad esso attinenti. Memoria seconda. Estratta dal volume IX delle Me- morie dell’ Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Venezia.1864 Rossi GucuieLmo , Prolusione ad un corso libero di letture di scienza finanziaria. Milano, 1861. SEDUTA DEL 28 ArniLE 1861. Q27 Jan, Zeonographie générale des Ophidiens. Première livraison, décem- bre 1860. Comprende il programma dell’opera e 6 tavole in rame. Memoires de la Société de physique et d’ histoire naturelle de Genève. Tome XV, première et deuxième partie. Genève, 1859, 1860. Membri della Società. — Bollettino bibliografico. — CLAPARÈDE, For- mazione e fecondazione delle uova nei vermi nematodi. — FAvVRE, Memoria sui terreni liasico e triasico della Savoia. — DuBy, Di nna specie di Do- thidea (Ipossilea) e di alcune quistioni di tassonomia. — SoRET, Ricerche sulla correlazione dell’ elettricità dinamica e di altre forze fisiche. — DE LA RIVE, Rapporto sui lavori della Società, dal luglio 1851, al giugno 1859. — De Saussure, Saggio d' una fauna dei Miriapodi nel Messico. ecc. — PLANTAMOUR, Misure ipsometriche delle Alpi, col barometro. — CHorsy, Del genere Discostigma, della famiglia delle Clusiacce. — RITTER, Ri- cerche sulla figura della terra. — WARTMANN, Sullo scambio simultaneo di parecchi telegrammi fra due stazioni col mezzo di un solo filo. — PICTET, Rapporto sui lavori della Società, dal luglio 1859, al giugno 1860. — Bol- lettino bibliografico. — PLANTAMOUR, Osservazioni meteorologiche, fatte a Ginevra negli anni 1853, 1854, 1855 e 1856. Bulletin de la Societe vaudoise des sciences naturelles. Tome HI (29, BOITO TANA (25 II 4 SÙ Og NI OA, 12), VI (43, 44, 45, 46). Lausanne, 1883-1858. Volume III. — Processi verbali, contenenti fra le altre cose: RENEVIER, Cenni sul calcare rosso ammonitifero di Lombardia. — ZOLLIKOFER, sul terreno erratico dell'Adda. — DUFOUR, Sui lavori della Società, sulla scintil- lazione delle stelle. — YERSIN, Sulla stridulazione degli ortotteri. — RENE- VIER, Sul terreno neocomiano da Neuchàtel a la Sarnaz. — TRoYoN e MoR- LOT, Sul franamento del Tauredunum. — DurouR, Sulla luce elettrica. — Vo- lume IV. — MoRLOT, Processi verbali, con cenni sul terreno carbonifero delle Alpi, ece.— CHAVANNES, Geologia del piede del Giura, fra Nozon e Yverdon. — CHAVANNES, Fecondazione ed eclosione dei pesci. — GAUDIN, Nuova spe- cie di chara fossile e struttura dei suoi frutti. — Durour, Sulla scintilla elet- trica. — MorLOT, Franamento del Berney. Rocce lisciate dai ghiacciaj nella regione della molassa. Sovrapposizione del diluvium all erratico. Terreno quaternario di Svizzera. — YERSIN, Ortotteri poco noti e nuovi del mez- zodì della Francia. — MorLOT, Ossami del diluvio glaciale presso Losanna. — ZoLuixorer, Geologia dei dintorni di Sesto Calende. — MoRLOT, Fos- sili del tunnel di Losanna. — BLANCHET, Terreno terziario vodese. — MorLOoT, Terrazze diluviali del Lemano. — DELAHARPE, Malattia con- 998 SEDUTA DEL 28 apRILE 1861. tagiosa dei gatti nel cantone del Vaud. — Seduta annua e pubblica. — DurouRr, Tenacità dei fili metallici che furono percorsi da correnti galva- niche. — YERSIN, Stridulazione degli ortotteri, e distribuzione geografica di questi insetti in Europa. — DurouR, Miraggi e rifrazioni anormali sul Lemano. — DELAHARPE, Pirali svizzeri, nuove o poco note. — BURNIER, Limnimetro del Lemano. — DuFrOUR, Influenza dell’aria passata pel cotone sulla putrefazione. — BLANCHET, Sulle modificazioni dei rilievi terrestri nella valle del Rodano e del Lemano. — CHAVANNES, Antico letto della Morge. — ScHNEITZLER, Osservazioni microscopiche sul fenomeno del lago di Ginevra, che è detto fleur du lac. — DELAHARPE, Modo di dosare l'urea e il glucoso. — Nicaty, Masso erratico grandissimo nel burrone dell’Au- bonne. — RENEVIER, Sulla classificazione dei terreni cretacei. — De- LAHARPE, Antracoterium magnum della lignite di Losanna. — RENEVIER, Geologia delle Alpi vodesi. — HirzeL, Osservazioni oftalmoscopiche. — BLANcHET, Effetti del gelo sul lago di Joux. — BURNIER, DUFOUR e YERSIN, Osservazioni termometriche su alcune sorgenti. — DELAHARPE, L’'Oidium della vite nel 1854. Della formazione siderolitica nelle Alpi. Catalogo delle pirali svizzere. — CHAVANNES, Sui primi stati della Ca- liamma pluto. — DELAHARPE e RENEVIER, Escursione geologica al Dent- du-Midi (Vallese). — Durour, Miriaggio non simmetrico. — RENEVIER, Terreno rodaniano presso Montalban. — BricGs, L'Anacharis alsinastrum in Inghilterra. —- DELAHARPE, Sulla distruzione del verme della vite. Rapporto. — DurouR, Osservazione di un arco baleno bianco. Sulla con- gelazione dell’acqua pura e salata. — DELAHARPE, Ossa di castoro antico. — BurnIER, Nuova formola barometrica. — DELAHARPE, Carbon fossile giurese del Basso Vallese. — CHAVANNES, Terreno siderolitico di Chamblon presso Yverdon.— YersIn, Dell’ultima muta degli ortotteri.— Dello Aiphi- dium fuscum. — BrscHoFF, Giaietto della molassa d'Yverdon. — RENEVIER, Sulla pubblicazione delle tavole della conchiliolopia mineralogica ece., di Sowerby. — BLANCHET, Flora fossile del terreno antracitifero delle Alpi. — CHavANNES, Le saturnie produttrici di seta e loro introduzione in Eu- ropa. — Seduta annua e pubblica del 1855. — DELAHARPE e GAUDIN, Flora fossile dei dintorni di Losanna. — Durour, Osservazioni meteoro- giche di Penchoz dal 1799 al 1850. — RENEVIER, Sunto dei lavori di Sharpe sul clivaggio delle rocce. — DuroUR, Temperatnra dell’aria e mi- raggi sul lago Lemano. -—- DAvAIL, Sullo sviluppo del legno. — GAUDIN e DELAHARPE, Breccia ossifera del terreno siderolitico di Mauremont. — NicatI, Disseccamento del lago di Harlem in Olanda. — YEeRSsIN, Le secche del lago Lemano. — DuroUR, Un colpo di fulmine. — BLANCHET, Malattia dei vini bianchi nel 1854. — CHAVANNES, Sul primo allevamento della Saturnia mylitta in Isvizzera. — For, Azione del carbone sulle so- sebUTA DEL 28 apRILE 1864. 299 lugioni metalliche. — GaupIin, Seguito della flora fossile dei dintorni di Losana. — BLancHET, Della produzione della luce nei Lampiri. — Vo- lume V. — Processi verbali. — DurouR, Scintillazione delle stelle. — Du- FOUR, Temperatura dell’aria e miraggi sul lago Lemano. — MARCEL, Sul Microsporon furfur. — DurouR, Pioggia senza nubi. -- RENEVIER, Al- cuni punti della geologia dell’ Inghilterra. — DELAHARPE, Sulle vegeta- zioni, dette code di volpe. — RENEVIER, Sinonimia della Natica rotun- data. — MIcHEL, Nota geologica sulla Dobruscia. Cicuta della Dobruscia- — Hirzet, Planetario per i ciechi. — DELAHARPE, Materia azzurra per medicare le piaghe. — Catalogo delle tortricidi svizzere. — FoREL, Tentre- dine nociva al ravizzone. — BauP, Causa della progressione dei ghiac- cia). — MARGUET, Barometro Bourdon. — Durour, Di alcuni errori in materia d'osservazione. — MicHEL, Navigazione del Danubio. — GAUDIN, Osservazioni ozonometriche. — YeRSsIN, Usi del sistema nervoso negli ar- ticolati. — DELAHARPE, Flora terziaria dell’mghilterra. — GaAuDIN. Sul- l’origine americana del platano occidentale. — HeER, Lettera a Lyell. — Durorr, Interessi composti infinitesimi. — ZoLLIKoFER, Ghiacciajo di Ma- cugnaga. — Durour, Due arcobaleni contigui. — DELAHARPE, Geologia dei dintorni di S. Gervais. — MoRLot, Formazioni moderne del cantone di Vaud. — RumIxE, Osservazioni ozonometriche. — Durour, Imagini per rifrazione. — MorLOT, Vegetali fossili di Schrotzburg. — DELAHARPE, Alcune geometre svizzere. — MARGUET, Quadri meteorologici pel 1856. — Durour, Intensità magnetica e temperatura dell’acciajo. — BrscHoFr, Fo- tografie azzurre. — GonIN, Resistenza dell’arenaria della Molière. — De- LAHARPE, Cheloniidella molassa vodese. — Volume VI. — Processi verbali. GAUDIN, Miraggi. — BessARD, Erddurg del Vully. — PicTET e HUMBERT, Emys Laharpii. — SCHNETZLER, Concrezione trovata nelle vene d'un bue. — DELAHARPE, Le variazioni barometriche hanno influenza sensibile sull'uomo nelle Alpi? — GAuUDIN, Quantità di fango trasportato dall’Arno. — Durour, Cono di deiezione della Tinière. — GAUDIN, Rocce perforate dall’Herlix Mazzutti. — Trovox, Innondazioni delle valli dell’Orbe e della Broce. — GaAuDIN, Sulle flore fossili dell’Italia. — MARGUET, Tabelle meteorologiche. — MoRLoT, Terreno quaternario del bacino del Lemano. — DELAHARPE, Meteorologia dei venti del bacino del Lemano. — GAUDIN, Temperatura dell’epoca terziaria. — CHAVANNES, Specie che passano sotto il nome di Saturnia cynthia. — DELAHARPE, Distruzione dei bruchi degli alberi fruttiferi di Losanna. — GAUDIN, Fango dell'Arno. — GAUDIN, Clima molassico della Svizzera. — GAUDIN, Frutto di Thuya, fossile nel travertino. — CHAVANNES, Estensione geografica della Saturnia mimosa. — GAUDIN, Tombe degli Esquimesi al Labrador. — DELAHARPP, Geo- logia di S. Maurizio nel Vallese. — MarGUET, Osservazioni meteorologiche. (IS) 50 SEDUTA DEL 28 APRILE 1864, — Piccarp, Delle cifre adoperate per la numerazione decimale, loro forma e origine. — SAUSSURE, Formazione del Jorullo. — DuroUR, Osservazioni meteorologiche. — PERRY e TRAXLER, Portata dal Rodano a Ginevra. — NIcATI, L’Algeria come soggiorno d'inverno pei malati. — DELAHARPE, Catena del Morvan. — YEeRrsIin, Danni prodotti dalle lacuste della valle del Rodano. — Goxrn, Asciugamento delle paludi dell’Orbe. — CHAVAN- NES, Sulle malattie del baco da seta. — GAuDIN, Ligniti d’ Algeria. — SCHNETZLER, Tartarughe svizzere d'acqua dolce. — MORLOT, Studii geolo- gico-archeologici in Danimarca e in Svizzera. Catalogue de la Bibliothèque de la Societé vaudoise des sciences na- turelles, 1 maggio 1858. Lausanne, 4858. Reéglements de la Societe vaudoise des sciences naturelles , coll’elenco dei membri della Società, pel 1.° giugno 1859. Casroni. — Z’Amico del contadino. Anno Il, d, 6 e 7.{Milano, 1861. Le migliorie. — La caprificazione. — Modo di togliere l’ odore di acido solfidrico al vino ottenuto dalle uve solforate. — Apicoltura. — Conser- vazione del fieno. — Della sostituzione dello scassato ai fossi nei pianta- menti. — Coltivazione del fungo commestibile. — Utilità delle acque ca- salinghe. — Solfora zione delle viti, nuovo metodo. — Bacologia. — Insetti scoperti sulle uova dei bachi da seta. — Ingrassamento dei vitelli e dei majali. — Recenti progressi nell’agricoltura inglese. —Il Cappero. — Cro- naca agricola. — Notizie commerciali. — Tabella meteorologica. — Come si debba fare la solforazione delle viti. — Coltivazione della patata zuc- cherosa. — Verdure commerciali. — L’ agricoltura chinese. — Cronaca agricola. Decr'Acqua, Elenco dei giornali e delle opere periodiche esistenti presso pubblici stabilimenti in Milano. Milano, Bernardoni, 1861. Curti P. A. 7 congresso dei naturalisti della Svizzera in Lugano nel settembre 1860. Relazione all’Accademia fisio-medico-statistica in Milano. Milano, 1861. Brancu, Muovi studj statistici e tecnici per la ferrovia da Lecco a Colico. Dagli Annali universali di statistica. Milano, gennajo 1864 Bulletin de la Societe impériale des naturalistes de Moscou. An- no 1860. Fascicolo III. GEBLER, Coleotteri raccolti nel deserto Chirghiso-songorico. — KIPRJA- NOFF, Avanzi di pesci nell’ arenaria ferrifera kurkisca, — LINDEMANN, Diverse piante di Russia. — HERMANN, Composizione dell’ Epidoto. — LupwiG, Sistema carbonifero produttivo di Perm. — ScHwEIZER, Mac- chie e fiaccole vedute presso al lembo del disco solare nell’ eclisse del 18 luglio 1860. sEDUTA DeL 28 apRILE 1861. 254 Verhandlungen der k. k. zoologisch-botanischen Gesellschaft in Wien. Band. X. 1860. Contiene i protocolli delle sedute e molte memorie. Fra queste rimar- cansi aleune di Canestrini sulla classificazione sistematica dei Percoidi, degli Anabatidi, di Massalongo su alcune grafidee del Brasile, di Schulzer sui funghi, di Herbich sulla geografia botanica dei boschi della Galizia, di Grunou su alcune alghe nuove o poco conosciute, di Egger sui ditteri ecc. Leonnarnunp Bronx, MNevesJahrbuch fiir Mineralogie, ec., AB64. 4. VoLGER, Adularia delle rocce del terreno carbonifero sassone. — ScHARFF, Formazione dell’Arragonite. — HEER, Specie fossili dal genere Calosoma. — Corrispondenza. — Libri. — Estratti. Pocei, Marzuccur, Savi e Menecmini, Della legislazione mineraria e delle scuole delle miniere, ec. Firenze, 1861. Menecnini, Rapporto sulle cave di marmi varicolori presso il Gabbro, in comunità di Colle Salvetti, al Capannino. Pisa, 1860. Bonzicci, Sul granato ottaedrico dell’isola d’Elba. Menecuini, Discorso per la laurea nelle scienze naturali, conferita ai signori d’ Achiardi, Dal Borgo e Marini. Pisa, 1859. Giornale agrario lombardo del Comizio di Milano. Volume I, fa- scicoli di gennajo, febbrajo e marzo 1861. VASSALLI, Pensieri ed osservazioni sulla dominante malattia deibachi da seta.— LANDRIANI, Caseificio lombardo. — CASSINA, Seminatore a cavallo, . seminatore a mano, e aratro seminatore. — CORTESI, Utilità e necessità della solforazione per la vite. — MARGARITA, Pratiche campestri sulla coltiva- zione del frumento. — REDAZIONE. Notizie agrarie. Rivista bibliografica. Piscicoltura italiana. Notizie economico-statistiche sulla Lombardia. Pro- gressi dell'industria agricola. Caseificio lombardo. Esperienze sulla ali- mentazione dei cavalli. Bachi da seta. — Atti ufficiali del Comizio Agrario di Milano. — Rapporti sull’ atrofia del baco, sul caseificio lombardo. — Programma dei concorsi ai premii pel 1862. — Leggi e disposizioni go- vernative. De Visiani, Della vita scientifica di Abramo Massalongo. (Dagli Atti dell’Istituto Veneto di scienze, ec. Serie III, vol. VI). Venezia,1861. Il Politecnico. Fascicoli 97 e 38-59. DURANTI, sul regime tecnico e amministrativo dei corsi d’acqua della Toscana. — FILOPANTI, Sulla reciproca influenza della libertà politica e dell’ industria meccanica dei popoli. — MAESTRI, Del dicentramento ammi- nistrativo in Francia. — BIONDELLI, Prospetto delle scienze archeologi- che. — Rivista e Notizie. — Lriov, Giovanni Miglioranza: architetto di Vicenza. — I due Stephenson. I GHIACCIAJ ANTICHI E IL TERRENO ERRATICO DI LOMBARDIA MEMORIA DEL DOTTOR GIOVANNI OMBONI PROFESSORE DI STORIA NATURALE, SOCIO CORRISPONDENTE DEL R. ISTITUTO LOMBARDO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI, EC. CON TRE TAVOLE Chiunque visita, anche rapidamente, la nostra Brianza, le rive dei nostri laghi o le valli alpine circostanti, non può non rimarcare i fre- quentissimi ciottoli ed i massi più voluminosi, di roccie granitiche, di serizzo e di serpentino, i così delli trovanti o massi erratici, che sono sparsi in grandissimo numero per tutti quei luoghi, sopra ogni sorta di terreno, e quasi sempre non sono formati delle stesse rocce che i monti circostanti, così che non possono essere caduti da questi monti, ma devono essere venuti da lontano. Nella Brianza, per esempio, sono frequentissimi i massi e i ciottoli di serpentino verde oscuro, e quelli d’un granito sparso di grossi cristalli bianchi di felspato, che è detto volgarmente serizzo ghiandone; or bene, se si cerca da dove sono venuli quei massi e ciottoli, si trova che sono fatti di serpen- tino e di serizzo ghiandone molti monti della Valtellina e della valle di Chiavenna, e che quindi quei massi e ciottoli sono venuti di là fino in Brianza, percorrendo molte e molte miglia, e in un modo che impedisse loro di cadere al fondo del lago di Como. Ma quale può essere stato questo modo di trasporto? Non li hanno portati gli uomini per farne monumenti druidici, come hanno supposto taluni, perchè i massi sono troppo numerosi, sono sparsi anche a troppa al- tezza, sono troppo voluminosi, e sono collegati a depositi di ghiaje, G. OMBONI, I GHIACCIAJ ANTICHI. EC. DI LOMBARDIA 253 di sabbie e di argille, che devono essere stati trasportati insieme ai massi, nello stesso tempo e nello stesso modo. Non possono dunque essere stati portati che da enormi correnti acquee o fangose, oppure da ghiacciaj in altri tempi incomparabilmente più estesi che oggidiì; oppure furono lanciati in aria e sparsi all’intorno da enormi scoppj, analoghi a quelli che attualmente avvengono nei vulcani, ma assai più potenti; oppure furono portati da zattere di ghiaccio galleggianti sul mare che altre volte copriva tutte le pianure e le valli fino a una certa altezza. I geologi furono dapprima quasi tutti favorevoli alla teoria delle correnti acquee o fangose; pochi abbracciarono quelle degli scoppj vulcanici, dei ghiacciaj e delle zattere di ghiaccio. Ma in una sera dell’agosto 1815 uno dei più distinti naturalisti svizzeri, Charpentier, trovandosi a riposare in casa d’ un cacciatore di camoscio, Giovanni Pietro Perraudin, che gli doveva servire di guida all'indomani per visitare i ghiaccia} della valle di Lourtier, e discorrendo dei massi erratici sparsi per tutta la Svizzera, prese ad esporre al montanaro come i dotti avessero dimostrato, col mezzo di lunghi calcoli, che quei massi erano stati trasportati da grandi correnti acquee. Il cac- ciatore lo lasciava dire, non sapeva che rispondere, ma non pareva punto persuadersi della teoria esposta da Charpentier. E alla fine disse che, secondo lui, i ghiacciaj delle Alpi furono in altri tempi ben più estesi che oggidì, che tutta la valle del Rodano fu occupata da un ghiacciajo, e che a questo si deve il trasporto dei massi erratici. Queste poche parole aprirono a Charpentier un nuovo e larghissimo orizzonte di ricerche e di studj, e nel 1834 fu esposta da lui per la prima volta al congresso dei naturalisti svizzeri a Lucerna la nuova teoria del trasporto dei massi erratici per mezzo di antichi e giganteschi ghiacciaj; e fu esposta con tali particolari e tali prove , che subito ne fu tenuto calcolo dai naturalisti, e dopo una lunga vi- cenda di objezioni e di nuove prove favorevoli fu generalmente ae- cettata per tutti i massi erratici della Svizzera, specialmente per opera dello stesso Charpentier e di Venetz, Agassiz, Desor, Guyot, Forbes, Studer, Escher de la Linth e Blanchet. Un’ idea degli stud} che si fecero nelle diverse valli delle Alpi svizzere si può avere leggendo 254 G, OMBONMI, un articolo del signor Martins nella Aevue des deux mondes del 1847, intitolata: Recherches sur la période glaciaire et Vancienne extension des glaciers du mont-Blance depuis les Alpes jusqwau Jura. Più tardi fu provata da Martins e Gastaldi 1’ esistenza di antichi ghiacciaj nelle valli delle due Dore, cioè nelle valli di Susa e in quella d’ Aosta, fino al loro sbocco nella pianura presso Torino e in- torno ad Ivrea; e da Mortillet quella d’'analoghi ghiacciaj nella val- lata dell’Oglio fino al sud del lago d’ Iseo. Per determinare l’estensione degli antichi ghiacciaj, per sostenere la teoria delle correnti acquee o fangose, o soltanto per descrivere i depositi più superficiali di Lom- bardia raccolsero e pubblicarono molte osservazioni su questi depositi parecchj distinti geologi, e specialmente Breislack, Curioni, Balsamo, i fratelli Villa, Zollikofer, Collegno, Mortillet e Paglia; ed altre molte ne raccolsi io stesso negli anni 1859 e 1860 (1). (4) Martins et GasraLpi. Essai sur les terrains superficiels de la vallee du Po aux environs de Turin, comparés da ceux de la plaine suisse. (Bulletin de la Societe geolo- logique de France, 20 mai 1850.) MortiLLET. Note géologique sur Palazzolo et le lac d'Iseo en Lombardie. (Bull. de la Soc. géol. de France, 4 juillet 1859.) BreisLack. Descrizione geologica della provincia di Milano. Milano, R. Stamperia, 4822. Curioni. Stato geologico della Lombardia, nelle Nolizie nalurali e civili su la Lom- bardia raccolte da Carlo Cattaneo. Milano 41844. BarsAmo, nell’ opera Milano e il suo territorio, donata ai membri del Congresso scien- tifico di Milano, nel 1844. ViLLAa. Memoria geologica sulla Briunza. Milano, 1844. ZouLirorer. Géologie des environs de Sesto Calende. (Bull. de la Soc. vaudoise des sciences maturelles. 1844.) CoLLegno. Elementi di geologia pratica e teorica. Torino, 41847. Curioni. Nota di alcune osservazioni fatte sulla distribuzione dei massi erratici, in occasione della innondazione della provincia di Brescia nell’ agosto 1850. ( Giornale del- l’ Istituto lombardo di scienze lettere ed arti. Nuova serie; tomo IN. — Adunanza del 23 gennajo 41854.) ZoLugorer. Sur l’ancien glacier et le terrain erratique de VAdda. (Bullelin de la Societe vaudoise des sciences naturelles, 1853.) ViLLa. Osservazioni geognostiche fatte in alcuni colli del Bergamasco e del Bresciano. (Giornale dell’ Ingegnere Architetto Anno V.) Onsponi. Sul terreno erratico di Lombardia. (Atti della Società italiana di scienze na- turali, volume IL 4859-60.) Pagcia. Sulle colline di terreno erralico intorno all'estremità meridionale del lago di Garda. (Atti della Soc. ital. di scienze nat, vol. I. 1859-60). I GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 255 Nel volume dei miei Z/ementi di Storia Naturale che tratta della Geologia, pubblicato nel 1854, dissi il trasporto dei massi erralici doversi probabilmente a differenti cause secondo i luoghi e le circo- stanze; ma ora ho decisamente abbracciata la teoria degli antichi ghiacciaj, non senza ammettere però l’azione di correnti acquee per la distruzione di parte dei depositi glaciali, per la produzione di potenti alluvioni antiche e moderne, e pel trasporto, per qualche breve tratto di strada, dei più grossi massi erratici; e devo questo can- giamento d’ opinione allo studio dei lavori pubblicati sulla Svizzera, e di quelli di Martins e Gastaldi e di Mortillet, e più ancora allo studio dei fatti da me stesso osservati in tutte le valli di Lombardia, e nei dintorni di Ivrea in Piemonte. A spiegare meglio come i fatti finora osservati in Lombardia pro- vino l’esistenza degli antichi ghiacciaj dalle più alte Alpi fino alla pianura, credo bene di dire in breve quali siano i principali fenomeni che avvengono nei ghiacciaj attuali, prima di esporre i fatti osser- vali in Lombardia e le conseguenze che se ne deducono. E questo perchè anche i geologi hanno ora adottato il metodo di studiare i fenomeni attuali per isplegare quelli avvenuti anticamente. senza perdersi in vane congetture e in ipotesi gratuite. i Fenomeni dei ghiaccia) attuali. Chi guarda in estate Ja catena delle Alpi rimarca per la prima cosa quella linea regolare» che divide le nevi perpetue delle parti più elevate dalla tinta oscura delle parti inferiori, dovuta o al colore stesso delle rocce od a quello dei boschi d’ alberi resinosi e dei pa- scoli alpini. Dalle nevi perpetue dicendono nelle valli molte striscie bianche, in mezzo alle foreste ed ai pascoli; queste striscie, esaminate MortILLET. Carte des anciens glaciers du versant méridional des Alpes. (Atti della Soc. it. di scienze nat., vol. II. 1864; e Bibliotheque de Geneve, 20 janvier 4861.) LomBarpini. Proposta di sludj sui terreni, sulle sorgenti e sulle acque potabili della pianura milanese. Memoria letta nella seduta del S agosto 41858 del Regio Istituto Lombardo ec. ( Giornale dell'ingegnere architetto, anno VI). 256 G., OMBONI, da vicino, si trovano essere immensi ammassi di ghiaccio, i quali emet- tono dalla loro parte inferiore dei torrenti d’acqua freddissima e d’a- spetto lattiginosa, che danno origine e continuo alimento ai fiumi. Questi ammassi di ghiaccio sono i ghiacciaj ( glaciers dei Francesi, gletscher dei Tedeschi ). Alcuni li chiamano ghiacciaje ; ma siccome le vere ghiacciaje sono le raccolte di ghiaccio artificiali, e in natura ve n’ha di analoghe su certe montagne, specialmente nelle caverne, in cui l’aria rimane sempre freddissima per particolari circostanze, e queste non presentano alcuno dei fenomeni degli ammassi di ghiaccio discen- denti dalle nevi perpetue, così io sto con quelli che distinguono anche coi nomi le ghiacciaje naturali, che si formano e si conserva- no come le artificiali, dai ghiacciai) alpini, che hanno origine esclusi- vamente dalle nevi perpetuc, e presentano fenomeni affatto speciali. Tutti gli abitanti delle piu alte valli sanno che il ghiaccio dei ghiac- cia} si muove continuamente, ma con estrema lentezza, e discende così verso il basso della valle. Segnando con particolari distintivi una data porzione del ghiacciajo, che sia vicina alle nevi perpetue, e osservandolo poi ogni anno, si trova che ogni anno percorre un cerlo cammino, a poco a poco si avvicina all’ estremità inferiore del ghiacciajo, e, giunto a quel posto, si scioglie a poco a poco in acqua e scompare. Molti geologi, e particolarmènte Charpentier, Agassiz, Desor e Forbes, hanno misurato su differenti ghiacciaj, in diverse stagioni e in anni diversi questo lentissimo moto di discesa dei ghiacciaj, ed hanno trovato che è massimo nella regione media del ghiacciajo, e maggiore nelle regioni superiori che nelle inferiori, diminuisce assai in inverno, ma non cessa mai, e in autunno è massimo e il doppio che in primavera. Il ghiaccio tende anche a portarsi dal centro verso i lati, dove la distruzione per la fusione e maggiore, in conseguenza del calore riflesso dalle montagne sul ghiaccio. La velocità del moto di discesa è maggiore nel centro del ghiacciajo che ai lati. Questa velocità dipende tanto dall’ inclinazione del fondo della valle quanto dallo spes- sore del ghiaccio, ma più da questo, che da quella. L'acqua facilita il moto in tre modi, col suo peso, coll’inzuppare il gliiaccio, e colla congelazione. La prima azione è minima; la seconda è la più potente, ì GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 257 perchè, essendo il ghiaccio diviso in minuti frammenti, l’acqua, in- ternandosi fra questi, li rende più mobili 1’ uno sull’ altro, e quindi rende più plastica la massa intera del ghiaccio, aumenta la facilità del suo moto, ed agisce in ogni stagione, ma specialmente in prima- vera; la terza azione, per Ja quale l’acqua, introdottasi nelle fessure, si congela dilatandosi, e così fa dilatare tutta quanta la massa di ghiaccio, è potente soltanto nella bella stagione e negli strati su- perficiali. — Agassiz trovò nel ghiacciajo del Lauteraar il moto di discesa di circa 110 metri all'anno. Lo stesso Agassiz ed altri lo trovarono nel centro del ghiacciajo dell’Aar di quasi sei metri durante 26 giorni d’ estate, e di quasi 62 metri dal 4 settembre 1844 al 17 luglio 1845. Siccome il ghiaccio continua sempre a discendere, e giunto all’ e- stremità inferiore si fonde, bisogna che se ne formi continuamente nella parte superiore, a fine di conservare il ghiacciajo ; e si forma realmente colla neve che cade sulle montagne circostanti all’ origine del ghiacciajo. Questa neve si accumula in enorme quantità nelle grandi depressioni, che esistono fra le montagne più elevate, e che per la loro forma più comune sono dette circhi. La neve così accumu- lata, e ancora incoerente, discende pel suo peso a poco a poco, mentre una nuova quantità se ne accumula continuamente nelle parli supe- riori. La neve che è discesa, giunta in una regione meno fredda, comincia a fondersi, particolarmente nelle stagioni calde. L’ acqua formatasi nelle parti più superficiali passa nelle sottostanti, e Je trasforma, sotto l’ influenza dei freddi notturni, in una massa ge- lata e granosa, che i Francesi chiamano nesé. Con delle successive fusioni e solidificazioni, per l'alternativa dei giorni caldi e delle fred- de notti, si forma così un ghiaccio bianco, zeppo di un infinità di piccole bolle d’aria, sferiche o sferoidali, il ghiaccio bolloso, proprio dei ghiacciaj. Questo ghiaccio discende continuamente per la valle ; nuove alternative di caldo e di freddo trasformano le bollicine in fessure, e il ghiaccio diventa trasparente, ma attraversato da una infinità di fessure, che sono ora piene d’acqua ed ora di aria. Anche queste fessure tendono a scomparire, e quando il ghiacciajo è molto lungo, la sua estremità inferiore si trova di ghiaccio normale e trasparente. - 258 Nello stesso tempo che tutto il ghiacciajo discende per la valle, 3, OMPONI, la sua parte estrema si fonde a poco a poco, durante la bella sta- gione, c nella stessa stagione tutta la superficie del ghiacciajo si abbassa alquanto per la fusione delle parti più superficiali. Questa distruzione del ghiaccio varia colle diverse stagioni e colle circo- stanze meteorologiche. Se 1’ estate è calda e secca, la fusione vince il moto di progressione del ghiacciajo, e l'estremità inferiore di questo non solo non si avanza pel moto generale del ghiacciajo, ma retrocede verso V alto della valle; se è fredda e piovosa, la fusione è così poca, che è vinta dal moto di progressione, e l’estremità del ghiacciajo si avanza nella valle, e si estende a coprire nuovi spazj. Nelle valli i cui circhi sono più estesi la produzione di ghiac- cio è maggiore, e il ghiacciajo si estende più ampiamente nella valle; l'opposto succede là dove i circhi sono più piccoli. I ghiacciaj del monte Bianco , quelli d’ Aletsch , di Viesch, del Grindelwald, di Zermatt sono così estesi, che discendono anche fra campi coltivati, perchè estesissimi sono i loro circhi d’ alimentazione. Il moto progressivo e il peso del ghiaccio fanno sì che questo sfrega con molta forza tutte le rocce che tocca. Se si osserva ciò che è sotto un ghiacciajo , là dove si può penetrare in qualche ca- verna aperta nel ghiaccio , si trova uno strato di sabbia , di ciottoli e di fango, impregnato di acqua. Levato questo strato, si vede la roccia sottostante tutta levigata e coperta di solchi e di strie rettili- nee, che sembrano fatte con un bulino o con qualunque altra punta di acciajo. Sembra che la roccia sia stata sottoposta ad un’ operazione analoga a quella con cui si lisciano i metalli e le tavole di marmo col mezzo dello smeriglio o di qualche altra sabbia assai dura. I sol- chi e le strie sono sempre dirette come il movimento generale del ghiaccio. Si è provato anche a scoprire una porzione di roccia lisciata e solcata, a renderne irregolare ed aspra la superficie con molti colpi di scalpello o di martello, ed esaminata dopo qualche anno, si trovò di nuovo levigata e solcata come prima. — Dunque è proprio il ghiaccio, col suo movimento e col mezzo dei ciottoli e della sabbia da lui messa in moto, che leviga e solca le rocce sulle quali si muove. — I solchi e le striature hanno tanto maggiore profondità e nettezza , quanto più 1 CHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 239 sono duri i granelli di sabbia e i ciottoli che li producono, e quanto più la roccia stessa è atta a conservarli senza alterarsi. — Quando un ghiacciajo incontra un rialzo, rallenta il suo moto e tende a solle- varsi su quel rialzo, e, ciò facendo, ne liscia, solea e riga tutta la superficie. — Sempre poi i ghiacciaj tolgono le asprezze e le spor- genze alle rocce che toccano, e tendono ad arrotondarle, ed a dar loro una tal forma, che, vedute da Jontano, quando il ghiacciajo si è ritirato, e le ha lasciate scoperte, sembrano un branco di mon- toni, e furono quindi chiamate roches moutonnées da Saussure e da- gli altri geologi svizzeri, I massi e detriti che cadono dalle montagne circostanti ad un ghiac- ciajo, isolatamente o in frane, si accumulano sui lati del ghiacciajo. Taluni di questi massi hanno 20 e più metri di lunghezza. Se il ghiac- ciajo fosse immobile, i massi e i detriti rimarrebbero accumulati sen- z’alcun ordine; ma, pel moto generale di discesa del ghiacciajo e pel moto trasversale del ghiaccio dal centro verso i lati, vengono a poco a poco a disporsi lungo i lati del ghiacciajo, e vi formano degli argini più o meno elevati, che accompagnano sempre il ghiacciajo e ne toc- cano sempre i margini, e sono detti morene laterali (Tav. HI. fig. 1.) Quando, per l’incontro di due valli, due ghiacciaj vengono ad in- contrarsi ed a farne uno solo, Ja morena laterale destra del ghiac- ciajo di sinistra e la morena laterale sinistra del ghiacciajo di destra vengono a toccarsi ed a confondersi insieme; e, dovendo continuare nel loro moto insieme col ghiaccio, formano sul dorso del ghiacciajo doppio, e lungo la sua linea mediana, un argine nnico, che è detto morena mediana o superficialei — Se a questo ghiacciajo doppio viene ad aggiungersi un nuovo ghiacciajo semplice, si forma sul dorso del ghiacciajo complesso una seconda morena mediana o su- perficiale ; e così via, e sempre colla massima regolarità, non con- fondendosi mai o ben di rado i detriti e massi d’ una morena con quelli d’un altra. Così si riconosce che un ghiacciajo è formato dal- l’unione di due ghiacciaj minori se ha una morena superficiale, di tre se ne ha due, di quattro se ne ha tre, ee. Mano. mano che i massi e detriti portati dal ghiacciajo giungono all’ estremità di questo, vi si accumulano tutt all intorno , formando 240 G. OMBONI, un argine attraverso alla valle, per lo più piegato ad arco, e che è chiamato morena frontale o terminale. Ma ciò avviene soltanto se il ghiacciajo termina in una valle piana e regolare. Se il pendio della valle è troppo forte, i massi e i detriti non vi si possono fermare e discendono finchè trovano un piano od il fondo d’una valle poco in- clinata , e così non possono dare origine ad alcuna morena frontale. Quando infine un ghiacciajo incontra un monte e non può sorpas- sarlo, perchè troppo alto, si divide in due rami, che proseguono il loro cammino ai lati del monte, e sovr’ esso depongono, nel luogo della divisione, un argine di massi e detriti, che è detto morena d’ostacolo, e poi dopo, sui due lati del monte, due morene laterali Se il monte è isolato, i due rami de) ghiacciajo ritornano presto ad unirsi, riproducendo il ghiacciajo unico, con una morena superficiale, come se fosse formato da due ghiaccia]. I massi e ciottoli trasportati sulla superficie del ghiacciajo conser- vano i loro angoli e spigoli, e le loro asprezze, e non si arrotondano come quelli trasportati dalle acque. | ciottoli e i massi che sono nelle morene laterali possono pure conservare le loro forme primitive. Ma molti di essi cadono in uno stretto spazio che v° ha spesso fra il ghiaccio e il fianco della montagna, e vi sono rotli e stritolati e sfregati 1’ uno contro l’altro pel moto continuo del ghiacciajo. Formano così un fango impalpabile , che discende a poco a poco sotto il ghiacciajo , e trae seco i ciottoli e gli altri detriti minori, che hanno resistito alla tritu- razione. Altrettanto avviene dei ciottoli che cadono dalle morene su- perficiali nei crepacci che attraversano tutti i ghiaccia]; e così si forma quello strato di fango, sabbia e ciottoli, che esiste sotto al ghiacciajo, serve a lisciare e solcare la roccia sottoposta, e fu chiamato morena profonda. I ciottoli caduti dalle morene laterali fra il ghiaccio e le rocce in posto , e quelli sotto il ghiacciajo , sono ora arrotondati , ed ora resi poliedrici, ma a facce levigate , per l’azione della sabbia adoperata dal ghiacciajo a guisa di smeriglio ; e se la roccia che li forma non è nè troppo dura nè troppo fragile, in modo da poter ricevere delle solcature dalle rocce più dure , e da conservarle intatte, formano i così detti ciottoli levigati e rigati o striati, comunissimi in certe valli I GIIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA Qui alpine. È dunque necessario che esistano rocce assai dure, per esem- pio quarzose, e rocce poco dure ma abbastanza resistenti per ricevere le scalfitture dalle prime, per un ghiacciajo Bo produrre dei ciottoli levigati e rigati. Fra tutti i detriti portati dal ghiacciajo, e che formano la morena frontale, si trovano anche quelli che possono contenere questi ciot- toli rigati e levigati; e quindi questi ciottoli si possono trovare an- che nelle morene frontali, oltre che nella morena potonda e ai lati del ghiacciajo. Tutte le morene sono dunque formate da detriti incoerenti o da fango molle, ma senza che l’acqua sia così abbondante da disporre i materiali in istrati regolari. Tutti i materiali vi sono quindi confusa- mente disposti, tutti insieme, grandi e piccoli, senza alcun ordine. | ciottoli sono angolosi e aspri nelle morene superficiali e laterali; sono arrotondati o poliedrici, levigati e spesso anche solcati e rigati nella morena profonda e nelle parti inferiori delle morene laterali ; sono di tutte le specie nella morena frontale. Se i ciottoli rigati sono allungati, le strie e i solchi sono d’ ordi- nario pel lungo, come se i ciottoli fossero stati tenuti sempre fermi dal fango gelato in una data posizione, e sfregati poi lentamente, pel lungo e quasi sempre nella stessa direzione; quelli di serpentina sono di solito così rigati. Se sono poliedrici (e i calcarei sono quelli che presentano d° ordinario questa forma), le facce sono piane e striate in diversi sensi, perchè il ciottolo cambiò più volte di posizione du- rante la levigatura e solcatura. I ciottoli lisciati dai ghiacciaj sono così levigati come i marmi me- glio lavorati. E soltanto i ghiacciaj possono levigarli così. ] ciottoli portati dai torrenti sono sempre arrotondati, e non sono mai così levigati come quelli dei ghiacciaj, anzi hanno un aspetto affatto diverso. Fra i ciottoli levigati dai ghiacciaj e quelli arrotondati dai torrenti passa una differenza analoga a quella fra i marmi ben levigati e il vetro reso quasi opaco colla smerigliatura, ed a quella fra una lamina d’argento che può servire da specchio e quegli oggetti d’argento appannato, che sembrano più bianchi ma non possono servire da specchio. Anche i ciottoli rigati e striati sono un prodotto speciale dei ; Vol. HIL. 16 242 G. OMBONI, ghiacciaj. Appena un ciottolo levigato e rigato è smosso dal torrente che esce dal ghiacciajo, e trasportato a una certa distanza, per esem- pio a 300 metri, tutti gli urti e gli sfregamenti che riceve dagli altri ciottoli gli tolgono completamente le strie caratteristiche e la levigatura, e lo rendono eguale a qualunque altro ciottolo trasportato dai torrenti. E questo fu provato anche esperimentalmente dal signor Collomo. È però da osservarsi che non tutte le rocce sono atte a dare ciot- toli perfettamente levigati e rigati, ma li ponno dare soltanto quelle più compatte c omogenee, e che più resistono alle intemperie, come per esempio le serpentine e i calcari. 1 graniti e tutte le rocce che loro somigliano non danno mai ciottoli ben levigati e rigati. Quando da una valle laterale scende dell’acqua in abbondanza, e, giunta a lato del ghiacciajo, è obbligata a fermarsi ed a formare un laghetto od uno stagno, i materiali che formano la morena laterale sono smossi da quest’ acqua, e si depongono sul suo fondo in istrati regolari; e i ciottoli levigati e rigati, se non sono troppo smossi, possono conservare i loro caratteri distintivi anche nel seno del de- posito stratificato. Finalmente in molti luoghi si è veduto cosa succede quando un ghiacciajo diminuisce d’ estensione. — Se diminuisce rapidamente e poi si arresta, la morena frontale, le morene laterali, e la moreha profonda rimangono al loro posto ed indicano il limite estremo del ghiacciajo nel tempo del suo maggiore sviluppo; e là dove è il limite nuovo si forma una nuova morena frontale, ed anche nuove morene laterali se il ghiacciajo è divenuto anche più stretto. Se la diminu- zione è lenta, e i margini del ghiacciajo retrocedono a poco a poco, i massi e i detriti cadono dal ghiacciajo sempre più indietro, ma vicino a quelli caduti prima, e formano così un deposito continuo e con molte ondulazioni concentriche, che rappresentano altrettante morene con- centriche. Ma le ondulazioni estreme e più distanti dal ghiacciajo rimangono ancora ad attestare Ja massima estensione avuta prima dal ghiacciajo. Si in un caso, come nell’ altro, l’acqua prodotta dalla fusione del ghiaccio può rompere e corrodere in uno o più luoghi le morene rimaste al loro posto e il deposito ondulato, e talvolta può I GHIACCIAJ ANTICHI. EC. DI LOMBARDIA 245 anche distruggere interamente queste tracce dei primitivi limiti del ghiacciajo. E i materiali portati via da quest acqua si depongono più a valle, formando depositi per lo più irregolari e confusi, e senza ciot- toli levigati e rigati: ma stratificati regolarmente se sul fondo di qualche lago. Ora che conosciamo i principali fenomeni che avvengono nei ghiac- ciaj attuali, possiamo passare allo studio dei depositi lasciati nelle valli lombarde dagli antichi ghiaccia]. Questi depositi e le altre tracce della presenza d’ antichi ghiacciaj non sono nelle nostre Alpi in così gran numero e così ben determi- nabili come in alcune valli della Svizzera, per esempio come in quella dell’Arve, descritta benissimo dal Martins nel già citato articolo della Revue des deux mondes; ma pure sono più che sufficienti a provare l’esistenza degli antichi ghiacciaj fino agli sbocchi di quelle valli nel- l’alta pianura lombarda. Limiti e parti dei bacini degli antichi ghiacciaj in Lombardia. Esaminando attentamente una buona carta topografica delle Alpi si vede, che si possono raggruppare tutte le valli di Lombardia in quattro bacini grandi e parecchj minori. I primi quattro sono i bacini del Ticino, dell’Adda, dell’Oglio e del lago di Garda; gli altri, quelli del Brembo, del Serio, della Val Trompia, ecc. Pare che sol- tanto i primi siano stali occupati dagli antichi ghiacciaj dell’ epoca quaternaria. ll bacino del lago di Garda è da unirsi a quello dell’ Adige, che non appartiene alla Lombardia; e quello dell Oglio ( Valle Camonica e lago d'Iseo) fu già argomento di studio del signor Morlillet ( Note sur Palazzolo), e non fu ancora da me visitato se non nelle parti già descritte da Mortillet. Mi contenterò dunque per ora di parlare dei due grandi bacini del Ticino c dell’ Adda. (Vedi le favole Il e IV.) 244 G. OMBONE, Bacino del Ticino. Il bacino del Ticino è formato dalla grande vallata del Ticino e da quella della Toce. La Toce discende dalla valle di Formazza e Antigorio, riceve le acque delle valli laterali di Vedro (Sempione), Anzasca, ece., passando per Domodossola e Vogogna, e si getta nel lago Maggiore presso Baveno. In questa vallata della ‘Toce scendono pure le acque del piecolo bacino del lago d’Orta. Il Ticino comincia. nella valle Leventina, e riceve successivamente le acque delle valli di Blegno, Calanca, Misocco (S. Bernardino), Verzasca, Maggia, ece., e forma il lago Maggiore. Cominciamo col bacino particolare del Ticino. San Gottardo e Valle Leventina. Il passo del San Gottardo, su cui è 1° Ospizio, e che separa la valle del Ticino da quella della Reuss, è formato da una roccia granitica, con cristalli di felspato sparsi nella massa, ma non così grossi come quelli del serizzo ghiandone di Valtellina, Esso offre poi di singolare, oltre alle depressioni in cui sono due piecoli laghi, anche un infinito numero di rialzi tondeggianti, vere roches mou- tonnées, che hanno la superficie così levigata come i marmi meglio lavorati, e tutta coperta di minulissimi solchi paralleli, diretti da nord a sud, cioè da una parte verso la valle del Ticino, e dall’ altra verso la valle della Reuss. I monti circostanti hanno diversi ghiac- ciaj, ma neppure uno che sia perfetto, essendo tulti senza morena frontale, perchè sopra pendii troppo inclinati. Le rocce arrotondate, levigate e solcate del passo del S. Gottardo provano che una volta il passo era occupato da un ghiacciajo, e que- sto discendeva da una parte nella valle del Ticino e dall’ altra in quella della Reuss. Scendendo dall’ Ospizio ad Airolo si possono raccogliere molte va- rietà di rocce amfiboliche, talune bellissime, con bei cristalli aciculari di amfibola riuniti in fasci raggiati, ed anche di micascisto con grossi I GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 245 granati, di scisti verdognoli zeppi di minuti cristallini di amfibola nera, ecc. Airolo è nel centro d'un bacino formato dalla riunione della valle verso il San Gottardo e della vera valle del Ticino, che viene da ponente, dai monti della Furca, sotto il nome di valle Bedretto. Vicino ad Airolo, verso il basso della valle, si vede l’avanzo d’ una vera morena frontale, che attraversava la valle, e che è tagliata dalla strada postale. Ha la solita struttura delle morene frontali, e ne ha an- che la forma esterna, e contiene ciottoli delle rocce finora vedute. Tutti i ghiacciaj che ora scendono dai monti delle parti superiori della val- le, erano dunque assai più estesi ed uniti insieme in un solo ghiac- ciajo, che discendeva fino a questa morena, prima di ridursi ai pochi ghiacciaj attuali. La valle si ristringe poco dopo la morena, e poi si allarga in un secondo bacino, più basso del primo, che continua fino al luogo detto Dazio, dove la valle si ristringe di nuovo. Faido è in un terzo bacino piano, più basso del secondo, e nel quale si vedono i fianchi ver- ticali dei monti spesso con tracce di antiche levigature e solcature, particolarmente presso Chiggiogna. Giornico è in un quarto bacino, nel quale sbocca la valle di Blegno, che comincia al Lucmagno e contiene il paese di Olivone. Questo bacino continua con pochissima inclinazione flno a Bellinzona e al lago Maggiore, e riceve da sini- stra anche la valle di Misocco, che viene dal San Bernardino, e nella quale si possono raccogliere parecchie varietà di rocce amfiboliche, cioè amfiboliti verdi e nere, a lamine brillantissime, diverse dioriti, e dei scisti verdi. Il monte Cenere e le altre ramificazioni montuose, che uniscono le alte cime del Camoghè e della val Cavargna con quelle sovra- stanti al lago Maggiore di fronte a Locarno, formano una specie di immenso argine, che separa il bacino della valle del Ticino da quello del lago di Lugano. Su questa specie di argine si vedono molte parti rivolte verso la valle del Ticino, che sono arrotondate e conservano qualche traccia d’ antiche levigature e solcature, e questo fin alla sua sommità. Di più, fra il monte Cenere e Lugano mi parve di ve- dere diversi depositi glaciali; e l'abate Stabile mi assicurò di aver 946 G. OMBONI, veduto sui monti intorno a Lugano dei ciottoli di rocce amfiboliche simili a quelle della valle di Misocco, e che nel bacino del lago di Lugano non vi ha in posto alcuna roccia analoga. Da tutto questo conchiudo che la valle del Ticino fra Bellinzona e il Jago Maggiore fu occupata in altri tempi da un ghiacciajo formato da quelli prove- nienti dalla valle Leventina, dalla valle di Blegno e dalla valle di Mi- socco; e che questo ghiacciajo s’innalzò di tanto da sorpassare il monte Cenere e riversarsi in parte nel bacino del lago di Lugano, prima di piegarsi verso la destra per entrare in quello del lago Maggiore. Così vennero arrotondate le parti più sporgenti del monte Cenere, e vennero portati nel bacino del lago di Lugano, insieme coi ciottoli e massi delle rocce cristalline stratificate, anche quelli delle rocce amfiboliche del San Bernardino; giacchè la morena laterale sinistra del ghiacciajo in discorso doveva contenere massi e ciottoli di tutte le rocce cristalline stratificate e delle rocce amfiboliche della valle di Misoeco. — La morena destra dello stesso ghiacciajo doveva con- tenere le rocce dei monti sulla destra della valle Leventina. E sul dorso del ghiacciajo dovevano trovarsi tre morene superficiali, formate: l'una all’ incontro della valle di Blegno colla valle Leventina, l’ altra all'incontro delle valli Leventina e di Misocco, la terza sul ghiacciajo particolare delle valli di Misocco per 1’ unione del ghiacciajo laterale della valle di Calanca; e queste morene superficiali dovevano conte- nere le rocce amfiboliche del San Gottardo, con tutte le altre che sono in posto fra il San Gottardo e il San Bernardino. Bacino del lago Maggiore da Locarno a Pallanza e Laveno. Ora possiamo continuare nello studio della vallata del Ticino. Presso Locarno sboccano nella vallata del lago Maggiore le valli Verzasca, Maggia e dell’ Onsernone, che contengono diverse rocce amfiboliche e serpentinose. Su tutte le rive del lago si vedono sempre abbondantissimi i massi erratici. A Luino esistono potenti depositi di argille , sabbie, gbiaje, ciottoli e massi erratici, e, se ben mi ricordo, sono stratificati: dun- que possono essere depositi alluvionali ordinarj, oppure alluvioni I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 247 glaciali. Sgraziatamente le rocce delle valli sulla sinistra del Ticino non sono tali da ricevere e conservar bene la levigatura e le solca- ture; e quindi non possono esistere ciottoli levigati e solcati nei de- positi di Luino, e non è possibile decidere con certezza sull’ origine degli stessi depositi. Ma la presenza dei grossi massi erratici rende probabile che siano alluvioni glaciali, formate contro il lato sinistro del grande ghiacciajo del Ticino, piuttosto che alluvioni fluviali, con detriti provenienti soltanto dall’ interno delle valli della Tresa e della Morgorabbia. Possiamo però, considerando i massi erratici sparsi su tutte le rive del lago, ammettere l’antica esistenza d’un ghiacciajo nel bacino del lago Maggiore almeno fino ad Intra e Laveno. E que- sto ghiacciajo doveva avere nella sua morena laterale destra le rocce della Valle d’Onsernone o della Val Maggia; e in quella di sinistra e nelle superficiali le rocce in posto fra le Valli Leventina e Misocco, a cagione del ramo mandato lateralmente nel bacino di Lugano in- sieme colle rocce della riva sinistra della Valle di Misocco. Lasciamo ora per poco questo bacino e passiamo a studiare qnello della Toce, che sbocca in questo pel golfo di Pallanza e Baveno. Monte Rosa e ghiacciajo di Macugnaga. Il monte Rosa, questo centro gigantesco di vasti ghiacciaj, ba verso levante la valle di Macugnaga, che è la parte più elevata della valle Anzasca. È una larga valle, con fondo piano, a pareti scoscese, cir- condata di monti colle vette nevose. Contiene i villaggi di Macugnaga, di Pecetto, di Staffa, di Borca, di Pestarena, e da un albergo recen- temente costruito fra Macugnaga e Pecetto, si ascende in poche ore e facilmente al così detto Belvedere, che è un'altura coperta di piante conifere e di boschetti di rododendri, dalla quale si gode d’una bel- lissima vista dei ghiaccia]. Di lassù si vede che da un vasto bacino tutto coperto di neve discendono almeno sette ghiacciaj, i quali, unendosi insieme nel fondo del bacino, formano un solo gran ghiacciajo, che scende fin quasi al piano, sotto il nome di ghiacciajo di Macugnaga. Ma . nel discendere, questo ghiacciajo incontra il cono sporgente del 248 G. OMBONI, Belvedere e si divide in due rami, i quali discendono per un rapido pendio verso Pecetto. Il ghiacciajo intorno al Belvedere presenta profondissime spaccature, le quali sono così numerose, da trasformare il ghiacciajo in un ammasso di enormi fette di ghiaccio, poste l'una accanto all’ altra, specialmente là dove il movimento del ghiacciajo deve fermarsi e cangiar direzione per l'ostacolo opposto dal Belvedere. Questo ghiacciajo ha Je sue morene come ogni altro. Le laterali sono regolarissime ; le superficiali sono alquanto confuse, a cagione dei cre- pacci e dei var) movimenti per la forma irregolare del fondo; malà dove il ghiacciajo, incontrando il Belvedere, si divide in due, forma sui fianchi del Belvedere stesso un’ enorme morena d’ostacolo, alla quale fanno seguito due morene laterali benissimo sviluppate. Soltanto nelle parti inferiori dei due rami del ghiacciajo, in conseguenza della so- verchia pendenza del suolo, le morene laterali cessano d’ essere in forma d’ argine, i materiali cadono irregolarmente per la china, e mancano le morene frontali. In queste morene frontali non trovai ciottoli ben levigati e rigati, forse perchè non vi sono rocce atte a produrne. Da questo Belvedere è dunque facile farsi un’ idea di alcuni tra i fenomeni proprj dei ghiacciaj, cioè delle morene laterali, delle mo- rene superficiali formate per l’ incontro di due o più ghiacciaj, delle morene d’ ostacolo, della struttura e della forma delle morene, della struttura del ghiaccio, dei crepacci che l’ attraversano. ecc. Valle Macugnaga e Valle Anzasca. Verso levante la Valle Macugnaga termina ad un rialzo del terreno detto il Morghen, tutto di roccie cristalline stratificate, e il fiume Anza discende, per una profonda spaccatura delle rocce, in un bacino più basso, che è la valle Anzasca. Il rialzo ora accennato presenta le sue parti sporgenti verso la valle di Macugnaga intieramente arrotondate e con tracce di corrosioni e solchi in altri tempi ben più palesi che oggidi. Dunque il ghiacciajo del monte Rosa è disceso fin là, anzi è passato oltre, cadendo nella sottoposta valle Anzasca. Nella valle Anzasca si vedono frequenti dossi arrotondati e pareti ì GIIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 249 con tracce di antichi solchi orizzontali, particolarmente in faccia a Ponte Grande e sopra Ceppomorelli. Ù La valle, or più or meno ristretta, ma in genere tanto più ristretta e sempre più inclinata quanto più vicina alla sua fine, sbocca nella larga vallata della Toce presso Vogogna. Sempione e Val di Vedro. Intorno al passo del Sempione si vedono molti ghiacciaj, ma nep- pur uno che sia perfetto e colla morena frontale, in causa della loro troppa inclinazione. Poco sotto l’ Ospizio la valle si allarga in un ampio bacino; poi sorgono dal suo fondo dei monticoli allungati e arrotondati come le vere roches meutonnees della Svizzera; poi si giunge al villaggio del Sempione, e di là si scende rapidamente in un allargamento della valle, nel quale sbocca la valle laterale della Quina; poi la valle è ridotta ad una semplice spaccatura della roccia, da Algaby fino a Gondo, così che fu necessario aprirvi parecchie lunghe gallerie per la strada postale; poi comincia un terzo bacino che continua fin presso allo sbocco nella vallata della Toce presso Crevola, e questo sbocco è una profonda spaccatura a pareti verticali, per la quale non si è potuto far passare la strada postale. Quà e là, nell’ ultimo bacino, ho osservato potenti depositi di detriti; ma sembrano, più che altro, grandi coni di dejezioni delle valli laterali che si vedono a Bertone, Fontana, Varzo, ecc. Valle Formazza e Valle Antigorio. Queste due valli, che non sono se non due parti successive d’ una stessa valle percorsa dalla Toce, formano tre bacini, separati da ri- stringimenti, e collocati a diverse altezze. Dai piedi del monte Gries, pel quale sì va in Isvizzera, si discende nel bacino della valle di Formazza ( Pommat nel dialetto tedesco del paese ), passando accanto ad una delle più belle e ricche cascate. Da questa valle si discende poi rapidamente, per una valle stretta, 250 G. OMBONI, scoscesa e tutta sparsa d' enormi massi nel secondo bacino, che è la parte più alta della valle Antigorio, e in cui è San Rocco. Da que- sto, passando fra monticoli arrotondati, e poi scendendo rapidamente, si giunge nel terzo bacino, in cui è Crodo colle sue acque minerali. Continuando ancora il viaggio, si vede che la valle si ristringe sempre più, e le sue pareti, sempre scoscese come in tutte le altre parti della valle, presentano frequentemente delle parti arrotondate e sol- cate orizzontalmente; e poi tutt'ad un tratto l’ orizzonte si allarga, perchè si entra nella grande vallata in cui è Domodossola. Vallata della Toce da Domodossola al lago Maggiore. Tutta questa parte della vallata della Toce è molto larga, col fondo piano, e coi monti circostanti sempre formati, come tutti quelli della valle Anzasca, della valle di Vedro, e delle valli Antigorio e Formazza, di gneiss e micascisti; fanno eccezione soltanto certi calcari saccaroidi di Crévola, quelli di Gandoglia presso Ornavasso, adoperati pel Duomo di Milano, e i graniti del monte di Baveno, e di quello che sorge isolato nel mezzo della valle presso Baveno ed è perciò detto Montor- fano. — Fra Domodossola ‘e Vogogna si cavano in molti luoghi le migliori rocce cristalline stratificate, conosciute a Milano sotto il nome di béole o bécole, dal nome d’un villaggio ( Béola o Bévola), presso il quale sono le cave più rinomate. Antico ghiacciajo della vallata della Toce. Le rocce arrotondate e talora anche solcate, che si vedono nelle valli Anzasca, di Vedro, Antigorio e Formazza, provano che dette valli sono state occupate da antichi ghiacciaj, almeno fin al loro sbocco nella grande vallata di Domodossola e Vogogna; ed è a credersi al- trettanto anche per le valli Antrona e Bugnanco, che stanno fra la valle Anzasca e quella di Vedro, e che io non ho peranco esplorate. Supponiamo che questi ghiacciaj siano stali ancora più estesi, e che ne abbiano quindi formato uno solo nella vallata della Toce; e che questo si sia esteso fin oltre lo sbocco della Toce nel lago Mag- I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 234 giore. Oltrepassato il luogo ov'è Ornavasso, avrà incontrato due osta- coli nel monte di Baveno (ramo settentrionale del Monterone ) e nel Montorfano, ed avrà trovato aperte avanti di se tre vie, cioè la valle che mette al lago d’ Orta, lo spazio fra il monte di Baveno e il Mon- torfano, e lo spazio in cui è il lago di Mergozzo. Si sarà quindi diviso in tre rami, ed avrà deposto delle morene d’ostacolo sul monte di Baveno e sul Montorfano. Poi il ramo destro sarà entrato nel bacino del lago d’ Orta, e gli altri due, oltrepassato il Montorfano, si saranno riuniti, e poco dopo avranno incontrato il ghiacciajo del lago Mag- giore fra Pallanza e Stresa. E in conseguenza di tutto questo, il gra- nito bianco del monte di Baveno avrà cominciato a far parte della morena laterale sinistra del ramo di ghiacciajo del lago d’Orta, men- tre lo stesso granito bianco e quello roseo che si cava a Baveno avranno formato quasi da soli Ja morena laterale destra del ghiacciajo del lago Maggiore a valle di Baveno, e il granito del Montorfano avrà fatto parte della morena superficiale formata in conseguenza della riunione dei due rami che sono passati ai lati dello stesso monte. — Or bene, non si trovano massi e ciottoli dei due graniti di Baveno che sulla riva orientale del lago d’Orta, dove abbiamo supposto essersi formata la morena sinistra del ramo di ghiacciajo entrato nel ba- cino del lago d’Orta, e sulla riva orientale del lago Maggiore, dove doveva essere la morena destra del supposto ghiacciajo proveniente della vallata della Toce; e sui fianchi del monte di Baveno e del Mon- torfano si vedono grandi accumulazioni di massi e ciottoli di rocce cristalline stratificate provenienti dalle parti superiori del bacino della Toce, e corrispondenti alle morene di ostacolo del supposto gran ghiacciajo della Toce. — E dunque il gran ghiacciajo, che abbiamo supposto aver occupato tutta quanta la vallata della Toce, l’ha realmente occupata, ha lasciato le sue morene d’ostacolo e laterali sui monti di Baveno, sul Montorfano e. sulla riva del lago d'Orta, ha mandato un ramo laterale nel bacino del lago d'Orta, ed è entrato in quello del Jago Maggiore passando ai lati del Montorfano, ed occupando il golfo di Pallanza e Baveno. 232 G. OMBONI, Bacino del lago d’ Orta. Fra Pella e San Maurizio, sulla riva occidentale del lago d'Orta, sono parecchie grandi cave d’un granito bianco buonissimo, simile a quello dei monti di Baveno; la morena destra del ghiacciajo chiuso in questo bacino avrà dunque contenuto questo granito, da Pella fin all’ estre- mità meridionale del ghiacciajo; e lo stesso granito avrà dovuto far parte anche della morena frontale. — Or bene, presso l’ estremità meridionale del lago d’ Orta, non solo si vedono due monticoli isolati di porfido rosso quarzifero con pareti arrotondate, ma si osservano due morene frontali concentriche, che impediscono all’ acqua di avere scolo verso mezzodi, e due morene laterali, l’ una a ponente, da San Maurizio a Pogno, l’altra a levante, da Bolzano al piede del monte porfirico del convento d’ Ameno; e i massi erratici sparsi su queste morene sono numerosissimi, così che vi lavorano gli scalpellini come in una vera cava di pietre da costruzione; e sono tutti o di gneiss e mi- cascisti o di granito bianco, cioè delle rocce formanti i monti intorno al bacino dellago. A Gozzano sorge un piccolo monte di calcare rosso, e cominciano ad essere meno frequenti i massi erralici; a Borgomanero sono ancora meno frequenti, e quelli che vi si trovano furono forse levati dalle morene e portati fin là dalle correnti acquee all’ epoca della fusione del ghiacciajo (1). Parte meridionale del lago Maggiore. Abbiamo già veduto che i monti di Baveno e il Montorfano danno rocce caratteristiche per lo studio delle antiche morene. Il monte San Quirico presso Angera è un monte conico, di porfido rosso, che si innalza isolato fra il lago e la pianura con lievi colline, che si stende da Angera ai monti di Gavirate. Il piede meridionale di questo monte è di un calcare ora roseo ed ora giallastro, che si cava (1) Le morene intorno alla estremità meridionale del lago d’Orta furono descritte nella già citata mia prima memoria sul terreno erratieo di Lombardia e segnate sulla carta geografica unita a detta memoria. I GHIACCIAJ ANTICHI } EC. DI LOMBARDIA . 208 presso Angera come pietra d’ornamento e da costruzione. Il suo piede settentrionale è circondato da due colline semicircolari, concentri- che, che hanno la forma e la struttura delle morene d’ ostacolo. Fra i massi e i ciottoli sparsi intorno al monte e sul monte stesso se ne rimarcano molti che sono di rocce amfiboliche. Di più, tutta la superfi- cie del monte, là dove è a nudo e non fu troppo alterata dagli agenti atmosferici, è ancora liscia e coperta di solchi ben distinti ed eguali a quelli che si formano sotto ai ghiaccia). — Dunque un ghiacciajo s’innalzò in altri tempi fino alla cima del San Quirico e ne lisciò e rigò tutta la superficie rivolta a tramontana; poi decrebbe e si ab- bassò, abbandonando quà e là dei massi e dei ciottoli sui fianchi del monte; poi si fermò alquanto al suo piede, e vi formò le morene d’ostacolo, disposte a semicircolo, e concentriche; e infine si sciolse totalmente e scomparve. Se ora passiamo sulla riva occidentale, ad Arona, troviamo che i massi erralici e i ciottoli sono quasi tutti di granito roseo, di granito bianco, e di rocce cristalline stratificate, e gli altri sono del porfido rosso e del calcare in posto presso Arona. In un certo luogo fra San Carlo e’ Arona e Dagnente ho veduto un tratto di roccia porfirica lisciata € solcata come quella del monte San Quirico. E dai monti fra Arona e Invorio partono quattro vere morene laterali parallele fra loro, che si piegano ad arco verso sud-est. Seguono poi, al sud d’Arona, altre colline con forma e struttura di morene, dirette quasi da ovest ad est, e che sono avanzi di morene frontali. Poi, fra Borgo Ticino e Sesto Calende sulla destra del Ticino, v' ha un altro avanzo di mo- rena frontale; da Coarezza a Sesona e fino a Corgeno, sulla sinistra del Ticino, si stende un’altra serie di colline regolari, avanzi di un’altra morena frontale; le colline di Somma, dirette da sud-est a nord-ovest, come quelle di Cimbro e Cuvirone, allineate da nord a sud, sono pure avanzi di morene frontali ancora più distanti dalla riva del lago; ed altri ancora se ne trovano fra Comabbio e Travedo- na, e fra Varano e Biandrone (1). — Tutte le morene fra Invorio, - (4) Tutte queste morene suno deseritte nella mia Memoria sul ferrero ervalico di Lom- bardia (Alli della Società italiana di scienze naturali, \omo UU. Milano, 4859-60, con una tavola), come quelle del bacino d'Orta. Quelle dei dintorni di Sesto Calende erano 254 G. OMBONI, Arona e Borgo Ticino non contengono rocce amfiboliche o serpenti- nose, ma vi abbondano i graniti di Baveno e del Montorfano; quelle invece intorno a Sesto Calende contengono rocce amfiboliche prove- nienti dalle valli sboccanti intorno a Locarno, e dalle valli più setten- trionali. Se ora veniamo al piede dei monti che separano il lago di Varese dalla val Cuvia e dalla val Gana, vi troviamo un nuovo fatto interes- santissimo. Già fin dal 1846 udii il professore Filippo De-Filippi, in un corso di geologia tenuto presso il Museo Civico di Milano; far cenno d’una morena esistente presso Varese, fra Luinate e Casciago. Seppi nello scorso settembre 1860 che la stessa morena era stala osservata già da molti anni anche dal professore Favre di Ginevra. Ambedue que- sti distinti naturalisti vi avevano trovato ciottoli rigati e benissimo conservati. lo ho poi veduto nell'ottobre 41860 che questa mo- rena gigantesca s’innalza a molta altezza sui fianchi dei monti, co- mincia a Velate e alla Torre di Velate, e continua fin sopra San- Andrea di Gavirate, e assai probabilmente continua anche. sul ver- sante settentrionale del monte Val Grande, in Val Cuvia. La sua mag- gia state descritte da Zollikofer fin dal 4844 nella già citata Memoria sulla geologia dei dintorni di Sesto Calende. La prima morena luterale destra, formata dal ghiacciajo nell’ epoca della sua maggiore estensione, parte dai monti di Invorio, e si stende fino al sud di Gattico; è formata da quattro o più ondulazioni parallele, distinte, almeno in quel tratto compreso fra Gat- tico e la strada da Oleggio Castello a Borgomanero. Si può dunque ritenere come for- mata da qualtro morene parallele e deposte a poca distanza I’ una dall’ altra durante il decrescimento del ghiacciajo. La seconda va da Paruzzaro a Mugiano; ed è separata dalla precedente per mezzo d’una stretta e lunga zona di pianura. La terza passa peri paesi di Oleggio Castello e di Mugiano, ed è separata dalla pre: cedente per mezzo delle torbiere di Mugiano. La quarta va da Mercurago a Dormelletto, ed è separata dalla precedente per mezzo della pianura e delle torbiere della Surga. La più meridionale morena frontale va da Veruno e Revislate fino al sud di Borgo Ticino. — A questa è parallela una seconda, ma ne è divisa per mezzo della strada da. Gattico a Borgomanero. — Un terzo avanzo di morena frontale comincia a Comi. gnago e si dirige a ponente verso Gatlico. — Alcune colline sulla sinistra del torrente che passa alla Campagnola, e fra questo torrente e la strada postale da Arona a Borgo Ticino sono altrì avanzi di morene frontali, I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 255 giore altezza è sul fianco occidentale che guarda il lago Maggiore; di là fino a Velate la sua cresta forma una linea retta, e poco incli- nata verso levante, così che a Velate giunge quasi al piede del monte su cui è la Madonna. — Questo limite superiore della morena si rico- nosce benissimo guardando il monte da una certa distanza, per esem- pio dal lago di Varese, da Angera, da Arona, monte dal San Quirico, e appare distintissima pel modo con cui le valli discendenti dalla cre- sta del monte cangiano bruscamente di direzione e di forma appena giungono alla morena (Tav. III. fig. 4 o 3). Questa morena gigantesca contiene ciottoli calcarei rigati; ne ho raccolto di bellissimi alla Torre di Velate (dove i ciottoli sono ce- mentali insieme e formano una puddinga ), a Casciago, a Luinate, a Comerio, e sopra Cerro (frazione di Trevisago), che è sul fianco che guarda il lago Maggiore. Contiene anche ciottoli di gneiss e mica- scisti, e di rocce amfiboliche identiche a quelle della valle Leventina. — E non contiene alcun ciottolo o masso di porfido rosso quarzifero, roccia in posto nella val Gana. — Dunque questa è in parte una morena d’ ostacolo e in parte una morena laterale, deposta da un ghiacciajo proveniente dalla valle Leventina e dalle valli vicine, ed occupante il gran bacino del lago Maggiore; e non da un ghiacciajo uscito dalla val Gana per quella valle che passa sotto la Madonna del Monte; perchè questo, venendo dalla val Gana, vi avrebbe deposto del porfido quarzifero e del melafiro in luogo delle rocce amfiboliche. Tutti i fatti che ho fin quì accennati non si possono spiegare se non coll’ esistenza d’un antico estesissimo ghiacciajo in tutte le valli del bacino della Toce e di quello del Ticino. Giunto infatti il ghiacciajo della Toce nel Golfo di Pallanza, avrà avuto nella sua morena laterale destra i graniti di Baveno, nella sua morena laterale sinistra i gneiss e i calcari della riva sinistra della Toce, e nelle sue morene superficiali le rocce delle valli di Vedro, Antigorio, ecc. Il ghiacciajo proveniente dalla vallata del Ticino avrà ricevuto, entrando nel bacino del lago Maggiore, i ghiacciaj laterali delle valli Verzasca, Maggia e dell’ Onsernone ; e quindi, giunto fra Pallanza e Laveno, avrà avuto nella sua morena laterale destra le rocce della valle Maggia, e nella morena laterale sinistra e nelle su- perficiali le rocce in posto fra la val Maggia e quella di Misocco. 256 G, OMBONI, L’incontro dei due ghiacciaj avrà dato origine, fra Stresa e Lave- no, ad un ghiacciajo unico, il quale avrà avuto nella sua morena la- terale destra i graniti di Baveno, e nella morena laterale sinistra e nelle morene superficiali tutte le rocce dalla valle Anzasca fino alla valle di Misocco, comprese quelle amfiboliche del San Gottardo ; ed avrà quindi deposto i graniti di Baveno soltanto sulla riva del lago fra Baveno e Arona e nelle morene laterali da Arona a Borgo Ticino, e le rocce amfiboliche delle alte valli del Ticino e tutte le altre rocce delle morene superficiali e della morena laterale sinistra sulla riva orientale del lago, nella morena laterale e d’ ostacolo di Luinate e Velate, e nelle morene frontali fra Borgo Ticino e Varese. E senza questo ghiacciajo non si sarebbero formate le morene late- rali di Arona e Borgo Ticino, le morene frontali fra Borgo Ticino, Somma e il lago di Varese, la morena d’ ostacolo sui fianchi dei monti di Gavirate, Comerio, Luinate e Velate, e le morene d’ ostacolo del monte San Quirico; non sarebbero state lisciate e solcate le rocce in posto presso Arona ed al monte San Quirico; non si osserverebbe quella regolare distribuzione dei graniti di Baveno sulla riva occi- dentale, e delle rocce amfiboliche fra Sesto Calende e i monti di Ga- virate. — I ciottoli rigati della morena di Luinate e Velate vengono poi a comprovare ancora maggiormente l’ origine glaciale di quella e delle altre morene descritte. Rimangono ora a cercare altre morene sui fianchi dei monti di Laveno, fra Laveno e la valle Cuvia, e sul versante settentrionale del monte di Gavirate. Rimane pure da determinare fin dove si estese il ghiacciajo fra le colline di Ternate e quelle intorno a Varese. — Pare che l’ultimo limite del ghiacciajo, lungo la linea ora percorsa dal Ticino, sia indi- cato dalla collina morenica di Somma, e da quelle fra Cuvirone e Cimbro. D'altra parte la collina di Varano verso Biandrone è fiancheg- giata verso il lago di Varese da una morena, e questa pare una morena laterale. Vi raccolsi ciottoli levigati e rigati di serpentina verde. La morena gigantesca di Luinate e Velate, che fu in gran parte la morena laterale sinistra del ghiacciajo del Ticino, prova poi che que- sto ghiacciajo aveva uno spessore grandissimo, e si estendeva assai pro- der rg I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 257 babilmente su tutta la pianura poco ondulata fra Angera, Somma e le colline a levante del lago di Varese, fino all’ incontro dei ghiacciaj minori usciti dalle valli della Madonna del Monte, di Frascarolo, eidi Arcisate. — lo credo dunque che una volta il ghiacciajo del Ticino si sia esteso fino alle più meridionali morene di Borgo Ticino, fino alle colline di Somma, e fino alle colline al sud di Varese, coprendo tutto quanto v'è fra i monti d’ Arona e quelli di Varese e Gavirate, compreso il monte San Quirico; e che poi, a poco a poco, si sia ab- bassato e ristretto, abbia lasciato sporgere a guisa d’isola il monte San Quirico, ed abbia lasciato scoperto sempre nuovi tratti di pianu- ra, deponendo quà e là sempre nuove morene frontali e laterali in- torno ad Arona ed a Sesto Calende, e quelle d’ostacolo alla base del San Quirico, prima di distruggersi del tutto e scomparire. Val Curia, val Gana e dintorni di Varese. Fra Varese, Sant'Ambrogio, Velate e Masnago si innalzano diverse colline sulle quali raccolsi ciottoli calcarei rigati; sono dunque an- ch’ esse d’ origine glaciale. Fra lo stradone da Varese a Sant'Ambrogio e l’ Olona, esiste un’ al- tra collina allungata e regolare, che dev’ essere un’altro avanzo di morena; e infatti sulla strada da Induno a Sant’ Ambrogio, fra l’ Olona e Sant’ Ambrogio, raccolsi ciottoli calcarei rigati, e vidi numerosi massi di rocce proprie della val Gana (melafiro e porfido rosso quar- zifero ) misti a massi di rocce del bacino del Ticino. E da Induno parte una collina regolare diretta verso mezzodi, che continua con alcune interruzioni fin all’ Olona. In questa collina ve- donsi ciottoli calcarei rigati, e ciottoli e massi di porfido rosso quar- zifero e di rocce granitiche. Presso Induno, e precisamente sulla strada carrozzabile che ascende da Induno a Frascarolo, si vede un enorme masso erratico, che mi parve di serpentina scheggiosa. La roccia è assai alterata presso la superficie ed è poi difficile staccarne dei pezzi che possano dare a conoscere abbastanza bene la natura della roccia. Presso Frascarolo, Vol. HI. 17 258 G. OMBONI, poco lungi dalla strada carrozzabile, ma di fianco ad una strada laterale che conduce alla cava Medici, si vede un altro masso; ancora più grosso, di melafiro, spaccato in due, e accompagnato da molti massi minori. La sua lunghezza è di 410 metri, la larghezza di 7 e l’ al- tezza di 8 (Tav. III. fig. 3). Queste colline sono dunque altrettanti avanzi di morene, e queste non possono essere state formate in quei luoghi, con quei materiali, e in quelle direzioni, se non da due piccoli ghiacciaj provenienti dalla val Cuvia e dalla val Gana, per mezzo della stretta valle di Brincio, che passa sotto la Madonna del Monte, e della valle dell’Olona, che passa sotto Frascarolo. E pare che uno di questi ghiacciaj sia un ra; mo del gran ghiacciajo del Ticino, entrato in val Cuvia dalla pianura che è al piede dei monti al sud di Laveno; e che l’altro sia un ramo del ghiacciajo del bacino del lago di Lugano, entrato in val Gana per la valle di Ponte Tresa e Marchirolo. — Ma abbisognano nuove ricer- che sui siti per meglio chiarire l’ origine di questi piccoli ghiacciaj. Bacino dell’Adda. Il bacino dell’ Adda comincia colla Valtellina, colle valli laterali di questa, e colla vallata di San Giacomo, in cui è Chiavenna ; forma poi il lago di Como, e fra Menaggio e Bellagio si divide in tre rami; uno a destra, che comunica col bacino del lago di Lugano, uno a sinistra, che forma il lago di Lecco, e il terzo nel mezzo, che forma il lago particolare di Como. Dal ramo di Lecco si può poi penetrare nella Vallassina o valle del Lambro, e dal ramo di Menaggio nella valle Intelvi. Quest ultima valle si apre anche nel ramo di Como ad Argegno. Il bacino di Lugano si apre nella pianura per la valle di Porto e Arcisate e per quella di Capolago e Mendrisio; quello di Como per la valle che passa sotto al monte Baradello; quello della Vallassina per la valle del Lambro e per la valletta in cui è il lago del Segrino ; e quello di Lecco per la valle dell’ Adda e per la valle laterale di Valmadrera. Ora dobbiamo studiare i depositi erratici di tutte queste parti del gran bacino dell’ Adda. 1 GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 259 Bacino di Bormio. Intorno a Bormio confluiscono insieme tre valli, cioè: la val Furva, che riceve dalla destra la valle di Zebrù; la valle dell’ Adda, formata dall’ unione di quella per cui si ascende allo Stelvio, e di quella di Fraele; e la valle Viola, in cui è Isolaccia. L’ unione di queste valli forma un largo bacino a fondo piano, nel quale sono Bormio, Santa Lucia e Fumaraga, e che dà principio alla Valtellina propriamente delta. Le cime dei monti circostanti, cioè di quello sopra Oga, di quello sopra Premàdio, e di quelli sopra Bormio sono di rocce calcaree. Delle stesse rocce devono essere anche i monti della valle di Fraele, secondo la carta geologica della Svizzera di Studer ed Escher. Bormio sta sopra un cono di detriti caduti dai monti che gli stanno alle spalle, e le cui parti inferiori suno formate di scisti verdi, men- tre le superiori presentano le forme delle montagne calcaree e dolo- miche; e di queste rocce sono fatte le frane che discendono ai lati di Bormio. Tutte le rocce stratificate di questi monti sono sollevate verso sud o sud-est; e ciò si vede benissimo anche da lontano, per la distribu- zione della neve sugli strati sporgenti delle cime. Pare dunque che siano addossate a guisa di mantello ai graniti e ad altre rocce pluto- niche che si vedono al sud del bacino di Bormio. Valle Furca 0 di Santa Caterina. ll luogo di Santa Caterina, rinomato per certe sue sorgenti medi- cinali, si trova in un vasto bacino circondato da monti coronati da nevi perpetue e da ghiacciaj. — In poche ore si può salire di là ai ghiacciaj che danno origine al fiume Frodolfo, e che sono interessan- tissimi. Si sale verso nord, per una strada quà e là rotta dalle frane e dai torrenti, c in varj Juoghi formata con tronchi di legno sospesi sopra profondi burroni, percorrendo sempre una valle streltissima, e occupata da boschi d’ alberi coniferi; e si giunge al così detto 260 G. OMBONI, forno. È un'apertura ad arco, una grotta aperta nella estremità infe- riore d’ un ghiacciajo, dalla quale escono le acque del Frodolfo. Si vede quì benissimo il ghiaccio bolloso dei ghiacciaj, diviso in enormi fette dai crepacci trasversali, azzurro nelle parti poco illuminate, sparso di ghiaje. ciottoli e massi provenienti dai monti circostanti. Dicono quei di Santa Caterina che questo ghiacciajo era, alcuni anni sono, meno lungo, e che più anticamente lo era ancora meno, così che gli fu costruita davanti una chiesa, la quale fu poi distrutta e coperta dal ghiacciajo quando cominciò ad allungarsi. Se da quel luogo, ove si vede il forno, si sale pel monte che si ha alla sinistra, attraverso pascoli alpini bellissimi, fino ad alcune case collocate sul fianco del monte, si giunge a godere d’ una bellissima vista. Si vede che il ghiacciajo del forno è formato dall’ unione di molti ghiaccia] discendenti da un anfiteatro di monti con nevi per- petue; che ha ai suoi lati le sue morene laterali regolari, e sul suo dorso una grande morena superficiale, indizio dell’ unione di due grandi ghiacciaj perfetti; che è attraversato da un numero infinito di crepacci; e che, avendo origine da una valle laterale, discende tanto da giungere ad occupare la valle principale, ed anzi da per- correre un certo tratto anche di questa valle, così che il fiume Fro- dolfo, proveniente dalla parte superiore della valle principale, è co- stretto a passar sotto al ghiacciajo e sortire per quell’ apertura che è detta forno. Se poi si continua il viaggio nella valle principale, stando sempre a molta altezza sui fianchi dei monti, si giunge a vedere la parte più elevata della valle, che è un immenso anfiteatro, circondato da monti nevosi, e occupato dal ghiacciajo, da cui ha la sua prima ori gine il Frodolfo. Con un tempo sereno si gode di là uno di quegli spettacoli che poi non si dimenticano più per tutta la vita. È quello il miglior luogo di Lombardia nel quale si possano vedere da vicino e senza gran fatica i fenomeni dei ghiacciaj completi; giacchè si vedono crepacci, morene, nevi perpetue, tavole di sasso alla super- ficie del ghiaccio, ecc; e ciò a poche ore di distanza da un buon albergo, qual'è quello di Santa Caterina. e a cui si può giungere co- modamente in carrozza. 1 GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 261 Quanto a rocce, trovai fra Santa Caterina e il forno diverse varietà «di granito grigio, spesso elegantissimo e con cristallini amfibolici in- trecciati, e alcuni strati di calcare saccaroide e di marmo venato, oltre alle solite rocce scistose (gneiss e micascisti) di tutta la Val Furva. Nella valle del Zebrù, che sbocca nella val Furva poco lungi da Bormio, fra Sant’ Antonio e San Gottardo, trovai diverse varietà di rocce scistose e di calcari, del gesso, ed un grosso ciottolo di un con- glomerato rosso affato simile al 'errucano della Valsàssina. La brevità del tempo m’ impedì di fare regolari ricerche per scoprire se quel ciottolo di conglomento rosso provenga da quella valle del Zebrù, e se quindi esista in detta valle il Verrucano. L'ingegnere Venosta di Sondrio mi disse che esiste del gesso presso San Nicolò, presso Bormio; io ne ho veduto caricato un carro presso lo sbocco della valle Furva nel bacino di Bormio. Presso ai ghiacciaj viddi dei dossi arrotondati, ma assai guasti dal tempo, per la natura particolare delle rocce. Fra il ghiacciajo del forno e l’altro, i fianchi dei monti sono tondeggianti fino a una certa altezza. Da Bormio alla Stelvio. Salendo da Bormio per la strada dello Stelvio si vede che la valle dell’ Adda si ristringe rapidamente, a monte dello sbocco della valle Viola o di Primolaccia, che si apre nella vallata principale presso Premàdio. 1 monti si fanno a pareti quasi verticali e si avvicinano in modo da lasciare appena lo spazio per l’ alveo del torrente. Poco dopo i Bagni vecchi si vede l’ entrata della valle alpestre di Fraele, e la cascata dell’ Adda, che esce da una apertura nella parete ver- ticale della roccia calcarea. Di là continua la valle ristretta fino a Spondalunga, dove la strada forma numerosi zig-zag sopra un’ im- mensa frana, che copre i fianchi del monte. E così si sale rapida- mente ad un bacino assai ampio, nel quale la strada descrive una lunga curva in piano, intorno ai prati del fondo del bacino. Tutt' al- l’ intorno i monti sono nudi e colle cime nevose, e si vedono parec- chj ghiacciaj imperfetti. Da questo bacino si sale poi al giogo che mette nella valle svizzera di Santa Maria, e di là a quello ancor più elevato. sopra il livello delle nevi perpetue, che mette al Tirolo. — 262 G. OMBONI, in molti luoghi si vedono dossi tondeggianti; ma per la natura delle rocce (calcari e rocce scistose) non se ne sono conservate bene le forme. Nella valle che discende dal monte Cristallo presso la cantoniera di Spondalunga trovansi massi di granito verdiccio, che sembrano caduti dall’ alto di quella valle. L’ingegnere Francesco Venosta di Sondrio mi assicurò trovarsi alla torre di Fraele, tra Fraele e Isolaccia, a 1200 metri sul livello del mare, un masso di granito, della cui origine egli non ha mai saputo trovare una spiegazione. — E sopra Bormio sono numerosi i massi erratici di un granito grigio eguale a quello in posto in val Furva. Uno di essi, assai voluminoso, fu adoperato per fare i pezzi destinati a portare le grosse incudini dei magli nella fucina di ferro di Premadio. Da Bormio a Tirano. Il bacino di Bormio si ristringe a povo a poco verso mezzodì, finchè il fondo della valle non comprende che 1’ alveo del fiume e la strada postale. — Da Ceppina al ponte del Diavolo, dove la valle è più stretta, ed anche fino ai Foscanni, frazione di Leprese, i monti sono di rocce granitiche, talvolta zeppe di granati. — Ai Foscanni la valle comin- cia ad allungarsi e forma un bacino, in cui sono Leprese, Mondadizza, Bolladore e Sondalo. I monti circostanti constano delle rocce amfibo- liche , ipersteniche e diallagiche, che resero famosa questa località. — Queste rocce sono sieniti a cristalli laminari d’ amfibola nera, sie- niti con cristalli laminari e fibrosi di iperstene, sieniti con amfibola nera bacillare, granitone con grandi lamine verdi, rocce d’amfibola e quarzo, rocce con amfibola raggiata, rocce con granati rossi, ec. Tutte queste rocce si possono raccogliere in tutti i muri a secco lungo le strade e lungo i margini dei prati e dei campi, e negli al- vei dei torrenti, da Leprese fino a Bolladore e Sondalo. Dalla valle laterale di Rezzo, il cui torrente passa presso Mondadizza, escono dei massi e ciottoli d’ una diorite porfiroide a fondo nerastro o nero, con cristalli prismatici bianchi, che si ritrova poi in ciottoli nell’ al- veo del Seveso presso Milano e nello stesso selciato di questa città. I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 265 Dopo Bolladore la valle si ristringe, e forma un nuovo bacino, nel quale sono Grosio, Grossotto, Mazzo, Tovo e Lòvere, e nel quale sbocca sulla destra la valle laterale detta Grosina. -—— Fra la parte inferiore di questa valle Grosina e la vallata dell’ Adda si osservano dei dossi arrotondati, abbastanza bene conservati e caratteristici. A Sernio v’ ha un nuovo ristringimento della Valle dell’ Adda, ma poco dopo ritorna larga, e comincia un bacino che continua con poca inclinazione fino allo sbocco della valle nel lago di Como presso Colico. Valle di Puschiavo. Presso la Madonna di Tirano sbocca nella vallata dell’Adda la valle laterale destra di Puschiavo, che fu bene descritta da Theobald negli Atti della Società di scienze naturali dei Grigioni (A). (4) La valle di Puschiavo, che fa parte del Cantone dei Grigioni, benché versi le sue acque nell’ Adda presso Tirano, e fu descritta minutamente da Theobald negli Atti della Società di scienze naturali dei Grigioni (Jahresbericht der Naturforschenden Gesellschaft Graubundens, Neue Folgé, IV Jahrgang, 1857-58), è formata dall’ unione della valle della Rosa ( V. Agone) e della valle di Campo, e poi dalla valle del Cavagliasco, che scende dal lago Bianco del Bernina. Da San Carlo in giù la valle è spaziosa e col fondo piano, e contiene Puschiavo, diversi villaggi, il lago di Puschiavo e sulla riva settentrionale di questo, lo Stabilimento dei Bagni. Appena dopo il lago, la valle si ri- stringe assai, e discende rapidamente verso Brusio, e poi, or più or meno declive, fino alla Madonna di Tirano, ove sbocca nella vallata dell’ Adda. Esaminando le rocce nel risalire la valle, si vedono, intorno al suo sbocco, degli scisti talcosi verdi e grigi, inclinati verso nord e nord-ovest; a Piattamala micascisti e gneiss con molto quarzo e grandi cristalli di felspato; a Campocologno gneiss bianco e gra- nito in grossi banchi; a Garbetta (sopra Brusio) gneiss appoggiato sul precedente gra- nito; da Meschino (all’ estremità meridionale del lago) fino a Leprese (all’ estremità settentrionale del lago) sempre gneiss in istrati ondulati e ripiegati. A Leprese si tro- vano scisti micacei e talcosi, con banchi calcarei, spesso marmorei, e con dolomia grigia e rauchwacke. Vi si scorgono molte piriti e le sorgenti solforose, che servono ai bagni. La sorgente principale dà 75 litri al minuto; 1)’ acqua è chiara; in agosto presentò la temperatura di + 49.° 4 C., mentre l’ aria era a +, 8.° 125. C.; contiene solfato di calce, carbonato di magnesia, sostanze organiche azotate, acido carbonico, solfato di potassa, ecc. Al di Jà di Leprese una frana, che seppelli un villaggio al luogo detto dei mille morti; poi scisti talcosi e cloritici, scavati come ardesie; e nella frana si trovano calcari e serpentini provenienti dalle cime verso la valle Malenco. Al Pizzo Canciano sì vedono scisti micacei, cloritici e talcosi, e gneiss; e massi arrotondati, e tracce di ghiacciaj antichi più estesi. Un avanzo d’un’antica morena sotto al ghiacciajo Palù. 264 G. OMBONI» Nella mia gita di poche ore in questa valle potei vedere che for- ma un ampio bacino intorno a S. Carlo, là dove si uniscono le valli laterali che la formano; che v’ ha poi il bacino del lago di Puschia- vo; che da questo si discende rapidamente in quello che contiene Brusio; e che finalmente da questo si discende, per un ristringimento della parte ultima della valle, nella pianura di Tirano. Raccolsi esem- plari di diversi calcari del Pizzo Sassalbo, di varie rocce dell’ alveo del fiume a S. Carlo, di varj scisti talcosi e micascisti fra S. Carlo e Puschiavo, dei gneiss bellissimi cavati presso i Bagni, e di varie rocce granitiche grigie fra Brusio e il confine lombardo. È rimarcai a Brusio dei dossi arrotondati e ben determinati, di granito. Theobald cita un avanzo di un’ antica morena solto al ghiacciajo Palù e dei dossi arrotondati sotto al Pizzo Canciano. Da Tirano a Sondrio. I monti non hanno alcuna roccia ben caratteristica. Fra Ponte e Tresenda rimarcai delle rocce arrotondate con forme ben definite (1). AI Pizzo Palù le stesse rocce che al precedente. I monti a levante hanno ancora gli stessi scisti e gneiss. Però il Pizzo Sassalbo, sopra Poschiavo e San Carlo, ha in alto dolomie, marmi grigi e rossi, quarziti, ecc. Il calcare rosso fu paragonato a quello di Adneth. La quarzite e i micascisti furono tenuti del gruppo del Verrucano; e sono in- feriori ai calcari e alle dolomie, che forse sono del lias e del trias. Nelle parti più ele- vale delle valli si vedono ancora gneiss, scisti micacei e talcosi, gesso, e poi graniti e sieniti (Bernina). Nella valle della Rosa, sulla strada della Bernina, si trovano filoni di solfuri metallici, che furono e in parte sono ancora lavorati. Nelle parti più alte si vedono i monti formati da gneiss che porta dei micascisti, delle quarziti simili a quelle del Ver- rucano di Munsterthal, altri scisti talcosi, delle dolomie, dei calcari neri, grigi e rossi, del gesso stratificato e del gesso granoso; e fra il calcare e il verrucano sono le sor- genti del Puschiavino. (4) L'ingegnere Sertoli mi fece vedere un museo appartenente alla sua famiglia, e che contiene molti esemplari delle produzioni naturali della Valtellina e della valle di Chiavenna, e molte armi antiche, alcune delle quali interessantissime, perchè trovate nei castelli antichi, così frequenti nei dintorni di Sondrio Vi notai particolarmente: l’a- mianto filiforme di val Malenco, che talvolta contiene dei cristalli di felspato, oppure dei cristalli di ferro magnetico, spesso ridotti in forma di mandorle o di semi di pino; molti esemplari di sal gemma (Braulio), di ferro oligisto, di ferro magnetico (Zebrù), di ocra (Bormio, palude della Plata), di galena (Bormio, Isola di Chiavenna), di borace di soda (Lanzada), di manganese (val Malenco), di malachite (val Malenco), di grafite l GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA _ 265 Valle Malenco. A Sondrio sbocca nella vallata dell’ Adda la Valle Malenco, in cui scorre il Màllero. La sua parte inferiore è ristretta, e strettissima l’ entrata. Da Torre a Lanzada forma un bacino quasi piano, ma non molto largo. A Lanzada è 1’ unione delle due valli minori che scendono dai monti a settentrione, e formano la Valle Malenco. Dalla valletta laterale di Torre escono ciottoli e massi di molte va- rietà di rocce serpentinose, per le quali è rinomata la Valle Malenco. V*hanno serpentine ordinarie compatte, serpentine traenti all’azzurro e compatte, serpentine talcose e a lamine liscie, serpentine falcose e a lamine pieghettate e ondulate, con bellissimi effetti di luce, che le fanno parere stoffe di seta, e serpentine compatte e scure, con entro cilindretti di materia più oscura e traente all’azzurro; v' hanno stea- titi bianche, verdognole e verdi, oficalci macchiate di bianco e di verde, bellissime, rocce granitoidi, con lamine di talco o di serpen- tina, ecc.; v hanno ardesie di diversi colori, alcune varietà di quar- zo, ece. A queste si aggiungono poi l'amianto e l’asbesto, che si riducono presto in minutissimi detriti. Quella serpentina oscura con entro cilindretti di materia ancora più oscura è spesso alterata, e allora diventa una roccia friabilissima, specialmente pei vuoti lasciati da’ quei cilindretti, che sembrano trasformati in polvere di carbone. Le accumulazioni dei detriti di tutte queste rocce sono poco stabili, e quando sono inzuppate d’acqua per lunghe piogge o per lo squa- gliarsi delle nevi, si muovono lentamente, discendendo per i fianchi dei monti. Il villaggio di Ciappànico, che si vede a una certa altezza in questa valle, discende così a poco a poco, obliquamente, e le sue case si vedono gia smosse dalla posizione normale, e più o meno in- (val Malenco), di oligisto rosso terroso (val Malenco), di marmo statuario (Pradello so- pra Bormio, Caspoggio in Val Malenco, Sernio, ece.), di sienite iperstenica (Leprese), di smaragdite (Ortlerspitz), di calcare rosso (val del Bitto ?), e di un masso di calcare rosso con ammoniti, terebralule, pettini, ecc., trovato a Sondrio nello scavare per fare ì fondamenti ad un argine pel Mallero, e proveniente, forse, dalla valle Malenco. 266 G. OMBONI, 3 clinate, Le frane sono frequentissime in queste accumulazioni di detriti; e danno origine ai più gravi disastri, arrestando per qualche tempo le acque del fiume, e lasciandole poi discendere tutte in una volta, quando il loro peso vince la resistenza dell’argine formato dalla frana. Fra Torre e Chiesa, continuano ancora le stesse rocce serpentinose. Fra Chiesa e Caspoggio si vedono sparsi dei massi di un granito gri- gio con lunghi cristalli d’ amfibola nera, che devono provenire dal- l’alto della valle. Questa parte più alta della Valle Malenco è formata da due rami principali, che si uniscono presso Chiesa. In quello da cui scende il Màllero si trovano graniti, gneiss e altre rocce analo- ghe; nell’altro, oltre Lanzada, si vedono monti con calcari sacca- roidi, bellissimi, bianchi e venati, e con gneiss, micascisti, ecc. Forse da questo secondo ramo provengono quei massi sparsi intorno a Chiesa, di granito amfibolifero. Da Sondrio a Colico. I monti sono quasi sempre di rocce che non conservano bene le impronte dei ghiacciaj; ma pure si vedono distintamene arrotondati i bassi monti fra Sondrio e la Chiesa della Sassella; ed arrotondati sono pure benissimo i monticoli di micascisto che s’ innalzano nel mezzo della valle dell'Adda, al suo sbocco nel lago di Como, presso Colico. Alcuni monti sulla destra dell'Adda presso Morbegno, e special- mente quello della Spluga Traona, che è al nord di Morbegno, con- tiene quella roccia caratteristica che è delta serizzo ghiandone, e che è una roccia granilica con cristalli bianchi e prismatici di felspato, lunghi da tre a cinque centimetri. Questa roccia è assai adoperata come pietra da costruzione. Nella valle del Bitto, che scende da mezzodì e passa per Morbe- gno, raccolsi dei ciottoli di arenaria rossa e conglomerato rosso del verrucano , dei monti che dividono la Valtellina dalla Valle Brem- bana, 1 GHIACCI ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 267 Valle del Masino. Fra Morbegno e Sondrio, ma più presso Morbegno, sbocca nella Valtellina, venendo da tramontana, la Valle del Masino. La sua en- trata è assai ristretta, quasi una semplice spaccatura delle rocce, ma nell’interno si allarga alquanto, e forma più avanti, intorno a San Martino, un bacino a fondo piano. Di là si sale poi alquanto, per passare in un bacino meno ampio, in cui stanno i bagni del Màsino. Le pareti della valle sono quasi sempre assai inclinate, talvolta quasi verticali; sono formate di serizzo ghiandone nella parte superiore della valle, cioè a nord di Cattaeggio. Enormi massi di questa roccia, caduti dall’ alto, ingombrano in molti luoghi il fondo della valle. La roccia sembra quì più una varietà di gneiss che di granito. I suoi grossi cristalli di felspato sono ora bianchi ed ora leggermente rosei. — Nelle parti più elevate della valle si vedono ghiacciaj simili a quelli dello Spluga, della valle Pregaglia, del Sempione, ecc., in quanto al modo di terminare bruscamente, sopra pendii assai rapidi e senza morena frontale o terminale. — In alcuni luoghi i fianchi dei monti sembrano presentare parti arrotondate e solcate; ma la roccia è troppo alterabile per conservar bene questi caratteri Antico ghiacciajo della Valtellina. Tutte le rocce arrotondate osservate in quasi tutte le parti della Valtellina provano che da tutte le valli con nevi perpetue discesero dei ghiacciaj, e che questi, giungendo nella vera valle dell’ Adda, vi diedero origine ad un enorme ghiacciajo, il quale occupò tutta la Valtellina, fino al suo sbocco nel lago di Como ed a valle dei mon- ticoli arrotondati di Colico. « Se si segue nella Valtellina il limite superiore del terreno erra- tico, che vi si è depositato sulle pendici dei monti laterali, vedrassi quel limite tracciare un piano leggermente inclinato, la cui interse- zione coi monti centrali della catena è poco distante dalla linea delle nevi perpelue; aggiungasi che al di sotto di quel piano le rocce sa- 268 G. OMBONI, lide della valle dell'Adda sono spesso lisciate, rigate e scanalate, come se avessero subito l’azione d’ uno stritolamento potentissimo, e che la direzione generale di queste righe e scanalature è parallela alla direzione generale della valle (Collegno, Z/ementi di Geologia , pagina 208) ». Quel limite superiore del terreno erratico e quel trovarsi le rocce lisciate e arrotondate soltanto al di sotto di detto limite provano che il ghiacciajo della Valtellina si sollevava fino a quel limite, e la sua superficie formava un piano leggermente inclinato, poco distante del limite inferiore attuale delle nevi perpetue. Un tale enorme ghiacciajo doveva avere le sue morene come ogni altro. — Nella morena laterale sinistra doveva avere le rocce dei monti sulla sinistra della valle; ma la composizione della morena la- terale destra doveva variare di tratto in tratto, per l'aggiunta de’ nuovi ghiacciaj laterali. Fra Leprese e Grossotto doveva contenere le rocce amfiboliche di Sondalo e Leprese, ma, per l'unione del ghiacciajo laterale della valle Grosina al ghiacciajo dell’ Adda, questa morena laterale doveva diventare superficiale. La morena laterale destra fra Tirano e Sondrio, che doveva contenere i graniti e le altre rocce della Valle di Puschiavo, diventava poi superficiale, per l’ arrivo del ghiacciajo laterale della valle Malenco. Da Sondrio allo sbocco della valie del Màsino la morena laterale destra era formata dalle rocce serpentinose della riva destra della valle Malenco; ma poi, per l’ ar- rivo del ghiacciajo laterale del Màsino, diventava anch’ essa superfi- ciale. E di là fino al lago di Como predominava nella morena laterale destra il serizzo ghiandone della valle del Masino e della Spluga Traona. AI suo sbocco nel bacino del lago di Como il ghiacciajo prove- niente dalla Valtellina doveva dunque avere nella sua morena laterale sinistra le rocce dei monti a sinistra della Valtellina, nella morena laterale destra il serizzo ghiandone, e sul suo dorso almeno sette od otto morene frontali, con tutte le altre rocce della Valtellina, com- prese le serpentinose di val Malenco e le amfiboliche di Sondalo e Leprese. 1 GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 269 Vallata di Chiavenna, dallo Spluga al lago di Como. AI passo dello Spluga, pel quale si va dalla Lombardia nella valle del Reno, non vidi alcuna roccia bene arrotondata o solcata, forse per la natura scistosa delle rocce componenti quei monti, contraria alla conservazione della superficie regolare. Dal passo si discende rapidamente in un vasto bacino, nel quale è la dogana, e sono pure alcune paludi, e intorno al quale discendono da ogni parte diversi ghiacciaj, ma tulti incompleti pel soverchio pendio del suolo. Dopo il bacino s’ innalzano dei monticoli benissimo arrotondati , vicino ai quali si passa colla strada postale. Altro rialzo arrotondato e allungato a guisa d’argine divide questa dalla vicina valle di Ma- dèsimo. — Bisogna dunque credere che una volta le nevi e i ghiacci accumulati nel gran bacino al piede dello Spluga e nella valle di Madèsimo, abbiano dato insieme origine ad un vasto ghiacciajo, il quale abbia coperto e arretondato il rialzo che ora divide le due valli, e sia poi disceso regolarmente per la valle del Liro, verso Campodol- cino. Presso Isola, lungo la strada postale, si vedono dei calcari cene- ragnoli, saccaroidi, ecc., analoghi a quelli dei monti al nord di Bor- mio. Poi si discende rapidamente fino a Campodolcino, e di là fino a Chiavenna; e le rocce scistose non presentano alcuna parte ben ar- rotondata, Fra S. Giacomo e Gallivaggio si rimarca, anche viaggiando in vettura, un tratto di monte formato da un vero serizzo ghiandone simile a quello della Valtellina, A Chiavenna sbocca nella valle del Liro quella della Mera, che è la valle Pregaglia e viene dai monti a levante. Entrando in questa valle Pregaglia, appena fuori di Chiavenna, si vedono, al piede della montagna che sovrasta a Chiavenna, poco sopra il letto del fiume, molti e larghi tratti di serpentina verde cupa, colla superficie nuda, verticale, interamente levigata, solcata e rigata orizzontalmente benissimo, come le migliori rocce levigate e solcate dai ghiacciaj attuali della Svizzera. — Dunqne dalla Valle Pregaglia 270 G. OMBONI , usciva un ghiacciajo, e, unendosi a quello proveniente dalla valle del Liro, ne formava uno solo, il quale discendeva per la valle al sud di Chiavenna fino al lago di Como. Questo ghiacciajo doppio della vallata di Chiavenna doveva avere nella morena laterale destra le rocce delia riva destra del Liro e quelle della Mera a valle di Chiavenna; nella morena laterale sinistra le rocce della riva sinistra della val Bregaglia e della riva sinistra della Mera da Chiavenna al lago di Como, e quindi le serpentine di Chiavenna e il granito bianco e durissimo di Novate sul lago di Mezzòla ; e nell'unica morena superficiale il serizzo ghiandone e le altre rocce della sinistra del Liro, e quelle della riva destra della Valle Bregaglia. Lago di Como, Vallassina e lago di Lugano. « Sulle rive del lago di Como il suoio è coperto quasi sempre da quella bella vegetazione propria delle Alpi meridionali, onde riesce difficile il trovare luoghi, nei quali possansi leggere i tratti incisi dal fenomeno erratico sulla superficie delle rocce. Tuttavia si possono citare le rupi di gneiss, sulle quali passa la così detta strada regina, a mezza via fra Rezzonico e Cremia; rupi che sono scanalate pro- fondamente, e presentano pur anche delle tracce di corrosione ver- ticale. La parte concava delle scanalature è spesso coperta di righe finissime, dirette, come le scanalature medesime, dal nord-nord-est al sud-sud-ovest; il che vale a dire che tutti codesti tratti sono diretti secondo il prolungamento della parte settentrionale del lago fra Coli- co e Olgiasca. ( Collegno, Elementi di geologia pag. 430.) » « ll promontorio di Bellagio, che divide il Jago in due rami, è do- minato verso il sud da una vetta calcarea, il cui punto più elevato, detto monte San Primo, trovasi a 41384 metri sopra il livello del lago (1595 metri sopra il mare); la direzione della vetta è esattamente perpendicolare alla direzione della parte superiore del lago; 1° incli- nazione media generale del San Primo verso il nord è di 9 in 10 gradi; ma la pendice ne viene interrotta da varj altipiani, ciascuno dei quali è coperto da una accumulazione di terreno erratico. I pascoli I GRIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 2714 e i castagneti dell’ Alpe di Guello stanno sopra una di queste accu- mulazioni, a 400 metri circa sopra il lago; ma i massi erratici o tro- vanti più voluminosi vedonsi 300 metri più in su, all’ Alpefdetta di Prato-alto (in dialetto Pra-volt); i montanari hanno distinto con na: mi particolari alcuni di quei trovanti e fanno vedere a chi visita le loro Alpi il sasso di Zentina (descritto e figurato dal La Béche), (Tav. HI, fig. 2), il sasso della Luna, ecc. (4). I « | massi erratici venuti dalla Valtellina dovevano naturalmente fermarsi sulle pendici del San Primo; ma la vetta di questo monte terminasi verso l’ est in una balza di più centinaja di metri, che do- mina la valle del Lambro; il passo di Ghisallo, pel quale si va da Bellagio a Canzo, è meno alto che 1° Alpe di Prato-alto; quindi un certo numero di trovanti dovette passare da quell’apertura per scen- dere al sud; e di fatto la valle del Lambro è sparsa quà e là di tro- vanti, fra i quali alcuni di seicento metri cubici. A Canzo la valle è chiusa dal monte Pesura, che costringe il Lambro a piegarsi ad an- golo retto verso l’ ovest, e Ja pendice del monte Pesura è coperta di trovanti sino a 200 metri sopra il Lambro. Non tutti i trovanti però si sono fermati su quel monte; se ne vedono molti ancora sotto Canzo nella valle del Lambro, ed i colli della Brianza sono coperti fra Cantù e Oggiono di massi di più metri cubici, alcuni dei quali appar- tengono al calcare giurassico della valle di Canzo. « Egli è impossibile ehe le valli profonde occupate dai due rami del lago, all’est e all’ovest del San Primo, non fossero invase fino a una grande altezza, allorquando fu trasportato il terreno erratico, qualunque fosse d’ altronde la cagione di quel trasporto; e di fatto tutti i promontorj che s' innoltrano verso il centro del lago offrono accumulazioni di trovanti. Sul ramo di Como i massi più abbondanti vedonsi fra Molina e la villa Pliniana, ove la sponda del lago piegasi ad angolo retto verso l’ovest; e vi si lavorano, come in una cava naturale di granito, massi di due e trecento metri cubici, situati sino (1) L'Autore d’un articolo «del giornale il Corriere del Lario intotno al Sasso della Prasca (che è sulla punta di Geno presso Como), cita un sasso di Faroldo, « vi- cino al Erno, sul versante meridionale del San Primo. » Il sasso di Lentina è Jungo 18 metri, largo 42, alto 8. 272 G. OMBONI, a cento metri sul livello del lago (1). A Como il terreno erratico pare dilatarsi di subito, uscendo dalla valle angusta, che aveva seguita fino dal centro delle Alpi; è la stessa circostanza si osserva a Lecco, ove il Breislack citava un masso di granito di mille e più metri cubici, situato sulla pendice meridionale dei Corni di Canzo, a 390 metri sul livello del lago. Da quel masso furono estratte tutte le colonne della nuova chiesa di Valmadrera. Poco sotto Lecco, 1 Adda si ristringe e diventa presso Olginate un fiume regolare; ivi pure trovasi un accu- mulazione straordinaria di trovanti che Breislack e il barone de Buch hanno paragonata ad un campo di battaglia dei giganti; molti dei tro- vanti vi hanno più di cento metri cubici, e i loro spigoli sono appena smussati, AI sud d’ Olginate, il volume dei trovanti è assai minore; gli angoli sono più rotondati, e si passa per gradazioni insensibili (4) Nel 4851, Gurioni, in una Memoria sull’origine del terrevo erratico e del trasporto dei trovanti, in cui ammise diverse altre cause per questo trasporto, oltre alle correnti acquee e fangose, descrisse questi massi erratici di Molina e di Valmadrera. — « Non credo però, scriveva Curioni, che questa (le correnti) sia 1’ unica causa, nei nostri paesi, della distribuzione dei massi erratici: Si osservanò alcuni fenomeni che diffi- cilmente si spiegherebbero coll’ azione delle correnti d’acqua, anche anteriori agli ultimi movimenti del suolo. Al di sopra di Molina, com’è notissimo, si osservano massi erratici di granito a grossi felspati emitropi, contenenti raramente cristalletti di sfeno, i quali conservano ancora i loro spigoli ed angoli. Uno di questi presso una delle più elevate cascine del paese, è di siffatta mole, che sul piano superiore vi fu fabbricato un orto, al quale si ascende con una scala a mano. Più in alto i massi granitici si rendono frequenti, e finalmente si arriva alla valletta detta del Coloré, nella quale per esteso spazio non sì vede altro che una congerie di grossi massi granitici della stessa specie, conservanti gli spigoli. Le parti esterne delle nostre mon- tagne granitiche sì vedono fratturate nello stesso modo. A Tredia, frazione di Valma- drera, evvi una valletta nella quale si osservano massi di granito a grossi felspati, e di una specie di serpentina diversa pei caratteri esterni da quelle della T'oscana e del Genovesato, costituita, come al solito, da un silicato di magnesia con deboli tracce di talco. Uno di questi massi venne alle estremità demolito con mine per lavori edilizi: la parte tuttora esistente mi risultò, per misure prese, di 100 metri cubici. e Conclude poi il signor Curioni che, vista la disposizione degli strati fra il lago di Como e quello di Lecco, quei massi erratici forse procedono da sottoposte rocce eruttive, le quali ab- biauo sollevati gli strati calcarei, e rimangano nascoste sulto di essi. (Nola su alcune osservazioni fatte sulla distribuzione dei massi erratici, in occasione delle inondazioni avvenute nella provincia di Brescia nell'agosto del A850. — Nel giornale dell’ Istituto lombardo, ecc. A854.) l GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 275 alle puddinghe erratiche che si scavano in riva all’Adda a Capriate, a San Gervasio, a Brembate, ecc. (1). « Siccome il terreno erratico si trova sul monte San Primo a 700 metri sopra il livello del lago, così devonsi trovare sulle alture a levante ed a ponente del promontorio di Bellagio massi analoghi a quelli di Guello, di Prato-alto, ece.; e di fatto i trovanti granitici sono frequentissimi sui monti calcarei che dominano Tremezzo, Griante, Menaggio; di più, la vetta che separa le acque che scendono al lago di Como da quelle del lago di Lugano essendo inferiore di molto al (4) Credo utile riportare qui anche le parole con cui il Breislack descrisse il masso erratico trovato dall’ ingegnere Bovara sul monte di Valmadrera, e quelli di Greghen- tino, accennati brevemente dal Collegno. Sono nella sua Descrizione geologica della provincia di Milano (Milano, 4822). « Il granito che compone il masso sul monte Valmadrera, è il solito che costitu- isce la maggior parte dei nostri sassi erratici, cioè a grandi feldispati, in alcuni dei quali si trova il titanio siliceo-calcario. Giaceva questo masso in contatto immediato sopra la pietra calcaria della montagna, all’ altezza di 4200 piedi sopra il livello del lago di Como, ..;-;._ 8% La sua forma era press’ a poco parallelepipeda: le sue esatte dimensioni erano in lunghezza braccia milanesi 24, in Jarghezza 42, in grossezza 20; e, riducendo il braccio milanese al piede parigino, ne risulta la solidità di 30000 piedi cubici. L’ esperto ingegnere ne ha già ricavato quattro colonne di 5 piedi di dia- metro e 45 di altezza, per fa nuova chiesa che sotto la sua direzione si costruisce in Valmadrera, e ne ha disegnato altre quattro delle stesse dimensioni pel portico; ne ha ottenuto in oltre molti altri pezzi da porre in opera in diverse parti dell’edificio (pag. 26).» Discorrendo poi del trasporto dei trovanti, inclina ad ammettere la teoria di Venturi, del trasporto per mezzo di zattere di ghiaccio galleggianti sul mare, in quei tempi elevato fino a quelle grandi altezze ove si vedono i trovanti. In una nota alla pagina 4195 della stessa opera il Breislack dice: «Se si scende verso il lago d’Olginale, costeggiando questo torrente (che passa per un Inogo detto Molinello presso Greghentino), si vedrà una congerie così grande di massi erratici di rocce primitive, la maggior parte con gli angoli e spigoli smussati, che questo luogo pare che sia stato il campo di battaglia dove abbiano fatto guerra i giganti: poiché sono frequentissimi i massi di molti piedi cubici di grandezza, ed alcuni di tal mole, che, sepolti in parte nel suolo, potrebbero fare illusione ed essere considerati come rocce in sito. I più fre- quenti massi sono quelli del granito a grossi elementi, ma ve ne sono molti di altre variela di rocce, che i geologi pongono nelle classi delle primigenie, di transizione ed anche secondarie. Nella via che dal Molinello conduce a Greghentino sono freqnenti massi di serpentino rotti colle mine, che si veggono disposti lungo la strada in forma di muro a secco, e che si distinguono pel loro colore nero. Questo serpentino è molto attrattorio, ma, avendone esaminato alcuni saggi, non ne ho rinvenuto alcuno dotato di polarità.» Vol. III. 18 274 G, OMBONI , livello di Prato-alto, la causa qualunque che trasportava il terretto erratico ha dovuto necessariamente riversarne una parte nella valle che gli si apriva verso ponente. Il ramo più settentrionale del lago di Lugano è un canale largo un po’ più d’un chilometro, all’ ovest del quale si presenta il monte Salvatore, come il San Primo si pre- senta in faccia al ramo superiore del Jago di Como; in conseguenza vedesi sul Salvatore , alto 300 metri sopra il Jago, una accumulazione di trovanti analoga a quella di Guello. La forma del suolo dovette poi dirigere la massa del terreno erratico. verso il sud; una parle dei trovanti si arenò sulla pendice occidentale del monte Generoso, e nella pianura di Mendrisio e di Balerna; un'altra parte parrebbe avere seguito la direzione di Porto e di Varese, per terminarsi nelle puddinghe dell’ Olona (Collegno, Elementi di Geologia, pagine 203, 204 e 208). » Nelle Escursioni nel Canton Ticino del Dottor L. Lavizzari (Fa- scicolo 2.° Zugano e le sue vicinanze ) trovo descritti particolarmente tre depositi erratici del bacino del Jago di Lugano. Sul fianco settentrionale del monte Caprino, « a mille e più metri sul livello marino (e quindi a 700 e più metri sul livello del lago di Lugano, che è 74 metri più elevato del Lario), vedrà il geologo a fior di terreno molti massi erratici, il cui maggior diametro raggiunge tre metri incirca; e sono di micascisto o di granito con grossi cri- stalli di felspato bianco. È notevole che siffatti massi erratici in questi luoghi trovansi di preferenza sui fianchi di monti volti al nord, al contrario di ciò che avviene lungo i monti di Varese e di Como. Di là si sale in pochi minuti per facili pascoli alla vetta del monte. =» Altri « massi erratici di granito e di micascisto di due a tre metri di lunghezza » si trovano salendo dal monte di Bré (presso Lugano e di fronte al monte Caprino ), al monte Boglia o Bolgia, che è un po- co più al nord. « A pochi minuti di distanza da Sessa (fra Ponte Tresa e Luino ), sulla strada che conduce ad Astano, vedesi un masso di scisto mi- cacco simile a gneiss, della lunghezza di 9 metri e dell’ altezza e larghezza di d. È il più grosso masso erratico che vedasi nei nostri dintorni (di Lugano ).» I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 275 Massi di rocce del bacino dell’ Adda si trovano dunque nel bacino del lago di Lugano, vi sono giunti per Ja valle di Menaggio, e vi fu- rono portati fino a 700 e più metri sul livello del lago di Lugano, ossia appress’ a poco all’istessa altezza, a cui si trovano i massi famosi del San Primo. — E pare che la roccia con grossi cristalli di felspato accennata da Lavizzari sia il serizzo ghiandone della valle di Chia- venna e della Valtellina. Il signor Zollikofer, nel Bulletin de la societé caudoise des Scien- ces naturelles del 1833, descrive appress’a poco le stesse cose che il Collegno. Cita il masso sul San Primo e quello descritto da Breislack; cita pure l’accumulazione di massi presso il lago d’Olginate, e trova in essa uno dei limiti del terreno erratico portati dal ghiacciajo, con- siderando i massi più al sud come smossi e portati là dalle correnti acquee; descrive poi una morena di Bellagio: «lo ne feci la scoperta scrive egli. passeggiando solo, così che potei esaminarla con cura; sgraziatamente non potei ritornarvi un’ altra volta, come pensavo di fare, per determinarne meglio l’estensione e la struttura. La lunghezza ne può essere di 1000 metri, la larghezza 300. La potenza è più dif- ficile a determinarsi perchè la pendenza rapida della montagna indu- ce facilmente in errore; io la stimo di 13 a 20 metri, Questa mede- sima pendenza ba impedito al deposito di prendere Ja forma d’un argine; esso è inoltre deformato dai torrenti che la tagliano perpen- dicolarmente, ma ne hanno anche messa a nudo la struttura interna. Vi si ritrova la confusione delle vere morene ricche di massi di vo- lume considerevole. Le sabbie superiori soltanto offrono talvolta una lieve traccia di stratificazione. Alla parte superiore del ruscello esiste una parete alta circa 25 metri, formata quasi interamente da fango glaciale seminato di massi. In alcuni luoghi si vede il calcare della montagna sulle due rive del ruscello, quantunque dei tagli situati a poca distanza dal ruscello facciano parere che questo si trovi intera- mente nel terreno erratico. | ciottoli calcarei sono rarissimi in questo deposito, e quelli che vi si trovano sono poco atti a ricevere la liscia- tura, a motivo della loro struttura granosa. I eiottoli di serpentina sono al contrario abbondanti, sono quasi sempre levigati, e talvolta con tracce di strie poco pronunciate. » 276 G. OMBONI, Esaminando la tavola unita alla Memoria di Zollikofer, si trova, che questa morena di Bellagio occupa lo spazio compreso tra il fondo della valle del Perlo (a monte del luogo ove si trovano i fossili fa- mosi di Guggiate) e il monte su cui è una chiesuola o una cappelletta a nord del villaggio di Gheuri; e si estende in lunghezza dal luogo ove è il ponte sul Perlo a cui si discende dalla strada postale, fino allo stesso villaggio di Gheuri. La strada postale per la Vallassina passa sulla morena. Parlando poi della parte alluvionale del terreno erratico, cita Zol- likofer un deposito presso Sala, alla villa Beccaria, contenente ciottoli calcarei, angolosi, in istrati irregolari, con sabbie e ghiaje, un vero antico cono di dejezione. A proposito della valle Intelvi il signor Lavizzari, nelle già citate Escursioni nel Cantone Ticino, riporta alcune righe dell’ Amoretti, che dicono: «è si coperta di massi staccati, granitosi, schistosi e quarzosi d’ ogni maniera, che dobbiamo supporre che i monti aves- sero in epoca anteriore le vette di quei sassi formate ». Ma il sig. La- vizzari soggiunge subito: « noi però riguarderemo quei massi stac- cati come erratici non rari nelle vicinanze di questa valle ». L’Abate Stoppani ha poi in questa stessa valle raccolto dei ciottoli rigati, osservato una vera morena, e rimarcato l'abbondanza dei massi di gneiss e di granito, e la quantità invece piccola dei massi di vero serizzo ghiandone. Se si pone attenzione alla natura mineralogica dei ciottoli e dei massi erratici sparsi per tutto il bacino del lago di Como, per quel- lo del lago di Lugano, e per la Vallassina, si trova, che il serizzo ghiandone manca sulla riva occidentale del lago di Como da Gra- vedona a Menaggio, e sulla riva settentrionale del lago di Lugano; che se ne trovano pochi massi e ciottoli sulla riva meridionale del lago di Porlezza (estremità orientale del lago di Lugano), nella val- le Intelvi, e sulla riva occidentale del lago di Como da Menaggio a Como; che è invece abbondantissimo su tutti i monti da Como a Bellagio e da Bellagio a Lecco, e in tutta la Vallassina; che manca assolutamente sulla riva orientale del lago di Como da Còlico a Varen- na, e su tutta la riva orientale del lago di Lecco; e finalmente che I GHIACCIAJ ANTICHI ; EC. DI LOMBARDÎA 277 in tutta la Vallassina e sui monti da Bellagio a Lecco trovansi innu- merevoli massi e ciottoli di serpentino e di rocce amfiboliche della Valtellina. Antico ghiacciajo del bacino del lago di Como. A spiegare questi fatti v ha un solo modo. Bisogna ammettere l’ anì- tica esistenza d’un ghiacciajo proveniente dalla Valtellina e dalla vallata di Chiavenna, ed occupante tutto il bacino del lago di Como, e tutte le sue ramificazioni laterali. — Infatti questo ghiacciajo, per- chè formato dall’ unione del ghiacciajo di Chiavenna e di quello della Valtellina, avrà conservato fino a Menaggio la stessa morena laterale destra del ghiacciajo di Chiavenna, senza o quasi senza vero serizzo ghiandone; e fino a Varenna, anzi fino a Lecco, la stessa morena la- terale sinistra del ghiacciajo della Valtelina, senza serizzo ghiandone ; ed avrà avuto otto o dieci morene superficiali, contenenti, più o meno separate, tutte le rocce in posto fra lo Spluga, Colico e Santa Cate- rina di val Furva, e quindi anche il serizzo ghiandone della valle di Chiavenna e della Valtellina, e tutte le rocce serpentinose e amfibo- liche di Chiavenna, della valle Malenco, di Sòndalo e Leprese, ecc. Sulla riva orientale del lago si aprono tre valli laterali, cioè la valle Varrone, la Valsàssina e la valle di Perledo. In tutte e tre si vedono, almeno per una breve estensione presso al loro sbocco, dei massi erratici, che sono formati di rocce della riva sinistra della Val- tellina e della stessa riva orientale del lago. Questo prova che il ghiac- ciajo del lago di Como ha mandato delle ramificazioni laterali anche in dette valli, e queste vi hanno portato quei massi erratici. — Così si spiega 1’ esistenza dei massi di granito nella valle d’ Ésino, che il signor Collegno considerava come una prova favorevole alla teoria del- le correnti e contraria a quella degli antichi ghiaccia]. All’ incontro del monte San Primo, il ghiacciajo si sarà sollevato fino a 700 metri sul livello attuale del lago, per tentare di vincere l'ostacolo, e avrà formato due gran rami, l'uno nel lago di Lecco, l’altro nel lago di Como propriamente detto, e un ramo minore a destra, per la valle di Menaggio. E nello stesso tempo le sue mo- rene superficiali, venendo ad incontrare lo stesso ostacolo, vi si 278 G. OMBONI, saranno confuse insieme, e vi avranno deposto molta parte dei loro materiali, e poi avranno dato origine a due morene ai lati del monte San Primo, l'una a destra del ramo di ghiacciajo entrato nel Jago di Lecco, l’altra a sinistra del ramo di ghiacciajo entrato nel lago parti- colare di Como. — Così si saranno formate le accumulazioni di massi erratici e di ciottoli sul fianco del monte San Primo. i La piccola porzione staccata dalla parte destra del ghiacciajo, ed entrata nella valle di Menaggio, avrà portando seco la solita morena destra, e come morena sinistra una porzione della morena superficiale formatasi all’unione della valle del Liro con quella della Mera, e contenente il serizzo ghiandone di San Giacomo. Così si sa- ranno deposti i pezzi di serizzo ghiandone sui monti al sud del lago di Porlezza e nella vall’ Intelvi, che è aperta verso la valle di Me- naggio e Porlezza. Il resto della morena superficiale col serizzo ghiandone di San Gia- como avrà formato la morena laterale destra del ghiacciajo nel lago di Como, da Menaggio fino alla sua estremità meridionale; e così si saranno deposti i pochi massi di quella roccia, che sono sparsi sulla riva occidentale del lago di Como fra Menaggio e Como, e tutti gli altri massi di gneiss, micascisti, ecc., così abbondanti sui monti di Grianto, Tremezzo, ecc., fino a Como. Ed una parte dei materiali delle morene superficiali ricche di serizzo ghiandone e di granito, che furono arrestate e costrette a confondersi insieme dall’ incontro del Monte San Primo, avrà formato la morena laterale sinistra del ghiacciajo, da Bellagio a Como; e così si saranno deposti i massi e detriti della morena di Bellagio descritta da Zollikofer, dei dintorni di Molina, ecc. ll ghiacciajo entrato nel lago di Lecco avrà mandato a destra due rami nella Vallassina, l'uno per il passo di Ghisallo e Magreglio, che è meno elevato dell'Alpe di Prato-alto, l’altro per la valle del Lava- tegna, in cui sono Valbrona e Visino. — E così saranno giunti nella Vallassina tutti i massi che vi si trovano, e che sono tutti di serizzo ghiandone, di serpentina e di altre rocce della riva destra della Val- tellina. — Quei due rami poi si saranno riuniti in un solo ghiaceiajo nel largo bacino di Canzo e Asso, e saranno sboccati nella Brianza 1 GHIACCIAJ ANTICHI. EC. DI LOMBARDIA pc) divisi di nuovo per la valle del Lambro e per quella del Segrino, de- ponendo sui fianchi settentrionali dei monti al sud di Canzo una grande congerie di massi provenienti dalla Valtellina, deponendone altri in tutta la valle del Lambro, e arrotondando i monticelli cal- carei che sorgono nel mezzo di questa valle presso Canzo, e che ancora conservano la forma tondeggiante acquistata allora. Il ghiacciajo del lago di Lecco avrà poi continuato la sua strada verso la fine del lago, ed avrà deposto i materiali delle sue morene laterali sui fianchi dei Corni di Canzo e sui monti alla sinistra del lago. Brianza. Quel paese sparso di colline e di bassi monti che è compreso fra l’Adda e il Lambro, e che è detto Brianza, è interamente sparso di depositi di terreno erratico. Nella Memoria dei fratelli Villa sulla Costituzione geologica e geo- gnostica della Brianza (Milano, 41844) si trovano le poche linee se- guenti, relative ad antiche morene ben determinate. « Ponno anche attualmente osservarsene alcuni avanzi nella direzione di sud-ovest (a San Salvatore presso Erba, a Ballabio sopra Lecco, a Brianzola, Sirtori e Casirago in Brianza, ecc.), là dove i colli li protessero contro l’ a- zione distruggitrice delle posteriori correnti formate dallo scioglimento degli antichi ghiacciaj (Pag. 40). » Esaminando poi la carta gologica e gli spaccati uniti a quella stessa Memoria, si trovano indicati potenti depositi di terreno erratico ed alluvionale sulla collina di Rògeno, su quella di Breno, da questo paese fino al sud di Romanò, presso Bosisio, a Garbagnate Rota, fra Rògeno e Trégolo, a Tabiago, fra Colzano e Capriano, presso Molteno, da Brongio a Barzanò, a Galbiate, fra Giovenzana e Montevecchia, al piede meridionale dei colli di Montevechia e San Bernardo, al sud di Airuno, e fra Brivio e Arlate. Ma mon se ne può dedurre alcuna idea generale sulla distribuzione degli avanzi delle antiche morene nella Brianza. Andando da Erba verso la Vallassma per Longone , ‘io trovai che 280 G. UMBONI è fino a una certa altezza la strada postale ascende sul terreno erratico. Presso Longone, sulla strada per Gagliano, viddi, in una cava di ghiaja, un pò di puddinga alluvionale superiore al terreno erratico; raccolsi sì in questa come in quella molti bellissimi esemplari di ciottoli calcarei lisciati e rigati, e osservai molti massi erratici di rocce della Valtel- lina. — Fra Longone, Gagliano e il lago del Segrino s’ innalza dal terreno erratico un monticello calcareo arrotondato a guisa delle rocce abbandonate dai ghiacciaj. Appena fuori di Longone, alla base di detto monticello, si vede un grosso masso erratico di serpentina, di una delle varietà della valle Malenco, tutto levigato e benissimo solcato e rigato pel lungo. — Lungo le rive del lago del Segrino le rocce calcaree non presentano tracce d’ antico ghiacciajo, perchè troppo alterate e guaste dall’ azione del tempo. — Sui fianchi dei monti a destra e a sinistra, che guardano il bacino in cui sono Canzo e Asso, sono abbondantissimi i massi erratici. Vi raccolsi esemplari di parec- chie varietà di serpentine proprie della valle Malenco, non che di serizzo ghiandone, di granito, ece. Ritornando da Canzo verso Erba per la valle del Lambro, rimarcai: la forma arrotondata dei monticelli calcarei, che sorgono nel mezzo della valle presso Canzo; un grosso masso di serpentina di val Ma- lenco sopra uno di questi monticelli calcarei; la grande varietà delle rocce che formano i massi raccolti nel letto del Lambro, o sparsi suî fianchi dei monti circostanti, e tutte spettanti a rocce della Valtelli- na.-— Finalmente viddi formata di terreno erratico con massi erra- tici e ciottoli rigati la terrazza su cui sono Lezza, Crevenna ed Erba, e coperto dello stesso terreno il piede del monte di Proserpio; e sa- lendo da Erba al Buco del Piombo od a S. Salvatore rimarcai una numerosa congerie di massi erratici di rocce della Valtellina, fra i quali spiccano specialmente quelli di serpentina e di serizzo ghian- done. I massi di quest ultima roccia sono continuamente distrutti per trarne materiale da costruzione. Uno ne viddi, che si stava dividendo da un tagliapietre in grosse lastre e in pezzi parallelepipedi, e il quale doveva avere almeno 7 metri di lunghezza, bd di larghezza je 5 0 4 di altezza. Da altre mie osservazioni risulta poi che nella Brianza propria- Ì GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 281 mente detta, esistono diverse morene ben caratterizzale, con massi erratici e ciottoli rigati, e particolarmente: 4.° Una da Erba ad Orsenigo, Alzate e Brenna, e fin quasi ad Aro- sio; morena laterale destra del ghiacciajo che sboccava dalla valle del Lambro; 2.° Un avanzo d’una morena frontale a Fabbrica, Colciago, Lurago e Lambrugo; 3.° Un avanzo d’una seconda morena frontale a Cremnago e Inve- rigo; 4.° Un avanzo d’una terza morena frontale fra Romanò e Villa Romanò; 8.° Una collina continua, diretta appress’a poco da nord a sud, fra quella di Alzate e Brenna e quelle di Cantù e Intimiano, e che forse era ad un tempo morena laterale destra del ghiacciajo della Vallassina e morena laterale sinistra del lago di Como. Sulla morena di Fabbrica, poco al sud del paese, presso la strada per Arosio, si vede un enorme masso di serpentina della Valtellina. Più al sud, sulla stessa strada, presso la Cascina Mirovano, vedonsi altri massi di serpentina, levigati e rigati, e grossi ciottoli della stessa roccia, pure levigati e rigati benissimo. Fra Arosio e Inverigo sono pure comunissimi i ciottoli serpentinosi levigati e rigati, nei muri a secco lungo la strada. I fratelli Villa mi hanno detto che qui esisteva un masso assai voluminoso e noto sotto il nome di sasso del freddo; e che i massi erratici sono pure comu- nissimi presso al Lambro. Fra San Rocco e Casa Alta, presso Lambrugo, e di là fin oltre Monguzzo si vede la strada spesso tagliata in una puddinga; ma i colli circostanti contengono sempre ciottoli rigati, e presentano la strut- tura di morena o di alluvione glaciale là dove sono scavati per trarne sabbia o ghiaja. Lo stesso si vede anche in un taglio quasi verticale fatto a Nobile. Ho percorso anche le altre parti della Brianza, e dovunque ho tro- vato ciottoli rigati e massi erralici, e ondulazioni con forme di mo- rena, ma è sempre difficile distinguere ciò che è vera morena da ciò che è formato da rocce cretacee od eoceniche sollevate in colline; e finora non ho potuto mettere insieme sufficienti osservazioni per de- 282 G. OMBONI, terminare l’ estensione e la distribuzione delle morene in tutta la Brianza. Dal fin quì detto resta però già provato che il ghiacciajo della Val- lassina è uscito quasi tutto per la valle del Lambro, ed ha deposto i suoi massi e detriti sui fianchi dei monti d’ Erba e Longone; e si è poi disteso per la Brianza, formando verso ponente le morene di Orse- nigo, Alzate, Brenna, Fabbrica, Romanò, ecc. Restano ancora a de- terminarsi gli ultimi limiti verso mezzodì e verso levante. Ma un altro ramo dello stesso ghiacciajo della Vallassina è uscito per la valle del lago del Segrino, deponendo i massi che ho già detto trovarsi sui monti al sud di Canzo, e quelli al sud del lago del Segrino, ed arrotondando il monticello calcareo fra Longone e Gal- liano. Esso dev’esser disceso nel bacino dei laghi di Pusiano e Annone, fino ad incontrare il ramo di Valmadrera del ghiacciajo di Lecco. Quando si è a poco a poco ritirato, ha lasciato una morena laterale sinistra, di cui si vede un piccolo avanzo in una bassa e regolare collina, che comincia al sud di Cesana e sì dirige verso mezzodì. Dintorni di Lecco. L’abate Stoppani ha raccolto ciottoli rigati bellissimi al ponte di Lec- co, al piede del Monte Baro, da un deposito che sembra più un alluvione glaciale, che una morena, perchè stratificata. Altri ciottoli rigati ha raccolto a Galbiate. Depositi che forse sono alluvioni glaciali si ve- dono anche nell’ entrare da Lecco nella Valsàssina. I fianchi dei monti di Valmadrera portano innumerevoli massi erratici di serizzo ghian- done, di serpentina, ecc., tutti provenienti dalla Valtellina, e spesso grandissimi. Altri ciottoli e massi erratici si vedono sul fianco setten- trionale del Monte Baro; e famosa è la già citata congerie dei massi esistenti nella valle di Greghentino. Da tutto questo deduco che il ghiacciajo del lago di Lecco, giunto fra Lecco e Valmadrera, deve essersi diviso, all’incontro del Monte Baro, in due parti, 1’ una per la pianura di Valmadrera, |’ altra per la valle dell’ Adda. Le acque discendenti dalla. Valsàssina, che assai probabilmente non era occupata da alcun ghiacciajo, e quelle 1 GHIACCIAJ ANTICHI, EC, DI LOMBARDIA 2853 discendenti dal monte Baro, hanno smosso i materiali delle morene laterali del ghiacciajo dell’Adda, e dato origine ai già accennati de- posili stratificati con ciottoli rigati. 1 depositi di Galbiate e Greghentino, devono appartenere alla mo- rena destra dello stesso ghiacciajo dell'Adda. Altri depositi analoghi si troveranno più in basso fin presso Brivio, e sui fianchi dei monti della riva sinistra. Finora io non ne ho veduti che lungo Ja strada postale fra Boffalora e Carsaniga; ma devo ancora studiarli per indi- carne bene l’ estensione. I massi erratici sono comunissimi lungo tutta la strada da Lecco a Carsaniga; e seppi dal sig. cav. Cesare Cantù che ad ovest di Brivio esistono molti massi erratici, disposti in una serie arcuata e diretta da est ad ovest; che fra Calco e Brivio ve n'è uno assai grande, detto sass del caj; e che ve n’era presso Brivio un altro, grande come quello del san Primo, ma fu distralto per trarne pietre da costruzione. Bacino di Como. Nella valle della Breggia il signor Stoppani ha raccolto dei ciottoli calcarei rigati; che appartenevano alla morena laterale destra del ghiacciajo del bacino di Como. Un grosso masso di serizzo ghiandone, chiamato sasso della Pra- sca, lungo più di 7 metri, largo quasi 4 metri, ed alto circa 4 me- tri, che si vede a molta altezza al disopra della punta di Geno (4), tutti gli altri massi della stessa roccia che in numero straordinario sono sparsi su tutti i monti intorno al bacino di Como, e tutti quelli che furono distrutti per trarne materiale da costruzione, appartene- vano alle morene superficiali o mediane del gran ghiacciajo del lago di Como, perchè provengono o dalla riva destra della Valtellina o dalla riva sinistra della Valle di Chiavenna. (41) Nel Corriere del Lario del 30 novembre 1859 è descritto questo masso come non inferiore al sasso di Taroldo sul versante meridionale del san Primo, ed a quello di Lentina nella valle di Guello. Gli si costrusse sotto con tre muri una capanna, a cui esso serve di tetto. — L’autore dell’ articolo propone che sì demolisca presto, prima ehe col suo peso faccia cadere i muri della capanna, come già minaccia di fare, e cada sulle case sottoposte e nel lago, producendo gravissimi danni. 284 G. OMBONI 4 Triangolo fra Erba, Como e Montorfano. Il ghiacciajo che sboccava per la valle di Como e quello che sboc- cava per la valle del Lambro dovevano depositare molti detriti e massi fra Como ed Erba. E questi infatti si trovano ancora in gran parte, benchè profondamente corrosi in molti luoghi dalle acque. Lungo la strada da Erba ad Albesio e Cassano, nulla di più facile che raccogliere ciottoli rigati, specialmente calcarei, nei luoghi dove non furono mai smossi dalle acque. Si trovano anche nei mucchj di ghiaja adoperata per la strada stessa. E da Erba a Cassano il piede del monte è coperto fino a una certa altezza da un deposito erratico, che era la morena laterale destra della Vallassina. Fra Orsenigo, Albesio, Tavernerio e Montorfano sorgono dalla pia- nura diverse colline regolari, che sono avanzi d’ antiche morene. I piedi dei monti di Montorfano e di Lipomo, e di quello in faccia al Castello Baradello sono pure rivestiti di terreno erratico con ciottoli rigati; e la collina per la quale scende la strada da Lipomo a Como è pure un avanzo d’ antica morena. AI piede del monte di Montorfano, durante una gita fatta in com- pagnia dei signori Studer, Merian, Desor, Stoppani, Cornalia e Mor- tillet, vidi quest’ ultimo geologo raccogliere un pezzo di puddinga in posto, lisciato e rigato dall’antico ghiacciajo. I monti di Ponzate e Camnago sono sparsi di massi erratici. E nel fondo della valle della Cosia, sotto Camnago, là dove uno sperone del calcare bianco detto majolica si stacca dal piede del monte e si avanza nella valle, si vedono manifestissimi solchi e arrotondamenti dovuti all’azione dell’ antico ghiacciajo. Ne possono far fede i signori Stu- der, Merian, Desor, Stoppani e Cornalia, che li hanno pure veduti durante la gita già accennata, fatta nel settembre 1860, dopo il Con- gresso di Lugano. Dunque il ghiacciajo uscito per la valle di Como, incontrando il monte in faccia al Baradello, si divise in due, e mandò la metà di sinistra entro l’attuale valle della Còsia, fin presso il colle di Mon- torfano, dove incontrò il ghiacciajo della Vallassina, e V ajutò a for- I GHIASCCIAJ ANTICHI. EC, DI LOMBARDIA 285 mare il gran rialzo di terreno che è fra la valle della Còsia e quella \ del Lambro, ed una o più morene, di cui sono avanzi le collinette fra Cassano e Orsenigo. Triangolo fra Como, Fino e Cantù. Il ramo principale del ghiacciajo uscito dal bacino di Como, dopo avere arrotondati i monti dalla valle della Breggia fino alla Camer- lata, dovette passare per lo stretto fra il monte del Castello Bara- dello e quello che gli stà di fronte, sboccare nella pianura in cui è ora la Camerlata, e distendersi almeno fino a Cucciago e Cantù. Fra Albate, Senna, Intimiano, Cantù e Cucciago stanno infatti molte basse colline allungate e un po’ curve, colla concavità verso nord-ovest, colla struttura delle morené; e con ciottoli rigati abbon- dantissimi, e numerosi massi erratici. Sono tutte avanzi di morene laterali di sinistra formate dal ghiacciajo in discorso durante il suo decrescimento. Le colline di Fino e di Bernate sono assai probabilmente altri avanzi di morene, ma delle morene di destra; e così pure anche quelle di Luisago, Civello, Lucino e Rebbio. Da Como a Malnate presso Varese. Questo tratto di paese doveva essere occupato da un ramo del ghiacciajo del bacino del lago di Lugano, uscito per la valle di Ca- polago e Mèndrisio. — Siccome questo ghiacciajo era formato da un ramo staccatosi dal gran ghiacciajo del bacino dell'Adda a Menaggio, così nei suoi massi erralici e nelle sue morene si devono trovare le rocce granitiche della riva destra del lago di Como fino a Menaggio, e quelle del bacino di Lugano; ma con questo si devono trovare anche massi di porfido rosso e di porfido oscuro, provenienti dai monti circostanti al lago di Lugano. — E infatti, su tutto il paese fra Men- drisio, Malnate e Camerlata si trovano massi e ciottoli di porfido, di graniti, di gneiss, ecc. — Lo studio delle morene di questo tratto di paese è ancora incompleto. Una parte d’ antica morena o di allu- 286 G. OMBONI, vione glaciale si vede tagliata trasversalmente presso Mendrisio, e contiene massi e ciottoli in disordine, ma è pure un po’ stratificata in qualche sua parte. Percorrendo la strada postale da Como a Va- rese, mi parve di poter considerare come avanzi d’ antiche morene le colline e ondulazioni di Rebbio, Lucino, Mosino, Civello, Lurate, Olgiate, Oltrona, Albiolo, Solbiate, Binago, Cagno e San Salvatore. Quelle d’Olgiate, Albiolo, Solbiate, Binago, San Salvatore e Cagno sono le più regolari, allungate, e colla concavità verso nord-est, — Devono essere avanzi delle morene frontali del ghiacciajo di Mendrisio. — Rimangono ancora a studiarsi le colline e ondulazioni intorno ad Appiano e Venegono. Dintorni di Varese. Presso Varese dovevano terminare: un ramo del ghiacciajo del ba- cino di Lugano, uscito per la valle di Porto e d’Arcisate; due piccoli ghiacciaj provenienti dalla Val Gana per la valletta di Brincio e per quella dell’Olona; e una porzione del ghiacciajo del lago Maggiore. — Avendo già detto abbastanza degli altri, mi resta soltanto di par- lare del primo. Questo ghiacciajo proveniente dalla valle di Porto e Arcisate, do- veva portare massi e ciottoli di porfido rosso quarzifero, di porfido oscuro, di gneiss e micascisti, e fors'anche di graniti, di rocce am- fiboliche, perchè originario dal bacino dell'Adda, e alimentato anche dal ghiaccio proveniente pel monte Cenere dalla vallata del Ticino. — E fra Porto e Bisuschio esistono rocce arrotondate; e fra Bisuschio, Malnate e Varese si vedono: 4.° diverse colline al sud di Brenno, che comprendono fra loro delle torbiere, hanno forma e struttura da morena, e che erano mo- rene frontali del ghiacciajo di Porto; 2.° la collina longitudinale di Cazzone, che forse era una morena laterale sinistra dello stesso ghiacciajo; 3.° una collina longitudinale, che parte dai monti fra Arcisate e In- duno, e scende verso Malnate; ed era la morena laterale destra dello stesso ghiacciajo : I GHIACCIAS ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 287 4° un’ altra collina longitudinale, parallela alle precedenti, da In- duno a San Fermo, e con varie continuazioni verso Malnate, che era la morena laterale sinistra del ghiacciajo proveniente dalla Val Gana per la vera valle dell’Olona, e contiene, come le prece- denti, massi e ciottoli di porfido quarzifero rosso e d’ altre rocce del bacino del lago di Lugano e della Val Gana. L’ alluvione antica e i bacini dei laghi lombardi. Sotto alle morene e ai depositi irregolari d’origine glaciale, che stanno intorno allo sbocco delle valli alpine nella pianura, in Lom- bardia e in Piemonte, come in Isvizzera, esiste sempre un potente deposito di detriti, cioè di ciottoli, di ghiaje, di sabbie e di argille, a stratificazione più o meno regolare, ma sempre orizzontale. La struttura e la potenza di questo deposito si vedono là dove è tagliato dalle valli profonde dei fiumi attuali, per esempio dalla valle della Dora a Pianezza presso Torino, da quella della Còsia (che sbocca nel lago di Como presso questa città), da quella dell’ Adda fra Lecco e Cassano. da quella dell’Oglio dal lago d'Iseo fino a Palazzolo, da quella del Cormor presso Udine, da quella della Piave a Belluno, ec. Esso è sempre inferiore ai citati depositi glaciali, e se ne distingue nettamente per la sua stratificazione, e per i suoi ciottoli non mai levigati, nè rigati, nè angolosi, ma sempre tondeggianti e simili a quelli trasportati e deposti dai torrenti e fiumi attuali, lavati e non misti all’argilla, disposti in differenti piani a seconda della grossezza, collocati in modo che l’asse maggiore è orizzontale o quasi orizzon- tale, e nella posizione del più stabile equilibrio; mentre i depositi fangosi glaciali, ccme sono le morene profonde e le morene laterali e frontali, non hanno alcuna stratificazione, contengono ciottoli, ghiaje, sabbie e argille senza alcuna disposizione regolare, anzi con un’estre- ma confusione, senza alcuna distinzione di grossezza., e i loro ciot- toli sono in tutte le posizioni, anche coll’ asse. maggiore verticale 6 molto inclinato, e spesso sono anche. di forma irregolare, ed anche levigati e rigati. Il deposito in discorso è ciò che si usa chiamare al- luvione antica, terreno quaternario stratificato, terreno erratico r'ego- 288 G. OMBONI, lare, terreno pliostocenico, terreno diluviale, diluvium, ec.; e che noi chiameremo alluvione antica, perchè non può essersi formata se non come le alluvioni attuali, ma ne è più antica. La superficie di questa alluvione antica, nell’ alta pianura lom- barda, è ad un livello superiore a quello dei laghi, e la differenza di livello può giungere fino a 40 o 50 metri. — D'altra parte la profondità del lago Maggiore giunge quasi a 800 metri; quella del lago di Como quasi a 600 metri; e quella del lago d’Iseo quasi a 300 metri. E le valli in cui sono i laghi esistevano già come ora, quando si è formata l'alluvione antica, perchè questa ha gli strati orizzon- tali, e le montagne e le valli avevano già acquistata la loro forma generale attuale. — Non si può dunque pensare che i materiali com- ponenti l’alluvione antica, venendo dalle alte valli alpine, siano discesi fino al fondo dei laghi e poi risaliti fino a 40 o B0 metri al disopra del livello dei laghi, per distendersi a formare quell’ alluvione. — Per ispiegare la mancanza dell’alluvione glaciale nei bacini dei laghi non v’ hanno dunque che due modi: o supporre che l'alluvione antica abbia dapprima colmato tutte le valli, e poi i ghiacciaj abbiano scavato i bacini, esportando l'alluvione antica; o supporre che, durante la for- mazione dell’ alluvione antica nella pianura, alcune valli siano state occupate da ghiacciaj, e per questo non abbiano potuto essere col- mate dalla alluvione. Mortillet ammette la prima supposizione; Desor la seconda. Secondo Mortillet, nella prima parte dell’ epoca quaternaria, le valli furono interamente riempite dall’ alluvione antica, così come si formano le alluvioni moderne. Venne poi l'epoca glaciale, e i ghiac- ciaj, discendendo per le valli, col loro moto progressivo lentissimo, ma potente, e col loro enorme peso, spinsero avanti a loro, con estrema lentezza ma con molta forza, i materiali dell’ alluvione antica, e così scavarono i bacini dei laghi, accumulando quei materiali in- torno alla loro estremità in forma di depositi glaciali e morene. Venne infine l’epoca attuale, i ghiacciaj si ritirarono a poco a poco, fon- dendosi all’ estremità, e lasciarono liberi quei bacini, e così questi si trasformarono in laghi. — E per provare l’azione scavatrice po- I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 289 tentissima dei ghiacciaj, Mortillet cita delle puddinghe alluvionali esi- stenti presso Iseo, rotte, arrotondate e smosse dalla loro posizione primitiva per opera del ghiacciajo; cita i dintorni di Udine, dove la puddinga alluvionale fu distrutta nell'interno dell’ anfiteatro more- nico, mentre rimane ancora intatta al di fuori; e accenna un fatto analogo nella valle della Stura a Cuneo. E gli pare che questi fatti pro-- vino realmente l’azione distruttrice dei ghiacciaj antichi (Mortillet, Carte des anciens glaciers du versant méridional des Alpes, 1860). — Ma qualche geologo svizzero objettò a questa ipotesi che in Isvizzera i ghiacciaj non iscavano mai alcun bacino, anche quando si estendono sulle alluvioni recenti e sui terreni coltivati, che sono ancora meno resistenti. ( Bibliothèque de Genève, a proposito della Memoria di Mortillet sui dintorni di Iseo). Gastaldi è persuaso che durante l'epoca pliocenica, immediata- mente anteriore alla formazione dell’alluvione antica, non ci siano stati grossi torrenti, perchè nei depositi di quell’ epoca non si tro- vano banchi di ciottoli, neppure presso gli sbocchi delle valli. « Se non vi erano grossi torrenti, non vi erano nemmeno ghiacciaj o non esistevano, proporzionatamente a quelli di oggidìi, che allo stato ru- dimentale. » Col principio dell’ epoca quaternaria cominciarono a formarsi i ghiacciaj, o ad estendersi quelli già esistenti; e comincia- rono ad esistere grossi torrenti e fiumi, capaci di trasportare i detriti e i ciottoli. Giunti i ghiacciaj alla loro massima grandezza, acquista- rono pure slraordinarie proporzioni le acque correnti prodotte da essi durante le calde stagioni; e queste acque correnti, operando forse per centinaja e centinaja di secoli, sparsero per la valle del Po i materiali della alluvione antica, negli stessi modi adoperati dai torrenti attuali, ma in proporzioni molto maggiori. Così fu a poco a poco formata la pianura bassa ed alta, dai coni di defezione o di sbocco di ciascuna valle alpina. Si allungarono poi un altro poco i ghiacciaj, corrosero la parte più alta dei coni di dejezione, e depo- sitarono le morene ad anfiteatro. Finalmente cominciò la ritirata dei ghiacciaj e le estreme morene rimasero al loro posto. La ritirata continuò con estrema lentezza, così che le acque correnti non di- strussero che poca parte delle morene estreme. e mantennero libero Vol. HI. 19 290 G. OMBONI, l'interno dell’anfiteatro dai materiali abbandonati dai ghiacciaj, por? tandoli ancora al di fuori della cerchia delle morene estreme. ( Ga- staldi, Frammenti di geologia del Piemonte. Sugli elementi che compongono i conglomerati mioceni del Piemonte. Torino 1864. Dalle Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino). Anche Gastaldi ammette dunque l’azione corrodente dei ghiacciaj, ma solo per la sommità dei coni di dejezione. E così vuole spiegare la differenza che v' ha tra il fondo dell’ anfiteatro circondato dalle morene estreme e la superficie dell'alluvione antica al di fuori del- l’anfiteatro, ma presso le morene. D'altronde egli non parla della origine dei laghi lombardi. — Egli ammette però che « il ghiacciajo, avanzandosi, abbia dovuto prepararsi, per così dire, il fondo della valle, spingere cioè davanti a sè passo a passo tutti i materiali mo- bili che già la ingombravano, e quelli che egli stesso staccava nel suo cammino ». La seconda supposizione per ispiegare la mancanza dell’ allu- vione antica nei bacini dei nostri laghi mi pare degna di consi- derazione. Essa, opportunamente sviluppata, coinciderebbe quasi com- pletamente colla teoria di Gastaldi, e ne differirebbe soltanto nell’am- mettere che i ghiacciaj si sieno estesi abbastanza rapidamente al prin- cipio dell’epoca glaciale, da prevenire la accumulazione di molti materiali sul fondo delle valli. I ghiacciaj, estendendosi rapidamente, avrebbero in poco tempo occupato la valle del Ticino fino a Sesto Calende, quella dell’Adda fino a Como e Lecco, e quella dell’ Oglio fino ad Iseo. Allora sarebbe cominciata la produzione dei grossi tor- renti, dei coni di dejezione, e quindi dell’alluvione antica costituente la pianura. E si sarebbe continuata per tutta l’ epoca glaciale. Verso la fine di quest'epoca, i ghiaccia) sì sarebbero avanzati ancora per poco, ed avrebbero formato le estreme morene disposte ad anfiteatro, e sarebbe continuata la produzione dell’ alluvione antica all’ esterno degli anfiteatri, ma non nell'interno; e così avrebbe avuto origine quella differenza fra la pianura nell'interno dell’ anfiteatro e quella fuori. Poi sarebbe cominciata Ja ritirata dei ghiacciaj, lenta e ad intervalli, per le ragioni addotte da Gastaldi, e con produzione di nuove morene, concentriche alle prime. Là dove sono i laghi, perchè I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 291 più profonde le valli, sarebbe rimasto del ghiaccio anche per qualche tempo dopo la ritirata dei ghiacciaj nelle parti più vicine al centro delle Alpi; e così si sarebbero conservati quei bacini senza o con pochissima alluvione antica sul loro fondo, e si sarebbero infine tra- sformati in laghi per la totale fusione del ghiaccio che dapprima li occupava. Con questa ipotesi si spiega tutto senza l’ajuto della totale escavazione dei bacini dei laghi per opera dei ghiacciaj. Si spiega l’ altezza del- l’alluvione antica sopra il livello della pianura entro gli anfiteatri mo- renici, e sopra il livello dei laghi; si spiega la distribuzione regolaris- sima dei materiali nell’alluvione antica, e corrispondente alla natura delle rocce in posto nelle singole valli; si spiega, coll’azione delle acque correnti sui materiali forniti dai ghiaccia]}, la mancanza di massi voluminosi e di ciottoli levigati e rigati nell’alluvione antica, benchè questa si sia fatta durante la maggiore estensione dei ghiacciaj; si spiega perchè le morene e gli altri depositi glaciali degli anfiteatri morenici sono superiori alla alluvione antica. E per tutto questo, fino a che non mi verrà dimostrato all’ evidenza, che tutta 1’ alluvione antica si sia formata prima della occupazione del bacini dei laghi per opera dei ghiacciaj, io eredo di preferirla a quella di Mortillet; anche perchè può accordarsi facilmente colla teoria emessa da Gastaldi, e coll’ opinione di Desor sulla formazione dei laghi lombardi, che ho brevemente esposta nel mio Rapporto sul Congresso dei naturalisti svizzeri in Lugano nel settembre 1860 ( Atti della Società italiana di scienze naturali, Volume IT, 1860). Del clima dell’ epoca glaciale. Quando si pensa alla straordinaria estensione dei ghiacciaj antichi in tutte le parti delle Alpi, non si può non rimanere alquanto in forse, prima di credere che il nostro paese sia passato per un clima così freddo, da dare origine a tutto quell’ immenso ammasso di nevi perpetue e di ghiacci. Ma se poi si considera a fondo la quistione , si trova che per ottenere quell’ effetto non dev’ esser stato necessario un clima freddissimo , paragonabile, per esempio, a quello della Si- beria settentrionale o dello Spitzberg. 292 G, OMBONI, Infatti, per produrre i ghiacciaj è necessario un’alternativa di caldo e di freddo, per fondere la neve e dar origine al ghiaccio; e noi possiamo giungere a trovare quale doveva essere il clima di Lom- bardia durante l'epoca glaciale, applicando alle nostre Alpi e alla nostra pianura il seguente ragionamento di Martins sul clima di Gi- nevra e sui giacciaj del Monte Bianco. « Noi possiamo, con un calcolo semplicissimo, farci un'idea del clima che ha potuto condurre i ghiacciaj dal Monte Bianco fino alle rive del lago di Ginevra. La temperatura media di questa città è di 9.° 56. Sulle montagne circostanti il limite delle nevi perpetue è a 2700 metri sul livello del mare. I grandi ghiacciaj della valle di Chamounix discendono fino 1380 metri sotto quel limite. Ciò posto, supponiamo che la temperatura media di Ginevra si abbassi soltanto di 4 gradi, e divenga così di 5.° 586. Il decremento della tempera- tura col crescere dell’ altezza essendo di 1 grado per 188 metri, il limite delle nevi perpetue si abbasserà di 750 metri, e non sarà più che a 1950 metri sul livello del mare. Ci sì accorderà facilmente che i ghiacciaj di Chamounix discenderanno sotto questo nuovo li- mite almeno d’una quantità eguale a quella fra il limite attuale delle nevi perpetue e la loro estremità inferiore attuale. Ora, l’ estremità inferiore di quei ghiacciaj è attualmente a 1150 metri sul livello del mare; con un clima più freddo di 4 gradi, giungerà 750 metri più in basso, cioè al livello della pianura svizzera. Così dunque un ab- bassamento di 750 metri nella linea delle nevi perpetue, in conse- guenza d’un abbassamento di 4 gradi nella temperatura media di Ginevra, basterebbe a far discendere il ghiacciajo dell’ Arve fino ai dintorni di Ginevra. — Ma non bisogna dimenticare che un ghiac- ciajo discende tanto più in basso quanto più vasto è il circo da cui proviene; ora, dei ghiacciaj, che avessero per bacini d'alimentazione tutte le valli elevate più di 1950 metri sul livello del mare, discen- derebbero per ciò solo molto più in basso che prima. E così l’azione riunita dell’ abbassamento della linea delle nevi perpetue e dell’ in- grandimento dei circhi, di due cause, ciascuna delle quali potrebbe da sola far discendere i ghiacciaj fino alla pianura svizzera, ci farà benissimo comprendere come in altri tempi abbia potuto discendere 1 GHIACCIAJ/ANTICHI , EC. DI LOMBARDIA 295 il ghiacciajo dell’Arve fino nei dintorni di Ginevra. E non dimenti- chiamo poi che questa estensione fu l’opera d’una lunga serie di se- coli, il cui numero ci è, direi quasi, rivelato da quei millioni di massi che il ghiacciajo ha lentamente e successivamente portati dal piede del Monte Bianco fino alle rive del Lemano. « Il clima che ha favorito quel prodigioso sviluppo dei ghiacciaj è eguale a quello di Upsala, di Stocolma, di Cristiania, e della parte settentrionale dell'America nello state di Nuova-York. I geologi, che così facilmente innalzano di 10 a 20 gradi le temperature medie delle zone fredde e temperate, per ispiegare l’esistenza delle felci arborescenti in certi terreni antichi, possono ben ammettere pel no- stro paese la lieve differenza di 4 gradi fra il clima attuale e quello dell’epoca degli antichi ghiacciaj per ispiegare la maggicre estensione degli antichi ghiacciaj. (Martins, Aecherchers sur la période gla- ciaire, ec. Revue des deux mondes, 1847) ». All’ osservazione che nella parte meridionale della Scandinavia e nello Stato di Nuova-York non esistono ghiacciaj paragonabili a quelli delle Alpi nell’ epoca quaternaria, si può rispondere che in quei paesi non esistono nemmeno monti e valli così gigantesche come le Alpi, e che per la produzione dei ghiacciaj sono necessarie, oltre al clima freddo, anche certe configurazioni speciali di monti e valli, ed altre circostanze proprie delle più elevate catene montuose. Taluno voleva spiegare l’ estensione degli antichi ghiacciaj col supporre una maggiore altezza nelle Alpi, e col supporre che queste montagne si siano poi impiccolite come ora sono, col continuo stac- carsene di tutti quei materiali che ora formano il terreno erratico, — Ma questa opinione si manifesta senza fondamento appena si consi- dera che la massima estensione dei ghiacciaj avvenne appunto dopo che fu formata tutta quanta l’alluvione antica, coi materiali forniti dalla degradazione delle montagne. Altri immaginano non solo un clima più freddo dell’attuale, ma anche un'atmosfera molto più umida, avendo osservato che i ghiac- ciaj alpini si allungano alquanto negli anni più freddi, umidi e pio- vosi. E questo si può facilmente ammettere. Ammesso però un clima più freddo, oppure più freddo e più umi- 294 G. OMBONI, do, rimane a trovarsene la spiegazione. È quì comincia il vero campo delle ipotesi. Vi fu chi ricorse a cangiamenti di posizione nell’ asse terrestre, ma non'seppe comprovare questa ipotesi. Vi fu chi disse che nel sollevamento delle Alpi vennero a giorno molte rocce assai calde, e queste produssero molta evaporazione nei mari, e quindi molta umidità nell’ atmosfera, e una temperatura media più fredda. E vi fu chi spiegò il tutto col supporre al principio dell’ epoca qua- ternaria una disposizione dei mari e dei continenti un po’ differente dall’ attuale. Secondo alcuni esisteva allora una vera Atlantide, ossia un continente in mezzo all’Atlantico, il quale impediva alla corrente calda del Golfo del Messico (Gulf-stream) di giungere a toccare le coste occidentali del nostro continente; il deserto di Sahara, che ora manda tanta aria calda all'Europa meridionale, era un vastissimo mare interno; e le rocce terziarie di recente emerse dal mare nelle Alpi e in molte altre parti dell’ Europa, davano origine a una grande evaporazione e quindi alla produzione di molto freddo e di molta umidità atmosfe- rica; e queste cause bastavano ad abbassare la temperatura media dell’ Europa fino al punto di dare origine ai grandi ghiacciaj. La sue- cessiva scomparsa dell’ Atlantide, e l’ emersione dei deserti africani avrebbero condotto a poco a poco il clima al suo stato attuale. Nuovi studj verranno a chiarire maggiormente questa difficile quistione. Conclusione. L'ultima parte della Storia geologica della Lombardia si può sud- dividere nel modo seguente: 41.° £poca pliocenica. — La valle del Po fa parte del mare plioce- nico. Si depongono le rocce con fossili marini, di Varese, Nese, San Colombano e Castenedolo. 2.° Dislocazioni lente e graduate, per le quali le Alpi e gli Apennini acquistano la loro forma ed estensione attuale. La valle del Po diventa un gran golfo del mare Adriatico, con acque poco profonde. Formazione dei più antichi depositi quaternarj, che fanno passaggio ai plioceni, e di quelli con ossami di grossi quadrupedi. — Cominciano a formarsi 0 I GHIACCIAJ ANTICHI, EC. DI LOMBARDIA 298 almeno ad estendersi i ghiacciaj alpini, in conseguenza del clima freddo e umido, e della produzione del ghiaccio che vince la distru- zione. — Prima parte dell’ epoca glaciale quaternaria. 3.° ] ghiacciaj hanno occupato tutte le valli alpine e i bacini dei laghi, giungendo fino ai luoghi ove ora sono Sesto-Calende, Porto, Mendrisio, Como, Lecco, Iseo, ecc. Cominciano i grossi torrenti, e spargono i materiali apportati dai ghiacciaj. Formazione dell'alluvione antica con questi materiali. S' innalza così il fondo del golfo, si for- mano e poi si colmano delle lagune e degli stagni, si estende la terra ferma e si ristringe il golfo. I materiali dell’ alluvione si dispongono a strati nelle acque abbastanza profonde e quiete, irregolarmente là dove agiscono soltanto i torrenti. I ciottoli apportati dai ghiacciaj per- dono la levigatezza, le righe e le strie, e si arrotondano, entrando a far parte dell’ alluvione; e i massi perdono i loro spigoli e si arro- tondano. — Seconda parte dell’ epoca glaciale. 4.° I ghiacciaj si estendono ancora un poco. Corrodono la parte superiore dell’ alluvione antica, e giungono fin là dove si vedono luttora le morene estreme. E continua la produzione dell’ alluvione all’ esterno degli anfiteatri morenici. — Terza parte dell’ epoca gla- ciale. 5.° Il clima si fa meno freddo; la produzione del ghiaccio è vinta dalla distruzione; e i ghiacciaj diminuiscono lentamente d’ estensione, e si riducono a poco a poco nei loro limiti attuali, sulle più alte Alpi. Si formano intanto le morene concentriche, sempre più vicine alla linea centrale delle Alpi. I torrenti corrodono parte delle morene, e ne trasportano più o meno lontano i materiali, formando le parti più superficiali della alluvione, che già possono chiamarsi alluvioni mo- derne. Il ghiaccio rimane ad occupare per molto tempo le valli più profonde, ed impedisce che vengano colmate dalle alluvioni; poi si scioglie, e si formano i laghi -d’ Orta, Maggiore, di Como e Lecco , dell’ alta Brianza, d’ Iseo, ecc. — Quarta ed ultima parte dell’epoca glaciale, che insensibilmente passa all’epoca attuale. Da tutto quanto ho detto in questa Memoria si vede quanto sia inte- ressante e importante lo studio del terreno erratico, e quanto sia giusta 296 C. OMBONI, la teoria degli antichi ghiacciaj per ispiegarne il trasporto. Le difficoltà ora sono ridotte agli studj dei minori particolari, e ai modi di spiegare come abbia avuto origine e come sia cessata l’epoca glaciale. La ricerca di questa spiegazione pare a molti tanto difficile, che negano ricisa- mente la stessa epoca glaciale e la corrispondente maggiore esten- sione dei ghiacciaj alpini, e ricorrono a diverse ipotesi, e partico- larmente a quella delle correnti acquee e fangose. Ma con queste non possono poi spiegare la formazione delle colline con tutti i caratteri delle morene e coi ciottoli rigati, sparse al piede delle Prealpi; non possono spiegare la regolare disposizione dei massi erratici e dei ciot- toli provenienti dalle diverse valli sulle due rive del lago Maggiore e su quelle del lago di Como e del lago di Lecco; e non possono spiegare la formazione delle colline e dei dossi arrotondati , levigati, solcati e striati. È poi sempre impossibile spiegare. come possano essersi formate quelle enormi correnti alte fino a di 700 metri sul livello del lago di Como e del lago di Lugano, per la repentina fu- sione di ghiacciaj poco estesi. Del resto i sostenitori della teoria glaciale non escludono l’ opera delle correnti acquee e fangose, ma l’ammettono, e l’ammettono po- tente, per ispiegare la formazione dell’ alluvione antica e delle allu- vioni moderne, la distruzione di molte parti delle antiche morene, e 1 trasporto di molti e molti massi, dal luogo ove facevano parte delle morene sino a quelli ove si trovano oggidì. Ad ogni modo, i fatti che ho esposti bastano a provare che |’ an- tica estensione dei ghiacciaj fino all’ alta pianura lombarda non è un'ipotesi, ma un fatto bene accertato. Ormai non si può più ne- garlo; non si può che cercare di trovarne la migliore spiegazione. lo mi propongo di continuare in avvenire le ricerche sul terreno erratico della Lombardia; intanto avverto chi s’ interessa di questi studj, che gli esemplari di rocce e i ciottoli levigati e rigati, da me raccolti finora in Lombardia e in Piemonte, si trovano al Museo Civico di Storia Naturale di Milano, e vi possono essere esaminati e stu- diati da chiunque lo desidera. Milano, 28 aprile 1864. ì GHIACCIAJ ANTICHI. EC, DI LOMBARDIA 297 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE La Tavola seconda del volume contiene uno schizzo dell’ e- stensione dei ghiacciaj dell’ epoca quaternaria nei grandi bacini del Ticino, dell'Adda e dell’Oglio, e nel bacino del lago di Lugano. — Si vede come quei ghiaccia) erano formati dalla riunione di molti piccoli ghiacciaj, come si formavano le morene superficiali, come le valli laterali ricevevano dei piccoli rami dei ghiacciaj principali, come si formavano le morene d’ ostacolo sui monti di Baveno, di La- veno, di Angera, di Varese, di Lugano, di Menaggio, di Bellagio, di Canzo e Asso, di Lecco, ec., e come devono essersi formate suc- cessivamente le morene terminali di Arona e Sesto Calende, di Va- rese, di Como, di Erba, di Cantù, di Brivio, di Adro e Iseo, ec., prima le più lontane, poi successivamente quelle sempre meno lon- tane dalla linea centrale delle Alpi. — I ghiacciaj sono rappresentati dopo l’epoca della loro maggiore ampiezza, cioè durante la loro di- minuzione, e quindi dopo la formazione delle morene concentriche intorno agli sbocchi delle valli alpine. La Tavola terza contiene diverse figure di dettaglio: Figura 1.° — Disegno teorico destinato a mostrare la. dispo- sizione delle morene laterali e terminali, e la formazione delle mo- rene superficiali e di quelle dette d’ ostacolo. — Si vede che quando il ghiacciajo è semplice, o non ha morene superficiali, o le acquista là dove si divide in due per l’incontro di qualche monte isolato, sulla quale si forma una morena d’ ostacolo. Figure 2.° e 3.24 — Disegni di due massi erratici famosi di Lom- bardia: quello del masso di Pravolta, secondo La Bèche; l’altro dal vero. — Il masso di Pravolta è rimarchevole per la altezza a cui si trova e per i suoi spigoli ancora acuti e quasi intatti; quello di Fra- scarolo per essere spaccato in due, per la forma un po’ tondeggiante. e pei numerosi massi minori che gli stanno attorno. 298 G. OMBONI, Figure 4.8 e 3." — Rappresentano i monti di Gavirate e Varese, veduti dal lago di Varese e da Arona sul lago Maggiore. — Si vede la forma regolare della grande morena, in parte d’ostacolo e in parte laterale sinistra, che è adossata a detti monti, sui fianchi verso il lago Maggiore e verso la pianura. E si vede pure come le valli che discendono dal monte Valgrande e dal monte Beuscer sembrano ar- restarsi allorchè giungono alla morena, perchè vi cangiano brusca- mente di direzione e di forma, e si rendono invisibili a chi le guar- da da lontano. La Tavola quarta rappresenta lo schizzo d’ una carta della distribuzione regolare delle rocce alpine nel terreno erratico di una parte della Lombardia, per opera dei ghiacciaj dell’epoca quaterna- ria. — Viè facile vedere che le rocce del bacino della Toce e i graniti di Baveno e Montorfano non furono sparsi dai ghiacciaj e dai loro torrenti se non nel bacino del lago d’Orta, sulla riva accidentale del lago Maggiore da Baveno a Sesto Calende, e poi sulla riva destra del Ticino; che le rocce amfiboliche delle valli Leventina e Misocco non furono sparse che sulla riva orientale del lago Maggiore, sulla riva sinistra del Ticino, sulla pianura fra il lago Maggiore e Varese, e nella parte occidentale del bacino del lago di Lugano; che le rocce della vallata di Chiavenna (compreso il serizzo ghiandone fra Chia- venna e Campodolcino) si sono sparse sulla riva occidentale del lago di Como, nella parte orientale del bacino del lago di Lugano, e nella pianura al sud di Como e Mendrisio; che il serizzo ghiandone e le rocce amfiboliche e serpentinose della Valtellina, perchè portate dal ghiacciajo nelle morene superficiali, non si sparsero se non al sud di Bellagio, fra questo paese, Como e Lecco, e in tutta la Brianza e la pianura milanese; che sulla riva orientale del lago di Como da Colico a Varenna, e poi su tutta riva orientale del lago di Lecco e sulla riva sinistra dell'Adda, non si sparsero se non le rocce dei monti fra la Valtellina e le valli bergamasche; e finalmente che i porfidi del bacino del lago di Lugano e della Valgana devono essersi misti ora alle rocce della valle di Misocco ed ora a quelle della vallata di Chiavenna, per formare i massi e i ciottoli sparsi nello stesso bacino e nella pianura fra Varese e Como. — Nella pianura, sotto l’azione I GHIACCIAJ ANTICHI EC., DI LOMBARDIA 299 dei torrenti, le rocce dei diversi bacini si sono miste alquanto , ma si possono però sempre riconoscere delle zone con rocce caratteri - stiche, corrispondenti alle diverse valli. Queste sono: la zona del Ti- cino, colle sole rocce dei bacini della Toce e del Ticino; quella del- l’Olona, co’ porfidi della val Gana e del lago di Lugano; e quella del Seveso, del Lambro, e dell’ Adda, colle rocce del gran bacino del- l’Adda, ma col serizzo ghiandone e colle rocce amfiboliche e serpen- tinose della Valtellina abbondanti soltanto nella sua parte centrale, a mezzodì della Vallassina e della Brianza. SULL’ EPYORNIS OSSERVAZIONI STORICHE E COMPARATIVE DEL PADRE G. M. CAVALLERI Intorno al famoso Epyornis del Madagascar sono ancora molto oscu- re le notizie che abbiamo e si aspetta tuttora che alcuni resti che si sperano di trovare, e lo studio dei dotti vengano a porre in chiaro il difficile argomento. Siccome però non si deve preterire tutto che valga in qualche modo a dar luce alla questione, io vengo in quest’ oggi, onorevoli colleghi, a presentarvi un passo storico che streltamente si collega col nostro argomento. È questo passo del nostro illustre ed antico viaggiatore e istorico Marco Polo veneziano. Ritornato in patria circa il 1297, e fatto prigio- niero dei Genovesi, che in allora si battevano coi Veneziani, dettò dalla sua carcere, probabilmente in francese o in provenzale, la storia dei suoi viaggi ad un nobile genovese per nome Rughello. Questa storia fu ben presto diffusa per manoscritti nel genovesato ed in Venezia, finchè, apparsa l’ invenzione della stampa, fu per la prima volta e come una delle opere più interessanti, stampata in Ve- nezia nel 1496. Tradotta in varie lingue e specialmente in italiano, corse sotto il titolo di Ziaggi di Marco Polo e delle meraviglie del mondo da lui cedute. lo mi sono servito della edizione di Parma stam- pata dal sig. Pietro Fiaccadori, alla quale si diede il titolo di Ziaggi în Asia, in Africa, nel mare delle Indie descritti nel secolo decimo terzo da Marco Polo veneziano. Testo di lingua, detto il Milione, illustrato con annotazioni. G. M. CAVALLERI, OSSERVAZIONI SULL’ EPYORNIS 304 Delle meraviglie narrate dal nostro storico tutti sapete ormai il giudizio che diede 1’ antica età e la presente. Credute pressochè tutte favole un tempo le cose scritte dal Polo, di presente s’ hanno per vere quelle che vide egli stesso, e per dubbie quelle che egli dice di aver inteso da altri. Il passo che ora espongo cade sotto quest ul- tima categoria, ma la singolare coincidenza e del luogo e della gran- dezza dell’uccello cogli uovi trovati nel Madagascar danno gran peso al racconto di Marco Polo. AI capo sessantesimo quinto verso il fine dove tratta delle meravi- glie dell’Isola del Madagascar, dopo aver parlato delle correnti marine che delle coste dell’Africa si dirigono verso il Madagascar, ed alla pun- ta dell’Africa, ciò che è verissimo, si legge: « Diconmi certi mercatanti che vi sono iti (cioè al Madagascar), » che v'ha uccelli grifoni, e questi uccelli appariscono certa parte » dell’anno; ma non sono così fatti com’ è si dice di qua, cioè mezzo » uccello e mezzo lione; ma sono fatti come aguglie (ossia aquile co- » me dicevano alcuni antichi) e sono grandi com’ io vi dirò. E’ pigliano » il Leofante (Elefante) e portanlo suso nell’aere e poscia il lasciano » cadere, e quegli si disfà tutto e poscia si pasce sopra di lui. Ancora » dicono coloro che li hanno veduti che l’ali loro sono si grandi che » cuoprono venti passi, e le penne loro sono lunghe dodici passi, e » sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Ma quello che io » n'ho veduto di questi uccelli io il vi dirò in altro luogo. »» lo era in viva attenzione di quest ultima promessa di Marco Polo, la quale sarebbe stata certo preziosissima, come quella che accen- nava a uccelli straordinarj da lui stesso veduti. Per quanto però scor- ressi minutamente i seguenti capi, non trovai cosa alcuna in proposito, e convien dire che gli sia sfuggita di mente. Uopo è dunque accon- tentarsi delle notizie che Marco Polo non vide egli stesso, ma che udì dai mercadanti che commerciavano col Madagascar. Abbiamo già intanto, in ciò che dissero a Marco i mercanti, una ret- tificazione che loro ne concilia la fede. Gli abitanti di Aden, dove allora si trovava Marco Polo, credevano che questi uccelli fossero mezzo uccelli e mezzo lioni, ei mercadanti che narravano a Marco la storia di questi uccelli affermavano invece di averli veduti somiglianti alle agu- 302 G. M. CAVALLERI, glie, cioè aquile, il che è molto più verisimile. Anche l’ alzare che fa- cevano questi uccelli le loro vittime e il lasciarle cadere onde sfracel- larle e cibarsene quindi a loro bell’agio, addita una circostanza molto verisimile ed analoga a quella di altri uccelli rapaci. Avendo detto Marco Polo che s° assomigliano alle aquile, le quali anziche lasciar cadere la preda la sbranano, nulla toglie di peso alla idea che loro per forza e violenza si assomiglino, se si considera che la pelle degli elefanti è dura assai, e che l’ augello aveva maggiore facilità per cibarsene, lasciar cadere l’ animale dall’ alto, anzichè con gran pena scuojarlo, o aprirlo violentemente. Oltre a che si deve aggiungere, che, temendo forse l’augello la proboscide dell’ elefante, era più natural cosa pigliarlo per di sopra onde poi lasciarlo cadere a terra. A tutto ciò s’ aggiunge la località precisa in che noi trovammo le le uova dell’ Epyornis, cioè il Madagascar. Che poi questi uccelli, come narra Marco Polo, apparissero solo in certa parte dell’ anno, è cosa probabilissima ed analoga a quella di molti uccelli emigratori. La vi- cina costa dell’ Africa, che è divisa dal Madagascar pel canale Moz- zambico, doveva fornire a quest'uccelli rapaci, unitamente alle vicine isole, un: cibo ed un rifugio adatto ai loro grandi bisogni. Forse gli alisei determinavano il tempo della loro apparizione al Madagascar, e della loro scomparsa. Da ultimo, che quest’uccelli fossero dotati di tal forza da sollevare un Elefante, è cosa affatto naturale, se si considera l’ ampiezza delle loro ali, che al dire di Marco misuravano in tutto da 20 passi, ossia da circa 34 metri e mezzo, fatta ragione che il passo veneziano era lungo cinque piedi, e che ogni piede corrispondeva a metri 0,348. Questa corrispondenza di misure fu tratta dall’ opera pregiatissima di Antonio Pasquale Favaro stampata in Napoli nel 1826. Ad accrescer poi fede alla forza di questi uccelli vuolsi avvertire che gli Elefanti dell’Africa sono molto più piccoli di quelli dell’India. Poi non è detto già che tutti gli Elefanti grossi e piccini levassero in aria, ma gli Elefanti in generale, come noi diciamo talvolta, e s° ode da alcuni dire, che le Aquile nostre portano in aria le pecore, sebbe- ne in realtà non siano che gli agnelli. Con tutto ciò, se in realtà fosse OSSERVAZIONI SULL'EPYORNIS 303 vera l’ asserzione che le ali di questi uccelli fossero lunghe 20 pas- si cioè 34,5 metri, e fatta ragione che una nostra Aquila misurasse da una punta all’altra delle ali spiegate da circa 3 piedi veneziani, il che è molto prossimo al vero, fatte le debite proporzioni, e suppo- sta che la forza di questi uccelli fosse proporzionata alla lunghezza delle loro ali, avrebbero potuto alzare un peso equivalente a 20 innal- zato al cubo più di quello dell’ Aquila, cioè 8 mila volte di più di quello che può alzare l’ Aquila. È supposto che questa possa alzare un agnello del peso di 10 chilogrammi, i nostri uccelli del Madagascar avrebbero potuto alzare un peso di 80 mila chilogrammi. Si vede dunque da questi confronti che, anche abbassando di molto la forza di questi uccelli, potevano a tutt’ agio alzare un Elefante anche dei più grossi. ; Fino a questo punto le difficoltà che a primo aspetto si possono presentare appajono dileguarsi, poste a confronto coi nostri uccelli rapaci, e colle misure forniteci dal nostro storico veneziano. Ma tutto questo che si narra nel Milione, sarà egli poi vero? La coincidenza, come già dicemmo, delle uova e di alcuni resti del Epy- ornis ne fa concepire una tal quale speranza. Tutto che narrasi in- fatti non è punto fuori dell’impossibile, e il vedere che concorda il luogo medesimo, ne fa coraggio a trovare maggiori rapporti, ll rap- porto, che possiamo istituire, si riferisce alle uova che possediamo. E per prima cosa nulla osta che il nostro uovo, per ciò che spetta la forma, possa appartenere ad un augello di rapina. La forma degli uovi di uccelli di rapina, da un certo numero che il nostro gabinetto di Monza possiede, è varia, ma in generale tende ad avere l'una estremi- tà dell'uovo notabilmente più acuta dell'altra. Il che in generale non è degli uovi degli struzzi, dei casoari ed altri consimili uccelli cursori grossi, ed anche in generale dei cigni, dei polli le cui due estremità non hanno una forma che molto tra loro discordi. Per questo motivo io inclino a credere l’ ovo dell’ Epyornis più presto appartenere ad un uccello di rapina anzichè ad un altro augello. Lo stesso e con mag- giore ragione dicasi delle uova delle tartarughe: queste fanno uo- va che più ancora si discostano da quelle degli uccelli per la loro forma più arrotondata e molto meno elissoidale. Non potrebbe dunque, 504 G. M. CAVALLERI, con molta probabilità, appertenere 1’ ovo dell' Epyornis ad una specie qualunque dei cheloniani, e molto meno poi ai sauriani, o agli ofi- diani. Esaminiamo in secondo luogo le dimensioni dell’ uovo e paragonia- mole con quelle degli altri uccelli per poi fare il confronto dei nostri viventi uccelli e con quelli descrittici da Marco Polo. Premettiamo dapprima che negli uccelli rapaci, e in generale anche in tutti gli altri uccelli, fatte pochissime eccezioni, e queste sempre ristrette a piccole variazioni, l' uovo corrispende alla grossezza dell’ uccello, ed anche al suo peso, prossimamente. Questo io dedussi da qualche centi- najo di uova che ho esaminati. Partendo da questa supposizione adun- que che l’uovo di un uccello, sia rapace o nò, è prossimamente pro- porzionale alla grandezza dell’ uccello, ‘trovo le seguenti dimensioni di uova di alcuni grandi ucelli, misurate pel loro asse minore. Uovo dell’ Epyornis, che il nostro gabinetto possiede modellato sulla forma di quello che possiede la città di Berlino.-- Centimetri 23, 3 di Struzzoiio.: siga. ini doti seme pe na. ale 0800 altro)di Stnuzzo il uacs ron atlib afoigiogio. Si, SA eo detto Struzzo americano... . .... » 410, del: Valtur fulviasvi di 0 Geletantgtà Hob TO) 01005) SERE della Gru americana TER, BOSIO AL 0 AO NRE del Cigno comune domestico . . . . .°. » B° deliFaleobuteovi:. cava Si. gp aaa, sist, SBOIRE del Catbartes percnopterus, ecc... ... » BB, Si vede da questa piccola tavola che, paragonato 1’ uovo di Struzzo a quello dell’ Epyornis, questo è circa il doppio in diametro di quello dello Struzzo; e perciò, se l’ Epyornis fosse appartenuto all’ ordine degli struzzi, sarebbe stato il doppio in diametro, e perciò avrebbe avuto un corpo pesante otto volte di più, o circa otto volte più volu- minoso. Poniamo ora a confronto, ciò che più importa a noi, un uccello di rapina, e sia questo il Y'ultur fulvus, il cui uovo è centimetri 7,4, cioè il terzo circa dell’ uovo dell’ Epyornis. In questo caso 1’ Epyornis do- veva avere un corpo voluminoso come il cubo di 3, cioè essere 27 OSSERVAZIONI SULL'EPYORNIS 303 volte più grande del Z°ultur fulvus. Veniamo ora al confronto delle ali. Quelle del /ultur fuleus da me misurate toccano quasi ai due me- tri, incominciando da una estremità all'altra; e quelle dell’ Epyornis dovevano essere, a pari circostanze lunghe il triplo, cioè 6 metri soli, mentre i mercadanti del nostro Marco Polo ne assegnavano 34 e più, Quì ci ha dunque uno scoglio, una difficoltà che io non saprei supe- rare. Esageriamo pure il gran remaggio dell’ ali dell’Epyornis, para- goniamole a quelle del Gype@etus darbatus che le ha ampissime, e noi saremo tuttavia molto lontani ancora dall’ approssimarci alle misure date dal nostro storico. Avrebbe egli mai per avventura, o i suoi traduttori, scambiato i passi veneziani in piedi veneziani? In questo caso noi avremmo nel- l’ Epyornis le ali in diametro cinque volte minori, cioè circa 7 metri, il che si approssimerebbe assai, non essendovi la differenza che di un settimo. Paragonando poi le ali dell'Aquila imperiale con quelle del- l’Epyornis, nel caso appunto che lo storico avesse scambiato i piedi in passi, il paragone è assai più presso al vero, ed anzi coinciderebbe mirabilmente. Acconciate per tal modo le misure delle ali dell’ Epyornis e del suo uovo, con quello dei nostri uccelli rapaci, non si può di pari guisa acconciare quell’altra circostanza assegnata da Polo riguardo all’al- zare gli Elefanti. Supposto infatti, ciò che è molto prossimo al vero, che il rapporto del diametro dell’ovo dell'Aquila a quello dell’ Epy- ornis sia 3,5, il suo cubo sarà 36, trascurate alcune piccole frazioni; e supposto che l’ Aquila abbia la forza di portare in aria un agnello del peso di 10 chilogrammi, l’ Epyornis poteva portarne 360 e nulla più. Ora questo peso è prossimamente quello dei buoi selvatici, e dei nostri di campagna, che sieno di taglia media. Tra i buoi però e gli elefanti, anche africani, che sono i più piccoli, corre ancora una gran- dissima differenza, e non si potrebbero raggiustare le misure e le pro- porzioni, che supponendo che l’ Epyornis alzasse i piccoli elefanti, quelli ancor giovinetti, o che al Madagascar gli Elefanti fossero di una taglia non dissimile di quella dei nostri buoi di lavoro. Noi potremmo anche istituire un confronto colle Diomedee, uccelli che si pascono appunto di carni, e le cui ali, rispetto al corpo, sono Volete 20 306 G. M. CAVALLERI, amplissime o direm meglio strette e lunghissime. Una, che io mi- surai, ha la lunghezza di quasi tre metri da una punta all’altra delle ali distese, mentre il corpo è poco più di quello del Z'ultur fulvws sopra citato. In questo caso, cioè paragonando la grossezza della no- stra Diomedea, con quella dell’Epyornis dedotta dalla grossezza del- l'uovo, le ali dell’ Epyornis dovevano misurare circa 9 metri, quindi siamo ben lontani ancora dai 34 metri notati dal Polo. À tutto restringere adunque ciò che dicemmo, ove sia l’ Epyornis identico a quell’Aquila notata da Marco, noi ineliniamo a credere che siavi stato errore ed esagerazione nei mercadanti, che narrarono al Veneziano la sterminata grandezza del grande uccello, o sì veramente che abbiano scambiati i passi veneziani in piedi. In quest’ultimo caso la narrazione del Polo applicata ai buoi ed ai piccoli elefanti poteva essere molto consona al vero, e così anche noi incliniamo a credere. Nè val dire che i passi presso le diverse nazioni antiche fossero varii ; perciocchè era regola generale presso gli antichi di misurare i passi doppii, ossia calcolavasi il passo dalla distanza che passa dalla posa di un piede alla posa del piede stesso quando si cammina; quindi il pas- so era doppio del passo così detto da noi, e corrispondeva ad un di- presso alla lunghezza del corpo umano cioè circa 5 piedi. Che se poi per avventura Marco Polo avesse per passo inteso veramente i nostri comuni passi, egli sarebbe caduto in troppo gravi e grossolani errori, quali non si potrebbero attribuire all’ avveduto Veneziano. Infatti, poco dopo aver parlato dei passi che misurava l’uccello del Madagascar, passa a parlare delle Giraffe, e dice che erano alte tre passi, cioè circa l’altezza di tre uomini, il che è verissimo. Questa misura del passo, cioè equivalente realmente a due passi dei nostri moderni, è poi altre volte citata, e sempre nel medesimo senso. Non è possibile dunque supporre, che Marco Polo per passi intendesse di dire un passo nostro comune, sibbene il passo degli antichi equiva- lente a cinque piedi. Termino le mie brevi osservazioni col notare, come da alcuni si vuole, che il nostro Epyornis sia di origine fossile, quindi molto più antico del tempo di Marco Polo. lo non entrerò nella difficile questio- ne, e solo mi permetto di notare, come non sia troppo facile assegnare OSSERVAZIONI SULL’ EPYORNIS 307 l'epoca geologica di terreni che noi non conosciamo ancor bene; e co- me, ad onta di tutto questo, più o meno modificata poteva ai tempi di Marco Polo vivere ancora la specie di quelli uccelli che noi chiamia- mo Epyornis; e il non aver trovato finora che ova fossili, non è certa prova che non ne esistano tuttavia. P.° Giov. M.* Cavatteri Bar. Seduta del 26 maggio 1861. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Legge il segretario Omboni due Articoli bibliografici sulla Memoria di Gastaldi relativa al terreno miocenico del Piemonte, e sui nuovi principj di fisiologia vegetale di A. Cantoni. Si dà lettura d’uno scritto del socio De-Bosis sui mine- rali utili delle Marche; e d'una comunicazione del socio Panceri sulle vaginicole parassite deù gamberi comuni; e d’ una nota del socio T'acchetti su alcune libellule del Bresciano. Il segretario Omboni annuncia che le farfalle del bruco dell’ ailanto hanno cominciato a uscire dai bozzoli, ma che finora due sole si sono accoppiate. Dà pure lettura d’un articolo del socio Strobel inserito nella Gazzetta di Parma del 21 maggio, e nel quale si annuncia essere stato preso vivo, nel giorno 15 corrente maggio, sulla riva sinistra del Po, poco lungi da Parma, presso T'orricella del Pizzo, un C'olymbdus torquatus (Co- lymbus glacialis L. adulto), specie propria dei paesi freddi, e che solo d'inverno" giunge qualche volta in Italia. Que- st uccello è ancora vivo e si spera di poterlo conservare così per qualche tempo in un locale dell’ Università di Parma. Domandando il socio Bertolio se esistono ancora certe palizzate da lui vedute, quindici anni sono, presso l’itsmo che divide il lago d’ Oggionno da quello d’ Annone, ri- sEDUTA DEL 26 maccio 1861. 309 sponde il socio Stoppani che non esistono più, e che un vecchio pescatore di quei laghi, interrogato in proposito; disse di aver contimuato tutta la sua vita ad estirpare quei pali che ingombravano il fondo del lago. Que’ pali erano probabilmente avanzi d’ antiche abitazioni lacustri, simili a quelli trovati in altri laghi alpini. Sono nominati socj effettivi i signori: BrAncoNI GiusEPPE, professore di zoologia nella R. Università di Bologna, proposto da Cornalia, Villa Antonio e Omboni; Cossa dottor ALFONSO, assistente alla cattedra di chimica nella R. Univer- sità di Pavia, proposto da Panceri, Cornalia e Omboni. Dal giorno 28 aprile fino ad oggi sono giunti i seguenti libri : Cantoni. Z'Amico del Contadino. — Anno II, fascicoli 8 e 9. I nuovi bachi da seta. — Malattia dei pomi di terra. — Insolforazione della vite. — Il terreno non isterilisce col tempo. — La crisi fondiaria. — Bacologia. Insetti parassiti osservati dal signor Dall’Ovo sulle uova dei bachi da seta. — Peripneumonia delle bestie bovine. — I cattivi vicini. — Della conservazione delle carni commestibili coll’acido solfidrico e coi sol- fiti. — Cronaca Agricola. — Varietà. — Notizie commerciali. — Tabella meteorologica. Cantoni. Nuovi principj di fisiologia vegetale applicati all'agricoltura. Milano, Vallardi, 1860. Atti dell’I. R. Istituto veneto, ec. Anno 1860-64. Disp. d. SorIo, Fiori di sentenze morali di Brunetto Latini. — Cicogna, Vita e Opere di Marcantonio Michiel. — NARDO, Cinque specie di animali inver- tebrati. — FARIO, Sul Panteon Veneto. — QuERINI, Idrofero o macchina per polverizzare i liquidi. — FARIO, Del Morbillo. — NAMIAS, Sullo stesso morbo. — BeLLAVITIS , Aleune quistioni matematiche. — BERTI, I due nuovi asteroidi scoperti da Tempel. 540 SEDUTA DEL 26 macciIo 1864, Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft. XII, 2. Protocolli delle sedute. — SEEBACH, Origine del ferro nativo tellurico di Turingia. — STEIN, Descrizione geognostica dei dintorni di Brilon. — RAMMELSBERG, Composizione della Hauyna e della lava di Memfi sul Vulture. — DeLESsE, Ricerche sul pseudomorfismo. — JETTELES, Storia dei terremoti dei Carpazj e dei Sudeti. — RoeMER, La Posidonomya Be- cheri della Grovacca dei Sudeti. — TRAUTScHOLD, Il Giura di Mosca. — ZEeBRENNER, Riclami contro Giebel. i Wiirzburger Naturwissenschaftliche Zeitschrift herausgegeden con der Physikalischen Medicinischen Gesellschaft, redigirt con IL. Miller, A. Schenk, R. Wagner. — Erster Band. Contiene molte memorie di Kolliker, di Claus, di Eberth, di Osann, di Borszezow, di Wagner, di H. Miller, di Kittel, di Hassencamp, di Pa- genstecher, di Schenk, intorno a molti argomenti di anatomia comparata, di fisiologia animale , di fisiologia vegetale, di geologia, ec. Le Memorie geologiche di Hassenkamp e Borszezow trattano degli insetti fossili del Rodano, dei terreni terziarj del bacino del Rodano, e della pianura Uralo- Caspica. Notizblatt des Vercins fin Endkunde zu Darmstadt. Volumi 1.° e 2.° intieri, e numeri 41-57. — Dal maggio 1837 al febbrajo 1861. IPiener Entomologische Monatschrift. V Band. Numeri 2, 3 e 4. — Febbrajo-aprile 1861. Veber die gegenseitigen Beziehungen der warmen Quellen zu Baden in Kanton Aargau. IHocustetTER. Veber die Yersuche des Herra Got, ecc. — Sull’ uso delle acqne di Karlsbad per fare le così dette Sinterdilder. Korecnum-Scurunsencer. Sur la grauwacke meétamorphique de Ihann. Socutinc. Veber die urspriingliche Zuzammensetzung ciniger pyroxe- nischer Gesteine. Haven (Franz Ritter von). Duc opuscoli in tedesco : Sui Cefalopodi del lias delle Alpi orientali. — Sulla Geologia dell’ Arciducato d'Austria sotto l Enns. sEDUTA DEL 26 miccio 1861. 5I1 Reuss. Tre opuscoli in tedesco: Sulla Geologia del bacino di Baco- nitz in Boemia. — Sul Schalstein silurico di Boemia. — Sui Ga- steropodi del gruppo di Gosau nelle Alpi Orientali. Enruicn. Due opuscoli in tedesco: Sulle Alpi del Nord-Est. — Escur- sioni geologiche nelle Alpi del Nord-Est. Povzi. Note sur l’époque du soulèvement des Apennins. — Extrait du Bull. de la Soc. geol. de France, 410 janvier 1883. Verhandlungen und Mittheilungen der siebenburgischen Vereins fiir Naturwissenschaften zu Hermannstadt. — XI Jahrgang. 7-12. — Luglio-dicembre 1860. Bouwi, 18 diversi opuscoli in tedesco. Estratti dagli Atti dell’Accademia imperiale delle scienze di Vienna, e re- lativi alle carte orografiche, agli spaccati geologici, all’idrografia e orografia preadamitica, al giacimento delle rocce, alla dolomia, alle forme esterne della superficie terrestre e alla loro origine, alla storia della superficie ter- restre, alla antica temperatura della terra, alle impressioni umane sulle rocce, alla regolarità goometrica della terra, alla strada da Prisren a Scu- tari, e alle carte geologiche dell’ Europa. Haver und Îl6anes. Das Buch-Denkmal. (Disegno e storia del Monu- mento dedicato a Be Buch nella valle dell’Enns.) loris. Veber die Gasteropoden und Aceplalen der Hallstitter- Schichten. Montor. Tre opuscoli in tedesco. Sulla Geologia della parte meridionale della Stiria inferiore. — Sui la- vori geologici fatti nella Stiria e nell’ Illiria. — Ricerche geologiche fatte in diverse parti dell’ Austria (Stiria, Salisburghese, Carinzia, Raibl, Croazia). Lavizzari. Dircorso d’apertura della h4.® Sessione generale dei Natu- ralisti svizzeri in Lugano. Rendiconti delle sessioni dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. Anno accademico 1888-59, e anno 1839-69. Memorie dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Bologna. Vo- lumi IX, X, c fascicolo 1.° del vol. XI. CimA, Ricerche intorno ad alcuni punti di elettro-fisiologia. — DELLA CASA, Nuovo metodo di rendere grafici gli strumenti meteorologici. — BER- 54192 sepuTA DeL 26 maccio 1861. toLONI, Miscellanea botanica. — CALORI, Voiuminoso tumore conge- nito, ec. — PIANI, Un’ opinione astronomica di Dante. — BERTOLONI, Li- gnite di Sarzanello. — FABBRI, Speculum uteri. — ALESSANDRINI, Schele- tro di due marsupiali. — VERARDINI, Caso di nigrizia con alterazione delle capsule atrabiliari.— PreDIRRI, Le risaje del Bolognese. — CALORT, Sche- letro delle lucertole, e riproduzione della coda. Ossa cutanee della testa dei saurj. — PAOLINI, Esperienze sul midollo spinale. — SOvERINI, Morte su- bitanea per un ago infitto nel pericardio. — ScARZI, Vasi e stoviglie da cucina. — BrancoNI, Specimina zoologica Mosambicana. — DELLA CASA, Pausa elettrica. — Mepici, Elogio di Vincenzo Meneghini. — RizzoLi, Aneurismi curati colla compressione. —- ResPIGHI, Irradiazione oculare. — ALESSANDRINI, Preparati più interessanti di anatomia patologica esistenti nel Gabinetto dell’ Università di Bologna. — FAEBRI, Importanza dello studio delle lussazioni. — PAOLINI, Elogio di Michele Mediei. — CALORI, Sirenomelo. — BeLLUuzzi, Tumori addominali profondi guariti mediante l'apertura artificiale. — BricHENTI, Effetti del diboscamento e dissoda- mento dei boschi sulle piene dei fiumi. — PrEDIERI, Variazione avvenuta nel clima bolognese. — PAOLINI, Effetti delle acque termali solforose nella cura della sifiiide. — PALAGI, Identità delle correnti d’induzione volta-ele- trica e magnetica. — CALORI, Riproduzione di una doppia coda nelle lucer- tole. Scheletro del platidattilo murale. Scheletro dello Stellione volgare. — BERTOLONI, Malattie e danni che soffrono i peri nella provincia bolognese. — PIANI, Sulla grande piramide d'Egitto. — CorrADI, Diminuzione della podagra. — DELLA CASA, Sull’induzione elettro-statica. — ResPIGHI, De- clinazione magnetica assoluta di Bologna. Fenomeni cometarj. — CALORI, Mostro umano exencefalico vissuto trent'ore. — PRrEDIERI, Stato mentale degli idrofobi. — CarLINI, Rotazione dei corpi liberi. — FABBRI, Pelvi obliqua-ovale, ec. — RizzoLI, Canero della metà destra della lingua demo- lito con nuovò processo operatorio. — BricHENTI, Sulla corrente litorale, di seguito alla Memoria di Paleocapa. — DELLA CASA, Osservazioni sul- l’induzione elettro-statica. BIBLIOGRAFIA GASTALDI. Epoca GLACIALE MIOCENICA. CANTONI. Nuovi PRINCIPJ DI FISIOLOGIA VEGETALE, Gastanpi. Frammenti di geologia del Piemonte. Sugli elementi che compongono i conglomerati mioceni del Piemonte. —- Il nostro collega Bartolomeo Gastaldi ci ha mandato in dono già da qualche tempo que- sto suo lavoro, pubblicato nelle Memorie della It. Accademia delle scienze di Torino (serie H, tomo XX), e intitolato: frammenti di geologia del Piemonte. Sugli elementi che compongono i conglomerati mioceni del Piemonte. — In questo lavoro il nostro collega descrive minutamente questi elementi, ed espone come sia giunto a scoprirne i luoghi di provenienza, e come molti fatti comprovino essersi formati quei conglomerati durante un’epoca glaciale, paragonabile a quella . che ebbe luogo prima dell’ epoca altuale. Altre epoche glaciali più antiche erano state immaginate da altri geologi. Una breccia trappica, collegata colle marne e arenarie permiane sovrapposte alle rocce siluriche nel sud del Stalfordshire e nel distretto dei Malverns in Inghilterra, contiene dei massi voluminosi e dei ciottoli levigati e solcati; e le rocce di cui sono fatti questi massi e ciottoli sono in posto alla distanza di 40 miglia, nelle colline di Longmynd, che in altri tempi erano più elevate che adesso. Ramsay, Philips ed altri ne deducono che quei materiali furono levigati e solcati da ghiac- ciaj esistenti nei monti di Longmynd. e poi furono portali ove sono SAU G. OMBONI, adesso da zattere galleggianti di ghiaccio. (Associazione britannica ecc., Riunione di Liverpool, 1834. — Zibl. de Genève. 1834). Secondo Blanford e Theobald esistono dei massi erratici nel piano di Talcheer, del terreno permiano (2yas) dell’ India. Ramsay (Quart. Journal of the Geol. Soc. of London, August, 1858) ammette 1’ e- sistenza di massi erratici trasportati da zattere galleggianti di ghiac- cio nel terreno permiano del Shropshire, del Worcestershire, ece., in Inghilterra, come già l'avevano immaginata Cumming nel 1848 e Godwin-Asten nel 1850. Altri massi erratici furono trovati nei con- glomerati cupriferi del lago Superiore nell’ America settentrionale , alla base del Trias. Conglomerati d’origine glaciale farono pure consi- derate alcune rocce presso Roxburg nel Massacchusset. Dolfuss-Ausset nel 1852 ha pure accennato esistere dei depositi glaciali nel Miocene del Righi; e certi massi d’ ignota provenienza, sparsi per le Alpi te- desche (nella valle d’ Ormonts nel cantone di Vaud, nella valle di Habkeren presso Interlaken, a Bolghen nella valle di Sonthofen in Baviera, a Pechgraben nella valle dell’ Ache presso Neukirche in Austria) diedero origine ad una discussione interessante sulla loro ori- gine, perche Studer li ritiene aver fatto parte del /Zysch ed essere poi rimasti liberi per la distruzione del resto della roccia, Murchison li crede massi erratici quaternarj di rocce non ancora note perchè nascoste dalle nevi perpetue o scomparse per erosioni, ed altri li ten- gono per massi erratici trasportati durante l’ epoca del /lysch (Quart. Journal of the Geol. Soc. cf London, e Bibl. de Genève, 1849. — Marchou, Dyas et Tryas, ou Nouveau grès rouge ecc., Bibl. de Genè- ve, 1859). E Marcon crede che l’ epoca permiana e l’ epoca triasica siano state molto fredde, e comprese fra le epoche calde del terreno carbonifero e del terreno giurese (Dyas et Tryas). Sulla collina di Torino esistono molti massi giganteschi, che furono già accennati da Gastaldi, insieme con quelli del terreno erratico dei dintorni di Torino e di Ivrea, anzi furono da lui creduti massi erratici deposti sulla collina di Torino dai ghiacciaj provenienti dalle valli di Susa e di Aosta (Zssai sur les terrains superficiels de la vallée du Pò. Bull. de la Soc. géol. de France, 1850); ed altri molti se ne incon- trano, contenuti nei conglomerati miocenici della stessa collina. Il BIBLIOGRAFIA 545 signor Gastaldi ha poi continuato i suoi studj, e mentre si è sempre più confermato nell’ origine glaciale delle colline moreniche di Rivoli, Alpignana, Caluso, ecc. presso Torino e intorno a Ivrea, ha dovuto mutare affatto le sue idee intorno all'origine ed all’ epoca del trasporto dei massi dei conglomerati miocenici. Le nuove osservazioni e le de- duzioni che se ne traggono mi sembrarono assai interessanti, e me- ritevoli di essere brevemente esposte in un articolo bibliografico, da inserirsi negli Atti della nostra Società. Nella collina di Torino i conglomerati miocenici si vedono special- mente nei valloni del rio Sassi alla così detta cava Golzio, in una cava a destra della strada per Superga e a due terzi della salita, nelle cave lungo il rio Dora, nella valle del rio Perteng o di San Raffaele, e nella valle dei Ceppi. Sono strati marini, potenti fino a 40 0 50 me- tri, a struttura irregolarissima, e con cioltoli poco rotondati, così che sembra vedere dei depositi di passaggio dall’ erratico al diluvium. In essi si distinguono due orizzonti, l’inferiore, in cui sono frequen- tissimi i massi e ciottoli calcari, e il superiore, che ne è quasi privo. Mancano quasi affatto di fossili. Contengono detriti di rocce che non sono in posto nelle vicine Alpi; e per ciò le ghiaje e sabbie del di- luvium, che sono grigie e provengono dai micascisti, dalle dolomie, dalle quarziti, ecc., delle vicine valli, si distinguono facilmente da quelle dei congiomerati miocenici, che sono verdi-nerastre, per il predominio dei serpentini e delle eufotidi. Nei conglomerati inferiori abbondano anche dei porfidi, dei graniti, dei protogini, dei diaspri, delle brecciole porfiriche, dei melafiri e dei calcari, che non sono in posto nei monti fra il Po e la Baltea. I calcari variano di colore e d’aspelto, ma sono sempre diversi da quelli in posto nel versante orientale delle vicine Alpi. Nell’Apennino Ligure si trovano altri conglomerati miocenici, in banchi e strati potentissimi, e talvolta formano da soli intiere monta- gne. Si vedono particolarmente a Pozzuolo del Groppo, Croce Fieschi, Voltaggio, Mornese, Lerma, Belforte, Sassello, Piana, ecc., fra il Tà- naro e la Stàffora. — A Croce Fieschi il conglomerato sembra un di- luvium rimaneggiato, un vero deposito torrenziale. Alla punta di Fiac- cone esiste una sabbia serpentinosa così agglutinata da un cemento 346 G. OMBONI , resistente, che, veduta da una certa distanza, sembra una serpentina in massa. A Sassello e Belforte si vedono massi tenuti insieme da po- lipaj estesi per alcune centinaja di piedi quadrati. In genere i con- glomerati sono fossiliferi soltanto in certi strati, e particolarmente in quelli che non sono molto potenti, nè formati di elementi voluminosi. In molte parti sono formati di soli ciottoli, e questi sono in gran parte del calcare a fucoidi (alberese), che sta sotto alla massa totale dei conglomerati. Sulla sinistra della Scrivia sono più potenti, e conten- gono massi giganteschi, per lo più serpentinosi, i quali spesso, essendo rimasti isolati per la distruzione del resto della roccia, sembrano veri massi erralici dell’ epoca quaternaria. I calcari, Ie brecce porfiriche e alcuni dei graniti dei conglomerati inferiori della collina di Torino provengono dalla valle della Stàffora o meglio dal gruppo degli Apennini da cui discendono verso il Piemonte la Borbora, il Grue, la Staffora e il Currone, e che distano da Torino circa 100 chilometri in linea retta. — Questa provenienza fu sugge- rita a Gastaldi da una nota dei Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna del signor Barelli (Torino, 1833), e fu poi accertata pienamente dalle osservazioni fatte dallo stesso Ga- staldi nella valle della Staffora. In questa valle, presso al luogo ove il rio Montagnola entra nella Staffora, nel letto di quel rio, si trovano molte delle varietà di calcari contenute nel conglomerato miocenico di Torino, e dei serpentini che hanno rotto, attraversato e alterato i calcari. I conglomerati miocenici con grossi massi cominciano verzo occi- dente nell’ Apennino Ligure fra Ceva e Millesimo, si rivedono a Dego, Piana, Spigno, Sassello, Mornese, Voltaggio, Casella, Croce Fieschi, e in alcuni altri luoghi delle valli del Currone e della Staffora. «Di- rebbesi che essi segnano il perimetro dell'Adriatico all’ epoca miocena, se non fosse dimostrato e patente che a Cadibona e Sassello vi era uno stretto, per cui l’ Adriatico comunicava col Mediterraneo, e se i conglomerati di Casella e Croce Fieschi da una parte, e quelli di Por- tofino dall’ altra non rendessero probabile 1’ esistenza di un secondo stretto in quei sili. » Gli strati dell’ Apennino si affondano in genere verso tramontana; BIBLIOGRAFIA 547 e quelli della collina di Torino verso mezzodìi; è dunque probabile che formino tutti insieme un gran bacino sotto ai terreni più moder- ni, di Acqui, Alba, Asti, ecc. Un solo fatto si opporrebbe a questa ipo- tesi, ed è Ia presenza di nummaliti nei conglomerati dell’ Apennino, insieme coi fossili comuni a quei conglomerati ed a quelli della collina di Torino; ma si può anche spiegare in altro modo, senza negare la continuità degli strati miocenici. Se ora vogliamo considerare la provenienza degli elementi dei con- glomerati della collina di Torino, troviamo che i protogini, le dioriti, i porfidi quarziferi, un granito a felspato roseo e certi ciottoli calcarei vengono dalle Alpi, mentre la quasi totalità dei massi e ciottoli cal- carei, con e senza fucoidi, con e senza infiltrazioni bituminose, le brec- ciole porfiriche, alcuni graniti, certe arenarie con combustibili fossili, e molti diaspri vengono dagli Apennini; e che tutti hanno percorso 50, 60, 80, 100 e più chilometri, per venirsi a trovare insieme du- rante la formazione dei conglomerati. È poi degno di osservazione che mancano o sono rari i gneiss, i micascisli, i calcari saccaroidi ed altre rocce delle Alpi più alte, mentre sono meno rare quelle provenienti dall’ ultimo gradino delle Alpi verso la pianura, cioè dai monti di Pi- nerolo, Trana, Avigliana, Lanzo, Valperga, Ivrea, Biella, Gozzano, ece. Pare poi che nei conglomerati inferiori siano più rari gli elementi provenienti dalle Alpi, e più abbondanti quelli venuti dall’Apennino. — I serpentini possono essere venuti e dalle Alpi e dall’Apennino. Da tutto questo si conchiude che nell’ epoca miocenica fu traspor- tata a grandi distanze una grande quantità di ciottoli e massi anche giganteschi di rocce delle Alpi e degli Apennini; e durante questo trasporto, e quindi durante la formazione dei conglomerati a grossi elementi, non vivevano animali nel mare in cui i conglomerati erano in via di formazione. Ma quale può essere il veicolo per questo tra- sporto? — Le correnti marine, non possono da sole aver trasportato tutti quegli elementi, perchè non possono portare grandi massi, se non nel caso in cui questi sono racchiusi in zattere di ghiaccio. Que- sta ipotesi, già proposta dal Venturi pel trasporto dei massi erratici ed anche per quello degli clementi dei congiomerati miocenici del Modenese (Venturi, Storia di Scandiano. Modena, 1822), è la sola 518 G. OMBONI, che si possa ammettere per ispiegare i fatti relativi ai conglome- rati miocenici del Piemonte. — E l’esistenza di ghiacciaj alpini du- rante l’ epoca miocenica, da cui si sarebbero staccate quelle zattere galieggianti sul mare miocenico , sarebbe provata dal trovarsi nei conglomerati certi ciottoli, che possono considerarsi come rigali, ed altri, che non furono rotolati da torrenti o fiumi. Se a queste conclusioni aggiungiamo quelle di Ramsay e degli altri per altri terreni più antichi possiamo ammettere col Gastaldi es- sere «probabile che nuove ed accurate osservazioni sui ferreni erra- tici antichi, e la scoperta di nuovi fatti ad essi relalivi, ci conducano tosto o tardi a convincerci che in tutte le grandi epoche geologiche vi furono ghiacciaj, e che essi sono sempre stati il più potente agente naturale di trasporto dei grossi massi.» ) 1 massi sparsi sulla superficie della collina di Torino, ritenuti dap- prima massi erratici dell’epoca quaternaria, sono quasi tutti da con- siderarsi della stess’ epoca di quelli nei conglomerati, e rimasti iso- lati per la distruzione del resto della roccia. Essi hanno infatti la stessa natura mineralogica, e non hanno alcuna analogia con quelli delle morene di Ivrea. — Ve n’ ha tuttavia alcuni, di provenienza ancora problematica, perchè accompagnati da un vero /eln, il quale non può ritenersi formato per l'alterazione e distruzione delle rocce circostanti, ma deve esser stato deposto o da ghiacciaj o da torrenti esciti dai ghiacciaj. E siccome questo lelm si trova anche a molta altezza sul livello del Po, così bisogna supporre che o la collina si sia elevata o la pianura si sia abbassata dopo la deposizione di quel sedimento; e così verrebbero pure spiegati altre grandi differenze di livello che si vedono nelle terrazze dei fiumi e nelle colline del- l’ Astigiano. Una spaccatura con ispostamenti, che si può osservare nella collina di Torino nella sponda destra del rio Tepice, che ha le pareti levigate e finamente striate, e che è riempita di frantumi della stessa roccia componente le pareti, verrebbe a conferma di questa supposizione. Negli Apennini i conglomerati miocenici descritti passano superior- mente a degli strati di sabbia e di argilla, i quali nelle loro parti superiori contengono del gesso. BIBLIOGRAFIA 519 Salle argille con gesso stà il pliocero, per la massima parte marino, formato di argille, marne e sabbie, in istrati enormi. Superiormente si fa fluvio-lacustre, e contiene scheletri di proboscidei e d’ altri pa- chidermi. È poi coperto da argille con sottili banchi di calcare gros- solano, concrezioni calcaree e ferro pisolitico, e terminato da un’ ar- gilla simile al lelm. Sulla sinistra del Po le argille plioceniche sono coperte dal dilu- vium, formato dai torrenti alpini; e terminato superiormente dalle morene d'Ivrea, Rivoli, ece. ll diluvium manca, generalmente parlando, nell’ interno degli anfi- teatri formati dalle morene; al di fuori forma la pianura, con lievis- sima inclinazione, e diviso in molti grandi coni di dejezione, corri- spondenti alle singole valli alpine. I ciottoli, Ie ghiaje e le sabbic si fanno sempre di minor volume quanto più si allontanano dalle mo- rene. Superiormente porla i depositi glaciali, e termina col /ehm, che è potentissimo presso le montagne, nei luoghi ove non esistono aperture di valli. Il terreno pliocenico ha la struttura d’ un sedimento marino falto in quiete, e senza torrenti. Dunque non esistevano ghiacciaj nell’epoca pliocenica, od erano piccolissimi. Al principio dell’epoca quaternaria cominciarono a formarsi od a farsi grandi, e i loro torrenti comincia- rono la produzione del diluvium, con tutti i loro coni di dejezione o di sboeco. Quando i ghiacciaj giunsero oltre le valli alpine, e si avan- zarono nella pianura, corrosero la sommità dei coni di dejezione, e deposero le morene terminali, e i loro torrenti rialzarono il suolo in- torno a queste con nuovi sedimenti. Venne infine 1’ epoca della ritirata dei ghiacciaj, e questa fu lentissima, così che i torrenti non poterono corrodere troppo e distruggere interamente le morene e gli altri de- positi anteriori. Il Gastaldi ammette che, durante l’ aumento, i ghiacciaj abbiano po- tuto prepararsi il fondo della valle, spingendo avanti a sè passo passo tutti i materiali mobili che lo ingombravano e quelli che essi stessi staccavano nel loro cammino, e contribuendo così maggiormente alla produzione del diluvium. «Forse anche si è nel regresso dei ghiac- ciaj che incominciarono le erosioni dei coni di sbocco (formazione 520 G. OMBONI, delle terrazze), le quali dovevano poi mano mano raggiungere le gi- gantesche proporzioni che ora hanno. » Il signor Gastaldi ha così descritto minutamente quanto dev’ essere avvenuto in Piemonte dal principio dell’epoca miocenica fino ad ora; ha fatto un lavoro, che potrebbe servire di modello per analoghi la- vori relativi alla Lombardia. Le nostre colline della Camerlata, del Montorfano Bresciano, ecc., aspettano ancora chi se ne occupi in modo speciale; e forse il loro studio condurrà a interessanti risultati per la-storia geologica del nostro paese; così come si sono trovate anche in Lombardia le prove dell’ esistenza de’ ghiacciaj dell’epoca quater- naria, facendo ricerche simili a quelle compiute con tanto successo dallo stesso Gastaldi in Piemonte. Cantosi Gaerano. /Vuovi principj di fisiologia vegetale applicati al- l Agricoltura. Milano, Vallardi, 1860. — Finora è ammesso dalla maggior parte dei Botanici e insegnato in tutti i libri elementari che Ie foglie delle piante decompongono l’acido carbonico che assor- bono dall’atmosfera, e che le sostanze inorganiche assorbite dalle radici allo stato di soluzione e salite fino alle foglie, vi subiscono tale alte- razione, da divenire atte alla nutrizione, e allora ridiscendono fra la corteccia e il legno, e vi formano ogni anno un nuovo strato di legno. Nel 1857 Liebig espose nella Gazzetta Universale d’ Augusta certi suoi dubbj salla teoria communemente ammessa intorno al modo d’a- gire delle radici e delle foglie, e i risultati di alcune esperienze, le quali provano che la terra non cede alcuna soluzione, ma trattiene la potassa, la silice e l’ammoniaca, che l’acqua non trae seco le sostanze contenute nel suolo se non pel dilapamento meccanico, e che le radici emettono acido carbdonico ; e conchiuse che le radici non devono trarre le sostanze nutritive dal suolo, se non agendo direttamente sulle mate- rie organiche componenti il terreno, e non già assorbendo ogni solu- zione che venga a toccarle. — Altre esperienze comprovanti 1’ emis- sione dell’ acido carbonico dalle radici furono fatte da Egidio Pollacci c pubblicate nel Nuovo Cimento del luglio 1838. — Delle nuove idee di Liebig, delle esperienze del Pollacci, e di molte esperienze e osservazioni meno recenti e dovute ad altri Botanici e Chimici ha BIBLIOGRAFIA 521 tralto partito il signor Cantoni per porre le basi d’una nuova teoria per le funzioni nutritive delle piante. Secondo lui, le foglie assorbono e non decompongono l’acido car- bonico atmosferico, ma questo discende per i rami e il tronco fin alle radici, che lo emettono per i loro succhiatoj; l’ acido carbonico emesso di notte dalle foglie è quello che alla fine del giorno trovasi an- cora nella pianta; e l'ossigeno emesso di giorno dalle foglie è prodotto dalla nutrizione generale della pianta o da un semplice scambio di gas, e non dalla decomposizione dell’ acido carbonico nelle foglie. L’ emissione dell’ ossigeno dalle foglie staccate dalle piante e messe nell’acqua è un fatto anomalo e che non può essere preso in consi- derazione quando si tratta della vita normale di tutta la pianta intera. L’acido carbonico assorbito dalle foglie è poi in relazione della quan- tità dei materiali assimilati. — D’ altra parte è un fatto che le radici assorbono le sostanze i cui carbonati sono solubili, e non l’ allumina, che ha il carbonato insolubile; 1’ acido carbonico esistente natural- mente nel terreno non può bastare a rendere solubile tutti i materiali che devono essere assorbiti dalle radici; le soluzioni contenute natu- ralmente nel terreno non possono nutrire, anzi recano danno alle piante, e, se anche nutrissero, il terreno non le cederebbe alle radici, perchè tende ad assorbirle e ritenerle e non a cederle; e le piante non producono escrementi, perchè scelgono i materiali prima di as- sorbirli, e non introducono indifferentemente tutte le sostanze che possono trovare nel terreno. — Da tutto questo conchiude 1’ Autore che le radici funzionano come stomaci rovesciati, agendo l’ acido carbonico da loro emesso come il sugo gastrico, cioè rendendo solu- bili i materiali nutritivi da assorbirsi (trasformando cioè in carbonati solubili i silicati di potassa e le altre sostanze minerali esistenti nel terreno), e assorbendo poi la superficie delle radici questi materiali, mano mano che sono resi solubili dall’ acido carbonico e sono di- sciolti nell’ acqua. Questa azione delle radici comincia quando la nuova pianlicina non può più trarre nutrimento dal seme che l’ha prodotta, e sono già sviluppate le prime parti verdi, per assorbire l’acido carbonico dall’ atmosfera sotto l’ influenza della luce. Essendo questa azione digestiva delle radici una vera azione chimica ? Vol. Ill. 21 323 G. OMBONI, varia secondo la quantità e la qualità dei materiali con cui vengono a contatto le radici; e la sua energia varia a norma della quantità dell’ acido carbonico assorbito dalle foglie; e questa poi varia colle condizioni in cui si trovano le foglie, e colla temperatura atmosferica. Le cause che contrariano l’ assorbimento dell’acido carbonico o che ne diminuiscono l'efficacia, diluendolo troppo, agiscono sfavorevol- mente sulla vegetazione. I materiali del terreno devono essere pre- parati a ricevere l’ azione dell’ acido carbonico, e ve lo preparano l’aria, V’ umidità, il calore, la stessa vegetazione, e le sostanze orga- niche sparse in esso. Tutto questo può spiegare l’importanza dei lavori agricoli, cioè dell’aratura, della concimazione, del sovescio, della fognatura, della marnatura, ecc. E spiega pure come le diverse piante; ed anche le stesse piante, ma in diverse epoche e circostanze, possano scegliere ed assorbire diverse sostanze nutritive. L’ Autore crede pure dover dedurre dai fatti precedenti che il succo nutritivo non è il discendente, ma quello che ascende per tutte le parti della pianta; e crede di dover adottare la teoria già nota, delle fibre che discendono dalle gemme da legno fino alle radici, così che ogni gemma possa considerarsi come un individuo vegetante isolatamente, c ogni pianta come la riunione di un immenso numero di individui, Le gemme da fiore sono per lui paragonabili alle gemme innestate e alle piante parassite, perchè non traggono l'alimento loro dal suolo, ma dalle altre parti della pianta, e non servono alla nutrizione gene- rale della pianta. E le piante monocotiledoni non differiscono dalle dicotiledoni che per una diversa distribuzione delle parti, essendo le fibre disposte a strati concentrici nelle dicotiledoni e intrecciate, confusamente insieme nelle monocotiledoni. Ai Botanici, non a me, spetta il giudicare della bontà di questo libro e della nuova teoria che è esposta in esso. Ho saputo da qualche mio amico alcune objezioni ed osservazioni critiche, che vi si potreb- bero fare (4); altre ve ne ha fatte il signor Zanardini nelle sedute del 14 (4) Queste objezioni ed osservazioni critiche, comunicatemi in parte a voce e in parte in iscritto, si possono riassumere come segue : Non è logico il dire: i polmoni e Je branchie degli animali non producono 1° a- cido carbonico che emettono, dunque le foglie delle piante non decompongono l'acido BIBLI OGRAFIA 3253 novembre 41889 c delt6 dicembre 1860 dell’ Istituto Veneto di scien 2, lettere ed arti (Atti del detto Istituto Veneto); è grave mi sem- carbonico che assorbono. Poichè l'analogia non è una prova sufficiente per chi vuole trattare completamente e profondamente argomenti scientifici; specialmente quando si tratta di analogie fra esseri così diversi come sono gli animali e i vegetali. Colla teoria di Cantoni non si potrebbe spiegare come l'emanazione dell’ossigeno sia effettuata non solo dalle foglie verdi, ma anche da tutte le altre parti verdi, da tulte le alghe, da tutti gli infusorj vegetali verdi, e perfino dalla clorofilla isolata, mentre le piante e gli organi non verdi non producono quel fenomeno. Se le foglie appena staccate dalle piante cessassero d’esser vive e sane, assorbireb- bero ossigeno e produrrebbero acido carbonico, per l’incominciato processo della putre- fazione; ma esse emettono ossigeno e assorbono acido carbonico, come quando sono altaccate alle piante; esse devono quindi considerarsi ancora. come vive e nello stato normale. — Lo stesso avviene di molti organi degli animali, che per qualche tempo dopo la morte dell’animale continuano ad agire come nello stato di vita, e poi cam- “biano a poco a poco, quando comincia la putrefazione. Le foglie staccate dalle piante non possono trarre da altre parti tutto |’ ossigeno che emettono, è dunque necessario ammettere che lo producano esse stesse decomponendo l’acido carbonico che assorbono. E se possono decomporlo e lo decompongono: quando sono staccate dalla pianta, perchè non lo potranno e non lo dovranno fare quando sono al loro posto naturale? — Non altrimenti ragionano i fisiologi, che dal modo di agire dei muscoli, dei nervi, del sangue, ecc., negli animali appena morti, deducono quello degli stessi organi durante la vita e lo stato normale. Perchè l’Autore non cita fatti, esperienze e cifre, per provare che la quantità del- l'ossigeno emesso dalle foglie non è corrispondente a quella dell'acido carbonico as- sorbito? Le esperienze di Boussingault non provano che le foglie non decompongano l’ acido carbonico che assorbiscono. Prima di dire che l’assenza di calore sensibile nelle foglie prova la mancanza della decomposizione dell’ acido carbonico in esse, dimostri l'Autore, che, qualora esistesse detta decomposizione, dovrebbe produrre una quantità sensibile di calorico. — Finchè questo non sarà dimostrato, noi potremo sempre credere che la decomposizione avvenga, anche senza che la sua produzione sia manifestata da un calore sensibile. Ammesso che l’acido carbonico esalato di notte provenga dall’ avanzo di quello as- sorbito di giorno e non ancora utilizzato, non se ne può dedurre alcuna conseguenza sull’azione delle foglie sull’acido carbonico; perchè si può benissimo ammettere che la decomposizione dell’acido carbonico per mezzo di tutte le parti verdi delle piante (e non delle sole foglie), richiela un tempo più o meno lungo, e che quindi quello non an- cora decomposto quando giunge l'oscurità venga esalato durante la notte. Perchè non si sono fatte ricerche esperimentali per sapere se la quantità del gas acido carbonico assorbito od emesso sia o noproporzionale alla durata della luce 0 dell’oscurità, e se il caldo possa accelerare |’ assorbimento dello stesso gas durante il giorno. Non basta dire che l’assorbimento dell’ossigeno e l'emissione dell'acido carbonico 32" G, OMBONI, bra quella fondata su una esperienza fatta da questo signor Zanardini, dalla quale risulterebbe che all’ oscuro le radici immerse nell’ acqua di notte può essere un effetto d’equilibrio di gas e non altro ; bisogna dimostrare che deve esserlo 0 lo è realmente. i, Che non si debba confondere assorbimento con assimilazione, era inutile dimostrar- lo; tutti i fisiologi ne sono già persuasi. Il fatto che l’allumina, il cui carbonato non è solubile, non è assorbito dalle piante, è molto importante e di molto peso. — Rende più credibile che molte sostanze minerali entrino nelle piante allo stato di carbonati. % 1 succhiatoj delle radici furono trovati ed egregiamente descritti dal prof. Gasparrini. Bisognerebbe ripetere le esperienze di Pollacci relative alla emissione del gas acido carbonico dalle radici, completandole con altre di confronto, cioè osservando lo stato d’una soluzione di laccamuffa tenuta presso i vasi colle piante, ma in cui non sia messa alcuna radice; e poi bisognerebbe ripetere le stesse esperienze all’oscuro, e in circostanze tali, che le radici si trovino più presso che fosse possibile allo stato nor- male. Le esperienze fatte da Pollacci sono tuttavia interessantissime. Il Aeperire delle piante che sono inaffiate con soluzioni eterogenee, con concimi disciolti nell'acqua, ec., non vale a provare che le piante non possano assorbire i ma- teriali in soluzione, e quindi non possano riceverne nutrimento; giacchè il solo inaf- fiarle con quelle soluzioni le mette in circostanze ben diverse dalle normali, e il loro deperimento può provenire dal soverchio umido, dall’azione de’ liquidi per esse vele- nosiì, ec., e non soltanto dal non essere assorbite le soluzioni. Se date ad un uomo una soluzione nutriente, poi una velenosa che lo uccide, direte che egli è morto per- chè non ha potuto assorbire la prima? Se date a bere ad un uomo una soverchia quantità di sostanze nutritive eccellenti, ma disciolte in moltissima quantità d’acqua, sì che ne muoja, direte che non ha potuto assorbirle? Lo stessò può avvenire dei ce- reali e dei prati inaffiati con concimi liquidi; deperiscono, non perchè le materie nu- tritive sono disciolte, ma perchè sono disciolte in tropp’ acqua, e questa rende troppo umido il suolo, e cambia molte circostanze della vita di quei vegetali Lo stesso delle piante inaffiate con due-o tre soluzioni differenti; una. di queste potrà far bene, ma l’altra potrà riescire velenosa, e le piante periranno per averle assorbite tutte, ed es- sere state avvelenate da una di esse, e non per non essere state nutrite da quella migliore. Ammesso che piante diverse, coltivate in uno stesso terreno, diano prodotti diversi, non se ne può logicamente dedurre che esse non assorbano i materiali nutritivi allo stato di soluzione. — Quel fatto prova soltanto, che danno prodotti differenti pel modo diverso con cui si assimilano i materiali ‘assorbiti, o che possono fare una scelta fra i materiali del terreno, qualunque poi sia il modo dell’assorhimento. — Se un cavallo e un bue, nutriti collo stesso fieno, producono carni differenti, ciò non prova che abbiano introdotto il fieno in un modo piuttosto che in un altro, ma prova sol- tanto che |’ hanno diversamente assimilato. Bisogna provare che l’acido carbonico possa rendere solubili tutti i materiali nutri- tivi delle piante, prima di asserire che agisca al modo del sugo gastrico degli ani- mali. BIBLIOGRAFIA 525 non emettono acido carbonico; giacchè, se fosse realmente provata l'insussistenza d’uno dei fatti fondamentali della nuova teoria, questa Bisogna provare che l'acido carbonico già naturalmente esistente nel terreno non basta a rendere solubili quei materiali nutritivi, prima di dire necessario 1’ intervento dell’ acido carbonico emesso dalle radici. L’Autore asserisce che quando una parte non assorbe o cessa d’assorbire l’acido car- bonico, perde il color verde. Si potrebbe dire anche che le parti non verdi o che per- dono il color verde non hanno più l’attitudine ad assorbire l’ acido carbonico. La se- conda asserzione sarebbe altrettanto gratuita quanto quella dell’Autore. Come mai l’autore distingue il sangue assimilativo e il sangue nutritivo negli animali, dicendo che è assimilitivo dopo aver assorbito l’ossigeno nei polmoni, e nutritivo dopo d’aver agito sulle sostanze alimentari introdotte nell’apparato digerente? — Il sangue è nutritivo, cioè contiene materiali assimilabili, quando, dopo d’ essersi caricato dei principj elementari elaborati nel tubo digerente, ha subito 1’ influenza della fuLzione della respiraztone. L’Autore dice che, anche in quanto alla nutrizione, avviene nei vegetali lo stesso che negli animali. E poi dice che « l'umore, dopo avere nutrito la pianta, al pari del sangue venoso, si porta alle foglie, fa lo scambio dei gas, assorbe l'acido carbonico, che lo rende assimilativo, e di la si reca nel terreno ad elaborare i materiali, per poi tradurli nell’organismo vegetale. » Parrebbe quasi, che l’Autore creda, che nell'uomo il sangue venoso, cioè quello che ha nutrito le varie parti, si porti ai polmoni per fare lo scambio dei gas, poi allo stomaco per elaborare gli alimenti, e poi ritorni con questi ad alimentare tutte le parti del corpo; mentre è noto a tutti e provatissimo che il sangue che ha appena servito alla nutrizione, riceve Ie sostanze nutritive dal tubo digerente, passa poi per i polmoni e fa lo scambio dei gas, e va in seguito per tutte le parti del corpo a portare gli elementi assimilabili. In genere non è ammissibile un parallelismo perfetto tra le funzioni fisiologiche dei vegetali e quelle degli animali. Ma per una volta almeno si provi ad ammetterlo, per ciò che risguarda il succhio nutriente delle piante. Or bene, It succhio ascendente, che contiene i materiali nutritivi appena estratti dal suolo, dev’ essere paragonabile al sangue venoso che ha raccolto i materiali nutritivi elaborati dal tubo digerente e va verso i polmoni; e il succhio discendente, che ha fatto nelle foglie Io scambio dei gas, dev’ essere paragonabile al sangue arterioso, che esce daî polmoni, dove ha fatto To scambio dei gas, e va a portare le sostanze nutritive a tutte le parti del corpo. Ed è provato che soltanto quest’ultimo è il sangue che può nutrire. Dunque, se v'è paralle- lismo fra le funzioni dei vegetali e quelle degli animali, il succhio nutritivo delle piante dev'essere il succhio discendente; e non l’ascendente, come vorrebbe l’Autore. L’Autore asserisce, ma non dimostra con fatti bene accertati, che P elaborazione dei materiali nutritivi non avviene durante la discesa del succhio che ha fatto nelle foglie lo scambio dei gas. I fatti citati dall’Autore per provare che il solo succhio ascendente sia il nutritivo, si possono spiegare egualmente bene anche coll’ammettere nutritivo il solo succhio di- scendente. Le lenticelle delle piante non sono per nulla paragonabili ai pori della cute deglà 326 G. OMBONI, BIBLIOGRAFIA cadrebbe interamente. Mi pare quindi desiderabile che qualche bota- nico distinto e pratico prenda ad esame la nuova teoria, cominciando dai fatti fondamentali forniti da Liebig e Pollacci, e decida se dobbiamo adottarla o rifiutarla. Milano, 26 maggio 1861. D.' G. Onsoni animali. Sono protuberanze dello strato tuberoso, che si fanno strada all’esterno, rom- pendo l’ epidermide; e non fori capaci di « permettere una specie di respirazione 0 traspirazione delle parti superficiali. » In principio della vegetazione compajono di solito i succhiatori prima delle parti verdi, e non dopo, come dice l’Autore. Gratuito 1’ asserire che la luce passi attraverso le fibre corticali; ecc. E si noti che spesso queste sono incrostale da sostanze opache. Inesatto il dire che le monocotiledoni siano ordinariamente annue, che durino tutt'al più finchè non abbiano fruttificato. Gratuita asserzione il dire che le monocotiledoni possano ramificare per lo sviluppo di gemme laterali. Inesatto il dire che Je piante che muojono tosto che hanno fruttificato sono parago- nabili agli animali che passano per diverse metamorfosi e muojono dopo avere perduto ogni organo destinato al semplice aumento. Inesatto il mettere i muschi fra le piante senza color verde, e il dire essersi a torto considerate le felci come piante acotiledoni. Inesatto il chiamare notturne le piante acotiledoni. Errore il dire che le acotiledoni non assorbano acido carbonico. Conclusione. — Le esperienze di Liebig e Pollacci sembrano provare che le radici emettono acido carbonico ; ma esse hanno bisogno d’essere ripetute più volte e in più modi, prima che si possa prestar loro piena fede. — Tutto quanto si riferisce all’a- zione delle foglie sull’acido carbonico, all’assorbimento e alla proprietà nutritiva delle soluzioni, alla quantità dell’acido carbonico naturalmente esistente nel terreno, al modo d’agire delle radici sui materiali nutritivi, al succhio ascendente e al succhio di- scendente, al modo d’aumentare delle diverse piante, ecc. , tutto questo ha bisogno d’ essere ‘ancora studiato e discusso a lungo, prima che si conosca in modo ben certo la verità. E per questo sono necessarie nuove e numerose e ripetute esperienze, e non bastano semplici ragionamenti, basati sopra fatti poco conosciuti o troppo complessi, 0 sopra analogie troppo lontane e non provate con fatti bene accertati. I MINERALI UTILI DELLE MARCHE PROPOSTA DI STUDII DEL PROF. INGEGNERE FRANCESCO DE-BOSIS SOCIO EFFETTIVO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE NATURALI IN MILANO, SOCIO CORRISPONDENTE DELLA R. ACCADEMIA ECONOMICO-AGRARIA DEI GEORGOFILI DI FIRENZE. La parte centrale dell’ Italia, che bramo possa essere argomento di accurate investigazioni geologiche, si estende dagli Apennini all’Adria- tico, limitata fra i fiumi Marecchia e Tronto. La necessità di dover raccogliere qua e là le migliori osservazioni fattevi, e la certezza (1) che il nostro versante presenta in generale uniformità nei depositi, mi hanno indotto a servirmi di confini puramente naturali (2), perchè più estesi degli statistici amministrativi, e talvolta ancora varcarli. Se vi mancano i ghiacciaj ed i massi erratici come nelle regioni alpine, se non vi sono vulcani come nelle parti meridionali della Pe- nisola, tuttavia il nostro paese può contribuire a non piccolo inere- mento della scienza e prestarsi ad utilissime scoperte. i Cominciando dagli Apennini, non solamente la copia dei fossili caratteristici dei diversi piani geologici attende in molti e molti punti la paziente diligenza di osservatori locali, ma restano ancora ad esa- minarsi quegli orrori delle naturali caverne, dopo quanto finora se n' è scritto. Dal Passeri e dal Procaccini (5) invero abbiamo un cenno (4) Studi sulla flora fossile e geologia stratigrafica del Senigalliese di A. Massalongo e G. Scarabelli — Imola 1859. (2) Relazione sulla eseguita revisione dell’ estimo rustico delle provincie componenti la sezione «delle Marche — Roma, 4847. (3) G. B. Passeri. — Della Storia dei fossili dell’ Agro Pesarese e di altri luoghi vi- cini. — Bologna, 1775. Nuovi annali di scienze naturali. — Bologna, anno 3.°, Tomo 5. o SZ8, F. DE-B0SIS, della grande e profonda grotta di Montecucco ricca di belle conere- zioni calcari. Il Procaccini stesso, visitando Ie caverne della montagna della Rossa, descrisse la grotta Palombara adorna di sorprendenti stal- Jatiti, quella dei Baffoni, particolare per la simmetrica forma, e final- mente la tanto decantata di Frasassi. Spesso ancora è scopo di gite di piacere la grotta degli Schiavi che si apre sul mare e dal mare è in parte bagnata appiedi del monte Conero. Nessuno per altro ne trac- ciò finora le piante e gli spaccati, nessuno precisò le rocce, in mezzo alle quali s’internano nei monti, nessuno infine seppe indicare se con- tengano quanto altrove dà pascolo a profondi studj paleontologici (4). Si scenda dai monti ai colli che rendono pittoresca la nostra Re- gione, e dove, mentre si allarga il campo a nuove osservazioni, più facile è ancora far messe di fossili. Passeri e Procaccini (5) ammira- rono la ricchezza in filliti delle colline Senigalliesi, che doveva aprire Ja via al grandioso lavoro del Massalongo e Scarabelli. 1 saggi della flora e della fauna dei gessi e delle arenarie Anconitane, che sono da me raccolti con quella migliore diligenza che è possibile (6), atten- dono una illustrazione, e l'avranno mediante la cooperazione di di- slintissimi geologi italiani, che gentilmente aderirono al mio desiderio, se innanzi al buon volere non mi vengono meno le forze. Nè solamen- te i colli nominati abbondano di fossili, ma fra i molti delle Province meridionali di questa Regione vengono menzionati quelli di Smerillo e di monte Falcone per una grande dovizia. Montando poi di periodo in periodo fino agli ultimi detl’ epoca terziaria, sono gli avanzi dei grandi quadrupedi che devono fermare l’attenzione del geologo. Si sa che presso Ripatransone furono da Orsini e da Spada-Lavini disotterrate ossa di elefanti, rinoceronti, cervi, ed altri mammiferi (7); che a Montalto si rinvenne un teschio (4) Geologia del D." G. Omboni. — Milano, 41854. Scoperta di una nuova caverna ossifera in Lombardia, di A. Stoppani.— Milano, 1858. (5) Passeri G. B. Vedi nota N.° 3. Procaccini V. Nuovi annali di scienze naturali, anno 4.9, T. 1.° — Bologna, 4838, ed An. 4.° T.2.°, id. (6) Ancona e dintorni. Cenni di storia naturale dell'ingegnere F. De-Bosis. Il Montagnolo. — Osservazioni e studi dell’ Ing. F. De-Bosis. (7) Osservazioni geologiche di A. Spada-Lavini ed A. Orsini su quella parte del ver- sante Adriatico compresa tra il monte Corno e l’ Esino. Vedi la relazione citata alla nota N.° 2. 1 MINERALI UTILI DELLE MARCHE 529 di uro; che a Belvedere fu raccolta una zanna elefantina, ed un’altra presso Orciano (8). Finalmente nella collezione Baroni (9) esiste la punta d'una zanna forse di elefante, che secondo l’ unita memoria, fu segata dall'intera esistente nel palazzo Comunale di Orciano, e rinvennta con altre tre al Metauro, dove fu disfatto Asdrubale. Nè la Regione delle Marche può presentare solo belle indagini per il progresso della geologia, ma ancora prestarsi alla ricerca di mine- rali, che in altre parti d’ Italia si cavano con grande vantaggio. Co- minciando da quello che è maggiormente desiderato, si hanno fra noi positivi indizj di strati di lignite, deducendolo da due prove, dalla esposizione delle quali piana deriva la conseguenza che, come ne è ricco il versante. mediterraneo negli Apennini, così lo sia il fianco adriatico. E primieramente se ne possono osservare varj saggi nella già citata collezione Baroni. Quello di monte Catria ha l'apparenza d’ un antra- cile squamosa nera opaca, friabile ed aspra al tatto; quello delle vi- cinanzedi Pesaro, mineralogicamente parlando, è un litantrace compatto di colore nero lustro, a densità uniforme, a struttura largamente con- coide. Il terzo é d’ Isola Fossara, che potrebbe definirsi Lignite friabile, di color nero alquanto lustro, a struttura schistoide tendente a ridursi in piccoli pezzi. Due varietà sono di Pergola, la prima simile a quella d'Isola Fossara, l’altra è una lignite fibrosa di color nero-bruniccio opaco. L'ultimo fu rinvenuto presso S. Marino quasi a fior di terra, conserva la struttura legnosa di color bruno e di poca durezza. Dal nostro sig. Ing. Provinciale ebbi varj saggi di lignite scoperta nel territorio di Masaccio lungo le sponde d’un fossato; alcuni non potrebbero in modo alcuno utilizzarsi per esser la parte legnosa sud- divisa in piccoli frammeuli in mezzo ad un masso arenaceo-argilloso ; i pezzi però voluminosi sono similissimi a quella fibrosa di Pergola. Mi furono infine donati dal sig. Ing. A. Vescovali varj affioramenti di (8) Conchiologia fossile subapennina di G. B. Brocchi. — Milano, 1843. (9) II P. Celestino Baroni de’ Serviti anconitano, versato nelle scienze naturali, studiò sotto gli auspici dell’ Imp. Napoleone I. specialmente la parte settentrionale della no- stra Regione, formando una piccola collezione di minerali e rocce, che venne dopo la sua morte da me acquistala. 330 PF. DE-BOSIS, carbone minerale, rinvenuti a Costacciaro nelle colline che dividono Ja valle di Gualdo da quella di Gubbio. Sottoposto a chimiche anali- si (10) è risultato molto affine al litantrace. Nel gabinetto di mineralogia della romana Università ricordo d’a- vere osservato, è già qualche anno, alcuni carboni di Montecchio, di Urbino, delle vicinanze di Rimini, del Furlo, di San Severino e del- l’ Ascolano. Il secondo indizio di probabitità viene dedotto da quanto fu scritto da Passeri, da Nigrisoli, da Orsini e Spada-Lavini, da Scarabelli, nelle relazioni sull’ eseguite revisioni dell’ estimo rustico delle nostre Pro- vincie, e nel Giornale delle Strade ferrate di Roma (14). Vennero secondo tali scritti osservate ligniti in Urbania, in Urbino, a Carpegna, nelle colline di Pesaro, nell’ alveo del fiume Foglia, nel territorio di Sasso ferrato, nelle provincie di Camerino e di Macerata, a monte Falcone, nelle vicinanze di Grottamare, nei dintorni di monte Gallo, ed in altri luoghi dell’ Ascolano. Si cavano poi a monte Gerri e presso Sogliano in Romagna. Oltre i giacimenti di carbone minerale in ogni provincia delle Mar- che, a dovizia sono profusi i calcari solidi usati come pietra e come cemento, ma la necessità delle calcine idrauliche fa desiderare in molti luoghi il ritrovamento di masse calcaree a ciò adattate. Varie specie d’a- renarie sono utilizzate nelle fabbriche e nel lastrico delle strade, ma il (40) Sui minerali di ferro dello Stato Pontificio e sui vantaggi delle sue lavorazioni. Memoria dell’ Ing. A. Vescovali. — Roma, 41858. (14) (a) Passeri G. B. Vedi nota N.° 3. (b) Nigrisoli G. — Rivista dei più importanti prodotti naturali e manifatturieri dello Stato Pontificio. — Ferrara, 1857. (c) Orsini A. e Spada-Lavini A. — Quelques observations géologiques sur le Apen- nins de l’Italie centrale, extrait du bulletin de la Société géologique de France. 2.° Serie, T. XII. 2 juillet 1855. (d) Studi geologici sul territorio della Repubblica di S. Marino di Scarabelli-Imola. 1851. (e) Relazione sulla eseguita revisione dell’ Estimo rustico della provincia di Ancona e di Macerata. — Roma 4845. (f) Idem delle due provincie di Fermo e di Ascoli. — Roma, 4846. (g) Scienze applicate alle arti ed all’industria. Nel giornale delle Strade ferrate. — Roma, 41859. I MINERALI UTILI DELLE MARCHE dI l solo caso ed il solo affioramento servono a scoprirne qualche banco, nè alla ricerca ed alla escavazione si procede con dati stratigrafici. Dicasi altrettanto per la calce solfata, abbondantissima fra noi. Gran copia di travertino cavasi nella provincia di Ascoli e viene lodato anche a preferenza del tiburtino. In ogni luogo si rinvengono argille per i materiali laterizj e per le stoviglie, ma dovrebbesi per intero ridonare la storica celebrità alle majoliche di Pesaro, di Urbino, e di Urba- nia (12). Di pietre ornamentali e forse anche statuarie van forniti gli Apennini. Difatti negli scritti di Passeri, Procaccini, di Fabbri (13), di Nigrisoli, e nella collezione Baroni si rinvengono gli alabastri di monte Cucco, del monte della Rossa, dell’ Avellana, di Matellica, di Gubbio e di Pierosara ; il marmo di Piobbico con il quale furono ese- guiti i sorprendenti lavori dei palazzi ducali di Urbino e Pesaro, le doviziose cave della provincia di Camerino ecc. Che dirò poi di alcuni graniti della collezione Baroni a grana minuta, feldspato bianco e mica nerastra, simili ad altridi Corsica e dell'Elba (14) presi alle basi del monte Catria ed a Pierosara? Provengono forse dai ciottoli pliostoceni di Orsini e Spada-Lavini, mentre si asserisce che tali rocce eruttive mancano nei nostri monti? (43) Se di salgemma si ha fra noi qualche indizio, di grande utilità sa- rebbe l’escavazione dello solfo, mentre i dintorni di Urbino e di Per- gola fanno sperare la continuazione dei ricchi strati della Romagna. Di metalli ancora si potrebbe attivare qualche miniera. Non parlo delle piriti aurifere scoperte nel territorio di Sasso-ferrato e nel monte della Sibilla, del piombo nel territorio di Cingoli, e dello cingo nel Fermano; ma tracce di rame si videro nei monti di Gubbio, nel monte Catria, nel monte Cucco, nel monte della Rossa, e nel monte orientale di Piobbico (16); ne ho saggi nella ‘collezione Baroni del- l’Avellana e di Fossombrone, e secondo Nigrisoli non ne manca la provincia di Camerino ed il Fermano. (42) G. B. Passeri. Vedi nota N.° 3. (13) La citta di Gubbio, sua pianura, suoi monti, di A. Fabbri. — Gubbio, 1855. (44) Gita all’ Isola dell’ Elba di F. De-Bosis. Nell’ Enc. cont. di Fano, Vol. 4.° Se- rie I, An. IV. (45) Vedi nota N.° #1. (16) Vedi nota N.° 41 (f). 55352 FP, DE-BOSIS Il ferro si manifestò finora nelle vicinanze di Penna-billi, al monte Nerone, al monte Catria, al monte Cucco, al monte della Rossa, nelle vicinanze di Gubbio, e di Cingoli, al monte San Vicino, nei monti dalla Sibilla ed in altri luoghi. La miniera di monte Lamoli dava buo- ni prodotti all’ ultimo Duca d’ Urbino (17). Ma qual guida avrà il geologo nell’esaminare le Marche? Del pae- se fra il Musone ed il Metauro, e del territorio della Repubblica di S. Marino si hanno le carte geologiche dello Scarabelli, dove è facile formarsi una chiara idea dell’ estensione dei nostri depositi terziari fino ai primi gruppi dei secondarj (18). À questi lavori conviene ag- giungere gli spaccati di Orsini e Spada-Lavini (19) specialmente per le rocce Apennine, e si avrà un criterio generale della interessante successione dei periodi geologici nella nostra regione. Nè sarà neces- sario percorrere ogni punto della bene estesa scala stratigrafica, dove possono rinvenirsi depositi di carbone, strati di solfo, filoni di metalli; ma basterà che si prenda per base d’ osservazioni una di quelle rocce, che per il marcato suo piano geologico, per la certezza di rinvenirla in molti luoghi, e per essere ricercata ed utilizzata, si conosca anche dagli uomini ignari delle scienze naturali. Nè altro meglio al nostro fine potrebbe servire delle grandi masse di gesso, le quali, ovunque affiorino, da S. Marino ad Ascoli, vengono conosciute e cavate. Si sa che appartengono all’ epoca terziaria ed al periodo miocene: quindi senza dilungarsi gran fatto da questo orizzonte, si rinverranno le ligniti nello stesso miocene secondo l’ opinione di Orsini e Spada-Lavini per ispezioni fatte nella regione, secondo l’opinione di Scarabelli per quanto vide a Sogliano ed a Gerri, e finalmente secondo gli scritti di Murchison, di Gastaldi, di Savi, di Meneghini (20) e di altri. Lo zolfo appartiene (17) Vedi nota N.° 44 (b) e (g). (18) Vedi nota N.° 4 e N.° 41 (d). (19) Vedi nota N.° 7 e nota N.° 41. (c). (20) (a) Memoria sulla struttura geologica delle Alpi, degli Apennini e dei Carpazi di S. R. I. Murchison; e Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana del prof. cav. P. Savi e G. Meneghini. — Firenze, 4854. (b) Sopra i carboni fossili dei terreni mioceni delle maremme toscane del prof. cav. P. Savi. — Pisa, 1843. (c) Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte per B. Gastaldi. — ‘Torino, 4858. I MINERALI UTILI DELLE MARCHE 355 al medesimo periodo, e le miniere di Urbino, dopo quelle di Romagna, potranno servire di norma per procedere innanzi. Si è già indicato in quali territorj sia probabile di scoprire miniere di metalli, intorno alle quali le molte investigazioni fatte nelle altre parti d’ Italia dai più distinti naturalisti ne dispensano di aggiungere parola. Se l'amore per il mio paese, desiderando di accrescerne la ricchezza, e per conseguenza la ricchezza nazionale, non mi ha tratto in ingan- no, non sarà questo scritto inutile ed ozioso. A yoi dunque, rispettabili Colleghi, lo presento, perchè, se lo merita, convalidato del vostro ap- poggio, valga ad attirare nel suolo di queste provincie l’attenzione di quelli che ne siedono al Governo. È inoltre una brama generalmente sentita da tutti gl’ Italiani natu- ralisti, che da locali studj fatti sopra una scala uniforme risulti un tutto regolare ed esatto, che valga alla costruzione di una carta geo- logica dettagliata della nostra Penisola. Ma difficile, per l’angustia del tempo in faccia al progresso della scienza, ne sarà poter raggiungere l’intento, quando viste d’immediato vantaggio non diano nelle nostre contrade i primi impulsi. A tal fine adunque ben potrebbero valere gli studj sulle miniere conosciute da tutti d’una incontrastabile utilità. Basati tali studj da un congresso di Scienziati, diretti da una Società Italiana di scienze naturali, dovrebbero essere alimentati di mezzi o dal Governo o dalle nostre province. Nè per il primo, nè per le se- conde sarebbe peso gravoso, quando si rifletta che nei Licei e negli Istituti tecnici, che in questi luoghi vanno a fondarsi, vi saranno cat- tedre di Storia naturale, e per conseguenza potranno essere chiamati i Professori al disimpegno di questo secondo ufficio, che io ritrovo collegato e compenetrato col primo in vantaggio dell’ istruzione, Ai Professori ancora potrebbero unirsi col mezzo di apposite commissioni quelle persone, che, vogliasi dal lato teorico, vogliasi dal lato pratico, o sotto ambedue gli aspetti, potrebbero ajutarli nel lavoro; e di que- ste commissioni affidare la cura ai consigli Provinciali. SULLE VAGINICOLE PARASSITE DEI GAMBERI COMUNI . CON UNA TAVOLA. Con questa breve nota intendo di dare qualche dettaglio intorno agli animali parassiti, o dirò meglio stazionarii, delle branchie del gam- bero comune, sopra i quali ho chiamato l’ attenzione dei colleghi in altra seduta. Duolmi però di non averne ultimato lo studio, attesa la scarsità dei gamberi superstiti alla strage. | Agli ultimi dell’aprile passato osservai il primo esemplare di gam- beri vivo: era una femmina, e portava poche uova all'addome; mentre all’esterno ed alla dissezione non scorsi alterazione di sorta; le bran- chie erano coperte di vaginicole, tanto che poca superficie respi- rante le rimanesse. Erano desse di due forme, che ambe meglio si riferiscono al genere Cothurnia di Ehrenberg, adottato anche da Cla- parède e Lachmann. La prima forma, ad urceola peduncolata, piramidale, terminata da apertura quadrata ma a labbro irregolarmente sagliente, di color giallo-verde, lunga 0,10!” larga 0,04" conteneva uno o due ani- mali, o contratti a globulo nucleato, o estesi tanto da toccare appena colla corona di ciglia il labbro dell’urceola. La seconda, ad urceola pure peduncolata, in forma di anfora, spesso ad asse curvo, di color giallo-chiaro, lunga 0,06, larga 0,03, conteneva pure uno e due ani- mali, non dissimili per rapporti e caratteri da quelli dall'altra forma, ma più piccoli in proporzione alle minori dimensioni dell’ urceola. Dalle figure che presento (tav. 1), risulta come v'abbiano di tali Cothur- nie che presentano forme intermedie a queste due principali che ho de- PANCERI, LE VAGINICOLE PARASSITE 3Id scritto. Non posso per ora dire a quali specie si riferiscano, avendomi il professore Balsamo-Crivelli gentilmente comunicato, avervi una /7a- ginicola Astaci di Stein, che comprende forse una od ambe queste due forme. La seconda parte dell’opera di Stein Organismus der In- fusionsthiere non essendo ancora a nostra disposizione, mi limito a presentare ai colleghi le figure, onde facilitare loro la ricognizioue di questi parassiti. Il prof. Balsamo ebbe anche la bontà di farmi osservare le stesse Co- thurnie sopra le branchie di altra femmina viva raccolta alla metà del corrente mese nei dintorni di Pavia, la quale teneva all’ addome l’ uova già sviluppate, e le Cothurnie già stavano aderenti alle ap- pendici dei gamberelli. Anche questa femmina, come la prima, non presentava guasti negli organi, nè altri parassiti interni, ed ambedue offrivano sulle branchie le solite Branchiobdelle, già osservate anteriormente senza che i gamberi ne avessero danno alcuno. Il professore Cornalia ebbe a vederle sopra individui osservati a Milano. Se ulteriori osservazioni convalidassero le mie e si dimostrasse che nei gamberi che muojono ovunque in Lombardia in numero in- solito, havvi costante presenza di questi parassiti in numero consi- derevole, io non esiterei a dichiarare essere la loro presenza in istrelto legame coll’ attuale epidemia, e per l'ostacolo meccanico che oppon- gono alla respirazione, e per l’ ossigeno che debbono, respirando alla lor volta, sottrarre all'organo a cui aderiscono. Epperò non devo tacere un fatto importante, quale si è quello della morte delle Cothurnie, qualora i gamberi vengano tenuti un certo tempo fuori dell’acqua. Il rimedio sarebbe dunque facile ad appli- carsi nel caso di vivai costituiti da casse, le quali si potrebbero tener all’asciutto un certo numero di ore, sia nel caso di morbo incomin- ciato, sia per preservarsene. Prof. Panceri Paoto. Pavia, li 24 maggio 1861. SU ALCUNE LIBELLULE DEL BRESCIANO Ispezionato, e confrontato colla mia collezione il Catalogo delle Odonate della Provincia Bresciana favoritami dall’ autore signor Lui- gi Erra, membro di questa Società di Scienze Naturali, ed inserito nel Vol. II degli Att della Società stessa, ebbi ad osservare essere state ommesse in esso Catalogo le seguenti specie, che io ebbi a raccogliere nelle mie escursioni entomologiche nella Provincia Bresciana, e che debbonsi ritenere come appartenenti a quella provincia. LiBELLULA L. L. Pedemontana Donavan. Comune in agosto fino ad ottobre nei con- torni di Brenno nella Val Camonica. LZ. affinis Vandarl. Comune da maggio a settembre nei suddetti luoghi ed anche a Salò. L. Scotica Donavan. Comune nei medesimi luoghi, in unione a Pe- damontana Compnus Leach. C. uncatus De’ Selys. Raro (presso un solo esemplare): in giugno nei contorni del Lago di Garda. CorpuLEGASTER Charp. C. bindentatus Charp. Nei contorni di Salò; non comune, da luglio a tulto agosto. SU ALCUNE LIBELLULE DEL BRESCIANO DOT ArscHNA Fab. Aes. borealis Zetterst. Raro: in luglio; anche di questo ne presi un solo esemplare nei contorni degli Orsi. Trovai di partecipare ciò a questa lodevole Società a rettifica di detto Catalogo, e per non defraudare di sei specie di Neurotteri una provincia tanto ricca di oggetti di Storia Naturale quale è la pro- vincia Bresciana, lasciando sempre al sig. Luigi Erra l’ onore di avere per il primo contribuito alla Scienza colla redazione di un Catalogo di una famiglia d’insetti tanto interessante, sì per la loro forma, che per la loro metamorfosi, e da me pienamente studiata. Milano, li 26 maggio 1861. Carro Taccuerti. Vol. II, 29 Seduta del 30 giugno 1861. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Il socio Bollini legge un suo scritto sulla malattia dei gamberi comuni. A proposito di un verme parassito che il socio Bollini dice essere stato veduto dalla pescivendola Valera nei gamberi malati, Cornalia fa osservare che di vermi paras- siti ce n'è quasi sempre sui gamberi, anche sani. Altret- tanto dice il socio Panceri; aggiunge che probabilmente la pescivendola, rompendo e staccando la così detta coda del gambero, ha veduto i vasi deferenti, e li ha presi per vermi; osserva che la comune brarcobdella parassita dei gamberi vive sulle branchie e non nel luogo designato dalla pescivendola; e domanda perchè il socio Bollini non si è fatto carico di osservare le vaginicole, che pure sono parassite sulle branchie del gambero. Risponde il socio Bollini che osserverà le vaginicole quando gli saranno mandati dei gamberi malati; e che è difficile che la pescivendola si sia ingannata. Ripete il socio Panceri che anche gli osservatori più pratici si sono talvolta ingannati, e che quindi anche la pescivendola può aver preso i vasi deferenti per vermi, a motivo della loro forma ed apparenza; e che bisogna ripetere più volte le osservazioni, e farle accuratamente, e non fidarsi delle altrui, prima di annunciare dei fatti. SEDUTA DEL 50 ciucno 1861. 339 Il socio Omboni aggiunge che il signor Bollini farebbe ottima cosa, quando venisse a possedere dei gamberi con quel verme indicato dalla pescivendola, portandoli al so- cio Cornalia, perchè li esamini con tutta la cura voluta per le osservazioni veramente scientifiche. Si dà lettura d’una comunicazione del signor cav. Eu- genio Sismonda di Torino, sopra un nuovo genere ed una nuova specie di Crostacei fossili. Si legge pure una Nota del socio Polonio, contenente delle Osservazioni di Botanica diagnostica, tratte dal- ? Erbario Gasparrini. Cornalia rende conto verbalmente dell’ allevamento dei bachi da seta dell’ailanto confidati alle sue cure dalla Società. La Società ha ricevuto, dal giorno dell’ultima seduta fino ad oggi, i seguenti libri: Commentari dell’ Ateneo di Brescia. $ Volumi. Dall'anno 1848 a tutto il 1857. Sezione pubblica dell'Ateneo di Brescia per la solenne distribuzione dei premj Carini al merito filantropico, tenuta il 1 luglio 1360. Brescia, 1860. Lecmi. Parole dette nella Sessione dell’ Ateneo di Brescia, del 30 di- cembre 1860. Brescia, 1861. Scarpeuini Cartetina. Elogio di Gioachino Taddei. Torino, 1861. Estratto dalla Gazzetta medica italiana, provincie sarde. Wiener Entromologische Monatschrift. V. 3. Mai, 41861. Atti dell’ I. R. Istituto Veneto di Scienze, ec. — VI. 6. 1861. BeLLavitis, Su alcuni articoli matematici dei Comptesrendus. — Buc- cnia, Sulla fermezza delle armature dei ponti all’ Americana. — SORIO, Fiore di sentenze morali tratte da Ser Brunello Latini. — Brizio, Analisi dei gas uscenti dai pozzi artesiani di Venezia. — SANDRI, Sul miasma. — Namras, Sul morbillo. — NAMIAS e ZiLiOoTTO, Sopra un opuscolo del dott. Goldoni sulla vaccinazione. — Affari. 340 sEDUTA DEL 30 cIiucno 1861, Bulletin de la Societé imperiale des naturalistes de Moscou, 1860. IV. CÒÙauporr, Cicindele e Carabici. — TRAUTSCHOLD, Geologia dei din- torni di Mosca. — HAIDINGER, Meteorite di Mosca. — ErcawaLp, Mam- miferi fossili della Molassa della Russia meridionale. — ScHATILOFF, Suo Museo Ornitologico della Tauride. — TRraAuTSscHOLD, Passaggi e varietà intermedie. — DoENGINGK, Grillo migratorio e sua comparsa nel 1860. — HERMANN, Didimio, Lantanio, Cerite e Lantanocerite. — HERMANN, Texalite o magnesia idrata D nselmpsrica, — Sedute. 55.0, 56." und 57. Jahresbericht der Schlesischen Gesellschaft fiv vaterlindische Kultur. Breslau, 1857, 1858 und 1859. Gacre, Grundziige der Schlesischen Klimatologie. — Breslau, 1857. Denkschrift zur Feier ihres B0-jihrigen Bestehens, herausgegeben von der Schlesischen Gesellschaft fi vaterlindische Kultur. Bres- lau, 18553. Haley Biolior des Vereins fiir Naturkunde un iii, gihum Nassau. — 14 Heft. Wiesbaden, 1859. Giornale agrario lombardo del Comizio di Milano. — Aprile, 1861. REDAZIONE, Combustibili e legname da costruzione in Lombardia. — ‘VASSALLI, BONZANINI, Bachi da seta: Modi di filarne la seta. — RoSsA, Modo pratico per migliorare i boschi e i torrenti di Lombardia. — REDA- ZIONE, Caseificio lombardo. — Rapporti, Processi verbali e Notizie. Cantoni, L'amico del contadino, N. 10, 11 e 12. Le gemme d’una stessa pianta funzionano separatamente. — Dell’azione dell'acido solforoso e dei solfiti sulle fermentazioni. — Mutazioni che su- biscono i fosfati nelle piante. — Bacologia. — Cronaca agrieola. — Rivi- sta del mercato serico. — La temperatura che mantiene la vegetazione è quella risentita dalle parti acree della pianta. — Cause e cura della ma- lattia dei pomi di. terra. — Bacologia. — Proprietario e fittabile. — Il petronciano. — Necessità di nuove piantagioni d’alberi per gli usi agricoli e domestici. — Cronaca agricola. — L'uomo agente di distruzione. — La messe. — Coltivazione della canna da zuechero e fabbricazione del rhum in Avola (Sicilia). — Sul modo di cavar olio dai vinaccioli. — Tspibuto agri- colo di Corte del Palasio. Programma pel 1861-62. AmBROSI, i del Tirolo meridionale. Vol. 1 e fascicoli 1, 2,5 ce 4 del Vol, } seDUTA DEL 50 ciucno 41861. SUA Atti dell'Ateneo di Milano. Anno 1860-61. Nuova serie, Volume Il. Dispensa prima. MAGRINI, Sulle ricerche di Ritter sulla forma della terra. — MAGNI, Sul congresso di Lugano del 1860. — Birrr, Programma per un asilo- modello a Madrid. — SAccHI, Rapporto sulla educazione dei sordomuti di campagna. — GABBA, Sul libro di Ellero sulla pena capitale. — CALVI, Traduzione d’ Orazio. Dell’insegnamento delle Belle Arti in Lombardia, — Estratti dei processi verbali. Vacani. Sulle ferrovie d’ Italia attraversanti le Alpi e gli Apennini. — Dagli Atti dell’ Ateneo di Milano 1861. Con una tavola. Il Politecnico Vol. X, fasc. 6, giugno 41861. VeRrA, Lineamenti generali della filosofia della storia. — MARZOLO, Saggio di applicazioni della Storia naturale delle lingue. — CAFFI, Sulla scultura in legno in Italia. — AnsERINI, Dei diluvj. — TATTI, Di una rete di congiunzione delle ferrovie lombarde e piemontesi colla linea del Luemagno. — Le poesie di Adamo Mickieviez. — Sull’ industria del ferro in Lombardia. — L'Italia armata. — PANCERI, Della epidemia dei gam- beri.— TATTI, Sulla ferrovia attraverso le Alpi Elvetiche. — PELLEGRINI, L'Uomo e i Codici del dottor Gianelli. SULLA MALATTIA DEI GAMBERI COMUNI SUNTO D'UNA COMUNICAZIONE DEL SOCIO ANGELO BOLLINI L'Autore seppe dal signor dottor Leone Ceresa, che prima furono colpiti dalla malattia attuale i gamberi delle acque stagnanti, poi quelli delle acque correnti, e per ultimo quelli presso le sorgenti; dal signor don Carlo Tinelli, che da Varese a Laveno, e più in su, la malattia non si è ancora manifestata; da altro corrispondente, che anche in Valtellina non si è finora mostrata la malattia; dal signor G. Soma, che nel lago d’Iseo non ha potuto trovare gamberi, nè vivi nè morti; dal signor Cavezzali di Lodi, che, avendo messo dei fiori di solfo nella polenta che serve come esca per prendere i gam- beri, ottenne, invece della loro guarigione, la morte di tutti; e che i villici del Lodigiano mangiavano i gamberi malati senza soffrirne alcun danno. Comperati sul mercato del pesce in Milano dei gamberi che sem- bravano malati, per le macchie rosse che avevano alle articolazioni, l’Autore li fece cuocere e mangiò, senza trovare alcuna differenza fra essi ed i gamberi sani. La pescivendola Valera, aprendo i gamberi malati, ed esaminan- doli, non trovò, oltre ai parassiti ordinarj e normali, se non deî vermi filiformi, lunghi circa mezz’oncia, grossi quanto un filo di refe, di color cenerino, collocati fra la coda e il guscio sotto la schiena, i A. BOLLINI ) SULLA MALATTIA DEI GAMBERI COMUNI 345 quali si vedevano staccando la così detta coda dal corpo del gam- bero (1). Da apposite esperienze dell’Autore risulta che i gamberi sani muo- jono nell’acqua che si riscalda fino a 31° R., cominciano a farsi rossi a 43°, e lo sono completamente presso alla temperatura dell’ ebulli- zione. Un allievo del signor Davide Nava, fatte altre esperienze a bagno- maria, trovò cessare la vita dei gamberi sani fra 38° e 40° C., co- minciare l’arrossamento a 30° C., e farsi completo verso gli 80° C. (1) Vedansi nel Processo verbale della seduta del 30 giugno 48641 le osservazioni del socio Panceri e le risposte del socio Bollini. “OSSERVAZIONI DI BOTANICA DIAGNOSTICA TRATTE DALL’ERBARIO GASPARRINI ESISTENTE NELL’ORTO BOTANICO DI PAVIA DA ANTONIO FEDERICO POLONIO Assistente alla cattedra di anatomia e fisiologia vegetale Il Botanico, che percorre l’Italia dalla linea delle nevi perpetue, ove incontra l'elegante fiore del Galanthus nivalis, all'Isola ove frut- tifica il Chamaerops humilis e il macrocarpa, resta maravigliato nel trovare una flora sì ricca e svariata. Nell’Italia meridionale però ove trova nevosi monti, or placidi ed or precipitanti finmetti, un tiepido e limpido mare, ed un sole che sferza cocente, egli si vede innanzi riunita Ja più interessante flora che siavi in Europa. Il Tineo, il Tenore, il Gussoni ed il Gasparrini furono i Botanici italiani che si occuparono di questa porzione d’Italia, e quest’ ultimo in trent'anni d’ indefesso lavoro è arrivato a porre insieme il più bel erbario che di quei luoghi si conti in Italia. Fu in questo erbario che nella mia qualità di Assistente alla Cattedra di Anatomia e Fisiologia Vegetale, ho potuto gettare uno sguardo e vedere i pazienti lavori e le preziose note che la mano istessa di questo insigne botanico aveva vergate. Notevoli mi apparvero le varie sorta di osservazioni che vi si trovano, sia rispetto ai luoghi, che alla sinonimìia; ma ciò che principalmente mi colpì furono le osservazioni e le deserizio- ni annesse ad un gran numero di specie. La classificazione, che non lascia nulla a desiderare, è fatta dietro il sistema naturale di De A. F. POLONIO, OSSERVAZIONI DI BOTANICA DIAGNOSTICA 345 Candolle, e le specie d’uno stesso genere sono disposte secondo le loro affinità. Le forme più notabili, le varietà, le razze appartenenti a certe specie si trovano ancora distinte con molta diligenza, come pure i luoghi ove furono raccolti gli esemplari e la loro qualità. Dal- l’ insieme di tutto I’ erbario chiaramente apparisce averlo l’ autore fatto col disegno di porgere al pubblico, quando fosse stato il tempo, un compendio della flora dell’ Italia meridionale. Svolgendo questa preziosa collezione per mio proprio ammaestramento, mi abbatto di sovente a certe note, o varietà, o specie, che per diversi rispetti mi sembrano interessare per qualche parte alla flora della penisola ita- liana. Per ciò adunque, fiducioso nella cortesia de’ miei colleghi e nell’ amore ch’essi mostrano a tutto ciò che può portare interessa- mento alla scienza, sono venuto nella decisione di fare di pubblica ragione tutto ciò che in quel prezioso erbario si trova di più inte- ressante, presentando a voi di tratto in tratto, onorevoli colleghi, il risultato de’ miei studi diagnostici. HeLrorroPpium EUROPAEUM. Lin. Prima del 1823 non si conoscevano in Italia che due sole distin- lissime specie del genere Meliotropium, cioè l’ H. supinum e l’ H. europacum; in quell’anno però il professore Gussoni ne aggiunse una terza, l’H. Bacconi, e più tardi ancora, cioè nel 1835, altre due che chiamò fenwiflorum l’uno e macrocarpum 1’ altro. Il medesimo professore nelsuo Znumeratio plantarum vasculurium Inarimensium.(eapoli 1855) dava la descrizione e la figura di quat- tro Heliotropium cioè dell’europaeum, Bacconi, tenuiflorum e macro- carpum, dai quali nessuna specie era stata mai rigettata come non buona essendo state anzi accettate ed ammesse e dal Bertoloni e da altri anche le ultime due proposte dal Gussoni. Stando io pure in sì fatta convinzione rimasi alquanto sorpreso nel trovare la seguente daterminazione scritta di mano stessa del professore Gasparrini: 4 Heliotropium Bucconi Guss. au H. europaeum varietas? 2 Heliotropium europaeum. Lin. 5 Heliotropium europaeum car. floribus quidquam minoribus. Heliotropium tenuiflorum Guss. 340 A. F. POLONIO, 4 Heliotropium europaeum var. cymis abbreviatis. Heliotropium macrocarpum Guss. Il gran numero degli esemplari in tutti gli stadi di vegetazione ap- partenenti a ciascuna forma o specie che si fosse, non che la loro provenienza di differentissimi luoghi e della stessa Isola d'Ischia, ove il Gussoni ammette le quattro specie indicate, mi hanno invogliato a considerarle attentamente. Ho creduto prima di tutto di acquistare un’idea chiara del vero 77. europaeum che è il più comune in tutta l’Italia; infatti esso è indicato nell’ erbario con tal nome e comprende esemplari di diverse contrade dell’Italia meridionale e della Dalmazia. La sola diversità tra essi si è la statura più o meno alta, e le nucule ora affatto glabre, ed ora alquanto villose, il che in gran parte deriva dall’ età. Per quante ricerche poi abbia fatte su iutti gli organi del- l’Heliotropium tenuiflorum e macrocarpum, non mi è stato possibile rinvenire in essi alcun carattere, che potesse valere a distinzione specifica. Nel primo niente altro che le corolle alquanto più pic- cole; vero è che i saggi raccolti in Ischia sono alti, molto ramosi, e con i rami fioriferi più allungati; ma altri raccolti nei contorni di Palermo somigliano affatto al vero /7. curopaeum in tutto ciò, tranne le corolle un poco men grandi. Rispetto poi all’ 77. ma- crocarpum, quantunque la robustezza del fusto, la brevità dei rami fioriferi e la grossezza dei frutti alquanto maggiore che negli altri, indichino a primo aspetto una diversità meno leggiera; tuttavia V'im- portanza di questi caratteri sparisce al vederne le varietà graduata- mente confondersi con quelle della specie genuina. La forma, grandezza ed altri accidenti delle nucule non diversifica punto, e l’ esser glabre o pelosette dipende d’ordinario dall’ età. 1 ca- ratteri indicati nelle lacinie calicinali e nella inserzione delle antere sono pure illusioni, come pure il tempo della fioritura e l'essere 0 no odorosi i fiori, essendochè quelli stessi della specie genuina ren- dono alcun che di odore in certe ore del giorno; nè posso tacere che nelle stesse definizioni date dal Gussoni non si scorge una sola nota che sia particolare a nessuna delle presenti specie. Ritengo quindi che l’//. tenuiflorum e macrocarpum non sono che leggerissime va- rietà dell’ //. curopaeum; del quale potrebbe essere una forma rile- OSSERVAZIONI DI BOTANCA DIAGNOSTICA 547 vata lo stesso 7. Bacconi quando non si volesse accordare grande importanza alla corolla il doppio quasi più grande ed alle nocciolette alquanto più piccole e meno verrucose. SrMPHYTUM ZEYERI. Schimper. Due sole specie indigene in Italia conoscevansi di questo genere, almeno secondo la flora Italica del professor,Bertoloni, cioè il Sym- phytum officinale ed il S. tuberosum. È bensì vero che qualche be- nemerito botanico dell’Italia meridionale, tra i quali il Gussoni, ne ammettevano altre due: il S. dulbosum ed il S. Zeyeri dello Schimper; ma stando attaccati a ciò che il più degli autori ammettono, cioè la difficile distinzione tra queste due specie dello Schimper e l'opinione del Bertoloni che riferisce il S. bulbosum al S. tuberosum, fondan- dosi sul poco valore dei caratteri, anche di quello creduto di maggiore importanza, cioè le fornici nettaroidee più lunghe della corolla nel S. bulbosum e più brevi di questa nel S. tuberosum; differenza che quest’ ultimo afferma aver osservato perfino nei fiori d'uno stesso individuo. lo pure era di questa opinione tanto più che se il S. dul- bosum era una semplice varietà del S. tuberosum, parimenti lo doveva essere il Zeyeri che sta in istrettissima relazione col S. bul/bosum. Stando adunque in siffatta opinione, trovo invece nell’erbario che ho tolto ad esaminare queste tre specie accompagnate da note caratte- ristiche, e da un gran numero di esemplari provenienti da differenti parti dell’Italia meridionale. Cominciando dal .S. tuberosum gli esemplari raccolti in più luoghi della Campania e della Basilicata sono tanto uniformi che non lasciano il minimo dubbio dell’ esser tutti individui della medesima specie senza alcuna varietà; e nei molti fiori di cui sono forniti, le appendici co- rolline dette altrimenti raggi nettaroidei da alcuni botanici e da altri saccali, sono sempre racchiuse nella corolla. L'osservazione quindi del Bertoloni accorsa una sola volta, non fatta da altri nè prima nè dopo di lui, per quanto io mi sappia, non è di grande momento, come quella che riguarda forse un fatto eccezionale, promosso da accidenti che non si saprebbero indicare. 548 A. F. POLONIO, Vengono poi i due Symphytum bulbosum e Zeyeri ricchi di molti esemplari, la bellezza dei quali, le località differenti ove furono rac- colti, le note caratteristiche che li accompagnano, tutto in fine con- corre a mostrare che veruno di essi passa per gradi intermedi al Symphytum tuberosum. Rimane ora soltanto a vedere se sieno varietà di una sola specie ovvero l’ uno dall'altro specificatamente diverso. Il S. bulbosum è accompagnato dalla definizione e sinonimia data dallo stesso Schimper in Ferussac, Bullétin des sciences, 1830, p.445; come segue: — « S. rhyzoma stolonesque tuberosi caulis subsimplex, folia late ovato — lanceolata acuta in petiolum decuren- tia, floralia bina aproximata seu opposita, ovata, basi rotundata semi- amplexicaulia; dentes calycini lanceolati tubum corollae subaequan- tes; corollae limbus ad medium partitus; laciniae ovatae erectae; anthaerae filamenta aequantes, sacculi longe exerti stylo superanti. » À questa definizione seguitano gli esemplari che vi concordano; ve ne hanno dei contorni di Palermo, di varj luoghi della Basilicata, di Rosarno, Acri, Corigliano in Calabria e di altre parti; che concor: dano tra loro e colla definizione data dallo Schimper. E però non vi cadrebbe alcun dubbio se il Gussoni non ritenesse pel S. Zeyeri la medesima pianta dei contorni di Palermo, tranne che non si trovas- sero ivi entrambe le piante, ed il Gussoni ed il Gasparrini ne aves- sero trovato una-sola per ciascuno, il che non si può ammettere, non essendo ciò mai stato avverlito nè prima nè dopo la pubblicazione della flora Siciliana. Risulta quindi che il Symphitum Zeyeri di Gus- soni è il Symphytum bulbosum nell’ Erbario Gasparrini. Il nome di S. Zeyeri in questo erbario è dato, ma dubitativamente, ad una pianta dei contorni di Napoli, propriamente presso al lago d’Agnano, che è accompagnata dalle definizioni dello Schimper e dalla seguente nota del Gasparrini: — «Species S. dulboso valde proxima a quo differt imprimis floribus odoris, corollae labis ubtusis erectis , non accuminatis reflexis, staminibus brevioribus, nempe vix dentium commissuram excedentibus cum eorum filamenta paulo sint breviore ac in S. bulboso vero; cujus forsan lusus suo Tocis natura. » Dall'esame. ché feci sull'insieme del portamento ed in ciascuna parte singolarmente rilevai queste differenze: il S. Zeyeri rispetto OSSERVAZIONI DI BOTANICA DIAGNOSTICA 549 agli organi della vegetazione ha un portamento alquanto più grande, le lamine delle foglie poco più sottili che nel vero S. dulbosum; ma rispetto alla radice, al risoma, ai tubercoli, al fusto ed alle foglie nori vidi diversità alcuna. Nei fiori, poco men grandi, non è costante il carattere dei lobi della corolla, otusi e retti in luogo d’ esser ripiegati all’ infuori; come pure è difficilmente constatabile se il filamento sia in fatto più corto che nel S. bulbosum. L'odore non mi pare si deb- ba ritenere qual criterio sufficiente senza essere appoggiati ad altri caratteri per distinguere una specie da un’altra. Risulterebbe quindi, dietro il dubbio manifestato dal prof. Gasparrini, lo scambio successo tra lui e Gussoni, siccome ho detto parlando delle piante dei contorni di Palermo, e l’esame comparativo da me istituito che il S. dulbosum ed il S. Zeyeri dell’ Italia mefidionale sono in essenza identici, 0 va: rietà d’ una sola specie, LirtHosperRMUM TINncTORIUM. D. C. Di questa pianta molti autori hanno dato buone descrizioni e tra gli altri il Bertoloni, il Gussoni e fors’ anche il De Visiani; sarebbe per ciò inutile ripetere quello che sì valenti botanici hanno detto rispetto ai caratteri di tutti gli organi di questa specie. Ma essa nel- l’erbario del professore Gasparrini dà luogo ad una breve osserva- zione. AI L. tinctorium precede un’altra specie così indicata: — « Lithospermum Lehmani, Tineo vix ac ne vix differt a L. tinetorio floret aprili, Majo — In pascuis et campis maritimis Siciliae prope Mazzara. » Nella flora italica del Bertoloni non se ne fa motto, e ciò forse per non essere stata ancora annunziata la specie all’epoca della pubbli- cazione del 2.° volume del medesimo. Il Gussoni (FI. sic., syn. 2. p. 791) l’ammette quale specie distinta, fondandosi sull’abito e porta- mento, sulla ispidezza maggiore e sul tubo della corolla più lungo. Nel dubbio che fosse così, c dietro l’ aspetto della pianta e dell’av- vertenza del prof, Gasparrini, mi è sembrato bene di doverle diligen- temente esaminare in tutte le parti per vedere se sia o no specie distinta, 550 A. F. POLONIO , I saggi del L. tinctorium raccolti presso Salinunta nella Sicilia meridionale e Gravima in Puglia si assomigliano perfettamente nel- l'abito, nella ramificazione, nella pubescenza e sopratutto nei fiori molto avvicinati all'estremità dei rami e nel tubo della corolla eguale al calice. Questi saggi però sono al medesimo grado di vegetazione e nel principio della fioritnra. I saggi del Z. Zehmani trovati e raccolti a Mazzara sono più inoltrati in vegetazione; la pubescenza od ispidezza è quindi più ri- gida, l’asse della infiorescenza si è molto allungato, e però i fiori sì trovano a certa distanza, il tubo della corolla è alquanto più lungo, sorpassando il calice di poco più di mezzo millimetro. Avrei fatto ancora il riscontro delle nocciolette se nel primo non mancassero atteso la giovinezza degli esemplari. Ma stando adunque agli organi della vegetazione ed agli invogli fiorali non si vedono che le picco- lissime differenze notate, le quali non possono autorizzare a ritenere il L. Lehmani come diverso dal Z. tinctorium. Una prova di ciò l’ ebbi dall’ esame di altri esemplari conservati nello stesso erbario. L'uno di essi indicato col nome di ZL. commuta- tum dei contorni di Arat in Sicilia, descritto e mandato al prof. Ga- sparrini dal sig. Bianca, autore di una flora di quella provincia, è esattamente intermedio tra il vero Z. tinctorium ed il ZL. Lehmani, e l’autore istesso ne mutava il nome sulla osservazione del Gussoni, che la pianta di Linneo è affatto diversa. Un esemplare del L. tineto- rium non è meno interessante per la forma, ed il luogo in cui fu raccolto, cioè nella parte centrale della Basilicata presso Castelgrande a’ piè dei monti calcarei, e però molto lontano dal mare sua ordinaria stazione. LirHospeRMmUM MINIMUM. Moris. Il dotto autore della Flora Sarda, il prof. Moris trovava questa pianta nei luoghi erbosi aridi della Sardegna presso S. Elia poco lungi dal mare. Il prof. Bertoloni colla solita sua perizia la descriveva nella T'lora Italica senza indicare altro luogo in cui si trovasse; tutta- via essa vive naturalmente nel Napoletano e propriamente in Basili- OSSERVAZIONI DI BOTANICA DIAGNOSTICA 354 cata sui gioghi erbosi degli Apennini presso Muro nel luogo detto Staccacino, come mi consta dagli esemplari ivi raccolti dal professore Gasparrini e serbati nel suo erbario, con qualche breve notizia intorno alla medesima, cioè: che fiorisce tra aprile e maggio nei monti so- pra menzionati, lontanissimi dal mare, e non già come in Sardegna, che si trova nei pascoli presso di questo, che somiglia un poco al myosotis incrassata, ma che ne differisce pel genere, mancando la corolla di squame nella parte interna dal tubo presso la fauce. Fatta la comparazione tra gli esemplari raccolti in Basilicata e la descri- zione del Bertoloni non havvi diversità alcuna. Pavia, giugno 41861. (RE IIIONE I TI rc SULL’ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA DELL’AILANTO I ESTRATTO DEL PRIMO RENDICONTO DEL PROF. E. CORNALIA ALLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI IN MILANO La Società ha ricevuto dal signor Guérin-Méneville due invii di bozzoli del baco da seta dell’ailanto. — Da quasi tutti quelli del secondo invio uscirono le farfalle; poche da quelli del primo, per- chè alcune crisalidi arrivarono morte a Milano. L’uscita delle farfalle continuò per parecchj giorni, dal 18 mag- gio al 17 giugno. Così alcune farfalle non poterono accoppiarsi; e le uova furono deposte in diversi giorni, ad intervalli di tempo or più or meno lunghi. Circa 10 giorni dopo la deposizione delle uova nacquero i baco- linii — Ne furono dati alcuni al socio Manzi, ed allo stabilimento agrario di Meda. Ma la maggior parte fu allevata al Museo Civico, dapprima con pianticelle di ailanto cresciute in vasi, poi con rami staccati, rinnovati ogni giorno. Si osservò che bisogna fissare le uova in qualche modo sulle fo- glie, e non toccare i bacolini per trasportarli, perchè questi ne sof- frono assai. E. CORNALIA, SULL’ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA DELL'AILANTO 553 I bacolinì che stanno bene si tengono sempre attaccati alla pagina inferiore delle foglie, e l'uno accanto all’altro, allineati come sol- dati in ordine di battaglia. Finora (50 giugno) i più avanzati fecero tre mute, e sono assai grossi. Ve n° ha però di quelli che non ne hanno fatte che due. Appena esciti dalla pelle vecchia, sono verdi e netti; poi, a poco a poco, si coprono d’una polvere bianca. Alcune parti però conser- vano sempre un colore azzurrino elegantissimo. Per farli passare da un ramo, di cui hanno mangiato tutte le fo- glie o le cui foglie siano appassite, ad un ramo-nuovo, non bisogna toccarli colle dita, e meno ancora stacearli a forza dal luogo a cui sono attaccati; basta avvicinare il ramo nuovo all’altro, sicchè lo tocchi in più luoghi; allora i bachi vanno dall’uno all’altro pron- tamente e liberamente, come fossero sopra una pianta, e non sof- frono menomamente. Nella seduta di luglio si potranno dare ulteriori ragguagli, perchè allora l’ allevamento sarà forse terminato. Vol. HI. LD a 354 Seduta del 28 luglio 1861. È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Si dà lettura d’una comunicazione del socio De Bosis, intitolata: La Grotta degli Schiavi presso Ancona. Il socio Bollini legge una breve nota, in cui espone come in quest'anno manchino affatto le pulci a Milano e nei dintorni, mentre ve n'è ancora sul lago Maggiore. Legge pure una Nota Sulla filatura a freddo dei boz- zoli comuni da seta. A questa lettura tengono dietro alcune osservazioni di varj soc], i quali dicono che anche per la filatura a caldo sì preferiscono acque in cui sì siano più o meno imputri- dite diverse sostanze organiche; che alcuni filatori disciol- gono carbonato d’ammoniaca nell’ acqua per la stessa filatura a caldo; e che è ancora dubbio se la seta ottenuta colla filatura a freddo riesca così bella e buona come quella filata a caldo. Il socio Manzi rende conto verbalmente dell’allevamento dei bachi da seta dell’ailanto, da lui compiuto nel Collegio Longone in Milano. Dopo alcune osservazioni di diversi socj sulla conve- nienza di allevare quei bachi in gran numero e con uno scopo industriale, sulla bontà e bellezza del legno dell’ai- lanto, sui danni che possono essere recati dagli uccelli, sull’ allevamento dei bachi dell’ailanto nel Civico Museo di Storia Naturale per opera del presidente Cornalia, sEDUTA DEL 28 LucLio 1861. i Db sì decide che i bozzoli ottenuti al Museo si abbiano ad affidare al socio Manzi, al socio Bellotti Alessandro ed a qualche altro socio, perchè abbiano a fare degli espe- rimenti sull’ educazione dei bachi all'aperto e in gran numero. | Data lettura di un articolo del socio Strobel, inserito nella Gazzetta di Parma del giorno 20 luglio 1861, sulle marniere del Piacentino, e nel quale è detto che sotto le marne di Castione di borgo San Donnino furono trovati dei pali ben aguzzati e delle focacce di terra cotta con un foro nel mezzo, simili a quelle trovate da Gastaldi nelle torbiere di Mercurago presso Arona, il socio Mortillet an- nuncia che presso il signor Strobel egli ha pure veduto un corno di Cervus megaceros lavorato dall'uomo, e che questo oggetto interessantissimo sarà descritto dal sig. Ga- staldi in una prossima pubblicazione. Sono presentate due note ditterologiche del socio Ron- dani, da pubblicarsi negli Atti. Venuto il discorso sui prossimi congressi scientifici di Losanna e di San Giovanni di Moriana, e sull’esposizione di Firenze, si decide che la Presidenza sia incaricata di far rappresentare in qualche modo la Società a quei con- gressi; e che quando a Firenze non avesse ad aver luogo alcun congresso scientifico, la Società abbia a tenervi una riunione autunnale, a norma dei Regolamenti in quella città. Quest'ultima decisione è presa dietro la proposta del socio Manzi. La Presidenza rimane quindi incaricata di fare tutte le trattative e decisioni necessarie, perchè questa riunione a Firenze si faccia, ma solo nel caso in cui non avvenga un vero congresso scientifico, e sia nei primi giorni d’ot- tobrej ed è pure incaricata di ottenere dalle Direzioni 556 SEDUTA DEL 28 LUGLIO 1864. delle strade ferrate italiane tutte quelle facilitazioni che si potranno, per i soc) che si recheranno a Losanna e a S. Giovanni de Moriana. Fra i libri arrivati alla Società si rimarcano le pubbli- cazioni della Società Florimontana d’Annecy, della Società di statistica dell'Isère, e della Società d’Acclimatazione di Parigi, ottenute in dono per le gentili e benevole cure del socio Mortillet. È nominato socio effettivo il sacerdote D. CARLO SroP- PANI, professore di Storia Naturale nel collegio di Merate, proposto dai socj effettivi Cornalia, Omboni e Villa Antonio. Dal giorno 1.° luglio fino ad oggi sono giunti alla so- cietà i seguenti libri: Scanpecini CateRINA. Za grande cometa del 30 giugno, 4861. Nouveaux Mémoires de la Societé imperiale des INaturalistes de Mo- scou. XIII, 2. — Comprende una Monografia delle Betulacee, di Regel. Wiener Entomologische Monatschrift. V. 6 giugno, 41861. MormiuLer. Votes geologiques sur la Sacoie II. IV; Le terrain anthracifèero. — Réunions des sociétés Savantes. — Carte géologique du Piémont, de la Savoie et de Nice. MonninLer. Annexion d la faune malacologique de France. (Extrait de la Revue Savoisienne, février, 1861.) Giornale Agrario lomberdo del Comizio di Milano. — Maggio, 1854 Notizie economico-statistiche sul consumo dei bovini e dei suini in Milano. — ARGENTI, Sulla malattia dei bachi da seta. — Associazione industriale lombarda. — Notizie, ecc. Associazione industriale lombarda per l'esplorazione e gli scavi d’assaggio dei combustibili fossili in Val Cuvia cd adjacenze. — Programma e invito alla sottoscrizione dell' unita scheda. sepuTA DEL 28 Luccio 1861. 357 Cantoni. Annali d’ agricoltura (che fanno seguito al Giornale Z’ amico del Contadino dello stesso Autore). Anno J. Vol. I. Num. 4. Lu- glio, 1861. Bacologia. — L'acido carbonico è un gas respirabile. — Moltiplicazione del ciliegio per talea. — Insolforazione delle viti. — Malattie dei vitelli. — Cronaca agricola. — Varietà. — Tabella meteorologica. Canestrini. Z pleuronettidi del Golfo di Genova. — Dal 1.° Vol. del- l'Archivio per la Zoologia. Genova , 1861. Con 4 Tavole. Revue Savoisienne, Journal publié par l’ Association Florimontane d’ Annecy. 1.° Année, 1860. 2.° Année, 1861. Numeri 1 a B. È una rivista mensile, di 8 pagine in quarto al mese. Comprende articoli di storia, letteratura, scienze, arti, industria, ecc. In fatto di scienze natu. rali vi si rimarcano articoli sul lago d’Annecy, sul terreno aptiano infe- riore, sul monte Parmelan, sulla lunghezza del pendolo a Chambery, sulla possibilità di preservare le campagne dalla grandine, sui cammini, sulla que- stione dell’uomo fossile, sulla fauna malacologica della Savoja, sulla gal- leria geologica del Museo di Chambery, sulle antiche abitazioni lacustri di Lombardia. — I cinque numeri del 1861 comprendono articoli sul passag- gio delle Alpi fatto da Annibale, sulla fauna malacologica della Savoia, sul terreno antracitifero della Savoja, sulle antiche abitazioni lacustri, ec. Bulletin de la Societe de Sta'istique, des sciences BRE 4 fi des arts industriels du paia re de l’Isére. RE gli E AE della prima ‘Serie; 1, Il, HI, W, V, (12 i far a, Po e 2. parle). — A VR re TOA 1848, 41851, 4853, 1856, 1860, 1861. Contiene memorie e comunicazioni relative alle scienze naturali e mediche alle arti industriali, all’ agricoltura, alla statistica, ee. Spettano alle scienze naturali quelle sopra le acque minerali del dipartimento dell’Isère, il bitume del calcare della Porte de France, i filoni argentiferi dei Chalanches, le acque minerali di Allevard, il terreno antracifero dell’ Oisans, le acque mi- nerali presso Grenoble, la montagna dei Chalanches, i pesci del diparti- mento, la catena delle Rousses nell’Oisans, le ligniti dell'Isère, gli uccell onnivori del dipartimento, i molluschi fluviatili e terrestri del dipartimento ,; la riunione della società geologica di Francia a Grenoble, il ferro idrato quaternario dell’ Oisans, Îe rocce asfaltiche del Giura, il magnetismo ani- male, l’acqua ferruginosa d’ Oriol, 1 acqua termale delle Motte, la ripro- duzione artificiale delle sangnisughe, le acque minerali d’Uriage, la strut- 58 sebuTA DeL 28 Luccio 1864. tura geologica delle Alpi centrali della Francia e della Savoja, le miniere d’antracite del cantone della Mure, gli echini fossili dell’Isère, i torrenti delle Alpi e il terreno erratico (fin qui la prima serie del Bollettino), il guastarsi dei legni al piede delle balze scoscese nelle Alpi, una varietà nera della vipera comune, la composizione mineralogica e chimica delle rocce delle Alpi del Delfinato, l’altipiano giurese del nord del dipartimento dell'Isère, i fossili del dipartimento, la geologia delle montagne della Gran- de-Chartreuse, i leoni del giardino delle piante di Grenoble, i materiali adoperati negli antichi monumenti di Grenoble, le rocce amfiboliche unite alla serpentina e alle eufotidi nei dintorni di Grenoble, il terreno nummu- litieo di Gap, dei Diablerets, ete., i depositi di nickel nel dipartimento, le ligniti terziarie della Tour du Pin, la molassa terziaria, i terreni cre- tacei dei dipartimenti della Dròme e dell'Isère, il platino delle Alpi, i grandi ossami fossili del Delfinato, le inondazioni , i fosfati minerali del Delfinato, l’asfodelo ramoso del Delfinato, le miniere d’antracite del bacino del Drac (Isère), la coltura della barbabietola e l’ estrazione del suo zuc- caro, il gas dell’illuminazione, la geologia del Delfinato. — I lavori geo- logici sono quasi tutti dovuti ai signori Scipione Gras, Albino Gras, Hebert, Renevier, Gueymard e Lory. Di quest’ ultimo è specialmente rimarchevole la descrizione geologica del Delfinato, contenuta negli ultimi due volumi arrivati alla Società. — I volumi della seconda Serie comprendono poi anche delle note bibliografiche, delle cronache scientifiche, ec. Bulletin de l’ Association Florimontane d’ Annecy. Vol. 1, II. — An- necy, 1885, e 1856. — E fascicolo 2.° del Vol. relativo al 1858. Contiene i seguenti lavori originali relativi alle scienze naturali: — De MARIA, Della possibilità di determinare la profondità dei mari, che hanno deposto i sedimenti antichi. — DUuMONT, Progetto di erbarj sa- vojardi. — MoRTILLET, La Savoja prima dell'Uomo. Terreni della Savoja. Trias del Sciablese. Geologia di Semnoz. — PonceT, Ipsometria della Savoja. — PuGET, Botanica dei dintorni di Annecy. -— LAcoSsTE, Sulla coltivazione delle viti — MOoRTILLET, Fossili nuovi della Savoja. Corsa alle torbiere di Poisy ed Epagny. Arginature dei fiumi alpini. Museo di Storia Naturale di Annecy. — — PuGET, Sulla dispersione delle piante vascolari. — BOLTSHAUSER, Note climatologiche su Annecy. Bulletin de la Société imperiale zoologique d’acclimatation. Tome VIII Numéros 41 à 5. — Janvier à Mai 1861. — Paris 1864. DAVvIN, Rapporto sull’introduzione della razza ovina Graux de Mau- champ a Buenos-Ayres, e sull’esportazione di alpache. — HarDY, Dome- sticazione dello struzzo in Algeri. — LAURENCE, Acclimatazione delle sEDUTA DEL 28 LucLIo 1861. 359 pernici della California in libertà. — PéRox, Servigi prestati dai natura- listi Péron e Guichonot. — HéBERT, Pomo di terra di Santa Marta. — LEDGER, Alpaca e sua introduzione in Australia. — KLEINERT, Piscicol- tura a Herrenalb. — Seduta pubblica solenne, distribuzione di premj, rapporti, rendiconto dei lavori della Società, ec. — CLOQUET, Allevamento artificiale delle ostriche sul litorale dell’ Oceano, in Francia. — CHAVAN- NES, Educazione del Bombyx Mylitta. — TAvERNA, Coltivazione del comune baco da seta all’aria aperta in Milano. — GuÉRIN-MÉNEVILLE, Pomo di terra d'Australia. — VIENNOT, Buoi selvaggi dei parchi di Sco- zia. — VAVASSEUR, Animali lanigeri delle Ande. — SuqueT, Struzzi allevati a Marsiglia. — GRANDIDIER, La quinoa e il mais degli Inca. — Drouvn DE LqHuys, Progetto d’ una statua a Daubenton. — Cosson, Naturalizzazione del fagiano dorato a Parigi. — TURREL, Protezione agli uccelli. — CLoqueT, Uso industriale del bisso d’alcune conchiglie. — TorRTH RoveN, Educazione del baco da seta in China. — BELHOMME, L’ onobrichide. — Processi verbali. — Sunti delle conferenze della Socie- tà. — Bollettino mensile del Giardino Zoologico d’ acclimatazione. Il Politecnico Vol. XI, fasc. I. — Luglio, 1861. MAESTRI, L'agricoltura in Francia. — VALERIO, Le Marche dal 15 set- tembre 1860 al 19 gennajo 1861. — BeToLDI, Della preparazione del Tè e della sua particolare introduzione in Europa, e particolarmente nell'Italia Meridionale. — C. CATTANEO, Le origini italiche, illustrate coi libri Sa- cri dell’antica Persia. — Forza Militare dell’ Europa. — Concorsi. — Gioacchino Lewel. — Lioy, Dell’unità della specie umana. — MITTER- MAIER, Un voto per la fratellanza scientifica di tutti i popoli. — BER- RENS, Sul modo di valicare con ferrovie le alte montagne. — Notizie scientifiche d’ Inghilterra. Burco. Sopra la vulcanicità ed il lento abbassamento del suolo della Venezia marittima. Notizie storico-geologiche. Padova, 1861. LA GROTTA DEGLI SCHIAVI MEMORIA DELL’ INGEGNERE FRANCESCO DE BOSIS SOCIO DI VARIE ILLUSTRI ACCADEMIE ITALIANE. Una delle meraviglie che attraggono l’attenzione del geologo e del viaggiatore, che sorprendono lo scienziato e l’idiota, sono al certo le caverne, le quali, aperte dalla natura nel seno dei monti, seguono le inclinazioni più capricciose dall’ orizzontale alla verticale, trac- ciano Je linee più variate dalla retta all’indefinita serie delle curve; ristrette per un tratto da permettere appena il passaggio ad un uomo, e poi allargate a modo di grandi sale; basse ancora fino a dovervi camminare ricurvi, e rialzate d'improvviso quasi a non scoprirne la volta. Nei misteri della pagana religione, come nelle relazioni dei viag- gi, nelle descrizioni dei paesi come nelle storie naturali, si parla di tali spelonche. Quindi a prima vista sembrerebbe superfluo aggiun- gere parola per una, solo perchè si trova in pochi luoghi citata, in nessuno descritta. Non può difatti la nostra Grotta pretendere alla celebrità di quella di Antiparos, dalla quale Tournefort esciva tal - mente colpito dalla bellezza delle stallatiti, che credette possibile la vegetazione delle pietre. Nè ha la volta sostenuta da colonne basal- tiche, come la spelonca di Fingal, nè le pareti dipinte di azzurro, come la grotta di Capri, nè esala dal suolo gas mefilici come quella del Cane. Non vi rumureggiano torrenti, come nella caverna del Diavolo in Inghilterra e di Balme in Francia, e non s’ interna per F. DE BOSIS, LA GROTTA DEGLI SCHIAVI 561 più chilometri come quella di Adelsberg nell’ Illiria. Tuttavia è una meraviglia dei dintorni di Ancona; e se la grande Storia Naturale dell’Italia attende gli elementi da osservatori locali, come gli altri poveri miei scritti così questo sarà un tributo che offro alla medesima. Cortese lettore, fra i molti che nell’estiva stagione fanno scopo di una gita di piacere la nostra Grotta degli Schiavi, esciamo da An- cona incamminandoci là dove Napoleone I tracciò la linea della città nuova , quasi lieto augurio della grandezza alla quale doveva oggi essere chiamata (1); in quella valle e su quelle colline che ci ricor- dano molte patrie memorie. lo dico della valle di Pennocchiara, dove sorse nei tempi dell'ignoranza e della miseria uno degli asili delle scienze e delle lettere (2); di quel colle dove nei primi secoli della Chiesa i pellegrini si univano agli avi nostri per pregare d’ innanzi alle reliquie dei martiri (3); dell’ altro infine che si nomina dalla sua sterilità (4) distinto per un avvallamento dal luogo, dove il coraggio dai nostri padri vendicò contro la prepotenza della tirannide, i diritti della libertà (8). Ma più che i fatti dei lontani secoli il Cardeto, la Lunetta, Monte Polito e Monte Pelago, ricordano tre assedi, e molti vivono testimoni di tutti tre. Varchiamo le alture di Pietra la Croce, e quando tacciono le me- morie storiche, si trova aperto il campo a nuove investigazioni. Da una parte i gessi, monumenti dell’antica flora delle nostre contrade (6), dall’altra rupi spaventevoli sovrastanti a piombo sul mare; alla destra molte stradette guidano alla valle di Miano coperta di vegetazione e sparsa d’abitazioni, alla sinistra alcuni viottoli serpeggianti sopra (4) Nella seduta 27 maggio 4864 il Consiglio Comunale di Ancona nominava una Commissione di tre Ingegneri, fra i quali 1° autore del presente scritto, onde studiare il piano per l'ingrandimento della città. (2) Vedi nelle Storie Anconitane, le notizie dell’ Abbazia di San Giovanni in Pen- nocchiara. (3) Vedi ibid. le notizie intorno all’ antica Chiesa di S. Stefano. (4) Monte Cardeto, dai molti cardi che vi vegetano. (5) Vedi: Chronica de la edificatione et destruction del Cassaro. Anconitano per Oddo da Biasio. (6) Vedi : Ancona e dintorni. Cenni di storia Naturale dell’ ingegnere Francesco De-Bosis. 362 F. DE BOSISy abissi profondi portano in riva al mare i pescatori; di là l'agricoltore rompe coll’aratro la terra, suda il minatore a spezzare le pietre, di qua per forza delle meteore e pel volgere degli anni si alterano e si smuovono le parti superficiali delle roccie, si distaccano i massi e rovinano in frane, mentre rugge il mare minando la base dei dirupi, quasi per ritentare la conquista dei continenti. Ecco un punto dove il suolo andò soggetto a considerevoli degra- dazioni e notabili cambiamenti. Regna il mare dove, non sono venti anni era il bivio fra la strada di Sirolo, e quella di Varano. Ivi a piedi di nude e selvatiche rupi, di scoscesi e profondi precipizi apresi un seno cinto all’intorno di spiaggia, variato per un fantastico sco- glio rettilineo, che spunta dal mare a modo di argine; ma più di tutt'altro bello per la veduta del Conero, maestoso colosso Apennino che distaccato dalla gran catena ergesi altero dai flutti a testimonio di una maggiore estensione delle terre italiane; nel modo stesso che le piramidi stanno nel deserto per dirci dell’antica potenza dell’ Egit- to. AI piede si distacca una lingua di terra, detta Porto nuovo, si- tuazione meravigliosamente pittoresca e romantica. Per giungervi è forza scendere una ripida stradicciola tagliata nei dirupi. In quel suolo tutto a collinette e vallicelle il silenzio delle selve, la calma dei pic- coli laghi ritratto delle età primitive della terra, vengono solo inter- rolte da pochi abitatori. Se tranquillo è il mare si può sopra una barchetta costeggiarne attorno attorno la spiaggia, e nell’ ultima punta ci sentiremo com- mossi alla vista di uno di quei monumenti, dove alla preghiera ed alla contemplazione accoppiossi lo studio ed il lavoro, e dove raccolte le reliquie dell’antica civiltà, all'ombra della religione e nella pace della solitudine si gettarono i semi del moderno progresso (7). Inoltriamoci nel mare alle radici del monte ; chi varrebbe a des- crivere le sensazioni che si provano mirando quei massi sterminati sollevati quasi verticalmente? In mezzo a quelle roccie spunta una vegetazione rara e stentata; alcuni arboscelli fanno col loro verde (7) Vedi nelle nostre storie e specialmente in L. Barili: Sopra la Chiesa di S. Maria di Porto-nuovo. LA GROTTA DEGLI SCHIAVI 365 contrasto all’abbagliante candore del suolo calcare. Là si cavano pietre per le costruzioni, e nei mesti racconti dei navicellai si di- pinge la tragica fine di alcuni minatori e taglia-boschi. Ad un nudo scoglio sporgente dall'acqua con punte aguzze nella cima, e con la base larga ed irregolare si dà il nome di — sasso vergine. — Spic- catosi dal monte sdrucciolò per i rapidi pendii, come ne caddero molti altri, alcuni dei quali rovinarono il Monastero di Porto-nuovo. Dopo esserci aggirati entro vari seni formati dalle ripiegature del monte, ad una rivolta apparisce dinnanzi la — Grotta degli Schiavi — maestoso speco, dove la luce del giorno va gradatamente perden- dosi fra massi variopinti, Perchè così si chiami, invano ho consultato le patrie memorie, tuttavia da alcuni avvenimenti si può congetturando ritenere, che fosse un asilo alle galere dei barbari, che venivano a predare nel nostro mare e nelle prossime spiagge uomini e ricchezze. Due in- gressi mettono alla caverna, volto uno ad oriente, l’altro a setten- trione. Quest’ ultimo è il principale, e per esso vi si entra in bar- chetta un buon tratto, finchè gradatamente diminuendo l’acqua , e formando spiaggia, si può discendere in mezzo alle ghiaie ed ai ciottoli. La direzione della grotta coincide quasi col meridiano magne- tico, meno una deviazione alquanto considerevole, nel punto in cui comincia a restringersi, La pianta e lo spaccato, figure ridotte ad ‘/s00 che unisco al presente scritto, non possono vantare un’ acuratezza geometrica, ma solo fornirne un’idea generica. La sua lunghezza ascende a circa 70 metri. Ìl primo tratto, che dirò dell’ingresso principale, è bagnato dal mare per oltre 20 metri. Segue una vasta sala, dove mette ancora il secondo ingresso; ha il suolo coperto di ghiaia di ciottoli, e sparso di massi, le pareti irrogolari scabre e piene di prominenze, la volta maestosa ed ineguale, dalla quale stilla acqua goccia a goccia. In fondo alla sala la volta si abbassa, le pareti si avvicinano, il suolo a mano a mano s’ innalza, la direzione serpeggia, e così le dimensioni si fanno sempre più anguste fino al termine. Si è osservato in molte caverne aperte nei monti calcari, che l’ e- ruzione di rocce plutoniche contorcendo gli strati di sedimento, diede causa spezzandoli alla formazione dei vacui. Nella descritta caverna 564 F. DE BOSIS, al contrario aperta secondo la direzione dei filari della pietra calcare mentre alla diritta di chi viene per l'ingresso principale ne presen- tano il dorso, alla sinistra Ja parete sottoposta. A spiegare quindi l'origine prima della nostra grotta, non so se mal mi apporrei ricer- candola nell’azione dissolvente delle acque d’infiltrazione , le quali aprissero così Ja via all'urto delle onde marine. Nella guisa stessa che operarono ed operano negli altri promontori dell’ Italia, queste che attorno al Conero sono quasi sempre agitate e spesso ancora bu- rascose , penetratevi dentro, e correndo poco a poco i banchi della pietra finirono poi col rovinarne le parti elevate, privandole della base, in ciò ajutate dall’ enorme rialzamento dei medesimi aventi un angolo d’inclinazione di circa 70°. E quest’azione che si scopre in altri punti ancora del medesimo promontorio, come nei secoli passati servi a formare una cavità molto pittoresca, così nei secoli futuri potrà distruggerla, quando giunga a squarciare il grande scoglio che distingue l'apertura di levante da quella di settentrione. Considerando i vari strati di pietra calcare fra i quali è aperta la — Grotta degli Schiavi — devo premettere che non vi potei sco- prire fossili di sorta alcuna, Ja qual cosa mi terrebbe dubbioso nel precisarne l’ età presi isolatamente, quando gli studi degli egregi natu- ralisti signori G..Scarabelli, A. Orsini, ed A. Spada-Lavini non mi servissero di guida. Confrontando pertanto i loro scritti con i carat- teri litologici delle nostre roccie, si troverebbero nella grotta le ul- time del cretaceo inferiore, e le prime del giurese. Difatti i calcari rossastri e bianchi a frattura liscia priva di lustro, attraversati da sottili vene spatiche, sembrano riferibili al periodo più recente, mentre i calcari duri a frattura semi-concoide di colore bianco o traente al cenerognolo attraversati da vene spatiche ed alternanti con letti di silice piromaca bruna e verdastra, sembrano appartenere al periodo più antico. Uniti a questi calcari vi sono indizi di combu- stibile fossile e qualche minerale di ferro. La posizione della caverna, ed il suolo della medesima, mi tolsero la speranza di quelle ossa fossili che altrove arrichiscono la paleon- tologia di molte utili scoperte. Nel dar termine a questo scritto, godo di avere, in quel modo però =—————t _——_—_—È1——————_ n LA GROTTA DEGLI SCHIAVI 565 che si addiceva alla debolezza delle mie forze, tolto un certo mistero entro cui pretendevasi avvolgere la nostra — Grotta degli Schiavi. — Il Piceno, giornale Anconitano nel numero escito il 23 aprile 4859 aveva un appendice, dove fra diverse notizie riferibili ai dintorni di Ancona, era scritto: « Il nocchiero che da Umana naviga verso An- cona, e seguita una parte delcammino, vede il promontorio (Conero) scavato da profonda e lunga caverna ricolma dalle acque del mare. Interrogati parecchi pescatori per avere notizia di qualche precisione sulla dimensione della medesima e profondità delle acque contenute- vi, non vi fu modo raccoglierne. Sarebbe però necessario acqui- starne precisi ragguagli, mentre riescirebbero meritevoli d’ essere pubblicati ». LL AMORI TER III FILATURA A FREDDO DEI BOZZOLI DA SETA NOTA DEL SOCIO ANGELO BOLLINI Dicesi che già da gran tempo nella Linguadoca sia in uso la fila- tura a freddo dai bozzoli ; da noi però i var] tentativi fatti dai tempi passati sin quasi alla metà del secolo presente non ebbero successo. Verso il 1840 il distinto Chimico Giacinto Zambruni si occupava, e di proposito, a rintracciare un metodo economico-pratico; nel 1842 un altro non men distinto, il Sig. Attilio Cenedella, tentava la solu- zione dello stesso quesito. Il Zambruni poco dopo morì, ma lasciò a sua figlia Giuseppa Je necessarie istruzioni per condur a compimento quest’importante filatura. Ella vi riuscì in fatto, e nel 1843 veniva rimeritata dal Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti. ll Cenedella presentava alla Sezione di Chimica del Congresso Scien- tifico tenuto in Milano nel 1844, dei campioni di seta, che diceva tratta dai bozzoli a freddo con un acqua, che pur presentava in bot- tiglia suggellata, perchè intendeva mantener il segreto; ma dopo d’allora non se ne parlò più. La Zambruni, all’incontro, seppe tener vivo il suo metodo, lo perfezionò e l'avrebbe tradotto ad esecuzione pratica, se non fosse stata fatta giuoco dell’altrui speculazione. Essa non si perdè d'animo, e quando le parve che più nulla rimanesse a fare, perchè ridotto già a semplicità, invitò il pubblico per la cam- pagna serica 41886 ad assistere al suo lavoro, offrendosi di filare gra- tuitamente sino a libbre 8 di bozzoli a chi di presenza desiderava farne prova; molti furono i concorrenti; ed in prova di lor soddisfa- zione le rilasciarono attestati e lettere; dacchè la rendita fu sempre maggiore di once 12, come risulta dagli allegati, la seta riescì forte, elastica e morbida. Ella rendeva anche le crisalidi denudate vive e tali, che, riportate ne varj pacsi della provincia da cui eran venute, die- A. BOLLINI, FILATURA ‘A FREDDO DEI BOZZOLI DA SETA 367 dero, per la stessa quantità, maggior numero di farfalle robuste e vispe, e per conseguenza ebbero da esse abbondanti e buone uova. Ella avrebbe ceduto per un compenso il suo metodo, ma più vo- lontieri desiderava interessarsi nella filatura, accontentandosi di una porzione del guadagno , che sarebbe risultato da questo nuovo mo- todo. La sua più che equa domanda non fu accettata da alcun intra- prenditore ; e così anche di lei non si parlò più. Nel 41858 il Sig. Vassalli, volendo far rivivere una sì grave qui- slione, perchè fosse giustamente apprezzata la filatura a freddo, fa- ceva raccogliere da ragazzine con piccoli cucchia) le gocce di liquido che le farfalle emettono dalla bocca per ammollire il bozzolo onde sortirne, lo fece analizzare, e andò cercando come, ed a chi, dovesse rivolgersi per attuarne J}a filatura; pensò che il Comizio Agrario di Milano fosse l’Istituto che meglio dovesse prendere sopra di sè la cura di realizzare questa filatura, e perciò si rivolse in fatti a quel Corpo. Il risultato di questi studj fu inserito nel Giornale del Comizio stesso del mese di agosto 1864. Il Comizio incaricò alcuni idonei mem- bri di studiare e riferire, sia sulla natura d’un liquido adatto , sia sui lavori già stati fatti prima. L’ egregio ingegnere Emmauuele Bon- zanini indicò i lavori di un industriale sul buon avviamento di questa filatura non solo, ma anche sulla quasi riuscita filatura dei bozzoli bucati, che rimangono dopo la nascita delle farfalle destinate a far semente. Portate le cose così vicino alla soluzione del problema, il pro- fessore Ferdinando Tonini, invitò il dottor Cenedella a far di pubblica ragione un trovato scentifico, di cui egli non aveva sin quì fatto uso speculativo, mentre io facevo altrettanto colla Zambruni. Il dottor Cenedella comunicò in fatti che la filatura dev’ essere a media tem- peratura (4 35° a + 40°), perchè, secondo lui, il glutine del bozzolo è per la maggior parte albnmina , e questa, asciugata all'aria od a calor moderato, si ridiscioglie da +- 35° a 4- 40°; laddove se è stata cotta per forte calore della stufa, è necessaria uua temperatura ben più elevata per ridisciogliersi. Perciò egli propose di far morire le crisalidi, sottoponendo a moderato calore i bozzoli nella stufa, così che si possono filare da #- 30° a +- 40°, con un liquido che ha per base l’orina umana. 368 A. BOLLINI , FILATURA A FREDDO DEI BOZZOLI DA SETA La Zambruni alla sua volta disse di non poter accedere alla desi- derata manifestazione del suo metodo, perchè lusingasi ancora di ri- cevere un compenso, o meglio di essere interessata nella filatura me- diante una porzione dell’utile che deve immancabilmente risultare da una filatura a freddo, tanto per bozzoli vivi che morti, essiccati all’aria o morti alla stufa, a bassa o ad alta temperatura, e perchè col suo metodo si utilizza tutta la seta del bozzolo, sino a completo denuda- mento delle crisalidi, e finalmente perchè queste crisalidi non sof- frono nella sua innocente acqua di trattura, dando vispe e robuste farfalle, che producono eccellenti uova , e risparmiando così l’ inco- modo, la spesa, la fattura e il foramento di migliaja di libbre de’ boz- zoli più scelti e più ben conformati, sin quì sprecati per far semente. Tale è lo stato attuale di un’industria che pur doveva già da ven- t'anni essere attivata, e noi faremo voti perchè si verifichi in pratica il più presto che si possa, anzi facciamo rimarcare che, se fosse già stata attivata, noi non avremmo gettati all’ estero parecchi milioni per comprarci semente d’incerta riuscita, e che ora in fin dei conti ci troviamo senza la semente, che noi avevamo così bene naluraliz- zata già da tanto tempo, e che era tanto stimata e ben pagata dai Francesi. SULL'ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA DELL'AILANTO SUNTO D'UNA COMUNICAZIONE VERBALE DEL PADRE MICHELANGELO MANZI Dalle poche uova affidate alle mie cure nacquero le larve nei giorni 44, i3 e 16 giugno, alla temperatura naturale, in una camera a mez- zodi, aperta di giorno, chiusa di notte, meno tre 0 quattro, poco vi- vaci: quattro o cinque morirono senza poter mangiare. Le prese ad allevare furono cinquanta. Sei di queste mancarono durante l’allevamento; due per malattia, e quattro per caduta dei vasi che portavano i rami d’ailanto. Furono allevate sopra ramoscelli d’ailanto tenuti in bottiglie con acqua, tramutandole da un ramoscello all’ altro, nel modo indicato da Guerin, quando le foglie si trovavano troppo appassite o total- mente mangiate. Una parte dei bachi furono tenuti a pian terreno, a tramontana ; e un’altra a un piano superiore, a mezzodì; fino alla 2.° levata, in pien’aria di giorno , ritirati Ja notte; e dopo quell’ epoca’ vennero esposti costantemente sul davanzale della finestra, riparati però pos- sibilmente dal sole. Dopo la 4.° levata, 418 individui vennero espo- sti sopra uno ailanto di alto fusto. I conservati sui ramoscelli diedero ottimo risultato, compirono tutti il bozzolo. Di solito si trovarono su ciascuna foglia composta due o tre bozzoli. — Di quelli sparsi sulla pianta, si raccolsero un- dici bozzoli, alle estremità dei rami, uno solo per ciascuna foglia. Vol. HI, QU di Pi È 370 © M. MANZI, SULL'ALLEVAMENTO; DEI BACHI DA SETA DELL'AILANTO Si è osservato che i bachi, prima di fare il bozzolo, assicurano la fogliola al picciuolo della foglia composta, e spesso anche questo stesso picciuolo al ramo, perchè non abbia a cadere il bozzolo in- sieme coi picciuoli e colle foglie. Passarono dalia nascita alla 1.* levata giorni. . 3; dalla 1.5. levattovatimitt, ic». Co Me dalla Hsvallaadili tene vibo hit Sign dala Meralta INS ene A Pea dalla IV.* al chiudimento del bozzolo, 8 a 10. Motale: im Media ot n a LOLLI Sicchè dalla nascita alla completa confezione del bozzolo intercede poco più di un mese. Ora posseggo 37 bozzoli; e presto comincierò la seconda coltiva- zione, della quale renderò conto in altra occasione. DE SPECIE ALTERA GENERIS CHETINA RNDN. Nota XII Pro Dipterologia Italica do Allorchè nel 1859 io pubblicava il 3.° volume del Prodromus, aveva perduti i pochi esemplari di una specie appartenente al mio genere Chetina, sui caratteri della quale era basato in principal modo il genere stesso, e di cui parecchi esemplari erano già stati spediti ad alcuni amici sotto il nome generico di Cheti/ya e specifico di .Se- tigena. Nel 1860 ho trovati di nuovo alquanti individui dei due sessi di questo dittero, che mi hanno permesso di studiarne di nuovo i ca- ratteri, e da questo studio ho rilevato che la specie in discorso può essere contenuta nel genere Chetina secondo le note distintive che furono stabilite nel 1.° volume del Prodromus, ma non gli possono convenire tutti i caratteri coi quali fu questo genere descritto nel vo- lume terzo di detta opera, quando questa specie non era più da me posseduta. Per le quali cose, attualmente importa, o di riformare la descri- zione generica del 5.° volume, o di stabilire per le differerenze ri- levate in questi diversi dilteri, un genere distinto, di cui sarà tipo la nuova Tachinina. L'importanza però delle note caratteristiche, che distinguono Ja specie Setigena dalle altre Chetine, mi sembra tale, da far credere più conveniente la istituzione per essa di un genere nuovo, al quale 372 C, RONDANI , verrà conservato l'antico nome di Chetilya con cui era già stato dif- fuso. Ritenendo così la sezione Z del 1.° volume del Prodromus, coi caratteri sui quali si appoggia, verrà suddivisa in due sottosezioni , che saranno fra loro distinte nel modo seguente. Z. Arista articulus penultimus manifeste longiusculus et cum tertio magis vel minus distincte cubitatus; antennisque simul, articulo secundo longiore medietate tertii ete. — Fig. 8. (*) Seta frontales non ad medium faciei; et non ultra radicem ariste in genis descendentes. Oculi distinctissime pilosi. Genze inter oculos et carinas faciales non setulose. — Fig. 7. Gen. 20 (a) Chetina Aindn. (*) Sete frontales saltem ad medium faciei, et ultra radicem ariste in genis descendentes, Oculi vix ad lentem pubescentes. Gen inter oculos et carinas faciales setulos®. Gen. 20 (b) Chetilya Miki. Descriptio speciei CHETILYA Setigena Rndn. (in Litt) — Long. Mill. 5-7 Maris. Oculi fere ut in alio sexu distantes, — Sete frontales, fere usque ad medium faciei in series duplicatas disposite. — Sete orales parum assurgentes. — Peristomium vix sub oculos pro- ductum. — Antenne elongate fere usque ad epistomium, — Fibrisse prope orem inserte. — Gene, sub frontales, setulis pluribus instructe. — Abdominis segmenta intermedia etiam in disco setosa. — A4/@ inermes, exceptis spinula costali distineta, et setala aliqua ad radieem vena quarte. — Zena secunda lon- gitudinalis sat producta ultra transversam anteriorem. — Quinta angulatim cubitata, angulo non appendiculato, et sejunetim a quarta costalem attingens. — 7Yransversa exterior paulo magis ge DE SPECIE ALTERA GENERIS CHETINE. RNDN. dI9 distans ab interiori quam a cubito quinte Jongitudinalis. — /e- des nigri, pulvillis et uncis longioribus. Color totius corporis niger nitidus, exeptis, Capite albidi ni- tente. — Calipteris et pulvillis tarsorum albicantibus. — Tho- racis dorso grisei adsperso vittis quatuor nigricantibus distinctis, et Abdomine ad basim frium segmentorum griseo, vel cinera- scente fasciato. Famine characteres circiter ut in mare, exceptis sexualibus, et notis sequentibus. Palpi majores subclavato-arcuati. — Ger@ inter oculos et carinas faciales, inferne serie unica brevi setularum instructee. — Abdominis segmenta intermedia in dorso setis duabus tan- tum discoidalibus preedita. Non rara in agro parmensi a majo ad septembrem. tam in planitie quam in montuosis. GC. Ronpani. SARCOPHAG 4 ITALIC ZE OBSERVATA ET DISTINCTA A Proressore CAMILLO RONDANI Commentarium XVIII Pro Dipterologia Italica. cn —s—_ Pr” Non parrà cosa straordinaria che fra le trentasei specie di Sar- cofaghe italiane da me osservate, se ne trovino diciaselte con nome nuovo, quando si pensi che forse parecchie erano confuse come va- rietà con ispecie già pubblicate; ed alcune saranno già nominate nelle opere dei Ditterologi, ma non descritte in maniera da poter essere distinte. Quantunque abbia posto ogni studio per non moltiplicare senza ne- cessità le specie ed i nomi, ed abbia cercato sempre di rispettare scrupolosamente il diritto di priorità degli autori, sono stato costretto di decampare da miei propositi, ogni qualvolta ho rilevato caratteri stabili ed importanti non prima osservati, e che non potevano consi- derarsi semplicemente individuali, e quando era impossibile a me ed a chiunque il riconoscere gli oggetti per la insufficienza, e direi quasi la nullità delle descrizioni. Ad onta di ciò mi sono trovato alcune volte nella necessità di dover congiungere in una sola diverse specie degli autori, allorchè mi sem- brò insussistente la loro distinzione, perchè basata sopra note carat- teristiche incerte ed incostanti. G. RONDANI, SARCOPHAGA ITALICA 37d Alcune delle Sarcofaghe del Meigen e dello Zetterstedt, non possono essere sicuramente conservate congiunte in un solo gruppo generico, ma non per questo si dovranno adottare i molti generi proposti dal Robineau per le suddivisioni di esso, perchè parecchi non sono ac- cettabili per mancanza di caratteri che abbiano un’ importanza al di là di specifica. Il Macquart conobbe il bisogno di separare genericamente alcune Sarcofaghe, ed adottò per esse due generi del Robineau, respingen- done tutti gli altri; ma se io sono d’ accordo col celebre Ditterologo di Lilla nell’ accettare il gen. Cymomya, non posso convenire nella sua opinione, quando adotta il gen. Agria, e rifiuta il gen. T'heria. Basta leggere la descrizione generica delle Agrie per riconoscere, che non uno solo, fra i caratteri che dovrebbero distinguerle dalle Sarcofaghe, si può dire alle prime esclusivo, ma tutti appartengono pure ad alcuna specie dell'altro genere, e ciò è più che bastevole perchè debba essere abolito. Mentre studiando l’organizzazione delle Y'erie, è facile scoprire fra un complesso di caratteri che costituiscono un /Zabitus assai diverso, anche qualche distintivo importante che non è comune a specie di generi affini. In conseguenza delle quali osservazioni, bo accolto il genere 7'heria e rifiutato quello delle Agrie. Ma nello studiare le singole e molte specie descritte dal Meigen e dallo Zetterstedt, una di esse mi sembrò scostarsi tanto dalle pai da meritare di essere considerata come tipo generico. Questa è Musca Latifrons del Fallen, per la quale nel 1.° vol. del Pron aveva proposto il nome generico di Surcophila. Quantungue il Macquart includa nel genere Agria di Robineau la specie in discorso, non ho potuto conservare per essa l'antico nome generico, non solamente perchè i caratteri delle Agrie, non sono quelli che possano avvalorare l'istituzione del mio genere Sarcophila, ma anche perchè col primo vocabolo era già distinta fin dal Linneo una sezione degli animali. Dalle cose fin quì dette risulta adunque che il genere varcophaga del Meigen è per me diviso in quattro, formanti un grappo speciale 376 C. RONDANI, nella stirpe delle Vexrine, che hanno molti caratteri comuni, ma fra loro ben distinti per importanti e stabili differenze, delle quali ac- cennerò le seguenti. Caratteri comuni Oculi nudi. — Antenne supra medium oculorum inserta. -—— Arista apice late nudo, ad basim pilosa, et si etiam brevissimis tamen ad lentem pilis distinetis. — Zbrisse@e prope orem inserte. — Zacies inter antennas non elevato-carinata. — A4larum vene longitudi- nales quarta et quinta in costali sejunete; quinta angulatim cubi- tata: transversa exterior magis distans ab interiori quam a cubito quinte longitudinalis. — A4ldominis segmentum secundum si in dorso setis etiam marginalibus destitutum, tune segmentum ultimum serie unica setarum sub apicali cinclum, non in margine et disco setis vel pilis longis plurimis instructum. — edes tibiis posticis in latere posteriori varie setosis, sed non satis subaequalibus crebre ciliatis. etc. Caratteri dei generi adottati Series frontales setarum, in mare dux, in femina quatuor. — Pulvilli et unci tarsorum in masculis sat _majores. — Protu- berantia analis quamvis plus vel minus elongata et porrecta, semper flexa, non gibboso-elevata ad altitudinem abdominis. Gene inter oculos et carinas faciales nec setose nec piligere. — Cubitus vene giunte longitudinalis neque apparenter ap- pendiculatus. Gen. Cynomya Lest. BB. Gene inter oculos et carinas faciales setose vel piligere. — Cubitus vene quinte longitudinalis appendice spuria magis vel minus apparente praeditus. T'ibie antice serie setarum a basi ad apicem subcontinuata in SARCOPHAGE ITALIC® 377 latere anteriori instructe. — Oris margines macrochetis cinceti. -— Antennarum articulus tertius trilongior circiter secundo. Gen. Theria Desv. CU. Tibie antice setulis paucis tantum ad basim Jateris anterioris munite. — Oris margines pilis vel setulis, non macrochetis cincti. — Antennarum articulus tertius bilongior circiter, non trilongior precedente. Gen. Sarcophaga Mygn. AA. Series frontales setarum quatuor in utroque sexu. — Pulvilli et unci tarsorum eliam in mare sat parvi. — Protuberantia analis gibbosa et elevata ad altitudinem abdominis. Gen. Sarcopbila Andn. Lo scopo di questa memoria essendo quello di far conoscere le specie delle Sarcophaghe che furono fin quì trovate in Italia, e di prender data per la nomenclatura di quelle che io reputo non descritte, così basterà accennare riguardo ai generi Cynomya, T'heria e Sarcophila che ciascuno di essi è rappresentato da noi, da una sola specie, € questi tre tipi generici si trovano già nominati e descritti nelle opere dei Ditterologi (*), e per rapporto alle Sarcophaghe, che sono molte, e delle quali non poche sono da me ritenute come inosservate prima di me, parmi basterà per ora di presentarne un quadro sistematico, nel quale si trovino ordinate e distinte pei loro caratteri i più impor- tanti insieme, e più apparenti: e facendo seguire brevi descrizioni di quelle che portano nome nuovo, riserbandomi di darne la sinonimia ed ulteriori confronti nel 8.° volume del Prodromus. Prof. Camino Rospani. (*) La Cynomya Mortuorum. -- La Theria Muscaria, e la Sarcophila Latifrons: La rima così nominata fino da Linneo, la seconda dal Meigen, la terza dal Fallen. 578 DD. GG. I. II. (*) C. RONDANI, Sarcophage in Italia lecle. Abdomen apice nigro vel nigricante, in mare semper, in feemina vix rarissimo lutescente. Alarum vena secunda longitudinalis non setulosa in utroque sexu. T'ibie postic@ maris intus barbate vel sub barbatze. Frons maris angustissima, quadruplo et ultra angustior singulo oculo. 1. Agnata Piccioli (in Litt.). Frons maris magis vel minus lata, ad summum duplo angustior oculis. Abdominis segmentum secundum setis marginalibus saltem dua- bus in dorso munitum (*). Sele genarum omnes exiles, scu nullis distinete validiusculis. T'ibi@ etiam intermedia postice barbate, barba tamen distinete brevior interiori posticarum. 2. Carulescens? Zett. T'ibie intermedie breviter vel brevissime hirte. Femora postica maris, in latere exteriori inferne pilis et simul setis validis munita. Vena transversa exterior plus minusve sinuosa. — -4bdominis segmentum secundo setis lateralibus instruetum 4-2. 5. Carnaria Lin. Vena transversa exterior recta. — Abdominis segmentum secun- dum setis lateralibus, ut terlium , instructum, 4. circiter. In exemplaribus in quibus sete abilominales deciderunt, puneto impresso locum ubi inserte erant attente observando fere semper cognoseitur. HI FF. L. NN. SARCOPHAGA ITALICA 579 4. Cognata Schembri (in scheda). Femora postica inferne pilis et setulis piliformibus preedita, sed selis validis nullis. dB. Filia Mibi. Seta alique genarum distincete validiores. 6. Soror Mihi. Abdominis segmentum secundum setis dorsualibus destitutum. Vena secunda longitudinalis satis producta ultra transversam an- teriorem. — Transcersa exterior satis longior distantia a cubito quinte longitudinalis. Femora postica (maris) in latere exteriori, inferne villosa, sed setis validis destituta. 7. Noverca Mihi. Femora postica inferne pilosa simul et setosa. Genitalia maris, segmento primo non retracto, et nigronitido. Tibice posticre tantum (in mare) intus barbate, intermediis, etiam apice, breviter vel brevissime hirtis. 8. Melanura Mgn. Tibice etiam intermedie in medietate apicali, intus sub-barbate. 9. Matertera Mihi. Genitalia maris, segmento primo plus minusve retracto, parte porrecta grisea, non nigro-nitida. Spinula costalis alarum sub-indistincia. -— /rons lutescens, 580 C. RONDANI, 10. Pricigna Mihi. 00. Spinula costalis sat distineta. — Zrons alba. 11. Agricola Mgp. KK. Zena secunda longitudinalis non aut vix produeta ultra tran- sversam anteriorem. — 7ranstersa exterior longitudine subx- quali distantia a cubito quinte longitudinalis. 12. Pumila Mgn. CC. Tibie postice maris ut in faemina intus subnuda vel breviter el parce pilosule. P. Frons etiam maris fere latior singulo oculo. O. Zena quinta longitudinalis angulo acuto flexa. — T'ibie postice maris intus pilis aliquibus distinctioribus preeditre. 13. Socrus Mibi. 00. Zena quinta longitudinalis angulo recto cubitata. —— T'ibi@ po- stica eliam maris intus subnudze. Ri. Arista subnuda. — Zena transversa exterior sinuata et sat lon- gior distantia a cubito quinte longitudinalis. 14. Laticornis Mgn. (© RR. Arista pilis sat brevibus vestita sed non subnuda. — Zena transversa exterior subrecta et fere Jonga ut distantia a eubito quinte longitudinalis, 15. Vigricentris Man. PP. /rong maris saltem angustior oculis, ssepe angustissima. We È: EL: dL UU. X, SARCOPIAG® ITALICA 581 Protuberantie analis segmentum primum non aut vix retractum. — Tibia posticae setulis parvis intus ciliatae (maris). ‘ Abdomen setis dorsualibus in segmento secundo destitutum. — Frons maris satis angustior oculis. 16. Arvorum Mga. Abdomen setis dorsualibus in segmento secundo preditum. — Frons maris parum angustior singulo oculo. 17. Iucenis Mihi. Protuberantie analis segmentum primum seu basale retractum, aut vix porrectum. — 77bie postice intus, etiam in mare subnude. Abdomen griseum, vitta dorsuali integra et punctis, vel viltis sejunctis lateralibus nigris, vel nigricantibus. Abdomen punctis lateralibus nigris margini postico segmentorum signatum. 18. Affinis Fall. Abdomen vittis lateralibus nigricantibus ad basim segmentorum signatum. 19 Zineata Fall. Abdomen vel cinerascens fasciis longitudinalibus integris nigris, vel grisei et nigricantis tessellatum. Abdomen cinereum fasciis seu vittis tribus integris longitudina- libus nigris: Setis lateralibus segmentorum primi et secundi a3ad5B. 20. Clathrata Mgn. XX. 4bdomen grisei et nigricantis tessellatum: Seta unica laterali in segmentis primis. I Q0 (9°) O, RONDANI, 291. Adolescens Mihi. BB. Zena longitudinalis secunda superne setulosa, prater quarto basim. Z. Tibie posticce maris mtus ut in fremina subnude. 29. Setipennis Mihi. ZI. Tibie postica maris intus parce pilose vel subbarbata. Y. Tibia posticoe maris intus parce pilose. — Zena transversa exterior recta et fere subperpendicularis quinta longitudinali. W. Abdomen setis dorsualibus destitutum in segmento secundo. —- l'rons angusta. 25. Puerula Mii. WW. 4bdomen setis duabus munitum in dorso segmenti secundi. — Frons latiuscula. 24. Infantula Mihi. YY..Tibia postic@ maris intus subbarbate. — Zena transversa exte- rior sinuosa et obliqua. 28. Setinervis Mibi. AA. Abdomen apice rufo vel rubescente in utroque sexu. a Zen longitadinales secunda et quarta superne setulose. A Tibie postice maris intus parce pilose. — Spinula costalis alarum vix distinguenda. 26. Hamorrhoa Mgn. \A T'ibie posticae maris intus subbarbatie. — Spinula costalis valida. Q Abdomen segmento secundo setis duabus dorsualibus munito. VO d. e. ce. dd. CC. SARCOPRAGE ITALICE 385 27. Nepos Mihi. Abdomen segmento secundo setis dorsualibus destituto. 4 28. Amita Mihi. Vena longitudinalis quarta tantum ad basim setulosa. Tibia postice maris intus barbatee. Femora postica inferne pilosa sed selis validis non distinctis, 29. Consobrina Bellardi. Femora postica inferne pilis et selis distinetis predita. Abdomen segmento secundo setis dorsualibus destituto. Protuberantie analis masculi segmentum basale griseum. Frons subflavescens vel grisescens. — Zen quinte longitudi- nalis angulus acutus vel sub-acutus. 350. Nurus Mihi. Hemorrhoidalis Mgn. non Fall. Frons alba. — Angulus vene quinie rectus. 54. Cruentata Mgn. non Zett. Protuberantie analis segmentum primum atro-nitens. 52. Proxima Mihi. Abdominis segmentum secundum setis duabus dorsualibus mu- nitum. 534 C. RONDANM, 55. Hamorrhoidalis Fall. non Mgn. aa. el'ibie postice@e maris intus nec barbale nec longe piloswe. f. Zena secunda longitudinalis distinete producta ultra transversam anteriorem. g. Protuberantie analis segmentum primum rufum ut apicale. — Abdominis segmentum secundum setis duabus dorsualibus preditum. 54. Erythrura Mgn. gg. Protuberantie analis segmentum basale griseum. — 2bdomini= seginentum secundum setis dorsualibus destitutum. 55. Consanguinea Mihi. ff. Zena secunda longitudinalis non distincte producta ultra tran- sversam anteriorem. 36. Z/ematodes Mgn. Hcemorrhoidalis Fall. non Zett. (Nota) Sarcoph. Vagans Mgn. cujus femina ano rufescente, et mas protuberantia anali nigra distincta sunt, forte inter nostras latet, nec dignoscenda nisi copulata in- veniatur. i Sarc. athropos Meig. nondum lecta apud nos, similis carnarie et affinibus, sed distinctissima pictura protuberanti@e analis in masculo, in qua color griseus, punctis duobus lateralibus, et vilta interposita nigro-nitidis notatus videtur. Species Striata Fab. et Albiceps Mgn. a diagnosibus non distinguende, inde varietales aliarum considerande, ut alie Sarcoph.: auctorum. Pro Sarcoph. Vicina Macq. V. notam ad speciem Consobrinam Bellardi. RT SARCOPIAGE ITALICA 583 Diagnosi delle specie distinte di nuovo. Sp. 1. Agnata Piccioli (in Litt.) Leb Longit. Mill. 8. (Mas.) /Vigra nitida, thorace grisei quadrivittato, et abdomine grisei subflavescente tessellato. — Caput albidi nitens: fronte angu- stissima, et vilta intermedia sublineari. — Sete genarum omnes exiles. —— Alarum spinula costalis sub-indistineta: vena secunda longitudinalis sat producta ultra transversam anteriorem, et non setulosa: transversa exterior satis longior distantia a cubito quinte longitudinalis. — Abdomen segmento secundo in dorso postice bisetoso: genitalibus parum porrectis, segmento apicali atro basali fusco-griseo. —- Pedes uncis tarsorum articorum non obtruncatis: tibiis posticis intus longe villosis: femoribus posticis in latere exteriori pilosis et setis validioribus simul munitis. Etruria (Piccioli) rarissima. Sp. 4. Cognata Schembri (in scheda) — Long. Mill. 8 (mas). Similis carnarie sed minor et distinetissima. — Tessellis abdominis elongatis in series longitudinales et quasi in fascias subcontinuatas dispositis, a lineis nigris sejunetis. — Capite plumbeo, fronte modice lata et porrecta. — 4bdominis segmento secundo, preetes duas dorsuales, setis ad unum quodque latus 4. ut in segmento tertio munito, setis longis sed non validis. Praterea ab ista vel illis difert. — Alarum vena secunda non setulosa: transversa exteriore recla; setis genarum omnibus exilibus., spinula costali exigua. Melita (Schembri) rarissima. Sp. 3. Filia Rndn. — Long. maris, Mill. 8, fem. 7. Similis sed minor et angustior Carnaria. — Caput aibidi nitens. — Sele genarum omnes exiles. — Zena secunda Jongitudinalis Vol. III. 25 586 C. RONDANI, satis producta ultra transversam anteriorem, et superne non setulosa. — A4bdomen segmento secundo in dorso postice bi- setoso; sed a Carnaria et affinibus distinctissima, proesertim. — Spinula costali alarum sat valida, et F'emoribus posticis in latere exteriori inferne pilosis, sed setis validis nullis. Praterea, genitalia maris atro-nitida, sed segmento basali sepe maeula cinerea ad apicem signato. — Ti0die postice intus parcius villos®. -—- Zena rransversa exterior parum longior distantia ab angulo quinta longitudinalis — et Z'enter cinereo-maculatus; quo cha- ractere difert a S. Sinuata et aliis. In Italia media et boreali, non frequens. Sp. 6. Soror. Mibi. — Long. maris, Mill. B-7, fem. 3-6. Statura ed abitu similis S. Alie, a qua et ab aliis facile dignoscenda, setis 2-5 in facialibus satis validioribus. Alii characeteres speciei sunt; l'rons in utroque sexu latior singulo oculo. — Spinula costalis alaram validiuscula. — /°ena longitudinalis secunda satis producta ultra transversam anteriorem, et superne non setulosa. — 7ransgersa exterior sub-aeque longa distanti®e a cubito quinte longitudinalis. — Abdominis segmentum secundum in dorso bisetosum, — Pedes femoribus posticis inferne pilosis et setosis; tibiis posticis + longe villosis sed non sat crebre barbatis. — Genitalia maris modice producta, atro-nitida, sutura seepius cinerea. In Italia media et boreali, non rara. Sp. 7. Noverca. Mibi. — Long. maris, Mill. 9-14. Frons modice flata, albidi grisea, vix aliquando sublutescens. — Sete genarum omnes cxiles vel exilissima. -—- Spinula costalis longiuscula, sed seepe fiexa. — /'ena transversa exterior satis longior distantia a cubito quinte longitudinalis: secunda satis produeta ultra transversam anteriorem, et superne non setulosa, -- Abdomen segmento secundo setis dorsualibus destituto, — SARCOPHAGE ITALICE 387 Genitatia maris porrecta, segmento apicali atro, basali griseo presertim in medio. — Zemora postica in latere exteriori in- ferne pilosa, sed setis validis destituta: Z70iî@ postice intus barbat®. in Italia media et boreali, non rara. Sp. 9. Matertera Mihi. — Long. maris, Mill 14-14. Yalde similis habitu et statura S. Carnari®, a qua tamen distinctissima preesertim tibiis intermediis, non solis posticis, in medietate apicali barbatis, dum in carnaria breviter tantum birtae observantur, et etiam segmento secundo abdominis setis dorsualibus destituto. — Crxteri tamen characleres ut in specie jam dicta et affinibus. In Italia media et boreali, rara. Sp. 10. Privigna Rndn. — Long. maris, Mill. 11-12, Iterum similis mari Carnarie, sed distincta. — 4bdominis segmento secundo setis dorsualibus destituto. — Genitaliumm segmento basali seepius retracto, et si paulo porrecto, parte exserta fusco- grisescente non nigro nitida. A. Melanura Mgn. difert etiam, colore et forma genitalium, sed pracipue setis marginalibus segmenti tertii abdominis 4-8, non 2-5; et spinula costali alarum subnulla. A. Matertera quogue distincta presertim tibiis intermediis brevis- sime hirtis, non intus barbatis etc. In tota Italia , sed satis rara. Sp. 13. Socrus. Rndn. — Long. maris, Mill. 6-7. Frons lata fere ut oculi. — Sete genarum alique paulo validiuscule. — sSpinula costalis alarum distinctissima. — Zena secunda longitudinalis satis producta ultra transversam anteriorem, et superne non setulosa. — Quinta longitudinalis angulo acuto cu- bitata. — Quarta usque contra transversam anteriorem ab origine G. RONDANI, setulosa. — Transversa exterior non duplo longior distantia a cubito quinte longitudinalis. — A40ddominis segmentum se- cundum setis duabus dorsualibus munitum, et 2 vel 5 lateralibus ut in segmento terlio. — /rotuberantie analis segmentum pri- mum maxima parte retractum, sutura tantum distincta cinerea. -— Tibie postice subnud®, pilis tamen longiusculis, non crebris intus distinetis. — Unci tarsorum anticoram non obtruncati. — Venter fusco-grisescens, suturis segmentorum linea pallida si- gnatis. Parma, perrara. Sp. 17. lavenis Rndn. — Long. maris, Mill. 5. Maris frons angustior singulo oculo sed non valde angusta, vitta in- > termedia subtestacea (an semper?). — Set@ genarum omnes exiles. — Arista plumata. — Alarum spinula costatis distineta: vena secunda longitudinalis satis produeta ultra transversam an- teriorem, et superne non setulosa: quinta longitudinalis angulo subrecto cubitata: transversa exterior parum longior distantia a cubito quinte. — Abdomen grisescens tessellis nigricantibus, fascia dorsuali vittaque brevi basi segmentorum ad unumquodque latus distinclioribus: segmento secundo in dorso postice bisetoso: protuberantiee analis segmento primo nigro-nitido, macula et sutura cinerascentibus. — 770i@ postice intus serize setularum munite, ab apice ascendendo decrescentium, . Sarc. arvorum difert, preesentia selarum dorsualium in segmento secundo abdominis, et fronte parum oculis angustiore, non satis angusta. arme, perrara. Sp. 241. Adolescens Rndn. — Long. maris, Mill. 6. lrons singulo oculo angustior., vitta intermedia atra latiuscula. — Sete senarum paues et exiles. — L4rista plumata. — 4/arwn spinula costalis parva sed distineta: vena secunda longitudinalis SANCOPHAGCA ITALICA 389 sat producla ultra transversam anteriorem, et superne non selu- losa: transversa exterior sinuata et duplo circiter longior distantia a cubito quinte longitudinalis, ista angulo sub-acuto flexa. — Abdominis nigri-nitidi et grisei tessellati, segmenta duo basalia setis dorsualibus destiluta, et unica laterali preedita: protube- rantie analis segmentum primum retractum, apice et sutura tantum distinclis cinereis, segmentum apicale nigro-nitidum. — Tibie posticee intus subuudee. In Apennino parmensi perrara. Sp. 22. Setipennis Rndn. — Long. maris, Mill. 6-7. fem. 8-6. Maris Zrons lata circiter ut oculi. — Sete genarum pauce non exi- lissimoe. — Alarum spinula costalis valida: vena secunda Iongi- tudinalis, ut quarta ad basim, superne setulosa: tranversa exte- rior plus vel minus longior distantia a cubito quinte longitudi- nalis, ista angulo subrecto cubitata. — 4bdomer nigro-nitidi et grisei tessellatum ; segmento secundo setis duabus dorsualibus instructo, et unica laterali: protuberantize analis segmento primo magis vel minus retracto, sutura distineta grisea, segmento api cali nigro-nitido. — /edes femoribus inferne setosis; tibiis intus subnudis; uncis tarsorum anticorum obtruncatis. Freminae characteres circiter ut in mare, exceptis sexnalibus frontis, tarsorum, genitalium, ete. In Italia media et boreali, non rara. Sp. 25. Parvala Rndn. — Long. Mill. 3-4. Maris Zrons distincte angustior singulo oculo, seu duplo circiter angustior. — 4/larum spinula costalis distineta: vena secunda longitudinalis vix aut parum producta ultra transversam ante- riorem, ct superne ut basis quarte setulosa : transversa exterior non longior nisi brevior distantia a cubito quinte longitudinalis, recta. el parum obliqua. — 4bdomen nigro-nitens grisei tessel- latum, segmento secundo setis dorsualibus destituto : protube- 390 C. RONDANI, rantia anali atro-nitida, segmento primo macula apicali et sutura griseis. — Tibie@ postice, intus setis longiusculis in seriem di- spositis munite. Femina preter characteres sexuales a mare difert, abdomine nigroni- lido non aut vix grisci notato. In Italia media et boreali frequens. Sp. 24. Infantula Rndn. — Long. maris, Mill. 5. Similis mari precedentis a quo tamen stalim dignoscendus, presentia selaram dorsualium in segmento secundo abdominis; et fronte latiuscula , singulo oculo parum angustiore. Parma, rara. Sp. 25. Setinervis Rndn. — Long. maris, Mill, 4-5 Fem. 4-5. Similis iterum Sarc: Parvule, etiam fronte angusta et absentia seta- rum dorsualium in segmento secundo abdominis, quibus notis distineta est ab Infantula. Sed a prima satis diversa, non solum statura paulo majore, sed didlis posticis intus longius et crebius villosis; cena transversa exteriori sinuosa, obliqua, et longiore distantia a cubito quinte longitu- dinalis; et pictura afdominis, grisei, vittis tribus dorsualibus nigris distinctioribus, ad segmentum tertium sistentibus. Maris genitalia atro-nitida, porrecta, in segmento primo macula magna cinerea distincta. Fomine abdomen grisei tessellatum, venaque transversa exteriore minus sinuala, etc. Parme non frequens. Sp. 27. Nepos Rndn. — Long. Mill. 8. Similis S. Hoemorrhoee Meigenii, ut in illa vena secunda longitudinalis superne setulosa: addominis segmentum secundum in dorso bise- tosum: protuberantize analis segimentum ultimam rufum; basale SARCOCHAGA ITALICE 59 nigro-nitidum macula cinzerascente, ete. Sed ab cadem distincta, preesertim tidzis posticis, longioribus et crebrioribus pilis villosis, et cena quinta longitudinali angulo manifeste acuto cubitata , non ut in alia specie angulo recto. Tibize postice in A@morrkoa vix pilis aliquibus distintictioribus intus munito. In Apennino parmensi rara. Sp. 28. Amita Rndn. Mas similis maribus duarum praecedentium et statura et habitu, et vena secunda longitudinali superne setulosa, sed ab ufraque, difert absentia setarum dorsualium in segmento secundo abdo- minis, ‘ Ab Hemorrhoa pilis longis tibiarum posticarum, et vene quinte longitudinalis cubito acute angulato. A Mepote vero, preter ab- sentiam setarum dorsualium difert latitudine majori frontis, scilicet non duplo angustiore singulo oculo. In Apennino parmensi, perrara. Sp. 29. Consobrina Bellardi (in litt.) — Long. maris, Mill. 8. Similis habitu precedentibus, sed statim distinguenda, vena secunda longitudinali alarum non spinulosa. A sequentibus vero diversa aliquo characterum istorum : Maris. Zrons ut caput albicans, parum angustior singulo oculo. — Sete genarum pauce, non exilississime. — Alarum spinula costalis validiuscula : vena secunda longitudinalis sat producta ultra transversam anteriorem: transversa exterior subrecta , et valde longior distantia a cubito quinta longitudinalis, ista an- guio sub-acuto flexa. — Abdominis segmentum secundum setis duabus dorsualibus munitum. — Pedes femoribus posticis inferne pilosis , sed setis validis nullis: tibiis posticis intus villosis. In Italia boreali, rara (Bell) Nota, Sp. ista similis et forte wequalis Sare. Cruantate Zetterstedtii, 392 G. RONDANI, non Meigenii, que inter se sat divsrse sunt: sed ctiamsi conso- brina Bellardii non diversa sit a Cruentata auetoris scandinavi, ejusdem nomen distinetivum mutandum erat, quia. pro alia con- genere distinclissima a Meigenio jam adbibitum. Similis etiam videtur sp. ista, Sare; Vicine Macquartii nondum in Italia capta, sed si inveniatur apud nos facile distinguenda a Consobrina. 41.° Fronte satis et circiter duplo angustiore singulo oculo (in mare). 2.0 Spinula costali exigua. — 3.° vena transversa exteriore si- nuosa. — 4.° Angulo cene quinte longitudinalis recto , ete. Sp. 50. Nurus Rndn. Hxemorrhoidalis Meig. Macg. (non Fall. nec. Zett.). Confer descriptiones Haemorroidalis Meigenii et Zetterst. In tota Italia vulgaris. Sp. 52. Proxima Rndn. — Long. maris, Mill. 7. Frons valde angustior singulo oculo. — Alarum spinula costalis distincta: vena secunda longitudinalis non spinulosa et distinete producta ultra transversam anteriorem: quinta longitudinalis an- gulo recto cubitata: transversa exterior paulo sinuosa et longior, sed non bilongior distantia a cubito quinte longitudinalis. — Abdominis segmentum secundum setis dorsualibus destitutum: protuberantie analis segmentum primum nigro-nitidlum puncto apicali cinereo, ultimum testaceo-rufum. — edes femoribus posticis inferne pilis brevibus, et setis longis instructis; tibiis posticis intus parce et non longe villosis. In Italia boreali perrara ‘(Mussino. ) Sp. 35. Consanguinea Rndn. — Long. Mill. 7-9. Maris caput albicans, fronte satis angusta. — Sele genarum exi- les. — Abdominis segmentum secundum setis dorsualibus de- SARCOPHAGA ITALICA 595 slitutum: color cinerascens etiam in ventre, dorso nigricante tessellato. — 4/arum spinula costalis distincta et erecta : vena secunda longitudinalis non spinulosa. et distinete produceta ultra transversam anteriorem : quinta angulo subrecto flexa. — Pro- tuberantia analis segmento primo piceo-fusco, versus apicem ci- nerascente, sutura subalbida, segmento apicali rufo. — Tibia posticae intus subnud®. Femina characteres, exceptis sexualibus, ut in mare: segmenta duo analia rufa. In Italia media et meridionali, rara. 594 Seduta del 25 agosto 1861. Si apre la seduta ad un’ ora e mezzo pomeridiana dal Presidente Cornalia. Il Presidente dà lettura della Memoria del socio Pas- serini = Additamenta ad indicem Aphidinarum quas hucusque in Italia legit doctor J. Passerini. Lo stesso Presidente dà quindi relazione dell’esito della prima cultura del baco dell’Ailanto (Ailanthus glanda- losa) tentata in Milano. In attesa che si schiudessero i bozzoli spediti dal si- gnor Guérin-Méneville egli aveva disposte diverse pian- ticelle di Ailanto in 8 vasi nel locale stesso del Ci- vico Museo. La sortita delle farfalle avvenne con certa irregolarità, dovuta forse agli accidenti del viaggio, onde una prima diminuzione del prodotto. In complesso tuttavia si può dire l'allevamento essere stato abbastanza felice. Fu notato che primi a rompere il bozzolo furono preferi- bilmente i maschi, onde una nuova causa di perdita, per diffetto di accoppiamento. La deposizione delle uova fu regolare, e regolare lo sbucciarne dei bacolini. Questi sono delicatissimi nei primordii della loro vita allo stato di larva, onde gli è uopo evitare di toccarli, divenendo facilmente an- che il tocco più guardingo causa di morte. Il miglior me- todo si è quello di prendere i frastagli di carta e di tela ca- richi di seme, ed incollarli o infilzarli sulle foglie dell’Ai- lanto, e lasciare che le larve vi sbuccino e da sè vadano in cerca del nutrimento, il che avviene con mirabile facilità seputa peL 25 acosto 1861. 395 e regolarità. Le larve passano in seguito le diverse mute, fmchè, ravvoltisi in una fogliola , filano il bozzolo, senza bisogno di alcuna assistenza o precauzione. Il suggeri- mento di pigliare le uova deposte sui frastagli della carta, e riporli sulla pianta prima che n'escano le larve, è op- portuno anche per evitare un altro inconveniente, che fu causa della morte di molti bachi. Le farfalle, dibattendosi nell’angusto ambiente ove si debbono tenere per raccorre le loro uova, perdono una quantità del loro pulviscolo, che si appiccica alle uova; le larve, piccolissime al loro nascere, vi rimangono impigliate e ne mojono. La causa principale, che portò una sensibile diminuzione del prodotto, si fu che gli otto vasi disposti si trovarono affatto insufficienti al bi- sogno delle larve, che sono voracissime. Si dovette sup- plire con rami di Ailanto portati giorno per giorno, e collocati a pescar nell’acqua per impedirne al possibile il rapido inaridire. Tale provvedimento, suggerito dalla sola necessità, presenta troppi inconvenienti. I tentativi fatti invece dello stesso signor Cornalia all’aria aperta sugli Ailanti del giardino annesso al Caffè Cova, e dal socio Padre Manzi su quelli del Liceo Longone, riescirono perfettamente. — La seconda coltura è giù cominciata assai prosperamente, Il nuovo seme si raccolse in tale abbondanza, che il sig. Cornalia potè rispondere alle ricer- che dei diversi amatori. Ebbe di mira di distribuirla in diverse stazioni, onde contemporaneamente alla coltura, si avessero gli opportuni rapporti di essa col clima e colle circostanze de’ diversi luoghi. Il nuovo seme sarà così col- tivato a Milano, in diverse località del lago di Como, sul lago Maggiore, in Brianza e in Valtellina. In seguito il sig. Cornalia legge una sua Nota intito- lata: Di un insetto parassito del grano turco. 596 seDUTA DEL 25 acosto 41861. Si passa a dar communicazione dell’ operato della Pre- sidenza ad adempimento dell'incarico affidatole dalla So- cietà di promovere una riunione straordinaria della So- cietà stessa a Firenze. Risulta che detta riunione avrà luogo infatti coi primi di ottobre; ma, giusta le intelligenze fatte coi socii firentini e cogli uomini più illustri di quella città, che accolsero il progetto col massimo favore, i mem- bri della Presidenza attendono di pigliare di presenza gli opportuni concerti, e ciò in tempo abbastanza utile, per- chèi socii vi possano intervenire. La Presidenza li renderà avvertiti del giorno e del modo nel quale dovrà effet- tuarsi la progettata adunanza. Il Presidente communica la morte del socio Davide Nava. Allievo dell’ illustre Kramer, addetto al Laboratorio ‘ Chimico della Società d’Incorraggiamento, colto, laborioso e probo lascia gran desiderio di sè agli amici ed agli uo- mini della scienza. Il socio dottor Bertolio dà communicazione del metodo più facile per ottenere i cloruri dei radicali degli acidi organici, consistente nel mescolare l'acido organico, del quale si desidera il cloruro, colla voluta quantità di fosforo rosso e con pomice in piccoli pezzetti, e nel far passare una corrente di cloro secco sulla miscela. Si forma to- sto il percloruro di fosforo, che, reagendo sull’acido, sì trasforma in ossicloruro, che può facilmente essere sepa- rato con poco calore, rimanendo nel tubo il cloruro del radicale misto colla pomice, dalla quale si isola pure colla distillazione. Il Vice-Presidente Villa communica che la Società di Acclimatizzazione di Palermo desidera porsi in commu- nicazione colla nostra, mediante lo scambio degli Atti. — La proposta è accettata. SEDUTA .DEL 43 acosto 1861 397 x E nominato socio effettivo il signor Peprazzini Giu- SEPPE, maestro di scienze naturali nell'Istituto Bosisio di Monza, proposto dai socj effettivi Alessandro Bellotti, E. Cornalia e G. Omboni. Dal giorno 29 luglio fino ad oggi sono giunti alla Società i seguenti libri. Cantoni. Annali di Agricoltura. Anno i. vol. I, fasc. 2. e 53. — Mi- lano, luglio 1861. Ancora sull’ epoca migliore per la mietitura del frumento. — Origine e im- portanza della distillazione. — Enologia. —. Bacologia. — Cronaca agri- cola. — Notizie commerciali. — L'associazione in agricoltura. — Bacologia (Baco dell’ailanto). — Uso della paglia bagnata come foraggio. — Con- sumo delle carni in Milano. — Società di bachicoltura in Germania. — Cronaca agricola, ec. Emporio librario partenopeo. —- Progetto d’ associazione. Tenore Gaetano. Discorso Proemiale recitato nell'apertura della cat- tedra di Mineralogia e Geologia nel liceo del Principato Ulterio- re, il di 2 gennajo, 1861. Avellino, 1861. Tenore Gaerano, Sulla coltura delle miniere nella Regione meridio- nale d’ talia. Lettera ad Alessio Marone. Cosa O. G. Sopra un frammento ittiolitico di genere sconosciuto. Con una tavola litografica. Napoli.... Tasssni. Cenni topografico-statistico-medici , sulla Città di Como, Como, 1861. ADDITAMENTA AD INDICEM APHIDINARUM QUAS HUCUSQUE IN ITALIA LEGIT DJ. PASSERINI Botanices Prof. Horti Parmensis Director, ec. ee. (Vide Passerini. Gli Afidi. Parma 1860) cero 5___ Species nuper observatee. SIPHONOPHORA Cyparissie och. Cal Picridis Fabr. v» Platanoides A0. » Tussilaginis Koch. RIOPALOSIPBUM Berberidis At. >» Ligustri Ar. MYZUS Oxyacanthe Aoch. >. pyrarius (4) APHIS Clinopodii (2) » Donacis (3) » Sedi AU. » Silybi (4) CHAITOPHORUS Leucomelas Koch. TOXOPTERA Aurantii Zonsc. PEMPHIGUS Boyeri /ass. (*) ”» follicularius (b). ’» vesicarius (6) VACUNA Alni Schrk. (*) Jam ab anno 1856 descripta (I Giagpini, vol. IE. pag. 262) sed .in apusculo (ili afidi easu omissa, J. PASSERINI, ADDITAMENTA AD INDICEM APHIDINARUR, ETC, 599 Anmotaltiomes diagnostica (1) MYZUS PYRARIUS m. Femina vivipara aptera nigra, opaca, ovato-convexa, margine pal- lidulo. Antenne corpus subaequantes, a basi ad medium alba, crte- rum nigra. Nectaria nigra, apice aliquantulum attenuata, crassitie sua vix duplo longiora, caudamque pallidiorem paullo excedentia. Pedes albi, tarsis nigris. Long. 1/9-3/j!. i Femina vivipara alata antennis, capite, thoraceque nigris nitidis. Abdomen lardaceo-fuscum, subtus viridescens, laeviter albo-pulverù- lentum. Plica anales nigra. Ale hyaline iridescentes, venis tenuibus fuscis, stigmate albido vel in luteolum vertente. Long 2/,-1/,"". Nymphe apteris similes sed pallidiores; capite, thorace, alarum- que thecis lardaceo-nigricanlibus. Legi prope Parmam (a /'igheffio) in foliis convolutis Pyri com- munis, familiis numerosis. Differt a Myzo Oxyacanihe Koch prosertim cauda nectaria su- Dequante. (2) APHIS DONACIS m. Femina vivipara aptera late ovata, lardaceo-fusca, albo-pulveralen- ta, abdominis disco, areolis duabus pone thoracem, lineaque trans- versa inter nectaria nudis; raro omnino nuda. Antenna corpore bre- viores albe, apice fusco. Nectaria nigra brevissima; cauda nigra nectaria equans vel longior. Pedes pallidi , tarsis fuscis. Long. 2/,'’ lemina vivipara alata nigricans, vix albo-pulverulenta. Ale hyali- ne, venis valde conspicuis, stigmaleque fuscis. Inveni inter folia juniora A4rundinis Donacis prope Florentiam (a Sesto). Augusto. (5) APHIS CLINOPODII m. Femina vivipara aptera ovato-convexa, viridis fusco-variegata. An- tenne corpore parum Dbreviores albida. apice fusea. artieulo quarto 100 J. PASSERINI , quintum, hoc sextum superante. Nectaria brevia viridia, apicem versus fuscescentia, basi vix crassiora; cauda clavata, nectariorum dimidium xequans, aut vix superans. Pedes albidi, tarsis fuscis. Long. 1/9'''. Femina vivipara alata capite et thorace nigris. Abdomen viride, fusco-conspurcatum, cauda viridula nectariis dimidiis brevior. Ale albido-hyalin®, venis stigmateque albidis. Long. %/; - '/!". Nymphe virides, alarum thecis et thorace Jardaceo-albidis, pun- ctis dorsalibus pulverulentis biseriatis vix conspicuis. In foliis crispatis Calaminthe Clinopodii. Junio, Parma. Differt ab affini Zfide urticae Fbr. statura minore, nectariis bre- vioribus viridibus, apice vix attenuato fuscescente. (4) APHIS SILYBI m. lemina vivipara aptera ovato-convexa, valde tumida, olivaceo-fusca opaca. Antenne corpore breviores albidae, basi et apice fuscae, sub microscopio pilosule, articulis quarto et quinto requilongis. Abdo- men leviter marginatum, incisuris inconspicuis; venter pallidulus, plicis analibus nigris. Nectaria nigra caudam concolorem duplo vel fere duplo superantia. Pedes albidi, geniculis, tarsisque nigris. Ab- domen postice, cauda pedesque sub lente pilosa. Long. °/,;"". Femina vivipara alata ovato-oblonga, nitida, capite et thorace nigris, abdomine olivaceo-fusco, apice et margine nigricantibus. Alze opacxe, Jevissime albido-flavicantes et iridescentes, venis tenui- bus stigmateque albidis. Pedes ut in aptera, sed femora postica a medio ad apicem nigra. Long. ‘/s - ?/;!". Nympha olivaceo-rubiginose, capite, thorace, alarumque thecis pallide lardaceo-viridulis. Puncetis dorsalibus octo albo-pulverulentis, longitudinaliter biseriatis, ultra nectaria non productis. Circa pedunculos et capitulos Sily0i Mariani, et in foliis crispa- tis Solani quineensis et S. Dillenii. Junio, Julio. In Horto Botanico. (5) PEMPHIGUS FOLLICULARIUS m. Femina vivipara alata antennis caput et thoracem subaquantibus, articulis tribus ultimis subaequilongis. Alaram vene fusca, anteriorum prima el secunda omnino sejuncte, Stigma angustum plica haud cir- cumdatum. ADDITAMENTA AD INDICEM APHIDINARUM, ETC, 401 In Pistacia, Terebintho intra follicualum rectum tumidum e folioli margine inflexo formatum. In quovis foliolo folliculi 2-3 observantur. Differt a P. utriculario m. et a P. corniculario m. venis duabus obliquis primis baud conjunctis, et a P. semilunario m. antennarum articulo sexto quintum nunquam superante. Circa Panormum, unde bujusmodi gallas ab humanissimo et pra- claro amico AUGUSTINO TODARO Botanices professore obtinui — Augusto — Septembri. (6) PEMPHIGUS VESICARIUS m. Femina vivipara aptera ovato-subglobosa, fusco-cinerea, incisuris conspicuis. Caput fuscum, antenne quadriarticulate caput subequan- tes. Rostrum crura media attingens. Abdomen floccis albis margina- libus, analibus longioribus et numerosioribus. Pedes breves fusci, femoribus basi luteolis. Femina vivipara alata. Caput et thorax nigra. Antenne nigre, ar- ticulis quarto et quinto subaequalibus, sexto precedenti longiore. Abdomen herbaceo-viride, floccis brevissimis dorsalibus longitudina- liter biseriatis preter marginales; alibi nudum. Ale nude, vena quarta ex angulo stigmatis posteriore oriente, margine postico con- tra apicem vene prime obliqua nigro-vittato. Femora fusca, tibie albide. Long. 1'''-11/,°”'. Nymphe pallide virides, lanugine copiosa et longissima obducte. l’acile distinguitur a Pemphigo bursario statura majore et nym- phis lanuginosis. Intra gallas vesiculosas, irregulariter tuberculato-lobatas, ovi gal- linacei magnitudine, e gemmis terminalibus ramulorum Populi nigre formatas. Junio, Parm®. Vol. III. 285 402 Seduta del 24 novembre 1861. È aperta la seduta verso le due pomeridiane. È letto ed approvato îl processo verbale della seduta precedente. Si dà lettura d’ una Memoria mandata dal dottor A. Can- tani di Praga, e intitolata: Sullo sviluppo della così detta membrana secondaria della cellula vegetale e delle sue modificazioni. Il vicepresidente Villa dà lettura di un suo breve serit- to: Sulle conchiglie terrestri e fluviatili raccolte dal pro- fessore Roth in Palestina, e descritte dal prof. Mousson. Cornalia legge dei Cenni sul defunto socio fondatore e presidente perpetuo Ambrogio Robiati. Lo stesso presidente Cornalia dà verbalmente alcune notizie sull’allevamento del baco da seta dell’ailanto e del comune baco da seta. Le uova del baco dell’ailanto da lui distribuite a pa- recchie persone, furono da esse coltivate, ma sinora non gli giunse alcuna notizia ben definita sulla loro riuscita. I bozzoli ottenuti colla coltivazione al Museo Civico, di cui fu fatto cenno nella precedente seduta, furono conse- gnati al signor De Antoni, abile filatore dei bozzoli co- muni aperti; ed egli ne ottenne una seta lanosa assai bel- la, e che forse potrebbe servire a fare camicie, calze, abiti per i poveri, ec. Nell'anno venturo si farà un nuovo espe- rimento di coltura al Museo Civico, con piccoli ailanti, che verranno messi in piena terra nel cortile stesso del Museo. SEDUTA DEL 24 novemBRE 1861. 403 L'industria della bachicoltura non fu molto ben rap- presentata alla Esposizione di Firenze. Vi furono pochi e cattivi esemplari di bozzoli del baco dell’ailanto ; e si vide che i coltivatori del comune baco da seta hanno ormai abbandonato ogni cura per migliorare la qualità della seta, troppo contenti di poterne ottenere una qua- lunque quantità e di qualunque qualità, in questi tempi in cui la malattia del baco si estende sempre più larga- mente e sempre più dannosa. — Vi si videro delle uova fatte deporre dalle farfalle col metodo Mitifiot, cioè tenendo isolata ciascuna farfalla, per avere separate anche le uova da esse deposte sulle tele. E pare che questo metodo possa essere utile, per separare le uova buone dalle cattive, prima colla guida dei loro caratteri esterni, e poi colla scorta dell'esame microscopico. Anche l'illustre Lambruschini, dice il presidente Cor- nalia, crede utile l’allevamento dei bachi all'aperto, ma soltanto per ottenere le uova per le coltivazioni future , non per avere immediatamente un buon raccolto di boz- zoli. Egli però non alleva i bachi in campagna o nei giar- dini, ma sotto portici o logge, sopra apposite stuoje, e dà a mangiar loro, non le foglie staccate come general- mente si usa, male frasche intere, cioè 1 ramoscelli colle foglie ancora unite. Le farfalle che si ottengono così sono molto vivaci e belle. Forse si potrà con questo metodo arrestare ìi danni della malattia dominante, servendosi ciascun coltivatore di questo allevamento all'aria aperta per avere ogni anno delle uova abbastanza buone per la coltivazione dell’anno successivo, destinata alla produ- zione dei bozzoli. Il socio Cristoforo Bellotti parla brevemente d’un opu- scolo di un parroco del Trentino, il signor Weber, con- 404 sepuTa pEL 24 novemere 41864. tenente degli avvertimenti popolari per la coltivazione del baco. Lo trovò in generale degno di lode, ma vi rimarcò anche qualche errore. Tale è, per esempio, il permettere il riscaldamento delle uova nei letti, fra le coltri, ec., per favorire la nascita dei bacolini. Il socio Stoppani espone brevemente il progetto pre- sentato dalla Commissione espressamente nominata dal Governo, e raccoltasi in Firenze, sul modo di fare una Carta Seglanica del regno d’ Italia. Il presidente Sonata espone le varie circostanze che impedirono la progettata riunione della Società a Firenze. Giunta in quella città, la Presidenza trovò tutti i dotti là convenuti, compresi gli stessi Firentini, talmente occu- pati per i giurì della Esposizione, per le riunioni di di- verse commissioni, per le sedute del Congresso straordi- nario scientifico, ec., che non potè avviare alcuna pratica per attuare la riunione della Società. Terminati i lavori dei giurì, terminate le sedute per le commissioni e il Con- gresso, e terminate le altre occupazioni, quasi tutti i dotti partirono in brevissimo tempo, e dovettero pure partire anche i soc) componenti la Presidenza; e così divenne affatto impossibile la riunione della Società. È presentato un Catalogo delle aeroliti esistenti nel- VI. RK. Museo mineralogico di Vienna, mandato dal si- gnor Adolfo Senoner, e sarà pubblicato negli Atti, come le altre Memorie e Comunicazioni presentate in questa seduta. Il presidente Cornalia parla della soscrizione aperta dal K. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, per l'acquisto degli istrumenti e manoscritti scientifici di Ales- sandro Volta. E dietro proposta di qualche socio si decide che in una delle venture sedute si tratterà di fissare una somma da pagarsi dalla Società per quella soscrizione. SEDUTA DEL 24 novemBrE 41861. 4OB Dal giorno 26 agosto p. p. fino ad oggi la Società ha ricevuto i seguenti libri: Annual Report of the Board of Regents of the Smithsonian Insti- tution fur the Year 1859. Washington, 41860. Contiene delle memorie relative all’ astronomia, alla meteorologia ai co- leotteri, alle conchiglie del golfo della California, ai terremoti, alla chimica agricola, all’etnologia, al calore raggiante, all’osservatorio magnetico del- l'Istituzione, al galvanometro, ai barometri; e poi diversi rapporti, lettere, ec. Dare Owen, Second Report of a geological Reconnaissance of the middle and southern counties of Arkansas. Philadelphia, 1860. Contiene anche delle notizie sulla Botanica e sulla Chimica Agricola del- l’Arcausas. The Transactions of the Academy of St. Louis. Vol. 1, num. 4. St. Louis, 1860. ENGELMANN. Osservazioni meteorologiche. — HILGARD, Questioni di anatomia comparata. — HoLmEes, Ferro meteorico di Nebraska. — Lyon, Rocce del Kentuky. — MaRcou, Geologia del Kansas e del Nebraska. — SHumARD, Geologia e paleontologia del Texas. — SwALLOW, Terreni paleozoici del Missouri. — Sedute. Jahrbucher des Vereins fir Naturkunde im Herzogthum Nassau. 45 Heft. Wiesbaden, 1860. Opernnemer, Das Festand Australien. Wiesbaden, 1864. Carus und Encermann, Bibliotheca zoologica. II. Band. Leipzig, 1861. Opera comperata a spese della società, dietro apposita decisione. ScarpeLuini Caterina, Risultati delle osservazioni delle stelle cadenti nell'agosto 1861. Lettera al direttore dell’A/bum di Roma. Ro- ma, 1861. Atti dell’i. r. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo VI. Dispense 7, 8 e 9. 406 SEDUTA DEL 24 NoveMBRE 1864, Bizio, Liti o delle acque dell’ Adriatico. — ZANTEDESCHI, Radiazioni. — NAMIAS, Mortalità di Venezia. — NARDO, Entomostracei monocoli del Ve- neto. — PonTI, Aletoscopio. — ZANTEDESCHI, Analisi chimica collo spe- tro. — DE Zicno, Felce fossile. — Bizro, Congelazione dell’acqua. — ZA- NARDINI, Ficee dell’ Adriatico. — MoLin, Piscicultura. — ZANTEDESCHI, Eclisse di sole. Memorie delli. r. Istituto veneto, ec. Vol.IX, Parte III. Venezia, 1861. CAPPELLETTI, Delle caldaje delle locomotive. — Turazza, Metamorfosi delle potenze naturali. — ZANARDINI, Ficee dell’ Adriatico. — BIzio. So- luzione senza affinità chimica. — FAPANNI, Segale come foraggio. — DE VISIANI, Piante della Serbia. — GALVANI, Tannato di bismuto. — MAS- SALONGO, Piante fossili del Monte Vegroni. — MoLIN, gli Acrofalli. Jahresbericht der Naturforschenden Gesellschaft Granbindens. Neue Folge. VI Jahrgang. Chur. 1861. Coaz, Misure d'altitudini. — Osservazioni meteorologiche fatte da di- versi osservatori. — SIMMLER, Analisi spettrale e altri studj di chimica. — MuRET, KILLIAS c CRAMER, Flora retica. — KILLIOS, Gipeto. — LORETZ, Lampo sferoidale. Penazzi, Catalogo delle rocce ofiolitiche della Liguria orientale, e delle nettuniane da esse modificate, non che dei filoni e vene cu- prifere che le attraversano. Torino, 1861. Lunari, Le acque termali di Bormio in Valtellina. Parte prima. Lu- gano, 1861. Lgonuaro und Bronn, Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Petrefaktenkunde. Jabrgang, 1861, 4, 2,5 e 4. Stuttgard, 1864. NorGGERATH, Piombo nativo di Madera. — ScHERER, Gadolinite. — KxnoP, Pseudomorfosi d'una sostanza pinitoide in Cardierite. — SuESS, Studio numerico dei Brachiopodi. — PETERS, Genesi dell’ azzurrite e della malachite. — BARRANDE, Sul Canadà. — QuensTED, Archegosaurus. — FELLENBERG, Nuovi minerali d’ Ungheria e Transilvania. — SCHARF, Ge- nesì dei cristalli cubici. — BLum, Nuova roccia (Foyaite) del Portogallo . — PeTERS, Del calcare romboedico. sebUTA peEL 24 novempre 1864. 407 KLuce, Uber die Ursachen der Erd-Erschutterungen, etc. Stutt- gart, 1861. Bulletin de la Societe vaudoise desi sciences naturelles. Fasc. VII. Bull. n.° 48. Lausanne, 1861. ForeL, Insetti della Svizzera. — MARGUOT, Osservazioni meteorologi- che. — Durour, Temperatura di alcune sorgenti. — Cugxoup, Misura delle altitudini col barometro. Dilatazione dei corpi solidi. — RUTTIMEYER, Animali delle abitazioni lacustri di Concise. — RENEVIER, Grande foglia fossile del terreno Kimmeridgiano vodese. — DELAHARPE, Meteorologia del 1860. — MarceL, Rabbia canina. — Durour, Sui bolidi. — DELA- HARPE, Altitudini nelle Alpi di Bex. . Vierteljhrsschrift der Naturforschenden Gesellschaft in Ziirich. Erster, zweiter, dritter, vierter, fiinfter Jahrgang. Zirich , 1856- 1860. Il Politecnico, numeri 62, 63, 64 e 6%. Milano, 1861. CopAzza, Macchine a vapore. — Lioy, Magia del secolo XIX. — VERA, L'idea della scienza. — CARDONE, Salso e le sue saline. — ZECCHINI, Mummificazione. — CoPPIER, Diluvj periodici. — DeLLA Rosa, Acque di Salso maggiore. MorniLer, Notes géologiques sur la Savoie. V. (Questions soumises à Ja Société géologique de France). Dalla Revue savoisienne , ago- sto 41861. Piom, Sulla struttura intima dell’organo elettrico del Gimnoto e di alici pesci elettrici. Firenze, 1882. Cvsurz, Anwendung der Plastik heim Unterricht im Ter rainzeichnen. Leipzig, 1861. Wiener Entomologische Monatschrift. V. 7, 8, 9. Wien, 4864. Bulletin de la Societé imperiale des naturalistes de Moscou. An- née 1864, num. 4. CmaupoIr, Cicindele d’ Europa e Siria. — REYEL, Specie di Thalictrum. — TraurscHoLD, Geologia dei dintorni di Mosca. — MOTSCHOULSKY, Insetti di Ceylan. — Hermann, Il Dianio. — DownAR, Piante del Bori- 408 SEDUTA DEL 24 novempre 4864, stene. — JAGER, Emys europea. — HoLMBERG, Piscicultura in Finlandia. — MoRAvITZ, Coleotteri della Russia europea. — BARBOT DE MANY, Gia- citura del carbon fossile nella Russia centrale. — BecKER, Coleotteri di Sarepta. Deresse, De l’azote et des matières organiques dans l’écorce terrestre. (Dagli Annales des mines, XVIII, 1860). Paris, 1861. Atti della Società elvetica di scienze naturali riunita in Lugano nel settembre 1860. Lugano, 1861. Processi verbali. — LAVIZZARI, Discorso d’apertura. —— Membri. — Pre- sidenza e Commissioni. — Doni. — CURTI, Discorso. — DESsoR, Sui laghi alpini. — STABILE, Fossili dei dintorni del lago di Lugano. — LEONI, Ri- produzione ossea. — PoLLI, Esperienze sul curare. — Notizie biografiche. Mittheilungen der naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem Jahre 1860. Num. 440-468. Bern, 41860. BRUNNER, Osservazioni chimiche. — CHRISTENER, Jeracei svizzeri. — FELLENBERG, Bronzi antichi. — HIpP, Perturbazioni dei telegrafi elettrici in relazione con un’ aurora boreale. — KocH, Osservazioni meteorologiche. RiiTIMEvER, Rinoceronte miocenico di Svizzera. — ScHIrF, Teoria degli acidi. — UHBLMANN, Studj archeo-geologici sul lago di Moosseederf. — WyDLER, Fioritura delle vinche. — WiLp, Osservazioni meteorologiche. Zeitschrift der deutschen Geologischen gesellschaft. XII Band. 3, 4. Berlin, 1860. STROMBECK, Trias di Luneburg. — KJERULF, Fenomeni di frizione. — SARS, Molluschi dell’epoca glaciale di Norvegia. — DELESSE, Azoto nelle rocce. — PrAFFr, Teoria dei terremoti. — Getz, Fauna peruviana. — RoEMER, Posidonamya Bccheeri, ec. — RicaTHOFEN, Ceilan e isola For- mosa. — UNGER, Miniere di Wollin. — SANDBERGER, Antichità geologica delie terme. — ANDREE, Giura di Stettino e Kònigsberg. Canroni, Annali d’agricoltura. Anno. Vol.I1, num. 5-9. Milano, 1861. L'associazione in agricoltura. — Peso e misura del bestiame. — Conci - mazione vegetale. — Del trapiantare’ alberi in estate. — Il corbezzolo. — sebuTA DEL 24 novempre 41864. 409 Riproduzione delle ostriche e allevamento artificiale. — I sciami delle api. — Durata del gelso. — Riforma sociale. — Malattie delle api. — Effetti tos- sici di parecchi vegetali. — Utilizzazione delle frutta. — Rogna dei qua- drupedi domestici. — Il sommacco. — Degli escrementi umani. — Letame da stalla. — Misura del fieno. — L’oppio, albero. — Stabilimenti di distil- lazione. — Cura delle botti. — Caffè di segale. — Foraggi precoci. — Cro- naca, varietà, notizie meteorologiche, ec. Giornale agrario lombardo. Vol. I, luglio e agosto. Milano, 1861. Piscicultura italiana. — TOoNINI, L’umore emesso dal baco da seta. — BoLLinI, Filatura della seta a freddo. — BONZANINI, Strade vicinali. — Cemento idraulico nazionale. — Atti, notizie, ec. Rendiconto della sessione dell’Accademia delle scienze di Bologna. Anno accademico 1860-61. Bologna, 1861. Bulletin de la Societé imperiale d’acclimatation. Tome VIII, num. 6-10. Paris, 1861. SouBEIRAN, Thè del Brasile. — VavasseuR, Animali da lana delle Ande. — LHERBETTE e QuaTREFAGES, Miglioramento della razza caval- lina in Francia. — TURREL, Protezione degli uccelli — ALTHAMMER, Acclimamento della grande ottarda a Roveredo e Arco in Tirolo. — DUME- RIL, Allevamento del baco da seta del Giappone con foglie di quercia. — GuerIN MENEVILLE, Baco da seta nuovo, Yama-Mai. — LAMIRAL, Acceli- mamento delle spugne sulle coste di Francia e d’ Algeria. — Gosse, Ac- climamento della coca nelle colonie europee. — SuQuET, Incubazione dello struzzo a Marsiglia, e nascita dei piccoli struzzi. — RurZ DE LAVISON, Acclimamento del Gourami.— PicHor, Acclimamento in Russia. — NaK- WASCKI, Acero zuccherino. — NOIRMONT, Specie scomparse dalla Francia o diventate rare. — SALLES, Moltiplicazione delle tartarughe nel Mediterraneo. — SouBEIRAN, Distruzione del serpente ferro di lancia alla Martinica. — Drouin DE LHurs, Addomesticazione e inerociamento delle vigogne e dei lama e alpaca. — MAURICE, Allevamento del baco dell’ailanto colle fo- glie di sommacco. — PoveT, Vegetali del Messico, da acclimarsi nel mez- zodì della Francia, in Algeria, ec. — Sedute, Notizie, ec. Wiirzburger Naturwissenschaftliche Zeitschrift. Il. Band. 1. Heft. Wirzburg, 4861. 410 SEDUTA DEL 24% novempre 18641. Ké6LLIKER, La coclea. — CLAUS, La lernee. — EBERTH, Strongylus tenuis. — MiLLER, Influenze del simpatico. — MiiLLER, Retina di alcuni animali. Vierzehnter Bericht des Naturhistorischen Vereins in Augsburg. 1861. Rapporto sulle fotografie paleontologiche del sig. Maurizio Lotze. Letto nell’ Accademia d’agricoltura ec. di Verona. Verona, 1861. Onsoni, /Z ghiacciaj antichi e il terreno erratico di Lombardia. Mi- lano, 1861. Notizblatt des Vereins fiir Erdkunde zu Darmstadt. WI. Jahrgang. Num. 58, 59, 60. Darmstadt, 1861. Geologische specialkarte des Grossherzogthums Hessen. Section Die- burg. Darmstadt, 41861. Karten und Mittheilungen des Mittelrheinischen Geologischen Ve- reins. Section Dieburg. Darmstadt, 1861. Atti dell'Ateneo di Milano. Vol. II. Dispensa 2.* Milano, 48614. MAGRINI, Coefficente di compressibilità dell’acqua. — Brret, Manicomj in Italia. — SCHIAPARELLI. Il pianeta Esperia. Mittheilungen der k. k. geographischen Gesellschaft. IV. Jabrg. 1860. Wien, 1860. Atti dell’Accademia di scienze e lettere di Palermo. Nuova serie , volume III. Palermo, 1859. | RAGONA, Cometa del 1854. — Colorazione subbiettiva. — MinA PALUMBO, Uccelli delle Madonie, Storia Naturale delle Madonie. — LrBASSI, Con- chiglie fossili di Palermo. Mémoires de la Societé de physique et d’histoire naturelle de Genè- ce. Tome XVI. Genève, 1861. DE CAxDOLLE, Produzione del sughero. — DuBy, Isterinee (Ipoxilee). — CLAPARÈDE, Anellidi, turbellaric, opaline o gregarine delle Ebridi — RITTER, Forma della Terra. — Toti della Società. — PLANTAMOUR, Ten meteorologiche. sebUTA DEL 24 novemBRE 1864. 4A A Memorie dell’Accademia delle scienze di Bologna. Tomo XI. Fasci- colo 2 e 3. ResPicHI, Occultazione delle stelle. — SGANZI, Mercurio dolce. — DeLLa Casa, Rugiada. — ALESSANDRINI, Preparati d’anatomia pato- logica. — BeRTOLONI, Del midollo delle piante dicotiledoni dopo il suo completo sviluppo. — BertoLONI, Miscellanea botanica. — SgARZI, Ma- teria concreta delle terme. — BiANCONI, Forme cristalline dello solfo delle miniere del Cesenatico. Wear MircuetL, Researches upon the venom of the Rattlesnake. Wa- shington, 1864 (4). (4) Le Memorie lette e presentate in questa seduta saranno stampate insieme con quelle della seduta seguento ' ‘* Seduta del 29 dicembre 1861. ; È letto ed approvato il processo verbale della seduta precedente. Mortillet presenta le sue osservazioni geologiche sulla pietra forte e sul terreno nummulitico dei dintorni di Pistoja. Omboni espone verbalmente un sunto della Memoria Cantani sulla membrana secondaria della cellula vege- tale, che fu presentata nell’ ultima seduta e sarà stampata negli Att. Si dà lettura di due scritti di Bertolio su un nuovo acido dei vini, e sugli stud) analitici dei vini. Si legge una lettera di Alessandro Bellotti sull alZeva- mento dei bachi da seta dell’ ailanto; ed una comunica- zione di Polonio suZle vaginicole dei gamberi malati. Tinelli annuncia che i bachi dell’ailanto vissero bene in settembre sugli ailanti all’ aperto, dopo essere stati per qualche tempo su piccoli alberi tenuti nei vasi. Forse ne può essere mangiata una certa quantità dalle lucertole. Il raccolto dei bozzoli, fatto sulla fine di settembre, fu discreto. Colle uova ottenute il signor Tinelli tenterà un nuovo allevamento nella prossima primavera. Casati dice che anche a lui non andò molto male un allevamento, ma le farfalle che se ne ebbero non vollero accoppiarsi mai, Cornalia presenta un esemplare della Istruzione popo- lare per allevare i bachi da seta del marchese Michele Balsamo Crivelli, e dice essere un’opera da consultarsi e sEDUTA DEL 29 picempre 1861. 4415 studiarsi con profitto da chi vuol allevare bachi da seta, anche per ciò che vi è detto intorno al modo di ricono- scere le uova malate mediante l’ esame microscopico. Sono ammessi come nuovi socj 1 signori : RomeJ GiusePPE, capitano farmacista a Casale, proposto dai socj Bertolio, Omboni e Cornalia. DurER BERNARDO, alla villa Sommariva (Tremezzo) sul lago di Como, pro- posto da Omboni, Cornalia e Villa Antonio. Dall’ ultima seduta fino ad oggi sono giunti alla Società i seguenti libri: Rosserri, della visione bioculare. — Venezia 1861. Acht und Dreissiger Jahres-Bericht der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlindische Kultur. — Breslau 1860. Abhandlungen der Schlesischen Gesellschaft fiir. Vaterlindische Kultur. Abtheilung fiir Naturwischaften und Medicin.. 1864. I, II. — Philosophisch-historische Abheilung, 1864, 1. — Breslau, 1861. Jahrbuch der k. k. Geologischen Reichsanstalt, 1860, Num. 2. April bis December, — Wien, 1861. RicHTHOFEN, Studj sulle rocce trachitiche di Ungheria e Transilvania. — Lavori del Laboratorio. — Doni, ec. Cantoni. Annali d’ Agricoltura, 41861. Numeri 410 e 11. — Milano, 1861. Esposizione italiana in Firenze. — Difetti e malattie dei vini. — Espo- sizione di Londra del 1862. — La solforazione peri vini da bottiglie, ec. — Nuovo modo di solforazione per le viti. — Cronaca agricola, ec. Atti delli. r. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo VI, Serie III, dispensa 10. — Venezia. HA SEDUTA DEL 29 DICEMBRE 1861. MoLIN, Piscicultura. — ZANTEDESCHI, Analisi collo spettro. — NAMIAS, Pubblica salute in Venezia. — BuccHIA ed altri. Resistenze dei materiali da costruzione del Veneto. -- SANTINI, Seconda cometa del 1861. — CEc- CHETTI, Mosaici, tarsìe, ec. di Salviati in Venezia. Peretti. Dell’Azione chimica dell’acqua sopra î sali e sopra gli acidi. — Roma 4861. Leowsarp und Brown. Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, ecc., 1861. V. KxoOP, Dei filoni di Kupfererz. — GERGENS, Cristalli di solfo. — DELESSE, Carta idrologica di Parigi. Il Policienico. Fascicoli 66 e 67. — Milano, 1861 e 1862. Rosa, Boschi e torrenti della provincia di Bergamo. — GALTON, Osser- vazioni meteorologiche sincrone e in forma di mappa. — PIATTI, Macchine e lavori pel traforo del Cenisio. — LIoy, Battito nel cuore nel vuoto pueu- matico. Studj di Busoni e Rossi. — MONETA, Sul fiume Vermejo. Pinona. Cenni geognostici sul Friuli. — Udine, 4861. Zweiter Bericht des Offenbacher Vereins fiir Naturkunde. — Of- fenbach am Mein, 4861. Bulletin de la Sosciete imperiale d’aclimatation. Teme VIII, 41. VAVASSBUR, Tatù che si mangia alle provincie della Plata. — LAURENCE, Riproduzione degli uccelli. — RoBERTI, Bachi da seta del Giappone. — LessEPs e COLPAERT, Coca; quinoa e Pito. Barsamo-Crivenui. Istruzione popolare per allevare i bachi da seta, ecc. — Milano, 1864. SULL’ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA DELL’AILANTO LETTERA DEL SIGNOR PROFESSORE ALESSANDRO BELLOTTI La prova dell’allevamento del baco dell’Ailanto all'aperto, tornò al sottoscritto assai infelice. Ricevuta la semente dall’ egregio signor Segretario dottor Omboni nel pomeriggio del 18 agosto p. p., al susseguente mattino mi ac- corsi che già cominciava a nascere, sì che m’affrettai a sovrapporvi delle foglie d’ailanto onde farvi aderire i pochi nati, ma poco dopo osservai che, appiglialivisi, non intaccavano punto la foglia. Frasta- gliata la carta della semente in molti pezzi, li adattai alle foglie dei rami d’ailanto sugli alberi del giardino, nei modi che erano già stati indicati dal chiarissimo dottor Cornalia. Avvenne però che sulla sera, dopo la ostinata siccità, per impetuoso temporale cadde dirotta pioggia, la quale certamente non fu opportuna alla semente appena collocata sugli alberi. Dopo due giorni applicai sugli alberi anche le foglie su cui erasi attaccata la prima semente nata. Facendo giornal- mente osservazione agli alberi, mi persuasi che i semi erano tutti perforati e che quindi i bachi erano nati, ma assai pochi ne rin- venni sulle foglie, e quei pochi assai inattivi. M’accorsi poi anche d’una speciale processione di formiche sugli ailanti, le quali con ogni possibile artificio non arrivai a distruggere o disviare, perchè gli ailanti sono in vicinanza di un muro di cinta, cui toccano coi rami; ai quali le formiche pervenivano sì pel detto muro, sì per altre piante che cogli ailanti intrecciano i loro rami. Finalmente dopo una decina di giorni successe tale uragano con forte grandine, che non solo scosse fieramente, ma sfrondò gli ailanti; sì che al susse- hA6 A. BELLOTTI ) SULL'ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA DELL’AILANTO guente mattino non vidi sui detti alberi che pochi frastagli di foglie bucherellate dalla grandine e non mi fu possibile rintracciare un solo baco, sebbene vedessi ancora in gran parte appiccicati i pezzi di carta della semente bucata. È da notarsi che un terzo circa di carta sementata io affidai al collega signor professore Giuseppe Pedrazzini, che, recandosi per le autunnali vacanze a Sondrio, intendeva farne esperimento nella Val- tellina. Dalle sue osservazioni e dal pari male riuscito suo esperi- mento sono io pure indotto a ritenere che, fatta anche astrazione delle avverse intemperie e vicende, di cui sopra dicevo, l’allevamento del baco ailantino non possa riuscire bene presso di noi nella sta- gione autunnale, perchè la foglia dell'albero di nutrimento è a que- st epoca troppo coriacea da non potere essere menomamente intac- cata dal tenero bruco. Della riuscita in generale dell’ allevamento di questo baco all’aperto presso di noi avrei poi pochissima speranza anche in migliore stagione, considerando quanti nemici si oppongono al fortunato successo. La facile mutazione di temperatura e d’atmo- sfera, le formiche, le lucertole, i passeracei, la naturale ramificazione dell’ailanto, le difficoltà dell’ osservazione, della collocazione e del raccolto devono ritardare assai i nostri voti per un facile e prospero successo de’ tentativi di popolarizzare tra noi l’allevamento all’aperto del baco dell’ ailanto. Monza, 29 dicembre 1861. SUI PARASSITI DEI GAMBERI x NOTA DEL SOCIO A. F. POLONIO La lusinga di vedere le ulteriori osservazioni promesse dal chia- rissimo nostro collega prof, Panceri, sulle vaginicole che infestano i gamberi (Astacus fluviatilis Fabric.) mi fecero fino ad ora aste- nere dal comunicare alla nostra società, come a quella che più di qualunque altra si è occupata della malattia di questi esseri, alcune osservazioni, che ebbi campo di istituire nel passato autunno sì so- pra individui sani che ammalati, Fino ad ora si può dire che la malattia in questi crostacei si è circoscritta alla Lombardia, al Piemonte e solo a qualche località dell’ Emilia; in quantochè da informazioni avute dal Veneto, ivi non è ancora comparsa, come pure la medesima cosa posso dire delle Ro- magne e della Toscana per oculari osservazioni, chè anzi gli esem- plari di gamberi sani da me esaminati provenivano dai mercati di questi due ultimi siti. Avendo portate le mie indagini, in base alla comunicazione fatta dal socio prof. Panceri nella seduta 28 aprile 1861, sugli esseri si ectoparassiti che endoparassiti dell'uno e dell’altro regno organico, ed.avendo stabilito dei confronti nelle proporzioni nelle quali esistono nei gamberi sani e negli ammalati, venni ai seguenti risultati: Anim. ectopar. Sani Ammalati Vaginicolenivdui diyo 7 meo dilotepit a 80 Artacolidellettani go autnabate 1010.1608 » 2 Diatomiée/#"" sagniato le pina 001 » 4 Vol. III. 97 418 A. F. POLONIO, SUI PARASSITI DEI GAMBERI Anim. endopar. Sani Ammalati Distomum isostomum . . . . . a A Greganine ii. 7 SES ot A ” 4 Mondini O ”» 4 Crit. epifite. (NINNA cp RA Gi dn FAM) TI, a LI Mace et MR A) » 4 Da questo prospetto adunque si vede che le vaginicole che occu- pano le branchie, possono essere benissimo la causa della morte pel loro eccessivo numero. Sulle branchie e sull’epidermide ho trovata qualche alga, e su quelli ammalati anche alcune mucedinee, ma ch’io opino sieno posteriori all’alterazione del derma, tanto più che noi sappiamo, che le mucedinee non sono piante parassite, ma che solo crescono là ove trovano un terreno adatto al loro sviluppo. Una spiegazione del genere di morte, quasi fosse l'individuo col- pito da tetano, come risulta dalla comunicazione dell’ egregio nostro presidente professore Cornalia, nell’ adunanza del 28 novembre 1860, non saprei dare. Ma dal complesso delle mie osservazioni sono in- dotto ad abbracciare l’ opinione del collega professore Panceri, cioè: che la causa della malattia sia la presenza d’un enorme numero di vaginicole, che impedendo colla loro presenza la libera ossigenazione del sangue, l'individuo è costretto a morire di lenta asfissia, che portando un’alterazione nel sangue, questa principia a manifestare i suoi effetti nelle parti le più lontane dal centro di ossigenazione, cioè: arti ed adome, ed in conseguenza principiando direi quasi decom- porsi queste parti prima della morte reale dell’individuo ammalato; si alterano grandemente e si staccano con facilità. Pavia, dicembre 18641. SULLO SVILUPPO DELLA COSP DETTA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE E SULLE SUE VARIE MODIFICAZIONI MEMORIA DEL DOTTOR ARNALDO CANTANI INTRODUZIONE La cellula vegetale, come è noto, è composta di due membrane tenerissime, un’ esferna, che consiste chimicamente di cellulosa (in alcuni funghi, licheni ed alghe, di bassorina ), ed un’ interna, nomi- nata dal chiarissimo Mohl l’otricello primordiale perchè si sviluppa sempre prima dell’esterna. La differenza chimica più importante è che l’esterna è priva d’azoto, mentre l’interna ne contiene. Que- st' ultima racchiude ancora un liquido granulato, il così detto proto- plasma, la cui presenza è la principale condizione della vita produt- tiva della cellula. Si sa ancora che l’otricello primordiale serve a formare la cellulosa mediante la secrezione secondo la legge naturale dell’endosmosi ed esosmosi; la membrana esterna dunque non sa- 420 A. CANTANI, rebbe che una parte del protoplasma segregata dall’otricello primor- diale, il quale ne viene vestito ugualmente in tutta la sua periferia , così che, consolidatosi l’umore per formare una membrana continua , questa si adatta alla di lui faccia esterna (Mohl). Quelle cellule che non producono delle cellule figlie, e che perciò non vengono rias- sorbite finchè le ioro membrane sono ancora tenere, ci mostrano più tardi ingrossata la loro membrana esterna, cioè essa viene incro- stata da parecchj strati più o meno distinti, che si adattano alla di lei faccia interna e de’ quali ognuno ha una diversa età. L’ otricello primordiale, cioè, non cessa di secernere a spese del protoplasma varie sostanze, le quali dapprima per intussuccezione fanno più grossa la cellulosa stessa, e più tardi, essendo questa già abbastanza indurita, si collocano fra questa e l’otricello primordiale, dove, unite e saldate insieme, formano una membrana novella, la così detta secondaria , modellata più o meno esattamente sulla membrana esterna (la cel- lulosa ) ossia primaria. La membrana primaria fu dalla maggior parte dei botanici cre- duta omogenea, perchè non lascia conoscere sotto il microscopio una certa struttura; ma poco fa lo svedese I. G. Agardh (4) dimostrò essere composta questa membrana, di certo nelle alghe, e cen gran probabilità anche in altre piante, e forse in tutte, di sottilissime fi- brille, che s’inerocicchiano e s'intrecciano fra di loro ; il che sarebbe il risultato del differenziarsi delle sostanze amorfe che furono segre- gate dall’ otricello primordiale. La membrana secondaria all'incontro è chiaramente composta, come già ne feci menzione, di parecchj strati che si sono modellati l’uno sull'altro: apparenza che ci fa supporre una periodicità della secrezione. Questi strati differiscono anche chimicamente dalla cel- lulosa e consistono per il più di Lignino, di Soverina, di Amido, d’Inulina, ecc., e si compongono d’innumerevoli atomi solidi insieme saldati. Oltrecciò questa membrana non è così continua come la pri- maria ossia cellulosa; anzi la troviamo sempre interrotta in molti luoghi, in forma di righe più o meno lunghe e larghe, o di punti, 4) Vedi la sua opera: De cellula vegetabili fibr'illis temwissimis conteata. Lundae, 4852. DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 4924 che corrispondono sempre a luoghi della cellulosa lasciati a nudo dagli strati secondarj. Molti botanici opinavano esser in simile modo interrotta anche la cellulosa, ma questa, che è diafana, copre sem- pre gl’ interrompimenti della secondaria, c false sono perciò tutte le spiegazioni di quei fitologi, che ci vogliono dichiarare l’origine di quegl’ interrompimenti degli strati secondarj, supponendo dei fori nella primaria. Così erravano Mulder, Hartig e Kiitzing, ed i loro pareri furono tosto rifiutati da Mohl, Schleiden e Schacht, i quali si occuparono di quest’oggelto con tanta diligenza e tanto zelo, che pre- sto misero in luce dei nuovi pareri. Non credo inutile di accennarli con brevi parole. Schleiden credeva originarsi in tutti i casi l’ incrostazione in forma di laminette o fili spirali, i quali in certe cellule 0 per mezzo di stracciamento in due luoghi corrispondenti si distaccherebbero dalla membrana primaria (cellulosa) alla quale aderivano, e, ravvicinandosi le due estremità, si raggiungerebbero od unirebbero in forma di anelli (cellule annulari), e per mezzo di ponticelli che si formereb- bero più tardi fra gli ambiti della spira, diverrebbero modificate in forma di rete colle maglie più o meno grandi. A quest’ opinione diede origine il passaggio delle così dette trachee in vasi annulari, scalari- formi, e reticolati. Ma ben gli risponde Mohl che sarebbe impossibile poi quell’ammirabile regolarità nella distribuzione degli anelli, e che ollrecciò si vedono troppo fortemente aderire alla cellulosa i fili spirali per potersi così facilmente distaceare, stracciare e mutare il loro luogo. avvicinandosi le loro estremità per formar l'anello. E di più, con questa teoria non sarebbe ancor spiegata la formazione delle lami- nette e dei fili spirali, nè sarebbe anche possibile indovinare la strana forza che basterebbe a distaccarli dalla membrana primaria. Schacht poi dice che l’otricello primordiale sia soltanto in certi luoghi capace di secrescere, onde si spiegherebbero gl’ interrompi- imenti della membrana secondaria nelle loro varie forme; ma come, dimanda Willkomm, poteva esso poi formare la non interrotta mem- brana primaria, e più tardi la sì detta membrana terziaria di Moh], che è pur anche continua? Dovrebbe dunque perdere prima la già posseduta capacità di segregare ugualmente in tutta la sua periferia, per riaverla più tardi? 492 A. CANTANI , È dunque sicuro che con queste teorie non si spiegò il processo fisiologico che ha luogo nella cellula vegetale ; e se anche si spie- gava qualche fenomeno, tanti altri, che stanno col medesimo nel- l’intima relazione, rimasero oscuri, e si ricorreva ad altre teorie per spiegare anche questi, a teorie fondate su nuove basi più o meno dubbiose. Una delle più importanti cagioni che il progresso nelle scienze naturali, e principalmente nella fisiologia è così lento e così difficile, è senza dubbio questa, che si riflette troppo poco alla grande sem- plicità nella natura. Tanti fenomeni e tanti processi biologici, che hanno tutti insieme una sola base, vengono invece spiegati l'uno sotto questo, l’altro sotto quel punto di vista; quì si crede attiva questa, e là un’altra delle forze naturali; e spesso poi non può più stare una spiegazione coll’ altra. lo ho sviluppata la mia teoria in maniera diversa e cerco di spie- gare tutto quello che finora si conosce nella cellula per la fitotomia, sotto un sol punto di vista. Jo dimostro nel decorso della seguente memoria che l’intiera pianta dipende dalla vita cellulare, che tutti i processi vitali hanno luogo nella cellula, e che la fisiologia della pianta non si può nemmeno intendere se non si conosce la fisiologia cellulare. Ai nostri tempi si rivendica finalmente alla cellula quell’ im- portanza che per lungo tempo le fu negata, e noi vediamo che ogni pro- cesso vitale, sia nel vegetale, sia nell’ animale, comincia dalla cellula e finisce con essa. I lavori di Kélliker e di Virchow pongono le fon- damenta della fisiologia e patologia cellulare dell’ organismo animale; ed io sono persuaso che in breve tempo anche la fisiologia dell’ or- ganismo vegetale sarà riformata sulla medesima base. La natura è grande nella sua semplicità, e certi principj hanno valore per tutti gli esseri organizzati. La causa principale dell’ingrossamento della membrana esterna è da cercarsi senza dubbio nell’ endosmosi ed esosmosi dei succhi ve- getali (diffusione secondo Dutrochet), la quale si basa sulla permea- DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 4923 bilità delle membrane organiche. Il modo poi della deposizione degli atomi solidi sulla membrana primaria ossia cellulosa, deve dipendere da una particolare proprietà di ambedue le membrane della cellula, cioè dell’otricello primordiale e della cellulosa, le quali entrambi ci si presentano come i naturali diaframmi della diffusione nell’interno della cellula vegetale. La permeabilità di queste membrane per i liquidi diffondentisi è tanto necessaria alla vita della pianta, e si manifesta tanto chiaramente, che non fa d’uopo dimostrarla un’altra volta; quì basterà rammentare che Ja cellula si può tanto imbevere dell’acqua circondante, che alla fime scoppia per l’ enorme distensione delle sue membrane; oltrecciò l’ igroscopicità e la sola idea della diffusione suppongono necessaria- mente la permeabilità delle membrane cellulari per i liquidi. Ma questa permeabilità sarà essa uguale in tutti i luoghi delle membrane? e non è oltrecciò probabilissimo che l’una di queste membrane, cioè l’otricello primordiale, essendo più tenero, sia an- che più permeabile in tutta la sua circonferenza che l’altra, cioè la membrana esterna, ossia la cellulosa? Ecco il punto principale sul quale è fondata la nuova teoria, e si può dire che questa supposi- zione è meno un'ipotesi che un fatto riconosciuto dalla maggioranza dei dotti, perchè una membrana tenera deve naturalmente essere più permeabile d’un altra più salda. lo con questo voglio dire che i liquidi potranno passare più facil- mente e perciò in maggior quantità per l’otricello primordiale che per la cellulosa; ma oltrecciò la permeabilità del primo deve essere uguale in tutta la sua periferia, perchè secrescendo può dar ori- gine alla cellulosa senza che quest’ultima sia interrotta in alcun luogo. Altrimenti sarà della cellulosa, la quale, essendo meno tenera, è anche meno permeabile, e perciò io suppongo, che la sua facoltà di lasciar passare i liquidi non sia uguale in tutti i luoghi di essa, cioè che quà e là possano i liquidi passare più facilmente che altrove, e da ciò risulti un’importante differenza nelle dimensioni delle varie correnti di diffusione. Il processo endosmotico ed esosmotico si con- centrerà in certi luoghi della cellulosa, e sarà meno vivace negli altri. 424 A, CANTANI, La permeabilità non può esistere senza pori; ma noi dobbiamo prendere questa parola nel suo significato scientifico, cioè in quello dei fisici, invece di credere i suddetti pori veri forami come lo fecero Mulder, Hartig e Kiitzing. La porosità è una proprietà comune a tutti i corpi, ed è la condizione indispensabile della permeabilità; una mem- brana dunque non potrebbe essere permeabile, se non ci fossero dei pori nel senso dei fisici, sebbene questi non siano tali da vedersi sotto il microscopio, perchè senza dubbio non avranno mai una direzione di- retta, non essendo altro che interstizj fra i minimi elementi materiali, gli atomi, o, se la scoperta di Agardh venisse affermata per tutte le cellule vegetali, tra le fibrille che compongono una membrana tanto tenera. I luoghi più permeabili della cellulosa saranno dunque forniti d’un maggior numero di tali pori nel senso dei fisici, ma non saranno mai veri forami. Per distinguere questi luoghi più permeabili dai meno permeabili della cellulosa proporrei di aecettare per quelli il nome di diodi (diodos, luogo da passare); e non faccio questo per crear un nuovo nome, ma perchè gli congiungo un preciso significato che favorirà la brevità dello stile. Questi diodi della cellulosa primitiva corrisponderanno ai luoghi lasciati a nudo della cellulosa ormai non tappezzata dagli strati secondarj (1). Ii modo dell’inerostazione ed il rimaner nudo di certi luoghi della cellulosa sono di certo validissime prove per la differenza della permeabilità in diverse parti della detta membrana. In quei luoghi dove la cellulosa non sarà tanto permeabile o dove, essendolo pure, essa si trova confinante con un luogo meno permea- bile della corrispondente membrana della cellula vicina, i liquidi, non potendo così facilmente passare, stagneranno, e come la fi- brina del sangue stagnante si precipita nelle vene dell'animale, così anch’ essi si precipiteranno, dividendosi in una parte, che rimarrà (4) Avendo i sopradetti botanici alemanni fatto tanto abuso della parola pori; io mi vidi costretto di traltare questo punto così estesamente per fissare i miei termini e per evilare ognì malinteso. Voglio aggiungere soltanto che i mici diodi della non crivellata cellulosa corrispondono ai porî di Kitzing, mentre i miei pori non sono che la causa supposta della permeabilità, DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 425 liquida, ed in un’altra solida. Non è per adesso possibile decidere , se gli atomi solidi nuotavano già sospesi nel liquido, o se prima vi erano sciolti chimicamente; però l’ultimo supposto avrà sempre maggiore probabilità che il primo. Nel primo caso gli atomi dovreb- bero essere pur così piccoli, che neppure l’occhio armato d'un buon microscopio li potesse discernere, e che essi avessero potuto passare per l’otricello primordiale, per segregarsi poi, a motivo dello stagna- mento, dal liquido in cui furono sospesi, e per depositarsi in conse- guenza dell’ attrazione degli elementi solidi sulla faccia interna della cellulosa in tutti quei luoghi dove non la potrebbero passare. Nel secondo caso dovrebbero, avendo forse maggior affinità colla cellu- losa che colle sostanze ond’ è composto l’ otricello primordiale, preci- pitarsi, e secondo la legge dell’attrazione depositarsi sulla cellulosa (4). Ciò che non si può negare si è che si separano dal liquido per tap- pezzare la faccia interna della membrana esterna. La disuguaglianza della permeabilità in diversi luoghi della cellu- losa è di grandissima importanza per la vita della cellula e dell’ in- tiero organismo vegetale. L’ uguale permeabilità di essa sarebbe stata tanto nociva alla pianta quanto l’ uguale impermeabilità. Questa sarebbe stata già da principio un invincibile ostacolo alla necessaria diffusione degli umori vitali; ma anche quella il sarebbe divenuta in breve tempo, poichè, passando i liquidi in tutta la periferia della cellulosa con uguale facilità, gli elementi solidi si depositerebbero sull’ intiera faccia interna di essa, e otturerebbero in breve tutti i pori, così che i liquidi poi troverebbero il medesimo impedimento al loro passaggio, come già l’ avrebbero trovato, se la membrana non fosse mai stata permeabile. Ma essendo distribuiti i diodi soltanto in certi luoghi della membrana, i liquidi si possono muovere in queste direzioni con più facilità, onde tutto 1’ umore nello spazio intermem- braneo della cellula si divide in una parte corrente ed in un’altra (4) Il più probabile mi pare, che il sortire de’ liquidi dall’ otricello primordiale sia Ja principale causa del Joro precipitarsi, ed il sopra accennato paragone col sangue riesce ancor più felice e più chiaro, se pensiamo che anche il sangue, quando serte dai vasi, presto si separa in una parte liquida ed una solida. 4526 A. CANTANI, più o meno stagnante, ed in questo gli elementi solidi hanno tempo di depositarsi e di rendere più forte, più salda la parete della cel- lula. La conseguenza inevitabile della risultante impermeabilità della cellulosa nel caso sopra esposto non sarebbe soltanto una morte pre- matura della singola cellula, ma dell’ intiero organismo vegetale, perchè il medesimo processo dovrebbe subentrare in tutte le cellule della pianta, onde poi verrebbe impedita la di lei nutrizione, e pre- maturo entrerebbe il riassorbimento e la morte dell’ essere vegetale. Noi in tal caso non avremmo mai l’occasione di ammirare i duri legni dell’ ebano e del guajaco, e non potremmo riposare all’ ombra di cedri ed adansonie, di castagni e di quercie, che videro passare secoli, e forse migliaja di anni: umili erbe soltanto di poca durata potrebbero rallegrare i nostri occhi. lo sono persuaso, che la durata della vita d’ una pianta dipende principalmente dalla distribuzione e dal numero delle parti più o meno permeabili della cellulosa, e che la distinzione essenziale fra le erbe e gli alberi non ha altra base che la seguente. Nelle erbe rimangono tutte le cellule più tenere perchè la loro membrana esterna è da pertutto più permeabile, i diodi sono più numerosi e più piccoli, e prima che la cellulosa abbia potuto farsi abbastanza grossa, divengono già impermeabili per semplice intussucessione; e la cellula come tale è morta, cioè non partecipa più ai processi vitali. Non così negli alberi, nei quali si vedono an- che sempre più distinti e più grandi, ma meno numerosi i diodi , e più incrostata di elementi non riassorbibili la cellulosa, come nelle quercie, nel tiglio, nei pini. In nessuna erba vedremo delle punteg- giature così distinte e marcate come nei suddetti alberi; e fra gli alberi stessi vediamo quelli di legno duro (p. e. le quercie) forniti di cellule molto più grosse, di punteggiature molto più sviluppate, € godenti di una vita molto più lunga che quelli di legno dolce ( p. e. i pioppi, i salici). La cellula dell’albero ha tempo di farsi grossa perchè i diodi rimangono permeabili per un tempo più lungo, e non è poi più tanto soggetta al processo del rissorbimento. Per mezzo dell’attrazione gli atomi solidi, dopo essersi segregati dal liquido, vengono raunati e saldati, così che pian piano jformano delle croste addattate alla faccia interna della cellulosa e lascianti a DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 427 nudo soltanto i di lei luoghi più permeabili ai liquidi, cioè dunque i diodi. Ma la secrezione dell’ otricello primordiale deve aver luogo in certi intervalli, cioè essa tornerà a periodi più vivace, e questa pe- riodicità è la cagione che si lasciano distinguere varj strati, modellati l’uno sull’ altro e formanti nel loro insieme l’intiera crosta d’ingrossa- mento, la così detta membrana esterna secondaria, un’espressione che è accettabilissima, se la cellulosa semplice viene nominata membrana esterna primaria della cellula. Anche la periodicità stessa deve però avere una cagione, ed io credo dipendere essa per lo più dal cam- biar del tempo, dall’alternare di giorni asciutti ed umidi. L’ umore terrestre che viene assorbito dalle radici, è il momento condizionale della diffusione dei succhi vegetali; perciò, se le pioggie mancano per qualche tempo, sarà ritardato anche il processo della diffusione nelle cellule, ma ritornerà con più vivacità dopo essere stata nuovamente bagnata la terra. Anche gli strati concentrici del legno degli alberi non hanno altra ‘origine, e sono un prodotto dell’ interrompimento della vegetazione per il lungo inverno, e si sa che qualche volta in un solo anno si formano due strati se l’estate è lunga e molto asciutta, o se per alcuni mesi si osserva un considerevole abbassamento della temperatura seguita da un nuovo aumento, perchè in ambedue questi casi la vegetazione viene arrestata più o meno lungo tempo, e ripiglia nuovo vigore col ritorno di più favorevoli circostanze. Oltrecciò gli strati legnosi che si formano in anni molto umidi sono più larghi, ma meno saldi che quelli di anni asciutti. Ma il medesimo processo ha luogo nella singola cellula e nell’ intiero albero, e le medesime con- dizioni si trovano per l'una e per l’altro. — Perchè non ne sarebbe anche uguale l'effetto? Da ciò si vede soltanto che le leggi della na- tura, e principalmente le vitali, sono molto più semplici di quello che ordinariamente si crede, e tanti fenomeni, che finora furono ascritti a diverse cagioni, o già si lasciano, o forse più tardi, coi progressi della scienza, si lascieranno ridurre alla medesima origine, alla me- desima legge. E che la sopra esposta opinione non sia priva di ragio- ne , ce lo dimostrano tanti fatti. Tutte le piante terrestri, p. e., pos- seggono gli strati della membrana secondaria più sviluppati e più distinti che le piante crescenti nell’ acqua, le quali non devono aspet- 428 A. CANTANI , tare le pioggie dal cielo per continuare ognora con uguale vivacità la loro vegetazione, e nelle quali perciò non avrà si facilmente luogo una periodicità della secrezione cellulare; così le Ninfeacee, la Vero- nica Beccabunga, ecc. (1), e gli alberi stessi che amano il terreno pantanoso, come i salici ed i pioppi, gli olmi, ecc., hanno più omo- genea la membrana secondaria, cioè i singoli di lei strati si possono meno bene distinguere, che negli alberi di legno duro che crescono in terreno più arido, come le quercie, il carpino, i cedri, ecc., dove la vivacità della diffusione in correlazione colle pioggie or s’aumenta, or scema. È sicuro un fatto di somma importanza che gli strati le- gnosi dell'albero dipendono dalla qualità degli strati secondarj della cellula, e questa loro correlazione finora non fu degnata di quell’ at- tenzione che merita. È questa una nuova prova di quanta impor- tanza è la fisiologia della cellula per lo studio della fisiologia del- l'organismo vegetale, e che questa deve aver quella per base. Gli strati più vecchi, com’è noto, si trovano sempre più vicini alla cellulosa, ed i più giovani sono quelli che confinano coll’otricello primordiale. Oltrecciò tutti gli strati secondarj non presentano mai quella continuità che è propria delle vere e primitive membrane della cellula, anzi sono in diversa maniera interrotti, perforati. Ciascun inlerrompimento si trova sempre esattamente posto sopra gli altri, così che l’ insieme dei soprapposti per l’intiera grossezza della membrana secondaria compone sempre un piccolo canale, che va dall’otricello primordiale alla cellulosa, 0, per esprimermi con più accuratezza, al luogo rimasto permeabile della membrana esterna primaria, cioè al diodo. Anche questi canaletti furono, e vengono ancora da molti botanici nominati « pori », quantunque questo termine sia ado- prato ormai in tutt'altro senso; perciò, se questi canaletti devono aver un nome proprio, proporrei di nomarli « canaletti diodei ». Secondo le varie direzioni delle correnti endosmotiche ed esosmotiche nello spazio intermembraneo della cellula, si troverà anche diversa (1) ll medesimo s’incontra nelle piante grasse, p. e. nei Cactus, perché esse contì- nuano per tutto l’anno a vegetare coll’ istessa vivacità, non dipendendo dalle condi- zioni telluriche per il molto umore che contengono. DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 4929 la canalizzazione della membrana secondaria nelle cellule, di modo che qualche volta ci si offrirà più semplice, ed altre volte più o meno reticolare, se i canaletti, p. e., si diramano. Poi vedremo gli strati d’ ingrossamento sotto il microscopio perforati a crivello. Come già avvertimmo, ogni diodo d’una cellula ingrocsata corri- sponde sempre ad un simile della cellula confinante; perciò anche i canaletti di due cellule vicine s’incontreranno ognora al diodo e pas- seranno l’uno nell’altro. Ma al confine delle due cellule saranno sem- pre separati l’uno dall’altro per una membrana di tramezzo, la quale non è nient’ altro che quel luogo più permeabile della cellulosa che rimase a nudo e per cui continua il processo della diffusione, ed è dun- que il diodo. Ma questa membrana di tramezzo è doppia, cioè composta dei diodi delle due cellule ‘confinanti, e stesa al par di tenda sopra lo sbocco di ognuno dei canaletti incontrantisi. Essa non manca mai se prima non venne accidentalmente distrutta, come succede per riassorbimento nelle cellule di alcuni muschi, p. e. dello Sphagnum, del Dicranum glaucum, ecc. L'acido solforico diluito distacca i singoli strati della membrana secondaria | uno dall’altro, così che appajono molto più distinti. Al- lora si vede anche che lo strato più giovine, ossia quello che in- veste l’otricello primordiale fino a quando questo si è conservato, produce coll’ lodio la stessa reazione che la membrana primaria o0s- sia cellulosa, cioè si tinge di celeste, mentre gli altri strati d’in- grossamento reagiscono diversamente. Da ciò si può conchiudere che esso consista chimicamente della medesima sostanza, o che sia almeno molto affine alla cellulosa, mentre gli altri strati consistono di diverse sostanze, p. e. di lignina, silogeno, soverina, ecc. Perciò propose il botanico di Tubinga di distinguere quello strato più giovane e più tenero col nome di « membrana terziaria ». Questa differisce dagli altri strati d’ingrossamento ancora per la sua continuità, cioè essa non è interrotta in nissun luogo e si addatta alla faccia dell’ otricello primordiale in tutta la di lui periferia, così come una volta, avanti d’ingrossarsi, lo faceva già la cellulosa ossia primaria. Essa investe dunque dapertutto la faccia interna della membrana secondaria, e spingendosi anche nei canaletti delle cellule punteggiate e fra le lami- 450 A. CANTANI, nette spirali, arriva alla fine ad investir anche la faccia interna dei diodi. La sua continuità si spiega semplicemente dal cessato bisogno di servir la cellula alla diffusione anche in futuro. Essa è, come già dissi, l’ultimo degli strati d’ingrossamento, e nasce ad un tempo dove la diffusione è già meno vivace o va cessando; gli atomi solidi che si segregano dalla tanto rallentata corrente, vengono attratti da pertutto e si depositano per ciò non solo sulla faccia interna della membrana secondaria, ma tappezzano anche i di lei canaletti, ed alla fine, cessando ormai la diffusione, i diodi stessi della cellulosa. Sarebbe molto difficile, anzi impossibile il voler spiegare perchè ci sia quella differenza chimica fra la membrana terziaria e la seconda- ria, e perchè quella sia affine alla cellulosa; tale schiarimento lo dobbiamo aspettare dai posteri, che forse. meglio di noi conosceranno i processi chimici durante la vita dell’ organismo. Tutto quello che finora se ne potrebbe dire, non sarebbe che un'ipotesi ardita, perchè basata su altre ipotesi e non su fatti conosciuti. Finora abbiamo considerato soltanto i diodi della membrana pri- maria (cellulosa); ma vi hanno delle piante che ci lasciano scorgere una deposizione di elementi solidi anche sulla faccia interna dell’otricello primordiale. Fino adesso si conoscono come tali le Caracee e la Cau- linia fragilis, nelle quali il nostro connazionale Buonaventura Corti, nel1772 a Firenze, scoprì la così detta rotazione del protoplasma, un importante fenomeno che, caduto poi in oblio, fu di nuovo trovato e confermato dal nostro grande Amici nel 1819; poi ancora le fibrille della radice dell’ Hydrocharis morsus rane, le cellule del fusto della Najas e delle foglie della Vallisneria spiralis, i peli unicellulari del pistillo dell’Oenothera muricata e della Circoea lutetiana, i peli dello stimma della Portulaca, e le cellule di molte Cucurbitacee e dei peli staminei della Tradescantia virginica. — In queste cellule si vedono deposti dei corpuscoli verdi sulla faccia interna dell’otricello primor- diale, disposti in fila nella direzione della suddetta corrente del proto- plasma. Molti li credevano di clorofilla, altri, come Agardh, che li para- gonò alla sostanza nervosa dell’animale, ne derivavano un’ influenza mo- vente sul protoplasma. lo non crederei che questi corpuscoli verdi fossero la cagione della rotazione del protoplasma, ma piuttosto sup- DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 431 porrei che non fossero che l’effetto della diffusione e d’ un’ inuguale permeabilità dell’otricello primordiale, in somma sarci inclinato a ridurre le verdi spirali sulla di lui faccia interna al medesimo prin- cipio, alla medesima legge, che credo di dover stabilire per l’ in- grossamento della cellulosa. Formata anche la membrana terziaria, e cessata la diffusione, spa- risce il succo liquido nell’ interno della cellula ed anche l’ otricello primordiale si perde per riassorbimento. S° intende che ormai la cel- lula si deve considerare morta, e che essa non ha più altro scopo che quello di servire da passivo sostegno materiale ossia scheletro alla pianta. Essa adesso si riempie d’ aria, e forse soltanto al tempo. della più vivace ascensione del succo nell’ albero è ancor capace di favorire questa ascensione secondo la legge della capillarità, la quale, insieme colla evaporazione nelle cellule superficiali e coll’ endosmosi ed esos- mosi, è il motivo d’ogni ascensione di liquidi nell'organismo vegetale. Il. L’interna faccia della membrana esterna ingrossata ci presenta un vario aspetto che dipende dalla distribuzione e forma dei diodi. Ab- biamo già mentovato che essi possono aver la forma di righe più o meno larghe e lunghe, o di punti più o meno rotondi. Se i diodi hanno la forma di righe più o meno parallele l’ una all'altra, danno origine ad un simile modo d’inerostazione, e Ja membrana secondaria ci presenta interrompimenti in forma di righe, che corrispondono ai diodi della cellulosa. Dalla vicinanza, dalla maggiore e minore lar- ghezza e lunghezza di queste righe e dalla loro distribuzione dipen- de naturalmente anche la forma della materia d’ingrossamento, che si trova collocata e depositata fra esse; noi vedremo dunque, per esempio, le linee d’ incrostazione più o meno larghe, comunicanti fra di loro e componenti così una rete con maglie più o meno larghe, con fili più o meno sottili; così che la membrana secondaria merita ora il semplice nome di rigata, ora, potendosi le righe paragonare ai gradini d’ una scala, quello di scalariforme, ed ora, avendo somi- glianza con una rete a maglie più o meno grandi, quello di reticolata. 459 A. CANTANI, Supponiamo adesso dei diodi tanto allungati quanto in forma di linee circolari più o meno larghe, i quali si estendano per tutta la, circonfe- renza della cellula; non potremo immaginare la sostanza d’ ingrossa- mento, che si trova fra questi cerchi rimasti a nudo, di altra formaTche di quella di anelli, paralleli ai diodi tanto prolungati, e separati l’ uno dall’altro. In tal caso la cellula viene denominata annulare.»Gli anelli poi possono esser l’ uno dall’ altro più o meno distanti, secondocchè il frapposto diodo circolare è di larghezza più o meno grande. Se poi questi diodi prolungati, che girano attorno I’ intiera cellula, non si raggiungono colle loro estremità, ma invece ascendono in forma di spira, la cellula riceve il nome di cellula spirale, perchè anche la frapposta sostanza incrostante è costretta a formare una spira attorno l’intiera cellula. La spira poi può consistere in un sol filo o in parecchi paralleli, uniti in forma di laminetta svolgibile e che si può esaminare per sè sola sotto il microscopio. La formazione di queste laminette si potrebbe spiegare supponendo che non tutti i diodi spirali siano di uguale larghezza, ma che alcuni si distinguano per larghezza più grande, mentre la maggior parte di essi siano più stretti. 1 fili spirali fra questi ultimi saranno dunque più vicini 1’ uno all’altro che là dove si trova un diodo più largo; perciò, colla pro- grediente incrostazione, i diodi più stretti resisteranno meno al tappezzamento, ed a poco a poco verranno anch’ essi leggermente vestiti delle sostanze ingrossanti, così che un certo numero di fili spirali alla fine si troverà unito, saldato, e ne risulterà una specie di coerenza, che li radunerà in forma di laminette; mentre là dove il diodo spirale è più largo, questa coerenza non potrà aver luogo, ri- manendo esso intieramente nudo. Perciò le laminette svolgibili sì possono facilmente scomporre, e si vedono sotto il microscopio divi- dersi in parecchi fili, essendo la coerenza di questi, per imperfetto tappezzamento dei frapposti più stretti diodi, soltanto leggiera, in- completa. Ma quando i diodi hanno la forma di punti più o meno grandi e rotondi, allora anche tutti gli strati secondarj saranno corrisponden- temente interrotti da piccoli forami, soprapposti l’uno all’altro, così che tutti insieme comporranno un canaletto che attraverserà la mem- DELLA MEMÉRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 455 brana secondaria in tutta la di lei larghezza, ed il quale, come già dissi avanti, vorrei chiamato canaletto diodeo. Gli strati d’ ingrossa- mento sono dunque forati a crivello e la cellula viene perciò comu- nementle detta punteggiata , ed il diodo, cioè il luogo rimasto nudo e permeabile della cellulosa sopratesa, punteggiatura. Quante dunque sono le punteggiature della cellulosa, tanti saranno anche i forami in ogni singolo strato incrostante, e tanti i canaletti diodei, almeno verso la cellulosa, perchè questi ultimi ( come si vede spesso nelle cellule dell’ Hoya carnosa) possono trovarsi in minor numero verso l’ otricello primordiale, ma diramandosi nella membrana secondaria, crescono di numero verso la cellulosa, per terminarvi ognuno al corrispondente diodo, che li separa dai canaletti corrispondenti della cellula confinante. Tanto queste possibili ramificazioni dei canalet- ti, quanto le loro anastomosi, che si trovano principalmente in cel- lule con grossa incrostazione, devono dipendere dalle ramificazioni ed anastomosi delle correnti endosmotiche ed esosmotiche delle quali essi sono accurati modelli. Queste correnti passano da una cellula nell'altra, e da ciò si comprende il perchè sempre la punteggiatura di una cellula corrisponda a quella della confinante, potendo soltanto così aver luogo la diffusione senza interrompimento; e si spiega anche il perchè si trovano le punteggiature soltanto in quelle pareti d’una cellula che confinano con pareti ugualmente punteggiate d'un’ altra cellula, e perchè mancano da quei lati di essa che non servono che a comporre un meato intercellulare. Tutto il sistema dei meati intercellulari, come è noto, non contiene materie assimilabili, anzi lo dobbiamo considerare soltanto come magazzino per gli escrementi delle cellule, i quali sono affatto inutili alla vita vegetale, come le re- sine, gli olj eterei, ecc. Ma tali sostanze, riguardo alla diffusione, non stanno più in rapporto col succo cellulare che deve nudrire 1’ orga- nismo vegetale, e perciò quelle pareti della cellulosa che spettano ai meati intercellulari, sempre s’ incrostano intieramente senza che vi sì possa scorgere un diodo col rispettivo canaletto. lo credo che questo fenomeno sia una valida prova per la teoria, secondo cui il modo dell’incrostazione dipende intieramente dal processo endosmotico ed esosmolico nella cellula, processo in cui si concentra la vita cellulare. Vol, HI. 28 434 A. CANTANI, Pur è vero che i meati intercellulari conducono anche dei gas di somma importanza per la vita vegetale, come l'ossigeno e l’acido carbonico, i quali vengono assorbiti dagli stomi dell’epidermide e mon possono entrare nella cellula se non per mezzo della diffusione ; ma è anche certo che i fluidi elastici per la loro incomparabile espansibilità potranno passare anche la solida crosta che tappezza la cellulosa, mentre essa non è più permeabile per i liquidi. Chi poi considera che i canaletti diodei sono la via per la diffu- sione de’ liquidi, che è condizione indispensabile della vita cellulare, senza dubbio supporrà ch’essi non mancheranno in una parte del- l'organismo vegetale che ha da arrivare ad una certa età. Ed in fatti le punteggiature coi rispettivi canaletti non mancano in nessuna pianta, come ognuno se ne può convincere. Anche Schacht assicura « che si trovano in ogni cellula che è soltanto un poco ingrossata, là dove essa confina con un’altra. Coll’ajuto d’una soluzione di zinco clorato le punteggiature coi loro canaletti si trovano sempre, quando si esaminano delle cellule isolate per macerazione. Qualche volta sono molto piccole, ma poi anche molto numerose, e ci si presentano come punti scolorati od almeno più chiari sulla cellula tinta tutta di celeste » (4). Vedendo però il signor Schacht che le dette punteggiature per tutto il parenchima della pianta si trovano soltanto su quelle pareti della cellulosa che confinano colle pareti ugualmente punteggiate di altre cellule, mentre mancano affatto Jà dove la cellula serve soltanto a comporre un meato intercellulare, egli credeva di dover conside- rare un’inesplicabile eccezione della legge comune la apparizione di punteggiature coi rispettivi canaletti su quella parete delle cellule dell’epiderme che guarda al di fuori ed è rivolta perciò all'aria atmo- sferica. lo all’incontro la credo necessaria, perché l'epidermide delle piante non assorbisce soltanto dei corpi fluidi elastici, cioè dei gas (per mezzo degli stomi, onde poi passano nel sistema intercellulare) e dei vapori (per mezzo delle vere cellule epidermoidali), ma anche dei liquidi, come succede dopo ogni pioggia ed ogni rugiada che ristora (4) Vedi ScHacur, Physiologische Botanik. DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 435 ie foglie avvizzite; il che è tanto spesso un’indispensabile con- dizione della conservazione di tante piante, che crescono in aride terreno, sulle rupi esposte ai fervidi raggi del sole estivo, o negli arenosi deserti dei tropici. L’umore non può entrare nelle cellule dell’ epidermide se non per mezzo della endosmosi ed esosmosi, e dunque, se si trovano le medesime condizioni per la parete esterna di dette cellule come per le loro pareti interne che confinano con cellule, perchè poi non dovrebbe essere anche l’effetto il medesimo? L’inuguale permeabilità della loro cellulosa, insieme colla diffusione, spiega la necessità della formazione di punteggiature e canaletti anche là dove la cellula è in contatto coll’aria. Anzi il processo en- dosmotico ed esosmotico deve esser vivacissimo nelle cellule dell’ epi- dermide, perchè nell’interno contengono dei succhi condensati per evaporazione, mentre sulla loro faccia esterna si trova la pura acqua di pioggia, che si può dire quasi distillata. Da ciò si comprende an- che che la corrente endosmotica non potrà servire a tappezzare Ja faccia esterna della cellula epidermica, mentre la corrente esosmo- tica (cioè quella che va dall'interno all’ esterno) dovrà inerostare la faccia interna della cellulosa. Da ciò vediamo alla fine, che la legge naturale della diffusione dei liquidi d’inuguale densità, insieme colla da noi presupposta ineguale permeabilità della cellulosa, ab- batte la artificiale legge del signor Schacht, cioè quella dell’ esclusiva apparizione delle punteggiature sulle pareti della cellulosa confinanti con altre cellule punteggiate in modo corrispondente. Qualche volta le punteggiature non sono rotonde, ma più o meno ovali od oblunghe, e poi sogliono esser così distribuite, che una linea ideale che congiungerebbe i loro diametri ascende in forma di spira attorno l’intiera cellula. Alcuni credono che queste punteggiature, che hanno una forma simile a quella delle righe, siano originaria- mente rotonde, ma che si siano allungate col crescere della cel- lula in una certa obliqua direzione quando cominciò ad ingrossar- si. lo dubiterei che la cellula cresca ancora quando la membrana esterna già s'ingrossa, e sono del parere che la forma ovale od oblunga delle punteggiature sia la loro primitiva, perchè è facile considerarle come passaggi delle normali punteggiature in forma di 456 A. CANTANI, punti alle righe e spire continue. La diffusione non dipende dalla forma, ma bensì dall’esistenza dei diodi. Un fenomeno caratteristico delle punteggiature di molte piante sono i cerchj concentrici all’intorno della imboccatura del canaletto diodeo, che si vedono sotto il microscopio e che si trovano regolar- mente nelle famiglie delle Conifere, delle Salicinee, Acerinee, Tiglia- cee, ecc. Se ne trovano un solo, od anche due, e si possono parago- nare agli aloni che attornano le stelle. Per esprimere la loro rela- zione coi diodi, proporrei di nominarli alone diodeo semplice e doppio. Là dove si trova un semplice alone diodeo, si vede che in quel luogo, dove i canaletti di due cellule confinanti s'incontrano al diodo, le membrane esterne delle due cellule, che altre volte si toccano senza lasciare un interspazio, si scostano l’ una dall’altra, onde nasce una cavità intercellulare di forma lenticolare, le cui pareti concave vengono formate dai due diodi corrispondenti. La circonferenza di siffatto spazio intercellulare è circolare, od anche un poco elittica, e forma un cerchio attorno il diodo, essendo il diametro di quest’ ul- timo più corto che quello del primo. L’alone diodeo dunque non è nient’ altro che il contorno del cavo lenticolare che si vede sopra- posto alla punteggiatura, quando questa si esamina col microscopio guardandola dalla superficie. lo proporrei di attribuire a questa cavità lenticolare il nome di cavo interdiodeo. Il signor Schleiden opinò che questo cavo interdiodeo si formasse prima dei corrispondenti canaletti., per mezzo di una bolla d’aria che s’internasse fra le membrane esterne delle cellule; e sostenne perciò pure che esso fosse sempre riempito d’aria, laddove Mohl e poco fa anche Schacht dimostrarono che esso contiene umore cellulare fin che ne sono riempite anche le cellule, e che poi, quando queste non contengono più che aria, anche il suddetto cavo, privo d’ umo- re, si riempie di gas. E non può esser altrimenti, se ci ricordiamo che tutti i processi vitali della cellula dipendono dall’ endosmosi ed esosmosi; anzi sarebbe davvero incomprensibile come quel cavo in- terdiodeo potesse contener aria in un tempo in cui gli umori cellulari che servono alla diffusione lo debbono passare. — Ma anche l’ ori- gine stessa del cavo interdiodeo si può spiegare in maniera semplice DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 437 e chiara colla sola diffusione. Le correnti endosmotiche od esosmoti- che devono attraversare i diodi d'ambedue le cellule confinanti; ma un tal diodo non è che un diaframma, e perciò la corrente che, at- traversata una membrana, deve attraversare ancor l’altra, si dovrà rallentare, non potendo così subito vincere un doppio ostacolo; onde la coerenza delle due membrane, che prima si toccavano, vien sciolta, esse si scostano, e l'umore si spande in questo nascente interspazio, e, diffondendosi ugualmente in tutte le direzioni, dà origine alla forma più o meno circolare del cavo, il cui contorno sotto il microscopio ci presenta l'aspetto dell’ alone diodeo. Là poi dove si trova un alone doppio attorno la punteggiatura , il cerchio interno si vede sotto l’ esterno. Quest’ ultimo corrisponde all’alone semplice ed ha dunque la medesima origine, cioè viene formato dal contorno circolare del cavo interdiodeo, mentre il cerchio interno è l’effetto d’ un allargamento infundibuliforme del canaletto diodeo alla sua imboccatura. Sotto il microscopio vedremo dunque il fondo più stretto del canale dìodeo in forma d’un puntino (la pun- ieggiatura), attorno il quale ci si presenta un cerchio concentrico interno (il contorno dell’allargata imboccatura) ed uno esterno (il contorno circolare del cavo interdiodeo lenticolare), e l’ insieme di tutto questo viene da noi detto punteggiatura con doppio alone. L’allargamento infundibuliforme del canaletto diodeo alla sua imboccatura è di nuovo un risultato della diffusione e della deposi- zione degli atomi solidi che fra le due membrane d’una cellula si segregano dal liquido. Questi atomi si depositeranno secondo la legge dell’ attrazione, sulle pareti non solo della cellulosa ma anche dei ca- nalelti già formati, e restringeranno perciò la loro dimensione nella direzione dall’ otricello primordiale verso la cellulosa, così che essi saranno più larghi quanto più vicini al diodo e presenteranno la forma d’infundibulo. Dunque, non l’ allargamento della loro imbocca- tura, ma il ristringimento dell’altra loro estremità, sarà la vera ori- gine del cerchio interno d’un alone doppio. Il ristringimento stesso sarà l’effetto di un ritardo nella corrente in conseguenza di ade- sione e sfregamento. Dove un liquido corre per un tubo, la cele- rità sarà diversa nei diversi strati della corrente, più rapida nello 41583 A. CANTANI; strato di mezzo, cioè nell’asse immaginario del tubo, e più lenta negli strati periferici, che hanno da combattere l'adesione e lo sfre- gamento sulle ruvide pareti del canaletto. Perciò gli atomi si deposi- teranno sulle pareti degli stessi canaletti subito che si separano dal liquido, onde il canaletto verrà a poco a poco sempre più ristretto, e tanto più quanto più vicino all’otricello primordiale, perchè la corrente ne sarà sempre più scarsa quanto più s’avvicina alla cellu- losa, onde l’imboccatura del canaletto al diodo rimarrà così larga come era da principio. Questo succederà però soltanto là dove la grossezza della membrana secondaria è abbastanza considerabile per spiegare una tale differenza nel depositarsi degli atomi, e dove Ia corrente endosmotica ed esosmotica non è tanto rapida per spingere gli atomi avanti, acciò che si possano depositare in ugual numero lungo le pareti dell’intiero canaletto, il quale in tal caso avrà da pertutto una quasi uguale dimensione, ed al quale perciò mancherà la forma d’infundibulo all'imboccatura, cioè il cerchio interno attorno la punteggiatura. Il cavo interdiodeo è poi tappezzato di una tenerissima membrana, che è chimicamente affinissima alla cellulosa e che fu scoperta dal signor Schacht. Essa viene comunemente considerata come continua- zione della sopraccennata membrana terziaria di Mohl, ma l'origine finora non venne spiegata nè dell’una nè dell’altra delle due mem- brane. È ben difficile formarsene una chiara idea; ma è pure proba- bile che essa nasca come la membrana terziaria per deposizione di atomi solidi segregantisi dall’ umore mentre esso ancora riempie il cavo interdiodeo, soltanto che la grande affinità colla cellulosa e perciò anche colla membrana terziaria, ci lascia nell’ oscuro riguardo al tempo della sua formazione. UL’ affinità chimica però c’ indurrebbe a eredere che essa si formi in pari tempo colla membrana ter- ziaria, ossia quando la diffusione ormai va estinguendosi, e non sa- rebbe impossibile perciò che, tanto la membrana terziaria, quanto questa membrana interdiodea , fossero soltanto l’effetto dell’ evapo- razione degli umori contenuti, le sostanze solide dei quali formas- sero un sedimento , che intappezzerebbe tutte le pareti del cavo, così come un sale sciolto in acqua incrosta il vaso in conseguenza DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 439 dell’ evaporazione. Questo processo s’ accorderebbe almeno coll’ en- trare dell’aria nella cellula e nel cavo intordiodeo allorchè la diffu- sione, e perciò anche la vita della cellula, è terminata. Da ciò si vede almeno in quale stretta relazione colle cellule con- finanti stia questo cavo interdiodeo. Esso ha comune con loro l’ umo- re, fin che lo contengono anch’ esse, e più tardi l’aria, come pure quella tenera membrana affine alla cellulosa, che vien formata dal- l ultimo sforzo della cessante diffusione. III. Voglio ancora aggiungere alcune parole sopra i vasi, le pareti dei quali alla loro faccia interna ci presentano il medesimo aspetto come le cellule ingrossate. I vasi, com'è noto, non sono che una serie di cellule sopraposte linearmente l’una all’altra, con distruzione delle pareti trasversali che una volta separavano le singole cellule d’ una siffatta fila. Essi contengono ordinariamente dell’aria, ma al tempo dell’ ascensione del succo, allora che tutte le parti del tronco nuovamente s’imbe- vono d’umore, anch'essi si riempiono di liquidi e favoriscono l’ a- scensione loro secondo la legge della capillarità. La distruzione dei sedimenti. dei quali ognuno consiste di due membrane, cioè della parete inferiore della cellula sopraposta e della parete superiore della cellula sottoposta, è effetto di semplice rassorbimento, ed io suppongo che la continua corrente endosmotica ed esosmotica, prevalente in una certa direzione, ne sia la causa più vicina. É certo che nel tronco la diffusione è più vivace dal basso in alto che in altre direzioni, cioè ch'essa ha luogo principalmente lungo l’asse del tronco o del ramo, perchè il succo vegetale viene assimilato e condensato nelle foglie, mentre le radici assorbiscono l’acquoso umore della terra. Per questa prevalenza della diffusione ascendente e discendente an- che le pareti trasversali delle cellule che in questa direzione sono sopraposte l’una all’altra, verranno distrutte per strofinio, e perciò si rassorbiranno, dando origine ad un canale continuo, le pareti del quale saranno formate da tante pareti laterali di singole cellule che 440 A. CANTANI, cessarono di esser fra di loro separate. Da ciò si spiega anche il perchè tutti i vasi dei fusti ascendono paralleli all’ asse, mentre nelle foglie formano una rete più o meno irregolare: perchè quì la diffusione ha luogo per tutta la estensione della foglia ed in diverse direzioni, come è necessario, se si pensa all'importante funzione di quest’organo. E pure anche nelle foglie osserviamo certe leggi della formazione dei fascetti vascolari, che tante volte sono caratteristiche per intiere famiglie e classi di piante (p. e. monocotiledoni e dicotiledoni), e la così detta nervazione della foglia, che ne è formata, è a mio parere soltanto l’effetto della prevalente diramazione delle correnti endosmo- tiche ed esosmotiche nella foglia. Da quello che fu detto finora sopra l'origine dei vasi, si com- prende che l’aspetto della loro faccia interna dipenderà dalla ma- niera d’incostrazione propria alle cellule onde si sono composti, e perciò distinguiamo anche dei vasi rigati, scalariformi, spirali (4), annulari, reticolati e punteggiati. Dove i vasi sulla loro superficie esterna ci mostrano dei ristringimenti, che hanno origine dalla sal- datura d’una serie di cellule rigonfie un poco nel mezzo, essi imi- tano la forma d’un rosario e perciò vengono detti moniliformi (0 vermiformi). Parlando dei vasi non posso passare sotto silenzio i così detti vasi proprj 0 laticiferi. Questi veramente non sono che una modificazione delle cellule fibrose, le quali inutilmente da moltissimi botanici ven - gono distinte col nome di fibre. I vasi laticiferi sono dunque cellule molto allungate, in forma di fibra, ma sempre diramate e riempite di un succo colorito, il così detto succo proprio o latte vegetale o pure latice (latex). Essi prendono origine al pari delle fibre dal cambio, e formano come queste otricelli chiusi; imitano bensì la forma d’ un vaso per la loro sorprendente lunghezza, ma, differendo da essi nella genesi e nella funzione come pure nella forma morfologica, non me- ritano il nome di vasi. Si trovano delle cellule diramate, che ricevono la loro forma da un’ inuguale estensione durante il loro crescere, ma (4) I vasi spirali vengono detti anche trachee; preferisco il primo nome come più scientifico. perehè pur non sono che una specie di quell’organo il cui nome genericò O Vaso, DELLA MEMBRANA SECONDARIA DELLA CELLULA VEGETALE 44 i . senza latice, in molte piante, principalmente nelle alghe unicellulari, fra le quali è la più memorabile la Caulerpa prolifera, dell’altezza d’un piede, formata da una sola cellula, che diramandosi imita la forma d’un fusto con foglie. Tutte le cellule stellate (p. e. del midollo) non sono anch'esse che cellule diramate in forma di stella, cioè con rami più corti e simmetrici che partono dal centro in forma di raggi. Fra le stesse cellule fibrose che non conducono latice, si trovano delle forme che rappresentano il passaggio nei così detti vasi laticiferi, come ce lo mostrano, p. e., le fibre della canapa diramate all’ apice in modo .di forca, 0, come sì suol dire, dicotome. Perciò anche i vasi la- ticiferi meriterebbero piuttosto il nome di cellule laticifere, come le fibre quello di cellule fibrose: nomi che a questi organi furono riven- dicati ormai dai botanici allemanni. La diramazione delle cellule non può succedere che in quel tempo in cui esse ancora crescono, ed è sempre il risultato d’un ineguale crescimento, che prevale in certe direzioni, mentre la cellula cessa di estendersi nelle altre. Io sono propenso a credere che la ine- guale permeabilità delle membrane cellulari sia un’importante, se non la sola causa di questo fenomeno, perchè le parti più per- meabili, che perciò sono anche le più tenere, dovranno più che le meno tenere cedere all'impulso della corrente endosmotica ed esos- motica. Perciò verranno le membrane stirate in questi luoghi e for- meranno così dei risalti, i quali a modo di rami partiranno dalla cellula. Dal sito più o meno simmetrico dipenderà poi se la cellula che si dirama avrà più Ja forma di stella o di albero. Questa teoria trova la conferma nelle cellule stellate; si osserva infatti che i raggi di esse s'incontrano sempre coi raggi delle con- finanti cellule stellate, e che dunque per essi pare esistere la me- desima legge che si osserva aver valore per le punteggiature , ‘le quali pur anche sono sempre così distribuite, che la punteggiatura di una cellula corrisponde ad un’altra della cellula confinante. È pro- babile poi che lo stesso valga per le cellule laticifere e per tutte le cellule ramificate in genere, benchè non ci sia sempre possibile di dimostrarlo. Almeno le soventi anastomosi delle laticifere parlano chia- ramente in favore dell’ esistenza di simili relazioni. Praga, agosto 1861. SULLE CONCHIGLIE TERRESTRI E FLUVIALI RACCOLTE DAL PROF. ROTH NELLA PALESTINA E DESCRITTE DAL PROF. MOUSSON Nei nuovi Annali delle scienze naturali di Bologna, fase. XI e XII del1855, ho datoun Annuncio malacologico intorno ad un lavoro del prof. Mousson di Zurigo sulle conchiglie terrestri e fluviali raccolte dal prof. Bellardi in un viaggio nell’ Oriente, ed in quello ho mostrato quanto preziosi sieno questi materiali per la conoscenza della distri- buzione geografica dei molluschi. AI presente lo stesso prof. Mousson ha pubblicato un altro lavoro sulle conchiglie terrestri e fluviali raccolte dal prof. Roth nell’ultimo suo viaggio in Palestina (1888-59), dove fatalmente venne rapito alla scienza ed agli amici, per un colpo di sole che lo ha colto sul monte Libano, e mise fine ad una attività tanto feconda che variata. Il lavoro di Mousson supplisce in parte all’intenzione che aveva il prof. Roth di descrivere gli oggetti raccolti in questo suo viaggio, come aveva già fatto per altri due antecedenti, eseguiti, uno nel 1859 e l’altro nel 1852-55. Per quanto adunque sia interessante e con- scienzioso il catalogo ragionato dal Mousson, non può però presen- tare tutte le pazienti osservazioni oculari, fatte dal prof. Roth sopra ogni singola specie nelle sue condizioni di vita e di distribuzione; seddisfare a tal compito non lo può che la persona che ha avuto le impressioni del viaggio. Non ostante, il lavoro del prof. Mousson è interessante ed istruttivo, e formerà sempre un bel séguito ai lavori già pubblicati dallo stesso in simil genere, non che a quelli del Roth, del Bourguignat, ec. A. VILLA, CONCHIGLIE DELLA PALESTINA 4455 L’ opuscolo in discorso, pubblicato a Zurigo nel corrente anno 1864 , è di 68 pagine in ottavo, e contiene l’ indicazione e la storia di 73 specie, e diverse varietà, alcune delle quali nuove sono descritte diligentemente. Trentasette specie appartengono solamente al genere » Helix, delle quali quattro nuove (el. improbata crispulata, filia, genazarethana), le altre trentasei ai generi Bulimus, Chondrus, Pupa, con una specie nuova (P. chondriformis), Clausilia, Torna- tellina, Glandina, Limneus, con una specie nuova (L. syriacus), Planorbis, Bithynia, Melanopsis, Melania con una specie nuova (M. Rothiana), Neritina ed Unio. Le diagnosi, le descrizioni, la storia, l'indicazione geografica, i passaggi delle forme, le variazioni e tante altre particolarità scien- tifiche, sono trattate dal Mousson con squisitezza e profondità di sa- pere. Talvolta si rivela troppo minuzioso nel distinguere gli esem- plari di una località da quelli di un altra, ma sono appunto queste minute osservazioni che fruttano col tempo alla scienza la rivelazione dei rapporti statistici ed oro-geografici. Confrontando le descrizioni del Mousson con alcuni esemplari avuti dallo stesso prof. Roth (il quale mi onorava della sua amicizia e corrispondenza, e m’inviò molte specie da lui raccolte in Oriente nei primi viaggi), le ho rav- visate conscienziose e bene appropriate. Così dico di altri esemplari distinti, delle diverse specie provenienti dall’ Oriente, da dove nume- rose me ne furono communicate da molti naturalisti, e specialmente da Barthelemy, Baudon, Bellardi, Blauner, Boissier, Bourguignat, Cailliand, Charpentier, De Cristoforis, Friwaldsky , Genè, Megerle, Osculati, Parreyss, Porro, Senoner, Steutz, Sturm, Zelebor, Zie- gler. ec. Milano, 24 novembre 18641. Antonio Vitta. CATALOGO DELLE METEORITI ESISTENTI NELL’I. R. GABINETTO MINERALOGICO DI VIENNA COMUNICAZIONE peL sie. cav. norror ADOLFO SENONER pi vienna Il defunto Paolo Partsch, già direttore dell’I. R. Gabinetto mine- neralogico di Vienna aveva rivolto i speciali suoi studj alle meteoriti , e aveva fatto tutto il possibile per arricchirne sempre più il Gabi- netto da lui diretto. I risultati ottenuti furono splendidi; perchè egli lasciò la prima raccolta di meteoriti che si conosca, anche in confronto dei più rinomati Musei. Nel 1806 il Gabinetio di Vienna aveva sol- tanto 7 esemplari, di diverse località; nel 1819 ne possedeva già 36, nel 1836 ne aveva 58, e nel 1845 ne aveva 288, che rappresenta- vano 94 località; numero che supera di molto quello de’ Musei di Berlino (78), di Parigi (42), di Londra (35), di Gottinga (33), di Pietroburgo (18), di Monaco (9), ec. Nel 418453 il signor Partsch pubblicò una Guida (*), colla quale il naturalista può studiare a fondo la collezione delle aeroliti, e nella quale per ciascun esemplare trovasi la forma, il peso, la grandezza, il luogo e il tempo della caduta, e sono aggiunte altre osservazioni interessantissime. (*) Die Meteoriten oder vom Himmel gefallenen Steine und Eisenmassen im K. K. Hof-Mineralien-Cabinette zu Wien. Wien 41840, A, SENONER, METEORITI DEL GABINETTO DI VIENNA 445 Dopo la morte di Partsch la sua opera fu continuata dall’ attuale Direttore, signor dottor M. Hòrnes, e dal Direttore dell’I. R. Istituto geologico, consigliere aulico dottor Guglielmo Haidinger, il quale, col solito zelo infaticabile quando si tratta della scienza, si dedicò allo studio delle meteoriti, per vedere di svelare ancora qualche ar- cano nel fenomeno dei bolidi, e arricchire ancora maggiormente la collezione dell’I. R. Gabinetto, valendosi delle sue numerose e im- portanti relazioni in ogni parte del mondo. Il primo catalogo pubblicato dal cav. Haidinger delle meteoriti del Gabinetto (*) comprende i rappresentanti di 137 località, il secondo, del 350 maggio 1860, ne contiene già 147, cioè 102 di aeroliti e 45 di ferro meteorico; e l’ultima lista del 30 maggio 1861 porta il nu- mero totale a 160. — Dal che si vede come la collezione fu per opera del nostro distinto Haidinger arricchita in due anni di 23 lo- calità ; e che se già nel 1845 era la prima collezione di questo ge- nere, ora può ancor meno temere che alcun altro Museo le possa sì presto contendere il primo rango. Le due ultime liste non furono finora pubblicate in alcun giornale, e quindi, per interesse della scienza, credo dover dare qui il cata- logo del maggio 1861. Con esso potrà ciascuno farsi un’ idea del pre- gio di questa collezione. Oltre il nome della località v'è aggiunta anche la data in cui cadde o fu rinvenuto la meteorite, come pure il peso metrico degli esem- plari, quando oltrepassa i 140 grammi. I. PIETRO METEORICHE. 1492, 7 novembre. — Ensisheim, Alsazia, 422 gr. 196. 1715, 11 aprile. — Garz (Schellin) Pomerania. 1753, 3 luglio. — Tabor, Boemia, 2 K. 782, 548. 1753, 7 settembre. — Liponas, Ain, Francia. 1768, 13 settembre. — Lucé en Maine, Sarthe, Francia, 147. 112. 1768, 20 novembre. — Mauerkirchen, Austria superiore, 417. 279. 1773, 17 novembre. — Sigena (villaggio Sena) Aragona, Spagna. (") Sitzungsberichte der Kais. Akad. d. Wiss. Math. Naturw. Classe. Wien 1859. 446 A. SENONER, 1785, 19 febbrajo. — Eichstàdt. ( Wittens) Franconia, Baviera. 1787, 13 ottobre. — Charkow (Bobrik ) Russia. 1790, 24 luglio. — Barbotan, Landes, Francia 345. 626. 1794, 16 giugno. -— Siena. 1795, 13 dicembre. — Wold Cottage, Yorkshire, Inghilterra. 1798, 8 ovvero 12 marzo. — Salès presso Villefranche, RhOne, Francia 292. 038. 1798, 13 dicembre. — Benares, Bengala, Indie Orientali 561. 102. 1803, 26 aprile. — L’ Aigle. Normandia, Orne, Francia 1 K. 565. 054. 1303, 8 ottobre. — Apt (Saurette) Vaucluse, Francia 287. 663. 1803, 13 dicembre. — Missing ( Villaggio S. Nicola), Baviera. 1804, 5 aprile. — Clasgw ( Villaggio High Possil), Scozia. 1805, 25 marzo. — Doroninsk, Siberia. 1805, giugno. — Costantinopoli. 1805, novembre. — Asco, Corsica. 1806, 15 marzo. — Alais, Gard, Francia. 1807, 13 marzo. — Timochin, Juchnow, Smolensk, Russia. 1807, 14 dicembre. — Weston, Conecticut, Stati Uniti d’ America. 1808, 19 aprile. — Parma (Casignano, Borgo S. Donnino). 1808, 22 maggio. — Stannern, Moravia 6 K. 348. 357. 1808, 3 settembre. — Lissa, Boemia 3 K. 108. 503. 1809, ? — Kikina, Smolensk, Russia. 1810, agosto. — Tipperary (Mooresfort) Irlanda 254. 302. 1810, 23 novembre. — Charsonville presso Orleans, Francia 525. 112. 1811, 12 marzo. — Kuleschowa, Pultava, Russia 154. 778. 1811, 8 luglio. — Berlanguillas presso Burgos, Spagna 192. 421. 1812, 10 aprile. — Toulouse, Francia. 1812, 15 aprile. — Erxleben, fra Magdeburgo e Helmsliidt, Prussia. 1812, 5 agosto. — Chantonnay, Vandea, Francia 2 K. 331. 921. 1813, 10 settembre. — Limerick (Villaggi Adair, Scagh, etc.) Irlanda. 1813, 13 dicembre. — Lontalax, Wiborg, Finlandia. 1814, 15 febbrajo. — Bachmut, Jékaterinoslaw, Russia. 1814, 5 settembre. — Agen, Lot e Garonne, Francia. 1815, 3 ottobre. — Chassigny presso Langres, Haute Marne, Francia. 1818, 10 aprile. — Zaborzika, Vollinia, Russia. 1818, giugno. — Seres, Macedonia 4 K. 330. 103. 1818, 10 agosto. — Slobodka, Juchnow, Smolensk, Russia. 1819, 13 giugno. — Jonzac (Barbézieux ), Charente inferieure, Francia 554 gr. 532. 1819, 13 ottobre. — Politz, Késtritz, Gera, Prine. di Reuss 338. 022. 1820, 12 luglio. — Lixna, Diinaburg, Russia 251. 022. 1821, 15 giugno. — Juvenas presso Libonnez, Francia 498. 762. METEORITI DEL GABINETTO DI VIENNA 447 1822, 3 settembre. — Epinal (la Baffe) Francia. 1822, 30 novembre. — Allahabad (Futtehpore) Indie orientali 459. 387. 1523, 7 agosto. — Nobleborough, Maine, Stati Uniti d'America. 1824, 15 gennajo. — Renazzo, Ferrara. 1824, 14 ottobre. — Zebrak presso Horzowitz, Boemia 353. 288. 1825, 10 febbrajo. — Nanjemoy, Maryland, Stati Uniti d'America 350. 007. 1825, 14 settembre. — Honolulu, Owahu, Isole Sandwich. 1326, 19 maggio. — Governo Jekaterinoslaw, Russia. 1827, 9 maggio. — Nashville (Drake Creek) Tennessee, Stati Uniti d'America. 1827, 5 ottobre. — Bialystock, Villaggio Kuasta, Polonia russa. 1828, 4 giugno. — Richmond, Chesterfield County, Virginia, Stati Uniti d’ America. 1829, 8 maggio. — Forsyth, Monroe County, Georgia, Stati Uniti d'America. 1829, 9 settembre. — Krasnoi Ugol, Russia. 1831, 18 luglio. — Vouillé presso Poitiers, Francia. 1831, 9 settembre. — Wesscly, Moravia 3 K. 666 gr. 326. 1833, 25 novembre. — Blansko, Moravia. 1833, 27 dicembre. — Okniny, Vollinia, Russia. 1835, 13 novembre. — Simonod, Ain, Francia. 1836, 11 novembre. — Macao, Rio grande do Norte, Brasile 197. 969. 1837, 24 luglio. — Gross Diwina presso Budetin Trentschin, Ungheria. 1837, agosto. — Esnaude, Charente ipf., Francia. 1838, 6 giugno. — Chandakapoor, Beraar, Indie orientali. 1838, 13 ottobre. — Cold Bokkeweld al Capo, Africa meridionale 435. 324. ? Governo Simbisk, Russia. ? — Kugk, Russia. ? — Pultava, Russia. 1839, 13 febbrajo. — Little Piney, Potosi, Missouri, Stati Uniti d'America. 1840, 17 luglio. — Cereseto presso Offiglia, Casale. 1841, 22 marzo. — Griineberg (Heinrichsau), Slesia prussiana. 1841, 12 giugno. — Chàteau-Renard, Loiret, Francia 304. 362. 1342, 26 aprile. — Milena, Varasdino, Croazia 193. 594. 1842, 4 giugno. — Aumières, Lozère, Francia. 1843, 25 marzo. — Bishopsville, Carolina Merid., Stati Uniti d'America. 1343, 2 giugno. — Utrecht ( Blaauw Kapel), Paesi Bassi 169. 533. 1343, 16 settembre. — Klein-Wenden, presso Nordhausen, Erfurt, Prussia. 1846 (trovato) — Assam, Asia 149. 003. 1846, 8 maggio. — Macerata (villaggio Monte Milone), Ancona. 1847, 25 febbrajo. — Jowa, Linn County, Stati Uniti d'America 141. 097. 1848, 27 dicembre. — Schie, Dahlsplads, Aggerhunslin, Norvegia. 1849, 31 ottobre. — Cabarras County, Carolina Settentrionale, Stati Uniti d' America. 448 ) A. SENONER, 1850, 30 novembre. — Shalka nel Bancoora, Indie Orientali 166 gr. 251. 1851, 17 aprile. — Giitersloh, Wesfalia. 1852, 4 settembre. — Mezò-Madaras, Marosch, Transilvania 9 K. 876. 774. 1852, 13 ottobre. — Borkut, Marmaros, Ungheria 148. 751. 1852 (trovato). — Magonza. 1853, 10 febbrajo. — Girgenti, Sicilia. 1853, 6 marzo. — Segowlee (Soojoulee), Indie Orientali 1 K. 032. 524. 1855, 13 maggio. — Bremeryòrde, Stade, 310. 649, 1855, 13 maggio. — Isola Oesel, Russia. 1855, 7 giugno. — S. Denis Westrem presso Gand, Belgio 323. 752. 1855, 5 agosto. — Petersburg, Lincoln County, Tenessee, Stati Uniti d’ A - merica. 1856 (trovato). — Hainholz, Paderborn, Wesfalia 848. 018. 1856, 12 novembre. — Trenzano, Brescia. 1857, 28 febbrajo. — Heredia, San Josè, Costa Rica, America Centrale. 1857, 1 aprile. — Parnallee, Maduva, Indostan Meridionale. 1857, 1 aprile. — Heredia, Costa Rica, America centrale. 1857, 15 aprile. — Kaba, Debreczin, Ungheria. 1857, 10 ottobre. — Ohaba, Carlsburg, Transilvania 16 K. 630. 343. 1857, 27 dicembre. — Pegù (Quenggouk) 323. 753. 1858, 19 maggio. -. Kakova, Oravitza, Banato 332. 501. 1858, 9 dicembre. — Ausson, Haute Garonne, Francia 745. 950. 1359, 26 marzo. — Harrison County, Kentuky, Stati Uniti d’ America. 1860, 1 maggio. — New Concord, Muskingum County, Ohio, Stati Uniti d’ America 201, 250. II. MASSE DI FERRO METEORICO. 1751, 26 maggio. — Agram (Villaggio Hraschina), Croazia 39 K. 290 gr. 840. 1751 — Steinbach, tra Eibenstock e Georgenstadt, Sassonia 805. 565. 1763 — Senegal, Siratik, Bambuk, Africa 222. 583. 1776 — Krasnojarsk, Siberia (il ferro di Pallas) 2 K. 502. 554. 1784 — Toluca, Messico 850. 956. 1788 — Tucuman (Otumpa), Rep. Argentina, America Meridionale 345. 080. 1792 — Zacatecas, Messico 428. 759. 1801 — Capo, Africa 600. 481. 1811 — Elbogen, Boemia 78 K. 961. 692. 1811 — Durango, Messico 578. 606. 1814 — Bitburg, Basso Reno, Prussia. 1814 — Texas, Red River (per l’addietro Luigiana) 647. 512. 1815 — Lenarto, Scharosch, Ungheria 2 K. 800. 061. 1816 — Bahia (Bemdeg6), Brasile 1 K. 933. 792. METEORITI DEL GABINETTO DI VIENNA 4549 1819 — Baja di Bafiin, Groenlandia. 1819 — Burlington, Otsego County, New York, Stati Uniti d'America. 1822 — Brahin, Minsk, Russia. 1823 — Rasgatà, Nuova Granata, America Meridionale 628. 272. 1827 — Atacama, Bolivia, America Meridionale 2 K. 896. 311. 1828 — Caille Grasse, Var, Francia 146. 565. 1829 — Bohumilitz; Boemia 2 K. 583. 487. 1530 — Guilford, Carolina Settentrionale, Stati Uniti d'America. 1833 — Claiborne, Alabarna, Stati Uniti d'America. 1839 — Ashville, Buncombe County, Carolina Settentrionale, Stati Uniti d’America 255. 396. 1840 — Smith County, Coney fork (ferro di Cartagine), Tenessee, Stati Uniti d'America 570. 950. 1840 — Coke County, Cosby Creek (ferro di pic T'enesse, Stati Uniti d'A- . merica 336. 876. 1840 — Hemalga, Chili 245. 000. 1841 — Petropawlowsk, Governo Tomsk, Siberia. 1843 — Oaxaca, Messico, 1 K. 540. 034. 1844 — Arva (Szlanicza), Ungheria 10 K. 640. 228. 1845 — Lockport (Cambria), Nuova York, Stati Uniti d'America. 1845 — Green County (Babbs Mill), rile, Tennesse. Stati Uniti d'America. 1347, 14 luglio. — Braunau (Hauptmannsdorf), Boemia 2 K. 126. 293. 1347 — Seelisgen, Neumark, Brandenburg, Russia 1 K. 997. 226. 1849 — Chesterville, Carolina Meridionale, Stati Uniti d'America. 1850 — Schwetz, Prussia 437. 507. 1850 — Ruffs Mountain, Newberry, Carolina meridionale, Stati Uniti d’America. 1851 — Seneca River, Kentucky, Stati Uniti d'America. 1851 — Salt River, New York, Stati Uniti d'America. 1853 — Union County, Georgia, Stati Uniti d'America. 1853 — Fiume dei Leoni, Paese dei Namaqua, Africa Meridionale. 1854 — Tazewell, Claiborne County, Tenessee, Stati Uniti d’ America. 1854 — Putnam County, Georgia, Stati Uniti d'America. 1854 — Canada (Madoc, fiume S. Lorenzo, Canada superiore) 210. 004. 1854, 18 ottobre (trovato). — Tabarz presso Gotha. 1856 — Orange River, Africa Meridionale. 1856 — Nebraska, Stati Uniti d'America 350. 007. 1856 — Nelson County, Kentucky, Stati Uniti d'America 175. 009. 1856 — Jewell Hill, Madison County, North Carolina, Stati Uniti d'America. 1856 — Tula (Netschaevo) Russia 389. 375. 1356 — Denton County, Texas, Stati Uniti d'America. Vol, lII. 29 450 A. SENONER, Oltre questa collezione di pietre meteoriche, l’Î. R. Museo possiede ancor due altre collezioni di piccoli frammenti per studj speciali, per osservazioni microscopiche, ec., poi tutti i corpi rilenuli per meteo- riti e di cui gran parte disadorna ancora qualche museo pubblico , come, p. e., masse di ferro artificiali, che si ritennero per meteoriti caduti a Gross Kamsdorf, Magdeburgo, Aachen, Cilli, Brianza, Florae, Oswego, ec.; indi diversi corpi naturali caduti dall'atmosfera, o cre- duti tali, come, p. e.: lenti di ferro solforato, trasmutato in ferro ossidato di Sterlitamak nel Governo di Orenburgo, e che eredesi ab- bian formato il nocciolo di una grandine; frammenti di ferro ossidato poroso, che si ritennero per residuo d’una stella cadente; frammenti di calce carbonata, che dicesi esser caduta su un bastimento nelle acque americane; la così detta carta meteorica di Rauden nella Curlandia ; residui della neve rossa dalle Alpi della Svizzera; polvere della pioggia melmosa di Udine; una massa ritenuta per ferro tellurico di Canaan nel Connecticut; ed un ferro nero grafitico apparentemente identico all’antecedente, del Kamtschatka. Alcuni minerali che somigliano a meteoriti, come dolerite, basalte, lava, porfido-ossidiana, trachite; indi alcuni meteoriti stati sotterrati per lungo tempo, onde osservare la loro decomposizione; poi altri meteoriti con cui Schreibers aveva intrapreso alcune osservazioni sul loro grado di fusione ; ferro meteo- rico di Zagrobia, Elbogen e del Capo di Buona Speranza, lavorato a diversi arnesi; una serie di modelli in gesso di monete antiche, su cui trovansi figurate dei meteoriti o pietre sacre (Bàtilii; Cerauniti); alcuni modelli in gesso di meteoriti, nominatamente di quelli di Gross Divina nell’ Ungheria, tanto rimarchevole per la sua forma e per le impressioni che trovansi sulla sua superficie (gli originali sono nel Museo nazionale di Pest); dei meteoriti di Tipperary e Wessely; fi- nalmente gran numero di disegni di meteoriti, delle figure di Wid- manstùtten, delle vedute di Stannern e Lissa, ee. ec. Su moltissime pietre meteoriche conservate nell’I. R. Museo mine- ralogico troviamo date dettagliate nozioni dal Partsch nella già citata operetta: Die Meteoriten, poi dall’ Haidinger pei meteoriti di Shalka Bokkeveld, Futtehpore, Pegu, Segowlee, e molte altre nei rendiconti della Imp. Accademia delle scienze di Vienna (vol. 35, 59, 44, 42 METEORITI DEL GABINETTO DI VIENNA HB del 1859 e 1860) e nel Ballettin dell’I. Società di naturalisti a Mosca (N. 4, 1860), poi dal Curioni negli Atti det R. Istituto Lombardo (vol. I, 1860), dal Goebel nell’ Archivio della Società di scienze na- turali di Dorpat (1856), ec. ec. — Per chi desidera conoscere a fondo la letteratura sui meteoriti prenda alla mano l'indice di tutti i libri, giornali, in cui furono inserite notizie, memorie su quest’oggetto, com- pilato dal dottor Otto Buchner, ed inserito nelle pubblicazioni (Abhand- lungen) della Società Senkenbergiana di scienze naturali a Franco- forte sul Meno (vol. 5, puat. 2, 1861). — In questo volume delle pubblicazioni della Società di Francoforte troviamo anche una Memo- ria di P. A. Kesselmeyer sull’origine dei meteoriti, e un indice di tutte le aeroliti cadute dal 1984 avanti Cristo, fino alla nostra epoca del 1860, poi anche di tutti i fenomeni con l'aggiunta di tre tavole, in cui sono segnate le località in cui caddero le meteoriti. — Crediamo che non possa essere senza interesse il dare quì la nota di tutte le meteoriti cadute in Italia, con unitamente la rispettiva letteratura ; e senza dubbio l'uno o l’altro museo, pubblico o privato, ne posse- derà qualche esemplare con notizie sì certe da poter completare que- sto catalogo, come pure potrà esser in caso di rilasciarne qualche pezzo o anche qualche frammento a questo nostro I. R. Museo mine- ralogico, onde completare per quanto è possibile la collezione delle meteoriti. La direzione di questo Museo, oltre rendere i più vivi rin- graziamenti, è anche disposta di dare in cambio o qualche altro meteorite, o minerali, roccie, o petrefatti della monarchia austriaca. Nell’Italia e nelle sue isole caddero le seguenti meteoriti: A. C. 654. Monti Albani. — Annali di Gilbert 50, 1815, 228. di dati ” di PoggendorF, IV, 1854, 7. 206. Meana AraGo. Astronom. popul. Paris, 1857. 176. Lacus Martii nella Sabina. — PoggEnDOREF, IV, 1854, 8. 90. Lacus Martis. — GILBERT, 54, 1816, 339. 56. Lucania, provincia (ferro), GILBERT, 50, 1815, 229. D. C. 650. sp IE POGGENDOKRFF, IV, 1854, 8. 921. Narni presso Spoleto ” 2, 1824, 151. SERRE 7 IV, 1854, 8. O PA RAVRRENTA 5 , 452 A. SENONER, p. c. tra 964 e 972 GILBERT,50,1815,231,x. PoccENDOREF,IV, 1854, 8. 1474. Viterbo ” 68,1821,332. 1491, 22 marzo. Rivolta de’ Bassi all’O. di Milano. GILRERT, 50, 1815 235. 1496, 26 gennajo. Tra Cesena e Bertinoro e presso Valdinoce ” n 141296: 1511, 4 settembre. Crema ” » 237. tra 1550 e 1570. . ? Piemonte (ferro) ” » o 239. 1583 9 gennajo. Castrovillari nella Calabria n » 240. 1853, 2 marzo. . ? Piemonte ” ”»n n 1596, 1 marzo. Crevalcuore, Ferrara ” non 1635, 7 luglio. Calce nel Vicentino >» 18, 1804, 307. 1637, 27 novembre. Mont Vaisien, Nizza ( Francia) » 50, 1815, 242. 1660, Milano ” » 246. 1668, 19 gennajo. Vago, Verona ” » 244 1697, 13 gennajo. Pentolina, Siena ” » 246. 1755, luglio. Fiume Crati, Terranuova, Calabria ” n 243. 1766, metà di luglio. Alboretto, Modena n » 249. 1776, gennajo. San Anatolio, Fabiano ” n 290% 1782, luglio. Torino. n 57,1817, 134. 1791, 17 maggio. Castel Berardengo, Siena n» 50, 1815, 2051. 1794, 16 giugno. Siena ” 6, 1800, 156; e HarpINGER, Meteor. des K. K. Hof-Miner. Cab. 1860. 1805, novembre. Aseo, Calvi. PoGGENDORFF, IV, 1354. HAIDINGER, I. c. 1860. 1808, 19 aprile. Borgo San Donino. Parma, SHEPARD, Catalogue of the Meteoric Collection of ch. Uph. Shepard New Haven 1860. 1513, 14 marzo. Cutro nella Calabria. GILBERT, 59, 1816, 381. 1819, fine d’aprile. Massa Lubrense, Salerno ” 71, 1822, 359. 1320, 29 novembre. Cosenza, Calabria. —PocGENDORFF, IV, 1854, 520. 1824, 13 gennajo. Renazzo, Ferrara n 18, 1830, 1S1. HAIDINGER, l. c. 1860. SHEPARD Il. e. 1860. 1834, 15 dicembre. Marsala, Sicilia. PoGGENDORFF, IV, 1854, 34. 1840, 17 luglio. Cereseto, Casale, Piemonte ” 50, 1840, 668. HAIDINGER e SHEPARD l. c. 1841, 17 luglio. Milano ” IV, 1854, 364. 1846, 8 maggio. Monte Milone, Macerata È) IV, 1854, 375. HAIDINGER l. c. SHEPARD |. c. 1853, 10 febbrajo. Girgenti. HAIDINGER e SHEPARD |. c. 1356, 17 settembre. Presso Civitavecchia, nel mare. PoGG. 99, 1856, 645. 1856, 12 novembre. Trenzano, Brescia, Rendic. dell'Accademia imp. delle scienze di Vienna 1860, 569. Atti del R. Istituto Lombardo, I 1860. ? METEORITI DEL CABINETTO DI VIENNA 4553 Oltre le opere or ora citate, dobbiamo aggiungere ancora: Ronconi. Delle aeroliti. Discorso inaugurale. Padova, 1814. G. M. Aeroliti, quali Comete abbiano urtata la terra. Tesi diretta a chiarire la vera origine degli aeroliti, e il modo con cui la terra potrebbe trasfor- marsi in un bolide. Milano, 1844. TROILI. Ragionamento della caduta d'un sasso. Modena, 1766. TATA. Memoria sulla pioggia di pietre avvenuta nella Campagna Sanese il dì 16 giugno. Napoli, 1794. SOLDANI. Dissertazione sopra una pioggerella di sassi accaduta nella sera del 16 giugno 1794 în Lucinago d’Asso nel Sanese. SANTI. Viaggio terzo, ec. Seguito del Viaggio al Monte Amiata. Pisa, 1806, 353. TaARrGIONI. Giornale Pisano. 3, 1802. — Opuscoli scelti. VAssaLLI. Lettere fisico-meteoriche. VALLISNIERI. Opere diverse, 1725. AMORETTI. Nuova scelta, ec. Rossi. Giornale di Fisica, Chimica, 1818. PRATO. Istoria di Milano. SPALLANZANI. Atti dell’Accademia di Siena, ec. ec. 7 L’I. R. Consigliere Aulico G. Haidinger ed anche il dottor Buchner hanno al presente sotto le mani la compilazione di un catalogo di meteoriti, che si trovano in tutti i Musei di Storia naturale del mon- do, di cui si danno le notizie storiche della caduta, le analisi, il peso specifico , il peso, la grandezza, la forma, ec. ec. Nell’interesse della scienza sarebbe perciò assai desiderabile che i direttori di musei o proprietarii di meteoriti coadjuvassero a questo lavoro, onde render quanto possibile completo un tale catalogo. Nella Memoria succitata del dottor Buchner troviamo rappresentata una sola città dell’Italia (Pisa), dalla quale gli pervennero notizie sull’argomento in discorso, e pure quanti aeroliti si troveranno ancor dispersi in musei pubblici e privati ! Vienna, 1.° ottobre 1861. NUOYO PROCESSO PER OTTENERE ALCUNI CLORURI DEI RADICALI DEGLI ACIDI ORGANICI. TO In luogo di far reagire il percloruro di fosforo sull’ acido organi- co, oppure l’ossicloruro di fosforo sopra un sale metallico dell’ acido organico, si può, quando l’acido sia solido ed inalterabile dal cloro secco, fare una miscela di un equivalente dell’acido organico con un equivalente di fosforo rosso e far attraversare la miscela da una corrente di cloro lavato ed essicato. Per rendere più facile e più pronta Ja reazione conviene suddividere la miscela con pezzetti di vetro o di pomice. Il cloro a contatto col fosforo rosso dà luogo soltanto alla forma- zione di percloruro di fosforo, che, per la stessa elevazione di tem- peratura dovuta alla combinazione, reagisce sull’acido organico pro- ducendo cloruro del radicale ed ossicloruro di fosforo, che si separano col metodo delle distillazioni. Se si introduce la miscela in un tubo a rigonfiamento e che a questo se ne aggiunge un secondo contenente il sale metallico dell'acido organico, per la distillazione dell’ ossi- cloruro formatosi nel primo tubo, si ottiene una seconda porzione di cloruro del radicale. I vantaggi di questo processo sono: 4.° di poter ottenere i cloruri dei radicali degli acidi, anche quando la quantità disponibile dell’ acido è piccolissima; 2.° di poter far senza dei cloruri di fosforo non facili ad aversi ovunque, e che oltre ad essere incomodi a maneggiarsi, guastano le bilancie, quando si vogliano pesare; 3.° è in fine un pro- cesso, che può venire usato industrialmente. Dott. ANTONIO BERTOLIO. STUDI ANALITICI INTORNO AI VINI DEI SIGNORI PROFESSORE D." ANTONIO BERTOLIO E GIUSEPPE ROMEI FARMACISTA MILITARE 1} Governo nostro, perchè un vino possa essere accettato per uso dell’ esercito, prescrive che sia di Piemonte o di Francia, di color rosso limpido, di odore aromatico, di sapore gradevole, non acido, e che alla temperatura di 13° C.i segni 5° all’ enometro di Baumé. A questo scopo ha provvisto gli Ufficj delle Sussistenze Militari di una cassetta contenente un enometro, un termometro, ed un pro- vino di cristallo. Chiamati più volte come periti chimici a dare il nostro giudizio su i vini, che venivano presentati dai fornitori per questo presidio di Casale, abbiamo avuto campo di portare più volte la nostra attenzione su questi caratteri, e ci siamo convinti della loro insufficienza non solo, ma anche della loro fallacia. Prima di tutto noteremo che fino ad ora Ja scienza non possiede mezzi ba- stanti per determinare, quando il vino abbia subito gli stessi trat- tamenti, se sia di Francia o di Piemonte, e solo si può avere un dato, per distinguere il primo dal secondo, dall’osservare che in quello v'ha quasi deficienza di bitartrato, ed invece abbondanza di solfato di potassa, proveniente dal p/atrage tanto in uso nel mezzodì della Francia. Relativamente al sapore, quantunque diverso, siccome spesso viene alterato, o dalla miscela di altro vino, che si usa aggiungere per rendere più intenso il colore, o dall’ alcool per renderlo più spi- ritoso, anche bene esercitati in tali saggi, non si potrà quasi mai tenerne conto. 486 A. BERTOLIO E G. ROME), In secondo luogo l’ enometro non può dare che delle indicazioni inesatte, specialmente quando lo s’ impieghi per vini di così incerta provenienza. Infatti alcuni vini scelti e vecchi del Monferrato hanno segnato 2° 2° '/2, mentre determinata la quantità di alcool di alcuni vini francesi che segnavano a stento il 4 */, ne contenevano fino al 44 per © che evidentemente doveva essere stato aggiunto, perchè dalla distillazione si riconosceva avere l’ odore di fuselol caratteristico degli alcool ottenuti artificialmente dai grani o dalle patate. È inoltre conveniente l’avvertire che, secondo l’opinione di Bou- chardat, Payen, Barral e Poggiale, i vini che hanno subito il platrage, non si possano considerare come assolutamente innocui, tanto più che la quantità di solfato non si limita solo al massimo fissato dal- l’amministrazione francese (4 g." per litro) ma qualche volta, come ebbe occasione di osservare lo stesso Poggiale, raggiunge anche il doppio. In ogni modo però la determinazione dell’acido solforico, non incontrando difficoltà, basterebbe che il Governo prescrivesse che si saggiassero i vini di provenienza francese con soluzioni tito- | late di cloruro di Bario. Ma siccome i vini che hanno subito il platrage, e l'aggiunta dell’ alcool perdono alquanto di colore, .e così non piac- ciono nel nostro paese, così i somministratori usano, o meseolarvene uno molto colorato, ciò che non è una sofisticazione, oppure, e qui stà il male, aggiungono materie estranee atte a dare il colore. Nell’incertezza in cui siamo intorno ai caratteri della materia co- lorante del vino, innanzi tutto cercammo di riconoscere s’ era vero quanto disse Niepce di Saint Vietor, che cioè la materia colorante del vino è resa incolora dall’idrogeno nascente. A tale scopo po- nemmo entro a del vino, acidificato con acido acetico, dello zinco, ed abbandonato a sè non ottenemmo alcun risultato, anche con l’ a- zione prolungata. Allora sostituimmo l'acido solforico all’ acido ace- tico, e ne ebbimo gli stessi risultati. Avuti così in ambo i casi resul- tati negativi, si fece agire per più giorni l’ acido solforoso sopra altra quantità, or anche con questo mezzo non abbiamo avuto il benchè lieve decoloramento. Giungemmo però a decolorare il vino con il cloro, con l’acido nitrico, e quindi con gli ossidanti in genere. Fra le diverse sostanze, che possono aumentare il colore rosso del STUDI ANALITICI INTORNO.AI VINI 437 vino, la barbabietola rossa è forse fra le più usate, e però ci applicam- mo a cercare un modo di rilevare la presenza della sua materia colo- rante, quando sia mescolata con quella del vino. Perciò dopo diversi saggi, e cercando reattivi che precipitassero o l’una o l’altra, siamo venuti nella persuasione, che con questo non si potevano avere segni abbastanza sicuri. Tuttavia abbiamo avuto la fortuna di riconoscere che dopo trattato il vino con la colla d’ossa, e di averlo separato dal ‘precipitato, si poteva avere un indizio sicuro col farlo bollire per eirea un quarto d’ora. Il vino puro dopo l’ ebollizione presenta an- cora il proprio colore con appena una lieve diminuzione, mentre, se v' ha materia colorante di barbabietola, diviene assai più chiaro, e la tinta tende manifestamente .al ranciato. Per altre ragioni poi abbiamo avuto occasione di occuparci per trovare un metodo sicuro, onde riconoscere se nei vini vi fosse stata mescolata dell’acqua poco prima della distribuzione alle truppe, e però abbiamo ricorso all'analisi dei gas sciolti nel vino. Fatte diverse analisi sopra vini puri, si è riconosciuto che i gas che vi si trovano, sono i soli gas acido carbonico e azoto, e che quest ultimo ha nei vini ordinari pressochè lo stesso coefficente di solubilità, che nel- l’acqua: coefficente, che per difetto di strumenti esatti, non abbiamo potuto determinare con precisione, ma che, allo scopo al quale de- vono servire queste analisi, poco importa. Si è riscontrato che nei vini, ai quali era stata aggiunta dell’acqua da poco tempo, cioè solo da un pajo di giorni, vi era sempre presenza d’ ossigeno. Per eseguire queste esperienze si lavava dapprima col vino da esaminare e caldo, una fiala di circa 200 Ci Ci, e con la barba di una penna, se ne strofinavano leggermente le pareti, onde staccare le bollicine d’aria, che per caso potessero aderirvi. Quindi la si riem- piva di vino, e vi si adattava un turacciolo, precedentemente ba- gnato con altro vino, ed al quale era annesso un tubo anch’ esso lavato, e riempito dello stesso vino; questo tubo doveva servire a condurre i gas sotto la campanella. Riscaldando a poco a poco fino all’ebollizione, si raccolgono i gas, ed i vapori d’acqua e di alcool in una campanella previamente riempita di mercurio caldo, mediante un tubo diritto ad imbuto, e con l'estremità alquanto affilata, € 458 A. BERTOLI® E G. ROMEI, STUDJ ANALITICI INTORNO AI VINI questo affinchè non rimangano aderenti ad essa bolle d’aria, le quali renderebbero l'analisi inesatta. Nelle nostre esperienze su vini da tavola bastò sempre che questa fosse della capacità di 65 Ci Ci. Dopochè il vino bollendo per alcuni istanti ebbe perduto ogni traccia di gas, si toglie l'estremità del tubo dal bagno a mercurio, e si lascia raffreddare la campanella abbandonandola a sè per qualche ora. Indi con una pipetta si toglie il vino, che si trova nella campa- nella, il più completamente possibile, ma non è necessario di to- gliere col cloruro di calcio l’ultimo velo, che rimane sul mercu- rio. In seguito s'introduce nella campanella una soluzione bollita di potassa caustica, la quale dopo un pajo d'ore ha completamente assorbito l’acido carbonico. Si determina allora il volume del gas residuo, e s'introduce circa 4 C° C° di una soluzione di acido piro- gallico, che noi facevamo sciogliendo 50 centigr. di acido in 40 Ci C' d’acqua distillata e bollita. Se, determinando. dopo qualche tempo il volume del gas, non si nota diminuzione, è indizio che nella mi- scela gassosa non vi era ossigeno, e che perciò in quel vino non era stata aggiunta acqua da poco tempo. Relativamente all'aggiunta della stessa fatta ad un’epoca più remota si sa che, se fu aggiunta durante la fermentazione e che il liquido fu fatto passare sulle yinac- ce, vi sono rattenuti per la meccanica filtrazione i germi, che danno luogo al fioretto, e che non si avrebbe altro dato che la minor ric- chezza in alcool, a cui i somministratori rimediano con l'aggiunta artificiale, e che, se l’acqua fu aggiunta dopo, ne basta ordinariamente anche una piccola quantità per dar luogo allo sviluppo della mucedine. NOTE SUR LE CRETACE ET LE NUMMULITIQUE DES ENVIRONS DE PISTOJA PAR GABRIEL DE MORTILLET Les travanx que la Compagnie des Chemins de fer Lombards et de l’Italie Centrale a exécutés, près de Pistoja, pour la construction de la ligne de Toscane à Bologne, m’ont permis d’étudier, avec détails, les rapports du Nummulitique et du Crétacé qui sont si difficiles à saisir dans cette partie de J’Italie. Entre Burgianico et Valdibrana le chemin de fer longe, dans la direction du sud au nord, un còteau qu'il entaille sur plusieurs points. Al’extrémité nord, aux points marqués 1 et 2 sur la carte ci-jointe (1), se trouve entre autre une tranchée, dite de S. Anna, dont la coupe est fort intéressante. Tranchée de S. Anna. i Nummulitique. — 2 Crétacé. (4) Cette carte (Pl. VII) a été décalquée sur celle de l’Institut Géographique de Vienne, Je dois le tracé du chemin de fer et les noms de localité de la ligne, a l’obli- geance de M. Rieumes, chef des services de la Division. 460 G. DE MORTILLET , Il ya là, n.° 4, une assise de couches peu épaisses, mais rési- stantes, de calcaires, de grès et de schistes alternant ensemble. Ces diverses natures de roche, par fois, sont réunies dans la méme strate et soudées les unes aux autres. «Au milieu ou à la surface du calcaire se trouvent des lits irrégu- liers, de grandes lentilles ou de petits nids d’un poudingue a éléments très ténus. Quant la roche est vive et la cassure fraiche, ce pou- dingue est brunàtre, avec des facettes spathiques miroitantes et de nombreux points, plus ou moins arrondis, jaunàtres qui lui donnent une certaine ressemblance avec Ie porphyre. Le tout est très com- pact et l’on ne peut distinguer aucune organisation au milieu de la pàte. Mais sur les surfaces altérées à l’air on reconnait que ce pou- dingue est, en grande partie, composé de débris organiques parmi lesquels on appercoit de petites NVummulites que M. Meneghini , auquel j’en ai envoyé , considèere comme appartenant aux espèces suivantes: Nummulites. Ramondi » Guettardi » variolaria ; les mèmes qui se trouvent à Mosciano et en d’autres points de la Toscane, dans le calcaire que M. Savi a nommé Screziato en tout sembiable à celui dont je parle. C'est done bien la véritable assise à calcaire nummulitique , la base de l’éocène. Dans cette assise de la tranchée de S. Anna, n.° 4 de la carte, j'ai trouvé: Animaux. 4.° Trois échantillons de ces bourrelets allongés, terminés par une tète en épi, que MM. Strozzi et Meneghini rapportent au genre Amphytrites (1). Deux élaient à la surface d’une couche de grès, le troisième à la surface d’un lit de poudingue à Nummulites. J'ai remis ce dernier, dont malheureusement la tète et presque entièrement per- due, au musée de Pise. Les deux autres échantillons se sont encore plus détériorés en cherchant à les extraire. (1) M. le marquis Charles Strozzi en a misde très beaux échantillons, sous ce nom, a l’Exposition de Florence 1864, et il les a fait figurer pour paraître dans la Mono- graphie des fossiles de la Pietra-forta qu'il doît publier avec la cooperation de M. Me- neghini. CRÉTACÉ ET NUMMULITIQUE DE PISTOJA 464 2.° Nemertilites Strozzi Meneghini (4), trois échantillons par- faitement caractérisés, l’un se trouve au musée de Pise, l’autre, le meilleur, au musée de Florence. Le troisième était sur un bloc trop considérable pour ètre emporté. 5.° Nemertilites ? toenia Meneghini (2), un seul échantillon, en assez mauvais état, douteux; musée de Pise. 4.° Empreintes vermiformes ou plutòt petits bourrelets sinueux accumulés dans l’intérieur d’une roche marneuse. Au musée de Pise. Veceravx. 3.° Zoophycos (Lucoides) brianteus Villa (3). Gorgonia? Targionii Meneghini (4), grande plante marine en hélice. Jen ai trouvé un seul échantillon dans l’assise dà Nummulites. Il était au milieu d’une couche de grès marneux que je refendais pour emporter des empreintes de Fucoides dont la surface de cette couche etait cou- verte. Jai donné l’empreinte au musée de Florence et la contre em- preinte, avec les /ucoides, à celui de Pise. 6.° Zosterites pelagica Meneghini (8), à la surface des grès mar- neux. Plusieurs sur l’échantillon à Zoophycos, donné au musée de Pise. 7.° Fucoides (Chondrites) intricatus Brong. Én très grand nombre sur les petits lits de grès marneux attenants au calcaire. 8.° Fucoides (Chondrites) Targioni Brong. Dans la partie mar- neuse brune on trouve disséminé, dans toute la couche, une grande abondance de Fucoides qui se dessinent en jaunàtre sur le fond ob- scur de la roche. C'est le vrai type du Z'argionii. 9.° Sur les lits de grès marneux qui contiennent le Z'ucoides intricatus il y a aussi de très nombreuses empreintes d’un autre Fucordes a rameaux moins allongés que dans le précédant, plus rap- prochés, se ebifurquant plus fréquemment. Ce serait suivant M. Me- neghini, auquel jai communiqué toutes ces espèces, une simple variété du Targionii. Jai remis aussi ces divers types de /ucoides au musée de Florence. (4) Memoria sulla struttura geologica delle Alpi, degli Apennini e dei Carpazi di Sir R. T. Murchison, traduzione ed appendice sulla Toscana dei professori P. Savi e G. Meneghini, 1854, p. 424. (2) Memoria di Murchison. Appendice, p. 423. (3) Massalongo. Zoophycos novum genus plantarum fossilium 41855, p. 34, pl. 3. (4) Memoria di Murchison. Appendice, p. 404. (5) Id., id., p. 424. 462 G. DE MORTILLET, Toutes les couches de cette assise nummulitique ont subi un plis- sement très complet qui les a repliées sur elles-mèmes, suivant un angle fort aigu, de manière que les deux còtés du plissement parais- sent à peu près parallèles. Ce plissement, qui est allé jusqu'aux extrèmes limites, puisqu'il y a renversement entier de la partie repliée, a dù s’opérer d’une ma- nière progressive et fort lente, car les couches, au point recourbé , sont en grande partie arrondies et non brisées. Cette action n'a pu se produire que sous la double influence d’une énorme pression qui maintenait les couches dans leurs rapports mutuels et d'un très long espace de temps qui permettait aux molécules de prendre une dispo- sition nouvelle. Ce mouvement moléculaire pour s’effectuer a dù exiger des poussées continues d’une lenteur extréme. On ne peut arguer, comme on l’a fait plusieurs fois, de l’état mou des couches. Si ces couches n’avaient pas déjà été consolidées avant le plissement, elles se seraient toutes déformées, mélées et empatées ensemble, nous ne verrions plus les strates si nettes, si régulières et les natures de ro- ches si bien tranchées. En outre les fossiles en relief, comme les Nemertilites, les Amphytrites, et ceux en hélice, comme les Zoo- phycos, auraient disparus, tandis qu'ils ne sont pas méme applatis. L’ensemble de l’assise dà Nummulites est légèrement incliné du nord au sud. Sur le flane nord reposent des schistes scalienx qui paraissent en discordance de stratification. Le flane sud de l’assise à Nummulites s'appuie sur une assise, n.° 2 de la carte, composée de schistes, de calcaires sableux, et de grès à ciment calcaire, le tout en couches plus épaisses.que les pré- cédentes. Ce qui caractérise surtout cette nouvelle assise, c'est la présence, assez abondante, d'un calcaire sableux, très résistant au choe, se brisant fort irrégulièrement et se décomposant à Vair d’une maniere toute particulière. De gris bleuàtre il devient d’abord gris jaunàtre , puis jaune tendant plus ou moins au rouge. A la surface extérieure il se forme une espèce d’éponge sablo-argileuse , qui est légère et s'écrase sous le marteau sans se casser. CRÉTACÉ ET NUMMULITIQUE DE PISTOJA 4653 Je n’ai rouvé dans cette assise n.° 2 que: 1.° Deux exemplaires de grand Zooplycos, dont l’un montrait au pourtour deux lobes profonds semblables à ceux qui s’observent dans un magnifique échantilion qui se trouve dans la collection de M. Carlo Strozzi. Le volume des échantillons de la tranchée de S. Anna m’a forcé de les laisser sur place. 2.° Dans les parties composées de sable marneux très-fin j'ai rencontré de nombreuses tiges? de grosseur variable, couchées en divers sens, dont la cavité est remplie d'une matière plus rougeàtre qui en dessine les formes et en conserve l’épaisseur, J'en ai remis un exemplaire au musée de Pise. Les couches de cette assise les plus calcaires, par consequent les plus résistantes, ont été fortement ondulées, puis courbées en voùte, de sorte qu’elles plongent, très visiblement, sous les couches de l’assise à Nummulites qui reposent sur elles. Outre les visites particulières que j'ai faites à cette localité, je l’ai étudiée avec M. Duval, ingénieur de la Section, qui m’a fourni de précieux renseignements, et J'ai eu le plaisir d’y accompagner messieurs Doderlein, Gastaldi et Scarabelli. C'est le seul point qui m’a offert des Nummulites. Mais j'ai re- trouvé dans les calcaires marneux foncés de Colle Gelato, n.° 3 de la carte, les mèmes Fucoides Targionii que dans la partie marneuse brune de l’assise à Vummulites de la tranchée de S. Anna. D’autre part, au débouché amont ou nord du tunnel de Vaioni, n.° 4 de la carte, sur le versant de l’Ombrone, j'ai rencontré de nombreux fragments de grès argileux, à éléments très-fins, offrant associés en- semble l’autre variété du #ucoides Targionii, le Fucoides intricatus. ct le Zosterites pelagica, tout comme dans la roche analogue de l’as- sise dà Vummulites de la tranchée de S, Anna. Quant à V’assise inférieure, si bien caractarisée par le calcaire marno-sablonneux à décomposition spongieuse, on le retrouve sur une grande étendue dans le versant de l’Ombrone. Il forme d’une nanière assez générale le revetement extérieur de la colline dans aquelle est pratiqué le tunnel de Ponzano. Dans des essais d’exploitation qui ont eu lieu, sur ce tunnel, 464 G, DE MORTILLET, au n.° 5 de la carte, les recherches les plus minutieuses ne m'ont fait trouver qu'un Fucoides que j'ai remis au musée de Pise, et que M. Meneghini m’a dit ètre son Alucoides (Chondrites) plumosus (4). Ce calcaire à décomposition spongieuse, se montre jusqu’au dessus de la Villa Colonna, où cessent les calcaires. Bien que de ce còte les roches soient beaucoup plus altérées on le reconnait toujours. Il pré- sente mème là un caractère minéralogique , très développé, qui se retrouve à la tranchée de S. Anna. Il est par place, dans les points les plus purs, tout marbré de veines de spath calcaire brunàtre d’un aspect tout particulier.. i Sous ce calcaire, dans la tranchée qui se trouve ou débouché amont ou nord du tunnel de Ponsano, n.° 6, on trouve une série de couches calcaires, schisteuses ou de grès ayant l’aspect de la pietra-forta. Ces diverses couches en général ont peu d’épaisseur. Deux des couches de cette assise m’ont offert des fossiles. La primière est un banc de 30 à 40 centimètres d’épaisseur, d’un calcaire assez marneux, se brisant facilement en esquilles. La surface de ce banc est très souvent toute labourée de ces empreintes méan- driniformes en creux., que M. Meneghini a nommé /Memertilites? meandrites. (2) Sur cette surface j'ai trouvé deux échantillons de grand /nocera- mus, en tout sembiables à ceux qui se rencontrent dans la pietra forta de Toscane avec les Ammonites, Scaphites, etc. Le principal de ces échantillons est déposé au musée de Pise, l’autre est resté entre mes mains. Ils semblent bien suffisants pour établir que Passise qui les contenait fait partie du crétacé supérieur. En effet. jusqu'à présent, on n'a pas encore constaté la présence de grands /noceramus dans des couches positivement tertiaires. La seconde couche de l’assise à /noceramus de Ponzano qui offre des fossiles est une couche de grès, très dur, ayant tout l’aspect de Ja pietra forta. La surface de cette couche se trouve toute couverte de formes en (i) Memoria di Murchison. Appendice , p. 426. (2) Id.', id. ,‘p.423: CRETACÉ ET NUMMULITIQUE DE -PISTOJA 465 relief des pius variées et de diverses grosseurs. Parmi elles on re- marque de gros bourrelets qui se terminent en spirale. C'est évidem- ment un fossile de grosseur et de forme constante, qui montre fré- quemment des traces d’articulation. d’en ai remis quatre à M. Cocchi, Directeur du musée de Florence, cinq à M. Meneghini pour ie musée de Pise, et j°en ai laissé plusieurs sur place. Deux des échantillons que j'ai recueillis contiennent chacun trois individus de ce singulier fossile. Les grès è fossiles en spirale se retrouvent avec les calcaires très altérés et très disloqués qui se rencontrent dans la tranchèe au dessus de la Villa Colonna, n.° 7 de la carte. Îl y aaussi là, sur certains calcaires, des empreintes méandrinifor- mes, /Vemertilites? meandrites Meneghini. Et j'ai trouvé sur des petits feuillets d’un grès marneux un Fucoides de la grosseur de l’intricatus mais moins ramifié, plus long et à ra- meaux très droits, c'est d’après M. Meneghini, auquel je l’ai donnés le Fucoides (Chondrites) aequalis Brong. M. Cocchi m’a montré, au musée de Florence, plusieurs échantillons du méme ZAucoides qu'il a recueillis dans la pietra forta des environs de cette ville. Enfin j'ai rencontré deux exemplaires du fossile en spirale dans la tranchée sous le pont de S. Anna, qui passe au dessus du chemin de fer, au n.° 8 de la carte. Il y a là un certain nombre de. couches diverses, de faible épaisseur, qui sont contournées de la manière la plus bizzare, comme froissées. C'est évidemment la mème formation qu’à la tranchée de Ponzano, mais fortement tourmentée. Entre deux le terrain a été grandement tourmenté à peu près dans tout son ensemble, aussi ne trouve-t-on sur toute la croupe qui sépare le Valdibrana de la vallée de l'Ombrone, que des argiles scalieuses au milieu des quelles sont disséminés de petits fragments de pietra forta et de gros blocs de calcaire isolés, mais non roulés, conservant leurs arétes quand elles n’ont pas été rongées par les actions athmo- sphériques. C'est en petit le phénomène qui se présente si en grand sur le versant opposé de l’Appennin. Ce qui vient encore augmenter la ressemblance c’est Ja présence à S. Anna, n.° 9 de la carte, d’assez nombreuses concrétions fibreuses de sulfate de baryte, comme on en Vol. III. 30 466 G. DE MORTILLET, CRETACE ET NUMMULITIQUE DE PISTOJA rencontre dans les argiles scalieuses à bloes de calcaire du ‘versant nord de l’Appennin. Pour compléter les données paléontologiques fournies par les tra- vaux du chemin de fer de la Division de Pistoja, il reste à indiquer des ucoides et empreintes vermiformes, recueillis, par M. l’Ingénieur divisionnaire Siben, dans les déblais de la galerie de faite, au n.° 40 de la carte, fossiles qui se rapportent assez bien à ceux de l’assise à Nummulites de S. Anna. Et un bel échantillon de Zoophycos trouvé par M. Lucas, Ingenieur de la section de Prachia, un peu au dessous du village de ce nom, n.° 41 de la carte, dans un grès schisteux. Cet échantillon a été donné par M. Siben an musée de Pise et déterminé, par M. Meneghi- ni, comme Zoophycos Willa Mass (1). En résumé, il résulte de mes observations qu’aux environs de Pi- stoja se trouvent des couches appartenant à deux époques parfaite- ment distinctes. Les unes caractérisées par des Nummulites sont tertiaires, éocène inférieur. Les autres contenant de grands Znoceramus sont plus anciennes e font partie du crétacé supérieur. Les deux terrains, qui ont à peu près le mème aspect physique et minéralogique , sont séparés par l’assise du calcaire sablonneux à dé- composition spongieuse, qui, aux environs de Pistoja, est um excellent horizon. Sur le champ restreint de mes recherches je n’ai constaté aucun mélange de fiore et de faune entre les deux terrains, si on fait ren- trer le calcaire à décomposition spongieuse dans le nummulitique. Cependant je crois plus naturel de rapporter ce calcaire à la craie supérieure, dont il accompagne les couches d'une manière assez con- stante. Les Zoophycos seraient alors des deux époques. (4) Zoophycos novum genus planlarum fossilium, 1855, p. 49, pl. 2. RELAZIONE SUI METODI E NORME STABILITE DALLA GIUNTA CONSULTIVA PER LA FORMAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA DEL REGNO D'ITALIA (4) Illustrissimo Signor Ministro La Giunta consultiva per la formazione della Carta geologica del Regno d’Italia, convocata con Reale Decreto 28 luglio 1861, dietro proposta della S. V.HI., si riuniva in Firenze in occasione dell’apertura della Esposizione Italiana d’industria, belle arti e prodotti agrarii, come le veniva prescritto dell'articolo 2.° dello stesso R. Decreto (2). Presidente Marchese Lorenzo PARETO Vice-Presidente Prof. Cav. PaoLo SAVI Relatore Prof. Giovanni CAPELLINI i Prof. GaeTANO GEMELLARO Segrelartà | pate Antonio STOPPANI (1) Si crede opportuno di pubblicare qui, come documento relativo al Processo ver- bale della sedeta del novembre p. p,, questa Relazione, di cui fece parola in detta seduta il prof. A. Stoppani. (2)I membri della Commissione che si riunirono in Firenze sono i seguenti : Capellini, prof. Giovanni. Orsini, cav. Antonio. Cocchi, prof. Igino. Pareto, marchese Lorenzo. Costa, prof. O. Gabriele. Saer, prof. Paolo. Gurioni, nob. Giulio. Scarabelli, cav. Giuseppe. Doderlein, prof. Pietro, Sella, comm. Quintino. Gastaldi, avv. Bartolomeo. Spada, conte Alessandro. Gemellaro, prof. Gaetano Giorgio. Stoppani, prof. ab. Antonio. Omboni, prof. Giovanni. Strozzi, marchese Carlo. 468 CARTA GEOLOGICA In adempimento dell’arlicolo testè accennato, la Giunta si occupò anzi tutto della momina dell'Ufficio, e provisoriamente 1 onorevole signor Professore Costa Oronzio-Gabriele fu invitato a presiedere. L’Ufficio si compose dietro le norme indicate dalla S. V. NI, e per risultamento di successive votazioni si ebbero le seguenti nomine: Dopo che i membri componenti 1’ Ufficio occuparono il posto che loro veniva assegnato per la votazione dei colleghi, il Comitato che la V. S. Ill aveva nominato con lettera del 2 agosto 1861, informava la Giunta di quanto avea operato prima che questa si radunasse. Votati dei ringraziamenti ai Comitati, fu prima cura della Giunta di ponderare l'onorevole mandato che le era stato affidato, e poichè per l’articoto 5 del R. Decreto si dovevano avere almeno quattro sedute pubbliche, si stabilirono delle norme per giungere a trarre il maggior vantaggio possibile dai suggerimenti clie noi speravamo poter ricevere da parecchie distinte persone, le quali avevano 0 avrebbero ottenuta l'ammissione alle adunanze pubbliche per parte- cipare alle nostre discussioni. Precisate le norme da seguirsi nelle pubbliche adunanze, fu trae- ciata una specie di programma delle cose più interessanti a discu- tersi, c prima d’ogni altra si presentava alla mente di tutti la de- terminazione della carta topografica da scegliersi per il lavoro della carta geologica. Unanimemente si convenne che una carta in grandi dimensioni fosse da adottarsi, e dopo avere discusso quale scala fosse suffi- cientemente adatta e da preferirsi per gli studii geologici, fu stabilito la carta dell’uno a cinquantamila, quale già esiste per gli antichi Stati Sardi, fosse la sola che potesse rispondere alle esigenze di un lavoro geologico quale è quello che si spera vedere in breve in- trapreso. Una carta geologica, perchè possa realmente tornare utile al paese che vi ha consacrato mezzi intellettuali e materiali, non solo dove segnare i confini delle varie formazioni e riprodurre i più minuti accidenti del suolo, ma importa altresì che ci faccia conoscere ove esistano tracce di tesori non ancora esplorati e mediante segni con- venzionali ci indichi i giacimenti di materiali utili per le costruzioni DEL REGNO D'ITALIA 469 e per le industrie in generale, ove questi materiali già siano usufruiti e dove tuttora negletti, e tutto questo è assolutamente impossibile venga rappresentato in una carta di dimensioni minori di quelle che ia Giunta unanimemente adottava. intanto una gravissima difficoltà si presentava. perchè si potesse quanto prima intraprendere il lavoro della carita geologica, vogliam dire la mancanza di una carta topografica al cinquantamila per la maggior parte d’Italia ed il tempo non breve necessario per condurla a termine. A questo ostacolo in parte si ovviava, ritenendo indispensabile la carta topografica al cinquantamila, per la pubblicazione dei lavori geologici che si eseguiranno, ammettendo però che gli studi intra- prender si potessero su quelle carte topografiche che già si posseg- gono e che non molto si scostano dalle dimensioni stabilite per quella da pubblicarsi. Per tal guisa la carta all’ottantaseimilaquattrocento eseguita dallo Stato Maggiore Austriaco per il Lombardo-Veneto, l'Emilia, la To- scana fu riconosciuta adattatissima anche per la maggior parte. di quelle minute indicazioni che si richiederebbero, e lo stesso si ammise per alcune carte delle provincie Napoletane, avvertendo che per esse esiste gran parte di una carta in grande scala (ma per la massima parte inedita), la quale potrebbe all’uopo essere fotografata per venire sollecitamente fra le mani di coloro che dovessero occuparsi dello studio geologico di quelle località. Altre carte si hanno pure per la Sicilia, e la carta dell’ Etna, eseguita per cura del Barone Sartorius di Waltershausen alla scala appunto del cinquantamila, è tal modello di topografia da far desiderare che il rimanente della carta topogra- fica d’Italia che si eseguirà in quelle dimensioni, potesse avvicinarsi almeno un poco alla nitidezza ed esattezza che vi si ammira. L'ordine delle discussioni ci guidava naturalmente a trattare del Corpo al quale avrebbesi dovuto confidare il lavoro della gran carta geologica e del modo di organizzarne il personale in guisa che, per coloro i quali ne faranno parte essendo apperta una carriera da percor- rere, ne venisse stimulo grandissimo alla loro solerzia ed attività e quindi se ne potesse sperare i migliori risultamenti. 470 CARTA GEOLOGICA L'importanza dell'argomento diede luogo a lunga discussione ed a savie riflessioni, che furono emesse e propugnate da parecchi fra i membri della Giunta; si trattava di stabilire un Consiglio Superiore che avesse per incarico la suprema direzione e la sanzione dei lavori relativi alla carta geologica; s'avevano a designare gli operatori ai quali effettivamente sarà affidata fa maggior parte dell’ opera. Portato in discussione se il Consiglio Superiore delle Miniere do- vesse avere per nuova attribuzione la direzione dei lavori della carta geologica, ovvero se a quest’oggetto doveasi istituire un Corpo affatto distinto, i membri della Giunta si trovarono unanimi allorchè si pro- poneva che l’attual Consiglio Superiore delle Miniere devesse essere ampliato in vista dei nuovi bisogni e quindi altri geologi, mineralo- gisti e chimici fossero chiamati a farne parte ed oltre a questi anche i paleontologi, elemento indispensabile per il buon esito dei lavori che riguardano una carta geologica. Si determinò che questo Consiglio Superiore geologico-minerario si distinguesse in due sezioni, una tecnica industriale, e l’altra avente principalmente di mira la direzione dei lavori della carta geologica. E poichè per varie ragioni non potrebbero esser chiamate a far parte del Consiglio tutte le intelligenze che con tanta lode si occu- pano di geologia, paleontologia, mineralogia, chimica, si adottò che questi potessero partecipare alle adunanze straordinarie, le quali si convocherebbero ogniqualvolta si avessero a trattare questioni di alta importanza, o si dovessero prendere delle determinazioni per le quali si credesse opportuno il parere di tanti dotti che in quella circostanza sarebbero lietissimi di prestare l’opera loro. Questo provvedimento parve tanto più indispensabile in quanio che taluni, o necessitati a restar troppo lontani dalla Capitale pel disim- pegno d'altri doveri o per la posizione loro sociale, non potendo o non volendo assoggettarsi ad esser Consiglieri ordinarti, non saranno invece impediti nè si rifiuteranno di appartenere ai Consigliere stra- ordinarii, e la scienza potrà quindi fruire anche dei loro preziosis- simi lumi. Riconosciuta la necessità del Consiglio Superiore geologico-mine- rario distinto in due sezioni, ammessa l'utilità dei Consiglieri staordi- PS DEL REGNO D'ITALIA 474 narii, parve alla Giunta di dover determinare quali persone potranno effettivamente essere incaricate dell’esecuzione della carta geologica. Segnare sul terreno i limiti delle diverse formazioni; eseguire dal vero tagli geologici in scale proporzionate; tener conto esattissimo della posizione relativa delle stratificazioni, della giacitura dei resti organici che nei diversi strati e nelle diverse formazioni s'incontrano; saper distinguere i fatti principali dagli accessorii; e tante altre osservazioni, le quali sono interamente affidate al giudizio di chi studia minuta- mente sul terreno, non è cosa di tanto poca importanza che non dovesse seriamente preoccupare la Giunta, onde evitare, per quanto è possibile, di dovere in seguito rifare il già fatto con grave dispendio di tempo e di danaro. Egli è perciò che unanimemente fu votato non potersi ammettere come geologi-operatori se non che le persone già note per lavori di riconosciuta importanza e quelli allievi, i quali, oltre aver subito gli ordinarii esami di matematiche e scienze naturali, abbiano poi fatto pratica sufficiente sotto la direzione di un geologo-operatore. Fissati i due estremi, la Giunta si occupò di stabilire alcuno delle principali attribuzioni del Consiglio Superiore geologico-minerario, e di tal guisa venne meglio a chiarirsi l’importanza della missione che ad esso sa- rebbe riservata, e come si troverebbe in rapporto immediato e diretto coi geologi-operatori. A quest’oggelto si votarono i seguenti articoli, dei quali alcuni per riassumere quanto dovrà formare precipua cura del Consiglio Supe- riore, ed altri per precisare la posizione e gli obblighi degli operatori. Ebei Consiglio Superiore — 1.° Ad una sezione del Con- siglio Superiore geologico-minerario, sarà specialmente affidata la cura della formazione della gran carta geologica d’Italia nalla scala di uno a cinquantamila. 2.° Le istruzioni e norme generali scientifiche per il lavoro della gran carta geologica d’Italia saranno concertate nelle adunanze straor- dinarie, alle quali saranno invitati d’ intervenire i Consiglieri straor- dinarii. 3.° Le istruzioni e norme particolari e personali saranno fissate € trasmesse dal Consiglio Superiore ordinario. 479 CARTA GEOLOGICA 4° Il Consiglio Superiore potrà delegare alcuni dei suoi membri ordinarii o straordinarii per dare all’ uopo ai geologi-operatori istru- zioni più particolareggiate relative alla sezione della quale avranno avuto incarico di occuparsi; come pure per verificare i lavori in corso di esecuzione. 8.° È attribuzione del Consiglio Superiore di curare la pubblicazione di un giornale o raccolta di memorie di mineralogia, geologia e pa- leontologia pura od applicata per raccogliere in tal guisa i lavori preliminari o definitivi per la formazione della gran carta geologica. 6.° I lavori presentati per il giornale, sia dai geologi-operatori eome dagli operatori liberi, saranno pubblicati dopo l’ approvazione ottenuta dal Consiglio Superiore. 7.° Per i lavori che avranno diretta attinenza colla gran carta geologica e saranno presentati da liberi operatori, il Consiglio, nel caso che vengano approvati, proporrà al Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, venga accordata all’autore una indennità pari alla spesa che con tal lavoro è risparmiata al Governo, 8.° I lavori presentati al Consiglio Superiore dovranno esser cor- redati degli esemplari originali dei minerali, rocce e fossili che vi si riferiscono, non che di spaccati geologici, e le rocce almeno do- vranno essere in duplicato. 9.° Vi sarà una collezione annessa all’uffizio del Consiglio Superio- re, edin essa si conserveranno gli esemplari di minerali, rocce e fossili, relativi alla carta geologica ed alle memorie per cura del Consiglio stesso pubblicate nel giornale del quale si è parlato all’ar- ticolo B.° 40.° Per quel che riguarda i fossili, quando trattisi di liberi ope- ratori, i quali non volessero privarsi di esemplari unici o rari, e non potendo diseredare altri pubblici stabilimenti di oggetti preziosi che ad incremento della geologia Italiana verrebbero illustrati e pabblicati nel giornale, il Consiglio curerà che dagli originali (i quali, salvo poche eccezioni, saranno richiesti all'appoggio della memoria) siano con ogni diligenza eseguiti modelli da conservarsi nella grande col- lezione centrale. 41.° Gli esemplari duplicati saranno distribuiti ed ordinati nei DEL REGNO D ITALIA 4753 principali sub-centri, e specialmente nel Museo universitario 0 pro- vinciale della regione alla quale si riferiscono, o verranno a comple- tare raccolte speciali già esistenti. i 12.° Le analisi chimiche dei minerali e delle rocce, l'esame e le determinazioni dei fossili raccolti dai geologi-operatori o presen- tati a corredo delle memorie da pubblicarsi nel giornale, saranno affidate a Commissioni istituite all’ uopo. 13.° Il Consiglio Superiore sarà in relazione diretta coi geologi- operatori, osservando quanto è stato prescritto dall’ art. 4. 14.° Il Consiglio, oltre le collezioni, curerà la formazione d’ una biblioteca speciale, dove siano raccolte tutte le opere geologiche e paleontologiche e tutte le carte relative alla geologia d’Italia, i ma- noscritti e le carte inedite che venissero offerte, non che quelle opere e carte straniere che possono tornare più opportune allo studio della geologia Italiana. 15.° Sarà nominato un Direttore generale amministrativo, sottomesso al Consiglio Superiore, dal quale sarà incaricato dell'esecuzione degli ordini dal Consiglio stesso emanati. Mei Geologi=operatori — 4.° Saranno ammessi come geo- logi-operatori coloro che con lavori avranno dato prove di perizia, ovvero, dopo sostenuto esami teorici ravvisati sufficienti, come di dottori in scienze naturali od in matematiche, avranno atteso alla geologia pratica sotto la scorta di geologi-operatori. 2.° I geologi-operatori saranno aggregati al R. Corpo degli Inge- gneri delle Miniere, col quale faranno carriera, senza cessare d’ at- tendere esclusivamente alla geologia. Tutto quanto siam venuti rapidamente esponendo riguarda principal- mente il lavoro della gran carta geologica, ma una volta che quest’o- pera veramente degna dell’Italia risorta venga per le cure sollecite della S. V. HI. decretata, la Giunta consultiva fa voti perchè, in aspettativa del grandioso lavoro al quale si accingerebbero tutti i geologi Italiani, si curasse intanto la pubblicazione di una carta geologica d’Italia in molto minori dimensioni di quelle che noi ab- biamo adottate. 47% CARTA GEOLOGICA Questo lavoro, che potrebbe quasi servire di prodromo alla gran carta geologica, sarebbe destinato a fissare lo stato delle conoscenze geologiche in Italia al momento in cui si intraprenderebbe il lavoro ufficiale. Moltissimi sono i materiali editi o inediti che servir potreb- bero per questa compilazione, e noi abbiamo potuto persuaderci della facilità di attuare questo nostro voto e dell’utilità grandissima che ne verrebbe alla scienza principalmente. Una Sotto-Commissione, mominata in seno alla nostra Ginnta, ci informava della maggior parte delle carte o frammenti di carte geolo- giche edite o inedite che si riferiscono alle varie Province, e noi fummo lietissimi di conoscere appunto per questo mezzo che la cosa non riescirebbe tanto dispendiosa e difficile come potrebbe dapprima sospettarsi. Quando questa piccola carta si dovesse compilare, il Consiglio Superiore geologico-minerario, che a quell’ epoca già dovrebbe aver vita, convocherebbe i membri del Consiglio straordinario e con essi concerterebbe perchè finalmente in Italia anche fra i geologi vi fosse unità di linguaggio e per quanto è possibile anche di vedute, senza distruggere quanto è consacrato da lunghi studii e da preziosi lavori, e senza che per tal modo alcuno venga ad esser vincolato nel modo di rendersi conto dei varii fenomeni geologici. Oltre a tutti questi provvedimenti, frutto delle discussioni private fra i membri della Giunta, utili suggerimenti si ebbero altresì nelle pubbliche adunanze che noi stabilimmo secondo le norme prescritte all'art. 5 del R. De- creto 28 luglio 1864. In questa occasione noi udimmo la lettura di una memoria del signor Maggiore Porro nella quale trattava del modo di avere sollecitamente una carta topografica e ci consigliava di raccomandare ai geologi gli studii relativi alla deviazione dalla verticale ed alla declinazione magnetica. E facendoci interpreti dei desiderii manifestati dalla Giunta non solo, ma eziandio da coloro che si compiacquero prender parte alle nostre pubbliche sedute, non ommetteremo di raccomandare alla S. V. II. l'istituzione almeno di una scuola di Capi-minatori e Capi- fonditori, scuola che potrebbe essere annessa all’Uffizio della carta DEL REGNO D'ITALIA 473 geologica stessa. Tutti coloro che hanno dovuto occuparsi di coltiva- zione di miniere o di stabilimenti metallurgici, come altresì quelli che per istudii loro particolari hanno visitato tali stabilimenti in Italia, sono in grado di apprezzare quanto sia grave e dannosa la mancanza di Capi-minatori e Capi-fonditori capaci di render conto a sè slessi e di informare gli altri di quel che stanno facendo. Le cognizioni che si richiederebbero per avere questi abili Caporali di miniere e Capi- officine sono abbastanza limitate, e non costerebbe gran cosa al Go- verno il dare delle disposizioni perchè sorgesse fra noi questa scuola, dalla quale d’altronde deriverebbero vantaggi grandissimi special- mente alle industrie. Ai geologi-operatori poi si potrebbero raccomandare le osservazioni che condurrebbero in seguito alla formazione d’una carta speciale per è filoni, lavoro che può riescire importantissimo particolarmente per alcune località. Anche le notizie relative ad una statistica mine- raria che il Governo altra volta promosse, ma che incontrò sempre grandi difficoltà, potrebbero senza grave pena e dispendio esser rac- colte dai geologi-operatori stessi, i quali, necessilati a percorrere passo a passo il terreno, che si accingerebbero a studiare minutamente, non si può supporre potessero incorrere in inesattezza per quel che riguarda la statistica della quale abbiam fatto cenno. Finalmente è a desiderare che il gabineito chimico, ove si do- vranno eseguire i saggi dei minerali e roccie presentate al Consiglio Superiore geologico-minerario, sia convenientemente provvisto anche di macchine e di apparecchi speciali per la determinazione della densità, del coefficiente di tenacità e di resistenza e di tante altre proprietà necessarie a studiarsi specialmente nei materiali che deb- bono servire alle costruzioni. Tali sono le norme che la Giunta consultiva, convocata dietro pro- posta della S. V. Il., credette dovere stabilire, affinchè, attuando la formazione della carta geologica del Regno d’Italia, ne derivino effettivamente alla scienza ed all'industria tutti quei vantaggi che si presentavano alla mente della S. V. Ill., allorchè ci degnava dell’ono- revole missione, che noi cercammo di disimpegnare in modo da render fecondo di ottimi risultamenti il nobile pensiero che ebbe la S. V. Ill. di 476 CARTA GEOLOGICA DEL REGNO D'ITALIA proporre tal cosa la quale anche in questa parte ci porterà al livello delle altre nazioni incivilite. Possano i nostri suggerimenti riescire di qualche utilità, possano i nostri voti ed i nostri desiderj essere in parte almeno secondati, e noi ci reputeremo fortunati di aver con ciò contribuito all’attuazione di un’opera grandiosa, la quale speriamo riescirà veramente degna del Genio Italiano. Firenze, 28 settembre 1861. Il Presidente Pareto march. LoRENZO Il Relatore Prof. GrovANNI CAPELLINI. INDICE Seduta del 3 febbrajo 186%. . . . Sa re Mao: Gasrapi, Cenni su alcune armi di niet a e bronzo, ec. » Poronio, Monografia del genere Aulostomum. . . . » MormitLer, Carte des anciens glaciers du versant méridional des Alpes. Memoria letta nell’ adunanza del 25 dicem- bre #30 0a NDR a Riaacà da, - Seduta:delj21:febbrajo) 8964 1-0 dieta pet aa Stoppani, Sulle condizioni generali degli strati ad Avicula contorta, sulla loro speciale costituzione in Lombardia e sulla costituzione definitiva del piano infraliasico . » Sedutaudel'2ftmarzo 1864 ti. Sor aa a Srroset, Ossergazioni fenologiche sui cimici longiscuti » Taccwerri, Sopra alcune specie lombarde del genere Chrysopa. . . . 2 or dea Ronpani, Species europee generis Pliagia (Too st SARRI Seduta del 28 aprile 4861. . . . » Ongoni, / ghiacciaj antichi e il terreno erratico di Lai. Gardioa(Tay. Tee N e en Cavacteri, Osservazioni sull’ Epyornis |. . . . . » Seduta del 26 maggio 1861. . . . "PARO, Ousoni, Bibliografia : Gastaldi, Epoca Slusialo miocenica, Cantoni, Muovi principj di fi siologia vegetale . . » De Bosis, { minerali utili delle Marche . . . . » Panceri, Sulle vaginicole dei gamberi comuni (Tav. I) » Taccaerti, Su alcune libellule del Bresciano. . . . » Seduta del 30*giugioe@sot. > iN e e Boruini, Sulla malattia dei gamberi comuni. . . . >» Poronio, Osserpazioni di botanica diagnostica . . . » 477 184 . 200 206 221 252 300 308 315 327 DIL 396 338 3492 SUM Connaia, Sull'allevamento dei bachi da seta dell’ Ailanto pag. Seduta del 28 luglio 1861... . Me De Bosis, La Grotta degli schiavi (Tav. v). 5315 21 Bonuini, Filatura a freddo dei bozzoli da seta. . . » Manzi, Sull’alleramento dei bachi dell'Ailanto . . . >» Rowpani, De specie altera generis Chetine Andn. . . » = 'Sarcophagervalica eten eg Sedutadel'2agosto” vu + 2/1 SIEM, GTA Passerini, Additamenta ad indicem Apia Lat Seduta -del' 24" hovesmbie seo 2 RASOI 08 Idem del 29 dicembre . . . Fr 4 LD Berrorti, Sull’allevamento dei bachi dell’ "atoldito pu 4 Poronio, Sui parassiti dei gamberi. . . . EER Ubi. Sullo sviluppo della così detta Membri Secon- daria della cellula vegetale . . . . ” Viuta, Sulle conchiglie terrestri e fluviali dè 0a Palestra Sewonen, Catalogo delle Meteoriti dell’î. r. gabinetto mi- neralogico di Waenng sx ir E ME an BentoLio, Nuovo processo per ottenere alcuni cloruri . > Berrorio e Row, Sludj analitici intorno ai vini . . » MonriLuer, Note sur le crétacé et le Di des en- virons de' Pistoja (Tav VIS spore 9» Relazione della Giunta consultiva per la formazione della carta geologica del regno d’ Italia < 0» È _ È I sù è E Omboni, Antichi ghiacciaj eterreno erratico di Lombardia n) a : i SOREnE) Atti della Società italiana di Scienze naturali. Vo. Tav JI. . della Sesia). — Avanzi delle Morene terminali e d'ostacolo finora osservati in BRESCIA i Lombardia . [e] Lit.Corbetta e Ronchi Ca do dei gb vario delle Alpi Werberdy ae; aporie oproteanovia : COTE LISI RI Umboni. Artic chi o” Ati della Società Italiana di (ann re © Sig 2. Musso erratico dell'Alpe di Fravolta sul monte È Nan frimo, a 00 metri sul livello del lago di Como. è 3 2 3 = : È S Fiy3.Masso erratico di Frascarolo presso Varese. beni SÈ Mal grande + 6 la fi 2: i «Medi è È dose seelgieno Chigriolo Camerio : NEGRE MU. Campo del Da i Pea scegli a È ; na di mm (gelcca;. 1 i i Tre Croci (alcinate del Pesce : Sii : ; i ci : SCE I i ot Casciago. 1 Gavirate è i Fig.4. La grande morena sui monti di Gavirate, veduta dal lago di Varese. M. Valgrande Madon!"delMonte Ù 3 “Ne *. aa > i i È - ast (4 % Il SFentaloa terminale ad de dl n Le al ì À Fig. 1. e i tl: = TE . Morene di un ghiacciajo completo, e formato da === 1 3 ghiacciaj semplici. (a/Morene d'ostacolo. di versi arop el Di OLUNITOIO È AVAST Hat 7 LL SÒ N N < _y xy Rocce diverse della valle di Chiavenna e della riva occidentale del lage di Como. \ Serizzo ghiandone, serpentine, rocce amfiboliche ecc. della Valtellina . 40 Rocce della riva sinistra dell'Adda, da Tirano n a-Lecco. Cie dda dvi lugar dille rocce alpine avel Aerneno evvoitico soleMlov radi occidentotle, ev one dei abiucciai dell'epoca qualemoria. gf ti ) Lie De Bosis Grotta degli Schiavi Atti della doc Hanta e spaccato della (rotta degl 5 p ui A ma TTT] TTT IT r 7 ieta ital di Scienze nat Vol II Tav.V. Pianta ‘ Schiavi presso Ancona . Mortillet. Anciens glaciers des Alpes ete. Atti della Società italiana di Scienze naturali Vol.II Tav.VI dute = Nan7 7% XE ; dara and, TT LION Pero prose seno gelosi Rogan 2 A, II IZEFN LS pra laa A E dial o È REA ami @ FP) Laght AR TSitare Sa” di cant PMayenteld ==> RR 5 Le n d Eng \ 7 Ù DEV ing 104 110 O 01017 001 î VOXI02 Ni um | A ZA dineariàt $ d i AG, | Silteris di GALIMTTIA ‘me Penny sen Dissentig \fedri Cescheneng DI 4 Serao Lian italidr Led J\ v e E: H DA Bad: o DES Serge” - z Inf È Nas sa CATAZITENTE | è ha 3 ) a \ura ati 2 apo O ‘di Piave Fecchin è Varia SA ) BEZAILO" [apoa 3 PA) VI 7 ly as prep. | Magici soi EA o! Àw i. SI a ido du SI 90% } pon TETRA : vi ig EL piperno i pa PRO tro Lo sla ig Veri Ergo a SE nola ta A, ({ Ctivigradd 72 o. x i n; 1 AN i a EL Nt zeri YI Bolecola net | ENO Sé SEZ i "SG CGUTZQII NN sosti du vervant italien des Alpes Salt n lo ccola A = A rr È uber) n UE fi «20 Magnavacca a He A s9 Corcehgtà | ki sgrie DI ii Y Den et rio / ) x, Formifyta è Y, <= E 2A i ia) ‘ agrfa8toto, ci } UE #<] q A raro y . rod Sgh Hoktesighi { dsdrsdio X a & iprità 3 È MO 7 } DL) no N" ra SALE AI Quilicof È A gta ; 7 5 (i x ; ; à 5 Oa Ro i j ; ARI Sruranoe x 7 î BOoLa ri Zord Corsini do ca) 0) SD, 7 7 ; vi ra: 3 PolAVlere 2a (rpine: L y oi) \ Fe, iz a’ Mfriceno! si È fo ; ? ua 9 Ga e SA nona Tecio È Poni. Pen RTS Worra»/ *Cornigli Togf sod dr: Modcrio® Are rivditt 53 Cse7 esdofl] LP ontémo] 7 ; par Gabriel de Mortillet. BE Ancerens glaciore TUOI Sorimete qui alimentatent les glacters fg +++ Fniîto du versunt italien des Alpen (01. dle Bernenzi Sestri if o I badi es Dai Moribive7 it; Fadang =) L'ON a, vado pù ‘ SER dI eda Colle di Fenda MAGI o dii Noli I So cappe » x TIE MRS Ujzae IR IAT ice Ea 2a A è siii r proci CORI o: e) ogppanssay o 2249nb OIZZZZI) PIPA ISIS A I) "0 \ SPPUAAA MP 07) NI NIZZA A i DI quow °P 17/49 MA (Aud SO ]) Pa ve VPO.LSIA 2P SUOJSIAUI SIP SIYIVITVI SINIMISIO sap mivurtidy hi * SAlA}1pLSSO] squiod 509] quonbipu soIgiyo 59 SANOL SIPUDIYY ‘dIJIP UNNI} - amy? v 8018] © \ AanDYI D SINO A “od (CAV LIIIM0 A | 020007 SE SARA Il (N 7 . 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