CAPET SOCIETÀ ITALIANA | SCIENZE NATURALI VOLUME XXX. Vo verf | I MILANO, ue ; TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. A RR PIE x ria Li Di da L' ha vé 2 PI si - si ; e o | VOLUME XXX.. II È e FascicoLo 1°-2° — Foani 1-12. CIR Con due tavole. I “ s. v MILANO, Ata E gi 3 È | Macoro 1887. | DI SCIENZE NATURALI |°—‘’‘’‘’‘‘—‘IP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. (PER O L'URALIA: «© | PER L'ESTERO; ria.) PRESSO LA; S% i PRESSO LA | ‘SEGRETERIA DELLA SOCIETA’ | LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI © Lit TIR SMILANO — Ra | MILANO Palazzo del Museo Civico //(/ | Galleria De-Cristoforis, i “Via Manin, DRG i i 59-62. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la 3° pagina di questa copertina. | | PRESIDENZA PEL 1886. Presidente, StOPPANI prof. AntonIo, Direttore del Ci vico Museo di Storia. naturale di Milano. Vice-presidente, BeLLorTI dott. CRISTOFORO. a. MERCALLI prof. GiusePPE, Milano, via S. Andrea, 10. ai Pini rag. NAPOLEONE, Milano, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-PIATTI Ing. GIUSEPPE, Milano, via Senato, 14. Digitized by the Internet Archive in 2012 with funding from California Academy of Sciences Library nttp://archive.org/details/attidellasocieti/404soci ATTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOL. XXX. ANNO 18SE8 7. MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. 1887. SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI DIREZIONE PEL 1887. l’residente. — SToPPANI prof. cav. ab. ANTONIO, direttore del Mu- seo Civico di storia naturale in Milano. Vice-Presidente. — BELLOTTI dott. CRISTOFORO. MERCALLI prof. GIUSEPPE, via S. Andrea, 10. Segretarj 1 I J Pini nob. NAPOLEONE, via Crocefisso, 6. Conservatore. — MOLINARI ing. prof. FRANCESCO. CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE. I in CrIvELLI march. LuiGi. Conunissione Borromeo conte GiBERTO juniore. MaereTTI dott. PaoLo. Cassiere. — GARGANTINI-PrAaTTI cav. Giuseppe, Milano, via Sc= nato, 14. Economo. — DELFINONI avv. cav. GOTTARDO. amminisirativa SOCJ EFFETTIVI al principio dell’anno 1887. ArBanELLI rag. Fiuippo, Milano. ArrIconi degli OppI conte ETTORE, Padova. BARETTI prof. cav. MaRtINO, Torino. BassanI prof. FRANxcEsco, Milano. Bazzi EucEnIo, Brissago. BeLLonci GiuserPE, prof. di zoologia nella R. Università di Bo- logna. ‘ BeLLortI dott. Cristororo, Milano. BerLa Errore, Milano. BestA dott. Riccarpo, R. Liceo Parini, Milano. BertoNI dott. EuGENIO, Brescia. Boccaccini prof. CoRRADO, Ravenna. Borromeo conte CarLo, Milano. Borromeo conte GiBERTO juniore, Milano. ù BortI cav. ULDERICO, consigliere delegato presso la R. Prefettura di Cagliari. Bozzi dott. Lu:ci, R. Università di Pavia. BrioscHI comm. FRANCESCO, senatore del Regno e direttore del R. Istituto Tecnico superiore di Milano. ButTI sac. AnGELO, prof. nel R. Istituto Tecnico, Milano. Buzzoxi sac. Pierro, Milano (CC. SS. di Porta Romana). ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1887. 5 CALDERINI sac. Pietro, direttore dell’ Istituto Tecnico di Varallo (Val Sesia). CameRANO dott. Lorenzo, Torino. CamPacciI dott. cav. CesARE, Firenze. CANETTI dott. Carro, Milano. Cantoni dott. ELvezio, prof. al'R. Liceo Manzoni, Milano. CarRuccio prof. cav. ANTONIO, direttore del RR. Museo Zoologico della R. Università di Roma. CartANnEO dott. Giacomo, Pavia. CavaLLorti ing. AneeLo, Milano. CeRUTI ing. GIovannI, Milano. Certi ing. Giovanni, Laglio (Como). Cocconi prof. GrroLamo, Bologna. CoLienon dott. NicoLa, professore di meccanica nel R. Istituto Tecnico, Firenze. CoLompo dott. Giuseppe, Milano. CoLomBo-ParaccHi sac. FEDERICO, professore nel Collegio Comu- nale di Merate. Coroni sac. GAETANO, professore di Scienze naturali a Crema. Conti Giovanni, KR. Istituto Tecnico superiore di Milano. CreEsPELLANI cav. Arsenio, Modena. Crety dott. Cesare, R. Università di Roma. CriveLLI march. Lurer, Milano. De-CarLINI dott. AnceLO, Pavia. DeLFINONI avv. GortARDO, Milano. DeL Mayno march. NorserTo, Milano. DE LroxnE dottor Vincenzo, Castiglione Messer Raimondo (A- bruzzo). Dorra march. Gracomo, Genova. Fanzaeo dott. EiLirpo, professore di storia naturale nella R. Università di Sassari. FERRARIO dott. cav. ErcoLE, Gallarate. FerRERO Ottavio Luiar, professore di chimica nel R. Istituto Agrario di Caserta. FrancescHINI FELICE, Milano. 6 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI GAFFURI sac. dott. CESARE, S. Pietro Martire. GARGANTINI-PIATTI ing. Giuseppe, Milano. Gasco prof. Francesco, R. Università di Roma. GiracomEtTI dott. Vincenzo, Mantova. GiseLLI. dott. Giuseppe, direttore del R. Orto Botanico di To- rino. a Gouin ing. Leone, Cagliari. GuaLterIO march. CARLO RAFFAELE, Bagnorea (Orvieto). KrucH Oswanpo, R. Università di Pavia. LepPorI dott. CESARE, assistente al Museo zoologico dell’Univer- sità di Cagliari. Levi barone comm. Scanner ApoLFo, Firenze. LinciaRDI dott. GIAMBATTISTA, Pavia. MaccI dott. LeopoLpo, professore di anatomia comparata nell R. Università di Pavia. MaserettI dott. PaoLo, Cassina Amata (Milano). MarFattI dott. Giovanni, Milano. Manzi prof. MicHELANGELO, Lodi. MarcHi dott. Pietro, Firenze. MARIANI dott. Ernesto, R. Università di Pavia. MattIiRoLo dott. OrEsTE, Torino. Mazza dott. Felice, Varzi (Voghera). Mazzetti sac. GiusepPE, Modena. MazzuccHELLI ing. VITTORIO, Milano. MeLLA conte CarLo ArBoRIO, Vercelli. MENEGHINI GIUSEPPE, senatore e professore di geologia nella R. Università di Pisa. MercaLLI sac. prof. GiusePPE, Monza. Mezzena ELvino, Milano. MOLINARI ing. prof. FRANCESCO, assistente al Museo Civico di Mi- lano e nel R. Istituto Tecnico superiore. MonTICELLI dott. SAveERIO, Napoli. MorA dott. Antonio, Bergamo. NEGRI dott. comm. GAETANO, senatore del Regno, Milano. NicoLis ENRICO, Verona. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1887. fi NricoLucci cav. Giustiniano, Isola presso Sora (Napoletano). NINNI conte ALessanpro PERICLE, Venezia. OmBoNI dott. Giovanni, professore di geologia nella R. Università di Padova. PaoLucci dott. Lurei, professore di storia naturale nel R. Isti- tuto Tecnico, Ancona. PAroNA dott. CarLo FaBrizio, libero docente nella R. Università di Pavia. ParoNA dott. CorraDpo, professore di zoologia e anatomia com- parata nella R. Università di Genova. PasseRINI dott. GIOVANNI, professore di botanica nella R. Uni- versità di Parma. PassERINI conte NAPOLEONE, Firenze. PauLucci marchesa Marianna, Villa Novoli presso Firenze. Pavesi dott. Pietro, professore di zoologia nella R. Università di Pavia. PerugIA dott. ALBERTO, direttore onorario del Museo Civico di Trieste. PianzoLa Luier, dottore in legge, Milano. PicaGLia dott. Luier, Modena. Pini nob. NAPOLEONE, Milano, Prrona dott. Giurio ANDREA, professore di storia naturale al Liceo di Udine. PirortA dott. RoxuaLpo, R. Giardino Botanico, della R. Uni- versità di Roma. | PoLLi PietRo, professore di storia naturale all'Istituto Tecnico di Milano. Ponti Cesare, Milano. PRADA dott. Troporo, professore di ‘storia naturale all’ Istituto Tecnico di Pavia. ReBescHINI CrIstIANO, Milano. ReeazzonI dott. Innocenzo, professore nel R. Liceo di Como. RicHarp GiuLio Aveusro, Milano. RopELLA GIUSEPPE, allievo ingegnere, Milano. Rossi cav. AnTONIO, ingegnere capo del genio civile (Como). 8 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AI, PRINCIPIO DELL'ANNO 1887. SAccHI-CATTANEO dottoressa MARIA, Pavia. Sacco dott. FeDERICO, assistente al R. Museo geologico di Torino. SALMOJRAGHI ing. FRANCESCO, professore di mineralogia nel R. Istituto Tecnico superiore di Milano. SartorIo dott. AcHILLE, professore di storia naturale nel R. Li- ceo di Pistoja. Scarpa dott. GiuserPE, Treviso. ScoLa dott. LorENZo, Milano. Senna AnezLo, Milano. StoPPANI ab. ANTONIO, professore di geologia nel R. Istituto Tec- nico superiore di Milano. STRAZZA TemistocLE, Milano. STROBEL PELLEGRINO, professore di mineralogia nell’ Università di Parma. TARAMELLI Torquato, professore di geologia nella R. Università di Pavia. TARGIONI-TozzETTI comm. ApOLFO, professore di zoologia al Museo di storia naturale di Firenze. TeRrRACCcIANO cav. NicoLa, direttore dei Giardini Reali a Caserta. Tommasi dott. ANNIBALE, R. Istituto Tecnico di Udine. TRANQUILLI GIOVANNI, professore di storia naturale nel Liceo di Ascoli. TREVISAN conte VirtorE, Milano. Turati nob. ERNESTO, Milano. Turati nob. GranFRANcO, Milano. VarLe dott. AntoNIO, assistente presso il Civico Museo di storia naturale di Trieste. VERRI ANTONIO, capitano nel genio militare, Terni. Visoni nob. Giunio, Milano: VILLA VITTORIO, Milano. ! Visconti conte ALronso Marra, Milano. Visconti Ermes march. Caro, Milano. Vismara rag. IraLo, Milano. SOCJ CORRISPONDENTI. AscHerson dott. PAoLo, addetto alla direzione dell’Orto botanico, Berlino. BARRAL, direttore del giornale L’ Agriculture pratique, Parigi. Bore Carto, naturalista, Leipziger Platz, 13, Berlino. BrusiNA SPIRIDIONE, soprintendente del Dipartimento zoologico nel Museo di storia naturale di Agram (Zagrab) Croazia. FavrE ALFoxso, professore di geologia, Ginevra. FieureR Luicr, rue Marignan, 21, Parigi. GeINITZ Bruno, direttore del gabinetto mineralogico di Dresda. Hauer Francesco, direttore del Museo di storia naturale di Vienna. JANNSENS dott. EuaENIO, medico municipale, rue du Marais, 42, Bruxelles. Lk PLé dott. Amepro, presidente della Società libera d’emula- zione, Rouen. Lory CARLO, professore di geologia alla Facoltà delle scienze a Grenoble. MERIAN, professore di geologia al Museo di storia naturale di Basilea. MortILLET GABRIELE, aggiunto al Museo Nazionale di Saint-Ger- main-en-Laye, presso Parigi. Netto dott. LapisLao, direttore delia Sezione botanica del Mu- seo Nazionale di Rio Janeiro. Pier Luici, avvocato, del Gabinetto mineralogico di Cham- béry. Pizarro dott. Gioacnino, direttore della Sezione zoologica del Museo Nazionale di Rio Janeiro. PrancHon GiuLio, professore di botanica a Montpellier. 10 SOCJ CORRISPONDENTI. RaimonpIi dott. Antonio, professore di storia naturale all’ Uni- versità di Lima (Perù). SeNoNER cav. ApoLFo, bibliotecario dell’I. R. Istituto Geologico di Vienna. StuDER BERNARDO, professore di geologia, Berna. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI al principio dell’anno 1887. ITALIA. R. Istituto Lombardo di scienze e lettere — Milano. . Ateneo di scienze — Milano. . Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri — Milano. . Società agraria di Lombardia — Milano. . Accademia Fisio-Medico-Statistica — Milano. . Ateneo di Brescia. . R. Accademia delle scienze — Torino. . Accademia di agricoltura commercio ed arti — Verona. . R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia. . Ateneo Veneto —- Venezia. . Notarisia — Venezia. . Accademia Olimpica — Vicenza. . Società Veneto-Trentina di scienze naturali — Padova. . Associazione Agraria Friulana — Udine. . Società dei Naturalisti — Modena. . Accademia delle Scienze — Bologna. . Accademia dei Georgofili — Firenze. ISTITUTI SCIENTIFICI CORR. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1887. ll . Società Entomologica italiana — Firenze. . Società toscana di scienze naturali — Pisa, . Accademia de’ Lincei — Roma. . Società italiana delle Scienze detta dei Quaranta — Roma. . R. Comitato Geologico d’Italia — Roma. 25. . Società di letture e conversazioni scientifiche — Genova. . R. Accademia delle Scienze mediche — Genova. . Società Reale delle Scienze —- Napoli. . R. Istituto d’Incoragg. per le scienze naturali — Napoli. 28, . Società economica del Principato Citeriore — Salerno. . Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti — Pa- Accademia dei Fisio-Critici — Siena. Associazione dei Naturalisti e Medici — Napoli. lermo. . Società di scienze naturali ed economiche — Palermo. . Commissione Reale d’Agricoltura e pastorizia — Palermo. . Società d’acclimazione e agricoltura — Palermo. . Accademia Gioenia di scienze naturali — Catania. DI. >. Società Africana —- Napoli. . Circolo degli Aspiranti naturalisti — Napoli. . Società d’esplorazione in Africa -— Milano. . Giornale botanico — Firenze. Società d’orticoltura del litorale di Trieste. SVIZZERA. . Naturforschende Gesellschaft Graubiindens — Chur. . Institut National Genèvois — Genòve. 2. Société de physique et d’histoire naturelle — Genève. . Société Vaudoise de sciences naturelles — Lausanne. . Société des sciences naturelles — Neuchitel. . Naturforschende Gesellschaft — Ziirich. . Naturforschende Geselleschaft — Basel. . Società Elvetica di scienze naturali — Berna. . Naturforschende Gesellschaft — Bern. PERO! CEE ©p) (© (©p) pd ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI GERMANIA ED AUSTRIA. . Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis — Dresden. . Zoologische Gesellschaft — Frankfurt am Mein. . Zoologisch-mineralogisches Verein — Regensburg. . Phisikalisch-medizinische Gesellschfat — Wiirzburg. . Nassauisches Verein fiir Naturkunde — Wiesbaden. . Offenbaches Verein fiir Naturkunde — Offenbach am Mein. . Botanisches Verein — Berlin. . Verein der Freunde der Naturgeschichte — Neubrandeburg. . Geologische Reichsanstalt — Wien. . Geographische Gesellschaft — Wien. . Zoologisch-botanische Gesellschaft — Wien. ;0. Siebenburgisches Verein fiir Naturwissenschaften — Her- mannstadt (Transilvania). . Verein fir Naturkunde — Presburg (Ungheria). 002. . Physikalisch-medizinische Gesellschaft — Erlangen. . Senkenbergische naturforschende Gesellschaft — Frankfurt . Deutsche geologische Gesellschaft -—— Berlin. am Mein. . Verein fiir Erdkunde — Darmstadt. . Naturforschende Gesellschaft — GOrlitz. | . Schlesische Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur — Breslau. . Bayerische Akademie der Wissenschaften — Miinchen. . Preussische Akademie der Wissenschaften — Berlin. . Physikalisch-oeconomische Gesellschaft — Kénigsberg. . Naturhistorisches Verein — Augsburg. . Deutsch-Oesterreichisches Alpen-Verein, Section “ Austria » — Wien. . K. K. Hof-Mineralien-Cabinet — Wien. . Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft —- Jena. . Naturwissenschaftlich-medizinisches Verein — Innsbruck. . Verein zur Verbreitung naturwissenschaftlicher Kenntnisse — Wien. PRE AT. DI ; è E Og E nn 1 n TI Ion DI: 78. 19. 80. St. 82. 83. 84. 85. 86. Sile 88. 809: 90. SL 92 93, AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1887. 13 K. ungar. geologische Anstalt — Budapest. Antropologische Gesellschaft — Wien. Naturwissenschaftliche Gesellschaft — Chemnitz. Direction der Gewerbeschule Bistriz — Siebenbiirgen. SVEZIA e NORVEGIA. Kongelige Norske Universitet — Christiania. Académie Royal Suèdoises des sciences — Stockholm. RUSSIA. Académie Impériale des sciences — St-Pétersbourg. Société Impériale des Naturalistes — Moscou. Societas pro fauna et flora fennica — Helsingfors. BELGIO e PAESI BASSI. Académie Royale de Belgique — Bruxelles. bociété Royal de botanique de Belgique — Ixelles-les- Bruxelles. Société Malacologique de Belgique — Bruxelles. Société Entomologique — Bruxelles. Musée Teiler — Harlem. FRANCIA. Institut de France — Paris. Société d’Acclimation — Paris. Société Géologique de France — Paris. 14 94. 95. 96: SN 93: 99. 100. 101. 102. 1035. 104. 105. 106. NOTE 108. 109. P10. I: Ib2: 113. 114. Coe 1106. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI Société Botanique — Paris. Société Linnéenne du Nord de la France — Amiens (Somme). Académie des sciences, art et lettres — Rouen (Seine inf.). Société des sciences naturelles — Cherbourg (Manche). Société des sciences physique et naturelles — Bordeaux (Gironde). Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie — Chambéry. Société Florimontane — Annecy. Société d’agriculture, d’histoire naturelle et des arts utiles de Lyon. Société d’histoire naturelle — Toulouse. Sociedad espaîi. de historia natural — Madrid. INGHILTERRA. Royal Society — London. Geological Society — London. Zoological Society — London. Geological Society — Glascow. Literary and philosophical Society — Manchester. Royal Society — Dublin. Royal physical Society — Edinburgh.. AMERICA. Smithsonian Institution — Washington. American Academy of arts and sciences — Cambridge. Academy of sciences — S. Louis (Missouri). Boston Society of natural history — Boston. American Academy of arts and sciences — Boston. Connecticut Academy of arts ad sciences — New-Haven (Connecticut). : 279 118. L19. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 196. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1887. 15 Orleans county Society of natural sciences — Newport. Geological Survey of U. S., New-York. - Museo nacional de Rio Janeiro. Acad. nacional de sciencias de Cordoba (Rep. Argentina). Geological and natural history Survey of Canada — Mont- real. Geology of Wisconsin — Beloit. Canadian Institute — Toronto. Ministerio de Fomento de la Republica Mexicana. Academia Nacional de ciencias — Cérdobha. ASIA (Indie orientali). Geological Survey of India — Calcutta. ,* a pars ni a tu dna cima “tor logs Lin Inorati ‘babe sl “AR Vibo i opta ansa 16% È UA pica LS odi gent, na ai i siga nl abolito sh° 6008 La ipaisdolizà) + rioseio db Inmoiva dA sir al 10 A. "RE SRO I URGREO ATE TOT da! si To DIE TTAL'UINA, BE i, Bo — bibi LI ivan v i "Si I gii I TERRENI QUATERNARI DELLA COLLINA DI TORINO. © Nota del socio Dott. FEDERICO Sacco PROFESSORE DI PALEONTOLOGIA E LIBERO DOCENTE DI GEOLOGIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI TORINO. La collina di Torino, costituita in massima parte di terreni miocenici, colla ricchissima sua fauna marina attrasse finora cosifattamente l’attenzione dei paleontologi e dei geologi, che di essi nessuno cercò d’occuparsi particolarmente nè dello studio dei terreni quaternari, che con spessore più o meno grande ricoprono ragguardevoli estensioni di questa regione collinosa, nè dei fossili di varia natura che in questi terreni si conservano. Devesi inoltre notare che i depositi quaternari della collina di Torino, come d’altronde i terreni quaternari in generale, sono assai più difficili a studiarsi, a classificarsi ed a compararsi fra di loro che non quelli più antichi, ciò che dipende dalla loro molto varia natura ed origine, dalla loro irregolarità, dal- l'essere spesso mascherati dal terriccio vegetale o da costruzioni, e specialmente perchè nell’epoca della loro deposizione era già talmente accentuata la distribuzione geografica delle faune e delle flore che il criterio paleontologico, il quale serve così effi- cacemente nella classificazione dei terreni più antichi, perde molto della sua importanza nello studio di questi depositi più recenti, per cui debbonsi piuttosto in questo caso comparare le faune e le flore fossili di una data regione con quelle attual- Vol. XXX. 2 18 F. SACCO, mente viventi nella regione stessa che non con quelle pure fos- sili e contemporanee della terra in generale, come si fa per i terreni più antichi. Se a tutto ciò aggiungesi che del terreno quaternario più importante sulla collina torinese non solo era incerta l’epoca di deposizione, ma eziandio molto problematica la stessa origine, non c'è a meravigliarsi se di esso finora non venne fatto alcuno studio particolare, mentre così grande e tuttora inesaurito campo di lavoro offrivano ai geologi ed ai paleontologi i sottostanti terreni miocenici. Il lavoro che presento è il frutto di parecchi mesi di ricerche fatte percorrendo minutissimamente tutta la regione collinosa compresa nell’ unita carta geologica, notando la distribuzione, la potenza, la natura dei varii terreni quaternari e raccoglien- done accuratamente i fossili. Le maggiori difficoltà, talora in- superabili, incontrate in questo studio furono specialmente la coltivazione e le costruzioni che in certe località mascherano completamente i depositi quaternari impedendone l’esatta indi- cazione in riguardo alla loro distribuzione e potenza. I terreni quaternari della collina torinese si possono ridurre a due tipi principali, cioè conglomerati e sabbie marnose, le quali ultime poi debbonsi suddividere a seconda del loro colore e della quantità di sabbia che contengono, giacchè alcune sono grigio-azzurrognole, altre giallastre (dette loess), ed altre talmente ricche in sabbia da ricevere l'appellativo di sabbioni. Debbo tuttavia subito notare come queste diverse varietà di depositi fanno spesso graduale passaggio fra di loro sia sovrap- ponendosi, sia intrecciandosi, sia sostituendosi. Per chiarezza di esposizione tratterò singolarmente di ciascuno di questi terreni, dei loro fossili e della loro origine, sempre però accennando al rapporto che hanno gli uni cogli altri. Quanto ai numerosi fossili che raccolsi nel Zoess e nelle sabbie marnose grigiastre della collina di Torino, sono felice di poter qui esprimere la mia gratitudine al chiarissimo malacologo signor I TERRENI QUATERNARI ECC. 19 Carlo Pollonera, il quale volle gentilmente esaminare e deter- minare i Molluschi da me rinvenuti, tra cui egli scoperse molte specie e varietà nuove che già rese di pubblica ragione.‘ CAPECORLOLI. CONGLOMERATI, Poco ho a dire ora attorno a questa sorta di depositi sia perchè essi sono quasi assolutamente mancanti di fossili proprî, sia perchè nel corso del lavoro avrò più volte occasione di par- lare di questi strati ciottolosi in rapporto con altri depositi quaternari. Mi basti per ora accennare in generale come quasi ovunque alle falde dei colli torinesi, spesso al fondo delle vallate verso il loro sbocco, ed assai sovente qua e là lungo i fianchi e ta- lora persino sul dorso stesso dei rilievi collinosi, là dove il pendìo non è troppo ripido, s'incontrino depositi più o meno potenti di ciottoli di svariatissime dimensioni, commisti a ghiaia e sabbia, più o meno cementati fra di loro, spesso già decomposti e che in molti casi non possonsi attribuire nè a semplice alterazione dei conglomerati miocenici in posto nè a recente sfacelo di tali terreni, ma debbonsi assolutamente ritenere come depositi an- tichi quaternari, ciò che in molti casi è provato dai terreni fos- siliferi sovrastanti. Ho notato generalmente che se i conglomerati quaternari delle falde collinose e dei fondi delle vallate non hanno uno stretto rapporto, in riguardo alla grossezza dei loro elementi, coi terreni antichi in posto delle vicinanze, questo rapporto invece esiste generalmente assai manifesto nei depositi ciottolosi che 1 C. PoLLONERA, Molluschi fossili postpliocenici del contorno di Torino. Men. R. Acc. sc. di Torino. Serie II, Tom. XXXVIII, 1886. 20 F. ‘SACCO, ammantano qua e là i fianchi collinosi, giacchè in questi casi si vede che i conglomerati ad elementi più voluminosi trovansi al disotto, ipsometricamente, delle zone a potenti conglomerati in posto dei terreni miocenici. A questo proposito debbo però osservare che se talora è dif- ficile di poter dire se un conglomerato superficiale appartiene al quarternario antico od al recente, non è pure sempre facile il distinguere, là dove mancano sezioni profonde, se un con- glomerato superficiale è miocenico in posto ma solo alterato, op- pure già rimaneggiato, spesso poi l’ uno sovrapponendosi al- l’altro. Riguardo alla relazione esistente tra i conglomerati quater- nari e le marne sabbiose di cui avremo occasione di parlare in seguito, si può dire in generale che quelli trovansi ricoperti da tali marne, quantunque talora le sabbie marnose riposino diret- tamente sui terreni terziari costituenti la collina senza alcun in- termezzo ciottoloso, e spesso invece i conglomerati trovinsi allo scoperto perchè le sabbie indicate o non si deposero o furono asportate, specialmente per azione delle acque. Ma di questi terreni, come ho detto, avrò a riparlare in se- guito esaminando gli altri depositi quaternari e quindi, a scanso di inutili ripetizioni, tralascio per ora di trattarne, dicendo sol- tanto che riguardo all’epoca della loro formazione credo deb- bansi ritenere come abbastanza sincroni dei depositi diluvio- glaciali, rappresentando sulla collina di Torino il DwWwuviwn propriamente detto (Sahariano) della pianura, quantunque anche nella seconda metà dell’ epoca quaternaria, ma meno general- mente, siansi qua e là formati depositi ciottolosi sulla collina. Quanto al modo di formazione dei conglomerati quaternari della collina torinese possiamo dire che essi vennero trasportati e deposti specialmente dalle acque scendenti dalla collina stessa, in qualche relazione però colle acque della pianura, almeno in ri- guardo ai depositi più bassi, giacchè durante l’epoca glaciale è certo che le acque fluviali Po-Tanaro dovevano rialzarsi alquanto sulle falde delle colline torinesi. I TERRENI QUATERNARI ECC. 21 Accenno infine che nella parte superiore dei conglomerati quaternari, i quali in certi punti di Val Salice stanno tra i ter- reni miocenici in posto e le sabbie gialle e grigie, trovai alcuni resti di Molluschi, specialmente del genere Clausilia, fossili su cui ritorneremo fra breve. CAPITOLO II. MARNE SABBIOSE AZZURROGNOLE. In alcune poche località dei colli torinesi e specialmente ‘verso il fondo di certe vallate, od in località in cui esiste od ha esi- stito un corso d’acqua anche poco importante ma piuttosto lento, ebbi occasione di osservare marne sabbiose di color grigio az- zurrastro che di lontano ricordano le marne azzurre del Pia- centino, ma se ne distinguono tosto specialmente per la natura dei loro fossili che sono in massima parte terrestri. Val Salice. bi Il deposito più importante di questa categoria è certamente quello che potei* per lungo tempo studiare nella Val Salice, precisandone la potenza, la costituzione e la relazione coi terreni sopra e sottostanti e raccogliendovi in gran quantità fossili, per cui credo opportuno di descriverlo alquanto minutamente, giacchè esso ci servirà quasi di tipo per quelli consimili. Sulla sinistra sponda del rio di Val Salice, conosciuto ai pa- leontologi specialmente sotto l’antico nome di rio della Batteria, poco a valle della cinta daziaria, si osserva verso i 220 m. di elevazione, uno strato sabbioso argilloso di colore bleuastro, racchiuso fra strati ghiaiosi, sabbiosi e marnosi irregolarmente alternati; il tutto riposante sugli strati di marne e molasse del Miocene medio. ® Attualmente il deposito in questione è ricoperto da frane ed occorrerebbero nuovi scavi per metterlo allo scoperto. 22 F. SACCO, Nella località accennata la serie degli strati sarebbe questa: 1 metro — Terra giallastra Humus 50 cent. — Terra giallastra mista a ciottoli di varie dimensioni. 1 metro — Ciottoli e sabbie grigio-giallastre, Alluvium irregolarmente stratificate e che crescono di potenza da monte a valle. 40 cent. — Strato marnoso-sabbioso giallastro piuttosto regolare, con pochi re- sti fossili e con straterelli rosso- nerastri. Cresce in potenza da valle verso monte. 1 metro — Strato marnoso-sabbioso azzurra- stro, molto acquifero, ricchis- simo in Molluschi e con resti di Cervus megaceros; rarissimi \ frammenti di fossili miocenici. Verso valle questo deposito va assottigliandosi gradatamente, divenendo meno puro, finchè a guisa di sottile lente va ad in- sinuarsi sotto un deposito ciot- toloso alternato con sottili ed ir- regolari lenti di sabbie giallo- Marne sabbiose nerastre. Ambedue inclinanti \ alquanto verso valle. 50 cent. — Deposito ciottoloso giallastro, i cui elementi crescono di volume da monte a valle. 2 metri — Conglomerato di color grigio-ver- Diluvium dastro; misto a molasse con rari ; pr. detto fossili terrestri e numerosi fram- menti di fossili miocenici. Ele- menti ciottolosi per lo più enor- mi. Falda acquea. Marne e molasse inclinate di circa 55° verso N. 60° O. Elveziano I TERRENI QUATERNARI ECC. 23 Debbo però notare come trattandosi di terreni diluviali ‘ed alluviali l’indicata serie di strati e specialmente la loro potenza varia moltissimo da luogo a luogo anche a breve distanza, così vediamo che presso il Bersaglio vanno scomparendo le sabbie grigie e diventa assai più potente il terreno superiore sabbioso giallastro, racchiudente resti fossili di Molluschi, quantunque anche questo deposito non si elevi molto quivi sulle falde col- linose a causa del pendio piuttosto ripido, mentre che altrove lo vediamo raggiungere elevazioni molto netevoli rappresentan- dovi il tipico loess. Riguardo ai resti fossili racchiusi nei sopracitati depositi e specialmente nel terreno bleuastro, dobbiamo anzitutto menzio- nare numerosi resti vegetali, specialmente tronchi d'albero, frammenti di radici, foglie di Pino, ecc. Ma assai più importanti sono i resti fossili di animali, spe- cialmente di un Cervo e di numerosissimi Molluschi. I frammenti di Cervo finora rinvenuti sono: la parte basale del corno, cioè la rosa, del diametro massimo di 8 centim., a cui va unita la parte inferiore della stanga notevolmente ro- busta; alcuni pezzi più o meno sottili della porzione palmare del corno; due fusa, di cui una corta e rotta verso l’apice, l’altra quasi completa, robusta, appuntita e lunga oltre 20 centim.; è poi notevole che quest’ultima presenta alcune leggere intac- cature verso l’apice ed una più profonda nella metà sua inferiore. Dal complesso dei caratteri che presentano i frammenti indi- cati risulta che il corno appartiene al Cervus megaceros, specie ora assolutamente estinta che fu piuttosto comune in Piemonte durante la prima metà dell’epoca diluvio-glaciale, quantunque abbia vissuto ancora per qualche tempo durante il ritiro dei ghiacciai, sul principio dell’epoca delle terrazze. Dalla larghezza della rosa e dalla robustezza della stanga si può dedurre come l’individuo a cui appartenne il corno esami- nato doveva essere piuttosto robusto e sviluppato. Quanto alle intaccature sopra indicate, e che assai sovente s'incontrano sulle ossa e sulle corna dei Vertebrati fossili, io 24 F. SACCO, credo che non si debba dar loro grande importanza in rapporto alla coesistenza dell’uomo con questa specie come alcuni vorreb- bero, giacchè svariate e numerose sono le cause che le poterono produrre senza che, per spiegarle, si debba ricorrere all’azione dell’uomo, quantunque questi sia stato certamente contemporaneo al Cervus megaceros, probabilmente anzi ne abbia accelerato l'estinzione. | Riguardo ai numerosi Molluschi che potei raccogliere nella località in esame, ne dò ora soltanto la lista, riservandomi in ultimo a trarne conclusioni generali. Noterò subito, e questo in riguardo a tutti i depositi studiati in questo lavoro, che l'abbondanza o la scarsità di una spe- cie, come pure la presenza o la mancanza di certe specie nei varî giacimenti dipende talora anche dal maggiore o minore numero di ricerche, e quindi questi dati potranno variare. al- quanto per ulteriori studi, non alterandosi però, credo, la di- stribuzione generale dei Molluschi sulle colline torinesi durante il depositarsi del loess, come la verrò esponendo in questo la- VOro. Limacinpa. — Limax taurinensis, Poll. raro Hyalinia ( Vitrea) subrimata Rein. comune Hyalimia (Polita) Sismonde Poll. comune Hyalinia (Conulus) fulva Miill. comune. Pupipar. — Patula (Discus) ruderata Stud. comune Vallonia costata Mill. comune Vallonia pulchella Mill. comune Bbradibana prociliata Poll. comune DBuliminus (Ena) obscurus Mill. var. maisellus Poll. raro Buliminus (Chondrula) tridens Mill. raro Vertigo (Edentulina) inornata Mich. raro Vertigo (Dexiogyra) pygmaea Drap. raro Vertigo (Dexiogyra) pupeformis Poll. raro Pupa (Pupilla) muscorum L. comune I TERRENI QUATERNARI ECC. 25 Clausilia (Marpessa) laminata Montag. var. phalerata Drap. comune Clausilia (Charpentieria) prothomasiana Poll. rara Clausilia (Pyrostoma) dubia Drap. typica comune var. speciosa Schm. rara Clausilia (Pyrostoma) cruciata Stud. typica com. var. carmiolica Schm. comune var. triplicata Hartn. rara Clausilia (Pyrostoma) taurina Poll. rara var. simplicula Poll. comune Clausilia (Pyrostoma) plicatula Drap. typica com. var. elongata Schm. rara Clausilia (Pyrostonia) lincolata Held. var. tumida Parr. comune. STENOGYRIDE. — Zua subeylindrica L. var. comune HELICIDA. — Zua exigua Menk. var. cylindroides Poll. comune. Anchistoma (Gonostoma) obvoluta Mill. rara Fruticicula (Trichia) hispida L. var. concinna Jeffr. comune Fruticicula (Trichia) sericea ? Drap. raro Fruticicula (Carthusiana) sp. raro Eulota Sacci Poll. rara Iberus (Tachea) nemoralis L. rara Helix pomatia L. var. rara. ORTHALICIDE. — Punctum pygmaum Drap. comune. SUCCINEIDE. — Succinea oblonga Drap. rara Succinea joinvillensis Brognt. var. rara. AURICULIDE. — Carychium tridentatum Risso comune. LIMNEIDE. — Lymnea truncatula Mill. var. minor Moq. Tand. rara var. microstoma Drouet rara var. oblonga Puton rara. 26 F. SACCO, Villa Barbaroux. Quantunque molto meno importante del deposito soprade- scritto, debbo anche menzionare la presenza di un terreno sab- bioso azzurrastro, commisto ad altro giallastro, che osservasi lungo la strada Torino-Moncalieri a sud dello sbocco del rio di Cavoretto, quasi sotto la V. Barbaroux. Questo deposito scarsis- simo in fossili trovasi a circa 230 m. di elevazione. Villa Dumontel. Un consimile terreno ebbi anche occasione di osservare a N. E. di Moncalieri, verso i 275 m. di altitudine, in un piccolo rio poco sotto la V. Dumontel. In questa località la marna sabbiosa bleua- stra poggia direttamente sopra gli strati marnosi grigio-giallastri del Miocene superiore; quantunque essa non abbia grande po- tenza vi rinvenni numerosi fossili rappresentanti le seguenti specie: Hyalinia fulva Mull comune Buliminus tridens Miuil. comune Pupa muscorum Linn. comune Cocilianella acicula Mull. rara Fruticicula carthusiana Miill. comune Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. comune. Bricco Maddalena. Dalla strada Torino-Revigliasco salendo al Bricco della Mad- dalena tra C. Viola e C. Peramoloira, presso un piccolo corso d’acqua s'incontra, a circa 600 m. d’altezza s. 1. m., un lembo assal esteso di tipica marna sabbiosa azzurrognola nella quale potei osservare alcuni resti di Molluschi, fra cui una Swuccinea. I TERRENI QUATERNARI ECC. DI Lio di Villa Sampò. Nella valletta, profondamente incassata nel loess e nelle sab- bie gialle dell’Asfiamo, che esiste ad Ovest di Trofarello si 0s- serva un potente ed esteso deposito di sabbia grigio-bleuastra ricchissima in fossili terrestri e d’acqua dolce, fra cui abbon- danti sopratutto i Pistdium, ed alternata con lenti ghiaiose e ciottolose in cui non sono rari i frammenti di fossili marini, che derivano dalla erosione dei terreni costituenti la collina. Infatti vediamo che il deposito in questione basa direttamente, o coll’intermezzo di un semplice straterello ciottoloso, sulle sab- bie dell’Astiano erose irregolarissimamente; gli accennati fossili marini derivano specialmente dalle argille del Piacentino e con- stano :per lo più di frammenti di Pecten e di Ostrea coclear Poli, ciò che ci prova indirettamente come le argille azzurre del Piacentino prima dell’epoca quaternaria fossero in queste | regioni alquanto più estese e potenti di quello che sono attual- mente. Durante la deposizione del terreno azzurrastro indicato do- veva in questa località esistere una specie di ristagno d’acqua, ipotesi la quale, oltre che dalla natura dei fossili, è anche con- fermata dalla straordinaria potenza che quivi raggiunge il loess. I Molluschi finora rinvenuti negli indicati depositi delle vici- nanze di Villa Sampò sono i seguenti: Hyalinia fulva Miill. comune Buliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Fruticicula carthusiana Mill. comune Succinea oblonga Drap. comune Limnea truncatula Mill. var. minor Moq. Tand. raro var. microstoma Drouet raro var. oblonga Puton raro. Pisidium fossarinum Cless. comune. 28 F. SACCO, C. Marcellino. Sulla sinistra sponda del torrente Sauglio, poco a valle di C. Marcellino e verso i 270 m. circa d’elevazione, si nota un altro piccolo lembo di terreno sabbioso grigiastro, contenente fossili terrestri ed alcuni Pisidium, alternato con qualche lente ciottolosa e coperto di terreno pure sabbioso, ma di color gialla- stro, che si innesta assai bene col potente loess delle vicinanze. Rosero. Come appartenenti alla categoria dei sopracitati depositi debbo ancora menzionare le sabbie marnose di colore talora azzurra- stro e talora nerastro che osservansi, tra i 490 e i 500 m. circa, salendo dalla borgata dei KRosero al colle, segnato sulla carta colla quota 522, da cui scendesi verso N. O. nella valle del- l'Inferno; colà le sabbie indicate, che risultano evidentemente. dalla erosione delle marne sabbiose grigio-verdastre del Mio- cene medio, si presentano molto idratate, poco potenti, ma piut- tosto ricche in fossili e divengono giallastre solo nella porzione loro superficiale. Siccome esiste tuttora in questa località una falda acquea piuttosto ampia se non potente, così possiamo ragionevolmente supporre che il suddetto terreno marnoso sia stato trascinato e deposto specialmente per opera dell’acqua che scendeva in gran parte dalle falde orientali del Bricco delle Fontanine. I Molluschi che s'incontrano in questo terreno nerastro sono spe- cialmente i seguenti: Hyalinia fulva Miill. comune Buliminus tridens Mull. comune Pupa muscorum Linn. comune Xerophila reviliascina Poll. rara. I 1 TERRENI QUATERNARI ECC. 29 Tralasciando ora di menzionare lembi meno importanti di consimili depositi, che qua e là incontransi sulla collina, accen- nerò invece in generale alla loro origine, alla loro età ed ai rapporti che presentano cogli altri terreni quaternari. L’origine dei sopradescritti terreni credo si debba attribuire, come ho già incidentalmente accennato, specialmente al lento trasporto e deposito per opera dell’acqua, e la grande quantità di resti di Molluschi che sono racchiusi in tali depositi devesi appunto al fatto che queste correnti acquee non molto impetuose discendendo lungo i declivî della collina trascinavano in basso le conchiglie che incontravano nel loro passaggio e che, come pos- siamo comunemente osservare ogsidì, deponevano in gran parte là dove o per la conformazione del terreno o per rigurgito a causa delle acque della pianura (come forse avvenne pel depo- sito di Val Salice) o per altra causa, rallentavano il loro corso e venivano a costituire sia delle semplici conche più o meno am- pie sia anche dei veri ristagni d’acqua dove potevano svilupparsi Molluschi acquatici come Pisidium e Limnee. I depositi ghiaiosi e ciottolosi che talora s’alternano colle sabbie azzurrastre si debbono attribuire a periodi di precipita- zioni acquee più abbondanti che cagionarono naturalmente mag- gior forza erosiva e maggior forza di trasporto nelle correnti acquee. Il color grigio azzurrastro dei depositi esaminati non eredo che abbia di per sè una grande importanza, dipendendo esso quasi unicamente da uno speciale stato chimico dei suoi sali di ferro e d’altronde incontrandosi anche assai sovente in alcuni depositi d’origine glaciale nonchè nei recenti depositi delle acque fluviali e lacustri. Quanto al rapporto esistente tra le sabbie marnose studiate e gli altri terreni quaternari della collina torinese esso è abba- stanza semplice rispetto ai conglomerati i quali, là dove esistono, sono ad esse inferiori; rispetto al loess invece credo si possa dire che, se spesso queste sabbie gli si trovano inferiori, talora invece lo rappresentano completamente e paiono quindi ad esso quasi contemporanee. 30 F. SACCO, Per ciò che riguarda l’epoca di deposizione dei depositi esa-o minati è necessario ricorrere, oltrechè ai loro rapporti cogli altri terrenî quaternari, alla fauna che essi racchiudono. Ora l’essere questi terreni sabbiosi sovrapposti ai conglomerati che abbiamo detto rappresentare il Diuvium propriamente detto, già ci indica come essi non siansi deposti sul principio dell’epoca diluvio-glaciale. Fra i fossili non ha importanza capitale a questo riguardo il Cervus megaceros perchè esso fu una specie assai comune durante quasi tutta l’epoca quaternaria, ed invece sono molto più notevoli i resti di Molluschi; infatti già il complesso di questa fauna ci indica quanto essa profondamente differisca da quella del Villafranchiano (alluvioni plioceniche superiori) del Piemonte; ma tuttavia l'essere essa composta di parecchie specie e varietà completamente estinte oppure non più esistenti sulla collina di Torino ci prova eziandio come i terreni che la racchiudono sono di origine abbastanza antica e debbansi quindi considerare come depositi della fine dell’epoca diluviale; ma su questo ritorneremo nella conclusione del lavoro. CAPITOLO III. LOESS. Il loess, da alcuni appellato anche Zehm, si può definire in generale come una marna sabbiosa di color giallastro, ma in verità è così vario il suo modo di presentarsi sia sotto il rispetto della composizione fisica e chimica come del colore, che io credo impossibile poterne dare un’esatta definizione, essendo talora anche difficile il distinguerlo, là dove non esistono profondi spaccati, dall’humus o dal terriccio rimaneggiato od anche dalle altera- zioni in posto delle marne sabbiose mioceniche, appunto perchè. esiste spesso fra queste varie sorta di terreni un passaggio ab- bastanza graduale; e l’indicata difficoltà cresce poi ancora quando I TERRENI QUATERNARI ECC. 51 la natura e la potenza del loess sono in parte mascherate o dalla coltivazione o da costruzioni qualsiasi ciò che, sgraziata- mente pel geologo, è fatto comunissimo sui colli torinesi. Composizione. Esaminando al microscopio un campione di /oess ridotto in polvere, dopo aver separati col lavaggio gli elementi più fini da quelli più grossolani, si osserva anzitutto una gran quantità di squamette in parte trasparenti, incolore o giallognole, ed in parte fosche, gialle, opache per alterazione, lucenti per luce riflessa, anisotrope; queste squamette sono di Mica o di Talco; veggonsi inoltre abbastanza abbondanti granuli quarzosi ed anche nume- rosi cristalli striati, allungati, verdastri, anisotrepi, senza di- croismo, probabilmente di Pirosseno. Trattando con acido cloridrico certi campioni di /0ess, special- mente quelli che si presentano più friabili, non vediamo pro- dursi alcuna effervescenza, e la sostanza si decompone in parte lasciando un abbondante residuo bianco, mentre che in gene- rale questo terreno dà luogo ad una più o meno notevole efter- vescenza per la presenza di calcare che lo rende più compatto e resistente. Se si eseguisce un’ analisi chimica qualitativa colla disaggre- gazione per mezzo del carbonato sodico-potassico, si trova che quasi la metà della sostanza costituente il loess è Sélice, mentre che l’altra metà è rappresentata da Ossido di Ferro, da Allu- mina, da Calcare e da Magnesia specialmente. Eseguendo la disaggregazione della sostanza sia per mezzo dell’acido fluoridrico che del carbonato sodico puro e facendo poscia la ricerca del Potassio si ebbe generalmente un risultato negativo. Ma nella stessa maniera che cangia molto la natura ed il colore del Zoess da località a località ed anche nella stessa lo- calità a seconda della profondità, così pure ed a maggior ra- gione varia immensamente la sua composizione chimica e mine- 32 F. SACCO, ralogica, per cui basta accennare a questo proposito che il loess della collina di Torino consta essenzialmente di Mica e Talco, di Limonite, di Quarzo, di un silicato di Allumina e spesso di Calcare. Riguardo al modo di presentarsi del /oess in generale, sì può dire anzitutto come esso manchi di stratificazione vera, quan- tunque si presenti talora attraversato da uno o più banchi quasi. orizzontali, di spessore assai variabile, di sabbia marnosa rara- mente fossilifera, ma fortissimamente cementata per mezzo di abbondante quantità di calcare e quindi durissima; questo spe- ciale facies del loesss invece che in banchi si presenta pure talora in forme assai irregolari, e riceve allora volgarmente il nome di miirs, nome che userò anch’io nel corso del lavoro. Talora il calcare del Zoess si presenta in noduli quasi senza materiali sabbiosi ed allora tali accentramenti prendono forme rotondeggianti svariatissime che non ricevettero fra noi alcun nome speciale perchè non molto abbondanti, ma che altrove da chi studiò il loess ed anche dal volgo, ricevettero appellativi di- versi, quali: fairystones, liss-puppen, liss-manchen, Imatra- stones, ecc. , In certi casi il Zoess si vede tutto grumoso ed è molto resi- stente, ciò che dipende dall’essersi irregolarmente concentrato il materiale calcareo della massa marnosa; ma per lo più questo si verifica là dove il Zoess non è molto puro. In molti casi specialmente nelle località dove il Zoess s’ ap- poggia ai declivi più fortemente inclinati, esso si presenta piut- tosto impuro e nella sua massa osservansi lenti ghiaiose o ciot- tolose più o meno estese e potenti, quasi orizzontali o inclinate solo come il pendio collinoso e molto ricche in elementi brec- ciosì ; talora eziandio, nei depositi che trovansi sotto alla zona dei potenti conglomerati miocenici, vedesi qualche ciottolo, anche di grossa mole, isolato nella massa del Zoess quasi sempre al- lora alquanto impuro. Esaminando accuratamente un campione del terreno in que- stione, come pure del mérs, si vede che essi non si presentano I TERRENI QUATERNARI ECC. 33 a struttura compatta ma invece piuttosto areolare, essendo co- sparsi di vacuoli irregolarissimi di forma e di dimensione, origi- nati in partè dalla scomparsa di frammenti di organismi vegetali ed animali inclusi nella massa durante la loro formazione, ma specialmente dal modo stesso di deposizione di questi terreni. Colore. Il colore del Zoess ho detto essere per lo più il giallo bruno, ma si presenta esso anche con tutte le più graduali tinte di passaggio dal giallo chiaro al rosso bruno intenso od anche al grigio, connettendosi per tal modo colle sabbie grigio-azzur- rastre già studiate; ciò dipende dalla maggiore o minore os- sidazione ed idratazione dei suoi sali di ferro i quali però trovandosi per lo più allo stato di perossido danno il color giallo al deposito; ed infatti vediamo che il colore del loess varia moltissimo non solo da luogo a luogo ma eziandio a se- conda delle epoche dell’anno e delle varie vicende meteorolo- giche, presentandosi più bruno e più rossastro d’inverno e dopo lunghi periodi di pioggia che non d’estate e durante lunghi pe- riodi di siccità. Inoltre il loess è per lo più rossastro verso il basso dove poggia sui terreni antichi della collina, a causa del velo acqueo che quivi si forma molto comunemente e che influisce sullo stato chimico dei sali di ferro. Rispetto al fatto che talora il /oess verso il basso si presenta verdastro, specialmente sotto uno strato di ms, avrò occasione di parlare in seguito. Potenza. Come varî sono i caratteri fisici e chimici del loess, svaria- tissima pure ne è la potenza giacchè, mentre in generale vediamo che il suo spessore varia tra 2, 3 e 4 metri, si presenta esso ta- lora in depositi più sottili, mentre raggiunge persino 8 o 10 metri di potenza in diverse località che avrò cura di menzionare nel Vel. XXX, 3 34 F. SACCO, corso del lavoro; possiamo però dire fin d’ora che il massimo spessore del /oess si osserva specialmente là dove il pendio è meno ripido, ciò che verificasi quasi solo al disotto dei 400 metri. Elevazione. Riguardo all’elevazione del Zoess sui colli torinesi debbo dire come questo terreno si trovi a pressochè tutte le altitudini, co- minciando dal piede delle colline, là dove si confonde col Zoess della pianura, sin oltre ai 500 m., quantunque si ‘presenti gene- ralmente più abbondante al disotto dei 400 m.; e quindi questo criterio non ha tanto valore nello studio del /oess, quanto altri gli volle attribuire. Posizione. Ha invece un’importanza molto maggiore l'ubicazione del /oess in rapporto, più che non coll’elevazione sul livello marino, colla. oroidrografia della collina, avendo osservato che i tipici depositi di questo terreno trovansi specialmente verso le falde dei declivi collinosi più importanti, e quindi, nella regione esaminata, spe- cialmente nella parte esterna del rilievo collinoso, siano attual- mente queste falde regioni piane oppure clinali più o meno stretti ma irradianti dal rilievo principale; mancano invece i depositi di Zoess sui pendii un po’ ripidi e nella parte più bassa delle vallate, presso ai rii, con differenze però a questo ri- guardo specialmente tra la parte superiore, rispetto al livello marino, e la parte inferiore delle vallate, nonchè tra i due ver- santi della collina. Il rapporto che esiste tra il Zoess ed i conglomerati quater- nari della collina è abbastanza costante ovunque, giacchè dove si può osservare la base del /oess si vede per lo più che esso posa sopra un letto ciottoloso di varia potenza, costituito di elementi, spesso anche brecciosi, di svariatissime dimensioni, più o meno cementati fra di loro ed in parte già decomposti; talvolta I TERRENI QUATERNARI ECC. 3D invece il Zoess poggia direttamente sugli strati miocenici varia- mente inclinati, anzi in moltissimi casi questo deposito maschera per grandi estensioni i terreni antichi impedendone lo studio specialmente sul versante Sud e Sud-Est della collina. Rispetto poi alle sabbie marnose azzurrastre ho detto che se esse in gene- rale sono inferiori al loess, talora invece lo sostituiscono, per cui possonsi queste due sorta di depositi ritenere, in generale, quasi come sincroni, Ho notato parecchie volte come il loess, specialmente quando posa sopra strati antichi alquanto argillosi e quindi poco per- meabili, dà luogo ad un velo acqueo abbastanza costante che scorre tra il loess ed il sottostante terreno, essendo le sabbie giallastre facilmente permeabili, quantunque i banchi di mtrs che spesso le attraversano costituiscano talora piccoli veli acquei di poca importanza. Ciò ci spiega come molte sorgenti della collina siano in rapporto con depositi di loess. Esaminando i depositi di loess della collina di Torino si os- serva facilmente la forma a gradinate irregolari che talora esso presenta; questo fenomeno, oltre che dal modo di deposizione del loess e dall’ erosione operata dalle correnti acquee durante il graduale loro ritiro nei limiti attuali, devesi eziandio attribuire al fatto che questi terreni marnoso-sabbiosi facilmente si scre- polano e, a causa specialmente del gelo e disgelo, si sfaldano in tavole verticali che col tempo cadono e si sfacelano venendo tosto sostituite da altre, per modo che ne risultano muraglie pressochè verticali alte quasi quanto è potente il loess. Questo fenomeno si verifica assal più comunemente sui pendii esposti al Sud, essendo quivi maggiore e più rapida l’alternanza di tem- peratura; d’altronde ciò ebbi occasione di osservare pure ripe- tutamente nelle marne sabbiose dell’Astiano, e non è quindi a ritenersi caratteristico del loess. Ma oltre a questi terrazzamenti in piccola scala si osserva pure in generale che i depositi più potenti ed estesi del /oess, quelli cioè che stanno tra i 250 ed i 400 m. circa, formano in complesso una specie di grande terrazzo inclinato verso la pia- 36 F. SACCO, nura e limitato verso monte per lo più da un rapido rialzarsi. della collina, rialzo costituito in generale dalla zona superiore dei potenti conglomerati miocenici; questo grande terrazzo dipende oltre che dalla costituzione geologica e dalla conformazione oro- grafica della collina prima della deposizione del loess, anche da questa deposizione e dal modo stesso in cui essa si verificò. Resti fossili. Ha poi una capitale importanza lo studio dei Molluschi rac- chiusi nel loess e, più raramente, nel ms; ma siccome di essi do- vrò parlare ricercando l'età e l’origine di questi depositi mi basta per ora accennare che, mentre finora si scrisse che questi Mol- luschi sono per lo più lacustri, fra centinaia di esemplari che raccolsi in quasi tutte le località segnate sulla carta che va unita a questo lavoro, solo uno o due appartengono a Molluschi che vivono nelle pozzanghere, ma che non possonsi perciò appellare veramente lacustri. Inoltre debbo notare che mentre si disse finora che questi Molluschi appartengono tutti a forme viventi e che tuttora esi- stono sulla collina di Torino, invece, anche nelle prime ricerche fatte a questo proposito, m’accorsi che molte forme sono comple- tamente estinte e che un genere ed un gran numero di specie sono ora assolutamente scomparse dalla collina di Torino. Non ovunque il Zoess si presenta fossilifero e mentre in certe località notansi dei veri accentramenti di resti di Molluschi, altre volte invece si percorrono tratti estesissimi di questi de- positi senza incontrare traccia di fossili. Il presentarsi le conchiglie nel maggior numero dei casi com- plete ci dimostra come esse non abbiano dovuto subire un’azione di trasporto molto prolungata, ed in ogni modo un trasporto piuttosto tranquillo prima di giungere là dove ora esse si trovano. Noto infine come la difficoltà che s'incontra talora a distin- guere il loess tipico da analoghi depositi più recenti esiste pure per conseguenza nel distinguere i veri Molluschi del loess da I TERRENI QUATERNARI ECC. 37 quelli più recenti, tanto più che questi animali in vita si na- scondono generalmente nei terreni superficiali e quindi anche nello stesso /oess tipico. Usi. Sotto il rispetto industriale ed agricolo poco si ha a dire sul Zoess; questo terreno è piuttosto favorevole allo sviluppo dei cereali che non della vite, la quale prospera assai meglio invece sui terreni miocenici in posto alquanto alterati super- ficialmente, quantunque là dove il l/oess si estende notevol- mente, come per esempio sul versante sud della collina, venga pure coltivato a vite. Il loess viene talvolta utilizzato per fabbrica di mattoni quan- tunque la sua grande ricchezza in sabbia e la presenza di ac- centramenti irregolari di calcare lo renda spesso disadatto a tale industria; talvolta poi, specialmente alle falde meridionali della collina, il loess è così ricco di materiali sabbiosi da venire utilizzato appunto come sabbia; invece il Zoess della pianura a sud dei colli torinesi, presentandosi generalmente abbastanza abbondante in materiale marnoso-argilloso, offre un buon ma- teriale per laterizî. I banchi di mdrs interstratificati nel /oess spesso vengono rotti in quadrelli irregolari ed usati come materiali di costru- zione sia per le case, sia specialmente per argini di strade. L’uomo ha inoltre spesso usufruito dalla natura e del modo di presentarsi dal /oess sia come confine di proprietà, sia collo sca- varsi grotte, canali, cantine, ecc., resistendo assai bene questo terreno a tale genere di escavazioni anche profonde, quasi quanto i tufi vulcanici. È pure utile la presenza del Zoess a causa dei veli acquei a cui sovente dà origine. Noterò infine come là dove il loess è alquanto potente, quivi le strade sono profondamente in esso incassate a causa sia dello screpolarsi di questo terreno, sia dell’essere esso facilmente espor- tato dalle acque, per cui le strade poco a poco si affondano sinchè raggiungono i terreni antichi sottostanti. 38 F. SACCO, A questo fatto, che porta molti inconvenienti alla viabilità, e che si compie ancor più rapidamente nei rii, si cerca di porre riparo diminuendo l’impeto e la forza erosiva delle acque, in generale però poco efficacemente; così nei torrenti per mezzo di argini, e nelle strade con successive fosse laterali o con canali sotterranei nei tratti più pericolosi, o con canaletti obliqui alle strade od anche foggiando queste a grandi gradinate, cioè ad una successione di piani e di ripidi pendii rinforzati da ciotto- lati (per modo che in questo caso l’acqua è piuttosto obbligata a depositare che non ad erodere),-come si vede principalmente nei dintorni di Troffarello e di Sauglio. DISTRIBUZIONE DEL LOESS. Descritta così in modo generale la composizione fisico-chimica e la maniera di presentarsi del /oess della collina di Torino, passiamo a descriverne brevemente i vari depositi, essendo ne- cessario un esame alquanto particolare per avere una giusta idea delle svariate forme che assume questo terreno nelle varie loca- lità della collina e dei diversi fossili che riscontransi nelle va- rie regioni, ciò che ci sarà molto utile per conoscere il modo d’origine del loess. Per evitare inutili ripetizioni e procedere con ordine, comin- cieremo ad esaminare i depositi di Zoess del versante Ovest e poscia quelli dal versante Sud-Est della collina torinese, rag- gruppandoli il più che possibile secondo i principali loro accen- tramenti. Madonna del Pilone — Reaglie. Se il clinale della regione collinosa su cui poggia il paesello di Mongreno non mi mostrò alcun deposito di /oess, forse per la sua ristrettezza che indica una grande erosione e per essere in gran parte ora occupato da ville e cascine, percorrendo in- vece il clinale di quella specie di sprone che dallo spartiacque I TERRENI QUATERNARI ECC. 39 della collina si avanza verso Madonna del Pilone, tra la valle di Mongreno e quella di Reaglie, potei osservare alcuni pochi lembi di Zoess tipico, quantunque poco potente in generale. Fra essi il più importante è quello che costituisce l’ apice del piccolo rilievo situato a Nord di Villa Harcourt, verso i 380 m. circa d’altitudine s. 1. m., dove vediamo che agli strati miocenici costituiti di letti ciottolosi (zona inferiore dei conglo- merati), coperti da marne verdastre ed inclinati di oltre 20° verso il N. O. circa, sovrasta un deposito di loess che cresce in potenza verso il S. O., è abbastanza ricco in fossili, e si pre- senta attraversato da un banco piuttosto regolare di mdrs. I fossili rappresentati in questo deposito sono specialmente i se- guenti: Hyalinia fulva Mill. comune Buliminus tridens Mill. comune. Pupa muscorum Linn. comune Fruticicula strigella Drav. var. rusimica Bgt. comune Altri depositi meno importanti troviamo, sempre sul clinale indicato, verso i 380 m. circa, tra Villa Bosio e Villa Saracco, e specialmente, un po’ più a monte, al quadrivio formato dalla strada che è situata sulla cresta colle strade che scendono, l’una nella valle di Mongreno e l’altra nella valle di Reaglie; anzi di questo tipico lembo restano solo più due specie di monoliti destinate certamente a scomparire fra breve. Infine trovansi lembi ancora più in alto nei dintorni del Pilone cento croci, a circa 500 m. di elevazione. Villa Rey — Villa Musy. Sulla porzione di collina che divide la valle di Reaglie da quella di S. Martino non abbiamo altri depositi importanti di loess se non quello che si osserva verso i 310 m. di elevazione, 40 F. SACCO, presso Villa Rey e che ha un modo di presentarsi molto simile a quello indicato per Villa Harcourt; infatti nel monticiattolo che si eleva ad Ovest circa di Villa Rey vediamo sugli strati ghiaiosi e ciottolosi del Miocene inferiore, inclinati verso Sud- Ovest circa, appoggiarsi il tipico loess fossilifero che va cre- . scendo di potenza verso S. S. O. per modo che vi si poterono scavare grotte e gallerie. I Molluschi fossili di questo deposito sono identici a quelli di Villa Harcourt, solo che non vi rinvenni finora la Fruticw cula strigella Drap. Lembi di loess sparso troviamo pure nelle vicinanze di Villa Musy verso i 360 m. di altitudine, ma poco importanti. Debbo ancora notare rispetto alla valle di S. Martino come al suo sbocco sulla pianura nelle vicinanze di Villa Razzetti, tra i 230 ed i 240 m. di elevazione, esista un terreno giallo-ros- sastro molto simile al loess, pure fossilifero, che deve conside- rarsi come un deposito fangoso trasportato durante la seconda metà dell’epoca delle terrazze dalle acque del rio di S. Martino, che attualmente però si trova profondamente incassato in questa sabbia marnosa (commista a lenti ghiaiose e ciottolose), che d’al- tronde costituisce quasi ovunque la parte superficiale della pia- nura alle falde settentrionali della collina, ciò che non si può tuttavia osservare direttamente che assai di rado in mancanza di tagli alquanto profondi. I Molluschi fossili. assai numerosi che qui si trovano sono: Hyalinia fulva Miill. comune Buliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Fruticicula hispida Linn. comune ì carthusiana Miill. rara Xerophila costulata Zieg. rara. I TERRENI QUATERNARI ECC. 41 Villa della Regina — S. Margherita — Eremo. Sullo sprone collinoso che dal M. Capra si avanza verso borgo Po, tra la Valle di S. Martino e la Val Salice, troviamo alcuni lembi di Zoess, sempre presso il clinale, e fra essi il più impor- tante è quello che costituisce in gran parte il monticiattolo esi- stente a S. O. della Villa della Regina verso i 320 m. d’elevazione; quivi potenti scavi fatti per la costruzione di un edifizio hanno posto in evidenza gli strati marnosi verdastri in posto del Miocene medio, fortemente inclinati verso l’Ovest circa, i quali sono irregolarissimamente erosi verso l’alto e ricoperti dalle stesse marne verdastre mioceniche, però non più in posto ma già al- quanto rimaneggiate. Queste marne rimaneggiate nella parte loro superiore sono quasi delimitate da uno strato di m%rs, (diversamente inclinato dai sottostanti strati miocenici in posto) e sopportano alla loro volta il loess tipico, fossilifero, che ac- quista rapidamente una grande potenza verso S. O. Talora poi esiste il Zoess anche sotto il banco di mirs ed in tal caso si vede molto bene il passaggio graduale per metamor- fismo tra il loess giallastro tipico e la marna miocenica ver- dastra rimaneggiata, ciò che ha una grande importanza per la spiegazione dell’ origine del loess in generale. Osservai inoltre che l’accennato banco di mrs segue, quan- tunque meno accentuatamente, le varie curve che si osservano nella parte superiore erosa degli strati miocenici in posto. Fra i Molluschi rinvenuti in questa località notiamo: Hyalimia fulva Mill. comune Buliminus tridens, Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Iberus nemoralis Linn. rara Xerophita reviliascina Poll. rara. 42 F. SACCO, Un piccolo deposito di loess, ricco però in fossili, osservasi poco a monte di Villa Faravelli presso Villa Filippone sopra le marne sabbiose verde-biancastre del Miocene in posto; così pure altri banchi trovansi a N. E. di C. Brossa presso Villa Ruscala ed anche nei dintorni dell’ Eremo, quantunque quivi non esista più assolutamente il /oess tipico, come venne asserito da alcuni, ma solo un terriccio giallastro piuttosto impuro, poco potente, talora nerastro per fenomeno di torbificazione, e sotto cui com- pare tosto il Miocene medio costituito specialmente da marne sabbiose di color grigio-biancastro. Di particolare importanza sono i fossili del /oess di Villa Faravelli, perchè quivi cominciano ad apparire le Clausilie ac- compagnate da numerose altre forme alpine ; essi sono i seguenti: Hyalinia subrimata Rein. rara » Sismonde Poll. rara f fulva Mull. comune Bradibena prociliata Poll. rara Bbuliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Clausilia taurina Poll. rara di lineolata Held. var. tumida Parr. rara Iberus nemoralis Linn. rara. Val Salice. Nella Valle dei Salici sono ancora piuttosto rari i resti di loess tipico, di cui vediamo qualche traccia sopra i 390 m. d’al- titudine nei dintorni di C. Mejna, ma specialmente tra i 300 ed i 340 m. circa nelle vicinanze di Villa Canonico, dove si. può osservare molto bene questo terreno, nel quale sono sparsi alcuni pochi ciottoloni, riposare sopra il conglomerato qua- ternario ad elementi talora enormi, che a sua volta s’ appoggia sugli strati sabbioso-marnosi del Miocene medio in posto. E molto notevole questo giacimento per l'abbondanza dei suoi RETE sa ciliititi i inenntr arti t beeittniai PORTA — into ARRE e. stilo? = L'AS nerd i aaa I n a I TERRENI QUATERNARI ECC. 143 fossili, ma specialmente perchè fra essi sono numerosissime le Clau- silie, che abbiamo già trovate molto abbondanti nel già descritto terreno azzurrastro delle bassa Val Salice, ciò che ci indica come durante l’ epoca quaternaria le forme di questo genere, ‘ora completamente scomparso dalla collina di Torino, trovas- sero le migliori condizioni di vita e di sviluppo in questa val- lata, essendo esso assai più raro negli altri depositi di loess del versante Ovest da Torino verso Moncalieri e mancando assolu- tamente non solo nel /oess, ma eziandio nei depositi di sabbie azzurrastre del versante Sud-Est della collina. La lista dei Molluschi fossili di Villa Canonico è la seguente: Hyalinia fulva Mill. comune Buliminus tridens Miill. comune : s Mill. var. Gastaldi Poll. raro Pupa muscorum Linn. comune Clausilia laminata Montag. comune x pe var. phalerata Dup. comune 5 proalpina Poll. rara I Baudii Pini var. Rosazze Poll. rara Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. comune Eulota fruticum Miill. comune Iberus nemoralis Linn. rara. Mentre che nella bassa Val Salice possiamo includere nel loess quel deposito marnoso giallastro che ricopre le sabbie az- zurre già descritte, nell’alta Val Salice troviamo solo più sparsi qua e là lembi di questo terreno, per lo più impuro e poco po- tente, come ad esempio nelle vicinanze di C. Leone sopra i 430 ‘m., non lungi dalla fontana del Fico verso i 600 m. di elevazione, ecc. ecc. 4i ; F. SACCO, Villa Gay — Villa Salino — S. Vito. La regione collinosa compresa tra la Val Salice e la Valle di S. Vito presenta la forma quasi di un triangolo colla base rivolta verso la pianura, ha un pendìo piuttosto dolce, ed è co- perta quasi completamente, tra i 250 ed i 370 m. di elevazione da loess tipico, potente, per lo più fossilifero. Dal bersaglio del Rubatto salendo a Villa Gay (M. Brocca) sì può osservare il loess, dapprima potente 7 od 8 m., che si va assottigliando verso l’alto. Quasi lo stesso fenomeno si osserva lungo la strada che sale a S. Vito, e percorrendo i dintorni di Villa Prever, Villa Corsi, Villa Moretta, Villa Martinolo, Villa Sanseverino, Villa Tournon, Villa Manzoni, Villa Molina e Villa Salino, dove il loess è piuttosto grumoso e resistente per la grande quantità di calcare che vi è mescolato. Nel /oess tipico di M. Brocca troviamo: Hyalinia fulva Mill. comune Vallonia costata Mill. comune Buliminus tridens Mill. comune 1 % » var. Gastaldii Poll. raro 3 quadridens Mill. raro Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentum Drap. comune Clausilia plicatulta Drap. rara Fruticicula Pioltiù Poll. comune È strigella Drap. var. rusinica Bgt. comune Invece nel /oess che incontrasi salendo la strada di S. Vito ebbi a rinvenire: ; Hyalinia petronella Charp. rara ; Sismonde Poll. rara Ri fulva Miill. comune TRIVIA RU aL ea e px E IRR RE, calette catia dn n deinrai ailo ssii tt RD a I TERRENI QUATERNARI ECC. 45 Vallonia costata Mill. comune Buliminus tridens Mill. comune Clausilia laminata Montag. var. phalerata Dup. comune Clausilia Baudii Pini var. Rosazza Poll. rara Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. comune 5 L d, n dDuxetorum Bgt. comune Li È A » @ntermedia Poll. comune Eulota fruticun Mill. comune È 9 » var. fasciata Moq. Tand. rara Hiberus nemoralis Linn. raro Helix pomatia Linn. var. rara Ancora diversa ci si presenta la fauna malacologica del loess delle vicinanze di Villa Manzoni dove trovai: Hyalinia fulva Mill. comune Patula ruderata Stud. rara Bbradibena prociliata Poll. comune Bulininus obscurus Mill. var. misellus Poll. raro 5 tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune T'orquilla frumentum Drap. comune Clausilia laminata Montag. rara i dubia Drap. rara. A cruciata Drap. var. triplicata Hartm. rara Zua exigua Menk. var. cylindroides Poll. comune Fruticicula hispida Linn. var. subplebeja Less. rara i Piolti Poll. comune n strigella Drap. var. minor. Poll. rara » j ; » Dbuzetorum Bgt. rara ”» » — n ntermedia Poll. comune Eulota fruticum Mill. comune 46 F. SACCO, Sotto Villa Salino il loess presenta solo: Hyalinia fulva Mill. comune Buliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentum Drap. comune. Da S. Vito risalendo il pendio piuttosto ripido e quindi ge- neralmente sprovvisto di loess, troviamo nuovamente lembi di questo terreno, ma solo coi fossili più comuni, tra i 450 ed i 480 m. circa, nelle vicinanze di Villa Laugier, Villa Garrino e Villa Bona, dovesesso si presenta molto ricco di irregolari con- . crezioni di rs. Più in alto, nei dintorni di Villa Rabby, C. Lot. ecc. si trovano ancora resti poco importanti di /oess impuro, rossastro, poco potente e di origine probabilmente più recente che non il loess tipico. V. Miogla — V. Fenogho. La porzione di collina che si trova tra la valle di S. Vito e quella di Cavoretto presenta tipici e potentissimi depositi di loess, specialmente nella parte sua più occidentale, cioè nei din- torni di V. Mioglia, V. Volante, V. Salino, V. Brocchi e V. Fe- noglio tra i 240 ed i 380 m. circa di elevazione. Si è special- mente nella strada a Nord di V. Mioglia che si può osservare il Zoess, ricchissimo in fossili anche nella sua parte inferiore, raggiungere talora la potenza di quasi 10 metri essendo inter- secato da due banchi principali di m%rs, dello spessore di 10 a 20 centim. ciascuno, inclinati concordantemente al pendìo col- linoso. Nel Zoess delle vicinanze di V. Mioglia i fossili più comuni sono: Hyalinia fulva Miill. comune Vallonia costata Mull. comune è RO I pitti ir DA POTRA # Peli LE TS e nta ra Ag AIDA LI Ra mi e I TERRENI QUATERNARI ECC. 47 Buliminus tridens Miill. comune Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentum Drap. comune Clausilia dubia Drap. var. speciosa Schn. rara Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. com. Iberus nemoralis Linn. raro. Presso V. Fenoglio si rialza assai potentemente il rilievo col- linoso, sorgono fuori come di solito i conglomerati miocenici e quindi non troviamo più che lembi poco notevoli di /0ess, come per esempio verso i 430 m. di elevazione presso V. Brichet, dove esso racchiude: Hyalima petronella Charp. rara n © fulva Miill. comune Vallonia pulchella Miill. comune Buliminus tridens Mull. comune Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentum Drap. rara Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. com. Cavoretto — -Bricco della Maddalena. Alle falde della collina su cui sta il paese di Cavoretto si pos- sono qua e là osservare alcuni lembi di /oess, in generale piut- tosto impuro e poco potente. Con tale facies lo troviamo eziandio sulla sinistra del rio di Cavoretto verso i 240 metri d’altitu- dine, venendo quivi talora utilizzato per fabbrica di mattoni; presenta anche lembi ad Ovest di V. Gastaldi, nelle vicinanze di V. Zopegno, di V. Barbaroux, di V. Lanza, di V. Cagnassi, di V. Bianchi ecc. A causa della poca potenza di questi depositi restano quivi spesso allo scoperto le sabbie giallo-verdastre ed i banchi irre- golari di grès del Miocene medio, anzi talora queste sabbie gial- lastre di lontano rassogliano al /oess. 48 F. SACCO, Salendo a Cavoretto lungo la strada della valle del Seppone, incontriamo già i depositi di loess tipico verso i 240 m. e li vediamo, più volte terrazzati, rialzarsi e crescere in potenza sino a raggiungere lo spessore di quasi 10 metri, specialmente nelle vicinanze di V. Cucchi, con banchi regolari ed irregolari di mérs, ma in generale con pochi fossili. Questo deposito vedesi chiaramente che doveva essere dap- prima riunito con quello di V. Cugiani, da cui è ora diviso per mezzo del rio Seppione che vi si incassa più o meno pro- fondamente. Più in alto ho potuto osservare che il castello di Cavoretto è in parte basato sopra un loess molto sabbioso, come si vede in un taglio esistente verso Nord a circa 370 m. d’elevazione; anche porzione del paese di Cavoretto è basato sul loess mentre un’altra parte poggia direttamente sulle marne del Miocene in - posto. Salendo poi da Cavoretto verso V. Vola veggonsi le strade profondamente incassate nel /oess tipico, potente, ricco qua e là in fossili, con qualche letto di mérs; esso poggia sulle marne verdastre del Miocene e spesso nella parte sua inferiore si pre- senta assai più rossastro che non superiormente, fenomeno che abbiamo già spiegato altrove. Ma se si continua a risalire la collina vedesi il loess divenire poco a poco più sottile e più impuro finchè verso i 410 m., poco a valle di V. Vola, cessa completamente mentre vengono a giorno i soliti conglomerati superiori miocenici costituiti in massima parte di Eufotide e di Serpentino. Tuttavia alcuni lembi isolati di loess si incontrano ancora qua e là sia nelle vicinanze della stessa V. Vola, sia più in alto presso C. Riva, C. Viola ed alle falde occidentali del Bricco della Maddalena sin oltre i 600 m., quantunque a dire il vero questi resti siano poco potenti, poco fossiliferi e in generale piuttosto impuri. In questi varî depositi troviamo specialmente i seguenti Molluschi: n Ss Seo ese di e CT. ere E e e e po le E n nen Mea n nt et tn TTT NT n °-_ er I TERRENI QUATERNARI ECC. 49 Hyalinia fulva Miill. comune Vallonia costata Mill. comune Buliminus tridens Miill. comune Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentumn Drap. rara Fruticicula strigella Drap. var. minor Poll. rara Xerophila costulata Zieg. rara V. Cugiani — V. Fornari. Quello sprone collinoso che dal M. Calvo s’avanza verso Ovest tra la valle di Seppone e quella di V. Fubini è in massima parte ricoperto di Zoess, principiando esso a presentarsi presso V. Cu- giani a circa 250 m. ed estendendosi verso l’alto nei dintorni di V. Nasi, V. Pelissieri, V. Chiotti, V. Cattaneo, V. Jona e V. Fornari, riunendosi per tal modo con quello che indicheremo fra poco. In generale però questo /oess non è straordinariamente po- tente, nè molto fossilifero, spesso invece rossastro e ricco in mmtrs per lo più irregolari. I fossili finora rinvenuti in questo loess, specialmente presso V. Cugiani e V. Jona, sono eguali a quelli del loess di Madonna del Pilone — Reaglie. V. Cambiano — V. Barbaroux — V. Tavigliano. Quella porzione di collina che, a forma quasi di triangolo, colla base rivolta verso la pianura, s'avanza dal M. Calvo verso Ovest tra la valletta Fubini e la valle Rubella, è quasi com- pletamente ammantato nella parte sua più elevata da Zoess più volte terrazzato ed intersecato da letti di mdirs. Già nei dintorni di V. Ghiglio, tra i 260 ed 270 m. circa, tro- vansi traccie di questo terreno però alquanto impuro; ma verso i 300 m. circa d’elevazione, poco sopra V. Botto e specialmente nei dintorni di V. Lopez, V. Colomba, V. Cambiano, ecc. il loess diventa potentissimo e ricco in fossili; nelle vicinanze di Vol. XXX. 4 50 F. SACCO, V. Rocca e V. Garneri assume un colore più rossastro e si vede poggiare sugli strati sabbioso-marnosi e sui grès miocenici in- clinati a S. S. O. circa. Nei dintorni di V. Botto il loess pre- senta solo: Hyalinia fulva Mill. comune Buliminus tridens Mill. comune. Pupa muscorum Linn. comune Xerophila reviliascina Poll. rara mentre che presso V. Rocca esso è assai ricco in fossili, spe- cialmente : Hyalinia petronella Charp. rara. Hyalinia fulva Mill. comune Vallonia pulchella Mill. comune Buliminus tridens Miili. comune Pupa muscorum Linn. comune Zua exigua Menk. var. cylindroides Poll. comune Anchistoma obvoluta Mil). rara Fruticicula hispida Linn. var. concinna Jeffr. com. Fruticicula Pioltii Poll. comune Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. com. Da queste località salendo a V. Fornari il /oess diviene meno potente e commisto a qualche ciottolo; lo troviamo però ancora potentissimo e ricco in Molluschi, specialmente del genere Pupa, nelle vicinanze di V. Tavigliano, dove osservansi regolarissimi: banchi di mérs ed i seguenti fossili: Hyalimia fulva Miill. comune Vallonia pulchella Miill. comune Buliminus tridens Miill. comune Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentum Drap. rara I TERRENI QUATERNARI ECC. 51 Ma poco a valle di V. Tarino il loess cessa, a circa 470 m. d’altitudine, restando allo scoperto i conglomerati rimaneggiati ricoprenti i conglomerati miocenici in posto, quantunque ancora si rinvengano alcuni lembi sporadici di loess impuro sin oltre i 500 m. alle falde occidentali del M. Calvo. Scendendo poi verso V. Lavaldigi troviamo tosto nuovamente il loess potentissimo, cogli stessi fossili del Zoess di V. Tavigliano, inciso da profondi canaloni, e che non cessa verso il basso che ad una ventina di metri circa sul rio Rabella dove spuntano fuori le marne sabbiose mioceniche di color grigio-azzurrastro. È poi notevole come presso l’indicata villa ho potuto osservare molto bene che il potente /oess giallastro tipico poggia sopra uno straterello ghiaioso ed un banco di mdrs sotto il quale sonvi sabbie verdastre, certamente derivanti dagli strati miocenici, ma rimaneggiate e contenenti numerosi fossili terrestri; abbiamo cioè una parte, direi, di /oess che ancora non si è metamorfosata, e che conservò il color primitivo degli elementi originali, forse perchè riparata dal letto di murs. Verso C. Malinverni il /oess si conserva sempre potentissimo e cessa solo a circa 250 m. d’elevazione poco sotto V. Barbaroux, lasciando allo scoperto i conglomerati rimaneggiati e le sotto- stanti marne sabbioso-verdastre mioceniche in cui vediamo qua e là disseminati enormi ciottoloni; quivi il /oess presenta solo i fossili che abbiamo già detto osservarsi nel loess di V. Rey. Noto infine come ad oriente di V. Barbaroux, quasi di fronte a V. Chiesi, ho potuto ancora osservare le solite sabbie ver- dastre mioceniche, ma già rimaneggiate, che contengono fossili terrestri eguali a quelli del /oess e che nella parte loro supe- riore per metamorfismo passano gradatamente al loess vero gial- lastro; quivi troviamo i seguenti Molluschi: Hyalima fulva Mill. comune Vallonia pulchella Muùll. comune Buliminus tridens Miill. comune Pupa muscorum Linn. comune 52 FU ISACCO, Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. comune Moncalieri — V. Valenti. Percorrendo lo sprone più meridionale della collina di Torino, quello che dal M. Calvo si prolunga fino a Moncalieri, lo tro- viamo quasi completamente spoglio di /oess, di cui vediamo solo scarsi lembi ad Est del Castello e del Parco, presso V. Valenti a circa 440 m. d’elevazione e nei dintorni di V. Ponzio, V. Chiesi, e V. Caffarelli, quantunque sempre abbastanza impuro, commi- sto a ciottoli e miirs grumoso e spesso alquanto verdastro nella parte sua inferiore. Sono quindi assai sovente allo scoperto le molasse ed i conglomerati resistentissimi del Miocene, spesso rivestiti da un deposito conglomeratico rimaneggiato. Tale scarsità di /oess nell’indicata regione dipende in gran parte dal modo d’origine di questo terreno e dai lavacri poste- riori alla sua deposizione, ma eziandio dai rimaneggiamenti e dalle numerose costruzioni che quivi esistono e che possono es- ser la causa della distruzione di questo deposito, se pure non ne mascherano tuttora qualche lembo. Moncalieri — V. Roasio — S. Bartolomeo. Ad Est della regione ultimamente esaminata il loess si pre- senta ampiamente e tipicamente rappresentato, cominciando dalla pianura e salendo sin oltre i 500 m., profondamente intersecato da .torrentelli che talora raggiungono e mettono a nudo i ter- reni terziari della collina. Da V. Barberis salendo verso C. Enrici si trova dapprima un terreno sabbioso che si arricchisce tosto di irregolari rag- gruppamenti di mdirs finchè passa ad un /oess sabbioso, gial- lastro il quale presso V. Borbonese acquista già una notevole po- tenza quantunque vi abbondino ancora lenti ghiaiose, ciottoli sparsi e grumi di m%rs. Così pure osserviamo /oess sabbioso nei I TERRENI QUATERNARI, ECC. 53 dintorni di C. Barolo e C. Cassini, dove esso posa sulle argille sabbiose bleuastre del Miocene superiore inclinato di circa 20° verso S. S. E. Più in alto però il Zoess diventa più potente e puro, come presso C. Enrici, V. Negri, V. Beria e C. Marchini, finchè cessa verso i 510 m. poco a monte di V. Longo dove questo terreno, poggiante su conglomerati rimaneggiati e decomposti, mostra an- cora conservato assai bene il colore verde primitivo nella parte sua inferiore mentre ha il tipico color giallo-rossastro superior- mente. Ciò talora si osserva pure nelle vicinanze di V. Beria, dove il loess verdastro inferiore, separato da quello tipico su- periore per mezzo di un banco di wmdirs, si presenta anche ricco in fossili terrestri. Presso V. Enrici sono comuni nel loess i seguenti Molluschi: Hyalinia fulva Mùll. Buliminus tridens Mull. Pupa muscorum Linn. Helix pomatia Linn. var. Da V. Roasio discendendo verso Castelvecchio troviamo quasì tutte le strade ed i rii profondamente incassati nel /oess che raggiunge talora persino 10 m. circa di potenza, come poco a Sud di V. Ghetto; è quasi sempre fossilifero, ed intersecato da regolari banchi di ms, comparendo quindi solo qua e là i ter- reni sottostanti. Nelle vicinanze di C. Ghetto il loess presenta i seguenti fossili: Hyalinia fulva Miill. comune Vallonia pulchella Mill. comune Buliminus tridens Miill. comune Pupa muscorum Linn. comune Torquilla frumentum Drap. rara | Iruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. com. 54 F. SACCO, Infine scendendo verso S. Bartolomeo il Zoess diventa in ge- nerale più sabbioso, per modo che talora ne vien fatta estra- zione come vera sabbia, ricco in concrezioni di mérs, ma si va poi gradatamente assottigliando per modo che presso V. Notta e V. Pettinengo vengono a giorno i regolarissimi strati del Tor- toniano inclinati di una diecina di gradi verso S. E. Monte Calvo — Rocciamelone — C. Garneri. . Mentre che il M. Calvo si presenta nella porzione sua. più elevata cosparso di enormi ciottoloni che indicano la potente ero- sione dei terreni miocenici, più in basso invece la regione che si protende verso Sud, limitata ad Est dalla valle di Cinasca e ad Ovest da quella di S. Bartolomeo, è in massima parte ricoperta da potente loess di cui cominciamo ad osservare traccie un po’ notevoli con fossili e strati di mdrs nei pressi di V. Vola e di C. L’Ebreo, tra i 480 ed i 500 m. di elevazione, ma special- ‘ mente tra C. Demichelis, C. Pavesio e C. Fossati, dove si vede molto bene il loess poggiare direttamente sulle sabbie e sui ciot- toli miocenici rimaneggiati, cioè sui conglomerati quaternari ba- santi a loro volta sui terreni miocenici in posto ; quivi i fossili del loess sono soltanto rappresentati dalle tre specie di Molluschi co-. muni in tutti questi depositi, solo che tra C. Pavesio e C. L’ Ebreo vi rinvenni pure un esemplare della Succinea Bellardi Poll. Da C. Diotti discendendo alla Cappella Rocciamelone osser- vasi il Zoess, per lo più assai potente, coi soliti fossili, con ban- chi di m%irs e qualche ciottolone nella massa; qua e là come nelle vicinanze di C. Berretta, compaiono a giorno gli strati ciot- tolosi e brecciosi quaternari già molto decomposti. Loess sparso troviamo pure presso C. Prolio. A Ma se dalla Cappella del Rocciamelone discendiamo nel letto del rio che solca quasi la cresta della collina, possiamo vedere il loess tipico, potentissimo, per modo da oltrepassare talora gli 8 metri in potenza, che s’avanza sin nelle vicinanze del rio di S. Bartolomeo nei dintorni di C. Garneri, verso i 290 metri d’e- levazione. I TERRENI QUATERNARI ECC. 5D S. Bartolomeo — Revigliasco — Troffarello. La maggior parte della regione collinosa compresa tra gli in- dicati paesi, limitata ad Ovest dal rio di S. Bartolomeo e ad Est dal rio Sauglio, è mascherata da un potentissimo manto di loess tipico in cui sono profondamente incassate le strade ed i rii. Verso l’alto però, a monte di Revigliasco il Zoess non potè ovunque deporsi ed inoltre le correnti acquee ebbero maggior agio ad esportarlo in tutto od in parte. Perciò lungo le falde me- ridionali del Bricco della Maddalena troviamo numerosi ma solo piccoli lembi di lZoess (non molto puri in generale) specialmente nei dintorni di C. Peramoloira, di C. Marghi, di C. Murialdo ecc., sin oltre i 600 metri d’elevazione, ed anche su quella specie di sprone esistente tra il rio Cenasca ed il rio Alberoni. Ma il loess tipico, puro, potente, lo troviamo solo poco a monte di Revigliasco cominciando dai dintorni di C. Nuova, verso 1 500 m. d’elevazione, quantunque questo deposito passi . quivi gradatamente ad un terreno ghiaioso, ciottoloso, misto a miirs, come si osserva specialmente discendendo da C. Murialdo verso Revigliasco. Sulla porzione di collina che da C. Malpensata protendesi verso V. Margotti si osserva, specialmente in cresta, il potente loess rossastro, fossilifero, più volte terrazzato verso Sud e Sud Est come presso V. Margotti, e che diviene piuttosto im- puro verso il Sud Ovest. Tra C. Malpensata e Revigliasco il loess è pure potentissimo, tagliato da banchi di mdrs, ripetutamente terrazzato, e si basa direttamente, o con l’intermezzo di un semplice strato ciottoloso, sopra le marne verdastre o biancastre del Miocene a strati in- clinati di circa 25° verso S. S. E., come si può vedere assai bene nei profondissimi burroni che attualmente separano i diversi lembi di less. Il paese di Revigliasco è in parte costrutto sul Zoess, dal suo lato Ovest, ma in massima parte basa direttamente sul terreno 56 F. SACCO, miocenico in posto, forse in parte anche perchè il /oess venne esportato nella costruzione delle case. Nei diversi depositi di loess delle vicinanze di Revigliasco troviamo numerosi i Molluschi, cioè: Hyalinia fulva Mull. comune. Buliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Fruticicula carthusiana Mull. rara Fruticicula strigella Drap. var. minor Poll. rara Xerophila costulata Zieg. rara Xerophila reviliascina Poll. comune Xerophila striata Miill. comune Da Revigliasco discendendo verso Trofarello troviamo dap- prima il loess potente solo in cresta della collina ed invece scarso impuro e quasi solo rappresentato da mirs lungo i fian- chi; in seguito però, cominciando a Sud di C. Bianca sino a S. Bartolomeo, a Moriondo ed a Trofarello il terreno in questione assume una potenza ed un’estensione così grande che tutti i rii e le strade di questa regione vi sono profondamente incassate; ciò malgrado quasi mai è visibile il terreno terziario sotto- stante e solo raramente compaiano a giorno gli strati quaternari ciottolosi inferiori, talora alternati con lenti di /oess sabbioso. In generale si può dire che questo loess, quasi sempre inter- secato da letti di ms, si presenta verso monte più puro e giallastro che non quello verso la pianura; giacchè quest’ultimo spesso è rossastro od anche rosso nerastro, molto areolare, ta- lora così ricco in argilla da screpolarsi facilmente e talora in- vece così ricco in granuli silicei da venir utilizzato come vera sabbia. Ha una notevole importanza il /oess che si osserva tra S. Bar- tolomeo e V. Palma, giacchè quivi tale terreno, quantunque molto sabbioso in generale, è assai ricco in fossili, fra cui nu- I TERRENI QUATERNARI ECC. DT merose Succinee, oltre a qualche frammento di Pecten che per la sua leggerezza potè esser facilmente trasportato dalle acque limacciose assieme alle conchiglie terrestri, ciò che ci servirà a spiegare l’ origine del /oess. Nel /oess presso S. Bartolomeo si rinvengono le seguenti specie : Hyalinia fulva Mill. comune Buliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune Fruticicula carthusiana Mill. rara Xerophila reviliascina Poll. comune Succinea Bellardii Poll. rara. La stessa fauna malacologica presentano i depositi di 7oess delle vicinanze di V. Palma solo che non vi rinvenni ancora la Fruticicula carthusiana Mull. Quanto a Molluschi quaternari del loess di V. Sampò già ne accennammo trattando delle sabbie grigie di questa località, che ora dobbiamo solo più indicare sotto altro punto di vista. Nel rio di V. Sampò, regione veramente classica per lo studio del Zoess, questo terreno si vede talora oltrepassare 10 metri in potenza, è ricchissimo in vere concrezioni rotondeggianti (l0ss- puppen) di calcare quasi puro, assai diverse dal m rs. Ma è specialmente importante questa località perchè verso la base del loess presentansi quivi diversi letti ciottoiosi ricchissimi in fossili marini, specialmente dei generi Pecten ed Ostrea fra cui più co- mune l’Ostrea cochlear Poli; anzi piccoli frammenti di Pecten rinvenni eziandio nella massa del /oess tipicamente puro. Il tutto basa sugli strati sabbiosi gialli dell’ Astiano, eroso assai irregolar- mente nella parte sua superiore. Da C. S. Pietro discendendo a Moriondo il Zoess potentissimo presenta i seguenti fossili: 58 PI “S4GCO; Hyalinia fulva Mull. comune Buliminus tridens Mull. comune Pupa muscorum Linn. comune Fruticicula carthusiana Mull. rara Xerophila reviliascina Poll. comune Xerophila ‘costulata Zieg. rara è Xerophila striata Mill. var. comune Pisidium fossarinum Cless. raro. A Trofarello alto si può osservare in diversi punti, special- mente sotto la Chiesa ed il Castello, come il loess, spesso gru- moso per grande ricchezza di calcare, poggia direttamente sopra le sabbie ed i gres resistenti dell’ Astiano ricco specialmente in Ostriche. Da Trofarello superiore discendendo verso le borgate di S. Carlo e di S. Giuseppe, vediamo il Zoess più o meno potente, potentissimo tra S. Carlo e C. Riva, divenire oltremodo ricco in sabbia, come ad esempio presso l’antico cimitero di Trofarello, facendo così graduale passaggio a quel terreno che esamineremo in seguito -sotto il nome di Sabbioni. È precisamente nel loess delle vicinanze di Trofarello che, oltre alle solite tre specie più comuni di Molluschi rinvenni la Xerophila reviliascina Poll. var. trofarelliana Poll. Bricco S. Vito — Pecetto — Sauglio. Ciò che si è fatto notare per i dintorni di Revigliasco devesi ripetere con poche differenze per le vicinanze del paese di Pe- cetto. Vediamo infatti che discendendo dal Bricco di S. Vito tro- vasi dapprima nei dintorni di C. Martini, C. Jnz. ecc., verso 1 500 m., il loess sottile, sparso, impuro, che basa sui gres e sui conglomerati resistenti del Miocene: acquista uno spessore al- quanto più notevole presso C. Genoglio, C. Menzo, Cappella di S. Andrea, ecc., ma quivi è rappresentato specialmente da mérs, divenendo più puro e potente solo presso Madonna del Carmine. I TERRENI QUATERNARI ECC. 59 Sia a Nord (tra C. Allason e Cappella S. Grato) come a Sud di Pecetto (presso S. Bastiano) il /oess si presenta assai potente e tipico in cresta della collina e manca invece sotto Pecetto che basa direttamente sulle marne bianco-verdastre del Miocene, per cui possiamo ragionevolmente supporre, come si è già fatto per Revigliasco, che là ove attualmente si trova il paese di Pe- cetto abbia pure esistito il loess, solo che esso venne esportato, più che non dalle acque, dall’uomo. A Sud della Cappella di S. Bastiano il Zoess è piuttosto scarso e rappresentato specialmente da rs (che per la sua durezza fu meno facilmente esportato dalle acque), come nei dintorni della C. Pilone, della borgata S. Pietro, della C. Valvera, ecc. Ma più a valle vediamo il /oess acquistare nuovamente una potenza notevole per modo da costituire, sulla sponda destra del rio Valvera, una serie di 3 o 4 terrazze regolari, parallele al corso del torrente da cui furono certamente costrutte. Sulla sponda opposta invece compare a giorno, presso C. Fenoglio e V. Lame, lo strato ciottoloso inferiore, molto decomposto, che riposa di- rettamente sulle sabbie giallastre dell’ Astiano, le quali di lon- tano simulano il loess da cui si distinguono però, oltre che per il colore giallo più vivo, anche per i fossili marini, special- mente Lamellbranchiati ed Echinodermi, che in generale vi sono conservati solo allo stato di impronta. Nella valletta di Sauglio, tra C. Giudassa e C. Marcellino, sì può osservare molto bene il Piacentino coperto da uno strato ciottoloso quaternario, più o meno potente, che sopporta il loess ; lo stesso fatto si osserva pure stupendamente a valle di C. Mar- cellina, solo che allora lo strato ciottoloso della potenza di oltre un metro e mezzo in certi punti, sappoggia sulle sabbie gialle del l’ Astiano succedute per sovrapposizione alle argille azzurre del Piacentino. Nei varî depositi di Zoess di queste località osservai: Hyalinia fulva Mùll. comune Buliminus tridens Mull. comune 60 F. SACCO, Pupa muscorum Linn. comune Xerophila reviliascina Poll. var. trofarelliana Poll. rara Succinea peregra Mill. rara Anche lungo la valletta di Sauglio si possono notare pa- recchi ordini di terrazzi, a ciascuno dei quali, specialmente agli inferiori, pare corrisponda uno strato ciottoloso ed uno strato di /oess, deposti successivamente durante l’epoca delle terrazze. Il paese di Sauglio è in parte basato direttamente sull’ Astiano ed in parte su /oess piuttosto impuro e recente. Eremo — Rosero. — Ho già detto come il loess dell’ Eremo non sia affatto tipico constando invece di un terriccio impuro e poco potente. Ma se dall’ Eremo si discende verso Est si trova, alle falde N. E. del bricco delle Fontanine, verso i 520 m. d’elevazione, un pic- colo lembo di loess tipico e abbastanza fossilifero poichè in breve tratto racchiude le seguenti specie: Hyalinia fulva Mill. comune Vallonia pulchella Miill. comune Buliminus tridens Mill. comune Pupa muscorum Linn. comune. Fruticicula strigella Drap. var. rusinica Bgt. comune Xerophila reviliascina Poll. var. trofurelliana Poll. Scendendo invece verso S. E. lungo il versante meridionale dello stesso Bricco delle Fontanine troviamo dapprima scarsì ed impuri resti di Zoess; poscia per passaggi graduati vediamo che, più in basso, al /oess con ciottoli si sostituisce un loess puro, rosso-giallastro, della potenza di 3 a 4 metri circa, con banchi di m4%rs, talora un velo acqueo alla sua base, come nelle vici- nanze dei Rosero e di Bric Manuel, tra i 450 ed i 490 metri circa. Quivi i fossili più comuni sono: I TERRENI QUATERNARI ECC. 6l Hyalinia fulva Miill. comune. Buliminus tridens Miill. comune Pupa muscorum Linn. comune Zua exigua Menck. var. cylindroides Poll. comune Anchistoma obvoluta Mill. comune ‘ Dal Bric Manuel andando al Bric Molle il loess è rappresen- tato solo molto scarsamente anche sullo stesso clinale della col- lina, per cui spesso restano allo scoperto i sottostanti terreni miocenici, marne, molasse e conglomerati. Continuando lo studio del Zoess a Nord Est dei Rosero, lo vediamo continuare, più o meno fossilifero, più o meno inter- rotto e potente, presso C. Pietra del Gallo, C. Spratti, Tetti Caselle, Pino, ecc. e formare per tal modo una specie di cerchio attorno al rilievo principale della collina di Torino, ma siccome ciò esce dal limite dell’unita carta geologica, tralascio per ora di parlarne. Falde della collina. Trattando dei varii lembi di loess della collina di Torino ho già più volte accennato al fatto che spesso alle sue falde trovansi depositi di questo terreno, generalmente però piuttosto impuro e poco potente. Ì Tale terreno, quantunque per la maggior parte mascherato ed alterato dalla coltivazione e dalle costruzioni, potè esser se- gnalato tuttavia allo sbocco della valle di S. Martino, nei din- torni della Barriera di Piacenza, qua e là ai piedi della collina di Cavoretto, presso il cimitero di Moncalieri ecc. Piccoli lembi di questo terreno troviamo pure sulla sinistra del Po, come ad esempio poco a valle del Ponte Isabella sul ciglione della ter- razza, e d’altronde la massima parte della pianura padana è ri- coperta da un velo di /oess stato deposto dalle acque stesse del Po e dei suoi affluenti prima che si incassassero negli attuali loro alvei. 62 F. SACCO, A Sud della collina di Torino troviamo pure che la pianura è in gran parte coperta da un /oess, potente anche 2 o 3 metri, che basa sui conglomerati diluviali e che fu trasportato in parte dai torrenti che discendevano dalla collina ed in parte dalle acque fluviali che per un tempo assai lungo dovettero rasentare la collina, terrazzandone più o meno evidentemente le falde. Questo loess della pianura, che alimenta numerosissime fab- briche di tegole e di mattoni, non ha però una grande importanza rispetto al nostro studio. Riguardo al rapporto che esso ha col Zoess della collina debbo dire di avere spesso potuto verificare come il loess della pianura faccia graduale passaggio al terreno consimile che nel corso del lavoro ho più volte accennato esistere presso i rii della collina, specialmente là dove essi hanno un corso poco rapido, loess ab- bastanza recente e piuttosto impuro che a sua volta si attacca gradatamente a quello tipico antico che ammanta gran parte della collina. Ciò si può vedere specialmente sulle falde meridio- nali della collina. ETÀ DEL LOESS. Martins e Gastaldi ! parlando del /oess della collina di Torino e ritenendolo d’origine glaciale lo includono naturalmente nel periodo di massimo sviluppo dei ghiacciai corrispondente alla prima metà dell’epoca quaternaria. Il Pareto ® quando tratta del Zoess dei colli torinesi è in dubbio se debba considerarlo come contemporaneo alle Alluvioni plioceniche (Villafranchiano) oppure porlo nell'epoca quater- naria. 4 MARTINS et GASTALDI, Essai sur les terrains supérficiels de la vallée du Po, aux environs de Turin, comparés à ceua de la plaine Suisse. Bull. Soc. Géol. de France. 2 Serie, T. VII, 1850. 2 L. PARETO, Note sur les subdivisions que Von pourrait établir dans lés terrains tertiaires de V Appennin septentrional. Bull. Soc. Géol. de France. 2% Serie T. XXII, 1865. I TERRENI QUATERNARI ECC. i 63 L’Hogard'! supponendo che il Zoess delle colline torinesi sia stato trasportato dai ghiacciai, lo rilega necessariamente nel periodo in cui ebbe luogo il massimo espandimento dei ghiac- ciai, sul principio dell’epoca quaternaria. Il Tardy,° seguendo una teoria che esamineremo in seguito, attribuisce al /oess dei colli di Torino diverse età, e crede che i depositi più elevati sulla collina siano i più antichi e cor- rispondano all’iniziarsi del periodo glaciale, mentre che quelli più bassi sarebbero man mano più recenti. Il Gastaldi * più tardi quantunque trovi molto problematica l’origine del /oess pone questo terreno al disopra dei depositi diluvio-glaciali. Tutte però queste ipotesi erano basate solo su dati strati- grafici non essendo stati finora nè raccolti nè studiati i fossili racchiusi in questo terreno e mancava quindi assolutamente l’importantissimo criterio paleontologico che invece ora posse- diamo, avendo raccolto numerosissimi fossili in quasi tutti i de- positi di /oess descritti nel presente lavoro. Ora dagli studî paleontologici risulta che dobbiamo anzitutto escludere assolutamente che il loess sia contemporaneo al V- lafranchiano (Alluvioni plioceniche) la cui fauna malacologica, composta di specie ora estinte, ha 1 suoi rappresentanti attuali specialmente nelle regioni circummediterranee, nonchè nelle isole di Madera, delle Canarie e delle Azzorre. Ma ‘neppure si può dire che la fauna malacologica del loess esaminato sia eguale a quella esistente attualmente sulla collina come venne da alcuni più volte asserito, giacchè, se molte specie vivono tuttora in queste regioni, molte sono emigrate e molte sono completamente estinte; in generale poi si nota che la fauna 1 H. HogarD, Recherches sur les glaciers et sur les formations erratiques des Alpes de la Suisse. Epinal, 1818-62. 2 TaRrDY, Esquisse des périodes miocène, pliocòne, et quaternaire dans V Haute Italie. Bull. Soc. Géol. de France. 22 Série, T. XXIX, 1872. 3 B. GASTALDI, Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. Atti R. Acc. dei Lincei. Tomo II, Serie 2°, 1875. 64 F. SACCO, del /oess, specialmente del versante occidentale della collina di Torino, è una vera fauna alpina, corrispondente ad un dipresso a quella che vive attualmente sulle Alpi piemontesi tra i 700 ed i 1000 metri. Da questo complesso di caratteri paleontologici, dai rapporti stratigrafici del loess cogli altri terreni quaternari della collina, siano essi conglomerati, siano marne azzurre con resti di Mol- luschi e di Cervus megaceros, risulta assai chiaramente che il Zoess tipico devesi in massima parte attribuire al Quaternario medio, all’epoca in cui aveva il massimo sviluppo in Europa l’Elephas primigenius, cioè al finire della vera epoca diluvio-glaciale ; quantunque, come ho più volte accennato nel corso del lavoro, siasi il /oess continuato a deporre in seguito e si deponga tut- tora in molti punti sulla collina di Torino. ORIGINE DEL LOESS. I varî geologi che ebbero occasione di percorrere la collina di Torino tentarono naturalmente di spiegare l’origine del /oess, ma in modo svariatismo. Notiamo anzitutto a questo proposito come gli studî che ven- nero fatti in questi ultimi anni da diversi geologi e paleontologi (fra cui specialmente Lyell, Lapparent, Viguier, Trantschold, Richthofen, Desor, Arcelin, Bourguignat, Falsan, Locard, Sand- berger, Lory, Terves, Fagot, etc.), sia in Europa che in Asia ed in America, non valsero finora:a mettere bene in chiaro l’ori- gine del Zoess, alcuni attribuendolo a fenomeni glaciali, altri a . fenomeni alluviali ed altri all’azione di trasporto dei venti, donde il nome di eluvium dato da alcuni al Zoess per contrapporlo al- l’alluvium deposto dalle acque, probabilmente avendo tutti, a seconda delle varie località, più o meno ragione. Dobbiamo inoltre osservare che, mentre nel /oess tipico della collina di Torino trovansi soltanto fossili terrestri, in consimili depositi d’altre regioni trovaronsi pure molti fossili d’acqua dolce, specialmente dei generi Planorbis, Limncea, An- I TERRENI QUATERNARI ECC. 65 cylus, Bythinia, Auricula, Valvata, Neritina, Paludina, Melania, Spherium, Pisidium, Cyclas, Unio, ecc. ciò che io credo dipenda in generale piuttosto dalla conformazione della regione in cui il loess si depose che non da un molto diverso modo d’origine. Passiamo ora brevemente in rivista le varie ipotesi finora enun- ciate sull’origine del /oess della collina di Torino prima di esporre quella che dall'esame accurato dei fatti stratigrafici e paleontologici sembra debbasi ritenere come vera. Martins e Gastaldi nel sopracitato lavoro, supponendo che i grossi massi della collina torinese siano d’origine glaciale, cioè tra- sportati dai ghiacciai discendenti dalle Alpi durante l’epoca gla- ciale, attribuirono naturalmente la stessa origine al Zoess; in sus- seguenti lavori però il Gastaldi riconobbe giustamente che i massi erratici indicati derivano dallo sfacelo dei conglomerati mioce- nici, ma in un suo studio su tali conglomerati! parlando anche del loess della collina di Torino persiste “a considerarlo come un deposito estraneo alla collina stessa ,, e per spiegare la grande elevazione del /oess sulla collina inclina a crederlo de- positato, non più dai ghiacciai come prima supponeva, ma dai torrenti che uscivano dai ghiacciai e percorrevano la pianura, ammettendo eziandio che la collina fosse allora meno elevata che non attualmente. Però, anche ne’ suoi ultimi lavori? il Ga- staldi parlando di passaggio del Zoess ebbe a dire “esso è per me il più problematico dei terreni quaternari ,. Nella sovracitata opera dell’ Hogard, l’egregio geologo, par- lando dei depositi superficiali della collina di Torino, crede che il Zoess sia d’origine glaciale, supponendo che durante l’epoca glaciale gran parte della valle padana sia stata occupata dai ghiacciai per cui “les glaciers sont venus jeter des amas de galets polis et striés, des blocs et de la boue sur les flancs et sur les crètes de la colline de Turin ,,. 1 B. GASTALDI, Frammenti di Geologia del Piemonte. — Sugli elementi che com- pongono i conglomerati miocenici del Piemonte. Mem. R. Acc. delle Sc. di Torino Serie 2*, Tomo XX, 1861. ? B. GASTALDI, Sulla giacitura del Cervus euryceros, ecc. (V. ant.) Vol XXX; 5) 66 F. SACCO, Io non credo assolutamente ammissibile tale teoria, sia pel modo di presentarsi del /oess, sia per la natura, la distri- buzione e la conservazione dei fossili in essi racchiusi, sia perchè nessun fatto ci prova che durante l’epoca glaciale i ghiacciai alpini abbiano raggiunto uno sviluppo così straordinario da at- traversare tutta la valle padana, raggiungere la collina e co- prirla completamente o quasi. Il Mortillet! ed il Pareto ? accennano di passaggio al Zoess in questione senza parlare della sua origine. Il Mayer, in un’ escursione fatta insieme all’autore di questo lavoro due anni or sono, enunciò dubitativamente l’opinione che il loess potesse aver origine dal trasporto, per mezzo dei venti, di ceneri vulcaniche emesse durante potenti eruzioni, opinione che espresse pure in alcuni suoi lavori riguardo alla colorazione delle sabbie del pliocene superiore marino di molte regioni. Su questa ipotesi non posso affatto accordarmi coll’ eminente geologo svizzero, specialmente poi per il /oess in esame a causa, della sua composizione mineralogica, della sua giacitura, dei fos- sili che contiene ecc. Il geologo che più particolarmente studiò e descrisse il loess della collina torinese è il Tardy nel suo sopracitato lavoro, per cui credo necessario esporre per sommi capi le opinioni di questo geologo francese. Anzitutto egli ammette che il loess sia stato deposto dal principio dell’epoca glaciale al periodo sto- rico, in varie epoche successive, dalle acque che avrebbero occu- pato completamente la valle padana raggiungendo di tratto iu tratto, a causa di successivi sollevamenti ed abbassamenti della collina, elevazioni molto notevoli (rispetto a quelle ‘attuali dei colli torinesi) ma sempre meno grandi, per cui secondo tale teoria i depositi di l/oess più elevati sarebbero i più antichi. Ragionando dunque secondo questa ipotesi, il Tardy suddi- vide i depositi di loess a seconda della loro altitudine e ne 1 G. DEMORTILLET, L’époque quaternaire dans la vallée du Po. Soc. Géol. de France 2a Série, T. XXII, 1864. 2 L. PARETO, Note sur les subdivisions, ete. (V. ant.) cla Anterò ie din den i etéi dini I “Lp Sr 3 i I TERRENI QUATERNARI ECC. 67 spiega singolarmente l’origine ed i rapporti coi depositi mo- renici del Piemonte. Il suo ragionamento può essere così sin- tetizzato : 1* FASE GLACIALE. Sollevamento — Morena di Trana. Abbassamento — Loess dell’ Eremo (600 m.) Antico livello delle acque. 2° FASE GLACIALE. Sollevamento — Morena di Rivoli (500 m.) Abbassamento — Loess di Cavoretto (300 m.) Alto livello delle acque. SR BASE GLACIALE. Sollevamento — Morena di Val Tournanche. Abbassamento — Loess di V. Pamparà (280 m.) Medio livello delle acque. 3° FASE GLACIALE. Sollevamento — Morene delle alte vallate. Abbassamento — Loess di Torino (240 m.) Basso livello delle acque. E così’ di seguito il Tardy continua a segnare diversi successivi periodi di sollevamento ed abbassamento, ciò che tralascio per- chè più non riguardano il terreno in esame. | Ma, confesso il vero, questa complicatissima teoria del Tardy credo che sia in massima parte erronea, urtando contro quasi tutti i fatti geologici e paleontologici. 4 63 F. SACCO, Infatti anzitutto devesi osservare che, se non impossibile, è difficilmente ammissibile che siano avvenute così rapide, nu-. merose e potenti altalene successive in un così corto periodo di tempo, geologicamente parlando, quale è quello dell’epoca qua- ternaria ; in secondo luogo l’esame dei fossili racchiusi nei varii depositi di oess non mi mostrò affatto questa gradazione di antichità tra i diversi piani di /oess ammessi dal Tardy; inoltre se anche si fossero verificati gli accennati abbassamenti, non comprendo come essi avrebbero potuto dar origine ai supposti enormi accumuli d’acqua nella valle del Po così ampiamente aperta non solo al Nord-Est, tra la collina di Torino e le Alpi, ma eziandio all’Est, tra la stessa collina e gli Apennini; faccio osservare a questo proposito che ho notato potentissimi depositi di loess ad oltre 500 m. d’elevazione anche sul lato meridionale dei colli torinesi. Ma se pure tale straordinario accumulo d’acque si fosse verifi- cato, per modo da ricoprire quasi completamente la collina di Torino, ciò si sarebbe dovuto verificare in un solo periodo, cioè durante tutta l’epoca glaciale e non in diversi periodi alternati da sollevamenti ed abbassamenti; infatti non possonsi ragione- volmente fare le nette. distinzioni indicate dal Tardy nei varî depositi di loess, non essendo essi in complesso che la continua- zione gli uni degli altri, interrotti solo da sfacelo, erosione, o da ripidi pendii. Noto per ultimo che il Tardy basò in massima parte la sua teoria sopra un fatto paleontologico assolutamente falso; vediamo infatti che parlando del loess della collina di Torino in generale egli dice “ Les eaux quaternaires ont déposé à dif- férentes hauteurs de puissantes assises de /oess; celles-ci ren- ferment toutes, exceptée la plus élevée, des couches fossilifères. Mais les coquilles y sont toutes d’eau douce , Trattando poi del loess di Cavoretto dice nuovamente “Le Zoess de ce niveau est fossilifèere ; ce sont des coquilles d’cau douce qui sont disse- minées sur certains points ,. Ed anche quando parla del Zoess di V. Pamparà (vedi: V. Gay — V. Salino — S. Vito) troviamo le a I TERRENI QUATERNARI ECC. 69 seguenti parole “ L’affaissement qui suit amène de nouveau des eaux peuplées de coquilles Auviatites. On peut en recueillir dans le loess, en face de la Villa Pamparà, etc. ,. Or bene dei numerosissimi fossili che ho finora diligente- mente raccolti nel loess tipico di tutte le località e di tutte le altitudini del versante Nord-Ovest della collina, non uno appar- tiene a Mollusco lacustre o fluviatile. Il Fuchs parlando della collina di Torino * accenna di pas- saggio al Zoess e pensa che forse lo si potrebbe spiegare, al- meno in parte, ricorrendo all’origine meteorica. Questa ipotesi, quantunque non impossibile ed adottata da parecchi geologi per spiegare l’ origine del loess di altre regioni, credo che non sia ammissibile per quello della collina torinese, sia per la varia natura, potenza e composizione del /oess nelle varie località, sia per i fossili che contiene, sia per la distribuzione generale del loess in Piemonte, sia anche per lo stato meteorologico ed idro- grafico del Piemonte stesso, come della terra in generale, durante l’epoca in cui questo terreno si depositò. Provate inammissibili le teorie finora enunciate sull’origine del toess della collina di Torino, cerchiamo ora di sostituirne un’ altra che meglio corrisponda ai fatti stratigrafici e paleontolo- gici osservati. La prima questione che ci si presenta a questo riguardo si è quella dell’origine del materiale costituente il /oess. Secondo le indicate teorie di Martins e Gastaldi e dell’ Hogard, esso sarebbe un fango glaciale trasportato direttamente dalle Alpi sulla collina di Torino per mezzo di enormi ghiacciai che attra- versarono ed occuparono tutta la valle padana; invece secondo l’ipotesi del Tardy esso sarebbe un limo trasportato special- mente dalle acque scendenti dalle catene montuose che circon- dano l’alta valle padana e deposto sulla sponda quasi di un gran lago; se invece il /oess fosse d’origine meteorica, l'origine dei materiali potrebbe trovarsi anche a distanze molto grandi. 1 Ta. FucHs, Studien ueber die Gliederung der jn Terticibiriingerel- Oberdungen Italiens, gesammelt auf einer Reise im Friilihnge 1877. Sitzb. d. k. Akad. d. Wissensch. zu Wien. Band 77, lte Abth., 1878. 70 F. SACCO, Quantunque la seconda ipotesi sia più ammissibile delle altre due, tuttavia l’esame accurato dei varî lembi di loess della col- lina di Torino, mi ha persuaso che esso risulta in massima parte dalla decomposizione dei terreni marini costituenti la collina stessa, specialmente delle marne sabbiose dell’EZveziano, almeno nella regione studiata. Infatti ho già più volte Pu a suo luogo nel corso del lavoro, esaminando i singoli depositi di less, come spesso sotto al loess giallastro, tipico, fossilifero, si trovi una specie di /oess, talora ricco di fossili terrestri, ma di color verdastro come le sabbie mioceniche dal cui sfacelo esso evidentemente deriva. Ora l’osservare che il Zoess spesso è attraversato da estesi e regolari banchi di ms, potrebbe far supporre che questo ter- reno altro non sia che l’alterazione in posto degli strati terziari marini e che i banchi di ms, rappresentino quei banchi di are- marie resistenti che spesso si alternano colle sabbie e colle mo- lasse marine; ma questa supposizione, che si presenta abbastanza naturale, è distrutta sia dalla mancanza in generale di fossili marini nel /oess, sia dalla presenza di fossili terrestri anche negli strati più profondi sotto ai miîrs e néi mdrs stessi, sia dall’ essere questi ms semplicemente un /oess ricchissimo in calcare piuttosto che non una vera arenaria come è il caso nei depositi marini, sia perchè spesso questi banchi di rs sono assolutamente discordanti dai sottostanti strati marini in posto, e concordanti piuttosto coll’ inclinazione dell’attuale pendio della collina, sia infine perchè in molte località ho potuto osservare, gli strati marini in posto (più o meno fortemente inclinati ed irregolarmente erosi nella parte loro superficiale) ricoperti di tratto da marne sabbiose verdastre rimaneggiate che passano gradatamente al loess tipico, suddiviso da strati di wmdrs (che spesso seguono le ondulazioni della irregolare erosione dei sotto- stanti strati terziari in posto), e di cui l’ultimo sovente separa il oess giallastro tipico dalle sottogiacienti marne sabbiose marine rimaneggiate, che, per esser state così sottratte al metamorfismo chimico, specialmente dei loro sali di ferro, ancora conservano il colore grigio-verdastro primitivo. I TERRENI QUATERNARI ECC. 71 Talora invece questo passaggio tra le due sorta di terreni, doess tipico e sabbie rimaneggiate, si compie assai più gradual- mente senza intermezzo di banchi di mzirs, ed è anzi probabile che col tempo il metamorfismo chimico si estenderà a tutte le marne sabbiose verdastre rimaneggiate anche più profonde. D’al- tronde questo fenomeno si può osservare molto bene eziandio negli strati terziari in posto ed a contatto degli agenti atmo- sferici. Non deve poi sembrare una difficoltà all'ipotesi dell’origine dei materiali del /oess specialmente dai terreni stessi costituenti la collina, l'abbondanza di questo deposito in rispetto alla non grande estensione della regione collinosa, giacchè se grande è lo sviluppo del Zoess, poca ne è però la potenza che in com- plesso si può calcolare a circa 3 metri, per cui dovette essere necessaria l’erosione di solo pochi metri in spessore del rilievo centrale della collina per fornire tale materiale, mentre che in- vece sono ovunque evidentissime, per i banchi terziari, le prove di una erosione molto maggiore che non di pochi metri soltanto. Noto inoltre che la distribuzione e la potenza del /oess, oltre che col pendio, è pure in qualche rapporto colla natura dei terreni costituenti la collina, ciò che riesce pure in appoggio dell’enunciata ipotesi, giacchè è naturale che si verifichi una maggior quantità e potenza di loess a valle delle regioni in cui vengono a giorno terreni sabbioso-marnosi che non dove com- paiono invece conglomerati resistenti o marne dure. Faccio ancora osservare che spesso i materiali delle lenti ghiaiose incluse nel loess si presentano in frammenti brecciosi, ciò che non si potrebbe facilmente spiegare se essi fossero stati trasportati di lontano, mentre che invece ci indicano un semplice trasporto a breve distanza di materiali a spigoli vivi e di ciot- toli frantumati derivanti dallo sfacelo dei conglomerati miocenici della collina di Torino. Ma se il /oess deriva specialmente dalla decomposizione dei materiali degli strati terziari marini è naturale il supporre che in esso si dovessero pur trovare frammenti di fossili marini; ed infatti 72 F. SACCO, anche questo ho potuto constatare, quantunque raramente a causa sia del peso molto maggiore dei gusci dei Molluschi ma- rini in confronto di quello dei Molluschi terrestri (che possono galleggiare sull'acqua e quindi essere trasportati assai lontano coll’acqua limacciosa senza guastarsi), sia della grande fragilità dei Molluschi marini da tanto tempo sepolti nel terreno su- perficiale. Ho già accennato nel corso del lavoro come sia specialmente tra S. Bartolomeo e Trofarello che potei riscontrare frammenti di Pecten nel loess tipico, mentre che sono assai comuni i resti di Pecten, d’Ostrea, ecc. nelle lenti ciottolose interstratificate nel loess stesso, in diverse località. | Stabilita così l’origine principale dei materiali costituenti il loess della collina di Torino ci rimane a spiegare il loro mezzo di trasporto e di deposizione. Per i motivi già sopraccennati credo che nel nostro caso non si possa ammettere il trasporto del loess per mezzo dei venti; avendo inoltre già escluso subito l’azione glaciale, non mi resta quindi che ad esaminare il mezzo di tra- sporto per via delle acque. Or bene se noi gettiamo un occhiata sull’ unita carta geologica scorgiamo anzitutto che il rilievo principale spartiacque della collina sino a Moncalieri si presenta quasi completamente spoglio di loess (senza stretto rapporto coll’elevazione rispetto al livello marino), ed inoltre che ne sono eziandio sprovviste le regioni a pendio un po’ ripido nonchè il fondo delle vallate principali. Ora se nei due ultimi casi si può supporre che il loess sia stato esportato dalle acque in seguito alla sua deposizione, nel primo caso invece credo che tale mancanza debbasi in massima parte attribuire al fatto che fu specialmente la porzione costituente il clinale della collina, e quindi la più elevata in generale, quella che colla sua disaggregazione superficiale fornì i materiali dei conglomerati quaternari e del loess, per cui possiamo ragionevol- mente supporre che la collina di Torino prima dell’epoca gla- ciale fosse alquanto più elevata sulla pianura che non attual- mente, del quale asserto sono pure prove i numerosi e voluminosi I TERRENI QUATERNARI ECC. 73 massi rocciosi i quali trovansi sparsi sui fianchi e specialmente verso l’apice della collina, nonchè la ripidità di pendio che pre- senta in generale la catena spartiacque costituita per lo più di banchi piuttosto resistenti, fenomeni tutti che ci indicano una potente erosione. Infatti se durante l’epoca pliocenica sulla collina di Torino, già quasi completamente emersa dal mare che la circondava da ogni lato, si verificò naturalmente una notevole decomposizione dei terreni superficiali per gli agenti chimico-fisico-biologici ed un certo trasporto in basso dei materiali di sfacelo, tale decomposizione e specialmente il trasporto in basso per azione delle correnti acquee dovette aumentare immensamente quando, sul finire dell’epoca pliocenica e nella prima metà dell’ epoca quaternaria, si verificò quella straordinaria caduta di pioggie e di nevi che caratterizzò quest’ ultimo periodo di tempo. Si è allora che sulla collina, specialmente verso il basso, sì depo- sitò quello strato più o meno potente di detriti ciottolosi e brecciosi, di mole svariatissima, a cui abbiamo già accennato e che abbiamo detto corrispondere al Diluwum della pianura, ed essere anzi verso il basso in qualche relazione, rispetto all’ori- gine, colle acque stesse che scorrevano sulla pianura e che durante l’epoca glaciale dovevansi innalzare alquanto sui fianchi della collina. Ma in seguito, diminuendo gradatamente la straordinaria pre- cipitazione di vapori atmosferici, le acque fangose della collina di Torino, molto allargate, a corso non molto impetuoso ed alquanto differente dallo attuale, poterono, in relazione mag- giore o minore colle acque della pianura, deporre gran parte del limo che portavano in sospensione assieme a quei resti ve- getali.ed animali che esportavano specialmente dalla parte su- periore della collina; così venivano a formarsi quegli accentra- menti di Molluschi che talora troviamo nel loess; così ci spie- ghiamo pure perchè anche sopra uno stesso versante della collina. vi sia una differenza di fauna tra i varî depositi di loess delle varie vallate, ciò che non avrebbe ragione di essere se il /oess 74 F. SACCO, fosse stato deposto da un solo agente, così se fosse stato de- posto unicamente dalle acque riempienti la valle del Po. È poi naturale che alle falde dei pendii alquanto ripidi, spe- cialmente presso il rilievo principale della collina, il loess si presenti piuttosto impuro e misto a ciottoli e frammenti an- golosi, come si è più. volte notato nel corso del lavoro, tanto più che il /oess allo stato fangoso doveva pur talora scolare lenta- mente lungo i pendii collinosi seco trasportando materiali etero- genei, come spesso osserviamo tuttora. Quando per particolari condizioni era. più abbondante. la quantità di calcare deposto assieme al limo, allora originavansi i banchi di mrs, che colla loro inclinazione servono spesso molto bene ad indicarci l'inclinazione del pendio su. cui sì de- poneva il Zoess, inclinazione talora, quantunque di rado, al- quanto differente da quella che presenta ora il rilievo collinoso. Una difficoltà che parrebbe sorgere contro l’enunciato modo di interpretare la deposizione del /oess, sarebbe il fatto che trovansi lembi di questi terreni ad elevazioni molto considerevoli sopra l’attuale livello dei corsi d’acqua della collina. Ma dobbiamo a questo riguardo anzitutto pensare che sulla fine dell’epoca glaciale questi corsi d’acqua dovevano essere molto più allargati e potenti che non ora e specialmente che le vallate attuali della collina di Torino sono, a mio parere, in gran parte da attribuirsi ad ero- sione (maggiore o minore a seconda del pendìo e dell’impor- tanza del corso d’acqua) avvenuta durante l'epoca delle terrazze, dopo la deposizione del loess tipico, che doveva quindi costituire originariamente una specie di manto, molto meno interrotto che non ora, alle falde del rilievo principale, ciò che si può tuttora abbastanza bene osservare sul versante Sud-Est della collina. Quivi infatti osserviamo che là ove il pendio ripido fa passaggio a quello più moderato, come ad occidente di Revigliasco per esem- pio, esistono vallette incassate di 50 e più metri nelle marne mioceniche che sopportano lembi tipici di loess i quali dovevano di certo essere originariamente riuniti. Invece là dove il torrente, per il pendio dolce, ebbe ed ha I TERRENI QUATERNARI ECC. 79 corso molto meno rapido che nel caso precedente, quivi il tor- rentello trovasi poco incassato nei terreni terziari e spesso anzi si può eziandio osservare, come si è già notato nel corso del lavoro, che il loess tipico, terrazzato parallelamente al corso del torrente che fiancheggia, per mezzo di altri ripetuti ter- razzamenti, fa graduale passaggio al Zoess che si può dir recente e che spesso costituisce le sponde dell’alveo stesso del rio; si verificò cioè quivi il fenomeno di terrazzamento analogamente e contemporaneamente a quello che avvenne in generale sulla pianura per opera delle grandi correnti fluviali. Ciò ci rende avvertiti che se la maggior parte del loess della collina di Torino si depose sulla fine dell’epoca diluvio-glaciale, esso continuò a formarsi in seguito, come si forma tuttora, spe- cialmente per mezzo delle acque scendenti dalla collina e non di rado alle spese del loess preesistente, solo che in generale questi recenti depositi sono piuttosto impuri, poco potenti e rac- chiudono Molluschi assolutamente identici a quelli che vivono oggidì sulla collina. Credo infine opportuno, riguardo all’ origine del /oess della collina di Torino di fare alcune considerazioni sui varii Mol- luschi che vi si rinvennero finora, giacchè questi, come vedremo, ci porgeranno validi argomenti di appoggio all’enunciata teoria. Espongo perciò il catalogo delle specie trovate nei varî ter- reni quaternari descritti, facendo per ciascuna le osservazioni più interessanti a nostro riguardo, ed indicando specialmente in quale regione del Piemonte stanno attualmente le specie tuttora viventi. Secondo il modo di vedere dell’eminente malacologo piemontese Carlo Pollonera, che studiò la fauna da me raccolta nel /oess, racchiuderò nella Regione alpina tutto il versante piemontese delle Alpi sino alla valle del Tanaro, nella Regione appennina tutto il versante settentrionale dell’ Appennino dalla valle del Tanaro a quella della Trebbia, nella Regione sudalpina tutta la regione a sinistra del Po e quella sulla sua destra, a monte di Moncalieri, limitata ad Est dalle colline di Villanuova, Bra e 76 F. SACCO, Carrù, infine darò il nome di Regione subapennina a quella. che comprende la pianura d’Alessandria e le colline del Monfer- rato e di Torino. Dall’ esame di questa fauna malacologica, ricca di ben 67 forme diverse, risulta chiaramente come essa, al contrario di ciò che si ammise finora, è in complesso dissomigliantissima da quella attualmente vivente sulla collina torinese, mentre invece, almeno per il versante Nord-Ovest, ha una grandissima analogia con quella che esiste oggigiorno tra 700 ed i 1000 metri sulle Alpi piemontesi ; infatti delle 67 forme menzionate, mentre solo poco più di 20 vivono tuttora nelle regioni subappennine del Piemonte, ben 24 appartengono alla regione alpina; di queste solo 2 s’incontrarono nel loess del versante Sud-Est della col- lina torinese, mentre tutte esistono nel /oess del versante Nord-Ovest. Inoltre la fauna malacologica indicata ci presenta i due prin- cipali caratteri di quella attualmente vivente nelle Alpi pie- montesi, cioè la mancanza di opercolati terrestri, ora invece comunissimi sulla collina di Torino, e lo sviluppo straordinario della sezione Charpentiera del genere Clausilia, genere ora asso- lutamente scomparso dalla collina e che per la sua fragilità venne finora rinvenuto solo rarissimamente nei terreni quaternari di altre regioni. È poi notevole come fra i Molluschi rinvenuti nei depositi studiati non solo sianvene moltissimi ora emigrati dalla collina e taluni persino da tutto il Piemonte, ma che si annoverino anche 19 forme ora completamente estinte, di cui alcune ser- vono a collegare specie ora ben distinte, oppure sono forme ataviche di specie attualmente viventi, per cui servono di guida per tener dietro alle migrazioni, modificazioni, ecc. alle quali andò soggetta l’attuale fauna malacologica del Piemonte. Parrà forse alquanto strano che nell’epoca quaternaria po- tessero convivere sulla collina di Torino forme che attualmente hanno abitudini assai diverse, alcune essendo solo di montagna ed altre solo di collina, ma ciò dipende sia dalle condizioni Pro bd I TERRENI QUATERNARI ECC. climatologiche che dovevano quivi essere intermedie fra quelle attuali della montagna e della collina e dovevano presentarsi inoltre assai diverse nei diversi punti della regione collinosa, specialmente tra i due versanti come tuttora si verifica, sia da una maggiore attitudine che potevano avere allora alcune specie di adattarsi ad ambienti alquanto diversi, differenziandosi a questo riguardo solo in seguito. Devesi inoltre tener conto che in alcuni casi specie viventi penetrarono e morirono nel /oess per modo da parervi fossili, alterando così la generale fisonomia alpina del versante Nord- Ovest della collina torinese, quantunque per lo più si possano distinguere le forme fossili da quelle recenti pel modo di con- servazione e di riempimento. D'altronde poi vi sono spesso gra- duali passaggi tra il Zoess avtico ed il loess recente senza che talora si possa distinguere nettamente l’uno dall’altro e quindi si devono pure ammettere questi graduali passaggi nella fauna che è racchiusa nei varî lembi di loess e che osservata in com- plesso appare naturalmente alquanto eterogenea. Per quanto ho potuto osservare nel /oess del versante set- tentrionale della collina torinese ad oriente di Val Salice, così a V. Rey, V. Harcourt, ecc. pare che la menzionata fauna malaco- logica a tipo alpino non si estenda ovunque su questo versante, ma costituisca piuttosto un’eccezione locale, dipendente da condi- zioni particolari; d’altronde di tali eccezioni locali ne vediamo soventissimo tuttora degli esempi sia nella fauna che nella flora. Il complesso della fauna malacologica esaminata, come la pre- senza di Carychium, Punctum, Eulota, Vertigo, Clausilia, Li- mad, ecc., nonchè la mancanza di certe forme, come la Cyclo- stoma, ora così comune sulla collina torinese, ci indica che nell’ epoca quaternaria questa regione doveva presentare, spe- cialmente sul suo versante settentrionale, un clima molto umido. Inoltre per il grande sviluppo dei ghiacciai delle vicine Alpi, specialmente di quello della Dora Riparia, nonchè per l’im- portanza del rilievo collinoso che impediva in gran parte la benefica influenza dei venti del Sud sul versante Nord-Ovest 78 o F. SACCO, della collina torinese, questo si dovette trovare in parte nel- l’ epoca glaciale in condizioni molto simili a quelle attuali delle vallate alpine; ed infatti noi vediamo che fra i depositi quaternari studiati quelli che racchiudono resti di Clausilia, genere ora in Piemonte relegato alle Alpi, trovansi dietro il clinale collinoso segnato dal Bric della Maddalena, Bric della Croce e Monte Capra, che costituisce precisamente la porzione più elevata della collina torinese tenendosi sempre sopra i 600 m., elevandosi anzi qua e là sopra i 700 m., fatto che già di per sè solo era consono allo sviluppo delle forme alpine sulla collina, tanto più che probabilmente queste forme alpine vissero general- mente nella parte alta dei colli torinesi e solo per azione delle acque vennero trasportate in basso col loess. Però l’ osservare come la fauna esaminata è molto affine a quella alpina attuale (specialmente a quella che vive nella valle della Dora Riparia, che doveva allora colle sue acque lambire la collina torinese appunto nelle vicinanze dei depositi di loess contenenti tale fauna di facies alpino); il vedere nel loess la mescolanza di forme alpine, subalpine e subappennine, il notare la grande differenza esistente tra questa fauna quaternaria an- tica e quella recente e, nell'antica, tra quella di un versante e quella dell’altro (presentando l’una un facies specialmente al- pino e l’altra un facies specialmente subappennino); il pensare che nell’epoca quaternaria le acque del Tanaro, dell’ Ellero, del Pesio, del Gesso e della Stura di Cuneo si univano a quelle del Po, poco a monte della collina di Torino; ed infine l’osservare come nelle attuali alluvioni del Po presso Torino si riscontrano spesso resti abbastanza ben conservati di Molluschi delle regioni alpine; tutto ciò, dico, farebbe dubitare che il loess studiato, in- vece che dalle acque discendenti dalla collina sia stato trasportato e deposto dalle acque Tanaro-Po-Dora sollevantesi notevolmente sulla collina, e quindi che i Molluschi di facies alpina trovati nel loess non abbiano realmente vissuto sulla collina ma vi siano solo stati trasportati dalle acque provenienti dalle Alpi. Questa ipotesi però, che è alquanto simile a quella sovraccennata del Re n O PO VE 9 PE PET TO a_i Pedana i de; a A Lena rei te he: 4 wec-a di À LAN et I TERRENI QUATERNARI ECC. 19 Tardy, quantunque ci si presenti con una certa apparenza di verità, credo, appoggiandomi eziandio alle idee emesse in pro- posito dal Pollonera nel sovracitato lavoro, che sia senza reale fondamento, almeno in generale. Quantunque siasi già accennato nel corso del Larosa che durante 1’ epoca quaternaria le acque della pianura padana dovettero certamente rialzarsi alquanto sulle falde della collina di Torino, del che sono prova, sia il passaggio graduale che esiste talora tra i conglomerati ed il /oess della collina ed il diluvium ed il loess della pianura, sia il lavoro d’erosione che osservasi assai nettamente in certi tratti alle falde collinose, tuttavia non credo potersi ammettere in generale che il loess stu- diato sia stato deposto dalle acque provenienti dalle Alpi. Infatti le differenze dì facies osservate nella fauna quaternaria delle varie parti delle colline torinesi, nonchè la convivenza di faune a facies alpino con faune a facies subappennino, abbiamo già detto spiegarsi sia colle varianti di clima che dovevansi verificare fra le varie parti della collina, come in parte tuttora quivi si veri- ficano, sia coll’adattamento della specie, giacchè vediamo appunto come le specie le quali trovansi nel loess di ambidue i versanti sono tuttora quasi tutte viventi sulla collina, precisamente perchè presentavano già nell’epoca quaternaria una grande attitudine ad adattarsi a svariate condizioni di vita, mentre invece le forme accentrate in quell’epoca in speciali località sulla collina, col variare delle condizioni climatologiche dovettero in massima parte inesorabilmente scomparire. Che poi, secondo i recenti cataloghi di malacologia piemon- tese, la fauna del Zoess abbia la massima somiglianza con quella attuale della Valle di Susa, ciò dipende forse solo in gran parte dall’esser stata tale valle la meglio esplorata sotto questo ri- guardo. Riguardo alla differenza grande esistente tra la fauna quater- naria e quella recente ciò non ci deve recar meraviglia se si pensa al grande cangiamento avvenuto nelle condizioni climato- logiche dall’epoca quaternaria al giorno d’oggi e se si considera 80 Fe SACCO, quanto rapidamente si compiano attualmente in una data regione le variazioni, le migrazioni, le comparse e scomparse dei Mol- luschi, per poco che cangino le condizioni di vita che presenta tale regione. Quanto al fatto poc'anzi accennato di trovarsi ora Molluschi alpini nelle alluvioni recenti del Po eziandio presso Torino, dob- biamo osservare come essi sì presentino spesso calcinati, rotti, di- sposti in strati e come siano abbondanti solo quelli molto minuti. Invece nel loess esaminato i Molluschi sono sovente rappresentati da specie di dimensioni assai notevoli, per lo più ben conservati, spesso col loro brillante primitivo, talora bensì disposti a strati ma generalmente sparsi qua e là nel /oess. È poi importante a questo riguardo il notare come alcune forme, specialmente quelle di facies alpino, non sono distribuite irregolarmente nei varî depositi quaternari della collina, come sa- rebbe avvenuto se esse fossero state trasportate e deposte dalle acque provenienti dalle Alpi, ma si presentano invece distri- buite con un certo ordine; così abbiamo notato esistere nel rio di V. Sampò un’ accumulo di Pisidium spesso a valve riunite, perchè nell'epoca quaternaria quivi esisteva un ristagno d’acqua; così pure abbiamo visto trovarsi le Clausilie accentrate in una regione limitata ad un dipresso tra la Val Salice e la Valle di Cavoretto, a Nord-Ovest cioè del massimo rilievo dei colli tori- nesi, ed abbastanza indipendenti dall’elevazione s. l. m., tro- vandosi esse in lembi di loess tra 250 ed i 450 m. Inoltre si deve pure considerare il modo già prima descritto di distribu- zione del /oess, il non essere disposto veramente a strati (come avviene nelle posature dei fiumi) e l’elevazione straordinaria che esso raggiunge in alcuni punti, anche sul versante meridionale e della collina e molto ad oriente del paesello di Pino torinese. Infatti vediamo depositi tipici di Zoess oltre i 500 m. e de- positi impuri oltre i 600 m. di elevazione, fatto il quale, am- mettendo che il Zoess della collina sia stato deposto dalle acque occupanti la pianura, ci obbligherebbe a supporre la collina to- rinese quasi completamente sommersa durante l’epoca quater- I È I TERRENI QUATERNARI ECC. 81 naria, come ammetteva il Tardy. Inoltre noi troviamo depositi bassissimi di Zoess tipico e di loess grigio (specialmente quello di Val Salice) che contengono le stesse specie a facies alpino ed antico che esistono nei depositi più elevati, mentre che al contrario secondo l’ipotesi del Tardy nei depositi inferiori, for- matisi più tardi per abbassamento delle acque della pianura, si dovrebbe trovare una fauna simile a quella attualmente vi- vente. sulla collina. Infine anche oggigiorno possiamo vedere, durante un lungo periodo di pioggie, formarsi a qualunque livello sulla collina de- positi di Zoess, però meno puro e meno potente di quello tipico antico, per essere ora la precipitazione atmosferica meno conti- nuata e molto minore, il corso delle acque molto meno vagante, assai più delineato, ed il pendio collinoso generalmente alquanto più ripido che non nell’epoca quaternaria. Vol. XXX, 6 F, SACCO, rinvenuti nei terreni qua Limacida. Limax taurinensis Polli‘! 104440 PL SUS OE | Hyalinia (Vitrea) subrimata Rein. . 5 (Polita) Sismonde Poll... . . . . ” n petronella Charp. Hi (Conulus) fulva Mullen Pupid®. Patula (Discus) ruderata Stud. e varietà. . . . Vallonia costata Mill. . È pulchella Miill. e varietà . Bradibena prociliata Poll, Buliminus (Ena) obscurus Miill. var. misellus Poll. È (Chondrula) tridens Mill. . . ” 5 b var. Gastaldii Poll. PRG s quadridens Mill. . +. » ELENCO DI Pete ® 0 sè 3 r o »0 © ° r n ivi r SME il € e 0h r Sha 1555 e Rui . i e e -SE e Pia? + r de + e e si r r + ° rY e 0 » I TERRENI QUATERNARI ECC. DLLUSCHI *# della collina di Torino. uttora viventi in Piemonte R. subalpina R. appennina R. subappennina Massima elevazione che ora raggiungono Osservazioni | _—————+"![|;. _—_PP_ ff ____ [|-——+—+— 1 };};/-.-.-...£ cfi—| ... 2800 _ SIA = 2000 2800 pe” + seat} 21400 -- i _ 1500 a ee — 1000 LA] aL" | 4006 Del gruppo del L. subalpinus Less. e del L. cinereo-niger Wolf. assai comuni in mon- . tagna. E una specie rara nelle colline di Gassino e comune invece sulle Alpi piemontesi al di- sopra dei 600 m. Specie affine alla H. pura Alder ed alquanto simile alla H. clara Held. Si rinvenne finora solo tra i 1500 m. ed i 2800 m. nella catena alpina piemontese. Tuttora comune sulla collina torinese ed abbastanza abbondante in montagna. Vive attualmente solo più tra i 1000 ed i 2000 m. Vive ora specialmente nella parte bassa delle vallate alpine. . Tuttora assai abbondante sui colli torinesi. Forma forse atavica della B. colata Stud. che sale sino ai 1500 m. La specie tipica è ora comune specialmente nelle regioni alpine e subalpine, sollevan- dosi sino ai 1600 m. Tuttora abbondantissima sui colli torinesi. Varietà locale della specie tipica. Questa specie, ora comunissima sui colli di Torino, venne rinvenuta in un /oess im- puro, forse recente. 83 84 F. SACCO, = Cc 4a (051 A IC > i È da) 2 co |A vi e | s|e 3" ES pal [> 3. |- 4 ‘i ii — speciosa ,». r r : i È 5 cruciata Stud. — typica ,». c * ” ” ” ” ra carniolica ”* (6 e * ».0 °_°. ». . di si sn Line Seat ei. r ji si taurina Pollici: RE ne r r i u G var. simplicula Poll. c e_sb (Peg e So s È plicatula Drap. — typica Schm. c r 2 dle O x i var. elongata Schm. . r or) È Li lo lineolata Held. var. tumida Parr. c r i Stenogyridw. Zua subcylindrica Linn. var. . ..L.... d 1 1 n. » exigua Menk. var. cylindroides Poll. . . . c c c. | wr I TERRENI QUATERNARI ECC. Tuttora viventi in Piemonte R, subalpina —_ rr— co | -— ! seu R. appennina R. subappennina Massima elevazion raggiungono 1800 Osservazioni Ora piuttosto comune. Alquanto simile alla vivente V. pygmea Drap. Caratteristica ora delle regioni alpine e su- balpine dove si trova abbondantissima. Ora abbondantissima ovunque in Piemonte. Manca ora in parte del Piemonte; comune negli Appennini e nelle Alpi lombarde e francesi. Non rara nelle Alpi piemontesi. Si trova anche nelle Alpi colla specie tipica. La C. thomasiana Charp., di cui questa po- trebbe essere la forma atavica, è specie esclu- sivamente alpina e sale sino ai 1200 m. Specie molto affine alla C. alpina Stab. di alta montagna, cioè vivente specialmente sopra i 1600 m. Comune specialmente verso i 1000 m. Comune sulle Alpi piemontesi. Abbastanza comune in certe regioni alpine piemontesi verso gli 800 m. Forma affine alla C. cruciata Drap. delle Alpi piemontesi, Varietà locale della specie precedente. Comune sulle Alpi piemontesi dai 500 ai 2000 m. Colla specie precedente. Comune specialmente verso i 1000 m. Esemplari un po’ più grandi di quelli attual- mente viventi in Piemonte. Ha qualche affinità colla Z. Locardi Poll. vivente ora al Moncenisio verso i 2000 m. 86 | F. SACCO, 2 "è 2 = i i Ul; ° - (©) 5 . i (8 la) 0 — _ < {4 VR SS E; O) KR > P ee ——_———_—_—€—€& p Geecilianielia aciculanMullo[la afiozia otmamott. (1.4 «0 Ian r 3 Helicid®. Anchistoma (Gonostoma) obvoluta Mill. . . . Y x r .@ Fruticicula (‘Trichia) hispida Linn. — typica Cless. Ar c Hr .-@ Pe bi È — concinna Jeff, . e € .9 ” ” ” sente PI Less. PARSO Y dl 3: 3 sericea? Drap. . . r È Sale ga DB Pioltii Poll. dicano 5 (Carthusiana) carthusiana Miill. evi r e d & pi Spoon eruetendo As (LC . r i (Helicella) strigella Drap. — rusinica Bet. 0 c c i a; SA P — minor Poll. Lita r r + s L » — buxetorum Bgt. . r € i DI Li » — intermedia Poll. . iue 6 "dx + Eulota fruticum Miill. . 4 nioaza allo). 4. (96 sd c a Pi pa i; » — fasciata Mq. Tand. . . AE r x Di «Sa Poll; ade a ca ii r 2010 ff i O Iberus (Tachea) nemoralis Linn. . . . ... r r ese RE Helix pomatia Linn. var. . . md. 1 06 r e Di . Xerophila (Candidula) costulata Zieg. 0 SPARE Al: r r è Ù reviliascina Poll... AM Ci Cc + L}) dn I TERRENI QUATERNARI ECC. Tuttora viventi in Piemonte a 3 R= rl (< N- (CS) d o) d (ss) = d > Ro° Bi ‘E Ti, fon 3 Qu (= = (cb) = : a » s SSIS LIE n lai ì sr sm SE 1300 ” MA n.01 1200 5 —_ —

V0N0 | E, MARIANI EC: F.! PARONA, BRACHIOPODI. Gen. Argiope, Deslongch. 136. ArcIiopE DEcoLLATA, Chemn. Philippi, Enumer. molluscor. Siciliae. Vol. I, pag..96, tav. Aa ENI: Doderlein, Cenni geol. int. la giac. d. terr. mioc.. sup. 1869, pag. 15. Due piccole valve, l’una brachiale e l’altra perforata, perfet- tamente caratterizzate. Specie del miocene superiore e del plio- cene. 187. ArGioPE cOSTULATA, Seg. (?) Seguenza, Intorno ai brachiopodi miocenici delle prov. pie- montesi. 1866, pag. 11; .tav. 2, fig. 2. Non essendomi stato possibile esaminare i caratteri interni, non posso dare come sicura la determinazione di un esem- plare, che per i caratteri esterni e per le dimensioni risponde perfettamente alla specie del Seguenza, nota pel miocene medio e superiore. | Gen. Terebratula, Klein. 138. TEREBRATULA SINUOSA, Br. sp. Seguenza, Studî paleontol. sui brachiopodi terz. dell’Italia me- ridionale. 1871, pag. 29 e. 72, tav. 6, fig. 2-6. Esemplare completo e ben conservato, che misura 13 mm. in lunghezza, mm. 11.5 in larghezza e mm. 8 in spessore. Quan> Di FOSSILI TORTONIANI, ECC. 157 tunque di dimensioni assai meschine, si distingue per i carat- teri accennati dal prof. Seguenza dalle specie affini. È specie miocenica e pliocenica. Con dubbio riferisco a questa specie parecchi frammenti di grossi esemplari, che erano accompagnati da altri piccoli più numerosi e poco ben conservati. Questi, presentando un distinto lobo mediano sulla valva perforata, sono da considerarsi come spettanti ad una specie diversa e probabilmente nuova, in quanto che non mi riusci di identificarli con nessuna delle specie ter- ziarie italiane note finora. Gen. Megerlea, Dav. 139. MEGERLEA TRUNCATA, L. sp. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 604. Doderlein, Cenni geol. terr. mioc. sup., 1861, pag. 15. Seguenza, Paleontol. malacolog. dei terr. tere. del distretto di Messina, 1865, pag. 63 e 82. Il prof. Meneghini ha già fatto cenno dei ben conservati esemplari che si trovano nell’argilla marnosa. Questa specie, vivente tuttora nel Mediterraneo, trovasi anche nel miocene medio della collina di Torino e nel tortoniano di M. Gibio. 158 E. MARIANI E C. F. PARONA, MOLLUSCHI. Lamellibranchi. Gen. Ostrea, Linn. 140. OSTREA TENUIPLICATA, Seg. Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 123, ta- vola XII, fig. 1. Cafici, La formaz. mioc. nel terr. di Licodia-Eubea (Catania), 1883, pag. 17. Due esemplari nei quali si riconoscono perfettamente i carat- teri distintivi di questa specie. Il Seguenza nota essere vera- mente rimarchevole che questa specie siasi conservata dall’a- quitaniano sino al pliocene. Nel catanese trovasi nell’elveziano e nel langhiano. 141. OSTREA CUCULLATA, Born. F. Fontannes, Les moll. plioc. de la vallée du Rhòne et du Roussillon, 1879-82, Tom. II, pag. 228, tav. 18. Riferisco a questa specie un piccolo e conservato esemplare di valva inferiore, rinvenuto nell’argilla marnosa: ne’ suoi carat- teri corrisponde alla descrizione che il Fontannes dà per l’0. cucullata Born. e fra le varietà descritte da questo autore si approssima specialmente alla var. Comitatensis. Dubito che 10. denticulata Chemn. indicata dal prof. Meneghini (Paléont. pa- gina 603) per questo giacimento corrisponde a questa stessa forma ch'io riferisco alla specie di Born. Il Fontannes dice che questa specie, oltrechè nel pliocene del bacino del Rodano, del FOSSILI TORTONIANI, ECC. +59 bolognese (e modenese) e dell’Italia meridionale, si trova nel- l’elveziano della Svizzera (Mayer) e dell'Asia minore (Fischer). 142. OstrEA HORNESI, Reuss. Ostrea Hornesi Reuss. — Hornes, Die foss. moll. d. tert. Beck. tv. :When., Bd. II, 1870, pag. 459, taf. 75, fig. 1-4. facilis. Fontannes, Les terr. tert. d. Haut Comtat-Ve- naissin, 1876, pag. 71. Hornesi. Fontannes, Les moll. plioc. vall. Rhone, Rous- sill:, 1879-82, Tom.‘2, pag. 233, tav: XIX, fig. 4 e 5 (var. subsidens). ; 5 Cafici, Le form. mioc. terr. Licodia-Eubea, 1883, pag. 17. » » Parecchi esemplari quasi tutti piccoli; due spettano alla var. subsidens di Fontannes. Questa specie nel bacino di Vienna tro- vasi associata all’O. cochlear, in strati subordinati al Leithakalk; il Fontannes la riscontrò nel miocene del bacino del Rodano e Cafici la trovò abbondantissima nel miocene langhiano ed elve- ziano della provincia di Catania. 143. OsTREA COCHLEAR, Poli. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 600. — Doderlein, Cenni geolog. int. terr. mioc. sup., 1862, pag. 15. — Seguenza, Bre- vissimi cenni int. ser. terz. prov. di Messina, 1873, pag. 264 (zona ad Alveolina melo). — Fuchs, L’età degli str. tera. di Malta, 1874, pag. 377. — Capellini, La formaz. gess. di Ca- stell. maritt., 1874, pag. 35; Cale. ad Amphisteg., strati a Congerie e Cale. di Leitha nei M. Livornesi, 1875, pag. 5; Gli strati a Congerie e le marne comp. mioc. dei dint. dl’ An- cona, 1879, pag. 9. — Stohr, Sulla pos. gceol. del tufo e del trip. nella zona solf. di Sicilia, 1878. — Ciofalo, Alcune osserv. 160 E. MARIANI E C. F. PARONA, sul mioc. di Ciminna, 1878, pag. 285. — Cafici, Formaz. gessifi del Vizzin. e del Licod., 1880, pag. 7; Formaz. mioc. di Li codia-Eubea, 1883, pag. 95. — Foresti, Note sur deux nouvelles var. des Ostrea cochlear (Ex. Ann. Soc. Roy. Malac. de Belg.), 1882, pag. 4, tav. 1, fig. 2. — Simonelli, Il M. della Verna e i suoi fossili, 1884, pag. 271. Il prof. Meneghini ha già dato una dettagliata descrizione di questa forma, a proposito della quale aggiungerò solo che gli esemplari avuti in esame ci permettono di riferirla alla var. impressa For. — Questa specie, diffusissima specialmente nel pliocene inferiore, è comune nel miocene superiore. ; 144. OSTREA CORRUGATA, Br. Meneghini, Paléontol., Sardaigne, pag. 603. ni Ponzi, I fossili del M. Vaticano (Tortoniano), 1876, pag: 945. Questa specie fu indicata dal prof. Meneghini pei giacimenti di Capo S. Marco, Orosei e Ales. Gen. Anomia, Linn. 145. ANOMIA EPHIPPIUM, L. Anomia electrica. Meneghini, Palétont., Sardaigne, pag. 603. Doderlein, Cenni geol. int. terr. mioc. sup., k}) b}) 1861, pag. 15. 3 ephippium. Locard, Faune terr. tert. Corse, 1876,. pag. 133. b 5 Seguenza, Le formaz. terr. prov. Regio, 1880, pag. 123 (Z.) Ù Ù Ribeiro, Faune malacolog. terz. mioc. Portugal. 1880, pag. 20. FOSSILI TORTONIANI, ECC. 161 Il prof. Meneghini tenne distinta come specie questa forma, che altri autori considerarono poi come. varietà della A. ephip- pium. Dice Fontannes (Moll. plioc. vall. Rhone ecc., pag. 218, vol. 2) che questa specie (sensu lato) nell’ Europa meridionale sì trova già nell’elveziano: abbonda tuttora nel Mediterraneo e si riscontra nell’Atlantico dalla Norvegia all’isola Madera. Gen. Hinnites, Defr. 146. Hinnires DerRANcEI, Mich. (?) Michelotti, Descript. d. foss. mioc. de Ital. sept., 1847, pag. 85, ig Mino. 8, Hérnes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien., 1870, II Bd. pae0425, taf. 67, fig. 1, 2, 4. Determinazione dubbia, poichè è fondata sopra un semplice modello interno. Gen. Pecten, Klein. 147. PECTEN scaBRELLUS, Lmk. Pecten dubius Br. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 594. » scabrellus. Seguenza, Breviss. cenni int. la ser. terz. prov. Messina. 1873, pag. 264 (zona ad Alveolina melo). » dubius. Locard, Descript. Faune tert. Corse. 1876, i pag. 148 (Bonifacio). » scabrellus. Ciofalo, Alc. osserv. mioc. Ciminna. 1878. pag. 285. — Ribeiro, Faune malacolog. t. mioc. Portugal, 1880, pag. 20. — Se- guenza, Formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 122 (7.). — De Stefani, Il Torton. Vol. XXX. 11 / 162 E. MARIANI E C. F. PARONA, dell’alta Val. di Tevere, 1881, pag. 114. — Fontannes, Moll. plioc. vall. Rhòne- Roussillon, 1879-82. Tom. II, pag. 187, tav. XII, fig. 4, 8. Riferisco a questa specie due piccoli esemplari di valva de- stra (altezza mm. 17.5 -18.5, largh. mm. 18-19) che corri- spondono perfettamente alla descrizione ed alle figure date dal Fontannes per la forma pliocenica dei Pirenei orientali. Per quanto abbia osservato, non ho riscontrato nessun carattere ve- ramente differenziale fra le due forme miocenica e pliocenica. Questa specie fu trovata dal Seguenza in Calabria dall’ aquita- niano all’astiano; fu citata anche pel miocene superiore di Si- cilia, dell'Appennino centrale e del Portogallo e recentemente fu riscontrata dal dott. Mariani nel miocene medio dell’Appen- nino pavese. i 148. PrcTEN vARIUS, L. sp. Goldfuss, Petref. Germ., II Bd., pag. 61, tav. 95, 0he4M Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 599. Doderlein, Cenni geol. int. giac. terr. mioc. sup., 1862, pa- gina 15. Ribeiro, Faune malacolog. terr. mioc. Portugal, 1880, pag. 20. Non ho potuto esaminare che dei frammenti, come già av- venne al prof. Meneghini, i quali per l’ornamentazione ben cor- rispondono alla figura di Goldfuss. Questa specie trovasi anche nel tortoniano di M. Gibio e di S. Agata e nel miocene supe- riore del Portogallo: vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico. 149. PECTEN OPERCULARIS, Linn. Wood, Monograph. of th. Crag. Mollusca, Vol. 2, pag. 35, tav. VI, fig. 2 d. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 597. \ PIREO. © FOSSILI TORTONIANI, ECC. 163 Doderlein, Cenni geol. giac. terr. mioc. sup., 1862, pag. 15. Locard, Descript. Faune tert. Corse, 1876. pag. 147 (Boni- facio). Fontannes, Les terr. tert. sup. d. Haut Comtat-Venaîissin, 1876, pag. 624, 628 (elveziano). Coppi, Paleontol. modenese, 1881, pag. 96. Una piccola valva destra, quasi completamente nascosta nel calcare compatto, ed un esemplare di vaiva sinistra, che misura mm. 34 in larghezza e mm. 32.5 in altezza. Per il contorno e per il numero, andamento ed ornamentazione delle coste questa valva corrisponde perfettamente all’esemplare rappresentato da Wood colla fig. 2 d. — Questa specie, vivente tuttora nel Me- diterraneo e nell’Atlantico, è conosciuta nel miocene fino dal- l’elveziano. 150. PeCcTEN soLARIUM, Lmk. Hornes, Die foss, Moll. d. tert. Beck. v. Wien, II Bd., 1870, Dasit403, tal. 60, 61. Locard, Descript. Faune terr. tert. Corse, 1876, pag. 137 (Bo- nifacio). > Ribeiro, Faune malacolog. terr. mioc. Portugal, 1880, pag. 20. Seguenza, Formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 53. De Stefani, Il Torton. dell'alta Val dì Tevere, 1881, pag. 114. Due frammenti di valva destra e due di valva sinistra spet- tanti a piccoli individui, che corrispondono perfettamente alla descrizione ed alle figure di Hoòrnes. Il prof. Meneghini (op. cit. pag. 584) ebbe di questa stessa località dei frammenti che la- sciò indeterminati, riconoscendovi però stretti rapporti colla specie di Lamarck. La illustrazione fatta più tardi di questa specie nell’opera di Hornes mi offre modo di assicurare la sua presenza nel giacimento di Capo S. Marco. 164 E. MARIANI E C. F. PARONA, 151. PecteN Reussi, Horn. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Teo II Bd. 1870, pag. 407, taf. 64. fig. 1. Seguenza, Breviss. cenni int. ter. terz. prov. Messina, 1873, pag. 264. Fuchs, L'età degli str. tere. di Malta, 1874, pag. 377. Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 156 (7). Un piccolo esemplare completo di valva destra, incrostato in parte da calcare; vi si scorge tuttavia la elegante punteggia- tura caratteristica. Per quanto si può giudicare da questo piccolo esemplare (altezza mm. 17.5, larg. mm. 15 [?]), per la conforma- zione generale più tronca, non però più obliqua e per il maggior numero delle costicine, corrisponde meglio alla forma miocenica di Hornes, che non a quella pliocenica e vivente (Pecten pes- felis Linn.) quale è illustrata da Fontannes (Moll. plioc. vall. Rhòne ecc., 1882, tom. II, pag. 191, tav. 2, fig. 9). = 152. PecTEN (Pleuronectia, Amusium) crIstATUS, Bronn. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 585. Seguenza, Breviss. cenni int. ter. terz. prov. Messina (Mio- cene), 1873, pag. 264, 265. Locard, Faune tert. de la Corse, 1876, pag. 145 (Bonifacio). Ponzi, 1 fossili di M. Vaticano (Tortoniano), 1876, pag. 944. Stòhr, Posiz. geolog. tufo, trip. zona solfif. Sicilia, 1878, pag. 514. Ribeiro, Faune malacolog. mioc. Portugal, 1880, pag. 20. Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880 (Langh., Elvez., Torton.). Mi torna impossibile il giudicare se si tratta della forma pliocenica piuttosto che della miocenica (Pleuronectia Badensis FOSSILI TORTONIANI, ECC. 165 ‘Font. (Fontannes, Zes. moll. plioc. de la vall. du Rhòne ecc., 1879-82, tom. 2, pag. 199), poichè non ebbì nessuna valva com- pleta e neanche frammenti della regione apiciale. La forma miocenica la si riscontra ben caratterizzata nella pietra cantone di S. Michele. Il Pecten cristatus’ (sensu lato), non raro nel miocene superiore, fu riscontrato dal Seguenza persino nel lan- ghiano di Calabria. 153. PecTEN (Janira) ADUNCUS, Eichw. Pecten Josslingii Smith. Meneghini, Puléont., Sardaigne, pa- gina. 579. Pecten aduncus, Eichw. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. 7 v. Wien, 1870, II Bd., pag. 401, taf. 59, na AI, Ve, di È Seguenza, Br. cenni int. ser. terz. prov. Mes- sina, 1873, pag. 264. | n hi Fuchs, L’età d. str. tere. di Malta, 1874, pag. 377. > A Capellini, Calc. ad Amphist. e calce. di Leitha nei M. Livornesi, 1875, pag. 5. » benedictus Lmk. Locard, Faune tert. Corse, 1876, pa- gina 144 (Bonifacio). | » @aduncus. Fontannes, Terr. tert. Haut Comtat-Venais- sin, 1876, pag. 624, 628 (Elveziano). » dJosslingii. Ribeiro, Faune malacolog. mioc. Portugal, 1880, pag. 20. » aduncus. Seguenza, Formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 122 (T). nr € Bosniaski, Le formaz. gess.-solfif. e il 2° piano mediterr. în Italia, 1881 (Proc. verb. Soc. tosc. sc. nat.), pag. 95. 3 Pa Simonelli, Il monte della Verna e î suov fossili, 1884, pag. 271. 166 E. MARIANI E C. F. PARONA, Il prof. Meneghini ebbe da Capo S. Marco una valva infe- riore, che giudicò perfettamente somigliante al P. Josslingi, specie identificata poi da Hérnes colla J. adunca Eichw. — Riferisco io pure a questa specie un bell’esemplare di valva sinistra, che si discosta dalla forma illustrata da Hornes solo per essere sensibilmente obliquo; carattere questo che lo avvi- cinerebbe alla specie affine J. Rollei Horn. — Misura in altezza mm. 52.5 ed in larghezza mm. 58. — È specie comune nel miocene superiore. 154. PectEN (Janira) BEUDANTI, Bast. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 580. Doderlein, Cenni geol. int. terr. mioc. sup., 1862, pag. 15. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1870, II Bd., Das: 399, tal. 59, fed, 2,75 Fontannes, Les terr. tert. sup. d. Haut Comtat- Venaissin, 1876, pag. 630 (Groupe de Visan). Ribeiro, Faune malacolog. terr. mioc. Portugal, 1880. Seguenza, Formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 122 (7). Coppi, Paleont. modenese, 1881, pag. 97. (Neithea). | Il prof. Meneghini ha già indicato la presenza di questa spe- cie in varie località sarde; io la riconobbi anche fra i fossili di Capo S. Marco, rappresentata da una piccola valva sinistra. È specie del tortoniano di S. Agata, di M. Gibio e di Bene- stare. 155. PecTtEN (Janira) PuMILUS, Seg. Seguenza, Le formaz. terz. nella prov. di Reggio-Calabria, 1880, pag. 75 e 122, tav. XI, fig. 56 a dc. | Di questa piccola ed elegantissima specie ho potuto studiare tre valve destre complete e dei frammenti di valve destre e sinistre, in tutto esattamente corrispondenti alla forma illu- Ad ci ASM FOSSILI TORTONIANI, ECC. 167 strata dal Seguenza. La valva destra più grande misura 17 mm. in altezza. Questa specie nella Calabria passa dall’ elveziano al ‘tortoniano. 156. Pecren (Janira) REEGIENSIS Seg. Pecten (Janira) medius Lmk. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 574. Janira Rhegiensis. Seguenza, Le formaz. terz. n. prov. di Leggio, 1880, pag. 188, tav. XIV, pag. 17. Il prof. Meneghini ha descritto in modo particolareggiato questa forma riferendola al P. medius Lm., riferimento speci- fico ch’ io credo opportuno cambiare in base alla descrizione ed alla figura che il prof. Seguenza offre per la sua nuova specie. Questa Janira, riconosciuta molto affine alla J. media dello stesso prof. Seguenza, ne differisce per avere le costole più larghe e più sporgenti, per il solco che le biparte più distinto e per le linee concentriche lamelliformi, sporgenti e meglio di- stinte. Caratteri questi che ho potuto riscontrare sopra gli esem- plari di valva destra compresi nell’arenaria calcare (str. n. 3). Confrontata colla figura data dal Seguenza, la forma sarda ri- sulterebbe più rigonfia: la valva più grande e meglio conser- vata misura 48 mm. in altezza e mm. 53 in larghezza. Questa specie fu scoperta dal Seguenza nel piano più antico (zancleano) del pliocene calabro. 157. PecTEN cavaruM Font. (?) Fontannes, Les terr. tert. sup. d. Haut Comtat- Venaissin, 1876 ‘(Groupe de Visan), pag. 625 (sabbie e grès a Terebratulina ca- lathiscus). — Descript. de quelg. espèces nouvell. ou peu connue des terr. tert. sup. du bass. de Visan (Ann. Soc. d’Agr., Hist. ‘nat. ecc. Lyon, tom. I.), 1878, pag. 112, tav. 4, fig. 3. 168 E. MARIANI E C. F. PARONA, Avendo a mia disposizione soltanto dei frammenti non posso dare come certa la presenza del Pecten cavarum nell’argilla di Capo S. Marco. Giudicando dalla forma delle coste e dalla loro ornamentazione la corrispondenza è perfetta. Gen. Modiola, Lmk. 158. MODIOLA BARBATA, Linn. sp. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 572. Fontannes, Les moll. plioc. de la vallée du Ihòne ecc., 1879-82, TI *fom., pag. led, Pl. stilo. | Sebbene pressochè ridotti allo stato di modelli interni gli esemplari rinvenuti nel calcare si possono con sicurezza rife- rire a questa specie, già riscontrata dal prof. Meneghini nella marna. Differiscono dalle belle figure di Fontannes solo per le minori dimensioni, circa la metà. La specie è comune nel plio- cene ed a riguardo della sua estensione geologica il Fontannes dice: “ Son origine dans les mers d’ Europe remonte probable- ment jusqu’au miocène; mais cette espèce est au moins très .localisée à cette époque; elle manque à la faune du bassin de Vienne et n’apparaît en Italie, d’après les observations faites jusqu’ici, que dans les marnes subapennines. , È vivente nel Me- diterraneo e nell'Atlantico. 159. MopIoLA BIFORMIS, Reuss. Modiola costulata Risso. Philippi, Enum. mollusc. Siciliae, 1836, .vol.. J;pag...70, «tav. 5, fig1L si Petagnae Scacchi. Philippi, op. cit., vol. II, 1844, pag. 51, 52. P biformis Reuss. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, :1870, II. Bd., pag. 348, taf. 45, fig. 4. e FOSSILI TORTONIANI, ECC. 169 Riferisco alla M. Petagnae Sc., da Reuss identificata alla M. biformis, un esemplare che, sebbene decorticato, presenta caratteri sufficienti per assicurare sulla sua perfetta somiglianza "= colla forma illustrata da Philippi. Gen. Lithodomus, Cuv. 160. Lirgopomus AviTENSIS, Mayer. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1870, II Bd., pag. 354, taf. 45, fig. 12. Rinvenni nel calcare una valva sinistra, che per la forma e per l’ornamentazione della superficie, corrisponde esattamente alla descrizione ed alla fig. citata. Misura mm. 11 in altezza e mm. 23 in larghezza. Gen. Arca, Linn. 161. ARCA (Anomalocardia) DiLuvII, Lmk. Arca neglecta. Michelotti, Descr. d. foss. terr. mioc., 1847, pag. 101. > 3 Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 569. diluvii. Doderlein, Cenni geol. int. giac. terr. mioc. sup., 1862, pag. 14. — Hòrnes, Die foss. Moll. d.‘tert. Beck: v.° Wien, 1870, H Bd., pa- gina 333, taf. 44, fig. 3, 4. — Hòrnes R., Die Fauna des Schliers von Ottnang, 1875, pag. 381. — Locard, Descript. Faune tert. Corse, 1876, pag. 169. — Ribeiro, Faune malacolog. mioc. Portugal, 1880, pag. 21. — Seguenza, Formaz. terz. prov. Reggio, ” 170 E. MARIANI E C. F. PARONA, 1880, pag. 120 (7). — Coppi, Paleontol. modenese, 1881, pag. 99. — Cafici, Formaz. mioc. Licodia-Eubea, 1883, pag. 25. Parecchie valve complete e numerosi frammenti. Questa specie abbonda specialmente nel tortoniano piemontese e modenese: esiste fin dal miocene medio, è propria del bacino mediterraneo, dove è rappresentata tuttora da una forma identica. Gen. Pectunculus, Lmk. 162. PecttNcuLUS NUMMARIUS, L. sp. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 570. Doderlein, Cenni geol. int. 1. giac. d. terr. mioc. sup., 1862, pag. 14. Agli esemplari della marna bleu mantengo il riferimento dato dal prof. Meneghini, che tenne distinto il P. nummarius L. dal P. insubricus Br.: non posso esprimere nessuna opinione in pro- posito non avendo trovato esemplare di sorta fra i fossili che mi furono comunicati. Tanto l’una quanto l’altra forma si trova nel miocene superiore di M. Gibio, di S. Agata e di Stazzano. Gen. Limopsis, Sassi. 163. Limopsis aNomaLA Eichw. sp. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1870, II Bd., pac,912,taf. 39. fig. 2, 3. Manzoni, Il tortoniano e è suoi fossili nella prov. di Bologna, 1880, pag. 514. Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 121 (7). Due esemplari ben conservati provenienti dall’argilla mar- nosa. Queste specie trovasi nel miocene medio delle colline di FOSSILI TORTONIANI, ECC. 171 Torino e nel tortoniano del bolognese e di Calabria. Vive tuttora nel Mediterraneo e nei mari del nord d’Europa. Gen. Nucula, Lm. 164. NUCULA PLACENTINA, Lmk. Michelotti, Descr. foss. mioc., 1847, pag. 107. — Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 572. — Doderlein, Cenni geolog. int. giac. terr. mioc., 1862, pag. 14. — Manzoni, Della fauna marina di due lembi mioc., 1869, pag. 26. — R. Hbrnes, Die Fauna des Schliers v. Ottnang., 1875, pag. 379. — Bellardi, Monogr. delle Nuculidi dei terr. terz. del Piemonte, 1875, pag. 4. — Ponzi, I foss. del M. Vaticano, 1876, pag. 942. — Seguenza, Nuculidi terz. delle prov. merid. d’Italia, 1877, pag. 5. — Coppi, Paleont. modenese, 1881, pag. 101. — Simonelli, IZ M. della Verna e.è suoi fossili, 1884, pag. 270. Si raccoglie nell’argilla. Questa specie comparsa nel miocene medio, persistette nel superiore, assunse il suo massimo sviluppo ‘numerico nel pliocene e scomparve nell’astiano. Gen. Yoldia, Moller. 165. YOLDIA NITIDA, Br. sp. Leda nitida. Meneghini, Puléont., Sardaigne, pag. 572. n) » Doderlein, Cenni int. giac. terr. mioc. sup., 1862, pag. 14. a » Hornes, Die foss. Moll. Wien, 1870, II Bd., pa- gina 308, taf. 38, fig. 9. Yoldia , Bellardi, Monog. Nucul. terz. piem. ecc., 1875, pag. 23. i » Seguenza, Nucul. terz. prov. merid. ecc., 1877, pag. 21. 172 E. MARIANI E C. F. PARONA, Leda nitida Manzoni, Il tort. e i suoi foss. prov. pigri 1880, pag. 515. x s Ribeiro, Faune malacolog. imioc. Portugal, NS pag. 21. Yoldia , Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 121 (7.). Si hanno esemplari di questa specie dall’argilla. Trovasi nel miocene inferiore e superiore del bacino mediterraneo ed è scomparsa dall’astiano. Gen. Chama, Linn. 166. CHAMA sp. ind. ‘. Meneghini, Paléontol., Sardaigne, pag. 568. Modelli interni di una specie destrorsa forse appartenente alla Ch. dissimilis Brn. provenienti dalla marna bleue.. Nulla posso aggiungere a questa osservazione del prof. Meneghini, non avendo avuto occasione di esaminare nessun avanzo di questo genere. Gen. Lucina, Brug. 167. Lucina BOREALIS, Linn. sp. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 566. Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1870, II Bd,, pacs: 229 1tafi=39, fig. 4. Ribeiro, Faune malacolog. terr. mioc. Portugal, 1880, pag. Da, Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 120 (7.). Il prof. Meneghini ricordò questa specie come trovata a Sas- sari ed al M. della Pace; ora io la distinsi fra i fossili del cal- FOSSILI TORTONIANI, ECC. 173 care di Capo S. Marco, rappresentata da modelli interni e da impronte bellissime. — Questa specie vive nei bacini mediterra- neo ed atlantico dal miocene in poi. Gen. Cardium, Linn. 168. CarpIiuM TURONICUM, May. (?) Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1870, II Bd., pag. 188, taf. 27, fig. 3. — Fuchs, L'età degli strati terz. di Malta, 1874, pag. 377. — Capellini, Cale. a Amphisteg., str. a Congeria e calce. di Leitha dei M. Livornesi, 1875, pag. 242. — Fuchs, I membri delle formaz. terz. nel vers. sett. dell’ Appen- nino ecc., 1875, pag. 252. — R. Hornes, Il primo piano mediterr. nella Valsug. e neù M. Euganei (Boll. Comit. geol.), 1877, pa- gina 373. — Manzoni, Il torton. e è suoi foss. n. prov. di Bo- logna, 1880, pag. 515. — Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reg- gio, 1880, pag. 120 (7.). — Coppi, Puleontol. modenese, 1881, pag. 105. Il prof. Meneghini (Paléont., pag. 568) ha riferito i modelli © interni di Cardium, quali si rinvengono nella marna bleu, in parte al C. ciliare L. ed in parte al C. aculeatum L. Anch'io ne ebbi in esame ed ho potuto persuadermi che taluni piuttosto che al C. ciliare di Linneo, Gmelin, Poli, Philippi (forma che secondo l’opinione di Weinkauff, confermata da Fontannes, è da considerarsi come un C. aculeatum giovane), mi sembra corri- spondano meglio per le dimensioni, forma ed ornamentazione al C. turonicum Mey., specie miocenica affine al C. aculeatum. Ma trattandosi del solo modello interno e di una forma spettante ad un gruppo di assai difficile determinazione, ho creduto pru- dente tenere dubbio il riferimento. 174 E. MARIANI E C. F. PARONA, 169. CARDIUM AcuLEATUM, Linn. Meneghini, Puléont., Sardaigne, pag. 568. Fontannes, Les moll. plioc. de la vall. du Rhòne ecc., 1882, II tom., pag. 83. / Conservo a taluni esemplari la determinazione stabilita dal prof. Meneghini. Il dott. Fontannes dice che il C. aculeatum, il quale rimonta forse per una serie di variazioni più o meno ac- centuate sino alla molassa elveziana, è ora sparso su tutto il litorale occidentale del Mediterraneo e si riscontra nell'Atlantico dalla Norvegia al Portogallo. Gen. Venus, Linn. 170. Venus ovata Penn. Doderlein, Cenni geol. int. la giacit. d. terr. mioc. sup. 1862, pag. 14. Hiornes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1870, II Bd., pap. 0139, taf:015, ‘fig. (12: Ciofalo, Alc. osservaz. sul Mioc. di Ciminna, 1878, p. 295. Ribeiro, Faune malacolog. d. terr. mioc. du Portogal, 1880, pag. 22. Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 119, (7). Coppi, Paleont. modenese. 1881, pag. 108. Numerosi piccoli esemplari per lo più assai guasti e nume- rosi modelli ed impronte. Questa specie, nota per il tortoniano, di Sicilia, di Calabria, di M. Gibbio e di S. Agata, vive ancora nel Mediterraneo e nell’Atlantico. FOSSILI TORTONIANI, ECC. 175 Gen. Cytherea, Lmk. 171. CYTHEREA MULTILAMELLA, Lmk. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 562. — Doderlein, Cenni geol. int. giac. mioc. sup., 1862, pag. 14. — Hornes, Die foss. . Moll. Wien, 1870, II Bd., pag. 130, taf. 15, fig. 2, 3 (Venus). — Seguenza, Breviss. cenni int. ser. terz. prov. Messina, 1873, pag. 265, (Venus). — Fuchs, L’età degli str. terz. di Malta, 1874, pag. 377 (Venus). — Capellini, Calc. a Amphist., strati a Congerie e cale. di Leitha dei m. Livornesi, 1875, pag. 242 (Venus). — Fuchs, I membri della formaz. tere. n. vers. sett. dell’Apenn., 1875 (Venus). — Locard, Faune tert. Corse, 1876, pag. 190 (Venus) (Bonifacio). — Ponzi, I foss. del M. Vati- cano, 1876, pag. 141. — Ciofalo, Ale. osservaz. sul mioc. di Ciminna, 1878, pag. 285. — Manzoni, Il torton. e è suoì foss. Bologna, 1880, pag. 515 (Venus). — Ribeiro, Form. malacol. mioc. Portugal, 1880, pag. 22. — Seguenza, Form. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 119 (7.) (Venus). — Coppi, Paleont. mode- nese, 1881, pag. 108 (Venus). Trovasi nel calcare e nell’argilla. Questa specie, comune nel tortoniano, comparve nell’ elveziano ed è ancora vivente nel Me- diterraneo. ! 1 Il prof Meneghini dice (pag. 564) che « des moules vraisemblablement apparte- nents è la V. senilis Br. ont été recueillis au Capo S. Marco ». Io non ho riscontrata questa specio nè sul calcare, nè nella argilla e quindi, trattandosi di una specie di difficile determinazione e da nessun autore, per quanto io sappia, citata pel torto- niano, credo opportuno ommettere questa citazione perchè troppo dubbia: solo il Ri- beiro cita la V. senilis per il miocene di Rego in Portogallo. 176 E. MARIANI E C. F. PARONA, Sottogen. Circe, Schum. 172. Circe MInIMA, Montag. Cytherea Cyrilli Scacc.. Meneghini, Paléont.-Sardaigne, p. 563. Circe minima Doderlein, Cenni geol. giac. mioc. sup., 1862, pag. 14. — Hòrnes, Die foss. Moll. tert. Wien, 1870, II Bd., pag. 158, taf. 19, fig. 5. — Seguenza, Br. cenni int. ter. terz. prov. Mes- sina, 1873, pag. 265. — Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 119. — De Gregorio, Elenco di foss. dell’orize. a Car- dita Jouanneti Bast, 1883, pag. 6. Fu riscontrata dal prof. Meneghini nella marna bleu; non rara nel miocene superiore e vive tuttora nel Mediterraneo e nell'Atlantico. Gen. Donax, Linn. 173. DonAx TRUNCULUS, Linn. sp. Donaa: minuta Brn. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 560. n trunculus Wood., Monogr. of the Crag. Mollusc., vol. 2.°, 1850, pag. 219, tav. 22, fig. 8. Sarebbe stato interessante il poter studiare accuratamente qualche esemplare completo e non dei modelli interni e delle impronte, quali si trovano nel calcare marnoso, perchè questa specie finora non sarebbe stata accennata per il miocene supe- riore. Specie pliocenica che vive ancora nel Mediterraneo e nel- l'Atlantico. si iii FOSSILI. TORTONIANI, ECC. AT Gen. Panopaea, H. et A. Adams. 174. PANOPAFA NORVEGICA Spengl. sp. Panopaea Bivonac, Philippi, Enumerat. moll. Siciliae, 1836, vola, pag! SptavnBifig.12: Panopaca norvegica, Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 558. Mayer, oss. tert. du Musée fédéral. Mollusq., 1870, cah. IV, pag. 15 e 49. Fontannes, Les moll. plioc. de vall. du Rhone, ecc., 1882, tom. II, pag. 14 e 282, 283. » » . Il prof. Meneghini riferì a questa specie dei modelli interni estratti dal calcare giallastro. Il Fontannes ritiene dubbia 1’ esì- stenza nel miocene di questa specie, la quale è rarissima nel bacino mediterraneo ed è stata citata da Mayer per l’ elveziano di S. Gall. Gen. Mactra, Linn. 175. Macrra (Hemimactra) tRIANGULA Ren. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 560. — Doderlein, Cenni geol. int. giac. mioc. sup., 1862, pag. 13. — Hérnes, Die foss. moll. d. tert. Beck. Wien, 1870, II Bd., pag. 66, taf. 9, fig. 11. .— Hornes R., Die Fauna des Schliers v. Ottnang, 1875, pa- gina 369, taf. 13, fig. 5-7. — Ribeiro, Faune malacolog. mioc. Portugal, 1880, pag. 23. — Coppi, Paleontolog. modenese, 1881, pag. 112. Trovasi nell’argilla e nel calcare; questa specie non è rara nel miocene superiore e vive ancora nel Mediterraneo e nell’At- lantico. Vol, XXX. i 12 178 E. MARIANI E C. F. PARONA, Gen. Corbula, Brasg. 176. CORBULA GIBBA Oliv. sp. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 557. — Doderlein, Cenni geol. int. giac. mioc. sup., 1862, pag. 13. — Hérnes, Die foss. moll. Wien, 1870, pag. 34, II Bd., taf. 3, fig. 9. — Seguenza, Br. cenni int. ter. terz. prov. Messina, 1873, pag. 264. — Hòr- nes R., Die Fauna des Schliers von Ottnang, 1875, pag. 367. —. Capellini, Calc. a Amph., str. a Congerie e calce. di Leitha deò m. Livornesi, 1875, pag. 242. — Ciofalo, Alc. osserv. sul mioc. di Ciminna, 1878, pag. 285. — E. Stòhr, Sulle posiz. geol. del tufo e del trip. n. zona solfif. di Sicilia, 1878, pag. 514. — Seguenza, Le formaz. tere. prov. Reggio, 1880, pag. 118 (T.). — Coppi, Paléont. modenese, 1881, pag. 112. — Cafici, La for- maz. miocen. nel territ. di Licodia- Eubea, 1883, pag. 25 (7.). Gli esemplari da me osservati sono di mediocre sviluppo e trovansi tanto nell’ argilla che nel calcare. La specie è comune nel miocene superiore e vive ancora nel Mediterraneo e nell’At- lantico. 177. CORBULA REVOLUTA Br. sp. é Tellina revoluta, Brocchi, Conchiolog. subappennina, 1843 pag.:925, tav. 12, fig- 6; Corbula revoluta H6rnes, Die foss. Moll. tert. Beck. Wien, 1870, II Bd., pag. 38, taf. 3, fig. 9. : n Coppi, Paléont. modenese, 1881, pag. 112. Numerosi esemplari più o meno decorticati e modelli interni, tutti di sviluppo mediocre. Questa specie è indicata anche dal Fontannes (Moll. pl. Rhone, 1870, 2 T., pag. 18, 282, 283) come miocenica; trovasi nel tortoniano di M. Gibio. FOSSILI TORTONIANI, ECC. 179 Glossofori. Gen. Dentalium, Linn. 178. DENTALIUM MUTABILE, Dod. Dentalium aprinum, L. Meneghini, Paléont., Sardaigne, p. 554. Dentalium mutabile, Hornes, Die foss. Moll. d. tert. Becle. Wien, 1856, p. 651, I Bd., taf. 50, fig. 32. — Manzoni, Della fauna ma- rina di due lembi nioc., 1869, pag. 499, tav. 3, fig. 5b.. — Ribeiro, Faune ma- lacol. mioc. Portugal, 1880, pag. 19. — De Gregorio, Elenco di foss. del- UV orizz. a Cardita Jouanneti- 1883, pag. 2. Cinque frammenti spettanti a cinque individui, due presen- tano nove coste, uno dieci e gli altri due undici; le coste sono molto salienti e distinte; gli spazii intercostali sono profondi e portano tutti una o due costicine minori nel frammento a dieci coste, in quelli a dodici coste predominano gli spazii ornati da costicine, in quelli a nove coste sono più numerosi gli spazii li- sci. Per l’insieme dei caratteri mi sembra da preferirsi il rife- rimento alla specie di Doderlein. 179. DENTALIUM INAEQUALE, Bronn. Michelotti, Descript. d. foss. mioc. de V It. sept., 1847, p. 142, tav. 5, fig. 19. — Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 555. — Manzoni, Della fauna marina di due lembi mioc., ecc., 1869, pag. 499. — Seguenza, Br. cenni int. la ser. terz. prov. Mes- sina, 1873, pag. 265. — Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 117 (7.). — Coppi, Paleont. modenese, 1881, pag. 85. 180 E. MARIANI E C. F. PARONA, Numerosi frammenti riferibili a questa specie abbastanza co- mune nel miocene superiore. Gen. Gadila, Cray. 180. Gapina capus, Mont. sp. Dentalium coarctatum (non. Brocc.) Michelotti, Descript. des foss. nvioc. de V It. sept., 1847, pag. 145. Gadus gadulus Doderlein, Cenni geog. int. giac. mioc. sup., 1362, pag. 16. Gadila gadus Zittel, Handbuch der Palacont., 1882. Mollusca, 172, fig. 208 d. Un esemplare nel calcare. Questa specie è comune nel torto- niano di Stazzano e S. Agata; è citata da Doderlein e da Zittel anche pel tortoniano di M. Gibio. Non è conosciuta vivente. Gasteropodì. — Gen. Scissurella, d’Orb. 181. SCISSURELLA ASPERA, Phil. (?) Philippi, Enum. mollusc. Siciliae, 1844, vol. 2, pag. 160, ta- vola 25, fig. 17. — Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 272 (As.), tav. 16, fig. 31. — Coppi, Paleont. mode- nese, i38l, pag." 53. Un piccolissimo esemplare assai guasto, decorticato così da renderne impossibile la sicura determinazione e che riferisco a questa specie dall’astiano reggiano; il sig. Coppi la riscontrò nel fabiano; finora la S. aspera non sarebbe stata trovata nel tortoniano. FOSSILI TORTONIANI, ECC. 181 Gen. Scalaria, Linn. 182. ScALARIA GENICULATA Br. sp. (?) Turbo geniculatus Brocchi, Conchiol. foss. subappenn., 1843, poesidoitaviLb; Mg, Scalaria geniculata Simonelli, Il monte della Verna e i suoi fossili, 1883, pag. 267. Riferisco a queste specie due esemplari provenienti dal cal- care: la determinazione mi rimane alquanto incerta perchè seb- bene la fisionomia sia quella stessa della specie del Brocchi, il numero delle costicine capillari è minore, sicchè esse risultano più spaziate. Gen. Turritella, Lmk. 183. TURRITELLA SUBANGULATA, Br. (var. acutangola) . Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 552. — Hòrnes, Die foss. moll. tert. Beck Wien, 1856, I Bd., pag. 428, taf. 43, fig. 5-7. — Doderlein, Cenni geol. int. giac. mioc. sup., 1862, pag. 19. — Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 115 (7.). — Coppi, Paleontol. modenese, 1881, pag. 72. — Cafici, La form. mioc. terr. Licodia-Eubea, 1883, pag. 25. Questa specie è già stata riconosciuta dal prof. Meneghini; abbastanza comune nel miocene superiore, vive tuttora nel Me- diterraneo. 184. TURRITELLA sp. indet. Meneghini, Paléont., Sardaigne, pag. 550. Non mi fu comunicato nessun esemplare che potesse riferirsi . alla sp. ind. descritta dal prof. Meneghini e raccolto presso la 182 E. MARIANI E C. F. PARONA, Torre di S. Giovanni di Sinis al Capo S. Marco, non so se nel calcare o nell’argilla. Gen. Natica, Adans. 185. NATICA MILLEPUNCTATA, Lmk. Hornes, Die foss. moll. d. tert. Beck. Wien, 1856, Bd. I, pa- gina 518, taf. 47, fig. 12. — Manzoni, Della fauna marina di due lembi mioc., 1869, pag. 23. — Seguenza, Brevîss. cenni int. ter. terz. prov. Messina, 1873, pag. 265, — Fuchs, L'età degli str. tere. di Malta, 1874, pag. 377. — Hbrnes R., Die Fauna des Schliers v. Ottang, 1875, pag. 363. — Locard, Descr. Faune tert. d. la Corse, 1876, pag. 90. — Capellini, I calc. di Leitha, DM. livornesi, 1878, pag. 10. — Manzoni, Il torton. e î suoî foss. in prov. di Bologna, 1880, pag. 514. — Ribeiro, Faune imalacolog. mioc. Portugal, 1880, pag. 16. — Seguenza, Le for- maz. terz. prov. di Reggio, 1880, pag. 111. — Coppi, Puleont. modenese, 1881, pag. 61. — De Gregorio, Elenco di foss. del- V orizz. a Cardita Jouanneti Bast., 1883, pag. 2-6. — Simonelli, Il monte della Verna, ecc., 1884, pag. 266. — Fontannes, Note sur quelg. gisem. nouveaux des terr. mioc. du Portugal, ecc., 1884, pag. 12. Piccoli esemplari con distinta punteggiatura raccolti nell’ ar- gilla. Specie comunissima nel miocene superiore, e vive nel Mediterraneo e nell'Atlantico. Gen. Rissoa, Frém. 186. RissoA INFLATA, Andrzi. Hòrnes, Die foss. Moll. d. tert. Beck. d. Wien, 1856, I Bd., pag. 576, taf. 48, fig. 22. — Doderlein, Cenni geol. ‘int. giac. nioc. sup., 1862, pag. 17. — Cocconi, Enumer. sistem. dei mol- FOSSILI TORTONIANI, ECC. 183 luschi, ecc., 1873, pag. 185. — Coppi, Paleont. modenese, 1881, pag. 76. Esemplare incompleto. Questa specie trovasi nel tortoniano di S. Agata, di Vigoleno e dubbiamente in quello di M. Gibio. Gen. Aporrhais (da Costa) Dillwyn. 187. APORRHAIS PES-GRACULI, Phil. Meneghini, Paléontol., Sardaigne, pag. 549. — Locard, Descr. de la faune tert. de la Corse, 1876, pag. 99 (A. pes-pelecani, Linn). — Seguenza, Le formaz. terz. prov. leggio, 1880, p. 109 (7.). — Coppi, Paleont. modenese, 1881, pag. 70. Questa specie è indicata dal. prof. Meneghini, come riscon- trata nell’argilla; trovasi anche nel tortoniano di M. Gibio e della Calabria. Gen. Purpura, Brug. 188. PURPURA PRE-HAEMASTOMA, n. f. Per la forma generale, per la conformazione della bocca, pel numero e posizione delle pieghe del labbro sinistro, corrisponde perfettamente alla Purpura haemastoma (var. carinata) quale è figurata e descritta dal Philippi. *Ne differisce perchè il mag- giore anfratto invece di rispondere a queste frasi diagnostiche “ seriebus quatuor aequidistuntibus nodulorum cinctus; noduli circiter 12 satis prominentes, obtusiusculi, illi seriei primae pa- rum majores , presenta soltanto quattro cingoli, i quali all’ in- contro delle pieghe trasversali si fanno appena nodosi. La man- 1 ParcipPi, Enumer. moll. Siciliae ecc. 1836, vol. 1, pag. 218; vol. 2, 1844, pag. 187, tav. 27, fig. 2. 184 E. MARIANI E C. F. PARONA, canza dei tubercoli ed il numero e posizione delle pieghe del labbro sinistro la tengono distinta dalla P. haemastoma Lmk. per Hornes,! la quale, siccome porta sulla superficie interna del labbro sinistro cinque o sei grosse pieghe, secondo Bellardi, * deve probabilmente essere distinta dalla vera P. haemastoma. Il descritto esemplare proviene dall’ argilla. Gen. Cylichna, Loven. 189. Crcicna Broccuu, Mich. sp. Bulla ovulata Brocchii, Conchiol. foss. subapp., vol. 2, p. 277, 635, tav. 1, fis. 8. Bulla Brocchi Michelotti, Descript. d. foss. mioc. de V Ital. sup.,:1847, pag. 151. — Hòrnes, Die foss. moll. d. tert. Beck. v. Wien, 1856, I Bd., pag. 622, taf. 50, fig. 6. — Doderlein, Cenni geol. int. giac. mioc. sup., 1862, pag. 16. Cylichna Brocchii Seguenza, Le formaz. tere. prov. Reggio, 1880, pag. 50 (A4g.). — Coppi, Palcont. modenese, 1881, p. 91. Numerosissimi esemplari, di cui taluni di grandi dimensioni (lung. 12 mm., larghi mm. 6,5); sono tutti mal conservati e più o meno decorticati; tuttavia riconoscibili come spettanti a que- sta specie, che trovasi rappresentata in parecchi giacimenti tor- toniani. 1 HORNES, Die foss. Moll. d. tert. Beck. v. Wien. 1856, Bd. I, pag. 167, ‘taf. 13, fig. 18. ? BELLARDI, Molluschi dei terr. ters. del Piemonte e della Liguria. 1883, pag. 396 (Purpura erosa Bell.). FOSSILI TORTONIANI, ECO. 185 ARTROPODI Crostacei. — Cirripedi. Gen. Balanus, List. 190. BALANUS CONCAVUS, Bronn. Seguenza, Int. aî Cirripedi della prov. di Messina, 1872, pa- gina 32, tav. 1, fig. 5; 1876, pag. 79, tav. 10, fig. 1-10. — Se- guenza, La formaz. terz. prov. Reggio, 1880, pag. 126. — Si- monelli, IX M. della Verna e i suoi fossili, 1884, pag. 272. Riferisco l'esemplare alla fig. 10, della tav. X di Seguenza. Ostracodì. Gen. Cythere, Miiller 191. CrTHERE (Cypridina) HaueRI, Rom. Romer, in Leonhard und Bronn’ s Jahrbuch, 1839, p. 430. — Reuss, Die foss. Entomostraceen der osterreichs. Tertiàrbeckens (Haidingar’s naturw. Abh. III, Bd. I), 1850, pag. 70, tav. 9, fi- gura 28. Pochi esemplari, alcuni più grandi e più convessi della forma tipica. Questa specie non è conosciuta vivente e trovasi anche nel tortoniano di Benestare in Calabria (Seguenza). 186 E. MARIANI E C. F. PARONA, 192. CrrHERE (Cypridina) PuncratA v. Miinst. Miinster, in Leonh. u. Bronn's Jahrb., 1830, pag. 62. — Rémer, ibid., 1838, pag. 515, tav. 6, fig. 5. — Reuss, Die foss. Ento- mostr. d. Ost. Tertitirbeck., 1850, pag. 68, tav. 9, fig. 24. È una delle specie più comuni nell’argilla a foraminiferi di Capo S. Marco. Trovasi anche nel tortoniano di Benestare (Seguenza) e di Licodia-Eubea (Cafici). 193. CrrHERE (Cypridina) PUNcTATELLA, Reuss. Reuss, Die foss. Entomostr. d. Osterr. Terticirbeck., 1850, p. 65, tiv.*97 ela: | ® Forma piuttosto rara nell’argilla. 194. CyrTHERE (Cypridina) GALEATA, Reuss. Reuss, Die foss. Entomostr. d. Oster. T'erticirbeck., 1850, p. 67, tavo09, He. 20, Gli esemplari non sono molto rari e per lo più hanno il mar- gine superiore più acuto della forma tipica. 195. CyrTHERE (Cypridina) GIBBoso-FOVEOLATA, Seg. Seguenza, Le form. terz. nella prov. di Reggio (Calabria); 1880, pas.y120,;tav, 12.fi2257 Dia, E la specie più abbondante nell’argilla a foraminiferi; alcuni esemplari misurano una maggiore lunghezza in confronto delle forme illustrate dal Seguenza. FOSSILI TORTONIANI, ECC. 187 Braclhiuri. Gen. Cancer, (Linn.) Leach. 196. CANCER SISMONDAE, Mey. Platycarcinus antiquus E. Sism. Meneghini, Paléont., Sar- daigne, pag. 528, tav. II, fig. 11. Cuncer Sismondae Mey. — G. Ristori, I crostacei brachiuri e anomuri del plioc. italiano (Boll. Soc. geol. ital., 1886, vol. 5.°), posk9b,tav II, fig. 1. Non ebbi in esame nessun esemplare della forma di Capo San Marco, la quale fu dettagliatamente descritta dal prof. Mene- ghini. Da poco tempo il sig. Ristori, nel suo accuratissimo stu- dio sopra questa speciee ne constatò la presenza anche nel mio- cene superiore. VERTEBRATI. Pescì. Gen. Lamma, Cuv. 197. LAMMA CUSPIDATA, Ag. Michelotti, Descript. d. foss. mioc. de VIt. sept., 1847, p. 356. -— Meneghini, Paléont., Sardaigne, 1857, pag. 528. — Coppi, Paleont. modenese, 1881, pag. 14. — Simonelli, IT monte della Verna e i suoi fossili, 1884, pag. 248. Non posso aggiungere altro a quanto già disse il prof. Mene- ghini riguardo a questa specie, poichè non ne ebbi in esame al- cun avanzo. Trovasi anche nel miocene della collina di Torino e nel miocene superiore del modenese e del monte della Verna. nr | | KO | i (Allegato A) | BILANCI | 188 Dal 1° Gennaio | Attività. a In Cassa al 1.° Gennaio 1886 . 0.00 RR Foteressi maturati St et, SURI [AA 40 Importo di N. 15 quote arretrate a L. 20 cad. (| | cioè: O N08 2'quote ‘1884 it papi anse | 18 (30188508 Biel 0 VI | N. 15 L. 300 -— || 300 —_— Me ae a nc O ”» gra 2 ” »” hi » POS Ch i ”» 20 6 | Rimborso copie a parte ci Ve O RIP 43 Vendita Ate Memorie ... 0. SV LaS®) >, a | 4 | Importo di N. 66 quote 1886 a L. 20. . . L.| 1320 totale asl A 3282 | 53 * I presenti Bilanci furono approvati nella seduta del 1.° maggio 1887. ire vi ‘ 189 DNSUNTIVO * ipisrà bre 1886. _éi>fémdi‘iz..:’: iii ina Passività. {1 | Alla Tipografia Rebeschini e C. per Mgadapi i stampa Atti e Circolari. . . . L. || 1800 | — 165 2..|\Al Litografo Ronchi. . . - deco 01513 .(.,78 166 | 13 | Al Libraio Hoepli per SORT zioni librarie e porto libri... , 73 | 35 167 4 | Rimborsato a Monticelli per altret- tante da Lui pagate a Serino di | Napoli come:da contorti. atibosy 105 Abel 5 | Al Litografo Doyen di Torino. . . , sal 161 6 | Al Litografo Passero di Udine . . , 78 | 60 160 | \Fer*spese di Segreteria. . . La 136 | 50 || 162 164 8 | A Bergomi aiuto al dui omvatoto e TON 194156 9 | Stipendio agli inservienti . . . . , 152% 50 ot 159 ei ccerdelli Antonio . . |. . . . , 36) — 155 | | | | | LI | | . Totale delle Passività. . . L. {| 3060 |.73 | Rimanenza attiva a pareggio , 221 | 80 o Lal 32624050 i | i UU Ao _ VI N HS AD (Allegato B) - i va a (E Dee BILANCIO PREVENTIVG Attività. In Cassa al ristretto conti 1.° Gennaio 1887. L. || 221 Importo di N. 75 quote arretrate a L. 20 cad. , 1500. ni » » 110 quote 1887 vi pAZONdE n 2200. »” » » 2 ” 1887 ”» pd0 » ” AZIO » dovuto per rimborso copie a parte del | di 188610 riettin sta cile » presumibile per copie a parte 1887 . , Ricavo presumibile per vendita At? e Memorie. , 200 Totale attivo L. 43925 15 cR L'ANNO 1887. d Passività. me A Fi e Memorie io. 0.2.0... L Spese Litografia . i Spese d’ Amministrazione, as e sa II Ai Librai Hoepli e Dumolard per associazioni e porto libri GCVVONEOLGRrRA. O. OE Agli inservienti IRotalempassività i Dv. 6IL Rimanenza attiva a pareggio , L. 191 Sol SIR ai teo: 4 Gai Lt 1 KIR88 din. gus hi CI fl i; OTBBAIAG Ba uti a % LE ", * } ossa xt dx in è Ù ‘sE0l reed ee nità SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Socj sono in numero illimitato, effettivi, studenti, corrispondenti, ed onorari]. I Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sol volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli A della Società. I .Socj studenti pagano it. L. 10 all'anno nel primo trimestre dell’anno. Possono essere nominati tutti gli inscritti ad uno degli Istituti superiori d’Istru- zione del Regno. Godono degli stessi diritti dei socj effettivi. A Socj corrispondenti si eleggono persone distinte nelle scienze na- turali, che dimorino fuori d’Italia; essi possono diventare socj effettivi, «quando si assoggettino alla tassa annua di lire venti. A Socj onorarj la Società elegge persone distinte nelle scienze natu- rali che siano benemeriti della Società. La proposîzione per l ammissione d'un nuovo socio, di qualsiasi ca- tegoria, deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi, I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di “un anno, e, invitati, nonlo compiono nel primo trimestre dell’anno suc- cessivo cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli 44/7 e nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, se- condo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Att: e delle Memorie stesse. Tutti i Soc} possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. Quanto ai lavori stampati negli A%/ l’autore potrà far tirare un nu- mero qualunque di copie ai seguenti prezzi: Esemplari LR AO ra Apaoo 1f, di foglio (4 pagine) . . 1.125) L 225| L. 250 L. 4 — '/a foglio (8 pagine) . . . » 175 | » 8 50] » 4 — |» 5 50 5], di foglio (12 pagine) . . #2 50 | » 5 — | » 675.» 9 | lalatoelo (ecpagine) e TO] ed 1 INDICE Presidenza pel 1887 Socj effettivi al principio dell’anno 1887 Socj corrispondenti . VERO: PRA Istituti scientifici corrispondenti al principio dell’anno 1887 . SRICRA RI, ; CORE F. SAcco, I terreni i nari della zollina di Torino (con una tavola) . A. P. NinnI, Sul passaggio SEE ia ori quedula Circia avvenuto în marzo 1886 nell’ E- stuario Veneto (con una tavola) . A. P. NINNI, I merli urofasciati i FE. Mariani e C. F. Parona, Fossili tortoniani i Capo S. Marco in Sardegna . Boi Bilancio Consuntivo dal 1° gennaio al 31 dicem- bre 1886 Ii. Bilancio Preventivo per anno 1887 101 188 190 ATTI DELLA | SOCIETÀ ITALIANA E ue E ee = Ar A o a IE ACENTACIOTIARVE dazi nata nie FAMMI dit cnezonia veda i Ur SOI ULL setti i fr F ace tr e CRE Ga 4° A - Soeglita E Ni L, ua Ac.d P " ia on và pe , ì Ra Rd ste ) ; ASOLO FIR c ; È. VA) 2 7 pat RE È » DS, cl pà » è di DI SCIENZE NATURALI FascicoLo 3° — FoatI 13-20. die cali a dre) Ca POSTE. e .- ò cd ela Fà, : CRIITE ha tar”, ne: iii oe fe I 4 — rar s 1 "a, : % e Con due tavole. da At MILANO, ‘IP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. III IT n RT, be PER L’ITALIA: PER L'ESTERO: PRESSO LA A ® i PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA' LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico, Galleria De-Cristofori8, Via Mavin, 2. 59-62. ù | i O | | i VOLUME XXX. I i ! | ! i AcGosto 1887. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la 3° pagina di questa copertina, PreEsipENnza PEL 1887. Presidente, StopPANI prof. AntoNIO, Direttore del Civico Museo di Storia naturale di Milano. | Vice-presidente, BerLortI dott. CRISTOFORO. MercaLLI prof. GruseppE, Milano, via S. Andrea, 10. Segretarj I È A J Pini rag. NAaPoLEONE, Milano, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-PraTTI Ing. Giuseppe, Milano, via Senato, 14. LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. Nota paleontologica del Dott. ERNESTO MARIANI Nella vicinanza di Varano, nei dintorni del lago di Comab- bio, sotto la potente massa gonfolitica di Ronco, si stende, come ebbe occasione di osservare l’egregio ing. F. Salmojraghi in una sua accurata nota geologica, una molassa micacea, com- patta, azzurra, che qua e là alterna con strati di argilla e di arenaria micacee, le quali fanno graduato passaggio alla mo- lassa.* Queste rocce, che assumono talvolta considerevole potenza, sì trovano anche in piccoli banchi interstratificati nella gonfo- lite; questa, se in generale si mostra discordante colla molassa, in una località tra Bernate ed Inarzo, l'ingegnere Salmojraghi l’osservò concordante con essa e con una medesima inclinazione verso sud. Avuto riguardo anche ai rapporti petrografici della molassa colla gonfolite, vanno certamente riunite a formare un sol piano spettante per la loro fauna al Miocene medio, e più propriamente al Langhiano del Pareto. i 1 F. SALMOJRAGHI, Alcune osservazioni geologiche sui dintorni del lago di Comab- bio. (Atti Soc. Ital. di Sc. nat., Vol. XXV, 1882.) T. TABAMELLI, Note geologiche sul bacino idrografico del fiume Ticino. (Boll. Soc, Geol. Ital., Vol. IV, 1885). Vol. XXX. 13 194 E. MARIANI, Inferiormente, verso Varano e dalla sponda opposta del lago, a Ternate, S. Sepolcro e sotto la chiesa di Comabbio, affiorano dei calcari nulliporici, alternati a banchi con nummuliti e bi- valvi, e ricoperti da ‘marne compatte, arenacee, con Pecten; il passaggio dall’una all’altra di queste rocce si avverte assai di- stinto, discendendo dall’altura che domina S. Sepolcro.*® I fos- sili di detto calcare, non molto numerosi di specie, meritano ulteriore studio, per decidersi se appartengano all’eocene piut- tosto che all’ oligocene. È solamente nella molassa che l’ingegnere Salmojraghi rac- colse, oltre a numerose foraminifere (fra le quali predominano le Dentaline), poche bivalvi, alcuni gasteropodi, dei pteropodi, un cefalopodo ecc., fossili che gentilmente volle affidarmi; di che ora ben lieto gli rendo vivi ringraziamenti. Diverso è lo stato di conservazione dei pochi fossili da me studiati, a seconda della natura delle rocce in cui erano con- tenuti. Quelli della molassa più minuta, meno micacea sono ì meno conservati, mentre che le conchiglie della molassa un po’ più grossolana e molto micacea sono state distrutte in parte, rimanendo alcune volte di esse solamente delle impronte o dei modelli interni spesso deformati. Le bivalvi formano il maggior numero dei fosaili che ho po- tuto determinare, e per lo più sono meglio conservati dei ga- steropodi. Solamente due (3?) sono le specie del miocene infe- riore non conosciute finora nei piani superiori (Lutraria proxima Mich., Corbdula neglecta Mich.?, Voluta anceps Mich.)j mentre che nessuna è esclusiva al miocene superiore nè al pliocene, pur essendovene molte comuni con questi piani. Questa fauna inoltre non offre alcun rapporto con quella del- 1 Recentemente in una cava abbandonata, posta tra Ternate e S. Sepolero, rac- colsi molti frammenti di Ostrea da riferirsi assai probabilmente all’ Ostrea latissima Desh. var. gigantea Leym.; così pure parecchi Pecten, una Rhynchonella, dei Brivzoi, alcuni nel calcare, altri nei sottili strati della marna arenacea intercalati fra i ban- chi a nullipore. LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 195 l’oligocene di Sicilia," nè con quelle pure oligoceniche del Vi- centino, © nè con quelle aquitaniane di Libano e di Bolzano sopra Belluno, ® e di Malta. * Le faune mioceniche che hanno più stretti rapporti con que- sta da me studiata sono quelle del miocene medio (langhiano) di Stilo, Guardavalle ecc. nella provincia di Reggio Calabria, ” dei colli di Torino, ° dello Schlier di Ottnang,‘ degli strati di Leytha nel bacino di Vienna.® Così pure parecchie specie sono comuni al miocene medio di alcune località nel territorio di Licodia-Eubea in provincia di Catania;® quattro (6?) specie si trovano anche nel miocene inferiore di Dego, Mioglia, Mornese dell’Italia settentrionale, !° mentre che dodici (15 ?) sono quelle che passano al miocene superiore, e solamente sei vennero tro- vate nel pliocene delle più note località. Una specie (Pecten denudatus Reuss.) venne da me trovata nel calcare del miocene medio del M. Vallassa in provincia di Pavia. !' 1 G. SEGUENZA, Dell’ Oligocene in Sicilia. (Estr. dal Giornale La Se. contemp, Mes- sina, Anno II, fase. 1.) A. De GrEcorIO, Sulla fauna delle argille scagliose di Sicilia, 1881. ? A. BRONGNIART, Mémoire sur les terr. de sédim. sup. calc.-trap. du Vicentin, 1823. F. BAvYAN, Mollusques tertiaires. Etud. fait d. 1. collection de l’école des Mines, 1870-73. ; F. BayAN, Note sur le Vicentin. (Bull. Soc. Géol. France, 2 sér., t. 27.) R. HoRNES, Gli strati di Schio nel bacino di Belluno e nei dintorni di Serravalle. (Boll. R. Comit. Geol. d’Italia, 1877.) 3 T. TARAMELLI, Note illustrative alla carta geologica della prov. di Belluno, 1883. 4 T. FucHS, L’età degli strati terziarii di Malta. (Boli. R. Comit. Geol. d’Italia. Vol. V, 1874.) 5 G. SEGUENZA, La formaz. terz. nella prov. di Reggio Calabria, 1880. 6 G. MICHELOTTI, Déscript. d. foss. des terr. mivc. de V Italie sépt., 1847. " R. HoRNES, Die Hauna. des Schliers von Ottnang. (Jahr. d. Kais. Kòn. Geol. Reich., XXV Bd., 1875.) 8 M. H6RNES, Die Foss. Moll. des Tert.- Beck. von Wien, 1856-1870. 9 I. CAFICI, La formazione miocenica nel territorio di Licodia-Eubea (Prov. di Catania), R. Acc. dei Lincei; Mem. della CI. di Se. fis. mat. e nat., Vol. XIV, 1882. 10 G. MICHELOTTI, Etudes sur le Miocèòne inférieur de V Italie septentrionale, 1861. 11 E. MARIANI, Descriz. dei terr. mioc. fra la Scrivia e la Staffora. (Boll. Soc. Geol. Ital., Vol. V, 1886.) 196 E. MARIANI, Da tutto ciò io credo di poter conchiudere che la molassa di Varano in un col conglomerato sovrastante si deve mettere nel Langhiano (parte inferiore del Miocene medio), osservando come anche nella provincia di Reggio-Calabria questo piano si presenta con identiche roccie, in identico rapporto, e cioè alla base delle molasse e sopra un potente conglomerato. Osservo infine che la presenza dei foraminiferi, come pure la presenza di un cefalopodo (Nautilus sp.) nella nostra molassa, mostrano come la sua fauna non sia affatto littoranea; però di mare non molto profondo, per la presenza dei generi Dentalium, Venus, Lucina, Arca, Nucula, Pecten ecc., molluschi tutti della zona corallina (27-91 metri). CELENTERATI. Antozoari. Gen. Trochocyathus E. H. 1. TROCHOCYATHUS sp. Frammenti indeterminabili specificamente. VERMI. Anellidi. Gen. Ditrupa Berkeley. 2. DITRUPA cfr. INcurva Ren. sp. Dentalium incurvum Renieri, Tav. alfab. delle Conch. Adriat.. Hornes, Die foss. Moll. d. Tert.- Beck. v. Wien:° Bd: I, ‘pi 659,040 BOI Ditrupa incurva, Seguenza, Le formaz. terz. prov. Reggio- Calabria. 1880, p. 78. n bb) LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. FOT” Frammenti di esemplari alquanto schiacciati; poco incurvati. Questa specie, diffusa anche nel pliocene, si trova nel Mio- cene medio di Reggio Calabria; molto probabilmente è il Den- talium Sowerbyi del Michelotti delle colline di Torino. * MOLLUSCHI. Lamellibranchi. Gen. Pecten Klein. 3. Pecten AncoNITANUM For. Foresti, Contribuzioni alla conchiol. foss. ital. (Mem. d. Accad. d2bc. dell’Istit. ‘di Bologna, Ser. III, Tom. X, pag. 127, t. I, f. 10-12). Riferisco a questa specie una piccola valva, probabilmente destra, di Pecten, i cui caratteri corrispondono quasi totalmente con quelli dati dal Foresti nella descrizione di questa sua nuova specie. Questa piccola valva è leggermente inequilaterale e un po’ convessa ; il margine non è intiero; manca l’orecchietta si- nistra, la quale doveva essere un po’ più grande della destra, come risulta dall’ esame della sua impronta. La superficie esterna della valva è provveduta di numerose e delicate strie longitu- dinali, e di strie piccole concentriche nella parte apicale di essa. Manca una piccola porzione del guscio, per cui si possono vedere le impronte di quattro costicine interne, le quali si al- ‘largano allontanandosi dall’ ombone. Giudicando dalle rispettive distanze di queste coste interne, credo il numero di esse non sia maggiore di dieci. 1 G. MicHELOTTI, Déscript. des Foss. Mioc. de VItal. Sept., pag. 145. 198 E. MARIANI, Il Museo di Paleontologia della R. Università di Pavia pos- siede un’ impronta di una valva del P. Anconitanum For., tro- vata dal dott. C. F. Parona nel calcare marnoso che forma la Rocca di Tortona (Miocene medio). Il Foresti trovò questa nuova specie nelle marne langhiane della Pietra alla Croce presso Ancona. Il Cafici la riscontrò abbondantemente nel calcare compatto e nel calcare marnoso del Miocene medio nel territorio di Licodia-Eubea in provincia di Catania. 4. PECTEN DENUDATUS Reuss. Reuss, Die fossile Fauna der Steinsalzablagerungen von Wie- liccha in Galizien. (Sitzber. d. k. Akad. d. Wiss., 55 Bd. 1867, pas..139; tal VE 00-15 Hornes, Die Fauna des Schliers von Ottnang. (Jahr. d. Kais. Ké6n. Geol Reichs., 25 Bd., 1875, pag. 383, t. XIV QI Una sola valva di dimensioni minori di quelle degli esemplari di Ottnang (altezza 30 millim. circa, lunghezza 28 millim.). Questa specie venne trovata dal Seguenza nel tortoniano di ‘ Benestare, di Ambuti, di Falcò, come pure nel pliocene infe- riore (Zancleano) di Terreti, di Nasiti, di Stilc, località tutte nella provincia di Reggio Calabria. Io la trovai nel calcare del Miocene medio del M. Vallassa in provincia di Pavia; ultima- mente il dott. C. F. Parona mi comunica averla riscontrata nell’argilla di Fangario in Sardegna da lui riferita al Miocene medio. 5. PECTEN DUODECIM-LAMELLATUS Bronn. Bronn, Iialien’s Tertidirgebilde, p. 116, N. 663. Hornes, Die Foss. Moll. d. Tert.-Beck. v. Wien. II Bd., p.. 420, t° LAVIS N29, ce. LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 199 Solamente una valva a margine intiero; la mancanza di una piccola parte del guscio permette di vedere le impronte di al- cuni dei raggi interni, Io sono del parere di tener separata questa specie del Bronn dal Pecten Philippi Mich.,! avuto riguardo alla forma generale della conchiglia, che è più rotonda, al numero maggiore delle coste interne, alle orecchiette uguali. Questa specie è diffusa in tutto il miocene; così si trova nel calcare del Miocene medio di Vignale, come pure nel torto- niano del territorio di Licodia in provincia di Catania (Cafici); nel tortoniano di Montegibbio e S. Agata nel Tortonese (Do- derlein). Ultimamente venne trovata dal dott. C. F. Parona nel calcare del Miocene medio di S. Michele in Sardegna, nella così detta Pietra Cantone. 6. PECTEN sp. Una piccola valva mal conservata. L’ornamentazione della sua superficie esterna è identica a quella del Pecten crinitus Munster (Goldfuss, Petref. Germ., IL Bd., p. 71, t. XCVIII, f. 6); però il nostro pecten è molto più piccolo di questo, come pure meno oblungo e coll’umbone alquanto più ricurvo. Gen. Arca Lin. 7: ARCA POLIFASCIATA Sism. Sismonda, Synop. invert., pag. 20, N. 11. Michelotti, Déscript. des Foss. d. Terr. Mioc. de V It. Sept., ui, 19-11. 1 G. MicHELOTTI, Déscript. des Foss. Mioc. de l’Ital. Sept., p. 85, t. III, f, 5, D/. 200 E. MARIANI, Una valva sinistra; 1’ umbone è un po’ più ricurvo e il bordo cardinale flessuoso per subita pressione, nel resto, sia per l’or- namentazione che per le dimensioni della conchiglia, il mio esem- plare corrisponde agli individui figurati e descritti dal Miche- lotti nell’ op. cit. Gen. Nucula Lam. 8. NUCULA PLACENTINA Lam. Lamarck, Anim. sans vert., Vol. 6, p. 509. Bronn., Ital: Tert. Geb., p. 109, N. 632. D’ Orbigny, Prodròme, Vol. 3, p. 184, N. 562. Michelotti, Etud. sur le Mioc. Inf. de VIt. Sept., p. 74. R. Hornes, Die Fauna des Schliers von Ottnang. (Jahr. d. Kais. K6n. Geol. Reichs., XXV Bd., IV Heft, 1875, pag. 378, taf. XIV; fig. 9.) Manzoni, Della fauna marina di due lembi Miocenici del- Alta Italia. (Sitz. d. Math.-Nat. Cl. d. Kais. Akad. d. Wiss., LX Bd; I Abth.; 1869, pag-500:) Seguenza, Nuculidi terziarie delle prov. merid. d’Italia, p. 3. Parecchi esemplari, in generale ben conservati (Diametro an- tero-posteriore 24 millim.; altezza 18 millim.). Le impronte del guscio lasciano vedere le delicate strie dello strato madreper- laceo interno. Questa bella specie differisce dalla Nucula Mayeri Horn., colla quale ha grande somiglianza, per non avere divisa in due parti la fossetta dentale. Il Fontannes cita però qualche raro esemplare di Nucula Mayeri Hòrn. in cui tale divisione tende sparire, risultando così la fossetta libera. 1 F, FONTANNES, Les Mollusques pliocènes de la Vallée du Rhone et du Roussillon, 1879-82, Tom. II, pag. 179, pl. XI, fig. 5. LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 201 Questa specie appare nel Miocene inferiore e si continua nel medio, nel superiore, nel Pliocene, ove raggiunge il massimo sviluppo. Così per es. si trova nello Schlier di Ottnang (Hornes); nel Miocene inferiore di Mioglia (Michelotti); nelle colline di To- rino, nel tortoniano di Montegibbio, di Stazzano (Doderlein), di Sogliano (Manzoni); nel pliocene di Val di Chiana, nel pia- centino della Niciola, di Tiepido, di Bagalo, di Guana (Coppi); come pure in tutte le zone plioceniche di Reggio Calabria (Se- guenza). OC CNUCULA “sp. Un modello interno affatto indeterminabile. Gen. Leda Schum. 10. LeDA cLAVvaTA Calc. Nucula rostrata, Marcel de Serres, Géogn. des terr. tert. du midi de la France, pag. 141 (non Lam.). Bronn., Italiens Terticirg., pag. 111, N. 639 o (non Lam.). È clavata, Calcara, Mem. sopra ale. conch. foss. di Altavilla, pag. 33. Leda clavata, M. Hòrnes, Die Foss. Moll. des Tert.- Beck. v. Wier: Bd"p."310 Ei XAXVITE, È 10; R. Hornes, Die Fauna des Schliers von Ottnang, Da od Ie La n» n» » n» Un solo esemplare, più piccolo di quelli illustrati dall’ Hòrnes nei fossili del bacino di Vienna. Ha la parte posteriore alquanto più curva di quella dell'individuo dello Schlier di Ottnang. In Italia questa specie venne trovata fossile in parecchie lo- 202 E. MARIANI, calità ; così nel tortoniano di Montegibbio (Doderlein), di Castel- larquato; nel pliocene (modenese) di Bagalo, di Guana (Coppi) ecc. ecc. O, 11. LEDA sp. Frammento superiore di una piccola valva. Gen. Astarte Sow. 12. ASTARTE sp. Piccola valva, incompleta; obliqua, triangolare, ‘a strie con- centriche; verso l’ apice la superficie della conchiglia. appare liscia. Per i caratteri generali esterni, per la forma, assomiglia alla Astarte Neumayri H6rn. dello Schlier di Ottnang, ma è più piccola. Gen. Lucina Brugn. 13. Lucina DuysarpINI Desh. Lucina lactea, Marcel de Serres, Géogn. des terr. tert. du midi de la France, p. 146 (non Lam.). Dujardin, Mém. sur les couches du sol.en Tour. (Mém. Soc. Geol. de Fr., p. 259.) (non Lam.). Grateloup, Cat. zool. des Anim. du bassin de la Gironde, p. 65, N. 735 (non Lam.). Dujardini, Deshayes, Traité élementaire de Conchyo- logie, pag. 783, N. 3. — M. Hòrnes, Die Foss. Moll. d. Tert.-Beck. v. Wien, p. 235, t. XXXIII, f. 7. — R. Hornes, Die Fauna des Schliers von Ottnang, pod, ded Gil. t) ” »” n ” LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 203 Due piccole valve destre; una di esse presenta una leggiera gibbosità nel mezzo della conchiglia per subîta compressione laterale. Si trova fossile nelle molasse langhiane di Guardavalle in provincia di Reggio Calabria (Seguenza); rara nel tortoniano di Montegibbio (Doderlein). 14. Lucina stRrIGOSA Mich. Michelotti, Etudes sur le Miocène Inférieur de VItalie Sept., eescteli.pl. 8. tue. 10, TI, Porzione di un piccolo esemplare, caratterizzato dalla lunula depressa e dilatata. La parte inferiore della conchiglia è al- quanto schiacciata e priva dei solchi trasversali concentrici. Gli individui descritti dal Michelotti si trovano nel Miocene inferiore di Dego, Mioglia, Mornese; come pure nel Miocene medio delle colline di Torino. Gen. Venus Lin. 15. VENUS sp. Piccola valva destra; per la forma generale di essa si avvi- cina alla Venus Dujardini Hòr., però l’umbone è più grosso e più incurvato verso l’asse mediano della lunula, di quello che non sia nella sopra citata specie dell’ Hòrnes. Gen. Cytherea Lam. 16. CYTHERFA Sp. Piccola valva destra, ovato-rotondata, mal conservata; con- vessa, quasi gibbosa posteriormente; nella parte anteriore gra- 204 E. MARIANI, datamente depressa; lunula ovale e profonda; superficie esterna con strie concentriche, regolari, equidistanti; margine intiero. Gen. Circe Schum. 17. Circe ExiMia Hor. Hornes, Die Foss. Moll. d. Tert.- Beck. von Wien, II Bd., DTA I. Un modello interno di una valva destra, su cui però si «trova porzione di conchiglia. Parecchie impronte di altre valve la- sciano vedere nettamente l’ andamento caratteristico delle pic- cole e numerose coste divergenti, ed unentisi nella linea me- diana ad angolo acuto. In generale le dimensioni dei miei esemplari superano quelle date dall’ Hòrnes dei pochi individui del bacino di Vienna. Venne trovata dal Doderlein nel tortoniano di Montegibbio. Gen. Tellina Lin. 18. TELLINA PLANATA Lin. Linné, Systema naturae (editio XII, pag. 1117). Philippi, Enumeratio Molluscorum Siciliae, t. I, p. 26. Hornes, Die Foss. Moll. des Tert.-Beck. v. Wien, Bd. II, PSA tar VIII fp. 7. Fontannes, Les terrains tertiaires du bassin de Visan. (An- nal de la Soc. d’Agriculture etc. de Lyon, I Tome, 1878, pa- gina 58.) Pochi esemplari e mal conservati; uno di essi è alquanto allungato trasversalmente. Questa specie, tuttora vivente sulle coste del Mediterraneo, n come pure nell'Oceano Atlantico, è assai diffusa nel Miocene. LA MOLASSA: MIOCENICA DI VARANO. 205 Fu trovata dal Seguenza nel Miocene inferiore (Aquitaniano) del territorio di Stilo in provincia «di Reggio Calabria; nelle marne mioceniche di S. Luca nel bolognese; ! dallo stesso Se- guenza nel tortoniano di Benestare in Calabria; dal Doderlein nel tortoniano di Montegibbio nel modenese. Il Fontannes la riscontrò nel Miocene medio del gruppo di Visan; ed il Fuchs nel piano del calcare di Leitha di Malta. * Nel Pliocene è meno diffusa. Gen. Lutraria Lam. 19. LUTRARIA PROXIMA Mich. Michelotti, Etud. sur le Mioc. Inf. de VIt. Sept., pag. 57, ubi; fig.:3. Î Riferisco a questa specie, del Miocene inferiore di Mioglia, un modello interno, coperto qua e là da porzioni del guscio. La forma generale della conchiglia è meno allungata, e la parte anteriore di essa meno arrotondata, cosicchè per tali differenze potrebbe far passaggio alla Lutraria sanna Bast. Gen. Corbula Brug. 20. CorsuLa cfr. NnEGLECTA Mich. Michelotti. Etud. sur le Mioc. Inf. de VItal. Sept., pag. 63, CdS ti 2. Un sol esemplare, mal conservato; per la forma esterna cor- risponde alla figura data dal Michelotti dell’ esemplare del Mio- cene- inferiore di Dego; è però più grande. 1 L. ForEsTI, Le marne di S. Luca e di Paderno, e î loro fossili. (Rend. Acc. Se. Istit. di Bologna, 1877.) ° T. Fucns, L’età degli strati terziarii di Malta. (Boll. R. Comit. Geol., 1874, pag. 377.) 206 E. MARIANI, 21. CORBULA sp. Piccola valva destra incompleta. Scafopodì. Gen. Dentalium Lin. 22. DENTALIUM INTERMEDIUM Hoòor. R. Hornes, Die Fauna des Schliers von Ottnang. (Jahr. der Kais. Kon. Geol. Reichs., XXV Bd, 1875, pag. 364, taf. X, neid64473) Un grosso esemplare, poco incurvato, privato della parte api- cale (diam. dell’apertura boccale 11 millim.). Le strie longitu- dinali che ornano la sua superficie, sono meno pigiate e meno prominenti di quelle della specie dello Schlier di Ottnang; verso la bocca diventano gradatamente più esili, scomparendo del tutto circa 17 millim. prima del margine boccale; carattere questo che serve a distinguerlo dal Dentalium grande Desh. (Deshayes, Descr. des anim. sans vert. découv. dans le bassin de Paris, Atlas II, pl. II, fig 1-4.), col aoala a prima vista si può confondere. è N Xi LI 23. DENTALIUM ENTALIS Lin.? Linné, Systema naturae, edit. XII, pag. 785. Hornes, Die Foss. Moll. d. Tert.-Beck. v. Wien, I Bd., p. 658, tI, £.98: Mediocre esemplare, mal conservato; leggermente incurvato. LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 207 24. DENTALIUM sp. Frammento di piccolo individuo con numerose coste longitu- dinali prominenti che alternano con costicine più minute e as- sai meno pronunciate; nei solchi limitati da esse la superficie della conchiglia è liscia. o Gasteropodi. Gen. Scalaria Lam. 25. SCALARIA ‘cfr. CLATHRATULA Turt. Turbo clathratulus Turton, A Gencral Syst. of Nat. by S. C. Linné, Vol. IV, pag. 500. — Tur- ton, A Conch. Dict. of the British Isles, pag. 208. Scalaria clathratula Wood, Monograph of the Crag Mollusca, Mol-E pag. 94.10 WII, a di di NE) Hornes, Die Foss. Moll. des Tert.- Beck. von Wien, I Bd., pag. 475, t. XLVI, IR Un piccolo esemplare mal conservato (lunghezza 4-5 millim.). Questa specie è tuttora vivente nei mari Britannici. In Italia si trova fossile nel Miocene superiore di Montegib- bio (Doderlein); e in parecchie località plioceniche, come nel Modenese (Coppi). Nel bacino di Vienna si trova nelle marne di Baden e nel calcare di Leitha. 208 E. MARIANI, Gen. Turritella Lam. 26. TURRITELLA Sp. Frammenti di modelli interni, affatto indeterminabili. Gen. Capulus Montf. 27. CAPULUS sp. Piccolissima conchiglia incompleta. Gen. Natica Lam. 28. NATICA sp. Modello interno di un piccolissimo individuo; per la forma generale della conchiglia si avvicina alla Natica helicina Br. Gen. Turbonilla Risso. 29. TURBONILLA cfr. BREVIS Reuss. Reuss, Die foss. Fauna der Steinsalz. v. Wieliccka in Gali- zien. (Sitzb. d. K. Akad. d. Wiss., LV Bd., 1867, pag. 157, taiVib:d95) Un solo esemplare alquanto schiacciato; per la forma gene- rale e dimensione della conchiglia, pel numero delle coste lon- gitudinali sull’ ultimo anfratto e per le sottili strie trasversali, rassomiglia perfettamente a questa specie del Reuss; però negli altri anfratti le coste longitudinali sono molto depresse, e ri- LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 209 dotte come le sottili costicine trasversali, sicchè si ha una più minuta reticolazione. 30. TURBONILLA SUBUMBILICATA Grat. Grateloup, Conch. foss. du bassin de l’Adour, Act. Linn., V, befipag. 276, t. VI, f. 562; Grateloup, Atlas Conch. foss. du bassin de V’ Adour, tab. XI, fig. 51, 52. Modello interno di un individuo molto più piccolo di quello delle marne mioceniche di Baden descritto e figurato dall’ Hòr- nes (Hornes, op. cit., pag. 499, t. XLIII, f. 29); ne differisce anche per avere l’ apice un po’ più ottuso. Gen. Cassidaria Lam. 31. CASSIDARIA cfr. mutica Mich. Michelotti, Etud. sur le Mioc. Inf. de V It. Sept., pag. 134, Meg. 16, Un solo esemplare incompleto; è privo del labbro e della parte inferiore dell’ ultimo anfratto. E deformato per subita pressione. Questa specie trovata dal Michelotti nel Miocene inferiore di Dego in Liguria, sì trova nel Miocene medio di Licodia-Eubea in provincia di Catania. (Cafici). 32. CASSIDARIA sp. Un modello interno coperto qua e là da porzione di guscio, il quale si presenta con leggiere strie trasversali. Probabil- mente questo esemplare si deve riferire alla Cassidaria stria- tula Bon., specie del miocene delle colline di Torino (Miche- lotti), e trovata dall’ Hòrnes nello Schlier di Ottnang. Vol. XXX, 14 210 E. MARIANI, Gen. Buccinum Lin. I pol di it asiettenibtiani te] 33. BuccIiNnuM sp. Frammento di conchiglia schiacciato. Gen. Voluta Lin. ° 34. VoLuta ANCEPS Mich. Michelotti, Etud. sur le Mioc. Inf. de l’ It. Sept., pag. 99, [OR T90. 0a Riferisco a questa specie del Miocene inferiore di Dego (?) un’ impronta di un individuo di mediocre grandezza (lungh. 18 millim.), un po’ schiacciato; rimane piccola parte di guscio. Pteropodi. Gen. Vaginella Daudin. 35. VAGINELLA DEPRESSA Daud. Daudin, Bull. d. Sc. de la Soc. philom., N. 43, fig. 1. 4 Hornes, Die Foss. Moll. des Tert.-Beck. von Wien, I Bd., | pi 663,4 L, f 42. Parecchi individui, in generale mal conservati. Questa specie, tuttora vivente nel Mediterraneo, si trova fos- sile nelle argille grigie langhiane presso Stilo, nella provincia di Reggio Calabria (Seguenza); nelle colline di Torino (Miche- lotti); nel tortoniano di Montegibbio (Doderlein) ecc. LA MOLASSA MIOCENICA DI VARANO. 211 Cefalopodi. i Gen. Nautilus Lin. 36. NAUTILUS sp. Un grande esemplare incompleto; rimane parte del guscio che mostra sulla superfitie esterna un’ornamentazione a reticolo. La conchiglia è compressa; col dorso angoloso. Da una porzione del tramezzo dell’ultima camera si vede come il sifone fosse centrale. Pavia. — Laboratorio di Geologia della R. Università. GENESI E SUCCESSIONE DELLE ROCCE ERUTTIVE. Nota del Dott. LEONARDO RICCIARDI. Lavoisier enunciò nel 1770 il principio sulla conservazione della materia e precedette di pochi anni la teorica di Hutton (1785) sulla circolazione delle rocce.* Daubrée,® riassumendo con molta precisione le idee dell’illustre plutonista, si esprime come segue: “ Hutton narra la storia del globo con semplicità pari alla magnificenza. L’ atmosfera è la regione ove le roccie si decompongono e le minuzie loro vanno accumulandosi sul fondo del mare. Gli è in questo vasto laboratorio che le mate- rie mobili sono, in seguito, sotto la duplice azione della pres- sione dell’oceano e del calore, mineralizzate e trasformate in rocce cristalline, aventi l’aspetto delle rocce più antiche, de- stinate ad essere più tardi sollevate per forza dello stesso in- terno calore, e alla lor volta demolite. La degradazione di una porzione del globo è così costantemente impiegata a edificarne un’altra, e l'assorbimento continuo dei depositi inferiori dà per prodotto sempre nuove rocce, che possono venire iniettate at- traverso i sedimenti. È un sistema di distruzione e di rinno- vellamento di cui non si può nè indovinare il principio, nè pre- 1 LyELL, Principes de Geéologie. T. 1, p. 24 e 25. Paris, 1873. ? DAUBREE, Rapport sur les progrès de la géologie experimentale. Paris, 1867, pag. 59. GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 213 vedere la fine. Come nei moti planetarî, dove le perturbazioni si correggono da sè stesse, hanno luogo nel globo dei cambia- menti continui, ma aggirantisi entro certi confini sicchè il globo non mostri alcun segno nè d’infanzia, nè di vecchiaia. , Ma il geologo francese mentre soscrive al concetto di Hutton, non ammette la continuità di processo, che ne è parte essen- ziale e strenuamente sostenuta dall’illustre prof. A. Stoppani,! a cui m’associo, perchè ne divido pienamente l’ opinione. È noto che in Italia, se difettano i terreni e le reliquie delle remote epoche, abbondano invece le rocce cristalline, dalle quali jo prendo punto di partenza per trattare, secondo il mio modo di vedere, della genesi delle rocce che emersero nella nostra penisola e nelle isole, e parto dai graniti per giungere ai leuci- tofiri e alle lave vulcaniche, che tutt'ora eruttano il Vesuvio e l'Etna. i Per dirla col Geikie, ? dobbiamo noi credere roccia primitiva il nucleo granitico apparso da una stessa denudazione in ter- reni antichi? Non pare. Questo può indicare soltanto che la parte inferiore delle formazioni più antiche può assumere la struttura granitica a preferenza delle altre. Ora, essendo il granito di origine profonda, come ne fan fede gli espandimenti attraverso formazioni fossilifere di varie età, dalle più antiche fino alle superiori secondarie ed anche terziarie, possiamo ammettere con Hutton che le rocce eruttive più recenti del granito hanno prese forme diverse, considerate dall’aspetto fisico e pure dalla loro composizione mineralogica, perchè diversi furono i materiali che contribuirono alla formazione dei diversi magma; questo fatto per altro non deve escludere che anche attualmente possono formarsi graniti, come giustamente osserva il prof. I. Cocchi, il quale su questo argomento si esprime: “se di questo feno- meno non possiamo essere testimoni o osservatori immediati, ciò deriva dall’esser mestieri, perchè noi tali fatti vediamo, che 1 SroPPANI, Corso di geologia. Milano, 1873, Vol. IIT, pag. 543. ° A. GEIKIE, Text-Book of geology. London, 1882, 214 IL. RICCIARDI, qualche fenomeno di sollevamento porti a giorno quelle parti profonde che ci restano nascoste insieme agli avvenimenti che vi hanno sede,,.‘ Le minuziose e diligenti ricerche geotettoniche e paleontolo- giche di un grandissimo numero di scienzati di tutte le nazioni e in tutti i tempi storici han permesso ai moderni geologi di poter stabilire la cronologia delle rocce eruttive. Geikie e molti altri ammettono che le rocce eruttive più an- tiche assumano l’ haditus dei graniti; questo è derivato da ciò che nei terreni delle più remote antichità questi compaiono come dicchi o sotto forma di espandimenti. Si ammette che i graniti ebbero il loro massimo sviluppo nel- l’epoca geologica denominata azoica e palezoica e le ultime eru- zioni sottomarine, secondo Geikie, s’ ebbero fino all’epoca ter- ziaria. Accompagnano i graniti i gneiss ed altre rocce cristalline. La composizione chimica di alcuni graniti e gneiss italiani è data dalle cifre che riporto nel seguente quadro: % 1 I. CoccuI, Descrizione geologica dell’isola d’ Elba. — Mem. del R. Com. Geol. d’ Italia, I, 1871. =. 10 GENESI E SUCCESSIONE, ECC. ‘AUISLO,VA 19 2 00UNIT QUONT ]9P INunI9 ‘AssaTa(g ‘299 "O *T] ‘DUILSSITI 29 SSWIUL ‘ICUYIOONI ‘Gg ‘W9pJ ‘(equa) 2/07 20 2/DULOU SSW09UL o ‘5 ‘976 “Sed ‘9881 “35 "wuryo “Ze ‘(equn) DION 20 2vULIOU 0NUuvVILY ‘ouvNa ] | ‘9981 ‘A TIOA “31 ‘1099 ‘00g eIlop “IOg ‘Danti 220070 ?P ‘403 ‘Sed ‘88[ ‘CueeiI ‘out, “ze ‘DwSSA7T ?P I 99°p 696 C9% ao - 0040081 | 00°001 i 17001 | &6°%66 88°00I | SI°VOI | 72666 07‘0 19°0 | 88°0 - = 86‘0 oL‘0 Vir pine? DE LL°0 Ip c0°G POI G80 grani" 1e6 10‘0I | €03 | 26° 97E Ta is Pea Sg» IG 80°I 811 (00 16°0 fia; i 93°I 80°I LTG 96°0 GLI 138 <6‘6 dt OET = PF Tg II cc‘ 067 La pre (E 06°3I 801 96°LI SII 07°9I 19591 ELI sip * — — 380 = ZA RR 16200) N 00‘G. CEL 26‘0L 0c‘GL 0£‘69 co‘. 60552 ie L 9 (o 7 € 3 I 0PIUVAIY ‘SIGUVIOONI ‘IT * ** * 00J0ads osag QuorzguIo[eo Jod e}paoq a OTROS AD COpIRo * *. 01ss8}od Ip opisso ‘ 0IS9USBUI Ip Oopisso sa RO O RI o) * * * OSOJI9} OPISSO * * * * OQIII9; OPpisso ‘ *. OIUIWUn][e,p Opisso * *. 80I10JSO} @pIIpiuy * © * toloI]is opiapiuy 216 . | L. RICCIARDI, Le Siemiti sono comprese dal Daubrée tra le rocce anfiboliche, ma Stoppani dice che si’ possono considerare geologicamente come varietà di graniti e ne seguono le evoluzioni. Nelle Alpi e nelle Calabrie si tengono press’a poco entro gli stessi confini dei graniti. Alcuni vulcani italiani eruttarono in- clusi di composizione analoga alla sienite. Di questa roccia non conosco che una sola analisi del profes- sore Cossa, e fo una eccezione riportando le analisi di sieniti straniere. 1 2 3 4 Anidride silicica. . . . 59,37 59,83 61,72 58,05 5 fostorica i cite 0,58 —_ _ _ 4 titanica 4 0,26 tracce — = Ossido d’alluminio . . . 1,92 16,85 13,57 LI 7dse 5 forriep.. e aa 2,02 _ — _ sr CIONEONO:. uu, 6,77 7,01 7,49 8,29 Piaatidibgcalclo» 4 sia 4,16 4,43 5,83 5,81 n “di magnesio. . . 1,87 2,61 3,33 2,07 pa e dI poLassio d9 gal. 6,68 6,57 3,37 3,24 digsedio C9° 1861 |91€1 ‘Tpyi0d 8666 . * 000N7 ]@ V}tp1oq . (1) orpos Ip orssegod ip“ orssusgeu Ip“ (14 VICINO UD * CI080190] if °° * OOIII9J ‘ OTUTTIM]]E IP OPISSO * BOIOITIS OpuIpiuV L. RICCIARDI, 218 ‘euSapieg Ip congIOd Opqio]q ‘OTOMILLY]{ 9 Ysso) ‘IZ — ‘910188ex è ©HIO POSE] 19P TPHIOK “IOUVIOONT ‘08 “61 “ST “LT ‘I ‘SI SI GI — ‘OUESNT Ip IPgIog ‘1aarno “A ‘0 TI ‘II “ | 03‘66 | 9266 |g1°00T |S1°00T |90°00T |1#°001 | €9°66 | S6‘66 | 66°66 | 06‘86 | #9°66 690° | 68 |c0f = eg'tI “eso. (ec'‘o [Te |g0 |P |ca4 (590 * * 000NF ]B BYPIR] Mai ratti 820 |L600 G0°T1 “iT9‘0 !|9er | EST |9FT |.00%%| SPE * * OIpos Ip i ale agia clone "ep! "30" (| Llp | LS (899 006° | Fe * o1ssejod 1p eee Let 90 20 go lago a” loro] #60 * osseuSewI 1p pal DE Tei etonia 9g/gl note Palo IST | ego” ceo * * OI0[Bo Ip ul ie La >) ; 4 e i {666 |L06 |16I |Gle |S9I I OST Re (IT <|Le°0 *) es |70% ‘+ * 001410] 19°€T |L8‘PI |SH'IT [PSI |VeSeI |SL'II | IS68I oa 00°3I | 96°£I ‘* OTUTWIN[[B Ip Opisso 8u'GL | T6'IL [COL |6c49L |ee'oL |[19°L2 | po'LL | gofeL | T8°4PL | op'oL | 9S*EL * * BOIOI]IS SpiapIuy IG 08 6I 8I LI 9I GI DI EI GI LI *IPpyIoq GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 219 Diorite, Eufotide e Rocce pirosseniche. MIA RAI Anidride silicica . . . | 60,12] 59,91] 56,46 | 55,58 | 56,13 i ae fosfonicat vet | 0,84|tracce| 0,20) — -- _ Ossido di alluminio . . | 14,63| 19,73] 20,19] 18,58] 15,98] 22,46 dr ferricome vini |-3,06|-.8,38.|---4,36.|.-5,49 i Liana I MIRErRao tt '7,24| 0,36] 5,00%]. __129|- — ; rneci calcio, t.,.1.® IR 5. 60,097) 12.054,90. 5:20 dedi magnesio. >... 333205 2,660.1, 1,08: (0,912, 197 BUG potassio. io. 3,69| 1,06| 1,00 fu posi 009 a di-sodio-.;..-. —. 2.025 LLIOn I 29:09 i 5,69 Perdita”al fuoco ;-. ..! . bD3f- 1,29 |\(<1,6Li Z0ork 3,281 — 101,13 |101,04|101,02 | 99,59 | 100,00 | 98,27 1. Cossa, Diorite quarzifera porfiroide (Cossato). Ricerche chimiche- microscopiche (1875-1880). Torino, 1881. 2. RosemBusca, Diorite quarzifera. di Eufotide d’Ivrea. R. Accademia dei Lincei. Roma, 1878. 4. E. DRECHSLER, Eufotide del Monferrato. 5. Cossa e MarmiroLo, Diorite quarzifera porfiroide (Sardegna). Op. c. 6. \VALTERSHAUSEN, Roccia pirossenica (Griinstein) in dicchi. Valle del Bove. Etna. I bdasalti e le doleriti, secondo il prof. Stoppani, si direbbero destinate a continuare la rapppresentanza delle rocce pirosse- niche nelle epoche più recenti, come le trachiti a perpetuare, sott’altra forma, le rocce granitiche, colle quali vantano una identità di composizione. Si disputò assai sulla cronologia relativa dei basalti e delle trachiti, e si propende in genere a voler queste più antiche di quelli. — Su questo argomento l’illustre geologo dopo di aver citato diverse formazioni trachitiche e basaltiche tanto subacquee quanto subaeree delle epoche terziarie e qua- ternarie, conchiude che le trachiti, sotto le forme più speciali delle rioliti, delle lipariti, delle andesiti segnalano i vulcani più recenti di tutto il globo. Composizione chimica delle rocce italiane di questo gruppo: *BUVITEI] BOIWIIYO) VYIOZZEL) ‘02/2029 Dop 11vsvq T ‘anviDzag è IOUVIOOIY ‘GI 9 I ‘OTT (6238 ‘19h — ‘asuvun 04pvnd 2p VIP (CUIH OP BOITUE RABT]) 0740)07 ‘XIAVSSW] © NASOVASYAIIVA “I EL'66 | L8°66 | 904001] 98666 | cele | este | 6966 | 93/001 sm GH'0OI 60 CP 0 a > “a sa ca = =. 06‘3 18‘ 18° cHe OST | 82° Op i Ost 03° TESI 89‘0 16° GICI LPI | £6°%0 T8îe — 20 867 TL°G LL'9 91°8 20‘8 1049 | 5169 689 | 39° €3°0I GGI | SS0I | 10401 | poor | ze°9 969 88°9 19‘ 89° OI | 61° 81° | Le uL'a L. RICCIARDI, (<>) pol Cai (ep) (de) co DI np) do) GN rq -) (e ©) Ss bal Tee | 681) 688 | 012 | 2531 | OL'TI | ce È erel | gog TRECI |_O8PI | 8661 | CEST | COSI | VET | 20 | og'E1:| E*21 = ezio Ret Otis Sissi | dl cz‘ CER | L84665 | e1°8S TR‘OS | 09'0S | O1°3S | 9885 | 665 | 80497 GI II OT 6 8 L 9 È y 39001 08°001 87e 601 08°9 COTTI 96°0 VECI 1781 CI GG'OP G €166 e .>à>.L%!}tml!îhiliél E” i“ rm im —____—_ ‘ *eNpaod °*.032N si Op ‘08° © "E 0.50 3 or è Zi ° * £031V * * «0254 1 * 0.18 220 ‘LIDO g 0 1M1usvg GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 221 Le trachiti, le rioliti, le lipariti, le pantelleriti, ecc. ecc., sono rocce terziarie che furono eruttate in un periodo di tempo in cui avveniva il più importante dei sollevamenti, quello cioè che formava per intero l’Apennino e innalzava le Alpi. — Ér- roneamente si vogliono scorgere differenze tra le vere trachiti, le lipariti, le rioliti e le pantelleriti, cosa che io non ammetto, perchè considerate dal punto di vista chimico, come lo dinotano le cifre che qui sotto riporto, non ve ne scorgo alcuna. Nel gruppo delle trachiti comprendono i geologi molte rocce, poco curandosi della loro composizione. — Io, considerando le cifre indicanti la composizione delle rocce che genericamente si dicon trachiti, vi scorgo tra quelle eruttate in epoche remote ed altre più giovani, la stessa differenza che si nota tra il gra- nito e lo schisto o il granito e le doleriti: Ecco le cifre dimostrative: Granito (Messina) Trachite (M. Venda-Euganei) Si 0° 74,09 74,78 Ph. 0,41 _ PVEZOL 15,13 13,10 Fe 0 2.38 1,71 Ca O 2:92 3,17 Mg 0 0,97 5,20 K20 2,34 0,84 Na? 0 0,85 0,29 Perdita al fuoco 0,70 0,31 99,74 100,00 Schisto (Messina) Dolerite (Etna) Trachite leucitica (Roccamonfina) Si 02 57,67 55,36 55,08 Ph 05 0,38 — De sa 8 1,92 21,02 17,25 e? 03 — FEO 9,10 Né 9,33 Ca O 3,19 8,21 7,34 Mg 0 3,29 2,18 271 KO 3,86 5,32 Na?0 © 1709 HE 1/86 Perdita ‘3,19 — OL 99,69 99,73 99,12 Riporto intanto le analisi delle trachiti ecc. delle diverse con- trade d’Italia: ‘(roueSinz) uodoz “Wp “ n SE ‘(toueSnA) 077 ‘VII 10 9UPDIT ‘HIVY] WOA ‘5 ‘0T "(GL81) 0UDIINA ?P aidud9 riog ‘6 "1 10dvT @ vUumpisso ‘HITV ‘8 ‘2 4uvAVvT ‘XIAVSSVI] ‘) sa a. NINAVT ‘MaziIvEg ‘9 ‘(AIporg) OUDANA ?P 9NMUVAT “ITIOT ‘G ‘200.000)993UOVT ‘IANISUTO,I ‘7 *10dvT pw vunIpisso ‘Saziivg ‘E n È S UIL], “ ore ‘(ioueSnag) Dpuag 9]UONT W 270007 ‘HLvY wIOA “9 ‘I Z ||0000T | 00/001 | FOOT | L8°6 |004001 | C6°66 |08°66 |00001 | 0966 |004001 |S9'101 ee —_ __r_r__ o —— dl i. 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RICCIARDI, *(erIo[[oqueg) Vu mIsMI 271S9Puy ‘TANISIZO,L ‘OI ‘(istpeute ZI IP VIpowa) 004957 P 9UPIT ‘SHONT O HIV ‘6 ‘(erIo][ojueq ‘9pueao) 97uog{) 27259Pup ‘“TINISTIO,] *g ‘004691,7 AUDI VP DIDUI INYMIT (IAUVIVONI ‘) “ 0904 22U0]7 19P 922UOT ‘SHOA,]J ‘9 ti OSAP 219P 99VY/IVAT ‘HOITY ‘G ; ‘(empos]) 0402027 29 DUDIPisso ‘SHOAN ‘% 6 “ . 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RICCIARDI, I leucitofiri, che rappresentano le recenti fasi vulcaniche, ebbero enorme sviluppo nell’ epoca quaternaria e il prof. Stop- pani scrisse che “il regno dei leucitofiri sono i vulcani quater- nari d’Italia, risultandone talora quasi esclusivamente composti i conì di Bolsena, di Vico, di ROCPSIOCA AE ecc., del pari che il Vesuvio e l'Etna ,. Il chiaro geologo, dopo altre considerazioni viene in queste conclusioni : 1.° Colla successione delle epoche geologiche variano, come le faune e le flore, i prodotti vulcanici. 2.° Ogni famiglia di rocce eruttive presenta un certo pe- riodo, più o meno lungo, durante il quale è destinato a com- parire, svilupparsi e perdersi. 3.* Rocce di diversa natura furono prodotte nella stessa epoca dagli stessi vulcani. 4.° Le rocce eruttive si possono dividere in due grandi gruppi fondamentali, alluminose e magnesiache. Esse si tengono sopra due linee approssimativamente parallele, cominciando colle epoche più antiche e continuando fino alle più recenti. Ecco intanto la composizione chimica delle lave recenti e dei leucitofiri dei vulcani italiani: GENESI E SUCCESSIONE, ECC. | | LT 6V°7 GO 61 FA ELI OI 89°£I #8 6 pE SI EI E8°8F morge,) =“ ‘(6181) 4 ‘(TL8I) 00ansa4 19p ‘(9881) “ (6281) È 1 ‘(GERT) VUIT 29P (44 (44 (14 [91 ‘DIM2AZRUDT OST ;1}2p 2uorzzAO VULLZ]N ,219p ‘(T887) vapunwpsag DIOSI MP VAVT *1IONHOMA[ 0 1U990I QAUT E “ ; “” [04 » “ “ i « “ a ‘« “ È (44 {4 CT‘ . ICH VIOOIY “ “ " “% 6“ ‘TINISUTO q ‘g wi ‘(tou QuoN) Yog w vang ‘anvioaIg ‘T 8666 | 01°00T |9s'o01 | ez'oo1 | es'oor |estvor | e2‘66 L8466 | 89‘66 19001 | gl SER LR seri era UE E AA E DA AR (£0G |K63 606 (686 | 96% | 186 | egg [cs | SERE DE dba BIO INE0.T FS:0E8807. 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RICCIARDI, 88°0 8g CL'9 GE9 GEE 000CI] 130 t OL°8 97°9I 070 8F'9F IO LV E61 01° 658 Q90V4]} ELE 62°0£ GV] 88°G L8°g 10°01 O090VJZ ESP 19°0 6861 ESI CILE er I rp ‘I}U9991 QAV[ @ 11YOFONO] « ‘QUAYVN ‘L9 9 “ ‘ARL 1X0( ‘G “ ‘IGIVIODIY ‘f “ ‘SHO0 J ‘e (13 ‘HOIE Y ‘7 * * 000NJ} [8 6HpIog * 5° ZOIpos cip f * oIssegod ip“ ‘orsouseu Ipo “ * OI0[eo Ip È osougduguI Ippo“ OSOI19] ) * * * 00LI49J Li ‘ OTUIUIN]]E IP_OpIssO VILIOJSOJ È ‘> WolOINIS Apiapruy GENESI E SUCCESSIONE, ECC. a20 Faccio qualche considerazione sui fatti precedentemente ac- cennati. | I graniti, si ammette siano le rocce che furono eruttate nelle epoche più remote. Essi in Italia sono molto diffusi; costitui- scono per la massima parte le Alpi che a guisa di semicerchio pare siano stati messi lì dagli sconvolgimenti geologici per di- fendere la nostra penisola dalle invasioni nordiche. La stessa roccia troviamo sviluppata sopra una considerevole estensione di terreno nell’ Italia centrale, nel Monte Gavorrano, nelle Isole d’ Elba, di Montecristo e del Giglio; le amime di sasso, così abbondanti nel Monte Amiata, non sono che frammenti di rocce granitiche. Altri graniti coevi a quelli delle Alpi si riscontrano nelle Calabrie e formavano un tutto con quelli della Sicilia prima che si separassero. Ma oltre queste formazioni, ho ragione di credere che ad una certa profondità sotto la catena Apenninica non debba esservi altro che granito o rocce del suo gruppo; i seguenti fatti che riporto corroborano la mia ipotesi. Nei lapilli dei dintorni di Vico, a ponente di Roma, si tro- vano frammenti di rocce analoghe alla sienite. I vulcani Ernici eruttarono blocchi di granito ad ortose bianco e mica nera. L’isola di Ponza è costituita da una roccia che dicono trachite quarzifera che assomiglia ad un minuto granito, e della stessa roccia pare sia formata l'isola Palmarola. Il Vesuvio ha riget- tato spesso rocce granitiche e sienitiche e secondo Humboldt costituite da feldispato bianco giallastro, quarzo grigio e mica argentina. In diverse epoche ne furono raccolti pure dal Mon- ticelli, Scacchi, Palmieri, Roth ed altri. Le isole Eolie che si trovano tra il continente e la Sicilia sono costituite per la mas- sima parte di rocce molto acide e l’abate Spallanzani, nel suo Viaggio alle due Sicilie, descrive le lave di Basiluzzo e di Panaria, isole del gruppo delle Eolie, come composte di quarzo, feldispato e mica. Sulla cima dell’ Etna furono raccolti pezzi di granito stannifero.! Rocce granitiche ne furono raccolte dal Pilla sulle 1 C. GEMMELLARO, Sopra alcuni pezzi di granito e di lave ‘antiche trovate presso la cima dell’ Etna. Catania, 1823. Da 230 L. RICCIARDI, pendici dello Stromboli. La base dell'Isola Pantelleria, secondo Foerstner, sembra formata d’un granito anfibolico della varietà detta granitofiro da Rosenbusch. Frammenti di granito e di sienite trovarono Scrope e Doelter nel tufo dell’ Isola Ventotene (Ponza). La Sardegna e la Corsica sono costituite per la mas- sima parte di granito e di altre rocce cristalline. Infine il Monte Venda e Cattaio negli Euganei, constano d’una roccia tanto quarzifera da farla considerare come un granito leggiermente modificato; ed il granito dell'Adamello, che forma il nucleo centrale del gruppo delle Alpi Retiche, si presenta come un anello di congiunzione, interessante sotto l’aspetto litologico, fra il granito e la diorite, ed è indifferente chiamare quella roccia diorite o granito. Quindi la nostra penisola è chiusa in una specie di elissoide granitico aperto sul versante Adriatico e della stessa roccia pare sia costituita nei baratri ove si accendono i fuochi vul- canici. Il granito dai Nettunisti viene considerato ancora come roccia sedimentaria e per loro a nulla valsero le ingegnose e classiche esperienze del Daubrée, che ottenne i componenti mineralogici del granito, esponendo delle argille all’azione combinata del- l’acqua soprariscaldata e di forte pressione. Le esperienze no- minate non ammettono più dubbi sulla genesi idrotermale di questa roccia, inoltre con esse è stato dimostrato sperimental- mente ia teoria di Hutton, poichè sostanze incoerenti messe in un tubo di ferro a pareti resistenti in presenza dell’ acqua e per l’azione del calore si trasformarono in sostanze cristalline. Le successive esperienze di altri e specialmente quelle di Fou- què e di Michel-Levy hanno strappato l’ultimo velo agl’incere- duli seguaci della scuola Nettunistica. Gli egregi esperimentatori francesi hanno dimostrato come nei crogiuoli dei nostri Labora- tori di Chimica si possano fabbricare rocce di composizione mi- neralogica analoga a quelle uscite e che escono ancora ai giorni nostri dagli immensi focolari del Vesuvio e dell’ Etna. Seguendo sempre lo stesso metodo sperimentale, ottennero una roccia iden- tica ai basalti dell’Auvergne. GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 291 Con i risultati di sintesi chimica ottenuti da Fouquè e Michel- Levy ed altri si sa come si possono fabbricare nei Laboratori. rocce tipiche simili a quelle che sono eruttate dai vulcani e che queste come era stato precedentemente dimostrato dalle ricerche microscopiche constano in generale di pochi minerali fondamen- tali e questi d’ un limitatissimo numero di elementi chimici quali il silicio, l'ossigeno, l'alluminio, il ferro, il calcio, il magnesio, il potassio ed il sodio. Giovandomi di molti fatti rigorosamente scientifici, nel 1883 a proposito dell’ eruzione eccentrica dell’ Etna e delle bombe quar- zifere da me raccolte e descritte la prima volta e del puro quarzo di cui esse si componevano, formulai una teoria sulla for- mazione delle lave vulcaniche, e cercai di spiegare pure la for- mazione dei minerali, che sono parti integranti del magma la- vico. In questi anni decorsi, per altre esperienze mie e di altri, mi sono convinto ancora di più che la mia ipotesi, poggiata, ri- peto, su fatti scientifici, non lascia più alcun dubbio. Il microscopio ingegnosissimamente applicato fin dal 1838 dall’illustre Sorby alla petrografia, e che solo da pochi anni dal mio maestro, il chiaro prof. A. Cossa e poi da altri scienziati, viene usato per lo studio delle rocce italiane, applicato alle ri- cerche dei componenti delle rocce, ha già dato il suo responso sul maggior numero delle rocce, quindi si sa quali sono i mi- nerali nelle formazioni delle diverse epoche geologiche. Ma io prendo a considerare le rocce eruttive italiane esclusivamente dal punto di vista della loro composizione chimica, perchè trovo che l’eloquenza delle cifre mi soddisfa di più. Però, siccome un ragionamento fatto sui singoli componimenti riescirebbe molto complicato e potrebbe generare confusione, così mi limito a con- siderare le rocce dal principale loro componente quale è la si- lice Si 0°. Nei graniti, nei gneiss e nei porfidi trovo che il quoziente di silice si conserva quasi costante ed oscilla dal 60 °/o minimo al 76 °/. Le basi, ad eccezione di lievi differenze, specialmente negli alcali, sono quasi sempre costanti. 232 L. RICCIARDI, Le sieniti che indubbiamente vanno comprese nel gruppo pre- cedente, le considero per ora separatamente, perchè da una sola - analisi di sienite italiana, almeno che io sappia fatta dal pro- fessore Cossa, risulta che in questa roccia pel suo tenore di silice 60 °/o si approssima più alle dioriti. Nel gruppo delle rocce dioritiche, ofitiche e pirosseniche, trovo in generale, che la qualità di silice pure è variabile come nel primo gruppo ed oscilla dal 56 al 60 0/0. Le doleriti ed i basalti, presentano una differenza meno se- gnalabile di quella delle rocce precedenti, perchè la quantità di silice in esse varia dal 49 al 55 %/0 e le basi, ad eccezione della; calce e della magnesia, si mantengono costanti. i Le trachiti, le lipariti e le pantelleriti, hanno una composi- zione chimica analoga al granito ed alle rocce del suo gruppo. È rimarchevole il fatto che le lipariti delle isole Eolie ed i ma- teriali eruttati fino allo scorso anno da Vulcano, hanno una composizione identica alle rocce cristalline delle Calabrie e di Messina, quindi mi pare logico il dedurne che quei vulcani at- tingono nei loro parossismi il materiale dalle bolge granitiche. Le trachiti, le fonoliti, le andesiti, ecc., hanno una composi- zione analoga alle sieniti, alle doleriti, ecc. Nelle rocce appar- tenenti ad alcuni vulcani della Campagna romana, ai Campi Flegrei, all'Isola d’Ischia, all'Isola di Pantelleria, ecc., come può rilevarsi dai quadri indicanti la loro composizione, la silice oscilla di 55 al 62 circa per cento. Le lave recenti ed i leucitofiri contengono un quantitativo di silice in meno di circa il 10 °/ delle trachiti meno siliciche, e qualora poi paragoniamo la quantità di silice contenuta in queste lave con quella delle trachiti antiche e del granito, la differenza è significantissima, perchè è di circa il 25 per cento. Su questi fatti importantissimi io chiamo tutta l’attenzione dei geologi, poichè dal confronto dei componenti delle rocce delle diverse epoche geologiche, io scorgo che si possono dividere le rocce stesse in due grandi periodi. Nel primo comprendo i graniti, i gneiss, i porfidi, le sie- niti, Je dioriti, le rocce pirosseniche in genere ed i basalti. GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 233 Nel secondo si aggruppano le trachiti, le lipariti, le pan- telleriti, le fonoliti, le andesiti, ecc., e le lave moderne. ° Le rocce del primo periodo, ad eccezione dei basalti, che non si rinvengono nelle Alpi,! si rinvengono nel gruppo delle rocce cristalline delle Alpi e delle Calabrie, quindi dobbiamo ritenere, perchè geologicamente è stato dimostrato con lo studio della tettonica di queste formazioni, che dopo il granito vengono successivamente le altre. Ora se confronto la composizione chi- mica delle rocce che comprendo nel 1.° grande periodo, scorgo che la silice va sempre decrescendo dal granito al basalto, e perciò io considero questa roccia come la più giovane del pe- riodo. ° Le trachiti italiane furono eruttate, forse quando scomparve la Catena metallifera del Savi, ma con certezza poi coll’emergere degli Appennini, perciò in un periodo di grande sconvolgimento nella nostra penisola, e quindi quella forza che mise in luce l’attuale grande catena calcareo-magnesiaca, sollevò da imi e reconditi luoghi pure le rocce più antiche, (Cocchi, Lotti, Dalmer ed altri ammettono che in quell’epoca probabilmente fu solle- vata pure la massa granitica di Monte Capanna.) ma queste essendo le più profonde non emersero come emerse la Massa granitica di Monte Capanna e quelle delle Alpi. Dai vulcani peninsulari ed insulari dell’epoca terziaria come 1 Colli Euganei, Monte Amiata, Pantelleria e forse prima sot- tomarini e poi subaerei e subacquei eruttarono le rocce trachi- tiche le quali considerate nella loro composizione chimica, come già ho accennato, sono analoghe alla granitiche; e per me rap- presentano il principio del secondo grande periodo, come il granito è, molto probabilmente, il rappresentante del primo, poichè la trachite non è altro che un granito modificato. ‘Dopo le trachiti furono eruttate le altre rocce che io comprendo in questo periodo, e per far risaltare il rapporto che passa tra le 1 E. Cortes», Sul?’ esistenza di un dicco basaltico presso Palmi, in Provincia di Heggio Calabria. (Boll. del R. Com. Geol. d’Italia.) 1885, p. 338. 234 L. RICCIARDI, rocce del primo e del secondo periodo confronto la quantità di silice contenuta nelle singole rocce per non riportare le cifre degli altri componenti: 1°. Periodo: 2.° Periodo: Granito. 74,09 74,78 Trachite; Porfido 69,40 68,33 Pantellerite; Diorite 60,12 60,24 Andesite; Eufotide 55,58 55,08 Trachite leucitica (Roccamonfina); Dolerite 53,36 54,41 Leucitofiro (M. Vico-Viterbo); Basalto 49,92 49,66 Lava dell’ Etna (1879). La uniformità di queste cifre mi induce a fare altre conside- razioni. Le rocce del 1.° periodo si rinvengono nelle Alpi, nelle Ca- labrie, nella Sicilia, nelle isole Toscane e nella Sardegna, ciò vuol dire che furono eruttate da vulcani sottomarini e poi emer- sero. Regolarmente se non ci fosse stato quel grande sconvol- gimento nei primordî della formazione terziaria, forse i vulcani Veneti e dell’Italia centrale non sarebbero comparsi, ma essendo avvenute delle eruzioni ed avendo emesse rocce che ad alcuni geologi non ripugna chiamare trachite granitoide, ciò vuol dire che col sollevamento degli Apennini vennero portate pure in su le rocce più profonde di tipo granitico. | Accesisi i fuochi vulcanici, dalle ignivome bocche vennero eruttate rocce d’una composizione chimica e spesso pure mine- ralogica identica al granito. Avvalora questa mia asserzione il . cratere Vulcano delle Lipari che erutta materiali di composi- zione analoga ai graniti del vicino continente e della Trinacria. Le prime rocce eruttate dalla Pantelleria e dal Monte Venda negli Euganei sono anch’esse nettamente granitiche. Quindi i vulcani che incominciarono le loro fasi in quell’ epoca geologica, eruttarono rocce di composizione analoga. Su questo proposito riporto quanto scrisse Scrope (Les vulcans, p. 494) “in breve nei caratteri distintivi di un vulcano, di una roccia o di una: GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 235 regione vulcanica, di una parte del globo o degli antipodi, vi ha tale identità, che si direbbero prodotti a fianco l'uno del- l’altro. Gli è la stessa cosa, come ognun sa che si verifica pei graniti plutonici, per le sieniti, pei gneiss, per gli schisti e pei trapp, ossia per le rocce vulcaniche antiche, la cui composizione minerale, la cui struttura, le cui relazioni cogli strati sedimen- tari da loro attraversati, i cui caratteri generali, in una parola, sono gli stessi per tutti i punti del globo ,. Le rocce, che io comprendo nel 1.° periodo, sono quelle pre- cedentemente indicate, cioè dal granito al basalto, e una prova evidentissima della teoria di Hutton e della successione delle rocce del 2.° periodo (dalla trachite alle lave moderne) ce l’of- fre l'Isola di Pantelleria, che come è noto emerse nell’ epoca terziaria, la quale nelle rocce antiche mi dà il tipo granitico (liparite), poi fonolitico, andesitico, e finalmente rocce basal- tiche, che sono le ultime eruttate dall'isola. Le cifre che riporto le ho tolte da una pregevole pubblicazione del dott. Foerstner: Liparite Roccia S. Marco Fonolite Andesite Basalto Silice 73,1% 67,8 9/o 61,4 °/o 493090 Densità 2,6 °/o 2,6 °/o Dako 2,98 °/o Ora sia per la graduale diminuzione nella quantità di silice dalla roccia tipo-granitico all’ ultimo tipo-basaltico, che per la differenza nei pesi specifici delle suddette rocce, si rileva il gra- duale passaggio dalle rocce acide alle basiche, metamorfosi ve- rificatasi nella stessa isola con le successive eruzioni, come dalle ricerche di Cocchi, Lotti e Nessig risulta che le rocce feldispa- tiche dell’ Elba siano una modalità d’ una stessa formazione, e l’istesso fatto rilevasi nella roccia d’Orciatico presso Monteca- tini, che presenta tre tipi: la trachite micacea identica a quella di Montecatini, una trachite a grana minuta. e una varietà nera, compatta di aspetto basaltico. L'Isola di Pantelleria nelle sue successive eruzioni subacquee cà porge esempi indiscutibili del graduale passaggio di una roc- 236 L. RICCIARDI, cia da un tipo ad un altro e, se esco dall'Italia, trovo che si- mili fatti si ripetono nei vulcani d’ Ungheria che dapprima erut- tarono trachiti, poi seguirono le andesiti e le daciti e finalmente le rioliti ed i basalti. In Boemia invece le lave eruttate dai vulcani nello stesso periodo di tempo furono dapprima delle fo- noliti e quindi dei basalti (Richthofen). Ma in Italia abbiamo ancora un fatto eloquentissimo e che presenta un interesse speciale sulle relazioni fra i graniti e le trachiti ed è ciò che si vede nei Monti di Campiglia e Ca- stagneto nella maremma Toscana. Da una massa di liparite cordieritica ben caratterizzata, che presso Donoratico ha inte- ressato gli strati eocenici senza alterarli menomamente, dipar- tonsi filoni, che presso Campiglia attraversano i calcari del lias inferiore. La roccia di questi filoni©è un porfido quarzifero pure con cordierite. * Rosenbusch, Lossen, Zirkel, Mac Pheyon, Havves, Hall, Traill, Jukes, Geikie, Credner e molti altri, constatarono essere il por- fido quarzifero, in molti casi, una modalità del granito. Presso Donoratico nel botro della valle S. Maria un filone di circa 3 metri di spessore, che staccasi manifestamente dalla massa trachitica, penetra negli scisti varicolori a Posidonomya Bronni del Lias superiore, in forma di porfido in cui il feldi- spato in grossi cristalli geminati non è affatto vetroso e la cor- dierite è convertita in pinite. È a notarsi inoltre che, mentre la liparite in massa è molto micacea, di color grigio, ruvida e friabile, la roccia dei filoni è assai meno micacea o non lo è affatto, di color chiaro e compatissima. ” Su tal proposito nota il Dana ® “che la trachite differisce solo per l’aspetto e per il tatto dalla felsite, che rientra nelle varietà del granito. L’avere le trachiti i cristalli d’ortosio tras- 1 G. vom RATH, Die Berge von Campiglia. Zeits. G. Gesell., XX, 1868. © Nn ? B. LOTTI, Sulla età e sulla origine dei graniti Toscani. Boll. Comit. Geologico d’Italia, 1884, N. 3 e 4. 8 I. DANA, On some points in Lithology. Am. Journ., 3, XVI, 1878. GENESI E SUCCESSIONE, ECC. 297 lucidi è differenza troppo piccola mineralogicamente, non meno, cronologicamente per tener separate due rocce. Il prof. G. Ponzi dice che le trachiti romane hanno aspetto granitico a porfiroide. Infine gli studi di Savi, Pareto, Pilla, Meneghini, Cocchi, D’Achiardìi, Studer, Krantz, Fournel e Lotti, trovano una stretta correlazione genetica fra il granito tipico dell’ Elba e le prossime trachiti (lipariti) del continente. Conchiudo che le prime eruzioni trachitiche non rappresen- tano altro che i graniti modificati nell'aspetto fisico e non nella composizione chimica e che le successive eruzioni dalla stessa bocca vulcanica ejettarono rocce d’un altro tipo, come quasi simili modificazioni presentano le altre rocce che accom- pagnano il granito. SULLA STRUTTURA DELL'INTESTINO DEI CROSTACEI DECAPODI E SULLE FUNZIONI DELLE LORO GLANDULE ENZIMATICHE. Ricerche di GIACOMO CATTANEO PROF. AGGIUNTO NELL’ UNIVERSITÀ DI PAVIA (Con una tavola) Sommario: I. La fisiologia comparata della digestione negli invertebrati. — II. Storia. — III. Tecnica. — IV. Struttura dell’intestino dei decapodi (Palinurus, Homarus, Palaemon, Dromia, Maia, Eriphia, Carcinus, Platyonichus, Portunus). — V. Fun- zioni delle glandule enzimatiche dei decapodi. -— Bibliografia. — Spiegazione delle figure. Ii # LA FISIOLOGIA COMPARATA DELLA DIGESTIONE NEGLI INVERTEBRATI. DI Come ogni organismo, anche la scienza è soggetta a una continua vicenda di variazioni e rifacimenti: ogni problema ri- solto ne fa scaturire parecchi altri da risolvere, e, per quanti studi si facciano, niuna questione viene esaurita mai. Ecco per- chè, mentre da un lato l’istologia, l’embriologia e la fisiologia si associano per diradare le molte tenebre che ancora circon- dano il più complesso degli apparati organici, il nervoso, ve- SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 239 diamo dall’altro lato la chimica fisiologica riprendere sotto nuovi punti di vista e con nuovissimi risultati il più semplice dei pro- blemi organici, la digestione, sul quale poteva parere che, in parecchi punti, la scienza avesse detta l’ultima parola. Le nuove ricerche invece hanno dimostrato che a proposito dei processi digestivi correvano parecchi concetti erronei e un in-- dirizzo unilaterale, essendosi applicate all'intera serie degli ani- mali le conclusioni ricavate dall'esame di pochi animali supe- riori. Fra quanti hanno contribuito ai recenti progressi della fisio- logia della nutrizione in generale, e della digestione in partico- lare, dobbiamo citare i bei nomi di Hoppe-Seyler, Gorup- Besanez, Weber, Plateau, Jousset de Bellesme, Bernard, Bourquelot, Frenzel, ma su tutti ha una pre- minenza incontestabile il Krukenberg. Egli ebbe la decisa e feconda idea di studiare la fisiologia comparata della digestione, cominciando dagli esseri più semplici, e finì per concludere: “io credo che i più interessanti problemi della fisiologia compa- rata della digestione saranno risolti solo con lo studio degli animali inferiori ,. Prima di entrare nel mio argomento, trattandosi di ricerca fondata sui nuovi metodi dei citati autori, credo mio dovere dare uno sguardo allo stato in cui attualmente si trova, spe- cialmente in seguito agli studi di Krukenberg, il problema della digestione nei varî animali, cominciando dagli inferiori. * I protisti unicellulari non posseggono solo la proprietà dell’o- smosi, come osservò Dujardin, ma anche sciolgono nel loro 1 C. F. W. KRUKENBERG, Unters. a. d. physiol. Instit. d. Universitàt Heidelberg (1877-78) (Zur vergl. Physiol]. der Verdauung — Insecten, Krebse, Wiirmer, Mol- lusken, Fische. — Vergl.-phys. Beitràge zur Kenntniss der Verdauungsvorginge. — Ueber die Enzymbildung in den Geweben und Gefàssen der Evertebraten. — Nach- trag zu den Unters. iber die Ernahrungsvorginge bei Colenteraten und Echino- dermen.). Vergl. physiol. Studien an der Kusten von Adria (1879-81) (Weitere Stu- dien uber die Verdauungsvorginge bei Wirbellosen. — Nachtrage zu meinen vergl.- pbysio!. Unters. iber die Verdauungsvorgange.). Wergleichend-physiologische Vor- trige (1886) (Physiologie der Verdauung). 240 G. CATTANEO, interno le sostanze frammentarie introdotte e le assimilano. Gli eliozoi devono, secondo Brandt, avere acidi per sciogliere, come fanno, le spicule di acantina. Dall’ Actalium septicum si trasse un enzimo che digerisce l’albumina,' e Engelmann constatò che il protoplasma delle amebe e degli infusorî ha una reazione acida. Nell’Amoeba verrucosa, Maggi? ottenne chiaramente la reazione del glicogene; idrocarburi, amido e altri materiali di riserva osservarono Certes, Biitschli ecc. nelle gregarine e negli infusorî. Anche il fenomeno della simbiosi dei protisti e delle alghe, studiato da Brandt, ha una connessione diretta coi fenomeni della digestione. * Nelle spugne (Suberites) Krukenberg trovò la Zooneritrina, sostanza che, sotto l’influenza dell'ozono producentesi nell’ or- ganismo, si trasforma in materiale utile per la spugna, come i carburi idrati per le piante. Quanto alla digestione, constatò che, ponendo sulla superficie esterna delle spugne dei fili di fibrina cruda, essi vengono assorbiti in 24-36 ore, mentre, in- trodotti nell’ interno, rimangono invariati assai più a lungo. Eppure le spugne non trasudano alla esterna superficie alcun succo digerente, come pretendeva Miclucho-Maclay; la loro digestione avviene in ben altro modo. Le singole cellule inclu- dono in sè le particelle alimentari, come fanno le amebe, e le digeriscono nel loro protoplasma. Ecco un primo e importante risultato dello studio in senso ascendente dagli unicellulari ai pluricellularii — Non è vero che negli esseri pluricellulari, 0 metazoi, la digestione chimica si operi sempre col mezzo di se- crezioni liquide o succhi digestivi versati all’esterno: essa. co- .mincia invece sotto la forma di digestione intracellulare o en- docitica. 1 KRUKENBERG, Ueber ein peptisch Enzym im Plasmodium der Myxromyceten. Un- tersuchungen ecc. Vol. II, 1878. * L. MacgGI, Di alcune funzioni degli esseri inferiori a contribuzione della morfo- logia dei Metazoi. Rend. Istit. Lomb. Ser. II, Vol. XVII, fase. XIII, 1885. ® K. BRANDT, Fùrbung lebender einzelliger Organismen. Biol. Centralblatt. 1878. Das Zusammenleben von Thieren und Algen. Biol. Centralblatt, 1881 (Vedi anche: Mitth. aus d. Zool. Station zu Neapel). SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 241 Nelle meduse e nelle attinie l'assorbimento della fibrina si osserva ben più rapidamente che non nelle spugne. Fritz Miiller® trovò che dei frammenti di muscolo di gambero si scioglievano se venivano addossati, per 10-12 ore, ai fili marginali della Tamoya hoplonema, mentre rimanevano intatti nell’acqua pura. Anche qui la digestione è puramente protoplasmatica; non si trova un succo digerente, chè i secreti mucosi superficiali e i liquidi interni, anche alla temperatura di 38°-40° C., non hanno dimostrato alcun potere digestivo. Metschnikoff e Lankester, avendo trovato delle cellule mobili sul fondo anteriore delle cavità, avanzarono l’idea di una digestione intercellulare. ° Nei vermi comincia ad aver luogo la digestione secretiva o con succhi digerenti. Questa nuova forma di digestione signoreggia, con ben poche eccezioni, negli anellidi, echinodermi, molluschi, artropodi, tuni- cati (salpe) e vertebrati. Tutti i succhi digerenti, o enzimi, agi- scono massimamente verso i 40° C. Sono prodotti da varie glan- dule, interne o esterne all’intestino, e con isvariatissime divisioni di lavoro; i principali enzimi sono la diastasi, la pepsina, la tripsina o pancreatina, oltre i varîì acidi. Essi si trovano in tutti gli invertebrati dagli anellidi in su, e anche in alcune piante, avendo Hop pe Seyler® scoperto un enzimo anche nelle piante insettivore (Drosera). Gli anellidi hanno ampio intestino con ciechi intestinali, come le vescicole epatiche delle afroditi e i sacchi enterici delle sanguisughe; ma non presentano glandule a foggia di cripte, sibbene solo un epitelio cilindrico liscio. La mancanza di glan- dule è chiaramente spiegata nei nematodi parassiti, i quali in-. 1 F. MiLLER, Die Magenfaden der Quallen. Zeitschrift fur wissensch. Zoologie, IX, 1885. * E. MtrscENIKOFF, Untersuchungen ciber die intracellulare Verdauung bei wir: bellosen Thieren. Arbeiten aus d. Zoolog. Inst. d. Universitàt Wien u. d. Zoolog. Station zu Triest. 1883. ® HoPPE SEYLER, Ueber Unterschiede im chemischen Bau und der Verdauung hòherer und miederer Thiere. Pfliiger’s Archiv f. d. ges. Physiologie, Vol. XIV, 1877. — Phisiologische Chemie. IL parte, Berlino, 1878. Vol. XXX. 16 242 G. CATTANEO, goiano il contenuto intestinale dell’ospite, e quindi non hanno bisogno di digerire ciò che è già stato digerito dai succhi sa- livali, gastrici, epatici e pancreatici dell’ ospite stesso. Ma non è a credersi che gli anellidi liberi manchino realmente di glan- dule, solo perchè non le posseggono a forma di cripte. Una glandula secernente non è glandula in quanto ha forma di cripta, ma in quanto è composta di cellule secernenti, qualunque sia la loro disposizione. Le glandule degli anellidi sarebbero dunque glandule unicellulari. ‘ Nei molluschi vi sono glandule gastriche che producono forse solo acidi. La pepsina, la tripsina e la diastasi e una sostanza che emulsiona gli adipi sono prodotti dal cosidetto “fegato , che è funzionalmente un complesso di glandule salivari, gastri- che, epatiche e pancreatiche. A questo complesso organo pos- siamo aggiungere le glandule salivali, che furono, insieme al “ fegato ,, studiate dal dott. E. Bonardi, il quale vi trovò un enzimo diastasico, atto a saccarificare l’ amido idrato (gastero- podi). Invece, secondo Bourquelot, le glandule salivali dei cefalopodi mancano di diastasi. ° Alla fisiologia comparata della digestione degli artropodi hanno recato importanti contributi il Plateau, il Jousset de Bel- lesme, l’Hoppe-Seyler, il Krukenberg, il Weber, il 1 L. FREDERIG, Sur la digestion des albuminoides chez quelques invertébres. Bull. Acad. de Belgique, Vol. XLVI, 1878, e Arch. de Zool. exp. et gén. Vol. VIT., 1878. ? E. BoNARDI, Dell’azione dei succhi digestivi di alcuni gasteropodi terrestri sul- l’amido e sui saccarosii. Boll. scient. 1884. — BouRQUELOT, Récherches exp. sur l’action des sucs digestifs des Cephalopodes sur les matières amylacées et sucrées. Arch. de Zool. exp. et gén., 1882. — KRuKENBERG, Die Verdauunsgsvorginge bei den Cephalopoden, Gastropoden und Lamellibranchiaten. Untersuch., ecc. Vol. II, 1878. — BERNARD, Réch. sur une nouvelle fonction du foie. Ann, d. se. nat., Vol. XIX, 1853. Mem. sur le pancreas. Suppl. aux Comp. Rend. Vol. I, 1856. Legcons de phy- siol. exp., Vol. I, 1856. — BERT, Sur la physiol. de la Seiche. Mem. soc. sc. phys. et nat. de Bordeaux. Vol. V, 1857, e Comp. Rend. Vol. LXV, 1867. — FREDERICQ, Sur V organisation et la physiologie du Poulpe. Bull. Acad. Belg. Vol. XLVI, 1878, e Arch. Zool. exp. et gén. Vol. VII, 1878. — Jousset DE BELLESME, Réch. sur Ze foie des Cephalop. Comp. Rend., Vol. LKXXVIII, 1879. Réch. sur la digest. chez les Cephalop. Ibid. 1879. — BARFURT, Leber der Gastropoden, ein Hepatopancreas. Zool. Anz., 1880. — VIGELIUS, Pancreas der Cephalopoden. Zool. Anz., 1881, SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 243 Frenzel. Ma con tutto questo le quistioni dubbie o affatto insolute sono ancor molte. ‘È accertata la presenza di vere glandule diastasiche (salivali) e l’esistenza di due enzimi spe- ciali, dei quali l’ uno agisce con gli acidi (e quindi somiglierebbe alla pepsina) e l’altro con gli alcali (e quindi somiglierebbe alla tripsina). Negli insetti esistono cripte glandulari intestinali; invece fu detto che l’intestino dei crostacei non secerne acidi, nè possiede glandule; tutte le secrezioni sarebbero compiute dalla cosidetta glandula epatica. E a questa chi attribuisce (Weber) e chi nega (Frenzel) la secrezione biliare. ‘ I più noti, in questo come in altri rami dell’istologia e della _ fisiologia comparata, sono i vertebrati; ma di essi non terrò parola, bastandomi qui d’aver dato un cenno di quanto si co- nosce nelle forme precedenti o collaterali agli artropodi, d’ una classe dei quali si parla in questa Memoria. Basterà accennare che, pur in forme inferiori dei vertebrati (pesci cartilaginei e ganoidi) furono scoperti e si vanno scoprendo enzimi diastasici, pepsici e tripsici. 1 Crostacei: HopPpPE SEYLER, Ueber Unterschiede, ecc., già citato. — KRUKEN- BERG, Verdauung bei den Krebsen. Unters., ecc. 1878. — WEBER, Ueber, den Bau und die Thitigkeit der sog. Leber der Crustaceen. Arch. mikr. Anat. Vol. XVII, 1880. — FRENZEL, Veber die Mitteldarmdriise der Crustaceen. Mitt. Zool. Stat. zu Neapel. Vol. V, 1884. Aracnidi: BLANCHARD, L’organisation du règne animal. Paris, 1852-55 (Scor- pio). PLATEAU, Sur les phénomens de la digestion et sur la structure de l’appareil digestif chez le Phalangides. Bull. Acad. Belgique, Vol. XLII, 1876. Réch. sur la structure de l’app. digestif chez les Araneides dipneumones. Ibid. 1877. — BERTKAU, Ueber den Bau und die Function der sog. Leber der Spinnen — Zool. Anz. 1881. Miriapodi; PLATEAU, Réch. sur les phen. de la dig. chez les Myriap. Bull. Acad. Belgique. Vol. XLII, 1876. Insetti: BOUCHARDAT, De la digestion chez le ver a soie. Comp. Rend., Vol. XXXI, 1850. —'BascH, Unters. iiber das chylop. u. urop. System. der Blatta orientalis Sitz, d, Ak. d. Wiss. in Wien, Vol. XXIII, 1858. — PLATEAU, Réch. sur le phénom. de la digestion chez les insectes. Bruxelles, 1874. Sur la digest. des insectes. Compt. Rend. Vol. LXXXII, 1876. Sur la digestion de la Periplaneta americana. Bull. Acad. Belgique, Vol. XLI e XLIV, 1876-77. — JoussET DE BELLESME, Réchk. exp. sur la digestion des insectes. Paris, 1875. Réch. sur les fonctions des ylandes de V app. digestif chez les insectes. Comp. Rend., Vol. LXXXII, 1876. Travaua origi- naux de physiol. Comp. Vol. I, Insectes. Paris, 1878, 244 G. CATTANEO, ai Abbiamo dunque, nelle forme anteriori ai crostacei (come sa- rebbero i vermi segmentati) una disposizione ancora molto in- differente, limitandosi l’apparato secretorio a glandule unicellu- lari nell’intestino e talora a tubi o ciechi glandulari (come quelli delle nereidi), che sboccano nell'intestino. Questi ciechi glandulari non sono altro, in origine, che diverticoli intestinali, i quali hanno assunto una funzione speciale. Le maggiori com- plicazioni che si trovano nei molluschi da un lato e negli ar- tropodi dall’ altro non consistono che in un aumento e in un. differenziamento sempre più accentuato degli originarî ciechi glandulari, i quali si ramificano, si associano in grandi masse, e vengono a formare voluminosi organi che stanno ai lati del- l’intestino e che talora anche tutto lo circondano; organi a cui è stato dato, spesso abbastanza impropriamente, il nome di fe- gato, pancreas, epatopancreas. È scopo di questa Memoria studiare la struttura dell’ inte- stino e le funzioni delle annesse glandule nelle più complesse forme dei crostacei, uno fra gli argomenti che offrono ancora dubbî e lacune. Esporrò le osservazioni e le esperienze da me fatte, dopo aver dato uno sguardo alla storia e alla bibliografia dell'argomento. JBL STORIA. Dell’apparecchio digerente dei crostacei, la parte più studiata fu lo stomaco triturante o macina gastrica, non già per la sua composizione istologica, ma solo per la disposizione dei pezzi calcareo-chitinosi che funzionano come organi trituranti. * Ven- gono in seguito le glandule che stanno ai lati dello stomaco o che avvolgono l’intestino: e su queste molto si discusse, spe- 1 Ne parla già il VAN HELMONr nel 1648 (Tractatus de lithiasi, Cap. VIII), avendo egli anche notato che la rivestitura dello stomaco viene mutata come il te- gumento. SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 245 cialmente per istabilirne l’efficienza fisiologica. Ultimo viene l'intestino, sulla cui struttura non potei trovar altro che poche righe del Milne-Edwards e del Leydig, e alcune pagine del Garbini, relative però a una sola specie. Il primo che diede una descrizione accurata delle glandule digerenti dei crostacei fu lo Swammerdam nella Biblia Na- turae. Egli le considerò come un pancreas. Quali glandule sa- livari (glandulae salivales) le considerò invece Ramdohr;' quali corpi adiposi (simili agli omologhi degli insetti) Treviranus.? Brandt fu il primo a dare ad esse il nome di fegato, nome che rimase finora, ad onta della dubbia significazione funzio- nale,° Cuvier* descrisse con precisione gli intestini ciechi dei crostacei, da lui specialmente osservati nei generi Astacus, Homarus e Carcinus. Assai più ampie indicazioni diede il Milne- Edwards nella sua Monografia dei Crostacei (1834) e nelle sue Lezioni d’ Anatomia comparata.?° Secondo lui l’esofago, lo sto- maco e l’intestino dei crostacei posseggono tre tuniche: l’ esterna sierosa, la mediana muscolare e l’interna chitinosa. L’esofago dei decapodi è largo, pieghettato longitudinalmente e provvisto di fibre muscolari trasverse che costituiscono uno sfintere. Lo stomaco è coperto internamente di chitina con peli o appen- dici digitate, come furono descritte dal Valentin e dall’ Oe- sterlen.° Lo strato chitinoso è soggetto a ecdisi, come il der- mascheletro, e nei decapodi è espulso per la bocca, nei cirri- pedi per l’ano (Darwin). L’intestino è divisibile in duodeno 1 RAMDOHR, Verdauungs-verkzeuge der Insecten. 2 TREVIRANUS, Vermischte Schriften anat. und physiol. Inhalts, 1816. ® BRANDT, Medicinische Zoologie. Vol. II. 4 CuviER, Legons d’Anat. comparée. Paris, 1805, Vol. IV. * H. MiLNE-EDWwARDS, Histoire naturelle des Crustacés. Paris, 1834, Vol. I, p. 57-77, e Legons sur la physiologie et V Anatomie comparée de Vhomme et des animaua. Paris, 1857 e seg. * VALENTIN, Veber das Vorkommen von verschiedenartigen und eigenthiimlichen Haar- formationem duf der innern Oberfltiche der Schleimhaut des Nahrungskanales. Re- pertorium fiir Anatomie und Physiologie. 1837, Tom. I, pag. 115. OrsTERLEN, Ueber den Magen des Flusskrebses. Miller's. Archiv. fiir Anat. und Physiol. 1840, pag. 411. 246 G. CATTANEO, mediano e retto. Milne-Edwards considera le glandule inte- stinali come organo biliare, e però le chiama fegato. Vi notò i varî lobuli e una tunica membranosa; vide nei brachiuri (Maia) tubi epatici brevissimi, a forma di vescicola; negli omari li trovò lunghi e cilindrici; lunghissimi nell’ Astacus e nel Pagurus. Anche Lereboullet* considera le glandule intestinali come un fegato, chiamandoli otricoli biliari. La struttura dei ciechi epatici fu studiata da Goodsir, Schlemm, Karsten, Meckel, Laidy, Frey e Leuckart.? Secondo essi, i ciechi epatici hanno una tunica propria con fi- bre reticolate a maglie quadrate, con uno strato interno di otri- coli secretorî arrotondati e a diversi gradi di sviluppo. Schlemm era così poco persuaso della funzione epatica di questi organi, che giunse a dire: “ Ratio bilis Astaci physica et chemica ab illa animalium vertebratorum adeo differt, ut misi ex universa organi secernentis natura illud hepar esse satis constaret, facile quis ammum induceret, ut secretum aliud quiddam quam bilem esse crederet. , Meckel trovò nei ciechi epatici due sorta di cellule, le diliari e Ie adipose. Questo reperto fu poi confermato da Fre y e Leuckart. Fin verso la metà di questo secolo, l'opinione prevalente sul significato delle glandule intestinali dei crostacei fu dunque que- 1 LEREBOULLET, Sur Za Ligidia Personii. Ann. Sciences nat., 1843, e Mém. sur les Cloports. Strassburg, 1853. ? GOODSIR, Secreting Structures. Anat. and physiol. Observations, pag. 30. SCHLEMM, De hepate ac bili Crustaceorum et Molluscorum quorumdam (Dissert. inaug. Berolini, 1844.) KARSTEN, Disquisitio microscopica et chimica hepatis et bilis Crustaceorum. Nova Acta Acad. Nat. curiosorum, Vol. XXI, 1845. MECcKEL, Mikrographie einiger Driisenapparaten der miederer Thiere. Miller’s Archiv. fiir Anat. und. Physiol. 1846. Lampy, Researches on the comparative structure of the liver. Amer. Journ. of. med. science, 1848. FrEY E LEUCKART, Lekr. der Anat. d. Wirbollesen Thiere. 1847. Nel suo trattato d’Anat. comp. il MECKEL nega l’esistenza delle glandule salivali nella maggior parte dei crostacei, e dei ciechi intestinali nell’Astacus, nello Scy/- lerus, nel Palinurus e in tutti i brachiuri, mentre il CUuvIER sostiene come generale la presenza dei ciechi. SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 247 sta: ch’ esse rappresentassero un fegato. Solo venticinque anni più tardi si cominciò a dubitarne. Ancora nel 1855 l’ Owen ripete la comune opinione, anzi osserva che la “bile , dell’Astacus è acida. Nè se ne stacca il Leydig,” il quale però, in compenso, ci diede l’unico cenno istologico un po’ preciso che finora esista sull’intestino dei cro- stacei. Secondo Leydig, esso è costituito da una tunica propria, for- mata da tessuto connessivo; all’interno v'è un epitelio, al- l'esterno uno strato muscolare. Sopra tutti questi strati v° è una sottile membrana esterna. Al $ 273, fig. 178 dà un disegno dell'intestino dell’ Astacus, in cui si vedono distinti i quattro strati indicati. Al $ 276, fig. 179 dà il disegno dell’intestino dell’ Oniscus. Internamente l’intestino dei crostacei è rivestito da uno strato di chitina, che facilmente si stacca. Prima di venire agli ultimi lavori fondamentali di Hoppe- Seyler, Krukenberg, Weber e Frenzel, è mio debito accennare a varie notizie frammentarie sullo stomaco, sull’ in- testino e sulle glandule, date da varî autori nell'ultimo de- cennio. Dello stomaco si occupò il Tursini,° specialmente per istu- diare il fenomeno dell’assorbimento. Esaminò i generi Masa, Dromia, Scyllarus e Palinurus. Secondo lui lo stomaco consta degli strati muscolare, epiteliale e chitinoso. I peli chitinosi dello stomaco sono cavi e pieni di una “emulsione grassa ,,. Tursini crede che questi siano organi di assorbimento. Nauck* studiò lo stomaco di 70 specie di brachiuri, distinguendo con nomi speciali gran numero di diversi organi chinizzati; e Albert, seguendo gli stessi concetti, dimostrò l’importanza della strut- 2.R. OWEN, Lectures on the comparative Anatomy and Physiology of the inverte- brated Animals. 1855. ° F. LevpIG, Histologie des Menschen und der Thiere. 1857. ° G. F. TursINI, Un primo passo nella ricerca dell’ assorbimento intestinale degli artropodi. Rend. Accad. Sc. fis. Napoli, Vol. XVI, 1877. t E. NAUCK, Das Kaugeriist der Brachyuren. Zeitschr. fiir wissensch. Zool. 1880. 248 G. CATTANEO, i tura dello stomaco per la classificazione.! Plateau? figura il tubo digerente dei crostacei come coperto da epitelio cilindrico, con pieghe longitudinali. Garbini® descrisse l'apparecchio di- gestivo e i suoi nervi nel Palaemonetes varians, proponendo una nuova nomenclatura, e distinguendo tre tuniche nel tubo gastro- enterico: la sierosa, la muscolare e la mucosa. Braun * asseri- sce d’aver trovato glandule salivali presso il labbro superiore e le mascelle dei decapodi. Nel 1873 Claus emise dei dubbi sulla funzione biliare del cosidetto “fegato , dei Crostacei;° assomigliandolo piuttosto ad un pancreas. Tali dubbi furono n parte ridotti in certezza, quattr’ anni dopo, da Hoppe-Seyler,® il quale trovò quanto segue: Nello stomaco dell’Astucus esiste spesso un succo di rea- zione debolmente acida, che proviene dalle glandule esterne. Esso contiene un fermento che scioglie gli albuminoidi in pre- senza degli alcali, e quindi non è simile alla pepsina, ma ricorda la pancreatina o tripsina di Kiihne. Contiene inoltre una dia- stasi e un fermento che emulsiona gli adipi. Esistono appena traccie di glicogeno; non vi si trovano affatto i componenti normali della bile degli animali vertebrati. Con ciò Hoppe- Seyler distruggeva l’idea che le glandule dei crostacei rap- presentassero un fegato, dacchè esse non producono bile; seb- bene per altro non si può ad esse in tutto negare una azione digestiva epatica dal momento che secernono un fermento che 1 F, ALBERT, Ueder das Kaugeriist der Decapoden. Zeitsehr. fiir wissensch. Zoo- logie. 1883. ? F. PLATEAU, Réch. physiol. sur le coeur des crustacés decapodes. Archiv. de Biologie. Vol. I, 1880. 3 GARBINI, Sul apparecchio della digestione nel Palaemonetes varians. Accad. d’Agricoltura di Verona. Vol. LXIX, 1882. 4 M. Braun, Zur Kenntniss des Vorkommens der Speichel und Kittdrisen bei den Decapoden. Arbeiten zool.-zoot. Institut zu Wiirzburg. Vol. III, 1877. 5 CLAUS, Zur Kenntniss des Baues und der Entwickelung von Branchipus sta- gnalis und Apus cancriformis. Ges. d. Wissenschaften zu Gottingen. Vol. XVIII, 1873. 6 HopPE SEYLER, Ueber Unterschiede in chemischen Bau und der Verdauung hòher und niederer Thiere. Pfliger's Archiv. fur die gesammte Physiologie des Mensehen und der Thiere. Vol, XIV. Boun, 1877, fase. 8-9. wSULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 249 emulsiona gli adipi. La loro azione principale è peptica, anzi triptica, e in parte diastasica. Ancor più estese sono le scoperte di Krukenberg.! Nella Eriphia spinifrons e nella Squilla mantis non trovasi un enzimo peptico, ma solo tripsina, mentre nell’ Homarus vulgaris la di- gestione in soluzione alcalina (2 per cento di soda) è lentissima, e invece è rapida negli acidi (0,2 per cento di acido cloridrico). Ciò indica la presenza della pepsina. L’omaro digerisce anche con altri acidi: con 2-4 per cento d’acido acetico, 1-4 per cento d’acido lattico, ecc. Non avviene la digestione nell’ acido ossalico e borico, anche con l’aggiunta di acido lattico e acetico. La pepsina dell’omaro è così potente, che anche l’estratto glice- rinico di 1/16 della glandula basta a digerire la fibrina cruda in acido cloridrico durante 2 ore, mentre la stessa quantità di fermento non giunge, nemmeno in 58 ore, a digerire la fibrina cotta. Da ciò si vede che la pepsina dell’omaro differisce es- senzialmente dalla pepsina di altri animali per la sua inettitu- dine ad agire (come l’elicopepsina) nell’acido ossalico, e a di- gerire la fibrina cotta. Nel succo gastrico della Maia squinado e verrucosa, del Palinurus e del Carcinus si trovano pepsina e tripsina. Quest’ ultima, in soluzione alcalina, digerisce anche la fibrina cotta. Il tessuto epatico della Maia ha reazione neutra; il suo succo gastrico ha reazione neutra o debolmente alcalina. Il tessuto epatico del carcino è debolmente acido, il succo ga- strico è alcalino. Nell’Astacus si trova un enzimo pepsico, trip- sico e diastasico. Più tardi, il Krukenberg notò? che l'estratto pepsinico del Pagurus maculatus, Eriphia spinifrons e Pinnotheres pisum dà un enzimo diastasico, mentre l'estratto del fegato dell’ Homarus non lo contiene, e contiene solo un fermento tripsico. La pre- senza -dell’acido urico è dubbia. Essa non fu trovata, per esem- LI 1 KRUKENBERG, Verdauung bei Krebsen. Unters. a. d. pbysiol. Institut, d., Uni- versitàt. Heidelberg, 1878. ° C. F. KruxenBERG, Vergleichend-physiologische Studien zu Tunis, Mentone und Palermo. Heidelberg, 1880. 250 G. CATTANEO, ® pio, negli escrementi dell’ Oniscus, nè nel “fegato , dei Deca- podi. Il fegato dell’Homarus non contiene nè taurina, nè urea, mentre i muscoli sono ricchi di tirosina. Il “ fegato, dei De- capodi contiene relativamente poco adipe. N Krukenberg espresse più volte l’idea! che si dovean ri- fare le ricerche sul cosidetto fegato dei crostacei, per trovare se i diversi enzimi siano prodotti da cellule fra loro eguali, delle quali ciascuna dia un prodotto misto, oppure se vi sia una divisione del lavoro fra le varie cellule, cosicchè ciascuna dia un prodotto speciale. Veramente questo problema era già stato tentato da Meckel e Lereboullet che avevano indicate due sorta di cellule, le biliari e grasse. Ma una volta scoperto che quella glandula non contiene bile, le loro denominazioni perdevano qualsiasi valore e il problema si presentava di nuovo. Risposero, per dir così, all'invito di Krukenberg il Weber (1880) e il Frenzel (1888) con risultati in qualche punto di- versi. Max Weber? studiò il fegato degli Isopodi, Anfipodi e Decapodi. Distinse le cellule componenti in due specie: le cel- lule enzimatiche (Ferxmentzellen), le quali sono rapidamente an- nerite dall’ acido osmico (0,2-0,5 per cento) e le cellule epatiche (Leberzellen), che si anneriscono lentamente. Il succo delle cel- lule enzimatiche digerisce la fibrina; quello delle epatiche è “ simile alla bile ,, cosicchè questa glandula dev’ essere chiamata epatopancreas. La glandula del Porcellio e dell’ Oniscus consta di due paia di tubi ciechi giallo-aranciati, circondati da una tu- nica propria senza struttura, da uno strato muscolare e da una membrana sierosa reticolata e piena di corpi adiposi. Vi sono due sorta di cellule, le fermentative piccole e le epatiche grandi. I loro nuclei si trovano spesso in segmentazione. Nel Typhlo- niscus Steini i tubi epatici sono eguali a quelli rudimentali Li 1 Anche nel suo ultimo lavoro: Vergleichend-Physiologische Vortrige (Physiologie der Verdauung). Heidelberg, 1886. ? M. WEBER, Veber den Bau und die Thitigkeit der sog. Leber der Crustaceen. Archiv. fiir mikroskopische Anatomie. Vol. XVII, 1880. SULLA STRUTTURA DELL'INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 251 dell’ Asellus cavaticus, poichè hanno ridotta la parte muscolare, e il paio superiore è più corto dell’inferiore. L’ Asellus cavati- cus e l’Asellus aquaticus hanno muscoli trasversali che servono, come già osservò il Dohrn negli embrioni dell’Asellus, a spin- gere il succo digerente nell'intestino. Le cellule epatiche e enzimatiche sono più grosse nel cavaticus che nell’aquazicus. Lo spettro di assorbimento della secrezione degli Isopodi è simile a quello della bile delle rane, e nell’in- testino si trovano cristalli di colesterina e pigmenti biliari. Nel- l’Astacus 1 lobuli sono ravvolti da una pellicola connessiva; lo strato muscolare è simile a quello dell’Asellus: anche qui le cellule posson distinguersi in cellule di secrezione e cellule di riserva, corrispondenti alle biliari e adipose del Meckel. Però il secreto delle Leberzellen non è un fermento: è un adipe con pigmento, che non si scioglie in acqua o glicerina (mentre il fermento vi si scioglie). Si scioglie invece nell’etere; onde tali cellule avrebbero un carattere biliare, oltre quello, pure epatico, di concorrere alla produzione dei pigmenti animali. A conclusioni alquanto diverse giunse recentemente il Frenzel, in un lavoro compiuto alla Stazione Zoologica di Napoli.! Nè si può negare ch’era necessario questo nuovo studio sull’ argo- mento. Weber avea considerato l’ “ epatopancreas , come un organo in parte biliare: ora le ricerche fisio-chimiche di Ho ppe- Seyler e Krukenberg avevano escluso la bile dalle secre- zioni di quest’organo. Inoltre nella sua Monografia sulle Ca- prelle il Mayer? avea osservato alcuni fatti che parevano in contraddizione con quelli esposti da Weber. Aveva cioè trovato anch'esso, nelle Caprelle, due sorta di cellule, cioè delle cellule adipose, corrispondenti alle Leberzellen di Weber e delle cel- lule enzimatiche corrispondenti alle Fermentzellen di Weber; ma, mentre nelle cellule adipose vide gocciole grasse incolore, 1 I. FRENZEL, Veber die Mitteldarmdriisen der Crustaceen. Sitzungtb. Berl. Akad. 1883, e Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel. Vol. V. Leipzig, 1884. pag. 50-101. ° P. MAYER, Die Caprelliden des Golfes von Neapel. Leipzig, 1882. 252 - G. CATTANEO, nelle enzimatiche trovò delle masse di secrezione scura; in modo ch’ egli credette derivare il pigmento non già dalle Lebderzellen, ma dalle Fermentzellen. Frenzel distingue le cellule glandulari in Fetthaltige Zellen (o adipose) e Fermentzellen (0 enzimatiche). Le prime sono per lo più cilindriche, con un diametro trasverso da cinque a otto volte più breve dell’ altezza. Raramente sono regolari; per lo più incurvate per l’ interposizione delle cellule- fermenti. Le cellule adipose hanno quasi sempre le stesse di- mensioni sì nelle forme piccole che nelle grandi. Mancano di membrana; solo alla parte superiore v'è un orlo o margine avente !/1s dell’altezza dell’intera cellula. Weber ritenne que- sto margine come omogeneo; invece è finamente striato. La cel- lula contiene: 1.° Protoplasma. 2.° Nucleo. 3.° Una secrezione speciale. Il protoplasma ha una striatura longitudinale con fine granulazioni o fili, che circondano i globuli adiposi. Non sembra di natura epatica, perchè trattato coll’acido nitrico non sì co- lora come le cellule epatiche dei vertebrati. Il nucleo è rotondo, più grosso quand’è più grande la cellula (1:8). La secrezione è costituita da granuli sferici molto rifrangenti, di grandezza e numero variabile. Generalmente sono incolori, talora gialli o brunicci. Sono di natura adiposa, essendo solubili nell’ etere e nel cloroformio. Le cellule di fermento sono rotonde o poliedriche, in numero minore delle cellule adipose. Anch’ esse hanno un orlo o margine da un lato, e contengono ammassi tondi od ovali di granuli brunicci. Glicerina, alcole ed etere tolgono il colore, ma non sciolgono i granuli. Trovansi talora in quelle cellule dei cristalli di firostna (come in quelle del pancreas dei vertebrati). Il pro- toplasma che circonda le masse globulari è finamente striato; îl nucleo è ellittico, piuttosto piccolo. Qua e colà poi si trovano delle cellule indifferenti, da cui, a quanto pare, derivano sì le cellule grasse che le peptiche. Circa alle funzioni della glandula, Frenzel non la ritiene un fegato; ma d’altra parte non sa spiegarsi l’ ufficio dei glo- buli adiposi. Non servendo essi alla digestione, Frenzel sup- pone che possano servire alla escrezione. SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 253 Da questi appunti storici emerge che: 1.° È bene conosciuta, dopo Weber e Frenzel, la strut- tura delle glandule gialle dei crostacei, ma non è ancora ben risolto il problema delle loro funzioni. 2.° Si conosce, anche nei più minuti particolari, l'anatomia dello stomaco dei crostacei, per ciò che riguarda l'apparecchio di triturazione; ma alcune notizie mancano sulla sua struttura istologicà, e quasi nulla fu fatto finora sulla struttura del- l'intestino propriamente detto. Scopo di questo lavoro è appunto di tentare i problemi non per anco risolti; cioè di studiare la struttura dello stomaco e specialmente dell’intestino dei crostacei superiori e di sperimen- tare le funzioni delle glandule annesse. III. TECNICA. Per il presente lavoro ebbi ottimo e copioso materiale, mercè la gentilezza del prof. Corrado Parona e del conte Alessan- dro Pericle Ninni, che mi spedirono da Genova e da Venezia un numero notevole di crostacei, i quali, grazie alle cure da loro usate, mi giunsero quasi tutti viventi. Rendo loro le più vive grazie, avendo potuto, col loro aiuto, compiere a Pavia questa ricerca con la stessa comodità che se mi fossi recato alla spiaggia. Ringrazio anche i prof. L. Maggi e P. Pavesi, che misero a mia disposizione libri e stromenti dei loro Laboratorî, il pro. Max Weber che mi spedi in dono i suoi lavori, il prof. Krukenberg che gentilmente mi scrisse, e i dottori Tursini e Garbini clie mi mandarono le loro memorie sui peli gastrici e sul Palaemonetes, oltre le comunicazioni diretta- mente avute dal Garbini su quest’ultimo genere. Per la tecnica, nella parte istologica della ricerca, mi sono attenuto ai processi usati dal Frenzel alla Stazione Zoologica di Napoli. 254 G. CATTANEO, Estratto l'intestino e le glandule, nella maggior parte dei casi dall’animale vivo, istituii dapprincipio delle osservazioni 2 fresco mercè opportune dissezioni e dilacerazioni. Come men- struo per le osservazioni a fresco non può servire la solita so- luzione di cloruro di sodio al 0,75 per cento, poichè si tratta di animali marini che ne contengono già una maggior dose per- centuale. Non avendosi di meglio, si può adoperare una solu- zione di cloruro sodico al 3-5 per cento. Però il miglior liquido d'osservazione è il sangue stesso, o liquido cavitario, del cro- staceo. Mentre si fa la dissezione, si raccoglie il liquido che cola dalle varie parti del corpo, lo si filtra accuratamente, ag- giungendovi all’ occorrenza una piccola quantità d’acqua salata al 3 per cento, onde non sì formino coaguli, e, volendolo con- servare, vi si aggiunge qualche goccia di tintura di iodio. Si ottiene così un stero iodato speciale, che serve ottimamente per le osservazioni sui crostacei, come il solito dell’ammnios o del sangue dei mammiferi per le osservazioni sugli animali superiori. Dietro le indicazioni di Frenzel, lasciai da parte l’ acido cromico, l'acido picrosolforico e il bicromato di potassa. Trovai invece buono l’alcool a 75 per 100 a freddo; ottimi l’alcool a caldo, e l’alcool con qualche goccia di tintura di iodio. La mi- gliore fissazione degli elementi si ottiene però con soluzioni con- centrate di bicloruro di mercurio, sì in alcool che in acqua. La soluzione acquosa mi parve preferibile (al 4 per 100). In questa soluzione i pezzi devono soggiornare, a seconda della loro gros- sezza, non meno di 10 minuti e non più di mezzora. Per l’ese- cuzione delle sezioni, sì in pezzi a temperatura normale, che in pezzi congelati col polverizzatore di etere solforico, trovai utile una previa imbibizione di gomma e glicerina; altrimenti le se- zioni si sbriciolano con tutta facilità. Il processo del congela- mento è però poco raccomandabile, e lo usai ben di rado. Ese- guii sezioni sì longitudinali che trasversali col microtomo di Zeiss e con quello di Schanze. Pel coloramento, usai la ema- tossilina e il carmino, e qualche volta l’imbibizione con nitrato d’argento, conservando, a seconda dei casi, in glicerina, in olio SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 255 di garofani o in vernice dammar. Le mie preparazioni furono deposte nella raccolta istologica del Museo d’ Anatomia compa- rata dell’ Università di Pavia. I pochi disegni uniti a questo la- voro furono ricavati con la camera lucida. Quanto ho detto finora riguarda solo lo studio istologico del- l'intestino; circa alla tecnica usata per le osservazioni ed espe- ‘rienze relative alla fisiologia delle glandule, essa verrà esposta nel capitolo relativo a tale argomento. o IV. STRUTTURA DELL’ INTESTINO. Palinurus vulgaris (Bel.). L’intestino propriamente detto de- corre rettilineo dallo stomaco all’ano. Sparato sul fresco nel senso della lunghezza, presenta dodici pieghe longitudinali pa- rallele che lo solcano dall’una all’altra estremità (fig. 1, p). Queste pieghe appaiono eguali in tutte le regioni dell’intestino, fuorchè in un breve tratto che segue immediatamente lo sto- maco, e che chiameremo istmo. All’infuori di questa, nessuna altra distinzione topografica è possibile. Esaminato sì con la di- lacerazione che con le sezioni sottili, longitudinali e trasversali, l'intestino si mostra composto di 7 strati; cioè: 1.° Una cuti- cola chitinizzata. 2.° Uno strato d’epitelio cilindrico. 3.° Uno strato di connessivo. 4.° Uno strato di muscoli longitudinali. 5.° Uno strato di muscoli radiali. 6.° Uno strato di muscoli cir- colari. 7.° Uno strato di connessivo esterno (fig. 2 e 3). Il rivestimento chitinoso interno è finamente poroso, ed ha una struttura regolarissima, a esagoni giustapposti, del diametro da 5 a 8 micromillimetri, su cui sorgono dei peluzzi per lo più ad uncino (fig. 4) lunghi intorno a 6g e larghi 1. Questo strato chitinoso riveste completamente le rientranze e le pro- tuberanze delle grandi pieghe longitudinali, le quali hanno, nella sezione trasversale, l'aspetto di eminenze' triangolari, con espan- sioni lobose ai lati e alla sommità. La grossezza del rivesti- 256 . G. CATTANEO, mento chitinoso varia assai da luogo a luogo, pur nella stessa regione. Il secondo strato è composto di cellule cilindriche lunghe 35 u, larghe 4p., aventi un grosso nucleo alla base e un aspetto più glandulare che puramente epiteliare, poichè il loro proto- plasma è fittamente granuloso. La loro funzione è facilmente spiegabile, sol che si pensi alla cuticola chitinosa che le ricopre. e che ogni anno si rimuta, nè può rifabbricarsi da sè, senza un tessuto vivo che la produca. Come le cellule analoghe della cute, queste cilindriche e unistratificate cellule dell’intestino sembrano intimamente legate con la funzione chitinogena (fi- gura 5). Lo strato connessivo interno e lo strato dei muscoli longitu- dinali non si distinguono, ma si avvicendano, essendo i muscoli longitudinali disposti in fasci staccati, e immersi nel connessivo, dalla base all’apice delle pieghe. Il connessivo è a fibre fine e corte, increspate in tutto il loro decorso, con piccole cellule ovali o fusate, a granuli radi e grossi. I muscoli sono disposti a fasci, di tre, quattro o cinque fascetti secondarî ciascuno; e la loro struttura si vede specialmente sezionando le pieghe se- condo il loro asse maggiore, ossia longitudinalmente rispetto al- l'intestino (fig. 3, ml). La disposizione di questi muscoli non è regolare. Essi sono disseminati nello spessore delle pieghe; però abbondano gene- ralmente più alla parte basale, ove i fasci son più voluminosi. V’è anche un sistema di fibre muscolari radialî, che vanno fin verso la sommità delle pieghe, ivi sfilacciandosi e diramandosi a guisa di ventaglio. Tali muscoli sono striati (fig. 3, mr). Lo strato muscolare circolare è sottilissimo, e fino all’ingran-, dimento di 720 diametri non appare striato; il connessivo esterno ha struttura simile a quella dell'interno: solo è al- quanto più compatto (fig. 2). La struttura dello stomaco è fondamentalmente simile a quella dell’ intestino: solo le varie parti hanno uno sviluppo diverso. La cuticola chitinosa (fig. 6) v'è assai più sviluppata: foggiata SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 257 anche là ad esagoni regolarissimi, ma dappertutto più grossa, e in alcuni punti grossissima. Il rivestimento chitinoso delle macine gastriche non consiste in altro che nell’ ispessimento della cuticola, la quale in esse assume lo spessore di !/s o di 1/o millimetro. Accrescendosi in tal modo l’altezza degli ele- menti esagonali, si ha per queste dure formazioni una struttura regolare a prismi paralleli. La cuticola, specialmente in vicinanza alle macine, è irta di peli o setole, della lunghezza di circa mezzo millimetro, del diametro di 7-9 micromillimetri. La base di questi peli, sulla superficie chitinosa, è formata da un disco a varî contorni circolari irregolari, contenente un dischetto con- centrico d’apparenza granulosa (fig. 6, 7). Essi constano di una vagina chitinosa, la cui parete è grossa circa 1/3 del diametro intero del pelo; e di una parte assile, che percorre il pelo dalla base all’ apice. Tursini ritenne che questa parte assile rappresentasse una cavità, ripiena di un liquido granuloso: e che quindi questi peli si dovessero considerare come camnalico- lati, e serventi all’ assorbimento. Dapprincipio questa spiega- zione mi sembrò abbastanza plausibile. Avendo sollevato, nello stomaco fresco d’un grosso Palinurus, un lembo di cuticola chi- tinosa, deposi una grossa goccia di metilvioletto fra essa e il sottoposto strato cellulare. Dono una mezz’ora staccai il lembo di cuticola, e lavatolo accuratamente lo osservai a 350 diametri. La parte assile dei peli era colorata in violetto, mentre la parte corticale mantenevasi incolora. Da ciò pareva doversi concludere che il liquido colorato, posto sulla pagina inferiore della cuticola, era penetrato nel canalicolo del pelo, e quindi questo dovea realmente ritenersi come cavo. Se non che feci anche, in se- guito, le seguenti osservazioni, che contraddicono recisamente simile conclusione. Raschiai grossolanamente un piccolo lembo di cuticola fresca di Palinurus e di Homarus, in siero iodato (di crostaceo), e osservai tanto il pezzo raschiato, come la ra- schiatura rimasta sulla lancetta da microscopio. I peli erano stati in gran parte rasi alla lor base, in piccola parte tagliati a !/s 0 a 1/4 della loro lunghezza. Se la parte assile rappresen- Vol, XXX. 17 258 G. CATTANEO, E a 7 RO tasse una cavità, avrei dovuto vedere, almeno qualche volta, la parte centrale del disco basale attraversata da un foro. Invece essa era sempre occupata in tutti i dischi, messuno CIC da un dischetto di sostanza granulosa (fig. 6). Fra i peli raschiati trovai qua e là alcune loro più 0 meno regolari e sottili sezioni trasversali o oblique. Orbene, tutte presentavano un anello esterno giallastro jalino, di natura chi- tinosa, e ùn disco interno più scuro di sostanza protoplasma- tica granulosa. Nessuno m’apparve forato. Inoltre (e questa è l’osservazione che più importa) da alcuni peli tagliati irre- golarmente sì verso l’apice che verso la base, si vedeva uscire un grosso filo protoplasmatico (fig. 11), dello stesso diametro ‘ dell’asse, e in continuazione con esso. Questa parte assile non rappresenta dunque verisimilmente un canalicolo: ma piuttosto. un'anima © ‘stelo protoplasmatico del’ pelo, rivestita da una guaina chitinosa. Nessuna formazione chitinosa vive per sè sola, e senza un elemento protoplasmatico che la segreghi. Tutti que- sti peli, insieme con la cuticola dello stomaco, si rimùtano ogni anno, ma non potrebbero rifarsi senza l’azione di uno stelo se- cernente. Ciò succede anche per gli esterni rivestimenti chiti- nosi. Ogni sporgenza, ogni spina del tegumento ha ‘sotto’ di ‘sè una corrispondente sporgenza della molle cute, come si osserva levando a un crostaceo una porzione qualunque della sua' teca. Non sembra quindi che la funzione di questi peli sia ‘di assorbi- mento. Anzitutto essi sono assai più sviluppati nello Mlip ia, ove l'assorbimento è quasi nullo, che nell’intestino ov'è attivis- simo; in secondo luogo non si vede alcun bisogno di' siffatti organi assorbenti, dal momento ‘che la cuticola è tutta sparsa di minutissimi pori, che mettono'in comunicazione la cavità ga- strica con lo strato delle cellule. Finalmente, ‘nelle sezioni lon- gitudinali e trasversali della cuticola, vedesi. chiaramente la continuazione degli steli delle setole che vanno a raggiungere . lo strato epiteliale sottoposto; da cui si dipartono; fatto osser- vato dallo stesso Tursini (fig. 9 del suo lavoro), ma, secondo me, non rettamente da lui interpretato. DET SULLA STRUTTURA DELL'INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 259 L'azione di questi peli sembra piuttosto meccanica; poichè movendosi essi in varie direzioni in conseguenza dei moti dello stomaco e dell’intestino, devono rimescolare gli alimenti, o an- che servire, disposti come sono in serie, da organi valvolari. L'epitelio dello stomaco è fatto di cellule più larghe e meno alte di quelle dell’intestino; però egualmente disposte su un solo strato, con protoplasma finamente granuloso e grosso nu- cleo (fig. 8). La esposta descrizione, e quelle che dò in seguito pell’ Ho- marus e pel Pulaemon, non coincidono con quella data dal dottor Garbini (lav. cit.) pel Palacemonetes varians, macruro abbastanza vicino ai qui citati. Sovratutto la differenza sta in ciò, ch'egli pone la muscolatura longitudinale come più esterna e la circolare come più interna e striafa. Invece io posso accer- tare, fondandomi su preparazioni nitidissime (sezioni trasversali) che la tunica circolare è la più esterna, e i fasci longitudinali i | più interni, essendo essi posti nell’ interno delle pieghe intestinali. Inoltre le sole fibre chiaramente striate sono le radiali. La di- sposizione dei muscoli indicata per i tre citati macruri si trova in tutti i crostacei decapodi da me esaminati. ! Il dott. Garbini mi comunicò un fatto interessante: cioè che nel labbro superiore e nel metastoma del Palaemonetes esistono glandule, probabilmente salivari. Altre glandule trovansi nella parete esofagea, mentre l'intestino e lo stomaco sarebbero af- fatto privi di glandule. \ | Homarus vulgaris (Bel.). A' differenza del Pulinurus, VHoma- rus ha le pieghe longitudinali dell'intestino assai piccole: spe- cialmente nelle sezioni trasversali corrispondenti all’istmo sì vedono appena accennate. Lo strato chitinoso ha lo spessore di 60 u, e si stacca con tutta facilità. Anch'esso è formato di esa- goni regolarissimi, con peli sottili, e più diritti che nel Pali nuus. Il sottoposto, strato consiste in una sola serie di cellule 1 Durante la correzione delle bozze, il dott. GARBINI, cui avevo comunicato il mio dubbio, mi fece gentilmente sapere che si tratta di una semplice svista, mentre con- ferma, anche pel Palaemonetes, la disposizione da me osservata nelle altre specie. 260 G. CATTANEO, cilindriche, assai più strette e lunghe che nel Palinurus, mi- surando esse persino 1 solo micromillimetro di diametro e 40 p.. di lunghezza, almeno nei casi più estremi. Anche in esse si os- serva, alla parte basale, un nucleo di forma ovale allungata, con l’asse maggiore secondo il maggior asse della cellula. Assai sviluppata, nell’ intestino dell’ Zomarus, è la parte muscolare. I muscoli longitudinali sono a fasci grossi e di forma rotonda: i muscoli radiali, assai distinti, sono striati. Nello stomaco, lo strato chitinoso è pure ad esagoni, ma piuttosto irregolari, con la parte mediana affondata, e le peri- feriche rilevate, cosicchè, a fuoco basso, vedesi un disegno di maglie a contorni sporgenti (fig. 9). I diametri di queste ma- glie variano da 4 a 8 micromillimetri. I peli sono piuttosto sottili: circa 4 micromillimetri in diametro; e lunghi da 1/5 a 1/4 di millimetro (fig. 10, 11). La loro superficie è leggermente scagliosa, con bordi seghettati; il diametro della parte assile è circa !/s del diametro dell’intero pelo. Palaemon squilla (L.). È una delle specie più difficili da esa- minare, per la rilevante sottigliezza del suo intestino. Esso ha un diametro che giunge appena a !/10 di millimetro, ed è pro- fondamente infossato nei muscoli addominali, immediatamente al di sotto del vaso dorsale pulsante; talchè mi fu impossibile isolarlo infero dai muscoli e dal vaso e sottoporlo fresco alla dilacerazione. In tal modo non ne potei osservare che pezzi di limitata estensione. Iiescono invece assai bene le sezioni trasver- sali, facendo indurre nell’ alcool, nel sublimato e in una miscela gommosa l’intero animale, toltine però gli arti e la teca cal- careo-chitinosa, e ponendo il pezzo così preparato nel micro- tomo. La sezione consta in gran parte di muscoli; solo verso il lato ventrale si vede un circoletto rosso, che rappresenta la sezione trasversa della guaina della catena gangliare, così colo- rata per l’azione dell’alcool sulla zooneritrina; e verso il lato dorsale si vedono due altri circoli, l'uno immediatamente sot- toposto all’ altro. Il superiore, con un processo mediano che si dirige in alto, una grossa parete connessiva e un contenuto rosso SULLA STRUTIURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 261 d’apparenza granulare, è la sezione trasversa del vaso, conte- nente il liquido cavitario coagulato e arrossato dai reagenti; l’inferiore è la sezione dell’intestino. Esso dev’ essere press’ a poco cilindrico, essendo circolare la sezione trasversa. Presenta delle grandi pieghe, in numero di 5 (inferiore d’assai a quello delle pieghe del Palinurus, che sono 12). All’interno è coperto d’un sottilissimo strato di cuticola chitinizzata, a cui segue uno strato di cellule glandulari cilindriche, meno alte e più larghe di quelle delle specie precedentemente esaminate. Il connessivo sot- toposto contiene molte sezioni trasversali di fasci muscolari lon- gitudinali, molto sviluppati anche in questa specie. Segue un sottilissimo strato di muscoli circolari e un grosso connessivo esterno (fig. 13). Lo stomaco presenta lo strato chitinoso pure sottilissimo, con numerosi peli, della lunghezza di 40-50 v., e del diametro 2-3 p. I muscoli sono disposti a fasci staccati e ramificantisi, secondo la disposizione delle macine e degli archi calcareo-chitinosi. Dromia vulgaris (M. Edw.). L’intestino è avvolto, come in una manica, dalle glandule enzimatiche, le quali però si espan- dono in due distinti lobi appena sotto lo stomaco. Le tuniche intestinali sono assai distinte e facilmente staccabili. Special- mente sviluppata è la cuticola chitinizzata, ondulata da pieghe longitudinali, che si presentano come lobi attondati nella se- zione trasversale. La cuticola dello stomaco ha lo spessore di !/so di millimetro, ed è foggiata a larghe maglie irregolari, come nell’ Momarus. I peli sono corti e grossi, decisamente ondulati a S. Misurano una lunghezza di 140 v., e hanno un diametro di 8-10 u. La parte assile ha un diametro eguale a 1/3 del dia- metro totale della setola. L’apice del pelo è smussato e rive- stito di peluzzi secondarî, a disposizione pennata. Oltre i grossi peli, vi sono, peluzzi sottilissimi rettilinei, impiantati sulla cu- ticola e disposti a fasci di cinque o, sei. Nell’intestino sono poco sviluppati i muscoli longitudinali e radiali, e assai sviluppati invece i circolari. Cosicchè, per que- sto lato, la Dromia presenta una differenza notevole dalle altre 262 G. CATTANEO, specie esaminate, ove i muscoli longitudinali prevalgono sempre sui circolari. Maia squinado (Rond). L’intestino presenta 7-8 pieghe lon- gitudinali, di cui 2-3 più piccole delle restanti, tutte a se- zione lobata, con non meno di 10-15 lobi ciascuna (fig. 14). Lo strato chitinoso ha la grossezza di circa 20 vu. Lo strato delle cellule è circa doppio, in ispessore, dello strato cuticolare. Le cellule hanno un diametro di 6-8 v., e sono densamente fra loro stipate; hanno un protoplasma granuloso, che si colora in giallo col picrocarmino, con nucleo colorantesi in rosso, tondeggiante, di 5 n. di diametro, posto a circa ?/3 d’altezza della cellula. Straordinariamente sviluppato nella Maia è lo strato dei mu- scoli longitudinali, di cui si vedono nella sezione trasversale gli ammassi compatti. In ogni piega vi sono da 6 a 9 fasei ton- deggianti di muscoli, di cui i.più piccoli posseggono da 20 a 30 fascetti di sezione tondeggiante, e i più grandi fin 300 fa- scetti (fig. 14 ml). Ogni fascetto ha un diametro medio di 5 mi- cromillimetri. Scarsi sono i muscoli radiali striati, sottili i mu- scoli circolari esterni (10 v.). Il connessivo è a fibre grosse, e sopratutto a cellule assai distinte. che si tingono vivamente in rosso col carmino, mentre resta quasi incolora la ganga fibrosa che le comprende. Anche nella Muia l'intestino è incluso nelle glandule gialle. Lo stomaco ha peli diritti e sottili (4. 160 x 4); strato cu- ticolare pure sottile e poco distinto; strato epiteliale a cellule ovali assai grapulose, aventi il diametro maggiore di circa 8 y., e il minore di 4. I peli principali posseggono peluzzi secondarî assal sottili. | La Maia verrucosa presenta disposizioni assai simili a quelle della J/. squinado. Eriphia spinifrons (Herbst). Nell’intestino sono straordina- riamente sviluppati i muscoli radiali, che vanno dal connessivo circostante ai muscoli circolari fin nell’interno delle pieghe. Sono a fasci grossi staccati, larghi 35 v., lunghi mezzo milli- metro. Le loro fibre sono striate (fig. 16). Sottili invece e lisci SULLA STRUTTURA DELL’ INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 263 sono i muscoli circolari esterni. Nell’interno l’ intestino presenta 20 pieghe più o meno marcate, a sezione clavata o biloba, con strato chitinizzato a struttura finamente prismatica, dello spes- sore di 25 {.. Su di esso stanno numerosi peluzzi (uv. 12 >< 11/2). L'’intestino è involto nella glandula enzimatica. Lo strato cuticolare dello stomaco ha struttura a larghi esa- goni, peli lunghi !/s di millim. e larghi 5 u., con molti e lunghi peluzzi secondarî. Lo strato cellulare dello stomaco è assai sot- tile, e in esso i muscoli sono assai diversamente distribuiti se- condo le diverse regioni, abbondando in vicinanza alle macine, e mancando quasi completamente nelle interposte regioni mem- branose.. Carcinus maenas (L.) e Platyonichus latipes (M. Edw.). Ciò che di più notevole offrono lo stomaco e l’intestino di queste specie si è la grande piccolezza delle cellule dello strato epite- liale, le quali hanno un diametro non maggiore di 5-6 micro- millimetri. Del resto somigliano affatto agli altri già citati bra- chiuri. Portunus puber (L.). Caratteristica di questo genere è la struttura di una parte delle setole gastriche, abbastanza diverse da quelle di tutte le altre specie. Questa particolarità consiste nella straordinaria lunghezza dei peli secondarî inseriti sullo stelo principale, raggiungendo essi ì 120 micromillimetri, mentre appena raggiungono i 5 w., nelle altre specie. I peli principali sono pure assai lunghi (fin a un millimetro) e saldamente im- piantati nella cuticola, mercè una larga base attondata. Questo straordinario sviluppo dei peli chitinosi interni è in relazione evidente con lo sviluppo dei peli esterni, essendo la superficie del corpo del Portunus vellutata e villosa, per un gran numero di peli più grandi di dimensioni, ma di forma si- mile a quella dei peli impiantati nell’intestino. In realtà, la cuticola gastro-intestinale, non è altro che un’introflessione del tegumento calcareo-chitinoso, ridotto però nel suo spessore. In conclusione, il tubo digerente dei Crostacei Decapodi altro mon sembra che un semplice condotto degli alimenti, con grande 264 6. CATTANEO, apparato di muscoli e organi meccanici, e grande sviluppo di difese chitinose o calcificate, ma privo di secrezioni, non ser- vendo verosimilmente ad altro lo strato delle cellule che a se- cernere la grossa cuticola. ) FUNZIONI DELLE GLANDULE ENZIMATICHE DEI DECAPODI. Come ce ne persuade lo schizzo storico sopra tratteggiato, l’intimo processo della funzione digestiva dei crostacei è ancora ravvolto in molte tenebre, e non si sa se più abbondino le la- cune o le contraddizioni. Che l’ intestino non sia che un sem- plice tubo conduttore e assorbente, ma non digerente," è ormai fuor di questione. Che la parte chimica della funzione digestiva sia compiuta per intero o quasi dalle glandule gialle, ciò si am- mette da tutti i recenti autori. Ma come e quanto, è ancora sub iudice. Se per Ramdohr quelle glandule erano salzvali e per Treviranus corpi adiposi, è un fatto che la maggioranza dei naturalisti, da Brandt a Milne-Edwards, a Karsten, a Meckel, a Owen, a Leydig le ritenne di natura epatica, e chiamò dele il loro liquido di secrezione. Ma Schlemm prima e Claus poi ebbero dei dubbi sulle funzioni di questo preteso “ fegato ,. Le ultime e più attendibili voci, quelle di Weber (1880) e di Frenzel (1883), i quali fecero lavori istologici accuratissimi, esprimono pur esse la contraddizione. Per Weber le glandule gialle sono un epatopancreas; per Frenzel sem- plicemente un pancreas. Chi fra tutti ha ragione? A me pare che qui, più dell’istologia, debba esser giudice la chimica fisiologica. Determiniamo anzitutto la natura delle se- crezioni della glandula, e sapremo allora le sue precise funzioni. Questo lavoro è già stato fatto con splendidi risultati da Hoppe- 1 Intendo non digerente per mezzo di glandule proprie; benchè in esso avvenga. a digestione in causa dei prodotti enzimatici versati dalle glandule gialle. i SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 265 Seyler, e da Krukenberg, ma senza mettere in relazione la parte chimica con la istologica. Il lavoro di Weber contiene alcune osservazioni fisiologiche; ne difetta invece quello di Frenzel. Che le glandule gialle dei crostacei contengano una diastasi, insieme a dose rilevante di pepsina e tripsina, è assodato. La questione più controversa è quella relativa alla funzione epatica. Una “ bile , simile a quella dei vertebrati non vi fu riscontrata. Vi fu però riscontrato da Hoppe-Seyler un enzimo emulsio- nante gli adipi. Se così è, e se questo enzimo opera all'incirca come la bile, pure essendone distinto per varî caratteri chi- mici, non si potrà negare alle glandule gialle anche una fun- zione epatica. Altrimenti noi ci perdiamo in un giuoco di parole. Avendo avuto a mia disposizione un certo numero di crosta- cei viventi, istituit sulle loro glandule alcune osservazioni ed esperienze, di cui darò conto. Estratte le glandule fresche, le spappolavo entro una porzione eguale al loro peso d’acqua di- stillata, indi filtravo con flanella il succo glandulare diluito, così ottenuto. Esso presentasi come un liquido giallo, poco traspa- rente, contenente, come rilevasi con l’ esame microscopico, un gran numero di granuli di fermento scuri e di goccie adipose giallastre. I risultati furono approssimativamente eguali nelle varie specie esaminate, che furono le seguenti: Palinurus vul- garis (4 individui) — Homarus vulgaris (2 individui) — Maia squinado (11 individui) — Carcinus maenas (50 individui) — Eriphia spimifrons (5 individui). 1.° Esperienza. A 20 grammi di succo glandulare fresco aggiungo una eguale porzione di acqua d’amido cotto, di con- sistenza sciropposa. Agitata la massa, la lascio in riposo per 2 ore, dopo di che aggiungo gr. 30 di reattivo cupro-potassico. Al momento non avviene nessuna reazione; il giorno successivo trovo un precipitato giallo-rossiccio nel fondo della provetta, mentre il liquido di azzurro è divenuto verdastro. La riduzione del rame indica chiaramente che l’ amido si era trasformato in glucosio, e che il succo glandulare conteneva una diastasi. 266 G. CATTANEO, 2. Esperienza. Preparati e filtrati 20 grammi di succo glandulare, li tratto con una dose doppia di alcool assoluto. Due fenomeni si avvertono, l’uno subito, l’altro dopo pochi istanti. Dapprincipio, cioè la formazione di un abbondante pre- cipitato bianco fioccoso; in seguito un mutamento nel colore del liquido, che di giallo diventa verde-cupo. 3.° Esperienza. Filtrato il liquido dell’ esperienza 2.* e al- tro ottenuto con lo stesso processo, ma in più grande quantità (50 glandule di Carcinus), giungo ad isolare il precipitato bianco, il quale si ridiscioglie in gran parte nell’acqua. Questa soluzione ha reazione neutra. Pongo in essa due piccoli fram- menti di muscolo di crostaceo, e ve li lascio immersi per tre ore, alla temperatura di 14 centigradi. Essi non sè modificano sensibilmente. 4.° Esperienza. Divido la soluzione in due parti eguali, del volume di 40 c.c. l'una. Alla prima aggiungo 4 gocce d’acido cloridrico; alla seconda 10 c.c. d’acqua di calce. In entrambe le soluzioni immergo dei frammenti di muscolo di crostaceo, lasciandoveli per 3 ore alla temperatura di 14 centigradi. Il mu- scolo si spappola, separandosi le fibre e perdendo la loro con- sistenza. La mancanza di peptonizzazione nella soluzione neutra, e il suo effettuarsi nella soluzione alcalinizzata e acidificata indicano chiaramente che il precipitato bianco fioccoso consta di una miscela di pepsina e di tripsina, delle quali la prima opera con gli acidi, l’altra con gli alcali. 5.° Esperienza. Preparati 15 grammi di succo glandulare, ne esamino varie goccie al microscopio. Le grosse gocciole adi- pose hanno un colore giallo marcatissimo. Aggiungo al liquido della provetta gr. 20 di alcool assoluto. Precipito la miscela tripto-peptica, e il liquido si colora in verde. Esaminato al mi- croscopio dopo un’ora, trovo in esso ancora un certo numero di gocciole adipose, le quali hanno perduto il loro colore gial- lastro, e son divenute bianche e splendentissime. Ciò dimostra che le cellule gialle contengono un pigmento, il quale è inso- eee cei SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 267 lubile nell’acqua e solubile nell’ alcool, e si presenta quindi ana- logo alla biliverdina, che offre gli stessi caratteri. 6.° Esperienza. Ponendo entro 30 grammi di succo puro e freschissimo alcuni frammenti di frangie adipose di Zyiton cri- status, dopo 4 ore le trovo in parte emulsionate col liquido, in forme di piccole bollicine rossastre; ponendo le frange adipose in succo alcoolizzato verde, esse si emulsionano più. completa- mente e più rapidamente. Queste esperienze furono ripetute parecchie volte, convali- dandosene sempre i risultati. Da esse, oltre la conferma della esistenza di diastasi, pepsina e tripsina, si ricava anche la prova della presenza di enzimi emulsionanti e di pigmenti analoghi agli epatici. Tali sostanze sarebbero non già libere, ma incorpo- rate alle gocce adipose, in uno stato simile alla saponificazione, tanto è vero che l’alcool depaupera le gocce adipose degli ele- menti emulsionanti, e la soluzione verde agisce più fortemente del succo fresco. Nell’intestino si trovano gocce adipose, tanto più frequenti e colorate, quanto più alta è la regione, mentre “verso la parte terminale le gocce sono poche in numero e af- fatto scolorate. Pare dunque ch’ esse abbandonino, durante la digestione, gli enzimi e pigmenti di cui erano menstrue, e ven- gano riassorbite. Tale, e non altro sarebbe, secondo i risultati delle mie osservazioni, il significato delle gocce adipose. ‘Dal momento che il succo delle glandule è atto a emulsionare gli adipi, e contiene un pigmento verde solubile nell’ alcool, non si può in tutto negare a queste glandule anche la funzione epatica. Sta bene che non si riscontra in essa un corpo che abbia tutti i caratteri della “ bile , degli animali superiori; ma neppure la diastasi, la pepsina e la tripsina dei crostacei cor- rispondono esattamente alla ptialina, alla pepsina e alla pan- creatina dei vertebrati superiori. Che più? Nella bile del maiale e dell'oca si trovano acidi diversi da quelli che si riscontrano invece nell'uomo, nel coniglio, nella cavia, nel bue; cosicchè abbiamo gli acidi ioglicocolico, tauroiocolico, iocolalico (maiale) 268 G. CATTANEO, e chenotaurocolico, chenocolalico, distinti dagli acidi glicocolico, colalico e taurocolico dell’uomo. Notisi anche che Weber, col liquido glandulare degli Isopodi, ottenne uno spettro di assor- bimento simile a quello dato dalla bile delle rane; il che prova che, se una differenza chimica esiste, essa non è molto impor- tante. Il meglio sarebbe non complicare la già difficile questione delle funzioni digestive dei crostacei con contrasti di parole. Lasciamo per sempre da parte i nomi di bile, pancreas, fegato, epatopancreas per indicare le glandule gialle dei crostacei e il loro prodotto. Questi sono nomi già consacrati dall’ uso per or- gani e prodotti di secrezione speciale dei vertebrati; e simile ripetizione di nomi non ci può essere consigliata nè dall’ omolo- gia anatomica, nè dall’analogia fisiologica. È superfluo osservare che nessuna omologia può trovarsi fra questi organi dei crostacei e altri organi di vertebrati, troppo grande essendo la divergenza dei tipi. E anche dal lato funzionale la differenza chimica fra i prodotti, e l’azione camulativa delle glandule gialle, ben diversa da quella più specializzata delle glandule dei vertebrati, non permettono un confronto analogico. In realtà, le glandule dei Crostacei Danno una funzione assai complessa, che le fa equi- valere a tutte insieme le glandule digestive dei vertebrati, e a nessuna di esse in modo particolare. Indichiamole quindi sempii- cemente, col Frenzel, come Mitteldarmdrise; oppure, avuto riguardo alle loro. secrezioni molteplici, come glandule ernzimia- tiche o polienzimatiche. Dal Laboratorio d’Anatomia comparata dell’ Università di Pavia, gen- naio-maggio, 1887. SULLA STRUTTURA DELL’INTESTINO DEI CROSTACEI, ECC. 269 B:BLIOGRAFIA. Augert F., Ueber das Kaugerist der Decapoden. — Zeitschrift f. wiss. Zool. Vol. XXXIX, 1883. Barrscn S., Die Ernihrungs-und Verdauungsorgane des Astacus leptodacty- lus — Anatomische Studie. Budapester naturhistorische Hefte. 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È ml. muscoli longitudinali. «me. muscoli circolari. 2. Una piega dell’intestino suddetto x 400. c. cuticola chitinizzata con le setole. e. epitelio. cn. connessivo intestinale. me. muscoli circolari. «ml. muscoli longitudinali. ce. connessivo esterno. o 3. Una piega dell'intestino suddetto, per mostrare i muscoli radiali striati >< 400. i c. cuticola. ‘e. epitelio glandulare. cn. connessivo interstiziale. mr. muscoli radiali. 4. Un’ esagono della cuticola dell'intestino del Palinurus vulgaris con la rela- < 720. 5. Cellula epiteliale secernente dell’intestino del Palinurus vulgaris >< 800. 6. Cuticola dello stomaco del Palinurus vulgaris x 720. / c. esagoni della cuticola. db. base dei peli. Pep. peli. 7. Peli o setole gastriche del Palinurus x 200. 8. Cellule dell’epitelio secernente dello stomaco del Palinurus x 720. 9. Cuticola dello stomaco dell’ HMomarus vulgaris x 720. è 10. Pelo gastrico dell’ Homarus vulgaris x 950. 11. Lo stesso, con la parte assile fuoruscente. 12. Cellule dell’epitelio secernente dell’intestino della Maia verrucoso, viste di facciata x 950. 13. Sezione trasversale dell’intestino di Palaemon squilla x Pe sa ——————_—@rt1 "i al. di Se/Nat Val XXX Tav, IV N LAU ER onchi Milano Si x DIRECT CATIA x CONTRIBUZIONE ALL’ISTOLOGIA, ECC. 307 Fr. Leypia, Lehrbuch der Histologie des Menschen und der Thiere. 1857. Pau Arno Loos, Die Eiweissdrisen der Amphibien und Vogel. Zeitsch. fur wiss. Zool. Vol. XXXV, pag. 478-504, 1 tav., 1881. H. Mrune-Epwarps, Legons sur la Physiologie et U Anatomie comparée de lhomme et des animaux. Tom. VIII, parte 2.8, 1857. W. Nargusius, Die Heihaut von Python bivittatus. Zeit. wiss. Zool. Vol. XXXVIII, 1884. ScHLEGEL, Physionomie des serpents. Tom. 2.°, pag. 86. I. R. Tarczanorr, Ueber die Verschiedenheiten des Eier-eiweisses bei befie- dert geborenen (nestfluchter) und bei nacht geborenen (nesthacker) Véogeln, und ‘ber die Verhaltnisse zwischend dem Dotter und Eier-eiweiss. Arch. Phys. Pfiiger. Vol. XXXIII, 1884. Ep. Van BeneEpEN, Contributions à la connaissance de l’ovaire des mammi- feres. Arch. de Biologie. Tom. 1.°, pag. 475-550, 2 tavole, Van DER Hoeven, Handbuch der Zoologie. Vol. II°. I. W. Van Wige, Bydrage to te Kennis van het Urogenitalsystem by de Schildpadden, In: Nederl. Tydschrift der Dierkundige Veerenigung. Vol, V, 1880. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA >——1195291ryg Fig. 1 Sezione trasversale nella porzione superiore dell’ovidotto della Lacerta vi- ridis. €. epitelio. Cc. connessivo. >» 2. Sezione trasversale nella porzione albuminifera dell’ovidotto della Lacerta viridis. e. epitelio, cI. cellule glandulari. cs. connessivo sottomucoso, m. muscolare circolare. ce. connessivo esterno, > 3. Sezione trasversale di un tratto di epitelio con una soluzione di continuità per l’uscita dell’albume, nella porzione albuminifera dell’ovidotto della Lacerta viridis. e. epitelio. cg. cellule glandulari. tr. trabecole connessive, Mia PI È RENAREOI LARE gere 00€ da vid d iizila : %: 308 PET RR CO tas a Peri vi Fig. 4. Sezione trasversale nell' imbuto dell’ ovidotto del puleîno di ‘ida e. epitelio. È MARRONE i FORO: SARRI (e POR sai î $} RNA: PONI : det lè cs. contiessivo sottomu008o, "N MUR, GA RSI RR, ANO m. muscolo circolare. . vo SR te Ve suo | ce. connessivo esterno. PA re PI MIRA s 5, Sezione trasversale di porzione albuminifera dell’ ovidotto di puloiza., A epitelio. i PRATI sE, a ° È Ù Jiraate, Piane esm, connessivo sottomucoso. nm. muscolo circolare. Lil di Li ce. connessivo esterno, » 6. Sezione trasversale dell’utero nell’ovidotto del pulcino. | © “api e. epitelio. ra pupi es. connessivo sottomucoso. ‘ “A pati ife me. muscolo circolare. \ NI He (sa ml. muscolo longitudinale. } ih si ce. connessivo. ' ME redini No » 7. Sezione trasversale di imbuto dell’ovidotto della gallina comune. |. °° io c. ciglia, i i ner ra ep. epitelio, "e RC i) la; cs. connessivo sottomucoso, «SR hà Ta SSA vs. vasi tagliati trasversalmente al loro decorso, PARROT n ce. connessivo esterno. » 8. Sezione trasversale di tromba nell’ovidotto della gallina comune. 6: ciglia. e. epitelio. cs. connessivo Sottomucoso, con la sezione trasversale di un vaso. ml. muscoli longitudinali. i 500; imc. muscoli circolari. ce. connessivo esterno. » 9. Sezione trasversale della porzione albuminifera dell’ovidotto della gallina comune. Nelle grandi pieghe, dirette dalla periferia al centro, vi sono di- | — segnate le trabecole connessive diramate dal connessivo centrale delle pieghe, e le masse di albumina. es. connessivo sottomucoso. vinti m. muscolo circolare. ce. connessivo esterno. >» 10. Sezione trasversale dell’ estremità d’una piega albuminifera dell’ovidotto di gallina comune. e. epitelio sulle cui cellule nella sezione si è adunata qualche massa di albumina a. gl. cellule glandulari. a. masse di albumina. tr. trabecole connessive che partono da ce. cc. connessivo centrale alle pieghe. > 11 Sezione trasversale di grandi pieghe nell’istmo dell’ovidotto della gallina comune, vs. CONTRIBUZIONE ALL’ISTOLOGIA, ECC. 309 epitelio. cavità mucose. trabecole connessive .tra le quali stanno le glandule che, pet bre- vità, sono rappresentate soltanto all’estremità d’una piega. glandule. area delle glandule secernenti g/. connessivo sottomucoso, tonaca di muscolo circolare. connessivo esterno. vaso. Fig. 12. Sezione trasversale della porzione albuminifera nell’ovidotto del canarino comune, e. epitelio. tg. tubi glandulari. tr. trabecole connessive. cs. connessivo sottomucoso. m. fascia muscolare circolare. ce. connessivo esterno. » 13. Schema » 14. Schema verso dell’ epitelio ciliare nell’imbuto dell’ovidotto degli uccelli. dell’ epitelio cilindrico nella parte calcigena con le lacune attra- cui passano i fili della sostanza secreta (visto lateralmente). » 15. Lo stesso visto di fronte, rr ——_—_ ; “a e HR, pe E n SERIE ar SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOL METÀ. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Socj sono in numero illimitato, effettivi, studenti, corrispondenti, ed onorari]. I Socj effettivi pagano it. L. 20 all'anno, în una sol volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli A della Società. I Sogj studenti pagano it. L. 10 all’anno nel primo trimestre dell’anno. Possono essere nominati tutti gli inscritti ad uno degli Istituti superiori d’Istru- zione del Regno. Godono degli stessi diritti dei soc) effettivi. A Socj corrispondenti si eleggono persone |distinte nelle scienze na- turali, che dimorino fuori d’Italia; essi possono diventare socj effettivi, quando si assoggettino alla tassa annua di lire venti. A Socj onorarj la Società elegge persone distinte nelle scienze natu- rali che siano benemeriti della Società. La proposizione per l ammissione d’un nuovo socio, di qualsiasi ca- tegoria, deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. _ I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno ire mesi prima | della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di “un anno, e, invitati, non lo compiono ne! primo trimestre dell’anno suc- cessivo cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli A? e nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, se- condo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Atl ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli AZ e delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- «chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone | regolare ricevuta. ‘Quanto ai lavori stampati negli A l’autore potrà far tirare un nu- | mero qualunque di copie ai seguenti prezzi: , pe n) È Mo de pagine) se n 2000.» 550 Esemplari ani 60 CE 100 if, di foglio (4 pagine) . . LL. 125) L. 2 25| L. 2 50/L. 4 — lla foglio (8 pagine)... |» 175 | » 3 50% » 4 — |». 5 50 5], di foglio (12 pagine) . . SPIA RESERO] DE RA CER 8 — |» 10 — INDICE ___: É. Mariani, La Molassa miocenica di Varano . . Pag. 193 g L. RiccraRDI, Genesi e suecessione delle rocce eruttive /“£, 212 G. Cattaneo, Sulla struttura dell’ intestino dei Cro- stacei decapodi e sulle funzioni delle loro glan- dule enzimatiche (con una tavola). Mt >. M. SaccHi, Contribuzione all’ istologia dell’ ovidotto deì Sauropsidi (con una tavola) ASPIRE . DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOLUME XXX. L'ASCICONON 4° 22 SP'oeLi DI=27, Con 5 tavole. MILANO, TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L'ITALIA: PER L'ESTERO: PRESSO LA PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA' | LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO i MILANO Palazzo del Museo Civico. | Galleria De-Crigetoforis, Via Mavin, 2. 59-62. FEBBRAIO 1888. {i Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la ° pagina di questa copertina PresIinpenza PEL 1887. Presidente, SroppANI prof. AnToNIO, Direttore del Civico Museo di Storia naturale di Milano. Vice-presidente, BeLLOTTI dott. CRISTOFORO. MercaLLiI prof. Giuseppe, Milano, via S. Andrea, 10. tarj i ; ) Segretar) | Pini rag. NApoLEoNnE, Milano, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-PraTTI Ing. Giuseppe, Milano, via Senato, 14. LE FUNZIONI DELLA SILICE NELLA CROSTA TERRESTRE. Nota del socio Prof. Ing. MoLIiNARI FRANCESCO. 1. Lo studio delle funzioni della silice nella crosta terrestre abbraccia un campo vastissimo, sconfinato e presenta grandis- sima importanza pel mineralogista e pel geologo. La sintesi di queste funzioni non è ancora riuscita, anzi credo che non sia ancora stata mai tentata. I dati scientifici relativi sono scarsi, incompleti, disseminati ovunque e riguardano non solo la mine- ralogia e la geologia; ma interessano anche la botanica e la zoologia. In questi ultimi anni, nel gabinetto del civico Museo di storia naturale di Milano, ho eseguito non pochi esperimenti sulla silice, i cui risultati mi condussero a pubblicare questa memoria per spiegare diversi fenomeni che si verificano conti- nuamente nel grande laboratorio della natura, ossia per mettere in luce le funzioni della silice nella crosta terrestre. Toccando questo tema vastissimo, non ho la pretesa di esau- rirlo e neppure di superare felicemente tutte le difficoltà; in- tendo piuttosto di segnare a larghi tratti un gran ciclo della silice nell'economia tellurica. Vol. XXX. 21 312 F. MOLINARI, DIFFUSIONE DELLA SILICE. 2. Regno minerale. — Indagando la parte che rappresenta la silice nella crosta del globo, risulta che essa forma quasi tutti i continenti, e per quel nesso indissolubile di solidarietà che esiste fra il mondo inorganico e l’organico, entra anche nelle piante e negli animali. Cimentando il nostro globo per mezzo dell’analisi chimica, troviamo che la maggior parte dei minerali e quasi tutte le roccie contengono silice, ora allo stato libero, ora in combinazione. Sono vera silice : il quarzo, l’opale e le calcedonie; contengono silice: i felspati, i pirosseni, i granati, le miche, le cloriti, i peridoti, le tormaline, ecc; lo stesso dicasi: delle zeoliti, serpentini, epidoti e di molti altri minerali che troppo lungo sarebbe enumerarli tutti. Tutte le roccie risultano dall'unione di minerali diversi e con- tengono quasi sempre silice sia allo stato libero, sia allo stato di combinazione. Non fa mai difetto la silice nei: graniti, porfidi, basalti, trachiti, lavé, gneiss, micaschisti, talcoschisti, serpentini, argille, marne, arenarie, pudinghe, ecc. Soltanto le roccie cal- caree, le gessose, le solfifere e le combustibili non debbono es- senzialmente contenere la silice; ma in realtà nessuna di queste può dirsi che ne vadi priva, e spesso ne contengono dosi con- siderevoli. Per es. il marmo saccaroide di Carrara è fra i cal- cari purissimi; ma non è privo di silice e lo provano all’evi- denza i cristalli limpidissimi di quarzo che tappezzano le geodi. Ove rimanesse ancora un dubbio sulla presenza della silice nel calcare, dovrà scomparire col raffronto delle seguenti analisi: 4 da #5 de LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 313 Calcare di Ca CO? | Mg CO? | Silice | Argilla | Menini Setti si. 54,80 44,20 0,10 RE RCIRAO n Le 57,80 39,10 0,20 Dee Mranor(ciosvoli)*.'*t «. 56,60 42,20 0,60 Ls Gromobe Le Une de 35,40 —_ — 9,20 Casale Monferrato . . . 85,40 — — 11,50 Morosolo (Varese) . . . 77,20 - _ 16,80 Monte Merenzio (Brivio). | 67,00 -- — 27,40 Fiume Trebbia (ciottoli) . 55,30 — — 33,80 | - La silice è contenuta in tutte queste pietre e quando non è allo stato libero, si trova in combinazione allo stato di ar- gilla, oppure forma qualche altro silicato. Riguardo al gesso; se non mancano esemplari purissimi, egli è certo però che esso contiene frequentemente non poche so- stanze estranee e fra queste si. trova la silice. Nelle gessaie dell’Imolese si scorgono nitidi cristalli di selenite come incasto- nati nelle cavità di una silice bianca, concrezionata e cellulare. A Montmartre, p. e., nelle celebri gessaie di Parigi, la silice stessa è pseudomorfica del gesso lenticolare, a ferro di lancia e segna quasi la transizione fra le due sostanze minerali. 3. Silice disciolta nell'acqua. — Uno dei minerali che re- sistono meglio d’ogni altro all’azione dei solventi è certamente la silice; per ciò comunemente si suol dire che la silice è in- solubile. L'analisi chimica tuttavia ne svela la sua presenza in quasi tutte le acque. Si tratta di piccole dosi; qualche mille- simo, qualche decimillesimo ed anche meno; ma tanto basta per concludere che la silice si trova sciolta nelle acque. Ecco la quantità di silice contenuta disciolta in 1000 parti d’acqua dei seguenti fiumi: * 1 BIiscHor, Lelrb. d. chem. und physik. F. MOLINARI, Reno — (a Strasburgo) — Silice 0,0488 e SN Rodano Ii SSRttrà e RR I RT Loira! cesta era i Senha "OS. | ORLO OE Tapiiei 1. pepe” 15 pe E UTERO RA » La silice però diventa molto solubile quando si trova allo stato idrato e gelatinosa, come pure diventa solubilissima tra- sformandosi in silicato alcalino di potassio o di sodio. Le acque contenenti dosi rilevanti di silice sono frequenti. Tali sono quasi tutte le sorgenti termali e minerali. Le seguenti acque conten- gono una maggiore dose di silice delle precedenti. Abano... (0. TT AsgnSilico 0,300 S. Elena alla Battaglia . n 0083 E Bellano (Comp, se 0,400 VS Acqui (Piemonte)... ssi 0049 VACOY: SR RE nr 10,074, GAS Nell’acqua marina, la silice, si trova in piccolissima dose; molti analizzatori la trascurarono; altri segnano la proporzione di 0,03 per 1000, proporzione che da Chancourtoi vien portata sino a 0,18, sempre per mille. Ma se queste proporzioni di si- lice sono piccola cosa, si tenga presente la massa enorme, ster- minata di acqua che ricopre e circola nella crosta del globo; al- lora sì comprenderà quali effetti brandiosi essa potrà produrre. Inoltre esistono acque ricchissime di silice, tanto da incrostare ovunque il loro passaggio. Basta ricordare i Geyser d'Islanda, le cateratte bollenti della nuova Zelanda, le sorgenti: delle Azzorre, di Fornas nell’isola S. Michele, e tutte queste versano grandi quantità d’acqua silicifera, acqua che deposita nei din- torni potentissime incrostazioni silicee. 4. Silice nel regno vegetale. — Nel regno vegetale la silice non fa certo difetto; ma rappresenta sempre una dose assai piccola. Secondo Rosanoff * si trova la silice negli organi della 1 Botanische Zeitung, 1871, p. T41. LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 315 maggior parte delle orchidee (pholidatus, stanhopea, ecc.), delle palme, delle marantacee, delle bambou. Infatti in diverse cel- lule speciali di queste piante e precisamente nel protoplasma, si formano per tempo delle masse globulose, più o meno mam- mellonari, costituite di silice pura. Tutte le ceneri, provenienti dalla combustione dei vegetali, contengono silice in quantità considerevole ed il tenore in silice aumenta quando trattasi di piante graminacee e di equisetacee. L’ equisetum arvense dà il 20 p. °% di ceneri, di cui un quarto è silice. Infine secondo Van Tieghem, * l’alimento completo delle piante è formato di: ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, fosforo, zolfo, potassio, ma- gnesio, silicio, ferro, zinco e manganese. Si può dunque con- chiudere che la silice è necessaria per la vita delle piante e che esercita una grande funzione su tutto il regno vegetale. Però in proposito i botanici non sono pienamente d’accordo e la scienza non ha ancora pronunciato la sua. ultima parola. Tuttavia è accertato che la silice, tanto abbondante in natura, vien assorbita dalle piante e probabilmente ‘allo stato di silice, idrata solubile, oppure allo stato di silicato alcalino. 5. Salice nel regno animale. — L’animalizzazione sulla cro- sta terrestre è un fatto così generale come l’aria, come la luce. Tutto brulica nell’ aria e sulla terra asciutta; ma la vita in ec- cesso è nell’ acqua, è nel mare. E non sono nemmeno i grossi animali quelli che ci possono fornire un’idea dello sviluppo della vita animale; ma sono gli esseri piccolissimi, quasi invisibili. 1 protozoi (radiolari, foraminiferi, flagellati); i metazoi (spugne, zoantari, alcionari, idroidi, acalefi), ecc. sono quelli che realiz- zano l’ideale della potenza, dell’universalità della vita, mostran- doci per così dire la vita legata ad ogni atomo dell’universo. ° Tutti gli animali sono coordinati ad un lavoro, e quella serie infinita di esseri piccolissimi sembra incaricata di rifare le roccie che dagli agenti naturali vengono sfasciate. In generale gli organi 1 Traité de Botanique, 1884, p. 99. ° STOPPANI, Corso di gedogia. Vol. I, p. 188. 316 F. MOLINARI, di sostegno di alcuni; le corazze ed i gusci degli altri; gli aghi, i filamenti, le impalcature e tutte le parti solide sono formate di silice o di calcare. Sono ricchi in silice le parti solidi dei radiolari, diverse spugne (euplectella, hyalonema); sono pure ricchi in silice quegli esseri aggruppati sotto il nome di protisti; infine si può dire che la silice entra in tutti gli animali. Ehrem- berg calcola che si formano annualmente 18,000 piedi cubici di organismi silicei nella baia di Wismar sulla costa del Baltico. La potenza dei piccoli animali marini è dimostrata dai tripoli di Bilin, costituiti di gusci silice d’infusori, formanti un banco che misura 10 leghe quadrate in ampiezza e collo spessore di circa 15 piedi. Le farine fossili dii Monte Amiata, di Ebsdorff (Annover), i tripoli di Planitz (Sassonia), di Sicilia e del Chilì comprovano quanto sia diffusa la silice anche nel regno animale. La silice si trova in quantità maggiore o minore nel guscio di tutti gli animali e nelle ossa di tutti gli scheletri. Lo provano la serie numerosa d’analisi pubblicata in proposito e delle quali io ne riporto qui alcune. UaiCo Silice Residuo Halichondria panicea . . 48,79 19,04 33; 17 Spongilla fluviatilii. . < 13,00 50,66 36,34 Porites e Madrepora . . 7-35 5-30 —_ — Helix pomatia (conchiglia) 96,07 1,15 2,78 Le foladi p. e. nel loro tegumento consolidato, contengono granuli di silice ed è questa silice disseminata nelle conchiglie che spiega l’origine delle grandi masse di calcare più o meno siliceo. LA SILICE. 6. Sotto questo nome generico Stlice convien compren- dere tutte le sostanze minerali formate essenzialmente di silicio ed ossigeno, con o senza gli elementi dell’acqua. In natura non manca la silice purissima; ma in generale si trova accompa- LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 917 gnata da sostanze estranee, che modificano i suoi caratteri; più spesso si trova in combinazione allo stato di silicato. Quando è libero, presenta differenti condizioni chimiche, morfologiche e strutturali. Anidra e cristallizzata costituisce il quarzo; quando è idrata ed amorfa costituisce l’opale. Il miscuglio in varie proporzioni di quarzo e di opale, con mutabili proporzioni di sostanze accidentali, genera le calcedonie, le agate, gli onici, i diaspri e le ftaniti. Infine la silice si trova pseudomorfica di corpi organici, dei cui organismi fece parte durante la loro vita, oppure ad essi si è sostituita per epigenesi. Valgono d’ esempio i banelti di tripoli e le farine fossili già ricordate, come pure i legni silicizzati delle foreste fossili d’ Egitto. 7. Quarzo — Cristallo di rocca — Cristallo di monte. — È un composto di silicio e di ossigeno rappresentato dalla formola S10° e per ciò chiamato anche biossido di silicio. Fu collocato per lungo tempo fra le sostanze terrose; ma Berzelius, in base a molte analogie fornite dai silicati, ha dimostrato che gode pro- prietà acide e quindi lo ha chiamato acido silicico. La moderna definizione degli acidi, lo fa ora classificare fra le anidridi, onde il quarzo chiamasi anche amidride silicica. Il quarzo, limpidissimo, trasparente, d’ aspetto vetroso, duris- simo, infusibile alle più alte temperature, insolubile in quasi tutti i solventi, intaccato soltanto dall’ acido fluoridrico, si trova molto abbondante e sempre cristallizzato. Generalmente è in- coloro, o leggermente affumicato, o tinto in giallo, in rosso, in verdastro, ecc., con tutte le gradazioni. Frequentemente con- tiene sostanze estranee: ossido di ferro, mica, clorite, ecc.; altre volte è cosparso di minerali diversi a guisa d’ incrostazioni, come stilbite, laumonite, silice amorfa, mica, clorite, oligisto, ecc. Il quarzo, cristallizzato nel sistema romboedrico, assume abi- tualmente la forma prismatica esagonale bipiramidata. Sono fre- quenti le forme: compresse, cuneiformi, basoidi, sfalloidi, asim- metriche, ecc. e moltissime altre derivate. Non sono scarse le faccie rombe, le plagiedre e queste stanno in relazione al potere rotatorio distinto del quarzo; il quale, come è noto, devia la 318 F. MOLINARI, luce polarizzata ora a destra, ora a sinistra in relazione alla sua plagiedria di destra o di sinistra. Meritano di essere ricordati i cristalli limpidissimi dei marmi apuani, quelli bruni ed accorciati di Chianciano, quelli a tre- mie della Porretta, come pure quelli del Gottardo, di Traversella, Baveno e dell’isola d’ Elba. Infine i geminati di quarzo, gli ag- gruppamenti colle loro forme bizzarre e colle vaghe gradazioni d’ogni colore, presentano quanto vi ha di più splendido fra i minerali che abbelliscono le raccolte. I nomi attribuiti alle va- rietà sono numerosi e generano confusione. Abbiamo il quarzo ialino, l’affumicato, l’ametistino, il giallo, il roseo, l’ ematoide, ecc.; la pietra di Pandora, il capel Venere, l’occhio di gatto. e molti altri. 8. Proprietà chimiche. — È noto che l’acido fluoridrico, agendo sulla silice, può dare luogo alla seguente reazione: Si0° + 4HF1= SiFl4+2H°0. Il gas fluoruro di silicio, in presenza dell’acqua, può dare luogo anche alla seguente reazione inversa: 3 Si FI + 2H* 0 + Aq. = Si O”. Aq-+ 2 (Si FI*2 FI H): La silice idrata così ottenuta è amorfa, fioccosa, gelatinosa, solubile nell'acqua; infine sotto l’azione del calore si riduce in silice anidra ed insolubile. 9. Azione degli alcali sul quarzo. — I quarzo è fra le sostanze che resistono meglio a tutti gli acidi e ad ogni sol- vente; però vien attaccato dagli alcali più o meno intensamente secondo le condizioni. Le soluzioni alcaline, alla temperatura ordinaria, agiscono assai lentamente sul quarzo; ma agiscono energicamente sotto l’azione del calore. La corrosione lenta de- gli alcali sul quarzo è un fenomeno che si verifica di frequente in natura; lo provano gli esemplari di quarzo alterato, corroso in mille modi, che si rinvengono nelle roccie. Io ne ho raccolti molti esemplari nel granito di Baveno ed in quello dell’isola d'Elba al Monte Capanna. La corrosione in questi casi risulta n LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. | 319 ‘ da azioni chimiche che si esercitano in permanenza e probabil- mente dipende dalle sostanze alcaline o dall’acido fluoridrico. Nei lavatoi da bugandaio mi è occorso più volte di raccogliere ciottoli di quarzo tutti cavernosi e perforati; quivi è evidente che la corrosione vien prodotta dalle sostanze alcaline del sa- pone sopra la pietra quarzosa. L’azione degli alcali sul quarzo, in concorso del calore, di- venta molto più energica e direi quasi immediata. È noto il processo adoperato nei laboratorii per disgregare il quarzo. Ec- colo in breve: Il quarzo finamente polverato si mescola con carbonato alcalino di potassio o di sodio, il tutto si arroventa per qualche tempo in crogiuolo; la massa raffreddata si riprende poi con acqua calda. Quando l’operazione sia stata ben con- dotta, tutto il quarzo rimane trasformato in silicato alcalino; il quale è solubilissimo nell’ acqua. 10. La conversione del quarzo in silicato solubile è ormai un fatto del dominio dell'industria, la quale prepara su larga scala il silicato di sodio, operando per via umida e sotto forte pressione. Ecco come si procede in pratica: in una»caldaia di ferro vengono posti quarzo polverato, carbonato di sodio, me- glio soda caustica ed acqua. Si chiude ermeticamente la caldain e si riscalda in modo da produrre nell’interno una pressione di 4 a 5 atmosfere. In tali condizioni il quarzo sposta l’anidride carbonica del carbonato e genera silicato di sodio. Qui faccio subito osservare che questo silicato si scioglie facil- mente nell’acqua e che il silicato in soluzione, in presenza del- l'anidride carbonica dell’aria, si scompone lentamente, dando luogo a carbonato alcalino ed a silice idrata gelatinosa; questa ultima poi tende a trasformarsi in silice anidra, polverulente cd insolubile nell'acqua. La conversione della silice idrata in silice anidra avviene lentamente dopo l’evaporazione del solvente; ma se interviene l’ azione del calore, il passaggio può essere rapido. Io ho potuto verificare ripetutamente un tal fenomeno, espo- nendo all'aria, in vaso di vetro, circa un litro d’acqua comune con dieci a quindici grammi di silicato alcalino. Nelle prime = 320 F. MOLINARI, settimane non si osserva alcun cambiamento; soltanto dopo ‘ qualche mese il liquido diventa opalino, lattiginoso; infine si converte tutto in una massa gelatinosa di silice idrata. Questa silice, mantenuta per qualche anno in presenza di una debolis- sima corrente di acqua, va mano mano perdendo le sostanze al- caline, diminuisce di volume ed acquista tutti i caratteri e la consistenza dell’opale ordinario, tanto frequente in natura. Infine il quarzo in natura si trova alterato e cariato in mille modi e principalmente riesce cariato là dove trovasi in contatto a minerali diversi, come: miche, cloriti, fluoruri, ecc. Bisogna dunque conchiudere che la corrosione del quarzo è un feno- meno molto più generale: quanto possa sembrare a tutta prima; è un fenomeno che dipende comunemente dagli alcali e dal fluore, tuttavia bisogna confessare che i particolari di queste corrosioni non sono ancora ben conosciuti. 1l. Soice idrata. — Si trova in natura non meno abbon- dante del quarzo; presenta moltissime varietà dipendenti dalla struttura, dal grado d’idratazione e dalle sostanze accidentali che l’accompagnano. Sempre amorfa, alquanto solubile nell’ac- qua, riesce difficile dare una formola che esprima esattamente la sua composizione. Teoricamente si può considerarla costituita di anidride silicica, più una quantità variabile di acqua, in parte di combinazione ed in parte di idratazione. 12. Opale. — L’opale nobile costituisce una varietà di si- lice idrata, ricercatissima come pietra preziosa e suscettibile di gareggiare colle più costose gemme. Amorfa come materia ge- atinosa, compatta, translucida, rifulge, entro la massa bianca- stra lattiginosa, dei più vivaci colori dello spettro. Simili esem- plari sono per altro ben rari ed assai costosi. Basta ricordare che le due opali, che ornano il Toson d’oro ed il fermaglio del manto imperiale della corona di Francia, si valutano lire 75000 circa. L’opale di fuoco, l’opale di sole, il girasole, 1’ arlecchino sono varietà usate frequentemente dal gioielliere. L’opale nobile, scarso in natura, trovasi sempre nelle trachiti in via di decomposizione. Abbondante si rinviene invece quello LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 321 comune detto semiopale. Questa varietà, sempre amorfa come gelatina indurita, ricorda alquanto la porcellana a smalto bianco vetroso. Il semiopale, meno duro del quarzo, infusibile, tran- slucido, a frattura concoide, ha colore che varia dal bianco lat- teo al nero piceo con infinite gradazioni. L’opale comune si trova nei serpentini, negli eufotidi, nelle trachiti, negli schisti talcosi-micacei, ecc., e quasi sempre in arnioni, vene, oppure riempie spaccature. La sua origine è decisamente acquea, ana- loga a quella della geiserite, che forma incrostazioni potenti intorno alle sorgenti termali d’ Islanda, incrostazioni che misu- rano circa due chilometri quadrati, con circa quattro metri di spessore. La silice idrata si può ottenere facilmente anche in laboratorio sia nel modo già indicato, sia trattando con acidi un silicato alcalino. Essa si presenta sempre in massa fioccosa, gelatinosa, alquanto solubile nell'acqua. Quando viene riscaldata od anche semplicemente esposta all’aria tende a trasformarsi in silice anidra polverulente ed insolubile. In modo identico si comporta la silice idrata naturale; per ciò si comprenderà come in natura si debbono trovare più spesso mescolanze di silice anidra con silice idrata in varie proporzioni, mescolanze che costituiscono il gruppo delle calcedonie e quello dei diaspri. 13. Calcedonia. — È il miscuglio, in varie proporzioni, della silice anidra con quella idrata. Sono varietà l’agata e l’anice. Le diverse colorazioni sono dovute a traccie di ossidi metallici con altre sostanze accidentali, che hanno potuto accompagnare la silice durante la sua origine. Dai mineralogisti si distinguono inoltissime varietà; ma ciò non ha alcuna importanza. Ricordo invece che la calcedonia forma spesso arnioni a strati concentrici, vene, geodi; le quali non di rado sono ripiene di acqua più o meno pura. L’origine acquea riesce, in questo caso, evidente e non è raro il caso di sorprendere la natura ancora in azione. Sono celebri le geodi della Transilvania, del Brasile a dell’ Uru- guay. Il Museo civico di storia naturale di Milano ne possiede due bellissime, quasi ripiene di liquido. La calcedonia prende 322 F., MOLINARI, nome di Onice quando presentasi a strati concentrici varia-. mente colorati; tutte le altre varietà costituiscono le agate. Come è facile comprendere, la distinzione non è essenziale; ma dipende dalla struttura. 14. Diaspro. — Per. la natura chimica i diaspri si possono unire alle calcedonie ; ma differiscono per l’origine. Le calcedonie, come abbiamo visto, sono d’origine sedimentaria; i diaspri invece provvengono dalla concentrazione della silice nelle masse argil- lose ed è per ciò che riescono sempre impuri. Infatti i diaspri sono sempre rognoni od arnioni silicei che si trovano in seno alle roccie calcaree, alle argille, ecc., ed anche nei musei si di- stinguono spesso perchè ancora ricoperti di una patina di caolino. Ftaniti. — Fan seguito ai diaspri e comprendono tutte le roc- cie d’origine argillosa, che, per un processo metamorfico, ten- dono ad arricchirsi in silice, eliminando ogni altra sostanza. 15. Silice d’origine organica. — Infiniti sono gli organismi che lavorano a produrre silice. Lo provano la farina fossile ed i tripoli, lo prova la selce molare, che è ripiena di conchiglie. Le azioni biologiche come fattore della. produzione della silice non appartengono soltanto alle epoche passate; è un fatto gene- rale che si compie costantemente. Anche ora noi troviamo unu serie di protozoi (radiolari, spugne, ecc), di polipi ed altri ani- mali deputati dalla natura per tale lavoro. Sono esseri piccoli, in generale, microscopici; ma l’importanza dell'agente non va dedotto dalla violenza con cui operano talora le forze del globo; più che la violenza vale la continuità dell’azione. Gli effetti accumulati lentamente pel corso di secoli possono condurre a risultati molto più grandiosi di quelli prodotti da violenti pa- rossismi. 16. Riproduzione del quarzo. — Soltanto pochi anni ad- dietro erano affatto sconosciuti i processi per la sintesi del quarzo; si durava molta fatica per spiegare la presenza di un tale mi- nerale in diverse roccie ed in particolari condizioni. De Senar- mont pel primo ottenne piccoli cristalli di quarzo e ne indicò il processo per fare la sintesi. Egli faceva passare una corrente i =", LE FUNZIONI DELLA SILICF, ECC. 323 di vapore acqueo e di gas fluoruro di siliceo attraverso un tubo di porcellana fortemente riscaldato e sulla bocca del tubo si formavano bellissimi cristalli di quarzo. La reazione che avviene fra i due gas è la seguente: Si FI4+ 20H° = Si0° + 4FIH. Più tardi Daubrée, coi suoi classici esperimenti, fece la sin- tesi del quarzo per via umida e recentemente De Kroustchoff ' ha indicato un nuovo processo semplice per la sintesi del quarzo e della tridymite, sempre operando per via umida. Il processo di De Kroustchoff si riduce a riscaldare in vaso chiuso, sino a 250°, per più mesi, una soluzione di silice nell'acqua pura e così si ottengono cristalli di quarzo perfettissimi. 17. Conclusione. — Dopo quanto ho sopra esposto si com- prende facilmente che colla silice, nella sue trasformazioni, si può compiere un ciclo, per cui dal quarzo si passa ai silicati alcalini; da questi si ottiene Ia silice idrata e solubile; infine dalla silice solubile si ritorna alla silice insolubile ed anche al quarzo. La silice, per compiere questo ciclo, richiede condizioni che facilmente si riscontrano in natura ed è seguendo la silice in questo ciclo che noi potremo renderci ragione di molti feno- meni che si verificano continuamente nel grande laboratorio della natura, cioè nella crosta terrestre. LA SILICE DAL LATO CHIMICO. 18. Le funzioni della silice nella crosta del globo sono molto complesse; non è possibile di comprenderle senza cono- scere le reazioni che la silice stessa può dare in presenza dei minerali circolanti nel nostro globo. Per ciò è necessario ri- chiamare e discutere le proprietà chimiche della silice per farne quindi le applicazioni. 1 Bulletin de la société francaise de minéralogie, 1887, p. 31. 024 F. MOLINARI, Abbiamo visto che il quarzo costituisce l’anidride silicica (Si 0°); - corpo quasi insolubile, molto stabile, resistente alle più alte’ temperature; in questa condizione può spostare gli acidi più energici per formare silicati. Abbiamo visto che la silice idra- tandosi dà luogo a composti acidi; i quali unendosi colle basi generano la serie complessa dei silicati. Abbiamo visto che la silice idrata si ottiene facilmente scomponendo una soluzione di silicato con acido carbonico, meglio con acido cloridrico. In tal caso si forma silice idrata gelatinosa, la quale rimane in parte disciolta e può rimanere anche tutta quando la soluzione sia molto diluita. Sotto quale forma si trova disciolta? Noi pos- siamo soltanto affermare che per lenta concentrazione si mette in libertà l’ acido silicico monoidrato (Si 0° H°), sostanza solida, gelatinosa, che tende a trasformarsi in silice anidra. L’argomento dei silicati è sempre stato uno dei più ardui tanto pel chimico quanto pel mineralogista. La.sua importanza è grande e per la teoria, e per la pratica. Soltanto col lume della costituzione dei silicati noi possiamo comprendere i feno- meni che si verificano più di frequente nella crosta terrestre. Wurtz, Weltzien, Bombicci, Haushofer, Fremy, Sainte-Claire Deville, ecc. hanno illustrato l’argomento; ma alla scienza ri- mane ancora molto da fare. | 19. Secondo il Bombicci gli acidi silicici si riducono a tre, cioè: Prima anidride silicica . .-. = Si03H? Acido silicico normale. = Si0*H* Primo idrato silicico = Si0°H° Da questi acidi derivano rispettivamente i gruppi di silicati: Pirosseni mit 6190916, 5 Peridoti ../.../. Ln Andalusiti; 0 See = Si 0° R°. LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 325 dove R indica un radicale bivalente ed R un radicale tetrava- lente, come l’alluminio, il ferro, il cromo, ecc. Tutti gli altri silicati più complessi derivano dall’ associazione poligenica in di- verso modo e proporzioni dei silicati semplici suddetti. Il pro- fessore Bombicci dice che i tre acidi silicici si possono ottenere artificialmente; ' ma lo Schiitzenberger ? sostiene che finora non si è potuto isolare l’idrato normale corrispondente ai silicati neutri della formola Si 0‘ R?. Io poi dubito anche sulla: preparazione in laboratorio dell’ a- cido colla formola Si O° H°, tanto più che questa formola non soddisfa alla teoria delle valenze. I silicati del tipo Andalusite 510° Al? esistono realmente in natura e si spiegano benissimo collo schema: ® 20 —- Ab=0 O==Sì | fil ma non si può combinare una catena per la formola Si 0° H°. Riguardo ai silicati la teoria dell’associazione poligenica vale per molte spiegazioni; tuttavia non soddisfa pienamente e per ciò viene da molti abbandonata. 20. Per spiegare la costituzione dei silicati, Wurtz ricorre alla teoria degli acidi polisilicici, secondo la quale 2. 3. 4.... molecole dell’ acido normale Si 0* H* possono riunirsi in una sola molecola, perdendo tante volte gli elementi d’una molecola di acqua, quante sono le molecole d’acido riunite, meno una. Quindi avremo la serie: SO) Si 0° H° Si 0‘H* Acido silicico Si 0*4H*4#+ Si0‘H'—H*O =Si' 0" H° Acido disilicico 2 S10° H* + Si 0‘ H*'— 2 H? O = Si° 0° H° ® Acido trisilico e così di seguito. 1 Mineralogia descrittiva, p. 636. ® Traité de chimie. Tom. 2, p. 453. 326 F. MOLINARI, Ne viene che gli acidi silicici dovrebbero costituire una serie infinita, della quale serie, in natura, non si riscontrano che pochi termini. 21. K. Haushofer prende, per fondamento della teoria dei silicati, le formole tipiche per i pirosseni, peridoti ed andalu- siti già esposte parlando della teoria del prof. Bombicci. Per spiegare la costituzione dei silicati complessi ammette che gli acidi dei silicati complessi possono presentare catene aperte. Così l’anidride silicica in forma chiusa è: OSIO Sidi: in forma aperta diventa: = ù 2 O RE si #9 RO — x * ‘ * ‘ dove il segno * indica le affinità non sature. Il silicato Si 0*K° si lascia costruire soltanto come un com- posto chiuso; cinè: K--O- gi 0 -K KR ma i corrispondenti silicati a basi bivalenti e polivalenti sì co- struiscono e come catene chiuse e come catene aperte. P. es. l’ olivina (Si0*Mg?), come composto chiuso, dà: ST come radicale invece sarebbe: - L’autore moltiplica gli esempi e spiega in gran parte la co- stituzione della serie molto complessa dei silicati. LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 327 Il concetto di Haushofer è suffregato anche dagli studii di Fremy; il quale concluse che l’anidride silicica può presentare due stati isomerici distinti e quindi senza variare la composi- zione centesimale, si comprende come possono variare le attitu- dini chimiche. * 22. Conclusione. — Dallo studio degli acidi del silicio, te- nendo conto dei silicati naturali, emerge quanto possono riu- scire complesse e variate le funzioni della silice nella crosta terrestre. Non è possibile analizzare partitamente tutte le rea- zioni che possono aver luogo in natura; ma si può affermare che la silice è certamente il principale fattore delle modifica- zioni che va subendo continuamente il nostro globo. Riassumendo noi abbiamo visto che la silice è molto diffusa in natura sia nel regno minerale, sia nell’acqua, nelle piante e negli animali; abbiamo visto che il quarzo è un corpo molto stabile; resiste alle più alte temperature ed in tali condizioni può spostare tutti gli acidi per formare dei silicati. Abbiamo pure visto chela silice in concorso delle sostanze alcaline tende a generare silicati alcalini; i quali alla loro volta si scompon- gono in presenza dell’ anidride carbonica dell’aria e mettono in libertà silice gelatinosa solubile. Questa silice infine tende a ridursi in silice anidra, la quale in date condizioni si converte in quarzo. Colla scorta di questi fatti e conoscendo il modo di agire degli acidi silicici, noi possiamo già mettere in luce di- verse funzioni della silice e spiegare molti tra i fenomeni che si verificano più di frequente in natura. 23. Origine delle geodi silice. — La silice si scioglie più o meno nelle acque e la sua solubilità aumenta in particolari condizioni, come lo provano i geyser e le sorgenti termali. Ba- sterà un filo d’acqua silicifera che venga a filtrare in una ca- vità perchè si generi una geode. L'acqua concentrandosi per evaporazione o per altre cause, sedimenta la silice su tutte le pareti della cavità. Sopraggiunge altra acqua silicifera ed anche 1 Comptes rendus. Tom. 64, p. 243. Moll XXX, 22 328 F. MOLINARI, questa fa il suo deposito; così continua il lavoro sino che sia prodotta la geode. Il lavoro, lentissimo, dura molti annij ma alla natura il tempo non fa difetto. Le condizioni dell’ acqua filtrante possono mutare col tempo ed alla silice possono unirsi sostanze diverse, come ossido di ferro, ecc., sostanze capaci di colorire in vario modo la silice e segnare con colori diversi i varii strati che formano l’involucro della geode. In modo simile si generano i rognoni, le incrostazioni e tutte le masse di silice che accompagnano le roccie. 24, Identici risultati si ottengono colle acque contenenti di- sciolti silicati alcalini, oppure altri silicati solubili; i quali rappresentano il mezzo più facile per la circolazione della silice nelle roccie e quindi la mettono in libertà in determinate circo- stanze. Io ho eseguito, nel laboratorio del civico museo di storia naturale di Milano, una serie di esperimenti allo scopo di inda- gare il modo di funzionare della Silice nella crosta terrestre e più precisamente per chiarire le reazioni che può produrre cir- colando colle acque. In primo luogo dobbiamo domandarci: in quale stato si trova comunemente la silice nelle acque? Ora tenendo dietro ad un fatto generale, cioè alla disgregazione delle roccie felspatiche, è facile persuadersi che una parte della silice dei felspati dà luogo a silicati alcalini e quindi a silice idrata; sostanze solu- bili, che vengono messe in circolazione colle acque. La quantità di silicato o di silice in confronto alla massa d’acqua è sempre ben poca cosa; si tratta sempre di soluzioni assai diluite, come ne fanno prova le analisi delle acque riportate precedente- mente. 25. Guidato da questi criteri ho eseguito i seguenti espe- rimenti: I.° Una soluzione d’acqua comune con circa uno per cento di silicato di sodio, sottoposta ad una corrente di anidride car- bonica per sei o sette ore, e se occorre anche per una giornata, mette in libertà piccoli fiocchetti di silice gelatinosa. Il preci- pitato si fa mano mano più abbondante, si riunisce al fondo del 4 » | LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 329 recipiente, ma non acquista grande consistenza anche dopo uu tempo lunghissimo. È facile comprendere che nella soluzione si trova infine anche del carbonato alcalino. II° La precedente soluzione di silicato di sodio, resa di- luitissima, l’ho esposta all'aria libera in un vaso di vetro. Nes- sun cambiamento apparente si manifestò per lungo tempo; ma dopo cinque mesi cominciò un lieve intorbidamento biancastro, il quale mano mano divenne più intenso, in modo che dopo dieci mesi tutto il liquido era cambiato in una gelatina. Questa ge- latina continuò a consolidarsi e si ridusse infine in sostanza so- lida, lapidea. È singolare il fatto che il liquido rimane tutto incorporato colla sostanza gelatinosa, la quale finisce per acqui- stare i caratteri dell’opale nobile e più precisamente rassomiglia all’ opale dell’isola d’ Elba.: La sostanza lapidea, opalescente così ottenuta fu lavata ri- petutamente con acqua calda, indi con diversi acidi, senza che per ciò si sciogliesse, nè mutasse il suo aspetto. Infine ho con- statato che trattavasi di silice idrata e perchè questa rassomiglia all’opale, così per brevità, d’ora in avanti, la chiamerò opale artificiale. I caratteri più saglienti dell’ opale artificiale sono: struttura amorfa, compatta; frattura conccide, aspetto opale- scente, jalino; durezza e consistenza rilevante, sicchè dopo qual- che anno lo si scambia facilmente coll’ opale naturale. I medesimi esperimenti ripetuti con acqua distillata diedero sempre lo stesso risultato; ma in quest’ultimo caso l’opale ar- tificiale riesce più limpido. III.° Migliori risultati si ottengono ricorrendo alla dialisi, colla quale si eliminano dalla silice gelatinosa, che è una so- stanza colloide, tutte le sostanze cristalline, come il carbonato alcalino, che l’accompagna. In questo caso bisogna disporre di un apparecchio dializzatore (fig. 1); il qunle consta di un vaso A cilindrico di vetro, largo, poco profondo, chiuso alla parte inferiore con pergamena ben legata con funicella. Questo reci- piente A si dispone in un altro B più grande, avendo cura di mantenere il primo sospeso nel secondo. Ciò premesso, nel re- 330 F. MOLINARI, cipiente A col fondo a pergamena, ho disposto una soluzione diluita di silicato di sodio, mentre nel recipiente esterno B ho versato acqua in abbondanza, in modo che il livello del liquido nel recipiente A fosse di poco superiore a quello del liquido nel recipiente B. Così stando le cose, dopo molti mesi, la so- luzione di silicato alcalino del recipiente A cominciò intorbi- darsi per la formazione della silice idrata gelatinosa. In pari tempo si formò anche del carbonato alcalino; ma questo, es- sendo una sostanza cristalloide, passò attraverso alla pergamena e si raccolse tutto nel liquido del recipiente B, mentre la si- lice gelatinosa, come sostanza colloide, si mantenne nel reci- piente A. Questa silice gelatinosa, mantenuta per lungo tempo in presenza dell’acqua, acquistò mano mano maggior consistenza e divenne sostanza lapidea, in modo che riesce difficile distin- guerla dall’ opale naturale. IV.° Ottenutii precedenti risultati, ho rinnovato gli espe- rimenti medesimi aggiungendo alla soluzione alcalina ora una sostanza colorante, ora un’altra, come: cloruro ferrico, solfato di rame, permanganato di potassio, cromato di potassio, ecc. In ogni caso ho sempre ottenuto l’opale artificiale coi carat- LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 381 teri dell’opale naturale, cioè jalino, a frattura concoide, però rimase colorito in giallastro dal ferro, in verde azzurro dal rame, in rossiccio dal manganese, in verdiccio dal cromo. V.° Infine ho esperimentato una soluzione, col 6 °/o di silicato di sodio, nel seguente modo: Riempita una boccetta di circa duecento centimetri cubi e ben tappata, fu disposta sopra una stufa comune di abitazione. Per molti mesi non ho verifi- cato cambiamento alcuno; ma dopo un anno ho trovato, sul fondo della boccetta, un deposito di silice biancastra, opaca, stratificata come l'involucro delle geodi silicee, precisamente come l’onice. Faccio osservare che in questo caso il liquido non è diventato opalescente, lattiginoso come nei precedenti esperi- menti; anzi non ha cambiato colore e si è mantenuto ben di- stinto dalla silice depositata. Questa poi, esaminata dopo tre anni, mentre offriva all’ occhio tutto l’aspetto dell’ onice, non presentava alcuna consistenza, e si stemperava come sostanza terrosa incoerente. 26. I fenomeni che accompagnano i precedenti esperimenti, come pure i risultati finali ottenuti, si spiegano facilmente colla scorta della chimica. Infatti nel I.° esperimento abbiamo l’ani- dride carbonica in azione sul silicato alcalino. L'anidride car- bonica sposta l’acido silicico del silicato, forma carbonato alca- lino e rimane libera la silice gelatinosa. Nel II.° esperimento agisce ancora l’anidride carbonica sul silicato alcalino; ma, trattandosi di piccolissime quantità, l’ a- zione è lentissima. In questo caso non è più una corrente di anidride carbonica che agisce; ma semplicemente quella piccola quantità che vien dall'acqua assorbita pel contatto coll’ atmo- sfera. © Le condizioni di questo esperimento corrispondono perfetta- mente a quanto verificasi in natura, giacchè si richiede sol- tanto una soluzione alcalina diluitissima e la libera azione dell'anidride carbonica dell’aria; la quale anidride carbonica trovasi disciolta in tutte ie acque e può aumentare in quantità nelle acque in circolazione sotterranea. 332 F. MOLINARI, Riguardo al III° esperimento, possiamo ripetere quanto si disse sopra per il II.°, aggiungendo l’azione dell’ apparecchio dializzatore, per mezzo del quale si separa la silice gelatinosa da ogni sostanza cristalloide; così si ottiene silice purissima. Anche le condizioni di questo esperimento rispondono perfetta- mente a quanto può verificarsi in natura, poichè le acque che im- pregnano la crosta del globo, in molti casi, si trovano come distribuite in diversi recipienti separati fra loro da pareti roc- ciose permeabili. Queste pareti permeabili possono funzionare come la pergamena del dializzatore e per ciò sarà facile com- prendere come in natura possano frequentemente verificarsi fe- nomeni conseguenti dalla dialisi. Nulla di particolare presenta il IV.° esperimento, essendo ben noto che il cloruro ferrico, il solfato di rame, ecc., servono di sostanza colorante, in quanto danno luogo a silicati con diversi colori, oppure perchè s’interpongono nella massa gelatinosa della silice. L'esperimento V.° invece presenta particolari condizioni, per cui sì distingue dai precedenti. Infatti la soluzione di silicato alcalino si trovava in boccetta chiusa, quindi la deposizione della silice non si può attribuire all’azione dell’anidride carbo- nica. Osservo che il silicato di sodio adoperato era del commer- cio e molto probabilmente di natura acida, cioè colla formola Si O*H Na. In tal ‘caso la deposizione della silice è la conse- guenza di una modificazione che subisce lo stesso silicato in conformità alla seguente reazione: 2 Si0°HNa = Si 0° Na? + Si 0° H°. Condizioni simili si possono produrre nella crosta terrestre quando un’acqua con silicato alcalino venga a mescolarsi con altra contenente sostanze acide: ciò che infine ci farebbe ritor- nare al I.° esperimento; ma eseguito in vaso chiuso. 27. I risultati di questi miei esperimenti credo che abbiano grande importanza per il mineralogista e per il geologo, perchè le condizioni in cui furono fatti corrispondono a quelle che si LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 339 realizzano frequentemente nella crosta del globo. In questo senso possono servire per spiegare l’origine della silice e quella di tutti i silicati, come si dirà in seguito; possono servire per spiegare la circolazione e le funzioni della silice nella crosta terrestre e mostrare il gran ciclo da essa percorso passando dallo stato di quarzo, a quello di silicati, a quello di silice idrata, per poi ritornare di nuovo a quello di quarzo. In tutte queste trasformazioni esercitano un grande ufficio i silicati al- calini; silicati che si trovano abbondanti e diffusi in tutte le argille; silicati che vengono disciolti e trasportati dalle acque; silicati che in natura si generano continuamente per la disgre- gazione delle rocce felspatiche, le quali formano tanta parte delia, crosta terrestre. 28. Disgregazione delle roccie felspatiche. — È noto che i felspati, mineralogicamente considerati, sono silicati di alluminio e di altre basi alcaline od alcaline terrose, cioè: potassa, soda e calce. È pure noto che i felspati sotto l’azione degli agenti naturali, cioè: anidride carbonica, aria, acqua, si scompongono, assorbono acqua, si disgregano e danno luogo a silicato di al- luminio idrato (caolino) ed a silicato alcalino. Per esempio la Nefelina colla formola Si.® Al? Na.? 0.8, disgregandosi dà luogo alla reazione: Si Al Na® 0°. | Si 0° Al° + Aq. Si 0° Na? Nefelima vi dome! GaolinoD, ni: Silicato disodio La caolinizzazione delle roccie è un fenomeno” comunissimo. ‘All’Isola d’Elba (monte Capanna) si trovano graniti i cui fel- spati evidentemente fan passaggio al caolino; lo stesso dicasi della roccia euritica di Capo Bianco presso Portoferrajo. Nelle cave dei graniti di Baveno io ho raccolto molti cristalli di fel- spato ortosico colla superficie caolinizzata, mentre è noto che nelle cave di caolino di Tretto si trovano frammenti di felspati; ciò si comprende benissimo osservando che il fenomeno della caolinizzazione avviene lentamente. 334 F. MOLINARI, 29. Il caolino, appena prodotto, cade sotto il dominio delle acque, le quali lo lavano, lo trasportano e lo sedimentano più o meno puro nelle formazioni argillose. Le stesse acque sciol- gono anche il silicato e lo trascinano in circolazione con esse. Ma il silicato alcalino, in presenza dell’anidride carbonica del- l’aria e dell’acqua, si scompone in carbonato alcalino, che ri- mane sciolto nell’acqua, e silice idrata gelatinosa che tende a depositarsi e ridursi a silice anidra. Infine si può dire che il silicato alcalino prodotto coi caolini, in parte viene disciolto dalle acque circolanti ed in parte rimane imbevuto nel caolino stesso, fornendo poi al caolino silice finamente disseminata e carbonati alcalini, che vengono in seguito esportati più o meno completamente dalle acque. Lo stesso avviene nelle roccie dove penetrano le acque cariche di silicato alcalino, oppure di silice solubile. 30. Dopo queste considerazioni è facile intendere come la silice possa trovarsi nelle acque e quindi come possa diffun- dersi e trovarsi in tutte le roccie, non escluse le roccie calcaree e quelle gessose. Le argille, essendo come imbibite di silice solubile e di si- licati alcalini, possono dar luogo alla formazione di quei nuclei di silice, chiamati diaspri ed anche alle ftaniti. I diaspri che si trovano nelle argille e nelle marne sono il prodotto della con- centrazione della silice che in tali roccie si trova disseminata, concentrazione causata da forze elettro-chimiche non ancora ben conosciute. Le ftaniti si producono in modo analogo; ma la silice si di- stribuisce uniformemente in tutta la roccia, probabilmente per la scomposizione di silicati alcalini trasportati dalle acque. Ana- logamente si potrebbero spiegare moltissimi altri fatti risguar- danti la genesi ed il metamorfismo delle roccie ; ma questo ar- gomento è assolutamente sconfinato. Mi limiterò soltanto ad esporre un altro fenomeno da me osservato e che mi pare proprio degno d’attenzione. I 31. AI geologo non occorre di ricordare quanto siano svi- LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 335 luppati in natura gli schisti talcosi micacei. Tale roccia si stende, p.- e., dal lago Maggiore al lago d’ Orta ricoprendo i graniti a guisa di ampio mantello e contiene spesso dei nuclei di silice quarzosa, biancastra. I nuclei sono avvolti e compenetrati dallo schisto a guisa di cipolla ed abbondano là dove lo schisto va più soggetto alla decomposizione. I prodotti di decomposizione sono molto complessi e non fa certo difetto il silicato alcalino, il quale fornisce silice solubile. Osservando da più anni l’andamento delle alterazioni di tale roccia credo di. poter concludere che la silice messa in libertà tende a concentrarsi in noduli, includendo ‘anche porzione delle lamine schistose. Tali lamine però alla loro volta tendono a scomporsi, dando luogo a silice ed altri prodotti solubili, che vengono eliminati dalle acque. Così i nuclei di quarzo, per un fenomeno di metamorfismo della roccia, tendono ad ingrossare a spesa della silice messa in libertà dai diversi silicati che en- trano a formare la roccia. 32. Finora abbiamo considerato il lavoro della silice in casi particolari; ma in realtà le funzioni della silice si estendono a tutto il globo non escluso il regno vegetale ed animale. Se noi ci facciamo ad osservare la crosta terrestre, lungi dall’offrire lo spettacolo della morte e della stazionarietà, an- nunzia in tutte le sue parti un lavoro continuo ed un conse- guente rimestamento. L’attività dipende da molteplici cause, e la silice esercita ovunque una grande funzione. Per dimostrare che l’attività della silice si estende a tutta la compaggine del globo, basterà provare che le acque, colla silice disciolta, circolano ovunque e non lasciano sfuggire particella alcuna al loro dominio. 33. Circolazione delle acque nella crosta terrestre. — È un fenomeno generale provato all'evidenza dalla dinamica terrestre. Dall’ osservazione più volgare risulta che le acque penetrano ‘ frequentemente nella crosta terrestre sia per liberi canali, sia per infiltrazioni. Tutte le roccie sono più o meno permeabili al- l’acqua, e quelle che si dicono impermeabili, è perchè lo sono in grado minimo in confronto delle altre. 336 F. MOLINARI, Le sorgenti sono una rivelazione grandiosa della circolazione sotterranea. Là dove esce dell’acqua, deve esservi entrata dal di fuori, e quindi ha dovuto circolare fra il luogo di penetra- zione e d’ uscita. Se si dubitasse, bisognerebbe ammettere che le sorgenti traggono l’acqua dalle visceri della terra. Ma que- st'acqua coll’andar del tempo dovrebbe esaurirsi. Invece è noto che le sorgenti sono un fatto generale e perenne. Esempi di circolazione per canali sono l’ Emposieux del Giura, il Buco dell'Orso (Laglio), le caverne di Adelsberg, la grotta del Mamouth nel Kentuchy. I pozzi artesiani sono prova convincentissima della circola- zione sotterranea. Praticati in ogni regione, in ogni luogo fini- scono sempre per ritrovare l’acqua sotterranea; è questione di profondità. Qualche volta bastano pochi metri, altre volte ne occorrono centinaia e centinaia per trovare lo strato acquifero. Sono celebri i pozzi di Granelle (Parigi) profondo m. 548, di Freyberg (m. 592), di Huttenberg in Boemia (m. 1151). La profondità massima dei pozzi si estende a circa mille me- tri, ciò che è ben poca cosa in confronto al raggio della terra che misura circa sei milioni di metri; quindi i pozzi da soli non bastano per provare la generalità del fenomeno della cir- colazione delle acque. Un largo aiuto ci porgono in proposito le sorgenti termali, i fenomeni vulcanici ed infine gli esperimenti di Daubrée sulla circolazione delle acque nella terra. È noto che fra le sorgenti che scaturiscono dalla crosta ter- restre ve ne sono moltissime ricche di sostanze minerali e per- ciò chiamate sorgenti minerali; altre, con acqua più o meno calda, si dicono termali. È pure noto che la temperatura, sotto lo stato invariabile, cresce di 1° centigrado per ogni metri 30 a 32 di profondità. Ora l’acqua nella terra entra alla temperatura ordinaria e se esce dalle sorgenti termali ad altissima temperatura, biso- gnerà pur supporre che abbia raggiunto tanta profondità per acquistarla. | LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 337 Ecco alcuni esempi in proposito: Pozzo di Saint-Quen . Prof.'* m. 66. temp. -+ 129,9 n». Chapoiseau . . ; OMAV MIO sel Gramelle ©... x SO de A Parigi lo strato a temperatura invariabile si trova a circa m. 22 e segna + 10°,6. Con tali dati i suddetti pozzi verreb- bero a dare una maggior profondità di m. 20 a 30 circa per ogni grado di temperatura. Ora la sorgente detta Aguas calientas de la Trincheras, sulla costa settentrionale della Venezuela, segna + 97°. Calcolando lo strato invariabile a 27" e colla temperatura -di + 10°; cal- colando sopra una progressione di un grado per ogni 30 metri di maggior profondità, l’acqua di tale sorgente verrebbe da una profondità di circa m. 2600. Sorgenti molto calde sono quelle di: Aguas de Comangillas (Messico) . . Temper. 96°,4 Ra a 90°,0 MEM IETC MONTE) 0. +, È 60°,0 Le sorgenti termali, avuto riguardo alla quantità dei mine- rali che portano disciolti, sono indizio sicuro di un gran lavoro di trasformazione che si compie nelle visceri terrestri. I fenomeni vulcanici vengono in appoggio di tale concetto, perchè in ogni eruzione si verifica sempre lo sviluppo di gran quantità di vapore acqueo; anzi si può dire che il vapore ac- queo è uno dei principali fattori del vulcanismo. Del resto l’acqua noi la riscontriamo anche in tutti i fenomeni secon- dari della vulcanicità, per cui dobbiamo ammettere che essa pe- netra sino nelle visceri terrestri, là dove si originano i vulcani. 34. Ma come mai si spiega l’infiltrarsi dell’acqua circolante anche attraverso una massa caldissima, come le lave prima del- l'eruzione? Pare che giunta l’acqua a contatto di una massa ad alta temperatura, debba immediatamente risolversi in vapore e quindi opporsi ad ogni ulteriore infiltrazione. Non bisogna però 338 F. MOLINARI, dimenticare che il lavoro che si verifica alla superficie terrestre non può illuminarci di quanto avviene alle grandi profondità in condizioni assai diverse. D'altronde Daubrée è giunto espe- rimentalmente a dimostrare che il calore, anzi che impedire, favorisce la filtrazione delle acque. Io non entro in altre spie- gazioni che si possono leggere in diversi trattati di geologia; ma conchiudo che le acque possono circolare ovunque nel nostro globo, e colle acque circola ovunque anche la silice. 35. Ma se possiamo facilmente arguire che l’attività della si- lice si estende a tutto il globo, chi può dire in qual modo essa funziona? L’acqua ed il calore non fanno difetto nella compa- gine del globo e favoriscono certamente le reazioni chimiche. Ma come si compiono tali reazioni? Ben poco noi sappiamo in proposito. È una chimica tutta da farsi, è un desiderato pel mineralogista e pel geologo. Noi possiamo soltanto affermare che le acque, oltre la silice ed i silicati alcalini, possono contenere moltissime altre sostanze minerali. Sono frequentissimi il carbonato di calcio, di magnesio, di ferro, il gesso, il solfato d’alluminio, magnesio, potassio, il solfato ferroso, ecc.j; sono pure frequenti il cloruro di sodio, di magnesio, di calcio; i fosfati, i bromuri, ecc. ecc. L'attività sol- vente delle acque non risparmia nessun minerale, nessuna roccia e può diventare molto sensibile per determinati minerali, quando il liquido ne contenga già disciolti certi altri. * La silice, circolando attraverso le roccie, giunge in contatto ora ad un minerale, ora all’altro e dà luogo alle più svariate e complesse reazioni, moltiplicando le sue funzioni. Sono queste reazioni che presiedono alla formazione delle. lave, dei filoni, dei minerali in generale e di tutti i costituenti delle roccie; sono queste reazioni che presiedono infine a quel gran lavoro metamorfico a cui si trova assoggettato tutto il nostro globo. Se dal concetto generale si scende all’analisi, noi troviamo che anche in questo ordine di investigazioni quasi tutto rimane da 1 A. Cossa, Atti del R. Istituto Veneto, 1872. LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. 399 farsi. Limitandomi sempre alla silice, io ho istituiti diversi espe- rimenti per indagare il modo con cui essa reagisce colla calce, coll’allumina, col ferro, ecc., perchè tali elementi figurano fra i principali componenti delle roccie. 36. Considerando che il carbonato di calcio, il solfato di calcio, di alluminio e di ferro si trovano relativamente abbondanti nelle acque, ho cercato di studiare le reazioni che si producono quando una soluzione diluitissima di ciascuno dei suddetti minerali venga a mescolarsi con un’altra pure diluitissima di silicato di sodio. Ecco in breve il modo con cui furono condotti gli esperimenti ed i relativi risultati conseguiti. I.° La soluzione diluitissima di solfato ferroso, mescolata con altra simile di silicato di sodio, dà un leggiero precipitato giallastro fioccoso di silicato di ferro, il quale finisce per de- positarsi in massa amorfa. Il precipitato, mantenuto sempre in presenza del liquido, va acquistando una certa consistenza; tuttavia anche dopo due anni di riposo la sua consistenza non può dirsi lapidea. Quando vien tolto ‘dall'acqua e lasciato in contatto dell’aria si disgrega e riducesi in massa quasi polve- rulente. II° Una soluzione diluitissima di solfato di alluminio, mescolata con altra simile di silicato di sodio, dà un Ileggiero precipitato bianco e fioccoso. Col tempo si fa abbondante e fi- nisce per incorporarsi con tutto il liquido, dando luogo ad una massa bianca, d’ aspetto gelatinoso, la di cui consistenza aumenta col tempo. La massa così ottenuta, lavata ripetutamente con acqua e con acidi diluiti, non presenta che limitata consistenza anche dopo un anno. Tuttavia pare che con un tempo lunghis- simo si debba ottenere una massa lapidea, litoide che richiami l’andalusite. III° Una soluzione diluitissima di silicato di sodio, me- scolata con altra di solfato d’alluminio e di solfato ferroso, dà un leggiero precipitato giallastro fioccoso, che si deposita sulle pareti del recipiente. Questo precipitato, mantenuto per tre anni in contatto dell’acqua, si riduce infine in una massa giallastra, 340 F. MOLINARI, LE FUNZIONI DELLA SILICE, ECC. sE terrosa nella quale si distinguono col microscopio alcuni brite i; lini aghiformi, prismatici e del sistema dimetrico. Probabilmente: trattasi di gehlenite, ossia di silicato d’ alluminio e di ferro. . IV ° Una soluzione di bicarbonato di calcio, mescolata con altra diluita di silicato di sodio, dà precipitato bianco, che tende a riunirsi al fondo del recipiente. Il precipitato mantenuto in contatto del liquido, dopo qualche mese diventa abbastanza con- sistente e dopo un anno gode la consistenza e la durezza di un vero prodotto lapideo da paragonarsi coi silicati litoidi naturali. 37. In modo analogo, operando sempre con silicati e con altri sali solubili di magnesio, di bario, di calcio, di rame, ecc., si possono tentare moltissime altre reazioni. L'argomento però è sconfinato e per quanto possa interessare la mineralogia e la geologia, pure si può dire che è ancora tutto lavoro da farsi. Infine la silice sciolta nell’acqua sia allo stato di silice idrata, sia allo stato di silicati alcalini presenta le migliori condizioni per circolare nella crosta terrestre e per essere assimilata dalle piante e dagli organismi animali. Soltanto provande e ripro- vando ed a forza di induzioni si potrà dire un giorno come funziona la silice nei singoli casi; ma già dal complesso di que- sto studio, per quanto incompleto, emerge come siano estese ed importanti le funzioni della silice. Questa nel regno minerale non ha meno importanza di quanto ne abbia il carbonio nel regno organico. Dal Museo Civico di storia naturale di Milano, il 20 luglio 1887. ì; II, TERREMOTO DI LECCO DEL 20 MAGGIO 1887. Nota del Prof. Giuseppe MERCALLI. Sebbene la scossa sentita nel Lecchese la mattina del 20 maggio 1887 per la ristrettezza dell’area e per l’innocuità si possa quasi considerare come un terremoto da gabinetto, pure avendo'io potuto raccogliere numerose e precise notizie su questo fenomeno,' non credo inutile esporle in questa breve nota non fosse altro perchè possano servire come termine di confronto per lo studio dei terremoti di maggiore importanza. Verso le 5°12" ant. (t. m. di Roma) del 20 maggio 1887 una scossa abbastanza sensibile svegliò bruscamente gli abitanti di Lecco e del territorio. A Lecco tutti affermano di aver sentito un fortissimo rumore come di lontana violentissima esplosione, e contemporaneamente od immediatamente dopo, un sensibile sussulto del suolo. Il fe- nomeno parve quasi istantaneo ossia perdurato non più di un secondo. Ma credo che questo comune apprezzamento si debba riferire piuttosto al rumore che al movimento, poichè il sig. Ales- sandro Stoppani, che, essendo un poco sordastro, non sentì il rumore e quindi avvertì meglio il movimento, potè distinguere in questo la successione di diverse pulsazioni del suolo (gli par- vero 12 o 13). 1 A tale scopo feci io stesso alcune gite sul luogo del terremotu. Diverse notizie però mi vennero gentilmente comunicate dal rev. prof. D. Federico Colombo di Merate e da altri miei amici a cui rendo le più sentite grazie. 342 . G. MERCAELI, Il movimento a Lecco fu decisamente sussultorio, poichè quelli che erano in letto non si sentirono dondolati ma alzati in alto. Uno mi disse che il sussulto fu così forte che gli parve sentirsi per un istante mancare il respiro. Persona che stava seduta in chiesa si sentì sospinta e quasi sollevata sulla sedia. La forma verticale della scossa venne avvertita specialmente per il confronto colla scossa puramente ondulatoria sentita poco tempo prima in Lecco la mattina del 23 febbraio, quando av- venne il terremoto disastroso sulla Riviera ligure di Ponente. Infatti la scossa del 23 fece oscillare assai sensibilmente molti oggetti appesi, come lampade, quadri, salami, ecc., e fece fer- mare molti orologi a pendolo. Quello del 20 maggio invece, sebbene per comune consenso più sensibile, non mise in movi- mento gli oggetti appesi, e non fece arrestare nessun orologio. In una sola casa, per quanto io sappia, si è fermato un orolo- gio, ma per essersi rotto il congegno, il che sarà quindi acca- duto per il sussulto e non per una ondulazione che ne abbia eliso il movimento. Una Signora mi disse aver veduto saltellare sulla propria ta- voletta tutti gli oggetti che vi erano sopra. Tuttavia qualche oggetto piegato o caduto mostra che il mo- vimento non fu esattamente verticale ma solo assai prossimo alla verticale. In un fondaco vi erano parecchie pile di tavolette di cioccolatte; orbene da una ne caddero 4 o 5 da S-O verso N-E; e quelle formanti la parte superiore di un’altra pila simile ri- masero un poco piegate nella stessa direzione. Similmente in un’altra bottega si rovesciarono alcune scatole di sardine mentre il padrone stava accomodandole nella vetrina. L'intensità del terremoto in Lecco fu tale da svegliare quasi tutte le persone addormentate, e da incutere un po’ di spa- vento. Alcuni sentirono scricchiolare le impalcature così che pareva volessero cadere; qualche vetro si ruppe. Molti escirono all'aperto per vedere se fossero accadute disgrazie. Fortunata- mente però non vi fu nessun danno. Solo qualche fessura pree- sistente in tramezzi ma] sostenuti ingrandì un poco. Così, per tilt IL TERREMOTO DI LECCO, ECC. 343 esempio, avvenne in una casa alla Malpensata. Al momento del terremoto alcune persone sentirono un senso come di nausea. Sul lago alcuni barcajuoli che erano in movimento tra Lecco e Malgrate non avvertirono il fenomeno; invece quelli che sta- vano fermi nelle barche pescarecce presso Pescarenico avver- tirono un movimento inusitato nell'acqua che ha urtato la barca e sentirono il boato. Il terremoto si sentì coi caratteri ora descritti e con intensità poco minore in tutti i paesi del territorio a nord di Lecco fino a Laorca, dove però il suono fu molto meno sensibile, sicchè al reverendo Parroco, che stava celebrando la Messa, parve pro- dotto da un grosso masso fatto rotolare sul selciato, e gli parve molto inferiore a quello sentito altre volte per l’esplosione della vicina polveriera della Bonacina. Più in su, a Ballabio Inferiore e Superiore, il movimento fu ancora abbastanza sensibile, ma molto minore l'intensità del suono che lo accompagnava; sicchè mentre a Lecco ad alcuni la grande forza del suono fece pas- sare quasi inosservato il movimento, a Ballabio invece molti avvertirono quasi solo il movimento. A Ballabio Inferiore, per esempio, un signore ch'era a letto sveglio sentì prima un sus- sulto abbastanza sensibile accompagnato da un rumore non di- verso del solito rombo che suole accompagnare il terremoto, poi gli parve che il fenomeno finisse, ma subito dopo sentì un’ altra scossetta più debole e senza rombo. A Ballabio Superiore una persona che stava in camera al primo piano in perfetta quiete avvertì il fenomeno nel seguente modo: anzitutto sentì un rumore come di tuono molto lontano seguito subito da una specie di scoppio e da un sensibile mo- vimento del suolo. Un paniere appoggiato sul tavolo si mise a dondolare in direzione NE-SO; nella stessa direzione la manetta di un'imposta dondolava urtando ripetutamente contro l'imposta stessa. Anche le sedie fecero un debole movimento. Dunque a Ballabio Superiore ed Inferiore il movimento fu meno intenso ma un po’ più lungo che a Lecco, e misto di sus- sulto ed ondulazione. Vol. XXX. 23 d44 G. MERCALLI, A Barzio, Pasturo, Introbbio, generalmente il terremoto non venne sentito, alcuni però lo avvertirono assai leggermente. Nella parte alta della Valsassina e Valtellina nessuno lo avvertì. Verso oriente il terremoto venne sentito, ma solo leggermente e da poche persone fino a Brumano in Val d’Imagna. Sulla sponda destra del lago, a Malgrate, Valmadrera, Sala e Galbiate, tanto il movimento come il suono presentarono gli stessi caratteri avvertiti a Lecco, ma con intensità un poco maggiore. Nella chiesa parocchiale di Valmadrera cadde qualche calcinaccio da una spaccatura già esistente nel coro. A Malgrate i vetri della chiesa diedero un forte tintinnio. Al Molino tra Malgrate e Valmadrera a piano terreno il sussulto fu così forte che alcune persone ne ebbero spavento e si mossero per escire all’aperto. Ad Annone e Pusiano il movimento sussultorio del terreno fu ancora abbastanza sensibile, ma il boato molto meno forte. Arrivò sino al Piano d’Erba dove però si sentì non in tutti i paesi e solo leggermente. Verso Nord il terremoto fu abbastanza sensibile sino ad Onno e Valbrona in Valassina. Invece non giunse neppure fino a Mandello sulla sponda opposta del lago. Verso Sud, fino a Chiuso, a Garlate ed a Somasca * si sentì press’a poco come a Lecco; un po’ meno intensamente fino ad Erve, Calolzio, Rossino, M. Marengo, Carenno, e molto più leg- germente giunse fino ad Airuno, San Genesio, Brivio, Calco. Nei dintorni di Caprino il movimento parve sussultorio, e durò, se- condo il prof. Invernizzi, 4 o 5 secondi, ossia fu più lungo che a Lecco sebbene assai più debole. Pare non sia giunto fino a Valcava sull’Albenza (1200 m.) dove nessuno lo ha avvertito. In Brianza il terremoto arrivò fino a Nava, Rovagnate e Bar- zago. Più a Sud non venne sentito. A Nava fu leggero ma avvertito da molte persone e più du- raturo che a Lecco. A Santa Maria Hoe (presso Rovagnate) si 1 A Somasca molte persone escirono dalla chiesa spaventate. ì i et ie - lee. ottearentr IL TERREMOTO DI LECCO, ECC. STD avvertì solo da poche persone, tremarono i vetri e dondolò il letto. Molto più sensibile e distintamente ondulatorio fu a Bar- zago. Qui il rev. D. Agostino Butti sentì il rombo precursore che somigliò dapprincipio al suono di una locomotiva che passi sotto un tunnel e poi a quello di un omnibus che dalle rotaie improvvisamente passi sopra il selciato, poi seguì un’ ondulazione durata alcuni secondi. Il movimento fu distintamente ondulatorio pare con direzione NE-SO, ed avvertito da molti. Cadde un abito dal portapanni ed una griglia sbattè fortemente contro un muro diretto NO-SE. Dunque l’area su cui fu sensibile il terremoto di Lecco del 20 maggio ha forma subcircolare e circa 20 chilometri di dia- metro. Il centro superficiale od epicentro pare doversi porre non al centro geometrico di quest'area, ma un po’ più a Nord, ossia sul diametro Sud-Nord a circa ?/3 dalla sua estremità meridic- nale presso Valmadrera, dove il terremoto ebbe la sua massima intensità. Le poche direzioni del movimento sismico (Sud-Ovest a Bal- labio ed a Lecco, N-E a Barzago) convergono appunto nella regione compresa tra Garlate e Valmadrera. In questa regione poi il movimento fu decisamente sussultorio, invece lungi da essa tanto a Nord (a Ballabio) come a Sud (a Barzago) la componente orizzontale superava quella verticale, poichè il moto si avvertì come ondulatorio. | Questa trasformazione del movimento sismico da sussultorio in ondulatorio accompagnante la diminuzione di intensità è importante per la teoria, perchè mostra come anche in questi piccoli ter- remoti si possa distinguere un verticale sismico ed un’area esterna &d esso dove il movimento emerge con inclinazione a mano a mano più prossima all’orizzonte. Lo sviluppo minore dell’area del presente terremoto sulla sponda orientale del Lago di Lecco trova forse una spiegazione nel brusco cambiamento di direzione di tutti i terreni postriasici, “i quali appunto in corrispondenza alla estremità meridionale 346 G. MERCALLI, del lago volgono verso Sud a formare i fianchi del Resegone di Lecco e dell’Albenza. Il centro di scuotimento di questo terremoto dev'essere posto a piccola profondità nella crosta della terra, come si argomenta: 1.° dalla ristrettezza dell’ area su cui si è sentito; 2.° dalla quasi contemporaneità del movimento col rombo precursore. Però non credo che tale profondità si possa ritenere inferiore ai 5 o 6 chilometri, poichè fino a questa lontananza dal verticale sismico la componente verticale della scossa rimase maggiore della componente orizzontale sicchè comunemente il terremoto fece l'impressione di un semplice sussulto. i‘ I terremoti locali in regioni lontane dei vulcani attivi o spenti da poco tempo possono avere per causa, a mio modo di vedere, o grandi scoscendimenti sotterranei od esplosioni di materie gazose. Orbene, tra queste due cause sembra più verosimile do- versi attribuire il terremoto di Lecco del 20 maggio ad una esplosione gazosa; e ciò per due ragioni: 1.° perchè il rumore che ha accompagnato la scossa presso l’epicentro fu così iden- tico a quello di un’ esplosione di materie aeriformi che quasi tutti i Lecchesi pensarono subito fosse scoppiata la polveriera della. Bonacina (presso Lecco), tanto che i gendarmi si avvia- rono verso questa per portarvi soccorso; 2.° per la brevità. e quasi istantaneità del suono e del movimento all’epicentro, men- tre se un suono tanto forte fosse stato prodotto da un grande scoscendimento sotterraneo, dovea essere più prolungato e seguito da uno strascico di suoni e movimenti minori. Siccome nel 20 maggio verso le 8 ant. una scossa piuttosto sensibile si fece sentire in quasi tutta la Liguria occidentale, è naturale domandarsi se ci sia un rapporto tra i due terremoti di Lecco e della Liguria. A me pare fuor di dubbio che un rap- porto diretto e causale non si possa ammettere, poichè il ter- remoto di Lecco, che precedette di quasi 3 ore quello ligure, è un fenomeno troppo locale, superficiale e di poca intensità per aver potuto influenzare un focolare sismico lontano oltre 250 chilometri. Solo ritengo che il grande sconvolgimento tel- IL TERREMOTO DI LECCO, ECC. 347 lurico che causò la catastrofe del 23 febbraio in Liguria abbia potuto indirettamente ed in via secondaria agire come causa occasionale nel determinare il momento della esplosione sotter- ranea avvenuta nel Lecchese e preparata di lunga mano da cause locali. Nel Lecchese, come in generale in Lombardia, i terremoti violenti sono assai rari. Solo vi giungono non rare volte le ul- time ed indebolite ondulazioni dei maggiori terremoti delle re- gioni limitrofe come avvenne nel 23 febbraio 1883 (terremoto di Liguria), nel 29 giugno 1878 (terremoto di Belluno), nel 17 mar- zo 1864 (terremoti nell’ Emilia), nel 26 luglio 1855 (terremoto del Vallese), nel 5 febbraio 1851, ed in molte altre occasioni che qui sarebbe troppo lungo enumerare. Solo ricorderò due ter- remoti di Lecco del secolo XVII che trovo menzionati con qual- che dettaglio in una Cronichetta manoscritta del Convento dei Capuccini di Lecco, che ancora oggidì si conserva nell’Archivio della Chiesa di Pescarenico.! In essa difatti si legge che “ l’hanno 1642,° la notte avanti la festa di S. Antonio di Padova circa le tre o quattro ore di notte venne un grande e spaventoso ter- remoto che diede tre crolli terribili con pericolo di atterrare il Convento e singolarmente la Chiesa (di Pescarenico) con sommo spavento dei religiosi e dei secolari circonvicini ....,. Ed a pag. 41 della medesima Oronichetta si legge che “ nell’anno 1695 la mattina della domenica delle Palme, un’ora avanti giorno, venne un terremoto che diede due scosse, e la seconda fu più gagliarda della prima. Tanto che al predicatore della Quaresima, mentre stava seduto sulla lettiera nel camerone delle inferme- rie vecchie, che serviva di libraria, studiando la predica col lume acceso, mancò poco che non cadesse dalla lettiera mede- 1 Debbo la notizia dell’esistenza di questa Cronaca al chiarissimo prof. Antonio Stoppani. ? Nel Ms. della Cronaca si legge 1646, ma ritengo per errore, perchè in altre ero- nache trovai che un violento terremoto si sentì nel Bergamasco ed a Milano il 13 giugno 1642 proprio a tre ore di notte come quello ricordato dalla Cronichetta (Cfr. G. MERCALLI, Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia, pag. 292). 348 G. MERCALLI, IL TERREMOTO DI LECCO, ECC. sima; cadette in terra la lucerna, si schiodò dal muro lo sve- gliarino, cadde anch'egli in terra e si guastò di mala maniera, cadettero molti pezzi di calcinaccio, e la lettiera traballò ben bene, e finalmente fece svegliare tutti li religiosi, che mezzo addormentati uscirono di cella tutti sbigottiti, non sapendo la cagione del fatto, e per grazia di Dio non vi fa altro male. , Di questi due terremoti del secolo XVII il secondo, cioè quello del 1695, pare abbia avuto un origine locale come quello del 20 maggio 1887,! il primo invece coincide per il giorno e per l’ora con un terremoto che cagionò lesioni considerevoli nelle case del Bergamasco dove ebbe il suo centro. Monza, luglio 1887. 1 Questo terremoto lecchese del 1595 rassomiglia all'attuale del 20 maggio anche per essere accaduto mentre in una regione vicina (nel Veneto) perdurava un periodo di scosse cominciato con un terremoto rovinoso avvenuto nel 25 febbraio di quel- l anno. 138 Seduta del 1 Maggio 1887. Presidenza del Presidente prof. cav. ANTONIO STOPPANT. Il Presidente apre la seduta invitando il segretario Mercalli a leggere un sunto delle memorie presentate dai soci assenti C. F. Parona ed E. Mariani, Sui fossili tortoniani del Capo S. Marco in Sardegna, e dello stesso Socio E. Mariani Sulla Molassa miocenica di Varano. Lo stesso segretario G. Mercalli legge pure, a nome dei rispettivi autori, un sunto delle memo- rie della signora Maria Sacchi Cattaneo: Contribuzioni all’isto- logia dell’ ovidotto degli uccelli, del socio G. Cattaneo: Sulla struttura dell’intestino e delle glandule pepto-diastasiche dei cro- stacei decapodi, e del signor L. Ricciardi, Genesi e successione delle rocce eruttive (Lettura ammessa a termine dell'art. 20 del regolam. sociale.). Il Presidente prof. A. Stoppani annuncia alcune scoperte in- teressanti di fossili di Lombardia, con cui si arricchirono re- centemente le raccolte del nostro Museo. Sono: 1.° Bos Urus. — Molta parte cioè circa la metà delle ossa di un grosso scheletro degli strati superiori delle argille lacu- stri di Val Adrara, da lui riferiti all’epoca glaciale. L’ing. F. Molinari, che si è recato a raccogliere questo fos- sile ad Adrara, e che si è assunto il pazientissimo lavoro di ricomporre quelle ossa in gran parte frantumate e disperse, è riescito a ristaurare lo scheletro in tutte le sue parti più im- 350 SEDUTA DEL 1 MAGGIO 1887. portanti, cioè: quasi tutti gli arti, porzione del bacino, gran parte della colonna vertebrale, non che una notevole porzione della testa. L’istesso ing. Molinari si riserva a lavoro ultimato di fare una descrizione del fossile interessante. 2.° Bos Urus. — Le corna e parte di mascella trovate in un gran banco argilloso probabilmente lacustre alla profondità di alcuni metri sulla sponda destra del Lambro presso la filatura Trombini a Melegnano. 3.° Elephas meridionalis. — Grosso molare scoperto nelle alluvioni antiche dell’ Adda a Pizzighettone. Si passa agli affari colla votazione per la nomina di an Se- gretario, dell’ Economo, del Cassiere e del Consiglio d’Ammini- | strazione e riescono eletti ad unanimità : G. Mercalli, Segretario G. Gargantini-Piatti, Cassiere G. Delfinoni, Economo Crivelli march. Luigi Borromeo conte Giberto jun. P. Magretti Consiglieri d’ Amministrazione. Dietro invito del Presidente il socio Cassiere presenta i Bi- lanci sociali Consuntivo 1886 e Preventivo 1887. Dal primo ap- pare che alla fine del 1886 la Società ha una rimanenza attiva di L. 221,80; e dal secondo che alla fine del 1887 avrà un avanzo presumibile di L. 1425,15. Nessuno avendo osservazioni a fare i bilanci sono approvati. Il Presidente invita alla votazione per nominare soci effettivi studenti il sig. Bruno Galli proposto dai soci P. Pavesi, F. De Carlini, G. Cattaneo, ed il sig. Michelangelo Ambrosioni propo- sto dai soci G. Mercalli, F. Molinari, A. Stoppani. Ambedue ri- sultano nominati ad unanimità. Il Presidente partecipa la dolorosa notizia della morte del no- stro socio effettivo dott. Antonio Garbiglietti, e dà lettura del se- guente ordine del giorno votato per acclamazione dalla R. Ac- cademia medica di Roma, nella sua adunanza ordinaria del 27 SEDUTA DEL 1 MAGGIO 1887. 3D1 febbraio: La IE. Accademia medica di Roma segnala all’ atten- zione di tutti è corpi scientifici d° Italia V’eroica condotta dei Medici militari dott. Gasparri Nicola capitano medico e Fer- retti Angelo tenente medico mel glorioso combattimento di Do- gal, Il segretario comunica una lettera del dott. E. Mariani che ringrazia per la sua nomina a socio effettivo; ed un Programma di Concorso dell’ Accademia Olimpica di Vicenza ad un premio di L. 3300 sul seguente tema: Quali mutamenti siano avvenuti o sì presume che debbano avvenire ulteriormente nel commercio di importazione, esportazione e transito nel Regno d’ Italia in conseguenza non pure del Canale di Suez, ma delle comunica- zioni internazionali ed interne che si sono in Italia compiute negli ultimi venticinque anni. Il concorso scade coll’ ultimo di- cembre 1891. Il socio C. Bellotti domanda la parola per fare la seguente comunicazione: Il giorno 23 scorso febbraio io mi trovava a Nizza durante il terremoto che tanta rovina arrecò lungo la riviera ligure. Non intendo qui parlare dei diversi fenomeni che si verificarono in quella terribile circostanza; i gior- nali locali ne diedero relazioni abbastanza dettagliate e scienziati specia- listi si occupano di indagarne le cause e constatarne gli effetti. Solo ac- cennerò a qualche fatto che ebbi campo di osservare, occupandomi dei pe- sci di quella località fra le più ricche per gli studiosi dell’ittiologia del Mediterraneo. Lo stesso giorno 23 febbraio dopo mezzodì, essendo il mare in perfetta calma, vennero raccolti morti e galeggianti due pesci rarissimi, vale a dire un giovane Pomatomus telescopium (lungo soltanto cent. 13) e una Ar- gentina sphyrena adulta, entrambi abitatori di notevoli profondità. Il Po- matomus telescopium, raro allo stato adulto, lo è straordinariamente in pic- xcole dimensioni come il presente e si può supporre che giovane si tenga a maggiori profondità che non adulto. L'Argentina sphyrena, comunissima sui mercati di Marsiglia, Napoli ed altri del Mediterraneo, in esemplari giovani, a squame caduche e perciò di solito affatto nudi, si trova rarissime volte a Nizza in singoli individui adulti, a squame persistenti, come l’ e- semplare che qui presento, talchè da alcuni si riteneva specie distinta, men- tre infatti le differenze sono dipendenti solo dall'età. Nello stato adulto è pesce di mare profondo, mentre giovane si pesca colle reti a strascico. 352 SEDUTA DEL 1 mMacgIO 1887. Se si tien conto della vastità del mare, dei pochissimi pescatori, non più di due o tre barche, che in quel giorno si trovavano al consueto lavoro in quella località e della proporzione probabile fra i due piccoli pesci così ca- sualmente rinvenuti e i molti altri che nelle identiche condizioni possono essere stati dispersi o ingoiati dai loro compagni di dimora, si può credere che qualche straordinario fenomeno siasi verificato negli abissi del mare in relazione col moto del continente limitrofo, capace di dare la morte forse a parecchie migliaia di esseri che si trovavano nella immediata vicinanza della sede così colpita. Aggiungerò che dal 2 all’8 marzo successivo si trovarono frequenti gli esemplari di Alepocephalus rostratus, pesce di grandi profondità, esclusivo del mare di Nizza, rarissimo nella stagione invernale, più frequente durante l'estate; sei ne vennero presi il giorno 8 coi palamidi da una sola imbar- cazione e, caso affatto eccezionale, un esemplare fu preso presso il Varo il giorno 2 colle reti a strascico che si traggono sulla spiaggia. Pare quindi che anche questi abitatori di profondi abissi siansi trovati in condizioni di forzato cambiamento di alloggio. Finalmente il giorno 10 marzo fu portato da Villafranca un esemplare del rarissimo Tetragonurus cuvierii, trovato morto alcuni giorni prima sulla spiaggia di Saint Jean, in incipiente putre- fazione. Di questa specie, di mare profondo, si rinviene in media a Nizza un solo esemplare ogni anno e in stagioni indeterminate. Non potrei però affermare che il caso presente debba avere stretta relazione col fenomeno del terremoto del 23 febbraio, mentre mi pare che pel rimanente, come so- pra accennato, si possa credere a cause non estranee al medesimo e che potrebbero avvalorare l'opinione che il centro di quel movimento tellurico siasi verificato a grande profondità nel mare tra Nizza e Genova. Questa breve notizia ho creduto opportuno di esporre perchè possa con- correre, in unione ad altre di maggior importanza, a completare la storia di un avvenimento pur troppo non mai abbastanza raro, sulle cui origini la scienza non ha ancora detto l’ultima parola. Il Segretario Prof. G. MERCALLI. Seduta del 3 Luglio 1887. Presidenza del Segretario prof. G. MERCALLI. Il segretario G. Mercalli apre la seduta annunciando che il socio G. Crety rimanda ad altra occasione la presentazione della sua memoria Sopra alcuni Cisticerchi dei Rettili, poi lo stesso segretario legge una sua nota sul Terremoto di Lecco del 20 maggio 1887, ed espone a viva voce i principali risultati da lui ottenuti dallo studio di alcune rocce eruttive di Radicofani e dei vulcani Vulsini e Cimini. Infine il socio Molinari legge una memoria dal titolo: Le funzioni della silice nella crosta ter- restre. Passando agli affari viene letto ed approvato il verbale della seduta 1 maggio 1887, ed il segretario G. Mercalli dà comuni- cazione della dolorosa perdita fatta dalla Società nella persona dell’illustre dott. Bernardo Studer di Berna nostro socio Corri- spondente. Infine lo stesso segretario comunica due concorsi a premio, cioè: il concorso al premio Molon proposto dalla Società geologica italiana sul tema: Storia dei progressi della Geologia in Italia in questi ultimi venticinque anni 1860-1885. Il premio è di L. 1800 ed il concorso si chiude il 31 dicembre 1889. Il secondo è il premio Bressa diretto a premiare quell’italiano che durante il quadriennio 1885-88 “ a giudizio dell’ Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto la più importante scoperta, o pubblicata l’opera più ragguardevole in Italia, sulle scienze fisiche e spe- rimentali, storia naturale, matematiche pure ed applicate, chi- 354 SEDUTA DEL 3 LUGLIO 1887. mica, fisiologia, patologia, non escluse la geologia, la storia, lo geografia e la statistica. , Il premio è di L. 12,000 ed il con- 5 corso scade col 31 dicembre 1888. Il segretario G. Mercalli propone che al volume degli Ati della Società in corso di stampa, che è il 30° della serie, venga | aggiunto un indice generale di tutti i trenta volumi precedenti. La proposta viene approvata, ed il medesimo segretario si as- sume l’incarico della compilazione di detto indice. | È Il Segretario Prof. G. MERCALLI. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI MEGALODONTI. Nota del Dott. CarLo FABRIZIO PARONA. (Con tre tavole.) L’amico mio cav. A. Secco, benemerito cultore degli studii geologici per la valle del Brenta, nello scorso anno scoprì e rac- colse nella dolomia di Carpené sopra Solagna e precisamente nella località detta “ Stià dell'Oca ,, in una trincea aperta lungo la strada nazionale, vestigia, disgraziatamente mal conservate, di una fauna assai interessante. Il signor Secco, nelle sue Note geologiche sul Bassanese, ® fa parola di questa dolomia, la quale è la carnica (Hauptdolomit); essa forma la base dei monti, che quivi fanno corona alla valle del Brenta, e superiormente fa passaggio ad un calcare oolitico ritenuto liasico. La dolomia è riccamente fossilifera, tanto che al Vigneto del Do’ ed alla Ba- stia di Solagna si presenta in qualche punto come. una vera lumachella, con fossili ridotti allo stato di modelli interni, ov- vero rappresentati delle sole impronte tappezzate o ripiene di cristalli di dolomite. Altrove, come presso la fornace da calce, che trovasi a nord della chiesa di Campolungo, le stessa dolomia è tutto un im- pasto di Lifothamnium. 1 A. Secco, Note geologiche sul Bassanese. Bassano, 1883, pag. 42. 356 C. F. PARONA, Era dapprima mio intendimento di illustrare tutti i fossili estratti da questa dolomia e gentilmente comunicatimi dal si- gnor Secco; senonchè me ne sconsigliò il loro cattivo stato di conservazione. Uno però fra essi richiamò specialmente la mia attenzione e cioè un megalodonte inequivalve, asimmetrico, che mi parve degno d’essere portato a conoscenza dei paleontologi, seb- bene lo stato suo di semplice modello interno mi impedisca di formarmi una perfetta idea de’ suoi caratteri e quindi di darne una completa descrizione. s Prima però di procedere alla descrizione di questa forma sin- golare, credo opportuno accennare agli altri fossili per lo più specificamente indeterminabili che l’accompagnano. Essi sono “n LI Litothamnium sp. ‘ Ehynchonella sp. Terebratula sp. Turbo solitarius, Bnk. Chemnitzia sp. Natica, sp. Nerita, sp. Cerithium hypselum v. Ammon. Cerithium sp. | Avicula (Gervillia) exilis, Stopp. Pinna sp. (?) Venus sp. Arca Carpinensis sp. n., (Rossi, inedita). Dicerocardium Jani, Stopp. (frammenti). Dicerocardium cfr. Curioni, Stopp. Forma strettamente affine alla specie dello Stoppani; ne differisce perchè l’impronta la- sciata dalla carena che delimita il lato boccale accenna ad uno sviluppo di gran lunga maggiore; giudicando dall’impronta la carena della conchiglia doveva essere a foggia di lamina tagliente, sottile e ricurva, quasi accartocciata verso la parte posteriore (tav. III, fig. 7). Ciò non costituirebbe del resto che una dif- CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI MEGALODONTI. DOT ferenza di grado, uno sviluppo più marcato di un carattere, che in minori proporzioni si nota sugli stessi esemplari figurati dal prof. Stoppani. Noto inoltre che il lato boccale nei numerosi modelli da me esaminati è più distintamente concavo di quanto si osserva dal modello rappresentato nell’appendice alla Paléon- tologie lombarde colla fig. 4 e 5, e sopra un altro proveniente dalla dolomia di Borca Cadore. Per gli altri caratteri non trovo differenze di rilievo. Megalodon® Giimbeli, Stopp. Megalodon Tofanae, R. Horn. (?) Megalodon Seccoi sp. n. Specie gigantesca, inequivalve, asimmetrica. Conchiglia sco- nosciuta. Modello interno generalmente più alto che largo, colla differenza nei diametri che va sempre più accentuandosi dagli esemplari giovani agli adulti. Il modello della grande valva (si- nistra) è molto rigonfio, inequilaterale, inferiormente semicirco- lare e porta superiormente un apice robustissimo, acuminato, elevato più o meno, ma sempre in modo evidente su quello della valva opposta ; l’apice stesso è più o meno adunco e ripiegato all’interno verso il margine anteriore (boccale); è rotondeggiante, tranne che sul fianco rivolto alla valva destra, dove presenta la continuazione del'a carena laterale sinistra dell’area. La super- ficie della valva è uniformemente convessa nella parte anteriore ed inferiore (boccale e palleale), mentre presenta un seno, o largo 0: "W. GimBEL, Die Dachsteinbivalve und ihre alpinen Verwandten. Sitz. d. Wien. Akad., 1862, XLV Bd., pag. 362. A. STOPPANI, Paléontologie lombarde, 3.° sér.; Appendice sur les grandes bivalves cardiformes. 1865. R. HoRNES, Materialen zu einer Monographie der Gattung’ Megalodus. Denkschr. d. Wien. Akad., 1880, XL Bd. K. A. ZitTEL, Traité de Paléontologie. 1887 (Neomegalodon), pag. 68. G. Borum et CHELOT, Note sur les Calcaires è Perna et Megalodon du moulin de Jupille, pres Fyé (Sarthe). Bull. Soc. géol. de France. 7 mars, 1887. 358 C. F. PARONA, solco che decorre in prossimità. del margine posteriore e supe- riore (anale); questo margine a foggia di carena circoscrive sulla sinistra l’area anale; i margini anteriore, inferiore e posteriore. sono regolarmente arcuati. Il modello della piccola valva (de- o stra) ha forma subcircolare nei grandi esemplari e trasversal- mente oblunga nei piccoli; poco convessa nei giovani individui si fa sempre più pianeggiante col crescere dell’età: sul fianco posteriore-superiore (anale) presenta una distinta impressione di fascio muscolare, cui segue il margine foggiato a robustissima carena, che delimita da questo. lato l’area. L’apice, assai meno sviluppato di quello della valva apposta e di forma diversa, è ottusamente carenato al margine superiore, pianeggiante sul fianco esterno, convesso verso la depressione cardinale, ottuso ed alquanto ripiegato verso la valva sinistra. In qualche esem- plare si osserva nella parte superiore del margine anteriore, tanto sulla destra come sulla sinistra del modello, un rilievo elittico ottuso, corrispondente alla impressione muscolare ester- na. Fra il rialzo che porta queste due impressioni muscolari ed i due apici, nel posto corrispondente alla lunula che verosimil- mente doveva possedere la conchiglia, di cui sto descrivendo il modello, si stende una profonda fossa, sul fondo della quale LI ed in direzione della linea cardinale si innalza una lamina pie- trosa, che nella parte anteriore della fossa si piega ingrossan- dosi verso la valva destra, probabilmente in corrispondenza di una profonda fossa ‘dentale destra; poi assottigliandosi si di- spone con andamento tortuoso fra i due apici, accennando lonta- namente ai denti ed alle fossette dell’apparato cardinale, dirigen- dosi posteriormente verso l’area. Questa lamina non si presenta mai ben conservata e di frequente manca quasi completamente; in ogni caso è in tale stato da non permettermi serii apprezza- menti sui caratteri della cerniera posseduta dalla conchiglia scomparsa. L'impressione lasciata dall’area della conchiglia è ine- quilaterale e profonda; il suo fianco sinistro è ristretto, il destro molto ampio ed in qualche caso segnato da solchi obliquamente diretti verso l’esterno dell’alto al basso; la linea di massima de- CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI MEGALODONTI. 35 DI pressione è percorsa dalla continuazione un po’ tortuosa della lamina pietrosa suddescritta. Sopra un modello rimangono traccie delle linee di accrescimento del guscio. Ecco le dimensioni di quattro distinti esemplari: E II. III. IV. Altezza; mm. » 73.(?) 156 220 (?) 230 Larghezza; » mm. 66 139 ? 222 Spessore ; TOM.i192, 5 90 132 180 Le misure dell’area nel modello secondo sono di mm. 93 (?) in lunghezza e di mm. 46 in larghezza (Tav. I e II). Dal giacimento di Carpené provengono anche modelli di di- mensioni minori di quelle del N. I (Tav. III, fig. 4), ma perchè troppo malconci non si prestano a misure esatte. Sette sono gli esemplari da me avuti in esame; molti altri si conservano nella collezione del cav. Secco. Il carattere particolare più spiccato di questa forma è la marcatissima asimmetria, dovuta allo ineguale sviluppo delle due valve, di guisa che per tale fatto si scosta dal genere Megalo- don. I Megalodon ed i Megalodonti in generale (Zittel, Traité de Paléontologie. 1887, pag. 68) sono equivalvi, o tutt’ al più, come già osservò il prof. Stoppani ' e come notai io stesso sopra molti esemplari appartenenti a specie diverse, presentano l’apice della valva sinistra (non destra) che sormonta alquanto quello della destra. Tuttavia, per la fisionomia generale, per lo svi- luppo e forma dell’ apice sinistro, per la profonda fossa della regione cardinale, per le incerte traccie della conformazione della cerniera e per la posizione e forma delle impressioni muscolari, parmi si possa con sufficiente sicurezza aggregare questa specie al genere Megalodon. Fra i Megalodonti noti, il Conchodon iaia Stopp. è 1 A. STOPPANI, Paléontologie lombarde, 3.0 sér.; Appendice sur les grandes bivalves cardiformes, pag. 247, Vol. XXX. 24 360 C. F. PARONA, quello che per lo sviluppo e per la forma della valva sinistra appare più strettamente affine alla specie della dolomia di Car- pené. Soltanto la dissimetria e l’ineguale sviluppo dei due apici separa queste due forme, le quali, a giudicare dalle traccie che ne rimangono, dovevano avere una cerniera conformata sullo stesso tipo, non per anco ben nota, poichè quella descritta e figurata dal prof. Stoppani è considerato come ipotetica dal prof. Hérnes, che ritiene impossibile riconoscere, dalla lamina conservata fra gli apici sul modello interno, la forma dei denti del cardine. Infatti questo autore non ammette il genere Con- chodon, stabilito dallo Stoppani, che così lo denominava appunto dalla conformazione delle cerniere da lui ricostrutta, modellando la lamina pietrosa della fossa cardinale. Quantunque la differenza nelle dimensioni sia enorme, non per tanto ricordo come utile confronto la quasi perfetta somiglianza che per riguardo alla dissimetria passa fra il gigantesco Megalodon Seccoi ed il picco- lissimo Megalodon sp. (Loretz) di Campo Rutorto a Sud di Pelmo.' È da augurarsi che le future ricerche nel giacimento di Carpené portino alla scoperta di qualche esemplare provvisto di guscio, perchè allora soltanto si potranno completamente rico- noscere i caratteri particolari a questa nuova specie e con mag- giore sicurezza constatare i rapporti che la collegano ai Mega- lodon conosciuti. Credo opportuno far rilevare inoltre che l’apice della valva sinistra, specialmente negli esemplari più grandi, oltrechè mo- strarsi fortemente adunco, tende a ravvolgersi sopra sè stesso con andamento spirale, analogamente a quanto si osserva, seb- bene in misura di gran lunga maggiore, nei Diceras. Anche per questo fatto la nuova forma ora descritta potrebbe essere con- siderata come tipo distinto: senonchè l’opportunità di stabilire per questa specie un nuovo genere o sottogenere fra i Megalo- donti non potrà essere discussa se non quando si conosceranno meno imperfettamente i suoi caratteri. 1 H. LorETZ, Hinige Petrefacten der alpinen Trias aus den Sudalpen (Zeitschr. d. Deutsch. geo!. Gesellsch.). 1875, pag. 815, tav. XXII,.fig. 8. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEI MEGALODONTI. 361 Questo tipo asimmetrico non è esclusivo della dolomia di Car- pené; infatti il museo geologico dell’ Università di Pavia possiede cogli stessi caratteri un frammento di un grande modello prove- niente dalla dolomia delle vicinanze di Agordo (ai due ponti lungo la strada per Mas) e parecchi modelli piccoli assai ed imperfetti ma sufficientemente caratterizzati, della dolomia di Claut (valle della Settimana); l’uno e gli altri raccolti dal prof. Taramelli. Nella dolomia poi di Val del Zelline e di Val del Fella nelle Alpi udinesi furono raccolti dallo stesso prof. Taramelli parecchi altri modelli di Megalodonti, poco dissimili della specie descritta e ch’io potei avere in esame dalla cortesia dell’amico prof. A. Tommasi, attuale direttore del museo dell’ Istituto Tecnico di Udine. - Due modelli di Val Zelline (Tav. III, fig. 5 e 6) si distinguono per la asimmetria molto meno marcata, poichè risulta meno ine- guale lo sviluppo delle due valve e dei due apici, sicchè anche l’area riesce meno inequilaterale; le loro dimensioni sono assai piccole, (altezza millim. 33-22, larghezza millim. 34-20, spessore millim. 26-12. 5) e probabilmente spettano ad una specie diversa, intermedia fra i Megalodonti equivalvi ed il tipo di Carpené. Distintamente asimmetrico e inequivalve è il modello raccolto in val del Fella a sud di Moggio insieme al Megalodon cfr. Haueri R. H6rn.; esso presenta le seguenti dimensioni: altezza millim. 70 (?), larghezza millim. 66, spessore millim. 57,5. Dif- ferisce dal Megalodon Seccoi. n. sp. per essere più rigonfio, ciò che dipende dalla maggiore convessità della valva destra, per avere assal meno pronunciate le carene, che delimitano lateral- mente l’area, la quale appare quindi meno larga e meno pro- fonda e perchè sul lato posteriore della valva destra riesce ap- pena distinta l’impressione muscolare. Per le differenze notate e per il fatto che questo unico modello interno è stato trovato in un giacimento diverso, non mi credo autorizzato a identificarlo colla specie di Carpené, ma nemmeno a considerarlo come spe- cie sicuramente diversa. 362 C. F. PARONA, CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. pa nt: 2A te è È Ci inse ù n sl e, * gp e Hi boa LIT î SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE even steli Tav. I, Megalodon Seccoi n. sp. Tav. II, Megalodon Seccoi n. sp. al Tav. III, fig. 1-4, Megalodon Seccoi; fig. 5 e 6, Megalodon Seccoi (?); fig. di Di- i cerocardium cfr. Curioni, Stopp. i F.Parona. Contributo allo Studio dei Megalodonti (Tav. 1) Atti Soc. Ital. di Sc. Nat. Vol. XXX. Tav. V& Parona Lit | o A dI 1 Lit. E Bruni Pava. Per a n si — — *% = C.E Parona, Contributo allo Studio dei Megalodonti (Tav.Il.) Atti Soc. Ital. di Sc. Nat. Vol. XXX. Tav. VI? w . TUal. di Jc. Nat, Vol. . lav, ri Parona Lt i Lit. E Bruni fava Atti Soc. Ital. di Sc. Nat. Vol. XXX. Tav. VII? — Parona, Contributo allo Studio dei Megalodonti (Tav. III.) VOTI, PERE di fine SIA Zu £. Bruni Pavia. i pitt SOPRA UNA SPECIE PLIOCENICA DI PINO TROVATA A CASTELSARDO IN SARDEGNA. Nota del socio Dott: ua: Bioz.Z.1, Nello scorso estate il chiarissimo prof. Lovisato inviavami da Cagliari come materiale di studio un buon numero di frammenti di roccie terziarie con impronte di filliti da lui raccolte in Sar- degna nelle località di Perfugas, sponda destra del Coghinas, Oschiri e Fangario, oltre ad alcuni strobili. di Conifere fossili trovati a Castelsardo. Ben volentieri mi accinsi allo studio di quei resti vegetali nella speranza di poter riuscire a portar un contributo alla Flora Terziaria della Sardegna, di cui finora non si conoscono che le poche forme studiate dall’illustre Mene- ghini e citate nell’opera del Lamarmora: Voyage en Sardaigne.* Se non che non potei ottenere il risultato che speravo in causa del cattivo stato di conservazione di quelle filliti, i cui frammenti troppo incompleti non mi permisero di determinare, nemmeno . approssimativamente, la specie, ma solo di avvicinarmi, per alcune, al genere. Le migliori impronte trovai in un’argilla della località Perfugas; noto, fra le altre, un frammento di foglia di mono- 1 I vegetali terziarî citati dal Meneghini sono i seguenti. 1 Laurus sp. ind.: pezzi di legno silicizzato delle località Oschiri, Martis e Ploaghe. — 2 Typhaeloipum Plu- tonis nova sp.: frammenti di foglie di graminacea di Castelsardo ed Oschiri. — 3 Pinus Ichnusae nova sp.: strobilo raccolto a Ploaghe. — 4 Lithocaulon minus nov. gen.: alghe fossili vicine alle Caulerpe. 364 L. BOZZI, cotiledone da ascriversi probabilmente al gen. Phragmites, due o tre frammenti di foglie che per la configurazione del mar- gine e per la disposizione delle nervature parmi potersi rife- rire all’incerto gen. ZLeguminosites, avendo una certa somi- glianza colle figure dell' Heer,® l’estremità superiore d’ una fogliolina lanceolata forse del gen. Salix, una piccola foglia coriacea somigliante nella forma a quella del vivente Bossolo, oltre ad alcuna impronte di semi. Nell’ argilla della località Coghinas non trovai che le mal delineate impronte di una mi- nuta fogliolina probabilmente del gen. Ulmus ed un frammento affatto indeterminabile di una foglia piuttosto grande. Nella roccia a selce di Oschiri non mi venne fatto di vedere che fram- menti di foglie di monocotiledoni e nell’argilla di Fangario im- pronte mal conservate di una foglia forse appartenente alle di- cotiledoni sempreverdi come i lauri. È sperabile che in seguito a nuove ricerche praticate in quella località e specialmente in quella di Perfugas si possano rin- tracciare altri esemplari più completi che conducano ad una sicura determinazione delle specie, e si riesca in tal modo a. gettare un po’ di luce sulla Flora terziaria della Sardegna ve- nendo in ajuto della stratigrafia, per ciò che riguarda l’età di quei depositi. Più soddisfacenti risultati mi diedero gli studii degli strobili di conifere raccolti nell’ arenaria azzurrognola di Castelsardo, giacchè potei giungere alla determinazione di una specie di Pino, il Pinus Strozzi figurata e descritta per la prima volta dal Gaudin nell’Opera più sotto citata, e dedicata al marchese Strozzi che l’ha rinvenuta nelle sabbie plioceniche di Montalceto in Val, d’ Arno. Io credo si debba porre attenzione alla presenza di questa specie pliocenica nei depositi di Castelsardo i quali, se- condo gli ultimi studii stratigrafici del prof. Lovisato, apparter- rebbero ad un piano miocenico antico, probabilmente all’ aqui- taniano. Il prof. Parona, nel suo ultimo lavoro paleontologico ! HEER, Flora tertiaria Helvetiae. Tomo II, Tab. CKXXXVIII. sy "4 : MS Lg e Tips) + SOPRA UNA SPECIE PLIOCENICA DI PINO, ECC. 365 sulla Sardegna! basandosi sopra un suo studio dei molluschi fossili di Castelsardo e su quello di foraminiferi fatto dal dot- tor Ernesto Mariani, riferirebbe quei depositi al miocene medio, piano Langhiano. Dopo l’Opera del Gaudin, per quanto a me risulta, il Pinus Strcezii non trovasi più indicato in altre speciali Flore Fossili Italiane; va però ricordato che uno strobilo della stessa specie fu trovato dal nobile D.r Giulio Curioni a Castellamonte d’Ivrea in località pure pliocenica e studiato dal prof. Sordelli che ne dà un cenno in una Nota ad una sua Memoria sulle Filliti Lombarde. ° Si tratterebbe adunque di una specie comune al pliocene ed al miocene, ciò che del resto non è un fatto nuovo nella paleon- tologia vegetale, come non lo è nell’ animale, giacchè in mezzo al continuo mutare delle specie nel passaggio da un periodo geologico all’altro, alcune vanno sempre notate che per special- condizioni d’organizzazione persistono subendo leggerissime mo- dificazioni o mantenendosi affatto inalterate. Così sappiamo ad _ es. come la Planera Ungeri si estenda dal miocene medio al pliocene, così ancora il Taxodium distichum muocenicum ha con- tinuato a vivere per tutta l’epoca pliocenica e somiglia in tutto al vivente Taxodium distichum che probabilmente, come opina l'Heer, non è che la stessa specie. Pinus Strozzii Gaud. Gaudin et Strozzi, Mémoire sur quelques gisements des fewilles fossiles de la Toscane. 1858, pag. 28, pis: 14, .fio:N6: Contribution à la Flore Fossile Italienne. ooo padova tab. I, fe. 4/ 5. b}) 2 1 PARONA CARLO FABRIZIO, Appunti per la paleontologia miocenica della Sarde- gna, (Bollettino della Società Geologica Italiana, 1887.) ? SORDELLI FERDINANDO, Descrizione di alcuni avanzi. vegetali delle Argille Plio= ceniche Lombarde. (Atti Soc. Ital. Sc. Nat., 1873, Vol. XVI, Nota a pag. 273.) 366 L. BOZZI, Schimper, Traité de Paléonthologie Végetale. Tomo II, parte I, pag. 273. Lo strobilo raccolto a Castelsardo è involto in un’ arenaria azzurrognola durissima che lo nasconde in parte, non lascian- done ben scoperta che una faccia. La forma tondeggiante è ben conservata e ciò dipende probabilmente dalla arenaria stessa involvente che si è sostituita alla sostanza organica impedendone lo schiacciamento, mentre gli strobili conservati nelle argille, ci si presentano sempre schiacciati per la subìta pressione. Sulla faccia libera notansi abbastanza bene i caratteri distintivi pei quali non dubito ascriverlo al Pinus Strozzii corrispondendo alla figura e descrizione del Gaudin. La sua lunghezza totale, quale si può calcolare, mancandone una piccola porzione all’apice, è di circa 13 cent. La forma è ovoide, tozzo alla base ove misura in diametro ben 8 cent. va assottigliandosi superiormente; verso la metà il diametro e di 6 cent., poi va man mano scendendo fino a 4, 3, 2 verso l’apice. La specie è caratterizzata dalle squame che sono terminate da una grossa apofisi (o scudo terminale) in forma di piramide, alta circa 1 cent. e larga alla base 1 '/2, di cui gli angoli non sono così ben marcati come nelle figure del Gaudin, ma pure si rile- vano con attento esame in numero di 4-6; nelle qui annesse figure se ne contano 5. Secondo la descrizione del Gaudin la piramide apofisaria ha il vertice troncato; nel cono di Castel- DI sardo questa troncatura non è egualmente marcata in tutte le = squame; in alcune (fig. a) essa è così vicina al vertice che la piramide sembra intera, in altre invece (fig. d) è distin- tissima; del resto anche nelle figure del Gaudin veggonsi alcune apofisi pirami- dali con vertice quasi intatto. Noto an- cora in ultimo come lo strobilo del Lovisato è verso l’apice leg- germente ricurvo. Gli altri strobili della stessa località non si poterono deter- SOPRA UNA SPECIE PLIOCENICA DI PINO, ECC. 367 minare pel loro cattivo stato di conservazione, essendo affatto scomparsa ogni traccia della forma delle squame; sono quasi tutti di dimensioni rilevanti e distintamente ricurvi. Voglio però notare un cono ovoide, degli altri più piccolo, lungo 7 cent., largo 5, che m’ha lasciato scorgere ancora il contorno delle apofisi terminanti le squame; apofisi molto larghe, relativamente alla grossezza del pino, in forma di parallelogrammo con mar- gini sinuosi. La parte saliente dell’ apofisi si vede abbastanza ben conservata in una sola squama, mentre nelle altre è stata erosa,-e presenta delle striature raggiate partenti da un ombone centrale. Per questi caratteri parmi di trovarvi una certa ras- somiglianza col Pinus vexatoria Gaud.: la quale specie però ha gli strobili molto più grandi; del resto per poter dare una sicura determinazione converrebbe avere altri esemplari meno imperfetti. Termino questa breve nota rendendo vive grazie al prof. Lo- visato che mi ha procurato il materiale di studio, al prof. Ta- ramelli che ha messo a mia disposizione le collezioni del Museo Geologico di Pavia; ed al prof. Sordelli che mi ha gentilmente accolto nel Museo Civico di Milano ove potei consultare a mio bell'’agio molte opere e le collezioni di Botanica Fossile. Pavia, dal Gabinetto di Geologia, novembre, 1887. Da oe So Pe 1 RE: LE LAVE DI RADICOFANI. Nota del prof. G. MERCALLI. (Con una tav.) (n L'altura isolata in cui si trova l'antico e diroccato castello di Radicofani è un piccolo monticello di rocce vulcaniche, che si eleva circa 100 m. sul livello della pianura circostante tutta costituita da marne plioceniche. L’ area occupata dalle rocce vulcaniche non supera 1 chil. q. Però un numero grandissimo di massi, taluni assai grossi (di 1 a 2 e più metri di diam.) delle medesime rocce sono disseminate tutt’attorno al vulcano fino ad una distanza di 1 a 2 chilometri. Pareto, ! Murchison, ? Brongniart ® annoverarono le rocce di Radicofani tra le tefrine senza però dare nessuna notizia pre- cisa e dettagliata sulla loro costituzione chimica e mineralogica. Recentemente il sig. G. von Rath in una breve nota (Ein Besuch von Radicofani, in Zeits. d. d. Geol. Gesell., Berlin, . 1865) classifica le rocce di Radicofani tra le doleriti, dietro lo studio microscopico e chimico di una varietà delle rocce stesse. L’ing. B. Lotti nel suo recente studio sul M. Amiata * tocca, 1 PARETO, Osservazioni geologiche dal M. Amiata a Roma. Roma, 1844. ° MurcnIson, Earlier volcanie Rocks of the Papal states, nei Proc. Geol. Soc. of London, 1855, ® BRONGNIART, Classifications des Roches, pag. 118. 4 LoTTI, Il Monte Amiata, nel Bull. del R. Comitato geol., anno 1878. LE LAVE DI RADICOFANI. 369 incidentalmente delle rocce di Radicofani, chiamandole dolerit? peridotifere, e ritiene che la cupola basaltica di Radicofani sia da riferirsi ai vulcani omogenei di Credner. In una gita da me fatta nello scorso anno 1886 al vulcano di Radicofani avendo io raccolto un buon numero di rocce molto diverse tra loro ai caratteri esterni, presentando alcune aspetto schiettamente basaltino, altre invece quello trachitico, ne intra- presi lo studio al microscopio per vedere se tutte si possano riferire, come veniva comunemente asserito, ad una massa erut- tiva unica per il modo e per il tempo della sua eruzione. Anzitutto esaminerò le rocce compatte che formano la maggior parte del colle di Radicofani. In queste rocce compatte ho distinto due varietà principali che sarebbero : a) Doleriti varianti dal nero al grigio più o meno oscuro; 6) Andesiti oliviniche di colore grigio piuttosto chiaro e di colore rossigno. a) Dolerite-varietà 1.* — Roccia che costituisce gran parte del fianco SE. del poggio di Radicofani. Presenta clivaggio co- lonnare. Pare che formi il nucleo e la parte più antica del vulcano. È una roccia di colore nerastro, a struttura quasi compatta basaltina, in alcuni punti diventa giallognola e un poco granu- losa per la presenza di molti granuli d’ olivina visibile bene alla lente. Macroscopicamente non si scorgono altri elementi di- stinti, eccettuati alcuni punti luccicanti, appena visibili ad occhio nudo, che al microscopio si riconoscono per felspato plagioclasio. Presenta solo rare e piccole porosità (da 1 a 2 mm.) tappez- zate internamente da una sostanza che pel suo bel colore bleu ritengo probabilmente Hauyna. Non esercita quasi nessuna azione sull’ago calamitato. Al microscopio la pasta risulta per oltre due terzi da mi- croliti di plagioclasio e da una sostanza fibrosa verdognola, la quale in generale è resa più oscura, quasi nerastra e poco tra- sparente da finissime e numerose granulazioni sferiche di ferro 370 G. MERCALLI, ossidulato, visibili bene solo a forte ingrandimento. Talvolta questi granuli disposti a coroncina orlano con grande regolarità i cristalli di felspato. Il ferro ossidulato però vi è anche in gra- nuli ed in baculiti visibili a piccoli ingrandimenti, ma poco nu- merosi. Il colore nerastro della roccia si deve specialmente alla abbondanza di questa materia fibrosa verdastra mista ai gra- nuli di magnetite (tav. IX, fig. 2). La sostanza verdognola descritta è debolmente birifrangente ed a Nicol incrociati prende un debole colore giallognolo, ma- nifestandosi come una forma microlitica fibrosa dell’augite. Essa si adatta ai cristalli ed ai microliti di plagioclasio e di augite modellandone esattamente i contorni e cementandoli; s’interna anche nelle irregolari spaccature dei cristalli d’olivina. In un punto dove la sezione presenta una lacuna le fibre della sostanza verde prendono disposizione raggiata tutt’attorno all’ orlo della lacuna. sù I cristalli d’augite ben terminati privi affatto di policroismo, alcuni con regolare sezione ottagona, esistono, ma poco numerosi. I grossi cristalli d’ olivina di prima consolidazione, mediocre- mente frequenti, presentano il caratteristico irregolare frattura- mento e colori vivaci rossi e verdi alla luce polarizzata, ed in alcuni pare proprio che la sostanza fibrosa verdognola, che ne riempie le spaccature, serva di cemento a tenerne riuniti i fram- menti. Sono piuttosto numerosi i cristalli di plagioclasio bene svilup- pati talvolta geminati a croce. Non manca qualche cristallo di sanidino ed un certo numero di prismetti lunghi e sottili di apatite come elemento accessorio. La base vitrea esiste in piccola quantità intimamente asso- ciata e confusa colla sostanza verde fibrosa sopra descritta. Il ch. prof. L. Ricciardi, a cui ho comunicato un campione di questa roccia, ne eseguì 1’ analisi” chimica e gentilmente mi comunicò i seguenti risultati. La roccia dà una polvere di colore grigio chiaro che per la calcinazione acquista una tinta rossastra. La polvere trattata IRE LAZIO LE LAVE DI RADICOFANI. SRI . . a caldo con gli acidi minerali è parzialmente decomposta. Con acido cloridrico a caldo si sviluppa piccola quantità di acido solfidrico. Porzione di polvere esposta al dardo ferrunimatorio fonde facilmente in un vetro verde-oscuro, opaco. Con i fon- denti dà la perla del ferro. Densità a + 6° C. = 2,789 (con grammi 1,305). Composizione centesimale : SO rai Ai La it ; + Al 5) ” 20. La, LCOnCII LE LAVE DI RADICOFANI. 381 per alcune diecine di metri più basso del primo. Orbene, ho constatato che questo monticello, che dal Pareto era ritenuto costituito di roccia vulcanica, risulta invece da marne fossilifere plioceniche,' ricoperte però da un tal cumulo di massi di lava da farlo ritenere a chi lo osserva solo superficialmente, come totalmente da essi costituito. Qui dunque pare certa la sovrap- posizione della formazione vulcanica al pliocene; sebbene in nessun luogo abbia però potuto constatare fenomeni di meta- morfismo esercitati dalle rocce vulcaniche sulle marne sottoposte. Milano, dal Museo Civico di Storia nat., dicembre 1887. 1 Vi ho raccolti numerosi frantumi di Pecten e di altre conchiglie, spicule d’E- chini, ecc. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1 e 3. Andesite olivinica di Radicofani Limnisoa rossastra). Fig. 2. Dolerite di Radicofani. In tutte le figure: . Olivina convertita più o meno completamente in ossido di ferro idrato. . Augite in cristalli ed in microliti. . Plagioclasio in cristalli ed in microliti. . Sanidino. . Ferro ossidulato . St 09 NI ta STUDIO CRISTALLOGRAFICO SOPRA ALCUNI COMPOSTI ORGANICI. Nota del socio Dott. FRANCESCO SANSONI. x H N. 1. — ORTOIODOACETANILIDE Ce Hi @a H30 if Sistema cristallino. Rombico a:b:c=0.67028:1:0.75140. Forme osservate; b=(010)c0 Pc, m=(110) 002, d=(101) Po f=(012)1/s Poo (Fig. 1). Cristalli prismatici tabulari, riuniti in accrescimento parallelo secondo la faccia d (010). Sono vitrei limpidi di varia dimen- sione: forniscono immagini semplici. 1 Questi composti furono preparati dal prof. G. Koerner, Direttore del Laboratorio chimico della Scuola Superiore di Agricoltura in Milano. Volentieri esprimo qui la mia gratitudine al sullodato Professore, per la cortesia con cui egli ha messo a mia disposizione per lo studio cristallografico un materiale così interessante. STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 383 Angoli Limiti Media | Val. cale. | N. o / OI O) m:b= (110:010) 56.6 — 56.12 | 56.10 Ù 12 d:d' = (101:101) 96.25 — 96.39 | 96.32 + 8 °. m:d= (110:101) 51.34 — 51.50 | 5144 | 51411, | 4 d:f =(101:012) DI — DIAL | 5124127 2 bd (010:101) 89.47 — 90.10 89.58 90 4 b:f = (010:012) 69.19 — 69.40 | 69.23 | 69.241/2| 6 | m:f = (110:012) 78,83 73.33 | 784212 | 1 Sfaldatura non osservabile: frattura concoidale: estinzione perfettamente parallela sulla faccia dv = (010). Piano degli assi ottici parallelo d = (010). L'estrema fragilità di questi cristalli non permise ulteriori ricerche. i N. 2. — ParatopoacetaNILIDE Ce Ha Cs Hs O I Sistema cristallino. Monosimmetrico. ELA ME Ta Md Forme osservate: a =(100)00 P° 00, m— (210) co P°2,.n=(110).00 P, ZI (011) Po, e —(001)0 2 o=(201) +2 Poco, d= (010) 00 P' co (Fig. 2). NoTA — Per difficoltà tipografiche, abbiamo sostituito ai segni caratteristici — \ attraversanti P, le lettere o, c indicanti rispettivamente orto, clino. 384 F. SANSONI, Cristalli prismatici limpidi leggermente colorati in giallo vi- nato. La zona dei prismi presentasi striata secondo l’asse 4. Le faccette culminanti sono leggermente ondulate, quindi non danno sempre immagini semplici: talvolta la faccia a(100) è foggiata a triemia. In molti cristalli manca la faccia 0 (201). Angoli Limiti. Media |Val. calce. | N. a:m= (100 :210) 35.14 85.26 | 35.21 * 8 d:d'=(011:01) 66.41 — 66.52 | 66.48 &% 4 a:d = (100:011) 67.33 67.33 * 1 m:nw= (210: 110) 19.1 — 19.55 19.20 19.32 4 a:e =(100:201) 32.39 — 3249 | 32.44 3240 | 2 n:d=(110:011) 47.57 — 48.10 | 48.31/2| 47.56 2 mie =(210:201) 46,43 46.43 46.38 1 m:d=(210:011) 50.52 —bEKI0.d DIS 50.57 4 a:c = (100: 001) 62.47 — 63.1 62.54 62.47 2 m:c=(110:001) 74.6 74.6 74.45 1 d:0=(011:201) 61.39 61.39 61.32 il c:0 =(001:201) 55.15 55.15. Be m:c =(210:001) 68.10 68.10 68.6 1 Sfaldatura completa secondo e (201); frattura concoidale. Piano degli assi ottici (010). Estinzione obliqua sulla faccia d (010); sopra questa un asse di elasticità forma un angolo di 56° con lo spigolo di combinazione [010 :110]. La prima bisettrice è quasi normale alla faccia e (201). STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 385 N. 3. — ORTOACETANISIDE — Ce Ha XxX Ce Hz 0 ui Sistema cristallino — Rombico. a:b:c=1.0643:1:2.0579. Forme osservate: ii (100).00.P'oo. dp =(1Lb) P, c= (001)0P, r=(102)!/: Poo (Fig. 3). Cristalli assai grossi, vitrei, biancastri leggermente appannati alla superficie; alcuni sono leggermente corrosi: immagini ri- flesse talora un poco slargate. Angoli Limiti Media |Val. calc. | N. A (Mat) 802 —8L1i| 8025 | * 6 p:c=(111:001) 70.25 — 70.47 | 70.30 i 5 r:c= (102:001) 43,30 4330 | 442 | 1 r:p=(102:111) 469 — 46.15 | 46.12 | 4628 | 2 Sfaldatura perfetta secondo c (001): appena evidente secondo a (100). L'immagine degli assi ottici scorgesi tanto dalla fac- cia a (100) come dalla faccia c (001): pare tuttavia che la pri- ma bisettrice sia normale alla faccia di sfaldatura. 386 F. SANSONI, | Eno N. 4. — PARAACETANISIDVE — Ce Ha x CaH30 NO CHs Sistema cristallino. — Rombico. a:b:c=1.34896:1:0.83038. Forme osservate: a=(100) 00 Poo, e=(001)0P, m=(110)c0 P, p=(111) P, x«=(122) Ps (Fig. 4). Piccoli cristalli biancastri, vitrei, trasparenti in vario grado, con lucentezza madreperlacea. Comunemente sono tabulari se- condo 4 (100); questa faccia spesso mostra superficie ondulata o striata parallelamente all’asse z: le rimanenti faccette sono piane e forniscono immagini semplici. Non sempre sono presenti le faccette x, che furono osservate solo nei cristalli grossi. Angoli Limiti Media |Val. cale. | N. m:a=(110:100) 5822 — 53.32 | 53.27 x 8 m:p= (110:111) 43,56 — 44.12 | 44.3 " 8 a:p=(100:111) 64.20 — 64.50 | 64.39 |64,391/2) 6 c:2= (001: 122) 4121—4126| 4123 |4132 | 3 p:x=(111:122) 1152— 129 | 1139 | 121 3 m:0= (110:122) 50.25 — 50.27 | 50.26 |50.271/2| 2 era (122:122) 26.32 — 26.36 | 26.34 | 26,39 2 dara e Bi piS STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 387 Sfaldatura parallela c (001). Estinzione perfettamente paral- lela. Piano degli assi ottici parallelo (010): prima bisettrice normale a c (001). sei. H N. 5. — METANITROACETANILIDE — Ce Ha Xx C2 He 0 vo. Sistema cristallino. — Monosimmetrico. die OI 149772 AZ, Forme osservate: e=(001)0 P, p=(111)—P, p=(111) P (Fig. 5). Piccoli cristalli, trasparenti, talora semiopachi lattei: sono striati parallelamente agli spigoli laterali delle piramidi. Si ot- tennero valori angolari non molto concordanti fra loro. Angoli Limiti Media |Val. cale. | N. | it od) 6648— 67.501 67.21 x 5 Bio (111001) 79,28 — 79.40) 79.34 * 4 p:r =(111;111) 101.39 — 102.45| 102.4 * 3 p:p = (111:111) 66.1 — 66.18] 66.10 | 6547 | 8 vr: = (111:111) 71 71 7043 | 1 Cristalli assai fragili: sfaldatura perfetta secondo €(001): at- traverso le facce di sfaldatura vedesi assai distintamente la im- magine degli assi ottici, il cui piano è normale a (010). Angolo 388 F. SANSONI, degli assi ottici di circa 80°. La prima bisettrice devia di poco dalla normale a (001). co N. 6. — NITROORTOJSODOANILINA — Ce Hg I NNO? Sistema cristallino. — Monosimmetrico. abc = 0600412170652 CRETA Forme osservate: e=(001)0 P, m=(110)c0P, d= (011) P°00, g=(021)2 P° co, p=(221)2P, «=(201)2 P cefMbio Cristalli apparentemente ben conformati, assai piccoli, tra- sparenti, giallo-rossastri. Nei 12 cristalli esaminati, si verificò costantemente che le facce prismatiche assai arrotondate non trovavansi esattamente su di una stessa zona. Sono nettissime le faccette c, g. Furono esaminati cristalli provenienti da solu- zioni di etere e di cloroformio: non apparve affatto variato l’a- bito, e l'aspetto generale dei cristalli provenienti dalle due so- luzioni: concordi pure furono le misure. L’unica differenza si ebbe in ciò, che nei cristalli ottenuti da cloroformio erano pre- senti costantemente le faccette wm, d, q, mentre in quelli ottenuti da soluzioni di etere si ebbero le m, d, c, p, x. STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 389 | Angoli Limiti Media .| Val. calc.| N. m:m= (110: 110) 58.19 — 58.49 | 58.50 * 7 d:d'=(011:011) 62.6 — 6242 | 62.18 * 5 m:d=(110:011) 57.34 — 57.56 | 57.48 * 5 d:q=(011:021) 18.43 Î843*1 19045 VA m:c =(110:001) 70.20 — 70.54 | 70.37 70.54 | 2 cip =(001:221) 85.39 85.39 85.21 1 m":p=(110:221) 24.5 | 245 23.46 | 1 c:2% =(001:201) 85 NUCA 84.34 1 m:d'=(110:011) 88.8 | 888 88.21 | I La faccia p (221) fu determinata per via della zona [110 : 001] e dello spigolo troncato da x = (201). Non si osserva sfalda- tura; frattura concoidale: i cristalli sono assai fragili. Sulla fac- cia (110) si ha estinzione obliqua; ed un asse di elasticità forma su questa faccia un angolo di 26° con lo spigolo [110 : 110]. N 02 N. 7. — NITROMETABIJSODOBENZINA — Ce Ho I I Sistema cristallino. — Monosimmetrico. a:b:c=0.5614:1:? BECor48, Forme osservate: a = (100) co P° oo, m= (110) co P, c==(001)0 P, 0=(101) P°co (Fig. 7). 390 F. SANSONI, | fe Cristalli fragilissimi, tabulari secondo a (100): sono riuniti in | sruppi e ciuffetti: hanno color giallo citrino; sono assai traspa- renti. La faccetta 0(101) si osservò una sola volta in un solo cristallo: era ristrettissima, e non ben determinata; era quindi poco opportuno tenerne conto, per derivarne il rapporto para- metrico. A I Angoli Limiti Media | Val. cale. | N. (o) O) Oa ‘ aim (100: 110) 2118— 24.30 | 24.22 Fica a:c =(100:001) | 53.48—53,54| 53,48 x 3 dol (oot01) 71.85 71,85 ? 1 ci = (001410) | 57.43 57.43 | 5726 | 1 Sfaldatura perfetta secondo e = (001). e O. C H3 N. 8. — NITRODIMETILPIROCATECHINA — Ce Hs— O. C Hs NO Sistema cristallino. — Rombico. a:b:c:= 11768: 1::0.5474, Forme osservate: ‘a=\(100) 00 Po, n=(111) P, m= (320) co.P8/a, g= (122) P2, d=-(104)!/4Poo (Fig. 8). Cristalli prismatici allungati secondo l’asse 2: le faccette ter- minali (domi e piramidi) sono caratterizzate da una singolare inuguaglianza di sviluppo, talmentechè alcuni cristalli acquistano STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 391 perciò aspetto monosimmetrico. Colore giallognolo traente al verdastro. Non essendo le facce completamente piane, non si ot- tengono perciò immagini semplici. Angoli Limiti Media | Val. calce. | N. a:p =(100:111) o744d— 67.50 | 67.48 i 7 p:p=(11:111) 52.47 — 52.49 | 52.48 * 3 | a:m= (100: 320) 38.51 — 395 | 38.56 SS ID p:im= (111 :320) 54,50 — 55 6 54.58 55.8 6 d:d'=(104:104) 14.15 — 14.25.) 14.18 18.16 | 5 p:g=(111:122) 11 11 10.99 |a p:d=(111:104) 31.9 31.9 Sb p:d'=(111:104) 40,42 40.42 40.19 | 1 Sfaldatura perfetta secondo a (100). I cristalli sono oltremodo fragili, ed anche con la semplice pressione delle dita, si spez- zano secondo faccie di sfaldatura. Osservazione. — Resulta dal quadro dei valori angolari so- pra indicato la poca concordanza fra le misure, e i valori cal- colati per la forma (320). Ammettendo invece il simbolo (16110) si avrebbe: n) (100 :16 11 0) =.38° 58 1/0 (111:16110)=55.1 questi valori, come vedesi, si avvicinano di più alle medie ot- tenute. Vol. XXX. 26 392 F. SANSONI, iN; Ola N. 9. — ORTOBIJODONITROBENZINA — CeHs— I. mi, Sistema cristallino. — Monosimmetrico. a:b:c=0.9401:1:0.0986 fr 84148% Forme osservate: im =:(110).00°P, di-4041)/Proe: o=(2848)?8/3 P°7 (Fig. 9). Cristalli aghiformi, giallo-verdastri, incompletamente traspa- renti, racchiudendo nella parte centrale una zona biancastra torbida. Le faccette prismatiche non sono perfettamente piane, e forniscono immagini molteplici: sono invece nitide, quantunque non sempre presenti le faccette d, o. i Angoli Limiti Media | Val. calc.| N. m im = (110:110) 869 — 86.25 | 86.14 * 5 | m:d = (110:011) 82.18 — 82.35 | 82.25 * 4 d :d' =(011:011) È1.8 1 418:/0011018 * 2 d :p =(011:2848) 46.49 — 46,56 | 46.51 46.42 | 5 d :0' —=(011:2843) 48.16 — 48.18 | 48.17 48.8 2 m:d' =(110:011) 89.57 — 90.4 90.1 90.3 3 o :0' =(2843:2843) | 10.25—10.35| 10.30 10.48 | 2 m':p' =(110:284 3) 65.48 65.48 65.12 | 1 m':0 =(110:2843) DT:18 5727). 6720 56.46 | 3 STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 393 Sfaldatura incompleta secondo d. Frattura scagliosa. Estin- zione obliqua sulla faccia m (110): su di essa un asse di ela- sticità forma un angolo di 18° con lo spigolo di combinazione 110:110. N. 10. — ETERE METILICO DELL’ ACIDO DIMETILISOGALLICO Sistema cristallino. — Asimmetrico. a-0vCc=1.410:1:0.9801 x = 116°.59' fi =90 39° misl090d. Forme osservate: ce=(001)0 P, d=(010) 00 Po, a=(100) 00 Poo, m=(110) 0 P, d=(101) P oo, q= (102)!/: P. co, p=(112)!/. P, (Fig. 10)! Cristalli a dimensioni variabili. Ordinariamente sono tabulari secondo a(100); alcuni più piccoli appariscono prismatici, per essere ugualmente sviluppate le faccette a (100), db = (010). Sono vitrei trasparenti, e lucenti, riflettono immagini semplici, ben distinte. Sopra una delle due facce a (100) si scorge quasi sem- pre la conformazione a triemia. Furono misurati 10 cristalli: soltanto in 4 di essi si osservò la piramide » (112). 1 Nella Fig. 10 non venne effigiata la faccia p (112). q:c =(102:001) 18.16. 18.23! 1309 18.19 394 F. SANSONI, Angoli Limiti Media | Val. cale. | N. | | a :c = (100:001) 818/—8118| sis + "AR | ai AIN) 73,51 — 74 73.57 + |16 | c:b =(001:010) 61.42 — 61,52 | 61.45 * 15 b:m= (010: 110) 36.15 — 36.28 | 36.22 " 8 c:d =(001:101) ddsdl 3456). 3450 0008 7 b:qg=(010:102) 67.10 — 67.15) 679 LV A PI b:d=(010:101) 74.22 74,22 74.20 1 m:d = (110:101) 57 40 57.44 57.40 1 m:g =(110:102) 61.19 — 61.49| 6134 618 m:c =(110:001) 68.22 — 68.34 | 68.28 68.28 | 2 d:p =(101:112) 28.52 28.52 29.2 1 q:p=(102:112) 29.54 — 29.56 | 29.55 30.1 2 6 La piramide p (112) fu determinata per mezzo delle zone [010 : 102] [110 : 101]. Sfaldatura perfetta secondo a (100). Doppia rifrazione ener- gica. Sulla faccia a(100) un asse di elasticità è inclinato sullo spigolo 100: 010 di circa 8°. Dalla stessa faccia a(100) a luce convergente sl avverte l’uscita parziale di un asse ottico. STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 395 N. 11. — NITROMETILPIROGALLOLO — Ce Hi — OH Sistema cristallino. — Monosimmetrico. a:b:c=0.7459:1:0.5066 SRI ZIE Forme osservate: m = (110) co P, b = (010) co P*co, p=(111)— P, q=(111) P, »= (011) P° co, o= (021) 2 P° co, x=(101) P°oo, c=(001)0P (Fig. 11). Cristalli tabulari secondo c (001), ovvero prismatici, di co- lore giallo-verdastro, completamente trasparenti. Spesso la fac- cia c (001) è conformata a triemia. La faccia «(101) fu osser- vata in due soli cristalli. È 396 F. SANSONI, g Angoli Limiti Media | Val. calce. | N. mg =(110:111) 549 — 5443 | 546 * 8 m :b = (110: 010) 53.34 — 53.38 | 53.36 * 14 b:q=(010:111) 65.48 — 66.3 65.53 * 12 b:p=(010:111) 68.42 — 68.52 | 68.47 | 68.50 Ta m':2 = (110: 101) 67.44— 67.49 | 67.47 | 67.50, | 7 ge =(111:001) , 43.6 —43.11| 43.10 | 43.61) | 4 c'e I0-001) 36.52 36.52 | 36.53 1 cir =(001:011) 26.33 — 26.40 | 26.37 | 26.35 5 n see (1047011) 44,44 44.44 | 44,20 1 m:r =(110:011) 67.48 67.48 | 67.491, | 1 m':g'=(110:111) 84.14 84.14 | 849 1 q:0=(111:012) 36.25 36.25 | 36.23 1 c:0 =(001:021) 44,58 — 45.6 45.4 | 452 2 o :r =(011:021) 18.17 — 18.27 | 18.22 0n0k 2 o :m=(011:110) 59.27 59.27 |59271/,| 1 x i0.—-i(401:021) 55.44 55.44 | 55.35 1 g :r =(101:011) 33.5 — 33.23 | 83.19 | 331800002 m':0 =(110:021) 70.46 70.46 | 70.42 1 “c :p=(001:111) 37.4 —87.11| (378 (STO 4 p :r =(111:011) 29. —9917) ‘293.020 4 m:p =(110:111) 45.34 — 45.48 | 45.38 | 45.39 8 p :p=(111:111) 42.13 — 42,21 | 42.17 |42.201/,| 2 STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 397 Sfaldatura completa secondo c (001). Piano degli assi ottici parallelo 5 (010). La prima linea mediana devia di poco dalla normale a c (001). Dispersione inclinata energica. Angolo degli assi ottici circa 68°. Considerando i resultati ottenuti per alcuni dei corpi studiati, e precisamente per quelli indicati ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 non è difficile riconoscervi una certa analogia morfologica e fisica, che può servire a confermare almeno in parte, ciò che fino ad oggi è noto sulle leggi della Morfotropia. Credo intanto oppor- tuno di riunire nel seguente quadro, la formola chimica di struttura, ed alcune caratteristiche morfologiche e fisiche dei composti in discorso, nonchè le analoghe indicazioni dei due composti Acetanilide (Biickina, Zettsch. f. kryst. 1, pag. 304) e Parabromacetanilide (PANEBIANcO, Atti R. Acc. dei Lincei. Mem. Ser. III, Vol. III, pag. 292, ed O. Mucce, Inaug. dissert. d. Univ. Gottingen. Hannover, 1879) già da tempo conosciuti. 091179 ‘0 NT v 100 T_ |OIOT]T00 |GE4L61*T"L23L0 | .rsonog o°H'ONy 2'H° |‘ SPIrrE:COLOaIURION 901IZOSIT I *TeqsITO ‘9S1g BOITO B[OUIIO.{ QUION OUBIq |-ep[eJS og 10ddey H_ i e Bo On, 9 RC SS 100 T OTO | 100 | ITI6FG:1:FFL9'0 09IquIog O H Dx TH W SEE O 100. T OTO | 100 | GL06:1: 16890 ODIQuIo] OHOX gr 9 * * ‘@pIstuezooeozI) HTC ta 0911}9UL Cn di CI Z 108 T OTO | 103 | E991°E:T: 60620 38 - GIE o *H OA >'R°0 9PiIUE}eoLOTIOIGRIET = i < È ‘6:10: È a La 1 n° * epijiuezootopolerseg E 1068 T OTO | 106 | SPecG:I:9L6L0 -MISOUOT{ OH O NE H°9 ITI | st ta ù { QEITA Isa 9 è [ È OTO | dè |GhS6G:I: 0290 09IquIiog OH 0>xy BR 9 opiliuezoogopolo}.1) H ‘H°0 100 T. 070 | 100 | OL90"3:T: 88480 OoIquog o ‘H ta se e 2 SP] H O'V | tan oo11zowueTed | 398 STUDIO CRISTALLOGRAFICO, FCC. 399 È chiaro intanto che i composti sopraindicati possono riguar- darsi siccome derivati dall’Acetanilide in cui un atomo d’Idro- geno del nucleo benzinico è stato sostituito da I, Br, O. CHs, N Os. Ponemmo a base del nostro confronto, i resultati otte- nuti da Biicking per l’Acetanilide, onde mettere in rilievo le variazioni morfologiche intervenute nei composti da noi studiati, a seconda della natura chimica dell’ elemento o radicale compo- sto sostituente, e della posizione da quello occupata nel nucleo benzinico. Ora perchè l'abito di questi cristalli di per sè assai vario, non poteva servire come punto di partenza, onde stabi- lire l’orientazione cristallografica, si scelsero a tale effetto i caratteri ottici e più specialmente la posizione del piano degli assi ottici che in ogni caso era facilmente determinabile. Sta- bilita questa orientazione comune, si notò intanto che la faccia di sfaldatura, laddove fu possibile osservarla, restava normale al piano degli assi ottici; di più, meno che in un caso, la pri- ma bisettrice deviava di poco dalla. normale al piano di sfal- datura. Venendo poi a considerare l’analogia geometrica, si nota una certa discrepanza nel sistema cristallino, dal vedere che sono rappresentati i sistemi rombico e monosimmetrico: questo fatto non deve sorprenderci, poichè oltre al verificarsi di fre- quente nei composti organici artificiali, di grande rassomiglianza chimica, e pur anco negli stessi isomeri, incontrasi ancora fra i composti naturali inorganici. Piuttosto a questo proposito ci sembra opportuno di richiamare una fra le tante interessanti osservazioni del dott. O. Lehmann e precisamente quella che si riferisce all’Acetanilide (Zeitsch. f. kryst. 10, pag. 9): se- condo questo Autore, l’Acetanilide ha la proprietà di mostrarsi a seconda della temperatura in complessi cristallini rombici (modificazione stabile) e in complessi monosimmetrici (modifica- zione labile). Or parrebbe che tale proprietà in certo qual modo si trasmettesse ai nostri derivati, per alcuni dei quali (N. 2, 5) apparirebbe come modificazione stabile il complesso cristallino monosimmetrico. Una certa analogia morfologica indipendente dal sistema può 400 F. SANSONI, tuttavia rimarcarsi, quando mantenendo l’orientazione stabilita colle norme precedentemente fissate, si moltiplichi per uno stesso numero 3 il parametro relativo all’asse 2, nei composti indicati ai numeri 1, 2, 4, e nella Parabromoacetanilide: e si divida per 2 il parametro a relativo all’asse x nei composti numeri 2, 3, 4 e nella Parabromoacetanilide: si otterranno allora i rapporti parametrici segnati nel quadro, i quali, come si vede, appariscono assai vicini fra di loro, e con quelli dati per l’A- cetanilide. Dal confronto dei singoli composti fra di loro possono trarsi alcune deduzioni degne di nota. Così i due isomeri indicati ai numeri 1, 2 mentre appartengono a sistemi cristallini diversi, mostrano una certa analogia nei loro angoli. Infatti: Ortojodoacetanilide (110 : 100) = 33°.50’; (011:001) = 66°.4° Parajodoacetanilide (210 : 100) = 35 .21 ; (011:001) = 63.11 Perfetta e completa analogia sotto ogni rapporto si riscontra fra la Parajodoacetanilide e la Parabromoacetanilide. Per con- vincersene basta osservare i valori angolari indicati per questi 2 composti. La qual cosa serve a confermare quanto a questo riguardo è stato ripetutamente osservato da Groth, Bodewig, Friedlander, ecc., che cioè mostrasi analogia minore fra quei prodotti di sostituzione avvenuti per opera di uno stesso atomo nelle varie posizioni della molecola (Num. 1, 2) che non fra quelli derivanti dalla sostituzione avvenuta per atomi di diversa natura ma chimicamente affini (Parajodoacetanilide, Parabromo- acetanilide) i quali vanno ad occupare una identica posizione nella molecola. Dal vedere poi mancante il carattere della sfal- datura in uno di questi composti (N. 1) e verificarsi invece negli altri due (N. 2 e Parabromoacetanilide) secondo un piano che forma un angolo assai acuto con l’asse della zona più ricca di facce, ed alla quale appartiene il piano degli assi ottici, mentre nei rimanenti composti (Num. 3, 4, 5) la faccia di sfal- datura è normale o quasi all’asse di questa zona, si potrebbe credere conformata l’influenza disturbatrice già altre volte se- Soc.Ital di ScaNiat. Vol XX Tav.VIII Dansomi. Studio cristallografico sopra alcuni composti orgamet. le CBrartà Vaza Sanson el e ec. STUDIO CRISTALLOGRAFICO, ECC. 401 gnalata, degli atomi alogenici I, Br, sostituenti 1’ H del nucleo benzinico. La seconda coppia d’isomeri Num. 3, 4, mentre concorda con l’Acetanilide e coi rimanenti per tutti i caratteri fisici esami- nati, e nel sistema cristallino, e sufficientemente nel rapporto parametrico d:c; mostrasi invece più discorde nel rapporto a :b; questo c' induce ad affermare la relativa piccola influenza fisica del gruppo sostituente O. CHs, il quale vale appena a modifi- care il suindicato rapporto. La sostituzione per opera di NO? ha influenzato singolarmente il carattere ottico, con la traspo- sizione del piano degli assi ottici. Nei composti 7, 8 si rinviene pure appresso all’ analogia strutturale una certa somiglianza morfologica e fisica, quando però nel composto N. 8 s’invertano gli assi x 2. Per conchiudere, mentre con le poche deduzioni sopra indi- cate non pretendiamo affatto di concorrere alla generalizzazione di leggi morfotropiche, che troppo scarsa è fino ad ora la co- pia dei fatti, e non costanti i rapporti segnalati, tuttavia cre- diamo sano e doveroso consiglio, di registrare ogni volta che se ne presenti l’occasione, ogni fatto, che con altri di natura consimile potrà servire a suo tempo a stabilire delle leggi; allo stesso modo che è meritevole di eccitare la nostra curiosità, e costituire un vero interesse scientifico la scoperta di fatti o fe- nomeni in contraddizione con leggi da tempo stabilite, ed uni- versalmente riconosciute. Pavia, dal Gabinetto mineralogico dell’ Università. Seduta del 27 Novembre 1887. Presidenza del Presidente prof. cav. ANTONIO STOPPANI. Il Presidente apre la seduta alla 1 3/4 pom. invitando il dot- tor C. F. Parona a leggere la sua nota: Contributo allo studio dei Megalodonti; poi il socio G. Mercalli espone colla sua nota: Sulle lave di Radicofani i risultati ottenuti collo studio micro- scopico di queste rocce. Lo stesso segretario G. Mercalli pre- senta una nota del dott. F. Sansoni: Studio cristallografico so- pra alcuni composti organici, e legge, a nome del socio A. De Carlini, un sunto della sua memoria: Materiali per la Fauna dev Vertebrati della Valtellina, che verrà pubblicata per esteso negli Atti. In seguito il segretario G. Mercalli legge, a nome del signor L. Ricciardi, una nota: Sulle rocce vulcaniche di Rossena. - Infine il segretario G. Mercalli presenta, a nome del socio L. Bozzi, una nota: Sopra una specie di Pino trovata a Ca- stelsardo in Sardegna. Si passa alla trattazione degli affari colla proposta di due soci effettivi nelle persone del sig. dott. Francesco Sansoni pro- posto dai socî C. F. Parona, E. Mariani e G. Mercalli, e del sig. dott. Leonardo Ricciardi proposto dai socî G. Mercalli, N. Pini ed F. Molinari. Ambedue risultano nominati ad una- nimità. Il segretario G. Mercalli propone il cambio degli Atti della E e SEDUTA DEL 27 NOVEMBRE 1887. 403 ' Società con quelli della R. Accademia di Agricoltura di Torino, che viene approvato. Infine il Presidente A. Stoppani annuncia la dolorosa perdita che la scienza ha fatto nello scorso ottobre colla morte del Kag. G. B. Villa. Appassionato cultore delle scienze naturali, | e inteso principalmente a promuovere lo studio della patria geologia, fino dalla sua prima giovinezza egli fu congiunto del pari che col vincolo dell’ amore fraterno, con quello non meno nobile e schietto della comunanza degli studî e dalle aspirazioni al già compianto maggiore fratello Antonio Villa, per tanti anni Vice Presidente della nostra Società, e tanto benemerito degli studî naturali. Con lui si occupò principalmente di stu- diare la stratigrafia e di raccogliere i fossili della nativa Brianza. Frutto dei comuni studî e delle relazioni comuni in tutte le parti del mondo fu quella preziosa collezione, a cui saranno eternamente congiunti i nomi dei due infaticabili naturalisti, chiamandosi Museo dei Fratelli Villa. Questo museo, ora passato in proprietà del Museo Civico di Milano, è appunto, per l’ ab- bondanza ed il pregio dei fossili briantei, un vero tesoro per la scienza, e servirà di splendido complemento a quella colle- zione geologica e paleontologica lombarda, che si spera di vedere fra qualche anno rendere onore al nostro paese, collocata e or- dinata nella nuova sede già destinata al Civico Museo. G. B. Villa fu uomo di ingenui costumi, di grande bontà d’animo, sensibile all'amicizia, buon padre di famiglia e ottimo patriota. Il suo nome sarà sempre ricordato con stima ed af- fetto in seno alla nostra Società a cui appartenne per tanti anni e di cui fu anzi uno dei socî fondatori. Alle 3 pom. si leva la seduta. Il Segretario Prof. G. MERCALLI. ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO OD IN CAMBIO ALLA BIBLIOTECA SOCIALE NELL'ANNO 1887 PUBBLICAZIONI PERIODICHE DI SOCIETÀ ED ACCADEMIE SCIENTIFICHE. Italia. Bullettino dell'Agricoltura. Anno XX, N. 48-52; Anno XXI, N. 1-48. Milano, £°. Bollettino demografico-sanitario-igienico-meteorico del Comune di Milano. Ivi, 1886, ottobre-dicembre; 1887, gennaio-settembre. Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Milano, 8°, Vol. XIX, fase. 18-20; Vol. XX, fase. 1-16. Index, 1886. Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche di Genova. Ivi, in 8°, Anno IX, fasc. 9-12; Anno X, fasc. 1-5. Bollettino della Reale Accademia medica di Genova. Ivi, in 8°, Sommario (settem- bre-dicembre). Memorie di detta Accademia. N. 1. Annali della R. Accademia d’ Agricoltura di Torino. Vol. XIV-XXIX. Bollettino mensuale dell’ Osservatorio Centrale del Real Collegio Carlo Alberto in Moncalieri. Torino, 4°, Vol. VI, N. 10-12; Vol. VII, N. 1-10. Bollettino dei Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Università di Torino. Vol. I, N. 1-26; Vol. II, N. 27-32. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XXII, Disp. 18-15°. Bollettino dell’Osservatorio della R. Università di Torino. Anno XXI. Atti dell’ Ateneo di Scienze, lettere ed arti in Bergamo. Vol. VIII. Commentari dell’ Ateneo di Brescia. Anno 1886. RE n sa sati Nei LA ET LIBRI IN DONO. 405 Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Commercio ed Arti di Verona. Vol. LXII della Serie III, fase. unico. Atti della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali. Padova, Vol. X, fasc. 1. Bullettino di detta Società. Tomo IV, N. 1. Rivista mensile di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Ateneo Veneto. Venezia, 16°, Se- Maio WeoL IE, N. 3-6; Vol. I, N. 1-6. Notarisia, Commentarium phycologicum. Venezia, Anno II, N. 5-8. Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti in Venezia. Tomo IV, Serie VI, Disp. 10%, Appendice alla Disp. 10%; Tomo V, Disp. 12-9°, Bullettino dell’ Associazione agraria Friulana. Udine, 8°, Vol. III, N. 21-24; Vol. IV, N, 1-25. L’ Amico dei Campi. Trieste, 8°, Anno XXII, N. 11-12; Anno XXIII, N. 1-10. Memorie della Società dei Naturalisti di Modena. Vol. V. Bullettino di Paletnologia italiana. Reggio dell’ Emilia, 16°, Anno XII, N. 11-12, Index. Atti della Società Toscana di Scienze naturali in Pisa. Processi verbali, 14 no- vembre 1886, 9 gennaio, 13 marzo, 8 maggio, 3 luglio 1887. Memorie di detta Società. Vol. VIII, fasc. 1-2. Bollettino della Sezione dei cultori delle Scienze mediche nella R. Accademia dei Fisiocritici di Siena. Anno V, fasce. 2-9. Bollettino della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. N. 22-46, Indice alfabe- tico delle opere, Tavola sinottica. Atti della R. Accademia dei Georgofili di Firenze. Vol. IX, Disp. 48, Supplemento. Vol. X, Disp. 1°-2a. Nuovo Giornale Botanico italiano. Firenze, Vol. XIX, N. 1-4. Bullettino della Società Entomologica italiana. Firenze, Anno XVIII, Trimestre 4; Anno XIX, Trimestri 1, 2. Atti di detta Società. Anno 1884, Indice del Vol. 17°, Atti della Reale Accademia medica. Roma, 8°, Vol. II, Serie II. Bullettino di detta Società. Anno XII, fase. 1-6; Anno XIII, fase. 1-7. Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei. Roma, 4°, Vol. II, fase. 9-12; Vol. III, fasc. 1-13, 2° Semestre, fasc. 1-9. Bollettino della Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele. Roma, N. 5-6, Vol. II, N. 1-3, Indiee 1886. Bollettino del R. Comitato geologico d’ Italia. Roma, 16°, Vol. VII, Num. 9-12; Vol. VIII, N. 1-8. Rivista italiana di Scienze Naturali della Società dei Naturalisti in Napoli. In- dice, Serie I, Vol. I, fase. 1-2. Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle Scienze. Napoli, in 4°, Serie III, Tomo VI. Bollettino della Società Africana d’ Italia. Napoli, 16°, Anno V, fase. 11-12; Anno VI, fasc. 1-10. Rendiconto della Società Reale delle Scienze. Napoli, Anno XXV, fasc. 10-12; Anno XXVI, fase. 1-10. Atti del R. Istituto d’ Incoraggiamento alle Scienze naturali, economiche e tecno- logiche. Napoli, Vol. V. 406 LIBRI IN DONO. > E | Il Pieentino. Salerno, 8°, Anno XXIX, fasc. 11-12; Anno XXX, fase. 1-10. ) | Atti della Società d’ Acclimazione ed Agricoltura. Palermo, Nuova Serie, Anno XXVI. i Bollettino della Reale Accademia Palermitana di Scienze, Lettere ed Arti. Anno TIT, N: 1-3, Atti di detta Accademia. In 4° (Nuova Serie), Vol. IX. Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali. Catania, 4°, Serie III, Tomo XIX. Francia. Bulletin de la Société Géologique de France. Paris, Tome XIII, N. 8; Tome XIV, N. 5-7; Tome XV, N. 5. Chronique de la Société nationale d’ Acclimatation de France. Paris, 8°, 1886, N. 23-24; 1887, N. 1-23. Bulletin mensuel de la Société nationale d’ Acclimatation de France. Tome 1TI, N. 12; Tome IV, N. 1-11. Numéro suplémentaire. Annales de la Société d’ Agriculture d’histoire naturelle et des arts utiles. Lyon. Série V, Tome VII e VIII. Bulletin trimestr. de la Société d’histoire naturelle de Toulouse. Ivi, pag. 201-315. Index. Année XX, janvier-septembre, pag. 161-209. Bulletin de la Société Linnéenne du Nord de la France. Amiens, Tome VII, N. 139-162; Tome VIII, N. 163-174. Mémoires de la Société Linnéenne du Nord de la France. Amiens. Tome VI. Bulletin de la Société libre d’émulation du commerce et de Vindustrie de la Seine- Inférieure. Rouen, Exercice 1885-1886 (Ie partie); Exercice 1885-1886 (II° partie). Revue Savoisienne de la Société Florimontane. Annecy, 27€ Année, décembre; 28° Année, janvier-décembre. Svizzera. Jahres-Bericht Naturforschende-Gesellschaft Graubundens. Chur, N. F. Jahrg. XXIX, Jahrg. XXX. Bulletin de la Société Vaudoise des sciences naturelles. Lausanne, Vol. XXII, N. 94-96. Mittheilungen der Naturforschende Gesellschaft. Bern, Jahrg. 1886, N. 1143-1168. Matériaux pour la Carte géologique de la Suisse. Berne, Blatt. XIII, Actes 68-69 session. Bulletin de la Société des sciences naturelles. Neuchitel, Tome XV. Neues Denkschriften Naturforschende Gesellschaft. Zurich, Vierteljabrsehrift in 16 Jahrg. XXX, heft 1-4; Jahrg. XXXI, heft 1-2. Mémoires de l’Institut national Génévois. Genève, Tome XVI, in 4°, ta LIBRI IN DONO. 407 Germania ed Austria. Verhandlungen der Botanischen Vereins der Provinz Brandenburg. Jahrg. XXVII- XXVIII. Abhandlungen der Nuturforschende Gesellschaft. Gorlitz, Band. XIX. Abhandlungen der mathematisch-physikalischen Classe der k. Bayerische Akademie der Wissenschaften. Minchen, Bd. XV, abt. 3; Bd. XVI, abt. 1. Stitzungsberichte. 1886, heft 2-3; 1887, heft 1. Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft. Jena, Bd. XIII, heft 1-3; Bd. XIV, heft 1-2. Jahrbuch der Hamburgischen Wissenschaftlichen Anstalten. Jahrg. III. Correspondenz-Blatt des naturwissenschaftlichen Vereines. Regensburg, Jahrg. XL. Sttzungsberichte und Abhandlungen der Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis. Dresden, Jahrg. 1886, juli bis december; 1887, januar bis juni. Stitzungsberichte ‘der Physikalische-Medicinischen Gesellschaft zu Wiirzburg. Ivi, Jahrg. 1886. Verhandlungen der Physikalische-Medicinischen Gesellschaft zu Wiireburg. Ivi, N. F. Band XIX-XX. Sitzungsberichte der Physikalisch-medizinischen Sociattit. Erlangen, Heft 18. Bericht der Verein fiir Naturkunde zu Cassel. Ivi, Bd. XXXII und XXXIII. Jahres-Bericht 64ster der Schlesischen Gesellschaft fiir Vaterlindische Cultur. Bre- slau, Zacharias Allerts, Taghebuch aus dem Jahre 1627. Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte. Neubrandenburg, TERE 40. Schriften der Naturforschenden Gesellschaft in Danzig. Ivi, N. F. Band VI, heft 4. Malakozoologische Bliitter zu Kassel und Berlin. Ivi, N. F. Band IX, heft 2. Notizblatt des Verein fiir Erdkunde zu Darmstadt Ivi, IV Folge, heft 7. Schriften der Physilkalische-Oeconomische Gesellschaft eu KOnigsberg. Ivi, Jahr- gang XXVII. Li Bericht iiber die Senkenbergische naturforschende Gesellschaft. Frankfurt a. Main, 1887. Zoologische Anzeîger. Leipzig, N. 239-266. Verhandlungen und Mittheilungen der Siebenburgischer Verein zu Hermannstadt. Ivi, Jahrg. XXXVII. Mittheilungen der k. Ungar. Geologischen Anstalt zu Budapest. Ivi, Bd. VIII, heft 4. Fòldtani Kbzlny. Fizet 7-12. Jaresb. XII Direction der Gewerbeschule Bistritz. Siebenburgen. Mittheilungen des Vereines der cirete in Steiermark. Graz, Jahre 1886. Annalen der k. k. Naturhistorische Hofmuseum. Wien, Bd. I, N. 1-4; Bd. II, N. 1-4. Verhandlungen der k. k. Zoologisch- Botanische Gesellschaft in Wien. Ivi, Bd. XXXVI, quartal 3-4; Bd. XXXVII, quartal 1-2. , Verhandlungen der %k. k. Geologische-Reichsanstalt in Wien. 1887, N. 1-8. Jahrbuch der k. k. Geologische-Reichsanstalt in Wien. BA. XXXVII, heft 1. Abhandungen. Bd. XII, N. 1-4, Lief, 5. Vol. XXX. 27 408 LIBRI IN DONO. Mittheilungen der Anthropologischen Gesellschaft in Wien. Ivi, Bd. XVI, heft 1.4; Bd. XVII, heft 1-2. Mittheilungen der k. k. Geographischen Gesellschaft in Wien. Ivi, Bd. poi Gran Brettagna, America, Australia, India, Giappone. Palacontographical Society. London, Vol. XL. Proceedings of the Zoological Society. Year 1886, part II-IV; year 1887, part LIL Transaction. In 4°, Vol. XII, part III-VI. Proceedings of the Royal Society. Vol. XLI, N. 247-258. Philosophical transactions. In 4°, Vol. CLXXVI, part I-II. i The Scientific Proceedings of the Royal Dublin Society. Vol. V, part III-VI. The Scientific transactions. In 4°, Vol. III (Series II), N, 7-12. Proceedings Royal Irish Academy of Dublin. Polite literature and antiquities. Ser. IT, Vol. II,-+N; 6% Science. In 8°, Ser II, Vol. IV, N. 1-4. Irish Lexicography; an introduetory Lecture, in 89. Cunningam Memoirs, in 4°, N. 2-3. The Transactions, in 4°. Polite literature and antiquities. Vol. XXVII, N. 6-8. Science. Vol. XXVIII, N. 14-25. Transactions of the Geological Society. Glasgow (Scotland), Vol. VIII, part. I. Proceedings of the Royal physical Society. Edinburgh. Session 1885-86. Memorias de la Sociedad Cientifica « Antonio Alzate ». Tomo I, cuaderno nîîm, 1-4. Proceedings of the Academy of Natur. Sc. of Philadelphia. Ivi, 1885, part III; 1886, part I-III. Memoirs of the Boston Society of Natural History. Boston, in 4°, Vol. III, N. 12-13. Proceedings c. s. Boston, Vol. XXIII, part II. Transactions of the Wagner Free Institute of Science of Philadelpueai Ivi, Vol. I. Monographs of the United States Geological Survey. Washington, in 4°, Vol. IX-XI. Fifth annual Report. 1883-84. Bulletin, in 16, N. 7-33. Archivos del Museu Nacional de Rio Janeiro. Vol. VI. Transactions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences of New Haven. Ivi, in 8°, Vol. VII, part I. Annual Report of the Board of Regents of the Smithsonian Institution. Washington, year, 1884, part II; year, 1885, part I. Bulletin of the California Academy of Sciences. San Francisco, Vol. I, N. 4; Vol. II, N. 5. Siaxt annual Report, part I II of the California State Mining Bureau. Sacramento, Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences, Boston, Vol. XXI, part II; Vol. XXII, part I. Rapport annuel of the Geological and Natural History Survey of Canada. Montreal. Vol. I, 1885. Mappes ete. pour 1885. La LIBRI IN DONO. 409 Proceedings of the Davenport Academy of Natural Sciences. Vol. IV. Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en C6rdoba (Repiblica Argentina). Tomo IX, Entrega 1-4. Actas c. s., in 4°, Tomo V, Entrega Tercera. Report for 1886. Trustees of the Australian Museum. Sydney. Journal and Proceedings of the Royal Society of New South Wales of Sydney. Ivi, Vol. XIX. Memoîrs of the Geological Survey of India. Palaeontologia Indica. Calcutta, in 49, Ser. .X, Vol. IV, part 2; Ser. XIV, Vol I, 3, fas. 6; Ser. XIII, I, 6; Ser. XII; Vol. IV, part 2, Index Vol. I. — 1, Cretaceons Rocks of $S. lndia. Records c. s. Vol. XX, part 1-3. Memoirs of the Literature College, Imperial University of Japan. Tokyo, No E Paesi Bassi, Russia, Belgio, Svezia e Norvegia. Archives Néerlandaises des Sciences exactes et naturelles de la Société Hollandaise des Sciences à Harlem. Ivi, Tome XXI, livr. 2-5; Tome XXII, 1-3. Archives du Musée Teyler. Harlem, Vol. II, partie IV, livr. 2-3. Catalogue de la Bibliothèque. Procès-Verbaux des Séances de la Société Royale Malacologique de Belgique. Bruxel- les, janvier-déc. 1886. Annales c. s. Tome XX. Annales de la Société Entomologique de Belgique. Bruxelles, Tome XXX. Bulletin de la Société Royale de Botanique de Belgique. Tome XXV, fasc. 2; Tome XXVI, fasc. 1. Horti Petropolitani Acta. Pietroburgo, Tomus IX, fasc. 2. Catalogus systematicus bibliothecae. Mémoires del’ Académie Impériale des Sciences de St. Pétersbourg. Ivi, Tome XXXIV, N. 2-13; Tome XXXV, N. 1-2. Bulletin c. s. Tome XXX, N. 4; Tome XXXI, N. 1-4. Mémoires du Comité Géologique de St. Pétersbourg. Ivi, in 4°, Vol. III, N. 2-3, Vol. IX, N. 1. Bulletins c. s., in 4°, Tome V, N. 1-8; Tome VI, N. 1-11; Supplem. Tome VI. Bulletin de la Société Impériale des Naturalistes. Moscou, Année 1886, N. 1-4; An- née 1887, N. 1-2. Académie Royale Suédoise des Sciences. Stockholm, Arg. 15, 1886. Antiquarisk Tidskrift fòr Sverige. Delen, 8, N. 1-2. Viridarium Norvegicum Norges Vaeatrige. Christiania, Yste Bind. Acta Universitas Lundensis. Lund, in 4°, Tome XXII. 410 LIBRI IN DONO. PUBBLICAZIONI NON PERIODICHE. Zoologia. ARRIGONI DEGLI ODDI E. — Notizie sopra un uccello per V Avifauna italica. Pa- dova, 1887, un foglio. Lo stesso. — Due ibridi ottenuti in domesticità nel maggio 1885. Padova, 1887, 8°. BrusINA S. — Appunti ed osservazioni sull’ ultimo lavoro di J. Gwyn Jeffreys « On the Mollusca procured etc. » Zagreb, 1886, 8°. DE Sousa Josk AUGUSTO. — Aves de Dahomey. Lisboa, 1887, un foglio. Lo stesso. — Aves da Iha do Principe colligidas pelo SR. Francisco Newton. Lisboa, 1887, un foglio. Lo stesso. — Lista das Aves de Mogambique (Districto de Cabo Delgado) dt pelo SR. Augusto Cardoso. Lisboa, 1887, un foglio. GrINITZ H. B. — Ueber Nautilus Alabamensis Morton, Nautilus zic zac Sow und Nautilus lingulatus v. Buch. 1887, un foglio. LyDEKKER RicHARD. — Catalogue of the remains of Pleistocene and pre-historic Vertebrata. Calcutta, 1886, 8°. Lo stesso. — Catalogue of the remains of Siwalik Vertebrata. Parte I, TEA Parte II, Aves, Reptilia and Pisces. Calcutta, 1885, 8°. MAGRETTI PaoLo. — Sugli Imenotteri della Lombardia. Memoria III, Pompilidei. Firenze, 1887, 12°. MonTICELLI FR. SAV. — Note Elmintologiche : sul nutrimento e sui parassiti della Sardina Clupea Pilchardus C. V. del Golfo di Napoli. Ivi, 1887, 8°. NINNI A. P. — Venezia è la stazione zoologica. Venezia, 1887, 12°. PARONA D.r ERNESTO. — Intorno la genesi del Bothriocephalus latus (Bremser) e la sua frequenza in Lombardia. Torino, 1887, 8°. Lo stesso. — Sulla questione del Bothriocephalus latus (Bremser) e sulla priorità. nello studio delle sue larve in Italia. Milano, 1887, 12°. PLATEAU FiELIX. — écerches sur la perception de la lumière par les Myriopodes aveugles. Paris, 1886, 16°. PREUDHOMME DE BorrE A. — Listes des espèces de Colétoptères Carnassiers en Bel- gique. Gand, 1886, 8°. Lo stesso. — Note sur les Crustacés Isopodes. Gand, 1886, 8°. Lo stesso. — Sur les espèces européennes du genre Haplidia. Gand, un foglio. Lo stesso. — Note sur les Triodonta Aquila Cast. et Cribellata Fairm. Gand, un foglio. SicHER E. ed ARRIGONI E. — Alcuni uccelli anomali del Veneto. Padova, 1887, 8°. LIBRI] IN DONO. 411 Botanica. LocKwooD SAMUEL. — Raising Diatoms in the Laboratory. New-York, 1886, 8°. PASSERINI NAP. — La cultura dell’ Olivo e la estrazione dell’ Olio. Roma, 1887, 16°. Lo stesso. — Norme pratiche per la raccolta delle Olive e la estrazione dell’ Olio. Firenze, 1887, 16°. Lo stesso. — Histoîre des Herbiers. Paris, 1885, 160. Geologia e Mineralogia. BomBicci prof. Lurci. — Sulla costituzione fisica del globo terrestre, sull’ origine della sua crosta litoide, sulle cause dei moti sismici che più frequentemente vi avvengono. Bologna, 1887, 40. BoTttI U. — Due viaggi in Sardegna del prof. G. vom Rath, dell’Università di Bonn. Cagliari, 1886, 80. D’AcHIARDI ANTONIO. — Pocce ottrelitiche delle Alpi Apuane. Pisa, 1887, 80. NicoLis ENRICO. — Le Marne di Porcino ed î loro paralleli nel Veneto. Venezia, 1887, 80. NIKITIN S. — Bibliothèque Géologique de la Russie. I, 1885. Sacco FEDERICO. — Il Villafranchiano al piede delle Alpi. Roma, 1886, 8°. Lo stesso. — Il Piano Messiniano nel Piemonte. Parte 2%, Guarene-Tortona. Roma, 1887, 80. Lo stesso. — Il Piano Messiniano nel Piemonte Roma, 1886, 16°. Lo stesso. — Studio geologico dei dintorni di Voltaggio. Torino, 1887, 12°. Lo stesso. — Le Fossanien nouvel étage du Pliocène d’Italie. Paris, 8°. SALMOJRAGHI ing. FRANCESCO. — Terrazzi Quaternarii sul Litorale tirreno della Calabria Citra. Roma, 1886, 16°. Varietà. BAUERNFEIND CARL MAX. — Geddchtnissrede auf Joseph von Fraunhofer. Minchen, 1887, 40. BoLpinI, Romano, DE KIRIAKI. — Del risanamento di Venezia. Studî igienico-tecnico- amministrativi sulla fognatura della città. Venezia, 1886, 8°. BomBrcci prof. Luci. — Sulla ipotesi dell’ azione e selezione magnetica del globo terrestre, sulle materie cosmiche interplanetarie contenenti ferro. Bologna, 1887, 4°, Fanzaco cav. FILIPPO. — Discorso inaugurale dei corsi accademici dell’anno 1886-87, Padova, 1887, 12°. ‘HerTwiG RicuaRD. — Geddchtnissrede auf Carl Theodor vom Siebold. Munchen, 1886, 40. "RO da si pa 412 LIBRI IN DONO. ‘> 500 Houzeau J. C. — Bibliographie générale de l Astronomie. Un foglio. | Loomis ELIAaS. — Contributions to Meteorology. Chapter II, New Haven, Conn. 1887, 40. NeTTo LADISLAU. — Lettre à M. Ernest Rénan à propos de l’inscription phénicienne apocryphe. Rio de Janeiro, 1885, 8°. NINNI A. P. — Il Regolamento per la caccia, pubblicato dalla Deputazione Pope ciale dì Venezia V11 luglio 1887. Venezia, 1887, 8°. PigoRINI L. e STROBEL P. — Gaetano Chierici e la Paletnologia Italiana. Parma, 1886, 8°. PASSERINI NaP. — Di un nuovo metodo per scuoprire la fucsina (cloridrato di ro- sanilina) nel Vino. In foglio. INDICE Presidenza pel 1887 Socj effettivi al principio dell’ anno 1887 Socj corrispondenti . Istituti scientifici corrispondenti ai principio dell'anno post. ; F. SAcco, I terreni sarai della collina di DIO (con una tavola) . 1 A. P. Ninni, Sul passaggio sdariinaio ui da quedula Circia avvenuto in marzo 1886 nell’ E- stuario Veneto (con una tavola). A. P. NINNI, ZI merli urofasciati 1 E. Mariani e C. F. Parona, Fossili ion di Capo S. Marco in dv Bilancio Consuntivo dal 1° gennaio al 31 iron bre 1886 Bilancio Preventivo per io 1887 E. MARIANI, La Molassa miocenica di Varano L. RicciARDI, Genesi e successione delle rocce eruttive G. CATTANEO, Sulla struttura dell’ intestino dei Cro- stacei decapodi e sulle funzioni delle loro glan- __dule enzimatiche (con una tavola) . M. SaccHi, Contribuzione all’ istologia dell’ canali dei Sauropsidi (con una tavola). oSN 10 101 188 190 193 212 238 273 414 INDICE. F. MotLINnARI, Le funzioni della silice nella crosta ter- restre . G. MercattI, Il A di bui un 20 | maga 1887 . suo TA Seduta del 1 maggio 1887 Seduta del 3 luglio 1887. C. F. PARONA, Contributo allo studio dei Aegalodont (con tre tavole) . Apr 1 L. Bozzi, Sopra una specie pliocenica di pino Pa vata a Castelsardo in Sardegna . G. MercaLII, Le lave di i dai una f: vola) . via F. SANSONI, Studio cistallgrafico sopra ale com- posti orgamaici . Seduta del 27 novembre 1887. Elenco dei libri pervenuti in dono od in RR cdl biblioteca sociale . 3 SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. — Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi velativi alle scienze naturali. I Socj sono in numero illimitato, effettivi, studenti, corrispondenti, ed onorarj. _ I Socj effettivi pagano it. È 20 all'anno, în una sol volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli A#/ della Società. I Socj studenti pagano it. L. 10 all'anno nel primo trimestre dell’anno. Possono essere nominati tutti gli inscritti ad uno degli Istituti superiori d’Istru- zione del Regno. Godono degli stessi diritti dei socj effettivi. .A Socj corrispondenti sì eleggono persone distinte nelle scienze na- turali, che dimorino fuori d’Italia; essi possono diventare socj effettivi quando si assoggettino alla tassa annua di lire venti. A Socj onorarj la Società elegge persone distinte nelle scienze natu- rali che siano benemeriti della Società. La proposizione per l’ ammissione d'un nuovo socto, di qualsiasi ca- tegoria, deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono el prim:0 trimestre dell’anno suc- cessivo cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli A/? e nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, se- condo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Ati ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli A? e delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. Quanto ai lavori stampati negli A? l’autore potrà far tirare un nu- mero qualunque di copie ai seguenti prezzi: Li Esemplari ) 25 | 50 __33 | 190 !f, di foglio (4 pagine) . . | 1.125|L.225| L.250/L. 4 — t/a ‘foglio (8 pagine): . . . ni bian Be 50 bet ad i 3], di foglio (12 pagine) . . MET II PA ER IRA) I | 8 — |» 10 — 1 foglio (16 pagine) . . . SR i (i PARE sist INDICE F. Morinari, Le funzioni della silice nella crosta ter- restre . G. MercaLLi, LL giremole di Het a 20 maggio 1887; ; Seduta del 1 inaggio 1887 Seduta del 3 luglio 1887. C. F. Parona, Contributo allo studio dei Megalodoni (con tre tavole) . Pa * L. Bozzi, Sopra una specie pliocenica di pino trà vata a Castelsardo in Sardegna . i G. MercaLLIi, Le lave di HEI (con una ta- vola) . “N F. Sansoni, Studio Iiaiillografitoi sopra A com- posti organici (con una tavola) . Seduta del 27 novembre 1887 . SIR Elenco dei libri pervenuti in dono od in cambio ala biblioteca sociale . AVIVISO Pala pi Quei Socj che desiderassero fare acquisto delle Memorie e degli A tti della Società, per quanto sono disponibili, potranno averli a prezzi di grande facilitazione scrivendo alla Segreteria. > ATTI SOCIETÀ ITALIANA DELLA DI SCIENZE NATURALI VOLUME XXXI. Kascicoro 1% — Hoenl."k-8. at Tai PATIRE E TIP. BERNARDONI DI C. PER L'ITALIA: SEGRETERIA DELLA SOCIETA' | LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI Con una tavola. MILANO, | REBESCHINI E C. PER L'ESTERO: PRESSO LA PRESSO LA MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico. Galleria De-Cristoforis, Via Manin, 2. 59-62. APRILE 1888. gli ATTI e delle MEMORIE si veda la pagina di questa copertina. 3° Per la compera de B egretarj S GIRI Pini rag. Narotroxe, atona via i Crocifisso Cassiere, GARGANTINI-PLA TI cav. GIusePPE, Milano, via 1 ATTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI VOL. XXXI. ANNO 1888. MILANO, TIPOGRAFIA BERNARDONI DI C, REBESCHINI E (. 1888. I Prina L) id) Vai e 1 MVYy CY CRAL i Lan È n ni nei tit:trsebce svi È (AI) KI. LEALI ANI I Se * y \ ge [n Rae } >: i Y Mitafs 4 SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI DIREZIONE PEL 1888. Presidente. — STOPPANI prof. cav. ab. ANTONIO, direttore del Mu- seo Civico di storia naturale in Milano. Vice-Presidente. — BeLLOTTI dott. CRISTOFORO. MERCALLI prof. GIusEPPE, via S. Andrea, 10. Pini nob. NAPOLEONE, via Crocifisso, 6. Conservatore. — FRANCESCHINI cav. FELICE. Segretarj | CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE, CrIveLLI march. Luc. Commissione CE Dr BorRroMEO conte GIBERTO juniore. ammaimaisirativa MacRETTI dott. PaoLo. Cassiere. — GARGANTINI-PrATTI cav. GiusepPE, Milano, via Se- nato, 14. Economo. — DELFINONI avv. cav. GOTTARDO. SOCJ EFFETTIVI al principio dell’anno 1888. Amgrosoni sac. MicneLANGELO, Milano. ArrIGonI degli OppI conte ETTORE, Padova. BarEtTI prof. cav. MARTINO, Torino. Bassani prof. FRANCESCO, Napoli. Bazzi EugENIO, Brissago. BeLLonci GiusePPE, prof. di zoologia nella R. Università di Bo- logna. BeLLoTTI dott. CrIstororo, Milano. Besta dott. Riccarpo, R. Liceo Parini, Milano. BettoNI dott. EuGENIO, Brescia. BoccaccinI prof. CorrADo, Torino. Borromeo conte Carro, Milano. Borromeo conte GiseRTO juniore, Milano. Borri cav. ULDERICO, consigliere delegato presso la R. Prefettura di Cagliari. Bozzi dott. Lurer, R. Università di Pavia. BrioscHi comm. FRANCESCO, senatore del Regno e direttore del R. Istituto Tecnico superiore di Milano. ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1888. 5 Buzzoni sac. Pietro, Milano (CC. SS. di Porta Romana). CALDERINI sac. Pietro, direttore dell’Istituto Tecnico di Varallo (Val Sesia). Camerano dott. Lorenzo, Torino. Campacci dott. cav. CesARE, Firenze. Canetti dott. CArLo, Milano. Cantoni dott. ELvezio, prof. al R. Liceo Manzoni, Milano. CARRUCCIO prof. cav. AntoNIO, direttore del R. Museo Zoologico della R. Università di Roma. CATTANEO dott. Giacomo, Pavia. CavaLLorti ing. AnceLOo, Milano. CeRUTI ing. GIOvANNI, Milano. CettI ing. GIovannI, Laglio (Como). Cocconi prof. GeRoLAMO, Bologna. Cocienon dott. NicoLa, professore di meccanica nel R. Istituto Tecnico, Firenze. CoLompo dott. GiusePPE, Milano. CoLomo-PARACCHI sac. FEDERICO, professore nel Collegio Comu- nale di Merate. CoLoni sac. GAETANO, professore di Scienze naturali a Crema. Conti Giovanni, R. Istituto Tecnico superiore di Milano. CRESPELLANI cav. ArseNIO, Modena. CretYy dott. CESARE, R. Università di Roma. CrIiveLLI march. Luici, Milano. De-CARLINI dott. ANGELO, Sondrio. DeLFINONI avv. GortARDO, Milano. DeL Mayno march. NorBERTO, Milano. De Lrone dottor VINCENZO, Castiglione Messer Raimondo (A- bruzzo). Doria march. Giacomo, Genova. FanzaGo dott. FiLibpo, professore di storia naturale nella R. Università di Sassari. FERRARIO dott. cav. ErcoLe, Gallarate. FerrERO OTTAVIO LuiGIi, professore di chimica nel R. Istituto Agrario di Caserta. 6 ELENCO DEI SOCJ EFFETTIVI FrancescHINI cav. FeLIce, Milano. Garruri sac. dott. Cesare, S. Pietro Martire. GALLI rag. Bruno, Sondrio. GargantINI-PratTI ing. GiuserPE, Milano. Gasco prof. Francesco, R. Università di Roma. Giacometti dott. Vincenzo, Mantova. Gouin ing. Leone, Cagliari. GuaLTERIO march. CARLO RAFFAELE, Bagnorea (Orvieto). Kruca OswaLpo, R. Università di Pavia. LeporI dott. CesARE, assistente al Museo zoologico dell’Univer- sità di Cagliari. Levi barone comm. ScanDER ApoLro, Firenze. LinciarDI dott. GIAMBATTISTA, Pavia. MaesI dott. LeoPoLDOo, professore È anatomia comparata nella R. Università di Pavia. MacRETTI dott. PaoLo, Cassina Amata (Milano). MALFATTI dott. Giovanni, Milano. Manzi prof. MicHELANGELO, Lodi. MarcHI dott. Pietro, Firenze. MARIANI dott. Ernesto, R. Università di Pavia. Mazza dott. FELICE, Genova. Mazzetti sac. GiusePPE, Modena. MazzuccHELLI ing. VirtorIo, Milano. MELLA conte CarLo ArBoRrIO, Vercelli. MENEGRINI GIusEPPE, professore di geologia nella R. Università di Pisa, senatore del Regno. MERCALLI sac. prof. Giuseppe, Monza. MezzeNnA Etvino, Milano. MOLINARI ing. prof. FRANCESCO, assistente al Museo Civico di Mi- lano e libero docente nel R. Istituto Fermpy Superiore. MoxtIcELLI dott. SAveRrIO, Napoli. Mora dott. AntoNIo, Bergamo. NEGRI dott. comm. GARTANO, senatore del Regno, Milano. NicoLis ENRICO, Verona. NicoLucci cav. GiustINIANO, Isola presso Sora (Napoletano). AL PRINCIPIO DELL’ ANNO 1888. VR | OngonI dott. GrovannI, professore di Geologia nella R. Univer- sità di Padova. PaoLucci dott. LuIeI, professore di storia naturale nel R. Isti- tuto Tecnico, Ancona. PARONA dott. CARLO FABRIZIO, libero docente nella R. Università di Pavia. PARONA dott. CorRADO, professore di zoologia e anatomia com- parata nella R. Università di Genova. PasseRINI dott. GIovANNI, professore di botanica nella R. Uni- versità di Parma. PaAssERINI conte NAPOLEONE, Firenze. PavLucci marchesa MARIANNA, Villa Novoli presso Firenze. Pavesi dott. Pietro, professore di zoologia nella R. Università di Pavia. PerucIA dott. ALBERTO, direttore onorario del Museo Civico di Trieste. PranzoLA LuIi, dottore in legge, Milano. PicagLia dott. Luiei, Mantova. Pini nob. NAPOLEONE, Milano. Prrona dott. GiuLIo ANDREA, professore di storia naturale al Liceo di Udine. PirottA dott. RomuaLpo, R. Giardino Botanico, della R. Uni- versità di Roma. PoLLi PieTRo, professore di storia naturale all'Istituto Tecnico di Milano. PoLLini dott. CarLo, R. Università di Pavia. Ponti Cesare, Milano. — PrapA dott. Troporo, professore di storia naturale all’ Istituto Tecnico di Pavia. ReBESCHINI CriIstIANO, Milano. ReGAZZONI dott. Innocenzo, professore nel R. Liceo di Como. RicciarpI dott. LeonARDO, professore nel R. Istituto di Bari. Rossi cav. Antonio, ingegnere capo del genio civile (Como). SAccHI-CatTANEO dottoressa MARIA, Pavia. Sacco dott. FEDERICO, assistente al R. Museo geologico di Torino. 8 ELENCO DEI SOCI EFFETTIVI AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1888. SaLMoJRAGHI ing. FRANCESCO, professore di mineralogia nel R. Istituto Tecnico superiore di Milano. Sansoni dott. FrANcESCO, prof. nella R. Università di Pavia. SartorIo dott. AcHILLE, professore di storia naturale nel R. Li- ceo di Pistoja. Scarpa dott. GiusePPE, Treviso. Scora dott. Lorenzo, Milano. SENNA AnceLo, Milano. StopPANI ab. ANTONIO, professore di geologia nel R. Istituto Tec- nico superiore di Milano. StrAzza TemistocLE, Milano. StroBEL PELLEGRINO, professore di mineralogia nell’ Università di Parma. TarameLLI Torquato, professore di geologia nella R. Università di Pavia. TARGIONI-TOZZETTI comm. ADOLFO, e di zoologia al Museo di storia naturale di Firenze. TERRACCIANO cav. NicoLa, direttore dei Giardini Reali a Caserta. Tommasi dott. ANNIBALE, R. Istituto Tecnico di Udine. TRANQUILLI GIOVANNI, professore di storia naturale nel Liceo di Ascoli. TREVISAN conte Vittore, Milano. TuraTI nob. ErNnESTO, Milano. Turati nob. GranrRANcO, Milano. VALLE dott. ANTONIO, assistente presso il Civico Museo di storia naturale di Trieste. VERRI ANTONIO, capitano nel genio militare, Terni. Viaoni nob. GruLio, Milano. i ViLLa VirtoRIO, Milano. Visconti Ermes march. CaArLo, Milano. Vismara rag. ITALO, Milano. SOCJ CORRISPONDENTI. AscHERSON dott. PaoLo, addetto alla direzione dell'Orto botanico, Berlino. BARRAL, direttore del giornale L’Agriculture pratique, Parigi. BoLLe CARLO, naturalista, Leipziger Platz, 13, Berlino. BruUSINA SPIRIDIONE, soprintendente del Dipartimento zoologico nel Museo di storia naturale di Agram (Zagrab) Croazia. FavrE ALFonso, professore di geologia, Ginevra. Fieurer Luci, rue Marignan, 21, Parigi. GeINITZ Bruno, direttore del gabinetto mineralogico di Dresda. Hauer Francesco, direttore del Museo di storia naturale di Vienna. Jannsens dott. EuGENIO, medico municipale, rue du Marais, 42, Bruxelles. LE PLÉ dott. AmeDEO, presidente della Società libera d’emula- zione, Rouen. Lory CarLo, professore di geologia alla Facoltà delle scienze a Grenoble. MERIAN, professore di geologia al Museo di storia naturale di Basilea. MORTILLET GABRIELE, aggiunto al Museo Nazionale di Saint-Ger- main-en-Laye, presso Parigi. Netto dott. LaApisLao, direttore della Sezione botanica del Mu- seo Nazionale di Rio Janeiro. ‘PiLLer Luiei, avvocato, del Gabinetto mineralogico di Cham- béry. PizARRO dott. GioacHINo, direttore della Sezione zoologica del Museo Nazionale di Rio Janeiro. PLancHON GruLIo, professore di botanica a Montpellier. 10 0 DU vVINIH Ranmonpi dott. AntoNIo, professore di storia naturale all’ Uni- | versità di Lima (Perù). SENONER cav. ApoLro, bibliotecario dell’I. R. Luigi Geologico di Vienna, Landstrasse Haupistrasse, 88. SrupeER BERNARDO, professore di geologia, Berna. SOCJ CORRISPONDENTI. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI al principio dell’anno 1888. ITALIA. . Società Agraria di Lombardia — Milano. . R. Istituto Lombardo di scienze e lettere — Milano. . Accademia Fisio-Medico-Statistica — Milano. . Società d’ esplorazione commerciale in Africa — Milano. Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri — Milano. 3) . Società di letture e conversazioni scientifiche — Genova. . Reale Accademia medica — Genova. . Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Univer- sità di Torino. . R. Accademia d’Agricoltura di Torino. . Società meteorologica italiana — Torino. . R. Accademia delle scienze — Torino. . Ateneo di scienze, lettere ed arti — Bergamo. . Ateneo di Brescia. . Accademia Olimpica — Vicenza. . Società Veneto-Trentina di scienze naturali — Padova. . Accademia di agricoltura, commercio ed arti — Verona. IND 18. LD 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. a 30. 31. 32. 33. S4. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. ISTITUTI SCIENTIFICI CORR. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1888. 11 L’Ateneo Veneto — Venezia. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti — Venezia. Associazione Agraria Friulana — Udine. Società d’Orticoltura del Litorale — Trieste. Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna. Società dei Naturalisti — Modena. R. Accademia dei Fisio-Critici — Siena. Società toscana di scienze naturali — Pisa, R. Accademia dei Georgofili — Firenze. Biblioteca Nazionale Centrale — Firenze. Società Entomologica italiana — Firenze. Società italiana delle Scienze detta dei Quaranta — Roma. Reale Accademia Medica — Roma. Reale Accademia de’ Lincei — Roma. Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele — Roma. R. Comitato Geologico d’Italia — Roma. Società di Naturalisti — Napoli. Società italiana delle scienze — Napoli. Società Africana d’Italia — Napoli. Società Reale delle Scienze — Napoli. R. Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali, econo- miche e tecnologiche — Napoli. Società economica del Principato Citeriore — Salerno. Società d’Acclimatazione e agricoltura — Palermo. Reale Accademia palermitana di scienze, lettere ed arti — Palermo. Società di scienze naturali ed economiche — Palermo. Reale Commissione d’agricoltura e Pastorizia per la Sicilia — Palermo. Accademia Gioenia di scienze naturali — Catania. Periodici scientifici corrispondenti. Bollettino demografico-sanitario-igienico-meteorico del Co- mune di Milano. 45. 46. . Nuovo Giornale Botanico italiano — Firenze. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI Notarisia, Commentarium phycologicum — Venezia. Bullettino di Paletnologia italiana — Reggio d’Emilia. SVIZZERA. . Società Elvetica di scienze naturali — Berna. . Naturforschende Gesellschaft — Bern. . Naturforschende Gesellschaft — Basel. . Naturforschende Gesellschaft — Ziirich. . Société des sciences naturelles — Neuchàtel. . Société Vaudoise des sciences naturelles — Lausanne. . Naturforschende Gesellschaft Graubiindens — Chur. . Société de physique et d’histoire naturelle — Genève. . Institut National Genèvois — Genève. FRANCIA. . Institut de France — Paris. . Société Botanique — Paris. . Société Géologique de France — Paris. . Société nationale d’Acclimatation de France — Paris. . Société des sciences physiques et naturelles — Bordeaux. . Académie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie — Chambéry. . Société des sciences naturelles — Cherbourg. . Société d’agriculture, d’histoire naturelle et ‘des arts utiles de Lyon. . Société d’histoire naturelle — Toulouse. ° . Société Linnéenne du Nord de la France — Amiens. . Académie des sciences, arts et lettres — Rouen. . Société libre d’émulation du commerce et de l’industrie de la Seine-Inférieure — Rouen. . Société Florimontane — Annecy. 70. nm. 12. 73. 74. 75. 76. (af 78. (OE 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. SI. 90. 91. 92» 93. 94. 95. 96. IT. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1888. 13 GERMANIA rep AUSTRIA. Botanischen Vereins der Provinz Brandenburg — Berlin. K. Preussischen geologischen Landesanstalt und Bergakade- mie — Berlin. Zoologische Anzeiger — Leipzig. K. Bayerische Akademie der Wissenschaften — Miinchen. Senkenbergische naturforschende Gesellschaft — Frankfurt am Mein. Physikalische-oeconomische Gesellschaft — Kébnigsherg. Verein fiir Erdkunde — Darmstadt. Naturforschenden Gesellschaft — Danzig. Verein der Freunde der Naturgeschichte — Neubrandeburg. Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlàndische Cultur — Bre- slau. Malakozoologische Blitter — Cassel. Verein fir Naturkunde — Cassel. Naturwissenschaftliche Gesellschaft Isis -— Dresden. Zoologisch-mineralogisches Verein — Regensburg. Physikalisch-medizinischen Societàt — Erlangen. Hamburgischen Wissenschaftlichen Anstalten — Hamburg. Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft —- Jena. Naturforschende Gesellschaft — Gorlitz. Verein fiir Naturkunde — Wiesbaden. Naturhistorisches Verein — Augsburg. Naturwissenschaftliche Gesellschaft — Chemnitz. Offenbaches Verein fiir Naturkunde — Offenbach am Mein. Vereins fiir Naturwissenschaft — Braunschweig. K. K. Naturhistorisches Hofmuseum — Wien. K. K. Zoologisch-botanische Gesellschaft — Wien. K. K. Geologische Reichsanstalt — Wien. Anthropologischen Gesellschaft — Wien. K. K. Geographische Gesellschaft — Wien. 14 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. 111. 112. 113. 114. LIO, 110. TIT pila: TEO: 120. 121. ISTITUTI SCIENTIFICI CORRISPONDENTI Ornithologischen Verein — Wien. Direction der Gewerbeschule Bistritz — Siebenbiirgen. Vereines der Aerzte in Steiermark — Graz. K. Ungar. Geologischen Anstalt — Budapest. Siebenburgischer Verein fiir Naturwissenschaften — Her- mannstadt. Naturwissenschaftlich-medizinischen Verein — Innsbruck. BELGIO E PAESI BASSI. Académie Royale de Belgique — Bruxelles. Société entomologique de Belgique — Bruxelles. Société royale malacologique de Belgique — Bruxelles. Société royale de Botanique de Belgique — Ixelles-les- Bruxelles. Musée Teiler — Harlem. Société Hollandaise des sciences — Harlem. RUSSIA. Directeur du Jardin Impérial de Botanique — Pietroburgo. Comité Géologique — Pietroburgo. Académie Impériale des sciences — Pietroburgo. Horti Petropolitani Acta — Pietroburgo. Societas pro fauna: et flora fennica — Helsingfors. Société Impériale des Naturalistes — Mosca. SVEZIA E NORVEGIA. Kongelige Norske Universitet — Christiania. Viridarium Norvegicum. Norges Vaextrige — Christiania. Universitas Lundensis — Lund. Antiquarisk Tidskrift for Sverige — Stockholm. Entomologisk Tidskrift — Stockholm. Académie royale Suédoise des sciences — Stockholm. 29. 123. 194. 125. 126. 127. 128. 129. 130. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1888. 15 GRAN BRETTAGNA. Geological Society — London. Royal Microscopical Society — London. Zoological Society — London. Palaeontographical Society — London. Royal Society — London. Literary and philosophical Society — Manchester. Royal Irish Academy — Dublin. Royal Dublin Society — Dublin. Royal physical Society — Edinburgh. Geological Society — Glascow. SPAGNA. Sociedad espaîi. de historia natural — Madrid. AMERICA. Smithsonian Institution — Washington. United States Geological Survey — Washington. American Academy of arts and sciences — Boston. Boston Society of natural history — Boston. Ministerio de Fomento de la Republica Méxicana — México. Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate, — México. Wagner Free Institute of Science — Philadelphia. Academy of natur. Science — Philadelphia. Museu Nacional de Rio Janeiro. The Connecticut Academy of arts and sciences — New- Haven. Geological and natural history Survey of Canada — Mont- real. 16 144. 145. 146. 147. 148. 149. 150. 150, 152. 153. 154. 155. 156. ISTITUTI SCIENTIFICI CORR. AL PRINCIPIO DELL'ANNO 1888. Academia Nacional de ciencias en C6rdoba (Republica Ar- gentina) — Cérdoba. Orleans county Society of natural sciences — Newport. American Academy of arts and sciences — Cambridge. Academy of sciences — S. Louis. Canadian Institute — Toronto. Geology of Wisconsin — Beloit. California State Mining Bureau — Sacramento. Davenport Academy of natural sciences — Davenpor Jowa. California Academy of sciences — San Francisco. AUSTRALIA. Trustees of the Australian Museum — Sydney. Royal Society of New Sout Wales — Sydney. ASIA. Literature College, Imperial University of Japan — Tokyo. Geological Survey of India — Calcutta. VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. pel Dott. AnceLo DE-CARLINI PROFESSORE DI STORIA NATURALE NEL R. Liceo DI SONDRIO. / Res patriae cum possis, non illustrare, nefas. Soc. Isis. INTRODUZIONE. Intendo per Valtellina quella parte della provincia di Sondrio, che, dalle origini dell'Adda, corre fino al suo sbocco nel lago di Como, potendo la valle del Liro e del Mera, ossia di Chia- venna, essere considerata come distinta. La Valtellina dunque, propriamente detta, dal versante meridionale delle alpi Rezie, discende prima in direzione greco-libeccio. per un tratto di circa 75 Km., limitata a levante dalle catene dell’Ortler e dell'Adamello, a ponente dal gruppo del Bernina; poi, in corrispondenza del paese di S. Giacomo, piega ad angolo ottuso e da quel punto si dirige'quasi costantemente da levante a ponente infino a Co- lico per un tratto di 65 Km., con le prealpi bresciane, berga- masche e comasche a sinistra ed a destra le alpi del Bernina, il gruppo del Disgrazia e la val Bregallia. Confina cioè a set- tentrione con la Svizzera per la val Bregallia e l’Alta Engadina e col Trentino, ad oriente col Trentino ed in parte col Bre- sciano, a mezzodì ancora col Bresciano, col Bergamasco e Co- masco, ad oriente col piano di Colico e col Chiavennasco. Vol. XXXI, 2 18 A. DE-CARLINI, che sono successivamente quelli di Bormio, Sc E ‘rano, 3 Teglio, Sondrio, della Salvetta e di Morbegno. L'ampio piano — d Colico, quantunque naturale sbocco della Valtellina, non ne | fa parte, sia amministrativamente, essendo provincia di Como, sia anche faunisticamente, perchè ritrae il suo carattere dal Lario. FR La valle dell'Adda si ramifica in vallicole secondarie, ad essa per lo più perpendicolari. Le principali sono: val Livigno, val Furva, val Grosina, val Venina, val Malenco, val Tartano, val Masino e val Bitto. Dei monti, che fiancheggiano queste valli, alcuni si innalzano ad enormi altezze sul livello del mare, quali: Ortlet i. ile Gran Zebrù «.... ag Monte, Cevredale:. Ware Re M. Disgrazia.. «eee M: Cristallo (0 UARA e Pizzo Scalino cv. SW ae TOR Piz Umbrailo: << Ni RE Pizzo ‘del ‘Diavolo. «ant Rea Monte Combalo >». ear Re Corno Stella: ari SAR Pizzo dei tre Signori .% i! 00% 4 20600060 Incontriamo pertanto in Valtellina la massima varietà di clima, di terreno e di vegetazione; dalle pianure sufficientemente vaste ed umide, sì da formare delle paludi, alla regione collinesca, montuosa ed alpina, fino alle vaste estensioni di ghiacci e di nevi perpetue. Nevi e ghiacci che, disgelando, riempiono ar- gentei laghetti, come quello delle Scale in val Fraéle, dell’ In- ferno al Corno Stella, del Palù in val Malenco e tant’altri, quindi formano impetuosi torrenti o fiumicelli, quali il Frodolfo, il Mallero, il Masino, il Tartano, il Bitto ecc., per concorrere tutti insieme ad ingrossare la massima Adda. | VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 19 Per questa varietà di orografia ed idrografia, per la posizione geografica, congiungendo la valle del Po con la Svizzera, la Valtellina è, senza dubbio, regione interessantissima al natura- lista. Infatti illustri botanici la percorsero in tutte le direzioni e in diversi tempi, cominciando dal dottor Giuseppe Massara, attraverso numerosa ed eletta schiera, fino al testè compianto canonico Anzi, ed ancora oggidì parecchi cultori di Flora visi- tano ed illustrano questa classica terra. Nè il geologo mancò di cercarvi la soluzione di intricati problemi stratigrafici. Stop- pani, Curioni, Theobald, Taramelli, Bonardi gettarono uno sguardo più o meno profondo nelle viscere della valle dell’ Adda; ma tuttora desiderasi chi rivegga e riordini il già fatto e com- pleti lo studio della Gea. La Fauna, certo non meno importante, fu invece in ogni tempo assai trascurata, tranne forse per gli uccelli. Appunto di questi si ha fin dal 1835 la prima e la più ricca contri- buzione nei Cenni sulla Ornitologia lombarda di Paolo Lan- fossi, il quale dà indicazione di cattura fatta in Valtellina di 111 specie ed altre 30 dichiara comuni a tutta la Lombardia. L’anno dopo Giuseppe Medici pubblicò, per dissertazione di laurea, un Saggio sulla Storia naturale del M. Legnone e del piano di Colico, che a noi però non interessa direttamente e nel quale sono ricordati alcuni più comuni uccelli e mammiferi e si fa menzione della accidentale comparsa di pochi altri animali assai rari. Pressappoco le stesse forme vengono ricordate dal Rome- gialli nell’introduzione alla Storia della Valtellina e da Fran- cesco Visconti-Venosta nelle Notizie statistiche sulla Valtellina. Il prof. Balsamo-Crivelli fra le Notizie Naturali di Lombardia raccolte dal Cattaneo, l’arciprete Monti nella Ornitologia Co- mense ed Antonio Riva nel suo Schizzo ornitologico delle provin- cie di Como, Sondrio e del Canton Ticino più volte accennano anche a località valtellinesi; però, a vero dire, ben poco o nulla aggiunsero di proprio per queste, essendosi limitati quasi sempre a riportare quanto era già stato detto dal Lanfossi. Al medesimo Monti dobbiamo pure le Notizie dei pesci delle 20 A. DE-CARLINI, 983 provincie di Como, Sondrio e del Canton Ticino; ma, dopo ac- curata consultazione di tale memoria, per molte ragioni com- mendevolissima, ho dovuto meravigliarmi come nel titolo fosse anche compresa la provincia di Sondrio, giacchè di uno solo, la trota, fra i 28 pesci elencati, si ricordano diverse località valtellinesi, degli altri non si fa alcun cenno. i E riesce anche strano il non vedere mai citata specificamente la Valtellina nei molti e diversi lavori di Balsamo-Crivelli, De Filippi, Cornalia, Canestrini, De Betta, Camerano, Giglioli, ecc. intorno a mammiferi, rettili, anfibi e pesci o dell’Italia in ge- nerale od in particolare della Lombardia; bensì degli uccelli trovai parecchie indicazioni di nomi vernacoli valtellinesi nelle opere di Giglioli e Salvadori. Nel 1885, per merito di due giovani studenti, fu pubblicato in Sondrio un giornale mensile dal titolo IZ Naturalista Valtellinese; durò in vita un anno e nel ramo della Zoologia diede notizie senza dubbio pregevoli, specialmente in rapporto agli uccelli, dei quali cominciò un elenco, interrotto al numero 34. Il si- gnor Bruno Galli promise di completare il suo catalogo, ma non potè mai mantenere la parola; mentre l’altro suo compa- gno, il sig. Mario Cermenati, riparlò dei costumi di aquile, orsi e camosci nostrali in alquanti numeri del Bollettino del Natu- ralista, editi a Siena nel 1886-87. Questo Cermenati è lo stesso, che nel corrente mese mandò fuori per le stampe in Sondrio il primo fascicolo di un’ opera, intitolata: La Valtellina ed è Naturalisti, finora soltanto bibliografica, senza accenno a dati faunistici. _ Dalla precedente rivista appare evidente che, dei vertebrati della Valtellina, la sola classe degli uccelli è, almeno in parte, conosciuta; sulle altre quattro classi tutto o quasi rimane an- cora da farsi. Tale lacuna io lamentavo anche nella raccolta zoologica del Gabinetto liceale; infatti di mammiferi, rettili, batraci e pesci esso era quasi affatto sprovvisto e si trovava invece relativamente ricco di uccelli, possedendo, oltre parecchi di ignota origine, la pe [5] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 21 collezione di circa 150 specie, che il nob. Giuseppe Sertoli di Sondrio aveva riunita al principio del secolo e più tardi donata al Liceo. La concorde attestazione del Monti, dell’egregio mio predecessore prof. Carlo Bonadei, e dei signori Luigi e Carlo Sertoli, nipoti del nob. Giuseppe, mi fa sicuro che tutti gli uccelli ed i pochi mammiferi di questa raccolta furono presi in Valtellina; ma sfortunatamente i cartellini delle singole specie non portano, conforme all’uso di quel tempo, alcuna indicazione più precisa di località nostra e per di più molte delle determi- nazioni evidentemente sono punto esatte. Ond’è che, quando questa primavera m’accadde di re per il Gabinetto del Liceo una piccola collezione di una settan- tina di uccelli, uccisi in val Bitto, e preparati dal reverendo don Carlo Fabani di Valle, dopo la determinazione di questi, m'accinsi alla rideterminazione di tutta la raccolta Sertoli, lavoro alquanto improbo per il cattivo stato di sua conservazione. E perchè molte delle notizie fornite dal Lanfossi ne’ suoi Cenni sono, per sua confessione, ricavate dalla visione di questa rac- colta, di cui parla in una nota, e da ragguagli assunti dal nob. Giuseppe Sertoli, e quindi in parte erronee, parvemi non inutile di ripubblicare il catalogo degli uccelli di Valtellina, corretto ed aumentato delle nuove specie prese in val Bitto, inoltre arricchito di tutte quelle informazioni, che ho potuto poscia procurarmi, mentre attendevo a rifornire il Museo di ani- mali delle altre quattro classi di vertebrati. Anche di queste, vista la scarsità di notizie a loro proposito, aggiungo l’elenco, quale mi consta finora, affinchè il tutto in- sieme, supplendo in parte alla lamentata lacuna, formi almeno un abbozzo, un prodromo di faunistica valtellinese e serva come punto di partenza per future ricerche. Per la nomenclatura e l'ordinamento degli uccelli ho creduto di dover seguire il recentissimo Elenco degli uccelli italiani del Salvadori; per l’ordinamento degli altri vertebrati la Fauna d’ Italia, edita dal Vallardi e pubblicata da Cornalia, Salvadori, De Betta e G. Canestrini. 929 A. DE-CARLINI, de: Coda” Molto vantaggio trassi anche dalla Faune des vertébrés de la Suisse di Victor Fatio e sempre mi attenni alle più moderne pubblicazioni, tra le quali segnalo le monografie sui rettili e batraci del dottor Camerano. Mi è sembrato inoltre opportuno di non trascurare i confronti corologici, almeno per le specie più rare, con le regioni attigue alla Valtellina, per cui mi gio- varono alquante memorie di Maironi da Ponte, Cobelli, Bonomi, Riccardo Canestrini, Schinz, Saratz, Pavesi, Bettoni, ecc. come si vedrà meglio nella appendice delle opere consultate. Prima di finire rendo pubblica e sincera lode ai due predetti sig. Bruno Galli e don Carlo Fabani; ambedue mi procurarono ottime notizie sulle nidificazioni, sui passaggi e sui nomi ver- nacoli, il primo per quanto riguarda specialmente i dintorni di Sondrio, il secondo per la valle del Bitto. Del Galli mi com- | piaccio altresì encomiare la lealtà ed il disinteresse, con cui I spontaneamente mi aiutò nella compilazione di questo lavoro, che doveva in parte esser suo; si abbia dunque doppia e viva la riconoscenza mia. Nè minore riconoscenza debbo al chiarissimo professor Pietro Pavesi, che mi fu sempre largo di preziosi consigli e pose a mia disposizione tutto il molto materiale bibliografico necessario, esistente nella sua ricca biblioteca particolare ed in quella del- l’Istituto zoologico da lui diretto nella Università di Pavia. Finalmente esprimo ogni gratitudine a tutte quelle gentili persone, compresi gli allievi, che mi diedero od oggetti o notizie. Accolgano benevolmente gli amici valtellinesi questo qualun- que lavoro, il quale tende ad illustrare la bella loro patria e vogliano cortesemente indicarmi le molte inesattezze, in cui sarò per avventura incorso, nonchè le aggiunte che si potranno fare e che varranno a preparare una futura completa Faunistica della Valtellina. [7] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 23 BIBLIOGRAFIA CONSULTATA Barsamo-CriveLLi Giuseppe, Fauna della Lombardia (in Notizie naturali e civili sulla Lombardia). Milano, 1844. Bertoni Eugenio, Prodromiî della Faunistica bresciana. Brescia, 1884. -— Storia naturale degli uccelli che nidificano in Lombardia. Vol. 2. Milano, 1865-68. Bonaparte Lucrano, Iconografia della Fauna italica per le quattro classi de- gli animali vertebrati. Vol. 3, con tavole. Roma, 1832-41. Bonomi Agostino, Avifauna tridentina. Rovereto, 1884. Camerano Lorenzo, Ricerche intorno alle specie italiane del gen. Talpa Linn. (Estr. Mem. R. Acc. Sc. Torino, Serie II, Tomo XXXVII). Torino, 1885. — Monografia dei Sauri italiani. Torino, 1885. — Monografia degli Anfibiù anuri italiani. Torino, 1883. — Monografia degli Anfibi urodeli italiani. Torino, 1884. CanestRrINI Giovanni, Pesci. In Fauna d’Italia, ed. Vallardi. Milano, 1873. — Prospetto critico dei pesci d’ acqua dolce d’Italia. Modena, 1866. CanestRINI Riccarpo, I pesci del Trentino e la pesca. Rovereto, 1885. Cantoni ELvezio, Sulla variabilità del Cobite fluviale (in Rend, Istit. Lomb. Serie II, Vol. XV, fasc. XI). Milano, 1882. Cermenari Mario, In Valtellina. — Appunti di storia naturale. $. II e IMI (Boll. del Naturalista collettore, Anno VI, N. 12; Anno VII, N. 3, 5, 7). Siena, 1886-87. CoseLLI Giovanni, Prospetto sistematico dei Rettili, Anfibiù e Pesci del Tren- tino finora studiati. Rovereto, 1873. Cornaria Ewmizio, Catalogo descrittivo dei Mammiferi osservati fino ad ora in Italia. In Fauna d’Italia, ed. Vallardi. Milano, 1874. De Berta Epoarpo, Rettili ed Anfibii. Ibid. 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Vespertilione murino — Dial. Nucireula. Ebbi diversi esemplari dai dintorni di Sondrio e da Tresivio. È pure, specie sparsa e comune in tutta Italia, nonchè in Sviz- zera (Fatio). 3. 3. Vesperugo pipistrellus (Schr.) Stiug. I. p. 187, tab. 54, 1775 (Vespertilio). Ital. Pipi- strello — Dial. Nucireula. Ne ebbi un solo esemplare preso vicino al cimitero di Sondrio, È comune nel Piemonte (Lessona), in Lombardia (Cornalia) e nel Veneto; sparso anche nella bassa Italia (Monticelli). 26 A. DE-CARLINI, [10] i 4.4. Rhinolophus ferrum-equinum (Schraeb.) Stugeth. I, p. 174, 1775 ( Vesper- tilio). Ital. Rinolofo uniastato — Dial. Nucireula. Ho trovato questa specie nel soffitto del fabbricato del Con- vitto nazionale di Sondrio. Vive in tutta Italia ed in molte parti della Svizzera, compreso il Bresciano (Bettoni), i Grigioni (Fatio) ed il Canton Ticino (Pavesi). Ordo: Insectivora. 5. 5. Talpa europaea Linn. S. N. XII, p. 73, 1766-68. Ital. — Talpa comune — Dial. Ratt tupin. Sembra piuttosto frequente in Valtellina, ove viene perse- guitata, come dovunque, perchè scava il terreno, ma forse a torto, essendo insettivora. Mi sono anch’io persuaso di ciò che così minutamente ha dimostrato due anni or sono il Camerano (Iicerche intorno alle specie italiane del gen. Talpa L.), cioè che i caratteri di distinzione fra questa specie e la coeca Savi non sono sufficienti per tenerle realmente distinte. In tutti gli esemplari che ho esaminati, quantunque avessero l’apertura pal- pebrale ben manifesta, i due incisivi mediani superiori erano più grandi degli altri laterali e le misure del muso e delle zampe anteriori variavano sensibilmente. Incidentalmente aggiungerò che a simile risultato addivenni anche dalla ispezione dei diversi esemplari di Talpa europea L. esistenti nel Museo zoologico della Università di Pavia. 6. 6. Crossopus fodiens (Schr.) Stiug. III, tav. 161, 1775 (Sorex). Ital. Sorice acquatico — Dial. Ratt tupin? Non raro nei ruscelli del piano di Sondrio. Fatio assicura che in Svizzera si eleva anche fino a circa 2500 m. s. m. Tro- vasi in tutta Italia (Cornalia). [11] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 27 7. 7. Crocidura aranea (Schr.) Siug III., p. 373, t. 160, 1775 (Sorex). Ital. Topino pettirosso. Si trova pure nel piano di Sondrio, ma vive all’ asciutto in | mezzo ai prati. In Italia pare più comune della precedente specie. Non mi consta che in Valtellina sia mai stato veduto allo stato selvatico il Riccio (Erinaceus europaeus Linn.); ma più lunghe ed accurate indagini potrebbero chiarirne l’esistenza, es- sendo sparso dovunque ed avendone trovati due esemplari (in cattivo stato) nella coliezione Sertoli. Ordo: Carnivora. 8. 8. Ursus arctos Linn. S. N. XII., p. 69 n. 1, 1766-68. Ital. Orso bruno — Dial. Ours. b L'orso bruno è ancora abbastanza frequente in Valtellina, e pare che non sia in diminuzione, come invece dicono Fatio per la Svizzera e Pavesi per il Canton Ticino. Per mezzo della R. Prefettura di Sondrio e per gentilezza dell’Ispettore sig. avv. Andreoli e del delegato sig. Mariani, che qui vivamente ringrazio, ho potuto procurarmi il seguente quadro degli orsi stati uccisi in Valtellina e notificati alla Que- stura di Sondrio dall'anno 1873 al 1887. In questi 15 anni il numero complessivo è di 49, di cui 30 maschi e 19 femmine. Si noti la sproporzione fra i due sessi, spiegabile del resto, sia per la maggiore temerarietà del maschio, sia per la vita più ritirata che la femmina è obbligata a condurre quando cura i piccoli; ma si noti anche come non vi sia alcuna uniformità, quanto al numero degli orsi uccisi nei singoli anni, poichè mentre nel 1873, 1874 e 1875 se ne ebbero rispettivamente 2, 2 e 4, nell’anno seguente 1876 si sale alla bella cifra di 9, per ridi- scendere l’anno appresso a 3. Risulta invece chiaro dal quadro stesso come gli orsi sieno più frequenti nella catena di montagne 28 A. DE-CARLINI, [12]. che sta a sinistra del corso dell'Adda; rari s'incontrano a de- stra nella val Malenco e del Masino (Cermenati). Ben s’intende che, oltre questi notificati, altri ancora furono visti o lasciarono le loro orme, senza che le palle degli intre- pidi cacciatori li abbiano potuti raggiungere. Così il 21 Maggio di quest'anno (1887) un’orsa con due orsacchiotti scese fino a Carona (comune di Teglio), rapì una pecora e ferì gravemente il ragazzo che la custodiva; quindi, per quante ricerche furono fatte, non fu più possibile d’incontrarla; ancora in quest’ anno, la femmina uccisa il 5 Luglio sull’alpe di Pescegallo (val Gerola) era seguita da un giovine, che riuscì a fuggire. Non posso passare sotto silenzio come mantengasi generale la convinzione fra gli abitanti che esistano due sorta di orsi in Valtellina: uno scuro, grosso, più frugivoro, l’altro più piccolo, biondo, col muso più acuminato e più carnivoro, quindi mag- giormente feroce. Già riportava questa opinione il Visconti Venosta in appen- dice alle sue Notizie statistiche, ed il secondo orso distinguesi volgarmente col nome di Formigareu, perchè alcuni credono in- genuamente che si cibi di formiche. Anche il Brehm nella Vita degli animali ricorda questa distinzione. Pure escludendo che i due orsi possano essere specificamente diversi, resta a vedersi se Il Formigarolo è il giovane dell’orso bruno o se non piuttosto ne sia una varietà. Io propenderei per la seconda opinione poichè, se è un fatto ben noto che la maggior parte degli orsi bruni sono di pelame più chiaro nella gioventù, gli è pur vero che ciò non è assoluto e si trovano piccoli di orso bruno di pelame molto scuro. Appunto nella collezione Sertoli se ne conserva uno giovanissimo di color nero-ardesiaco, ed un esemplare tipico Formigarolo assai più grosso del primo, tuttavia biondo e col muso più dell’altro acuminato. Si aggiunga che alcuni vorreb- bero sostenere che furono uccisi Formigaroli riconoscibili per vecchi dalla dentatura. Quanto alla loro stazione e distribuzione non pare vi sia differenza fra le due varietà di orsi. La taglia che pesa sull’orso è in ragione di 40 fiorini (circa 100 lire) per la femmina, 30 per il maschio e 20 per i giovani. Bi 13] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 29 Orsi uccisi in Valtellina dal 1873 al 1887. Fem- il Anno |Maschi| . Località mine 1873. 1 1 | 1 Val Madre. 1 Val Cervia. 1874 1 1 1 Val Madre. 1 Bosco Agneda (Piateda). 1875 3 1 1 Sasso Chiaro (Cajolo). 1 Alpe Bernasca (Fusine). 2 Costa dell’ Ortallo. 1876 2 | 7 | 3 Valle Fraele (Val di Dentro). 2 Boschi di Ce- pina (Val di Sotto). 1 Monte Mandria (Sondalo). 2 Val Malgina (Castello dell'Acqua). 1 Valcervia. 1877 1 2 1 Val Malgina (Castello dell’Acqua). 1 Bosco Agne- da (Piateda). 1 Bosco Pozzasca (Val di Sotto). 1878 4 _ 1 Alture di Castello dell’ Acqua. 1 Val Cervia. 1 Vitolengo (Fusine). 1 Monti di Caprera (Pia- teda). 1879 d 1 1 Val d’Ambria. 1 Bosco Legnone (Delebio). 1 Bosco delle Corna (Piateda). 1 Alpe d’Osso (De- lebio). 1 Val Malgina (Castello dell’ Acqua). 1880 1 — 1 Bosco di Pedesina (Val Gerola). 1381 4 _ 1 Bosco Avini (Val Premana). 1 Pignoleda (Gro- | sio). 2 Sasso Chiaro (Cajolo). | || 1882 2 — | 1 Piz (Cajolo). 1 Alture d’Ambria. 1883 |, 1 1 2 Valle Agneda (Piateda). 1884 | 2 1 | 1 Sulino (Cajolo). 1 Bosco della Margatta (Teglio). | 1 Bosco di Val Bucciana (Bormio). 1885 D 1 1 Val di Togno (Spriana). 1 Sardena (Piantedo). 1 Alpe Tagliate (Cosio). 2 Valle Cadosina (Bor- mio). 1886 | — 1387 | — 3 | 2 Val di Gerola. 1 Castello dell’ Acqua (Val Mal- } gina). 30 A. DE- CARLINI, 9. 9. Meles taxus (Schreb.) Stéiug. III, tav. 149, un Ital. Tasso — Dial. Tass.. i suo 1 peli si adoperino nell’ Mei Nella collezione Sertoli. DI ne trovano due esemplari. mR 10. 10. Martes abietum (Linn.) S. N. XII, p. 67 n. ci I (Mustela). Ital. Martora — Dial. Martul. -D Come lo indica il nome specifico latino, questa specie è propria | della regione delle conifere; ma naturalmente si può trovare anche più sotto. Se ne prendono non di rado in diversi punti | della Valtellina; a Sondrio vengono spesso portati da val Ma- | lenco. La cita del M. Legnone il dott. Giuseppe Medici, della È provincia di Brescia Bettoni, del Canton Ticino Pavesi e della | Svizzera Fatio. | 11. 11. Martes faina Nilsson, Skandinavisk Fauna 167, 1820 | Ital. Faina — Dial. Fuin. ; Dovunque non rara, tanto al piano che al monte. Vive nor- malmente in campagna, ma si avvicina ed entra anche nelle | case, nei soffitti e nei pollai. . j 12. 12. Foetorius putorius (Linn) S. N. XII, p. 167, 1766-68. (Mustela). Ital. Puzzola. =. Non è conosciuta in Valtellina e la registro perciò molto du- bitativamente, avendone un brutto esemplare nella collezione 3 Sertoli. Parmi però probabile che si possa trovare in Valtellina — perchè, secondo Fatio, nella Svizzera è abbondante; esiste anche I nel Canton Ticino (Pavesi) e nella provincia di Brescia, dove È la cita Bettoni, riportandolo dal Menis (Saggio di topografia % statistico-medica della provincia di Brescia, Brescia 1837). | VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 31 13. 13. Foetorius pusillus (Audubon a. Bachman) North Amer. i ; Pi Quadr. II, 100. 64, 1848 (Puto- 4 rius). Ital. Donnola — Dial. Be- rula. » Questo piccolo carnivoro è comune nei campi, tanto al piano che al monte; io l’ho visto in val Malenco e ne ho ricevuto esemplari dai dintorni di Sondrio. 14. 14. Foetorius ermineus (Linn.) S. N. XII, p. 68, n. 10, 1766-68 (Mustela). Ital. Er- mellino — Dial. Ermellin. Vive di preferenza sulle montagne. È noto che l’ Ermellino offre un bell'esempio di dimorfismo di stagione; in Valtellina è facile trovarlo in ambedue le livree, fulva e bianca. La colle- zione Sertoli contiene diversi esemplari in abito invernale ed uno in abito estivo. 15. 15. Lutra vulgaris Erxleben Mamm. p. 448, n. 12, 1777, Ital. Lontra — Dial. Sludria. Si trova frequentemente lungo le rive dell’Adda; anche que- stanno so che ne furono prese due poco lungi da Sondrio ed alla metà di Giugno me ne fu portato uno piccolo, stato ucciso mentre cercava di salvarsi 4 nuoto nel torrente Livrio, dal quale era trascinato. Romegialli e Visconti Venosta ricordano come infestante le montagne valtellinesi anche la lince (Felis lyna Linn.); infatti nella collezione Sertoli se ne trova un giovane, tuttavia, d’allora in poi, se n’è più sentito parlare. Nella Svizzera, secondo Fatio, esiste ancora, benchè rara. Parimenti il lupo (Canis lupus Linn.) esisteva, non vha dub- bio, al principio di questo secolo in Valtellina, come ne fanno fede gli anzidetti autori, e lo prova un grosso esemplare con- servato nella collezione Sertoli; ma, da parecchi anni, è assolu- 32 A. DE-CARLINI, | SCE ii tamente scomparso. Vive pure in parecchie località. della A zera (Fatio) e fra le altre nel Canton Ticino e nei Grigioni. (Pavesi). 16. 16. Canis vulpes Linn. Syst. Nat. XII, p. 59, n. 4, 1766-68. Ital. Volpe — Dial. Vulp, Gulp. Ancora abbastanza comune in tutta Valtellina. Che si prenda spesso, lo prova il fatto che molte pelliccie si vedono esposte a Sondrio ed a Morbegno dai pelliciai. Ordo: Zodentia. 17. 17. Sciurus vulgaris Linn. S. N. XII, p. 86, n. 1, 1766-68. Ital. Scojattolo — Dial. Gusa. Grazioso rosicante comune specialmente in montagna, dove predominano le varietà a pelame rossiccio e quella di coler ca- stano fosco con coda nera (Sciurus alpinus Cuv.). Il sig. Galli ne possiede un hell’esemplare, dei più grossi che io abbia visti, perfettamente albino. Nel Museo ho scojattoli di val Bitto e di Castione Andevenno. Appunto a Castione ho esaminati due pic- coli scojattoli che, nella scorsa primavera trovati sul monte nel nido, furono sottoposti ad una gatta, che li allattava insieme a due suoi figli. 18. 18. Arctomys marmota Linn. S. N. XII, p. 81, n. 7, 1766-68. Ital. Marmotta — Dial. Montanela. È noto come la marmotta sia animale esclusivamente alpino, limitato alla regione dei ghiacciai e della neve; vive in piccole colonie entro gallerie sotterranee e durante l'inverno cade in un vero letargo. .In Valtellina, benchè relativamente rara, si incontra in diversi luoghi e mi è noto che in val Malenco av- viene più spesso di trovarla. [17] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 33 19. 19. Myoxus glis (Linn.) S. N. XII, p. 87, n. 8, 1766-68, (Sciurus). Ital. Ghiro — Dial. Gira. Comune in Valtellina; appare specialmente sul versante a sinistra dell'Adda ed io ne vidi esemplari di val Bitto. Vive tanto al piano che sulla montagna, però non si porta molto in alto. 20. 20. Myoxus quercinus (Linn.) S. N. XII, p. 84, n. 15, 1766-68. (Mus). Ital. Topo quer- cino. Registro dubitativamente questa specie, perchè ne esiste un bell’esemplare nella collezione Sertolij; del resto non mi consta che sia conosciuto. Poichè nella Svizzera è anzi più comune del ghiro (Fatio), parmi possibile che si possa anche trovare in Valtellina. Non ho dati sufficienti per accertare se in Valtellina esiste anche il moscardino (Myoxus avellanarius L.). 21. 21. Mus decumanus Pallas. Nov. Spec., p. 91, n. 50, 1767. Ital. Sorcio delle chiaviche — Dial. Pantegana. Questo grosso ratto si trova nelle cantine ed anche in aperta campagna; è pur troppo comune. 22. 22. Mus musculus Linn. S. N. XII, n. 13, 1766-68. Ital. Topolino di casa — Dial. Ratt. Comunissimo nelle case di Sondrio; però si incontra nella bella stagione anche in aperta campagna. Fatio assicura che si trova anche in alto sulle montagne, oltre 2000 metri. 23. 23. Mus sylvatieus Linn. S. N. XII, p. 84, n. 17, 1766-68, Ital. Topo selvatico. Abbastanza frequente nelle campagne, sì al piano che al monte. Vol. XXXI. 3 34 A. DE-CARLINI, go Ds) 3 24. 24. Arvicola arvalis (Pallas) Nov. spec. Glir. i pi 78, b n. 14, (Mus). Ital. Arvicola — nai Bruno Galli (nel Nat. valt.) scrive che ricevette due esem- — plari di questa specie da Sondalo, ove sembra non sia rara. Invece nei dintorni di Sondrio non fu mai vista. Si innalza assai, secondo Fatio, sulle montagne (2350 m.). 25. 25. Lepus timidus Linn. S. N. XII, p. 77, 1766-68. Ital. Lepre — Dial. Legur. Relativamente comune, tanto al piano che al monte; la si caccia, non già coi levrieri, ma coi cani bassotti. Si hanno prove che anche la lepre comune va fin oltre 2000 metri sul mare. 26. 26. Lepus variabilis Pallas, Nov. Spec. Glir., p. 1, 1767. Ital. Lepre bianca — Dial. Legur bianc, Cunicc. A conferma dell’ opinione del Salvadori (La lepre bianca in Italia) che la lepre bianca si trova su tutta la catena delle Alpi, posso assicurare, che non solo sul Legnone, come già ri- ferì, benchè dubitativamente, il dott. Medici, ma in tutta la Valtellina si incontra la lepre bianca, che ha un nome vol- —* gare proprio. Vive normalmente al monte da 1300 a 3200 m.: (Fatio); però nei rigidi inverni si abbassa anche talora fino al — piano. # Ordo: Arctiodactyla. #4. 27. Capella rupicapra (Linn.) S. N. XII, p. 95, n. 4, 1766-68, (Capra) Ital. Camo- scio — Dial. Camosc. E ancora abbastanza facile incontrare il camoscio sulle alte vette della Valtellina, d’onde discende, di poco e non sempre, [19] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 39 nei più rigidi inverni. Cermenati (Boll. Natur. Siena) ebbe più volte recenti occasioni. di scorgere truppe di camosci sulle ve- drette del Gran Zebrù, sul Cristallo, sul Cevedale, persino sui dirupi del Redorta, non lungi da Sondrio. Egli dubita però che vada diminuendo, causa la distruzione e la caccia, perchè cal- cola che in Valtellina se ne uccida almeno un centocinquanta all’ anno. Qui ricorderò che il Cermenati crede anche di recente scom- parso lo stambecco (Capra idex L.) ed il cervo (Cervus elaphus L.). Sl senatore Torelli ha pur tentata nelle alpi di Bormio, ma con esito negativo, l’ acclimatizzazione del lama (Auchenia Lama Dem.); dalla coppia importata dall'America nacquero alcuni figli, di cui uno si conserva nel Museo di Sondrio; gli altri, compresi 1 genitori, perirono. Classis: AVES. Ordo: Accipitres. Subordo: ACCIPITRES DIURNI. 28. 1. Gyps fulvus (Gmelin). Syst. Nat, I, p. 249, n. 11, 1788 (Vultur). Ital. Grifone. Riva (sub Vultur fulvus L.) narra che nell’agosto 1858 un individuo comparve in provincia di Sondrio, dove venne ucciso a colpi di bastone da un contadino. Altro individuo, preso sul M. Legnone, non so però in qual versante, era posseduto da don Luigi Sacchi, curato di Olate. Monti lo indica anche del Canton Ticino e del Tirolo, Saratz dell'Alta Engadina; Bettoni non lo elenca fra le specie bresciane, nè Maironi da Ponte fra le bergamasche. È uccello assai raro. 29.2. Aquila chrysaetos (Linn.). Syst. Nat. I, p. 125, n. 5, 1766 (Falco). Ital. Aquila reale — Dia- letto Aquila. 36 A. DE-CARLINI, [20] Già Lanfossi (sub Falco fulvus Linn.) la dice non rara in Valtellina. A me risulta che è frequente in val Masino ed in val Malenco, dove anzi nidifica (fide Galli) in Maggio e Giu- gno; lo sembra meno sulla sinistra dell’Adda. Che sia relativa- mente comune l'Aquila reale in Valtellina lo prova il piccolo commercio, che si fa delle sue remiganti primarie, delle quali vanno forniti i cappelli dei soldati alpini. 30. 3. Circaetus gallicus (Gmelin). S. N. p. 259, n. 252, 1788 (Falco). Ital. Biancone. Un solo individuo si conosce, preso sui monti di Piateda, e si conserva ancora nel Museo, facendo parte della collezione Sertolij; è appunto ad esso che accenna il Lanfossi (sub alco gallicus Gmelin). Fu trovato anche nel Trentino (Bonomi), nel Bresciano (Balsamo Crivelli), nel Canton Ticino (Riva) ed in diverse altre parti della Svizzera (Tschudi). 31. 4. Buteo vulgaris Leach. Syst. Catal. Mamm. and Birds in Brit. Mus. p. 10; 1310246 Pojana, Falco cappone — Dial. Aigula. Uccello stazionario, comune tanto al monte che al piano; ni- difica nei dintorni di Sondrio (Galli). Io ne ho esemplari di Val Bitto e parecchi della collezione Sertoli. È infrequente nell’Alta | Engadina (Saratz). Sg. 5. Astur palumbarius (Linn.). S. N. 4, p. 130, n. 30, 1766 (Falco). Ital. Astore. Annovero questa specie tra le valtellinesi, solamente perchè un bell’esemplare fa parte della collezione Sertoli. Parmi non improbabile la cattura di questo uccello, essendo non raro nel- Alta Engadina (Saratz), e stato preso anche nel Trentino (Bo- nomi), nel Bergamasco (Maironi) e nella provincia di Brescia (Bettoni). [21] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 37 — 33. 6. Accipiter nisus (Linn.). S. N. I, p. 130, n. 31, 1766 (Falco). Ital. Sparviere — Dial. Ga- vinell. - Abbastanza comune nella provincia di Sondrio. Tengo esem- plari della collezione Sertoli, ne ho visti di val del Bitto e Galli lo dice comune intorno a Sondrio, specialmente in autunno. È stazionario, nidifica. Non manca nell’Alta Engadina (Sarate). S4. 7. Aesalon regulus (Pallas). Reis. Russ. Reisch. II. Anhang. p. 707, 1773 (Falco). Ital. Smeriglio. Lanfossi (sub Falco lithofalco Linn.) dice che si prende an- che in Valtellina; infatti il Museo ne possiede un esemplare che fa parte della collezione Sertoli. È uccello di passo, tanto da noi che nell’Alta Engadina (Saratz). 35. 8. Hypotriorchis subbuteo (Linn.). S. N. I, p. 14, 1766 (Falco). Ital. Lodolajo. Ne fu preso uno giovane vivo il 20 Settembre 1887 nel piano di Sondrio e lo alleva il mio amico Galli. Capita anche nell’Alta Engadina (Saratz). 36. 9. Erytropus vespertinus (Linn.). S. N. I, p. 129, n. 23, 1766 (Falco). Ital. Falco cuculo. Ne trovai un esemplare nella collezione Sertoli; in Valtellina è affatto sconosciuto. Sul Comasco fu visto più volte di passo in pianura (Monti), ed è citato anche del Trentino (Bonomi) e del Bresciano (Lettoni). €. 10. Tinnunculus alaudarius (Gmelin) S. N. I, p. 279 n. 16 y, 1788 (Lalco). Ital. Gheppio — Dial. Falchett. 38 A. DE-CARLIN,I [22] Stazionario in tutta la provincia, nidifica anche vicino alle case, sulle torri. Ho visti esemplari dei dintorni di Sondrio e di val Bitto. Nella stessa condizione è abbastanza comune in Alta Engadina (Sarate). 38. 11. Circus cyaneus (Linn.). S. N. I, p. 126, n. 10, 1766 (Falco). Ital. Albanella reale. Nella collezione Sertoli si conserva un esemplare di questa specie. Lanfossi, che non l’annovera di Sondrio nel suo catalogo, cita invece di Sondrio un Circus cineraceus Montag.; dubito che la determinazione del Lanfossi sia stata erronea perchè, se am- bedue le specie fossero esistite nella collezione Sertoli, ambedue le avrebbe dovute indicare, mentre del C. cyaneus (Linn.) non. dà altra dimora lombarda che le vicinanze di Brescia. Subordo: ACCIPITRES NOCTURNI. 89. 12. Strix fiammea Linn. S. N. I, p. 133, n. 8, 1766. Ital. Barbagianni. | Diversamente dal resto d’Italia, il barbagianni in Valtellina è raro, tanto che non è conosciuto sotto alcun nome volgare. Galli ne vide due esemplari nei dintorni di Sondrio, uno nella primavera 1886, l’altro il 14 Ottobre dello stesso anno. n Non si sa quindi se nidifica, ma è probabile, perchè è stazio- nario in tutta Italia e fu trovato anche a Silvaplana (Saratz). 40. 13. Syrnium aluco (Linn.). S. N. I, p. 133, n. 7, 1786 (Strix). Ital. Gufo selvatico — Dial. Olocch? Già Lanfossi (sub Strix aluco L.) annovera questo gufo fra gli uccelli valtellinesi; Riva dice che nidifica tanto nella pro- vincia di Como che in quella di Sondrio, tuttavia non è cono- sciuto o forse vien confuso col gufo comune. Nell’Alta Engadina sembra arrivare regolarmente il 3 marzo (Sarate). HI o sa [23] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 39 41. 14. Nyctala tengmalmi (Gmelin), S. N. I, p. 291. n. 44, 1788 (Strix) Ital. Civetta-capo- grosso — Dial. Sciguetton? Un esemplare della collezione Sertoli fu preso sui monti di- rimpetto a Sondrio presso S. Giacomo (Lanfossi sub Strix Teng- malmi L.); ne vidi altri di val del Bitto e Galli crede che ni- difichi sui monti di Albosaggia. Dev'essere stazionaria. 42. 15. Carine noctua (Scop.). Ann. I, Hist. natur., p. 22, 1769 (Strix). Ital. Civetta — Dial. Sciguetta. Comunissima dovunque, stazionaria, nidifica. Galli (sub Noc- tua minor Briss.) scrive che essa, intorno a Sondrio, si fa sen- tire specialmente nel versante meridionale. Ne ho visti esem- plari anche di val del Bitto. 43. 16. Bubo ignavus T. Forster. Syn. Cat. of. Brit. Birds. p. 3, 1817. Ital. Gufo reale — Dial. Diicch, dig. È abbastanza comune, nidifica nei boschi. Lanfossi (sub Sfrix bubo) lo ricevette dai dintorni di Sondrio; Galli (sub Budo maximus Flemm.) dice che si trova nei grandi boschi attorno a Sondrio e che uno fu ucciso sul campanile della città. Lo stesso Galli mi riferisce che ne ha visto un altro la sera del 7 Luglio 1887 pure sul campanile di Sondrio; io posso assicu- rare che. ne furono presi esemplari a Sacco in val Gerola ed a Berma in val del Bitto. Veduto anche in inverno a Samaden e Pontresina (Sarate). 44, 17. Asio otus (Linn.). S. N. I, p. 132, n. 4, 1766 (Striz). Ital. Gufo comune — Dial. Olocch. Lanfossi (sub Strix otus Linn.) lo cita fra gli uccelli di Val. tellina. Il Museo ne possiede un esemplare della collezione Ser- 40 A. DE-CARLINI, . toli ed uno di val del Bitto, dove, giusta le informazioni del sie. Fabani, non è poi tanto raro. Dev'essere stazionario e forse nidificante, come nell’Alta Engadina (Sarate). 45. 18. Scops giu (Scop.) Ann. I, Hist. nat., p. 19, 1769 (Strix.) Ital. Assiolo — Dial. Scisceu. Uccello estivo, che nell’ autunno emigra per regioni più me- ridionali. Citato di Valtellina da Lanfossi (sub Strix scops Linn.) e da Galli (sub Scops Aldovrandi Vieill.), il quale ne vide uno presso l’ Adda. A me consta che è relativamente comune, tanto che, infatti, ha un nome volgare, e specialmente sul versante destro o settentrionale dell’ Adda. Nidifica sulle piante. Ordo: Picariae. Subordo: ZYGODACTYLAE. 46. 19. Gecinus viridis (Linn.). S. N. I, p. 175, n. 12, 1766 (Picus). Ital. Picchio verde — Dial. Picasc, Pigazz. Comune, stazionario, nidificante sui tronchi di alberi al piano ed al monte. Ne ho esaminati esemplari di Sondrio e di val del Bitto, si prende anche sul Bormiese. 47. 20. Picus martius Linn. S. N. I, p. 173, n.- 1, 1766. Ital. Picchio nero. — Dial. Picase ? Lanfossi ricorda di averne visto uno preso vicino a Sondrio. Secondo Monti è il nemico degli alveari nella valle del Bitto ed a Bormio. Nella collezione Sertoli ne ho trovati due esem- plari; certo però è punto comune. 48. 21. Dendrocopus maior (Linn.). S. N. I, p. 176, n. 17 1766 (Picus). Ital. Picchio rosso mag- giore — Dial. Picasc de peghera (val Bitto). [25] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 41 Si incontra abbastanza frequentemente in val Bitto, dove ni- difica nei boschi più alti ed ha l’anzidetto nome volgare; nei dintorni di Sondrio sembra raro, poichè non ‘vi ha nome parti- colare. Galli mi riferì di averne visto uno ai 19 di Settembre 1886 sui monti di Albosaggia. Questa e le due precedenti spe- cie incontrasi pure nell’Alta Engadina, dove il picchio nero va diminuendo e si fa più comune il verde (Saratz). 49. 22. Dendrocopus minor (Linn.). S. N. I, p. 176 n. 19, 1766 (Picus). Ital. Picchio ros- so minore — Dial. Picozèl. Uccello settentrionale, raro da noi. Lanfossi (sub Picus mi- nor L.) ne vide uno preso in un roccolo nei contorni di Sondrio. Galli (sub Picus minor L.) scrive che d’autunno qualcuno vaga presso la città, ma raramente. Io ne ho un esemplare di val del Bitto éd uno di Sondrio. 50. 23. Jynx torquilla (Linn.) S. N. I, p. 172, n. 1, 1766 (Junx). Ital. Torcicollio — Dial. Stortacoll (Sondrio), Vacagrossa (val Bitto e Tresenda). Uccello solamente estivo, comune e nidificante. Ne ho visti di Sondrio e di val Bitto. Stando al Galli (sub Junx torquilla L.) sembra più frequente in Settembre; qua e là vedesi anche nel- l'Alta Engadina (Saratz). 51. 24. Cuculus canorus Linn. S. N. p. 168, n. 1, 1766. Ital. Cuculo — Dial. Cucù, Cù- col, Cuchètt. Abbastanza comune, uccello estivo che arriva in aprile e ri- parte in agosto, dopo aver propagato. Ne ho esemplari di Sondrio e di val Bitto della forma tipica (cenerini) ed uno di Tirano della varietà epatica, preso nel Maggio 1887. 1 "10 PAIR sh | a r de: 20] mar i; c ati 42 00 A. DE CARLINI, [26] 108 i d. be Lo dd Subordo: ANISODACTYLAE. + i 52. 25. Coracias garrula Linn. S. Nat. I, p. 159, n..1. 1766. Ital. Ghiandaja marina. di Il sig. avv. Carlo Sertoli ne ha incontrate due nel piano di Sondrio pochi anni sono, e ne uccise una che conserva ancora in sua casa. Mi consta che fu colta anche sul Bormiese. È uccello meridionale, da noi raro. Lanfossi lo cita anche del Bergamasco e del Bresciano, Pavesi del Canton Ticino; nel Trentino Bonomi assicura che è frequente; Saratz non lo annovera fra gli uccelli dell'Alta Engadina. 53. 26. Alcedo ispida Linn. S _N.I, p. 179, n. 3, 1766. Ital. Martin pescatore, uccello S. Ma- ria — Dial. Martin pescadù. | Stazionario, abbastanza comune, ne ho esemplari di Sondrio e di val del Bitto. Veduto anche a Sils e presso il ghiacciaio di Pontresina (Saratz). 54. 27. Upupa epops Linn. S. N. I, p. 183, n. 1, 1766. Ital. Upupa — Dial. Bùbola. © Solamente estivo, perchè arriva in aprile e parte verso la fine. di agosto; non rara, tanto al monte che al piano, dove nidifica di preferenza. Nella collezione Sertoli conservo esemplari di. Sondrio e so che ne furono presi anche in val del Bitto e sul” Bormiese. Trovata nidificante anche a 1712 m. s. m. nell’Alta Engadina (Sarate). Mt: Subordo: HIANTES. 56. 28. Caprimulgus europaeus Linn. S. N. I, p. 345, 1866. Ital. Nottolone — Dial. Cavra-besula, Tettavacch. dii [27] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 43 Uccello estivo, che parte ai primi di Settembre. Nei dintorni di Sondrio sembra raro, infatti non credo vi abbia nome verna- colo; invece a Morbegno ed in val Bitto so che è più comune e vi è conosciuto sotto i suindicati nomi. 56. 29. Cypselus apus (Linn.). S. N. I, p. 344, n. 6, 1766 (Hirundo). Ital. Bondone — Dial. Rundòn. Già citato di Valtellina dal Lanfossi, comune nei dintorni di Sondrio, in val Bitto, dovunque. Arriva fra noi insieme coi ba- lestrucci, cioè alla fine di Aprile e, dopo aver nidificato nei bu- chi dei muri, riparte ai primi di Agosto. Lanfossi crede che in questi giorni da Sondrio si porti sulle alte cime dei monti e . vi rimanga per tutto l’Agosto, emigrando definitivamente in Set- tembre; ciò che ora mi viene ripetuto dall’ amico Galli. Potrebbe però darsi piuttosto che i rondoni di Agosto e Settembre siano quelli di passo dal centro d’ Europa e sempre ogni giorno in- dividui nuovi. | 57. 30, Cypselus melba (L.) S. N. I, p. 345, n. 11, 1766 (Hirundo). Ital. Rondone alpino — Dial. Rundòn bianc? N . Questo rondone è poco conosciuto a Sondrio, al contrario in val Bitto il rev. Fabani l’osservò più volte arrivare in Aprile e ripartire in Settembre; un bell’esemplare fa parte della collezione Sertoli. Nel Trentino, al dir del Bonomi, è uccello estivo nidi- ficante: nel Bergamasco fu segnalato da Maironi da Ponte, nel Bresciano da Lanfossi, nel Comasco da Monti, nel Canton Ticino da Riva e riveduto dal prof. Pavesi ai primi d’Agosto di que- stanno sulla cima del S. Salvatore presso Lugano, nella Sviz- zera transalpina da Schinz, tranne l’Alta Engadina, dove vive soltanto l’apus (Saratez). 44 A. DE-CARLINI, Mn); Ordo: Passeres. ETA Subordo : LATIROSTRES } 58. 31. Chelidon urbica Linn. S. N. I, p. 344, n. 3, 1766 (Hirundo). Ital. Balestruccio — Dial. Dard. Comunissimo dovunque, arriva verso la fine di Aprile od ai primi di Maggio, cioè dopo le rondini e pare che non nidifichi. vicino alle case, ma piuttosto costruisca il nido sulle scogliere delle montagne, specialmente entro la valle Malenco; questa osservazione, già fatta dal Lanfossi, mi viene ora confermata dal Galli. Riparte nella prima quindicina di Settembre in grandi branchi. 59. 32. Hirundo rustica Linn. S. N. I, p. 353, n. 1, 1766. Ital. Rondine — Dial. Rùnden. Assai abbondante dovunque, arriva nella prima o nella seconda quindicina di Marzo, nidifica due volte vicino alle case, special- mente sotto le grondaje dei tetti e riparte alla fine di Settembre o ai primi di Ottobre. 60. 33. Biblis rupestris (Scop.) Ann. I, Hist. nat., p. 107, 1769 (Hirundo). Ital. Rondine montana — Dial. Dard de mon- tagna. È fra le rondini quella che rimane più fra noi; infatti, arri- vando in Febbraio o Marzo, è poi l’ultima a lasciarci, giacchè riparte alla fine di Ottobre od in Novembre. Stassi piuttosto ai monti, dove nidifica. 61. 34. Cotyle riparia (Linn.) S. N. I, p. 344, n. 4, 1766 (Hirundo). Ital. Topino — Dial. Dard de montagna. "d29] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 45 Vien confusa questa specie colla precedente, quantunque la presenza di macchie bianche sulle timoniere in questa e la man- canza delle medesime in quella serva facilmente a distinguerle. Il 13 Settembre 1887 fu preso un individuo nel piano di Sondrio ed il 15 dello stesso mese Galli ne vide passare altri insieme coi balestrucci. Queste ultime due rondini mancano nel- l'elenco Saratz degli uccelli dell'Alta Engadina. 62. 35. Muscicapa grisola Linn. S. N. I, p. 328, n. 20 1766. Ital. Pigliamosche. Un individuo giovane fu preso il 20 Settembre 1887 sopra un salice presso l’Adda nel piano di Sondrio. Uccello estivo, da noi raro; probabilmente lascia molto presto i dintorni di Sondrio. 63. 36. Ficedula atricapilla ( Linn.) S. N. I, p. 326, n. 9, 1766 (Muscicapa). Ital. Balia nera — Dial. Alett. Specie solamente estiva, che arriva in Maggio e riparte in Settembre; comune, dovunque, nidifica. È l’unica delle balie presa nell’Alta Engadina (Saratz). 64. 37. Ficedula collaris (Bechstein) Natur. Deutsch. IV, p. 495, 1795 (Muscicapa). Ital. Balia dal collare — Dial. Alett. Lanfossi (sub Muscicapa albicollis Temm.) dice di averne visto un individuo maschio in abito perfetto nella collezione Sertoli (ora tale individuo non vi esiste più). Intorno a Sondrio non pare frequente; Galli non ne ebbe che una sola femmina, colta in un orto vicino alla città, in val del Bitto invece è co- mune, secondo il parroco Fabani, il quale possiede due bel- lissimi maschi in abito perfetto di primavera. È pure uccello estivo, nidificante. 46 A. DE-CARLINI, | SEE Subordo: DENTIROSTRES 65. 38. Ampelis garrulus Linn. S. N. I, p. 297, n. 1, 1766. Ital. Beccafrusone. Lanfossi (sul Bombycilla garrula Vieill.) assicura che ne è stato preso qualche individuo in Valtellina; benchè per mio conto non possa aggiungere altre notizie sicure in proposito, lo ritengo possibile, perchè venne ucciso nell’Alta Engadina (Saratz), nel Trentino si piglia quasi annualmente, nel Bergamasco e nel Bre- sciano fu visto pure dal Lanfossi, nel Comasco da Balsamo- Crivelli, nel Canton Ticino da Pavesi. 66. 39. Lanius excubitor Linn. S. N. I, p. 135, n. 11, 1766 Ital. Averla maggiore — Dial. Strangossol, Gazzot fluvàl. Specie invernale che arriva in Settembre, citata di Valtellina da Lanfossi. Fabani l'avrebbe pure vista in val del Bitto, dove ha il suddetto primo nome volgare; nei dintorni di Sondrio, in cui fu colta una femmina adulta il 23 Settembre 1887, vien con- fusa colla specie seguente. 67. 40. Lanius minor Gmelin S. N. I, p. 136, n. 49, 1788. Ital. Averla cenerina — Dial. Gazzet fluvàl. Uccello estivo, che nidifica, abbastanza comune dovunque. Ar- riva in Aprile, parte nella seconda quindicina di Agosto. 68. 41. Lanius collurio Linn. S. N. I, p. 136, n. 12, 1766. Ital. Averla piccola — Dial. Gazzot. Pure estiva, nidificante e la più comune; arriva in Aprile e parte in Settembre. Le anzidette specie di averle sono indicate anche per l’Alta Engadina (Sarate). fe Re DARE ai ARR ari i N, PSR 631] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 47 69. 42. Lanius auriculatus P. L. S. Miller, Natursyst. Suppl., p. 71, 1776. Ital. Averla capi- rossa — Dial. Gazzot? Notata da Lanfossi (sub Lanius rufus Mill.) come rara in ‘ Valtellina; esiste un esemplare nella collezione Sertoli. Arriva in Aprile, nidifica e parte nella seconda quindicina di Agosto. Subordo: ACUTIROSTRES. 70. 43. Regulus cristatus Vieill. Ois. Amer. Sept. II, p. 50, 1807. Ital. Regolo — Dial. Stel- lin, Sizin. Stazionario, d’estate vive sui monti, nella regione delle coni- fere e vi nidifica, d’inverno invece scende alla pianura. Ne ebbi diversi esemplari di val Bitto e so che è comune nell’Alta En- gadina (Sarate). - (1. 44. Regulus ignicapillus (C. L. Brehm) in Temm. Man. d'Ormt. I° p.. 231; 1820 (Sylvia). Ital. Fiorrancino — Dial. Stellin, Sizin. Ha i precisi costumi della specie precedente. Ne ebbi pure di val Bitto. 72. 45. Acredula rosea (Blyth) White's Natal. Hist. Selborne, p. 112, nota, 1836 (Mecistura). Ital. Codibugnolo roseo — Dial. Cua lunga. Stazionario, comune dovunque, nidifica nei boschi. "3. 46. Acredula caudata (Linn.) S. N. I, p. 342, n. 11, 1766 (Parus). Ital. Codibugnolo testa bianca — Dial. Cua lunga ? 46 A. DE-CARLINI, | - ao] Subordo: DENTIROSTRES 65. 38. Ampelis garrulus Linn. S. N. I, p. 297, n. 1, 1766. Ital. Beccafrusone. Lanfossi (sul Bombycilla garrula Vieill.) assicura che ne è stato preso qualche individuo in Valtellina; benchè per mio conto non possa aggiungere altre notizie sicure in proposito, lo ritengo possibile, perchè venne ucciso nell’Alta Engadina (Saratz), nel Trentino si piglia quasi annualmente, nel Bergamasco e nel Bre- sciano fu visto pure dal Lanfossi, nel Comasco da Balsamo- Crivelli, nel Canton Ticino da Pavesi. 66. 39. Lanius excubitor Linn. S. N. I, p. 135, n. 11; 1766 Ital. Averla maggiore — Dial. Strangossol, Gazzot fluvàl. Specie invernale che arriva in Settembre, citata di Valtellina da Lanfossi. Fabani l’avrebbe pure vista in val del Bitto, dove ha il suddetto primo nome volgare; nei dintorni di Sondrio, in cui fu colta una femmina adulta il 23 Settembre 1887, vien con- fusa colla specie seguente. . 67. 40. Lanius minor Gmelin S. N. I, p. 136, n. 49, 1788. Ital. Averla cenerina — Dial. Gazzet fluvàl. Uccello estivo, che nidifica, abbastanza comune dovunque. Ar- riva in Aprile, parte nella seconda quindicina di Agosto. 65. 41. Lanius collurio Linn. S. N. I, p. 136, n. 12, 1766. Ital. Averla piccola — Dial. Gazzot. Pure estiva, nidificante e la più comune; arriva in Aprile e parte in Settembre. Le anzidette specie di averle sono indicate anche per l’Alta Engadina (Saratz). È [31] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 47 (69, 42. Lanius auriculatus P. L. S. Miller, Natursyst. Suppl., p. 71, 1776. Ital. Averla capi- rossa — Dial. Gazzot? Notata da Lanfossi (sub Lanius rufus Mill.) come rara in ° Valtellina; esiste un esemplare nella collezione Sertoli. Arriva in Aprile, nidifica e parte nella seconda quindicina di Agosto. Subordo: ACUTIROSTRES. 70. 43. Regulus cristatus Vieill. Ois. Amer. Sept. II, p. 50, 1807. Ital. Regolo — Dial. Stel- lin, Sizin. Stazionario, d’estate vive sui monti, nella regione delle coni- fere e vi nidifica, d’inverno invece scende alla pianura. Ne ebbi diversi esemplari di val Bitto e so che è comune nell’Alta En- gadina (Sarate). 71. 44. Regulus ignicapillus (C. L, Brehm) in Temm. Man. d' Ornit.. I, p., 291, 1820 (Sylvia). Ital. Fiorrancino — Dial. Stellin, Sizin. Ha i precisi costumi della specie precedente. Ne ebbi pure di val Bitto. 72. 45. Acredula rosea (Blyth) White's Natal. Hist. Selborne, 1 p. 112, nota, 1836 (Mecistura). Ital. Codibugnolo roseo — Dial. Cua lunga. Stazionario, comune dovunque, nidifica nei boschi. 73. 46. Acredula caudata (Linn.) S. N. I, p. 342, n. 11, 1766 (Parus). Ital. Codibugnolo testa bianca — Dial. Cua lunga ? 48 A. DE-CARLINI, | {821 a Specie solamente invernale, certo molto rara. Galli l’ha tro- O vata, anni sono, presso l’Adda ed anche quest’anno il 20 Ottobre presso Faedo. #4. 47. Parus caeruleus Linn. S. N. I, p. 341, n. 5, 1766. Ital. Cinciarella — Dial. Mune- china. Comune, stazionaria, però molti individui sono anche di passo. Nidifica di preferenza sui monti. 75. 48. Parus maior Linn. S. N. I, p. 341, n. 3, 1766. Ital. Cinciallegra — Dial. Parascieula. Comune assai, stazionaria e d’autunno anche di passo, nidifica dovunque nei tronchi degli alberi. 76. 49. Parus ater Linn. S. N. I, p. 341, n. 7, 1766. Ital. Cincia mora — Dial. Parasciulin de mont. Stazionaria, soltanto sui monti, nidifica nella regione delle conifere; in val Masino sopra i Bagni è comune, così pure in val Bitto. 4%. 50. Parus palustris Linn. S. N. I, p. 341, n. 8, 1776. Ital. Cincia bigia — Dial. Para- sciulin de mont. Parimenti stazionaria, meno comune però delle congeneri; vive anche al piano, di preferenza al monte. 78. 51. Lophophanes ceristatus (Linn.) S. N. £, p. 340, n. 2, 1766 (Parus). Ital, Cincia col ciuffo — Dial. Parasciulin colla cresta. Certamente la più rara fra le cincie, vive solamente sulle alte cime, dove nidifica, non scende al piano neppure nell’ in- [33] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 49 verno, vivendo anche in mezzo alla neve. Ne ebbi un bell’esem- plare di val Bitto, dove il rev. Fabani mi assicura che se ne vedono non raramente, e Galli ne ha visti due il 29 Ottobre 1887 nei boschi di conifere di S. Bernardo. Esiste anche in . Alta Engadina, dove non mancano dei nostri paridi propria- mente detti che il palustris e l’Acredula rosea (Saratz). 79. 52. Sitta caesia Wolf. Taschenh. deutsch. Vogl. 1, p. 128, 1810. Ital. Picchio muratore — Dial. Parulè (Sondrio), Picasciuch (Val Bitto), Ciott-ciott (Tirano). Comunissimo, dovunque, nidificante, stazionario. Subordo: CURVIROSTRES. 80. 53. Tichodroma muraria (Linn.) S. N. I, p. 184, n. 2, 1776 (Coerthia). Ital. Picchio murajolo — Dial. Reusa. Galli ne ha visti ed uccisi non pochi intorno a Sondrio, men- tre s'arrampicavano sulle roccie di Gombaro ; io ne ebbi due esemplari da val Bitto, dove pure non è raro. Stazionario, ab- bastanza frequente, nidificante al monte. Saratz l’incontrò fino a 3000 m. s. m. nell’Alta Engadina. 81. 54. Certhia familiaris Linn. S. N. I, p. 184, n. 1, 1766, Ital. Rampichino alpestre — Dial. Rampeghin. Specie limitata alle zone delle conifere, dove nidifica ed è stazionaria. Galli l’ha trovata in val Masino, sopra allo stabi- limento dei Bagni. Vive anche nei Grigioni (Sarate). 82. 55. Certhia brachydactyla Brehm Handb. Nat. Vog. Deutsch, p. 210, 1831. Ital. Rampichino — Dial. Rampeghin. Vol, XXXI, 4 50 A. DE-CARLINI, ( Bea Galli scrive che è comunissima intorno a Sondrio, nidificante e stazionaria. Vive al piano. Subordo : SUBULIROSTRES. 83. 56. Troglodytes parvulus Koch. Syst. baier. Zool., p. 161, 1816. Ital. Scricciolo — Dial. Forabeucc, Trentapés, Riatt. Comune, stazionario, d’estate si porta più in alto sui monti, dove nidifica. Ne ebbi da val Bitto. 84. 57. Cincelus merula (Schaeffer) Mus. Ornit., p. 52, 1789 (Tringa). Ital. Merlo acquajolo — Dial. Merlo aquireu. Comune e relativamente abbondante in Valtellina in tutte le stagioni, meno però nell’inverno, per cui sembra che molti in- dividui emigrino; si sa che fa il nido vicino alle acque. Il Museo ne ha della collezione Sertoli ed io ne ho visti di val Bitto. 85. 58. Accentor collaris (Scop.) Ann. I, Hist. nat. p. 131, (Sturnus). Ital. Sordone — Dial. Matarott, Macion. Stazionario sulle cime delle montagne, non scende al piano che nei più rigidi inverni; sembra essere abbastanza frequente. Io ne ebbi un bell’esemplare di val Bitto, Galli l’ha visto spesso sui dirupi di val Malenco. 86. 59. Accentor modularis (Linn.) S. N. I, p. 329, n. 3, 1766 (Motacilla). Ital. Passera scopajola — Dial. Matelina, Pas- sera buschina, Sipuì (val Bitto). Anche questa specie è stazionaria e propria della regione delle [35] | °‘’VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 51 conifere, dove fa il nido fra i bassi cespugli; scende al piano di Sondrio nel tardo autunno, cacciata dalla neve. Il 24 Di- cembre 1884 il mio amico Galli ne uccise una che trovavasi ‘insieme con parecchie altre sopra Fusine. In val Bitto non è rara e vi ha un nome vernacolo particolare; di questa località ebbi appunto un esemplare. 87. 60. Turdus viscivorus Linn. S. N. I, p. 291, n. 1, 1766: Ital. Tordela — Dial. Dress. La tordela vive pure normalmente nella regione delle coni- fere e vi nidifica, soltanto d’inverno si abbassa. È abbondante dovunque. 88. 61. Turdus musicus Linn. S. N. I, p. 292, n. 4, 1766. Ital. Tordo bottaccio — Dial. Durd. Comunissimo dovunque durante l’estate e in principio d’ au- tunno, poichè emigra ai primi di Ottobre per tornare in Marzo (quest'anno giunse il 10 Marzo). Nidifica fra i cespugli, special- mente sui monti. 89. 62. Turdus iliacus Linn. S. N. I, p. 192, n. 8, 1766. Ital. Tordo sassello — Dial. Durd spinard, Ziiff. Specie invernale, la meno frequente delle congeneri. Non si hanno notizie che abbia nidificato in Valtellina; arriva nella prima quindicina di Ottobre ed è partita quest'anno (1887) il 14 Marzo. 90. 63. Turdus pilaris Linn. S. N. I, p. 201, n. 2, 1766. Ital. Cesena — Dial. Viscarda. Viene in Valtellina nel Novembre e si ferma tutto l'inverno, nel qual tempo è abbondante, in primavera riparte per il nord. L'opinione di Lanfossi che nidifichi anche in Valtellina non mi fu confermata da nessuno. 52 ‘A. DE-CARLINI, [oo] A 91. 64. Merula nigra Leach. Syst. Cat. M. et B. Brit. Mus. p. 20, 1816. Ital. Merlo. — Dial. Merlo. Comunissimo dovunque e in tutte le stagioni. Galli (sub Zurdus merula L.) dice che intorno a Sondrio è frequentissima la va- rietà montana. Nidifica nei boschi lungo l’Adda. 92. 65. Merula torquata (Linn.) S. N. I, p. 296, n. 23, 1766 (Turdus). Ital. Merlo col petto bianco — Dial. Merlo de montagna. Meno abbondante del precedente, vive di preferenza ai monti e si abbassa soltanto d’inverno. Ne ebbi un bell’esemplare ma- schio da val Bitto. 93. 66. Monticola cyaneus (Linn.) S. N. I, p. 296, n. 24. 1766 (Turdus). Ital. Passera soli- taria — Dial. Passera sulitaria. Stazionaria, come la specie precedente. vive sopratutto ai monti e, secondo Galli, sul versante rivolto a mezzodì. È comune anche in val Bitto. 94. 67. Monticola saxatilis (Linn) S. N. I, p. 294, n. 14, 1766 (Turdus). Ital. Codiros- sone — Dial. Curussulon. È pure specie preferibilmente montana; pone il nido nei muri e fra i mucchi di grossi detriti. Galli mi dice che se ne trovano molti sull’alpe di Marra. D’autunno emigra. 95. 68. Saxicola cenanthe (Linn.) S. N. I, p. 332, n. 15, 1766 (Motacilla).Ital. Culbianco — Dial. Cubianch. Uccello estivo, abbastanza comune da Marzo a Settembre, nidifica tanto al monte che al piano. Ne determinai esemplari della collezione Sertoli e di quella di val Bitto. [37] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 53 96. 69. Pratincola rubetra (Lina. S. N. £, p. 332, n. 16, (Motacilla). Ital. Stiaccino — Dial. Taragn, Taragnin, Ma- chett (Tirano). Comune da Marzo a Settembre, nidifica sui monti. Ne ebbi di val Bitto. 97. 70. Pratinceola rubicola (Linn.) S. N. I, p. 332, n. 16, 1866 (Motacilla). Ital. Saltim= palo — Dial. Taragn? Mu- ratt (a S. Giacomo di Teglio). Specie estiva, più rara della precedente, nidifica anche nei dintorni di Sondrio. 98. 71. Ruticilla phoenicurus Linn. S. N. I, p. 335, n. 34, 1766 (Motacilla). Ital. Co- dirosso — Dial. Cuross. Sta fra noi da Marzo a Settembre ed Ottobre, nidifica sui monti. Ne vidi della collezione Sertoli e di val Bitto. 99. 72. Ruticilla titys (Scop.). Ann. I, Hist. nat. p. 157, n. 233, 1769 (Sylvia). Ital. Co- dirosso spazzacamino — Dial. Cu- ròss-feré, Muretton (Tirano). Arriva in Marzo, nidifica fra i sassi ed a Livigno nelle case; parte alla fine d’autunno, ma negli inverni meno rigidi alcuni individui restano fra noi. Anche quando scende al piano, questa specie ama abitare presso le case campestri. 100. 73. Cyanecula wolfi (Brehm.). Beitr. z. Vogelk. II, p. 173, 1822 (Sylvia). Ital. Pettazzurro occidentale. Laofossi (sub Sylvia svecica Lath.) l’indica di Valtellina ; in- D4 A. DE-CARLINI, [38]. fatti ne resta un esemplare della collezione Sertoli. Anche Galli l' ha vista intorno a Sondrio, benchè raramente e soltanto d’au- tunno; anzi egli avrebbe notato che, mentre i maschi ripassano verso la metà di Settembre, le femmine li seguono un po’ più tardi, verso la fine del mese. 101. 74. Erithacus rubecula (Linn.). S. N. I, 337, n. 45, 1766 (Motacilla). Ital. Pettirosso — Dial. Picett, Pettròss. Stazionario, abbondante, nidifica sui monti; da Ottobre a Marzo vive invece al piano. Ne ebbi esemplari di Sondrio e di val Bitto. 102. 75. Luscinia vera Sundevall, Svenska Foglarna, p. 59, 1859, 1860. Ital. Rusignolo — Dial. N Rusigneu. Specie estiva, che nidifica dovunque, assai comune; giunge in Aprile, parte alla fine di Agosto. Come il Rusignuolo, tutti i subulirostri fin qui nominati en- trano a costituire l’avifauna dell'Alta Engadina, tranne il sal- timpalo, la passera solitaria e, quel ch’è più strano, il tordo bottaccio (Sarate). 108. 76. Sylvia salicaria (Linn.). S. N. I, p. 330, n. 8, 1776 (Motacilla). Ital. Beccafico — Dial. Beccafigh. Estiva, nidificante, non molto comune. Già citata di Valtel- lina da Lanfossi e da Monti (sub Sylvia hortensis Bech.). 104. 77. Sylvia atricapilla (Linn.). S. N. I, p. 332, n. 18, 1766 (Motacilla). Ital. Capinera \:— Dial. Capnegher. Comunissima, vive fra noi soltanto da Aprile alla fine di Agosto e nidifica nelle boscaglie del piano e del monte. [39] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 55 105. 78. Silvia orphaea (Temm.). Man. d’ Ornit. p. 107, 1815, Ital. Bigia grossa. Devo all’amico Galli l’ ascrivere anche questa fra le specie valtellinesi. Egli ne uccise una il 2 Settembre 1885; di più con- serva un nido con un uovo, che corrispondono per i caratteri con quelli della S. orphaea descritti dallo Schinz. Tuttavia sembra accidentale. 106. 79. Sylvia curruca (Linn.). S. N. I, p. 329, n. 6, 1766 (Motacilla). Ital. Bigiarella — Dial. Bianchett? Estiva, non molto comune, nidifica nei boschi al monte (val Bitto) ed al piano (dintorni di Sondrio). 107. 80. Sylvia rufa (Boddaert). Tabl. d. PI. Enl. p. 35, n. 581, f. 1, 1783 (Motacilla). Ital. Sterpazzola — Dial. Bianchett. Citata già dal Lanfossi (sub Sylvia cinerea Lath.) come co- mune intorno a Sondrio; specie estiva, che nidifica nei macchioni e nei campi di canape. 108. 81. Philloscopus trochilus (Linn.). S. N. I, p. 338, n. 49 (Motacilla). Ital. Lui grosso — Dial. Tui- nott. Uccello estivo, che nidifica tanto al piano che al monte. 109. 82. Phylloscopus collybista (Viellot). Nouv. Dict. d’Hist, nat. XI, p. 235, 1817 (SyI- via). Ital. Lui piccolo — Dial. Tuin. È pure estivo, ma predilige i monti, dove anche probabilmente nidifica. 56 | A. DE-CARLINI, I [40]. | 110. 83. Phylloscopus Bonelli (Vieillot). Nouv. Dict. d’ Hist. nat. XXVIII, p. 91, 1819 (Sylvia). Ital. Lui bianco. Non ho notizie che sia stato veduto intorno a Sondrio, sembra passare nel Settembre in val Bitto; però la notizia ha bisogno di conferma. DI 111. 84. Hypolais polyglotta (Vieill.). Nouv. Dict. d’ Hist. nat. XI, p. 200, 1817 — (syn. excl.) — (Sylvia). Ital. Canepino. Uccello estivo, raro. Secondo Lanfossi (sub Sylvia Ripolais Lath.) nidificherebbe in Valtellina; ciò non mi fu mai assicu- rato da alcuno. Galli ne uccise un solo individuo in autunno sul ponte dell’ Adda di Faedo. 112. 85. Acrocephalus streperus (Vieill.). Nouv. Dict. d’ Hist. nat.. XI: p. 132, 4647 (Sylvia). Ital. Cannajola. Estiva, poco comune, nidifica nei piani paludosi di Sondrio. 113. 86. Acrocephalus arundinaceus (Linn.). S. N. I, p. 296, n. 25, 1766 (Turdus). Ital. Cannareccione. Lanfossi (sub Sylvia turdoides Meyer) dice che si trova in Valtellina di passo, io ne esaminai un esemplare della collezione Sertoli. Galli ne ha visti ed uccisi nella primavera 1885 e del 1886, mai in autunno; il medesimo Galli mi dà per certo che nidifica nell'alta Valtellina. 114. 87. Locustella naevia (Boddaert). Tabl. d. PI. Enl. p. 35, n. 581, 1783 (2Motacilla). Ital. Forapaglie macchiettate — Dial. Fenareu (val Bitto). he É [41] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. DI — Nei dintorni di Sondrio sembra raro, Galli ne ha ucciso un solo individuo. Al contrario in val Bitto è relativamente co- mune, perchè di questa località io ne ebbi esemplari ed altri ne vidi nella collezione del rev. Fabani, il quale anzi ritiene che nidifichi sui monti. Passa in primavera ed in Settembre. Delle Sylviwnae nostrali l'Alta Engadina non alberga che l’atri- capilla e la rufa, il Phylloscopus trochilus e l’ Hypolais poli- glotta (Saratez). 115. 88. Motacilla alba Linn. S. N. I, p. 331, n. 11. 1766. Ital. Ballerina — Dial. Quatre- mula bianca. Abbondantissima dovunque, stazionaria ed anche di passo in Marzo o Settembre ed Ottobre, nidifica nei boschi. Nella col- lezione di val Bitto del parroco Fabani ho visto un esemplare «quasi albino, e mi si dice che tali individui non sono rari. 116. 89. Motacilla sulphurea Bechs. Gemeinn. Naturg. Deut- sch. ed. 2°, III, p. 459, 1807. Ital. Balle- rina gialla — Dial. Quatremula gialda. Meno abbondante della congenere, stazionaria ed anche di passo. Nidifica tanto al monte che al piano. 117. 90. Budytes flavus (Linn.). S. N. I, p. 331, n. 12, 1766. (Motacilla). Ital. Cutret- tolla gialla — Dial. Buarina. Comunissima dappertutto da Aprile a Settembre ed Ottobre. 118. 91. Bundytes cinereocapillus (Savi). Nuovo giornale dei letterati, n. 57, p. 190, 1881 (Motacilla). Ital. Cutrettola capo- cenerino — Dial. Buarina. Viene generalmente confusa colla precedente, della quale ha i precisi costumi. 58 A. DE-CARLINI, [42] 119. 92. Anthus trivialis (Linn.). S. N.I, p. 238, n. 5 (Alauda). Ital. Prispolone — Dial. Durdina. Specie estiva, da Aprile a Settembre, nidifica di preferenza sui monti. È comune intorno a Sondrio (Galli sub Anthhw ar- boreus Bechs.) ed in val Bitto. 120. 93. Anthus pratensis (Linn.). S. N. I, p. 287, n. 2, 1767 (Alauda) Ital. Pispola — Dial. Sguizzetta. Specialmente comune in autunno durante .il passo. Sembra anche nidificare in alta Valtellina; scende nel piano di Sondrio ai primi di Ottobre, quindi è probabilmente stazionaria. 121. 94. Anthus spinoletta (Linn.). S. N.I, p. 288, n. 7, 1766 (Alauda). Ital. Spioncello — Dial. Sguizzetton. Specie estiva, piuttosto rara, che arriva in Marzo e parte in Settembre; nidifica sugli alti monti. Mi consta essere stata presa sul monti di Albosaggia ed in val Bitto. Questo ed il Prispo- lone, con le Ballerine bianca e gialla, sono i soli motallicidi che visitano l’Alta Engadina (Sarate). 122. 95. Anthus campestris (Linn.). S. N. I, p. 288, n. 4, 1766 (Alauda). Ital. Colan- dro — Dial. Gic-giac. Uccello estivo, non molto comune, ne conservo un esemplare della collezione Sertoli. Galli crede che nidifichi in val Livigno. Ci lascia in Settembre. Subordo: SCUTELLIPLANTARES. 123. 96. Alauda arvensis Linn. S. N. I, p..287,«n,i dI d4766, Ital. Lodola — Dial. Odola. [43] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 59 Il maggior numero di lodole si prende nel passo autunnale (Ottobre), ma anche molte in primavera (Febbrajo). Nella col- lezione Sertoli conservasi un esemplare perfettamente albino, e ne tengo uno semialbino di val Bitto. È l’unica lodola engadi- nense, e non è nemmeno comunissima in quella valle confinante con la nostra. Pare che alcuni individui restino sempre fra noi. 124. 97. Lullula arborea (Linn.). S. N. I, p. 287, n. 3, 1766 (Alauda). Ital. Tottavilla — Dial. Turlo, Odolin de crap. Arriva in Febbrajo, parte in Ottobre ed anche in Novembre, nidifica anche presso Sondrio. È dubbio se alcuni individui re- stino anche nell’inverno. 125. 98. Galerida cristata (Linn.) S. N. I, 287, n. 6 (Alauda). Ital. Cappellaccia. Avendone un esemplare preso in val del Bitto, annovero an- che questa specie, estiva per l’Italia settentrionale, che in Val- tellina sembra essere molto rara. 126. 99. Calandrella brachydactyla (Leisler). Ann. di Wett. Ges. f. d. ges. Nat. III, p. 357, tav. XIX, 1814 (Alauda). Ital. Calandrella. Galli ne ha preso un solo individuo in autunno presso Sondrio. Viene probabilmente confuso col calandro. Subordo: CoNIROSTRES. 127. 100. Emberiza citrinella Linn. S. N. I, p. 409, n. 5, 1766. Ital. Zigolo giallo — Dial. Spajarda. Me ud FA, 40 i ST "ALAN | ui » 478 Î 60 A. DE-CARLINI, (443 . . . . n) . Mg: Ni | Comune, stazionario, nidificante sui monti; scende nel piano — di Sondrio al venir dell'inverno. Ne ho appunto di Sondrio e È di val Bitto. 128. 101. Emberiza hortulana Linn. S. N. I, p. 309, n. 4, 1766. Ital. Ortolano. Uccello estivo; come il precedente, raro in Valtellina. Ne esa- minai della collezione Sertoli e so che Galli ne ha presi due indi- vidui in autunno, uno presso Sondrio, e l’altro a S. Giacomo. 129. 102. Emberiza cia Linn. S. N. I, p. 310, n. 11, 1766. Ital. Zigolo mucchiato — Dial. Zipp, Spinunza (Tirano). Specialmente invernale; ma anche stazionario; abbonda d’au- tunno nei campi di grano saraceno a mezza montagna sul ver- sante sinistro dell’Adda, d’ inverno invece sul versante opposto. Ne vidi della collezione Sertoli, e di val Bitto. Un individuo ne fu ucciso a Silvaplana, e nell’Alta Engadina vivono anche le al- tre due specie sopracitate (Saratz). 130. 103. Emberiza schaeniclus Linn. S. N. I, p. 311, n. 17. 1766. Ital. Migliarino di palude. In Valtellina raro. Fu già indicato da Lanfossi, infatti hav- vene nella collezione Sertoli e Galli ne prese una femmina qual- — È che anno fa in Ottobre. Probabilmente è di semplice passo re- golare. 131. 104. Emberiza palustris Savi, Ornit. tosc. II, p. 91, 1829. Ital. Passera di palude. È assai rara; ne ho visto un bell’esemplare, colto in val Bitto nell'autunno 1877, nella collezione del rev. Fabani. . [45] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 61 132. 105. Passer Italiae (Vieillot). Nuov. Dict. d’Hist. nat. XII, p. 119, 1817 (Fringilla). Ital. Pas- sera — Dial. Passer gross. Stazionaria, abbondantissima, vive vicino alle case e fa il nido sotto le ardesie dei tetti. È curioso che appena a Pontre- sina trovasi già l’altra specie P. domesticus L., di cui l’ Italiae è rappresentativa. 1533. 106. Passer montanus (Linn.). S. N. I, p. 324, n. 31, 1766, > (Fringilla). Ital. Passera mat- tugia — Dial. Passer. Come l’altra, è stazionaria, abbondantissima, nidifica però nei buchi degli alberi. 134. 107. Petronia stulta (Gmelin) S. N. I, p. 919, n. 13, 1788 (Fringilla). Ital. Passera lagia. Il solo Lanfossi (sub Fringilla petronia Linn.) dice che in Valtellina si prende, benchè raramente; nessunà altra notizia ho potuto raccogliere in proposito. 135. 108. Coccothraustes vulgaris Pallas, Zoograf. Rosso- As. II; p.-121810<0Itaf Frosone — Dial. Sfrison. Non molto comune, se ne vedono d’autunno e d’inverno; è incerto che nidifichi in Valtellina. Ne ebbi un esemplare da Sondrio e da val Bitto. 136. 109. Montifringilla nivalis (Linn.). S. N. I, p. 321. n. 21, 1766 (Fringilla.) Ital. Frin- guello alpino. Questo fringuello, caratteristico della regione nivale, capita di tanto in tanto in Valtellina, ma sempre d’inverno, e poichè 62 A. DE-CARLINI, [46] | | viaggia anche in branchi, se ne presero diversi, al dir di Lan- fossi (sub Fringilla nivalis L.), nei contorni di Sondrio. Mi con- sta che è più facile incontrarlo sul Bormiese, ed ha nidificato anche presso le osterie del Bernina, secondo Saratz. Nella pol lezione Sertoli ho trovati due esemplari. 137. 110. Fringilla coelebs Linn. S. N. I, p. 318, n. 3, 1766. Ital. Fringuello. — Dial. Fran- guel. Stazionario, comunissimo dovunque; in autunno e primavera è anche di passo. 138. 111. Fringilla montifringilla Linn. S. N. I, p. 318, n. 5, 1766. Ital. Peppola — Dial. Franguel montan. Arriva a stormi in Ottobre e sverna. Non ho conferma del- l'opinione di Lanfossi che nidifichi in Valtellina ed anche il Saratz la dà soltanto di passo in Alta Engadina. 159. 112. Ligurinus cloris (Linn.). S. N. I, p, 304, n. 27. (Lo- zia). Ital. Verdone — Dial. Verdon. Comune, stazionario ed anche di passo, è più abbondante al piano che al monte; nidifica dovunque. 140. 113. Chloroptila citrinella Linn. S. N. I, p. 320, n. 16, 1766 (Fringilla). Ital. Venturone. Di questa rara specie ho visto un solo esemplare preso in quest’ autunno (1887) in val Bitto e conservato dal rev. Fabani. Lanfossi (sub Fringilla citrinella L.) dice che è comunissima e che si chiama Canerin de Malenc; certo egli l’ha confusa colla seguente. Saratz non l'avrebbe messo fra gli uccelli dell’Alta [47] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 63 Engadina; ma il Fatio, in nota, dice che non può a meno di esservi, nidificando dappertutto nelle Alpi svizzere. Lo stesso ripete del Lucarino. 141. 114. Chrysomitris spinus (Linn.) S. N. I, p. 322, n. 25, 1766 (Fringilla). Ital. Lu- carino — Dial. Legurin. Uccello settentrionale, che passa in autunno e primavera. Pare che alcuni individui però rimangano a nidificare, come Lanfossi (sub Fringilla spinus L.) riteneva; infatti Monti dice che nidifica nei monti della diocesi (nella diocesi di Como è compresa anche la Valtellina) e mi si riferisce che da noi fu- rono visti nidi in alto sui monti di Albosaggia. Ne studiai esem- plari della collezione Sertoli e di val Bitto. 142. 115. Carduelis elegans Steph. Gen. Zool. XIV, p. 30, 1826. Ital. Cardellino — Dial. Lavarin. Dovunque comune, stazionario, però d’autunno anche di passo. 143. 116. Serinus hortulanus Koch. Syst. d. baier. Zool., p. 229, 1816. Ital. Verzel- lino — Dial. Sverzerin. Uccello che giunge in Aprile, nidifica specialmente sui monti e parte al principio d’inverno; però alcuni individui rimangono anche a svernare. 144. 117. Cannabina linota (Gmelin), S. N. I, p. 916, n. 67, 1788 (Fringilla). Ital. Fanello — Dial. Finett. Estivo, abbastanza comune, nidifica sui monti, in Ottobre scende al piano di Sondrio, d’ onde parte al principio dell’ in- verno. 64 sro DE-CARLINI, i ta È 145. 118. Aegiothus rufescens (Vieill.) Mem. R. Acad. To r. 9 XXIII, p. 202, 4. III, f. 3, 1816-18 (Linaria). Ital. Organattà minore — Dial. Cardinalin. Specie montana, che abita di preferenza la zona delle coni- fere, dove nidifica. Relativamente comune nell’estate, assai meno nell'inverno, quantunque se ne prendano anche in questa stagione. 146. 119. Pyrrhula europea Vieill. Nouv. Dict. d’Hist, nat. IV, p. 286, 1816. Ital. Ciuf-- folotto — Dial. Cifulott, Gemon. Specie montana, più abbondante nell’alta Valtellina, dove anzi nidifica; si incontra però anche sulle alte montagne di val Bitto, d’onde appunto ne ebbi. Faceva pur parte della colle- zione Sertoli. 147. 120. Loxia curvirostra Linn. S. N. I, p. 299, n. 1, 1766. Ital. Crociere — Dial. Bech in crus, Becher. Proprio della zona delle conifere, abbastanza comune, specie sul Bormiese; è opinione che sia anche stazionario. In Ottobre se ne vedono molti sul mercato di Sondrio presi al vischio e_ “provengono dai monti di Albosaggia. Comunissimo anche nelle foreste dell'Alta Engadina (Sarate). Subordo : CULTRIROSTRES 148. 121. Sturnus vulgaris Linn. S. N. I, p. 290, n. 1, 1766. Ital. Storno — Dial. Sturnell. È specie di semplice passo regolare nel Febbraio e nell’Ottobre. [49] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 65 149. 122. Pastor roseus Linn. S. N. I, p. 294, n. 15, 1766 (Turdus). Ital. Storno marino. Monti (sub Acridotheres roseus Ranz.) narra che il sig. Ser- toli ne prese presso Sondrio, dove arriva in Marzo (?); infatti rimase ancora della collezione Sertoli un individuo molto ben conservato, portante la scritta: Sondrio 1823. Anche Galli ri- porta questa specie sulla fede del rev. Luigi Sacchi, il quale, in una memoria manoscritta, parlando degli Storni marini, dice: se ne vedono alcuni ogni anno nei dintorni di Sondrio. 150. 123. Oriolus galbula Linn. S. N. I, p. 160, n. 1, 1766. Ital. Rigogolo. Uccello estivo, arriva in Maggio e riparte nella seconda quin- dicina di Agosto. In Valtellina è raro; fu visto però tanto a Sondrio che in val Bitto e sul Bormiese. 151. 124. Pyrrhocorax graculus (Linn.) S. N. I, p. 158, n. 17, 1766 (Corvus). Ital. Gracchio corallino — Dial. Crasc, Crascin, Taccola. Uccello alpino, probabilmente stazionario e nidificante. Lan- fossi lo vide comune in Valtellina, a me non risulta così fre- quente. Un esemplare esiste tuttora nella collezione Sertoli. 152. 125. Pyrrhocorax alpinus Vieill. Nouv. Dict. d’Hist. nat. NE, po loo8, 3816 al. Gracchio — Dial. Crasc, Grascin, Taccola. Parimenti alpino, ma più comune del precedente, vive in grandi stormi e raramente cala al piano. È stazionario e nidi- ficante. 153. 126. Corvus corax Linn. S. N. I, p. 155, n. 2, 1766. Ital. Corvo imperiale — Dial. Corv gross, Corvatt. Vol. XXXI. 5 66 A. DE-CARLINI, | [50] Vive non solo sulle alpi, ma anche al piano; infatti Galli mi dice che nidifica nei dintorni di Sondrio. È stazionario, meno frequente degli altri corvi. 154. 127. Corvus frugilegus Linn. S. N. I, p. 156, n. 4, 1766. Ital. Corvo — Dial. Corv, Corvatt. Nell'inverno comunissimo, tanto al piano (Sondrio) come al monte (val Bitto); in primavera parte da noi. Però Galli mi scrive “ ho ragioni per credere che una coppia si sia qui (Sondrio) trattenuta ed abbia nidificato qualche anno fa. , 155. 128. Corvus cornix Linn. S. N. I, p. 156, n. 5, 1766. Ital. Cornacchia — Dial. Cornagia. Sedentario, abbastanza comune, abbonda specialmente in Ot- tobre, nel qual tempo discende alle valli; nidifica. 156. 129. Coloeus monedula (Linn.) S. N. I, p. 156, n. 6, 1766 (Corvus). Ital. Taccola. Lanfossi (sub Corvus monedula Linn.) dice che si prende in Valtellina, benchè raramente; lo conferma l’esistenza di un esemplare nella collezione Sertoli, ma intorno a Sondrio non è conosciuta. 157. 130. Nucifraga caryocatactes Linn. S. N. I, p. 157 n. 10, 1776 (Corvus). Ital. Noccio- laja — Dial. Gagia nisciulèra. Vive solamente sugli alti monti, nella regione delle conifere, dove probabilmente è sedentaria; in alcuni anni è rara, in altri più frequente, specie d’autunno, forse perchè ne immigrano dal nord, come ammettono Giglioli e Salvadori. Nel Luglio 1887 l’a- mico Galli la trovò abbondantissima nei boschi di conifere della val Furva. - [51] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 67 158. 131. Pica rustica (Scop.) Ann. I, Hist. nat., p. 38, 1769 (Corvus). Ital. Gazza — Dial. Berta. Stazionaria, comunissima, specialmente al piano fra gli ontani. 159. 132. Garrulus glandarius (Linn.) S. N. I, p. 156, n. 7, 1766 (Corvus). Ital. Ghiandaja — Dial. Gagia, Ghea marina (Bormio). Pure comune, sedentaria, ma vive e nidifica specialmente sull’alto dei monti. Meno lo storno marino e la taccola, tutti gli altri cultriro- stri valtellinesi trovansi anche nell’Alta Engadina (Sarate). Ordo: Columbae. 160. 133. Columba palumbus Linn. S. N. I, p. 282, n. 19, 1766. Ital. Colombaccio — Dial. Pevion salvadegh. Specie estiva, comune, citata di Valtellina anche da Lanfossi. Giunge in Marzo e parte in Ottobre e Novembre. 161. 134. Columba oenas Linn. S. N. I, p. 279, n. 1, (par- tim) 1766. Ital. Colombella — Dial. Pevion salvadegh. Rara in Valtellina, dove sembra soltanto di passo nel Marzo e nell’Ottobre. E quindi dubbio se nidifichi. 162. 135. Columba livia Bonnaterre Encycl. method. I, p. 227, 1790. Ital. Piccione selvatico — Dial. Pevion salvadegh. Raro, però ne vidi un esemplare di val del Bitto ed altri della collezione Sertoli. Il rev. Fabani mi dice che nidifica entro La i buchi. Intorno a Sondrio è poco o punto conosciuto. 70 A. DE-CARLINI, I [54] Estiva, arriva in Maggio, riparte in Settembre. Comune, ni- difica al piano nei prati, di rado al monte; tuttavia Saratz l’uccise anche a 2100 m. s. m. presso le osterie del Bernina. Nell’Alta Engadina talora è comunissima, nè vi mancano gli altri nostri gallinacei, all’infuori della starna. Ordo: Grallatores. Subordo: LIMICOLAE. 170. 143. Oedicnemus. scolopax (Gmelin) Reise durch. Russ- land.’ III, pi (Ste; 1774 (Charadrius). Ital. Occhione. ì i Lanfossi dice che non è raro in Valtellina; ce n’ è un esem- plare nella collezione Sertoli. - 171. 144. Vanellus capella Schaeffer, Mus. Ornith., p. 49, 1789. Ital. Pavoncella — Dial. Pavonzin. Presa più volte intorno a Sondrio ed anche sul Bormiese sul finir di Ottobre e nel Novembre, stagione del suo arrivo, riparte in Febbrajo e Marzo. Ne esistono esemplari nella collezione Sertoli. 172. 145. Charadrius pluvialis Linn. S. N. I, p. 254, n. 7. 1766. Ital. Piviere. Uccello di passo autunnale e primaverile. Lanfossi ne vide parecchi presi in Valtellina, specialmente di primavera, ed uno si conserva nella collezione Sertoli. 1753. 146. Aegialitis curonica (Gmelin) S. N. I, p. 692, n. 29, 1788 (Charadrius). Ital. Cor- riere piccolo. er? ” stia = [55] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 71 Lanfossi (sub Charadrius curonicus Gmelin) dice che è co- mune di primavera in Valtellina e che anzi alcuni credono che vi nidifichi. Galli ne ha uccisa una femmina il 9 Maggio 1885 nel piano di Agneda. 174. 147. Machetes pugnax (Linn.) S. N.I, p. 247, n. 1, 1766 (Tringa). Ital. Gambetta. Ne trovai alcuni esemplari giovani nella collezione Sertoli. Monti e Riva la citano senza dare indicazione di località val- tellinesi; capita ogni anno nel Trentino (Bonomi) e nel Bre- sciano (Periniì), ma non fu notata in Alta Engadina (Saratz). 175. 148. Tringoides hypoleucus (Linn.). S. N. I, p. 250, n. 14 (Tringa). Ital. Piro- piro piccolo — Dial. Più. Specie estiva, comunissima da Marzo ad Agosto lungo i fiumi, in riva ai quali pone il suo nido. Lanfossi (sub T'otanus hypo- leucos Temm.) dice che in Valtellina è rara assai e ne vide un solo esemplare; d’altra parte dice comunissima e nidificante attorno a Sondrio l’ Helodromas (Totanus) ochropus (Linn.), che invece in Valtellina, non è nè conosciuto, nè mi consta che sia mai stato preso. Perciò dubito molto che egli abbia scambiate le due specie. 176. 149. Totanus fuscus (Linn.). S. N. I, 243, n. 5, 1766 (Scolopax). Ital. Totano moro. Secondo Lanfossi si prende in Valtellina e Monti lo conferma, affermando che non è sconosciuto sulle rive dell’Adda. A me non risulta altro. Si prende anche nel Trentino (Bonomi) e nel Bresciano (Perini). 177. 150. Totanus stagnatilis Bechst. Ornith. Tasch. p. 292, e tav. 1803. Ital. Piro-piro gambe lunghe. 72 A. DE-CARLINI, [618 Lanfossi dice che ne vide un solo individuo preso intorno a Wi “ Sondrio. Nel Trentino è rara (Bonomi). 178.151. Limosa belgica (Gmelin.). Syst. Nat. Lp. 663, n. 39, 1788 (Scolopax). Ital. Pittima. . Lanfossi (sub Limosa melanura Leisl.) assicura che si prende anche in Valtellina, benchè raramente; ne esistono due esem- plari nella collezione Sertoli. 179. 152. Numenius arquata (Linn.). S. N. I, p. 242, n. 3, 1766 (Coi Ital. Chiurlo maggiore. Esistendone un esemplare nella collezione Sertoli, è probabile che sia capitato anche in provincia. Monti lo dice non raro a Colico. 180. 153. Scolopax rusticula Linn. S. N. I, p. 243, n. 6, 1766. Ital. Beccaccia — Dial. Beccazza. Si prende più frequentemente durante il passo in Novembre discendendo, in Marzo risalendo; meno frequentemente in ‘in- verno. In confronto degli anni scorsi si va facendo sempre più rara. Ne vidi diversi esemplari di Sondrio e di val Bitto. 181. 154. Gallinago major (Gmelin). S. N. I, p. 661 n. 36, 1788 (Scolopaa:). Ital. Crocco- lone — Dial. Sgneppon. Si incontra all’epoca del passo in Settembre ed Ottobre ed in primavera nel Marzo. Quest'anno (1887) fu presa anche in Agosto. 182. 155. Gallinago caelestis (Frenzel I. S. T.). Beschreib. der Vògl. u. ihrer Eier in d. Geg. v. Wurtemberg, p. 58, 1801 (Scolopaz). Ital. Beccaccina — Dial. Sgneppa- | $97] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 73 Continua ad arrivare dalla fine di Luglio a Novembre e pare si fermi fino alla prima quindicina di Marzo. 183. 156. Limnocryptes gallinula (Linn.) S. N. I, p. 244, n. 6, 1766 (Scolopax). Ital. Frullino — Dial. Sgneppin. Passa in Settembre, scendendo la valle, in Marzo risalendo ; non mi consta che si fermi nell’ inverno. Subordo: FULICARIAE. 184. 157. Rallus aquaticus Linn. S. N. I, p. 262, n. 2, 1766. Ital. Porciglione. — Dial. Gru- gnett. Uccello di passo; però nidifica anche in Valtellina fra i can- neti. 185. 158. Crex pratensis Bechstein. Ornith. Tasch. II, p. 337, 1803. Ital. Re di quaglie — Dial. Re de quai. Estivo, nidificante nei prati umidi lungo 1’ Adda. 186. 159. Porzana fulicula (Scop.) Ann. I, Hist. nat. p. 108, 1769 (Rallus). Ital. Voltolino — Dial. Gilardina. Estiva, comune, nidifica al piano. 187. 160. Porzana parva (Scop.) Ann. I, Hist. nat. p. 108, 1769 (Rallus). Ital. Schiribilla — Dial. Calchin? Estivo, più raro del voltolino, è probabile che nidifichi. Ne ho veduti due esemplari di val Bitto. TA A. DE-CARLINI, \ [58] ; 188. 161. Gallinula chloropus (Linn.). S. N. I, p. 258, n. 4; 1756. (Fulica). Ital. Scia- “ bica — Dial. Grugnetton. Estiva, relativamente comune, la cita di Valtellina anche Lan- fossi e se ne conserva un esemplare nella collezione Sertoli. 189. 162. Fulica atra Linn. S. N. 1, p. 258, n. 2, 1766. Ital. Folaga — Dial. Fulega. Si prende, benchè non molto frequente, anche intorno a Son- drio, più abbondante in Marzo. Subordo: ALECTORIDES 190. 163. Grus communis Bechst. Vogl. Deutsch. III, p. 60, 1799: Ital. Gru: s Lanfossi dice che si vede di passo anche in Valtellina. Subordo: HERODIONES. 191. 164, Ardea cinerea Linn. S. N. I, p. 236, n. 11, 1766. Ital. Airone cenerino — Dial. Sgolgion? È abbastanza facile trovarla di passo, specialmente in pri- mavera; anche quest'anno ne sono giunte in Marzo presso Son- drio. So che si coglie anche sul Bormiese. 192. 165. Herodias alba (Linn.). S. N. I, p. 239. n. 24, 1766 (Ardea). Ital. Airone bianco. Posso con certezza annoverare anche questa bella specie fra le avventizie, perchè il sig. ing. Filippo Caimi ne uccise un in- dividuo, che si conserva nel Museo liceale, qualche anno fa sul [59] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 75 ponte dell’ Adda a S. Pietro. Bonomi la dice rarissima anche nel Trentino, nessuno la cita nè del Bergamasco, nè del Bresciano; un individuo preso sul lago di Como è ricordato dal Riva e Schinz ne riporta due soli presi in Svizzera, ma Saratz non l’annovera dell'Alta Engadina. 193. 166. Ardeola ralloides (Scop.). Ann. I, Hist. nat. p. 88, n:1:121. 1769 (Ardea). Ital. Sgarza ciuffetto. Lanfossi (sub Ardea ralloides Scop.) dice che si prende qual- che volta in Valtellina, infatti mi consta che fu preso sul Bor- miese. Un esemplare figura nella collezione Sertoli. 194. 167. Ardetta minuta (Linn.) S. N. I, p. 240, n. 26, 1766 (Ardea). Ital. Tarabusino — Dial. Sgulgin. Un esemplare, trovato morto nel Maggio 1887 presso Sassella, mi fu donato e figura in Museo insieme con due altri della col- lezione Sertoli. È estivo. 195. 168. Botaurus stellaris (Linn.). S. N. 1, p. 239, n. 21, 1766 (Ardea) Ital. Tarabuso. Specie avventizia, citata di Valtellina da Lanfossi (sub Ar- dea stellaris Linn.) e di cui esistono esemplari nella collezione Sertoli. Nel Trentino è comune e nidifica (Bonomi), lo si incon- tra anche nel Bresciano (Pollini), nel Comasco (Monti) e nella Svizzera (Schine). 196. 169. Nycticorax griseus (Linn.). S. N. I, p. 239, n. 22, 1766 (Ardea). Ital. Nitti- cora. Come la precedente, avventizia; citata da Lanfossi (sub Ar- dea nycticorax Linn.) ed esistente nella collezione Sertoli. Si in- n - A. DE-CARLINI, v [60]. O contra anche nel Trentino (Bonomi), nel Bergamasco (Maironi), i nel Bresciano (Pollini), nel Comasco (Monti) e nella Svizzera (Schine). bi 197. 170. Ciconia alba Bechst. Paturg. Deutsch. III, p. 48, 1793. Ital. Cicogna bianca. I Lanfossi ricorda d’averne visto un individuo preso a Cedra- © sco; forse è quello che ancora esiste nella collezione Sertoli. — Del resto nel Trentino si prende normalmente (Bonomi) e fu vista anche nel Bresciano (Pollini) e nel Comasco (Monti); nel- l’Alta Engadina nessuna specie di cicogna è indicata dallo Sa- © ratz, ma il Fatio osserva in nota che la bianca dev'esservi di passo accidentale. Lo Saratz, dimorando a Pontresina, ha po- tuto direttamente occuparsi poco di gralle e palmipedi, che sono la parte meno interessante del suo catalogo. Ordo: Anseres. subordo: LAMELLIROSTRES. 198. 171. Anser segetum (Gmelin), Syst. Nat. I, p. 512 n. 68. 1788 (Anas). Ital. Oca granajola — Dial. Oca salvadega. Secondo Lanfossi si prende anche in Valtellina ; infatti so che ne capitano, quantunque raramente, nel mese di Marzo. 199. 172. Cygnus musicus? (Linn.). S. N, I, p. 194, n. 1 1766, (Anas). Ital. Cigno selvatico. è Il dott. Cesare Cremaschi di Morbegno mi assicurò aver visto un esemplare di cigno alcuni anni sono, appena ucciso. sotto Buglio. Raccolsi notizia che anche quest'anno (1887) ne fu preso un altro nel piano di Morbegno. [61] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 77 200. 173. Anas boscas Linn. S. N. I, p. 205, n. 40, 1766. Ital. Germano — Dial. Aneda sal- vadega. Giunge in Novembre, parte in Marzo; fors’anche qualche in- dividuo si ferma a nidificare; è però molto più raro che nella bassa Lombardia. 201. 174. Mareca penelope (Linn.). S. N. I, p. 202, n. 27, 1766 (Anas). Ital. Fischione. Capita pure di rado in Valtellina, e ne esistono in Museo della collezione Sertoli e di val Bitto. Anche Lanfossi l’ha vista in Valtellina (sub Anas penelope L.). 202. 175. Dafila acuta (Linn.). S. N. I, p. 202, n. 28, 1766 (Anas). Ital. Codone. Al dir del Lanfossi (sub Anas acuta Linn.) si prende in Valtellina e ce n’è infatti un esemplare nella collezione Sertoli; però dev’ essere ben raro, perchè non è conosciuto. Nel Trentino è comune, ma sul Garda (Bonomi); capita anche in Svizzera (Schinz). 203. 176. Spatula clypeata Linn. S. N. I, p. 200, n. 19, 1766 (Anas). Ital. Mestolone. Vale per questa specie quanto ho detto per la precedente. 204. 177. Querquedula crecca (Linn.) S. N. I, p. 204, n. 33, 1766 (Anas). Ital. Alzavola — Dial. Garganell. I cacciatori si accordano nel distinguere due specie di gar- ganelli, il che vuol dire che anche questa specie, quantunque più di raro della marzajola, si lascia cogliere in Valtellina. Ne esiste un esemplare nella collezione Sertoli. 78 A. DE-CARLINI, lo: 162] | 205. 178. Querquedula. circia (Linn.). S. N. I, p. 204, n. 34, 1766 (Anas). Ital. Marzajola — Dial. Garganell. Più abbondante in Febbrajo e Marzo ; forse qualche individuo si ferma a nidificare. 206. 179. Fuligula cristata (Leach.). Syst. Cat. M. et B. Brit. Mus. p. 39, 1816 (Anas). Ital. Moretta. Lanfossi dice che se ne prende qualcuna in Valtellina; altro non mi consta. ; 207. 160. Mergellus albellus (Linn.). S. N. I, p. 208, n. 5, 1766 (Mergus). Ital. Pe- sciajola. Un bell’esemplare figura nella collezione Sertoli, a prova che si prende in Valtellina, come dice Lanfossi (sub Mergus al- bellus L.); Monti crede che vi sia frequente nell’inverno, ma io non posso ammetterlo. 208. 181. Mergus serrator Linn. S. N. I, p. 208, n. 3, 1766. Ital. Smergo minore. Uccello invernale poco frequente; già ne vide in Valtellina il Lanfossi e nella collezione Sertoli figura un esemplare. Uno giovane fu donato al Museo dal sig. F. Macoggi, che l’uccise in Ottobre 1886 al Boffetto. Giglioli (Iconografia della Fauna italica) da anche del Mer- gus merganser Linn. il nome volgare valtellinese Fratton, non so qual fondamento, perchè a me a non costa che questo smergo sia mai stato preso in Valtellina. [63] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 79 Subordo: LoNGIPENNES. 209. 182. Hydrochelidon nigra (Linn.). S. N. I, 227, n. 3, 1766 (Sterna). Ital. Mi- gnattina. Lanfossi (sub Sterna nigra L.) dice che qualche individuo è stato preso in Valtellina; Monti lo conferma. Un esemplare conservasi nella collezione Sertoli. 210. 183. Hydrocolaeus ridibundus (Linn.). S. N. I, v. 225, n. 9, 1766 (Larus). Ital. Gabbiano comune — Dial. Garigulon.® Lanfossi assicura che se ne prendono in Valtellina (sub La- rus ridibundus L.). Un esemplare è nella collezione Sertoli, della quale fanno parte anche individui di Larus canus Linn., L. cachinnas Pallas e L. melamocephalus Natt.; dubito però che questi ultimi siano stati presi sul lago di Como od al piano di Colico, quindi non oso elencarli. Subordo: PrGoPoDEs. 211. 184. Podicipes cristatus (Linn.) S. N. I, p. 222, 7, 1766 (Colymbus). Ital. Svasso mag- giore. Lanfossi assevera che ne sono stati presi anche in Valtellina e Monti riproduce la notizia. Nella collezione Sertoli ho trovati due giovani. 212. 185. Tachybaptes fiuviatilis (Tunstall) Ornith. Brit. p. 3, 1771 (Colymbus). Ital. Tuffetto. 80 A. DE-CARLINI, I 164] Lanfossi (sub Podiceps minor L.) dice che vive in quasi tutta la Lombardia, senza precisare località valtellinesi; però vengo assicurato che si prende a Morbegno e ad Ardenno. Diversi esemplari giovani ho trovati nella collezione Sertoli. Classis: REPTILIA. Ordo: Cheloniae. 218. 1. Cistudo europaea (Schneider) Naturg. d. Schildkr.,. pag. 323, V, 1783 (Testudo). Ital. Testuggine palustre. È convinzione generale in Valtellina che la testuggine pa- lustre non vi si trovi allo stato libero; fu invece più volte im- portata e sparsa nei giardini. Quindi è che, come per la Sviz- zera scrive Fatio, non è possibile dire se un individuo trovato libero sia veramente tale o non piuttosto fuggito da qualche giardino od orto. Un piccolo di questa specie io ho trovato vivo in una strada di Sondrio, attigua appunto a giardini, in cui la testuggine da diversi anni si moltiplica. Si trova pure, ma sempre più probabilmente importata, nel Trentino (Cobelli), nel Bre- sciano (Bettoni), nel Canton Ticino (Pavesî); nell’ Alta Enga- dina Fatio non l’ha incontrata. Ordo: Sauria. 214. 2. Lacerta viridis (Linn.) Synops. Rept. p.. 62, 1768 (Seps). Ital. Ramarro. — Dial. Lu- serton. Comune in tutti i luoghi aridi, sassosi e soleggiati, sì del piano che del monte. Io ne raccolsi esemplari di due varietà; la maculata Bonap. e la dilineata Daudin. Noto che il solo indi- [65] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 81 viduo di questa varietà non è punto un giovine (chè spesso i giovani presentano le striscie caratteristiche), ma un vero adulto, superando in lunghezza i 30 centimetri. 215. 3. Lacerta muralis (Laur.) Spec. medic. exhib. Sy- nops. Rept. Vindobonae, p. 162, 1768 (Seps). Ital. Lucertola delle muraglie — Dial. Luserta. Dovunque comunissima fra i sassi e sui muri. Sugli argini, che costeggiano il Mallero presso Sondrio, ho trovato frequen- temente anche la var. rubriventris Corn. 216. 4. Anguis fragilis Linn. S. N. XII, p. 360, 1766. Ital. Angue fragile — Dial. Orbiseula. Assai comune nel piano di Sondrio; si incontra anche al monte. Ordo: Ophidia. 217. 5. Coronella austriaca Laur. Sinops. Rept., p. 84, 48, t. 5, fig. 1, 1768. Ital. Co- lubro liscio. Ne ho ricevuto due esemplari dai dintorni di Sondrio ed uno giovanissimo ho preso sulla strada a Torre in val Malenco. Tro- vata anche nel Trentino (Cobelli), nel Bresciano (Bettoni); del Canton ‘Ticino non la citano nè Fatio, nè Pavesi. 218. 6. ‘Zamenis viridiflavus Latr. Hist. nat. d. rept. IV. p. 88, 1802. (Coluber). Ital. Colubro verde e giallo — Dial. Scorzon. Molto comune, sì al piano che sulle basse montagne; da Son- drio ne ebbi diversi esemplari, È comune anche la varietà nera Vol. XXXI. 6 82 A. DE-CARLINI, < [66] o carbonaria, anzi di questa ebbi da Morbegno un bell’esem- plare lungo m. 1.46. È pure frequente nelle provincie limitrofe alla Valtellina: 219. 7. Elaphis aesculapii (Host.) in Jacq. coll. bot. chem. et Hist. nat. IV, p. 336, tav.27, 1790 (Coluber). Ital. Colubro saettone — Dial. Scorzon. Lo credo ancor più abbondante del precedente, giacchè ne ricevetti parecchi, ed io ne presi intorno a Sondrio; ho un esemplare anche di val Bitto. Il volgo lo confonde colla prece- | dente. Cobelli lo elenca fra i rettili del Trentino, mentre Bet- toni, nè altri pare l’ abbiano trovata sul Bresciano; si incontra, — benchè raramente, nel Canton Ticino (Pavesi) e nel Vallese, mentre manca al resto della Svizzera (atio). 220. 8. Tropidonotus natrix (Linn.) S. N. I, p. 380, sp. 230, 1766 (Coluber). Ital. Biscia dal collare — Dial. Bissa de acqua. Parimenti comune, ne ebbi dai dintorni di Sondrio, dalle. montagne di Albosaggia; mi consta però che a Chiesa in val Malenco è rara. È specie sparsa in tutta Italia. 221. 9. Tropidonotus tessellatus (Laur.) Synops. Rept. p. 87, 188, 1768. (Coronella). Ital. Natrice tessellata — Dial. Scorzon. Ne ebbi un individuo solo dai dintorni di Sondrio della lun- ghezza di m. 0,728; non posso aggiungere altre osservazioni circa la dimora e la frequenza in Valtellina. Dei dintorni lo # alberga il Trentino (Cobelli), il Bresciano (Bettoni) ed il Canton v Ticino, mentre manca alla Svizzera (Fatio). [67] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 83 222. 10. Pelias berus (Linn.) S. N. I, p. 377, 1766 (Coluder). Ital. Marasso palustre. Delle due vipere nostrali certamente la più rara; ne ebbi un esemplare dai dintorni di Sondrio ed uno da val Fontana, donatomi dal sig. Orsatti. Galli lo raccolse in val Furva presso il ghiacciajo del Forno sopra S. Caterina a circa 2000 metri, il 31 Luglio 1887. In val Malenco, a dir del dott. Zersi, non fu mai veduto. Nel Trentino è raro (Cobelli), è frequente invece nel Bresciano (Bettoni); non così nel Canton Ticino (Pavesi), mentre è frequentissimo nell’Alta Engadina (Zati0). 223. 11. Vipera aspis (Linn.) S. N. I, p. 378, 1766 (Coluber). Ital. Vipera comune — Dial. Vipera, Bissa cattiva. . Pur troppo, relativamente comune in val Malenco, come mi accerta il dott. Zersi, il quale di questa località donò al Museo prima due individui tipici, e recentemente un terzo, che va ri- ferito alla var. nigra Bonap. È la specie più comune anche nel Trentino, nella provincia di Brescia invece il Bettoni non l’ha mai incontrata; è sparsa anche nel Canton Ticino e nella Sviz- zera occidentale e meridionale, tranne l’Engadina (Fati0). Classis: AMPHIBIA. Ordo: Anura. 224. 1. Hyla arborea (Linn.) S. N. I, p. 357, 1766 (Rara). Ital. Raganella — Dial. Ranetta de San Peder. L’ho trovata abbondante dovunque nei dintorni di Sondrio. Sparsa in tutta Italia, s' innalza poco sulle montagne. 84 A. DE-CARLINI, [68] 3 225. 2. Rana aesculenta Linn. Syst. nat..I, p. 357, 1766. Ital. Rana — Dial. Rana. Comune nel piano di Sondrio e lungo tutta la valle. I molti esemplari, che ho esaminati, appartengono tutti alla sottospecie Lessonae Camer.; trovasi più spesso la var. maculata Cam. che la immaculata Less. 226. 3. Rana muta Laur. Synops, Rept. p. 30, 1768 (tem- poraria auct. part.). Ital. Rana — Dial. Sciatt? Quantunque gli autori concordemente la ritengono più spe- cialmente alpina, io l'ho trovata invece abbastanza frequente nel piano di Sondrio, nel piano di Agneda, lungo gli argini dell'Adda ed in valle dell’Antoniasco. Un solo esemplare, dei raccolti, appar- tiene alla var. obtusirostris Fatio e quanto alla colorazione alla var. nigro maculata Cam., gli altri alla var. acutirostris Fatio. Finora in Italia fu trovata in diverse località del Piemonte, del Trentino (Camerano) e nelle più alte regioni del Veneto (Ninni). Non mi fu dato finora di trovare le altre due specie di £a- nae fuscae, cioè la LR. agilis Thomas e la A. Latastiù Boul. 227. 4. Bufo vulgaris Laur. Synops. Rept. p. 28, e 125, 1768. Ital. Rospo comune — Dial. Sciatt. Abbondantissimo dovunque tanto al piano che al monte. An- che qui in Valtellina, come altrove, il rospo è oggetto di orrore e di schifo, ancora da molti ritenuto nocivo, mentre non solo è innocuo, ma tanto utile per la distruzione degli animalucci dannosi alle ortaglie. 228. 5. Bufo viridis Laur. Synops. Rept. p. 27, e III, tav. I, 1768. Ital. Rospo verde — Dial. Sciatt. Non posso dire se sia comune o meno; ne ebbi un esemplare adulto ed uno giovane dai dintorni di Sondrio. Il volgo lo con- fonde col rospo comune. x st wrtt e Ce e — = leoni AE INI Met. Sa [69]. VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 85 Ordo: Urodela. 229. 6. Salamandra maculosa Laur. Synops. Rept. p. 42, n. 51, 1768. Ital. Salaman- dra terrestre — Dial. Sala- mandra de crap. Dappertutto, quantunque non comune; non si eleva molto sulle montagne, d’ onde non ebbi notizia alcuna circa la con- genere atra Laur. 250. 7. Triton cristatus Laur. Synops. Rept. p. 39, n. 44, 1768. Ital. Salamandra acquajola — Dial. Salamandra d’ acqua. Abbonda in modo straordinario nei fossati del piano di Agneda e dovunque. 231. 8. Triton alpestris Laur. Synops. Rept. p. 38, 1768. Ital. Tritone alpestre. Devo all’amico Galli il poter annoverare anche questa specie, da lui raccolta il 6 Agosto 1887 al lago delle Scale in val Fraele a 1986. m. Fu trovata anche nel Trentino (Cobelli), in Valcamonica (Bettoni), nel Canton Ticino (Pavesi) e in tutti i cantoni della Svizzera (Fati0). Classis: PISCES. Ordo: Teleostea. 232. 1. Cottus gobio Linn. Syst. Nat. I, p. 452, 1766. Ital. Cazzuola — Dial. Scazzon. Questo e il vairone sono forse i più comuni pesci piccoli della 86 ° A. DE-CARLINI, [70] © È Valtellina. Si trova dovunque nell’Adda, ne’ suoi affluenti e nei ruscelli, dove sta generalmente nascosto sotto i sassi; smovendo questi, lo si prende infilzandolo con una piccola fiocina. 233. 2. Lota vulgaris Cuv. Règn. animal. illustr, Poiss. pl. 106, fig. 3, 1829-49. Ital. Bottatrice — Dial. Botrisa. Sembra rara e limitata alla porzione dell’Adda che sta sotto a Sondrio; infatti mi consta che si prende a Morbegno. 294. 3. Tinca vulgaris Cuv. Règn. anim. illustr. Poiss. p. 193, 1829-49. Ital. Tinca — Dial. Tenca. Si trova bensì nell’Adda, ma è piuttosto rara.; io ne ebbi dal piano della Salvetta. Aggiungerò quì che anche il persico (Perca /uviatilis L.) e la carpa (Cyprinus carpio L.), al pari della tinca, comuni dap- pertutto in Lombardia, mancano in Valtellina, o tutt'al più il primo non rimonta il fiume che fino a Delebio, ed il secondo forse ancora si trova in alcuni rami morti dell'Adda. 290, 4. Barbus plebejus Valenc. in Cuv. Règn. anim. illustr. Poiss. pl. 27, 1829-49. Ital. Barbo comune — Dial. Barb. Non molto frequente nell’Adda. Torna sempre opportuno il ricordare che le uova del barbo sono velenose, avendo prodotto in più casi disordini intestinali anche da noi e perfino la morte. 236. 5. Scardinius erythrophthalmus Linn. S. N. ed. XIII I, III, p. 1429, 1768 (Cyprinus). Ital. Scardola comune — Dial. Piott. Del pari poco abbondante nell’Adda e meno ancora nel Mal- lero. [71] VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 87 234. 6. Leuciscus aula (Bonap.) Ic. Faun. ital., fasc. XXX, fig. 3 e 4, 1831-41 (Squalins). Ital. Triotto — Dial. Troul. Non sembra abbondante; io ne ho ricevuto esemplari dal piano di Salvetta presso Ardenno. 238. 7. Squalius cavedanus Cuv. et Val. Règn. anim. illustr. Poiss. XVII, p. 196, 1829-49. Ital. ‘ Cavedano — Dial. Cavédan. Nell’ Adda abbastanza frequente. Si prende colla trota nelle peschiere di Morbegno. 239. 8. Telestus muticellus Bonap. Ic. Faun. ital. vol. III, fasc. XX, fig. 3, e fasc. XXVIII, fig. 1, 1832-41. Ital. Vairone — Dial. Vairon. Comunissimo nell’Adda, ne’ suoi affluenti, nei fossati. Non biso- gna confonderlo, per lo stesso nome volgare che prende sui la- ghi lombardi, con 1’ Alburnus alborella De-Fil., la quale finora in Valtellina non mi fu dato di constatare. 240. 9. Phoxinus loevis Agassiz, Mém. Soc. Nat. Neuchatel. I, p. 37, 1833. Ital. Sanguinerola — Dial. Sanguign, Cent-in-bocca. Questo pesciolino, elegante in tempo di fregola, si trova spesso nei ruscelli laterali all’ Adda ed anche nell’ Adda medesima. So che si trova anche nel lago di Palù in val Malenco. 241.10. Chondrostroma soétta Bonap. Icon. Faun. ital. vol. III, 1832-41. Ital. Savetta — Dial. Salena, Stricc? Vive nell’Adda e nei ruscelli con essa comunicanti; non pare però molto comune. 88 A. DE-CARLINI, Ln 942,11. Thymallus vexillifer Agass. M6m. Soc. Sc. Nat. Neu- chatél 1833. Ital. Temolo — Dial. Temol. Abbondante in tutto il corso dell'Adda ed anche nei torrenti laterali. 943. 12. Trutta lacustris (Linn.). S. N. I, p. 510, 1766, (Salmo). Ital. Trota dei laghi subalpini — Dial. Truta. Uniformandomi all’opinione espressa dal prof. P. Pavesi nei suoi recenti (1884) Brani biologici di due celebrati pesci no- strali di acque dolci, tengo distinta sotto questo nome la trota del lago, che fa regolare rimonta nell’Adda in Ottobre. Durante la rimonta si prende in abbondanza entro due peschiere, poste una sotto Morbegno, l’altra sopra Talamona. Tali peschiere, simili alla cosidetta Cassa, usata pure per la pesca della trota nei fiumi maggiori dell’ alto Canton Ticino, sono così costrutte. Nel mezzo della corrente dell’ Adda stanno, impiantate a fior d’acqua, essendo poca la profondità del letto, due lunghe pa- lizzate, munite di fitto graticcio, disposte ad angolo col vertice a monte; appunto in corrispondenza di questo vertice sta una piccola apertura che mette in un bacino, totalmente chiuso da una riva e da altre palizzate. Le trote rimontando, guidate dalle palizzate ad angolo, entrano nel detto bacino; questo presenta a valle una stretta apertura, dove vien posta una cassa col fondo di graticcio (per lasciar passare l’acqua e le trote troppo piccole); ed essendo inclinato leggermente in senso inverso del piano della corrente, cioè in modo che la parte a valle di esso sporge dall’acqua, le trote, seguendo la direzione della corrente, vanno a secco entro la cassa su quella parte del graticcio che emerge dall'acqua e di là difficilmente possono tornare indietro. Altre dighe di pietra, ferme da palizzate, sono disposte in di- versi sensi presso all’altra riva per dirigere la corrente e re- golare la dejezione dei materiali del fiume. [73]. VERTEBRATI DELLA VALTELLINA. 89 244. 13. Trutta fario (Linn.). Syst. Nat. I, p. 509, 1766, (Salmo). Ital. Trota — Dial. Truta, trutàl. È questa la specie dei torrenti, sboccanti all’ Adda e dei la- ghetti alpini; so che esiste certamente nel lago di Inferno e in quello delle Scale, in altri fu forse importata. Si distingue per le macchie oculate varicolori dei fianchi, la carne rosea o rossigna e, dicesi, anche per più squisito sapore. 245. 14. Esox lucius Linn. Syst. Nat. I, p. 516, 1766. Ital. Luccio — Dial. Luss. Non comune presso Sondrio, è più abbondante nella parte inferiore dell’ Adda; cade infatti colla trota entro le peschiere. 246. 15. Cobitis taenia Linn. Syst. Nat. I, p. 499, 1766. Ital. Cobite fluviale — Dial. Gusa, Gusella. Poco noto, s'incontra però nelle acque limpide vicino all’ Adda. Io ne ebbi parecchi esemplari, dal piano di Agneda, della var. puta Cantoni. 247. 16. Anguilla vulgaris Fleming. A Hist. of. Brit. Anim. p. 199, 1828. Ital. Anguilla — Dial. Inguilla. Piuttosto rara néll’Adda superiore, è man mano più frequente al di sotto di Sondrio. Circa l’anguilla dirò che la volgare cre- denza che essa sia un ibrido, un bastardo di qualche altro pesce (luccio, trota, tinca, scardola, ecc.), e l’altra che essa sia er- mafrodita non hanno più ragione di perdurare dopo la scoperta del maschio dell’anguilla, fatta pochi anni sono (1874) per merito del sig. Syrski. Il maschio vive in mare presso alle foci dei fiumi e le nostre anguille, atte ad acquistare completo sviluppo degli ovarî, vi scendono per essere fecondate, le altre restano ed in- 90 A. DE-CARLINI. | [74] grassano; i piccoli, detti cieche a Pisa, capillari a Comacchio, risalgono poi le correnti fin molto in alto. La presenza di an- guille entro stagni chiusi è facilmente spiegata per la facoltà di uscire dell’acqua e strisciare sul terreno come un serpe. RIEPILOGO. Ho quindi enumerati della Valtellina 27 mammiferi (non con- tando il lupo e la lince recentemente scomparsi), 185 uccelli, 11 rettili, 8 anfibii e 16 pesci. L’esame di questo elenco, per quanto incompleto, ci permette di ricavare alcune conclusioni intorno al carattere particolare della fauna, valtellinese. Esso ci viene fornito: I.° dalla scarsità degli animali, special- mente uccelli, di pianura o più propriamente di palude; II.° dal fatto che, pochi eccettuati, gli uccelli acquatici, stazionarii in- vernali nelle altre provincie di Lombardia, sono in Valtellina solamente di passo od erranti; III.° dalla presenza o frequenza di forme proprie alla fauna montana od alpina, altrove man- canti o più rare. Queste sarebbero: Ursus arctos, Martes abietum, Foetorius ermineus, Arctomys marmota, Lepus variabilis, Capella rupicapra tra i mammiferi; fra gli uccelli Gyps fulvus, Aquila chrysaétos, Picus martius, Cypselus melba, Lophophanes cristatus, Tichodroma muraria, Cinclus merula, Accentor collaris, Merula torquata, Montifrin- gUla nivalis, Pyrrhula europaea, Loxia curvirostra, Pyrrhocorax alpinus, P. graculus, Nucifraga caryocatactes, Lagopus mutus, Tetrao tetrix, Bonasia betulina; fra i batraci il Triton alpe- stris, fra i pesci il Salmo fario. Sondrio, addì 20 Novembre 1887. FORAMINIFERI DELLE MARNE PLIOCENICHE DI SAVONA. Memoria del socio Dott. ERNESTO MARIANI (con una tavola) Le marne azzurrognole e le argille sovrastanti plioceniche che formano la massima parte del suolo della città di Savona, e che si spingono molto a sud al di là di Zinola, * hanno somma im- portanza dal punto di vista paleontologico, non solo per la ricca fauna a molluschi, ma per quella pure ricca a foraminiferi. È in questa breve memoria che presento le prime mie ricerche in- torno a questa piccola fauna a Rizopodi. All’egregio dottor S. Squinabol, che colla squisita sua genti- lezza mi inviava fin dallo scorso ottobre un tubetto di forami- niferi ottenuti dal lavaggio della marna dei dintorni di Savona, mando i miei più vivi ringraziamenti. I foraminiferi delle marne di Savona si distinguono in gene- rale per le loro piccole dimensioni, per la delicatezza e sotti- gliezza del loro guscio e per là loro perfetta conservazione. Te- nuto calcolo di questi caratteri precipui, come pure della grande abbondanza di minute Globigerine e della concomitanza di nu- merose Pulvinuline, si può con sicurezza stabilire come quelle 1 A. Isset, Contributo alla geologia ligustica (Boll. R. Comit. Geol. d’Italia, 1386). 99 E. MARIANI, [2] marne vennero a depositarsi in un mare profondo. Vediamo in- fatti come la famiglia Miliolidae, che generalmente preferisce le acque basse, è non solo scarsamente rappresentata — due ge- neri (Biloculina, Spiroloculina) con poche specie — ma si trova sempre in minuti esemplari, come quelli che pur si rinvengono a rilevanti profondità marine. Anche le Lagene, foraminiferi sì di spiaggia che di mare profondo, sono largamente rappresen- tate da piccoli e delicati individui; così dicasi in riguardo alle numerose Nodosarie, alle Marginuline, alle poche Cristellarie, ecc., che sempre si trovano in forme tali da provare essere vissuti in acque profonde. Lo stesso si osserva nella famiglia Textularidae, rappresentata da poche specie (7), i di cui individui non si pre- sentano con quei caratteri proprii ai foraminiferi di spiaggia. Fra le 72 specie finora determinate, oltre a parecchie varietà morfologiche (Bewoculina larvata, Reuss, var. ventricosa; Textu- laria abbreviata, d’ Orbigny, var. tubulosa; -Bolivina beyrichi, Reuss, var. lobata; Bolivina aenariensis, Costa, var. valdecostata), ve ne sono 4 che io ritengo nuove (Frondicularia Zinolae; Mar- ginulina dentaliniformis; Marginulina marginata; Uvigerina un- cinata). In generale le altre specie sono comuni sì ai depositi del miocene medio e superiore che del pliocene più noti, come quelli dei dintorni di Girgenti, di Licodia-Eubea nella provincia di Catania, di parecchie località nella provincia di Reggio-Ca- labria, del colle del Quirinale e del Vaticano, e di molte altre che verrò man mano accennando nel testo. Parecchie specie si trovano anche negli strati più antichi, pure non essendovene alcuna esclusiva ad essi (Bulimina pyrula; Bulimina buchiana; Bolivina Lbeyrichi; Lagena striata; Lagena sulcata; Lagena hi- spida; Lagena hexagona; Lagena laevis; Lagena globosa; Nodo- saria roemeri; Cristellaria hauerina ; Cristellaria semiimpressa; Sagrina striata; Globigerina bulloides; Rotalia soldamii; Nonio- nina boueana); altre all'incontro non si trovano se non in ter- reni pliocenici o più recenti [Spiroloculina tenuis; Textularia agglutinans; Bulimina inflata; Lagena castrensis; Lagena cre- nata; Nodosaria papillosa; Frondicularia inaequalis; Pulvinu- [3] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 93 lina oblonga (?) ]: quasi tutte poi (54) sono viventi nei mari attuali, più o meno modificate. Osservo che la Cristellaria la- tifrons Brady, specie vivente, finora non conosciuta allo stato fos- sile, si trova con leggerissime modificazioni nella marna di Sa- vona. Da tutto ciò io credo che si possa con sicurezza affermare come questi foraminiferi delle marne di Savona vissero in sul principio del Pliocene, in un mare che certo doveva raggiungere ragguardevoli profondità. Biloculina d’ Orbigny. 1. BILOCULINA DEPRESSA, d’Orbigny. D'Orbigny, .1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 298, N..7; Modelli N. 91. — Jones, Parker e Brady, 1866, Foram. Crag., p. 6, pl. III, f. 29, 30. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 145, Dee, 15-17; pl. IIL f. 1,2. Il Brady forma colla B. carinata d’Orb., colla B. lunula d’Orb., colla B. amphiconica, Reuss * una sola specie colla B. de- pressa, avendo esse ugualmente un contorno compresso e un sottil margine periferico. Pochi sono gli esemplari di Savona; da riferirsi a quelli del bacino di Vienna (Biloculina lunula, d Orb.). Fossile dal tortoniano in poi nella provincia di Reggio Ca- labria (Seguenza); ° nel tortoniano di Montegibbio (Doderlein); * frequente nel piacentino del Tiepido, di Fossetta e di Solignano nel Modenese (Coppi). ‘ E tuttora vivente. 1 Reuss, Newe Foraminiferen aus den Schichten des Usterrechischen Tertiùrbeckens. — Denkschr. d. math.-naturw. KI. d. k. Akad. Wiss. Wien, 1849, vol. I, p. 882, SXIIC.,5 ? G. Seguenza, Le formaz. terz. nella prov. di Reggio in Calabria. (Atti R. Accad. dei Lincei, ser. 3, vol. IV, 1880). ® P. DopERLEIN, Cenni geologici intorno la giacitura dei terreni mioc. sup. dell’ It. Cent. (Atti del X Congresso degli Scienziati Italiani tenuto in Siena 1862). 4 F. Coppi, Paleontologia Modenese, 1881, p. 133. 94 E. MARIANI, [4] 2. BILOCULINA LARVATA, Reuss, var. VENTRICOSA, mihi (tavad ft 00 Reuss, 1867, Fossile Fauna von Wieliczka (Sitz. d. k. Akad. di Wissu.Wien,pi70,494106 30 Piccolissimo esemplare; l’ultima camera larga, quasi circolare con orlo rotondeggiante, si prolunga verso l’ estremità boccale in corto e stretto collo; la penultima camera invece è molto più piccola, piriforme, ristretta in basso, larga e pressochè globosa in alto; essa è posta nel mezzo della parte anteriore dell’ul- tima camera, cosicchè rimane libero un orlo marginale piano. bi L'apertura boccale è piccola, con una breve linguetta. 3. BILOCULINA BULLOIDES, d’Orbigny, var. TRUNCATA, Reuss., Reuss., 1867, Fos. Fauna von Wieliczka, ecc., p. 68, t. II, f. 1. Rarissima. Questa varietà di Wieliczka venne trovata in Italia nell’argilla tortoniana di Benestare in prov. di Reggio Calabria (Seguenza). Spiroloculina, d’Orbigny. 4. SPIROLOCULINA CANALICULATA, d’Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 269, t. XVI, f.. 10-12. Rari esemplari, mal conservati. Fossile dal Tortoniano in poi nella prov. di Reggio-Calabria (Seguenza); nel tabiano della Tagliata e nel piacentino di Soli- gnano, Grizzaga, Munara (Coppi); nella marna pliocenica del Ponticello di Savena nel Bolognese (Fornasini). * 1 C. FornasinI, Nota preliminare sui Foraminiferi della marna pliocenica del Pon ticello di Savena nel Bolognese (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. II, Roma, 1883). [5] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 99 5. SPIROLOCULINA cfr. TENUIS, Czjzek sp. Quinqueloculina tenuis, Czizek, 1847, Haidinger's Abhandl., Vol. II, p. 149, t. XIII, f. 31-34. — Reuss., 1849, Neue Foram. aus den Schic. d. òster. Terticir., Denk. d. k, Akad. Wiss. Wien., vol. I, p. 385, pl. I, f. 8, a, d, c. — Spiroloculina tenuis, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 152, pl. X, f. 7-11. Un solo piccolo esemplare, mal conservato. Trovata fossile nelle marne astiane di Riace e dei dintorni di Reggio in Calabria (Seguenza). Vive abbondante nel Pacifico; le piccole forme si trovano anche a considerevoli profondità. Textularia, Defrance. 6. TEXTULARIA AGGLUTINANS, d’ Orbigny. ! b'iOrbieny;' 1539, Foram: Cuba, p:136, t. I, °f. 17, 18, 32-34. — Seguenza, 1862, Prime ricerche intorno ai Rizopodi fossili delle argille pleistoceniche dei dintorni di Catania (Atti Accad. Gioenia, vol. XVIII, p. 122, t. II, f. 4). — Moebius, 1880, Foram. von Mauritius, p. 93, t. IX, f. 1-8. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 363, pl. XLIII, f. 1-3; var. f. 4, 12. Pochi esemplari simili a quelli descritti dal Seguenza (loc. cit.). In Italia si trova abbastanza comune nel pliocene del Senese (Silvestri); nel zancleano in poi nella provincia di Reggio in Ca- labria (Seguenza). . Vive a diverse profondità in quasi tutti i mari. 1 Vedansi le seguenti note del dottor Fornasini: C. FornasINI, Intorno ai caratteri esterni delle textularie (con tavola). — Indice delle textularie italiane (con tavola). — Sulle textularie « Abbreviate > (coni tavola) (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. VI, Roma, 1887). 96 E. MARIANI, [6] 7. TEXTULARIA ABBREVIATA, d’ Orbigny, var. TUBULOSA mihi. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 249, t. XV, f. 9-12. — Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 68, t. I, f. 23. Individui di poche loggie, le ultime due molto più grandi delle altre e convesse; l’apertura, quasi rotonda, si trova all’ e- stremità di un breve e corto collo nell’angolo interno dell’ul- tima loggia, come si nota in alcune specie del genere Gaudryina. Bigerina, d’ Orbigny. 8. BIGERINA NODOSARIA, d’Orbigny. D’Orbigny, 1826, Tadl. Mét., pl. XI, f. 9-12. — Bigerina agglutinans, d’ Orbigny, Foram. Vienne, p. 238, t. XIV, f. 8-10. — D. torulosa, B. anulata, B. bifida, Costa, 1856, Paleont. Re- gno di Napoli, pag. 284, ecc., t. XV, f. 12,13; t. XXIII, f. 1. — B. nodosaria, Terrigi, 1880, Fauna vatic. a For., p. 70, t. II, f. 28. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 369, pl. XLIV, f. 14-18. Abbastanza comune; in tutti gli esemplari le camere supe- riori uniseriali sono in numero di 4; non in tutti osservasi il prolungamento tubiforme sulla camera terminale. — A questa specie si deve riferire la Clavulina elegans del Karrer (Novara Esxped., geol.,; Theil, vol. I, p.. 80, ts XVI, f. 11). Fossile dal Miocene in poi; in Italia venne trovata nello zan- cleano e nel pliocene della provincia di Reggio Calabria (Se- guenza); nelle sabbie plioceniche vaticane (Terrigi) ecc. Vive nel Mediterraneo, nell'Adriatico, nel Pacifico, e più co- munemente nell'Atlantico nord. [7] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 97 Verneuilina, d’ Orbigny. 9. VERNEUILINA SPINULOSA, Reuss. Reuss., 1849, Denkschr. d. k. Akad. Wiss., Wien, vol. I, p. 347, t. XLVII, f. 12 a-c. — PVerneuilina spinosissima, Costa, 1856, Paleontologia del Regno di Napoli (Atti Accad. Pont., vol. VII, p. 263, t. XXIII, f. 5, A. B). — V. spinulosa, Egger, 1857, Die For. d. Mioc. Sch. ber Ortenburg in Nieder-Bayern (Neues Jahrb. f. Min. ecc., p. 292, t. IX, f. 17, 18). — Brady, 18,10,, Ann... and. Mag. Nat. -Hist., ser. IV, vol. VI, p. 301, pl. XII, f. 6, a-c. — Terrigi, 1880, Fauna Vaticana a Foram., p. 70, t. II, f. 29. — Terrigi, 1883, 20 colle Quirinale, p. 189. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 384, pl. XLVII, f. 1-3. Abbastanza comune; esemplari tricarinati armati di punte di- rette verso l’estremità aborale; larghi fori su tutto il guscio. Assomigliano perfettamente agli individui viventi. Si trova fossile specialmente nel terziario superiore (Costa, Brady, Vanden Broeck, Reuss, Egger, ecc.); trovasi nelle sabbie e nelle argille astiane dei dintorni di Girgenti (Schwager);* rara nelle sabbie Vaticane; non rara nelle marne del Quirinale (Ter- rigi). Vive tuttora nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nel Pacifico; è rara nell'Atlantico. Bulimina, d’ Orbigny. 10. BuLiwina PyRULA, d’Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 184, t. XI, f. 9, 10. — Guttulina prunella, G. mutabilis, Costa, 1856, Palcont. Eegno 1 E. StòHR, Il terreno pliocenico dei dintorni di Girgenti (Boll. R. Comit. Geol. d’Italia, vol. II, 1876, p. 451). — C. ScawAGER, Quadro del proposto sistema di clas- sificazione dei Foraminiferi con guscio (Boll. R. Comit. Geol., vol. 1877, p. 18, fig. 66). Vol XXXI 7 98 E. MARIANI, [8] di Napoli, pag. 274, 275, t. XII, f. 32, 33; t, XVIII, f. 1-3. — Bulimina pyrula, Brady, Foram. Chall., p. 399, pl. L, f. 7-10. Poco comune; esemplari ovali, corrispondono perfettamente a quelli del bacino di Vienna. In alcuni si notano alcuni brevis- simi aculei nella parte posteriore, come osservò il Seguenza, * in molti esemplari nell’ argilla tortoniana di Benestare nella provincia di Reggio in Calabria. Fossile fin dal Trias. In Italia si trova abbastanza comune dal tortoniano in poi nella provincia di Reggio Calabria (Se- guenza); nel messiniano dei dintorni di Girgenti (Stòhr). ? Vive tuttora nel Mediterraneo, nell’ Oceano Indiano, nel- l'Atlantico e nel Pacifico; è specialmente abbondante nell’Atlan- tico nord. 11. BuULIMINA PUPOIDES, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 185, t. XI, f. 11, 12. — Terrigi, 1880; Fauna Vatic. a Foram., p. 71, t. II, f. 30-34. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 400, pl. L, f. 15, a, d. Abbastanza comuni gli individui con piccoli e serrati segmenti, molto rigonfi; alcuni sono alquanto regolarmente ovati; altri fusiformi, allungati: variazioni queste di poco valore, non suffi- cienti per stabilire nuove specie. Osservo che in alcuni esem- plari di Zinola si trovano numerosi tubercoletti irregolarmente sparsi sulle prime piccole e globose camere. — Il Brady con- sidera la £. ovata, la B. affinis d’ Orb., come semplici varietà della B. pupoides. Fossile comune nei terreni neogenici: in Italia si trova nel tufo tortoniano di Stretto e nei trubi messiniani presso Girgenti (St6hr); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna 1 G. SEGUENZA, Le formaz. terz. nella prov. di Reggio-Calabria, 1880, p. 147. ° E. StòHR, Sulla posizione geologica del tufo e del tripoli nella zona solfifera di Stcilia (Boll. R. Comit. Geol. d’Italia, vol. IX, 1878, pag. 498). he O ae re LA tim [9] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 99 (Mariani); * frequente dal tortoniano in poi (Bulimina ovata d’Orb.) nella provincia di Reggio-Calabria (Seguenza); comune nelle sabbie plioceniche Vaticane; raro nelle marne del Quiri- nale (Terrigi); rara nell’astiano di Savignano (Coppi). Vive nell'Oceano Indiano, nell’Atlantico e nel Pacifico. 12. BULIMINA ACULEATA, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 269. N. 7. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 406, pl. LI, f. 7-9. Piccoli individui, molto globosi; gli aculei che si trovano sulle ultime loggie, sono sottili e corti; le altre camere sono perfetta- mente liscie. Si trova fossile nel Neogene superiore in parecchie località della prov. di Reggio in Calabria (Seguenza); frequente nel- l’astiano di Savignano (Coppi); frequentissima nella marna plio- cenica del Ponticello di Savena nel Bolognese (Fornasini). Vive tuttora nell'Atlantico e nel Pacifico. 13. BULIMINA BUCHIANA, d’Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 186, t. XI, f. 15-18. — Terrigi, 1880, Fauna Vaticana a Foram., p. 73, t. II, f. 37. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 407, pl. LI, f. 18, 19. Comune; di forma allungata, finamente punteggiati, ornati all'apice da sottilissime e serrate strie longitudinali. Fossile dall’eocene in poi; nel tortoniano di Montegibbio (Coppi); in provincia di Reggio-Calabria trovasi abbastanza frequente nel miocene medio come nel pliocene (Seguenza); abbondante nelle sabbie plioceniche vaticane (Terrigi); comunissima nelle marne tortoniane di Licodia-Eubea in prov. di Catania (Cafici); * nel ® MARIANI E ParoNA, Fossili tortoniani di Capo S. Marco in Sardegna (Boll. Soc. di Sc. Nat., Milano, 1887). ? I. Carici, La Formaz. Mioc. nel terr. di Licodia-Eubea (prov. di Catania) (Atti dell’Acc. dei Lincei. Roma, serie III, vol. XIV, 1882). 100 E. MARIANI, [10] tufo tortoniano di Stretto e nei trubi messiniani presso Girgenti (Stohr). Vive tuttora nell’Atlantico; è rara nel Pacifico sud, non fu trovata nel Pacifico nord. 14. BULIMINA INFLATA, Seguenza. Seguenza, 1862, Prime ricerche intorno ai Rizopodi fossili delle argille pleist. dei dint. di Catania (Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat., vol. XVIII, ser., 2, p. 107, t. I, f. 10). — Schwager, 1866, No- vara-Exped., geol., Theil, vol. II, p. 246, t. VII, f. 91. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 406, pl. LI, f. 10-13. Moltissimi esemplari, che corrispondono perfettamente a quelli descritti e figurati dal Seguenza (loc. cit.). Questa specie forma un anello di congiunzione fra le forme spinose di Bulimina acu- leata e quelle costate di Bulimina buchiana. Fossile nelle sabbie astiane presso Girgenti (Schwager); nelle argille di Catania a Cattira, Aci Castello, Aci Trezza (Seguenza). È tuttora vivente. Virgulina, d’ Orbigny. 15. VIRGULINA SCHREIBERSIANA, Czjzek. Czjzek, 1847, Beit. 2. Ken. d. f. Foram. d. Wiener Beckens (Haiding. Natur. Abhandl., vol. II, p. 147, t. XIII, f. 18-21). — Reuss, 1867, Foss. Fauna von Wieliczka, ecc., p. 96, t. IV, f. 4, 5. — Terrigi, 1880, Fauna a For. Vaticana, p. 74, t. II, f. 38, 39. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 414, pl. LII, ig Parecchi esemplari ben conservati. Fossile dal miocene inferiore in poi; in Italia si trova gene- ralmente negli strati del neogene superiore; così nel tortoniano e zancleano di Calabria (Seguenza); nelle sabbie vaticane e nelle [11] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 101 marne del Quirinale (Terrigi); nelle marne tortoniane di Capo 5. Marco in Sardegna (Mariani); nelle sabbie giallastre plioce- niche di Tronconero (Mariani); ' venne anche trovata nelle are- narie tongriane di Lama-Mocogno (Malagoli). ? Vive nel Mediterraneo, nel mar Rosso, nell'Oceano Indiano, nell'Atlantico e nel Pacifico. Bolivina, d’ Orbigny. 16. BOLIVINA AENARIENSIS, Costa, sp. var. VALDECOSTATA, mihi (tav. I, fig. 2). Brizalina aenariensis, Costa, 1856, Paleont. del R. di Napoli (Atti Acc. Pont., vol. VII, p. 297, pl. XV, f. 1, 4, B). — Bo- livina aenariensis, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 423, pl. LIII, onit Pochi esemplari. Una carena sottile, larga e intiera cinge tutto attorno la conchiglia; delicate coste, per lo più in numero di 6, l’ornano trasversalmente, divergendo dalla prima piccola loggia, alcune di esse arrivano quasi a metà della conchiglia. Manca costantemente la punta sulla prima loggia. Il Costa trovò questa specie nella marna quaternaria di Ca- samicciola nell’isola d’ Ischia; venne pure trovata nel tufo torto- niano di Stretto presso Girgenti (Stohr). 17. BoLIvINA PUNCTATA, d’ Orbigny. D’ Orbigny, 1839, Foram. Amer. Mérid., p. 61, t. VIII, f. 10-12. — Bolivina antiqua, d’ Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 240, t. XIV, f. 11-13. — Terrigi, 1880, Fauna Vaticana a Foram., p. 74, t. II, f. 40. — Bolivina punctata, Moebius, 1880, 1 E. MarIanI, Foram. plioc. di Tronconero presso Casteggio (Rendic. R. Istit. Lom., serie II, vol. XX, 1887). ® M. MaragoLi, Foram. delle arenarie di Lama Mocogno (Atti Soc. Nat. di Modena, ser. III, vol. III, 1887). 102 E. MARIANI, [12] Foram. von Mauritius, p. 94, t. IX, f. 9, 10. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 417, pl. LII, f. 18, 19. Abbastanza comune; gli esemplari di Savona sono perfetta- mente identici agli individui del bacino di Vienna. Il nome di Bolivina antiqua è stato adoperato più frequen- temente per gli esemplari fossili, quello di B. punctata invece per quelli viventi. È Fossile dal miocene in poi nella provincia di Reggio-Calabria (Seguenza); non rara nelle sabbie Vaticane; abbondante nelle marne del Quirinale (Terrigi); nella marna pliocenica del Pon- ticello di Savena nel Bolognese (Fornasini); nel tufo tortoniano di Stretto e nei trubi messiniani presso Girgenti (St6hr); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). Vive tuttora, ed è una specie cosmopolita: si trova infatti nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nell’ Oceano Indiano, nel- l'Atlantico, nel Pacifico, nell’ Oceano Artico. 18. BoLIviNA BEYRICHI, Reuss. ‘ Reuss, 1851, Zeitschr. d. deuts. geol. Gesel., vol. III, p. 83, t. VI, f. 51. — Terrigi, 1880, Fauna Vaticana a Foramimiferi, p. 76, t. II, f. 44. — Brady, 1884, Foram. Chall. p. 422, pl. LIII, £. 11. Pochi esemplari; in generale più dilatati alla base, quindi as- sal meno lanceolati; non sono carenati: più che ai viventi ras- somigliano agli individui delle sabbie vaticane (loc. cit.). — Tra gli esemplari delle marne di Savona ve ne sono alcuni i quali, oltre essere più larghi hanno un maggior numero di loggie as- sal meno oblique, e lobate nell’angolo interno verso l’apice della conchiglia. Nella qui unita tavola raffiguro uno di questi indi- vidui (Bolivina beyrichi, Reuss, var. lobata; tav. I, f. 3). Fossile dall’ Oligocene (Reuss, Hantken) ' in poi. È tuttora vivente. ! Von HantkEN M., Die Fauna der Clavulina Szabéi Schichten, I Theil-Foramini- feren (Jahrb. d. k. Ungar. geol. Anstalt. Budapest, vol. IV, p. 64, t. VII, f. 11). [13] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 103 Cassidulina, d’ Orbigny. 19. CASSIDULINA LAEVIGATA, d’ Orbigny. MSOrbieny,. 1826, Ann. Sc: ..Nat.,, vol. VII, p. 282, t. XV, f. 4 5; Modèles, N. 41. — Cassidulina punctata, Reuss, 1849, Denk. d. k. Akad. Wiss. Wien., vol. I, p. 367, t. XLVIII, f. 4 a-b. — C. sicula, Seguenza, 1862, Prime ric. intorno ai Rizop. foss. ecc., p. 27, t. I, f. 7, 7°. — C. laevigata, Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a For., p. 77, t. II, f. 47. —- Brady, 1884, Foram. Chall., p. 428, pl. LIV, f. 1-3. Molto frequente in esemplari pressochè circolari nel contorno; in alcuni la carena non circonda intieramente la conchiglia. Si trova fossile solo nei terreni terziari; così in Italia è ab- bastanza comune nelle sabbie astiane dei dintorni di Girgenti (Schwager); nel postpliocene dei dintorni di Catania (Seguenza); nelle argille plioceniche e del postpliocene inferiore dei dintorni di Reggio in Calabria (Seguenza); nelle sabbie Vaticane e nelle marne pur plioceniche del Quirinale (Terrigi). Vive tuttora abbondantemente e anche a grandi profondità nei mari del Nord; man mano che si accosta all’ Equatore di- venta non solo sempre pìù rara, ma si trova solamente a pic- cole profondità. 20. CASSIDULINA BRADYI, Norman. Brady, 1884, Foram. Chall., p. 431, pl. LIV, f. 6-10. Un sol esemplare reniforme, quasi identico all’ esemplare raf- figurato dal Brady nell’op. cit. alla fig. 6; ne differisce solo per avere le ultime due loggie più grandi. Vive anche a grandi profondità nell'Atlantico e nel Pabifico. 104 E. MARIANI, [14] Lagena, Walker e Boys. 21. LAGENA STRIATA, d’Orb. sp. Oolina striata, d' Orbigny, 1839. Foram. Amér. Merid., p. 21, t. V, f. 12. — Lagena striata, Jones, Parker e Brady, 1866, Monogr. Foram. Crag, p. 35, pl. I, fig. 38-40. — Terrigi, 1880, Fauna Vaticana a Foram., p. 55, tav. I, fig. 5. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 460, pl. LVII, f. 19, 22, 24, 28-30. Un solo esemplare di forma allungata; il lungo collo è ornato da una delicata e serrata spira; la superficie è coperta da fine strie parallele e longitudinali; alla base sonvi alcune brevi ap- pendici, come in un esemplare disegnato dal Brady nell’op. cit. (pie BVIETf-297. Fossile dall’ Oligocene (Reuss, Schlicht) in poi. In Italia si riscontra abbondantemente fossile nei terreni neo- genici; come, p. es., nella marna pliocenica di Val di Savena nel Bolognese (Fornasini); * nel pliocene del Senese (Jones, Parker e Brady); nella sabbia gialla vaticana (Terrigi); in molte loca- lità della provincia di Reggio in Calabria, dal tortoniano fino alle sabbie quaternarie (Seguenza); nell’ argilla giallastra plio- cenica presso Lecce (Fornasini); ? nella marna pliocenica di Ro- metta nel Messinese (Seguenza); nel tufo di Stretto presso Gir- genti (St6hr); nella marna bleuastra tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). È tuttora vivente. 22. LAGENA suLcatA, Walker e Jacob sp. Serpula sulcata, Walker e Jacob, 1798, Adams’ s Essays Kan- macher' s Ed., p. 634, t. XIV, f. 5. — Lagena sulcata, Brady, 1 C. FornasINI, Nota preliminare sui foraminiferi della marna pliocenica del Pon- ticello di Savena nel Bolognese (Boll. Soc. Geol. Ital, vol. II, p. 176, Roma, 1883) ? C. FornasINI, Lagene fossili nell’ argilla giallastra di San Pietro in Lama presso Lecce (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. IV, Roma, 1885). [15] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 105 1884, Foram. Chall., p. 462, pl. LVII, f. 23, 26, 33, 34; pl. LVIII, f. 4, 17, 18, ecc. Poco comune; in generale di forma ovale a collo allungato; alcuni troncati posteriormente, con poche ma grosse coste che si prolungano sul corto collo. In generale le lagene sono tra i foraminiferi che si trovano fossili fra gli strati più antichi: così questa specie insieme alla L. laevis, venne trovata in alcuni Scisti del Siluriano superiore. In Italia è comune nel terziario superiore ; così nelle marne plio- ceniche di Rometta nel Messinese, nel pliocene e postpliocene di Calabria (Seguenza); nell’argilla giallastra pliocenica presso Lecce, in quella di Val di Savena nel Bolognese (Fornasini); nelle marne plioceniche di Coroncina presso Siena (Soldani, Jones e Parker, Silvestri), ecc. ecc. A questa specie si deve riferire la Lagena coepulla dello Schwager del pliocene di Kar Nikobar. È assai diffusa nei mari attuali. 23. LAGENA CASTRENSIS, Schwager. Schwager, 1866, Novara Exped., vol Ip. 205 6: N22. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 485, pl. LX, f. 1, 2, 3 (?). Differisce solo dalla L. orbignyana — conservata dal Brady come specie a se — per l’ornamentazione a larghe fossette, sparse irregolarmente sulle faccie laterali del guscio. Finora venne trovata solo nel pliocene di Kar Nikobar (Schwager). Vive tuttora in generale a non grandi profondità. 24. LAGENA HISPIDA, Reuss. Reuss, 1863, Monographie der Lagenideen, p. 335, taf. VI, f. 77-79. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 459, pl. LVII, IDA. 106 E. MARIANI, [1 6] Due piccoli esemplari ovali, con lungo collo ornato da un rialzo a spira; uno è leggermente apiculato alla base. Fossile fin dal Lias; abbastanza comune in Italia nel pliocene e nel miocene (Costa, Seguenza). I Molto diffusa nei mari attuali. 25. LAGENA HEXAGONA, Williamson sp. Entosolenia squamosa var. hexagona, Williamson, 1848, Ann. and Mag. Nat. Hist., s. 2, vol. I, p. 20, pl. II, f. 23. — La- gena favosa, L. geometrica, Reuss, 1863, Monog. der Lagenideen, p. 334, t. V, f. 72, 73, 74. — OQvulina ornata, Seguenza, 1863, Foram. Monotal. Mess., p. 42, t. I, f. 12. — Lagena hexagona, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 472, pl. LVII, £ 3270358 Rarissima e sempre in piccolissimi esemplari. Fossile dall’ Oligocene in poi; in Italia venne trovata dal Se- guenza nel pliocene del Messinese e nel neogene di Calabria; nel pliocene presso Lecce (Fornasini); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). È poco diffusa nei mari attuali. 26. LAGENA LAEVIS, Montagu sp. Vermiculum lacve, Montagu, 1803, Test. Brit., p. 524. — Lagena laevis, Jones, Parker e Brady, 1866, Monog. For. Crag., p. 33, pl. I, f. 28. — Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 54, t. I, f. 4. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 455, pl. LVI, f, 7-14. Raro; un esemplare globulare: nella massima parte sono pi- riformi, pur avendosi varietà di forme che gradatamente fanno passaggio alla globulare. Questa specie, tuttora vivente, è assai diffusa nei terreni neo- genici, insieme alla L. striata. Il Malagoli la rinvenne nelle are- E [17] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 107 narie di Lama Mocogno nel Modenese (mioc. inf.).! Io la ri-- scontrai nella molassa del miocene superiore di Bavantore nel Tortonese. ° 27. LAGENA ORBIGNYANA, Seguenza sp. Fissurina orbignyana, Seguenza, 1862, For. Mon. Mess., p. 66, t. II, f. 25, 26. — Lagena orbignyana, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 484, pl. LIX, f. 1, 24-26. Distinguibile dalle altre forme carenate per l’ elevato margine mediano. Rarissima. Fossile dall’ Eocene in poi; in Italia venne trovata nel mio- cene della provincia di Reggio Calabria (Seguenza). Vive tuttora; raggiunge talora ragguardevoli profondità. 28. LAGENA eLoBosa, Montagu sp. Vermiculum globosum, Montagu, 1803, Test. Brit., p. 523. — Lagena globosa, Reuss, 1862, Die For. Fam. d. Lag., p. 318, t. I, f£. 1-3. — Terrigi, 1883, Il colle Quirinale, p. 170, t. II, i. 9. — Brady, 1884, For. Chall., p. 452, pl. LVII, f. 1-3. Pochi esemplari, piccoli di forma ovale; l'apertura è raggiata. Diftusissima allo stato fossile; dal Lias in poi. In Italia ab- bonda nei terreni terziari, come p. es., in provincia di Reggio- Calabria, nel Messinese (Seguenza); nell’argilla pliocenica presso Lecce (Fornasini); nella marna del Quirinale (Terrigi); in quella pur pliocenica di Val di Savena nel Bolognese (Fornasini), ecc. Tuttora vivente. 29. LAGENA cfr. CRENATA, Parker e Jones. Parker e Jones, 1865, Phil. Trans., vol. CLV, p. 420, pl. XVIII, £. 4 a-b. — Brady, 1884, Foram. Chall., p, 467, pl. LVII, f. 15, 21. 1 M. Maragoti, Foram. delle arenarie di Lama Mocogno (Atti Sc. Nat. di Modena, ser. II, vol. III, 1887). 2 E. Mariani, Descrizione dei terreni miocenici fra la Scrivia e la Staffora (Boll. Soc. Geol. Ital, vol. V, Roma, 1886). 108 E. MARIANI, [18] Un esemplare fatto a bottiglia, con lungo collo e liscio; nu- merosi e brevi solchi alla base. i Fossile nella sabbia quaternaria di Bovetto in Calabria (Se- guenza); nell’argilla giallastra pliocenica di San Pietro in Lama presso Lecce (Fornasini). | È tuttora vivente. Nodosaria, Lamarck. 30. NoposarIA HIsPIDA, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1846, Forum. Vienne, p. 35, t. I, f. 24, 25. — Neugeboren, 1852, Foram. v. Felsò-Lapugy w. Dobra in Karl. Dist. ete., Jahr. III, p. 54. — Silvestri, 1872, Nodos. foss. vw. d’ Italia, p. 80, t. IX, f. 207-228. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 507; pl LAI a Rari sono gli esemplari intieri; molte loggie separate, in al- cune delle quali il sifone che porta la bocca è fortemente ar- mato di punte curve come si osserva su tutta la conchiglia. Manca la punta sporgente della prima loggia, come per lo più si nota negli individui viventi. Le numerose varietà di questa spe- cie consistono in generale nella lunghezza degli interstizi fra le loggie e nella quantità e grossezza delle punte. È abbondante fossile nei terreni terziari recenti d’Italia (Sil- vestri, Seguenza, Coppi, Cafici, Fornasini). 31. NODOSARIA SCALARIS, Batsch sp. Nautilus (Orthoceras) scalaris, Batsch, 1791, Conchyl. d. Sees., N. 4, pl. II, f. 4 a, ©. — Nodosaria longicauda, d’ Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 254, N. 28. — N. subradi- cula, Schwager, 1866, Novara Exped., geol., Theil., vol. II p. 222, t. V, f. 50. — N. longicauda, Silvestri, 1872, Nodos. foss. viv. d’ Italia, p. 58, t. V, f. 101-127. — N. scalaris, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 510, pl. LXIII, f. 28-31. etti [19] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 109 Parecchi esemplari completi di varia forma, ornati di coste generalmente molto grosse. È copiosamente sparsa nelle argille e marne subapennine dei colli di Torino, dell’Astigiano, del Tortonese, ecc. (Silvestri); nelle marne del Quirinale (Terrigi); nella prov. di Reggio in Calabria, nella marna degli Scirpi presso Messina (Seguenza); ‘ nella marna tortoniana di Licodia-Eubea presso Catania (Cafici); nella marna pliocenica del Ponticello di Savena nel Bolognese (Fornasini), nella marna miocenica di San Rufillo (Fornasini); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). È vivente nel Mediterraneo, nell’Adriatico, nell'Atlantico e nel Pacifico. 32. NODOSARIA MONILIS, Silvestri. Silvestri, 1872, Nodos. foss. e viv. d’ Italia, p. 71, t. VIII, f. 173-189. — Nodosaria lepidula, Schwager, 1866, Novara- Bwpediipi 218, tav. Vf 27, 28. Pochi esemplari, piccoli; il numero delle loggie è quasi sem- pre set. In alcuni l’apertura dell’ ultima loggia si trova su un prolun- gamento cilindrico di essa, pure marginato. La principale varietà di questa specie è la Nodosaria glabra del d’Orbigny (Ann. Sc. Nat., VII, p. 253, N. 12) colle loggie esternamente liscie. Abbonda fossile nelle argille subapennine di tutta l’Italia (Sil- vestri, Seguenza); nel tortoniano di Montegibbio (Coppi); nella marna .miocenica di San Rufillo presso Bologna (Fornasini). ‘ Vivente nell'Adriatico. 33. NODOSARIA ASPERA, Silvestri. Silvestri 1872, Nod. foss. e viv. d’Italia, pag. 76, t. VIII, f. 191-200. 1 C. FornasINnI, Textularina e altri foraminiferi fossili nella marna miocenica di San Rufillo presso Bologna (Boll. Soc. Geol., vol. IV, Roma, 1835). 110 E. MARIANI, CM [20] Pochi esemplari in cui le loggie sono separate da corti e grossi picciuoli. Raramente si trova integra, staccandosi facilmente le loggie. La Nodosaria holoserica dello Schwager (Nov.-Exp., p. 221, t. V, f. 49) va riferita a questa specie. Comune nelle argille plioceniche di Siena; rara nelle marne degli Scirpi presso Messina (Silvestri); nel tortoniano e zan- cleano della prov. di Reggio-Calabria (Seguenza); nella marna tortoniana di Licodia-Eubea presso Catania (Cafici). Non si conosce vivente. 34. NODOSARIA PAPILLOSA, Silvestri. Silvestri, 1872, Nod. foss. e viv. d’Italia, p-SIORRSANO f. 201-206. Un solo piccolo esemplare a tre loggie; la prima quasi sfe- rica termina con un’acuta punta; l’apertura rotonda si trova all’ estremità di un lungo collo, prolungamento dell’ ultima log- gia. Questo sifone terminale è ornato da risalti simili a pic- cole verruche acuminate. Fossile nelle argille plioceniche nel territorio senese (Silvestri); nelle marne zancleane di Ardore come in quelle astiane presso Reggio in Calabria (Seguenza). Non si conosce vivente. 35. NODOSARIA coMMUNIS, d’Orbigny sp. Dentalina communis, d’ Orbigny, 1828, Ann. Sc. Nat., VII p. 254, N. 35. — N. communis, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 504, pl. LXII, fig. 19-22. Pochi esemplari con loggie molto convesse e oblique, colla prima appuntita. La bocca è raggiata. La Dentalina badenensis d’ Orb., è strettamente connessa a questa specie; la maggiore obliquità e lunghezza delle loggie, come pure l'essere in generale assai meno convesse, basta certo a farne una varietà della N. communis. Fra gli esemplari di [21] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. DIS Zinola avvene alcuni riferibili alla D. badenensis coll’ultima log- gia non molto grossa. La N. neugeboreni (Schwager, 1866, No- vara-Exped., p. 232, t. VI, f. 67) va riferita essa pure a que- sta specie. | Abbonda fossile nel miocene superiore come pure nel pliocene della provincia di Reggio in Calabria (Seguenza); è pur frequente nella marna miocenica di San Rufillo presso Bologna (Fornasini); rara nel piacentino della Fossetta; frequente nell’ astiano di Savignano nel Modenese (Coppi) e nelle marne del Quirinale (Terrigi). È tuttora vivente. 36. NODOSARIA PAUPERATA, d’Orbigny sp. Dentalina pauperata, d’ Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 46, t. I, f. 57, 58. — Brady, 1867, Proc. Som. Arch. and. Nat. Hist.aSoc., vol. XIII, p. 108, pl. I, f. 14. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 500, fig. 14. Ben distinte le suture delle ultime loggie; l’ultima di esse è piriforme coll’apertura raggiata, la prima è priva di punta. Anche questa specie è connessa alla precedente. Fossile fin dal Lias. In Italia si trova nei terreni terziari re- centi, come nelle marne tortoniane di Licodia-Eubea in prov. di Catania (Cafici). È rarissima nel piacentino della Fossetta (Coppi); nelle marne del Quirinale (Terrigi). Io ne trovai qual- che esemplare nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sar- degna. 37. NoDOSARIA cfr. ROEMERI, Neugeboren sp. Neugeboren, 1856, Die For. aus d. Ordnung d. Stichost. v. Ober-Lapugy in Sieb., p. 82, t. II, f. 13-17. — Reuss, 1870, Die For. d. Sept. v. Piet., p. 475. — Schlicht, 1870, Die For. d. Sept. v. Piet., t. X, f. 21, 22, 24. — Brady, 1884, Foram. Cooll*p.1505, pi. XIII, f. 1, 112 E. MARIANI, [22] Riferisco a questa specie una piccola ma grossa modosaria, leggermente arcuata (lunghezza quasi 2 mm.). Le loggie in nu- mero di quattro sono convesse e separate da solchi poco pro- fondi non obliqui come si osserva invece nelle forme tipiche della specie suddetta. L’ultima loggia è assai grossa, piriforme, assottigliata e un po’ curva all’apice, con apertura raggiata; la prima invece è piccola e pressochè sferica. Fossile dalla Creta (Dentalina nana, Reuss) in poi. Vive tuttora nell'Atlantico nord. 38. NODOSARIA GUTTIFERA, d’ Orbigny sp. Dentalina guttifera, d’ Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 49, EEA. | Frammenti; loggie piriformi unite fra loro da lungo picciuolo. Fossile dal tortoniano in poi nella provincia di Reggio in Ca- labria (Seguenza); frequente nell’astiano di Savignano (Coppi). Frondicularia, Defrance. 39. FRONDICULARIA INAEQUALIS, Costa. Costa, 1855, Foram. foss. delle marne, ecc. ecc., vol. II, p. 372, t. III, f. 3. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 521, pi LXVI, È, 8-12. Pochi esemplari mal conservati. La Frondicularia whaingaroica dello Stache e la F. foliacea dello Schwager sono semplici modificazioni individuali di questa specie, illustrata pel primo dal Costa. In Italia venne trovata fossile in parecchie località, come p. es., nel pliocene antico di Messina (Costa); nelle marne zancleane di Gerace e di Ardore in Calabria (Seguenza). E tuttora vivente. [23] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 113 40. FRONDICULARIA ZINoLAE, Mariani (tav. I, fig. 4). Massima larghezza = 600 micromillimetri. Massima lunghezza = 1200 te) Conchiglia assai compressa, di forma pressochè romboidale; loggia embrionale sferica, le loggie seguenti, che vieppiù vanno allargandosi man mano che si distaccano dalla prima, terminano esternamente con una punta rivolta verso il centro della con- chiglia. Suture profonde. Una lamina stretta e trasparente cir- conda l’ultima loggia. Superficie liscia. P Marginulina, d’ Orbigny. 41. Marginulina dentaliniformis, Mariani (tav. I, f. 45, a, d). Piccola specie (lunghezza circa millim. 1 e 4/2), che si avvi- cina alle nodosarie curve. L’ultima loggia ovale è grossa, la penultima è più piccola, in alcuni individui è sferica, in altri è schiacciata e alquanto obliqua; le altre loggie man mano che si avvicinano all’ estremità diventano più oblique schiacciandosi maggiormente e la conchiglia risulta più o meno incurvata. L’apertura è rotonda, si trova all’ estremità di uno stretto pro- lungamento dell’ultima loggia, il quale è ornato all’intorno da risalti spirali. Tutti sono minutamente granulati, limitandosi però le gra- nulazioni alle ultime loggie; in altri alle granulazioni si aggiun- gono dei brevi aculei. 42. MARGINULINA MARGINATA, Mariani (tav. I, fig. 6, a, d, 0). Diametro longitudinale = 950 maicromillimetri ; orizzontale = 400 3 Piccola specie granulosa, formata da 4 loggie disposte su una linea retta. Le loggie più larghe che alte, arrotondate, sono separate da suture alquanto incavate; la prima loggia subglo- bulare, l’ultima invece compressa, quasi piriforme, prolungantesi Vol XXXI 8 114 E. MARIANI, [24]. in un grosso rostro convesso alla estremità. Apertura grande, raggiata, circondata da un margine. Coste alquanto rilevate, in numero da 8 a 10, ornano longitudinalmente le prime tre log- gie, l’ultima invece è semplicemente granulosa. Alcune coste nella prima loggia terminano in punta verso il margine esterno. Una lamina trasparente più o meno larga circonda in senso longitudinale tutta la conchiglietta dalla base del rostro all’e- stremità opposta ove termina cuspidata. 43. MARGINULINA GLABRA, d’ Orbigny. D’ Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 259, N. 6. — M., pedum, d’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 68, t. III, fig. 13, 14. —- MM. simulis, d’ Orbigny, Ibid, p. 69, t. II, f. 15, 16. — Cristellaria articulata, Seguenza, 1880, Le form. terz. di Reggio-Calabria, p. 140, t. XIII, f. 10, 10a. — Marginulina gla- bra, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 527, pl. LXV, f. 5, 6. È una marginulina dentaliniforme assai variabile sia nella obliquità, convessità e grandezza rispettiva delle loggie, che nella forma e posizione dell'apertura. Fossile dal Lias in poi; in Italia si trova frequentemente nei terreni terziari recenti; così p. es., nel tortoniano e nel plio- cene di Reggio-Calabria (Seguenza); nella marna tortoniana di San Rufillo presso Bologna (Fornasini), ecc. Vive tuttora nel Mediterraneo, nell'Atlantico e nel Pacifico, per lo più a grandi profondità. Vaginulina, d’ Orbigny. 44, Vaginulina cfr. badenensis, d’ Orbigny. D'Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 65, t. III, f. 6-8. Un piccolo esemplare, leggermente arcuato, di poche loggie, trasverse, oblique; l’ultima più grande delle altre è superior- mente convessa, mentre la prima è piccola e termina con una lunga punta. [25] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 115 Fossile nella molassa langhiana di Stilo (?), nelle marne zan- cleane di Ardore e Gerace in prov. di Reggio-Calabria (Se- guenza). Cristellaria, Lamarck. 45. CRISTELLARIA VARIABILIS, Reuss. Reuss, 1849, Neue For. aus. d. Sch. d. òster. tertiéir., Wien, p. 369, t. XLVI, f. 15, 16. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 541, pl. LXVIII, f. 11-16. Abbastanza comune; per lo più in esemplari giovani, quindi di forma orbiculare. Gli individui adulti alquanto differenti dai giovani vennero dal Reuss (op. cit.) descritti come una specie a sè. Fossile nel miocene di Baden presso Vienna (Reuss); nell’ar- gilla pliocenica di Kar Nikobar (Cristellaria peregrina, Schwager). Vive tuttora nell'Atlantico e nel Pacifico. 46, CRISTELLARIA TRIANGULARIS, d’ Orbigny sp. Marginulina triangularis, d° Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 71, t. III, f. 22, 23. Pochissimi esemplari, nei quali l’ apertura boccale invece d’ es- sere rotonda è raggiata. Fossile nelle marne zancleane di Gerace e di Ardore in pro- vincia di Reggio in Calabria (Seguenza). Non-si conosce vivente. 47. CRISTELLARIA LATIFRONS, Brady. Brady, 1884, Foram. Chall., p. 544, pl. CXHI, f. 11 a, 0. Pochi esemplari, ben conservati; in generale sono alquanto più larghi per avere l’ultima loggia più rigonfia; nel resto cor- rispondono esattamente alla descrizione data dal Brady. 116 E. MARIANI, [26]. La Cristellaria arcuata d° Orb. del bacino di Vienna, come pure la C. acutauricularis Fic. e Moll., sono quelle specie che più si avvicinano per la forma generale a questa vivente, la quale, secondo la descrizione del Brady (loc. cit.) si distingue da esse per la fronte larga, per le camere allungate strette e su- berette, e per la carena che, più o meno sviluppata, si trova sui tre angoli salienti della conchiglia. Venne trovata sulle coste della Nuova Zelanda, dell’ Islanda e delle Indie Occidentali. 48. CRISTELLARIA HAUERINA, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 84, t. 3, Î. 24, 25. — Reuss, 1866, Die For. Anth. und Bry. d. deut. Sept. (Sitz. d. kais. Akad. d. Wissen., Wien, p. 140, t. 3, f. 2-4). Rarissima. Fossile fin dall’ Oligocene (Reuss). Non si conosce vivente. 49. CRISTELLARIA CONFUSA Seguenza sp. Robulina confusa, Seguenza, 1880, Le formaz. terz. nella prov. di Reggio (Calabria), p. 142, t. XIII, f. 21, 21a. Piccoli esemplari; assai rara. Le loggie convesse sono sepa- rate da curve suture che mettono capo a un piccolo disco cen- trale quasi rotondo. Fossile nell’argilla tortoniana di Benestare in Calabria (Se- guenza). 50. CRISTELLARIA SEMIIMPRESSA, Reuss? Reuss, 1866, Die Foram. Anth. und Bry. d. deut. Septar. ecc., I CREATE AIA Alcuni esemplari da distaccarsi molto probabilmente dalla spe- cie precedente per avere le loggie meno convesse e le suture diritte o leggermente flessuose. Fossile nell’argilla tortoniana di Benestare in Calabria (Ro- bulina semiimpressa) (Seguenza). [27] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 117 Polymorphina, d’ Orbigny. 51. POLYMORPHINA GIBBA, d’Orbigny sp. Globulina gibba, d’ Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat. vol. VII, n. 266, N. 20, Mod., N. 63. — D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 227, t. XIII, f. 13, 14. — G. punctata, d’Orbigny, Ibid, p. 229, t. XIII, f. 17, 18. — Polymorphina gibba, Brady, Parker e Jones, 1870, Trans. Linn. Sc. Lond., vol. XXVII, p. 216, pl. XXXIX, f, 2, a-d. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 561, pIACSEXT £ 12,14, :0. Piccoli esemplari, globulari, ornati di minuta punteggiatura. Tre evidenti segmenti, le cui suture non sono depresse. Fossile dal Lias in poi. Dal miocene medio al pliocene supe- riore nella prov. di Reggio-Calabria (Seguenza); nel tufo tor- toniano di Stretto e nel pliocene presso Girgenti {Stòhr); nel piacentino della Fossetta e Grizzaga (Coppi). È tuttora vivente. Uvigerina, d’ Orbigny. 52. UVIGERINA CANARIENSIS, d’ Orbigny. D’ Orbigny, 1839, Foram. Canaries, p. 138, t. I, f. 25. 27. — Uvigerina urnula, d' Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 189, t. XI, f. 21, 22. — U. canariensis, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 573, pl. LXXIV, f. 1-3. Piccolissimi individui; le loggie, minutamente punteggiate, se- misfercidali, separate quindi da suture rotonde, non presentano traccia di costicine come negli individui del bacino di Vienna. Sono invece del tutto identici a quelli del pliocene di Kar Ni- kobar (Uvigerina proboscidea, Schwager). * Fossile dall’ Oligocene (Hantken)? in poi. Nel tortoniano e nello zancleano di Calabria (Seguenza). È tuttora vivente. 1 Scawaeer, Novara-Exped., geol., Theil., 1866, vol. II, p. 250, t. VII. f. 96. ? HantKENn, Die Fauna der Clavulina Szabbi Schichten, 1, Theil. — Foraminiferen (Jahrb. d. k. Ung. geol, Anstalt. Budapest, vol. IV, p. 62, t. VII, f. 6. — Uvigerina farinosa). 118 E. MARIANI, [28] i 53. UVIGERINA PYGMAEA, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat. vol. VII, p. 269, t. XII, f. 8,9. Modéles, N. 67. — D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 190, t. XI, f. 25, 26. — Uvigerina semiornata, d’ Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 189, t. XI, f. 23, 24. — U. pygmaea, Ter- rigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 62, t. I, f. 14, 15. —. Terrigi, 1883, 12 Colle Quirinale, p. 184, t. II, f. 25. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 575, pl. LXXIV, f. 11-12. Pochi esemplari in generale allungati; le coste per lo più man- cano sulle prime e sulle ultime loggie, tutte poi sono fortemente punteggiate. Pi Fossile dall’Oligocene in poi. In Italia si trova comunemente negli strati neogenici; così p. es., nel piacentino della Fossetta e nell’astiano di Savignano (Coppi); frequentissima nella marna pliocenica del Ponticello di Savena nel Bolognese (Fornasini); dal Langhiano in poi nella provincia di Reggio-Calabria (Se- guenza); nelle sabbie vaticane, nelle marne del Quirinale (Ter- rigi); nell’arenaria astiana dei dintorni di Girgenti (Schwager); nel tufo tortoniano di Stretto e nel pliocene presso Girgenti (Stohr); nella argilla tortoniana di Licodia-Eubea (Cafici); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). 54. UVIGERINA ACULEATA, d’ Orbigny. D' Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 191, t. XI, f. 27, 28. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 578, LXXV, f. 1, 3. I miei esemplari differiscono da quelli del bacino di Vienna per avere le coste prolungantesi, interrottamente qua e là, su tutte le loggie convesse fuorchè sull’ultima, la quale termina con un corto collo. Brevi e fitte punte coprono quasi tutta la elegante conchiglietta. Queste forme di Savona formerebbero l'anello di congiunzione fra gli individui tipici della precedente specie con quelli della U. aculeata. [29] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 119 Fossile nel miocene di Nussdorf presso Vienna (d’Orbigny); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). 55. UVIGERINA ASPERULA, Czjzek. Ozizek, 1847, Haidingers Naturw. Abhandi., vol. II, p. 146, t. XIII, f. 14, 15. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 578, pl. LXXV, f. 6-8. Frequente: alcuni individui sono da riferirsi alla varietà am- pullacea Brady (loc. cit. p. 579, t. LXXV, f. 10, 11), altri alla auberiana del d’ Orbigny. Abbastanza diffusi nel terziario superiore; così in Italia tro- vasi nel tufo tortoniano di Stretto e nei trubi messiniani presso Girgenti (Stohr); nel tortoniano, zancleano ed astiano di Cala- bria (Seguenza); nelle marne plioceniche del Quirinale (Terrigi); nella marna tortoniana di San Rufillo presso Bologna (Forna- sini); nella marna pliocenica del Ponticello di Savena nel Bo- lognese (Fornasini). Vive nell'Atlantico e nel Pacifico. 56. UVIGERINA UNCINATA, Mariani (tav. I, f. 7 a, d). La forma generale di questa wvigerina richiama quella di al- cune varietà allungate della U. pygmaca, è però assai molto più allungata e non rigonfia nella parte mediana. Alcune delle numerose, sottili e serrate costicine che ornano longitudinal- mente ciascuna loggia, terminano verso le linee settali con un aculeo ricurvo e rivolto verso l’asse della conchiglia. Sagrina, Parker e Jones. 57. SAGRINA STRIATA, Schwager sp. Dimorphina striata, Schwager, 1866, Novara-Exped., geol. Theil, vol. II, p. 251, t. VII, f. 99. — Sagraina striata, Schwa- ger, 1877, Tav. Sistem. dei Foram., fig. 35. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 584, pl. LXXV, f. 25, 26. 120 E. MARIANI, [30] Numerosi esemplari, subcilindrici, nodosariformi ; loggie gene- ralmente subglobulari, più larghe che alte; l’ultima di esse ter- mina con un corto collo. Numerose, longitudinali strie, delicate, e sottili, ornano la superficie esterna delle loggie. Gli esemplari viventi disegnati dal Brady (op. cit.) hanno le coste meno nu- merose e un po’ tortuose. Fossile dall’ oligocene (Hantken) in poi; nel pliocene di Kar Nicobar (Schwager); nel miocene di Malta (Brady). È tuttora vivente. Globigerina, d’Orbigny. 58. GLOBIGERINA BULLOIDES, d’ Orbigny. D’Orbigny, 11826; Ann. Sc. .Nat.;: vol. VII (p.277 Neo D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 163, t. IX, £. 4-6. —*Ter- rigi, 1880, Fauna Vatic. a For., p. 64, t. I, f. 17. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 593, pl. LXXVII, LXXIX, f. 3-7. Numerosissimi esemplari, assai piccoli. Per le molte sinonimie rimando all’opera sopracitata del Brady. Fossile dal Cretaceo in poi; abbonda considerevolmente negli strati neogenici, così nelle argille sabbiose plioceniche di Tronco- nero presso Casteggio (Mariani); nel tortoniano di Montegibbio (Coppi); nella marna di San Rufillo presso Bologna; in quella plio- cenica del Ponticello di Savena nel Bolognese (Fornasini); nelle sabbie vaticane e nelle marne del Quirinale (Terrigi); dal mio- cene medio in poi nella provincia di Reggio Calabria (Seguenza); nelle argille tortoniane di Licodia-Eubea nella provincia di Ca- tania (Cafici); nelle arenarie e nelle sabbie astiane dei dintorni di Girgenti (Schwager); nel tufo tortoniano di Stretto presso Girgenti (Stéhr); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani), ecc. La Globigerina bulloides è una specie cosmopolita; si trova sì alla superficie che a grandi profondità sotto qualunque lati- tudine. [31] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 121 59. GLOBIGERINA REGULARIS, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 162, t. IX, f. 1-3. — Costa, 1856, Paleont. del R. di Napoli, p. 244, t. XXI, f. 3 a, bd. — Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 65, t. I, f. 19. Abbastanza comune in esemplari identici a quelli delle sabbie vaticane. Trovasi abbondante allo stato fossile; nelle sabbie giallastre plioceniche di Tronconero presso Casteggio (Mariani); nel pia- centino della Fossetta, nell’ astiano di Savignano (Coppi); nelle marne del Quirinale e nelle sabbie vaticane (Terrigi); nello zan- cleano ed astiano della prov. di Reggio Calabria (Seguenza); nelle argille tortoniane di Licodia-Eubea in prov. di Catania (Cafici); nella marna gessifera tortoniana di Capo S. Marco (Ma- riani). Non si conosce vivente. Orbulina, d’Orbigny. 60. ORBULINA UNIVERSA, d’ Orbigny. D’ Orbigny, 1839, Foram. Cuba, p. 3, t. I, f. 1. — D’Orbigny, 1839, Foram. des Canaries, p. 122, t. I, f. 1. — D’Orbigny, 1846, Foram. de Vienne, p. 21, t. I, f. 1. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 608, pl. LXXVII; pl. LXXXI, f. 8-26; pl. LXXXII, f. 1-3. | Largamente rappresentata da piccolissimi e delicati esemplari. Questa specie accompagna sempre le Globdigerine, trovandosi a profusione con esse negli strati recenti del terziario. Alle loca- lità qui dietro accennate per la G. dulloides, aggiungo. quelle di Bavantore nel Tortonese in una molassa del miocene supe- riore (Mariani), e di San Colombano (Sartorio). * 1 A. SartoRrIO, Il colle di San Colombano e î suoi fossili (Estratto dalla Cronaca del R. Liceo Fortiguerri di Pistoia, 1879-80). i Le Orbuline di quest’ ultima località, più che nel calcare, come dice il Sartorio (op. cit.), si trovano nelle sabbie; differiscono da queste di Savona per la maggior grandezza, pel colore giallo biancastro, come quelle delle sabbie vaticane. Ma intorno a ciò avrò occasione in seguito di trattare quando avrò condotto a termine lo studio della fauna a rizopodi delle suddette sabbie plioceniche. L’Orbulina universa è una specie cosmopolita; gli individui che vivono alla superficie hanno il guscio di estrema sottigliezza e trasparenza, mentre che quelli di mare profondo sono in ge- nerale di grandi dimensioni col guscio fortemente costrutto for- mato da un numero distinto di strati (4 o 5), quasi tante se- parate conchiglie una racchiusa nell'altra (Brady, op. cit.). 61. ORBULINA POROSA, Terquem sp. Globulina porosa, Terquem, 1858, Foram. du Lias, I mém., p. 633. — Orbulina neojurensis, Karrer, 1867, Ueber ein. Foram. a. d. Weissen Jura v. St.-Veit. b. Wien (Sitz. d. k. Ak. Wiss. Wien, vol. LV, p. 368, t. III, f. 10). — Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 186, t. I, f 16. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 611, pl. LXXXI, f. 27. Pochissimi esemplari; molto somiglianti sia per la forma che per l’ornamentazione all’ esemplare vivente disegnato nell’ op. cit. dal Brady. È rara allo stato fossile come allo stato vivente. Fossile fin dal Lias (Terquem); comunemente trovasi nel plio- cene; nelle marne del Quirinale, nelle sabbie Vaticane (Terrigi). Pullenia, Parker e Jones. 62. PULLENIA SPHAEROIDES, d’ Orbigny sp. Si i # « dI 122 E. MARIANI, È [32] } D'Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 2930 Modèles, N. 43. — Nonionina bulloides, d’' Orbigny, Ibid, p. 293, N. 2. — D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p, 107, t. V, f. 9, 10. [33] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 123 — P. sphaeroides, Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 67, t. I, f. 21. — Brady, 1884, Foram. Chall., pl. LXXXIV, f. 12, 13. Piccoli esemplari, subglobulari, compressi; le suture legger- mente depresse. Abbastanza comune. Fossile fin dalla Creta; abbonda nell’ Eocene ma più ancora nei terreni neogenici; così venne trovata nel miocene superiore del bacino di Vienna (d’ Orbigny, Reuss, Karrer), di Malta (Brady), di Wieliczka (Reuss). In Italia si trova frequente nel pliocene di Reggio-Calabria (Seguenza); nelle sabbie vaticane, e raro nelle marne del Quirinale (Terrigi); frequente nelle marne del Ponticello di Savena nel Bolognese (Fornasini) ecc. È una specie cosmopolita. Discorbina, Parker e Jones. 63. DISCORBINA ORBICULARIS, Terquem sp. Fosalina orbicularis, Terquem, 1876, Anim. sur la plage de Dunkerque, p. 75, t. IX, f. 4 a, db. — Discorbina rosacea, Ter- rigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 78, t. III, f. 54, 55. — D. minutissima, Seguenza, Le formaz. terz. della prov. di Reg- gio Calabria, p. 149, t. XIV, f. 1 1a, 10. — D. orbicularîs, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 647, pl. LXXXVIII, f. 4-8. Pochi e piccoli esemplari; corrispondono esattamente agli in- dividui viventi. In Italia venne trovata fossile nell’ argilla tortoniana di Be- nestare in Calabria (Seguenza); nelle sabbie plioceniche vati- cane e nelle marne del Quirinale (Terrigi). Vive tuttora: non raggiunge mai grande profondità; è per lo più una specie dei recinti corallini. Truncatulina, d’ Orbigny. 64. TRUNCATULINA LOBATULA, Walker e Jacob sp. Nautilus lobatulus, Walker e Jacob, 1798, Adam’s Essays, Kanmacher s Ed., p. 642, t. XIV, f. 36. — Truncatulina lo- 124 o E. MARIANI, [34] batula, d’ Orbigny, 1839, Foram. Canaries, p. 134, t. II, f. 22-24. — Id., 1846, Foram. Vienne, p. 168, t. IX, f. 18-23. — 7. bou- cana, d'Orbigny, Ibid., p. 169, t. IX, f. 24-26. — Anomalina variolaria, d' Orb., Ibid., p. 170, t. IX, f. 27-29. — 7. lobatula, Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 83, t. III, f. 57. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 660, pl. XCII, f. 10; pl. XCIII, fd A Do pL "CAD Lio: Specie variabilissima; in generale i miei esemplari sono rego- lari, coll’ultima camera assai grande e assai rigonfia; parecchi da riferirsi all’Anomalina variolaria, come pure alla 7. boueana. È assai diffusa nei terreni terziari; dal miocene medio in poi in diverse località della prov. di Reggio-Calabria (Seguenza); nelle sabbie vaticane e nella marna del Quirinale (Terrigi); nelle marne del Ponticello di Savena (Fornasini); nel tabiano della Tagliata, nel piacentino della Fossetta e di Solignano (Coppi); nella molassa del miocene sup. di Bavantore (Mariani); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). Vive sotto qualunque latitudine; come pure è abbondante sì nella zona litorale che a grandi profondità. Ultimamente il Terrigi trovò un esemplare di questa specie nello stagno salmastro di Orbetello. * | 65. TRUNCATULINA UNGERIANA, d’Orbigny sp. Rotalina ungeriana, d’ Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 157, t. VIII, f. 16-18. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 664, pl. XCIV, LES, O Grandi esemplari, con grosse punteggiature. Raro. Fossile dal miocene in poi in Calabria (Seguenza); nella marna tortoniana di Licodia-Eubea presso Catania (Cafici); nella marna tortoniana di Capo S. Marco in Sardegna; nella molassa del 1 G. TERRIGI, I Rizopodi viventi nelle acque salmastre dello stagno di Orbetello (Rend. R. Accad. Lincei, 1887, vol. III, fasc. 13, p. 579). A alatineh [35] FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 125 miocene superiore di Bavantore presso S. Agata nel Tortonese; nelle sabbie plioceniche di Tronconero presso Casteggio (Mariani). Vive nel Mediterraneo, nell'Atlantico, nel Pacifico. Pulvinulina, Parker e Jones. 66. PULVINULINA PATAGONICA, d’ Orbigny sp. Rotalina patagonica, d’Orbigny, 1839, Foram. Amér. Mérid., p. 36, t. II, f. 6-8. — Pulvinulina patagonica, lE 1884, Fo- gantOhall:) p. 693; pl CIII £'7 a, b, e. Pochi e piccoli esemplari; Sariananegno esattamente a quelli disegnati dal Brady. Questa specie pelagica ha molta SR colla P. cana- riensis, d'Orb. pure pelagica; questa però si distingue pel mar- gine periferico acuto e per avere i segmenti non convessi, come nella P. patagonica; in generale sono anche più grandi. Vive nell’Atlantico e nel Pacifico. 67. PuLviNuLINA oBLONGA, Williamson sp. RKotalina oblonga, Williamson, 1858, Rec. For. Gt. Br., p. 51, pl. IV, f. 98-100. — Pulvinulina oblonga, Brady, 1884, Foram. Chall., p. 688, pl. CVI, f. 4, a, d, c. Parecchi esemplari, in generale grandi, di forma ovata e al- lungata. I segmenti ventricosi, un po’ depressi, sono separati da suture laminari, e il bordo perifico è sottilmente carenato. Tutta la conchiglia è minutissimamente punteggiata. Il Brady (op. cit.) riferisce a questa specie la Pulvinulina auricula Fich. e Moll., che differisce per pochi caratteri varia- bilissimi. In Italia si trova comunemente fossile nel pliocene e postplio- cene della provincia di Reggio-Calabria (Seguenza); abbondante nelle sabbie vaticane e nelle marne del Quirinale (Terrigi). Tuttora vivente. è eg TT VA Siete o n= ‘E, a 29 Lr 126 E. MARIANI, [36] 68. PULVINULINA UMBONATA, Reuss sp. Rotalina umbonata, Reuss, 1851, Ueber die foss. Foram. und Entom. d. Septar. d. Ung. v. Berlin (Zeit. d. deut. geol. Gesell., vol. III, p. 75, t. V, f. 35). — Pulvinulina umbonata, Terrigi, 1883, IL Colle Quirinale, p. 200, t. IV, f. 45, 46. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 695, pl. CV, £(2x ag 6000 Pochi esemplari; piccoli e poco convessi. | Fossile nel tortoniano di Benestare in Calabria (Seguenza); nelle marne del Quirinale (Terrigi); nella molassa del miocene superiore di Bavantore (Mariani). Tuttora vivente. Rotalla, Lamarck. 69. ROoTALIA SOLDANII, d’Orbigny sp. Gyroidina soldanii, d’ Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat. vol. VII, p. 278, N. 5. — Hantken, 1875, Die fauna d. Clavulina Szaboi Schichten, 1 Theil, Foram. (Jahrb. d.“k. ung. geol. Anst., Bu- dapest, vol. IV, p, 80, t. IX, f. 7 a, è c). — Terrigi, 1880, Fauna, Vatic. a Foram., p. 89, t. IV, f. 68. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 706, pl. CVII, f. 6, 7. Parecchi esemplari di forma tipica, con stretto ma profondo ombelico. Fossile dall’Oligocene (Reuss, Hantken) in poi. In Italia tro- vasi nel miocene medio e nel pliocene nella prov. di Reggio- Calabria (Seguenza); nelle sabbie del Vaticano e nelle marne del Quirinale (Terrigi); frequente nell’ astiano di Savignano (Coppi); frequente nella marna pliocenica del Ponticello di Sa- vena (Fornasini); nella molassa di Bavantore; nella marna tor- toniana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani); nella marna tortoniana di Licodia-Eubea in provincia di Catania (Cafici). Vive tuttora nel Mediterraneo, nell'Atlantico, nel Pacifico. [37] ._°‘’FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. 127 Nonionina, d’Orbigny. 70. NonIonINA PompiLiornes, Fichtet e Moll. sp. Nautilus pompilioides, Fichtel e Moll., 1803, Test. Micr., p. 31, t. II, f. a-e — Nomnionina umbilicata, d’ Orb., N. melo, d’Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 293, t. XV, f. 10-12. Model., N. 86, N. 4. — N. pompilivides, Terrigi, 1883, Il Colle Quirinale, p. 204, t. IV, f. 49. — Brady, 1884, Foram. Chall., pian pl: CEX £ ‘10, IT. Abbastanza comune; di forma pressochè sferica con leggera fossa ombelicale. Fossile nei depositi miocenici del bacino di Vienna, di Bor- deaux, di Malta (d’Orbigny, Brady). Nel tortoniano di Bene- stare in Calabria (N. umbilicata, d’Orb.) (Seguenza); comune nelle marne plioceniche del Quirinale (Terrigi). Vive nel Mediterraneo, nell'Adriatico, nell'Atlantico, nel Pa- cifico. 71. NONIONINA commMuNIS, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1826, Ann. Sc. Nat., vol. VII, p. 294, N. 20. — Id., 1846, Foram. Vienne, p. 106, t. V, f. 7-9. — Terrigi, 1880, Fauna Vatic. a Foram., p. 96, t. IV, f. 75, 76. — Id, 1883, Il Colle Quirinale, p. 205, t. IV, f. 51. Abbastanza comune: alcuni individui per avere le loggie più arcuate e convesse, e per la forma ‘generale più larga, fanno passaggio alla N. boueana d’Orb. Fossile dal Miocene medio in poi nella prov. di Reggio-Cala- bria (Seguenza); nelle sabbie vaticane e nella marna del Quiri- nale (Terrigi); rara nel tortoniano di Montegibbio, nel piacentino della Fossetta e nell’astiano di Savignano (Coppi); nelle sabbie plioceniche di Tronconero presso Casteggio; nella marna torto- niana di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani). Vive tuttora. 128 E. MARIANI, FORAMINIFERI DELLE MARNE, ECC. [38] 72. NONIONINA BOUEANA, d’ Orbigny. D’Orbigny, 1846, Foram. Vienne, p. 108, t. V, f£. 11, 12. — Brady, 1884, Foram. Chall., p. 729, pl. CIX, f. 12, 13. Pochi esemplari compressi, con numerosi segmenti; identici agli individui viventi. Fossile nel miocene medio e superiore della provincia di Reg- gio Calabria (Seguenza); è rara nell’astiano di Savignano (Coppi). Tuttora vivente. Pavia, Museo di Geologia. — Gennaio, 1888. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1, a, b, c : Biloculina larvata, Reuss, var. ventricosa, Mariani. » 2, : Bolivina aenariensis, Gosta, var. valdecostata, Mariani. > 9} : Bolivina beyrichi, Reuss, var. Zobata, Mariani. > 4, : Frondicularia Zinolae, Mariani. » 5, a, db, : Marginulina dentaliniformis, Mariani. » 6, a, b,c: Marginulina marginata, Mariani. >» 7, a,b, : Uvigerina uncinata, Mariani. Atti d.Soc.it.di Sc.nat. 6 XXXI Milano Lit. Rorché - rd | SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. \. SA della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi pr alle scienze naturali. | I Socj sono in numero illimitato, effettivi, studenti, corrispondenti, ‘ed onorari. | 1 Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sol volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e | Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli A// della Società. I Socj | studenti pagano it. L. 10 all'anno nel primo trimestre dell’anno. Possono ‘essere nominati tutti gli inscritti ad uno degli Istituti superiori d’Istru- zione del Regno. Godono degli stessi diritti dei socj effettivi. A Soci onorarj la Società elegge persone distinte nelle scienze natu- ‘rali che siano benemeriti della Società. i La proposizione per l ammissione d'un huovo socio, di qualsiasi ca- ‘tegoria, deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I Socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno re mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad | essere tenuti per soc]; se sono in ritardo nel pagamento della quota di ‘un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno suc- i cessivo cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far | valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. | Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate i negli A? e nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, se- ‘condo la loro estensione ed importanza. i La cura delle pubblicazioni spetta alia Presidenza. Lo Agli Atti ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Az? e delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale ‘chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilascian | regolare ricevuta. DUr- done AVVISO Fer la tiratura degli Estratti (oltre le 25 copie che sono date gratis dalla Società) gli Autori dovranno, da qui innanzi, rivolgersi diretta- i mente alla Tipografia sia per l ordinazione che per il pagamento. i Non saranno rilasciate dalla Tipografia copie degli Estratti agli | Autori, se non dopo ultimata la tiratura per gli Att. INDICE Direzione pel 1888... 0. 0 Socî effettivi al principio dell’anno 1888 |. . | ia Socî corrispondenti al principio dell’anno 1888... , giuri Istituti scientifici corrisp. al principio dell’anno 1888. , 10 A. De-CarLinI, Vertebrati della Valtellina . ... .. 17 E. MARIANI, Foraminiferi delle marne plioceniche di Savona: (con una tavola). è. cl.A ATTI DELLA VOLUME XXXI. Fascicoro 2° — Focti 9-15. Con tre tavole. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la MILANO 9 TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. PER L'ITALIA: PER L'ESTERO: PRESSO LA 1 PRESSO LA SEGRETERIA DELLA SOCIETA' LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI MILANO MILANO Palazzo del Museo Civico. Ki: Galleria De-Cristoforis, Via Manin, 2. \ 59-62. LUGLIO 1888. 3° pagina di questa copertina. PresIipENza PeL 1888. i » Presidente, StopPANI prof. cav. AntoNIO, Direttore del Civico Museo d: Storia naturale di Milano. Vice-presidente, BeLLOTTI dott. CRISTOFORO. MercaALLI prof. Giuseppe, Milano, via S. Andrea, 10. Segretarj I 7 3 pt J Pini rag. NAPoLEONE, Milano, via Crocifisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-PiATTI cav. GiusePPE, Milano, via Senato, 14. SULL’AZIONE DELL'ACQUA DEL MARE NEI VULCA Nota del socio Prof. LEONARDO RICCIARDI. Daubrée, nella seduta dell’Accademia delle Scienze di Parigi del giorno 21 Novembre 1887, lesse una lettera di Giacomo Dana: Sur les volcans des iles Hawai.! Dana gli scrisse che: “ Un des faits les plus remarquables, relatifs aux phénomènes volcaniques de cette région, consiste en ce que les éruptions n’apportent aucun indice de la participation de l’eau salée. , Il Daubrée ° divide l’opinione del Dana e sul proposito scrive quanto segue: “ sera accueillie avec satisfaction par les géolo- gues que voient dans: l’eau d’infiltration le moteur des phéno- mènes volcaniques, sans faire intervenir nécessairement une col- laboration de la mer. , Io, che con alcuni lavori recentemente pubblicati, © ho cercato di dimostrare sperimentalmente ciò che avviene nelle fucine vul- caniche, poggiando le mie esperienze sull'azione che le acque del mare spiegano nei fenomeni vulcanici, mi credo in dovere di esporre le mie idee in contraddizione di quelle sostenute da sì illustri scienziati, quali sono il Dana ed il Daubrée. Quindi con tutta la stima inalterabile, che io professo pei due dotti, pur tuttavolta, non mi pare che la ipotesi del Dana, sostenuta 1 Comptes rendus. T. CV, pag. 996. ° Comptes rendus. T. CV, pag. 997. ® Gazzetta Chimica italiana. anno 1887. Vol. XXXI. 9 130 L. RICCIARDI, [2] dal Daubrée, possa essere accettata a priori e senza discussione. Ed espongo i fatti in appoggio delle teorie da me enunciate. Il Dana dice: “ che uno dei fatti più rimarchevoli consiste in ciò, che le eruzioni dei vulcani delle isole Hawaî non danno in- dizio della partecipazione dell'acqua salata. ,, Prima d’ogn’altra cosa io dichiaro che, nelle mie precedenti pubblicazioni, ho ammesso che pure le acque d’infiltrazione pren- dono parte nei fenomeni vulcanici, ma non divido col Dana che queste sieno sufficienti per ispiegare, ad esempio, che l'Etna, nella eruzione del 1865, che durò cento giorni, emise una quan- tità d’acqua non inferiore di 2,160,000 metri cubici, * e secondo G. Cavalleri ? il Vesuvio, nell’eruzione del 1855, eruttò tanto vapore acqueo da equivalere a 516,500 chilogrammi per ogni minuto primo. E siccome il Vesuvio già da diciotto mesi si tro- vava in tale stato, l’illustre fisico ne dedusse, che in sì breve tempo venne emessa l’enorme quantità di circa 407 milioni di metri cubici d’acqua; quanta ne capirebbe un lago di chilo- metri quadrati 6 e 1/3 di superficie e 10 metri di profondità. * Inoltre Deville ammise che il vapore acqueo rappresenta i ??9/1000 del pino o del fumo che s’innalza dai crateri nell’atmosfera. Ometto di riportare altri dati, perchè credo questi sufficienti per far rilevare la enorme quantità di acqua che, sotto forma di vapore, emettono i vulcani nelle loro conflagrazioni. Inoltre è noto che le esperienze di Iamin mostrarono quanta influenza ha la capillarità sulle condizioni d’equilibrio, che si stabilisce attraverso un corpo poroso tra due pressioni opposte, ma in queste ricerche la temperatura rimaneva costante per tutta l’estensione dei canali capillari. Daubrée, * traendo profitto dello importante fatto enunciato da Jamin, intraprese una serie di ricerche per indagare ciò che 1 Fouqui, Comptes rendus. 1865. ? G. CAVALLERI, Considerazioni sul vapore e conseguente calore, ecc. Atti dell’ Ac- cademia Fisio-Medico-Statistica. Milano, 1856. 3 G. MeRcALLI, Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia. Milano, 1881, pag. 164. s Etudes synthétiques de geologie expérimentale. Paris, 1879, pag. 238. [3] SULL’AZIONE DELL'ACQUA DEL MARE, ECC. 131 poteva succedere quando la temperatura era assai elevata in una parte del percorso capillare, e tale da convertire il liquido in vapore e ridurlo così in uno stato da essere indipendente dalle leggi ordinarie dell’infiltramento, ed i risultati confermarono ciò che prevedeva l’illustre esperimentatore. Ma io voglio pure ammettere che, a causa della grande per- meabilità dei materiali vulcanici e del disquilibrio di tempera- tura tra l’atmosfera e l’interno dei vulcani, possa giungere nei focolari vulcanici acqua di pioggia, oppure proveniente dalla li- quefazione delle nevi, e allora come si spiegano i seguenti fatti già troppo noti? . Breislak ! riporta, che i vulcani del regno di Quito hanno presentato di quando in quando ai naturalisti uno spettacolo curiosissimo. Il Cotopaxi avrebbe eruttato sulle terre del Mar- chese di Selvalegre con masse enormi di fanghi argillosi una quantità così prodigiosa di pesci, che la loro putrefazione avrebbe sparso un odore fetido nell’intorno. Nel 1691, il vulcano quasi spento d’Imbaburù ne avrebbe vomitato delle migliaia sopra le terre, che circondano la città d’Ibarra, e le febbri putride, che incominciarono a quell’epoca, furono attribuite a quei pesci am- massati sulla superficie della terra ed esposti all’azione del sole. Il Tangurahua, il Vesuvio ed altri vulcani pure vomitarono in alcune eruzioni pesci, che vivono nelle acque del mare. Or come se ne può spiegare la provenienza? Coll’ammettere forse che nel seno dei vulcani le acque dolci trovino cloruro di sodio, che si formino laghi o mari e quindi i pesci ed il tutto poi venga ri- gettato volta per volta nelle successive eruzioni? Il Dana dice: “ Les sels des cavernes de temperature très élevé et des solfatares n’ont fourni jusqu’à présent, autant que je le sache, aucun chlorure; mais le sulfate de soude y est très commun. , Nessuno fin’oggi, per quanto io sappia, ha pubblicato che i solfati si possono trasformare in cloruri per l’azione del calore. Io recentemente ® ho dimostrato, che i solfati di calcio 1 Introduzione alla Geologia. Parte II. Milano, 1811, pag. 295. ? Gazzetta Chimica italiana. 1887, pag. 38. 132 L. RICCIARDI, dAj- i e di magnesio, mescolati con silicati e all’azione di elevata tem- peratura, danno sviluppo di anidride solforosa; come in altra mia pubblicazione attribuii la formazione del solfato di soda, nelle bocche dei crateri estinti dell'Etna, alla incessante azione dell'anidride solforosa, accompagnata dal vapore acqueo, sulle lave. * In quanto alla partecipazione dell’acqua del mare nelle con- flagrazioni vulcaniche, io ne sono profondamente convinto, sia pei fatti che si sono verificati in diverse eruzioni dell’Etna e del Vesuvio, alle quali ho assistito col massimo interesse, sia per fatti, che qui passo brevemente ad enumerare. È fuor di dubbio che diuturnamente, e più nelle conflagrazioni, i vulcani attivi emettono tra i prodotti gassosi una considerevole quantità di acido cloridrico; acido cloridrico, che secondo me sì spiega, coll’ammettere la decomposizione dei cloruri che portano nelle bolge vulcaniche le acque del mare. Poichè, come è noto, le acque piovane o derivate dalla liquefazione delle nevi, che spesso si formano sulle cime o pendici degli ignivomi monti, non con- tengono disciolte che sostanze gassose e saline, quali l’ossigeno, il nitrogeno e l’anidride carbonica, e il nitrito e nitrato d’am- monio con tracce di altri sali e, tra questi, il cloruro di sodio. Ma la quantità di cloruri che possono introdurre le suddette acque è ben sparuta cosa in confronto della considerevole quan- tità di acido cloridrico che si sviluppa dai vulcani. Arrogi che nelle rocce eruttive raramente si constata la presenza dei clo- ruri, quindi non si può neanche ammettere che le acque di pioggia e delle nevi ne disciolgano nel tragitto, che fanno dalle parti esterne a quelle interne d’un vulcano. Inoltre la quantità di acqua, che cade sotto forma di pioggia sulla superficie occu- pata da un vulcano, è in rapporto con quella che emettono ogni giorno ed in maggiore quantità nei grandi parossismi i vulcani? Io credo di no e ciò dico con i dati statistici alla mano, dai quali rilevo, che la quantità di acqua la quale cade sull'Etna ! L. RiccrarDI, L'Etna e l'eruzione del 1883. Accademia Gioenia di Catania, 1883. “ [5] SULL’AZIONE DELL'ACQUA DEL MARE, ECC. 133 e sul Vesuvio in un anno raggiunge sul primo millimetri 633 per metro quadrato e sull’altro 983,7 per metro quadrato. Avvi di più che le acque, lé quali cadono sui monti eruttivi, non tutte s’infiltrano, ma buona parte, il più delle volte, sgorga dalle basi e forma fiumi considerevoli che vanno a finire il più delle volte nel mare. Inoltre devo ricordare che tra i prodotti gassosi delle emanazioni dell’isola Vulcano, del gruppo delle Eolie, v'è pure del Jodio, * come durante la eruzione del Ve- suvio del 1872 vi fu un giorno, che le pendici dell’ ignivomo monte furono coperte d’uno strato di cloruro di sodio, ed il prof. L. Palmieri ° attribuì a questo sale i danni, che ne risentì la vegetazione dei dintorni del Vesuvio. Da dove si potrebbero far derivare il jodio di Vulcano ed il cloruro di sodio del Ve- suvio se non dal mare? Il Dana ha scritto pure: “ Je doute fort que l’on trouve de l’acide carbonique parmi les émanations. , Debbo credere che l'illustre scienziato americano non ha avuto l’opportunità di prendere conoscenza delle accurate ricerche del Palmieri e di D. Franco, ’ altrimenti si sarebbe dissipato il dubbio che tutt’ora ha, poichè quelle indagini furono importanti per la scienza vul- canologica, perchè distrussero l’ipotesi che lo sviluppo dell’ani- dride carbonica dei vulcani fosse sicuro indizio della fine della eruzione, mentre essi ne constatarono durante il parossismo. Se si accettasse quanto ha pubblicato il Dana, cadrebbe ir- remissibilmente un mio recente lavoro “ sul graduale passaggio delle rocce acide alle rocce basiche ,, * dappoichè io per ispie- gare l’importante fatto mi misi nelle condizioni più naturali possibili. D’altronde la ipotesi è stata già sancita dai vulcani, poichè come dimostrai, riportando analisi chimiche, i vulcani studiati nelle loro successive fasi, presentano una grande diffe- 1 DeviLLE, Comptes rendus. T. XLIII, pag. 681. ? L'incendio vesuviano dell'aprile 1872. Atti dell’Accademia delle Scienze di Na- poli, 1872. ® D. Franco, L'acido carbonico nel Vesuvio. Napoli, 1872. * Gazzetta Chimica italiana. 1887. 134 L. RICCIARDI, SULL’AZIONE DELL'ACQUA, ECC. [6] renza nel quantitativo dei componenti chimici delle loro lave, differenza che è molto notevole, specialmente nella silice, della quale le rocce antiche contengono, il più delle volte, il 75 °/o, mentre le rocce moderne o delle ultime eruzioni ne hanno ap- pena il 48 °/o. Quindi io credo che indubbiamente le acque del mare prendono parte nei fenomeni vulcanici, e, solo ammettendo ciò, ci possiamo spiegare molti fatti che avvengono nelle sedi occulte dei vulcani. Nè credo, del resto, che la restrizione fatta dal Dana pei soli vulcani delle isole Hawai possa avere valore, poichè si tornerebbe alla ipotesi enunciata da Humboldt, ® cioè che i fenomeni vulcanici fossero isolati, variabili e oscuri, men- tre io sono d’opinione, e credo di aver corroborato il mio asserto con dati analitici, che il fenomeno della vulcanicità è simile in tutte le parti degli emisferi e che le stesse debbono essere le cause che li determinano. Dal Laboratorio Chimico del Regio Istituto tecnico di Bari. — Di- cembre 1887. 1 Cosmos. T. IV. SULLE ROCCE VULCANICHE DI ROSSENA NELL’EMILIA. Ricerche chimiche del Prof. LEONARDO RICCIARDI. Chi da Reggio Emilia recasi a visitare la storica roccia sedi- mentaria di Canossa, incontra sulla via un monte di rocce vul- caniche sul quale sorge presentemente il castello che dalla roccia rossastra prende il nome di Rossena. Questo colle ha un profilo bicipite. Il castello è situato sul picco più elevato e si prolunga alquanto verso il centro del monte. Di rincontro a questo picco si osserva l’altro che è un po’ più basso e sul quale si innalza una torretta. Le rocce vulcaniche di Rossena si elevano a circa 494 metri sul livello del mare e giacciono sulle argille scagliose che, se- condo l’egregio prof. P. Doderlein * apparterrebbero al cretaceo inferiore, mentre sulla carta geologica pubblicata in occasione del Congresso Internazionale di Bologna nel 1881, trovo indi- cato il colore della formazione eocenica, e di questa opinione è pure l’illustre geologo prof. Torquato Taramelli. ? In rapporto con quelle di Rossena ritengo altre rocce vul- caniche che si trovano giù nell’Enza, ed infatti nella discesa verso Ciano d'Enza ebbi occasione di constatare le tracce d’un dicco rimasto inalterato dagli agenti atmosferici. Oltre la roccia di Rossena, in pochi altri punti dei dintorni emergono massi e dicchi di rocce ofiolitiche, che sono tanto diffuse in questa pro- vincia, in quelle di Modena, Bologna, Piacenza, ecc., ecc. I dintorni del poggio vulcanico di Rossena, che constano di 1 Statistica Generale della Provincia di Reggio Emilia. 1870. ? Boll. Geol. 1883, pag. 299, e Atti del R. Ist. Lombardo, 21 Luglio 1881. 136 L. RICCIARDI, $ [2]. argilla scagliosa, non danno asilo ad alcuna pianta, ma tutta la circonferenza dell’antico vulcano è verdeggiante, e tra le altre piante vi si coltiva pure la vite, ciò che si deve alle sostanze mi- nerali provenienti dalla disgregazione delle rocce vulcaniche che, mescolate alle argille, l’emendarono in modo da rendere il ter- reno coltivabile. Però la vegetazione non oltrepassa che di qual- che centinaio di metri la zona del poggio vulcanico, e quindi si ritorna alla sterilità di quelle argille. A voler indicare con qualche probabilità l'epoca geologica in cui fu in attività il vulcano di Rossena, occorrerebbero molte ed accurate osservazioni e non poche ore, come a me fu con- cesso; ma da quanto ebbi occasione di vedere e di raccogliere, parrebbe che le ultime eruzioni dovettero avvenire nell’ epoca terziaria. Infatti in alcuni punti di contatto tra le rocce erut- tive e le argille, queste furono metamorfosate dal calore ed in altri punti si rinvengono rocce calcaree divenute criptocristal- line d’un bianco candido; infine l’azione metamorfica causata sui materiali che vennero a contatto con le deiezioni di Rossena, non ammettono alcun dubbio che quella roccia sia d’ eruzione; orbene, avendo alterate le argille riconosciute per eoceniche, è da dedursene che il vulcano di Rossena si aprì la strada, o conti- nuò le sue eruzioni, in quei materiali in un’ epoca post-eocenica. Colla formazione eruttiva di Rossena hanno forse qualche rap- porto le manifestazioni secondarie, quali sono le salse di Nirano, di Sassuolo, di Querzola, ecc., che spesso danno segni della loro attività ed, in piccolo, questi fenomeni ricordano quelli di tutti 1 vulcani ardenti, poichè le loro eruzioni fangose sono precedute ed accompagnate da terremoti e da hboati, edi prodotti delle eru- zioni sono alle volte specie di bellette finissime che, disseccate, diventano specie di argilla grigiastra, plastica, spesso marnosa e il più delle volte salata pel cloruro di sodio che 1’ accompagna. Secondo le ricerche di C. W. Giimbell'! e del chiaro profes- sore G. Mercalli ® il fango di Nirano e di altre salse dell'Emilia, È Boll. Geol. 1879. ° Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia. Milano, 1881. si [3] SULLE ROCCE VULCANICHE, ECC. 137 diagnosticato per terziario, dette all’analisi chimjca la seguente composizione : ei AIA Are Oo AO Wssidogidiziermo. i, 2... “i. &AO ; scalo i e I si es MA eRlot, ii 90) x Rigjodio e scenoca a 19 i MPOLASIO e e 2-60 Anidesde,carbonica — . LL. 8,60 ; colonica”. i «bragce ed 0 2300 a o rep eli OO 100,83 Inoltre questo fango conteneva una quantità di sali solubili corrispondenti a gr. 4,05 °/, composti principalmente da clo- ruro di sodio (3,37 °/o), carbonato di sodio, solfato di calcio e solfato di sodio. Il prof. Doderlein, pubblicando nel 1870 la carta geologica delle Provincie di Reggio Emilia e di Modena, scrisse che “i dicchi ofiolitici di Rossena, ! quelli presso Villa Minozzo, Ca- stellarano, Cerè di Sologno ed i numerosi cumuli torreggianti, che spuntano lungo il corso dell’alta Secchia a Monte Fiorino ed alla Sparavara, sono esempi manifesti dell’attività plutonica che caratterizza il terreno eruttivo delle montagne reggiane ,. Il prof. D. Pantanelli parlando del castello di Rossena disse, che “ appartenuto esso pure alla Contessa Matilde, deve la sua con- “ servazione all’essere costruito su i serpentini in luogo dei cal- “ cari langhiani di Canossa. , * Trovata molto vaga la definizione data di dicchi ofiolitici dal prof. Doderlein alle rocce eruttive che affiorano dalle argille scagliose dell'Emilia, inviai un campione della roccia di Rossena 1 Op. cit. ? Boll. Geol. 1883, pag. 205. 138 L. RICCIARDI, [4] al mio valente amico ing. Ettore Mattirolo, perchè si compiacesse farne l’analisi petrografica, ed egli, sempre gentile, mi favorì i se- guenti ragguagli: “ Si tratta di una diabase alterata in cui il “ minerale pirossenico è in istato di avanzata trasformazione e “ talora, oltrechè in minerale cloritoide, è cambiato in anfibolo. “ Una roccia simile è quella che descrissi già nelle rocce della « Valle della Penna (N. 11)... La tua roccia è ad elementi “ più sviluppati e distinti e somiglia molto ad una varietà che “ esaminai di Montecatini. ? “ Il plagioclasio è relativamente alterato ma non contiene le “ solite interposizioni di sostanze estranee. , Il tipo di roccia diabasica, come è noto, è piuttosto diffuso in Italia, infatti ne han rinvenuto nella Toscana e nell’ Isola d'Elba, nell’Appennino della Liguria, nel Piemonte ed in Ros- sena nell’ Emilia. Le formazioni ofiolitiche della Toscana, specialmente le rocce diabasiche, furono prima d’altri studiate dai professori Savi e Meneghini, quelle dei dintorni di Rosignano e Castellina Ma- rittima dal dott. F. Berwett * e dall’ing. B. Lotti, * il professor Cossa ° descrisse le diabasi del Golfo della Stella nell’ Isola d’Elba, quelle di Mosso e di Monteferrato, il prof. Issel e l’in- gegnere Mazzuoli® quelle della Liguria, il prof. A. D’Achiardi stu- diò le diabasi dei Monti del Terriccio e di Ripabella nella pro- vincia di Pisa,” e l’ing. Mattirolo quelle della Valle della Penna.* La diabase di Rossena, meno alterata, è di color grigio ver- dastro; ha una tessitura cristallina a piccoli elementi; la frat- tura è scagliosa; ridotta in polvere conserva l’istesso colore, ma per la calcinazione diventa rosso mattone. La polvere dà 1 E. MartIROLO, Atti dell’Accademia dei Lincei. Roma, 1886. ? B. LortI Boll. Geol. 1884, pag. 376. ° Mineralogische und petr. Mittheilungen von G. Tschermak. 1876, pag. 229. 4 Boll. Geol. 1884, pag. 408. > Iicerche chim. e microscop. su rocce e minerali d’ Italia. Torino, 1881, pag. 57, 138, 158. ° Boll. Geol. 1884, pag. 394, e 1831, N. 7 e 8. " Atti della Soc. di Scienze Naturali della Toscana. Pisa. 3 Op. cit. do al I de SULLE ROCCE VULCANICHE, ECC. 139 reazione alcalina, al dardo del cannello fonde in un vetro oscuro, ‘opaco, non magnetico. Trattata con acqua distillata si disciol- gono piccole quantità di cloruri e di solfati. Altra porzione trattata con acido cloridrico concentrato si decompone parzial- mente con deposizione di silice gelatinosa e fioccosa. La polvere scaldata in tubo da saggio chiuso, emette una discreta quantità di acqua e ciò si deve all’alterazione subita dalla roccia. Ecco i risultati che ottenni disgregando la roccia col carbo- nato di calcio e coi carbonati alcalini: uraipido®silicica.i on 0 ego 1° 49.62 i (a ee COLO ddoidicalluminio. .- . -.+0. . ‘.: 13,47 iz Te e er I ba POR Ly P IORNOsOn o LR o gol n (iran SANE. pure oe 0, dI È diseslcione Li ar ea pia 0422 i MAONE8IOiz run sii ie Ughò Ù Oli DOLASSION, O iti 0448 ; DEIR i naar Dexdita/per calcinazione,. .. ... .. .. 5,02 100,57 Densità a + 15° cent. = 2.723. Il prof. Cossa pubblicando un elaborato lavoro sulla Diabase Peridotifera di Mosso nel Biellese,® la descrisse come segue: L'osservazione microscopica e l’analisi chimica provarono che nella composizione della roccia prendono parte i minerali se- guenti :' un feldspato triclino e l’augite che predominano sugli altri componenti, l’olivina, la mica nera magnesifera, la magne- tite contenente traccie di ferro titanato, qualche raro cristallo di orniblenda, l’apatite in microliti rinchiusi così nel feldspato come nell’augite. La roccia contiene inoltre in quantità assai piccola ed irregolarmente distribuiti dei cristalli di pirite e di calcopirite. La composizione chimica è la seguente: 1 Atti della R. Accademia dei Lincei. Roma, 1878. 140 Anidride er) a di di di di by) di di L. RICCIARDI, silicica fosforica . titanica Ossido di alluminio ferroso ferro . Mn., di Ni. calcio. magnesio sodio . potassio . e di Cu. Derdita per calcinazione . enne a + 9° cent. 91, 48,18 0,37 tracce - 18,86 6,22 2,27 tracce 9799 8,46 3,88 Y23 0,45 IS [6 Pf. 1 Il chiaro professore, a pag. 157, ! descrivendo la diabase di Monteferrato, disse che consta deb seguenti minerali: feldspato trichino, augite metamorfosato per la massima parte in una ma- teria verde fibrosa, clorite, ferro titanato, microliti di apatite rinchiusi specialmente nell’augite e che dall’ analisi chimica ri- sulta che la composizione è la seguente: Anidride silicica. i titanica Si fosforica . Ossido di i, PETeE pi di î di alluminio ; di i di magnesio na) di ferro . roso cromo calcio. sodio . potassio . toh per calcinazione . Densità a + 15° cent. = LOp, cit. 2.85. 48,27 0,29 0,34 7,96 1,04 tracce 16,48 1,97 8,93 4,41 0,56 3,95 99,70 [7] SULLE ROCCE VULCANICHE, ECC. 141 Confrontando la composizione centesimale della diabase di . Rossena con quelle delle diabasi di Mosso e di Monteferrato, si rivelano delle differenze in alcuni componenti, come nell’ allu- mina, nel ferro e negli alcali, ma ciò dipende dalla alterazione subìta dalla diabase di Rossena. In alcuni punti della massa di Rossena la roccia venne ancor più profondamente alterata dagli agenti atmosferici. Un cam- pione di questa roccia venne ridotto in finissima polvere, che prese un color grigio verdognolo; porzione di polvere umettata sulle carte di tornasole, dà reazione alcalina; calcinata, diventa rosso mattone. Fonde al dardo in un vetro verde oscuro, opaco non magnetico. La polvere, trattata con acido cloridrico diluito a freddo, dà effervescenza; decantata la soluzione formatasi, la parte insolubile venne trattata con acido cloridrico concentrato che venne parzialmente decomposta con deposizione di silice fioccosa. Dai saggi qualitativi risulta che la roccia contiene, oltre le sostanze determinate quantitativamente, pure cloruri e solfati. Coll’analisi spettrale non potetti constatare la presenza del litio o di altri metalli rari. L’analisi chimica della roccia diede i risultati seguenti: dessitiGiGa.. "2. e Veea, PRAgg ag n FOGIONICA. > a, dae = ei DC do UO I A] MPRICE NOERO I, da OOO SII MARCE IMANSAMESO st rt e 0 CIRO MR et e lit i n 85 E RIMASE ne n e l'rO;00 De ELAGCO ARicTido carbonica." 00 00° i, (413064 Perdita per calcinazione.. . .°.. ° 5;45 100,94 r_———"@—<@5 Densità a + 26° cent. = 2.722. 142 L, RICCIARDI, I [8]. Al prof. Cossa pure capitò di analizzare la diabase alterata i del Golfo Stella (Isola d'Elba) ed ottenne i risultati seguenti: Anidride silicica;i> oe. what a e Ossido «di ‘alluminio: irta sodio È. nei AE c'10 efernospinigho vale Se ida Lia gio di magnesio ro. ville pes DI ASSO ret ed a lidi potassiponapob= he Perdita per calcinazione.. ... ....i. da 99,75 Densità a + 10° cent. = 2.73. Da quanto ho riportato in riguardo alle diabasi alterate di Rossena e dell'Elba, pare a prima vista, dando uno sguardo ai quadri analitici, che vi siano delle grandi differenze, ma se si tien conto che la diabase dell'Elba fu profondamente alterata per azioni di contatto, e che l’altra venne aggredita dagli agenti atmosferici, sostituendosi per circa la quarta parte il carbonato di calcio ai minerali decomposti ed esportati dall’ acqua, to- gliendo a quest’ultima le materie estranee alla composizione normale della diabase, e ricostruendone la composizione cente- simale, si ottiene una composizione identica all’altra meno al- terata di Rossena. Infatti, calcolando come carbonato di calcio la parte sostituita ai minerali silicei e lasciando la quantità di allumina, di alcali e di acqua riscontrata nella diabase meno alterata, si ha la seguente composizione (in cui si rileva una prevalenza nella magnesia, e ciò dipende dal che si è conside- rato il carbonato che si trova associato alla roccia come car- bonato di calcio; però addizionando l’ossido di calcio e di ma- gnesio si ha una cifra complessiva prossima a quella quantità trovate nell’altra diabase): Op. cit. [9] SULLE ROCCE VULCANICHE, ECC. 143 Dantmide;tsilorea. ii LE Suso, 04961 3 fosforica fo batatatata, LR 0499 UpridoXdr alluminio: a rpg Si 944 CIRCEO ORO RT RE AA 00 i I 13,99 Didi ma npaneset i II e RETRB) Di rcalero kh, G0LdS n IDEE 1 BDO) 7 i i EOLO E masnesio, a ara N ISO CIOTIRO 940), T08 AMICA DO GASSEOi ER 10543 biorditarpertcalcimazione:r dui nt. .115,02 100,01 Dall’insieme dei fatti sopra esposti voglio sperare che non cadrà più alcun dubbio sulla vulcanicità delle rocce ofiolitiche in genere e delle diabasi in specie, e se mai da alcuni si dubi- tasse ancora, io li esorto a visitare la roccia diabasica di Ros- sena, perchè essa presenta tali fatti che il più incredulo non le potrà negare la provenienza endogenica. Ricordo a proposito quanto è stato ultimamente osservato dal valente geologo in- gegnere B. Lotti sull’Isola d'Elba, ove lo stesso trovò che presso il Piastrajo quella diabase presenta un bello esempio d’intru- zione, ' come pure nel Poggio del Malconsiglio fra Castellina Marittima e Ripabella. ° Alla base del Poggio di Rossena si osservano altresì le ar- gille scagliose ed alcune calcaree metamorfosate per contatto. Inoltre i rapporti tettonici del dicco eruttivo con le altre rocce ricordano le formazioni ofiolitiche dei dintorni di Montecatini ove, secondo le ricerche dell’ing. Lotti? predomina la diabase, mentre la serpentina appena vi è rappresentata. Laonde la dia- base di Rossena, al pari delle formazioni ofiolitiche dell’Appen- nino Bolognese, ha tra le rocce sedimentarie concomitanti, il più delle volte le argille scagliose. 1 Tagli geologici naturali nell’ Isola d’ Elba. Boll. Geol., 1883. ? B. LottI, Contribuzione allo studio delle Serpentine Italiane. Boll. Geol., 1834, pag, 408, e 1883, N. 11 e 12. 3 Boll. Geol., 1884. 144 L. RICCIARDI, SULLE ROCCE VUL ANICHE, ECC. - [10] Pertanto io tengo a dichiarare che, quantunque divida l’opi- nione di quei geologi che ammettono sieno di origine vulcanica le rocce ofiolitiche in genere, pur tuttavolta non divido certe ipotesi enunciate con le quali si è tentato di spiegare la idra- tazione delle serpentine. Ho intrapreso all’uopo alcune ricerche sintetiche e, se i risultati saranno soddisfacenti, ne farò argo- mento di altra nota. Sulla periferia della base del monte di Rossena affiora uno scoglio serpentinoso, ma, per quanto abbia cercato in altre escursioni, finora non ho potuto raccogliere alcun campione di eufotide propriamente detta. La serpentina diallagica di Rossena dette all’analisi i seguenti risultati: Anidride silieiea. Sn Lat I ; fosfonieg. e O Ossido: ‘di allaminio lo n di. ferro De MM n è TOLTOROS,. i I I si DIAMANTI AI so di. Cale e e CI MAMI I Acqua lE I I, e 100,32 Densità a + 15° cent. == 2.434. < La composizione chimica di questa roccia è quasi analoga a molte altre analizzate dal prof. A. Cossa. * 1 Ricerche Chimiche e Microscopiche su rocce e minerali d’ Italia (1875-1880). To- rino, 1881. CASO DI MELOMELIA ANTERIORE IN UNA RANA ESCULENTA Linn. Nota del socio Dott. FreLICE MAZza Sebbene molti autori siansi occupati dell’ anomalia, cono- sciuta sotto il nome di melomelia, non rara nella rana, tanto che il Taruffi nella sua “ Nota storica sulla polimelia delle rane!, soltanto di melomelia anteriore ne enumera nove casi, ho cre- duto tuttavia che possa tornare utile rendere di pubblica ra- gione il caso che mi si presenta della rana perchè le parti scheletriche degli arti soprannumerarii, offrono una disposi- zione differente da quella delle melomelie descritte dai varii autori, quali Gervais, ? Lunel,® Cavanna;* e perchè, tenuto calcolo delle parole del prelodato professore Taruffi, non om- misi di praticare una ricerca importantissima, quale è quella di osservare, se colla anomalia esistesse qualche altro indizio di duplicità anche in organi profondi. E ciò è tanto più neces- sario dopo che il Panum®* asserì, aver trovati in tutti i casi 1 Nota storica sulla polimelia delle rane, del prof. Cesare Tarurri. Atti della So- cietà ital. di scienze naturali, Vol. XXIII. Milano, 1880. 2 GervaIs Pau, Comptes rendus. Tom. LIX, pag. 800. Paris, 1864. 3 LuneL G., Sur deua cas de polymélie, ecc. Mémoires de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de Genève. Tom. XIX, Partie II, pag. 8, 1869. * Dott. G. Cavanna, Ancora sulla polimelia nei batraci anuri. Pubblicazioni del R. Istituto di Studii superiori. Sez. di Sc. fisiche. Firenze, 1879, pag. 8. ? Virchow’s Archiv. Bd. 72, S. 269. Vol. XXXI, 10 146 F. MAZZA, [2] di polimelia, negli uccelli da lui studiati, parti atrofiche di un secondo embrione, e siccome ebbe più volte ad indicare il pro- fessor Corrado Parona nella sua Monografia sulla Pigomelia nei Vertebrati. * L’interessante esemplare di rana polimelica in esame lo debbo alla gentilezza del prof. Corrado Parona, al quale fu do- nato da altra persona che ebbe a catturarlo nei dintorni di Novara (Bicocca) nel settembre ora decorso. Si mantenne viva per una quindicina di giorni; la morte sua fu affrettata da cause indipendenti dall’affezione che presentava, e contro il desiderio di chi la possedeva. Faccio avanti tutto notare le piccole dimensioni del batracio che intendo ora descrivere, trattandosi di un individuo molto giovane; misura in fatti solo 31 mm. dalla punta del muso al- l'apice del coccige. Il corpo è regolarmente conformato (fig. 1); il colore della pelle non presenta nulla di particolare; normali sono i quattro arti; senonchè tre mm. al disotto dell’arto anteriore sinistro prendono attacco due zampe soprannumerarie, offrendoci così un esempio di esamelia. Ambedue gli omeri anomali corrono parallellamente all’omero normale, non così avviene degli avambracci e dei piedi, perchè essi, scostandosi da tale direzione si avvicinano maggiormente alla superficie ventrale del corpo e diventano quasi paralleli al suo asse trasversale (fig. 1). Lo sviluppo degli arti accessorii è pressochè uguale a quello degli arti normali, siccome appare dalle seguenti esatte misure. 1 La pigomelia nei Vertebrati. Atti della Società italiana di scienze naturali, Vo- lume XXVI, 1883. [3] CASO DI MELOMELIA, ECC. 147 | Arti normali Arti anormali Super. Infer. | Omero. . . mm. 8 || Omero. . . mm. 7 | Omero. mm. 6!/, Avambraccio , 6 || Avambraccio , 6 | Metacarpo Metacarpo e Metacarpo e (Awamb. 04 ti sE) (1) 0A RCA | falangi. . .:; 4 | efalangi,, 8//, Ì Una sottile membrana, espansione della pelle (fig. 2), con- giunge i due omeri accessorii nel loro terzo superiore; mentre un’altra membrana, a guisa di carena, parte dal loro terzo in- feriore e, andandosi ad inserire alla parte superiore di ciascuno dei due avambracci, rende come anchilosata la regione del go- mito. I muscoli hanno subìta leggera atrofia, specialmente quelli dell'arto anomalo inferiore. Di più si rimarca ectrodactilia nei piedi. Rivolgendo ora la nostra attenzione alle parti interne, si 0s- serva che lo sterno cartilagineo è comune a tutti e due gli arti accessorii; manca d’episterno, mentre l’iposterno è rudimentale e spinto alcun poco verso la parte destra del corpo (fig. 5). L’omoplata, ridotta di volume, forse risulta dalla fusione di due di tali ossa. Infatti in essa stanno scavate due cavità gle- noidee ben conformate (fig. 6), che tengono il posto normale. Quest’omoplata però, nel suo allontanarsi dallo sterno, va assot- tigliandosi e finisce in punta, assumendo, per così dire, l’aspetto di un triangolo, il cui apice è rappresentato dal margine di inserzione del soprascapolare, che, nel caso nostro, manca, e la cui base forma le due predette cavità glenoidee. Queste ultime dànno ricetto ai condili dei due omeri accessorii, che mantenuti in posto, e separati l’uno dall’altro dalle rispettive capsule ar- ticolari si mostrano liberi nei loro varii movimenti, ma in am- bedue le loro diafisi, più lisce del normale, non si osserva la 148 F. MAZZA, [4] crista medialis, mentre la crista deltoidea, benchè non troppo marcata, è abbastanza visibile. | Le troclee cogli epicondili sono ancora allo stato cartilagineo e sembrano contrarre aderenza colle ossa dell’avambraccio; cioè tanto coll’olecrano che col capitello del radio. La clavicola dell'arto soprannumerario superiore presentasi di maggiore volume in grossezza, da sorpassare quella della cla- vicola dell'arto normale; la sua lunghezza essendo di mm. 3. Il coracoide accessorio superiore, lungo 3 mm., sarebbe fuso colla clavicola dell’arto soprannumerario inferiore, ma entrambi però sono di piccolo volume; nè si avvertono traccie di avve- nuta unione. Il coracoide dell’arto anomalo inferiore è uguale a quello dell’arto normale. L’esame dei visceri non mi lasciò’ scorgere indizio veruno di duplicità o di fusione, nè differente disposizione, giacchè tutti occupano il loro posto normale. Ponendo ora in comparazione il caso sopradescritto di batracio a polimelia anteriore con altri stati descritti da varii autori, si rilevano alcune notevoli differenze. Il numero degli individui affetti da esamelia anteriore è mi- nore di quelli celpiti da pentamelia, ed in tutti la diminuita funzione delle parti soprannumerarie produsse in essi una rile- vante atrofia. Tuttavia riesce difficile decidere quali siano le parti, che per le prime vanno soggette al processo predetto. Difatti se richia- miamo alla memoria la rana descritta dal Sordelli* vediamo es- sere i membri esterni quelli che hanno subìto maggiore ridu- zione, essendo essi ridotti a due semplici moncherini, mentre un notevole sviluppo presentano le ossa toraciche corrispondenti e la scapola, salvo la sua bifidità in basso, è quasi completamente sviluppata, come lo sono del pari i coracoidi, corrispondenti ai due arti. Invece nel Pelobates cultripes illustrato dal Gervais (astrazione * Atti Soc. Ital. sc. nat. Vol. XIX, 1876. poi CASO DI MELOMELIA, ECC. 149 fatta dell’ectrodactilia), nella rana del Lunel ed in quella del Cavanna gli arti soprannumerarii esterni sono abbastanza ben conformati, mentre la loro porzione interna o toracica è quella che ha sofferto le maggiori modificazioni. Ed invero nel caso del Gervais la spalla comprende un coracoide ed un omoplata riuniti in un solo pezzo articolantesi, per la sua estremità co- racoidea, al coracoide del membro normale e la clavicola vi è mancante. In quello del Lunel poi esiste un rilievo nel punto di riu- nione delle membra accessorie coll’ arto normale, e la scapola non occupa più la sua posizione naturale, bensì è portata per- pendicolarmente in avanti. Per ultimo la posizione della ca- vità glenoidea, al dire dell'autore, non è notevolmente cam- biata, epperò il membro normale si troverebbe all’ordinario suo posto. Siccome si verifica nel mio caso, in quello descrittoci dal Lunel vi ha un apparato sternale incompleto, mancando l' epi- sterno, l’iposterno e il soprascapolare. Mi è sembrato ancora degno di nota, nella rana del .Lunel, l’atrofia a cui è andata incontro l’omoplata dell’arto normale, mentre esistono le scapole degli arti anormali coi relativi so- prascapolari saldati e fusi in tutta la loro superficie. Colla rana di cui parla il Cavanna trovo riscontro di somi- glianza nella modificata posizione del coracoide normale, spinto in alto, essendovi però diversità per la riduzione che il cora- coide anomalo di detta rana ebbe a subìre, per la deformità della scapola, per la mancanza della clavicola dell'arto anor- male, per l’esistenza d’un rudimento di sopra scapolare e so- pratutto per l’avambraccio e il piede che risultano dalla fusione di due avambracci e di due piedi. Debbo infine notare che in fine dello scorso secolo il De-Sup- perville! aveva fatto parola di una rana sp.? presentante un arto soprannumerario a destra sul dorso, sebbene il Gervais ri- 1 Philos. Trans. Tom. XLI, N. 456, pag. 294. London, 1744. 150 F. MAZZA, CASO DI MELOMELIA, ECC. [6 J ; n porta essere l’arto soprannumerario della citata rana del De- Supperville non a destra, ma a sinistra. Stando così le cose si avrebbe un’altra prova che la polimelia anteriore nei batraci si presenta prevalentemente a sinistra. Limitandosi a semplici indicazioni dell’ anomalia non posso tener calcolo dei casi segnati dall’ Otto ! e dall’ Alessandrini nei loro cataloghi ° per confrontarli coll’individuo da me de- scritto. Museo Zoologico dell’ Università di Genova, Novembre, 1887. 1 Seltene Beobachtungen. Bd. I, S. 22. Breslau, 1816. — Monstror. sexcent. Descript. Vratislaviae. 1841, Tab. 27, fig. 1, pag. 276. ? Catalogo dei preparati più interessanti del Gabinetto d’ Anatomia comparata. Bo- logna, 1854, pag. 552, N. 3248. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE tas da (IN . Rana esamelica, grandezza naturale. . Disposizione delle membrane sugli arti anomali. Piede anomalo superiore. LA LO 19 Piede anomalo inferiore. . Parti scheletriche anomali viste dal lato ventrale. . Le medesime viste dal lato dorsale e un poco ingrandite. “ Do Ta Atti Soc. it. sc. nat. Vol. XXXI Tav. 1. Lit. Sordo-muti. NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA del socio Dott. FEDERICO Sacco PROF. DI PALEONTOLOGIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI TORINO, (Seconda comunicazione.) Due anni or sono ebbi già ad occuparmi di alcune impronte che avevo raccolte in diversi punti delle regioni terziarie del Piemonte.' Dopo d’allora, continuando il rilevamento geologico di tale interessantissimo bacino terziario, potei raccogliere nu- merose nuove impronte organiche ed inorganiche, ed altre ne ebbi in gentile comunicazione, per modo che l’abbondanza del ma- teriale così radunato, la sua ricchezza in nuove forme, ed alcuni importanti fatti che qualcuna di queste presenta, mi spinsero a fare una seconda comunicazione a tale riguardo, per quanto debba ammettere che con essa sono ben lungi dall'aver fatto conoscere tutte le impronte anche dei soli terreni terziari pie- montesi. Quanto all’ origine di queste impronte essa rimane general- mente ancora molto oscura e solo spero con questa nota se- gnalare qualche nuovo fatto che serva in alcuni casi a rischia- rarla alquanto. Da A. Brongniart? in poi la maggioranza dei paleontologi, 1 F. Sacco, Intorno ad alcune impronte organiche dei terreni terziarî del Piemonte, Atti R. Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XXI, 1886. ° A. BronGNIART, Histoire des végéteaua fossiles. 1828. 152 F. SACCO, come Sternberg, Unger, Ettinghausen, Fischer-Ooster, Heer, Sa- porta, Schimper, Meneghini, Peruzzi, Massalongo, Lombard, Sta- nislas Meunier, Delgado, Squinabol, ecc. considerarono le im- pronte che passeremo in esame come resti di Alghe. Da qualche tempo però contro tale modo di considerare le impronte fossili sorse una specie di scuola, capitanata dal Nathorst e seguìta da Fuchs, Schenk, Bureau, Dawson, Bigot, ecc., la quale ammette che la maggioranza delle impronte in questione derivi o da fe- nomeni inorganici o dal passaggio di Asteridi, Vermi, Crostacei, Molluschi, ecc. Considerazioni generali in proposito di questi resti paleoicno- logici fece recentemente lo Winckler.® Ancor più recentemente il Maillard,° trattando di queste impronte, credette di poterle dividere in due categorie distinte, cioè: 1.° fossili in semirilievo (come Helminthoida, Gyrochorte, Cylindrites, Miinsteria, ecc.) che considera come veri negativi dell’ impronta primitiva ed esclude dalle Alghe; 2.° corpi isolabili (come Chondrites, Theo- baldia, Gyrophyllites, Taonurus, Tenidium, Halymenites, ecc.) che, per essere accompagnati da materia carboniosa, per pre- sentare una certa simmetria ed anche una specie di dicotomia simmetrica, il Maillard considera come resti di Vegetali, cioè di Alghe pelagiche oppure littorali ma trasportate in alto mare e poscia deposte sul fondo marino. ; Per quanto riconosca essere in parte ragionevole l’accennata distinzione, non credo però poterla affatto accettare anche per la sola considerazione che lo stesso fossile si presenta talora in semirilievo ‘e.talora come un corpo isolato a seconda del modo di fossilizzazione ed anche di conservazione, * come vedremo in seguito, ad esempio rispetto ad alcune Helnunthorda. 1 T. C. WincxLER, Histoire de VIchnologie. Haarlem, 1886. ; ° G. MarLLaRD, Considerations sur les fossiles décrites comme Algues. Mém. Soe. paléont. suisse. Vol. XIV, 1887. ® Per prendersi un’idea di quarto lo stato di fossilizzazione influisca sull’aspetto: del fossile basta guardare rovesciate le fotolitografie accompagnanti questo lavoro, nel qual caso si vedono le impronte cangiare affatto aspetto, poichè, pei fenomeni di ombreggio, i rilievi paiono incavi e viceversa. [3] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 153 Ad ogni modo in causa dell’incertezza d’origine delle impronte che passerò ad esaminare, ho creduto in generale dovermi li- mitare essenzialmente alla loro descrizione, presentandone ezian- dio sempre una o più figure, e lasciando ad altri, più di me competente, specialmente in Algologia, di ricercare la loro ori- gine, tanto più che osservazioni a questo riguardo ebbi già a fare nella prima nota sovracennata. Quanto ai nomi dati a queste varie forme osservo in generale come, nello stesso modo che considero per ora affatto artificiale e convenzionale qualunque classificazione di queste impronte, così pure non considero per nulla i nomi proposti come corri- spondenti a veri generi ed a vere specie, tanto più che vedesi ta- lora la stessa forma presentarsi in modi molto svariati per modo da lasciar supporre che impronte designate con nomi diversi siano prodotte da uno stesso organismo. In via provvisoria però credo utile di distinguere queste svariate impronte con nomi spe- ciali dandone sempre la figura per facilitarne l’esame e giun- gere così più agevolmente alla loro interpretazione. Debbo infine qui ringraziare il carissimo amico Achille Tellini che mi fornì numerose lastre ad impronte dell’ Eocene del Friuli e che inoltre, in alcune escursioni fatte assieme, mi aiutò eziandio nella ricerca di tali impronte nei terreni terziari del Piemonte; così pure vivi ringraziamenti son lieto di porgere al dott. An- nibale Tommasi, che gentilmente mi inviò in comunicazione al- cune lastre ad impronte conservate nella collezione del R. Isti- tuto tecnico di Udine. Paleodietyon Menegh. Di questo genere istituito dal Meneghini sin dal 1851, ed il cui nome venne poscia usato dall’ Heer molto più tardi, cioè nel 1865, per impronte assai diverse da quelle del Meneghini, ebbi in questi ultimi due anni a raccogliere abbondantissimi resti nel terreni terziari del Piemonte, ma resti riferibili generalmente alle forme già descritte; forme nuove ed interessanti mi fornì invece l’eocene del Veneto, come indicherò in seguito. 154 F. SACCO, [4] Riguardo all’origine di queste impronte retiformi, che nella prima sovracennata nota avevo creduto poter attribuire, quan- tunque dubitativamente, a resti organici vegetali (Alghe ceno- biee), associandomi così alle idee di Massalongo e di Meneghini, debbo ora confessare di essere sempre più dubbioso. Infatti la minutezza di alcuni Paleodictyon eocenici, che de- scriverò in seguito col nome di P. minimum, farebbe inclinare ad ammettere per questi fossili un’ origine veramente organica, ed anzi sopra alcuni frammenti di fossili dell’ Eocene del Friuli ebbi ad osservare minutissime impronte retiformi ad aree esago- nali, che rimasi in dubbio se fossero da attribuirsi a veri Paleo- dictyon, molto più piccoli del P. minimum, oppure piuttosto a resti di Briozoi. Al contrario il vedere la straordinaria larghezza (anche di 4 o 5 centim.) e l’irregolarità delle aree di alcuni Paleodictyon, specialmente del terziario piemontese, mi fa dubitare alquanto di questa origine organica, tanto più dopo aver molte volte ed in diverse località osservato il fenomeno seguente. Lungo i torrentelli a corso non molto rapido, specialmente là dove esistono delle piccole conche non molto profonde (cioè poco più di 50 centim. circa) oppure delle specie di piccoli seni dove l’acqua presenta un movimento lento e ritmicamente regolare, ebbi sovente ad osservare che il fondo melmoso, senza che appa- risse alcuna causa organica, animale o vegetale, si presentava foggiato a reticolato abbastanza regolare, colle aree generalmente esagonali, concoidali, della larghezza di 3 a 5 centim. circa e separate le une dalle altre da rialzi della melma stessa, per modo da ricordare assai bene le forme di Paleodictyon, spe- cialmente del P. tectiforme e del P. maximum. Coll’ essicazione e colla compressione di questi fondi melmosi conformati a reti- colato, la indicata rassomiglianza deve probabilmente crescere ancor maggiormente. Orbene se noi consideriamo che le lastre a Paleodietyon rappre- sentano precisamente dei depositi formatisi bensì in mare, ma in bassifondi o presso littorali a dolcissimo pendìo, dove l’acqua era [5] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 155 soggetta ad un movimento non molto forte e ritmicamente re- golare, che poteva far sentire la sua azione anche sul deposito sabbioso-melmoso del fondo, nasce naturalmente il dubbio che i Paleodictyon siano solo dovuti ad un fenomeno fisico di lento e regolare accentramento retiforme delle particelle che vengono poco a poco a costituire i depositi fangoso-sabbiosi dei bassi- fondi marini e d’acqua dolce; e se può recar meraviglia la in- dicata regolare disposizione a maglie rilevate, è però utile non solo di pensare ai regolari e curiosissimi rilievi retiformi che formansi tuttora sotto i nostri occhi nelle condizioni sovraccen- nate, ma di considerare inoltre, in altro ordine di fenomeni, la formazione delle regolari colonne basaltiche, per lo più esago- nali, per un fenomeno puramente fisico. È probabilmente in relazione col modo di formazione dei Pu- leodictyon il fatto che avremo ad esaminare in seguito, di pre- sentarsi. cioè talora le maglie dei fossili in questione costituite in parte di piccoli rilievi arenacei isolati che nello assieme of- frono una disposizione regolare e parrebbero quasi Paleodictyon abortiti od in via di formazione. Debbo ancora infine accennare all’ipotesi espressa in proposito recentemente dal De Stefani, ® il quale crede che i Paledictyon siano maglie di spugne caliciformi simili alle Euplectella rotte, ed anzi conchiude riguardo a questi fossili colle seguenti parole: “ji più piccoli lo sono ,, resti di spugne “ certamente e ne vidi dei calici intieri nell’arenaria miocenica di Porretta ,. Malgrado la grande autorità del De Stefani e malgrado i fatti da lui os- servati io credo che tutti i Puleodictyon grandi e piccoli abbiano la stessa origine e dubito fortemente che i Paleodictyon a ma- glie di 3, 4 e più centimetri di larghezza e costituenti delle reti talora di quasi un metro di ampiezza, possono avere l’ origine da lui indicata, tanto più che, anche astrazione fatta dalle di- _mensioni, mi riescirebbe difficile a comprendere in qual modo 1 C. De STEFANI, L’Appennino fra il colle dell’Altare e la Polcevera. Boll. Soc. geol. it. Vol. VI, 1887. 156 F. SACCO, “SF -* maglie di spugne abbiano potuto produrre i rilievi retiformi che | appelliamo Paleodictyon. Notisi che anche lo Zeiller nella rivi- sta paleofitologica del 1886 * esprime l’ opinione che i Paleodie- tyon descritti nella mia nota precedente siano resti di Polipai o di spugne. Ad ogni modo credo di non potere ancora abbracciare sen- z’ altro l'una o l’altra delle ipotesi indicate, e mi basta per ora di avere accennate le osservazioni fatte a tale riguardo colla speranza che ulteriori studi e fatti nuovi possano gettar maggior luce sul modo di formazione di queste curiosissime impronte. Per quanto mi è noto lo sviluppo del genere Puleodictyon at- traverso le epoche geologiche sarebbe il seguente: Î n ss SEDE = ©) b | (e) = e o S| o | eee dr to Ò Sola = ud pe ED Mc S Sa Alea | Ò cal ©) So cò Q Sic | Ì cy 5 coi 28] fitto pente | | | | Paleodietyon miocenicum $ rante) | Paleodictyon miocenicum Sace... li tI | SP, | I | Ì ' ; | | I} » tectiforme Sace. . | mini droit | | iI È | [roy n | ohi » TRAXITUDI SECO EA | | + pop i | | . . Y | | | I | » Rubiconis: Scarab.; er OA I E | | i | Î | | \ | a | | » regulare Saccani ati | O | | piaci | | ) v— majus ‘Meneghi ISIS IS | | | : Pellini Sato, Ce | » tnibimuni Sace, du ana lesa | | | | s° | » Strozzii Menegh. . . .|+ | + | | | | | | | | Ì » giganteum Per... ..|{4P|# | ! | | | | | | | i 1 ZelLLer, Annuaire géologique universel. Paris, 1887. e Li [7] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 157 PaLEODICTYON MAJUS Menegh. (Tav. I, fig. 7-11.) 1851. G. Meneghini e P. Savi, Append. alla Mem. di Murchi- son sulla strutt. geol. delle Alpi, degli Appennini e dei Carpaztii. Per le forme di Puleodictyon già descritte dal Meneghini e figurate dal Peruzzi ' è specialmente abbondante nell’eocene del- ‘l’Appennino settentrionale e centrale il P. majus Menegh., che ho recentemente riconosciuto pure abbondantissimo su certe lastre eoceniche del Friuli; queste lastre mi vennero comunicate dal Tellini, che le raccolse specialmente nell’Eocene medio (forse passaggio tra Parisiano e Bartoniano) di Buttrio, Colli Ro- SaZzo, ecc. | Siccome ebbi ad osservare varie differenze nella forma e gran- dezza delle aree e delle reti da ciò che si vede nell’ esem- plare figurato dal Peruzzi, pur essendo convinto che si tratti di varianti di poca importanza, giacchè nell’ assieme rimane sempre abbastanza costante il carattere generale della specie, credo tuttavia opportuno di presentare il disegno delle forme principali osservate, ciò che servirà ognor più a stabilire l’ e- strema variabilità di queste impronte, e potrà forse essere di aiuto nella scoperta del loro modo di origine. In alcuni esemplari dell’ Eocene del Friuli osservai che qual- che area si presenta allungatissima (anche oltre 3 centim.) in una data direzione, e talora anzi in questa direzione l’area da un lato non rimane chiusa, ma si continua quasi in un canale limitato dai funicoli rilevati che non si sono ravvicinati come di solito. 1 D. G. Peruzzi, Osservazioni sui generi Paleodictyon e Paleomeandron dei ter- reni cretacei ed cocenici dell'Appennino settentrionale. Fig. 1, Atti Soc. tosc. di Sc. Nat., 1880. 158 F. SACCO, [8] PaLeopictron Strozzi Menegh. (Tav. I, fig. 5.) 1880. G. Peruzzi, Osservaz. sui generi Paleodictyon e Paleo- meandron, ecc. fig. 8. Sopra una lastra di arenaria giallastra dell’ Eocene medio- superiore di Buttrio ebbi a constatare uno stupendo esemplare di Paleodictyon che, per quanto presenti qualche differenza dal- l'esemplare figurato dal Peruzzi col nome di P. Strozzit Menegh. credo potere identificare specificamente con tale forma, dandone tuttavia un disegno per maggior schiarimento. Della stessa lo- calità osservai pure una forma di Paleodictyon attribuibile a questa specie, solo ad arce alquanto più piccole, indicandoci sempre più il polimorfismo di queste impronte. PALEODICTYON TELLINII Sacc. (Tav. I, fig. 2,3.) Fila gracilia, parum erecta, reticulatim conjuneta; macule re- qulariter exagone seu oblongo-exagonae ; fila plerumque recta, al- titudine 1/3 — 1/2 maillim., latitudine 1/2 — 2/3 millim., longitudine 2— 5 millim., sepe inaqualia. Macularum latitudo ‘inter fila parallela 3 millim. circiter ; latitudo maxima 6 millim. Alcuni esemplari di questa specie mi vennero portati in esame dal Tellini, a cui la dedico, che li raccolse fra le lastre are- nacee grigiastre dell’ Eocene medio-superiore di Buttrio sulla sponda destra del Natisone. Questa specie si avvicina alquanto al P. Strozzii, da cui si distingue specialmente per i fili più gracili e le aree più larghe, ad esagoni meno regolari ma per lo più alquanto allungati in una determinata direzione, fatto che in minor grado si è però già potuto osservare in altre specie, per es. nel P. miocenicum. » [9] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 159 PALEODICTYON MINIMUM Sacc. (Tav. I, fig. 6.) Fila gracilissima, parum erecta, reticulatim conjuncta; ma- cule pseudo-pentagone, plerumque eragona seu oblongo-exagone; exagona regularia vel irregularia. Fila plerumque recta et ina- qualia, altitudine 1/3 — 1/2 millim., latitudine t/a — 1/3 millim., longitudine 1/2 — 11/s millim. Macularum latitudo inter fila pa- rallela 1 millim. circiter ; latitudo maxima 2 millim. Questa stupenda specie, che rappresenta la forma più piccola tra i Paleodictyon finora descritti, e che farebbe propendere ad accettare l'ipotesi dell'origine organica di queste curiose im- pronte, venne rinvenuta sopra una lastra arenacea grigio- gial- lastra in un terreno eocenico, pseudo-cretaceo, a Carraria presso Cividale. Quanto all’aggettivo minimum che ho dato a questa specie, debbo però osservare che ebbi fra le mani, ma andò disgraziata- mente perduto prima che potessi studiarlo, un frammento cal- careo su cui vedevansi reticolature rilevate affatto simili a quelle dei Paleodictyon, ma per dimensione minori di ‘/4 circa del P. minimum. Rimango però in dubbio che in questo caso si trat- tasse di un vero Briozoo, giacchè è noto infatti come le colonie di certi Briozoi sono appunto rappresentate da reti calcaree rile- vate costituenti regolari aree esagonali. PALEODICTYON REGULARE Sacc. (Tav. I, fig. 6.) 1886. F. Sacco, Intorno ad alcune impronte, ecc. fig. 3. Nel rilevamento geologico delle colline tortonesi ebbi a rin- venire una quantità grandissima di queste impronte sulle lastre arenacee grigio-giallastre dello Stampiano nel passaggio al Ton- 160 F. SACCO, [10] griano, specialmente nelle vicinanze di Molo di Borbera e della borgata Cioccale. Credo opportuno di presentare ancora una figura di questa specie così regolare, avvertendo però che talora anche le aree. di questa specie presentano qualche irregolarità ed allora fanno passaggio a quelle del P. miocenicum, per quanto in complesso le due forme siano piuttosto dissimili. PALEODICTYON TECTIFORME Sacc. 1886. F. Sacco, Intorno ad alcune impronte, ecc. fig. 5, 6, 7, 8. Di questa forma raccolsi numerosissimi esemplari sia nell’.Et- veziano che nel Langhiano a facies arenacea (specialmente nelle colline di Cessole e di Vesime sulla sinistra di Val Bormida di Millesimo) e nell’ Aquitaniano; generalmente però i Paleodictyon dell’Aquitaniano presentano maglie irregolari, ciò che probabil- mente deriva solo da qualche fatto secondario riferentesi alle condizioni in cui si formarono tali impronte. Alcuni esemplari presentano maglie alquanto minori del solito per modo da fare passaggio al P. regulare, distinguendosene però sempre per la loro irregolarità, per la grossezza dei fili, ecc. PALEODICTYON MAXIMUM Sacc. 1886. F. Sacco, Intorno ad alcune impronte, ecc. fig. 9. Anche di questa specie rinvenni diversi campioni tanto nel- l'Elveziano che nell’Aguitaniano; in alcuni esemplari, ad esem- pio in quelli che raccolsi nell’ Aquitaniano superiore delle Langhe sotto la borgata Vernea presso Castino, le maglie oltrepassano persino 5 centim. di larghezza; generalmente esse sono assai irregolari. Attribuisco ancora dubitativamente a questa specie certi Pa- leodictyon irregolarissimi, ad aree quasi rettangolari, della lar- [11] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 161 ghezza di cent. 1 !/2 per 1, che osservai su lastre arenacee al- ternate con marne nel passaggio tra Tongriano e Stampiano presso Variana, ad Est di Arquata Scrivia. PALEODICTYON Sp. (Tav. L.fig; 1.) Credo opportuno di accennare particolarmente ad una lastra arenacea dello Stampiano (passante al Tongriano), raccolta nelle vicinanze di Grondona e su cui, oltre ad una delle solite im- pronte retiformi di Paleodictyon regulare, ad aree però alquanto più piccole di quelle dei terreni sincroni nelle vicinanze di Cioc- cale, si osserva eziandio un fatto assai curioso. Cioè una metà circa della rete del Palcodictyon è rappresentata da aree, esa- gonali come di solito, ma che sono limitate non più da filamenti arenacei, ma da una serie di piccoli rilievi bitorzoluti che sono regolarmente 6 per ogni area, ma comuni colle aree contigue e corrispondenti ad un dipresso alla parte medio-centrale di cia- scuno dei filamenti che di solito costituiscono un lato dell’esa- gono. Ne consegue che in realtà non abbiamo più sulla lastra arenacea una rete rilevata ad aree esagonali, ma bensì una serie di piccoli rilievi regolarmente disposti e che soltanto ideal- mente possiamo ricondurre alla tipica forma esagonale dei Pa- | leodictyon. È specialmente importante il poter osservare direttamente sopra una stessa lastra, di cui presento la figura, il passaggio da un Paleodictyon tipico ad un Paleodictyon, direi, punteggiato, giacchè lastre a bitorzoli regolarmente distribuiti avevo già po- tuto osservare nei terreni elveziani delle Langhe, e ne avevo già anzi dato il disegno (fig. 10) nel lavoro precedente senza sapere a che cosa riferire tali impronte, mentre ora posso pre- sumere che anche in tal caso si tratti di impronte collegate per origine coi tipici Pualeodictyon tectiforme, vicino ai quali ebbi infatti spesso ad osservarle. Vol. XXXI. 11 162 F. SACCO, [12] Vedremo più avanti che fenomeni consimili si osservano pure in alcune Helminthoida dell’ Eocene di Buttrio dello Stampiano del bacino piemontese. È probabile che questa maniera affatto speciale di presentarsi dei Paleodictyon sia in diretta relazione col modo di formarsi di tali curiose impronte e possa servire per chiarirne l’origine. Ta@nidium Heer. Le impronte indicate con questo nome dall’ Heer nel 1877 vengono attribuite da alcuni alle Alghe e radunate dallo Schim- per fra le Arthrophycee, dal Nathorst sono considerate invece come impronte di vermi. Ebbi recentemente ad esaminare un’im- pronta che sembra riferibile a questo genere e che, per essere ben distinta dalle altre specie finora conosciute e per apparte- nere a terreni più antichi di quelli in cui finora vennero ritro- vate queste forme, sembrami degna di un esame speciale. Lo sviluppo del genere T@enidium attraverso le epoche geo- logiche si potrebbe segnare in questo modo: Eocene.. — Tenidium Fischeri Heer. » convolutum Heer. Giurese.. — » Gillieroni Heer. » serpentinum Heer, Carbonifero — » carboniferum Sacc. TAENIDIUM CARBONIFERUM Sacc. (Tav. II, fig. 1.) Frons crassa, longa, moniliformis, subcylindrica, laeviter in- curvata, annulosa, fistulosa?, 12-14 millim. lata, articulata; ar- ticuli crassi, subelliptici, inter se profunde disjuncti, 8-9 millim. longitudine, 4-7 millim. altitudine. [13] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. © 163 Questa curiosa impronta venne trovata nel Friuli dal dott. Tom- masi sulla Forca del Pizzul (Alto Incarojo) in un’arenaria schi- stosa, passante quasi a micaschisto, grigiastra o, per alterazione superficiale, rossastra, appartenente a terreno carbonifero. Per certi caratteri tale impronta ricorda alcune specie di Harlania e di Mtinsteria, ma la divisione così netta che si os- serva fra i diversi articoli del fossile descritto mi fa ritenere più giusta la sua collocazione fra i Tenidium, i quali però vennero finora constatati solo dal Lias all’ Eocene, mentre il Tanidium in esame deriva dal Carbonifero, donde il suo nome specifico. Il 7. carboniferum è di dimensioni assai notevoli rispetto alle altre specie già note; i suoi articoli mentre sono netta- mente distinti nella parte superiore, inferiormente invece non presentano un distacco così forte dalla roccia in cui si trova inglobato il fossile, fatto però che può essere piuttosto appa- rente che reale, dipendendo probabilmente solo dalla diversa maniera e diversa intensità di erosione. Togliendo via il materiale arenaceo che riempie gli intervalli fra un articolo e l’altro, vedesi che essi distano ad un dipresso di '/2 millim. nella loro parte centrale e che si accasciano gli uni sugli altri, ciò che forse è solo un effetto della compres- sione, alla qual causa è probabilmente pure da attribuirsi in parte lo schiacciamento d’alto in basso che presenta l’intiero fossile. Oltre alla suddetta disposizione embricata, occorre ancora ac- cennare come l’impronta esaminata pare derivare da un corpo fistoloso, giacchè l’articolo di un’estremità del fossile sì presenta leggermente incavato, ricordando così alquanto l’ estremità del T. Gillieroni Heer. Devesi infine osservare come la descritta impronta non rap- presenta probabilmente altro che un frammento dell’intiero fossile. | 164 | F. SACCO, [14] Taenipium FIScHERI Heer. 1877. O. Heer, Die Vorweltliche Flora der Schweiz. Tav. LXVII, fig. 1-7. Nell’ Appennino settentrionale venne già constatata questa forma dal De Stefani ! nell’ Eocene superiore a Caniparola nel Sarzanese. Gyrochorte Heer. Riferisco assai dubitativamente a questo genere, considerato dall’ Heer come un’Alga, posta dallo Schimper nel gruppo delle Chordophycee e supposta da Nathorst e Maillard essere la pista di anfipodi, un’impronta allungata trovata sopra una lastra eo- cenica e che indico col nome di ? GYROCHORTE DUBIA Sacc. (Tav. I, fig. 21.) Questa impronta che ricorda alcune Caulinites, qualche forma di Chrossochorda ed alcune forme di Bilobites, senza però mo- strare un solco mediano, è una specie di bastone subcilindrico, diritto, di circa un centimetro di larghezza e colla superficie ornata di rilievi filiformi che costituiscono uno speciale intreccio abbastanza regolare. Sulla stessa lastra arenacea che porta l’impronta in esame, ed anzi con un'estremità che va ad unirsi con un’estremità di detta impronta osservasi un resto simile ma con disegni meno apparenti; infine sulla stessa lastra osservasi ancora un filamento arenaceo rilevato, semplice, diritto, forse una Cylindrites, che viene a passare sotto alla Gyrochorte. !' C. De STEFANI, La Montagnola senese. Boll. Comit. geol. ital., 1879. % [15] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 165 Le forme a cui appartiene l'impronta in esame si trovano generalmente nei terreni giurassici quantunque resti di Gyro- chorte siensi pure menzionati nel Cretaceo delle Alpi Apuane. Il trovare il fossile esaminato su terreni dell’Eocene medio-supe - riore (colline di Buttrio nel Friuli), e specialmente l’essere i suoi disegni affatto diversi da quelli sia delle vere Gyrochorte, sia delle forme affini, mi sospingerebbe a creare per esso un nuovo nome generico, ciò che però non credo per ora opportuno di fare su pochi resti d’origine così dubbia. Gyrophyllites Glocker. Sopra una delle lastre arenacee eoceniche del Friuli ebbi ad osservare un’impronta rilevata abbastanza regolare, che sem- brami potersi riferire, però con qualche dubbio, al genere Gy- rophyllites, incluso dallo Schimper nelle Alghe Caulerpite@ e con- siderato invece dal Nathorst come impronta del passaggio di un animale molle. GYROPHYLLITES BUDRIENSIS Sacc. (Tav. I, fig. 14.) Frons parva, subrotunda, non articulata, satis prominens, costulata, 2 centim. circiter lata; costule anguste, satis promi- nentes, lineares, apice acutiuscule, 7-9 millim. longitudine, 1 millin. circiter latitudine, numerose, verticillate, breviores et longiores interdum alterne. Questa forma ricorda alquanto il G. pusillus Heer del Giura di Ganei, ma è notevole che essa si presenta rilevata nella parte centrale, costituendo così sulla lastra arenacea una specie di cono schiacciato, ciò che può forse solo derivare dal modo di conservazione e di fossilizzazione. Proviene dagli strati arenacei dell’ Eocene medio-superiore di Buttrio, donde il suo nome specifico. 166 F. SACCO, [16] Nulliporites Heer. Come indica il suo nome, istituito dall’ Heer, questo genere dovrebbe comprendere forme di Floride@ poco dissimili dalle Li- tothamniee; malgrado abbia fortissimi dubbi in proposito credo opportuno di segnalare due forme di questo genere, già ricono- sciuto dal Giura all’ Eocene, sia perchè alquanto diverse da quelle finora note, sia perchè provengono da terreni mio- cenici. Occorre osservare che mentre l’Heer distingue le Nulliporites dalle Chondrites, altri invece, come ad esempio il Saporta, ! crede che si possano tutte riunire all’ unico genere Chondrites. Parmi più giusto il modo di pensare dell’ Heer, almeno pel ma- teriale che posseggo, poichè le Nulliporites che passerò a descri- vere non sono già delle semplici impronte ma dei veri cilin- dretti di arenaria, a struttura più fine e colore assai più chiaro di quello dell’arenaria su cui giacciono; sembrami quindi am- missibile che tali impronte siano state originate da organismi diversi da quelli che produssero le Chondrites. Il Maillard con- sidera le Nulliporites come piste tubulose riempite. Benchè le due forme che avrò a descrivere siano tra loro molto diverse, forse, ove si possedesse in riguardo un più ricco materiale, si potrebbero trovare esemplari che servissero a col- legarle in una specie sola; per ora, basandomi sulla diretta os- servazione di ciò che posseggo, sono obbligato a distinguerle in due specie. ® De Saponta, Plantes jurassiques. Paléontologie frangaise, 2.° serie, Végetéaux, 1873. [17] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 167 NULLIPORITES BOMBICOIDES Sacc. (Tav. I, fig. 22.) Frons ramulosa, subcylindrica, subfusiformis, interdum tran- sverse rimata, extremitatibus rotundata, recta vel levissime ar- cuata, 1-2 millim. lata, 5-15 maillim. longa, irregulariter sub- nodulosa. Talora questi bastoncini rilevati, il cui nome specifico di bombicoides deriva dal rassomigliare ad un piccolo baco da seta, presentano delle sottili fratture. Gli esemplari che posseggo ebbi a raccoglierli sulle lastre arenacee dello Stampiano di Cioccale nelle colline tortonesi. NULLIPORITES STELLARIS Sacc. (Tav. I, fig. 23.) Frons furcato-ramosa; rami breves, subcylindrici, extremita- tibus rotundati, 1-2 millim. lati, interdum interrupti. Questa forma ricorda alquanto certi rami della N. Reckhin- gensis Quenst., ma, fatta eccezione dalla forma ramosa, essa si identifica completamente colla specie precedente, di cui potrebbe forse anzi essere solo una varietà se pure non addirittura una semplice modificazione ed attribuibile quindi alla stessa specie, ciò che, come già dissi sopra, potrà solo mettersi in chiaro esa- minando un maggior numero di esemplari che io non possegga. Rinvenni questa forma assieme a quella precedente. Munsteria Sternb. Questo genere, attribuito dubitativamente ad Alghe del gruppo Spongiophycea (considerato invece dal Nathorst come impronta del passaggio di qualche animale molle) e comparso nel Lias = 168 F. SACCO, i [18] inferiore, ha il suo massimo sviluppo nell’ Eocene di cui credo poter descrivere una nuova specie. MUNSTERIA INVOLUTISSIMA Sacc. (Tav. II, fig. 14.) Frons simplex, subcylindrica, irregulariter impressa, funiculi- formis flexuosa, 6-10 millim. lata, 2-3 millim. alta, apice invo- lutissima ; involutiones preter tres. DI Questa forma è specialmente caratterizzata dalle numerose involuzioni che presenta il funicolo; non conoscendo altre forme meno involute che costituissero il passaggio tra questa e la Miinsteria bicornis Heer dell’Eocene svizzero, mi trovai costretto a farne una specie nuova, per quanto dubiti che essa non sia che una varietà della M. bicornis. Il funicolo presenta una superficie assai irregolare, ciò che è in gran parte causato dal materiale che lo costituisce e che è identico a quello della lastra su cui il fossile si attacca senza alcuna discontinuazione; tuttavia la conformazione e la distri- buzione degli irregolari rigonfiamenti del funicolo pare che nel complesso indichino come anche originariamente esistessero, nel corpo organico da cui derivano, dei rigonfiamenti e dei restrin- gimenti più o meno regolari. Tale fatto d’altronde si verifica pure chiaramente in quasi tutte le altre forme di Minsteria. L’esemplare figurato proviene dall’Eocene medio del Friuli e venne raccolto dal Taramelli al Forame di Attimis. Sulla stessa lastra figurata osservasi pure un frammento di Helminthopsis labyrinthica che si intreccia colla Minsteria. MiiNSTERIA FLAGELLARIS Sternh. 1820-23. Sternberg, Flora der Vorwelt. II, Tav. VIII, fig. 3. Sopra alcune lastre dell’ Eocene medio-superiore di Buttrio nel Friuli ebbi ad osservare alcune impronte riferibili a questa [19] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 169 specie assieme ad altre che paiono collegarsi col Cylindrites con- volutus Fisch. Oost. ma che non sono classificabili con sicurezza. ? MuNSTERIA BICORNIS Heer. (Tav. II, fig. 4-12.) 1877. O. Heer, Die Vorwelt. Flora der Schweiz. Tav. LXVI, i: (oi AI Sopra alcune lastre arenacee dell’Eocene medio-superiore di Buttrio (Friuli) ho potuto osservare alcune impronte incurvate quasi ad S per modo da ricordare le impronte di Theobaldia circinalis Heer dei terreni giurassici, mentre per altri caratteri e per il periodo geologico a cui appartengono sono probabil- mente da riferirsi piuttosto al genere Mwnsteria, però con qual- che dubbio, sia perchè il fossile in questione non si presenta in rilievo ma bensì in incavo, sia perchè non vi si veggono quelle rugule trasversali, più o meno regolari, che caratterizzano ge- neralmente le Munsteria. Tuttavia considerando che tali diffe- renze possono forse solo derivare dal modo di fossilizzazione e di conservazione e dalla natura della roccia inglobante e che la forma del fossile in questione è molto simile a quella della M. bicornis Heer del Flysch della Svizzera, credo opportuno per ora di riferirlo dubitativamente a quella specie, quantun- que, oltre ai caratteri differenziali sovraccennati, si debba pure notare che la forma di Buttrio presenta pure un diametro mi- nore ed un modo di circonvoluzione alqaanto diverso da quello della vera IM. dicornis. Talora nel leggiero incavo della impronta osservansi ancora qua e là i resti di un cilindro arenaceo schiacciato, di colore e costituzione alquanto diversa da quella della lastra circo- stante, e che probabilmente ci rappresenta l'impronta interna del corpo che originò le Minsteria. In generale però questa parte interna si distacca e scompare facilmente, rimanendo solo più l'impronta esterna del fossile. 170 F. SACCO, {20] MiiNSTERIA ANNULATA Schafh. 1851. Schafhiutel, Geognost. Untersuch. Tav. VIII, fig. 9. 1887. Squinabol, Fucoidi ed Elmintoidee. Tav. XVII, fig. 3. Forma raccolta dall’ Issel nell’ Eocene di Madonna del Monte presso Genova. ! MiNSTERIA MINIMA Squin. 1887. Squinabol, Fucoidi ed Elmintoidee. Tav. XVI, fig. 5. Forma pure raccolta nell’ Eocene di Madonna del Monte. MiinsTERIA IssELI Squin. 1887. Squinabol, Fucoiîdi ed Elmintoidee. Tav. XVII, fig. 4, 5. Specie raccolta nell’ Eocene di Taggia e del M. Piccarello (S. Olcese) in Liguria. Il De Mortillet® parla pure di resti di Minsteria trovati nei terreni giurassici e cretacei della Lom- bardia. Taphrhelminthopsis Sacc. Per quanto sia in generale contrario all’istituzione di nomi generici nuovi per forme di cui non si conosce bene l’origine, tuttavia credo dover fare eccezione per le impronte speciali che passerò a descrivere. Nel suo lavoro sulla Flora fossile della Svizzera l’ pio creò 1 S. SquinaBoL, Contribuzioni alla flora fossile dei terreni terziarì della Liguria. — I Fucoidi ed Elmintoidee. — Boll. Soc. geol ital. Vol. VI, 1887. ® G. De MortILLET, Note géologique sur Palazzolo et le lac d’Iseo en Lombardie. Bull. Soc. géol. de France. 2° série, Tome XVI, 1859. [21] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 171 il nome di Helminthopsis per funicoli rilevati, più o meno gi- rosi che osservansi sopra lastre arenacee dei terreni giurassici di Ganei, ma vi inglobò pure una forma, l’H. magna Heer, che presentasi veramente costituita da due funicoli, quasi paralleli, fra cui esiste un solco o canale il cui fondo trovasi più basso della superficie della lastra su cui sta l'impronta. Nella mia prima comunicazione su queste impronte ebbi già a segnalare, nei terreni miocenici del Piemonte, forme simili a quelle dell’. magna, ma che, pur distinguendo con particolare nome specifico, inclusi ancora nel genere Helminthopsis formando così l'H. miocenica Sacc. Ora però avendo potuto osservare in terreni diversi nume- rosissimi esemplari di queste forme canalicolate, credo asso- lutamente necessario di distinguerle dalle forme semplicemente funiculate, giacchè le credo derivare da organismi abbastanza diversi e propongo per esse il nome di Taphrhelminthopsis * che significa appunto Helminthopsis canaliculata, e diagnostico questo genere nel seguente modo: L'rons simplex, valde elongata, canaliculata, satis lata, flexuosa ; interdum in canale mediano filo parum erecto, arcuato inter- rupta; interdum extremitatibus late expansa. Un aspetto che ricorda le Taphrhelminthopsis presentano al- cune di quelle impronte dell’ Eocene della Liguria che lo Squi- nabol nella preacennata memoria indica come Durvillides ? eo- cenicus Squin. Questo genere avrebbe attraverso alle epoche geologiche il seguente sviluppo: Elveziano ; i ed Aquitaniano } Tapkrbelminthopsis pedemontana Sacc. » expansa Sacc. Miocene Stampiano. . » recta Sacc. » pedemontana Sacc. Tongriano. . » » : » auricularis Sacc, Roecene kt, (2°, I È sp. RUFO ire eno » magna Heer. 1 Txgpos canale, fosso. 172 F. SACCO, [22] Quanto all'origine delle Taphrhelminthopsis, per quanto sembri abbastanza naturale di attribuirla a qualche Alga sifonea, credo tuttavia più prudente di non abbracciare per ora alcuna ipo- tesi in proposito, tanto più che certi Molluschi ed altri animali marini lasciano pure traccie simili strisciando sul fondo mel- moso-sabbioso. TAPHRHELMINTHOPSIS AURICULARIS Sacc. (Tav. II, fig. 3) Frons longa, 1 centim. circiter lata, gyroso-flexuosa; canalis mediani latitudo 3 millim. circiter; fila lateralia subrotundata, altitudine 2 millim. circiter. Si riscontra sopra certe arenarie grigiastre dell’ Eocene me- dio-superiore di Buttrio nel Friuli. Queste impronte, già rin- tracciabili nei terreni giurassici, non sono rare in quelli eocenici. Il suo nome specifico deriva dall’essere il fossile ripiegato in modo da ricordare un padiglione uditivo umano; credo però che tale disposizione sia di carattere affatto secondario. Infatti sopra alcune arenarie (Macigno) dell’Eocene dell’Alta valle della Stura di Cu- neo raccolsi esemplari di questa specie ripiegati ondulatamente. TAPHRHELMINTHOPSIS RECTA Sacc. (Tav. I, fig. 20.) Frons recta, 25 millim. circiter lata; in centro canalis me- diani filum parum erectum, lineare, simplex seu longitudinaliter striatum. Canalis latitudo 1 centim. circiter; fila lateralia lon- gitudinaliter striolata, 2-3 millim. altitudine, 7 millim. latitudine corciter, superne subplana seu leviter rotundata. Questa impronta è specialmente caratterizzata dalla sua ret- titudine e dal rilievo filiforme che sta longitudinalmente, nella parte centrale del canale mediano. La raccolsi sopra una lastra arenacea delle assise inferiori dello Stampiano di Cioccale nel Tortonese. MP [23] © NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 173 TAPHRHELMINTHOPSIS EXPANSA Sacc. (Tav. II, fig. 15.) Frons flexuosa, 10-12 millim. lata; canalis mediani latitudo 4-6 millim.; fila lateralia subrotundata, 1 maillim. altitudine, 2-3 millim. latitudine; canalis medianus, frondis termine, in arveam ultra 10 cent. latam, irregularem, expansus. Questa forma è assai importante per la caratteristica espan- sione della sua parte terminale, il che pare escludere l'ipotesi che essa derivi dal semplice strisciamento di un animale sul fondo marino, ed accentuare meglio invece l’ipotesi dell’origine vegetale che avevo già enunciata nel lavoro precedente, appog- giandomi eziandio al semicerchio interno osservato in un esem- plare di 7. pedemontana. Altri però potrebbe anche sostenere un’ origine inorganica, ma per ora non credo opportuno fare ul- teriori discussioni in proposito. Raccolsi la 7. expansa colla specie precedente nello Stam- piano di Cioccale. TAPHRHELMINTHOPSIS PEDEMONTANA Sacc. 1886. F. Sacco, Intorno ad alcune impronte, ecc. Fig. 1. Nelle escursioni geologiche di questi ultimi due anni ebbi a rinvenire assai comunemente questa forma in quasi tutti i ter- reni miocenici del bacino piemontese, là dove alternansi strati arenacei a strati marmo-sabbiosi, così nel Tongriano, nello Stampiano specialmente del Tortonese, nell’Aquitaniano e nel- l’Elveziano, specialmente dell’alto Monferrato e delle Langhe. Alcune forme si avvicinano alla 7. auricularis. La forma, la lunghezza, il modo di involuzione, ecc. della forma in questione sono abbastanza variabili, ma in complesso credo 174 F. SACCO, [24] per ora siano raggruppabili queste varietà sotto uno stesso nome specifico. Talora, come ad esempio sopra una lastra arenacea stam- piana di Rio Zetassi, presso Campolungo (Tortonese), potei esa- minare, di questa specie, circonvoluzioni irregolarissimamente ondulate e della lunghezza di oltre due metri. Ne raccolsi recentemente un esemplare nell’Aquifaniano in- feriore di Bricco di Marmorito nei colli Torino-Casale. Helminthopsis Heer. Siccome dalle forme racchiuse dall’Heer nel suo genere Hel- minthopsis furono tolte quelle canalicolate, poste nel genere Taphrhelminthopsis, la diagnosi del primo genere rimane così concepita: “ Frons simplex, elongata, cylindrica, gyrosa. , L’origine di queste impronte è ancora molto dubbia, giacchè l’attribuirle ad Alghe sifonee è per ora una semplice ipotesi senza fondamento molto serio, e non sarebbe improbabile che sì trattasse solo di impronte del passaggio di animali stri- scianti. Ciò che credo si debba ammettere è che organismi molto si- mili, se pure non eguali genericamente, produssero sia le im- pronte appellate Helminthopsis sia quelle denominate Helmain- thoida, poichè vedremo come diverse forme che passeremo a descrivere lasciano dubbi se siano attribuibili a un genere o al- l’altro, appunto per presentare i caratteri di ambidue. Inoltre a questi due generi paiono pure collegarsi strettamente certi Cy- lindrites di andamento flessuoso, come il Cylindrites montanus Heer del F/ysch eocenico, ed è quindi probabile che col tempo certe denominazioni di genere verranno cangiate e forse ridotte di numero in riguardo a queste ultime forme. Il Maillard, nel preaccennato lavoro, figura anche delle piste problematiche pro- venienti dal Flysch di Val d’Arda in Piemonte; paiono Hel- minthopsis. Lo sviluppo del genere Helminthopsis attraverso le epoche geologiche sarebbe il seguente: [25] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 175 Miocene — Helminthopsis hieroglyfica Heer. Eocene — » » . » » Giurese — ; » intermedia Heer. Carbonifero — » antiqua Sace. HELMINTHOPSIS ANTIQUA Sacc. (Tav. II, fig. 10.) Frons simplex, valde elongata, funiculiformis, subeylindrica, recurvatim inflexa, 2-3 mallim. lata, 1-1!/2 millim. alta, gyri, plerumque subparalleli, plus minusve approximati. Funiculorum extremitates claviformes vel aliquantulum acuminate. È precisamente questa una di quelle forme che, per l’anda- mento del loro funicolo, il quale si dispone in giri quasi paralleli fra di loro, parrebbe doversi porre fra le Helminthoida, spe- cialmente presso 1’H. crassa Sckafh., mentre che per essere i suoi funicoli spesso interrotti e poco regolari credo si possa meglio collocare fra le Helminthopsis, avvicinandosi alquanto all’H. hicroglyhyca Heer. La lastra arenacea, quarzoso-micacea, su cui sta l'impronta che ho figurata, venne raccolta dal Dott. Tommasi in terreno Carbonifero sulla Forca del Pizzul, alto Incarojo, nel Friuli. È importante a notare la presenza di questo genere nel Car- bonifero, fatto constatato ora per la prima volta. HELMINTHOPSIS HIEROGLYPAYCA ! Heer. (Tav. INfis*2; 11) 1887. O. Heer, Die Vorwelt. Flora der Schweiz. Tav. XLVII, Ne. 934; D: Di questa specie, descritta dall’Heer come giurassica, potei constatare diversi esemplari, ben poco differenti da quelli figu- 1 Olim Helminthopsis labyrinthica Heer., nome abbandonato e sostituito dal suo» autore Heer per evitare le confusioni coll’ Helminthoida labyrinthica Heer. 176 F. SACCO, (201 rati dall’Heer, su lastre arenacee provenienti dall’Eocene medio superiore di Buttrio e dall’Eocene medio del Forame di Attimis (Vedi figura della Miinsteria involutissima), ambidue del Friuli. Spesso assieme a questa forma veggonsi sulla lastra impronte di Cylindrites. Talora i filamenti ondulati della forma in esame si presentano con ondulazioni tali da avvicinarsi alquanto alla Helminthoida crassa Schafh., indicandoci sempre più il collegamento di questi due generi. Nello Stampiano dei difitorni di Cioccale (Tortonese) rac- colsi sopra lastre arenacee diversi esemplari di impronte molto simili a quelle ora accennate, e credo opportuno per ora di at- tribuirle alla stessa specie, che avrebbe quindi variato assai poco dal Giura al Miocene. Anche su lastre arenacee dell’ Aqui- taniano e dell’Elveziano del Piemonte ebbi qua e là ad osser- vare impronte simili a quelle in discorso. Helminthoida Schafh. Si è già accennato al collegamento che esiste per mezzo di alcune forme fra questo genere e l’Helminthopsis; avremo oc- casione più avanti di ritornare su tale questione, per ora indi- chiamo solo lo.sviluppo del genere in esame attraverso le epo- che geologiche. / Helminthoida miocenica Sacc, Miocene — » carrosiensis ? Squin, \ » crassa Schafh. » » » labyrinthica Heer. Dai das » irregularis Squin. » teniata Haufm. » Taramellii Sacc. » helminthopsoidea Sacc. PE RESI » Tommasii Sacc. » carbonifera Sacc. 27] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 177 HeLminTHomA Tommasi Sace. (Taw.71; fig. 13.) Corpuscola funicoliformia, subcylindrica, longa, 6-14 millim. (anteriori? extremitate etiam 20 millim.) lata, 1-4 millim. alta. Fumnicula latitudine et altitudine sensim accrescentia, satis regu- lariter flexuosa, simplicia, multoties recurvatim inflera. Flexio- nes 7? 1/2-10 centim. lato; inter flexiones spatium 8-20 millim. latum. È molto notevole il regolare accrescimento in grossezza del funicolo da una estremità all’altra, il che pare appoggiare l’ipo- tesi dell’origine di queste impronte direttamente dal corpo di un organismo e non già solo dallo strisciamento di animale su di un fondo marino. D’altronde tale carattere, quantunque assai meno spiccato, appare eziandio su alcune delle altre specie già descritte di questo genere. L’estremità ingrossata si presenta superiormente schiacciata in modo da indicarci che originariamente il funicolo doveva quivi rilevarsi di 5 o 6 millim. sulla lastra arenacea e che solo in seguito venne compresso. Le incurvature della impronta sono generalmente assai rego- lari, mostrandosi solo qualche irregolarità verso la parte più ingrossata del funicolo. Il funicolo rilevato è costituito di un’arenaria brunastra avente la stessa costituzione e tinta di quella che costituisce la lastra su cui il fossile giace senza alcuna soluzione di continuità. La lastra disegnata venne raccolta sulla forca del Pizzul, Alto Incarojo (Friuli), in terreni carboniferi dal dott. Annibale Tom- masi, a cui dedico questa specie in segno di omaggio al suo sapere e di riconoscenza per le cortesie usatemi. È importante constatare la presenza di questo genere nel Carbonifero essendo esso finora conosciuto solo nell’Eocene. VOLI, 12 178 F. SACCO, [28] HELMINTHOIDA CARBONIFERA Sacc. (Tav. II, fig. 6.) Corpuscula funiculiformia, subcylindrica, longa, 6-10 millim. lata, 3-5 nullim. alta ; satis regulatiter flexuosa, simplicia, multoties recurvatim inflexa. Flexiones 5 +/2-7 centim. late; inter flexiones spatium 3-15 mullim. latum. Questa specie ricorda alquanto l’H. Tommasi, però essa pre- senta ondulazioni assai meno ampie, ha il funicolo di grandezza quasi eguale in tutto il suo percorso ed inoltre tale funicolo non è costituito da un semplice rialzo dell’arenaria stessa della lastra, ma bensì da un cordone, direi, arenaceo schiacciato sulla lastra, da cui si può staccare facilmente; è perciò che in gran parte l'esemplare figurato è solo più rappresentato da una leggiera impronta, distinguibile dalla superficie circostante per essere di color alquanto più oscuro e rossastro, mentre il vero funicolo, in generale rotondeggiante nella parte superiore ed appiattito in quella inferiore, si è staccato e perduto. Queste notevoli differenze nel modo di presentarsi del fossile in esame farebbero quasi dubitare che esso derivi da forme di genere diverso da quello che produssero le Helminthoida, ma forse tali differenze sono causate solo dal modo speciale di fos- silizzazione, di conservazione e dalla natura della roccia inglo- bante. D'altronde consimili differenze nel modo di presentarsi delle impronte abbiamo già avuto luogo di esaminare trattando della Miinsteria bicornis Heer, ed anche in tal caso per la determina- zione della forma abbiamo creduto doverci fondare piuttosto sulla forma del fossile che non sul suo modo di presentarsi, tanto più che talora a seconda che le lastre fossilifere sono rimaste più o meno a lungo esposte agli agenti atmosferici il fossile si pre- senta sotto forma di semplice impronta colorata, oppure di vero rilievo. [207 NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 179 Nella lastra figurata si può vedere appunto il fossile che nel suo sviluppo si presenta sotto tre forme differenti, cioè in mas- sima parte di semplice impronta di color diverso da quello della lastra circostante, in parte di funicolo rilevato ben distinto, ed in parte di funicolo ancora conservato, ma parzialmente nascosto dall’arenaria la quale in origine avvolgeva tutto il fossile; vo- lendo si potrebbe facilmente collo scalpello liberare interamente il funicolo arenaceo. La lastra in questione è costituita di un’arenaria assai mi- cacea e quindi molto schistosa, trovata in terreno cardomifero, 30 metri sotto la Forca del Pizzul, Alto Incarojo, Carnia. Giova osservare a questo proposito come nelle lastre arena- cee del Curbonifero, ricordanti talora assai bene il Macigno eo- cenico, si riscontrano non di rado svariate impronte che si ac- cordano assai bene con quelle dell’ Eocene, risultando chiaro in tal modo come esse, piuttosto che non coll’età geologica, sono collegate colle condizioni in cui si formarono i depositi. HELMINTHOIDA TARAMELLII Sacc. (Tav. II, fig. 17.) Corpuscula funiculiformia, irregulariter subeylindrica, valde longa, 3-7 millim. lata, 1-2 millim. alta; partim regulariter et partinè irregulariter flexuosa, simplicia, multoties recurvatim in- fexa. Hlexiones 4 41/2-8 !/» centim. late; inter flexiones spatium 1/2-20 millim. latum. Il funicolo rilevato è costituito assolutamente della stessa arenaria che forma la lastra su cui esso posa senza alcuna so- luzione di continuità; tale funicolo si presenta irregolarissimo, quasi bitorzoluto alla superficie, ciò che però probabilmente di- pende piuttosto dal materiale che lo costituisce che non dalla struttura dell'organismo da cui deriva. È notevole che il funicolo nelle sue inflessioni non si presenta a linee subparallele, come generalmente nelle altre specie di 180 F. SACCO, [30]. questo genere, ma invece, con una certa regolarità, distanti fra di loro da un lato ed avvicinate dall’ altro. Pure notevole è il cangiamento che si verifica nella direzione di questa ondula- zione, verso un’estremità del funicolo, senza che in complesso varii l'andamento delle ondulazioni. Alla sua estremità il funicolo s’attorciglia sopra sè stesso, in- dicandoci un nuovo tratto di collegamento tra queste forme ed alcune specie di Mnsteria, specialmente colla M. bicornis, M. involutissima, ecc. Però caratteri di maggiore affinità pre- senta la forma in esame con l’Helminthoida crassa Schafh., non- chè con alcune Helminthopsis per modo che sempre più risulta l’affinità di questi due generi. Il fossile figurato posa sopra un’arenaria giallastra. prove- niente dall’Eocene medio del Forame di Attimis nel Friuli. De- dico questa specie all’illustre geologo ed amico Torquato Tara- melli, che la raccolse e che illustrò la geologia del Veneto. HELMINTHOIDA HELMINTHOPSOIDEA Sacc. (Lav. bye. Corpuscula funiculiformia, subeylindrica, pralonga, 1 */a-2 milliun. lata, irregulariter flexuosa, simplicia, multoties recurva- tim inflexa, !/2-1 mallim. alta. Flexiones 3-6 centim. late; inter flexiones spatium irregulare, 1-10 millim. latum. Questa forma mentre per le sue ondulazioni deve porsi nel genere Helminthoida, invece per l'irregolarità di tali ondula- zioni s'avvicina assai all’ Helminthopsis hieroglyphyca Heer, donde il nome specifico che le ho attribuito. È questa specie un nuovo anello di congiunzione fra i due sovraccennati generi, o meglio una nuova prova che in fondo essi non possonsi distinguere. La lastra figurata proviene dall’Eocene del torrente Orvenco, presso Artegna nel Friuli. [31] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 181 HELMINTHOIDA LABYRINTHICA Heer. 1866. O. Heer, Urwelt der Schweiz. Tav. X, fig. 12. Mentre generalmente questa caratteristica e comunissima forma del Liguriano si trova solo allo stato di impronta appiat- tita, sopra una lastra eocenica di Buttrio (Friuli), assieme a resti di Puleodictyon majus, ebbi a constatare impronte rappre- sentate da funicoli rilevati, subcilindrici, filiformi che paiono attribuibili a questa specie, se non si tien conto del modo di presentarsi del fossile ma solo della sua forma, come ho già creduto di poter fare in altri casi simili, per quanto mi restino ancora dubbi in proposito. \ HELMINTHOIDA CRASSA Schafb. (Tav. II, fig. 5-18.) 1851. Schafhiutel, Geogn. untersuch. der Iudbayer. Alpengeb. brsiX,fe 11. Sulle arenarie eoceniche del torrente Orvenco presso Arte- gna, nel Friuli, ebbi ad osservare diverse impronte costituite da funicoli rilevati, flessuosi, attribuibili a questa specie; lo Squi- nabol ne menziona pure molte dell’ Eocene della Liguria. Più notevole è il fatto che forme simili osservansi anche su diverse lastre arenacee che raccolsi nello Stampiano di Cioccale e nel Tongriano fra Dernice e Merlazzina, nelle colline torto- nesi. Forme affatto eguali si raccolgono non di rado nello Stam- piano dell'Appennino Ligure, anzi di una di esse, raccolta dal- l’Issel a Carrosio, lo Squinabol credette di farne una specie @ parte, H. carrosiensis, per la sola ragione che è miocemca; per me tale ragione non basta a distinguere una specie. Queste forme tongriane ed eoceniche si collegano assai bene 182 F. SACCO, [32] sia colle più antiche, H. Tommasti, del Carbonifero, sia con quelle più recenti, H. miocenica dell’Elveziano, solo che si 0s- serva come la loro grossezza vada gradatamente diminuendo dalle specie più antiche a quelle più recenti; questo fatto che avremo pure ad osservare nel genere Urohelminthopsis e che in parte vedesi eziandio nei Tanidium, è certamente degno di nota, quantunque forse dipenda solo dall'ambiente in cui si formò il fossile. HELMINTHOIDA MIOCENICA Sacc. 1886. F. Sacco, Intorno ad alcune impronte, ecc. fig. 2. Esemplari di questa specie, ed esemplari che paiono collegare questa specie colla H. crassa potei raccogliere su lastre del- l’Aquitaniano e dell’Elveziano nelle Langhe, nell’alto Monfer- rato e nel Tortonese. HELMINTHOIDA IRREGULARIS Squin. 1887. Squinabol, Fucoidi ed Elmintoidee. Tav. XVIII, fig. 4, 5. Forma non rara nell’ Eocene della Liguria, così al M. Bastia, al M. Creto, al Lagaccio, ecc. HELMINTHOIDA Sp. (Tav. II, fig. 9) Prima di terminare l’ esame di questo genere debbo ancora menzionare come sopra lastre arenacee dello Stampiano di Gron- dona, ad Est di Val Scrivia, ho trovato impronte che nell’assie- me ricordano alquanto le ultime specie indicate, ma sono sol- tanto costituite da piccoli rilievi arenacei bitorzoluti disposti in serie regolare, talora costituenti alla estremità della serie la solita curva che osservasi nelle Zlelminthoida. [33] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 183 Un fatto quasi eguale, quantunque meno chiaro, osservai pure sopra una lastra arenacea dell’ Eocene di Buttrio (Friuli), solo che in tal caso i rilievi erano più rilevati e più grossi. Credo che sia in relazione con questo fenomeno il fatto assai consimile che ebbi già a far notare rispetto ad alcuni Paleo- dictyon le cui aree non erano limitate che da una serie di ri- lievi punteggiati; ad ogni modo questo fatto, interessante senza dubbio e che qui mi limito ad accennare, potrà probabilmente essere d’aiuto per spiegare l’ origine delle impronte, più o meno problematiche, passate in rivista in questa nota. Urohelminthoida Sacc. Mentre si divisero le Helminthoida dalle Helminthopsis, forme che si collegano assai bene fra di loro, l’Heer invece riunì alle Helminthoida una forma che, per quanto abbia un’origine molto simile a quella delle impronte sovraccennate, tuttavia se ne di- stingue nettissimamente per le appendici che presenta nel punto di incurvamento del funicolo. Ho creduto quindi opportuno di istituire per tali forme un nuovo nome generico, Urohelmin= thoida, che significa Helminthoida con appendici! e descrivibile colla seguente diagnosi: “ Corpuscula funiculiformia, valde longa, subcylindrica, multoties recurvatim inflexa, gyris subparallelis approximatis ; geniculata, geniculis appendiculatis. ,, Di questo genere si conosceva finora una sola specie cretacea ed eocenica; ne raccolsi recentemente un’altra nel miocene del Piemonte. Si nota anche in questo caso il fatto già sopraccen- nato delle dimensioni minori della specie più recente rispetto a quella più antica. Giova osservare che il Nathorst spiega queste forme come prodotte da un verme che nei suoi giri camminava per un tratto all'indietro invece di fare una curva. Ciò mi pare molto im- probabile. ! Da ovpa coda, appendice. 184 F.. SACCO, | [34] UROHELMINTHOIDA APPENDICULATA Heer. 1877. O. Heer, Die Vorwelt. Flora der Schweiz. Tav. LXVI, fig. 1a. Questa specie trovata nel ZElysch eocenico della Svizzera, venne raccolta qua e là nell’Eocene e nel Cretaceo ! dell’Appen- nino settentrionale e della Lombardia; recentemente ebbi in esame una impronta simile sopra una lastra schistosa; gialla- stra, arenaceo-calcarea dell’eocene di Mezzamonte tra Cividale e Castel nel Friuli. Vi si veggono assai bene i funicoli rilevati adattarsi alle on- dulazioni della lastra arenacea su cui sono posati. UROHELMINTHOIDA DERTONENSIS Sacc. (Tav. II, fig. 8-16.) LU Corpuscula funiculiformia 1 maillim. lata, 1/2 millim. erecta, inflerionum amplitudo 2-3 centim.; inter flexiones spatium 2-7 millim. latum. Le differenze esistenti tra questa specie e quella precedente consistono, non soltanto nella minor grossezza dei funicoli, ma anche nella minore ampiezza delle ondulazioni, ciò che ci prova il nesso che esiste nelle diverse dimensioni del fossile, confer- mandocene così vieppiù l’origine organica. Talora nell’angolo che formano i funicoli nelle loro ‘inflessioni manca l’appendice caratteristica, ciò che però potrebbe anche derivare da deterioramento del fossile, ma che probabilmente in alcuni casi rappresenta una mancanza reale originaria. 1 A. e G. B. Via, Cenni geologici sul territorio dell’ antico distretto di Oggiono. Politecnico. Giornale dell’Ingegneria Arch. Civ. e Industr., anno XXVI, 1878. [35] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA, 185 La lastra figurata fu da me rinvenuta fra le arenarie dello Stampiano di Cioccale nelle colline tortonesi, donde il nome spe- cifico che attribuii a questa forma. Zoophycos Massal. Di questo genere, istituito sin dal 1851 dal Massolongo con diagnosi e disegni, ebbi già a descrivere due nuove specie mio- ceniche, cioè lo Z. Gastaldiù (Tav. I, fig. 12) (che recentemente osservai anche nel Langhiano passante ad Aquitaniano) e lo Z. funiculatus, tutte e due a forma cespitosa tipica, ed una va- rietà pliocenica dello Z. Gastaldii. Resti di Zoophycos, attribui- bili probabilmente a questa varietà, si trovano pure in Liguria nel Piacentino di Savona e Borzoli. Parmi naturale di attribuire queste impronte a resti di Alghe, mentre il Nathorst suppone che le A/ectoruride@ siano solo pro- dotte da un movimento meccanico di turbinio. Sopra certe arenarie grigio-verdastre dello Sfampiano di Gron- dona potei recentemente constatare la presenza di una terza specie, assai differente da quelle sovraccennate, cioè a forma di scopa. Quantunque le varie maniere di presentarsi di questi fos- sili possano derivare in parte solo dal modo di fossilizzazione e di conservazione, tuttavia credo che la forma che passerò a descrivere si potrebbe forse distaccare dal genere Zooply- cos (che rappresenta le forme cespitose) e porre invece in uno di quei tanti generi, in gran parte fra di loro sinonimi, che furono istituiti per forme simili, forse nel Taonurus o nel Can- cellophycos. Siccome però regna ancora una grande disparità di opinioni in proposito ed io potei solo esaminare finora una parte delle forme in questione, credo più ragionevole di lasciar sciogliere tale controversia da altri più di me competente nella materia. Per ora quindi mi limito a descrivere la nuova forma tro- vata attribuendola ancora al genere Zoophycos e facendo solo 186 FP. SACCO, [36] osservare: 1° che il nome generico Zoophycos per legge di prio- rità deve avere la prevalenza su tutti gli altri per le forme cespitose; 2° che la forma che descriverò ora, per quanto col- legata ai Zoophycos, deve probabilmente far parte di un genere diverso, inglobante le forme a scopa. Lo sviluppo delle forme in esame (che compaiono già nel si- luriano) dal cretaceo sino alla loro estinzione, sarebbe il se- guente : Pliocene — Zoophycos Gastaldi Sacc. var. pliocenica Sace. » » » Miocene — | » ultimus Sap, e Mar. » Scarabellii Massal. > (ligocene » funiculatus Sacc. » pedemontanus Sacc, » Caput-Medusae Massal. Eocene — » cfr. Ville Massal. » flabelliformis Fisch. Oost. » Targionii Savi e Menegh. » Ville Massal. Cretaceo — » brianteus Massal. » tenuestriatus Heer. » emarginatus Cocchi. ZOOPHYCOS PEDEMONTANUS Sacc. (Tav. I, fig. 13.) Frons lamellosa, fere plana, în laminam arcuatim expansa, smuosa, stipite costuloso laterali vel sublaterali affira. Costule libere, ramose, inter se subparallele, interdum radiantes, satis prominentes, superficie subgranulose, a latere radiantes, plus minusve falcato-incurve, peripheriam versus convolute, basi în stipite costuloso congeste, margine conniventes. Margo exterior simplex, sinuosus, singule frondis latitudo 5 centim. circiter.. Questa forma, conservata ora solo più in semirilievo, proba- bilmente in vita si elevava sopra uno stipite subcilindrico che [37] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 187 si accasciò e si compresse in seguito colla fossilizzazione. Lo stipite si ramifica in più branche attraverso il filloma che svi- luppasi per tal modo assai estesamente. Le costule del filloma presentano alla loro superficie una specie di granulosità più o meno regolare; questo ci indica come lungo le coste della fronda dovevano esistere originariamente dei rilievi e degli incavi abbastanza regolari, fatto che il Saporta già rico- nobbe in qualche esemplare di Cancellophycos scoparius Thioll. La specie descritta per la forma generale ed il gran numero di ramosità ricorda assai bene certi esemplari di Cancellophycos scopoarius dell’Oolite inferiore; invece per le nervature si av- vicina meglio al PRysophycus marginatus Lqx. del Devoniano, solo che la specie descritta non presenta alcun bordo marginale . ed ha nervature meno regolarmente abbraccianti. Gli esemplari di Zoophycos pedemontanus provengono dalle arenarie della base dello’ Stampiano di Grondona, sulla destra di Val Scrivia. Laminarites Sternb. Lo Squinabol nella sovraindicata memoria designa come La- minarites pseudoichnites alcune impronte (Tav. VII, fig. 1, 2) raccolte nell’ Eocene della Liguria e che paiono orme di ani- mali, specialmente di Uccelli. Debbo osservare in proposito che impronte simili si possono osservare in quasi tutti i piani are- nacei deli’ Oligocene e del Miocene del Piemonte. Non ho però mai osato riferirle a resti di Alghe laminariee, per quanto ciò non sia improbabile. Zonarides Schimp. Lo Squinabol nel suo studio sulle Fucoidi della Liguria men- ziona uno Z. striatus Squin. (Tav. XVI, fig. 4), trovato nell’ Eo- cene della Madonna del Monte presso Genova. 188 F. SACCO, [38]. Eoclathrus Squin. Nel lavoro già citato lo Squinabol istituisce questo genere per impronte raccolte dall’ Issel nell’ Eocene di Madonna del Monte presso Genova e forma la specie E. fenestratus (Tav. XVI, fis. 3). Non avendo potuto osservare l'esemplare mi limito ad accennare il fatto, senza potermi per ora associare alle opinioni dell'amico Squinabol, che attribuisce queste impronte ad Alghe dictiotee simili al vivente Hydroclathrus. Nemertilites Menegh. Da diverse località eoceniche dell'Alta Italia, specialmente del Friuli, della Liguria e del Piemonte, ebbi in esame lastre are nacee con impronte e controimpronte di Nemertiliti; non sono neppur rare nel Cretaceo ! di varie regioni; impronte simili potei pure osservare sopra arenarie del Carbonifero del Veneto. Siccome però parmi di non avere un materiale sufficiente per trattare particolarmente di questi fossili rispetto al Carbonifero ed all’Eocene, così mi limiterò a pochi cenni riguardo a quelli del Miocene del bacino terziario piemontese, sia perchè ne ebbi a raccogliere una gran quantità, sia perchè ve se ne possono di- stinguere diverse forme che paionmi degne di un nome speciale. Siccome trattasi probabilmente di semplici impronte lasciate da animali striscianti sopra un fondo marino sabbioso, così tali fossili non hanno che un’importanza relativa e non molto grande, quindi sarà sufficiente di indicare brevemente i caratteri princi- pali delle varie forme riscontrate e presentarne la figura senza darne una diagnosi minuta che resterebbe ad ogni modo sempre meno chiara di un disegno. È specialmente negli orizzonti arenacei della parte meridio- nale del bacino terziario piemontese che rinvengonsi le impronte in questione, particolarmente nel Tongriano, nello Stampiano, VA. e G. B. Vitta, Cenni geologici, ecc. (V. antec.). [39] NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. 189 nell’Aquitaniano e nell’Elveziano; la ragione di tale distribuzione geografica e geologica sta solo nelle diverse condizioni di for- mazione dei depositi nei vari periodi geologici e nelle varie re- gioni del bacino piemontese, giacchè le Nemertiliti sono stret- tamente ‘collegate a depositi di bassifondi o di littorale. Raggruppo sotto il nome di Nemertilites miocenica (Tav. I, fig. 15, 16) le Nemertiliti comunissime a tutti i livelli arenacei della serie oligocenica e miocenica del Piemonte, che distinguonsi da quelle pure tanto comuni nell’ Eocene, specialmente dalla N. Strozzù Menegh.,! per essere generalmente alquanto meno pro- fonde, relativamente più evasate e con rialzo interno più roton- deggiante; debbo però convenire come osservansi in alcuni esem- plari dei passaggi alle forme ceoceniche, come pure queste im- pronte rassomigliano molto alle Nemertilites dell’ Elveziano di Lucerna, impronte che il Maillard crede piste di Vermi. Assai meno comune della precedente è la forma che appello Nemertilites pedemontana (Tav. I, fig. 17) Sacc. e che raccolsi su arenarie elveziane; essa presenta il solco assai meno profondo e relativamente più ampio che nella N. miocenica, inoltre il cor- done rilevato centrale assai meno largo e talora anzi appena ac- cennato, invece i solchi laterali, leggermente arcuati, costiformi, assai più sviluppati. Distinguo infine col nome di Nemertilites Langarum, (Tav. I, fig. 18), dalle colline delle Langhe dove la raccolsi (specialmente nell’Elveziano), una forma i cui solchi laterali sono alquanto ir- regolari e si riuniscono assieme lungo l’asse mediano dell’impron- ta, mancando completamente il cordone rilevato centrale. I mar- gini esterni di questa forma presentansi alquanto sollevati sul piano della lastra arenacea su cui si trovano, ciò che probabil- mente deriva dal materiale smosso e gettato lateralmente dal- l’animale strisciante sul fondo sabbioso. Queste tre forme principali di impronte furono certamente prodotte da animali diversi e forse molto diversi fra di loro; 1 P. Savi e G. MenEGHINI, Appendice alla Memoria di R. Murchison sulla strut- tura delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazii. Firenze, 1851. 190 F. SACCO, malgrado la loro poca importanza ho creduto accennarle perchè finora le Nemertiliti erano quasi solo conosciute nell’ Eocene e nel Cretaceo, quantunque forme affatto simili (Nereites, Nemer- tites, ecc.) riscontrinsi anche nei più antichi terreni paleozici, e d’altro canto impronte quasi identiche si producono, direi, sotto i nostri occhi anche al giorno d’oggi. } Probabilmente in relazione colle Nemertiliti sta una curiosa impronta che raccolsi nello Stampiano dei dintorni di Cioccale nelle colline tortonesi e che appello Nemertilites? dertonensis (Tav. I, fig. 19); essa consta di due serie di funicoli arenacei, ricordanti alquanto quelli di alcune Ielminthoida, subcilindrici, rilevati sulla lastra che li porta, convergenti ‘verso un asse centrale dove, o cessano senz’ altro, oppure costituiscono una stretta curva prima di terminare, per modo da presentare l’a- spetto di un bastone pastorale, oppure, dopo formata la indicata curva, continuano a svilupparsi verso l’esterno in maniera da * costruire una semielisse stretta ed allungata. Oltre alle impronte enumerate in questa nota, ebbi ad os- servarne molte altre, specialmente sopra lastre arenacee, in quasi tutti gli orizzonti terziarî del Piemonte, ma per lo più esse sono di forma così irregolare ed incostante che non mi parvero degne di speciale menzione, per quanto debba riconoscere come sia an- che, almeno per ora, non molto grande l’importanza delle im- i pronte esaminate. Tralasciai di trattare delle Fucoidi poichè già pubblicate dal Meneghini, dallo Squinabol, dal Sismonda, ecc., e d’altronde ben note a tutti, essendo quasi identiche quelle d’Italia a quelle che incontransi altrove. Chiudo questa mia nota sui resti paleoicnologici coll’ augu- rarmi che presto sorga chi, con solidi argomenti, ne spieghi la problematica e certamente molto varia origine, e sarò lieto se qualcuno dei fatti sovraesposti potrà giovare a tale scopo. —__ Federico Sacco _ Vote dé Paleoienologia Italiana TAV. I Ari Soc. Ital. di Se Nat. GAXXXI 1 888 Totofip. Doyen, Torino tn TRATTE E TI i Ripi 3. 2,9 » 4 » 5 » 6 a 7A1 NOTE DI PALEOICNOLOGIA ITALIANA. TAVOLA LI Paleodictyon sp. (Stampiano) Grondona. > » » » » Tellinit Sacc. (Eocene) Buttrio. regulare Sacc. (Stampiano) Gioccale. Strozzit Menegh. (Eocene) Buttrio. minimum Sacc. (Eocene) Cividale. majus Menegh. (Eocene) Buttrio. 19Ì > 12 Zoophycos Gastaldii Sacc. (Elveziano) Rio Bandito presso Rocca Ciglié. > 13 » pedemontanus Sacc. (Stampiano) Grondona. >» 14 Gyrophillites budriensis Sacc. (Eocene) Buttrio. » 15,16 Nemertilites miocenica Sacc. (Elveziano) Langhe. > 1004 » 18 > 19 » 20 » 21 » 29, » 23 » » >» pedemontana Sacc. (Elveziano) Rocca Ciglié. Langarum Sace. (Elveziano) Ciglié. ? dertonensis Sacc. (Stampiano) Gioccale. Taphrhelminthopsis recta Sacc. (Stampiano) Gioccale. Gyrochorte dubia Sacc. (Eocene) Buttrio. Nulliporites bombicoides Sacc. (Stampiano) Cioccale. » stellaris Sacc. (Stampiano) Cioccale. TAVOLA II Tenidium carboniferum Sace. (Carbonifero) Alto In » 2 Helminthopsis hjeroglyphyca Heer. (Stampiano) Gi [ 309 Taphrhelminthopsis auricularis Sacc. (Eocene) Butt SAL RL IRE! Minsteria bicornis Heer. (Eocene) Buttrio. Ae. RI Helminthoida crassa Schafh. (Stampiano) Gioccale. I:6 » carbonifera Sace. (Carbonifero) Alto Incaro, rid ES © PIREO » | helminthopsoidea Sace. (Eocene) Artegno. — \ > RI 7. SRALOA _ 8 Urohelminthoida dertonensis Sace. (Stampiano) Cioccale. | | > 9 Helminthoida sp. (Stampiano) Grondona. » 10 elminthopsis antiqua Sace. (Carbonifero) Alto Incarojo. Rodi > Njeroglyphyca Heer. (Stampiano) Cioccale. n i » 12 Miinsteria licornis Heer. (Eocene) Buttrio. >» 13 Helminthoida Tommasii Heer. (Carbonifero) Alto Incarojo. St n » 14 Mùinsteria involutissima Sace. con Helminthopsis Njeroglyphye cene) Forame di Attimis. ‘ fico Mega 15 Taphrhelminthopsis expansa Sacc. (Stampiano) Cioccale. i i >» 16 Urohelminthoida dertonensis Sacc. (Stampiano) Gioccale. R° » 17 Helminthoida Taramellii Sace. (Eocene) Forame di Attimis. n » 18 » crassa Schafh. (Stampiano) Dernice. RO = raso e Federico Sacco _ Note di Palevicrologia Italiana TAV. IL Ati Soc Ital. Se Nat. Pol. XXXI _ 1888 Res Fototip. Doyen Torino 4 Seduta del 29 Gennaio 1888. Presidenza del Presidente prof. cav. ANTONIO STOPPANI. Aperta la seduta il Segretario G. Mercalli legge, a nome del socio F. Mazza, una sua nota sopra un: Caso di Melomelia an- teriore in una Rana esculenta, e poi, a nome del socio L. Ric- ciardi, alcune osservazioni: Sull’azione dell’acqua del mare nei Vulcani, infine, a nome del socio F. Sacco, presenta una me- moria dal titolo: Note di Paleoicnologia italiana. Infine il Pre- sidente invita il socio E. Mariani a leggere la sua memoria sui: Foraminiferi delle marne plioceniche di Savona. Terminate le letture, il segretario G. Mercalli legge il Ver- bale della seduta 27 novembre 1887 che è approvato. In se- guito il presidente invita alla votazione per la nomina dei mem- bri della Presidenza cessanti a termine del Regolamento. Il segretario G. Mercalli fa osservare che alle nomine annunciate nell’invito bisogna aggiungere quella del Conservatore, omessa per dimenticanza nella lettera d’invito. Fatta la votazione, riescono eletti: Pini rag. Napoleone, Segretario Franceschini Felice, Conservatore Gargantini-Piatti ing. Giuseppe, Cassiere Delfinoni avv. Gottardo, Economo Crivelli march. Luigi Borromeo conte Giberto jun. Magretti dott. Pietro Vol. XXXI. 13 Consiglieri d’ Amministrazione. 194 SEDUTA DEL 29 GENNAIO 1888. In seguito si passa alla votazione per la nomina a socio ef- fettivo del signor dott. C. Pollini proposto dai soci L. Bozzi, C. F. Parona e G. Mercalli, e risulta eletto ad unanimità. Infine il segretario G. Mercalli partecipa i ringraziamenti dei signori Sansoni e Ricciardi nominati soci effettivi nell’ ultima seduta. Esauriti gli affari, il socio F. Franceschini domanda la parola per far osservare come gli sembrino troppo alti i prezzi che at- tualmente corrispondiamo alla spett. Ditta Bernardoni di C. Re- beschini e C. per la stampa degli Atti. Epperò, vista l’assoluta necessità di introdurre economie nel bilancio sociale, propone che la Presidenza s’incarichi di fare pratiche presso la sullodata Ditta tipografica per potere rinnovare il contratto con condi- zioni migliori per la Società. Il presidente Stoppani risponde che la Direzione accetta l’in- carico e riferirà nella prossima seduta sul risultato che spera di ottenere. Dopo di ciò la seduta è levata. 1l Segretario, Prof. G. MERCALLI. RICERCHE DI CHIMICA VULCANOLOGICA ——_—_—_—_—_—_—_—_6 CONFRONTO TRA LE ROCCE DEGLI EUGANEI, DEL M. AMIATA E DELLA PANTELLERIA. Ricerche chimiche del Prof *IEONARDO. RICCLARDI. Per continuare le mie ricerche di chimica vulcanologica sui vulcani attivi ed estinti Italiani, lo scorso anno mi rivolsi alla cortesia dell'amico A. Verri per avere alcuni campioni delle rocce del Monte Amiata, che egli da alcuni anni con diverse memorie scientifiche va illustrando geologicamente. Pervenutemi le rocce, mi detti a studiarle dal punto di vista chimico ed il lavoro, già compiuto da qualche tempo, non l'ho pubblicato a causa dei miei ripetuti traslochi. Ultimamente, mentre mi disponevo a rendere di ragione pub- blica i risultati delle mie indagini, mi capitò sott’occhio un’ac- curato lavoro pubblicato dall’ egregio ing. I. F. Williams.! Non ho sognato mai di possedere il monopolio sui materiali vulcanici del nostro paese, ma non debbo nascondere che l’ intempestiva pubblicazione mi corrivò un tantino, dappoichè da molti anni, per mia disgrazia o fortuna non saprei definire, che mi occupo con gravi sacrifizî di questo trascurato argomento, per quanto importante, ho detto sempre che, per ottenere risultati attendi- 1 N. Jah. f. Min., Geol. und Pal. V. B. Band, 11 Heft, Stuttgart, 1887. L 196 i L. RICCIARDI, [2] bili, bisognava seguire metodi identici onde poter confrontare i risultati e ricavarne utili deduzioni. Se pel Monte Amiata vi è stato altri che pure ne ha fatto argomento di studio, mi conforta, ad onor del vero, di riferire che con gran piacere ho rilevato che i risultati ottenuti dal Williams, seguendo forse metodi differenti, vanno perfettamente d’accordo con quelli da me ottenuti. Infatti confrontando i risultati dell’ analisi della roccia fon- damentale dell’Amiata si rileva che è la stessa: a lo) ù SO IM O AIOr ara e 15,20 bet. e 1,01 Fei Ln 3,12 i Ot ie AR e o tracce Ca: O. cielo OI 2,88 Meo O. 1,84 Mu Oglio So ira een 0,05 KO cea eee ei 6,09 Na? Oli ne QI 1a EE ra sea rie ig 2,15 a. Williams. b. Ricciardi. Però, siccome allo studio delle rocce del Monte Amiata io annettevo molta importanza, perchè i risultati mi dovevano ser- vire per dimostrare che esiste veramente una correlazione tra questo centro vulcanico ed i Colli Euganei da una parte e l’i- sola di Pantelleria da un’altra, come ultimamente accennai nella mia pubblicazione Sull’ allineamento dei Vulcani Italiani, * così mentre in questo lavoro abbordo le considerazioni di relazioni 1 Reggio Emilia, 1887. [3] RICERCHE DI CHIMICA VULCANOLOGICA. 197 tra i tre centri vulcanici, fo precedere questa parte da altre considerazioni. Diversi autorevoli scienziati, che si sono occupati delle rocce del Monte Amiata, sono d’accordo nel considerarlo come una massa uniforme e dividono le rocce in due gruppi. Il Williams sul proposito così si esprime: le rocce del Monte Amiata si dividono in due gruppi principali: I.° Rocce a base vitrea pura o quasi pura, con piccole in- clusioni. R II.° Rocce a base vitrea-microfelsitica con inclusioni più grandi. Il primo gruppo, al quale appartengono le rocce del margine del Monte, si possono suddividere nei seguenti due gruppi: a) rocce granitoide, chiare, di cui è tipo la roccia di Vivo. Sono a grana fine e fornite da particelle vitree, sferoi- dali e di molte quantità di sanidina, plagioclasio, ipersteno e biotite nelle seguenti proporzioni: Basesfondametitale 3, 0 0:tsvinzzo (LB, 0560 Sandalo @Di0, (DI) ME OLTOMILI SI, 0TReD6 Plagioclasio ARERICNO Re e ed og 100 b) rocce nere, i cui tipi migliori si trovano al Poderino ed a Casa La Fornacina. La loro massa appartiene esclusiva- mente alla varietà nera: contengono sanidina, ma non in pro- porzioni tali come nelle rocce del gruppo a; all'incontro con- tengono maggior quantità di plagioclasio che non quest’ ultime. Ipersteno e biotite vi sono rappresentate piuttosto abbondante- mente. Le proporzioni elementari sarebbero: 198 L. RICCIARDI, [4] Basé fondamentale!" 0 Il prof. G. Mercalli, * in un accurato lavoro recentemente pubblicato, Sulle lave di Radicofani, confrontando quelle rocce con altre di vulcani Italiani rileva quanto segue: che le lave di Radicofani sono litologicamente affatto diverse sia da quelle del Monte Amiata, com’era già noto, sia da quelle di Acqua- pendente, alla quale venivano associate da Brongniart, da Mur- chison e da altri. Poichè le lave di Acquapendente sono leuci- tofiri a cristalli di leucite e di sanidina, molto più somiglianti ai leucitofiri del Lago di Vico, che alle doleriti ed andesiti di Radicofani, in cui manca affatto la leucite e la sanidina vi è solo come elemento accessorio. L’egregio geologo ritiene quindi che le lave di Radicofani rappresentino la seconda fase di attività del focolare vulcanico Amiatino, il quale, cambiando la natura dei suoi prodotti, mutò pure l’asse eruttivo. Perciò nella prima fase vennero alla luce le trachiti molto acide, a pasta vitrea e microfelsitica. Nella seconda fase l’asse eruttivo si è spostato di alcuni chilometri più ad est e le materie eruttate divennero doleriti ed andesiti oliviniche e con esse si chiuse definitivamente l’attività eruttiva del focolare Amiatino. Questi ultimi tipi di rocce hanno la seguente composizione centesimale : 1 Le lave di Radicofani. Atti della Soc. Italiana di sc. nat. Vol. XXX. Milano, 1887. 206 L. RICCIARDI, [12 a b Dicono: 53,63 Lia Ph? 0° 0,93 1,33 Sona, 0,62 0,94 lisa; tracce tracce Al? 0° 14,17 (3400 Fe 0. 8,07 4,12 Fe? 0° 1,46 5,06 Motion ti and ua tera eso 0,57 OIL PIRA IRR E Ri RC IT 9,34 Ma;Diiialioni Le ana 4,00 KP ibi Wier ee 9,43 Nat ele nai 2,07 Perdita ice ina 1,07 100,29 100,12 a. RicciaRDI, Dolerite di Radicofani. db. ; Andesite olivinica di Radicofani. Con queste osservazioni del chiar. prof. Mercalli io trovo una conferma ai fatti da me enunciati lo scorso anno, la prima ri- guardo il graduale passaggio delle rocce acide alle basiche, ! la seconda, in quanto alla pubblicazione sull’allineamento dei vul- cani Italiani, nella quale ammisi che nel Monte Amiata s° in- contrano due fratture, una trasversale che parte dalle Alpi Marittime e giunge nei monti della Sila nelle Calabrie, l’altra parallela al meridiano che parte dalle Alpi Retiche passa per l’Amiata e va a sprofondarsi nel mare africano. Quindi da una frattura vennero eruttate le trachiti che rappresentano i pro- dotti delle eruzioni subaeree della fase Amiatina, dall’altra, am- messo lo spostamento del centro d’ eruzione, le andesiti e le doleriti di Radicofani, ossia la trachite modificata dall’intervento della calcarea Appenninica, poichè, come rilevasi dalla compo- 1 Gazzetta Chimica Italiana, 1887. [13] RICERCHE DI CHIMICA VULCANOLOGICA. 207 DI sizione delle rocce, la differenza è nel quantitativo della calce, della magnesia e del ferro, che la calcarea introdusse nel mag- ma, modificando così il tipo della roccia. Il Monte Amiata presenta nelle sue rocce tutti i caratteri degli altri vulcani che da subacquei divennero subaerei, quindi ‘ nei granelli vitrei e nella massa di Casa La Fornacina e di Casa Tasso ci dà il tipo della roccia granitica. Nelle rocce co- stituenti la massa principale Amiatina, come in quelle di Noc- chetto, presso Castel Piano, nella lava nera del Piano del Ca- stagnaio ed in altre, si riconosce il tipo della roccia trachitica, cioè il granito già modificato, ed in ultimo accettandosi l’ ipo- tesi, avvalorata da osservazioni scientifiche del prof. Mercalli, nel considerare le lave di Radicofani, troviamo in esse il tipo delle doleriti e delle andesiti e non credo di sostenere una cosa contraria al vero se ammetto che, qualora si fossero verificate altre eruzioni dai crateri di Radicofani, si sarebbe giunto al tipo delle rocce basiche in modo analogo a quanto si è verifi- cato nella Pantelleria e negli altri vulcani. Infine per me la roccia granitica, nelle evoluzioni delle rocce erruttive, rappresenta il protile di Crookes e di Reynolds nel- l'evoluzione chimica inorganica ed organica. R. Istituto Tecnico di Bari, aprile 1888. . 208 i fui de (Allegato A) . BILANC Dal 1° Gennaio ai Attività. .1..| In Cassa al 1.° Gennaio 1887... .... || Interessi. maturati. tax aa 10.13 3 | Importo di N. 33 quote arretrate a L. 20 cad. cioè: N. 1 quota 1883 . .L. 20 — su D pe OS, 0 ce 8.0, 1880 ‘. , s 0 00 ni 29 CEO8O 0a pini N. 15 I L. 660 — || 660 Importo di N. 57 quote 1887 a L. 20 . . . L.|{ 1140 ti) » e) 3 2 » » 10 = ? Li » 30 Rimborso copie :ac-parte!) ovo 100004 l'e 155 Vendita Ate Memorie bi: «renne 185 N A & VO + Luiz. È Li i ni LATE po vos f BI CA RE (7 Te, NU STI I ì "A tn Ma Pes E 1.0 i H ) ina doi rn ni | > cen È ‘na j Li eee È i E rp DROIEE LE = = — === - == E PRA Mg " ade al C "E Ù da ii ili ce li pn o 4 : "a te: » a aaa % 5 Pn n RENI Lore. Totale delle attività L. || 2402 | 55 Passivo a pareggio , || 289 | 16. L. || 2691 IJDOUH br DAN T -ote— Le RI a dr ice 4 * I presenti Bilanci furono approvati nella seduta del 29 aprile 1888. SONSUNTIVO * 31 Dicembre 1887. Passività. Alla Tipografia Rebeschini e C. per stampa Atti e Circolari . Al Litografo Ronchi . A Mantovani Giovanni, incisore . Al Libraio Hoepli per somministra- zioni librarie e porto libri . Spese d’Ammin., Posta e Segreteria. A Bergomi aiuto al Conservatore Stipendio agli inservienti Al socio Parona per rimborso spese litografiche Al litografo Bruni per lavori liogtatici Fratelli Doyen a saldo lavori lito- grafici . Totale delle Passività . Vol. XXXI. 209 Mandati 174 175 171 178 1753 170 168 176 177 172 CITI TIT nm___"_"_ ____ ____ T_T T_T 44 210 i e —TTTI:EC".:- (ubi (Allegato B) Attività. Importo di N. 68 quote arretrate a L. 20 cad. L. 7) ” 9 100 » 1888 ” >) 20 ” n » LRD 3 » » no» 10 ”» D) » ‘presumibile per rimborso copie a parte del 1887 e 1888. MI oo. Ricavo presumibile per vendita Affi e Memorie. 3 Totale attivo L. BILANCIO PREVENTIVI 1360 2000 30 200 180 | i | | | pER L'ANNO 1888. Passività. fil | Rimanenza passiva al 31 dicembre 1887. . L.|| 289 | 16 ee stampa Att e Memorie . . . . ... . . 0, || 1800 | — sMiespese Litografia. . . . ; Tar 250 | — 4 | Spese d’ Amministrazione, Posta e CO Se TO 9 | Ai Librai Hoepli e Dumolard per associazioni RR N eg 150 | — uo Conservatore 0. uo... .04 73 150 | — urina. 0.60. | 1500, Totale passività. . L.| 2939 | 16 Attività a pareggio ,|| 530 | 84 eo NOTE ITTIOLOGICHE. OSSERVAZIONI FATTE SULLA COLLEZIONE ITTIOLOGICA peL Civico Musro pI StoRIA mutata in Mirano dal socio CRISTOFORO BELLOTTI. (Seduta del 29 aprile 1888.) VII. Scorpana ustulata Lowe. (Tav. 44, fig. 1.) Scorpsena porcus (L.) Costa. Fauna del Regno di Napoli, tav. III. Lowe nei Proceedings of the zoological Society of London 1840, pag. 36, descrive col nome di Scorpena ustulata una nuova spe- cie di Madera, rarissima, e che pe’ suoi caratteri sta di mezzo fra le due specie comuni e ben note del nostro mare, Scorpena scrofa L. e Scorpena porcus L. La diagnosi latina ch’ egli ne dà è così accurata che basterebbe da sola a far distinguere la nuova specie dalle altre due succitate. Giinther nel suo Catalo- que of Fishes, Vol. II, p. 110-112, descrive assai diffusamente la Scorpena ustulata Lowe approfittando di note manoscritte, che lo stesso Lowe ebbe a redigere in posto, relative ai tre soli esemplari da lui raccolti a Madera nel novembre e dicembre 1839 e nell’aprile 1841. Confrontando tali descrizioni con pa- recchi esemplari di una Scorpena che rinvenni a Nizza durante lo scorso inverno, dovetti convincermi della loro identità colla () 214 C. BELLOTTI, [2] specie di Madera, malgrado piccole differenze attribuibili in parte a varietà locali, per quanto riguarda specialmente il co- lorito dei varî esemplari e in parte a qualche inesattezza nel manoscritto di cui Giinther si è servito e che avrebbe potuto essere riveduto e corretto dall’autore, se egli medesimo ne avesse curata la pubblicazione. Così mentre nel Giinther (loc. cit.) leg- gesi: orbital tentacles none or small e più avanti: no tentacles cacept a small one at the back of the anterior nostril, si potrebbe supporre che l’autore del manoscritto non abbia con sufficiente cura verificata la presenza dei tentacoli sopraorbitali, che negli esemplari di Nizza sono palmati, laciniati e lunghi ordinaria- mente circa la metà del diametro orizzontale dell’ occhio, tal- volta più piccoli ed eccezionalmente (in un solo caso) lunghi quanto esso diametro. Potrebbe darsi benanco che nell’ esem- plare descritto a pag. 111 mancassero interamente i tentacoli sopraorbitali per rara eccezione, come pure osservò Steindach- ner (Lehthyolog. Bericht., ecc. IV Fortz., pag. 76) in un esem- plare lungo cent. 8 che egli riferisce alla Scorpena scrofa L. Sopra più di 50 esemplari di Nizza da me esaminati, in uno solo mancava il tentacolo sopraorbitale destro; mancano invece sovente, o sono appena percettibili i piccoli tentacoli all’ estre- mità del muso. Lowe conta soltanto 24 squame per la linea laterale, mentre in realtà dovrebbero ritenersi circa 46, quante se ne contano negli esemplari di Nizza; ma lo stesso Giinther nella nota a piè della pag. 111 (loc. cit.) osserva che Lowe ha contato soltanto le piccole squame che costituiscono la linea laterale (e che sono infatti 24), mentre quando queste non sono completamente sviluppate, devesi calcolare il numero delle serie trasversali di esse dall’ udito alla base della caudale, che nel nostro caso sono, come già dissi, in numero di 46. Ciò viene confermato dall’autore quando, parlando della linea laterale, ac- cenna a un little tooth or point projecting beyond the hinder edge of the scales ; il che non è altro che il prolungamento della parete del canale laterale, che si rimarca egualmente nella Scor- pena scrofa L. Lo stesso modo di calcolare le squame della {3] NOTE ITTIOLOGICHE. 215 linea laterale fu adottato da Steindachner (loc. cit., pag. 77) per la Scorpena scrofa L. avendone notate 24-26, mentre però soggiunge, che da 40 a 46 serie se ne contano in una linea trasversale dalla estremità superiore posteriore della scapola alla base della pinna caudale. Steindachner (loc. cit., pag. 76) dubita che la Scorpena ustulata Lowe non sia che una varietà, o la forma giovanile della Scorpena scrofa L. Con tutto il ri- spetto dovuto all’ opinione dell’ eminente ittiologo di Vienna, non posso a meno di ritenere che se egli avesse potuto esami- nare i molti esemplari, da me raccolti della Scorpena ustulata Lowe, di varie dimensioni, si sarebbe immediatamente convinto non potersi questa confondere con nessuna delle altre specie congeneri. Fra gli esemplari raccolti a Nizza di Scorpena scro- fa L. havvene di giovani che non differiscono dagli adulti pei loro caratteri e non possono egualmente confondersi cogli esem- plari di Scorpena ustulata Lowe di eguale ed anche maggiore dimensione, fino alla lunghezza totale di cent. 18. Mancano as- solutamente i passaggi dall’ una all’ altra delle due forme. Esi- stono poi, nella collezione del Museo civico, due piccoli esem- plari di Scorpena scrofa L. lunghi cent. 5, da me rinvenuti l’uno a Palermo, l’altro a Messina nell’ inverno 1883. In en- trambi mancano affatto i cirri alla mascella inferiore, come su tutto il corpo, e perfino i sopraorbitali e quelli appartenenti alla narice anteriore; però le loro proporzioni, specialmente per quanto si riferisce alle orbite e al muso, sono tali che non lasciano il minimo dubbio sulla loro identità colla Scorpena scrofa L. Negli esemplari di Nizza le pinne ventrali talvolta raggiun- gono l’anale, talvolta ne distano notevolmente, nè tale varia- zione è dipendente dall’ età, non avendo rapporto colle dimen- sioni dei varî individui. Il secondo raggio spinoso dell’ anale è più robusto e alquanto più lungo del terzo. Il foro anale tro- vasi sempre alquanto più vicino all'estremità della mascella in- feriore che a quella della pinna caudale. Lo spazio interorbi- tale è la metà del diametro dell’ occhio. I denti alle mascelle 216 C. BELLOTTI, | [4] e al vomere sono assai più brevi, più minuti e più fitti che non. nella Scorpena scrofa L. Quanto al colore esso è generalmente come nell’ esemplare 2.° di cui Giinther riporta la descrizione (loc. cit., pag. 111). Le ventrali e l’anale presentano assai spesso le macchiette nere che si scorgono sulle altre pinne e sul corpo. Manca sovente la macchia bruna dietro l'occhio, citata da Lowe. La macchia nera sulla dorsale spinosa occupa talvolta la mem- brana fra il 7.° e il 10.° raggio, talvolta è circoscritta in minor spazio e si riduce fin anco alla sola membrana fra due dei detti raggi; rarissimi sono gli esemplari in cui questa macchia manca intieramente. Più frequenti sono gli individui nei quali il rosso vivo che domina solitamente in questa specie è sostituito da bruno scuro. Il color rosso sulle pinne e sul corpo scompare assai facilmente dopo breve soggiorno nello spirito. I maggiori individui da me finora rinvenuti non superano i cent. 18 di lunghezza totale. Debbo ora riferire quanto ho osservato intorno a questo ge- nere Scorpena nella Fauna del Regno di Napoli di 0. G. Co- sta:.Parte:2.°%.tav. 2-4. Al N. 1. Scorpena scrofa L. (pag. 1, tav. II) nella diagnosi latina si legge: cirrhis ad mazillis, oculos, nares, corpus un- dique; ad lineam lateralem majoribus. Nella figura, tav. II, non vi è traccia di cirri, tranne agli occhi, alla narice e all’ estre- mità del muso. Anche il colore quasi intieramente rosso vivo della figura non è il solito per questa specie, mostrandosi assai sovente a fondo bruno con macchie più fosche, come negli esem- plari di Nizza da me raccolti e che trovansi nella collezione del Museo civico. Al N. 2. Scorpena porcus L. (pag. 2, tav. III) è descritta e figurata la varietà bruna della Scorpena ustulata Lowe: Scor- pena rubro-nebulosa punctataque, cirrhis ad oculos naresque, maxilla inferiori imberbi, squamis parvis subnudis. Debbo no- tare che le squame non possono chiamarsi parve in confronto a quelle della Scorpena scrofa L. e che il colore assegnato DI alla specie è il meno frequente, almeno negli esemplari da me [5] NOTE ITTIOLOGICHE. 27 esaminati, in cui predomina il rosso vivo su fondo giallo chiaro. La fig. A della stessa tavola I{I riproduce con sufficiente esat- tezza la forma delle squame. Il nome di Scorpena porcus L. non è ammissibile per questa specie, ma deve invece indubbia- mente assegnarsi all’ altra descritta in seguito al N. 3 (pag. 3, tav. IV) col nome di Scorpena fasciata Costa; Scorpena griseo- fusco rubra, cauda albida fasciis tribus fuscis, capite magno, cirrhis ad oculos. Le figure de d' della tavola citata presentano la forma delle squame, che sono caratteristiche della Scorpena porcus L. Rafinesque (Caratteri, ecc. pag. 33) annovera fra i pesci di Sicilia una Scorpena notata Raf. che potrebbe non differire. dalla Scorpena ustulata Lowe; ma la descrizione ne è così poco dettagliata che non è possibile giudicare con certezza della sua . identità colla specie di Madera. La Scorpaena ustulata Lowe, rarissima a Madera, trovasi ab- bastanza comune a Nizza e fa meraviglia come vi sia rimasta finora inosservata. A Napoli è pure frequente, come viene as- serito dal Costa per la specie che chiama erroneamente Scorpena porcus L. Anche il sig. Salvatore Lo-Bianco, Professore alla Sta- zione zoologica di Napoli, avvertiva la presenza su quel mercato di una Scorpena di specie a lui non nota, diversa dalle due comuni del Mediterraneo e ne dava parte al prof. Giglioli che a me ne riferiva verbalmente. Non ho potuto finora procurarmi da Napoli alcun esemplare di quella Scorpena, ma il poco che mi venne riferito mi lascia credere trattarsi della specie figu- rata dal Costa col nome di Scorpena porcus L. non ammissi- bile come già si è visto.! Nel Museo civico di Genova, per gen- tilezza del sig. marchese Doria, potei osservarne esemplari nella 1 Posteriormente alla presentazione di questa Nota alla Società Italiana di Scienze naturali, lo stesso sig. Salvatore Lo-Bianco, in seguito a mia preghiera, mi spediva gentilmente da Napoli sei esemplari della Scorpe@ena in discorso, perfettamente eguali agli individui di Nizza e coll’avvertenza che la loro pesca avviene fra 30 e 100 metri di profondità, in fondi a coralline e detritici, che è Specie molto co- mune nel Golfo di Napoli e chiamata dai pescatori Scorfanello. } 218 C. BELLOTTI, [6] collezione ittiologica, confusi con altri sotto il nome di Scorpena scrofa L. e cioè due esemplari provenienti da Malta, pescati a 80 metri durante le Crociere del Violante; un esemplare di Lagosta (Dalmazia) pure raccolto dal Violante; questo esem- plare appartiene alla varietà in cui il color rosso è sostituito dal bruno-fosco; un quarto esemplare proveniente dallo stesso Golfo di Genova, lungo cent. 16,5. Finalmente or son tre giorni il sig. marchese Doria mi spediva a Milano uno fra diversi esemplari appena rinvenuti dal sig. Borgioli sul mercato di Genova, della varietà in cui predomina il rosso vivo. Attendo di sapere se la specie in discorso si rinvenga pure a Venezia, come è probabile, esistendone un’individuo da Lagosta. Sarà intanto da annove- rarsi questa specie in aggiunta alle altre molte di cui è ricca la fauna ittiologica del Mediterraneo italiano. Prima di abbandonare questo argomento dirò ancora che es- sendomi rivolto al sig. dott. Emilio Moreau di Parigi per sa- pere se la Scorpena madurensis Val. (Cuv. Val. Vol. IX, pa- gina 463) potesse supporsi, per la sua provenienza da Madera, identica alla Scorpana ustulata Lowe, o se fosse da ritenersi, come in Giinther (Cat. Vol. II, pag. 102), sinonimo del Sedastes maderensis Lowe, l’ egregio ittiologo di Parigi mì riscontrò gen- tilmente asserendo che dall’ esame fatto degli esemplari di Scor- pana madurensis Val. esistenti nella collezione al Jardin des plantes, in confronto degli individui di Scorpena ustulata di Nizza da me a lui comunicati, gli risultava che la specie di Valenciennes non è a confondersi con quella di Nizza e tanto meno col Sebastes maderensis Lowe. Nella Scorpena madurensis Val. lo spazio interorbitale è maggiore del diametro dell’ occhio, mentre nella Scorpena ustulata Lowe non supera la metà di detto diametro, come nella Scorpena porcus L. Inoltre nella Scorpena madurensis Val. l'altezza del corpo sta quattro volte almeno nella lunghezza totale; nella Scorpena ustulata Lowe non vi è compresa che tre volte e mezza; manca sempre nella Scorpana madurensis Val. la macchia nera sulla dorsale spi- nosa. [7] NOTE ITTIOLOGICHE. — 219 Anche il prof. H. E. Sauvage nel suo lavoro sugli Scorpenidi (Nouv. Archives du Mus. 2° série, tom. 1, pag. 113) annovera la Scorpena madurensis Val. fra i Sebastes accanto al Sebastes kuhliù Lowe. La Scorpena scrofa L. così chiamata e figurata da Valen- ciennes (Poissons des iles Canaries. pl. 2, fig. 1, col nome di Sebastes kuhlii) non è affatto ciò che viene dall'autore asserito (loc. cit., pag. 20), dovendo la figura riferirsi ad un Sebastes, e non al Sedastes kuhliv Lowe, ma piuttosto al Sbastes dacty- lopterus Delar., mentre il Sebdastes filifer Val. della stessa tav. 2, fig. 2, deve ritenersi sinonimo del Sebastes kuhli Lowe. Lo stesso parere emisero in proposito i due distinti ittiologi Stein- dachner !' e Vinciguerra. ® Un’ ottima figura e descrizione della Scorpana scrofu L. si trova nei Fishes of Madeira di Lowe (pag. 105, fig. 16). È strano come il prof. H. E. Sauvage, nel citato suo lavoro sugli Scorpenidi, non abbia fatto menzione della Scorpena ustu- lata Lowe, che vedemmo comune a Nizza, il che lascia supporre che all’epoca di quella pubblicazione non ne fosse nota all’ in- signe autore l’ esistenza nel Mediterraneo. Nulla egualmente si rinviene nelle opere di Risso, Delaroche, Cuvier, Valenciennes, Guichenot, Moreau, che possa riferirsi a questa specie Mediterranea. IX. Gobius ater n. sp. (Tav. 4*, fig. 2.) L'esistenza nel Mediterraneo del Gobius niger L. fu negata da alcuni ittiologi: Steindachner, ® Ninni, Vinciguerra; posta in dubbio od ammessa da altri: Cuvier e Valenciennes, Giglioli, ' Ichth. Bericht. IV, pag. 69. 2 Crociere del Corsaro; Pesci, pag. 6. 3 Sitzungs. der K. Akad. Wien, Band LVII, p. 413; Iehth. Ber. V Fortz., pag. 63. 4 Crociere del Violante, pag. 56. 220 C. BELLOTTI, [8] Giinther, Moreau,' senza enumerare i parecchi autori che sulla fede altrui ne fecero cenno nei loro cataloghi, o confusero tal- volta il Gobius niger L. colla specie affine il Gobius paganel- lus L. Nello scorso inverno ebbi a raccogliere sul mercato di Nizza diversi esemplari di un Gobius, che a primo colpo d’ oc- chio mi parve il Gobdius siger L. da me finora indarno ricer- cato nel Mediterraneo, ma che confrontato poi con esemplari di questa specie provenienti dal Cattegat e dalla Finlandia, questi ultimi per cortesia del Console italiano in Helsingfors, sig. Gosta Sundman, mi si appalesò abbastanza differente e me- ritevole di venir distinto con un nuovo nome specifico. Eccone i caratteri: D. 6, 1/13: 1/01-12° Im Tat. 40% Undici serie longitudinali di squame tra la seconda dorsale e anale. IZ profilo superiore e inferiore del corpo, anteriormente alla dorsale e alle ventrali, è notevolmente più obliquo che mel Gobius niger L. L'altezza del corpo è compresa cinque volte o poco più nella lunghezza totale; il capo quattro volte. L’occhio sta tre volte e mezza nella lunghezza del capo; lo spazio inter- orbitale è più stretto che nel Gobius niger L.; il muso non è più di due terzi del diametro dell’ occhio. La prima dorsale è un po’ più bassa della seconda che è meno alta della maggior altezza del corpo; la sua distanza dal margine posteriore dell’ oc- chio è uguale a quella fra l’estremità del muso e il preopercolo; le pettorali lunghe oltrepassano la papilla anale; alcuni dei loro raggi superiori sono setiformi; le ventrali lunghe circa due terzi delle pettorali distano dal foro anale circa un diametro dell’occhio. Sono assai poco distinte le serie verticali di pori sulle guancie, affatto mancanti sulla nuca tra la dorsale e il cranio, ove le squame in numero di 20-22 serie sono poco più piccole di quelle del corpo, proporzionalmente più grandi di quanto scorgesi nel Gobius niger L. e Gobius paganellus L. e più persistenti. . 1 MorraAU, Poissons de la France. T. 2, pag. 232. [9] NOTE ITTIOLOGICHE. 221 Il colore è generalmente uniforme bruno intenso, talvolta poco più chiaro, sparso qua e là di piccole macchiette biancastre, specialmente sulle parti inferiori del capo. Le pinne verticali, nonchè la caudale, sono sovente color nero uniforme, talvolta con piccole macchie grigiastre; le pettorali e le ventrali sono ordinariamente variate di nero e grigio chiaro. In tutti gli esem- plari esaminati (più di cento) la dorsale anteriore ha l’ estre- mità dei primi quattro raggi di color giallo arancio, assai meno esteso però che nel Gobius paganellus L. Di questa stretta fran- gia non rimane che una lieve traccia dopo breve soggiorno nello spirito. Lungo i fianchi scorgesi spesso una serie di macchiette nere più o meno distinte. Gli esemplari maggiori non superano la lunghezza totale di cent. 8. Pe’ suoi caratteri la nuova specie è intermedia tra il Gobius niger L. e il Gobius paganellus L. Differisce dal Gobius niger L. per avere il corpo più alto e più breve, l’occhio più grande, le squame anteriormente alla dorsale più grandi e senza serie di pori, le ventrali più brevi; dal Gobius paganellus L. diffe- . risce per la maggior parte dei caratteri citati e inoltre pel mi- nor numero di squame della linea laterale. Anche il colore è generalmente più fosco che nelle due specie affini. Se, come pare, il Gobius niger L., con tutti i suoi caratteri distintivi, non trovasi nel Mediterraneo, la nuova specie potrebbe esserne considerata il rappresentante. È bene notare che il Gobius ni- ger L. come tale figurato nel Day (Fishes of Great Britain and Ireland. Tav. 52, fig. 3) è tutt'altra specie, forse un giovane Gobius jozo L. Lo stesso parere mi esprimeva recentemente il dott. E. Moreau. Credo pure inverosimile che il Gobius niger L. arrivi almeno a 9 4/2 pollici inglesi di lunghezza (= cent. 24) come asserisce lo stesso Day (loc. cit., pag. 165). Pennant (Bri- tish zoology) ne limita la lunghezza a sei pollici e credo sia più nel vero. Donovan (British fishes, pl. 104) ammette la stessa dimensione. Moreau (loc. cit., pag. 233) accenna a una lunghezza totale di mill. 107. 222 C. BELLOTTI, [10] X. Pteridium atrum Risso. Lo Pteridium atrum descritto e figurato dapprima dal Risso (Ichth., pag. 142, pl. 11, fig. 41) col nome di Oligopus ater, più tardi dal De-Filippi (De-FiLippi e VERANY, Sopra alcuni pesci, ecc.) e da essi ritenuto assai raro, si riscontra abba- stanza frequente nel mare di Nizza, principalmente nella sta- gione estiva, ma non avendo valore come cibo, occorre farne speciale richiesta ai pescatori, che altrimenti non sogliono por- tarlo sul mercato. La sua rarità nelle collezioni fu causa per cui finora non siasi osservata una differenza rimarchevole che presentano fra loro i due sessi. Tanto Risso che De-Filippi (loc. cit.) asseriscono, il primo che le mascelle sono fornite di una serie di denti robusti, acuti e il secondo che l’osso intermascel- lare e la mandibola portano denti assai distinti, acuti, rari, in un solo ordine, sorgenti da uno strato di denticoli minutissimi, e stipati. Lo stesso viene pure riferito dal dott. E. Moreau (Poissons de la France, III, pag. 229) Per Giinther (Cat., IV, pag. 376) questa disposizione dei denti: jaws wilh a band of minute and with an outer series of strong pointed teeth, è ca- rattere distintivo del genere. Nè altri ch'io mi sappia ha intro- dotto variazione nella descrizione di questo apparecchio. Avendo avuto occasione di esaminare a Nizza diversi individui di Pte- ridium ater Risso, tanto freschi quanto conservati in alcool, po- tei accorgermi che in molti di essi la mascella superiore manca assolutamente di denti acuti, sporgenti, essendo munita soltanto di una larga fascia di denti minutissimi e stipati; la mascella inferiore porta pure una larga fascia di denti come la superiore e va munita inoltre di una serie di minutissimi denti sporgenti, acuti, fra loro distanti lungo il margine interno; il vomere porta solo una fascia di denti simili a quelli della mascella superiore, mancando gli altri più acuti e sporgenti cui si accenna nella accurata descrizione del De-Filippi. La circostanza che questi [11] NOTE ITTIOLOGICHE. 223 individui si trovano di solito con altri, che, essendo eguali in tutto il resto, ne differiscono soltanto per avere i denti alle mascelle e al vomere, quali vennero finora descritti dai diversi autori, mi fece sospettare che la notata differenza potesse di- pendere dal sesso e l’esame anatomico venne a confermare que- sto supposto. Nello Pteridium atrum Risso la femmina si di- stingue dal maschio per la suaccennata mancanza di denti spor- genti, acuti alle mascelle e al vomere e perciò le descrizioni dei varî autori debbonsi tutte riferire ad individui di sesso ma- schile, che saranno stati casualmente i soli da loro esaminati. Negli individui di sesso femminile il corpo appare talvolta un po’ più alto che non nei maschi. La proporzione numerica osservata fra i due sessi sarebbe in favore delle femmine, avendone riscon- trate 24 sopra 40 esemplari esaminati, tutti di Villafranca presso Nizza, presi in diverse epoche dell’anno. Le femmine pare rag- giungano dimensioni maggiori che non i maschi. Fra le femmine l'esemplare maggiore da me osservato è di mill. 135 di lun- ghezza totale; fra i maschi il maggiore presenta mill. 107 di lunghezza. | Lo Pteridium armatum Dod.! di cui l’unico esemplare esiste nel Museo di Palermo, si distinguerebbe principalmente per una diversa forma nell’appendice anteriore della vescica natatoria, per la disposizione dei denti alle ossa palatine, per la presenza di due spine opercolari ben distinte (nello Pteridium atrum è pure costante la presenza della spina opercolare superiore, es- sendo appena rudimentale l’ inferiore) e per le macchiette fo- sche di cui è sparso tutto il corpo, più cospicue che non nello Pteridium atrum Risso. 1 DopERLEIN, Descriz. zoolog.-zootom. di una novella specie di pesci dei mari di Si- cilia. Palermo, 1886, con fig. 224 C. BELLOTII, [12] XI. Microstoma oblitum Facciolà. (Tav. 4°, fig. 3 e 3 a.) Nella pregevole memoria pubblicata dal dott. Luigi Facciolà di Messina * intorno a questa interessantissima specie, rimasta inosservata pei naturalisti contemporanei, è detto che essa non oltrepassa la lunghezza totale di mill. 70 a differenza della spe- cie congenere Microstoma rotundata Risso di cui si hanno esem- plari di 22 centim. di lunghezza. Infatti gli individui finora rin- venuti nello Stretto di Messina si mantengono nelle accennate piccole dimensioni. Il 3 novembre 1887 si rinveniva a Nizza un esemplare di Microstoma lungo 18 centim. e che pe’ suoi ca- ratteri appariva differire dalla nota specie IM. rotundata Risso. Appena quell’ esemplare mi venne mostrato, giudicai che non poteva essere altro che un Microstoma oblitum Facc. adulto e l’ esame attento de’ suoi caratteri non fece che confermarmi in quella opinione. Il dott. Cesare Sarato di Nizza, non conoscendo la recente memoria in proposito del dott. Facciolà, era giunto a trovare la corrispondenza di quell’ individuo col Gasteropele- cus microstoma Risso (Ichth., pag. 356) e infatti i caratteri ivi assegnati dal Risso corrispondono abbastanza bene coll’ esem- plare in discorso; se non che il Risso medesimo, nella sua Hist. nat., III, pag. 475, riferendosi alla specie come sopra descritta, ne cambia giustamente il nome generico con quello di Micro- stoma, descrivendo la specie che egli chiama IMicrostoma rotun- data con caratteri misti delle due specie ora distinte e dando una figura (fig. 36) che rappresenta in tutti i suoi principali caratteri il Microstoma oblitum Facc. L’esemplare preso a Nizza appartiene al Museo civico di quella Città; ha perduto le squame, è ben conservato nel resto. Credo far cosa non inutile pei cultori dell’ittiologia rappresentando nella unita figura l'individuo mag- giore di Microstoma oblitum Facc. che potei avere da Messina 1 Sulla esistenza di due forme diverse di Microstoma nel Mar di Messina. 1887. qu LAO T. V. PanavicinI dis. re” ETA Tra © Fig. 1.* Scorpena ustulata Lowe; Fig. 2.2 « Gobius ater n. sp.; Fig. 3.* Microstoma oblitum Facciolà n 14 \ CALI Ù ti I === 2 cr Ig GSi Kaup. Xienert ” Atti Soe:; ital. di Sc. nat. Vol. XXXI Tav. IV. 3.* A. Lo stesso, secondo le dimensioni che può raggiungere; Fig. 4.% Anguilla KH o D* antes a = *% D 3] NOTE ITTIOLOGICHE. 9295 per gentilezza dello stesso dott. Facciolà, cui il Museo nostro va debitore di parecchie assai pregevoli addizioni per la colle- zione ittiologica italiana. La descrizione pubblicata dal dottor | Facciolà (loc. cit.) nulla lascia a desiderare e il nome imposto dall’ autore deve preferirsi a quello troppo inadatto del Risso (Ichth. de Nice). * XII. Scopelus elongatus Costa (15 giugno 1844.) Scopelus crocodilus Val. nec Risso (C. V., t. 22, p. 447, 1549.) Della identità degli esemplari di questa specie raccolti a Nizza ‘con quelli provenienti dalla Sicilia non credo ormai lecito dubi- tare; dall’ esame di parecchi individui del Golfo di Genova, di Messina, di Nizza, nessuna specifica differenza risulta fra loro. La descrizione che ne dà Steindachner (Icht. Bewtr., XI, pag. 5-8) nulla lascia a desiderare e la figura di Costa (Fauna di Na- poli, tav. XXXV) malgrado qualche inesattezza, è in complesso una delle migliori di quell’ opera, di cui si lamenta l’interru- zione troppo presto avvenuta. Nella descrizione del Costa (loc. cit.) non si fa cenno dei denti del vomere che esistono minutis- simi, tanto negli esemplari di Nizza che in quelli di Messina; così le pinne pettorali non raggiungono mai le ventrali, ma ne distano più della metà del diametro orizzontale dell'occhio, come vedesi nella citata figura di Costa, a differenza di quanto viene inesattamente asserito nella descrizione; mancano invece affatto i punti lucidi alla base della dorsale, che veggonsi soltanto nella figura, senza che la descrizione ne abbia fatto cenno. Il nome adottato dal Costa per questa specie deve essere preferito per diritto di priorità a quello di Scopelus crocodilus Val. anche per evitare un equivoco collo Scopelus crocodilus Risso che as- ® Il Microstoma oblitum Facc. potrebbe per avventura verificarsi non differire dal Microstoma groenlandicus Reinh. I pochi caratteri accennati dal Ginther (Ca. Vol. VI, pag. 205) per questa specie concordano abbaftanza, ma non mi paiono sufficienti a stabilirne indubbiamente l'identità cogli esemplari del Mediterraneo. Vol. XXXI. 15 226 C. BELLOTTI, [14] sai ne differisce. Più ampi dettagli intorno a questa specie e alla sua sinonimia vennero offerti dal dott. Vinciguerra nei suoi Appunti ittiologiciò (VIII, pag. 17). Negli esemplari meglio con- servati non è raro osservare lungo la. linea del dorso, dietro alla pinna adiposa, la macchia madreperlacea, più o meno fo- sca di cui parla il dott. Vinciguerra (loc. cit., pag. 21). Lo Scopelus clongatus Costa, abbastanza raro nel mare siculo, si ritrova invece frequente nel mare di Nizza, quantunque non ac- cennato dal dott. Moreau nella sua Zistoire naturelle des pois- sons de la France, probabilmente perchè confuso collo Scope- lus crocodilus Risso. Tenuto in nessun pregio come commestibile, questo pesce non sempre arriva al mercato, tranne allorquando qualche studioso ne faccia speciale richiesta. È però abbastanza raro il trovare esemplari che conservino le squame, soggette a cadere assai facilmente. XIII. Anguilla Kieneri Kaup. (Tav. 4°, fig. 4.) Le molte specie del genere Anguilla enumerate dal dottor Kaup ® come appartenenti all’ Europa vengono dai naturalisti ittiologi considerate quasi tutte unicamente quali semplici va- rietà locali o accidentali dell’Anguilla vulgaris Flem. Giinther ° fa eccezione soltanto per l’Anguilla latirostris Risso e per l’An- quilla Kieneri Kaup. Di quest’ ultima rarissima specie o forma, come vogliasi considerare, si rinvenne un esemplare alla foce del Varo nel gennaio 1888 ed io potei acquistarlo, pel Museo civico di Milano, dai fratelli Gal di Nizza, cui era stato recato dai pescatori con altri pesci d’acqua dolce presi contemporanea- mente: Barbus caninus Cuv., Leuciscus muticellus Bp., ecc. Egli è più grande dell’ esemplare descritto dal Kaup (loc. cit., pag. 32) misurando cent. 35,5 di lunghezza totale; dall’ estre- 1 Catalogue of Apodal Fishes. 2 Catalogue of Fishes. Vol. VIII. [15] NOTE ITTIOLOGICHE. 2257 mità della mascella inferiore all’ apertura anale cent. 14,5. Il muso è lungo millim. 7; lo spazio interorbitale, leggermente concavo, è alquanto maggiore del diametro orizzontale dell’ oc- chio che è di quasi millim. 9; dall’ estremità del muso all’ an- golo superiore dell’ apertura: branchiale millim. 44; dalla detta, estremità all’origine della dorsale cent. 10,5; lunghezza delle pet- torali millim. 21; altezza del corpo millim. 15. Concorda nel resto pienamente colla descrizione e figura di Kaup (loc. cit., fig. 15). Anche riguardo a questa rarissima forma di Anguilla, finora rinvenuta soltanto a Tolone, ch'io mi sappia e a Nizza, si po- trebbe ritenere che non presenti caratteri sufficienti a costituire una specie distinta dall’ Anguilla vulgaris Flem. ma che sia piuttosto una mostruosità derivante da uno stato morboso (/y- drophthalmia) dell’ animale, prodotto da condizioni accidentali di soggiorno; l’ egregio dott. E. Moreau si mostra pure pro- penso a tale opinione. Nè puossi confondere il nostro pesce col- l’Anguilla Kieneri Giinther (Annals and Magazine of Natural History. 1874, XIII, pag. 138-139) che il dott. Francis Day! riconobbe appartenere piuttosto al genere Lycodes e a cui diede perciò il nome di Lycodes Kiencri Giinth. XIV. Ophichthys imberbis Delar. Il dott. Facciolà di Messina con sua lettera del 9 febbraio 1888 mi spediva a Nizza un giovane esemplare (lungo mill. 267) di Ophichthys colà rinvenuto, facendomi notare che, a differenza di quanto leggesi nella diagnosi di Giinther (Cat. Vol. VIII, pag. 84) i denti sull’intermascellare sono disposti in unica e non in doppia serie e la distanza della pinna dorsale dall’aper- tura delle branchie non eccede la lunghezza del capo. Dubitava quindi potesse trattarsi di specie differente dalle già note del Mediterraneo. Esaminato quell’ individuo e messolo a confronto 1 Proceedings Zool. Soc. London, 1882, pag. 536. OS C. BELLOTTI, i [16] con altri dell’Ophichthys imberbis Delar. di Nizza, dovetti con- . vincermi non esistere differenza specifica fra di loro. Più tardi, rivedendo pure qualche altro esemplare della stessa specie nella collezione di Milano, trovai fra loro lievi differenze che qui credo conveniente di accennare. Sei sono gli individui esaminati: due di Barcelona, uno di Palermo e tre di Nizza. In tutti l’ inter- mascellare è munito di un dente mediano anteriore cui fan se- guito da ciascun lato uno o due altri disposti ad angolo più o meno acuto, dal che può risultare l’apparenza di due serie quasi parallele. In due dei tre esemplari di Nizza (N. 2 e 3 del pro- spetto) osservansi due serie di denti al vomere; negli altri ne esiste una sola serie. La distanza della pinna dorsale dall’aper- tura branchiale è pure soggetta a variare; di solito è notevol- mente maggiore della distanza da questa apertura all’ estremità del muso; la trovai pressochè eguale, oltrechè nell’ esemplare sopracitato di Messina, in uno di Palermo e in uno di Nizza (N. 2 del prospetto); in due altri, pure di Nizza, e in uno di Barcelona (N. 2 del prospetto) notevolmente maggiore, come puossi rilevare dal prospetto qui contro. È a notarsi che mentre in tutti gli esemplari esaminati sono bene palesi gli occhi, quantunque ricoperti da più o meno densa membrana, nell’ esemplare di Nizza N. 3 si direbbe che man- cano completamente; al loro posto scorgesi, in una leggerissima depressione, una piccolissima macchia giallognola opaca che cer- tamente non poteva servire all’animale d’ organo visivo. A que- sta deficienza non corrisponde alcun altro carattere per cui si possa credere trattarsi di specie distinta. Nello stesso rarissimo Ophichthys cacus L., ben distinto per la totale mancanza di pinne, gli occhi sono visibili press’a poco come nell’Ophichthys imberbis Delar. e mal si addice la denominazione di cieco im- postagli forse dietro esame di un esemplare nel quale, come in quello di Nizza qui accennato, gli occhi non erano esternamente apparenti. 229 NOTE ITTIOLOGICHE. SPIN oe ‘9ueo Ip ezzogSun[ vwlisOpawi 8] 139n} O1assos gIidos Ino Ip LTe[dwroso ros 1 ego opueuoddug 0°S% o 6 VZZIN | e | e | — e | —- TO ZIÀÈEàj%%|{q[ZicnmacKhihihiK{{)'hkKKK{KKK}KK{K}‘é. el VMMWVWA V//]/YV/orr 18°86 90°g c1°8 09 o'G ezzIN ce'e co‘ CS‘ PASM 0e 0 el ì eZZIN QUIIO[ CK 0G e G VUO]IDIEg | gUO]90Ie 09 e T “% (13 . quod * * ‘egsoddus e[870} èZz24SUnT] | 0°23 617 0‘0€ 9‘GI 0°13 c'e 0°g 8‘ #9 6% 9% 653 g'€ 9% 07 0g 9} E Fe I CE 0° o G Da o 0 VZZIN eZzIN (IZA45N1 CIS | uojodibg UO]9OIVT GI G “ Ù ‘iii —_ rrr—€m€—€È€+— > 1 r—r—rtmtgIt- ‘|| |<||«V|é|{(© TT été e Te n OSnNUI [Op t}1u1aIzSa]Te 07sanb è OBIQOUBIG 0310} ]9p | “ — e[eue 010] ]e g}1w191}SI e}sondb eq ! di | | I | ‘e[[aqeg oguonSas e[[ou ewr0o 019qqeIa;msri od100 op 131ed assa]s e] taz iuuorziodo1d ezuasagip 9] oeue 010] [e g}1u191}s9 ejsonb eq e[eiqougIQ 010] [?P QJOLIOJUI 0[OSUB]e eqesIop ®][e | osnu [op eywa1gsa [fe 0gsonb eq | * [8107 eZZoqSUnT] 2 RR O MOSTRE i "i d'a x ga hf SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. I Socj sono in numero illimitato, effettivi, studenti, corrispondenti, | ed onorarj. | I Socj effettivi pagano it. L. 20 all'anno, în una sol volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno . quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e i Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli AZ? della Società. I Socj | studenti pagano it. L. 10 all'anno nel primo trimestre dell’anno. Possono | essere nominati tutti gli inscritti ad uno degli Istituti superiori d’Istru- zione del Regno. Godono degli stessi diritti dei socj effettivi. A Socj onorarj la Società elegge persone distinte nelle scienze natu- rali che siano benemeriti della Società. La proposizione per l ammissione d'un nuovo socio, di qualsiasi ca- tegoria, deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. _ I Socj effettivi che non mandano la loro rînuncia almeno ire mesi prona della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad ‘essere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di “un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno suc- cessivo cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli A? e nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, se- condo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Ali ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del È formato degli Aff e delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- . chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone | regolare ricevuta. SIE E ORE n e iso il au 4 rici : iaia en i AYVVISO Per la tiratura degli Estratti (oltre le 25 copie che sono date gratis dalla Società) gli Autori dovranno, da qui innanzi, rivolgersi diretta- — mente alla Tipografia sia per l’ ordinazione che per il pagamento. Non saranno rilasciate dalla Tipografia copie degli Estratti agli Autori, se non dopo ultimata la tiratura per gli A. INDICE L. Riccrarpi, Sull’azione dell’acqua del mare neì vul- cani CO] Li . . e . . CD) . . . e . . Pag. L. Riccrarpi, Sulle rocce vulcaniche di Rossena nell’E- milia . 3 . F. Mazza, Caso di melomelia anteriore in una Rana ccoutenta Linn. vital F. Sacco, Note di paleoicnologia ‘italiana (con 2 tav.) . Seduta del 29 gennaio 1888 L. RiccraRDI, Ricerche di chimica vulcanologica ‘. Bilancio consuntivo dal 1° gennaio al 31 dicembre 1887 Bilancio preventivo per l’anno 1888. C. BeLLoTTI, Note ittiologiche (con 1 tav.). ” 129108 DELLA PRAZLI gr! SOCIETÀ ITALIANA ce ; VOLUME XXXI. FASCICOLO 3° E 4° — Foti 16-28. Con una tavola. _ MILANO, TIP. BERNARDONI DI C. REBESCHINI E C. | | PER L'ITALIA: PER L'ESTERO: pi dh PRESSO LA PRESSO LA K SEGRETERIA {DELLA SOCIETA' LIBRERIA DI ULRICO HOEPLI sd | MILANO . MILANO fifa" Palazzo del Museo Civico. Galleria De-Cristoforis, Via Mavin, 2. 59-62. — APRILE 1889. Per la compera degli ATTI e delle MEMORIE si veda la 3° pagina di questa copertina. PrEsinpENza PEL 1888. Presidente, StopPANI prof. cav. ANTONIO, Direttore del Civico Museo d Storia naturale di Milano. Vice-presidente, BeLLOTTI dott. CRISTOFORO. MercaLLI prof. GrusepPE, Milano, via S. Andrea, 10. Segretarj I È I J Pini rag. cav. NAPoLEONE, Milano, via Crocefisso, 6. Cassiere, GARGANTINI-PiATTI cav. GIiusePPE, Milano, via Senato, 14. NEL CARCINUS MAENAS. Osservazioni ed esperienze di GIACOMO CATTANEO 3 PROF. AGGIUNTO NELL’ UNIVERSITÀ DI PAVIA (Con una tavola) Sommario. — Introduzione. — Cenni storico-critici. . Osservazioni ed esperienze: I. Struttura e modificazioni spontanee delle cellule S ameboidi. — II. Fenomeni biologici. — Fagocitismo. — III. Variazioni delle cel- lule in diversi ambienti (Acqua, disseccamento, variazioni di temperatura, ossigeno, . acido carbonico, asfissia, putrefazione). — IV. Azione dei reagenti. — Preparati durevoli. — V. Considerazioni morfologiche. — Spiegazione delle figure. INTRODUZIONE. La struttura e i fenomeni biologici delle cellule ameboidi del sangue dei crostacei furono, negli ultimi trent'anni, oggetto di studio per varî autori; ma dalla bibliografia consultata rilevo che, per quanto concerne i crostacei decapodi, le osservazioni di Haeckel, Huxley e Frommann riguardano forme d’ac- qua dolce (Astacus fluviatilis), mentre poche notizie, e inciden- | tali, si trovano sulle cellule dei decapodi marini, e nessuna in pi ispecial modo su quelle- del genere Carcinus. Ciò m'induce a | pubblicare le ricerche da me istituite su un notevole numero di Do iWol XXXL 16 po pat de DE Li a i 232 G.' CATTANEO, [2] individui del Carcinus maenas,* nella quale specie avvertii pa- recchi fenomeni che finora non trovo descritti. Tali particola- rità si presentano tanto più interessanti al giorno d’ oggi, in quanto che, dietro gli ultimi studî di citologia, si sono trovati nelle cellule linfoidi e ameboidi (leucociti, Limphzellen, amebo- citi degli autori) importanti documenti che riguardano l’intima struttura e i fenomeni di movimento, di nutrizione e di ripro- duzione della cellula. I moti ameboidi, la protrusione di pseu- dopodi, la formazione di plasmodii, la digestione intracellulare, il fagocitismo, sono fatti di cui dobbiamo la conoscenza spe- cialmente ai recenti studî sui liquidi circolatorî degli inverte- brati, e che richiamano fenomeni di organismi liberamente vi- venti, come i moneri, i rizopodi lobosi e i mixomiceti. Nel ripetere e controllare le osservazioni dei precedenti au-. tori sui crostacei d’acqua dolce, ho potuto anche convincermi dei seguenti fatti: 1.° Che le forme cellulari descritte non sempre corrispon- dono alle genuine forme biologiche possedute da queste cellule nel sangue dell’ organismo vivente. 2.° Che parecchi dei fenomeni descritti, a cui gli autori danno un significato strettamente biologico, si riducono a mo- dificazioni sperimentali degenerative o necrobiotiche, che avven- gono rapidamente fuori dal corpo dell'organismo vivente, e non hanno luogo nel suo interno. 3.° Che le azioni dei reagenti applicati a goccie di sangue tolte da qualche tempo dall’organismo non presentano un valore assoluto, perchè, date le grandi modificazioni spontanee di queste cellule, non si può fare sufficiente distinzione tra le modificazioni causate dal reagente e quelle che spontaneamente si formano. 4.° Che sopratutto sono dubbie le reazioni ottenute con sostanze alteranti o coloranti sciolte nell’ acqua, perchè l’ acqua 1 Ne ebbi a mia disposizione parecchie centinaia, per la gentilezza dell’ill. sig. conte A. P. Ninni di Venezia e dell'amico prof. A. Lodi, che vivamente ringrazio; e potei tenerli vivi in Pavia per oltre un mese, in aquario con piccolo strato di acqua salata al 3 °/,, nutrendoli con lombrici viventi. [3] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 233 da sola induce profonde e permanenti mutazioni nelle cellule ameboidi. Com’io abbia cercato di ovviare a tali inconvenienti, nell’in- tento di studiare queste cellule ameboidi nel loro stato biolo- gico, si vedrà nelle pagine seguenti. Ma prima credo mio debito ricordare brevemente i risultati finora ottenuti dai precedenti autori, e non solo sui crostacei, ma anche sulle forme affini di artropodi e di invertebrati! che presentano fenomeni della stessa natura; unendo alle notizie sulla struttura delle cellule anche quelle relative alla composizione fisico-chimica del plasma san- guigno dei crostacei, che hanno molta importanza per la spie- gazione dei fenomeni delle cellule in esso contenute. CENNI STORICO-CRITICI. La composizione fisico-chimica del sangue dei crostacei deca- podi fu studiata da Halliburton® nei generi Homarus, Car- cinus, Astacus e Nephrops. Trovò ch’ esso ha reazione alcalina, e un peso specifico variabile da 1,025 a 1,030, e che le forme marine contengono minor copia d’acqua e maggior copia di sali e di albuminoidi che le forme di acqua dolce (Astacus). Infatti, mentre il Carcinus ha nel suo sangue 89,92 di acqua, 6,10 di sostanze albuminoidi, 1,28 di adipe e urea e 2,70 di sali, l’Asta- cus ha 95,14 d’acqua, 2,19 di sostanze albuminoidi, 1,54 d’adipe e urea, 1,13 di sali. In tutti poi si trovan traccie di ferro e di rame. Secondo Halliburton, nel Carcinus 1 leucociti rap- presentano DI dell'intera massa del sangue; ma, come vedre- mo nel seguito della memoria, tale proporzione è al di sotto del vero. 1 A questi mi ristringo, per non citare che le forme più affini ai crostacei, seb- bene fenomeni analoghi siano stati osservati da Stricker, Unger, Peremeschko, Flemming, Mosso, ecc. nelle cellule epiteliali, nei leucociti e nei globuli rossi del sangue dei vertebrati. ? HaLLiBuRTON, On the blood of decapod crustacea. Journ. of Physiol. VI, 1886. 234 G. CATTANEO, [4] Che il sangue dei crostacei contenga emoglobina sciolta nel plasma, è assodato dopo che Ray Lankester la trovò nella Daphnia e nel Cheirocephalus.®* Ed. Van Beneden® trovò poi nei Lernantropidi e nella Clavella due sistemi circolatorî, di cui uno con leucociti e con sangue bianco (liquido plasma- tico) e uno senza globuli, ma con sangue rosso (liquido ematico). Quest’ ultimo contiene emoglobina. Van Beneden crede che il liquido rosso assorba ossigeno e sia omologo ai globuli san- guigni rossi dei vertebrati. L’emoglobina fu riscontrata nel li- quido cavitario di molti invertebrati: da Regnard e Blan- chard’ nell’Apus e nella Cypris, da Rollet * nel Lombrico e nelle larve di un dittero (Chironomus), da Foettinger ° ne- gli echinodermi, da Nawrocki nei chetopodi, da altri parecchi nei Gefirei (Phoronis), nei molluschi, negli irudinei, nei policheti, negli insetti. Poteva dunque credersi generale la presenza del- l’emoglobina negli invertebrati, ma l’Halliburton non la ri- scontrò nei quattro generi di crostacei decapodi da lui esami- nati. La qual cosa però non implica una differenza sostanziale, perchè egli vi riscontrò invece l’ emocianina e la tetroneritrina, corpi analoghi in gran parte alla emoglobina. Mereschkowski anzi sostiene che la tetroneritrina ha le stesse funzioni dell’ e- moglobina, prendendo parte all’ematosi, e Fredericq pare dia invece lo stesso significato all’ emocianina. Una delle prime e più accurate descrizioni delle cellule ame- boidi dei crostacei è quella data nel 1857 dall’Haeckel nella sua dissertazione sull’ Istologia del gambero d’ acqua dolce. Dopo 1 Ray LANKESTER, Spectroscopie examination of certain animal substances. Journ. of anat. and physiol. 1869. — A contribution to the knowledge of haemoglobin. Pro- ceed. of the Roy. Society. 1873. — Zool. Anzeiger, agosto 1883. 2? Ep. VAN BrxeEpEN, Bull. d. Acad. de Belgique e Zool. Anzeiger, febbraio 1880. 3 P. ReenaRD e R. BLancHARD, Note sur la présence de Vhémoglobine dans le sang des Crustacés branchiopodes. Zool. Anzeiger, maggio 1883. 4 RoLLeTr, Zur Kenntniss der Verbreitung des Haematin. Sitzungsb. Wien. Akade- mie. Vol. XLIV, 1861. 5 ForTTINGER, Sur lVexistence de Vhémoglobine chez les Echinodermes. Arch. de Biol. I, 1880. [5] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 235 aver ricordato le precedenti osservazioni di Carus! e Wa- gner,? l’ Haeckel® dice che le cellule ameboidi o proteiformi dell’ Astacus fluviatilis hanno un involucro ialino, entro cui sta un nucleo rotondo o ovale, coperto e circondato da granuli ro- tondi. Queste cellule hanno forma variabile, .con pseudopodi radianti, quando sono tolte dal corpo del crostaceo, ma nell’ in- terno dei vasi e delle lacune sono fusiformi o arrotondate, e o mancano di processi, o ne hanno solo uno o due. Dopo il citato lavoro, ne apparvero parecchi sulle cellule ame- boidi di altre forme di invertebrati, più o meno affini ai cro- stacei, che però, per la somiglianza dei fenomeni presentati, rischiararono molto anche i concetti sulla natura delle cellule ameboidi dei crostacei; citerò i lavori di Kiikenthal sugli anellidi, di P. Geddes e Wagner sugli echinodermi, di Gra- ber, Magretti e Wielowiesky sugli insetti. Il Kiikenthal* distingue le cellule ameboidi degli anellidi in granulose e non granulose, entrambe provviste, almeno tem- poraneamente, di nucleo; il loro movimento non si distingue da quello delle amebe, consiste cioè in un attivo moto dell’ ecto- plasma ialino seguito passivamente dall’ endoplasma granuloso. La moltiplicazione delle cellule ha luogo per divisione diretta dei nuclei. Hanno l'attitudine di introdurre corpuscoli d’ ogni sorta, anzi quelle che li introducono si accrescono, e le altre periscono. Negli echini Patrick Geddes” trovò due sorta di cellule: 1.° cellule ameboidi incolore, con nucleo e protoplasma granu- loso, con pseudopodi filiformi, talor disposti ad anello, o con pseu- 1 V. Carus, Aeussere Lebensbedingungen der warm. und Laltbliitigen Thiere. p. 80. 2? R. WacnER, Nachtriige zu vergleich. Physiologie des Blutes. 1838, pag. 40. 3 E. HarckeL, De telis quibusdem Astaci fluviatilis. — Ueber die Gewebe des Fluss- krebses. Miiller*s Archiv fiir Anatomie und Physiologie, 1857, con 2 tav. Il cap. Blutgewebe occupa solo 4 pagine (510-514) a cui si riferiscono le fig. 16 e 17. 4 KiikenTHAL, Uceber die lymphoiden Zellen der Anneliden. Jenaische Zeitschrift. Vol. XVIII, 1885. 5 PatrIca GeppES, Observations sur le fluide périvisceral des oursins. Arch. de Zool. exp. Vol. VIII, 1879-80, N. 4. 236 G. CATTANEO, I [6] dopodi ramificati, talora fusi in modo da formare dei plasmodii. 2.° cellule a granulazioni grosse, rifrangenti, dotate di rapidi moti vibratorî. Il Geddes assomiglia le varie forme di cellule a varî protisti liberamente viventi, come la Protomyzxa, la Mi- crogromia e î Mixomiceti. Nelle cellule mesodermatiche della cavità del corpo delle larve di echinodermi, il Wagner! boidi, la fusione con formazione di plasmodii, e la parte ch’ esse prendono nei processi plastici inerenti alla formazione dei nuovi tessuti. Nello stato di quiete esse ritirano i pseudopodi, e a3- sumono una forma sferoidale. Il Graber,? dopo aver accennato ai precedenti lavori di Kirby, Wagner, Newport, Dohrn, Rollet e Landois °, nota che le cellule del sangue degli insetti sono discoidali, pi- riformi, fusiformi o elittiche, con pochi pseudopodi, o talor anche mancanti d’ogni processo, con nucleo non sempre chiaramente riscontrabile, con granulazioni di varia grossezza e piccolo ia- loplasma e con lenti movimenti del contorno. Esse, misurano da 6 a 14 micromillimetri, e in varî casi anche assai più. Il Magretti* trovò in un liquido di secrezione del Meloe proscarabeus e del M. variegatus varie cellule così somiglianti per la loro forma e per i loro fenomeni alle cellule ameboidi del sangue, che son forse da ritenersi come tali, uscite dalle zampe dell’insetto insieme al liquido di secrezione. Nel liquido osservò pure i moti ame- 1 WaenER, Ueber die Rolle der Leucocyten in plastischen Processen bei den Wir- dellosen. Zool. Anz. N. 198. ? V. GraBER, Ueber die Bliitkòrperchen der Insekten. Sitzungsberichte der math. naturw. Classe der Akademie des Wissenschaften. Wien, 1871, Vol. LXIV. 3 KirBy, Entomologie. Vol. IV, Artic. Kreislauf. WaanER e RotcLeT, Op. cit. Newport, Ann. of nat. hist. XV, 1845. Doanrn, Analecta ad historiam naturalem Astaci fluviatilis. 1861. LanpoIs, Beobacht. iiber das Blut der Insekten. Zeitschr. fir wissensch. Zool. Vol. XIV, p. 55-70 (riguarda specialmente i cristalli che si formano nel plasma). 4 P. MaGRETTI, Esame microscopico del prodotto di secrezione particolare d’ alcuni meloidi. — Ricerche microscopiche sui liquidi di secrezione e di circolazione delle larve d’ alcuni imenotteri tentredinidei. Bollett. scient. 1881-82. [7] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 237 verdognolo dei follicoli ventrali delle larve di Nematus trovò delle cellule che si presentano pure come le suddette, tanto alla schietta osservazione, come trattandole con varî reagenti. Nel sangue d’ una crisalide di 4 settimane di Dasichyra pu- dibunda il Frommann' osservò cellule rotonde o poligonali, con protoplasma finamente granuloso e nucleo omogeneo. In una crisalide di 6 mesi di Deslephila euphorbiae trovò cellule simili alle precedenti, rotonde, ovali o irregolari, con protopla- sma finamente granuloso, contenente alcuni granuli gialli più rifrangenti e con nucleo granuloso, la cui membrana è formata dall'unione di minuti corpuscoli. Non dice d'aver osservato pseu- dopodi. Finalmente Wielowiesky distinse nel sangue degli insetti varie sorta di cellule, con uno (Ape, Mellophagus) o più nuclei (larve di mosca) contenenti gocciole adipose e concrezioni d’a- cido urico. Il lavoro più esteso, minuzioso e accurato che finora esista sulle cellule ameboidi del sangue dei crostacei, è quello di Frommann® relativo a una forma d’acqua dolce, 1’ Astacus fluviatilis. In esso egli esamina e descrive con somma cura le variazioni che avvengono in queste cellule (dopo che son uscite dall’ organismo), sia spontaneamente, sia per mezzo di varî rea- genti (acqua, colori d’anilina, alcool, picrocarmino, acido ace- tico e osmico, carbonato di soda, cloruro di sodio, nitrato di stricnina, ecc.), e le confronta con le variazioni consimili che avvengono nelle cellule ameboidi di altri animali. Il From- mann però non descrive tali cellule nella loro forma biologica, come cioè si trovano nell’organismo vivente, ma solo in goccie estratte, e anche da un tempo relativamente lungo (da qualche minuto fin a 12 ore), mentre, una volta che la goccia è sul 1 C. Frommann, Untersuch. iiber Structur, Lebenserscheinungen und Reaktionen thierischer und pflanzicher Zellen. Jen. Zeitschr. Vol. X. Jena, 1884. ? C. Frommann, Unters. iiber Struktur, Lebenserscheinungen und Reaktionen thie- rischer und pflanzicher Zellen. Jen. Zeitschr. f. Naturwiss. Vol. XVII, N. F. X. Jena. Fischer, 1884. 238 G. CATTANEO; [8] portoggetti, pochi istanti bastano a far sì che le cellule assu- mano una forma assai diversa da quella che posseggono allo stato vivente, e dopo 25-30 minuti la goccia è completamente coagulata e le cellule si devono considerare come morte. I fe- nomeni descritti da Frommann non sarebbero perciò dei Le- benserscheimungen, ma piuttosto fenomeni di regressione, di de- generazione e taluni anche di necrosi, i quali però non cessano d’aver la loro importanza per la citologia. In un nuovo campo entrò la dottrina delle cellule ameboidi coi lavori di Metschnikoff sulla digestione intracellulare e sui fagociti.' Già Haeckel aveva osservato la formazione dei plasmodii nei corpuscoli sanguigni degli echinodermi? e Ged- des ° nel lombrico, nei molluschi, nei paguri. Metschnikoff, oltre a ciò, osservò anche l’introduzione di carmino e di mi- crobii nelle cellule entodermiche e mesodermiche dei ctenofori, e l'introduzione e successiva digestione della Monospora bicu- spidata da parte delle cellule ameboidi della Daphnia invasa da sali parassiti. Da ciò il suo concetto del fagocitismo, ap- poggiato in seguito da molti altri fatti normali e patologici. Infatti le amebe, i rizopodi, gli infusorî si nutrono di bacterii; le monadi introducono nella loro sarcode dei leptothrix 10 volte più lunghi del loro corpo. Le cellule delle spugne, secondo Krukenberg, hanno pure tale digestione protoplasmatica, mentre nei plasmodii dei mixomiceti esiste un fermento peptico. Perciò, secondo Metschnikoff deve avvenire una lotta dei leucociti contro i bacterii patogeni anche nelle malattie infet- 1 E. MerscHNIKOFF, Sprosspilz-Krankheit der Dahpnien. Wirchow's Archiv, Vol XCVI. Ueber Beziehungen der Phagocyten zu Milzbrandbacillen. Ibid., Vol. XGVII. Ueber intracelluliren Verdauung. Fortschr. d. Med. 1884. Untersuchungen iiber die intracellultire Verdauung bei wirbellosen Thieren. Arbeiten aus dem Zool. Inst. d. Univ. Wien und d. Zool. Station zu Triest. Vol. V, fasc. 2, 1883. — Sur la lutte des cellules de Vorganisme contre l’invasion des microbes. Ann. de l’Institut Pasteur, 1887. Ueber den Phagocytenkampf bei Riickfalltyphus. Virch. Arch., 1887. ? E. HarckrL, Monographie der Radiolarien. Berlin, 1862, p. 103. 3 P. Geppes, On the coalescence of amoeboid Cells into Plasmodia. Proceeds of R. Soc. of London. Vol. XXX, 1880. [9] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 239 tive (carbonchio, tifo), come avviene in alcuni processi embrio- nali, avendo Kowalewsky dimostrato che nello sviluppo delle mosche la maggior parte dei tessuti larvali è divorata dai leu- cociti. i Recentemente Maggi venne a considerare anche dal punto di vista naturalistico il fenomeno del fagocitismo, finora quasi esclusivamente considerato dal punto di vista della patologia, dimostrando ch’esso appartiene a rizopodi, eliozoi, gregarine, flagellati, ciliati e altri esseri unicellulari liberamente viventi, e studiandolo in particolar modo nella Trichamoeba Lieberkiih- ma, Podostoma filigerum, Amphaileptus meleagris, Loxophyllum meleagris, TrachelophyWlum apiculatum, Vorticella maicrosto- ma, ecc. E mostrando il passaggio genealogico dai fagociti li- beramente viventi o autofugociti, ai fagociti associati o sinfa- gociti, stabilì sempre meglio la connessione che esiste fra pro- tozoli, mesozol e metazoi. Quanto all’ origine, alle vicissitudini biologiche e all’ efficienza fisiologica delle cellule ameboidi dei crostacei, non possiamo ri- cordare che due brevi note di Pouchet e di Cuenot. Secondo Pouchet,? che studiò in modo speciale il fenomeno della coagulazione del sangue, le cellule con pseudopodi si tro- vano solo nel sangue estratto dall’ organismo e mentre sta coa- gulando, e i fenomeni della coagulazione e della formazione di plasmodii son fra di loro connessi. Ma le forme viventi, ch'egli osservò nella coda del Palemon, non presentano pseudopodi, nè moto ameboide. E siccome in generale nei crostacei vi son due forme di cellule del sangue, il Pouchet riterrebbe che “i leu- cociti granulosi rappresentino lo stadio più avanzato dell’ evo- luzione, mentre i leucociti ialini sono i più giovani ,. Il Cuenot' osserva che nel sangue degli invertebrati la nu- trizione dei tessuti è effettuata direttamente dal plasma, mentre 1 L. Maggi, Sull’’importanza dei fagociti nella morfologia dei metazoi. Rend. Istit. Lomb. Vol. XXI, 1888. ° G. PoucHeT, Sur le sang des crustacés. Journ. de l’Anat. et Physiol. Vol. XVIII, 1882, pag. 201. 240 G. CATTANEO, [10] l’ematosi è dovuta a un albuminoide speciale fissatore dell’ os- sigeno sciolto nel plasma (emoglobina, emocianina, tetroneritrina, a seconda dei casi). Invece la funzione delle cellule ameboidi è quella di trasformare i peptoni inassimilabili versati nel san- gue dal processo digestivo, in albumina non dializzabile e assi- milabile, e a ciò servono i fermenti che, sotto forma di granuli giallastri, o bruni, o verdastri o violetti, sono contenuti negli “amebociti ,. Il Cuenot studiò anche l’origine delle cellule ameboidi. Ne- gli echinodermi esse deriverebbero dalla glandula ovoide o ma- dreporica, nei molluschi dalle glandule linfatiche poste presso gli organi respiratorî; negli insetti da una glandula che sta intorno al cuore e sui muscoli aliformi di tale organo (strato cellulare del cuore di Leydig), formata di stroma connettivo, con lobuli, nuclei e fine granulazioni. I nuclei si circondano di granuli di fermento ed escono. Questa glandula esiste sì nella larva che nell’ adulto. La glandula linfatica degli scorpioni è un corpo allungato che riposa sulla parte dorsale della catena nervosa. Nell’ Astacus la glandula linfoide è posta sulla parete del vaso arterioso delle branchie; nei Cancri e nei Paguri tra il vaso arterioso e il vaso venoso pur delle branchie; è una rete congiuntiva seminata di nuclei, che si circondano di fermento albuminoide, e tale è l'origine prima degli amebociti. Il sangue refluo delle branchie la attraversa, e porta in circolazione 'gli elementi maturi. Terminata la storia, passiamo ora alle osservazioni originali sul Carcinus. 1 L. Cugsot, Etudes sur le sang, son ròle et sa formation dans la série animale. 2° partie. Invertébrés. Arch. Zool. exp. II sér. Vol V, 1887. [11] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 241 OSSERVAZIONI ED ESPERIENZE SUL CARCINUS. I. STRUTTURA E MODIFICAZIONI SPONTANEE DELLE CELLULE AMEBOIDI, Le due principali difficoltà che si incontrano nell’esame delle cellule ameboidi del sangue dei crostacei, mel loro stato fisiolo- gico, sono le seguenti: 1.° Che non è facile ottenere un sangue non inquinato da elementi ad esso estranei, provenienti dalle varie parti dell'organismo. 2.° Che, estratte dal corpo del cro- staceo, le cellule ameboidi conservano la loro forma naturale solo per pochi secondi, dopo di che subiscono più o meno im- portanti modificazioni. E siccome le forme generalmente de- scritte dagli autori come normali, sono appunto queste forme degenerate, tanto più importa adottare un metodo rigoroso per riscontrare la loro forma biologica. Producendo una lesione in un punto qualunque del corpo di un Carcino, ne spiccia il liquido cavitario. Ma raramente è puro. Se la ferita è fatta sul dorso o sull’addome, al sangue sono solitamente commiste. delle cellule epiteliali o pigmentali, derivanti dall’ipoderma, dei globuli adiposi o delle cellule di fermento, provenienti dalle glandule gialle, oppure, nella sta- gione in cui feci le osservazioni (aprile e maggio) degli ele- menti sessuali maturi. Il sangue ricavato direttamente dal cuore o dal sacco pericardico è pieno di masse globulari di sarcode, che non si trovano generalmente in circolazione. Il sangue ot- tenuto dalle branchie si mescola all’ acqua di cui la camera branchiale è sempre irrorata, e con essa vengono trascinati nel preparato degli infusorî (specialmente monadi, vorticelle, epi- stilidi) che in detta cavità vivono. Il miglior mezzo per aver sangue puro, è di tagliare una delle zampe dell’animale, avver- tendo di pulirla prima accuratamente con acqua distillata e di 242 G. CATTANEO, [12] asciugarla convenientemente, e inoltre di lasciar cadere la goc- cia sul porta-oggetti, senza toccare in verun modo il vetro col moncone della zampa. La superficie esterna del corpo del Car- cinus è coperta di diatomee e di infusorî ciliati e flagellati, e, se non si usano le dette precauzioni, alcuni di tali organismi sono inevitabilmente trascinati nella goccia, confondendosi coi pochi infusorî che sono realmente parassiti del sangue, e si pos- sono osservare circolanti nell’interno delle branchie e nel vaso dorsale. L'osservazione delle cellule nella loro forma genuina è poco agevole, se la si vuol fare all’esterno del corpo del crostaceo, per la grande rapidità delle mutazioni. Se non si opera con la necessaria prestezza, non giungono sotto il campo del microsco- pio che forme regresse. Secondo le osservazioni da me fatte, le cellule del Carcino non si conservano intatte che per 10 md- nuti secondi, dall’istante dell’ uscita del sangue; è importantis- simo quindi il maneggio da adoperarsi per allestire il preparato. Scelto e ripulito un Carcino, lo si afferri con la sinistra, te- nendo il pollice sul cefalotorace (regione cardiaca) e 1° indice sull’ addome, con la testa rivolta in avanti, in modo che l’ani- male, come tenta vivamente di fare, non possa offendere con le chele, il che farebbe perdere istanti preziosi. Lo si può anche prendere nella posizione indicata da Giard per la ricerca dei bopiridi,' tenendo fisse le chele. Ciò fatto si tagli rapidamente una zampa con robuste forbici. Appare tosto» sul moncone una goccia di liquido, che si raccoglie, senza contatto, sul por- toggetti previamente disposto; coperta rapidamente la goc- cia col coproggetti, la si sottopone immediatamente all’ esame microscopico. Impiegando in questi maneggi non più di cinque secondi, mi fu possibile osservare per altri cinque secondi le cellule del sangue nella loro forma genuina. Però, siccome questo modo di osservazione dà luogo a un 1 Grarp et Bonnier, Monographie des Bopyriens. Trav. de la Stat. Zool. de Wi- meraux. Lille, 1887. [13] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 243 esame troppo superficiale, bisogna ricorrere ad altri mezzi, os- servando le cellule nell’ interno dell’animale vivo. Gli organi che più si prestano per queste osservazioni sono il vaso dorsale nella sua parte aborale, e i margini e gli apici delle branchie. Fissato il crostaceo su una tavoletta di sughero munita di per- tugio, si rialza l'addome, si rende libera la parte posteriore dell’ intestino, e la si tende sul pertugio col vaso dorsale che ad essa rimane aderente. Per la trasparenza delle pareti di questo esile vaso è facilissimo, con mediocre ingrandimento (400 diam.), osservare il liquido in circolazione con le relative cellule. Legando la parte superiore del vaso, il liquido si ferma, e le cellule si possono osservare con tutta comodità. Così pure per le branchie. Staccata la metà anteriore destra o sinistra del tegumento, si divarica una lamella branchiale legandola con sottile filo, e la si tende sul pertugio. Così si osserva benissimo il liquido in circolazione. Legando la parte superiore della bran- chia, oppure anche solo portando sotto il microscopio una la- mella branchiale legata alla base, si osservano comodamente le cellule del sangue nel loro ambiente e nella loro forma natu- rale, per la trasparenza della sottile cuticola dei margini e del- l'apice della lamella. In ispecial modo sono adatti a queste os- servazioni gli individui a guscio poco pigmentato, i quali an- che, in generale, hanno la cuticola delle branchie assai chiara e trasparente; mentre gli individui fortemente pigmentati in bruno o in rossastro all’esterno hanno anche la cuticola delle lamelle branchiali scura e poco trasparente. Anche i metodi di fissazione che esporrò in seguito giovano alla osservazione mi- nuta delle cellule del sangue. Adoperando questi varî mezzi, e ripetendo le osservazioni e le esperienze su molti individui (ebbi a mia disposizione circa 300 Carcini), posso dare la seguente descrizione delle loro cel- lule ameboidi viventi. Esse si presentano come corpi ovali, piriformi o fusiformi, di aspetto e dimensioni assai varie. Constano di un ammasso di 244 G. CATTANEO, [14] ialoplasma contrattile, che, nella maggior parte dei casi, con- tiene un endoplasma ovale, e si espande agli apici in uno o due brevi pseudopodi; questi però possono anche mancare (fig. 1-6). Se mancano i pseudopodi, le cellule sono semplicemente ovali, oppure con una insenatura laterale che le fa sembrare renifor- mi (fig. 3); se vè un pseudopodo, le cellule sono piriformi (fig. 1, 2, 6); se i pseudopodi son due, le cellule sono fusifor- mi (fig. 4, 5). Quest’ ultima è la forma più comune. Non esi- stono mai neli’ organismo vivente delle forme a pseudopodi nu- merosi e radianti. Due sorta di cellule sì contengono nel sangue, le une che dirò granulose e le altre ialine, dal modo di pre- sentarsi del loro endoplasma. ° 1.° Cellule granulose. — Compresi i pseudopodi apicali, son lunghe da 14 a 18 w., e la loro larghezza è di 5-7 v. Il loro endoplasma consiste d’ una massa ovale, formata dalla densa riunione di granuli molto rifrangenti, di colore lievemente gial- liccio, e di forma rotonda o poligonale, secondo che sono più 0 meno stipati. Fra questi grossi granuli, che giungono spesso ® 1 p. di diametro, si vedono qua e là dei granuli più fini, special- mente agli apici, ove cominciano i brevi pseudopodi. La sostanza 1 In causa delle diverse nomenclature citologiche, credo indispensabile fissare il senso dei termini da me adoperati. Per ialoplasma, intendo con Hansen (1880) e Frommann (1884) la sostanza fondamentale della cellula viva, dotata di contrat- tilità e costituita a reticoklo, come la trovò fin dal 1873 Hrerrzmann nelle amebe e nelle cellule ameboidi dell’ Astacus. Da Kuprrer (1875) e FasrE-DomeRrGUE (1888) prendo il termine di paraplasma (enchilema) per indicare la sostanza omogenea, se- miliquida, non contrattile, (ma del resto omogenea alla prima) che riempie le ma- glie del reticolo, e può uscirne sotto forma di globi o bolle; la chiamo però anche, ad usanza di altri, col nome di sarcode. Notisi però che Prerrer designa col nome di ialoplasma lo strato superficiale del protoplasma vegetale, e quindi lo rende sinonimo dell’ectoplasma, mentre KuprreR chiama protoplasma (in istretto senso) il reticolo, che gli altri indicano come ialoplasma. Per tali questioni vedi: Fasre-DomerGUE, Récherches anatomiques et physiologiques sur les infusoires ciliés, Paris, 1888. 2 Le cellule del sangue degli insetti, allo stato vivente, si assomigliano a quelle dei crostacei, per l’aspetto fusiforme; solo in esse i granuli sono più piccoli, e l’ectoplasma assai più esteso, allargandosi ai lati della cellula e formando 2 lun- ghi pseudopodi apicali. Vedi fig. 14, rappresentante una cellula del sangue del- l’Hydrophilus piceus. [15] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 245 di questi è ialina, e la loro forma e dimensione variabile; essi rappresentano ad ogni modo una parte assai piccola rispetto all’endoplasma. In tutte queste cellule v'è un nucleo di grandi dimensioni (3 v. e più), di forma ovale o rotonda, visibile solo sotto un fuoco speciale, perchè è quasi sempre totalmente ri- coperto dai granuli rifrangenti. Il suo contorno è formato di granuli scuri o di fili, e varia continuamente di figura. Esso contiene di solito un nucleolo, e si può osservarlo talvolta in via di divisione, specialmente coll’impiego dell’acido acetico al 2-3 per 100 (fig. 2, 3, 4, 17, 18). 2.° Cellule jaline. — Hanno la stessa forma e disposizione delle precedenti, solo sono più piccole (lunghezza 10-12 p., lar- ghezza 4-5), e il loro endoplasma o è affatto privo di granuli rifrangenti, o ne presenta ben pochi. Presenta però quasi sem- pre un certo numero di granulazioni finissime; in rari casi non ho potuto distinguere un endoplasma, essendo la parte centrale perfettamente ialina, senza alcuna granufazione. Esse pure hanno un grande nucleo nucleolato, che può entrare in divisione (fi- gure (1, 5; (6). Tra queste due forme principali intercedono delle forme in- termedie, sia per dimensioni che per numero di granuli; però in piccol numero; per la maggior parte le cellule appartengono decisamente all'uno o all’altro tipo. In Carcini robusti e ab- bondantemente nutriti prevale il numero delle cellule granulose sulle ialine; solo in Carcini estenuati da lungo digiuno (circa un mese) trovai aumentato il numero delle cellule ialine, e di- minuito quello delle granulose, di modo che all’incirca si equi- valevano. Tali.le forme vive delle cellule, sia osservate nell'interno dell’ organismo, sia nei 10 minuti secondi seguenti all’ estrazione del sangue. Estraendo invece una goccia di sangue da un crostaceo, e osservandola successivamente per mezz’ ora, si notano i seguenti fenomeni. Anzitutto il sangue è un liquido trasparente e alquanto denso, 246 G. CATTANEO, [16] talora affatto incoloro, ma per lo più lievemente gialliccio. In alcuni pochi casi il suo colore è più intenso, rossiccio, aran- ciato o anche decisamente rosso; ciò ha luogo specialmente nelle femmine fortemente pigmentate di rosso all’esterno, e aventi gli ovarî in attività. Lasciata all’aria libera, entro 5-10 minuti la goccia si fa opalescente, biancastra e incomincia la coagula- zione. Entro 20-30 minuti essa è completamente coagulata, in forma d'una massa bianca. Sottoponendo una goccia appena estratta all'esame microscopico, si nota quanto segue: Dal 5° al 10° minuto secondo. Cellule piriformi o fusiformi, fra di loro staccate. Qua e colà qualche granulo rifrangente isolato, o qualche piccola massa sarcodica senza nucleo. Molte finissime granulazioni sparse nel plasma sanguigno. Dal 10° al 15° minuto secondo. Le cellule ritirano i brevi pseudopodi apicali e appaiono ovali. In alcuni casi appare la- teralmente una sottile lamina ialina (fig. 7). Dal 15° al 30° minuto secondo. L’endoplasma di ovale si fa rotondo, e comincia ad apparire sul suo contorno qualche breve pseudopodo lobato (fig. 8); oppure un leggero velo ialino a con- torni stellati circonda l’intero endoplasma attondato (fig. 9). Queste espansioni ectoplasmatiche si allargano, con contorni più o meno irregolari (fig. 10). Dal 30° al 60° minuto secondo. L’aureola ialina continua ad espandersi e a deformarsi. Compaiono varî pseudopodi lobosi, e principalmente si spiccano dal contorno e dall’ interno nell’ au- reola dei caratteristici pseudopodi aghiformi radianti, che vanno sempre più allungandosi (fig. 11, 12). Il contorno del ialoplasma varia continuamente, talchè in di- versi istanti sì succedono delle forme diversissime; non è però possibile seguire coll’occhio questi movimenti appunto per la loro continuità, mentre si avvertono benissimo i moti disconti- nui dell’ectoplasma delle amebe. Anche l’endoplasma e il nucleo variano continuamente di forma, ma entro limiti assai più ri- stretti, e mantenendosi sempre irregolarmente attondati. Dal 1° al 3° minuto primo. I pseudopodi aghiformi delle cellule nd (19! : SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 247 vicine si toccano fra di loro e si fondono (fig. 13); da questo istante comincia la formazione dei plasmodî, che comprendono da 2 fin a 15 0 20 cellule, sì granulose che ialine (fig. 15). I pseu- dopodi lobosi hanno poca tendenza alla fusione. I plasmodî con- tinuano a deformarsi, pur conservando i loro caratteri fondamen- tali; e 1 moti si mantengono abbastanza mobili fino al 3° minuto. In seguito i moti di deformazione si rallentano, dopo un quarto d’ora sono quasi completamente cessati; dopo mezz’ ora la coagulazione è compiuta, il coproggetti è tenacemente ade- rente al portoggetti e le cellule si possono considerare come morte. Vanno staccandosi qua e colà dei brani di sarcode che si costituiscono a forma globulare o elissoidale, ora affatto ia- line, ora contenenti molte fine granulazioni; i granuli rifrangenti fuorescono, e si mantengono liberi o si dissolvono; fra quelli associati, molti si avvizziscono, diventano irregolari, o si fondono; si formano fra loro dei vacuoli che segnano il principio della loro distruzione. La quale però è assai lenta, e anche dopo molte ore la preparazione presenta ancora delle forme plasmo- diche, coi rudimenti degli endoplasmi primitivi. I varî stadî di regressione presentati dalle cellule ameboidi del Carcino, dalla forma viva ai plasmodî, possono essere così riassunti: 1. Condizione fisiologica con pseudo- Cellule apolari, monopolari, bipolari. podi localizzati. i 2. Ritiro dei pseudopodi. Cellule apolari ovali. eni 0 TORE TI CRISI ES li 3. Mutamento di forma dell’ endo- Cellule apolari rotonde. | plasma. 4. Primo grado di espansione di Cellule con ialoplasma a contorno pseudopodi diffusi. stellato. 5. Secondo grado di espansione. di Cellule con ialoplasma formante pseu- pseudopodi diffusi. dopodi lobosi e aghiformi. 6. Fusione dei pseudopodi aghiformi. Plasmodii. Vol. XXXI. 17 248 | 6; CATTANEO, 118] Nell’apprezzare questa serie di fenomeni non posso accordar- mi col Frommann, per quanto egli riferisce a proposito del- l’Astacus. Egli considera le forme a pseudopodi lobati e aghi- formi come normali, e solo osserva incidentalmente che “ oltre le descritte forme di cellule si trovano nel sangue dei crostacei anche delle rare cellule granulose ovali o fusiformi ,, mentre queste appunto, anche nell’ Astacus, sono le sole normali del- l'organismo vivo. Ciò non deriva punto da un difetto nell’ os- servazione, in cui il Frommann è accuratissimo, ma dal me- todo incompleto, non avendo il detto autore osservate le cellule nell’ organismo, o appena tolte, ma dopo qualche tempo, cosic- chè solo per caso alcune rimasero intatte. Neppure le idee espresse a proposito della formazione del nucleo mi sembrano accettabili. Il Frommann direbbe che le cellule, quando in- cominciano a mandare i pseudopodi, non hanno un nucleo, ma un “ abbozzo nucleare , (Kernanlage), e che il nuclo sî forma in seguito, durante la protrusione dei pseudopodi. Ora ciò equi- varrebbe a dire che il nucleo, organo riproduttivo delle cellule vive (nelle quali io lo trovai più volte in divisione), non esiste completo in esse, ma sî forma quale fenomeno di degenerazione e di necrobiosi. | L’unica ragionevole ‘interpretazione di tale asserto mi par questa, che l’abbozzo nucleare, che si vede nel primo stadio di degenerazione delle cellule è un nucleo regresso, derivante dal nucleo vero della forma viva (non osservato dal Frommann), mercè l'amplificazione dei contorni suoi in un con quelli della cellula, mentre negli stadî successivi, pur ‘ulteriormente dege- nerando, il nucleo torna a ridursi entro più stretti confini. Circa alla proporzione delle cellule in rispetto all'intera massa del sangue, l' Halliburton la stabilisce in ragione del 0,91 per 100 per il Carcinus, e del 0,73 per l'Homarus. Ma i suoi ri- sultati sono ottenuti non già coll’ osservazione microscopica, sib- bene valutando la quantità della materia solida che rimane dopo aver filtrato il liquido fresco, o di quella che precipita al fondo [19] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 249 durante la coagulazione superficiale. Ora non bisogna dimenti- care che, filtrando il sangue fresco di crostaceo, passa, attra- verso al solito filtro di carta, non solo il plasma liquido, ma anche gran parte della massa di paraplasma contenuto nelle cellule, e avente una consistenza semiliquida, mentre sul filtro rimane quasi esclusivamente l’ammasso del ialoplasma coi gra- nuli rifrangenti. Così pure nella coagulazione, anche iniziale, molte delle cellule e dei plasmodii vengono compresi nel coa- gulo e non precipitano. Cosicchè non è a meravigliare se la proporzione assegnata da Halliburton sia inferiore al vero. Io rifeci l'esame con metodo microscopico. Avendo notato che la formazione dell’aureola ialina ha luogo sempre, anche a goc- cia scoperta, ma che viene accelerata, nelle goccie piccole, dalla pressione del coproggetti, talchè, premendolo davvantaggio, an- che i pseudopodi si fanno più lunghi, e notando inoltre come le cellule si trovano sempre giustapposte nella preparazione, e non mai sovrapposte, dovetti convincermi che in una prepara- zione fatta con una goccia che giunga a spianarsi sotto tutto il coproggetti senza debordare, la lamina liquida e le cel- lule hanno quasi esattamente lo stesso spessore, tantochè le cellule toccano il coproggetti. Questa fortunata combinazione si prestava comodamente al calcolo della proporzione volumetrica delle cellule in rispetto al plasma in ogni singolo campo, chè, essendo eguale lo spessore delle une e dell’ altro, i loro volumi stavano tra di loro come le relative superficie. Ora ogni cellula, compresi gli pseudopodi, aveva, su 50 osservazioni, un diametro medio di 10 v.; e, su altre 50 osservazioni, il numero medio di cellule in ogni campo fu di 32. Cosicchè mi fu facile calco- lare che l’area occupata, in media, dalle cellule, era di poco superiore ai 2500 uq. Ora, siccome il campo del microscopio aveva un’area di circa 50,000 pq., dovetti giungere alla con- clusione che di questo le cellule occupavano circa !/20; e sic- come, data l'eguaglianza dello spessore, le superficie relative delle cellule e del plasma stanno come i volumi, se ne deve conclu- dere che le cellule rappresentano !/20 dell'intera massa sangui- gna, ossia che stanno ad essa nel rapporto circa del 5 per 100. 250 G. CATTANEO, [20] II. FENOMENI BIOLOGICI DELLE CELLULE DEL SANGUE DEL Carcînus. Le osservazioni furono fatte sulle branchie dell’ animale vivo o appena tolte dall’animale vivo, con le avvertenze che ho già indicato. Sui margini e all’apice delle branchie, attraverso la sottile e trasparente cuticola, si vedono chiaramente le cellule in circo- lazione; e, legando la base della branchia e così fermando il circolo, si possono comodamente esaminare nel loro stato fisio- logico, pur a un ingrandimento di 700-800 diametri. Sono, come dissi, ovali, o piriformi o fusiformi, a seconda che non presentano pseudopodi, o ne presentano uno 0 due agli apici, le più piccole ialine, le più grandi granulose. I pseudo- podi apicali sono generalmente assai brevi e di poca estensione; tuttavia possono successivamente più o meno allungarsi e accor- ciarsi, o anche essere ritirati affatto, e poi di nuovo emessi. Talchè le tre forme caratteristiche che ho indicato sono affatto temporanee, e derivano, a seconda della condizione dei pseudo- podi, da una sola forma fondamentale. La forma dell’ endopla- sma non è sempre stabile; entro ristretti limiti, ora s’ allunga, ora si rigonfia, e così pure è oscillante il contorno del nucleo, per quanto non sempre nettamente visibile attraverso il denso strato dei granuli. I granuli rifrangenti sono continuamente in preda a una lieve vibrazione, ben diversa però da quel moto di ribollimento descritto da certi autori, il quale ha luogo solo du- rante la decomposizione e la putrefazione delle cellule, non mai allo stato vivente. Nello stato vivente i limiti delle vibrazioni e degli spostamenti dei granuli sono assai ristretti, e invisibili agli ingrandimenti mediocri. In corrispondenza con questi moti si nota un’agitazione nel plasma che attornia le cellule, avver- tibile pel movimento dei minutissimi granulini scuri che vi si trovano sempre disseminati. Si direbbe che ha luogo una con- [21] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 251 tinua corrente plasmatica d’ entrata e d’ uscita dalla cellula, perchè le finissime granulazioni sembrano proiettarsi da essa e in essa addentrarsi. E nell’ interno della cellula, pure si osser- vano queste finissime granulazioni in continuo spostamento. Questi fenomeni si notano quasi unicamente nelle cellule gra- nulose. Nelle cellule ialine i pochi granuli rifrangenti sono relativa- mente in uno stato di quiete. Da esse si vedono talvolta stac- carsi dei lembi di sarcode, trascinanti seco dei granuli grandi e piccoli, mentre parecchi di questi si diffondono anche nel pla- sma sanguigno. Alcune di queste cellule ialine sono poi affatto prive di granuli rifrangenti e di pseudopodi; hanno una forma ovale e contengono solo dei granuli minutissimi oscuri. In esse il nucleo è poco chiaramente visibile. Si trovano inoltre nei vasi delle branchie, come nel vaso dorsale, delle masse ovali o rotonde di sarcode, non contrattile, o paraplasma, grandi come circa una metà delle cellule, senza nucleo nè granuli grossi, e solo contenenti delle fine granulazioni (fig. 20). Esse però sono assai rare. Più rari ancora sono degli ammassi globulari di sar- code, perfettamente ialini. Nelle branchie volli osservare anche quella regione posta tra il vaso venoso e il vaso arterioso, in cui, secondo Cuenot, avrebbero origine le cellule. del sangue. Vi si nota un tessuto connettivo che sta aderente al vaso venoso, nel quale si con- tengono molte forme cellulari più piccole delle solite cellule, e contenenti un gran numero di grosse granulazioni. Non potei chiaramente distinguere in esse un nucleo. Esaminai anche il sangue contenuto nel cuore e nel sacco pericardico. Esso è composto, oltre degli elementi già indicati, anche -di un gran numero di globi di sarcode, o affatto ialina, o con granuli minutissimi (fig. 21). Il loro volume è assai va- rio. Generalmente sono assai più grossi delle cellule, misurando un diametro di 15-30 e fin 50 micromillimetri. Essi sono di costituzione semi-liquida; e non hanno contrattilità propria; con la pressione del vetrino si deformano facilmente, insinuan- 252 G. CATTANEO, [22] dosi negli interstizii della preparazione. Nè nel cuore, nè nel vaso dorsale, nè nei vasi branchiali, nè in alcuna parte del corpo dell'animale vivente mi fu mai dato di trovare cellule a pseudopodi numerosi o radianti, per le quali la costituzione stessa delle vie circolatorie non sarebbe adatta. Vi son canali, e valvole e lacune sì ristrette, che per alcune di esse passa una sola per volta delle cellule fusiformi, ma non ci passerebbe una cellula con pseudopodi laterali, cosa già osservata dall’ Haeckel per l’Astacus. Questo insieme di fenomeni ci pone dinnanzi parecchie que- stioni. Le cellule ialine e granulose costituiscono due sorta di cellule fra loro distinte, o due stadì di uno stesso elemento? Dato quest’ultimo caso, lo stadio primitivo è rappresentato dalle ialine o dalle granulose® Donde provengono e dove vanno a fi- nire le masse sarcodiche raccolte nel sacco pericardico e nel cuore, e non esistenti in circolazione? E qual’ è l’ ufficio delle cellule del sangue nell'economia animale? Donde sorgono e dove finiscono esse? Questioni tutte assai interessanti per la biologia dei crostacei, e di cui ben pochi sinora si sono, e parzialmente, occupati. Tentiamo, basandoci sulle osservazioni fatte, di rispondere partitamente a ciascuna di esse. 1.° Le cellule granulose e ialine non sembrano essere due forme distinte, ma due stadî della stessa forma. Infatti i loro fenomeni fondamentali, sì nello stato vivente, che nello stato di degenerazione e di necrosi, sono gli stessi. Sì le une che le al- tre hanno forma ovale, con attitudine a emettere uno o due pseudopodi apicali nello stato vivente, e, estratte dal corpo del- l’animale, emettono egualmente pseudopodi lobosi e aghiformi, dando origine promiscuamente a plasmodii. Inoltre sono fra di loro connesso da forme di passaggio lentamente digradanti, e distinte solo per il maggiore o minor numero delle granulazioni rifrangenti. 2.° Il Pouchet ammette, sebbene dubitativamente, che le 23 SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 2593 7) cellule ialine possano essere le più giovani, e le granulose le più avanzate. Ma le mie osservazioni fanno emergere varie obie- zioni a tale ipotesi. Anzitutto, nel lungo esame che feci sul vivo, osservando continuamente le modificazioni delle stesse cellule nell’interno delle branchie, mai non vidi una cellula ialina in- grossarsi e assumere nuovi granuli, bensì vidi cellule più o meno granulose impicciolirsi per perdita di granuli e di sarcode. Inoltre le forme rudimentali che stanno nello stroma connettivo poste tra il vaso venoso e arterioso delle branchie, e che rap- presenterebbero le forme embrionali delle cellule del sangue, non hanno già il tipo ialino, ma sono decisamente granulose. Par dunque che le cellule del sangue entrino in circolazione nella forma granulosa, compiano sotto questa forma le loro funzioni, e poi, regredendo, perdano granuli e sarcode, e si riducano alla forma ialina, più piccola e quasi inattiva. 3.° Le cellule granulose, semigranulose e ialine perdono brani di paraplasma; le cellule ialine impiccolite ed esauste, perdono i pseudopodi, assumono una figura tonda, o finamente granulosa o affatto ialina, degenerando in una forma simile a un globo di sarcode. Dove finiscono esse? Secondo ogni verisi- miglianza il sacco pericardico, ove vanno a sboccare i vasi re- ilui, accoglie il detrito sarcodico che proviene da tutte le parti del corpo, e con le sue pressioni l’ammassa nei grossi globi di cui abbiamo parlato. Questi globi hanno le stesse proprietà fi- siche del paraplasma e dei globuli sarcodici vaganti del sangue, e, trattati coll’eosina, si comportano esattamente come quelli, imbevendosi rapidamente, e dando al color rosso di essa una gradazione purpurea. Esse passano nel cuore, ove le ho trovate insieme col sangue, ma poi non ritornano più in circolazione. D'altra parte difficilmente si farebbero via attraverso le strette valvole delle arterie laterali. Invece le ho ritrovate nelle due ampie arterie epatiche, che conducono il sangue dal cuore alle glandule gialle; le ho ritrovate, sebbene alquanto modificate, nel tessuto stesso delle glandule gialle. Nelle quali però non sono da confondersi queste masse ialine, a contorno semplice, 254 G. CATTANEO; [24] facilmente tingibili con l’eosina, con i globuli adiposi giallastri, a doppio contorno e non tingibili coi soliti reagenti coloranti. Tuttavia tra queste e quelle esistono forme intermedie, bianche o giallo-pallide, con un contorno semplice, che potrebbero dar a pensare come i globi adiposi delle cellule gialle ad altro non siano dovute che alla degenerazione adiposa dei globi sarcodici che alle glandule gialle provengono dal cuore. La degenerazione adiposa dei leucociti è cosa troppo comune nella fisiologia e nella patologia sì dei vertebrati che degli invertebrati, perchè tale ipotesi non possa essere proposta. 4.° Assai più difficile è indagare, senza minute indagini chi- miche, ch'io non ho potuto fare, la funzione delle cellule ame- boidi del sangue e il significato dei granuli rifrangenti. Che tali cellule abbiano qualche relazione con l’ematosi, è sufficien- temente escluso dal fatto ormai notorio che l’emoglobina, la emocianina e ia tetroneritrina, nei crostacei, non sono conte- nute nelle cellule, ma disciolte nel plasma del sangue, e anche dal fatto da me riscontrato, e di cui parlerò in seguito, che la presenza o la mancanza dell’ossigeno ben poco influisce su queste cellule. Nè alcuno ammette più che i granuli rifrangenti, nei crostacei, abbiano il significato di goccie adipose, da cui differiscono per l'insieme dei caratteri, ma tutti ora concorde- mente ammettono ch’ essi siano granuli di fermento. Il fatto della vibrazione di questi granuli allo stato vivente, e della corrente plasmatica che imbeve e percorre la cellula, trascinandovi an- che i minutissimi granulini contenuti nel plasma, darebbe fon- damento al concetto di Cuenot, da lui finora solo enunciato in una nota preventiva, ma non ancora pubblicata e dimostrato in extenso, che le cellule ameboidi del sangue dei crostacei ab- biano l’ufficio di tradurre, col loro fermento, l’albumina dei peptoni versata nel sangue in albumina assimilabile, che andrebbe poi a nutrire direttamente le cellule del corpo. I fatti sembrano appoggiare questo concetto, che si collega anche in parte con la teoria del fagocitismo. [25] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 255 Veniamo ora a questa importante questione. Io non l’ho stu- diata che incidentalmente, e per quanto serviva a illustrare un lato dei fenomeni biologici del Carcinus; tuttavia mi pare che i fatti da me notati possano essere riferiti, come documenti «da aggiungere ai molti altri su cui è fondata la teoria di Me t- schnikoff. © Se in una goccia di sangue fresco di Carcino si introduce un po’ di carmino in polvere, e, dopo qualche istante, si copre la goccia col vetrino e la si osserva, non si tarda a riconoscere che varî granuli di carmino sembrano posti nell’ interno del- l’ ectoplasma o anche dell’ endoplasma delle cellule, già munite di pseudopodi radianti. Ma in molti casi questa è un’ illusione. Facendo passare una corrente d’acqua nella preparazione, si vede che molti dei granuli rossi vengono trascinati dalla cor- rente, mentre le cellule rimangono in posto. Ciò indica che si trattava non già di fagocitismo, ma di sovrapposizione casuale. In altri casi invece l’inglobamento è innegabile, e le cellule, smosse dalla corrente, trascinano con sè i granuli inclusi; ma ci può sempre essere il dubbio che la pressione del coproggetti abbia passivamente, entro il tessuto cedevole del ialoplasma, operata l’ inclusione del granulo. Nei plasmodii invece 1’ inclu- sione appare evidentissima. I granuli che si trovano nell’ inter- vallo fra due o tre cellule vicine, rimangono impigliati fra i loro pseudopodi che si avanzano; e avvenendo la fusione dei pseudopodi e la formazione del plasmodio, sono in esso compe- netrati. Così pure osservai molte volte i granuli posti in vici- nanza d’una cellula isolata rimaner inclusi in un pseudopodo lobato, o in una massa ialina con pseudopodi aghiformi che ve- niva avanzandosi (fig. 12, 13, 15). Lo stesso avviene pei bac- terii. Unendo a una goccia di sangue fresco di Carcino una goccia di sangue putrefatto contenente numerosi bacterii, vi- brioni e spirilli, ! si osserva nella preparazione lo stesso feno- 1 È indispensabile per queste esperienze adoperare il sangue putrefatto d’altri crostacei, e non una goccia d’acqua con bacterii, perchè l’acqua per sè sola f incistare le cellule, e allora la inclusione più non avviene. 256 G. CATTANEO, [26] meno dianzi indicato pei granuli di carmino. I pseudopodi avan- zantisi o i plasmodii costituentisi impigliano nella loro massa i bacterii che si trovano sulla loro via. In alcuni casi l'inclusione è passiva da parte delle cellule e avviene per opera stessa del microbio. Vidi parecchie volte degli spirilli avanzarsi rapida- mente verso il ialoplasma o il plasmodio delle cellule, e, per . la tenue consistenza di questo, rimanervi impigliati e inclusi. Non può tuttavia negarsi che, attivamente o passivamente, nelle cellule ameboidi tolte dall’organismo e nello stadio d’emissione dei pseudopodi non avvenga il fenomeno dell’inclusione di pic- coli corpi stranieri. Ma non mi bastava. Importava sopratutto verificare se ciò aveva luogo anche nelle cellule vive. A tale intento pensai di iniettare nel corpo dei Carcini della polvere di carmino e, me- glio ancora, della finissima polvere di carbone animale, sospesa in un grammo di sangue fresco d’altro crostaceo — non mai in acqua per non alterare le cellule. Operai generalmente l’ in- lezione, approfondando di mezzo centimetro l’ago della siringa nella cavità orbitale, regione che si presta più d’ogni altra, sia perchè è tolto il pericolo di ledere organi che, coi loro ele- menti, inquinerebbero il sangue, sia perchè è facile, con una goccia di paraffina o di vernice dammar impedire all'istante l’u- scita del liquido. Fatta l'iniezione, lasciavo per qualche tempo a sè il Carcino, che si manteneva sempre vivace, indi passavo all'esame di qualche goccia di sangue. Il carmino e il carbone erano entrati in circolo, e se ne vedevan per ogni parte i fram- menti, e fin dal principio della protrusione dei pseudopodi al- cuni erano inclusi nel ialoplasma. Ma dubitando che questo po- tesse essere un fenomeno avvenuto dopo l’ estrazione, ricorsi a un più sicuro metodo, fissando nella loro forma le cellule entro il corpo stesso del crostaceo, coll’uno o coll’altro dei metodi di fissazione che indicherò in seguito, e specialmente facendo morir l’animale con l'immersione nell'acqua a 50°. Estratta una goccia di sangue, potei allora con tutta comodità osservare, senza che le cellule si mutassero, che quasi in ogni campo v° eran due o for]. SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 257 tre cellule contenenti alcune delle particelle più piccole del car- mino, e specialmente di quelle piccolissime del carbone animale. Nè ciò pare ingiustificato, quando si pensi alla facoltà che hanno le cellule vive di emettere e ritirare i brevi pseudopodi apicali, e specialmente di produrre una corrente con la vibrazione dei loro granuli. Non potei osservare nè l’assorbimento nelle cellule viventi, nè la lotta sul vivo delle cellule contro i bacterii; bensì mi av- venne di osservare un caso perfettamente reciproco, in un solo individuo. Presi cioè un Carcino maschio di grandi dimensioni, che già da 15 giorni m”era giunto da Venezia, e si era sempre dimostrato assai poco vivace. Esso mancava di entrambe le chele, amputazione di data alquanto antica, perchè le ferite erano completamente cicatrizzate e coperte d’ una cuticola. Estratta una goccia del suo sangue per le osservazioni, trovai la preparazione assai scarsa di cellule, e formicolante invece di infusorî ciliati d’una specie nuova (Anophrys Maggi), che de- scrissi in altro lavoro.! Eran lunghi 35-45 w., e larghi 10-12, con un’ampia fenditura boccale ciliata alla parte anteriore, uno o due nuclei nel mezzo, e una vescicola contrattile alla parte po- steriore del corpo. Il corpo era pieno di granuli e di globettini di sarcode. Questi infusorî erano numerosissimi; da 15 a 20 per ogni campo. Li trovai indifferentemente in tutte le parti del corpo; spremendo il sangue dagli arti, traendolo dal cuore e dal vaso dorsale. Li vidi anche circolare a centinaia nell’ in- terno delle branchie, prima di staccarle dal Carcino. Nessun dub- bio che si trattasse d’un parassito del sangue, introdottosi nel corpo quando il crostaceo (probabilmente durante l’ultima muta) restò privo delle chele, e poi straordinariamente moltiplicatosi. Questi ematozoi erano voracissimi; movendo rapidamente le cilia boccali attaccavano le cellule e ne introducevano i frammenti. Ne ho fatto ricerca in altri Carcini mutilati e più o meno sof- ferenti, ma finora non mi avvenne di trovarlo che in quel caso. 1 G. CattanEO, Su di un infusorio ciliato, parassito del sangue del Carcinus mae- nas. Bollett. scientif. Pavia, 1888. 258 G. CATTANEO, [28] ° Il quale però non è isolato nella letteratura scientifica, per- chè lo Stein, nel 1852,' trovò un infusorio ciliato affine alle opaline (Anoplophrya branchiarum) nelle lamelle branchiali del Gammarus pulex, e il Balbiani, nel 1885,° ne trovò un altro (Anoplophrya circulans), nel sangue delll’Asellus aquaticus. Tali infusorì eranvi in gran numero. IL. VARIAZIONI DELLE CELLULE IN DIVERSE CONDIZIONI DI AMBIENTE. Prima di cimentare le cellule ameboidi del Carcino coi soliti reagenti microchimici, adoperati già da Graber e Frommann sugli insetti e sull’Astacus, volli esperimentare l’azione fisiolo- gica delle varie condizioni d’ambiente sulle cellule del sangue, tanto più che queste esperienze mancano quasi completamente nei lavori citati. In animali, come i Carcini, che vivono nell’ac- qua e all’ asciutto, a varî gradi di temperatura, e, per l’ even- tuale loro agglomerazione in certe stagioni, in ambiente più o meno ossigenato, m’importava vedere le modificazioni degli ame- bociti a seconda dell’ aumento o della diminuzione della quan- tità percentuale dell’acqua nel sangue, come pure fra le estre- me temperature comportabili colla loro vita, o in seguito a inalazione d’ossigeno o d’acido carbonico, osservando pure l’a- zione di queste varie condizioni nelle cellule a pseudopodi, al- l'esterno del corpo. Osservai anche le modificazioni che avven- gono, dopo la morte naturale, nel periodo della putrefazione. 1. Acqua. Iniettando nel corpo d’ un Carcino un mezzo grammo, e anche un grammo d’acqua distillata, quello si con- serva ancor vivo per molte ore. Estraendo, mentre è in vita, una goccia, di sangue, si osservano in esso delle cellule di forma nor- 1 Zeitschr. f. wiss. Zool. Vol. III, pag. 486, 1852. 2 E. G. BarBranI, Sur un infusoire cilié parasite du sang de V Aselle aquatique (Anoplophrya circulans). Récueil Zoologique Suisse. Vol. II, 1885. [29] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 259 male, fusiformi o piriformi, però coi pseudopodi alquanto più lunghi che nella norma. Esse rapidamente si deformano, e man- dano pseudopodi lobosi o radiali più lunghi che normalmente, i quali si fondono con la massima facilità. I plasmodî così for- mati sono grandissimi e includono fin 20 cellule. Quant'è mag- giore la quantità d’acqua iniettata, tanto più grande è la flui- dità dei pseudopodi e la facilità di formazione dei plasmodî. Ben diversa è l’azione dell’acqua, se si opera sul vetrino por- toggetti. Essa, agendo sia su cellule appena uscite dal corpo, sia su cellule già degenerate, ma non ancor morte, le rigonfia, e fa loro assumere una forma rotonda, come d’incistamento. I granuli di fermento si fanno più chiari; alcuni, rigonfiandosi, assumono dei vacuoli e poi scoppiano, e attraverso ad essi si vede più chiaramente il nucleo. Nell'insieme il ialoplasma si fa più ialino e liquido; non ha però alcuna attitudine a mandare pseudopodi aghiformi e a formare plasmodî. Un eccesso d’acqua fa diffluire completamente il ialoplasma, che si diffonde nella preparazione, mentre i granuli di fermento rimangono in posto, limitando lo spazio nucleare (fig. 23, 24). 2. Disseccamento. Lasciai disseccare alcuni Carcini, sia espo- nendoli per 4-5 ore al sole, sia ponendoli entro stufa di rame con aria secca, sia in vaso di vetro, in cui si operava il dis- seccamento col solito processo dell’acido solforico. In quest’ ul- timo ambiente secchissimo resistono fin 24 ore. Apertili prima della morte, trovai le branchie avvizzite, lento il moto del san- gue, rari i battiti cardiaci. Tagliata una zampa, il sangue esce a stento. Contiene globuli normali, ma quasi tutti privi di pseu- dopodi, o con pseudopodi assai brevi. I granuli di fermento sono confusi e avvizziti. Le cellule, secondo la norma, diventano ro- tonde, poi emettono lentamente un velo ialino a contorno stel- lato, poi dei pseudopodi brevi e larghi, per lo più lobosi, i quali hanno poca tendenza alla fusione. Si formano pochi plasmodî e di poche cellule. Avviene insomma, per l’ispessimento del ialo- plasma, precisamente il contrario di ciò che è prodotto dalla diluzione del sangue con acqua (fig. 19). Ì 260 G. CATTANEO, [30] 3. Variazioni di temperatura. Lasciando per 2 ore un Car- cino nell’acqua di fusione del ghiaccio, ossia all’incirca a 0° gradi, esso si fa immobile, ma conserva ancora vita vigorosa. Estratto, è freddissimo dentro e fuori, ma cerca di fuggire e offendere con le chele. In una goccia di sangue si trovano cel- lule ovali e attondate, con contorni incerti, stellati, da cui ema- nano in seguito pseudopodi aghiformi brevi, e pseudopodi lobosi assai attondati. C’ è poca tendenza alla fusione e alla forma- zione di plasmodî, almeno finchè la preparazione si mantiene abbastanza fredda. | Per le temperature superiori all'ambiente (che era di 15-20°) provai a tenere per 10-15 minuti i crostacei in acqua a 30°, n° 50% a W0srerarah00?, La temperatura di 30 gradi non uccide il crostaceo, sebbene esso se ne mostri inquieto e faccia ogni tentativo per fuggire. Le cellule ameboidi rimangono poco modificate nella forma, e solo emettono e ritirano brevi pseudopodi e perdono bolle di paraplasma. La temperatura di 50 gradi fissa le cellule nella loro forma normale, ovale, fusata, ecc., quando, ben s'intende, il crostaceo venga immerso nell’acqua a tale temperatura, senza farlo pas- sare per le temperature intermedie. Nell’acqua a 70° le cellule diffluiscono e perdono i granuli. Il paraplasma e il ialoplasma, assai modificati, si raccolgono in grossi globi. A 100° gradi tutte le cellule si rompono, il ialo- plasma si coagula, i granuli escono dai vasi e si mescolano alle goccie oleose delle cellule gialle e a varî altri detriti or- ganici. Se a una goccia di sangue fresco si unisce una goccia d’acqua a 35°40°, ha luogo una liquefazione del ialoplasma, che si deforma e a poco a poco lascia fuoruscire il nucleo e i granuli (fig. 22). 4. Ossigeno. Preparata dell’acqua contenente ossigeno saturazione (di cui ringrazio l’amico prof. Gerosa), vi immersi varî Carcini, onde ne assorbissero abbondantemente con la re- spirazione. Entro il liquido essi si agitano, muovono vivacemente [31] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 261 il quadro boccale, si toccano con le zampe le antenne e le man- dibole; però dopo un’ora si tranquillizzano, dopo un’ora e mezzo sono quasi immobili, ma ancor vivi; entro due ore muo- iono. Esaminando il sangue di varî Carcini ancor vivi, che su- birono per mezz'ora, per un’ora e per un’ora e mezzo l’azione dell'ossigeno, trovai che le cellule ialine, fusiformi e piriformi, si conservano immutate per 15 secondi, poi mandano fuori len- tamente dei brevi pseudopodi, che raramente si fondono con quelli delle cellule vicine; le cellule granulose diventano ovali e poi rotonde, e non mandano quasi pseudopodi (temp. 15° — pressione normale). 5. Acido carbonico. In acqua priva di ossigeno e satura di acido carbonico, a pressione normale e temperatura di 15°, la- scio per un’ ora un Carcino. Nel sangue trovo: cellule piuttosto ovali, lente al deformarsi. Parecchie si conservano intatte. Non si formano plasmodii. 6. Asfissia. L’ ottenni in tre modi: lasciando per molte ore dei crostacei in vaso pieno d’acqua salata al 3 per 100, e diligentemente tappato; oppure in vaso tappato, contenente acqua privata d’ossigeno con la lunga bollitura (temp. 15°); e finalmente sotto la campana pneumatica, fin che essi rimane- vano esauriti. Trovai: cellule arrotondate, granuli confusi, dif- fluenza di varie cellule con formazione di globi di sarcode; molti granuli di fermento sparsi qua e là nel sangue; alcuni invece riuniti a gruppo, e in preda a vivace moto browniano. Nell’ acqua priva di ossigeno i crostacei sono vivi ancora dopo un’ora e mezzo; entro due ore circa muoiono. 7. Putrefazione. Conservando per uno o due giorni i Car- cini morti spontaneamente nell’acquario, notai che il sangue, il quale si coagula dopo un quarto d’ora all’aria libera, non si coagula invece nell’ interno del corpo, nemmeno dopo 48 ore. Forse il processo stesso di putrefazione e lo sviluppo dei bac- terii impedisce la sua coagulazione. Dopo 12 ore dalla morte trovai il sangue pieno di bacterii, vibrioni e spirilli; le cellule ialine quasi del tutto scomparse, le granulose deformate, con 262 G. CATTANEO, ‘(27 pochi pseudopodi lobati e nessun pseudopodo aghiforme. Man- cano affatto i plasmodii; si trovano nel sangue invece molti globi sarcodici, in seguito alla rottura delle cellule. In una Maia squinado &, morta da 15 ore, trovai un sangue di color bruniccio, ancor liquido, zeppo di bacterii, con cellule a contorni attondati e irregolari, prive di pseudopodi aghiformi, e munite solo di uno o due larghi pseudopodi lobosi (fig. 16) a guisa d’un’ Amoeba guttula. V° erano inoltre molti globuli sar- codici pieni di granuli finissimi, ma senza nucleo. In generale le cellule ialine si dissolvono tosto; le granulose invece resistono ancora per lungo tempo alla putrefazione. IV. AZIONE DEI REAGENTI. PREPARATI DUREVOLI. Mi estenderò assai poco sull’azione dei varî reagenti sulle cel- lule ameboidi, perchè non farei che ripetere quanto fu già dif- fusamente descritto da Graber e Frommann. Insisterò solo sui metodi da me impiegati per la fissazione di queste delica- tissime cellule, e sul modo d’apprestare dei sufficienti preparati durevoli, di che nè Graber, nè Frommann tengono parola. Le cellule ameboidi del Carcino, durante le loro trasforma- zioni sul vetrino coproggetti, si lasciano facilmente tingere dal metilvioletto, dall’ ematossilina, dal carmino e dal picrocarmino; specialmente si tingono in una gradazione più pallida l’ectopla- sma e più cupa il nucleo. I granuli di fermento sono più restii alla colorazione. Però l’acqua contenuta in questi reagenti de- forma le cellule, gonfiandole e arrotondandole. L’eosina tinge specialmente l’ectoplasma e il nucleolo; meno vivamente il nucleo e i granuli. L’acido osmico, il cloruro di palladio e il bicloruro di mercurio, all’ 1 per 100, sono buoni fissatori, ma affatto temporanei; se poi si cerca di pulire la preparazione con corrente d’acqua per farne un preparato du- revole, le cellule si deformano, assumendo la forma d’ incista- mento. Una maggior proporzione di quegli acidi deforma pure le cellule. [33] SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. 263 Il migliore acido fissatore che finora ho trovato è l’acido ace- tico. Iniettando un grammo di soluzione acquosa al 3 per 100 nel corpo d’un crostaceo, si fissano quasi perfettamente le cel- lule, che si presentano ovali, piriformi, fusiformi, reniformi, con qualche pseudopodo loboso laterale. L’endoplasma viene assai chiarificato, e si vede distintamente il nucleo. Ben diversa è la sua azione, se invece di essere iniettato nel corpo del crosta- ceo, viene aggiunto (in goccia diluita come sopra), a una gOC- cia di sangue fresco. Allora succede un allargamento dei pseu- dopodi, che si fondono tra di loro, e formano un’aureola intorno all’endoplasma; l’aureola si ristringe, e si ha una forma d’in- cistamento quasi rotonda. Sebbene questa forma non sia la fi- siologica, tuttavia essa è assai utile per lo studio dei nuclei; poichè l’endoplasma diventa chiarissimo, i granuli di fermento si sciolgono e il nucleo e il nucleolo, alquanto impiccioliti, ap- pariscono in tutta la loro nettezza. È questo il miglior reagente per iscoprire la divisione dei nuclei (fig. 17, 18) impossibile a riscontrarsi sul vivo senza reagenti. L’alcool al 5 per 100 ha un’ azione simile a quella dell’acido acetico, ma meno viva. Ì nuclei non si vedono sì chiaramente. Il miglior modo però di far preparati durevoli è il seguente: approntato un vaso d’acqua a 50 gradi, vi si tuffa un Carcino vivo. Entro 5 minuti, muore con le membra in contrazione. Al 10° minuto lo si leva; si estrae una goccia di sangue, se ne fa una preparazione, si sposta il plasma sanguigno ancor liquido con corrente d’acqua salata al 3 per 100, vi sì fa lentamente scorrere alcool al 30 per 100, e poi alcool a 70° e poi alcool assoluto per disidratare, e in seguito si depone lateralmente una goccia di glicerina o d’ olio di garofani, che, di mano in mano che l’alcool evapora, viene assorbita. Nella fig. 15 si vede il disegno d’una di tali cellule conservate, coi pseudopodi un po’ contorti; forma però che qualche volta si trova anche sul vivo. Ma la delicatezza di queste cellule è così grande, le loro for- me così mutevoli, i loro fenomeni così passeggeri, che male po- Vol. XXXI. 18 264 G. CATTANEO, [34] trebbe uno formarsene una esatta idea con l’esame d’una pre- parazione conservata; le osservazioni sul vivo e sul fresco sono indispensabili. V. CONSIDERAZIONI MORFOLOGICHE. Se nelle antecedenti pagine ho insistito nel dimostrare che le forme ameboidi a pseudopodi radianti, descritte generalmente come normali, sono invece regredite e degenerate, fu solo per istabilire un fatto. altrettanto facile a dimostrarsi, quanto fin qui poco avvertito; ma non ho inteso con ciò di diminuire il valore morfologico che anche queste forme regredite presentano. Le cellule vive; unipolari o bipolari, di figura così fissa e spe- cializzata, coi pseudopodi localizzati agli apici, col nucleo iper- trofico e con l'ammasso dei granuli di fermento, si presentano senza dubbio quali forme altamente differenziate, per l’ adatta- mento alla loro speciale funzione. Uscendo dall’organismo vi- vente, vengon portate in un ambiente assai diverso da quello per cui sono adattate; onde la loro regressione consiste in ciò, ch’ esse perdono gli speciali caratteri cenogenetici o d’adatta- mento, per riprendere i caratteri palingenetici più generali delle forme ameboidi. Quindi non più localizzazione, nè forme fisse di pseudopodi; essi emanano da tutte le parti del corpo, o lo- bosi, o acuminati, come nelle amebe libere. Questi stadî regres- sivi, che tiniscono con la formazione dei plasmodii, ripetono gli stadî più semplici, precedenti alla forma differenziata dei cro- stacei superiori, quali si trovano cioè nei vermi, nei celenterati e negli echinodermi, ove, a quanto appare dagli studî di Geddes e di Metschnikoff, le cellule ameboidi hanno forme più pri- mitive e pseudopodi radianti, anche nello stato vivente. E dob- biam scendere più in basso, ai mixomiceti, per trovar la forma più primitiva, corrispondente all'estremo grado della regres- sione, cioè il plasmodio. A proposito delle cellule ameboidi degli echinodermi, il Pa- trik Geddes istituì il seguente raffronto con le forme libere dei mixomiceti: 135] 1. Sviluppo per divisione trasversale . Sviluppo per divisione endogena. 2. Cellula flagellata Mastigopode. . Cellula ameboide Myxopode. Corpuscoli sanguigni . Plasmodio mobile . SULLA STRUTTURA E SUI FENOMENI, ECC. Mixromiceti. Plasmodio mobile. Sferoide immobile . Sferoide immobile. o uo » vw Forma morta . Forma d’incistamento. Paragonò anche i plasmodii Hertwig. alla Microgromia socialis di Le forme vive e in regressione del. Carcinus ricordano meglio invece le amebe propriamente dette, fuorchè in un caso, cioè nella fusione delle cellule e nella formazione dei plasmodii, che le vere amebe non presentano. Le cellule viventi, con uno o due brevi pseudopodi agli apici e l’endoplasma ovale o roton- deggiante richiamerebbero Vl’ Amoeba inflata, che generalmente ha solo uno o due pseudopodi apicali ed è o piriforme o fusi- forme. Le cellule con pseudopodi diritti e aghiformi ricordano l’Amoeba brachiata, quelle con velo ialino tondeggiante o a pseudopodi largamente lobosi 1’ Amoeba guttula. Le forme ar- rotondate, ottenute mediante il trattamento con acqua o con acido acetico al 3 per 100 o alcool al 5 per 100, assomigliano alle forme d’incistamento delle amebe. Fra le amebe indicate e le “ cellule ameboidi , del Carcinus corrono però due differenze, derivanti dalle diverse condizioni di vita, poichè le amebe, come organismi liberamente viventi, sono fornite di tutte le elementari funzioni della vita, mentre gli amebociti sono cellule differenziate per una particolare fun- zione in un organismo complesso. Le amebe cioè non presen- tano il localizzato ammasso dei granuli rifrangenti, caratteri- stico degli amebociti, e hanno invece un abbastanza attivo mo- vimento di progressione, che manca alle “ cellule ameboidi , sì nello stato vivente, che durante il periodo di degenerazione. Lab. d'Anat. comp. dell’Univ. di Pavia, giugno 1888. 266 G. CATTANEO, SULLA STRUTTURA, ECC. [36] SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 1-6. Cellule ameboidi del sangue del Carcinus maenas nella loro forma naturale (entro V organismo vivente). 1. Cellula ialina con un solo pseudopodo (piriforme). 2. Cellula granulosa con un solo pseudopodo (piriforme). 3. Cellula granulosa senza pseudopodi (reniforme). 4. Cellula granulosa con due pseudopodi (fusiforme). — Questa è la forma più comune. 5-6. Cellule ialine con uno e due pseudopodi. 7-13. La spontanee delle cellule ameboidi. Cellula granulosa, che diventa ovale e comincia a emettere un sottile velo ectoplasmatico. \ 8. Cellula ialina, con due pseudopodi lobosi. 9. Cellula granulosa con ectoplasma stellato. 10. Cellula granulosa, con ectoplasma a lobi ottusi. 11. Gellula ialina con pseudopodi aghiformi. 12. Cellula granulosa con pseudopodi aghiformi e lobosi, contenente granuli di carmino. 13. Due cellule ameboidi, di cui una granulosa e una ialina, con pseudopodi anastomizzantisi. 14, Cellule ameboide (bipolare) del sangue dell’Hydrophilus piceus. 15. Plasmodio di due cellule granulose e due cellule ialine del sangue del Carci- nus maenas, con pseudopodi aghiformi e lobosi, e con assorbimento di gra- nuli di carmino sì nell’ ectoplasma che nell’ endoplasma. 16. Cellula ameboide del sangue della Maia squinado in istato di putrefazione. 17. Cellula ameboide del sangue del Carcinus maenas trattata con acido acetico al 2°/,, col nucleo in divisione. 18. Cellula c. s. trattata con acido acetico. 19. Cellula ameboide di Carcinus maenas (tenuto per 24 ore in aria disseccata), con tre pseudopodi lobati. 20. Forme degenerative delle cellule ialine. 21. Ammassi globulari di sarcode ialina, raccolte nel cuore, nel sacco pericardico e nelle glandule gialle del Carcinus. 22. Forme degenerative delle cellule ameboidi c. s. trattate con acqua a 80°. 23. Cellula trattata con acqua distillata a 15°. Forma di incistamento. 24. Residui di cellula ameboide trattata con acqua distillata abbondante, a 15°. Il ialoplasma è completamente scomparso, e restano in posto i granuli di fermento, limitanti il contorno dell’ endoplasma e lo spazio nucleare. 25. Cellula ameboide in preparato di conservazione, ottenuto da crostaceo tenuto per 10 minuti in acqua a 50°. NB. In tutte le cellule, la parte esterna ialina, munita o no di pseudopodi, co- stituisce l’ectoplasma ; la parte interna granulosa, costituisce l’endoplasma, ripieno, nelle cellule granulose, di granuli di fermento, e nelle ialine, di pochi granuli mi- nutissimi. Entro l’endoplasma c’è il nucleo, ora visibile, ora più o meno coperto dai granuli di fermento. L’ingrandimento è approssimativamente di 1000 diametri. Le osservazioni furono fatte coll’obb. 8*, oc. 4 KoRISTKA, e oc. 3, obb. immersione omogenea 1/16” KoRISTKA. PELAT ge © de i ira 34 Amebociti Crostacei. Ari Soc. it di Scienze nat. ANI tav D. UNES LIO OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUL TERRENO GLACIALE DEI DINTORNI DI LOVERE. Nota del socio AWMIGHETTI Sac. ALESSIO Dopo gli studî eseguiti con tanta cura dagli egregi sigg. Stop- pani e Curioni sui terreni delle sponde del Sebino, e pubblicati prima del 1870, più nessuno, ch’io mi sappia, si è interessato di continuare nei particolari lo studio della geologia di questi dintorni, dove rilevansi fatti marcatissimi e classici, in suffragio di questa scienza, che ormai si fa gigante, e delle teorie dell’e- gregio prof. Stoppani sull’Epoca glaciale. Ond’ è che, non per dare nuovo lustro alla scienza, sibbene per porgere agli studiosi occasione e stimolo alle ricerche di quei fatti che valgono a completare gli studî dei due illustri scienziati, prendo a fare alcune osservazioni sul terreno glaciale, tanto bene sviluppato su questi monti. All'epoca glaciale, anche la Valcamonica, che allora non era che un braccio dell’antico golfo adriatico, fu invasa da un ghiac- cigio, che la percorse tutta quanta, e la riempì fino all’altezza di m. 1000 sopra il livello attuale del lago d’Iseo. Le osserva- zioni che sono per fare tendono appunto a mettere in maggior evidenza questo fatto, già dimostrato dall’egregio prof. Stoppani ‘nelle sue due opere: Corso di Geologia, Vol. II, e Era Neozoica. In niun luogo io credo, si troveranno i terrazzi morenici così netti e distinti, così regolari e paralleli, come nei dintorni di Lovere; e così dovea essere, per la forma topografica di questi 268 A. AMIGHETTI, © [2] luoghi, favorevolissima per questi fatti. Il terreno morenico sì mostra dapprima terrazzato e ridotto in puddinga durissima, nei dintorni di Volpino, primo paese della Valcamonica sulla destra dell’Oglio, dove essa valle si avvicina alla sua massima larghezza. Oltrepassata la Valle Supina, o Valle di Corti, che sbuca da un’ angusta forra, poco sopra questo villaggio, i ter- razzi morenici si trovano spiccati e belli nel territorio di Bra- nico, e si presentano dall'antica strada Lovere-Corti e altrove; ma chi osserva più attentamente la natura di quei depositi, non tarda ad avvedersi, che essi non sono stati direttamente for- mati dal ghiacciaio, benchè il materiale sia prettamente glaciale. Infatti i ciottoli e le ghiaie che li compongono assumono qui il carattere torrenziale. Sono arrotondati e lisci, appianati e frantumati, proprio alla maniera dei ciottoli e ghiaie d’ un po- deroso torrente. Te campagne di Corti, Branico e Qualino sono per sè stesse sterili ed arse, ed a pochi palmi di profondità si incontra quasi dappertutto in quei campi una specie di ceppo, ossia un con- glomerato ghiaioso o sabbioso, talvolta durissimo. Sulla strada Branico-Corti, alla località denominata Ripe, si presenta uno spaccato di strati sovrapposti di ghiaie e sabbie finissime, pro- prio come lo spaccato del letto d’un torrente. I frequenti grani di quarzo, di porfido, i ciottoli di arenarie rosse e di graniti, elementi tutti che provengono dalle montagne della Valcamo- nica, rivelano, che la loro origine primitiva è glaciale. Qual’ è dunque la causa di quei terrazzi, se non è un torrente? Mi pare di averla trovata nel ghiacciaio medesimo. Il ghiacciaio della Valcamonica si gettò attraverso la valle Supina, proprio nel punto in cui questa sbuca dalla stretta gola, ai piedi delle rupi verticali dette dei Forami da una parte, e le dirupate pendici dei Carletti dall’ altra. Il torrente, sbarrato in quel punto dal ghiacciaio o dalla sua morena laterale destra, dovea di necessità, o convertirsi in lago, o cercar l’uscita per altra parte. Ma urtando contro le rupi deì Forami a sinistra, dovea rivolgersi a destra, dove le pen- [3] OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 269 dici dei Carletti, meno erte in questo punto delle precedenti, gli permettevano di riversarsi verso l’attuale territorio di Bra- nico, e ciò anche per il fatto, che quel luogo, trovandosi a valle del ghiacciaio, non era, al momento dello sbarramento del torcente, ancora dal ghiacciaio medesimo occupato. Così il torrente dovea trascinare i ciottoli morenici su quel luogo, tri- turarli, arrotondarli, e terrazzarli nelle vicinanze di Branico. SI capisce facilmente, che questo fatto potè avvenire tanto al- l’epoca del primo arrivo del ghiacciaio a quel torrente, quanto all’epoca del suo regresso, perchè essendosi esso insinuato nella valle Supina fino alla sua parte più alta, come lo dimostrano i massi erratici sparsi dappertutto su quelle pendici, dovette tutta empirla di materiale morenico, che venne poscia, forse col lavoro di molti suoli, trasportato fuori della gola e terrazzato nei dintorni di Corti e di Branico. È adunque certo che i ter- razzi di Branico sieno di origine fluvio-glaciale. Prima di abbandonare questi luoghi voglio accennare ad al- cuni altri fatti, come prova del passaggio dell’antico ghiacciaio. Lungo la vecchia strada Lovere-Corti presso al cimitero di questo villaggio, s' innalza a pochi metri dalla via, un colle detto il Dosso, che presenta nella sua piccolezza, i caratteri dei ‘ colli arrotondati sotto 1’ incubo di un ghiacciaio. La sua strut- tura è morenica, ossia un conglomerato durissimo di ciottoli, massi e ghiaie, di carattere ora torrenziale ora glaciale, e fa- rebbe credere ad un'epoca glaciale più antica assai di quella ammessa dai moderni geologi. Checchè ne sia della sua origine, egli è certamente stato sorpassato da un ghiacciaio veniente dalla Valle Camonica, come lo dimostra la sua morbidezza ed il dolce pendio a monte, in confronto della scabrosità e ripi- dezza a valle. In questi dintorni specialmente nei fondi del sig. nob. Bazzini, sono frequenti i luoghi, in cui le rocce calcari si presentano mi- rabilmente lisciate, e in alcune parti anche regolarmente striate. Non sono da lasciar inosservati i colli di S. Maurizio, che chiudono a valle il bacino, o antico lago glaciale di Pianico, 1) 270 A. AMIGHETTI, [4] colle di S. Giovanni e tutto il monte dal cui fianco detto colle emerge. Quei colli e quelle rupi, fino all’orlo dell’altipiano di Bossico, si presentano fortemente ottusi, arrotondati e lisciati, quali, in una parola, doveano risultare le roccie di uno spe- rone di monte, che deve sopportare la pressione di un ghiacciaio di 600 a 800 m. di spessore. I territori di Qualino, Flaccanico e Ceratello, sono pure se- minati di ciottoli, massi e depositi morenici, e quest’ultimo vil- laggio lo è ancor più degli altri due. Sopra Ceratello infatti, a 940 metri sul livello del mare, tro- vasi il piano di Stramazzano. Lungo più d’un chilometro e largo un 200 metri, è senza dubbio un grandioso terrazzo morenico. È . coltivato a prati e campi, ma i massi glaciali si veggono frequenti, massime nel luogo, dove il torrente di valle Spino, che serve di confine tra i due comuni di Lovere e Volpino, incide profonda- mente il terrazzo, e mette in vista la sua interna struttura. Da questo terrazzo se ne innalza un secondo, con ripido pen- dio, fino all’altezza di circa 50 m. sopra 500 di lunghezza, chia- mato Piano di Pirlo, perfettamente parallelo al primo, ed evi- dentemente della medesima natura. Stramazzano e Pirlo dunque sono due classici terrazzi morenici, disposti nella direzione del- l’asse della Valcamonica, e segnano, per quell’antico ghiacciaio, due lunghi periodi di sosta. Verso occidente questi due terrazzi terminano coi boschi de Lovere, ripidi e dirupati, in modo, da non permettere che i depositi morenici vi si potessero arrestare. Ora portiamoci a Bossico, dove ritroveremo i due terrazzi di Ceratello, seguenti la stessa linea, alla medesima distanza |’ un dall’altro, ed amendue al medesimo livello che i due primi. L’altipiano di Bossico giace a N. O. di Lovere sulle falde meridionali del Monte Valtro o M. Colombina, all’ altezza di 850 m. sopra il livello del mare. È sostenuto, o piuttosto for- mato da una specie di muraglia, di rupi calcaree dolomitiche, che corre per quasi tre chilometri nella direzione dell’asse della Val Borlezza. Nella sua parte più alta lo sostengono le rupi scoscese dei boschi di Lovere, che formano il lato orientale, Fi [5] OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 271 nella direzione dell’asse della Valcamonica. La sua massima lar- ghezza non supera i due chilometri. Esso è un piano ondulato, o piuttosto varî piani l’ un sopra l’altro disposti a gradinata, sparso di morbidi colli, solcato profondamente da torrenti, col- tivato a campi, prati, pascoli e selve rigogliose di abeti, larici, faggi e castagni. Il villaggio di Bossico giace presso all’ orlo dell’infimo piano, dove la muraglia calcarea è interrotta per breve tratto, e pel quale fu praticata la strada che conduce a Sovere nella Val Borlezza. L’altipiano di Bossico è un cumolo di bellezze naturali, alle quali incominciano ora ad aggiungersi le artistiche, colle villeg- giature dei Signori delle vicine borgate. La vista del lago, il prospetto del M. Guglielmo, del M. Bronzone, col gruppo di tutte le sue dipendenze, tra il lago e la Val Cavallina, il Pizzo Arera, il M. Alben, la Valcamonica, la Val Cavallina, la Val Borlezza e l’altipiano di Clusone, costituiscono un maestoso pa- norama. La facile salita al M. Valtro, 1459 m., dal quale si prospettano 1 più alti monti della Val Seriana superiore, e della Val di Scalve, come tutta la pianura lombarda, solcata dal Po e coronata dall’Appennino, le commode passeggiate dentro e fuori le selve di pini e di abeti, lungo le strade ombreggiate, per la distesa dei prati; l’aria balsamica, il copioso passaggio degli uc- celli, la semplicità dei costumi, e la cortesia disinteressata degli abitanti; tutte queste cose esercitano sull’uomo un fascino inde- scrivibile. Brigate continue e numerose rallegrano quei luoghi, già per sè stessi molto allegri, specialmente nei mesi di settem- bre e ottobre. Ma quello che più d’ ogni altra cosa colpisce il forestiero, che per la prima volta sale a Bossico, è la così detta Costa di Gromo. È una collina che s’innalza un 60 m. o poco più dal primo gradino dell’ altipiano, al quale si distende paral- lelo per 1300 metri. Questa collina è senza dubbio un terrazzo morenico. La sommità di quella collina è a 910 m. sopra il mare, e presso a poco al livello del già descritto Stramazzano sopra Ceratello, del quale è la continuazione, dopo l’ interruzione di 272 A. AMIGHETTI, [6] circa due chilometri dei boschi di Lovere. La sua origine gla- ciale è indubbiamente attestata dai frequenti massi di arenarie rosse della Valcamonica, superstiti ai molti, che a memoria dei viventi vennero distrutti per migliorare la campagna, e di cui furono costruiti i muri dei campi e le case del paese. I ciot- toli morenici rinvengonsi ad ogni passo, e superano in quantità i ciottoli calcarei dolomitici dell’ ossatura dell’altipiano. La Costa di Gromo è troncata obliquamente verso occidente dal torrente la Valle, che si sprofonda fino a 100 m. L’ero- sione di questo torrente ha messo a nudo anche tutto l’interno di quel colle, per cui appare a tutta evidenza la sua natura morenica. Massi enormi di arenarie rosse, le quali primeggiano dappertutto nelle morene laterali destre della Valcamonica, in- gombrano il letto del torrente, dove pure veggonsi gli avanzi di altri loro fratelli, che servirono a formare colonne e archi- travi per le case del paese. Oltre la valle, il terrazzo ricom- pare più volte fino al termine dell’altipiano, rotto però e sol- cato profondamente dai molti torrenti che lo attraversano. Due altri gradini minori del precedente si vedono ad esso addossati. L’inferiore comincia ad occidente del paese, vi passa nel centro e continua verso oriente nel luogo in cui sorge il Campidoglio, nuova villeggiatura dei sig. Zitti di Sovere, e pro- cede per ben 300 m. per confondersi con altri terrazzi minori al luogo detto il Dosso dei Frassini. Un terzo gradino, maggiore di questo, comincia al principio dell’altipiano verso oriente, dove questo è terminato dai bosch: di Lovere e corre parallelo al Colle di Gromo e all’inferiore, fino al punto in cui quello è tagliato dalla Valle. Dalla morbida sommità della Costa di Gromo si discende verso nord per un dolce declivio in un avvallamento, nullo al- l’origine verso oriente, e che va crescendo fino alla profondità di circa 50 m. nel luogo in cui confluisce colla Valle. Da que- sto risulta la rotondità regolarissima della collina di Gromo, che la direste così foggiata ad arte. Dal fondo di quell’ avval- lamento s'innalza un’altra collina chiamata Sta-Stervino o Le- [7] OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. DT vricco, che termina nel suo punto più elevato, colla villeggiatura e foccolo di proprietà dei sig. Gregorini di Lovere, a 100 m. sopra la sommità della Costa di Gromo. È il quarto gradino, ossia il più poderoso terrazzo morenico dell’altipiano di Bossico, sparso di massi e ciottoli morenici, che sporgono dal terreno, coltivato per lo più a prati e selve rigogliose di abeti, pini e ontani. Questo terrazzo comincia un 300 m. più a levante dei pre- cedenti, sull’altipiano sostenuto dalle rocve dei doschi di Lovere, e precisamente sul luogo nel quale sorge la Caprera, vllleggia- tura del sig. Zitti di Lovere. È disposto in direzione di N.E.- 5.0. fino al punto in cui comincia il terrazzo della Costa de Gromo. Di là volge decisamente verso ovest, correndo parallelo a quella, fino alla Valle, che lo tronca bruscamente mettendone a nudo l’interno fino ad una profondità di ben 100 m. Al punto - di convergenza, ossia nel punto di prendere la direzione paral- lela al terrazzo inferiore, esso è. tagliato dall’ alluvione o più precisamente dall’emissario di un laghetto, che dovette formarsi nel bacino determinato da esso, e da uno sperone, che dal me- desimo si stacca più a ponente in direzione di nord. Questo gradino non è così regolare come quelio della Costa di Gromo, esso è però molto più grande e sostiene un altipiano di ben due chilometri quadr. morbidamente ondulato, profon- damente inciso qua e là dai torrenti, per cui riesce facile, per chi lo visita, il rilevarne l’ origine glaciale. Questo terrazzo tro- vasi approssimativamente al livello del Piano di Pirlo sopra Ceratello, del quale sarebbe la continuazione. | Oltre la Vulle riappare questo terrazzo, allo stesso livello ben tre volte, cioè al luogo detto Onezza, alle Foppe dei quattro e alle Fornaci, le quali ultime distano dalla Caprera non meno di tre chilometri. Sono questi i classici terrazzi morenici di Bossico. Ma una descrizione, per quanto possa essere perfetta, non può dare una giusta idea della realtà, e neppure dell'importanza scientifica di un luogo. Convien vedere co’ proprî occhi, ed in tal caso la 274 A. AMIGHETTI, [8] descrizione potrà servire di guida. Molte particolarità interes- santi potrà osservare il geologo ne’ luoghi accennati; a Cera- tello, per es., potrà caricarsi di conchiglie fossili. Presso la Ca- prera potrà osservare dei classici empozieux o cave imbutiformi, che raccolgono l’acqua dell’altipiano, per consegnarla alle vi- scere della montagna, e depurata, e debitamente dosata, scatu- risce in limpide e perenni sorgenti. Su quasi tutto l’altipiano di Bossico, specialmente nella parte più elevata, si trova un terreno argilloso, ocraceo, che servì anche per mattoni e tegole. Frequenti sono pure gli emporieux del terreno glaciale, specie d’imbuti regolarissimi, determinanti dai massi di ghiaccio che staccavansi dai fianchi del ghiacciaio, coperti dapprima dalla morena, e scioltisi di poi. In una parola non dubito d’asserire, che in nessun altro luogo delle A!pi italiane, all’altezza dell’alti- ‘ piano di Bossico, si troveranno terrazzi morenici tanto simmetrici, tanto regolari e paralleli, quanto questi che abbiamo descritti, che segnano quattro periodi di sosta, marcatissimi e indubitati. E veramente dovea essere così. Il ghiacciaio della Valcamo- nica, giunto nelle vicinanze di Lovere, insinuavasi nella Val Borlezza e la risaliva all'incontro del ghiacciaio della Val Se- riana, che occupa l’altipiano di Clusone. L’ostacolo del M. Cor- nalunga sulla destra della Val Borlezza e l'ampiezza del bacino del lago d’Iseo, concorrevano ad arrestare il ghiacciaio, od almeno a ritardarne la corsa. Così esso dovea gonfiarsi ed innalzarsi lentamente sui fianchi del M. Valtro, sull’altipiano di Bossico, ed aver campo di erigervi le colossali morene che vi abbiamo descritte. Per dimostrare poi come quel ghiacciaio abbia potuto rimon- tare la Val Borlezza fino a fondersi col ghiacciaio della Val Seriana, esistono altri fatti, che passeremo ad esaminare bre- vemente. Dal sommo gradino dell’altipiano di Bossico s’ innalzano ri- pidissime le così dette sponde di Pernezze, che sostengono un altra specie di gradino chiamato il Colle di Bossico che trovasi a 1245 m. sul livello del mare. Se il Colle di Bossico non è Bio. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. 275 un terreno morenico, il terreno glaciale tuttavia non vi manca; ciottoli e massi morenici sporgono qua e là dal terreno, e ve- donsi nei muri delle cascine. È da ritenere che anche quel piano sia stato sorpassato dal ghiacciaio, perchè ho trovati ciottoli morenici più in alto, sui fianchi della piramide della Colombina, la quale s’ innalza da quel piano. Procedendo dal Colle, verso il M. Torrione, che s’innalza 69 metri ad occidendente del Colle, rinvengonsi ancora i ciottoli ed i massi glaciali, tra i quali uno considerevole appartenente ai calcari marmosi del M. Pora. Oltrepassato il Torrione, e di- scendendo sempre in direzione di ovest, i massi ricompaiono qua e là disseminati, con spicchi di morene, fino nelle vicinanze di Songavazzo, dove si confondono colle morene dell’ altipiano di Clusone. Ora ritorniamo al Colle di Bossico. Esso si trova a 640 m. sopra l’altipiano di Clusone, e, provato che il ghiacciaio abbia superato quel Colle, scompare ogni difficoltà nell’ asserire, che esso abbia potuto rimontare la Val Borlezza fino a Clusone, il quale non dista dal Colle di Bossico, presa la misura alla base in linea retta, più di quattro chilometri. Anzi tenuto conto del- l’altezza di 640 m. sopra l’altipiano di Clusone, quel ghiacciaio, secondo le leggi conosciute della sua marcia, dovea spingersi ben più oltre di Clusone, per cui non è punto esagerata l’ as- serzione fatta da altri, di aver cioè trovati massi di tonalite, ossia graniti del M. Tonale, nella morena della Selva, la quale fu edificata dal ghiacciaio della Val Seriana a occidente di Clu- sone. Questo fatto proverebbe ad evidenza, che il ghiacciaio della Valcamonica potè invadere l’altipiano di Clusone e fon- dersi colla fronte del ghiacciaio della Val Seriana. Provato adunque che questo ghiacciaio abbia superato il colle di Bossico, se teniam conto della profondità del lago d’Iseo, che ne dovette essere riempito, abbiamo una massa di ghiaccio del- l’altezza di 1450 m. larga alla superficie non meno di 9 chilo- metri, misurando dal Colle di Bossico alle vette del Corno dei trenta passi, dalla parte opposta del lago. Considerato questa 276 A. AMIGHETTI, OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, ECC. [10] mole spaventosa di ghiaccio, che tutta insieme scorreva entro l'immenso bacino, è facile immaginare gli effetti incanceliabili, che dovea operare sui fianchi di quei monti. Anzichè meravi- gliarsi della potenza delle morene, che vi si trovano, sarebbe piuttosto da stupire, che non sieno maggiori ancora. Ma-è da credere, che l’opera della natura, esercitata forse per 100 se- coli, e l’opera perseverante e incancellabile dell’uomo abbiano distrutto gran parte dell’opera di quegli antichi ghiacciai. Un ultimo fatto voglio solamente segnalare all’ attenzione degli studiosi. Sul fianco orientale del Colle di S. Giovanni so- pra Lovere, si vede praticato nella roccia calcarea, una specie di pozzo a forma rotonda, del diametro di m. 3.50, e della pro- fondità di quattro. È quello un crepaccio del monte? Non ne ha la forma. È il traforo d’una cascata? Ne ha i caratteri, ma la cascata non potè venire dal monte, perchè la sua forma non consente di ammetterla; se fu una cascata, che trapanò quella roccia, dovette essere una cascata glaciale, e in questo caso abbiamo un bel pozzo glaciale, che non la cede a quelli di Ve- zano sopra Riva di Trento, scoperti dal prof. Stoppani, e nep- pure a quelli del Gletschergaten di Lucerna. Per accertarsene converrebbe vuotarlo, per verificarvi gli altri caratteri propri e comuni ai pozzi glaciali. Largo campo alle ricerche si presenta al geologo nel bacino dell’antico lago di Pianico, il quale, come lo dimostra il sullo- dato prof. Stoppani ad esuberanza di prove, è un lago glaciale, straricco di fossili, per la massima parte non ancora abbastanza studiati. Una grotta, che potè dar ricovero agli Aborigeni, sì trova ai piedi della rupe chiamata la Cucca Amara, presso la sommità dei boschi di Lovere. Il piano della grotta è coperto d’ uno strato di terriccio impalpabile, dell’altezza di 75 centimetri, nel quale ho trovato ossa d’animali e carboni spenti. Sarebbe da spazzare tutto il fondo di quella grotta che po- trebbe offrire alla scienza scoperte importantissime. Seduta del 29 Aprile 1888. Presidenza del Vice-Presidente dott. C. BELLOTTI. Il Vice-Presidente apre la seduta invitando il Segretario a leggere, a nome del socio L. Ricciardi, assente, la sua nota: Confronto tra le rocce degli Euganei, del M. Amiata e della Pantelleria. Lo stesso Vice-Presidente dott. C. Bellotti presenta pure una sua nota: Sopra alcuni pesci raccolti a Nizza nel 1888. Per ambedue le precedenti note viene approvata l'inserzione negli Atti. In seguito il socio Molinari domanda la parola per comuni- care alla Società il ritrovamento di alcuni minerali rari nel gra- nito di Baveno. Esaurite le letture si passa agli affari colla lettura ed appro- vazione del verbale della seduta 29 gennaio 1888. Il Vice-Presidente invita il socio Cassiere a presentare i Bi- lanci consuntivo del 1887 e preventivo del 1888. Dal primo risulta che a tutto il 1887 si ha un passivo a pareggio di L. 289.16, e dal secondo che alla fine del 1888 si avrà un’at- tività di L. 830.34. Dopo brevi spiegazioni date dal socio Cas- siere, ambedue i bilanci sono approvati. Si passa alla votazione per nominare socio effettivo il sig. Ga- vazzeni dott. sac. Bernardino proposto dai soci C. Gaffuri, M. Am- brosioni e G. Mercalli, e socio effettivo studente il sig. Gilberto Melzi proposto dai soci E. Mariani, F. Sansoni e G. Mercalli. Ambedue risultano eletti ad unanimità. OS SEDUTA DEL 29 APRILE 1888. Il Vice-Presidente Bellotti propone, anche a nome degli altri Membri della Presidenza, la nomina a socio onorario del signor | Gosta Sundman, Console generale italiano ad Helsinfors, come benemerito del nostro Museo, per aver regalato una ricca col- lezione di pesci della Finlandia ed un erbario quasi completo di circa 1500 specie di piante della Flora Fennica. Inoltre ha mandato, e manda regolarmente in dono, i fascicoli del suo la- voro in corso di pubblicazione sui Pesci della Finlandia, opera adorna di numerose tavole colorate illustrative di ciascuna spe- cie, ed infine la descrizione delle Uova degli Uccelli della Fin- landia, opera pure illustrata da magnifiche tavole colorate. Promette anche l'invio delle specie di uccelli e mammiferi in pelle. Il sig. Gosta Sundman risulta eletto ad unanimità. Il Segretario comunica i ringraziamenti del sig. C. Pollini no- minato socio effettivo nell’ultima seduta. Infine lo stesso Segretario comunica il nuovo contratto con- chiuso colla spettabile Ditta Bernardoni di C. Rebeschini e C. per la stampa degli Att. Dopo ciò, la seduta è levata. Il Segretario, A Prof. G. MERCALLI. Seduta del 17 Giugno 1888. Presidenza del Presidente prof. cav. ANTONIO STOPPANI. Il Presidente apre la seduta invitando il Segretario G. Mer- calli a leggere, a nome del socio G. Cattaneo, assente, la sua memoria: Sulla struttura e le funzioni biologiche delle cellule ameboidi del sangue del Carcinus maenas, ed a nome del signor A. Amighetti, Osservazioni geologiche sul terreno glaciale dei dintorni di Lovere, lettura ammessa a termine dell’art. 20 del Regolamento sociale. Si passa quindi agli affari, colla lettura del verbale della se- duta 29 aprile 1888 che viene approvato. Messa quindi ai voti la nomina a socio effettivo del signor Amighetti sac. Alessio, proposto dai soci A. Stoppani, G. Mer- calli e N. Pini, risulta eletto ad unanimità. , Il Segretario comunica i ringraziamenti del sig. Gilberto Melzi nominato socio effettivo studente nell’ ultima seduta. Il presente verbale viene letto ed approvato seduta stante. Il Segretario Prof. G. MERCALLI. - Vol. XXXI, 19 Ur riona puaAri Ù; Tauf Si E 4 9 RISANS vata 3 sv) “dISD LARIO paidal fari i AMET fd UA ANA. gi PALATI SOPRA ALCUNE PIANTE AMERICANE NATURALIZZATE NEI DINTORNI DI PAVIA. Nota del Dott. Luier Bozzi. E noto che molte piante Americane si sono naturalizzate in Europa, e che il loro numero va sempre aumentando, sia che esse sfuggano naturalmente alla coltivazione degli Orti Botanici o dei Giardini, come è avvenuto, ad es., dell’Amorpha fruticosa della Carolina, coltivata nell’Orto Botanico Pavese ed ora comunissi- ma nei boschi del Ticino e del Po attorno a Pavia, sia che ven- gano propagate ad arte, sia ancora che i loro semi introdotti accidentalmente in Europa, vi germinino e vi si propaghino in- dipendentemente dalla nostra volontà. Così per es. si sono diffuse senza il nostro concorso l’Erigeron Cunadense, l’Oenothera bien- nis della Virginia che già da tanto tempo si sono introdotte in Europa ed ora infestano i nostri campi; così dicasi della Ga- linsoga parviflora pure della Virginia, che, comparsa da pochi anni in Italia, ora vi è divenuta diffusissima, specialmente nei dintorni di Pavia ed in tutta la regione Lombarda. Ora io credo utile chiamare l’attenzione sopra alcune altre piante dell’America del Nord che si sono acclimatate nei din- torni di Pavia, come ho potuto constatare in questi ultimi anni. Sono le seguenti specie: 1. Oxybaphus nyctagineus, Sw., 2. Com- 282 L. BOZZI, [2] melina virginica, L., 3. Azolla Caroliniana, Willd., 4. Elodea Canadensis, Mich. Le prime due offrono maggior interesse per- chè appartenenti a due Famiglie che non sono rappresentate nella Flora Italiana, e nemmeno, io credo, nell’ Europea. Anche l’acclimatazione dell’Azolla Caroliniana, non credo sia mai stata osservata in Europa; essa appartiene però ad una famiglia che è già rappresentata fra noi dalla Salvinia natans. In quanto all’ Elodea Canadensis è noto che, dopo che è stata introdotta in Europa, si è diffusa naturalmente in modo straordinario, spe- cialmente nel Belgio ed Olanda. I. Oxybaphus nyctagineus, Sw. (Fam. Nyctaginaceae). Sw., Hort. Brit. p. 567. Michaux, Fl. Am. Bor. I, p. 100 (Allionia nyctaginea). Nuttal, Gen. of North Am. pl. I, p. 26 (Calymenia nycta- ginea). De-Candolle, Prodr. Syst. Nat. Regn. Veget., XIII, 2, p. 434. Descrizione. — Pianta vivace con rizoma giallo-carnicino. Fusto diffuso ascendente, alto fino ad 1 metro e più, ramoso, nodoso, compresso leggermente ai lati, verde con strie longitu- dinali più chiare, rossiccio ai nodi, glabro. Foglie opposte, gla- bre, d’un verde-chiaro, quasi lucente, carnosette, cuoriformi- ovate, acute, molto grandi, misurando da 8 fino a 12 centimetri in lunghezza, e da 6 a 10 in larghezza, con margine intero mu- nito di cortissime ciglia. Picciuolo scanalato lungo da 1 a 2 centim. e più. L'infiorescenza che ha l’aspetto d’una pannocchia è invece una cima dicotoma, con brattee lanceolate, e le cui ra- mificazioni di 4.°, 5.° e 6.° ordine sono accorciate in modo da formare degli aggregati a guisa di capolini o corimbi. Rami dell’infiorescenza, o peduncoli, pubescenti su due linee opposte. Ogni peduncolo termina in un invoglio fogliaceo verdiccio, con margine porporino e cigliato, venoso, gamofillo con 5 lobi ot- [3] SOPRA ALCUNE PIANTE AMERICANE, ECC. 283 tusetti, piegato contro i fiorellini racchiusi, aperto a ruota dopo la fioritura, accrescente. Al centro di quest’invoglio stanno da 3 a 4 fiorellini sessili, di cui talora uno o due soli maturano il seme, gli altri isteriliscono. Fiori ermafroditi con perianzio di un sol verticillo che consta di una parte inferiore verdiccia, tubulosa, angolosa, persistente, la quale superiormente è stroz- zata continuandosi poi in una parte petaloide, rosea, campanu- lata, con 5 lobi appena segnati, che si apre solo di notte, re- stando piegata di giorno. Stami da 3 a 4 ipogini con filamenti alla base dilatati e leggermente aderenti. Ovario libero, mono- carpellare ad ovulo unico. Il frutto è un achenio inchiuso nel tubo indurito dal perianzio; è nericcio con 5 coste salienti, ovale allungato, largo 2 millimetri, lungo poco più di 4. Una sezione verticale del frutto lascia scorgere, all’indentro dell’in- volucro costituito dal perianzio indurito, il seme formato per la massima parte dall’embrione a due cotiledoni curvato attorno ad un albume farinaceo centrale. Fiorisce nel mese di Giugno ed i semi maturano nel Luglio ed Agosto. Predilige i luoghi molto sabbiosi. È originario delle alluvioni del fiume Missouri negli Stati Uniti. La determinazione di questa pianta, come pure della seguente, fu gentilmente controllata dall’Egregio Dott. E. Tanfani, Assi- stente all’ Orto Botanico di Firenze, al quale ne spedii alcuni esemplari; egli la trovò corrispondere perfettamente cogli esem- plari d’ Oxybaphus nyctagineus esistenti in quell’ Erbario Cen- trale. In quanto alle descrizioni degli Autori, osserverò come non le sia al tutto appropriata quella datane dal Michaux (ri- portata nel Prodr. del De Candolle) il quale dice: “Or. pe- dunculis unifloris, et caule erecto , mentre i fiori nella mia pianta sono a cima ed aggregati, ed il caule è ascendente. Le corrispon- de invece esattamente la descrizione del Nuttal. Io la vidi per la prima volta nell’autunno del 1882, quando ero ancora Assistente all’Orto Botanico di Pavia; la trovai al- lora sparsa qua e là nei pressi del Cimitero e dentro il Cimi- tero stesso, ma non potei determinare la specie precisa non 284 L. BOZZI, [4] prestandosi bene all’ uopo i pochi esemplari raccolti. * Negli anni successivi tenni dietro allo sviluppo di questo vegetale, lo vidi diffondersi a poco a poco, e potei determinarlo come 0xybaphus nyctagineus, Sw. Fino a quest'anno però io l’avevo riscontrata in un’area piuttosto ristretta compresa fra il Cimitero e la Villa Raimondi situata a poco più di mezzo chilometro ad est del Ci- mitero stesso; ciocchè mi faceva dubitare che i suoi semi non maturassero perfettamente nel nostro clima, quantunque non potessi spiegarmi come mai, ammessa la semplice propagazione per rizomi, la pianta si presentasse, nell’area occupata, in in- dividui o gruppi di individui isolati ed anche distanti gli uni dagli altri. Se non che, nello scorso Giugno, erborizzando per la campagna Pavese coll’ Egregio Signor Carabelli, Assistente del Museo Civico, mi venne fatto di riscontrarne qualche esem- plare isolato sulla sponda sinistra del Ticino ad un chilometro a sud del Cimitero, ed una quantità veramente straordinaria ne vidi, per la prima volta, ai primi di Luglio, pure di quest'anno, sui terrapieni delle vecchie fortificazioni lungo la linea ferro- viaria Pavia-Cremona, a quattro chilometri circa a levante della città. Onde venni nella convinzione che la pianta propagasi an- che per semi e tende ogni anno a diffondersi sempre più; e non dubito che fra qualche diecina d’anni sarà diffusissima, non solo nei dintorni di Pavia, ma anche molto più lontano. Donde venne questa pianta? Non credo, come ritiene l’Egre- gio Dott. Maestri, che sia stata dapprima seminata nel Cimitero come ornamento attorno a qualche tumulo, per la semplice ra- gione che essa non è coltivata nei Giardini privati ed anche perchè essa ha fiori pochissimo appariscenti e non presenta 1 L’Egregio Dott. Angelo Maestri in un suo opuscolo pubblicato nel 1883 intito- lato: Cenni Storici sul Cimitero di Pavia, dà un elenco delle piante, che crescono nel Cimitero e cita a pag. 23 l’Oxibaphus glabrifolius, basandosi su una determi- nazione datagli da me. Devo ora qui dichiarare che al Dott. Maestri, il quale nel 1883 si rivolse a me all’Orto Botanico per conoscere il nome di questa pianta, io risposi che era una Nyctaginacea del Gen. Oxybaphus; in quanto alla specie gli dissi che stavo appunto studiandola allora, che però dubitavo sì trattasse dell’Oxy- baphus glabrifolius. [5] SOPRA ALCUNE PIANTE AMERICANE, ECC. 285 nulla affatto di caratteristico come ornamentale. Nè è da pen- sare all’Orto Botanico, come punto di partenza della stessa pianta, perchè quivi non si trova coltivata. Piuttosto è proba- bile che per mezzo dei semi portati dal vento o dagli uccelli essa sia partita dall’Orto Agrario che trovasi vicino al Cimi- tero, e dove ne ho visto molti esemplari vegetare qua e la. In quest’Orto esistono tuttora coltivate molte piante americane, e può darsi che anche l’Oxybaphus nyctagineus vi sia stato colti- vato un tempo, o seminato accidentalmente con altri semi. II. Commelina virginica, L. (Fam. Commelinaceae). bmakSp.. Pi. 1,.p., 61. Malld=Sp. PI. 1, pi 251, Pursh, Fl. Am. Sept. 1, p. 31. Hoocker, Bot. Magaz. t. 2644. De Cand., Mon. Phan. III, p. 182. Descrizione. — Radici fibrose, gialliccie. Caule serpeggiante, succulento, con rami ascendenti, nodoso-articolato, glabro, d’un verde chiaro. Foglie alterne, ovali-lanceolate, acutissime, lunghe da 6 a 10 centimetri, larghe circa 3, glabre, scabrosette ai margini, quasi sessili, con guaina intera abbracciante il fusto e munita al margine di ciglia corte, appena visibili. Fiori gra- ziosissimi terminali involti in una spata verde fogliacea cuori- forme, piegata in due a cappuccio sulla linea mediana, e munita di picciuolo ricurvo in basso. Entro la stessa spata sonvi da 2 a 4 fiori sopra un peduncolo comune e con peduncoletti pro- prî curvi in basso. Perigonio composto di 6 tepali, tre esterni ovali, concavi, incolori e trasparenti, e tre interni, di cui uno somigliante agli esterni, e gli altri due più grandi petaloidei di colore ceruleo-pallido. Stami 6 ipogini di cui tre soli fer- tili, e gli altri sterili con rudimenti di antere all’ estremità di due divisioni semilunari del connettivo dilatato. Ovario supero. 286 L. BOZZI, [6] Capsula ovoide con tre loggie monosperme, bivalve. Fiorisce in Luglio ed Agosto. Questa descrizione non concorda in tutto con quelle datene dal Linneo e dal Pursh; le si adatta meglio quella datane dal Clarke nella Monographia Phan. La mia pianta del resto cor- risponde perfettamente alla descrizione e figura dell’ Hooker (Bot. Magaz. t. 2644), ed è identica agli esemplari essiccati Americani della C. Virginica esistenti nell’ Erbario Centrale di Firenze, come ha. potuto verificare l’ Egregio Dott. Tanfani. Questa bellissima Monocotiledone annuale è nativa delle fore- ste della regione Orientale degli Stati Uniti, dalla Pensilvania alla Carolina. Io l’ho notata fin da quattro o cinque anni fa, e prima di ‘ me la vide il Prof. Pirotta che, per circostanze speciali, non potè studiarla, e fornì a me le indicazioni sulla sua ubicazione. Essa trovasi nelle vicinanze di Cava Manara (a sei chilometri circa a sud di Pavia), lontano assai dall’abitato, lungo e sotto la stradicciuola che costeggiando il ciglio d’un altipiano con- duce dallo Stradone Lomellino alla Cascina Torre de’ Torti. È rigogliosissima, e ritengo che col tempo potrà diffondersi ancor più propagandosi oltrecchè per semi, anche per radici avven- tizie che nascono sui cauli e sui rami in corrispondenza dei nodi. Ora occupa sull’altipiano un’ area di un chilometro circa in lunghezza per qualche centinaio di metri in larghezza. Per quante ricerche abbia fatto finora non sono riuscito a spiegare come questa pianta Americana siasi stabilita in questa località ; nè mi consta che essa sia coltivata in qualche giardino dei din- torni. III. Elodea Canadensis Mich. (Fam. Hydrocaridaceae). Michaux, Flora Am. Bor. I, p. 20. Pursh, Flora Am. Sept. I, p. 33 (Serpicula occidentalis). Nutt., Gen. of North Amer. PI. 1, p. 242 (Udora). [7] SOPRA ALCUNE PIANTE AMERICANE, ECC. 287 Descrizione. — Pianta acquatica, sommersa. Radici fisse al fondo; fusti sottili, lunghissimi con verticilli di 3-4 foglioline ellittiche, ottuse, finamente seghettate, lunghe da 8-10 millim., larghe da 2-3. Fiori piccolissimi, evanescenti, ascellari, unises- suali per aborto e dioici, avviluppati in una spata membranacea bifida. Perigonio di due verticilli, a sei pezzi, tre esterni cali- coidi, e tre interni petaloidi. Stami del fior maschio 9, ovario del femmineo, infero, monoloculare. Otricello conico con circa 3 semi. Originaria delle acque stagnanti del Canadà e della Virginia. Questa pianticella dotata di facoltà prodigiosa di sviluppo, credo sia già stata osservata in altre località d’Italia. A Pavia l’ho notata da due anni circa nel Naviglio vicino al Confluente nel Ticino, ed in qualche lanca di questo fiume. Finora non è molto diffusa, ma lo diventerà certo fra pochi anni. Essa era coltivata nell’Orto Botanico e credo siasi propagata fuori spon- taneamente. IV. Azolla Caroliniana, Willd (Fam. Salviniaceae). Willd, Sp. Plant. p. 451. Pursh, FI. Amer. Sept. II, p. 672. Nuttal, Gen. of North. Amer. pl. 1I, p. 254. Descrizione. — Fusticini ramosissimi galleggianti con piccole foglioline ravvicinate, alterne, e disposte in due fila, e con ra- dici filiformi che discendono verticalmente nell’ acqua restandovi sospese.. Foglioline ovali lunghe poco più d’un millimetro, bi- lobate, con lobo superiore verde-rossiccio, carnosetto, galleg- giante, ed inferiore bianchiccio tuffato nell’ acqua. Sul lobo in- feriore della prima fogliolina di ciascun ramo si formano gli sporocarpi o capsule sferiche a pareti sottili, alcune contenenti numerosi microsporangii sferici, altre racchiudenti un solo mi- crosporangio ovoideo. 288 L. BOZZI, SOPRA ALCUNE PIANTE, ECC. [8] Questa graziosissima acotiledone rizocarpea dall’aspetto so- migliante alle Jungermannie e sulla quale si conoscono i bel- lissimi lavori dello Stasburger e del Bergreen, è originaria del Lago Ontario. Essa è coltivata in vaschette nell’ Orto Botanico di Pavia. Nell'estate del 1883 io ed il Capo Giardiniere Signor Giacomo Traverso ne spargemmo qualche manciata nelle acque morte del Ticino presso la città, e subito essa vi attecchì; in questi ultimi quattro anni poi essa si è moltiplicata talmente che ora copre quasi tutte le lanche del Ticino di un tappeto compatto, verde-rossiccio, pigliando il sopravvento sulle Lemme che son venute man mano cedendole il posto. Io credo che fra non molto tempo anche tutte le paludi del bacino del Po ne saranno invase. Pavia, Agosto 1888. IL BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. Studio del socio Dott. FEDERICO Sacco PROFESSORE DI PALEONTOLOGIA E LIBERO DOCENTE DI GEOLOGIA NELLA RP. UNIVERSITÀ DI TORINO. INTRODUZIONE. I terreni terziari del Piemonte, tanto famosi per aver fornito stupende raccolte di fossili ad una gran parte dei Musei pa- leontologici del mondo, dal lato geologico invece sono stati finora sempre molto negletti, tanto che fino al giorno d’oggi non ne esisteva che una carta geologica, in piccolissima scala, redatta dal prof. A. Sismonda, il quale vi aveva approssimativamente segnate le divisioni di eocene, miocene e pliocene. Allorquando incominciai ad occuparmi di questi terreni ter- ziari nell’alta valle padana, m’accorsi bentosto che, se abbon- dantissimi vi si trovano i fossili, come già da lungo tempo è noto, stupendamente regolare vi si presenta pure la serie strati- grafica, per modo che incoraggiato dai primi risultati ottenuti, allargando ogni anno l’area di studio e continuamente racco- gliendo i fossili che incontravo in tale lavoro, giunsi poco a poco alla conoscenza geo-paleontologica dell’intiero bacino; ed ora che ho compiuto il lavoro prefissomi credo opportuno di pubblicarlo affinchè ognuno possa convincersi doversi considerare il bacino terziario del Piemonte come un bacino tipo, non solo 290 F. SACCO, [2[ paleontologicamente, ma eziandio stratigraficamente e non es- sere quindi esso per nulla inferiore ai già famosi bacini terziari di Parigi, di Vienna, di Magonza, ecc., giacchè, se l’eocene del Piemonte, per essere generalmente di tipo alpino, non presenta tutte quelle numerose suddivisioni che esistono per esempio nel bacino parigino, il miocene ed il pliocene invece offrono una se- rie così tipica, così completa e così regolare di caratteristici orizzonti, quale difficilmente si può osservare altrove. Fra le più recenti classificazioni dei terreni terziari che mì sì pararono innanzi allorchè intrapresi lo studio in questione, non mi decisi a fare la scelta che allorquando il lavoro mi- nuto di rilevamento sul terreno mi persuase essere senza dubbio a preferirsi la classificazione del mio amico prof. Karl Mayer Eymar, il quale d’altronde è il geologo che più profondamente di qualunque altro ebbe già ad occuparsi della geologia ter- ziaria del Piemonte e della Liguria. In seguito però alle personali osservazioni fatte sul terreno ebbi a convincermi che, se esistono e sono abbastanza distin- guibili i piani geologici indicati dal Mayer, in generale invece: i sottopiani segnati da questo autore o non esistono affatto in natura, oppure corrispondono a fenomeni talmente locali che non parmi nè utile, nè opportuno di considerarli come orizzonti speciali e tanto meno poi di indicarli sulle carte geologiche, es- sendone la delimitazione incertissima e troppo arbitraria. La serie di piani geologici che potei osservare e nettamente distinguere nel bacino del Piemonte sono, nel loro ordine na- turale di sovrapposizione, i seguenti: Terrazziano uaternario i i Sahariano / Villafranchiano Fossaniano Terziario Astiano Piacentino Messiniano [3] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 291 Tortoniano Elveziano Langhiano Aquitaniano Terziario Stampiano __ | Tongriano Gassiniano (Bartoniano ?) Liguriano Parisiano Volendosi poi far rientrare queste suddivisioni nelle grandi divisioni del Lyell (eocene, miocene e pliocene) si troverebbero difficoltà abbastanza grandi; così ad esempio se si volesse di- videre il miocene dal pliocene, a causa dell’orizzonte Messiniano che è incerte sedis, costituendo esso un passaggio fra l’un ter- reno e l’altro. Nella regione in esame sarebbe poi ancor meno accettabile la distinzione, altrove forse pratica e necessaria, del- l’ oligocene comprendente Aquitaniano, Stampiano e Tongriano, poichè in quasi tutto il Piemonte l’Aquitaniano, sotto il triplice aspetto della paleontologia, della stratigrafia e della litologia, costituisce graduatissimo passaggio al sovrastante Langhiano, ed inoltre sono queste formazioni ambidue marine, quantunque ge- neralmente una di mare profondo e l’altra di littorale. Ma d’al- tronde sono queste semplici questioni di parole per cui quindi è inutile insistervi. Se però si volesse ad ogni modo far rientrare i sovradetti piani geologici nelle antiche divisioni del Terziario, si potrebbe adottare la presente interpretazione : Pliocene (Villafranchiano, Fossaniano, Astiano, Piacentino) Miocene (Messiniano, Tortoniano, Elveziano, Langhiano) Oligocene (Aquitaniano, Stampiano, Tongriano) Eocene (Gassiniano, Liguriano, Parisiano). Il rilevamento geologico fu fatto sulle recenti carte topogra- fiche alla scala di 1:25000, a linee curve e coll’equidistanza di 5 o di 10 metri secondo le regioni; fin dal 1886 incominciai 292 F. SACCO, |4] a pubblicare le carte geologiche in grande scala delle regioni più interessanti, specialmente delle falde settentrionali della ca- tena alpino-appeninica, estendendomi poscia poco a poco alle regioni dell’ Astigiano, del Monferrato e dei colli Torino-Valenza. Quanto al lavoro litografico di tali carte, se esso non ‘appaga la vista di chi le osserva, ciò dipende specialmente, oltre che da questioni di economia, dall’aver voluto sovrapporre le diverse tinte al già complicato lavoro topografico a curve, desiderando che, anche a svantaggio dell’ estetica, si raggiungesse maggior precisione nella delimitazione dei terreni; accudii quindi piutto- sto la sostanza che non la forma di queste carte geologiche, che si devono d’altronde considerare come semplici carte di cam- pagna da cui si possono trarre delle nitide carte in scala minore. Noto ancora in riguardo a queste carte geologiche in grande scala come, trattandosi di orizzonti terziari che fanno general- mente gradualissimo passaggio gli uni agli altri, i loro limiti di separazione potranno forse parere sul terreno alquanto arbitrari e varianti da luogo a luogo. Ma è a notarsi anzitutto come sia affatto naturale che esistano tali incertezze, le quali pro- vano appunto la regolarità stratigrafica del bacino in esame (e nel corso del lavoro avrò cura di sempre farle risalta®e), ed in secondo luogo che le varianti che si possono osservare nella delimitazione dei diversi orizzonti geologici tra le varie regioni dipendono specialmente da varianti locali che alterano più o meno profondamente la facies caratteristica di un dato oriz- zonte, specialmente nella parte inferiore e superiore. Si comprende infatti facilmente come sovente la delimitazione di due piani sia sul terreno assai difficile, o, a dir meglio, alquanto arbitraria, talora verificandosi a questo riguardo delle oscillazioni di diversi metri tra regione e regione, tanto più là dove certi banchi speciali, che si possono seguire per tratti lunghissimi e che ci servono come di guida per l’indicata delimitazione, ven- gono a mancare, 0, come più comunemente si verifica, perdono poco a poco i loro caratteri differenziali, confondendosi quindi affatto coi terreni dell’orizzonte sopra o sottostante; in tal caso, [5] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 393 cangiandosi colla natura litologica anche il carattere paleonto- logico di questi banchi, si è obbligati di ricorrere ad altri strati a facies un po’ spiccata per proseguire la suddetta delimitazione. Ne deriva quindi che nel passaggio tra due orizzonti geologici in regioni fra di loro distanti non siano sempre gli stessi banchi quelli che sono posti alla base od all’ apice di un dato piano, ma che esista, a questo riguardo, una specie di oscillazione, in rapporto colle diversità di condizione in cui si trovarono le varie parti del bacino in esame in uno stesso momento geologico. Questo modo d’intendere le delimitazioni dei diversi orizzonti geologici, se pare erroneo al geologo di tavolino, sembrerà però certamente logico a chi fa uno studio geologico minuto sul ter- reno in queste regioni terziarie; in tal caso infatti si vede che se si volesse assumere sempre uno stesso banco come limite di due orizzonti, anzitutto dovrebbesi fare una scelta affatto con- venzionale ed arbitraria di questo banco delimitativo, in se- guito, anche che tale banco in altre regioni non venisse a scom- parire, come quasi sempre invece accade, lo si vedrebbe mutare più o meno presto nei caratteri litologici e paleontologici, as- sumendo esso cioè quelli dell'orizzonte superiore od inferiore; e quindi-per poter seguire tale banco occorrerebbe che esso fosse sempre visibile in una sezione continua, ciò che in verità non si verifica. Credo quindi che nella delimitazione degli orizzonti geologici sia necessario adattarsi alle piccole oscillazioni che tra regione e regione verificansi rispetto al momento, non sempre ovunque contemporaneo, in cui avvenne il mutamento di facies da un orizzonte a quello sopra o sottostante. I fatti ora accennati si possono specialmente osservare in modo assai chiaro nel passaggio tra Langhiano ed Elveziano, a causa della facies così diversa, in generale, di questi due oriz- zonti geologici. Quanto al piano adottato nella presente Memoria, cercai so- vratutto che ci fosse dell’ordine, e che non vi esistessero inutili ripetizioni, per modo che chi consulta questo lavoro possa facil- 294 F. SACCO, [6] mente trovare le parti che lo interessano, donde la divisione che ho fatta dell’intiero studio in diversi capitoli e sottocapitoli. Rispetto alla Bibliografia geo-paleontologica del bacino in esame, era dapprima mia intenzione di dare di ciascun lavoro un breve riassunto, ma abbandonai in seguito tale idea non solo per la considerevole mole di lavoro che ne sarebbe risul- tata, ma anche perchè dubitai alquanto della sua utilità, giacchè mentre il contenuto dei singoli lavori è già generalmente indi- cato dal suo titolo, è naturale che chi voglia consultarli non si contenti certamente di un semplice riassunto in cui manca talora un accenno di quei fatti appunto che egli desidera sapere. Cercai invece di rendere il catalogo bibliografico completo il più che possibile, ed affinchè fosse facile il prendersi un’ idea del graduale progresso dello studio geo-paleontologico fattosi sino ad oggi, rispetto al bacino terziario del Piemonte, ordinai tale catalogo dapprima secondo l’epoca di pubblicazione dei singoli lavori e poscia alfabeticamente secondo il nome dei di- versi autori, in modo che non solo fosse facile il rintracciare le memorie di ciascun geologo o paleontologo, ma eziandio ri- sultasse nettamente lo sviluppo di vita scientifica di ciascun autore, rispetto al bacino terziario del Piemonte. Considerando la ricchezza bibliografica del bacino terziario del Piemonte, parrebbe che dopo tanti lavori poco ci sia a dire di nuovo ; facendone però una seria analisi trovasi che in mas- sima parte essi sono paleontologici, moltissimi trattano di sor- genti minerali, di materiali utili, ecc., ed invece ben pochi si occupano di geologia vera; inoltre di questi ultimi la massima parte considera i terreni terziari solo dal punto di vista della classificazione di Lyell, e quei pochissimi infine che ne trat- tano celle idee moderne si riferiscono solo ad aree ristrette e si tengono sulle linee generali. Premessa la bibliografia geo-paleontologica si sarebbero potuti fare alcuni cenni generali sulla topografia, oroidrografia, cli- ma, ecc., del bacino da studiarsi, ma trattandosi di un lavoro esclusivamente geologico, e corredato di buone carte topografiche —a [7] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 295 colorate geologicamente, ho creduto dover incominciare senz’altro colla descrizione dei singoli terreni; per questa descrizione do- vendo continuamente accennare a nomi locali ho creduto op- portuno di adoperare a quest’uopo unicamente i nomi segnati sulle recenti carte topografiche a curve orizzontali, anche quando conoscevo essere falsi o poco esatti, giacchè in tal modo si po- trà avere una sicura base di confronto che, meglio di qualunque altra, si avvicini al vero. In generale, divisi il lavoro in quattro parti, cioè: parte I, Bibliografia; parte II, Geologia pura in cui sono descritti i vari terreni, senza trattare dei loro rapporti coll’uomo; parte III, Paleontologia, la quale non è altro che un catalogo dei fossili finora trovati nei terreni terziari del Piemonte e della Liguria settentrionale, non volendo fare in questo lavoro un vero studio paleontologico, sia perchè in parte questo venne già fatto da FE. Sismonda, Michelotti, Bellardi, ecc., sia perchè esso avrebbe richiesto la pubblicazione di moltissime specie nuove e quindi di numerose tavole. Mi limitai perciò, su tale riguardo, quasi solo a raccogliere ciò che si era fatto finora su questo propo- sito, riferendo però i fossili ai diversi orizzonti geologici che descrissi nel lavoro e distinsi sulle carte. Questo minuto catalogamento che si fa qui per la prima volta, pei fossili piemontesi, secondo i vari orizzonti geologici, quan- tunque talora lasci dei dubbi per certe forme di cui è ignoto il preciso punto di ritrovamento, credo però che sia interessante perchè ora si vanno abbandonando le antiche divisioni di eocene, miocene e pliocene. Infatti a queste antiche suddivisioni quasi soltanto si riferirono gli studiosi della Paleontologia piemontese, per modo che in avvenire i loro lavori rimarrebbero in parte non più utilizzabili senza il suddetto catalogamento stratigrafico più particolareggiato. Ebbi poi cura d’indicare, nella descrizione d’ogni orizzonte geologico, le località ove più comunemente rinvenni resti fossili, sperando così di essere utile ai paleontologi e quindi alla Pa- leontologia in generale. Vol. XXXI. 20 296 F. SACCO, [Ss] La parte IV del lavoro tratta della Geologia applicata; in essa sono indicati di ogni orizzonte geologico i materiali in qua- lunque modo utili all'uomo, ed i rapporti che ogni formazione ha coll’Agricoltura, l’Igiene, l’Industria, ecc. Trattandosi di descrivere, geologicamente un area tanto grande (circa 13000 kilom. q.) quale è il bacino terziario del Piemonte, due metodi principali mi si presentarono innanzi, cioè o fare una particolare descrizione per ciascuna delle regioni segnate dai limiti di provincia o di circondario o dalle antiche denominazioni di Langhe, Astigiana, Monferrato, Tortonese, ecc., oppure de- scrivere particolarmente ciascun terreno seguendolo nel suo svi- luppo attraverso l’intiero bacino. Adottai senza esitazione quest’ ultimo metodo, non solo per- chè sembrami assai più logico e naturale rispetto all’ unità del bacino da esaminare, ma eziandio perchè risparmia inutili ri- petizioni; d’ altronde chi vuol conoscere la costituzione di una data regione, osservando sulla carta geologica gli orizzonti che vi si presentano, può facilmente trovarne la descrizione a suo posto in ciascuno dei capitoli che trattano di tali orizzonti; mentre viceversa chi ad esempio vorrà solo prendere conoscenza del modo di presentarsi di un dato piano geologico potrà rag- giungere rapidamente il suo scopo tralasciando tutta la descri- zione regiona'e, e così via. [9] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 297 BIBLIOGRAFIA ELENCO CRONOLOGICO. 1553. 1. Savonarola, Guainerio, Mengo, Viotti da Clivoli, ecc., De balneis, omnia que extant apud Gracos, Latinos et Arabes. Venezia. 1606. 2. Leveroni, Trattato dei bagni d’Acqui in Monferrato, ecc. 1687. 3. 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(Abregé dans la biblio. ital. Tom. XXIV, 1821. Milano.) (VO) fun Vi UE) - BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 299 1820. 37. Canobbio G. B., Ricerche mineralogiche nella Provincia d’Ac- qui. Mem. R. Acc. Sc. di Torino, Serie I, XXV. 38. Marmora (della), Combustibili fossili in Piemonte. Risposte al quesito, ecc. Mem. R. Acc. Sc. di Torino, Serie I, XXV. 1821. 39. Bertini B., Idrologia minerale degli Stati Sardi, ossia descri- zione di tutte le sorgenti d’acque minerali note sinora negli Stati di S. M. il Re di Sardegna, ecc. Torino. 40. Borson S., Continuazione del saggio di Orittografia piemon- tese. Mem. R. Acc. Sc. di Torino, Serie I, XXVI. 1321-24. 41. Cuvier G., Récherches sur les ossements fossiles. Paris. 1822. 42. Bourdet, Bulletin de la Soc. philomatique. 43. Bertini B., Idrologia minerale. 1.* edizione. 1823. 44. Borson S., Continuazione del Saggio di Orittografia Piemon- tese. Mem. R. Acc. di Torino, Serie I, XXIX. 45. 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Pareto L., Sopra alcune alternative di strati marini e fluviatili nei terreni di sedimento superiore dei colli subappennini.. Estr. Gior. Tosc. Sc. Med. e Nat. Tomo I, n.° 4. Amoretti C., Viaggio da Milano ai tre Laghi. Collegno (di), Carte de l’Italie coloriée géologiquement, compre- nent les terrains siluriens, carbonifères, jurassiques, cétacés, tertiaires et les roches eruptives. Observations de MM. d’Oma- lius d’ Halloy, V. Raulin, D’Archiac, Dufrenoy, Deshayes, et Al. D’Orbigny. Bull. Soc. Géol. France. Vol. I. . Collegno (di), Essai d’une carte géologique de l’Italie. Compte rendu de l’Acc. Sc. de Paris. Vol. XVIII (1.° semestre). . Collegno (di), Sur les terrains diluviens du revers méridional des. Alpes. Compte rendu Accad. des Sc. de Paris. Vol. XVIII (1.° semestre). . Gastaldi B., Lettre au Sécrétaire de la Soc, Géol. de France an- noncant la découverte de fragments de tige de Pentacrinite dans les terrains miocéniques de la colline de Turin." Bull. Soc.. Géol. de France. Série II, Vol. II. . Michelin et De Verneuil, Observations sur la carte géologiquè des états Sardes., Bull. Soc. Géol France. Tome I. Sismonda A., Cenni geologici sul Piemonte — Annali Geografici del Ranuzzi. Sismonda A., Carte géologique des états Sardes, avec quelques. considérations sur le soulévement du sol des Alpes et du Pié- mont, sur l’état métamorphique des terrains stratifiés et sur les terrains crétacé et tertiaire de ces contrées. Bull. Soc. Géol. France. Tome I. [17] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 305 1844-45. 137, Zigno (de) A., Pentacrinites dans le terrain tertiaire de la colline de Turin. Bull. Soc. Géol. France. Vol. II, Série II. | 1845-54. 138. Blainville (de), Ostéographie des cinq classes d’animaux 1845. 1846. 1847. récents et fossiles. A. Bertrand. Paris. 139. Collegno (di) G., Esquisse Géologique de l’Italie, avec indication de l’àge du Calcaire rouge. Observations de M. Élie de Beau- mont. Bull. Soc. Géol, France. Série 1I, Vol. II 140. 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Bertrand-Geslin, 1834, 1835. Bianconi G. G., 1846. Bianconi G. A., 1875. Blainville A., 1839, 1845, 1854, 1864, Bonardi E., 1883. Benney T. G., 1879. Borsarelli, 1849 Borson S., 1800, 1819, 1820, 1821, 1822, 1823, 1825, 1830, 1833. Bossi A., 1859. Bouillon de la Grange, 1810. Bourdet, 1822. | Brandt I. F., 1872, 1873, 1874. Brocchi G., 1814, 1855. Brongniart A., 1820 (1821), 1823. Bronn H., 1825, 1828, 1831. Bruno G., 1871, 1874. Bruno G. D, 1836, 1839. Bruno L., 1875, 1877, 1882, 1833. Cambiaso G. M., 1806, Campeggio., 1687. Canobbio G. B., 1820, 1818. Cantraime F. 1840. Cantù G. L., 1823, 1825. Capellini G., 1882. Capsoni C., 1854, 1871. Carez, 1886. Cauda V., 1881. Cavalli G., 1875, 1876. Cavara F., 1886. Chabrol de Volvie, 1824. Cocchi G., 1857. Collegno (di) G., 1836, 1833, 18343, 1844, 1845, 1846. Com. Geol. Ital., 1881, 1888. Coquand H, 1848, 1849. Cossa, 1881. [39] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 327 Costa O. G., 1863, 1864, 1865, 1866, | James G., 1851. 1567. Craveri F., 1862, 1863. Crosse G., 1861. .Cuvier G., 1806, 1821, 1822, 1824. Davet de Beaupaire, 1852. Davidson Th., 1870. De Blainville, 1845, 1854. De-Cristofori, 1832. . Della Chiesa di Benevello, 1833. De-Rolandis, 1834. De Saussure H. B., 1796, 1804. Desor E., 1855, 1858, 1874, 1875. Despine, 1858. Di Collegno G. P., 1852. Doderlein F., 18362. Dujardin F., 1837. Falconer H., 1857, 1860, 1861, 1868. Fantoni, 1747. Floris G., 1839. Fornasini C., 1886. Fournet I., 1862. Fuchs Th., 1878, 1885. Garelli G., 1864, 1877. Gastaldi B., 1844, 1845, 1846, 1849, 1850, 1855, 1856, 1857, 1858, 1860, 1861, 1862, 1863, 1865, 1866, 1871, 1872, 1873, 1874, 1875. Gaudin e Strozzi, 1858, 1859, 1862. Gaudry A., 1878. Gervais P., 1872, 1875, 1880. Giordano, A., 1835. Giordano S., 1880. Giordano P., 1887. Harpe (de la) Ph., 1875, 1879. Hebert E., 1865, 1866, 1877. Hornes M., 1851-1870. Jan G., 1832. Jervis.G., 1873, 1874, 1879, 1881, Lamarck, 1835, 1845. Lampani G., 1880. Lanino G., 1887. Lavini, 1835. Lawley R., 1875. Levis (de), 1754, 1795. Lichenthal P., 1818. Luppi E., 1850. Macagno, 1874. Majon G., 1808. Malacarne, 1778. Manganotti A., 1347, 1851 Manzoni, 1869. Mariani E., 1887. Marieni L., 1870. Marmora (della) 1818, 1820, 1832. Martins Ch., 1849. Mattirolo E., 1886. Mazzuoli, 1884, 1888. Mayer C., 1853, 1857, 1858, 1860, 1861, 1862, 1863, 1864, 1865, 1866, 1867, 1868, 1869, 1870, 1871, 1872, 1873, 1874, 1875, 1376, 1877, 1878, 1884, 1886, 1887, 1888. Michelin H., 1840, 1844, 1847. Michelotti G., 1838, 1839, 1840, 1841, 1846, 1847, 1852, 1861, 1871. Michelotti I. T., 1803. Morlet L., 1878, 1880. Morozzo, 1790, 1791. Mortillet (de) G., 1863, 1864, 1865. Moulins (Des) Ch., 1842. Nicolis de Robilant, 1786. Omboni S., 1863, 1869, 1876, 1379. Issel A., 1874, 1877, 1878, 1880,| Orbigny (d’) A., 1841, 1850, 1851, 1881, 1884, 1885, 1886, 1887, 1888. | Paganini, 1827. Vol. XXXI. 22 328 Paglia, 1855, 1859. Paissa P., 1880. Pantanelli D., 1886. Pareto L., 1827, 1832, 1833, 1834, 1835, 1836, 1837, 1840, 1841, 1843, 1846, 1847, 1852, 1855, 1861, 1865. Parola, 1860. Parona C. F., 1879, 1883, 1886. Perone A., 1870. Peters K. F., 1858, 1859. Pictet F. I., 1853, 1857. Pomel, 1845, 1848, 1854. Portis A., 1879, 1881, 1883, 1884, 1885, 1886, 1887, 1838. Ragazzoni R., 1819, 1835? Ratti P. I., 1841. Ravetti, 1687. Righini G., 1856. Ristori, 1886. Rotureau A., 1864. Riitimeyer L., 1875, 1876. Sacco F., 1884, 1885, 1886, 1887. 1888. Salmoiraghi F., 1887. Saluzzo A., 1845. Sandberger F., 1370-1875. Schivardi, 1871. Seguenza G., 1866, 1876, 1881. Sella Q., 1864. Semper O., 1856, 1861. Signorile G., 1870, 1872, 1884. F. SACCO, [40] Sismonda A., 1835, 1836, 1840, 1841, 1842, 1844, 1846, 1847, 1848, 1850, 1851, 1852, 1853, 1862. Sismonda E., 1842, 1846, 1847, 1853, 1855, 1859, 1861, 1865, 1871. Squinabol S., 1887. Stampacchia, 1870. Stefani G., 1853, 1854. Stefani (de) G., 1876, 1887. Stoppani A., 1873, 1874, 1877, 1878, 1880. Strozzi e Gaudin, 1858, 1859, 1862. Studer B., 1839, 1840. Taramelli T., 1877, 1878, 1882, 1883, 1885. Tardy, 1871, 1372. ‘| Tellini A., 1888. Tissandier, 1868. Tournouer R., 1865, 1872, 1875, 1876. Trabucco G., 1885. Uzielli G., 1888. Vagnone, 1316. Valerio G., 1877. Vaschetti, 1877. Vasco, 1790, 1791. Vassalli-Eandi, 1805, 1808. Vasseur, 1836. Viviani, 1833. Zaccagna, 1887, 1888. Zigno (de) A., 1844, 1845, 1855, 1878. Zuccagni-Orlandini A., 1835. [41] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 329 IL GEOLOGIA PURA. Nella descrizione geologica del bacino terziario del Piemonte credo opportuno e naturale di incominciare dai terreni più an- tichi risalendo poco a poco sino ai più giovani; di ciascun ter- reno, dopo avere brevemente accennate le anteriori osservazioni dei vari autori, indicherò le generalità più importanti special- mente riguardo alla sua costituzione ed ai suoi caratteri paleon- tologici; accennerò quindi alla sua distribuzione geografica ed alla sua tettonica nel bacino in esame; poscia, dopo averne indi- cato la potenza, l’altimetria e le località più ricche in fossili, passerò alla descrizione regionale colle relative osservazioni di dettaglio, terminando con un rapido riassunto dei fatti esposti. Quanto alla descrizione regionale seguirò sempre, per quanto è possibile, il seguente ordine: Langhe, Monferrato subappenino, Tortonese, Colline Valenza-Torino, Astigiana. Quantunque il presente lavoro riguardi specialmente i terreni terziari, stimo però conveniente di dare eziandio alcuni cenni sia sui terreni preterziari che più o meno direttamente costituiscono l’imbasamento del bacino terziario, sia sui terreni quaternari che in gran parte circondano e per larghe aree anche ricoprono con- cordantemente o discordantemente i terreni terziarî del bacino in esame, costituendone per tal modo il naturale complemento. 330 F. SACCO, [42] CAPITOLO I. CERCHIA PRETERZIARIA. Se si considera complessivamente la regione piemontese sotto il punto di vista geologico, essa si presenta essenzialmente co- stituita di due grandi bacini od anfiteatri, di cui uno interno, cioè il bacino terziario, oggetto di questo lavoro, ed uno esterno preterziario, cioè la cerchia alpino-appenninica. È notevole come cronologicamente tra questi due bacini esista in generale un hiatus enorme in causa della mancanza quasi completa di ter- reni secondarî tra il bacino terziario interno e la racchiudente catena alpina costituita quasi esclusivamente di terreni primarî. Malgrado l’accennata inclusione d’un bacino dentro l’altro, in gran parte però essi sono l’uno dall’altro isolati, apparente- mente almeno, per mezzo d’un ampio ed abbastanza potente de- posito di terreno quaternario, sotto al quale tuttavia, alle falde meridionali delle Alpi, spuntano ancora qua e là alcuni lembi dei più giovani orizzonti terziarî. E solo nella parte meridionale della conca del Piemonte che i terreni dei due sovraccennati bacini vengono per lungo tratto direttamente a contatto ed è quindi specialmente su queste regioni che dovremo dare alcuni cenni particolari sul Preterziario. Considerando nel suo assieme la cerchia preterziaria in cui sta incluso il bacino terziario piemontese, vediamo come essa è essenzialmente costituita di varie e più o meno regolari pieghe di terreni prepaleozoici, nelle cui conche o sulle cui testate posano lembi più o meno estesi degli ultimi orizzonti della serie primaria od anche terreni secondari. Troviamo infatti dapprima in ordine cronologico diversi nuclei od elissoidi di sollevamento rappresentati da Gmneiss, Gneiss ghiandone o Gneiss centrale con passaggi, inferiormente per lo più a Grarito ed a Protogino, cioè terreni riferibili al Laurenziano. [43] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 331 I terreni laurenziani della regione alpina in questione for- mano in complesso due grandi rughe concentriche, una interna forse suddivisibile a sua volta, in parte ripiegata o ribaltata verso la pianura padana e rappresentata dai nuclei greissico- granitici di M. Rosa, Gran Paradiso, Val Dora, Val Varaita, ed una esterna rappresentata dalle elissoidi di M. Bianco, Gran Pelvoux, Catena Belledonne e Mercantour. Attorno e sopra a questi nuclei centrali si adagia la poten- tissima serie delle roccie verdi o zona dei Micaschisti, Calcoschisti e Gneiss tabulari, con lenti più o meno importanti di Calcari cristallini, Quarziti, Gramiti, Siemti, Porfidi e con potentissimi ammassi di roccie serpentinose, eufotidiche, cloritiche, diabasiche, dioritiche ed amfiboliche; terreni che rappresentano | Hwuro- niano, largamente inteso. A tali formazioni prepaleozoiche (nella cui parte superiore può forse essere racchiuso alcuno dei più antichi orizzonti pa- leozoici molto metamorfosati) si appoggiano più o meno irre- golarmente i terreni paleozoici, rappresentati essenzialmente dal Carbonifero e dal Permiano, che costituiscono una specie di fascia attorno al grande allineamento prepaleozoico interno che più ci interessa in questo lavoro. Tale fascia, abbastanza ben conservata e quasi continua verso l’esterno della conca pa- dana, dalle Alpi Pennine sin presso Savona, è invece verso l’in- terno soltanto visibile in pochi punti come alle falde alpine tra, Val Stura di Lanzo e Val Dora Baltea, sviluppandosi però più ampiamente verso Est, ma fuori della regione piemontese, dove invece tal fascia è in massima parte sepolta sotto ai terreni terziari e quaternari. I terreni secondarî che prendono parte alla costituzione della catena alpina sono rappresentati specialmente dal Trias, che, più o meno interrotto, ma con sviluppo abbastanza notevole, accompagna la zona permo-carbonifera sovraccennata non solo nel suo percorso all’esterno del gran nuc'eo prepaleozoico, ma anche nei suoi indicati affioramenti interni, così nel Canavese e nel Biellese. 332 F. SACCO, [44] Quanto agli altri terreni secondarî, Lias, Giurese e Cre- ftaceo, essi hanno ben poca importanza, almeno rispetto al Piemonte, nella costituzione della cerchia alpina in esame, es- sendo anche essi per lo più profondamente sepolti sotto alle formazioni terziarie. Notiamo infine come nelle Alpi Marittime ai terreni secondarî si sovrappongano pure depositi eocernici, di cui non mi occupo specialmente in questa nota perchè già molto conosciuti, ma la cui costituzione è abbastanza semplice ed uniforme, essendo essi infatti rappresentati essenzialmente nella parte inferiore da ban- chi nummulitici, specialmente del Parisiano, nella parte media da arenarie o Macigno e nella parte superiore da argilloschisti o Flysch, corrispondendo, questi due ultimi orizzonti, al piano (o meglio faciez) Liguriano. Premesse queste considerazioni generali sulla costituzione della cerchia alpina, in cui è racchiuso il bacino terziario piemontese, pare opportuno di dare ancora un accenno, un po’ più partico- lareggiato, delle roccie preterziarie che nella parte meridionale di detto bacino sostengono direttamente le formazioni terziarie. Quanto alle roccie preterziarie (prepaleozoiche, primarie e se- condarie) che costituiscono le falde meridionali delle Alpi cen- trali, da Val Ticino a Val Dora Riparia, ed a cui spesso appog- giansi lembi pliocenici, basterà fare poche osservazioni trattan- do di questi ultimi terreni. Alle falde settentrionali delle Alpi Marittime, tra Cuneo e Mondovi, là dove i depositi terziarî cominciano ad appoggiarsi sui terreni più antichi, questi sono specialmente costituiti da Talcoschisti, Serpentine e Quarziti, a stratificazione generalmente assai contorta, ricoperte qua e là da Calcariì spesso assai ric- chi in Giroporelle. Le località dove meglio si possono osservare le sovraccennate roccie sono, per le Quarziti specialmente presso la Chiusa di Pesio, pei T'alcoschisti la Valle Andei, per le Serpentine le pre- alpi a Sud di Pianfei (R. Cantarana, Poggio Pelato, ecc.), e per i terreni calcari le vicinanze di Villanuova Mondovì (M. Cal- [45] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 333 vario). Queste formazioni ci rappresentano rispettivamente gli orizzonti più recenti (Permiano) dell'era primaria ed i più an- tichi (Trias) dell'era secondaria. Spesso queste roccie, specialmente i T'alcoschisti, si presentano profondissimamente alterate dagli agenti esterni a cui sono espo- ste da tempo remotissimo, carattere d’altronde comune a pres- sochè tutte le roccie delle falde alpine. Ad Est di Mondovì verso Ceva, Bagnasco, Millesimo, Cairo Montenotte, ecc., vediamo ad un dipresso gli stessi fatti che tra Cuneo e Mondovì, essendo quasi sempre la stessa fascia rocciosa, più o meno complessa, quella su cui si appoggiano i terreni terziarî; solo che, siccome questi ultimi non solo si applicano, ma talora eziandio si estendono assai sui terreni preterziarî, risulta talora un po’ difficile il delimitare i varî orizzonti di tali for- mazioni antiche che appaiono spesso solo qua e là al fondo delle valli per fenomeni di erosione, oppure costituiscono, fra i cir- costanti terreni terziarî, delle specie di isole corrispondenti ai più alti rilievi delle antiche creste rocciose ora in gran parte sepolte. Noto però che oltre alle roccie già prima menzionate com- paiono eziandio bene sviluppate lungo le falde alpine ad Ést di Mondovì, le Appenniniti e le Anageniti assieme a roccie svaria- tissime, specialmente Calceschisti, Quarziteschisti, Steaschisti, Micaschisti e Cloritoschisti. Non essendo qui affatto il caso di trattare di questi terreni antichi mi limiterò specialmente ad indicare con pochi cenni gli isolotti di terreni primari o secondari che spuntano sotto al terziario, essendo anch’ essi molto interessanti riguardo al tema principale di questo lavoro, come quelli che ci spiegano feno- meni statigrafici, altrimenti incomprensibili, che osservansi nei terreni terziari. Già in Val Gniera presso Monastero di Vasco si può osser- vare una larga ed irregolarmente oblunga massa di Calcare triassico che appare sotto ai conglomerati ed alle sabbie mar- nose mioceniche, ma più interessante riesce un piccolissimo spun- 934 F. SACCO, [46] tone di Quarzite che venne messo a giorno dall’erosione del T. FErmena, al fondo della valle omonima (poco a monte dello sbocco. del T. Armetta), non che un piccolo isolotto ancora di Calcare triassico che osservasi nel letto dello stesso torrente Ermena, poco ad Ovest di C. Rocca. Tale Calcare è anche notevole per essere qua e là traforato dai Molluschi litofagi. Altri due piccoli spuntoni calcarei veggonsi al fondo della valletta Groglio a Sud e ad Ovest di Fontana Candia. È pure a rilevarsi il grande sviluppo verso Nord che presen- tano i terreni antichi nelle vicinanze di Mombasiglio (dove ap- paiono bellissime Serpentine fra i Talcoschisti), Scagnello, Bat- tifollo, Nucetto, Malpotremo e Molare (dove vedesi il T'u/coschi- sto coperto da una piccola placca di Calcare frammentario) mentre trovansi potenti placche di terreno terziario molto più a Sud delle sovraccennate regioni. Nella valle di Campetto, a Sud di Priero, presso C. Scuse, appare una zona preterziaria abbastanza lunga costituita spe- cialmente di Talcoschisti ricoperti anch’ essi, verso settentrione, da Calcari triassici che talora, anche solo per 2 o 3 metri, ri- compaiono ancora qua e là al fondo delle vallette, sotto ai ter- reni terziarî, a Nord e Nord Est di C. Scuse. Più verso Oriente notiamo, ad Est di Castelnuovo, il grande addentrarsi della zona triassica calcarea fra i depositi terziarî in valle Zemola, come pure il considerevole sviluppo verso Nord della zona essenzialmente talcoschistosa di Roccavignale e Mil- lesimo, presso il quale ultimo paese però sono pure assai svi- luppati i Calcari che talora, come presso il Molino, si presen- tano traforati dai Molluschi litofagi. Nella grande valle della Bormida, siccome i terreni terziarî sono generalmente. assai poco inclinati e spesso formano solo una specie di velo sulle formazioni antiche, è naturale che queste vengano soventi a giorno frammezzo ai primi. Così in valle Auta, ad Ovest di Carcare, sotto la C. Tapol, appare una massa rocciosa costituita essenzialmente di Talcoschisto, anche in que- sto caso coperto ad Ovest da una zona di Calcare, Lo stesso ve- [47] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 339 desi nella vicina valle di Cosseria, presso il Casello 22 della Ferrovia, quivi essendovi pure un complesso di banchi calcarei che copre una stretta zona di Talcoschisto, il quale però riap- pare poco più a valle, mezzo chilometro circa a Est del Casello 22; più ad Est ancora, nella valle stessa, a Sud-Ovest di C. Malsano, ma solo nel letto del torrente, osservai alcuni Calcari frantumati (ed in parte eziandio traforati da Litodomi) che pa- ionmi rappresentare roccia in posto, la quale d’altronde appare poco a Nord potentemente sviluppata presso Cairo Montenotte. Ad Est, in complesso, della valle della Bormida di Spigno si estende una grande zona ofiolitica rappresentata però oltre che da Serpentina eziandio da Eufotide, Diabase, Diorite ed Amfi- bolite. Tale formazione che già compare in diversi punti presso Spigno sotto i terreni terziarî, e che viene avviluppata ad Ovest e Nord da questi terreni, sopporta inoltre qua e là placche più o meno estese di questi stessi terreni terziarî; oltre che presso Spigno è nelle vicinanze di Mojola, Malvicino, Cartosio, Ponzone, Grognardo, Cassinelle, Molare, Belforte e Voltaggio che veggonsi spuntare, spesso irregolarissimamente, sotto ai depositi terziarî queste roccie ofiolitiche che più a Sud costituiscono una estesis- sima regione aspra, quasi deserta, a facies affatto alpina. Esaminando questa zona preterziaria più minutamente possia- mo ‘osservare che, a cominciare da Cairo Montenotte ad un di- presso, coi Z'alcoschisti, talora passanti a roccie appenninitiche, trovansi assai sovente associate formazioni serpentinose che ta- lora anzi vengono da sole a costituire l’intiera zona preterziaria. Vediamo infatti sviluppatissime le Serpentine tra Cairo e Roc- chetta Cairo, e se invece presso Dego ricompaiono potenti le roccie .talcoschistose (di cui sono a notarsi due piccolissimi spun- toni, l'uno alle falde Nord-Ovest del Bric-Ridotta e l’altro al fondo della valletta di Carpez presso il suo termine), nuova- mente veggonsi poco a Sud di Piana Crixia assai potenti, quan- tunque non sole, le Serpentine quivi formanti una lunga zona di terreno antico avviluppato d’ogni parte dal terziario. In causa del grande allargarsi dei depositi terziarî sopra 336 F. SACCO, [48] quelli antichi, a Nord-Est di Dego, avvenne che in Val Bormida, per la potente erosione acquea, diversi lembi di terreno pre- terziario, (specialmente punte e creste di queste formazioni an- tiche sepolte sotto alle più recenti) vennero messe a giorno in molti punti ed anche per aree molto estese. Così presso Merana, sulla sponda sinistra della Bormida, ad un dipresso tra il Casello 18 e 19 della Ferrovia, esiste un pic- colo spuntone roccioso di forma irregolare e più a Nord se ne trovano altri più sviluppati presso i Casali Pian del Gallo e specialmente poco a Sud di N.S. di Casato. Importantissimo è il grande rilievo serpentinoso di Bric Calma che si estende colle sue estreme propaggini sin presso i Fran- zini a Sud, i Colombi ad Ovest, Spigno a Nord e C. Gallarei ad Est. Presso Spigno esistono ancora due piccoli spuntoni di Serpentina a Nord e Sud del paese, ma talora coperti in parte dalle acque della Bormida. Infine un’ ultima comparsa della formazione serpentinosa nella valle Bormida esiste, sotto forma, direi, di largo scudo dorsale di tartaruga sepolta nei terreni terziarî, sulla destra sponda della Bormida, presso la strada nazionale, di fronte quasi a Mombaldone alle falde S. O. del Monte Castello. Nell’ampia valle percorsa dal T. Valla, tributario di destra della Bormida, veggonsi pure numerosi affioramenti di terreni rocciosi antichi fra il terziario, così nella valletta di Sorba mo- stransi in due punti le Serpentine, ed anzi, presso il termine della valle, appare anche una placca calcarea; altro spuntone roccioso osservasi lungo il rio di Cascina dei Santi, subito a Nord del T. Sorba; infine per oltre un chilometro affiora, al fondo della valle Rabbioso, la roccia antica. Volgendo ad Est trovansi altri simili affioramenti serpenti- nosì al fondo della valle dei Giuliani (Nord-Est di Pareto) e della valle dei Bergiavelli (Nord di Miojola.) Nell’ampia valle dell’Érro, in cui sono sviluppatissime special- mente le serpentine ed i falcoschisti, vedesi la formazione ser- pentinosa avanzarsi molto verso Nord, cioè sin presso a Cartosio, ld [49] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 337 offrendo ancora un ampio affioramento al fondo della vallata di Saquanna. Interessantissimi per il loro isolamento sono, a Nord-Est di Cavatore, un piccolo spuntone serpentinoso che esiste nell’ alta valle Ravanasco presso C. Ferri ed un altro ancor minore che osservasi all’incirca dove il rio discendente da C. Scuti si unisce con quello di Cavatore. In Val Visone, nei dintorni di Caldasio, Morbello, ecc., le Serpentine si associano frequentemente a Quarziti e Talcoschisti, per lo più profondissimamente alterati, e si spingono sino a Grognardo, affiorando anzi ancora per breve tratto a Nord di questo paese. Ma lo spuntone preterziario più settentrionale di tutta la li- nea di contatto tra terziario e preterziario da Spigno a Vol- taggio è il Bric Marzapiede presso Prasco, rilievo serpentinoso molto allungato da Ovest ad Est, diviso per breve tratto in due porzioni per mezzo di una striscia di terreno terziario, e corrispondente senza dubbio ad una cresta assai elevata della sepolta catena preterziaria. In Val Veirera ed in Valle Stura le formazioni serpentinose e talcoschistose si spingono molto a settentrione, rispettiva- mente sin presso Molare e Belforte, ed inoltre un piccolo affio- ramento preterziario appare eziandio al fondo della valletta di Requaglia, sotto C. Lanza. Da Belforte sin presso Voltaggio la sovrapposizione dei ter- reni terziarî alla formazione antica, essenzialmente serpentinosa, è abbastanza regolare nel suo assieme, quantunque irregolaris- sima nei particolari; nei dintorni di Voltaggio vengono a scom- parire i terreni ‘antichi sotto al velo delle formazioni terziarie. La formazione serpentinosa spesso profondamente alterata, producente alla superficie del terreno una specie di mantello terroso di color bruno rossastro o giallastro, colla sua tipica facies di regione arida, aspra, a creste acute, a profondi e tor- tuosi burroni, ecc., viene a terminare nel rio di Acquastriata presso la Cascina omonima e nel rio Lavezze alle falde Nord- 338 F. SACCO, [50] Ovest del M. Lagoscuro; ma più a Nord, come presso al Ca- stello di Voltaggio e molto più ampiamente nel rio. Frasso, appaiono Calcari dolomitici grigiastri, frammentari, che per l’aspetto e la composizione chimica, quantunque non vi siano stati finora rinvenuti fossili di sorta, sono probabilmente da riferirsi al Trias. Notiamo infine come in queste regioni trovandosi spesso vi- cinissime le Serpentine terziarie a quelle antiche, non siano sem- pre facili e sicure le distinzioni che si possono fare fra di esse. Ora siccome nei dintorni di Voltaggio, come fu detto, i ter- reni antichi vengono quasi del tutto a scomparire pel fatto che l’avviluppo terziario, facendo un rapido giro si risvolta verso Sud per modo da estendersi sin presso Genova, e siccome ad Est di Voltaggio, in tutta la restante area del bacino in studio non vengono più affatto a giorno terreni preterziarî (se però non deve attribuirsi al Cretaceo una parte del F/ysch della Liguria), così di questi non avremo quindi più ad occuparci che inciden- talmente trattando dei singoli depositi terziari che appoggiansi direttamente in qualche punto sulle roccie antiche. CAPITOLO IE SUESSONIANO E PARISIANO. Nel bacino terziario del Piemonte l’orizzonte Suessoniano è ridotto a pochi banchi calcarei grigiastri, i quali contengono solo per lo più resti di Alghe; tali banchi di pochi metri di spessore sì incontrano nelle Alpi Marittime, specialmente nell’alta valle di Stura, tra i calcari del Senoniano superiore, edi calcari are- nacei del Parisiano. Molto interessante, quantunque poco potente, è la zona are- naceo-calcarea che rappresenta il Purisiano nelle Alpi marittime del Piemonte; essa infatti si presenta molto fossilifera, e ricca specialmente in Cerithium, Natica, Turritella, Trochus, Ostraa, [51] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 339 Trochocyathus, ecc.; ma ciò che caratterizza specialmente questa formazione eocenica è l’abbondanza straordinaria in Nummuliti, cioè N. Brogniarti var., N. lucasana, N. perforata, N. striata, N. Ramondi, N. Portisi, N. Biarritzensis, ecc.; vi si incontrano pure Assiline e numerosissimi altri foraminiferi. Questo orizzonte, sollevato talora ad oltre 2500 m. di altezza, come al M. Enchastraye in Val Stura, è in Piemonte limitato (almeno colla sua facies tipica) a lembi più o meno ampi nelle Alpi Marittime; è quasi sempre rappresentato da banchi cal- careo-arenacei brunastri, alternati con calceschisti ed argillo- schisti; raggiunge solo pochi metri di potenza. Non ne faccio uno studio speciale perchè maggiori dettagli su questa forma- zione si possono avere in lavori riguardanti la geologia alpina del Piemonte. Accenno però come il fatto, che esamineremo in seguito, che si trovino qua e là nel Liguriano straterelli con Nummuliti molto analoghe a quelle del Parisiano, ci prova che il Flysch li- guriano non è che un deposito speciale racchiudibile ancora nel piano Parisiano (largamente inteso). CAPITOLO III. LIGURIANO. Studî anteriori. Mentre che molto ampiamente venne già trattato da vari geo- logi dei terreni liguriani che affiorano per tratti estesissimi nel Genovesato e nel Parmigiano, generalmente invece poco studiati furono questi terreni nel Piemonte, specialmente a causa di es- servi essi assai meno sviluppati. Però del Liguriano che compare nella parte Sud-Est del Pie- monte, e che non è altro che la continuazione di quello tanto esteso della Liguria, ebbero già a trattare con scopo special- 340 F. SACCO, [52] mente scientifico il Pareto, il Mayer, l’Issel, ecc., e con scopo applicativo il Sismonda, il Baretti, il Mazzuoli, il Giordano, ecc, a causa della perforazione delle gallerie ferroviarie dei Giovi. Invece del Liguriano che costituisce in parte assai notevole i colli tortonesi e che affiora in più punti nelle colline Torino-Va- lenza, vennero finora fatti solo alcuni pochi cenni specialmente dal Sismonda. | Quanto a carte geologiche, senza discendere a dettagli inutili, basterà che si confrontino quelle unite al presente lavoro con quelle antecedenti del Sismonda (1862) e del Comitato geolo- gico (1881) per conoscere le grandi differenze che esistono. Riguardo alle proposte. fatte da Issel, Mazzuoli e Zaccagna nella spiegazione della loro carta geologica della Liguria, di appellare infraliguriano il complesso di banchi eocenici che rac- chiudono gli ammassi ofiolitici, se si considera come tali banchi (e ciò specialmente si vede bene nei dintorni di Voltaggio) hanno specialmente l’aspetto dei F7ysch alpino sino a prova paleon- tologica in contrario, pare debbansi ancora includere i banchi sovraccennati nel vero Liguriano e, per quanto sembra, nella sua parte inferiore; tanto più che per me il Liguriano di Mayer non rappresenta altro che una facies speciale del Parisiano (largamente inteso), se pure non si estende anche al Cretaceo in qualche punto dell’ Appennino ligure. Il Pareto distinse il piano Liguriano di Mayer in un orizzonte inferiore, o Liguriano propriamente detto, rappresentato special- mente dal macigno e dagli argilloschisti talcosi, ed in un oriz- zonte superiore o Modenese caratterizzato dalla prevalenza dei banchi calcarei, delle argille scagliose e dei galestri. Nei terreni eocenici superiori del bacino terziario del Piemonte ebbi bensì a constatare in più punti, come farò osservare in seguito, tale successione stratigrafica assai regolare, almeno in complesso; ma in causa delle ripetute alternanze delle varie formazioni non mi pare per ora conveniente di adottare la distinzione proposta dal Pareto, tanto più trattandosi di pochi lembi come è il caso pel bacino terziario del Piemonte. Volendosi però fare tale divi- [53] BACINO TERZIARIO DEI, PIEMONTE. 341 sione si potrebbe dire in generale che costituirebbero il Ligu- riano propriamente detto gli argilloschisti talcosi con parte dei banchi calcarei di Val Lemno e Val Scrivia e spetterebbero in- vece al Modeniano la massima parte degli affioramenti eocenici di Val Sisola-Borbera, delle colline tortonesi e vogheresi (parte settentrionale) e delle colline Torino-Valenza. Ma in verità tali distinzioni hanno un valore molto relativo, se si tien conto che tanto il Liguriano quanto il Modeniano, come intesi dai loro autori, non rappresentano che una facies speciale, per quanto caratteristica e potente, del gran piano Parisiano, almeno nella regione in esame. Generalità. Molte ed assai diverse sono le facies con cui si presenta il Liguriano nelle varie parti del bacino piemontese, ma consi- derandole in complesso possonsi ridurre a due principali; cioè: nella regione appenninica argilloschisti talcosi alternati con ban- chi ofiolitici inferiormente e con banchi arenacei e calcarei su- periormente, e nella regione subappenninica argille scagliose e galestri alternati con banchi calcarei (Alberese) ed arenacei (Ma- cigno), ed inglobanti pure lenti ofiolitiche. Oltre a queste facies più importanti dobbiamo notare, nelle vicinanze di Voltaggio, la comparsa di potenti calceschisti, ofi- calci, ecc. e nelle colline torinesi e tortonesi di conglomerati cementatissimi ad elementi sia appenninici che alpini, nonchè, di conglemerati-breccie di forma affatto particolare. Generalmente le argille scagliose sono di colore brunastro; i galestri invece presentano delle tinte svariatissime, specialmente violacee, verdastre e rossastre, talora solo dovute ad alterazioni chimiche più o meno superficiali; in alcune regioni poi i terreni liguriani sono rappresentati da marne grigiastre e da marne sabbiose grigio-giallastre che ricordano assai bene certi banchi del Miocene. 342 F. SACCO, [54] Sono specialmente le argille scagliose brune o verdastre o rossiccie che fanno il passaggio alle assise del Gassiniano (Bar- toniano). Caratteri paleontologici. Il Liguriano del bacino terziario del Piemonte appartenendo al tipo alpino, poco è a dirsi intorno ai suoi fossili, essendo nota a tutti la loro scarsità e la loro uniformità in questa facies speciale dell’eocene ; è però importante il notare che, per quanto pochi, tali fossili sono affatto caratteristici e quindi assai utili per la determinazione cronologica dei banchi che li racchiudono. Possiamo quindi limitarci ad accennare come i dati paleonto- logici del Liguriano delle regioni accennate siano specialmente rappresentati da impronte di Helminthoidea labyrinthica Heer, che osservasi talora nell’eocene appenninico, e da numerosi resti di Chondrites e di altre Fucoidi che si trovano nei calcari al- beresi, nonchè da numerose impronte, più o meno determinabili, d’origine sia animale che vegetale ed anche inorganica, che 08- servansi alla superficie degli strati arenacei. Assai rari sono i resti di Nummuliti, Assiline (A. mamillata), Orbitoidi (Orditot- des stella ecc.), ma importanti perchè ci provano la relativa antichità del Liguriano. Distribuzione geografica. Lasciando per ora in disparte i terreni liguriani che appa- iono in lunga zona, talora però interrotta, nelle Alpi Marit- time dall’alta valle della Stura di Cuneo al mare, tra Ventimi- glia ed Albenga, indichiamo solo come nel bacino terziario del Piemonte appare questo orizzonte al piede degli Appennini set- tentrionali nelle vicinanze di Voltaggio, appoggiarîdosi quivi di- rettamente sui terreni preterziari; si sviluppa quindi tosto stra» [55] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 343 ‘ordinariamente per modo da costituire quasi completamente la Valle Scrivia sino a Pietrabissara, solo venendo coperto qua e là da lembi fongriani. Sempre sviluppatissimo vediamo il Liguriano, immergentesi sotto i depositi tongriani a Nord, ma quasi completamente li- bero verso Sud, raggiungere la Valle della Sisola e la Valle Borbora costituendone da solo tutta la parte orientale. Verso settentrione il Liguriano scompare sotto il potentissimo ammanto dei terreni miocenici, specialmente tongriani, per ri- comparire però non molto lungi verso Nord, costituendo allora una lunga zona estendentesi dalla Valle del Curone a Spinetta, zona che potremo appellare Brignano-Spinetta e che a mio pa- rere è assai importante come quella che limita, in certo qual modo, il vero bacino terziario del Piemonte, giacchè i terreni miocenici e pliocenici che compaiono a Nord di questa zona li- guriano paionmi appartenere ad un altro bacino, che potrebbe appellarsi bacino terziario padano, formato essenzialmente dai depositi terziarî che costituiscono le falde appenniniche da Tor- tona verso Est, quantunque debba ammettere come questi si col- leghino assai bene coi contemporanei terreni della collina To- rino-Valenza. Un ampio ed importante affioramento liguriano si osserva ancora in Val Curone tra Volpedo e Giarella, presentando quivi diversi spuntoni ofiolitici ed inoltre potenti banchi conglome- ratici. Tanto la zona liguriana Brignano-Spinetta come quella di Val Curone si collegano assai bene per mezzo di diramazioni, libere dal mantello miocenico, con quelle dei colli di Tortona che sono pure in massima parte costituiti di terreno liguriano. Nelle colline Torino-Valenza esiste una ventina di affioramenti liguriani di forma e distribuzione assai varia ed irregolare; e quantunque il Liyguriano quivi affiori solo qua e là per lembi più o meno estesi, presumibilmente però questo terreno costituisce il vero imbasamento delle colline Torino-Valenza ed in generale di tutto il bacino terziario del Piemonte. Vol. XXX 23 344 F. SACCO, [56] Notiamo che secondo l’Issel esisterebbe una zona di Ligu= riano presso Rivara Canavese. Tettonica. LI In generale ia stratigrafia dei terreni liguriani è molto con- fusa, giacchè per le potenti pressioni laterali e dal basso al- l'alto che essi subirono in diverse epoche dopo la loro deposi- zione, per lo più i banchi (in complesso poco resistenti) che.li | costituiscono furono in gran parte svariatissimamente pieghet- tati, rotti, sconquassati per modo che riesce ora soventi assai \ difficile il rintracciarne la vera direzione ed inclinazione, j Nei dintorni di Voltaggio il Liguriano, che si appoggia diret- tamente sui terreni preterziarî, ha in generale una stratifica- zione abbastanza netta, sia perchè non vi esistono grandi con- torcimenti, sia perchè i banchi che lo compongono sono, piuttosto I resistenti; orbene, in questa regione veggonsi gli strati liguriani, ——— diretti generalmente da Nord-Ovest a Sud-Est, pendere abba- stanza regolarmente verso il Nord-Est, ma con un grado di incli- nazione svariatissimo, per lo più assai forte, tanto anzi che ta- lora i banchi sono rizzati persino alla verticale od anche alquanto rovesciati ciò che si può osservare specialmente assai bene nella valle del Lemno e nelle vallette confluenti di sinistra. Non mancano però anche in queste regioni le pieghettature, ma spesso solo in piccola scala. Dalla valle del Lemno a quella della Scrivia si osservano non poche ripiegature negli strati, ma in generale questi, talora an- che verticali ma per lo più con inclinazione varia tra gli 80° ed i 20°, pendono verso l’ Est all'incirca. Nella valle della Scrivia 1 inclinazione degli strati liguriame dalle vicinanze di Busalla sin presso ad Isola del Cantone, quan- tunque molto variabile di grado, da 20° a 50° circa, è però ab- bastanza regolare dapprima verso il Nord-Est, poscia verso il Nord è circa; nelle vicinanze di Isola del Cantone osservansi inclina- [57] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 349 zioni assai diverse, forse attribuibili ad una grande curva. Infine presso Pietrabissara gii strati lguriarni, spesso inclinati di ol- tre 80° e talora stupendamente contorti, pendono decisamente verso il Sud-Ovest, quasi l’ opposto cioè di quello che vedemmo nelle vicinanze di Voltaggio. Quindi, considerando in complesso 1 fatti ora enunciati, troviamo che il Liguriamo di queste re- gioni costituisce stratigraficamente una specie di ampio semicer- chio dentro al quale vennero a depositarsi i terreni fongriani il cui andamento stratigrafico, molto diverso nei particolari da quello del Liguriano, gli è però concordante nelle linee generali. Procedendo verso Nord nell’ esame stratigrafico del Liguriano vediamo che siccome agli argilloschisti ed ai banchi calcarei si sono sostituite le argille scagliose, 1 cui strati sono per lo più contorti e spezzati, la tettonica è assai difficile a ricostruirsi; tuttavia esaminando quei banchi che veggonsi ancora qua e là abbastanza ben conservati ed in posizione regolare, si può dire che anche in queste regioni dalla valle Scrivia a quella di Roc- caforte, a quella di Borbera, ecc., l'andamento stratigrafico del Liguriano in complesso accompagna abbastanza bene la curva che quivi fanno i sovrastanti terreni miocenici, giacchè in di- versi punti, specialmente presso Rocchetta, Cantalupo e Colonne ebbi ad osservare straterelli calcareo-arenacei inclinati assai re- golarmente di circa 50° verso l’Ovest, inclinazione e direzione che combina appunto abbastanza bene con quella del sovrastante Tongriano (e talora anche Gassiniano | Bartoniano]). A Nord della conca fongriana di S. Sebastiano Curone tro- viamo la grande zona liguriana Brignano-Spinetta la quale per essere costituita essenzialmente di argille scagliose non presenta che assai raramente una stratificazione netta; tuttavia da una serie di osservazioni fatte su questo proposito, benchè non tutte concordanti, mi risultò che in complesso i banchi liguriani di questa zona pendono di circa 45° verso il Sud, non tenendo conto delle notevoli contorsioni e variazioni stratigrafiche che talora si allontanano dall’ andamento stratigrafico sovraesposto, sia per la direzione che per l'inclinazione. 346 F. SACCO, [58] Una delle località in cui meglio si può osservare la stratifi- cazione del Liguriano è il lato settentrionale del rilievo di Ma- grassa, giacchè salendo a questa borgata da Isola Grue si vede il Liguriano superiore, costituito di argille scagliose nerastre ripetutamente alternate con banchi calcarei e con letti sabbiosi, pendere assai regolarmente di circa 45° verso Sud-Est, inclina- zione abbastanza concordante con quelle dei sovragiacenti ban- chi del T'ongriano. ] Orbene, anche rispetto a questa vasta zona liguriana essen- dosi potuto osservare come il suo andamento stratigrafico con- cordi in complesso assai bene con quello dei terreni miocenici che gli si appoggiano a Sud, ne consegue che da Voltaggio a Spinetta, per Rocchetta ligure, si è potuto constatare una vera conca non solo apparente ma reale, cioè stratigrafica, conca liguriana che ricevette nel suo interno i terreni miocenici e che in certo qual modo chiude assai bene a Sud-Est il bacino terziario del Piemonte. Nel grande affioramento liguriano di Volpedo-Giarella in Val Curone evvi un importante fenomeno stratigrafico; esiste cioè - nel rilievo di Ca di Bruno una specie di centro di sollevamento da cui pendono all’ intorno i banchi liguriani che immergonsi a Sud, Ovest e Nord sotto i terreni oligocenici. Siccome in que- sta regione riappaiono assai sviluppati i grossi banchi calcarei alternati cogli argilloschisti, si può in diversi punti, specialmente presso il Molino del Bove, osservare nettamente la tettonica del- l'orizzonte liguriano i cui strati sono quivi inclinati di circa 60° verso Sud-Sud-Est; invece dal lato settentrionale delle colline di Reguardia veggonsi i banchi marnoso-argillosi e calcarei pen- dere di una trentina di gradi verso Sud-Sud-Ovest; nelle vici- nanze di Poggio essi inclinano piuttosto all’ Ovest, finchè verso Volpedo assumono una pendenza abbastanza regolare a Nord, sempre però naturalmente con numerose eccezioni che non pa- ionmi tuttavia infirmare l'andamento stratigrafico generale so- vraindicato. Nelle colline di Tortona a causa della predominanza delle [59] BACINO TERZIARIO DEL. PIEMONTE. 347 argille scagliose a stratificazione, come di solito, confusa, e dei rari e poco profondi tagli naturali, ma specialmente a motivo del grande sviluppo dell’agricoltura, riesce difficile rendersi conto esatto della stratigrafia lguriana la quale non sembra però presentare quivi fatti importanti; in generale pare che in que- ste colline i banchi eocenici pendano verso l’Ovest all’ incirca ma con delle numerose varianti verso Nord e Sud. Il vedere i depositi miocenici e pliocenici disposti molto va- riamente sul Liguriano di queste colline di Tortona e talora addentrati alquanto nelle attuali vallate, come ad esempio in valle Ossona oltre Villaromagnano, ci rende avvertiti che già durante il Miocene ed il Pliocene era in parte abbozzata l’oro- grafia di queste regioni, sia per gli agenti esterni che per le ripiegature degli strati liguriani. Le stesse difficoltà che incontransi nello studiare la tettonica del Liguriano delle colline tortonesi esistono pure, e per le stesse cause, per la maggior parte degli affioramenti di questo ‘ terreno nelle colline Torino-Valenza. Infatti nella parte più orientale di queste colline là dove ap- paiono i terreni liguriani, spesso per tratti assai poco estesi, essi ci si presentano solo sotto forma di depositi molto tormen- tati, infranti ed a stratificazione affatto indistinguibile; tuttavia dall'andamento degli affioramenti liguriani possiamo dedurre che quelli più orientali hanno direzione ad un dipresso da Nord a Sud mentre quelli di tutta la restante parte delle colline To- rino- Valenza sono piuttosto diretti da Ovest-Nord-Ovest ad Est- Sud-Est. Persino nella grande zona liguriana di Casale, per quanto siano numerose le escavazioni fattesi per estrazione del calcare, non trovansi che raramente dei banchi a stratificazione un po’ attendibile. In alcuni punti però, come ad esempio presso la Torre Gajona, il Torcello, ecc. è possibile osservare la tetto- nica di questa zona liguriana e dedurne come in generale i suoi strati pendano piuttosto verso il Sud e solo presso la pia- nura padana inclinino a Nord. In questa regione sono spesso 348 F. SACCO, [60] molto evidenti le ripetute ripiegature degli strati; così per esem- pio salendo da Villa Sardi a ©. Ragazzina, si veggono gli strati liguriani, costituiti da un’ alternanza di arenarie giallastre, di sabbie e di argille brune e grigiastre, inclinare dapprima di circa 60° verso Nord, poscia sopra Torcello con ripetute con- torsioni assumere l’inclinazione opposta. L’affioramento liguriano di Cuccaro, alquanto distante dall’al- lineamento solito di questi terreni, è probabilmente dovuto ad un corrugamento laterale però quasi parallelo a quello princi- pale di cui vediamo diversi lembi irregolarmente elissoidali da Lu a Camagna. Nello spuntone liguriano di Ottiglio, ma ancor più chiara- mente in quello di Cortenova-Montalero, veggonsi banchi eoce- nici fortemente sollevati e diretti ad un dipresso da Nord-Ovest a Sud-Est, cioè parallelamente circa all’asse orografico della collina. Gli affioramenti liguriani sulla sinistra del Po mostrano i loro banchi quasi verticali e diretti da O. N. O. ad E. S. E. circa. Anche nei vastissimi affioramenti liguriani di Verrua e di Lauriano possonsi raccogliere pochi dati sulla tettonica di que- sto orizzonte, ma per quel poco che potè essere osservato pare che essa sia in complesso abbastanza concordante con quella dei sovrastanti terreni fongriani e bartoniani; in alcuni punti possonsi osservare stupende ripiegature negli strati marnoso- arenacei-calcarei, come per esempio alla Fornace di Monticelli Verrua, dove essi costituiscono un vero arco colla convessità rivolta a Nord-Est, e con pendenza verso il Sud-Ovest circa. Nell’ esaminare le rotture e gli spostamenti di questi strate- relli di varia natura fortemente ripiegati si comprende facilmente perchè di solito nelle zone liguriane siano solo più ridotti a frammenti sparsi i banchi calcarei ed arenacei che si alternano colle argille scagliose; ben sapendosi come questi terreni abbiano generalmente subite potenti pressioni e quindi numerose contor- sioni. Nel rio di S. Fede a Sud di Cavagnolo sotto C. Gallardo [61] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 349 veggonsi i banchi calcareo-arenacei del Liguriano drizzati quasi alla verticale e diretti da Ovest-Nord-Ovest ad Est-Sud-Est, cioè concordanti coi depositi bartoniani che vi si appoggiano sopra. Fenomeni consimili, quantunque con locali ma abbastanza notevoli varianti, osservansi nella valle di Monteu da Po, nelle cave di Lauriano, nelle vicinanze di Bevilacqua, ecc. per modo — che si può conchiudere che, se in complesso la direzione dei banchi liguriani è abbastanza concordante con quella dell’ asse maggiore della collina, sonvi però così svariate contorsioni, più o meno ampie, che esse, nell'esame particolare dei fatti, spesso paiono opporsi alla veduta generale che ho sopraccennato. Possiamo infine notare come nell’ affioramento liguriano di Cocconato i banchi eocenici siano generalmente inclinati di 40°, 50° e più, e diretti da Ovest-Sud-Ovest ad Est-Nord-Est, ed inol- tre che, mentre dal lato settentrionale di questa zona liguriana gli strati pendono specialmente verso Nord, dal lato opposto in- vece inclinano per lo più a Sud circa, cioè in modo da concor- dare alquanto, in complesso, coi terreni oligocenici circostanti; pare quindi che questo affioramento corrisponda solo ad una specie di ruga laterale secondaria. Potenza. In causa dei ripetuti contorcimenti e dello svariatissimo an- damento stratigrafico dei terreni liguriani, oltre che pel fatto che spesso solo appaiono in lembi ristretti, è sovente impossi- bile limitarne la potenza; tuttavia limitandomi alle regioni dove per più lungo tratto si può seguire in un dato senso una re- golare stratificazione, così nella valle Scrivia tra Isolabuona ed Isola del Cantone e nella valle del Curone attorno al nu- cleo di sollevamento di Ca di Bruno, credo poter affermare che il Liguriano raggiunge talora la potenza di circa 2000 metri; noto però come da osservazioni che ebbi occasione di fare al- 350 F. SACCO, [62] l’infuori del bacino terziario in esame, ma però solo nelle vi- cine Alpi Marittime, sembrami poter dedurre che in alcuni luo- ghi la pila dei banchi liguriani, anche tenendo conto dei loro ri- piegamenti, raggiunge forse i 3000 metri in spessore. Ciò ci prova sempre più che il Liguriano rappresenta solo una facies del gran piano Parisiano, e forse anche talora da parte del 8 p ) Cretaceo. Altimetria. Ha poca importanza, nello studio del bacino terziario del Piemonte, l'esame della massima altezza che vi raggiunge il Liguriano, giacchè quivi essa è molto minore di quella che lo stesso terreno raggiunge altrove, sia nella catena appenni- nica, sia nelle Alpi Marittime dove, al M. Encastraye per esem- pio, lo si vede sollevarsi sin quasi a 3000 metri sul' livello marino. Ad ogni modo se esaminiamo sotto questo punto di vista il Liguriano della regione in studio vediamo che nelle vicinanze di Voltaggio esso arriva in alcuni punti a 700 ed 800 metri (M. Cavetti 815); altitudini simili, ed anzi generalmente minori, tocca tra la valle della Scrivia e quella della Borbera, solle- vandosi invece verso Est sin oltre i 1700, come al M. Ebro, e. poi va gradatamente abbassandosi verso Volpedo e Tortona sino ad immergersi sotto la pianura. Quanto agli affioramenti liguriani dei colli Torino-Valenza essi spesso si sollevano solo a circa 200 metri, tuttavia in al- cuni punti nei colli di Casale, essi arrivano quasi ai 300 metri e quelli di Verrua, di Lauriano e di Cocconato spesso si solle- vano sopra questa quota raggiungendo anche i 385 metri come alla Cappella di S. Michele, ad Est del paese di Piazzo, toc- cando anzi persino i 410 metri presso la borgata Pareglio. e I el [63 | BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 351 Rapporto coi terreni sotto e soprastanti. In tutto il bacino terziario del Piemonte è solo nelle Alpi Marittime che si possono osservare i rapporti del Liguriano coi terreni sottostanti. Infatti nei dintorni di Voltaggio vediamo i banchi inferiori di questo orizzonte poggiare direttamente e con ‘ assoluta discordanza stratigrafica sui terreni preterziarî ed in seguito nella valle della Scrivia, del Borbera, del Curone e nelle colline tortonesi i banchi liguriami più o meno ripiegati e contorti non presentano mai passaggi ai terreni inferiori. Invece in molte regioni delle Alpi Marittime, specialmente in Val Stura, si può vedere come i banchi arenaceo-calcari e gli argilloschisti (cioè il Flysch) liguriani passano graduatissima- mente ai banchi calcarei nummulitiferi del Parisiano e poscia insensibilmente al Cretaceo. Questa transizione graduatissima tra piano e piano l’osserve- remo d’ora in avanti fra tutti gli orizzonti terziarî, per modo che si può dire giustamente che in Piemonte è possibile passare senza salti, attraverso tutta la serie terziaria, dal Secondario al Quaternario. Quanto ai rapporti del Liguriano coi terreni sovrastanti, sic- come ebbi già a trattarne in un lavoro speciale, così mi limi- terò qui a pochi cenni riassuntivi. In generale, tra il Liguriano ed il Tongriano esiste un hyatus piuttosto notevole che corrisponde a tutto il Bartoniano; esso . è molto evidente nei dintorni di Voltaggio, in Val Scrivia, ecc., sin nella Valle Borbera dove il Liguriano assume la facies di argille scagliose nerastre, che ne rappresentano la parte supe- riore. Orbene, dalla Valle Borbera risalendo alla borgata Mer- lazzina, vediamo che tra queste tipiche argille scagliose liguriane ed i conglomerati fongriani appaiono e si sviluppano poco a poco da Sud a Nord banchi marnoso-argillosi che hanno in parte la facies tongriana e in parte quella liguriana; ciò specialmente a causa dell’interporsi fra i banchi marnoso-arenacei, certamente 352 F. SACCO, [64] tongriani, ed i banchi conglomeratici dello stesso piano geolo- gico, un complesso di marne argillose nerastre, senza evidente stratificazione, che ricordano quasi perfettamente quelle del Li- guriano superiore tanto più che racchiudono eziandio straterelli di calcare simile alquanto a quello alberese dell’ eocene. A questo riguardo una sezione bellissima, che riportai nel so- vraccennato lavoro, si può osservare salendo dalla borgata Mer- lazzina (500 m.) al M. Rivarossa (910 m.). Noto poi che se- condo recenti osservazioni sembranmi doversi inglobare nel Lt guriano superiore (passante per fucies al Bartoniano) le marne scagliose edi banchi arenacei di Serra-Brignano-Pallanzona, che credetti dapprima ancora inscrivibili al Zongriano inferiore, appunto per la loro facies speciale; tale incertezza di riferimento dipende precisamente dal fatto che in queste regioni, se non esiste un graduale passaggio tra Tongriano e Liguriano, que- st'ultimo orizzonte presenta però quivi i suoi banchi superiori (fatto assai raro in generale), i quali hanno caratteri che li fanno rassomigliare di molto ai banchi del T'ongriano inferiore. Noto qui come le arenarie a Nummulites vasca, N. Boucherì var., ecc., di Giara (alta Valle Museglia), ma specialmentè le marne ed i calcari, pure a N. vasca e N. Boucheri var. di M. Rivarossa, nonchè le marne grigio-verdastre di Giarella, S. Gior- gio-Casasco (V. Curone), ecc., rappresentano già ia formazione di passaggio (Sestiano) tra Tongriano e Bartoniano, ed anzi in parte debbonsi già includere nel Bartoniano, per modo che la transizione dal Tongriano al Liguriano in queste regioni è spesso molto graduale. Nelle restanti parti dei colli tortonesi non possiamo più os- servare generalmente graduali passaggi tra i due terreni in que- stione, anzi spesso si nota un’assoluta discordanza tra il Liguriano ed i terreni oligocenici che gli si appoggiano direttamente. La stessa cosa ad un dipresso deve ripetersi per le colline Torino-Valenza, dove generalmente il Liguriano è direttamente coperto dal Tongriano, ma con un evidente lacuna fra questi due orizzonti geologici. [65] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 353 Però nelle colline torinesi tale lacuna è soventi riempita dalla comparsa del Bartoriano il quale, mentre superiormente sì col- lega insensibilmente col Tongriano per mezzo di banchi riferibili al Sestiano, inferiormente passa gradatissimamente al Liguriano per mezzo di marne rossastre, o di marne argillose verdiccie o rossiccie inglobanti già lenti di arenaria (pseudomacigno) di cal- care (pseudoalberese) nonchè lenti arenaceo-puddingoidi con Nummulitidee, per modo che soventi riesce impossibile decidere se certi banchi sono già da riferirsi al Liguriano od ancora al Bartoniano. Questi fatti si possono osservare specialmente bene al mar- gine esterno della zona dartoniana tra le colline di Verrua Sa- voia e l’alta Valle Caservalle; nonchè in alcuni punti di Val Trincavenna nelle colline di Brozolo, ma nel modo più chiaro nelle colline ed al fondo dei valloni tra Lauriano ed il vallone di S. Fede, dove osserviamo: Elveziano — Marne, sabbie ed arenarie, grigie e grigio-gial- lastre Langhiano — Marne grigiastre, dure scagliose Banchi marnosi ed arenacei Aquitaniano $ Marne grigiastre e bleuastre Banchi arenacei grigio-bruni Stampiano — Marne grigiastre, friabili Arenarie straterellate Marne grigiastre friabili Sestiano —— Arenarie straterellate con Nummuliti ( Marne grigio-verdastre con strati calcarei Bartoniano | Marne argillose rossiccie o verdastre con lenti | Tongriano arenacee e calcaree Marne argillose grigio-verdastre o rossastre, con lenti di calcare alberese e di Macigno e banchi breccioso-conglomeratici Banchi conglomeratici Argille scagliose, banchi di calcare alderese, di Macigno, ecc. Liguriano 354 _F. SACCO, [66], Località fossilifere. Siccome le poche forme fossili del Liguriano sono variamente sparse in quasi tutti i banchi che lo costituiscouo, così è diffi- cile indicare località ove esse più abbondantemente si possano raccogliere: si può invece notare che le impronte di Helminthoidea sono assai comuni negli schisti argillosi-calcarei della Valle della Scrivia, così presso Villavecchia, mentre i resti di fucoidi arbore- scenti riscontransi specialmente, e talora in quantità straordi- naria, in certi speciali orizzonti dei calcari biancastri che stanno frammezzo alle argille scagliose, come, per esempio, nelle col- line Torino-Valenza presso Casale, Villadeati, Brozolo, Brusa- sco, Lauriano, ecc. Per rintracciare tali resti fossili è special- mente utile l’esplorare gli scavi fatti per l’estrazione del calcare ed i materiali, sia utili che inutili come pietra da calce, che trovansi sparsi nelle vicinanze di tal cave; notisi inoltre che incontrando in un dato luogo o strato un esemplare dei fossili sopra indicati è utile il proseguire pazientemente ed accurata- mente le ricerche in quella stessa località perchè essi trovansi per lo più in grandissimo numero nello stesso banco. Le num- muliti e le orbitoidi incontransi rarissimamente qua e là fra le arenarie delle colline tortonesi e pavesi; nelle colline di Casale trovansi banchi a numerose Nummulitidee nell’ affioramento l2- guriano lungo il Po, quasi di fronte a Trino; nelle colline to- rinesi trovansi pure Nummulitidee in speciali banchi calcarei breccioso-conglomeratici del Liguriano superiore passante al Bartoniano, specialmente nelle vallette di Monteu da Po e di 5. Fede, nonchè presso il Bricco di Marmito in diversi punti. Descrizione geologica regionale. n Il Liguriano delle Alpi Marittime è già noto per altri studi. Del Liguriano dei dintorni di Voltaggio, dove questo ter- reno comincia ad apparire nel bacino terziario in esame, mi i; Vedi |67] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 390 limiterò a pochi cenni principali avendone già trattato abba- stanza ampiamente in altro lavoro. Ritenendo triassici i calcari dolomitici escavati come pietra da calce nel rio Frasso e sotto al Castello di Voltaggio, e che io, pur riconoscendone la fisionomia #riassica, avevo dapprima dubitato rappresentassero una facies speciale del Liguriano, e lasciando ad un esame successivo i banchi ofiolitici, 1° eocene di queste regioni si può dire consti essenzialmente di Calco- schisti e di argilloschisti talcosi, per lo più fortemente sollevati, che rappresentano il vero Flyscà alpino. I calcoschisti a stratificazione nettissima, spesso assai compatti, talora passanti ad /poftaniti, sono specialmente sviluppati nella parte inferione del Liguriano di queste regioni e veggonsi assai bene in Val Lemna anche solo percorrendo la strada da Vol taggio al Molini di Voltaggio. Molto più estesamente sviluppati e più potenti sono gli ar- gilloschisti talcosi (che però passano talora gradatamente ai sovraccennati calcoschisti) con lenti incluse o interstrati o arena- cei, quarzitici o calcarei e con una tinta generale grigio-plumbea o grigia argentina assai caratteristica. Talora invece questi tal- coschisti assumono un color giallo-verdastro o rosso-vinato, come si osserva per vaste ragioni, specialmente tra la Val Lemna e la Val Traversa; ciò dipende in parte da alterazione chimica, ma in parte eziandio da materiali accessori la cui presenza è forse in qualche relazione coi fenomeni che accompagnarono la formazione dei banchi ofiolitici generalmente non molto lontani. Nella Valle Scrivia veggonsi sviluppatissimi gli argilloschisti talcosi in cui vennero scavate le due gallerie ferroviarie dei Giovi, incontrandosi in ciò, come è noto, gravi difficoltà a causa del rapido alterarsi ed idratarsi di questi terreni che, per es- sere spesso poco omogenei ed alquanto frantumati, cedono facil- mente alle poderose spinte delle masse circostanti. Ma a Nord di Ronco Scrivia agli indicati banchi schistosi grigio-plumbei, con lenti quarzose e calcaree bianche pieghet- tate, succedono per sovrapposizione banchi calcarei grigiastri, 356 F. SACCO, [68] h: alternati però ancora con argilloschisti brunastri lucenti; que- ‘ sto complesso di strati, che vediamo comparire ancora con aspetto quasi eguale nelle colline di Rocchetta Ligure e Volpedo, ci rappresenta la formazione del calcare alderese a frattura con- coide, che però colla sua facies tipica compare poi specialmente più a Nord assieme alle argille scagliose. set Per esaminare minutamente la costituzione del Liguriano di queste regioni è utilissimo anche solo il percorrere attentamente la strada nazionale che passa in fondo di Val Scrivia, esisten- dovi numerosi tagli naturali ed artificiali che mettono a nudo l’intiera serie stratigrafica di questa ampia zona eocenica. Dalla Valle Scrivia portandoci verso Roccaforte possiamo ve- dere che nel Liguriano affiorante sotto al velo spesso interrotto dei terreni fongriani (come già in alcuni punti sopra il paesello di Mereta, ma specialmente verso le borgate di La Riva, La Barca, ecc.), con i banchi di vero Flysch, cioè con gli argillo- schisti interstratisicati a banchi arenacei e calcarei grigiastri, si alternano e poscia loro si sostituiscono gradualmente banchi argilloso-marnosi di color bruno con inclusi straterelli di calcare biancastro e di arenaria grigio-giallognola; ma generalmente questi sono infranti e ridotti a frammenti sparsi irregolarmente nella massa argillosa; si passa cioè in queste regioni alla no- tissima facies delle argille scagliose e dei galestri dell’ Appen- nino, facies che prende poi l'assoluta predominanza nella re- stante parte del bacino terziario del Piemonte. Infatti da Roccaforte a Rocchetta Ligure, Cantalupo, Co- lonne, ecc., sino allo espandimento fongriano di S. Sebastiano Curone, vediamo sviluppatissime le argille scagliose ed i galestri con forme però svariatissime per maggior o minor sviluppo dei banchi calcari ed arenacei, pel colore diverso che presentano le marne argillose che, generalmente nerastre, passano spesso, 0 per alterazione o per sfumature naturali, al rossastro, al vio- laceo, al verdiccio, ecc. Fra le regioni più istruttive, almeno nei limiti di questo la- voro, per osservare il passaggio tra il Liguriano inferiore 2 dz Tebe die esere at ATI ta 890. IT REI en [69] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 357 facies alpino-appenninica e quello superiore a facies appenninica e subappenninica, è da indicarsi il Vallone Spinti dal M. Lerta sin dove l’eocene vien coperto dal T'ongriano. Infatti, risalendo questa valle, si può vedere la graduale transizione tra i terreni che il Pareto pose nel suo Modenese e quelli che incluse nel Liguriano in senso stretto; anzi la maggior parte della forma- zione eocenica quivi visibile è già da attribuirsi al vero .Ligu- riano, essendo costituita di strati calcarei grigiastri, frammen- tari, e di strati arenacei. Questi però sono spesso alternati con argille scagliose, le quali alla loro volta formano quivi già un passaggio agli argilloschisti che sono tanto sviluppati nel- l’Appenino Ligure. A Sud della borgata Cafforenga si inizia poi il tipico Ligu- riano con potenti banchi di calcare abberese, di Flych ad Hel- minthoidea, con argilloschisti talcosi ecc., talora però ancora con qualche strato di argille scagliose nerastre intercluse. In tutta questa serie stratigrafica la tettonica è poco rego- lare; osservansi numerosi ripiegamenti e contorcimenti (come per esempio, tra M. Eremita e M. Langonio) ed inclinazioni spesso fra di loro contrarie in punti vicinissimi. Ma in Val Si- sola, a valle di Sisola, l'andamento stratigrafico diventa più re- golare e veggonsi 1 banchi inclinare di 30° a 50° circa verso il Nord-Ovest o 1)’ Ovest, almeno in linea generale, come si può osservare benissimo ad esempio nei dintorni di borgata Pagliaro, Rocchetta, Arborelle, Bregni, Montacuto, ecc. In queste re- gioni hanno un’assoluta prevalenza nella costituzione del Ligu- riano le argille nerastre con cui, oltre a banchi frammentari di arenarie, si alternano spesso potenti banchi di calcare albe- rese, come, per citare un esempio, si può osservare nei din- torni di segnale Bregni. Tra le borgate di Montacuto e di Costa troviamo un fatto assai interessante, che avremo ancora occasione di osservare altrove, cioè la comparsa di potentissime lenti conglomeratiche, che a primo aspetto parrebbero lembi staccati di T'ongriano in- feriore, ma che credo invece assolutamente includibili nel Li- guriano superiore. 358 F. SACCO, [70] Infatti ridiscendendo la valle Museglia vediamo i banchi arena- cei e calcarei, alternati colle argille scagliose nerastre, presentare una nettissima inclinazione, variante, da 30° a 60°, verso il Nord- Nord-Ovest; sotto Montacuto a questi banchi tipici del Ligu- riano sì sovrappongono direttamente e concordemente grossi banchi conglomeratici, ricoperti ancora da argille scagliose ne- rastre con calcare alberese; su tutto ciò poi si appoggia, poco a Nord, il Tongriano inferiore (forse anche il Sestiano) co- stituito da arenarie grigio-chiare, da conglomerati, ece., e stra- tigraficamente abbastanza concordante col Liguriano, da cui però credo sia separato per un forte lyatus corrispondente a tutto il Bartomiano. Ad un dipresso la stessa successione stratigrafica osservasi ancora verso Est sino a’ borgata Costa. Gli elementi di questi conglomerati sono talora di. oltre un metro, però più comune- mente di solo 15 o 20 centim. di diametro, quasi sempre for- temente cementati fra di loro, spesso profondamente improntati, di natura prevalentemente arenacea o calcarea o diasproide; ciò che ci indica come questo conglomerato si è formato. spe- cialmente alle spese delle più antiche formazioni liguriane. I banchi conglomeratici in questione si presentano spesso sollevati quasi alla verticale od anche leggermente rovesciati, come nel vallone di C. del Ferro. In Val Staffora, specialmente nella sua parte più bassa, 0s- servansi sviluppatissime le argille scagliose per lo più nerastre, ma anche spesso violacescenti, con zone qua e là di color rosso, cioè colla tipica facies del Liguriano superiore (Modeniano) appenninico. Le argille galestrine a tinte variegate sono at- traversate da zone più o meno regolari di calcari e di arenarie frantumate, così, ad esempio, tra Bagnaria e Coriola, tra bor- gata Crocetta e Rio Frascata, ecc. Tali zone, per la direzione abbastanza costante che talora presentano, come appunto nell’ul- timo caso accennato, servono assai bene ad indicarci l'andamento stratigrafico della formazione eocenica, ciò che difficilmente si po- trebbe conoscere in altro modo. ET COSA [71] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 359 Ad un dipresso colla medesima facies vediamo presentarsi il Liguriano sia nella zona Brignano-Spinetta, sia nelle colline tortonesi; quivi infatti qua e là fra le argille scagliose brune compaiono aree di argille verdastre o, più comunemente, rossa- stre ed anche gialle e grigie, tinte che possonsi, ad esempio, osservare nel rio incassato a Nor-Est del paese di Montebello dove gli strati sono ora rizzati alla verticale, ora inclinati solo di 30° o 40° con evidenti ripiegature; così pure argille rossa- stre veggonsi assai sviluppate qua e là nelle colline presso Tor- tona, specialmente nei rilievi a Nord di Vho. Talora invece le argille scagliose assumono un color nerastro così intenso che certi banchi simulano di lontano depositi ligni- tici, come ad esempio si può osservare nel Rio Cornigliasca dove gli strati argillosi neri sono alternati più o meno regolar- mente con strati calcareo-marnosi compatti di color grigiastro o giallognolo. Molto interessante è il Liguriano superiore dal M. Vallassa alla borgata Pallanzona poichè quivi esso presenta in parte una facies sabbioso-arenacea che lo fa rassomigliare molto al Tongriano inferiore, tanto che in una nota sul passaggio tra il Liguriano e Tongriano credetti di poter già includere i suddetti banchi nel Tongriano basale, mentre che ora invece credo piut- tosto doverli ancora attribuire al Liguriano superiore passante al Bartoniano; ciò in causa di una potente formazione di ar- gille galestrine violacescenti che li dividono dal vero T'ongriano. Lo studio dettagliato di questa zona speciale fu già fatto nella sovraccennata nota, basta quindi indicare ora come la co- stituzione della zona del Liguriano superiore in esame sia rap- presentata dalla seguente serie stratigrafica: Vol, XXXI, 24 360 F. SACCO, [72] Tongriano — Arenarie, sabbie e conglomerati (appoggiantesi, con hyatus, sul Liguriano). Argille galestrine bruno-violacee (pila potente). e Marne e sabbie grigiastre regolarmente stratifi- cate (pseudo-bartoniane). Banchi calcareo-arenacei, alternati con marne gri- giastre; spesso ridotti in frantumi. Argille scagliose nerastre con banchi frammentati \. di calcare alberese e di arenaria. Liguriano superiore Nella parte settentrionale delle colline tortonesi il Liguriano, per quanto lascia scorgere la sviluppatissima coltura del terreno, pare si presenti alquanto arenaceo. Quanto ai banchi calcarei, quasi sempre ridotti in frammenti e commisti ai banchi arenacei, essi trovansi sparsi quasi ovunque, specialmente presso Brignano, tra Casasco e Magrassa, nei dintorni delle Tassere, tra Pallan- zona e Montebello, presso Alpicella e. Montale, nelle colline di Spinetto attorno alla C. Roncrasio, da C. Bellaria al Rio Pso, fra argille nerastre e verdiccie, alla C. Daviceo ed a S. Bartolo- meo in val Grue, presso la C. Bruciata, a Sud di Vho e: nelle colline di C. Bellameglio presso Tortona, dove i banchi di caì- care veggonsi spesso commisti ad argille verdastre; generalmente però questi affioramenti calcarei non vennero ancora utilizzati come pietra da calce. Fra le argille scagliose sopra la C. Roncrasio, ad Ovest di Bersano ebbi a riscontrare uno stupendo esemplare di quelle concrezioni, conosciute col nome di septarie, che sono tanto co- muni in certe località dell'Appennino fra terreni consimili. La facies arenacea è assai ridotta in queste regioni, tuttavia è notevole come nella valle Grue, e precisamente tra C. Daviceo e C. Campoltrone, trovinsi assai potenti banchi, ripieghettati ed infranti, di argilloschisti arenacei che ci ricordano molto bene il Flysch delle Alpi Marittime. È inoltre importante l’osservare come in questa stessa località da ambo i lati di Val Grue, as- sieme o meglio sul lato settentrionale dei sovrindicati banchi [73] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 361 di Flysch, stanno arenarie grossolane passanti talora a duris- ‘simi conglomerati; questi sono per lo più a piccoli elementi (cal. carei od arenacei) cementatissimi, ma talora anche ad elementi abbastanza voluminosi (8-10 centim.). Tali conglomerati, pas- santi talora localmente a breccie, quantunque per la loro po- sizione possa. sorgere il dubbio che siansi da attribuire ad un lembo oligocenico conservatosi per la sua durezza, tuttavia per l’assieme dei caratteri sembrami debbansi ancora riferire al Li- guriano; questi banchi, utilizzati come materiale da costruzione, sono sollevati quasi alla verticale, con direzione ad un dipresso da Sud ad Ovest. Esaminando la larga zona d’affioramento di Liguriano di Val Curone a Sud di Volpedo è a notarsi che nella sua parte periferica, la quale va ad immergersi sotto ai terreni oligocenici e mio- cenici, si presenta sviluppata la facies delle argille scagliose, commiste a banchi calcarei, specialmente sopra a C. Premarone, nella parte alta del Rio del Brolio, attorno al Poggio, a Sud di Monleale, ecc.; invece verso la parte più interna di questa zona, che già dicemmo presentare una specie di centro di sollevamento. nel rilievo di Cà di Bruno, assieme alle argille scagliose, racchiu- denti frammenti di calcare alberese, si sviluppano molto le are- narie, sia in banchi regolari alternati con argilloschisti talcosi e con calcari, come vedesi stupendamente bene presso il: Molino del Bove (facies simile a quella di Val Scrivia presso Pietrabis- sara), sia ridotte a frammenti irregolari o commiste a sabbie e marne sabbiose giallastre o grigio-verdastre, che si possono specialmente osservare lungo la strada e nell’alveo del Curone, sotto Montalto. Anche-in questa regione sotto le assise or ora indicate ap- paiono, ed assai sviluppati, i conglomerati cementatissimi, a ciot- toli improntati in modo straordinario e che credo riferibili al Liguriano ; questi conglomerati ad elementi poco voluminosi (ra- ramente di 20 centim. di diametro), formati specialmente di calcare alberese e di arenarie che paiono provenire dal Ligu- riano inferiore, costituiscono in massima parte il Montalto con 362 F. SACCO, [74] inclinazione Specialmente pronunciata verso il Sud, mentre i banchi sabbioso-arenacei, che ne formano il fianco settentrionale, pendono già verso il Nord. Al M. Cugrosso incontriamo ancora durissimi banchi arenacei, spesso frantumati, a cui si uniscono grosse lenti conglomeratiche, cementatissime, ad elementi per lo più piccoli, ma talora anche di oltre 10 centim. di diametro; questi ciottoli, di natura spe- cialmente arenacea, calcarea o diasproide, si presentano talvolta notevolmente schiacciati e sconquassati. | Assieme a questi conglomerati, specialmente sul lato setten-_ trionale di Montalto, si sviluppato potenti banchi sabbiosi ed arenacei, di color giallastro, che hanno molto la facies di ter- reni miocenici. È poi notevole che questa formazione arenaceo-conglomeratica non trovasi già qui nella parte superiore del Liguriano come verificasi altrove, ma ad un dipresso nella sua parte media; giacchè attorno al suo punto di affioramento i sovraincombenti e tipici terreni eocenici (costituiti di marne grigiastre scagliose alternate con banchi di calcare alberese e di Fysch) pendono irradialmente verso l’esterno in modo abbastanza regolare, di un 40° in media, come si può vedere molto bene specialmente nella parte inferiore del Vallone del Brolio. Quindi dalla Giarella alle vicinanze del Bric Montalto noi troviamo un’ interessantissima serie stratigrafica che sì può in- dicare in questo modo: decina " È Bartoniano — VII. sile IV. # Liguriano III. II. x È [75] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 363 | Tongriano — VIII. Arenarie e conglomerati in banchi po- tenti. Marne farinose grigio-verdiccie. Argille scagliose nerastre con qualche strato frantumato di calcare albderese e di arenarie. Potente complesso di banchi arenacei (Macigno) e calcarei (Alberese) alter- nati con marne argillose grigio-nera- stre ed argilloschisti talcosi (Eysch). Marne sabbiose grigio -giallastre con strati frantumati di arenaria e di cal- care, con passaggi talora ad argille scagliose. Arenarie e conglomerati a ciottoli im- prontati; sabbie giallastre e giallo-ver- dastre. Argille ed arenarie fra cui sono sparsi irregolarissimamente ciottoli e fram- menti irregolari (a superficie spesso lucente) di Calcare, Serpentina, ecc. Affioramenti ofiolitici. Notiamo infine come nelle colline di Cà di Bruno, attorno agli spuntoni ofiolitici, che esamineremo in seguito, veggonsi, come di solito in tali casi, depositi breccioso-conglomeratici a struttura caotica in cui, frammezzo ad un arenaria giallastra, sono me- scolati gli elementi serpentinosi con quelli arenacei e calcarei con rilegature di varia natura, tanto che riesce talora difficile il distinguere quivi con una certa chiarezza i diversi terreni. Nei numerosi, quantunque spesso assai ristretti, affioramenti di Liguriano delle colline Torino-Valenza, questo terreno si presenta quasi esclusivamente colla facies di argille scagliose con banchi per lo più infranti d’arenaria e di calcare albderese. Il Liguriano di Pietramarazzi, per quel poco che la coltivazione 364 F. SACCO, [76] ‘permette di osservare, appare per brevissimo tratto alle falde meridionali del Bric Mariano colla facies di argille bruno-ros- sastre. - L’affioramento liguriano di Bric Mariano-C. Cardenas è molto più importante raggiungendo uno sviluppo di oltre 5 chilom., quantunque talora ridotto solo ad una striscia di un centinaio di metri di larghezza; talvolta invece esso è ampio quasi un chilometro; anche qui predominano le argille scagliose di color bruno, fra cui trovansi sparsi dei frammenti di arenarie e di calcari arenacei: non è neppur raro l’osservare argille di color rossastro, come per esempio, sulla cresta. del Bric Cantoniere, e ad Est di C. Deamici, oppure di color verdiccio, come al Sue dio Nilla Sono quivi numerosi i frammenti di calcare alberese special- mente alle falde occidentali di Bric Castellar e sul fianco orien- tale di Bric Oliva. Trattasi qui di un corrugamento eocenico diretto all’incirca da Nord a Sud (cioè contrario a quello che osservasi generalmente nella restante parte dei colli Casale-To- rino) e che portò a giorno i terreni fongriani, alterando molto l'andamento di quelli miocenici. Quanto agli affioramenti liguriani a Nord di Lu, quello mi- nore, a Sud di M. Torre, appare solo pel colore nerastro del terreno che costituisce il fondo della vallata; l’altro, pure assai piccolo, di C. dei Bersani è ben evidente per i frammenti are- nacei e calcarei commisti alle argille scagliose brune; il mag- giore, con uno sviluppo in lunghezza di oltre 3 Chilom. ed in certi punti con 1 Chilom. circa di larghezza, benchè quasi di- viso in due dalla placca miocenica di Montalberto, presenta in più punti ben visibili le solite argille brune, ma commiste piuttosto a banchi frantumati arenacei che non a banchi calcarei. L’allungato affioramento liguriano di Conzano-Camagna, col massimo diametro di tre chilom. e mezzo e colla larghezza di circa 500 metri, è importante industrialmente pel fatto che colle sue argille scagliose sono commisti abbastanza comunemente banchi o frammenti di banchi di calcare duro, scaglioso, utiliz- [77] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 865 zato in più punti come pietra da calce, ciò specialmente presso la C. Pellegrini e la C. Rivarolo, quantunque sviluppatissime sieno pure le marne calcaree biancastre tra C. della Madonna e la Cappella di S. Rocco. Dal Molino di Camagna in val Grana sin oltre C. Serra presso Camagna, esiste un largo affioramento di argille scagliose brune liguriane coi soliti banchi infranti di arenarie e di cal- care alberese; l'inclinazione di tali banchi pare sia prevalente- mente verso Nord-Est. Ad Ovest di Camagna, presso C. Barbotta, appare eziandio un affioramento liguriano, continuazione dell’ultimo accennato. . Una bella lente di questo terreno possiamo poi ancora os- servare in val Grana, tra Cuccaro e la C. Nuova, dove le argille seagliose presentano pure i caratteristici banchi infranti di are- narie e di calcari; questo affioramento è forse da attribuirsi ad un corrugamento secondario, direi, dell’eocene, corrugamento parallelo però a quello principale dell’asse della collina. La ben conosciuta zona liguriana di Casale, per quanto vasta, avendo uno sviluppo di circa 8 chilom. in lunghezza per 5 in lar- ghezza, si presenta però abbastanza uniforme nella sua costitu- zione; come di solito vi predominano in modo assoluto le argille scagliose, specialmente nerastre, con sparsi quasi ovunque banchi di marna calcarea dura, biancastra, a frattura concoide e sca- gliosa e banchi di calcare alberese, grigio, rosso, biancastro o ‘giallognolo; sonvi pure banchi di arenarie più o meno frantumate; talvolta compaiono anche marne argillose biancastre (come ad esempio sotto la torre Gaiona, presso la C. Serra, ecc.), che ri- cordano alquanto quelle mioceniche; qua e là veggonsi strati sabbioso-arenacei alternati colle tenacissime argille. In complesso però abbiamo una sola facies litologica in questa grande zona eocenica cioè la facies appenninica, direi, del Liguriano. In ge- nerale si nota che le argille scagliose nerastre sono assai ric- che in banchi calcarei, mentre quelle grigiastre presentano piut- tosto comunemente banchi o frammenti arenacei. La continuazione, verso Ovest, della grande zona liguriana 366 F. SACCO, [78 di Casale osservasi nelle colline di Camino, quasi di fronte a Trino, ed anzi essa serve assai bene a collegare il Liguriano dei colli casalesi con quello dei colli della Verrua e di Brusa- sco; questo affioramento, lungo quasi 3 chilometri, coperto a Sud dai terreni eocenici ed oligocenici ed in gran parte mascherato a Nord dalle alluvioni del Po, consta essenzialmente delle solite argille scagliose brune con arenarie e calcari. È però assai in- teressante l’ osservare che poco a Nord di Zizano e verso lo sbocco del vallone che esiste ad Est di Brusaschetto, appare nel Liguriano medio o medio inferiore una serie assai regolare di banchi arenacei, fortemente inclinati a Sud o Sud-Sud-Ovest, e che a diversi livelli presentano numerose piccole Nummuliti ed Orbitoidi (Orbitoîdes stella, O. tenuicostata, ecc.). Tale loca- lità è molto importante pel paleontologo che raramente può in- contrare altrove Nummulitidee liguriane, cioè nel Flysch. Il Liguriano (a marne grigie e rossastre con calcari, arena- rie, concrezioni a Septaria, ecc.), affiora per lunghi tratti sulla sinistra del Po tra Palazzolo e S. Silvestro. L’affioramento liguriano di Ottiglio, lungo quasi 2 chilom.,; presenta interessanti rapporti di sottoposizione col vicino spun- tone bartoniano; fra le argille scagliose nerastre che lo costi tuiscono assieme ai soliti frammenti calcarei ed arenacei ebbi a rinvenire, benissimo conservata, una di quelle caratteristiche concrezioni che ricevettero il nome di Septaria; tra la O. Spi- nosa alta ed il rilievo dbartoniano è assai netta la zona liguriana con arenarie e calcari in frammenti; presso C. Preus, raccolsi alla superficie del terreno dei frammenti di arenarie inglobanti piccole nummuliti, frammenti che forse provengono dallo stesso terreno liguriano. Presso la borgata Starola, ad Est di Ponzano, appaiono per breve tratto le marne argillose nere del Liguriano coi soliti frammenti arenacei e calcarei. Lo spuntone fusiforme di Liguriano, lungo circa un chilo- metro, che osservasi ad Ovest di Ponzano serve assai bene a. guidarci sull'andamento della ruga eocenica di cui possiamo solo ire dla 179] BACINO TERZIARIO DEI PIEMONTE. 367 rintracciare qua e là pochi brani, quando denudati dai sovrin- combenti terreni oligocenici; come di solito tale zona è costi- tuita da argille scagliose brunastre o bleuastre con frammenti di arenarie e di calcare alderese. È interessante il piccolo affioramento liguriano del Cimitero di Fabiano, giacchè esso ci spiega il corrugamento oligocenico di Mombello. In Val Stura vedesi ricomparire il Liguriano ben caratteri- stico nella valletta che discende da Piancerreto a C. Scaldino, giacchè quivi le argille scagliose nerastre presentano spesso degli affioramenti di banchi calcarei ed arenacei, ridotti come di so- lito a semplici frammenti argillosi; sul lato sinistro di Valle Stura il Liguriano è assai meno appariscente e lo si può quasi solo constatare per alcuni frammenti di calcare alberese sotto C. Perosio. Continuando verso occidente troviamo che, prima di giungere alla grande zona liguriana di Verrua, affiora già in alcuni punti questo terreno colla solita sua facies di argille scagliose nerastre e rossiccie; così per pochi metri quadrati al fondo di Val Bosco sotto C. Rossi presso Oddalengo grande, e con uno sviluppo poco maggiore presso S. Antonio Vecchio (parte alta del rio della Marca verso Sud) dove le marne argillose, che qua e là pre- sentano resti calcarei ed arenacei, hanno un color bruno vio- laceo o bruno bleuastro assai spiccato. i Nella parte alta di Val Caservalle affiorano per un certo tratto le argille bruno-bleuastre del Liguriano, che inoltre innalzandosi verso il Cimitero di Cortiglione prolungansi sino alla parte alta di rio della Marca, col solito corteo di calcari albderesi ecc. I prolungamenti più orientali della zona liguriana di Verrua in Val Caservalle osservansi sotto Castella colla facies di ar- gille nero-azzurrognole fra cui incontransi talora frammenti cal- careo-biancastri ma più comunemente arenacei grigio-bruni. Nelle vicinanze delle borgate Valeisa, Castella, Vignali, Casa- retto, Piaj, ecc., le argille scagliose liguriane, spesso rossiccie o verdastre, sono molto ricche in frammenti di arenarie e talora 368 F. SACCO, [80] anche di calcare alberese; esse appaiono specialmente in fondo delle valli e nei bassi colli fra i più resistenti banchi oligoce- nici; è poi talora difficile il delimitare gli affioramenti liguriani, sia per il loro apparire specialmente nella parte bassa delle valli e quindi per lo più sotto depositi alluvionali, sia perchè le sovragiacenti marne oligoceniche rassomigliano talvolta al- quanto a quelle eoceniche quando non si possono osservare che in piccolo spazio, come sovente è il caso. In Val Pia] possonsi esaminare molto bene sotto C. Cerruti, per mezzo di profondissimi tagli naturali, le argille scagliose bruno-azzurrastre i cui banchi calcareo-arenacei intermedi facil- mente si infrangono oppure, se già infranti, si disaggregano quando messi allo scoperto, per modo che i loro frammenti veggonsi numerosi alle falde dei pendii scoscesi. Nelle vicinanze di Brozolo i banchi calcarei o marnoso-calcarei duri, scagliosi, biancastri si presentano molto sviluppati (ad esempio presso C. del Gallo) ed assai ricchi in bellissime fu- coidi; d’altronde banchi calcarei, più o meno ben conservati, trovansi assai comunemente oltre che presso Brozolo anche in Val Trincavenna, nei dintorni di C. Mogol, presso S. Orsola, nel Rio Quarlasco, sotto Monticelli Verrua, ecc. Le argille scagliose rosse o verdiccie appaiono talora fram- mezzo a quelle brune, così sotto Piazzone di Brozolo, a C. Visca, al Bric delle Pessere, ecc. Talvolta colle argille, colle arenarie e coi calcari si alter- nano letti sabbiosi, oppure tutti questi terreni ridotti a stra- terelli si alternano ripetutamente fra di loro, come ad esempio, si può benissimo osservare per tagli artificiali nella stupenda curva che formano gli strati liguriani sotto Monticelli Verrua. Debbo poi infine notare come presso C. Castellazzo, nelle vi- cinanze di C. Nuova di Marcorengo e nell’alta Valle Quarlasco, poco a Nord di C. Forno, esistono dei depositi conglomeratici, a ciottoli profondissimamente improntati e che, per quanto ab- biano l’apparenza di placche forngriane sull’eocene, paionmi piut- tosto far parte del Liguriano stesso, corrispondendo probabil- {81] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 369 mente ad un dipresso ai conglomerati che, in questo ‘orizzonte, già osservammo in più punti dei colli tortonesi; osservo però che i ciottoli stupendamente improntati sovraccennati sono in parte costituiti di calcare che generalmente somiglia molto a quello albderese, per cui, se tali conglomerati sono eocenici, come credo, essi si sono formati alle spese dei banchi di cal- care alberese che abbiamo già visto rappresentare una parte assai importante nel Liguriano inferiore: d’altronde la profon- dità delle impressioni che presentano questi ciottoli potrebbe forse attribuirsi oltre che alle azioni fisico-chimiche anche alla poca durezza che essi dovevano avere allorquando vennero ad «essere riuniti assieme. Oltre ai ciottoli calcarei sonvi pure ciottoli diasproidi, quar- zitici, porfirici, granitici, serpentinosi, ecc., generalmente molto alterati e rilegati da una sabbia o da un’arenaria calcarea spesso profondamente decomposta. I ciottoli sono generalmente poco voluminosi, ma talora però presentano un diametro di anche 20 centim., talora anzi persino di oltre 50 centim., come osservasi presso C. Castellazzo. La grande zona liguriana irregolarmente triangolare di Lau- ‘riano, oltre alle solite argille scagliose giallo-brune o nerastre ‘0 bruno-bleuastre, presenta qua e là delle argille verdastre o rossiccie come in Valle di Ponte presso C. Colombaro e Bevi- dacqua, a Sud di borgata La Pietra, ecc.; abbondantissimi quasi ovunque sono i banchi di calcare alberese, escavati su vasta scala nei luoghi più comodi all’uopo. Fra le argille scagliose notansi talora, come in Valle S. Fede, presso C. Scarrone, in Val Monteu a Nord-Est di borgata No- varese, nelle cave dell’alta Val Mezzana, e nelle cave di Lau- riano, delle vere breccie calcaree ridotte talora solo più a mo- noliti irregolari, ma che dovevano costituire primitivamente una specie di banco quasi continuo, ed anche strati breccioso-con- ‘glomeratici inglobanti molte Nummulitidee. Per l’esame delle argille scagliose è specialmente utile il ri- salire la Valle di S. Fede, dove esse sono caratteristiche, bene 370 F. SACCO, [82] sviluppate e, direi, colanti in tempo di pioggia seco trascinando caoticamente sparsi i frammenti scagliosi di arenarie, calcari, ed.) cioè col tipico aspetto del Liguriano appenninico. È | Nelle colline e nei valloni tra Lauriano e Val S. Fede si può esaminare in tutti i suoi più minuti dettagli il passaggio gra- duatissimo tra il Liguriano ed il Bartoniano inferiore. È poi interessante l’osservare in val Monteu sotto borgata No- varese un potentissimo complesso di banchi conglomeratici ed arenacei soventi potentemente cementati, sollevati spesso alla verticale e con direzione variante tra Nord-Sud e Nord-Est- Sud-Ovest; questo conglomerato, di cui troviamo poi ancora dei lembi nelle cave di Lauriano presso C. Boggetto (dove è però poco cementato ed in parte anzi quasi ridotto a ghiaie) e dei frammenti in diversi punti fra le argille scagliose, (nonchè dei ciottoli nei conglomerati tongriani), credo doversi ancora rife- rire al Liguriano come quelli già sopramenzionati. Gli elementi di questi conglomerati, generalmente di 4 o 5 centim. di dia- metro (talora però anche di 20, 30 centim. e raramente per- sino di 1 metro di diametro), quantunque alquanto diversi a seconda le località ed i banchi in cui si osservano, sono special- mente di Serpentina, Granito, Quarzite, Porfido, Sienite, Mica- schisto, Diaspro e Calcare; questi ultimi presentansi spesso for- temente improntati. L'età liguriana di questi conglomerati è indicata, oltre che dalla loro cementazione, dalla loro facies, dalla loro stratifica- zione e dalla loro posizione fra le argille scagliose, anche perchè si possono talora osservare, per esempio nelle cave di Lauria- no, fra questi conglomerati alcuni arnioni irregolari di argille scagliose verdiccie e rossastre, al tutto somiglianti a quelle li- guriane; d’altronde le sovraccennate breccie certamente eoceni- che, costituite di elementi calcarei derivanti probabilmente dallo sfacelo degli stessi banchi li9urtani più antichi, ci spingono ad ammettere come dello stesso periodo anche i suddetti conglo- merati. In conclusione dall’esame del Liguriano di Val Monteu risulta che sotto alle argille scagliose con banchi di calcare al- [83] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 371 berese e di breccie calcaree compaiono potenti banchi conglome- ratici ed arenacei, ciò che s’ accorda con quanto già osservam- mo di simile nei conglomerati liguriani delle colline tortonesi. Interessantissima per spiegarci il curioso affioramento fongriano laterale di Villadeati-Penango è la zona liguriana che osservasi in fondo a val Stura presso Murisengo; essa è in gran parte costituita da marne calcaree dure, scagliose, e da marne bruna- stre con banchi calcarei a grosse Fucoidi (Chondrites affinis, ecc.), come si può vedere specialmente presso C. Cerro, C. Candido e borgata Ferrero; l’inclinazione di questi banchi liguriani è specialmente verso il Nord-Ovest. Accenno ancora all’ affioramento liguriano di Cocconato-Mar- morito il quale, oltre alle solite argille scagliose brune ed an- che verde-rossiccie, presenta qua e là i noti frammenti di banchi calcarei biancastri ed arenacei grigio-nerastri; specialmente ti- pici sono gli strati biancastri sotto C. Pessina. Oltre a ciò in fondo di Val Freddo osservansi almeno tre affioramenti di un’a- renaria stratificata giallo-grigia che si può benissimo qualificare come tipico Macigno e che presenta varia inclinazione nelle diverse località, conservando però una direzione abbastanza re- golare da Est ad Ovest allo incirca. Nei banchi di passaggio al Bartoniano, in Val Fabiasco e presso Curone, arenarie e pud- dinghe con Nummuliti, Orbitoidi ed Assiline. Indico infine come frammezzo all’ affioramento bartoniano di Gassino, specialmente nel vallone poco sotto C. Defilippi e nella Valle Maggiore sotto la C. Donaudi, si veggono spuntare quelle marne argillose rossiccie che formano il passaggio tra il Barto- mano ed il Liguriano. L’ipotesi dell’Issel sulla zona liguriana di Rivara Canavese necessita ulteriori studi prima di essere confermata. Riassunto. Da tutto ciò che si è osservato intorno ai terreni liguriamn? della regione in esame possiamo dunque concludere che questi 372: F. SACCO, [84]; terreni costituiscono, per dir così, l’imbasamento di gran parte del bacino terziario del Piemonte, cessando però probabilmente a Sud della linea Voltaggio-Torino, poichè si può presumere che. lungo questa linea all'incirca avvenga la sovrapposizione del Liguriano alle roccie preterziarie, ad un dipresso come si osserva tra Cornegliano e Voltaggio. | L’andamento dei terreni liguriani, per quanto svariato nei particolari, se considerato in complesso è abbastanza concor- dante con quello dei sovrastanti terreni eocenici ed oligocenici, appoggiandosi essi alle roccie antiche dalle vicinanze di Genova: È a Voltaggio con direzione ad un dipresso Nord-Sud ed incli- nazione verso Est, poscia curvandosi poco a poco a semicerchio con inclinazione verso il Nord, il Nord-Ovest, l’Ovest e poi per- sino verso il Sud, raccogliendo, per dir così, nella parte interna i terreni miocenici. Il Liguriano mostra in val Curone a Sud di Volpedo una specie di centro di sollevamento da cui dipendono ancora i ban- chi liguriani dei colli tortonesi; si presenta poi nelle colline Torino-Valenza sotto forma specialmente di anticlinali, allineati ad un dipresso secondo il clinale orografico delle colline stesse, e talora anche ripetuti lateralmente come corrugamenti secon- darî, generalmente però quasi paralleli a quello principale. Il Liguriano consta nella parte inferiore specialmente di ar- gilloschisti talcosi grigio-plumbei che in alto si alternano ripe- tutamente con banchi calcarei i quali prendono poscia la pre- valenza; nella parte superiore è costituito essenzialmente di ar- gille scagliose e di galestri di color nerastro passante talora all’azzurrognolo, al violaceo, 0, più frequentemente, al verdiccio ed al rossastro; con tutto ciò alternansi frequenti banchi di are- narie e di calcari al/beresi per lo più ridotti a frantumi angolosi sparsi fra le argille. Compaiono inoltre talora, specialmente nella parte superiore del Liguriano, sabbie, breccie e conglomerati, disposti in banchi più o meno interrotti. Il Liguriano del bacino piemontese è quindi da considerarsi in massima come veramente di tipo appenninico sia litologica- , [85] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 373 mente che paleontologicamente, eccetto che negli appennini li- guri dove assume piuttosto la facies del Flysch alpino. Riguardo ai fossili il Liguriano presenta quasi solo le note impronte di Helminthoidea e di Fucoidi e rarissimamente invece resti di Nummulitidee; in potenza questo terreno pare che sia talora superiore ai 2000 metri, forse anzi raggiungendo i 3000 in al- cune regioni limitrofe a quella studiata. Quanto all’elevazione che presenta il Liguriano ora esaminato essa è assai piccola, per lo più inferiore ai 400 metri; notiamo però come in alcuni punti degli Appennini questo terreno s’innalzi oltre i 1000 metri e come anzi nelle vicine Alpi Marittime si spinga sin quasi ai 3000 metri. Si è notato infine come le argille scagliose brunastre o va- riegate del Liguriano superiore passino talora gradatissima- mente ai banchi inferiori del Bartoniano. CAPITOLO IV. FORMAZIONI OFIOL!ITICHE DEL LIGURIANO. Per quanto le formazioni che passerò ora ad esaminare fac- ciano parte, a mio parere, del piano Liguriano, pure per i loro caratteri così spiccati e per le questioni varie che loro si col- legano credetti opportuno di descriverle in un capitolo speciale. Avverto però subito che trattandosi di lenti pochissimo estese nel bacino terziario del Piemonte e quindi poco importanti per la sua costituzione, mi limiterò a pochi cenni a loro riguardo senza entrare in un minuto dettaglio sulla loro natura e sulla loro origine. D'altronde, a dire il vero, le formazioni ofiolitiche della re- gione in esame sono talmente simili a quelle dell'Appennino, e di queste si è già tanto e da tanti autori e da tanto tempo trattato che io credo inutile di fare ora lunghe considerazioni a loro riguardo. 374 F. SACCO, [86] Delle Serpentine e roccie affini che appaiono nei dintorni di Voltaggio ebbero già ad occuparsi l’Issel, lo Zaccagna, il Ta- ramelli ed io stesso, risultandone idee abbastanza conformi, solo che come già ebbi ad osservare, non credo accettabile la deno- minazione di Irfraliguriano all’orizzonte geologico che compren- de le roccie ofiolitiche, e ciò per le ragioni sovraesposte, tanto più che lo stesso appellativo liguriano è piuttosto da attribuirsi ad una facies speciale di orizzonti diversi, che non ad un vero piano geologico generale. Alle formazioni serpentinose del Tor- tonese già accennò in un suo lavoro il Taramelli. Quanto alle ofioliti dei colli Torino-Valenza, già il Pareto ac- cennò vagamente, e più nettamente il Gastaldi, a quelle che affiorano presso Piancerreto; nessuno finora conobbe quelle di rio Freddo sotto Albugnano. Giova osservare che la distribuzione geografica dei quattro principali affioramenti ofiolitici del bacino terziario del Piemonte sembra accompagnare l'andamento generale a conca del Li- guriano piemontese, per modo che si può presumere che queste formazioni trovinsi, nelle varie località, a livelli non molto di- versi rispetto alla serie stratigrafica del Liguriano e forse nella sua parte medio-inferiore, quantunque la comparsa sporadica degli affioramenti ofiolitici delle colline Torino-Valenza, senza che se ne possano constatare i rapporti colle formazioni liguriane circostanti, renda impossibile una sicura affermazione a questo proposito. Quanto ai rapporti che presentano gli affioramenti serpenti- nosì coi terreni circostanti, essi sono specialmente interessanti e chiari nei dintorni di Voltaggio, dove si può osservare molto bene che i banchi ofiolitici sono interstratificati cogli argillo- schisti talcosi e colle altre formazioni del Fysch,. fatto assai importante come quello che delimita nettamente l’età di queste lenti rocciose, abbattendo completamente 1’ opinione che esse appartengano ad orizzonti preterziarî. Tuttavia là dove queste ofioliti liguriane appoggiansi a quelle antiche rimangono talvolta ancora dei dubbi nella loro delimitazione. 187] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 375 Degli affioramenti ofiolitici (già esaminati in un precedente lavoro) che appaiono presso Voltaggio nel Liguriano, alcuni hanno uno sviluppo assai considerevole, come ad esempio quello che dal M. Lagoscuro pare continuarsi più o meno potente ed irregolarmente suddiviso sin alla Valle Frasco, e quello che, con forma assai irregolare, compare in Val di Lemno, nelle vicinanze dello sbocco del torrente di Acquastriata; questi af- fioramenti sono per lo più interstratificati a banchi fortissima- mente rialzati, durissimi e di natura alquanto diversa da quella del Flysch tipico. Altri affioramenti invece costituiscono solo delle piccole lenti, talora appena segnabili sulle carte; così ad esempio: quella che trovasi sulla cresta tra C. Uogo e la Val Lemno a Nord di Voltaggio; i due spuntoni serpentinosi esi- stenti verso la parte terminale di Val Morsone presso lo stabi- limento di bagni e sotto lo stradone che conduce a Carrosio; più sviluppata è la zona ofiolitica del Rio i°rasso, che è sepa- rata dal calcare triassico per mezzo di pochi straterelli di ar- gilloschisti talcoso-arenacei; pure notevoli sono gli affioramenti lentiformi di Serpentina che si osservano presso Voltaggio, cioè uno nell’alveo del T. Lemno e due lungo la strada che sale a Castagnola; più sviluppato è il banco ofiolitico che appare sulla destra di Val Lemno ad Est di M. Lagoscuro; osservai poi an- cora di recente fra gli argilloschisti talcosi un piccolo affiora- mento di Serpentina (di un bellissimo color verde-erba) in Val Paganino, precisamente là dove il Tongriano appoggiasi sul Li- guriano. ‘Un affioramento simile esiste pure mezzo chilometro ad Ovest di C. Scietti; inoltre notai in Rio Morsone alle falde delle cave di calcare #riassico, un piccolo spuntone ofiolitico, che pare però avvolto da calceschisti ed argilloschisti arenacei, fortemente contorti, del Liguriano; noto per ultimo uno spun- tone ofiolitico assai spiccato, quantunque piccolo, che osservasi fra gli argilloschisti liguriani, ma assai distante dal descritto allineamento delle ofioliti di Voltaggio, cioè sulla destra di Val Traversa ad Est di C. Rivera. In complesso le accennate ofioliti liguriane delle vicinanze Vol, XXXI, 25 dd 60 1 Fe SAOCO, .1 [887 di Voltaggio offrono, come carattere generale, una lucentezza — alquanto grassa, un colore verde erba assai bello, specialmente nelle piccole lenti affioranti fra gli argilloschisti talcosi grigio- plumbei a Sud-Est di Voltaggio (ma negli altri casi passante ad un verde scuro ed a varie sfumature indefinibili); presentano sovente una frattura abbastanza facile e che dà origine gene- ralmente a scaglie piuttosto che non a frammenti irregolari; inoltre una relativa ricchezza in minerali di rame e di ferro, specialmente pirite, calcopirite, magnetite, ecc. La minor du- rezza e compattezza delle serpentine liguriane, rispetto a quelle preterziarie, è una delle cause per cui quelle formano dei rilievi, molto meno elevati di queste. Oltre alle vere ofioliti nei dintorni di Voltaggio osservansi, specialmente in Val Lemno verso i Molini, delle oficalcì e delle roccie pseudo-cristalline svariatissime, le quali paiono collegarsi alle Serpentine e che dall’ Issel e dal Mazzuoli sono appellate anfimorfiche. Nelle colline tortonesi il Liguriano manca assolutamente di affioramenti ofiolitici, almeno nelle regioni in esame, sino in Val Curone a Sud di Volpedo; quivi, nella parte interna di quella specie di centro di sollevamento a cui ebbi già più volte ad accennare, frammezzo alle argille scagliose, a banchi calcarei ed arenacei ed a conglomerati-breccie di varia natura, e con completo disordine stratigrafico, vedonsi affiorare in diversi punti alla destra della valle, sotto Cà di Bruno e presso C. del Tasso, poco ampi spuntoni ofiolitici. Questi hanno una facies alquanto diversa da quella delle ofioliti di Voltaggio ed invece affatto si- mile a quella che offrono generalmente gli affioramenti serpen- tinosi dell’Appennino, sia per la distribuzione che per la costi- tuzione, non presentandosi essi in veri banchi, ma piuttosto in lenti irregolarissime, ed essendo costituiti, non solo da. vera Serpentina con superficie lucente, come di solito, ma eziandio da Diabasi più o meno profondamente alterate (Gabbro) e da. roccie eufotidiche spesso talmente decomposte ed: alterate da’ essere difficilmente definibili; in questi spuntoni ofiolitici, quan- [89] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 377 tunque per lo più di color verde, si osserva in più punti, spe- cialmente nel Gabbro, un color rosso vino assai spiccato e ca- ratteristico (il ben noto Gadbro rosso dei geologi toscani). Dei sette piccoli affioramenti ofiolitici di Volpedo, il maggiore non raggiunge un chilometro di sviluppo, ed è quello che da sotto Ca di Bruno si protende sino al fondo di Rio della Se- rena, ed è, come di solito, circondato da roccie anfimorfiche e pseudo-conglomeratiche. | In tutta l’ampia regione collinosa Torino-Valenza, forse per la generale ristrettezza delle zone liguriane, veggonsi in due sole località affioramenti ofiolitici, con caratteri simili piuttosto a quelli di Volpedo che non a quelli di Voltaggio. Nelle colline di Casale, sulla destra in Val Stura, a Sud di borgata Cerrina, e più precisamente sul lato settentrionale della strada che dalla borgata Piancerreto conduce al colle di C. Ra- mengo, frammezzo a potenti conglomerati, arenarie e marne tongriane, osservansi due lunghe e strette lenti di Serpentina bastitica di un color verde-scuro con rilegatura a pasta pure serpentinosa, ma di color verde-erba e costituente un intreccio, una reticolatura molto irregolare, tanto che talora la roccia appare come una vera breccia. Parrebbe a primo tratto abbastanza curioso e difficile a spie- garsi la comparsa di roccie serpeutinose frammezzo ai depositi oligocenici, tanto che .il Gastaldi ritenendole molto antiche le paragonò a quelle preterziarie delle Alpi e dell'Appennino Ligure, dove esse sono pure direttamente coperte dai terreni tongriani. Ma osservando un po’ più in complesso i due accennati at- fioramenti serpentinosi fusiformi, vediamo anzitutto che sono tra loro vicinissimi ed ambedue diretti ad un dipresso da Nord- Ovest a Sud-Est, per modo che probabilmente tolto il sottile velo di terreno fongriano che li separa, essi costituirebbero una lente sola della lunghezza di quasi 800 metri, con una larghezza di circa 50 metri; ma oltre a questo ciò che riesce assai im- portante è che, se prolunghiamo idealmente questa lente ser- pentinosa secondo il suo asse, incontriamo verso Nord-Ovest, 378 F. SACCO, [90] dopo appena 300 metri circa, le tipiche argille scagliose li- guriane di Cortenova, e verso Sud-Est, dopo poco più di un kilom., l’affioramento lentiforme delle argille scagliose liguriane di Ponzano, anch’esse dirette da Nord-Ovest a Sud-Est. Da tutto ciò io credo poter concludere che gli affioramenti serpentinosi di Piancerreto sono certamente da riferirsi al Ligu- riano e che il trovarsi essi attualmente distaccati in apparenza dalle argille scagliose eoceniche, di cui realmente fanno parte essendone inglobati, ed il presentarsi essi ora completamente ravvolti da depositi fongriani dipende specialmente dalla loro resistenza molto maggiore a quella delle argille liguriane. In complesso poi risulta anche assai nettamente che le lenti ofiolitiche del Liguriano dei colli Torino-Valenza stratigrafica- mente sono abbastanza concordanti coll’andamento stratigrafico dell’eocene e quindi, probabilmente sono, od erano originaria- mente, interstratificati ai banchi liguriani. L’altra località, più ad Ovest, che presenta lenti ofiolitiche è la valle di Rio Freddo fra Albugnano, Marmorito e Cocconato. Quivi, in fondo alla valle presso l’alveo del rio trovasi dapprima, immediatamente a Sud del Molino di Rio”Freddo, allo sbocco di un torrentello confluente di destra, una lente, della lunghezza di pochi metri (tanto da parere quasi solo un ammasso di grossi massi erratici) di una roccia diabasica, a struttura spesso brec- ciosa, in generale profondamente alterata (Gabbro) e quindi di color rosso-vinato, come già si osservò per le ofioliti di Vol- pedo. Duecento metri circa più a Sud si incontra una seconda piccolissima lente ofiolitica rappresentata pure specialmente da Diabase alterata a struttura brecciosa, ma quivi, meglio che nello spuntone sovraccennato, osservasi talora la massa diabasica passare ad una roccia ofiolitica. Infine, circa 700 metri a Sud del Molino di Rio Freddo, pure presso l’alveo del rio, si osserva un terzo (anch’esso piccolis- simo) affioramento di Diabase, abbastanza compatta nello as- sieme, a frattura concoide, ma talmente alterata da esser riga- bile coll’unghia come se fosse pietra ollare; vi si trovano spesso TO Le e PR i, [91] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 379 inglobati cristalli di Crisotilo e la roccia passa talora anche a vera Serpentina; questa lente diabasica viene coperta verso Ovest da una specie d’arenaria serpentinosa passante superior- mente ad un’arenaria quarzoso-calcarea, a fini elementi, di color grigio rosso, alquanto fogliettata, molto dura, che si può para- gonare assai bene al vero Macigno eocenico. Noto infine che nella parte superiore del Liguriano nelle col- line di Lauriano-Brozolo, specialmente tra Val Mezzana e Val Monteu, osservai blocchi di un granito roseo, breccioso, che, quantunque non in posto, dubito fosse interstratificato nelle argille scagliose. Secondo l’Issel vi sarebbero pure formazioni asiolitiche ligu- riane presso Rivara Canavese. Riassumendo le osservazioni esposte in questo capitolo pos- siamo dunque dire come nella regione in esame, oltre alle for- mazioni ofiolitiche che (quantunque alle falde delle Alpi Ma- rittime e dell’ Appennino settentrionale trovinsi in contatto diretto coi terreni terziarî) sono da considerarsi assolutamente come preterziarie, sonvene eziandio di quelle ascrivibili vera- mente al terziario e più precisamente alla parte medio infe- riore del Liguriano, senza che però si possa accertare se tutte appartengano ad un dipresso, ad uno stesso pn, oppure ad orizzonti diversi del Liguriano. Le formazioni ofiolitiche terziarie del bacino piemontese sono rappresentate da veri banchi o da lenti regolari di Serpentina nettamente interstratificata agli argilloschisti talcosi del Ligu- riano, come presso Voltaggio, oppure da lenti per lo più irre- golari di Serpentina o di Diabase (spesso profondamente alte- rate o Gabbro), emergenti per erosione fra le argille scagliose liguriane, come nelle colline di Volpedo e di Torino-Valenza. In complesso possiamo osservare che la semielisse risultante dalla riunione ideale delle quattro regioni ofiolitiche del bacino terziario del Piemonte, accompagna abbastanza bene 1’ anda- mento statigrafico del Liguriano di questo bacino. 380 F. SACCO, [92] CAPITOLO IV. GASSINIANO (BARTONIANO ?) Studi anteriori. Siccome i terreni che rappresentano questo orizzonte geolo- gico sono pochissimo estesi in l’iemonte, anzi finora se ne co- “nosceva un solo affioramento, quello di Gassino presso Torino, così pochi sono gli autori che se ne ebbero ad occupare; è tuttavia notevole come tra questi pochi divergentissime fossero le opinioni, giacchè mentre il Collegno, che primo studiò accu- ratamente questa formazione, ed il Portis, che ne ebbe ultima- mente a trattare, la considerano come eocenica, in generale invece dagli altri geologi, come Mayer, Sismonda, Fuchs, ecc., venne “creduta appartenere al Miocene. Considerazioni preliminari. Allorchè alcuni anni or sono intrapresi lo studio delle colline torinesi, esaminando. la zona calcarifera di Gassino, per la sua facies e per la sua ricchissima e tipica fauna, non dubitai di porla nel piano Bartoniano, piano che da tutti i geologi si ri- tenne finora inferiore alle argille scagliose, al Fysch, ecc., cioè al piano Liguriano. Ma proseguendo gli studii geologici dalle colline torinesi verso Est ebbi gradatamente a constatare i seguenti fatti, che esàmineremo particolarmente in seguito: 1.° In molti punti gli strati colla fauna di Gassino, cioè colla tipica fauna bartoriana, si vedono star sopra alle argille scagliose, al 7ysch ed agli altri depositi tipici del Liguriano, senza che vi sì possa assoluta- mente supporre un rovesciamento stratigrafico. 2.° Mai ebbi ad osservare i depositi del Liguriano sopra quelli del Bartoniano. - {98] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. ‘881 ‘3.0 In diversi punti ho potuto verificare banchi di ciottoli di Calcare alberese, di Flysch e di Macigno liguriani frammezzo alle marne zeppe di fossili della tipica fauna bdbartoniana. 4.° Per regioni estesissime osservai il Bartoniano superiore passare in modo graduatissimo, paleontologicamente e litologicamente, al Tongriano inferiore, mentre il Bartoniano inferiore forma pure talora una transizione insensibilissima al Liguriano superiore. 5.0 Nei conglomerati fongriani che giacciono sopra alla forma- zione dartoniana non incontrai mai un ciottolo di calcare bdar- toniano (orizzonte che doveva essere ancora sottomare durante «l’epoca tongriana) mentre vi abbondano i ciottoli di Calcare alberese, di Macigno, ecc., cioè del Liguriano allora già emerso «in parte. 6.° La fauna della formazione darfoniana, se in mas- «sima parte ha carattere eocenico, presenta però eziandio molti ‘punti di somiglianza con quella oligocenica. Da questi principali fatti che potei constatare de visu, io de- duco che in Piemonte, come d’altronde, io credo, anche altrove ‘ in generale, ciò che si è convenuto chiamar Bartoniano sta sopra ‘a ciò che appellasi Liguriano e non sotto ad esso come si ri- tenne finora. Siccome però sono per ora ancora poco sicuri i parallellismi tra i depositi di regioni molto lontane, e non sono certo che la formazione in questione (a Nummuliti, Orbitoidi, ecc.), sia per- fettamente sincrona col Bartonthon d’Inghilterra o col Wemme- Ciano del Belgio e siccome forse altri non vorrà mantenere, per depositi superiori al cosidetto Liguriano, il nome di Bartoniano ‘ che si era sinora soliti porre sotto detto Liguriano, così provvi- soriamente mi trovo obbligato a dare ai depositi sovraccennati ‘di Gassino, ecc. un nome speciale, Gassiniano. Ma per non ingenerare, con nomi nuovi, una certa confusione / nel lettore, continuerò ad usare l'appellativo di Barfoniano, finchè sia. posto in chiaro se questi diversi orizzonti, il Barto- niano, il Wemmeliano ed il Gassiniano siano sincroni, come inclinerei a eredere, oppure se non lo sono. In conclusione il Gassiniano, paragonabile molto bene a parte ‘382 F. SACCO, [94] dei famosi depositi italiani di Priabona, di Buttrio, di Bren- dola ecc., sta alla sommità dell’Eocene, tra il Tongriano ed il Liguriano. Generalità. Due principali sono le facies con cui si presenta l’orizzonte bartoniano in Piemonte e le ebbi ambidue a constatare in quasi tutte le località dove questo terreno viene a giorno, cioè una facies di marne grigiastre facilmente frammentabili e smottabili e, più raramente, una facies di calcari più o meno arenacei,. biancastri, resistenti. Generalmente gli strati marnosi si alternano ripetutamente coi banchi calcarei e, quantunque nel complesso si possano di- stinguere assai bene gli uni dagli altri, all'esame minato però presentano quasi sempre tra Ci loro un passaggio graduale, os- servandosi sovente che i grumi calcarei, dapprima solo sparsi fra le marne, divengono sempre più frequenti in una data di- rezione, finchè passano a costituire veri banchi di calcare, con poca marna interposta a straterelli o ad accentramenti irre- golari. Spesso sia la marna che i calcari sono commisti a materiali sabbioso-marnosi. Talora poi, specialmente verso la parte supe- riore del Bartoniano, appaiono dei veri banchi arenacei passanti anche a ghiaie, spesso fortemente cementate dagl’inclusi calcari organici; questi strati sabbiosi sono dei veri depositi di litto- rale, ciò che è dimostrato non solo dai fossili che contengono ma anche da un gran numero d’impronte organiche (specialmente di fucoidi) ed inorganiche svariatissime che osservansi sulla loro superficie, impronte che sappiamo caratterizzare appunto i bassi fondi marini. Talvolta si osservano anche fra le marne sottili banchi ciottolosi, per lo più zeppi in Nummulitidee. Talora i banchi marnoso-arenacei sono leggermente nerastri; in basso diventano per lo più rossastri o bleuastrij; comunemente fra le marne grigie o grigio-bluastre osservansi in ogni senso vene o straterelli di calcare spatizzato a struttura fibrosa. [95] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 383 Caratteri paleontologici. Lasciando alla parte III di questo lavoro l’enumerazione delle forme fossili raccolte nei terreni bartoniani ma che però sgrazia- tamente sono ancora in gran parte da determinarsi, indicherò qui solo i fossili più caratteristici che vi si incontrano e che servirono tanto efficacemente a determinare la vera e tanto con- trastata posizione stratigrafica di questi depositi. Senza tener conto delle numerose Carpoliti, degli abbondanti Lithothammum e Zoophycos e degli altri resti vegetali riscon- trati nel Bartoniano di Gassino, sono importanti a notarsi fra i Foraminiferi l’Orbditoides stellata, VO. radians, VO. papyracea, lO. priabonensis, VO. stella, ecc., la Nummulites complanata, la N. Tchihatcheffi, la N. Boucheri, la N. Guettardi, la N. va- riolaria, la N. Roualti, la N. biarritzensis, la N. lucasana, la N. Saccoi, ecc.; fra gli Antozoi le Dasyphyllia, ecc.; fra i Cri- noidei il Conocrinus Suessi; fra gli Echinodermi i numerosi Echinanthus ed Echinolampas; fra i Vermi la Serpula spirulea ; fra i Brachiopodi le R/ynehonella; fra i Molluschi l’ Ostraea gigantea; fra i Vertebrati numerosi denti di Carcharodon, 0xy- rhina, Lammna, ecc. Lo stato di conservazione dei fossili è molto vario a seconda della località e della natura litologica dei banchi in cui essi sono compresi ; i fossili meglio conservati sono quelli che tro- vansi sciolti fra le marne frammentarie, quando però essi non vi sono ridotti quasi solo più allo stato di semplice impronta, come per lo più si verifica pei resti vegetali; talvolta i fossili sono alquanto schiacciati come talora si riscontra in alcuni Molluschi. Assai ben conservati sono generalmente i fossili racchiusi nei banchi calcarei, ma, oltre ad essere in tal caso difficili ad iso- lare, occorrono spesso lunghi e faticosi lavori di ricerca per rintracciarli; ciò dicasi specialmente per i denti di pesce e gli Echinodermi, giacchè invece le Nummuliti, le Orbitoidi ed i Li- thothamnium sono i fossili che direttamente o indirettamente ‘384 È F. ‘SACCO, [96] costituiscono la massima parte del materiale calcareo e possonsi quasi ovunque osservare in sezioni svariatissime. In certi letti arenacei o marnosi si possono eziandio rintrac- ciare i Lithothamnium facilmente liberabili dal materiale avvol- gente ed uniti a resti di Molluschi e di Crostacei di littorale. Noto infine che la lista dei fossili bartoniani che ho indicato nella parte III di questo lavoro è certamente molto incompleta, ‘non solo a causa del trovarsi continuamente dei nuovi fossili, ciò che si verifica per tutti i terreni, ma specialmente perchè anche i fossili che si posseggono furono imperfettamente studiati, di modo che, soltanto per dare un’ idea complessiva di tale fauna, ho dovuto indicarne alcuni con determinazione solo approssima- tiva ed altri colla sola base delle citazioni fatte dagli autori che mi precedettero, in attesa e colla speranza di un lavoro paleontologico speciale. Distribuzione geografica. Il Bartoniano nel bacino terziario del Piemonte appare in diversi punti delle colline tortonesi e di quelle di Torino-Casale, ‘ ma occupa quasi sempre delle aree piuttosto allungate ma assai limitate in larghezza. Nei colli tortonesi vediamo comparire lembi bartoniani a Merlazzina, S. Giorgio, Giarella, ecc. Nei colli Torino-Casale il più orientale affioramento di questo interessante terreno trovasi presso la borgata Raviara, a Nord- Ovest di Ottiglio, e lo descriverò quindi d’or innanzi col nome di quest’ultimo paese. Il secondo spuntone di Bartoniano osservasi in Valle Stura e . sporge a destra e sinistra del torrente tra la borgata Cortenova cd il paese di Montalero il cui nome ci servirà quindi per indi- care questo lembo di terreno eocenico. Un'ampia zona dartoniana esiste tra Oddalengo grande e Bro- zolo, costituendo gran parte delle colline delle borgate S. An- tonio nuovo e vecchio; si sviluppa poi estesissimamente attorno alle ampie aree liguriane di Verrua Savoia, Brozolo, Brusasco, Monteu, Piazzo e Lauriano. 197] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 385 Una stretta zona vedesi pure sovrapporsi al Liguriano di Marmorito-Cocconato. Un piccolo spuntone di questo terreno osservasi ancora allo sbocco di Val S. Genesio nelle colline a Sud di Chivasso. Finalmente il più occidentale ed anche il più fossilifero affio- ramento di Bartoniano che trovasi poco lungi da Torino nella valle di Bardassano e nella valle Maggiore di Gassino è già da lungo tempo conosciuto sotto il nome di quest'ultimo paese. Tettonica. I banchi dartoniani di Merlazzina pendono di 30° a 40° verso Ovest circa; quelli di S. Giorgio-Casasco inclinano invece a Nord, mentre le marne contemporanee di Giarella pendono di circa 50° verso il Sud ad un dipresso. Il Bartoniano di Ottiglio, quantunque, per essere in gran parte costituito di marne a stratificazione poco evidente sia difficile a studiarsi sotto il ri- spetto della tettonica, tuttavia dall'andamento e dalla direzione dei suoi banchi calcarei esso pare essere costituito di strati quasi verticali con direzione abbastanza regolare da Nord-Ovest e Sud-Est circa, ciò che d’altronde concorda assai bene con quello che osservasi nei circostanti terreni oligocenici. Ancor più difficile è il determinare la stratigrafia del Barto- niano di Montalero, la quale si può tuttavia approssimativamente dedurre dall’allineamento degli affioramenti calcarei, oltre che . dalla tettonica dei banchi oligocenici che appoggiansi più o meno direttamente su questo terreno eocenico; orbene da tali osser- vazioni risulta essere i banchi dartoniani piuttosto fortemente sollevati e diretti ad un dipresso da Nord a Sud. Gli strati dartoniani dell’affioramento di S. Antonio sono in parte fortemente drizzati e diretti ad un dipresso da Est ad ‘Ovest, come nelle colline a Nord di S. Antonio nuovo, ed in ‘parte invece poco inclinati come nell’alta valle della Marca ed in Val d’Aime presso C. Nuova. Nella grande zona bartoniana di Verrua, Brozolo, Lavriano, 386 F. SACCO, [98] come in quella piccola di Marmorito, i banchi sono per lo più . fortemente sollevati, anche portati alla verticale in qualche caso, ma conservano in generale un andamento assai regolare e con- cordante con quello degli orizzonti fra cui sono inclusi, spe- cialmente col T'ongriano. I banchi del Bartoniano di Val S. Genesio sono per lo più drizzati quasi alla verticale e diretti in complesso da Est ad Ovest, quantunque con forti varianti. Relativamente più facile è l’esame stratigrafico del Bartoniano di Gassino, giacchè, facendo astrazione dalle perturbazioni lo- cali, che possonsi osservare assai bene negli scavi profondi fatti per l’estrazione del Calcare, in complesso si vede che gli strati sono assai regolarmente, quantunque per lo più fortissimamente, sollevati od anche verticali, ma che alle due estremità opposte del loro elissoide di affioramento l’ inclinazione degli strati’ è meno potente, specialmente dal lato occidentale. Quanto alla direzione dei banchi essa è in generale quella stessa che presenta l’allungatissima e stretta loro area di affio- ramento, cioè da Nord-Est a Sud-Ovest circa, solo che alle due estremità tale direzione pare modificarsi alquanto e gli strati tendono a costituire una curva che accompagna precisamente l’ellissoide di sollevamento ; infine quanto alla inclinazione si può dire che in complesso, tirando una linea mediana attraverso l’asse maggiore dell’area dartoniana di Gassino, i banchi a Sud di questa linea pendono verso Sud-Est, mentre quelli del lato opposto pendono a Nord-Ovest, però con molte alterazioni locali. Riassumendo quindi possiamo dire che mentre per osserva- zioni troppo localizzate parve generalmente ai geologi contur- batissima la tettonica del Bartoniano di Gassino, osservata in complesso in questa regione, come in tutto il resto del Pie- monte, essa è invece di una regolarità quasi perfetta. Le località presso Gassino dove più chiaramente si può os- servare l’andamento stratigrafico dei banchi bdarfoniani sono: l'alveo del torrente Maggiore di Bardassano, i dintorni delle cave di Gassino, ma specialmente tutta la porzione più orien- [99] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 387 tale dell’affioramento in esame, dalla valle Maggiore di Gassino a C. Laurente, poichè quivi i duri banchi arenaceo-calcari messi bene allo scoperto dalle erosioni ci mostrano stupendamente la loro regolare direzione ed inclinazione. Potenza. Essendo pochi e poco estesi gli affioramenti bdartoniani del Piemonte, è difficile indicare la potenza massima di questo oriz- zonte. Per quanto però si può osservare nelle colline di S. An- tonio-Lauriano e presso Gassino, dove è completa 1’ emersione del Bartoniano, io credo che si possa considerare il suo massimo spessore come di circa 250 metri. Altimetria. Affiorando i lembi dartoniani solo nelle colline. tortonesi e nelle colline Torino-Casale e non lungo le falde alpine, essi non possono raggiungere elevazioni molto notevoli, tanto più poi a causa della loro piccola area di emersione e per essere soggia- centi a quasi tutti gli altri terreni terziarî. Le marne dartoniane di Merlazzina sono portate sino a 600 metri circa d’elevazione; assai più basse sono le altre zone di questo orizzonte; lo spuntone dartoriano di Ottiglio si solleva solo a 285 metri presso C. Spinosa alta, quello di Montalero raggiunge appena, presso questo paese, 250 m.; la zona bdarto- nmiana delle colline S. Antonio-Lauriano elevasi raramente sopra ai 400 metri, come a borgata Valeisa; quella poi di Gassino arriva sino a 425 metri presso C. Caviglione, sulla destra della valle Maggiore di Gassino, a 415 metri presso C. Battaina sulla sinistra dell’indicato colle, ed a circa 400 metri a Sud della Cappella della Trinità. 388 F. SACCO, [100] Rapporto coì terreni sotto e soprastanti. Come si è già fatto osservare, mentre finora si credette che il Bartoniano stesse sotto al Liguriano, i rapporti chiarissimi che veggonsi in Piemonte mi indussero invece a portarlo sopra al detto piano. In alcuni punti dei colli tortonesi, specialmente presso la borgata Merlazzina, si vede abbastanza bene il pas- saggio tra il Bartoniano ed i terreni fra cui è incluso, presen- tandosi la seguente serie : Tongriano —— Arenarie e conglomerati in banchi potentis- simi con interstrati marnosi; Banchi arenaceo-marnosi con strato calcareo Sestiano a Lithothamnium, Nummulites vasca, N. Boucheri, ecc. Argille marnose brune, violacescenti, con straterelli calcarei Bartoniano Marne grigio-verdastre, smottabili Alternanza di banchi marnosi ed arenaceo- sabbiosi, grigio-verdicci Liguriano — Argille scagliose nerastre con calcare albe- rese e Macigno. Ma mentre qui pare che vi sia ancora un po’ di hyatus tra il Bartoniano ed il Liguriano, nelle colline torinesi si può in molti punti osservare fra essi un passaggio graduatissimo per mezzo di marne argillose grigio-bleuastre, violacescenti, oppure verdastre o di color rossiccio, includenti già spesso lenti o stra- terelli di calcare alberese o di arenaria, per modo che sovente riesce difficile il decidere se tali banchi, talora con puddinghe nummulitifere, sono da attribuirsi all’uno piuttosto che all’altro orizzonte geologico. Questi fenomeni si possono esaminare bene nelle colline di Cortiglione-Brozolo, ma specialmente poi nei val- loni di S. Fede, di Monteu da Po e di Lauriano, dove sì Osserva da p [101] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 389 spesso stupendamente la transizione insensibile da un orizzonte all’altro. Quanto ai rapporti della formazione bdarfoniana coi terreni sovrastanti essi sono assai diversi secondo le varie località in cui tale terreno viene a giorno. Nelle colline torinesi, là dove appare per breve tratto, il Bar- toniano è abbastanza concordante statigraficamente coi sovra- stanti terreni sestiani o tongriani, passando gradatamente ai primi ed invece essendo diviso dai secondi per un piccolo hyatus. Mentre nelle colline casalesi gli affioramenti dartoniani, pur concordando abbastanza coi depositi oligocenici superiori, ne sono separati generalmente per mezzo di una lacuna più o meno no- tevole, invece nelle colline da Oddalengo grande a Lauriano e nella parte occidentale dell’ affioramento di Gassino vi è ge- neralmente un passaggio graduatissimo, sia paleontologico che litologico, al Tongriano, per mezzo di banchi intermedi marnoso- arenacei ed anche talora ghiaioso-conglomeratici che si possono inglobare nel piano Sestiano, Località fossilifere. Mentre le zone bartoniane del tortonese offrono solo pochi resti fossili ben conservati, tutti gli affioramenti darfoniani dei colli Torino-Casale presentano numerosi fossili; credo però opportuno di indicare precisamente dove essi sono più abbon- danti affine di facilitare le future ricerche a questo scopo. Nel Bartoniano di Ottiglio si raccolgono numerose Nummu- liti, Orbitoidi, Zoantari, steli di Eucrinoidei, resti di Cidaris, Ostriche (0. gigantea), Pecten, Litotamnii, ecc. liberamente sciolti nelle marne frammentarie grigie sotto la borgata Raviara, verso il fondo della valletta; invece tali fossili con numerosissimi Li- thothamnium incontransi per lo più cementati nei calcari arena- ceo-marnosi delle vicinanze di C. Spinosa alta, particolarmente. nel piccolo rilievo che esiste a Nord di questa Cascina; è però specialmente in quest’ ultima località che si può fare una rac- 390 F. SACCO, [102] colta paleontologica molto abbondante poichè, per la disaggrega- zione della marna calcarea, i fossili si trovano sparsi quasi ovun- que sul terreno. Più rari invece sono i resti fossili fra le marne della valletta di Cascina del Gallo. Ritroviamo poi ancora la continuazione di questa stretta zona bdartoniana (lunga oltre 2 chilom.) sino in val Colobrio poco lungi dalla C. Quartera, dove è specialmente rappresentata da marne grigie friabili, con po- chi straterelli calcarei fossiliferi; il tutto è sollevato quasi alla verticale e solo in alcuni punti vedesi leggermente inclinato a Sud-Ovest. Nella lente dartoniana di Montalero sotto i casali Cortenova trovansi sparsi fra le marne grigie lenti calcaree irregolari co- stituite in gran parte di Lithothamnium e di Nummulitidee, che talora rinvengonsi pure isolate; invece sul fianco sinistro di Val Stura all’estremità più occidentale dell’affioramento fin quasi sotto il paese di Montalero si osserva una marna grigiastra zeppa di grumuli calcarei molto irregolari e di numerosissimi fossili, specialmente nummulitoidei, che facilmente si liberano dalla marna avvolgente. Nell’ampia zona dartoniana di S. Antonio, oltre ai soliti stra- terelli calcarei riccamente fossiliferi, si possono fare abbondanti raccolte di fossili liberi specialmente nell’ alto delle colline a Nord di S. Antonio nuovo e qua e là al fondo del vallone della Marca sotto Vallarolo, nonchè negli scoscendimenti di C. Nuova ed ovunque si incontrano banchi fossiliferi poveri in calcare e da lungo tempo esposti agli agenti atmosferici. Più ad Ovest, è specialmente nell’alta Val Caservalle tra borgata Valeisa ed il Bric Pollone che potei far raccolta di una gran quantità di Nummuliti, Orbitoidi, ecc., perfettamente liberi e ben conservati; si trovano pure altre località fossilifere tra Brozolo e Lauriano, spesso con grossi Zoophycos, come presso C. Molina in Val Trincavenna. Zeppo di fossili è l’affio- ramento dartoniano di Val S. Genesio. L’affioramento bdartoniano di Gassino, sia perchè molto più esteso degli altri due, sia perchè da lungo tempo conosciuto e [103] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 391 studiato, presentò finora un molto maggior numero di fossili tanto animali quanto vegetali. I resti vegetali si raccolsero specialmente nelle marne alter- nate coi calcari tra Villa Aprile e Cresta Battaina; i denti di Pesce si trovarono pure in massima parte in questa stessa loca- lità, ma specialmente nei banchi calcarei; gli Zoantari rinven- gonsi sia sciolti che inglobati nei calcari, specialmente all’estre- mità orientale dell’ affioramento. I resti di Molluschi, non molto abbondanti, stanno per lo più nelle marne quasi ovunque, ma sono di rado ben conservati; le Terebratule rinvengonsi abbondantissime in certi banchi mar- nosi alternati coi calcari di Villa Aprile e, assieme a resti di Pesce ed a impronte di Zoophycos, sono pure comuni dentro a marne:grigiastre presso Villa Donaudi, come anche presso Tetti Ballo a Sud-Est di Bussolino. Le Nummuliti e le Orbitoidi, abbondantissime assieme ai Le- thothamnium nei banchi calcarei, ma in questo caso difficilmente estraibili, si possono avere invece in buone condizioni di con- servazione specialmente dai banchi marnosi e marnoso-arenacei delle vicinanze di C. Defilippi; è specialmente in questa loca- lità che si rinvennero resti di Nummulites complanata di grandi dimensioni assieme alla Serpula spirulea; ancora nelle cave esi- stenti dietro questa cascina osservansi dei banchi marnosi grigi la cui superficie è completamente ricoperta di impronte assai belle di Zoophycos. Descrizione geologica regionale. Nelle colline tortonesi la zona dartoniana, che appare presso Merlazzina e si prolunga verso Nord, è essenzialmente costituita di marne grigio-verdastre alternate con banchi arenacei, per modo che nell’assieme essa presenta una facies che la ravvicina alquanto al Tongriano; i suoi banchi inclinano di 30° a 40° verso l’Ovest e poi, più a Nord, verso il Nord-Ovest. Rimangono ancora alcuni dubbi sulla zona marnoso-arenacea di Brignano- Vol. XXXI. 26 392 F. SACCO, [104] Pallanzona che attribuii già al Zongriano, ma che invece è cer- tamente eocenica, cioè o liguriana o Dartoniana; ma questa incertezza è prodotta dal fatto che la facies liguriana si estende più o meno in alto verso il Tongriano a seconda delle varie re- gioni. Le marne grigio-verdiccie di S. Giorgio-Casasco sono forse anche attribuibili al Bartoniano come quelle di Merlazzina, sop- portando pure una potente zona di marne violacescenti. Ancora in Val Curone notiamo l’affioramento di marne grigio-verdastre farinose presso borgata Giarella; esse hanno quivi poca potenza e pendono fortemente a Sud. Nelle colline Torino-Casale il piccolo ed irregolare spuntone bartoniano di Ottiglio, della larghezza di circa mezzo chilometro al più per due chilometri circa di massimo sviluppo, si presenta essenzialmente costituito di marne dure, frammentarie, grigiastre, a frattura piuttosto concoide (che veggonsi specialmente verso il fondo della valletta sotto la borgata Raviara) e di lenti cal- caree irregolari racchiuse nelle sopradette marne; lenti le quali cominciano ad apparire sul lato destro della valletta di Raviara, ma che divengono poi assai potenti sul suo lato sinistro tanto da formare degli spuntoni sporgenti fra le circostanti marne, costituendo poscia il rilievo a Nord di C. Spinosa alta. Verso la valle di C. Spinosa bassa, specialmente nelle vallette a Sud di C. Boscogrande, veggonsi delle marne grigie frammen- tarie che debbonsi ancora attribuire al Bartoniano; da’ altron- de questo affioramento bartoniano per quanto stretto si vede prolungarsi sino alla Val Colobrio presso C. Quartero colle solite marne farinose ed i soliti sottili banchi calcarei zeppi di fossili. Anche l’affioramento bartorniano di Montalero, come quello di Ottiglio, consta di marne frammentarie grigie e di calcari giallo- biancastri i quali sono ben evidenti specialmente alle due estre- mità dell’affioramento, mentre invece presso la Cascinetta e nelle vicinanze della Casa Comunale veggonsi assai sviluppate le marne che come di solito danno origine a scoscendimenti ri- cordando alquanto quelli delle argille scagliose liguriane. Nel =» 105] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 393 mezzo della valle non si può vedere affatto il Barfoniano per- chè completamente coperto dalle alluvioni della Stura. Le lenti calcaree che appaiono presso Cortenova hanno preci- samente l’aspetto di quelle che veggonsi nel Bartoniano di Gas- sino, cioè sono assai compatte, mentre quelle delle vicinanze di Montalero hanno una facies concrezionata affatto speciale; inol- tre sono alquanto arenacee e spesso ridotte solo più a grumi sparsi nelle marne e sempre zeppi di Orbitoidi, Litotamni ed altri fossili. In complesso lo spuntone bdartoniano di Montalero ha uno svi- luppo longitudinale di oltre un chilometro per un diametro tra- sversale massimo di circa 250 metri. Alle falde settentrionali delle colline di Rocca delle Donne- Brusaschetto, sulla destra del Po, veggonsi comparire, tra il Li- guriano ed i terreni oligocenici, potenti banchi marnosi grigiastri o grigio-verdicci, affatto simili a quelli bartoniani delle colline vicine; quantunque finora non abbia ancor potuto quivi racco- gliere dei fossili tipici, tuttavia per la posizione e per la fucies credo dover attribuire le marne frammentarie sovraccennate al Bartoniano che costituirebbe qui un affioramento di circa un chilometro di sviluppo, e rappresenterebbe il termine, ad Est, dell'importante zona bdarfoniana che passeremo ora ad esaminare. Nelle colline a Nord-Est di Oddalengo grande, a cominciare da Val Falsina (alta V. S. Liberata), appare la formazione dar- toniana, continuazione del vicino affioramento di Montalero; come di solito essa è costituita essenzialmente di banchi marnosi gri- gio-giallastri, spesso alternati con strati arenaceo-calcarei molto fossiliferi, ed inglobanti pure, nella parte superiore, qualche lente ghiaiosa; anzi sono appunto questi straterelli ghiaioso-ciottolosi, accompagnati sovente da banchi sabbiosi, che rappresentandoci il Sestiano formano il passaggio al Tongriano, con cui quindi la formazione dartoniana è generalmente assai concordante. Nel rilievo collinoso quotato m. 363 (a N. O. di Oddalengo) i banchi bartoniani sono per lo più fortemente sollevati, con di- rezione ad un dipresso Est-Ovest; invece più verso occidente 394 F. SACCO, [106] essi assumono gradatamente un’inclinazione piuttosto dolce (cioè di 30° a 10° ed anche meno) generalmente verso il Nord, ap- poggiandosi sulla zona liguriana (in gran parte però mascherata) di Cortiglione-Vagiardi; a contatto del Liguriano di Vagiardi, che continuasi sotto l’oligocene sino ad apparire in Val Bosco, la zona bartoniana, ridotta ad una sottilissima striscia sotto il paese di S. Antonio nuovo, presenta i suoi banchi arenaceo- calcarei fortissimamente sollevati. In queste regioni possonsi raccogliere abbondanti fossili darftoniani specialmente nei banchi marnoso-calcarei del Bric 363 e dell’alta Valle della Marca, ed in generale quasi ovunque là dove il materiale cementante degli strati calcarei si va disaggregando; inoltre in queste re- gioni si possono osservare i graduatissimi passaggi tra Bar- toniano e Tongriano, sia nell’alta Val d’Arne, sulla destra, sia in più punti di Val della Marca; meno graduale è invece la transizione al Liguriano. Verso Ovest la formazione dartoniana si sdoppia allargandosi; la zona settentrionale, prevalentemente marnosa, grigiastra o bleuastra verso la base, talora ricchissima in Orbitoidi, Num- muliti, ecc. (come nell’alta Val Caservalle, sotto Bric Pollone), si volge gradatamente ad arco regolare verso le colline di Verrua tra il Liguriano ed il Tongriano, a cui passa gradatamente, fin- chè coi suoi banchi piuttosto fortemente inclinati, va a scom- parire sotto le alluvioni del Po (se pure non sono in parte dar- toniane le marne eoceniche affioranti sulla sinistra del Po), per ricomparire solo molto più ad Est presso Brusaschetto; invece la zona meridionale, assai più irregolare, essenzialmente mar- nosa si sviluppa nelle colline di Brozolo; talora si presenta quasi in tasche, entro le pieghe del Liguriano, come in Val Vardesa. Ad Ovest di Val Trincavenna la formazione dartoniana, spe- cialmente regolare e bene sviluppata lungo il margine setten- trionale dell’affioramento liguriano, è come di solito in gran parte costituita di marne grigio-verdastre, scagliose, franose, alternate con straterelli arenacei; l’ andamento stratigrafico è [107] BACINO TERZIARIO DEL PIEMONTE. 395 complessivamente da Ovest ad Est, con pendenza di 60° ad 80° verso il Nord. È notevole che da borgate Praje a Marcorengo si sviluppano pure in questo orizzonte potenti banchi arenacei fortemente inclinati a Nord-Nord-Ovest. Per lo più i banchi ba- - sali del Bartoniano sono rossastri, talora con arenarie nummu- litifere, e fanno spesso passaggio insensibile al Liguriano, come sì osserva specialmente da borgata Majalis a Lauriano; vi si tro- vano pure qua e là fossili diversi, anche Zoophycos. Da Lauriano la zona dartoniana, seguendo l’ andamento del sottostante Liguriano, si ripiega verso Sud, finchè dopo qual- che interruzione scompare definitivamente sotto 1’ Aquitaniano presso borgata Pareglio. Lungo questo percorso non riesce sem- pre facile il distinguere l’orizzonte Dartoniano da quello Se- stiano a cui fa graduale passaggio per alternanze di banchi arenacei e marnosi inglobanti pure fossili di transizione, come ad esempio si verifica nei letti sabbioso-arenacei, e talora anche calcarei pseudo-alberesi, presso C. Gruppetto, dove si raccolgono numerose Nummuliti ed Orbitoidi. La continuazione di questa zona bdartoniana riscontrasi ad Ovest nel vallone di S. Genesio; quivi essa, pur sviluppandosi per oltre un chilometro, è limitata al fondo della Valle e pre- senta quasi ovunque abbondantissimi fossili, specialmente Litho- thamnium, Pentacrinus, Pecten, Conocrinus, Orbitoides (0. stella O. stellata, ecc.), Nummulites (N. Roualti, N. Boucheri, N. striata, N. Fictheli var., N. Guettardi, N. Tchihatcheffi, ecc.), Opercu- lina, Robulina, Heterostegina, ecc. È notevole che nell'alta Val S. Genesio i banchi bdartoniani più fossiliferi, in com- plesso drizzati quasi alla verticale e diretti da Est-Nord-Est ad Ovest-Sud-Ovest, presentano sovente irregolari lenti ghiaiose e ciottolose, in parte ad elementi liguriani; vi si osservano pure locali disordini statigrafici, sorgenti sulfuree, ecc. I banchi dar- toniani di S. Genesio sono in rapporto sia con banchi sestiani, sia con banchi tongriani ed in parte anzi sono direttamente co- perti dall’ Aquitaniano. L'indicata zona bartoniana, diretta verso Ovest, dopo esser 396 F. SACCO, [108] rimasta sepolta per qualche chilometro dai terreni oligocenici e miocenici, ricompare a C. Laurente, costituendo poi il famoso affioramento di Gassino che esamineremo fra poco. Per l’affiorare dei terreni liguriani tra Cocconato e Marmo- rito vengono anche a giorno alcune aree di Bartoniano, che verso Sud è limitato ad una piccola striscia diretta da Est ad Ovest ad un dipresso, mentre dal lato settentrionale si sviluppa abbastanza ampiamente, sempre colla solita facies marnosa, fa- rinosa; esso si può osservare bene specialmente nel profondo vallone di borgata Canuto, dove fra i banchi marnosi, inclinati di circa 60° verso Nord-Ovest, compaiono ripetuti strati calcareo- arenacei zeppi di Lithothamnium, Nummulites, Orbitoides, ecc. In Val Roasio il Bartoniano costituisce in gran parte i val- loni di C. Roasio ed offre fossili, specialmente in certi strati arenaceo-calcari, allo sbocco di Val Foreste, sotto C. Goreia. Certi banchi arenaceo-ghiaiosi tra il Liguriano ed il Bartoniano sì presentano molto ricchi in Nummuliti, Assiline, Orbitoidi, ecc., così presso C. Curone, poco a Sud del molino di Braja, ecc. l’ra tutti gli affioramenti dartoniani del Piemonte l’unico fi- nora conosciuto fu quello di Gassino. Esso raggiunge appena uno sviluppo trasversale massimo di circa 500 metri; presenta però, secondo il suo asse maggiore, una lunghezza di quasi 6 chilo- metri. Nella sua estremità orientale, sotto la C. del Roc e Ja C. Laurente da un lato e da C. Laurente circa sin presso la C. Cavigliore dall'altro, nella parte più esterna dell’affioramento, veggonsi durissimi banchi arenaceo-ghiaiosi, fortemente sollevati ed alternati con strati marnosi frammentari; banchi che special- mente verso Nord presentano numerosi fossili ed inoltre offrono spesso alla loro superficie quelle svariatissime impronte d’ ori- gine organica ed inorganica che ci indicano un deposito forma- tosi a poca distanza dal littorale. È specialmente poco*sotto @ questi banchi arenacei che compaiono gli strati calcari. Verso C. Defilippi predominano i banchi marnosi, portati ta- lora quasi alla verticale, alternati con banchi calcarei (spesso zeppi di Orbitoidi, Litotamnii ed altri fossili) ora molto sottili 109] BACINO TERZIARIO DEL PIRMONTE. 397 ora abbastanza potenti, qua e là utilizzati, e dei quali alcuni sì spingono ad Est sin presso la C. Laurente; è specialmente in certi straterelli marnoso-sabbiosi vicino ai banchi calcarei che rinvengonsi numerosi fossili facili ad estrarsi completi. Sulla sinistra del rio Maggiore di Gassino rivediamo i banchi calcareo-arenacei alternati colle marne presso la C. Canta, e la C. Mela, ma specialmente divengono potenti a Sud di Villa Aprile, nella regione detta appunto Roc di Gassino, dove essi sono escavati su larga scala da tempo antichissimo. Più ad Ovest prendono un assoluto predominio i banchi mar- nosiì grigiastri, sempre fortemente sollevati, che si possono stu- diare minutamente in particolar modo nell’ alveo del torrente Maggiore di Bardassano nelle vicinanze di V. Donaudi: quivi si può osservare che colle marne grigie si alternano pure marne verde-rossiccie e straterelli sabbioso-marnosi nerastri; così pure marne argillose rossastre, che passano a quelle del Liguriano, ‘veggonsi presso C. Canta e presso C. Defilippi. Riassunto. Concludendo su ciò che si è esposto intorno all'orizzonte Gas- simano (Bartoniano 2) delle regioni in esame, possiamo dunque dire che in Piemonte questo piano appare in diversi punti nelle colline tortonesi, ma si sviluppa specialmente nelle colline To- rino-Valenza. Mentre finora furono molto discordi i pareri dei geologi sull’età dell'unico affioramento finora conosciuto, quello di Gassino, risulta nettamente ora che questo terreno appar- tiene certamente all’ Eocene superiore, probabilmente al piano Bartoniano, e sta sopra al Ylysch liguriano mentre finora si credette che il Bartoniano soggiacesse a tale orizzonte. L’esaminata formazione consta di banchi marnosi, arenacei e calcarei per lo più fortemente sollevati e abbastanza concor- danti nella direzione con quelli dei terreni soprastanti, da cui però sono talora separati per mezzo di una lacuna cronologica più o meno grande. 398 F. SACCO, BACINO TERZIARIO, ECC. [110] L’orizzonte ora studiato ha in Piemonte una potenza di al- meno 200 metri, si solleva a poco più di 600 metri ed è quasi ovunque molto ricco in fossili, specialmente Orbitoidi, Nummu- liti, Litotamnii, ecc. In parecchi punti si possono osservare pas- saggi graduatissimi tra la studiata formazione bartoniana ed il Liguriano in basso ed il Sestiano in alto. Filliti cretacee di Vernasso m Feluli i pe: SI RES Da SULLE FILLITI CRETACEE DI VERNASSO NEL FRIULI. Nota del Dott. Luigi Bozzi. \ Nella località di Vernasso in Provincia di Udine, fra Cividale e- S. Pietro al Natisone, è aperta nella montagna una cava di pietre calcari con uno spaccato di 10 metri circa di altezza, in cui si rinvennero bellissime impronte di vegetali fossili. Una bella col- lezione di queste filliti esiste nel Museo di Storia Naturale del- l’Istituto Tecnico di Udine, ed un buon numero le possiede il Prof. Pirona di quella città; ma tutte erano rimaste finora in- determinate. La località di Vernasso è segnata nella Carta Geo- grafica del Friuli, pubblicata dall’Il1. Prof. Taramelli, come appar- tenente all’ Eocene; recentemente però il Prof. Tommasi, docente di Storia Naturale presso quell’Istituto, avendovi intrapreso delle escursioni geologiche per studiarla nei suoi dettagli vi raccolse un discreto numero di conchiglie cretacee, che ora sta determi- nando, per cui sarebbe venuto nell’ opinione, appoggiata anche dal risultato dei rilievi stratigrafici da lui presi, doversi riferire il deposito delle calcaree di Vernasso all’età della Creta. IL prof. Tommasi difettando di mezzi per studiare, come voleva, anche le filliti, si rivolgeva a me inviandone molti esemplari al Gabinetto Geologico di Pavia, ove potei giungere alla deter- minazione di 5 specie vegetali, appartenenti alla Creta, lieto di aver potuto in tal modo confermare l’opinione del prof. Tom- masi circa l’età di quel deposito. 400 L. BOZZI, (2758 Dell’ Epoca della Creta vennero illustrate, come ognuno sa, splendide Flore specialmente dell’ Europa e del Nord-America anche delle latitudini più boreali! e coi rappresentanti persino di generi e famiglie che ora sono limitate alle regioni tropicali o subtropicali. Esse ci attestano l’esistenza in quell'epoca di grandi isole a clima piuttosto caldo ed uniforme sparse in mezzo al grande Oceano che copriva ancora quelle regioni. In Italia però finora le nostre conoscenze intorno ai vegetali della Creta sono molto povere, essendo limitate, per quanto mi consta, alle Fucoidi, e ciò dipende dal fatto che i terreni Cretacei che pure vi hanno, come in altre parti d’ Europa, un grande sviluppo, vi sono rappresentati in massima parte da calcari di mare profondo, mentre scarseggiano i depositi litoranei. La scoperta adunque di una Flora Cretacea, per quanto po- vera, in Italia, ha, io credo, non lieve interesse scientifico, ep- però in questa nota ho voluto dare una breve descrizione delle filliti di Vernasso, accompagnandola con una tavola in cui le impronte vennero gentilmente delineate in grandezza naturale dal mio amico prof. C. F. Parona. Le filliti trovansi in un calcare bituminoso ceruleo che alla pressione manda forte odore di pe- trolio; questo calcare sotto l’influenza degli agenti atmosferici si altera divenendo bianchiccio, quasi pulverulento alla superficie. Sequoja rigida Heer (Tav. VI°, fig. 1). Heer, Flora Fossilis Arctica. Vol. III, p. 80, 91, 102, 128, Tab. XXII, XXV, XXVII, XXXVII; Vol. VI, p. 1705200000 NIGNING Nol VIL: po ab LAI Riferisco a questa specie dell’Heer alcune belle impronte di rami di Conifera con foglie lunghe cent. 1-2, larghe millime— tri 1-2, rigide, lineari-lanceolate, molto acute, diritte, con una sola costola mediana, scorrenti sul ramo colla base allargata. 1 Herr, Die Kreide-Flora der Arctischen Zone. [3] SULLE FILLITI CRETACEE, ECC. 401 «In mezzo alle foglie stanno squame ovoidi-romboidali che non sono altro che cicatrici di foglie cadute. Osservo che la dispo- sizione delle foglie è a spirale; esse sono però dirette in due linee opposte in modo da far apparire quasi una disposizione distica. Devo notare ancora che questa specie presenta molte varietà di forme, come si può averne un’ idea scorrendo le Ta- vole della classica opera dell’ Heer. I rami di Vernasso per le squame onde sono coperti e per la forma e direzione delle fo- glie, rassomigliano alquanto al Cunminghamites squamosus, de- scritto dall’Heer, del Senoniano di Quedlinburg; questa specie però va distinta per aver foglie più larghe ed affatto piane, con leggera nervatura mediana e due costole marginali. La Sequoja rigida descritta dall’ Heer appartiene a tutti i piani del Cretaceo della Groenlandia, dai più antichi di Kome riferiti all’ Urgoniano ai più recenti di Patoot del Senoniano superiore, Fu trovata però anche nella Creta superiore del capo Staratschine in Siberia e nel Turoniano di Brandemberg nel Tirolo. Sequoja ambigua Heer (fig. 2). Heer, loc. cit. Vol. III, p. 78, Tab. XXI; Vol. VI, p. 17. Questa Conifera ha rami coperti interamente dalle foglie e loro cicatrici; queste sono ovali, quelle lanceolato-prismatiche, curvate a falce con punta diretta in dentro, scorrenti sul ramo, con sol- catura mediana, lunghe circa 3-6 mill., larghe 1-2. È somiglian- tissima alla Sequoja Reichembachii che, come si sa, è la pianta- guida dei terreni cretacei, e della quale si potrebbe quasi ritenere una varietà, giacchè ne differisce solo per avere le foglie un po’ più corte e più larghe. Mentre però la Sequoja Keichembach è comune a tutti i piani della Creta, di quasi tutti 1 paesi, la S. ambigua, non è citata, per quanto mi risulta, che nella Flora Arctica dell’Heer come appartenente alla Creta della Groenlandia, tanto negli strati Urgoniani di Kome che nei Cenomaniani di Atane. 402 L. BOZZI, [4} Sequoja concinna (fig. 3). Heer, loc. cit. ‘Vol. VII; *p:'13; Tab. UT, LIE EL Questa Sequoja va distinta fra le altre pe’ suoi rami suddi- videntisi in molte ramificazioni secondarie, con foglioline lanceo- lato-prismatiche, corte, leggermente falcate, munite di leggiera carena dorsale; le inferiori sono appressate e serrate sul ramo . e più corte, in alto si fanno più discoste, riunite di solito a due a due ed un po’ più lunghe e diritte; all’apice diventano di nuovo manifestamente falcate e corte. Anche questa specie varia nei suoi aspetti, massimamente per le dimensioni delle foglie. Le im- pronte trovate a Vernasso hanno foglie con una lunghezza di 2-4 mill., e una larghezza di 1-1 //,. Ha molta somiglianza colla S. Couttsiae del Miocene da cui differisce per aver foglioline più acute e un po’ più lunghe e distaccate dal ramo. Finora la Sequoja concinna era stata trovata soltanto negli strati del Senoniano di Patoot nella Groenlandia. Le Sequoje giganti Conifere della Famiglia delle Taxodieae, sono comparse nell’ Età della Creta con forme a foglie preva- lentemente prismatico-triangolari dall’ aspetto somigliante alla Sequoja gigantea ora vivente nella California e tali dovevano essere appunto la S. ambigua e la S. concinna. La forma pri- smatica delle foglie non è così ben marcata nella S. rigida, la quale invece doveva avere un portamento più somigliante a quello della S. sempervirens, che vive pure attualmente nella California. Cyparissidium gracile Heer (fig. 4). Heer, loc. cit. Vol. III, p. 74, Tab. XVI, XIX, XX, XXI; Vol. VI, p. 50; “Tab. VII, XXVIH:; Wol.' VII p. 12: Schimper, Traité de Paléontologie végétale. Vol. II, p. 330. [5] SULLE FILLITI CRETACEE, ECC. 403 A questa specie riferisco le impronte di rami lunghi, sottili, con ramificazioni secondarie distanti, diritte, partenti ad angolo acuto, coperte completamente da foglioline squamiformi, stret- tamente embriciate, ellittiche, ottusette, diritte, senza costola mediana, lunghe circa mill. 3, larghe 1-1 ‘/,. Al genere Cyparissidium ora spento appartenevano piante conifere che per forma e disposizione delle foglie e dei rami dovevano avere il portamento delle viventi Widdringtonie. Il C. gracile è comune a tutti i piani del Cretaceo della Groenlandia, e recentemente fu trovato anche nel Turoniano di Bagnol, nel Sud della Francia. Arundo Groenlandica Heer (fig. 5, 5). Heer, loc. cit. Vol. III, p. 104, Tab. XXVIII; Vol. VII, p. 18, Tab. LIV. Nei calcari di Vernasso trovansi molte impronte di questa specie, ma tutte incomplete e male conservate ; le migliori sono quelle delineate nella Tavola al n. 5, di cui l’una rappresenta la base, l’altra l’apice d’una foglia. di questa graminacea, che doveva assomigliare alla vivente Arundo Donax, a foglie lan- ceolate larghe da 20-25 mill. con nervature parallele equidistanti in numero di 25-30 circa. Questa monocotiledone, somiglia mol- tissimo al Phragmites cretaceus Lesq. della Creta di Nebraska, ma in quest’ultima le nervature sono più numerose, trovando- sene fra le più grandi altre più. sottili. L’Arundo Groenlandica descritta dell’Heer fu trovata nel Ce- nomaniano di Atane, e nel Senoniano di Patoot. 404 U- 'BOZZI [6] Iilliti indeterminate (fig. 6 e 7). Nella tavola annessa veggonsi delineate ai N. 6 e 7 le impronte di due filliti il cui stato di conservazione non permise una de- terminazione sicura. La fig. 6 rappresenta la base d’una foglia di fanerogama angiosperma, forse dicotiledone, con una nervatura mediana a fasci sottili e due laterali che sembrano partire dalla base della prima. In quanto alla fig. 7, rappresenta una foglia, probabilmente di un angiosperma, che per la mancanza assoluta delle nervature e del picciuolo non si potè riferire ad alcuna specie conosciuta; ho creduto però opportuno riportarne l’im- pronta per la sua forma ben distinta, ovata-cuoriforme, essendo ben conservata nei contorni. Volendo ora trarre una conclusione dagli studii delle filliti di Vernasso, si comprende come con un numero così scarso di specie non si possa pronunciare un giudizio sicuro sul piano cretaceo preciso a cui si dovrebbero riferire; una parola più certa potrà dirla in proposito il prof. Tommasi, in seguito agli studii stra- tigrafici e di conchigliologia di cui sta ora occupandosi. Io credo però di poter asserire che îl deposito di Vernasso debba appar- tenere ad un piano cretaceo non inferiore al Cenomaniano, ed in verità delle 5 specie descritte, la Sequoja concinna fu trovata finora soltanto nel Senoniano di Groenlandia, le altre 4 si rin- vennero tutte nel Cenomaniano,; di queste ultime poi l’Arundo Groenlandica è comune al Cenomaniano ed al Senoniano, il Cy- parissidium gracile e la Sequoja rigida appartengono a tutti i piani del Cretaceo Groenlandese e si rinvennero nel Turoniano in Europa; una sola, la Sequoja ambigua, è comune al Ceno- maniano ed all’Urgoniano di Groenlandia. Notevole è il fatto che colla Creta Europea il deposito di Ver- nasso ha comune solo due specie di filliti, la Sequoja rigida, ed il Cyparissidium gracile, mentre ha i suoi rappresentanti tutti nella Creta Groenlandese, il che non ci deve recare grande me- [7] SULLE FILLITI CRETACEE, ECC. 405 raviglia, giacchè i climi in quell’ epoca erano ben lontani dal- l’avere l’attuale distribuzione. Del resto il clima della Florula di Vernasso doveva essere sicuramente temperato e fors’anche caldo, come ci è attestato dalla presenza delle Sequoje che nell’ Epoca attuale sono limitate alla California ed al Messico. Osservo pure che questa Florula è composta quasi unicamente di Conifere con una sola monocotiledone, e mancano le Dicoti- ledoni, il che potrebbe parer strano stando all’età del deposito, quale io la ritengo, non inferiore al Cenomaniano, mentre si sa che in quest'epoca le dicotiledoni cominciarono a comparire ed a diffondersi. Io però ho ferma convinzione che in seguito a nuovi.scavi, praticati nella località, si riescirà a rintracciarle, e si riescirà pure a trovare delle impronte che ci aiuteranno a determinare le filliti incomplete di cui ho detto sopra e che probabilmente appartengono a dicotiledoni. Pavia, Dal Gabinetto Geologico, ottobre 1888. n ui “nol tone n ARL i A o0E alla stati: Tirar fadiagcolgliae 10% SARRI Mino pAdas RENT siva i nu in RAT Reni or sd9, Ceca ifop PARCLEI dai pur Pia ‘09889 alli, ia ba pc 1 esere PRE ‘nled; hd 4 Mon Nara: i silonite nf 0a ci (1 I oaL nda tino #10 # siendoo [og Brttat ‘RIE SOI Gere fi 19! oa da ir afitnoct rai init) ao 8 da vuota Nec foi 20905 no i» SIPIMTUTOO.. 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Alle osservazioni ed ai fatti da me raccolti nelle isole Eolie nello scorso settembre aggiungerò numerose notizie che devo alla gentilezza del signor Ambrogio Picone di Lipari e dei si- gnori fratelli Gaetano e Giuseppe Renda di Stromboli, ai quali godo di potere rendere pubblicamente i più sentiti ringrazia- menti. Chiuderò con alcune osservazioni preliminari sull’ultima eruzione di Vulcano cominciata il 3 agosto, della quale però mi riserbo di dare una relazione meno incompleta in altro mio la- voro, quando l’eruzione stessa si potrà dire finita. 1 G. MercaLLI, Natura delle eruzioni dello Stromboli, ecc. Atti Soc. It. Sc. Nat., t. XXIV; Notizie sullo stato attuale dei Vulcani italiani. Ivi, t. XXVII; La Fossa di Vulcano e lo Stromboli dal 1884 al 1886. Ivi, t. XXIX. Vol. XXXI. 27 408 FENOMENI ERUTTIVI. G. MERCALLI, [2] TERREMOTI. 1886.! Maggio. — Lo Stromboli, durante l'eruzione cominciata all’ Etna nel 18 maggio, rimane nel suo stato normale. Aprile-Dicembre. — Vulcano, dopo le eruzioni del gennaio e del marzo, per tutto l’anno dà molto fumo e, ad intervalli, forti boati, sentiti a. Lipari ed anche più lontano. Durante questo periodo, il signor Picone mi segnala rombi a Vulcano nei primi di maggio e di luglio e rumori con fumo nel 27 agosto. Agosto 27, verso le 11 pom. — A Lipari due scosse leggere e brevi, poi, subito dopo, un altra molto forte ac- compagnata da rombo, la quale durò circa 25 secondi e parve diretta E-0: all’isola Stromboli cominciò con un mo- vimento sensibile, che subito diminuì e parve cessare, ma poi riprese tosto più fortemente; ivi pure sembrò di- retta E-0: fu assai lunga ed accom- pagnata da un rumore che sembrava più nell’aria che nel suolo. 1887. Gennaio 31, 7 ant. — Violenta eru- zione allo Stromboli il quale diede un boato come di parecchie centinaia di colpi di cannone e lanciò massi di e- norme mole verso ovest (uno solo dalla parte di est). Febbraio 1. — Vulcano è in calma tanto che il signor Picone può discen- dere nel cratere (vedi più avanti la descrizione). Febbraio 23, (giorno del terremoto disastroso di Liguria). — Lo Stromboli è nello stato normale, eccetto che fa sentire qualche rombo un po’ più forte del solito. Marzo 31, verso 9 pom. — Violen- tissima eruzione allo Stromboli ripe- Gennaio 31, 7 ant. — Nell'isola Stromboli al momento dell’ eruzione tutta l’isola si scosse, le porte scrie- chiolarono. Marzo 31, verso 4 ant. — Scossa molto sensibile .all’isola Felicudi. 1 Per i primi mesi del 1886, vedi la mia Nota: La Fossa di Vulcano e lo Strom- boli dal 1884 al 1886. [3] L'ISOLA VULCANO E LO STROMBOLI. 409 tuta dopo un minuto d’intervallo (vedi sotto descrizione). Subito dopo si ri- mise nello stato normale. Aprile 4. — Attività più forte del- l’ordinario al cratere di Vulcano. Luglio 17. — Vulcano fa sentire rombi più del consueto. Novembre 18. — Allo Stromboli eru- zione mediocre, ma molto più forte Luglio 17, verso 3,45 ant. — A Li- pari due scosse, la 1?, di circa 10 se- condi, fu prima ondulatoria poi sus- sultoria, la 2% più breve e solo ondu- latoria. Agosto 25, 3,25 pom. — A Lipari scossa ondulatoria con direzione N-S, accompagnata da rombo e della du- rata di 10 secondi. 410 G. MERCALLI, [4] vecchio muro. Una casa si dovette puntellare e la Chiesa di S. Bartolo, di forma rettangolare colla facciata a N E, ebbe una spaccatura, che percorre trasversalmente tutta la vòlta ed altra minore longitudinale, pure nel volto, presso l’ altare mag- giore. Anche nell aperta campagna il movimento del suolo fu “ _* elanna nersone, che si trovavano in barca " - 2sta a roto- [5] L'ISOLA VULCANO E LO STROMBOLI. 411 menti nelle vaste cavità lasciate dai materiali eruttati, od an- cora agisca un residuo dell’antica attività, sviluppando materie gazzose e portandole ad alta temperatura e forte tensione, ca- pace di produrre in diversi modi vibrazioni del suolo. Passano invece inosservati alle Eolie, ovvero giungono assai infievoliti i terremoti anche violenti della vicina Sicilia e della Calabria. Così, negli anni 1886-1888 le Eolie parteciparono sol- tanto al movimento generale subito da tutta la penisola italiana pei due forti del 27 agosto 1886 e del 17 luglio 1887 prove- nienti dall’Arcipelago Greco, ed anche questi vi arrivarono no- tevolmente meno sensibili che nella Sicilia. In coincidenza con ambedue questi terremoti, Vulcano fece sentire i suoi rombi alquanto più forti del solito. Eruzione dello Stromboli del 31 marzo 1887. — Fu questa bre- vissima, come sogliono essere i momentanei parossismi con cui lo Stromboli, ad irregolari intervalli, suole interrompere la sua rit- mica e moderata attività. La forza però dell’esplosione del 31 marzo si può argomentare da ciò che i massi infuocati vennero lanciati ad altezza enorme, poichè, dopo finita l'esplosione e di- sperso gran parte del fumo, se ne vedevano ancora parecchi scendere dall’ alto come stelle cadenti. Ed i marinai di una barca proveniente da Calabria, trovandosi a 20 chilometri di distanza, si accorsero dell’ eruzione, avendo visto i fianchi dello Stromboli illuminati da una grande quantità di punti incande- scenti, ed udito un forte rombo che pareva provenisse dal fondo del mare. Il signor G. Renda raccolse e gentilmente mi spedì alcuni campioni dei materiali lanciati dallo Stromboli in questa eru- zione. Sono quasi tutte scorie di colore, in generale, nerastro, solo qualcuna rosso-mattone, assai leggere e porosissime e spesso filamentose come vere pomici. Talvolta tanto i filamenti come le pareti delle porosità sono ricoperte da una patina vetrosa e lucente perfettamente fusa, la quale avvolge pure completamente 412 «—@. MERCALLI, [6] i grossi cristalli di augite inclusi nelle scorie. ' Questa sostanza vitrea forma in alcuni punti delle stalattiti in miniatura nel- l’interno delle cavità ed anche all’orlo dei cristalli di augite. Alcune però delle pietre esaminate presentano una massa al- quanto compatta e sono, come le scorie, d’un colore grigio- oscuro, quasi nero. Anche queste però all’esterno sono ricoperte da un velo sottile di materia fusa bruno-rossastra. La parte compatta di questi massi si presenta finamente granulosa alla lente, disseminata da cristalli alquanto numerosi di augite verde- oscuri, varianti da 1 fino a 6 millim, di lunghezza, da cristal- lini sempre assai più piccoli (1 millim. o meno) di plagiocasio e da qualche laminetta esagonale di biotite. Al microscopio in sezione sottile la massa fondamentale si mostra composta da microliti molto piccoli di feldspato (pro- babilmente plagioclasici) e di augite e da un’ abbondante ma- teria vitrea, in parte incolora e trasparente, ed in parte resa gial- lo-brunastra e quasi opaca, probabilmente dalla decomposizione dell’ossidulo di ferro. Tra le segregazioni vi è il plagioclasio in cristalli molto numerosi, l’ augite in cristalli taluni bene svi- luppati, qualche cristallo di olivina, il ferro ossidulato in gra- nulazioni piccolissime ma molto abbondanti, specialmente nei cristalli incolori di plagioclasio sui quali descrivono numerose righe nere parallelle ai contorni del cristallo stesso. Insomma la roccia esaminata è una dolerite molto simile a quelle delle lave recenti dell’ Etna. 1 E noto chelo Stromboli erutta frequentemente insieme ai lapilli molti cristalli completi ed isolati di Augite. (Vedi G. MercALLI, Natura delle eruzioni dello Strom- boli, ecc., pag. 1-2 e 11.) Ed anche questi, tanto frequenti nelle scorie, sono evi- dentemente cristalli preesistenti nella gola del Vulcano in un magma lavico per- fettamente fluido, in modo che le materie gazose talvolta li portano alla luce senza traccia del magma lavico od appena ricoperti da un legger velo di questo. [7] L'ISOLA VULCANO E LO STROMBOLI. 413 Le eruzioni cominciate a Vulcano il 8 agosto 1888. Fenomeni precedenti. — La Fossa di Vulcano nel secolo at- tuale era rimasta relativamente tranquilla fino al 1872; sicchè si lavorò lungamente dentro essa per l’ estrazione de’ minerali e perfino si fecero. a questo scopo piccole costruzioni sul suo ‘ fondo. Ma dopo il 1872 le eruzioni di ceneri, di lapilli e di pietre si fecero abbastanza frequenti, poichè ne avvennero nel settembre 1873, nel luglio 1876, nel settembre 1877, nell’ ago- sto 1878, nel gennaio 1879, nel gennaio e nel marzo 1886; ed, in generale, queste eruzioni andarono crescendo di intensità fino all'attuale, la quale probabilmente rappresenta la fase culmi- nante di questo periodo eruttivo cominciato col 1873. Dopo le eruzioni del 1886, di cui diedi notizie in altra mia nota, Vulcano per parecchi mesi, senza nuove eruzioni, conti- nuava però a dare segni “dell’interna attività del suo focolare con boati ed abbondante emissione di fumo sia dal fondo come dai fumaioli esterni. Infatti, il signor Picone di Lipari mi in- formava che nei primi di maggio i rumori si sentivano fino a 7 od 8 chilometri di distanza, ed in data 7 luglio 1886 mi scri- veva quanto segue: — “Stromboli tace meno qualche rombo di poca importanza, non però Vulcano, il quale manda boati che si avvertono da Lipari ed anche da più lontano: insomma Vulcano, dopo le ultime eruzioni (del 10 e del 31 marzo), non ha più cessato di mandare rumori avendo avuto poche ore di riposo ad intervalli. , In seguito, il sig. Picone visitò diverse volte la Fossa Vul- cano. Nel 17 dicembre 1886 e nel 2 gennaio 1887 la trovò piena di fumo in modo da non potere scendere nel cratere e neppure vederne il fondo stando sul ciglione. Potè scendervi, invece, nel 1° febbraio 1887, ed ecco i cambiamenti che constatò 1 La Fossa di Vulcano e lo Stromboli dal 1884 al 86. Atti della Soc. It. di Scienze Naturali, anno 1886. 414 G. MERCALLI, [SÌ essere avvenuti sul fondo del cratere in conseguenza delle eru- zioni del 1886. Nella parte ovest, dove esisteva il fumaiolo maestro Rosario, si era aperta una voragine ed una spaccatura di quasi tre metri di larghezza, che dalla voragine si dirigeva alla parte est del. cratere, passando precisamente pel luogo dove esistevano gli ar- chi in muratura per la lavorazione dello zolfo. Anche il piccolo promontorio di ovest, sul quale erano costruite le baracche di legno per magazzini, più non esisteva. Sul fondo del cratere, a nord della fenditura descritta, si era. formato un piccolo cono troncato, alto circa 4 m. sul livello circostante: quest’ altura sembrava tagliata a picco verso set- tentrione e confinava con due voragini, a nord e ad est, le quali davano alternatamente con quella di Maestro Rosario colonne di fumo di 5 a 6 metri di diametro. Il cratere mandava rumori quasi continui, i quali di tratto in tratto aumentavano ed al- lora una o due di quelle voragini mandavano una colonna di fumo, mentre la terza rimaneva tranquilla; ma. poi, dopo 8 o 15 minuti, questa si metteva in attività. e le altre riposavano e così via via. Il fianco esterno dell’altura descritta e la parte del cratere a sud della spaccatura erano pieni di fumaioli ed il terreno del fondo del cratere era dappertutto caldo, anche nella parte acces- sibile. Nella stessa gita del 1 febbraio il signor Picone notò che i due fumaioli che sono sull'orlo superiore della fossa, uno a N 04 e l’altro a NE, si erano ingranditi e facevano pure sentire i loro rumori, alternando l'emissione delle materie gazose come le voragini del fondo. Infine all’ orlo superiore meridionale della Fossa, vide un fumaiolo che prima non era mai esistito. Questo stato, che era un che di mezzo tra quello di semplice solfatara e quello di eruzione stromboliana, cessò verso l’ago- sto 1887, passando il cratere di Vulcano in uno stato di calma 1 Questo fumajolo è quello chiamato fumajolo Caputo. milani Sedia end ts sil ii RR [9] L'ISOLA VULCANO E LO STROMBOLI. 415 quasi perfetta fino all'agosto 1888. Esternamente non faceva più sentire nessun rumore; solo trovandosi sul ciglione e nell’ interno della Fossa si udiva un rumore continuo, come il passaggio di un treno della ferrovia sui ponti. Il fumaiolo Caputo però, e gli altri della parte settentrionale dell’ altipiano del cratere, con- tinuavano ad essere attivi. Per ispiegare questo periodo di calma seguîto al cratere di Vulcano mentre tutto indicava ancora una forte attività nel suo focolare, bisogna supporre una forte ostruzione del camino vul- canico, forse dovuta ad un franamento di tutti i materiali smossi nelle ultime eruzioni del 1886 e rimasti accumulati nella gola del vulcano senza stabile e solida connessione tra di loro e colle pareti. Così, il calore e le materie gazose poterono accumularsi nell’interno del vulcano, finchè, raggiunta una tensione sufficiente per vincere l'ostacolo che ne impediva lo sviluppo, ebbe prin- cipio nella notte 2 al 3 agosto u. s. i serie di esplosioni che ancora continua. Nei primi tre giorni, cioè dal 3 al 5 agosto, si ebbero le esplosioni più violenti, separate da intervalli di riposo piuttosto lunghi, in generale, di parecchie ore. La più forte di tutte fu la terza avvenuta alle 5.40 ant. del giorno 4, nella quale ven- nero lanciati massi di parecchie tonnellate di peso fino ad un chilometro e più di distanza. Dal 5 al 17 agosto il cratere rimase in calma. Nel 18 ripresero e continuarono fino al presente le eruzioni più deboli, ma più frequenti di quelle dei primi giorni 3-5 ago- sto. In questo secondo periodo il ritmo delle esplosioni è simile a quello dello Stromboli, ma l’intensità incomparabilmente mag- giore. .In generale si succedono le eruzioni minori ad intervalli di pochi minuti e talvolta di pochi secondi, ! e le maggiori, con grossi e numerosi proietti, a distanza quasi mai minore di 15 a 30 minuti e spesso di qualche ora. Alternano anche giornate 1 In questo caso però pare che le eruzioni avvengano da due o più bocche di- stinte che la diversa posizione delle colonne di fumo fa supporre che esistano sul fondo del cratere. 416 G. MERCALLI, |10] di maggiore attività in cui le forti esplosioni sono molto fre- quenti, con giorni di calma relativa in cui queste mancano, 0 sono assai rare, non cessando però mai le piccole esplosioni di vapori e di cenere. Non c’ è alcun rapporto costante nè di intensità nè di temp tra le esplosioni ed i boati, molti dei quali furono così forti da sentirsi distintamente fino a 45 chilometri di distanza. Il pino vulcanico nelle esplosioni più forti s’ innalza fino a 2 chilometri e più di altezza, grigio-scuro e talvolta quasi ne- rastro di giorno e rosseggiante di notte, per la grande quantità di cenere, lapilli e grossi projetti che contiene. Nelle esplosioni minori ha colore più chiaro, grigio-biancastro, ma sempre denso per l’ abbondanza della cenere ed in lontananza pare un im- mensa massa di bambagia che lentamente si svolga dalla gola del vulcano mantenendosi però sempre unita e compatta fino a notevole altezza. Spesso nel pino, specialmente se molto carico di detriti, guizzano lampi come in una nube temporalesca. Prodotti dell'eruzione. —- Vulcano erutta cenere, arena, e massi varianti da pochi centimetri a parecchi metri di diametro. Pare che manchino, almeno fin’ora, le vere scorie, le bombe ed il lapillo pomiceo, ossia la lava allo stato fluido o pastoso quale si osserva sempre allo Stromboli, al Vesuvio ed all’ Etna, quando sono in attività. Pare insomma che i massi siano tutti proJetti, cioè pezzi di antiche lave strappati dalle viscere del vulcano e la cenere siano il risultato del trituramento più o meno fino degli stessi massi. Già nel dare relazione della eruzione del 1886 avevo fatto notare che i massi eruttati erano projettà e non strappi di lava coeva, ossia recente, che ora ribolla nella gola del vulcano. I massi eruttati nei primi giorni fino al principio di settem- bre sono quasi tutti affatto simili a quelli del 1886. Sono co- stituiti da una trachite compattissima, senza nessuno indizio di recente fusione, di colore grigio-chiaro uniforme, ovvero regolar- mente listata a colori grigio-chiaro e grigio-oscuro o giallognolo; ovvero risultano da conglomerati compattissimi nei quali l’ ele- [11] L'ISOLA VULCANO E LO STROMBOLI. 417 bi mento principale è ancora la trachite precedente unita a pezzi di altre rocce vulcaniche molto diverse. La roccia grigio-chiara, compatta, dominante in questi proietti, è una trachite affatto simile ad una roccia che affiora in diversi punti nella parte nord-occidentale dell’isola Vulcano. Essa ri- sulta essenzialmente da microliti di sanidino con base vitrea più o meno abbondante, con segregazioni di augite e di feldspato sanidino e plagioclasio. Che questi massi non siano formati da lava recente, ma da rocce già rimaste lungamente esposte nella gola del vulcano all’azione dei vapori, che ne emanano, lo dimostra il fatto, che molti sono, presso la superficie, impregnati di solfo ed imbianchiti, proba- bilmente perchè la loro pasta è in stato di avanzata trasforma- zione in allumogene; e di più presentano nella loro porosità e spaccature diversi minerali, cioè: — Il quarzo in cristallini bipi- ramidati talvolta di un bel nero uniforme come nel quarzo af- fumicato; il ferro oligisto, la pirite, la magnetite, diverse zeoliti «ed un minerale in aghetti neri lucenti, probabilmente da ascri- versi all’amfibola nera. La pirite e la magnetite le trovai sola- mente nei massi di conglomerato ed il quarzo solo in quelli di ‘trachite compatta. La cenere che accompagnava l’eruzione di questi massi era di colore grigio-chiaro ed affatto simile a quella del 1886, da me già esaminata. ! I proietti descritti sono quelli dominanti od esclusivi nelle ‘esplosioni del 3-5 agosto ed ancora numerosi nei primi giorni dopo la ripresa di attività nel 18 agosto, ma presto in questa seconda fase dell’eruzione cominciarono ad aggiungersi e poi divennero dominanti proietti di altra natura. Il giorno 81 agosto, quando feci una prima gita a Vulcano, verificai, raccogliendo io stesso diversi massi ancora ad alta tem- 1 Atti della Soc. It. di Sc. Nat., t. XXIX, anno 1886. — Gli elementi di questa ‘cenere come delle arene eruttate da Vulcano, essendo tutti angolosi, mostrano chia- ramente di non provenire da una massa di lava fluida, ma dal trituramento più o meno minuto dei proietti. 418 G. MERCALLI, [12] peratura, che alcuni erano costituiti dalla trachite compatta sopra descritta, altri da una roccia nerastra, ora compatta, ora assai porosa e pomicea. Ritornando poi altre volte a Vulcano nei giorni 11 e 15 settembre non vidi più tra i massi recenti quelli di trachite compatta, ma li trovai quasi tutti di una lava nerastra, ora compatta, ora porosa, che macroscopicamente non presenta che numerosi cristalli di feldspato, in generale, sani- dino. Alcuni, ma pochi sono sfilacciati e leggerissimi come vere pomici nerastre. Altri presentano esternamente una crosta com- patta e semivitrea e nell'interno una massa molto porosa; in- fine alcuni sono vitrei e compatti come obsidiana. Colla natura dei massi cambiò anche quella dell’arena e della cenere erut- tata, le quali divennero grigio-oscure e quasi nerastre. In seguito le materie eruttate più non cambiarono natura, per quanto almeno potei rilevare da alcuni campioni di proietti e di ceneri raccolte a Vulcano, dal sig. Picone, fino al 19 novembre. L’uniformità di natura di questi massi e l’aspetto pomiceo di alcuni di essi, come è proprio delle vere scorie, potrebbero far credere che rappresentino strappi di una lava recente e fluida esistente nelle viscere di Vulcano; ma lo scarso numero di queste scorie e la mancanza del lapillo di natura simile alle scorie stesse, il quale invece abbonda sempre nelle eruzioni di lava, mi persuasero che anche quei massi di rocce compatte e porose si debbano considerare come pezzi di antiche lave, rifuse però, più o meno completamente, prima dell’ emissione. Forse nell’interno del focolare di Vulcano non esiste un magma lavico fluido ed omogeneo, ma una di quelle che il Gemellaro chiamava lave în rottami, ed a cui io vorrei dare piuttosto il nome di [ave di massi, cioè un immenso accumulamento di pezzi di antiche lave in parte rifuse, in parte no. In tale ipotesi sì spie- gherebbe perchè nei primi giorni del periodo eruttivo escissero i massi di conglomerati e di trachite compatta che chiudevano la parte superiore della gola del vulcano, poi, quando il camino fu più libero (e quindi le eruzioni più deboli, ma più frequenti), venissero alla luce 1 massi, più uniformi di natura e più o meno [13] L'ISOLA VULCANO E LO STROMBOLI. 419 rifusi, che formano la lava di massi esistente nel profondo del focolare vulcanico. * Fenomeni concomitanti. — Nè prima nè durante le eruzioni di Vulcano si verificarono terremoti d’importanza nelle vicine isole, se si eccettua il tremito, che accompagnò la grande esplosione del giorno 4, e le due piccole scosse del 18 e del 19 novembre. Stromboli continuò nel suo stato normale di attività senza > Amhhiamente. di risentire l’ influenza dell’ atti- ara I L'afernai Ra SIE 3 000 iti stont ALLO ‘allag ineitninoggi eh se cadi ARtGiso Lig fori al ; Anzano so) i | (o aidmarga RE feb a RE 19h, Nranaa pios rig (en ‘i CARI “ _&ivase IA ta dd plbturore otite: "Opa, doue + Mg. DALN Toh a dano colta, auiladatt, id retti e P. PR "È: PITT a \ ul Va fit, DI Es fa bd POSTA lf ; i NRE dle ace. vw Vi ACEA I vi nah ; Hi da (Ti VE, I 14° PRESERI. A { Val LA n E z s I 8% i, RT DA ALI PAY È PEA ( fa, di i h b } EE ba PE ra | x | n fà f Ea SU cirie 7 ì r Ur pe tia Il Let, An 6 ì, n v x e Li A, e . eat a el ri ° SA è ì 4 Pa * Ole Î $ è 9 vi EN FEO li TIE | e ES fi be Î î fi £ Ù Der % : PI 1 Ù DI ‘ LI \ u 4 % r d E Ra. * i Ni - 1) ì | x i È Lu I à - Pn Ù \ Î I ni LI E 7 v Seduta del 25 Novembre 1888. Presidenza del Presidente cav. prof. A. STOPPANI. Dietro invito del Presidente, il Segretario G. Mercalli pre- senta, a nome del dott. F. Sacco, assente, la memoria sul Ba- cino terziario del Piemonte (Parte I) e le note Sulle Fulliti di Vernasso nel Friuli del dott. L. Bozzi e Sulla struttura e fun- zioni degli organi di aderenza dei Coleotteri del dott. P. Pero, a nome dei rispettivi autori, pure assenti. In seguito lo stesso Segretario Mercalli domanda la parola per fare una breve comunicazione sui fenomeni sismo-vulcanici avvenuti nelle isole di Vulcano e di Stromboli dal 1886 al 1888. Passando agli affari, si viene alla votazione per la nomina socio effettivo del sig. dott. Giacomo Trabucco, proposto dai socî Molinari, Mercalli e Stoppani, e risulta eletto ad unani- mità. Il Segretario comunica la lettera del sig. dott. Pero con cui accetta la nomina a socio effettivo. II Segretario, Prof. G. MERCALLI. ELENCO DEI LIBRI PERVENUTI IN DONO OD IN CAMBIO ALLA BIBLIOTECA SOCIALE NELL'ANNO 1888 | PUBBLICAZIONI PERIODICHE DI SOCIETÀ ED ACCADEMIE SCIENTIFICHE. Italia. Bollettino della Società Agraria di Lombardia. Milano. Num. 49-52; Anno XXII, Num. 1-48. Bollettino demografico-sanitario-igienico-meteorico del Comune di Milano. Anno 1887, ottobre-dicembre; Anno 1888, gennaio-settembre. Dati Statistici a corredo del Resoconto 1887. Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Milano, Vol. XX, fase. 17-20; Vol. XXI, fasc. 1-17. Memorie di detto Istituto. Vol. XV, fasc. 4°; Vol. XVI, fasc. 2°. Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche. Genova. Anno X, fa- scicolo 69-12°; Anno XI, Sem. 1°, fasc. 1°-8°. Bollettino della Reale Accademia medica di Genova. Memorie, pag. 177-492, Anno 1888. * Bollettino mensuale della Società Meteorologica italiana. Torino, Vol. VII, N. 11-12; Vol. VIII, N. 1-10. Bollettino decadico di detta Società. Vol. VIII, N. 3. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Vol. XXIII, Disp. 18-15°. Bollettino dei Musei di zoologia ed anatomia comparata della R. Università di To- rino. N. 33-48. Annali della R. Accademia d’Agricoltura di Torino. Vol. XXX. Vol. XXXI. 28 424 LIBRI IN DONO. Ateneo di Brescia. Commentario per l’anno 1887. Accademia Olimpica. Vicenza, Vol. XX, 1° e 2° Semestre 1885. Memorié dell’Accademia di Agricoltura, Commercio ed Arti di Verona. Vol. LXIII della Serie III, fasc. unico. > Bullettino della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali. Padova, Tomo IV, N. 2. Bollettino dell’ Associazione Agraria Friulana. Udine, Vol. IV, N. 26-27; Vol. V, N d-19. Notarisia, Commentarium phycologicum. Venezia, Anno II, N. 9-12. L’ Ateneo Veneto. Vol. II, N. 1-6, Serie XII; Vol. I, N. 1-6. Atti del Reale Istituto Veneto di Scienae, Lettere ed Arti. Venezia, Tomo V, Disp. 104; Tomo VI, Disp. 1*-9*. Società Agraria in Trieste. Anno XXIII, N. 11-12; Anno XXIV, N. 1-8. Atti della Società dei Naturalisti. Modena, Serie III, Vol, III, pag. 49-128. Memorie di detta Società. Vol. VI e VII, fasc. 1°. Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie IV, Tomo VII, fasc. 1-4; Tomo VIII, fasc. 1°. i Rendiconti di detta Accademia. Anno accademico 1885-86; Anno acc.° 1886-87. Società Toscana di Scienze naturali. Pisa. Processi Verbali, Ad. 13 nov. 1887; 15 genn. 1888; 1 lug. 1888. Memorie di detta Società. Vol. IX. Atti della Regia Accademia dei Fisio-Critici. Siena, Vol. IV, fasc. 1-4. Bollettino della Sezione dei cultori delle scienze mediche. Anno V, fasc. X; Anno VI, fasc. 1-7. Atti della R. Accademia dei Georgofili. Firenze, Vol. X, disp. 3-4; Vol. XI, disp. 1-3. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. N. 47-70, Index, Tavola sinottica. Nuovo Giornale Botanico italiano diretto da CarueL Teoporo. Firenze, Vol. XX, N. 1-4. Bullettino della Società Entomologica italiana di Firenze. Tomo III e IV. Bollettino della Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele. Roma, Vol. II, N. 4-6; Indici del 1887, Vol. III, N. 1-3. Atti della Reale Accademia de’ Lincei. Roma, Vol. III, fasc. 10-13; Vol. IV, fasc. 1-3; Vol. IV, 2.° Sem», fasc. 1-3; Sem.° 19, fasc. 9; Vol. IV, 2.° Sem.*, fasc. 4-9. R. Comitato Geologico d’Italia. Roma, N. 9-10; Anno 1870, N. 1-2; Anno 1871, N. 1-2; Anno 1873, N. 1-12; Anno 1887 N. 11-12; Anno 1888, Vol. IX, N. 3-6. Fascicolo di supplemento : Il terremoto del 1887 in Liguria, A. Issel, N, 7-8. Atti della Reale Accademia Medica. Roma, Vol. III, Serie II. Bullettino di detta Accademia. Anno XIII, fasc. 8; Anno XIV, fasc. 1-7. Bollettino della Società Africana d’Italia. Anno VI, fasc. 11-12; Anno VII, fasc. 1-10. Società di Naturalisti in Napoli. Serie I, Vol. II, fasc. 1-2. Bollettino di detta Società. Anno II, fasc. 2. Rendiconti della Società Reale delle Scienze. Napoli, Vol. I, fasc. 11-12; Vol. II, fasc. 1-10. Atti di detta Società. Serie II, Vol. LII. Il Picentino, giornale della Reale Società economica di Salerno. Anno XXX, fasc. 11-12; Anno XXXI, fasc. 1-9. Bollettino della Reale Accademia di scienze, lettere e belle arti. Palermo. Anno III, N. 1-6. i Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali. Catania, Tomo XX. Ql LIBRI IN DONO. 492 Francia. Chronique de la Société nationale d’acclimatation de France. Paris, N. 24. Bulletin de la sudite Société. N. 12, Tome VI, N. 1-2. Société géologique de France. Paris, Tome XIV, N. 8; Tome XV, N. 4-8; Tome XVI, N. 1-5. Mémoires de VAcadémie des sciences, belles-lettres ed arts de Savoie. Chambéry, Série III, Tome XII; Série IV, Tome I. Atlas Documents de la sudite Académie. Tome VI. Mémoires de la Société des sciences physiques «et natur. Bordeaux, Tome II, ca- hier 2.°; Tome III, cahier 1, app. al Tome II. Société Linnéenne du Nord de la France. Amiens, Vol. VIII, N. 175-186. Bulletin de la Société d’histoire naturelle de Toulouse. Janvier-septembre. Académie des sciences, belles-lettres ed arts. Rouen, Précis analytiques des travaux, Année 1885-1886; Année 1886-1887. Mémoires de la Société Nationale des sciences naturelles et mathématiques de Cher- bourg. Tome XXV. Société libre d’émulation du commerce et de l’industrie de la Seine-Inférieure. Exerc. 1886-87; partie I-II. Svizzera. Bulletin de la Société Vaudoise des sciences naturelles. Lausanne, Vol. XXIII, " N. 97-98. ; Mémoires de la Société de physique et d’histoire naturelle. Genève. Tome XXIX, ps;2.° Bulletin de VInstitut National Genèvois. Genève, Tome XXVIII. Naturforschende Gesellschaft Graubundens. Chur. Jahrg. XXXI. Neue Denkschriften Naturforschende Gesellschaft. Zirich, Band XXX, abth. 1. Società Elvetica di scienze naturali. Berna. — Matériaua pour la Carte Géologique de la Suisse. Blatt. V, XXI, XXV. — Actes 70 Jahr. Beitrige. Lief. 24. Theil II. — Matériaua. Livrais. 22.° Atlas. Mittheilungen Naturforschende Gesellschaft. Bern. N. 1169-1194. Naturforschende Gesellschaft. Basel. Theil. VIII, heft 2. Germania ed Austria. Verhandlungen Botanischen Vereins der Provinz Brandenburg. Berlin. Jahrg. XXIX. Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft. Jena. — Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft. Bd. XIV, heft HI, IV; Bd. I-IV. Fortsetzung die Zoologisch-Mineralogischer Verein. Regensbùrg, heft 1. 426 LIBRI IN DONO. Sitzungsberichte Physikalisch-medizinischen Societit. Erlangen, heft 19, 20. Jahresbericht Vereins fiir Naturwissenschaft. Braunschweig, 3-4. Notizblatt Verein fiir Erdkunde. Darmstadt, IV folge, heft 8. Bericht Naturhistorisches Verein. Augsburg, 29. Sitzungsberichte Physikalische-medicinischen Gesellschaft. Wirzburg. Jahrg. 1887. Verhandlungen Physikalische-medicinischen Gesellschaft. Wiirzburg. Bd. XXI. Bericht Senkenbergische naturforschenden Gesellschaft. Frankfurt a. Mein, 1888. K. Bayerische Akademie der Wissenschaften. Miinchen. — Abhandlungen der mathe-* matisch-physicalischen Classe. Bd. XVI, abt. 2. — Siteungsberichte 1887; heft II, III; 1888, heft I, II. Berioht Naturwissenschaftiliche Gesellschaft zu Chemnitz. Zehnterbericht. Naturwissenschaftlichen Gesellschaft Isis Dresden. Sitzungsberichte und Abhandlungen. Jahrg. 1887, juli bis december. Schlesischen Gesellschaft fiir Vaterlandische Cultor. Breslau, 65ster Bericht. Naturforschenden Gesellschaft. Danzig, Bd. VII, heft I. Offenbacher Verein fiir Naturkunde. Offenbach am Mein, 26, 27 and 28 Bericht. Verein der Freunde der Naturgeschichte. Neubrandenburg, Archiv. Jahr. 41. Physikalische-Oeconomische Gesellschaft. Kònigsberg, Schriften, Jahrg. XXVIII. Zoologische Anzeiger. Leipsig, N. 267-293. K. K. Zoologisch-Botanische Gesellschaft. Wien, Verhandlungen, Quart. III, IV; | Bd. XXXVIII, q. 1. III. K. K. Geographische Gesellschaft. Wien, Mittheilungen, Bd. XXX, . K. K. Geologische-Reichsanstalt. Wien, Jahrbuch; Bd. XXXVII, heft 2; Bd. XXXVIII, heft 1-3; Verhandlungen 1887, N. 9-18; Jinner 1888, N. 1-13; Abhandlungen, Bd. XI, abth. II Anthropologischen Gesellschaft. Wien, Mittheilungen; Bd. XV, heft IV; Bd. XVII, | heft III, IV; Bd. XVIII, heft I III. À Naturwissenschaftlich-medizinischen Verein. Innsbruck, Berichte, Jahrg. XVI. Direction der Gewerbeschule. Bistritz, Jahresb. XIII. Vereins fiir Natur-und Heilkunde. Presburg, Verhandlungen, Jahrg. 1881-1886; heft 5, 6. K. Ungar. Geologischen Anstalt. Budapest, Jahresbericht fiir 1886, Mittheilungen; Bd. VIII, heft 6; Fiizet 7-12; Kòotet XVIII, fiiz. 1-4. Vereines der Arzte in Steiermark. Graz, Mittheilungen ; jahr. 1887. Chronik 1863-1888. Gran Brettagna, Paesi Bassi, Russia, Svezia e Norvegia. Proceedings of the Royal Society. London, N. 259-271. | Proceedings of the Zoological Society. London, Jear 1887, part III-IV; Jear 1888, part I. Transactions. Vol. XII, part 7. Palaeontographical Society. London, Vol. XLI. Memoirs of the Literary and philosophical Society. Manchester, Third Series, Vol. X. LIBRI IN DONO. 427 Proceedings of the Literary and philosophical Society. Vol. XXV, XXVI. Proceedings Royal physical Society. Edinburgh. Session 1886-87. The Scientific Proceedings of the Royal Dublin Society. Dublino, Vol. V, p. 7-8; Vol VI, p. 1-2. The Scientific Transactions. Vol. III, N. 14; Vol. IV, N. 1. Annales de la Société Royale Malacologique de Belgique. Bruxelles, Tome XXI. Procès-Verbal de la Société Royale Malacologique de Belgique. Bruxelles, 8 janvier, o fév., 5 mars, 2 avr. Société Entomologique de Belgique. Bruxelles, Table générale, I-XXX. Académie royale de Belgique. Bruxelles. — Mémoires couronnés et mémoires des sa- vants étrangers. Tome XLVII; XLVIII. — Mémoires in-4° .Tome XLVI. — Annuaire. Année 52-53. — Bulletins. Tome IX-XII. — Mémoires couronnés et autres mémoires in-8.°, Tome XXXVII-XXXIX. Société Hollandaise des sciences à Harlem. Tome XXIII, livr. 1.° Archives de Musée Teiler. Harlem, Vol. III, p. 1.° Catalogue Bibliothèque, livr. 5-6 Mémoires de Comité Géologique. St. Petersbourg, Vol. II, N. 4-5; Vol. III, N. 3. Bulletins de Comité Geologique. Tome VI, N. 8-10, supplém. Horti Petropolitani Acta. Pietroburgo, Tomas X, fasc. 1.° Nouveaux Mémoires de la Société Impériale des naturalistes. Moscou, Tome XV, livr. 4. Bulletin c. s. N. 3-4; Année 1888, N. 1. Meteorologische Beobachtungen c. s. Jahr 1887, hilfte I-II. Mémoires de VAcadémie impériale des sciences. St. Petersbourg,g Tome XXXYV, N. 3-10. Bulletin c. s. Tome XXXII, N. 1. Antiquarisk Tidskrift fòr Sverige. Stokholm, Delen 10, N. 3-4. . Acta Universitas Lundensis. Lund, Tome XXIII. America, Australia, Asia. Sixt Annal Report of the United States Geological Survey. Washington, 1884-85. Bulletin c. s. N. 34-39. Mineral Resources c. s. Jear 1886. Annal Report of the Board of Regents of the Smithsonian Institution. Washington, Jear 1885, part II. Proceedings of the Academy of Natur. Sc. of Philadelphia; 1887, part I-II-IIl; 1888, part 1. Memoirs of the Boston Society of natural history. Boston, in-4°; Vol. IV, N. 1-6. Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. Boston, Vol. XII, p. II. Bulletin of the California Academy of Sciences. N. 6-3. Transactions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences. New Haven, Vol. VII, part II. Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en C6rdoba. Tomo X, Entrega 1-2; Tomo XI, Entrega 1-2. 428 LIBBI IN DONO, Annual Report of the Geological and “Natural History Survey of Canada. darsi Vol. II, 1886. Rapport annual c. s. Vol. II, 1886; Mappes N. 1-7. Cataloque of Canadian Plants. Part III; Apetalae, part IV. Memorias de la Sociedad Cientifica « Antonio Alzate. » Mexico, Quad 5- 10-12. Boletin de Estadistica del Estado de Puebla. Puebla de Zaragoza, Tomo I, N. 1-47.. Journal and -Proceedings of the Royal Society of New South Wales. Sydney,. Vol. XV-XXI. Prodromus of the Zoology of Victoria of the Natural history of Victoria. Melbourne, Decade I-XIV. Report for 1887. Trustees of the Australian Museum. Sydney. Records of the Geological Survey of India. Calcutta, Vol. XX, p.4; Vol. xx, p. 1-3. PUBBLICAZIONI NON PERIODICHE. Geologia e Mineralogia. BaRrRANDE JoacHim. — Echinodermes. Prague, 1887, 8°. PertrIK Lupwie. — Ueder die Verwendbarkeit der Rhyolithe fiir die zwecke der kera- mischen industrie. Budapest, 1888, 8°. Lo stesso. — Uber ungarische Porcellanerden. Budapest, 1887, 8°. Sacco FepERICO. — Il Cono di dejezione della Stura di Lanzo. Roma, 1888, 8°. Lo stesso. — Sur Vorigine du loess en Piémont. 1887, 8°. Lo stesso. — Sulla costituzione geologica degli Altipiani isolati di Fossano, Salmar- e Banale. Torino, 1887, 8°. StroBEL P. — Notizie litologiche sulla Provincia di Parma. Ivi, 1887, 16°. Tuccimzi Giuseppe. — Bradisismi Pliocenici della Regione Sabina. Roma, 1888, 40. Zsiamonpy WiLHELM. — Mittheilungen ‘îiber die Bohrthermen zu Karkdnn. Pest, 1873, 8°. Wire CnarLes A, — Contributions to the Paleontology of Brazil. Washington,. 1888, 4°. LIBRI IN DONO. 429 Botanica. PI ‘DesToxi e Lee. — L'Algarium Zanardini. Venezia, 1888, 8°. Zoologia. Cattaneo D.r G. — Su di un Infusorio ciliato, parassito del sangue del Carcinus Maenas. Pavia, 1888, 12°. MacarÈ. — Catalogue de Coquilles. Utrecht, 1888, 8°. Mazza D.r FeLIcE. — Note Faunistiche sulla Val-Staffora (Provincia di Pavia). Ime- motteri e Aracnidi. Genova, 1888, 16°. M.c Coy FrepERICKX. — Prodromus of the Zoology of Victoria. Decade XV, Mel- bourne, 1887, 8°. MonticeLLI FR. Sav. — Intorno allo Scolex polymorphus Rud. Napoli, 1887, 12° un foglio. NeHRING Prof. D.r A. — Torfschwein (Sus palustris Riitimeyer). 1888, 8°. Ormay ALEXANDER. — Supplementa Faunae Coleopterorum in Transilvania. Nagy- Szeben, 1888, 12°. Parona ErnEsTO. — Ancora sulla questione del Bothriocephalus latus (Bremser) e sulla priorità nello studio delle sue larve in Italia. 1888, 8°. PLateau FiLix. — Recherches expérimentales sur la vision chez les Arthropodes. Bruxelles, 1888, 12°. Lo stesso. — Observations sur une grande Scolopendre vivente; un foglio. Lo stesso. — Observations sur les moeurs du Braniulus Luttulatus Bosc.; un foglio. Lo stesso. — Espériences sur le role des palpes chez les Arthropodes maxillés. Pa- ris, 1887, 12°. Lo stesso. — Recherches expérimentales sur la vision chez les Arthropodes. Bruxel- les, 1887, 8°, I e II partie. PrEeUDHOMME DE BorrE. — Stiste des cent et cinq espèces de Coltoptères Lamellicor- nes, in-8°. Miscellanea. Academia delle Scienze di Bologna. Unification du Calendrier. Bologna 1888, 4°. De MorTILLET G. — Les Sépultures de Solutré. Lyon, 1888, 12°. Lo stesso. — Les Sépultures de Solutré. Reponse a M. l’Abbé Ducrost. Lyon-Paris, 1888, 12°, GasPeERINI R. — Relazione sugli scavi fatti nella spelonca di Grabah sull'isola di Lesina nell’autunno del 1887. Spalato 1882, 12°. Grand (le) Concours international des sciences et de Bruxelles, 1887, 4°. xi Lorenzoni R. — La Grotta Nicolucci presso Sorrento. Parma, 1888, NrxRING Prof. D.r A. —— Wolf und Hund. Berlin, 1888, 4°. StroBEL P. — Barboi del Parmigiano. Parma, 1888, 12°. Catalogue des livres de la Bibliothéque de l’Académie royale des. [S arts de Belgique. Bruxelles, 1881, 16°. ci 1° partie Sciences. sei, 2° » Lettres. -#iagf0oNn. 3°» Sciences. Va ») Li è pi d ì dhe Ì 4 Ùl À ] È $4 Y î È SY $ ui } | Yn6 ; x è NI) io +4 è) < x e | © Li % e DI t o NM ” f x "1 * pese î 3 A ì \ ) Bh, sf - # 1 pe i Vives #16] è À "E REC AI 1 N] JEAN P o mat ì Vest dal % : % ‘ Lì cata . APRI n 4: 143 VI > MIS Lì ti Tuisd na (e { \3 Lato LI ì è ; re x i À . Direzione pel 1888. i ; Soci effettivi al principio dell’anno 1888 INDICE ——————— Soci corrispondenti al principio dell’anno 1888 . a Istituti scientifici corrisp. al principio dell’anno 1888. A. E. L. E. F. F. De-CARLINI, Vertebrati della Valtellina . È MARIANI, Foraminiferi delle marne cosa di Savona (con una tavola) St RiccrarDI, Sull’azione dell’acqua del mare nei DE cani . RICCIARDI, Sulle. rocce Vitae di Mossona nell'E- milia . O A A PT RR A RO Mazza, Caso di melomelia anteriore în una Rana esculenta Linn. Sacco, Note di palevicnlogia alone (cin ue di vole) . Seduta del 29 gennaio 1888 L: RiccIaRDI, Ricerche di chimica ilaria A Bilancio consuntivo dal 1° gennaio al 31 dicembre 1887 Bilancio preventivo per l’anno 1888. C. BeLLOTTI, Note ittiologiche (con una tavola) G. Cattaneo, Sulla struttura e sui fenomeni biologici delle cellule ameboidi del sangue nel Carcinus Mae- nas (con una tavola) 432 INDICE. A. AmieneTtTI, Osservazioni geologiche sul terreno gla- ciale deì dintorm di Lovere . ... . «0 Seduta del 29 aprile 1888 . . . . Seduta del 17 giugno 1888 . L. Bozzi, Sopra alcune piante americane cotali nei dintorni di Pavia F. Sacco, Il bacino terziario del bisrsonte Me. L. Bozzi, Sulle filliti cretacee di Vernasso nel Friuli . , G. MercaLLI, L’ Isola Vulcano e lo Stromboli dal 1886 al 1888 . Seduta del 25 novembre 1888. Elenco dei libri pervenuti in dono od in cambio all biblioteca sociale . STRIZZA ———SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ. Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle scienze naturali. _ I Socj sono in numero illimitato, effettivi, studenti, CONFSROn ALI ed onorari). 3 î Socj effettivi pagano it. L. 20 all’anno, în una sol volta, nel primo trimestre dell’anno. Sono invitati particolarmente alle sedute (almeno quelli dimoranti nel Regno d’Italia), vi presentano le loro Memorie e Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli A// della Società. I Socj studenti pagano it. L. 10 all’anno nel primo trimestre dell’anno. Possono essere nominati tutti gli inscritti ad uno degli Istituti superiori d’Istru- zione del Regno. Godono degli stessi diritti dei socj effettivi. A Socj onorarj la Società elegge persone distinte nelle scienze natu- rali che siano benemeriti della Società. La proposta per l ammissione d’un nuovo socîo, di qualsiasi ca- tegoria, deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I Soc] effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj; se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno suc- cessivo cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni, presentate nelle adunanze, possono essere stampate negli A? e nelle Memorie della Società, per estratto o per esteso, se- condo la loro estensione ed importanza. La cura delle pubblicazioni spetta alla Presidenza. Agli Ad(î ed alle Memorie non si ponno unire tavole se non sono del formato degli Affi e delle Memorie stesse. Tutti i Socj possono approfittare dei libri della biblioteca sociale pur- chè li domandino a qualcuno dei membri della Presidenza, rilasciandone regolare ricevuta. AVVISO Per la tiratura degli Estratti (oltre le 25 copie che sono date gratis dalla Società) gli Autori dovranno, da qui innanzi, rivolgersi diretta- mente alla Tipografia sia per l’ ordinazione che per il pagamento. Non saranno rilasciate dalla Tipografia copie degli Estratti agli Autori, se non dopo ultimata la tiratura per gli A. INDICE G. CattanEO, Sulla struttura e sui fenomeni biologici delle cellule. ameboidi del sangue nel Carcinus Mae- nas: (consuna; tavola): Bag A. AMIGHETTI, Osservazioni o ta n gla- ciale dei dintorni di Lovere Seduta del 29 aprile 1888 . Seduta del 17 giugno 1888 . L. Bozzi, Sopra alcune piante americane ata nei dintorni di Pavia F. Sacco, Il bacino terziario del Pico. Mae L. Bozzi, Sulle filliti cretacee di Vernasso nel Friuli . G. MercaLLI, L’ Isola Vulcano e lo Stromboli dal 1886 al 1888 . Seduta del 25 novembre 1888. . Elenco dei libri pervenuti in dono od in ciato sla biblioteca sociale . ri TÀ | Prezzo del presente volume: Per i Socj Per gli estranei alla Società i