^ i^ K :. ' . -,•• >v^ '/'•'. v^m^ -^ * ■ ^\ r\,-: '. n i. •*M '■ -»-v •*>^V '-^ J^ ■^■:. J ò ' O CA^ HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. H!^- !.^ÀixrA^\A^'^'\ ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO QUARTO, SERIE SESTA ^^ ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI DAL NOVEMBRE 1885 ALl'oTTOBRE 1886 ^ VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO TU'. ANTONELT.I - 1885-1886 ././?K ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO D I SCIKI^ZK, LICTTKRK Kl) AKTI DAL NOVEMBRE i 885 ÌLl'oTTOBRE 1886 TOMO QUARTO, SERIE SESTA Dispensa Prima "^ VENEZIA PLESSO LA SEGllETERIA DELL' ISTITUTO NEI. PALAZ7.0 DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI, 1884-85 INDICE Elenco dei Membri e Soci del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti p. i-xxviii Atto verbale delle adunanze 22 e 23 novembre 1885 . » i-A Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. A, Pazienti, m. e. . — Commemorazione del m. e. Fran- cesco prof. Rossetti » 5 G. BuccHiA, m, e. . — Ricerca sulla reale utilità dei ba- cini di ragunata delle acque che por- tano i condotti di scolo, prima di dar ad esse esito in mare » 17 E. De Betta, m. e. . — Sulle diverse forme della Rana temporaria in Europa, e più partico- larmente nell' Italia. Ricerche . . » 45 E. Bernardi, m. e. — Considerazioni sulle valvole di si- curezza (con 1 tavola) . ...» 91 E. F. Trois, m. e. — Annotazione sopra un Fenicottero roseo preso nel Veneto (Phoenicote- rus roseusj . » 125 Ab. M. Tono. . . . — Bollettino meleorologico dell'Osser- vatorio del Seminario Patriarcale di Venezia (ottobre 1885) » i-iv Elenco dei libri giunti dal 15 aprile al 16 agosto 1885 (con- tinuazione) » V-XXIII Segue MEMBRI E SOCI DEL REALE ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI (*) Anno acca«iemieo I885-S6. PRESIDENTE Fedele Lampertico. VICEPRESIDENTE Angelo Minich. SEGRETARIO Giovanni Bizio. VICESEGRETARIO Enrico Filippo Trois. AMMINISTRATORE Giovanni Veludo. MEMBRI EFFETTIVI PENSIONATI (20 giugno 1843 — 4 ottobre 18S4) Turazza dottor Domenico, Comra. -^ (^, uno dei XL del- la Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei ecc., professore di meccanica razionale ed incaricato per l'idraulica pratica nella R. Università di Padova, direttore della Scuola degli inge- gneri presso la stessa Università. (*) H segno •^ indica 1' Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro ; i! sciano '§3 1' Ordine della Corona d' Italia, — II — (16 gennaio 1844 — 26 aprile 1869) Freschi Conte Gherardo, Uffiziale ^, Comm. c§], presi- dente onorario dell'Associazione agraria friulana e del Comizio agrario di Pordenone e presidente della Com- missione ampelogratìea di Udine, membro perpetuo del- la Società degli agricoltori di Francia, e socio di molte Accademie italiane ed estere. — S. Vito del Friuli. (23 marzo 1855 - 6 aprile 1872) De Zigno Barone Achille, Comm. -^ c§], Cav. dell'I. R. Ordine austriaco della Corona Ferrea, Cav. del R. Ordine Portoghese della Concezione, Ufticiale dell'Ac- cademia di Francia, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, Pre- sidente della Società geologica italiana, membro del R. Comitato geologico del Regno , socio della R. Acca- demia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli , della R. Accademia delle scienze di Torino, dell'Isti- tuto delle scienze di Bologna , membro delle Società geologiche di Londra e di Parigi, dell'I. R. Istituto geo- logico di Vienna, dell'Imp. Accademia Leopoldino-Ca- rolina Naturae Curiosorum^ della R. Accademia delle scienze di Lisbona, della Società Imp. dei Naturalisti di Mosca, della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, della Società Granducale di mineralogia e di geologia di Jena, della R. Società botanica di Ratisbona, e di altre Accademie nazionali e straniere. ~ Padova. (28 aprile 1856 — 30 settembre 18(53) Bucchia dottor Gustavo, Senatore del Regno, -^j Comm. c^, Ufficiale dell' Ordine della Guadalupa, socio di più Accademie scientifiche, professore della scienza delle costruzioni ecc. nella R. Università di Padova. — Ili — Pazienti dottor Antonio , -f- , socio di varie Accademie scientifiche, professore titolare di fìsica ne! R. Liceo Pigafetta di Vicenza. (30 settembre 1863 — I luglio 1869) Bizio Giovanni, dottore in filosofia ed in chimica, ■^, Conim. t§3, fregiato della medaglia dell'Unità d'Italia e di quella d'argento ai benemeriti della salute pubblica, socio di varie Accademie nazionali e straniere, membro ordina- rio del Consiglio provinciale sanitario, professore ordi- nario della R. Scuola superiore di commercio e del R. Istituto tecnico di Venezia ecc. (IO oprile 1868 — 10 marzo 1873) Pirona Giulio Andrea, dott. in medicina e chirurgia, Uff. ■^, Conservatore del Museo civico e della Biblioteca di Udine, membro di quel Consiglio provinciale di Sani- tà, della Commissione per la conservazione dei monu- menti, socio di più Accademie nazionali e straniere, professore di storia naturale nel R. Liceo Sfellini in Udine. (26 aprile 1869 — i febbraio 1874) Minich dott. Angelo, Uff. ^, Comm. c§a, Uff. dell'Ordine della Guadalupa, socio della Società medico-chirurgica di Bologna, membro onorario della R. Accademia di medicina in Torino, vicepresidente della Giunta di vigi- lanza dei Rtì. Istituti tecnico e di marina mercantile e del Consiglio direttivo della R. Scuola superiore di com- mercio, chirurgo primario anziano emerito dell'Ospe- dale civile generale, vicepresidente del Consiglio sanita- rio provinciale di Venezia. (26 aprile 1869— U luglio 1877) Zanella sac. Jacopo, •^, Comm. c§:, socio di più Accade- mie, professore emerito di letteratura italiana nella R. Università di Padova. — Vicenza. IV (1 luglio 1869 — 5 dicembre 1883) Luzzatti Luigi, Gr. Uff. '^, Cav. Gran Croce decorato del Gran Cordone c§:, Cav. dell'Ordine del Merito civile di Savoja, Gr. Uff. della Legion d'onore di Francia e del- l'Ordine di Leopoldo del Belgio, deputato al Parlamen- to, membro della R. Accademia dei Lincei, del Consi- glio superione del commercio e dell' industria , della Giunta superiore di statistica, e di quella superiore de- glìstituti di previdenza ecc., professore di diritto costi- tuzionale nella R. Università di Padova. (1 agosto 1869 — 4 maggio 1873) Veiudo professor Giovanni, •^, Comm. :§i e dell'Ordine di Francesco Giuseppe I d'Austria, di S. Stanislao di Rus- sia, dell'Aquila Rossa di Prussia, Cavaliere dell'Ordine di S. Salvatore di Grecia, socio ordinario dell'Ateneo di Venezia, dell'Accademia Colombaria di Firenze e di altri Istituti scientifici d' Eurtpa , Curatore della Pia Fondazione Querini-Stampalia, membro della Deputa- zione veneta di storia patria. Prefetto in quiescenza della R. Biblioteca Marciana di Venezia. (6 aprile 1872 — 23 dice.iibie 1876) De Betta nob. Edoardo, Uff. ■^, Comm. c§:, membro di varie Accademie e Società scientiCche nazionali ed este- re, cittadino onorario di Torino, deputato e vicepresi- dente del Consiglio provinciale di Verona, consigliere scolastico provinciale, membro del Consiglio direttivo del R. Collegio femminile agli Angeli, presidente della Giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico e presidente del- l'Accademia di agricoltura, arti e commercio pure in Verona. (10 marzo 1873 — 7 gennaio 1875) Dg Leva Giuseppe, dottore in filosofìa e in ambe le leggi, Uff. ^, Comra. c§], socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, e corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino e di altre, socio straniero della R. Ac- cademia di Monaco ecc., professore ordinario di storia moderna e incaricalo della storia antica nella R. Uni- versità di Padova, (4 maggio 1873 — 13 dicembre 1877) Vlacovich Giampaolo, dottore in medicina, Comra. c§i, -^^ socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Napoli, socio ordinario dell'Accademia di Dcienze, let- tere ed arti in Padova e di altre, professore di anatomia umana e Rettore nella R. Università di Padova. (t3 dicembre 1877 — 17 febbraio 1881) Lorenzoni Giuseppe, ■^, Uff. ;^, socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, professore ordinario di astro- nomia e direttore del R. Osservatorio della suddetta R. Università. (Il aprile 1878 — 27 agosto 1883) Trois Enrico Filippo, c§3, socio dell'Accademia di micro- scopia del Belgio e dell'Ateneo di Venezia, conservatore e custode delle Raccolte scientifiche e degli oggetti della Esposizione industriale permanente presso questo R. Istituto. — Venezia. (7 luglio 1878 — 13 febbraio 1885) Bernardi Enrico, socio straordinario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, professore di mac- chine agricole, idrauliclie e termiche presso la R. Uni- versità di Padova. —■Vi — (17 febbraio 1881 — 15 febbraio 1885) Beltrame sac. Giovanni, ex missionario dell'Africa centrale, Comm. [§:, membro d'onore della Società geograGca italiana e del Comitato italiano per l'esplorazione e l'in- civilimento dell'Africa centrale, membro dell'Accademia d'agricoltura, arti e commercio, della Società letteraria e della Commissione preposta alla Biblioteca comunale di Verona, professore di storia e geografìa nella R. Scuola normale femminile, professore di diritti e do- veri, geografìa e storia nella Scuola normale maschile provinciale, direttore spirituale nell'Orfanatrotìo femmi- nile e Rettore dell' Istituto Mazza pure in Verona. (29 maggio 1881 — 21 maggio 1885) Favaro dott. Antonio , c§3 , Uif. della pubblica Istruzione di Francia e decorato della medaglia d'oro del merito, membro effetttvo della R. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria, socio ordinario della R. Accade- mia di Padova, onorario dell'Ateneo di Bergamo e della Società Coppernicana di Thorn, corrispondente del R. Istituto di Napoli, della R. Società economica di Saler- no, della R. Accademia Peloritana di Messina, dell'Ac- cademia Gioenia di Catania, della R. Accademia di Mo- dena, dell' Ateneo veneto, della Società delle scienze di Hermannstadt, della Società Batavica di filosofia spe- rimentale di Rotterdam, dell'I. R. Istituto geologico di Vienna , ecc., professore ordinario di statica grafica , incaricato di geometria projettiva e libero docente di storia delle matematiche nella R. Università di Padova. (7 luglio 1878 — 25 settembre 1885) Bernardi mons."^ dott. Jacopo, Comm. ^, ^§3, uff. della Le- gion d'onore di Francia, socio ordinario della Deputa- zione sopra gU studii di storia patria di Torino, dell'Ac- — VII — cademìa di geograQa e storia di Parigi, del Pantheon di Roma e dell' Accademia di belle arti, di quella di Sto- ria patria di Venezia e Genova, dell'Ateneo di Venezia ecc., Vicario generale onorario della diocesi di Pinerolo. — Venezia. MEMBRI EFFETTIVI NON PENSIONATI (16 gennaio 1844) Meneghini Giuseppe, Gomra. ^, Gr. Uff. •^, Cavaliere del- l'Ordine del Merito civile di Savoja e di quello di To- scana sotto il titolo di S. Giuseppe, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, e della Società Reale di Napoli, membro della Società geologica di Londra, di quella di Francia e di altre Accademie scientiGche, professore di geologia e di geografìa fìsica nella R. Università di Pisa. (4 ottobre 1854) Cavalli Ferdinando, dottore in ambe le leggi, Senatore del Regno, Comm. '^, c§:, membro di varie Accademie. — Padova. (6 ottobre 1864) Lampertico Fedele, dottore nelle leggi, Senatore del Regno, Uff. •^, Gr. Uff. c§:, socio della R. Accademia dei Lin- cei e di altre Accademie. — Vicenza. Messedaglìa Angelo, Senatore del Regno, Comm. •^, [§:, Cav. del Merito civile di Savoia, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, membro del Consiglio supe- riore della pubblica istruzione, professore ordinario di economia politica nella R. Università di Padova. — vili — (10 aprile 1868) Torelli Conte Luigi, Senatore del Regno, Gran Cordone ^, c§d, Gran Croce della Legion d'onore di Francia, Gran Croce dell'Ordine di Francesco Giuseppe I d'Austria, Luogotenente Colonnello ad honorem, Cavaliere dell'Or- dine militare di Savoja, e decoralo della medaglia d'ar- gento al valor militare e della medaglia d oi-o al valor civile, vicepresidente onorario della Compagnia del Ca- nale di Suez. — Tirano nella Valtellina. ({ luLi,lio 1869) Rossi Alessandro, Senatore del Regno, Comm. -f^, Gran Cordone t§3, socio di varie Accademie. — Schio. (1 febbraio 4874) Vanzetti dottor Tito, Comm. c^, prof, onorario dell' Imp. Cesarea Universitù di Charcov, Comm. dell'Ordine di Sant'Anna di Russia e dell'Ordine Piano, Cavaliere del- l'Ordine di Francesco Giuseppe d'Austria, laureato di Francia, membro dell'Accademia medico-chirurgica di San Pielroburgo, della Società medico-fisica di Mosca, dell'anatomica di Parigi, della medica di Odessa, della ginecologica di Boston , della Società di medicina di Gand, dell'Accademia medica di Roma, dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, dell' Accademia Virgiliana di Mantova, del Circolo di scienze mediche e naturali di Sassari ecc. ecc. , professore di clinica chirurgica e medicina operatoria presso la R. Univer- sità di Padova. (11 higlio 1877) Fambri Paulo, dottore in matematica, Commendatore d§3, già Capitano del Genio militare, ingegnere Capo della Società veneta di costruzioni, socio dell'Ateneo veneto ecc. — Venezia. — IX — (7 luglio 'Ì87S) Canestrini Giovanni, -f-, Uff. c§i, membro estero della So- cietà zoologica (li Londra, membro della Coinaiissione consultiva per la pesca e di quella superiore per la Glos- serà, delegato governativo per la ricerca della filossera nella provincia di Padova, vicepresidente della Commis- sione ampelograflca, professore di zoologia, anatomia e fisiologia comparata nella R. Università di Padova. (17 febbraio 1881) Tolomei Giampaolo, Uff. •^, Gr. c§j, socio ordinario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, so- cio corrispondente di quella di Palermo, dell'Olimpica di Vicenza, della Virgiliana di Mantova e di altre; già presidente della Commissione generale di seconda istan- za nelle questioni della servitù di pensionatico, e già membro della Commissione governativa compilatrice del primo schema (a. J868) del nuovo codice penale del Regno, e di quella di riesame del progetto sanitario (a. 1876) ; professore ordinario di diritto e di procedu- ra penale, ed incaricato della storia dei trattati e diplo- mazia presso la R. Università di Padova; già Direttore, ora Preside della Facoltà di giurisprudenza, e già Ret- tore della stessa R. Università dal 1868-69 e poscia dal 4 873 al i879. (29 maggio 1881) Saccardo dott. Pier'Andrea, c§3, membro della Società mi- cologica di Francia e della criltogamologica italiana , della R. Accademia delle scienze in Torino, della R. Ac- cademia di scienze, lettere ed arti di Padova, dell'Ate- neo Veneto, dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, dell' Ateneo di Treviso, della Società del Museo in Ro- vereto, della Società Veneto-Trentina di scienze natu- rali in Padova, della R. Societù botanica di Ratisbona e di quella di Francia in Parigi, della Società Slesiana di Breslavia, della I. R. Società zoologico-botaniea di Vienna, della Società delle scienze naturali di Bruna dell' Accademia delle scienze e di S. Francisco in Cali' fornia della Società delle scienze naturali e matemati- che di Cherbourg, della Società entomologica di Firen- ze, della Società italiana di scienze naturali di Milano, ecc., professore ordinario di botanica e direttore del R. Orto botanico presso l'Università di Padova. (25 febbraio 1883) Lussana dott. Filippo, Uff. D§a, socio delle Accademie medi- co-chirurgiche di Torino, Ferrara, Padova, Perugia e del Belgio; dell'Ateneo di Bergamo, della Società fran- cese d'igiene, della Società delle scienze mediche-natu- rali di Bruxelles, di quella frenologica italiana, dell'isti- tuto lombardo ; membro onorario della Società di an- tropologia del Belgio, professore di fisiologia nella R. Università di Padova. (27 agosto 1883) Gloria Andrea, -^y socio ordinario dell'Accademia di Pa- dova, onorario dell'Ateneo di Bergamo, corrispondente di altre Accademie ed Atenei ecc., professore ordinario di paleograGa e direttore del Museo civico di Padova. (5 dicembre 4883) Cesare Vigna, dottore in medicina, chirurgia, ostetricia, oculistica e tìlosofia, Uff. c^j, reintegrato con Decreto Reale nel grado militare di medico di battaglione, socio ordinario dell'Ateneo veneto, del Comitato medico ita- liano, dell' Accademia dei Concordi di Rovigo, m. e. della Società italiana d'igiene e della Società freniatrica italiana, socio corrispondente dell'Associazione dei be- nemeriti italiani con medaglia d'oro per meriti scienti- — XI — fici ed umanitarii, premiato con medaglia argentea dal- l'Esposizione internazionale juusicale di Milano per ope- re scientifiche, direttore del Manicomio centrale femmi- nile nell'isola di S. Clemente in Venezia. Marinelli Giovanni, ^, membro effettivo delia Deputazione veneta di storia patria, socio corrispondente della So- cietà geografica italiana e dell'Accademia scientifica e letteraria di Udine, socio straordinario dell'Accademia di Padova, presidente della Società alpina friulana, mem- bro del Consiglio direttivo dell'Associazione meteoro- logica italiana, professore ordinario di geografia presso la R. Università di Padova. (i5 ft^Lbralo 1885) Ninni Alessandro , dottore in scienze naturali , membro della Commissione consultiva per la pesca residente presso il R. Ministero d'agricoltura, industria e com- mercio, di quella distrettuale (Bari, Ancona, Rimini e Venezia), per la pesca marittima e de! Comitato diretti- vo del Civico Museo e della Raccolta Correr. — Venezia. De Giovanni cav. Achilìe, socio di varie Accademie, pro- fessore e direttore dell'Istituto di clinica medica gene- rale nella R Università di Padova. (21 maggio 188S) Ombonl Giovanni, ^, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere e dell' Accademia delle scienze di Bologna, membro di varie Società scienti- fiche, professore di geologia presso la R. Università di Padova (*). (1) Art. 13 degli Statati interni: c« / membri effettivi deìV hliluto Lombardo sono di diritto aggregali all' Istituto Veneto, e godono nelle adunanze di tutti i diritli deiJÌJembri effettivi, meno il diritto di volo w — XII MEMBRI ONORARI S. M. Pietro II. d' Alcantara, Imperatore del Brasile. S. E. Menabrea Conte Luigi Federico, Senatore del Regno, Cav. deirOrdine supremo dell'Anniinziata, Gr. Uff. -^^ Gr. Cord. c§:, Gr. Croce dell'ordine militare di Savoja, Cons. e Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, Gr. Croce dell'Ordine di Leopoldo del Belgio, di Leopoldo d' Austria e dell' Ordine di Danebrog di Danimarca , Commendatore della Legione d'onore di Francia, del- l'Ordine di Carlo III di Spagna, dell'Ordine del Cristo di Portogallo e di S. Giuseppe di Toscana, membro della R. Accademia delle scienze di Torino, di quella dei nuovi Lincei di Roma, del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro dell'Accademia delle scienze e dell'Ac- cademia militare di Stokolm, di quella di Modena, della Società filomatica di Parigi, nonché di parecchie altre Accademie e Società scientifiche, Tenente Generale, presidente del Comitato d'Artiglieria e del Genio. — Torino. SOCI CORRISPONDENTI DELLE PROVINCIE VENETE Keller dottor Antonio, -^1^, Uff. t^, socio dell'Accademia di Padova, socio onorario delle IIR. Accademie di agri- coltura di Torino e Verona, dell'Accademia di veteri- naria di Torino, dell'Ateneo di Venezia, della Società di acclimatazione di Palermo, di quella d'incoraggia- mento in Padova, delle Accademie Olimpica di Vicenza e dei Concordi di Rovigo, del Comizio agrario di Tori- no, socio corrispondente delle li. RR. Società agrarie di Vienna, di Gratz ecc., professore di agraria e stima dei poderi presso la R. Università di Padova. — XIII — Benvenisti dottor Fs/ìoisè, ^, socio ordinario dell'Accade- mia di scienze, lettere ed arti di Padova, degli Atenei di Venezia, Treviso e Bassano, delle Accademie di Udi- ne e dei Concordi di Rovigo, della Socielò medico-ciii- rurgica di Torino, della medico-chirurgica di Hologna, (li quella medico-chirurgica di Ferrara, delia \ aldarne- se, d<^lla Società delie scienze di Siena, della medico- fisi- ca Fiorentina, de la Socièlé Imperiale de médccine de Constanlinople, de l'Institut nalional d'ÉgypIe, de la So- ciété Royale de médecine de Marseille, de la Société medicale d'émulalion de Lyon, de la Société médico- psycoiogique do Paris, de la Société de médecine de Gand, Consigliere provinciale, membro ordinario del Consiglio provinciale di sanitù e del Consiglio scolasti- co provinciale in Padova. Lioy noi). Paolo, Uff. ■^, Comm. r§3, Consigliere scolastico provinciale, deputato al Parlamento. — Vicenza. Valussi dottor Pacifico, ^, pubblicista. — Udine. Ferrara Francesco, Senatore del Regno, Gran Croce •^, Comm. c§]. Socio nazionale della R. Accademia dei Lin- cei, Uff. della Rosa del Brasile, membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, direttore della R. Scuola superiore di commercio in Venezia, ecc. ^j'ischeg sac. Antonio, #•, socio della R. Dep.itazione ve- neta di storia patria, del veneto Ateneo, del!'4ssemblea di storia patria di Palermo, dell'Accademia dei Con- cordi di Rovigo e della Roveretana di scienze, lettere ed arti, professore di storia e geografla nel R. Liceo Marco Foscarini di Venezia. Caccianìga Antonio, cittadino onorario della città di To- rino, s|f, Comm. i^, presidente del Consiglio provin- ciale e dell'Ateneo di Treviso, socio dell'Ateneo di Ve- ■ — XIV — nezia e della R. Accademia di scienze e ledere in Pa- dova. — Treviso. Cecchetti Bartolomeo, ^, Comm. c^ e dell'Ordine di S. Stanislao di Russia e della Corona di Rumenia, Ca- valiere deirOrdine di Francesco Giuseppe d'Austria e della Legione d'onore di Francia, socio dell'Ateneo ve- neto ed onorario di quello di Pergamo, socio dell'Ac- cademia dei Concordi di Bovolenta , dell'Accademia fisio-medica-stalistica di Milano, della Sociclò Miner- va in Trieste, dell'Associazione per la propagazione delle lettere greche e dell'Accademia filologica Byron in Atene, della Società ligure e delle Deputazioni di storia patria veneta e per le provincie di Romagna, direttore dell'Archivio di Stato e della Scuola di paleografia ed archivistica, Sovrintendente agli Archivii veneti. — Ve- nezia. Politeo dottor Giorgo, •^■, professore di filosofia nel R. Li- ceo Marco Foscarini di Venezia. Dall' Acqua Giusti nob. Antonio, rj^, professore di lettere e storia nel R. Istituto di belle arti in Venezia. Bellati nob. ing. Giambattista, Cav. •^, membro della Com- missione Governativa filosserica, dottore in matemati- ca , Consigliere provinciale e consigliere provinciale scolastico di Belluno, nonché della Scuola enologica di Gonegiiano, presidente del Comizio agrario di Fellre e della R. Commissione ampelografica per la provincia di Belluno, socio della R. Accademia di scienze, letlere ed arti in Padova. Morsolin sac. Bernardo, •^, socio dell'Accademia Olimpica di Vicenza, della R. Accademia di Padova e degli Ate- nei di Venezia e di Bassano, membro della regia Depu- tazione di Storia patria per le provincie venete, della XV — Commissione preposta alla conservazione de' monumen- ti, delia Commissione al civico Museo e di quella di vigi- lanza alla Biblioteca comunale di Vicenza, professore di lettere italiane nel R. Liceo Pigafelta nella slessa città. Bellati dottor Manfredo, socio corrispondente della R. Ac- cademia di scienze, lettere ed arti in Padova, membro della Società francese di fìsica, professore di fisica tec- nica presso la R. Università di Padova. Berchet Guglielmo, dottore in logge, Comm. c§], Uff. -^^ Cav. della Legion d'onore di Francia, Cav. del Leone e Sole dì Persia, Corani. dell'Ordine di Francesco Giu- seppe e dell'Ordine imperiale giapponese del sole levan- te, decorato della grande Medaglia d'oro di I Classe da S. M. l'Imperatore di Germania, socio degli Atenei di Venezia, Milano, Treviso e Bassano, delle Accademie di Modena e di Rovigo e della Società ligure di storia pa- tria, membro dell'lstiluto storico di Francia e delle So- cietà geografiche di Roma, di Vienna e di Tokio, m. e. e segretario della R. Deputazione veneta di storia pa- tria. — Venezia. Da Schio Almerico, direttore dell'ufGcio meteorologico del- l'Accademia Olimpica di Vicenza, presidente della Se- zione dì Vicenza del Club alpino italiano. Stefani nob. Federico, Uff. ^ e Cav. di altri Ordini, vice- presidente della R. Deputazione veneti» sopra gli studii di storia patria, socio di parecchie Accademie nazio- nali ed estere. — Venezia. Spica Pietro, dottore nelle scienze fisico-chimiche ed in chimica e farmacia, membro della Società chimica di Berlino e della Società di scienze naturali ed economi- che di Palermo, membro della R. Commissione per l'ac- eortamento dei reati di veneficio, professore ordinario — XVI — di chimica farmaceutica e tossicologica ed incaricato deirinseguamento della chimica generale pei medici ed i farmacisti nella il. Università di Padova. Fertile Antonio, c§3, socio ordinario della Deputazione ve- neta di storia patria, onorario dcH'Accademia Olimpica e socio effettivo della R. Accadeir.ia di Padova, acca- demico attuale della R. Accademia Virgiliana di Man- tova, professore ordinario della storia del diritto nella R. Università di Padova. Corradini ab. mons. Francesco, ^, consigliere scolastico pensionato, prof, di letteratura latina nella R. Univer- sità di Padova. Bonateili Francesco, -^i socio nazionale della U. Accade- mia dei Lincei, socio effettivo della Società reale di Na- poli, dell'Accademia reale delle scienze di Torino e del- l' Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, so- cio corrispondente dell'Ateneo Veneto, dell'Ateneo di Brescia e dell'Accademia Urbinate, professore di filo- sofia teoi'etica e preside della Facoltà di filosofia e let- tere nella R. Università di Padova. Ferrai dott. Eugenio, •^, Comm. i#i, socio dell'Imperiale Istituto archeologico germanico, socio straniero dell'Ac- cademia (li Atene, socio di varie altre Accademie, pro- fessore ordinario di lettere greche e incaricato dellin- segnamento dell'archeologia, direttore della Scuola dì magistero in lettere e filosofia presso la R. Università di Padova. Tamassia dottor .Arrigo, socio corrispondente del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere, professore ordi- nario di medicina legale sperimentale nella Regia Uni- versità di Padova. Papadopoli conte Nicolò, Uff. 4^, Comm. c^, Ufficiule onp- — XVII — l'jirio di cavaìlciiii, socio straniero delia R. Accadeuiia di numismatica di Bruxelles, Accadeniico di merito re- sidente della 11. Acccvìemia di belle arti, socio residente dell'Ateneo veneto, Presidente della Begia Commissione ampelograflca per la provincia di Venezia. Martini Tito, t§], membro effettivo della Società Veneto- Trentina di scienze naturali, socio corrispondente della Colombaria di Firenze, socio dell'Ateneo veneto, pro- fessore titolare di matematiche nella R. Scuola supe- riore di comn)ercio e professore titolare di tisica e chi- mica nel R. Liceo Marco Fi'scarini di Venezia. Veronese Giuseppe, professore di geometria analitica pres- so la R. Università di Padova. Chicchi dott. Pio, c^i; ingegnere ed architetto, professore ordinario di costi'uzioni stradali, metalliche e ferro- viarie nella R. Università di Padova. Occioni-BoiiaiFons Giuseppe, dott. in filosofìa, cf3, socio or- dinario, segretario e redattore dell'Accademia di Udine e delia Società alpina friulana, membi'o della Commis- sione conservatrice del Museo friulano e della Biblio- teca di Udine, socio della R. Deputazione veneta di sto- ria patria, dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, della Colombaria di Firenze, delia Minerva di Trieste, pro- fessoie titolare di storia e geogralia nel R. Liceo Stel- li ni in Udine. Cassatoi Pietro, dottore in matematica, i§:, socio degli Ate- nei di Venezia e Treviso, dell'Accademia dei Concordi di Rovigo e deirAccademia di Bovolenta, professore di matematica nel R. Istituto tecnico Paolo Sarpi e pro- fessore di scienze naturali nell'Istituto femminile supe- riore di Venezia. — XVIII — SOCI COHr.lSPONnENT! CHE GlOSSAROiNO DI APPAiVrSiNERE ALI, E PROVINCIE VEiNETE Aiber Cons. Augusto di Glanstàtten. — Trieste. Chiozza Luigi, socio corrispondente del R. Istituto lom- bardo di scienze e lettere, professore emerito di chi- mica tecniia presso la Società d'incoraggianiento darli e mestieri in Milano. — Cervignano (Austria). Cossa nob. Aifonso, Uff. -4^, Comm. c§3, socio della R. Ac- cademia delle scienze di Toiino, di quella delle scienze naturali di Cherbourg e di altre, professore di chimica agraria e direttore della stazione sperimentale agraria presso il R. Ministero industriate italiano in Torino. Molin dott. Raffaele. ~ Vienna. Naccari dottor Andrea, professore dì fisica sperimentale nella R. Università di Torino. SOCI C0RR1S?0>'DENT1 ITALIANI Albini Giuseppe, •^, socio del R. Istituto lombardo di scien- ze e lettere, della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, profossore di tisiologia, istologia ed anatomia microscopica in quella R. Università. Allaneiii Cons. Nicolò, Comm. ^, c§3, professore nella R. Università di Napoli. Amari dottor Michele, Senatore del Regno, Gran Uff. •^, Comm. :^, Consigliere dell'Ordine del merito civile di Savoja, socio straniero deiristituto di Francia, corri- spondente delle Accademie di Torino, della Crusca di Palermo, ecc., professore emerito della R. Università di Palermo e del R. Istituto di studii superiori in Fi- — XIX — renzo, membro ordiiiasio del Consiglio superiore della pubblica istruzione in Roma. Battaglini Giuseppe, -^, Comm. d§3, professore di geomo- Iria analitica e preside della facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Roma. Berti Domenico, Gran Uff. ■^, Comm. c§], Cav. dell'Ordine del Merito civile di Savoja , socio di più Accademie scientifiche e letterarie, corrispondente della R. Acca- demia della Crusca, deputato al Parlamento, professoie di storia e della filosofia e preside della Facoltà filosofi- ca della R. Università di Roma. Betti Enrico, Senatore del Regno, Comm. h^, Uff. d^, Ca- valiere dell'Ordine del merito civile di Savuja, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro stranie- ro della Società matematica di Londra e della R. Società delle scienze di Gottinga, socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei e corrispondente del R. Istituto lom- bardo di scienze e lettere, membro del Consiglio su- periore di pubblica istruzione, vicepresidente direttore degU studii nella R. Scuola normale superiore, profes- sore della fisica matematica e incaricato dell'astrono- mia meccanica celeste nella R. Università di Pisa. Bizzozero dottor Giulio, -ef?, i^, membro del Consiglio su- periore della pubblica istruzione, socio delle Reali Ac- cademie delle scienze di Torino e dei Lincei di Roma, socio del R. Istituto lombardo, professore ordinario di patologia generale nella R. Università di Torino. Blaserna Pietro, Uff. -^^ Comm. d§3, socio della R. Acca- demia dei Lincei, professore di fisica sperimentale nella R. Università di Roma. Boccardo avv. Girolamo, Senatore del Regno, Comm. ^^, Uff. u§:, Cav. deirOrdiiiC del merilo civile di Savoja, XX — socio del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, pro- fessore nella R. Università di Genova. Bombicci Luigi, Comm. ^, n|3, professore di mineralogia presso la R. Università di Bologna. Boncompagni D. Baldassare, dei principi di Piombino, so- cio dell'Accademia Pontifìcia dei nuovi Lincei di Roma. Bonghi prof. Ruggero, Gran Cordono cg:, socio de! R. Isti- tuto losiibardo e di altre Accademie scienlidche, depu- tato al Parlamento, professore onorario della R. Uni- vei-sità di Napoli. Campori march. Giuseppe, cfj, presidente della R. Deputa- zione di storia patria per le provincie modenesi e pre- sidente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Caruti di Cantcgno barone Domenico, Gr. Uff. ^^ Comm. D^, di altri Ordini cavaliereschi italiani e stranieri, Con- sigliere di Stato, membro del Consiglio degli Archivi e delia R. Deputazione sopra gli studi, di storia patria, socio di [ùù Accademie nazionali e straniere, segretario della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cannizzaro Sianìslao, Senatore del Regno, Comm. ■f-, c§3, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Ronia, socio conispondcnle del R. Istituto lombardo, membro del Consiglio supe- riore di pubblica istruzione, preside della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Liiiver-. sita di Roma. Cappellini Giovanni, Uff. •^, Comm. c^., prof, di geologia nella R. Università di Bologna. Carducci Giosuè, Uff. ■^j socio corrispondente del R. Isti- tuto lombardo di scienze e lettere, deputato al Parla- — XXI — mento, professore di lettere italiane nella R. Università di Bologna. Carrara Francesco, Senatore del Regno, Comm. ^ t^, membro della Società di legislazione comparata di Pa- rigi, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, professore di diritto e procedura penale nella R. Uni- versità di Pisa. Comparetti Domenico, -^^ Comm. t^, professore di filologia comparata nel R. Istituto di studi superiori in Firenze. Conti Augusto, Comm. -^ :^, accademico residente e ar- ciconsolo della R. Accademia della Crusca, professore di filosofia teorica e morale e incaricato della storia della filosofia nel R. Istituto di studii superiori in Fi- renze. Corico Simone , Comm. -^ c^ , socio corrispondente del Reale Istituto lombardo, presidente dell'Accademia di scienze naturali ed economiche, e professore di filoso- fia nella R. Università di Palermo. Correnti Cesare, Primo Segretario di S. M. per il Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, Cancelliere dell'Or- dine della Corona d'Italia, Cav. Gran Croce decorato del Gran Cordone c§3 e dell'Ordine della Rosa del Bra- sile, Gr. Uff. -^j Comm. dell'Ordine di Leopoldo del Belgio e della Legione d'onore di Francia, socio corri- spondente del R. Istituto lombardo , presidente della Società geografica italiana. — Roma. D' Ancona Alessandro , -^ , professore di lettere italiane nella Regia Università di Pisa. D' Achiardi Antonio, ^ , professore di mineralogia nella R. Università di Pisa. De Gasparìs Annibale, Senatore del Regno, Uff. ^, Comm. D§3 e dell'Ordine del merito civile di Savoja, Comm. a — XXII — dell'Ordine della Rosa del Brasile, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro della R. Acca- demia delle scienze di Torino e della Società di Na- poli, Direttore della Specola Reale presso la Università di Napoli. Del Lungo prof. Isidoro, ^, Accademico residente della Crusca. — Firenze. Denza P. Francesco, ■^, socio di più Accademie, membro del Consiglio direttivo di meteorologia. Direttore del- l' Osservatorio meteorologico di Moncalieri. De Rossi Giovanni Battista, Comm. della Legion d'onore e membro dell'Istituto di Francia, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere e della R. Accademia della Crusca , interprete dei Codici latini presso la Vaticana. — Roma. Desimoni aw. Cornelio, -^^ c§i, archivista e vicepresidente della Società ligure di storia patria in Genova. De Vecchi Ezio, Comm. -^ cf:, e del Reale Ordine militare di Savoja, decorato della medaglia d'argento al valor militare, Luogotenente generale dell'esercito. — Bo- logna. Di Bérenger prof. Adolfo, Uff. •^, Comm. c§:. Ispettore ge- nerale forestale a riposo. — Pontassieve, provincia di Firenze. Fabretti Ariodante, Uff. •^, i^, cav. della Legione d'onore di Francia e della Rosa de! Brasile, membro del Con- siglio superiore della pubblica istruzione, membro della R. Accademia delle scienze in Torino, socio del R. Isti- tuto lombardo, professore ordinario di archeologia gre- co-latina nella R. Università di Torino. Felici Riccardo, 4- , Uff. ;§_i, uno dei XL della Società ita- — XXIII — liana delle scienze, profossore e direttore del gabinetto di fisica sperimentale nella R. Universitù di Pisa. Ferrerò Annibale, -^t, Comra. t§i, decorato delle medaglie al valor militare, Colonnello del Corpo di Stato Mag- giore, Direttore in 2." dell'Istituto topografico militare, Segretario della Commissione geodetica italiana . — Firenze. Ferri dott. Luigi, Uff. •^, Comm. ^ , professore di filosofia teoretica presso la TV. Università di Roma. Fiorelli Giuseppe, Senatore del Regno, Comm. •^, Uff. c§:, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja , socio e segretario della R. Società delle scienze e professore onorario della R. Università di Napoli, ecc. Franceschi-Ferrucci Caterina, corrispondente della Reale Accademia della Crusca e di quella delle scienze di Torino. — Firenze. Gemeilaro Gaetano Giorgio, Comm. •^, vicepresidente del- l'Accademia di scienze naturali ed economiche di Pa- lermo, socio di altre Accademie scientifiche, profes- sore di geologia e mineralogia nella Scuola di appli- cazione per gì' ingegneri presso la R. Università di Palermo. Genocchi dott. Angelo, Uff. 4', "no dei XL della Società italiana delle scienze, membro della R. Accademia delle scienze di Torino, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, della R. Accademia dei Lincei di Roma e di altri Corpi scientifici, professore di calcolo differen- ziale ed integrale nella R. Università di Torino. Gorresio Gaspare, Comm. -^j c§:, corrispondente della R. Accademia della Crusca, dottore aggregato nella Fa- coltà di lettere e filosofia presso la R. Università di To- rino, segretario perpetuo della Classe di scienze morali, — XXIV — storiche e filologiche, e prefetto delia Biblioteca nazio- nale pure in Torino. Gozzadini conte Giovanna, Senatore del Regno, Gr. Uff. ■^, c§i , e di altri Ordini cavallereschi esteri, presidente della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna. — Bologna. Guasti Cesare, Comna. ■f^, c^, anziano della Società Colom- baria, accademico residente e segretario della R. Acca- demia della Crusca di Firenze. Guglielmotti P. Maestro AIbsrto. — Roma. Manno barone D. Antonio, Membro e segretario della R. Deputazione sovra gli studi di storia patria, membro e vicetesoriere della R. Accademia delle scienze di Torino. Minghetti Pflarco, Gran Cordone •^, Gran Croce c§3, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, Gran Croce della Legion d'onore di Francia e dell'Ordine di Leo- poldo del Belgio, deputato al Parlamento, Collegiato onorario della R. Università di Bologna. — Roma. Moleschctt Giacomo, Senatore del Regno, Comm. -^j mem- bro della R. Accademia delle scienze di Torino, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, del R. Istituto lombardo, professore di fisiologia nella R. Università di Roma. Mosso Angelo, ■#, #, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, della R. Accademia di medicina in Torino, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, professore di lisiologia e tossicologia sperimentale pres- so la R. Università di Torino. Negri Cristoforo, Gran Uff. -^^ Uff. i§i, socio corrispon- dente del R. Istituto lombardo e di altre Accademie scientifiche. Console generale di I. classe. Consultore legale del R. Ministero per gli affari esteri. — Torino. r^icoluccì Giustiniano, r^, socio della R. Accademia delie scienze fisiche e maleuiatiche di Napoli e di altre So- cielà scientiCche, membro della Commissione per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d'antichità e belle arti in Caserta. Occioni Onorato, Uff. 4^, Comm. :§a, professore di lettera- tura italiana nella R. Università di Roma. Pacinotti Antonio, socio della R. Accademia dei Lincei in Roma, professore di fisica nella R. Università di Sassari. Palmieri Luigi, Senatore del Picgno, Uff. •^, Comm. c§i, uno dei XL della Società italiana delle scienze, mem- bro della R. Società di Napoli e di altre Accademie, direttore dell'Osservatorio meteorologico Vesuviano e della Specola di Napoli. Ranalli Ferdinando, -^^ Consultore della Commissione per le arti delle provincie di Pisa e Livorno, professore di storia antica e moderna. — Firenze. Razzabonl prof. Cesare, socio della R. Accademia dei Lin- cei in Roma e Direttore della R. Scuola d'applicazione degl'ingegneri presso la R. Università di Bologna. Respighi Lorenzo, ■^, t§3, professore di astronomia, inca- ricalo anche della geodesia teoretica, e Direttore del- l'Osservatorio astronomico presso la R. Università di Roma. Scacchi Arcangelo, Senatore del Regno, Comm. -^r, Gr. Uff. [:§:, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, uno dei XL della Società italiana delle scienze, presi- dente della slessa Società, socio nazionale della R. Ac- cademia dei Lincei e della R. Società delle scienze di Napoli, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, professore di mineralogia presso la R. Università di Napoli. — XXVI — Semmcla fJSarlano, ^^, Comm c§^, Comm. del II. Ordine di S. Lodovico e di quello del Nisciam Eftihkar, socio corrispondente di varie Acccademie e del R. Istituto lombardo , professore ordinario di materia medica e tossicologia, nonché Direttore del Gabinetto di materia medica presso la R. Università di Napoli. Tabarrini avv. Marco, Senatore del Regno, Cons., Comm. "f», c§3, Accademico residente della R. Accademia della Crusca, ecc. — Torino. Tacchini ing. Pietro, Comm. tfi, Direttore dell'Ufficio cen- trale di meteorologia in Roma. Tardy Placido, Comm. ■^c, Uff. ^, uno dei XL della So- . eietà italiana delle scienze, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, professore di calcolo differenziale e integrale nella R. Universitù di Genova. Targioni-Tozzetti Adolfo, Comm. 4^, Uff. c^, membro della Commissione consultiva per la pesca e di quella per i provvedimenti contro la filossera, Direttore del gabi- netto di zoologia ed anatomia comparata degli animali invertebrati presso il R. Istituto di studi superiori in Firenze. Teza Emilio, Comm. d|i, socio del R. Istituto lombardo, prof, di sanscrito e incaricato della storia comp. delle letterature neo-latine presso la R. Università di Pisa. Tommasi Salvatore, Senatore del Regno, Coium. •^, Uff. d|], presidente della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, socio corrispondente del R. Istituto lombar- do, professore di patologia medica speciale e di clinica medica nella R. Università di Napoli. Tommasìtìi Oreste, socio della R. Accademia dei Lincei in Roma. — XXVII — ViSlari Pasquale, Coinm. -4?, o|3, socio della R. Accademia delle scienze di Monaco, della R. Società delle scienze e dell' Accademia Pontoniana di Napoli, professore di storia moderna nel R. Istituto di studi superiori in Firenze. SOCI CORRISPONDENTI ESTERI Airy Biddel G. — Greenwich. Beneden (Van) Pietro. — Lovanio. Berghaus Enrico. — Gotha. Bertheiot Marcellino. — Parigi. Bertrand J. — Ivi. Bierens de Haan David. — Amsterdam. Billroth Teodoro. — Vienna. Briicke Ernesto. — Vienna. Bunsen Roberto Guglielmo. — Heidelberg. Czòrnig di Czernhausen Carlo. — Vienna. De Sybel Enrico. — Berlino. Di Hauer Francesco. — Vienna. Faye Hervé Aug. E. A. — Parigi. Forster Guglielmo. — Berlino. Gachard Luigi Prospero. — Bruxelles. Gregorovius Ferdinando. — Monaco. Helmhollz Ermanno Luigi Federico. — Berlino. Hermite Carlo. — Parigi. Hofmann Augusto Guglielmo. — Berlino. Hortis Attilio. — Trieste. ti Giuseppe. — Vienna. — XXV IH — Mommsen Teodoro. — Berlino. Mueller (von) Ferdinando. — Melbourne. Owen Riccardo. — Londra. Pertz Guglielmo. — Berlino. Quatrefages Armando. — Parigi. Rancke Leopoldo. — Berlino. Rendu Eugenio. — Parigi. Reumont (von) Alfredo. — Aquisgrana. Riant Paolo. — Parigi. Schiff Maurizio. — Ginevra. Schlmper W. Ph. -- Strasburgo. Struve Ottone. — Pulkova. Thomas Giorgio Martino. — Monaco. Tyndali Giovanni. — Londra. Wolkmann Riccardo. — Halle. Zittel Carlo. — Monaco. Alino ISS5-S6 DISPENSA I ADUNANZE DEL MESE DI NOVEMBRE 1885 ADL'rSAr»^'ZA DEL GK)R?fO 99 PRESIDENZA DEL SENATORE FEDELE LAMPERTICO PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi : Minich, Trois, Turazza, BuccHiA, Pazienti, Pirona, Zanella, Veludo, De Betta, Famiìri, Lorenzoni, e. Bernardi, Beltrame, Tolomei, Favaro, Saccardo, Vigna, Marinelli, De Giovanni, Om- BONi e Bizio segretario; nonché i soci corrispondenti: Berchet, Stefani, Spiga, Fertile, Martini e Cassani. È giustificata l'assenza dei membri effettivi Monsig.^. J. Bernardi e G. De Leva. Dopo la presentazione, fatta dal Vicesegretario dei libri pervenuti in dono dal \h agosto decorso a tutt'oggi, il Pre- sidente comunicò, che r Istitulo fu rappresentato al Con- gresso geologico internazionale di Berlino dal m. e. A, De Zigno^ ed a quello, pure internazionale, penitenziario in Roma dal m. e. Monsig. J. Bernardi. Informò inoltre, che il socio P. F. Denza venne incari- cato di una eguale rappresentanza al Congresso meteoro- logico di Firenze, e che la Presidenza si associò con voti di augurio a quello medico di Perugia. Tomo IV, Serie VI. i — 2 — Partecipò eziandio che, con Ministeriale Decreto del giorno 8 settembre scorso, il dott. Antonio Vecelli fu con- fermalo Curatore della Fondazione Balbi-Valier pel trien- nio 4 885-1888. Poscia il m. e. A. Pazienti diede lettura della sua Com- memorazione del compianto m. e. Francesco Rossetti ; ed il m. e. G. Bucchia presentò la sua Memoria, col titolo : « Ricerca sulla reale utilità dei bacini dì ragunata delle acque, che portano ì condotti di scolo, prima di dar ad esse esito in mare ». Il m. e. G. A. Pirona presentò pure pel volume delle Memorie in 4.°, un suo scritto, illustrato da 2 tavole « So- pra due C/iamacee nuove del terreno cretaceo di Col dei Schiosi, nelle dipendenze del Monte Cavallo, su quel di Pol- cenigo in Friuli ». Sono esse una Monopleura (M. foroju- liensis Pir.) ed un Diceras sinistro (D. Pironai G. Bohem.). Fino al giorno d' oggi tutte le specie di bivalvi dicere- liformi, raccolte nei depositi cretacei, offrirono caratteri tali nell'apparato cardinale, da doverle considerare come genericamente differenti dai veri Diceras di Lamark. L'Au- tore minutamente descrive la struttura della cerniera del nuovo Diceras, composta di due denti nella valva destra e di uno nella sinistra, portati da una lamina cardinale, co- me pure le impressioni del muscolo posteriore giacenti so- pra cordoni o lamine miofore, che, passando disotto alla lamina cardinale, scorrono fino agli umboni in ambedue le valve, precisamente come nei Diceras tipici del Giura su- periore. Costante nei caratteri interni, ma variabile molto nel portamento esterno, come forme estreme, legate tuttavia da frequenti passaggi, l'autore distingue del tìuo\o Diceras tre varietà, cioè : Diceras Pironai G. Bohera var. typicum, var. hecticum e var. difforme. È questa !a prima volta che, in modo incontrastabile, viene dimostrato, che i rappresentanti del genere Diceras sorpassarono i confini del Giura superiore, entro i quali finora si ritennero assolutamente rinchiusi da tutti i pa- leontologi ; e ch'essi invece continuarono a vivere almeno fino all'epoca del Neocomiano superiore od Urgoniano, co- me lo dimostra la sua associazione con specie appartenenti a generi esclusivamente cretacei, come: Monopleura, Ra~ diolites e Sphaerulites. La Monopleura forojuUensis si mostra affine per la for- ma e pel portamento alla M. trilobata d'Orb., e per la strut- tura dell'apparato cardinale alla M. varians Math., ambe- due del terreno Urgoniano. Il m. e. E. De Betta espose oralmente il sunto di un suo lavoro « sulle diverse forme della Rana temporaria in Europa e più particolarmente neW Italia » ; poi il socio A. Fertile lesse una sua Memoria, col titolo : « Gli animali in giudizio ». Infine il m. e. E. Bernardi presentò le sue « Conside- razioni sulle valvole di sicurezza » (con \ tav.) Terminate le letture, l'Istituto si chiuse in adunanza segreta per la trattazione de' proprii affari interni. Nell'adunanza del successivo giorno 23, presieduta dal m. e. dott. Angelo Minich vicepresidente, dopo l' approva- zione dell'Alto verbale della precedente tornata, il vicese- gretario E. F. Trois lesse la sua « Annotazione sopra un fenicottero roseo preso nel Veneto ». Poscia il Segretario presentò le « Ricerche sperimentali del s. e. A. Tamassia sulla putrefazione del rene » ; ed una Memoria del prof. G. A. Bordiga, ammessa in conformità _ 4 — all'art. 8." del Regolamento interno, ed intitolata: « Com- plessi e sislemi lineari di raggi negli spazi superiori- Cur- ve normali eh' essi generano ». Dopo ciò, in adunanza segreta, si esaurirono gli altri affari, eli' erano stati posti all'ordine del giorno. LAVORI LETTI m LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI COMMEMORAZIONE DEL MEMBRO EFFETTIVO FRANCESCO prof. ROSSETTI Cctta DAL M. E. DOTI. ANTONIO PAZIENTI Un Collega carissimo, che all'affetto costante per le fisi- che disciphne accoppiava una indefessa operosità, un esem- plare attaccamento al dovere, Francesco Rossetti, moriva in Padova il giorno venti dell'aprile decorso. Chiamato, per affinità di studi! , a rendergli quell'ufficio, che è dovuto a quanti consecrarono alla scienza il pensiero e la vita, io ne accettai, o illustri Colleghi, l'onorevole carico, sempremai confidando nella vostra benevolenza. Nella coltissima Trento nacque Francesco Rossetti il giorno undici settembre del 1833, da genitori non ricchi ma onestissimi. Compiuto il corso filosofico nel patrio Liceo, attendeva per due anni agli studii matematici nella Universi- tà di Padova. Dipoi si recava a Vienna, dove otteneva l'abi- litazione all'insegnamento della Matematica e della Fisica. Io conobbi il Rossetti quando venuto Professore in questa cit- tà (*), visitava premuroso quel venerando Collega, che stret- (1) Nel 4857 stippU lo Zambra p^r la Fisica e nel 1858 fu promosso Professore ordinario nello stesso Liceo di Santa Gaterinì^ — 6 — to a me coi vincoli del sangue, serba pure nel vostro animo una degna ricordanza, voglio dire Bartolomeo Bizio. Ap- presi allora come il Rossetti sentisse delle umane infermità, e come le doti della mente armonizzassero in lui con le doti del cuore; e da quel tempo innanzi tenni la sua amicizia stimabile. Ondechè il mio compito è per doppio motivo convenevole; ed adempiendo il debito dell'amicizia, renderò omaggio alla verità. È certo che la scienza, ove si adoperi a mostrare il ve- ro nella severa unità della sua sostanza, richiede una larga cognizione di principii, di metodi, di osservazioni. Per la qual cosa il Collega nostro nel \ 864 trasferivasi in Parigi per assistere alla pratica istruzione di un fisico assai rino- mato ed abilissimo sperimentatore, qual fu il Regnault. Nel soggiorno di Parigi era da questo suo maestro eccitato ad intraprendere uno studio sperimentale, al quale dava inco- minciamento nel Laboratorio stesso dello scienziato francese. E nella adunanza del giorno 20 novembre 1866 leggeva a questo Istituto la sua prima Memoria intorno al massimo di densità e dilatazione dell'acqua distillata, dell'acqua del- l'Adriatico e di alcune soluzioni saline. In essa espone il metodo seguito e principalmente le esperienze assai rigoro- se fatte per determinare il coefficiente di dilatazione cubica degU strumenti, che servono a calcolare la dilatazione del- l'acqua distillata. Queste ricerche, che ebbero continuazione in una seconda Memoria, lo condussero a stabilire una sola espressione analitica, la quale rappresenta abbastanza bene il fenomeno della dilatazione dell'acqua per l'intera scala delle temperature da 0° a 1 00°. Per quanto risguarda le soluzioni saUne accennerò soltanto, che trovò l'abbassa- (ora Marco Foscarini). Nel 1866 passò alla Università di Padova Professore straordinario di Fisica sperimentale, e l'anno appresso ebbe il grado di Professore ordinario. — 7 — mento del punto di congelazione al di sotto dello zero di- rettamente proporzionale alla quantità del sale disciolto; la quale proporzionalità era stata piuttosto indicata che dimo- strata dal Despretz. L'importanza dell'argomento ben me- ritava che il Collega nostro vi tornasse sopra. E le men- zionate ricerche si tengono in considerazione dai fisici, e per i metodi seguiti, che sono da additarsi quale esempio nell'arte diffìcile dello sperimentare; e peri risultamenti ottenuti, che tornano spesso utih nelle pratiche applica- zioni C^). È noto come l'esistenza di un potere specifico indut- tivo dei coibenti, benché dimostrata sperimentalmente da fisici valentissimi, fosse tuttavia rivocata in dubbio da altri illustri scienziati. Il nostro Socio credette perciò opera utile quella d'intraprendere delle nuove ricerche. E in una inte- ressante Memoria, dopo aver fatto cenno delle esperienze e delle idee dei fisici sopra un tale argomento, espone gli esperimenti proprii, che condotti con fine accorgimento tan- to nella preparazione degli apparecchi, quanto nelle misura- zioni, raffermano l'esistenza del potere specifico induttivo dei corpi coibenti, e ne definiscono i valori numerici per al- cune sostanze. Ed è a notarsi che il Rossetti, seguendo altra via da quella prescelta dal Professore Felici, ottenne risul- tati quasi identici ; e questa è prova, ad un tempo, e della valentia degli esperimentatori e della bontà dei metodi pra- ticati (^). Nel 1837 il Gauss annunziava un fatto singolare, il quale sta in ciò, che mentre le correnti idroelettriche ed anche le termoelettriche e quelle d' induzione diminuiscono (2) Atti del R. Istituto veneto (Serio III), T. XII, pag. 73 (1866), T. XIII, pag. 963, 1047, 1418 (1868). (3) Atti del R. Istituto veneto (Ser. IV), T. II, pag. 1509, 1887 (1873). — 8 - di intensità coll'aumentare delia resistenza del circuito ester- no, le correnti delle macchine elettriche a strofinamento mantengono invece costante la loro intensità , qualunque sia la resistenza offerta dal circuito da esse percorso. Que- sto stesso fenomeno, il quale rimase per parecchi anni igno- rato, o privo delia dovuta considerazione, fermò più tardi l'attenzione del Poggendorff. Nel 1868 ne fece argomento di svariati studii coU'elettromotore dell' Hollz, e v' ebbe una piena conferma del fatto che il Gauss aveva annunciato e studiato solo per incidenza. Sembrerebbe che alla autorità del Poggendorff, certo di gran peso, specialmente in argo- menti che spettano alla elettricità, i fisici avrebbero dovuto acquietarsi. Ma avvenne altrimenti, ed il Collega nostro teoricamente ed esperimentalmente dimostrava che i risul- tamenti ottenuti dal Gauss e dal Poggendorff doveansi piut- tosto attribuire a ciò, che le resistenze introdotte nel cir- cuito erano inferiori di troppo alla resistenza interna dell'e- lettromotore, la quale è grandissima. Io non seguirò il no- stro fisico in tutte le conclusioni particolari, alle quali per- venne in questi suoi studii sulle macchine elettriche ; dirò soltanto che non sussiste proprio quel modo eccezionale di comportarsi delle correnti svolte delle macchine elettriche, ma che obbediscono anch'esse alla legge dell' Ohm al pari delle correnti generate dagli altri elettromotori. Con queste indagini si potè inolire determinare con sufficiente precisio- ne la forza elettromotrice e la resistenza interna dell' elet- tromotore a qualunque velocità di rotazione ; e misurare eziandio le intensità delle correnti, come pure il lavoro con- sumato ad ogni minuto secondo per ottenere le varie in- tensità. Al Rossetti non sembrò quindi inopportuno il ten- tativo di desumere il valore dell'equivalente dinamico della caloria ; e dal complesso degli esperimenti ottenne un nu- mero che risponde a quello presentemente adottato. Questi — 9 — stiulii furono lodatissiiiìi, ed egli n'ebbe un premio dalla So- cietà italiana dei XL {^). E poiché cadde il discorso sopra questa maniera di stu- dii, devo pure far menzione delle sue osservazioni ed espe- rienze sull'uso dell'elettromotore dell' Hollz nelle ricerche elettrometriche sui condensatori elettrici (^); e sulla quan- tità di lavoro che viene in esso utilizzato (•") ; e sulla inver- sione delle correnti negli elettromotori delflloltz e del Pog- gendorff (') : ricerche queste che mirano a dare una più completa cognizione di codesti elettromotori (*). In ogni tempo si credette di avere raggiunta l'ultima meta della cognizione e della intelligenza della natura. « Te- mo che tal fede, dice l'Humboldt, cui seriamente vi pensi, non possa sublimare il gaudio del presente. Più fecondo e meglio adatto ai destini dell'uomo è il convincimento che le conquiste dell'intelletto sono, non che altro, una parte as- sai tenue di quelle, che l'attività progrediente e l'incivili- mento universale faranno in avvenire ». È generale il con- cetto dell'Humboldt, ma frattanto, discendendo a qualche fatto particolare, riuscirà ognora più conforme al vero. Nell'ottobre del 1832 Samuele Morse, navigando dalla Francia verso gli Stati Uniti, concepiva l'idea del suo tele- grafo, e nel pigliar terra diceva a Guglielmo Peli: « Capita- no, quando il mio telegrafo sarà diventato la maraviglia del (4) Atti del R. Istituto veneto (Ser. IV), T. Ili, pag. 1772, 2081, 2159 (1874). (5) Rivista dei lavori dell'Accademia di Padova, voi. XXI, pag. 69 (1872). (6) Memoria letta alla R. Accademia di Padova nella tor- nata del 31 maggio 1874. Padova, tip. di G. Batt. Randi, 1874. (7) Atti del R. Istituto veneto (Ser. IV), T. Ili, pag. 165 (1874). (8) Vegg. inoltre la Nota inserita negli Atti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. I, pag. 615 (1875): aConfronto fra le macchine elettriche ». Tomo IV, S>:ne 17. 2 - -10 — mondo, risovvenitevi che la scoparla fu fatta a bordo dtl vostro vascello il Sullij». Ma, trascorsi parecchi lustri, ecco il telefono riprodurre ed inviare a distanza la voce umana con tutte le sue modulazioni, mediante quella stessa veloce messaggera, che è la corrente elettrica. In grazia della im- portanza e della novità di questa stupenda invenzione , il Collega nostro inti-atteneva l'adunanza del 16 dicem- bre 1877, con una chiara descrizione del telefono del Bell, accompagnandola con i relativi esperimenti. Pubbhcava quindi le relazioni sopra alcune sue esperienze telefoniche, sui telefoni senza lamine e sull'uso vantaggioso che si può fare dei rocchetti d'induzione per comunicare telefonica- mente fra due stazioni lontane (^). Per un suo particolare sistema di applicazione dei rocchetti d'induzione, ottenne anche il privilegio in parecchi paesi, e costituivasi in Ame- rica una società per attuarlo. Altra importante ricerca, che, tentata per la prima volta dal Newton, richiamò in questo secolo l'attenzione dei fisici, si è la determinazione della temperatvra del Sole. Bisogna convenire, che il quesito è ben difficile, se troviamo tal- mente discordi le conclusioni che discendono dalle indagini instituite, da dividerle quasi un abisso; e se l'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia, che nel 1876 ne faceva tema di concorso, giudicava l'anno appresso che nessuno dei concorrenti avea risolto il problema; d'onde la delibera- zione di non più presentarlo per un ulteriore concorso. Tuttavolta il Collega nostro non cadde d' animo, e procurò di togliere o di diminuire le difficoltà inerenti alla natura della questione. Le sue indagini pertanto furono dirette, primieramente a misurare l'intensitù dell'irraggiamento so- (9) Alti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. IV, pag. 291, 351, 567, 661 (1878). — Sullo slato presente della tclegralia e della te- lefonia. Accademia di Padova^ febbrajo 1881. — 11 — lare mediante l'effetto prodotto nell'apparato termometrico, in secondo luogo a misurare, collo stesso strumento, non solamente 1' intensit;'i dell' irraggiamento termico di corpi aventi temperature varie e conosciute, ma ben anche a di- scoprire la legge, con cui queste intensità variano al variare della temperatura, e a trovare la formola che esprime co- desta legge. Nelle scienze sperimentali, quando una teoria, una legge o la formola, che la rappresenta, regge ai varii cimenti, a cui la si sottomette, ragion vuole che essa abbiasi a risguardare come l'espressione dei fenomeni contemplati. Dietro questo principio il nostro Professore credette di poter conchiudere: « che la vera temperatura del Sole non debba essere gran fatto diversa da quella, che venne chiamata temperatura ef- fettiva di quell'astro, e questa non debba essere inferiore di mollo ai diecimila gradi, ove si tenga conto solamente del- l'assorbimento dell'atmosfera terrestre ; né di molto superare i ventimila gradi, quando si voglia eziandio aver riguardo all' assorbimento prodotto dall' atmosfera solare, e questo corrisponda ad ^V,,,^ dell'Irraggiamento totale «. Ma che è questa temperatura effettiva di quel vose di fiamma, astro gigante? È quella temperatura, che dovrebbe avere un corpo incandescente, di. pari grandezza, e posto alla stessa distanza del Sole , per dare il medesimo effetto termico, qualora esso fosse dotato del medesimo potere emissivo. Dotti Colleglli, il quesito è arduo ; nondimeno il Rossetti ha saputo intanto svelare nella questione un lato vulnerabile, e dimostrare che le formole usate in addietro non possono es- sere scientificamente giustilìcate. Egli non ignorava che, nel- le speculazioni coraggiose, la matematica può servire di scienza del paragone e preservare da temerità. Ma se ca- dono i milioni di gradi desunti da alcuni fisici, e i loOO e 1 400 gradi dedotti da altri, quale temperatura del Sole, sarà poi dcIJnitivamente risolto il difiicile problema? Rammcutia- — 12 — moci che il Rossetti si propose solamente di restringere i limiti, entro i quali si deve considerare la temperatura del Sole. E fu detto saviamente che « il grado di probabilità della soluzione del problema è senza dubbio cresciuto di molto per l' opera del Rossetti ». E al Rossetti, per le sue indagini sulla temperatura del Sole, la Reale Accademia dei Lincei, più fortunata dell'Istituto di Fj'ancia, aggiudicava il premio scientifico Carpi per l'anno 1877 (^°). In appresso, alle sue ricerche sulla temperatura delle fiamme (*^) aggiungeva anche lo studio di un problema, che si riferisce alla temperatura dell' arco voltaico e delle due estremità polari dei carboni, nell'atto che producono la luce elettrica : lavoro questo, che mentre stabilisce utiU principi! sul potere assorbente e sul potere emissivo termico delle fiamme luminose e di quelle poco lucenti, può considerarsi quale una continuazione ed un complemento alle sue inda- gini sulla temperatura del Sole (*^). Fin qui ho toccato dei principali lavori sperimentali del Rossetti. Mi limito pure ad un rapido cenno di altri, quali sono l'erudito discorso sulla visione bioculare, pubblicalo nel programma dell' I. R. Ginnasio -Liceo di S. Caterina (1861), e la nota intorno a due nuove teorie degh strumenti ottici dei professori Mossotti e Petzval ; le osservazioni sulla pila di Danieli modificata da G. Minotto (^ •'), sull'uso delle cop- (10) Di alcuni recenti progressi delle scienze fisiche e in par- ticolare di alcune indagini intorno alla temperatura del sole. Ora- zione inaugurale dei corsi accademici dell, anno Ì877-78. Pado- va, tipografia di G. Batt. Randi. — Alti della R. Accademia dei Lincei, voi. II (1878). (11) Atti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. Ili, pag. 809; T. IV, pag. 279 (1877-78). (12) Atti della R. Accademia dei Lincei, voi. IV (1879). — Alti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. V, pag. 555 (1879). (13) Atti dell' Ateneo veneto, 1861-62. — 13 - [ne termoelL'ltridio nella misura delle temperaliire (^ ■) e sul disparire del gas tonante svolto nell'elettrolisi dell'acqua (*■). Nel corso delle sue esperienze sui condensatoli elettrici ebbe occasione di fare una curiosa ed elegante sperienza, che prova in modo visibile la conduttività del vapore acqueo e colla quale si può CaciUnente mostrare una differenza ca- ratteristica fra lo stato elettrico positivo e il negativo ('^). Non è d'uopo ricordare le vivaci discussioni, alle quali diede argomento quello strumento singolare, che è il Radiometro. Anche per il Collega nostro il Radiometro del Crookes fu oggetto di ingegnosi esperimenti per chiarirne la spiega- zione {^"). Ed ora, quando si consideri che il Rossetti con sollecite cure procacciò al suo Istituto di fìsica, quell'incremento che ripetesi dall'odierno indirizzo scientifico; quando si rifletta alle laboriose ricerche, alle quali diede mano nel volgere di pochi anni, ad onta della sua mal ferma salute, e delle mol- teplici sue occupazioni, credo di essere nel giusto affer- mando che egli intese con amore ad avvantaggiare i fisici studii. Fu inoltre esemplare il sentimento, che ebbe il Rossetti del proprio dovere. Quale professore, tenne la scuola in cima dei suoi pensieri, e colla bontà dell'insegnamento teo- rico e pratico, che, senza pompa cattedratica, seguiva or- (14) Rivista dell' Accademia di Padova, 1867. (15) Atti della Società italiana di scienze naturali, voi. XII, fase. 3 (1869). (16) Atti della Società Veneto-Trentina di scienze naturali, voi. 1 (1871-72). (17) Il Radiometro di Crookes. Memoria letta alla lì. Acca- demia di Padova nella tornata del i4 maggio 1876. Padova^, tipografia di G. B. Raudi. — Atti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. II, pag-. 869 (1876). — li - dinato ed agevole ('^), sciDpe eattivarsi la simpatia e la stima di buon numero di discepoli. Egli seppe animarli col suo esempio; e coli' ispirar loro un affetto efficace alle dottrine, che professava, compiva la più grande missione, che possa dare la scienza. E ne rendono ferma testimonianza gli egre- gii, che, e nella pubMica istruzione, e con i dotti lavori, mentre onorano so stessi, onorano pure il maestro. Per non mancare all'obbligo suo, come successore al venera- to Professore Zanledeschi , ne! giorno 3 1 marzo 1873, con misurato discorso ne dava riverente 1' estremo ad- dio ('^). E parimenti s'impose il doveroso ufficio di rac- cogliere e pubblicare i punti più salienti della vita scientifica e politica di Simone Strafico (""). Compito questo lodevole, e per l'ordine, col quale il Rossetti procede nell'esame della vita e delle opere dello Strafico, e per Io studio paziente ed inteUigente, col quale pose in luce tanti e sì svariati docu- menti della potenza intellettuale dell'esimio Professore di J Padova. Agli incarichi di questo Istituto era pronto a rispondere con le sue dotte Relazioni, che, in argomenti anche dehca- lissimi, si tennero sempre in gran conto ; poiché pari al sapere era in lui la rettitudine di una intemerata coscienza. Custode severo della scienza, non assentiva ai ritrovamenti vani e senza fondamento, ma moderava però la severità dei suoi giudizii con la persuasione. Dal I8G2 al febbrajo 1866 occupò anche il posto di Se- (18) Sarebbe slato desiderabile cbe il Rossetti avesse pubblica'o l'intero corso delle suo Lezioni di fisica, delle quali ne abbiamo un bel saggio sul Magnetismo (Padova, tip. di F. Sacchetto, 1871). (19) In morte del prof. F. Zantedeschi. Discorso. Palova, tipo- grafia di F. Sacchetto, 1873. (20) Della vita e delle opere di Sinjone Stratico. Memorie del Il Istituto veneto, voi. XIX, pag. 371 (187(5;. — 15 - gi'ctiìi'io, per la classe delle Scienze, nell'Ateneo veneto, pro- movendone in ogni maniera il maggiore lustro. Era in qiiel- l'anno memorabile in cui si celebrava il sesto anniversario secolare del fausto nascimento di Dante, che faceva (in unio- ne air amico e collega dott. Michele Treves) la proposta di aprire nell' Ateneo stesso dei corsi Uberi di scienza e let- teratura popolare, a somiglianza di quanto praticavasi nei più colti paesi di Europa. « Noi non possiamo, diceva, ele- vare un monumento marmoreo; ma poniamo le basi di una istituzione, che, destinata a diffondere fra noi viemaggior- mente la coltura scientifica e letteraria, diverrà un omaggio continuo e fecondo reso al più Grande degli Italiani ». Dulie quah parole del Rossetti trasparisce, oltreché la venera- zione che portava al Signor dell' altissimo canto, la sua de- vozione all' Italia. E a questa ItaUa erano rivolte le sue ge- nerose aspirazioni, sperando sempre ed augurando sempre sorte migliore al nativo paese. Bella quindi e diffusa fu la fama del Collega nostro, se protetto da questa, in breve giro d' anni, ottenne la catte- dra di Padova, e la Presidenza della Facoltà delle Scien- ze matematiche, fisiche e naturali; se divenne Membro ef- fettivo di questo Istituto e fu aggregato ai Soci della Reale Accademia dei Lincei, e di altri cospicui corpi scientifici ; e di onorificenze insignito. Pur troppo una crudele ma- lattia dovea troncare i giorni ad un uomo tanto operoso, e trarlo anzi tempo al sepolcro. L' insidioso morbo, fre- quenti e lunghe tregue da principio gli concesse; per cui egli non disperava di riaversi in sanità. In questi ultimi anni le sue sofferenze si fecero continue, micidiah, irrefre- nabili così, che per averne qualche sollievo dovette condursi ne' varii di quei siti d'Italia, che per mitezza di clima sono in alcune malattie consigUati. Ridottosi in Padova neirautunno del 1884, fu presto in termine di vita : e tra i conforti delle assidue cure della diletta sua sposa e della affettuosa sorella, - de - valida — Venne una man dal cielo — E in più spirabil aere — Pietosa il trasportò. — Che se una benefica legge della natura permette al tempo di darci pace nelle sventure, non per questo si dimenticano i cari estinti ; e di Francesco Rossetti vivrà la memoria, fin che le virtù dell'animo e del- l' ingegno saranno tenute in pregio. RICERCA SULLA REALE UTILITÀ DEI BACINI DI RAGUNATA DELLE ACQUE CHE PORTANO I CONDOTTI DI SCOLO, PRIMA DI DAR AD ESSE ESITO IN MARE DEL M. E. GUSTAVO BUCCHIA « Dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna "D'alta palude un nebuloso gorgo ■>. 1) Nella farraggine di scritti e di progetti usciti fuora per la boniOcazione della provincia di Rovigo, i quali, co- me sovente accader suole in tali congiunture, piuttosto che rimuovere le difficoltà, portarono la confusione e l'incer- tezza nelle menti di chi non intende più oltre; comparve in campo un nuovo spediente, avanti non che proposto ma pur pensato da verun pratico, per felicitare gli scoli che sboc- cano in mare; lo spediente cioè di convertire l'infimo tron- co del condotto in un'amplissimo ricettacolo o bacino di ragunata delle acque, capace di contenere accumulata ad un basso livello tutta l'acqua che vi porta il condotto tur- gido, nel tempo che, pel flusso marino rimane chiusa la chiavica emissaria che le dà esito in mare. 2) La speciosità di cotesto provvedimento, speculativa- mente considerato, gli acquistò favore, e pare che prenda piede, e che se ne voglia fare un' opera accessoria indi- spensabile alla perfezione del rassettamento generale degli scoli di quella provincia. T"mo IV, Serie VI. 3 — 48 — 3) Io credo che, se si mandasse ad effetto cotesto divi- samento, si commetterebbe errore intollerabile; perchè di- scusso a fondo e praticamente quel trovato, perde l'illuso- ria bontù, e si appalesa vano e fallace. E giacché un'eletta Giunta d'ingegneri, per incarico del Governo, sta attual- mente occupandosi a compilare un progetto di generale ordinamento di tutti gli scoli della mentovata provincia, ho creduto opportuno chiarire 1' opinion mia sulla vera efficienza di cotesti bacini, con un saggio analitico che in- torno ad essi vado ad esporre; istituendolo sopra semplici e facili principii, che agevolano la soluzione del quesito, senza ledere la certezzn delle conclusioni ; che è quanto la pratica esige dalle teoriche a cui ricorre per dirizzare l'o- pere sue. 4) Cominciamo dal porre in chiaro lume il vero scopo dei bacini di cui si tratta, coli' enunciare distintamente il problema ch'essi danno da sciogliere. Stabilita l'altezza massima sopra il livello del mare bas- so, alla quale può tollerarsi che salga l'acqua ne! bacino, senza nocumento del felice scolo delle più basse colture ; trovare l' ampiezza che deve avere il bacino stesso, e la lu- ce competente alla chiavica che gli apre l'adito in mare, af- finchè correndo il condotto turgido, l'acqua che porta nel bacino in tutto il tempo che rimane chiusa la chiavica, non si elevi al di sopra dell'altezza limite stabilita; e possa vo- tarsi in mare nel tempo che la marea consente che stia aperta ed atluosa la chiavica. 5) Per facilitare la soluzione di cotesto problema, pri- mieramente porremo, seguendo l'esempio dello Zendrini in un'analoga ricerca (Leggi e fenomeni delle acque correnti, capitolo XIH, § 19) che il moto ascenzionario e discensivo della marea sia uniforme: e poiché nel principio della pri- ma ora, e nel termine dell'ultima, delle sei ore che dura tanto il flusso che il riflusso, per venli minuti primi gl'in- — d9 — crementi ed i decrementi di altezza sono così piccoli ed in- discernibili da poter ritenere il mare stazionario, periodi cotesti di apparente fermata della marea crescente e decre- scente, che in volgar veneziano s'indicano coll'appellativo di slanca; così per discostarci meno dal vero ritmo di movi- mento della marea, porremo clje, detratti venti minuti di stanca tanto nel principio die alla fine della rispettiva du- rata del flusso e del riflusso, nel residuo tempo di ore 5 e minuti 20, pari a minuti secondi ^9200", sia percorsa con moto uniforme l'intera altezza clie corre dalla bassa all'alta marea, che ò d'ordinario nei noviluni! e plenilunii di un metro. Sicché assumeremo la velocità uniforme media rag- guagliata della marea nelle sue alternate escursioni eguale a : 0"\000052084 per minuto secondo. Non faremo poi ca- so delle burrasche che elevano la marea al disopra dell'or- dinaria altezza, e per la breve loro durata, e pei lunghi in- tervalli del loro ricorrimento che le rendono innocue. 6) Porremo inoltre che, la chiavica emissaria, abbia le bocche di efflusso di luce invariabile, interamente rigurgi- tate, cioè interamente sommerse sotto il livello della bassa marea, e guernite da porte a riballa automobili, girevoli intorno ad asse orizzonzale. 20 D D F E H K L I A \] G limi llllli 7) Ciò posto sia CG la fronte della chiavica; AG la luce della bocca di efflusso, tutta sommersa sotto il livel- lo AB della bassa marea; CD il pelo della comune alta ma- rea ; FÉ il livello supremo al quale si tollera cbe salga l'a- cqua nel bacino. Dicasi h l'altezza AE di cotesto supremo livello so- pra il piano della bassa ma- rea ; A la superficie del ba- cino; n l'area iotera delle luci dell'emissario; Q la portata del condotto di scolo turgido; m il coefficiente di contrazione dell'acqua sgor- gante dall'emissario; ?i=: 0,000052084 la velocità uni- forme con cui sale e discende la marea ; g la gravità. Fin che in mare l'acqua soprastà al livello FÉ , al quale si suppone trovarsi l'acqua nel bacino, le porte del- l'emissario rimangono chiuse : si aprono tosto che la marea decrescente è discesa al livello FÉ ; e da questo istante l'emissario diviene attuoso, e continua a versare fino al momento in cui, finita la zozana, la crescente consecutiva, salita a pareggiare l'acqua interna del bacino, richiude le porte ed arresta lo sgorgo. Perciò I intero sbassamenlo sotto il livello FÉ dell'ac- qua del bacino, nel tempo che sta aperto l'emissario, suc- cede in tre distinti periodi consecutivi. Il primo è lo spazio di tempo che la zozana occupa a discendere dal livello FÉ a quello del mare basso. Il secondo periodo è l'intera durata della stanca al ter- — 21 ~ minar ilolla zozana ed al principiare della consecutiva cre- scente, o sia in tutto è Io spazio di minuti 40'. Il terzo periodo è il tempo che impiega la crescente a salire dal livello del mare basso a quello al quale si è intan- to ridotta l'acqua nel bacino. Cerchiamo lo sbassamento parziale in ciaschedun pe- rìodo. 8) Primo periodo. Suppongasi che, trascorso il tempo t dappoi che la zo- zana è discesa sotto il livello FÉ , sia l'acqua in mare ca- liita in Ht, e nel bacino in KL . In questo istante la ve- locitc'i dell'efflusso dalle luci della chiavica sariì dovuta al battente: LH =: CE! — CL ; ed essendo : CH = w< , posto CLrrra:;, esso battente diverrà: ìjlì = n.t — x ; e quindi la velocità dell' efflusso sarà : ^2(j.{nt — x). Onde nel tempo infini- tesimo d.t consecutivo a t , uscirà dal bacino il volume di acqua : m P,.dlf^2g{nt—x). Ma nello stesso tempo dt il condotto verserà nel baci- no il volume d'acqua; Q.dt , che rimpiazzerà parte dell'a- cqua uscita; dunque l'effettivo volume d'acqua sottratto al bacino nel tempo dt , sarà : dl{m.n.^'2g{nt — x) — q). E poiché dipendentemente da cotesto sotlraimento d'a- cqua, il pelo del bacino si sarà sbassato di una quantità in- Hnitesima dx ; cosi l'effettivo volume d'acqua sottratto sarà pure espresso da A.dx . E pertanto si avrà l'equazione: (I) . . . dl{m.nJ 2g{nt'-x) — Q)=^A.dx . La quale integrata, darà a ciascun istante lo sbassa- mento X del pelo del bacino. — 22 — Per integrarla facciasi la sostituzione: ^wi — X = z e poi, separando le variabili diverrù: / Q \ 2.z.dzi z — -p=^ 5 n.A+Q „ 2 E posto per brevità : n.A nk-hQ , , V si trasformerà nella più semplice : dx = ; . a-\-bz Della quale l'integrante generale è: X =: costante — \z'^ + 2a.z + 2rt(a + 6).Log(a + b — z)\ . La costante arbiti'aria si determina avvertendo che, al- l'origine del tempo, è : < .=z 0 ; ^.i=:0 , e conseguentemen- te : Zz=:Q . Onde : costante .=r 2a{a -\- ^)log(a -H b). E r integrale completo diviene : X = 2a(a + b)\og . — z(z -h 2a) . a+ò — z Equazione in termini finiti che farà noto, a ciascun istante, lo sbassamento dell' acqua nel bacino. 9) Per conoscere poi lo sbassamento al termine della zozana, o sia alla fine del primo periodo, facciasi: ni = h che rende z =:^ ^ li — a; ; e si otterrà T equazione : 1 / h ./-r \ , "+^ r( T- + r h^- x)= log , . /-; • — 23 — La quale, posto ^ li — x=:v , si trasforma nella : (2) . . . . -f — + t; j = log — — . Ed H valore di v che la soddisfa, porgerà il cercato sbassamento dell' acqua nel primo periodo, espresso da x^=.h — v^. \(S) Secondo periodo. Durante tutto questo periodo della stanca, il mare per- mane fermo al livello della bassa marea; e varia solamente l'altezza dell'acqua nel bacino, la quale va continuamente diminuendo a mano a mano ch'esce acqua dall'emissario. Si è trovato lo sbassamento avvenuto nel primo perio- do essere: h — v"' \ dunque il pelo dell'acqua nel bacino nel principio del secondo periodo si trova depresso : h — v^ sotto il livello supremo EF , mentre in mare il pelo si tro- va depresso: wt == h sotto il livello medesimo. Da questo istante s'incominci a contare il tempo degli sbassamenti durante il secondo periodo : e trascorso il tempo t , sia X lo sbassamento avvenuto sotto il livello a cui trovavasi l'acqua alla fine del primo periodo; nelbacino pertanto sarà l'acqua depressa : h — v"- -\- x sotto il livello EF , mentre nel mare immobile si troverà depressa h sotto il livello slesso; dunque il battente a cui sarà dovuta la ve- locità dell'efflusso sarà: h — [h — v"- -\- x)-==.v^ — x\ e servirà ancora l'equazione (I) a trovare a ciascun istante del secondo periodo lo sbassamento del pelo nel bacino, purché in essa si ponga: v"- — x in luogo di -wi — -x. Fotta questa sostituzione, e separate le variabili, l'equazio- ne diviene : tg J\,CluU Ovvero, dividendo numeratore e denominatore per m.£Lf 2.ij , e valcndusi ancora delle posizioni (t), — 24 - a dx dt=- Per integrarla facciasi: rv"^ — x = s e diventa 2a s.ds dt = . — - n s — 0 Il cui integrale generale è: t =: costante / s 4- b.Lo^{s — f>)j . La costante arbitraria si determina avvertendo che all'ori- gine del tempo è t = 0 \ e quindi s =zv . Onde viene : costante = — ( v -h b log(y — ^) ) • E conseguentemente : la i , , v—h ì t = — .{v — s ~\- 0. Log. l , n ( s — h ) che si trasforma neh' equazione : i./n.t \ , V — b i./n.t \ , v—b La quale darà a ciascun istante il valore di 5, e quindi quello dello sbassamento x dell'acqua sotto il pelo al quale si era ridotta al termine del primo periodo. -Il) Pongasi in cotesta equazione, t eguale alla durata della slanca, o sia t = 2400" minuti secondi, e diverrà ; l/1200.n \ , v—b E sarà cosi accomodata a dare lo sbassamento dell' a- cqua alla fine del secondo periodo. Infatti il valore di s che la soddisfa, somministrerà il valore di cotesto sbassa- mento espresso da : x^v"^ — s"- . 12) E qui, prima di passare al terzo periodo, giova pre- venire il dubbio che potrebbe nascere sull'esistenza di co- — 25 — testo ultimo periodo di efflusso, pensando che il bacino pos- sa interamente votarsi fino a livello della bassa marea nei due primi periodi. Per dimostrare l'impossibilità, nello stretto senso ma- tematico, di cotesto accidente, noteremo che, lo sbassa- mento avvenuto alla fine del secondo periodo, perchè arri- vasse al segno della bassa marea, dovrebbe essere eguale all'altezza v'^ che avea l'acqua sopra essa bassa marea nel principio del periodo stesso; dovrebbe cioè essere x=:v^ -^ onde s= f/i;rzr~ = o. E posto s = 0 nell'equazione (3) diventa. VlOO.n 1 , / 1 \ a.b b \ b I Ora si osservi che restituendo a ^ il suo valore (e), diviene 1 w.n. sl'-ln.v^ - . V =: —— . 0 Q Ma il numeratore è la portata dell' emissario all'origine del secondo periodo, portata assai più grande della portata Q 1 del condotto, dunque: i — ~v è una quantità negativa, il cui logaritmo è immaginario ; dunque per s =^ 0 , 1' e- quazione è impossibile, e dimostra l' insussistenza del dub- bio enunciato. AS) Terzo periodo. In quest'ultimo periodo dell'efflusso che precede il ri- chiudimento della chiavica, l'acqua nel mare si alza e con- tinua a sbassarsi nel bacino. Lo sbassamenlo avvenuto nel primo periodo si è trovato § 9: h — v'^ ; e quello avve- nuto nel secondo periodo § M : v'^ — s'^ ; dunque l'inte- ro sbassamenlo avvenuto nei due primi periodi è: h — s*. Sia X r ulteriore sbassamento trascorso il tempo t dal principio del terzo periodo; in questo istante 1" intero sbassamento dell'acqua nel bacino sotto il supremo livello Tomo IV, Serie VI. 4 — 26 — EF sarà : // — s'- + x . Ma alla fine dello stesso tempo t il mare si è alzato n.t sopra la bassa marea, quindi il suo pelo si trova depresso sotto il livello supremo EF del bacino h — n.t; siccbè il battente a cui è dovuta la ve- locità dell'efflusso nell'istante che si considera è: h — n.t — (A — s- + x) =2s^' — X — nt . E serve ancora l'equazione (I) a trovare lo sbassamento del pelo nel bacino durante il terzo periodo, purché in es- sa si ponga: s'^ — nt — X in luogo di ni — x, con che diventa : {m£L.^2gf^s'' ~ x — nt — Q)dt = A.dx . Per integrarla si faccia «^ — X — nt ■=(p- . Onde dt ■=. )■ V n E fatta la sostituzione e la separazione delle variabili, di- venta : dx = jz=z . E valendosi ancora delle abbreviature (e) si trasforma nella semplicissima : . — 1.(p.d = 0,I23 che convertono 1' equazione (2) nella : 1 , , 0,4736 Soddisfatta molto prossimamente da : v ^= 0,4428 ; perciò r equazione (3) diventa ; \ , ^. , 0,3198 - {s - 0,2645) = Ig. 0.1 ^3' ' ' "^ s— U,12:j che dà molto prossimamente : s ■= 0,3225 . E conseguentemente la formula (4) porge z=: 0,08546, con difterenza praticamente trascurabile dal valore asse- gnatogli. 26) Per ultimo esempio probativo, ritenuti gli altri da- ti, pongasi i = 0 . La (6) darà: A=rl .952.000. Si troverà: ;/::=: 0,00004 3 i 03 ; c^-: 0,10344 ; t"- = 0. Onde: Vi==2470,»iD.^2^ ; V^r^ 5l4,53.ma. ^'2^ ; V^rzzO . Inoltre si troverà : A.h — ^. 17 1.200.— Quindi r equazione (7) diverrà: 2984,53.«(n/ 2^ =^ 1.728.000 — 37 — e dà : mil^ 2(j = 579 • Onde: a — 0,1736 ; ^ = 0,06909 . E r equazione (2) diventa : 0,2447 ' ' • / o ^^2447— u e dà molto prossimamente : V = 0,2446 1 2 ; valore che trasforma l'equazione (3) nella : 1 , , 0,1755^22 che dà : s = 0,0Sb3. Col qual valore la formula (4) dà : z — 0,007978. Valore cosi piccolo che conferma quanto si è detto al § 15, e persuade ad un tempo insieme ai due esempii pre- cedenti, che in pratica si può pienamente affidarsi al se- condo più semplice processo per risolveie senza errore valutabile il problema. 27) Si varremo dunque di cotesto processo per dimo- strare con qualche esempio, come veramente sia, T inven- zione dei bacini di ragunata, uno spedicnte inutile e ma! consigliato. Piglieremo per primo esempio quello recato dall'egregio ingegnere Scarpari, in un opuscolo recentemente pubbli- cato a Roma dalla tipografia del Genio Civile, sotto il tito- lo : fl Effetto idraulico, e luce delle gi'andi chiaviche di scolo » a mare, munite di portoni automobili, e di un bacmo per » lo spagliamene della piena ». Applica il prefato autore il bacino al progetto Perusini- S carpari per la bonificazione dei terreni a sinistra di Ca- nalbianco nella provincia di Rovigo. Assume Q nr 40 ; i=z 0,1 I 1 6 ; a =^ 4 ; H — 1 , ed assegna a talento al bacino l'ampiezza : A z=r 3 chilometri quadrati. - 38 — Con questi doti trova, giusta la sua teoria, A = 0,5472; e la Iarij;l»ezza complessiva delie luci nell' emissario: A = 70,80. Noi per applicare a cotesto esempio i nostri principi!, i quali, come ragion vuole, fanno dipendere l'ampiezza del bucino non dall' arbitrio, ma dalle esigenze della bonifica- zione, slabiienilo quale dolo cardinale del problema l'al- tezza massima li , alla quale consente la bonificazione che salga al più l'acqua nel bacino, riterremo: Q — 40 ; i =:0,l 116 , h~ 0,5472 ; a — 4 . E la formola (6) porgerà ; A = 2,585 chilom. quadrati. Poi si troverà: w =z (),0J)0028!)433 ; ^- — 9,24312 ; e"- = 0,1 7366 . 5 Onde le formule («),(«'),(«''), assumendo mz=z~ § 19, daranno : V^ = 10314,3 n ; ¥5 = 3134,4 a ; ¥3 = ^695, a . Si troverà appresso : A{/i — i)— 1.703 004.~ Q ( — 4- 0- ) = 602.000.— . \ n / Quindi l'equazione (7) diverrà: 15143,7X1 = 2.305.004, che dà: Ci =: 152,20 metri quadr. ; e conseguentemente A = - = 38,05. oc Se non che la profondità di 4 metri sotto il livello della bassa marea assegnata alla soglia delle luci dell'emissario pare eccessiva, e più confoime alle caute regole dell'arte non oltrepassare la profondità di 2 metri, sicché, posto a = 2 , e rifatti i calcoli, viene: V, = t 1069,2X1 ; Vs=3240,9.Xl ; y,r-\7A2,a. — 39 - E r equazione (7) diventa 1 6052. Q = 2.303.004. — che dà il = i 43,6 , e quindi À = 7 i ,8 . Coiiipartendi) la chiavica in 25 bocche, larga ciascuna metri 2,9, separate da pile, e terminale da spalle di gros- sezza proporzionata alla violenza del (iotlo del mare, riusci- rebbe la fabbrica lunga almeno metri ^20. Cotesto spediente dunque richiederebbe la compera di un'area di chilometri quadrati 2,585 per la più parte oc- cupala da preziose peschiere: la erezione di chilometri 6 e più d'argini robustissimi in luogo diflicilissimo : e la co- struzione di una fabbrica colossale lunga non meno di me- tri 120. E con quale profitto lo vedremo in seguito. 28) Piglieremo per secondo esempio il bacino di chi- lometri quadrati 6,50, che l'egregio ingegnere Turola, sal- vo il giudizio d'nn più approfondito esan.e, crederebbe bene applicare al termine in mare del Po di levante, convertito in collettore generale di tutti gli scoli dal territorio provin- ciale. Veggasi la sua elaborata dissertazione sulla « Siste- » mazione idraulica della provincia di Rovigo», pubblicala leste a Padova dall'editore Angelo Draghi. Riterremo dunque la portala che egli dà al collettore turgido Q := 70 ; ed tissegneremo ad i lo stesso valore assegnatogli nel precedente esempio. Onde, posio ncirc(|uazione (6) : Q = 70 ; i = 0. 1 I I 6, si deduce: /t :::=: 0"\4375. Quiii li si vede che l'effello di cotesto amplissimo bacino sarebbe, di tenere in sé T acqua elevala al più mei. 0"^44 sopra il livello della bassa marea. Vediamo poi che ampiezza dovrebbero avere le luci dell' emissario, ammettendo che la loro soglia debba som- mergersi metri 2 sotto al piano della bassa marea. Coi dati sopra riferiti, e fallo a =.2 ^ si trova : t« — 0,00002518 ; ^^=r 0,22590 ; c^z= 0,1 6553. Quindi : ~ 40 — Y^ = SZUa ; V^nz 3 128.12 ; Y,=: \Q97.n Si trova inoltre: A(A - ^■) = 2.H8.300. q( ^ ■ (r)= 905937 . E pertanto 1' equazione (7) diventa 4 3109. a r^ 3. 024.257.— E dà: il := 229,05 ; e conseguentemente A = -— 114,825. ce Quindi si vede che, se si compartisse la chiavica in 40 luci, cadauna larga melii 2,9 e si assegnassero le debite grossezze alle pile intermedie ed alle spalle estreme, riusci- rebbe la fabbrica lunga non meno di 184 metri. Ed anche cotesto esempio fa palese l'enorme spesa che importerebbe la compera di chilometri quadrati 6.5 d'area preziosa, un precinto d'argini robustissimi lungo più di 4 0 chilometri, ed una fabbrica murale di grandissima mole. 20) Resta ora a sapere se coleste gravi spese sieno ri- munerate dalle utilità che recano i bacini. Ma a questo proposito non occorre spendere molte parole per provare che non lo sono né punto né poco. Infatti i terreni sopreminenti alla comune alta marea non hanno bisogno di bacino per mandare felicemente i loro scoli in mare. I terreni pure che giacciono a livello della comune alta marea hanno suftìciente scolo in mere per molte ore della zozana e della crescente senza l'ajuto del bacino. Solo ai bassi terreni maremmani inferiori al- quanto alla comune alta marea potrebbe profittare il baci- no. Ma è patente l'incongruenza madornale di cotesto spe- diente per conseguire un cosi povero guadagno. Si fa un bacino amplissimo ordinato a contenere a un — 41 — basso livello le aoque eziandio copiosissime delle alte e me- die campagne : si fabbrica una chiavica grandissima per dar esito in mare anche a tutte queste acque che vi andrebbero da sé liberamente: e tutte queste disordinate spese si fanno al solo fine di giovare a bassure palustri di piccolissima estensione a petto delle latissirae colture superiori, che non hanno bisogno di ripieghi per essiccarsi ! laddove a quegl'in- fimi terreni si può giovare pure e meglio, provvedendo alla loro essiccazione separatamente, conforme ai dettami dei grandi maestri d'idraulica pratica Guglielmini e Zendrini. 30) Ed in vero, il primo al § V, capitolo XI del Trattato sulla natura dei fiumi, scrive queste precise parole: •< Negli scoli che sono muniti di chiavica, le fosse devo- » no essere tanto larghe, che possano contenere, occorren- » do, coli'ajuto dei fossi delle campagne, tutta o la maggior » parte dell' acqua che può piovere nel tempo nel quale re- » golarmente suol stare serrata la chiavica ». E lo Zendrini al § IV, scolio IH del capitolo già innanzi mentovato, dopo aver recato un esempio della capacità che deggiono avere i fossi dei bassi Relratti, soggiunge: « Abbenchè in 2000 pertiche di estesa sembri non poca » escavazione la somma dei fossi predetti, nientedimeno si » potrà accrescere di molto, e ridurre la capacità di essi n tale, che vaglia a contenere tutta o la maggior parte del- » r acqua della pioggia, che cader possa dentro un certo » tempo, anche senza il soccorso dello scolo ». Ora la limitata ampiezza delie dette bassure comparati- vamente alla grandissima estensione dei terreni superiori fa, che separate attorno attorno da questi, sieno ad esse per- fettamente applicabili gli allegali insegnamenti; e che torni ad esse a grand'uopo valersi dei proprii fossi per bacino di ragunata delle piovane, negli intervalli di tempo che la ma- rea trattiene lo scolo, senza che per questo essi fossi ri- chieggano ampiezza fuori dell'ordinaria. Tomo IV, Serie VI. 6 — 42 — 3 i) A cliiariif questo vero, e così far più scolpilaiiieiite rilucere l'incongruenza di cotesto nuovo trovato dei grandi bacini, porteremo un esempio. Pigliamo a considerare i terreni maremmani compo- nenti il quarto circondario del compartimento territoriale stabilito dall'ingegnere Turola nel predetto suo opuscolo, il qual circondario giace a sinistra di Canalbianco e si esten- de dal canale di Loreo al mare, comprendendo una super- fìcie di chilometri quadrati 19,33. La portata complessiva assegnata dal prefato ingegnere agli scoli turgidi di cotesto circondario è Q — l"" %06. Poniamo che si voglia a cotesti scoli applicare un baci- no di ragunata proprio speciale, nel quale l'acqua da essi versatavi nel tempo in cui rimane serrata la chiavica, non debba superare l' altezza massima : h = 0™,44 sopra la bassa marea, assegnata dall'ingegnere slesso al suo grande bacino universale. Posti cotesti valori nell'equazione (6), ritenuto pur sem- pre: i=rO™,lliC si trova A:=:0,09 chilometri quadrati. Ed altrettanta appunto esser dovrebbe 1' area occupata dai condotti e dai fossi del circondario, afGnchè supplis- sero al bacino. Onde il rapporto dell' area compresa da tutti cotesti cavi, all' area intera del circondario sarebbe : 0,09 1 . ... ..... =r — — , alquanto più piccolo anche del medio rap- 1 \j yjKJ W 1 O porto attenente ai Retratti che godono scolo perenne. Se si ammette poi tollerabile nel bacino speciale l'altez- za massima dell' acqua : li := 0"\5472 assegnata dall' in- gegnere Scarpari al suo bacino universale, risulta A=r0,068 , ., . , , . 0,068 i chilom. quadr.; e I indicato rapporto diviene: .^ _ :-—- • ' ^ 19,33 284 ancora più piccolo del precedente. È dunque palese ed incontestabile l'errore del vantalo spediente. - 43 — 32) Ma qui non finiscono i difetti di cotesto invenzione, ve ne hanno altri e gravissimi. E sono: l'inevitabile insab- biamento della foce che non può tenere sgombra l'inter- mittente e tardo deflusso dell'acqua dal bacino: e l'inevita- bile impaludamento del bacino stesso, per effetto dei lunghi periodi d'asciutto nelle campagne, che lo convertono in un ampio stagno limaccioso di acqua dolce corruttibile. 33) Il vero modo pratico ed efficace di avvantaggiare lo scolo è : derivare i condotti dei varii Retratti in un ca- pace canale di corrivazione, che vada libero a sboccare in mare ; disponendolo conforme alle regole del Guglielmini nel capitolo sopraccennato ; col « togliere cioè tutta la ca- » duta al fondo di esso; e col darli tale latitudine, che per » la soprabbondanza di essa, renda l'acqua quasi stagnante, » ed abbassata quasi sul pelo del recipiente ». Disposto cosi il collettore generale, le chiaviche munite di porte a ventola automobili, si applicano agli sbocchi dei condotti influenti nel collettore slesso. Ma la foce in mare di questo deve rimanere sempre aperta e libera, perchè la mantenga sgombra e profonda il Qusso e riflusso copioso del mare, che nella crescente s'alza e si avanza verso le parli superiori del lungo ed ampio alveo del grande sedut- tore. SULLE DIVERSE FORME DELLA RANA TEMPORARIA IN EUROPA K PIÙ PARTICOLARMENTE NELL'ITALIA. ISiferclJie DEL M. E. EDOARDO DE BETTA «Il y a (l'ailleurs eiifre les huil espè- »ces un tei .enchatnenient de caractè- » res qu' il n' y a que deux partìs à » prendre : les admeltre toutes, ou n'en » admeltre qu'une seule ». (Booi.ANGER, Étude sur les Gre- nouUles rousses ecc., in BuUetin de la Soc. zuolog. de France, 1880). I. Sino a tempi non ancora lontani - o dirò anzi meglio, sino ad epoca a noi molto vicina, le specie degli Anfibi Anu- ri europei conosciute ed elencate dagli autori in generale, non erano che le seguenti: Byla arborea Linn. od Eyla viridis Laurenti, Rana esculenta Linn. o Rana viridis Roesel^ Rana temporaria Linn. o R\. fusca Roesel^ od anche R. mula Laur., Discoglossus pictus Ottfi. o D. sardns Tschudi, Pelodytes punctatus (Fitz.) Bonap., Àlytes obstelricans (Laur.) Wagler^ - 46 - Pelohates fuscus Lanr., Pelobates ciiltripes Tschudi, BomHnaior igneus Merrem^ Bufo vulgaris Lanr., Bufo viridis Laur., Bufo calamita Laur. Di queste dodici specie furono poi sempre segnate come affatto estranee all' Italia le tre sole: Pelodytes pundatus, Alìjtes obstelricons e Pelobates cnltripes. Dei quali Anuri sarebbe stato considerato sempre il primo come esclusivo {*) della Francia : come proprio soltanto della Francia, della Svizzera, del Belgio e della Germania il secondo : e come limitato alla Francia, alla Spagna e Portogallo il terzo. Sino a pochi anni or sono, anche il Pelobates fuscus era rimasto sconosciuto in Italia : ma attualmente, mercè le sco- perte fatte dal Cornaha, dal Lessona e dal Camerano, va questa specie annoverata anche fra quelle di Lombardia e del Piemonte. , Ed in oggi poi, per recentissime mie investigazioni e scoperte, sappiamo trovarsi dessa benanco nelle parti basse (1) Sappiamo però trovarsi pure nella Spagna e nel Portogallo. Già da diversi anni ho annunciato /'Fauna d'Italia, Parte IV. Milano, 1874) come rinvenutosi il Pelodytes nei contorni di Nizza e poterselo quindi annoverare anche fra le specie italiane. Ne' suoi Studj sugli Anfibi Anuri del Piemonte (Roma, 1877) il Lessona ha accennato altresì ad un unico esemplare del Pelo- dytes raccolto dal dott. Wiedershfim nella Liguria occidentale e da lui portato al Museo civico di Genova. Esemplare che, a quanto fece sapere più tardi il Gamerano, erasi però guastato in modo da non averselo potuto conservare. Quanto all' habitat di questa specie nell' Italia, ho già dimo- strato in altro scritto [Alcune note erpetologiche ecc. Venezia, 1878) 1' equivoco in cui erano caduti gli autori che avevano elencato il Pelodytes punctatus come rinvenuto nella Toscana e nel Modenese. _- 47 — (Iella provincia Veronese (') e può con lutto fondamento ri- tenersi che avremo presto a constatare ben più larga ed estesa fra noi, di quanto ora si conosce, la distribuzione geografica del Pelobates fuscus. Fra le specie che mancano al nostro paese opinerebbesi da taluno doversi comprendere anche il Bufo calamita, del quale i pochissimi esemplari italiani che sino ad ora si pos- siedono nelle collezioni non sarebbero stati raccolti che nei contorni di Nizza, e dovrebbero per ciò stesso considerarsi piuttosto come soltanto accidentalmente pervenutici dalla Francia : dove la specie è del resto ji olto comune, del pari di quanto si presenta nella Svizzera, nella Germania e per- sino neir Inghilterra, nella Danimarca e nella Svezia. Non mi fermerò certamente a discutere su tale opinione. Né per verità penserei che qui ne fosse .1 caso. Mi limiterò invece ad osservare che la presenza del Bufo calamita nel- r Italia, asserita dal Bonaparte, dal Jan, dal Nardo e da altri, non è realmente confermata sino a tuli' oggi che dai pochi esemplari precisamente ed unicamente raccoltisi nel Nizzardo. Aggiungerò in argomento doversi ormai ritenere per comprovato, da quanto scrisse anche il Ninni C^), l'equivoco in cui sarebbero caduti gli autori che elencarono fra le spe- cie di Lombardia e del Veneto il liufo calamita, scambiando con questo una semplice varietà con linea dorsale distinta del comunissimo Bufo viridis. Varietà che lo stesso Ninni avrebbe trovata nelle provincie di Venezia, Treviso e Pa- dova, come già in antecedenza era stala osservata dal Les- (1) Sul Pelobates fuscus trovato in provincia di Verona (Adu- nanza 20 luglio 1884 del R. Istituto veneto). — Altre notizie sul Pelobates fuscus trovato nel territorio veronese (Adunanza 21 giu- gno 1885 dello stesso R. Istituto), (2) Sulla supposta esistenza del Bufo calamita Laur. nel Ve' neto (Atti R. Istituto veneto, serie V, voi. V, 1879). — 48 — sona in Piemonte {*), e come più recentemente ci viene de- scritta dal Camerano per la Lombardia ('-) e da lui avuta anche da Catania (^). II. Ritornando ai tempi dai quali mosse la premessa indica- zione delle dodici specie appartenenti all'Europa, vediamo ora in brevissimi cenni quali sieno le ulteriori cognizioni venuteci in rapporto alle medesime, od alle nuove specie che dappoi si stabilirono da recenti autori in base a più ac- curati loro studj e confronti, ed alle più estese investiga- zioni da essi attivatesi. Nel che esporre, tengo però a previamente dichiarare non essere punto mia intenzione nò di qui definitivamente pronunciarmi sulle introdottesi innovazioni, nò di mover questione qualsiasi sul valore degli estremi che servirono di base alle medesime, o sui criteri che possono avere guidati gli autori nello stabilirle o nell' ammetterle. Ciò che potrò fare piuttosto in altro lavoro sugli Anfibi Anuri italiani. Io intendo soltanto di qui hmitarmi ad un cenno sto- rico qualunque su cadauna delle specie europee, come sopra elencate, per giungere colle cognizioni in genere sino ai giorni nostri, e per fermarmi poi a parlare estesamente sulla sola specie e sulle sue diverse forme che costituiscono il precipuo argomento del presente scritto. Si dirà quindi che del genere Hyla, tanto ricco di spe- cie nelle regioni dell'Africa, dell' Asia, dell'America ed Au- 1 (1) Sludj sugli Anfibi Anuri del Piemonte. Roma, IST? (p. 76). (2) Monografia degli Anfibi Anuri italiani. Torino, 1883 (pag. 49). à (3) Di tale varietà possiedo io pure due bellissimi esemplari " inviatimi dalla Sicilia sino dal 1852, sotto il nome appunto di Bufo calamita. — 49 — stralia (*), non si conta tuttodì in Europa che l'unica //. arborea od II. viridis^ con quelle varietà di colorazione, più che altro, che servirono a stabilire alcune nuove specie; non accettate però dalla scienza che come semphci muta- zioni o varietà locali del tipo. Nel 1 880 il Boscà aveva pubblicato come nuova specie europea una Ilijla Perezii (^) propria della Spagna, del Por- togallo e della Francia, distinta sopratutto dall'arborea pel diverso suono della voce e per la mancanza della fascia co- lorata lungo il torace e V addome. Questa specie del Boscà fu però giudicata dal Boulanger come appartenente alla sua var. meridionaiis della //. ar- borea (^), e della quale egU citerebbe anche un esemplare del Museo britannico proveniente da Bologna. Il Camerano ha invece compreso senz'altro la Hyla del Boscà fra le sinonimie della vecchia specie Linneana (^). Ciò che mi farebbe supporre essere quindi a lui sfuggito il carattere della ben differente colorazione nella Perezii, men- tre in caso diverso ne avrebbe fatto cenno indubbiamente se del carattere appunto di colorazione, sebbene in grado an- cora minore, egli stesso si vale poi per stabilire una sotto- specie Savignyi per le thjlae di Sardegna e di Corsica, di- stinte dal tipo per un minore sviluppo della fascia bruna la- terale e per la mancanza alla regione inguinale dei prolun- gamenti superiori sinuosi dalla fascia stessa. Molto di recente il sig. Héron-Royer avrebbe pubblicato » (1) Le specie del genere Hyla, ultimamente annoverate e de- scritte dal Boulanger, ascenderebbero infatti al nuni. di 132 (Ca- talogne of the Batrachia Salientia in the collectìon of the Bri- tish Museian. Londra, 1882). (2) Hyla Perezii, especie nueva de Anuro europeo (Ann. Soc. Esp. de Hist. nat., tomo IX, 1880). (3) Catalogne of the Batrachia Salientia ecc., pag. 380. (4) Monografia degli Anfibi Anuri italiani^ 1883, pag. 39. Torno IV, Serie Yl. 7 — 50 ^ per nuova specie della Francia una sua Uyla baritonus, che io non conosco però ancora che per la sola descrizione e figura da lui offerta (*), e sulla quale ignoro benanco siasi sino ad ora pronunciato qualche altro autore. Dall'esame e dal confronto dei caratteri assegnati per questa Uyla francese con quelli attribuiti dal Boscà alla Pe- rezii, riterrei non trovarmi lunge dal vero nel pensare che in fin fine possa trattarsi di una stessa ed identica muta- zione o varietà locale della arborea. In ogni modo sarà bene si sappia che una Uyla total- mente mancante della fascia colorata lungo i fianchi ed an- che, se vogliamo, col corpo di una forma piìi snella del tipo, vive pure nei contorni di Nizza, dove già nell'ottobre 1872 r amico mio prof. Goiran ne raccolse alcuni esemplari che tengo nella mia collezione. Delle Rane acquatiche non abbiamo ancora in Europa che la sola Rana esculenta Linn. , comune pure all' Asia ed all'Africa, e della quale il Camerano ha slabihto la sottospe- cie Lessonae, che egli crede anche assai più diffusa in Italia che non il tipo della specie. Dell'altra rana europea, ossia della vecchia Rana tem- poraria degli autori, si parlerà diffusamente più avanti. Una sola rimane sempre la specie del genere Discoglos- sus universalmente accettata dagli autori, vale a dire il D. pictus Ottli. Il Lataste in un suo eruditissimo ed interessante lavoro intorno ai Discoglossi (^) provò ad evidenza non costituire qualche altra specie di Discoglossus creata dagli autori che una unica ed identica specie : e che non essendo né esclu- (1) Note sur une forme de Rainette nouvelle pour la Faune frangaise (Bulletin Soc. Zoolog. de France, 1884). (2) Elude sur le Discoglosse. Bordeaux, 1879 (Actes de la Soc. Linnéenne. Tom. XXXlll). — 51 - sivi, né costanti i caratteri ad ognuna di esse assegnati, non è neppure possibile separare gli individui della specie che, tutto al più, in varietà locali, sempre però di poca od anche di nessuna importanza. E dello stesso parere sarebbesi pure dimostrato il Bou- langer col non avere ammessa nel suo già citato Catalogo dei Batraci del Museo britannico (1882) se non che l'unica specie D. pictus, cui sottopone le varie altre come semplici sinonimie. Malgrado ciò sarebbe ancora opinione del Camerano (^) doversi invece ritenere per distinte fra loro, e da separarsi quindi in due sottospecie, le forme itaUane del Discoglossus; cioè in D. pictus (tipico) della Sicilia ed in D. sardus pro- prio della Corsica, della Sardegna e delle isole dell'arcipela- go Toscano. Anche del genere Pelodytes unica specie rimane pur sempre in Europa il P. punctatns] mentre del genere Alytes si conta ora, oltre al vecchio A. obstetricans, una sua di- stinta varietà della penisola iberica, var. Boscai del Lata- ste ("-), ed una nuova specie, Alijtes Cislernasu, pubblicata dal Boscà (^) e fino ad ora conosciuta come propria soltanto della Spagna. Due sono tutt' ora le specie europee del genere Peloùa- ies, vale a dire il P. fuscus ed il cullripes, ritenuti in pas- sato per affatto estranei all' Italia, ma del primo dei quaU si è già avvertita in principio la recente scoperta anche fra noi. Finalmente il genere Bomùinator non conta ancora che (1) Monografia degli Anfibi Anuri ecc., 1883. (2) Sur une nouvelle forme de Batracien anoure d' Europe (Alytes obsletricans Boscai n. subsp.) Bordeaux, 1880 (Actes de la Soc. Linnéenne). (3) Alytes Cisternasii, descripcion de mi nuevo Batrachio de la Fauna Espanola (Ann. de la Soc. Esp. d' hist. nat., tomo Vili, 1879). r unico B. ifjnens ; come il genere Bufo rimane pur sempre rappresentalo in Europa dalle tre vecchie specie B. vulgaris, B. viridis e B. calamita. Solo per chi volesse seguire le idee espresse dal Game- rano in uno speciale suo scritto sugli Anfibi Anuri (*) po- trebbe farsi entrare nella Fauna anfibiologica d'Europ.a an- che l'africano i^/^/o mauritanicus, che l'autore considera per forma schiettamente europea. in. Ed eccoci giunti cosi al termine di una brevissima ri- vista, dalla quale rilevasi come le dodici cosi dette buone specie di Anuri in passato attribuite all'Europa, rimangono ancora nello stesso nu.iiero, colf aumento solo di una nuo- va specie pel genere Alytes (che trovo riconosciuta ed ac- cettata anche dal Boulanger, ma della quale non ho potuto sino ad ora procurarmi esemplari) e senza qui tener conto pel momento di quanto sarà per risultare dallo studio sulla Rana iemporaria di cui passo ad occuparmi in speciahtà. Un po' di storia su questa specie sarà opportuno anzi- tutto di preoiellere (a costo anche di ripetere forse cose giù note alla maggior parte degli studiosi), per cosi dimostrare le vicissitudini di determinazione specilica cui andò mano mano soggetta, sino al punto della affatto moderna sua se- % parazione in nientemeno che in otto distinte specie. Vale a dire, la Rana fusca Roesel^ R. arvalis Nilss.^ R, iberica Boidanger, R. Latasiei Boulanger e R. agilis Tho- mas per gli individui proprj delle varie parti d'Europa: e Rana sijlvatica Leconte^ R. cantabrigensis Baird e R. japo- nica Boulanger per gli individui americani ed asiatici. (1) Ricerche intorno alla (ìistribtizione geogrufica degli An- fibi Anuri in Europa. Torino, 4883 (Atti R. Accademia delie scien- ze, voi. XVlll). Non occorre di far presente che di queste tic ultime non intendo però di qui occuparmi, limitandosi il mio scritto alle sole cinque d' Europa, e più particolarmente poi alle tre italiane, Rana muta o fusca, R, Latastei e R. agilis dei più moderni autori. Fu primo il Linneo che nella sua Fauna suecìca (1746), e così poi nelle tante edizioni dell'immortale suo Systema Nakirae, ha fatto conoscere la Rana rossa che ci occupa (^) imponendole il nome di Rana temporaria, per indicare e stabilire senza dubbio il carattere particolare e sempre co- stante della macchia oblunga o striscia nera, o di color bruno carico, che porta sulle sue tempia, occupando la parte laterale del capo compresa fra l'occhio e la spalla. Nel 1758 il Uoesel descrisse e figurò nelle belle tavole della sua opera ('-) la Rana rossa sotto il nome di Rana fu- sca terrestris, per conti-apporre tale denominazione trino- minale a quella di Rana viridis aquatica usata per V attuale nostra R. esculenta. Dieci anni più tardi (^) quella stessa rana si ebbe dal Laurenti il nuovo nome, ma improprio, di Runa mtita, colla citazione però delle tavole I-HI dell'opera del Roesel ed an- che della figura posta nel frontispizio della medesima, ad il- lustrazione precisamente della specie di cui offriva la breve (1) Non lascio passare inosservata una differenza che risulta nella brevissima diagnosi della specie stabilita dal Linneo. Ed è, che mentre nella Fauna Sueciea la R. temporaria è segnata col carattere di plantis hexadactylis palmatis, nel Systema Naturae è indicata invece con quello di plantis pentadactylis palmatis. Dilferenza che i moderni autori avevano anche invocato a soste- gno della distinzione specifica della R. oxyrrhinus dalla R. pla- tyrrhinus dello Steenstrup. (2) Hislorla nutaralis Ranarum nostratium, pag. 1-35, ta- vole I-IX. (3) Synopsis Reptilium, 1768, pag. 30, n. XVII. r>ì diagnosi « Color ruffo-fnsciis; macula ohlonga nigra In- ter oculos et pedes anteriores ; crnra funco-f asciata n . Nella tredicesima edizione del Systema Naturae fatta a cura dello Gmelin (1789), noi troviamo assodata la corri- spondenza della Rana temporaria del Linneo colla R. fusca del Roesel e colla muta del Laurenti, ambedue citatevi nella Sinonimia specifica. Lo Sturm, descrivendo nel 1797 la Rana temporaria del Linneo, ne ha dato (^) anche in due tavole le rispettive ligu- re, le quali si possono dire una riproduzione di quelle del Roesel (Tab. l, fig. 1, 2, Tab. Ili, fig. 38, 30) ridotte solo in assai piccole proporzioni. Lo Schneider nel 1799 descrisse {^) la Rana temporaria, citandovi pure ad illustrazione le tavole del Roesel e sotto- ponendo alla stessa le quattro varietà di colorazione che già in antecedenza erano state segnate dal conte Razou- mowsky {^). Un anno dopo vediamo nella Fauna Suecica del Retzius descritta ancora per Rana temporaria Linn.^ la rana rossa che, per la stessa sinonimia datane dall'autore, risulta con- siderata sempre come corrispondente alla fusca Roesel e muta Laiir. (*), E così dicasi anche degli autori che vennero dappoi, quali il Latreille (1802), Shaw (1802), Daudin (1803), Mer- rem (1820) ed altri ancora, i quali continuarono unanimi nel ritenere ed affermare la corrispondenza delle due specie (1) Deutschlands Fauna, III Abtheil., Die Atnphibien, Heft I. (2) Historiae Amphihiorum naturalis et litterariae, fascicu- lus I (pag. 113). (3) Histoire naturelle du Jorat et de ses environs. Lausanne, 1789 (p. 98. Rana temporaria Linn., Fauna Suecica et Syst. Nat.). (4) Faimae Succicae a Carolo à Linné inchoatae Pars I. Li- psiae, 1800 (pag. 285). IVO del Roesel e del Laureiiti colla iemporaria del Linneo da essi descritta. La Rana temporaria figurò quindi sempre come la sola rana rossa d'Europa, mentre la fasca e la muta non furono pii^i considerate e citate dagli autori che quali semplici sino- nimie della specie Linneana. Della quale poi il Daudin (') ha anche descritte otto interessanti varietà di colorazione: col corpo superiorinente di color rosso, o rossastro chiaro, o quasi rosa, o biancastro fuliginoso, o grigiastro, o giallo verdastro, od anche verdastro chiaro: con o senza macchie sul dorso : e col ventre di color biancastro, o giallastro, o bruno giallastro, quando uniforme, quando macchiato e punteggiato in grigiastro, od in bruno, od in rossiccio, od anche in rosso sanguigno. Se non che venuto il 1 828, in cui il Millet pubblicò la Fauna del Dipartimento francese di Maine-e-Loira (-) ve- desi in essa accennato per la prima volta a due rane rosse ritenute per specificamente differenti e che l'autore descrisse sotto i nomi di Rana iemporaria Linn. e di Rana (laviven- iris Miilel. Ma come fu, molti e molti anni dopo, avvertito dal Tho- mas (^) il Millet era incorso in errore coli' avere ritenuto per specie nuova la vera Rana temporaria del Linneo, men- tre applicava invece la denominazione di temporaria ad una specie non prima di lui distinta dai naturalisti, e che dai (1) Histoire nalurelle des Rainettes, des Grenoidlles et des Crapauds. Paris, 1803 (pag. 32, tav. XV, fig. 2). — Histoire na^ turelle generale et particulière des Reptiles. Paris, 1802-1805 (Tom. YIII, 1803, pag. 94). (2) Faune de Maine-et-Loire, oii description méthodique des animaux ecc. Angers, 1828, tom, II. (3) Note sur deux espèces de Grenouilles observées depiiis queìques années en Europe (Annal. sciences natur. Paris, 1855^ tom. IV, n. 6, pag. 365, tav. 7, fig. 1-6). — 56 — moderni autori fu poi riconosciuta per corrispondente alla Rana agilis dallo stesso Tliomas stabilita nel 1855. Del che si parlerà meglio più avanti. Sia che la scoperta del xMillet non si abbia meritata l' at- tenzione degli erpetologlii, o sia piuttosto perchè rimasta ad essi totalmente sconosciuta, fatto si è che nessuno dei suc- cessivi autori, compreso pure il Bonaparte (1838) e Du- méril e Bibron (1841), non hanno mai parlato della nuova specie francese scoperta dal Miliet. Ma tutti continuarono invece a presentare ed a descrivere la esculenta e la tempo - raria come le due sole specie europee del genere Rana; ci- tando poi costantemente nella sinonimia di quest'ultima la R. fusca Roescl^ la R. inula Laur. e la lemporaria del Gmelin, dello Sturm, dello Schneider, di Latreille, di Daudin, del Retzius, del Merrem, dello Tschudi e di tanti altri ancora fra i precedenti autori. Nella Fauna della Scandinavia pubblicata dal Nilsson nel 1842 (') si avverti alla esistenza di un'altra specie di- stinta, anche per statura più piccola, dalla lemporaria Linn., e cui fu imposto dall'autore il nome di Rana arvalis. Spe- cie che vediamo poi mantenuta ancora nella edizione 1860 della stessa Fauna (pag. 104). Il professore Stcenstrup di Copenaghen (-) fece cono- scere nel 1 846 come forme distinte della rana rossa le specie Rana oxyrr/iinus e R. plalyrrhinus da lui stabihte. Distinta sopratutto la prima per la forma più acuminata del muso ed anche per statura più piccola. Distinta la se- conda pel muso arrotondato e per statura maggiore. Come fu però più tardi dimostrato da altri autori, e come fu poscia riconosciuto pure dallo stesso Steenstrup, (1) Skandinavisk Fauna. Ili, Amphihìerna (pag. 92). (2) Bericht ùber die 24 Versammlung deutscher Naticrfor- seller und Aertze in Kiel, ptg. 131. nò l'una, nò l'altra delle due specie erano nuove. La R. oxyvrh'mus non era infatti che la il. arvaUs del Nilsson ; come la li. plaUjrr/iimis corrispondeva perfettamente alla vera R. temporaria degli autori, e di conseguenza pure alla fnsca Roeset ed alla mnta Laurenli. E non è poi a sottacere un fatto di molta importanza per noi, vale a dire che, stando alle stesse assicurazioni fat- teci dallo Steenstrup, si X una che l'altra delle due specie fu- rono da lui trovate in comunione di habitat, e viventi assie- me persino nel bacino del giardino della casa che abitava Linneo ad Upsala. Nel 1 8o5 la questione di una separazione specifica fra le varie forme della rana rossa ha però ancora trovato nel Thomas un dotto e diligenlissimo patrocinatore, avendo egU riconosciuti e stabiliti alcuni caratteri differenziali in base ai quaU non avrebbe dovuto essere piìi consentito dalla scienza, secondo lui, il cumulo di tutte le forme in una uni- ca specie; ma sibbene avrebbe dovuto esigersene la sepa- razione nelle due specie Rana fusca Roesel e R. oxyrrliina Steenstrup, alle quah lo stesso Thomas aggiunse come terza la sua Rana ayilis scoperta in Francia e da lui dichiara- taci del tutto identica a quella designata per temporaria dal Millet. Nell'interessantissimo lavoro del Thomas (^) è anzitutto riportato il giudizio espresso dal Siebold nel \ 852 sulle due rane dello Steenstrup, riconosciute da lui pure come speci- ficamente distinte (^). Il Siebold fa pure rilevare l'errore dello Steenstrup col- r avere ritenuta per nuova specie la platyrrhinus, ossia la (1) Note sur deux espèces de Grenouilles ecc., citata a pagi- na precedente. (2) Zoologische notizen ùber Rana oxyrrhinus und platynhinus (Archiv fùr Naturgeschichte, 1852, Tom. 1). Tomo IV, Serie VI. 8 - 58 — temporaria degli autori ; ma dai caratteri che succintamente offre poi per la oxyrrliinus, possono dirsi riducibili soltanto ad una statura più piccola, corpo più sottile, muso più aguzzo, con qualche diversità nel suono della voce in con- fronto della temporaria. Quanto alla colorazione, osserva lo stesso Siebold, rasso- migliarsi fra loro moltissimo le due rane rosse ed essere poi stato sempre più fucile il confondere 1" una colf altra per la ragione benanco che ambedue nella primavera ed alia stessa epoca vanno in cerca dell' acqua per accoppiarsi. Lo Steenstrup trovò le due specie nella Svezia e nella Danimarca, ivi più comune quando l' una, quando l' altra, secondo le località. Il Siebold le raccolse ambedue assieme nella Prussia, nella Baviera (Erlangen) ed a Breslavia nella Slesia. Ovunque gli è apparsa sempre come più rara la R. oxyrrhimis. A quanto espose il Siebold seguono alcune dichiarazioni che il Thomas ha avuto in particolare dal sig. Schiff di Francoforte s. M., e le quali, in base precisamente ai carat- teri summenzionati, verrebbero ad appoggiare la distinzione speciflca dello Steenstrup fra la R. temporaria e la oxyrrhi- nus, il cui nome vorrebbesi però più giustamente corretto in oxyrrhina. Tutte queste notizie ha voluto il Thomas premettere alla sua Nota, onde far megho risultare le ben maggiori dif- ferenze che passano poi fra quelle due specie ed una terza che egli ci fa per la prima volta conoscere sotto il nome di Rana agilis. Differenze infatti e senza confronto molto più evidenti quand'anche si volessero soltanto hmitare alla for- ma del muso e del corpo ed alle dimensioni delle zampe po- steriori. Che in vero la Rana agilis ha tali caratteri proprj di muso lungo e spiccatamente aguzzo, di forma del corpo tanto snella e quasi direi elegante, e di zampe posteriori - 50 — cosi lunghe e proporzionatamente cosi sottili, da non poter- sela confondere né colla temporaria degli autori, uè colla oxyrrhina dello Steenstiup o R. arvcdis del Nilsson. Non accennerò nò qui, né altrove a qualche differenza di colorazione che gli autori in generale hanno creduto di assegnare piuttosto all'una che all'altra delle specie da essi accettate. E ciò per la ragione che il colorito è variabihs- simo sempre in tutte le varie forme della rana rossa. Dirò anzi in modo tale, che in una stessa forma possono riscon- trarsi tutti quegli accidenti di colorito che gli autori vorreb- bero attribuire esclusivamente o all'una od all'altra delle loro specie. Nella Fatina d'Italia io pure aveva detto che la tinta del- le parti superiori del corpo nella Rana agilis tendeva piutto- sto al biondo rosaceo ed al rossastro, con macchie nera- stre molto piccole e meno numerose. Anche questa distinzio- ne non la potrei però ripetere in oggi, dopo averne veduto individui delle località venete [Barburighe, Mestre e Raclus) tutti di tinte oscure e con molte macchie sul dorso e sulle coscie, al pari della temporaria. IV. La scoperta del Thomas, una volta entrata nel dominio della scienza, vi ha anche tosto trovato appoggio ed ade- sione da parte degli autori che ne parlarono dappoi. E no- mino fra questi più particolarmente il chiarissimo dott, V. Patio di Ginevra, il quale ha in modo esclusivo dedicato due assai dotti suoi scritti per constatare e porre fuori d' ogni dubbio la diversità specifica della Rana agilis. Nel primo di essi {*) troviamc» esposti e discussi con (1) Observat'ons sur la Rana agilis de Thomas (Revue et Ma- gcisiii de Zoologie, i862). — GO — ogni diligenza i differenti caratteri e gli estremi di distin- zione della specie, che viene pure illustrata colle figure del maschio e della femmina nelle due tavole annesse. Nel secondo lavoro (^), premesso un cenno storico sulle specie del Millet, del Nilsson e dello Steenstrup ed una di- scussione sinonimica delle medesime, 1" egregio autore pone in rilievo tutte quelle particolarità di caratteri alle quoU egli appoggiava la separazione delle varie forme della rana rossa nelle tre specie : i. Rana iemporarSa Linn., colla Sinonimia: R. fusca Rnesel, R. temporaria Linn., Dum. et Bibron ecc., Rana mula Laur., R. flaviventris Mil- let, R. plaiyrrhinus Steenstrup. 2. Rana oxyrrhJnus Steenstrup, colla Sinonim. : R. arvalis Nilsson, Rana temporaria {^ari.) Middendorf. 3. Rana agilis Thomas, colla Sinonimia : R. temporaria Millet, R. gracilis Fatto. Comune la prima, come indica l'autore, all' Europa ed all' Asia, ed ovunque diffusa dalle coste mediterranee tino nella Svezia e Norvegia. Propria la seconda di diverse località della Germania, della Danimarca, Svezia e Norvegia sino al capo Nord e nell'interno della Siberia. La terza scoperta sino allora unicamente nella Francia, nella Svizzera e nell'Italia, e giammai ad una elevazione maggiore di metri 1500 sulle Alpi (•). Importa ricordare pure che il Fatio ha nello stesso scritto (1) Notice historique et descriptive sur trois espèces de Gre- nouilles rousses ohservées en Europe (Archives des sciences de la Bibliothèque universelle. Genève, -1870). (2) Neil' Italia la vera agiUs non sale dal pi.mo che a piccole altezze sui monti ; per cui il limite massimo di elevazione del suo habitat deve ritenerci molto al di sotto di quello indicato dal Fatio. — 01 — separata poi la lemporaria in due varietà da lui chiamate ohtnsirostris (corrispondente alla platijrrhinvs Sleenstrvp) ed acnUrosiris^ attribuendo alla prima il carattere di muso decisamente ottuso, ed alla seconda di muso più o meno acuminato e colle zampe posteriori più allungate. Della varietù obtusiroslris, data come la più comune, sono anche distinte alcune varietà di colorazione dipendenti dal maggiore o minore predominio delle tinte gialle, delle tinte rosse o verdi, sopratutto nelle parti inferiori, e chia- mate perciò flaviventris, ruòriventris e viridis. Quest' ulti- ma però assai rara. Le tre rane temporaria, agUis ed oxyrrhiìia si trovano poi nuovamente, ma ancora più ampiamente descritte dal Patio, nella importantissima sua Fauna della Svizzera{\ 872), in cui sono pure mantenute le summenzionate varietà della Rana temporaria (^) (1) Fauna des Vertébrès de la Suisse. Voi. Ili, Hist. nat. des Reptiles et des Batraciens, 1872. Alla pagina 344 della Fauna è anche descritta, benché estra- nea alla Svizzera, la Rana oxyrrìiina Steenstnip colla Sinoni- mia : R. temporaria (pari.) Linn. Fauna Suecica, e R. arvalis (femm.) JSilsson =: avvertendosi poi a pag. 349, che lo Steenstrup aveva appunto dimostrato che il Nilsson non aveva osservato che la sola femmina, e non aveva quindi che insufficientemente descrit- ta la specie. In un giornaletto « Il Bollettino del Naturalista » n.° 5 del corrente anno, ho letto il preciso annuncio : « Il prof. Reibisch (Soc. » stor. nat. Isis. Dresda, 1884) ha dimostrato che la Rana platyr- » rhinus e la R. oxyrrhinus dello Steenstrup non sono due buo- » ne specie , ma la prima è la femmina e la seconda il maschio » della Rana lemporaria ». Mi rincresce di non avere potuto ancora ricevere più estese notizie in argomento. Ma se è vera la scoperta del Reibisch, la questione della distinzione specifica delle due rane avrebbe otte- nuto uno scioglimento quale non sarcbbosi forse mai aspettato. - 6L> - Dopo i lavori del Thomas e del Patio la Rana agilis prese posto anche nei cataloghi e negli scritti degli autori italiani. E fu cosi che mentre da una parte si continua tut- tavia a ritenere la temporaria come l'unica specie italiana di rane rosse, troviamo accettata invece da altri la R. agi- lis come specie da quella distinta ed annunciata, ad esem- pio, dal Cornulia fra i Batraci della Lombardia (1 873), dal Pavesi fra quelli del Cantone Ticino (i873), dal Lessona fra le specie del Piemonte (1877), dallo Scarpa fra quelle del Trevigiano (1882), dal Carruccio fra quelle del Mode- nese (1883), dal Bettoni fra gli Anfibi del Bresciano (1884) ecc. ecc. Ed io pure già nel 1 874 ho annoverato e descritto la Rana agilis fra gli Anfibi d'Itaha (^) indicandone l'habitat per quel tanto che in allora si sapeva. E quindi, oltre alla Lombardia (Cornalia), al Cantone Ticino (Pavesi), ai con- torni di Pisa (À. Beaumont), io la feci per la prima volta conoscere come spettante pure alla provincia veronese (Fu- mane e MarceHise), al Padovano (presso Padova ed a Gor- go) ed al Bolognese (Imola). Sopra un esemplare inviatomi nel I 858, come R. tem- poraria, dal prof. Danilo, io aveva pure annunciato la R. agilis per vivente in Dalmazia (Zara). Ma sembra che al Boulanger riuscisse alquanto dubbia quella mia asserzione, in quanto che facendone cenno in un suo studio sulle Ra- nae temporaria e (1880), di cui avremo ad occuparci este- samente più avanti, vi ha però premesso un « peut-étre » ; e così anche in uno scritto supplementare (1881), uell' av- vertire l'esistenza nel Museo di Parigi di un esemplare della R. agilis raccolto nella Morea dalla Commissione scientifi- ca, e nel dare l'annuncio d'aver avuto un bel esemplare (1) «Fauna d'Italia». Parte IV. Rettili ed Anfibi. Milano, 1874 (ed. Vallardi). - 63 - della specie dal doti. Steindachner, raccolto nei contorni di Vienna, cosi conchiude: « Rana agilis se trouverait donc » en Autriche, et il est par conséquent fort probaùle qu il » existe réellement en Dalmatie oìi il a'été sigoalé par M. le 1) Comniandeur E. de Betta ». In ogni modo, a togliere nel Boiilanger, se fosse ancora del caso, ogni altra esitanza in proposito sono ben soddi- sfatto di potere qui soggiungere, che la R. agilis mi fu in- viata nell'agosto 1883 (sotto il nome sempre di R. tempo- rana) anche dal prof. Kolombatovic, che l'aveva raccolta a Stobrec presso Spalato. Non è però a credersi che le distinzioni specifiche del Nilsson, dello Steenstrup, del Thomas, del Fatio ed altri ab- biano ottenuto poi una eguale accoglienza anche presso gU autori stranieri. Chò anzi all'opposto vediamo mantenuta ancora da taluni la Rana temporaria Linn. come tipo del- l' unica rana rossa d' Europa. Citerò qui soltanto fra gU autori stranieri il Gùnther e lo Schreiber. Quali specie europee del genere Rana il Giinther, nel suo Catalogo dei Batraci del Museo britannico (^), non ha date infatti che le due sole esculenta e temporaria, citando nella Sinonimia di questa la temporaria del Linneo (Fauna Suecica e Systema Naturae), dello Sturm, del Latreiile, del Daudin, del Bonaparte, di Duméril e Bibron ecc., non che, come s'intende bene, la fusca del Roesel e la muta del Lau- renti. (1) Catalogne of the Batrachia Salientia in the eollection of the British Museum. London, 1858 (pag. 16). _ 64 — L'autore distribuì gli esemplari europei della tempora- ria in : a. Individui a muso acuto, Rana oxyrrhinus Steesìstrup (Annover e Germania). 0. Individui a muso corto ed ottuso, Rana pSatyrrhinus Steenstrup (Annover, Inghilterra e Scozia), e. Individui a muso né acuto, né ottuso (Muzzle moderate). Rana arvalis Milsson (Svezia, con pii^i due esemplari di Bologna avuti dal prof. Bianconi ed in uno dei quali il tu- bercolo del metatarso è ottuso come nella platyrrhinvs). Gli esemplari asiatici della temporaria sono poi dal Giin- tlier assegnati alla var, japonica Schlegel, e quelli americani alla R. sìjlvatica Leconte (li. pennsylvanica llarlan). Il dott. Schreiber (*) ha ritenuto pure nel t873 la sola temporaria che, secondo la diversa forma del muso e della fronte negli individui, secondo la diversa lunghezza delle zampe posteriori e secondo il maggiore o minore sviluppo del tubercolo del metatarso, divide poi nelle tre sezioni: a: platyrrhina a muso breve ed ottusamente arrotondato, fronte piana ed assai larga ecc. colle Sinonimie: R. temporaria Linn. (Syst. Nat.), R. muta Laur., R. flaviventris Millet, R. platyrrhinxis Steenstrup ; b : oxyrrhina a muso acuminato e prominente, fronte subconvessa e più '• stretta ecc. colle Sinonimie: R. temporaria Linn. (Fauna Suecica), R. arvalis Nilsson e R. oxyrrhinus Steenstrup; e: agilis a muso oblungo ed acuminato, fronte piana e larga ecc. colla Sinonimia: R. temporaria Millet e R. agilis Thomas. (1) Herpe.tologia Europaea. Brauuschweig, 1875 (pag. 125). ^ 65 — VI. A questo punto, e lenendoci pure al giudizio degli au- tori citati, alla discussione e risultato delle Sinonimie da essi stabilite, non che al valore da relativamente attribuirsi ai caratteri assegnati alle varie specie, parmi si possa in ogni modo venire intanto, e sin d'ora, alle seguenti conclu- sioni : Che per una sola e medesima specie deve ritenersi tanto la Rana tcmporaria della Fauna Suecica del Linneo, quanto quella descritta nel Systema Naturae. Che la Rana fiisca del Roesel e la R. muta del Laurent! vanno riferite indubbiamente alla R. tcmporaria Limi. Che la Rana arvalis del Nilsson, corrispondente alla R. oxijrrhinus dello Steenstrup, altro non è che la tcmporaria di statura più piccola e col muso più acuminato in con- fronto del tipo della specie (*). Che la Rana platyrrliinus dello Steenstrup, corrisponde precisamente alla tsmporaria degli autori, a muso arroton- dato (var. obtusirostris) o leggermente acuminato (var. acu- tiroslì'isj. Chela Rana agilis Thomas appartiene pure alla R. tcm- poraria Linn., dalla quale però si fa particolarmente e più facilmente distinguere per muso lungo e spiccatamente aguz- zo, per corpo snello e sottile, e per le zampe posteriori in proporzione sempre più lunghe e sottili. VIL Qui è d'uopo di ritornare al \ 880 per discorrere sullo studio del Boulanger sulle Rane rosse appartenenti al grup- (1) Vedusi la nota a pug. GÌ. To'>io IH, Serie VL 9 — C6 — pò della Rana temporaria (*), già in addietro accennato, e col quale il chiarissimo autore avrebbe proposto la separa- zione delle varie forme della temporaria in nientemeno che in otto distinte specie. Vale a dire, la Rana ftisca Roesel, la Rana arvalis Nilsson, le due nuove specie R. iberica e il. Latastei Boulan- ger^ e la R. agilis Thomas per le forme spettanti all'Europa. La R. sijivatica Leconte^ la R. pensijlvanica Uarlan e la R. japonica Boulanger per le forme particolari all'America od all' Asia. Il Boulanger ha fatto davvero uno sforzo singolare di studj e ci ha offerto incontrastabile prova dell'essere egli uno fra i più diligenti e pazientissimi osservatori, colla mi- nuziositù stessa delle notizie e dei caratteri che ha procurato di stabilire a base delle distinzioni specifiche da lui segnate. Ma, bisogna pur dirlo francamente, tutti pressoché i ca- ratteri assegnati ad ogni singola delle sue specie, o risultano in fin fine comuni a tutte, od almeno a diverse fra le forme segnalate, o sono tanto superficiali ed incostanti da non me- ritarsi punto né attenzione, nò valore. Soltanto la diversa forma del capo e la diversità nella lunghezza delle zampe posteriori possono rimanere quali caratteri di distinzione di qualche forma particolare, o mu- tazione locale della Rana temporaria. Ma del resto tutti gli altri caratteri desunti dalla varia posizione e dal diametro maggiore o minore del timpano ; dalla maggiore o minore lunghezza del primo dito nelle zampe anteriori ; dalla pelle del dorso, ora hscia, ora leg- germente verrucosa, e sempre poi granulosa nella porzione posteriore delle coscie ; tali caratteri, dicesi, ed altri anco- (1) Éludes sur les Grenouilles rousses, Ranae temporariae, et descriplion d' espéces nouvelles ou tneconnues. Paris, 1880 (Bull. Soc. Zool. de France, paj;'. 158). - 67 -~ ra, sono siffattamente variabili e di così poco interesse da non poterseli assolutamente tenere a base di specifiche se- parazioni. Non parlo poi do! carattere della colorazione, variabi- lissimo, lo si ripete ancora, in tutte indistintamente le for- me della specie, tanto nelle tinte del fondo quanto nelle macchie, ora pii^i, ora meno copiose ed appariscenti, e tal- volta anche quasi completamente mancanti. Fatta eccezione solo, come si intende bene, della macchia temporale carat- teristica, la quale non manca mai, ma vedesi sempre co- stante in tutte le forme della R. tcmp oraria. Di quanto dico sarà facile sempre ad ognuno il convin- cersi quando voglia soltanto riportare e distribuire, come ho fatto per parte mia, in un ordinato prospetto di con- fronto lutti gli estremi e tutti i caratteri differenziali esposti dal Boulanger per ognuna delle cinque sue specie europee. Del resto gioverà anche qui di riassumere i due princi- pali caratteri sui quali finirebbero ad essere fondate quelle specie, cioè : I. Le zampe posteriori ripiegate lungo il corpo non sor- passano colla articolazione tibio-tarsea l'apice del muso; a: capo corto e grosso, col muso ottuso ed arrotondato, Rana fusca Roesel. b : capo mediocremente allungato, col muso nettamente acu- minato, Rana arvaiis Nilsson. II Le zampe posteriori ripiegate lungo il corpo sorpas- sano più o meno colla articolazione tibio-tarsea l' apice del muso ; a : capo poco depresso, col muso corto ed ottuso, Rana iberica Boulanger. f> : capo molto allungato, mediocremente depresso, col muso più 0 meno acuminato. Rana Latastei Boulanger. — GS — e: capo allungato, fortemente depresso, col muso subacumi- nato, arrotondato all'apice, Rana agilìs Thomas. Il Coulanger avrebbe anche avvertito ad altro estremo di distinzione nella differente colorazione delle parti infe- riori del corpo per le tre specie appartenenti alla seconda categoria. La Rana iberica e R.Latastei avrebbero sempre, secon- do lui, le parli inferiori di color biancastro o rosaceo, col ventre e specialmente la gola ed il petto macchiati o marez- zati in grigio od in nerastro: mentre la /{. agilìs avrebbe le parti inferioii di color bianco più o meno giallastro o ros- sastro, e senza macchie. Per la nuova specie R. Lalaslei sarebbe segnata altresì una colorazione ritenuta per affatto sua particolare e carat- teristica, avendo essa la gola tutta coperta di macchie gri- giastre disposte in modo da lasciar Ubero uno spazio me- diano del fondo lungo la gola ed un altro attraverso il petto, e da foggiarvi cosi un T rovescialo che, tinto in roseo od in rosso, spiccatamente si mostra fra le macchie stesse. Ma vedremo però più avanti come anche questi diffe- renziali caratteri di colorito vengano a perdere ogni valore coir esame e con un più largo confronto fra individui ed individui appartenenti pur sempre alla stessa forma. Secondo il Boulanger la R. iberica è propria della Spa- gna e del Portogallo. Nella Spagna (regione dei Pirenei) egli indica come molto comune anche la R. fusca, più però nelle montagne che al piano, dove si lascierebbe trovare pure in compagnia della iberica. Della Rana LatasleiX •òwiove non conosceva e ancora non ha potuto quindi indicare come habitat che i soh contorni di Milano, ove, a suo dire, trovasi in compagnia della fusca e della agilis. Ciò che non può però dirsi esatto rispetto alla fusca, come rileveremo più laidi. ^ 60 — Per la Rana af/ilis poi, l'autore la indica come trovatasi in Francia, nella Svizzera e nel nord dellìtalia, citando più particolarmente pel nostro paese le località di Pisa, Lom- bardia, Verona, Padova, Imola e Piemonte. A conferma delle separazioni specifiche stabilite nel 1880, il Boulanger le ha poi ripetute ancora nel i 882 enu- merando le otto specie del gruppo lemporariae nel classico ed importantissimo suo Catalogo dei Batraci del Museo bri- tannico (*). Trovo però meritevole di nota l' avere il Boulanger alla Rana fusca del suo Studio sulle rane rosse sostituita invece la denominazione di R. temporarla, assegnandovi in Sinoni- mia la R. temporaria Linn. (in parte) Syst. Nat.^ la fusca Roesel, la muta Laur., la platyrrhinus Steenstrup e la tem- poraria var. platyrrhinus del Gijnther. Devesi notare altresì che alla Rana arvalis Nilsson ri- feri come sinonimie la R. temporaria Linn. della Fauna sue- cica, la R. temporaria Linn. (in parte) del Systema Natnrae non che la oxyrr/iinus Steenstrup e Patio, e la temporaria var. oxyrrlìinus et arvalis (part.) Ciintlwr. E per terzo, che in sinonimia della Rana agilis Thomas pose oltre alla R. temporaria del Millet anche la R. tempo- raria var. arvalis (part.) Gunther. Di modo che, parlandosi della arvalis del Giinther, sa- rebbe posto in evidenza con tale sinonimia avere desso scambiate e confuse assieme le due rane rosse che i moder- ni distinguono invece separatamente in R. arvalis Nilsson e R. agilis Thomas. Possibile, domando io, che il GCinther non siasi accorto delle differenze che avrebbero dovuto trovarsi fra le due forme ? (1^ Caialogue uf the Batrachia Salientìa s. Ecaudata in the collection of the British Museum. London, 1882 (pag. 503 di testo con 30 tav. litograf.). - 70 - Io credo assolutamente che no — e mi troverei piutto- sto autorizzato a supporre, o che i due esemplari bolo- gnesi inviati dal Bianconi al Museo britannico non appar- tengano in realtà alla R. agilis Thomas; o diversamente che il GiJnther non abbia creduto potersi tener conto delle dif- ferenze di statura e di forma che pure gli saranno passate sott' occhio, confrontando i due esemplari di Bologna con quelli provenienti dalla Svezia e che furono da lui rife- riti alla specie del Nilsson. Vili. Restringendoci ora alle sole specie attribuite all'ItaHa, ricordo anzitutto di avere giù in addietro nominati gli auto- ri che primi si decisero ad ammettere la nuova specie del Thomas ; in guisa che per la Lombardia, per la Svizzera, pel Veneto, pel Piemonte, pel Trevigiano e pel Modenese ab- biamo veduto dal 1873 in avanti elencate come specie di- stinte la Rana lemporaria Linn. e la Rana agilis Thomas. Uno scritto che più, senza dubbio, dei precedenti lavori ha però contribuito a far megho conoscere fra noi le due rane, si fu quello del Lessona sugli Anfibi Anuri del Pie- monte (*) pubblicato negli Atli della R. Accademia dei Lincei. In questo scritto il Lessona, enumerando appunto le due specie fra i Batraci piemontesi, ne dà anche una più particolareggiata descrizione, accompagnata dalle buone figu- re a colori contenute nelle tavole li e HI della Memoria. La Rana lemporaria è da Iui[pure distinta in acutiro- stris ed obiusirosiris, come si era già fatto dal Fatio nella Fauna Svizzera. Con minuziosità, che talvolta riescono per- sino di troppo, vedonsi esposti i caratteri che ad essa sono propri e quelli che la fanno distinguere dalla agilis : fra i (1) Studii sugli Anfibi Anuri del Piemonte. Roma^ 1877. — 71 — quali restano però sempre essenzialissimi i due della diversa forma del capo e della diversa lunghezza e relativa grossez- za delle zampe posteriori. Quanto al colorito, notasi dall'autore, presentarsi nella temporaria numerose varietà (alcune delle quali ci sono an- che più particolarmente descritte), sopratutto nella mon- tagna, e riscontrarsi in generale un predominio delle tinte brune e nere nelle Alpi e delle tinte bigio-rossastre nella pianura. Questa specie ed alcune sue interessanti varietà di co- lorazione, ed anche di forme del corpo e del muso, si vedono rappresentate dalle ligure 6, 7, II, i 2, 1 3, 1 4 e 20 della Ta- vola I. La Raìia agUis, che fa seguito alla temporaria, è pure descritta coi caratteri particolari ad essa assegnati ed è il- lustrata dalle figure 2, 0, Il e 13 della Tavola IH. L' autore ha osservato variare assai poco la agilis nei colori e nelle proporzioni, ed assicura differente il suo grido da quello della specie affine. Nella femmina, al tempo della riproduzione, notò rivestite in generale le parti inferiori di elegantissime tinte gialle ed arancio. Ma un lavoro, che ancora più di quello del Lessona si è prestato ad esporre ed a sostenere una diversità specifica fra le varie forme della rana rossa nostrale, si è la Mono- grafia degli Anfibi Anuri del dott. Camerano {'), la cui stra- ordinaria operosità ed i cui vasti e profondi studi in mate- ria gli hanno già assicurato un distinto posto fra gli erpe- tologi italiani. Laborioso e fermo sostenitore delle moderne classifica- zioni, e pur ammettendo egli stesso la somma variabilità de- gh Anfibi Anuri, sia nella forma, sia nella colorazione, sia (1) Monografia degli Anfibi Anuri italiani. Torino, 1883 (Mem, R. Accad. delle scienze di Torino, voi. XXXV). — n ~ nella superficie esterna della pelle ed altro — e ciò di- pendentemente benanco da certe condizioni speciali del- l' habilat — il Camerano ha stabilito nella sua Monografia l'esistenza fra noi di tre distinte specie di rane rosse, cioè: la Rana muta Laitr., la Rana Lalaslei Bnulan(jer e la Rana ayilis Thomas. JNelle sue premesse al genere Rana aggiunse alle tre no- minale, e sempre come altre specie d'Europa per lui bene distinte e caratterizzate, la Rana temiìoraria Linn. e la Rana iberica Boulanger ; mantenendo così distinta la muta Laur. dalla iemporaria Linn. nonostante che gli autori sieno stati unanimi nel giudicarle per utia stessa ed identica specie. Ma, poiché non poteva sfuggire all' occhio di un cosi diligente e minuzioso osservatore la somma variabilità, an- che individuale, ed in tutte indistintamente le specie, di al- cuni dei caratteri segnati dagli autori a base di specifiche se- parazioni : e poiché ha dovuto egli stesso convincersi come essi non abbiano un vero valore, nò dieno risultati sempre certi e costanti, così anche il Camerano ha dovuto ammet- tere quali più sicuri estremi differenziali la diversa forma del cranio e la maggiore o minore lunghezza delle estremità posteriori. Ai quali due estremi ha egli creduto opportuno di aggiungere quello altresì del diverso sviluppo e della diversa posizione del timpano nelle tre specie da lui de- scritte. L' autore ha giustamente avvertito che nelle rane rosse i sacchi vocali sono sempre interni; ma è un errore l'avere egli poi affermato che questi sacchi esistono soltanto nella Rana mula e che mancano invece nella R. agilis e nella R. Laiasiei. I sacchi interni vocali esistono in tutte e tre le forme indistintamente. Volendosi riassumere i tre principalissimi caratteri delle forme italiane secondo quanto è esposto dal Camerano, e che non è che una conferma di quanto aveva già dal t880 — 73 - stabilito il Boulanger, ecco come verrebbero ad essere se- parate e distinte le rane rosse nostrali: I. Capo pili largo che lungo, spesso, non depresso ante- riormente — Muso o arrotondato o leggermente aguzzo — Timpano grande, distante dall'occhio — Zampe posteriori corte e tozze -, ripiegate contro il corpo, giungono colla arti- colazione libio-tarsea o alla metà dell' occhio o all' apice del muso. Rana muta Laurenii, colla Sinonimia: Rana fiisca Roesel, R. temporaria (part.) Linn. (Sijst. Nat., ed. XIl), R. temporaria Schneider, Daudin, Merrem, Bonaparte, Duméril e Bibron, Patio', de Betta, Lessona, Boulanger ecc. ecc., Rana flaviventris Millet, R. plaiyrrkinus Steenstrup ecc. E per questa specie il Camerano, avvertendo sempre alia variabilità nella forma del capo e specialmente del muso, ammette anche le due varietà acuiirostris ed obtusiroslris del Fatio, con altre di colorazione descritte sotto i nomi di siil/concolor, niyro-maculala, flavo-m aculaia, nigro-gutlata ed atra. Nella Tavola I della Monografia si trova figurata la R. mula (tìg. 9) ed una bella sua varietà (fig. IO). II. Capo un po' più largo che lungo, spesso, poco de- presso — Muso corto ed arrotondato — Timpano assai piccolo, lontano dall'occhio ■ — Zampe posteriori lunghe e sottili ; ripiegate contro il corpo oltrepassano colla articola- zione tibio-tarsea spiccatamente l'apice del muso. Rana Latastei Boulanger, della quale è data la figura nella Tav. I sotto i num. 2, 3, 4. III. Capo leggermente piìi largo che lungo, sottile e de- presso anteriormente — Muso lungo e spiccatamente aguz- zo — Timpano molto grande e molto vicino all'occhio — Le zampe posteriori sono proporzionatamente alla R. Latastei anche più lunghe e sottih. Tomo /F, Serie YJ. 10 l - 74 - Rana agilis Thomas, rappresentata dalle figure 5 a 8 della Tavola I, e eolla Si- nonimia : Rana lewporaria Millet, R. temporaria var. agi- lis SclireiOer, R. agilis Thomas, Fatio, Cornalia, de Betta, Lataste, Lessona, Boulangcr, ecc. ecc. Quanto al colorito|delle parti inferiori, l'autore segna più particolarmente l'essere desse o immacolate, o più fre- quentemente ricoperte da numerose macchiette grigio-brune nella R. mula. Immacolate nella R. Lalaslei, salvo sotto alla gola dove presentasi il disegno foggiato a T rovescio avver- tito dal Boulanger. E finalmente immacolato nella R. agilis. DeìY liaùitat rispettivo il Camerano segna in generale la regione montuosa ed alpina per la muta e la regione del piano per le altre due specie. Con che verrebbe pur egli a confermare la inesattezza del Boulanger quando scrisse tro- varsi la Lalastei nei dintorni di Milano in compagnia della fusca. Non mi fermerò a dire delle maniere di colorazione del dorso e delle membra che il Camerano assegnerebbe a cia- scuna delle tre specie, in quantochè ho già dovuto ripetuta- mente avvertire la somma variabilità del colorito in tutte le varie forme, e di conseguenza il poco o nessun valore da accordarsi a questo carattere. Potrebbesi tutto al più ritenere un predominio fra noi nella agilis e nella Lalastei di tinte più chiare e di macchie più costanti che non nella muta. Ma anche questa distinzione va poi soggetta ad infi- nite modificazioni secondo la stagione e la stessa località. Uispetto alla R. mula troviamo sollevata dall'autore anche una questione di nomenclatura che egli stesso avreb- be sciolta nel senso che il nome di R. temporaria Linn.^ co- mechè usato dagli autori per varie forme specificamente distinte, non possa essere per ciò stesso conservalo, a scan- so anche d'altre future confusioni, o che sia tutto al più mantenuto alla sola R. arvalis. Aggiungendo altresì che per — 75 — lo stesso diritto di priorità debba essere dato alla R. fusca del Roesel il nome impostole invece dal Laurenti. In ciò io devo però dichiararmi affatto dissenziente, in quanto che, se tutti gli autori passati in rivista nel presente scritto furono concordi nel giudicare e nel ritenere che tanto la R. fusca Roesel, quanto la R. mula Laur. corri- spondano precisamente alla temporaria del Linneo, è chiaro che questo nome deve prevalere agli altri, anche perchè è anteriore. Ed in ciò mi conforta il trovare accettato pure recen- temente dal Boulanger {Calalogue ecc., 1882) il nome Lin- neano in sostituzione di quello di R. fusca che avea usato due anni primari 880) per l'identica specie nel suo Studio sulle rane rosse. Che se non si volesse accettare tale mia opinione, non saprei farmi ragione del perchè mal in ogni caso non debba poi avere la preferenza il nome di fusca a quello di mula adottato dal Camerano. Scrisse egli d'avere cosi pensato in vista che il Lau- renti, dopo il Linneo, ha per primo caratterizzato la specie in questione, denominandola Rana muta. Ma le bellissime figure date dal Roesel per la sua Rana fusca terrcstris, e che lo stesso Camerano dichiara più che sufficienti a far riconoscere con esattezza la forma di cui si tratta, non devono bastare a stabilire in modo indubbio chi fra il Roesel ed il Laurenti debba ritenersi veramente il primo che abbia determinata la specie ? Per parte mia, quando si volesse rifiutare ancora il nome Linneano, non esito punto ad affernjare che il nome di Rana fusca Roesel dovrà essere preferito sempre a quello posteriore, ed anche improprio, di R. muta Laurenti. 76 IX. Trattandosi di una forma ancora assai poco conosciuta fra noi; che per la prima volta figurò fra le italiane in se- guito agli scritti del Boulanger e del Camerano; e che mt»lto recentemente fu avvertita dal Ninni trovarsi pure nel Ve- neto, non so dispensarmi dall' intrattenermi alquanto sulla Rana Lalaslei Boylanger, la cui denominazione vorrebbesi però dal Camerano corretta in Laiaslii. Dei caratteri che principalmente servirebbero a distin- guerla dalla temporaria e dalla agilis fu già detto più ad- dietro. Qui non rammenterò ancora fra essi che il diverso mo- do di colorazionefdella gola per tosto però soggiungere, che per me sarebbe anche l'unico carattere in base al quale po- trebbesi, da chi lo volesse, continuarsi a mantenere sepa- rati gli individui della forma agilis nelle due specie agilis e Lalaslei. Senza poi che io sappia dire se il carattere stesso debba aversi per costante, o se individuale soltanto, o non piuttosto dipendente da ragioni di sesso, o di età, o di sta- gione, o di località. E giustifico questo mio giudizio colle seguenti osserva- zioni e notizie. Il Boulanger ha descritto la Lalaslei (1880) sopra indi- vidui avuti dal Cornalia e dal Pini di Milano, e provenienti dai contorni di quella città, dove si era osservato vivere dessa in compagnia della agilis. Il Camerano scrisse (1883) d'aver avuto la Lalaslei dai contorni di Varese, dal Veneto (vaile di Marcellise, Treviso, Venezia) e dalla Toscana (monte Morello) ; in tutte le quali località si riscontrò pure in comunione di lialnlul colla agi- lis. Circostanza questa che vorrebbesi costiluisse anzi un altro argomento per la sua validità specifica. __ 77 — Ora dirò, che alla prima notizia avuta intorno alla nuova specie del Boulanger — e fu quando precisamente quel chiarissimo autore mi fece gentile comunicazione del di lui scritto sulle Ranae temporariae — io mi sono tosto affret- tato a rivedere tutte le rane della mia collezione apparte- nenti alla sezione della agilis, e fra le quali ne trovai alcune spettanti infatti alla Lalaslei per la loro gola tutta macchiata in grigiastro più o meno intenso, e col disegno avvertito per caratteristico della nuova specie. Ma che io aveva sem- pre considerato in passato, come persisto nel considerare ancora, quali semplici varietà individuuH, o di sesso della agilis. Amo anzi di qui trascrivere i risultati di quella rivista secondo le note stesse fattemi in allora e che pur oggi con- fermo. a: Fra 6 esemplari della Rana agilis? raccolti nel set- tembre 1 850 a Gorgo, in provincia di Padova, quattro sa- rebbero appartenuti alla nuova specie del Boulanger. E rispetto a questi sei esemplari trovo anche opportuno di avvertire che non potevano dirsi a lutto rigore rappre- sentanti della vera agilis, ma erano piuttosto una interes- sante forma intermedia fra essa e la temporaria Linn., come aveva anche notato il Fatio nell'occasione in cui mi aveva onorato di una sua visita in Verona nell'anno 1863. Gli^ esemplari padovani in parola sono quelH precisa- mente che nel 1 857 ho particolarmente citati e descritti nella mia Erpetologia {^) nell'articolo della Rana temporaria. b : Tre esemplari della agilis raccolti a Tiriolo nella Ca- labria dal distintissimo malacologo cav. G. B. Adami e da lui inviatimi nel maggio 1872, presentavano, oltre alla par- ticolarità di tinte molto oscure sia nel fondo che nelle mac- (1) Erpetologia delle provincie venete e del Tiralo meridio- nale. Veroua, 1857 (pag. 294). - 78 - chie delle parti superiori, anche la gola intensamente mac- chiata in grigio nerastro col disegno a T rovesciato. e: Due esemplari della K. agilis provenienti da Niguarda presso Milano ed inviatimi dal sig. Camillo Campeggi nel maggio pure dello stesso anno 1872, avevano del pari il ca- rattere di colorazione della nuova specie. d : Un esemplare della Calabria favoritomi dal Giglioh nel febbraio 1876, sotto il nome di R. temporaria^ mi presentò la gola macchiata come nella Latastei. e: E finalmente fra una trentina di esemplari della agilis che fra il settembre e l'ottobre del 1876 io aveva rac- colto nei contorni di Padova, più di due terzi appartene- vano alla specie del Boulanger. Ma per quanto mi studiassi sino d'allora per trovare fra gli esemplari della mia collezione caratteri costanti e valu- tabih per una distinzione specifica fra la agilis e la Latastei, confesso nuli' altro avere potuto rilevare all' infuori della differenza nel colorito e nelle macchie della gola. Le quali identiche macchie è però importantissimo di notare averle io riscontrate pure in due esemplari della R. temporaria {\SiV. aculirostris) raccolti nel settembre 1872 presso Fondo in Valle di Non (Trentino) unitamente a molti altri aventi tutta la gola e parte dell' addome coperte invece da larghe macchie disposte a disegno elegante e quasi reti- colato, di color bruno carico o bruno nerastro. Per cui resterebbe anche con ciò escluso il valore ac- cordatosi al colorito della gola, se identico si presenta pure nella Rana temporaria dei monti (m. 1200). In seguito allo scritto del Boulanger mi sono anche to- sto rivolto direttamente al Pini con preghiera della comuni- cazione di qualche esemplare milanese della R. Latastei. Ma alla mia ricerca il Pini non ha potuto corrispondere che coir invio della R. agilis, assicurandomi in lettera ^0 novembre 1 880 che era stata da lui raccolta nella località — 79 — stessa da cui provenivano gli esemplari tutti inviati al Bou- langer ed al Museo di Bruxelles. Soltanto nel maggio I 882 il Pini mi inviava poi gentil- mente altri esemplari della agilis provenienti da Castellazzo Busca (a 15 chilometri da Milano); ma questa volta anche due esemplari della Latastei provenienti dal bosco di Rede- cesio (a 6 chilometri dalla stessa città) e sui quaU ho potuto così meglio confermarmi nel giudizio che mi era già fatto sulla bontà specifica della rana del Boulanger. Nello scorso luglio ho potuto anche avere dal carissimo amico e collega A. Ninni tre esemplari della latastei rac- colti a Treviso nell'aprile dell'anno corrente e che egli mi inviò unitamente ad un esemplare della agilis proveniente da Barbarighe (Estuario veneto) ed a due bellissime varietà di colorazione della muta di S. Tiziano di Gaima (m,* 1273 nelle Alpi bellunesi). Mi spiace però di dover dire che anche con tale invio ho dovuto sempre più assodarmi nel giudizio sulla Latastei e di non potere quindi trovarmi d' accordo neppure col- r egregio collega sulla bontà specifica delle tre rane rosse del Veneto, che a lui sembrerebbero bene distinte, e che sa- rebbero appunto la muta delle nostre Alpi, la Latastei e la agilis comuni nelle nostre pianure (*). Che se altro rincrescimento dovessi sentire nel così pro- nunciarmi, quello non potrebbe essere che di avere in tal modo posta in dubbio, o dirò anzi meglio distrutta una specie stabilita da cosi distinto ed illustre erpetologo quale si è il Boulanger, e da lui dedicata ad altro valentissimo er- petologo, quale si è il Lataste. Ma ho però tutta la fiducia che, come il primo saprà (1) Sopra la Ranae fuscae del Veneto. Lettera al cav. E, F. Trois (Estr. dal verbale dell' adunanza 20 marzo 1885 del R. Isti- tuto veneto). — 80 - riconoscere avere io unicamente parlato col rigore della scienza ed all' appoggio di incontrastabili prove, vorrà an- che il secondo rinunciare all'onore fattogli dal Boulanger, e del quale il suo nome non ba certamente bisogno per rima- nere ricordato alla scienza, dopo i tanti e pregiati lavori e dopo tanta operosità che ad essa lo tengono già luminosa- mente raccomandato. Prima di abbandonare il discorso sulla Lalaslei devo soggiungere ancora due parole intorno alla sua presenza nel Veronese, come sarebbe stata indicata dal Camerano. Nel settembre del 4 870 io aveva per la prima volta sco- perto nella Valle di Marcellise (a circa 9 chilometri da Ve- rona) la Rana agilis, della quale ricordo benissimo averne raccolto in allora una cinquantina di esemplari, fra giovani ed adulti, presi in parte lungo una piccola fossa costeg- giente un tratto di terreno coltivato a vite sul colle, ed in parte in campagna aperta poco discosta. Dietro domanda fattami dal Camerano nel 1882 io mi affrettai ben volentieri ad inviargli due dei suddetti esem- plari veronesi sotto il nome di R. agilis : e sarà facile il comprendere quale sorpresa mi abbia poi recato l'annun- cio esposto nella di lui Monografìa per cui venni a rilevare come uno solo dei due esemplari appartenesse alla agilis, mentre era l'altro invece una R. Lalaslei. Confessando di non essermi accorto punto in allora della diversità di colorazione della gola nei due esemplari, devo anche avvertire al quanto mi abbia poi fatta meravi- glia la unicità dell' individuo dichiarato appartenente alla Latastei; mentre fra i tanti da me raccolti, e parecchi dei quali conservo tuttora, nessun altro mi presentò il colorito segnato per caratteristico della specie. Circostanza anche questa che mi fa quindi supporre pos- sibilissimo che, almeno per alcune località, possa dirsi sol- tanto individuale o puramente accidentale la colorazione ^ 81 - della gola in modo diverso da quanto osservasi ordinaria- mente nella agilis. E dissi ordinariamente, in quanto che anche per la agi- lis non potrebbe indicai'si la gola come costantemente im- macolata, se in buon numero sono pure gli esemplari con gola macchiata o marezzata piìi o meno largamente e più o meno intensamente di grigiastro, anche senza presentare il disegno a T rovesciato già più volte indicato. X. Una pratica che per tal quale tacita convenzione è pres- soché generalmente osservata in oggi dai naturalisti e che non manca in vero di qualche importanza ed utilità, si è quella di esigere la indicazione del materiale che può avere servito di guida e di base ai giudizii ed alle opinioni degli autori. Ciò che, non volendo sottrarmi da tale invalsa consue- tudine, importerebbe però nel caso odierno un lungo lavo- ro ed una noja non lieve per chi legge, se dovessi offrire la distinta degU esemplari tutti da me esaminati e delle rispet- tive loro provenienze. Penserei quindi far cosa migliore col limitarmi invece ad indicare in via sommaria il materiale contenuto nella mia collezione dei rettili ed anGbi d'Europa, la quale mi compiaccio poi sempre di poter dire una delle più ricche fra noi,?sia rispetto al numero delle specie e rispettivi esem- plari, sia per quanto concerne le diverse località della loro provenienza. Tenendomi del resto sicuro che le molle cose fin qui esposte e le risultanze che se ne possono ritrarre, siano già più che sufficienti a convalidare la conclusione alla quale dovrò fra poco venire, accennerò dunque che le Ranae temporariae sono nella mia collezione rappresentate da 196 lu'.iio IV, Serie Vi. 11 — 82 — esemplari distribuiti in 61 vasi di cristallo, secondo il di- verso habitat ed anche secondo le più importanti varietà di colorazione di una medesima località. Senza contare poi gli esemplari conservati nella speciale raccolta di rettili ed anfibi della volle di Non (nel Trentino) e più ancora ben oltie il centinajo di esemplari del Veneto e del Trentino che tengo in separato dalle due collezioni. Ed eccone la succinta indicazione, mantenendo soltanto per ragione di maggior chiarezza la suddivisione della tem~ poraria europea nelle cinque specie dei moderni autori. A. Rana temporaria Linn. Di questa pongo in prima linea gli esemplari da riferirsi alla R. fusca Roesel e R. muta Laitr. che presentano le più singolari varietà di colorazione e di macchie, e che io ten- go provenienti dalle seguenti località: Verona, monti Lessini =^T\eiìl\no, Fondo, Tret e S. Fe- lice, m.' 1200 a l230=^Piemonte, Valsesia ed alta Valsesia (Valdobbia, Alagna, cime del monte OIen ecc. — Calderini) =r Provincia di Udine, Fisér di Gosaldo m.' 1000 (Selle) = Prov. di Belluno, 5. Tiziano di Gaima m.' 1273 (iNinni)ct; Alpi m.' 2000 (Fatio) = Ginevra e Danimarca (Patio) = Francia (Ta(on). Seguono poi gli esemplari provenienti dal Trentino , Fondo, Folgaria e Galliano = Prov. veronese, Gastagnè, Rovere di Velo =:?io\. di Brescia, Valle dell' Avio, ver- sante nord dell' Adamello (Adami) == Prov. di Sondrio, Val Furva a S.^ Gatterina (Pini) — Piemonte (Lessona) =: To- scana, Vallombrosa (Giglioli) =rProv. di Venezia, Mestre (Trois)= Svizzera, contorni di Basilea (Miiller)=; Gine- vra e Danimarca (Fatio) = Boriino (Effeldt) ==: Tia^ia tem- poraria var. platyrrhina Stecnstriip, Danimarca (Leydig ex spec. Co\\\n)=:Rana temporaria vav. acutirostris, Ginevra - 8;:; - e Danimarc;i (Falio) =ir Rana tfmporaria vai', oxyrrhina Steenstrup^ Danimarca (Leydig ex spec. Collin). B. Rana arvalis Nilsson. L'ultima delle sunnominate varietà è già tanto affine alla R. arvatis da potersi considerare per identica, quanto a forma e colorazione, ai due esemplari che di questa spe- cie mi furono inviati dal Falio, provenienti dalla Danimarca. C. Rana iberica Bouianger. Di questa pure non possiedo che due soli esemplari spagnuoli, non molto adulti, con un terzo giovanissimo in- viatimi dal Boscà senza una più precisa indicazione d'Aa- ùitat. Il modo di colorazione è in essi molto elegante, anche per la forma particolare e distribuzione delle macchie sul dorso e sulle gambe. La gola è quasi tutta coperta di mac- chie nerastre, con uno spazio lineare nel mezzo che lascia liberamente vedere il colore del fondo. D. Rana Lalastei Bouianger. Furono già accennate più addietro le località da cui provengono gli esemplari della mia collezione. E. Rana agilis Thomas. Di Gorgo nel Padovano, delle colline d'Imola (Tassina- ri), e di Porto Ceresio in provincia di Como (Pini) sono gli esemplari della mia collezione, nei quali si presenta eviden- temente una forma intermedia fra la tcwporaria e la vera agilis. - 84 — A questa appnrtorrebbero poi più particolarmente gli esemplari provenienti dalla valle di Morcellise nel Veronese; da Caslellazzo Busca nel Milanese (Pini); da Bosco S. An- drea di BarOarana nel Trevigiano (Ninni); da Mestre in prov. di Venezia (Trois) ; da Barbarighe nell' Estuario veneto (Ninni) ; da Raclus nel Friuli (Pirona) ; dal Piemonte, con- torni di Torino e R. Mandria (Lessona) ; dalla Toscana, presso Firenze (Giglioli) ; da Lugano nel Cantone Ticino (Pavesi); dalla Calabria (Adami e Giglioli); da Zara (Dani- lo) e da Stobrec presso Spalato (Kolombatovic) in Dalma- zia ; e finalmente da Ginevra e da Nantes, gentilmente ce- dutimi dal Patio colle due speciali indicazioni fattemi in lettera 20 agosto ^ 870: Rana agiiis typus, Genève <> Les individus, male et femelle, qui ont seni à mes premières descriptions n — Rana agiiis, NantCvS « Un male et vnjeu- ne du méme sexe recns de M. Thomas ». XI. All' appoggio di un materiale che certamente non po- trà dirsi scarso ed insufficiente; ma piij ancora per avere potuto tener dietro abbastanza accuratamente, nel Tren- tino e nel Veronese, al succedersi delle modificazioni di forma e di colorito che si osservano nelle rane rosse, mi sono sempre più convinto che in esse, del paii di quanto è noto accadere anche in altri animali vertebrati ed inverte- brati, le modificazioni stesse hanno pure una stretta rela- zione colle condizioni dell' habitat. E fu cosi che avrei potuto appunto constatare come la R. temporaria possa avere subito e possa effettivamente subire, secondo le diverse località, alcune modificazioni di forme, sopratutto poi nella mo'e e nella lungiiezza e gros- sezza delle zampe posteriori. Sulle montagne essa si presenta infatti di una mole più - 85 - grande; con corpo grosso e tozzo; co! muso, quando ar- rotondalo (var. oùtusirostris), quando alquanto appuntito (var. aciitirostiis) ; e colle zampe posteriori relativamente corte e grosse ('). È invece mano mano che si discende verso il piano che la specie presenta gradatamente tali e tante modificazioni di forme sino a raggiungere quella, in confronto persino elegante, della R. agilis, a corpo sottile e molto snello, col capo piccolo in relazione alla sua mole, con muso anterior- mente acuminato, e colle zampe sottili e molto più allun- gate. Non è perciò a dirsi quante forme intermedie, o di passaggio, assolutamente impossibili a descriversi, noi po- tremo quindi trovare fra la temporaria o muta e la agilis. Come non sarà certauìente possibile lo stabilire rigorosa- mente un limite fra le forme da riferirsi alla prima e le al- tre che si vorrebbero esclusive alla seconda. Non posso affermare che quanto osservai nel Veronese e nel Trentino, succeda poi anche altrove. Ma credo però potersi così ritenere in base alle stesse generiche indica- zioni degli autori ?>\ì\{ liahilat della specie; di cui tutti am- mettono la forma fusca o muta come confinata sugli alti monti, mentre dicono non incontrarsi la agilis che sulle colline ed assai più comunemente nella regione del piano. Del progressivo differenziarsi delle forme credo non possa quindi esitarsi a ritenere quale principalissima causa gli slessi fenomeni di adattamento dell'animale al luogo di abitazione. (1) Non deve dimenticarsi che nei giovani il muso è sempre aguzzo, e che la diversa forma del muso negli adulti può anche dipendere dall' età e fors' anco dal sesso. Delle due varietà obtusirostris ed acutirostris anche il Ca- merano ha osservalo essere la seconda quella che discende più in basso verso il piano. — m ~ La Rana tempoì'arìa, che vive infatti sulle alle montagne, non ha che ristrette zone di terreno da percorrere pe'suoi bisogni. Ha per ciò stesso minori pericoli da sfuggire ed ha in ogni modo maggiore facilità di scansarli con salti lunghi sì relativamente, ma non tanto quali si esigerebbero al piano. I piccoli torrentelli od i ristretti corsi o canali d'ac- qua, che per lo più si incontrano sui monti, congiunta- mente ai frequenti cespugli di quelle località, sono per essa un facilissimo rifugio, da cui, del resto, ordinariamente non si allontana mai molto. Ed ecco quindi bene adattate le sue membra al mezzo stesso in cui vive. Le condizioni d' habitat della Rana agilis sono invece ben molto diverse. Vivendo essa al piano e nelle campagne aperte e colti- vate, deve infatti percorrere tratti di terreno talvolta assai estesi, talvolta attraversati benanco da larghi fossi e canali d'acqua, o da fiumi. Di conseguenza anche i pericoli sono sempre maggiori, ed impossibile riescirebbe ad essa di fa- cilmente sottrarsi quando più adatti non fossero pure gli organi locomotori. E da qui appunto le modificazioni di adattamento che le sono particolaii ; vale a dire le zampe posteriori molto più lunghe e che, congiuntamente ad una speciale snellezza di corpo ed alla stessa forma più acumi- nala del muso, le permeltono di eseguire salti maggiori e quasi portentosi in confronto della iemporaria^ e di vin- cere assai più facilmente la resistenza dell'aria che deve spostare nel salto stesso. Ed egli è in lutto ciò che io ravviserei appunto la na- turale e più diretta ragione delle svariate modificazioni di forme che avrebbero invece suggerito ai moderni autori la scissione della vecchia Rana teniporaria in altrettante di- stinte specie. — 87 — XII. Dopo una cosi lunga esposizione di circostanze e di falli vengo Gnalmenle ad una conclusione, la quale so però benissimo prevedere fin d'ora che non sarà per essere cosi facilmenle accettala da tulli, e che potrà forsanco procu- rarmi qualche viva opposizione da parte di taluno fra i più moderni autori. Ma neppure in tale previsione devo ora trattenermi dallo esporre il mio avviso, con quella piena convinzione che ho dovuto ritrarre dairaltento studio di moltissimi au- tori e dalle stesse osservazioni e ricerche da me attivale nel corso di tempo, non breve sicuramente, dacché attendo più in particolare allo studio dei Rettili ed Aniibi nostrali. La conclusione alla quale mi tiovo chiamato, altro non sarà quindi che il mio giudizio sulla cosi delta bontà speci- fica delle varie forme dagli autori elevate al grado appunto di specie distinte. Il Giglioli annoverando la liana temporaria fra gli Anfibi italiani non ha punto esitalo a scrivere: « Abbonda in tutta » Italia, particolarmente sui monli, e le più belle varietà ed » i più grossi individui sono alpini. Si estende pure alla Si- » ciba, ma non nelle altre nostre isole. È specie somma- » mente variabile, né saprei accettare la separazione della » H. agiiis e di altre razze come specie distinte » (^). Dichiarazione questa che non poteva cerlasnenle ac- contentare il Camera no se ad esso lui sembra al contrario cosa difficile il non ammettere al giorno d'oggi come specie (1) Elenco dei Mammiferi., degli Uccelli e dei Rettili ittiofagi appartenenti alla Fauna italica, e Catalogo degli Anfibi e Pc sci italiani. Firenze, 1880. — 88 — distinte in Italia la Rana muta Laur.^ la R. Latastei Boulan- ger e\a R. agilis Thomas ('). Ma per lue è evidentissimo che anche lo stesso Boulan- ger ha sentito doversi più o meno dubitare sul valore dei caratteri assegnali a ciascheduna delle sue otto specie, sic- come da lui pure riconosciuti uè esclusivamente proprj, nò sempre costanti in ognuna di esse. Tanto è ciò vero che, dopo avere lungamente studiato ed affaticato nel cercare gli estremi ai quali appoggiare le sue distinzioni speciQche, vistane egli stesso la somma va- riabilità ed incostanza, ha pensato molto saviamente di con- chiudere colle parole riportate in testa del presente scritto e dalle quali è abbastanza chiaramente comprovato esservi fra le otto specie una tale concatenazione di caratteri da non lasciare possibili che due partiti: o ammetterle tutte, o non ammetterne che una sola. E con tutta franchezza e persuasione dirò, che io starei appunto pel secondo partito: vale a dire, che per parte mia ritengo effettivamente tutte le varie forme della rana rossa in Europa, e quindi anche nell'Italia, per appartenenti ad una sola ed unica specie, la Rana temporaria di Linneo e degli autori. II Lataste nelTescIudere la bontà specifica dei tre Disco- glossns stabiliti dal Camerano (D. pictns Ottli., D. snrdus Tscliudi e D. Scovazzi Camerano) ed avendoli dimostrali spettanti tutti ad un'unica specie, ha sentenziato essere più che sufficiente a distinguere l'uno dall'altro l'aggiungere soltanto al nome specifico la indicazione deW habitat {"^). Precisamente lo stesso io reputerei debba pur dirsi og- gidì rispetto alle rane rosse, le cui molle variazioni si pos- sono benissimo designare coll'aggiungere alla denominazio- (1) Monografia ecc., pag. 73. (2) Étxide sur le Discoglosse ecc., già ciialo più addietro. — 89 — ne specifica di Rana temporaria resaltu indicazione del ri- spettivo habitat^ tnlchò ne risultino quindi conosciute le localitù e lo regioni, se del monte o del piano, da cui pro- vengono gli esemplari. Devo però tosto soggiungere che, riguardo alle forme della R. temporaria, sarebbe troppo strano il non volere neppure riconoscere quell'assieme di caratteri che tanto facilmente si prestano a fare in ogni modo distinguere la temporaria delle alpi e dei monti, a corpo'grossolano e toz- zo, dalla temporaria del piano, a corpo snello e sottile, colle altre differenze già più volte ripetute. Che, in verità, avendo sott'occhio, ad esempio, le rane rosse dei più alti monti del Piemonte, del Veneto e del Trentino, e confrontandole colle rane della pianura, a for- me così distinte ed eleganti, come quelle particolarmente del Milanese, del Veronese, del Trevigiano, del Cantone Ti- cino (') ecc., non vi sarà alcuno che possa ragionevolmente disconoscerne le differenze : e ciò indipendentemente benan- co dalle moltissime forme intermedie che legano ed unisco- no poi fra loro completamente gli estremi delle due serie. Ma anche a distinguere convenientemente le due forme, senza per questo creare specie che a rigore di scienza non possono assolutamente accettarsi come tali, è facilissimo il modo. Ed io non esito punto a qui seguire una proposta che, fatta dal Lataste nello scritto sui Discoglossi, e dapprima accolta pienamente e più tardi modificata dal Camerano, io trovo anche del tutto opportuna allo scopo. (1) Gli esemplari di questa località vanno particolarmente di- stinti per la maggiore snellezza delle loro forme ed anche per la macchia temporale generalmente più distinta, ossia più spiccante dal fondo, perchè orlata ed accompagnata inferiormente da una sot- tile fascia 0 linea di tinta biancastra o giallastra più risentita che non negli esemplari delle altre località. Tomo IV, Serie VI. 12 — 90 — II partito, cioè, di aggiungere alla nomenclatura Lin- neana binominale un terzo nome per la forma particolare che si vuole indicare, chiamando così nel caso nostro Rana temporaria agilis la forma appunto corrispondente della pianura, e che io considero per tutt'una colla Latastei. Volendo poi seguire la modificazione di nomenclatura trinominale proposta dal Camerano, la si potrebbe chiama- re invece Rana temporaria Limi, subspecie agilis Thomas. Per me un modo o l'altro vale lo stesso, purché si ot- tenga di ben definire la forma senza bisogno di creare nuove specie e di sempre più imbarazzare la sinonimia, laddove, come nel caso nostro, non si tratta che di semplici mutazioni locali, e talvolta solo accidentali od individuali, di una specie universalmente conosciuta. Verona, settembre 1885. CONSIDERAZIONI SULLE VALVOLE DI SICUREZZA. nota DEL M. E. ENRICO BERNARDI (con I Tavola) ì. Uno fra i difetti attribuiti alle ordinarie valvole di sicurezza, è quello di non permettere che tutto il vapore prodotto in eccesso dalla caldaja sfugga per esse appena la pressione raggiunge quel limite massimo stabilito nella pro- va, a cui per legge tutti i generatori di vapore devono es- sere assoggettati prima di entrare in servizio. Allorquando infatti la pressione in caldaja raggiunge il limite predetto, le valvole comunemente in uso, solo comin- ciano ad aprirsi, e per alzarsi di più e lasciar sfuggire quindi una quantità di vapore sempre crescente, è mestieri cbe la pressione continui ad aumentare e sorpassi quel li- mite. — Questo difetto riesce ancor meglio pronunciato se la valvola è premuta sulla sua sede da una molla, perchè la tensione della molla cresce coli' alzarsi della valvola, e la pressione in caldaja deve quindi certamente aumentare a mano a mano che la valvola si apre. Il fatto ora accennato diviene poi ancor più sensibile, se la molla agisce indirettamente sulla valvola, come appun- to avviene colla solita e ben nota bilancia di tensione, gene- ralmente adottata per le locomotive. In tal caso ad un pic- colo alzamento della valvola, corrisponde un allungamento - 92 — relativamente gr-inde della molla elicoidale che la carica, e r aumento della tensione della molla e quindi dell.i pressio- ne in caldaja riesce perciò considerevole, anche per alza- menti relativamente piccoli della valvola. 2. Il Meggenhofen immaginò una disposizione che toglie questo inconveniente. Egli trasmette la tensione della molla alla leva della bilancia, mediante un ingegnoso sistema arti- colato, il quale fu studiato in modo che il carico sulla val- vola non abbia a mutare mentre essa si solleva. Tale dispo- sizione, che io vidi applicata ad alcune locomotive della ri- putatissima fabbrica di E. Kessier ad Essiingen, ha però il grave inconveniente che permette al macchinista di sovrac- caricare con facilità la valvola. Per ottenere questo scopo, basta infatti che egli, con un semplice filo metallico, leghi fra loro le braccia del predetto sistema articolalo. La valvola di Bachmann è a tripla sede, e quando si apre, il vapore sfugge contemporaneamente per tre fessure anulari concentriche, ma disposto ad altezze diverse (^). Per tal modo con un alzamento relativamente piccolo del- ia valvola, si oh origine ad un' ampia luce libera d' efflus- so, e si sfoga una grande quantità di vapore. Riesce quindi meno sensibile quel successivo aumento di pressione in cal- daja, che si osserva colle valvole ordinarie mentre scarica- no quantità di vapore sempre maggiori. Per la sua parti- colare costruzione, questa valvola ha pure il vantaggio che, a diametro eguale e sotto le stesse condizioni, esige un ca- rico di gran lunga inferiore delle valvole comunemente in uso. Deve essere però assai delicata, come tutte le valvole a sede multipla, e forse per questo non ebbe larga applica- zione. Nelle valvole di Kitson e Ramsbottom^ che vennero ac- (1) Der practische Maschinen-Constriicteur- Zeitschrift voti Uhland. Jahrgang 1878, S. 410. — 93 - colte con qualche favore dai pratici, la molla, o le molle se sono più d'una, agiscono direttamente sulla valvola ; il mas- simo alzamento di questa è piccolo (circa 3 mill.), e le mol- le sono relativamente lunghe; la loro tensione perciò cre- sce di poco mentre la valvola si apre, e il corrispondente aumento di pressione in caldaja riesce quindi minore che impiegando valvole a bilancia. Devesi notare che neppure le valvole a carico costante, sono prive del difetto accennato. L' esperienza di tutti i giorni dimostra infatti che anche le valvole direttamente od indirettamente caricate da un semplice peso, non si aprono ad un tratto, ma successivamente ; il che prova a chiare note che, per aprirsi sempre più, richiedono un continuo aumento di pressione in caldaja. Teoricamente si dimostra, come ve- dremo, che una valvola di sicurezza a carico costante, do- vrebbe aprirsi del tutto appena comincia a sollevarsi. Que- sto disaccordo però fra la teoria e l'esperienza si spiega as- sai facilmente badando bene alle condizioni di fatto sotto le quali avviene l'efflusso del vapore. Attesa r importanza che si suole attribuire alle valvole di sicurezza per prevenire lo scoppio di una caldaja e le gravi disgrazie che quasi senipre ne conseguono, mi parve non potesse riuscire inutile la pubblicazione della presente Nota, scopo ultimo della quale è di far conoscere due nuove disposizioni, che risolverebbero il problema della costru- zione di una valvola, la quale impedisca ogni aumento di pressione in caldaja oltre un limite determinato, e ciò an- che sotto la massima attività del foco- fi per essere questo mio scritto dedicato non solo ai pratici, ma anche agii studiosi della meccanica applicata, mi farò ad esporre per filo le considerazioni che mi con- dussero ad indovinare le predette disposizioni, e, per co- minciare, ricercherò da primo 1' equazione d' equilibrio di - 94 - una valvola di sicurezza mentre, sollevata sulla sua sede» sfoga il vapore rinchiuso in caldaja sotto data pressione. 3. Sia A (tìg. 1) il tubo, ordinariamente di breve lun- ghezza, che conduce il vapore dalla caldaja alla valvola. La sezione di questo tubo la supporremo costante ed eguale all'area della faccia piana ed inferiore della valvola medesi- ma. — A vero dire, coi sistemi comunemente adottati per guidare la valvola e costringerla a muoversi col suo cen- tro lungo l'asse del tubo A , la predetta supposizione non si verifica rigorosamente, poiché i pezzi che guidano la val- vola vengono quasi sempre collocati dentro al tubo A , e perciò ne restringono la sezione nel luogo ove sono posti. 11 ristringimento però è sempre piccolo in confronto del- la intera sezione di A , e, almeno per ora, può essere tra- scurato. La superDcie della valvola e quella della sua sede, che fra loro vanno a perfetto contatto quando la valvola è chiu- sa, le supporremo piane, talché il vapore si lanci all'esterno in direzione orizzontale. Quando la valvola è aperta, la pressione del vapore im- mediatamente al di sotto di essa è di certo inferiore a quel- la in caldaja. Devesi notare però che il massimo alzamento della valvola riesce sempre assai piccolo in confronto del suo diametro, se a calcolare questo diametro si seguano le regole generalmente adottale dai costruttori. Per questa ra- gione la differenza fra le predette pressioni può ritenersi in generale abbastanza piccola perchè sia permesso di consi- derare la densità del vapore nel tubo A come costante ed eguale a quella in caldaja. Premesso ciò diciamo : P, il peso in chilogrammi del vapore scaricato dalla val- vola in un minuto secondo ; p„, la pressione assoluta in chil. sul m. q. del vapore in caldaja ; — 95 — Pj , la pressione pure assoluta del vapore immediatamente sotto la valvola; ^ , il peso specifico o peso del m. e. di vapore in caldaja; V , la velocitili dei vapore nei tubo A ; co, la sezione in m. q. del tubo medesimo o l'area della faccia inferiore della valvola ; a, la pressione atmosferica; Q, il carico in cb. cbe direttamente agisce sulla valvola. Il volume del vapore cbe in un secondo passa per A è: P f ' e perciò sarà: (<) "^L- D'altro canto osservando che il movimento del vapore nel tubo A è determinato dalla differenza di pressione Po — Piì P^' teorema di Torricelli potremo scrivere: (2) v^l/2/-^ e quindi da cui facilmente si ottiene: (3) . . . . Pi=Po 4. Le particelle di vapore cbe si muovono nel tubo A , prima disfogarsi nell'atmosfera, incontrano in direzione normale la faccia inferiore delia valvola ; e costrette da essa a dirigersi orizzontalmente ed a deviare quindi di 90", vi esercitano una spinta dinamica cbe insieme alla pressio- ne p^ coopera a sollevarla. — Detta *; l'accelerazione di gravità, la massa fluida cbe in un secondo incontra quella 90 faccia è - ; la velocità con cui questa massa si muove è G V ^ e cosi la predetta spinta verrà espressa, com'è noto, da P 9 e lo sforzo totale che tende di sollevare la valvola sarà evi- dentemente : Più) 9 Questo sforzo deve essere equilibrato dal carico Q e dalla pressione atmosferica, la quale, se la valvola è co- struita a dovere, agisce sopra una superficie che si può ri- tenere eguale alla co. Dovrà essere quindi: 9 act) Posti qui i valori di y e di pi dati dalle (I) e (3), si ottiene : 2gl a> da cui; (4) . Q = (Po — «)'5^ ^- p2 2gh 0) Detto Q^ il minimo carico che è capace di mantenere la valvola chiusa^ questo carico verrà dato dalla precedente equazione quando si faccia in essa Pr=:0 , e si avrà cosi: (5) . . . . Qi = (/>o — a)M , con che la (4) diventa : P« Zij ò co (6) Da questa, che è l'equazione di equilibrio della valvola aperta, chiaramente apparisce, che il carico Q dovrebbe - 97 -- essere lauto più grande di Q, , quanto maggiore è il peso P di vapore che la valvola scarica nell'unità di tempo. Ap- pena dunque una valvola di sicurezza caricata con un peso comincia a softìare, dovrebbe aprirsi completamente, per- chè il carico che la equilibrava chiusa, diverrebbe insuffi- ciente ad equilibrarla aperta. 5. Come ho avvertito in addietro ciò non si verifica affatto in pratica. Una valvola di sicurezza, sia pure a ca- rico costante, effettivamente non si apre tutta ad un tratto, ma a poco a poco, ed esige quindi un successivo aumento di pressione in caidaja per scaricare quantità di vapore ognora crescenti. Su questo disaccordo fra la teoria e l'esperienza de- vesi notare, che la pressione p^ al di sotto della valvola, noi r abbiamo determinata nella supposizione che al movi- mento del vapore nel tubo A, si potesse applicare, senza riduzioni, il teorema di Torricelli. Ora, com' è noto, que- sto teorema non si verifica in pratica che in via di appros- simazione, e la vera differenza di pressione capace di pro- durre una data velocità d'efflusso, è sempre più grande di quella calcolata in base a quel teorema. La differenza p^^ — /;, deve essere dunque in pratica maggiore della calcolata, e quindi la p^ deve essere nel fatto più piccola di quella che noi abbiamo teoricamente determinata. Se poi si rifletta che i pezzi, i quali servono a guidare la valvola, si collocano, salvo casi rarissimi, en- tro lo stesso tubo A , e che questi pezzi rompendo la vena fluente devono dar luogo a moti turbinosi e discordanti in seno ad essa, si riconoscerà facilmente che questa circo- stanza deve non poco influire per abbassare ancor più il valore effettivo della p^ sotto quello calcolato colla sempli- ce applicazione del teorema di Torricelli. Noi abbiamo preso dunque un valore di pi di certo maggiore, e forse molto maggiore, del vero, e perciò an- Timo JV, Serie VI. 13 -- 98 — che l'eccesso del carico Q sul carico Qi, che abbiamo teoricamente riscontrato, è indubbiamente più grande del vero, e forse del tutto illusorio, potendo riuscire in pratica negativo, ed essere quindi Q, maggiore di Q . A ciò aggiungasi che le inevitabili resistenze d' attrito sulle guide della valvola riescono in generale maggiori a val- vola aperta che a valvola chiusa. Se infatti per un piccolo difetto di costruzione, la valvola soffla più da un lato che da un altro, la dissimmetria dell'efflusso dà origine ad una spinta orizzontale sulla valvola che accresce la resistenza d'attrito sulle sue guide. Questa spinta orizzontale può manifestarsi anche per difelti di simmetria nella superfìcie Inferiore della valvola, difetti che si riscontrano facilmente quando per guidare la valvola la si provveda di alette. L' accennato aumento della resistenza d' attrito sulle guide della valvola aperta, equivale ad un accrescimento del carico reale Qj che la equilibrava mentre era chiusa, e ciò concorre a rendere praticamente negativa la differen- za Q' — 'Qi , e ad esigere quindi un aumento di pressione in caldaja per determinare un maggiore alzamento della valvola. Per confermare meglio le precedenti osservazioni che valgono a spiegare il notato disaccordo fra il calcolo e l'e- sperienza, credo utile di applicare le formule da noi tro- vate ad un caso particolare. 6. La legge prescrive che ad ogni caldaja sieno appli- cate due valvole di sicurezza. Ordinariomente a queste val- vole si dà diametro eguale, e per calcolarlo si usa la ben nota formula : d = 2Ql/ ^ n+0,59 ' dove d rappresenta il diametro cercato espresso in milli- metri ; S la totale superficie riscaldata in metri quadrali; - 90 ~ n la pressione in atmosfere effettive a cui le valvole devo- no cominciare ad aprirsi. Poniamo S = 25 ed w = 5. La prenotata formula dù allora (/=55, e quindi avremo : &;=:-7r(0,035)^=^ 0,00237 . Sotto il foco più vivo ogni metro quadrato di superfi- cie riscaldata può produrre tutto al più ^00 eh. di vapore air ora. La più grande quantità di vapore che le due val- vole insieme possono essere chiamate a scaricare in un'ora, sarà dunque di eh. 2500, e per ciascuna riterremo cosi : 1 2500 Il peso in eh. di un metro cuho di vapore alla pressio- ne massima di 5 atm. eff., ù, a conti fatti : ^ = 3,263 . Avremo poi : p^^= 10330 (3+ I) = 61980 a= 10330 . Coi dati precedenti le (ri) e (6) danno: Q,= 422,4 Q= 123,2 . Da ciò apparisce, che mentre il carico Q^ capace di equilibrare la valvola chiusa è di eh. 122,4, per equilibrar- la aperta occorrerebbe un carico di eh. 123,2, ossia supe- riore al precedente di soli 800 grammi. Questo eccesso di 800 gr. misura quello sforzo che teoricamente tenderebbe ad aprire ancor più una delle valvole, mentre le due insie- me già sfogano tutto il vapore che il foco più intenso ge- nera in caldaja. Tale sforzo, come vedesi, è piccolo assai in confronto del carico di eh. 4 22,4 che preme sulla val- vola, ed è ben naturale che le cause dette in addietro lo - 100 - rendano affatto illusorio, e che in pratica si esiga invece un carico maggiore per equilibrare la valvola chiusa che per equilibrarla aperta. Inoltre si deve osservare che il pre- detto sforzo, ossia l'eccesso di Q su Q^ , decresce rapida- tìiente col diminuire del peso di vapore scaricato dalla val- vola nell'unità di tempo, giacché, come apparisce dalla (6) ò proporzionale al quadralo di quel peso. Se dunque è di soli 800 gr. quando le due valvole insieme scaricano tutto il vapore che può produrre la caliiaja, se pure in pratica esistesse integralmente quale vien dato dal calcolo, riusci- rebbe affatto insensibile quando le valvole cominciano a soffiare e scaricano quindi pochissiirio vapore. Dalle cose dette lisulta, che calcolando il diametro del- le valvole di sicurezza colle norme ordinariamente in uso, Io sforzo teorico che tenderebbe a sollevarle del tutto è assai piccolo, e tale che, se pure esistesse in pratica, sa- rebbe forse insufficiente per dare alla valvola appena aper- ta, una decisa tendenza ad aprirsi completamente. Vista però l' esistenza teorica di quello sforzo, mi sono proposto di ricercare qualche disposizioni che valessero ad esagerarlo, e ad esagerarlo tanto da lasciare l.i certezza che anche in pratica la valvola avesse ad aprirsi completa- mente appena fosse sollevata. Di queste disposizioni ne ho trovato due, e mi pare deb- bano bene corrispondere allo scopo. Esse sono semplici, e specialmente la seconda mi sembra di facilissima applica- zione anche a valvole già costruite. Passerò ora a descri- verle, esponendo nel tempo stesso in qual modo me ne sia venula V idea. 7. Come è facile riconoscere da quanto ho detto in ad- dietro, la spinta che agisce dal sotto all' insù per sollevare una valvola di sicurezza aperta, risulta dalla somma di due spinte di natura ben diversa. La prima, è una spinta stati- ca dovuta alla pressione p^ che possiede il vapore immc- - 101 - diatamente al di sotto della valvola; la seconda, è una spin- ta dinamica dovuta alla deviazione delle particelle di vapo- re, che dotale di velocità v, ascendono verticalmente nel tubo A (fig. I), e incontrando la faccia inferiore della val- vola, si ripiegano orizzontalmente per lanciarsi all'esterno. Studiando se fosse possibile accrescere queste due spinte, o, diremo meglio, aggiungervi altre spinte della loro stessa natura, m'avvidi che lo si poteva mediante due disposizioni diverse, l'una delle quali dà origine appunto ad una nuova spinta statica; l'altra, ad una nuova spinta dinamica sulla valvola. La prima di queste disposizioni è la seguente : Il tubo AA (fig. 2), che dalla caldaja conduce il vapore alla valvola, si allarga alquanto in basso, come indica il di- segno, il quale rappresenta il sistema sezionato con un pia- no passante per l'asse della valvola. — Concentricamente è disposto un altro tubo BB di forma simile al precedente, ina di diametro alquanto più piccolo. I due tubi sono in- variabilmente congiunti fra loro mediante tre alette n , 71, a cui si darà piccolo spessore, acciocché la sezione anu- lare compresa fra i due tubi venga da esse diminuita il me- no che sia possibile. Il tutto può essere costruito di getto, in un pezzo solo e di bronzo, per poter dare alla parete della parte superiore e più ristretta del tubo interno uno spessore assai piccolo. — Questo tubo è aperto alle sue estremità, una delle quali, l'inferiore, si protende alquanto nell'ambiente occupato dal vapore in caldaja, e l'altra re- sta a breve distanza dalla faccia interna della valvola chiu- sa. — Nella parte più larga e perfettamente cilindrica del tufio medesimo, scorre a tenuta ermetica uno stantuffo di bronzo C, senza guarniture perchè riesca mobilissimo. — La valvola ce è invariabilmente congiunta allo stantuffo C mediante un gambo ee , il cui diametro è di qualche mil- limetri più piccolo di quello della bocca superiore del tu- bo BB. Per tal modo fra gambo e tubo resta un intervallo - 102 - . anulare che vale a mettere in comunicazione lo spazio in- terno rr coll'esterno qq . • — Dando allo stantuffo un'altezza sufficiente, p. e. da una volta e mezza a due volte il suo diametro, esso servirà anche a guidare la valvola. — Tutto il sistema verrà fissato sulla caldaja mediante buloni a vite m , m. 8. Ora, diciamo S l'area della faccia inferiore dello stantuffo, s la sezione del gambo ee , e conserviamo del resto agli altri simboli lo slesso significato dato loro nel corso della presente Nota. Posto che la valvola sia chiusa, è chiaro che in T , in qq ed in rr il vapore ha la medesima pressione p^ che ha nella caldaja. Il sistema allora formato dalla valvola e dallo stantuffo insieme collegati, è sollecitato evidentemente da quattro spinte; la prima, p,)S , che agisce dal basso all'alto sulla faccia inferiore dello stantuffo ; la seconda, Pq{co — s) , che si esercita nello stesso senso sulla faccia interna della valvola; la terza, /;„(S — s) , che opera dall'alto al basso sulla faccia superiore dello stantuffo; la quarta, aco ^ che è dovuta alla pressione atmosferica e che pure sollecita la valvola dall'alto in basso. La spinta totale che tende solle- vare il predetto sistema sarà così : Y^=pQS-{-pQ{M — s)—p,,{S-~s) — aM , e riducendo (7) . . . . Fi=:(/?o — fl>; cioè la stessa come se Io stantuffo C ed il gambo ee non esistessero. Per tal modo il carico capace di equilibrare la valvola chiusa sarà lo stesso come nelle valvole ordinarie, e dato quindi dalla (5). Suppongasi ora che la valvola sia aperta e che il vapore violentemente si sfoghi per essa. — In T allora la pres- sione sarà ancora p^^ , poiché il tubo BB si protende al- quanto nell'ambiente della caldaja, e quindi alla bocca infe- - 103 — riore di detto tubo può ritenersi insensibile ogni diminu- zione di pressione prodotta dall'efflusso.' — In rr invece avremo la pressione p, che esiste presso la faccia inferio- re della valvola, e ciò perchè la bocca superiore del tubo BB trovasi a breve distanza da quella faccia. Ora, durante l'efflusso, la p^ è certamente minore di Pq , e quindi la risultante delle due spinte che si esercita- no in senso opposto sulle due faccie dello stantuffo, sarà una spinta all' insù che si aggiunge alla spinta statica diret- tamente operante sulla faccia interna della valvola. In con- fronto dunque di una valvola ordinaria, colla descritta di- sposizione, la spinta statica all'insù durante l'efflusso, viene aumentala di tutta la differenza delle pressioni che si eser- citano sulle due faccie dello stantuffo. La spinta statica sulla valvola è evidentemente: Pi{a) — s) — aco ,; quella sullo stantuffo : p^S—p^{S —s) • lo sforzo statico totale dunque, che tende di sollevare il si- steina mentre la valvola è aperta, sarà : F =:pi{6o — s) — aco -{- PqS — p^(S — s) che si riduce alla : F z= {p^ — a)M -h {Po — Pi)^ . In questa equazione non entra più la « , e perciò il diametro del gambo ee non può influire in modo alcuno sulla grandezza della F e sul modo quindi di comportarsi del sistema. Se nel secondo membro dell'equazione medesima si ag- giunga e si sottragga la quantità Pqù) , si giunge facilmente alla : F — il'o — «)^- + {Pù ™ Pi){^ — ^') , — dOi -- e per la (7), (8) . . . . F = ¥,-{- {p,-p,){S — a>). Da questa apparisce che se è S^-m , e se quindi il diametro dello stantuffo è più grande di quello della valvo- la, la spinta statica sul sistema cresce sempre coiraumenta- re del peso di vapore scaricato nell'unità di tempo. Un au- mento infatti di detto peso è per necessità accompagnato da un corrispondente aumento della velocità del vapore nel tubo AA , e la differenza quindi di pressione, p^ — Pi , che determina quella velocità, necessariamente cresce pure. Che se si faccia il diametro dello stantuffo eguale a quello della valvola, sarà: S = ù) , e così la (8) diventa : Perciò la spinta Statica sul sistema resterebbe perfetta- mente costante qualunque fosse la quantità di vapore sca- ricato dalla valvola nel tempo uno. 9. E qui giova osservare che nelle considerazioni or ora esposte, non ci si presentò mai la necessità di ricorre- re alle leggi che reggono Tefflusso dei fluidi, leggi che sono ben lungi dal verificarsi in pratica con qualche esattezza. Le conseguenze a cui siamo pervenuti devono dunque rea- lizzarsi perfettamente, e così resta escluso qualunque timo- re di disaccordo fra teoria ed esperienza. Credo perciò che se nel sistema descritto si faccia il diametro dello stantuffo eguale a quello della valvola, que- sta avrà effettivamente^ una decisa e non esagerata tenden- za ad aprirsi completamente appena cominci a soffiare, e così la pressione in caldaja non potrà mai soverchiare quel limite a cui si coordinarono le dimensioni del sistema ed il carico sulla valvola. Non devesi infatti dimenticare che se la spinta statica resta costante, avvi per soprappiù la spinta — 105 — dinamica, elie, qualunque possa essere il suo valore, esiste di certo e cresce coli' aumentare del peso di vapore che si sfoga nell'unità di tempo. Ilo detto poi ctie la tendenza della valvola ad tiprirsi del tutto non sarà esagerata, percliè cal- colando il diametro della valvola colle regole in uso, la pre- detta spinta dinamica riesce sempre assai piccola. IO. Nel sistema descritto il diametro della valvola do- vrà farsi un poco maggiore che nelle valvole ordinarie. Sa- rà infatti l)uona pratica di accrescere l'area della l'accia in- terna della valvola, calcolata in base alle solite norme, di tutta la sezione più alta ed esterna del tubo BB . Con tale avvertenza la sezione libera d' efflusso al sommo del tubo AA , che è una sezione anulare, riescirà eguale a quella che l'esperienza ha suggerito come la più conveniente per le valvole di sicurezza semplici. Fu appunto per non au- mentare esageratamente il diametro della valvola, che nei descrivere la nuova disposizione da me ideata, ho racco- mandato di dare alla parete della parte superiore del tubo BB un piccolo spessore (v. n. 7). Qui poi suggerirò anche di tenere il diametro del gambo ee più piccolo che sia possibile compatibilmente colla resistenza che il gambo stesso deve avere per ben guidare la valvola. Se infatti la grandezza di detto diametro non ha, come abbiamo veduto, influenza alcuna sul modo di funzionare del sistema, crescendola, de- vesi di necessità aumentare il diametro della parte superio- re del tubo BB , e, per la ragione di sopra esposta, anche il diametro della valvola. Allo scopo di raggiungere una maggiore mobilità nello stantuffo C si può praticare all'intorno di esso due larghe e profonde scanalature, come indicano le punteggiate nel disegno. Con questo mezzo, e per ragioni ben note, piutto- sto che compromettere, si assicura meglio la tenuta erme- tica dell'embolo, e se ne aumenta la mobilità. — Non credo poi sieno necessarie molle cure nella aggiustatura dello Tomo IV, Serie VI. 14 — 106 — stantuffo, poiché se pure avessero luogo delle fughe di va- pore all'intorno di esso, queste, purché moderate, non po- trebbero accrescere in modo sensibile la pressione /), nello spazio rr , amenochè non fosse troppo ristretto l' inter- vallo anulare fra il gambo ee e la bocca superiore del tubo BB . Ho suggerito di costruire lo stantuffo di bron- zo, perchè essendo pure di bronzo il tubo BB in cui esso trascorre, si può omettere di ungerlo senza pericolo che per ossidazione ne venga impedito il libero movimento. Con ciò si evita poi la formazione di quella pasta viscosa e le- gaticcia che sempre ingombra gli organi delle macchine raramente lubrificati, e che rimangono per lunghi periodi di tempo inoperosi, È inutile il dire che la sezione anulare compresa fra i tubi AA e BB deve crescere procedendo dall' alto in basso. Se avesse luogo il contrario, è evidente che sareb- be assai male provveduto al libero passaggio del vapore fra quei tubi. Qualora la valvola fosse a sede conica, invece che pia- na come sempre abbiamo supposto, la spinta dinamica su di essa verrebbe di certo diminuita ; e ciò perchè le parti- celle di vapore dovrebbero subire una deviazione minore per sfogarsi all'esterno. Ciò non ostante giudico che per valvole caricate con un peso, e semjire tenendo il diametro dello stantuffo eguale a quello della valvola, il descritto si- stema può ancora applicarsi colla piena sicurezza che la pressione in caldaja non salirà mai olire quel limite al quale il sistema stesso entra in funzione. Infine giova qui ricordare (v. n. 8), che se il diametro dello stantuffo è maggiore di quello della valvola, la spinta statica, e quindi anche lo sforzo totale che tende sollevarla, cresce sempre coli' aumentare del peso di vapore scaricato neir unità di tempo. Ciò equivale a dire che quello sforzo cresce a mano a mano che la valvola si allontana dalla prò- — 107 — pria sede. Ingrandendo dunque convenientemente il diame- tro dello stantuffo oltre il diametro della valvola, si potrà an- che caricarla con una molla, ed ottenere che l'aumento di tensione della molla dovuto al successivo alzarsi della val- vola, sia approssimativamente seguito da un eguale aumento dello sforzo che tende sollevarla. Per tal modo anche nei casi in cui è mestieri caricare la valvola con una molla, si potrà, mediante la descritta disposizione, impedire ogni aumento della pressione in caldaja oltre un limite determi- nato. 1 1 . Veniamo ora a descrivere una disposizione per mez- zo della quale alla spinta dinamica che il vapore esercita sopra una ordinaria valvola di sicurezza, se ne aggiunge un'altra assai più poderosa. Abbiamo già notato che la detta spinta è assai debole. Ciò avviene perchè essa è dovuta alla velocità del vapore al di sotto della valvola, velocità che, in confronto di quella con cui il vapore stesso si lancia all'esterno, è di certo pic- colissima. In seguito a questa semplice considerazione pensai su- bito che si avrebbe una spinta incomparabilmente piìi for- te, qualora si potesse generarla, approfittando della velocità grandissima del vapore mentre sbocca all'esterno e violen- temente invade 1' atmosfera. Posto il problema in questi termini, era, si può dire, teoricamente risolto. La spinta dinamica in una valvola ordinaria essendo infatti dovuta alla deviazione che le par- ticelle di vapore devono subire nell'interno del tubo che alla valvola stessa le conduce, tutto si riduce a costringere quelle particelle a deviare anche al di fuori di detto tubo, estendendo verso l'esterno e foggiando in forma di nappa la superficie inferiore della valvola. Se la valvola è a sede piana, essa prende per tal modo la forma di una scodella rovesciata, come apparisce dalla __ -108 — fig. 3; se a sede conica, la sua superflcie diventerebbe co- noidale, come indica la flg. 4. — Nelle due valvole, di cui le figure ora citate rappresentano la sezione passante pel loro asse, le tangenti agli estremi della linea csiisc sono verticali e quindi parallele. In tal caso si ha la massima de- viazione utile delle particelle fluide per produrre una spinta air insù sulla valvola, e questa spinta ha perciò il suo mas- simo valore. Qualora invece quelle tangenti convergessero al di sopra della valvola, come indicano le figure 5 e 6, la spinta medesima sarebbe più piccola, e riuscirebbe eviden- temente nulla se divenissero le generatrici della superficie della valvola e della sua sede. Da ciò la possibilità di gra- duare quella spinta da zero al massimo valore che può as- sumere. ^2. Consideriamo una valvola a sede piana e la cui su- perficie inferiore si estenda airesterno nella forma indicata dalla fig. 3. La spinta che il vapore compresso esercita su di essa quando è chiusa, sarà manifestamente la stessa che nelle valvole ordinarie, e perciò il carico capace di equili- brarla chiusa sarà sempre dato dalla (5). Lo sforzo totale che tende sollevarla quando è aperta, sarà invece eguale a quello che si avrebbe in una valvola ordinaria, più la spinta dinamica dovuta alla deviazione che devono subire le par- ticelle di vapore mentre scorrono sotto la nappa della val- vola e si sfogano nell'atmosfera. È evidente che nel calcolo di quello sforzo saremo co- stretti a ricorrere alle leggi che regolano l'efflusso dei fluidi elastici, e perciò le conseguenze a cui arriveremmo se- guendo una via puramente teorica, non solo non merite- rebbero fiducia alcuna riguardo alla loro realizzazione, ma neppure si avrebbe criterio alcuno per giudicare fino a qual punto possano verificarsi in pratica. È per questo che qui dovremo modificare leggermente il procedimento da noi se- guito in addietro nella determinazione dello sforzo che tende — 400 - sollevare le ordinarie valvole di sicurezza aperte (v. n. 3 e 4); lo trattavasi solo di mostrare che in esse teoricamente esiste una tendenza ad alzarsi totalmente, e di trovare poi la ra- gione per la quale questa tendenza in realtà non si manife- sta ; qui si tratta invece di riconoscere, per quanto è pos- sibile, l'importanza pratica di una nuova disposizione che dovrebbesi dare a quelle valvole perchè meglio adempiano al loro ufGcio. Per poco dunque che le osservazioni esperimentali già fatte possano giovarci, dovremo approfittarne, e introdurre nei nostri calcoli quelle riduzioni dei valori teorici che po- tranno essere giudicate più convenienti in base ai risultati ottenuti nelle esperienze fin' ora eseguite sull'efflusso dei fluidi aeriformi. Riteniamo la lettera v a rappresentare la velocità teo- rica colla quale il vapore si muove nel tubo A (fig. 3), e diciamo ■/ il valore effettivo della stessa velocità. Volendo allora trattare la questione con riguardo ai fatti osservati, dovremo all' equazione (I) sostituire la seguente : (9) ^'= r ' èco e conservare la (2) senza alterazione. Il secondo membro infatti della (I), è il semplice rap- porto fra il volume di vapore che passa in un secondo nel tubo A e la sezione del tubo medesimo ; deve perciò rite- nersi eguale al valore effettivo della sopradetta velocità. Il secondo membro della (2) invece esprime la stessa velocità in funzione della differenza di pressione che la genera, ed in base alla pura e semplice applicazione del teorema di Torricelli. È cioè un valore puramente teorico, e, com' è ben noto, di certo maggiore del vero. Indichiamo con m un coefficente empirico di riduzio- ne della velocità teorica del vapore ne! tubo A , sarà allora: v' z= mv HO e per le (2) e (9) : ^=™f/2/"-''' da cui : (IO) .... Pi=Po P2 La spinta dinamica esercitata dal vapore sulla faccia in- terna della valvola sarù g e indicando con V la velocità teorica colla quale il vapore si lancia nell'atmosfera; con Wj un coefficente pratico di riduzione di delta velocità; ed osservando che la deviazio- ne esterna delle particelle fluide è di 90° come nell'interno del tubo A , la spinta che agisce esternamente sulla val- vola verrà espressa da P Lo sforzo totale che tende sollevare la valvola mentre si scaricano per essa P chilogrammi di vapore al secondo, sarà cosi : P , P p.co -\ V -A — m,Y . g g Questo forzo deve essere equilibrato dal carico Q e insie- me dall' azione della pressione atmosferica sulla valvola ; potremo scrivere perciò : P P Q -t- aco =zp.có -\ v' -\ m. V . 9 9 Posti qui i valori di v' e di p^ tratti dalle (9) e (IO), e badando al valore di Q^ dato dalla (5), si ottiene facil- mente : (11) ... . Q^Q, + -^!_|2m'-_ ||h-?«j,V . 'ìgyn'^lcù \ ^ 9 ~ Hi — 13. Il tubo A può essere considerato nella maggior jjarte dei casi come un tubo addizionale cilindrico applicato ad un orificio praticato nella parete della caldaja. Ordina- riamente infatti questo tubo ha una lunghezza abbastanza piccola in confronto del diametro, perchè la sua influenza sull'efflusso possa risguardarsi della stessa natura e gran- dezza di quella dei tuùi addizionali quali s' intendono in idrometria. — Da una dotta discussione del Poncelet (') sul- le esperienze fatte dai signori Pecqueur, Bontensps e Zani- baux per determinare le perdite di forza viva dell' aria che trascorre in lunghi tubi di condotta ; sopra esperienze ese- guite da quei signori per invito ed alla presenza dello stes- so Poncelet sull' efflusso dell' aria da orifici praticati in pa- rete sottile o provveduti di tubi addizionali cilindrici; sopra i risultati ottenuti in proposito da altri esperimentatori, e sopra le teorie e formule che meglio possono corrispondere ai fatti osservati, risulterebbe che per coefficente di ridu- zione della velocità dei fluidi elastici effluenti da tubi addi- zionali cilindrici sotto una differenza di pressione di atmo- sfere 0,003 , 0,010 , 0,050 , t,000 , si dovrebbero adottare ordinatamente i seguenti valori : 0,88 , 0,8i , 0,77 , 0,73 . Secondo i risultati delle sperienze di Weisbach, dopo le correzioni apportatevi dal Grashof, per differenze di pres- sione comprese fra atmosfere 0,06 ed i,t2, il sopradetto coefficente varierebbe da 0,74 a 0,84. Nel caso nostro la differenza di pressione che determi- na il movimento del vapore nel tubo A è sempre piccola^ purché però il diametro delia valvola venga calcolato colle (1) Comptes rendus des séances de l' Académie des sciences, 21 luglio 1845. Paris. — 112 - regole solite. Il valore più grande infatti che può prendere 1 quella differenza si valuta a circa — della massima nres- sione che senza pericolo può cimentare la calduja, e che ordinariamente varia da 3 a 13 atmosfere assolute (^). (i) Accontentandoci di una grossa approssimazione, alla solita formula già citata nel testo (v. n. 6), ed impiegata per determinare il diametro delle due valvole di sicurezza eguali, di cui ogni cal- daja deve essere provveduta, possiamo sostituire la seguente : d=z 0,026 l/_L. , dove d s' intende misurato in metri ; S in m.q. ; n in atm. eff. — Si ha: 10330 (w+4)z=:p e Prz:- -^ da cui e cosi: È poi ^-^^ = mo '^ S=i72.P, d = 0,026 1/10330X72. P ^ Po ,— -'rrd'^= J^ (0,026)2 x^ 0330x72. — Con questo valore di «" e ritenendo mzz0,69^ la (10), a conti fatti, dà : ■^'^ ^^ li551C0.d' • Trattandosi di un calcolo di grossa approssimazione, si può con- siderare il peso <^ di un m. e. di vapore alla pressione massima f»o , come proporzionale a questa stessa pressione. Fra 3 e 13 atm. ass. la formula allora, che meglio determina il valore di J; è: ^ = 0,000054 . 2^^ , e con ciò si ha infine : — 113 — La media di questa pressione è di 8 atm. ass., e quindi g la predetta differenza di pressione sarà mediamente di — di atmosfera. Siccome poi quella differenza è nulla quando la valvola è chiusa, così possiamo ritenere che nei vari casi che ordinariamente si presentano in pratica e mentre una valvola di sicurezza scarica vapore, la media differenza di pressione, che dà origine al movimento del vapore nel tubo 4 A , sia in generale di ~ =0,051 di atmosfera. lo Badando ai numeri esposti di sopra si vede, che per una differenza di pressione di atmosfere 0,031, il coefficente di riduzione da adottarsi sarebbe 0,77 secondo Poncelet, e 0,74 secondo Weisbacb. Come si sarà notato, fra i valori dei coeftìcenli di ri- duzione dati dal Poncelet e dal Weisbach, esiste disaccor- do nel senso che i primi diminuiscono, mentre i secondi crescono coli' aumentare della pressione effettiva. Ciò per altro non può lasciarci in grave incertezza sulla scelta del coeftìcente di riduzione applicabile al nostro caso, poiché i valori 0,77 e 0,74 che si dovrebbero adottare per quel co- eftìcente, quando rispettivamente si accettino i risultati di esperienza del Poncelet o quelli del Weisbach, differiscono di poco. Sceglieremo cosi il medio dei predetti valori, cioè il 0,73. Devesi avvertire che la sezione del tubo A non è di ordinario interamente libera, giacché, come altra volta ab- biamo notato, i costruttori sogliono collocare i pezzi che guidano la valvola nell' interno di quel tubo. Per quanto si abbia cura d' impicciolire le dimensioni orizzontali di quei pezzi, essi, colla loro presenza, porteranno sempre un tur- bamento nel movitnento del vapore, dando luogo a velocità oblique ed a moti turbinosi e discordanti in seno alla vena fluente. Ciò di certo conduce ad una sensibile diminuzione Tumu /V, Serie VI. 15 — 114 - della velocità d' efflusso, e quindi il coefflcente di riduzione 0,75, che varrebbe se fosse interamente libera la sezione del tubo A , nel nostro caso è di certo troppo grande. — Posto che il restringimento di sezione portato dalla presen- za dei pezzi che guidano la valvola, sia mediamente di nn decimo della sezione stessa, la velocità d' efflusso si ridur- rebbe teoricamente a circa 0,92 di quella che si avrebbe se quel restringimento non esistesse. Per tal modo il coeffl- cente di riduzione pratico che dovremo adottare per la ve- locità del vapore nel tubo A sarà m = 0,92 x0,73=. 0,69. ^4. La velocità colla quale il vapore si sfoga nell'atmo- sfera è certamente grandissima, perchè dovuta alla diffe- renza fra la pressione in caldaja e la pressione atmosferica. La luce d' efflusso, che è di forma anulare, ha il diametro della sede della valvola, e per altezza i pochi millimetri di cui la valvola stessa si è alzata. Nella nuova disposizione da me proposta, il labbro inferiore di questa luce è formato dalla sede della valvola, ed è assai sottile, poiché è regola co- struttiva di non dare a quella sede una dimensione radiale maggiore di due millimetri ; il labbro superiore invece si estende verso 1' esterno in forma di superficie curva ed a guisa di nappa volgente la concavità al basso. lia lamina fluente di vapore, da una parte, striscia su quella nappa, e dall' altra, essendo a contatto immediato coir aria esterna, non poca ne trascina e travolge seco. È chiaro che por 1' uno e 1' altro fatto, le particelle di vapore devono alquanto perdere di velocità a mano a mano che si allontanano dalla bocca d' efflusso. Le cause però di questa perdita di velocità, agiscono quando il vapore è già uscito all'esterno, e perciò non pos- sono esercitare influenza alcuna sulla velocità d' efflusso propriamente detta, ossia sulla velocità acquistata dal va- - 115 — pore mentre passa per la bocca anulare da cui si scarica. Questa velocilti si può quindi calcolare come in una valvola ordinaria, il cui diametro esterno sia eguale a quello della sua sede, ed allora può ritenersi di poco inferiore alla teo- rica. Devesi notare però che per le ragioni dette di sopra, la velocità delle particelle fluide diminuisce in modo conside- revole mentre scorrono sulla nappa della valvola, e che la spinta da esse esercitata su questa nappa non dipende dalla loro sola velocità originaria o d' efflusso, ma da quella che posseggono nei singoli punti del loro tragitto sotto la nap- pa medesima. Nel valutare dunque la grandezza reale di quella spinta, non si deve introdurre nel calcolo una velo- cità poco diversa da quella teorica, ma una velocità alquan- to ridotta, e precisamente quella che se fosse comune a tut- te le particelle di vapore mentre trascorrono sotto la nappa della valvola, si eserciterebbe su questa una spinta dinami- ca esattamente eguale alla effettiva. In seguito alle precedenti osservazioni possiamo asserire che il coefficente di riduzione m^ che entra nella (II), deve essere alquanto minore di wno; ma sgraziatamente è solo questo che possiamo dire con sicurezza, poiché, per quanto io sappia, non vennero mai fatte esperienze che possano servirci per determinare quel coefficente con qualche esat- tezza. L'influenza dell'attrito fra la lamina fluenle e la nappa della valvola, potrebbe essere forse determinata con qual- che approssimazione, ma non possediamo poi dati esperi- mentali per valutare l'influenza, che sul movimento del va- pore effluito può esercitare l'aria circostante da esso tra- scinata a tutte spese della propria forza viva. Alcune considerazioni, che qui sarebbe troppo lungo l'esporre, mi condussero però nella convinzione che il va- lore pili probabile di m^, nello stato attuale delle nostre cognizioni, sia il 0,55, e che in ogni modo questo valore — 116 — sarebbe, nella generalità dei casi, piuttosto minore che mag- giore del giusto — In mancanza di meglio, riterremo dunque: m = 0,35 , e ricordando che abbiamo trovato m = 0,69 con questi valori, ed a conti fatti, la (11) diventa: (12) .... Q = Qi — 0,005. .- + 0,056. PV . 15. È questa l'equazione che determina il carico reale Q che sarebbe necessario per equilibrare la valvola aperta, e mentre scarica P chilogrammi di vapore per secondo; e atteso il valore, sempre assai grande, della velocità teorica V colla quale il vapore si sfoga, apparisce chiaramente che il detto carico sarà sempre ed alquanto maggiore di quello Qj che equilibra la valvola quando è chiusa. Appena comincia a soffiare, la valvola avrà perciò una pronunciata tendenza ad aprirsi del tutto, e così, anche sotto un foco dei più intensi, non ci sarà pericolo che la pressione in caldaja superi quel valore al quale la valvola comincia a gemere. Per formarci un'idea concreta dell'effetto recato dalla disposizione da me proposta, applichiamo la (12) allo stesso esempio numerico che ci siamo proposti in addietro trat- tando delle valvole di sicurezza ordinarie. Come allora, po- niamo che la pressione alla quale la valvola deve aprirsi sia di 5 atm. eff., e che sia dy = 0,00237 , P = 0,347 , ^ = 3,263 . La velocità teorica d'efflusso del vapor d'acqua sotto una pressione effettiva di 5 atm., è, in base ai principi della termodinamica ('), (1) A pag. 190 dell' eccellente Manuale per V ingegnere del - 117 — Vr=: 775 metri per ì" . Ricordando che il valore di Qj si determina come si trattasse di una valvola ordinaria, sarà: Qi = chil. 422,4 , e coi valori di co , P ,ì e V notati di sopra, la (12) dà allora : Q = chil. U7,4 . Quando dunque la valvola lascia sfuggire nell' unità di tempo la maggior quantità di vapore che può esser chiamata a scaricare, l'eccesso di Q su Q^ sarebbe di 15 chilogram- mi; considerandola poi appena aperta, e mentre scarica il solo decimo della predetta quantità di vapore, si trova che la differenza fra Q e Q, sarebbe tuttavia di chil. i,5 circa, e quindi abbastanza considerevole per lasciare la convin- zione che la valvola andrebbe ad aprirsi completamente. Devesi notare che se la valvola è caricata direttamente od indirettamente con un peso, una volta aperta, il fochista dovrebbe esercitare su di essa uno sforzo eguale a Q — Q^ per chiuderla; ed è chiaro che se egli non interviene per farla tacere, la pressione in caldaja discenderebbe necessa- riamente sotto quel valore Pq che ne aveva determinato l'aprimento. È certo che la valvola finirebbe col chiudersi spontaneamente, ma ciò avverrebbe in modo repentino e quando la pressione in caldaja, diminuendo a poco a poco, avesse raggiunto un certo limite p'<.Pq. Questo limite, nell'esempio che abbiamo dato, sarebbe prof. Colombo, terza ediz., si trova una tabella ove sono registrate le velocità teoriche d' efflusso del vapor d'acqua sotto pressioni ef- fettive comprese fra 4 e 9 atm. Come io stesso ho potuto verifi- care, quelle velocità vennero calcolate nel modo più rigoroso me- diante le equazioni di termodinamica per l'efflusso dei vapori. — llb — all' incirca di atmosfere eff. 4,41 {') ; per cui la valvola si aprirebbe completamente a 3 atm. el'f. per chiudersi da sola e repentinamente ad atmosfere eff. 4,41. (1) Se nella (12) s' introduce il valore di Qi dato dalla (5), si ottiene : Q — (p^_ a)«— 0,005 j; + 0,056 . PV . Possiamo qui considerare la p^ come la pressione assoluta che deve esistere in caldaja, perchè la valvola mentre è aperta e sca- rica P chil. di vapore al secondo, sia in equilibrio con un dato carico Q. — Se scriviamo Qi = (p '— a). —0,005 -^+ 0,056 . PV, d 0) e per cT' e V intendiamo rispettivamente il peso specifico e la ve- locità teòrica d' efflusso del vapore alla pressione assoluta p ' , è chiaro allora che questa p' sarà la pressione in caldaja alla quale la valvola aperta e caricata di Qi trovasi in equilibrio e sta quin- di per chiudersi. Attesa la poca influenza del termine che contiene il ^' nella precedente equazione, si può ritenere <^— <^ e scrivere : p2 Qi = (p '— a)'^ — 0,005 -- + 0,056 PV '. Sottraendo da questa membro a menibro la (12), si ha allora: Qi — Q — (p — ay — 0,056 . P(V— V ') — Q, , e quindi : p' = -^^-^H-0,056.-(V-V')-{-a . (ti 00 ^ ' La V ' non può essere determinata se non si conosce la p '; perciò questa p ' non si potrà calcolare che col metodo delle suc- cessive approssimazioni. Partendo dal supporre V '-zz V , due ten- tativi bastano per raggiungere una sufficiente esattezza nel valore di p'. È cosi che per l'esempio dato nel testo si trova: p 'z^ 55885 chil. , che corrisponde ad atmosfere effettive 4,41 . — 119 — 16, È questo un difetto od un pregio della valvola da me proposta?. . Io lo credo un pregio. Il focliista infatti per non perdere molto vapore inutilmente, dovrebbe avere l'incomodo di andar a chiudere le valvole di sicurezza del- la sua caldaja, una volta che appena si fossero aperte. Ha quindi una ragione di più per non spingere la pressione Dno al limite a cui tutto al più la caduja può resistere sta- bilmente. Notisi che un fochista nella maggior parte dei casi è una persona che opera materialmente, e già tanto abituata al pericolo massimo della sua professione da per- derlo di vista ; ed è perciò più facile che egli cerchi di sfuggire ad un innocente ma inevitabile disturbo, che ad un gravissimo pericolo, alla cui imminenza, come prova l'esperienza di tutti i giorni, tanto si abitua da non pensarci neppure. In ogni modo ricorderò, che la spinta dinamica eserci- tata dal vapore sulla nappa della valvola, si può diminuirla a piacere regolando e limitando convenientemente la super- ficie della nappa medesima ; e, come in altro luogo abbiamo avvertito (v. n. li), sarebbe minore per le valvole rappre- sentate dalle figure 5 e 6, che per quelle disegnate nelle figu- re 3 e 4. In generale, la spinta predetta può essere espressa con f.PV, dove V e P hanno lo stesso significato che loro abbiamo dato nel corso della presente Nota, ed / rappresenta una funzione degli angoli che le tangenti ai filetti fluidi formano colla verticale alla bocca d'efflusso ed all'orlo della nap- pa (^). La f si annulla quando questi due angoli sono eguali, (1) Detti infatti o e p questi angoli (v. fig. 6), e coniservando agli altri simboli il significato a loro dato nel testo, si dimostra essere frr— i,cos.« — cos.j3> . 9 i ^) — 120 — e perciò, con qualche leutalivi, si potranno regolare le co- se in modo che la tendenza della valvola ad aprirsi com- pletamente sia quanto moderata si voglia, e che di conse- guenza l'abbassamento di pressione in caldaja necessario al chiudimento spontaneo della valvola sia tanto piccolo, che non meriti la pena di evitarlo col chiuderla a mano. Invece di costruire nappa e valvola in un pezzo solo, la prima può essere formata da un cappello semplicemente sovrapposto alla seconda. Al costruttore allora riuscirà age- vole di togliere e rimettere questo cappello, modificarlo nella forma e nelle dimensioni, e così rendere a suo piaci- mento più o meno spiccata la tendenza della valvola ad aprirsi completamente. In seguito poi a questa osservazione d'indole pura- mente costruttiva, si riconoscerà che le valvole di sicurez- za ordinarie possono ridursi assai facilmente secondo il si- stema da me proposto ; basterà infatti sovrapporvi un cap- pello che formi nappa alla valvola. Si deve però aver cura che la superfìcie interna del cappello e quella della valvola sieno in esatta continuazione l' una dell'altra ; se vi fosse un risalto qualsiasi, i Gletti fluidi si frangerebbero contro di esso, e ne risulterebbe un turbamento nel movimento del vapore ed una diminuzione quindi nella spinta eserci- tata dal vapore stesso sul sistema. \1. Riguardo alla forma da darsi alia superfleie interna della nappa, devesì avvertire che essa è teoricamente senza influenza, purché sia quella d'una superfìcie rotonda e con- tinua. Credo però praticamente conveniente il foggiarla in guisa che le sue sezioni meridiane riescano archi di circolo tangenti alla sede della valvola. Neppure si può ricorrere a criteri teorici per assegnare il diametro che meglio conviene alla nappa. Se questo dia- metro fosse assai maggiore di quello della valvola, la via che le particelle di vapore dovrebbero percorrere seguen- — 121 — do la superficie della nappa, sarebbe molto lunga, e cosi avrebbero il tempo per rimescolarsi all' aria circostante e perdere quindi una gran parte della loro velocitò ; se invece lo superasse di poco, non tutte quelle particelle potreb- bero seguire delle traiettorie parallele alla superficie sotto cui trascorrono, e ne risulterebbero quindi dei movimenti disordinati e discordanti in seno al getto effluente. È chia- ro perciò che nell'uno e nell'altro caso la spinta dinamica esercitata dal vapore sulla nappa della valvola perderebbe d'intensità. Quantunque l'esperienza sola possa essere fedele con- sigliera in proposito, pure ò certo che i limiti fra i quali restano compresi i valori che meglio conviene assegnare al diametro della nappa, devono essere in ogni caso abba- stanza larghi ; per questo ho fiducia che, prendendo il pre- detto diametro da 40 ad 80 millimetri più grande di quel- lo della valvola, la nuova disposizione da me proposta pos- sa corrisponder bene allo scopo per il quale è ordinata. 18. Passerò ora a dimostrare, che una valvola di sicu- rezza a nappa e caricata da una molla, può essere una val- vola che, mentre funziona, resta in equilibrio indifferente in ogni sua posizione, e tale quindi da mantenere costante al suo limite massimo la pressione in caldaja, qualunque sia la quantità di vapore che nell'unità di tempo dovesse per ciò scaricare. Considerando una valvola quale ò rappresentata dalla fig. 6, e nella quale le tangenti ai filetti fluidi nei punti cor- rispondenti alla bocca d' efflusso ed all' orlo della nappa, formano in generale angoli acuti od ottusi colla verticale, è evidente che alla equazione (II) dovremo sostituire que- st' altra : « = «' + i^rj ^•»' - * ì + ^p^ • Tomo IV, Serie VI. 16 — 422 — dove la / e quindi il termine /".PV, hanno il significato generale che abbiamo loro attribuito al n. 16. Qualora il diametro della valvola venga calcolato colla solita formula già citata in addietro e generalmente adot- tata dai costruttori, il secondo termine della precedente espressione di Q è, in generale, assai piccolo in confronto del primo e del terzo. Perciò non si commette certo grave errore trascurandolo, e ritenendo semplicemente: Q = Qi + /".PV . In una valvola ordinata a mantenere costante al suo li- mite massimo la pressione in caldaja, la V non muta sen- sibilmente coi variare dell' altezza a cui si porta la valvola sulla sua sede. In tal caso il peso P di vapore scaricato in un secondo, può ritenersi proporzionale alla predetta altezza, che è quella della luce anulare da cui il vapore stes- so effluisce. Detta h questa altezza e y una costante, po- tremo scrivere perciò: Q=Q, +/.^A.V ; ed indicando con K il prodotto costante y\ : (13) . . . . Qz^Q.-t-K./-/» . Le molle elicoidali, che vengono ordinariamente impiegate per caricare direttamente od indirettamente una valvola di sicurezza, esercitano su questa uno sforzo che può essere rappresentato con grande approssimazione da (14) ... . R = A-^B.A , dove A è una costante eguale alla pressione che la molla esercita sulla valvola quando ò A = 0 , ossia quando la valvola stessa è chiusa, e si ha così : (1^) A=.Q, ; B è un' altra costante eguale al rapporto fra l'aumento del predetto sforzo ed il corrispondente alzamento della valvo- — 123 — !a. Quest' ultima costante dipende poi dal diametro della molla, dal numero delle sue spire, dal diametro del filo me- tallico di cui è formata, dal modulo di elasticità del filo me- desimo. Se poi la reazione elastica della molla viene tras- messa alla valvola mediante una leva, la B dipende anche dal rapporto dei bracci di questa leva. È chiaro che la valvola resterà in equilibrio indifferente alle diverse altezze a cui dovesse portarsi per mantenere invariata la pressione in caldaja, quando in ogni sua posi- zione sia sempre Q=:R , ossia, per le (13), (!4) e (15), quando si abbia semplice- mente : (16) Kf=B . Questa condizione si potrà sempre soddisfare facendo opportunemente variare la B o la / . Per mutare il va- lore della B si dovrebbe cambiare la molla ; p. e. appli- care molle che essendo in tutto eguali fra loro, avessero solo un maggiore o minor numero di spire. Per far varia- re invece la f si dovrebbe dare semplicemente un più o meno grande sviluppo alla nappa della valvola. — In pra- tica questo è il mezzo più comodo per soddisfare alla con- dizione di sopra scritta, specialmente se la nappa è formata da un cappello sovrapposto alla valvola. Si comincierebbe col dare a questa nappa la forma indicala nelle fii^ure 3 o 4, secondo che la valvola è a sede piana o conica. Con que- ste forme, e per quello che si è detto al n.° I I, la spinta di- namica esercitata dal vapore sulla nappa sarebbe massima, e perciò massimo pure sarebbe il valore della / . Con tutta probabilità si avrebbe quindi K.f > B . Diminuendo ora sul tornio e poco per volta il diametro — i24 - della nappa, dopo alcuni tentativi si giungerà a convertire quest' ultima disuguaglianza in una eguaglianza. Col ridurre semplicemente la grandezza di detto diame- tro, è chiaro infatti che la nappa passa dalle forme indicate nelle figure 3 o 4, a quelle rispettivamente rappresentate dalle figure 5 o 6. Con queste ultime forme, come abbiamo veduto al numero citato, la spinta dinamica del vapore, e la f con essa, sarebbe minore che con le prime ; perciò coir impicciolire il diametro della nappa diminuisce il valo- re della /■ , e se in origine era K/ maggiore di B , è cer- to che si arriverà ad un diametro pel quale K/" diventa eguale a B . Nelle fabbriche in grande di locomotive, i preaccennati tentativi necessari per ottenere delle valvole di sicurezza equilibrate in ogni loro posizione, una volta fatti per una data locomotiva, servirebbero poi per tutte le locomotive dello stesso tipo ; e per i diversi tipi, tutto si ridurrebbe a copiare dei modelli di molle e di nappe precedentemente ed empiricamente studiati una volta per sempre. Se, come mi sembra consigliabile, si volesse che la val- vola avesse una qualche tendenza ad aprirsi completamente appena comincia a soffiare, basterà che nei sopradetti tenta- tivi il costruttore si fermi ad un diametro della nappa mag- giore di quello che renderebbe soddisfatta la condizione (16). In tutte le valvole di sicurezza in generale, le quali ap- pena aperte avessero una decisa tendenza ad aprirsi del tutto, ò necessaria, o per lo meno conveniente, 1' applica- zione di un arresto che impedisca alla valvola di alzarsi ol- tre quel punto, a cui essa sarebbe capace di dar sfogo alla massima quantità di vapore che può essere chiamala a sca- ricare. Devesi poi aver cura di collocare il detto arresto in luogo ben riparato ed in guisa che il fochista non possa in modo alcuno approfittarne per paralizzare le funzioni della valvola. Atti delR.MM'f Veneto Serie W. Tomo IV TavJ Fùf.J. ■'\ C:/ '<'"i^M^ %w i ìlliil W^/À i", Ali ù^ Frg.3. _..__,■ FigA. ti,ms-t«^xvv.s'>8«y£ji fa -,.., . . . ^AW\vmmms!(Mi ANNOTAZIONE SOPRA UN FENICOTTERO ROSEO PRESO NEL VENETO fPhoenicoterus roseusj DEL M. E. ENRICO F. TROIS -^trsgrir^--^™ — t 11 giorno 8 settembre 1885 mi venne offerta una pelle (li uccello, colla dichiarazione che le sue forme erano ignote ai più vecchi ed esperimentati cacciatori. L'animale fu uc- ciso il giorno B dello stesso mese da un villico nei pressi di Goro. Io fui non poco sorpreso nel constatare, che quegli avanzi semiputrefatti appartenevano ad un giovane esem- plare di fenicottero roseo. La pelle, levata senza alcuna deile c-ure suggerite dalla pratica, avrebbe già offerto non poca difficoltà ad essere montata; lo stalo poi di avanzata de- composizione faceva perdere ogni più modesta speranza. Interessandomi tuttavia di aver sottomano una prova dì fatto, che constatasse la comparsa fra noi di questo rarissi- simo' uccello, acquistai la spoglia, per quanto ribelle ad ogni idea di utile applicazione, tanto per prenderne data con qualche dettaglio. - 126 — Le zampe sole erano in sufficiente stato .di conserva zione: la testa, che conteneva ancora il cervello, gli oc- chi, la lingua e porzione del collo, era in uno stato di avanzata putrefazione. Prese le uìisure dell'esemplare, esse si avvicinano, ma non sono corrispondenti a quelle date dal conte A. P. Nin- ni del fenicottero da lui posseduto ed ucciso nella valle Serraglia nel 1835 (che ora fa parte della importantissima collezione donata con generoso pensiero alla nostra città), il quale era di maggiori dimensioni. L'esemplare, da me ricevuto, aveva le piume della testa, del collo e del ventre cinereo bianchiccio, le copritrici delle ali rosee, nere alle estremità, il dorso con strie brune, il becco grigiastro coli' apice bruno quasi nero, macchie ne- rastre sulle remiganti secondarie e sulle timoniere, le zam- pe di color livido. Era quindi un giovane, corrispondente alla fig. 3 della tavola 233 dell' opera del Naumann, Vogel Deutschlands, che rappresenta un individuo di un anno. In qualche punto però i colori dell'esemplare preso a Gore erano alquanto più decisi, per cui argomento che fosse di un'età più provetta. Il conte T. Salvadori ritiene, che il fenicottero, comune in Sardegna, trovisi accidentalmente nell'Italia continentale. «Nell'agosto, dice il Lamarraora, di sopra i bastioni che » servono di passeggiata agli abitanti di Cagliari, veggonsi » arrivare dall'Africa questi magnifici uccelli. Schierati in » branchi triangolari, compariscono come una linea di fuo- » co segnata nel cielo: si avanzano coll'ordine più perfetto; » alla vista del vicino slagno rallentano il volo ; ed un » istante sembrano immobili nell'aria; dipoi, descrivendo » con un movimento lento e circolare una spira conica e » rovesciata, giungono al termine della loro emigrazione. » Questi uccelli, allora rilucenti con tutto lo splendore del- — 127 - » r abbagliante vestilo, ed in una slessa linea disposti, of- » frono un nuovo spettacolo, e rappresentano una piccola I) annata in ordine di battaglia, che nulla lascia a desidera- » re per l'uniformità e simmetria ». E lo spettacolo deve es- sere realmente stupendo, quando si pensi che i fenicotteri vivono in branchi talvolta di tre o quattrocento individui. Il conte Salvadori, dal quale tolgo questa interessante cita- zione del Lamarmora, eh' ebbe campo di studiare i loro costumi sul sito, dice che non amano le acque profonde, ma stanno sempre dove l'acqua non oltrepassa l'altezza del tarso. «È dubbio, egli continua, se qualche fenicottero ni- » diflchi in Sardegna, giacché sebbene il Cara ciò affermi » e dica di aver veduto più volte i giovani coperti di pelu- » ria, io dubito assai che fossero giovani in prima muta, ma » già atti al volo, come se ne vedono al Museo di Cagliari, » ove non se ne conserva alcuno incapace di volare. Lo » stesso Cara non ha mai potuto trovarne il nido e le uova, » sebbene moltissime raccomandazioni sieno slate fatte per » esse ai pescatori, ai quali la ricerca non doveva riuscire » difficile per la singolare forma del nido, conico ed elevato » sopra le acque, e che difficilmente poteva restar inosservato » in uno stagno non mollo grande come quello della Scaffa, » ed in tanto numero di pescatori e di anni. E forse la ra- » gione del non nidiflcare i fenicotteri in Sardegna sta ap- » punto nella mancanza di sicurezza ch'essi soffrono negli » stagni non molto grandi di quell'isola, e giorno e notte » solcati da grandissimo numero di barchette da pesca e » da trasporlo, che vanno continuamente da un'estremità » all'altra. E se non m'inganno, in questa mancanza di si- » curezza per la loro prole e per loro stessi nel tempo della » nidificazione noi dobbiamo ricercare la spiegazione delle » singolari emigrazioni in Sardegna ». L'illustre professore Giglioli non è di questo parere, 1 — 128 — crede indubitato, che alcune coppie si fermino a nidificare e sostiene la sua opinione con validissimi argomenti (*). Ritornando al punto di vista per cui questo uccello, a d'altronde ben noto, è per noi interessantissimo, vale a dire, la sua rarissima comparsa nel Veneto, non saprei far di meglio per porla nella dovuta evidenza che riportare il rie- pilogo storico, che ne dà il conte Ninni nei suoi Matei'iali per una fauna veneta. « In una nota a pag. 308-309 del III volume del Com- n pendio delle Transazioni filoso fiche della Società Reale n di Londra (traduzione italiana stampata a Venezia nel 4 793) l'ab. Olivi parla di un fenicottero, preso in una valle » peschereccia di ragione dei sigg. Vianelli di Chioggia, si- » tuata tra le foci dell'Adige e quelle del Po ». Il Naccari, nella sua Ornitologia veneta (1823), menziona un fenicot- tero preso « sopra la spiaggia del mare io una valle dei B sigg. Vianelli di Chioggia chiamata Vallesina, vicino a » Galeri e che tuttora si ritrova presso quella famiglia ». Da quanto mi è noto, « egli aggiunge, non fu preso » che una sola volta venti anni fa. Il Nardo, parlando dei » fenicotteri, menziona solo quello dell' Olivi, dicendo che » era lungo piedi 5, poli. 9, e che fino dall'anno 1826 egli » ne conserva la testa e le gambe, essendo la spoglia stata » corrosa dal tarlo. Lo stesso autore dù l'epoca della cat- I) tura di questo uccello, cioè il di 13 maggio 4 792, data » cotesta che non trovasi nella nota suindicata dell'ab. Oli- » vi. A queste notizie io posso aggiungere, che nella mia «raccolta, che ora fa parte di quella civica, esiste un gio- » vine fenicottero ucciso (1835 circa) nella valle Serraglia (1) Prof. Enrico Hyllyer Giglioli. Elenco delle specie d'uccelli che trovatisi in Italia stazionarie o di passaggio ecc. « Annali di agricoltura », 1881, n.° 36. — 129 — » da un certo Selvan di Gambarare; e non vi ha dubbio su I) questa cattura, poicliè vi erano numerosi testiraonii in » quella giornata. La spoglia avuta da mio padre, proprie- » tario delia vaile stessa, fu poscia imbalsamata dal sig. » Marco Spaventi (*) ». Queste notizie, che riassumono le osservazioni di quasi un secolo, sono la più evidente dimostrazione della rarità della comparsa di questo uccello nel Veneto. Per cui è in me gravissimo il dispiacere di non aver potuto conserva- re che qualche avanzo di quest' ultima cattura. (1) A. P. Ninni. Materiali per una fauna veneta. — Aves. I Tomo /K Serie VL it Programmi di concorso Della R. Accademia econoinico-agraria dei Georgofili di Firenze ai premi di Fondazione Guppari . p. xxiv-xxvii Del Ministero di agricoltura, industria e commercio, per vari premi su temi di a^^ricoltura ... » xxviii-xxix Al premio per una Monografia di botanica, pubblicato da A. De CandoUe » xxx Prezzo della Dispensa Fogli 24 ad italiani Cent. 12 V^ . . L. 3:00 Una Tavola litografica » 0:12 Totale L. 3:12 ^4 A T T l DEL REALE ISTITUTO VEI^ETO se li: D I ^ZK, LI]TTKKK Kl) A KTI DAL INOVEMBRE 1885 all'ottobre 1886 TOMO QUARTO, SERIE SESTA Dispensa ^ Seconda Srr, VENE ZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL' ISTITUTO 1 NEI. PALAZZO DUCALE li TIP. DI G. ANTONELLI, 1885-86 I N D I e K Alto verl)»le «ielle adunanze 20 e 21 decembre 1885. pag. 431 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. A. Fertile, s. c. . . — Gli animali in giudizio . . . » 135 G. Berchet, s. c. . — La conservazione dei grani e delle farine secondo le proposte Engrand e Torelli. Relazione » 155 Prof. G. A. BoRDiGA. — Complessi e sistemi lineari di rag- gi negli spazi superiori - Curve nor- mali che essi srenerano. Memoria . » 163 u Doli. A. Abetti. . . — Osservazioni astronomiche delle comete Fabry e Barnard, fatte a Pa- dova, coll'equatoriale Dembowski, nel dicembre 1885, subito dopo la loro scoperta » 191 C. Vigna, m. e. . . — Sulla simulazione della pazzia. Me- moria » 195 P. Cassani, s. c. . . — Ricerche geometriche negli spazj superiori ; Nota » 227 Al». M. Tono. . . . — Bollettino meteorologico dell'Osser- vatorio del Seminario Patriarcale di Venezia (novembre 1885) . » xxxixxxiv Elenco dei libri giunti dal 15 aprile al 16 agosto 1885 (con- tinuazione) » XXXV-XLVIl Ansio IS$5-Se DISPENSA II mmm del mese dì deceibre ì885 ADUNAINZA DEL GIOR^^O 90 PRESIDENZA DEL COMMENDATORE ANGELO MINIGH VICEPRESIDENTE. Sono presenti i menibri effettivi : Trois, Pirona, Veludo, Vlacovich, Famp.ri, Lorenzoni, e. Bernardi, Mons.*" J. Bernardi, Gloria, Vigna, Marinelli e Bizio segretario; nonché i soci corrispondenti: Da Schio, Papadopoli, Martini e Cassami. È giustificata l'assenza dei membri effettivi Lamper- lico presidente, De Betta, Beltrame, De Zigno e Oiu- boni. II Vicepresidente comunica il Reale Decreto, con cui Sua Maestà approvò il conferimento della proposta pensio- ne al m. e. Monsig.*" Jacopo Bernardi. Poscia il Vicesegretario legge l'elenco delle opere pre- sentate in dono a questa biblioteca dopo le ultime adunanze. Indi il m. e. C. Vigna legge una sua Memoria « sulla simulazione della pazzia ». Il m. e, Fambri parla « intorno agii studi matematici del prof. Gilbert delC Università di Louvain », del quale pre- Tomo IV, Serie VI. 18 - 132 — senta in dono varie pubblicazioni, e si ferma in particolare sul nuovo giroscopio dei medesimo. Il m. e.Lorenzoni presenta a alcune osservazioni astro- nomiche delle comete Faùry e lìarnard, fatte a Padova, col- l' equatoriale Demhowski, nel dicembre 1885, situilo dopo la loro scoperta dal doti. A. Abetli, astronomo aggiunto. Il m. e. Marinelli presenta, a nome dell'autore, parec- chie pubblicazioni del prof. G. Cora, e cioè: 1." La carta speciale della Reggenza di Tunisi, t88l ; 2," Le note car- tografiche che la riguardano ; 3.° La caria speciale della baia d' Assab ed adiacenze (1884); e A."" La carta originale del paese degli Afar o Danachil e regioni limitrofe tra Mas- saua, Aden, Zeila e lo Scioa Nord (1885); lavori diretti, co- m'è agevole a comprendere, ad illustrare argomenti inte- ressanti per noi, non soltanto dal punto di vista geografi- co, ma altresì da quello della politica estera e di una pos- sibile espansione coloniale. Egli presenta altresì: 5." fi Sahara (1882), opuscolo che illustra dal punto di vista fisico questa poco nota re- gione dell'Africa ; 6." Cenni sui lavori del Comilato polare internazionale, ed un 7." ed ultimo opuscolo, che tratta della superficie terrestre come oggetto precipuo della geo- grafia, e che consiste nella prelezione con cui il Cora, nel novembre del 1883, inaugurava il corso di geografia nella R. Università di Toiino, ed ha in mira di chiarire un pun- to importante e controverso di meteorologia geografica. Lo stesso m. e. Marinelli presenta inoltre un discorso del prof. Landò Landucci, letto alla R. Accademia Petrarca in Arezzo col titolo: « Un celebre scrittore Aretino del se- colo XV 'ì. Il m. e. mons."" Jacopo Bernardi presenta il 2." volume della Storia della pedagogia del canonico prof. Giovanni Mi- lanese, soggiungendo le parole che qui si riproducono: « È — 133 - » /■/ secondo volume promesso, quando /' egregio autore dn- » va in luce quello, che trallava teoricamente le dottrine » pedagogiche, ora storicamente discorse. La temperanza, » la diligenza intelligente, la chiarezza, come nel primo, » accompagnano sempre l'autore anche in questo secondo » volume. \ olendo il prof. Milanese toccare la storia peda- » gogica di tutti i paesi e tempi, raccorciandone i limili nel » libro da kit pubblicato, gli fu d uopo procedere a cenni » per molti, eleggendo allargarsi un poco, quando gli soc- » corsero i nomi dei personaggi più insigni, che scientifi- » camente e praticamente segnalaronsi in guisa da rinno- n vare o correggere i varii sistemi pedagogici, e porgere » valido impulso a quelli, che tornassero maggiormente pro- B fittevoli alle condizioni dei giorni, in cui essi vissero, e n degli avvenire. — Egli, il Milanese, poi ha diritto alla 1) riconoscenza italiana, perchè parecchi antichi e moderni, » obbiiati 0 mal conosciuti da forestieri e da nostri conna- n zionali medesimi, ricorda con amorevole sollecitudine, e I) rivendica a noi spesso ciò che, senza pure un cenno, gli » stranieri usurparono. — Come il primo, il prof. Milanese I) offre al R. Istituto di scienze, lettere ed arti anche questo I) suo secondo volume; ed io sono lieto di compiere quest'og- » gi f incarico assai di buon animo accolto ». Lo stesso m. e. Bernardi soggiunge poscia quanto segue : « Com'ebbi l'onore di rappresentare questo R. Istituto » al Congresso Penitenziario, raccoltosi nel passato no- I) vembre in Roma, così mi sarà caro, ove l'Istituto con- » senta, porgerne un qualche cenno in quell'adunanza, che » mi si vorrà assegnare. Finora però dichiaro, che appi- » glierommi segnatamente a ciò che la dottrina e la pratica » di uomini ragguardevolissimi proponevano alla morale » riforma dei carcerati, in guisa che sembrava, che le voci — 134 — » di un'ultra sezione, cioè dei cosi detti anlropologisti, non » giungessero alle sale dei penitenziarii ». Il dottor R. Galli, giusta l'articolo 8.° del Regolamento interno, legge la prima parte di un suo lavoro col titolo : « La storia di Venezia dal 352 al i 184 rinnovata, ed il primo palazzo ducale, la prima chiesa di S. Marco sco- perti I). II sig. prof. Pullè, giusta l'articolo sovracitato del Re- golamento, comunica le sue n nuove notizie sulla lettera- tura dei Gaina ». Compiute tali letture, l'Istituto si restringe in adunan- za segreta per la trattazione de' suoi affari interni. Nel successivo giorno 21, sotto la presidenza dello stes- so comm. A. Minich, si tiene la seconda adunanza, nella quale si approva l'Atto verbale di quella di jeri. Poi il Segretario presenta un lavoro del membro effet- tivo sen. L. Torelli u suW applicazione delta meteorologia all' agricoltura n. Indi il socio G. Berchet legge un suo scritto « sulla con- servazione dei grani e delle farine secondo le proposte En- grand e Torelli; e l' Istituto, udita questa comunicazione, accompagna coi propri voti i nobili propositi del conte Torelli. Da ultimo l'altro socio P. Cassani comunica alcune sue « Ricerche geometriche negli spazj superiori ». Dopo ciò, l'Istituto continua a trattare, in adunanza segreta, gli affari posti all'ordine del giorno. LlVOIIl LETTI PER LA Fl]BBL!C,IZ!Oi\E NEOLl ATTI G L T ANIMALI IN GIUDIZIO DEL s. c. ANTONIO FERTILE. V'hanno talora Ira' popoli delle singolari e strane co- stumanze, (ielle quali è difficile dire come s'introducesse- ro, ed anche più diflicile rendersi ragione del perchè si conservino, anche falli assai più civili i tempi da quello ch'erano allorquando quelle costumanze vennero accolte. È di questo numero la parte che il medio evo faceva sostenere agli animali davanti ai tribunali. Del che si sono occupati parecchi autori, ma o in modo troppo sonmiario, come fece il Cibrario in quel dottissimo libro, che gli pia- cque intitolare : Economia polilica del medio evo ; o, guar- dando la cosa da un lato solo, da quello cioè dei processi intentati contro a bestie, e delle sentenze pronunciate sopra di esse, mentre non doveasi diuìenticare che gli animali compaiono alcuna volta in giudizio eziandio con altra ve- ste. Fra gli autori della seconda classe ricordo, come quelli che, a saper mio, ne trattarono con maggiore ampiezza, il Vernet in uno scritto comparso il 1826 nella Thémis, ou Bibliotliègue du jurisconsiUle (*); il Berriat-Sainl-Prix nel (1) Voi. Vili, p. 45-60. — 136 ~ I volume della medesima Thémis (^), e nelle Mémoires de la sociélé des aiitiqnaires de France {^) ; ma sopra d' ogni al- tro il conte Leone Menabrea in un libro di 161 pagine in 4 6.°, che intitolava : De l' origine, de la forme et de l'esprit des jugemenls rendus au moyen àge cantre les animaiix, avec des docnments incdits. Chajnbery, i8'<6. Scopo dello scritto del Menabrea era di pubblicare ed illustrare uno di codesti processi incoato dinanzi al vicario generale del ve- scovo di Moriana, nella Savoia, nei 4 343, lascialo poi so- speso per vari anni, e ripreso nel 1387: del quale pro- cesso avrò occasione di parlare piìi innanzi. Due sono principalmente, s'io non m'inganno, le fonti da cui trae origine questo strano costume di sedere in giu- dizio sopra i bruti: l'antico Testamento e i riti eccle- siastici. Nel primo Mosè, probabilmente per obbligare i proprietari degli animali ad avei-ne la dovuta custodia af- finchè non recassero danno a terzi, aveva ordinato, che se un bue avesse dato delle corna contro d un uomo o d'una donna per modo da portar loro la morte, dovesse venir lapidato (^). Il Levitico poi prescrive, che se uouio o donna avesse ad abusare d'un bruto per commettere un delitto carnale, l'animale, che fugli strumento a peccare, debba venire bruciato sul rogo insieme coi delinquente ("). E ciò, come spiegano gl'interpreti, faeevasi aftinché non rimanes- se cosa atta a ridestare la memoria d' un si abominevole delitto (*^). (2) Pag. 178-481, an. 1820. (3) Voi. Vili, p. 403-450, an. 1829: Rapport et recherchcs sur les procès et jugement relatifs aiix animaux. È una rela- zione sui documenti di questa fatta presentali alla Società da M. Lajeune. (4) Exod., XXII, 28. (5) Levit., XX, 15, 16. V. pure ib., XVIII, 23. (6) Decr. Grat., e. 4, G. XV, q. 1. — (S. Agost.) Quia refricant mcmoriam facti. — 137 - Quanto poi ai riti ecclesiastici, come oggigiorno nelle cereinonie e preghiere con cui si fa l'acqua santa, si do- manda a Dio, die per l'aspersione di essa e l'invocazione del nome s. dell'Altissimo, abigatur omnis infestatio immun- di spiritus, ierrorqiie veiienosi serpentis procul pellatur ('); cosi un tempo si usavano preghiere ed esorcismi diretti ad allontanare, come ogni altro male affliggente i mortali, anche gl'insetti e le altre bestie danneggianti i fondi o le restanti proprietà dei fedeli. Preghiere ed esorcismi nei quali s'inti- mava a questi animali di cessar d'ogni danno e allontanarsi dai luoghi in cui si trovavano. In cotal guisa attribuivasi a questi esseri in qualche maniera la personalità; e poiché il rispetto dovuto ai riti religiosi non permetteva che si avesse ricorso ad essi senza necessità, era naturale che si aprisse una cognizione sopra il fatto o il danneggiamento, affine di constatare il bisogno di quegli esorcismi: la qual cognizio- ne per le forme giudiziali che assumeva ogni atto della vita nel medio evo, nelle mani dei giureconsulti potè prendere l'aspetto d' un giudizio diretto a riconoscere il diritto di far a quegli animali le suddette intimazioni. Contribuì (orse a fondare una IciI pratica, in tempi di scarsa coltura, eziandio ìaciio depauperie del .iiritto roma- no, la quale, riducendo al trar dei conti tutta la obbligazione del padrone pei danni degli animali alla noxae datio^ come avveniva per quelli degli schiavi, e un tempo eziandio per quelli dei figli di famiglia, sembrava tenere responsabili gli animali medesimi de' danni da essi recati {^). Secondo il Me- (7) Rituale romanum, ordo faciendi aquam henedictam. Ubi- cumque fuerit aspersa, per invocationem S. Nominis tui, omnis infestatio immundi spiritus abigatur, terrorqiie venenosi ser- pentis procul pellatur. Gonfr. la forinola attribuita a s. Grato (824) riferita da Menabr., p. 54. (8) L. 1 Dig. Si quadrupes (9. 1). — Vernet, nella Thérnis, Vili, cit., p. 60, scrive : «Un' est pas bien étonnant de voir in- — 138 — nabrea un'altra causa starebbe nella persuasione che avevasi, che gli animali nocivi fossero opera o strumento dell'eter- no nemico degli uomini, o che, come già nel paradiso ter- restre, il demonio stesso si nascondesse sotto la forma dei bruti (^) ; e un' altra causa ancora, secondo il medesimo autore, sarelibe stata la mira di evitare che, per liberarsi da quelle infestazioni, si ricorresse alle superstizioni e ai sortilegi {^^). Comunque avvenisse, gli è certo che, e nel medio evo e poscia, si attribuì ai biuti capacità di stare in giudizio e sotto diversi aspetti. Imperocché, se le più volte ciò ha luo- go per una ragione di diritto civile, non di rado invece si apre contro i bruti un procedimento penale, e alcuna fiata si domanda ad essi la prova di fatti che risguardano terzi litiganti, adoperando gli animali medesimi come testimoni, o facendoli sostenere il giudizio di Dio. Ascrivo alla prima specie tutti quei processi che si vedo- no intentati ad animali dannosi alle privale proprietà od ai raccolti; nei quali processi viene loro ingiunto di desistere da questi diinneggiamenli, e di allontanarsi dai luoghi che infestano della loro presenza, talvolta assegnando ad essi persino un territorio su cui possano ritirarsi, e i cui pro- dotti vengono loro abbandonati, riconoscendo in essi pure » tenter des procès aux animaux par des hommes qui croyaient que » les aniaiaux se faisaient des procès entre eux Léonard. Lessius » je suite, voulaut l'aire connaìtre tout l'enormilé du crime d'adul- » tère, soutient qu' il est eu horeur mèiae parmi les animaux, et en » apporte pour preuve le supplice que les cigognes flrent subir à l'u- » ne d'elles, qui fui couvaincue d'infractiou à la foi conjugale. Il cite » un auteur (Guillel. Parisiensis, De universo, 3, 8), qui assure avoir » élé témoin de cette exéculion ». V. pure Damhouder, Praxis re- rum criminalium. Vcnet., 1572, p. 98. (9) Menabr. cit., j). 35. (10) Id. p. 58. — 139 - il diritto d'esistere, come creature di quel Dio che creò l'erbe e le piante anche per uso degli animali (^^). Non otte- nendo con tale sentenza l'intento, cioè gli animali non ot- temperandovi (come doveva naturalmente avvenire), ricor- revasi alle maledizioni, come negli antichi esorcismi. Gli è per questa relazione colle pratiche ecclesiastiche e per l'in- dole del mezzo che costituiva la sanzione a cui si dava di piglio, che comunemente codesti processi si trattano di- nanzi ai giudici ecclesiastici ('^), benché non facciano di- fetto nemmeno quelli agitati nei giudizi laicali {*^). E si faceva un regolare processo, attesoché, anche in quanto i teologi ritenevano lecita una tale maledizione o scomunica, come era detta comunemente (^'^i ^^^ sembra- va giusto l'infliggerla senza averne bene constatato il fon- damento per mezzo d'un' ordinata procedura. Intorno a che non isfuggirà a nessuno l' importanza che doveva ave- re pel trionfo dell' idee morali questo rigore di solennità contro i bruti, in un tempo che ricorrevasi contro agli uo- mini al diritto del più forte e alla privata vendetta ('^). Si citavano dunque con pubblico bando i detti animali a comparire in giudizio, e poiché (come è troppo naturale per dirlo) non comparivano, si dava loro un procuratore od avvocalo, che sostenesse le loro difese (*''). (il) Vedine es. del secolo XIV e del 1690 in Mémoires cit., p, 412. V. pure Menabr., p. 92. — Il Bailly (v. n. 27) assume questa condizione nelle sue formole (quitter le lien et se ritirer dans la place qui leur sera ordonnée). (12) Ad essi li attribuiscono anche il Chassanèe, 1. cit., n. 26 e Bailly in Menabr., p. 130. (13) Mémoires cit., 412, 440, 441 (v. anche nota 16). (14) Ved. S. Tommaso, Summa theolog., secunda secundae, q. 76, a. 2, e q. 90, a. 3, e Menabr., p. 28. (15) V. anche Menabr., p. 89. (16) Secondo il Bailly, l'avvocato si dava ancora prima della ci- tazione. — In altra occasione il giudice di Magonza assegnava allo Tomo iV, Serie VI. 19 — 140 - Narra il presidente de Tbou, che ad un tale incarico dovette i suoi primi allori e l'iniziamento della splendida sua carriera il giureconsulto Chassanée (*'), che fu presi- dente del parlamento o corte sovrana dì Provenza. Ecco come accadde. Nel 1530 i topi s'erano nioUiplic.ili per mo- do nella diocesi d' Aulun, che il popolo, per quanto vi s'a- doperasse, non sapendo in qual maniera distruggerli, ri- corse al vicario del vescovo, perchè ponesse mano contro di essi agli esorcismi e alle maledizioni. Ma il vicario stimò necessario premettere un regolare procedimento. Pertanto, sopra domanda del promotore fiscale (oggigiorno diremmo del pubblico Ministero), fece citare i topi a comparire in giu- dizio davanti a sé. Non essendosi i convenuti presentati, il vi- cario scelse un avvocato a rappresentarli e difenderli, e que- sti fu appunto il Chassanée. Costui incominciò ad osservare che, essendo i topi dispersi per tanti villaggi, una semplice citazione nei modi ordinari non poteva bastare ad avver- timeli tutti. Domandò quindi che si citassero nuovamente in ogni chiesa parrocchiale in dì festivo, al momento della spiegazi(tne del vangelo. Ciò non ostante, non essendo an- cora comparsi, scusò i suoi clienti colla lunghezza e coi pericoli del viaggio, piccole bestiuole, com'erano, ed espo- ste senza difesa all' insidie dei gatti, loro mortali nemici, che stavano in agguato su ogni via per assaltarli ed ucci- derli. Scorse cosi le varie dilazioni che potè ottenere, en- trò nel merito della causa, attaccando d'ingiustizia il siste- ma delle punizioni generali o proscrizioni in massa, per le quah si colpiscono le intere famiglie, cioè gli innocenti in- cantaridi un curatore, attesa la loro piccolezza e la loro distanza dalla maggiorennità. Afémoires cit., p. 412. — Talvolta si volle persi- no che venissero addotti in giudizio alcuni degli animali contro cui procedevasi. Menabr., p. 104. (17) È il nome che gli si dà comunemente. Il suo vero nome era Bart. de Ghasseneuz. Thémis cit., Vili, p. 45. — 11i - sieine coi rei. De Thou non dice quale fn l'esito dell'elo- quenza del Chassanée, ma, ad argomentarlo dalla riputa- zione che gliene venne, convien ben credere ch'egli abbia vinta la causa in favore dei suoi strani clienti (^*). Ho detto che le procedure di questa fatta appartengono al novero delle civili. Può sembrare che contrasti a tale proposizione la scomunica o maledizione che scagliavasi in esse contro gli animali ; ma questa, chi ben guardi, non era che un mezzo d'esecuzione o di costringimento, allor- quando i suddetti animali non desistevano dai loro danneg- giamenti (*'•'): e si usava anche negli altri processi eccle- siastici, e talora eziandio nei civili (-'^), mentre poi si nar- rano effetti prodigiosi di codeste maledizioni (^'). Cotal pro- cedura potrebbe paragonarsi ad una specie di turbativa di possesso, o ad un processo per assicurarsi contro la minac- cia d'un danno (damni infecii), che portava per ultima con- seguenza quella maledizione. Tuttavia l'attilazione giudiziale era l'estremo rimedio a cui ricorrevasi, solendosi premette- re le processioni e le preghiere, afGne di ottenere da Dio la cessazione del flagello, oltre tentare di distruggere gli ani- mali, per quanto potevasi, col prenderli ed ammazzarli (-^). (18) De Thout, Histoire ad an. 4550; Berriat-Saint-Prix nella Thémis, 1, p. 179. (19) Chassanée, Cons. prim., dice: Quod se absentent a loco in quo damnuin dant, aut a damno inferendo cessent, sub poena anathematisationis aut perpetuae maledictionis. (20) V. la mia Storia del diritto italiano, voi. VI, § 242. (21) Mémoires cit., p. 414 ss. e 424. — In Ispagna, a quanto narra il dott. Navarra, quidam episcopus, ex summo promonto- rio iicssit muribus exire terras quas habitabant intra tres ho- ras, intra quas maximiis numerus earum exivit natando per mare, in quandam insulam sterilem, in quam per excomunica- tionem - iussi fuerant exire. Ib., p. 418.; V. anche Bailly cit., a n. 27. {2'2ij Queste due pratiche aveva preBcritto nei sec. IX papa Ste- — 142 — Bello sopra d'ogni altro è l'esempio che di un simile procedimento ci offre, come ho detto fin da principio, il Menabrea. Nel 1545 il sindaco, o rappresentante del co- mune di S. Giuliano, al di sopra di S. Giovanni di Moriana, intentava lite contro i bruchi (rhyncliites atiratus), che me- navano guasto nei vigneti di quei luoghi. Essendo essi scom- parsi mentre si stava istruendo la controversia, la lite ri- mase sospesa, ma venne ripresa, ricomparso l'insetto nel 4 587. Presentossi pertanto iH 3 aprile di quest'anno dinanzi al vicario di quel vescovo il sindaco o rappresentante del suddetto comune di S. Giuliano per riassumere l'antica cau- sa, e domandò che venisse dato ai detti insetti un procura- tore e un avvocato, dichiarando che il comune offerivasi di corrispondere loro una conveniente mercede. Il giudice ot- tempera alla domanda, ma prima che si ponga mano all'agi- tazione della causa, vuole che vengano eseguite certe pro- cessioni e devozioni state ordinate all'uopo fino dal 1546 (ne irriletur Deus propter non adimplelionem devotionum in dieta ordinalione narralarum)^ essendoché tale flagello può attribuirsi più che ad ogni altra cosa ai peccati del po- polo (quae damna polius possimi esse atlribuenda peccatis supplicantium), e però, più che alle censure, doveva ricor- rersi alla divina misericordia (^^). Fatti tre giorni di processioni intorno ai vigneti infe- stati dai bruchi, senza che questi perciò se ne dilungasse- ro, si lasciò libero corso alla lite, che diede luogo a parec- chie scritture da una parte e dall'altra, e a varie dilazioni e comparse. Instavano quelli di S. Giuliano che gl'insetti in discorso fario VI prima di ricorrere alle maledizioni. Murat. , Script, HI, 272, e Menabr., 83. — Per le preghiere v. n. seg. e Mémoires cit., p. 414 s. (23) Menabr., p. 148,149, 151. Similmente Mémoires cit., 416 s. - ii3 - venissero cacciati dai vigneti che avevano invaso per via di scomunica, d'interdetto e d'ogni altra specie di censura ecclesiastica. Invece l'avvocato degli insetti sosteneva, che i medesi- mi non dovevano venire colpiti di scomunica, perchè que- sta non polca venir data che a titolo di contumacia, o per qualche grave delitto. Ma gì' insetti medesimi erano inca- paci di cadere in contumacia, non essendovi maniera legale di citarli; non commettevano poi verun male vivendo se- condo l'ordine naturale, e cibandosi delle piante giusta la divina istituzione, mentre, come privi di ragione, non po- tevano essere tenuti all'osservanza di veruna legge positi- va, ecclesiastica o civile. Concludeva quindi che non do- vessero venire costretti a partirsi dai luoghi occupati. Opponevano alla lor volta gli attori, che Dio aveva crea- to le cose e i bruti in servizio dell' uomo, attribuendo ad esso impero sopra di quelli. Al che replicava il difensore de- gl' insetti, non venirne di conseguenza che si potesse aver ricorso contro di essi alla scomunica, ma doversi usare dei modi soliti ed ordinari per liberarsene. Siccome poi gli uo- 'mini di S. Giuliano, per consiglio del loro avvocato, radu- nati in regolare consiglio, s'erano obbligali d' assegnare ai suddetti insetti un fondo fuori dei vigneti, in cui li lascia- vano padroni di vivere e pascersi a loro talento, promet- tendo di non sottrar loro cosa alcuna di quel fondo, né di- sturbarli in veruna maniera, salvo il diritto di rifugiarsi colà essi pure in tempo di guerra, ed offrendosi di stipulare di ciò un regolare contratto; il rappresentante o procura- tore dei convenuti oppose che quel luogo era sterile, e però né sufficiente, né idoneo alla sussistenza dei suoi mandanti. Sopra di che, il vicario del vescovo, verso la metà di settem- bre, ordinò un sopraluogo, per rilevare la condizione del fondo e !a sua sufficienza al mantenimento degli inselli. E qui malauguratamente finiscono gli atti che restano di co- — 144 — desto processo, il qunle probabilmente rimase interrotto come la volta precedenle, per la scomparsa avvenuta nel frattempo degli insetti medesimi contro cui era stato inten- tato (-4). Ma d'altre procedure di questa specie s'hanno frequenti memorie in quel secolo e nei successivi, fino presso al ter- mine del decimoseltimo (^■'). l'u per la frequenza di questo costume che il Chassanée, di cui abbiamo parlato di sopra, scrisse un trattato per ricercare se si possano scomunicare gli animali danneggianti i raccolti, e in qual modo ciò deb- ba farsi. Sostiene pertanto che possono citarsi in giudizio davanti T autorità ecclesiastica ; che si deve dar loro un procuratore per porgere le loro difese; e Analmente, posta la domanda se sia lecito pronunciare su questi animali l'anatema e la maledizione, addotte molte ragioni per l'una e per l'altra sentenza (tra cui principalmente quella che co- desti animali sono gli strumenti della collera divina pei pec- cati degli uomini) ciò non ostante conclude per l'afferma- tiva, appoggiandosi anche alla pratica di cui riferisce varie (sette) sentenze (-'^). Oltre un secolo dopo scrisse sullo stesso argomento Gaspare Builly, avvocato al senato di Savoia, nel suo Traile des monitoires, Lione 1608, p. 27 ss., all'articolo: •■ Della eccellenza dei monitori e dei processi contro gli animali », (24) Gli atti si leggono in Menabrea, p. 448 ss. (25) Mémoires, p. 431. Il 15 nov. 1731 il consiglio comunale di Thonon deliberava d' unirsi alle parrochie « qui voudront obte- nir de Rome une excommunicalion contre les insectes ». Menabrea, p. 112. (26) Consilia D. Barthol. a Chassaneo. Lione, 1531. — Con- silium priiniim, quod iractalus juris dici potest, - uhi tractatur quaestio de excomunicatione animalium. Riferito per estratto nella Thémis, Vili, p. 46 ss. — Tuttavia le risultanze del Chassanée furono assai criticate dal dott. Navarra. Mémoires cit., p. 418. — 145 - dando persino i modelli degli atti delle due parti, coli' in- sieme delie ragioni cbe si potrebbero addurre duH' una e dall'altra, non senza soggiungere il voto del publico Mini- stero (promotore fiscale) e la sentenza data in iscritto dai giudici prò Irihunali sedentes, et Deum ante oculos haben- tes ("). Gli esempi di queste procedure cbe ho potuto vedere sono di Spagna, Francia, Svizzera, Germania e perfino del Canada (^^). Non mi venne fatto di trovarne alcuna d' ita- liana, e il Chiaro asserisce a dirittura cbe appo noi non si praticavano (-^). Ma non per questo oserei di sostenere che fossero affatto sconosciute nel nostro paese, se le vedia- mo in uso nelle terre francesi della monarchia sabauda {^^). Certauìente poi si praticava anche presso di noi contro i bruti, la seconda specie di processi di cui mi sono pro- posto di far parola, vale a dire i criminali. Il Filangieri dice « che in Italia essi non erano meno usitati che altro- ve, e che vi si vedevano ancora al suo tempo », tanto che egli sente il bisogno di dimostrare 1' assurdità di codesta pratica (""), che avea constatata in uso, ma disapprovata, anche il Chiaro ('^). E qui si convien distinguere, sulla traccia superiormen- (27) Qupsta parte de! libro del Bailly fu riprodotta dal Mena- brea, p. 128 ss. — Aveva trattato di questo argomento anche Felix Malleolus, De exorcismis. (28) V. l'elenco che ne dà il Berriat. (29) Clar., Sent., p. 902. (30) Il Menabr., p. 112, lo ammette a dirittura, attribuendone l'asserzione a Leon. Vario de fascino, li, 12; ma questi dice sol- tanto: in nonnullis partibus, senza soggiungere cV Italia. (31) Scienza della legislazione. Venez., 1806, IV, p. 381. (32) Loc. cit. Anche Pieiro Ayrault, piesid. della corte crimi- nale d'Anversa, la riprovava (1591) nid['o|iuscolo : Des procès faicts au cadavers, aux cendres, à la mémoire, aux besles brutes-et aux contumax. Menabr., p. 126. — 146 — te riferita dei libri santi, due categorie di delitti pei quali procedevasi contro gli animali. La prima riguarda ogni danno, che per la natura sua (prescindendo cioè dall' a- gente) sarebbe criminoso, recato alle persone o alle cose altrui; la seconda i delitti nei quali l'essere ragionevole tur- pemente abusa dei bruti. Quanto ai primi ciò avveniva assai di frequente pei porci, i quali in que' tempi si lasciavano vagare liberamen- te pei paesi, in onore di S. Antonio, come dice il Cibrario, e però potevano di leggieri nuocere altrui. Nel 1572 a Nancy fu preso, messo in prigione e con- dannato a morte uno di questi animali perchè aveva divo- rato un fanciullo. E siccome il signore del luogo in cui era accaduto il fatto non aveva l'alta giustizia, ma doveva con- segnare i condannali a morte per la esecuzione della sen- tenza al prevosto di S. Diez, rimettendoglieli affatto nudi dietro la croce del cimitero, non potendo far a meno di consegnare il porco per la corda ond' era legato, fa le sue riserve perchè ciò non possa pregiudicare al proprio dirit- to (^"). Molte altre condanne ed esecuzioni potrei riferire di questa specie d'animali (^*) ; ma ve n'ha anche d'altri: p. es., il 4 499, d'un bue che aveva ucciso un giovine di i4 o i5 anni {^"), un'altra volta, per eguale causa, d'un alvea- re d'api (^-), un'altra volta ancora, come vedremo tanto- sto, d'un gallo. La pena poi, che doveva eseguirsi dal boia, ora era la forca, ora il rogo; e, secondo il vezzo di que'tempi, talora, per rendere più grave il supplizio o per altro motivo, l'ani- (33) Mémoires des antiq. cit., p. 430. (34) Ib., p. 427 ss. (35) Ib., p. 428. Un altro bue fu impiccato pei suoi demeriti nel 1405, ib., p. 427. (36) Thémis, Vili, p. 58. Così ordinava un concilio di Worms. — 147 — male s'impiccava per le gambe di dietro (") ; talora si pre- metteva all'esecuzione della pena capitale l'amputazione di questa o quella parte del corpo del condannalo (^^) ; talora finalmente, all' ultimo supplizio dell' animale aggiungevasi una multa pel proprietario di esso (^^). Se doveva infliggersi una vera pena, è naturale che all'animale si deputasse un difensore, si facesse un regolare processo, si raccogliesse- ro le prove del fatto e si pronunciasse formale sentenza, che leggevasi con tutta gravità all'imputato prima di condur- lo al supplizio: e in realtà ne restano non poche che fan- no fede dell'osservanza di tutte queste solennità legali {^^). Le quali non so se ed in quanto siano state rispettate nel processo che [AUgemeine deutsclie Strafreclitszeitung del 186^, N. 2, asserisce essere avvenuto a nostri di in In- ghilterra (a Leeds), dove avendo un gallo ferito un fan- ciullo per modo da causarne la morte, il giuri sentenziò che il gallo dovesse venir ucciso, restando i giurati mede- simi presenti all'esecuzione ('*^). Né dettava alcuna forma- lità il laudo o statuto di Vallesella nel Cadore (^565), allor- quando ordinava, che se qualche animale recasse danno ai beni comunali e il padrone avvisatone non lo rinchiudesse in luogo sicuro, il marigo o capo della regola poteva piglia- re l'animale medesimo, ed ipso facto UH amputare caput super fonte publico in platea (^^). (37) Mémoires cit., p. 444. (38) Ib., p. 427 e 429, sentenze 1386 e 1565. — Ib., p. 433, s' ha la specifica delle spese incontrate nel 1403 per l'esecuzione d'una troia. Fra esse c'è quella di far venire il boia da Parigi, e per la vettura che la portò al luogo della forca. (39) Ib., p. 435, a. 1499. (40) Ib., e pag. 441. Della lettura della sentenza è parola ib., p. 423, 435; dei testimoni e del loro giuramento, ib., 446. (41) Osenbrùggen, Studlen ùber deut. und schwelz. R. Geschi- chte, Schaffaus. 1868, p. 148. (42) V. Laudo cit. nella mia Storia del diritto, v. V, p. 643, n. 32. 'iomo ly. Serie VI. 20 — 148 — Ma si punivano alcuna volta nei bruti anche fatti non recanti danno a singoli, lua piuttosto pericolosi per la pub- blica morale. Cosi nel 1474 il magistrato di Basilea con- dannava un gallo ad essere abbruciato vivo, perchè avea fatto un uovo: sia perchè la si reputasse opera diabolica o di sortilegio, sia per la popolare credenza che regnava colà, che se un gallo deponeva un uovo, in sette mesi ne uscis- sero serpenti; il perchè fu abbruciato con tutt'esso il gallo anche l'uovo {*^). Riferisce poi il Filangieri, che ho testé citato, nella sua Scienza della legislazione, che pochi anni prima erano stati mazzolati in una città d'Italia alcuni cani che aveano seguito con troppo impeto il loro naturale istin- to (*'*). Da questa narrazione del Filangieri apparisce, che non era sempre la morte che s'infliggeva ai delitti dei bruti, ma talora anche pene men gravi. In fatto la Carta de Logu d'Eleonora giudicessa d'Arborea (1395) prescrive.- che ve- nendo trovato un asino in danno sui fondi altrui, per la prima volta gli si tagli un orecchio; la seconda, l'altro; e la terza, si confischi la bestia consegnandola alla corte princi- pesca (*5). Ciò che non è propriamente un processo e una condanna giudiziale, ma qualche cosa che vi si avvicina, personificandosi un bruto, e punendo lui direttamente co- me se fosse un uomo. Né a questo proposito è fuor di luogo ricordare una singolarissima disposizione che trovasi nella Lex Alamanno- rum. Le leggi dei popoli germanici, benché volessero punite le lesioni operate dai bruti, generalmente non ne facevano (43) Mémoires cit., p. 428, e Illustrirte Cronik der Zeit, 1885, p. 732. (44) Filangieri, loc. cit. (45) Carta de Logu, a. 114. Le altre bestie si uccidevano (ib., 135), e il Mimaut spiega questa differenza colla predilezione che c'era in Sardegna per gli asini, attesi gli importanti servigi che rendevano. Sardiniens altere und neuere Geschichte. I, p. 303 n. — i49 — responsabili questi medesimi, sibbene invece 1 loro proprie- tari, E se talora la pena della lesione recata dal bruto (per- chè allora le pene dei delitti contro i privati consistevano in danaro) era eguale a quella fatta dall'uomo ('"'), altre volle infliggevasi una punizione minore, perocché si cominciò presto a comprendere l'errore di pareggiare il fatto dell'ani- male e quello dell'essere ragionevole ("). Tra gli Alamanni s'usava una pena identica a quella che davasi al fatto del- l'uomo, cioè il guidrigildo, se fosse stato ucciso un libero da un bue, da un cavallo o da un porco {^^); ma se era stato ucciso da un cane, probabilmente ptrchè contro que- sto era più facile il difendersi, la pena venne ridotta a mez- zo guidrigildo soltanto (^^). E per costringere ognuno, av- venendo il caso, ad ottemperare ad una tale restrizione, or- dinossi che, se il più prossimo parente dell'ucciso, al quale era dovuto la somma, esigesse liniero guidrigildo, si chiu- dessero tutte le uscite di casa sua, fuor d'una sola, davanti alla quale, alla disianza di 9 piedi si sospendesse, dopo averlo ucciso, il cane omicida, lasciandolo li fino a che im- putridisse e cadesse a brani, nò seppellendone le ossa. Che se colui che ha esatto l'intero guidrigildo gettasse via il ca- davere del cane, o entrasse od uscisse, anche una volta sola, per altra apertura, doveva restituire la metà dell'importo che aveva riscosso ('*^). Anche una tal quale partecipazione passiva agli altrui reati attribuivano agli animali le fonti giuridiche tedesche del secolo XIII, vale a dire lo Specchio sassone e lo svevo. (46) Roth., p. 326, L. Sax. 13. Solamente escludevano queste leggi per tal cagione la privata vendetta. (47) La L. Sai. 36 e Rip. 46 permettevano che nella uccisione si desse l'animale in conto di mezzo guidrigildo. (48) P. Alani., Ili, 18, e L. Alam., car. 103. (49) P. Alam., Ili, 17. (50) L. Alam,; car. 102. - 150 — Conciossiacliè se ia una casa era stata usata violenza ad una donna, oltre distruggere la casa istessa, si tagliava il capo a tutti coloro, dentro e fuori di essa, che, avendo udito le grida della deflorata, non erano accorsi in suo aiu- to, e inoltre a tutti gli animali che si trovavano nella casa in cui era avvenuto il delitto, per punirli in certo qual mo- do di non aver levato rumore per chiamare il vicinato in soccorso (='). Mollo più frequenti poi e durati generalmente più a lun- go furono le condanne di animali per i delitti di bestialità che ho superiormente accennato. Che, siccome a questi delitti comunemente comminavasi la pena del rogo (''-), giusta le prescrizioni della legge mosaica di far morire con • temporaneamente l'uomo ed il bruto, si solevano gittar nelle fiamme in uno e questo e quello, anzi si bruciavano coll'ani- male e col delinquente eziandio gli atti del processo, affine di dimostrare ancor meglio l'orrore che aveasi per un tal crimine, e lo studio di distruggerne ogni memoria {■''). In questi casi approva il supplizio dell'animale anche il Chia- ro nel secolo XVI {■'^). Confermano poi la esistenza di colai pratica il Farinaccio nel secolo seguente ('^), il Bonifacio nel XVIII (^^), e se ne ha esempio del 1741 a Parigi (^') ; (51 _) Saclisensp., Ili, 4. Schwabensp. Lassb. 254. Osenbrùggen cit., p. 144. Zeit. fùr deut. Rechi., \, p. 18, XVIII, p. 99. (52) V. la mia Storia del diritto italiano, voi. Y, p. 5H. (53) Mémoires cif., p. 425. — Qualche volta l'animale uccide- vasi prima di gettarlo ad ardere; nel 1601 s'impiccarono l'anima- le e la donna, e, dopo morti, s'abbruciarono. Thémis, Vili, p. 59 s. Mémoires, p. 426, e Répertoire universel de jurisp. V. Beslialité. (54) Loc. cit. (55) Pract. et theorica criminalis, q. 148, 46. (56) Instit. crim. venet. 1768, 1. 3, t. 5, n. 57. V. anche Can- tera, Questiones crimin. Salmanticae, 1589, n. 507. (57) Rousseaud de la Combe, Traile des matières criminel- les. Paris, 1785, p. 31. - \:a — scnoocliè questa volta il parlamento nella sua sentenza or- dinò che, mentre l'uomo doveva perire sul rogo, l'animale venisse scannato e sepolto. E che dovessero perire d'una stessa morte contemporaneamente l'uomo e l'animale è prescritto ancora nel 1709 dalla Costituzione criminale di Maria Teresa {•'*)-. laonde può dirsi che il costume in di- scorso durò tino al codice di Giuseppe 11. E certamente anche in questi crimini faceva mestieri constatare colle pro- ve legah l'identitò dell'animale; ma del resto comunemente non s'istruiva contro di esso formale processo, compren- dendolo nel processo e nella sentenza contro dell'uomo, che erasi servilo del bruto per infrangere le leggi della na- tura (^9). Fino ad ora abbiamo veduto attribuita agli animali la personalità per farli responsabili dei mali da loro commessi, accordando ad essi per ciò personam stanai in iudicio. Riconosciuto ai bruti un tale carattere per gli istinti mal- vagi, era naturai cosa l'estendere questa veduta anche agli istinti buoni degli animali. È noto l'attaccamento che alcu- ni di essi dimostrano pei loro padroni, e come inveiscano contro coloro che a questi portano offesa, massime se li abbiano uccisi. Nessuna meraviglia pertanto che, in un tem- po, in cui si poteva decìdere una questione giuridica met- tendo ciascuna delle due parti un campione prezzolato a combattere, e si dava poscia ragione a colui il cui campione riuscia vincitore, nessuna meraviglia, dico, che si facesse duellare il cane dell'ucciso col presunto autore dell'omici- dio, come venne effettivamente giudicato a Parigi ai tempi (58) 74, 6. Confr. Const crim., Cart. 416, che può intendersi nel medesimo modo, attesa la pratica comune. (59) Mémoires cit., p. 425. (60) Laurière, Dictionn. dii droit frangais, I, p. 264, e Rime e prose di alcuni Cinofili vicentini. Venezia, 1826, p. 75 ss. V. anche ib., p. 306. - d52 — di Carlo V contro certo Macario, imputato d'aver ucciso il signore di Montdidier; nel qual esperimento rimase vin- citore il cane C^^), e però convinto della propria reità l'im- putato. Altra volta, sotto eguali condizioni, si domandò al cane anche una testimonianza, o almeno un giudizio, e si rac- contano parecchi di simili casi. Giìi dell'antichità narra Plu- tarco, che Pirro essendosi imbattuto a caso nel cadavere d'un uomo alla cui custodia stavasi un cane, diede sepoltura ajquello e prese seco questo. Pochi giorni dopo, avendo Pir- ro fatto sfilare dinanzi a se i soldati tenendo presso di sé il cane, quando passarono certi uomini, questo incominciò a latrare ed urlare contro di essi per modo, che il re inso- spettitosi potessero essere gli uccisori dell'antico padrone del cane, li fece arrestare; e quelli sorpresi, avendo confes- sato il proprio delitto, vennero debitamente puniti (^^). E Giov. Bettin-Roselli, nel discorso «dell'affezione che l'uomo conserva per la specie dei cani» riferisce, senza indicar dove e quando, d'un altro cane, che condotto davanti a co- lui eh' era imputato d' averne ucciso proditoriamente il pa- drone, gli si avventò contro lacerandogli in più luoghi le vesti; di che quegli atterrito e confuso non seppe più cela- re il suo crimine C^-). In Isvizzera poi, nel cantone di Basilea, valeva il singo- lare costume, che se taluno aggredito nella propria casa di nottetempo, cioè dopo la campana dell'ire Maria^ non ha famigliari, che possano assisterlo della loro testimonianza per far punire il colpevole, o per provare la necessaria di- fesa, qualora l'avesse ucciso, deve prender seco tre tegole del coperto e il proprio cane, se Io ha, e se non ha cane, il (61) Plutarco, Moralia. Parigi, "1844, p. 180, dove liferisco an- che altri simili latti. (62) Rime e prose cit., p. 49. — 453 — gatto 0 il gallo, come più gli piace, e comparire con essi in giudizio, dove, coli' appoggio di questa solennitù, egli ha di- ritto che si presti piena fede alla sua asserzione. È evidente che il cane, il gatto ed il gallo, che sono i precipui animali domestici, assumono in questo caso T aspetto di simbolici testimoni, pel difetto dei testimoni umani. Il suddetto co- stume, confermato ancora dalla Landesordnung del ^6^^ (art. 68), scompare, per ciò che concerne gli animali, in quella deM 654 (6^). (63) Osenbrùggen, Studien cit., p. 143. — Mùller, Storia della Svizzera, III, p. 258. — Grimm^ Deut. R. Alter.., p. 588, e Zeitschr. fùr gesch. Rechtswissen., II, p. 80. L A MSKliHZIOSE iìEf GRiM E DELIE FiRll SECONDO LE PROPOSTE ENGRAND E TORELLI. Relazione DEL s. e. GUGLIELMO BERCIIET Nella pi'ima adunanza ordinaria dell'Istituto per l'anno 4 884-85, cioè nel novembre del 1884, fu presentata, fra gli altri lavori, una memoria del membro effettivo conte Luigi Torelli, col titolo: La conservazione delle farine. Suo sco- po era quello di mostrare come si possano conservare le farine a tempo indefinito e con metodi non difficili, e come invece per incuria ogni anno vada in rovina una gran quan- tità di grano e farine a danno dei proprietarj e conseguente- mente a danno della pubblica riccbezza. Dopo di aver la- mentato quanto in Italia siamo ancor lontani dall' utilizzare convenientemente i! principio scientifico della sottrazione dell'aria per la conservazione dei commestibili, e dopo di aver citato l'esempio della conservazione dei grani nelle fosse, in uso già nei secoli passati presso varie nazioni, il senatore Torelli esclama : « Oh perchè non si prese una botte conte- nente una cinquantina di quintali di grano, e perchè dopo di averla perfettamente riempiuta, non si estrasse con mac- china pneumatica tutta l'aria, e non si mantenne in quello To,no IV, Serie VI. 21 — 150 — stato cinque, sei o selle anni? Se il grano si conservasse perfettissimo come quello delle mummie d'Egitto, non vi parrebbe che la più ovvia, la più sana, anzi la più lodevole di tulle le speculazioni sarebbe quella di acquistarne alle epoche dei prezzi bassi? Credete voi che, divenuta generale questa pratica, si vedrebbero quegli esquilibri che oggidì si vedono nei prezzi delle farine?» (Atli Istituto, tomo III, se- rie VI, pag. 64). La memoria del Torelli, presentata allìstiluto nel no- vembre 188 5, venne stampala nel successivo dicembre. Ora nel mese di settembre di questo anno, mi cadde sott'occhio il Bollettino agrario del 15 agosto 1885 del no- stro Consorzio agrario di Venezia, dove a pagina 212 leg- gesi il seguente articolo: a La conservazione dei cereali. » Il sig. Engrand, antico direttore dei doks liberi di Marsiglia, ha testé inventato un nuovo sistema per la con- servazione dei cereali, sistema che, per lo speciale interesse che presenta per l'agricoltura e per il commercio dei gra- ni, crediamo utile portare a conoscenza dei nostri lettori. » L'invenzione del sig. Engrand riposa sul principio de- gli antichi siliis dei cinesi, degli arabi, dei romani, trasfor- mati però con lutti quei perfezionamenti che la scienza ha messo oggi nelle mani dell'uomo. I nuovi silns Engrand so- no grandi cilindri in ferro, alti selle metri, di forma coni- ca alle due estremità, e della capacità di iOO a 120 tonnel- late. A differenza degli antichi, questi silus invece di essere sepolti sotto terra, riposano sopra una base in muratura di melri 1.70 di altezza dal suolo, ciò che permette di rilira- re comodamente il grano dalla loro estremità inferiore, me- diante un sistema tubulare col quale i sacchi si empiono automaticamente. A due metri circa di distanza, un'alta muratura circonda il cilindro, e lo spazio viene riempilo di teira o sabbia, mettendo così il cilindro stesso al riparo dalle intemperie e variazioni atmosferiche. 1) Con un sistema di piccoli vagoni che scorrono su rotaje, il silus Engrand, che si riempie dalla sua estre- mitù superiore, può in brevissimo tempo ricevere fortissi- me quantità di grano; una volta poi chiuso ermeticamente, una macchina pneumalica opera il vuoto dentro il cilindro^ e rende impossibile lo sviluppo delle larve che distruggono ed alterano i grani, che in tal caso possono conservarsi in perfettissimo stato per un tempo indefinito. » I vantaggi che questo nuovo sistema di conservazione è chiamato a rendere al commercio dei grani sono incon- testabili, e si riassumono in facilità ed economia di co- struzione sul prezzo dei granai attualmente in uso, e ga- ranzia di perfetta ed infinita conservazione dei cereali. I) Per mettere poi questo sistema alla portata dell' agri- coltura e del piccolo commerciante in granaglie, il sig. En- grand asserisce che basterà sopprimere la macchina pneu- matica, la quale domanda maggiori spese di impianto, ed il grano in quei cilindri si conserverà in perfettissimo stato durante parecchi anni. » Tutti i vantaggi di questo sistema sono chiaramente spiegati in un opuscolo che l'inventore ha fatto uscire alle stampe in Marsiglia, e nel quale gli interessati potranno at- tingere tutti questi schiarimenti che non è concesso di da- re nelle colonne di un giornale. « Non havvi chi non comprenda a prima vista, come in questa descrizione la cosa essenziale sia l'estrazione dell'a- ria. Posta a confronto l'accennata invenzione dell' Engrand colla memoria letta all' Istituto dal conte Torelli, si rimane colpiti, conie quasi contemporaneamente siasi espressa la medesima idea da questi due egregi, l'uno in mezzo alle Alpi, vecchio cultore di econounu politica, l'altro, uomo pratico, in riva al mare a Marsiglia. — 158 — « Ma come mai, esclama il Torelli, non si prese una botte, e non la si riempi di grano, e poi non si cavò l'aria con una macchina pneumatica? » « Si costruiscano cilindri in ferro, suggerisce il sìg. Engrand, di forma conica alle estremiti!!, si riempiano di grano e si cavi l'aria mediante una macchina pneumatica ». Ove è la differenza? iNon nella operazione che è iden- tica, ma solo nella botte che contiene 5 tonnellate e nel ci- lindro che ne contiene 100. L' Istituto veneto lesse il lavoro del Torelli nel novem- bre 1884 e lo pubblicò nel decenìbre dello stesso anno. Il sig. Engrand pubblicò il suo opuscolo nell'aprile 1885, ed egli stesso vi stabilisce la data, 25 marzo 1885, che tro- vasi in fine dello stampato. Egli prese il privilegio per quin- dici anni. Lungi da me ogni idea di farmi giudice di questo privi- legio che riguarda il sig. Engrand. Noto soltanto che se in Italia, qualunque persona prendesse in luogo del cilindro in ferro di quella forma, una botte a tenuta d'aria, o un ci- Undro di forma diversa, e li riempisse di grano e vi estraes- se l'aria con una macchina pneumatica, nessuno potrebbe impedirlo, perchè basterebbe citare il Torelli ed il suo scrit- to che rimonta al novembre 1884 e che fu pubblicato assai prima di quello del sig. Engrand. Dopo questa osservazione, nìi è necessario dichiarare, che è ben lontano da me il convincimento che il sig. En- grand abbia presa l'idea dal Torcili e ne abbia proposta l'applicazione in più vasta scala. Il crederlo sarebbe un er- rore, perchè possono casualmente incontrarsi eguali idee in persone che si occupano dello stesso argomento, anzi riten- go che il primo a difendere l'Engrand dall'accusa di plagio sarebbe lo stesso Torelli. Egli in fatto consacra gran parte della memoria, leda all'Istituto, per provare quanto lenta sia l'applicazione pra- — 159 — tica di un principio riconosciuto utile, la diffusione di una scoperta, di un rimedio anche efGcace, e cita in prova la coltivazione del pomo di terra e la solforazione della vite. I più benemeriti non sono sempre quelli che primi annun- ciano una scoperta, od introducono una cosa nuova, ma quelli che la rendono popolare, accessibile, che fanno in modo che dia realmente il frutto che può dare; epperò, ve- nendo al caso concreto della scoperta intorno alla conser- vazione degli alimenti, che non avrebbesi potuto ottenere dall'applicazione su grande scala del principio della sottra- zione dell'aria, da quando fu enunciato la prima volta? È un fatto che dopo si lunghi anni dalla scoperta di Appert, che rimonta nientemeno che alla fine del secolo passato, l'applicazione dell' Engrand è la prima che, in grandi pro- porzioni e con ogni minuta particolarità di esercizio vicn fatta ai grani, e come non può a meno di riuscire, a nessu- no farà tanto piacere quanto al Torelli, perchè realizza un vivo suo desiderio, espresso in modo cosi rimarchevole, così persuadente nella Memoria, comparsa alcuni mesi prin)a. Né io avrei certamente sollevata la questione, per ri- vendicare all'Istituto una priorità, che se pur gli è onore- vole non è di pratica utilità. Volli soltanto richiamare la vostra attenzione su quanto sarebbe da farsi per rende- re proficue le due proposte, che coincidono nell'idea e nel fatto. Nati casualmente nella stessa epoca i due lavori del To- relli e dell' Engrand si completano a vicenda, tendono allo stesso scopo, per la medesima via, uìa differenziano nei mezzi meccanici, nella misura dei capitah da impiegarsi e nel campo di operazione. L' Engrand mira ad una speculazione in grande. Diret- tore dei dóks di Marsiglia, immagina cilindri che conten- gano da 100 a 120 tonnellate, valori cioè dalle 20 alle 25 mila lire cadauno; sopportano quindi le spese ingenti di — 100 — rinipianlo, con beneficio degli speculatori e del pubblico. È ciò appunto quello che si richiede in un gran centro di commercio dei grani, in gran porto di mare, a Marsiglia. li Torelli invece ha in vista particolarmente la conser- vazione delle farine anche in piccola quantità. I suoi espe- rimenti sono a piccola scala: vuole che non costino e che si possano fare ovunque siavi una persona di buona volontà. Non potendo aversi macchine pneumatiche si sostituisca la compressione, riempiendo perfettamente i vasi e sottraen- doli a! contatto dell'aria. Non si tratta di centinaja di ton- nellate o d'impiego d'ingenti capitali, si tratta anche di po- chi chilograiDini e di modfstissime somme, ma il campo di operazione abbracciato dal Torelli è diverso e più vasto. L'Engrand si rivolge ai ricchi negozianti e dice loro: « Io vi [)ropongo l'applicazione in grande del principio della sottrazione dell'aria per la conservazione dei grani in mas- se di centinaja di tonnellate, che potete tenere in serbo col- la certezza che si manterranno perfetti». Il Torelli invece si rivolge al piccolo negoziante, che è a contatto colle po- polazioni agricole, al modesto proprietario, al capo di fami- glia e dice : « Voi dovete aver ben cura della farina da te- nersi lontana dall'umido e dal contatto dell'aria. Il metodo migliore sarebbe di poterla tener chiusa in vasi, dai quali fos- se espulsa l'aria con macchina pneumatica, nia siccome que- ste macchine non sono alla portata d'ognuno per il loio co- sto, potrete sostituirvi la pressione tanto migliore quanto più potente, tenendo il vaso fuori dal conlatto dell'aria quan- do si estiae la farina. Non occorrono grandi recipienti. Ec- co la sintesi di quanto propose il Torelli nella sua Memoria. Ora se il consiglio del senatore Torelli fosse applicato in vasta scala, fosse cioè generalizzato, gli effetti ne sareb- bero grandi, perchè se l'unità di applicazione è mode: ta, la quantità dei casi la renderebbe rilevante. Le centinaja di ricchi negozianti di grani che trafficano — 461 — per milioni, seguendo il consiglio dell'Engrand, risparmiano come mille in cento casi; le migliaja invece di piccoli ne- gozianti, proprietarii e coloni risparmieranno come dicci, ma moltiplicato questo dieci per molte migliaja di casi, il risparmio riuscirebbe del pari, e forse più, ingente nell'eco- nomia nazionale. Ecco perchè, a mio avviso, le proposte Engrand e To- relli collimano fra loro e si completano a vicenda. Sono am- bedue pratiche, e meritano di essere entrambe diffuse. E in ciò si riassume la proposta che ora mi permetto di presentarvi, I corpi scientifici, oggidì, sono tanto più benemeriti quanto più rivolgono i loro studj ad argomenti di pratica utilità. Nel positivismo moderno, si apprezza altrettanto una idea pratica di immediata utilità, quanto e forse più di una speculazione scientifica di utilità più remota. E l'Istituto veneto ha dato ben luminose prove di apprezzare questa sentenza. Laonde io mi permisi di richiamare la vostra at- tenzione sulla proposta Engrand, applaudita e privilegiata in Francia, tanto più che così venni a rendere omaggio all'Isti- tuto medesimo che avea ancor prima accolto con favore la eguale proposta del senatore Torelh. E siccome ufficio di un corpo scientifico è quello di diffondere il più possibile le buone idee, che basate sui portati scientifici possono riu- scire di utilità generale, io mi auguro che, o direttamente se le condizioni e i regolamenti dell'Istituto il consentano, o indirettamente mediante l'autorevole suo appoggio morale, si pubblichi la traduzione dellla Memoria dell'Engrand, in- sieme a quella parte della Memoria del Torelli che riguarda specialmente la questione pratica, per poterle distribuire in un opuscolo a tutte le Camere di commercio e a tutti i Giornali agrarj del regno. COMPLESSI E SISTEMI LINEARI DI RlGGl NEGLI SPIZ! SUPERIORI - CURVE NORMALI GRE ESSI GENERANO. MEMORIA DEL PROF. G. A. B 0 R D I G A I. Quando nello spazio fondamentale R^^ due sistemi reciproci sono posti in modo tale che ogni spazio 0,,^_i dell'uno passi per il punto co^, che gli corrisponde nell'altro, essi sono in involuzione e il loro insieme costituisce il si- stema focale ad n dimensioni. Ogni retta g^ non può incontrare in un solo punto lo spazio G,,_2 che le corrisponde. Infatti, se jy^ incontrasse G„_2 nel punto H^, , ogni spazio S„_, del fascio di pri- mo ordine, che è portato da G,i_<ì , dovendo avere per corrispondente un punto di ^, , avrebbe in comune con questa due punti ; e però la dovrebbe contenere intera- mente. Due soli spazi, come S^,_, , potrebbero sodisfare alla condizione di contenere la retta g^■. lo spazio (5'|G^^_,J e lo spazio corrispondente al punto lì(j . Dunque; Una retta g, o non incanirà lo spazio corrispondente, 0 vi è contenuta per intero. Si consideri ora un piano g„^ e lo spazio G„_3 corri- spondente; e si supponga che il primo tagli il secondo in una retta H^ (un piano ed uno spazio ad n — 3 dimen- sioni, nello spazio R„ non hanno, in generalo, alcun pun- Tuma IV, Scr:e VI. 22 - i64 — to comune). Ogni retta m, del piano g^ avrà per corri- spondente uno spazio M,^,,, che contiene G,^_^ ; quindi la retta m^ , per quello che fu detto antecedentcMiienle, sa- rò tutta contenuta in M,;_2 ; ^d M,^_2 , contenendo le due rette ?w, ed Hj del piano g^ conterrà tutto il piano medesimo. Dunque g^ deve essere contenuto in tutti gli gli spazi, come M^_2 , che passano per G„_3 e che sono corrispondenti alle rette del piano g^ . Se g^ non fosse per intero contenuto in G^_^ , due soli sarebbero gli spa- zi, come M/^_o , che potrebbero contenere la retta m^ corrispondente: lo spazio che proietta G,^_s da un punto qualunque di ^^ e lo spazio della stella (G^^J corrispon- dente alla retta H, . Ne segue che: il piano §3 , se taglia lo spazio corrispondente G„__^ secondo una retta, deve essere lutto contenuto in questo spazio. Supponiamo ora che (jr, abbia in comune con G,^_3 un solo punto H;, . Ogni retta m^ del piano, che passi per Hq dovrà essere contenuta, come abbiamo dimostrato più sopra, nello spazio IVI„_2 che le corrisponde. In que- sto caso adunque: il piano g, contiene un fascio di raggi del primo ordine, i quali si trovano nei loro spazi corrispondenti ; il centro del fascio è il punto comune a g^^ ed a G,^_3 . Nessuna altra retta del piano g^ incontrerà lo spazio che le corri- sponde. Infine : se il piano g, non incontra Gn_-^ , esso non può contenere alcuna retta che giaccia nello spazio che le corrisponde. Si consideri uno spazio g^ e lo spazio G^_4 corri- spondente; e si supponga che il primo tagli il secondo in un piano H» (in generale nello spazio fondamentale R^ due spazi, l'uno ad ìi — 4, l'altro a 3 dimensioni non hanno alcun punto comune). Ogni piano w» di g. taglierà Ho — 1G5 — secondo una reità 5, ; perciò lo spazio M^j_. corrispon- dente ad m^ conterrà m^ . Ne segue che: lo spazio gj sarà tutto contenuto in G,._4 . Se ^3 taglia G,^_j secondo una retta H^ , tutti i piani del fascio di primo ordine^ che ha per asse H^ e che si trova in gj , saranno contenuti nei loro spazi corri- spondenti. II ragionamento che abbiamo applicato alle rette, ai piani ed agli spazi ordinari g^ , g^ , g, , può estendersi, senza alcuna difGcoltà, ad uno spazio qualunque. Si conclude in generale: Se uno spazio g,„ incontra il suo spazio corrispon- dente G,2_,„_i secondo uno spazio H,„_, , esso vi è tutto contenuto ; se lo incontra secondo uno spazio \l„j_; , tutti gli spazi ad m — i 4- I dimensione che contengono H,„_^- sono situati nei loro spazi corrispondenti. Quìnòì anche: tutte le rette di g,,^ che incontrano H,„_; in un punto qualsivoglia sono situate nei loro spazi corri- spondenti. Se n è dispari {n=z2p -{- \) lo spazio g ha per J! — l corrispondente uno spazio di eguale dimensione; ed in que- sto caso: ogni spazio g 0 non ha alcun punto comune collo spazio G corrispondente ovvero coincide con esso. 2. Tutti i raggi ^r, che passano per un punto /?(, han- no per corrispondente gli spazi G,^_2 contenuti in P^_, il quale corrisponde a /)„ e passa per esso. Tutti i raggi adunque che passano per p^^ e che sono conlenuli in V ^_^ incontreranno gli spazi corrispondenti e quindi vi saran- no contenuti per intero. Vogliamo ora diiiìostrare che la corrispondenza reci- proci tra i (lue sistemi sovropposti nello spuizio fondamen- tale R^^ è stabilita in dtippio modo: che cioè qualsiasi puu- - -1G6 - to dello spazio, considerato come apparlenenle all'uno od all'altro dei due sistemi sovrapposti ha sempre lo stesso spazio per corrispondente. Si considerino perciò n — I raggi g^ passante per il fuoco 7>,ì di P/^_, contenuti in P,^_, , e tali che un nu- mero m di essi, presi ad arbitrio (m> l), non si trovino in uno stesso spazio ad m — I dimensione. Questi raggi, considerati come appartenenti al primo sistema, bastano a determinare lo spazio g,j__i (ossia P/^_,) del primo si- stema, al quale spazio corrisponderà, nel secondo sistema, il punto Q„ determinato dagli n - i spazi G,^_^ corri- spondenti alle rette g^ ; questi n — i spazi concorrono tutti nel punto Pq. Dunque Q^ e p.^ coincidono. Vale a dire, lo spazio P,j_,7„_i , considerato come appartenente all'uno od all'altro sistema, ha sempre per corrispondente lo slesso punto p„Q,j {') . Si può dunque concludere che: Tutte le rette che giacciono nei loro spazi corrispon- denti e die passano per un punto P^ formano una stella tutta contenuta nello spazio P„_i corrispondente a P^, . Diremo direttrici del sistema le rette che giacciono nei loro spazi corrispondenti ; e diremo complesso lineare di raggi, nello spazio fondamentale R,^, il complesso di tutte le direttrici del sistema focale. Da ciò che è stato dimostrato più sopra si deduce: Se m raggi del complesso si incontrano in un punto V^) e determinano uno spazio ad m dimensioni, tutte le rette di questo spazio die passano per P„ fanno parie del complesso. 3. Siano H, , ìì,i_ le quali deter- minano uno spazio ad n — I dimensione, si appoggiano alle coppie H/ ' H«_2 e quindi sono direttrici del sistema focale; il loi'o punto di concorso Qq è il fuoco (2) dello spazio Q/^^i che le contiene. Inversamente: dato il fuoco Qy , sì trova il suo spazio focale, proiettando da Q^ tutte le rette H/'^ ; ogni piano Q,,{H/'') taglia H/,_2 in un punto M^j'K Gli n — \ punti M,/'^ insieme al punto Q,, determineranno lo spazio Q^_i . Infatti le rette M,/'' Qo si appoggiano a due elementi coniu- gali e perciò sono rette direttrici del sistema. 5. Vn {n-{-2)-gono semplice, i cui vertici siano posti in modo tale che m tra essi quali si vogliano {m>-2) non si (rovino in uno stesso spazio ad m — 2 dimensioni, de- termina un sistema focale di cui ogni lato del poligono è un raggio direttore. Siano n^/*',ao(^^....no*')....0„("^*),D,/''^') i ver- tici del poligono e si faccia corrispondere H^/'^ allo spa- zio determinato da tutti i vertici, eccettuati Xli/*"""^ ,DJ'~^\ La corrispondenza proiettiva dei due spa/.i sovrapposti nel- lo spazio fondamentale sarà pienamente stabilita (si sa che la corrispondenza proiettiva di due sistemi ad n dimen- sioni è stabilita, quando sia data la corrispondenza degli elementi di n-\-2 coppie). Il lato n^/'^ .Qi/'^*) corrispon- derò allo spazio determinato da tutti i vertiri del poligono, eccettuati Hq^'"*^ > ■^o^'"^^ > •^-o^^'"^^ > ® quindi sarà tutto contenuto in codesto spazio. So i due sistemi s(iVrapposli così detcrminati iii>n costi- tuissero insieme un sistema focale, allora il luogo di tutti — -100 — i punti siluiiti nei loro spuzi corrispondenli sarebbe una quiicirica ;ul n — 1 dimensione (^). Questa quadiici con- terrebbe gli spazi ad n — 2 dimensioni che corrispondono ai lati del poligono dato. Essa avrebbe dunque iu comune, ad es., collo spazio due spazi ad n — 2 dimensioni : sL ^ = {n,('^n^'^ n,(") .Q„(«^M) ; (15) edi pili ilpuntointersezionedi Xn^i con il lato flo^'^Ho^*'. Ciò che è assurdo. I sistemi reciproci sovrapposti, determinati dall' (w+2)- gono nel modo che abbiamo detto, costituiscono dunque un sistema focale. 6. Tutte le rette, i cui spazi coningtiti sono all'infinito saranno dette diamelri del sislerna focale; e saranno detti spazi diametrali quegli spazi ad ^n — I , ti — 2 , w — 3 dimensioni i cui fuochi, rette, piani coniugati sono all'in- finito. Tutti i diametri e spazi diametrali passano perii fuo- co dello spazio all'infinito Rx dello spazio fondamenta- n—ì le. Quindi risulta : / diametri del sistema focale sono paralleli tra loro e paralleli agii spazi diametrali. Tutte le direttrici del sistema focale situate in uno spa- zio R„_^ sono parallele perchè passano per il fuoco dello spazio Rx , che è all'infinito. La stella di raggi paralleli che n—ì (1) Vedi mia nota sulla Corrispondenza di polarità negli spazi superiori. Atti dal R.. Istituto veneto, voi. Ili, sev. VI, i). 2097. — 170 — esse costituiscono non cangia quando la si sposta nella di- rezione del diametro. Cioè : // complesso lineare ed il sistema focale che vi si rife- risce non cangiano quando vengono spostati secondo la direzione dei diametri paralleli. Si consideri uno spazio Q„_, parallelo ad una coppia H,H,j_2 . Esso taglierà i due elementi della coppia, rispet- tivamente, in un punto M,, ed in uno spazio N^^_3 , che sono posti air inlìnito; M,, ed N,j_3 determinano lo spa- zio 2„_5 che passa per Q,, , cioè per il fuoco di Qn_i (3); lo spazio 2,j_5 essendo all' infinito, sarà pure all' in- finito Q,) , cioè Q,,j_i sarà uno spazio diametrale. Vale a dire: Ogni spazio parallelo ad una retta e allo spazio che le è coniugato è uno spazio diametrale del sistema focale. I fuochi di tutti ;^li spazi ad n — I dimensione paralleli tra loro sono situali su di un diametro il cui spazio coniu- gato è lo spazio all'infinito secondo il quale s'intersecano tutti quegli spazi paralleli. II diametro A, che contiene i fuochi di tutti gli spazi ad n — I dimensione perpendicolari ai diametri (^) può (1) Una retta Gj dicesi perpendicolare ad uno spazio Rn— i in un punto ilo di questo quando è pei'pendicolare a tutti gli spazi che passano per il,) e che sono contenuti in Rn— i • (1) Quando una retta Gì è perpendicolare a due spazi Q Q _„ che passano per ilo e che sono contenuti in Rn—i , essa è perpendicolare a tutti gli altri spazi che passano per il,) e che sono contenuti in Rh_i e quindi è perpendicolare ad Rji_i . Questo teorema è dimostrato per nzz:3 . Supponiamo n — A : e sia Gj perpendicolare a due piani O^^ Q ' , contenuti in uno spazio R3 che passi per il piede il,); essa sarà perpendicolare a due rette arbitrarie condotte per ilo « giacenti rispettivamente noi due piani suddetti ; quindi sarà anche perpendicolare al piano - 171 - dirsi Yasse principila del sistema focale e del complesso li- neare corrispondente. Questo asse è normale a tutte le di- rettrici che lo incontrano. Ogni spazio ordinario che passi per l'asse A, e per una retta arbitraria G, taglia lo spazio G,^_^ coniugato a questa secondo una retta, la quale è con A, e con G^ sovra uno stesso paraboloide equilatero. 7. Una stella, il cui centro ,Q , è situato sull'asse A, , ha per coniugato nel sistema focale un sistema A,j_j che è normale all'asse principale in .Q,, • Ad ogni spazio G,,^^ contenuto in A,j_, e tangente ad una sfera S'^„_2 di cen- tro Ho , corrisponderà una retta G^ della stella Oq . Siccome per ogni spazio M,j_^ di A,^_i non si possono condurre che due spazi G^^_^ tangenti alla sfera, così in ogni piano M^ (corrispondente ad M,^_^) delia stella D.q non si troveranno che due rette G^ . Dunque alla sfera S*/2_2 corrisponde un cono C'^„_c^ . Rispetto alla sfera S^^^_2 il punto D.q è il polo dello spazio Ax all'infinito di A^_i ; quindi, reciprocamente, 71—2 lo spazio A„_^ (corrispondente ad Ilo) ^ '^ spazio pò- (31 Ql, che queste due rette determinano nello spazio R3 ; la retta G, è dunque perpendicolare a qualsivoglia piano condotto per fì(, e CDiiienulo in Rj e quindi è perpendicolare, secondo la defini- zione, ad R3 . Così, in generale , si conducano per i^o due spazi arbitrari S ' ,S „ rispettivamente contenuti in Q „ , Q _„ ; essi sa- ranno, per definizione, perpendicolari a G| e qnindi sarà perpen- dicolare a Gj anche lo spazio K,i -2 determinato da essi . Per- ciò G( è perpendicolare a tutti gli spazi Kn-2 che passano per il suo piede e che giacciono in Rn—l • La dimostrazione è gene- nerale perchè è verificata pei casi particolari di yjir:3,nrz4. Tomo IV, Serie VI. 53 — 17-2 — lare iK'liasso principale A, /corrispondente nd Ax \ ri- V n-2/ spetto al cono C'^„_o . Si consideri ora in A„_, una retta B^ passante per Xlo ed uno spazio F„_5 passante per lo stesso punto e perpendicolare a B^ . Si sa (I) che nella stella iì^^ lo spazio B„_„ coniugalo a B, conterrà B^ ed il raggio F, sarò contenuto in F„_5 . [ due elementi Bj ed F^_, sono coniugati rispetto alla sfera S^,j_2 , perciò reciproca- mente, B„_5 ed F^ saranno coniugali rispetto al cono C''„_2 . Lo s[iuzi() A^_, è dunque uno spazio di simmetria del cono C\j_<2 ed ogni raggio condotto per Xl^ e situato in A,^_, è un asse principale del cono. Si conclude: Ad ogni sfera ad n — 2 dimensioni che ha il centro sull'asse principale A^ e che è contenuta in imo spazio normale all'asse, corrisponde nn cono di rivoluzione, di cui A^ è l'asse di rivoluzione. Se dunque si fa ruotare intorno all'asse principale un punto ed il suo spazio focale, il punto descrive una sfera e lo spazio focale inviluppa il cono che corrisponde alla sfera. Cioè: Una rotazione intorno all' asse principale non mula il sistema focale ed il complesso lineare di raggi. Come pure non muta il sistema se lo si fa ruotare in- torno all'asse imprimendogli , nello spazio fondamentale, nn movimento parallelo all' asse. 8. Consideriamo ora nello spazio fondamentale W.,^ due sistemi focali. Per ogni punto P^ di R^ passeranno due spazi focaii P«_tP _t i quali si incontreranno in uno spa- zio Q„_i ; tutti i raggi che passano per P^, e contenuti in Q/._2 saranno direttrici comuni ai due sistemi focali. — 17 J ~ Dunque: due complessi lineari di raggi, in uno spa- zio fondamentale R^^ hanno in comune un sistema ^[, di raggi tale che per un punto qualunque dello spazio non passa, in generale, che una stella ad n — i dimensione di questi raggi. Sia Qn-'i ""3 siella di 4, , Q,^, il suo centro e S^_, uno spazio che contenga Q^_2 . Ad ogni punto S^ di X,j_i si faccia corrispondere lo spazio ad » — I dimen- sione che da Xl^ proietta la stella del sistema la quale ha il centro in S^ . Ai punti di una retta qualsivoglia cif di S,^_( corrisponderanno gli spazi ad n — 1 dimensione che passano per Hy e prospettivi alla retta ct^ ; questa e lo spazio Q„_^ , essendo ambedue contenuti in S,^_, , han- no un punto comune B^ ; I1^)B^J ò un raggio della stella Qn-'i • A.' punto Bo di S,^_i corrisponderà dunque nella stella \ì(^ uno spazio che contiene il raggio ì1,)Bq . Ogni spazio ordinario 2, che contenga il piano D.^^{tx^) taglia tutti gli spazi ad n — I dimensione della stella fì^ in al- trettanti piani che proiettano il sistema rigato secondo il quale 2:3 taglia le stelle Sj'^S(/^^S,/^\...Bo che hanno i centri su ^j ; è una retta di questo sistema rigato anche B^, . Il sistema di piani contenuto in Sj è dunque un n -0^0 fascio di primo ordine. Tutti gli assi di questi fasci di piani ottenuti coir intersezione di uno spazio ordinario qualsiasi che passi per il piano D.o(ai) formano una stella proietti- va alla stella dei raggi di 4, le quali hanno il centro su «j ; e perciò tutti quegli assi di fasci di piani formano una stella ad n — 2 dimensioni. Siccome tutti questi assi sono conte- nuli in ognuno degli spazi ad n - ì dimensione che da jQ„ proiettano le stelle S^}^^SJ'^^S^''\...B^) , cosi è chiaro che tutti questi spazi liauno in comune la stella di quegli assi, e cioè formano un fascio del primo ordine. Concludiaujo uduiique che io spazio 2._( e la stella n^J sono in tale corrisspondenza tra loro che ad ogni pun- — 174 — to dell' uno corrisponJe uno spazio ad n — I dimensione dell'altra, ad ogni retta punteggiata, un fascio di primo or- dine di spazi ad n-i dimensione; che, cioè, 2„_i eia stella lÌq sono posti in corrispondenza reciproca dal si- stema 4' • 9. Si tagli il sistema -^ con altri n — 3 sistemi fo- cali ; avremo dunque in R^ n — 1 sistemi focali ; per ogni punto dello spazio passerà una retta direttrice comune a tutti i sistemi focaii; è la retta secondo la quale si inter- secano gli 11 — I spazi focali di quel punto. Cioè: Q — I complessi lineari situali in nno spazio R^^ han- no in comune nn sistema 4> di raggi di primo ordine. Gli n — 3 sistemi focali introdotti tagliano, come ab- biamo veduto, ogni stella di -^ , cbe abbiaci vertice in un punto S^, di 2„_, , secondo un raggio i\ di e de- terminano, sullo spazio che da jQ,, proietta la stella Sq , un piano fji^ passante per Hq ; si potrà considerare il raggio r^ come corrispondente a fx^ . La stella D.^ , che ha il centro su di un raggio di $ è prospettiva al si- stema di raggi di $ ; 2„_i è uno spazio arbitrario che contiene una stella Q,j_o del sistema 4-; esso potrà es- sere posto in corrispondenza collineare con qualsivoglia (1) altro spazio S«_i che passi por quella stella mediante il sistema dei raggi di $. Infatti ad ogni punto K^ di 2„_t corrisponderà il punto K,/^^ dove il raggio r, del sistema (0 di t^ condotto per Kq in contra E,;_i ; lo spazio della stella Q„_2 corrisponderà a sé stesso. Si conclude: Il sistema di raggi di primo ordine è tagliato da due spazi ad n -I dimcnsinnr condotti per vnn stella Q,._o secondo due sistemi collineari; le rette che congiungono - 175 ~ le coppie di punti corrispondenti sono i raggi del sistema ; la stella Q„_o, è nn elemento corrispondente comune. Se si proietta il sistema <^ da un altro centro O^/'^ (<> preso su di un altra stella Q del sistema, si avià un'al- n-i tra stella n^^*^ prospettiva a <ì? ', le due stelle di piani che hanno il centro in D,, ed Xl(/^' saranno poste in cor- rispondenza collineare dai ragj^idi 4^ , Quindi: Due stelle collineari Xl^^ ed Hq^'^ ' che non sono pro- spettive uè concentriche generano^ nello spazio fondamen- tale Il,j , un sistema di raggi che fanno parte di un siste- ma di primo ordine. Le coppie di piani corrispondenti delle stelle che si trovano in un solo spazio a tre dimensioni, de- terminano i raggi del nuovo sistema. 10. Premesso questo teorema fondamentale sul sistema di raggi di primo ordine nello spazio R„ esamineremo ora i casi particclari che si possono avere quando si faccia n-A ,5,0 Vedremo cioè, per ognuno dei valori di », come si modifica il sistema dei raggi generalo dalle stelle collineari quando queste aiìbiano qualche elemento comune. Diremo classe del sistema contenuto in R„ il numero di raggi contenuti, in genei-ale, da uno spazio qualunque ad n—\ dimensione. Ricordiamo frattanto che per n = 3 si ha il noto ìeo- rema (^). Due stelle collineari S , S* che non sono prospettive né concentriche generano un sistema di raggi di primo or- dine, e di più una linea C^ del 3.° ordine che passa per tutti i punii d' intersezione dei raggi omologhi delle stelle. Questa linea C" contiene tutti i punti singolari del sistema di raggi e ogni raggio di questo sistema è urna corda, od (I) RiiYE. Grometrie der Lage. II Abtheilung. Leipzig, 1880. l — 170 — una tangente^ di C^ . // sistema di raggi è della terza^ del- la seconda o della prima classe, secondo che la linea C^ è ima curva sghemba del 3° ordine, o che essa si scompone in una conica ed una retta, e che si riduce alla retta SS* e a due altre rette che incontrano la prima. La linea C passa per i centri S , S* ed è proiettata da essi secondo coni quadrici che, nel secondo e nel terzo caso, possono anche scomporsi in coppie di piani. Il . 71 — 4 . Supponiamo che lo spazio fondamentale sia del quarto ordine; siano lÌq ed n^^*' ' centri delle due stelle colli- neari. Distingueremo quattro casi : l.° le stelle hanno uno spazio a tre dimensioni come elemento corrispondente comune, 2.° un piano, 3.° una reUiì, 4." le stelle non hanno alcun elemento comune. ^ ." Caso. Le stelle hanno come elemento corrispondente comune lo spazio Sj . Ogni spazio Qj che passa per^ Dq taglia 2j secon- do un piano ct„^ ; corrispondentemente, Qj^*^ taglia Ss secondo a^^*^ ; e nello spazio 2^ si hanno due stelle col- lineari proiettive senza alcun elemento comune; ot^ taglia cCj^*^ secondo una corda a^ di una cubica sghemba C^ luogo dei punti comuni ai raggi corrispondenti, situati in Ss , delle due stelle ^l.^^ , fi,/*) ; C^ passa per £1^ ed Uy^*) . Agli spazi ordinari del fascio di primo ordine, nella siella Hq , che ha per base il piano D.^^{a^) , corrispon- dono gli spazi ordinari del fascio che, nella stella Cl^y\ ha per base il piano £ìJ'^\a^) ; questi due fasci hanno come elemento comune lo spazio che contiene C^ ; gli ele- menti corrispondenti dei due fasci si tagliano perciò in piani di uno spazio K^ che passa per la corda a^ . Tre — 177 — spazi come K3 si inconlrauo in una retta m, i cui punti debbono essere punti d'intersezione di raggi omologhi di D-Q ed rJo^*^ 5 ''^ ''^^^3 ''h incontra quindi lo spazio che contiene C^ in un punti di questa cubica. Ne segue che quei piani omologhi, i quali si incontrano in una retta del sistema, hanno un punto comune su C^ ed uno su «f, ; cioè appartengono al sistema tutte le rette che si appoggia- no a C^ ed ll^ . Se si prendono su C^ due altri punti fiQ e fAj'^^ questi si potranno considerare come centri di due nuove stelle collineari tra loro, le quali proiettano lo stesso siste- ma di raggi generato dalle stelle Ho ed r>(/''. Sono spazi corrispondenti di queste due nuove stelle quegli spazi che proiettano una terna di punti, di cui due sono arbitiaria- mente presi su C^ ed uno su n^ , lo spazio che da fjQ e ^.Q^'^ proietta due punti qualunque di C^ ed il punto comune a C^ ed u^ è lo spazio che contiene C^ ed è corrispondente comune alle due stelle ^^ , jU(^^^^ . Ogni spazio ordinario che non contenga C^ taglia, ad es., la retta w^ in un punlo A^ e la cubica in tre punti, al più, B() , C„ , Dq ; esso contiene dunque i tre raggi A"(Bo , Co , Do) de! sistema. Dopo tutto ciò concludiamo: ideilo spazio fondamentale R.^ due stelle collineari, non concentriche e non prospettive, che hanno uno spazio ordi- nario come elemento corrispondente comune, generano un sistema lineare delia terza classe. I punti singolari di questo sistema sono situali su di una cubica sghemba e su di una retta che non sono nello stesso spazio e che si ta- gliano in un punto ; la cubica passa per i centri delle stelle. Il sistema di raggi si compone di tutti i raggi che si appog- giano alla retta /issa ed alla cubica. La retta fissa e la cu- bica diconsi le direttrici del sistema. Il sistema è proiettato — 178 — da due punti qunlunqtie della cubica secondo due stelle col- lineari. -12. 2." Caso. Le stelle collineari II,, ed Hy^'^ hanno un piano 2^ come elemento corrispondente comune. Ogni spazio Qj che passi per lì,, taglia 2^ secon- do una retta a^ e, corrispoudentoiienle, Q^^'^ taglia S, secondo a/^^ ; nel piano So le coppie {a^ a^^*^) deter- minano due fasci proiettivi di primo ordine senza alcun elemento comune; esse generano una conica G^ che passa per II" ed 11,/''. Al fascio di spazi di primo ordine, che ha per base al piano So , considerato come apparte- nente alla stella il^^ corrisponde nell'allra stella un fascio di spazi che ha la stessa base 2^ ; i due fasci hanno al più due elementi comuni Ì]^''^^\]MK In ognuno di essi si de- terminano due stelle a tre dimensioni collineari che hanno un piano comune; quindi in ognuno di essi si detei'mina una linea del 3." ordine, la quale si scompone nella conica C^ e in una retta u^ che passa per un punto della conica. I punti singolari del sistema sono perciò situati sulla conica C^ e su due rette m/*)m/"\ le quali incontrano la conica in punti diversi e determinano col piano di essa due spazi ordinari diversi. Sono spazi corrispondenti nelle due stelle XIq ed IIq^'* quelli che proiettano un triangolo, ogni vertice del quale sia arbitrariamente preso su una delle tre direttrici del siste- ma : la conica C* e le due rette u^''^^u^^'^^ . Ogni spazio ordinario, che non contenga alcuna delle direttrici, taglia, ad es., la conica C^ in due punti A,, , B^ e le rette m/*^Wi**^ in due altri punti P,),Q„. Le rette (Po Qo) , (Po A„) , (Po Bo) , (Qo Ao) , (Qo Bo) sono raggi del sistema. Cioè : — 479 — Nello spazio fondamentale R^ due stelle collineari^ non concentriche e non prospettive, che hanno un piano come elemento corrispondente comune, generano un sistema di raggi della quinta classe. / punti singolari di questo siste- ma sono situali su di una conica e su due rette che si appoggiano a due qualunque delle tre direttrici. Il sistema è proiettato da due punti qualunque della conica secondo due stelle collineari che hanno il piano della conica come elemento corrispondente comune. Le direttrici rettilinee possono essere tutte e due reali e distinte o coincidenti od immaginarie. I 3. 3.° Caso. Le stelle collineari ìIq ed O.^^"^ hanno una retta S, come elemento corrispondente comune. Allora ogni piano Q^ , che passi per 2, e sia consi- derato come appartenente alla prima stella, avrà per corri- spondente un piano Q^^*) della seconda stella passante pu- re per 2, . Qnalsivoglia spazio osdinario R3 che non contenga S^ taglierà i sistemi di piani Q^ e Qj^'^ secon- do due stelle collineari concentriche non prospettive, le quali hanno, in generale, come elementi corrispondenti comuni, gli spigoli a/'\ «1^*^ «1^^^ , e le faccie di un triedro. Questi tre spigoli determinano i piani (Ho i^o^*^) («/^^ , a^^*^ «^^') che saranno elementi corrispondenti comuni alle due stelle Pì^ ed .0.,/'' . Su ognuno di questi piani gli spazi corri- spondenti delle stelle determinano due fasci di raggi di pri- mo ordine che hanno per raggio corrispondente comune la retta floilo^'^5 determinano cioè una retta u^, in ogni punto della quale si intersecano i raggi corrispondenti. Adunque lutti i punti singolari del sistema sono situati 8U quattro direttrici rettilinee, cioè sul raggio 11„ £l^^'> comune alle due stelle e su tre rette (ìsse «/'' , u/'^^ , w/^* che incontrano quel raggio. Gli spazicorrispondenti si taglieranno secondo un trian- Tumo iV, Serie VI. 24 — 180 — go!o, oi^ni vertioe del quale sia arbitrariamenle situato su una delle tre direttrici Wj , Ogni spazio ordinario, che non contenga alcuna delle direttrici, taglia, ad es., il raggio >Q„Ilo^** nel punto A^ e le tre direttrici «/*^«^''^ i generano un cono quadrico Cj^ che ha per asse a^ . Su ognuno dei piani generatori dei cono le stelle collineari fl^ ^d Ii(/') determinano due sistemi piani collineari, i quali non po- tranno avere, in generale, oltre Sq^*^ ed Sj^'^\ che un solo punto corrispondente comune. Siccome uno spazio qualun- que Qj che passi per l'asse del cono S^'^S^^^' non può contenere più di due piani generatori del cono medesimo, così in Q3 non possono trovarsi, oltre S^^'^ ed S^/^\ che due punti, S^^''' ed S^/^\ secondo i quali si intersechino i raggi corrispondenti delle stelle ìIq ed Xl,/'^. Dunque: // sistema di raggi generalo da due stelle collineari non concentriche e non prospettive, che non hanno alcun ele- mento corrispondente comune, è un sistema di raggi della sesta classe- / punti singolari di questo sistema sono si- tuali su di una curva normale (*) del 4." ordine C"* che passa per i centri delle stelle. Tutte le corde di questa curva sono i raggi del sistema, il quale è proiettalo da due altri punti della curva secondo due stelle collineari che non hanno alcun elemento corrispondente comune. La curva G* è proiettala da ogni sua corda secondo un cono quadrico Cj* che ha per vertice quella corda. 15. I teoremi enunciati per i casi particolari delle stelle collineari nello spazio fondamentale a quattro dimensioni possono riassumersi nel seguente: Due stelle collineari, in R^ , che non sono prospettive né concentriche, generano un sistema speciale di raggi che (1) Adottiamo la denominazione data dal prof. Vctunese. Prin- cip dcs Projicirens und tichneidens « Matli. Ann. » Bd. XIX. — 182 — fanno parte di un sistema generale dì primo ordine e di più una linea C* del quarto ordine, che passa per tutti i punti di intersezione dei raggi omologhi delle stelle. Que- sta linea contiene tutti i punti singolari del sistema spe- ciale, ed ogni raggio di questo sistema è una corda od una tangente di C^ . // sistema di raggi è della sesta, della terza, della quinta, o ancora della terza classe, secondo che la linea C^ è ordinatamente, una curva normale del 4." ordine, o che essa si scompone in una retta ed in una cu- bica gobba, o in due rette e in una conica, o che si ri- duce alla retta dei centri delle stelle e a tre altre rette che incontrano la prima. La linea C^ passa per i centri delle stelle. I piani, che contengono più di tre punti singolari del sistema, sono piani singolari del sistema. Il sistema di rag- gi quando è della sesta classe non contiene piani né spazi singolari. La linea C* è proiettata da una sua corda se- condo un cono quadrico a tre dimensioni, il quale, quando C* non è una curva normale, si risolve in due spazi or- dinari. Consideriamo ora due stelle collineari £1^ ed D.^}*'> situate nello spazio fondamentale a cinque dimensioni. Avre- mo a studiare cinque casi particolari secondo che le stelle collineari avranno come elemento corrispondente comune: \.° uno spazio ^4, 2." uno spazio Ss , 3." un piano 2^ , 4.° una retta Sj , 5." o non avranno alcun elemento corrispondente co- mune. 1." Caso. Le stelle hanno uno spazio ^4 come elemento corrispondente comune. Ogni spazio Q^ che passi per D^) taglia S5 secondo uno spazio ci^ e, corrispondentemente Q^'*) taglia Si — 183 — secondo ct^"^; onde nello spazio 2^ si avranno due stel- le a quattro dimensioni collineari e senza elementi comuni ; esse generano una curva normale C* luogo di tutti i punti singolari del sistema contenuti in 24. Gli altri punti singo- lari del sistema saranno situali su di una retta u^ che in- contra in un punto C* e che giace fuori dello spazio 24. La dimostrazione è analoga a quella che ahbiamo dato (II) per il caso di n = 4. La retta u^ sarù determinata da quat- tro spazi K4 che tagliano Sj in quattro piani singolari arbitrari di C^. 1 raggi del sistema saranno le rette che si appoggiano alle due diiettrici C* ed u^ . 11 sistema sarà proiettato da due punti qualunque di C* secondo due stelle collineari proiettive che hanno lo spazio 2^ come elemento corri- spondente comune. Gli spazi corrispondenti Q4 Q^^'^ delle due stelle proietteranno la raedesiiua terna di punti di C* e uno stesso punto di ^l^ . Ogni spazio arbitrario R4 conterrà i quattro raggi che dal punto d'intersezione con w, proiettano i quattio punti d'intersezione con C*. Il sistema sarà dunque della quarta classe. 47. 2." Caso. Le stelle hanno tino spazio 23 come ele- mento corrispondente comune. Ogni spazio Q4 che passi per Hq taglia 2^ secondo un piano a^ e, corrispondentemente, Q^^*' taglia 2^ se- condo a^^^^; e nello spazio 23 si avranno due stelle pro- iettive collineari, senza elementi comuni. Esse generano una cubica sghemba C^ che passa per i centri £1^ ed Hq^*^ . I due fasci di primo ordine formati dagli spazi a quattro dimensioni che hanno per base comune 23, hanno, a! più, due elementi comuni Ui'^^ U4^^' . In ognuno di que- sti si determineranno due stelle proiettive collineari a quat- tro dimensioni, ohe hanno lo spazio 23 come elemento cor- — -J84 — rispondente comune; ognuno di essi quindi determina una linea del quarto ordine, la quale si risolve nella cubica C^ ed in una retta «^ . Tutti i punti singolari del sistema saranno perciò situati su C^ e sulle due rette w/*^ «i^*^; queste due rette incon- trano la cubica in punti diversi e determinano collo spazio di essa due diversi spazi a quattro dimensioni. I raggi del sistema saranno le rette che si appoggiauo alle due direttrici rettilinee o ad una di queste ed alla cubica. II sistema è proiettato da due punti qualunque di C^ secondo due stelle collineari proiettive che hanno come ele- mento corrispondente comune lo spazio della cubica; gli spazi corrispondenti delle due stelle proietteranno una stes- sa corda della cubica ed uno stesso punto su ognuna delle due direttrici rettilinee. Il sistema è della settima classe. \ 8. 3." Caso. Le stelle hanno un piano 2^ come elemento corrispondente connine. Ogni spazio Q j della stella £Iq , che non contenga Ss, tagliere Ss in una retta a^ e, corrispondentemente, Q^^^^ taglierà S^ in cl^^*K Le coppie di raggi ot^ aj^*^ nel piano Ss determinano una conica C^ che passa per i cen- tri delle stelle e che è luogo dei punti singolari del sistema contenuti in questo piano. Ogni spazio yn della stella II,,, che contenga So, ha per corrispondente nell'altra stella uno spazio ^4^'^ che contiene pure Ss- Se si taglia il sistema degli spazi y^ e quello corrispondente degli spazi y^^^'' con uno spazio ordinario R^ che abbia un solo punto comune colla co- nica C^ (in R5 uno spazio R3 taglia uno spazio R4 se- condo un piano ed un piano secondo un punto) si avran- no in R3 due slolle collineari concentriche. Queste, non — 185 — essendo prospettive, hanno, in generale, per elementi corri- spondenti calunni, ie facce e gli spigoli di un triedro. Questi spigoli determinano coi piano 2^ tre spazi U^^'^ U/'^ Uj^^' che sono elementi corrispondenti comuni nelle due stelle il,, ed Hq^''. In ognuno di questi spazi le stelle D.Q ed Xl^^'^ determineranno una lìnea del 3.° or- dine, la quale si risolve nella conica C^ ed in una retta u^ che passa per un punto di C^ ed è situata fuori del piano di questa. Tutti i punti singolari del sistema di raggi generati dal- le due stelle Xl,, ed Xlo^*^ saranno, per quello che fu di- mostrato, situati sulla conica C e sulle tre rette m/'^ w/*> m/^V I raggi del sistema saranno dati da tutte le rette che si appoggiano ad una coppia delle tre direttrici rettilinee o ad una di esse ed alla conica. Il sistema sarii proiet- tato secondo due stelle collineari da due punti qualunque della conica e sarà della nona classe. IO. 4.° Caso. Le stelle hanno una retta 2, come ele- mento corrispondente comune. Uno spazio arbitrario Q.,, che non passi per i centri delle due stelle Hq ed H,/^*, taglia queste secondo due stelle collineari a quattro dimensioni, concentriche e non prospettive; il centro comune sarà il punto d'intersezione dello spazio Q/, col raggio S^. Le due stelle cosi formale nello spazio Q4 non possono avei-e, in generale ('), che quattro rnggi uniti P/^> P/^) P^^-^^ P,^^) . Questi raggi de- terminano nelle due stelle 11„ ed Q,/'* quattro piani (i pia- ni 2^ P^ ) che sono corrispondenti comuni, e in ognuno di questi i punti singolari del sistema si distribuiscono sulla retta Si e su un'altra retta m, . Le quattro rette t*, e la S, sono le cinque direttrici del sistema di raggi deter- minato dalle due stelle Do ed Do^'^ (i) Per dimostrare che due stelle collineari concentriche, non — 180 — I raggi del sistema saranno dati da tutte le rette che si appoggiano ad una coppia qualunque delle quattro direttrici u^ . Il sistema sarà proiettato secondo due stelle collineari, con un raggio comune, da due punti qualunque della retta 2, . Esso è della sesta classe. 20. 5.° Caso. Le stelle non hanno alcun elemento co- mune. Si considerino tre punti singolari S^^'^ sj^^^ sj^'^ del sistema e sia a,^ il loro piano. Al fascio di primo ordine, nella stella Ilo, formato dagli spazi a quattro dimensioni che hanno per base comune lo spazio fio i'^'i)-, corrispon- de il fascio nella stella Hq^*^ > che ha per base lo spazio •^0^*^ (^2)- Questi due fasci generano un cono quadrico a quattro dimensioni C^"-. Su ognuno degli spazi generatori del cono, cioè su ognuno degli spazi ordinari nei quali si intersecano le coppie corrispondenti dei due fasci di primo ordine, le stelle collineari Xl^ ^d H.,/*) determina- no due sistemi collineari sovrapposti, i quali non potranno avere in generale, oltre S^y\ S„^^\ S^'^^ che un solo punto corrispondente comune. Siccome uno spazio qua- lunque Q4 che passi per la base ct^ del cono non può contenere più di due spazi generatori del cono, cosi in Q4 non vi possono essere, olire Sj*\ S^/''>, Sq^'^^ che due punti, Sq^*) S(,^''\ secondo i quali si intersechino i raggi prospettive, hanno in generale (nello spazio fondamentale R4) solo quattro raggi uniti, si considerino in R4 duo stelle So S'q non concentriche e non prospettive. Sappiamo che in uno spazio qua- lunque Xj non si trovano che quattro punti singolari nei quali si intersecano due raggi corrispondenti. Così anche in r^ non avre- 3 mo che quattro punti singolari. La stella parallela ad S'o e con- centrica e proiettiva ad Sq non avrà dunque con So altri raggi uniti che quelli che proiettano i quattro punti singolari suddetti di ^^ • 3 — 187 - corrispondenti delle stelle Ho ed I^i/'^ Vale a dire, che i punti singolari del sistema di raggi generato dalle due stelle costituiscono un luogo punteggiato che non può es- sere incontrato da uno spazio a quattro dimensioni in più di cinque punti, costituiscono cioè una curva normale del quinto ordine C'\ Ogni corda di questa curva sarà un raggio del sistema ; il sistema sarà proiettato da due punti qualunque di C^ secondo due stelle collineari ; esso è della decima classe. 21. Il metodo che abbiamo tenuto per dedurre le pro- prietà dei sistemi di raggi di primo ordine negli spazi a quattro ed a cinque dimensioni, si estende, senza alcuna difficoltà, a tutti i casi particolari di n=:6,7 , . . . . Ci ri- serbiamo di studiare in un prossimo lavoro la costruzione e le proprietà di queste curve normali. Possiamo intanto stabilire sui sistemi di raggi di primo ordine negli spazi superiori il seguente Teorema generale: Due stelle collineari D.q ed IIo^'^ nello spazio fon- damentale R,j , che non sono prospettive né concentriche, generano un sistema speciale di raggi che fanno parte di nn sistema generale del primo ordine ed una linea C" rf^/- l' u^''"^*^ ordine, che passa per tutti i punii d'intersezione dei raggi omologhi delle stelle. Questa linea C" contiene tutti i punti singolari del si- stema speciale di raggi, ed ogni raggio di questo sistema è una corda od una tangente di G". n(n — 1) // sistema di raggi è della classe — , ovvero (n— l)(n— ^) Qy^gyQ !(„ — jx _|_ !i!nJ , secondo che Tomo IV, Serie VI. 2^ — 188 — la linea C" è min curva normale detl'n"^^^ ordine o che essa si scompone in un sistema di n rette (la retta Dq D.Q^^^ ed altre n-l rette che si appoggiano a questa) o che essa si risolve in una curva normale C""'' ed in i rette che si appoggiano a questa senza essere contenute nel suo spazio. Le curve normali C" , C''"* passano per i centri delle stelle £Ìq n,/''. Ed il sistema di raggi è proiettalo da due punti qualunque presi nella curva normale del sistema (o sulla retta XIq ^^^^^ quando tutte le direttrici del siste- ma sono rettilinee) secondo due stelle proiettive che hanno come elemento corrispondente comune lo spazio che contie- ne la curva normale (o la retta n^ i^o^'M- Ogni curva normale C" è proiettata dallo spazio ad 11-3 dimensioni determinato da n-2 suoi punti secondo un cono quadrico ad n-l dimensione. Per un punto dello spazio fondamentale^ situato fuori della curva normale^ o non passa alcun raggio o ne passa uno solo. Il teorema precedente dà luogo al Due sistemi collineari S^_, '^\,_i , situati in R„ , non sovrapposti e senza alcun elemento corrispondente co- mune, generano ìtn sistema di raggi dell' ^e*''»<^ ordine, e di più un fascio normale y" dell' ne^ìn^o ordine^ di spazi ad n — I dimensione. Ciascun raggio del sistema congiunge due punti omologhi di 2„_, e S^_,ji . // fascio y" può scomporsi in spazi d'ordine minore se gli spazi S^_^2^^_i hanno elementi corrispondenti comuni. Su ogni spazio del fascio si determinano punii, rette, piani, spazi di contatto. I punti di contatto sono distribuiti su una curva normale — 189 - dell' n'"'^'"^'' ordine. Vale a dire una curva normale è dello stesso ordine e classe ; cioè ogni spazio Q„_( la incontra in n (junti e per ogni punto di R^^ non le si possono con- durre che n spazi tangenti ad n — i dimensione. Le curve normali C^ ed i fasci normali y"' possono accogliersi sotto /' unica denominazione di forme elementa- ri dell'n"^"'" ordine. Mira, 1." ottobre 1885. OSSERVAZIONI ASTRONOMICHE DELLE COMETE FABRY E BSARI^'Aiì fatte a padova, coll'equatoriale dembowski, nel dicembre 1885, subito dopo la loro scoperta, DAL D/ ANTONIO ABETTI Astronomo Aggiunto Nelle sere ì e 3 di questo mese, vale a dire, nel brevis- simo intervallo di due giorni, venivano scoperte due nuove comete telescopiche ; la prima da Fabry a Parigi, press' a poco nelle vicinanze della stella di 4.^ gr. ^ d'Andromeda; la seconda da Barnard in Nashville negli Stati uniti, press'a poco nelle vicinanze dell' altra stella di 4.* gr. y del Toro. Giunta qui telegraficamente (nei giorni 2 e 5) la notizia del- la loro scoperta, lo stato del cielo permise di vedere ed os- servare subito la Fabry, e solamente sei giorni dopo la Bar- nard. Le due comete apparvero nel nostro cannocchiale (dell'apertura obbiettiva di 187 mm., e con ingrandimento di 4 22 volte) molto somiglianti; sembrano stelle di unde- cima grandezza attorniate da rara nebulosità senza indizio di coda. La Fabry diversifica dall'altra per il suo nucleo stellare più marcato e più lucente. Nella sera del 15 le os- servazioni della Barnard riuscirono faticose e difficili in causa del chiaro di luna, anzi per diminuire la luce sover- chia, nel campo del micrometro a lamine, trovai più oppor- tuno di aumentare l' ingrandimento, usando il 1 66 in luogo del t22. — iy-2 — Attualmente, anche prescindendo dallo stato del cielo, i due astri poco risplendenti, non si possono seguire in cau- sa del crescente cliiuro di luna ; ma per intanto importa che si pubblichino tosto tutte le osservazioni fatte in que- sto primo periodo dell'apparizione per il calcolo delle due orbite. Già da un primo calcolo, fatto dal dott. Hepperger di Vienna, si è constatata una grande somiglianza della co- meta Barnard colla cometa 4 785 II di Méchain. Ecco qui in cifre tonde gli elementi della Barnard che si trovano nella Circular LVII di Vienna, e nelle Asiron. Nachr., e quelli della Méchain, che si trovano nel Reperlo- rium di Cari e nei Cataloghi di Galle. Barnard niéchain Passaggio al Perielio . . 1=1886, V, 12 1785, IV, 8 Longitudine del Perielio . 9r— 184° 192° Longitudine del Nodo . . g 67° 65° Inclinazione . . i=z93° 93° Distanza perielia. . . . g — 0.54 0.43 Padova, 20 dicembre 1885. A. Abbiti. 193 * a. ce a. CD B a o < 00 00 M co -^ yì ■^' IO 5C •^ ì; ■^i o r^ -^ -^ t^ t'- ccs^ai il-a--— — 3^ (5-1 co ^ iO co CD CD CD CD CD oooooc5ooo « CO -^ -TH ro 00 cf: O -r-' 05 O CD CO IO 0050iCDcOi''50-''" o CO 00 CD in :o o 03 CO i-O iO -* -.-oooooooo + CD CD ao 05 00 CD ir; sq -sr "^ ^ 50 i— jciOcococot^r-" •* co -=^ aa -^ -ir -^ -^^ co co CCD CO '5q co «*" OS ar^ 05 05 co o -^r i--i co o co S-^J o o c- *:o-^ oo— -CD-r^TOr-^ajoi -q< _, -, s-i s-i co -r- r; -.r^ a> o o — o> s-i cr> I I + 1 + I + I 00 + cM o o co CD co 00 03 o co -rr — 02 -^ o t-- o :o 3-1 O 1« O 00 O —' co 1 + + + + I + + o — "" -^ O co :0 t> 5-1 o _— "CO — iiti^coc;-'"-^ = C0O5'MCDCOiCOiC5 — — co i^'- co "T co — -^r^ -^^ co c-1^ -=_ -.oc5S5oa>oc5c» sq 31 co co — Ti — 3-1 CN co CO n s fa 0 « s -■r so i> SO o O O o o Oi ÌT. co 3Ó K-. CD S-l co co co ?? so so 20 IO + s + + «D S-1 O 3--. ■^ O SM O O t-; co t- o oò od od -^ — O ?! so — 00 CJ5 'oc?--; IN s • co < Z 1-5 E- ^» , • H^ O ai >4-) CO a 00 OS -^ < o O C5> •"JH + s cri 00 r^ .— N .s B C3 1 00 r- ^ ■< 3-1 co 1— ' fi «p ®? C5 co co ,a" C3 J3 ' j=' J3 ' O o o O o _ "rt fi cn + Ci CO '3 _. o o IO 05 G<; o o 05 id 05 oò c-^ •* o CO "*. m S-1 co 00 in' ;-^ •^ IO ifS so 3<Ì 30 00 S^l (M I3 r- l- o (?l ^ «i^ m ^ ÙM S-J «r< 00 co co co coi co ■jf 00 + + + + + + « o t- S-l -^ ^^ S-'"" .^_) ojTO ■^ o (?q o co CD 3-i s^ co to' o (>5 in IO co co M sto co _^ m 05 tr- 03 co ^r^ io o co jao o o o o CO -< * ■rH 1^ co •^ IO CD SULLA SIMULAZIONE DELLA PAZZIA. iltemorift DEL M. E. CESARE VIGNA ». — — >■> '^: — u La simulazione delia pazzia, resa oggidì cosi frequente dalla facilitò, con cui i delinquenti sogliono ad essa ricorre- re per sottrarsi al rigore della punitiva giustizia, è argo- mento che interessa, al pii^i alto grado, nelle reciproche loro attinenze, la giurisprudenza e la freniatria. Volendo, illustri colleghi, intrattenervi alquanto su que- sto tema, ho divisato, per maggiore brevità e chiarezza, di formulare le tre seguenti questioni, nello sviluppo e defini- zione delle quali mi studierò di riassumere i principali re- sponsi della scienza. I. La simulozione, anche meglio accertata, esclude, per sé stessa, in modo assoluto, l'esistenza della pazzia? IL Può avvenire la trasformazione della pazzia simulata nella vera? III. Quali sono i criterj che devono guidare il perito nel suo giudizio, e quali i mezzi a cui può ricorrere per isco- prirla ? liwio IV. Serie VI 26 196 I. Quanto alla prima questione, se cioè la finzione basti ad escludere la follia, soggiungo tosto, che essa è tanto lungi dall'essere incompatibile con uno slato morboso, che men- tre alcuni celebri specialisti si limitano a dichiarare, che un buon numero dei simulatori sono più o meno aberrati, altri non meno celebri negano recisamente chela simulazione pos- sa verificarsi in individui psichicamente sani. La capacità che può avere un pazzo di fingere si desu- me nel modo piìi evidente e genuino dalle osservazioni cli- niche praticate nei morocomi, dalle quali risulta, che anche nei più gravi perturbamenti frenopatici, ed aventi per ciò stesso il carattere fondamentale del vero automatismo, si offrono bene spesso delle manifestazioni intenzionali, con- scienti, volontarie, guidate da un pensiero, coordinate ad un fine C). (1) Le stesse convulsioni, sebbene di loro natura infrenabili, possono talvolta essere coordinate ad uno scopo. Rembert le descri- ve sotto il titolo di accessi intenzionali o convulsioni coordina- te. — Il dott. Echeverria, ben noto pe' suoi lavori sull'epilessia, pub- blicò una memoria Sulla violenza epilettica, la quale ha per og- getto di dimostrare che le impulsioni inconscienti degli epilettici hanno sovente dei legami più stretti di quanto si crede general- mente coi sentimenti anteriori dell' ammalato , ed il corso abi- tuale delle loro idee. Questa tesi dell'automatismo irriflessivo con- sistente neir esecuzione di atti che corrispondono a delle preoccu- pazioni anteriori, l' autore la sostiene citando in appoggio gran nu- mero di fatti clinici e proprj e d'altri, i quali mettono fuor di dub- bio, che molto spesso gli atti di violenza epilettica mostrano, pur nella loro esecuzione automalica, un deliberato proposito, una pre- meditazione, — argomento questo della massima importanza in certe — 197 ~ Vi cito anzi tutto la frenosi isterica, comune ad ambo i sessi, nella quale in mezzo alle moltiformi sue manifestazio- ni, ed alla infinita varietà dei fenomeni morbosi che l' ac- compagnano, havvi per unanime consenso dei pratici, un tratto comune, che caratterizza pressoché tutti gl'individui che ne sono affetti, ed è il bisogno smodato, incessante, ir- resistibile di simulare, di fingere, d'ingannare, di mentire in tutto, colle parole, colle azioni, coi sentimenti, cogli affetti, in ogni circostanza della vita e perfino nella morte, come dimostrò con solenni esempi il dott. Tognet nel suo bel lavo- ro Siti suicidio neW isterismo. Messi una volta sul terre- no della menzogna e della finzione nessuno più li arresta. Perfino contro il proprio interesse persistono irremovibili nel loro piano decisamente simulato e con tale accento di sincerità da illudere talora anche gli speciahsti più avveduti e consumati. Molto affine a questa infrenabile tendenza (non esclu- sivamente propria dell' isterismo, come taluno vorrebbe) si è quella peculiare disposizione psicopatica, a cui il Daily, che cosi bene la descrisse, diede opportunamente la deno- minazione distato o di delirio malizioso (*), che corrispon- questioni di psicologia criminale. Imperocché l'epilessia larvala, coi suoi accessi equivalenti, puramente psicopatici ( di cui il Saint ci diede la dottrina quasi completa), passa nell'opinione comune sotto il nome di violenza, di brutalità o malvagità degl'istinti, d'irasci- bilità morbosa o anche di perversità d'animo, cosicché in una corte d'assisie tali infermi sono spessissimo condannati. — A questo riguar- do é molto interessante una recente perizia dei professori C. Lom- broso e G. Morselli : Epilessia larvata - Pazzia morale - che si legge nelV Archivio di psichiatria - Scienze penali ed antropolo- gia criminale, voi. VI, fase. 1. (i) De l'état et du delire malicieux, par M. le doct. Dailly. « Annales médico-psycologiqucs », 1877. — 198 - derebbe presso a poco alla monomania astuta di Guislain, e nel quale la serie delle simulazioni maliziose è realmente inesauribile. Questo stato consiste in una specie particolare di delirio consciente, sotto l' influenza del quale si compiono certe azioni, si Qngono certe affezioni, si adottano certe pratiche allo scopo precipuo di produrre negli astantì una profonda impressione, e farsi credere esseri straordinarj ed eccezio- nali. Essi sacrificano tutto a questa malaugurata preoccupa- zione, che li trascina talGata ad atti colpevoli e criminosi: strano e mostruoso pervertimento, di cui tali sciagurati non solo hanno piena coscienza, ma vanno assaporando con una voluttà satanica le più disastrose conseguenze e perfino la disperazione, nella quale gettano la propria famiglia colle abbomiuevoli loro macchinazioni, condotte coi più sottili accorgimenti, non occultate talora a persone confidenti, e più tardi confessate allo stesso medico, che abbia saputo destramente guadagnarsi la loro fiducia. Ad una simile categoria di esseri apparteneva una gio- vane affetta da nevrosismo costituzionale, imputata di falsa denunzia, la quale, dietro una mia perizia medico-legale, che si svolgeva sopra una base essenzialmente clinica, veniva lo scorso anno strenuamente difesa dall'esimio nostro avvo- cato Leopoldo Bizio, che seppe offrire ai giudici le prove più convincenti dell'assoluta irresponsabilità. Del resto la simulazione nei pazzi non solo è possibile, ma si verifica altresì con grande frequenza. Un pazzo può simulare una pazzia diversa da quello che realmente lo tra- vaglia, può esagerare la pazzia medesima da cui è affetto ; — 199 - può perfino dissimularla, vale a dire nasconderla agli occbi altrui, e darsi r aria di sano. Tutti questi casi si possono dare e si danno. Certamente a chi non ha pratica di consimili infermi deve parere inverosimile che un alienato possa essere tanto ragionevole da simulare la stessa integriti* psichica, ma la cosa è verissima. Questo ha luogo specialmente nelle manomanie o nei de- hri parziah circoscritti, nei quali rimane agli ammalati tan- to di coscienza e di ragionevolezza da spenderlo in alcuni casi a proprio vantaggio. Il monomaniaco, il quale s'accorge che rallucinamento e la fissazione da cui è dominato, cozzando coll'opinione co- mune, e ponendolo in una condizione tutta diversa dagli altri, lo impediscono nella propria liberto, gli tolgono l'eser- cizio di certi diritti, gli procurano il manicomio, e l' inter- dizione, tiene a sé il proprio delirio, lo cela, e sfugge di en- trare con altri in quell'ordine d'idee, ove sa che la sua mente non tiene fermo (*). Sono fatti dei più ovvj, che occorrono alla giornata quando il pazzo si prefigge di conseguire uno scopo, come quello tanto vagheggiato di essere dimesso dal manicomio. Un recentissimo esempio di questo genere viene riferito dagli egregi colleghi dott. Tanzi e Riva nel loro Con- tributo alle teorie delle degenerazioni psichiche^ concer- nente un ingegnere affetto da paranoja persecutoria vera- mente classica, ti povero delirante, smanioso di libertà, non affidandosi abbastanza nell'esito delle iniziate querele, tentò questo mezzo per poter uscire dal manicomio. (1) Né sempre con questo egli sa di commettere una menzogna. E ormai noto il caso di un alienato, che crede vasi inventore del moto — 200 — Principiò, cioù, a simulare una resipiscenza : si disse guarito, rinnegò energicamente il delirio, sconfessò con tìn- to orrore gli scritti, dipinse il passato come un sogno di mente fuorviata, volgendo infine frettolosamente il discorso ad altro argomento, come persona che non ama rivangare col pensiero in un passato doloroso e cerca, ma senza af- fettazione, di passarvi sopra la spugna della dimenticanza. — Era però evidente ch'egli faceva viva forza a sé medesi- mo per sostenere siffatta commedia, per cui, vedendosi de- luso nelle sue speranze, finì con lo sciorinare di bel nuovo tutto il fardello delle proprie convinzioni deliranti (V. Rivi- sta sperimentale di freniatria ecc., 1885). Questi e consimili casi, sopratutto in certe forme lucide, possono presentare la massima difficoltìi, ma fortunatamen- te la scienza è in possesso di preziosi elementi diagnostici, che valgono in ogni caso a mettere in evidenza la genuina condizione. Uno dei mezzi piìi efficaci a trar fuori il delirio nascosto è quello di obbligare il malato a scrivere, poiché spesso la pazzia che si riguarda dal venire a fior di labbro, scende cheta cheta e inconsapevole di sé medesima sulla punta della penna. Gli scritti dei pazzi sono perciò del massimo interesse studiandoli sia riguardo alla dicitura che rispetto alla scrittura, sì nel caso che confermino un delirio giù pro- vato, come nel caso in cui scoprano un delirio latente. Trattandosi, nella massima parte dei casi, di fenomeni perpetuo, e che Trélat condusse da Arago nella speranza che le argomentazioni di questo sapiente valessero a convincerlo, che la sua scoperta era una chimera: quest'infelice dinanzi alle dichiara- zioni esplicite di Arago rimase atterrito e pianse riconoscendo la falsità di quanto sosteneva. Fu creduto guarito, ma il giorno ap- presso non fece che ripotere : Eppure Arago è in errore ! — 201 - soggettivi, la mira principale dei elinico dev'essere quella di renderli possibilmente oggettivi coll'estrinsecazione cinesio- dica del processo psichico (espressione per mezzo degli atti, dei movimenti, del linguaggio, della scrittura, dell' attitudi- ne). Il diagnostico infatti non deve basarsi esclusivamente su ciò che sente, pensa e vuole il malato : perchè allora il compito dell'osservatore si limiterebbe, come dice Falret, a quello passivo di un semplice stenografo. Egli deve assu- mere invece nelle sue indagini una parte attiva con provo- care certe manifestazioni, che non sorgerebbero mai spon- tanee a motivo della speciale condizione di spirito in cui si trova l'alienato, il quale è d'ordinario assai più destro di quanto si pensi nel contraffare la propria situazione, e nello svisare le sue vere intenzioni. È questo 1' unico modo d'im- primere un carattere sperimentale allo stesso esame psico- logico, che è il vero fondamento della diagnosi della pazzia, e sempre deve accompagnare non solo , ma precedere e preponderare all'esame cHnico, fisiologico, somatico e antro- pologico. La somma utilità di un simile procedimento volto allo scopo precipuo di rilevare l'esistenza recondita dei per- vertimenti affettivi e delle lacune intellettuali, venne da me dimostrata in altri lavori, e segnatamente nella Memoria : Sulla importanza dei fenomeni negativi nelle diagnosi delle psicopatie, che ebbe l'onore di essere tradotta e commentata dal Nestore degli alienisti francesi l' illustre Brierre de Boisraont ('). È da avvertire inoltre, che la stessa simulazione può servire al pazzo come mezzo di dissimulazione - esso, cioè, può tingere una forma di pazzia per nascondere la vera - e (1) De /' imporldìica des phènomenes negatifs dans le diagno- slic des psycopathies par le docteur Cesar Vigtia. Mémoire traduit et commoiité par A. Biiene de Boisiuont. Paris, Victor Musson et lils ; 1871. - 202 - che vi sono altresì degli alienati, di cui certe manifestazioni sono il risultato progressivo dell' imitazione, avente bensì per punto di partenza un concetto delirante, un perverti- mento sentimentale, un'allucinazione, ma che si stabilì collo stesso procedimento della simulazione puramente intenzio- nata e volontaria. Il gesto, il portamento, il linguaggio e perfino la scrittura di que monomaniaci, che si credono trasformati in imperatori, ponteflci, marescialli ecc., non sono altro che un'imitazione lungamente studiata de'perso- naggi di cui nel loro delirio ambizioso essi vestirono il ca- rattere e la personalità. A convalidare quanto espongo, ho raccolto una serie di storie nosologiehe e di perizie medico-legali che costituisco- no altrettanti esempi i più dimostrativi delle varie modalità, che può assumei'e la simulazione nello sviluppo e nel de- corso delle psicopatie. Nessun dubbio adunque che l' ahenato possa simulare. Aggiungerò anzi che la dhnostrazione clinica di questo fat- to segna un vero progresso nell'osservazione psichiatrica, massime nei riguardi di psicologia forense. Infatti, se un tempo bastava riconoscere la simulazione per escludere tosto la pazzia, ora incomincia invece pel me- dico perito una una nuova serie d'indagini, le quali riesco- no a rivelare in molte circostanze l'esistenza simultanea di un reale disordine frenopatico, che si cela sotto il manto di manifestazioni puramente intenzionali e volitive. Ciò si ve- rifica appunto nel modo più evidente nei casi in cui un ve- ro pazzo si serve della simulazione come mezzo di dissimu- lazione, vale a dire quando si dà a fìngere una forma per occultare quella che effettivamente lo travaglia ('). (1) Tanto pili elle talvolta non v'ha alcun limite netto, che se- pari da una parte lo stato di pazzia, dall' altio lo stalo veramente — 203 — L' analisi medico-psicologica riesce cosi spesso alla di- mostrazione di questo fatto, che alcuni alienisti lo credono costante fino a non ammettere, che la simulazione possa ve- rificarsi in individui psichicamente sani. Una tale opinione, secondo alcuni, avrebbe l'appoggio di due argomenti certo non ispregevoli : l'uno, cioè, che il solo ricorrere ad un mezzo, che tanto degrada la natura umana, è già per sé stesso un grave indizio di deterioramento mo- rale, valevole ad escludere quella perfetta integrità ed ar- monia delle funzioni psichiche, che costituisce il carattere dell'uomo normale ; l'altro, ben più attendibile, che i veri e consumati delinquenti, perfettamente sani di corpo e di spiiito, i quah sanno assai bene difendere la propria causa, non simulano quasi mai e si ribellano anzi alla taccia di foHia. Consimili asserzioni hanno certo un fondamento di ve- normale delle facoltà. È questo anzi un tema che, con una forma assai brillante, veniva, non ha guari, svolto dall'illustre Ball in una sua prelezione all' apertura della Clinica psichiatrica a S. An- na, col titolo: Les frontières de la follie. — Vi è nella società, ei dice, un buon numero di persone dotate d' ingegno e di non co- mune abilità, che disimpegnano lodevolmente gli affari pubblici e privati, e godono perciò un'eccellente riputazione: ebbene, per poco che si entri nel santuario della vita intima di costoro, si osserva che la loro mente è sovente attraversata da idee strane e perfino deliranti, che talvolta sono dominati da impulsi insensati ed anche pericolosi, ed infine che soffrono di allucinazioni. — L'autore in- treccia le sue considerazioni con numerosi esempi, i quali dimo- strano la verità del suo asserto, e conclude che malauguratamente contro queste persone, che non devono essere confuse coi veri paz- zi, la società non ha mezzi per garantirsi (Rivista sperimentale, anno XI, fase. II-III). Tomo IV, Serie VI. 27 — 204 — rito ; ma d'altra parte non bisogna esagerare fino al punto da escludere, come fecero taluni, la possibilità della simula- zione nei sani, mentre si banno esempi bene constatati d'in- dubbia simulazione di malattie mentali in individui con psi- che integra. Dirò di più, che parecchi vi ricorrono con soverchia fa- cilità facendo, per cosi esprimermi, a fidanza coi magistrati e coi medici, che credono di poter ingannare con simile spedionte. Ma dal progetto all'esecuzione la difficoltà è immensa. Se il semplice buon senso bastasse, come taluno pretende, per conoscere la pazzia, i simulatori conterebbero numerosi successi. Invece le storie all'uopo raccolte dagli autori, e fra gli altri dal celebre Laurent, dimostrano, che qualunque sia stata la forma assunta, per quanto grande l'abilità, la de- strezza e la perseveranza spiegata nel contraffarla, a segno talvolta da imporre agli uomini stessi dellarte, la frode ven- ne in ogni caso svelata. Basterebbe una sola di qu( ste diagnosi ben condotta attraverso mille ostacoli per mettere in chiara luce tutta l'importanza e la validità scientifica della psichiatria. — Può, tra i molti altri, servire d'esempio la splendida perizia me- dico-forense, colla quale il dolt. Lagardel giunse a compro- vare la piena responsabilità in quel famigerato Goulfer, che seppe simulare ben cinque volte la pazzia prima di com- mettere il duplice misfatto, per cui venne condannato a morte. Quasi tutte le forme della simulazione di disturbi men- tali possono, secondo Biswanger, ascriversi a tre gruppi generaU (M- H primo gruppo è costituito da quelU che (1) Rivista sperimentale ecc. Rpgi-io, 1885. — 205 — simulano la stupidità, che appaiono completamente confus,i non sanno nulla di nulla ; il secondo è formalo da quelli che si tìngono allucinati; il terzo da quelli che simulano ac- cessi di furore. Però in questi casi non si trovano mai caratteri tipici di una vera e propria malattia mentale. Inoltre il fatto incrimi- nato per lo più non corrisponde alla forma della malattia simulata. Le forme più spesso simulate sono quelle che han- no somiglianza collo stupore e coll'imbecillità, perchè in si- mili contraffazioni si richiede poco sforzo psichico. Furono osservati per altro alcuni casi, nei quali la for- ma morbosa era straordinariamente corretta e precisa. Ma per essere praticata con successo occorre un insieme di con- dizioni non troppo facili a verificarsi, e prima d'ogni altra una certa abitudine dei pazzi che si acquista solo con una lunga convivenza con tali infelici ; quindi una particolare energia di spirito e di forza volitiva, e non ultima poi quella specie di talento mimico, che posseggono taluni , i quali sanno imprimere alla contraffazione dei sentimenti un tale accento di verità, non solo da confondere spesso la finzione colla realtà , ma da aversi quasi ragione di dire con un acuto psicologo, che in simili casi la realtà è meno vera della simulazione. Conobbi anch' io parecchi colali , che non sapevano esprimere neppure i propri pensieri e sentimenti, che coll'i- mitazione altrui ; la loro vita psichica era rappresentata da una continua contraffazione, che aveva assunto, direi quasi, il carattere primordiale della spontaneità istintiva (*). Billod narra il caso di un individuo dotato di simile ta- (1) Veggasi la mia Memoria Sttl contagio della pazzìa. — 206 — lento, il quale mettendo a profitto ha lunga esperienza acqui- stata come infermiere presso un vasto manicomio, seppe con tanta abilitò simulare l'alienazione in uno de' suoi tipi meglio definiti, da provocare ben nove volte la sua reclusione in un ospizio. Quando si combinano tali elementi diviene un po' ar- duo l'ufficio del perito, non tanto all'oggetto di stabilire una diagnosi clinica, per la quale, come si vedrà in appresso, non gli mancano mai gli opportuni criterj, quanto per tras- fonderne in altri il convincimento: compito anche questo assai più malagevole, ma non meno necessario, giacché, se- condo il detto del celebre Bentham, non basta che si fac- cia giustizia, ma occorre ancora, che in lutti sorga la con- vinzione che giustizia vien fatta. II. Vengo ora alla seconda questione non meno importante, se cioè possa avvenire la trasformazione della follia simula- ta nella vera ? Stando alle dichiarazioni esplicite fatte in proposito da valenti specialisti, la questione dovrebb' essere risoluta sen- z'altro in senso affermativo. Mi limito a poche ma autore- voli citazioni. Tardieu, nel suo Studio medico-legale sulla pazzia, cosi si esprime : — havvi un punto della massima delicatezza, su cui bisogna insistere, ed è che la simulazione stessa, per poco che si protragga, finisce coli' esercitare una influenza assai deleteria sullo stato morale e fisico di chi ricorre a questo malaugurato spediente. È egli possibile, a mo'd'esem- pio, che uno il quale si decide di rimanere per mesi ed — 207 - anni nel mutismo e nell'immobilità del lipcmaniaco stupido, non cada alla perfine in un reale e completo abrutimenlo? Non havvi alcuno, che dopo avere simulato la pazzia, non abbia confessato che si sentiva diventar pazzo, e che non sarebbe in^^grado, fosse pure per salvare la testa, di affron- tare ancora un pari supplizio. — Leurent, a conferma di tale opinione, soggiunge :- si co- noscono casi i più autentici di vera psicopatia consecutiva alla simulazione. Tra gli altri fatti la cronaca medica riferi- sce la storia di due marinai francesi prigionieri sulle chiatte inglesi, che ebbero la costanza di simulare la pazzia per sei lunghi mesi, scorsi i quali non ricuperarono la sospirata li- bertà, che a prezzo della loro ragione effettivamente per- duta. Legrand de Saulle, nel suo Trattato di medicina legale, associandosi all'opinione di Leurent, rammentò la medesi- ma storia dei marinai francesi. Nella circostanza di una comunicazione fatta da Bois de Laury alla Società di medicina di Parigi sulla simulazio- ne, il dott. Deslandes faceva osservare, che parecchi indivi- dui confessarono ripetute volte, che sarebbero realmente impazziti, se avessero continuato a simulare qualche giorno ancora. Brierre de Boismont affermò alla sua volta, che molte follie simulate, ad insaputa dei pretesi alienati, si sono tra- sformate in follie reah, citando del pari, a conferma del suo asserto, la storia dei marinai francesi. Se non che, in onta a queste perentorie e tassative di- chiarazioni, il dott. Parent, direttore dell'Ospizio di Tolosa, in una recentissima memoria fece in proposito alcune inte- ressanti osservazioni, le quali imporrebbero una grande — 208 — riserva sul valore scientifico di certe conclusioni per quanto autorevoli ('). Il motivo precipuo che lo determinò a richiamare 1' at- tenzione ed instituire uno studio speciale sopra tale sogget- to si è, che una simile trasformazione è uno degli argomenti scientifici invocati dalla difesa nelle cause criminali. - E sic- come la medicina, ne' suoi rapporti colla giurisprudenza, deve anzi tutto basarsi su' fatti certi bene constatati, e non sopra ipotesi o semplici eventualità, così gli parvero, e con ra- gione, necessarie all'uopo ulteriori indagini e considerazioni. Ora in queste ricerche diligentemente e conscienziosa- niente instituite esso venne colpito da una singolare parti- colarità, ed è che le sucitate ed analoghe affermazioni han- no tutte un carattere troppo generico, e sembrano basarsi quasi esclusivamente sulla fede altrui. Leurent, il solo che abbia fin qui trattato ex professo della simulazione, non cita in questo punto che la storia dei due marinai, mentre sotto altri riguardi la sua opera ab- bonda di fatti ed osservazioni proprie. — Si direbbe quasi che non vi fossero altri esempi, ed il Parent, stando al ri- sultato delle sue indagini, si mostra propenso a crederlo. Ed in vero avendo anch' io percorso a tale oggetto varj trattati di medicina legale antichi e recenti, esaminata l'inte- ra collezione degli annali medico-psicologhi e di medicina legale, ricca di fatti di simulazione, parecchie opere periodi- che e giornali di medicina, non ebbi mai ad imbattermi in un fatto dimostrativo di tale metamorfosi. (4) Annales cit., 4885. - t209 — E per fatto dimostrativo deve intendersi quello, in cui, esclusa l'azione di altre eause, la metamorfosi sia attribuibile alla virtù effettivamente etiologiea della simulazione stessa : cosa, a dir vero, tutt' altro che provata, quando si conside- ri, che la maggior parte dei simulatori per unanime consen- so, appartengono a famiglie di alienati, ed hanno quindi una predisposizione originaria nevro-frenopatica -, quando, co- me non è infrequente il caso, sotto il manto della contraf- fazione non si celi già un effettivo disordine mentale, nò si dimentichi inoltre, che non mancano quasi mai altii ele- menti simultanei, valevoli a favorire la genesi di una psico- patia. Il fatto stesso dei marinai francesi, anche secondo il Pa- rent, a ben guardare, non può costituire una prova incon- cussa e veramente scientilìca dell'avvenuta trasformazione, all'origine della quale cospiravano simultaneamente altre cagioni. — Le diuturne privazioni, le sofferenze d'ogni ge- nere tìsiche e morali, la vita miserabile che dovevano con- durre, i mali trattamenti, l'incertezza dell'avvenire, la no- stalgia e simili, esercitavano sicuramente sul loro stalo psi- chico un'intluenza depressiva più che sufflciente a produrre uno stato frenopatico . Quanti prigionieri non divennero pazzi nelle identiche condizioni? Non si hanno forse le pro- ve più solenni, che il regime cellulare delle carceri può de- terminare assai facilmente la pazzia ? Può dirsi altrettanto di quel giovane coscritto di cui parla Roster (v. Rivista di Reggio^ anno IX), il quale per sottrarsi al servizio militare, simulò la pazzia, e fu perciò condannato a due anni di car- cere e al successivo passaggio ad altra classe di leva : ma poco prima di avere interamente scontata la sua pena, con- tinuando anche in carcere gli inutili suoi tentativi, i quah non approdavano ad altro che ad un aumento delle puni- zioni disciplinari, finì realmente pazzo, sì che venne trasfe- - 210 — rito al manicomio di Marsbeig. Si trattava d' un individuo predisposto già alla pazzia per doppia eredità paterna e ma- terna e di una mente originariamente debole, soggetto alla diutuina influenza di patemi deprimenti : per cui mal si potrebbe attribuire alla simulazione lo sviluppo di una psi- cosi dovuta all' azione cospirante di ben altri momenti etio- logici. Nò con questo vuoisi negare in modo reciso la possibi- lità di una trasformazione. Ed in vero, la simulazione per lo sforzo incessante dell' attenzione, per la violenza interna, e per la perseverante contenzione che impone all'individuo, può rientrare nella categoria delle cause generali, che pro- vocano l'alienazione coll'esaurimento progressivo delle for- ze morali e fisiche. L'opinione, alla quale non esiterei punto ad associarmi, perchè mi sembra ad un tempo la piìi riservata, la più ra- zionale, e la più consentanea al vero, si è quella dei dottori Stahman e Torgau (Annales dliygiène publique et de médé- cine legale ; deuxième serie, tome XXVII), i quali ammetto- no, che la simulazione possa far svolgere un germe morboso che senza di essa sarebbe forse rimasto latente o abortito. Del resto, che l' efficacia deleteria della finzione sia per sé medesima molto hmitata, abbiamo una solenne contro- prova in una serie di fatti irrefragabili, i quah dimostrano che una contraffazione anche lungamente protratta non al- tera per nulla le facoltà psichiche del simulatore. Sono numerosi gli esempi d'individui, i quali dopo ave- re a lungo perseverato con una costanza invincibile nel lo- ro tentativo, non appena cessato lo scopo della finzione die- dero tosto i più rassicuranti indizj di una perfetta integrità psichica. — 211 — La qual cosa si ebbe a verificare perfino in coloro, che per gli sforzi incredi biU sostenuti temettero effettivamente di cadere in preda alla vera pazzia, come nel caso di quel Derozier che simulò la pazzia per otto mesi, e che sottopo- sto all'osservazione del prof. IMorel, offrì a questo celebre alienista l'occasione di fare una delle piìi splendide dimo- strazioni, che siano mai state fatte della simulazione della pazzia (Annales cit. ; 1857). Ai fatti citati dagli autori potrei aggiungerne parecchi desunti dalla mia stessa pratica. Conservo, tra le altre, due storie, una delle quah per il vivo interesse che destò, or so- no pochi anni, in un dibattimento alla Assisie, venne anche resa di pubblico diritto. Il primo fatto concerne un accusato di omicidio volonta- rio, il quale stava per essere assolto dai giudici, che unanimi lo avevano ritenuto demente, quando, in seguilo al dubbio espresso da un testimonio, venne interpellata per un voto definitivo la Facoltà medica dell'Università di Padova, acni allora io apparteneva quale assistente alla cattedra di medi- cina legale e igiene pubblica. — A me venne quindi affidato l'incarico di eseguire una nuova perizia ; e con questa sono riuscito a svelare la frode, confessata poi dallo stesso reo, il quale, nell' implorare clemenza, diede le prove più evidenti d'avere conservata una perfetta integrità mentale dopo due anni di continua simulazione. Nel secondo caso tratta vasi di un vecchio complice d'un ingente furto perpetrato presso questa stazione ferroviaria, il quale con un'abilità veramente meravigliosa seppe sostenere la simulazione per oltre un anno, come emerge dalla perizia che estesi in unione al compianto nostro collega senatore Berti, ed a scopo scientifico pubblicai nella Gazzetta medica Tomo IV. Serie Vi. 28 — 212 — di Padova. — Scoperto P inganno, a cui dichiarò ripetuta- mente d' avere ricorso dietro consiglio altrui, il vecchio fe- ce con una mirabile lucidità di mente la più ampia confes- sione, e ricordando nei più minuti dettagh il procedimento seguito ebbe ad asseverare, che il momento per lui più ter- ribile si fu la profonda emozione che provò nel primo di- battimento quando vedendosi sul banco d'accusa attorniato dai figli, ben più rei di lui, concepì tutto l'orrore di uno spettacolo, che al cospetto di un pubblico numeroso getta- va l'infamia sul capo di famiglia. — Avrebbe bastato la com- movente descrizione, che diede di quell'istante, e dello sfor- zo che dovette sostenere onde frenare le lagrime, e non ismenlire tosto la finta sua apatia, per dimostrarlo nel pie- no possesso delle sue facoltà intelletluaU ed affettive. Da quanto finora esposi, chiaro risulta, che per la solu- zione del secondo quesito bisogna aver presenti due circo- stanze: da un lato, cioè, la deficienza di osservazioni esplicite comprovanti in modo sicuro che la simulazione della pazzia possa convertirsi nella follia reale; dall'altro lato l'esistenza di fatti perentori, i quah dimostrano che una simulazione anche a lungo potratta non compromette per nulla le facol- tà psichiche dei simulatori. Certo non vuoisi negare, come già dissi, la possibilità di un fatto, ammesso senza esitanza da taluni, e d' altronde tult'altro che inesplicabile dalla scienza, ma bensì di ridurlo entro i suoi confini, e sopratutto di renderne assai circo- spetta la sua apphcazione alla medicina legale, massime in un' epoca, in cui esso viene con soverchia fiducia, e quasi con piena sicurezza, invocato dalla difesa quale argomento scientifico. L' alienista interpellato dalla legge deve sopratutto indi- — 213 - vidualizzare, per così esprimermi, colla mira precipua di applicare al caso concreto quei criterj positivi e veramente pratici, che rispondono alle nuove e svariatissime combina- zioni, che s'incontrano tuttodì nel difflcile esercizio della medicina forense. Può darsi quindi benissimo, che guidato da consimili intendimenti il perito possa in qualche caso comprovare cli- nicamente la trasformazione diretta della follia simulata nel- la vera. Un esempio di questo genere l'avrebbe offerto, or sono pochi anni, un imputato a Torino, il quale, posto in osservazione, venne per molto tempo ritenuto e denunziato da esperti specialisti come simulatore, finché un bel giorno i medici stessi si credettero obbligati in coscienza di ritratta- re le dichiarazioni precedentemente fatte, e dire al Procu- ratore del Re, che quell' uomo a furia di fingere la pazzia era veramente impazzito. Insisto d'avvantaggio, nell'interesse medesimo della scienza, sulla necessità di ben distinguere nei rispettivi loro dominii e vicendevoli attinenze, le milleformi eventualitù di spettanza clinica, da quei criterj diagnostici che devono fornire una base sicura ai giudizj medico-legali. Coll'obblio di consimili avvertenze si corre rischio di somministrare alla legge dei dati equivoci, i quali destramente maneggiati da un'abile difesa acquistano apparentemente tutto il valo- re di criterj positivi e scientifici. Infatti, senza uscire dal nostro argomento, ove si am- metta, come è in pien diritto di fare la difesa, che la finzio- ne non basta ad escludere la pazzia ; che anzi essa medesi- ma costituisce sovente una prova di pazzia ; che anche nei casi evidenti o bene comprovati di simulazione affatto in- tenzionale e volontaria , essa può trasformarsi in pazzia - 214 — reale, (tutte cose possibili ed aventi im fondamento di vero nell'osservazione ed esperienza clinica), ne viene per legitti- ma illazione che al più goffo simulatore, messo, dirò così, a priori con insano consiglio sotto l'egida della scienza, non manclierebbe mai il mezzo di eludere la giustizia con un verdetto d'irresponsabilità. Ed ecco a mio avviso la spiegazione di un fatto quanto ovvio altrettanto doloroso, la diffidenza, cioè, dei magistrati verso i medici, la quale sembra crescere in ragione diretta dell' avanzamento scientifico. III. Toccherò in fine della terza questione riferibile ai crite- rj, che devono guidare il perito nel giudizio di simulazione, ed ai mezzi a cui può ricorrere per iscoprirla. Premetto tosto, che non esistono elementi positivi e ge- nerah per stabilire con sicurezza la simulazione: solo l'esat- ta e prolungata osservazione dei singoli casi può essere de- cisiva. — Per tale scopo, come avverte Siemens, le migliori condizioni si trovano in un manicomio bene organizzato. Soltanto in esso si può ottenere, che l'esplorando sia osser- vato continuamente di giorno e di notte da persone pratiche e competenti. A ragione poi egli non giudica opportuno il tenere assolutamente isolati gli esplorandi, mentre il temuto pericolo eh' essi imparino dagU altri malati del manicomio, non ha gran peso in confronto ai danni che può recare l'as- soluto isolamento. Quantunque però la diagnosi della finzione si fondi sulla semeiottica delle diverse varietà frenopatiche, nondimeno gli autori di medicina legale non mancarono, in seguito alla — 215 — loro esperienza^ di tracciare alcune norme direttive, che in pratica non sono prive di un certo valore, massime quando siano considerate nel loro complesso. Accennandosolo le principali dirò, cbe in esse vengono d'ordinario contemplate — la forma speciale scelta dal simu- latore — la comparsa troppo subitanea dei fenomeni, men- tre r alienazione ha sempre un periodo incubatorio o pro- dromico dì una certa durata — la loro riapparizione ai mo- menti, in cui torna opportuno al finto pazzo di metterli in evidenza — il suo fare diffidente, sospettoso e guardingo — la mancanza di spontaneità nel delirio e di tutti quei feno- meni non suscettibili di simulazione, come i trofici e i va- so-motori — la ripetuta confessione ed asseveranza della propria pazzia in contraddizione a quanto si verifica nei veri alienati, i quali sogliono ribellarsi alla benché meno- ma allusione al proprio stato. Ho già detto che consimili direttive, desunte in ispecia- Utà dalla pratica medico-legale, acquistano maggiore impor- tanza dal loro insieme, in quanto che, considerate isolata- mente, possono dar luogo ad eccezioni talvolta singolaris- sime. Valga, ad esempio, l'ultima citata relativa alla consape- volezza della'propria condizione. Sebbene si diano le forme cosi dette conscienti, che furono anzi si bene illustrate in questi ultimi tempi (*), non è tuttavia nel costume del pazzo (1) Marandon de Montyel , Recherches cliniques sur la folie avec conscience. Ne riporto per l' importanza dell' argomento il sunto fedele, che ne fa la Rivista di Reggio nei fascicoli II-III, 1885. «L'autore in questa sua memoria studia la follia con co- scienza dal punto di vista dell' eziologia, della sintomatologia e del » — 210 — di ritenersi tale, e mollo meno poi di pretendere che al- tri lo creda. A questa taccia egli si offende, si irrita al pari e forse più dì un sano di mente, perchè l'alienato è un pronostico. Il lavoro è ricco di ben 27 storie cliniche. Le conclu- sioni a cui perviene sono le seguenti: — Si dicono folli coscienli quegli ammalati che meditano sopra le loro alterazioni psichiche, le analizzano e t.lvolta anche si rendono ragione della natura mor- bosa di esse. Tale condizione si verifica all' inizio di quasi tutte le pazzie, e di un gran uumero di casi di demenza paralitica. Si può incontrare anche nel decorso di una demenza primitiva, spesso nella melanconia e pur frequentemente nella mania acuta. E rela- tivamente rara nel finire delle malattie mentali. La coscienza della follia è ora un elemento costitutivo dell'alienazione, ora invece non è che un semplice elemento aggiunto. È un elemento costitutivo neir ipocondria, nell' agarofobia e nella pazzia impulsiva. È un ele- mento aggiunto nella mania, nella lipemania, nell'erotomania, ed in simili stati. 1 malati che conoscono la loro pazzia appartengono in generale alle classi intelligenti della società. — Allorché esiste una condizione ereditaria, gì' individui, cadendo ammalati di mente, presentano molto spesso la follia cosciente. Dopo l' eredità, l' iste- rismo e r alcoolismo sono i due fattori principali dell' eziologia dello stato psichico in discorso. Eccezion fatta por i casi di alcoo- lismo, la conservazione della coscienza è in modo incontestabile più frequente nella donna che nell' uomo. Le follie coscienti pare che nella donna si appalesino di preferenza nel periodo della me- nopausa. I dementi con paralisi hanno coscienza del loro stato nel principio dell' alterazione mentale, più raramente durante il corso della malattia. Gli epilettici non sono quasi mai coscienti. La co- scienza della pazzia può essere completa e incompleta. La prima si presenta più di sovente : la coscienza è più frequente nei delirj generali anzi che nei delirj parziali. Nei delirj generali i pazienti assistono alle alterazioni che si succedono nel loro spirito come spet- tatori, ma sono del tutto impotenti a reagire e ad ia)primere il benché minimo cangiamento al corso dei loro pensieri. La conse-r vazione della coscienza nella stupidità (melanconia con stupore o — 217 — uomo convinto. Ebbene, io ebbi sotto osservazione nel manicomio maschile un astuto simulatore, proveniente dalla casa di pena, dove doveva subire una lunga condanna, il quale, non ignorando questa particolarità, appresa dalla lun- ga convivenza coi più consumati malfattori, in mezzo alle mille incoerenze, perturbamenti e stranezze d'ogni maniera, che andava ognora più esagerando per ottenere il suo scopo, protestava di continuo ed imprecava contro chi lo aveva arbitrariamente recluso in un manicomio, dichiaran- dosi sanissimo di mente. Sapeva il furbo di avvalorare per tal modo la sua simulazione, che poi confessò quando si vi- de scoperto, e si stancò dell'inutile tentativo. Egli pensò in- vece alla fuga, che riusci anche ad effettuare con un'indu- stria soprafìna, in onta alla custodia più rigorosa, mentre pendevano le pratiche per il suo rinvio all'ergastolo (*). Dicasi altrettanto degli altri criterj, ognuno dei quali va soggetto a speciali eccezioni, non escluso quello della subi- semplicemente stupore) è un argomento in favore dell' esistenza clinica di questa forma. — La semicoscienza in genere accompa- gna il delirio parziale. — Le alterazioni che meglio si conciliano colla conservazione della coscienza sono in ordine di frequenza — r ottundimento intellettuale — i disordini dell' emotività — le mo- dificazioni del carattere e degli istinti — le perversioni lipemania- che delle sensibilità — 1' esaltamento cerebrale. — L' allucinazione è di tutti gli elementi del delirio quello che la coscienza apprezza più difficilmente ». (1) Una seconda edizione di questo fatto annunziato da parec- chi giornali avveniva poc' anzi a Firenze. Dal manicomio fuggiva un pazzo, già colpito da condanna: « il brav' uomo, scrive un cor- l'ispondente, ha così bene architettato la sua fuga da dare dei punti a qualche testa sana. Il pazzo è stato arrestato a Livorno, e invece del manicomio avrà la galera: ma intanto ha ingannato con la sua furberia la scienza illuminata di medici distinti ». — 218 — taneità dei fenomeni, dopo che venne clinicamente compro- vata r esistenza della mania transitoria. La scienza moderna, senza trascurare nel loro comples- so le suesposte generali indicazioni, che gli possono essere nei varj casi di qualche sussidio, deve dare anzi tutto al suo giudizio un solido fondamento con quella diagnosi dif- ferenziale delle molteplici forme frenopatiche, che viene lar- gamente consentita dagli attuali progressi e segnatamente dai recenti studj sulla paranoia, sulle degenerazioni e sui delirj sistematizzati primordiali senza base emotiva, studj, i quah iniziati altrove, ottennero qui in brevissimo tempo con importanti lavori di specialisti itaUani un ragguardevole grado di sviluppo e di perfezionamento. Con una simile diagnosi strettamente clinica si riesce a mettere in evidenza le cosi dette incompatibilità morbose e psicologiche, una sola delle quali può bastare talvolta ad un retto e sicuro giudizio, E ciò perchè essa rivela una coe- sistenza di fenomeni e di manifestazioni sconcordanti fra loro, e quindi non solo inverosimile, ma decisamente smen- tita dalle osservazioni nosografìche. Tale^sarebbe, amo' d'e- sempio, l'unione o l'alternativa assai frequente nel Anto paz- zo di certi atti di fatuità propria della demenza e dell' idio- tismo colle sopraeccitazioni frenopatiche, che caratterizzano le forme espansive. — Mirano pure al medesimo scopo le stesse risultanze negative, voglio dire la mancanza delle le- sioni trofiche e vaso-motorie, non suscettibili certo di si- mulazione, che sogliono accompagnare il decorso delle psi- cosi e vengono colla massima precisione rilevate oggidì col metodo sperimentale. E qui cade in acconcio di ricordare, come molto op- portuna anche per instituire una simile diagnosi medico- — 219 - legale, una giudiziosa distinzioue, che fece poi anzi nella sua bella memoria sulla Classificazione delle psicopatie^ l'egregio collega prof. Bini di Firenze. — Gli elementi caratteristici, o meglio i fenomeni radicali della follia sono di due ordini affatto distinti. Vi è in primo luogo un turbamento esteso o circoscritto delle facoltà intellettive e morali, allucinazioni, illusioni , concetti deliranti, pervertimenti affettivi, impulsi insolili, tendenze irresistibili ecc. Vi è in seguito la perdita della coscienza di questa lesione, e specialmente l'impoten- za di dominarla, che conduce l'individuo alla perdita del libero arbitrio, essenziale in lutti i pazzi, qualunque sia il complesso dei sintomi della loro malattia, la forma con cui si presenta, la condizione patologica, da cui dipende. — Ora, di questi due ordini di fatti il primo è variabile in tutti i casi, il secondo al contrario è sempre lo stesso e non può cessare senza che cessi la follia {*). — È dunque, a vero dire, la perdita del libero arbitrio che costituisce la pazzia, finché esso almeno si riguardi dal lato giuridico e (1) Devo qui richiaraare l'esposto nella nota precedente intorno alla follia con coscienza, per dichiarare, che uno stato psicopatico non implica necessariamente la perdita della coscienza. Un alienato può essere conscius, ma non mai compos sui. Un uomo può sapere, e qualche volta saperlo egli solo di essere pazzo, dominato cioè da allucinazioni imperative, da idee monomaniache e trascinato da im- pulsioni irresistibili, da sentimenti depravati eh' egli medesimo di- sapprova e detesta, senza che la coscienza del fatto muti per nulla la natura della condizione morbosa. Si tratta di malattia, e in gene- rale non si può dire di star meglio, quando si sa di essere amma- lati. Collocate (così si esprime un celebre alienista), collocate un uomo sopra un carro che deve percorrere un piano inclinato: che esso abbia o no gli occhi bendati, quesl' uomo non è perciò meno trascinato dal movimento. Il pazzo, a dir breve, non è tale perchè non sappia quello che fa e dice, ma principalmente perchè quello che dice e fa non può a meno di dirlo e di farlo. To^,o 1 Vaserie YJ 29 — 220 — filosoflco più che dal lato medico. Infatti la lesione dell" in- tendimento può esistere isolato in individui, che nessuno penserebbe al certo di considerare come pazzi. Ciò ammesso ognun vede che il giudizio di simulazione si basa in fondo sopra i medesimi criteri che guidano Talie- nista nella diagnosi ordinaria, con riguardo speciale a quelle lesioni somatiche, che sono doppiamente preziose perchè non suscettibili di simulazione ed a quei caratteri fonda- mentali, che costituiscono, per usare il felicissimo traslato del dott. Tyler, i veri reattivi della follia. Tra questi, e con ragione, egli dà una grande impor- tanza al mutamento della fisonomia. Prendo anzi ad esem- pio un tale fenomeno generalmente notissimo per offrirvi un saggio del modo altamente scientifico, con cui si proce- de oggi nell'analisi del medesimo. Comprendendo nella frase assai vera ed espressiva di maschera dell' alienazione mentale i lineamenti facciali pro- prj dei varj generi di pazzia, il Guislain, e dietro lui altri insigni specialisti, trai quali godo ricordare Tegr. amico prof. Augusto Tebaldi, instiluirono uno studio il più circostan- ziato sulle alterazioni fisionomiche degli aberrati. A questo studio iniziato da Lavater, e nei suoi primordj affatto empirico, diedero una mirabile evoluzione le bril- lantissime esperienze di Duchenne intorno al meccanismo della fisonomia umana coli' analisi elettro - lìsiologica delle varie espressioni. Movendo dal principio, che ogni linguaggio ha delle rego- le fisse e dei segni precisi, egh giunse a discoprire col mezzo dell' elettrizzazione siffatti segni, ed a stabilire le regole, se- — 221 — condo le quali ossi si associano, descrivendo ciò che a lui piacque denominare la ortografìa della fisonomia in movi- mento.— Applicando i reofori sui fili niotori dei singoli mu- scoli, precisò la parte rispettiva propria di questi muscoli in quel mirabile meccanismo che interessa al più alto grado le arti plastiche, la fisiologia e la psicologia. Da così belle ed ingegnose ricerche la medicina mentale trasse partito per la spiegazione del fenomeno principale che risulta dall' insieme della fìsonomia dei pazzi, cioè quella dissonanza più o meno palese ed accentuata dei movimenti del viso che imprime a consimili infermi un aspetto affatto particolare. — Intorno al quale fenomeno, dovuto alle no- velle espressioni, che accrescono, scemano o pervertono le originarie e abituali espressioni dell'individuo, a segno tale qualche volta da renderlo intieramente irreconoscibile, si fecero altresì sottili indagini e utili applicazioni da Dame- row e da Leurent nei loro studj sulla minica e sulla fìsono- mia. Ma era riservato al Duchenne di svelarne il reale ma- gistero colla sua Teoria delle espressioni discordanti, le quali appariscono appunto dalla contrazione simultanea di muscoli destinati ad esprimere e colorire sentimenti dia- metralmente contrari ('). (1) Essendo la fisononiia un complesso di caratteri morfologici e fisiologici, ne viene che i criterj diagnosistici desunti dalla stessa si riferiscono non solo all' espressione mimica, ma altresì alla parte puramente organica dei lineamenti, che dà al viso ima configurazione armonica o disarmonica. A quest'ultimo oggetto, di una minore importanza nei riguardi medico-legali, vanno ricorda- te le splendide risultanze dell'odierna antropologia concernenti in ispecial modo la lisonomia criminale che vengono di mano mano illustrate con una lunga serie di osservazioni comparative e di con- tinuo applicate alla pratica, col più profondo convincimento scienti- fico, dall' egregio collega prof. Lombroso. - 222 — Ora, se è seir.pre difficile contraffare un solo sentimento senza usare sforzi che tradiscono la finzione, torna poi af- fatto impossibile la riproduzione perfetta di quei tratti par- ticolari, che implicano la coesistenza d'idee e di sentimenti incompatibili fra loro nello stato ordinario, impossibile quin- di un sincronismo che non può entrare nella sfera psico- fisiologica delle consuete associazioni. La fisonomia deiraUe- nato è per ciò stesso assolutamente inimitabile. Ognuno vede quindi quanta luce possa spargere questa teoria suir arduo problema, che ci occupa, e quanto van- taggiosa per uno studio di tanto rilievo debba riuscire una copiosa collezione di fotografie, quale appunto si pratica nell'Istituto da me diretto, dove l'esecuzione dei ritratti foto- grafici vien estesa indistintamente a tutte le ricoverate, e ri- petuta anche più volte secondo i varj intendimenti scientifici. E non solo il confronto fra due ritratti del medesimo individuo eseguiti in tempi diversi, 1' uno cioè in attualità dell'affezione, l'altro a guarigione compita, rileva enormi ed incredibili differenze, ma una stessa frenosi può presentare nei differenti stadj della sua evoluzione e del suo decorso una fisonoiìiia talmente diversa da mettere in forse, anche dopo diligente esame, l'identitù dell individuo. — Questo si verifica segnatamente nelle follie circolari, in cui i tre periodi d'espansione, di concentramento e di lucidità che si avvicendano fra loro ad intervalli indeterminali e d'ordina- rio proporzionali, sono contraddistinti da triplice fisonomia. E tale purtroppo è l'orbita sciagurata, entro la quale la vita psichica di parecchie fra le mentecalle del mio Ospizio, che offrono spiccatissima tale forma, compie con precisione, di- rei quasi astronomica, la sua annuale rivoluzione. Basterebbe un simile criterio per attestare la validità scientifica del giudizio medico nelle relative questioni di niedicinn forense. E cerio non deve sorprendere, che la fre- niatria odierna, favorita nel progressivo suo sviluppo da tante osservazioni cliniche, dagli studj così avanzali di psi- cologia positiva e dall' applicazione del metodo sperimentale, sia giunta a così belle e frultose risultanze. Ma ben è me- raviglia ch'essa sia stata, dirò così, precorsa in buona parte dalla profonda intuizione di un uomo di genio, il quale sen- za il sussidio di tanti mezzi, e collo spiiito rivolto ad altri argomenti, riusci a formarsi della pazzia un concetto cosi preciso o rispondente al vero. Alludo allo Shakspeare, il quale nei suoi drammi forni ampia materia di studio ai medesimi alienisti, segnatamente inglesi. - Onimus, Buckuill, Kellog, Conolly ed altri insigni specialisti, che studiarono il lato scientifico di quella vasta e profonda intelligenza, fermarono particolarmente la loro at- tenzione sulla singolare esattezza delle osservazioni e sulla potenza inluitiva del sommo tragico anche nel dominio della psicologia medica. A lui infatti, che conobbe i veri caratteri dell' allucinamento e dell illusione, e descrisse con tanta fe- deltà e sino nei più minuti dettagh i tipi principah delle forme psicopatiche; a lui, che nella lesione primitiva della sfera senliuìenlale ed aifettiva seppe ravvisare quel peiio- do subdolo, incubatorio ed iniziale che sfugge cosi facil- mente all'attenzione dei profani, si che biasimò perfino il costume invalso di occultare ne' suoi primordi lo svilup- po della malattia ; a lui che distrusse tante superstizioni e pregiudizi e cercò di stabilire i veri limili tra la ragione e la follia; a lui che, secondo gli ultimi studj del nostro Fer- ri (*), mostrò la più fefice intuizione anche nell'arduo ar- gomento della psicologia criminale colla riproduzione fedele della realtà ; a lui che nel Macbeth seppe rappresentarci (i) 11 Macbeth e ìa. psicologia criminale ; Domenica del Fra- cassa, il gennaio 1885. — 224 — con tanta verità scientifica un vero prototipo del delirio di contaminazione allucinatoria per rimorso di un delitto di sangue ('), a lui certo non poteva sfuggire neppure la simu- lazione della pazzia, sulla quale diede prova luminosa di pos- sedere la più esatta e precisa nozione, come chiaro risulta dall' apprezzamento scientifico di quelle due originalissime personalità, che sono il Re Lear e l'Amleto (*), — Così il ge- nio intravede dall'alto ciò che noi, cercatori pazienti, andia- mo a fatica trovando nell'umile caiispo dei nostri studj {'•). (1) Filippi, La contaminazione. V. « Lo Sperimentale », gior- nale italiano di scienze mediche, 1879. (2) Étiides psychologique sur les hommes célèbres. « Anna- les médico-psychologiques », 1868. (3) In perfetta analogia con questo fatto giova qui ricordare, che non mancarono mai neppure nell'arte nostra dei grandi clinici, i quali con quella perspicacia d'osservazione che tocca da vicino l'in- tuizione del genio, seppero intravedere certe verità, messe ora in piena evidenza dai progressi della scienza. — Tra queste havvene ima che concerne l' indole essenziale della follia. — Nelle epoche medesime del puro empirismo, e molto prima che coli' applicazio- ne rigorosa del metodo sperimentale venisse iniziato il vero indi- rizzo scientifico della psichiatria, un vecchio pratico, di cui ora non rammento il nome, soleva dire, che quando si tratta di vera pazzia e non di un semplice disturbo dinamico o funzionale, la malattia non si limita al cervello, ma il pazzo si manifesta tale fino nelle estremità delle dita. Il che, tradotto in linguaggio tecnico, significa che l'alienazione costituisce un fatto patologico, avente radici cosi profonde nell' organismo da doversi ritenere quale ma- lattia costituzionale o diatesica, un morbus totius substantiae, co- me venne anche esplicitamente definito. — Ciò equivale precisa- mente all' odierno concetto espresso in modo decisivo dall' illustre nostro Morselli in un recente pregievolissimo lavoro colla seguente conclusione : che le malattie mentali sono stati patologici, in cui si cangia radicalmente il ìnodo di rispondere del sistema nervoso — 225 — Per quanto concerne da ultimo i mezzi, ai quali si può ricorrere per smascherare la frode, è da condannarsi reci- samente luso delle ritrattazioni forzate, dei modi violenti, e delle prove dolorose anche nel caso in cui si abbia il pie- no convincimento della simulazione. Al pari del magistrato che nei processi giudiziari deve astenersi da domande sug- gestive, da ricerche subdole ed insidiose, da argomenta- zioni capziose ec, nella stessa guisa il medico non deve ol- trepassare l'impiego di quei mezzi, che non recano alcun no- cumento, e mentre sono capaci d' impressionare vivamente Tindividuo, non perturbano le sue funzioni nervose e vege- tative, e rientrano invece nel novero di quegli spedienti te- rapeutici, che si metterebbero in opera se l' alienazione, che si sospetta simulata avesse ad essere reale; quali sarebbero la docciatura fredda, l'elettricità, come pure l'eterizzazione, sopratutto quando il morbo simulalo presentasi sotto forma di demenza, d'imbecillità, di stupidità, di mutismo, ecc. Ricorrere oggidì ai modi coi quali si praticava un tem- po la prova dolorosa della sensibilità corporea, costituireb- be un'offesa alla dignità umana, che va rispettata anche nel delinquente; un'onta alla giustizia ed alla civilt'i ; il più as- surdo anacronismo per una scienza, che in breve giro di anni fece tali avanzamenti da riformare in alcuni punti le dottrine stesse della giurisprudenza. alle eccitazioni esterne ed esterne, in cui, insomma, ciò che si modifica è l'individuo intero, in quanto esso è un organismo sensibile e reagente — che quindi la sede dei fenomeni psichici non è localizzala in un organo o parte d' organo, fosse pur questo il cervello, ma trovasi invece diffusa in tutte le parti, in tutti i tessuti, in tutte le cellule dell' intero organismo. — V. « Ma- nuale di semeiotica delle malattie mentali ». Guida alla diagnosi della pazzia, 1855. — 220 — A questa scieuza perciò rendeva, non ha guari, profon- do omaggio un giurisperito sapientissimo, quando nella sua qualità di Ministro della giustizia feee largo invito ai medici logisti e alienisti italiani a prendere in esame e riferire sul progetto del libro I ." del codice penale, e non esitò di scri- vere le seguenti parole: ^:::i Un codice penale non potrebbe riuscire che imperfetto, qualora non tenesse in adequata considerazione le osservazioni e le esperienze della psi- chiatria e della medicina ler/ale. =E all'invito, com'è no- to, corrisposto in modo plausibilissimo i più valenti spe- cialisti. Per coloro poi, i quali vedono negli avanzamenti della scienza una minaccia ed un pericolo per la società, l'indole stessa del nostro argomento offre affatto spontanea e legit- tima la seguente riflessione: Se da un lato Y odierna frenia- tria colla determinazione clinica e sperimentale di parecchie forme morbose dapprima inavvertite o sconosciute, le quali implicano nella medesima loro natura un'assoluta irrespon- sabilità può, in certi casi, sembrare direi quasi patrocina - trice dell'empietà, come purtroppo qualche voce anche au- torevole osava proclamarla nell' aula stessa dei TribunaU, essa conta d'altra parte, fra i più splendidi suoi trionfl, la scoperta della simulazione, che richiede sovente una dia- gnosi difficilissima, a cui solo gli attuali criteri possono im- primere un carattere di piena sicurezza, e senza la quale con soverchia facilità rimarrebbero impuniti tanti delitti. Di qui una nuova e solenne conferma del bisogno viep- più imperioso di armonizzare le scienze mediche colle giu- ridiche. Imperocché la scienza (conchiuderò colle belle pa- role del Livi) non sarà mai scienza vera, e la giustizia non sarà mai vera giustizia, finché tra loro non si saranno dato il bacio schietto dell' alleanza. RICERCHE CEOMETRK.HE NEGLI SPAZI SUPERIORI NOTA DEL s. 0. P lE TR 0 e AS S ANI I. Premesse. 1.° Gli spazj lineari punteggiuti sono hifìnitù multiple d'altri spazj lineari, che hanno un minor numero di di- mensioni, e questi, alla loro volta sono intìnilà multiple d'al- tri inferiori, e così di seguito. 2.° Lo spazio punteggiato R^ contiene Io spazio pun- teggiato R^ {s <. p) un numero di volte espresso con ^{s^i) (p-s) ^ij^ dunque si potrù scrivere Lo spazio secondo il quale si segano gli spazj R R pò- >r 7 ,^, p+^_,i-, -- , ■ 7,,= ''' l'incontro avver- rà necessariamente, ma se sarà p-\-q<.n , la differenza n — [p+q] esprimerà il numero delle dimensioni che con- verrebbe togliere all' ambiente fondamentale perchè avvc- (1) Veronese. La superfìcie omaloide normale a due dimen- sioni e del 4.^ ordine, dello spazio a cinque dimensioni (Acca- demia dei Lincei, voi. XIX, p. 8). 'lomu IV, Sene Vi. 30 - 228 — Disse, in esso, l'incontro degli spazj R , R^ in un punto. Gli spazj che si corrispondono per dualità hanno indici tali che la somma dei medesimi è eguale all'indice dello spazio fondamentale diminuito di una unitù. Dunque saranno fra loro in corrispondenza di dualità gli spazj R^ , R^ , quan- do sia 5 + f = n- — • I . 3." Se si trattasse di spazj rigati, i simboli R„ , R^ , R^ , R/n-i 5 ^m indicherebbero ordinatamente la retta (elemento primitivo, o senza dimensioni), la quadrica od il cono (conQgurazioni lineari o a due dimensioni), la con- gruenza lineare ecc. Questi spazj rigati sono lineari^ cioè possiedono una caratteristica che li rende paragonabili ai lineari punteggiati; analiticamente parlando, in coordi- nate di rette, essi sono rappresentati da equazioni di i." grado e si segano fra loro secondo spazj lineari. Invero (nell'ambiente R^) due complessi lineari si segano in una congruenza lineare, e tre complessi lineari in una quadri- ca che vuoisi considerare come ente di 4." grado, tali es- sendo le equazioni, chela rappresentano che sono pure quelle dei tre complessi. Anche per l'intersezione degli spazj rigali sussiste il teorema dimostrato per gli spazj punteggiali. Quindi se R R R,„ , sono tre spazj punteg- giati, dei quali sia R,„ il fondamentale, sarà: 2(m-l) 2(p-l) 2(f/-l) Rz=zQC R, ; R^^z=c« Rj ; R — co R,. Lo spa- zio d'intersezione sarà R^,^.^_„, — oo 2(/^+'?-'"-i) r^ . Ora facendo la stessa ricerca cogli spazj rigati R^(„_|) , R2(,y_n i posti nello spazio rigato R^^,„_i) , si ha come spazio d'in- tersezione: che, considerato in senso punteggiato, sarà ancora R„^.^_,„. 4.° Le serie semplicemente inOnite, di elementi qualunque sieno, sono, o schiere, o fasci, quelle doppiamente infinite di elementi, potranno essere chiamate reti e crescendo il — 229 — grado (l'infinità si chiameranno serie, aggiungendo una ca- ratteiislica per il grado d'inlìnitc'i. Formano infinità sempli- ci, tutti i punti d'una linea, tutto le sue tangenti, tutte le ge- neratrici d'una superficie rigata, tutte le linee piane, o tut- te le superficie d'un fascio. Saranno serie doppiamente in- finite, i punti, le rette del piano, i punti d'una superficie qualunque, le corde d'una curva, ed in generale, i raggi delle congruenze, i piani che toccano una superficie; le rette che toccano due superficie, le curve e le superficie di una rete. La triplice infinità si riscontra nei complessi ecc. L'elemenlo fondamentale o primitivo, può essere diverso dai lineari. Per esempio, i circoli del piano formano una tripli- ce infinità, le coniche del piano formano una quintuplice infinità, quindi il piano possiede tre dimensioni rispetto al circolo, consideralo come elemento; ha cinque dimensioni rispetto alla conica, ed in generale —— — - dimensioni ri- spetto alla linea d'ordine n assunta come elemento fonda- mentale. Così lo spazio che è un esteso a tre dimensioni rispetto al punto ed al piano, è di quattro dimensioni ri- spetto alla retta ed alla sfera, e di nove dimensioni rispetto all'elemento qnadrica. Queste vedute generali furono intro- dotte nella Geometria dal prof. Cremona, fino dal I875(*). Potrà essere indicata con S^ , „ , una serie lineare com- posta con elementi lineari passanti per lo spazio R^. e col- locata nello spazio fondamentale R„ , potrà essere lutto al più s = n — 2 e gli indici dei singoli elementi saranno : s-^ì , 5H-2 , sH-3 , n — 2 , ?i — i . Per esempio: nello spazio R4 , il simb(do 8^3 rap- presenta un fascio di spazj, il simbolo S, 3 , una rete di (4) Nota sulla corrispondenza fra la teoria dei sistemi di rette e la tegria delle superficie . (« Accadeiuia dei Lincei», 6 giugno, 1875). — 230 — piani e di spazj ; Ro 3 è una stella di raggi, di piani, di spa- zj. Segando la serie S^^^ „_i con uno spazio R^_| si ottiene la serie S^ „_^ . Così, per esempio, data nello spa- zio R4 la rete S, 3 , la sezione con uno spazio R^ porge S„, che è la stella ordinaria. II. Fascia coni^ reti^ quadriche e corrispondenze. 5.° Due piani fissi et e /3 posti in R4 s' incontrano necessariamente in un punto V — aS , e sono gli assi di due fasci di spazj che si possono far corrispondere projet- tivamente ; il piano variabile d'intersezione di due spazj corrispondenti passa sempre per il punto P, e la semplice infinità dei piani, cosi ottenuti, compone un cono quadri- co C3 che ha per vertice il punto P . Fu già notato in altra memoria {*) che il cono C3 possiede due sistemi di piani generatori ; che quelli di un sistema incontrano in rette quelli dell'altro sistema, e fu ivi dedotta questa pro- prietà dal principio di dualità fra un sistema costituito da due rette (poste naturalmente in un ambiente R3) e quello di due piani (incontrantisi naturalmente in un punto, cor- rispondente per dualità ad R3) e fra la quadrica ordinaria che ha per direttrici quelle due rette ed il cono C3 che ha per direttori quei due piani. Qui non è il luogo di en- trare in particolari, ma solo di indicare una serie ordinata delle più importanti e fondamentali questioni. In generale (0 _U) se R„ è lo spazio fondamentale ed Kn-^ > "n-2 due spazj fissi, che si segheranno in uno spazio R„_4 , assu- (1) L'Ateneo veneto. «Rivista mensile di scienze, lettere ed arti ». Anno 1885; voi. Il, pag. 249. — 231 — mendo quei due spazj come assi di duo fasci di spazj R,;_n si avrebbe ancora un cono quadrico C,^_, , composto con due sistemi di spazj generatori R„_j e quelli d'un sistema, mentre s'incontrano fra loro^in ispazj R„_4 incontrano quelli dell'altro sistema in ispazj R„_j il che può essere di- mostrato, pure col principio di dualità, rifletlendo che nel- lo spazio fondamentale R^^ , alla retta corrisponde lo spa- zio R„_s ; per cui quei due spazj fissi hanno per corri- spondenti due rette che stanno in un ambiente R^ al quale corrisponde lo spazio R,j_i e la genesi della qua- drica rigata ordinaria, situata in Rj, fa riscontro a quella del cono quadrico in discorso. 6." Nello spazio R^ sieno comunque poste due rette a e b ; per esse passeranno serie doppiamente infinite di piani R^ e di spazj R, . Si possono far corrispondere piani a piani e spazj a spazj. Sieno a e (2 due piani cor- rispondentisi; il loro incontro avviene sempre in un punto, ora le due forme possono essere considerate come due reti e rappresentate^rispettivamente con 8,3, S^ 3; uno spazio fisso R3 , è da esse incontrato in due stelle ordi- to i'ì) narie 8(^5,80^, i cui centri sono quei punti nei quali Rj è incontrato dalle due rette a e b . Ai due piani et e /S delle forme primitive, corrispondono due raggi r ed s delle forme derivate. Ora quei raggi r ed s , corrispondentisi, i quali s'incontrano, generano, come è notissimo, la cubica gobba, che passa per i centri delie stelle; dunque: i piani s' incontrano in una superficie (vera) punteggiata, del III ordine che contiene gli assi a e b delle due reti. Essa è la superficie normale dello spazio R4 e potrà essere indicata con N^ . Questo medesimo teorema fu dimostra- to nella citata Memoria dell'Ateneo (pag. 50) colla consi- derazione d' un piano 77- qualsivoglia , posto in R4 , il — 232 — quale ò sempre incontralo dai piani mobili a e ^ in due punti corrispondentisi, per cui tt va riguardato come due piani sovrap|)Osti pei quali la corrispondenza ha tre punti uniti. 1 piani delle due stelle, come si sa, generano una congruenza lineare i cui raggi sono corde della cubica ; ora questi raggi della congruenza sono intersezioni dello spazio Rj coi piani in cui si segano due spazj corrispon- denti delle due reti. I piani in discorso formano, in R^ una doppia infinità e per una retta, assunta ad arbitrio in R4 ne passa uno solo. Infatti, qualunque sia quBsta retta, essa incontrerà lo spazio R3 in un punto P ; ma per il punto P passa un solo raggio della congruenza lineare cui danno origine le due stelle, e questo raggio è la sezio- ne di R3 col piano che è comune agli spazj corrisponden- tisi delle due reti. Per un punto dello spazio R4 passa una semplice infinità di questi piani, e si ha il cono quadrico, considerato prima. 7° Facendo corrispondere i piani d'una rete agli spazj deli altra, si ottiene una duplice infinità di rette che costi- tuisce una quadrica rigaia 0 del 2." ordine Q3 . In fatti nello spazio Rj si corrisponderebbero allora, per la fatta ipotesi, i raggi d'una stella ed i piani dell'altra, e, come è noto, questi elementi s'intersecano in punti duna quadrica ordinaria, i quali punti sono le intersezioni di R3 colle rette della serie doppiamente infinita, testé indicata. La quadrica Q3 contiene la superficie normale W . Facen- do corrispondere projettivamente le generatrici della qua- drica Q3 agli spazj di una rete, si ha una superficie vera (cioè a due dimensioni). Segando la figura con uno spazio R3 si ottiene una quadrica punteggiata Q^ ed una stella di piani, ed i punti di questa quadrica debbono corrispon- dere projettivamente ai piani della stella. Ora una tale cor- rispondenza si ottiene fra la stella indicata , ed un altra stella di raggi che abbia il suo centro sulla Q^ , e ne deri- - 233 — va un'uUra quadricu Q.^^*' passante per i centri delle due stelle ed intersecante la prima quadrica in una quarlica gobba. Ora questa quarlica è C intersezione dt vna superfi- cie del 4.° ordine collo spazio fisso R^ . 8.° Una maniera di attuazione d'una corrispondenza quadratica sul piano è quella che si ottiene bssumendo so- vra una quadrica Q due punti O^O.^, dai quali si projel- ta simultaneamente, uno stesso punto della quadrica, so- vra un pian(!. Si otterranno sul piano due punti Aj A^ in corrispondenza projeltiva ed allineati con il , punto in cui il piano delle rap[)resentazioni è incontrato dalla con- giungente dei due punti 0,0^; la linea doppia di questa corrispondenza è una conica. Alle rette del piano corri- spondono le coniche d' una rete, perchè i coni che hanno il vertice in 0^ , e proiettano le coniche che passano per 0,, hanno tre generatrici fisse in comune, l'una delle quali passa per il , e le altre due sono le due generatrici (reali od immaginarie) che appartengono lilla quadrica e passano per Oo . Le rette che passano per Lì corrispon- dono a sé medesime. Alle coniche non passanti per il , corrispondono quarlicke . Ora si supponga iìcIIo spazio Rj una quadrica Q^ , e due punti Oj 0^ sulla mede- sima , la cui congiungente incontra in un punto 12 io spazio (isso R3 . I punti di Qj saranno rappresentali, l'uno per uno, nello spazio R3 mediante projezione da un punto di Qj . Ora ogni punto M di Q3 sarà projettato in R3 dai due centri Oj ed 0^ nei due punti A^ A5 che si corrispondono projellivamente e sono allineati con Si, ; la superfìcie doppia di questa corrispondenza è una quadrica ordinaria. Gli spazj che stanno in R^ e passano per Oj segano la Q3 in quadriche Q.^ , e segano Rj in piani; ma quelle quadriche sono proiettate da 0^ in R;j secondo altre quadriche Q^ ; dunque ai piani dello spazio R^ corrispondono quadriche che formano una serie tripli- — 23i — cernente infinita e che si possono considerare come passanti per sei punti fissi. I piani che passano per fi corrispon- dono a sé medesimi. I piani che passano per 0, segano iij in rette e Q^ in coniche ; queste coniche vengono proiettate dal punto Oj in altre coniche^ dunque alle ret- te dello spazio corrispondono coniche \ siccome poi una co- nica nello spazio R^ è determinata da otto condizioni, e le coniche in discorso debbono formare una serie quattro vol- te infinita, così tutte queste coniche obbediscono inìplicita- mente a quattro condizioni. 9." La corrispondenza quadratica sul piano può essere attuata anche mercè due coniche fìsse, rispetto le quali ad un punto corrisponde un punto che nasce dall'intersezione delle due polari di quel primo punto. Quando il punto pri- mitivo percorre una retta, ognuna delle polari rota intorno al corrispondente polo di quella retta e quindi le due polari diventano i raggi corrispondenti di due fasci omografici, che s' intersecano sopra una conica passante per i poli di quella retta. Dicesi anche che ad un punto corrispondono (lue rette. Vi sono quattro punti che corrispondono a sé medesimi e sono quelli in cui si segano le due coniche fon- damentali. Nello spazio R^ assunte due quadriche fisse, ad un punto corrisponde una retta, ad una retta una qua- drica rigata ; ad un piano, o piuttosto ai punti d' un piano, i raggi d'una congruenza lineare. L'analoga corrisponden- za può essere attuata nello spazio R^ mediante due qua- driche Q3^'' , Qj*''^ prese come fondamentali. Ad un punto corrisponderà un piano, ad una retta un cono quadrico Cj formato coi piani d' intersezione degli spazj di due fasci proiettivi ecc. Può ottenersi pure una corrispondenza al modo che se- gue: Nello spazio R3 sta un fascio di quadriche, un punto arbitrario A è preso nello spazio ; per quel punto passa una sola quadrica del fascio, ed a questa quadriga può condur- — 235 — sì in A un solo piano tangente; cosi ad ogni punto dello spazio corrisponde un piano unico passante per esso. -10.° La corrispondenza proiettiva fra le generatrici dì una quadrica rigata ed i piani d'un fascio, porge nell'ordi- nario ambiente Rj la cubica gobba ; ora le forme compo- nenti deriverebbero dall' intersezione dello spazio ordina- rio R3 con una semplice infinità di piani, e con un fascio di spazj. Quindi: se in R4 starà un cono Cj (infinità semplice di piani) ed un fascio Sj 3 ; facendo corrispon- dere projettiv amente gli elementi di queste due forme^ de- vesi ottenere una superficie rigata di III ordine. -Il .° Nell'ambiente fondamentale R„ , sieno le due se- di U) rie Rf,n-i , Rj,;i-i i cui elementi omonimi si corrispon- dono uno ad uno, projettivamente; come fu detto nella I parte , ognuna di esse è costituita dagli elementi lineari R_y R^^^ R^^.2 ....R„_, , che passano per uno spazio fisso ^s-i '•> ^'*^ perchè fosse 2* — n — 0 , converrebbe che fos- n se * = g » 6^ *'' numero pari per conseguenza. Ora in tale ipotesi, due elementi R^.^^^ , R^^*^ corrispondentisi si in- contrerebbero in un punto. Assunto allora uno spazio fisso Rj^R„ , quei due elementi variabili traccierebbero in esso, che vorrebbe essere considerato come due spazj so- vrapposti, una corrispondenza di punti che avrebbe -4-4 punti uniti, dunque uno spazio R„ , sega il luogo dell'in- II tersezione, in una linea gobba dell'ordine --t- I ; uno spazio Rn , lo sega in una superficie dell'ordine ìstesso, e perciò il luogo in questione sarebbe una infinità di punti n espressa con 00 ^ . Così per n =. 6 , gli assi delle forme Tomo JV, Serie YJ. 31 — 23C — sono Rj'^R2*-), quindi s:=:3 ; quindi il luogo sarà una Qo \ cioè una triplice infinito di punti. III. Corrispondenza di stelle. ^2.° In R/, sieno le stelle S^i S„, e si consideri in esse la corrispondenza di raggio a raggio. I raggi corri- spondentisi tracciano in uno spazio fisso Rj nna corri- spondenza di punti che ha quattro punti uniti; dunque i raggi corrispondenti che si incontrano generano una linea gobba del 4." ordine che è la linea normale dello spazio R4 ; sarà dessa indicata con w* . Essa fu già 1' oggetto delle ricerche del chiarissimo prof. Bordiga, che l'ha dedot- ta con altre considerazioni, mostrandone varie nuove ed interessanti proprietà {*). Intanto è evidente che questa li- nea passa per i centri delle due stelle. Ora due raggi cor- rispondenlisi r, r^ determinano uno spazio unico Rj ; tutti gli spazj R3 , ottenuti a questo modo, formano una duplice infinità, perchè hanno tutti in comune i centri delle due stelle Dunque uno spazio fisso, che, per evitare la con- fusione, sarà rappresentato con T , sarà intersecato da questa doppia infinità di spazj, in una doppia infinità di piani, tutti passanti per quel punto XI in cui lo spazio T è incontrato dalla retta che congiunge i centri delle due stelle. Se si dicono A, A^ i punti in cui lo spazio T è in- contrato dai due raggi corrispondentisi r, r^ , è chiaro che quei punti saranno nel piano (passante per il) in cui T è segato dallo spaz/o r^ r^ ; le rette congiungenti Aj con A2 fanno una triplice infinità, ben conosciuta, ma sic- come i piani della stella ordinaria che ha per centro XI (1) Atti del R. Istituto veneto, tomo III, ser. VI, p. 2097. - 237 - formano una doppia infinità, così quella triplice infinili'i di rette (raggi d' un complesso) è distribuita sulla duplice in- finità di quei piani, ovvero, in ogni piano della stella vi sarà una semplice infinità di quei raggi. INei punti uniti, i raggi r,, ì\ si incontrano, e per ciascuno di quei punti essi defr ! terminano un piano per il quale passa una semplice infinità di spazj Rj ; quel piano sega lo spazio fisso T in una retta asso d'un fascio di piani; questa retta passa per il, quia- di si hanno quattro rette passanti per £1 tanti essendo i punti uniti. 13." Quei raggi delle due stelle^ che s' incontrano sulla n* determinano una semplice infinità di piani^ i quali sega- no lo spazio fisso T in una semiilice infinità di rette for- manti una superficie conica C^ del 4." ordine^ che ha origine dalla intersezione di T con un cono che ha il vertice in £1 e per direttrice la n^, dunque è un cono C^ del 4." ordine. V intersezione di due spazj corrispondetitisi nelle due stel- le è un piano, e di questi piani si ha una triplice infinità. Si considerino due spazj corrispondenti Rj*^^ , R/^^ i raggi che stanno in Rj^*^ avranno i loro corrispondenti in R^'^^ e viceversa; ora sia ct-EER^j^'^R/^^ il piano in cui si segano i detti due spazj ed x^, x^ due raggi corrispondenti varia- bili che stanno in quei due spazj ; quei raggi tracciano sul piano a una corrispondenza projeltiva di punti che avrà Ire punti uniti ; questi punti appartengono alla n'% dunque quel piano ex, sega la n* in tre punti, perciò si può dire che i piani della triplice infinità si comportano^ rispetto alla n\ come le corde della cubica gobba, le quali compongono la congruenza lineare dello spazio R^. Se due punii d' inter- sezione diventassero infinitamente vicini, il piano sarebbe tangente, e diverrebbe osculatore, se lutti e tre quei punti di intersezione coincidessero. Questi piani si comportano adunque come i raggi dell' indicata congruenza. Per un punto dello spazio passa una semplice infinità di questi — 238 — piani, e per una retta dello spazio, assunta ad arbitrio, non ne passa alcuno. La seconda parte dell' enunciato è subito provata; infatti sia a la retta assunta ad arbitrio, per a e per il centro d'una delle due stelle, passa un unico piano y, e per questo piano una semplice infinità di spazj; per il cen- tro dell'altra stella passa un piano unico 'y^, corrispondente di y, ed un'altra semplice infinità di spazj passerà per y^ ì piani y G yi si incontreranno necessariamente in un puu- to P che non sarà sulla retta a e tutti i piani in cui si se- gheranno due spazj corrispondenti, che passino per i piani y G yi passeranno per P , ma non per quella retta, e se- gheranno i piani y e y^ in due rette passanti per P ; questi piani formeranno un cono quadrico Cj (Il parte, n." 5). Quella triplice infinità di piani è segala dallo spazio fisso T in una triplice infinità di rette che formano un complesso di 2° grado particolare. ^4." Se si fanno corrispondere i raggi d'una stella ai piani dell' altra, si obbligano questi piani a comporre una triplice anzi che una quadruplice infinità di elementi, e quindi a tracciare un complesso nello spazio fisso T. Que- sta condizione può essere soddisfatta in una infinità di ma- niere. Si otterrebbero tanti particolari complessi di ordine differente, costringendo i piani d' una stella ad incontrare continuamente una linea fissa. Per esempio, supposto che questa linea direttrice fosse una reità r , detto S il centro della stella, il piano Sr segherà lo spazio fisso T in un'al- tra retta p , e tutte le rette, secondo le quali lo spazio T è segato dai piani mobili intorno ad S, incontreranno la p , perchè sono formate mediante i piani a, variabili, che in- contrano sempre il piano Sr . Si ha dunque in T quel complesso lineare particolare che è costituito da tutte le rette che si appoggiano ad una data, la quale, nel caso pre- sente, è la /) (asse del complesso). Se la direttrice fosse una conica, il cui piano non passasse per il centro Sj si avreb- — 239 — be in Y un'altra conica generata dagli incontri di Y coi raggi che la projettano da S , e che stanno nei rispettivi piani mobili ; si avrà cosi in Y il complesso formato dalle rette che incontrano in un punto una conica. Così, qualun- que si fosse l'ordine d'una linea gobba posta neW ambiente fondamentale, si avrebbe un'altra linea gobba, con una cur- vatura di meno, nello spazio fisso Y , ed il complesso sa- rebbe formato da tutte le rette che la incontrassero. Tutti questi complessi hanno dunque il carattere comune che quei loro raggi che passano per un qualsivoglia punto dello spa- zio formano un cono che ha per direttrice quella linea e per vertice quel punto. 15.° Nella corrispondenza di piano a piano quanti piani si incontrano in rette? Ogni coppia di piani segantisi in una retta, è in uno spazio Y passante per i centri delle due stelle. Ora gli spazj che passano per quei due centri forma- no una doppia inflnità e tutti passano per quel punto K di Y in cui Y è incontrato dalla retta che congiunge i centri delle stelle, dunque quegli spazj segano Y in una stella ordinaria di piani che ha per centro K. D'altra parte facendo passare, per i centri delle due stelle, uno spazio Yj , esse verranno segate in due stelle ordinarie, ed a quella doppia infinità di piani delie prime stelle, i quali hanno in comune una retta, corrisponderanno coppie di raggi che avranno in comune un punto; ma quei raggi in- contrantisi, descrivono la cubica gobba, dunque il luogo delle rette comuni ai piani che si incontrano in rette, è una superficie rigata del 3." ordine che contiene la n* . Infatti sieno di ct^ due piani corrispondenti che si segano in una retta ^ ; in a staranno dei raggi r^ che corrispondono ai raggi r^ , giacenti in /3 ; questi raggi tracciano sulla q due divisioni omografiche che hanno due punti uniti, e questi punti spettano evidentemente alla n"^ ; dunque so- pra ogni generatrice della superficie rigata , stanno due — 240 — punti della »* ; dunque la w^ funziona come due punteg- giate, sovrapposte o, come schiere di punti d'ordine supe- riore, perchè ad un punto X di essa, corrisponde sulla me- desima un altro punto X, , e quei punti in cui X ed X^ coincideranno, corrisponderanno a generatrici tangenti della ?i'' ; quindi facendo corrispondere uno ad uno i punti della w* , le congiungenti formeranno la superficie rigata F3 . i6.° Alle due stelle sono reciproci due spazj Rj^'^ , R^*^^ ; alla corrispondenza fra due spazj delle stelle, fa ri- scontro la corrispondenza fra due punti di quei due spazj ; le congiungenli dei due punti corrispondenti formano una triplice infinità di rette nello spazio R4' fondamentale. Alle coppie dei raggi, che si incontrano in punti e formano pia- ni, corrispondono le coppie di piani che stanno in ispazj 'R3 e si incontrano in rette; alla ?i^ è perciò corrispondente per * ' dualità, una superfìcie spaziata che sarà della quarta clàs-', se e del 3." ordine. Sieno invero P, P^ due punti' éorri- spoiìdenti, per essi passeranno due piani corris|Ì0'ndenti a, «2 che staranno rispettivamente negli spazj FÌ^^^^jRj^*^ e si incontreranno in un punto situato nel piano che quei due spazj hanno in comune; quei piani, insieme a quella retta, formano due spazj in corrispondenza projettiva, che avrà tre spazj uniti; quindi per una retta della triplice in- fluita si potranno conilurre tre spazj tangenti a quella su- perfìcie rigata ; teorema che la riscontro a quello del n.° 13. Fja triplice infinità delle rette, projettata da un punto arbi- trario in uno spazio T , produce in esso un complesso ordinario. Un piano qualunque dell'ambiente fondamentale R,, non contiene generalmente alcuna delle rette, ed in uno spazio Rj ci starà una serie semplicemente influita delle medesime, formante una quadrica rigata. M." In generale, nello spazio fondamentale R„ sieno — 241 — (0 (2) due stelle So,«-i , So,rt_2 ; esse conterranno rotte in nu- mero oc"""', piani in numero co ^*'^~") ; spazj R3 in nu- mero ce H"-^) e spazj lineari R in numero oo 9("~?) , Ora nella corrispondenza dei raggi, che generalmente non s'incontrano, essi traccieranno in uno spazio fisso R„_i una corrispondenza di punti che avrà 11 punti uniti. I piani corrispondentisi (generalmente nonjincontrantisi) trac- ciano in uno spazio R„_, una corrispondenza di rette, ed in uno spazio R„_2 una corrispondenza di punti con n — ^1 punti uniti, dunque si troverà in R„_t una linea dell'or- dine n — ì , formata cogli incontri di quelle, fra le rette corrispondentisi, che hanno un punto comune, o sono in un piano; quei piani formeranno, in R,j_i una superficie sviluppabile ed in R^^ si troverà una semplice infinità di spazj R„_i , ecc. È facile riconoscere le corrispondenze reciproche. ^8.° Fu detto altrove che in questa Nota non si ha per iscopo che un accenno ad alcune importanti quistioni ge- nerali. In altro lavoro questi argomenti potranno essere partitamente discussi ed ampliati. •ia^BBSr: Prezzo della Dispensa Fogli \ Ks^Ij^ ad liaìiom Cini. J2 Va - . I^ 2:C3 - ATTI ni:i, HKALE ISTITUTO VENETO I) I SCIENZE, LETTERE ED ARTI DAL NOVEMBRE 1885 all'ottobre 1886 TOMO QUARTO, SERIE SESTA Disiteiìsa Terza ^ V E rs E Z I A !'It?:SSO LA SEGRETERIA DELL' ISTITUTO NEI. PAI.A/.7.0 DDCALU TIP. ni G. ANTONEI.M, 1 88K-86 I N D 1 e K Alto verbale delle adunanze 24 e 25 gennaio 1886. . pag. 243 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. Fertile, m. e . . . — Gonmiernorazione del membro ef- fettivo prof. Luigi Bellavite ...» 247 A. Abetti — Osservazioni astronomiche della nuova cometa Brooks 2 e delle comete Fabry e Barnard, fatte a Padova col- r equatoriale Dembowski nel gennaio 1886 » 267 F. L. PuLLÈ .... — Aggiunte alla Meuioria sulla lette- ratura dei Gaina y> 275 L. Torelli, tn. e. . — Applicazione della meteorolot;ia al- l' agricollura » 291 A. FAVAUO,ni. e. . — Intorno ad alcuni nuovi sludi sulla vita e sulle opere di Galileo Galilei. » 355 M.r J. BiRNARDi, m.e. — Relazione sul terzo Congresso pe- nitenziario raccoltosi in Roma . . » 363 L. Zamrelli ed E.LuzzATTO. — L'acqua ossigenata come mezzo per separare l'antimonio dal- l' arsenico nelle ricerche tossicologi- che . ...» 371 Ab. M. Tono. . — Bollettino meteorologico dell'Osser- vatorio del Seminario Patriarcale di Venezia (dicembre 1885) . . » xlix-lii Segue Anno 1SS5-8C DISPENSA III mmm del mu di gfj^^iio ì886 ADUiVANZA DEL GlOUrVO 2ti PKKSIOKNZA DEI. COMMENDATORE ANGKLO MINICI! VICEPRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi : De Zigno, Bucchia, Pi- RONA, Velido, De Betta, De Leva, Vlacovich, Famkri, LoRE^^zo^I, E. Beììjìardi, Mons.'" J. Bernardi, Beltrame, Favaro, Tolomei, Gloria, Vigna, i\Iarlm:lli, De Giovan- ni, M. Bellati, Perule e Trois viccse.Lriei.nio ; nonché i soci cori'ispondeiili : Dall'Acqua GirsTi, Berchet, Spi- CA, Martini, Cniccm e Cassani. È giustificata l'assenza del presidente Lamperlico, del segretario Bizio e dei membri effettivi Tnrazza, Pa- zienti e Saccardo. Letto ed approvato l'Atto verbale della precedente adu- nanza, il Vicepresidente comunica esser pervenuti i Reali Decreti, in data del 3 dicembre 1885, risguardanti la pro- mozione a membri effettivi non pensionati dei professori Manfredo Beliaii e Antonio Pertile , dei quali vengono partecipate le lettere di ringraziamento trasmesse alla Pre- sidenza. 'liniiv IV. Serie 17 32 ^ 244 — r.omiinirn inoUro, che il Reale Ministero di ngricoltu- r;i, indusUia e coniineicio ebbe a eoncedeie, anche |ier r anno I80G, il consueto assegno per i premi, da conferir- si agli industriali della veneta regione. Poscia il Vicesegretario presenta l'elenco dei libri do- nati, dopo l'ultima adunanza, alla biblioteca del F\. Istituto. Dopo ciò il m. e. A. Fertile legge la Commemorazione del compianto collega prof. Luigi Bellaviìe; ed il m. e. M.' J. Bernardi riferisce « ««/ /// Congresso penitenziario internazionale raccoltosi in Roma ». Il m. e. A. Favaro, presenta, per la inserzione nel vo- lume delle Memorie in i.", la parte prima della « Miscella- nea Galileiana inedita », accompagnata da un riassunto destinato per la pubblicazione negli Alti. L'altro m. e. A. Lorenzoui presenta una Nota dell'a- stronomo dott. Antonio Abelli, contenente le « Osserva- zioni astronomiche della nuova cometa ììrooks 2 e delle comete Fabry e lì amar d, fatte a Padova coW equatoriale Dembnwski nel gennaio 4 886 ». 11 s. e. P. Chicchi comunica una sua Nota, corredata da una tavola, « sul modo di conseguire /' uniforme resi- stenza negli archi elastici impostati sopra, cerniere » ; e l'altro s. e. P. Spica presenta, con brevi cenni riassuntivi, due scritti : il i." del sig. L. Zambelli ed E. Luzzatto « sul- l'acqua ossigenata come mezzo per separare l'antimonio dall'arsenico nelle ricerche tossicologiche » \ ed il 2.° del dott. U. Zanelli l' sulla possibilità di riconoscere, mediante i cristalli di emina, la presenza del sangue in tessuti di va- ria natura dopo i lavaggi soliti della pratica comune ». Da ultimo, in conformità dell'articolo S." del Regola- mento interno, sono ammessi a leggere: il dott. R. Galli, il sèguito del suo lavoro « sulla storia di Venezia dal 552 al \'ÌS4 rinnovata, e sul primo palazzo ducale, sulla prima - 245 — chiesa di S. Marco scoperti n ; ed il sig. prof. P. Ragnisco ii sunto della sua \lemoria, col titolo: « Una polemica fra gli, sludenii di logica nclfVniversità di Padova, nelle scuole di Bernardino Petrella e di Giacomo Zabarella ». Terminate tali letture, rislituto si raccoglie in adunan- za segreta, per trattare de suoi affari interni. Nel susseguente giorno 25, sotto la presidenza dello stesso coinm. Minich, si proseguono le altre letture regi- strate nell'ordine del giorno, dopo essersi letto ed appro- vato r Atto verbale della tornnta di jeri. Il sig. dott. G. Fiorani, giusta l'articolo 8" del Regola- mento interno, legge una sua Memoria « sulla medicatura chiusa ». Poi il Vicesegretario comunica i seguenti scritti, am- messi conformemente al succitato articolo 8.°: 1." del sig. G. Dian, che tratta « del solfo e di alcune sue combinazioni » ; 2." le « Note preliminari « del sig. P. De Vescovi « sulle funzioni cromatiche dei pesci » ; 3." le « Ricerche analiliche sugli Agarici della Venezia » (Cent. I) del sig. P. Voglino; 4.' " Lo studio generale della quarlica normale » del prof. G. A. Bordiga. In adunanza segreta poi si continua la trattazione degli altri affari posti all'ordine del giorno. 4 liVOlli LEU! PER LA FUBCLICAZIOAE MW ATTI COMMEMORAZIONE DEL MEMBRO EFFETTIVO PROF. LUIGI BELLAVITE Cena DAL M. E. ANTONIO PERULE Luigi Bellavile nacque in Verona il 20 settembre 1821 da Paolo e Lucia Monga, benestanti e solertissimi genitori. La madre, per la quale egli conservò sempre una partico- lare venerazione, mise nel cuore di lui fino dalla prima età quel seme di religiosi principi, cbo formarono la base del suo carattere. Luigi attese in patria con amore agli studi ginnasiali e liceali, dando saggio Gn d'allora della sua pro- pensione per le materie speculative; e nel novembre del 1840 s'iscrisse al primo corso della facoltà politico-legale dell' Università di Padova, donde usci laureato con molto onore e lasciando bella memoria di sé, il 23 agosto 1845. Quivi egli s'era acquistata in particolar modo la stima ed affezione di Cristoforo Negri, allora professore di scienze e leggi politiche, e fu per consiglio di lui, che, appena forniti gli studi, il Bellavite si recò a Milano, campo più vasto e più appropriato alla sua mente, per fare la pratica e quindi intraprendere l'esercizio dell'avvocatura. D'alto e nobile sen- tire, com'era, non potò non lasciarsi trascinare dall'entusia- smo delle cinque Giornate e dall'idea delia patria indipen- — 248 - denza, e prose a propiignunie la causa, coiiibaltendo peri- colose tendenze separatiste, in un giornale molto diffuso che pubblicavasi allora in quella cittò, domandato il Pio IX {*). In conseguenza di ciò, quando, in agosto, Milano venne rioc- cupata dagli Austriaci, si rifugiò a Lugano, ma non guari dopo si restituì al suo domicilio. Come, ve noto, illustri Signori, a quel tempo permette- vasi nei nostri paesi lo studio privato delle leggi, sotto mae- stri espressamente a ciò autorizzati. Il Bellavite, che aveva sempre vagheggiato di darsi all'insegnamento, aveva doman- data ed ottenuta già fino dal 1847 dall'Università di Pavia, non senza sostenere le prove prescritte dalle leggi, l'abilita- zione a tenere scuola di diritto romano, feudale e canonico ; abilitazione che nel {849 gli venne estesa a tutte le materie dello studio politico-legale. Quest'ufficio era il suo naturale, e però egli emerse in breve, e pel modo d' insegnare e pel numero dei discepoli, fra i molti che lo esercitavano, princi- palmente in quegli anni, nei quali, per le ragioni della politi- ca, tacevano le aule delle nostre Università. Fu la riputa- zione acquistata in tale ufficio dal Bellavite, congiunta a parecchi saggi eh' egli avea dato dei suoi studi nel diritto romano, che, essendo stato bandito il concorso alla cattedra di esso nell'Università di Padova, gliela fece conseguire nel 1855. Scnonchè questo studio non aveva pel Bellavite valo- re di fine, sibbcue invece di mezzo per l'intelligenza e il di- svolgimeuto dell'odierno diritto civile. Per la qual cosa, al- lorquando nel 1861 gli venne offerta in luogo della sua la cattedra di diritto civile nella medesima Università, l'accettò di buon grado, e la tenne fino alla sua morte, che, come sapete, lo colpi improvvisanente, mentre stava vestendosi, la mattina del 25 giugno p.p., non ancora compito il sessan- tesimo quarto anno della feconda sua vita. (1) V. Polacco, Luigi Bellavite neh'Arch. ^iurid., voi. 35, fase. 3. — 249 — Nel suo soggiorno a Milano egli aveva conosciuta, per conseguenza dell'amicizia col prof. Negri, la costui nipote Giuseppina Anderloni, che condusse in moglie il 4 d' agosto 1851. Questa Signora, che ricopia la donna forte delle sacre carte, la quale si deve percorrere molte province per ritro- vare, e trovatala, non c'è valore che le si uguagli, circondò il Bellavite di tutte le cure le più minute, lo sorresse col conforto e col consiglio nelle varie vicende onde s'intreccia la vita, e formò il fondamento della sua domestica felicità. La quale crebbe viemmaggiormente allorquando, special- mente per le assidue sollecitudini di quella medesima Donna, si vide crescere da presso nel suo Paolo un modello di figlio, e raggiunse il colmo allorché questi stese la mano di sposo ad Emma Ugolini. Oh con quale effusione discorreva egli di questo connubio ! Ed era nel seno della famiglia, in mezzo ai suoi cari, che quest'uomo dall'aspetto severo, dal lare austero, che fuori parlava poco, diventava tenero, loquace, espansivo. Ahimè! quanto più amaro perciò torna loro l'a- verlo perduto ! E in vero, quelle anime armonizzavano pienamente tra loro : non le divideva, come suole pur troppo avvenire di frequente, diversità d'opinioni, specialmente in materia di religione. Nel IJellavite cogli anni e cogli studi s'era ringa- gliardita, anzi che scemata la fede; e la professava in pri- vato ed in pubblico con tutta franchezza: anzi non temè nemmeno di scendere in campo per sostenere le ragioni di essa, quando le vedeva attaccate, come fece contro il libro Stato e Chiesa del Minghelli. E alla religione accop- piava la benelicenza, sia giovando dell'opera sua l'ammini- strazione di pii istituti, sia sovvenendo largamente ogni futta di bisognosi che a lui ricorrevano. E però la sua morte fu un lutto per la città di Padova, e se ne rese interprete il Consigho comunale inviando le proprie condoglianze alla Vedova e al Figlio. — 250 — Fin qua dell' uomo, ora dello scienziato. Quando studiava il Bellavite, teneva ancora il predominio nelle nostre scuole il dirilto naturale o razionale, iiiusta gli ultimi svolgimenti datigli da Emmanuele Kant. Ma in Germa- nia venivano ormai combattute fortemente quelle teorie, che mettevano terrore nei saggi, dopo i tristi frutti che di esse aveva raccolto la Francia, sulla fine del secolo precedente. Si fondò all'uopo una nuova scuola, la quale in direlta opposi- zione a quella del diritto naturale, che stabiliva lutto a priori e ad un unico modo, stato e diritto, deduceva l'uno e l'altro per necessaria derivazione dalle condizioni particolari di ciascun popolo e dalla sua storia; perocché il dirilto e l'in- tera civiltà d'una nazione in un dato oìoniento è la somma o il prodotto del diritto e della civiltà dei precedenti. Ad esprimere nettatr.ente il suo principio fondamentale questa scuola prese il nome di storica ((jescliichlUche), e chiamò antistorica (ungeschichiliche) quella del diritto naturale (^). Con tali teorie venivano necessariamente ad invertirsi le pai'ti, ch'erano chiamate a sostenere nello studio delle leggi le materie, che fa duopo premettere quale preparazione allo insegnamento del dirilto attuale; e crescendo grandemente il valore dei diritti antichi, ne discendeva una forte spinta a coltivarli con ogni cura. Di qua il nuovo ardore destato- si per la giurisprudenza ; di qua i molli ed importantissimi scritti, comparsi in Germania lìn dall'incominciare del seco- lo, sopra i vari fattori del diritto odierno, e specialmente sul romano che vi tiene il primo posto. Il Bellavite, come altri dei migliori tra i nostri, sapea della nuova scuola, perchè ne avea studiato le opere, che apprezzava altamente. Fu preso pertanto dal naturale desi- (1) ZeilHclirifl fitr (jcschiditìiclm lìechtsioissenschafl, voi. I, |i. i. - 251 — derio di ftuio conoscere in più larga cerchia ; e però non appena nel I 850 si fondò in Milano il Giornale per le scien- ze polilico-le(jali, enlrò a collaborarvi con questo divisa- mento. il perchè già nei primi fascicoli inserì un suo scritto sulla appellano e provocaiio secondo il diritto romano^ tratto, ma non senza aggiungervi qualche nuova prova (*), dal sistema dell'odierno diritto romano delSavigny. Lo stes- so metodo tenne nel tradurre, compendiando, pel suddetto giornale, la prima parte dell'ottavo volume, che tratta del diritto internazionale privato, della sunnominata opera del Savigny, e nell'esporrc la dottrina di questo medesimo au- tore sulla non retroattività delle leggi. E nel 1 833 s'accin- se ad un lavoro più vasto di questo genere, la traduzione dello Spirito del diritto romano di Rodolfo Jhering, al qual libro, coir approvazione dell'autore, fece varie aggiunte e mutazioni, e cui premise un'importante prefazione sulle sorti del diritto romano nel medio evo, e sull' andamento progressivo dello studio di esso dal suo risorgimento tino al presente. Nò il Cellavite limitavasi a dar contezza delle nuove opere tedesche ; contemporaneamente egli offriva saggi dei propri studi sul medesimo diritto, ed attendeva all' applica- zione agU odierni codici delle teorie romane e dei progressi, che si andavano facendo nella cognizione delle medesime. Di tali saggi furono gU articoU sali' eccezione della cosa giudicata secondo il diritto romano ; sull'usucapio^ sul non- usus e sulla praescriptio secondo il diritto romano e cano- nico^ con (jualche riguardo ai moderni codici, ed altri che tralascio per brevitù ; i quali articoli venia publicando nel suddetto Giornale per le scienze politico-legali, o nella Gaz- zetta dei tribunali di Milano; ed i giornaU d'altre province si affrettavano di riprodurli C^)- (1) V. la n. 1 a y-ag. 264. (2) V. « Gazzetta dei tribunali di Napoli », 21 febbraio 1852, che Tomo JV, Sene VI. 33 — 252 -- IVla campo molto più largo si schiuse all'attività scienti- fica del compianto nostro Collega nel 1855, allorché ebbe conseguita la cattedra di diritto romano, feudale e statuta- rio, come intitolavasi, nella nostra Università. Egli veniva ad insegnarvi una materia che vi aveva udi- ta là stesso, pochi anni prima, sedendo sulle panche degU scolari, ma quanto mutata da quella che l'aveva udita non veniva egli ad insegnarla ? Al suo tempo, come al mio, ben- ché otto anni più tardi, il diritto romano, non ostante tanto progresso della scienza, s' insegnava ancora sulle tracce del Domat e del Voet, e non solo non si aveva verun riguardo allo svolgimento storico di quella legislazione, ma si perde- va non poco tempo in futili questioni, e s'insegnavano come verità certe teorie ormai riconosciute per false. Sarà tocca- to certamente anche al Bellavite lo sconforto che toccò a me, quando presi in mano la prima volta quell' aureo libro che sono le Istituzioni del Puchta, di dover anzi tutto can- cellare dalla mia mente quello che m'era stato insegnato, affine di potervi sostituire un altro edilìzio scientifico. Do- vette pertanto fare od apprendere tutto da sé; e quello, che aveva appreso da sé, veniva ad insegnare, cioè la scienza moderna. Tuttavia ad essa trovossi incominciata ormai a spiana- re la via da Alessandro De Giorgi. Questi, uomo di versatile ingegno e molta coltura, avendo assunto l'insegnamento in- terinale del diritto romano, finché n'era vacante la cattedra, aveva preso a darlo tenendo conto dei progressi fatti dalla scuola tedesca. Senonché in breve tempo non avea potuto far molto. Il Bellavite assunse e continuò col gagUardo suo ingegno l'opera di lui-, il quale pochi mesi dopo venne a cooperare ad un medesimo fine insieme col Bellavite, essen- riproduce l'articolo snWusucapio ecc. comparso in dicembre 1851 nel « Giornale dello scienze politico-legali d. — 253 - do stato nominalo egli pure professore ordinario di diritto romano alla medesima Uuiversitù di Padova. Così faceva il Governo d'allora, come tuttogiorno in Germania, sull'esem- pio di ciò che avean fatto le nostre Università nei tempi di mezzo, affinchè una nobile gara tenesse mai sempre desta, anzi spronasse la scientiiìca attività, e afiìnchè, diviso tra più il medesimo compito, si potessero far penetrare gU sco- lari più addentro nelle viscere della scienza. Il 29 novembre ! 855 il Bcllavite proludeva al suo cor- so, mostrando ccme l'importanza scientifica del diritto ro- mano fosse cresciuta, anzi che scemata, per la sua esauto- razione siccome legge; perchè se in questa qualità non do- mandava che l'esatta cognizione del Corpus itiris, consi- derandolo quale pura scienza, è iìisogno di seguitarne ezian- dio lo svolgimento storico risultante dal lavoro lento e gra- duale di dodici secoU, e però di far tesoro di quante altre fonti ancora rimangono di esso oltre il Corpus iuris. Per la qual cosa si proponeva non pure d' esporre il concetto e il modo ond'erano regolati i diversi istituti giuridici nella legislazione giustinianea, ma anche le successive trasforma- zioni dei medesimi dai primi tempi di Roma fino alla loro assunzione nella codificazione di Giustiniano. E tenne parola, il corso eh' egli dava, ed era modella- to sui migliori della Germania, specialmente su quello del Scheurl, constava anzi tutto della storia esterna del diritto di Roma, cioè delle varie fonti del medesimo ; e passaiido poi a discorrere delle norme in esse contenute, dopo espo- ste le teori(3 generah, prendea su ad uno ad uno i singoli istituti, e mostrato come ognuno s'era venuto a poco a po- co formando, spianava ai suoi uditori i canoni ond' è re- golato nel Corpus iuris di Giustiniano. Tuttociò faceva colla massima precisione e sobrietà di hnguaggio, e con tale una perspicuità, che non era possibile ai giovani non intende- re, e intendendo non restarne ammirati. Eragli poi sempre — 254 - comprigno quel talento pratico che apre la via alle applica- zioni, per guisa che non solamente dalle regole del diritto privato, ma eziandio dalle antiche istituzioni politiche dei romani si traessero insegnamenti per le condizioni odierne. Cosi, a mo' d' esempio, dopo aver narrato come nei comizi del popolo romano, quando trattavasi di fare una legge, si votasse il solo progetto in massa, o il principio a cui la legge doveva informarsi, abbandonandosi lo svolgimento di esso o la concreta compilazione della legge al magistrato, il Bella- vite soggiunge : « Perchè i Romani riconobbero che le leggi vogliono essere fatte da pochi, e che un'assemblea numerosa non è alta per discutere su d' una legge parola per parola, altrimenti il progetto modificato in tante parti, ora sotto un'impressione, ora sotto un'altra, perde l'unità del concet- to, riesce informe e discrepante ». Sentenza che starebbe bene scritta sulle pareti dei nostri Parlamenti ! E un'altra cosa ancora mi piace notare, ed è che il Bel- lavite, sempre egualmente amico del vero, sostiene l'influen- za esercitata dal cristianesimo sul diritto romano, « essen- do impossibile (son sue parole) che una religione cosi so- lida, così spirituale e tilosoiica, che riempie tutti gli animi, rimanesse senza influire su tutti i lati della vita umana, e quindi anche sul diritto ». Sostiene pertanto il Bellavite quella salutare influenza, che oggi s'ha il vezzo di negare da tali, che, distruggendo l'opera faticosa di dicianove se- coli di gloria, vorrebbero ripiombare il mondo nel paganesi- mo colle sue orgie e coi suoi gladiatori. Nò il nostro Professore si stette contento all'esposizione orale, mise anche in iscritto il sunto delle proprie lezioni, e moltiplicollo per mezzo della litografia, affine di agevolare lo studio ai suoi discepoli. Peccato che, troppo rigoroso os- servatore dei precetti del Venosino, non abbia mai voluto rendere quelle litografie di diritto comune, procurando loro una maggior diffusione per via della stampa ! — 255 — PiaccNasi poi, di quando in quando, por avvivare e rin- vigorire lo spirito affaticato dalie analisi particolari, assor- gere a principi e levarsi ad altezze, dalle quali poter con- templare alcun tratto dell'orizzonte scientiGco. Fece cosi quando nel 1869 fu trascelto dalla Facoltù a tenere il di- scorso inaugurale all'aprirsi degli studi; nella quale occa- sione parlò con molla elevatezza di concetti e nobilt;\ di stile dell'elemeuio morale, economico e logico cui deve in- formarsi il diritto civile, segnando la via che devono tenere nella loro opera i legislatori. Frattanto aveva avuto campo d'allargare vie più l'inse- gnamento del diritto romano. Conciossiachè, colla riforma dello studio legalo operatasi nel 1 856, portate dal secondo corso al primo le istituzioni, il secondo venne assegnato allo svolgimento di qualche trattato speciale di quel diritto, o, come direbbesi oggigiorno, allo studio delle Pandette. Che se il Bellavite, aveva introdotto tanta mutazione nel- l'insegnamento del diritto romano, una anche maggiore ne arrecò in quello del diritto civile contemporaneo, quando, come dissi di sopra, gliene fu affidata la cattedra nel 1861. Prima di lui, il diritto civile s'era insegnato leggendo articolo per articolo il codice, che allora era l' austriaco, e spiegan- done il contenuto, cioè con quel metodo che, appunto da questo spiegare, domandasi esegetico. Ma Giuseppe Unger, uomo di potentissimo ingegno e sorprendente erudizione legale, che pel suo sapere da libero ducente di diritto civile salì in pochi anni a presidente della suprema Corte di giu- stizia dell' Impero d'Austria, prima a Praga e poco dopo a Vienna, aveva dato il segnale d' un totale rivolgimento in questo studio, sostituendovi l'ordine sistematico o sintetico. Per esso il Codice non è la materia esclusiva delle ricerche, ma la precipua, 1' ultimo termine cui si dee giungere per la faticosa via della scienza. Pertanto quel metodo, esposte di materia in materia le teorie della scienza del civile diritto. - 250 — giunge allo disposizioni del Codiee, esamina se corrispondo- no ai postulati della scienza, le supplisce se difettose, se er- rate ne domanda la correzione. Il Bellavite, amico dell' Unger che assai lo stimava, fece subito suo questo metodo, e con esso prese a leggere diritto civile nella nostra Università ; e ne pubblicava litografata la parte generale nel 1803 e l'anno dopo un saggio della parte speciale, per mezzo della stampa nell' Eco dei Tribunali. E qui si parve quanta fosse la coltura legale e l' acutezza della mente del nostro Professore ; il perchè, essendosene diffu- sa rapidamente la fama, veniva frequentemente consultato nelle questioni piìi ardue da parti e da avvocati. Fu in quel tempo che, avendo vari Stati della Confe- derazione germanica, all'intento di giungere per gradi, come era loro venuto fatto nel diritto commerciale e cambiario, all'unità legislativa, antico desiderio di que'patriotti, aven- do dico, gli Siati della Confederazione germanica mandato rappresentanti a Dresda, affine di redigere una legge comu- ne sulla materia delle obligazioni; ed avendo il Governo au- striaco invitato, oltre i collegi dei giudici e degli avvocati, anche le facoltà di giurisprudenza, ad esaminare il progetto, che venne formato d'una tal legge, ed esporre le osservazio- ni che loro si offrissero, la Facoltà di Padova affidò quell'in- carico al Bellavite. Ed egli, esaminato accuratamente il pro- getto, e lodatone 1' ordinamento generale, che pareagli otti- mamente architettato, fece varie considerazioni sopra alcu- ni articoli più importanti dello schema, intorno alle obliga- zioni procedenti da atti illeciti, e circa la mora e la prescri- zione. Le quali osservazioni vennero trovate così assennate, che r[. R. Ministero della giustizia faceva rendere perciò al Bellavite i suoi ringraziamenti ed esprimergli la sua soddi- sfazione : ciò che a quei tempi non era poco ! Mi resta ancora a dire dell' ultimo e più splendido pe- riodo scienlilico della sita dei desiderato nostro Collega. — 257 — Mutata col ì settembre i87l la legislazione nelle nostre province, il Bellavite, che anche dopo la loro aggregazione al l'egno d' Italia era slato obbligalo a far tema precipuo dello lezioni il Codice austriaco, perchè pur soiiipre il ve- gliante, ed avere pel Codice patrio soltanto un riguardo di confronto, potò dopo d'allora dedicare tutte le sue cure al- l'illustrazione e al progresso del patrio diritto. Ed ci lo fece con quella perspicacia di cui era eminentemente dotalo, e colla profonda conoscenza che possedeva del diritto civile. Il perchè, se da un lato non omelteva di rilevare i pregi del Codice del Regno, dall' altro non poteva a meno di notare i difetti, che si scoprivano avvicinandovi la face della scienza, e deplorare che si fosse preso poco nien che a tradurre il Codice francese, anzi che fare un" opera nazionale. Le quali cose suonando un po' aspre a qualche orecchio più dilicato, ed essendone stata falla da qualcuno osservazione al Bella- vite, egli rispose che domandava di poter usare verso la pa- tria legislazione in tempi di politica libertà e indipendenza quella medesima franchezza, che gli era stala consentita sulla legislazione austriaca, sotto un Governo assoluto e straniero. Furono frullo di questi sludi, oltreché il progresso dei giovani volonterosi, le Note iUusiralive e critiche al Codice civile del Regno, che il nostro Bellavite pubhcò su quasi tutte le materie di esso , e con maggiore larghezza sulla sua prediletta, perchè più difficile, delle obligazioni: le qua- li note^ sebbene vi stampasse in fronte, colla sua abituale modestia, eh' erano destinale unicamente all' indirizzo dei suoi studenti, pure svelando la mano maestra del consuma- to giureconsulto, nonché rimaner chiuse entro il recinto della nostra Università, si diffusero d' ogni intorno e, più che allo studio dei giovani, servirono alle meditazioni dei giudici e degU avvocati. Nel \ 879 poi il Bellavite assunse, per desiderio della Fa- coltà, anclie l'insegnamento delle Pandette, ch'era rimasto — 258 — vacante; ciò ch'egli fece tanto più volentieri, quanto per questa maniera gli era dato d' attuare direttamente il suo pensiero di far servire il diritto romano di propedeutica al- lo studio del diritto attuale, applicandolo ai fatti della vita quotidiana, piuttostochò farne, come da molti, una palestra d' anticliitLi. Nò in tutto ciò esaurivasi 1' attivitti del Bellavite. Con- temporaneamente mandava articoli all' Eco dei Tribunali, trattati all'Archivio giuridico. E voi, egregi Accademici, lo avete udito ripetutamente leggere dotte Memorie in questa medesima aula : sia che con grande profondità di concetti vi parlasse degli odierni assunti della scienza della ragio- ne civile; sia che v'intrattenesse sulle persone colletlive vo- lontarie, secondo il diritto romano dei tempi classici, o sul- r azione pauUana ; sia finalmente che discorresse della re- sponsabiiild dello Stalo pei danni aventi attinenza causale diretta o indiretta con esso : ricerca di gran momento e fe- condissima d' appUcazioni. Perocché il Bellavite, come ho già notato, in tutti i suoi lavori mirava alla pratica e, come nella dissertazione sulle persone collettive, faceva suo as- sunto il compito di dimostrare che, giusta i veri principi del diritto, la personalità degli enti collettivi non è che l'esten- sione a rapporti di diritto privato di quella personalità, che si riconosceva necessariamente nella società civile , ossia nello Stato, costituendo questo uno dei molti casi in cui le istituzioni di diritto pubhco vengono trapiantate nel campo del diritto privato, mentre altre passano da questo a quel- lo. Dal che si deriva, che codesta personalità non ò una fin- zione della legge, e non ha mestieri di essere attribuita agli enti collettivi dalla legge, ma dipende unicamente dalla vo- lontà degli aggregati, o dalla costruzione giuridica data da essi al loro sodalizio. Il perchè, quando lo Stato per ra- gioni d' ordine publico avesse ad ordinare il discioghmento di queste corporazioni, i beni loro non devono andare allo — 259 — Slato, quasi fossero di nessuno, ma, come comuni, ripar- tirsi fra i corporati, rivivendo in essi collo sciogliersi della corporazione quel diritto di proprietà, cui avevano rinun- ziato in favore della medesima. Per simile nello scritto sulla responsabililà dello Stato, occupavasi d' investigare in quanto questo sia tenuto per l'opera dei suoi impiegati. Dopo avere esposti i principi del tempo romano, quelli dei giureconsulti del medio evo e le diverse opinioni degli scrittori e dei tribunali moderni, prendendo in qualche maniera una via di mezzo fra le due estreme sentenze di coloro, che vorrebbero obligato in ogni caso lo Stato a risarcire i danni cagionati dai pubhci uffi- ciaU nell'esercizio delle loro funzioni, e di coloro, che non ve lo vorrebbero tenuto mai, sostiene che il Governo debba rispondere sussidiariamente, cioè quando T ufficiale non ne abbia i mezzi, dei danni derivati ai privati dalla gestione dello Stato come persona civile; e cosi pure pei danni dati nel disimpegno delle funzioni giudiziarie, attesoché in que- sto caso il danneggiamento parte precisamente da quella autorità, ch'è posta per tutelare il diritto, e attesa la somma graviti dei pericoli, cui altrimenti sarebbero esposti gli in- teressi dei cittadini. Oltracciò s' occupava di letture e studi fisici e metafi- sici, estranei al diritto e, fornito com'era d'una ferrea me- moria, raccogliea in sé una svariatissima coltura e parlava con competenza di molte materie. Nessuna meraviglia pertanto che la rinomanza di lui si andasse sempre piìi dilatando, che ricevesse testimonianze di stima dai dotti d'Italia e fuori, tra cui ricordo, oltre l'Un- ger che ho nominato di sopra, 1' Arndts, il Mommsen e il Jhering; che gli fossero affidati frequenti incarichi gover- nativi, che fosse insignito di molte onorificenze, e che varie accademie l' ascrivessero al numero dei loro soci. Voi face- ste lo stesso, onorandi Signori, aggregandolo da prima ai Tomo IV. Serie VI. 34 — 260 — soci corrispondenti (1875), e l'anno scorso ai membri ef- fettivi : ed erano appena quattro giorni dacché era sialo a prendere possesso del seggio conferitogli, allorché il colse, ahimé! troppo immaturamente, la morte, con somma iattu- ra del nostro sodalizio, dell' universitù e degli studi ! Ho tentato di mettervi sotto gli occhi, meglio che per me si potè, la vita, il carattere, il valore scientifico e didat- tico e le opere del Bellavite, ma pur troppo la pittura che ve ne ho fatta è assai lontana dal rilrar 1' uomo al vero, e far apprezzare debitamente i suoi meriti. Né per quanto mi tornasse caro potergh rendere quest'estremo tributo, attesa r altissima stima e la verace amicizia che a lui mi legava- no, conoscendo la mia pochezza, e dopo lo splendido modo onde venne commemorato nella grand' aula della sua uni- versità (*), avrei certamente osato d'assumere un tal com- pito, se la nostra Presidenza non avesse voluto farmi 1' o- nore di commettermelo. E l'onore tramutossi in dovere dal giorno, in cui piacque a voi, illustri Accademici, surrogar me, sebbene tanto da meno di lui, nel suo seggio : del che vi rendo le massime grazie, mentre prometto di fare ogni mia possa per imitare almeno da lungi il mio Antecessore. Che se la mia disadorna parola non potè aggiungere nulla alla fama del Bellavite, valesse ella almeno a concor- rere con quella degh altri, che ne parlarono, a tener viva la memoria di lui e del suo merito. Senonchè questa è racco- mandata abbastanza alle opere sue, ed è scolpita, ben più profondamente di quello potesse mai fare il più efficace di- scorso, nell'animo di quei discepoli, che pendevano dalle sue labbra e nel cuore dei suoi colleghi. Non mi resta altro pertanto che additarlo ad esempio di coloro che verranno dappoi. (1) S'allude all'elogio detto del Bellavite l'S dicembre p. p. dal ^Preside della facoltà di giurisprudenza comm. Gian Paolo Tolomei. — 2(31 - Possano dunque i suoi successori nell" insegnamento continuare nell'indirizzo ch'egli vi diede. Possano gli sco- lari prenderlo a modello dell' amor dello studio, ma ancora più dell'integrità e fermezza del carattere, cosa necessaria sopra d' ogni altra in un tempo di tanta fiacchezza e di tante vane ambizioni, come il presente. — 202 — ELENCO delle pubblicazioni stampate del prof. Luigi Beilavlte Lettera alla sorella in occasione del suo matrimonio, - Ve- rona, -e- CO - «?« co tH •* O CM SI + i I " 3-1 ©1 CO CO 05 ^co co ^-i :o CO = 05 C55 31 ©1 co ■=00 °° 00 00 c- o o o ce' C tu 05 ■M s :- -;• iC -r. ■^ ^ 1.— I-i co ©1 Ir- co !?^I co ©1 03 o o o ^ o o o — . Iti o CO ■^ o G-1 C5 :iO •r-i Ci C5 3-1 CO co co oc OC 00 00 00 00 00 + -r + +^ + 4- + 1 3i 00 1- 00 05 00 05 00 3^1 3-1 3-1 r- sq 00 00 OO 00 00 03 C5 co co l^ oc OS 00 «1" 3 ©1 ^ co 00 00 -V 05 iO 00 -=}• so so co o 1 I o I o 1 3^ + --0 1 so + -ci" 3a o - in •cj' E- 50 ^1 t- oc so 00 so 05 03 05 05 05 o> Ci ^ o -^ - ^- co co ■WT^'yHnj^ — 270 91 e fa sa o 00000505O— "3-)C0-*iOi.O«3 * ^r<^-*T^-^^!-*rH-^^TH § 9 .2 ® 3 s . .— . .-Hsnira . .«i<'~-5r-* Q^ 05 0500GO t^oo»oo S 3 U-I • e- • Ir- 1-- t-- • • i— t- t~> c- •o -cJòo • -oooo co •"^ «s .2 -r« e- —H O t-_ ce ce -^ - V ' ^ ' i?i O O ' ' O — ' 1 ^ «rN ■*-3 PL, o -CO • co co co ro o o -* <}• p 'CI cu , «^ ^-^ ■*— « wb' — « ^~-> c^ CD **~* *^ J3 "^ U-M o ■ CO '_ CD co co «2 r: co co co ^ 'C "^ Oi ^C5 _C:CiC5C5C3005 0V o •" O 00 o e il — — O O co CO O CO 00 » '-5 m (A o •— -ooooo- o "o -o -ooo ooooo « e 53 ! • 1 •+ 1 + 1+4- o o 2 o a o o s^i co coc»or-oco — -* S'1 IO -T-roo-^cjt-oo ^ " . « ?Ó 'co' ' C-i CD OÒ co o' co -^ «* Cu •«iciosO'sr-^-^ sq (^ 3^ S<1 ■=So "o 'ooooojooo co t/3 rz! S-1 • 3^ • SS) 3^ S^ 3^1 G^l 3-1 3-1 3^ ^ •r* ce Q _CC -• _*_J Cli S<1 OOOiC C5 -t- -7- o "« co s. o ■co' -ooc— • -osccio -e 2 a» • CO .^CO— 1 . .lOCOCOCO , < •GM "COOO • 'OOCOCOOO o •4-' g s co 13 • . > . "-^ *?^ «2: *OT a • ( • l + l •'+!++ Ss 03 uvolo, ascen o o a> co co -3-1 f^-5)<'^'3'1SS|OOOCO o co tf .t- .oocioco050s-;oo a e "3^ .O .-^O05S-ìi0--0ÓCÓ CS , ■■" a li -^ _CO _-!-iO'3-1COCOJ ts " co (35 co 03 C5 C5 S-1 3-1 — — r- t- ®^ ._ co ctì IH. ^ iO co so C" IO !f. :OE-"COcDtOCOCOCOcOCO a o 2 o o '£ OOOO-r^-r.S^S^COCO'*}'-** _2 _2 CO 00 C3 f— 1 z 3 e co ^^ ,>H -*-> 03 s ^ o i 271 ci a- c «s o faB o È-< OS o H o tu e o e^ O 3 CO ^j 00 00 CO e O ■■ó ce ce CD O !» * a o S^ oc GO co JC ce se l- l.'t te O 3-1 — co rD o ci :c oc !>; cr." v:' i> oc oò r- 1^ e: t-' oi ov o> ^' IO l-« t-^ !:-■!>• t— ~' . co 50 :o 50 :r; ■* -— :o io «ì «s^is^t^t-r-t^t^r^ccroroco ooooooo — -^— '-^-i I + +[ CT> <* JO a: r-~ t— O VI -* .rt 30 •'"1 w 3; ^ ce :-0 O ^1 3-^ O :0 50 — 00 IO id ce a; t-^ iO ;2 l-- :_-; >j cn O0035CD " ■* CO CO ^ "^ "^ '^ ~- 'cpcpcococococoooo--oo S-t S-1 S -.-J fn co O s co s _2 O J*^ 3 t3 -u 3^ ~S> T3 53 o >l-4 se dì «\ -2 ■C 1 '*! u t^ a; 5b co — "55 ai s £4 co to o g -2 ss ■-5 '3 co co r-t o rj cu ,_, !--« ''2 o fcD CO o o o [3 "co t^J r- o co _aj O *> ;o o "co CO é J ^ *^ t: 1^ -tì o co "o co s a ce; o r\ tsD <— 1 m •^ a) Cu 11 ■5 ^ 'O a. T3 _o co *^ -S _« _2 ^l 5 a "S ,, o 'co "3 o D- V •*-< > co o ài ^3 1 ' ^ ■XI d) co 5 C3 1 II 00 'J3 a> co Ti 1 CS "S < 05 "Si '/! O CO o co -S T3 co 5ft o "co -.-' ®a co « 05 _o o o o u .2 a. ■<:r T^ ^^ '53 'tÓ O p (D G O -^H "i.. OJ a. "S I 2 o. S o S •e cu co II e <1 3 a 'e o "éo co m _C0 co 1^ - 1 1 1 1 cy> (Zi (ZI c/D co "S .2 "Z o 1» co e (1) (U co ',^ av OJ '> TS ?t CO 11 co rr, tl> rr: «i» O) -I -».J X T. "C •a: (O i-> (» ^^ ■D /, n; ri, .C 0) P^ b co "S 03 e: rn o ■.*-J co ce 273 — _i o c/: o -= §8 o — ^« -^ "te --2 S 2 « ;s .-2 '^ <= -^ &. (X) 2 J cu . 3 co a I « <=J + ~ C/J o o o co a. a; x: o co o 03 -^ rS CO '5 e ■a co Cu ;=: ^5 .-T co co CD 13 CD S-1 00 •JT ^ O _. — co co CO CO 9 •? = co 5S^ .in 'l' c ^ « o C/J C/j o co a co O C' — -^ AGGilfflTE JLLS HElIOIiU SULLA LETTERATIIM DEI GAINA DEL PKOF. FRANCESCO L. PULLÈ Alla nota (^'"*) della precedente Memoria intorno alla Letteratura dei Giaina, nella analisi del codice manoscritto, che si riconobbe essere la Vidhiijrapà di GiìKipraùliasilri, esprimevasi la opinione che il titolo di aììgaiàliyà, quale il manoscritto medesimo porta alla line, gli venisse impropria- mente attribuito. Ivi si accenna inoltre al come molto im- portasse di chiarire la cosa, perchè un testo di nome ap- punto angaciUiijà è ricordalo in parecchi passi dell Sid- dhanta gainico, che infino ad ora non si è potuto rintrac- ciare. Il confi'onto, che mi fu dato iostituire nel mio recente soggiorno a Berlino con un secondo manoscritto della Vi- dhiprapà conservato in quella Biblioteca Reale, e 1' avviso espresso dal Weber, pongono oggi in grado di affermare fuor d' ogni dubbio T opinione suesposta e corroborarla di alcuni altri dati. (') Della letteratura dei Giaina e di alcune fonti indiane dei novellieri occidentali. Memoria li, p. 1888 degli Alti liell' 1- stitiilo veneto, torno III, sor. VI (puntata II, p. 58). Tomo IV, Storie VI. 36 — 276 — Il titolo, che diremo dunque usurp.ito, di ongaciìiiyà, appare apposto al uuHioscrillo da una mano diversa da quella dello scrittore o copista dell' opera ; dalla mano che compose una specie di indice, per nulla preciso, del conte- nuto del libro, che trovasi aggiunto al manoscritto nei due fogli ultimi. Una chiosa finale di codesto indice, assai scor- retta anche grammaticalmente, ci testifica la poca dottrina dell' indicatore ; il quale riconoscendo tuttavia che il libro si riferiva al corpo della letteratura ortodossa dei Gaina, lo avrà così qualificato come cùaà k a ppendice »; ma spe- cificandola, forse per analogia dei consimili nomi ricorren- ti, quale « appendice d egli a figa » anziché «appen- dice del s i d d h à n t a » , ahgacùUyà invece di siddhànta- cùlitjà, come h Vidhiprapà potrebbe benissimo nomi- narsi. Ma più dell" argomento paleografico valga il fatto, che r angaciUiìjà spettante al primo anga, all'àcàm, che è quel- la che ricercasi, esisteva mollo tempo innanzi che la Vidhi- prapà venisse composta ; la prima trovasi cioè mentovata già nel 3" anga lo Sthànànga, che, come ci è noto, appartie- ne alla redazione più antica dei testi canonici; mentre la seconda fu composta solo nel secolo decimoquarto (*), ed è perciò posteriore di circa sette secoli. Qualunque identifi- cazione de' due testi resulta per questo fatto sostanzial- mente erronea. Dal confronto dei due codici mi resultarono inoltre al- cune correzioni ai versi riferiti dalla Vidhim àrga pr a- p a che mi giova qui ripiodurre : (*) V. Atti dell'Istituto ven., tomo II, ser. VI, p. 1802, e pun- tata I, p. 28 seg. ; punt. II, p. 56 (tom. Ili, ser. VI, p. 186 degli Atti ec). — 277 — nnmii/a Yidliàvinujinam (■""') sommam sarluvi gurùiaesapi ca sàvaìjamìtniki'ccàmrn sàmàyàrim liliàmi oham che tradotto in forme sanscrite verrebbe a suonare e a si- gnificare : natvà Maliàviraf/inam (^'^) samiiak smrtvà gurùpadegam co cràvaka-muni-hriyànàm sàmàcàrvn likliàmìj aham. (36) Mahàvìrànam quale è dato nella prima lettura, si risol- verebbe in Mahàvira-dnam — Maliàvìra-àcjnàm. à'r^nà assume pei Gaina il significato speciale di comandamento per eccellenza, di dogma del Gina, come resulta dai composti dnà-vigaya — àgnà-vi'iaya e ànà-rui — àljnà-ruci specialmente: la fede nel dogma, che il S ar vadar ganas a rngr aha 31, 19 commenta: rucir Ginokta- tattvesu samyak-graddhànciìn ucyate, lede dì- cesi la perfetta credenza nelle verità affermate dal Gina, i. e. nel dogma (àgnà) del Gina». V. Leumann, Aupapàdikas" § 39 V, e indice sub vv. L' accusativo Mahdvira- ànaìn starebb» quindi in questo luogo più che a proposito; ma i manoscritti Leggono veramente "'jinarn, e cosi è da ritenere, per quanto la lezione urti contro il metro e conti'o la regola del com- posto. (37) gaccha. che ne! sanscrito significa albero in senso pro- prio, ha pei Gaina quello figurato di schiatta, famiglia, se- condo le aggiunte al Dizionario petropolitano che si riferisce al Wilson. Questi in Sketch of the relìg. sects of the Hindus, ed. Rosi i86i, pag. 334 e segg., dà tale ragione della parola : « the Jains of tlie South of India, as has been observed, are divided into castes : this is not the case in Upper Hindustan, where they aro ali of one caste, or, which is the same thing, of none. They are nevertheless equally tenacious of similar distinctions and not only refuse to mix with other classes, but recognise a nnmber of ordcis amongsl theraselves, between which no intermarriages cari take place, and manv of -whom cannot eat togeiher. This classification is the Gachcha or Gof, the family or race, which has been substituted tbr — 278 — a 1 il ( h i na H domi ul Gina Muliùvìra e bene rammemorando la dottrina del maestro, io scrivo questa regola per la con' dotta dei re- ligiosi e dei laici ». bahuvihasàmàijrìu daflliu ma moliam imtu sisa iti esà sàmàìjàrì liliiyà niijaga'cliapaijihacUlhà. hahuvidhasàmacànr drsfrà ma moliam yanla QÌ-^yàs ili eui sàmàhàrì likhilà ni'gaf/a'c'clia-pratiùaddlià {^). ihe Varna, the JcUi, ov ca?te. Of these Gachchas, or family divisioiis, they admit eigthy-four » . . . . In nota poi il Wilson enumera e no- mina queste 84 famiglie dei Gaina settentrionali ('? Upper Hindu- stan), ma aggiungi^: «some of tliese are well known, biit many of the others are never mei with. The list was furnished by a re- spectable Yali, but hovv far it is througbout geniiine, I cannot pretend to say. It omits several Ga(.7?c/ias of celebrity, particularly the Chandra and Khartara ». Intorno a quest' ultima vedi la pri- ma parto del lavoro citato del dott. Klatt di Berlino nell' Indiati Antiquary di Bombai/, voi. XI, 1882, pagg. 245-56. Piuttosto dunque che gotra o vamga significherebbe pel Wil- son ga'i' ha a family division », il qual senso è cosi pure determi- nato dal Leumann al § 30, III dell'A u pa pàdikasù tr a ove hiila, che è propriamente schiatta, famiglia viene commentata con gaccha-samudàya «un aggregato di gaccha». Il preciso va- lore di gaccha è dunque presso i Gaina quello di linea, ramo; ciò che ci riconduce al senso proprio originale della parola. Ma osserva il Leumann, 1. e. indice sub v., che per gaccha nel passo surriferito debba intendersi la famiglia del maestro co' suoi discepoli, ossia p.kà' dry a- pari varo gacchaìi il circolo d'o- gni singolo maesiro, una scuola. E il significato speciale di scuola viene riconfermato in questo nostro verso. (38) Questo composto presenta delle difficoltà alla interpreta- zione : leggendo '^dasa)me = ''dagainyàm si sarebbe pensato ad ui.a data (v. il sigiiilicu'io di vigaya còme un determinato tempo /"ww- » » N () n avvenga e fi e i discepoli vedendo le sa ma cari piene di intricate regole si con- fondano!')» con tale pensiero fu scritto que- sto manuale adattato alla propria scuola, » Vif/ayasamie esà sirì-Ginapalinsùrinà samàyàrì saparovay ara heu m samàniyà Kosalànayare Vignyn-samìpe {^^) esà Qrì-Ginaprabliasilrinà somàcàri sva-varo-'pakàraheiiiì.à somànità Kogalànogare, « al cospetto di Vigaya dal beato Ginapra- b h a s ù r i fu questa regola per utile p ro p r i o e d'altrui compilata nella città di K o 9 a 1 a . » Vilìimaggnpnvà nàmam sàmàyàn ima ciram gayai paUìàyamti hiyayam Siddhipuri-pamtliiyagnnànàm Vidliimàrgaprapà nàma sàmàcàrì iyam ciram gayatì pralilàdayanti lirdayam Siddhipuri-panUiika-'ganànàm C'^). hùrtaj 0 la importanza di esso nella vita Ui Mahàvira. Jacobi, Acàràngasùtra li, '15 ; e. Kalpasidra^ passim), alla ricorrenza di mi giorno fasto '^dogami; ma per ragione paleografica e me- trica devesi eschidrre la sillaba da (dda9) portata dall'un codice. Samie invece tradiicesi col sanscrito samipe «in prossimità, in rapiiorto immediafo c^n Vigaya». Vigaya (che sarebbe a un tempo la forma sanscritica) come nome di persona è presso i Gaina quello di uno dei nove Baia, persone divine; ed è anche nome di uno dei 5 anuttara, le supreme sfere celesti; ma forse qui equivale ad A r h a n t 0 Gina. (39) Siddììiptirl-panthika il viaggiatore del cielo; Sid- dhi-puri è la città della perfezione, della beatitudine f che i Gaina immaginano come dotata di qualità, fra cui quella di spazio. Weber, Bhag. 264 ripoita tradiicendolo il brano relaiivo del 0 il aga va t i s ut ra, osservando ciie la curiosa notizia di quel testo circa la spazio cutro il quale la siddhi liu la propria siera - 280 ~ «questa sa m àcari, cheportailnome di Vidhi- màrgaprapà, viva lu gara ente rinfrancando il cuore dei pellegrini del cielo! » Nella medesima nota (^^), dove si confronta il numero dei capitoli, dàrn, dei due manoscritti della Vidhiprapà, si legge il titolo dell'unico darà 12" del codice et: namdi- rayanàvilii satliaivntto; mentre il codice /S lo divide in due capitoli col titolo namdiraijnnavihì il 12", e satliuifhutto il 13°. Salhuivultn del primo titolo riducesi normalmente al sanscvìio si-st(iii-vrlta ; ma 1' altro sathiiiihulto, che noi, anche per analogia col termine arilianàdi-stotra con cui si alterna, avevamo tradotto per Qatrumgistotra (^") può tra- dursi più semplicemente con sa-sluti-slnlra. Conciò le due parole ne'due codici si riavvicinano; ma potrebbe anclie es- sere che la differenza abbia dipeso da un più semplice fatto, da una inesattezza di scrittura. Nei manoscritti gainici il se- gno rappresentante v e quello rappresentante th sono molto somiglianti e una facile trascuranza può confonderli. Ora è forse avvenuto che 1' un manoscritto abbia fatto -vulto in- vece di -f Imito, o viceversa 1' altro abbia -Ihiilto erronea- d'azione doveva essere un mondo determinato, o quanto meno una determinata parte del mondo. Ora nell' Aupapàdi ka su t r a la Siddhi è un espresso e[>iteto deW Jsipabhhàràpìuihavl = Isatpra.g- hhàrà prthivi (cfr. nota 40), ossia la regione dei beati, la più alta delle regioni, il settimo cielo. Oltracciò SidcMi è ivi delta (§ 165) anche SiddK àloe — Siddh' àlaya l'abitazione, la sede dei beati o della beatitudine = Siddhipurl. (40) Catrumlii o gatruin-ciaya «trionfai or dei nemici» = hari-ìiana ft d i ^ l r u g g i t o r e dei nemici». — 281 — mente fatto per -vullo. Cosi essondo, e traducendosi sastii- livrlla 0 saslutistotra cade la supposizione della identità di questo capitolo con un testo ricordato dal Wilson dei (77- Iru'n'gaija-stava. Al periodo riferito dal dott. K 1 a 1 1 nei suoi ricordi sto- rici dei Gaina (Extracts from the hislorical re- cord s of the Jaiuas. Indian Antiquary i8o2, XI, 245-40) nella Pullàrali del Kharutara-Ga'ccha, il Weber ini propone una correttura del testo, che ne modiSca al- quanto il signiOcalo storico- letterario. Ivi è detto che S th ù- labhadra fu T ullimo calurda^apùrva-dhàrin, di quelli f cioè che ebbero la scienza della sacra tradizione del Gina nella sua forma più antica, quella dei 14 pùrvàni. Al lesto sanscrito il Weber legge : daga ptìrvàni vastvdvayena mjùnàiii. anziché vastudvaye na nijùnàni come darebbe il Klatt; ciò che significa: «dieci pìirva conobbe egli nella lettera e nel contenuto, ad eccezione di due rasiu, ì. e. e a p i t o 1 i ; ecc. » Nella nota 35, nella enumerazione dei sinonimi per il fiore del loto il gainico i va anziché tradursi colla enchttica iva «co m e » deve rendersi con iti i'à«oanch ecosi», quindi sa yatlìà nàmatak: ntpalam iti va, padmam ili va. kusumam iti va ecc. Più innanzi invece del locativo con gatah e samvrddlia/i starebbe per maggior fedeltà alia loruia prac; itica se non alla sintassi sanscrita : dàrakak kàmair gàto, ò'iogaih samvrddho ecc. Da alcuni anni, incominciando dal 1875, è sfata intra- presa nell" India, sotto il titolo di Agarna-samgraha la pub- — 282 — blicazione metodica dei tesli d(?l Siddhùnta gainico. Tale im- presa, che, senza tenia di esagerare, e per ciò che apparrà dai numeri qui sotto, può dirsi grandiosa, è degna veramente del nuovo rinascimento intellettuale che s' inizia per l'India. Ma le condizioni, nelle quali le opere di cui si tratta vengo- no pubblicate, le rendono poco accessibili agli studiosi euro- pei. La maggior parte di esse si stampano a spese di un ricco mecenate del Bengal o per sussidii largiti da esso; e la esuberanza dei commentarli, che ingrossa sproporziona- tamente i volumi rendendoli costosissimi, il numero relati- vamente piccolo degli esemplari, il carattere semiprivato del- la edizione la fanno rara e quasi fuor di commercio. Io debbo alle cortesi comunicazioni del prof. Jacobi fat- temi durante un soggiorno a Miinster, ed alla visita sopra- tutto della biblioteca del IMuseo Britannico a Londra la co- noscenza della maggior parte delle opere in parola. L'ordinamento della edizione è il seguente: i tesli cano- nici costituiscono la prima serie. Essi non furono pubblicati tutti nel loro ordine tradizionale, uè in uno e medesimo luogo — sibbene un concetto solo e un metodo eguale ne diressero il lavoro, di modo che, finito questo e salvo forse una eccezione, i testi del Siddbànta costituiscono un corpo integro. Ogni testo è accompagnato ordinariamente da una Hlià o da una vrlli, due forme non molto diverse di com- mcntarii di un stUra^ seguite spesso da una dipilià, illu- strazione, una specie di ulteriore e quasi appendice di commento. Esse sono in sanscrito, e anche qualche testo è dato nella sua versione sa ■iskrtàìiuvàda ; ma al commen- to sanscrito aggiuugesi sempre una tabà o una Ofiàsà ('*), (41) Bhàsà significò dapprima, nell' uso dei grammatici india- ni, la lingua corrente in confronto dell'idioma vedico. Già da Yàska In parecclii passi del Nirukta, dove si contrappongo- — 283 — dichiarazione volgare, glosse in qualcuno dei moderni idiomi dell' India che pei testi dei Gaina è la gu- zaratì ; oppure è in pari modo un hàlàvabodha o illu- strazione per gli inesperti (^-). I testi pubblicati, fra cui la prima serie dei libri cano- nici, porta la distinzione di ^rì-yuta Rhàya Dhana- pati Simhagì Bahàdur ke Agama samgraha, sono : t" L'acórànga-siìtra con Hlià di Cìlàiìkà- c a r y a (' ^) e dìpikà di G i n a h a m s a- no i Risi ai maestri posteriori pare si distinguessero due periodi nella storia della coltura indigena ; che sarebbero il periodo vedico e quello successivo, al quale Yàska apparteneva. Ma sopralulto que- sta distinzione egli la fa risaltare bene accentata nei riguardi della lingua fra quella del veda o dei chandas, e la hhasà ; nel qual ultimo termine non è intesa alcuna particolare forma di lingua parlata, sibbene la lingua corrente fra i brahmani nell' uso lette- rario, onde si svolse poi più determinatamente la samskrtà-bhàsà. I termini ricorrenti in Yàska di laukika e gànapada, vulgare e locale, paesano, corrispondenti alla depr dei grammatici po- steriori , segnano appunto il contrasto fra la bhàsà suddetta ed i dialetti. Ma più tardi il termine bhàsà prende appunto verso il sanscrito quel medesimo posto che esso aveva in passato preso verso il vedico; viene cioè ad indicare i vivi e correnti idiomi po- polari e provinciali, i dialetti in contrapposto al sanscrito, sia come lingua letteraria, sia come lingua, se tale fu mai, dell'uso civile ed ufficiale. (42) Le date che quindinnanzi si esporranno in numero doppio segnano col numero superiore l'era di Vikràma o samvat ini- ziate dall'anno 5G a. C, col numero inferiore la nostra era volga- _ , . j. samvat 57 re ; sionificheranno qumdi , — r- . era nostra 1 (43) Sìlamka o S ilaiakàyar iy a, che il Weber, indische Studien, 16, 2 5, ricorda come autore di questo commento, viene Tumu IV; Serie VJ- 37 - 284 — suri in sanscrito, una (làlàvaòodha di Par e V a é a u (1 1" a s ù 1" i. Ila inoltre u na nirynkli che è un titolo speciale dei Gai- na dato a una illustrazione del testo sa- cro. Edito nel . ' ' a Calcutta; consta la prima parte di 437 pagine, la secon- da di 383 pagine 820 2° il siUrakrtànga-siUra con Hlià di ^ ì 1 a n- k a e e dlpikà di H a r s a k u 1 a in san- . scrito e bàlàvàv ab odila di S a d b u r a t- 820 932 assegnato all'anno Il Klatt, 1. e, p. 247, cita Gilàmka ine- 865 desimo quale discepolo di Gìnabhadraganiksamà?ramana; a lui viene dato anche il nome di Kotyàcàrya. Secondo una tradizione egli avrebbe composte le vrtti degli undici arìga, che, ad eccezione di quelle dei due primi, si sarebbero perdute. Un Ginahamsa-sùri, è ricordato nella Pattàvalì del Kliarataragaccha come figlio di Sàha-Megharàga del Chò- ^^ , . , ^524 ^ , 1582 . ^.^ pada-gotra, nato nel e morto nel in Fataiia. ^ ■ ^ ' 1468 1526 • ■ Di Pàrgvacandrsùri, o meglio di un Pàsao o Pàgacandra trovasi menzione nel Kupaksakaugikàditya di Dharmasà- gara quale fondatore della decima setta da lui chiamata Pàsa 1572 0 Paca che si fece nell'anno ; v. "Weber, ùher das Kup. 1516' sovra citato p. 20. Nella chiosa in fine del manoscritto /3 della Vidhiprapà si ripete un g r ì-Pàr gvacandr asùri-gaccha, cui lo scrittore dell' indice avrebbe appartenuto. Si tratta qui for- se sempre del medesimo personaggio. Anche la niryukti = niggutti avrebbe esistito già al tempo del- la Vidhiprapà, ed avrebbe servito di base al commento di Ci- lànkàcàrya. v. Weber, iìid. St. 16,252. — 285 — 820 na Pàr^vacandra in guzarati ed. 1936 a Bombav -TTrr- ; consta di pagine . . XVIII, 1020 * 188U ' ^ 3" Io sthùiiàìiga-sillra col commento, vi- varana di Abhayadeva C*^) e una iabà anonima in guzarati. È nominato r editore Nànaka Canda , a Benares ; di pagine Xa, ^186 188U 4° il sàmavayànga-siUra con vrlti di Abha- yadeva e {abà di Megharàga in guzarati, dell' editore medesimo del precedente e del medesimo luogo ed anno. Consta di pagine II, 490 5" il Bhagavali-stUra con una traduzione lit- terale (anuvàda) in sanscrito, il com- mento di Abhayadeva, e la tabà di M e g h a r a g a ; ed. dal suddetto N a n a- 11): 58 ka Canda. Benares .—-- di pagine . . XII, 3876 1882 ^ 6° il '(jnàiàdharmakalhàncja-séira col com- mento di Abhayadeva e una lahà guzarati, edito a Calcutta da Vi gay a 1933 S à d h u — ^ di pagine 1531 1877 ^ ° 7" r ìipàsakada^a-sÉlra con commento di Abhayadeva (vivarana) e bhàxà guzarati, di Vi gay a, edito a Calcutta 1933 ,. j^^ di pagine VI, 283 LVIII, 8006 (44) Di Abhayadeva, il celebre commentatore del Siddhànta , vedi nota 14; per Megharàga v. nota precedente. - 280 — LVIH, 8906 8" r aniakrladaQa-sùlra senza commenta- rio, il solo testo prucrito con una iabà 1931 guzaratì edito a Calcutta -^^ , pagine. . . .164 9° Yanuttaranpapàdika-siUra, edito col pre- cedente senza commenti, né versioni, pagine 36 1 0° il praQìiavyàkarana-s'àtra col commento vivrti di Abhayadeva a ùhà'^à gu- zaralì di Vigaya, edito a Calcutta 1933 .Y§77' pagine [I, 542 i i° il vipàka-siUra col commento di Abaya- deva e bhà'^à guzaratì di Vigaya, ed. a Calcutta -— r , pagine 279 lo l i pagine LX, 9927 Alla serie degli anga succede quella degli upàiìga, dei quali il numero non ò ancora compiuto ; mancano cioè an- coi'a alla edizione i testi dei tre upànga Gamlmdvipa-pra- ijhapti, silrya-pra'fjhapti e candra-pra'fjnapti, pei quali del resto verte la questione di cui si è a suo luogo toccato (*). Le edizioni degli altri testi sono : {" \ aiipapàdiha-sìUra col commento di A- b bay a de va e bàlàvabodha di Amr- t a e a n d r a, in guzaratì. Edito nella for- ma medesima degli aiìga precedenti, a Calcutta j-^, pagine II, 364 (*) V. pag. 54 e seg. = Atti dell' Istituto ven., toni. Ili, ser. VI, pag. 1884, e la nota 23. dabad nel t-ttt::: in un grosso volume di — 287 - II, 364 2° il raf/apruQni-siUra con una vrtti di M a- lay agiri (^■') e un ùàlàvabodha di Megli a rag a in guzaratì ; edito a 1936 Calcutta nel -rr— di pagine 296 ISSO * 3° il gìvàbhigama - siìtra con commento di M a 1 a y a g i r i e un bólàvabodha ano- nima guzaratì; edito questo ad Ahma- •1939 . 1883 pagine Vili, 2228 4° il prai/nàpanà-sìUra co! commento di Ma- layagiri e vivarana in sanscrito di N a n a k a C a n d a , il nominato editore di alcuni aiìga, ed una tabù guzaratì. L' editore è pure Nana k a C andrà, 1940 Benares ——■ di pagine XII, 2021 1884 segue il nirayàvaliya- stìlra comprendente gli ultimi cinque upànga da nirayà- valiyà o kalpikà{S) al kaipàvatamsa- ka {\0),puspikà [^) pu.^,pàvatamsaka (H), va/midagà (12). Vanno accom- pagnati da una versione in sanscrito di Catidrasùri, e da una bàlà- vabod/ia di Sadaranga in guza- XXII, 4909 (45) M al ay agiri, altro celebre commentatore del Siddhànta, tiene per le serie seconda dei lesti giainici il posto che Abhaya- deva tiene per quelli della prima serie. — 288 — XXIT, 490«J rati. L'edizione fu fatta da Vigva- nàtha , in Benares in questo stes- 19M soannor-j37, pagine 4 92 1885 ' ° XXII, 5101 Sono cosi quasi completamente edite le due principali categorie dei testi sacri gaiuici colle esegesi loro in un com- plesso di oltre 15,300 pagine. Delle altre serie dei testi del Siddhànta, dei quali sarò discorso nella xMemoria futura, sono, per quanto mi consta, in via di preparazione le edi- zioni; per ora mi fu dato vedere e valermi fra questi del Naìidi-siUra ('), opera sovratutto importante per la storia letteraria del siddhànta; e WUlaràdliìjayana-sàtra {**), il pri- mo dei miUasùlra e anch'esso uno dei più importanti per il ricchissimo suo contenuto leggendario. Facciamo voto per- chè r opera intelligente degli editori indiani, che si rivela bene nella scelta dei testi cui dare la preferenza, ci mandi presto pubblicato quello del secondo mùtasùtra, dell' àva- fyakasiUra; e il desiderio è tanto più vivo perciò che i manoscritti di esso in Europa oltreché essere rari, non so- no dei migliori. Termineremo questa Nota con alcune aggiunte biblio- (*) Qrl-Nandi gai sùfra, ganadhara-grì-Sudharmasvàmi-krta mùlasùtra, tad-upari Malayagiri-krta-tikà, tad-upari hhàsà và~ 1936 Idvodha-sameta Kalikatta, , pag. 520. (**) Uttamdhyayana-sùtra con commento di Laksmivalla- 193G blia e bdlàvabodha in "iiziii'ati. Calcutta -, ed. Vi gay a, di pag. 1109. — 289 - grnfìolie di pubblicazioni rintraccinfc o sopra-vveniite nel fraltenipo; principalissima quella del Jacobi, cui fu ac- cennato neir esame delle teorie avanzale dall'autore nella introduzione alla sua opera nella nota i 8. La traduzione del difficilissimo testo lMY acàrànga-sìltra deve indubbia- mente considerarsi come uno degli avvoninìenti più note- voli nel dominio degli studii gainici ; e noi ci riserbiamo di rilevarne i meriti per quando dovremo valerci di questa vei- sione pella esposizione delle dottrine del Gina. La tradu- zione del kalpasiUra di Bhadrabàhu, che fa seguito a quella dell' àcàrànya, apporta un contributo di non minor valore alle notizie storico-tradizionali delle scuole gainiche. &^ Di Adolfo Barth, che citasi alla pag. 48, mi è grato ricordare il bel capitolo sul '(jainismo^ nella sua opera pre- gevolissima sulle religioni dell' India ; opera che ebbe giù l'onore di parecchie versioni in lingue europee. Io posso citare solamente la edizione inglese fatta dal Trijbner nella sua « Orientai Series » : The Religions of India by A. Barth, Member of the Société Asiatique of Paris. Aulhorised Iranslation by rev. J. Wood, London, Triibner and Co., Ludgate Hill., 1882, cap. IV, Jainism, pag. 140-132. Mi duole di non poter riferire qui le più recenti osser- vazioni del Barth sull'argomento, contenute nell'ultimo nu- mero del suo BuUelin de l' Ilistoire des Religions, Paris, anno 1 885 (?) eh' io non potei avere sott'occhio che troppo fuggevolmente. L'ingegno solido quanto acuto del Barth e la sobrietù del giudizio che lo fanno pendere, nelle questioni storiche sui Gaina, per l'indirizzo del Weber, concihano mol- ta fiducia alle sue opinioni. Il dott. Reinhold Rost, il liberale e per gli studio- si del sanscrito benemerito direttore della India Office t — 200 — Library a Londra, mi favori dalla sua biblioteca privata parecchi libri relativi ai Gaina ; alcuni dei quali per la ra- rità e curiosità meritano di venire ricordati : Hislorical researchcs on the origin and principles oftfie Buddha and Gaina religions, by J. Bird. Bombay, 1847. The Cinlhàmanij first book called Namacal llam- b a m , with the commentary of N a e i n a r k i n i y a r , and with analysis and notes in english, tamil and english inde- xes, and an english introduction explaining the Jaina sy- stem upon which the work is based, by Uev. H. Bower with the assist, of E. Muttaija Pillai. Madras, 1868, \ 8 Church-str., Vepery. The Jainas^ their religion^ customs and manners^ being the substance of a lecture, delivred before the Society of theistic friends, in 1872. Calcutta, printed at the « Indiaa Mirror » Presse, 4 873. Price 4 annas. Padova, 19 dicembre 1885. APPLICAZIONE DELLA METEOROLOGIA all AGRICOLTURA DEL M. E. LUIGI TORELLI I. U autore rivolge il suo scritto ai membri dell' Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. — Richiama analogo scritto del i877 non coronato da successo. — Ragioni della sua persi- stenza. — Discorso di M. F. Maury sulla Meteorologia ap- plicata all' Agricoltura. — Conseguenza di quel discorso. Onorevoli signori Colleghi! Nel giugno delfanno 4 877 io mi presentava a Voi, ono- revoli colleghi, pregandovi di voler prendere in considera- zione una proposta, che aveva per iscopo d' avvisare ai mezzi onde applicare la Meteorologia all'Agricoltura. Non pretendeva già che si avesse da attivare senz'altro l'introduzione del BoUeltino delle previsioni del tempo, co- me già praticavasi negli Stati Uniti d'America, con grande beneficio dell'agricoltura. !o mi acconlentava che, presi in Tomo IV, Scric VI. Ó6 _ 292 — seria considerazione i progressi della Meteorologia ed i suoi risultati pratici, si preparasse il terreno anclie in Ita- lia per ricavarne i frutti ; e proponeva ctie si cercasse di rendere popolare quell'istruzione e s'inviassero in Ame- rica alcuni giovani, giò famigliari con quella scienza, acciò facessero colò una pratica di due o tre anni e, ritornando in patria, si trovassero a quel grado di perfezione nella teoria e nella pratica che comportavano i tempi. Esposto anzitutto il cammino già percorso da quella scienza, la quale per quanto riguarda la sua applicazione all'agricoltura poteva ancoi'o chiamarsi neonata^ parevami che contasse già tanti cultori anche in Italia, avesse già destala tanta simpatia da potersi tentare quel passo il quale se riesciva felice, era sperabile che nel 1880, od in quel tor- no, si avrebbe potuto attivare anche in Italia quell'applica- zione della Meteorologìa che in America è già un fatto rea- lizzato da anni. Voi divideste il mio modo di giudicare ; ma le speranze non si verificarono. Forse che questo fiaccò la mia fede nel risultato de- finitivo? Non ebbe altra conseguenza se non se di persuadermi che mi era ingannato nel valutare il grado di maturità di quella questione in Italia, e che la debole mia voce fu im- potente a darle una spinta. Otto anni passarono d'allora in poi e la neonata scien- za progredì a passi di gigante, si fece sempre più pratica e sparse in altri paesi, oltre 1' America, quei benefizi eh' io vagheggiava per 1' Italia col tentativo di quel primo ap- pello. A che miro in oggi, cosa mi propongo? Un secondo tentativo; io seguo il Vangelo e la massima: Pulsate et ape- rielur vobis. So perietlamcnto che sin)ili conquiste della scienza non si vincono con facilità, e che conviene andar alla lotta rassegnati anche a soccouii.iere, ma aniinali dalla — 2o:> ~ certezza ! Ile allri ricscirà. — In questo baìtaglie contro lac- ciflia e l'indifferenza si devono trovare i bersaglieri, che aprano il fuoco e forniscono le prime vittime, precisamenttì romp nelle lotte, dalle quali dipendono le sorti delle nazioni. Chi mai si ricordai di loro? Furono indispensabili anch'esse; e talvolta lunga è la serie, priina che si consegua il trionfo. Un egual desiderio le animò; ed in quella fede trovarono il loro coraggio. Or bene, io accetto la sorte del bersagliere che cade e viene sepolto, senza che tampoco una voce ami- ca pronunci 1' ultimo vale sulla sua tomba. Vengo adunque a tentare il secondo appello. Ma perchè ho citato il primo cosi completamente di- menticato? Spero bene che nessuno vorrà supporre che lo richia- mi per un senso di vanità, per rammentare quell'estinto. Bella compiacenza davvero ricordare un insuccesso ! Sa- rebbe a desiderarsi di poter distruggere perflno il ricordo, se la vanità vi entrasse per qualche cosa. - Ma questa vi entra proprio per nulla, ed in modo cosi completo, che, anche prevedendo^la stessa fine del primo appello, pur vo- glio tentare. Lo cito per un buon niutivo, ed è che il lavoro di otto anni addietro mi serve qua! punto di partenza. Il pro- gresso d'allora in poi è la ragione la più valida, che deve sostenere il mio secondo tentativo. La novella scienza è benefica all'agricoUura, ed in gra- do non piccolo; ei pare, la Dio mercè, che un risveglio in suo favore sia finalmente nato anche in Italia. Perchè non ne approfitteremo anche noi per far conoscere i benefìzi che già impartì ad altre nazioni, ch'ebbero fede nella gio- vane scienza e seguirono i di lei consigli? Quando altri po- poli ci hanno preceduto possiamo, ancor titubare ed invo- care il dubbio d'un salto nell' ignoto ? A me pare che sia ormai tempo di spiegare anche alle masse a che servono — 204 — qucsli! cciilinai;! ili Ossorvuloii e quella poi iddica imioii- (lazione di cifre. Agli occhi dei credenti in quella scienza servono indubbiamente a provare, che anche in Italia au- menta di continuo la probabilità di divenir partecipi dei benefizi. Che realmente siasi già pervenuti a tal grado da sperare che si possa fare con successo qualche passo riso- luto verso la soluzioii e pratica, io mostrerà il fatto. È tempo dopo queste premesse che io entri io argomento. Credo cominciar bene col citare un documento, che non si cita mai senza successo, perchè uno fra quelli che fecero epoca nella storia di questa nuova scienza: quel do- cumento, che rimarrà sempre la sua base, cui nessuno che si dedica allo studio della Meteorologia applicata al- l'agricoltura deve ignorare, e questo si è il discorso del celebre Maury, tenuto il 26 giugno del 1872 a S. Luigi del Missouri. DISCORSO DEL COMMODORO MATTEO FONTAINE MAURY LETTO AL COMIZIO AGRARIO tenutosi in S. Luigi del Missonri, negli Stati Uniti d'America, il mercordi 26 giugno 1872. « Nello scorso mese di ottobre 1871 io esponeva alla So- cietà agricola e meccanica della contea di R.ockbridge Virginia e della contea di Shelby Tennesee i vantaggi, che derivereb- bero da una conferenza internazionale degli agricoltori e dei me- teorologi dei varii paesi, qnando ad essi si congiungessero gli industriali e le persone eminenti, riunita allo scopo di tratta- re della prosperità delle nazioni e del benessere dell'intera famiglia umana. In aggiunti) a quel mio rapporto vi espongo le seguenti mie idee : Predizioni delle stagioni. D L' uomo è di natura meteorologo, e cosa sono i suoi raccolti se non le risultanti delle leggi meteorologiche e delle inlluenze, le quali hanno su di essi agito mentre stavano cre- scendo'? Osservando l'imperlante progresso, fatto in questi ulti- mi 18 0 '20 anni (*) nello studio delle leggi, che governano il meccanismo atmosferico del nostro pianeta ; rammentando che questo progresso è in gran parte dovuto all' impulso impresso alle ricerche meteorologiche dalla Conferenza di Brusselle (*); (■) (1852-1872). Nota. L' importanza che io attribuisco a questo discorso è tale, che io credo utile di spiegare in nota alcuni passi che potrebbero riescir oscuri a più d' un lettore. (1) Il Congresso di Brusselles fu il primo congresso Meteoio- - 200 — chi oserà '.iiticinai'c che il meleorologo non pohà in iivvenu'e, con un sistema analogo d'osservazioni, profetizzare airagricoltore le variazioni atmosferiche che possono succedere, nonché la precocità od il ritardo delle stagioni, come i turbini e le lem- peste son preconizzate alla gente di mare ? Vediamo di quali mezzi ei si può valere ; anzitutto ei dovrebbe disporre su vari punti del suolo di cooperatori, a guisa di quelli che stanno nelle città marittime, a cui spetterebbe eseguire delle osser- vazioni in date ore precedentemente stabilite, mediante stro- menti speciali e secondo un metodo analogo ; ai quali incombe- rebbe di trasmettere il risultalo delle osservazioni^ eseguite nel proprio circolo all'ufficio principale, e da questo, uìediante il telegrafo ed il giornalismo, sarebbero fatte conoscere al pub- blico le deduzioni risultanti dai maleiiali ricevuti. Questo còìnpilo è troppo grandio'io, perche una nazione possa da se sola sobbarcarsi ad un'impresa di tanto momento. «Signori, questo problema interessa il mondo intero; que- sto progetto è di un'importanza massima, imperocché per esso viene ad essere aperto un campo vastissimo alle ricerche fisi- che, ed è dato un incoraggiamento all'industria agricola, nel cui campo i fisici non sono stati per il passato invitati ad en- trare. Non v'iia nazione^ che possa occuparsene da sola e riu- nire la sola decima parte di que'materi;di indispensabili, ed ai quali i fisici mostrano tanto interesse. logico intiirnazioiiale, eli' ebbe luogo dietro suggei imenfo ào\ Mau- ry stesso, e venne proiiios'O dal Governo degli Stati Uniti e dell'In- ghilteria. — In qiiollo vennero fiottate le basi {ht procedere di co- mune accordo nel fare osservazioni uieteoro'o;^iclìe, nelle qualità ed uso d' Ì3truinenti. — Graìule fu li sua iniportanzi pratica. 297 Le nazioìii die soyio già in grado di cooperare. » 11 Giappone, l'India, la China, la Turchia, olire tulli gli alii'i Siali d'Europa, h.unio già il loro lerj'ilorio solcalo dalli; Icrrovie, dal telegrafo e dalla navigazioìie a vapore; quasi tutu questi paesi lianno ercUi Osservalorii meteorologici e si eoaiunicano a vicenda le loro osservazioni. Questo è il solo meccanismo richiesto dalia mia proposta. Ora siccome non fa d'uopo che di raccogliere tutti questi immensi maieiiali, si do- manda perciò soltanto che il Governo s'interessi all'esecuzione di questo progetto, interponendo i suoi amichevoli u:fizii presso le altre nazioni del i.lobo. » Già si possiede un numero imporlaiite di Osservatori!; e se le loro compilazioni potessero esser per tale scopo utilizzate, se n'avrebbero risultati d'un benefizio generale. Il meccanismo atmosferico. Come è messo in molo. » Non v' è occorso mai di pensare all' atmosfera come ad un grande oceano, il quale ricopre il mare e la terra su di un'altezza di molle m glia? Egli è intento mio di provare che, in fondo a quest' oceano in cui ci muoviamo, rinvengonsi tulli quegli agenti, le cui operazioni ed i cui effetti hanno azione sui fenomeni meteorologici e sui raccolti, sull'uomo e sulle industrie. » Per segnare tutte queste operazioni e comprendere la lun- ga serie dei lavori di una macchina iinpoitanle qu.into è l'ocea- no atmosferico, ei fa d'uo[to che abbiansi qua e là — in mare come in terra — diligenti osservatori di ogni suo movimento, della direzione delle correnti aeree e de' fenomeni che si suc- cedono. Le navi mercantili e da guerra che continuamente sol- cano il mare, possono perfettamente senza costo di spesa tener le veci di quegli Osservatori!, che l'attuazione di questa mia idea richiede per il mare. — 298 — » Tutti i dati possono essere di grande utilità, ma all'agri- coltura specialmente imporla la conoscenza de'fenomeni , dovuti alle cause fisiche, che s'incontrano al fondo del nostro oceano aereo. La più gran potenza marittima del globo, l'Inghilterra, sta ora allestendo una .superba fiegata, destinala a compiere un viaggio di circumnavigazione della durata per lo meno di quat- tr'anni; ed il suo personale è composto di scienziati, ai quali spel- ta di accrescere il numero delle cognizioni, che già si hanno re- lativaiuenie alla geografia fisica del maro. Per quanto degno di considerazione e nobile sia questo compilo, pur tuttavia è eviden- te, che esso appare in confronto assai meno importante della proposizione, eh' io sottopongo al giudizio universale, di studia- re, cioè, il fondo dell'alto oceano atmosferico. Se riflettesi per un solo istante alla natura del problema eh' io propongo, sia rispetto ai fenomeni meteorologici come alle conseguenze che ne derivano, si comprende che : ))1.° Ogni movimento che succede nell'atmosfera dalla brezza pili leggiera al tornado, è interamente dovuto al sole. E desso che assorbe dal mare l'acqua, la quale alimenta l'immenso Mississipì, che ne la trasporta attraverso l'aria e la spande su le amene colline e le ubertose vallate. y)'2.° La qr.antità di calore, dal sole annualmente dispensata alla terra, è costante. ^S." Le dimensioni dell'oceano sono invariabili. y> A." Il volume dell' acqua, assorbita ogni anno allo stato di vapore e di nuovo precipitata come pioggia, neve e rugiada, è pure costante. » 5 ° Non v'ha che il luogo di maggiore o minon^ precipita- zione che sia soggetto a variazioni. » Ora se si riesce a scoprire — come questo sistema di ri- cerche ce ne fornirà i mezzi — in qual parte dei globo s'av- vera quest'eccesso di precipitazione ed ove si verifica una de- ficienza, chi potrà ancora asserire che non arriverà a vatici- nare se le stagioni saranno precoci o tarde, calde o fredde, — 299 — piovigginose od aride; che non si potrà avvertire l'agricoltore se l'estate sarà caldo e se l'inverno sarà mite o rigido e tale da promettergli un abbondante raccolto? Come l'esecuzione di questo progetto interessi altre industrie. » Or fa d' uopo studiare questo progetto sotto tal punto di vista che rifletta l'agricoltura come l'industria, stantechè non hawi lavoro allinente all' agricoltura ed all' industria, il quale non vada soggetto ad oscillazioni dipendenti dalle variazioni at- mosferiche ; ed i cambiamenti possibili nelle stagioni decidono non di rado delle perdite come de' guadagni. » Se soltanto riflettesi che il prezzo del grano sui nostri mercati alimentari, a Chigago, a Nuova York p. e., non è re- golato dal raccolto avutosi nell'Ohio e nella Pensilvania, ma dipende in gran parte dai prezzi fatti in Inghilterra e dallo stato del raccolto di tutti quei paesi, donde essa ricava questo pro- dotto del suolo; di leggeri si comprenderà come questo proget- to miri, con una serie di mezzi semplici e non dispendiosi, a far conoscfere alla massa degli agricoltori il risultato de' raccolti di tutti i paesi del globo, dal bacino del mar Nero alla vallata del Mississipì. / vantaggi che ne derivano. »Ei non è difficile provare i vantaggi che da queste nozioni possono risultare. Se volgiamo la mente a cinquant'anni or sono, quando i mezzi di trasporto ai mercati non consistevano che in barconi, i quali discendevano lungo il Mississipì alla Nuova Orleans, ci ricordiamo che ai negozianti non era possibile, du- rante il loro viaggio, formarsi un concetto del prezzo che avreb- bero ricavato dal loro prodotto del suolo. Dopo l'introduzione de' battelli a vaporo compiendosi io stesso viaggio in una setti- mana 0 poco più, tosto diminuì quest'incertezza, causa di gra- Tomo IV, Serie VI. 39 — 300 - vi danni. In quei tempi non essendovi né telegrafi, né trasporti mediante il vapore, una traversata dall' America a Liverpool durava almeno 32 giorni; ed in quei tempi gli speculatori ave- vano agenti, che nell'interno delle terre portavano, cavalcando da una provincia all'altra, le importanti notizie commerciali, ed il venditore arrivava spesso a ricavare appena la metà del prez- zo, che, mediante più ampie informazioni, avrebbe invece po- tuto ottenere. Non mi par fuori di proposito riportare un fatto da me inteso, che risale ad alcuni anni addietro e si riferisce alla caduta di Richmond, per provare di quale importanza sia una rapida comunicazione di notizie importanti. In quel tempo la Nuova Scozia era dotata d'una linea telegrafica, che non pro- seguiva però immersa nell'Atlantico. Alcuni negozianti di Nuova York, noleggiato un piroscafo, inviaronlo segretamente e munito di lettere ad Halifax, ove doveva conservare le caldaie conti- nuamente accese, pronto a partire al primo cenno. Caduta Ri- chmond, tosto gli fu comunicato l'ordine partite, e questo bat- tello fu il primo a portare siffatta notizia. » Dicesi che per questa informazione, ricevuta per tal modo in anticipazione, abbiano quei negozianti realizzati milioni di dollari. Quanto già devesi al telegrafo ed al vapore; e risultati del Congresso. » Quantunque il vapore ed il telegrafo abbiano già assai av- vantaggiato il produttore mettendolo a contatto del compratore, ciò non pertanto egli non è ancora in posizione dì conoscere lo stato de' raccolti per ogni regione agricola e quindi i prezzi probabili. Mediante una serie di comunicazioni telegrafiche, il produttore potrà quind' innanzi essere al fatto di quanto suc- cede sui mercati principali, e formarsi un criterio del profitto che il raccolto gli può fruttare. » Togliei'e dalie mani degli specidatori e mettere il mercante, — :^0! — il produttore ed U consumatore sullo stesso piede, per quanto si riferisce alle informazioni, è certamente un nobile assunto. I risultati, che se ne otterranno, oltrepassano qualunque calcolo che si possa fin d'ora immaginare. Accolto con favore. » Allorché verso la metà del mese di ottobre dell' anno scorso (1871) era questa mia idea fatta conoscere, già avevano le so- cietà agricole ed industriali tenute le loro riunioni annuali, ag- giornandosi all'autunno venturo. Era pertanto troppo tardi per sottoporla alla loro savia apprezzazione. Il pubblico però, sia dell'Europa come dell'America, le fece il buon viso. )) Da me interpellata la Società meteorologica scozzese, la quale mostrasi laboriosissima ed ha per segretario Alessandro Buchan, distinto meteorologo della Gran Bretagna, rispondeva- mi di esser pronta a coadiuvarmi ed a mettersi in rapporto colle Società meteorologiche ed agricole del regno. Il Commodoro Jansen, distinto scienziato olandese, s'è co- stituito il patrocinatore di questa causa. » Nel Belgio, l' illustre Quetelet, astronomo reale e segre- tario perpetuo dell'Accademia di Brusselle, approvò siffatto pro- getto, apprezzandolo altamente. »L' ultimo postale di Francia mi ha recale parole d'incorag- giamento di Maria Davy, accompagnate dalla sua approvazione, congiunta a quella dei dotti Turcher e Mergolele, dII Padre Secchi del collegio romano, il più gran fisico del secolo, non mancherà sicuramente di cooperare al buon suc- cesso di questo progetto. Quantunque non sia da me fin qui stato interpellato, troppo conosco il suo amore alla scienza, per non essere sicuro di poter contare sul suo valido ap- poggio. D La Russia va specialmente accennata per gli incoraggia- menti, col mezzo di Kuppffìr e di altri celebri cultori delle scien- — 302 — ze lisiclie iinprerisi alle osservazioni ed alle licciclie lueleoro- logiclie ; ed il Granduca Costantino, dotto ed illustie scienzia- to, s'è altamente adoperato, perchè fosse nel vasto Impero ap- plicato il sistema di osservazioni stato votalo nella Conferenza di Brusselle nel 1853. Al rompere della guerra d'America del 1861 egli facevami offerte speciali, invitandomi ai essere sui bordi della Neva l'ospite di quella nazione^ percliè ivi conti- nuassi i miei studii prediletti. Progresso fatto in questo paese. » Varie Società agricole di questo paese ed alcuni Stati han- no già a questo proposilo emesse varie istruzioni in appoggio. A Washington fuvvi in febbraio scorso una riunione composta dei rappresentanti delle Società agricole di tutta la contrada, i quali approvarono codesta mia idea. » Questo progetto si collega con quanto era stabilito nella Conferenza di Brusselle del 1853; ed i vantaggi, che il commer- cio e la navigazione hanno ottenuto, si possono calcolare a mi- lioni non di dollari, ma di sterline. Lo richiedono gli interessi sociali. » Il Comizio agricolo nazionale degli Stati Uniti ha per isco- po di rappresentare e tutelare gli interessi agricoli non di pic- cole porzioni del paese, ma di provinole, di Stati di tutto il glo- Do. Trattandosi d' un compito di sì alta importanza, non vi può essere soggetto che più di questo meriti di attrarre la sua at- tenzione e di essere sottoposto al savio suo giudizio. Io mi ri- volgo pertanto individualmente a tutti i membri di quest'assem- blea, scongiurandoli di valersi di tutta la loro influenza, affinchè questo progetto sia preso nella considerazione che si merita. 303 Chi maggiormente ne sentirà i vantaggi. » Prima di tracciare a questa nobile adunanza la via, che a me parrebbe opportuna, mi giova avvertirvi che il buon successo di questo progetto sarà di utile a voi altri tutti, mentre noi sarà a me che ne getto le basi. Io sono dopo la guerra al bando del la nazione (^); e non posso coprire alcun impiego né governati- vo, né federale. Appena passa sotto la tutela del Governo, ces- sa ogni mia ingerenza e non ni' è perciò concesso d'aver l'o- nore di cooperare alla sua organizzazione e di assistere alla sua esecuzione. Non ho possessioni agricole, né un palmo di terra da coltivare; e quindi quantunque io appoggi altamente questa mia idea e m' adoperi, finché la mia cooperazione sarà utile, al suo buon esito , nessuno havvi nel paese il quale meno di me ne sia per risentirne i benefizii. » Ciò premesso, io sono d'avviso, che quest'assemblea deb- ba con qualche urgenza : j) 1,° Far noto questo progetto al Congresso degli Stati Uniti ; » 2.° inviare un indirizzo a tutte le Società agricole, ai Comitati ed alle Associazioni del paese, dello Stato e della contea, con cui siano invitati ad adoperarsi con tutti i loro mezzi perchè questo progetto sia adottato; (1) Io sono dopo la guerra al bando della nazione. — Convien sapere che il Mauiy, nella gueii a civile scoppiata nel 1861, parteg- giò pei Separatisti. Il vincitore fu per lui inesorabile ; co' suoi con- sigli, colle sue grandi cognizioni nautiche aveva contribuito non po- co a prolungare la lotta. Non gli valse il bei:e incalcolabile, che aveva fatto co' suoi scritti e coi giganteschi suoi progetti. Era stato potente anche quale avversario; ed allora era ancoia fresca la memoria del danno, che il Maury separatista aveva fatto. — Gli estranei a quella lotta non vedono, e non devono vedere che il grande scienziato pratico, un vero benefattore dell' umanità, la quale conosce ben pochi che, al pari di lui, abbiano contribuito a migliorare le sue condizioni. — 304 - » 3.° dispone che sia denominata una Commissione incaricata di riferirne al Governo; » 4.° adoperarsi perchè i gioi^nali e la stampa del paese inse- riscano e discutano questo progetto. » 5.° invitare il presidente a spedire una copia delle delibera- zioni prese alle Società agricole, meteorologiche, scientifiche ed industriali dell' interno e dell' estero ; » 6.° adoperarsi perchè i membri di questa Assemblea si inte- ressino ad esso, e si valgano della loro influenza, acciò dal pubblico sia preso nella considerazione che si merita. Perchè richiedesi un Congresso. » Un Congresso è indispensabile, perchè in questo saranno discussi i progetti, presentati dalle varie nazioni e messi in ar- monia fra di loro per modo, che ne risulti un lavoro da pro- mettere quei vantaggi, che a ragione s' aspettano. Egli è indi- spensabile d'osservare attentamente tutti i fenomeni atmosferici, e di prender nota dei raccolti più importanti dì ciascun paese. Colla scorta di tutti i dati statistici agrarii di ciascun paese, i membri del Congresso potranno stabilire un piano generale, il quale subirà i cambiamenti che crederanno necessarii, e po- tranno richiedere quei dati che da essi saranno giudicati op- portuni. Non sarà difficile che qualche meteorologo proponga di modificare il modo con cui le osservazioni sono ora eseguito, tanto che alcune siano sincrone su tutto quanto il globo; e farà pertanto d'uopo di stabilire il numero delle osservazioni che nelle 24 ore dovrannosi eseguire, e decidere quale sarà la na- zione, che ripeterà queste osservazioni al suo mezzogiorno preciso. ))In date circostanze è indispensabile, perchè indichino il vero stato dell' atmosfera in una data ora, eh' esse siano tutte eseguite nello stesso momento; e sarà per tale oggetto neces- sario di gettare alcvme basi fondamentah. — 305 - »Iri certe parti del globo, come nel centro dell'Asia e del- l'Africa ed in alcune isole, ov' è difficile sperare di esser coa- diuvali dai nativi, farà d'uopo rivolgersi agli agenti consolari, ai mercanti, ai missionari, ai quali dovranno essere gratuila- mente forniti gli stromenti necessarii. » Finora non è stato mai, presso nessuna nazione, proposto di applicare lo studio delle leggi meteorologiche all'agricoltu- ra (^), e non se ne conoscono perciò i vantaggi che se ne po- tranno ottenere, » Per la marina invece già s' è operalo moltissimo e per la conoscenza acquisita del corso dei venti e delle correnti del- l'oceano sono stati abbreviati i viaggi^ diminuiti i pericoli e re- se più facili le comunicazioni, di guisa che il commercio ne ha sentiti vantaggi importantissimi. Le poche leggi meteorolo- giche, conosciute nelle campagne, sono dagli agricoltori state apprese per la tradizione o per le loro proprie osservazioni; ma fm qui non hanno recato loro grandi e sensibili vantaggi. ))Se sulla superficie del globo saranno col tempo innalzati nuovi Osservatorii provvisti di stromenti esatti, e se le varia- zioni atmosferiche saranno regolarmente segnate ad un dato momento e sottoposte al giudizio di dotti ed attenti osservato- ri, chi mi sa dire quali ne saranno le conseguenze? » Egli è di questi dati, che dovrà occuparsi il Congresso per stabilire quelle disposizioni preliminari che ne assicurino la buo- na riescila. Spese. » Ogni nazione, che coopererà a questo lavoro, dovrà sop- portare le spese delle proprie osservazioni, che tuttavia non ol- (1) La pubblicazione^ di avvisi in favore della marina precedette di più anni quelli per 1' agricoltura. — Come scorgesi dal discorso del Maury, sino al 1871, per questa non aveva avuto luogo tentati- vo alcuno. ~ 306 — trepasseranno sensibilmente le somme, già stanziate ne'varii bi- lanci per le osservazioni meteorologiche che già si stanno fa- cendo, e sono quasi nulle a fronte de' vantaggi che ne risulteran- no. Quand'anche poi fossero di qualche importanza, dal mo- mento che gl'interessi agricoh del paese lo esigono, siete in diritto di rivolgervi al Governo, insistendo che faccia ragione alle vostre giuste domande. ))Le spese, che si dovranno incontrare per gl'inviati al Con- gresso, sono assolutamente minime. Nel 1853, all'epoca della Conferenza di Brusselle, colla sola spesa del mio viaggio d'an- data e ritorno in Europa, ebbi l'onore di trovarmi coi rappre- sentanti di tutte le nazioni del globo; colà formularonsi impor- tanti progetti, in seguito ai quali' ogni nave mercantile o dello Stato, che solca il mare, è stata convertita in un Osservatorio flottante. Io sono fermamente persuaso, che tra i marini e gli agricoltori esiste un grande spirito d'associazione, e che questo piano, messo in esecuzione colla voluta parsimonia, non potrà sensibilmente pesare sulle popolazioni. V Agricoltura merita d'essere incoraggila. )■) Non è fuor di proposito che v' accenni eh' è sull' agri- coltura su cui gravitano tutte le imposte che servir debbono alle industrie; perchè, essendo questa la sorgente principale della ricchezza del paese, tutti gl'incoraggiamenti, che il Governo cre- de di dare all' industria ed alle arti meccaniche, derivano più 0 meno da essa. Quanto si fa per il Commercio. » Se dovessi accennare tutto quanto si fa per il commer- cio finirei per stancarvi: mi basti il rammentarvi, che per esso esiste una flotta che lo prolegge in tutti i paesi del globo, vi sono dei guardiani di spiaggia e dei polli. La spesa annua è — 307 — immensa e con tutto ciò le risorse, che al paese da esso deri- vano, non corrispondono ad un decimo dei proventi dell'agricol- tura. La differenza di valore fra le merci spedile all' estero e quelle entrate forma il ricavo dovuto al commercio, mentre l'am- monlare del ricavo risultante dall' agricoltura è indicato dal va- lore de'raccolli annui. A. quelle spese poi vogliono essere ag- giunti i preuiii die soglionsi dare per la pesca, la cui somma quasi basterebbe a sovvenire ai bisogni per l'attuazione del mio progetto occorrenti. » A quegli vantaggi falli al commercio, va aggiunto ancora l'Ufficio de' segnali stato creato per il commercio soltanto, il quale servir deve a predire nelle cillà marittime le procelle; iiientre lo stesso annunzio è trasandato per quelle dell'interno e nei centri agricoli. E conie se ciò non bastasse, sta ora in sludio al Congresso un progello di spesa di 200,000 dollari per lanciare in mare una gomena sottomarina della lunghezza di 300 miglia, che farà capo ad un piroscafo, il quale, getiata r àncora a quella distanza dalla costa, servirà quale bastimento destmalo ad annunziare l'arrivo di una tempesta. » La domanda, che con questo progetto si volge ai Governo, è as ai modesta, giacche richiedesi soltanto che lo stesso mec- canismo e lo slesso servizio siano rivolli alliesì a benefizio de- gli agricoliori, potendo così rendere un doppio servizio. » L' Uffizio de' segnali è stalo erello l'anno scorso con una spesa di 25,000 dollari e specialmente per le osservazioni me- teorologiche de' laghi e per la navigazione; e dal Comitato è per l'anno venturo pro[)Osta una spesa 10 volte maggiore. Che i vostri rappresentanti approvino pure codesta spesa ; ma intita- leli perchè nello stesso tempo si adoperino, acciò questo slesso servizio sia esleso a beneficio dell' agricollura. Questa spesa pertanto ha un doppio scopo, recando un vantaggio all'agricol- tura ed al commercio; ed i posti avanzali nell'Atlantico veglie- ranno agi; interessi dell'agricoltore come a quelli del navigante. Tomo 1 Y, Serie 17. 40 308 — Risultati probabili. Non v' ha dul^bio che 1' agricollura ricaverà da questo solo sistema di ricerche un utile^ uguale al.neno ai guadagni tutti che ricava dal commercio, e ne avranno il loro profiUo molti rami dell' industria. Se il personale, addetto a queste osserva- zionij saprà comprendere T importanza della sua missione, vi saranno dati sufficienti per vaticinare il tempo e predire, molli giorni in anticipazione, quei cambiamenti che interessano il, col- tivatore. Coi mezzi e colle applicazioni, che le continue scoperte ed il progresso mettono fra le mani dei cultori della scienza, il successo- di tali predizioni ha per sé molte maggiori proba- bilità di quante ne hanno molte altre intiaprese, che si vanno tuttodì tentando. » Gli agricoltori non sono essi stessi in condizione di dirmi qual importante valore possa avere un siffatto successo, quand'an- che non si avverasse che una o due volle all'anno; esso può salire a dieci, cento, mille dollari, secondo le circostanze, e non abbiamo dati sufficienti per calcolarlo. Il solo fatto di sapere molti giorni prima qual è il tempo che si prepara, può, secon- do lo stato di maturazione del raccollo, dtcidere per il paese di un ulile di molti miiioni. » Io non sono in posizione di assumere impegni né doman- do, che quest' assemblea si renda garante di questi dati ; ma io li ritengo non solo non improbabili, ma tali quali ogni meteo- rologo può ragionevolmente attenderli da un sistema di indagi- ni, saviamente organizzato e praticato colla voluta atlenzione. » I benefizii che ne risulteranno, sia per il produttore co- me per il consumatore, saranno immensi, essendo entrauibi in ogni m<^se ed in ogni stagione dell' anno informati dello stalo dei l'accolti di tutto il globo, lo vi assicuro, o signori, che col- r adozione di que.sta mia idea vi mettete in misura di ricavate tali guadagni, che non Sdoo siati previsti niai in ne:*tìun prò- — 300 - getto !) i-;ì'o sili]'- scienze fisiche. Voi, o signori, che r;ippresen- tate r)!i iiit(n"essi dei coltivatori, non avete che a lanciare una parola e vedrete che non tarderà ad essere messo in esecu- zione ». L'effetto, che produsse quel discorso fu grande, anzi deve dirsi sommo. Gli uditori in quel giorno appresero un piano vera- mente gigantesco, perchè abbracciava l'universo edera essenzialmente in favore dell'agricoltura; lo apprendevano dalla bocca di un uomo, che aveva già acquistato gran fama colla sua Opera sulla Geografìa fisica del mare^ e colle ap- plicazioni pratiche, che da quella erano derivate, a favore di tutte le nazioni. Quel discorso può qualificarsi /' allo di nascita della Meteorologia applicata all' Agricoltura. È un modello di logica, come lo è di laconismo; ma può chiamarsi anche un modello di modestia da parte del- l'autore, quando si pensa ai risultati che ebbe in brevis- simo tempo la neonata scienza. All'opposto della sorte, che suol toccare ai discorsi, non solo quello del Maury venne tradotto in tutte le lingue delle nazioni civili, ma non credo passi anno che non ven- ga riprodotto in molti luoghi, siccome il più atto a dar una idea ben chiara dello scopo cui mira quella scienza. Credo che, facendone il fondamento del secondo ten- tativo, possa dire se non altro d'incominciare bene ; poiché se avessi la sorte di essere ascoltato da molti proprietari, ai quali ambisco di preferenza rivolgermi, è probabile che a non pochi riescirù nuovo, ma certo non riescirà disca- ro e spero non inutile. Per corroborare col fatto quale effetto produsse quel discorso, soggiungerò che, seduta stante, venne ordinata la stampa di 20,000 esemplali, che poi salirono a 100,000 - 3 ! 0 - e più. Pociii mesi dopo si fondava a Washington un Ufficio meteorologico a beneflcio del commercio e dell'agricoltura, che giti nel 1879, ossia soli 4 anni dopo, estendeva la sua ramificazione a lutto il territorio degli Stati Uniti, avendo dal Governo una dotazione di 1 ,230,000 lire italiane. Le osservazioni quotidiane da quel centro venivano tra- smesse a 20 centri secondari ma sempre vasti, come sareb- be a dire a 20 regioni, e da queste diramale ai Comuni; e nel 1876 contavansi gii'i 7000 Comuni, o\e si pubblica giornalmente il bollettino del tempo del giorno innanzi, con la previsione del tempo probuùile per l' indomani. Nel medesimo anno 4 872 stabilivasi un Ufficio a Nuo- va-York, per prevenire con avvisi telegrafiei l'Inghilterra delle burrasche, che si avviano verso quelle parti. Tutto questo, attivato dopo poco tempo dal famoso di- scorso, prova quale impressione ha dovuto fare e se va- leva la pena di citarlo. Ma se il 26 giugno 1872 segna l'atto di nascita di quella scienza, che da teoretica divenne pratica, ed ora già spande le sue beneficenze laddove trovò fede e costanza, può chiamarsi il canto del cigno del celebre suo autore. Il 1." febbraio del successivo anno 1873 Matteo Fon- taine Maury soccombeva a Lexington nella Virginia ad una complicazione di mali, presente a sé stesso, con im- perturbabile serenitù d' animo. La Direzione dell' Istituto militare di Lexington, dove copriva la cattedra di fisica, partecipò la uìesta notizia alle autorità e stese una breve Memoria sul grand' uomo che aveva perduto. La notizia si diffuse tosto non solo nell'America, ma nell'intero inondo civilizzato, pochi essendo i luoghi ove il suo genio pratico non avesse frullato; pochi i centri del sapere, le Accademie degli scienziati, che non si onorasse- ro di annoverarlo fra i soci. — Non ovunque però si limi- _ 'ni _, turonu iul esprimere solo voli di condoglianza. Il dotto ammiraglio olandese Jansen, il traduttore nella lingua dei suoi concittadini della grand' Opera del Mauiy <' La Geo- grafia fisica del mare e la sua meteorologia»^ si tosto ap- prese la morte del grande astronomo e Gsico americano, richiamando come sulla costa del Brasile nelT Atlanlico vi sia una localilù detta il Capo di S. Rocco^ indicata dal Mau- ry come fra le più opportune per ei'igervi un faro, pro- pose: che lo si innalzasse realmente a spese di tutti i popoli, che traggono partito della nuova via marittima, dal medesimo indicata. Essi nello stesso faro troverebbero nuovo van- taggio, si che il monumento tornerebbe ancora a loro be- neficio, mirando nello stesso tempo che servisse a gloria del Maury col chiamarlo Faro Maury. II. Prima applicazione in Europa della Meteorologia all'Agricol- tura. — L' astronomo Leverrier e la Francia. — La Me- teorologia in Italia. — Epoca anteriore alla metà del cor- rente secolo. — Epoca del stio grande svolgimento. — Spe- ranze concepite nel i865. La grand' Opera del Maury, la Geografia fisica del ma- re, comparsa nel 1855, venne tosto tradotta in quasi tutte le lingue de' popoli civili, trovando ovunque ammiratori e seguaci. E questa parola s^^f^ac/ non esprime già solo per- sone che, convinte delle verità esposte dall'autore lo seguono nell'ordine delle sue idee: ma siccome quelle verità si rife- rivano a nuove vie da tentare nel vasto campo dell'Oceano, vie d'acqua costituite da correnti da lui studiale collo scopo di sostituirle ai venti; così la parola seguaci in questo caso si riferisce a que' primi capitani e speculatori che, persuasi dei suoi consigli, li posero in opera e s' avventurarono al- - 312 ~~ rOceanu, sej^ueiHio vie più lunghe tiiisurale a miglia, ina più brevi assai misurate a tempo, e non ebbero a pentirsi per- chè furono i primi a coglierne i frutti. La sua fama era già stabilita fra i marinai e fra gli scienziati anche in Europa, allorquando nel 1872 si sparse il famoso discorso, che ho riprodotto, vero Discorso programma. Un astronomo fra i più celebri d' Europa, i! francese Leverrier, fu il primo che concepì l' idea di realizzare in Francia ciò che il genio di Maury aveva promosso e ch'arasi realizzato negli Stati Uniti d'America. Anzi l'esempio ame- ricano servi di base al piano del dotto francese. Da uomo pratico procedette cautamente nella sua or- ganizzazione; ed i preparativi durarono non meno di tre an- ni : dal febbraio 1873, anno nel quale il servigio meteorolo- gico venne annesso all' Osservatorio di Parigi sotto la sua direzione, al 1.° maggio 1876, epoca destinata ai primi espe- rimenti. Due furono i dipartimenti nei quali ei decise iniziare r opera provvida, e furono quello dell'Alta Vienne con Li- moges e quello della Vienne con Poitiers per capoluogo. Nel primo citato dipartimento la pubblicazione dei Bol- leltini coi presagi, diramata dal capoluogo, doveva farsi in 30 Comuni, nel secondo in 28. Tutto fu in pronto per la sera del 30 aprile 1876; ed il 1." maggio 1876, 58 Comuni della Francia annunciarono all'Europa col fatto, che la giovine scienza, naia in America 4 anni prima, iniziava la sua beneQca missione anche in Eu- ropa. Il 15 giugno detto anno il dipartimento del Puy Du Dò- me inaugurò terzo il suo Osservatorio a Clermonl-Ferrant con 15 stazioni; e, prima che finisse l'anno, i dipartimenti, ove già erasi introdotta l'innovazione, sommavano a sette. — 313 — La Meteorologia in Italia. In proposito di questa scienza, vuol essere fatta una distinzione ben marcata fra l'epoca diremo antica, quando le osservazioni facevansi in modo isolato ed erano ritenute un accessorio affatto secondario degli Osservatori astrono- mici, e l'epoca moderna, dacché si possono fare simulta- neamente ormai in ogni parte del globo. È un'osservazione che vale per tutti i paesi e non solo per l'Italia ; ma entran- do, rapporto al nostro paese, in qualche maggior partico- lare, si conceda che incominci con questa distinzione. Torricelli toscano, celebre scolaro di Galileo, pose le fondamenta della scienza meteorologica coli' invenzione del barometro, che rimonta alla metà del secolo XVII, Il ter- mometro a mercurio era già stato inventato in Italia, si che i due principali strumenti, sui quali si basa la meteorologia, appartengono all' Italia. Le osservazioni sono coeve all' uomo, ma solo dopo la invenzione di strumenti, i quali possono dare una misura che vale per tutti i paesi, fu possibile fare confronti, trarre induzioni e cercar di scoprire le leggi che regolano i feno- meni meteorologici. — Un principe italiano, il granduca Ferdinando II dei Medici, fu il primo fra i regnanti, che la storia ci additi essersi interessato ed occupato per- sonalmente di quella scienza poco dopo 1' invenzione del barometro; e Firenze fu il primo campo di osservazioni meteorologiche che rimontano al iC54, e vcnnei'o affi- date ai frati del convento degli Angeli ed ai monaci di Vallombrosa, e quo' primi lavori si conservano ancora nella biblioteca Palatina di Firenze : ma, morto il gran- duca Ferdinando (1670) e sciolta l'Accademia del Ci- mento, vi ebbe una sosta, un'interruzione. — Tultavolla r Italia annovera ancora osservazioni non interrotte, che - 314 - rimontano al secolo passato; così, p. e., alla Specola di Brera in Milano si conservano le osservazioni dal 1763 al giorno d' oggi. — Al principio del nostro secolo 1' astro- nomo Toaldo, professore all'Università di Padova, per lunga serie d' anni tenne conto di quell' accessorio, ed in tempi a noi più vicini l'abate Zanledesdii, professore di fìsica alla medesima Università, fece una raccolta di osser- vazioni dal 1725 al 1860 sul clima di Padova; ei pubblicò pure altri lavori sul clima di Venezia e di Milano (^). — Ma non furono solo professori, che per seguire un loro do- vere si occuparono di questo ramo, ma anche privati; e va segnalato per questo un cav. Lorenzo Gatta d' Ivrea, che sino dal 1837 cominciò una serie preziosa dì osservazioni meteorologiche ch'ei continuò per oltretrent'annì. Cito que- sto fatto speciale, perchè dovrò rinvenire su quel nome. Ma, ripeto, erano elementi isolali. La scienza meteoro- logica cominciò a divenir pratica dall'epoca che il bavarese Steinheil, poco prima della metà del nostro secolo, intro- dusse i telegrafi elettrici che si diffusero con sorprendente celerità, collegando dapprima le città continentali; poi, per opera di Giacomo Brelt, nel 1851, il continente coli' Inghil- terra; quindi nel i854 1' Italia oolla Corsica e Sardegna; poi l'Africa e nel 1857, per la costanza ed ardire di So- cietà inglesi^ l'Europa venne congiunta coirAmerica.— Già da quando era diffusa nella sola Europa, uomini di genio, coaìe r ammiraglio inglese Fitz-Roy, cominciarono a trar partito di quella possibilità di avvisi sincroni dei paesi lon- tani; e la marina fu la prima a raccogliere il fruito di quella grande innovazione. Or si pensi come doveva estendersi (1) Chi desidera maggiori particolari intorno alle vicende della Meteorologia in Italia, si procuri l'opuscolo del P. Denza : La Me- teorologia in Italia; cenni storici del P. Francesco Denza. Ro- ma, tipogr. Befani, 1883. — 31^) - allorcliò congiunse tutte le parli pel globo. Dal mare passò alla terra, dai benefizi al navigatore a quelli per 1' agricol- tura ; e questo lo si deve al celebre americant^ che ho citato. Questo nuovo periodo, che, come vedesi, comincia po- co prima delia metù del secolo e viene sino ai nostri giorni, coincide colf epoca del risorgimento d' Italia, e di questo è indispensabile tenerne conto, perchè giustifica, dirò, quanto meno in parte, se non ha progredito, come poteva sperarsi, perchè la rigenerazione fu tal fatto che assorbì tutte le forze della nazione e più d' un ramo n'ebbe a soffiire ; ma si creò l'elemento per indennizzarsi, e non esitiamo a dire che fra questi entrerà indubbiamente a grado a grado an- che l'applicazione della Meteorologia all'Agricoltura co' suoi grandi vantaggi. Volendo spiegare come si svolse questa scienza in Ita- lia, convien fare una distinzione fra lo svolgersi nelle sfere ufficiali, il che si riferisce ai provvedimenti emanati dalle autorità, e lo svolgersi fra i privati. Citeremo anzitutto i provvedimenti ufficiali. — AH' e- sordire di questa scienza, intorno al 1850, un uomo di ge- nio diede, sotto tale rapporto, la preminenza al governo pa- palino ; fu questi il celebre astronomo il P. Angelo Secchi, direttore dell' Osservatorio astronomico del Collegio ro- man'ó. Alla scienza profonda, che possedeva, univa la cono- scenza personale deJ Maury; non si tosto cominciò quel dot- to americano a divulgare i suoi famosi scritti sulla Meteo- rologia, il Secchi divenne fautore e propagatore , e ciò sino dalla metà del secolo. Poco dopo, egli organizzava una cor- rispondenza meteorologica telegrafica fra Roma, Ancona, Bologna e Ferrara e si associava al Bollettino telegrafato, che introduceva in Francia il Leverrier, già da me cita- to. Il campo, sul quale il P. Secchi aveva potuto agire, era troppo ristretto, perchè potesse dare risultati d'importanza, ma forse più ancora, perchè se il genio del grande osserva- Tumo IV, Stiie VI. 41 — 310 — toro travedeva i risultati lontani, pochi lo seguivano. Quanto agli altri Stati d'Italia, basta considerare, ripeto, le epoche, per convincersi come la neonata scienza non potesse pre~ tendere di attirare a sé l'attenzione in modo speciale, men- tre trattavasi della lotta dell'esistenza; e noi, volendo citare atti resi pubblici e non cercare atti interni di Commissioni, atti preparatori, siamo obbligati a venire sino al 1865. — In detto anno il Ministro d'agricoltura, industria e com- mercio, convinto che la nuova scienza aveva un avvenire, decise d' introdurre Osservatori meteorologici, basandosi sulle scuole tecniche, eh' erano alla sua dipendenza e ne affidò l'incarico al distinto professore Giovanni Cantoni. Il primo alto, ad un tempo ufficiale e pubblico nel Regno d'Italia, è precisamente una Circolale, che porta la data del IO gennajo 1865, redatta dal sullodato prof. Can- toni, conlenente le norme che devono seguire gli Osserva- tori meteorologici, ed in essa è detto : che gli Osservalori^ slabiliti per raccogliere i dati meteorici^ diventano neces- sari quanto gli Osservatori astronomici, e gioveranno a ren- dere nlili servigi così alta pubblica igiene come all' agri- coltura, indicando la direzione e l'intensità delle atmosferi- che perturbazioni. Date tutte le opportune disposizioni, venne fissato il l.° marzo 1865, siccome il giorno nel quale doveva aver prin- cipio da parte degli Osservatori la trasmissione di tabelle decadiche fissate il 1.°, l'I I ed il 21 d'ogni mese, coi risul- tati delle osservazioni, all' Ufficio centrale della meteorolo- gia italiana, presso il Ministero d' agricoltura, industria e commercio, sotto la direzione del sullodato prof. Cantoni, e quella pubblicazione continuò poi sempre. — A 21 salì il numero degli Osservatori meteorologici, coi quali si esordi; ma, prima che finisse l'anno, altri 14 vi erano stati aggiun- ti, sì che alla fine del 1805 salivano a 35. — Ma T institu- — 317 — zinne ilodì Ossorviilorì, afQdata ulle scuole leciiiclie, nois fu l'unica; un'altra, parimenli ufficialo, ebbe luogo a favor «Iella marina. Con (lecrelo del 9 aprile iSC5, in seguito ai concerti presi fra i Ministri de' lavori pubblici, dell'istruzione pub- blica e quello di marina, e dietro proposta suggerita da una Commissione presieduta dall'illustre fisico Malteueci, ven- ne ordinata l' inslituzione presso il Ministero della marina di un Uflìcio centrale per 1' ordinamento del servizio me- teorologico nel regno, applicato a vantaggio della naviga- zione: 25 furono le stazioni proposte ed il servizio venne attivato il I." aprile 1866, e quello fu il primo, come appli- cazione pratica. Fu affidato al compianto distinto astro- nomo Donati ed ebbe la sua residenza in Firenze. — Si pose in relazione con Londra, Parigi, Vienna, Costanti- nopoli e cominciò a fare le sue pubblicazioni e trasmette- re giornalmente i bollettini ai 25 porti stati prescelti ; la sede dell'Ufficio venne più tardi trasportata a Roma, ma il servigio continuò sempre. A queste due fonti se ne aggiunse altra di origine privata. Sino dal \ 858 il P. Francesco Denza, in unione ad altri cultori di meteorologia, aveva stabilito un Osservatorio in Moncalieri nel Collegio Carlo Alberto ove insegnava, e cominciò sino d'allora a fare osservazio- ni, ma in cerchia ristretta ; fu però ottimo centro, per- chè destatosi nel 1865 un vero slancio in favore di quella scienza, sorsero altri Osservatori per impulso di privati e sopratulto del club Alpino. Favoriti anche dal Mini- stero d' agricoltura e commercio crebbero in numero ed importanza, si che il numero di quelli, che facevano capo a Moncalieri nel 1877, saliva a 68, dei quali 46 sulle Alpi e 21 suir Apennino. — Il P. Denza pubblicò anch'esso rela- zioni decadiche a partire dal 1865. Né a quel punto ancora si fermò lo slancio per la gio- vane scienza in queli" iinau. A Palermo il prof. Cacciatore — 318 ~ coir aslrouoino Tacchini, a Napoli 1' astronomo Brioselii, a Modena il prof. Ragona, ad Urbino il P. Serpicri, ad An- cona il prof. De Bosis, tutti iniziarono pubblicazioni perio- diche delle loro osservazioni e pubblicarono lavori diretti air avanzamento della meteorologia in Italia. Tutto questo materiale, le pubblicazioni che già face- vansi con regolarità ogni decade, le notizie ch(^ proveniva- no dagli altri paesi, mi illusero; e sperai potessimo già co- minciare anche noi quanto meno a predisporre il paese, e non solo la classe colta, ma anche la classe agricola, lavo- ratrice, per arrivare alla pubblicazione dei bollettini, come in America ed in alcuni luoghi della Francia. M'ingannai; dovetti convincermi, dietro l'avviso di più pratici di me, eh' eravi un elemento non ancora preparato, quello dei collaboratori ne! numero necessario, ed il pubblico sopra- tutto nelle campagne. Si poteva dire che le autorità avevano fatto il loro dove- re, non si mancò d'impianto ; ma le condizioni, nelle quali si trovò l'Italia, non avevano ancor permesso che si formasse tale quantità di persone, capaci d'afferrare i principii della giovane scienza, da poter forniie gli elementi indispensabili per la pratica realizzazione del tentativo. L'ajuto slesso, ve- nuto dal Club-alpino attestava il buon volere dique'soci, ma non del grado dominante ne! paese, restringendosi d'al- tronde quasi esclusivamente all'alta e media Italia. Eravi più d'un fatto, che dimostrava come in Italia si fosse data as- sai minor importanza alla neonata scienza che in altri paesi. Ho già menzionato in una nota, come nel 1853, dietro proposta del celebre Maury, gli Stati Uniti d'.4nierica e d'In- ghilterr.i si fecero a promuovere un Congresso meteorologi- co, allo scopo principale di stabilire un sistema generale ed uniforme di osservazioni. Il Congresso si tenne a Bruxelles, ebbe principio il 23 agosto detto anno e v'intervennero i rappresentanti di quasi tutti gli Stati dalla Russia e dalla — 319 ~ Svezie) ;il rorlogallo. Chi mancò? L' Ualia. Fu Congresso della più alta importanza. Per la pi ima volta si trovarono unite quasi tutte le nazioni per stabilire un procedere uni- forme; e quel Congresso è citato ad ogni tratto. La guerra del 1866, che ci procurò il Veneto, aveva soppeso lo slancio del 1863: le pubblicazioni da me citate cessarono, salvo quelle ufficiali e quelle del P. Denza; e ces- sarono, non già perchè fosse venuto meno lo zelo negli au- tori, ma per l'indifferenza del pubblico. — Io ho citato come la famosa opera del Maury: « La geografica fisica del ma- re », pubblicata nel 1855, venisse tosto tradotta in quasi tutte le lingue delle nazioni colte ; il quasi che accenna ad eccezioni, si riferisce pur troppo all'Italia. — Presso di noi non venne tradotta che nel 1872 sulla 14.* edizione, e lo fu per opera del sig. Luigi Gatta, capitano nel regio esercito e figlio di quel cav. Lorenzo Gatta d'Ivrea, che ho citato per le osservazioni meteorologiche da lui iniziate nel 1837 e condotte con grande perseveranza per lunghi anni. Si di- rebbe che la propensione a quegli studi è in famiglia. Nel VÒ7A il P. Denza pubblicò uno scritto col titolo: // Commodoro Maury e la Corrispondenza meteorologica delle Alpi e degli Apennini italiani del P. Francesco Denza, direttore dell' Osservatorio del R. Collegio di Moncalieri e della corrispondenza meteorologica . Quanti lessero quel lavoro, che pur dava un'idea di ciò che può farsi anche da noi? L'Italia infine, ancor troppo preoccupata della sua ri- costituzione politica, produsse bensì buon numero fra le persone colte, che compresero l' importanza della nuova scienza e possono fornire elementi onde trarre i capitani per condurre i soldati alle pacifiche conquiste della scienza ; ma non produsse nel numero indispensabile i soldati. Rife- rendomi al 1877, mi correggerò dicendo mancava allora il numero indispensabile. — Quanto poi al pubblico, e sopra- — 320 — lutto quello delle c:)m[)agne, eli' è il più interessalo, era ben lungi da potersi ebiamare educato a quell'idea od averne un concetto chiaro e favorevole. Un novennio è decorso da quell'epoca. — Potrebbe ten- tarsi ora? Per rispondere a simile dimanda, conviene anzitutto pre- cisare cosa si richiede per l'attivazione pratica, ossia per la pubblicazione nelle campagne, delle previsioni del tempo co- me si pratica negli Stati Uniti d'America: converrù quindi esaminare i progressi fatti colà in quel paese classico; quindi, anche presso di noi, ed in base a quelle risultanze si potrà arrischiare un giudizio. I fatti, che si veritìcano colù e che si riproducono ogni giorno, sono troppo sicuri: i bisogni della nostra agricoltura troppo evidenti; perchè non si ab- bia a trattare da ogni classe sul serio questo argomento e procurare, che non solo le persone colte, ma il pubblico se ne occupi, quel tanto almeno che basta per venire ad un'at- tivazione pratica. Cominciamo col vedere quanto occorre acciò la Meteo- rologia divenga praticamente utile all'Agricoltura. III. Organizzazione indispensabile per rendere la Meteorologia utile all'Agricoltura. — Esempio degli Stati Uniti d'America. — Progresso negli Stati Uniti da un novennio circa a questa parte. Occorre anzitutto che in luogo determinato siavi un Ufficio centrale, che raccolga le notizie sincrone dalle di- verse parti del globo per cominciare a farsi un concetto dello stato generale dell' atmosfera . Per venir subito ad esempi pratici, l'Ufficio centrale negli Stati Uniti è stabilito nella capitale a Washington. Quello riceve comunicazioni — 351 non solo (la ogni lontana parte dell' America, ma giorna- liere dall'Europa, dall'Asia, dall'Africa, da ogni parte infine del globo, ove la civiltà abbia preso possesso. Siccome le persone, che ricevono quelle comunicazioni, sanno già, per la loro esperienza, quali conseguenze ha una data de- pressione sugli altri luoghi, cominciano a formarsi un giu- dizio, benché ancor vago, ma che riposa su fatti deter- minati; e queir Ufficio chiama già l'attenzione sui luoghi minacciati. L'enorme vastità del campo d'operazione dell'Ufficio centrale di Washington, che è più di cento volte l'Italia, fa si che i fenomeni osservati possono venir alterati , ossia subire modificazioni nei diversi, paesi secondo la loro posi- zione, elevazione e natura; ma anche queste modificazioni seguono leggi, che la giovine scienza ha studialo e studia di continuo. Convien dunque che in zone, o circoscrizioni mi- nori, come sarebbero le più vaste nostre provincie o meglio le nostre regioni, si costituiscano Uffici, ove si raccolgano persone già ben iniziate nei segreti della scienza. Le quali, ricevendo gli avvisi dall'Ufficio centrale, sappiano quali in- fluenze subiscono, e quindi come que'fenonieni si compor- teranno sul territorio, sul quale l'Ufficio stende la sua azio- ne, aiutato in questa disamina d:ii numerosi Osservatori che si trovano nella cerchia del suo ufficio, e dai quali ri- ceve giornalieri avvisi. Si è in base a quegli elementi che deve fare i suoi pronostici, se cioè l'indomani vi sarà piog- gia, vento, bufera, uragano o calma, premettendo sempre la parola probabile ai pronostici. Questi Uffici di second'ordine sono di grande importan- za, ma costituiscono la più grave delle difficoltà. Occorrono molle persone che abbiano pratica, zelo e costanza ; l'Uffi- cio non può mai essere abbandonalo perchè le notizie ar- rivano da un momento all'altro, ed in quell'organizzazione sono preziosi anche i minuti. — Voi non potete impedire — 322 — l'arrivo d'una tempesta ; ma il sapere qualelie ora prima, che è molto probabile la sua visita, può essere cosa utilis- sima. — Infine quegli UfGoì secoudari sono di tanta impor- tanza, che dalla loro buona composizione può dirsi, che di- penda il risultato della maggiore o minore utilità che può derivare da quella instituzione. Gli Uffici regionali o secondari sopra descritti, ricevula dall'Ufficio centrale la partecipazione di solilo dopo mezza- notte, e formulalo il loro giudizio. Io stampano essi stessi e lo trasmettono agli Uffici comunali, che lo pubblicano lad- dove possono arrivare con ferrovie, od altrimenti anche con telegrammi. Questi Uffici comunali sono bensì semplici esecutori, ma anch'essi devono aver persone intelligenti, se anche non scienziati.— Seguendo sempre a citare la patria dell' instituzione, ossia gli Stati Uniti d' America, abbiamo già veduto come siavi colà un Ufficio centrale nella capita- le, ossia a Washington; come nel 1876 avesse venti uffici regionali e questi comunicassero le giornaliere notizie a 7000 comuni. L' applicazione della Meteorologia all' Agricoltura non (lata che dal 1872, ossia da 14 anni; ma lo studio della Me- teorologia su scala ben piìi vasta del passalo data da oltre 30 anni. — La grand'opera del Maury, appoggiata in gran parte a quegli studi, l'isale, come già osservai, al 1855. Ora in America non solo si è formata una vera scuola in ogni gran cenlro; ma la scienza si è dilatata e divenuta popolare in gradazioni infinite se volete, però in tal misura che si tro- varono e si troveranno sempre pii!i facilmente le persone istrutte e capaci per tutti gli Uffici, ossia per tutte le grada- zioni accennate. Eccovi ora un breve saggio del progresso negli Stati Uniti d' America. Nel 1 870, dacché a quell'epoca salivano le notizie che si avevano in proposito, eravi, come si disse e giova ripe- — 323 - {ere, un llffieio centrale in Washington, dal quale, come dal cuore nella macchina umana, partiva il gran moto verso tutte le parti dei vastissimi Siali dell'Unione omericana, an- nunciaute lo stato dell'atmosfera, e da centinaja d'Osserva- tori rifluivano le nuove parziali a quel centro. — Venti Uftìci secondari, ma con vastissime periferie, analizzavano le comunicazioni dell' Uflicio centrale e comunicavano a 7000 Comuni il loro giudizio intorno al probabile tempo deli" indomani. Era già un impianto colossale, ma poco do- po quell'epoca venne posto a capo di quell'Ufficio centrale uno di quegli uomini, che si direbbero creali appositamente per far trionfare una grande idea, per realizzare imprese che allargano il concello del genio umano: così sorpren- dente è la potenza dei risultati. Quest' uomo si chiama il generale Myer. — Quasi fos- se vincolato in istretti limili, pensò ad estendere, a promuo- vere la rete telegrafica in tulle la parti del mondo; fu sta- biUla una stazione in prossimità del polo artico fin dove può viver l'uomo; a spese degli Stali Uniti s" introdussero Osservatori natanti sull'Oceano, vere siazioni intermedia- rie fra i conlinenti. Pel servizio della vasta Cimfederazione i servizi meteorici si suddivisero — Vi sono Osservatori, aventi per iscopo in modo speciale le osservazioni del tem- po a beneficio dell' agricoltura ; altri si occupano a prefe- renza delle predizioni delle burrasche e quelli moltiplicaro- no lungo le rive dei mari ; altri sono al servizio speciale del militare ed altri infine sorvegliano i fiumi. — Quei venti Uffici regionali del 1876 sono ora, o meglio erano già nel 1883, al quale anno si riferiscono i particolari che posso dare, erano, dico, cresciuti a 54, ma quelli soli per diffondere le previsioni del tempo a favore degli agricolto- ri.— Non solo poi i medesiiiVi sono avvisati del tempo pro- babile, ma avvisi speciali li pongono in guardia contro i probabili geli e brine, e sulle parti dell'Unione; ove si coltiva TutJiu IV, Serie VI. 42 — 324 — Io zuecliero, ì! liibacco ed il eolone, più fitti sono gli Uffioi, perchè di maggior valoi'e il prodotto. Questo per quanto lisguurda gli Stali Uniti ; ma si or- ganizzò in modo più preciso anche il servizio internaziona- le; gli avvisi all'Europa delle burrasche che, partendo dal continente americano s'avviano a traverso dell'Oceano, mi- nacciando soprattutto le coste dell'Irlanda, delllnghillerra e della Svezia, ma non di rado con estensione anche alla Francia e con conseguenze anche per i paesi più interni del continente europeo e fra questi l'Italia. il servizio internazionale ha realizzato l'assioma di uno degli economisti i più pratici che produsse lltalia, del cele- bre Pietro Verri, che, cioè, di tulle le invenzioni nmane le più proficue sono quelle che ravvicinano C uomo all'uomo^ e riducono il genere umano a massa. Or bene, dove e quando mai vi ebbe un ravvicinamen- to di popoli simile a questo? Washington è divenuto, rap- porto alle osservazioni meteoriche, un vero centro del glo- bo, ma alla lettera, non per iperbole; ogni giorno perven- gono a quel centro telegrammi d'ogni parte dulia Russia, dalla Germania, dall'Austria, dall'Australia, dalla Svezia, dalla Gran Bretagna e dal Capo di Buona Speranza ; dalla Francia, dall'Italia, dal Giappone e dalle Indie; dalle regioni presso il polo, dal Messico e dalla China. — Da 26 diversi punti da tutte le parti del mondo; ma non sono già 26 sin- gole notizie di que' luoghi, ma riassumono 335 notizie di- verse, perchè ogni corrispondente annuncia lo stato atmo- sferico di più luoghi nella sua speciale vasta circosci'izione: cosi, p. e., l'Olanda e la Svezia di 6, la China di 7, la Spa- gna di i2, r Austria-Ungheria di 13, il Messico di 15, il Giappone di 17, la Germania e l'Italia di 18, le Indie di 23, l'Inghilterra ed il Canada di 32, la Russia di 40 e la Fran- cia di 46. Cosi in complesso quell'Uflicio ha lo stato meteo- rico del globo alla stessa ora, o, diremo meglio, contempo- — 3i>:> — raneamcntc, di n35 località, allo quali iigj^iungenJo le con- dizioni di 17i loealitiì de vastissimi Stali Uniti d'Amefico, si ha un coniplesso di 50C localitò. Il nostro pianeta, quan- to è vasto, è passato giornalmente in rassegna dall'ingegno umano a Washington e ad uno scopo proficuo per tutti, pre- cisamente, couìc nel 1872 prediceva il Maury, ulloi'cliè an- nunciava all'attonito Congresso agrario di San Luigi del Missouri r applicazione della Meteorologia all'Agricoltura. Se non che i risultati andarono ancora al di 16 delle previ- sioni del grande tìsico americano. L'Ufficio di Washington è organizzato militarmente; porta il titolo d'Ufficio dei Segnali ed è alla dipendenza del Ministero della guerra. — Nel 1881 defunto il generale Myer cotanto benemerito, gli veniva surrogato dal gene- rale Ilazen eh' ereditava f energia del suo predecessore . Ola è desso a capo con 19 ufficiali subalterni e SOO mili- tari di bassa forza. Di norma, gli ufficiali ogni due anni si cambiano, al fine di formare una scuola pratica. Ma, accanto al personale militare, che si istruisce, havvi anche il civile, costituito da professori e scienziati; segnalato fra questi il segretario di Hazen, per nome Cleveland Abbe. — Un centinaio e più d'impiegali civili sono alla dipendenza dell'Ufficio centrale, taluni dimoranti ndle diverse pai ti della Confederazione; altri con ufficio d'ispettori sono in continuo moto. Dall'Ufficio centrale vennero spediti nell'anno finanzia- rio I88Ì-83 (Canno finanziario comincia^ come presso di noi, col primo luglio e termina l'ultimo di (jiugiio) \ i 9,333 telegrammi, e ne vennero ricevuti ol 1,495. Ma come si arrivò a così splendido risultato? Si andrebbe grandemente errati, se mai si credesse che ciò dipenda da pochi. I promotori furono certo pochi, anzi pochissimi, ed ho potuto accennarli; ma la spinta data agi come una scinlilla elsltrica, animò Governo, provincia, so- D ~ 320 - ciclfi, comuni, privali ; si può dire che se ne occupò e se ne occupa il popolo intero; spendono milioni, ma ne raccol- gono a centinaia, né havvi mente umana che sia capace a far un calcolo anche approssimativo del beneficio. Chi sa dire il numero delle navi che, prevenute d'una bunasca, evitarono un naufragio? Chi può valutare il guadagno, che hanno fatto gli agricoltori, facendo in tempo e bene quelle date operazioni di campagna? Ma se nessuno può dire od esprimere il guadagno della nazione con cifre, non è men vero e meno reale; e la nazione lo tiova in quel gran bi- lancio, il cui risultato si esprime in due parole sole: la na- zione prospera — la nazione decade. Negli Stati Uniti lutti s'interessano, tutti ammettono la serietà della scienza, a nessuno viene in capo di prelende- re che sia infallibile : tutti comprendono che deve perfe- zionarsi, quanto più si sviluppa e per questo tendono a quella meta. - Le Compagnie di navigazione fanno i loro rapporti e trasmettono telegrammi airufticio centrale; così le Società di strade ferrate, talune delle quali, che traver- sano migliaja di chilometri, hanno perfino introdotto se- gnali convenzionali per annunciare il tempo agli agricoltori dei paesi, che traversano con segnali di C(Hivenziooe. Al concorso di quelle numerose Società in terra ed in mare si uniscono i numerosissimi privati che, spinti unicamente dall'amore della scienza e dalla soddisfazione di cooperare a si grande risultato, inviano telegrammi, i quali per rispar- mio di tempo sono formulati dietro schema uniforme: in- fine, in tutte le classi sociali, dominano idee reltc, idee pra- tiche, in tutte vi è la persuasione dell'utilità che già rende ed e di quella ancor maggioie che renderà. Questo progresso della meteorologia sino a certo grado è possibile il pi'ovarlo, colla proporzione, cioè, delle previ- sioni che si avverarono, dai primi tempi in avanti, allorché — o'J.i • — i luolliplirali OsstTvuku-ì posero la scienza in grado di pre- cisare sempre meglio i dati d'onde jìarle. Uno specchio simile è conlenulo nel rapporto del gene- rale Hazen al Ministro della guerra (*) : rapporto, che reca la data del 15 ottobre 1883 ed Ita per titolo: Rapporlo an- nuale del Capo dell'Ufficio dei segnali al Segretarìalo della guerra pel 1883. Consta di I 164 pagine ed I I carte. — Tutto è colossale, e necessariamente anche il rapporto ch'è poi lontano dall'essere prolisso; è voluminoso, perchè ha per base il globo intero e per meta un'alta e provvida impresa. Previsioni, rapporto al tempo, dirette in modo speciale agli agricoltori, e quota percentuale di quelle che si verificarono. Ann 0 Per cento 1 874 1875 1876 1877 1878 1870 1880 1881 188^2 1883 i^tm^m nn^*»« 8 i % 87,4 88,3 86,2 84,4 86,6 86,04 85,2 86.6 88 (t) Annual report of lite chief segnale ofpcer, to the Secrelary of warfor the year 1883. Washington-Governcmeiit priting ofiice, 1884. 328 Previsioni rapporto ai segnali per le burrasche e proporzione dei casi che si verificarono. Anno Segnali esposti (<) Per cento 1874 '1875 1876 1877 1878 1879 1880 1881 1882 1883 762 1 ,023 1,577 1,707 1,998 2,802 2,835 2.231 2,051 1,557 ^5 % 70,0 77.3 78,9 75,9 79,9 85,4 85,3 85,0 85,9 (') Nota. I segnali ven- gono esposti in lutti i por- ti di mare si dell'Atlantico che del Pacifico. La colonna «Segnali es- posliì) indica il numero to- tale esposto nell'anno. La terza coloniuì qu.vnti per ogni cento si verifica- rono. Per quanto breve sia !a rassegna, relativa al progresso (Jella Meteorologia negli StatiUniti d'America, credo che ba- sti per giustificare l'asserzione ch'esso superò ogni aspetta- tiva. — È un fatto grande, degno di un popolo energico. L'ajuto, che riceve dalle altre parti del globo, lo compensa ad usura, prevenendo T arrivo delle burrasche : e credo che siano ancora quelle previsioni, le quali si verificano in media nella ragione deir84 *'/,, quelle che procurano più fede anche in Europa alla giovane scienza. — E dire che si danno ben molti sapientoni, i quali non ci credono! Oh i microbi; quando crederanno! Veniamo ora all'Italia. — Se ho citato gli splendidi in- sultati, ottenuti della giovane scienza nella sua patria d'ori- gine, si è perchè si rinforzi la fede in essa, dacché deve con- correre u migliorare le condizioni deiragricoltura in Italia. — .129 — Un progresso vi fu anche presso di noi, ma converrà esaminarne la natura per vedere cosa ci autorizza a spe- rare. Nel 1877 gli Osservatori meteorologici in Italia, tutti computali, salivano a 100 circa; ora si elevano a 224: e questo è certo un notevole progresso. — Se dall' annun- cio della cifra totale discendiamo alle particolaril;'», trovia- mo bensì che havvi notevole differenza nel numero fra le diverse regioni d' Italia, stando a capo il Piemonte, venen- do quindi la Toscana, poi il Veneto e la Lombardia; ma non havvi una sola regione che ne sia priva. — L'Italia conta tre stazioni od Osservatori al disopra di 2000 metri (quelli dello Stelvio, di Valdobbia e del Piccolo S. Bernardo). — Il globo intero, che ora conta 2800 Osservatori, annovera solo 2G al disopra di detta cifra. Nel 1877 si contavano privati che si dedicavano alla giovane scienza; nel 1880 si costituì una Società, che si chiama Società meteorologica, la quale fa suo scopo tultociò che contribuisce a far progredire la giovane scienza ed ha per presidente il P. Francesco Denza e la sua sede in To- rino ; si che, rimanendo sempre la buona disposizione dei privali, abbiamo anche la risorsa di forze riunite, il che è un buon presagio. Nel 1877 si pubblicavano le osservazioni decadiche dall' Uftìcio centrale, non che quelle del P. Denza. Si facevano inoltre anche pubblicazioni giornaliere su fogli periodici. Oggi giorno si fanno le seguenti pubblicazioni: Dall' Ufficio Centrale in Roma presso il Ministero di Agricoltura, industria e Commercio : Ogni anno: Annali di Meteorologia. Ogni mese: Una breve Revista meteorologica del mese. Ogni decade: Una Revista meteorico-agraria. — 330 — Ogni giorno: Bollettino meteorico delle corrispondenze telegrafiche, che si pubblica anche noi giornah. Dalla Società meteorologica si pubblica : Ogni mese: un Bollcttiiìo mensunle. Ogni decade: un Bollettino decadico. Ogni giorno: Bollettini meteorologici in diversi gior- nah, olire articoli meteorologici d'occasione. Se dn queste pubblicazioni, riferibili a^li Osservatori, noi passiamo alle pubblicazioni per diffondere e rendere popolare la scienza, troviamo le seguenti pubblicazioni, che credo si possano annoverare fra le principali nel noven- nio decorso. Scritti sulla Meteorologia del dottor Giovanni Cantoni, inseriti nella Enciclopedia agraria italiana: Oper'a che continua. Carte del tempo ed avvisi di tempesta, per Roberto Scott. — Traduzione dall'inglese di Costantino Pillei. Ro- ma, tipografia Barbèra, 1879. Elementi di Meteorologia dì H. Mobn, versione italiana del prof. Domenico Ragona. Torino, Ermano Lò- soher, 1878. Elementi di Meleorologia e di geografia fisica del mare, ad uso degli Istituti nautici e delle Scuole di costru- zione navale e macchine a vapore, di Enrico Maria Russo. — Napoli, libreria di Benedetto Pellerano, 1877. EÌementi di Meteorologia di Roberto Scott, versione dal- l'inglose del V. Francesco Denza e dell' ingegnere Ottavio Zanolti Bianco, con incisioni e carte. Mi- lano, Dumolard, 1883. Istruzioni per le oxservazioni meteorologiche e per l'alli- \ - 331 - metria barometrica del P. Francesco Denza. 'Pori- 1)0, tipog. Collegio Arligianelli, 1883. Le armonie dei cieli^ ossia nozioni elementari di astronomia, dello stesso P. Denza. Torino, tip. Spelrani, 1881. La Meteorologia e le più recenti sue applicazioni del sud- detto Denza, Torino, tip. Speirani, S883. Almanacco meteorologico, pubblicato dal 1882 air85 a Vicenza, sotto la direzione del conte Almerico da Schio, Direttore dell' Ufficio meteorologico dell'Accademia Olim- pica in Vicenza. Non si creda anzitutto, che la veste modestissima, l'idea che risveglia la parola Almanacco, indichi pubblicazione di poco merito. Nel suo genere è utilissima, e cosi l'avesse ogni regione d'Italia e si potrebbe già dire che si è sopra una buona via; quegli almanacchi spiegano i primi rudi- menti della scienza , cercano rendere famigliari anche i termini tecnici, accennano all'utilitù che un giorno la me- teorologia potrà rendere all' agricoltura. Ma Vicenza vuol essere segnalata sotto questo rappor to non solo per le pubblicazioni che datano dal 1882; ma perchè gli studi meteorologici si coltivano da tempo e vi prende parte la classe educata ed abbiente, che sopporta anche sacrifici. L'Osservatorio centrale di Vicenza rimonta al 1857, ed è fornito di ottimi istrumenti di precisione. — Raccoglie dati per servire alla meteorologia ed alla idrografia del Brenta e del Bacchiglione. Fanno capo al medesimo Os- servatorio non meno di 70 stazioni di osservazione; que- sto servizio regolare e più esteso del passalo principiò col 1872. — Le spese del dodicennio 1870 al 1882 salirono a L. 4 9,150, alla qual somma contribuì per circa un quarto il R. Governo; ma i tre quarti, ossia circa 15,000 lire vennero somministrate dall'Accademia Olimpica e da pri- T.nno IV, Serie VI. iJ - 332 — vati ; e noto con compiacenza questo fatto, perdio dimo- stra la buona disposizione e la perseveranza. Reso questo giusto tributo di lode, dobbiamo però to- sto soggiungere di non illuderci su quel singolo fatto; esso prova come anche in proposito si possa sperare, che l'esem- pio si diffonderà: ma l'essere unico in una provincia di 400,000 abitanti e d'un regno di 39 milioni richiama alla lunga via, che ancora rimane a percorrere. Quanto all'Almanacco meteorologico, quello del i884 fu l'ultimo, ma non per isparire; sibbene per venire sosti- tuito da un altro, che verrà pubblicalo dalla Società meteo- rologica, e che avrà per titolo: Annuario meteorologico ita- liano, e si può esser certi che risponderà allo scopo, avendone l'alta direzione il P. Denza, presidente della So- cietà. Oltre le pubblicazioni accennate, comparvero nell'epo- ca suddetta scritti d' occasione. Memorie speciali per spie- gare fenomeni che si scostano dall'ordinario e talune pre- gevoh. — Per il fenomeno delle stelle cadenti esiste sino dal 1870 un'Associazione apposita, detta ['Associazione italia- na per le meteore luminose, promossa dal prof. Schiaparelli e dal P. Denza. Un progresso vi ebbe anche presso di noi e certo, con- siderando il numero degli Osservatori e di quelle pubbli- cazioni, si potrebbe anche dire un progresso non piccolo; ma è desso a tal grado da fare il passo essenziale, quello della regolare pubblicazione nelle campagne del Bollettino meteorico, onde T agricoltore sappia regolarsi ? Dubito assai. — È probabile che essendomi ingannato una volta, coll'ammettere quella possibilità, pel vivo deside- rio di veder partecipe l'Italia dei benefizi veramente grandi, che arreca 1' applicazione pratica di quella scienza, sia ora troppo esigente e difficile ne' miei apprezzamenti ; ma darò — 333 — anziliìUo ragione di que'giudizi por vcniro alla conclusio- ne: clic se non credo probabile un esito felice, attivando in oggi la misura di quelle pubblicazioni nelle campagne, noi che si risolve il risultalo pratico cui tende quella scienza, credo sarebbe ulile di preparare quella realizzazione con provvedimenti speciali, che ne assicurino l'esito, nel che poi consiste lo scopo di questo scritto. L'aumeiilo di Osservatori è certo imponente, ma da chi proviene? Dall' autorità governativa e da quella classe circoscritta, che contribuì a fondare anche quelli già esi- stenti nel 1877 e che comprende i soci del Club Alpino, ed i non molti persuasi della utilità pratica della Meteorologia ; classe, nella quale si reclutò anche la Società meteorologica fondata nel 1880 e che in oggi conta 540 soci, numero che non è certamente elevato in paese essenzialmente agricolo e che conta ormai poco meno di 30 milioni di abitanti. Altra cosa sarebbe se potessimo dire che si contano non pochi Osservatori fondati dai Comuni sopratutto di campagna. Le pubblicazioni, che ho citato, non sono poche nen)- meno esse; ma converrebbe sapere qual esito ebbero, in qual classe si sparsero, quanti di quegli sci'itti andarono nelle campagne, di quanto la classe, che ha fede nella nuova scien- za, si estese nel novennio decorso. Se noi esaminiamo quelle pubblicazioni, noi troviamo che la maggior parte di esse è essenziahiìente tecnica. Nratica dei presagi, come avviene in America. La questione si aggira sull'opportunità di attivare la insti tuzione. Oggigiorno io non avrei coraggio di consigliarlo per le ragioni che ho addotte, come non lo consigliava nemme- no un novennio addietro; fra un' attuazione immediata ed il continuare ad andare solo del passo con cui si va oggidì, vi può essere l'adozione di misui'e tendenti ad abbreviare la via, per raggiungere lo scopo cui si mira. È questo il partito a cui credo convenga appigliarsi, ritenendolo il piìi pratico. Noi abbiamo veduto come si procedette negli Stati Uniti d' America per attivare l'applicazione della Meteorologia al- l'Agricoltura ; riprendiamo ad esame que' provvedimenti e vediamo che cosa manchi all' Italia. — In America havvi ~ 336 - quel famoso Ufficio centrale residente a Washington e da me citato, il quale invia gioi-nalniente agli Uffici secondari il risultalo delle sue previsioni. Come stiamo in proposito in Italia? L'UfGcio centrale esiste in Roma, ed anzi la sua orga- nizzazione rimonta al \ 876. — Con R. decreto del 26 no- vembre di quell'anno la Direzione della Meteorologia ita- liana venne affidata ad un Consiglio direttivo e ad un Uffi- cio centrale. Il Consiglio direttivo, composto di otto mem- bri, tratta tutto ciò che può riferirsi agU interessi scientifici ed amministrativi della meteorologia italiana. L'Ufficio cen- trale attende all' esecuzione delle deliberazioni del Consi- glio direttivo. A capo del Consiglio direttivo sta un presi- dente scelto dai membri del Consiglio stesso, ed il primo presidente fu l'illustre P. Secchi. A capo dell'Ufficio cen- trale sta un direttore generale nominato dal Ministero, ed il primo fu il prof. Giovanni Cantoni. — Si era incominciato molto bene, e tutto il personale poteva dirsi ben compe- tente e gli elementi per costituire una buona direzione cre- do non mancheranno mai. In Italia hanno giù lavorato a questo tema della Me- teorologia un P. Secchi, un Mattcucci, un Donati. Sono tre nomi che non è lecito a nessuna persona, che si chiama colta, d'ignorare. — Pur troppo sono morti tutti tre; ma vi sono contemporanei che lavorarono seco loro, vi sono al- lievi, ed ho già citato anche gli scritti ad essi appartenenti, confermando del resto ciò che già dissi : non sono gli uffi- ciali nell'ordine superiore che mancano in Italia, ma i su- balterni ed i soldati. Il difetto nel nostro paese comincia laddove termina l'azione dell'Ufficio centrale, e dovrebbe seguire quella degli Uffici secondari; ed il difetto s'allarga quanto più si discende, ed è massimo nelle campagne, ossia precisamente — 337 - colà, ove la giovane scienza ha d'uopo di essere creduta, ri- spettata e ben compresa. Come si vincono queste difQcoUà, come si modiGcano le idee delle masse? Non è a dire che sia cosa facile : ma per quanto diffici- le, convien pure affrontare queste difficoltù, se vogliamo ar- rivare allo scopo. Io esporrò brevemente il modo che a me sembra il più pratico, contento se altri saprà suggerirne di migliori, pur- ché si dia una spinta più energica alla questione. L'Italia, rapporto a tale impresa, si beneflca all'agricol- tura, vuoi essere divisa in regioni, che si trovano in condi- zioni analoghe; l'assurdità di prendere per base le Provin- cie risulta dalla sola riflessione, che gli Stati Uniti d'Ameri- ca, un centiuajo di volle più grandi dell'Italia, contano ora 54 Uffici secondari; l'Italia dovrebbe averne 69 o poco meno. D'altra parte, la configurazione dell'Italia, i mari che la circondano, le catene dei monti che la tagliano in ogni sen- so, le Alpi colle loro ghiaeciaje, costituiscono tante diverse condizioni che si devono suddividere. In quante regioni si dividerà, si che possa esser ciascu- na una sede opportuna d'un Ufficio secondario? Questo quesito non lo sciolgono che i pratici e ciò spetta alla Direzione generale ; ma, t|ualunque sia il numero, è indi- spensabile che il pubblico sappia come la realizzazione del- l'impresa di applicare la Meteorologia all'Agricoltura è af- fare essenzialmente regionale. Nulla di più erroneo quanto il credere che possa dive- nire un affare burocatico ; si avrebbe la certezza di averne le spese senza i vantaggi. Non riesce se non vi prende parte la popolazione intera; non ho citato per nulla l'e- sempio degli Stati Uniti d'America. Fatta la divisione nelle regioni che si crederà ; il Parla- - 338 — mento deve per legge stabilire i pesi che prende a carico dello Stato, coinè la spesa dell' Ufijoio centrale, le pui)blica- zloni d'ordine generale e quante altre crederà; deve inoltre precisare i vantaggi che concederà agli UfOcì secondari regionali, come la trasmissione gratuita dei dispacci, rego- lazione degli istrumenli e quant' altro stimerà opportuno. La legge deve essere eguale per tutti ; ma la pratica ese- cuzione degli Uffici regionali dev'essere a peso ed a bene- ficio delle regioni. — Anzitutto comprenderanno le |)opola- zioui con questo, che non è un affare cui basti che pensi il Governo, ma che vi devono pensare leproviucie incluse nel- le singole regioni ; e che spelta quindi anche ad esse istrui- re le popolazioni, educare gli impiegali necessarie sostene- re le spese indispensabili : le quali del resto, per poco che sia estesa la regione, saranno ben piccole in confronto dei guadagni; ma, qualunque siano, vogliono essere sostenute da chi ne ha i vantaggi. In realtà potrebbe essere notevole differenza nello svi- luppo rapporto a quesia scienza fra regione e regione ; sarebbe egualmente ingiusto il non peniiellere che ne colga i vantaggi chi è più avanzato, perchè altre sono più addietro; quanto lo sarebbe il costringere a pagare chi non risente beneficio. Il sistema della divisione dell' Italia in re- gioni meteorologiche pone tutti su 1' egual piede, dato che siavi lo sviluppo necessario, e la giustizia sta in questo. Quando i componenti una regione, e s' intende quelli che legalmente la rappresentano, come sarebbero le Depu- tazioni provinciali, credono che nella loro regione siavi già tale sviluppo nelle rispettive popolazioni per costituire un Ufficio secondario, devono intendersi fra loro, concertarsi intorno al riparto delle spese e quindi far la dimanda per costituire l'Ufficio, presentando le persone istrutte in teoria ed in pratica per assumerlo. Queste persone devono su- bire un esame ali" Uflkio centrale e dal medesimo venir — 339 — dichiarale idonoe. — In tutta questa organizzazione nulla havvi di mia invenzione; è ciò che si fa in America: sono le basi principali e parmi die sia un bel esempio. Ammessa T accettazione di questo piano, avressimo il vantaggio che il paese comprenderebbe tosto : I. Che !' in- troduzione dell'applicazione della Meteorologia all'Agricol- tura non è un affare burocratico. II. Che non è attuabile se non vi è un certo grado d' istruzione generale nella re- gione ove si vuole introdurre. III. Che, volendosi affrettare tale introduzione, conviene che più o meno tutte le classi si adoperino, ma i possidenti in modo speciale. IV. Che 1' in- dipendenza delle regioni l'una dall'altra impedisca, che le più tarde non danneggino lo altre, e possano con maggior ardore accingersi all' impresa. In reaitù l' innovazione principale è questa, e, come vedesi, non è punto complicala. Se non che havvi ancora la difiìcoltà a vincersi della do- minante ignoranza soprattutto nelle campagne, e, quasiché questa non bastasse, dei pregiudizi contrari. Qui convien ricorrere all'unico rimedio possibile, con- vien istruire. Doppia è la via a tenersi ; l'istruzione elementare tecni- ca e l'istruzione, direi, murale^ teorico-scientifica, esclusa la parte tecnica. Quanto a libri elementari tecnici, l' Italia già ne possie- de. Gli scritti del Cantoni, quelli del P. Denza, che ho ci- tato, gli Almanacchi di Vicenza, ma soprattutto quello del 1884, sono lavori elementari chiarissimi; alli-i potranno venir scritti, ma non havvi certo difetto fin d'ora. Diversa è la cosa rapporto a libri elementari popolari, per spiegare la Meteorologia applicala all' Agricoltura da! punto di vista morale, ossia che dimostra come non la è un parto di fantasia e come nulla abbia a che fare cogli indovini dei tempi addietro, perchè riposa sopra osserva- Tcsi.u IV. Serie VI. Si __ 340 — zioni, e come perù a fronte di questo le previsioni siano solo probabili. La grandissima massa di agricoltori non essendo chia- mata a maneggiare istrumenti, né a formulare giudizi, ma ad aver fede, a giurare, come già dissi, in verba magislri, conviene persuaderla clie in oggi que' maestri sono real- mente seri. — ■ Per questo un libriceino popolare breve e del costo di pochi soldi, ma sparso con profusione, potreb- be esser utile. Ciò peraltro non basterebbe, un altro ve ne vorrebbe in proporzioni piti larghe che mirasse all' iden- tico scopo e che fosse per la classe più colta, per i maestri ; che fosse come il testo, il quale deve servir loro per ispie- gare al popolo cos' è questa nuova scienza. Inoltre nelle scuole serali, nelle riunioni dominicali, in tutti i modi che si credono opportuni, conviene che le persone, convinte della serietà della scienza, spieghino alle popolazioni i be- nefizi che può recare all'agricoltura quell'applicazione. — Il libro popolare anch'esso deve tenersi in proporzioni mo- deste di forma e di prezzo, perchè i libri grossi fanno pau- ra, i cari non si comperano. Quanto potrebbe durare questo periodo ? Si comprenderà di leggieri come sia impossibile il dare una risposta precisa, poiché dipende dal modo con cui si comporterà il pubblico, che può essere ben diverso da luo- go a luogo. Se nessuna fra le provincie incluse in una re- gione si muove; se l'idea d'istruire le popolazioni non trova che un favore di sterile approvazione; potrebbe av- venire che r agricoltura dovesse attendere ancora lunghi anni prima di partecipare dei benefizi della nuova scienza. All'opposto, se una o più regioni si decidessero a dar mano risolutamente a quelle misure, potrebbe avverarsi il caso d'una attuazione non lontana. Il Leverrier, uomo capacis- simo ed energico, lavorò Ire anni in Francia a predisporre le cose per alcuni dipartimenti. D' allora in poi é corso uo — 3Ì\ — iioveniiio, e la giovane scienza fece que' passi che ho cilalo; non perento si potrebbe acceltare quel periodo e chiamarsi contenti, se nel 1889 o 90 si trovasse una o più regioni, ove si potesse attivai'e hi pubbhcazione delie previsioni del teiiipo nelle camjìagne, con quel grado di sicurezza che si ottiene laddove havvi una buona organizzazione. — Si am- metta almeno questa speranza. — È cosi bella questa nuova scienza, è così nobile la sua missione, è cosi grande il bi- sogno dell'agricoltura in Italia, eh' è lecito accarezzare la probabilità di questa non lontana risorsa. Conviene però guardarsi dal precipitare. La conversio- ne delle masse dev'esser cosa seria, diversamente esse non terranno conto di dieci previsioni che si sono verilìcate e si rivolteranno all'undecima che fallisce; la fortuna vuol aver la sua parte anch'essa, ma l'educazione deve consistere pre- cisamente nel lasciare il minor campo possibile alla volubi- le dea, ed anche le masse, e non solo le persone colte, de- vono saper elevarsi a giudicare dall' insieme e non da' sin- goli casi, che furono favorevoli od avversi. Qui dovrei por termine al mio lavoro; ma, prisna di ve- nire alla conclusione, voglio rinforzare ludi i miei argo- m.enli in favore della Meteorologia applicata all'Agricoltura in Italia, citando 1' opinione dell' uomo più compatente che essa annoverò, del celebre astronomo P. Secchi. L' Autore consulta il P. Secchi, doppio scopo del consulto. — Lettera del P. Secchi. — Venuta in Roma di una figlia del celebre Muury. — Allusione al Faro Maury. — Brevi com- menti alla lettera del P. Secchi. Allorché nel 1877 io vagheggiai quel passo, che ora consiglio di nuovo, diffidava con ragione del mio avviso. Onorato della conoscenza personale dell'illustre astronomo, — :h2 -- il P. Secchij mi diressi a lui por avere il suo [ìurcrc. — Qui è però indispensabile, che il lettore tolleri alcuni partiooUiri intorno ad un' allra eausa, oltre l'accennata, die uti mosse lì rivolgermi a quel scienziato. Nei primi mesi del 1877 era venula in Roma una (iglia d ste della madre patria. » Son questi fatti, o piuttosto fenomeni, a cui appena avrebbe osato di aspirare il grande innovatole della scienza de! mare: ma che pure non sono che frutto delle sue spe- culazioni, de' suoi studii, delle sue fatiche. Noi itiìHani ab- biamo un qur.lche diritto a queste onorificenze, in quanto 3 che da questi studi! possiamo trarne un vantaggio maggiore che forse altri popoli europei. » Il merito del Maury fu quello di aver concepito il gran- de schema dello studio generale dell' atmosfera. Meno solle- cito dei dettagli che del gran tutto , esso stabilì la neces- sità della cooperazione generale a questo grande scopo, ove ogni individuo isolato era una vera nullità. » In questa associazione, ripeto, consiste tutta la possi- bilità della soluzione del problema. Egli era astronomo, ma fu portato all' Osservatorio dal ponte del suo bastimento, e i primi amori non si dimenticano. Egli nel nuovo posto di direttore dell' Osservatorio nautico nazionale ricordò l'anti- co mestiere : vide che due sono le ali su cui si regge la nautica, l'osservazione degli astri e la fisica dell'atmosfera: la prima in teorica era perfetta, anche più del bisogno pra- tico, ma la seconda era bambina e derelitta, e avea bisogno di chi la fomentasse e la sviluppasse. A questa dedicò le sue fatiche con infinito successo. » La meteorologia di un luogo non era per lui un feno- meno isolato, ma una maglia di una immensa rete. Essa non era che un caso speciale della fisica di un punto del globo, e perciò agli altri legato con leggi sicure. » Un luogo può essere più opportuno di un altro per studiarne le leggi , ma tutti in tutti i modi devono concor- rere a stabiHrle, e tutti ne godranno i frutti. » E ora che la scienza già cresciuta può dir una ragio- ne, vediamo la cosa realizzata in efl"etto. Tra noi vi è an- cora qualche voce, che lamenta le spese inutili in accumu- lare volumi di cifre meteoriche, di cui non si sa che cosa se ne trarrà, e con dolore abbiam veduto una voce autore- vole quasi dar ragione a tali lamenti inopportuni e infon- dati, secondo noi, in questi momenti. » E vero che non tutti i paesi possono profittare egual- mente de" progressi fatti sotto certi rispetti: ma però sa- — 345 — ranno essi così egoistici che sospenderanno per ciò il bene che ne traggono gli altri ? » È vero che l'Inghilterra è ussaUta ancora da repenti- ne burrasche che la scienza non sa prevedere ; ma ciò non è difetto di essa, bensì della posizione di quelle isole, come appunto lo diceva il sig. Scott nel suo rapporto. Ma l'aver capito la ragione di questo fatto è già un gran progresso, e con vasti studii si potrà superare anche questa difficoltà. Le isole Britanniche non hanno la favorevole posizione delle coste Americane rapporto al giro delle tempeste. Colà le burrasche vengono dal continente alle coste, mentre in Eu- ropa è il contrario, che esse dal mare si spandono sul con- tinente. Quindi le coste inglesi, francesi e olandesi sono espo- ste a colpi di sorpresa, mentre non lo sono le coste del Mas- sachusset, di Nuova York e della Pensilvania ecc. ; ma con ulteriori ricerche si potrà sapere se esse dall'Americano lido arrivano all'Europeo, e allora l'America avviserà l'Europa non poche ore prima, ma parecchi giorni in avanzo, come si è già verificato più volte. » Ora noi Italiani, per essere più internati e lontani dalle sponde oceaniche, siamo appunto in posizione analoga all'a- mericana, e quindi ne possiamo profittare meglio che gli In- glesi e i Francesi e gli altri popoli boreali. » Questo io già insinuava in alcuna mia corrispondenza al fu prof. Matteucci allora Ministro, quando mi consultava sulla erezione degli uffizii semaforici, e lo incoraggii a met- ter in in atto tal progetto. Anzi per mia parte non ho ces- sato di spingere gì' Italiani a questi studii. » Fino dal 4853, cioè 24 anni fa, feci conoscere tra noi la grande importanza degli studii del Maury, che non si sten- devano più al piccolo campo dell'antica meteorologia, desti- nata solo alla curiosità di sapere le cose del proprio cam- panile, e investigare oziosamente che tempo farà; ma era una nuova epoca di studii per la fisica generale dell'atmosfera, — 345 — da cui si trarrebbero conseguenze ben superiori a quelle, che si cercavano con gli sconnessi e inconcludenti sistemi di osservazioni in uso fino allora. » Io esposi in un lungo articolo, inserito negli Annali di Tortoìini di scienze fbicJie e ìnutemalicJie, tom. lY, le grandi scoperte di Muury in occasione di una rivista dell'O- pera intitolata : Guida dei naviganti a lunyo corso del cay. Gallo', e quellarticolo era un annunzio allora nuovo all'Ita- lia delle grandi scoperte americane, e un supplemento all'O- pera riveduta. Le mie idee erano fresche e le avea ricevute allora allora dalla bocca stessa del Mau y. » Né le nostre aspirazioni per cooperare alla grande ope- ra dello studio dell'atmosfera generale si limitarono a sem- plici voti, ma fu attivata nello Stato Pontificio di allora una corrispondenza meteorologica telegrafica tra le stazioni più importanti e lontane, Roma, Ancona, Bologna e Ferrara, che, trasmettendo ogni dì ad ora fissa alla capitale lo stato del cielo e dell'atmosfera, aiutasse a studiare il corso de* fe- nomeni meteorici nella penisola. Un rendiconto di questa impresa fu pubblicato nella Corrispondenza scientifica^ di- retta dal sig. Fabri Scarpellini nel tomo IV, n.° 34, 35, 30. » La scala di studio però era troppo limitata per poter riuscire a grandi conclusioni, ma nel piccolo già si rilevava quali vantaggi si sarebbero potuti avere in una scala più vasta; e questa scala più vasta non tardò guari a crearsi. Già in America sua culla, in Inghilterra, in Olanda, in Fran- cia se ne veniva riconoscendo l'importanza, e in Francia si erigeva dal Leverrier una rete di stazioni telegrafiche a ciò destinate, e si fondava un Bullettino litografato, a cui noi pure prendevamo parte con ogni impegno, inviando ogni mattina telegraficamente la nostra contribnzione, e a noi sì associarono ben presto numerose città d'Italia, e i Governi volentieri vi contribuirono. » Per ciò che spetta a noi in particolare, non fummo con- — 347 — tenti di una sterile ammirazione, ina cercammo trarne anti- cipatamente i frutti in pratica. Fu pertanto ^ulle cifre, pub- blicate dal I.everrier nel prefato Bullettiao litografato, che noi cominciammo a far stendere da un nostro amico, sopra delle carte mute di Europa, fatte litografare apposta da noi, le curve isobariche dell'Europa, e fino dall'anno <1862, prima che si pubblicassero a Parigi le curve delle tempeste, era- vamo già arrivati a conoscere le fasi principali di questi fenomeni in grande. Così riusciamio a rilevare, come può vedersi nel buUettino del nostro Osservatorio, eh" esse avea- no nell'Europa un giro fisso e determinato, e rilevammo che, specialmente nella stagione invernale , aveano un corso di- scendente da ]\0 a SE. E anche più specialmente notammo che se esse invadevano le coste occidentali europee per la Scozia, eravamo sicuri di averle a noi diffilate in linea quasi retta entro due o tre giorni. Notammo fin d'allora la tanto caratteristica forma circolare delle grandi depressioni da noi dette puzzi e ora dette cicloniciie, e la singolare loro pro- pagazione, non che la resistenza del continente al loro cor- so, e le divisioni prodotte dalle montagne, ecc. (Y. IJull. Meteor. dell' Oss. del Coli, romano, 1802, tom. I). » Questi studii così incominciati furono proseguiti con- tinuamente nel Bulkttino, e fino al giorno d'oggi nelle ri- viste meteorologiche mensili si studiano su queste curve i giri delle burrasche solcanti la nostra Europi). Riconoscem- mo presto la grande necessità di seguire con assiduità que- ste vicende. A tale effetto ci demmo ogni premura per creare strumenti grafici, i quali fedelmente ci riportassero lo stato più completo di tali fenomeni. Quindi ebbe origine il meteo- rografo, le cui curve continue, confrontate con quelle di al- tri paesi meglio che in altro modo, promuover potevano il progresso di questa scienza. » Aggiungemmo anche un Osservatorio magnetico , dal quale rilevammo la grande dipendenza, che aveano dello stato Tomo JV. Serie VI. 45 — 348 — atmosferico, le perturbazioni del magnetismo terrestre, e co- me queste potevano servir di pronostico a quelle. » Così crescevano i nostri studii sulla meteorologia ita- liana e mondiale. » Ma ben presto non eravamo più isolati come dianzi. La luce si faceva strada da se, e si moltiplicavano gli os- osservatori e gli Osservatorii; farei torto a molti se ne no- minassi alcuni pochi, ma non posso tacerne i nomi di po- chissimi. » Si distinsero tra questi: un P. Denza, che collo zelo suo indefesso moltiplicò i centri di osservazione, popolando le alte vette de' monti alpini e le basse valli del Piemonte ; un Cantoni nell'organizzare un servizio meteorologico conti- nentale su tutta Italia ; un Donati, e a lui successo un Pit- tei, nell'ordinamento del servizio de' presagi a servizio della marina. E per le regioni particolari un P. Serpieri ad Ur- bino colle sue numerose ricerche ; un Guidi coi suoi studii e macchine erette a Pesaro. Sarei infinito se tutti volessi numerarli, e basterà dire che ora l'Italia nulla ha da invi- diare all'estero sotto questo punto degli Osservatore meteo- rologici e loro servizio , benché questo si faccia con meno clamore che altrove. » Ecco, 0 sig. Conte preg.™», perchè io ben volentieri mi associo alle sue idee d' immortalare il nome del promotore della moderna scienza meteorologica. Anche l' Italia se non può essere a capo del movimento per ragioni di ordine ma- teriale e conveniente sviluppo nella grandezza della sua ma- rina, vi ha diritto in ciò eh' essa è stata una cultrice delle sue idee, certamente non seconda a nessuna altra nazione. «Amo che, se non può esser esecutrice definitiva, sia almeno inspiratrice e cultrice non ultima del merito di un uomo sì benemerito della umanità, di un uomo che trasse questo spirito di ben fare animatore di tutta la sua vita, da quegli immortali principii di una rimunerazione eterna che — 319 ~ soli possono essere il sostegno di una vita sagrifìcata e che non trova né spera dagli uomini compensi adeguati. » Sono con distinta stima Roma, 1." aprilo 1877. Al Conte Luigi Torelli Senatore del Regno Roma. Suo Dev. Servo p. A Secchi.» Questa lettera del P. Secehi può servire di riscontro al discorso del Maury, citato in principio di quest' opu- scolo. Come sapeva d' incominciar bene appoggiandomi a quel creatore della scienza della Meteorologia applicata al- l'Agricoltura, credo poter dire che, se non fosse altro, cre- do di finire egualmente bene, comunicando questa lettera del P. Secchi. Il lettore italiano avrà appreso con piacere come quel sommo astronomo, che fu il Maury, qualificasse il P. Sec- chi il più gran fisico del secolo, e come quel sommo nostro scienziato avesse fede nelF applicazione della Meteorologia air Agricoltura in Italia, e ne dà anche il motivo. — Non sarà discaro del pari quel suo giudizio intorno agli Osser- vatori meteorologici in Italia ('). Ma questo suo giudizio, perchè si mantenga vero, ri- chiede appunto che f Italia faccia risolutamente un nuovo passo, e tanto piìi si deve instare perchè lo farà con sicu- rezza. Non avrei altro a soggiungere intorno alla lettera del P. Secchi, se 1' ultimo periodo, che mi risguarda per- sonalmente, non potesse indurre taluno in errore, credendo che fosse mio il progetto del Faro Maury. — Ilo già fatto cenno che appartiene all'ammiraglio olandese Jansen; io non (1) Non si dimentichi che^scriveva nel 1877. Ogjji, dopo 9 anni, credete voi che sciiverebbe ancora la stessa cosa ? — 350 — feci che appoggiarlo. Quel dotto olandese, ammiratore del Maury, che mi onorò de' suoi scritti, m'incoraggiò bensì a pormi a capo ; ma io, passando in rassegna le possibilità del concorso che poteva offrire l' Italia, mi parvero troppo esi- gue per trascinare gli altri popoli comiuercianti, e racco- gliere tal somma, colla quale si potesse erigere un Faro co- lossale in luogo deserto qual è il Capo di S. Rocco nel Bra- sile, e dotarlo d' ogni cosa occorrente, acciò, una volta eretto, non dovesse più cessare. Risposi quindi che se non si credeva prendere quell'iniziativa in Olanda od in Inghil- terra, meno potevasi arrischiare simil passo in Italia ; e le ultime linee della lettera Secchi, che era al fatto della mia risposta al Jansen, alludono precisamente alla parte che solo poteva prendere l' Italia. Conclusione* Ho gif» accennato che, a preferenza d'ogni altra classe, vorrei essere ascoltato da quella dei proprietari, ed ora ag- giungerò di proprietà rurali. — Anche solo 15 anni ad- dietro nessuno prevedeva ed ardiva sperare, che la Meteo- rologia avrebbe potuto venir applicata in si breve tempo all'Agricoltura. — Taluni dubitavano della possibilitù; cre- devano che si dovesse esser contenti dei beneGcì, che rende alla marina. Qual cammino invece abbia ormai fatto dal 1872 in poi, l'ho già accennato. L'Italia non è ancor par- tecipe di que'beneGzi; ma qual è la classe che ne ha mag- gior bisogno? È quella dei possidenti di proprietà rurali. — Io chiamo la più seria attenzione di essi su questa giovane scienza. Le condizioni del possidente italiano sono gravi. — I mille e mille, che annualmente il fisco espropria per im- potenza a pagare le imposte, somministrano una dolorosa prova. Se ora quella classe si agita ha huon motivo, ma l'uomo calmo, il freddo osservatore può egli abbandonarsi — 351 — alla speranza di sollievi efGeacl e pronti eolie finanze dello Stato nelle condizioni in cui esse si trovano? Ammettete pure che vi possano essere piani che, spo- stando pesi gravitanti sulla nazione, ineludano tuttavia una giustizia, se la distribuzione riposa sopra una maggior equità; ma la nazione nel suo complesso guadagna nulla o certo ben poco e solo a lunga scadenza. Il possidente retto e pratico deve ben guardarsi da un altro pericolo, quello di cadere nelle illusioni di chi per ragioni politiche lo in- ganna, eh' è una classe né piccola né poco infesta. Invece di aspettare il miglioramento della volontà di altri, abbiano i possidenti il coraggio di prendere in mano essi stessi le sorti loro. Conviene rivolgere l'istruzione, le cure e, chi Io può, i capitali a creare nuovi valori certi, a salvare ì pericolanti, a trovar nuovi sfoghi. — Prevedo l'obbiezione, indovino il sorriso di qualche incredulo proprietario al leg- gere le parole rivolgere i capitali ; ma dirà se è precisa- mente quello che manca? Ho già prevenuto in parte l'obbie- zione dicendo chi lo può, ma ammetto che non siano molti. Forsechò sono poche le risorse che il coltivatore in Ilalia potrebbe trarre dal suolo, colla sola cura maggiore, colla solerzia e con piccola spesa in confronto del reddito? Io non vi dirò come certi agronomi da gabinetto: cambiate cultura, convertite i campi in prati, quasiché ovunque fosse possibile o ciò costasse poco, e tutti avessero acqua a loro disposizione; ma io vi dirò cosa avvenne altrove e che avrebbe potuto avvenire anche in Italia, tocche fortunata- mente è sempre in sua facoltà. Dobbiamo trasportarci ancora agli Stati Uniti d'Ameri- ca fra que'proprietarì modelli di attività. Un trentennio ad- dietro su per giù, alla metà del nostro secolo, il commer- cio delle fruita figurava nel bilancio generale di quella na- zione con cifra inconcludente ed era esclusivamente inter- no ; ora ha raggiunto proporzioni colossali, commercio di - 352 ~ fruita frpsca, di fi'iitia ospicata, di fruita in conserva; com- mercio interno, coH'estoro, col mondo intero; commercio infine che nel complesso sorpassa i 100 milioni di dollari ossia i 300 milioni di lire nostre, L' Aiiiericano sceglie la miglior qualità di frutta, che può dare il terreno da lui desti- nato a frutteto; fa la piantagione con ogni cura, e quando all'aprirsi della stagione viene la minaccia dei geli, scongiu- ra quel pericolo col fumo e perfino col ghiaccio ritardando lo sviluppo. Forsechè l'Italia, una delle regioni le pili favorite dalla natura per la produzione delle frulla, ha saputo trarre il partito che ne trassero gli Stati Uniti? Forsechè ha gene- ralizzato il rimedio contro le brine? Sono forse operazioni di gran costo? I danni possono bensì salire a milioni in una sola notte, la spesa per ripararvi in confronto è mini- ^ ma ; ma ci vuole antiveggenza, cura e concordia fra i pro- prietari. Si conceda che adduca un altro esempio più recen- te ancora. Dieci anni or sono, nessuno citava il miele e la cera della California. S'introdusse o, meglio, si dilatò la coltivazione delle api. È cosa che tocca proprio all'incredi- bile, nel 1884 produsse per oltre II) milioni in valore, che in gran parte espoi'tò. Ciò che sorpcnde, è (luesta celeritò di produzione, questa vera creazione di nuove ricchezze in confronto del capitale impiegato. Chi sa dire che cosa po- trebbe produrre in miele e cera l'Italia, se si coltivasse do- vunque può farsi con felice successo questo ramo secon- dario, ma rispettabile? E quanti prodotti vi sono di consi- mile genere coltivati altrove, ma non in Italia, o seppure su scala così piccola o solo da dilettanti, da non potersi chiamare una risorsa della nozione? È forse piccolo il gua- dagno, che ricava la Francia dalla coltivazione delle ostriche e dei pesci? Non è forse un vero e nuovo ramo d'indu- stria anche la coltivazione delle trifole? Tutti questi rami non richieggono grandi capitali, più che altro vogliono cure — 353 — e che siano coltivali a dovere. Essi nel complesso producono somme ingenti, e, ciò clie non va in commercio, può mi- gliorare la sorte del coltivatore ; perfino i buoni gamberi e le buone rane servirebbero a tale scopo. Lasciate che lo dica, perchè è una veritù. L'Italia offre ancora un vasto campo all'introduzione o svolgimento su larga scala di in- dustrie agricole, che richieggono pochi capitali, ma costanza, solerzia ed intelligenza. — Convien creare nuove risorse co- me fanno gh Stati Uniti ; conviene impedire la distruzione di valori in formazione, come quelli minacciati dalla brina; conviene prevenire possibilmente la distruzione o degrada- mento di quelli giL» formati. — Or bene, la Meteorologia applicata all'Agricoltura ha questa missione, tende a tale scopo. Spero che più d'uno de'aiiei lettori proprietari (la- sciatemi la speranza che ne abbia) avrà fatto attenzione alla line del celebre discorso del promotore della nuova scienza, quello del Maury. Mi si conceda di ripeterlo : « Il » solo fatto di sapere molti giorni prima quale è il tempo » che si prepara, può, secondo lo stato di maturazione del u raccolto, decidere per il paese di un utile di molti milioni. » Io non sono in posizione di assumere impegni né do- » mando, che quest'Assemblea si renda garante di questi da- » li ; ma io li ritengo non solo non improbabili, ma tali » quali ogni meteorologo può ragionevolmente attenderli da » un sistema d'indagini saviamente organizzato e pratica- » lo colla voluta attenzione. » I benefìzii che ne risulteranno, sia per il produttore » come per il consumatore, saranno immensi, essendo en- » trambi in ogni mese ed in ogni stagione dell' anno infor- » mali dello stato dei raccolti di tutto il globo. Io vi assicu- » ro, o signori, che coll'adozione di questa mia idea vi met- » tele in misura di ricavare tali guadagni, che non sono » stati previsti mai in nessun progetto basato sulle scienze » fisiche. Voi, o signori, che rappresentale gli interessi dei — 354 ~ » coltivatori, non avete che a lanciare una parola, e vedrete » che non tarderà ad essere messo in esecuzione ». Queste parole venivano pronunciate il 29 giugno 1872 al Comizio agrario di S. Luigi nel Missouri. Non era spirato l'anno, che giù erasi fondalo in Wa- shington l'uffieio meteorologico a heneOcio delTagricollura ; e tosto si diffusero gli uffici regionali, vennero diramali i bollettini ai Comuni, si che nel 1870, ossia solo 4 anni do- po, si contavano 7000 Comuni, nei quali si pubblicavano i presagi del tempo. — All'uouìo di genio, che fu compreso, corrispose queir Assemblea di projjrietarì ; e solo Dio sa- prebbe indicare il guadagno fatto dall'introduzione pratica di quella nuova scienza. Come potreste ancor dubitare dopo simili fatti? No, voi, proprielarì intelligenti, non dovete du- bitare; voi, i più interessati, dovete cooperare perchè si attivi anche in Italia l'applicazione della Meteorologia all'A- gricoltura.— È uno di que' passi, fra i non pochi, che vi condurranno a prendere in mano i vostri destini, con be- neficio vostro e del paese intero. IiMORNO AD ALCII NUOVI STUDI SULLA VITA E SULLE OPERE D I GALILEO GALILEI DEL ME. ANTONIO FAVARO Non ostante il mollissimo favore col quale da qualche tempo si vanno seguendo in Italia e fuori gli studi galileia- ni, il fecondo ed importante argomento è ben lungi dall'es- sere esaurito. Può dirsi anzi che, per effetto del nuovo in- dirizzo dato alla indagine storica in generale, e per il quale, lasciate da parte le vuote ed inutili declamazioni retoriche, vuoisi sempre ed in ogni caso risalire all'esame delle fonti, la discussione sia stata riaperta anche intorno ad alcuni punti concernenti la vita e le opere di Galileo, rispetto ai quali poteva forse credersi che null'altro rimanesse da sog- giungere. A questo si aggiunga che, per il fatto medesimo del nuovo indirizzo testò accennato, la ricerca stessa delle fonti venne proseguita con cosi grande ardore da mettere in evi- denza materiali ricchissimi ; cosicché, mentre da un lato l'esame accurato delle fonti indusse nella convinzione che non se n'era peranco tratto tutto il partito, che poteva e doveva trarsene secondo le moderne esigenze della critica, Tomo iVy Serie Vi. 40 — 356 — dall' altro nuovi elomenti venivano a rendere pii!i abbon- J dante e più ricca la messe; e per tutti questi molivi cre- diamo possa dirsi che il risorgere degli studi galileiani deb- ba contarsi come uno dei piìi ragguardevoli risultati ottenuti dagli studi di storia scientifica oggidì meritamente tenuti in à così grande onore. Un fatto notevole, posto in evidenza dai ripetuti studi à fatti sulle fonti galileiane, e sul quale già ripetutamente ebbi occasione di richiamare l'attenzione degli studiosi, consi- ste nella ormai accertata insufficienza delle edizioni finora procurate delle opere di Galileo. Anche l'ultima, pomposa- mente intitolata « Prima edizione completa » , quantunque, se non per correzione, almeno per copia di materiali, di tanto superiore alle cinque precedenti, è ben lungi dal so- disfare alle legittime esigenze degli studiosi. Delle molte mende che essa presenta ho già tenuto più volte parola (*) J e sorprende invero come anco da persone, e per sapere e per autorità ragguardevolissime, possa accogliersi il dise- gno di completare quella così imperfetta edizione con alcuni volumi di appendice, nei quali le cose inedite o disperse si raccogliessero diligentemente, si correggessero i molteplici errori nei quali era caduto l'Alberi, e si aggiungessero infi- ne indici da servire con sicurezza e senza soverchia perdita di tempo a consultare tanto la edizione dell' Alberi quanto la nuova appendice. Un tale disegno, che a prima giunta potrebbe sedurre, non foss'altro per la ingente economia che verrebbe per esso ad ottenersi, e che riuscirebbe particolarmente grato a tutti i possessori della edizione dell' Alberi, esaminato bene (4) Intorno ad una nuova edizione delle opere di Galileo per Antonio Favaro. Venezia, tip. Anlonelli, 1881. — Galileo Galilei e lo Studio di Padova per Antonio Favaro. Voi. II, Firenze, Suc- cessori Le Monnier, 1883, pag. 435-471. -- 357 — a fondo, apparisce presso a poco inaltuabile. L'esame dili- gente da noi fatto di alcuni scritti galileiani, quali furono pubblicati neirultima edizione Gorentina, ed il confronto di essi cogli originali, ci ha indotto nella convinzione, che a correggere convenientemente la cosiddetta « prima edizione completa » si richieda uno scrupoloso raffronto di essa sia colle edizioni primitive dei vari lavori in essa coaipresi, sia coi manoscritti galileiani pervenuti sino a noi: è dunque un ingentissimo, e, ci sia permesso di dirlo, un inonorato la- voro quello a cui dovrebbe sobbarcarsi lo studioso che si accingesse a tale correzione. D'altra parte, per quanto gli indici agevolassero il con- fronto del testo colle eventuali correzioni, questo riuscireb- be sempre noioso ed incomodo per il lettore, anche lascian- do da parte che in moltissimi casi, come per esempio in quelli di omissioni di frasi e di periodi, purtroppo frequentis- sime, le correzioni sarebbero rappresentate da un mosaico informe. Quanto all'aggiunta cosi di cose inedite come delle edite ma disperse, quando si dovesse farla in volumi di ap- pendice alla edizione dell'Alberi, l'uso non ne sarebbe di molto più comodo in confronto di quanto abbiamo testé avvertito per le correzioni. Infatti, il maggior numero e la maggior mole delle aggiunte riferendosi all'epistolario, que- sto si avrebbe cosi disperso in tre parti, cioè nei cinque volumi della edizione dell'Alberi, i quali comprendono il carteggio, nel volume di supplemento all'edizione medesima, ed in queste aggiunte che si vorrebbero pubblicare; cosic- ché si riconosce facilmente di quanto disturbo riuscirebbe il seguire nell'epistolario la trattazione di un determinato argomento; nel quale, se entrano lettere di Galileo, do- vrebbe lo studioso andar cercando le lettere contempora- neamente in quattro volumi diversi. Oltre, ed a motivo, del vantaggio relativamente piccolo, che con una tale appendice verrebbe ad ottenersi, l'attua- — 358 — zione d'un tuie disegno urlerebbe ancora neiìa difiieullà di trovare un uomo di studio, coscienzioso, cbe, conoscendo bene a fondo lo stato delle cose, assumesse sopra di sé un lavoro, il quale richiederebbe parecchi anni della sua vita, senza che perciò egli potesse sperare che gi'ande onore fosse per ridondargliene. Conchiudendo pertanto noi diremo, che questo disegno di complemento alla edizione dell" Alberi, attuabile e for- s'anco accettabile, per viste economiche, qualora si trat- tasse di semplici aggiunte, diventa inammissibile per il fatto delle numerosissime correzioni necessarie: esso quindi, a parer nostro, deve venire assolutamente abbandonato. In questi ultimi tempi pertanto il concetto, se non della assoluta necessit^^, almeno della utilità somma, di una nuova e veramente compiuta edizione delle opere di Galileo si era fatta tanta strada, anche nelle alle sfere del Governo, che, riconosciuta la impossibilità che un privato, od una società privata, assumesse l'intero peso di una simile pubblicazione, la quale comprenderebbe all' incirca da dieci a dodici mila pagine, eransi manifestate, ad imitazione di quanto vediamo frequentissimamente avvenire presso altre nazioni, le più favorevoli disposizioni a sovvenire in giusta misura una cosi grandiosa impresa ; ma un concorso fatale di circo- stanze fece sospendere l'attuazione del disegno. È tutta- via ferma in noi la speranza, che quel disegno verrà, in un tempo non molto lontano, ripreso ed attuato. Fino a tanto che ciò non sia per avvenire, giova che gli studiosi delle cose galileiane continuino colla stessa ed anco con maggio- re attività nei loro lavori, dai quali siamo sicuri che scatu- riranno nuovi elementi per mettere in sempre maggiore evi- denza al necessità di por mano alla compiuta edizione. Nel lavoro, del quale abbiamo oggi l'onore di presen- tare la prima parte per la inserzione nelle Memorie dell'Isti- tuto, abbiamo stimato opportuno di raccogliere alcuni no- — 359 -- stri brevi saggi intorno a svariati argomenti, lutti però concernenti la vita e le opere del sommo Glosofo: e lo ab- biamo intitolato Miscellanea Galileiana Inedita, non per al- tro se non per porre in evidenza che tutti i vari lavori che ne fanno parte vengono edili per la prima volta, e che quin- di non vi appartiene alcuno di quelli che negli ultimi sei anni in diverse occasioni abbiamo dati alla luce (*). (1) Stimiamo opportuno di darne qui appresso l'elenco: Le aggiunte autografe di Galileo al dialogo sopra i due massi- mi siste)ni nell' esemplare posseduto dalla Biblioteca del Se- minario di Padova. Modena, Società tipografica modenese, 1880. La primogenita di Galileo. Roma tip. Artero e C. 1880. Ragguaglio dei Manoscritti Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze ed annunzio di alcuni ffammenti inediti di Ga- lileo. Venezia, tip. Antonelli, 1880. Inedita Galileiana. Frammenti tratti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze. Venezia, tip. Antonelli, 1880. Galileo astrologo secondo documenti editi ed inediti. Trieste, Herr- manstorfer, 1881. Galileo Galilei ed il « Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella nuova)-). Venezia, tip. Antonelli, 1881. La proposta della longitudine fatta da Galileo Galilei alle con- federate Provincie belgiche tratta per la prima volta inte- gralmente dall' Archivio di Stato all' Aja. Venezia, tip. An- tonelli, 1881. Documenti inediti sulla Primogenita di Galileo. Padova, tip. del Seminario, 1881. Galileo Galilei e la invenzione dei cannocchiali binoculari. To- rino, Ermanno Loescher, 1881. Galileo Galilei e lo Studio di Bologna. Venezia, tip. Antonelli, 1881. Galileo Galilei e Gustavo Adolfo di Svezia. Padova, tip. Semi- nario, 1881. Intorno ad una nuova edizione delle Opere di Galileo. Venezia, tip. Antonelli, 1881. Intorno ad un episodio non ancora c/ùarito del processo di Galileo. Venezia, tip. Antonelli, 1882. - 360 — Questa prima parte intanto comprendo i capitoli se- guenti : I. Sul giorno della nascila di Galileo. II. Inlorno ad un brano di lettera inedita di Galileo. Sul carteggio Galileiano edito dal marchese Giuseppe Campori. Modena, Società tipografica modenese, 1882. Spigolature Galileiane dalla autografoteca Campori in Modena. Società tipografica modenese, 1882. Galileo Galilei e lo Studio di Padova. Volumi due. Firenze, Suc- cessori le Monnier, 1883. La difesa di Galileo scritta da Benedetto Averani. Modena, So- cietà tipografica modenese, 1883. Gli autografi Galileiani neir Archivio Marsigli in Bologna. Ro- ma, tip. delle scienze matematiche e fìsiche, 1883. Alctini scritti inediti di Galileo Galilei tratti dai Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze. Roma, tip. delle scien- ze matematiche e fìsiche, 1884. Befanata inedita di Galileo Galilei. Padova, tip. Seminario, 1884. Di alcune relazioni tra Galileo Galilei e Federico Cesi illustrate con documenti inediti. Roma, tip. delle scienze matematiche e fisiche, 1884. Sulla morte di Marco Velsero e sopra alcuni particolari della vita di Galileo. Roma, tip. delle scienze matematiche e fisi- che, 1884. Intorno ad un giudizio del Renan sul processo di Galileo. Pa- dova, tip. G. B. Randi, 1885. A proposito di Galileo igienista. Milano, fratelli Treves, 1885. Ragguaglio dei Manoscritti Galileiani nella Collezione Libri Ashburnham presso la Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze. Roma, tip. delle scienze matematiche e fìsiche, 1885. Documenti inediti per la storia dei Manoscritti Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Roma, tip. delle scienze ma- tematiche e fisiche, 1886. Scampoli Galileiani. Padova, tip. G. B. Randi, 1886. Concliìusioni sulV Accademico Incognito oppositore al Discorso di Galileo intorno alle cose che statino in su l'acqua, o che in quella si muovono. Roma, tip. delle scienze mateiaaliche e fisiche, 1880. — 3G1 — IH. Postille galileiane inedilc ad Archimede. IV. Sulla priorilà della scoperta e della osservazione del- le macchie solari. La seconda parte, che quanto prima faremo seguire, comprenderà : V. Sulla pubblicazione della sentenza contro Galileo e sopra alcuni tentativi del Viviani per far rivocare la condanna dei dialoghi galileiani. VI. Galileo Galilei ed Elia Diodati. VII. Documenti per la storia del processo originale di Ga- lileo. La terza ed ultima parte, la quale presenterò essa pure al più presto possibile, comprenderà i seguenti ca- pitoli : Vili. Intorno ad alcuni scritti inediti di Galileo. IX. Sulla priorità della scoperta della legge rf' inerzia. X. La libreria di Galileo. XI. Intorno alla nuova e compiuta edizione delle opere di Galileo. XII. Spigolature dall'Archivio della famiglia Galilei. Questi vari studi costituiscono nel loro complesso nuo- vi materiali per un lavoro di qualche lena intorno alla vita, ai tempi ed alle opere di Galileo, col quale, se non ci ven- gano meno le forze, ci proponian^o di chiudere la serie dei nostri studi intorno al vero ed unico fondatore del metodo sperimentale. Padova, gennaio 1886. relazionp: SUL TERZO CONGRESSO PENITENZIARIO RACCOLTOSI IN ROMA Setto DAL M. E. MONS. JACOPO BERNARDI Cessa dal male^ impara a fare il bene, scolpivasi in fronte al carcere di Richmond, e in precedenza Clemente XI, il fon- datore del primo carcere penitenziario dell'età moderna, sul- l'edificio fatto erigere dall'illustre architetto Fontana in san- ta Balbina presso l'ospizio di S. Michele, ad accoglimento dei minori di vent'anni discoli, abbandonati, e prevenuti da con- danna per delitti commessi, voleva s'incidessero le parole: essere quello stabilimento inalzato (1704) a correzione ed ammaestramento de' giovani scapestrati, affinchè, se inerti nuocevano alla cosa pubblica, istruiti la giovino. Doveano es- sere educati si nella fede cristiana, ma insieme al ben vive- re, provveduti di acconci artefici e maestri per insegnar lo- ro una qualche arte, affinchè lascino 1' ozio, e menino vita nuova, provveduti di vestito e cibo quanto richiedesi al ne- cessario, e che fosse anche permesso ai genitori e tutori di rinchiudervi per qualche tempo i loro figliuoli indiscipli- nali, pagandone gli alimenti ('). Da queir epoca, per non parlare delle più antiche, a quest' oggi ^u^nte ricerche e Tomo IV, Serie Vi. 47 — 364 — meditazioni, e progetti, e tentativi d'uomini insigni per dot- trine e virtù, per posti eminenti e per continuo sacriiicio di sé al bene della umanità, di Principi riformatori, di Gover- ni illuminati, di Consulte che lungamente discussero e ri- pensarono, di assemblee legislatrici a (ine di provvedere a questo grand' uopo d' ogni Società ordinatamente costituita per propria difesa, per assicurare sé e gl'individui e i popoli che vi appartengono, per tutelare la privata e comune liber- tà contro le minacele e la iniqua invasione dei prepotenti e degli scellerati, per giovare anche a questi, secondo che maggiormente sia possibile, erigendo stabilimenti o carceri opportune, giusta varii sistemi proposti, che li accolgano, che bastino alle maggiori esigenze punitive; ma più ancora igieniche, morali, educatrici, e che si accordino in tal misu- ra con la generale amministrazione dello Stato da non ag- gravarlo con soverchia enormità di una spesa che è dolo- rosamente costretto a sostenere. Dall' un canto sforzi inau- diti, e scritti innumerevoli, scientifici, umanitarii, di giurì- sprudenza, di pubblica economia, di carità; dall'altro codici sanciti e rinnovati, mezzi attuati, risultamenti conseguiti, e tra questo fervere di dottrine, di leggi e di fatti, che ora si avvicendano, direi quasi, con la foga vertiginosa dell'elettri- co e del vapore, una serie di personaggi, per ogni riguardo insigni, che nelle civili nazioni dei due mondi si collocaro- no per istudi fatti e per esperienza alla testa di questo mera- viglioso movimento progressivo, che brama sciogliere tante questioni intricatissime che toccano alla salvezza, alla mo- ralità, alla prosperità degli Stati, che anelano vederle, cia- scuno secondo i propri concetti, in atto, e che loro tarda ogn'istante sperandone il bene migliore. L' idea ch'enuncia- vo usciva dall'ordine penitenziario per abbracciare in vaste proporzioni gli argomenti della più alta importanza sociale; ma, per tornare al proposito nostro, per non dilungarmi dal campo che mi è assegnato, per trattare quella parte che la & — 305 - grande amministrazione dello Stalo afOda a' tribunali e alle carceri, per la inviolabilità de' suoi diritti, per guarantigìa individuale e comune, e per la correzione desiderata del fa- cinoroso e scapestratamente discolo, non vi fu rappresenta- zione più viva di quanto si è fatto e si sta facendo, di quan- to si è scritto e si scrive, di quanto, forse, vi ha di più rag- guardevole nella schiera eletta degl' insigni personaggi e dei benemeriti filantropi che corrono quest' arringo delle rifor- me penitenziarie, non vi fu, dicea, rappresentazione più vi- va di quella che porse il Congresso internazionale, che il giorno !6 novembre inauguravasi in Roma nel magnifico palazzo della esposizione di belle arti conceduto dal Muni- cipio, e che durò a tutto il 24 del mese stesso. Vicino al terzo Penitenziario internazionale sorse il primo antropolo- gico, cosi chiamato da coloro che professano le dottrine del- l'odierno positivismo, che lo presiedettero, e per gran parte lo formavano. Di esso, delle discussioni nate nel suo seno, dei principii sanciti, dei propositi enunciati, delle conferen- ze tenute a raffermarlo, per quanto fu dato a'promulgatori di quelle teorie, ne discorse largamente il giornahsmo ro- mano e quello d'altri paesi. Sono cose non nuove, ma che fanno ora molto strepito intorno a se. Di questo non è mio divisamcnto discorrervi ; nò per questo ebbi certamente l'onorevole vostro mandato. Come pure dell'altro non po- trò che porgervi alcuni conni fuggitivi ; ed anche dei molli ed importantissimi, che vi luron discussi, trattenermi per poco su questo o quello che attirò principalmente la mia attenzione, e che in qualche guisa men disadattamente si acconcia all' indole degU sludi e dei fatti che accompagnano la mia troppo tarda esistenza, non già per apprezzare e pre- sagire, ma per vedere quali saranno per essere gli effetti di questo mirabile ravvicinamento mondiale, di questo, con- cedetemi la parola, abbracciamento che di se fanno le na- zioni universe a mezzo de'Ioro rappresentanti per fama, per — 306 - opere e per dottrina cospicui, di questa fusione delle lor lingue in un convegno scientifico, politico-civile, umanita- rio, affine di trattare una causa che a tutte importa, e di re- carvi ciascuna apertamente il tributo di quanto pensa ed ha fatto, di quanto medita e spera. Nella profonda agitazione, che oggidì scuote la famiglia umana, nei trovati stupendi e che quotidianamente si perfezionano e moltiplicano ad age- volare la comune fratellanza dei popoli, era un fatto de- gno, mi sembra, di alta meditazione, scorgere tanti insigni rappresentanti loro, basta leggerne i nomi, convenire insie- me, porgersi amicamente la destra, e svolgere, con quella dignità che regnò sempre in tutte le sezioni e discussioni, anche più sottili e combattute, del Congresso Penitenziario, gli argomenti vitali che hanno per iscopo la repressione del delitto, la riforma, con quanta maggiore efficacia sia dato, del delinquente, la tutela dellìndividuo, della famiglia e dello Stato, e il rispetto fino agli agli ultimi suoi diritti della liber- tà, per non offendere negli altri ciò che vogliamo ricono- sciuto e tutelato in noi stessi, e per non far la giusta puni- zione complice di vendetta, sibbene causa efficace e mae- stra di ravvedimento. Le sollecitudini datesi dal Governo, dagh ordinatori dì quanto potesse tornare più opportuno al decoro della città accoglìtrice, a soddisfazione degl'intervenuti e ad utilità del fine proposto, l'opera instancabile e giovata dalla pratica in- teUigenza del Beltrani-Scalia aveano preparato due mostre segnalatissime che non potevano far a meno di richiamare a sé gli sguardi ammiratori del pubblico che visitavale, e le mature considerazioni e le serie meditazioni dei dotti, dei giurisperiti, dei filantropi, che nella storia della umanità leg- gono questa pagina dolorosa degli umani delitti, insieme an- che quella delle abbominose vendette e delle tirannidi ; ed esamina accuratamente nelle presenti condizioni della uma- na civiltà quanto più e meglio siasi fatto ne' paesi che si — 367 - danno il vanto di possederla. Nei vasti ambulacri destinati a mettere sott' occhio nella stessa materiale realt;'» le celle destinate a'prigionieii, secondo i varii sistemi che si adotta- rono, era dato percorrere, senza imprendere lunghi \iaggi, instituire dispendiosissime commissioni peregrinanti, era da- to tentare esami e ricerche talfiata assai difficili a consegui- re, percorrere le regioni più civili del mondo e vedere in fatto gli sforzi gagliardamente impresi e i concetti attuati nello intendimento di conciliare insieme il rispetto dovuto alla legge, rutiliti^ dello Stato, e la riforma, se possibile, dei condannati, la guarantigia individuale e vicendevole del co- stume, la salute, l'istruzione, il lavoro, mezzo questo il più possente e sicuro ad ottenere il fine desiderato. La Svezia, la Danimarca, il Belgio, perfino la Russia, porgevano modelli di celle, in che parve l'ingegno umanitario ed architettonico studiassero le maggiori agevolezze, e ciò più vivamente ri- saltava del confronto co' luoghi antichi, quasi antri di con- danna, che si vollero a bella posta raffigurati. E non posso nascondervi il mio rammarico che, servendo alle esagera- zioni de'romanzi e delle storie servilmente falsate, nò tenu- ta ragione di ciò che a tempi eguali praticavasi verso dei condannati presso altre nazioni e in altri paesi d'Italia stessa, si esibissero i famosi pozzi della gloriosa nostra Repubblica quasi termine ultimo di barbara degradazione, obliando af- fatto quanto fino da' secoli XIII, XIV e XV, facevasi dalla Veneta Repubblica, prevenendo la moderna civiltà e legisla- zione in prò de' condannati, instituendo pie associazioni di matrone e ragguardevoli personaggi, prescrivendo maniere umane di trattamento, frequenti visite de' suoi ufficiali, sol- lecito disbrigo delle lor cause, stabilendo nell' avvocato dei prigioni, e in chi, impedito che fosse, avesse a surrogarlo i naturali loro difensori; adoperandosi perchè non avesse da mancare il lavoro e l'istruzione, e fino permettendo sulla lor fedo che uscisseio dal carcere a procacciarselo ; come — y.s — pure piamente eccitassero la carità de' fedeli ad ajutarli ne! pagare i debiti per liberarsene (^). Di questi e d'altri prov- vedimenti a que'giorni direi, quasi maravigliosi, che riguar- dano i carcerati, con senno pari alla vasta erudizione di- scorsero abbastanza largamente nell' Istituto nostro il Sa- gredo, nel Veneto Ateneo il comm. Cecchetti (') ; ma altre indagini ancora si potrebbero compiere ed altri confronti instituire. La seconda mostra, degna anch' essa di speciale consi- derazione, era quella de' lavori fatti da'prigionieri nelle car- ceri, e dai minorenni nei Riformatorii. Vedevasi una vera esposizione internazionale , quantunque vi mancasse una delle nazioni più segnalate, che ottenne dal lavoro assiduo e dall'isolamento de' suoi carcerati, mantenuto con inappun- tabile severità, l' effetto maggiormente desiderato : quello di scemare il numero de' suoi condannati e in ispecie dei reci- divi. Non vi prese parte : paga forse de' risultamenti avuti. Ma non si sa mai tanto che non si possa ancora apprendere qualche cosa di nuovo ; e poi non è sempre vero che ci po- niamo in comunicazione cogli altri per imparare ; che spes- so occorre insegnar loro il modo che abbiam seguito a rag- giungere il fine propostosi, e per via della discussione perfe- zionarlo. La cerchia di ferro che inesorabile non permet- tesse di uscire, non permetterebbe pure a'nuovi perfeziona- menti di entrare : questo segnerebbe più o meno tardi] la morte inevitabile di una nazione qualunque ; nò credo per fermo che la sapiente e accorta Inghilterra vi si rassegni. Questa volta però è mancata con dolore di tutti, concedete che il dica militarmente, alla rassegna. Ridirvi a parte a parte dei lavori e delle specialità esposte da ciascun paese, giusta i particolari prodotti e le consuetudini, tornerebbe soverchio. E v'ha qualche carcere, cosa davvero mirabile, peculiarmente di donne, che col lavoro provvede al pro- prio sostentamento, e ne ha inoltre sovr' esso qualche van- — 369 — taggio. Nella esposizione italiana, anziché sparsi qua e lo gli oggetti usciti dalle carceri e da'nostri reformatorii, avrei bramato, ed era desiderio nel quale altri ancora parecchi si univan meco, avrei bramato che la divisione si fosse fatta per carcere e carcere, per riformatorio e riformatorio ; chò invece di correr qua e là per formarsene un concetto, avreb- besi potuto conseguire quasi a colpo d' occhio V intento e formarne il conseguente giudizio. Ma in questa gran- de esposizione industriale o proletaria di tutto il mondo carcerario si potè agevolmente argomentare quello che cia- scuna nazicne in questa parte più e megho produce, e vie- ne a provvedimento degli stabilimenti governativi e dell' e- sercito, o getta sul pubblico mercato. Queste le coudizioni materialmente e mirabilmente esibite, né con lieve dispen- dio, al Congresso internazionale di Roma: e in relazione ad esse le discussioni generaU e pubbUcbe, le trattazioni spe- ciali e preparatorie, i privati discorsi che le riguardavano. Né da coloro stessi che hanno sempre una parola di con- danna pe' congressi, quasi ridicoli e affatto infruttuosi, po- trà negarsi il singoiar beneficio e conforto che nasce dal con- fronto e accomunamento delle idee nostre con quelle di per- sonaggi rispettabihssimi,e nel caso nostro ben noti per istudi profondi e per lunga pratica alla giurisprudenza, al gover- no degli Stati, al reggimento de'Reformatorii e delle carceri, alla umanità. Gli atti del Congresso chiariranno che tali eminenti individualità mondiah non avendo mancato, pigUa- rono viva parte, non dico agli accoglimenti e alle feste che la Reggia, il Governo, la città offersero splendidamente ; ma al quotidiano svolgimento di temi importantissimi, i più agitati nel difficile ordinamento carcerario, e alle pubbUche di- scussioni. Che se per ospitale, nò certo riprovevole, quan- tunque spesso manchi del suo compenso, dimostrazione, fu ceduto a' più illustri forestieri presenti, il giorno dell'apri- mento, ogni posto onorevole nelle singole e nella generale — 370 — presidenza delle adunanze del Congresso ; non v' era per fermo difetto de' più cospicui fra gF italiani che trattarono siffatto argomento, o vanno segnalati nell'amministrazione carceraria, come appare dai loro discorsi in ogni propo- sta principalissima che si fece. Che se dicessi essersi piena- mente accordati nelle conclusioni, eccetto alcune che sorti- rono la unanime approvazione, non direi vero; sarei solen- nemente smentito dagli atti del Congresso medesimo, e da- rei come un fatto cosa maravigliosamente impossibile in ar- gomento scientifico e amministrativo si comphcato e dispa- ratissimo, e che piglia anche dalla diversa indole delle na- zioni, cui provvede, diversità di concetti e di forme per la conveniente loro applicazione. E in generale, se tutti con- vennero nel materiale ordinamento e nelle nuove costru- zioni carcerarie, doversi preferire il sistema cellulare, il si- lenzio e il continuato lavoro; diversificarono però le opi- nioni: stando, per avventura, a cuore di parecchi le idee preconcette, la viva parte che presero nel mandarle ad ef- fetto, e il credere che siano le più opportune alle coudizioni della propria nazione. E sulla concorrenza che fanno le car- ceri al comune lavoro, e sugli oggetti da preferirsi, e sulla maniera, o per mezzo degli impresarii o per economia, e sullo spaccio, o suir improvvido accumularsi delle materie lavorate si ripeterono le questioni antiche avvalorate da nuove esperienze e da nuovi fatti ; cosi pure sul nutrimen- to, affinchè uscendo dal carcere, compiuta la espiazione della pena, non si restituisca alla società un miserabile, che oltre alle gravissime difficoltà che incontra per conseguire impiego o lavoro, abbia pur quella di una condizione igieni- ca fatta languida e malaticcia. Certo partendo dalla suppo- sizione che non è possibile, secondo alcuni della scuola lobu- lare e cranioscopica, difficilissima secondo altri la riforma del delinquente ; più presto che fisicamente ristorato nelle forze, sarebbe men peggio restituirlo indebolito, e quindi - 371 — men capace di nuocere alla sociale convivenza nella quale viene lanciato novellamente. Ma che terribile teoria non sa- rebbe cotesta ! che maniera di operare legalmente unifor- mandovisi ! Le nazioni bene ordinate e civili, gli nomini della scienza e della filantropia, gli stessi che portano in questo argomento la giustizia vendicatrice, la accetterebbe- ro nella sua crudezza ? Né ci si opponga che con tanti mi- glioramenti che si vanno introducendo nelle carceri ; con tanti studi e trovati e relative applicazioni circa le celle, il corredo, il nutrimento, il lavoro de' prigionieri si finisce che più si pensa e meglio si provvede per essi, la maggior parte vituperevoU delinquenti, che non si pensi e provveda per tanti onesti, poveri e laboriosissimi operai e per le loro sciagurate famiglie, mentre sopra tutti gh stati pesa, e h mi- naccia a flutti, concedetemi la espressione, più sempre tem- pestosi la tremenda questione sociale. È mestieri di riguar- dare e di provvedere alla questione carceraria nella sua es- senza ; e del resto ninno de' liberi operai, per quanto misera la vita che trascina, muterebbela, cessala pure la morale de- gradazione e la infamia che l'accompagna, muterebbela con quella di un condannato. Tutto dunque che si disse a que- sto riguardo nel Congresso Penitenziario romano dagli uo- mini eminenti che v'intervennero, avea per iscopo di met- tere a comune conoscimento e profitto quanto erasi fatto finora da'Governi che rappresentavano, o, in generale, a pro- muovere Tordinamento carcerario in guisa, che ne porgesse la maggiore possibile economia e sicurezza dello Stato e della convivenza sociale con T ordine, la igiene, il lavoro e sopra tutto la morale riforma dei carcerati, e le conclusio- ni furono quelle, che superiormente ho accennato: Doversi adottare da un Governo qualunque un sistema carcerario detcrminato e sperimentato ordinatamente, economicamen- te e moralmente utile sembra un dovere anzi una vera ne- cessitù , come pure non renderlo immobile , sibbene gio- Tomo IV, Serie VI. 4S - 372 — vantesi dei miglioramenti ohe vi consentano. E, se dal diret- tore dello stabilimento penitenziario, che deve usare di quella lihertìi che gli compete per l'applicazione individuale dei mez- zi che stanno in suo potere entro ai limiti prescritti e che dal suo senno, dalla sua oculatezza e fermezza e previden- za, insomma da quel complesso di doti, non facili a ritro- varsi, che formano di lui un uomo pari al penoso e impor- tantissimo ufficio, derivano le prospere condizioni del car- cere penitenziario, o del riformatorio cui presiede, ciò che prova la continua esperienza ; non ne segue che si possa conchiudere , né in questo senso conchiuse il Congresso penitenziario, con un insigne giurisperito ch'io venero, l'I- talia è lieta di vantare a suo figlio, e gli studi carcerari, anche per le recenti sue visite e ricerche fatte in Europa, a suo eletto campione: « nella varietà de'sistemi esibiti e pre- scelti essere d' importanza affatto secondaria (io invece la direi principalissima) dare la preferenza ad un sistema più che ad un altro, poiché niun sistema rappresenta un ideale assoluto; e che quindi, sotto a questo aspetto, si possa dire che il migliore sistema è quello di non averne, e che quello si potrà dire il migliore che meglio risponda all'indole gene- rale di ciascun paese e alla natura individuale di ciascun prigioniero, e che dall'un canto adempia alla pena inQilta in conformità della legge e della sentenza dell'autorità giudizia- ria ; e dall'altro faciliti, per quanto maggiormente è possibi- le, nel condannato il risveglio del senso morale e la prepa- razione alla vita libera, a cui un giorno può ritornare ; e che il direttore del carcere, veramente degno della sua mis- sione, dev'essere libero di assegnare la vita comune o l'iso- lamento, il lavoro della officina, o quello de' campi, secondo eh' egli stimi più acconcio a ciascuno dei condannali (') ». Certo che per servire a questo concetto il celebre direttore del carcere di Wormsood-Scrubs, in Inghilterra, non ri- nuncerebbe al sistema dal Governo adottato e da luì con — 373 — tanta accuratezza, tanta vita, e tanto cuore eseguito ; dove i condannati lavorano tutti , ninno escluso , nò ricevono mercede che sia; dove, cosi da un illustre visitatore di quel carcere e giudice competentissimo fu scritto: «dove il con- tegno de' carcerati è di chi si sente più debole della so- cietà punitrice, per cui non immaginano neppur possibile la rivolta ; dove, prosegue, alcuni anni di cotal vita miglio- rano l'uomo, e lo spavento di ritornare fra quelle mura agi- sce sul cervello più indurito del delinquente, avesse nel cra- nio le maggiori asimetrie, e gli orecchi ad ansa, o le cellule nervose cariche di granulazioni pigmentah ». E il Du Cane, il benemerito direttore di quel penitenziario, soggiungeva al visitatore De Renzis : « È alla nostra inflessibilità dell'espia- zione, è alla severità imperturbabile de' nostri regolamenti ch'io reputo doversi attribuire la rapida discesa della delin- quenza. » Né per fermo giunge in quel carcere la scuola dei nuovi orizzonti, che nega ogni correlazione tra la pena e il delitto, e grida impossibile la equazione tra una coltellata e vent'anni di galera. Intanto fra queste grida, che non si vo- gliono proprio accogliere colaggiù, è provato, che in Inghil- terra la popolazione crescente canimina in senso inverso della criminalità, e le condanne gravi che nel 1870 erano I 1890, nel l88o furono 8533, cioè 3357 di meno. Lo sco- po è questo : le dottrine che Io infermassero e porgessero ansa al delitto sono respinte dalla forza ineluttabile dei fatti, e fa d'uopo unirsi col De Renzis nello esclamare : Onore al- l' Inghilterra maestra nella Riforma carceraria. Ora mi sia concesso toccare fuggitivamente di alcuni altri più speciali argomenti che si discussero e delle con- clusioni che se ne diedero. Importantissimo era quello, che si trattò più incidentalmente che di proposito, né gli si diede quel largo sviluppo che meritava , intorno al concedere più valida azione al potere politico e ammi- nistrativo in alcune circostanze, anziché deferire i col- — 374 — pevoli al potere giudiziario e quindi alla Procura del Uè, che, infliggendo un marebio indelebile sul condannato, ne adombra o spegne la dignità morale, e lo cancella, a dir cosi, per sempre dal banchetto di quella vita, cui senza tal macchia avrebbe partecipato. Era questione de- licatissima. Trattavasi di togliere ad una pena infamante parecchi che non 1" avessero meritata e quindi riservarli alla esistenza dei galantuomini, segnatamente se giovani, di oneste famiglie, e senza precedenti delittuosi; ma si può agevolmente per questa via incorrere nel difetto con- trario, allentare il necessario ligor della legge, e offenderla troppo gravemente con indebile parziahtù. I giurati hanno in parte questo mandato, ma d'ordinario, quando comincia la loro azione, l'accusato è soggiaciuto alla prima parte della sua condanna, udì la pubblica manifestazione de' suoi reati, il carattere morale dell' individuo rimase inesorabil- mente ferito, e, se rinchiuso nel carcere preventivo, per la mala compagnia e per T aria dominatrice di quell'ambiente, vi si è attaccata d' intorno una tal pece che, tranne per la prima età minorenne, né volger d' anni, né ripetizione di prove non potranno tergere affatto giammai. Tutti poi che si trovarono presenti all' adunanza generale del 20 novem- bre convennero nelle proposte dello Stevens giù preordi- nate nella seconda sezione: Che le prigioni locali destinate alla detenzione preventi- va 0 alla esecuzione delle pene di breve durata, devono es- sere organizzate in base al sistema della separazione indivi- duale. Che il regime de' prevenuti dev' essere esente da tutto che può rivestire il carattere di pena. Che i condannati alle pene di breve durata devono sot- tomettersi ad una prigionia semplicemente repressiva. È indicibile il danno morale che nasce dall' accomuna- mento delle età, delle condizioni, delle indoli diverse nel — 375 ~ medesimo carcere, ove spesso il giovane imberbe, il passio- nato e inconscio delinquente, il violatore di una legge disci- plinare si trovano insieme a valcnluonùni che rappresenta- no l'aristocrazia della malvivenza, ed hanno per iscopo di trarre gli altri nel proprio fango. E non è raro il caso di coloro che, ricevuto nel carcere rammaestramento del ma- le, pasciuti in quell'ozio corruttore dai piacevoli racconti di gesta malandrinesche, sedotti da fatti deplorabilissimi, rien- trano nella vita anteriore alla coercizione, presentandovisi con nuove armi forse per lo innanzi ignorate, ond'è che cia- scuno dì questi sciagurati diviene, dirò con un esperto giudi- ce e direttore di carcerati, un centro infettivo nella cerchia della sua condizione, e non va guari che il novello eroe ri- torna al carcere per altro delitto trascinandosi a'fìanchi uno o più de' suoi compagni di lavoro, che forse senza il suo incitamento sarebbero stati sempre onesti operai. E aggiun- geva che i reduci dalle pene criminah, quantunque ancora in verdi anni, raramente U aveva rincontrati per la via del delitto ; ma che invece le carceri preventive, e così dette di correzione, producevano effetti contrari a quelU che la so- cietà sperava raggiungere, provando cosi che sono assai da meno del loro compito. Direi pure che anche nelle carceri penitenziarie cellulari, e con la prescrizione del silenzio, una separazione tra questa e quella natura di condannati torne- rebbe utilissima. Anche le visite a' carcerati di persone in- telligenti e caritatevoli o di commissioni a quest'uopo insti- tuite, la maniera di concederle e farle, gli ostacoli e pericoU che vi s' incontrano, i frutti che possono derivarne richia- marono a sé le serie considerazioni e l" ampie discussioni dei congregati ; e 1' ultimo risultamento fu questo, procla- mato dall' avv. Martini neh' assemblea generale del 22 no- vembre a nome della terza sezione : « Le visite ui detenuti fatte dai membri della Società di patronato, o in loro mancanza dalle associazioni di beneil- — 370 - cenza estranee airamniinistrazioQe, dcbl)ono essere autoriz- zate e incoraggiate, sotto riserva dell'osservanza del regola- mento ed in modo da evitare qualsivoglia dualismo d' in- fluenza o d' autorità La conversazione del visitatore col detenuto dev' esse- re, per quanto sia possibile, libera, senza la presenza di un guardiano ». Giù nel Congresso di Stocolma la medesima tesi o simigliantissima era stata discussa da personaggi au- torevolissimi per dottrina, per esperienza e per grande amo- re della umanit;*! e del suo bene, e la conclusione fu che, se fu stabilita la necessità del patronato (■), questo senza la visita nel carcere perdeva una ruota del suo ingranag- gio C) ; che la visita fatta nelle prigioni dai membri bene scelti delle Società di patronato era il mezzo essenziale per renderlo efficace (') ; e che interdire ai delegati delle Società di patrocinio la visita delle prigioni equivaleva a paralizzarlo (^). Con brevi parole, ma con molto senno un insigne nostro magistrato (^), la cui autorità viene a buon diritto invocata nella breve ed erudita Memoria che su tale argomento presentava al Congresso il eav. Cesare Pratesi, affermava, che: Scegliere con molla cura ì visi- latori di concerto colle atitorilà carcerarie è il congegno necessario perchè l' opera riesca seria ed efficace ad un tempo (^"). Stupenda è la relazione che intorno ai consigli o commissioni di sorveglianza e visitatrici delle carceri face- va l'Hardouin, consigliere ordinario alla Corte d'appello di Donai, mostrandone i vantaggi e adducendo ragioni e fatti che non possono far a meno di trar seco la persuasione di qualunque ami tornino anche le carceri, o luoghi di puni- zione, domandata inesorabilmente dalle leggi, a' centri mo- ralizzatori dei delinquenti : a trarli dal pervertimento, cui si lasciarono trascinare, e a i-imetterli membri utili di quella società che avevano gravemente offeso e contaminato ; e pieni di affetto e di osservazioni acute delicatissime sono gli - 377 — appunti che jniss Dovcnport-IIilI porgeva al Congresso in- troducendosi con hi narrazione semplice, ordinata del bene che una sua illustre compatriota Elisabetta Fry, associata- si fino dall'anno 1813 ad Anna Buxton, avea prodotto nel- Tordinamento delle prigioni, rimediando ad infiniti mali, che rigermogliavano intorno a lei, e dopo anni ed anni d'opero- sità perseverante, cosi la Dovenport, ed anche di amare di- sillusioni, era Qnalmente riuscita a stabilire tra le carce- rate la decenza, l'ordine, il lavoro, migliorando la condizio- ne morale e insieme la salute fisica di quelie infelici; sicché la evidenza dei frutti, ch'ella ne colse, valse a richiamare l'at- tenzione pubblica, fu richiesta del suo parere sulla maniera pili opportuna al governo delle carceri, parecchie leggi vi si informarono, e la sua patria, conchiude, le deve molte im- porlanli riforme Icoislative circa la disciplina carceraria. Nel Congresso di Stocolma, con vero intelletto d'amore a si- mili uffici, affermavasi che devono essere originati dagli sforzi spontanei del sacrificio individuale, che soli possono impartire e conservare la vita a codeste instituzioni ; e lllar- douin con giustissimo criterio avvertiva, che bisogna tener bene attentamente lungi il sospetto che i visitatori e le pie vi- sitatrici del carcere vogliano o possano partecipare all'auto- rità disciplinare o repressiva. Sieno d'origine officiale o libe- ra, le commissioni visitatrici collaborano al tranquillo e pro- fittevole avviamento delle condizioni, segnatamente morah, de'carcerati;ma non possono entrare per nulla nella sfera d'a- zione clì'è prescritta agli ordini di servizio : il tentato emen- damento dee procedere di pieno accordo e senza confondersi minimamente con Fesecuzione della pena; poiché, fare altri- menti, ogni indebita e ambita usurpazione dalfun canto, ogni sospetto dispettoso dall'altro, comprometterebbero ogni suc- cesso, tornerebbero a grave impedimento e danno, e finireb- bero col rendere assai pericolosa, e ai direttori carcerarli odiosissima una provvida inslituzione destinata ad ajutarU — 378 — nell'esercizio dei propri assai difficili e penosi doveri, e a recare ai detenuti il conforto del bene, e la speranza di men triste, o, a dirlo con maggior carità, di più consolato avve- nire. Da tutto questo rilevasi e per la somma importanza e delicatezza dell'ufficio da prestarsi e pei riguardi infiniti che si devono usare, quali persone e di che doti fornite dovreb- bero appartenervi. Che se la Dovenport-Hill metteva innanzi la sua Elisabetta Fry, come la Francia la sua Gilbert, noi potremmo a'giorni più recenti addurre l'esempio della mar- chesa Giulia di Barolo, ben nota per le sue innumerevoli opere di carità, e fra queste per la cura amorevole e profìtte- vohssima delle carcerate, animata in ciò dai consigli e dalle prestazioni indefesse dell'illustre prigioniero dello Spielberg ed ospite suo, e fatta libera dal Governo nelle sue visite educatrici , consolatrici . E tante e tante ritornate a vita buona, operosa, ridonate fruttuosamente alla famiglia e alla società benedicono ancora al suo nome. Altro, o riveriti colleghi, in questa parte che i corpi striati, che le dure e pie madri, che i gangli, che i lobi e le protuberanze cere- brali, non già per l'esistenza loro, ma per la continua forza irresistibile che se ne vuol derivare, smentite dalla vigile carità, dalla instancabile e intelligente operosità del bene ! Alle commissioni, agl'intelligenti e pii visitatori e alle ca- ritatevoli visitatrici del carcere è immedesimalo il patroci- nio de liberati. Senza di questo le sollecitudini moralizza- trici man mano illanguidiscono e tal fiata ancora si spen- gono. Le conclusioni dell'Hardouin proferite dalla tribuna nell'ultima adunanza dell'assemblea generale 24 novem- bre, e che per la loro importanza addurrò in nota, mirano a questo, essendo ufficio, egli proclama, dei comitati visi- tatori preparare o procurare il patronato dei liberali (**). Rispetto a ciò fu unanime il voto e nelle parziali sezioni e nell'assemblea ; la necessità di un patronato pei liberati del carcere fu universalmente accolta e proclamata; ma vivis- — 370 — sime opposizioni incontrò, così nella terza sessione come nell'assemblea generale, la proposta della erezione ed apri- mento degli asili pei liberati. E quando il consigliere Fucbs nell'asseniblen generale del 21 di novembre sorse a propu- gnare in nome della maggioranza cbc il Congresso espri- meva il voto : 1." cbe fossero stabiliti dei rifugi pei detenuti liberati in ciascun paese a seconda dei bisogni ; 2.° cbe i Governi favorissero la creazione e lo sviluppo di siffatti rifugi ; , 3.° che la organizzazione e la direzione di siffatti sta- bilimenti spettassero alla beneficenza privata ; ma che tut- tavia lo Stato, come le corporazioni, dovessero nell'interes- se pubblico accordare a simili inslituzioni larghi incorag- giamenti ; 4." che questi rifugi avessero indole transitoria, e che il loro regime fosse di tale natura da facilitare il reintegra- mento dei detenuti in seno alla società civile ! chiedeva parlare l'eloquente avv. Ranzoli e leggeva una relazione, in che sostenne le conclusioni della minoranza della sezione, assolutamente opposte a quelle presentate dal Fucbs ; e nell'arduo conflilto con ingegno pari alla invi- diata forza della parola gli asili furono pure impugnati dal senatore Canonico, e venuti alla votazione le proposte del Fucbs furono rigettate a maggioranza grandissima. Già nel seno della speciale sezione, se la simpatica voce dell'egregio avv. Pavia erasi fatta accogliere con attenzione benevola e con plauso, quando perorava la causa dei visitatori e delle pietose visitatrici delle prigioni ; debitamente encomiava i patronali pel collocamento al lavoro e per la salvezza dei liberati dal carcere; e descriveva con riverente affetto l'e- sempio degli asili Iransitorii, benefica instituzione del suo Ronchetti, il quale, consecrandovi iidia la sua intelligente operosità^ avea saputo il primo in Italia addiiarli a fine Tomo IV, Serie VI. 49 — 380 — di provvedere al certo avvenire del patronato esterno, il conim. Peruzzi era sorlo, non già u comballcre in par- ticolare la insliluzione del Ronchetti, sibbene in generale la raccolta insieme in un laboratorio comune dei liberali, sia entro le mura di una cittù, sia alla campagna, avvalorando della propria esperienza come filantropo e come ministro il suo ragionamento, e volendo poi sottratta affatto da tali, secondo lui, non opportuni provvedimenti, ogni ingerenza governativa. In quel giorno, concedete, o signori, che ac- cenni anche questo, io me gli appressavo chiedendogli se nel suo ostracismo dato con tanto calore di parola agli asili di patronato pe' liberati dal carcere, intendeva comprendere anche le case od instituti pe' minorenni, e avendomi rispo- sto che no, anzi li favoriva, mi tacqui, preparalo altrimenti a rompere anch' io la mia povera lancia in loro difesa ; ma di ciò più innanzi. La scuola nel carcere ebbe un infaticabile ed elo- quente propugnatore nel prof. Taverni della Università Padovana. Ne' giornali, in ispecie didattici {'^), e nelle se- zioni, massime nella terza, in cui fu discussa la lesi dell'am- maestramento carcerario, pigliò calorosamente la parola sulla convenienza e sui modi opportuni d'introdurre gene- ralmente, ordinatamente nel carcere questo beneficio come profittevole occupazione, come possente sussidio moraliz- zatore dei detenuti. Coloro delle varie nazioni che parlaro- no a questo riguardo e presentarono scritti o relazioni parziali unanimamente accordaronsi nel proclamare la uti- litù dell' ammaestramento carcerario, e ciascuno, a dir cosi per suo conto, venne additando i modi usali dal suo Governo o dalle speciali direzioni delle carceri ad ottenere r effetto desiderato, eh' è quello, come afferma il doti. Am- nitzbell delle carceri di Danimarca, nelle quali l' insegna- mento è de' meglio ordinati, di contribuire a preparare la riabilitazione del condannato. Alcuni felici tentativi, ma per — 381 — così osprimcrini inJivitliiali, si fecero anche presso dì noi, e basterebbe a mostrarlo il libro che pubblicava il prof. Mar- tello, si benemerito della istruzione de' prigionieri, con alcuni preziosi avvertimenti del Tommaseo. Ma nel Con- gresso internazionale Penitenziario di Ronia, a nome della terza sezione, il Taverni (e spettava proprio a lui que- st'onore) proclamava : 1." Ritenere il Congresso che in ogni Penitenziario di ambo i sessi debba esservi una scuola nella quale s'insegni almeno a leggere, scrivere e far di conto, si dieno istru- zioni sugli oggetti d'uso nella vita e nelle industrie, e, s' è possibile, qualche lezione di disegno. 2.° Che si debba inoltre dare ai detenuti dei due sessi l'istruzione operaia, insegnando loro arti e mestieri perchè possano guadagnarsi da vivere dopo la liberazione. Il consenso dell'assemblea generale alle proposte fu una- nime. La convenienza della loro applicazione è apertissima. Il tempo, il modo nel generale ordinamento penitenziario, la spesa occorrente a metterla in alto, che sono d'ordinario gl'impedimenti al muoversi della gran ruota anche ne' con- sigli e desiderii migliori, sarà d' uopo che si appianino e vi consentano. Intanto aver conosciuto quanto si fece e si va facendo anche per questo scopo a profitto di tanti sciagu- rati presso le civili nazioni, esser dato alle accennale pro- poste unanime il voto da personaggi per mente, per istudi, per esperienza, per fama, e per amore del bene della uma- nità sì ragguardevoli, è cosa utilissima e sarà certo non infeconda. Alla trattazione di questo argomento si connette l'altra dei mezzi educativi che alla domenica e nei giorni feriali debbono adoperarsi come complemento dell'istruzione re- ligiosa. La tesi, come scorgesi, data nella sua integrità da- gli ordinatori del Congresso internazionale alla discussione del mondo civile, mette per fondamento educativo dei de- — 382 — tenuti un principio che luluno de'pieseuli avrebbe respiuto, senza però sapere che cosa sostituire a salutare coriezioue e a (ieOnilo, securo, inviolabile governo della coscienza ; e domanda, come utile occupazione della giornata, altro da aggiungere a questo principio fondamentale. Il Guillau- me, direttore del Penitenziario di Neuchàtel, rHollzendorff, professore airUniversitù di Monaco, l'Yvernès, capodivisio- ne al Ministero di Grazia e Giustizia in Francia, il Garris- son addetto alla delegazione ufficiale francese, la signora Oppezzi, incaricala delTispezione generale degli stabilimenti educativi correzionali delle giovanelte in Francia, la signo- ra Bogelot, direttrice dell'opera Pia di S. Lazzaro a Parigi, e la signorina Lidia Poet, Pinerolese, e laureata in giuri- sprudenza, che un giorno nell'espansione, libera dell'anima sua diceva, che se non si fosse volta agli studi, si sareb- be fatta volentieri suora di Carità (qui mi piacque porgere circostanziati, passi la parola, questi nomi come segno de- gli elementi, ond'era composto il Congresso internazionale) presero viva paiate alla discussione. E per riferirne all'as- semblea generale del 24 novembre all' Arenai assente fu sostituita la giovanetta Pinerolese, una tra le più assidue frequentatrici del congresso. Incoraggila dagli applausi salì la tribuna e commossa leggeva: I .° Il Congresso emette il voto che ciascun detenuto dei due sessi sia libero di scegliere quella che più si convenga fra le varie occupazioni che il carcere mette a sua diposi- zione. 2.° Queste occupazioni saranno, secondo i paesi, la cor- rispondenza con la famiglia, la lettura, la musica, il dise- gno, la scultura in legno ecc. ecc., la partecipazione ad opere di beneficenza, e il diritto d' assistere a conferenze promosse dai mecQbri delle societù di patronato sugli ele- menti della morale, del diritto e di altre scienze. Come sali applaudita, egualmente dalla tribuna discese. - 383 - Fu mcroeclo clic si porse alla coslanzii clcYroposili, ali inge- gno, allo stiulìo ed alla modeslia. Ritornando poi alle serie nostre considcrnzioni penitenziarie, è cerio che dove un carcere modello potesse rendere possibile, ed offrir lutto questo con la riabilitazione degli sciagurati che vi dimora- no, sarebbe toccare il sommo delle aspirazioni della Glan- tropia e della cristiana carità. D'altri ed altri argomenti potrei discorrervi pienamente discussi e definiti; d' altri, pel tempo troppo ristretto e per le difficoltà occorse, lasciati in sospeso. Potrei e vorrei pu- re accennare alla deportazione sostenuta dal De Foresta ; alle case d'isolamento per la prevenzione eie minime pene; alla repressione del vagabondaggio, giusta le proposte del Fuchs, questa volta più fortunate che non furono quelle sugli asili o case di lavoro pei liberati dal carcere, e via via; ma la relazione si è già allargata di troppo perchè non cerchi di raccorciarla, bastando solo che tocchi ad uno di quegli argomenti che sta certamente a cuore di tutti noi, e eh' è parte si viva dell' odierno e del futuro ordinamento sociale; ed è dei giovani abbandonati, viziosi, colpiti dalla umana giustizia, spesso carcerati prima, affidati poscia ad un reclusorio, o riformatorio, o stiibilimento di minorenni, o colonia agricola. I provvedimenti per questi giovani scia- gurati egli ospizii a raccoglierli creati dalla iniziativa privata di uomini mirabilmente caritatevoli, da filantropiche associa- zioni, dalla cristiana carità, dalle urgenti necessità de! Go- verno sono innumerevoli, e variano giusta le condizioni di- verse de'paesi presso i quali vennero istituiti. Ma tutti han- no uno scopo comune: togliere al vagabondaggio gli ab- bandonati, sottrarre a maggiori delitti i delinquenti, cor- reggere i colpiti dalla umana giustizia, e ridonarli, per quanto meglio si può, alla società, della quale sarebbero inesorabilmente divenuti cancrena vituperosa, contamina- trice, membri risanati, rinvigoriti ed utili perchè abituati — 38't — al lavoro e all'iKlompimonto del proprio dovere. Parecchie relazioni stupende che trattano di quest' argomento impor- tantissimo furono presentate al Congresso; tra queste una del Moldenhawer, giudice presidente del Tribunale di Var- savia e delegato al Congresso dalla Associazione delle co- lonie agricole di Stoadzònetz, il quale distingue questi in- felici, già preparati fin dalla tenera etù per l'ambiente con- taminato delle proprie famiglie, pel criminoso abbandono o pell'inforlunio ai reformatorii e alle carceri penitenziarie, in due gruppi : quelli che furono tratti dinanzi a' tribunali per essere criminalmente giudicati; quelli che non sono an- cora giunti fin là, ma che celeremente vi tendono; un'altra più vivace ancora del Randall di Coldvvater nel Michigan, il quale è così innamorato del sistema di prevenzione in fa- vore dei giovani miseramente abbandonati o tristamente traditi dalle loro famiglie, che si rivolge allo Stato, chia- mandolo responsabile della educazione intellettiva e morale della gioventù, affine di renderla capace di guadagnarsi onoratamente il proprio pane e di sostenere utilmente la parte che Tè assegnata ; e altamente esclama : « che ogni buon governo dee stabilire che il padre che corrompe il proprio figlio e lo alleva nella mendicità abituale e nel fur- to di professione, o gì' inculca ogni altra maniera di vizio e di delitto, dev' essere considerato come nemico della socie- tà ; ed è sacro dovere dello Stato strappargli il figlio ch'egli corrompe, affino di collocarlo in un' atmosfera più favore- vole alla sua educazione (^^) ». Permettete, o colleghi rive- riti, una brevissima digressione: E i nostri giovani, che fre- quentano le scuole primarie aperte con dispendi sì gravi dai Comuni e dallo Stato, onorano forse la provvida insti- tuzione e arrivano al loro fine? Sono trent'anni, concede- temi anche questo sfogo, eh' io vo' gridando in ogni cir- costanza che mi si porge, che senza associare, quando giun- gono Tetà che ne sia capace, senza associare alla scuola il — 385 - lavoro tradireuìo i nostri educali, li daremo alle piazze, alle vie e a quanto di peggio conduce l'ozio raflìnalo e aiidMzio- so, e alla vita delle crittogame struggitrici. Dopo si lungo sonno e dolorosa esperienza del male pare finalmente che ci Siam desti. Ma progredendo così avremmo accresciuto di mollo il contingente delle carceri e de' nostri penitenzia- ri per quel mezzo stesso clie si voleva e credeva destinato a scemarlo. Torno dunque per la centesima volta a ripetere: non lavoro senza scuola, anche pel popolo, ma neppure scuola senza lavoro. Mi riconduco a' nostri minorenni. Se molte le memorie, furono pur molte le private e pubbliche discussioni fra' membri del Congresso internazionale a que- sto riguardo. Le conclusioni recate all'ultima seduta del- l'assemblea generale e le ultime pure pronunciate dalla tri- buna, a nome della prima sezione affidate al deputato Lastres e unanimemente approvate son queste: l.° Il giudice deve avere la competenza di ordinare che un giovane delinquente prosciolto per aver agito senza di- scernimento, sia collocato in un Istituto di educazione o in una scuola di riforma. La durata di soggiorno neiristiluto sarù fìssala dal giudice, che però avrù sempre il diritto di far cessare tal soggiorno, quando siano cessate le circo- stanze che ne motivarono l'invio. il soggiorno nello stabilimento può essere diminuito con la liberazione provvisoria dei giovani , i quali però continueranno a rimanere sotto la sorveglianza della di- rezione dello stabilimento (provvidenza uiUissma). 2." Il giudice deve avere la competenza di ordinare che la pena privativa della libertà pronunciata contro un gio- vane delinquente sia subita in uno stabilimento di educa- zione o in una scuola di riforma. Siffatta esecuzione di pena non può aver luogo che in un pubblico istituto. 3." Facendo completa riserva da ciò che si trova stabi- - 386 — lito dalla legislazione dei diversi paesi sulla potestà e cor- rezione paterna, il Congresso esprime il voto, che svilup- pando i diritti acquisiti del padre nei Ogli, il legislatore s'i- spiri air idea capitale di rispettare integralmente 1* autorità senza limiti del capo della famiglia onesta e libera da ogni soggezione contraria ai figli. La correzione paterna deve aver sempre carattere pri- vato, famigliare e segreto, senza che essa abbia come con- seguenza, alcun antecedente criminale, e senza che possa avere alcuna conseguenza penale o penitenziaria. Fatta già notte seguirono, incominciando dal Re, i rin- graziamenti e i saiuti votali per acclamazione. E poiché l'ultime parole della mia relazione, come fur quelle del Congresso, toccano i riformatorii de! minorenni, e noi ab- biamo il vanto di possederne uno de' più popolati e ben di- retti d'Italia; così mi sia dato aggiungere in proposito brevissime considerazioni. Allorché accennai che al Pe- ruzzi che combatteva contro gli asili pe' liberati dal car- cere, chiedevo se comprendesse anche quelli de' minorenni perchè avrei presa la parola a difenderli, e mi rispondeva che no, avevo presenti e toccavo con mano i vantaggi che da essi, purché siano ben diretti, derivano. Ma fa d'uopo che i giovani, che vi si affidano, vengano, a dir cosi, rifatti ; fa mestieri che si dimentichino essi e facciano di- menticare il loro passato ; fa mestieri che dal riformatorio, neppur lo chiamerei con siffatto nome, che dall'istituto esca- no come ribattezzali, e che nulla macchia de' loro trascorsi vi rimanga. Che se, mettiamo il caso nostro, ne' duecento e settanta che vi dimorano v'ha chi non si piega alla disci- plina, è irrequieto, ostinatamente discolo e corruttore, si allontani, e un luogo speciale di severa disciplina, né man- ca, giusta il metodo carcerario, lo accolga. Non è permes- so che per sei od otto scapestrati indomabili ducensettan- Iq patiscano; e con essi patisca la educazione onesta, fran- — 387 — caraente ordinata, o lìberamente operaia. Se il capo è vera- mente degno della sua missione, se la comprende e con in- telligenza d' amore la applica, se diventa come padre di quella famiglia numerosissima, affettuosamente severo e ine- sorabile nell'esatto adempimento d'ogni dovere ; se fa il la- voro principale compagno di quelle giovani vite, se amico della scuola e degli alti principii religiosi e morali si ado- pera incessantemente nello imprimerli in que'cuori non an- cora pervertiti, il miracolo è fatto, e usciranno di là come escono di continuo, dal nostro stabilimento de' minorenni, de' giovani robusti, che contrassero le abitudini dell'ordine e del dovere e provano la soddisfazione di proseguirla, e che anche nelle file del nostro esercito perfezioneranno l'o- pera impresa con tale riforma di so e con tanto frutto nel- l'asilo che lì ha rigenerati, e non cesseranno di amare. Al- lorché vidi in Tivoli, che fu eretto quasi riformatorio modello, delle grate di ferro che serrate a chiave nottur- namente, quasi altrettante piccole celle di un carcere, cu- stodivano quella assegnata a ciascheduno di loro, pensai che que'modelli non fossero per la educazione di giovani che devono essere cresciuti alla dignitù della vita dell'onesto e laborioso operaio e stendere un pieno obblio, come avviene se persevereranno nell' adempimento del dovere, sugli anni primi delle loro, per gran parte irresponsabili, prevarica- zioni. Ad un carcere, o quasi carcere, il giovane riabilitato non ritorna nò con un pensiero affettuoso, né co' suoi passi ; ma si ad un istituto che lo ha redento, e con gratitudine cara a coloro che lo governano {**). Quando cinque o sei giovani eletti fra molti compagni vengono per sé e in nome degli altri a porgere gli augurii del nuovo anno e a rin- graziare, e, domandati, vi ripeto le lor parole, rispondono: il tale é nell'officina dell' intagliatore, il tal altro in quella del falegname, tre o quattro del fabbro-ferraio, molti più neir esercito, nel cotonificio, nell'isola di S Eleua addetti Tomo JV, Serie VI. 50 I — 388 — al grande stabilimento delia società edificatrice, altri noi selificio, e guadagnano da due, Ire, fino a cinque ì'h'q il giorno; e ehi provvede a' fratelli e alle sorelle minori, chi all'infermo padre, chi fu in istato di porgere alla mal nu- trita e albergata madre una stanza confortevole, un pane sicuro, allora ci si allarga il cuore fino alla commozione, e si crede alla possibilità, perchè si vedono i fatti, di questa grande riforma da sperare, da conseguire. La criminalità e il pauperismo sono due gravissime piaghe inerenti ad ogni umana associazione per quanto meglio ordinata ella sia. Raccorciarne i margini, scemarne gli effetti dolorosi è stu- dio ed opera indefessa dei Governi civili, degli uomini della scienza, della filantropia, della cristiana carità. Anche il Congresso Penitenziario Internazionale vi recò il suo tri- buto, se con profitto, lo dirà l'esperienza. ~ 389 — (1) La iscrizione fatta apporre da Clemente XI sull'ospizio dei minorenni corrigendi è questa : Clemens XI Pont. Max. perdi- tis adolescentibus corrigendis instituendisque , ut qui inertes oberant, instriicti Reipublicae serviant ann. MDCCIV. Pont. IV. (2) Fatto curioso. Esponevasi una immagine del crocefisso, sot- t'essa una scritta col nome del supplicante, e gli offerenti vi si sottoscrivevano segnandovi pure la somma esibita; ecco un esem- pio: « Il povero ed infelice De Colo da Lago, vecchio, in età dccre- » pita sempre infermo e carcerato, avendo già terminato il suo » tempo de la condanna per li Illustrissimi ed Eccellentissimi Pa- » troni a la casa dcll'arsenal, non può uscire di carcere se non vie- » ne ajutaio dai fedeli cristiani con qualche abbondante carità, se- » curi i fedeli di Gesù Cristo di ricevere il centuplicato premio co- li) lassù nel cielo ; e si obbliga il meschino vecchio offerire voti a » S. D. M. per li suoi benefattori tutti ». (3) La Memoria , o' Studio , del Sagredo ha per titolo : « Il Patronato dei carcerati in Venezia sotto il Governo della Serenissi- ma Repubblica » : e fu inserita nel volume XII delle Memorie (1865). Quella del Gecchetti: « Delle leggi della Repubblica Veneta nelle carceri e di un'opera del sig. Martino Beltraiii-Scalia » ; in- serita negli Atti dell'Ateneo. In quella seduta uno degl'intervenuti, chiesta la parola, diceva all'autore, che gli sarebbe paruto utile un cenno di confronto tra i supplizii a cui venivano sottoposti i rei in Francia o a Venezia, essendo appunto gli scrittori francesi che do- po la caduta della Repubblica, a scemarne l'iniqua oppressione e il — 390 — mercato che se ne era fallo, uè aggravavano anche a prezzo di ca- lunnie, le condizioni, cui era ridotta. Ma il Gecchetli rispose : che ciò propriamente non formava parte della sua memoria. (4) Il senatore Canonico Tancredi, consigliere alla corte di Cassazione in Roma, nella sua Relazione che ha per titolo: «Una visita fatta a parecchie Prigioni di Europa in occasione del Con- gresso Penitenziario di Roma », già pubblicata nel Bollettino della Commissione. (5) Circa la necessità del Patronato la proclamazione fatta dal Congresso di Stocolma fu questa : « Che il Patronato era il complemento necessario di una disci- plina penitenziaria riformatrice, quindi facevansi voti perchè fosse questo esercitato a profitto dei liberati, che durante la loro reclu- sione avessero dato prove d'emenda, constatate sia dall'autorità pe- nitenziaria, sia dai visitatori delegati dalle Società di Patronato ». (6) Armengol y Cornei, avvocato rappresentante la deputazione provinciale di Barcellona. (7) Robin delegato della Francia. (8) Léfébure, già sotto-segretario di Stato, rappresentante il Con- siglio superiore delle prigioni di Francia. (9) Il coinm. Paoli, primo presidente della Corte d'Appello in Firenze e senatore del Regno. (10) « Alcune riflessioni sulla Tesi "V della terza sezione del Congresso Penitenziario Internazionale di Roma». Firenze, tip. Ricci, 1885. (11) Le conclusioni approvale sono le seguenti: 11 Congresso opina : 1.° Che è indispensabile di creare presso ogni stabilimento, ove si espiano pene privative di libertà, una instituzione avente il prin- cipale scopo di vegliare sulla sorte dei detenuti, di ajutarne assi- duamente la emenda e il miglioramento morale, e di procurar loro pel tempo della liberazione il beneficio del patronato. 2." Senza intendere di derogare all' autorità della legiblazione, che regola in un certo numero di Stati i comitati e le commissioni delle carceri, il Congresso crede utile di prendere in c'insiderazione le proposte cosi concepite : — 391 ~ a) Un Coiuituto di viu;ilaiiza e di assistenza penitenziaria insli- tuito in forza di provvedimento preso dalla pubblica autorità deve esistere presso tutti gli stabilimenti di detenzione penale. b) Il Comitato si comporrà di membri designati dalle stesse au- torità e scelti specialmente tra i funzionarli in ritiro, ed altre per- sone di una moralità e idoneità notoria. Il numero dei membri sarà in relazione con l'importanza dello stabilimento. Faranno parte della Commissione, di diritto, uno o più membri del servizio giudiziario del distretto ove sorge lo stabilimento, co- me pure uno o più rappresentanti dell'autorità amministrativa dello stesso distretto. e) Non deve risultare dall' istituzione di una Commissione o di un Comitato di vigilanza e d' assistenza penitenziaria alcun atten- tato alla unità di direzione dello stabilimento, principalmente in ciò elle concerne il servizio penale e disciplinare, del quale la di- rezione ha necessariamente la responsabilità. d) L' azione dei Comitati o delle Commissioni ha luogo sotto l'autorità della direzione superiore degli stabilimenti penitenziarii. e) Le attribuzioni di queste Commissioni consistono principal- mente : nel partecipare sotto forma di parere alle misure aventi per oggetto il lavoro, l'istruzione morale e religiosa, la esecuzione dei regolamenti relativi alla disciplina dei detenuti , e a proporre , ove sia necessario, all'amministrazione generale quelle riforme che si giudicheranno necessarie al buon servizio dello stabilimento ; nell'emettere un parere su ogni proposta di grazia, di riduzio- ne 0 condono di pena o di liberazione condizionale ; nel preparare o procurare il patronato dei liberati ; neir incaricarsi dell' attuazione delle prescrizioni relative prin- cipalmente all' igiene, all'alimentazione e al mantenimento dei de- tenuti, ed a concorrere al controllo d'ogni provvista di fornitura o contratto d'imprese che riguardi i servizi medesimi. Queste conclusioni, benché approvate nella forma indicata dal- l' assemblea generale, non le crederei di quella semplicità che ad- dimandasi in tale argomento delicatissimo. Di più le attribuzioni che si vorrebbero deferite alle Commissioni visitatrici soverchiano. - 392 - e assai diflìcilmeate i governi e le direzioni delle carceri vi si presterebbero. Diverrebbero cosa diversa da quella che additavo nella relazione. Era mestieri però che aggiugnessi tutto questo, af- finchè non mi si rimproverasse la men che esatta fedeltà nella nar- razione. (12) (i Della scuola nelle carceri ». Relazione al Congresso Pe- nitenziario Internazionale in Roma del prof. Romeo Tavemi. Veg- gasi « r Istitutore » , foglio settimanale che pubblicasi in Torino sotto la direzione del prof. Vincenzo Scarpa, dalla tip. G. B. Para- via e G. (13) Un gran cnore ed una conoscenza intima dei dolori e dei vizi del popolo dettarono la relazione del R andati. Parla, a mo' di esempio, dell'assassinio, che fanno i genitori de'propri figli e scri- ve : « I parenti caduti in una miseria cronica, e i più viziosi e più degradati sono d'ordinario i più insistenti a ridomandare i propri figliuoli. Parecchie madri sciaguratissime, cercarono di rientrare in possesso delle lor figlie per gettarle nel fango, in cui esse me- desime si trovavano immerse. In uno di cotesti dolorosissimi fatti, una giovane, assai bella, ma depravata, alla quale si porgeva il consiglio di ritirarsi da una maniera di vivere cosi triste , rispose : È inutile : troppo tardi ! troppo tardi ! Se non fossi ritornata presso mia madre, eh' è causa della mia perdita, avrei potuto mantenermi pura, al pari d'ogni altra giovane; ma sono per- duta per sempre. E lodando la povertà onesta e laboriosa escla- ma con Emilio Souvestre : « 0 dolce Povertà vieni a me con le tue sorelle la Pietà, la Pazienza, la Sobrietà, la Solitudine. Siate le mie educatriri ed insegnatemi gì' inviolabili e sacri doveri della vita ; respingete dalla mia dimora le angosce del cuore e le verti- gini seguaci della prosperità ; insegnatemi a sopportare senza la- menti, a dividere beneficando senza esitanza, a cercare il fine della mia esistenza ben più in alto dei piaceri, ben più lontano dell'uma- na potenza ». E di tal modo in ogni pagina di questo scritto. (14) Non posso far a meno di aggiungere, se non altro in nota, che una delle provvidenze necessarie pei riformatorii ed istituti di codest' indole sarebbe la separazione cosi ne' dorrnitorii come nelle ricreazioni; e, se fosse possibile, nelle stesse officine dei giovanetti — 303 — di poc.i età, da' maggiori . Anclie nel riformatorio di Tivoli troppi erano i fanciuUetti, che meglio forse avrebbero potuto far parte di un orfanatrofio. — Riguardo all'ordinamento di simili istituti in prò' de'minorenni ed al frutto che se ne può ritrarre, non udii discor- so più saggiamente pratico di quello che il senatore Bargoni leg- geva con la usata sua dignità e spiccata vivacità di parola al nostro Ateneo e pubblicavasi ne' suoi Atti. L' ACQUA OSSIGENATA COME MEZZO PER SEPARARE l' ANTIMONIO DALl' ARSENICO NELLE RICERCHE TOSSICOLOGICHE D I L. ZAMBELLl ed E. LUZZATTO -=3)er:=- Sceverare 1' arsenico in un composto che contenga antimonio, ecco il problema che si proposero molti chimici e che in fatto venne risolto; però in modo da richiedere un tempo lungo e non sempre privo d'inconvenienti. La questione risguardante l'arsenico venne dal Selmi molto trattata; e appunto i suoi studi miravano costante- mente a trovare un metodo, che potesse servire nelle ricer- che tossicologiche. Sul!' Enciclopedia dello stesso autore si trovano citati lutti i metodi per tale ricerca e minuzio- samente descritti. Alla fine dell'enumerazione di questi, si trova la critica e la scelta di quel metodo che il perito chi- mico deve usare in ogni singolo speciale caso. Nello studio dì tale ricerca avendo seguilo i diversi me- todi, abbiamo potuto convincerci, che non sono esenti da inconvenienti, vuoi per la eventuale presenza dell'antimo- nio, vuoi per la presenza dei nitrati e dell'acido nitrico libero: nel primo caso la presenza dell'antimonio difficolte- rebbe la ricerca ; nel secondo caso, adoperando 1' appa- recchio di Marsch, si avrebbe reazione negativa per for- mazione dell' idrogeno arsenicale solido. ìomo ìT, Serie M òi — 396 — Avuti i solfuri colle noime analitiche prescritto, vengo- no sottoposte ad un processo di ossidazione, per il quale il solfuro di arsenico darebbe un composto solubile; mentre quello di antimonio si renderebbe insolubile in modo da poterlo con una semplice filtrazione separare. Per questa ossidazione due sono i mezzi che furono si- no oggi usati : a) la diretta ossidazione coli' acido nitrico; 0) la fusione dei solfuri, ottenuti colle norme prescritte, con nitrato e carbonato alcalino. L'inconveniente, che s'incontra con questi metodi d'os- sidazione, è la costante presenza dei nitrati e dell'acido ni- trico libero. Il perito chimico ha una gran noja nel dover eliminare l'acido nitrico sotto qualunque forma esso si trovi; e ciò per non trovarsi nelle condizioni favorevoli per la formazione dell'idrogeno arsenicale solido. Noi abbiamo eliminato perfettamente la difficoltò nel la- voro e le eventuali cause d'errore coli' impiego dell'acqua ossigenata pura come mezzo ossidante. Con questo sistema d'ossidazione noi abbiamo intra- preso una lunga serie d'esperienze e ripetute diverse volte con reattivi da noi all'uopo purificati. Le prime esperienze furono fatte sul solo solfuro d'arsenico. / esperienza. A tale scopo abbiamo impiegato del sol- furo d'arsenico ottenuto da un arsenito alcalino puro, ed abbiamo fatta avvenire la precipitazione con idrogeno sol- forato puro nella soluzione acida per acido solforico. Del solfuro d'arsenico perfettamente lavato ne abbia- mo preso una piccolissima quantità e posto in un pallon- cino di vetro con acqua ossigenata pura ritirata da Merk. La miscela, così avuta, l'abbiamo tenuta in digestione alla temperatura di 40° per piij di due ore, aggiungendovi — 307 — (li tanto in tanto tlell'acqua ossigenata e riaiescoiando il liquido. Dopo questo tempo abbiamo elevato gratialamenle la temperatura sino a portare il liquido all' ebullizione. Per questa operazione si ebbe l'ossidazione della mag- gior parte di solfuro d'arsenico impiegalo. Sul liquido, liltrato per carta svedese lavata per sepa- rare traccie di solfuro d'arsenico non ancora ossidato, fu- rono praticati i saggi per via umida onde constatare la pre- senza dell'arsenico. Evaporata a bagno maria una porzione del liquido per ridurlo a piccolo volume e neutralizzata esattamente con ammoniaca, col nitrato d'argento si ebbe subilo un preci- pitato rosso-mattone di arseniato d'argento solubile nel- l'ammoniaca e nell'acido nitrico. Con questa reazione ci siamo accertali clie il solfuro d'arsenico, trattalo coll'acqua ossigenata in queste condi- zioni, viene portato al massimo di ossidazione. Lo solfo pure del solfuro si trasforma in acido solfo- rico (*). Abbiamo constatato questo fatto trattando una porzio- ne della soluzione con cloruro di bario in soluzione acida per acido cloridrico, con che si ebbe un precipitato di sol- fato di bario. Il precipitato, per maggior esaltezza anali- tica, fu raccolto su piccolo filtro, separalo e ridotto al can- nello : si ebbe la macchia nera sulla lamina di argento. Altra porzione della soluzione fu trattala colla miscela magnesiaca fatta secondo la formula del Fresenius ; anche in questo caso, dopo il riposo, si potè constatare il precipi- tato di arseniato ammonico-magnesiaco. (1) Basandoci sull'azione ossidante dell'acqua ossigenata abbiamo intrapreso delle esperienze per vedere se questo modo d'agii e si può impiegare per lo solfo ed il fosforo organico. — 308 - Da tulle ciiiesle prove noi possiamo dire clic l'arsenico, nelle descrille condizioni, si ossida e dà il composlo al mas- simo. Restava di fare la prova più delicata coli' apparecchio di Marsch. Falla la prova in bianco, seguendo le norme analitiche pel caso, è riescila decisamente negativa; non ottenendo gli anelli, che danno i composti arsenicali, potevamo conelude- re che i reagenti, da noi adoperati, erano affatto privi d'ar- senico. A questo punto fu aggiunta la soluzione che conteneva il prodotto d'ossidazione del solfuro d'arsenico. — Ri- scaldato il tubo di prova, come conviene in tali ricerche, ab- biamo ottenuto l'anello specchiante d'arsenico. Sospenden- do il riscaldamento del tubo ed accendendo il gas che si sviluppava, potemmo avere anche sulla capsula macchie ab- bastanza marcate da fare su queste le reazioni pel detto metalloide. Le macchie scomparivano coli' acido nitrico e coW ipoclorito sodico. II esperienza. Una seconda esperienza fu fatta col sol- furo d'antimonio perfettamente lavato e trattato nell'iden- tica ^u\sù uoW acqua ossigenala. Subilo nel precipitalo in sospensione nell'acqua ossigenala si nota un cangiamento di tinta, prolungando poi l'azione come per il solfuro d'ar- senico ed impiegando l'acqua ossigenata necessaria, si ar- riva per l'azione ch'essa esercita sul solfuro d'antimonio, ad ottenere una polvere bianca. Teoricamente non si pote- va prevedere altro a norma di quanto era avvenuto per il solfuro di arsenico. Il liquido torbido che conteneva il prodotto d'ossida- zione del solfuro di antimonio fu posto in capsula ed eva- poralo a bagnomaria quasi a secco; ed èli residuo che rimaneva, fu spossato con alcole etilico e (illrato. L'alcole — 390 — nilrato fu udilizioiialo di acqua e riscaldalo iiuuvanienlo a bagno maria per eliminare T alcole. — Tale liquido, sot- toposto a tutte le reazioni per l'antimonio, diede costante- mente reazioni negative {*). Ili esperienza. — In questa terza prova ci propone- vamo di vedere se, quando si abbiano i due solfuri misti, si può dimostrare con certezza la presenza del solo arsenico senza che l'antimonio impedisca per nulla la reazione. In questo caso abbiamo mescolato una quantità di sol- furo di antimonio con poco solfuro di arsenico, per vedere se anche traccie d'arsenico in questo modo si possono ren- dere manifeste. L'ossidazione coli' Hj O^ fu fatta nell'identico modo dei due casi precedenti e l'acqua ossigenata tenuta in ec- cesso. Dopo prolungala azione la miscela fu trattata come per il solfuro di antimonio. Il liquido, cosi avuto, sottoposto alle reazioni per via umida per l' arsenico, diede reazioni affermative ; e, posto nell'apparecchio Marsch, diede gli anelli per l'arsenico senza dare veruno indizio per l'antimonio. IV esperienza. — Dovevamo rispondere all'ultimo que- sito che ci eravamo proposto, cioè, se il metodo da noi stu- diato si [ìoteva usare nelle perizie chimico-legali. Abbiamo allora posto traccie di arsenico e d'antimonio in visceri procuratici, e fcilta la distruzione delle sostanze organiche con acido cloridrico concentralo e clorato po- tassico. (1) Abbiamo prefei'ito il trattamento eoa alcole, percViè in que- sto inoJo il prodotto d' ossidazione del solfuro di antimonio non viene sciolto menomamente. _ 400 — * Il liquido leggermente acido, cosi ottenuto, lo ubbiamo sottoposto per molte ore ad una lenta corrente d'idrogeno solforato puro. Si ebbe un precipitato, che fu raccolto e la- vato bene sopra piccolo filtro, ossidalo e posto nell' appa- recchio Marsch, dopo aver separato la polvere bianca col metodo già descritto. Anche questa volta siamo stati soddisfatti dal buonis- simo risultato, perchè gli anelli ed anche le macchie si for- mavano e, cimentate con tutta cura coi reagenti per l'arse- nico e l'antimonio, davano reazioni affermative per il pri- mo, mentre si ebbero reazioni costantemente negative per il secondo. Notiamo che queste prove furono fatte con reagenti purissimi, colla massima esattezza e ripetute volte e che avemmo sempre buoni risultati. Concludiamo quindi: I. 11 solfuro di arsenico dì recente precipitato e umido, sottoposto all'azione dell'acqua ossigenata, si trasforma in acido arsenico. II. Il solfuro di antimonio nelle identiche condizioni passa a forma ossidata insolubile. IH. I solfuri misti si comportano come se venissero se- paratamente trattati con questo processo. IV. In presenza di sostanze organiche, quando la di- struzione di queste sia fatta esattamente, seguendo le nor- me analitiche, anco traccie di arsenico si rendono palesi. Noi proponiamo perciò l' impiego di questo processo specialmente per la ricerca dell' arsenico col processo di Marsch nelle perizie chimico-legali, quando si sospetta la presenza dell'antimonio e quando si vuole agire sufficien- temente presto ed evitare l'intervento dei nitrati o dell'aci- do nitrico per produrre l'ossidazione. — 401 — Ci riserviamo in seguito di fare delle prove quantitative per stabilire a quale sensibilità arriva il nostro metodo {*). Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Padova, 1885. (1) Le esperienze, che in questa Nota sono riportate, furono ideate quando Cross ed Higgin {Beri. Ber. XVI, 1195) confermando le asser- zioni di Girard e Geitner ditnoslraiono che l'acqua al disopra di 95" viene decomposta dal solfo, ed anco ilall'arsenico e dal solfuro d'ar- senico. Quando la presente Nota era scritta, pervenne in questo Isti- tuto il Pharmaceut.Centralhalle del 26 novembre 1885, p. 570) in cui è riportata una Nota di B. Fischer sull'ossidazione del solfuro d'ar- senico mediante l'acqua ossigenata in presenza di ammoniaca. Con ciò le esperienze di questa Nota perdono una parte del loro valore; ma resta sempre l'applicazione del metodo, che Zambelli e Luzzatto propongono per la separazione dell'arsenico dall'antimonio. Il me- todo indicato dal Fischer, come potei osservare, fa avvenire senza confronto molto più presto l'ossidazione del solfuro d'arsenico (es- sendoché l'acqua ossigenata agisce sulla soluzione ammoniacale del solfuro); ma se si adatta al solfuro di antimonio, cosa che il Fischer non fece, non permette più di lasciare insolubile l'ossicomposto di antimonio. P. Spiga. Elenco dei libri giunti dal 16 agosto 1885 al 26 gennaio 1886 p. Liii-Lxix Programmi. Programma dei concorsi ai premj, proposti dal R. Istituto lombardo di scienze e lettere in Milano, per gli anni 1886-1890 » Lxx-LxxxL Prezzo della Dispensa Fogli 24'/^ ad italiani Cent. 42 Vi . L. 3:03 3 2044 106 263 395 .^ >i '^^ v..***t. \ ? V -»>. ^H**- ■T-. -> ^^'^ V .^.^ p*- s" x^ A t Si' '■Vi' -ss ri/, -a 4à \-V -• ■ p?#|^ .'^' 4 > ^^^ '^■C^ \ 7:4 '^^ ^^^ v*«^' Ov>-- iv-.^ ■f^ 4^ ^ ti-.