^ i^ K :. ' . -,•• >v^ '/'•'. v^m^ -^ * ■ ^\ r\,-: '. n i. •*M '■ -»-v •*>^V '-^ J^ ■^■:. J ò ' O CA^ HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. H!^- !.^ÀixrA^\A^'^'\ ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO QUARTO, SERIE SESTA ^^ ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI DAL NOVEMBRE 1885 ALl'oTTOBRE 1886 ^ VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO TU'. ANTONELT.I - 1885-1886 ././?K ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO D I SCIKI^ZK, LICTTKRK Kl) AKTI DAL NOVEMBRE i 885 ÌLl'oTTOBRE 1886 TOMO QUARTO, SERIE SESTA Dispensa Prima "^ VENEZIA PLESSO LA SEGllETERIA DELL' ISTITUTO NEI. PALAZ7.0 DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI, 1884-85 INDICE Elenco dei Membri e Soci del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti p. i-xxviii Atto verbale delle adunanze 22 e 23 novembre 1885 . » i-A Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. A, Pazienti, m. e. . — Commemorazione del m. e. Fran- cesco prof. Rossetti » 5 G. BuccHiA, m, e. . — Ricerca sulla reale utilità dei ba- cini di ragunata delle acque che por- tano i condotti di scolo, prima di dar ad esse esito in mare » 17 E. De Betta, m. e. . — Sulle diverse forme della Rana temporaria in Europa, e più partico- larmente nell' Italia. Ricerche . . » 45 E. Bernardi, m. e. — Considerazioni sulle valvole di si- curezza (con 1 tavola) . ...» 91 E. F. Trois, m. e. — Annotazione sopra un Fenicottero roseo preso nel Veneto (Phoenicote- rus roseusj . » 125 Ab. M. Tono. . . . — Bollettino meleorologico dell'Osser- vatorio del Seminario Patriarcale di Venezia (ottobre 1885) » i-iv Elenco dei libri giunti dal 15 aprile al 16 agosto 1885 (con- tinuazione) » V-XXIII Segue MEMBRI E SOCI DEL REALE ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI (*) Anno acca«iemieo I885-S6. PRESIDENTE Fedele Lampertico. VICEPRESIDENTE Angelo Minich. SEGRETARIO Giovanni Bizio. VICESEGRETARIO Enrico Filippo Trois. AMMINISTRATORE Giovanni Veludo. MEMBRI EFFETTIVI PENSIONATI (20 giugno 1843 — 4 ottobre 18S4) Turazza dottor Domenico, Comra. -^ (^, uno dei XL del- la Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei ecc., professore di meccanica razionale ed incaricato per l'idraulica pratica nella R. Università di Padova, direttore della Scuola degli inge- gneri presso la stessa Università. (*) H segno •^ indica 1' Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro ; i! sciano '§3 1' Ordine della Corona d' Italia, — II — (16 gennaio 1844 — 26 aprile 1869) Freschi Conte Gherardo, Uffiziale ^, Comm. c§], presi- dente onorario dell'Associazione agraria friulana e del Comizio agrario di Pordenone e presidente della Com- missione ampelogratìea di Udine, membro perpetuo del- la Società degli agricoltori di Francia, e socio di molte Accademie italiane ed estere. — S. Vito del Friuli. (23 marzo 1855 - 6 aprile 1872) De Zigno Barone Achille, Comm. -^ c§], Cav. dell'I. R. Ordine austriaco della Corona Ferrea, Cav. del R. Ordine Portoghese della Concezione, Ufticiale dell'Ac- cademia di Francia, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, Pre- sidente della Società geologica italiana, membro del R. Comitato geologico del Regno , socio della R. Acca- demia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli , della R. Accademia delle scienze di Torino, dell'Isti- tuto delle scienze di Bologna , membro delle Società geologiche di Londra e di Parigi, dell'I. R. Istituto geo- logico di Vienna, dell'Imp. Accademia Leopoldino-Ca- rolina Naturae Curiosorum^ della R. Accademia delle scienze di Lisbona, della Società Imp. dei Naturalisti di Mosca, della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, della Società Granducale di mineralogia e di geologia di Jena, della R. Società botanica di Ratisbona, e di altre Accademie nazionali e straniere. ~ Padova. (28 aprile 1856 — 30 settembre 18(53) Bucchia dottor Gustavo, Senatore del Regno, -^j Comm. c^, Ufficiale dell' Ordine della Guadalupa, socio di più Accademie scientifiche, professore della scienza delle costruzioni ecc. nella R. Università di Padova. — Ili — Pazienti dottor Antonio , -f- , socio di varie Accademie scientifiche, professore titolare di fìsica ne! R. Liceo Pigafetta di Vicenza. (30 settembre 1863 — I luglio 1869) Bizio Giovanni, dottore in filosofia ed in chimica, ■^, Conim. t§3, fregiato della medaglia dell'Unità d'Italia e di quella d'argento ai benemeriti della salute pubblica, socio di varie Accademie nazionali e straniere, membro ordina- rio del Consiglio provinciale sanitario, professore ordi- nario della R. Scuola superiore di commercio e del R. Istituto tecnico di Venezia ecc. (IO oprile 1868 — 10 marzo 1873) Pirona Giulio Andrea, dott. in medicina e chirurgia, Uff. ■^, Conservatore del Museo civico e della Biblioteca di Udine, membro di quel Consiglio provinciale di Sani- tà, della Commissione per la conservazione dei monu- menti, socio di più Accademie nazionali e straniere, professore di storia naturale nel R. Liceo Sfellini in Udine. (26 aprile 1869 — i febbraio 1874) Minich dott. Angelo, Uff. ^, Comm. c§a, Uff. dell'Ordine della Guadalupa, socio della Società medico-chirurgica di Bologna, membro onorario della R. Accademia di medicina in Torino, vicepresidente della Giunta di vigi- lanza dei Rtì. Istituti tecnico e di marina mercantile e del Consiglio direttivo della R. Scuola superiore di com- mercio, chirurgo primario anziano emerito dell'Ospe- dale civile generale, vicepresidente del Consiglio sanita- rio provinciale di Venezia. (26 aprile 1869— U luglio 1877) Zanella sac. Jacopo, •^, Comm. c§:, socio di più Accade- mie, professore emerito di letteratura italiana nella R. Università di Padova. — Vicenza. IV (1 luglio 1869 — 5 dicembre 1883) Luzzatti Luigi, Gr. Uff. '^, Cav. Gran Croce decorato del Gran Cordone c§:, Cav. dell'Ordine del Merito civile di Savoja, Gr. Uff. della Legion d'onore di Francia e del- l'Ordine di Leopoldo del Belgio, deputato al Parlamen- to, membro della R. Accademia dei Lincei, del Consi- glio superione del commercio e dell' industria , della Giunta superiore di statistica, e di quella superiore de- glìstituti di previdenza ecc., professore di diritto costi- tuzionale nella R. Università di Padova. (1 agosto 1869 — 4 maggio 1873) Veiudo professor Giovanni, •^, Comm. :§i e dell'Ordine di Francesco Giuseppe I d'Austria, di S. Stanislao di Rus- sia, dell'Aquila Rossa di Prussia, Cavaliere dell'Ordine di S. Salvatore di Grecia, socio ordinario dell'Ateneo di Venezia, dell'Accademia Colombaria di Firenze e di altri Istituti scientifici d' Eurtpa , Curatore della Pia Fondazione Querini-Stampalia, membro della Deputa- zione veneta di storia patria. Prefetto in quiescenza della R. Biblioteca Marciana di Venezia. (6 aprile 1872 — 23 dice.iibie 1876) De Betta nob. Edoardo, Uff. ■^, Comm. c§:, membro di varie Accademie e Società scientiCche nazionali ed este- re, cittadino onorario di Torino, deputato e vicepresi- dente del Consiglio provinciale di Verona, consigliere scolastico provinciale, membro del Consiglio direttivo del R. Collegio femminile agli Angeli, presidente della Giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico e presidente del- l'Accademia di agricoltura, arti e commercio pure in Verona. (10 marzo 1873 — 7 gennaio 1875) Dg Leva Giuseppe, dottore in filosofìa e in ambe le leggi, Uff. ^, Comra. c§], socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, e corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino e di altre, socio straniero della R. Ac- cademia di Monaco ecc., professore ordinario di storia moderna e incaricalo della storia antica nella R. Uni- versità di Padova, (4 maggio 1873 — 13 dicembre 1877) Vlacovich Giampaolo, dottore in medicina, Comra. c§i, -^^ socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Napoli, socio ordinario dell'Accademia di Dcienze, let- tere ed arti in Padova e di altre, professore di anatomia umana e Rettore nella R. Università di Padova. (t3 dicembre 1877 — 17 febbraio 1881) Lorenzoni Giuseppe, ■^, Uff. ;^, socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, professore ordinario di astro- nomia e direttore del R. Osservatorio della suddetta R. Università. (Il aprile 1878 — 27 agosto 1883) Trois Enrico Filippo, c§3, socio dell'Accademia di micro- scopia del Belgio e dell'Ateneo di Venezia, conservatore e custode delle Raccolte scientifiche e degli oggetti della Esposizione industriale permanente presso questo R. Istituto. — Venezia. (7 luglio 1878 — 13 febbraio 1885) Bernardi Enrico, socio straordinario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, professore di mac- chine agricole, idrauliclie e termiche presso la R. Uni- versità di Padova. —■Vi — (17 febbraio 1881 — 15 febbraio 1885) Beltrame sac. Giovanni, ex missionario dell'Africa centrale, Comm. [§:, membro d'onore della Società geograGca italiana e del Comitato italiano per l'esplorazione e l'in- civilimento dell'Africa centrale, membro dell'Accademia d'agricoltura, arti e commercio, della Società letteraria e della Commissione preposta alla Biblioteca comunale di Verona, professore di storia e geografìa nella R. Scuola normale femminile, professore di diritti e do- veri, geografìa e storia nella Scuola normale maschile provinciale, direttore spirituale nell'Orfanatrotìo femmi- nile e Rettore dell' Istituto Mazza pure in Verona. (29 maggio 1881 — 21 maggio 1885) Favaro dott. Antonio , c§3 , Uif. della pubblica Istruzione di Francia e decorato della medaglia d'oro del merito, membro effetttvo della R. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria, socio ordinario della R. Accade- mia di Padova, onorario dell'Ateneo di Bergamo e della Società Coppernicana di Thorn, corrispondente del R. Istituto di Napoli, della R. Società economica di Saler- no, della R. Accademia Peloritana di Messina, dell'Ac- cademia Gioenia di Catania, della R. Accademia di Mo- dena, dell' Ateneo veneto, della Società delle scienze di Hermannstadt, della Società Batavica di filosofia spe- rimentale di Rotterdam, dell'I. R. Istituto geologico di Vienna , ecc., professore ordinario di statica grafica , incaricato di geometria projettiva e libero docente di storia delle matematiche nella R. Università di Padova. (7 luglio 1878 — 25 settembre 1885) Bernardi mons."^ dott. Jacopo, Comm. ^, ^§3, uff. della Le- gion d'onore di Francia, socio ordinario della Deputa- zione sopra gU studii di storia patria di Torino, dell'Ac- — VII — cademìa di geograQa e storia di Parigi, del Pantheon di Roma e dell' Accademia di belle arti, di quella di Sto- ria patria di Venezia e Genova, dell'Ateneo di Venezia ecc., Vicario generale onorario della diocesi di Pinerolo. — Venezia. MEMBRI EFFETTIVI NON PENSIONATI (16 gennaio 1844) Meneghini Giuseppe, Gomra. ^, Gr. Uff. •^, Cavaliere del- l'Ordine del Merito civile di Savoja e di quello di To- scana sotto il titolo di S. Giuseppe, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, e della Società Reale di Napoli, membro della Società geologica di Londra, di quella di Francia e di altre Accademie scientiGche, professore di geologia e di geografìa fìsica nella R. Università di Pisa. (4 ottobre 1854) Cavalli Ferdinando, dottore in ambe le leggi, Senatore del Regno, Comm. '^, c§:, membro di varie Accademie. — Padova. (6 ottobre 1864) Lampertico Fedele, dottore nelle leggi, Senatore del Regno, Uff. •^, Gr. Uff. c§:, socio della R. Accademia dei Lin- cei e di altre Accademie. — Vicenza. Messedaglìa Angelo, Senatore del Regno, Comm. •^, [§:, Cav. del Merito civile di Savoia, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, membro del Consiglio supe- riore della pubblica istruzione, professore ordinario di economia politica nella R. Università di Padova. — vili — (10 aprile 1868) Torelli Conte Luigi, Senatore del Regno, Gran Cordone ^, c§d, Gran Croce della Legion d'onore di Francia, Gran Croce dell'Ordine di Francesco Giuseppe I d'Austria, Luogotenente Colonnello ad honorem, Cavaliere dell'Or- dine militare di Savoja, e decoralo della medaglia d'ar- gento al valor militare e della medaglia d oi-o al valor civile, vicepresidente onorario della Compagnia del Ca- nale di Suez. — Tirano nella Valtellina. ({ luLi,lio 1869) Rossi Alessandro, Senatore del Regno, Comm. -f^, Gran Cordone t§3, socio di varie Accademie. — Schio. (1 febbraio 4874) Vanzetti dottor Tito, Comm. c^, prof, onorario dell' Imp. Cesarea Universitù di Charcov, Comm. dell'Ordine di Sant'Anna di Russia e dell'Ordine Piano, Cavaliere del- l'Ordine di Francesco Giuseppe d'Austria, laureato di Francia, membro dell'Accademia medico-chirurgica di San Pielroburgo, della Società medico-fisica di Mosca, dell'anatomica di Parigi, della medica di Odessa, della ginecologica di Boston , della Società di medicina di Gand, dell'Accademia medica di Roma, dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, dell' Accademia Virgiliana di Mantova, del Circolo di scienze mediche e naturali di Sassari ecc. ecc. , professore di clinica chirurgica e medicina operatoria presso la R. Univer- sità di Padova. (11 higlio 1877) Fambri Paulo, dottore in matematica, Commendatore d§3, già Capitano del Genio militare, ingegnere Capo della Società veneta di costruzioni, socio dell'Ateneo veneto ecc. — Venezia. — IX — (7 luglio 'Ì87S) Canestrini Giovanni, -f-, Uff. c§i, membro estero della So- cietà zoologica (li Londra, membro della Coinaiissione consultiva per la pesca e di quella superiore per la Glos- serà, delegato governativo per la ricerca della filossera nella provincia di Padova, vicepresidente della Commis- sione ampelograflca, professore di zoologia, anatomia e fisiologia comparata nella R. Università di Padova. (17 febbraio 1881) Tolomei Giampaolo, Uff. •^, Gr. c§j, socio ordinario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, so- cio corrispondente di quella di Palermo, dell'Olimpica di Vicenza, della Virgiliana di Mantova e di altre; già presidente della Commissione generale di seconda istan- za nelle questioni della servitù di pensionatico, e già membro della Commissione governativa compilatrice del primo schema (a. J868) del nuovo codice penale del Regno, e di quella di riesame del progetto sanitario (a. 1876) ; professore ordinario di diritto e di procedu- ra penale, ed incaricato della storia dei trattati e diplo- mazia presso la R. Università di Padova; già Direttore, ora Preside della Facoltà di giurisprudenza, e già Ret- tore della stessa R. Università dal 1868-69 e poscia dal 4 873 al i879. (29 maggio 1881) Saccardo dott. Pier'Andrea, c§3, membro della Società mi- cologica di Francia e della criltogamologica italiana , della R. Accademia delle scienze in Torino, della R. Ac- cademia di scienze, lettere ed arti di Padova, dell'Ate- neo Veneto, dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, dell' Ateneo di Treviso, della Società del Museo in Ro- vereto, della Società Veneto-Trentina di scienze natu- rali in Padova, della R. Societù botanica di Ratisbona e di quella di Francia in Parigi, della Società Slesiana di Breslavia, della I. R. Società zoologico-botaniea di Vienna, della Società delle scienze naturali di Bruna dell' Accademia delle scienze e di S. Francisco in Cali' fornia della Società delle scienze naturali e matemati- che di Cherbourg, della Società entomologica di Firen- ze, della Società italiana di scienze naturali di Milano, ecc., professore ordinario di botanica e direttore del R. Orto botanico presso l'Università di Padova. (25 febbraio 1883) Lussana dott. Filippo, Uff. D§a, socio delle Accademie medi- co-chirurgiche di Torino, Ferrara, Padova, Perugia e del Belgio; dell'Ateneo di Bergamo, della Società fran- cese d'igiene, della Società delle scienze mediche-natu- rali di Bruxelles, di quella frenologica italiana, dell'isti- tuto lombardo ; membro onorario della Società di an- tropologia del Belgio, professore di fisiologia nella R. Università di Padova. (27 agosto 1883) Gloria Andrea, -^y socio ordinario dell'Accademia di Pa- dova, onorario dell'Ateneo di Bergamo, corrispondente di altre Accademie ed Atenei ecc., professore ordinario di paleograGa e direttore del Museo civico di Padova. (5 dicembre 4883) Cesare Vigna, dottore in medicina, chirurgia, ostetricia, oculistica e tìlosofia, Uff. c^j, reintegrato con Decreto Reale nel grado militare di medico di battaglione, socio ordinario dell'Ateneo veneto, del Comitato medico ita- liano, dell' Accademia dei Concordi di Rovigo, m. e. della Società italiana d'igiene e della Società freniatrica italiana, socio corrispondente dell'Associazione dei be- nemeriti italiani con medaglia d'oro per meriti scienti- — XI — fici ed umanitarii, premiato con medaglia argentea dal- l'Esposizione internazionale juusicale di Milano per ope- re scientifiche, direttore del Manicomio centrale femmi- nile nell'isola di S. Clemente in Venezia. Marinelli Giovanni, ^, membro effettivo delia Deputazione veneta di storia patria, socio corrispondente della So- cietà geografica italiana e dell'Accademia scientifica e letteraria di Udine, socio straordinario dell'Accademia di Padova, presidente della Società alpina friulana, mem- bro del Consiglio direttivo dell'Associazione meteoro- logica italiana, professore ordinario di geografia presso la R. Università di Padova. (i5 ft^Lbralo 1885) Ninni Alessandro , dottore in scienze naturali , membro della Commissione consultiva per la pesca residente presso il R. Ministero d'agricoltura, industria e com- mercio, di quella distrettuale (Bari, Ancona, Rimini e Venezia), per la pesca marittima e de! Comitato diretti- vo del Civico Museo e della Raccolta Correr. — Venezia. De Giovanni cav. Achilìe, socio di varie Accademie, pro- fessore e direttore dell'Istituto di clinica medica gene- rale nella R Università di Padova. (21 maggio 188S) Ombonl Giovanni, ^, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere e dell' Accademia delle scienze di Bologna, membro di varie Società scienti- fiche, professore di geologia presso la R. Università di Padova (*). (1) Art. 13 degli Statati interni: c« / membri effettivi deìV hliluto Lombardo sono di diritto aggregali all' Istituto Veneto, e godono nelle adunanze di tutti i diritli deiJÌJembri effettivi, meno il diritto di volo w — XII MEMBRI ONORARI S. M. Pietro II. d' Alcantara, Imperatore del Brasile. S. E. Menabrea Conte Luigi Federico, Senatore del Regno, Cav. deirOrdine supremo dell'Anniinziata, Gr. Uff. -^^ Gr. Cord. c§:, Gr. Croce dell'ordine militare di Savoja, Cons. e Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, Gr. Croce dell'Ordine di Leopoldo del Belgio, di Leopoldo d' Austria e dell' Ordine di Danebrog di Danimarca , Commendatore della Legione d'onore di Francia, del- l'Ordine di Carlo III di Spagna, dell'Ordine del Cristo di Portogallo e di S. Giuseppe di Toscana, membro della R. Accademia delle scienze di Torino, di quella dei nuovi Lincei di Roma, del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro dell'Accademia delle scienze e dell'Ac- cademia militare di Stokolm, di quella di Modena, della Società filomatica di Parigi, nonché di parecchie altre Accademie e Società scientifiche, Tenente Generale, presidente del Comitato d'Artiglieria e del Genio. — Torino. SOCI CORRISPONDENTI DELLE PROVINCIE VENETE Keller dottor Antonio, -^1^, Uff. t^, socio dell'Accademia di Padova, socio onorario delle IIR. Accademie di agri- coltura di Torino e Verona, dell'Accademia di veteri- naria di Torino, dell'Ateneo di Venezia, della Società di acclimatazione di Palermo, di quella d'incoraggia- mento in Padova, delle Accademie Olimpica di Vicenza e dei Concordi di Rovigo, del Comizio agrario di Tori- no, socio corrispondente delle li. RR. Società agrarie di Vienna, di Gratz ecc., professore di agraria e stima dei poderi presso la R. Università di Padova. — XIII — Benvenisti dottor Fs/ìoisè, ^, socio ordinario dell'Accade- mia di scienze, lettere ed arti di Padova, degli Atenei di Venezia, Treviso e Bassano, delle Accademie di Udi- ne e dei Concordi di Rovigo, della Socielò medico-ciii- rurgica di Torino, della medico-chirurgica di Hologna, (li quella medico-chirurgica di Ferrara, delia \ aldarne- se, d<^lla Società delie scienze di Siena, della medico- fisi- ca Fiorentina, de la Socièlé Imperiale de médccine de Constanlinople, de l'Institut nalional d'ÉgypIe, de la So- ciété Royale de médecine de Marseille, de la Société medicale d'émulalion de Lyon, de la Société médico- psycoiogique do Paris, de la Société de médecine de Gand, Consigliere provinciale, membro ordinario del Consiglio provinciale di sanitù e del Consiglio scolasti- co provinciale in Padova. Lioy noi). Paolo, Uff. ■^, Comm. r§3, Consigliere scolastico provinciale, deputato al Parlamento. — Vicenza. Valussi dottor Pacifico, ^, pubblicista. — Udine. Ferrara Francesco, Senatore del Regno, Gran Croce •^, Comm. c§]. Socio nazionale della R. Accademia dei Lin- cei, Uff. della Rosa del Brasile, membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, direttore della R. Scuola superiore di commercio in Venezia, ecc. ^j'ischeg sac. Antonio, #•, socio della R. Dep.itazione ve- neta di storia patria, del veneto Ateneo, del!'4ssemblea di storia patria di Palermo, dell'Accademia dei Con- cordi di Rovigo e della Roveretana di scienze, lettere ed arti, professore di storia e geografla nel R. Liceo Marco Foscarini di Venezia. Caccianìga Antonio, cittadino onorario della città di To- rino, s|f, Comm. i^, presidente del Consiglio provin- ciale e dell'Ateneo di Treviso, socio dell'Ateneo di Ve- ■ — XIV — nezia e della R. Accademia di scienze e ledere in Pa- dova. — Treviso. Cecchetti Bartolomeo, ^, Comm. c^ e dell'Ordine di S. Stanislao di Russia e della Corona di Rumenia, Ca- valiere deirOrdine di Francesco Giuseppe d'Austria e della Legione d'onore di Francia, socio dell'Ateneo ve- neto ed onorario di quello di Pergamo, socio dell'Ac- cademia dei Concordi di Bovolenta , dell'Accademia fisio-medica-stalistica di Milano, della Sociclò Miner- va in Trieste, dell'Associazione per la propagazione delle lettere greche e dell'Accademia filologica Byron in Atene, della Società ligure e delle Deputazioni di storia patria veneta e per le provincie di Romagna, direttore dell'Archivio di Stato e della Scuola di paleografia ed archivistica, Sovrintendente agli Archivii veneti. — Ve- nezia. Politeo dottor Giorgo, •^■, professore di filosofia nel R. Li- ceo Marco Foscarini di Venezia. Dall' Acqua Giusti nob. Antonio, rj^, professore di lettere e storia nel R. Istituto di belle arti in Venezia. Bellati nob. ing. Giambattista, Cav. •^, membro della Com- missione Governativa filosserica, dottore in matemati- ca , Consigliere provinciale e consigliere provinciale scolastico di Belluno, nonché della Scuola enologica di Gonegiiano, presidente del Comizio agrario di Fellre e della R. Commissione ampelografica per la provincia di Belluno, socio della R. Accademia di scienze, letlere ed arti in Padova. Morsolin sac. Bernardo, •^, socio dell'Accademia Olimpica di Vicenza, della R. Accademia di Padova e degli Ate- nei di Venezia e di Bassano, membro della regia Depu- tazione di Storia patria per le provincie venete, della XV — Commissione preposta alla conservazione de' monumen- ti, delia Commissione al civico Museo e di quella di vigi- lanza alla Biblioteca comunale di Vicenza, professore di lettere italiane nel R. Liceo Pigafelta nella slessa città. Bellati dottor Manfredo, socio corrispondente della R. Ac- cademia di scienze, lettere ed arti in Padova, membro della Società francese di fìsica, professore di fisica tec- nica presso la R. Università di Padova. Berchet Guglielmo, dottore in logge, Comm. c§], Uff. -^^ Cav. della Legion d'onore di Francia, Cav. del Leone e Sole dì Persia, Corani. dell'Ordine di Francesco Giu- seppe e dell'Ordine imperiale giapponese del sole levan- te, decorato della grande Medaglia d'oro di I Classe da S. M. l'Imperatore di Germania, socio degli Atenei di Venezia, Milano, Treviso e Bassano, delle Accademie di Modena e di Rovigo e della Società ligure di storia pa- tria, membro dell'lstiluto storico di Francia e delle So- cietà geografiche di Roma, di Vienna e di Tokio, m. e. e segretario della R. Deputazione veneta di storia pa- tria. — Venezia. Da Schio Almerico, direttore dell'ufGcio meteorologico del- l'Accademia Olimpica di Vicenza, presidente della Se- zione dì Vicenza del Club alpino italiano. Stefani nob. Federico, Uff. ^ e Cav. di altri Ordini, vice- presidente della R. Deputazione veneti» sopra gli studii di storia patria, socio di parecchie Accademie nazio- nali ed estere. — Venezia. Spica Pietro, dottore nelle scienze fisico-chimiche ed in chimica e farmacia, membro della Società chimica di Berlino e della Società di scienze naturali ed economi- che di Palermo, membro della R. Commissione per l'ac- eortamento dei reati di veneficio, professore ordinario — XVI — di chimica farmaceutica e tossicologica ed incaricato deirinseguamento della chimica generale pei medici ed i farmacisti nella il. Università di Padova. Fertile Antonio, c§3, socio ordinario della Deputazione ve- neta di storia patria, onorario dcH'Accademia Olimpica e socio effettivo della R. Accadeir.ia di Padova, acca- demico attuale della R. Accademia Virgiliana di Man- tova, professore ordinario della storia del diritto nella R. Università di Padova. Corradini ab. mons. Francesco, ^, consigliere scolastico pensionato, prof, di letteratura latina nella R. Univer- sità di Padova. Bonateili Francesco, -^i socio nazionale della U. Accade- mia dei Lincei, socio effettivo della Società reale di Na- poli, dell'Accademia reale delle scienze di Torino e del- l' Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, so- cio corrispondente dell'Ateneo Veneto, dell'Ateneo di Brescia e dell'Accademia Urbinate, professore di filo- sofia teoi'etica e preside della Facoltà di filosofia e let- tere nella R. Università di Padova. Ferrai dott. Eugenio, •^, Comm. i#i, socio dell'Imperiale Istituto archeologico germanico, socio straniero dell'Ac- cademia (li Atene, socio di varie altre Accademie, pro- fessore ordinario di lettere greche e incaricato dellin- segnamento dell'archeologia, direttore della Scuola dì magistero in lettere e filosofia presso la R. Università di Padova. Tamassia dottor .Arrigo, socio corrispondente del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere, professore ordi- nario di medicina legale sperimentale nella Regia Uni- versità di Padova. Papadopoli conte Nicolò, Uff. 4^, Comm. c^, Ufficiule onp- — XVII — l'jirio di cavaìlciiii, socio straniero delia R. Accadeuiia di numismatica di Bruxelles, Accadeniico di merito re- sidente della 11. Acccvìemia di belle arti, socio residente dell'Ateneo veneto, Presidente della Begia Commissione ampelograflca per la provincia di Venezia. Martini Tito, t§], membro effettivo della Società Veneto- Trentina di scienze naturali, socio corrispondente della Colombaria di Firenze, socio dell'Ateneo veneto, pro- fessore titolare di matematiche nella R. Scuola supe- riore di comn)ercio e professore titolare di tisica e chi- mica nel R. Liceo Marco Fi'scarini di Venezia. Veronese Giuseppe, professore di geometria analitica pres- so la R. Università di Padova. Chicchi dott. Pio, c^i; ingegnere ed architetto, professore ordinario di costi'uzioni stradali, metalliche e ferro- viarie nella R. Università di Padova. Occioni-BoiiaiFons Giuseppe, dott. in filosofìa, cf3, socio or- dinario, segretario e redattore dell'Accademia di Udine e delia Società alpina friulana, membi'o della Commis- sione conservatrice del Museo friulano e della Biblio- teca di Udine, socio della R. Deputazione veneta di sto- ria patria, dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, della Colombaria di Firenze, delia Minerva di Trieste, pro- fessoie titolare di storia e geogralia nel R. Liceo Stel- li ni in Udine. Cassatoi Pietro, dottore in matematica, i§:, socio degli Ate- nei di Venezia e Treviso, dell'Accademia dei Concordi di Rovigo e deirAccademia di Bovolenta, professore di matematica nel R. Istituto tecnico Paolo Sarpi e pro- fessore di scienze naturali nell'Istituto femminile supe- riore di Venezia. — XVIII — SOCI COHr.lSPONnENT! CHE GlOSSAROiNO DI APPAiVrSiNERE ALI, E PROVINCIE VEiNETE Aiber Cons. Augusto di Glanstàtten. — Trieste. Chiozza Luigi, socio corrispondente del R. Istituto lom- bardo di scienze e lettere, professore emerito di chi- mica tecniia presso la Società d'incoraggianiento darli e mestieri in Milano. — Cervignano (Austria). Cossa nob. Aifonso, Uff. -4^, Comm. c§3, socio della R. Ac- cademia delle scienze di Toiino, di quella delle scienze naturali di Cherbourg e di altre, professore di chimica agraria e direttore della stazione sperimentale agraria presso il R. Ministero industriate italiano in Torino. Molin dott. Raffaele. ~ Vienna. Naccari dottor Andrea, professore dì fisica sperimentale nella R. Università di Torino. SOCI C0RR1S?0>'DENT1 ITALIANI Albini Giuseppe, •^, socio del R. Istituto lombardo di scien- ze e lettere, della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, profossore di tisiologia, istologia ed anatomia microscopica in quella R. Università. Allaneiii Cons. Nicolò, Comm. ^, c§3, professore nella R. Università di Napoli. Amari dottor Michele, Senatore del Regno, Gran Uff. •^, Comm. :^, Consigliere dell'Ordine del merito civile di Savoja, socio straniero deiristituto di Francia, corri- spondente delle Accademie di Torino, della Crusca di Palermo, ecc., professore emerito della R. Università di Palermo e del R. Istituto di studii superiori in Fi- — XIX — renzo, membro ordiiiasio del Consiglio superiore della pubblica istruzione in Roma. Battaglini Giuseppe, -^, Comm. d§3, professore di geomo- Iria analitica e preside della facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Roma. Berti Domenico, Gran Uff. ■^, Comm. c§], Cav. dell'Ordine del Merito civile di Savoja , socio di più Accademie scientifiche e letterarie, corrispondente della R. Acca- demia della Crusca, deputato al Parlamento, professoie di storia e della filosofia e preside della Facoltà filosofi- ca della R. Università di Roma. Betti Enrico, Senatore del Regno, Comm. h^, Uff. d^, Ca- valiere dell'Ordine del merito civile di Savuja, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro stranie- ro della Società matematica di Londra e della R. Società delle scienze di Gottinga, socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei e corrispondente del R. Istituto lom- bardo di scienze e lettere, membro del Consiglio su- periore di pubblica istruzione, vicepresidente direttore degU studii nella R. Scuola normale superiore, profes- sore della fisica matematica e incaricato dell'astrono- mia meccanica celeste nella R. Università di Pisa. Bizzozero dottor Giulio, -ef?, i^, membro del Consiglio su- periore della pubblica istruzione, socio delle Reali Ac- cademie delle scienze di Torino e dei Lincei di Roma, socio del R. Istituto lombardo, professore ordinario di patologia generale nella R. Università di Torino. Blaserna Pietro, Uff. -^^ Comm. d§3, socio della R. Acca- demia dei Lincei, professore di fisica sperimentale nella R. Università di Roma. Boccardo avv. Girolamo, Senatore del Regno, Comm. ^^, Uff. u§:, Cav. deirOrdiiiC del merilo civile di Savoja, XX — socio del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, pro- fessore nella R. Università di Genova. Bombicci Luigi, Comm. ^, n|3, professore di mineralogia presso la R. Università di Bologna. Boncompagni D. Baldassare, dei principi di Piombino, so- cio dell'Accademia Pontifìcia dei nuovi Lincei di Roma. Bonghi prof. Ruggero, Gran Cordono cg:, socio de! R. Isti- tuto losiibardo e di altre Accademie scienlidche, depu- tato al Parlamento, professore onorario della R. Uni- vei-sità di Napoli. Campori march. Giuseppe, cfj, presidente della R. Deputa- zione di storia patria per le provincie modenesi e pre- sidente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Caruti di Cantcgno barone Domenico, Gr. Uff. ^^ Comm. D^, di altri Ordini cavaliereschi italiani e stranieri, Con- sigliere di Stato, membro del Consiglio degli Archivi e delia R. Deputazione sopra gli studi, di storia patria, socio di [ùù Accademie nazionali e straniere, segretario della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cannizzaro Sianìslao, Senatore del Regno, Comm. ■f-, c§3, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Ronia, socio conispondcnle del R. Istituto lombardo, membro del Consiglio supe- riore di pubblica istruzione, preside della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Liiiver-. sita di Roma. Cappellini Giovanni, Uff. •^, Comm. c^., prof, di geologia nella R. Università di Bologna. Carducci Giosuè, Uff. ■^j socio corrispondente del R. Isti- tuto lombardo di scienze e lettere, deputato al Parla- — XXI — mento, professore di lettere italiane nella R. Università di Bologna. Carrara Francesco, Senatore del Regno, Comm. ^ t^, membro della Società di legislazione comparata di Pa- rigi, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, professore di diritto e procedura penale nella R. Uni- versità di Pisa. Comparetti Domenico, -^^ Comm. t^, professore di filologia comparata nel R. Istituto di studi superiori in Firenze. Conti Augusto, Comm. -^ :^, accademico residente e ar- ciconsolo della R. Accademia della Crusca, professore di filosofia teorica e morale e incaricato della storia della filosofia nel R. Istituto di studii superiori in Fi- renze. Corico Simone , Comm. -^ c^ , socio corrispondente del Reale Istituto lombardo, presidente dell'Accademia di scienze naturali ed economiche, e professore di filoso- fia nella R. Università di Palermo. Correnti Cesare, Primo Segretario di S. M. per il Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, Cancelliere dell'Or- dine della Corona d'Italia, Cav. Gran Croce decorato del Gran Cordone c§3 e dell'Ordine della Rosa del Bra- sile, Gr. Uff. -^j Comm. dell'Ordine di Leopoldo del Belgio e della Legione d'onore di Francia, socio corri- spondente del R. Istituto lombardo , presidente della Società geografica italiana. — Roma. D' Ancona Alessandro , -^ , professore di lettere italiane nella Regia Università di Pisa. D' Achiardi Antonio, ^ , professore di mineralogia nella R. Università di Pisa. De Gasparìs Annibale, Senatore del Regno, Uff. ^, Comm. D§3 e dell'Ordine del merito civile di Savoja, Comm. a — XXII — dell'Ordine della Rosa del Brasile, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro della R. Acca- demia delle scienze di Torino e della Società di Na- poli, Direttore della Specola Reale presso la Università di Napoli. Del Lungo prof. Isidoro, ^, Accademico residente della Crusca. — Firenze. Denza P. Francesco, ■^, socio di più Accademie, membro del Consiglio direttivo di meteorologia. Direttore del- l' Osservatorio meteorologico di Moncalieri. De Rossi Giovanni Battista, Comm. della Legion d'onore e membro dell'Istituto di Francia, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere e della R. Accademia della Crusca , interprete dei Codici latini presso la Vaticana. — Roma. Desimoni aw. Cornelio, -^^ c§i, archivista e vicepresidente della Società ligure di storia patria in Genova. De Vecchi Ezio, Comm. -^ cf:, e del Reale Ordine militare di Savoja, decorato della medaglia d'argento al valor militare, Luogotenente generale dell'esercito. — Bo- logna. Di Bérenger prof. Adolfo, Uff. •^, Comm. c§:. Ispettore ge- nerale forestale a riposo. — Pontassieve, provincia di Firenze. Fabretti Ariodante, Uff. •^, i^, cav. della Legione d'onore di Francia e della Rosa de! Brasile, membro del Con- siglio superiore della pubblica istruzione, membro della R. Accademia delle scienze in Torino, socio del R. Isti- tuto lombardo, professore ordinario di archeologia gre- co-latina nella R. Università di Torino. Felici Riccardo, 4- , Uff. ;§_i, uno dei XL della Società ita- — XXIII — liana delle scienze, profossore e direttore del gabinetto di fisica sperimentale nella R. Universitù di Pisa. Ferrerò Annibale, -^t, Comra. t§i, decorato delle medaglie al valor militare, Colonnello del Corpo di Stato Mag- giore, Direttore in 2." dell'Istituto topografico militare, Segretario della Commissione geodetica italiana . — Firenze. Ferri dott. Luigi, Uff. •^, Comm. ^ , professore di filosofia teoretica presso la TV. Università di Roma. Fiorelli Giuseppe, Senatore del Regno, Comm. •^, Uff. c§:, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja , socio e segretario della R. Società delle scienze e professore onorario della R. Università di Napoli, ecc. Franceschi-Ferrucci Caterina, corrispondente della Reale Accademia della Crusca e di quella delle scienze di Torino. — Firenze. Gemeilaro Gaetano Giorgio, Comm. •^, vicepresidente del- l'Accademia di scienze naturali ed economiche di Pa- lermo, socio di altre Accademie scientifiche, profes- sore di geologia e mineralogia nella Scuola di appli- cazione per gì' ingegneri presso la R. Università di Palermo. Genocchi dott. Angelo, Uff. 4', "no dei XL della Società italiana delle scienze, membro della R. Accademia delle scienze di Torino, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, della R. Accademia dei Lincei di Roma e di altri Corpi scientifici, professore di calcolo differen- ziale ed integrale nella R. Università di Torino. Gorresio Gaspare, Comm. -^j c§:, corrispondente della R. Accademia della Crusca, dottore aggregato nella Fa- coltà di lettere e filosofia presso la R. Università di To- rino, segretario perpetuo della Classe di scienze morali, — XXIV — storiche e filologiche, e prefetto delia Biblioteca nazio- nale pure in Torino. Gozzadini conte Giovanna, Senatore del Regno, Gr. Uff. ■^, c§i , e di altri Ordini cavallereschi esteri, presidente della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna. — Bologna. Guasti Cesare, Comna. ■f^, c^, anziano della Società Colom- baria, accademico residente e segretario della R. Acca- demia della Crusca di Firenze. Guglielmotti P. Maestro AIbsrto. — Roma. Manno barone D. Antonio, Membro e segretario della R. Deputazione sovra gli studi di storia patria, membro e vicetesoriere della R. Accademia delle scienze di Torino. Minghetti Pflarco, Gran Cordone •^, Gran Croce c§3, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, Gran Croce della Legion d'onore di Francia e dell'Ordine di Leo- poldo del Belgio, deputato al Parlamento, Collegiato onorario della R. Università di Bologna. — Roma. Moleschctt Giacomo, Senatore del Regno, Comm. -^j mem- bro della R. Accademia delle scienze di Torino, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, del R. Istituto lombardo, professore di fisiologia nella R. Università di Roma. Mosso Angelo, ■#, #, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, della R. Accademia di medicina in Torino, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, professore di lisiologia e tossicologia sperimentale pres- so la R. Università di Torino. Negri Cristoforo, Gran Uff. -^^ Uff. i§i, socio corrispon- dente del R. Istituto lombardo e di altre Accademie scientifiche. Console generale di I. classe. Consultore legale del R. Ministero per gli affari esteri. — Torino. r^icoluccì Giustiniano, r^, socio della R. Accademia delie scienze fisiche e maleuiatiche di Napoli e di altre So- cielà scientiCche, membro della Commissione per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d'antichità e belle arti in Caserta. Occioni Onorato, Uff. 4^, Comm. :§a, professore di lettera- tura italiana nella R. Università di Roma. Pacinotti Antonio, socio della R. Accademia dei Lincei in Roma, professore di fisica nella R. Università di Sassari. Palmieri Luigi, Senatore del Picgno, Uff. •^, Comm. c§i, uno dei XL della Società italiana delle scienze, mem- bro della R. Società di Napoli e di altre Accademie, direttore dell'Osservatorio meteorologico Vesuviano e della Specola di Napoli. Ranalli Ferdinando, -^^ Consultore della Commissione per le arti delle provincie di Pisa e Livorno, professore di storia antica e moderna. — Firenze. Razzabonl prof. Cesare, socio della R. Accademia dei Lin- cei in Roma e Direttore della R. Scuola d'applicazione degl'ingegneri presso la R. Università di Bologna. Respighi Lorenzo, ■^, t§3, professore di astronomia, inca- ricalo anche della geodesia teoretica, e Direttore del- l'Osservatorio astronomico presso la R. Università di Roma. Scacchi Arcangelo, Senatore del Regno, Comm. -^r, Gr. Uff. [:§:, Cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, uno dei XL della Società italiana delle scienze, presi- dente della slessa Società, socio nazionale della R. Ac- cademia dei Lincei e della R. Società delle scienze di Napoli, socio corrispondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, professore di mineralogia presso la R. Università di Napoli. — XXVI — Semmcla fJSarlano, ^^, Comm c§^, Comm. del II. Ordine di S. Lodovico e di quello del Nisciam Eftihkar, socio corrispondente di varie Acccademie e del R. Istituto lombardo , professore ordinario di materia medica e tossicologia, nonché Direttore del Gabinetto di materia medica presso la R. Università di Napoli. Tabarrini avv. Marco, Senatore del Regno, Cons., Comm. "f», c§3, Accademico residente della R. Accademia della Crusca, ecc. — Torino. Tacchini ing. Pietro, Comm. tfi, Direttore dell'Ufficio cen- trale di meteorologia in Roma. Tardy Placido, Comm. ■^c, Uff. ^, uno dei XL della So- . eietà italiana delle scienze, socio corrispondente del R. Istituto lombardo, professore di calcolo differenziale e integrale nella R. Universitù di Genova. Targioni-Tozzetti Adolfo, Comm. 4^, Uff. c^, membro della Commissione consultiva per la pesca e di quella per i provvedimenti contro la filossera, Direttore del gabi- netto di zoologia ed anatomia comparata degli animali invertebrati presso il R. Istituto di studi superiori in Firenze. Teza Emilio, Comm. d|i, socio del R. Istituto lombardo, prof, di sanscrito e incaricato della storia comp. delle letterature neo-latine presso la R. Università di Pisa. Tommasi Salvatore, Senatore del Regno, Coium. •^, Uff. d|], presidente della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, socio corrispondente del R. Istituto lombar- do, professore di patologia medica speciale e di clinica medica nella R. Università di Napoli. Tommasìtìi Oreste, socio della R. Accademia dei Lincei in Roma. — XXVII — ViSlari Pasquale, Coinm. -4?, o|3, socio della R. Accademia delle scienze di Monaco, della R. Società delle scienze e dell' Accademia Pontoniana di Napoli, professore di storia moderna nel R. Istituto di studi superiori in Firenze. SOCI CORRISPONDENTI ESTERI Airy Biddel G. — Greenwich. Beneden (Van) Pietro. — Lovanio. Berghaus Enrico. — Gotha. Bertheiot Marcellino. — Parigi. Bertrand J. — Ivi. Bierens de Haan David. — Amsterdam. Billroth Teodoro. — Vienna. Briicke Ernesto. — Vienna. Bunsen Roberto Guglielmo. — Heidelberg. Czòrnig di Czernhausen Carlo. — Vienna. De Sybel Enrico. — Berlino. Di Hauer Francesco. — Vienna. Faye Hervé Aug. E. A. — Parigi. Forster Guglielmo. — Berlino. Gachard Luigi Prospero. — Bruxelles. Gregorovius Ferdinando. — Monaco. Helmhollz Ermanno Luigi Federico. — Berlino. Hermite Carlo. — Parigi. Hofmann Augusto Guglielmo. — Berlino. Hortis Attilio. — Trieste. ti Giuseppe. — Vienna. — XXV IH — Mommsen Teodoro. — Berlino. Mueller (von) Ferdinando. — Melbourne. Owen Riccardo. — Londra. Pertz Guglielmo. — Berlino. Quatrefages Armando. — Parigi. Rancke Leopoldo. — Berlino. Rendu Eugenio. — Parigi. Reumont (von) Alfredo. — Aquisgrana. Riant Paolo. — Parigi. Schiff Maurizio. — Ginevra. Schlmper W. Ph. -- Strasburgo. Struve Ottone. — Pulkova. Thomas Giorgio Martino. — Monaco. Tyndali Giovanni. — Londra. Wolkmann Riccardo. — Halle. Zittel Carlo. — Monaco. Alino ISS5-S6 DISPENSA I ADUNANZE DEL MESE DI NOVEMBRE 1885 ADL'rSAr»^'ZA DEL GK)R?fO 99 PRESIDENZA DEL SENATORE FEDELE LAMPERTICO PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi : Minich, Trois, Turazza, BuccHiA, Pazienti, Pirona, Zanella, Veludo, De Betta, Famiìri, Lorenzoni, e. Bernardi, Beltrame, Tolomei, Favaro, Saccardo, Vigna, Marinelli, De Giovanni, Om- BONi e Bizio segretario; nonché i soci corrispondenti: Berchet, Stefani, Spiga, Fertile, Martini e Cassani. È giustificata l'assenza dei membri effettivi Monsig.^. J. Bernardi e G. De Leva. Dopo la presentazione, fatta dal Vicesegretario dei libri pervenuti in dono dal \h agosto decorso a tutt'oggi, il Pre- sidente comunicò, che r Istitulo fu rappresentato al Con- gresso geologico internazionale di Berlino dal m. e. A, De Zigno^ ed a quello, pure internazionale, penitenziario in Roma dal m. e. Monsig. J. Bernardi. Informò inoltre, che il socio P. F. Denza venne incari- cato di una eguale rappresentanza al Congresso meteoro- logico di Firenze, e che la Presidenza si associò con voti di augurio a quello medico di Perugia. Tomo IV, Serie VI. i — 2 — Partecipò eziandio che, con Ministeriale Decreto del giorno 8 settembre scorso, il dott. Antonio Vecelli fu con- fermalo Curatore della Fondazione Balbi-Valier pel trien- nio 4 885-1888. Poscia il m. e. A. Pazienti diede lettura della sua Com- memorazione del compianto m. e. Francesco Rossetti ; ed il m. e. G. Bucchia presentò la sua Memoria, col titolo : « Ricerca sulla reale utilità dei bacini dì ragunata delle acque, che portano ì condotti di scolo, prima di dar ad esse esito in mare ». Il m. e. G. A. Pirona presentò pure pel volume delle Memorie in 4.°, un suo scritto, illustrato da 2 tavole « So- pra due C/iamacee nuove del terreno cretaceo di Col dei Schiosi, nelle dipendenze del Monte Cavallo, su quel di Pol- cenigo in Friuli ». Sono esse una Monopleura (M. foroju- liensis Pir.) ed un Diceras sinistro (D. Pironai G. Bohem.). Fino al giorno d' oggi tutte le specie di bivalvi dicere- liformi, raccolte nei depositi cretacei, offrirono caratteri tali nell'apparato cardinale, da doverle considerare come genericamente differenti dai veri Diceras di Lamark. L'Au- tore minutamente descrive la struttura della cerniera del nuovo Diceras, composta di due denti nella valva destra e di uno nella sinistra, portati da una lamina cardinale, co- me pure le impressioni del muscolo posteriore giacenti so- pra cordoni o lamine miofore, che, passando disotto alla lamina cardinale, scorrono fino agli umboni in ambedue le valve, precisamente come nei Diceras tipici del Giura su- periore. Costante nei caratteri interni, ma variabile molto nel portamento esterno, come forme estreme, legate tuttavia da frequenti passaggi, l'autore distingue del tìuo\o Diceras tre varietà, cioè : Diceras Pironai G. Bohera var. typicum, var. hecticum e var. difforme. È questa !a prima volta che, in modo incontrastabile, viene dimostrato, che i rappresentanti del genere Diceras sorpassarono i confini del Giura superiore, entro i quali finora si ritennero assolutamente rinchiusi da tutti i pa- leontologi ; e ch'essi invece continuarono a vivere almeno fino all'epoca del Neocomiano superiore od Urgoniano, co- me lo dimostra la sua associazione con specie appartenenti a generi esclusivamente cretacei, come: Monopleura, Ra~ diolites e Sphaerulites. La Monopleura forojuUensis si mostra affine per la for- ma e pel portamento alla M. trilobata d'Orb., e per la strut- tura dell'apparato cardinale alla M. varians Math., ambe- due del terreno Urgoniano. Il m. e. E. De Betta espose oralmente il sunto di un suo lavoro « sulle diverse forme della Rana temporaria in Europa e più particolarmente neW Italia » ; poi il socio A. Fertile lesse una sua Memoria, col titolo : « Gli animali in giudizio ». Infine il m. e. E. Bernardi presentò le sue « Conside- razioni sulle valvole di sicurezza » (con \ tav.) Terminate le letture, l'Istituto si chiuse in adunanza segreta per la trattazione de' proprii affari interni. Nell'adunanza del successivo giorno 23, presieduta dal m. e. dott. Angelo Minich vicepresidente, dopo l' approva- zione dell'Alto verbale della precedente tornata, il vicese- gretario E. F. Trois lesse la sua « Annotazione sopra un fenicottero roseo preso nel Veneto ». Poscia il Segretario presentò le « Ricerche sperimentali del s. e. A. Tamassia sulla putrefazione del rene » ; ed una Memoria del prof. G. A. Bordiga, ammessa in conformità _ 4 — all'art. 8." del Regolamento interno, ed intitolata: « Com- plessi e sislemi lineari di raggi negli spazi superiori- Cur- ve normali eh' essi generano ». Dopo ciò, in adunanza segreta, si esaurirono gli altri affari, eli' erano stati posti all'ordine del giorno. LAVORI LETTI m LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI COMMEMORAZIONE DEL MEMBRO EFFETTIVO FRANCESCO prof. ROSSETTI Cctta DAL M. E. DOTI. ANTONIO PAZIENTI Un Collega carissimo, che all'affetto costante per le fisi- che disciphne accoppiava una indefessa operosità, un esem- plare attaccamento al dovere, Francesco Rossetti, moriva in Padova il giorno venti dell'aprile decorso. Chiamato, per affinità di studi! , a rendergli quell'ufficio, che è dovuto a quanti consecrarono alla scienza il pensiero e la vita, io ne accettai, o illustri Colleghi, l'onorevole carico, sempremai confidando nella vostra benevolenza. Nella coltissima Trento nacque Francesco Rossetti il giorno undici settembre del 1833, da genitori non ricchi ma onestissimi. Compiuto il corso filosofico nel patrio Liceo, attendeva per due anni agli studii matematici nella Universi- tà di Padova. Dipoi si recava a Vienna, dove otteneva l'abi- litazione all'insegnamento della Matematica e della Fisica. Io conobbi il Rossetti quando venuto Professore in questa cit- tà (*), visitava premuroso quel venerando Collega, che stret- (1) Nel 4857 stippU lo Zambra p^r la Fisica e nel 1858 fu promosso Professore ordinario nello stesso Liceo di Santa Gaterinì^ — 6 — to a me coi vincoli del sangue, serba pure nel vostro animo una degna ricordanza, voglio dire Bartolomeo Bizio. Ap- presi allora come il Rossetti sentisse delle umane infermità, e come le doti della mente armonizzassero in lui con le doti del cuore; e da quel tempo innanzi tenni la sua amicizia stimabile. Ondechè il mio compito è per doppio motivo convenevole; ed adempiendo il debito dell'amicizia, renderò omaggio alla verità. È certo che la scienza, ove si adoperi a mostrare il ve- ro nella severa unità della sua sostanza, richiede una larga cognizione di principii, di metodi, di osservazioni. Per la qual cosa il Collega nostro nel \ 864 trasferivasi in Parigi per assistere alla pratica istruzione di un fisico assai rino- mato ed abilissimo sperimentatore, qual fu il Regnault. Nel soggiorno di Parigi era da questo suo maestro eccitato ad intraprendere uno studio sperimentale, al quale dava inco- minciamento nel Laboratorio stesso dello scienziato francese. E nella adunanza del giorno 20 novembre 1866 leggeva a questo Istituto la sua prima Memoria intorno al massimo di densità e dilatazione dell'acqua distillata, dell'acqua del- l'Adriatico e di alcune soluzioni saline. In essa espone il metodo seguito e principalmente le esperienze assai rigoro- se fatte per determinare il coefficiente di dilatazione cubica degU strumenti, che servono a calcolare la dilatazione del- l'acqua distillata. Queste ricerche, che ebbero continuazione in una seconda Memoria, lo condussero a stabilire una sola espressione analitica, la quale rappresenta abbastanza bene il fenomeno della dilatazione dell'acqua per l'intera scala delle temperature da 0° a 1 00°. Per quanto risguarda le soluzioni saUne accennerò soltanto, che trovò l'abbassa- (ora Marco Foscarini). Nel 1866 passò alla Università di Padova Professore straordinario di Fisica sperimentale, e l'anno appresso ebbe il grado di Professore ordinario. — 7 — mento del punto di congelazione al di sotto dello zero di- rettamente proporzionale alla quantità del sale disciolto; la quale proporzionalità era stata piuttosto indicata che dimo- strata dal Despretz. L'importanza dell'argomento ben me- ritava che il Collega nostro vi tornasse sopra. E le men- zionate ricerche si tengono in considerazione dai fisici, e per i metodi seguiti, che sono da additarsi quale esempio nell'arte diffìcile dello sperimentare; e peri risultamenti ottenuti, che tornano spesso utih nelle pratiche applica- zioni C^). È noto come l'esistenza di un potere specifico indut- tivo dei coibenti, benché dimostrata sperimentalmente da fisici valentissimi, fosse tuttavia rivocata in dubbio da altri illustri scienziati. Il nostro Socio credette perciò opera utile quella d'intraprendere delle nuove ricerche. E in una inte- ressante Memoria, dopo aver fatto cenno delle esperienze e delle idee dei fisici sopra un tale argomento, espone gli esperimenti proprii, che condotti con fine accorgimento tan- to nella preparazione degli apparecchi, quanto nelle misura- zioni, raffermano l'esistenza del potere specifico induttivo dei corpi coibenti, e ne definiscono i valori numerici per al- cune sostanze. Ed è a notarsi che il Rossetti, seguendo altra via da quella prescelta dal Professore Felici, ottenne risul- tati quasi identici ; e questa è prova, ad un tempo, e della valentia degli esperimentatori e della bontà dei metodi pra- ticati (^). Nel 1837 il Gauss annunziava un fatto singolare, il quale sta in ciò, che mentre le correnti idroelettriche ed anche le termoelettriche e quelle d' induzione diminuiscono (2) Atti del R. Istituto veneto (Serio III), T. XII, pag. 73 (1866), T. XIII, pag. 963, 1047, 1418 (1868). (3) Atti del R. Istituto veneto (Ser. IV), T. II, pag. 1509, 1887 (1873). — 8 - di intensità coll'aumentare delia resistenza del circuito ester- no, le correnti delle macchine elettriche a strofinamento mantengono invece costante la loro intensità , qualunque sia la resistenza offerta dal circuito da esse percorso. Que- sto stesso fenomeno, il quale rimase per parecchi anni igno- rato, o privo delia dovuta considerazione, fermò più tardi l'attenzione del Poggendorff. Nel 1868 ne fece argomento di svariati studii coU'elettromotore dell' Hollz, e v' ebbe una piena conferma del fatto che il Gauss aveva annunciato e studiato solo per incidenza. Sembrerebbe che alla autorità del Poggendorff, certo di gran peso, specialmente in argo- menti che spettano alla elettricità, i fisici avrebbero dovuto acquietarsi. Ma avvenne altrimenti, ed il Collega nostro teoricamente ed esperimentalmente dimostrava che i risul- tamenti ottenuti dal Gauss e dal Poggendorff doveansi piut- tosto attribuire a ciò, che le resistenze introdotte nel cir- cuito erano inferiori di troppo alla resistenza interna dell'e- lettromotore, la quale è grandissima. Io non seguirò il no- stro fisico in tutte le conclusioni particolari, alle quali per- venne in questi suoi studii sulle macchine elettriche ; dirò soltanto che non sussiste proprio quel modo eccezionale di comportarsi delle correnti svolte delle macchine elettriche, ma che obbediscono anch'esse alla legge dell' Ohm al pari delle correnti generate dagli altri elettromotori. Con queste indagini si potè inolire determinare con sufficiente precisio- ne la forza elettromotrice e la resistenza interna dell' elet- tromotore a qualunque velocità di rotazione ; e misurare eziandio le intensità delle correnti, come pure il lavoro con- sumato ad ogni minuto secondo per ottenere le varie in- tensità. Al Rossetti non sembrò quindi inopportuno il ten- tativo di desumere il valore dell'equivalente dinamico della caloria ; e dal complesso degli esperimenti ottenne un nu- mero che risponde a quello presentemente adottato. Questi — 9 — stiulii furono lodatissiiiìi, ed egli n'ebbe un premio dalla So- cietà italiana dei XL {^). E poiché cadde il discorso sopra questa maniera di stu- dii, devo pure far menzione delle sue osservazioni ed espe- rienze sull'uso dell'elettromotore dell' Hollz nelle ricerche elettrometriche sui condensatori elettrici (^); e sulla quan- tità di lavoro che viene in esso utilizzato (•") ; e sulla inver- sione delle correnti negli elettromotori delflloltz e del Pog- gendorff (') : ricerche queste che mirano a dare una più completa cognizione di codesti elettromotori (*). In ogni tempo si credette di avere raggiunta l'ultima meta della cognizione e della intelligenza della natura. « Te- mo che tal fede, dice l'Humboldt, cui seriamente vi pensi, non possa sublimare il gaudio del presente. Più fecondo e meglio adatto ai destini dell'uomo è il convincimento che le conquiste dell'intelletto sono, non che altro, una parte as- sai tenue di quelle, che l'attività progrediente e l'incivili- mento universale faranno in avvenire ». È generale il con- cetto dell'Humboldt, ma frattanto, discendendo a qualche fatto particolare, riuscirà ognora più conforme al vero. Nell'ottobre del 1832 Samuele Morse, navigando dalla Francia verso gli Stati Uniti, concepiva l'idea del suo tele- grafo, e nel pigliar terra diceva a Guglielmo Peli: « Capita- no, quando il mio telegrafo sarà diventato la maraviglia del (4) Atti del R. Istituto veneto (Ser. IV), T. Ili, pag. 1772, 2081, 2159 (1874). (5) Rivista dei lavori dell'Accademia di Padova, voi. XXI, pag. 69 (1872). (6) Memoria letta alla R. Accademia di Padova nella tor- nata del 31 maggio 1874. Padova, tip. di G. Batt. Randi, 1874. (7) Atti del R. Istituto veneto (Ser. IV), T. Ili, pag. 165 (1874). (8) Vegg. inoltre la Nota inserita negli Atti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. I, pag. 615 (1875): aConfronto fra le macchine elettriche ». Tomo IV, S>:ne 17. 2 - -10 — mondo, risovvenitevi che la scoparla fu fatta a bordo dtl vostro vascello il Sullij». Ma, trascorsi parecchi lustri, ecco il telefono riprodurre ed inviare a distanza la voce umana con tutte le sue modulazioni, mediante quella stessa veloce messaggera, che è la corrente elettrica. In grazia della im- portanza e della novità di questa stupenda invenzione , il Collega nostro inti-atteneva l'adunanza del 16 dicem- bre 1877, con una chiara descrizione del telefono del Bell, accompagnandola con i relativi esperimenti. Pubbhcava quindi le relazioni sopra alcune sue esperienze telefoniche, sui telefoni senza lamine e sull'uso vantaggioso che si può fare dei rocchetti d'induzione per comunicare telefonica- mente fra due stazioni lontane (^). Per un suo particolare sistema di applicazione dei rocchetti d'induzione, ottenne anche il privilegio in parecchi paesi, e costituivasi in Ame- rica una società per attuarlo. Altra importante ricerca, che, tentata per la prima volta dal Newton, richiamò in questo secolo l'attenzione dei fisici, si è la determinazione della temperatvra del Sole. Bisogna convenire, che il quesito è ben difficile, se troviamo tal- mente discordi le conclusioni che discendono dalle indagini instituite, da dividerle quasi un abisso; e se l'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia, che nel 1876 ne faceva tema di concorso, giudicava l'anno appresso che nessuno dei concorrenti avea risolto il problema; d'onde la delibera- zione di non più presentarlo per un ulteriore concorso. Tuttavolta il Collega nostro non cadde d' animo, e procurò di togliere o di diminuire le difficoltà inerenti alla natura della questione. Le sue indagini pertanto furono dirette, primieramente a misurare l'intensitù dell'irraggiamento so- (9) Alti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. IV, pag. 291, 351, 567, 661 (1878). — Sullo slato presente della tclegralia e della te- lefonia. Accademia di Padova^ febbrajo 1881. — 11 — lare mediante l'effetto prodotto nell'apparato termometrico, in secondo luogo a misurare, collo stesso strumento, non solamente 1' intensit;'i dell' irraggiamento termico di corpi aventi temperature varie e conosciute, ma ben anche a di- scoprire la legge, con cui queste intensità variano al variare della temperatura, e a trovare la formola che esprime co- desta legge. Nelle scienze sperimentali, quando una teoria, una legge o la formola, che la rappresenta, regge ai varii cimenti, a cui la si sottomette, ragion vuole che essa abbiasi a risguardare come l'espressione dei fenomeni contemplati. Dietro questo principio il nostro Professore credette di poter conchiudere: « che la vera temperatura del Sole non debba essere gran fatto diversa da quella, che venne chiamata temperatura ef- fettiva di quell'astro, e questa non debba essere inferiore di mollo ai diecimila gradi, ove si tenga conto solamente del- l'assorbimento dell'atmosfera terrestre ; né di molto superare i ventimila gradi, quando si voglia eziandio aver riguardo all' assorbimento prodotto dall' atmosfera solare, e questo corrisponda ad ^V,,,^ dell'Irraggiamento totale «. Ma che è questa temperatura effettiva di quel vose di fiamma, astro gigante? È quella temperatura, che dovrebbe avere un corpo incandescente, di. pari grandezza, e posto alla stessa distanza del Sole , per dare il medesimo effetto termico, qualora esso fosse dotato del medesimo potere emissivo. Dotti Colleglli, il quesito è arduo ; nondimeno il Rossetti ha saputo intanto svelare nella questione un lato vulnerabile, e dimostrare che le formole usate in addietro non possono es- sere scientificamente giustilìcate. Egli non ignorava che, nel- le speculazioni coraggiose, la matematica può servire di scienza del paragone e preservare da temerità. Ma se ca- dono i milioni di gradi desunti da alcuni fisici, e i loOO e 1 400 gradi dedotti da altri, quale temperatura del Sole, sarà poi dcIJnitivamente risolto il difiicile problema? Rammcutia- — 12 — moci che il Rossetti si propose solamente di restringere i limiti, entro i quali si deve considerare la temperatura del Sole. E fu detto saviamente che « il grado di probabilità della soluzione del problema è senza dubbio cresciuto di molto per l' opera del Rossetti ». E al Rossetti, per le sue indagini sulla temperatura del Sole, la Reale Accademia dei Lincei, più fortunata dell'Istituto di Fj'ancia, aggiudicava il premio scientifico Carpi per l'anno 1877 (^°). In appresso, alle sue ricerche sulla temperatura delle fiamme (*^) aggiungeva anche lo studio di un problema, che si riferisce alla temperatura dell' arco voltaico e delle due estremità polari dei carboni, nell'atto che producono la luce elettrica : lavoro questo, che mentre stabilisce utiU principi! sul potere assorbente e sul potere emissivo termico delle fiamme luminose e di quelle poco lucenti, può considerarsi quale una continuazione ed un complemento alle sue inda- gini sulla temperatura del Sole (*^). Fin qui ho toccato dei principali lavori sperimentali del Rossetti. Mi limito pure ad un rapido cenno di altri, quali sono l'erudito discorso sulla visione bioculare, pubblicalo nel programma dell' I. R. Ginnasio -Liceo di S. Caterina (1861), e la nota intorno a due nuove teorie degh strumenti ottici dei professori Mossotti e Petzval ; le osservazioni sulla pila di Danieli modificata da G. Minotto (^ •'), sull'uso delle cop- (10) Di alcuni recenti progressi delle scienze fisiche e in par- ticolare di alcune indagini intorno alla temperatura del sole. Ora- zione inaugurale dei corsi accademici dell, anno Ì877-78. Pado- va, tipografia di G. Batt. Randi. — Alti della R. Accademia dei Lincei, voi. II (1878). (11) Atti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. Ili, pag. 809; T. IV, pag. 279 (1877-78). (12) Atti della R. Accademia dei Lincei, voi. IV (1879). — Alti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. V, pag. 555 (1879). (13) Atti dell' Ateneo veneto, 1861-62. — 13 - [ne termoelL'ltridio nella misura delle temperaliire (^ ■) e sul disparire del gas tonante svolto nell'elettrolisi dell'acqua (*■). Nel corso delle sue esperienze sui condensatoli elettrici ebbe occasione di fare una curiosa ed elegante sperienza, che prova in modo visibile la conduttività del vapore acqueo e colla quale si può CaciUnente mostrare una differenza ca- ratteristica fra lo stato elettrico positivo e il negativo ('^). Non è d'uopo ricordare le vivaci discussioni, alle quali diede argomento quello strumento singolare, che è il Radiometro. Anche per il Collega nostro il Radiometro del Crookes fu oggetto di ingegnosi esperimenti per chiarirne la spiega- zione {^"). Ed ora, quando si consideri che il Rossetti con sollecite cure procacciò al suo Istituto di fìsica, quell'incremento che ripetesi dall'odierno indirizzo scientifico; quando si rifletta alle laboriose ricerche, alle quali diede mano nel volgere di pochi anni, ad onta della sua mal ferma salute, e delle mol- teplici sue occupazioni, credo di essere nel giusto affer- mando che egli intese con amore ad avvantaggiare i fisici studii. Fu inoltre esemplare il sentimento, che ebbe il Rossetti del proprio dovere. Quale professore, tenne la scuola in cima dei suoi pensieri, e colla bontà dell'insegnamento teo- rico e pratico, che, senza pompa cattedratica, seguiva or- (14) Rivista dell' Accademia di Padova, 1867. (15) Atti della Società italiana di scienze naturali, voi. XII, fase. 3 (1869). (16) Atti della Società Veneto-Trentina di scienze naturali, voi. 1 (1871-72). (17) Il Radiometro di Crookes. Memoria letta alla lì. Acca- demia di Padova nella tornata del i4 maggio 1876. Padova^, tipografia di G. B. Raudi. — Atti del R. Istituto veneto (Ser. V), T. II, pag-. 869 (1876). — li - dinato ed agevole ('^), sciDpe eattivarsi la simpatia e la stima di buon numero di discepoli. Egli seppe animarli col suo esempio; e coli' ispirar loro un affetto efficace alle dottrine, che professava, compiva la più grande missione, che possa dare la scienza. E ne rendono ferma testimonianza gli egre- gii, che, e nella pubMica istruzione, e con i dotti lavori, mentre onorano so stessi, onorano pure il maestro. Per non mancare all'obbligo suo, come successore al venera- to Professore Zanledeschi , ne! giorno 3 1 marzo 1873, con misurato discorso ne dava riverente 1' estremo ad- dio ('^). E parimenti s'impose il doveroso ufficio di rac- cogliere e pubblicare i punti più salienti della vita scientifica e politica di Simone Strafico (""). Compito questo lodevole, e per l'ordine, col quale il Rossetti procede nell'esame della vita e delle opere dello Strafico, e per Io studio paziente ed inteUigente, col quale pose in luce tanti e sì svariati docu- menti della potenza intellettuale dell'esimio Professore di J Padova. Agli incarichi di questo Istituto era pronto a rispondere con le sue dotte Relazioni, che, in argomenti anche dehca- lissimi, si tennero sempre in gran conto ; poiché pari al sapere era in lui la rettitudine di una intemerata coscienza. Custode severo della scienza, non assentiva ai ritrovamenti vani e senza fondamento, ma moderava però la severità dei suoi giudizii con la persuasione. Dal I8G2 al febbrajo 1866 occupò anche il posto di Se- (18) Sarebbe slato desiderabile cbe il Rossetti avesse pubblica'o l'intero corso delle suo Lezioni di fisica, delle quali ne abbiamo un bel saggio sul Magnetismo (Padova, tip. di F. Sacchetto, 1871). (19) In morte del prof. F. Zantedeschi. Discorso. Palova, tipo- grafia di F. Sacchetto, 1873. (20) Della vita e delle opere di Sinjone Stratico. Memorie del Il Istituto veneto, voi. XIX, pag. 371 (187(5;. — 15 - gi'ctiìi'io, per la classe delle Scienze, nell'Ateneo veneto, pro- movendone in ogni maniera il maggiore lustro. Era in qiiel- l'anno memorabile in cui si celebrava il sesto anniversario secolare del fausto nascimento di Dante, che faceva (in unio- ne air amico e collega dott. Michele Treves) la proposta di aprire nell' Ateneo stesso dei corsi Uberi di scienza e let- teratura popolare, a somiglianza di quanto praticavasi nei più colti paesi di Europa. « Noi non possiamo, diceva, ele- vare un monumento marmoreo; ma poniamo le basi di una istituzione, che, destinata a diffondere fra noi viemaggior- mente la coltura scientifica e letteraria, diverrà un omaggio continuo e fecondo reso al più Grande degli Italiani ». Dulie quah parole del Rossetti trasparisce, oltreché la venera- zione che portava al Signor dell' altissimo canto, la sua de- vozione all' Italia. E a questa ItaUa erano rivolte le sue ge- nerose aspirazioni, sperando sempre ed augurando sempre sorte migliore al nativo paese. Bella quindi e diffusa fu la fama del Collega nostro, se protetto da questa, in breve giro d' anni, ottenne la catte- dra di Padova, e la Presidenza della Facoltà delle Scien- ze matematiche, fisiche e naturali; se divenne Membro ef- fettivo di questo Istituto e fu aggregato ai Soci della Reale Accademia dei Lincei, e di altri cospicui corpi scientifici ; e di onorificenze insignito. Pur troppo una crudele ma- lattia dovea troncare i giorni ad un uomo tanto operoso, e trarlo anzi tempo al sepolcro. L' insidioso morbo, fre- quenti e lunghe tregue da principio gli concesse; per cui egli non disperava di riaversi in sanità. In questi ultimi anni le sue sofferenze si fecero continue, micidiah, irrefre- nabili così, che per averne qualche sollievo dovette condursi ne' varii di quei siti d'Italia, che per mitezza di clima sono in alcune malattie consigUati. Ridottosi in Padova neirautunno del 1884, fu presto in termine di vita : e tra i conforti delle assidue cure della diletta sua sposa e della affettuosa sorella, - de - valida — Venne una man dal cielo — E in più spirabil aere — Pietosa il trasportò. — Che se una benefica legge della natura permette al tempo di darci pace nelle sventure, non per questo si dimenticano i cari estinti ; e di Francesco Rossetti vivrà la memoria, fin che le virtù dell'animo e del- l' ingegno saranno tenute in pregio. RICERCA SULLA REALE UTILITÀ DEI BACINI DI RAGUNATA DELLE ACQUE CHE PORTANO I CONDOTTI DI SCOLO, PRIMA DI DAR AD ESSE ESITO IN MARE DEL M. E. GUSTAVO BUCCHIA « Dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna "D'alta palude un nebuloso gorgo ■>. 1) Nella farraggine di scritti e di progetti usciti fuora per la boniOcazione della provincia di Rovigo, i quali, co- me sovente accader suole in tali congiunture, piuttosto che rimuovere le difficoltà, portarono la confusione e l'incer- tezza nelle menti di chi non intende più oltre; comparve in campo un nuovo spediente, avanti non che proposto ma pur pensato da verun pratico, per felicitare gli scoli che sboc- cano in mare; lo spediente cioè di convertire l'infimo tron- co del condotto in un'amplissimo ricettacolo o bacino di ragunata delle acque, capace di contenere accumulata ad un basso livello tutta l'acqua che vi porta il condotto tur- gido, nel tempo che, pel flusso marino rimane chiusa la chiavica emissaria che le dà esito in mare. 2) La speciosità di cotesto provvedimento, speculativa- mente considerato, gli acquistò favore, e pare che prenda piede, e che se ne voglia fare un' opera accessoria indi- spensabile alla perfezione del rassettamento generale degli scoli di quella provincia. T"mo IV, Serie VI. 3 — 48 — 3) Io credo che, se si mandasse ad effetto cotesto divi- samento, si commetterebbe errore intollerabile; perchè di- scusso a fondo e praticamente quel trovato, perde l'illuso- ria bontù, e si appalesa vano e fallace. E giacché un'eletta Giunta d'ingegneri, per incarico del Governo, sta attual- mente occupandosi a compilare un progetto di generale ordinamento di tutti gli scoli della mentovata provincia, ho creduto opportuno chiarire 1' opinion mia sulla vera efficienza di cotesti bacini, con un saggio analitico che in- torno ad essi vado ad esporre; istituendolo sopra semplici e facili principii, che agevolano la soluzione del quesito, senza ledere la certezzn delle conclusioni ; che è quanto la pratica esige dalle teoriche a cui ricorre per dirizzare l'o- pere sue. 4) Cominciamo dal porre in chiaro lume il vero scopo dei bacini di cui si tratta, coli' enunciare distintamente il problema ch'essi danno da sciogliere. Stabilita l'altezza massima sopra il livello del mare bas- so, alla quale può tollerarsi che salga l'acqua ne! bacino, senza nocumento del felice scolo delle più basse colture ; trovare l' ampiezza che deve avere il bacino stesso, e la lu- ce competente alla chiavica che gli apre l'adito in mare, af- finchè correndo il condotto turgido, l'acqua che porta nel bacino in tutto il tempo che rimane chiusa la chiavica, non si elevi al di sopra dell'altezza limite stabilita; e possa vo- tarsi in mare nel tempo che la marea consente che stia aperta ed atluosa la chiavica. 5) Per facilitare la soluzione di cotesto problema, pri- mieramente porremo, seguendo l'esempio dello Zendrini in un'analoga ricerca (Leggi e fenomeni delle acque correnti, capitolo XIH, § 19) che il moto ascenzionario e discensivo della marea sia uniforme: e poiché nel principio della pri- ma ora, e nel termine dell'ultima, delle sei ore che dura tanto il flusso che il riflusso, per venli minuti primi gl'in- — d9 — crementi ed i decrementi di altezza sono così piccoli ed in- discernibili da poter ritenere il mare stazionario, periodi cotesti di apparente fermata della marea crescente e decre- scente, che in volgar veneziano s'indicano coll'appellativo di slanca; così per discostarci meno dal vero ritmo di movi- mento della marea, porremo clje, detratti venti minuti di stanca tanto nel principio die alla fine della rispettiva du- rata del flusso e del riflusso, nel residuo tempo di ore 5 e minuti 20, pari a minuti secondi ^9200", sia percorsa con moto uniforme l'intera altezza clie corre dalla bassa all'alta marea, che ò d'ordinario nei noviluni! e plenilunii di un metro. Sicché assumeremo la velocità uniforme media rag- guagliata della marea nelle sue alternate escursioni eguale a : 0"\000052084 per minuto secondo. Non faremo poi ca- so delle burrasche che elevano la marea al disopra dell'or- dinaria altezza, e per la breve loro durata, e pei lunghi in- tervalli del loro ricorrimento che le rendono innocue. 6) Porremo inoltre che, la chiavica emissaria, abbia le bocche di efflusso di luce invariabile, interamente rigurgi- tate, cioè interamente sommerse sotto il livello della bassa marea, e guernite da porte a riballa automobili, girevoli intorno ad asse orizzonzale. 20 D D F E H K L I A \] G limi llllli 7) Ciò posto sia CG la fronte della chiavica; AG la luce della bocca di efflusso, tutta sommersa sotto il livel- lo AB della bassa marea; CD il pelo della comune alta ma- rea ; FÉ il livello supremo al quale si tollera cbe salga l'a- cqua nel bacino. Dicasi h l'altezza AE di cotesto supremo livello so- pra il piano della bassa ma- rea ; A la superficie del ba- cino; n l'area iotera delle luci dell'emissario; Q la portata del condotto di scolo turgido; m il coefficiente di contrazione dell'acqua sgor- gante dall'emissario; ?i=: 0,000052084 la velocità uni- forme con cui sale e discende la marea ; g la gravità. Fin che in mare l'acqua soprastà al livello FÉ , al quale si suppone trovarsi l'acqua nel bacino, le porte del- l'emissario rimangono chiuse : si aprono tosto che la marea decrescente è discesa al livello FÉ ; e da questo istante l'emissario diviene attuoso, e continua a versare fino al momento in cui, finita la zozana, la crescente consecutiva, salita a pareggiare l'acqua interna del bacino, richiude le porte ed arresta lo sgorgo. Perciò I intero sbassamenlo sotto il livello FÉ dell'ac- qua del bacino, nel tempo che sta aperto l'emissario, suc- cede in tre distinti periodi consecutivi. Il primo è lo spazio di tempo che la zozana occupa a discendere dal livello FÉ a quello del mare basso. Il secondo periodo è l'intera durata della stanca al ter- — 21 ~ minar ilolla zozana ed al principiare della consecutiva cre- scente, o sia in tutto è Io spazio di minuti 40'. Il terzo periodo è il tempo che impiega la crescente a salire dal livello del mare basso a quello al quale si è intan- to ridotta l'acqua nel bacino. Cerchiamo lo sbassamento parziale in ciaschedun pe- rìodo. 8) Primo periodo. Suppongasi che, trascorso il tempo t dappoi che la zo- zana è discesa sotto il livello FÉ , sia l'acqua in mare ca- liita in Ht, e nel bacino in KL . In questo istante la ve- locitc'i dell'efflusso dalle luci della chiavica sariì dovuta al battente: LH =: CE! — CL ; ed essendo : CH = w< , posto CLrrra:;, esso battente diverrà: ìjlì = n.t — x ; e quindi la velocità dell' efflusso sarà : ^2(j.{nt — x). Onde nel tempo infini- tesimo d.t consecutivo a t , uscirà dal bacino il volume di acqua : m P,.dlf^2g{nt—x). Ma nello stesso tempo dt il condotto verserà nel baci- no il volume d'acqua; Q.dt , che rimpiazzerà parte dell'a- cqua uscita; dunque l'effettivo volume d'acqua sottratto al bacino nel tempo dt , sarà : dl{m.n.^'2g{nt — x) — q). E poiché dipendentemente da cotesto sotlraimento d'a- cqua, il pelo del bacino si sarà sbassato di una quantità in- Hnitesima dx ; cosi l'effettivo volume d'acqua sottratto sarà pure espresso da A.dx . E pertanto si avrà l'equazione: (I) . . . dl{m.nJ 2g{nt'-x) — Q)=^A.dx . La quale integrata, darà a ciascun istante lo sbassa- mento X del pelo del bacino. — 22 — Per integrarla facciasi la sostituzione: ^wi — X = z e poi, separando le variabili diverrù: / Q \ 2.z.dzi z — -p=^ 5 n.A+Q „ 2 E posto per brevità : n.A nk-hQ , , V si trasformerà nella più semplice : dx = ; . a-\-bz Della quale l'integrante generale è: X =: costante — \z'^ + 2a.z + 2rt(a + 6).Log(a + b — z)\ . La costante arbiti'aria si determina avvertendo che, al- l'origine del tempo, è : < .=z 0 ; ^.i=:0 , e conseguentemen- te : Zz=:Q . Onde : costante .=r 2a{a -\- ^)log(a -H b). E r integrale completo diviene : X = 2a(a + b)\og . — z(z -h 2a) . a+ò — z Equazione in termini finiti che farà noto, a ciascun istante, lo sbassamento dell' acqua nel bacino. 9) Per conoscere poi lo sbassamento al termine della zozana, o sia alla fine del primo periodo, facciasi: ni = h che rende z =:^ ^ li — a; ; e si otterrà T equazione : 1 / h ./-r \ , "+^ r( T- + r h^- x)= log , . /-; • — 23 — La quale, posto ^ li — x=:v , si trasforma nella : (2) . . . . -f — + t; j = log — — . Ed H valore di v che la soddisfa, porgerà il cercato sbassamento dell' acqua nel primo periodo, espresso da x^=.h — v^. \(S) Secondo periodo. Durante tutto questo periodo della stanca, il mare per- mane fermo al livello della bassa marea; e varia solamente l'altezza dell'acqua nel bacino, la quale va continuamente diminuendo a mano a mano ch'esce acqua dall'emissario. Si è trovato lo sbassamento avvenuto nel primo perio- do essere: h — v"' \ dunque il pelo dell'acqua nel bacino nel principio del secondo periodo si trova depresso : h — v^ sotto il livello supremo EF , mentre in mare il pelo si tro- va depresso: wt == h sotto il livello medesimo. Da questo istante s'incominci a contare il tempo degli sbassamenti durante il secondo periodo : e trascorso il tempo t , sia X lo sbassamento avvenuto sotto il livello a cui trovavasi l'acqua alla fine del primo periodo; nelbacino pertanto sarà l'acqua depressa : h — v"- -\- x sotto il livello EF , mentre nel mare immobile si troverà depressa h sotto il livello slesso; dunque il battente a cui sarà dovuta la ve- locità dell'efflusso sarà: h — [h — v"- -\- x)-==.v^ — x\ e servirà ancora l'equazione (I) a trovare a ciascun istante del secondo periodo lo sbassamento del pelo nel bacino, purché in essa si ponga: v"- — x in luogo di -wi — -x. Fotta questa sostituzione, e separate le variabili, l'equazio- ne diviene : tg J\,CluU Ovvero, dividendo numeratore e denominatore per m.£Lf 2.ij , e valcndusi ancora delle posizioni (t), — 24 - a dx dt=- Per integrarla facciasi: rv"^ — x = s e diventa 2a s.ds dt = . — - n s — 0 Il cui integrale generale è: t =: costante / s 4- b.Lo^{s — f>)j . La costante arbitraria si determina avvertendo che all'ori- gine del tempo è t = 0 \ e quindi s =zv . Onde viene : costante = — ( v -h b log(y — ^) ) • E conseguentemente : la i , , v—h ì t = — .{v — s ~\- 0. Log. l , n ( s — h ) che si trasforma neh' equazione : i./n.t \ , V — b i./n.t \ , v—b La quale darà a ciascun istante il valore di 5, e quindi quello dello sbassamento x dell'acqua sotto il pelo al quale si era ridotta al termine del primo periodo. -Il) Pongasi in cotesta equazione, t eguale alla durata della slanca, o sia t = 2400" minuti secondi, e diverrà ; l/1200.n \ , v—b E sarà cosi accomodata a dare lo sbassamento dell' a- cqua alla fine del secondo periodo. Infatti il valore di s che la soddisfa, somministrerà il valore di cotesto sbassa- mento espresso da : x^v"^ — s"- . 12) E qui, prima di passare al terzo periodo, giova pre- venire il dubbio che potrebbe nascere sull'esistenza di co- — 25 — testo ultimo periodo di efflusso, pensando che il bacino pos- sa interamente votarsi fino a livello della bassa marea nei due primi periodi. Per dimostrare l'impossibilità, nello stretto senso ma- tematico, di cotesto accidente, noteremo che, lo sbassa- mento avvenuto alla fine del secondo periodo, perchè arri- vasse al segno della bassa marea, dovrebbe essere eguale all'altezza v'^ che avea l'acqua sopra essa bassa marea nel principio del periodo stesso; dovrebbe cioè essere x=:v^ -^ onde s= f/i;rzr~ = o. E posto s = 0 nell'equazione (3) diventa. VlOO.n 1 , / 1 \ a.b b \ b I Ora si osservi che restituendo a ^ il suo valore (e), diviene 1 w.n. sl'-ln.v^ - . V =: —— . 0 Q Ma il numeratore è la portata dell' emissario all'origine del secondo periodo, portata assai più grande della portata Q 1 del condotto, dunque: i — ~v è una quantità negativa, il cui logaritmo è immaginario ; dunque per s =^ 0 , 1' e- quazione è impossibile, e dimostra l' insussistenza del dub- bio enunciato. AS) Terzo periodo. In quest'ultimo periodo dell'efflusso che precede il ri- chiudimento della chiavica, l'acqua nel mare si alza e con- tinua a sbassarsi nel bacino. Lo sbassamenlo avvenuto nel primo periodo si è trovato § 9: h — v'^ ; e quello avve- nuto nel secondo periodo § M : v'^ — s'^ ; dunque l'inte- ro sbassamenlo avvenuto nei due primi periodi è: h — s*. Sia X r ulteriore sbassamento trascorso il tempo t dal principio del terzo periodo; in questo istante 1" intero sbassamento dell'acqua nel bacino sotto il supremo livello Tomo IV, Serie VI. 4 — 26 — EF sarà : // — s'- + x . Ma alla fine dello stesso tempo t il mare si è alzato n.t sopra la bassa marea, quindi il suo pelo si trova depresso sotto il livello supremo EF del bacino h — n.t; siccbè il battente a cui è dovuta la ve- locità dell'efflusso nell'istante che si considera è: h — n.t — (A — s- + x) =2s^' — X — nt . E serve ancora l'equazione (I) a trovare lo sbassamento del pelo nel bacino durante il terzo periodo, purché in es- sa si ponga: s'^ — nt — X in luogo di ni — x, con che diventa : {m£L.^2gf^s'' ~ x — nt — Q)dt = A.dx . Per integrarla si faccia «^ — X — nt ■=(p- . Onde dt ■=. )■ V n E fatta la sostituzione e la separazione delle variabili, di- venta : dx = jz=z . E valendosi ancora delle abbreviature (e) si trasforma nella semplicissima : . — 1.(p.d
= 0,I23 che convertono 1' equazione (2) nella : 1 , , 0,4736 Soddisfatta molto prossimamente da : v ^= 0,4428 ; perciò r equazione (3) diventa ; \ , ^. , 0,3198 - {s - 0,2645) = Ig. 0.1 ^3' ' ' "^ s— U,12:j che dà molto prossimamente : s ■= 0,3225 . E conseguentemente la formula (4) porge z=: 0,08546, con difterenza praticamente trascurabile dal valore asse- gnatogli. 26) Per ultimo esempio probativo, ritenuti gli altri da- ti, pongasi i = 0 . La (6) darà: A=rl .952.000. Si troverà: ;/::=: 0,00004 3 i 03 ; c^-: 0,10344 ; t"- = 0. Onde: Vi==2470,»iD.^2^ ; V^r^ 5l4,53.ma. ^'2^ ; V^rzzO . Inoltre si troverà : A.h — ^. 17 1.200.— Quindi r equazione (7) diverrà: 2984,53.«(n/ 2^ =^ 1.728.000 — 37 — e dà : mil^ 2(j = 579 • Onde: a — 0,1736 ; ^ = 0,06909 . E r equazione (2) diventa : 0,2447 ' ' • / o ^^2447— u e dà molto prossimamente : V = 0,2446 1 2 ; valore che trasforma l'equazione (3) nella : 1 , , 0,1755^22 che dà : s = 0,0Sb3. Col qual valore la formula (4) dà : z — 0,007978. Valore cosi piccolo che conferma quanto si è detto al § 15, e persuade ad un tempo insieme ai due esempii pre- cedenti, che in pratica si può pienamente affidarsi al se- condo più semplice processo per risolveie senza errore valutabile il problema. 27) Si varremo dunque di cotesto processo per dimo- strare con qualche esempio, come veramente sia, T inven- zione dei bacini di ragunata, uno spedicnte inutile e ma! consigliato. Piglieremo per primo esempio quello recato dall'egregio ingegnere Scarpari, in un opuscolo recentemente pubbli- cato a Roma dalla tipografia del Genio Civile, sotto il tito- lo : fl Effetto idraulico, e luce delle gi'andi chiaviche di scolo » a mare, munite di portoni automobili, e di un bacmo per » lo spagliamene della piena ». Applica il prefato autore il bacino al progetto Perusini- S carpari per la bonificazione dei terreni a sinistra di Ca- nalbianco nella provincia di Rovigo. Assume Q nr 40 ; i=z 0,1 I 1 6 ; a =^ 4 ; H — 1 , ed assegna a talento al bacino l'ampiezza : A z=r 3 chilometri quadrati. - 38 — Con questi doti trova, giusta la sua teoria, A = 0,5472; e la Iarij;l»ezza complessiva delie luci nell' emissario: A = 70,80. Noi per applicare a cotesto esempio i nostri principi!, i quali, come ragion vuole, fanno dipendere l'ampiezza del bucino non dall' arbitrio, ma dalle esigenze della bonifica- zione, slabiienilo quale dolo cardinale del problema l'al- tezza massima li , alla quale consente la bonificazione che salga al più l'acqua nel bacino, riterremo: Q — 40 ; i =:0,l 116 , h~ 0,5472 ; a — 4 . E la formola (6) porgerà ; A = 2,585 chilom. quadrati. Poi si troverà: w =z (),0J)0028!)433 ; ^- — 9,24312 ; e"- = 0,1 7366 . 5 Onde le formule («),(«'),(«''), assumendo mz=z~ § 19, daranno : V^ = 10314,3 n ; ¥5 = 3134,4 a ; ¥3 = ^695, a . Si troverà appresso : A{/i — i)— 1.703 004.~ Q ( — 4- 0- ) = 602.000.— . \ n / Quindi l'equazione (7) diverrà: 15143,7X1 = 2.305.004, che dà: Ci =: 152,20 metri quadr. ; e conseguentemente A = - = 38,05. oc Se non che la profondità di 4 metri sotto il livello della bassa marea assegnata alla soglia delle luci dell'emissario pare eccessiva, e più confoime alle caute regole dell'arte non oltrepassare la profondità di 2 metri, sicché, posto a = 2 , e rifatti i calcoli, viene: V, = t 1069,2X1 ; Vs=3240,9.Xl ; y,r-\7A2,a. — 39 - E r equazione (7) diventa 1 6052. Q = 2.303.004. — che dà il = i 43,6 , e quindi À = 7 i ,8 . Coiiipartendi) la chiavica in 25 bocche, larga ciascuna metri 2,9, separate da pile, e terminale da spalle di gros- sezza proporzionata alla violenza del (iotlo del mare, riusci- rebbe la fabbrica lunga almeno metri ^20. Cotesto spediente dunque richiederebbe la compera di un'area di chilometri quadrati 2,585 per la più parte oc- cupala da preziose peschiere: la erezione di chilometri 6 e più d'argini robustissimi in luogo diflicilissimo : e la co- struzione di una fabbrica colossale lunga non meno di me- tri 120. E con quale profitto lo vedremo in seguito. 28) Piglieremo per secondo esempio il bacino di chi- lometri quadrati 6,50, che l'egregio ingegnere Turola, sal- vo il giudizio d'nn più approfondito esan.e, crederebbe bene applicare al termine in mare del Po di levante, convertito in collettore generale di tutti gli scoli dal territorio provin- ciale. Veggasi la sua elaborata dissertazione sulla « Siste- » mazione idraulica della provincia di Rovigo», pubblicala leste a Padova dall'editore Angelo Draghi. Riterremo dunque la portala che egli dà al collettore turgido Q := 70 ; ed tissegneremo ad i lo stesso valore assegnatogli nel precedente esempio. Onde, posio ncirc(|uazione (6) : Q = 70 ; i = 0. 1 I I 6, si deduce: /t :::=: 0"\4375. Quiii li si vede che l'effello di cotesto amplissimo bacino sarebbe, di tenere in sé T acqua elevala al più mei. 0"^44 sopra il livello della bassa marea. Vediamo poi che ampiezza dovrebbero avere le luci dell' emissario, ammettendo che la loro soglia debba som- mergersi metri 2 sotto al piano della bassa marea. Coi dati sopra riferiti, e fallo a =.2 ^ si trova : t« — 0,00002518 ; ^^=r 0,22590 ; c^z= 0,1 6553. Quindi : ~ 40 — Y^ = SZUa ; V^nz 3 128.12 ; Y,=: \Q97.n Si trova inoltre: A(A - ^■) = 2.H8.300. q( ^ ■ (r)= 905937 . E pertanto 1' equazione (7) diventa 4 3109. a r^ 3. 024.257.— E dà: il := 229,05 ; e conseguentemente A = -— 114,825. ce Quindi si vede che, se si compartisse la chiavica in 40 luci, cadauna larga melii 2,9 e si assegnassero le debite grossezze alle pile intermedie ed alle spalle estreme, riusci- rebbe la fabbrica lunga non meno di 184 metri. Ed anche cotesto esempio fa palese l'enorme spesa che importerebbe la compera di chilometri quadrati 6.5 d'area preziosa, un precinto d'argini robustissimi lungo più di 4 0 chilometri, ed una fabbrica murale di grandissima mole. 20) Resta ora a sapere se coleste gravi spese sieno ri- munerate dalle utilità che recano i bacini. Ma a questo proposito non occorre spendere molte parole per provare che non lo sono né punto né poco. Infatti i terreni sopreminenti alla comune alta marea non hanno bisogno di bacino per mandare felicemente i loro scoli in mare. I terreni pure che giacciono a livello della comune alta marea hanno suftìciente scolo in mere per molte ore della zozana e della crescente senza l'ajuto del bacino. Solo ai bassi terreni maremmani inferiori al- quanto alla comune alta marea potrebbe profittare il baci- no. Ma è patente l'incongruenza madornale di cotesto spe- diente per conseguire un cosi povero guadagno. Si fa un bacino amplissimo ordinato a contenere a un — 41 — basso livello le aoque eziandio copiosissime delle alte e me- die campagne : si fabbrica una chiavica grandissima per dar esito in mare anche a tutte queste acque che vi andrebbero da sé liberamente: e tutte queste disordinate spese si fanno al solo fine di giovare a bassure palustri di piccolissima estensione a petto delle latissirae colture superiori, che non hanno bisogno di ripieghi per essiccarsi ! laddove a quegl'in- fimi terreni si può giovare pure e meglio, provvedendo alla loro essiccazione separatamente, conforme ai dettami dei grandi maestri d'idraulica pratica Guglielmini e Zendrini. 30) Ed in vero, il primo al § V, capitolo XI del Trattato sulla natura dei fiumi, scrive queste precise parole: •< Negli scoli che sono muniti di chiavica, le fosse devo- » no essere tanto larghe, che possano contenere, occorren- » do, coli'ajuto dei fossi delle campagne, tutta o la maggior » parte dell' acqua che può piovere nel tempo nel quale re- » golarmente suol stare serrata la chiavica ». E lo Zendrini al § IV, scolio IH del capitolo già innanzi mentovato, dopo aver recato un esempio della capacità che deggiono avere i fossi dei bassi Relratti, soggiunge: « Abbenchè in 2000 pertiche di estesa sembri non poca » escavazione la somma dei fossi predetti, nientedimeno si » potrà accrescere di molto, e ridurre la capacità di essi n tale, che vaglia a contenere tutta o la maggior parte del- » r acqua della pioggia, che cader possa dentro un certo » tempo, anche senza il soccorso dello scolo ». Ora la limitata ampiezza delie dette bassure comparati- vamente alla grandissima estensione dei terreni superiori fa, che separate attorno attorno da questi, sieno ad esse per- fettamente applicabili gli allegali insegnamenti; e che torni ad esse a grand'uopo valersi dei proprii fossi per bacino di ragunata delle piovane, negli intervalli di tempo che la ma- rea trattiene lo scolo, senza che per questo essi fossi ri- chieggano ampiezza fuori dell'ordinaria. Tomo IV, Serie VI. 6 — 42 — 3 i) A cliiariif questo vero, e così far più scolpilaiiieiite rilucere l'incongruenza di cotesto nuovo trovato dei grandi bacini, porteremo un esempio. Pigliamo a considerare i terreni maremmani compo- nenti il quarto circondario del compartimento territoriale stabilito dall'ingegnere Turola nel predetto suo opuscolo, il qual circondario giace a sinistra di Canalbianco e si esten- de dal canale di Loreo al mare, comprendendo una super- fìcie di chilometri quadrati 19,33. La portata complessiva assegnata dal prefato ingegnere agli scoli turgidi di cotesto circondario è Q — l"" %06. Poniamo che si voglia a cotesti scoli applicare un baci- no di ragunata proprio speciale, nel quale l'acqua da essi versatavi nel tempo in cui rimane serrata la chiavica, non debba superare l' altezza massima : h = 0™,44 sopra la bassa marea, assegnata dall'ingegnere slesso al suo grande bacino universale. Posti cotesti valori nell'equazione (6), ritenuto pur sem- pre: i=rO™,lliC si trova A:=:0,09 chilometri quadrati. Ed altrettanta appunto esser dovrebbe 1' area occupata dai condotti e dai fossi del circondario, afGnchè supplis- sero al bacino. Onde il rapporto dell' area compresa da tutti cotesti cavi, all' area intera del circondario sarebbe : 0,09 1 . ... ..... =r — — , alquanto più piccolo anche del medio rap- 1 \j yjKJ W 1 O porto attenente ai Retratti che godono scolo perenne. Se si ammette poi tollerabile nel bacino speciale l'altez- za massima dell' acqua : li := 0"\5472 assegnata dall' in- gegnere Scarpari al suo bacino universale, risulta A=r0,068 , ., . , , . 0,068 i chilom. quadr.; e I indicato rapporto diviene: .^ _ :-—- • ' ^ 19,33 284 ancora più piccolo del precedente. È dunque palese ed incontestabile l'errore del vantalo spediente. - 43 — 32) Ma qui non finiscono i difetti di cotesto invenzione, ve ne hanno altri e gravissimi. E sono: l'inevitabile insab- biamento della foce che non può tenere sgombra l'inter- mittente e tardo deflusso dell'acqua dal bacino: e l'inevita- bile impaludamento del bacino stesso, per effetto dei lunghi periodi d'asciutto nelle campagne, che lo convertono in un ampio stagno limaccioso di acqua dolce corruttibile. 33) Il vero modo pratico ed efficace di avvantaggiare lo scolo è : derivare i condotti dei varii Retratti in un ca- pace canale di corrivazione, che vada libero a sboccare in mare ; disponendolo conforme alle regole del Guglielmini nel capitolo sopraccennato ; col « togliere cioè tutta la ca- » duta al fondo di esso; e col darli tale latitudine, che per » la soprabbondanza di essa, renda l'acqua quasi stagnante, » ed abbassata quasi sul pelo del recipiente ». Disposto cosi il collettore generale, le chiaviche munite di porte a ventola automobili, si applicano agli sbocchi dei condotti influenti nel collettore slesso. Ma la foce in mare di questo deve rimanere sempre aperta e libera, perchè la mantenga sgombra e profonda il Qusso e riflusso copioso del mare, che nella crescente s'alza e si avanza verso le parli superiori del lungo ed ampio alveo del grande sedut- tore. SULLE DIVERSE FORME DELLA RANA TEMPORARIA IN EUROPA K PIÙ PARTICOLARMENTE NELL'ITALIA. ISiferclJie DEL M. E. EDOARDO DE BETTA «Il y a (l'ailleurs eiifre les huil espè- »ces un tei .enchatnenient de caractè- » res qu' il n' y a que deux partìs à » prendre : les admeltre toutes, ou n'en » admeltre qu'une seule ». (Booi.ANGER, Étude sur les Gre- nouUles rousses ecc., in BuUetin de la Soc. zuolog. de France, 1880). I. Sino a tempi non ancora lontani - o dirò anzi meglio, sino ad epoca a noi molto vicina, le specie degli Anfibi Anu- ri europei conosciute ed elencate dagli autori in generale, non erano che le seguenti: Byla arborea Linn. od Eyla viridis Laurenti, Rana esculenta Linn. o Rana viridis Roesel^ Rana temporaria Linn. o R\. fusca Roesel^ od anche R. mula Laur., Discoglossus pictus Ottfi. o D. sardns Tschudi, Pelodytes punctatus (Fitz.) Bonap., Àlytes obstelricans (Laur.) Wagler^ - 46 - Pelohates fuscus Lanr., Pelobates ciiltripes Tschudi, BomHnaior igneus Merrem^ Bufo vulgaris Lanr., Bufo viridis Laur., Bufo calamita Laur. Di queste dodici specie furono poi sempre segnate come affatto estranee all' Italia le tre sole: Pelodytes pundatus, Alìjtes obstelricons e Pelobates cnltripes. Dei quali Anuri sarebbe stato considerato sempre il primo come esclusivo {*) della Francia : come proprio soltanto della Francia, della Svizzera, del Belgio e della Germania il secondo : e come limitato alla Francia, alla Spagna e Portogallo il terzo. Sino a pochi anni or sono, anche il Pelobates fuscus era rimasto sconosciuto in Italia : ma attualmente, mercè le sco- perte fatte dal Cornaha, dal Lessona e dal Camerano, va questa specie annoverata anche fra quelle di Lombardia e del Piemonte. , Ed in oggi poi, per recentissime mie investigazioni e scoperte, sappiamo trovarsi dessa benanco nelle parti basse (1) Sappiamo però trovarsi pure nella Spagna e nel Portogallo. Già da diversi anni ho annunciato /'Fauna d'Italia, Parte IV. Milano, 1874) come rinvenutosi il Pelodytes nei contorni di Nizza e poterselo quindi annoverare anche fra le specie italiane. Ne' suoi Studj sugli Anfibi Anuri del Piemonte (Roma, 1877) il Lessona ha accennato altresì ad un unico esemplare del Pelo- dytes raccolto dal dott. Wiedershfim nella Liguria occidentale e da lui portato al Museo civico di Genova. Esemplare che, a quanto fece sapere più tardi il Gamerano, erasi però guastato in modo da non averselo potuto conservare. Quanto all' habitat di questa specie nell' Italia, ho già dimo- strato in altro scritto [Alcune note erpetologiche ecc. Venezia, 1878) 1' equivoco in cui erano caduti gli autori che avevano elencato il Pelodytes punctatus come rinvenuto nella Toscana e nel Modenese. _- 47 — (Iella provincia Veronese (') e può con lutto fondamento ri- tenersi che avremo presto a constatare ben più larga ed estesa fra noi, di quanto ora si conosce, la distribuzione geografica del Pelobates fuscus. Fra le specie che mancano al nostro paese opinerebbesi da taluno doversi comprendere anche il Bufo calamita, del quale i pochissimi esemplari italiani che sino ad ora si pos- siedono nelle collezioni non sarebbero stati raccolti che nei contorni di Nizza, e dovrebbero per ciò stesso considerarsi piuttosto come soltanto accidentalmente pervenutici dalla Francia : dove la specie è del resto ji olto comune, del pari di quanto si presenta nella Svizzera, nella Germania e per- sino neir Inghilterra, nella Danimarca e nella Svezia. Non mi fermerò certamente a discutere su tale opinione. Né per verità penserei che qui ne fosse .1 caso. Mi limiterò invece ad osservare che la presenza del Bufo calamita nel- r Italia, asserita dal Bonaparte, dal Jan, dal Nardo e da altri, non è realmente confermata sino a tuli' oggi che dai pochi esemplari precisamente ed unicamente raccoltisi nel Nizzardo. Aggiungerò in argomento doversi ormai ritenere per comprovato, da quanto scrisse anche il Ninni C^), l'equivoco in cui sarebbero caduti gli autori che elencarono fra le spe- cie di Lombardia e del Veneto il liufo calamita, scambiando con questo una semplice varietà con linea dorsale distinta del comunissimo Bufo viridis. Varietà che lo stesso Ninni avrebbe trovata nelle provincie di Venezia, Treviso e Pa- dova, come già in antecedenza era stala osservata dal Les- (1) Sul Pelobates fuscus trovato in provincia di Verona (Adu- nanza 20 luglio 1884 del R. Istituto veneto). — Altre notizie sul Pelobates fuscus trovato nel territorio veronese (Adunanza 21 giu- gno 1885 dello stesso R. Istituto), (2) Sulla supposta esistenza del Bufo calamita Laur. nel Ve' neto (Atti R. Istituto veneto, serie V, voi. V, 1879). — 48 — sona in Piemonte {*), e come più recentemente ci viene de- scritta dal Camerano per la Lombardia ('-) e da lui avuta anche da Catania (^). II. Ritornando ai tempi dai quali mosse la premessa indica- zione delle dodici specie appartenenti all'Europa, vediamo ora in brevissimi cenni quali sieno le ulteriori cognizioni venuteci in rapporto alle medesime, od alle nuove specie che dappoi si stabilirono da recenti autori in base a più ac- curati loro studj e confronti, ed alle più estese investiga- zioni da essi attivatesi. Nel che esporre, tengo però a previamente dichiarare non essere punto mia intenzione nò di qui definitivamente pronunciarmi sulle introdottesi innovazioni, nò di mover questione qualsiasi sul valore degli estremi che servirono di base alle medesime, o sui criteri che possono avere guidati gli autori nello stabilirle o nell' ammetterle. Ciò che potrò fare piuttosto in altro lavoro sugli Anfibi Anuri italiani. Io intendo soltanto di qui hmitarmi ad un cenno sto- rico qualunque su cadauna delle specie europee, come sopra elencate, per giungere colle cognizioni in genere sino ai giorni nostri, e per fermarmi poi a parlare estesamente sulla sola specie e sulle sue diverse forme che costituiscono il precipuo argomento del presente scritto. Si dirà quindi che del genere Hyla, tanto ricco di spe- cie nelle regioni dell'Africa, dell' Asia, dell'America ed Au- 1 (1) Sludj sugli Anfibi Anuri del Piemonte. Roma, IST? (p. 76). (2) Monografia degli Anfibi Anuri italiani. Torino, 1883 (pag. 49). à (3) Di tale varietà possiedo io pure due bellissimi esemplari " inviatimi dalla Sicilia sino dal 1852, sotto il nome appunto di Bufo calamita. — 49 — stralia (*), non si conta tuttodì in Europa che l'unica //. arborea od II. viridis^ con quelle varietà di colorazione, più che altro, che servirono a stabilire alcune nuove specie; non accettate però dalla scienza che come semphci muta- zioni o varietà locali del tipo. Nel 1 880 il Boscà aveva pubblicato come nuova specie europea una Ilijla Perezii (^) propria della Spagna, del Por- togallo e della Francia, distinta sopratutto dall'arborea pel diverso suono della voce e per la mancanza della fascia co- lorata lungo il torace e V addome. Questa specie del Boscà fu però giudicata dal Boulanger come appartenente alla sua var. meridionaiis della //. ar- borea (^), e della quale egU citerebbe anche un esemplare del Museo britannico proveniente da Bologna. Il Camerano ha invece compreso senz'altro la Hyla del Boscà fra le sinonimie della vecchia specie Linneana (^). Ciò che mi farebbe supporre essere quindi a lui sfuggito il carattere della ben differente colorazione nella Perezii, men- tre in caso diverso ne avrebbe fatto cenno indubbiamente se del carattere appunto di colorazione, sebbene in grado an- cora minore, egli stesso si vale poi per stabilire una sotto- specie Savignyi per le thjlae di Sardegna e di Corsica, di- stinte dal tipo per un minore sviluppo della fascia bruna la- terale e per la mancanza alla regione inguinale dei prolun- gamenti superiori sinuosi dalla fascia stessa. Molto di recente il sig. Héron-Royer avrebbe pubblicato » (1) Le specie del genere Hyla, ultimamente annoverate e de- scritte dal Boulanger, ascenderebbero infatti al nuni. di 132 (Ca- talogne of the Batrachia Salientia in the collectìon of the Bri- tish Museian. Londra, 1882). (2) Hyla Perezii, especie nueva de Anuro europeo (Ann. Soc. Esp. de Hist. nat., tomo IX, 1880). (3) Catalogne of the Batrachia Salientia ecc., pag. 380. (4) Monografia degli Anfibi Anuri italiani^ 1883, pag. 39. Torno IV, Serie Yl. 7 — 50 ^ per nuova specie della Francia una sua Uyla baritonus, che io non conosco però ancora che per la sola descrizione e figura da lui offerta (*), e sulla quale ignoro benanco siasi sino ad ora pronunciato qualche altro autore. Dall'esame e dal confronto dei caratteri assegnati per questa Uyla francese con quelli attribuiti dal Boscà alla Pe- rezii, riterrei non trovarmi lunge dal vero nel pensare che in fin fine possa trattarsi di una stessa ed identica muta- zione o varietà locale della arborea. In ogni modo sarà bene si sappia che una Uyla total- mente mancante della fascia colorata lungo i fianchi ed an- che, se vogliamo, col corpo di una forma piìi snella del tipo, vive pure nei contorni di Nizza, dove già nell'ottobre 1872 r amico mio prof. Goiran ne raccolse alcuni esemplari che tengo nella mia collezione. Delle Rane acquatiche non abbiamo ancora in Europa che la sola Rana esculenta Linn. , comune pure all' Asia ed all'Africa, e della quale il Camerano ha slabihto la sottospe- cie Lessonae, che egli crede anche assai più diffusa in Italia che non il tipo della specie. Dell'altra rana europea, ossia della vecchia Rana tem- poraria degli autori, si parlerà diffusamente più avanti. Una sola rimane sempre la specie del genere Discoglos- sus universalmente accettata dagli autori, vale a dire il D. pictus Ottli. Il Lataste in un suo eruditissimo ed interessante lavoro intorno ai Discoglossi (^) provò ad evidenza non costituire qualche altra specie di Discoglossus creata dagli autori che una unica ed identica specie : e che non essendo né esclu- (1) Note sur une forme de Rainette nouvelle pour la Faune frangaise (Bulletin Soc. Zoolog. de France, 1884). (2) Elude sur le Discoglosse. Bordeaux, 1879 (Actes de la Soc. Linnéenne. Tom. XXXlll). — 51 - sivi, né costanti i caratteri ad ognuna di esse assegnati, non è neppure possibile separare gli individui della specie che, tutto al più, in varietà locali, sempre però di poca od anche di nessuna importanza. E dello stesso parere sarebbesi pure dimostrato il Bou- langer col non avere ammessa nel suo già citato Catalogo dei Batraci del Museo britannico (1882) se non che l'unica specie D. pictus, cui sottopone le varie altre come semplici sinonimie. Malgrado ciò sarebbe ancora opinione del Camerano (^) doversi invece ritenere per distinte fra loro, e da separarsi quindi in due sottospecie, le forme itaUane del Discoglossus; cioè in D. pictus (tipico) della Sicilia ed in D. sardus pro- prio della Corsica, della Sardegna e delle isole dell'arcipela- go Toscano. Anche del genere Pelodytes unica specie rimane pur sempre in Europa il P. punctatns] mentre del genere Alytes si conta ora, oltre al vecchio A. obstetricans, una sua di- stinta varietà della penisola iberica, var. Boscai del Lata- ste ("-), ed una nuova specie, Alijtes Cislernasu, pubblicata dal Boscà (^) e fino ad ora conosciuta come propria soltanto della Spagna. Due sono tutt' ora le specie europee del genere Peloùa- ies, vale a dire il P. fuscus ed il cullripes, ritenuti in pas- sato per affatto estranei all' Italia, ma del primo dei quaU si è già avvertita in principio la recente scoperta anche fra noi. Finalmente il genere Bomùinator non conta ancora che (1) Monografia degli Anfibi Anuri ecc., 1883. (2) Sur une nouvelle forme de Batracien anoure d' Europe (Alytes obsletricans Boscai n. subsp.) Bordeaux, 1880 (Actes de la Soc. Linnéenne). (3) Alytes Cisternasii, descripcion de mi nuevo Batrachio de la Fauna Espanola (Ann. de la Soc. Esp. d' hist. nat., tomo Vili, 1879). r unico B. ifjnens ; come il genere Bufo rimane pur sempre rappresentalo in Europa dalle tre vecchie specie B. vulgaris, B. viridis e B. calamita. Solo per chi volesse seguire le idee espresse dal Game- rano in uno speciale suo scritto sugli Anfibi Anuri (*) po- trebbe farsi entrare nella Fauna anfibiologica d'Europ.a an- che l'africano i^/^/o mauritanicus, che l'autore considera per forma schiettamente europea. in. Ed eccoci giunti cosi al termine di una brevissima ri- vista, dalla quale rilevasi come le dodici cosi dette buone specie di Anuri in passato attribuite all'Europa, rimangono ancora nello stesso nu.iiero, colf aumento solo di una nuo- va specie pel genere Alytes (che trovo riconosciuta ed ac- cettata anche dal Boulanger, ma della quale non ho potuto sino ad ora procurarmi esemplari) e senza qui tener conto pel momento di quanto sarà per risultare dallo studio sulla Rana iemporaria di cui passo ad occuparmi in speciahtà. Un po' di storia su questa specie sarà opportuno anzi- tutto di preoiellere (a costo anche di ripetere forse cose giù note alla maggior parte degli studiosi), per cosi dimostrare le vicissitudini di determinazione specilica cui andò mano mano soggetta, sino al punto della affatto moderna sua se- % parazione in nientemeno che in otto distinte specie. Vale a dire, la Rana fusca Roesel^ R. arvalis Nilss.^ R, iberica Boidanger, R. Latasiei Boulanger e R. agilis Tho- mas per gli individui proprj delle varie parti d'Europa: e Rana sijlvatica Leconte^ R. cantabrigensis Baird e R. japo- nica Boulanger per gli individui americani ed asiatici. (1) Ricerche intorno alla (ìistribtizione geogrufica degli An- fibi Anuri in Europa. Torino, 4883 (Atti R. Accademia delie scien- ze, voi. XVlll). Non occorre di far presente che di queste tic ultime non intendo però di qui occuparmi, limitandosi il mio scritto alle sole cinque d' Europa, e più particolarmente poi alle tre italiane, Rana muta o fusca, R, Latastei e R. agilis dei più moderni autori. Fu primo il Linneo che nella sua Fauna suecìca (1746), e così poi nelle tante edizioni dell'immortale suo Systema Nakirae, ha fatto conoscere la Rana rossa che ci occupa (^) imponendole il nome di Rana temporaria, per indicare e stabilire senza dubbio il carattere particolare e sempre co- stante della macchia oblunga o striscia nera, o di color bruno carico, che porta sulle sue tempia, occupando la parte laterale del capo compresa fra l'occhio e la spalla. Nel 1758 il Uoesel descrisse e figurò nelle belle tavole della sua opera ('-) la Rana rossa sotto il nome di Rana fu- sca terrestris, per conti-apporre tale denominazione trino- minale a quella di Rana viridis aquatica usata per V attuale nostra R. esculenta. Dieci anni più tardi (^) quella stessa rana si ebbe dal Laurenti il nuovo nome, ma improprio, di Runa mtita, colla citazione però delle tavole I-HI dell'opera del Roesel ed an- che della figura posta nel frontispizio della medesima, ad il- lustrazione precisamente della specie di cui offriva la breve (1) Non lascio passare inosservata una differenza che risulta nella brevissima diagnosi della specie stabilita dal Linneo. Ed è, che mentre nella Fauna Sueciea la R. temporaria è segnata col carattere di plantis hexadactylis palmatis, nel Systema Naturae è indicata invece con quello di plantis pentadactylis palmatis. Dilferenza che i moderni autori avevano anche invocato a soste- gno della distinzione specifica della R. oxyrrhinus dalla R. pla- tyrrhinus dello Steenstrup. (2) Hislorla nutaralis Ranarum nostratium, pag. 1-35, ta- vole I-IX. (3) Synopsis Reptilium, 1768, pag. 30, n. XVII. r>ì diagnosi « Color ruffo-fnsciis; macula ohlonga nigra In- ter oculos et pedes anteriores ; crnra funco-f asciata n . Nella tredicesima edizione del Systema Naturae fatta a cura dello Gmelin (1789), noi troviamo assodata la corri- spondenza della Rana temporaria del Linneo colla R. fusca del Roesel e colla muta del Laurenti, ambedue citatevi nella Sinonimia specifica. Lo Sturm, descrivendo nel 1797 la Rana temporaria del Linneo, ne ha dato (^) anche in due tavole le rispettive ligu- re, le quali si possono dire una riproduzione di quelle del Roesel (Tab. l, fig. 1, 2, Tab. Ili, fig. 38, 30) ridotte solo in assai piccole proporzioni. Lo Schneider nel 1799 descrisse {^) la Rana temporaria, citandovi pure ad illustrazione le tavole del Roesel e sotto- ponendo alla stessa le quattro varietà di colorazione che già in antecedenza erano state segnate dal conte Razou- mowsky {^). Un anno dopo vediamo nella Fauna Suecica del Retzius descritta ancora per Rana temporaria Linn.^ la rana rossa che, per la stessa sinonimia datane dall'autore, risulta con- siderata sempre come corrispondente alla fusca Roesel e muta Laiir. (*), E così dicasi anche degli autori che vennero dappoi, quali il Latreille (1802), Shaw (1802), Daudin (1803), Mer- rem (1820) ed altri ancora, i quali continuarono unanimi nel ritenere ed affermare la corrispondenza delle due specie (1) Deutschlands Fauna, III Abtheil., Die Atnphibien, Heft I. (2) Historiae Amphihiorum naturalis et litterariae, fascicu- lus I (pag. 113). (3) Histoire naturelle du Jorat et de ses environs. Lausanne, 1789 (p. 98. Rana temporaria Linn., Fauna Suecica et Syst. Nat.). (4) Faimae Succicae a Carolo à Linné inchoatae Pars I. Li- psiae, 1800 (pag. 285). IVO del Roesel e del Laureiiti colla iemporaria del Linneo da essi descritta. La Rana temporaria figurò quindi sempre come la sola rana rossa d'Europa, mentre la fasca e la muta non furono pii^i considerate e citate dagli autori che quali semplici sino- nimie della specie Linneana. Della quale poi il Daudin (') ha anche descritte otto interessanti varietà di colorazione: col corpo superiorinente di color rosso, o rossastro chiaro, o quasi rosa, o biancastro fuliginoso, o grigiastro, o giallo verdastro, od anche verdastro chiaro: con o senza macchie sul dorso : e col ventre di color biancastro, o giallastro, o bruno giallastro, quando uniforme, quando macchiato e punteggiato in grigiastro, od in bruno, od in rossiccio, od anche in rosso sanguigno. Se non che venuto il 1 828, in cui il Millet pubblicò la Fauna del Dipartimento francese di Maine-e-Loira (-) ve- desi in essa accennato per la prima volta a due rane rosse ritenute per specificamente differenti e che l'autore descrisse sotto i nomi di Rana iemporaria Linn. e di Rana (laviven- iris Miilel. Ma come fu, molti e molti anni dopo, avvertito dal Tho- mas (^) il Millet era incorso in errore coli' avere ritenuto per specie nuova la vera Rana temporaria del Linneo, men- tre applicava invece la denominazione di temporaria ad una specie non prima di lui distinta dai naturalisti, e che dai (1) Histoire nalurelle des Rainettes, des Grenoidlles et des Crapauds. Paris, 1803 (pag. 32, tav. XV, fig. 2). — Histoire na^ turelle generale et particulière des Reptiles. Paris, 1802-1805 (Tom. YIII, 1803, pag. 94). (2) Faune de Maine-et-Loire, oii description méthodique des animaux ecc. Angers, 1828, tom, II. (3) Note sur deux espèces de Grenouilles observées depiiis queìques années en Europe (Annal. sciences natur. Paris, 1855^ tom. IV, n. 6, pag. 365, tav. 7, fig. 1-6). — 56 — moderni autori fu poi riconosciuta per corrispondente alla Rana agilis dallo stesso Tliomas stabilita nel 1855. Del che si parlerà meglio più avanti. Sia che la scoperta del xMillet non si abbia meritata l' at- tenzione degli erpetologlii, o sia piuttosto perchè rimasta ad essi totalmente sconosciuta, fatto si è che nessuno dei suc- cessivi autori, compreso pure il Bonaparte (1838) e Du- méril e Bibron (1841), non hanno mai parlato della nuova specie francese scoperta dal Miliet. Ma tutti continuarono invece a presentare ed a descrivere la esculenta e la tempo - raria come le due sole specie europee del genere Rana; ci- tando poi costantemente nella sinonimia di quest'ultima la R. fusca Roescl^ la R. inula Laur. e la lemporaria del Gmelin, dello Sturm, dello Schneider, di Latreille, di Daudin, del Retzius, del Merrem, dello Tschudi e di tanti altri ancora fra i precedenti autori. Nella Fauna della Scandinavia pubblicata dal Nilsson nel 1842 (') si avverti alla esistenza di un'altra specie di- stinta, anche per statura più piccola, dalla lemporaria Linn., e cui fu imposto dall'autore il nome di Rana arvalis. Spe- cie che vediamo poi mantenuta ancora nella edizione 1860 della stessa Fauna (pag. 104). Il professore Stcenstrup di Copenaghen (-) fece cono- scere nel 1 846 come forme distinte della rana rossa le specie Rana oxyrr/iinus e R. plalyrrhinus da lui stabihte. Distinta sopratutto la prima per la forma più acuminata del muso ed anche per statura più piccola. Distinta la se- conda pel muso arrotondato e per statura maggiore. Come fu però più tardi dimostrato da altri autori, e come fu poscia riconosciuto pure dallo stesso Steenstrup, (1) Skandinavisk Fauna. Ili, Amphihìerna (pag. 92). (2) Bericht ùber die 24 Versammlung deutscher Naticrfor- seller und Aertze in Kiel, ptg. 131. nò l'una, nò l'altra delle due specie erano nuove. La R. oxyvrh'mus non era infatti che la il. arvaUs del Nilsson ; come la li. plaUjrr/iimis corrispondeva perfettamente alla vera R. temporaria degli autori, e di conseguenza pure alla fnsca Roeset ed alla mnta Laurenli. E non è poi a sottacere un fatto di molta importanza per noi, vale a dire che, stando alle stesse assicurazioni fat- teci dallo Steenstrup, si X una che l'altra delle due specie fu- rono da lui trovate in comunione di habitat, e viventi assie- me persino nel bacino del giardino della casa che abitava Linneo ad Upsala. Nel 1 8o5 la questione di una separazione specifica fra le varie forme della rana rossa ha però ancora trovato nel Thomas un dotto e diligenlissimo patrocinatore, avendo egU riconosciuti e stabiliti alcuni caratteri differenziali in base ai quaU non avrebbe dovuto essere piìi consentito dalla scienza, secondo lui, il cumulo di tutte le forme in una uni- ca specie; ma sibbene avrebbe dovuto esigersene la sepa- razione nelle due specie Rana fusca Roesel e R. oxyrrliina Steenstrup, alle quah lo stesso Thomas aggiunse come terza la sua Rana ayilis scoperta in Francia e da lui dichiara- taci del tutto identica a quella designata per temporaria dal Millet. Nell'interessantissimo lavoro del Thomas (^) è anzitutto riportato il giudizio espresso dal Siebold nel \ 852 sulle due rane dello Steenstrup, riconosciute da lui pure come speci- ficamente distinte (^). Il Siebold fa pure rilevare l'errore dello Steenstrup col- r avere ritenuta per nuova specie la platyrrhinus, ossia la (1) Note sur deux espèces de Grenouilles ecc., citata a pagi- na precedente. (2) Zoologische notizen ùber Rana oxyrrhinus und platynhinus (Archiv fùr Naturgeschichte, 1852, Tom. 1). Tomo IV, Serie VI. 8 - 58 — temporaria degli autori ; ma dai caratteri che succintamente offre poi per la oxyrrliinus, possono dirsi riducibili soltanto ad una statura più piccola, corpo più sottile, muso più aguzzo, con qualche diversità nel suono della voce in con- fronto della temporaria. Quanto alla colorazione, osserva lo stesso Siebold, rasso- migliarsi fra loro moltissimo le due rane rosse ed essere poi stato sempre più fucile il confondere 1" una colf altra per la ragione benanco che ambedue nella primavera ed alia stessa epoca vanno in cerca dell' acqua per accoppiarsi. Lo Steenstrup trovò le due specie nella Svezia e nella Danimarca, ivi più comune quando l' una, quando l' altra, secondo le località. Il Siebold le raccolse ambedue assieme nella Prussia, nella Baviera (Erlangen) ed a Breslavia nella Slesia. Ovunque gli è apparsa sempre come più rara la R. oxyrrhimis. A quanto espose il Siebold seguono alcune dichiarazioni che il Thomas ha avuto in particolare dal sig. Schiff di Francoforte s. M., e le quali, in base precisamente ai carat- teri summenzionati, verrebbero ad appoggiare la distinzione speciflca dello Steenstrup fra la R. temporaria e la oxyrrhi- nus, il cui nome vorrebbesi però più giustamente corretto in oxyrrhina. Tutte queste notizie ha voluto il Thomas premettere alla sua Nota, onde far megho risultare le ben maggiori dif- ferenze che passano poi fra quelle due specie ed una terza che egli ci fa per la prima volta conoscere sotto il nome di Rana agilis. Differenze infatti e senza confronto molto più evidenti quand'anche si volessero soltanto hmitare alla for- ma del muso e del corpo ed alle dimensioni delle zampe po- steriori. Che in vero la Rana agilis ha tali caratteri proprj di muso lungo e spiccatamente aguzzo, di forma del corpo tanto snella e quasi direi elegante, e di zampe posteriori - 50 — cosi lunghe e proporzionatamente cosi sottili, da non poter- sela confondere né colla temporaria degli autori, uè colla oxyrrhina dello Steenstiup o R. arvcdis del Nilsson. Non accennerò nò qui, né altrove a qualche differenza di colorazione che gli autori in generale hanno creduto di assegnare piuttosto all'una che all'altra delle specie da essi accettate. E ciò per la ragione che il colorito è variabihs- simo sempre in tutte le varie forme della rana rossa. Dirò anzi in modo tale, che in una stessa forma possono riscon- trarsi tutti quegli accidenti di colorito che gli autori vorreb- bero attribuire esclusivamente o all'una od all'altra delle loro specie. Nella Fatina d'Italia io pure aveva detto che la tinta del- le parti superiori del corpo nella Rana agilis tendeva piutto- sto al biondo rosaceo ed al rossastro, con macchie nera- stre molto piccole e meno numerose. Anche questa distinzio- ne non la potrei però ripetere in oggi, dopo averne veduto individui delle località venete [Barburighe, Mestre e Raclus) tutti di tinte oscure e con molte macchie sul dorso e sulle coscie, al pari della temporaria. IV. La scoperta del Thomas, una volta entrata nel dominio della scienza, vi ha anche tosto trovato appoggio ed ade- sione da parte degli autori che ne parlarono dappoi. E no- mino fra questi più particolarmente il chiarissimo dott, V. Patio di Ginevra, il quale ha in modo esclusivo dedicato due assai dotti suoi scritti per constatare e porre fuori d' ogni dubbio la diversità specifica della Rana agilis. Nel primo di essi {*) troviamc» esposti e discussi con (1) Observat'ons sur la Rana agilis de Thomas (Revue et Ma- gcisiii de Zoologie, i862). — GO — ogni diligenza i differenti caratteri e gli estremi di distin- zione della specie, che viene pure illustrata colle figure del maschio e della femmina nelle due tavole annesse. Nel secondo lavoro (^), premesso un cenno storico sulle specie del Millet, del Nilsson e dello Steenstrup ed una di- scussione sinonimica delle medesime, 1" egregio autore pone in rilievo tutte quelle particolarità di caratteri alle quoU egli appoggiava la separazione delle varie forme della rana rossa nelle tre specie : i. Rana iemporarSa Linn., colla Sinonimia: R. fusca Rnesel, R. temporaria Linn., Dum. et Bibron ecc., Rana mula Laur., R. flaviventris Mil- let, R. plaiyrrhinus Steenstrup. 2. Rana oxyrrhJnus Steenstrup, colla Sinonim. : R. arvalis Nilsson, Rana temporaria {^ari.) Middendorf. 3. Rana agilis Thomas, colla Sinonimia : R. temporaria Millet, R. gracilis Fatto. Comune la prima, come indica l'autore, all' Europa ed all' Asia, ed ovunque diffusa dalle coste mediterranee tino nella Svezia e Norvegia. Propria la seconda di diverse località della Germania, della Danimarca, Svezia e Norvegia sino al capo Nord e nell'interno della Siberia. La terza scoperta sino allora unicamente nella Francia, nella Svizzera e nell'Italia, e giammai ad una elevazione maggiore di metri 1500 sulle Alpi (•). Importa ricordare pure che il Fatio ha nello stesso scritto (1) Notice historique et descriptive sur trois espèces de Gre- nouilles rousses ohservées en Europe (Archives des sciences de la Bibliothèque universelle. Genève, -1870). (2) Neil' Italia la vera agiUs non sale dal pi.mo che a piccole altezze sui monti ; per cui il limite massimo di elevazione del suo habitat deve ritenerci molto al di sotto di quello indicato dal Fatio. — 01 — separata poi la lemporaria in due varietà da lui chiamate ohtnsirostris (corrispondente alla platijrrhinvs Sleenstrvp) ed acnUrosiris^ attribuendo alla prima il carattere di muso decisamente ottuso, ed alla seconda di muso più o meno acuminato e colle zampe posteriori più allungate. Della varietù obtusiroslris, data come la più comune, sono anche distinte alcune varietà di colorazione dipendenti dal maggiore o minore predominio delle tinte gialle, delle tinte rosse o verdi, sopratutto nelle parti inferiori, e chia- mate perciò flaviventris, ruòriventris e viridis. Quest' ulti- ma però assai rara. Le tre rane temporaria, agUis ed oxyrrhiìia si trovano poi nuovamente, ma ancora più ampiamente descritte dal Patio, nella importantissima sua Fauna della Svizzera{\ 872), in cui sono pure mantenute le summenzionate varietà della Rana temporaria (^) (1) Fauna des Vertébrès de la Suisse. Voi. Ili, Hist. nat. des Reptiles et des Batraciens, 1872. Alla pagina 344 della Fauna è anche descritta, benché estra- nea alla Svizzera, la Rana oxyrrìiina Steenstnip colla Sinoni- mia : R. temporaria (pari.) Linn. Fauna Suecica, e R. arvalis (femm.) JSilsson =: avvertendosi poi a pag. 349, che lo Steenstrup aveva appunto dimostrato che il Nilsson non aveva osservato che la sola femmina, e non aveva quindi che insufficientemente descrit- ta la specie. In un giornaletto « Il Bollettino del Naturalista » n.° 5 del corrente anno, ho letto il preciso annuncio : « Il prof. Reibisch (Soc. » stor. nat. Isis. Dresda, 1884) ha dimostrato che la Rana platyr- » rhinus e la R. oxyrrhinus dello Steenstrup non sono due buo- » ne specie , ma la prima è la femmina e la seconda il maschio » della Rana lemporaria ». Mi rincresce di non avere potuto ancora ricevere più estese notizie in argomento. Ma se è vera la scoperta del Reibisch, la questione della distinzione specifica delle due rane avrebbe otte- nuto uno scioglimento quale non sarcbbosi forse mai aspettato. - 6L> - Dopo i lavori del Thomas e del Patio la Rana agilis prese posto anche nei cataloghi e negli scritti degli autori italiani. E fu cosi che mentre da una parte si continua tut- tavia a ritenere la temporaria come l'unica specie italiana di rane rosse, troviamo accettata invece da altri la R. agi- lis come specie da quella distinta ed annunciata, ad esem- pio, dal Cornulia fra i Batraci della Lombardia (1 873), dal Pavesi fra quelli del Cantone Ticino (i873), dal Lessona fra le specie del Piemonte (1877), dallo Scarpa fra quelle del Trevigiano (1882), dal Carruccio fra quelle del Mode- nese (1883), dal Bettoni fra gli Anfibi del Bresciano (1884) ecc. ecc. Ed io pure già nel 1 874 ho annoverato e descritto la Rana agilis fra gli Anfibi d'Itaha (^) indicandone l'habitat per quel tanto che in allora si sapeva. E quindi, oltre alla Lombardia (Cornalia), al Cantone Ticino (Pavesi), ai con- torni di Pisa (À. Beaumont), io la feci per la prima volta conoscere come spettante pure alla provincia veronese (Fu- mane e MarceHise), al Padovano (presso Padova ed a Gor- go) ed al Bolognese (Imola). Sopra un esemplare inviatomi nel I 858, come R. tem- poraria, dal prof. Danilo, io aveva pure annunciato la R. agilis per vivente in Dalmazia (Zara). Ma sembra che al Boulanger riuscisse alquanto dubbia quella mia asserzione, in quanto che facendone cenno in un suo studio sulle Ra- nae temporaria e (1880), di cui avremo ad occuparci este- samente più avanti, vi ha però premesso un « peut-étre » ; e così anche in uno scritto supplementare (1881), uell' av- vertire l'esistenza nel Museo di Parigi di un esemplare della R. agilis raccolto nella Morea dalla Commissione scientifi- ca, e nel dare l'annuncio d'aver avuto un bel esemplare (1) «Fauna d'Italia». Parte IV. Rettili ed Anfibi. Milano, 1874 (ed. Vallardi). - 63 - della specie dal doti. Steindachner, raccolto nei contorni di Vienna, cosi conchiude: « Rana agilis se trouverait donc » en Autriche, et il est par conséquent fort probaùle qu il » existe réellement en Dalmatie oìi il a'été sigoalé par M. le 1) Comniandeur E. de Betta ». In ogni modo, a togliere nel Boiilanger, se fosse ancora del caso, ogni altra esitanza in proposito sono ben soddi- sfatto di potere qui soggiungere, che la R. agilis mi fu in- viata nell'agosto 1883 (sotto il nome sempre di R. tempo- rana) anche dal prof. Kolombatovic, che l'aveva raccolta a Stobrec presso Spalato. Non è però a credersi che le distinzioni specifiche del Nilsson, dello Steenstrup, del Thomas, del Fatio ed altri ab- biano ottenuto poi una eguale accoglienza anche presso gU autori stranieri. Chò anzi all'opposto vediamo mantenuta ancora da taluni la Rana temporaria Linn. come tipo del- l' unica rana rossa d' Europa. Citerò qui soltanto fra gU autori stranieri il Gùnther e lo Schreiber. Quali specie europee del genere Rana il Giinther, nel suo Catalogo dei Batraci del Museo britannico (^), non ha date infatti che le due sole esculenta e temporaria, citando nella Sinonimia di questa la temporaria del Linneo (Fauna Suecica e Systema Naturae), dello Sturm, del Latreiile, del Daudin, del Bonaparte, di Duméril e Bibron ecc., non che, come s'intende bene, la fusca del Roesel e la muta del Lau- renti. (1) Catalogne of the Batrachia Salientia in the eollection of the British Museum. London, 1858 (pag. 16). _ 64 — L'autore distribuì gli esemplari europei della tempora- ria in : a. Individui a muso acuto, Rana oxyrrhinus Steesìstrup (Annover e Germania). 0. Individui a muso corto ed ottuso, Rana pSatyrrhinus Steenstrup (Annover, Inghilterra e Scozia), e. Individui a muso né acuto, né ottuso (Muzzle moderate). Rana arvalis Milsson (Svezia, con pii^i due esemplari di Bologna avuti dal prof. Bianconi ed in uno dei quali il tu- bercolo del metatarso è ottuso come nella platyrrhinvs). Gli esemplari asiatici della temporaria sono poi dal Giin- tlier assegnati alla var, japonica Schlegel, e quelli americani alla R. sìjlvatica Leconte (li. pennsylvanica llarlan). Il dott. Schreiber (*) ha ritenuto pure nel t873 la sola temporaria che, secondo la diversa forma del muso e della fronte negli individui, secondo la diversa lunghezza delle zampe posteriori e secondo il maggiore o minore sviluppo del tubercolo del metatarso, divide poi nelle tre sezioni: a: platyrrhina a muso breve ed ottusamente arrotondato, fronte piana ed assai larga ecc. colle Sinonimie: R. temporaria Linn. (Syst. Nat.), R. muta Laur., R. flaviventris Millet, R. platyrrhinxis Steenstrup ; b : oxyrrhina a muso acuminato e prominente, fronte subconvessa e più '• stretta ecc. colle Sinonimie: R. temporaria Linn. (Fauna Suecica), R. arvalis Nilsson e R. oxyrrhinus Steenstrup; e: agilis a muso oblungo ed acuminato, fronte piana e larga ecc. colla Sinonimia: R. temporaria Millet e R. agilis Thomas. (1) Herpe.tologia Europaea. Brauuschweig, 1875 (pag. 125). ^ 65 — VI. A questo punto, e lenendoci pure al giudizio degli au- tori citati, alla discussione e risultato delle Sinonimie da essi stabilite, non che al valore da relativamente attribuirsi ai caratteri assegnati alle varie specie, parmi si possa in ogni modo venire intanto, e sin d'ora, alle seguenti conclu- sioni : Che per una sola e medesima specie deve ritenersi tanto la Rana tcmporaria della Fauna Suecica del Linneo, quanto quella descritta nel Systema Naturae. Che la Rana fiisca del Roesel e la R. muta del Laurent! vanno riferite indubbiamente alla R. tcmporaria Limi. Che la Rana arvalis del Nilsson, corrispondente alla R. oxijrrhinus dello Steenstrup, altro non è che la tcmporaria di statura più piccola e col muso più acuminato in con- fronto del tipo della specie (*). Che la Rana platyrrliinus dello Steenstrup, corrisponde precisamente alla tsmporaria degli autori, a muso arroton- dato (var. obtusirostris) o leggermente acuminato (var. acu- tiroslì'isj. Chela Rana agilis Thomas appartiene pure alla R. tcm- poraria Linn., dalla quale però si fa particolarmente e più facilmente distinguere per muso lungo e spiccatamente aguz- zo, per corpo snello e sottile, e per le zampe posteriori in proporzione sempre più lunghe e sottili. VIL Qui è d'uopo di ritornare al \ 880 per discorrere sullo studio del Boulanger sulle Rane rosse appartenenti al grup- (1) Vedusi la nota a pug. GÌ. To'>io IH, Serie VL 9 — C6 — pò della Rana temporaria (*), già in addietro accennato, e col quale il chiarissimo autore avrebbe proposto la separa- zione delle varie forme della temporaria in nientemeno che in otto distinte specie. Vale a dire, la Rana ftisca Roesel, la Rana arvalis Nilsson, le due nuove specie R. iberica e il. Latastei Boulan- ger^ e la R. agilis Thomas per le forme spettanti all'Europa. La R. sijivatica Leconte^ la R. pensijlvanica Uarlan e la R. japonica Boulanger per le forme particolari all'America od all' Asia. Il Boulanger ha fatto davvero uno sforzo singolare di studj e ci ha offerto incontrastabile prova dell'essere egli uno fra i più diligenti e pazientissimi osservatori, colla mi- nuziositù stessa delle notizie e dei caratteri che ha procurato di stabilire a base delle distinzioni specifiche da lui segnate. Ma, bisogna pur dirlo francamente, tutti pressoché i ca- ratteri assegnati ad ogni singola delle sue specie, o risultano in fin fine comuni a tutte, od almeno a diverse fra le forme segnalate, o sono tanto superficiali ed incostanti da non me- ritarsi punto né attenzione, nò valore. Soltanto la diversa forma del capo e la diversità nella lunghezza delle zampe posteriori possono rimanere quali caratteri di distinzione di qualche forma particolare, o mu- tazione locale della Rana temporaria. Ma del resto tutti gli altri caratteri desunti dalla varia posizione e dal diametro maggiore o minore del timpano ; dalla maggiore o minore lunghezza del primo dito nelle zampe anteriori ; dalla pelle del dorso, ora hscia, ora leg- germente verrucosa, e sempre poi granulosa nella porzione posteriore delle coscie ; tali caratteri, dicesi, ed altri anco- (1) Éludes sur les Grenouilles rousses, Ranae temporariae, et descriplion d' espéces nouvelles ou tneconnues. Paris, 1880 (Bull. Soc. Zool. de France, paj;'. 158). - 67 -~ ra, sono siffattamente variabili e di così poco interesse da non poterseli assolutamente tenere a base di specifiche se- parazioni. Non parlo poi do! carattere della colorazione, variabi- lissimo, lo si ripete ancora, in tutte indistintamente le for- me della specie, tanto nelle tinte del fondo quanto nelle macchie, ora pii^i, ora meno copiose ed appariscenti, e tal- volta anche quasi completamente mancanti. Fatta eccezione solo, come si intende bene, della macchia temporale carat- teristica, la quale non manca mai, ma vedesi sempre co- stante in tutte le forme della R. tcmp oraria. Di quanto dico sarà facile sempre ad ognuno il convin- cersi quando voglia soltanto riportare e distribuire, come ho fatto per parte mia, in un ordinato prospetto di con- fronto lutti gli estremi e tutti i caratteri differenziali esposti dal Boulanger per ognuna delle cinque sue specie europee. Del resto gioverà anche qui di riassumere i due princi- pali caratteri sui quali finirebbero ad essere fondate quelle specie, cioè : I. Le zampe posteriori ripiegate lungo il corpo non sor- passano colla articolazione tibio-tarsea l'apice del muso; a: capo corto e grosso, col muso ottuso ed arrotondato, Rana fusca Roesel. b : capo mediocremente allungato, col muso nettamente acu- minato, Rana arvaiis Nilsson. II Le zampe posteriori ripiegate lungo il corpo sorpas- sano più o meno colla articolazione tibio-tarsea l' apice del muso ; a : capo poco depresso, col muso corto ed ottuso, Rana iberica Boulanger. f> : capo molto allungato, mediocremente depresso, col muso più 0 meno acuminato. Rana Latastei Boulanger. — GS — e: capo allungato, fortemente depresso, col muso subacumi- nato, arrotondato all'apice, Rana agilìs Thomas. Il Coulanger avrebbe anche avvertito ad altro estremo di distinzione nella differente colorazione delle parti infe- riori del corpo per le tre specie appartenenti alla seconda categoria. La Rana iberica e R.Latastei avrebbero sempre, secon- do lui, le parli inferiori di color biancastro o rosaceo, col ventre e specialmente la gola ed il petto macchiati o marez- zati in grigio od in nerastro: mentre la /{. agilìs avrebbe le parti inferioii di color bianco più o meno giallastro o ros- sastro, e senza macchie. Per la nuova specie R. Lalaslei sarebbe segnata altresì una colorazione ritenuta per affatto sua particolare e carat- teristica, avendo essa la gola tutta coperta di macchie gri- giastre disposte in modo da lasciar Ubero uno spazio me- diano del fondo lungo la gola ed un altro attraverso il petto, e da foggiarvi cosi un T rovescialo che, tinto in roseo od in rosso, spiccatamente si mostra fra le macchie stesse. Ma vedremo però più avanti come anche questi diffe- renziali caratteri di colorito vengano a perdere ogni valore coir esame e con un più largo confronto fra individui ed individui appartenenti pur sempre alla stessa forma. Secondo il Boulanger la R. iberica è propria della Spa- gna e del Portogallo. Nella Spagna (regione dei Pirenei) egli indica come molto comune anche la R. fusca, più però nelle montagne che al piano, dove si lascierebbe trovare pure in compagnia della iberica. Della Rana LatasleiX •òwiove non conosceva e ancora non ha potuto quindi indicare come habitat che i soh contorni di Milano, ove, a suo dire, trovasi in compagnia della fusca e della agilis. Ciò che non può però dirsi esatto rispetto alla fusca, come rileveremo più laidi. ^ 60 — Per la Rana af/ilis poi, l'autore la indica come trovatasi in Francia, nella Svizzera e nel nord dellìtalia, citando più particolarmente pel nostro paese le località di Pisa, Lom- bardia, Verona, Padova, Imola e Piemonte. A conferma delle separazioni specifiche stabilite nel 1880, il Boulanger le ha poi ripetute ancora nel i 882 enu- merando le otto specie del gruppo lemporariae nel classico ed importantissimo suo Catalogo dei Batraci del Museo bri- tannico (*). Trovo però meritevole di nota l' avere il Boulanger alla Rana fusca del suo Studio sulle rane rosse sostituita invece la denominazione di R. temporarla, assegnandovi in Sinoni- mia la R. temporaria Linn. (in parte) Syst. Nat.^ la fusca Roesel, la muta Laur., la platyrrhinus Steenstrup e la tem- poraria var. platyrrhinus del Gijnther. Devesi notare altresì che alla Rana arvalis Nilsson ri- feri come sinonimie la R. temporaria Linn. della Fauna sue- cica, la R. temporaria Linn. (in parte) del Systema Natnrae non che la oxyrr/iinus Steenstrup e Patio, e la temporaria var. oxyrrlìinus et arvalis (part.) Ciintlwr. E per terzo, che in sinonimia della Rana agilis Thomas pose oltre alla R. temporaria del Millet anche la R. tempo- raria var. arvalis (part.) Gunther. Di modo che, parlandosi della arvalis del Giinther, sa- rebbe posto in evidenza con tale sinonimia avere desso scambiate e confuse assieme le due rane rosse che i moder- ni distinguono invece separatamente in R. arvalis Nilsson e R. agilis Thomas. Possibile, domando io, che il GCinther non siasi accorto delle differenze che avrebbero dovuto trovarsi fra le due forme ? (1^ Caialogue uf the Batrachia Salientìa s. Ecaudata in the collection of the British Museum. London, 1882 (pag. 503 di testo con 30 tav. litograf.). - 70 - Io credo assolutamente che no — e mi troverei piutto- sto autorizzato a supporre, o che i due esemplari bolo- gnesi inviati dal Bianconi al Museo britannico non appar- tengano in realtà alla R. agilis Thomas; o diversamente che il GiJnther non abbia creduto potersi tener conto delle dif- ferenze di statura e di forma che pure gli saranno passate sott' occhio, confrontando i due esemplari di Bologna con quelli provenienti dalla Svezia e che furono da lui rife- riti alla specie del Nilsson. Vili. Restringendoci ora alle sole specie attribuite all'ItaHa, ricordo anzitutto di avere giù in addietro nominati gli auto- ri che primi si decisero ad ammettere la nuova specie del Thomas ; in guisa che per la Lombardia, per la Svizzera, pel Veneto, pel Piemonte, pel Trevigiano e pel Modenese ab- biamo veduto dal 1873 in avanti elencate come specie di- stinte la Rana lemporaria Linn. e la Rana agilis Thomas. Uno scritto che più, senza dubbio, dei precedenti lavori ha però contribuito a far megho conoscere fra noi le due rane, si fu quello del Lessona sugli Anfibi Anuri del Pie- monte (*) pubblicato negli Atli della R. Accademia dei Lincei. In questo scritto il Lessona, enumerando appunto le due specie fra i Batraci piemontesi, ne dà anche una più particolareggiata descrizione, accompagnata dalle buone figu- re a colori contenute nelle tavole li e HI della Memoria. La Rana lemporaria è da Iui[pure distinta in acutiro- stris ed obiusirosiris, come si era già fatto dal Fatio nella Fauna Svizzera. Con minuziosità, che talvolta riescono per- sino di troppo, vedonsi esposti i caratteri che ad essa sono propri e quelli che la fanno distinguere dalla agilis : fra i (1) Studii sugli Anfibi Anuri del Piemonte. Roma^ 1877. — 71 — quali restano però sempre essenzialissimi i due della diversa forma del capo e della diversa lunghezza e relativa grossez- za delle zampe posteriori. Quanto al colorito, notasi dall'autore, presentarsi nella temporaria numerose varietà (alcune delle quali ci sono an- che più particolarmente descritte), sopratutto nella mon- tagna, e riscontrarsi in generale un predominio delle tinte brune e nere nelle Alpi e delle tinte bigio-rossastre nella pianura. Questa specie ed alcune sue interessanti varietà di co- lorazione, ed anche di forme del corpo e del muso, si vedono rappresentate dalle ligure 6, 7, II, i 2, 1 3, 1 4 e 20 della Ta- vola I. La Raìia agUis, che fa seguito alla temporaria, è pure descritta coi caratteri particolari ad essa assegnati ed è il- lustrata dalle figure 2, 0, Il e 13 della Tavola IH. L' autore ha osservato variare assai poco la agilis nei colori e nelle proporzioni, ed assicura differente il suo grido da quello della specie affine. Nella femmina, al tempo della riproduzione, notò rivestite in generale le parti inferiori di elegantissime tinte gialle ed arancio. Ma un lavoro, che ancora più di quello del Lessona si è prestato ad esporre ed a sostenere una diversità specifica fra le varie forme della rana rossa nostrale, si è la Mono- grafia degli Anfibi Anuri del dott. Camerano {'), la cui stra- ordinaria operosità ed i cui vasti e profondi studi in mate- ria gli hanno già assicurato un distinto posto fra gli erpe- tologi italiani. Laborioso e fermo sostenitore delle moderne classifica- zioni, e pur ammettendo egli stesso la somma variabilità de- gh Anfibi Anuri, sia nella forma, sia nella colorazione, sia (1) Monografia degli Anfibi Anuri italiani. Torino, 1883 (Mem, R. Accad. delle scienze di Torino, voi. XXXV). — n ~ nella superficie esterna della pelle ed altro — e ciò di- pendentemente benanco da certe condizioni speciali del- l' habilat — il Camerano ha stabilito nella sua Monografia l'esistenza fra noi di tre distinte specie di rane rosse, cioè: la Rana muta Laitr., la Rana Lalaslei Bnulan(jer e la Rana ayilis Thomas. JNelle sue premesse al genere Rana aggiunse alle tre no- minale, e sempre come altre specie d'Europa per lui bene distinte e caratterizzate, la Rana temiìoraria Linn. e la Rana iberica Boulanger ; mantenendo così distinta la muta Laur. dalla iemporaria Linn. nonostante che gli autori sieno stati unanimi nel giudicarle per utia stessa ed identica specie. Ma, poiché non poteva sfuggire all' occhio di un cosi diligente e minuzioso osservatore la somma variabilità, an- che individuale, ed in tutte indistintamente le specie, di al- cuni dei caratteri segnati dagli autori a base di specifiche se- parazioni : e poiché ha dovuto egli stesso convincersi come essi non abbiano un vero valore, nò dieno risultati sempre certi e costanti, così anche il Camerano ha dovuto ammet- tere quali più sicuri estremi differenziali la diversa forma del cranio e la maggiore o minore lunghezza delle estremità posteriori. Ai quali due estremi ha egli creduto opportuno di aggiungere quello altresì del diverso sviluppo e della diversa posizione del timpano nelle tre specie da lui de- scritte. L' autore ha giustamente avvertito che nelle rane rosse i sacchi vocali sono sempre interni; ma è un errore l'avere egli poi affermato che questi sacchi esistono soltanto nella Rana mula e che mancano invece nella R. agilis e nella R. Laiasiei. I sacchi interni vocali esistono in tutte e tre le forme indistintamente. Volendosi riassumere i tre principalissimi caratteri delle forme italiane secondo quanto è esposto dal Camerano, e che non è che una conferma di quanto aveva già dal t880 — 73 - stabilito il Boulanger, ecco come verrebbero ad essere se- parate e distinte le rane rosse nostrali: I. Capo pili largo che lungo, spesso, non depresso ante- riormente — Muso o arrotondato o leggermente aguzzo — Timpano grande, distante dall'occhio — Zampe posteriori corte e tozze -, ripiegate contro il corpo, giungono colla arti- colazione libio-tarsea o alla metà dell' occhio o all' apice del muso. Rana muta Laurenii, colla Sinonimia: Rana fiisca Roesel, R. temporaria (part.) Linn. (Sijst. Nat., ed. XIl), R. temporaria Schneider, Daudin, Merrem, Bonaparte, Duméril e Bibron, Patio', de Betta, Lessona, Boulanger ecc. ecc., Rana flaviventris Millet, R. plaiyrrkinus Steenstrup ecc. E per questa specie il Camerano, avvertendo sempre alia variabilità nella forma del capo e specialmente del muso, ammette anche le due varietà acuiirostris ed obtusiroslris del Fatio, con altre di colorazione descritte sotto i nomi di siil/concolor, niyro-maculala, flavo-m aculaia, nigro-gutlata ed atra. Nella Tavola I della Monografia si trova figurata la R. mula (tìg. 9) ed una bella sua varietà (fig. IO). II. Capo un po' più largo che lungo, spesso, poco de- presso — Muso corto ed arrotondato — Timpano assai piccolo, lontano dall'occhio ■ — Zampe posteriori lunghe e sottili ; ripiegate contro il corpo oltrepassano colla articola- zione tibio-tarsea spiccatamente l'apice del muso. Rana Latastei Boulanger, della quale è data la figura nella Tav. I sotto i num. 2, 3, 4. III. Capo leggermente piìi largo che lungo, sottile e de- presso anteriormente — Muso lungo e spiccatamente aguz- zo — Timpano molto grande e molto vicino all'occhio — Le zampe posteriori sono proporzionatamente alla R. Latastei anche più lunghe e sottih. Tomo /F, Serie YJ. 10 l - 74 - Rana agilis Thomas, rappresentata dalle figure 5 a 8 della Tavola I, e eolla Si- nonimia : Rana lewporaria Millet, R. temporaria var. agi- lis SclireiOer, R. agilis Thomas, Fatio, Cornalia, de Betta, Lataste, Lessona, Boulangcr, ecc. ecc. Quanto al colorito|delle parti inferiori, l'autore segna più particolarmente l'essere desse o immacolate, o più fre- quentemente ricoperte da numerose macchiette grigio-brune nella R. mula. Immacolate nella R. Lalaslei, salvo sotto alla gola dove presentasi il disegno foggiato a T rovescio avver- tito dal Boulanger. E finalmente immacolato nella R. agilis. DeìY liaùitat rispettivo il Camerano segna in generale la regione montuosa ed alpina per la muta e la regione del piano per le altre due specie. Con che verrebbe pur egli a confermare la inesattezza del Boulanger quando scrisse tro- varsi la Lalastei nei dintorni di Milano in compagnia della fusca. Non mi fermerò a dire delle maniere di colorazione del dorso e delle membra che il Camerano assegnerebbe a cia- scuna delle tre specie, in quantochè ho già dovuto ripetuta- mente avvertire la somma variabilità del colorito in tutte le varie forme, e di conseguenza il poco o nessun valore da accordarsi a questo carattere. Potrebbesi tutto al più ritenere un predominio fra noi nella agilis e nella Lalastei di tinte più chiare e di macchie più costanti che non nella muta. Ma anche questa distinzione va poi soggetta ad infi- nite modificazioni secondo la stagione e la stessa località. Uispetto alla R. mula troviamo sollevata dall'autore anche una questione di nomenclatura che egli stesso avreb- be sciolta nel senso che il nome di R. temporaria Linn.^ co- mechè usato dagli autori per varie forme specificamente distinte, non possa essere per ciò stesso conservalo, a scan- so anche d'altre future confusioni, o che sia tutto al più mantenuto alla sola R. arvalis. Aggiungendo altresì che per — 75 — lo stesso diritto di priorità debba essere dato alla R. fusca del Roesel il nome impostole invece dal Laurenti. In ciò io devo però dichiararmi affatto dissenziente, in quanto che, se tutti gli autori passati in rivista nel presente scritto furono concordi nel giudicare e nel ritenere che tanto la R. fusca Roesel, quanto la R. mula Laur. corri- spondano precisamente alla temporaria del Linneo, è chiaro che questo nome deve prevalere agli altri, anche perchè è anteriore. Ed in ciò mi conforta il trovare accettato pure recen- temente dal Boulanger {Calalogue ecc., 1882) il nome Lin- neano in sostituzione di quello di R. fusca che avea usato due anni primari 880) per l'identica specie nel suo Studio sulle rane rosse. Che se non si volesse accettare tale mia opinione, non saprei farmi ragione del perchè mal in ogni caso non debba poi avere la preferenza il nome di fusca a quello di mula adottato dal Camerano. Scrisse egli d'avere cosi pensato in vista che il Lau- renti, dopo il Linneo, ha per primo caratterizzato la specie in questione, denominandola Rana muta. Ma le bellissime figure date dal Roesel per la sua Rana fusca terrcstris, e che lo stesso Camerano dichiara più che sufficienti a far riconoscere con esattezza la forma di cui si tratta, non devono bastare a stabilire in modo indubbio chi fra il Roesel ed il Laurenti debba ritenersi veramente il primo che abbia determinata la specie ? Per parte mia, quando si volesse rifiutare ancora il nome Linneano, non esito punto ad affernjare che il nome di Rana fusca Roesel dovrà essere preferito sempre a quello posteriore, ed anche improprio, di R. muta Laurenti. 76 IX. Trattandosi di una forma ancora assai poco conosciuta fra noi; che per la prima volta figurò fra le italiane in se- guito agli scritti del Boulanger e del Camerano; e che mt»lto recentemente fu avvertita dal Ninni trovarsi pure nel Ve- neto, non so dispensarmi dall' intrattenermi alquanto sulla Rana Lalaslei Boylanger, la cui denominazione vorrebbesi però dal Camerano corretta in Laiaslii. Dei caratteri che principalmente servirebbero a distin- guerla dalla temporaria e dalla agilis fu già detto più ad- dietro. Qui non rammenterò ancora fra essi che il diverso mo- do di colorazionefdella gola per tosto però soggiungere, che per me sarebbe anche l'unico carattere in base al quale po- trebbesi, da chi lo volesse, continuarsi a mantenere sepa- rati gli individui della forma agilis nelle due specie agilis e Lalaslei. Senza poi che io sappia dire se il carattere stesso debba aversi per costante, o se individuale soltanto, o non piuttosto dipendente da ragioni di sesso, o di età, o di sta- gione, o di località. E giustifico questo mio giudizio colle seguenti osserva- zioni e notizie. Il Boulanger ha descritto la Lalaslei (1880) sopra indi- vidui avuti dal Cornalia e dal Pini di Milano, e provenienti dai contorni di quella città, dove si era osservato vivere dessa in compagnia della agilis. Il Camerano scrisse (1883) d'aver avuto la Lalaslei dai contorni di Varese, dal Veneto (vaile di Marcellise, Treviso, Venezia) e dalla Toscana (monte Morello) ; in tutte le quali località si riscontrò pure in comunione di lialnlul colla agi- lis. Circostanza questa che vorrebbesi costiluisse anzi un altro argomento per la sua validità specifica. __ 77 — Ora dirò, che alla prima notizia avuta intorno alla nuova specie del Boulanger — e fu quando precisamente quel chiarissimo autore mi fece gentile comunicazione del di lui scritto sulle Ranae temporariae — io mi sono tosto affret- tato a rivedere tutte le rane della mia collezione apparte- nenti alla sezione della agilis, e fra le quali ne trovai alcune spettanti infatti alla Lalaslei per la loro gola tutta macchiata in grigiastro più o meno intenso, e col disegno avvertito per caratteristico della nuova specie. Ma che io aveva sem- pre considerato in passato, come persisto nel considerare ancora, quali semplici varietà individuuH, o di sesso della agilis. Amo anzi di qui trascrivere i risultati di quella rivista secondo le note stesse fattemi in allora e che pur oggi con- fermo. a: Fra 6 esemplari della Rana agilis? raccolti nel set- tembre 1 850 a Gorgo, in provincia di Padova, quattro sa- rebbero appartenuti alla nuova specie del Boulanger. E rispetto a questi sei esemplari trovo anche opportuno di avvertire che non potevano dirsi a lutto rigore rappre- sentanti della vera agilis, ma erano piuttosto una interes- sante forma intermedia fra essa e la temporaria Linn., come aveva anche notato il Fatio nell'occasione in cui mi aveva onorato di una sua visita in Verona nell'anno 1863. Gli^ esemplari padovani in parola sono quelH precisa- mente che nel 1 857 ho particolarmente citati e descritti nella mia Erpetologia {^) nell'articolo della Rana temporaria. b : Tre esemplari della agilis raccolti a Tiriolo nella Ca- labria dal distintissimo malacologo cav. G. B. Adami e da lui inviatimi nel maggio 1872, presentavano, oltre alla par- ticolarità di tinte molto oscure sia nel fondo che nelle mac- (1) Erpetologia delle provincie venete e del Tiralo meridio- nale. Veroua, 1857 (pag. 294). - 78 - chie delle parti superiori, anche la gola intensamente mac- chiata in grigio nerastro col disegno a T rovesciato. e: Due esemplari della K. agilis provenienti da Niguarda presso Milano ed inviatimi dal sig. Camillo Campeggi nel maggio pure dello stesso anno 1872, avevano del pari il ca- rattere di colorazione della nuova specie. d : Un esemplare della Calabria favoritomi dal Giglioh nel febbraio 1876, sotto il nome di R. temporaria^ mi presentò la gola macchiata come nella Latastei. e: E finalmente fra una trentina di esemplari della agilis che fra il settembre e l'ottobre del 1876 io aveva rac- colto nei contorni di Padova, più di due terzi appartene- vano alla specie del Boulanger. Ma per quanto mi studiassi sino d'allora per trovare fra gli esemplari della mia collezione caratteri costanti e valu- tabih per una distinzione specifica fra la agilis e la Latastei, confesso nuli' altro avere potuto rilevare all' infuori della differenza nel colorito e nelle macchie della gola. Le quali identiche macchie è però importantissimo di notare averle io riscontrate pure in due esemplari della R. temporaria {\SiV. aculirostris) raccolti nel settembre 1872 presso Fondo in Valle di Non (Trentino) unitamente a molti altri aventi tutta la gola e parte dell' addome coperte invece da larghe macchie disposte a disegno elegante e quasi reti- colato, di color bruno carico o bruno nerastro. Per cui resterebbe anche con ciò escluso il valore ac- cordatosi al colorito della gola, se identico si presenta pure nella Rana temporaria dei monti (m. 1200). In seguito allo scritto del Boulanger mi sono anche to- sto rivolto direttamente al Pini con preghiera della comuni- cazione di qualche esemplare milanese della R. Latastei. Ma alla mia ricerca il Pini non ha potuto corrispondere che coir invio della R. agilis, assicurandomi in lettera ^0 novembre 1 880 che era stata da lui raccolta nella località — 79 — stessa da cui provenivano gli esemplari tutti inviati al Bou- langer ed al Museo di Bruxelles. Soltanto nel maggio I 882 il Pini mi inviava poi gentil- mente altri esemplari della agilis provenienti da Castellazzo Busca (a 15 chilometri da Milano); ma questa volta anche due esemplari della Latastei provenienti dal bosco di Rede- cesio (a 6 chilometri dalla stessa città) e sui quaU ho potuto così meglio confermarmi nel giudizio che mi era già fatto sulla bontà specifica della rana del Boulanger. Nello scorso luglio ho potuto anche avere dal carissimo amico e collega A. Ninni tre esemplari della latastei rac- colti a Treviso nell'aprile dell'anno corrente e che egli mi inviò unitamente ad un esemplare della agilis proveniente da Barbarighe (Estuario veneto) ed a due bellissime varietà di colorazione della muta di S. Tiziano di Gaima (m,* 1273 nelle Alpi bellunesi). Mi spiace però di dover dire che anche con tale invio ho dovuto sempre più assodarmi nel giudizio sulla Latastei e di non potere quindi trovarmi d' accordo neppure col- r egregio collega sulla bontà specifica delle tre rane rosse del Veneto, che a lui sembrerebbero bene distinte, e che sa- rebbero appunto la muta delle nostre Alpi, la Latastei e la agilis comuni nelle nostre pianure (*). Che se altro rincrescimento dovessi sentire nel così pro- nunciarmi, quello non potrebbe essere che di avere in tal modo posta in dubbio, o dirò anzi meglio distrutta una specie stabilita da cosi distinto ed illustre erpetologo quale si è il Boulanger, e da lui dedicata ad altro valentissimo er- petologo, quale si è il Lataste. Ma ho però tutta la fiducia che, come il primo saprà (1) Sopra la Ranae fuscae del Veneto. Lettera al cav. E, F. Trois (Estr. dal verbale dell' adunanza 20 marzo 1885 del R. Isti- tuto veneto). — 80 - riconoscere avere io unicamente parlato col rigore della scienza ed all' appoggio di incontrastabili prove, vorrà an- che il secondo rinunciare all'onore fattogli dal Boulanger, e del quale il suo nome non ba certamente bisogno per rima- nere ricordato alla scienza, dopo i tanti e pregiati lavori e dopo tanta operosità che ad essa lo tengono già luminosa- mente raccomandato. Prima di abbandonare il discorso sulla Lalaslei devo soggiungere ancora due parole intorno alla sua presenza nel Veronese, come sarebbe stata indicata dal Camerano. Nel settembre del 4 870 io aveva per la prima volta sco- perto nella Valle di Marcellise (a circa 9 chilometri da Ve- rona) la Rana agilis, della quale ricordo benissimo averne raccolto in allora una cinquantina di esemplari, fra giovani ed adulti, presi in parte lungo una piccola fossa costeg- giente un tratto di terreno coltivato a vite sul colle, ed in parte in campagna aperta poco discosta. Dietro domanda fattami dal Camerano nel 1882 io mi affrettai ben volentieri ad inviargli due dei suddetti esem- plari veronesi sotto il nome di R. agilis : e sarà facile il comprendere quale sorpresa mi abbia poi recato l'annun- cio esposto nella di lui Monografìa per cui venni a rilevare come uno solo dei due esemplari appartenesse alla agilis, mentre era l'altro invece una R. Lalaslei. Confessando di non essermi accorto punto in allora della diversità di colorazione della gola nei due esemplari, devo anche avvertire al quanto mi abbia poi fatta meravi- glia la unicità dell' individuo dichiarato appartenente alla Latastei; mentre fra i tanti da me raccolti, e parecchi dei quali conservo tuttora, nessun altro mi presentò il colorito segnato per caratteristico della specie. Circostanza anche questa che mi fa quindi supporre pos- sibilissimo che, almeno per alcune località, possa dirsi sol- tanto individuale o puramente accidentale la colorazione ^ 81 - della gola in modo diverso da quanto osservasi ordinaria- mente nella agilis. E dissi ordinariamente, in quanto che anche per la agi- lis non potrebbe indicai'si la gola come costantemente im- macolata, se in buon numero sono pure gli esemplari con gola macchiata o marezzata piìi o meno largamente e più o meno intensamente di grigiastro, anche senza presentare il disegno a T rovesciato già più volte indicato. X. Una pratica che per tal quale tacita convenzione è pres- soché generalmente osservata in oggi dai naturalisti e che non manca in vero di qualche importanza ed utilità, si è quella di esigere la indicazione del materiale che può avere servito di guida e di base ai giudizii ed alle opinioni degli autori. Ciò che, non volendo sottrarmi da tale invalsa consue- tudine, importerebbe però nel caso odierno un lungo lavo- ro ed una noja non lieve per chi legge, se dovessi offrire la distinta degU esemplari tutti da me esaminati e delle rispet- tive loro provenienze. Penserei quindi far cosa migliore col limitarmi invece ad indicare in via sommaria il materiale contenuto nella mia collezione dei rettili ed anGbi d'Europa, la quale mi compiaccio poi sempre di poter dire una delle più ricche fra noi,?sia rispetto al numero delle specie e rispettivi esem- plari, sia per quanto concerne le diverse località della loro provenienza. Tenendomi del resto sicuro che le molle cose fin qui esposte e le risultanze che se ne possono ritrarre, siano già più che sufficienti a convalidare la conclusione alla quale dovrò fra poco venire, accennerò dunque che le Ranae temporariae sono nella mia collezione rappresentate da 196 lu'.iio IV, Serie Vi. 11 — 82 — esemplari distribuiti in 61 vasi di cristallo, secondo il di- verso habitat ed anche secondo le più importanti varietà di colorazione di una medesima località. Senza contare poi gli esemplari conservati nella speciale raccolta di rettili ed anfibi della volle di Non (nel Trentino) e più ancora ben oltie il centinajo di esemplari del Veneto e del Trentino che tengo in separato dalle due collezioni. Ed eccone la succinta indicazione, mantenendo soltanto per ragione di maggior chiarezza la suddivisione della tem~ poraria europea nelle cinque specie dei moderni autori. A. Rana temporaria Linn. Di questa pongo in prima linea gli esemplari da riferirsi alla R. fusca Roesel e R. muta Laitr. che presentano le più singolari varietà di colorazione e di macchie, e che io ten- go provenienti dalle seguenti località: Verona, monti Lessini =^T\eiìl\no, Fondo, Tret e S. Fe- lice, m.' 1200 a l230=^Piemonte, Valsesia ed alta Valsesia (Valdobbia, Alagna, cime del monte OIen ecc. — Calderini) =r Provincia di Udine, Fisér di Gosaldo m.' 1000 (Selle) = Prov. di Belluno, 5. Tiziano di Gaima m.' 1273 (iNinni)ct; Alpi m.' 2000 (Fatio) = Ginevra e Danimarca (Patio) = Francia (Ta(on). Seguono poi gli esemplari provenienti dal Trentino , Fondo, Folgaria e Galliano = Prov. veronese, Gastagnè, Rovere di Velo =:?io\. di Brescia, Valle dell' Avio, ver- sante nord dell' Adamello (Adami) == Prov. di Sondrio, Val Furva a S.^ Gatterina (Pini) — Piemonte (Lessona) =: To- scana, Vallombrosa (Giglioli) =rProv. di Venezia, Mestre (Trois)= Svizzera, contorni di Basilea (Miiller)=; Gine- vra e Danimarca (Fatio) = Boriino (Effeldt) ==: Tia^ia tem- poraria var. platyrrhina Stecnstriip, Danimarca (Leydig ex spec. Co\\\n)=:Rana temporaria vav. acutirostris, Ginevra - 8;:; - e Danimarc;i (Falio) =ir Rana tfmporaria vai', oxyrrhina Steenstrup^ Danimarca (Leydig ex spec. Collin). B. Rana arvalis Nilsson. L'ultima delle sunnominate varietà è già tanto affine alla R. arvatis da potersi considerare per identica, quanto a forma e colorazione, ai due esemplari che di questa spe- cie mi furono inviati dal Falio, provenienti dalla Danimarca. C. Rana iberica Bouianger. Di questa pure non possiedo che due soli esemplari spagnuoli, non molto adulti, con un terzo giovanissimo in- viatimi dal Boscà senza una più precisa indicazione d'Aa- ùitat. Il modo di colorazione è in essi molto elegante, anche per la forma particolare e distribuzione delle macchie sul dorso e sulle gambe. La gola è quasi tutta coperta di mac- chie nerastre, con uno spazio lineare nel mezzo che lascia liberamente vedere il colore del fondo. D. Rana Lalastei Bouianger. Furono già accennate più addietro le località da cui provengono gli esemplari della mia collezione. E. Rana agilis Thomas. Di Gorgo nel Padovano, delle colline d'Imola (Tassina- ri), e di Porto Ceresio in provincia di Como (Pini) sono gli esemplari della mia collezione, nei quali si presenta eviden- temente una forma intermedia fra la tcwporaria e la vera agilis. - 84 — A questa appnrtorrebbero poi più particolarmente gli esemplari provenienti dalla valle di Morcellise nel Veronese; da Caslellazzo Busca nel Milanese (Pini); da Bosco S. An- drea di BarOarana nel Trevigiano (Ninni); da Mestre in prov. di Venezia (Trois) ; da Barbarighe nell' Estuario veneto (Ninni) ; da Raclus nel Friuli (Pirona) ; dal Piemonte, con- torni di Torino e R. Mandria (Lessona) ; dalla Toscana, presso Firenze (Giglioli) ; da Lugano nel Cantone Ticino (Pavesi); dalla Calabria (Adami e Giglioli); da Zara (Dani- lo) e da Stobrec presso Spalato (Kolombatovic) in Dalma- zia ; e finalmente da Ginevra e da Nantes, gentilmente ce- dutimi dal Patio colle due speciali indicazioni fattemi in lettera 20 agosto ^ 870: Rana agiiis typus, Genève <> Les individus, male et femelle, qui ont seni à mes premières descriptions n — Rana agiiis, NantCvS « Un male et vnjeu- ne du méme sexe recns de M. Thomas ». XI. All' appoggio di un materiale che certamente non po- trà dirsi scarso ed insufficiente; ma piij ancora per avere potuto tener dietro abbastanza accuratamente, nel Tren- tino e nel Veronese, al succedersi delle modificazioni di forma e di colorito che si osservano nelle rane rosse, mi sono sempre più convinto che in esse, del paii di quanto è noto accadere anche in altri animali vertebrati ed inverte- brati, le modificazioni stesse hanno pure una stretta rela- zione colle condizioni dell' habitat. E fu cosi che avrei potuto appunto constatare come la R. temporaria possa avere subito e possa effettivamente subire, secondo le diverse località, alcune modificazioni di forme, sopratutto poi nella mo'e e nella lungiiezza e gros- sezza delle zampe posteriori. Sulle montagne essa si presenta infatti di una mole più - 85 - grande; con corpo grosso e tozzo; co! muso, quando ar- rotondalo (var. oùtusirostris), quando alquanto appuntito (var. aciitirostiis) ; e colle zampe posteriori relativamente corte e grosse ('). È invece mano mano che si discende verso il piano che la specie presenta gradatamente tali e tante modificazioni di forme sino a raggiungere quella, in confronto persino elegante, della R. agilis, a corpo sottile e molto snello, col capo piccolo in relazione alla sua mole, con muso anterior- mente acuminato, e colle zampe sottili e molto più allun- gate. Non è perciò a dirsi quante forme intermedie, o di passaggio, assolutamente impossibili a descriversi, noi po- tremo quindi trovare fra la temporaria o muta e la agilis. Come non sarà certauìente possibile lo stabilire rigorosa- mente un limite fra le forme da riferirsi alla prima e le al- tre che si vorrebbero esclusive alla seconda. Non posso affermare che quanto osservai nel Veronese e nel Trentino, succeda poi anche altrove. Ma credo però potersi così ritenere in base alle stesse generiche indica- zioni degli autori ?>\ì\{ liahilat della specie; di cui tutti am- mettono la forma fusca o muta come confinata sugli alti monti, mentre dicono non incontrarsi la agilis che sulle colline ed assai più comunemente nella regione del piano. Del progressivo differenziarsi delle forme credo non possa quindi esitarsi a ritenere quale principalissima causa gli slessi fenomeni di adattamento dell'animale al luogo di abitazione. (1) Non deve dimenticarsi che nei giovani il muso è sempre aguzzo, e che la diversa forma del muso negli adulti può anche dipendere dall' età e fors' anco dal sesso. Delle due varietà obtusirostris ed acutirostris anche il Ca- merano ha osservalo essere la seconda quella che discende più in basso verso il piano. — m ~ La Rana tempoì'arìa, che vive infatti sulle alle montagne, non ha che ristrette zone di terreno da percorrere pe'suoi bisogni. Ha per ciò stesso minori pericoli da sfuggire ed ha in ogni modo maggiore facilità di scansarli con salti lunghi sì relativamente, ma non tanto quali si esigerebbero al piano. I piccoli torrentelli od i ristretti corsi o canali d'ac- qua, che per lo più si incontrano sui monti, congiunta- mente ai frequenti cespugli di quelle località, sono per essa un facilissimo rifugio, da cui, del resto, ordinariamente non si allontana mai molto. Ed ecco quindi bene adattate le sue membra al mezzo stesso in cui vive. Le condizioni d' habitat della Rana agilis sono invece ben molto diverse. Vivendo essa al piano e nelle campagne aperte e colti- vate, deve infatti percorrere tratti di terreno talvolta assai estesi, talvolta attraversati benanco da larghi fossi e canali d'acqua, o da fiumi. Di conseguenza anche i pericoli sono sempre maggiori, ed impossibile riescirebbe ad essa di fa- cilmente sottrarsi quando più adatti non fossero pure gli organi locomotori. E da qui appunto le modificazioni di adattamento che le sono particolaii ; vale a dire le zampe posteriori molto più lunghe e che, congiuntamente ad una speciale snellezza di corpo ed alla stessa forma più acumi- nala del muso, le permeltono di eseguire salti maggiori e quasi portentosi in confronto della iemporaria^ e di vin- cere assai più facilmente la resistenza dell'aria che deve spostare nel salto stesso. Ed egli è in lutto ciò che io ravviserei appunto la na- turale e più diretta ragione delle svariate modificazioni di forme che avrebbero invece suggerito ai moderni autori la scissione della vecchia Rana teniporaria in altrettante di- stinte specie. — 87 — XII. Dopo una cosi lunga esposizione di circostanze e di falli vengo Gnalmenle ad una conclusione, la quale so però benissimo prevedere fin d'ora che non sarà per essere cosi facilmenle accettala da tulli, e che potrà forsanco procu- rarmi qualche viva opposizione da parte di taluno fra i più moderni autori. Ma neppure in tale previsione devo ora trattenermi dallo esporre il mio avviso, con quella piena convinzione che ho dovuto ritrarre dairaltento studio di moltissimi au- tori e dalle stesse osservazioni e ricerche da me attivale nel corso di tempo, non breve sicuramente, dacché attendo più in particolare allo studio dei Rettili ed Aniibi nostrali. La conclusione alla quale mi tiovo chiamato, altro non sarà quindi che il mio giudizio sulla cosi delta bontà speci- fica delle varie forme dagli autori elevate al grado appunto di specie distinte. Il Giglioli annoverando la liana temporaria fra gli Anfibi italiani non ha punto esitalo a scrivere: « Abbonda in tutta » Italia, particolarmente sui monli, e le più belle varietà ed » i più grossi individui sono alpini. Si estende pure alla Si- » ciba, ma non nelle altre nostre isole. È specie somma- » mente variabile, né saprei accettare la separazione della » H. agiiis e di altre razze come specie distinte » (^). Dichiarazione questa che non poteva cerlasnenle ac- contentare il Camera no se ad esso lui sembra al contrario cosa difficile il non ammettere al giorno d'oggi come specie (1) Elenco dei Mammiferi., degli Uccelli e dei Rettili ittiofagi appartenenti alla Fauna italica, e Catalogo degli Anfibi e Pc sci italiani. Firenze, 1880. — 88 — distinte in Italia la Rana muta Laur.^ la R. Latastei Boulan- ger e\a R. agilis Thomas ('). Ma per lue è evidentissimo che anche lo stesso Boulan- ger ha sentito doversi più o meno dubitare sul valore dei caratteri assegnali a ciascheduna delle sue otto specie, sic- come da lui pure riconosciuti uè esclusivamente proprj, nò sempre costanti in ognuna di esse. Tanto è ciò vero che, dopo avere lungamente studiato ed affaticato nel cercare gli estremi ai quali appoggiare le sue distinzioni speciQche, vistane egli stesso la somma va- riabilità ed incostanza, ha pensato molto saviamente di con- chiudere colle parole riportate in testa del presente scritto e dalle quali è abbastanza chiaramente comprovato esservi fra le otto specie una tale concatenazione di caratteri da non lasciare possibili che due partiti: o ammetterle tutte, o non ammetterne che una sola. E con tutta franchezza e persuasione dirò, che io starei appunto pel secondo partito: vale a dire, che per parte mia ritengo effettivamente tutte le varie forme della rana rossa in Europa, e quindi anche nell'Italia, per appartenenti ad una sola ed unica specie, la Rana temporaria di Linneo e degli autori. II Lataste nelTescIudere la bontà specifica dei tre Disco- glossns stabiliti dal Camerano (D. pictns Ottli., D. snrdus Tscliudi e D. Scovazzi Camerano) ed avendoli dimostrali spettanti tutti ad un'unica specie, ha sentenziato essere più che sufficiente a distinguere l'uno dall'altro l'aggiungere soltanto al nome specifico la indicazione deW habitat {"^). Precisamente lo stesso io reputerei debba pur dirsi og- gidì rispetto alle rane rosse, le cui molle variazioni si pos- sono benissimo designare coll'aggiungere alla denominazio- (1) Monografia ecc., pag. 73. (2) Étxide sur le Discoglosse ecc., già ciialo più addietro. — 89 — ne specifica di Rana temporaria resaltu indicazione del ri- spettivo habitat^ tnlchò ne risultino quindi conosciute le localitù e lo regioni, se del monte o del piano, da cui pro- vengono gli esemplari. Devo però tosto soggiungere che, riguardo alle forme della R. temporaria, sarebbe troppo strano il non volere neppure riconoscere quell'assieme di caratteri che tanto facilmente si prestano a fare in ogni modo distinguere la temporaria delle alpi e dei monti, a corpo'grossolano e toz- zo, dalla temporaria del piano, a corpo snello e sottile, colle altre differenze già più volte ripetute. Che, in verità, avendo sott'occhio, ad esempio, le rane rosse dei più alti monti del Piemonte, del Veneto e del Trentino, e confrontandole colle rane della pianura, a for- me così distinte ed eleganti, come quelle particolarmente del Milanese, del Veronese, del Trevigiano, del Cantone Ti- cino (') ecc., non vi sarà alcuno che possa ragionevolmente disconoscerne le differenze : e ciò indipendentemente benan- co dalle moltissime forme intermedie che legano ed unisco- no poi fra loro completamente gli estremi delle due serie. Ma anche a distinguere convenientemente le due forme, senza per questo creare specie che a rigore di scienza non possono assolutamente accettarsi come tali, è facilissimo il modo. Ed io non esito punto a qui seguire una proposta che, fatta dal Lataste nello scritto sui Discoglossi, e dapprima accolta pienamente e più tardi modificata dal Camerano, io trovo anche del tutto opportuna allo scopo. (1) Gli esemplari di questa località vanno particolarmente di- stinti per la maggiore snellezza delle loro forme ed anche per la macchia temporale generalmente più distinta, ossia più spiccante dal fondo, perchè orlata ed accompagnata inferiormente da una sot- tile fascia 0 linea di tinta biancastra o giallastra più risentita che non negli esemplari delle altre località. Tomo IV, Serie VI. 12 — 90 — II partito, cioè, di aggiungere alla nomenclatura Lin- neana binominale un terzo nome per la forma particolare che si vuole indicare, chiamando così nel caso nostro Rana temporaria agilis la forma appunto corrispondente della pianura, e che io considero per tutt'una colla Latastei. Volendo poi seguire la modificazione di nomenclatura trinominale proposta dal Camerano, la si potrebbe chiama- re invece Rana temporaria Limi, subspecie agilis Thomas. Per me un modo o l'altro vale lo stesso, purché si ot- tenga di ben definire la forma senza bisogno di creare nuove specie e di sempre più imbarazzare la sinonimia, laddove, come nel caso nostro, non si tratta che di semplici mutazioni locali, e talvolta solo accidentali od individuali, di una specie universalmente conosciuta. Verona, settembre 1885. CONSIDERAZIONI SULLE VALVOLE DI SICUREZZA. nota DEL M. E. ENRICO BERNARDI (con I Tavola) ì. Uno fra i difetti attribuiti alle ordinarie valvole di sicurezza, è quello di non permettere che tutto il vapore prodotto in eccesso dalla caldaja sfugga per esse appena la pressione raggiunge quel limite massimo stabilito nella pro- va, a cui per legge tutti i generatori di vapore devono es- sere assoggettati prima di entrare in servizio. Allorquando infatti la pressione in caldaja raggiunge il limite predetto, le valvole comunemente in uso, solo comin- ciano ad aprirsi, e per alzarsi di più e lasciar sfuggire quindi una quantità di vapore sempre crescente, è mestieri cbe la pressione continui ad aumentare e sorpassi quel li- mite. — Questo difetto riesce ancor meglio pronunciato se la valvola è premuta sulla sua sede da una molla, perchè la tensione della molla cresce coli' alzarsi della valvola, e la pressione in caldaja deve quindi certamente aumentare a mano a mano che la valvola si apre. Il fatto ora accennato diviene poi ancor più sensibile, se la molla agisce indirettamente sulla valvola, come appun- to avviene colla solita e ben nota bilancia di tensione, gene- ralmente adottata per le locomotive. In tal caso ad un pic- colo alzamento della valvola, corrisponde un allungamento - 92 — relativamente gr-inde della molla elicoidale che la carica, e r aumento della tensione della molla e quindi dell.i pressio- ne in caldaja riesce perciò considerevole, anche per alza- menti relativamente piccoli della valvola. 2. Il Meggenhofen immaginò una disposizione che toglie questo inconveniente. Egli trasmette la tensione della molla alla leva della bilancia, mediante un ingegnoso sistema arti- colato, il quale fu studiato in modo che il carico sulla val- vola non abbia a mutare mentre essa si solleva. Tale dispo- sizione, che io vidi applicata ad alcune locomotive della ri- putatissima fabbrica di E. Kessier ad Essiingen, ha però il grave inconveniente che permette al macchinista di sovrac- caricare con facilità la valvola. Per ottenere questo scopo, basta infatti che egli, con un semplice filo metallico, leghi fra loro le braccia del predetto sistema articolalo. La valvola di Bachmann è a tripla sede, e quando si apre, il vapore sfugge contemporaneamente per tre fessure anulari concentriche, ma disposto ad altezze diverse (^). Per tal modo con un alzamento relativamente piccolo del- ia valvola, si oh origine ad un' ampia luce libera d' efflus- so, e si sfoga una grande quantità di vapore. Riesce quindi meno sensibile quel successivo aumento di pressione in cal- daja, che si osserva colle valvole ordinarie mentre scarica- no quantità di vapore sempre maggiori. Per la sua parti- colare costruzione, questa valvola ha pure il vantaggio che, a diametro eguale e sotto le stesse condizioni, esige un ca- rico di gran lunga inferiore delle valvole comunemente in uso. Deve essere però assai delicata, come tutte le valvole a sede multipla, e forse per questo non ebbe larga applica- zione. Nelle valvole di Kitson e Ramsbottom^ che vennero ac- (1) Der practische Maschinen-Constriicteur- Zeitschrift voti Uhland. Jahrgang 1878, S. 410. — 93 - colte con qualche favore dai pratici, la molla, o le molle se sono più d'una, agiscono direttamente sulla valvola ; il mas- simo alzamento di questa è piccolo (circa 3 mill.), e le mol- le sono relativamente lunghe; la loro tensione perciò cre- sce di poco mentre la valvola si apre, e il corrispondente aumento di pressione in caldaja riesce quindi minore che impiegando valvole a bilancia. Devesi notare che neppure le valvole a carico costante, sono prive del difetto accennato. L' esperienza di tutti i giorni dimostra infatti che anche le valvole direttamente od indirettamente caricate da un semplice peso, non si aprono ad un tratto, ma successivamente ; il che prova a chiare note che, per aprirsi sempre più, richiedono un continuo aumento di pressione in caldaja. Teoricamente si dimostra, come ve- dremo, che una valvola di sicurezza a carico costante, do- vrebbe aprirsi del tutto appena comincia a sollevarsi. Que- sto disaccordo però fra la teoria e l'esperienza si spiega as- sai facilmente badando bene alle condizioni di fatto sotto le quali avviene l'efflusso del vapore. Attesa r importanza che si suole attribuire alle valvole di sicurezza per prevenire lo scoppio di una caldaja e le gravi disgrazie che quasi senipre ne conseguono, mi parve non potesse riuscire inutile la pubblicazione della presente Nota, scopo ultimo della quale è di far conoscere due nuove disposizioni, che risolverebbero il problema della costru- zione di una valvola, la quale impedisca ogni aumento di pressione in caldaja oltre un limite determinato, e ciò an- che sotto la massima attività del foco- fi per essere questo mio scritto dedicato non solo ai pratici, ma anche agii studiosi della meccanica applicata, mi farò ad esporre per filo le considerazioni che mi con- dussero ad indovinare le predette disposizioni, e, per co- minciare, ricercherò da primo 1' equazione d' equilibrio di - 94 - una valvola di sicurezza mentre, sollevata sulla sua sede» sfoga il vapore rinchiuso in caldaja sotto data pressione. 3. Sia A (tìg. 1) il tubo, ordinariamente di breve lun- ghezza, che conduce il vapore dalla caldaja alla valvola. La sezione di questo tubo la supporremo costante ed eguale all'area della faccia piana ed inferiore della valvola medesi- ma. — A vero dire, coi sistemi comunemente adottati per guidare la valvola e costringerla a muoversi col suo cen- tro lungo l'asse del tubo A , la predetta supposizione non si verifica rigorosamente, poiché i pezzi che guidano la val- vola vengono quasi sempre collocati dentro al tubo A , e perciò ne restringono la sezione nel luogo ove sono posti. 11 ristringimento però è sempre piccolo in confronto del- la intera sezione di A , e, almeno per ora, può essere tra- scurato. La superDcie della valvola e quella della sua sede, che fra loro vanno a perfetto contatto quando la valvola è chiu- sa, le supporremo piane, talché il vapore si lanci all'esterno in direzione orizzontale. Quando la valvola è aperta, la pressione del vapore im- mediatamente al di sotto di essa è di certo inferiore a quel- la in caldaja. Devesi notare però che il massimo alzamento della valvola riesce sempre assai piccolo in confronto del suo diametro, se a calcolare questo diametro si seguano le regole generalmente adottale dai costruttori. Per questa ra- gione la differenza fra le predette pressioni può ritenersi in generale abbastanza piccola perchè sia permesso di consi- derare la densità del vapore nel tubo A come costante ed eguale a quella in caldaja. Premesso ciò diciamo : P, il peso in chilogrammi del vapore scaricato dalla val- vola in un minuto secondo ; p„, la pressione assoluta in chil. sul m. q. del vapore in caldaja ; — 95 — Pj , la pressione pure assoluta del vapore immediatamente sotto la valvola; ^ , il peso specifico o peso del m. e. di vapore in caldaja; V , la velocitili dei vapore nei tubo A ; co, la sezione in m. q. del tubo medesimo o l'area della faccia inferiore della valvola ; a, la pressione atmosferica; Q, il carico in cb. cbe direttamente agisce sulla valvola. Il volume del vapore cbe in un secondo passa per A è: P f ' e perciò sarà: (<) "^L- D'altro canto osservando che il movimento del vapore nel tubo A è determinato dalla differenza di pressione Po — Piì P^' teorema di Torricelli potremo scrivere: (2) v^l/2/-^ e quindi da cui facilmente si ottiene: (3) . . . . Pi=Po 4. Le particelle di vapore cbe si muovono nel tubo A , prima disfogarsi nell'atmosfera, incontrano in direzione normale la faccia inferiore delia valvola ; e costrette da essa a dirigersi orizzontalmente ed a deviare quindi di 90", vi esercitano una spinta dinamica cbe insieme alla pressio- ne p^ coopera a sollevarla. — Detta *; l'accelerazione di gravità, la massa fluida cbe in un secondo incontra quella 90 faccia è - ; la velocità con cui questa massa si muove è G V ^ e cosi la predetta spinta verrà espressa, com'è noto, da P 9 e lo sforzo totale che tende di sollevare la valvola sarà evi- dentemente : Più) 9 Questo sforzo deve essere equilibrato dal carico Q e dalla pressione atmosferica, la quale, se la valvola è co- struita a dovere, agisce sopra una superficie che si può ri- tenere eguale alla co. Dovrà essere quindi: 9 act) Posti qui i valori di y e di pi dati dalle (I) e (3), si ottiene : 2gl a> da cui; (4) . Q = (Po — «)'5^ ^- p2 2gh 0) Detto Q^ il minimo carico che è capace di mantenere la valvola chiusa^ questo carico verrà dato dalla precedente equazione quando si faccia in essa Pr=:0 , e si avrà cosi: (5) . . . . Qi = (/>o — a)M , con che la (4) diventa : P« Zij ò co (6) Da questa, che è l'equazione di equilibrio della valvola aperta, chiaramente apparisce, che il carico Q dovrebbe - 97 -- essere lauto più grande di Q, , quanto maggiore è il peso P di vapore che la valvola scarica nell'unità di tempo. Ap- pena dunque una valvola di sicurezza caricata con un peso comincia a softìare, dovrebbe aprirsi completamente, per- chè il carico che la equilibrava chiusa, diverrebbe insuffi- ciente ad equilibrarla aperta. 5. Come ho avvertito in addietro ciò non si verifica affatto in pratica. Una valvola di sicurezza, sia pure a ca- rico costante, effettivamente non si apre tutta ad un tratto, ma a poco a poco, ed esige quindi un successivo aumento di pressione in caidaja per scaricare quantità di vapore ognora crescenti. Su questo disaccordo fra la teoria e l'esperienza de- vesi notare, che la pressione p^ al di sotto della valvola, noi r abbiamo determinata nella supposizione che al movi- mento del vapore nel tubo A, si potesse applicare, senza riduzioni, il teorema di Torricelli. Ora, com' è noto, que- sto teorema non si verifica in pratica che in via di appros- simazione, e la vera differenza di pressione capace di pro- durre una data velocità d'efflusso, è sempre più grande di quella calcolata in base a quel teorema. La differenza p^^ — /;, deve essere dunque in pratica maggiore della calcolata, e quindi la p^ deve essere nel fatto più piccola di quella che noi abbiamo teoricamente determinata. Se poi si rifletta che i pezzi, i quali servono a guidare la valvola, si collocano, salvo casi rarissimi, en- tro lo stesso tubo A , e che questi pezzi rompendo la vena fluente devono dar luogo a moti turbinosi e discordanti in seno ad essa, si riconoscerà facilmente che questa circo- stanza deve non poco influire per abbassare ancor più il valore effettivo della p^ sotto quello calcolato colla sempli- ce applicazione del teorema di Torricelli. Noi abbiamo preso dunque un valore di pi di certo maggiore, e forse molto maggiore, del vero, e perciò an- Timo JV, Serie VI. 13 -- 98 — che l'eccesso del carico Q sul carico Qi, che abbiamo teoricamente riscontrato, è indubbiamente più grande del vero, e forse del tutto illusorio, potendo riuscire in pratica negativo, ed essere quindi Q, maggiore di Q . A ciò aggiungasi che le inevitabili resistenze d' attrito sulle guide della valvola riescono in generale maggiori a val- vola aperta che a valvola chiusa. Se infatti per un piccolo difetto di costruzione, la valvola soffla più da un lato che da un altro, la dissimmetria dell'efflusso dà origine ad una spinta orizzontale sulla valvola che accresce la resistenza d'attrito sulle sue guide. Questa spinta orizzontale può manifestarsi anche per difelti di simmetria nella superfìcie Inferiore della valvola, difetti che si riscontrano facilmente quando per guidare la valvola la si provveda di alette. L' accennato aumento della resistenza d' attrito sulle guide della valvola aperta, equivale ad un accrescimento del carico reale Qj che la equilibrava mentre era chiusa, e ciò concorre a rendere praticamente negativa la differen- za Q' — 'Qi , e ad esigere quindi un aumento di pressione in caldaja per determinare un maggiore alzamento della valvola. Per confermare meglio le precedenti osservazioni che valgono a spiegare il notato disaccordo fra il calcolo e l'e- sperienza, credo utile di applicare le formule da noi tro- vate ad un caso particolare. 6. La legge prescrive che ad ogni caldaja sieno appli- cate due valvole di sicurezza. Ordinariomente a queste val- vole si dà diametro eguale, e per calcolarlo si usa la ben nota formula : d = 2Ql/ ^ n+0,59 ' dove d rappresenta il diametro cercato espresso in milli- metri ; S la totale superficie riscaldata in metri quadrali; - 90 ~ n la pressione in atmosfere effettive a cui le valvole devo- no cominciare ad aprirsi. Poniamo S = 25 ed w = 5. La prenotata formula dù allora (/=55, e quindi avremo : &;=:-7r(0,035)^=^ 0,00237 . Sotto il foco più vivo ogni metro quadrato di superfi- cie riscaldata può produrre tutto al più ^00 eh. di vapore air ora. La più grande quantità di vapore che le due val- vole insieme possono essere chiamate a scaricare in un'ora, sarà dunque di eh. 2500, e per ciascuna riterremo cosi : 1 2500 Il peso in eh. di un metro cuho di vapore alla pressio- ne massima di 5 atm. eff., ù, a conti fatti : ^ = 3,263 . Avremo poi : p^^= 10330 (3+ I) = 61980 a= 10330 . Coi dati precedenti le (ri) e (6) danno: Q,= 422,4 Q= 123,2 . Da ciò apparisce, che mentre il carico Q^ capace di equilibrare la valvola chiusa è di eh. 122,4, per equilibrar- la aperta occorrerebbe un carico di eh. 123,2, ossia supe- riore al precedente di soli 800 grammi. Questo eccesso di 800 gr. misura quello sforzo che teoricamente tenderebbe ad aprire ancor più una delle valvole, mentre le due insie- me già sfogano tutto il vapore che il foco più intenso ge- nera in caldaja. Tale sforzo, come vedesi, è piccolo assai in confronto del carico di eh. 4 22,4 che preme sulla val- vola, ed è ben naturale che le cause dette in addietro lo - 100 - rendano affatto illusorio, e che in pratica si esiga invece un carico maggiore per equilibrare la valvola chiusa che per equilibrarla aperta. Inoltre si deve osservare che il pre- detto sforzo, ossia l'eccesso di Q su Q^ , decresce rapida- tìiente col diminuire del peso di vapore scaricato dalla val- vola nell'unità di tempo, giacché, come apparisce dalla (6) ò proporzionale al quadralo di quel peso. Se dunque è di soli 800 gr. quando le due valvole insieme scaricano tutto il vapore che può produrre la caliiaja, se pure in pratica esistesse integralmente quale vien dato dal calcolo, riusci- rebbe affatto insensibile quando le valvole cominciano a soffiare e scaricano quindi pochissiirio vapore. Dalle cose dette lisulta, che calcolando il diametro del- le valvole di sicurezza colle norme ordinariamente in uso, Io sforzo teorico che tenderebbe a sollevarle del tutto è assai piccolo, e tale che, se pure esistesse in pratica, sa- rebbe forse insufficiente per dare alla valvola appena aper- ta, una decisa tendenza ad aprirsi completamente. Vista però l' esistenza teorica di quello sforzo, mi sono proposto di ricercare qualche disposizioni che valessero ad esagerarlo, e ad esagerarlo tanto da lasciare l.i certezza che anche in pratica la valvola avesse ad aprirsi completa- mente appena fosse sollevata. Di queste disposizioni ne ho trovato due, e mi pare deb- bano bene corrispondere allo scopo. Esse sono semplici, e specialmente la seconda mi sembra di facilissima applica- zione anche a valvole già costruite. Passerò ora a descri- verle, esponendo nel tempo stesso in qual modo me ne sia venula V idea. 7. Come è facile riconoscere da quanto ho detto in ad- dietro, la spinta che agisce dal sotto all' insù per sollevare una valvola di sicurezza aperta, risulta dalla somma di due spinte di natura ben diversa. La prima, è una spinta stati- ca dovuta alla pressione p^ che possiede il vapore immc- - 101 - diatamente al di sotto della valvola; la seconda, è una spin- ta dinamica dovuta alla deviazione delle particelle di vapo- re, che dotale di velocità v, ascendono verticalmente nel tubo A (fig. I), e incontrando la faccia inferiore della val- vola, si ripiegano orizzontalmente per lanciarsi all'esterno. Studiando se fosse possibile accrescere queste due spinte, o, diremo meglio, aggiungervi altre spinte della loro stessa natura, m'avvidi che lo si poteva mediante due disposizioni diverse, l'una delle quali dà origine appunto ad una nuova spinta statica; l'altra, ad una nuova spinta dinamica sulla valvola. La prima di queste disposizioni è la seguente : Il tubo AA (fig. 2), che dalla caldaja conduce il vapore alla valvola, si allarga alquanto in basso, come indica il di- segno, il quale rappresenta il sistema sezionato con un pia- no passante per l'asse della valvola. — Concentricamente è disposto un altro tubo BB di forma simile al precedente, ina di diametro alquanto più piccolo. I due tubi sono in- variabilmente congiunti fra loro mediante tre alette n , 71, a cui si darà piccolo spessore, acciocché la sezione anu- lare compresa fra i due tubi venga da esse diminuita il me- no che sia possibile. Il tutto può essere costruito di getto, in un pezzo solo e di bronzo, per poter dare alla parete della parte superiore e più ristretta del tubo interno uno spessore assai piccolo. — Questo tubo è aperto alle sue estremità, una delle quali, l'inferiore, si protende alquanto nell'ambiente occupato dal vapore in caldaja, e l'altra re- sta a breve distanza dalla faccia interna della valvola chiu- sa. — Nella parte più larga e perfettamente cilindrica del tufio medesimo, scorre a tenuta ermetica uno stantuffo di bronzo C, senza guarniture perchè riesca mobilissimo. — La valvola ce è invariabilmente congiunta allo stantuffo C mediante un gambo ee , il cui diametro è di qualche mil- limetri più piccolo di quello della bocca superiore del tu- bo BB. Per tal modo fra gambo e tubo resta un intervallo - 102 - . anulare che vale a mettere in comunicazione lo spazio in- terno rr coll'esterno qq . • — Dando allo stantuffo un'altezza sufficiente, p. e. da una volta e mezza a due volte il suo diametro, esso servirà anche a guidare la valvola. — Tutto il sistema verrà fissato sulla caldaja mediante buloni a vite m , m. 8. Ora, diciamo S l'area della faccia inferiore dello stantuffo, s la sezione del gambo ee , e conserviamo del resto agli altri simboli lo slesso significato dato loro nel corso della presente Nota. Posto che la valvola sia chiusa, è chiaro che in T , in qq ed in rr il vapore ha la medesima pressione p^ che ha nella caldaja. Il sistema allora formato dalla valvola e dallo stantuffo insieme collegati, è sollecitato evidentemente da quattro spinte; la prima, p,)S , che agisce dal basso all'alto sulla faccia inferiore dello stantuffo ; la seconda, Pq{co — s) , che si esercita nello stesso senso sulla faccia interna della valvola; la terza, /;„(S — s) , che opera dall'alto al basso sulla faccia superiore dello stantuffo; la quarta, aco ^ che è dovuta alla pressione atmosferica e che pure sollecita la valvola dall'alto in basso. La spinta totale che tende solle- vare il predetto sistema sarà così : Y^=pQS-{-pQ{M — s)—p,,{S-~s) — aM , e riducendo (7) . . . . Fi=:(/?o — fl>; cioè la stessa come se Io stantuffo C ed il gambo ee non esistessero. Per tal modo il carico capace di equilibrare la valvola chiusa sarà lo stesso come nelle valvole ordinarie, e dato quindi dalla (5). Suppongasi ora che la valvola sia aperta e che il vapore violentemente si sfoghi per essa. — In T allora la pres- sione sarà ancora p^^ , poiché il tubo BB si protende al- quanto nell'ambiente della caldaja, e quindi alla bocca infe- - 103 — riore di detto tubo può ritenersi insensibile ogni diminu- zione di pressione prodotta dall'efflusso.' — In rr invece avremo la pressione p, che esiste presso la faccia inferio- re della valvola, e ciò perchè la bocca superiore del tubo BB trovasi a breve distanza da quella faccia. Ora, durante l'efflusso, la p^ è certamente minore di Pq , e quindi la risultante delle due spinte che si esercita- no in senso opposto sulle due faccie dello stantuffo, sarà una spinta all' insù che si aggiunge alla spinta statica diret- tamente operante sulla faccia interna della valvola. In con- fronto dunque di una valvola ordinaria, colla descritta di- sposizione, la spinta statica all'insù durante l'efflusso, viene aumentala di tutta la differenza delle pressioni che si eser- citano sulle due faccie dello stantuffo. La spinta statica sulla valvola è evidentemente: Pi{a) — s) — aco ,; quella sullo stantuffo : p^S—p^{S —s) • lo sforzo statico totale dunque, che tende di sollevare il si- steina mentre la valvola è aperta, sarà : F =:pi{6o — s) — aco -{- PqS — p^(S — s) che si riduce alla : F z= {p^ — a)M -h {Po — Pi)^ . In questa equazione non entra più la « , e perciò il diametro del gambo ee non può influire in modo alcuno sulla grandezza della F e sul modo quindi di comportarsi del sistema. Se nel secondo membro dell'equazione medesima si ag- giunga e si sottragga la quantità Pqù) , si giunge facilmente alla : F — il'o — «)^- + {Pù ™ Pi){^ — ^') , — dOi -- e per la (7), (8) . . . . F = ¥,-{- {p,-p,){S — a>). Da questa apparisce che se è S^-m , e se quindi il diametro dello stantuffo è più grande di quello della valvo- la, la spinta statica sul sistema cresce sempre coiraumenta- re del peso di vapore scaricato nell'unità di tempo. Un au- mento infatti di detto peso è per necessità accompagnato da un corrispondente aumento della velocità del vapore nel tubo AA , e la differenza quindi di pressione, p^ — Pi , che determina quella velocità, necessariamente cresce pure. Che se si faccia il diametro dello stantuffo eguale a quello della valvola, sarà: S = ù) , e così la (8) diventa : Perciò la spinta Statica sul sistema resterebbe perfetta- mente costante qualunque fosse la quantità di vapore sca- ricato dalla valvola nel tempo uno. 9. E qui giova osservare che nelle considerazioni or ora esposte, non ci si presentò mai la necessità di ricorre- re alle leggi che reggono Tefflusso dei fluidi, leggi che sono ben lungi dal verificarsi in pratica con qualche esattezza. Le conseguenze a cui siamo pervenuti devono dunque rea- lizzarsi perfettamente, e così resta escluso qualunque timo- re di disaccordo fra teoria ed esperienza. Credo perciò che se nel sistema descritto si faccia il diametro dello stantuffo eguale a quello della valvola, que- sta avrà effettivamente^ una decisa e non esagerata tenden- za ad aprirsi completamente appena cominci a soffiare, e così la pressione in caldaja non potrà mai soverchiare quel limite a cui si coordinarono le dimensioni del sistema ed il carico sulla valvola. Non devesi infatti dimenticare che se la spinta statica resta costante, avvi per soprappiù la spinta — 105 — dinamica, elie, qualunque possa essere il suo valore, esiste di certo e cresce coli' aumentare del peso di vapore che si sfoga nell'unità di tempo. Ilo detto poi ctie la tendenza della valvola ad tiprirsi del tutto non sarà esagerata, percliè cal- colando il diametro della valvola colle regole in uso, la pre- detta spinta dinamica riesce sempre assai piccola. IO. Nel sistema descritto il diametro della valvola do- vrà farsi un poco maggiore che nelle valvole ordinarie. Sa- rà infatti l)uona pratica di accrescere l'area della l'accia in- terna della valvola, calcolata in base alle solite norme, di tutta la sezione più alta ed esterna del tubo BB . Con tale avvertenza la sezione libera d' efflusso al sommo del tubo AA , che è una sezione anulare, riescirà eguale a quella che l'esperienza ha suggerito come la più conveniente per le valvole di sicurezza semplici. Fu appunto per non au- mentare esageratamente il diametro della valvola, che nei descrivere la nuova disposizione da me ideata, ho racco- mandato di dare alla parete della parte superiore del tubo BB un piccolo spessore (v. n. 7). Qui poi suggerirò anche di tenere il diametro del gambo ee più piccolo che sia possibile compatibilmente colla resistenza che il gambo stesso deve avere per ben guidare la valvola. Se infatti la grandezza di detto diametro non ha, come abbiamo veduto, influenza alcuna sul modo di funzionare del sistema, crescendola, de- vesi di necessità aumentare il diametro della parte superio- re del tubo BB , e, per la ragione di sopra esposta, anche il diametro della valvola. Allo scopo di raggiungere una maggiore mobilità nello stantuffo C si può praticare all'intorno di esso due larghe e profonde scanalature, come indicano le punteggiate nel disegno. Con questo mezzo, e per ragioni ben note, piutto- sto che compromettere, si assicura meglio la tenuta erme- tica dell'embolo, e se ne aumenta la mobilità. — Non credo poi sieno necessarie molle cure nella aggiustatura dello Tomo IV, Serie VI. 14 — 106 — stantuffo, poiché se pure avessero luogo delle fughe di va- pore all'intorno di esso, queste, purché moderate, non po- trebbero accrescere in modo sensibile la pressione /), nello spazio rr , amenochè non fosse troppo ristretto l' inter- vallo anulare fra il gambo ee e la bocca superiore del tubo BB . Ho suggerito di costruire lo stantuffo di bron- zo, perchè essendo pure di bronzo il tubo BB in cui esso trascorre, si può omettere di ungerlo senza pericolo che per ossidazione ne venga impedito il libero movimento. Con ciò si evita poi la formazione di quella pasta viscosa e le- gaticcia che sempre ingombra gli organi delle macchine raramente lubrificati, e che rimangono per lunghi periodi di tempo inoperosi, È inutile il dire che la sezione anulare compresa fra i tubi AA e BB deve crescere procedendo dall' alto in basso. Se avesse luogo il contrario, è evidente che sareb- be assai male provveduto al libero passaggio del vapore fra quei tubi. Qualora la valvola fosse a sede conica, invece che pia- na come sempre abbiamo supposto, la spinta dinamica su di essa verrebbe di certo diminuita ; e ciò perchè le parti- celle di vapore dovrebbero subire una deviazione minore per sfogarsi all'esterno. Ciò non ostante giudico che per valvole caricate con un peso, e semjire tenendo il diametro dello stantuffo eguale a quello della valvola, il descritto si- stema può ancora applicarsi colla piena sicurezza che la pressione in caldaja non salirà mai olire quel limite al quale il sistema stesso entra in funzione. Infine giova qui ricordare (v. n. 8), che se il diametro dello stantuffo è maggiore di quello della valvola, la spinta statica, e quindi anche lo sforzo totale che tende sollevarla, cresce sempre coli' aumentare del peso di vapore scaricato neir unità di tempo. Ciò equivale a dire che quello sforzo cresce a mano a mano che la valvola si allontana dalla prò- — 107 — pria sede. Ingrandendo dunque convenientemente il diame- tro dello stantuffo oltre il diametro della valvola, si potrà an- che caricarla con una molla, ed ottenere che l'aumento di tensione della molla dovuto al successivo alzarsi della val- vola, sia approssimativamente seguito da un eguale aumento dello sforzo che tende sollevarla. Per tal modo anche nei casi in cui è mestieri caricare la valvola con una molla, si potrà, mediante la descritta disposizione, impedire ogni aumento della pressione in caldaja oltre un limite determi- nato. 1 1 . Veniamo ora a descrivere una disposizione per mez- zo della quale alla spinta dinamica che il vapore esercita sopra una ordinaria valvola di sicurezza, se ne aggiunge un'altra assai più poderosa. Abbiamo già notato che la detta spinta è assai debole. Ciò avviene perchè essa è dovuta alla velocità del vapore al di sotto della valvola, velocità che, in confronto di quella con cui il vapore stesso si lancia all'esterno, è di certo pic- colissima. In seguito a questa semplice considerazione pensai su- bito che si avrebbe una spinta incomparabilmente piìi for- te, qualora si potesse generarla, approfittando della velocità grandissima del vapore mentre sbocca all'esterno e violen- temente invade 1' atmosfera. Posto il problema in questi termini, era, si può dire, teoricamente risolto. La spinta dinamica in una valvola ordinaria essendo infatti dovuta alla deviazione che le par- ticelle di vapore devono subire nell'interno del tubo che alla valvola stessa le conduce, tutto si riduce a costringere quelle particelle a deviare anche al di fuori di detto tubo, estendendo verso l'esterno e foggiando in forma di nappa la superficie inferiore della valvola. Se la valvola è a sede piana, essa prende per tal modo la forma di una scodella rovesciata, come apparisce dalla __ -108 — fig. 3; se a sede conica, la sua superflcie diventerebbe co- noidale, come indica la flg. 4. — Nelle due valvole, di cui le figure ora citate rappresentano la sezione passante pel loro asse, le tangenti agli estremi della linea csiisc sono verticali e quindi parallele. In tal caso si ha la massima de- viazione utile delle particelle fluide per produrre una spinta air insù sulla valvola, e questa spinta ha perciò il suo mas- simo valore. Qualora invece quelle tangenti convergessero al di sopra della valvola, come indicano le figure 5 e 6, la spinta medesima sarebbe più piccola, e riuscirebbe eviden- temente nulla se divenissero le generatrici della superficie della valvola e della sua sede. Da ciò la possibilità di gra- duare quella spinta da zero al massimo valore che può as- sumere. ^2. Consideriamo una valvola a sede piana e la cui su- perficie inferiore si estenda airesterno nella forma indicata dalla fig. 3. La spinta che il vapore compresso esercita su di essa quando è chiusa, sarà manifestamente la stessa che nelle valvole ordinarie, e perciò il carico capace di equili- brarla chiusa sarà sempre dato dalla (5). Lo sforzo totale che tende sollevarla quando è aperta, sarà invece eguale a quello che si avrebbe in una valvola ordinaria, più la spinta dinamica dovuta alla deviazione che devono subire le par- ticelle di vapore mentre scorrono sotto la nappa della val- vola e si sfogano nell'atmosfera. È evidente che nel calcolo di quello sforzo saremo co- stretti a ricorrere alle leggi che regolano l'efflusso dei fluidi elastici, e perciò le conseguenze a cui arriveremmo se- guendo una via puramente teorica, non solo non merite- rebbero fiducia alcuna riguardo alla loro realizzazione, ma neppure si avrebbe criterio alcuno per giudicare fino a qual punto possano verificarsi in pratica. È per questo che qui dovremo modificare leggermente il procedimento da noi se- guito in addietro nella determinazione dello sforzo che tende — 400 - sollevare le ordinarie valvole di sicurezza aperte (v. n. 3 e 4); lo trattavasi solo di mostrare che in esse teoricamente esiste una tendenza ad alzarsi totalmente, e di trovare poi la ra- gione per la quale questa tendenza in realtà non si manife- sta ; qui si tratta invece di riconoscere, per quanto è pos- sibile, l'importanza pratica di una nuova disposizione che dovrebbesi dare a quelle valvole perchè meglio adempiano al loro ufGcio. Per poco dunque che le osservazioni esperimentali già fatte possano giovarci, dovremo approfittarne, e introdurre nei nostri calcoli quelle riduzioni dei valori teorici che po- tranno essere giudicate più convenienti in base ai risultati ottenuti nelle esperienze fin' ora eseguite sull'efflusso dei fluidi aeriformi. Riteniamo la lettera v a rappresentare la velocità teo- rica colla quale il vapore si muove nel tubo A (fig. 3), e diciamo ■/ il valore effettivo della stessa velocità. Volendo allora trattare la questione con riguardo ai fatti osservati, dovremo all' equazione (I) sostituire la seguente : (9) ^'= r ' èco e conservare la (2) senza alterazione. Il secondo membro infatti della (I), è il semplice rap- porto fra il volume di vapore che passa in un secondo nel tubo A e la sezione del tubo medesimo ; deve perciò rite- nersi eguale al valore effettivo della sopradetta velocità. Il secondo membro della (2) invece esprime la stessa velocità in funzione della differenza di pressione che la genera, ed in base alla pura e semplice applicazione del teorema di Torricelli. È cioè un valore puramente teorico, e, com' è ben noto, di certo maggiore del vero. Indichiamo con m un coefficente empirico di riduzio- ne della velocità teorica del vapore ne! tubo A , sarà allora: v' z= mv HO e per le (2) e (9) : ^=™f/2/"-''' da cui : (IO) .... Pi=Po P2 La spinta dinamica esercitata dal vapore sulla faccia in- terna della valvola sarù g e indicando con V la velocità teorica colla quale il vapore si lancia nell'atmosfera; con Wj un coefficente pratico di riduzione di delta velocità; ed osservando che la deviazio- ne esterna delle particelle fluide è di 90° come nell'interno del tubo A , la spinta che agisce esternamente sulla val- vola verrà espressa da P Lo sforzo totale che tende sollevare la valvola mentre si scaricano per essa P chilogrammi di vapore al secondo, sarà cosi : P , P p.co -\ V -A — m,Y . g g Questo forzo deve essere equilibrato dal carico Q e insie- me dall' azione della pressione atmosferica sulla valvola ; potremo scrivere perciò : P P Q -t- aco =zp.có -\ v' -\ m. V . 9 9 Posti qui i valori di v' e di p^ tratti dalle (9) e (IO), e badando al valore di Q^ dato dalla (5), si ottiene facil- mente : (11) ... . Q^Q, + -^!_|2m'-_ ||h-?«j,V . 'ìgyn'^lcù \ ^ 9 ~ Hi — 13. Il tubo A può essere considerato nella maggior jjarte dei casi come un tubo addizionale cilindrico applicato ad un orificio praticato nella parete della caldaja. Ordina- riamente infatti questo tubo ha una lunghezza abbastanza piccola in confronto del diametro, perchè la sua influenza sull'efflusso possa risguardarsi della stessa natura e gran- dezza di quella dei tuùi addizionali quali s' intendono in idrometria. — Da una dotta discussione del Poncelet (') sul- le esperienze fatte dai signori Pecqueur, Bontensps e Zani- baux per determinare le perdite di forza viva dell' aria che trascorre in lunghi tubi di condotta ; sopra esperienze ese- guite da quei signori per invito ed alla presenza dello stes- so Poncelet sull' efflusso dell' aria da orifici praticati in pa- rete sottile o provveduti di tubi addizionali cilindrici; sopra i risultati ottenuti in proposito da altri esperimentatori, e sopra le teorie e formule che meglio possono corrispondere ai fatti osservati, risulterebbe che per coefficente di ridu- zione della velocità dei fluidi elastici effluenti da tubi addi- zionali cilindrici sotto una differenza di pressione di atmo- sfere 0,003 , 0,010 , 0,050 , t,000 , si dovrebbero adottare ordinatamente i seguenti valori : 0,88 , 0,8i , 0,77 , 0,73 . Secondo i risultati delle sperienze di Weisbach, dopo le correzioni apportatevi dal Grashof, per differenze di pres- sione comprese fra atmosfere 0,06 ed i,t2, il sopradetto coefficente varierebbe da 0,74 a 0,84. Nel caso nostro la differenza di pressione che determi- na il movimento del vapore nel tubo A è sempre piccola^ purché però il diametro delia valvola venga calcolato colle (1) Comptes rendus des séances de l' Académie des sciences, 21 luglio 1845. Paris. — 112 - regole solite. Il valore più grande infatti che può prendere 1 quella differenza si valuta a circa — della massima nres- sione che senza pericolo può cimentare la calduja, e che ordinariamente varia da 3 a 13 atmosfere assolute (^). (i) Accontentandoci di una grossa approssimazione, alla solita formula già citata nel testo (v. n. 6), ed impiegata per determinare il diametro delle due valvole di sicurezza eguali, di cui ogni cal- daja deve essere provveduta, possiamo sostituire la seguente : d=z 0,026 l/_L. , dove d s' intende misurato in metri ; S in m.q. ; n in atm. eff. — Si ha: 10330 (w+4)z=:p e Prz:- -^ da cui e cosi: È poi ^-^^ = mo '^ S=i72.P, d = 0,026 1/10330X72. P ^ Po ,— -'rrd'^= J^ (0,026)2 x^ 0330x72. — Con questo valore di «" e ritenendo mzz0,69^ la (10), a conti fatti, dà : ■^'^ ^^ li551C0.d' • Trattandosi di un calcolo di grossa approssimazione, si può con- siderare il peso <^ di un m. e. di vapore alla pressione massima f»o , come proporzionale a questa stessa pressione. Fra 3 e 13 atm. ass. la formula allora, che meglio determina il valore di J; è: ^ = 0,000054 . 2^^ , e con ciò si ha infine : — 113 — La media di questa pressione è di 8 atm. ass., e quindi g la predetta differenza di pressione sarà mediamente di — di atmosfera. Siccome poi quella differenza è nulla quando la valvola è chiusa, così possiamo ritenere che nei vari casi che ordinariamente si presentano in pratica e mentre una valvola di sicurezza scarica vapore, la media differenza di pressione, che dà origine al movimento del vapore nel tubo 4 A , sia in generale di ~ =0,051 di atmosfera. lo Badando ai numeri esposti di sopra si vede, che per una differenza di pressione di atmosfere 0,031, il coefficente di riduzione da adottarsi sarebbe 0,77 secondo Poncelet, e 0,74 secondo Weisbacb. Come si sarà notato, fra i valori dei coeftìcenli di ri- duzione dati dal Poncelet e dal Weisbach, esiste disaccor- do nel senso che i primi diminuiscono, mentre i secondi crescono coli' aumentare della pressione effettiva. Ciò per altro non può lasciarci in grave incertezza sulla scelta del coeftìcente di riduzione applicabile al nostro caso, poiché i valori 0,77 e 0,74 che si dovrebbero adottare per quel co- eftìcente, quando rispettivamente si accettino i risultati di esperienza del Poncelet o quelli del Weisbach, differiscono di poco. Sceglieremo cosi il medio dei predetti valori, cioè il 0,73. Devesi avvertire che la sezione del tubo A non è di ordinario interamente libera, giacché, come altra volta ab- biamo notato, i costruttori sogliono collocare i pezzi che guidano la valvola nell' interno di quel tubo. Per quanto si abbia cura d' impicciolire le dimensioni orizzontali di quei pezzi, essi, colla loro presenza, porteranno sempre un tur- bamento nel movitnento del vapore, dando luogo a velocità oblique ed a moti turbinosi e discordanti in seno alla vena fluente. Ciò di certo conduce ad una sensibile diminuzione Tumu /V, Serie VI. 15 — 114 - della velocità d' efflusso, e quindi il coefflcente di riduzione 0,75, che varrebbe se fosse interamente libera la sezione del tubo A , nel nostro caso è di certo troppo grande. — Posto che il restringimento di sezione portato dalla presen- za dei pezzi che guidano la valvola, sia mediamente di nn decimo della sezione stessa, la velocità d' efflusso si ridur- rebbe teoricamente a circa 0,92 di quella che si avrebbe se quel restringimento non esistesse. Per tal modo il coeffl- cente di riduzione pratico che dovremo adottare per la ve- locità del vapore nel tubo A sarà m = 0,92 x0,73=. 0,69. ^4. La velocità colla quale il vapore si sfoga nell'atmo- sfera è certamente grandissima, perchè dovuta alla diffe- renza fra la pressione in caldaja e la pressione atmosferica. La luce d' efflusso, che è di forma anulare, ha il diametro della sede della valvola, e per altezza i pochi millimetri di cui la valvola stessa si è alzata. Nella nuova disposizione da me proposta, il labbro inferiore di questa luce è formato dalla sede della valvola, ed è assai sottile, poiché è regola co- struttiva di non dare a quella sede una dimensione radiale maggiore di due millimetri ; il labbro superiore invece si estende verso 1' esterno in forma di superficie curva ed a guisa di nappa volgente la concavità al basso. lia lamina fluente di vapore, da una parte, striscia su quella nappa, e dall' altra, essendo a contatto immediato coir aria esterna, non poca ne trascina e travolge seco. È chiaro che por 1' uno e 1' altro fatto, le particelle di vapore devono alquanto perdere di velocità a mano a mano che si allontanano dalla bocca d' efflusso. Le cause però di questa perdita di velocità, agiscono quando il vapore è già uscito all'esterno, e perciò non pos- sono esercitare influenza alcuna sulla velocità d' efflusso propriamente detta, ossia sulla velocità acquistata dal va- - 115 — pore mentre passa per la bocca anulare da cui si scarica. Questa velocilti si può quindi calcolare come in una valvola ordinaria, il cui diametro esterno sia eguale a quello della sua sede, ed allora può ritenersi di poco inferiore alla teo- rica. Devesi notare però che per le ragioni dette di sopra, la velocità delle particelle fluide diminuisce in modo conside- revole mentre scorrono sulla nappa della valvola, e che la spinta da esse esercitata su questa nappa non dipende dalla loro sola velocità originaria o d' efflusso, ma da quella che posseggono nei singoli punti del loro tragitto sotto la nap- pa medesima. Nel valutare dunque la grandezza reale di quella spinta, non si deve introdurre nel calcolo una velo- cità poco diversa da quella teorica, ma una velocità alquan- to ridotta, e precisamente quella che se fosse comune a tut- te le particelle di vapore mentre trascorrono sotto la nappa della valvola, si eserciterebbe su questa una spinta dinami- ca esattamente eguale alla effettiva. In seguito alle precedenti osservazioni possiamo asserire che il coefficente di riduzione m^ che entra nella (II), deve essere alquanto minore di wno; ma sgraziatamente è solo questo che possiamo dire con sicurezza, poiché, per quanto io sappia, non vennero mai fatte esperienze che possano servirci per determinare quel coefficente con qualche esat- tezza. L'influenza dell'attrito fra la lamina fluenle e la nappa della valvola, potrebbe essere forse determinata con qual- che approssimazione, ma non possediamo poi dati esperi- mentali per valutare l'influenza, che sul movimento del va- pore effluito può esercitare l'aria circostante da esso tra- scinata a tutte spese della propria forza viva. Alcune considerazioni, che qui sarebbe troppo lungo l'esporre, mi condussero però nella convinzione che il va- lore pili probabile di m^, nello stato attuale delle nostre cognizioni, sia il 0,55, e che in ogni modo questo valore — 116 — sarebbe, nella generalità dei casi, piuttosto minore che mag- giore del giusto — In mancanza di meglio, riterremo dunque: m = 0,35 , e ricordando che abbiamo trovato m = 0,69 con questi valori, ed a conti fatti, la (11) diventa: (12) .... Q = Qi — 0,005. .- + 0,056. PV . 15. È questa l'equazione che determina il carico reale Q che sarebbe necessario per equilibrare la valvola aperta, e mentre scarica P chilogrammi di vapore per secondo; e atteso il valore, sempre assai grande, della velocità teorica V colla quale il vapore si sfoga, apparisce chiaramente che il detto carico sarà sempre ed alquanto maggiore di quello Qj che equilibra la valvola quando è chiusa. Appena comincia a soffiare, la valvola avrà perciò una pronunciata tendenza ad aprirsi del tutto, e così, anche sotto un foco dei più intensi, non ci sarà pericolo che la pressione in caldaja superi quel valore al quale la valvola comincia a gemere. Per formarci un'idea concreta dell'effetto recato dalla disposizione da me proposta, applichiamo la (12) allo stesso esempio numerico che ci siamo proposti in addietro trat- tando delle valvole di sicurezza ordinarie. Come allora, po- niamo che la pressione alla quale la valvola deve aprirsi sia di 5 atm. eff., e che sia dy = 0,00237 , P = 0,347 , ^ = 3,263 . La velocità teorica d'efflusso del vapor d'acqua sotto una pressione effettiva di 5 atm., è, in base ai principi della termodinamica ('), (1) A pag. 190 dell' eccellente Manuale per V ingegnere del - 117 — Vr=: 775 metri per ì" . Ricordando che il valore di Qj si determina come si trattasse di una valvola ordinaria, sarà: Qi = chil. 422,4 , e coi valori di co , P ,ì e V notati di sopra, la (12) dà allora : Q = chil. U7,4 . Quando dunque la valvola lascia sfuggire nell' unità di tempo la maggior quantità di vapore che può esser chiamata a scaricare, l'eccesso di Q su Q^ sarebbe di 15 chilogram- mi; considerandola poi appena aperta, e mentre scarica il solo decimo della predetta quantità di vapore, si trova che la differenza fra Q e Q, sarebbe tuttavia di chil. i,5 circa, e quindi abbastanza considerevole per lasciare la convin- zione che la valvola andrebbe ad aprirsi completamente. Devesi notare che se la valvola è caricata direttamente od indirettamente con un peso, una volta aperta, il fochista dovrebbe esercitare su di essa uno sforzo eguale a Q — Q^ per chiuderla; ed è chiaro che se egli non interviene per farla tacere, la pressione in caldaja discenderebbe necessa- riamente sotto quel valore Pq che ne aveva determinato l'aprimento. È certo che la valvola finirebbe col chiudersi spontaneamente, ma ciò avverrebbe in modo repentino e quando la pressione in caldaja, diminuendo a poco a poco, avesse raggiunto un certo limite p'<.Pq. Questo limite, nell'esempio che abbiamo dato, sarebbe prof. Colombo, terza ediz., si trova una tabella ove sono registrate le velocità teoriche d' efflusso del vapor d'acqua sotto pressioni ef- fettive comprese fra 4 e 9 atm. Come io stesso ho potuto verifi- care, quelle velocità vennero calcolate nel modo più rigoroso me- diante le equazioni di termodinamica per l'efflusso dei vapori. — llb — all' incirca di atmosfere eff. 4,41 {') ; per cui la valvola si aprirebbe completamente a 3 atm. el'f. per chiudersi da sola e repentinamente ad atmosfere eff. 4,41. (1) Se nella (12) s' introduce il valore di Qi dato dalla (5), si ottiene : Q — (p^_ a)«— 0,005 j; + 0,056 . PV . Possiamo qui considerare la p^ come la pressione assoluta che deve esistere in caldaja, perchè la valvola mentre è aperta e sca- rica P chil. di vapore al secondo, sia in equilibrio con un dato carico Q. — Se scriviamo Qi = (p '— a). —0,005 -^+ 0,056 . PV, d 0) e per cT' e V intendiamo rispettivamente il peso specifico e la ve- locità teòrica d' efflusso del vapore alla pressione assoluta p ' , è chiaro allora che questa p' sarà la pressione in caldaja alla quale la valvola aperta e caricata di Qi trovasi in equilibrio e sta quin- di per chiudersi. Attesa la poca influenza del termine che contiene il ^' nella precedente equazione, si può ritenere <^— <^ e scrivere : p2 Qi = (p '— a)'^ — 0,005 -- + 0,056 PV '. Sottraendo da questa membro a menibro la (12), si ha allora: Qi — Q — (p — ay — 0,056 . P(V— V ') — Q, , e quindi : p' = -^^-^H-0,056.-(V-V')-{-a . (ti 00 ^ ' La V ' non può essere determinata se non si conosce la p '; perciò questa p ' non si potrà calcolare che col metodo delle suc- cessive approssimazioni. Partendo dal supporre V '-zz V , due ten- tativi bastano per raggiungere una sufficiente esattezza nel valore di p'. È cosi che per l'esempio dato nel testo si trova: p 'z^ 55885 chil. , che corrisponde ad atmosfere effettive 4,41 . — 119 — 16, È questo un difetto od un pregio della valvola da me proposta?. . Io lo credo un pregio. Il focliista infatti per non perdere molto vapore inutilmente, dovrebbe avere l'incomodo di andar a chiudere le valvole di sicurezza del- la sua caldaja, una volta che appena si fossero aperte. Ha quindi una ragione di più per non spingere la pressione Dno al limite a cui tutto al più la caduja può resistere sta- bilmente. Notisi che un fochista nella maggior parte dei casi è una persona che opera materialmente, e già tanto abituata al pericolo massimo della sua professione da per- derlo di vista ; ed è perciò più facile che egli cerchi di sfuggire ad un innocente ma inevitabile disturbo, che ad un gravissimo pericolo, alla cui imminenza, come prova l'esperienza di tutti i giorni, tanto si abitua da non pensarci neppure. In ogni modo ricorderò, che la spinta dinamica eserci- tata dal vapore sulla nappa della valvola, si può diminuirla a piacere regolando e limitando convenientemente la super- ficie della nappa medesima ; e, come in altro luogo abbiamo avvertito (v. n. li), sarebbe minore per le valvole rappre- sentate dalle figure 5 e 6, che per quelle disegnate nelle figu- re 3 e 4. In generale, la spinta predetta può essere espressa con f.PV, dove V e P hanno lo stesso significato che loro abbiamo dato nel corso della presente Nota, ed / rappresenta una funzione degli angoli che le tangenti ai filetti fluidi formano colla verticale alla bocca d'efflusso ed all'orlo della nap- pa (^). La f si annulla quando questi due angoli sono eguali, (1) Detti infatti o e p questi angoli (v. fig. 6), e coniservando agli altri simboli il significato a loro dato nel testo, si dimostra essere frr— i,cos.« — cos.j3> . 9 i ^) — 120 — e perciò, con qualche leutalivi, si potranno regolare le co- se in modo che la tendenza della valvola ad aprirsi com- pletamente sia quanto moderata si voglia, e che di conse- guenza l'abbassamento di pressione in caldaja necessario al chiudimento spontaneo della valvola sia tanto piccolo, che non meriti la pena di evitarlo col chiuderla a mano. Invece di costruire nappa e valvola in un pezzo solo, la prima può essere formata da un cappello semplicemente sovrapposto alla seconda. Al costruttore allora riuscirà age- vole di togliere e rimettere questo cappello, modificarlo nella forma e nelle dimensioni, e così rendere a suo piaci- mento più o meno spiccata la tendenza della valvola ad aprirsi completamente. In seguito poi a questa osservazione d'indole pura- mente costruttiva, si riconoscerà che le valvole di sicurez- za ordinarie possono ridursi assai facilmente secondo il si- stema da me proposto ; basterà infatti sovrapporvi un cap- pello che formi nappa alla valvola. Si deve però aver cura che la superfìcie interna del cappello e quella della valvola sieno in esatta continuazione l' una dell'altra ; se vi fosse un risalto qualsiasi, i Gletti fluidi si frangerebbero contro di esso, e ne risulterebbe un turbamento nel movimento del vapore ed una diminuzione quindi nella spinta eserci- tata dal vapore stesso sul sistema. \1. Riguardo alla forma da darsi alia superfleie interna della nappa, devesì avvertire che essa è teoricamente senza influenza, purché sia quella d'una superfìcie rotonda e con- tinua. Credo però praticamente conveniente il foggiarla in guisa che le sue sezioni meridiane riescano archi di circolo tangenti alla sede della valvola. Neppure si può ricorrere a criteri teorici per assegnare il diametro che meglio conviene alla nappa. Se questo dia- metro fosse assai maggiore di quello della valvola, la via che le particelle di vapore dovrebbero percorrere seguen- — 121 — do la superficie della nappa, sarebbe molto lunga, e cosi avrebbero il tempo per rimescolarsi all' aria circostante e perdere quindi una gran parte della loro velocitò ; se invece lo superasse di poco, non tutte quelle particelle potreb- bero seguire delle traiettorie parallele alla superficie sotto cui trascorrono, e ne risulterebbero quindi dei movimenti disordinati e discordanti in seno al getto effluente. È chia- ro perciò che nell'uno e nell'altro caso la spinta dinamica esercitata dal vapore sulla nappa della valvola perderebbe d'intensità. Quantunque l'esperienza sola possa essere fedele con- sigliera in proposito, pure ò certo che i limiti fra i quali restano compresi i valori che meglio conviene assegnare al diametro della nappa, devono essere in ogni caso abba- stanza larghi ; per questo ho fiducia che, prendendo il pre- detto diametro da 40 ad 80 millimetri più grande di quel- lo della valvola, la nuova disposizione da me proposta pos- sa corrisponder bene allo scopo per il quale è ordinata. 18. Passerò ora a dimostrare, che una valvola di sicu- rezza a nappa e caricata da una molla, può essere una val- vola che, mentre funziona, resta in equilibrio indifferente in ogni sua posizione, e tale quindi da mantenere costante al suo limite massimo la pressione in caldaja, qualunque sia la quantità di vapore che nell'unità di tempo dovesse per ciò scaricare. Considerando una valvola quale ò rappresentata dalla fig. 6, e nella quale le tangenti ai filetti fluidi nei punti cor- rispondenti alla bocca d' efflusso ed all' orlo della nappa, formano in generale angoli acuti od ottusi colla verticale, è evidente che alla equazione (II) dovremo sostituire que- st' altra : « = «' + i^rj ^•»' - * ì + ^p^ • Tomo IV, Serie VI. 16 — 422 — dove la / e quindi il termine /".PV, hanno il significato generale che abbiamo loro attribuito al n. 16. Qualora il diametro della valvola venga calcolato colla solita formula già citata in addietro e generalmente adot- tata dai costruttori, il secondo termine della precedente espressione di Q è, in generale, assai piccolo in confronto del primo e del terzo. Perciò non si commette certo grave errore trascurandolo, e ritenendo semplicemente: Q = Qi + /".PV . In una valvola ordinata a mantenere costante al suo li- mite massimo la pressione in caldaja, la V non muta sen- sibilmente coi variare dell' altezza a cui si porta la valvola sulla sua sede. In tal caso il peso P di vapore scaricato in un secondo, può ritenersi proporzionale alla predetta altezza, che è quella della luce anulare da cui il vapore stes- so effluisce. Detta h questa altezza e y una costante, po- tremo scrivere perciò: Q=Q, +/.^A.V ; ed indicando con K il prodotto costante y\ : (13) . . . . Qz^Q.-t-K./-/» . Le molle elicoidali, che vengono ordinariamente impiegate per caricare direttamente od indirettamente una valvola di sicurezza, esercitano su questa uno sforzo che può essere rappresentato con grande approssimazione da (14) ... . R = A-^B.A , dove A è una costante eguale alla pressione che la molla esercita sulla valvola quando ò A = 0 , ossia quando la valvola stessa è chiusa, e si ha così : (1^) A=.Q, ; B è un' altra costante eguale al rapporto fra l'aumento del predetto sforzo ed il corrispondente alzamento della valvo- — 123 — !a. Quest' ultima costante dipende poi dal diametro della molla, dal numero delle sue spire, dal diametro del filo me- tallico di cui è formata, dal modulo di elasticità del filo me- desimo. Se poi la reazione elastica della molla viene tras- messa alla valvola mediante una leva, la B dipende anche dal rapporto dei bracci di questa leva. È chiaro che la valvola resterà in equilibrio indifferente alle diverse altezze a cui dovesse portarsi per mantenere invariata la pressione in caldaja, quando in ogni sua posi- zione sia sempre Q=:R , ossia, per le (13), (!4) e (15), quando si abbia semplice- mente : (16) Kf=B . Questa condizione si potrà sempre soddisfare facendo opportunemente variare la B o la / . Per mutare il va- lore della B si dovrebbe cambiare la molla ; p. e. appli- care molle che essendo in tutto eguali fra loro, avessero solo un maggiore o minor numero di spire. Per far varia- re invece la f si dovrebbe dare semplicemente un più o meno grande sviluppo alla nappa della valvola. — In pra- tica questo è il mezzo più comodo per soddisfare alla con- dizione di sopra scritta, specialmente se la nappa è formata da un cappello sovrapposto alla valvola. Si comincierebbe col dare a questa nappa la forma indicala nelle fii^ure 3 o 4, secondo che la valvola è a sede piana o conica. Con que- ste forme, e per quello che si è detto al n.° I I, la spinta di- namica esercitata dal vapore sulla nappa sarebbe massima, e perciò massimo pure sarebbe il valore della / . Con tutta probabilità si avrebbe quindi K.f > B . Diminuendo ora sul tornio e poco per volta il diametro — i24 - della nappa, dopo alcuni tentativi si giungerà a convertire quest' ultima disuguaglianza in una eguaglianza. Col ridurre semplicemente la grandezza di detto diame- tro, è chiaro infatti che la nappa passa dalle forme indicate nelle figure 3 o 4, a quelle rispettivamente rappresentate dalle figure 5 o 6. Con queste ultime forme, come abbiamo veduto al numero citato, la spinta dinamica del vapore, e la f con essa, sarebbe minore che con le prime ; perciò coir impicciolire il diametro della nappa diminuisce il valo- re della /■ , e se in origine era K/ maggiore di B , è cer- to che si arriverà ad un diametro pel quale K/" diventa eguale a B . Nelle fabbriche in grande di locomotive, i preaccennati tentativi necessari per ottenere delle valvole di sicurezza equilibrate in ogni loro posizione, una volta fatti per una data locomotiva, servirebbero poi per tutte le locomotive dello stesso tipo ; e per i diversi tipi, tutto si ridurrebbe a copiare dei modelli di molle e di nappe precedentemente ed empiricamente studiati una volta per sempre. Se, come mi sembra consigliabile, si volesse che la val- vola avesse una qualche tendenza ad aprirsi completamente appena comincia a soffiare, basterà che nei sopradetti tenta- tivi il costruttore si fermi ad un diametro della nappa mag- giore di quello che renderebbe soddisfatta la condizione (16). In tutte le valvole di sicurezza in generale, le quali ap- pena aperte avessero una decisa tendenza ad aprirsi del tutto, ò necessaria, o per lo meno conveniente, 1' applica- zione di un arresto che impedisca alla valvola di alzarsi ol- tre quel punto, a cui essa sarebbe capace di dar sfogo alla massima quantità di vapore che può essere chiamala a sca- ricare. Devesi poi aver cura di collocare il detto arresto in luogo ben riparato ed in guisa che il fochista non possa in modo alcuno approfittarne per paralizzare le funzioni della valvola. Atti delR.MM'f Veneto Serie W. Tomo IV TavJ Fùf.J. ■'\ C:/ '<'"i^M^ %w i ìlliil W^/À i", Ali ù^ Frg.3. _..__,■ FigA. ti,ms-t«^xvv.s'>8«y£ji fa -,.., . . . ^AW\vmmms!(Mi ANNOTAZIONE SOPRA UN FENICOTTERO ROSEO PRESO NEL VENETO fPhoenicoterus roseusj DEL M. E. ENRICO F. TROIS -^trsgrir^--^™ — t 11 giorno 8 settembre 1885 mi venne offerta una pelle (li uccello, colla dichiarazione che le sue forme erano ignote ai più vecchi ed esperimentati cacciatori. L'animale fu uc- ciso il giorno B dello stesso mese da un villico nei pressi di Goro. Io fui non poco sorpreso nel constatare, che quegli avanzi semiputrefatti appartenevano ad un giovane esem- plare di fenicottero roseo. La pelle, levata senza alcuna deile c-ure suggerite dalla pratica, avrebbe già offerto non poca difficoltà ad essere montata; lo stalo poi di avanzata de- composizione faceva perdere ogni più modesta speranza. Interessandomi tuttavia di aver sottomano una prova dì fatto, che constatasse la comparsa fra noi di questo rarissi- simo' uccello, acquistai la spoglia, per quanto ribelle ad ogni idea di utile applicazione, tanto per prenderne data con qualche dettaglio. - 126 — Le zampe sole erano in sufficiente stato .di conserva zione: la testa, che conteneva ancora il cervello, gli oc- chi, la lingua e porzione del collo, era in uno stato di avanzata putrefazione. Prese le uìisure dell'esemplare, esse si avvicinano, ma non sono corrispondenti a quelle date dal conte A. P. Nin- ni del fenicottero da lui posseduto ed ucciso nella valle Serraglia nel 1835 (che ora fa parte della importantissima collezione donata con generoso pensiero alla nostra città), il quale era di maggiori dimensioni. L'esemplare, da me ricevuto, aveva le piume della testa, del collo e del ventre cinereo bianchiccio, le copritrici delle ali rosee, nere alle estremità, il dorso con strie brune, il becco grigiastro coli' apice bruno quasi nero, macchie ne- rastre sulle remiganti secondarie e sulle timoniere, le zam- pe di color livido. Era quindi un giovane, corrispondente alla fig. 3 della tavola 233 dell' opera del Naumann, Vogel Deutschlands, che rappresenta un individuo di un anno. In qualche punto però i colori dell'esemplare preso a Gore erano alquanto più decisi, per cui argomento che fosse di un'età più provetta. Il conte T. Salvadori ritiene, che il fenicottero, comune in Sardegna, trovisi accidentalmente nell'Italia continentale. «Nell'agosto, dice il Lamarraora, di sopra i bastioni che » servono di passeggiata agli abitanti di Cagliari, veggonsi » arrivare dall'Africa questi magnifici uccelli. Schierati in » branchi triangolari, compariscono come una linea di fuo- » co segnata nel cielo: si avanzano coll'ordine più perfetto; » alla vista del vicino slagno rallentano il volo ; ed un » istante sembrano immobili nell'aria; dipoi, descrivendo » con un movimento lento e circolare una spira conica e » rovesciata, giungono al termine della loro emigrazione. » Questi uccelli, allora rilucenti con tutto lo splendore del- — 127 - » r abbagliante vestilo, ed in una slessa linea disposti, of- » frono un nuovo spettacolo, e rappresentano una piccola I) annata in ordine di battaglia, che nulla lascia a desidera- » re per l'uniformità e simmetria ». E lo spettacolo deve es- sere realmente stupendo, quando si pensi che i fenicotteri vivono in branchi talvolta di tre o quattrocento individui. Il conte Salvadori, dal quale tolgo questa interessante cita- zione del Lamarmora, eh' ebbe campo di studiare i loro costumi sul sito, dice che non amano le acque profonde, ma stanno sempre dove l'acqua non oltrepassa l'altezza del tarso. «È dubbio, egli continua, se qualche fenicottero ni- » diflchi in Sardegna, giacché sebbene il Cara ciò affermi » e dica di aver veduto più volte i giovani coperti di pelu- » ria, io dubito assai che fossero giovani in prima muta, ma » già atti al volo, come se ne vedono al Museo di Cagliari, » ove non se ne conserva alcuno incapace di volare. Lo » stesso Cara non ha mai potuto trovarne il nido e le uova, » sebbene moltissime raccomandazioni sieno slate fatte per » esse ai pescatori, ai quali la ricerca non doveva riuscire » difficile per la singolare forma del nido, conico ed elevato » sopra le acque, e che difficilmente poteva restar inosservato » in uno stagno non mollo grande come quello della Scaffa, » ed in tanto numero di pescatori e di anni. E forse la ra- » gione del non nidiflcare i fenicotteri in Sardegna sta ap- » punto nella mancanza di sicurezza ch'essi soffrono negli » stagni non molto grandi di quell'isola, e giorno e notte » solcati da grandissimo numero di barchette da pesca e » da trasporlo, che vanno continuamente da un'estremità » all'altra. E se non m'inganno, in questa mancanza di si- » curezza per la loro prole e per loro stessi nel tempo della » nidificazione noi dobbiamo ricercare la spiegazione delle » singolari emigrazioni in Sardegna ». L'illustre professore Giglioli non è di questo parere, 1 — 128 — crede indubitato, che alcune coppie si fermino a nidificare e sostiene la sua opinione con validissimi argomenti (*). Ritornando al punto di vista per cui questo uccello, a d'altronde ben noto, è per noi interessantissimo, vale a dire, la sua rarissima comparsa nel Veneto, non saprei far di meglio per porla nella dovuta evidenza che riportare il rie- pilogo storico, che ne dà il conte Ninni nei suoi Matei'iali per una fauna veneta. « In una nota a pag. 308-309 del III volume del Com- n pendio delle Transazioni filoso fiche della Società Reale n di Londra (traduzione italiana stampata a Venezia nel 4 793) l'ab. Olivi parla di un fenicottero, preso in una valle » peschereccia di ragione dei sigg. Vianelli di Chioggia, si- » tuata tra le foci dell'Adige e quelle del Po ». Il Naccari, nella sua Ornitologia veneta (1823), menziona un fenicot- tero preso « sopra la spiaggia del mare io una valle dei B sigg. Vianelli di Chioggia chiamata Vallesina, vicino a » Galeri e che tuttora si ritrova presso quella famiglia ». Da quanto mi è noto, « egli aggiunge, non fu preso » che una sola volta venti anni fa. Il Nardo, parlando dei » fenicotteri, menziona solo quello dell' Olivi, dicendo che » era lungo piedi 5, poli. 9, e che fino dall'anno 1826 egli » ne conserva la testa e le gambe, essendo la spoglia stata » corrosa dal tarlo. Lo stesso autore dù l'epoca della cat- I) tura di questo uccello, cioè il di 13 maggio 4 792, data » cotesta che non trovasi nella nota suindicata dell'ab. Oli- » vi. A queste notizie io posso aggiungere, che nella mia «raccolta, che ora fa parte di quella civica, esiste un gio- » vine fenicottero ucciso (1835 circa) nella valle Serraglia (1) Prof. Enrico Hyllyer Giglioli. Elenco delle specie d'uccelli che trovatisi in Italia stazionarie o di passaggio ecc. « Annali di agricoltura », 1881, n.° 36. — 129 — » da un certo Selvan di Gambarare; e non vi ha dubbio su I) questa cattura, poicliè vi erano numerosi testiraonii in » quella giornata. La spoglia avuta da mio padre, proprie- » tario delia vaile stessa, fu poscia imbalsamata dal sig. » Marco Spaventi (*) ». Queste notizie, che riassumono le osservazioni di quasi un secolo, sono la più evidente dimostrazione della rarità della comparsa di questo uccello nel Veneto. Per cui è in me gravissimo il dispiacere di non aver potuto conserva- re che qualche avanzo di quest' ultima cattura. (1) A. P. Ninni. Materiali per una fauna veneta. — Aves. I Tomo /K Serie VL it Programmi di concorso Della R. Accademia econoinico-agraria dei Georgofili di Firenze ai premi di Fondazione Guppari . p. xxiv-xxvii Del Ministero di agricoltura, industria e commercio, per vari premi su temi di a^^ricoltura ... » xxviii-xxix Al premio per una Monografia di botanica, pubblicato da A. De CandoUe » xxx Prezzo della Dispensa Fogli 24 ad italiani Cent. 12 V^ . . L. 3:00 Una Tavola litografica » 0:12 Totale L. 3:12 ^4 A T T l DEL REALE ISTITUTO VEI^ETO se li: D I ^ZK, LI]TTKKK Kl) A KTI DAL INOVEMBRE 1885 all'ottobre 1886 TOMO QUARTO, SERIE SESTA Dispensa ^ Seconda Srr, VENE ZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL' ISTITUTO 1 NEI. PALAZZO DUCALE li TIP. DI G. ANTONELLI, 1885-86 I N D I e K Alto verl)»le «ielle adunanze 20 e 21 decembre 1885. pag. 431 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. A. Fertile, s. c. . . — Gli animali in giudizio . . . » 135 G. Berchet, s. c. . — La conservazione dei grani e delle farine secondo le proposte Engrand e Torelli. Relazione » 155 Prof. G. A. BoRDiGA. — Complessi e sistemi lineari di rag- gi negli spazi superiori - Curve nor- mali che essi srenerano. Memoria . » 163 u Doli. A. Abetti. . . — Osservazioni astronomiche delle comete Fabry e Barnard, fatte a Pa- dova, coll'equatoriale Dembowski, nel dicembre 1885, subito dopo la loro scoperta » 191 C. Vigna, m. e. . . — Sulla simulazione della pazzia. Me- moria » 195 P. Cassani, s. c. . . — Ricerche geometriche negli spazj superiori ; Nota » 227 Al». M. Tono. . . . — Bollettino meteorologico dell'Osser- vatorio del Seminario Patriarcale di Venezia (novembre 1885) . » xxxixxxiv Elenco dei libri giunti dal 15 aprile al 16 agosto 1885 (con- tinuazione) » XXXV-XLVIl Ansio IS$5-Se DISPENSA II mmm del mese dì deceibre ì885 ADUNAINZA DEL GIOR^^O 90 PRESIDENZA DEL COMMENDATORE ANGELO MINIGH VICEPRESIDENTE. Sono presenti i menibri effettivi : Trois, Pirona, Veludo, Vlacovich, Famp.ri, Lorenzoni, e. Bernardi, Mons.*" J. Bernardi, Gloria, Vigna, Marinelli e Bizio segretario; nonché i soci corrispondenti: Da Schio, Papadopoli, Martini e Cassami. È giustificata l'assenza dei membri effettivi Lamper- lico presidente, De Betta, Beltrame, De Zigno e Oiu- boni. II Vicepresidente comunica il Reale Decreto, con cui Sua Maestà approvò il conferimento della proposta pensio- ne al m. e. Monsig.*" Jacopo Bernardi. Poscia il Vicesegretario legge l'elenco delle opere pre- sentate in dono a questa biblioteca dopo le ultime adunanze. Indi il m. e. C. Vigna legge una sua Memoria « sulla simulazione della pazzia ». Il m. e, Fambri parla « intorno agii studi matematici del prof. Gilbert delC Università di Louvain », del quale pre- Tomo IV, Serie VI. 18 - 132 — senta in dono varie pubblicazioni, e si ferma in particolare sul nuovo giroscopio dei medesimo. Il m. e.Lorenzoni presenta a alcune osservazioni astro- nomiche delle comete Faùry e lìarnard, fatte a Padova, col- l' equatoriale Demhowski, nel dicembre 1885, situilo dopo la loro scoperta dal doti. A. Abetli, astronomo aggiunto. Il m. e. Marinelli presenta, a nome dell'autore, parec- chie pubblicazioni del prof. G. Cora, e cioè: 1." La carta speciale della Reggenza di Tunisi, t88l ; 2," Le note car- tografiche che la riguardano ; 3.° La caria speciale della baia d' Assab ed adiacenze (1884); e A."" La carta originale del paese degli Afar o Danachil e regioni limitrofe tra Mas- saua, Aden, Zeila e lo Scioa Nord (1885); lavori diretti, co- m'è agevole a comprendere, ad illustrare argomenti inte- ressanti per noi, non soltanto dal punto di vista geografi- co, ma altresì da quello della politica estera e di una pos- sibile espansione coloniale. Egli presenta altresì: 5." fi Sahara (1882), opuscolo che illustra dal punto di vista fisico questa poco nota re- gione dell'Africa ; 6." Cenni sui lavori del Comilato polare internazionale, ed un 7." ed ultimo opuscolo, che tratta della superficie terrestre come oggetto precipuo della geo- grafia, e che consiste nella prelezione con cui il Cora, nel novembre del 1883, inaugurava il corso di geografia nella R. Università di Toiino, ed ha in mira di chiarire un pun- to importante e controverso di meteorologia geografica. Lo stesso m. e. Marinelli presenta inoltre un discorso del prof. Landò Landucci, letto alla R. Accademia Petrarca in Arezzo col titolo: « Un celebre scrittore Aretino del se- colo XV 'ì. Il m. e. mons."" Jacopo Bernardi presenta il 2." volume della Storia della pedagogia del canonico prof. Giovanni Mi- lanese, soggiungendo le parole che qui si riproducono: « È — 133 - » /■/ secondo volume promesso, quando /' egregio autore dn- » va in luce quello, che trallava teoricamente le dottrine » pedagogiche, ora storicamente discorse. La temperanza, » la diligenza intelligente, la chiarezza, come nel primo, » accompagnano sempre l'autore anche in questo secondo » volume. \ olendo il prof. Milanese toccare la storia peda- » gogica di tutti i paesi e tempi, raccorciandone i limili nel » libro da kit pubblicato, gli fu d uopo procedere a cenni » per molti, eleggendo allargarsi un poco, quando gli soc- » corsero i nomi dei personaggi più insigni, che scientifi- » camente e praticamente segnalaronsi in guisa da rinno- n vare o correggere i varii sistemi pedagogici, e porgere » valido impulso a quelli, che tornassero maggiormente pro- B fittevoli alle condizioni dei giorni, in cui essi vissero, e n degli avvenire. — Egli, il Milanese, poi ha diritto alla 1) riconoscenza italiana, perchè parecchi antichi e moderni, » obbiiati 0 mal conosciuti da forestieri e da nostri conna- n zionali medesimi, ricorda con amorevole sollecitudine, e I) rivendica a noi spesso ciò che, senza pure un cenno, gli » stranieri usurparono. — Come il primo, il prof. Milanese I) offre al R. Istituto di scienze, lettere ed arti anche questo I) suo secondo volume; ed io sono lieto di compiere quest'og- » gi f incarico assai di buon animo accolto ». Lo stesso m. e. Bernardi soggiunge poscia quanto segue : « Com'ebbi l'onore di rappresentare questo R. Istituto » al Congresso Penitenziario, raccoltosi nel passato no- I) vembre in Roma, così mi sarà caro, ove l'Istituto con- » senta, porgerne un qualche cenno in quell'adunanza, che » mi si vorrà assegnare. Finora però dichiaro, che appi- » glierommi segnatamente a ciò che la dottrina e la pratica » di uomini ragguardevolissimi proponevano alla morale » riforma dei carcerati, in guisa che sembrava, che le voci — 134 — » di un'ultra sezione, cioè dei cosi detti anlropologisti, non » giungessero alle sale dei penitenziarii ». Il dottor R. Galli, giusta l'articolo 8.° del Regolamento interno, legge la prima parte di un suo lavoro col titolo : « La storia di Venezia dal 352 al i 184 rinnovata, ed il primo palazzo ducale, la prima chiesa di S. Marco sco- perti I). II sig. prof. Pullè, giusta l'articolo sovracitato del Re- golamento, comunica le sue n nuove notizie sulla lettera- tura dei Gaina ». Compiute tali letture, l'Istituto si restringe in adunan- za segreta per la trattazione de' suoi affari interni. Nel successivo giorno 21, sotto la presidenza dello stes- so comm. A. Minich, si tiene la seconda adunanza, nella quale si approva l'Atto verbale di quella di jeri. Poi il Segretario presenta un lavoro del membro effet- tivo sen. L. Torelli u suW applicazione delta meteorologia all' agricoltura n. Indi il socio G. Berchet legge un suo scritto « sulla con- servazione dei grani e delle farine secondo le proposte En- grand e Torelli; e l' Istituto, udita questa comunicazione, accompagna coi propri voti i nobili propositi del conte Torelli. Da ultimo l'altro socio P. Cassani comunica alcune sue « Ricerche geometriche negli spazj superiori ». Dopo ciò, l'Istituto continua a trattare, in adunanza segreta, gli affari posti all'ordine del giorno. LlVOIIl LETTI PER LA Fl]BBL!C,IZ!Oi\E NEOLl ATTI G L T ANIMALI IN GIUDIZIO DEL s. c. ANTONIO FERTILE. V'hanno talora Ira' popoli delle singolari e strane co- stumanze, (ielle quali è difficile dire come s'introducesse- ro, ed anche più diflicile rendersi ragione del perchè si conservino, anche falli assai più civili i tempi da quello ch'erano allorquando quelle costumanze vennero accolte. È di questo numero la parte che il medio evo faceva sostenere agli animali davanti ai tribunali. Del che si sono occupati parecchi autori, ma o in modo troppo sonmiario, come fece il Cibrario in quel dottissimo libro, che gli pia- cque intitolare : Economia polilica del medio evo ; o, guar- dando la cosa da un lato solo, da quello cioè dei processi intentati contro a bestie, e delle sentenze pronunciate sopra di esse, mentre non doveasi diuìenticare che gli animali compaiono alcuna volta in giudizio eziandio con altra ve- ste. Fra gli autori della seconda classe ricordo, come quelli che, a saper mio, ne trattarono con maggiore ampiezza, il Vernet in uno scritto comparso il 1826 nella Thémis, ou Bibliotliègue du jurisconsiUle (*); il Berriat-Sainl-Prix nel (1) Voi. Vili, p. 45-60. — 136 ~ I volume della medesima Thémis (^), e nelle Mémoires de la sociélé des aiitiqnaires de France {^) ; ma sopra d' ogni al- tro il conte Leone Menabrea in un libro di 161 pagine in 4 6.°, che intitolava : De l' origine, de la forme et de l'esprit des jugemenls rendus au moyen àge cantre les animaiix, avec des docnments incdits. Chajnbery, i8'<6. Scopo dello scritto del Menabrea era di pubblicare ed illustrare uno di codesti processi incoato dinanzi al vicario generale del ve- scovo di Moriana, nella Savoia, nei 4 343, lascialo poi so- speso per vari anni, e ripreso nel 1387: del quale pro- cesso avrò occasione di parlare piìi innanzi. Due sono principalmente, s'io non m'inganno, le fonti da cui trae origine questo strano costume di sedere in giu- dizio sopra i bruti: l'antico Testamento e i riti eccle- siastici. Nel primo Mosè, probabilmente per obbligare i proprietari degli animali ad avei-ne la dovuta custodia af- finchè non recassero danno a terzi, aveva ordinato, che se un bue avesse dato delle corna contro d un uomo o d'una donna per modo da portar loro la morte, dovesse venir lapidato (^). Il Levitico poi prescrive, che se uouio o donna avesse ad abusare d'un bruto per commettere un delitto carnale, l'animale, che fugli strumento a peccare, debba venire bruciato sul rogo insieme coi delinquente ("). E ciò, come spiegano gl'interpreti, faeevasi aftinché non rimanes- se cosa atta a ridestare la memoria d' un si abominevole delitto (*^). (2) Pag. 178-481, an. 1820. (3) Voi. Vili, p. 403-450, an. 1829: Rapport et recherchcs sur les procès et jugement relatifs aiix animaux. È una rela- zione sui documenti di questa fatta presentali alla Società da M. Lajeune. (4) Exod., XXII, 28. (5) Levit., XX, 15, 16. V. pure ib., XVIII, 23. (6) Decr. Grat., e. 4, G. XV, q. 1. — (S. Agost.) Quia refricant mcmoriam facti. — 137 - Quanto poi ai riti ecclesiastici, come oggigiorno nelle cereinonie e preghiere con cui si fa l'acqua santa, si do- manda a Dio, die per l'aspersione di essa e l'invocazione del nome s. dell'Altissimo, abigatur omnis infestatio immun- di spiritus, ierrorqiie veiienosi serpentis procul pellatur ('); cosi un tempo si usavano preghiere ed esorcismi diretti ad allontanare, come ogni altro male affliggente i mortali, anche gl'insetti e le altre bestie danneggianti i fondi o le restanti proprietà dei fedeli. Preghiere ed esorcismi nei quali s'inti- mava a questi animali di cessar d'ogni danno e allontanarsi dai luoghi in cui si trovavano. In cotal guisa attribuivasi a questi esseri in qualche maniera la personalità; e poiché il rispetto dovuto ai riti religiosi non permetteva che si avesse ricorso ad essi senza necessità, era naturale che si aprisse una cognizione sopra il fatto o il danneggiamento, affine di constatare il bisogno di quegli esorcismi: la qual cognizio- ne per le forme giudiziali che assumeva ogni atto della vita nel medio evo, nelle mani dei giureconsulti potè prendere l'aspetto d' un giudizio diretto a riconoscere il diritto di far a quegli animali le suddette intimazioni. Contribuì (orse a fondare una IciI pratica, in tempi di scarsa coltura, eziandio ìaciio depauperie del .iiritto roma- no, la quale, riducendo al trar dei conti tutta la obbligazione del padrone pei danni degli animali alla noxae datio^ come avveniva per quelli degli schiavi, e un tempo eziandio per quelli dei figli di famiglia, sembrava tenere responsabili gli animali medesimi de' danni da essi recati {^). Secondo il Me- (7) Rituale romanum, ordo faciendi aquam henedictam. Ubi- cumque fuerit aspersa, per invocationem S. Nominis tui, omnis infestatio immundi spiritus abigatur, terrorqiie venenosi ser- pentis procul pellatur. Gonfr. la forinola attribuita a s. Grato (824) riferita da Menabr., p. 54. (8) L. 1 Dig. Si quadrupes (9. 1). — Vernet, nella Thérnis, Vili, cit., p. 60, scrive : «Un' est pas bien étonnant de voir in- — 138 — nabrea un'altra causa starebbe nella persuasione che avevasi, che gli animali nocivi fossero opera o strumento dell'eter- no nemico degli uomini, o che, come già nel paradiso ter- restre, il demonio stesso si nascondesse sotto la forma dei bruti (^) ; e un' altra causa ancora, secondo il medesimo autore, sarelibe stata la mira di evitare che, per liberarsi da quelle infestazioni, si ricorresse alle superstizioni e ai sortilegi {^^). Comunque avvenisse, gli è certo che, e nel medio evo e poscia, si attribuì ai biuti capacità di stare in giudizio e sotto diversi aspetti. Imperocché, se le più volte ciò ha luo- go per una ragione di diritto civile, non di rado invece si apre contro i bruti un procedimento penale, e alcuna fiata si domanda ad essi la prova di fatti che risguardano terzi litiganti, adoperando gli animali medesimi come testimoni, o facendoli sostenere il giudizio di Dio. Ascrivo alla prima specie tutti quei processi che si vedo- no intentati ad animali dannosi alle privale proprietà od ai raccolti; nei quali processi viene loro ingiunto di desistere da questi diinneggiamenli, e di allontanarsi dai luoghi che infestano della loro presenza, talvolta assegnando ad essi persino un territorio su cui possano ritirarsi, e i cui pro- dotti vengono loro abbandonati, riconoscendo in essi pure » tenter des procès aux animaux par des hommes qui croyaient que » les aniaiaux se faisaient des procès entre eux Léonard. Lessius » je suite, voulaut l'aire connaìtre tout l'enormilé du crime d'adul- » tère, soutient qu' il est eu horeur mèiae parmi les animaux, et en » apporte pour preuve le supplice que les cigognes flrent subir à l'u- » ne d'elles, qui fui couvaincue d'infractiou à la foi conjugale. Il cite » un auteur (Guillel. Parisiensis, De universo, 3, 8), qui assure avoir » élé témoin de cette exéculion ». V. pure Damhouder, Praxis re- rum criminalium. Vcnet., 1572, p. 98. (9) Menabr. cit., j). 35. (10) Id. p. 58. — 139 - il diritto d'esistere, come creature di quel Dio che creò l'erbe e le piante anche per uso degli animali (^^). Non otte- nendo con tale sentenza l'intento, cioè gli animali non ot- temperandovi (come doveva naturalmente avvenire), ricor- revasi alle maledizioni, come negli antichi esorcismi. Gli è per questa relazione colle pratiche ecclesiastiche e per l'in- dole del mezzo che costituiva la sanzione a cui si dava di piglio, che comunemente codesti processi si trattano di- nanzi ai giudici ecclesiastici ('^), benché non facciano di- fetto nemmeno quelli agitati nei giudizi laicali {*^). E si faceva un regolare processo, attesoché, anche in quanto i teologi ritenevano lecita una tale maledizione o scomunica, come era detta comunemente (^'^i ^^^ sembra- va giusto l'infliggerla senza averne bene constatato il fon- damento per mezzo d'un' ordinata procedura. Intorno a che non isfuggirà a nessuno l' importanza che doveva ave- re pel trionfo dell' idee morali questo rigore di solennità contro i bruti, in un tempo che ricorrevasi contro agli uo- mini al diritto del più forte e alla privata vendetta ('^). Si citavano dunque con pubblico bando i detti animali a comparire in giudizio, e poiché (come è troppo naturale per dirlo) non comparivano, si dava loro un procuratore od avvocalo, che sostenesse le loro difese (*''). (il) Vedine es. del secolo XIV e del 1690 in Mémoires cit., p, 412. V. pure Menabr., p. 92. — Il Bailly (v. n. 27) assume questa condizione nelle sue formole (quitter le lien et se ritirer dans la place qui leur sera ordonnée). (12) Ad essi li attribuiscono anche il Chassanèe, 1. cit., n. 26 e Bailly in Menabr., p. 130. (13) Mémoires cit., 412, 440, 441 (v. anche nota 16). (14) Ved. S. Tommaso, Summa theolog., secunda secundae, q. 76, a. 2, e q. 90, a. 3, e Menabr., p. 28. (15) V. anche Menabr., p. 89. (16) Secondo il Bailly, l'avvocato si dava ancora prima della ci- tazione. — In altra occasione il giudice di Magonza assegnava allo Tomo iV, Serie VI. 19 — 140 - Narra il presidente de Tbou, che ad un tale incarico dovette i suoi primi allori e l'iniziamento della splendida sua carriera il giureconsulto Chassanée (*'), che fu presi- dente del parlamento o corte sovrana dì Provenza. Ecco come accadde. Nel 1530 i topi s'erano nioUiplic.ili per mo- do nella diocesi d' Aulun, che il popolo, per quanto vi s'a- doperasse, non sapendo in qual maniera distruggerli, ri- corse al vicario del vescovo, perchè ponesse mano contro di essi agli esorcismi e alle maledizioni. Ma il vicario stimò necessario premettere un regolare procedimento. Pertanto, sopra domanda del promotore fiscale (oggigiorno diremmo del pubblico Ministero), fece citare i topi a comparire in giu- dizio davanti a sé. Non essendosi i convenuti presentati, il vi- cario scelse un avvocato a rappresentarli e difenderli, e que- sti fu appunto il Chassanée. Costui incominciò ad osservare che, essendo i topi dispersi per tanti villaggi, una semplice citazione nei modi ordinari non poteva bastare ad avver- timeli tutti. Domandò quindi che si citassero nuovamente in ogni chiesa parrocchiale in dì festivo, al momento della spiegazi(tne del vangelo. Ciò non ostante, non essendo an- cora comparsi, scusò i suoi clienti colla lunghezza e coi pericoli del viaggio, piccole bestiuole, com'erano, ed espo- ste senza difesa all' insidie dei gatti, loro mortali nemici, che stavano in agguato su ogni via per assaltarli ed ucci- derli. Scorse cosi le varie dilazioni che potè ottenere, en- trò nel merito della causa, attaccando d'ingiustizia il siste- ma delle punizioni generali o proscrizioni in massa, per le quah si colpiscono le intere famiglie, cioè gli innocenti in- cantaridi un curatore, attesa la loro piccolezza e la loro distanza dalla maggiorennità. Afémoires cit., p. 412. — Talvolta si volle persi- no che venissero addotti in giudizio alcuni degli animali contro cui procedevasi. Menabr., p. 104. (17) È il nome che gli si dà comunemente. Il suo vero nome era Bart. de Ghasseneuz. Thémis cit., Vili, p. 45. — 11i - sieine coi rei. De Thou non dice quale fn l'esito dell'elo- quenza del Chassanée, ma, ad argomentarlo dalla riputa- zione che gliene venne, convien ben credere ch'egli abbia vinta la causa in favore dei suoi strani clienti (^*). Ho detto che le procedure di questa fatta appartengono al novero delle civili. Può sembrare che contrasti a tale proposizione la scomunica o maledizione che scagliavasi in esse contro gli animali ; ma questa, chi ben guardi, non era che un mezzo d'esecuzione o di costringimento, allor- quando i suddetti animali non desistevano dai loro danneg- giamenti (*'•'): e si usava anche negli altri processi eccle- siastici, e talora eziandio nei civili (-'^), mentre poi si nar- rano effetti prodigiosi di codeste maledizioni (^'). Cotal pro- cedura potrebbe paragonarsi ad una specie di turbativa di possesso, o ad un processo per assicurarsi contro la minac- cia d'un danno (damni infecii), che portava per ultima con- seguenza quella maledizione. Tuttavia l'attilazione giudiziale era l'estremo rimedio a cui ricorrevasi, solendosi premette- re le processioni e le preghiere, afGne di ottenere da Dio la cessazione del flagello, oltre tentare di distruggere gli ani- mali, per quanto potevasi, col prenderli ed ammazzarli (-^). (18) De Thout, Histoire ad an. 4550; Berriat-Saint-Prix nella Thémis, 1, p. 179. (19) Chassanée, Cons. prim., dice: Quod se absentent a loco in quo damnuin dant, aut a damno inferendo cessent, sub poena anathematisationis aut perpetuae maledictionis. (20) V. la mia Storia del diritto italiano, voi. VI, § 242. (21) Mémoires cit., p. 414 ss. e 424. — In Ispagna, a quanto narra il dott. Navarra, quidam episcopus, ex summo promonto- rio iicssit muribus exire terras quas habitabant intra tres ho- ras, intra quas maximiis numerus earum exivit natando per mare, in quandam insulam sterilem, in quam per excomunica- tionem - iussi fuerant exire. Ib., p. 418.; V. anche Bailly cit., a n. 27. {2'2ij Queste due pratiche aveva preBcritto nei sec. IX papa Ste- — 142 — Bello sopra d'ogni altro è l'esempio che di un simile procedimento ci offre, come ho detto fin da principio, il Menabrea. Nel 1545 il sindaco, o rappresentante del co- mune di S. Giuliano, al di sopra di S. Giovanni di Moriana, intentava lite contro i bruchi (rhyncliites atiratus), che me- navano guasto nei vigneti di quei luoghi. Essendo essi scom- parsi mentre si stava istruendo la controversia, la lite ri- mase sospesa, ma venne ripresa, ricomparso l'insetto nel 4 587. Presentossi pertanto iH 3 aprile di quest'anno dinanzi al vicario di quel vescovo il sindaco o rappresentante del suddetto comune di S. Giuliano per riassumere l'antica cau- sa, e domandò che venisse dato ai detti insetti un procura- tore e un avvocato, dichiarando che il comune offerivasi di corrispondere loro una conveniente mercede. Il giudice ot- tempera alla domanda, ma prima che si ponga mano all'agi- tazione della causa, vuole che vengano eseguite certe pro- cessioni e devozioni state ordinate all'uopo fino dal 1546 (ne irriletur Deus propter non adimplelionem devotionum in dieta ordinalione narralarum)^ essendoché tale flagello può attribuirsi più che ad ogni altra cosa ai peccati del po- polo (quae damna polius possimi esse atlribuenda peccatis supplicantium), e però, più che alle censure, doveva ricor- rersi alla divina misericordia (^^). Fatti tre giorni di processioni intorno ai vigneti infe- stati dai bruchi, senza che questi perciò se ne dilungasse- ro, si lasciò libero corso alla lite, che diede luogo a parec- chie scritture da una parte e dall'altra, e a varie dilazioni e comparse. Instavano quelli di S. Giuliano che gl'insetti in discorso fario VI prima di ricorrere alle maledizioni. Murat. , Script, HI, 272, e Menabr., 83. — Per le preghiere v. n. seg. e Mémoires cit., p. 414 s. (23) Menabr., p. 148,149, 151. Similmente Mémoires cit., 416 s. - ii3 - venissero cacciati dai vigneti che avevano invaso per via di scomunica, d'interdetto e d'ogni altra specie di censura ecclesiastica. Invece l'avvocato degli insetti sosteneva, che i medesi- mi non dovevano venire colpiti di scomunica, perchè que- sta non polca venir data che a titolo di contumacia, o per qualche grave delitto. Ma gì' insetti medesimi erano inca- paci di cadere in contumacia, non essendovi maniera legale di citarli; non commettevano poi verun male vivendo se- condo l'ordine naturale, e cibandosi delle piante giusta la divina istituzione, mentre, come privi di ragione, non po- tevano essere tenuti all'osservanza di veruna legge positi- va, ecclesiastica o civile. Concludeva quindi che non do- vessero venire costretti a partirsi dai luoghi occupati. Opponevano alla lor volta gli attori, che Dio aveva crea- to le cose e i bruti in servizio dell' uomo, attribuendo ad esso impero sopra di quelli. Al che replicava il difensore de- gl' insetti, non venirne di conseguenza che si potesse aver ricorso contro di essi alla scomunica, ma doversi usare dei modi soliti ed ordinari per liberarsene. Siccome poi gli uo- 'mini di S. Giuliano, per consiglio del loro avvocato, radu- nati in regolare consiglio, s'erano obbligali d' assegnare ai suddetti insetti un fondo fuori dei vigneti, in cui li lascia- vano padroni di vivere e pascersi a loro talento, promet- tendo di non sottrar loro cosa alcuna di quel fondo, né di- sturbarli in veruna maniera, salvo il diritto di rifugiarsi colà essi pure in tempo di guerra, ed offrendosi di stipulare di ciò un regolare contratto; il rappresentante o procura- tore dei convenuti oppose che quel luogo era sterile, e però né sufficiente, né idoneo alla sussistenza dei suoi mandanti. Sopra di che, il vicario del vescovo, verso la metà di settem- bre, ordinò un sopraluogo, per rilevare la condizione del fondo e !a sua sufficienza al mantenimento degli inselli. E qui malauguratamente finiscono gli atti che restano di co- — 144 — desto processo, il qunle probabilmente rimase interrotto come la volta precedenle, per la scomparsa avvenuta nel frattempo degli insetti medesimi contro cui era stato inten- tato (-4). Ma d'altre procedure di questa specie s'hanno frequenti memorie in quel secolo e nei successivi, fino presso al ter- mine del decimoseltimo (^■'). l'u per la frequenza di questo costume che il Chassanée, di cui abbiamo parlato di sopra, scrisse un trattato per ricercare se si possano scomunicare gli animali danneggianti i raccolti, e in qual modo ciò deb- ba farsi. Sostiene pertanto che possono citarsi in giudizio davanti T autorità ecclesiastica ; che si deve dar loro un procuratore per porgere le loro difese; e Analmente, posta la domanda se sia lecito pronunciare su questi animali l'anatema e la maledizione, addotte molte ragioni per l'una e per l'altra sentenza (tra cui principalmente quella che co- desti animali sono gli strumenti della collera divina pei pec- cati degli uomini) ciò non ostante conclude per l'afferma- tiva, appoggiandosi anche alla pratica di cui riferisce varie (sette) sentenze (-'^). Oltre un secolo dopo scrisse sullo stesso argomento Gaspare Builly, avvocato al senato di Savoia, nel suo Traile des monitoires, Lione 1608, p. 27 ss., all'articolo: •■ Della eccellenza dei monitori e dei processi contro gli animali », (24) Gli atti si leggono in Menabrea, p. 448 ss. (25) Mémoires, p. 431. Il 15 nov. 1731 il consiglio comunale di Thonon deliberava d' unirsi alle parrochie « qui voudront obte- nir de Rome une excommunicalion contre les insectes ». Menabrea, p. 112. (26) Consilia D. Barthol. a Chassaneo. Lione, 1531. — Con- silium priiniim, quod iractalus juris dici potest, - uhi tractatur quaestio de excomunicatione animalium. Riferito per estratto nella Thémis, Vili, p. 46 ss. — Tuttavia le risultanze del Chassanée furono assai criticate dal dott. Navarra. Mémoires cit., p. 418. — 145 - dando persino i modelli degli atti delle due parti, coli' in- sieme delie ragioni cbe si potrebbero addurre duH' una e dall'altra, non senza soggiungere il voto del publico Mini- stero (promotore fiscale) e la sentenza data in iscritto dai giudici prò Irihunali sedentes, et Deum ante oculos haben- tes ("). Gli esempi di queste procedure cbe ho potuto vedere sono di Spagna, Francia, Svizzera, Germania e perfino del Canada (^^). Non mi venne fatto di trovarne alcuna d' ita- liana, e il Chiaro asserisce a dirittura cbe appo noi non si praticavano (-^). Ma non per questo oserei di sostenere che fossero affatto sconosciute nel nostro paese, se le vedia- mo in uso nelle terre francesi della monarchia sabauda {^^). Certauìente poi si praticava anche presso di noi contro i bruti, la seconda specie di processi di cui mi sono pro- posto di far parola, vale a dire i criminali. Il Filangieri dice « che in Italia essi non erano meno usitati che altro- ve, e che vi si vedevano ancora al suo tempo », tanto che egli sente il bisogno di dimostrare 1' assurdità di codesta pratica (""), che avea constatata in uso, ma disapprovata, anche il Chiaro ('^). E qui si convien distinguere, sulla traccia superiormen- (27) Qupsta parte de! libro del Bailly fu riprodotta dal Mena- brea, p. 128 ss. — Aveva trattato di questo argomento anche Felix Malleolus, De exorcismis. (28) V. l'elenco che ne dà il Berriat. (29) Clar., Sent., p. 902. (30) Il Menabr., p. 112, lo ammette a dirittura, attribuendone l'asserzione a Leon. Vario de fascino, li, 12; ma questi dice sol- tanto: in nonnullis partibus, senza soggiungere cV Italia. (31) Scienza della legislazione. Venez., 1806, IV, p. 381. (32) Loc. cit. Anche Pieiro Ayrault, piesid. della corte crimi- nale d'Anversa, la riprovava (1591) nid['o|iuscolo : Des procès faicts au cadavers, aux cendres, à la mémoire, aux besles brutes-et aux contumax. Menabr., p. 126. — 146 — te riferita dei libri santi, due categorie di delitti pei quali procedevasi contro gli animali. La prima riguarda ogni danno, che per la natura sua (prescindendo cioè dall' a- gente) sarebbe criminoso, recato alle persone o alle cose altrui; la seconda i delitti nei quali l'essere ragionevole tur- pemente abusa dei bruti. Quanto ai primi ciò avveniva assai di frequente pei porci, i quali in que' tempi si lasciavano vagare liberamen- te pei paesi, in onore di S. Antonio, come dice il Cibrario, e però potevano di leggieri nuocere altrui. Nel 1572 a Nancy fu preso, messo in prigione e con- dannato a morte uno di questi animali perchè aveva divo- rato un fanciullo. E siccome il signore del luogo in cui era accaduto il fatto non aveva l'alta giustizia, ma doveva con- segnare i condannali a morte per la esecuzione della sen- tenza al prevosto di S. Diez, rimettendoglieli affatto nudi dietro la croce del cimitero, non potendo far a meno di consegnare il porco per la corda ond' era legato, fa le sue riserve perchè ciò non possa pregiudicare al proprio dirit- to (^"). Molte altre condanne ed esecuzioni potrei riferire di questa specie d'animali (^*) ; ma ve n'ha anche d'altri: p. es., il 4 499, d'un bue che aveva ucciso un giovine di i4 o i5 anni {^"), un'altra volta, per eguale causa, d'un alvea- re d'api (^-), un'altra volta ancora, come vedremo tanto- sto, d'un gallo. La pena poi, che doveva eseguirsi dal boia, ora era la forca, ora il rogo; e, secondo il vezzo di que'tempi, talora, per rendere più grave il supplizio o per altro motivo, l'ani- (33) Mémoires des antiq. cit., p. 430. (34) Ib., p. 427 ss. (35) Ib., p. 428. Un altro bue fu impiccato pei suoi demeriti nel 1405, ib., p. 427. (36) Thémis, Vili, p. 58. Così ordinava un concilio di Worms. — 147 — male s'impiccava per le gambe di dietro (") ; talora si pre- metteva all'esecuzione della pena capitale l'amputazione di questa o quella parte del corpo del condannalo (^^) ; talora finalmente, all' ultimo supplizio dell' animale aggiungevasi una multa pel proprietario di esso (^^). Se doveva infliggersi una vera pena, è naturale che all'animale si deputasse un difensore, si facesse un regolare processo, si raccogliesse- ro le prove del fatto e si pronunciasse formale sentenza, che leggevasi con tutta gravità all'imputato prima di condur- lo al supplizio: e in realtà ne restano non poche che fan- no fede dell'osservanza di tutte queste solennità legali {^^). Le quali non so se ed in quanto siano state rispettate nel processo che [AUgemeine deutsclie Strafreclitszeitung del 186^, N. 2, asserisce essere avvenuto a nostri di in In- ghilterra (a Leeds), dove avendo un gallo ferito un fan- ciullo per modo da causarne la morte, il giuri sentenziò che il gallo dovesse venir ucciso, restando i giurati mede- simi presenti all'esecuzione ('*^). Né dettava alcuna forma- lità il laudo o statuto di Vallesella nel Cadore (^565), allor- quando ordinava, che se qualche animale recasse danno ai beni comunali e il padrone avvisatone non lo rinchiudesse in luogo sicuro, il marigo o capo della regola poteva piglia- re l'animale medesimo, ed ipso facto UH amputare caput super fonte publico in platea (^^). (37) Mémoires cit., p. 444. (38) Ib., p. 427 e 429, sentenze 1386 e 1565. — Ib., p. 433, s' ha la specifica delle spese incontrate nel 1403 per l'esecuzione d'una troia. Fra esse c'è quella di far venire il boia da Parigi, e per la vettura che la portò al luogo della forca. (39) Ib., p. 435, a. 1499. (40) Ib., e pag. 441. Della lettura della sentenza è parola ib., p. 423, 435; dei testimoni e del loro giuramento, ib., 446. (41) Osenbrùggen, Studlen ùber deut. und schwelz. R. Geschi- chte, Schaffaus. 1868, p. 148. (42) V. Laudo cit. nella mia Storia del diritto, v. V, p. 643, n. 32. 'iomo ly. Serie VI. 20 — 148 — Ma si punivano alcuna volta nei bruti anche fatti non recanti danno a singoli, lua piuttosto pericolosi per la pub- blica morale. Cosi nel 1474 il magistrato di Basilea con- dannava un gallo ad essere abbruciato vivo, perchè avea fatto un uovo: sia perchè la si reputasse opera diabolica o di sortilegio, sia per la popolare credenza che regnava colà, che se un gallo deponeva un uovo, in sette mesi ne uscis- sero serpenti; il perchè fu abbruciato con tutt'esso il gallo anche l'uovo {*^). Riferisce poi il Filangieri, che ho testé citato, nella sua Scienza della legislazione, che pochi anni prima erano stati mazzolati in una città d'Italia alcuni cani che aveano seguito con troppo impeto il loro naturale istin- to (*'*). Da questa narrazione del Filangieri apparisce, che non era sempre la morte che s'infliggeva ai delitti dei bruti, ma talora anche pene men gravi. In fatto la Carta de Logu d'Eleonora giudicessa d'Arborea (1395) prescrive.- che ve- nendo trovato un asino in danno sui fondi altrui, per la prima volta gli si tagli un orecchio; la seconda, l'altro; e la terza, si confischi la bestia consegnandola alla corte princi- pesca (*5). Ciò che non è propriamente un processo e una condanna giudiziale, ma qualche cosa che vi si avvicina, personificandosi un bruto, e punendo lui direttamente co- me se fosse un uomo. Né a questo proposito è fuor di luogo ricordare una singolarissima disposizione che trovasi nella Lex Alamanno- rum. Le leggi dei popoli germanici, benché volessero punite le lesioni operate dai bruti, generalmente non ne facevano (43) Mémoires cit., p. 428, e Illustrirte Cronik der Zeit, 1885, p. 732. (44) Filangieri, loc. cit. (45) Carta de Logu, a. 114. Le altre bestie si uccidevano (ib., 135), e il Mimaut spiega questa differenza colla predilezione che c'era in Sardegna per gli asini, attesi gli importanti servigi che rendevano. Sardiniens altere und neuere Geschichte. I, p. 303 n. — i49 — responsabili questi medesimi, sibbene invece 1 loro proprie- tari, E se talora la pena della lesione recata dal bruto (per- chè allora le pene dei delitti contro i privati consistevano in danaro) era eguale a quella fatta dall'uomo ('"'), altre volle infliggevasi una punizione minore, perocché si cominciò presto a comprendere l'errore di pareggiare il fatto dell'ani- male e quello dell'essere ragionevole ("). Tra gli Alamanni s'usava una pena identica a quella che davasi al fatto del- l'uomo, cioè il guidrigildo, se fosse stato ucciso un libero da un bue, da un cavallo o da un porco {^^); ma se era stato ucciso da un cane, probabilmente ptrchè contro que- sto era più facile il difendersi, la pena venne ridotta a mez- zo guidrigildo soltanto (^^). E per costringere ognuno, av- venendo il caso, ad ottemperare ad una tale restrizione, or- dinossi che, se il più prossimo parente dell'ucciso, al quale era dovuto la somma, esigesse liniero guidrigildo, si chiu- dessero tutte le uscite di casa sua, fuor d'una sola, davanti alla quale, alla disianza di 9 piedi si sospendesse, dopo averlo ucciso, il cane omicida, lasciandolo li fino a che im- putridisse e cadesse a brani, nò seppellendone le ossa. Che se colui che ha esatto l'intero guidrigildo gettasse via il ca- davere del cane, o entrasse od uscisse, anche una volta sola, per altra apertura, doveva restituire la metà dell'importo che aveva riscosso ('*^). Anche una tal quale partecipazione passiva agli altrui reati attribuivano agli animali le fonti giuridiche tedesche del secolo XIII, vale a dire lo Specchio sassone e lo svevo. (46) Roth., p. 326, L. Sax. 13. Solamente escludevano queste leggi per tal cagione la privata vendetta. (47) La L. Sai. 36 e Rip. 46 permettevano che nella uccisione si desse l'animale in conto di mezzo guidrigildo. (48) P. Alani., Ili, 18, e L. Alam., car. 103. (49) P. Alam., Ili, 17. (50) L. Alam,; car. 102. - 150 — Conciossiacliè se ia una casa era stata usata violenza ad una donna, oltre distruggere la casa istessa, si tagliava il capo a tutti coloro, dentro e fuori di essa, che, avendo udito le grida della deflorata, non erano accorsi in suo aiu- to, e inoltre a tutti gli animali che si trovavano nella casa in cui era avvenuto il delitto, per punirli in certo qual mo- do di non aver levato rumore per chiamare il vicinato in soccorso (='). Mollo più frequenti poi e durati generalmente più a lun- go furono le condanne di animali per i delitti di bestialità che ho superiormente accennato. Che, siccome a questi delitti comunemente comminavasi la pena del rogo (''-), giusta le prescrizioni della legge mosaica di far morire con • temporaneamente l'uomo ed il bruto, si solevano gittar nelle fiamme in uno e questo e quello, anzi si bruciavano coll'ani- male e col delinquente eziandio gli atti del processo, affine di dimostrare ancor meglio l'orrore che aveasi per un tal crimine, e lo studio di distruggerne ogni memoria {■''). In questi casi approva il supplizio dell'animale anche il Chia- ro nel secolo XVI {■'^). Confermano poi la esistenza di colai pratica il Farinaccio nel secolo seguente ('^), il Bonifacio nel XVIII (^^), e se ne ha esempio del 1741 a Parigi (^') ; (51 _) Saclisensp., Ili, 4. Schwabensp. Lassb. 254. Osenbrùggen cit., p. 144. Zeit. fùr deut. Rechi., \, p. 18, XVIII, p. 99. (52) V. la mia Storia del diritto italiano, voi. Y, p. 5H. (53) Mémoires cif., p. 425. — Qualche volta l'animale uccide- vasi prima di gettarlo ad ardere; nel 1601 s'impiccarono l'anima- le e la donna, e, dopo morti, s'abbruciarono. Thémis, Vili, p. 59 s. Mémoires, p. 426, e Répertoire universel de jurisp. V. Beslialité. (54) Loc. cit. (55) Pract. et theorica criminalis, q. 148, 46. (56) Instit. crim. venet. 1768, 1. 3, t. 5, n. 57. V. anche Can- tera, Questiones crimin. Salmanticae, 1589, n. 507. (57) Rousseaud de la Combe, Traile des matières criminel- les. Paris, 1785, p. 31. - \:a — scnoocliè questa volta il parlamento nella sua sentenza or- dinò che, mentre l'uomo doveva perire sul rogo, l'animale venisse scannato e sepolto. E che dovessero perire d'una stessa morte contemporaneamente l'uomo e l'animale è prescritto ancora nel 1709 dalla Costituzione criminale di Maria Teresa {•'*)-. laonde può dirsi che il costume in di- scorso durò tino al codice di Giuseppe 11. E certamente anche in questi crimini faceva mestieri constatare colle pro- ve legah l'identitò dell'animale; ma del resto comunemente non s'istruiva contro di esso formale processo, compren- dendolo nel processo e nella sentenza contro dell'uomo, che erasi servilo del bruto per infrangere le leggi della na- tura (^9). Fino ad ora abbiamo veduto attribuita agli animali la personalità per farli responsabili dei mali da loro commessi, accordando ad essi per ciò personam stanai in iudicio. Riconosciuto ai bruti un tale carattere per gli istinti mal- vagi, era naturai cosa l'estendere questa veduta anche agli istinti buoni degli animali. È noto l'attaccamento che alcu- ni di essi dimostrano pei loro padroni, e come inveiscano contro coloro che a questi portano offesa, massime se li abbiano uccisi. Nessuna meraviglia pertanto che, in un tem- po, in cui si poteva decìdere una questione giuridica met- tendo ciascuna delle due parti un campione prezzolato a combattere, e si dava poscia ragione a colui il cui campione riuscia vincitore, nessuna meraviglia, dico, che si facesse duellare il cane dell'ucciso col presunto autore dell'omici- dio, come venne effettivamente giudicato a Parigi ai tempi (58) 74, 6. Confr. Const crim., Cart. 416, che può intendersi nel medesimo modo, attesa la pratica comune. (59) Mémoires cit., p. 425. (60) Laurière, Dictionn. dii droit frangais, I, p. 264, e Rime e prose di alcuni Cinofili vicentini. Venezia, 1826, p. 75 ss. V. anche ib., p. 306. - d52 — di Carlo V contro certo Macario, imputato d'aver ucciso il signore di Montdidier; nel qual esperimento rimase vin- citore il cane C^^), e però convinto della propria reità l'im- putato. Altra volta, sotto eguali condizioni, si domandò al cane anche una testimonianza, o almeno un giudizio, e si rac- contano parecchi di simili casi. Giìi dell'antichità narra Plu- tarco, che Pirro essendosi imbattuto a caso nel cadavere d'un uomo alla cui custodia stavasi un cane, diede sepoltura ajquello e prese seco questo. Pochi giorni dopo, avendo Pir- ro fatto sfilare dinanzi a se i soldati tenendo presso di sé il cane, quando passarono certi uomini, questo incominciò a latrare ed urlare contro di essi per modo, che il re inso- spettitosi potessero essere gli uccisori dell'antico padrone del cane, li fece arrestare; e quelli sorpresi, avendo confes- sato il proprio delitto, vennero debitamente puniti (^^). E Giov. Bettin-Roselli, nel discorso «dell'affezione che l'uomo conserva per la specie dei cani» riferisce, senza indicar dove e quando, d'un altro cane, che condotto davanti a co- lui eh' era imputato d' averne ucciso proditoriamente il pa- drone, gli si avventò contro lacerandogli in più luoghi le vesti; di che quegli atterrito e confuso non seppe più cela- re il suo crimine C^-). In Isvizzera poi, nel cantone di Basilea, valeva il singo- lare costume, che se taluno aggredito nella propria casa di nottetempo, cioè dopo la campana dell'ire Maria^ non ha famigliari, che possano assisterlo della loro testimonianza per far punire il colpevole, o per provare la necessaria di- fesa, qualora l'avesse ucciso, deve prender seco tre tegole del coperto e il proprio cane, se Io ha, e se non ha cane, il (61) Plutarco, Moralia. Parigi, "1844, p. 180, dove liferisco an- che altri simili latti. (62) Rime e prose cit., p. 49. — 453 — gatto 0 il gallo, come più gli piace, e comparire con essi in giudizio, dove, coli' appoggio di questa solennitù, egli ha di- ritto che si presti piena fede alla sua asserzione. È evidente che il cane, il gatto ed il gallo, che sono i precipui animali domestici, assumono in questo caso T aspetto di simbolici testimoni, pel difetto dei testimoni umani. Il suddetto co- stume, confermato ancora dalla Landesordnung del ^6^^ (art. 68), scompare, per ciò che concerne gli animali, in quella deM 654 (6^). (63) Osenbrùggen, Studien cit., p. 143. — Mùller, Storia della Svizzera, III, p. 258. — Grimm^ Deut. R. Alter.., p. 588, e Zeitschr. fùr gesch. Rechtswissen., II, p. 80. L A MSKliHZIOSE iìEf GRiM E DELIE FiRll SECONDO LE PROPOSTE ENGRAND E TORELLI. Relazione DEL s. e. GUGLIELMO BERCIIET Nella pi'ima adunanza ordinaria dell'Istituto per l'anno 4 884-85, cioè nel novembre del 1884, fu presentata, fra gli altri lavori, una memoria del membro effettivo conte Luigi Torelli, col titolo: La conservazione delle farine. Suo sco- po era quello di mostrare come si possano conservare le farine a tempo indefinito e con metodi non difficili, e come invece per incuria ogni anno vada in rovina una gran quan- tità di grano e farine a danno dei proprietarj e conseguente- mente a danno della pubblica riccbezza. Dopo di aver la- mentato quanto in Italia siamo ancor lontani dall' utilizzare convenientemente i! principio scientifico della sottrazione dell'aria per la conservazione dei commestibili, e dopo di aver citato l'esempio della conservazione dei grani nelle fosse, in uso già nei secoli passati presso varie nazioni, il senatore Torelli esclama : « Oh perchè non si prese una botte conte- nente una cinquantina di quintali di grano, e perchè dopo di averla perfettamente riempiuta, non si estrasse con mac- china pneumatica tutta l'aria, e non si mantenne in quello To,no IV, Serie VI. 21 — 150 — stato cinque, sei o selle anni? Se il grano si conservasse perfettissimo come quello delle mummie d'Egitto, non vi parrebbe che la più ovvia, la più sana, anzi la più lodevole di tulle le speculazioni sarebbe quella di acquistarne alle epoche dei prezzi bassi? Credete voi che, divenuta generale questa pratica, si vedrebbero quegli esquilibri che oggidì si vedono nei prezzi delle farine?» (Atli Istituto, tomo III, se- rie VI, pag. 64). La memoria del Torelli, presentata allìstiluto nel no- vembre 188 5, venne stampala nel successivo dicembre. Ora nel mese di settembre di questo anno, mi cadde sott'occhio il Bollettino agrario del 15 agosto 1885 del no- stro Consorzio agrario di Venezia, dove a pagina 212 leg- gesi il seguente articolo: a La conservazione dei cereali. » Il sig. Engrand, antico direttore dei doks liberi di Marsiglia, ha testé inventato un nuovo sistema per la con- servazione dei cereali, sistema che, per lo speciale interesse che presenta per l'agricoltura e per il commercio dei gra- ni, crediamo utile portare a conoscenza dei nostri lettori. » L'invenzione del sig. Engrand riposa sul principio de- gli antichi siliis dei cinesi, degli arabi, dei romani, trasfor- mati però con lutti quei perfezionamenti che la scienza ha messo oggi nelle mani dell'uomo. I nuovi silns Engrand so- no grandi cilindri in ferro, alti selle metri, di forma coni- ca alle due estremità, e della capacità di iOO a 120 tonnel- late. A differenza degli antichi, questi silus invece di essere sepolti sotto terra, riposano sopra una base in muratura di melri 1.70 di altezza dal suolo, ciò che permette di rilira- re comodamente il grano dalla loro estremità inferiore, me- diante un sistema tubulare col quale i sacchi si empiono automaticamente. A due metri circa di distanza, un'alta muratura circonda il cilindro, e lo spazio viene riempilo di teira o sabbia, mettendo così il cilindro stesso al riparo dalle intemperie e variazioni atmosferiche. 1) Con un sistema di piccoli vagoni che scorrono su rotaje, il silus Engrand, che si riempie dalla sua estre- mitù superiore, può in brevissimo tempo ricevere fortissi- me quantità di grano; una volta poi chiuso ermeticamente, una macchina pneumalica opera il vuoto dentro il cilindro^ e rende impossibile lo sviluppo delle larve che distruggono ed alterano i grani, che in tal caso possono conservarsi in perfettissimo stato per un tempo indefinito. » I vantaggi che questo nuovo sistema di conservazione è chiamato a rendere al commercio dei grani sono incon- testabili, e si riassumono in facilità ed economia di co- struzione sul prezzo dei granai attualmente in uso, e ga- ranzia di perfetta ed infinita conservazione dei cereali. I) Per mettere poi questo sistema alla portata dell' agri- coltura e del piccolo commerciante in granaglie, il sig. En- grand asserisce che basterà sopprimere la macchina pneu- matica, la quale domanda maggiori spese di impianto, ed il grano in quei cilindri si conserverà in perfettissimo stato durante parecchi anni. » Tutti i vantaggi di questo sistema sono chiaramente spiegati in un opuscolo che l'inventore ha fatto uscire alle stampe in Marsiglia, e nel quale gli interessati potranno at- tingere tutti questi schiarimenti che non è concesso di da- re nelle colonne di un giornale. « Non havvi chi non comprenda a prima vista, come in questa descrizione la cosa essenziale sia l'estrazione dell'a- ria. Posta a confronto l'accennata invenzione dell' Engrand colla memoria letta all' Istituto dal conte Torelli, si rimane colpiti, conie quasi contemporaneamente siasi espressa la medesima idea da questi due egregi, l'uno in mezzo alle Alpi, vecchio cultore di econounu politica, l'altro, uomo pratico, in riva al mare a Marsiglia. — 158 — « Ma come mai, esclama il Torelli, non si prese una botte, e non la si riempi di grano, e poi non si cavò l'aria con una macchina pneumatica? » « Si costruiscano cilindri in ferro, suggerisce il sìg. Engrand, di forma conica alle estremiti!!, si riempiano di grano e si cavi l'aria mediante una macchina pneumatica ». Ove è la differenza? iNon nella operazione che è iden- tica, ma solo nella botte che contiene 5 tonnellate e nel ci- lindro che ne contiene 100. L' Istituto veneto lesse il lavoro del Torelli nel novem- bre 1884 e lo pubblicò nel decenìbre dello stesso anno. Il sig. Engrand pubblicò il suo opuscolo nell'aprile 1885, ed egli stesso vi stabilisce la data, 25 marzo 1885, che tro- vasi in fine dello stampato. Egli prese il privilegio per quin- dici anni. Lungi da me ogni idea di farmi giudice di questo privi- legio che riguarda il sig. Engrand. Noto soltanto che se in Italia, qualunque persona prendesse in luogo del cilindro in ferro di quella forma, una botte a tenuta d'aria, o un ci- Undro di forma diversa, e li riempisse di grano e vi estraes- se l'aria con una macchina pneumatica, nessuno potrebbe impedirlo, perchè basterebbe citare il Torelli ed il suo scrit- to che rimonta al novembre 1884 e che fu pubblicato assai prima di quello del sig. Engrand. Dopo questa osservazione, nìi è necessario dichiarare, che è ben lontano da me il convincimento che il sig. En- grand abbia presa l'idea dal Torcili e ne abbia proposta l'applicazione in più vasta scala. Il crederlo sarebbe un er- rore, perchè possono casualmente incontrarsi eguali idee in persone che si occupano dello stesso argomento, anzi riten- go che il primo a difendere l'Engrand dall'accusa di plagio sarebbe lo stesso Torelli. Egli in fatto consacra gran parte della memoria, leda all'Istituto, per provare quanto lenta sia l'applicazione pra- — 159 — tica di un principio riconosciuto utile, la diffusione di una scoperta, di un rimedio anche efGcace, e cita in prova la coltivazione del pomo di terra e la solforazione della vite. I più benemeriti non sono sempre quelli che primi annun- ciano una scoperta, od introducono una cosa nuova, ma quelli che la rendono popolare, accessibile, che fanno in modo che dia realmente il frutto che può dare; epperò, ve- nendo al caso concreto della scoperta intorno alla conser- vazione degli alimenti, che non avrebbesi potuto ottenere dall'applicazione su grande scala del principio della sottra- zione dell'aria, da quando fu enunciato la prima volta? È un fatto che dopo si lunghi anni dalla scoperta di Appert, che rimonta nientemeno che alla fine del secolo passato, l'applicazione dell' Engrand è la prima che, in grandi pro- porzioni e con ogni minuta particolarità di esercizio vicn fatta ai grani, e come non può a meno di riuscire, a nessu- no farà tanto piacere quanto al Torelli, perchè realizza un vivo suo desiderio, espresso in modo cosi rimarchevole, così persuadente nella Memoria, comparsa alcuni mesi prin)a. Né io avrei certamente sollevata la questione, per ri- vendicare all'Istituto una priorità, che se pur gli è onore- vole non è di pratica utilità. Volli soltanto richiamare la vostra attenzione su quanto sarebbe da farsi per rende- re proficue le due proposte, che coincidono nell'idea e nel fatto. Nati casualmente nella stessa epoca i due lavori del To- relli e dell' Engrand si completano a vicenda, tendono allo stesso scopo, per la medesima via, uìa differenziano nei mezzi meccanici, nella misura dei capitah da impiegarsi e nel campo di operazione. L' Engrand mira ad una speculazione in grande. Diret- tore dei dóks di Marsiglia, immagina cilindri che conten- gano da 100 a 120 tonnellate, valori cioè dalle 20 alle 25 mila lire cadauno; sopportano quindi le spese ingenti di — 100 — rinipianlo, con beneficio degli speculatori e del pubblico. È ciò appunto quello che si richiede in un gran centro di commercio dei grani, in gran porto di mare, a Marsiglia. li Torelli invece ha in vista particolarmente la conser- vazione delle farine anche in piccola quantità. I suoi espe- rimenti sono a piccola scala: vuole che non costino e che si possano fare ovunque siavi una persona di buona volontà. Non potendo aversi macchine pneumatiche si sostituisca la compressione, riempiendo perfettamente i vasi e sottraen- doli a! contatto dell'aria. Non si tratta di centinaja di ton- nellate o d'impiego d'ingenti capitali, si tratta anche di po- chi chilograiDini e di modfstissime somme, ma il campo di operazione abbracciato dal Torelli è diverso e più vasto. L'Engrand si rivolge ai ricchi negozianti e dice loro: « Io vi [)ropongo l'applicazione in grande del principio della sottrazione dell'aria per la conservazione dei grani in mas- se di centinaja di tonnellate, che potete tenere in serbo col- la certezza che si manterranno perfetti». Il Torelli invece si rivolge al piccolo negoziante, che è a contatto colle po- polazioni agricole, al modesto proprietario, al capo di fami- glia e dice : « Voi dovete aver ben cura della farina da te- nersi lontana dall'umido e dal contatto dell'aria. Il metodo migliore sarebbe di poterla tener chiusa in vasi, dai quali fos- se espulsa l'aria con macchina pneumatica, nia siccome que- ste macchine non sono alla portata d'ognuno per il loio co- sto, potrete sostituirvi la pressione tanto migliore quanto più potente, tenendo il vaso fuori dal conlatto dell'aria quan- do si estiae la farina. Non occorrono grandi recipienti. Ec- co la sintesi di quanto propose il Torelli nella sua Memoria. Ora se il consiglio del senatore Torelli fosse applicato in vasta scala, fosse cioè generalizzato, gli effetti ne sareb- bero grandi, perchè se l'unità di applicazione è mode: ta, la quantità dei casi la renderebbe rilevante. Le centinaja di ricchi negozianti di grani che trafficano — 461 — per milioni, seguendo il consiglio dell'Engrand, risparmiano come mille in cento casi; le migliaja invece di piccoli ne- gozianti, proprietarii e coloni risparmieranno come dicci, ma moltiplicato questo dieci per molte migliaja di casi, il risparmio riuscirebbe del pari, e forse più, ingente nell'eco- nomia nazionale. Ecco perchè, a mio avviso, le proposte Engrand e To- relli collimano fra loro e si completano a vicenda. Sono am- bedue pratiche, e meritano di essere entrambe diffuse. E in ciò si riassume la proposta che ora mi permetto di presentarvi, I corpi scientifici, oggidì, sono tanto più benemeriti quanto più rivolgono i loro studj ad argomenti di pratica utilità. Nel positivismo moderno, si apprezza altrettanto una idea pratica di immediata utilità, quanto e forse più di una speculazione scientifica di utilità più remota. E l'Istituto veneto ha dato ben luminose prove di apprezzare questa sentenza. Laonde io mi permisi di richiamare la vostra at- tenzione sulla proposta Engrand, applaudita e privilegiata in Francia, tanto più che così venni a rendere omaggio all'Isti- tuto medesimo che avea ancor prima accolto con favore la eguale proposta del senatore Torelh. E siccome ufficio di un corpo scientifico è quello di diffondere il più possibile le buone idee, che basate sui portati scientifici possono riu- scire di utilità generale, io mi auguro che, o direttamente se le condizioni e i regolamenti dell'Istituto il consentano, o indirettamente mediante l'autorevole suo appoggio morale, si pubblichi la traduzione dellla Memoria dell'Engrand, in- sieme a quella parte della Memoria del Torelli che riguarda specialmente la questione pratica, per poterle distribuire in un opuscolo a tutte le Camere di commercio e a tutti i Giornali agrarj del regno. COMPLESSI E SISTEMI LINEARI DI RlGGl NEGLI SPIZ! SUPERIORI - CURVE NORMALI GRE ESSI GENERANO. MEMORIA DEL PROF. G. A. B 0 R D I G A I. Quando nello spazio fondamentale R^^ due sistemi reciproci sono posti in modo tale che ogni spazio 0,,^_i dell'uno passi per il punto co^, che gli corrisponde nell'altro, essi sono in involuzione e il loro insieme costituisce il si- stema focale ad n dimensioni. Ogni retta g^ non può incontrare in un solo punto lo spazio G,,_2 che le corrisponde. Infatti, se jy^ incontrasse G„_2 nel punto H^, , ogni spazio S„_, del fascio di pri- mo ordine, che è portato da G,i_<ì , dovendo avere per corrispondente un punto di ^, , avrebbe in comune con questa due punti ; e però la dovrebbe contenere intera- mente. Due soli spazi, come S^,_, , potrebbero sodisfare alla condizione di contenere la retta g^■. lo spazio (5'|G^^_,J e lo spazio corrispondente al punto lì(j . Dunque; Una retta g, o non incanirà lo spazio corrispondente, 0 vi è contenuta per intero. Si consideri ora un piano g„^ e lo spazio G„_3 corri- spondente; e si supponga che il primo tagli il secondo in una retta H^ (un piano ed uno spazio ad n — 3 dimen- sioni, nello spazio R„ non hanno, in generalo, alcun pun- Tuma IV, Scr:e VI. 22 - i64 — to comune). Ogni retta m, del piano g^ avrà per corri- spondente uno spazio M,^,,, che contiene G,^_^ ; quindi la retta m^ , per quello che fu detto antecedentcMiienle, sa- rò tutta contenuta in M,;_2 ; ^d M,^_2 , contenendo le due rette ?w, ed Hj del piano g^ conterrà tutto il piano medesimo. Dunque g^ deve essere contenuto in tutti gli gli spazi, come M^_2 , che passano per G„_3 e che sono corrispondenti alle rette del piano g^ . Se g^ non fosse per intero contenuto in G^_^ , due soli sarebbero gli spa- zi, come M/^_o , che potrebbero contenere la retta m^ corrispondente: lo spazio che proietta G,^_s da un punto qualunque di ^^ e lo spazio della stella (G^^J corrispon- dente alla retta H, . Ne segue che: il piano §3 , se taglia lo spazio corrispondente G„__^ secondo una retta, deve essere lutto contenuto in questo spazio. Supponiamo ora che (jr, abbia in comune con G,^_3 un solo punto H;, . Ogni retta m^ del piano, che passi per Hq dovrà essere contenuta, come abbiamo dimostrato più sopra, nello spazio IVI„_2 che le corrisponde. In que- sto caso adunque: il piano g, contiene un fascio di raggi del primo ordine, i quali si trovano nei loro spazi corrispondenti ; il centro del fascio è il punto comune a g^^ ed a G,^_3 . Nessuna altra retta del piano g^ incontrerà lo spazio che le corri- sponde. Infine : se il piano g, non incontra Gn_-^ , esso non può contenere alcuna retta che giaccia nello spazio che le corrisponde. Si consideri uno spazio g^ e lo spazio G^_4 corri- spondente; e si supponga che il primo tagli il secondo in un piano H» (in generale nello spazio fondamentale R^ due spazi, l'uno ad ìi — 4, l'altro a 3 dimensioni non hanno alcun punto comune). Ogni piano w» di g. taglierà Ho — 1G5 — secondo una reità 5, ; perciò lo spazio M^j_. corrispon- dente ad m^ conterrà m^ . Ne segue che: lo spazio gj sarà tutto contenuto in G,._4 . Se ^3 taglia G,^_j secondo una retta H^ , tutti i piani del fascio di primo ordine^ che ha per asse H^ e che si trova in gj , saranno contenuti nei loro spazi corri- spondenti. II ragionamento che abbiamo applicato alle rette, ai piani ed agli spazi ordinari g^ , g^ , g, , può estendersi, senza alcuna difGcoltà, ad uno spazio qualunque. Si conclude in generale: Se uno spazio g,„ incontra il suo spazio corrispon- dente G,2_,„_i secondo uno spazio H,„_, , esso vi è tutto contenuto ; se lo incontra secondo uno spazio \l„j_; , tutti gli spazi ad m — i 4- I dimensione che contengono H,„_^- sono situati nei loro spazi corrispondenti. Quìnòì anche: tutte le rette di g,,^ che incontrano H,„_; in un punto qualsivoglia sono situate nei loro spazi corri- spondenti. Se n è dispari {n=z2p -{- \) lo spazio g ha per J! — l corrispondente uno spazio di eguale dimensione; ed in que- sto caso: ogni spazio g 0 non ha alcun punto comune collo spazio G corrispondente ovvero coincide con esso. 2. Tutti i raggi ^r, che passano per un punto /?(, han- no per corrispondente gli spazi G,^_2 contenuti in P^_, il quale corrisponde a /)„ e passa per esso. Tutti i raggi adunque che passano per p^^ e che sono conlenuli in V ^_^ incontreranno gli spazi corrispondenti e quindi vi saran- no contenuti per intero. Vogliamo ora diiiìostrare che la corrispondenza reci- proci tra i (lue sistemi sovropposti nello spuizio fondamen- tale R^^ è stabilita in dtippio modo: che cioè qualsiasi puu- - -1G6 - to dello spazio, considerato come apparlenenle all'uno od all'altro dei due sistemi sovrapposti ha sempre lo stesso spazio per corrispondente. Si considerino perciò n — I raggi g^ passante per il fuoco 7>,ì di P/^_, contenuti in P,^_, , e tali che un nu- mero m di essi, presi ad arbitrio (m> l), non si trovino in uno stesso spazio ad m — I dimensione. Questi raggi, considerati come appartenenti al primo sistema, bastano a determinare lo spazio g,j__i (ossia P/^_,) del primo si- stema, al quale spazio corrisponderà, nel secondo sistema, il punto Q„ determinato dagli n - i spazi G,^_^ corri- spondenti alle rette g^ ; questi n — i spazi concorrono tutti nel punto Pq. Dunque Q^ e p.^ coincidono. Vale a dire, lo spazio P,j_,7„_i , considerato come appartenente all'uno od all'altro sistema, ha sempre per corrispondente lo slesso punto p„Q,j {') . Si può dunque concludere che: Tutte le rette che giacciono nei loro spazi corrispon- denti e die passano per un punto P^ formano una stella tutta contenuta nello spazio P„_i corrispondente a P^, . Diremo direttrici del sistema le rette che giacciono nei loro spazi corrispondenti ; e diremo complesso lineare di raggi, nello spazio fondamentale R,^, il complesso di tutte le direttrici del sistema focale. Da ciò che è stato dimostrato più sopra si deduce: Se m raggi del complesso si incontrano in un punto V^) e determinano uno spazio ad m dimensioni, tutte le rette di questo spazio die passano per P„ fanno parie del complesso. 3. Siano H, , ìì,i_ le quali deter- minano uno spazio ad n — I dimensione, si appoggiano alle coppie H/ ' H«_2 e quindi sono direttrici del sistema focale; il loi'o punto di concorso Qq è il fuoco (2) dello spazio Q/^^i che le contiene. Inversamente: dato il fuoco Qy , sì trova il suo spazio focale, proiettando da Q^ tutte le rette H/'^ ; ogni piano Q,,{H/'') taglia H/,_2 in un punto M^j'K Gli n — \ punti M,/'^ insieme al punto Q,, determineranno lo spazio Q^_i . Infatti le rette M,/'' Qo si appoggiano a due elementi coniu- gali e perciò sono rette direttrici del sistema. 5. Vn {n-{-2)-gono semplice, i cui vertici siano posti in modo tale che m tra essi quali si vogliano {m>-2) non si (rovino in uno stesso spazio ad m — 2 dimensioni, de- termina un sistema focale di cui ogni lato del poligono è un raggio direttore. Siano n^/*',ao(^^....no*')....0„("^*),D,/''^') i ver- tici del poligono e si faccia corrispondere H^/'^ allo spa- zio determinato da tutti i vertici, eccettuati Xli/*"""^ ,DJ'~^\ La corrispondenza proiettiva dei due spa/.i sovrapposti nel- lo spazio fondamentale sarà pienamente stabilita (si sa che la corrispondenza proiettiva di due sistemi ad n dimen- sioni è stabilita, quando sia data la corrispondenza degli elementi di n-\-2 coppie). Il lato n^/'^ .Qi/'^*) corrispon- derò allo spazio determinato da tutti i vertiri del poligono, eccettuati Hq^'"*^ > ■^o^'"^^ > •^-o^^'"^^ > ® quindi sarà tutto contenuto in codesto spazio. So i due sistemi s(iVrapposli così detcrminati iii>n costi- tuissero insieme un sistema focale, allora il luogo di tutti — -100 — i punti siluiiti nei loro spuzi corrispondenli sarebbe una quiicirica ;ul n — 1 dimensione (^). Questa quadiici con- terrebbe gli spazi ad n — 2 dimensioni che corrispondono ai lati del poligono dato. Essa avrebbe dunque iu comune, ad es., collo spazio due spazi ad n — 2 dimensioni : sL ^ = {n,('^n^'^ n,(") .Q„(«^M) ; (15) edi pili ilpuntointersezionedi Xn^i con il lato flo^'^Ho^*'. Ciò che è assurdo. I sistemi reciproci sovrapposti, determinati dall' (w+2)- gono nel modo che abbiamo detto, costituiscono dunque un sistema focale. 6. Tutte le rette, i cui spazi coningtiti sono all'infinito saranno dette diamelri del sislerna focale; e saranno detti spazi diametrali quegli spazi ad ^n — I , ti — 2 , w — 3 dimensioni i cui fuochi, rette, piani coniugati sono all'in- finito. Tutti i diametri e spazi diametrali passano perii fuo- co dello spazio all'infinito Rx dello spazio fondamenta- n—ì le. Quindi risulta : / diametri del sistema focale sono paralleli tra loro e paralleli agii spazi diametrali. Tutte le direttrici del sistema focale situate in uno spa- zio R„_^ sono parallele perchè passano per il fuoco dello spazio Rx , che è all'infinito. La stella di raggi paralleli che n—ì (1) Vedi mia nota sulla Corrispondenza di polarità negli spazi superiori. Atti dal R.. Istituto veneto, voi. Ili, sev. VI, i). 2097. — 170 — esse costituiscono non cangia quando la si sposta nella di- rezione del diametro. Cioè : // complesso lineare ed il sistema focale che vi si rife- risce non cangiano quando vengono spostati secondo la direzione dei diametri paralleli. Si consideri uno spazio Q„_, parallelo ad una coppia H,H,j_2 . Esso taglierà i due elementi della coppia, rispet- tivamente, in un punto M,, ed in uno spazio N^^_3 , che sono posti air inlìnito; M,, ed N,j_3 determinano lo spa- zio 2„_5 che passa per Q,, , cioè per il fuoco di Qn_i (3); lo spazio 2,j_5 essendo all' infinito, sarà pure all' in- finito Q,) , cioè Q,,j_i sarà uno spazio diametrale. Vale a dire: Ogni spazio parallelo ad una retta e allo spazio che le è coniugato è uno spazio diametrale del sistema focale. I fuochi di tutti ;^li spazi ad n — I dimensione paralleli tra loro sono situali su di un diametro il cui spazio coniu- gato è lo spazio all'infinito secondo il quale s'intersecano tutti quegli spazi paralleli. II diametro A, che contiene i fuochi di tutti gli spazi ad n — I dimensione perpendicolari ai diametri (^) può (1) Una retta Gj dicesi perpendicolare ad uno spazio Rn— i in un punto ilo di questo quando è pei'pendicolare a tutti gli spazi che passano per il,) e che sono contenuti in Rn— i • (1) Quando una retta Gì è perpendicolare a due spazi Q Q _„ che passano per ilo e che sono contenuti in Rn—i , essa è perpendicolare a tutti gli altri spazi che passano per il,) e che sono contenuti in Rh_i e quindi è perpendicolare ad Rji_i . Questo teorema è dimostrato per nzz:3 . Supponiamo n — A : e sia Gj perpendicolare a due piani O^^ Q ' , contenuti in uno spazio R3 che passi per il piede il,); essa sarà perpendicolare a due rette arbitrarie condotte per ilo « giacenti rispettivamente noi due piani suddetti ; quindi sarà anche perpendicolare al piano - 171 - dirsi Yasse principila del sistema focale e del complesso li- neare corrispondente. Questo asse è normale a tutte le di- rettrici che lo incontrano. Ogni spazio ordinario che passi per l'asse A, e per una retta arbitraria G, taglia lo spazio G,^_^ coniugato a questa secondo una retta, la quale è con A, e con G^ sovra uno stesso paraboloide equilatero. 7. Una stella, il cui centro ,Q , è situato sull'asse A, , ha per coniugato nel sistema focale un sistema A,j_j che è normale all'asse principale in .Q,, • Ad ogni spazio G,,^^ contenuto in A,j_, e tangente ad una sfera S'^„_2 di cen- tro Ho , corrisponderà una retta G^ della stella Oq . Siccome per ogni spazio M,j_^ di A,^_i non si possono condurre che due spazi G^^_^ tangenti alla sfera, così in ogni piano M^ (corrispondente ad M,^_^) delia stella D.q non si troveranno che due rette G^ . Dunque alla sfera S*/2_2 corrisponde un cono C'^„_c^ . Rispetto alla sfera S^^^_2 il punto D.q è il polo dello spazio Ax all'infinito di A^_i ; quindi, reciprocamente, 71—2 lo spazio A„_^ (corrispondente ad Ilo) ^ '^ spazio pò- (31 Ql, che queste due rette determinano nello spazio R3 ; la retta G, è dunque perpendicolare a qualsivoglia piano condotto per fì(, e CDiiienulo in Rj e quindi è perpendicolare, secondo la defini- zione, ad R3 . Così, in generale , si conducano per i^o due spazi arbitrari S ' ,S „ rispettivamente contenuti in Q „ , Q _„ ; essi sa- ranno, per definizione, perpendicolari a G| e qnindi sarà perpen- dicolare a Gj anche lo spazio K,i -2 determinato da essi . Per- ciò G( è perpendicolare a tutti gli spazi Kn-2 che passano per il suo piede e che giacciono in Rn—l • La dimostrazione è gene- nerale perchè è verificata pei casi particolari di yjir:3,nrz4. Tomo IV, Serie VI. 53 — 17-2 — lare iK'liasso principale A, /corrispondente nd Ax \ ri- V n-2/ spetto al cono C'^„_o . Si consideri ora in A„_, una retta B^ passante per Xlo ed uno spazio F„_5 passante per lo stesso punto e perpendicolare a B^ . Si sa (I) che nella stella iì^^ lo spazio B„_„ coniugalo a B, conterrà B^ ed il raggio F, sarò contenuto in F„_5 . [ due elementi Bj ed F^_, sono coniugati rispetto alla sfera S^,j_2 , perciò reciproca- mente, B„_5 ed F^ saranno coniugali rispetto al cono C''„_2 . Lo s[iuzi() A^_, è dunque uno spazio di simmetria del cono C\j_<2 ed ogni raggio condotto per Xl^ e situato in A,^_, è un asse principale del cono. Si conclude: Ad ogni sfera ad n — 2 dimensioni che ha il centro sull'asse principale A^ e che è contenuta in imo spazio normale all'asse, corrisponde nn cono di rivoluzione, di cui A^ è l'asse di rivoluzione. Se dunque si fa ruotare intorno all'asse principale un punto ed il suo spazio focale, il punto descrive una sfera e lo spazio focale inviluppa il cono che corrisponde alla sfera. Cioè: Una rotazione intorno all' asse principale non mula il sistema focale ed il complesso lineare di raggi. Come pure non muta il sistema se lo si fa ruotare in- torno all'asse imprimendogli , nello spazio fondamentale, nn movimento parallelo all' asse. 8. Consideriamo ora nello spazio fondamentale W.,^ due sistemi focali. Per ogni punto P^ di R^ passeranno due spazi focaii P«_tP _t i quali si incontreranno in uno spa- zio Q„_i ; tutti i raggi che passano per P^, e contenuti in Q/._2 saranno direttrici comuni ai due sistemi focali. — 17 J ~ Dunque: due complessi lineari di raggi, in uno spa- zio fondamentale R^^ hanno in comune un sistema ^[, di raggi tale che per un punto qualunque dello spazio non passa, in generale, che una stella ad n — i dimensione di questi raggi. Sia Qn-'i ""3 siella di 4, , Q,^, il suo centro e S^_, uno spazio che contenga Q^_2 . Ad ogni punto S^ di X,j_i si faccia corrispondere lo spazio ad » — I dimen- sione che da Xl^ proietta la stella del sistema la quale ha il centro in S^ . Ai punti di una retta qualsivoglia cif di S,^_( corrisponderanno gli spazi ad n — 1 dimensione che passano per Hy e prospettivi alla retta ct^ ; questa e lo spazio Q„_^ , essendo ambedue contenuti in S,^_, , han- no un punto comune B^ ; I1^)B^J ò un raggio della stella Qn-'i • A.' punto Bo di S,^_i corrisponderà dunque nella stella \ì(^ uno spazio che contiene il raggio ì1,)Bq . Ogni spazio ordinario 2, che contenga il piano D.^^{tx^) taglia tutti gli spazi ad n — I dimensione della stella fì^ in al- trettanti piani che proiettano il sistema rigato secondo il quale 2:3 taglia le stelle Sj'^S(/^^S,/^\...Bo che hanno i centri su ^j ; è una retta di questo sistema rigato anche B^, . Il sistema di piani contenuto in Sj è dunque un n -0^0 fascio di primo ordine. Tutti gli assi di questi fasci di piani ottenuti coir intersezione di uno spazio ordinario qualsiasi che passi per il piano D.o(ai) formano una stella proietti- va alla stella dei raggi di 4, le quali hanno il centro su «j ; e perciò tutti quegli assi di fasci di piani formano una stella ad n — 2 dimensioni. Siccome tutti questi assi sono conte- nuli in ognuno degli spazi ad n - ì dimensione che da jQ„ proiettano le stelle S^}^^SJ'^^S^''\...B^) , cosi è chiaro che tutti questi spazi liauno in comune la stella di quegli assi, e cioè formano un fascio del primo ordine. Concludiaujo uduiique che io spazio 2._( e la stella n^J sono in tale corrisspondenza tra loro che ad ogni pun- — 174 — to dell' uno corrisponJe uno spazio ad n — I dimensione dell'altra, ad ogni retta punteggiata, un fascio di primo or- dine di spazi ad n-i dimensione; che, cioè, 2„_i eia stella lÌq sono posti in corrispondenza reciproca dal si- stema 4' • 9. Si tagli il sistema -^ con altri n — 3 sistemi fo- cali ; avremo dunque in R^ n — 1 sistemi focali ; per ogni punto dello spazio passerà una retta direttrice comune a tutti i sistemi focaii; è la retta secondo la quale si inter- secano gli 11 — I spazi focali di quel punto. Cioè: Q — I complessi lineari situali in nno spazio R^^ han- no in comune nn sistema 4> di raggi di primo ordine. Gli n — 3 sistemi focali introdotti tagliano, come ab- biamo veduto, ogni stella di -^ , cbe abbiaci vertice in un punto S^, di 2„_, , secondo un raggio i\ di e de- terminano, sullo spazio che da jQ,, proietta la stella Sq , un piano fji^ passante per Hq ; si potrà considerare il raggio r^ come corrispondente a fx^ . La stella D.^ , che ha il centro su di un raggio di $ è prospettiva al si- stema di raggi di $ ; 2„_i è uno spazio arbitrario che contiene una stella Q,j_o del sistema 4-; esso potrà es- sere posto in corrispondenza collineare con qualsivoglia (1) altro spazio S«_i che passi por quella stella mediante il sistema dei raggi di $. Infatti ad ogni punto K^ di 2„_t corrisponderà il punto K,/^^ dove il raggio r, del sistema (0 di t^ condotto per Kq in contra E,;_i ; lo spazio della stella Q„_2 corrisponderà a sé stesso. Si conclude: Il sistema di raggi di primo ordine è tagliato da due spazi ad n -I dimcnsinnr condotti per vnn stella Q,._o secondo due sistemi collineari; le rette che congiungono - 175 ~ le coppie di punti corrispondenti sono i raggi del sistema ; la stella Q„_o, è nn elemento corrispondente comune. Se si proietta il sistema <^ da un altro centro O^/'^ (<> preso su di un altra stella Q del sistema, si avià un'al- n-i tra stella n^^*^ prospettiva a <ì? ', le due stelle di piani che hanno il centro in D,, ed Xl(/^' saranno poste in cor- rispondenza collineare dai ragj^idi 4^ , Quindi: Due stelle collineari Xl^^ ed Hq^'^ ' che non sono pro- spettive uè concentriche generano^ nello spazio fondamen- tale Il,j , un sistema di raggi che fanno parte di un siste- ma di primo ordine. Le coppie di piani corrispondenti delle stelle che si trovano in un solo spazio a tre dimensioni, de- terminano i raggi del nuovo sistema. 10. Premesso questo teorema fondamentale sul sistema di raggi di primo ordine nello spazio R„ esamineremo ora i casi particclari che si possono avere quando si faccia n-A ,5,0 Vedremo cioè, per ognuno dei valori di », come si modifica il sistema dei raggi generalo dalle stelle collineari quando queste aiìbiano qualche elemento comune. Diremo classe del sistema contenuto in R„ il numero di raggi contenuti, in genei-ale, da uno spazio qualunque ad n—\ dimensione. Ricordiamo frattanto che per n = 3 si ha il noto ìeo- rema (^). Due stelle collineari S , S* che non sono prospettive né concentriche generano un sistema di raggi di primo or- dine, e di più una linea C^ del 3.° ordine che passa per tutti i punii d' intersezione dei raggi omologhi delle stelle. Questa linea C" contiene tutti i punti singolari del sistema di raggi e ogni raggio di questo sistema è urna corda, od (I) RiiYE. Grometrie der Lage. II Abtheilung. Leipzig, 1880. l — 170 — una tangente^ di C^ . // sistema di raggi è della terza^ del- la seconda o della prima classe, secondo che la linea C^ è ima curva sghemba del 3° ordine, o che essa si scompone in una conica ed una retta, e che si riduce alla retta SS* e a due altre rette che incontrano la prima. La linea C passa per i centri S , S* ed è proiettata da essi secondo coni quadrici che, nel secondo e nel terzo caso, possono anche scomporsi in coppie di piani. Il . 71 — 4 . Supponiamo che lo spazio fondamentale sia del quarto ordine; siano lÌq ed n^^*' ' centri delle due stelle colli- neari. Distingueremo quattro casi : l.° le stelle hanno uno spazio a tre dimensioni come elemento corrispondente comune, 2.° un piano, 3.° una reUiì, 4." le stelle non hanno alcun elemento comune. ^ ." Caso. Le stelle hanno come elemento corrispondente comune lo spazio Sj . Ogni spazio Qj che passa per^ Dq taglia 2j secon- do un piano ct„^ ; corrispondentemente, Qj^*^ taglia Ss secondo a^^*^ ; e nello spazio 2^ si hanno due stelle col- lineari proiettive senza alcun elemento comune; ot^ taglia cCj^*^ secondo una corda a^ di una cubica sghemba C^ luogo dei punti comuni ai raggi corrispondenti, situati in Ss , delle due stelle ^l.^^ , fi,/*) ; C^ passa per £1^ ed Uy^*) . Agli spazi ordinari del fascio di primo ordine, nella siella Hq , che ha per base il piano D.^^{a^) , corrispon- dono gli spazi ordinari del fascio che, nella stella Cl^y\ ha per base il piano £ìJ'^\a^) ; questi due fasci hanno come elemento comune lo spazio che contiene C^ ; gli ele- menti corrispondenti dei due fasci si tagliano perciò in piani di uno spazio K^ che passa per la corda a^ . Tre — 177 — spazi come K3 si inconlrauo in una retta m, i cui punti debbono essere punti d'intersezione di raggi omologhi di D-Q ed rJo^*^ 5 ''^ ''^^^3 ''h incontra quindi lo spazio che contiene C^ in un punti di questa cubica. Ne segue che quei piani omologhi, i quali si incontrano in una retta del sistema, hanno un punto comune su C^ ed uno su «f, ; cioè appartengono al sistema tutte le rette che si appoggia- no a C^ ed ll^ . Se si prendono su C^ due altri punti fiQ e fAj'^^ questi si potranno considerare come centri di due nuove stelle collineari tra loro, le quali proiettano lo stesso siste- ma di raggi generato dalle stelle Ho ed r>(/''. Sono spazi corrispondenti di queste due nuove stelle quegli spazi che proiettano una terna di punti, di cui due sono arbitiaria- mente presi su C^ ed uno su n^ , lo spazio che da fjQ e ^.Q^'^ proietta due punti qualunque di C^ ed il punto comune a C^ ed u^ è lo spazio che contiene C^ ed è corrispondente comune alle due stelle ^^ , jU(^^^^ . Ogni spazio ordinario che non contenga C^ taglia, ad es., la retta w^ in un punlo A^ e la cubica in tre punti, al più, B() , C„ , Dq ; esso contiene dunque i tre raggi A"(Bo , Co , Do) de! sistema. Dopo tutto ciò concludiamo: ideilo spazio fondamentale R.^ due stelle collineari, non concentriche e non prospettive, che hanno uno spazio ordi- nario come elemento corrispondente comune, generano un sistema lineare delia terza classe. I punti singolari di questo sistema sono situali su di una cubica sghemba e su di una retta che non sono nello stesso spazio e che si ta- gliano in un punto ; la cubica passa per i centri delle stelle. Il sistema di raggi si compone di tutti i raggi che si appog- giano alla retta /issa ed alla cubica. La retta fissa e la cu- bica diconsi le direttrici del sistema. Il sistema è proiettato — 178 — da due punti qunlunqtie della cubica secondo due stelle col- lineari. -12. 2." Caso. Le stelle collineari II,, ed Hy^'^ hanno un piano 2^ come elemento corrispondente comune. Ogni spazio Qj che passi per lì,, taglia 2^ secon- do una retta a^ e, corrispoudentoiienle, Q^^'^ taglia S, secondo a/^^ ; nel piano So le coppie {a^ a^^*^) deter- minano due fasci proiettivi di primo ordine senza alcun elemento comune; esse generano una conica G^ che passa per II" ed 11,/''. Al fascio di spazi di primo ordine, che ha per base al piano So , considerato come apparte- nente alla stella il^^ corrisponde nell'allra stella un fascio di spazi che ha la stessa base 2^ ; i due fasci hanno al più due elementi comuni Ì]^''^^\]MK In ognuno di essi si de- terminano due stelle a tre dimensioni collineari che hanno un piano comune; quindi in ognuno di essi si detei'mina una linea del 3." ordine, la quale si scompone nella conica C^ e in una retta u^ che passa per un punto della conica. I punti singolari del sistema sono perciò situati sulla conica C^ e su due rette m/*)m/"\ le quali incontrano la conica in punti diversi e determinano col piano di essa due spazi ordinari diversi. Sono spazi corrispondenti nelle due stelle XIq ed IIq^'* quelli che proiettano un triangolo, ogni vertice del quale sia arbitrariamente preso su una delle tre direttrici del siste- ma : la conica C* e le due rette u^''^^u^^'^^ . Ogni spazio ordinario, che non contenga alcuna delle direttrici, taglia, ad es., la conica C^ in due punti A,, , B^ e le rette m/*^Wi**^ in due altri punti P,),Q„. Le rette (Po Qo) , (Po A„) , (Po Bo) , (Qo Ao) , (Qo Bo) sono raggi del sistema. Cioè : — 479 — Nello spazio fondamentale R^ due stelle collineari^ non concentriche e non prospettive, che hanno un piano come elemento corrispondente comune, generano un sistema di raggi della quinta classe. / punti singolari di questo siste- ma sono situali su di una conica e su due rette che si appoggiano a due qualunque delle tre direttrici. Il sistema è proiettato da due punti qualunque della conica secondo due stelle collineari che hanno il piano della conica come elemento corrispondente comune. Le direttrici rettilinee possono essere tutte e due reali e distinte o coincidenti od immaginarie. I 3. 3.° Caso. Le stelle collineari ìIq ed O.^^"^ hanno una retta S, come elemento corrispondente comune. Allora ogni piano Q^ , che passi per 2, e sia consi- derato come appartenente alla prima stella, avrà per corri- spondente un piano Q^^*) della seconda stella passante pu- re per 2, . Qnalsivoglia spazio osdinario R3 che non contenga S^ taglierà i sistemi di piani Q^ e Qj^'^ secon- do due stelle collineari concentriche non prospettive, le quali hanno, in generale, come elementi corrispondenti comuni, gli spigoli a/'\ «1^*^ «1^^^ , e le faccie di un triedro. Questi tre spigoli determinano i piani (Ho i^o^*^) («/^^ , a^^*^ «^^') che saranno elementi corrispondenti comuni alle due stelle Pì^ ed .0.,/'' . Su ognuno di questi piani gli spazi corri- spondenti delle stelle determinano due fasci di raggi di pri- mo ordine che hanno per raggio corrispondente comune la retta floilo^'^5 determinano cioè una retta u^, in ogni punto della quale si intersecano i raggi corrispondenti. Adunque lutti i punti singolari del sistema sono situati 8U quattro direttrici rettilinee, cioè sul raggio 11„ £l^^'> comune alle due stelle e su tre rette (ìsse «/'' , u/'^^ , w/^* che incontrano quel raggio. Gli spazicorrispondenti si taglieranno secondo un trian- Tumo iV, Serie VI. 24 — 180 — go!o, oi^ni vertioe del quale sia arbitrariamenle situato su una delle tre direttrici Wj , Ogni spazio ordinario, che non contenga alcuna delle direttrici, taglia, ad es., il raggio >Q„Ilo^** nel punto A^ e le tre direttrici «/*^«^''^ i') rispettivamente nei punti Bo(*),B„^^),B'^(^). [.erette (Bo(*)Bo(^)),(B,(^)B„(^)),(Bo^^)Bo(*') sono raggi del sistema. Concludia(U() dunque anche per questo 3." caso: Due stelle colUneari in Rj , non concentriche e non prospettive, che hanno un raggio come elemento corrispon- dente comune, generano un sistema di raggi della terza classe. / punti singolari di questo sistema sono situati in quattro direttrici rettilinee, cioè : sul raggio comune alle due stelle e su tre rette che incontrano questi raggi. I raggi del sistema sono tutti quelli che si appoggiano alle coppie di direttrici non contenute nello slesso piano. Il sistema é proiettato da due punti qualunque della direttrice che taglia le altre tre secondo due stelle collineari. \4. 4.° Caso. Le stelle non hanno alcun elemento corri- spondente comune. Ogni spazio ordinario Qj taglierà le due stelle in due sistemi collineari sovrapposti; saranno punti corrispondenti di questi due sistemi i punti d'intersezione con Qj dei raggi corrispondenti delle stelle il^ ed '^(/'*. I due si- stemi collineari contenuti in Q3 non hanno in generale che i vertici, gli spigoli e le facce di un tetraedro come elementi corrispondenti comuni. Vale a dire, che in uno spazio ordinario Q^ non vi possono essere più di 4 punti singolari del sistema generato dalle due stelle il^^ ed Questa proprietà si può anche dimostrare nel modo che segue. Si considerino due punii singolari S,/*\ S,/^^ del sistema su di un raggio a, e sieno ct^ ed a^^^^ i piani — 181 — corrispondenti che proiettano questo raggio dai centri D.^ ed n,/*\ I due fasci di primo ordine, corrispondenti, for- mati dagli spazi che hanno per base a^ ed ct^^^'> generano un cono quadrico Cj^ che ha per asse a^ . Su ognuno dei piani generatori dei cono le stelle collineari fl^ ^d Ii(/') determinano due sistemi piani collineari, i quali non po- tranno avere, in generale, oltre Sq^*^ ed Sj^'^\ che un solo punto corrispondente comune. Siccome uno spazio qualun- que Qj che passi per l'asse del cono S^'^S^^^' non può contenere più di due piani generatori del cono medesimo, così in Q3 non possono trovarsi, oltre S^^'^ ed S^/^\ che due punti, S^^''' ed S^/^\ secondo i quali si intersechino i raggi corrispondenti delle stelle ìIq ed Xl,/'^. Dunque: // sistema di raggi generalo da due stelle collineari non concentriche e non prospettive, che non hanno alcun ele- mento corrispondente comune, è un sistema di raggi della sesta classe- / punti singolari di questo sistema sono si- tuali su di una curva normale (*) del 4." ordine C"* che passa per i centri delle stelle. Tutte le corde di questa curva sono i raggi del sistema, il quale è proiettalo da due altri punti della curva secondo due stelle collineari che non hanno alcun elemento corrispondente comune. La curva G* è proiettala da ogni sua corda secondo un cono quadrico Cj* che ha per vertice quella corda. 15. I teoremi enunciati per i casi particolari delle stelle collineari nello spazio fondamentale a quattro dimensioni possono riassumersi nel seguente: Due stelle collineari, in R^ , che non sono prospettive né concentriche, generano un sistema speciale di raggi che (1) Adottiamo la denominazione data dal prof. Vctunese. Prin- cip dcs Projicirens und tichneidens « Matli. Ann. » Bd. XIX. — 182 — fanno parte di un sistema generale dì primo ordine e di più una linea C* del quarto ordine, che passa per tutti i punti di intersezione dei raggi omologhi delle stelle. Que- sta linea contiene tutti i punti singolari del sistema spe- ciale, ed ogni raggio di questo sistema è una corda od una tangente di C^ . // sistema di raggi è della sesta, della terza, della quinta, o ancora della terza classe, secondo che la linea C^ è ordinatamente, una curva normale del 4." ordine, o che essa si scompone in una retta ed in una cu- bica gobba, o in due rette e in una conica, o che si ri- duce alla retta dei centri delle stelle e a tre altre rette che incontrano la prima. La linea C^ passa per i centri delle stelle. I piani, che contengono più di tre punti singolari del sistema, sono piani singolari del sistema. Il sistema di rag- gi quando è della sesta classe non contiene piani né spazi singolari. La linea C* è proiettata da una sua corda se- condo un cono quadrico a tre dimensioni, il quale, quando C* non è una curva normale, si risolve in due spazi or- dinari. Consideriamo ora due stelle collineari £1^ ed D.^}*'> situate nello spazio fondamentale a cinque dimensioni. Avre- mo a studiare cinque casi particolari secondo che le stelle collineari avranno come elemento corrispondente comune: \.° uno spazio ^4, 2." uno spazio Ss , 3." un piano 2^ , 4.° una retta Sj , 5." o non avranno alcun elemento corrispondente co- mune. 1." Caso. Le stelle hanno uno spazio ^4 come elemento corrispondente comune. Ogni spazio Q^ che passi per D^) taglia S5 secondo uno spazio ci^ e, corrispondentemente Q^'*) taglia Si — 183 — secondo ct^"^; onde nello spazio 2^ si avranno due stel- le a quattro dimensioni collineari e senza elementi comuni ; esse generano una curva normale C* luogo di tutti i punti singolari del sistema contenuti in 24. Gli altri punti singo- lari del sistema saranno situali su di una retta u^ che in- contra in un punto C* e che giace fuori dello spazio 24. La dimostrazione è analoga a quella che ahbiamo dato (II) per il caso di n = 4. La retta u^ sarù determinata da quat- tro spazi K4 che tagliano Sj in quattro piani singolari arbitrari di C^. 1 raggi del sistema saranno le rette che si appoggiano alle due diiettrici C* ed u^ . 11 sistema sarà proiettato da due punti qualunque di C* secondo due stelle collineari proiettive che hanno lo spazio 2^ come elemento corri- spondente comune. Gli spazi corrispondenti Q4 Q^^'^ delle due stelle proietteranno la raedesiiua terna di punti di C* e uno stesso punto di ^l^ . Ogni spazio arbitrario R4 conterrà i quattro raggi che dal punto d'intersezione con w, proiettano i quattio punti d'intersezione con C*. Il sistema sarà dunque della quarta classe. 47. 2." Caso. Le stelle hanno tino spazio 23 come ele- mento corrispondente comune. Ogni spazio Q4 che passi per Hq taglia 2^ secondo un piano a^ e, corrispondentemente, Q^^*' taglia 2^ se- condo a^^^^; e nello spazio 23 si avranno due stelle pro- iettive collineari, senza elementi comuni. Esse generano una cubica sghemba C^ che passa per i centri £1^ ed Hq^*^ . I due fasci di primo ordine formati dagli spazi a quattro dimensioni che hanno per base comune 23, hanno, a! più, due elementi comuni Ui'^^ U4^^' . In ognuno di que- sti si determineranno due stelle proiettive collineari a quat- tro dimensioni, ohe hanno lo spazio 23 come elemento cor- — -J84 — rispondente comune; ognuno di essi quindi determina una linea del quarto ordine, la quale si risolve nella cubica C^ ed in una retta «^ . Tutti i punti singolari del sistema saranno perciò situati su C^ e sulle due rette w/*^ «i^*^; queste due rette incon- trano la cubica in punti diversi e determinano collo spazio di essa due diversi spazi a quattro dimensioni. I raggi del sistema saranno le rette che si appoggiauo alle due direttrici rettilinee o ad una di queste ed alla cubica. II sistema è proiettato da due punti qualunque di C^ secondo due stelle collineari proiettive che hanno come ele- mento corrispondente comune lo spazio della cubica; gli spazi corrispondenti delle due stelle proietteranno una stes- sa corda della cubica ed uno stesso punto su ognuna delle due direttrici rettilinee. Il sistema è della settima classe. \ 8. 3." Caso. Le stelle hanno un piano 2^ come elemento corrispondente connine. Ogni spazio Q j della stella £Iq , che non contenga Ss, tagliere Ss in una retta a^ e, corrispondentemente, Q^^^^ taglierà S^ in cl^^*K Le coppie di raggi ot^ aj^*^ nel piano Ss determinano una conica C^ che passa per i cen- tri delle stelle e che è luogo dei punti singolari del sistema contenuti in questo piano. Ogni spazio yn della stella II,,, che contenga So, ha per corrispondente nell'altra stella uno spazio ^4^'^ che contiene pure Ss- Se si taglia il sistema degli spazi y^ e quello corrispondente degli spazi y^^^'' con uno spazio ordinario R^ che abbia un solo punto comune colla co- nica C^ (in R5 uno spazio R3 taglia uno spazio R4 se- condo un piano ed un piano secondo un punto) si avran- no in R3 due slolle collineari concentriche. Queste, non — 185 — essendo prospettive, hanno, in generale, per elementi corri- spondenti calunni, ie facce e gli spigoli di un triedro. Questi spigoli determinano coi piano 2^ tre spazi U^^'^ U/'^ Uj^^' che sono elementi corrispondenti comuni nelle due stelle il,, ed Hq^''. In ognuno di questi spazi le stelle D.Q ed Xl^^'^ determineranno una lìnea del 3.° or- dine, la quale si risolve nella conica C^ ed in una retta u^ che passa per un punto di C^ ed è situata fuori del piano di questa. Tutti i punti singolari del sistema di raggi generati dal- le due stelle Xl,, ed Xlo^*^ saranno, per quello che fu di- mostrato, situati sulla conica C e sulle tre rette m/'^ w/*> m/^V I raggi del sistema saranno dati da tutte le rette che si appoggiano ad una coppia delle tre direttrici rettilinee o ad una di esse ed alla conica. Il sistema sarii proiet- tato secondo due stelle collineari da due punti qualunque della conica e sarà della nona classe. IO. 4.° Caso. Le stelle hanno una retta 2, come ele- mento corrispondente comune. Uno spazio arbitrario Q.,, che non passi per i centri delle due stelle Hq ed H,/^*, taglia queste secondo due stelle collineari a quattro dimensioni, concentriche e non prospettive; il centro comune sarà il punto d'intersezione dello spazio Q/, col raggio S^. Le due stelle cosi formale nello spazio Q4 non possono avei-e, in generale ('), che quattro rnggi uniti P/^> P/^) P^^-^^ P,^^) . Questi raggi de- terminano nelle due stelle 11„ ed Q,/'* quattro piani (i pia- ni 2^ P^ ) che sono corrispondenti comuni, e in ognuno di questi i punti singolari del sistema si distribuiscono sulla retta Si e su un'altra retta m, . Le quattro rette t*, e la S, sono le cinque direttrici del sistema di raggi deter- minato dalle due stelle Do ed Do^'^ (i) Per dimostrare che due stelle collineari concentriche, non — 180 — I raggi del sistema saranno dati da tutte le rette che si appoggiano ad una coppia qualunque delle quattro direttrici u^ . Il sistema sarà proiettato secondo due stelle collineari, con un raggio comune, da due punti qualunque della retta 2, . Esso è della sesta classe. 20. 5.° Caso. Le stelle non hanno alcun elemento co- mune. Si considerino tre punti singolari S^^'^ sj^^^ sj^'^ del sistema e sia a,^ il loro piano. Al fascio di primo ordine, nella stella Ilo, formato dagli spazi a quattro dimensioni che hanno per base comune lo spazio fio i'^'i)-, corrispon- de il fascio nella stella Hq^*^ > che ha per base lo spazio •^0^*^ (^2)- Questi due fasci generano un cono quadrico a quattro dimensioni C^"-. Su ognuno degli spazi generatori del cono, cioè su ognuno degli spazi ordinari nei quali si intersecano le coppie corrispondenti dei due fasci di primo ordine, le stelle collineari Xl^ ^d H.,/*) determina- no due sistemi collineari sovrapposti, i quali non potranno avere in generale, oltre S^y\ S„^^\ S^'^^ che un solo punto corrispondente comune. Siccome uno spazio qua- lunque Q4 che passi per la base ct^ del cono non può contenere più di due spazi generatori del cono, cosi in Q4 non vi possono essere, olire Sj*\ S^/''>, Sq^'^^ che due punti, Sq^*) S(,^''\ secondo i quali si intersechino i raggi prospettive, hanno in generale (nello spazio fondamentale R4) solo quattro raggi uniti, si considerino in R4 duo stelle So S'q non concentriche e non prospettive. Sappiamo che in uno spazio qua- lunque Xj non si trovano che quattro punti singolari nei quali si intersecano due raggi corrispondenti. Così anche in r^ non avre- 3 mo che quattro punti singolari. La stella parallela ad S'o e con- centrica e proiettiva ad Sq non avrà dunque con So altri raggi uniti che quelli che proiettano i quattro punti singolari suddetti di ^^ • 3 — 187 - corrispondenti delle stelle Ho ed I^i/'^ Vale a dire, che i punti singolari del sistema di raggi generato dalle due stelle costituiscono un luogo punteggiato che non può es- sere incontrato da uno spazio a quattro dimensioni in più di cinque punti, costituiscono cioè una curva normale del quinto ordine C'\ Ogni corda di questa curva sarà un raggio del sistema ; il sistema sarà proiettato da due punti qualunque di C^ secondo due stelle collineari ; esso è della decima classe. 21. Il metodo che abbiamo tenuto per dedurre le pro- prietà dei sistemi di raggi di primo ordine negli spazi a quattro ed a cinque dimensioni, si estende, senza alcuna difficoltà, a tutti i casi particolari di n=:6,7 , . . . . Ci ri- serbiamo di studiare in un prossimo lavoro la costruzione e le proprietà di queste curve normali. Possiamo intanto stabilire sui sistemi di raggi di primo ordine negli spazi superiori il seguente Teorema generale: Due stelle collineari D.q ed IIo^'^ nello spazio fon- damentale R,j , che non sono prospettive né concentriche, generano un sistema speciale di raggi che fanno parte di nn sistema generale del primo ordine ed una linea C" rf^/- l' u^''"^*^ ordine, che passa per tutti i punii d'intersezione dei raggi omologhi delle stelle. Questa linea C" contiene tutti i punti singolari del si- stema speciale di raggi, ed ogni raggio di questo sistema è una corda od una tangente di G". n(n — 1) // sistema di raggi è della classe — , ovvero (n— l)(n— ^) Qy^gyQ !(„ — jx _|_ !i!nJ , secondo che Tomo IV, Serie VI. 2^ — 188 — la linea C" è min curva normale detl'n"^^^ ordine o che essa si scompone in un sistema di n rette (la retta Dq D.Q^^^ ed altre n-l rette che si appoggiano a questa) o che essa si risolve in una curva normale C""'' ed in i rette che si appoggiano a questa senza essere contenute nel suo spazio. Le curve normali C" , C''"* passano per i centri delle stelle £Ìq n,/''. Ed il sistema di raggi è proiettalo da due punti qualunque presi nella curva normale del sistema (o sulla retta XIq ^^^^^ quando tutte le direttrici del siste- ma sono rettilinee) secondo due stelle proiettive che hanno come elemento corrispondente comune lo spazio che contie- ne la curva normale (o la retta n^ i^o^'M- Ogni curva normale C" è proiettata dallo spazio ad 11-3 dimensioni determinato da n-2 suoi punti secondo un cono quadrico ad n-l dimensione. Per un punto dello spazio fondamentale^ situato fuori della curva normale^ o non passa alcun raggio o ne passa uno solo. Il teorema precedente dà luogo al Due sistemi collineari S^_, '^\,_i , situati in R„ , non sovrapposti e senza alcun elemento corrispondente co- mune, generano ìtn sistema di raggi dell' ^e*''»<^ ordine, e di più un fascio normale y" dell' ne^ìn^o ordine^ di spazi ad n — I dimensione. Ciascun raggio del sistema congiunge due punti omologhi di 2„_, e S^_,ji . // fascio y" può scomporsi in spazi d'ordine minore se gli spazi S^_^2^^_i hanno elementi corrispondenti comuni. Su ogni spazio del fascio si determinano punii, rette, piani, spazi di contatto. I punti di contatto sono distribuiti su una curva normale — 189 - dell' n'"'^'"^'' ordine. Vale a dire una curva normale è dello stesso ordine e classe ; cioè ogni spazio Q„_( la incontra in n (junti e per ogni punto di R^^ non le si possono con- durre che n spazi tangenti ad n — i dimensione. Le curve normali C^ ed i fasci normali y"' possono accogliersi sotto /' unica denominazione di forme elementa- ri dell'n"^"'" ordine. Mira, 1." ottobre 1885. OSSERVAZIONI ASTRONOMICHE DELLE COMETE FABRY E BSARI^'Aiì fatte a padova, coll'equatoriale dembowski, nel dicembre 1885, subito dopo la loro scoperta, DAL D/ ANTONIO ABETTI Astronomo Aggiunto Nelle sere ì e 3 di questo mese, vale a dire, nel brevis- simo intervallo di due giorni, venivano scoperte due nuove comete telescopiche ; la prima da Fabry a Parigi, press' a poco nelle vicinanze della stella di 4.^ gr. ^ d'Andromeda; la seconda da Barnard in Nashville negli Stati uniti, press'a poco nelle vicinanze dell' altra stella di 4.* gr. y del Toro. Giunta qui telegraficamente (nei giorni 2 e 5) la notizia del- la loro scoperta, lo stato del cielo permise di vedere ed os- servare subito la Fabry, e solamente sei giorni dopo la Bar- nard. Le due comete apparvero nel nostro cannocchiale (dell'apertura obbiettiva di 187 mm., e con ingrandimento di 4 22 volte) molto somiglianti; sembrano stelle di unde- cima grandezza attorniate da rara nebulosità senza indizio di coda. La Fabry diversifica dall'altra per il suo nucleo stellare più marcato e più lucente. Nella sera del 15 le os- servazioni della Barnard riuscirono faticose e difficili in causa del chiaro di luna, anzi per diminuire la luce sover- chia, nel campo del micrometro a lamine, trovai più oppor- tuno di aumentare l' ingrandimento, usando il 1 66 in luogo del t22. — iy-2 — Attualmente, anche prescindendo dallo stato del cielo, i due astri poco risplendenti, non si possono seguire in cau- sa del crescente cliiuro di luna ; ma per intanto importa che si pubblichino tosto tutte le osservazioni fatte in que- sto primo periodo dell'apparizione per il calcolo delle due orbite. Già da un primo calcolo, fatto dal dott. Hepperger di Vienna, si è constatata una grande somiglianza della co- meta Barnard colla cometa 4 785 II di Méchain. Ecco qui in cifre tonde gli elementi della Barnard che si trovano nella Circular LVII di Vienna, e nelle Asiron. Nachr., e quelli della Méchain, che si trovano nel Reperlo- rium di Cari e nei Cataloghi di Galle. Barnard niéchain Passaggio al Perielio . . 1=1886, V, 12 1785, IV, 8 Longitudine del Perielio . 9r— 184° 192° Longitudine del Nodo . . g 67° 65° Inclinazione . . i=z93° 93° Distanza perielia. . . . g — 0.54 0.43 Padova, 20 dicembre 1885. A. Abbiti. 193 * a. ce a. CD B a o < 00 00 M co -^ yì ■^' IO 5C •^ ì; ■^i o r^ -^ -^ t^ t'- ccs^ai il-a--— — 3^ (5-1 co ^ iO co CD CD CD CD CD oooooc5ooo « CO -^ -TH ro 00 cf: O -r-' 05 O CD CO IO 0050iCDcOi''50-''" o CO 00 CD in :o o 03 CO i-O iO -* -.-oooooooo + CD CD ao 05 00 CD ir; sq -sr "^ ^ 50 i— jciOcococot^r-" •* co -=^ aa -^ -ir -^ -^^ co co CCD CO '5q co «*" OS ar^ 05 05 co o -^r i--i co o co S-^J o o c-