F-»^!^ f W -^ ^ ?\ iJ^ "^i^A Ve S. s ^<- ,* v^ K.<\ s-/ >,. 'S^. ^.J. ^...•^, -.^J*^-;"^ 3^-^K HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THK MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. ATTI DEI. R. ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI (tomo lii) SERIE SETTIMA - TOMO QUINTO DISPENSA QUARTA VENEZIA I PRESSO LA. SEGRETERIA DEL R. ISTITUTO NliL PALAZZO LOREDAM TIP. CARLO FERRARI '■■■ 1893-94 Pubbl. il 22 Aprile 1894 INDICE Atto dell'adunanza ordinaria del giorno 18 febbraio 1894 . p. 543 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. A. Favaro, ra. e. — Sulla Bibliotlieca Mathematica di Gu- stavo Enestròm. Nona Comunicazione Detto. — Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. Studi . C. F. Ferraris, s. c. — Nuovi appunti sulla Statistica della coltura intellettuale. Nota. . . . . . R. Na.sini, s. c. e G. Carrara. — Sul potere rifrangente dell'ossigeno, dello zolfo e dell'azoto nei nuclei ete- rociclici. Memoria ....... F. Enriques. — Intorno alla Memoria : Le sìipcyftcie con in- finite trasformazioni proiettive in sé stesse. Nota . G. Ricci, s. c. — Sulla teoria delle linee geodetiche e dei sistemi isotermi di Liouville . . . . . D. RiccorìONi. — Sai provenzale nella Divina Commedia, con riguardo alle recenti edizioni dello Scartazzini; Ber^j lino, Brockhaus, 4 volumi, 1874 a 1800 e Milano, Hoepli, 1 volume, 1893 A. Stefani, s. c. — L'azione locale vaso-dilatalrice dell'urea cresce col crescere della pressione . F. Galanti, s. c. — Saggio di versioni da Monandro . P. Ragnisco, s. c. — Di ciò che manca alla scuola elemen- tare F. Bonatei.li, m. e. — Percezione e pensiero. Parte 11.^ P. Cassani, s. e. — Sulla geometria pura euclidiana ad n dimensioni. Nota . . . . 545 552 581 595 638 643 682 687 710 719 735 820 Elenco dei libri e delle opere periodiche pervenute al R. Istituto dal 16 Febbraio al 10 Aprile 1894 . . » lxxix SEP 4 !8S5 ANNO 1893-94 DISPENSA IV.* ADUNANZA ORDINARIA PRESIDENZA DEL SENATORE FEDELE LAMPERTICO VICEPRESIDENTE Sono presenti i membri effettivi : Berchet vicesegretario, PlRONA, LORENZONI, TrOIS, E. BERNARDI, BELTRAME, Fa- VARO, Marinelli, Bellati, Bonatelli, F. Stefani, Spi- ga, MoRsoLiN, LioY, Martini, Tamassia, Veronese, Chicchi, Papadopoli ; e i soci corrispondenti : Cassani, Galanti, Mazzoni, Ricci, A. Stefani, De Toni, Ragni- sco, Nasini. Letto ed approvato l'Atto della precedente adunanza, giustificata 1' assenza dei membri effettivi Rossi, Ornhoni, Keller e Teza ; il Vicepresidente partecipa le buone con- dizioni di salute del Presidente, il quale potrà intervenire alla prossima adunanza. Annunzia la morte del socio corrispondente delle pro- vinole venete cav. Dario Bertolini, ai cui funerali venne rappresentato l'Istituto ; e quella dei soci esteri prof. Pie- tro van Beneden dell' Università di Lovanio e prof. Teo- doro Billroth dell' Università di Vienna. Per tutti furono mandate lettere di condoglianza e da tutte le famiglie si ricevettero i ringraziamenti. T. 7, S. YII 37 544 Comunica le due Note del Ministero della Istruzione Pubblica 15 gennaio e 12 febbraio 1894 che annunziano essere stati firmati da Sua Maestà i reali decreti di con- ferma del m. e. Paulo Famhri e del m. e. Guglielmo Berchet al carico, il primo di segretario ed il sec(jndo di vicesegretario dell' Istituto. E data partecipazione dei libri acquistati e ricevuti in dono dopo 1' ultima adunanza, vengono presentate e lette le seguenti memorie : Dal m. e. A. Favaro — Amici e corrispondenti di Gali- leo Galilei. Studi. Detto — Sulla Bibliotheca mathematica di Gustavo Ene- siróm. Nona Comunicazione. Dal m. e. F. Bonatelli. — Percezione e pensiero. Parte II. Dal m. e. A. Tamassia — Il limo come causa di asfissia. Dal s. e. F. Galanti — Ultime versioni da Menandro. Dal s. e. G. Ricci — Sulla teoria delle linee geodetiche e dei sistemi isotenni di Liouville. Dal s. e. A. Stefani — L'azione locale vaso-dilatatrice dell'm^ea cresce col crescere della pressione. Dal s. e. P. Ragnisco — Di ciò che manca alla scuola elementare. Ed in conformità all'art. 8.° del Regolamento interno : Dal prof. D. Riccoboni — Il provenzale nella Divina Comedia. Infine il membro effettivo E. Bernardi presenta la relazione della Commissione dell' Istituto delegata a giu- dicare sul Vaglio da ghiaia del signor Carlo Torzo di Treviso ; ed il membro effettivo Martini quella della Com- missione sul progetto del signor Salvatore Calamia di Ve- nezia per ottenere maggiore produzione nelle saline. Co- pia di queste relazioni verrà comunicata agli interessati. Dopo di ciò l'Istituto si raccoglie in adunanza segreta per procedere alla trattazione degli affari posti all' ordine del giorno. SULLA BIBLIOTHECA MATHEMATICA DI GUSTAVO ENESTROM Nona Comunicazione DEL M. E. ANTONIO FAVARO -^»T>J»!:#..fc*rNt-« . Ascrivo a titolo di onore il poter anche quest' anno (i) adempiere l' incarico demandatomi dal eh."** signor Gustavo Enestrom di Stoccolma, e presentare all'Istituto il volume nel quale sono raccolti i quattro fascicoli semestrali, pubblicati durante il testé decorso anno 1893, della sua pregevolissima Bibliotheca Mathematica; {^) e spero non sia per tornar di- (1) Veggansi le relazioni precedenti che ne abbiamo date in questi Atti del R. Istituto Veneto, ecc. Tomo II, serie VI. Venezia, 1883-84, pag. 923-927; tomo V, serie VI. Venezia, 1886-87, pag. 1157-1161; tomo VI, serie VI, Venezia, 1887-88, pag. 351-356; tomo VII, serie VI, Venezia, 1888-89, pag. 119-125 ; tomo I, serie VII, Venezia, 1889-90, pag. 157-163 ; tomo II, serie VII, Venezia, 1890-91, pag. 205-214; tomo III, serie VII, Venezia, 1891-92, pag. 637-644; tomo IV, serie VII, Venezia, 1892-93, pag. 403-409. (2) Bibliotheca Mathematica. Zeitschrift fiir Geschichte der Mathe- matik herausgegeben von (Journal d' Histoire des Mathématiques publié par) GusTAK Enestrom, 1893. Neue Folge 7 (Nouvelle Serie 7), Sto- ckholm, Gentral-Trykeriet, 1893. (546) [2] scaro che, come già per gli anni precedenti, anche in questa occasione io mi faccia a brevemente riferire intorno ai prin- cipali argomenti in tale effemeride trattati. E per il nome dell' autore, ormai fra i più fecondi scrit- tori di storia scientifica, e per la qualità dell'argomento trat- tato, parmi opportuno prender le mosse dall' articolo del Lo- ria : « L' odierno indirizzo e gli attuali problemi della sto- ria delle matematiche, » il quale è un riassunto d' una re- lazione letta dinanzi al V Congresso storico italiano tenu- tosi in Genova nel settembre 1892 e diretta allo scopo di mettere in piena evidenza gli alti fini della storia scientifica e « di attrarre l'attenzione degli eruditi sul campo vasto e fertile in utili risultati che loro offre la storia della scienza, di scuoterli dall' indifferenza che molti affettano per essa, convincendoli esser dessa un elemento integrante della co- noscenza di qualunque popolo, di qualunque secolo : di in- durli quindi a prestare il loro valido aiuto agli scienziati ti- tubanti neir interpretare gli antichi testi ; in una parola di stringere un'alleanza fra gli scienziati ed i cultori delle di- scipline storiche e filologiche, senza della quale sembra vana la speranza che la storia delle matematiche compia in avve- nire dei progressi comparabili a quelli che incessantemente vanno facendo gli altri rami dello scibile. » Io non so invero se questo fine potrà esser raggiunto ; ma ad ogni modo re- sterà al Loria il merito di avere in tale occasione posto net- tamente il problema quale se lo propongono i cultori della storia scientifica, sostituendo cioè la storia delle idee alla biografia degli scienziati ed alla respettiva bibliografia, e preferendo ad una brillante ed accademica esposizione la se- ria, se anche talvolta, almeno in apparenza, arida trattazione. Del medesimo autore è ancora una nota concernente « un nuovo documento relativo alla logistica greco-egiziana » cioè il papiro matematico d'Akmim testé edito e dottamente illustrato dal Baillet, che fu chiarito essere oggi il più an- tico documento suU' insegnamento dell' aritmetica pratica presso i Greci, per quanto esso non valga a colmare le lacune [3] (547) di quanto era per lo innanzi noto su questo argomento, con- tenendo esso, a somiglianza del papiro Rhind, delle tabelle numeriche delle quali si ignora il metodo di costruzione, e dei problemi aritmetici dei quali viene dogmaticamente espo- sta la soluzione. Quest' ultima circostanza non ha però im- pedito al Baillet di gettare una qualche luce sui probabili artifìzii che venivano impiegati per il conseguimento del fine. Una terza nota dello stesso autore porge nuovi contri- buti allo studio delle ricerche che si connettono col teorema fondamentale della teoria delle equazioni algebriche. La propagazione dei segni numerici cuneiformi è dal Bobynin studiata in una nota, nella quale, avvertito come il fatto debba risguardarsi come un documento della influenza esercitata dai Caldei sui loro vicini, nota le modificazioni che i segni stessi subirono appresso i diversi popoli che li vennero adottando. Dello Steinschneider sono tre note, come al solito, assai interessanti. Nella prima è l'annunzio di una sua opera con- cernente la bibliografia delle traduzioni ebraiche del medio- evo, con la quale 1' illustre autore vinse il concorso bandito per tale lavoro dalla « Acadèmie fran^aise » nel 1880 : di tale opera egli porge notizie della parte che concerne le matematiche. Ed allo studio delle matematiche presso gli ebrei porge argomento una seconda nota nella quale, con quella competenza che allo Steinschneider deve essere ri- conosciuta, egli conchiude avere gli storici delle scienze fin qua erroneamente tenuto che gli studi matematici degli ebrei fino a questi ultimi tempi si fossero limitati a quelle parti della scienza che si riferiscono al commercio, all' usura ed alla medicina. Gli è tempo ormai, scrive egli, di por fine alle ipotesi ed ai preconcetti, prendendo invece come punto di partenza quello che è additato dalla effettiva letteratura. Si mostrerà per tal modo che gli Ebrei rivolsero di preferenza i loro studi alla Astronomia ed al- l'Astrologia, con essa intimamente congiunta, ed inoltre alla Geometria, all' Algebra e certamente anche all' Aritmetica. (548) [4] Quando mai i negozianti e gii usurai di qualsiasi nazione si elevarono fino ai più difficili problemi della matematica ? I veri motivi sono forniti negli scritti stessi, e se la particolare inclinazione e capacità degli Ebrei per la matematica deve cercare un motivo od un impulso nella loro storia esteriore, la totale mancanza di scritture concernenti la Meccanica ci mette sul vero cammino di un retto giudizio. Uomini esclusi dalla vita pubblica ed in parte dalla sociale, si volgono na- turalmente di preferenza alle scienze astratte : fino ai nostri giorni gii ebrei russi si occupano volentieri nella invenzione delle macchine calcolatrici, ed il non rimuneratore giuoco degli scacchi, quindi della combinazione astratta, novera an- che ai nostri giorni non pochi campioni ebrei. La terza nota alla quale abbiamo accennato contiene alcune osservazioni alla descrizione d' un manoscritto ebraico, la quale fu stesa dal Riccardi ed inserita in questo medesimo volume. Del medesimo prof. Riccardi è una « Osservazione in- torno alla nota del prof. A. Favaro suU' algebra del Bom- belli », intorno alla quale mi permetterò di spendere poche parole. L' egregio direttore della Bibliotheca Mathematica aveva proposto un quesito (i) nel quale, traendo argomento dalla menzione fatta dall' illustre Maurizio Cantor di due di- verse edizioni dell'Algebra di Rafael Bombelli, respetti va- mente pubblicate a Venezia nel 1572 ed a Bologna nel 1579, posta in chiaro la inesattezza per cui le due anzidette edi- zioni sarebbero state pubblicate in città diverse, mentre, qualunque sia il giudizio che intorno ad esse possa for- marsi, figurano ambedue pubblicate « in Bologna, » avvertito che il Riccardi nella pregevolissima sua Biblioteca Mate- matica Italiana accenna a credere trattarsi di due edizioni distinte, mentre il Boncompagni afferma trattarsi di una edi- zione unica, cioè ili quella del 1572, della quale alcuni esem- plari portano nel frontespizio il millesimo MDLXXII ed altri (1) Bibliotheca Mathematica, ecc. 1892. Neue Folge 6, pag. 96. [5] (549) il MDLXXIX, si domandava se effettivamente 1' opera del Bombelli fosse stata nel 1579 ristampata ; e cortesemente a me si rivolgeva con preghiera che io volessi rispondere. Tale è r origine della mia nota relativa a questo argomento, la quale ebbe la disgrazia di' urtare la suscettibilità del eh.""" prof. Riccardi, che nella citata osservazione pretese di « rettificare » le mie affermazioni, ma viceversa nulla ha rettificato, perchè nulla vi era da rettificare. (*) Sta il fatto che nella Biblioteca Matematica Italiana egli affermò trat- tarsi di due edizioni distinte, e il primo fascicolo della sua pubblicazione porta la data dell' anno 1870, quando cioè la osservazione del Gherardi, il quale aveva conchiuso trattarsi di una unica edizione, era pubblicata da ventiquattro anni. La serie seconda dell' appendice nella quale il Riccardi ret- tificò la sua primitiva opinione non ha data, ma tengo per fermo sia posteriore alla mia pubblicazione del 1874, nella quale, prendendo in esame i due esemplari dell' Algebra del Bombelli posseduti dalla Biblioteca Universitaria di Padova, ero venuto nelle conclusioni che nell' anzidetta mia nota, stesa dietro istanza dell' Enestrom, ho richiamate. Il Dickstein prosegue i suoi studi sulle scoperte mate- matiche del Wronski, de' quali ho già parlato nella mia re- lazione dello scorso anno, e volge in particolare la sua at- tenzione alla teoria delle congruenze, ai canoni dei loga- ritmi ed alle funzioni trigonometriche degli ordini superiori. Alla storia della trigonometria porge un notevole con- contributo il Suter, il quale ne trae occasione dalla analisi della traduzione che di un « trattato del quadrilatero » attri- buito a Nassiruddin el-Toussy curò non ha guari Alessandro Karatheodory pascià, insieme col « Schakl al-Kattà » che si (1) Non ne era il caso : ma, se mai, le sue rettifiche doveva il Riccardi indirizzare all'ENESTRòM per il modo nel quale il quesito era stato posto, e non a me, poiché, anche dopo le sue rettifiche, nessuna delle mie af- fermazioni rimane minimamente infirmata. (550) - [6] chiarisce altro non essere che una trattazione del teorema di Menelao con la sua applicazione alla trigonometria. Ulteriori notizie intorno a Giuseppe Sapiens o Giuseppe Ispanus citato da Gerberto, fornisce il Weissenborn; in una nota storica sulla variazione delle latitudini richiama il Za- netti Bianco il contributo recatovi dal Legendre ; e lo Zeu- tlien, ricordando che quella proposizione del secondo libro della sfera e del cilindro di Archimede, nella quale si pro- pone di dividere una sfera con un piano in due segmenti de' quali è dato il rapporto, può essere ridotta, tanto nella forma originale quanto nella trasformazione di Eutocie, alla forma : ^2 (a-jo) = b^^c oppure : a?3 — ax'^ -\- b\ = G tratta appunto della risoluzione geometrica fornita da Ar- chimede di questa equazione del terzo grado, o, per dir più esatto, di quella restituita da Eutocio, e nella quale il va- lore di X venne determinato come ascissa d' un punto di intersezione della parabola : x^ = y e -^ e dell' iperbole : y {a — x) = ec riconoscendo che la risoluzione fornita da Eutocio non è altro se non quella promessa da Archimede « alla fine del libro » ma che effettivamente vi manca. Ho serbato di parlare per ultimo di due note del Va- lentin, r una sopra le due edizioni di Euclide dell'anno 1482, r altra sopra un raro opuscolo concernente la trisezione del- l' angolo, che è il secondo dell' Ab. Francesco Boaretti, pado- vano, concernente il problema della trisezione dell'angolo, e che appartiene ad una serie di scritture polemiche alle quali porse il primo argomento un opuscolo stampato in Roma [7] (551) col titolo: Trisectio anguli eie. ope solii/s cw^cini ac regulae resoluta ac demonstrata; alla enumerazione di queste scrit- ture, già data dal Riccardi e riprodotta dal Valentin, mi permetto di aggiungerne una, priva di note tipografiche e di data, la quale ha per titolo : « La fine della faccenda sopra la nuova scoperta dell' Abate Boaretti sulla trisezione dell' angolo. Opuscoletto pubblicato da Vincenzo Dandolo. » Aggiungerò ancora che della questione è reso conto in un opuscolo intitolato : « Esame imparziale delle ragioni prò e contro allegate nella controversia sopra la trisezione del- l' angolo dell' Ab. Francesco Domenichi, scritto ad illustra- zione e difesa della seconda appendice alla sua edizione d' Euclide. Venezia, M. DCC. XCIV, presso Antonio Zatta e figli. » Il sig. Valentin, accennando all' opuscolo dato in luce dal Boaretti sotto lo pseudonimo di « Piroforo Zan- zara, » si chiede perchè in tale occasione si sia servito d'uno pseudonimo e questo appunto abbia scelto, e domanda se qualche luce sia fornita a questo proposito dall' Elogio del Boaretti, del quale egli rinvenne soltanto il titolo. Questo elogio, che fu dettato dal dott. Gaspare Federigo, è a me noto, e posso assicurare il sig. Valentin, nulla trovarvisi di quanto accenna a desiderare. Chiuderò con avvertire che, come già nei volumi pre- cedenti, in questo pure sono pubblicate alcune recensioni concernenti opere relative alla storia ed alla bibliografia delle matematiche, quesiti concernenti queste medesime ma- terie e finalmente vi troviamo un accurato registro di quanto intorno alla storia delle scienze matematiche e tìsiche venne nel testé decorso anno dato alla luce. Padova, 3 febbraio 1894. AMICI E CORRISPONDENTI DI GALILEO GALILEI. STUDI DEL M. E. ANTONIO FA VARO L' instauratore del metodo sperimentale suscitò, come non poteva a meno, intorno a sé opposizioni vivaci, le quali degenerarono anco talvolta in odii profondi e par- torirono poi quelle gravissime conseguenze, che, dopo averlo conturbato per mezzo secolo di vita, gliela fecero finire nella relegazione di Arcetri. Ma se il quadro d' una esi- stenza, spesa cosi luminosamente, è offuscato dalle conti- nue lotte, attraverso le quali si condusse, esso è d' altra parte giocondamente lumeggiato dalla devozione e dall'af- fetto d' una lunga ed elettissima schiera di discepoli, di amici e di mecenati, la maggior parte dei quali gli rimase fida nella prospera come nell' avversa fortuna. Ormai non vi ha più alcuno il quale creda che la biografia del sommo filosofo possa aversi completa senza la piena conoscenza dell'ambiente nel quale egli visse, ed a formarsene un giusto concetto è indispensabile non solo la cognizione di tutto ciò che personalmente e direttamente lo risguarda, ma altresì il raccogliere quanto maggiori no- tizie si possa intorjio alle persone con le quali egli si trovò legato in rapporti di polemiche, di amicizie e di corri- spondenze. [2] (553) A questo fine, sarebbe ingiustizia il negarlo, od an- che soltanto il tacerlo, giovò grandemente la cosiddetta « Prima Edizione completa » delle sue opere, diretta da Eugenio Alberi, tanto più ricca delle precedenti in fatto di documenti epistolari ; e molto più gioverà la Edizione Nazionale Galileiana la quale fornirà agii studiosi un ma- teriale tanto più copioso (*) e tanto più scrupolosamente vagliato, riprodotto e commentato. Nel quale, io credo, non sia per tornare sgradito il trovare fatta una parte lar- ghissima alle lettere fra terzi relative a Galileo, poiché in molte di esse, meglio ancora che non nella corrispondenza diretta del sommo filosofo, si rispecchiano i giudizi i quali sul suo conto correvano, e sulle sue opere e intorno ai casi della sua vita. Tra i corrispondenti e gli amici di Galileo, alcuni portarono nomi tuttogiorno chiarissimi e rispetto ai quali potrebbe apparire superfluo l'entrare in maggiori partico- lari ; ma molti altri vi sono sui quali i due secoli e mezzo, ormai all' incirca trascorsi dalla loro morte, hanno tirato un denso velo, e che tuttavia importa allo studioso delle cose galileiane di trarre dalla relativa oscurità, perchè un giusto giudizio possa formarsi e delle respetti ve relazioni col sommo filosofo e di alcune circostanze notate nella corrispondenza, le quali rimarrebbero, spesse volte, d' al- tronde inesplicabili. Come già, or non ha molto, ho impreso ad illustrare, con una serie speciale di studi, gii oppositori di Galileo, ("^) (1) Siami lecito il citare in appoggio di tale mio asserto la recente pubblicazione : « Per la Edizione Nazionale delle 'Opere di Galileo Galilei sotto gli auspicii di S. M. il Re d' Italia. Materiali per un in- dice dei Manoscritti e Bocumenti Galileiani non posseduti dalla Bi- blioteca Nazionale di Firenze raccolti per cura di Antonio Favaro. Venezia, tip. Ferrari, 1894. » (2) Cfr. A. Favaro. — Gli oppositori di Galileo. I. Antonio Rocco. (Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti Tomo III, serie (554) P3 cosi mi propongo ora di approfittare di alcuni materiali raccolti per spargere un po' più di luce intorno ad alcuni amici e corrispondenti di lui, rispetto ai quali il farlo mi sembra sotto qualche rispetto desiderabile. Nel porre ad esecuzione questo mio disegno, amo dichiarare fin da prin- cipio che io non mi propongo di seguire alcun ordine de- rivato da criteri di cronologia o di importanza dei perso- naggi, dei quali verrò trattando ; ma di farlo seguendo soltanto le occasioni che dalla continuazione delle mie in- dagini mi vengono offerte. VII, pag. 615-636). Venezia, tip. Antonelli, 1892. — II. Liberto Froid- niont. (Atti del R. Ltituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo IV, serie VII, pag. 731-745). Venezia, tip. Ferrari, 1893. [4] (555) MARGHERITA SARROCCHI. Il primo cenno che, per quanto è a me noto, si trova di Margherita Sarrocchi nel carteggio di Galileo, è con- tenuto in una lettera di Luca Valerio data da Roma sotto il di 4 aprile 1609 (i). Questi, che fu matematico valen- tissimo, nacque in Napoli da Giovanni Valerio ferrarese intorno al 1552, fu ascritto addi 7 giugno 1612 all'Acca- demia de' Lincei, e meritò che Galileo, menzionandolo ono- revolmente neir opera sua capitale, lo salutasse « nuovo Archimede dell' età nostra. » (2) Nella lettera suaccennata il Valerio ringrazia Galileo per l' invio d' un teorema, as- sai probabilmente relativo alla determinazione del bari- centro di qualche solido, materia intorno alla quale il ma- tematico napoletano aveva già dato alla luce un lavoro pregevolissimo (3), se gli ricorda come una antica cono- scenza, scrivendo : « io sono quel Luca Valerio devoto suo servitore, eh' ella conobbe in Pisa appresso la felice me- moria del signor Camillo Colonna, quando per quelli ameni e ombrosi prati andavamo in compagnia d' altri filosofi, (1) Le opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc. To- mo Vili. Firenze, società editrice fiorentina, 1851, pag. 38-41. (2) Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due mtove scien- ze attenenti alla mecanica et i movimenti locali del signor Galileo Galilei Linceo, ecc. con una appendice del centro di gravità d' alcuni solidi. In Leida, appresso gli Elsevirii, M.D.XXXVIII, pag. 30. (3) De centro gravitatis solidorum libri tres Lucae Valerii mathe- raaticae et civilis philosophiae in Gymnasio Romano professoris. Ro- mae, typis Bartholomaei Bontadini, MDCIIII. (556) [5] bene spesso girando e disputando insieme. » Indi prosegue : « Il teorema di V. S. mi è piaciuto assai, al pari de' più maravigliosi d'Archimede. L' ha Ietto ancora la signora Margarita Sarrocchi, che fu già mia discepola, donna dot- tissima in tutte le scienze, d'ingegno acutissimo; e giudica del facitore l'istesso che io, e a V. S. si raccomanda, pre- gandola a farle grazia, s' ella ha letti quei canti della Scanderbeide, suo poema eroico, che le furono tolti prima eh' ella li rivedesse, di scrivermene il suo parere e quel che altri ne sentono costi, siccome anch' io la prego. » La totale dispersione delle lettere indirizzate da Ga- lileo al Valerio non ci permette di conoscere la risposta fatta a queste istanze, e soltanto possiamo argomentarla da una nuova lettera del Valerio sotto il di 23 maggio 1609, nella quale egli avverte Galileo di mandargli « gli undici canti della Scanderbeide della signora Margherita Sar- rocchi » (1) e dalla poscritta ad un' altra del successivo 18 luglio, dove leggiamo : « la signora Sarrocchi ringrazia V. S. del favore fattole in mandarle il giudizio del suo poema, e della diligenza che dice di voler fare sopra ogni parte di esso, e le bacia le mani restandolene con perpe- tuo obbligo. » (2) Non vi è lettera del Valerio a Galileo nella quale non sieno partecipati i saluti della Sarrocchi, e tra esse vo- gliamo notare ancora quella sotto il di 23 ottobre 1610, nella quale leggiamo : « Per fine bacio a V. S. le mani, come ancor fa la signora Margherita, rendendole i saluti duplicati. Ella è predicatrice del gran valore di V. S. e s' apparecchia a dare in luce la sua Scanderbeide, riden- dosi anch' essa della guerra puerile, che pur le fanno ta- lora gli ormai rochi e sprezzati parlatori.» (3) Galileo ebbe, (1) Le opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc. Tomo Vili. Firenze, 1851, pag. 45. (2) Ibidem, pag. 48. (3) Ibidem, pag. 112. [6] (557) senza alcun dubbio, occasione di conoscere personalmente la Sarrocchi, quando egli per la seconda volta si recò a Roma e vi rimase dal 29 marzo al 4 giugno 1611, e di conferire ancora con essa intorno al suo poema ; ma prima di procedere ulteriormente, procureremo noi pure di fare più intima conoscenza con 1' una e con 1' altro. Della Margherita Sarrocchi lasciò più diffuse memorie Gianvittorio de' Rossi, (i) il quale ebbe a conoscerla di persona, e da lui sappiamo che nacque in Napoli, [^) ma della famiglia dalla quale uscì, né dell' anno in cui vide la luce nulla ci apprende. Questo però sappiamo che nel 1585 era già a Roma, e ne faceva la conoscenza Aldo Manuzio, il quale poi le scriveva da Bologna, sotto il di 18 di dicembre (3) dell'anno stesso, in termini che ci piace di riprodurre , perchè ritraggono fedelmente l' impressione che la Sarrocchi, giova credere in ancor giovane età, aveva prodotto sul Manuzio allora non peranco quaran- tenne : « Non so per ancora se io debba giudicare ventura o sventura la mia di haver conosciuto V. S. poiché ciò mi venne fatto per mia, ben dirò, mala sorte, quando mi convenne partir di Roma ; la qual partita, che per sé stessa mi fu pur troppo dispiacevole, doppia noia mi recò per la privatione di quel gusto, che V. S. si degnò darmi del suo molto valore : di cui ricordandomi io viverci certo scon- solatissimo, quando grande conforto non mi porgesse la (1) Jani Nicii Erithraei Pinacotheca imaginum illustrium doctri- nae vel ingenii laude virorum, qui, auctore superstite, diem suum ohierunt. Colon. Agrippinae , apud lodocum Kalcovium et socios , CIOIOCXLV, pag. 259-261. (2) Che fosse nata in questa città conferma anche il Capaccio. Cfr. Illustrium mulierurn et illustrium virorum elogia a JuLio Caesare Capaccio neapolitanae urbi a secretis conscripta. Neapoli, apud F. Ja- cobum Carlinum et Constantinuin Vitalera, 1608, pag. 203. (3) Lettere volgari di Aldo Manucci. Al molto 111. sig. Lodovico Riccio. In Roma CIO IO XCII, presso il Santi e Corap., pag. 26-28. — Due altre lettere dello stesso alla medesima veggansi a pag. 47 e 146. (558) pj speranza, anzi la d eterni ination mia ferma di ritornar ben tosto a vederla et udirla più lungamente. Intanto parmi di udirla, parmi di vederla e dovunque volgo ho l' imagine sua dinanzi agli occhi. Et se la virtù ha in sé viva et oc- colta forza di tirare gli animi di ognuno (quantunque sia ella riposta in soggetti tal' hora et di corpo et di animo in alcuna parte difformi) quanto dobbiamo credere che debba ella esser calamita de' cuori et delle volontà, ri- splendendo in corpo et in animo cosi belli come son quelli di V. S. la quale basta ad illustrare non una famiglia, non una Città, ma una Provincia intera, ma un Regno intero, ma 1' universo Mondo. Il quale, havendo a sdegno che il bello del bello sia rinchiuso in Donna, che, rin- chiusa in piccola stanza, rinchiude anco quelle bellezze dell' animo che Natura, cortese madre, le diede, la prega a comunicare i frutti dell'ingegno suo a chi avidamente et anco giustamente li chiede et li brama. Acciochè da si fatta comunicanza, et a lei ne venga quella lode che si conviene con ammiratione et stupore di tutti, et a tutti gli ingegni, presa lei per guida, si porga speranza di poter colà pervenire ove difficilmente si giunge. » La casa della Sarrocchi era già dunque nel 1585 con- vegno dei dotti e dei letterati, e tale si conservava un quarto di secolo più tardi, poiché ci vien descritta « ricor- so et Accademia de i primi virtuosi di Roma » (i) e lo conferma Gianvittorio de' Rossi, scrivendo : « Domum suam, non solum harum politissimarum artium, sed philosophiae, theologiae, omnium bonarum disciplinarum, denique virtu- tum omnium oraculum, haberi volebat. Itaque omnium, qui in aliqua liberali disciplina principes haberentur, concursus ad eam fiebat : illa eorum disputationibus aderat : illa eo- rum controversias dirimebat, illa quidquid loquebatur, non Sarrocchiam sed Socratem dixisse, non ab ea profectum (1) Cfr. Doc. III. [8] (559) quae posset errare, sed Delphis responsum existimare po- scebat. » Ed è lo stesso il quale ancora scrive della gran- dissima perizia con la quale maneggiava il verso italiano non solo, ma altresì aggiunge : « saepe ego eam vidi, ele- gantissima argutissimeque conclusa epigrammata, summa eorum qui aderant approbatione, recitare. » Se fu scolara del Valerio e potè gustare le dimostrazioni date da Gali- leo sulla determinazione del baricentro dei solidi, doveva essere perita nella geometria e nelle scienze affini ; e che come tale fosse stimata ne vedremo fra poco la prova. (^) Senonchè al rovescio della medaglia leggiamo presso il citato biografo : « Sed longe meritis maior illi inerat vanitas atque superbia; omnibus se anteponere, neminem ferre, iniuriam sibi factam queri, si a laudatoribus suis au- diret, se mulieribus tantum, ac non viris etiam, quot sunt quotque fuissent praestare ; immortales cum eo inimicitias susci pere, qui in disputando, non continuo iis, quae ab ipsa dicerentur, assensionem suam praebuisset, aut eisdem ad- versari ausus esset ; ac multos et literatos viros ea causa adversos habebat : in liis Io. Baptistam Marinum, quem illa, ut fama erat, alio amore dilexerat, atque Platonico : sed plus in ea poterat amor sui, quam cuiusvis alterius, quan- tumvis elegantis, ac ceteris in rebus sibi obnoxii. » Di tali disgusti della Sarrocchi col concittadino, confratello ed amante non platonico Cavaliere Marino, lasciò questi trac- cia neW Adone, raffigurando 1' antica amica in una gazza e scrivendo di lei : « Loquacissima pica il contraffatto Uccellato uccellone a sfidar esce, E con strilli importuni in rozzi carmi Dassi anch'ella a gracchiar di amori e d'armi. (1) <.<... non poeticis modo studiis, sed omnium etiam disciplinarum ornamentis insignem » scrive il Capaccio succitato. r. V, S. VII 38 (560) (-q Ma che ? non prima a balbettar si mise Quel suo (canto non già) strepito e strido, Che alto levossi in mille e mille guise Infra i volanti ascoltatori un grido, Ed empiè si, che Citerea ne rise Quasi di festa popolare il lido. Tacque alfine, e fuggi non senza rischio Del volgo degli augei favola e fischio. » (i) Andò la Margherita sposa a un Birago, a quanto sem- bra, gentiluomo piemontese, non sappiamo in quale anno ; certamente ne portava il nome nel 1599, poiché con esso figura in un documento di quest' anno. E desso un codicillo che Beatrice Cenci, sotto il di 8 settembre 1599, aggiunse al suo testamento, tre giorni pri- ma di salire il patibolo. In esso leggiamo : « Lascio per ra- gione di legato et in ogni altro miglior modo alla Signora Margherita Sarrocchi-birago scudi 500 de moneta, acciò pre- ghi Dio per l'anima mia, godendosi però li frutti, ma non levando la sorte principale et venendo detta signora a morte recada la sorte principale a M."" Caterina de Santis vedova, overo ad altri nominati da essa M.^ Caterina, con l' obligo che dirò di sotto. — Lascio nell'istessa maniera a M."" Cate- rina de Santis vedova, la quale bora si ritrova in compagnia di detta signora Margherita, altri scudi 500 di moneta con obbligo di porli a frutto in loco sicuro et debba spenderli per elemosine ; cioè in sustentare un povero fanciullo pu- pillo come li ho conferito a bocca ; et mentre vive detto fanciullo sia sempre obbligata con li frutti a sustentarlo ; et venendo a morte la Signora Margarita, sia anco obbli- gata di spendere li frutti di quelli altri 500 scudi nell'istes- (1) L'Adone. Poema del Cavalier Marino con gli argomenti, le al- legorie e la tavola delle cose notabili. Volume II. Londra, 1784, pa- gina 116. [10] (561) sa opera de carità. Et morendo detta M.* Caterina avanti dì esso fanciullo, debba lasciare tutta la somma di detti da- nari ad altre persone con 1' obbligo sopra detto, ma, mo- rendo il fanciullo avanti di lei, siano semplicemente li suoi. Et venendo caso che la Signora Margarita et M.* Caterina fossero morte et che il fanciullo nominato da M.^ Caterina fosse in età di 20 anni, resti in tal caso esso fanciullo nomi- nato da M.^ Caterina libero padrone cosi delli frutti come di tutta la sorte principale con obbligo di pregar 1' anima mia. . . Voglio finalmente che questa voluntà sia esseguita levando et annullando tutti li impedimenti, contese et tar- danze che sopra di ciò potessero venire ; et di più dichiaro che, se io dopoi facesse altra dispositione della mia robba di quello che io ho fatto, non s' intendano mai levati alla Signora Margarita Sarocchi et a M.^ Caterina de Santis quelli denari che io li lascio, se io espressamente non di- chiaro che a loro si fogliano ; et cosi in tutto quello che de sopra ho fatto, chiamo questa ultima et ferma et vera mia volontà, per dichiaratione della quale ho fatto fare la presente scrittura dal mio Padre confessore et sottoscritta di mia propria mano, la quale darò chiusa et sigillata con il sigillo della mia casa in mano del notaro soprascritto et di testimoni. » Il Bortolotti, il quale pubblicò per il pri- mo questo documento, {^) opina che il « povero fanciullo pupillo » fosse un figlio illegittimo avuto dalla Beatrice, cosa la quale riuscirebbe anche per altra via confermata. Col cognome Birago è ancora ricordata la Margherita in un codice della Biblioteca Nazionale di Torino (2) conte- nente : « Canto imperfetto d'un Poema Heroico, che si com- pone da Madonna Sarocchi Biraga » e questa circostanza (1 ) Francesco Cenci e la sua famiglia. Cenni storici di A. Berto- lotti. Seconda edizione ampliata e con nuovi documenti inediti. Fi- renze, tip. della Gazzetta d' Italia, 1879, pag. 138-140. (2) Con la segnatura « V. 18 ». (562) [11] forse contribuì a far credere al Vallauri ch'essa fosse una « gentildonna piemontese > (^). Finalmente noterò che, come << Margherita Sarrocchi ne' Biraghi », trovasi iirmata in una lettera da lei indirizzata al Duca di Mantova sotto il di 10 gennaio 1613 e nella quale lo prega « con la sua solita generosità di una let- tera efficace al signor ambasciator di Francia » per esser favorita in un officio col Papa e col Cardinale Borghese per una lite che aveva con D. Filippo Colonna. (2) Del suo valore letterario pare che la Margherita si pro- ponesse di dar saggio con la pubblicazione di un «Museo», poiché ad esso troviamo che accenna esplicitamente il Manu- zio nella già citata sua lettera (3) ; ma soprattutto è passato il di lei nome alla posterità come autrice d'un poema eroico intitolato La Scanderbeide dal nome dell' eroe epirota Giorgio Scander-beg le cui gesta essa si propose di cantare. Di questo poema alcuni canti (cioè i primi nove, il dodi- cesimo ed il decimoquarto) erano stati dati alla luce nel 1606 (*), e son questi appunto dei quali abbiamo visto che (1) // Cavaliev Marino in Piemonte. Episodio della storia subalpi- na del secolo XVII di Tommaso Vai-lauri. Torino, stamperia reale, 1847, pag. 181. Dello stesso vedi pure pag. 400, 504 del volume primo della Storia della poesia in Piemonte. — Il cognoaie Birago parrebbe però piuttosto lombardo che piemontese, — Che del resto fosse real- mente napoletana, oltre ad altri documenti, prova una lettera del Ca- paccio alla Margherita data alla luce dal Bortolotti sopra l'autografo che è nell'Archivio Gonzaga di Mantova, forse perchè mandato dalla destinataria medesima al Duca, come prova della stima in che era te- nuta. Cfr. La Nuova Rivista. Pubblicazione mensile di politica, scienze, lettere ed arti. — Anno IV (Serie 2.^). Torino, tip. Baglioni, 1884, pag. 569. (2) La Nuova Rivista. Anno IV (Serie 2.^). Torino, 1884, pag. 572. (3) «Starò dunque aspettando il suo Museo, per dover esser anch'io partecipe di si fatto bene. » {Lettere volgari di Aldo Manucci, ecc. pag. 28). (4) La Scanderbeide. Poema eroico della Signora Margherita Sarrocchi. Dedicato all' 111."' Sig." D. Costanza Colonna Sforza Mar- [12] (563) il Valerio scriveva a Galileo esserle stati « tolti prima che ella li rivedesse» (*), «scorrettissimi di stampa per la fretta di chi li le' stampare » (2) ed intorno ai quali il nostro sommo filosofo mandò anche il suo parere. Recatosi pertanto Galileo a Roma, come già abbiamo per incidenza avvertito, egli fu senza alcun dubbio intro- dotto dall'amico Valerio presso la Sarrocchi, con la quale questi conviveva, e trovò in essa una calda ammiratrice delle novità celesti ch'egli aveva pochi mesi innanzi sco- perte, e che, come a tanti altri, ebbe occasione di far ricono- scere alla poetessa, al di lei amico {^) e alla società che nella casa loro si raccoglieva. Ed anzi il Valerio e la Sarrocchi ebbero parte non lieve nel sostenere contro gli oppositori la verità delle scoperte galileiane, e poiché siamo in grado chesa di Caravaggio. Con privilegio per anni XX. In Roma, appresso Lepido Facij, MDCVl. (1) Come già abbiamo trovato notato in altra lettera del Valerio, questa pubblicazione aveva dato luogo a molte critiche, e di qui la scusa che era mancato ali" autrice il modo di rivederla. — Noi confes- siamo che non ci siamo sentiti in caso di leggere il poema per rico- noscere se in esso abbia la MARfiHKRiTA dato appiglio a dolersi di lei al cav. Marino il quale ebbe poi a scrivere : « non mi attrista V ha- vermi sentito trafigere con acute punte dalle scheccheratrici delle Scan- derbeidi » (La Sampogna del Cavalier Marino, divisa in Idilij favo- losi e pastorali. Al Sereniss. sig. Principe Tomaso di Savoia. In Vene- tia, appresso i Giunti, M.DC.XXI, pag. 23) ed a Tommaso Stigliani, il quale pare sia stato pure fra gli intimi della SARRorrni e che ne chia- ma « erronico » il poema e degno di avvolgere « Sarache » (Il Canzo- niere del signor Cavalier Fra Tomaso Stigliam. In Roma, per V erede di Bartolomeo Zannetti, 1G23, pag. 455). — Cfr. anche Comentarj del Canonico Gio. Maria Crescimbeni t-.ustode d'Arcadia intorno alla sua istoria della volgar poesia. Volume secondo, ])arte prima, ecc. In Ve- nezia, MDCCXXX, presso Lorenzo Baseggio, pag. 475. (2) Carteggio Galileiano inedito con note ed appendici per cura di Giuseppe Campori. Modena, coi tipi della Società tipogr. MDCCCLXXXI, pag. 28. (3) Cfr. Doc. I e V. (564) [13] di pubblicare alcuni documenti inediti (i) a questo argo- mento relativi, ci permettiamo di entrare a tale proposito in qualche maggior particolare. Sotto il di 14 maggio 1611 scriveva da Perugia Cosimo Sassetti a Mons. Piero Dini : « Qua tra questi Padri Re- verendi è un gran romore contro il signor Galileo, e due principali ai quali ho parlato, né meno Tolomeo gli con- vertirebbe, sebben si convertisse prima lui. Desidererei la risposta a una ragione quale sento, che mi pare assai con- cludente, cioè che l'occhiale faccia apparire quello che non è, 0 quando pur sieno (2), sieno tanto minime che non in- fluischino ; delle quali pare a me, che dichino che non ne manca in Cielo. Questa ragione è fortificata da grandissimi argomenti e probazioni, cominciandosi dalla creazione di Adamo, ecc., come V. S. 111.™'' e Rev."" sa meglio che non saprei per tradizione raccontar io. Ho sentito addurre alcune altre ragioni, ma io le stimo troppo sottili e facili a ribut- tarsi, e perciò se si levasse loro la suddetta, credo che sa- rebbe vinta la lite. » (3) Questa lettera fu da Mons. Dini comunicata a Galileo, che si trovava in Roma, con preghiera di rispondervi, ed egli lo fece con quella stupenda lettera, indirizzata appunto al Dini sotto il dì 21 maggio 1611 (*), la quale corse anche (1) Vi avevo già accennato nel mio GhIìIpo Galilei e lo Studio di Padova. — Voi. I. Firenze, Successori Lo Monnier, 1S83, pag. 396, nota (2). (2) Intendi : le stelluzze (come allora alcuni le chiamavano) intorno a Giove. (3) Le opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa , ecc. Tomo VI. Firenze, 1847, pag. 163, nota (3). — Veggasi anche la rispo- sta del Dini nelle Memorie e lettere inedite finora o diaperse di Gali- leo Galilei ordinate ed illustrate con annotazioni dei cav. Giambatista Venturi. Voi. I. Modena, M.DCCC.XVIII, pag. 168. (4) L) opere di Galileo Galilei. F'rima edizione co.npleta, ecc. Tomo VI. Firenze, 1847, pag. 163-175. [14] (565) per parecchie mani e ne furono tratte copie diverse (*). Giunta la risposta di Galileo a Perugia, si mandarono di là proteste, asserendo che né nell'Università né nelle Ac- cademie s'era mai pensato ad impugnare le scoperte gali- leiane ; ma però nel tempo stesso si scrivevano lettere al P. Grunl)erger (2) ed alla Sarrocchi (3) per sapere che cosa ne pensassero in proposito, senza però rimaner troppo convinti delle risposte (^), le quali tendevano a togliere qualsiasi dubbio intorno alla verità delle annunziate scoperte. Il trovarsi di questi documenti nel carteggio galileiano presso la Biblioteca Nazionale di Firenze fra le lettere del sommo filosofo rimane spiegato da una lettera della Sarrocchi a Galileo, della quale vogliamo riprodurre qui uno squarcio, anco perchè riesce ad illustrazione dei documenti i quali nella presente occasione diamo alla luce. « Scrisse già un padre Innocenzio, frate di Sant'Ago- stino che sta in Perugia in Santa Maria Novella, ad un mio servitore che desiderava eh' io vedessi una sua certa natività, e insieme mi fece pregare da parte dello Studio di Perugia ch'io gli dicessi la mia opinione circa le nuove stelle ritrovate da V. S. 1. lo li feci il piacere della nati- vità e gliene feci chiedere un' altra d' una fanciulla, alla quale era succeduto un accidente meraviglioso. La cui madre, pensando averla strangolata, la gettò in una chia- vica, e la fanciulla fu poi sentita piangere e pigliata si ri- sanò benissimo e vive. Il caso successe in Perugia, dove si trova detto padre, al quale scrissi che mi mandasse la natività, egli me la mandò calcolata. E avendogli ancora (1) Cfp. Le opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc. Tomo Vili. Firenze, 1851, pag. 169, 182. (2) Veggasi ciò che ne scrive Lodovico Cigoli a Galileo sotto il di 1." luglio 1611. (Le opere di Galileo Galilei, ecc. Tomo Vili. Firen- ze, 1851, pag. 153-154). (3) Cfc. Doc. Il e III: cfr-. anche Doc. IV e VI. (4) Cfr. Doc. V. (566) [15] io scritto la verità delle stelle e lodato l' ingegno di V. S., se non quanto è, almeno quanto per me si potea, egli mi rispose una lettera la quale m' alterò molto. E perciò gii replicai come pareva a me che convenisse, e per ragione non dovendo io far torto al valore di V. S. e all' osser- vanza che le porto, egli replicò, come potrà V. S. vedere; perciocché le mando ambedue l'ultime sue lettere. Le mie non le mando, non avendone io tenuta copia, non pensando che si dovesse venire a tanto duello. Le mando bene la copia d'una eh' io rispondo ad un certo Guido Bettoli, come lo vedrà dalla sua che pur le mando. La lettera sua è vec- chia, ma io r ho avuta nel tempo che la vedrà eh' io li rispondo. Credo che la data sia finzione. Ho voluto che V. S.. veda tutto quello che passa. » (^). — Ed in altra sua soggiunge : « Quanto ai signori di Perugia mostrano d'esser molto mortificati, e dicono tuttavia che non hanno mai pensato scriver contro a V. S., e io mostro d' accettar le scuse, e ho scritto loro che similmente V. S. l'ammette. E bene il vero che quel frate par che la vogli meco e che mi voglia pigliar in parole, volendo intender da me la si- gnificazione d'alcuni vocaboli, mentre ch'io voleva applicar le stelle di novo trovate all' astrologia, quasi che voglia dire che non sia vero il ritrovamento di queste stelle; ma io ho chiarito altra barba delle sue, e così spero di far lui, avvegnaché io sia donna ed egli frate maestro. » {^). Finalmente in altra sua, sempre a Galileo, accusa ricevi- mento d'una lettera « nella quale rispondeva a quelle op- posizioni de' Perugini », forse copia di quella indirizzata al Dini, e chiude con dire: « Di Perugia non le dirò nulla: credo che la verità abbia lor messo il senno. » (3) Ritornato Galileo in Firenze incominciò un attivo car- (Ij Biblioteca Nazionale «li Firenze. — Mss. Galileiani. Parte I, Tomo XIII, car. 10. (2) Ibidem, car. 12. (3) Ibidem, car. 14. [lfi| (567) teggio tra di lui e la Sarrocchi, carteggio del quale non piacque all'Alberi di tenere alcun conto nella edizione ga- lileiana da lui curata. Rispondendo ad una di Galileo, che non giunse insino a noi, gli scrive la Margherita, ricordan- dogli la promessa che fatta le aveva di rivedere il suo poema ed anco, a quanto pare, di adoperarsi perchè la dedica ne fosse accettata da qualche gran personaggio, fors'anco da qualcuno della Corte di Toscana. L'invio del manoscritto, preannunziato da Luca Valerio con lettera dell' 11 novembre 1611 (i) e dalla Sarrocchi stessa con una sua del 6 gennaio 1612 (2), segui finalmente nel successivo 13, sotto il qual giorno essa scriveva: « sottopongo tal- mente questo poema al giudicio di V. S. che s'Ella con la sua solita sincerità mi dirà che non vai nulla, io lo darò piuttosto a Vulcano eh' al Sole, sapendo molto bene che siccome le stampe mostrano il saper dell'uomo, così pale- sano altresì 1' ignoranza. Però supplico V. S. a dirmene liberamente il parer suo, ed essermi in ciò rigorosissimo giudice e favorirmi di transponere e mutare i versi se- condo che pii^i le piacerà, e in quelli che non vorrà durar tanta fatica, avvisarmene, che io muterò le parole e le cose secondo che Ella mei imponerà. Facciami ancora grazia di riveder la lingua ed emendarla, perchè io vorrei che la fosse toscana più che fosse possibile, almeno nella frase, purché non guasti la grandezza del dire, essendo che la toscana è molto dolce .... vorrei che V. S. la rivedesse ancora quanto all' ortografìa .... desidererei ancora che V. S. mi favorisse di dividere questo poema, col suo giu- dizio, in più canti, perciocché questi mi paiono troppo lunghi. » (^) (1) Le opere di Galileo Galilei. Prima eiHzione completa, ecc. To- mo Vili. Firenze, 1851, pag. 181. (2) Biblioteca Nazionale di Firenze. — Mss. Galileiani. Parte I. Tomo XIII, car. 16. (3) Ibidem, car. 18. (568) [17] Si affrettò Galileo ad accusare ricevimento del poema con lettera data dalle Selve sotto il di 21 gennaio 1612, la quale è la sola pervenuta insino a noi delle moltissime ch'egli deve avere indirizzate al Valerio e alla Sarrocchi. Essa si trova nell' Archivio storico Gonzaga di Mantova : come vi sia pervenuta non è noto ; opina il Govi, non es- sere impossibile che quel bizzarro uomo che fu il Cardi- nale Ferdinando, nel tempo che stette a Roma avesse avuto qualche relazione con la poetessa ed aver chiesto allora ed ottenuto dalla Sarrocchi questo autografo di Galileo (^); ma però, considerando che alla data di questo documento la Margherita doveva già aver varcato di qualche anno il mezzo secolo, stimiamo sia più probabile che Y autografo galileiano l'abbia mandato essa stessa e che si trovi nel- l'Archivio Gonzaga per lo stesso motivo che l'altro del Ca- paccio del quale abbiamo per incidenza (2) tenuto parola ; come prova cioè delle relazioni letterarie della Sarrocchi e del conto in cui era tenuta. In questa lettera Galileo non si impegna affatto a cor- rispondere a tutte le domande che la Sarrocchi gli aveva indirizzate ed anzi adduce le « molte e molte indisposizioni e tutte gravi e fastidiose . . . con molti dolori di petto, e di rene, con una grande effusione di sangue » per chia- rirsi « inetto ad ogni operazione di corpo e di mente an- cora » perchè sia scusata 1' impotenza sua la quale non gli « permette di affatticare il pensiero non che la mano senza grandissimo nocumento. » Né queste scuse erano pretesti ; perchè infatti intorno a questo tempo, oltre ad essere oc- cupato nella redazione finale del suo « Discorso intorno alle cose che stanno in su 1' acqua, ecc. » era effettiva- mente travagliato da indisposizioni che nella primavera e (1) Tre lettere di Galileo Galilei pubblicate ed illustrate da Gil- berto Govi, Roma, tip. delle scienze matematiche e fisiche, 1870, pag. 9-10. (2) Cfr. nota (1) della pag. [11]. [18] (569) nella state di questo medesimo anno degenerarono in grave malattia, (i) Galileo, del resto, come non s' era impegnato, cosi non s' occupò affatto del poema della Sarrocchi, la quale, dopo averglielo chiesto di ritorno in una prima let- tera non pervenuta insino a noi, torna a domandarglielo in altra, che è 1' ultima delle sue a Galileo a noi nota, in occasione di ringraziarlo d' un esemplare del Discorso, del quale abbiamo testé tenuto parola. « Quanto al mio poema, cosi essa gli scrive, V. S., come già le ho scritto, mi farà favore rimandarmelo, poiché ci ho fatte molte mutazioni, di modo che quello non é più buono. Io lo farò di nuovo copiare e lo manderò a V. S. — E sarà in mi- glior tempo, perciocché spero eh' Ella all' ora starà con sanità. Se intanto con cotesta Altezza si può far nulla, V. S. favorirà una sua serva. Nel tempo che le mandare il mio poema, la pregarò a riveder le cose mie liriche. In- tanto leggeremo il suo trattato e scriverò più lungo a V. S. (2)». Codesto «leggeremo» indica che la lettura doveva farsi di conserva col Valerio, il quale infatti alcune set- timane appresso ne scrisse a Galileo. (3) In questa mede- sima occasione egli accenna ad una moltitudine di travagli che lo affliggevano, e de' quali si ha forse una spiega- zione in una lettera che Lodovico Cardi da Cigoli scri- veva contemporaneamente al nostro filosofo e nella quale leggiamo : « Non ho visto ... il Signor Luca se non cosi alla sfuggita, perché sta molto lontano, e sempre impedito per vettureggiare carico in servitù della Sig. Margherita, tralasciando per ([uanto dice gli studi ; e cosi befieggiato da molti si sotterra per tale umore, né io mi sono ardito a (1) Lo opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc. Torno V. Firenze, 1845, pag. 137. (2) Biblioteca Nazionale di Firenze. — Mss. Galileiani. Parte I. Tomo XIII, car. 20. (3) Le opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc. Tomo Vili. Firenze, 1851, pag. 226-228. (570) [19] persuaderlo più che tanto, perchè lo veggo troppo in preda a tal umore, anzi mi sfugge, perchè sempre ha sotto che io lo trovo, 0 carne o cose siffatte, che le porta là da questa cogliona, e si scusa meco con dire che gli ha molto obbligo, perchè le ha insegnato. 0 pensate se lei avesse insegnato a lui, (guanto gli parrebbe d' essere in obbligo di servirla ! » (i) E quando dopo ciò rimanesse un qualche dubbio in- torno agli intirai rapporti che correvano tra il Valerio e la Sarrocchi, parmi sarebbe eliminato dai termini nei quali il Valerio stesso comunica a Galileo la morte del marito dell'amica: «La Signora Margherita Sarrocchi... per innanzi avrà più libero spazio di filosofare, sendo rimasta vedova. » (2) Se a questo si aggiunge ciò che scrive della Sarrocchi il Gianvittorio de' Rossi, cioè che : « Ea pudicitiae fama fuit, qua solent esse poètriae, fidici- nes, cantrices, eaeque quas pingendi fingendique ars a lana et colu abduxit » (3) non pare clie quel povero ma- rito avesse il demerito di essere incomodo per i molti amici che la poetessa napoletana aveva saputo raccogliere in- torno a sé. In questa medesima occasione, cioè sotto il di 31 agosto 1613, scriveva ancora il Valerio clie la Sarrocchi « ha finito di rivedere e rilimare il poema a sua sodisfa- zione e d'altri uomini assai dotti in quest' arte, con animo di darlo, piacendo a Dio, l'anno veniente alla stampa. » Que- sto però non segui altrimenti, anzi non troviamo altra edi- zione della Scanderbeide anteriore all'anno 1623, (*) quando (1) Ibidem. Supplemento. Firenze, 1856, pag. 63. (2) Ibidem. Tomo Vili. Firenze, 1851, pag. 284. (3) Jani NiCii Erithraei Pinacotheca imaginuni ilhislritim doctri- nae nel ingenii laude virormn, qui, auctore superstite., dieni suum obierimt. — Colon. Agrippinae, apud lodocam Kalcovimn et socios CIOÌOCXLV, pag. 261. (4) La Scarderbeide. Poema Heroico della Sig.''^'^ MAnr,HRRiTA Sar- [20] (571) cioè la Sarrocclii era già morta, ed il poema figura dato alle stampe da un Giovanni Latini, il quale doveva essere legato da vincoli assai stretti con la Sarrocchi, come nel cenno relativo al Valerio lascia supporre Gianvittorio de' Rossi, scrivendo : « Docuit multos annos in gymnasio ro- mano Mathematicas discipl'nas ac Geometriam in primis ; quo toto fere tempore, Margaritae Sarrocchiae, poétriae, cui US ille ingenio delectabatur, contubernalis perpetuus extitit; cuiusque etiam domi mortuus est, fecitque liaere- dem Ioannem quendam Latinum, eidem Sarrocchiae im- primis carum, et conturbernii eiusdem necessitudine sibi coniunctum. » (i) Ed infatti in un documento il quale si trova in copia fra le carte dei Lincei nella Collezione Ga- lileiana della Biblioteca Nazionale di Firenze (^) leggiamo: « Fidem facio ego ego Notarius pubblicus infrascriptus qualiter die 14 Januarj 1618 illustrissimus et excellen- tissimus Dominus Luca Valerius nobilis Neapolitanus, filius bonae memoriae illustrissimi Domini Joannis Valerii Fer- rariensis et q. Joannae Rodomanae, genere Macedonico, patria Corcirensis, sanus Dei gratia &c. haeredem suum universalem instituit illustrissimura Dominum Joannem La- tinum de Firmo &c. In fide datum hac die 26 martij 1618. — Ita est Nicolaus Angelus Modius Causarum Cu- riae Capitolinae Notarius. » Ma già qualche anno prima della morte del Valerio ROCCHI alla Principessa D. Giulia da Este. Dal Sig. Giovanni Latini. Con privilegio della Santità di Nostro Signore, del Re di Spagna e de' Prencipi d' Italia dato alla stampa. In Roma, per Andrea Pei, MDCXXIII. In questa seconda edizione della Scarderbeide trovansi ventitre canti. — Di questo poema si ha anche una terza edizione intitolata : La Scan- derbeide. Poema Eroico della signora Margherita Sarrocchi. In Na- poli, a spese di Antonio Bulifon, 1701. In questa edizione l'opera è di- visa in due volumi, de' quali il primo contiene i primi sette canti ed il secondo i canti ottavo, nono, duodecimo e decimoquarto. (1) Ibidem, pag. 237. (2) Lincei. Voi. V, car. 205. (572) [21] s'erano di molto rallentate le relazioni di lui, e quindi an- che quelle della Margherita Sarrocchi, con Galileo : ne fu causa r aver egli voluto uscire dall' Accademia dei Lincei, perchè in essa si professava la dottrina del moto della terra, la quale era stata dalla Chiesa condannata. Non fu tuttavia cancellato dal ruolo degli Accademici « non quod hoc et ulterius quidem mereatur; sed quia hoc poe- nae loco ipsi tribuatur, ne ipsi sit licitum aut aliis, futu- ris in annis, hoc ipsun tentandi » ; ma nell'adunanza tenuta dai Lincei il 24 marzo 1616 (i), cioè diciannove giorni dopo la pubblicazione del famoso decreto contro la dot- trina copernicana, presenti Galileo, Francesco Stelluti, Angelo de Filiis e Giovanni Faber, gli impedirono « com- mercium, vocem activam et passivam, ut vocant, et con- ventus Lynceorum. » Margherita Sarrocchi segui nella tomba il Valerio a pochi mesi di distanza, perchè in una lettera di Gaspare Farfuzzola al Duca di Mantova, sotto il 12 settembre 1618, leggiamo: «Sarà dunque supplicato a gradire questa mia divozione che cominciò sin dal tempo che V. A. favori di presenza l'Academia della Signora Margherita Sarrocchi che sia in cielo. » (2) (1) Breve storia della Accademia dei Lincei, scritta da Domenico Carutti. Roma, coi tipi del Salviucci, 1883, pag. 30-31. (2) Il Bibliofilo, giornale dell' arte antica e unoderna in istampe, scritture, loro accessorii e ornati colla relativa giurisprudenza, fon- dato da Carlo Lozzi. Anno X. N. I. Bologna, Società tipografica già compositori, 1889, pag. 3. [22J (573) DOCUMENT I. Luca Valerio a Marc' Antonio Baldi. (Bibl. Naz. di Firenze. — Mss. Galileiani. Par. VI. T. XIV, car. 29). Molto Illustre et Molto Reverendo Sig.'" P. Marcantonio Baldi Padron mio osservandissimo. Perchè V. S. hieri sera mi domandò se 1' osservazioni del Cielo, che il Sig. Galileo col suo occhiale alli giorni passati ha fatto fare a me et a molti altri in Roma, sono vere o apparenti per forza di refra- zioni, io, non tanto per V. S., rispondo in carta, quanto per alcuni che li hanno dato a credere che io per 1' amicitia del Sig."" Galileo et come suo partigiano, dica esser vero e non vana apparenza quanto per detto occhiale ci rappresenta. Dicole adunque da filosofo per amore della verità, che di qualsivoglia huomo del mondo, non mi esser mai caduto nella mente che il medesimo vetro drizzato nel medesimo modo verso una stella medesima, come quella di Giove, potesse farla apparire in un istesso luogo del cielo, cinta da quattro stelle, che sempre l'accom- pagnano, invisibili al semplice occhio naturale, in modo tale eh' una sera apparissero site, com' io le ho osservate, tre occidentali e la quarta orientale ; et la seguente tre orientali e l' altra occidentale et altre volte in siti diversissimi, non consentendo la dimostrazione metafisica che una finita e terminata causa, mentre resta la medesima et nel medesimo modo disposta o circonstantionata, possa mostrarsi varia negli effetti. Né meno è cosa da purgato giudicio il creder che 1' oc- chiale potesse causare tale apparenza intorno a Giove solo e non in- torno ad alcun' altra stella, od altro obbietto d' infiniti che con 1' oc- chiale si scorgono semplici, come sappiamo che sono in sé medesimi, variandosi solamente la grandezza per la convessità del vetro. Si che V. S. stia pur sicuro eh' io sia tanto lontano dal creder che queste cose celesti nuovamente dal gran Galileo, et non prima di lui da alcuno, (574) [23] state osservate, possano essere apparenze cagionate da inganno d' in- j strumento, quanto sono lontano dal creder che il Sole non luca, ma che a noi così paia. Se cagioni di prespettiva, se gli avversari che senza ragione et esperienza alcuna dell' occhiale, si arditamente par- lano e leggermente ridono, ne fussero capaci, le havrei stese in questo foglio, dimostrando essere impossibile per la forma di tal vetro la molti- j plicazione apparente dell' obietto et solo eh' ella fossi possibile, se- guirne un molto grande inconveniente che la figura dell' occhio natu- rale dovesse ad ogni huorao causare simile inganno, onde si revocasse in dubbio tutto quel che intendiamo per mezzo del vedere. '■ Ho voluto spiegare a V. S.^ il mio parere con queste quattro righe, non tanto per lei, coni' io dissi da principio, con la quale discorrerò ' più a lungo a bocca sopra il medesimo soggetto, quanto perchè, ve- ? nendole occasione, ella possa, con questa mia scrittura di mia mano, 1 assicurare alcuni di questi ritrosi, atti a sparger la fama eh' io non sono di contrario parere a quel eh' io mi contento che, come mio, ap- j parisca per iscrittura. ! Et con tal fine bacio a V. S. le mani pregandole da Dio felicità. ; Di Casa, a dì 30 di maggio 1611. Di V. S. molto Ill.^'e et M.t» Reverenda Servitore aff.™» Luca Valerio. fuori (di pugno di Galileo): «Attestazione del sigJ Luca Valerio» in data 20 maggio 1611. 11. Guido Bettoli al P. Cristoforo Grunberger. (Bibl. Naz. di Firenze. — Mss. Galileiani. Par. VI. T. XIV, car. 28). Al M.'° RevA° P." et mio Pad.^e Osser.™» il Pre Cristoforo Griemberger — Roma. Molto Rev.0 o co W^i VTi o ^tÌ"^ co 'V ^ ^ ^ >-< ó ..e l^ <>) 00 ^ 00 Ci 'o.e k g o cs^ O) Ci o 0-i ^^^" 'V co "^ co ^ co co a> o 5 ^ H S ^ — I ^ GO 00 (588) [8] Si nota innanzi tutto un aumento nelle lauree dotto- rali : del totale spetta il 16,42% al 1885-86 e il 22,49 % al 1889-90. Quanto alla misura, in cui ciascun gruppo di materie contribuisce alla composizione del totale, si scorge che, no- nostante oscillazioni, la proporzione rispettiva ha una certa costanza da anno ad anno, di guisa clie si possono pren- dere le medie come rispondenti alla condizione normale quantitativa del fenomeno. Ora è notevole che le dissertazioni dottorali teologiche non arrivino neppure all' 1 per cento, benché tutte le 21 Facoltà considerate facciano l'obbligo della stampa della dis- sertazione e quindi si abbia notizia completa di esse nella statistica ufficiale. Né ciò si deve attribuire a scarso numero di studenti, perchè le Facoltà teologiche sono in Germania frequentatissime e superarono in alcuni anni da tale aspetto le giuridiche. Devesi quindi conchiuderne che gli studi vi sono fatti meno per scopo scientifico, e più per avviarsi ai posti ecclesiastici, pei quali non è richiesta laurea, ma basta aver per un certo tempo frequentata l'Università o ripor- tata la semplice licenza, istituto molto fiorente nelle Facoltà teologiche : il che per davvero non mostra molta propensio- ne all' alta coltura nel clero sia protestante sia cattolico. Scarso appare anche il numero delle dissertazioni giu- ridiche. Sia pure che le tre Facoltà di Heidelberg, lena e Leipzig non ne richiedano la stampa : ma le due prime non sono molto frequentate : sia pure che quelle di Freiburg, di Rostock, di Tiibingen e di Wurzburg prosciolgano dal- l' obbligo della stampa il candidato che ha già pubblicato altro lavoro ; ma questo è un fatto eccezionalissimo fra gli studenti, e non può influire a scemare, se non in modo insi- gnificante, il numero delle dissertazioni stampate. Né si può dire che sia scarso nella Facoltà giuridica il numero degli inscritti. Resta quindi anche qui a conchiuderne che nep- pure i giuristi sono in generale animati da desiderio di vero e profondo studio scientifico ; i più assolvono gii studi r^l (589) uiiivei'sitarii solo nella misura prescritta per entrare nella pratica del foro o nei pubblici impieg-hi. Meglio assai stanno le cose nella Facoltà medica, le cui dissertazioni abbracciano una buona metà del totale delle dissertazioni. Eppure anche qui vi sono circostanze che pos- sono contribuire a deprimerne il numero almeno nella sta- tistica. La Facoltà medica di Giessen accetta lavori stampati anteriormente invece della dissertazione: così fanno quelle di Freiburg e di Heidelberg, che inoltre non lasciano stam- pare se non le dissertazioni classificate col numero 1 : e quella di Lipsia richiede pure il previo consenso alla stampa. Ciononostante le dissertazioni sono numerose. Taluno potrebbe osservare che la Facoltà medica è molto frequentata : ed è vero : ma è ben lontana dall' abbracciare la metà degli stu- denti universitarii, mentre fornisce la metà delle dissertazio- ni, e specialmente non prevale di tanto alla giuridica da spie- gare con ciò r enorme differenza delle due rispettive cifre percentuali, 3,40 e 50,49 7o • Tutto porta a credere, che la severità dei metodi e i loro eccellenti risultati, il felice con- nubio fra r indagine teorica e 1' esercizio pratico, la ne- cessità di profonda coltura scientifica per poter con successo attendere alle applicazioni nelle cure, destino nei giovani medici l'amore alla scienza e la volontà di dar prova della loro coltura e di fregiarsi del titolo dottorale anche se poi vogliano soltanto esercitare il ministero sanitario pratico : al che si aggiunge che molti di questi medici esercenti chie- dono poi la privata docenza, come lo prova il grande nu- mero di privati docenti medici nelle Università germaniche : ma per ottenere quel posto universitario debbono possedere la laurea dottorale. Nella Facoltà filosofica, cosi complessa in Germania, ab- bracciando gli studi storico-filosofico-letterarii, quelli di scienze fisiche, matematiche e naturali, ed anche, in molti casi, quelli di scienze politico-sociali, (e perfino quelli farma- ceutici ed odontojatrici, che però non sono qui considerati, perchè non danno luogo a laurea), siccome vi si cerca dalla (590) [10] massima parte degli studenti l'avviamento a posti nell'inse- gnamento, nei quali il carattere scientifico e il pratico si connettono indissolubilmente e pei quali si richiede la laurea dottorale, le dissertazioni non possono essere che numerose; ne a scemarne il numero influisce il fatto che quella di Heidel- berg non richiede la stampa, quella di Tiibingen la pretende solo per gli studi di scienze fisiche, matematiche e naturali, e quelle di Giessen e di Kiel (poco frequentate) accettano, in luogo della dissertazione, lavori precedentemente stampati. Questa complessità e questo carattere scientifico della Facoltà filosofica rendono interessante il conoscere anche come vi si distribuirono, nel ricordato periodo di tempo, le dissertazioni secondo le materie. Presento perciò i seguenti prospetti : 1. Dissertazioni storiche, filologiche e filosofiche Numero % Filosofia e Pedagogia 223 10,83 Filologia classica 489 24,08 » tedesca 171 \ 8,42 » romanza iti -' 13,92 » inglese 9,60 » slava 0,15 » orientale 106 5,32 Storia 372 18,28 Economia politica 115 5,73 Archeolc già ed arte 73 3,67 32,09 Totale 2029 100,00 Parmi qui sopratutto notevole il fatto che la filologia | classica, pur avendo parte cospicua, non ha più un' esclusiva ; preponderanza : anche gli studi filologici più strettamente ^ connessi alle lingue moderne vanno prendendo un posto non p solo assai notevole, ma superiore, se considerati in totale, !i a quelli classici, come risulta dal prospetto. jij [11] (591) 2. Dissertazioni di scienze fìsiche, matematiche e naturali Numero Vo Matematica 188 8,93 Fisica 167 7,94 Geografia 56 2,83 Zoologia 123 5,80 Botanica 182 8,60 Chimica 1249 58,95 Mineralogia 138 6,95 Totale 2103 100,00 Veramente meravigliosa è la prevalenza assoluta della chimica, che assorbe da sé sola quasi i sei decimi delle dis- sertazioni. Tuttavia in un secolo così propenso agli studi sulla na- tura è pur sempre un fatto degno di nota quello che ci mostra il seguente prospetto. 3. Dissertazioni della Facoltà filosofica Vo a) filologiche, storiche, filosofiche 2029 49,10 h) di scienze fisiche, matematiche e naturali 2103 50,90 Totale 4132 100,00 Cosicché di fatto le scienze della natura non vi hanno ancora nessuna vera prevalenza su quelle dello spirito. Ove si volesse infine conoscere in quale misura si pre- senta nelle varie Università il culto delle diverse discipline si può consultare il prospetto seguente. T. Y, S. VII 40 (592) [121 Totale delle dissertazioni distinte per Università e Fa- coltà dal 1885-S6 al 1889-00, comparalo col numero degli studenti nel semestre estivo 1889. (i) UNIVERSITÀ Studenti nel semestre estivo 1889 DISSERT^ZIOlSri Totale Teo- logia Giuris- prud. Medi- cina Scienze fi- losofico-let- terarie e matemati- co-naturali Berlin 4939 1160 2 40 707 411 Mùnchen 3622 763 12 39 566 146 . Leipzig 3322 666 - 1 3 662 Halle 1701 550 9 11 143 394 Wùrzburg 1588 980 6 5 881 88 Tùbingen 1410 208 - 36 105 67 Bonn 1404 466 3 7 344 112 Breslau 1329 265 2 14 115 134 Freiburg 1191 431 - 7 134 290 Heidelberg 1060 128 - 2 76 50 Erlangen 970 558 - 15 208 335 Gòttingen 950 415 3 75(2) 106 231 Greifswald 887 405 1 3 320 81 Strassburg 874 447 1 33 213 200 Marburg 852 354 3 7 107 237 Kònigsberg 763 241 3 3 118 117 Jena 629 376 - 5 160 211 Giessen 616 127 1 3 54 69 Kiel 576 32(3 2 1 208 115 Mùnster 448 52 5 - — 47 Rostock 360 164 2 10 17 164 (1) Si tenga presente anche il prospetto a pag. 6. (2) Dal 1887-88 al 1889-90. [13] (593) I I dati del prospetto non sono del tutto comparabili, per- chè, come vedemmo, non sono uniformi le prescrizioni delle varie Facoltà rispetto alla stampa delle dissertazioni. Agiscono pure, e in modo cospicuo, sul concorso di laureandi nell'una piuttosto che nell'altra Università, la diversa altezza delle tasse scolastiche, il minor numero o la minor difficoltà delle prove orali richieste, e via dicendo. Resta però sempre notevole che il numero delle dissertazioni non dipende di regola dal numero degli studenti : di guisa che, se anche la legislazione scolastica diventasse uniforme rispetto alle tasse ed alle prove orali, non si arriverebbe probabilmente neppure a vincere l'influenza delle tradizioni o della mag- gior copia di agevolezze che certe Università offrono per certi studi. Cosi fa meraviglia lo scorgere che Wiirzburg, la cui Facoltà medica ha un numero di inscritti inferiore di oltre un terzo al numero degli iscritti a quella di Berlino, pur presenti 881 dissertazioni mediche, mentre Berlino soltanto 707 ; e la forte differenza non può esser stata cagionata sol- tanto dal chiedere essa 300 marchi di tassa, mentre Berlino ne vuole 440. Cosi Gottingen con un numero di studenti giu- risti, che è appena l'ottavo del numero di quelli di Berlino, e pur richiedendo tasse più forti (459 marchi in confronto a 355), ari'ivò ad avere 75 dissertazioni nel solo triennio dal 1887-88 al 1889-90, mentre nel quinquennio dal 1885- 86 al 1889-90 Berlino ne ebbe sole 40. Concludiamo perciò che la dimostrazione della maggiore o minore importanza di ciascuna Università rispetto al culto dell'una o dell'al- tra disciplina non si può dare esattamente, per l'intreccio delle accennate cause, col solo criterio del rispettivo nu- mero delle dissertazioni dottorali in confronto al numero degli studenti ; ma quel numero è pure un elemento, di cui bisogna tener conto per quell' indagine. Il nostro autore presenta anche il seguente confronto colla Francia. (594) [14] MATERIA DELLA CIFRE ASSOLUTE FRANCIA GERMANIA PERCENTUALI DISSERTAZIONE anni scolastici 1884/,„.iH88/gg anni scolastici 1885/gg_1889/g(, FRANCIA GERMANIA Teologia 143 48 3,47 0,53 Giurisprudenza 580 317 14,09 3,49 Medicina 3148 4585 76,48 50,49 Lettere 92 2029 2,24 22,34 Scienze Totale 153 2103 3,72 23,15 4115 9082 100,00 100,00 La notevole differenza nella ripartizione fra le diverse Facoltà sembrami agevolmente spiegabile. 11 dottorato in Francia è il mezzo giuridico normale per entrare nelle pro- fessioni pratiche e quindi il numero delle dissertazioni segue esattamente il numero degli studenti ed è maggiore nelle Fa- coltà che sono più frequentate e viceversa : il che non av- viene, come abbiamo visto, per la Germania, ove il dottorato conserva un carattere più scientifico. SUL POTERE RIFRANGENTE DELL'OSSIGENO, DELLO ZOLFO E DELL'AZOTO NEI NUCLEI ETEROCICLICI DI R. NASINI, s. e. E G. CARRARA Nel 1886 uno di noi insieme col sig. A. Scala studiò il potere rifrangente del tiofene : {^) fu allora .stabilito che la formula generalmente ammessa per questo composto, secondo la quale vi sarebbero in esso due doppi legami tra carbonio e carbonio HO CH HC CH non andava d' accordo colle esperienze ottiche o per me- glio dire colle regole del Briihl, giacché da esse esperienze (1) R. Nasini e A. Scala. — Sulla rifrazione tnolecolare dei solfo- ciaììnti, degli isosoìfocinììati e del tiofene. <,< Rend. della R. Accad. dei Lincei », Voi. I pay. G17, anno 1886. (596) [2] si sarebbe dedotta 1' esistenza di un solo doppio legame, quindi pel tiofene 1' altra formula HG: HC CH CH che pure è tra le possibili, ammettendo implicitamente che il collegamento ciclico speciale non porti nessuna perturbazione alle regole sommatorie del Gladstone e del Landolt. Ritenendo come vera la for- mula con due doppi legami ne risultavano per la rifra- zione atomica dello zolfo dei valori assai piccoli 11.35 (formula n) 6.51 (formula n^), mentre lo zolfo che è per le sue valenze legato al carbonio ha rifrazioni superiori in media a 14 (formula n) e 7.80 (formula n^). Nel 1887 C. Knops studiò pure il tiofene, ottenne gli stessi risultati e giunse come è naturale alle stesse conclusioni, (i) Nel lavoro pubblicato or sono due anni da uno di noi insieme col prof. T. Costa (2) fu di nuovo esaminata la questione e fu detto quanto segue: « Per ciò che riguarda il tiofene attribuendogli, come (1) C. Knops. — Ueber die Molecularrefraction der Isomevien Fit- iiìav - Maleinsaùre, Mesacon-Citracon- Itaconsaùre und des ThiopJiens. Inauf/ural Dissertation. — Bonn 1887. (2) R. Nasini e T. Costa. — Stdle variazioni del potere ri frati- gente e dispersivo dello zolfo nei suoi cotnposti. Ricerche eseguite nel- r Istituto chimico della R. Università di Roma. Tipografia della R. Aco. dei Lincei, anno 1891. [3] (597) » noi abbiamo fatto la formula generalmente ammessa con » due doppi legami H-c C-H H-Cil C-H » si ha per la rifrazione atomica dello zolfo un valore » che non si accorda con quello dei solfidrati e solfuri, » giaccliè è molto più piccolo e ciò tanto colla formola n » che con la n^ : è soltanto nei composti ossigenati dello » zolfo che si riscontrano valori cosi bassi. Se invece si » ammette pel tiofene la formula H-c H-c C-H C-H » allora per lo zolfo si avrebbero i numeri 13.80 (formu- » la n) e 8.32 (formula n^), che sarebbero perfettamente » normali : s' intende che bisognerebbe supporre che la » concatenazione speciale H-c C-H » non portasse di per se nessun aumento sul potere ri- » frangente. Ora a noi sembra che, prescindendo da qual- » siasi formula di struttura sul tiofene, il certo è che esso » deve considerarsi come costituito analogamente al ben- » zolo per ciò che riguarda il gruppo residuo C4H4 : quindi » se al benzolo si attribuisce la formula colle valenze cen- » triche al tiofene bisogna assegnare pure quella con le (598) [4] » valenze centriche ; se al benzolo si attribuisce la formula > del Dewar c==c "\ — r e ='c » al tiofene spetterà quella già rammentata H-C C-H H-C C-H » Se finalmente si suppone vera pel benzolo la formula » del Kekule ne verrà pel tiofene quella generalmente » ammessa con due doppi legami. Ma l'essenziale è questo, » che al gruppo C4H4 debbono spettare i due terzi della » rifrazione molecolare del benzolo (29.35 formula n, 17.29 » formula n^), a meno che non si vogliano fare ipotesi » complicate sul diverso valore dei legami nel benzolo : » facendo in tal modo il calcolo, risulta sempre un valore » assai piccolo per lo zolfo e precisamente 12.05 per la for- » mula n, 6.89 per formula n^ : è da notarsi che tali valori » dello zolfo vengono ad essere uguali a quelli calcolati, » senza tener conto dei doppi legami, del gruppo C2H2 a » cui si sostituisce nel tiofene. » Non resterebbe altro se non concludere che lo zolfo, » venendo a far parte integrale di un nucleo chiuso, as- •» sume un potere rifrangente minore. La dispersione del » tiofene è di poco superiore a quella del solfuro d' allile : » ciò starebbe in appoggio alla formula ordinaria, giacché -» anche nel solfuro d' allile vi sono due doppi legami. » Noi ci siamo proposti di esaminare in questo lavoro se è soltanto lo zolfo che trovandosi a far parte di un nu- cleo chiuso subisce una tale diminuzione nel potere ri- [5] (599) frangente, oppure se anche altri elementi in condizioni analoghe si comportano nello stesso modo : noi pensammo di studiare prima di tutto gli altri nuclei tetrolici, cioè il furano ed il pirrolo che si ritengono, come è ben noto, costituiti analogamente al tiofene ed ai quali perciò ven- gono attribuite le formule : HC HC CH CH 0 Furano HC- HC, , CH CH S Tiofene HC HC CH CH NH Pirrol» HC- r-HC oppure con minor probabilità HC HC CH CH HC HC CH HO HC HC CH CH NH L' analogia fra i tre composti e i loro derivati è tale che essi debbono sempre rappresentarsi in modo analogo : è bensì vero clie il comportamento del tiofene sotto certi punti di vista si allontana da quello del pirrolo e più an- cora da quello del furano ; così il tiofene si avvicina al benzolo assai più del pirrolo e più del furano, i cui doppi (600) [6] legami partecipano della natura dei legami olefRnici (i) ; nondimeno ripetiamo non si possono ammettere delle vere differenze di struttura come si intende comunemente, e, se differenze ci sono, debbono risiedere principalmente nella configurazione delle molecole, nella distanza degli atomi ed in altre delicate particolarità di intima costituzione. Studiati i nuclei eteroclici ed alcuni loro derivati ci parve opportuno di dover esaminare anche altre combinazioni eterocicliche come OH la piridina HC HC N CH OH CH HO e la chinolina HC OH CH CH N CH allo scopo di stabilire se le eventuali anomalie nel potere rifrangente fossero peculiari al nucleo tetrolico ovvero più in generale fossero in correlazione col formarsi del nucleo eterociclico ; e quindi di esaminare anche alcuni composti idroeterociclici per decidere la questione se la diminuzione nelle costanti ottiche si aveva ancora quando 1' elemento estraneo chiudeva un nucleo idrociclico. E poiché il prof. L. Balbiano mise a nostra disposizione diversi importanti derivati del pirrazolo HC OH HO NH (1) G. Ciamician e A. Angeli. — Sulla configurazione dei nuclei tetrolici. « Reud. R. Acc. dei Lincei ». Voi. VII, parte I.'"^ pag. 241, anno 1891. [7] (601) cosi noi intraprendemmo anche lo studio di queste altre combinazioni eterocicliche, per le quali la presenza simul- tanea di due atomi di azoto legati fra di loro ci faceva sperare resultati atti a chiarire diversi punti dell' argo- mento da noi studiato. Il soggetto da noi preso ad esaminare ci sembra di un certo interesse, perchè può fornire dei dati per la discussione oggi così viva sulla struttura dei composti ciclici. E qui non vorremmo essere fraintesi : noi non pretendiamo in nessun modo di edificare nuove teorie ottiche e molto me- no di risolvere in base a soli dati fisici la questione tanto dibattuta della costituzione del benzolo, della naftalina e degli altri nuclei : noi vogliamo soltanto portare un con- tributo che può essere giovevole alla discussione e nel tempo stesso mostrare di quanta utilità sieno i dati ottici in simili questioni, ove si applichino senza alcun precon- cetto. Il nostro contributo riguarda principalmente i com- posti eterociclici, giacché per quelli omociclici il potere rifrangente non ha detto che poco sin qui e non sembra che ci sia da sperar molto su di esso. Infatti ciò che vi è di più importante è sempre il fatto scoperto dal Briihl che nel benzolo vi è un eccesso di rifrazione molecolare, ri- spetto a quella calcolata colle semplici regole sommatorie, che corrisponde a circa tre volte 1' aumento che nella se- rie alifatica produce un doppio legame tra carbonio e car- bonio, argomento questo in favore, non vi è dubbio, della formula del Kekule;: ma però, anche senza tener conto dei molti derivati del benzolo nei quali, iper influenze costitu- tive, la regola del Briihl non si mantiene con esattezza, allorché si passa a composti benzolici con catene laterali non sature e più ancora quando si passa alla naftalina, all' antracene, al fenantrene e alle combinazioni che a quei nuclei si riferiscono, la regola stessa perde, come é noto, ogni significato e non è più di nessuno appoggio alle for- mule con doppi legami alternati. Ma anche ammettendo pel benzolo una costituzione diversa da quella indicata (602) [8] dal Kekiile e modificando conseguentemente le formule della naftalina e delle altre sostanze, non si riesce a dare una spiegazione unica degli aumenti nella rifra- zione propria a questi gruppi di composti : o si suppongano i legami diagonali o le valenze centriche o in parte i doppi legami e in parte i legami diagonali, resta sempre che l'au- mento per la naftalina e più ancora per il fenantrene ecc. è assai maggiore di quello che si può prevedere. Soltanto le formule centriche, sebbene non valgano ad eliminare le difficoltà, nondimeno non si può negare che, dal punto di vista ottico, non offrano un certo vantaggio. E un vantaggio indiscutibile, ove si modifichi un poco il primitivo concetto del Bamberger e ci si accosti alle idee espresse dal Ciamician, lo offrono queste formule per mettere d' accordo i resultati delle nostre esperienze otti- che colla costituzione dei nuclei eterociclici. E noto che il Bamberger (i), estendendo la teoria del Baeyer e dell'Armstrong sulle valenze centriche del ben- zolo, propose che le forraole della piridina, della naftalina, della chinolina, dell' antracene, del fenantrene ecc. si co- struissero sul medesimo schema : le formule da lui pro- poste sono le seguenti : OH HC HC \ OH HC OH HO CH Benzolo CH ( OH CH Naftalina (1) Bamberger. — Beitràge zuv Theorie sechsgliedriger Rimjsyste- me. « Liebig's Annaleu ». Voi. CCLVII, pag. 1, anno 1890. m HO HC (603) CH CH HC CH \ /\ -- . CH .,<>\; ^ / CH CH "\'/^M ^ C \ CH N Chinolina OH C \ ^ HC y \. W/' CH Fenantrene CH CH CH CH E partendo dall' assioma, come egli lo chiama (i-), che un sistema di valenze centriche pub sussistere soltanto come sistema esacentrico, egli attribuisce al furano, al tiofene, al pirrolo, al pirrazolo ecc. delle formule con le valenze centriche; e perchè il sistema sia esacentrico, am- mette che l'ossigeno, lo zolfo, 1' azoto (un atomo solo nel pirrazolo) vi figurino con la loro massima valenza, cioè sieno tetravalenti i due primi, pentavalente il terzo : le formule immaginate dal Bamberger sarebbero le seguenti (1) E. Bamberger. — Uber Die, Constitution funfgliedriger Ringsy- steme. « Beri. Ber. » Voi. XXIV, 1 pag. 1758, anno 1891. CH HC CH HC CH HC CH HC NH Pirrolo Le considerazioni principali che spinsero il Bamberger a proporre le formule scritte sopra furono le seguenti ; per il pirrolo ed i suoi derivati, il fatto che essi avreb- bero proprietà poco basiche, che cioè in altri termini r azoto in essi contenuto nui,nca di quella facilità di addi- zionare altri elementi che caratterizza 1' azoto trivalente e che dipende appunto dalla tendenza che esso ha di sa- turarsi e di funzionare come pentavalente ; per il tiofene il Bamberger ricorda che esso, secondo le esperienze di V. Meyer, non addiziona alchili alogenati come fanno i solfuri organici, probabile indizio, secondo la sua opinio- ne, che lo solfo sia già tetravalente. Ammettendo poi le valenze centriche i nuclei con cinque atomi vengono ad avere sotto il punto di vista speciale delle valenze una costituzione analoga a quella dei nuclei a sei atomi, a quella del benzolo: quindi la ragione delle formule del Bamberger. Il Ciamician (*) non è di questa opinione : egli ha di- mostrato che la maggior parte dei derivati del pirrolo pos- sono formare dei sali e non crede quindi necessarie di intro- durre nella scienza le nuove formule del Bamberger, le quali non avrebbero nessun vantaggio sulle altre e non (1) G. Ciamician. — Zur Constitution der Tetrolringe. « Beri. Be- richte. » Voi. XXIV, pag. 2122, anno 1893. G. Ciamician e C. U. Zanetti. — Sulle proprietà basiche dei pirroli. « Rend. R. Acc. dei Lincei, classe di scienze fìsiche ecc. » Voi. II, parte 1.^ pag. 518, anno 1893. t [11] (605) darebbero nemmeno esse ragione delle differenze che pure ci sono tra il tiofene, il furano, il pirrolo ed i loro de- rivati ; quanto all'ammettere le formule centriche egli crede che lo si possa fare senza ricorrere all' ipotesi della valenza massima nell' ossigeno, nello zolfo e nell' azoto HC HC CH OH HC \ HC 1/ CH 0 Furano Ma il Bamberger (i) è di opinione che sistemi cen- trici non possono esserci se non alla condizione di essere esacentrici, e quando un sistema esacentrico addiziona an- che due atomi di idrogeno subito le valenze potenziali di- ventano attUcili e si passa a nuclei con legami doppi olef- finier. Secondo il Bamberger 1' ipotesi delle valenze cen- triche perde la sua maggiore importanza, il suo significato quando si estende nel modo proposto dal Ciamician. Fa nota. 'e il IJamberger come, lasciando da parte le valenze centriche che, secondo il Ciamician, pare che abbiano già fatto il loro tempo, la questione si ridurrebbe ad ammet- tere nei composti di cui ci occupiamo la tetravalenza dell' ossigeno e dello zolfo e la pentavalenza dell' azoto : le formule in base alla prima ipotesi sarebbero le seguenti: HCt HO CH HC \/ 0 Furano CH HC CH \/ S Tiofene CH HC HC CH CH NH Pirrolo (1) E. Bamberger. — Zur Constitution funfgliedriger Ringsysterne. « Liebig's Annalen ». T. CCLXXIII, pag. 373, anno 1893. (606) [12] Per concludere il Bamberger ritiene utile ad ogni modo ammettere la valenza massima degli elementi nei nu- clei con cinque atomi, il Ciamician, nella sua nota in colla- borazione collo Zanetti, crede la stessa ipotesi superflua e viene alla seguente conclusione che noi riportiamo per intero, perchè di alcune considerazioni svolte ci gioveremo più tardi (i). « A noi sembra che 1' analogia dell' anello pirrolico » con quello benzolico ed il difetto di spiccate proprietà ■» alcaline nel primo possono trovare espressione sufficiente, » anche nella formula ordinaria del pirrolo, con 1' azoto » trivalente. Comparando quest' ultima con quella del ben- » zolo secondo Kekulé si nota che i due anelli sono for- » mati da un radicale C4H4 comune ad entrambi \ // HC// ■ \}CH NH » da un radicale bivalente, che è in un caso il gruppo » C2H.2 e neir altro l' immino NH. Questi due gruppi sono » perfettamente equivalenti, perchè ciascun di esso pos- » siede due valenze latenti che, come le attre quattro del- » r anello completo, hanno ordinariamente poca tendenza » a rendersi manifeste. » Secondo Bamberger invece 1' analogia fra le formolo » del pirrolo e del benzolo verrebbe considerata da un » altro lato. Oltre al radicale comune C4H4 vi sarebbe il » gruppo tetravalente C2H2 , a cui corrisponderebbe V im- » mino NH tetravalente anch' esso (1) G. Ciamician e C. U. Zanetti. — Loco citato. [13] (601 HC CH HC CH ««\\ //"" Hc/ \cH CH CH NH » A noi sembra che la vecchia formula generalmente » usata rappresenti i fatti sperimentali in modo soddisfa- » ceiite e dia ragione del comportamento chimico del pir- » rolo, nel limite concesso alle formule di struttura, senza » bisogno di nuove ipotesi che non trovano appoggio in » nessun altro fatto all' infuori di quelli per cui furono » ideate. » Il carattere peculiare dell' immino pirrolico non è » dunque la sua tetravalenza. L' azoto in esso è trivalente > come sempre, ma le sue altre due valenze che nelle » ammine ordinarie sono pronte a manifestarsi, si trovano » in uno stato latente come quelle che formano i due » doppi legami fra i quattro atomi di carbonio del radi- » cale tetrolico C4H4. » Ci siamo un poco estesi su questo argomento e su questa polemica perchè dovremo poi soffermarci su di esso dopo avere esaminati i resultati delle nostre esperienze. II. Noi pensammo che per meglio risolvere il problema che ci eravamo posti, era necessario di esaminare le com- binazioni meno complesse, possibilmente i nuclei semplici e non i loro prodotti di sostituzione : per questi possono darsi due casi : è noto, e le recenti esperienze fatte da T. V, S. VII 41 (608) [14] uno di noi (i) lo dimostrano, che spesso, di mano in mano che la molecola va facendosi più complicata anche per sole successive sostituzioni di gruppi alchilici, il potere ri- frangente molecolare diventa sempre meno proprietà co- stitutiva : il potere rifrangente specifico va sempre meno variando per variazioni nella composizione della molecola, predomina allora, diremo cosi, la parte dovuta alla riu- nione degli alchili e valgono allora le regole sommatorie entro limiti che possono rientrare negli errori d' osserva- zione : oppure può accadere che il nuovo gruppo che si sostituisce sia di quelli, come il fenile ed il gruppo aldei- dedico, che danno luogo a quell' esaltamento nel potere rifrangente, messo per la prima volta in rilievo da uno di noi, esaltamento spesso imprevedibile e che sino ad ora non sembra essere intimamente collegato con le nostre formule di struttura. In un caso o nell' altro si hanno cosi delle cause perturbatrici che non permettono di sta- bilire quale veramente sia 1' azione esercitata sul potere rifrangente da quella particolarità di struttura che si con- sidera. E per queste ragioni che noi, affinchè i confronti riuscissero sicuri e utili abbiamo voluto esaminare oltre il tiofene, anche il furano e il pirrolo : abbiamo poi stu- diati i corrispondenti derivati 1-4 metilici per vedere se e come la sostituzione del metile all' idrogeno modifica la rifrazione del nucleo fondamentale. Analogamente abbiamo fatto per la piridina che abbiamo confrontato con la pi- colina, e per la piperidina che abbiamo confrontato con la coniina. Oltre la chinolina abbiamo studiato anche la isochinolina allo scopo di esaminare se il trovarsi 1' azoto in immediato contatto dei due atomi di carbonio centrali del nucleo naftalico produceva sul potere rifrangente lo (1) G. Carrara. — Influenza degli alogeni sul valore ottico dei doppi legami. « Gazzetta chimica italiana ». T. XXIII, parte II, pag. 1 anno 1893. [15] . . . (609) stesso effetto che il trovarsi in un' altra posizione del nu- cleo. Per i derivati del pirrazolo, se non ci è stato pos- sibile esaminare il pirazzolo libero, abbiamo però potuto, grazie alla gentilezza del prof. Balbiano, esaminare il com- posto in cui un solo idrogeno è sostituito dal metile : ve- dremo a suo tempo a quali conseguenze non giuste si possa giungere se invece si considerano solo i derivati più comuni, quelli cioè in cui il fenile è attaccato all' azoto imminico. Alcuni fra i derivati azotati che qui esaminiamo erano stati studiati dal Gladstone ; nondimeno siamo tornati a fare le esperienze, giacché il Gladstone, non avendo quasi mai fatto misure rispetto alla riga C (riga Ha), ma sibbene ri- spetto alla riga A e ad altre dello spettro solare, noi avrem- mo dovuto mediante la formula di Canchv dedurre col calcolo i valori (xHa, la qual cosa senza dubbio comporta una minore esattezza. Dobbiamo del rimanente far osser- vare che, nella maggior parte dei casi, c'è perfetto accordo tra i resultati nostri e quelli dell'illustre scienziato inglese. Mentre questo lavoro era già compiuto dal lato speri- mentale e lo si scriveva è comparsa una Nota preliminare del prof. Briihl (i) sulla spettrochimica dell' azoto nella quale egli, riportando alcune sue misure sull' 1 Fenil- 3-5 dimetil pirrazolo, dichiara di volersi riservare questo campo di lavoro a cui attende da anni. Naturalmente noi abbiamo pubblicato i resultati delle nostre esperienze sui composti azotati che entravano nel dominio delle ricer- che intraprese, giacché esse non mirano affatto a stabilire la spettrochimica dell' azoto (2). (1) I. W. Brùhl. — Die Spectrochemie des Stickstoffs (Vorlàufige Mittheilung). « Beri. Ber. » T. XXIV, pag. 806, anno 1893. (2) Debbo osservare che il campo che si vuole riservare il prof. Brùhl mi sembra tutt' altro che un campo chiuso o da chiudersi, giac- ché sin qui vi hanno lavorato molti e sono stati esaminati moltissimi composti. Fra i lavori piìi recenti citerò i seguenti : J. H. Gladstone e (610) [16] Alcuni dei composti esaminati furono preparati da noi stessi, altri, provenienti dalla fabbrica Kahlbaum di Ber- lino, li purificammo con tutte le cure : sempre determi- W. H. Perkin. — On the correspondence between the Magnetic Rota- tion and the Refraction and Dispersion of Light hy Compounds con- taining Nitvogen. (Journ. Chem. Soc. Voi. LV, pag. 750, anno 1890) ; in questo lavoro vengono esaminati sessantasette derivati azotati. — R. Loewenherz — Uebcr die Molehulavrefraktion Sticksloff enthaltender Substanzen. (Zeitschr. fiir physikalische Chemie. Voi. VI, pag. 552, an- no 1890); in questa Memoria vengono esaminate circa quaranta combi- nazioni e r autore chiude cosi : Ich gedenke ein anderes Mal ilber Ver- bindungen, die Stickstoff" mehrfach an Kohlenstoff oder mehrfach an Sticksto/f gebunden enthalten und ùber anorganische Nitrite zu berichten. — R. Bach. — Tltermochemie des Hydrazins, nebst eine Bemerkung ilber die Molehidarrefraction einiger Stickstoff verbindungen. (Zeitschr. fùr physikalìsche Chemie, Voi IX, pag. 241, anno 1892) : in questo la- voro, eseguito nel laboratorio del prof. Ostwald, l'A. esamina V idrato, il cloridrato e il bicloridrato d' idrazina, Y idrossilammina e il suo clo- ridrato e alcuni cloridrati di basi organiche. — T. Costa. — Sul potere rifrangente molecolare delle carbilammìne e dei nitrili. (Rend. R. Acc. dei Lincei, Voi. VII, parte 2.^ pag. 308, anno 1891) : TA. così chiude il suo lavoro : Spero fra non molto di fare altre comunicazioni sopra questo argomento, giacche ho già incom,inciato lo studio di altri iso- cianuri spjecialmente appartenenti alla serie aromatica. — F. Zecchini. — Sopra un notevole caso di accrescimento anomalo nel potere rifran- gente delle basi feniliche. (Rend. R. Acc. dei Lincei, classe di scienze fisiche ecc. Voi. II, parte 1.^ pag. 491, anno 1893). La Nota fu da me presentata all'Accademia il giorno 9 aprile 1893. La questione m'interessa un poco giacché i due ultimi lavori sono stati eseguiti sotto la mia direzione. Di uno di essi, dell'ultimo cioè, il prof. Brùhl non poteva saper nulla perchè pubblicato contemporanea- mente al suo (il fascicolo 6." dei « Beri. Berichte » del 1893, usci il 10 aprile), ma l'altro poteva conoscerlo giacché non solo fu pubblicato nei « Rendiconti dell'Accademia dei Lincei » e nella « Gazzetta chimica ita- liana», ma comparve anche in sunto nei diversi periodici tedeschi. Notisi che il sig. Briihl dice proprio che una delle questioni principali di cui si occupa, è quella dello studio ottico dei nitriti e che riguardo al valore ottico del doppio legame tra carbonio ed azoto non c'è nessuna esperienza! Ecco le sue parole : Wie steht es nun bei der sogenn. doppelten Bindung zwis- chen Sticksto/f un Kohlenstoff? Zur Beantvoortung dieser Frage lag bisher [17] (611) nainmo con esattezza il punto d' ebuUizione e, quando ci sembrò necessario, facemmo 1' analisi e stabilimmo la den- sità di vapore dei prodotti esaminati. I derivati del pirra- zolo ci furono forniti, come abbiamo già detto, dal prof. Balbiano e in stato di completa purezza. Gli indici di rifrazione furono determinati col metodo delle minime deviazioni prismatiche : ci servimmo di un eccellente spettrometro della fabbrica Hildebrand di Frei- berg, il quale strumento permette un' approssimazione di- rettamente di 10" e per apprezzamento di 5". I pesi spe- cifici si riferiscono all' acqua a 4° e le pesate furono ri- dotte al vuoto. Le costanti di rifrazione da noi adottate in questo lavoro sono le seguenti e si riferiscono alla riga a dello spettro dell' idrogeno. r ormula d c 5. 0 H 1. 3 0 (alcoolico) 2. 8 N 5.16 S 14.10 («2 ^2)d 2.48 1.04 1.58 2.71 7.37 gar kein Beohachtungsmaterial vor. Io non so se il prof. T. Costa in- tende di proseguire il lavoro giacché ciò non è facile a capirsi in una sua Nota pubblicata negli Atti dell'Accademia Medico-Chirurgica di Ferrara, ma ad ogni modo io dichiaro di non ritenermi affatto obbli- gato dalla pubblicazione del prof. Briihl a non far proseguire nel mio Istituto, ove lo creda opportuno, tanto il lavoro del Costa che quello dello Zecchini. Del rimanente non posso che associarmi all' opinione del prof. Ostwald, il quale in una sua recensione di una Nota preliminare del sig. Lellmann, che accennava a volersi riservare un campo di lavoro, così si esprime : Es ist auf lebha.fteste zu bedauc-n, dass die leidige Praxis des Reservivens hestimmter Forschungsgebiete auch in der phijsihalicher Chemie Platz zu greifen begìnnt. Solche Anspriicli welche dem Portschritt der Wissenschaft nur naclitìieilig sein konnen, werden in des Physik nie erlioben. (Zeitschrift fiir phvsikalische Chemie T. IV, pag. 576 in principio, anno 1889). R. Nasini. (612) [18] Per r azoto il valore adottato è quello che si ricava dalla piperidina e che non è sensibilmente diverso dal va- lore medio che vale per le animine in genere e special- mente per le ammine terziarie : è dunque azoto legato per tre valenze a tre atomi differenti di carbonio : abbiamo scelto questo valore perchè ci è sembrato che 1' azoto in tali condizioni sia quello che offre più analogia con l'azoto che fa parte di un nucleo eterociclico e per mettere poi meglio in rilievo, ove sia il caso, le modificazioni nel po- tere rifrangente dovute al legame doppio tra carbonio ed azoto. Anche il Brùhl (*) nel suo lavoro, Die Spectrochemie des Sticksto/fs, ha adottato questo numero per i confronti. Quanto allo zolfo abbiamo adottato i valori medi che si ricavano dallo studio fatto da uno di noi (2) sopra i sol- furi e i solfidrati organici. Non ci siamo occupati in questa memoria dell' acido piromucico, dei suoi eteri, e del furfurolo. L'acido piro- mucico fu studiato in soluzione acquosa diluitissima dal Kanonnikoff (3), il quale trovò per il suo potere rifran- gente un numero eccezionalmente basso, ma non sappiamo quanto tali dati sieno attendibili : invece per il furfurolo, che è molto dispersivo e che fu studiato dal Briihl (4), si hanno esperimentalmente dei valori che superano assai i (1) « Beri. Rerichte » Voi. XXVI, pag. 807, anno 1893. (2) Nasini. — « (lazz. Chimica Italiana ». T. XIII pag. 296, anno 1983. — Nasini e Costa. — Sulle variazioni del potere rifrangente e dispersivo dello zolfo nei suoi composti. Pubblicazione dell' Istituto Chimico della R. Università di Roma. — Tipografia dei Lincei, anno 1891. (3) 1. Kanonnikoff. — UvterftHcJiwn/en vber dns Liclitbrechungsver- mógen chemischer Verbindungen. « Journ. f. prakt. Chemie » [2] T. XXXI, pag. 321, anno 1885. (4) I. W. Briihl. — Untersuchungen uber die Molekiilarrefraction organischer jìihsiger Kih-per von grosscn Farbenzertreuungsrermogen, « Liobig's Annalen ». T. CCXXXV, pag. 1, anno 1S8G. [19] (613) calcolati. Il sig. G. Gennari, laureando in chimica, ha stu- diato otticamente in questo laboratorio 1' acido piromucico e diversi suoi eteri, alcuni dei quali preparati da lui per la prima volta : quanto prima saranno pubblicati i resul- tati delle sue ricerche Furano HC OH HC CH Il furano fu preparato facendo agire la calce sodata sul piromucato baritico. È un liquido incoloro, mobile, che bolle alla tempe- ratura di 32°. Una determinazione di densità di vapore col metodo di V. Meyer détte i seguenti resultati : gr. 0.0756 di sostanza spostarono un volume d' aria di 28 ce. alla temperatura di 23" sotto la pressione di mm. 761.16: di qui trovata calcolata per C^H^O Densità di vapc re 2.33 2.35 1-4 Dimetilfurano HC CHs-ClI CH C-CH3 Fu preparato facendo agire il cloruro di zinco sopra r acetonilacetone. E un liquido incoloro che bolliva alla (614) [20] temperatura 9;^°.8-93°.3 (corr) alla pressione di mm. 764.32 (ridotta a 0°). Una determinazione di densità di vapore col metodo di V. Meyer dette i seguenti risultati : gr. 0.0586 di sostanza spostarono un volume d'aria di 14.5 ce. alla temperatura di 16° sotto la pressione di mm. 759.8: di qui trovata calcolata per CgHgO Densità di vapore 3.37 3.32 Tiofene HC OH HC OH Sopra il tiofene, come già fu detto, sono state fatte determinazioni dal Nasini insieme collo Scala e dal Knops 14 Dimetiltiofene HC CH CH3-C C-CH3 Fu preparato per azione del pentasolfuro di fosforo sopra r acetonilacetone. Fu poi distillato più volte sul sodio: bolliva alla temperatura di 135°.5-136° (corr.) alla pressione di 754.0 (ridotta a 0'^). Una determinazione di densità di vapore col metodo di V. Meyer dette i seguenti resultati : [21] (615) gr. 0.0536 di sostanza spostarono un volume d' aria di 12.5 ce. alla temperatura di 23° e sotto la pressione di mm. 757.66 : di qui trovata calcolata per CgHgS Densità di vapore 3.79 3.87 Pirroio HO rCH HO CH NH Dobbiamo questo prodotto alla gentilezza del prof. Cia- niician. 11 Pirroio era stato esaminato otticamente dal Glad- stone il quale aveva trovato 34.78 come rifrazione mole- colare (riga A, formula n), numero che si accorda abba- stanza bene con quello trovato da noi (i) 1-4 Dimetilpirrolo HC.-j r.CH CH3-c'l llc-CH3 NH Fu preparato per azione dell'ammoniaca sull'acetonil- (1) .1. H. Gladstone. — Refrnction Equivale.nts of organic Com~ pounds. « Journal of the Cliemical Society ». July 1884. Voi. XLV, pag. 241. (616) [22] acetone. Bolliva alla temperatura di 166°. 5 (corr.) alla pressione di ram. 755.6 (ridotta a 0°). Da un' analisi elementare di questa sostanza avemmo i seguenti resultati : gr. 0.253G di sostanza dettero gi\ 0.7042 di anidride carbonica e gr. 0.2162 di acqua : di qui Ho/o trovato 75.73 9.48 calcolato per CgHgN 75.79 9.47 Piridina OH HO HC / CH OH Proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino : fu ret- tificata e seccata : la porzione esaminata da noi bolliva alla temperatura di 115'\7 (corr.) alla pressione di mm. 758 (ridotta a 0°). La piridina fu esaminata anche dal Glad- stone, il quale trovò per il potere rifrangente molecolare (riga A, formula n) il numero 40.30, che non si discosta molto dal nostro (i). (l) J. H. Gladstone. and W. Perkin. — On the correspondence heticeen the magnetic Rotafion and the liefraction and Dispersion of Light by Compounds containing Nitrogen. « Journ. Chera. Soc. » De- cember 1887, Voi. LV, pag. 750. [28] (617) Picolina (o a Metilpiridina) OH HC ^ ilCH HC C.CH3 Proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino : fu da noi rettificata e seccata. Bolliva alla temperatura di 131°.95 (corr.) alla pressione di mm. 762.35 (ridotta a 0°). Fu esa- minata anche dal Gladstone, il quale trovò 48.54 per la rifrazione molecolare (riga A, formula n), numero poco di- stante dal nostro (1). Chinolina CH CH HC HO CH CH Proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino e fu da noi rettificata e seccata. Bolliva alla temperatura di 235°.9 (corr.) alla pressione di mm. 757.6 (ridotta a 0°). Anche di questa base il Gladstone determinò il potere rifrangente : (1) J. H. TTlad.stone. — Refrnction Eqiiivnlents ecc. « Journ, Chem. Soc. » Voi. XLV, pag. 241, anno 1887. HO HC CH (618) [24] i trovò 71.94 come rifrazione molecolare (riga A, formula n), i numero che si allontana un poco dal nostro (i). j Isochinolìna CH CH c e CH CH Proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino : fu sec- cata e rettificata. r3olliva alla temperatura di 240°.6 (corr.) alla pressione di mm. 757.8 (ridotta a 0°). Piperidina HaC HaC CH2 H2C CH-2 NH Proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino : fu da noi rettificata e seccata. Bolliva alla temperatura di 105°.7-106°.2 (corr.) alla pressione di mm. 761.28 (ridotta a 0°). 11 (llad- stone aveva trovato come rifrazione molecolare della pipe- (1) Ibideoi, [25] {(nu) ridina (riga A, formula n) il numero 44.46, che va d'accor- do col nostro (i). La piperidina fu esaminata anche dall'Eyk- man che trovò numeri del tutto concordanti coi nostri ('^). Coniina (a normal propilperidina) CH2 ÌUG H-^C CH.2 C- C.("7 NH I numeri che si riferiscono alla coniina li togliamo da un lavoro eseguito in questo laboratorio dal dott. Zecchini e che è ora in corso di stampa (3). A questo lavoro rimandiamo per tutto ciò che si riferisce al prodotto adoperato. C-Metilpirrazolo HO CH CH3C NH Questo composto e tutti gii altri derivati pirrazolici li dobbiamo al chiar.° prof. Balbiano, il quale ebbe la genti- (1) Gladstone. — On the Correspondence ecc. « Journal Chem. Soc. » Voi. LV, pag. 750, anno 1887. (2) T. F. Eykman. — Refmctometrisches. « Beri, Ber. » Voi. XXV, pag. 3069, anno' 1892. (3) D."" F. Zecchini. -- Esperienze sul potere rotatorio della coniina e dei suoi sali. « Rend, R. Acc. dei Lincei» Classe di scienze fisiche, ecc. Voi 11, 2." sem., pag. 168, anno 1893. (620) [2fi] lezza di mettere a nostra disposizione questi interessanti composti alcuni dei quali per la prima volta da lui preparati e studiati. Il C Metilpirrazolo fu ottenuto dal dott. Marchetti (i) nel laboratorio del prof. lUilbiano e si presenta come un liquido denso, incoloro che bolle alla temperatura di 200° alla pressione di mm. 747.5 (ridotta a 0). 3-5 Dimetilpirrazolo HC CCH3 CH3C NH Questo composto fu preparato dal dott. Marchetti (2) nel laboratorio del prof. Balbi ano. Esso è solido, cristallizza in belle lamine bianche solu- bili neir alcool, nell'etere nel benzolo. Sublima già a 90°, fonde a 106°-107° e bolle alla temperatura di 218° alla pressione di mm. 758.5 a 25°. Fu esaminato in soluzione benzolica alla temperatura di 25°.7. Le costanti del ben- zolo adoperato erano le seguenti alla tempetatura di 24°.5 [iH« = 1.49393 ; ^J^ 0.87409 ; ^Ha — 1 V-^hì — 1 —-—-=0.56508 ; ^ ^' =0.33300 . (1) G. Marchetti. — Sopra alcuni nuovi composti pirrazolici. « Atfi della R. Acc. dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze fisi- che ecc. » I. parte I.^ pag. 360, anno 1892. (2) G. Marchetti. — Sull'idrogenazioue delV 1 fenile metil 5 etil- ■pirmzolo e delV i fenil 3-5 dimetilpirrazolo. « Rend. della R. Acc. dei Lincei ». Voi. VII, parte 2.% pag. 372, anno 1891. [27] (621) La soluzione benzolica esaminata conteneva in 100 yi*. 11.200 gr. di dimetilpirrazolo. 11 potere rifrangente speci- tìco della sostanza fu dedotto colla solita formula semplice dei misrugli 1 Fenil-3-4 dimetilpirrazolo CH3C CCH:, HC N-C6H5 Fu preparato dal prof. Balbiano insieme col dott. Se- verini (1). E un liquido colorato in giallo chiaro, di odore aromatico che bolle alla temperatura di 277°-278° (termome- tro nel vapore). 11 prof. Brlihl recentemente (2) ha esami- nato otticamente l' isomero 1 Fenil 3-5 dimetilpirrazolo : per la riga Ha e per la formula n^; ottenne come rifrazione molecolare il numero 53.23, che è pochissimo differente da quello trovato da noi 1 Fenil-4 metil-5 etilpirrazolo CH3C OH C2H5C N-CgHg (1) L. Balbiano e 0. Severini — Sopra alcuni acidi della serie pirrazolica. « Rend. Acc. Lincei, Classe di Scienze fisiche ecc. » Voi. I. parte 2.% pag. 195, anno 1892. (2) I W. Briihl. — Die Spectrochemie des SHckstoffs -Vorldu/lge Mittheiluag. « Beri. Ber. Voi. XXVI, pag. 807, anno 1893. (622) [28] Questo composto fu preparato dal dott. Marchetti nel laboratorio del prof. Balbiano ; fu ottenuto per la prima volta da L. Claisen e L. Meyerowitz (i). È un liquido quasi incoloro di odore cliinolinico che bolle tra i 282° e i 284°. 1 Fenil4-metìl-3-5 o 5-3metiletilpirrazolo CH3C1 CC2H5 CH3C CCH3 0 CH3C C2H5C N-C6H5 N-CeHs Questo pirrazolo tetrasostituito fu ottenuto dal jtrof. Balbiano {^) : è un liquido colorato in giallo d' oro, di odore aromatico, insolubile nell'acqua, solubile nell'alcool e nell'etere: esso bolliva alla temperatura di 150° alla pres- sione di 75 mm. di mercurio. I resultati delle nostre esperienze e dei nostri calcoli sono riuniti nelle due tabelle seguenti, che non hanno bi- sogno d' illustrazioni : le rifrazioni molecolari ed atomiche sono state calcolate in base alle formule di costituzione che si trovano sopra sviluppate e che sono quelle che ge- neralmente si accettano : vedremo dopo quali modificazioni nei valori calcolati si avrebbero adottando altre formule. (1) L. Claisen und L. Meyerowitz. — Ueber einige Ketoaldeide. '^t^oooo 1 1 O'COC^'^OC'OOiOCTJOOO^Ci >- 8 — ■Oici^c^ìcoco-T'^^r^r-— ' i i i 1 E ixi LO lO i; --£: :c o ic a:: ^) O' ce e'^ lO 1 1 1 1 O O' o o o o o o — — — o o rL 1 rL V LO ic o -1- i>ì t^ r ■ •» -^ lO -t< 00 -r t^ * -^ f 7^* X ir — 1 -1" -^ X '.e GÌ O ce O '-O t^ lO (^ — — ^ :C '~ O 1 1 1 '"Htì- ^Hrl —• r^i oì :^/ -ri oj o? c>( lo -r — — o/ 1 1 1 1 ooooooooooooo o o o o o o o ~ o o o o o Pfe+'H^T]) IO '^ !>ì '!» X ^"! co — ' O? O O O -^ CC' o CO' CRt^CJCOt^iOt^^XC^'^OClt^CC't^ x o — t- t^ co o 'rr ':>! o t^ ;>^ Ci o? lO X ■^' 'O t^'OiXXOO— 0(>*— ' 'XCIC:— ' — l-'^H.rl (T*; (>ì '^( o( r: co co co co co co co w G^ co co co oooooooooooooooo o 7 050XOt-~X — '* — ^OCOlOCOcOCO -* C5 8 -« t^ '^ X o C5 — ' oj co — co co o* co r- o co ^ co ■^ -^ •* '^ LO lO lO lO LO lO iC lO -^ LO lO lO LO :3_ oooooooooooooooo o co o o) X co co LO o o; r- o OJ co t^ 5- r^ co o X -* O' co LO co ''^/ o — lO 3:3 ^ X 05 — LO — -!< LO O r f LO — 1 1 , 1 ! =^ (>» LO -* LO co co 0/ co X o co o — 1 1 1 1 ■^_ -^ lO LC LO LO LO LO co co -^ -^ LO 1 05 ^ co X lO o -^< co co ;?( r^ r- (>j co IO >-o. o <>j o> o. ro lO o r^ co— t^ r- co t^ co ix: X — -» — lO o LO co o X X o co 1 t- 1 t^ 1 =^ —1 LO f -T OJ T» — >/ LO -^ lO lO O 1 X l rr ^ -r LO lO LO lO> LO lC co co -^ -^ lO lO LO ^_,________— — . — •Z- ^ ^> ce t^ O LO '^ IC 0> O X t^ X lO — LO '35 (M co co —• -^ 05 a 1 oj co X '^ 1 co o» 1 -^ O) co -* \ oì 1 rL 1 -* f>^ oi — ' lo— 1 (>J LO lO 02 1 r^ 1 co '^lOilOlO lOlO CO-^'*-^ lo LO — — —'—' — . — . _ ^ _ — — < — X co o '^» o — X 02 OS t^ !>) i-- LO (M X Ci o w 8 o lO o co -*< CO' -r o) -M — f- o> -" o — o ^ rL t- o o) co o -^ o X Ci CO' c^ o o co co X r- O co i» >:>( O O O O — ' — < -f 1 0 Oi Ci co co ^ ^ -*Lq LO lo LO lo_ LO CO co "^^ -T ^_ Tf io_ lO lO t^-^xofi^'^iMco — uor^xco-<*<>?co co Loco(^)coxol^^ — cicoxoit^Ci — LO O) *- XC^Ci'^LOCOLOCOCOCiOCONCOt^O co 1 -^ OOiOCOXCOCOXCiOiLO''*JvìXlOCO 00 ^ OiCiOOCiCi'CiCiOOXXOXOO o ; OO — — OOOO — — OO— 'O— — — ' co t^ — cc^ -^ oc t^f-^^ X -kO cooooo o'o'oo'o oo o'oo o — -t^lOOOi— 'OiCOO— 'COCOCOlCO'OJ Ci (N — ■ CQ f>J — Cv) — — . 0> (N N N — ' '>V — O» 1 a "o "o H --S ci ci co 7^ s .^-^ lA ■<. ^-^ Oh Q. H i> ^'3^5 IO C H H c 3-" .;:i .-. .5 .-. .S ,J= g -^ O • --. a> "o SI -2 ^ ^ '^ ^ lO ^ t— — e» ce . o 8 t« T. V, S. VII 42 (624) w [w - s - o] 09UieJ'}R8 rf ^ 5 ^ -- OS di o -^ fe+'H.Ti) 1- '^z^-à [m - s - o] 08Uiej;S9 rS Ctì rf .2 o:i rt o 9 £ 1^ --= a I-^Ht]^ 8JB|009|OU1 osad co lO -f Ci cC' (SO o ce o) !io Oi — ' '~ co '^ o ^ t^_ C^J lO Tf (^> oc — t^ 00 OD CN t^ C5 O Oi ^ LO o ~ -^ o c^ — ^ i>i oi ■>>" -» ^' (N o) o) '^> ro co c\; co 05 od —1 o» O— I— ' — (MCO-^^^OSOOlOlC'^iOlOcO osco— '— lOiococ^r^ooocjoo lO in>eoif:i'?f<^o«0'<*<0'^'*0ic:5 o cClOocot^a5co'^;occoocc10c^'^J'>Jco ^I^^COXOOOt^t^OCO^OOCOO— 'O o '-ó — — ' 1-' lc o o oc co oi '^ r-^ ci oc oi —^ C01<^'*iCC0l0'^-^l^t-'*OC0-*C^O X' — co C35 r^ 05 <>) w 00 <>) 00 05 (- 00 i C>ì tcjx,_ d::^ ffin nj:_D:: te he e te e e k e k ,2-2 i O O p SI N e tì a co . ^ -t;^ IO ■a ^ ^ g '-5 S ^-'B-*^ = ^ ■ è.| .2 .2.^.S.S.2-^ 83§^.S g g g "* -* '«a* lO —( ,-( ^ III I — ' — ' — 1 co o rr: 2 .-^ [30] 03 OJ -— - O ■ o S n > rf X 3 ■^ ^ t» <]j ^ "^ -^ s rt tn ot; - c 'O aj ;^ t- %-, _^ j>, » ^^ G -^ OJ lO ^ -^ a s =«■£: o-g o ■: 5 n3 -S o cr' il j2 S o ;:2 .2 ^ ^c.2 a '— ' e ai Ti N T3 ■03 E- 03 t3 ctì o .s u a> a, g e «B ri o sa, t- o c5 O. a 'S t O ^1 3 TZi ^^ G C o C J , , o g o 1-1 -^ ^ hn o o G <2 ^ q; ^— ^ -^-' o G (>} > "rf +s 03 n3 ^ [31J ((125) HI. Da un primo esame della seconda tabella appare evi- dente come lo stesso comportamento anormale osservato dal Nasini e dallo Scala pel tiofene lo presentino anche gli altri nuclei eterociclici fondamentali : infatti il furano, il pirrolo, il Cmetilpirrazolo danno tutti per le rifrazioni molecolari dei valori che sono inferiori a quelli calcolati : ciò risulta più evidente al solito per la formula n , ma le differenze sono evidenti anche per la formula n^ . Per questi composti parrebbe a prima vista clie si dovesse avere un accordo migliore ove noi supponessimo le formule con un solo doppio legame, secondo lo schema per il furano, il tiofene e il pirrolo e quella con legami diaconali NH per il pirrazolo, ammettendo bene inteso che simili conca- tenamenti speciali e legami diagonali non portino con se un aumento nel potere rifrangente. Allorquando dal composto fondamentale si passa ai deviati bimetilati si osserva che le divergenze tra i valori calcolati e i trovati si vanno facendo più piccole, ma sono (626) [32] sempre evidenti per la formula n : rientrano quasi negli errori di osservazione per la formula n'^ : per il dimetil- pirrazolo abbiamo già dei valori normali per la formula n, e per la formula n'^ la rifrazione molecolare trovata ecce- de di poco, ma eccede, quella calcolata. La piridina rispetto alla formula n si comporta anche essa in modo analogo a quello degli altri nuclei eterociclici, giacché per il valore dell'azoto si avrebbe una differenza in meno di 0,7, differenza non spiegabile coli' invocare gli errori di osser- vazione, tenuto conto della facile purificazione del prodotto e del suo piccolo peso molecolare: per la formula n^ si ha comportamento normale. Assai istruttiva riesce la compa- razione tra la picolina e l'anilina, già studiata dal Briihl, le quali sostanze hanno la stessa formula CgHyN , ma dif- feriscono perchè mentre nella seconda ci sono nel nucleo tre doppi legami tra carbonio e carbonio, nella prima in- vece ci sono nel nucleo due doppi legami tra carbonio e carbonio e un doppio legame tra carbonio ed azoto : per r anilina si hanno le rifrazioni molecolari 52.75 {n) e 29.92 (n2) ; per la picolina 48.78 (n) e 28.54 (n^). Per la coniina il valore trovato supera di un poco quello calco- lato in base alla rifrazione atomica che 1' azoto ha nella piperidina : ciò sta d'accordo con quanto avevano osservato il Nasini ed il Bernheimer, cioè che nei composti aro- matici r introduzione delle catene laterali sature è spesso causa di aumento nel potere rifrangente. Ma ciò che im- porta notare nel confronto tra la piridina e la piperidina è la nessuna azione del doppio legame tra carbonio ed azoto sul potere rifrangente molecolare, la qual cosa risulta anche dal confronto già fatto tra la picolina e l'anilina : per la formula n si ha anzi un numero più piccolo per l'azoto doppiamente legato che non per quello legato sem- plicemente, e per la formula n"^ si ha lo stesso valore. Per la chinolina e 1' isochinolina si osserva che la prima ha una rifrazione molecolare maggiore di quella della seconda : fatto questo di una certa importanza per le considerazioni [33] (627) che saranno svolte in seguito. Per queste due combinazioni le rifrazioni molecolari trovate eccedono di molto quelle calcolate, ove il calcolo noi lo facciamo in base alle costanti atomiche; ma, se si tien conto che la chinolina appartiene al gruppo della naftalina e in base a questa considerazione facciamo i calcoli, si osserva invece che anche la chinolina e r isochinolina si comportano presso a poco come gli altri nuclei eterociclici. Riguardo ai derivati pirrazolici è quasi certo a ritenersi che il pirrazolo libero si comporterebbe in modo del tutto analogo al pirrolo: la successiva sosti- tuzione delle catene laterali porta con se un forte aumento nel potere rifrangente e quando poi vi si introduce il fenile l'aumento è tale che si riscontra un grande eccesso del valore trovato su quello calcolato, fatto questo che autorizzò, a quello che sembra, il prof. Briihl ad ammettere che ciò dipendesse dall'aversi qui azoto doppiamente legato con carbonio ; ora questa ipotesi è completamente smentita dal comportamento della piridina e piperidina e da quello del Cmetil e del 3-5 dimetilpirrazolo. E qui si può presentare un'obiezione. Saranno sicure le nostre deduzioni basate principalmente sullo studio dei nuclei fondamentali ? Spesso si afferma, sia in riguardo al potere ri- frangente sia in riguardo ad altre proprietà fìsiche, i primi termini delle serie comportarsi in modo anormale, cosicché tra il primo termine e il successivo ci sono come dei salti nel comportamento chimico e nelle costanti fisiche, salti che non si ritrovano più tra gli altri termini pei quali l'introduzione di ogni CHa fa variare regolarmente esse costanti. Il prof. Eykman, in un lavoro che non abbiamo potuto leggere nell'originale, (i) sviluppa alcune considerazioni assai inte- ressanti per dimostrare come 1' introduzione del CHa possa condurre ad un comportamento normale che non si ritrova (1) T. F. Eijkman. — Rechevches rèfractomètriques. — Recueil des travaux chiiniques des Pays-Bas. T. XII, pag. 157, anno 1893. (628) [34] nei primi termini delle serie, i quali in definitiva egli crede costituire delle eccezioni. Ora, come abbiamo già accennato, a noi sembra piuttosto che se si vuole studiare il potere rifrangente da un punto di vista completamente obiettivo, e senza preoccuparsi affatto di volere stabilire delle leggi, sieno a preferenza da considerarsi i termini più semplici di ciascuna serie per scoprire le relazioni costitutive: allorché per successive addizioni di gruppi laterali si passa ai termini superiori si ha una certa uniformità di compor- tamento, e i composti perdono più rapidamente rispetto a certe proprietà fìsiche, meno rapidamente rispetto ad altre le loro particolarità, le loro caratteristiche: ciò risulta eviden- te per i termini molto alti in cui la differenziazione è tanto diffìcile, anche ricorrendo all'esame di quelle proprietà che più si risentono delle differenze costitutive : è noto che gli alcool e gli acidi grassi a peso molecolare molto elevato sono difficilissimi a separarsi e spesso a riconoscersi. In definitiva il fatto è sempre questo: più che si va innanzi nella serie e più le costanti specifiche tendono a diventare uguali ed allora, com'è ben naturale, i valori molecolari divengono di natura puramente additiva: non essendo essi che il prodotto dei pesi molecolari per dei fattori presso a poco uguali, ne consegue che le stesse relazioni che si hanno per i pesi si debbono avere anche per quei valori molecolari. Vediamo adesso quali ipotesi potrebbero farsi, volendo sempre attenersi alla teoria Landolt-Briihl, per spiegare le anomalie che presentano i nuclei eterociclici. Il supporre che nel furano, nel tiofene e nel pirrolo ci sia un solo doppio legame tra carbonio e carbonio e che l'altro aggruppamento ciclico a legame semplice non porti nessuno aumento nel potere rifrangente, in altri termini che invece delle formule [35] HC- -CH HC- -CH (629) HC- ■CH HC CH 0 si abbiano le altre HC CH HC CH HC HC^ HC CH CH HC HC CH NH HC HC FCH CH 0 S NH e per il pirrazolo una formula senza doppi legami tra car- bonio e carbonio, non servirebbe in realtà a far rientrare nelle regole che due composti, il furano e il tiofene, e sol- tanto rispetto alla formula v. (i) Si ha infatti, facendo i calcoli in base a questa ipotesi : (1) È a domandarsi se questa ipotesi possa farsi date le relazioni del furano, del tiofene e del pirrolo col benzolo. Già fu detto da uno di noi che, qualunque sia V ipotesi che si faccia, al gruppo CjH, che entra nei nuclei peutaciclici debbono spettare i -/^ della rifrazione mole- colare del benzolo : in tal modo facendo il calcolo, il disaccordo si avrebbe sempre. Nondimeno ammettendo pel benzolo la formula HC HC HC / N \ / CH CH CH \ / si potrebbe supporre che al gruppo bivalente HC = CH sostituendosi 0 l'osssigeno, o lo zolfo o l'immino, il legame ciclico speciale che si forma HO CH HC CH (630) Furano Tiofene PiiTolo C Metilpirrazolo 39.32 [36] Form ala n Formula rfi Rifrazione molecolare Rifrazione molecolare Trovala Calcolata Trovata Calcolata 30.46 30.40 18.42 17.44 41.40 41.33 41.70 24.18 24.13 23.73 35.09 34.06 20.54 19.61 39.32 38.12 23.20 21.58 Per la formula n'^ non si avrebbe vantaggio alcuno: si avrebbero soltanto le anomalie in senso inverso. E anche per la formula n, per il pirrolo e il Cmetilpirrazolo, si avrebbero anomalie perchè i valori trovati supererebbero di assai quelli calcolati. Anomalie sempre più forti in questo senso si avrebbero per i deviati bimetilici e per gli altri deviati pirrazolici senza che a queste anomalie nel potere rifrangente faccia riscontro una forte dispersione. Aggiun- gasi poi che resterebbe sempre inesplicabile il piccolo valore che si ha per la piridina, per la quale una formula con un solo doppio legame tra carbonio e carbonio non sembra in nessun modo ammissibile. L' ipotesi quindi di una costi- tuzione quale si è supposta per i nuclei pentaciclici è da abbandonarsi, giacché essa non toglie le anomalie, soltanto le fa apparire ugualmente grandi in senso opposto, eccezion fatta per il furano e il tiofene. Vediamo ora se l' ipotesi delle valenze centriche possa eliminare le difficoltà. Date le relazioni che esistono tra il potere rifrangente del benzolo e dei suoi derivati più sem- plici e quello dei derivati oleffinici bisogna ammettere, perdesse di intensità dal punto di vista ottico, nello stesso modo che ^ r unione dell'ossigeno, dello zolfo e dell'azoto col carbonio per legami i multipli e dell'azoto coU'azoto pure per legami multipli è ben lungi | dall'esercitare sul potere rifrangente quell'azione che esercita il doppio |:i 0 il triplo legame tra carbonio e carbonio. ;, [37] (631) essendoci nel benzolo sei valenze centriche, che ognuna di esse valga otticamente la metà di un legame oleffinico. Un vantaggio che presenterebbe l'ipotesi delle valenze centriche, dal punto di vista della chimica ottica, starebbe in questo che si potrebbero fare rientrare nelle regole ordinarie della teoria Landolt-Brùhl alcuni dei derivati della naftalina, pei quali com'è noto, colle altre formule si hanno grandis- simi disaccordi tra l'esperienza e il calcolo: si può anzi dire che le anomalie sparirebbero affatto rispetto alla for- mula n^ . Infatti per le formule con doppi legami HC HC HC HC CH CH HO HC OH CH HC CH CH CH il numero dei doppi legami del benzolo sta a quello rela- tivo alla naftalina nel rapporto di 3:5 ; così pure adottando altre formule recentemente proposte per la naftalina il rap- porto tra i legami speciali che possono produrre aumenti nella rifrazione resta sempre inferiore a 1:2, mentre il rapporto negli aumenti sui valori calcolati senza tener conto dei legami speciali è, in media e per prendere numeri esatti, di 7:14, ossia di 1:2, per la formula n , e dì 5.5:11, ossia sempre di 1:2 per la formula n^^ . Adottando le formule colle valenze centriche il rapporto di esse sarebbe pure di 1:2 e quindi si avrebbe accordo tra le formule di struttura e il comportamento ottico. (632) [38] e / » \ e / \ Ma nemmeno questa ipotesi, pur limitandosi ai derivati benzolici e naftalici che non contengono nel nucleo ele- menti eterogenei, può dirsi che sia completamente soddisfa- cente, giacché le differenze nel comportamento ottico tra i composti propenilbenzolici e quelli allilbenzolici resterebbero senza spiegazione. Sembra quindi più generale l'enunciato proposto dal Gladstone e da uno di noi che cioè tutte le volte che si hanno in una molecola degli atomi di carbo- nio impegnati per tutte le valenze con altri atomi di car- bonio doppiamente legati si ha un notevole aumento nella rifrazione e nella dispersione. Venendo ora all' ipotesi delle valenze centriche in relazione coi nuclei eterociclici è facile il vedere come per la piridina questa ipotesi darebbe sino ad un certo punto ragione del suo modo di comportarsi, ammettendo che solo le valenze centriche del carbonio facciano aumentare il potere rifrangente : HC HO HO \ OH OH Invece per i nuclei pentaciclici l' ipotesi del Bamljerger, quale fu primitivamente enunciata, non sembra offrire dal punto di vista ottico nessun vantaggio: avremmo (juattro [39] (633) valenze centriche di atomi di carbonio equivalenti ottica- mente a due doppi legami : quindi tutti gli inconvenienti che presentano le formule con due doppi legami. Possiamo ammettere che le altre valenze centriche degli elementi estranei, secondo l'ipotesi della formula esacentrica, non fac- ciano aumentare il potere rifrangente, ma ci sembrerebbe assurdo quasi il supporre che lo facessero diminuire: le formule sarebbero : HC ;;;^ -p\ cu hc |\ HO \ HC \ V CH H^ ^/ ^J CH HC [/ \J CH NH oppure, attenendosi sti'ettamente all' ipotesi del Bamberger sui sistemi esacentrici : CH HO HC \ 7 CH HC \ 7] CH e j\ J\ e . / CH Anche per il pirrazolo valgono le stesse considerazioni, giacché dovremmo ammettere in esso tre valenze centriche di carbonio ossia qualche cosa di più otticamente, di un doppio legame; Si potrebbe fare anche l' ipotesi che ci fosse nel furano, nel tiofene e nel pirrolo un solo doppio legame e che nel tempo stesso l'elemento estraneo spiegasse la sua ujussima valenza: che si avessero cioè le formule: HC HC CH cu HC HC OH CH HC= HCi CH CH NH In questo caso supponendo, come sino ad un certo punto è vero, che il legame multiplo degli elementi eterogenei col carbonio porti con se un aumento nella rifrazione, ma però un aumento minore che non il doppio legame tra carbonio e carbonio, si spieghei'ebbe perchè si ottengono dei valori intermedi tra quelli calcolati in base alla formula con due e quelli calcolati in base alla formula con un solo doppio legame. Ma l'obiezione che si può fare è che per l'azoto tale aumento non è constatato, visto che per la piridina una formuhi con l'azoto pentavalente e con un solo doppio legame tra carbonio e carbonio non è ammissibile, altro che supponendo degli stranissimi legami diagonali : anche per il pirrazolo bisognerebbe supporre delle formule pochissimo probabili. Una ipotesi che ci sembra offrire, nello stato attuale delle nostre cognizioni, un qualche grado di probabilità giacché serve a spiegare molti fatti, oltre quelli esaminati in (juesta Memoria, e che ha il vantaggio di collegare le idee del Bamberger con quelle del Ciamician e di coloro che vogliono conservate per i nuclei eterociclici le attuali formule, è la seguente. La vicinanza di elementi estranei polivalenti ad atomi di carbonio doppiamente legati ha per effetto di indebolire l'energia ottica del doppio legame: quelli atomi di carbonio doppiauiente legati tendono, diremo così, a distaccarsi per una valenza fra di loro e ad unirsi con [41] (635) l'elemento che può manifestare una maggiore capacità di saturazione. Ora il massimo aumento nel potere rifrangente si ha per quello stato speciale degli atomi di carbonio per cui due di essi o contigui o facenti parte di un nucleo si scambiano più di una valenza fra di loro, qualunque sia il concetto fisico che si vuole attribuire a questo fatto. Se in vicinanza vi sono degli elementi che potrebbero pure in condizioni opportune saturare con le loro valenze latenti quelle del carbonio che adesso sono saturate da altro car- bonio, si comprende facilmente come l'energia, diremo cosi, del legame multiplo possa essere diminuita, perchè questa attrazione o irradiazione che un atomo di carbonio non esercitava prima che verso un altro, ora l'esercita anche verso l'elemento estraneo: si formano, è vero, dei legami multipli, 0 per meglio dire, tendono a formarsi dei legami multipli coll'elemento estraneo, ma questi sono ben lungi dal compensare otticamente l'effetto dovuto al doppio legame. Onde è che i composti eterociclici possono essere dal punto di vista chimico stabilissimi, giacché quella tendenza a legami multipli del carbonio con elementi estranei non è ordinariamente causa di indebolimento chimico, mentre è senza dubbio causa di minore effetto ottico. In tutti i nuclei eterociclici noi abbiamo appunto elementi che pos- sono manifestare una valenza superiore a quella che nelle ordinarie formule di struttura loro si attribuisce: i doppi legami tra carbonio e carbonio sussistono sempre, ma sono, se cosi può dirsi, più deboli sotto il punto di vista che a noi qui interessa, quello di fare aumentare il potere rifran- gente e dispersivo. Allorché dai nuclei fondamentali si passa a composti più complicati allora quella energia di attrazione, per cosi esprimerci, che irradia dallo elemento polivalente si esercita anche sui nuovi gruppi e quindi si fa sentir meno la sua azione sui doppi legami ; oltre di che bisogna tener conto di ciò che abbiamo esposto in principio, cioè dell' uniformità a cui l' introduzione di gruppi saturi dà luogo nei valori delle costanti specifiche. D'accordo con («36) [-42] queste vedute sta il fatto che per i pirrazoli le divergenze sono meno forti : abbiamo qui l'azoto imminico in imme- diato contatto con un altro atomo di azoto, col quale può scambiare le valenze latenti e più piccola quindi è la sua azione di indebolire otticamente il doppio legame tra car- bonio e carbonio. L' ipotesi nostra spiega anche assai bene il comportamento della piridina e delle chinoline, ammet- tendo che r influenza delle due valenze latenti dell'azoto si faccia sentire oltre di che sull'atomo di carbonio dop- piamente legato più vicino anche sull'altro o su di un altro più lontano : veramente date le formule che si attribuiscono alla chinolina e all' isochinolina e considerato che il forte potere rifrangente del gruppo naftalico è da attribuirsi agli atomi di carbonio centrali la nostra ipotesi avrebbe fatto prevedere che la isochinolina doveva avere una rifrazione molecolare più elevata della chinolina; ma di questo fatto potrebbero benissimo render ragione le nuove formule proposte per queste due sostanze, secondo le quali formule nella chinolina ci sarebbe nel secondo esagono un doppio legame tra carbonio e carbonio e un legame diagonale per l'azoto, mentre nell' isochinolina ci sarebbe un doppio legame tra carbonio e azoto e un legame diagonale tra carbonio. Importante a notarsi ci sembra poi, che col nostro modo di vedere va perfettamente d'accordo il fatto notevole sco- perto da uno di noi (*) che cioè quando si tratta di com- posti assai semplici della serie grassa contenenti un doppio legame tra carbonio e carbonio, la presenza di un alogeno attaccato all'atomo di carbonio oleffinico è causa di forte diminuzione nel potere rifrangente e dispersivo, cosicché le regole del Briihl più non si verificano: ancor qui l'ele- mento estraneo indebolisce per le sue affinità latenti l'ener- gia ottica del doppio legame. (U G. Carrara. — Influenza degli alogeni sul valore ottico del doppio legame. — Gazz. chimica italiana. T. XXIII, parte II, pag. 1 Anno 1893. [43] (637) Ed anche ci sembra che si accordi coUa nostra ipotesi il fatto che se al nucleo benzolico si salda una catena late- rale non satura si ha un aumento di rifrazione quando l'unione avviene per l'atomo di carbonio non saturo ; non si ha aumento quando invece l'unione avviene per un ato- mo di carbonio saturo: dato il fatto generale che l'ad- densarsi nella molecola di atomi o gruppi dotati di forte po- tere rifrangente e dispersivo porta con se un esaltamento nel potere rifrangente e dispersivo stesso, si comprende fino ad un certo punto come quando il nucleo benzolico si trova in immediato contatto con carbonio doppiamente legato, le valenze doppiamente legate che si trovano in esso non possono esercitare nessuna o piccola azione sul re- sto della catena laterale : avverrebbe qualche cosa di ana- logo a ciò che avviene quando una combinazione che tende a decomporsi si trova in presenza dai suoi prodotti di decomposizione: invece quando ciò non arrivi, quella irra- diazione è possibile ed il consueto esaltamento non ha luogo. In conclusione, ci sembra che la diminuzione di potere rifrangente che si osserva nei nuclei eterociclici possa spiegarsi ammettendo che l'elemento estraneo polivalente, e che tende a manifestare la sua valenza massima, indebolisca l'energia ottica del doppio legame, il quale allora non esercita più sulla rifrazione la sua azione consueta e si hanno così per le rifrazioni molecolari trovate dei numeri minori che per le rifrazioni molecolari calcolate : tale azione sembra che gli elementi estranei la esercitino anche sui doppi legami in catena aperta. Padova, Istituto di Chimica generale della R. Università Novembre 1893. INTORNO ALLA MEMORIA LE SUPERFICIE COI ilFIIlIE IRiSEOftlA/lOil PROIEIÌIfE li SÉ SIE88E,, iisroTA. D I FEDERIGO ENRIQUES In questa breve nota mi propongo di riparare ad ima omissione in cui sono incorso nell' ultimo § della memo- ria : « Le superfìcie con infinite trasformazioni proiettive in sé stesse » (presentata a codesto illustre Istituto nel Luglio 1893), e di completare alcuni resultati relativi alle super- ficie algebriche del 0° ordine e 6"" classe mutate in sé dalle Go2 omografie che lasciano ferma una cubica gobba ed un suo punto (superficie di 5^ specie cap. Ili § 6). 1. Della omissione incorsa nel cap. IV. della detta me- moria, relativo alle superficie con più che cc^'- trasforma- zioni proiettive in sé, mi sono accorto confrontando i re- sultati ottenuti sullo stesso argomento dal sig.*" Lie nel 3° voi. della sua importante « Theorie derTransformationsgrup- pen » (1) recentemente apparso ; essa consiste in ciò : Alle superfìcie con più che oo2 irasfoì^ìnazioni pro- iettive in sé ivi annoverate (piano, quadynca, coni, svilup- pabile cubica) si devono aggiungere le rigate cubiche {di Cayleij) in cui la direltrice è infìnitamente vicina alla retta doppia (aventi ^3 irasfor^nazioìii proieltice in se). (1) Tenbner - Leipzig- - 1893 [2] (639) Che tali rigate abbiano effettivamente co^ trasforma- zioni proiettive in sé stesse, segue dal fatto che esse sono 00*2 (prive d' invarianti assoluti) mentre le omografie dello spazio sono ooi^. La rettifica dell' errore nella discussione del cap. IV (pag. 45 — P ipotesi) si otterrà facilmente mediante le considerazioni del sig/ Lie (op. e. pag. 193) che si basa sullo stesso concetto. Quindi al ragionamento di quella 1* ipotesi si sostituirà il seguente : 1^ ipotesi — Alla superficie appartenga un sistema (almeno) di asintotiche costituito da cubiche gobbe. Fra le oo" onografie che mutano in sé la superficie, oo" - i la- sciano ferma una cubica gobba, onde (supponendosi n > 2) si ha n = 3 0 n = 4. Ora per l' ipotesi fatta la superficie non è sviluppabile sicché è da scartarsi il caso n = 4 perchè solamente la sviluppabile circoscritta è mutata in sé dalle goS omografie che lasciano ferma una cubica gobba ; ogni punto dello spazio fuori di essa é portato in un qualunque altro punto da quelle omografie. Essendo n=-3 si consideri il sottogruppo cxi^ (di 5* spe- cie) delle omografie che trasformano in sé la superficie ed una sua cubica asintotica ; queste hanno un punto unito sulla cubica e la tangente in esso unita. Un altro punto generico della cubica può assumersi come unito per ce* omografie del gruppo, onde 1' altra asintotica della superficie per esso non è una cubica, altrimenti ivi le due asintotiche avreb- bero la tangente comune (*) e la superficie sarebbe svilup- pabile. L' altra asintotica deve per altro ammettere essa pure oo2 trasformazioni proiettive in sé, e non può essere neppure una linea piana non retta (giacché una superficie non piana non può avere per asintotiche linee piane non (1) Poiché tutte le cubiche (ed in generale le linee) mutate in sé dalle 00* omografie di un gruppo hanno comune la tangente (retta unita) in un punto unito (comune ad esse). , r. V, S. VII 43 (640) ^ [3] rette), quindi essa è una retta. Questa retta unita per un gruppo ooi d' omografie che lasciano ferma la cubica non è tangente ad essa, e neppure la corda die unisce il punto unito fisso (generatrice d' un cono quadrico unito) onde è la retta che si appoggia alla retta unita del gruppo oo"^ che muta in sé la cubica, ed alla tangente consecutiva. Perciò la superficie deve essere una rigata cubica di Cayley, la quale effettiva- mente ha un fascio di asintotiche costituito da cubiche gob- be, ed ammette oo3 trasformazioni proiettive in sé ». Dopo ciò la discussione del cap. IV della nominata me- moria, si esaurisce molto più brevemente osservando che é da scartarsi a priori la ipotesi, che la superfìcie abbia per asintotiche linee piane non rette (non essendo piana), mentre l' ipotesi che le asintotiche (di ambedue i sistemi) sieno rette conduce subito (pag. 47) alla quadrica, e alle sviluppabili (sviluppabile cubica e coni), cui deve aggiun- gersi il piano escluso in principio. 2. Voglio ora esporre alcuni resultati relativi alle su- perficie di 6° ordine e 6^ classe mutate in sé da oo2 omo- grafie che lasciano ferma una cubica gobba (di 5^* specie) : essi si consideranno come aggiunte al § 6 del cap. Ili della citata memoria. Si abbia una cubica gobba di cui poniamo le equazioni sotto la forma Un' omografia che muti in sé la cubica ed abbia il punto unito p =r 00 (e quindi abbia come unito il piano osculatore in esso 0)1=0), produce sul parametro p una sostituzione intera a p -]- [ii : le sue equazioni sono quindi 1/4 = a3^4 -j- 2a2fl^3 4- 3a!ii2^2 + P^^i • [4] (641) 5^ nei Le (1) sono le equazioni d' un gruppo d' omografie di specie : queste omografie mutano il punto {Xi x^ Xì, Xi^) si punti della superficie di 6° ordine (2) (2/3 Vi - yé)^ k = (y, y,^ + 2^2=^ — 3 y, y.^ y.f , dove [x^xi'^ -f- 2xì^ — 'SxiXìXi)^ {XzXi — ^2^)3 Le superficie (2), variando k, formano (come è natu- rale) un fascio. Per k = o sì ottiene nel fascio la rigata cubica di Cayley che ha per direttrice doppia la retta unita e per direttrice semplice la tangente consecutiva della cubica, contata due volte : per fe = 00 si ha nel fascio il cono quadrico proiettante la cubica dal punto unito, contato 3 volte : per & = — 4 si ottiene nel fascio la superficie spezzata nella sviluppabile circoscritta alla cubica e nel piano oscu- latore unito contato due volte. Le superficie cosi ottenute sono le superficie singolari (3) del gruppo di 5* specie. Considerando due fra queste superficie ad esempio quelle che si ottengono per fe = 0 , ^ = oo , si ha che la cubica gobba unita è doppia per esse e quindi tale per le superficie (di 5.^'^ specie) del loro fascio : invece conside- rando per es. le superficie ottenute ponendo k =: ce , k = -4, si ha che le due rette infinitamente vicine comuni al cono quadrico unito (dato da k==Qo) ed al piano osculatore (1) Nel senso di superficie eccezionali del fascio (come nel § 7 del o&p. Ili) non in quello pivi ristretto del § 1 del detto cap. III. (642) P] unito sono triple per ciascuna delle due nominate super- ficie e quindi tali anche per quelle del loro fascio. Si de- duce cosi che : Le superfìcie di 5." specie (2) hanno una cubica gobba doppia e due rette triple i7ifìnitamenle ricine tan- genti alla cubica. Il fatto facilmente verificabile che non esistono altre linee singolari per le superficie di 5.^ specie è d' accordo col fatto già stabilito che le sezioni piane di esse sono ellittiche. Mi limito a ciò su queste superficie. Farò soltanto cenno della seguente proprietà che ad esse compete : Le asin- totiche di esse si distribuiscono in due fasci di cubiche gobbe. Per vederlo basterà osservare che un' asintotica am- mette ooi trasformazioni proiettive in sé (appartenenti al gruppo (1) e però è una cubica gobba. Il sistema d'indice 2 delle asintotiche è spezzato in due fasci ; altrimenti sul piano rappresentativo della superficie (nella rappresenta- zione stabilita al § 6 del cap. Ili) si avrebbe una conica inviluppo (non degenere) unita per le oo2 omografie che mutano in sé il sistema delle imagini delle sezioni piane della superficie, mentre abbiamo veduto (ivi pag. 42) che in quel gruppo di omografie piane (omologie) i luoghi uniti di punti sono solamente due rette. SULLA TEORIA DELLE LINEE GEODETICHE E DEI SISTEMI ISOFERMl DI LIOUYILLE DEL s. c. GREGORIO RICCI Questo lavoro fa seguito a quello da me inserito nel Tomo IV della Serie VII di questi Atti col titolo: Di alcune applicazioni del calcolo differenziale assoluto eie. . . . Esso ha per oggetto principale la ricerca degli integrali primi quadratici omogenei per la equazione delle linee geode- tiche ; ma ho creduto opportuno stabilire prima coi metodi da me propugnati i princi})i ben noti della teoria di queste linee. A ciò si riesce facilmente prendendo come punto di partenza la equazione dei sistemi' geodetici da me data sotto forma invariantiva assai semplice nel § 7 della citata Me- moria, e tale è 1' oggetto del § 3 di questo scritto ; mentre nei §§ i e 2 stabilisco certe espressioni canoniche per gli elementi dei sistemi covarianti semplici e doppi. Data una espressione cp pel quadrato dell' elemento lineare di una superficie, i coefficienti degli integrali primi omogenei di grado qualunque m per la equazione delle geodetiche sulla superficie stessa costituiscono dei sistemi covarianti di ordine m, i quali associati alla forma cp go- dono di una proprietà caratteristica notevole. Questa pro- prietà, che viene dimostrata nel § 4, è rappresentata analiticamente da m -j- 2 equazioni a derivate parziali di \° ordine, cui debbono soddisfare gli m -\- 1 ele- menti dei sistemi accennati. Stabilite cosi le equazioni del problema per gli integrali primi di grado qualunque, (644) [2] nei §§ 5 e 6 esse vengono ridotte a forme più oppor- tune per gli integrali di 1.° e 2.° grado, e mentre si perviene senza difficoltà al teorema noto, secondo cui la esistenza di integrali di \.° grado dipende da quella di sistemi isotermi e geodetici insieme, per gli inte- grali di 2° grado si dimostra analogamente che la loro esistenza dipende da quella di sistemi isotermi dotati di una speciale proprietà relativa alle curvature geodetiche delle loro linee. Nel § 7 si vede poi che questa stessa proprietà caratterizza i sistemi isotermi di Liouville, cioè quei sistemi isotermi tali che, scelti opportunamente il loro parametro u e quello v delle loro traiettorie ortogonali, la forma fondamentale espressa per le variabili if e v as- sume una espressione del tipo ( U — V ) ( du^^ + clv'2 ) , U e V essendo funzioni rispettivamente dì u e v soltanto. In pari tempo si trova per le funzioni U e V un signifi- cato intimamente connesso colla forma canonica sopra men- zionata del sistema doppio simmetrico, che ha per elementi i coefficienti dell'integrale quadratico cercato. Cosi, mentre è posta in nuova luce la ragione intima della equivalenza dei due problemi, di cui uno riguarda la riduzione del- l' espressione dell'elemento lineare di una superficie alla forma di Liouville e l'altro la ricerca degli integrali primi quadratici per la equazione delle geodetiche sulla superficie stessa, si stabilisce una proprietà geometrica, che caratte- rizza i sistemi isotermi di Liouville ; e nella espressione analitica semplicissima di (juesta proprietà si ha un oppor- tuno punto di partenza per lo studio dei due problemi equivalenti. Il teorema generale del § 4 e i metodi se- guiti pei casi di m = 1 ed m^'2 fondati in modo aff"atto anatogo su quel teorema e sulle forme canoniche pei si- stemi doppi simmetrici corrispondenti, di cui sopra si è fatta parola, lasciano intravvedere la possibilità di esten- dere i metodi stessi alla ricerca degli integrali di un grado [3] (645) qualunque m, purché si determini una conveniente forma canonica pei sistemi simmetrici di ordine m. Per il teorema del § 6 la esistenza dei sistemi iso- termi di Liouville sopra una data superficie dipende dalla possibilità di soddisfare ad un certo sistema S di equazioni simultanee tale che ogni sua soluzione ci dà uno di detti sistemi. Il sistema S si riduce sempre alla forma di quelli studiati dal Lie nel Capitolo X della I.^ Parte della sua Theorle des Trans formationsgruppeìi ; dal che dunque si può concludere che la equazione più generale dei sistemi isotermi di Liouville contiene in ogni caso un numero fi- nito p di costanti arbitrarie ; e riportare la loro determi- nazione a ben noti metodi di integrazione. I paragrafi, che seguono il settimo, sono appunto dedicati allo studio del sistema S per riconoscere quali sono i differenti valori, che p può assumere e stabilire per ciascuno di essi le corrispondenti equazioni di condizione per la forma fonda- mentale, le quali, come è naturale, dipendono soltanto dagli invarianti, che si ottengono associando alla forma fonda- mentale il suo invariante di Gauss, che indichiamo con G. Troveremo così i risultati già noti per le superficie a cur- vatura costante e per le superficie applicabili sopra le su- perficie di rotazione, e daremo di più il criterio per rico- noscere tra queste superficie quelle, che per la equazione delle geodetiche ammettono due integrali quadratici in- dipendenti fra di loro e dall' integrale di 1.° grado ben noto. Per le superficie non applicabili sopra superficie di rotazione il sistema S si riduce a forma m:jlto semplice quando si introduca come funzione incognita 1' angolo <];, che le linee di un sistema isotermo di Liouville formano con quelle di parametro G. Si perviene allora o ad una equazione, che determina 1' angolo 2 ^p e quindi sulla su- perficie considerata un sistema doppio ortogonale di linee ; e in tal caso nella superficie stessa esiste al più un si- stema isotermo di Liouville, se quello cosi determinato (646) [4] soddisfa alle condizioni caratteristiche di tali sistemi stabi- lite nel § 6. Ovvero si giunge a due equazioni a derivate parziali di 1.*^ ordine risolubili rispetto alle derivate prime di ']), le quali costituiscono un sistema incondizionatamente integrabile, e in tal caso sulla superfìcie esiste un numero semplicemente infinito di sistemi isotermi di Liouville. Sulle -superficie, di cui si parla, se pure esistono di tali sistemi, se ne ha dunque uno solo od un numero semplicemente infinito; il che era già stato dimostrato dal sig. Darboux. I teoremi generali accennati assumono forme più sem- plici per due classi speciali di superficie considerate nei §§ 15 e 16. La maggior parte dei risultati contenuti in questo scritto ed una sommaria esposizione dei metodi, che ad essi mi hanno condotto, sono stati pubblicati nei Rendi- conti della R. Accademia dei Lincei del 22 Gennaio 1893, prima che io conoscessi il riassunto pubblicato nel Decem- bre precedente dal sig/ Konigs della sua bella Memoria sulle linee geodetiche covondiia dalia, Accademia delle Scienze di Parigi. Quelli dunque tra i detti risultati, che riguar- dano il numero dei sistemi di Liouville, che, secondo la natura dell'elemento lineare possono trovarsi sopra una superficie data, e che sono comuni ai nostri due lavori, sono stati da noi raggiunti non soltanto per vie differenti, ma indipendentemente l'uno dall'altro. Io mi varrò qui delle convenzioni e delle notazioni, di cui ho già fatto uso nel riassunto di alcuni miei lavori pubblicato nel fascicolo di Giugno 1892 del Bulletin dei Signori Da.Hjoux e Tannerv e nella Memoria ricordata sopra pubblicata in questi Atti. E siccome dovrò ripetuta- mente citare i teoremi e le formule contenute in quelle due pubblicazioni, citerò la prima colla lettera R, e la se- conda colla M, aggiungendo i numeri dei paragrafi e delle formule, questi ultimi racchiusi ira parentesi. - [5] (647) 1. — Forma canonica pei sistemi semplici. Se cp =z ^,.^a,./lXt.dXg è una forma fondamentale binaria e {x^. un sistema sem- plice covariante non identicamente nullo, è sempre ed in un sol modo possibile ridurre i suoi elementi [i,. ad espres- sioni della forma. 1) |x,. = pX,. , p essendo un invariante positivo e X,. un sistema semplice covariante i cui elementi soddisfanno alla equazione a) 2,X(%=1. Chiamerò p invariante algebrico del sistema |jl^. e il sistema X,. che è (M, 2) il sistema coordinato covariante di un si- stema di linee tracciato sulle superficie cp sistema dirigente del sistema stesso. Dirò di più che le (1) ci danno il si- stema semplice [a^ espresso sotto forma canonica. Avendosi (M,l,(3)) sarà ( M, 1, (3) ) X*-'+^' ( tx,, + ,, - (X,,, + . ) = - G^X,X, e quindi 2) ^..«"•^>X<^ + ^>(lx..-f..-h..+ O = 0- 2. — Forma canonica pei sistemi doppi. — Si consi- deri ora assieme alla forma fondamentale cp un sistema doppio simmetrico covariante p-..^ e si chiami equazione al- gebrica caratteristica di questo sistema associato a quella forma la equazione di secondo grado jjL,, — eoa 2 1 [1.2 2 — wa,. = 0, (648) [6] I le cui radici sono reali. Se p è una di quesle radici, pos- ■ siamo porre > 3) [A,., — p a,, = hXX » ' scegliendo 5 in modo che gli elementi del sistema sem- -i plice covariante X,. soddisfacciano alla equazione (a). Alle (2) ; si possono sostituire (M, 3, (7)) le ! v-r. = ( P + 5 ) KK + 9KK od anche, posto 4) p -f S = V , le 30 ii,, = vlX + ?\X\ dalle quali risulta che v è la seconda radice della equa- ; zione (e). Il sistema X,. è indeterminato soltanto nel caso, in cui lj è ò = 0, cioè quando hi equazione algebrica caratteristica ha le radici eguali, ovvero, il che equivale (M, 3, (7)), nel caso, in cui gli elementi del sistema |x^., sono proporzionali agli elementi corrispondenti del sistema a,.,; ed in allora il i sistema X^ e quindi il sistema di linee corrispondenti sono j completamente arbitrari. fi Risulta dalle (3) che, se le due radici della e(|uazione jj algebrica caratteristica sono distinte, scelta per p una jiJ di queste radici, gli elementi X,. sono determinati, astrazion fatta dal segno, che però può essere cambiato soltanto si- i multaneamente in X, e X^. vSi potrà dire brevemente che i il sistema X,. è determinato a meno del segno e noi sap- piamo (M, 1) che il sistema X^. è determinai ) anche quanto al segno in funzione del sistema X^, . In conclusione nel piano tangente ad una (jualunque superfìcie o in un suo punto qualunque le due direzioni ortogonali X,. . X,. sono determinate a meno di una rotazione di 180° gradi su quel piano ed intorno a quel punto. Chiamerò il sistema orto- [7] _ (649) gonale ( X,. X,. ) sistema dirigente del -sistema doppio simme- trico |Jt,,, ed avendo presenti le (3^), chiamerò le due ra- dici V e p della equazione algebrica caratteristica inva- rianti algebrici del sistema stesso coniugati rispettivamente alle linee X,. e X^ . Dalle (3^) si trae immediatamente la 3") 2,,[x,,X(-)X^') = 0, come da questa si ritorna facilmente ad espressioni della forma (3'') per gli elementi del sistema (x^^. E poiché la (3^^) ci dice che, se si indicano con y^ ed 2/2 ^^^ parametri qualunque delle linee X,. e X,. , con [a^g) e (n,.,) rispettiva- mente gli elementi dei sistemi a^.^ e [x^., corrispondenti al sistema di variabili y^ ed y-2 > si hanno contemporanea- mente le identità nelle considerazioni svolte sopra abbiamo una nuova e sem- plice dimostrazione del teorema, (i), secondo cui due forme differenziali quadratiche binarie, delle quali una almeno può assumersi come fondamentale, e i cui coefficienti corri- spondenti non sono proporzionali, si possono con una unica e determinata trasformazione reale di variabili ridurre a mancare contemporaneamente del termine medio. Se il sistema p,^,, non è simmetrico, le espressioni dei suoi elementi, in vece che alla forma (3^), possono in un modo unico e determinato ridursi alla forma 30 t^^,, = vX,X, -I- pXX + ^ ( >J. - K\ ) , in cui V , p e ( X,. X,. ) sono rispettivamente gli invarianti algelirici ed il sistema dirio^ente del sistema simmetrico (1) Si vedano le Lezioni di Geometria Differenziale del prof. Bian- chi (Pisa, Enrico Spoerri editore 1894) Cap. II, § 'M, • '' S il « [8]; 1 e T è un nuovo invariante algebrico, il cui annullarsi rap- i presenta la condizione necessaria e sufficiente per la sim- metria del sistema [i,,, . Si ha in fatti ( M, 3, (7^) ) ] 2|/a 3. — Sappiamo (M, 7) che, se \. è il sistema coordinato I di un sistema di linee tracciate sulle superficie cp, affinchè i queste linee siano geodetiche, è necessario e basta che gli i| elementi X,. siano le derivate di una funzione 1 rispetto alle \ x,^o, che è lo stesso, che per esse si abbiano delle iden- tità della forma nelle quali la indeterminata (y) rappresenta la curvatura :. geodetica delle linee \^. Se la funzione X contiene un pa- i rametro e e si pone di se ne traggono le 58' de' ^^ do e poiché la equazione, cui soddisfa il si.stema X^. , combinata colla precei]ente dà se ne_conclude che le ?];,. sono prop )rzionali alle corrispon- denti X^. , cioè che la equazione (]; = Ci , [9] (651) la quale contiene due costanti arbitrarie, rappresenta un sistema doppiamente infinito di linee geodetiche. E questa colle formolo del calcolo differenziale asso- luto, la dimostrazione del noto teorema : per determinare sopra una superficie, il cui elemento lineare ha una espres- sione data K 9 , un sistema doppiamente infinito di linee geodetiche basta determinare un integrale contenente una costante arbitraria non additiva della equazione (7) ; ov- vero, il che equivale, un sistema coordinato X^. , il quale contenga una costante arbitraria e soddisfi alle equazioni (6), in cui (y) rappresenta una indeterminata. Si cerchi ora di determinare il sistema X,. mediante una equazione della forma 8) f{jCiJC^2XiX^) = c, in cui e rappresenta una costante arbitraria. Indicando con fi la derivata di f rispetto ad x^ presa considerando le À,. come costanti, avremo le ^ df dX,. le quali, essendo (R , 2, (a) ) ^Ij, ^'r> T^ '■'iMrn p ^ tenuto conto delle (6), assumono la forma La eliminazione di (y) conduce da queste alla 9) s,F)|/;. + s,,a,,,x<^')^| = o, la quale è necessario e basta sia soddisfatta indipendente- mente dai valori di X^ e X2 perchè le Xi e X2 definite dal- le (7) ed (8) soddisfacciano alle (6). (652) [10] j 4. ■ — Integrali priini omogenei per la equazione delle ^ geodelichc. — Supponiamo la espressione di /della forma i ^ (^1^2 • • • rS) I ^rira . . . r„ ^ ^/-/r, . . . \^ ' = I cioè omogenea e di grado m rispetto alle X,., rappresen- ( tando con cV^^^^ • . . r,«) ^^j eien-^e^ti di un sistema simme- \ trico controvariante di ordine m. Avremo le 1 (^^1^2 . . . r,^^ \ " "rir.2 . . . r,, ^^. V A2 • . • V^ e poiché (R,2) si hanno le fin (^'l*''2 • • • r.,) , . ^111 ^2 a '^^'^'""^ ' ' ■ ^'*"''"' + ^^ 1 avremo anche M' 2 • . • ' ,n + 1 ' 1 '^ 2 •••>,„ -f- I (riAj . . . r„, _ ir) Avendosi poi — — mS >i''2 • . . r,« - ir) la (9) assume la forma jr,r2 . . . r,„ _^ ,) ^^1^2 . . . n^ + , "- V.Xr. . . . \^ + . = ^ • Ora estendendo una denominazione già in uso pei si- stemi doppi chiamerò emisimmetrico un sistema di ordine [11] (653) p qualunque, se sono eguali a o le somme di tutti gli ele- menti, che si ottengono da un elemento qualunque del si- stema eseguendo sui suoi indici le p potenze di una stessa sostituzione circolare. Il risultato, a cui siamo giunti, può quindi enunciarsi come segue « Perchè S ,, e A^ A A — C » sia un integrale primo per la equazione delle geodetiche » sulle superficie cp è necessario e basta che il sistema de- » rivato secondo

XK,t — (p,T< + 9t%) , e da queste, ponendo mente alle (12), ed indicando con ^ V anisotermia del fascio, cui appartiene il sistema X^, (M,6,(16)) 2pO' = 2,X<'-)S,,«(^')c,,,. Ora, osservando che è V T('-)^ . __V T{/-).. T(« + l)(p , - n . \ y T{>')n -'r^ ^r.v'i — ^r'^ ^ srt '^ (,^s« -f- i '-'st -\' it) — 'r'^ '-^str e ricordando la (2), avremo anche 2p9- = -i:,)~-'S,,a(-'"6V e quindi 14) {)- = 0, poiché si ha identicamente e da questa l,,,a^^%,. = 0. Le (13) e (14) ci dicono che, se il sistema e,., è emi- simmetrico, il sistema dirigente del sistema e,, risulta di [13] (655) linee, che sono isoterme e geodeticamente parallele. Vi- ceversa se sulle superficie cp esiste un sistema di linee dotate di queste due proprietà, poiché la (13) e la (14) conducono (M , 10, (26)) alla si dimostra senza difficoltà (M , 8 , {a)) che esiste una fun- zione determinata a meno di un fattore costante, la quale soddisfa alla equazione (12). Troviamo cosi il risultato già noto, secondo cui esistono integrali primi lineari per la equazione delle geodetiche soltanto sulle superficie appli- cabili sopra superficie di rotazione; e, se la superficie è a curvatura variabile G, ne esiste uno solo. Vediamo di più che in questo caso, se si indica con k,. il sistema coordi- nato delle linee di parametro G, con g la loro curvatura geodetica, con p un integrale qualunque del sistema com- pleto di equazioni _ 9r = — 99K , r integrale cercato si ha ponendo Osserviamo poi che la funzione p si ottiene mediante sem- plici quadrature e che, indicando con ']> V angolo delle li- nee geodetiche Ir colle linee k,. , la equazione precedente si può anche mettere sotto la forma p cos 4» = e . 6. — Integrali primi quadratici per la equazione delle linee geodetiche. — Siano ora 15) c^s = vX,.X, -f pX^I, le espressioni canoniche degli elementi di un sistema dop- T. V, S. VII 44 (656) [14] pio simmetrico covariante. Conservando a B il significato stabilito dalla formola (4), dalle (15) si traggono le 1 6) e,.,, = v,x,x, + pÀ A + o{KK + ^X)^t , e quindi le Sy = S, J('U<^)À("c,,, , 5(t) = S,,X'^'X^')X^')c,,, . Se poi, come ora supporremo, il sistema c,.gt è emisimme- trico, avendosi le (16) danno ancora le V% = -25(y), V^^ = 0, che equivalgono alle 17) V, = - 25yX, , p, =: - 2S(y)X, . Reciprocamente, se queste equazioni sono soddisfatte, ri- sulta facilmente che il sistema c^gt è emisimmetrico. Dalle (17) si traggono le 17,) §, = _2S^< 0 le equivalenti si = 2b(ft , dalle quali si ricava immediatamente (M , 8, 1°) che, af- finchè esista una funzione S diversa da o , la quale soddi- sfi alle (17,), è necessario e basta che si abbia identica- mente ovvero (M , 6 , (16)) 18) ^ = 0. [15] (657) Questa ci dice che il fascio di linee, a cui appartiene il sistema "X,. , deve essere isotermo. Cercando invece le con- dizioni perchè il sistema (17) sia integrabile e supponendo sempre 5 differente da o si giunge alle 19) -.,f\. = - 3y(y) , 2,(t)*'-'X, = 3t(t) , di cui la (18) è, naturalmente, una conseguenza (M, 10, (26) ). Poiché (R, 2) il sistema derivato dal sistema a^g secon- do (p è identicamente nullo, esso è emisimmetrico, e dalle (17) risulta che, se gii elementi del sistema e,., sono pro- porzionali agii elementi corrispondenti a„, se cioè è 5^0, il coefficiente di proporzionalità p = v deve essere costante perchè il sistema c^gt sia emisimmetrico. E poiché tra i sistemi Cf.g dotati di questa proprietà noi cerchiamo sol- tanto quelli, che non sono della forma e , a^g con e co- stante, possiamo supporre 5 differente da 0. Si osservi poi che, se il sistema coordinato \. di un sistema di linee sod- disfa alle equazioni (19), il sistema integrale generale delle equazioni (17) contiene due costanti arbitrarie e, come risulta dalla forma delle equazioni stesse, se se ne conosce un sistema integrale particolare, il sistema integrale ge- nerale è della forma c,p -|- c^ , c,v -[- Ca . Ne segue che, se cVs è un sistema doppio simmetrico a sistema dirigente {\y.,.), e se il primo sistema derivato da esso covariantemente secondo cp è emisimmetrico, ogni altro sistema dotato di questa proprietà ed avente lo stesso sistema dirigente ha elementi della forma CiC^j-j-Ca^rs > ^i ^ ^2 essendo costanti ar- bitrarie. Se dunque ci occupiamo soltanto di quei sistemi doppi simmetrici, i cui elementi corrispondenti non sono legati da una stessa relazione lineare a coefficienti co- stanti, possiamo asserire che 1.° « Se il primo sistema derivato covariantemente » secondo 9 da un sistema doppio simmetrico c^., è emi- » simmetrico, il sistema dirigente del sistema c,.g soddisfa » alle equazioni (19) ; e che reciprocamente ad ogni siste- » ma dirigente {W) , che soddisfi a queste equazioni, cor- (658) [16] » risponde uno ed un solo sistema doppio simmetrico do- » tato della proprietà indicata. Gli invarianti algebrici v e p » di questo sistema rispettivamente coniugati ai sistemi \ » e 1^. sono dati da un sistema integrale qualunque, purché » differente dal sistema v = p = c, delle equazioni (17). » Osserverò qui che la integrazione di queste equazioni può ottenersi mediante semplici quadrature integrando prima le (17,) e poi uno qualunque dei due sistemi indi- pendenti, in cui si scompone il sistema delle (17), quando per S si ponga il suo valore determinato mediante le (17,). Avendo presenti le (15) ed il teorema del § 4, il teo- rema precedente permette poi di concludere che 2.° « Ad ogni integrale quadratico per la equazione » delle geodetiche corrisponde una ed una sola coppia di » sistemi ortogonali ("X,!,.), per cui sono soddisfatte le equa- » zioni (19) ; e reciprocamente ad ogni coppia di sistemi or- > togonali, per cui siano soddisfatte queste equazioni, corri- » sponde uno ed un solo integrale quadratico per la equa- » zione delle geodetiche. Questo può mettersi sotto la » forma V cos^^i -|- p sen^i» = c , » con V , p indicando ancora un sistema integrale qualunque » (purché differente dal sistema v = p :^ e) delle ecjua- > zioni (17), con e una costante arbitraria, e con ']^ l'an- » golo, che le linee di un sistema geodetico fanno con quelle » del sistema \^ . » Dalla precedente equazione avendosi V — e . e — p cos^tj; = -^— , sen2 tp = —^ , ne segue che si avranno dei sistemi reali di linee geode- tiche soltanto pei valori di e compresi tra p e v . Ne ri- sulta pure che ad uno stesso valore di e corrispondono due sistemi geodetici tali che 1' angolo delle loro linee é bise- cato m ogni punto dalle linee dei sistemi X,. e \ . [17] (659) 7. — Proprietà rMratlerìstica dei sistemi isotermi di Liouoille. — Mi occuperò ora della interpretazione delle equazioni (19). Come abbiamo già osservato, da queste ri- sulta che i sistemi X,. e X^. appartengono ad un fascio iso- termo. Se con M e y se ne indicano i rispettivi parametri isometrici, questi soddisfanno (M , 10) alle equazioni 20) u,. = efiX,. , t\. = e\^Xy , in cui |x è un integrale qualunque delle equazioni 21) \^r~9r ed è la espressione della forma fondamentale in coordinate u e V. Per le (17i) le (21) equivalgono alle dx^ dalle quali, prescindendo da un fattore costante, che può sempre ridursi eguale all' unità, si ricava e "^^o = V — p . Abbiamo dunque per la forma fondamentale (p la espressione ^ = (V ~ p) (c/tt2 _|_ rfy2) . Siccome poi, indicando conjr/s e Ss rispettivamente gli elementi lineari delle linee X,. e X,., dalle (17) si traggono le ds ' ' Ss che equivalgono alle r/v do dv ^^ (660) [18] possiamo concludere che la espressione di 9 in coordinate u e V è della forma L) 9 E (U — V) (rfM2 4- ch^) , indicando con U e V delle funzioni rispettivamente dì u e ! di V soltanto. " Reciprocamente supponiamo che esista un sistema di t coordinate ortogonali uè v ^ per le quali 9 assuma una 1 espressione della forma (L) ; e designamo rispettivamente ì con X^ e X^ i sistemi coordinati covarianti delle linee di i parametri u % v . Posto , i 22) e-2|^ = U — V li II le (20) e (21) (M , 10) sussisteranno ancora e per esse de- ■ rivando la (22) ed adottando per le derivate di C/ e F la : notazione di Lagrange troveremo le ' 2e-^v^, + U\ — V^X, = 0 . \ Da queste si traggono le u i 2e»t^y + U' = 0 , 2^'i^(y) + V^ = 0 '' e mediante ulteriori derivazioni le 2e-4fi(3Y^,. — Y,) — U"X;. == 0 2.-¥(3(t)?..-(t).)-V'%.-0, e in fine da queste le (19). Chiamerò sistemi isotermi di Liouoille quelle cojìpie di sistemi ortogonali, pei quali la forma fondamentale assume una espressione del tipo (L). Cosi i risultati ottenuti possono enunciarsi nel modo seguente : 1." « Le equazioni (19) rappresentano le condizioni « necessarie e sufficienti perchè la coppia di sistemi ortogo- « nali (X^.X^.) costituisca un sistema isotermo di Liouville ». 2° «Ad ogni integrale quaih'atico per la equazione [19] (661) « delle geodetiche sulle superficie cp corrisponde uno ed un « solo sistema isotermo di Liouville, e reciprocamente ad « ogni sistema isotermo di Liouville corrisponde uno ed un « solo integrale quadratico per la equazione delle geode- « tiche. Se (U— V) {du^--\-dv^) « è una espressione della forma fondamentale, l'integrale « quadratico corrispondente al sistema di coordinate {uv) € può mettersi sotto la forma Ucos2c}j -f- Vsen2(|j = e , « indicando con ^ l'angolo, che le linee di un sistema geo- « detico fanno con le linee di parametro ii e con e una « costante arbitraria ». Avvertirò infine che, come risulta dalle (17|), le linee di curvatura del fascio, cui appartengono le linee u e v, sono (M , 7), le linee di parametro U — V e che, indican- do, come farò in seguito, con ds e 5^ due spostamenti infini- tesimi secondo le direzioni positive delle linee \. e X,. e con d\i e S[Jt le variazioni corrispondenti di una funzione qualun- que [i , le equazioni (19) si possono scrivere sotto la forma 8. — Come si è dimostrato, la esistenza e la determi- nazione degli integrali quadratici per la equazione delle geodetiche sulle superficie cp , dipende dalla esistenza e dalla determinazione dei sistemi isotermi di Liouville sulle super- ficie stesse. Di questo problema ci occuperemo quindi nel seguito del presente scritto. Alle equazioni (19), che, per quanto si è visto, carat- terizzano i sistemi isotermi di Liouville, si deve aggiun- gere (M, 8) una equazione, che de_ve aver luogo in ogni caso tra i sistemi coordinati \. , X,. di una coppia di (662) [20] sistemi ortogonali di linee, le curvature geodetiche y e (y) di queste e la curvatura totale G delle superficie 9 . Intro- ducendo una indeterminata a sostituisco a questa equazione un sistema equivalente di due equazioni e concludo che afì^n- chè una coppia {\.\.) di sistemi ortogonali di linee costituisca un sistema isotermo di Liouville è necessario e sufficiente che si possa soddisfare al sistema di equazioni simultanee (M, 2, 4, 7, (12), (140) aj S,1<'U, = 1 [ S,T^'U, = - 3t(y) -:,f% ==. 1 (a + G) + (y)^ cj\ 1 ^ _ In queste le funzioni incognite sono Xj , X^ , y , (y) ed a , mentre Xi e hj, sono funzioni note di X^ , X2 e dei coefficienti della forma fondamentale. Noi dobbiamo dunque indagare in quali casi esista una soluzione pel sistema di equazioni simul- tanee, che comprende le (a), {b) e (e) ; ed in ogni caso vedere come se ne possano determinare tutte le soluzioni. Con questo intento noi verremo aggiungendo al sistema proposto quelle equazioni, che se ne possono ottenere me- diante successive derivazioni, e che non fossero conseguenze del sistema stesso; e stabiliremo sotto quali condizioni si possa giungere ad un sistema completo, le cui equazioni siano fra loro compatibili. Come sappiamo (M , 4, 8) e come si verifica facilmente, le equazioni, che si ottengono derivando le (a), sono conse- guenze delle {b) e quella, che si ottiene derivando le {b) ed eliminando le derivate secondo delle 1,. , cioè leX,,^, è compresa tra le (e) . Derivando il sistema, di cui ci occu- piamo, rispetto ad Xi ed x-), non dol)1)iamo (juindi aggiungere ad esso altre equazioni che quelle, che si ottengono deri- vando le (e) ed eliminando le derivate seconde di y e (y) . [21] ^^^^^) E siccome queste ci danno le proiezioni dei parametri di I." ordine di y e (t) sulle linee X,. e X,., le due equazioni, di cui si tratta, ci sono date da un noto teorema (M , 8, a). Indicando con p la curvatura del fascio, cui appartengono le linee X,. , queste equazioni, che sono \ S,a*'->X, = - S,G('-)X, - 2(y) {4f + 3a + G) ^; j xM'%. = ^rG^^'^V - 2t(4p'- — 3a + G) , ci danno alla loro volta le proi_ezioni del parametro di I.° ordine di a sulle linee X, e X, , ed applicando ancora il teorema citato conducono alla ,; 5[{y)2,G^% - t2,.G('-)X,] + 2,,G(-')XA = 0 . 9. _ Sistemi isotermi di Lioiwille sulle superfìcie a curvatura costante. — Se si suppone G costante la [e] si riduce ad una identità e per completare il sistema, che comprende le equazioni {a) (b) e (e), basta aggiungere ad esso le equazioni { = 0 . Il sistema più generale, che soddisfi alle equazioni stesse, con- tiene quattro costanti arbitrarie, e possiamo quindi conclu- dere che « Sopra ogni superficie a curvatura costante esiste un » numero oo* di sistemi isotermi di Liouville, i cui sistemi » coordinati (X^) si ottengono integrando il sistema com- » pleto, che comprende le equazioni {a), {b) (e) e le v.a(%-:-2(T)(4p2 + 3a + G) 2^a( ~X, = — 2Y(4p2 - 3a + G) , » essendo p2 = yS _|_ (y)2 » . È in fatti noto che nel piano non vi sono altri sistemi isotermi di Liouville che quelli, che risultano di due sistemi di coniche omofocali o delle loro degenerazioni, i quali costituiscono una multiplicità quattro volte infinita; e le (664) [22] equazioni più generali date dal signor Darboux pei sistemi \ isotermi di Liouville sulle superficie a curvatura costante i contengono cinque costanti arbitrarie e rappresentano quindi ] un numero quattro volte infinito di sistemi. I 10. — Sia ora G variabile e si convenga di designare '•■ d'ora in avanti con k,. il sistema coordinato delle linee di f parametro G , che chiamerò brevemente linee G , con g > e {g) rispettivamente le curvature geodetiche di queste linee X,X, = - (/i + ^)sen2cl> - (^)cos2(]; , ed avendosi pure (M , 3) 1 ^'^•-^,G e quindi 1 1 l'equazione (e) prende la forma ei) 5[(y)cos'Jj -\- ysen'J;] = (/? -\- g)seìì2'\) -|- {g)cof^2^ [23'| (^^^) Se si suppone ^ = 0 , ovvero tjj = tt, si ha (y) = {g) o (y) ^ — ((/) e la equazione precedente ci dà (^) = 0 , e ci dice quindi che affinchè le linee G facciano parte di un sistema isotermo di Liouville è necessario che esse siano geodeticamente parallele. Ne concludiamo che « Data una forma fondamentale binaria cp , il cui inva- « riante G di Gauss sia variabile, perchè le linee G facciano « parte di un sistema isotermo di Liouville è non soltanto « necessario, ma anche sufficiente che K 9 sia l'espressione « dell'elemento lineare di una superficie di rotazione ». 11. — Alla equazione {e,) sostituisco ora il sistema equivalente ( ^^ = (gJ^h — ti)cos(|; — (p')sen(|) ^^^ ì 5(y) = (^)cos'-j; -{-{g-\-h +ti)sen4> , essendo |x una nuova indeterminata. Per mezzo delle (24) e (25) veniamo a sostituire due sole funzioni incognite {x e ^ alle quattro y , (y) , ^i e h legate fra loro dalle equazioni {a) ed (^i), ed ora dovremmo esaminare se dalle equazioni {b) (e) e {d) dopo eseguita la sostituzione accennata, se ne possono mediante derivazione trarre altre da esse indipen- denti ; ma raggiungeremo lo stesso intento più speditamente in altro modo. Designamo con /,. il sistema coordinato del fascio, cui appartengono le linee k,. , cioè poniamo fr = gkr + {g)kr . Avremo allora (M , 5) e da queste ricordando anche le Tr = T^r + (t)V (666) [24] i e le (24), per le quali si hanno le }| S^.cp*'"'^,. = ycost]; -j- (Y)senc{;, 2,,(p<''>^^. = — Ysen?]^ -|- (y)cos'Ji , posto a ^ pr — ycos^jj — (Y)sen4' , P = (5^) — y»Qnf\) -\- (y)cos(]j ovvero, sostituendo per Y ® (t) i valori dati dalle (25) , 26) b(x.^^4g — /t-\- [xcos2'^ , ò[ò = 4{g) — |xsen24i . Stabilirò ora direttamente le condizioni necessarie e sufficienti I.° Perchè il sistema (I), in cui per a e ^ si intendono poste le loro espressioni date dalle (26), e ^ e \i- sono fun- zioni incognite, ammetta una soluzione. IL° Perchè tra i valori di tjj , che soddisfanno alle (I), ve ne sia almeno uno tale che le linee X,. facenti l'angolo <\) colle linee G appartengano ad un fascio isotermo. III.° Perchè, supposte verificate le due prime condizioni, le linee 1,. e le loro traiettorie ortogonali costituiscano un sistema isotermo di Liouville. Per un teorema, che è stato qui ripetutamente appli- cato, la prima condizione è rappresentata dalla equazione 27) \^^^-%. - \ai''-% + a^ + {i{g) = 0 . Dalle ^rs = fr. — ?r.. , designando ancora con 0 e (^ le anisotermie dei fasci cp^ ed f^, si avrà A2']; = 2(^-6) e quindi la seconda condizione, cioè la condizione {l-^rO, si porrà dapprima sotto la forma [25] (667) Avendosi ancora dalle (I) le e quindi la precedente equivale alla :2,aMA^. + ^^r% + <9) - 1^9 = 2q . Se ora in questa e nella (27) si sostituiscono per a e (i i valori dati dalle (26), se si pone 28) p = ^,M-^k, — gh — 4G e si ricordano le equazioni 29) ^X9r% - \9''%- + ^9Y + fi'- + G = 0 30) 2q = 2,^('Uv + M9r% = - 2(2,A<'U', + h{g)) (M, 8, 10, (26), (27)), esse si riducono facilmente alla forma Ì2 3 i:,^<'Ur. = rp — T (J^-)sen2^1j + qcos2'\) -\- - {g)\i. .. 1 v^.,jt<')^. = (p _- |i"2)oos2']j — ^sen2']) + - {2h — 3g)\i . Supposta poi soddisfatta la seconda condizione, la terza, che ci è data dal § 7, si può mettere sotto la forma ovvero i)er le (23) avendosi X^. = cos ']; k^. — sen 4" k,. cos'];[2,(Y)(''^,~i:,Y('-)/«,]+«en'^[S,(Y)<'-)fe,-f-^,Y('-»I,]-6T(T)=0. Se da questa si eliminano y o (y) nonché le derivate (668) [26] di '\) e di [i, che verrebbero introdotte, per mezzo delle (1) e (II), tenendo conto ancora della equazione (29) e ponendo ol^ U = 4(^ + hy2 + 6(^)2 4- 25G -10 S,(^(') + h^k, 'lB = -2{g){g + h)-\0:^,{9rK si perviene alla equazione III) 14 (5r)|x = A sen 2']j -{- B cos 2'^ Le equazioni (li) ci danno le proiezioni sulle linee k,. e k^. del parametro di 1.° ordine della funzione \i. e però, applicando ancora il ben noto teorema, se ne ricava una nuova equazione, che deve essere soddisfatta dalle nostre funzioni incognite. Posto S9) ^ A^ = 6 {pg - q{g) ) - 4ph + 5 {Z,q^'-% + S.p'^,) ^^\B' = b(p{g) + qg) - 4qh - 5(S,p<'U, - Z.^CU,) , questa equazione è IV) — \4q\i = A'sen 2'\) + B'cos 2<\) . Ora possiamo concludere che a) « Affinchè una coppia (X,A,.) di sistemi ortogonali » di linee tracciate sulle SLiperfìcie cp , la cui curvatura to- » tale G si suppone variabile, costituisca un sistema isotermo » di Liouville è necessario e basta che, designando con (j' » V angolo, che le linee X^. fanno colle linee G, esista una fun- » zione [Ji, la quale soddisfi simultaneamente alle equazioni » (I), (II), (III), e (IV). » Ne segue che b) « Nel caso considerato sopra affinchè sulle super- » ficie 9 esistano dei sistemi isotermi di Liouville è neces- » sario e basta che esista una soluzione pel sistema di » equazioni (I), (II), (III), e (IV), in cui (Jt e c{; sono da con- » siderarsi come incognite. » [27] (669) 12. — Sistemi di Liourille sulle superficie applica- bili sopra sitperftcie di rotazione. — Queste superficie sono caratterizzate dalle equazioni 33) [g) = 0,q = 0, per le quali le equazioni (29) e (30) assumono la forma 34) ^rg^''\. = ^,M^'%- = 0 , 1^,9^'-% = ^2 _]- G . Se si suppone 4' = 0> le equazioni (I) assumono la forma a==0 [i = 0. Di queste la seconda, come ci dicono le (26), è identica- mente soddisfatta, mentre la prima dà [L = h — 4g . È poi facile riconoscere che questo valore di \i soddisfa alle (II) e che, mentre la (III) si riduce ad una identità, è pure soddisfatta la (IV), che in questo caso si riduce alla In fatti dalle (34) si hanno successivamente le e combinando questa colla (28) e colle (34) si perviene alla equazione, che si tratta di dimostrare. Cosi si verifica colle nostre formole che i meridiani ed i paralleli costituiscono un sistema isotermo di Liouville sulle superficie di rivolu- zione. Prescindendo da questo sistema, possiamo supporre 4" differente da 6* e da ti e la equazione (III) si riduce alla A:^0 e, tenuto conto delle (34), assume la forma Iir) I0^,h^'-^k',. = 15G + 2[2h{h + 2g) — 3^2] (670) [28] ^j Si ha quindi anche |j \0p = — 2òG-{-2h{2h — g) — 6g^^; ■ !, e poiché B^ è identicamente nullo, la (IV) si riduce alla | A'' = 0, cioè, sostituendo per p il valore testé trovato, di- 1 venta | IVO 25A,G == 3(2h — 3g) [oG + 2g{g + /?)] j 'i Se questa si deriva, se si osserva che per le (33) é (M, (25)) {àfi\.= {2h^g)\,G.\, j e si tien conto ancora delle (34) si perviene alla \ 35) (15G-f4/r2-f8/2^— 6p5-10S,/i('''Ì^)(5G+4%— ^2)^0 ] Se si suppone ' 36) 5G = ^2 _ 4Jig \ e si sostituisce questo valore di G nella (IV^) si trova i 25A.G =:-3{2h-3gr^g, l mentre calcolando il A^G dalla (35) e tenendo conto delle fe (34) , della (Iir) e della (36) si trova la :; 2Ò^ fi ^2(2/1 -3g)^g, [ la quale non può essere soddisfatta assieme alla precedente se non è AiG = 0, cioè G costante. Escludendo poi il caso ;] che sia soddisfatta la (36) , la (35) ci conduce alla (Iir)j e ■: quindi la (IV'') rappresenta la condizione necessaria e suf- ì ficiente perché sulle superficie, che consideriamo, esistano ! altri sistemi isotermi di Liouville oltre quello, cui appar- - tengono le linee G. Verificata la (IV^ , le equazioni (I) e i (II) costituiscono un sistema completo, la cui soluzione ge- nerale contiene due costanti arbitrarie. Tenendo conto delle i (33) e sostituendo in esse per a, p e p ì loro valori, pos- ;•■ siamo riassumere i risultati ottenuti nel teorema seguente, [i [29] (671) « Se |/^ è la espressione dell'elemento lineare di ima » superfìcie di rotazione a curvatura totale variabile G, » perchè sulle superficie ^ esistano altri sistemi isotermi » di Liouville oltre a quello, di cui fanno parte le linee G , » è necessario e basta che sia soddisfatta la equazione 25 A,G=:3 (2 h — 'òg) [5 G -\-2 g {g-\-h)\, » purché non si abbia contemporaneamente 5 G = g {g-^hy » Queste condizioni essendo soddisfatte, sulle superficie cp » esiste un numero doppiamente infinito di sistemi isotermi » di Liouville, i quali si ottengono tutti integrando il si- » stema completo dò - 5^=(4^-^) ^,-|-|x (cos 2'n.-sen2'H.) dM 25 5^ = [(2/i-^) h-3g^~^G-2^^X (sen 2'^ k, + cos 2 '^ fe,) -f (2 /^ — 3 ^f) [x ^,. . » 13. — Supponiamo ora (gf) = 0 e q differente da 0. Pel teorema del § 10 in questo caso 1' angolo 2 ?]; è dif- ferente da 0 e da 71, e la equazione (III) assume la forma 10 1,h^^%. = 4 (^ + /i)2 -}- 25 G — 10 ^,9^''% , mentre le (29) e (30) danno le 37) 2,ging = g2^G 38) 2, g^'%-{-2 2,. h^'-% = 0 . Introducendo una indeterminata w, abbiamo dunque le 2 2,. h^^%=3G +|- [2 /i {h +2g) — 3p2] , T. V, S. VII 45 (672) [30] le quali assieme alla (37) ci danno le proiezioni sulle linee k,, e k^. dei parametri di 1.° ordine delle funzioni g ed h. Da esse si traggono (M, 8, {a)) le 5 ^, oì^''% = (;2\g—4h)ià, il cui confronto conduce all'una od all'altra delle 39) ià = 0 , 2h = 3g. Siccome poi la seconda di queste combinata colla (38) ci riconduce ancora alla prima, la quale per la (30) ci dà q = 0, possiamo concludere che « Se K 9 è l'espressione dell' elemento lineare di una » superfìcie a curvatura totale variabile G , su cui le linee » G sono parallele, ma non isoterme, sulle superfìcie cp non » esiste alcun sistema isotermo di Liouville. » In altri termini « Tra le superfìcie a curvatura totale variabile G , su » cui le linee G sono parallele, quelle applicabili sopra » superficie di rotazione sono le sole, per le quali esistono » dei sistemi isotermi di Liouville. » 14. — Il teorema del § precedente ci permette di li- mitare, come faremo in seguito, la ricerca dei sistemi iso- termi di Liouville a quelle superficie a curvatura varia- bile, su cui le linee G non sono parallele, per le quali cioè (g) è differente da 0. Il confronto delle equazioni (III) e (IV) ci conduce alla equazione 40) [^A 4- (g) A'] sen 2']; -f [qB + (^)B^] cos 2^ = 0. Se non sono soddisfatte le equazioni 41) qA + {g)A' = 0 ^B + (^)B^ = 0, [31] (673) la equazione (40) determina completamente una coppia di sistemi ortogonali {\.\.) ^ ^^ P^^ò concludere che « Se Kcp è la espressione dell'elemento lineare di una » superficie a curvatura varia])ile G, per la quale non sono » identicamente soddisfatte le equazioni (41), le supeflcie cp » sono al più dotate di un sistema isotermo di Liouville, se » tale è la coppia di sistemi ortogonali, per cui l'angolo <\) » è determinato dalla equazione (40). » Il § 7 ci dà modo di riconoscere se questo sistema è 0 non è un sistema isotermo di Liouville e nel caso, in cui non siano soddisfatte le equazioni (41), ci dà quindi le con- dizioni necessarie e sufficienti perchè sulle superficie cp , supponendo sempre G variabile, esista un sistema isotermo di Liouville. 15. — Sistemi isotermi di Liouville sulle superficie a curvatura G variabile , su cui le linee G sono isoterme. Le equazioni (28) e (30) ci danno le proiezioni sulle linee k,. e k,. dei parametri di 1° ordine della funzione h espressi per p e g. Da esse scende quindi pel teorema ripetuta- mente applicato la equazione 42) :i,p('U, + 2,r/"-'^, + 2 [{h-g) q+io) PÌ + 8 {g) G= 0. Voglio ora considerare il caso, in cui le linee G sono i- soterme e non parallele cioè in cui è g = 0 e {g) diff'e- rente da 0 (il caso, in cui si abbia contemporaneamente q = [g) = 0 essendo già stato esaurito nel § 12). In que- sto caso la (42) assume la forma 2,p('-)/&, = -2(^)(p + 4G) e le (32) danno A^ = 2p (3^ — 2h)-\-ò 2,pmr B' = 8{g) (2p + 5G) . (674) [32] Le equazioni (41), che si riducono nel nostro caso alle A' = 0 B' = 0 , comprendono dunque la 2p + 5G = 0, da cui si trae 43) 2,p('-)ft,. =: 0 e quindi, per le (42''), jo=:G = 0. Dunque per la classe di superficie, che ora consideriamo, le equazioni (41) non pos- sono essere identicamente soddisfatte, e dal teorema del § 14, tenendo conto della (42^) e della forma speciale, che assu- mono in questo caso la equazione (40) e le espressioni di A' e B', deduciamo che « Se le superficie cp sono a curvatura variabile G e » le linee G sono isoterme, ma non parallele, sovra di esse » esiste al più un sistema isotermo di Liouville, se tale è il » sistema doppio ortogonale, per cui l'angolo 2c|; è deter- » minato dalla equazione » posto A' sen 2tl; + B'cos2(|;=:0, A^ = 2p {3g — 2h)-{-5 :^,p^'-% B' = S{9){2p-\-5G) p = :i^M'^k, — gh — 4Q. » Per decidere se questo sia o non sia un sistema isoter- » mo di Liouville serve il criterio contenuto nel teorema » del S. 7. » 16. — Sistemi isotermi di Liouville pey^ le superfìcie applicabili sopra superfìcie a curvatura media costante. Gli elementi lineari delle superficie a curvatura me- I [33] (675) dia costante ed eguale a e sono caratterizzati {^) dalla equazione A2 log (Cx — 6-2) = 4 G. Posto A, G 4G questa equazione si riduce facilmente alla forma 2/i = V + p . Avendosi poi (M , 9 , (25)) (A,G), = p (G - c2) [{2h -\-g)K- {9)K'] , derivando le (44), si perviene pure facilmente alle V, = v(p')^,+v_[(p — V — 5r)v — 4c2]yr^ Pr = P [(S' + V) ^r — {9)kr'] e per queste alle 2 2,/i('-'/è,^(v-p) (gr) 2 2,M>U, = p (^ + -V) — V (^ + V - 4c2). Le (28) e (30) assumono quindi la forma 45) p v(^ + -gv) — 2c^ q = —v{g) e ponendo 46) a=\g^^% , {6 = \g^'Vi, , e ricordando ancora la (29), troviamo 2,(^)<'Uv = p-^2_(^)'2_G , i;,(^)(')/^. = 2^-a. (1) Vedasi la Memoria del Prof. Padova, Stilla teoria generale delle superficie, letta alla R. Accademia delle Scienze dell' Istituto di Bologna il di 27 Aprile 1890. (676) [34] Coll'aiuto di queste derivando le (45) si ricavano le ^p^^^K = V [(^ + V - p) {g + V) - fi] 4- 4 (gr + v) c^ M''K = V l{g) (3v + ^ - p) + a] + 4 {g)c^ , e quindi dalle (31) e (32) le 47' A = 6[v2 + (^)2] + 4^2_^p(p-- v-^) ''■ + %v4-20g-2 — lOp. B = {g) (19v-p-2p)+10a A =v [6(v2+ (gy^ - p (35r + |i v)+^(4gr+9v) -10^] j 4_4cMp+6v + 2^) 'Ì • B' = V {g) [19v - 3p - 25- + lOva + 8 {g)c\ ] Abbiamo dunque anche .' gA + (^)A^ = 8(p) {G-c^)[h^g) [I gB + (5r)B^ = 8(^)2 (G-c-2), |j e siccome ora supponiamo G variabile e [g) differente da J 0 , le equazioni (41) non possono essere soddisfatte. Te- i nendo di più conto della forma speciale, che assume in I in questo caso la equazione (40), concludiamo che ! « Se |/ 9 è la espressione dell'elemento lineare di una i » superfìcie a curvatura totale variabile ed a curvatura i » media costante non applicabile sopra una superficie di i » rotazione, le superficie cp sono dotate al più di un sistema i » isotermo Liouville, se tale è la coppia di sistemi orto- » gonali, per cui l'angolo 2i]> è determinato dalla equazione ,! i; {h + g) sen 2']^ -\- [g] cos 2r]; = 0 .» ;j; Confrontando questa colla equazione {eì) del § 10 si i perviene alla (y) cos 'j» -}- y '"^en ']; = 0 . [35] (6^^) Indicando con a l'angolo, che le linee di curvatura del fa- scio, cui appartiene il sistema 1, , fanno colle linee X, , que- st' ultima equivale (M , 7, (19)) alla sen (a 4- ^) = 0 • In essa si legge quindi la seguente notevole proprietà dei sistemi isotermi di Liouville sulle superficie, di cui ora ci occupiamo. _ « Se una copia {\.\) di sistemi ortogonali di linee » tracciate sopra una superficie applicabile sopra una su- » perficie a curvatura variabile ed a curvatura media co- » stante, ma non applicabile sopra una superficie di rota- » zione, costituisce un sistema isotermo di Liouville, l'an- » golo formato dalle linee G colle linee di_ curvatura del » fascio, cui appartengono le linee X, e a, è bisecato in » ogni punto da queste linee. » 17. _ Superfìcie dotate di un numero semplicemente infìnilo di sistemi isotermi di Liouville. — Quando le equa- zioni (41) sono soddisfatte, le (III) e (IV) si riducono ad una sola e possiamo limitarci a considerare la prima, la quale, supponendosi {g) diverso di o, determina jx in fun- zione di '|. In questo caso, come risulta dal teorema (6) del § 11, perchè sulle superficie (p esistano dei sistemi iso- termi di Liouville, sarà necessario e sufficiente che si possa soddisfare alle equazioni, che risultano dalla sostituzione del detto valore di ^ nelle (I) e (II), le quali non conter- ranno allora altra funzione incognita all' infuori di '];. Posto 48) 14((7)P = A, 14(^)Q, = B , la equazione (III) assume la forma ni,) |i = P sen 24^ -j- Q cos 2'^ e, tenendo conto anclie delle (I), se ne ricavano le (678) P36] \^^'-)kr = 5 (P cos 2^ — Q sen 2^) {4:g — h-[-^ cos 2^) + + sen 2(];2^P('U, + cos 2(L2 0('->^,. -rR'"^. =g (P COS 2'^ - Q sen 2'|) [4((7) _ [jt sen 2^] + + sen 2^^,:P^>%. + cos 2 ^^,Q('->^, . Queste poi confrontate colle (IIj conducono alle 49) C sen 2'^ + D cos 2(]j = 0 C'sen 2^ + D^cos 2^ = 0 , nelle quali si è posto ÌC ^ 5:£,P('U^. - 5p + 2Q(^ _ 4g) + P(2P - 3(^) ) D = 52,Q(% -hq- 2P{h - Ag) + Q(2P - %) ) C^ = 52,P('-)^, 4- bq - 8Q(5r) + P(2Q, + 3^ - 2h) D^ = 52,Q('U,. - 5p + 8P(pr) _]- Q(2Q + 3^ - 2h) Perchè sulle superficie 9 esista un numero infinito di si- stemi isotermi di Liouville è dunque necessario che le (49) siano identicamente soddisfatte, cioè che si abbiano le identità E) c = D = C' = D' = 0. Queste condizioni sono però anche sufficienti, poiché, co- me risulta dal § 11, in questo caso il sistema di equazioni, che si ottiene dalle (I) sostituendovi per |jt il valore dato dalla (III) è completo ed ogni sua soluzione ci dà un si- stema isotermo di Liouville, poiché sono soddisfatte assieme alle (I) anche le (II) e (ITI). Le equazioni (41) e quindi la (IV) debbono quindi essere conseguenze delle (E), come si può verificare osservando che le (50), tenendo conto delle (E), ci danno le proiezioni sulle linee k^. e\ dei parame- tri di L° ordine delle funzioni P e Q, ed applicando il noto teorema. E poiché l'integrale generale del sistema (I), in cui si supponga eseguita la accennata sostituzione, con- tiene una sola costante arbitraria, quando siano soddisfatte [37] (679) le condizioni (E), sulle superficie 9 esisterà un numero semplicemente infinito di sistemi isoteruìi di Liouville. — Concludiamo che « Se le superficie, i cui elementi lineari hanno per » espressione )/(p , sono a curvatura totale variabile G, ma » non sono applicabili sopra superficie di rotazione, sovra » di esse esiste al più un numero semplicemente infinito » di sistemi isotermi di Liouville. Perchè questo caso si » verifichi è necessario e sufiiciente che siano soddisfatte » le equazioni (E) e, se queste sono soddisfatte, per otte- » nere tutti i sistemi di Liouville, di cui le superficie cp » sono dotate, è necessario e basta integrare il sistema » completo di equazioni a derivate parziali di l.*' ordine » nelle quali sia posto 5a = 4f/ — /? -]- (P sen 2^ + ^ ^^^ ^^) ^^^ ^'^ 5p = 4{g) — (P sen 2t|j -f Q cos 2<\)) sen 2'^ . » In queste gli invarianti h, g, {g) hanno i significati » già stabiliti e sono di 2° ordine rispetto a G; P e Q » sono dati dalle equazioni (18) combinate colle (31) e sono » di 3.° ordine rispetto a G; mentre la funzione incognita (]; » rappresenta 1' angolo, che le linee del sistema cercato » fanno colle linee G. » 18. — Se è soddisfatta la equazione F) CD^_C'D = 0, senza che siano soddisfatte le (E), le superficie momentanee e transitorie estrinsecazioni. Il medesimo dicasi pel caso che si tratti di varie sensazioni contempo- raneamente localizzate in diversi organi. Se tutte sono avvertite come sensazioni d' un unico senziente, conviene che questo senziente unico sia alla sua volta implicita- mente avvertito. Insomma il naturale e spontaneo riferir che facciamo di tutti i fatti interni a noi stessi, involge necessariamente 1' apprensione diretta dell' Io. È dunque da conchiudere che l' Io è percepito. Del resto una quantità d' espressioni comuni confer- ma questa verità. Aver coscienza di sé, uscir da se stesso, rientrare in se stesso, essere padrone di sé, badare a sé, sapere d' essere 1' autore d'un fatto, sentirsi umiliato, com- (1) È interessante a questo proposito l'osservazione che si fa sui bambini, quand' essi provano p. es. un dolore in un piede. Se si dice loro : che t' importa del piede ? Lascia eh' egli dolga e tu non dartene pensiero, essi rispondono sdegnosamente : sono io che sento il male al piede ! Il piede mi fa male a me ! Prova evidente che la localizza- zione proiettiva della parte dolente non infirma punto la coscienza del- l' unità impartibile dell' Io, sede de' piaceri e dei dolori che sorgono in qualsiasi parte del corpo. (814) [80] piacersi di sé e somiglianti modi di dire non avrebbero alcun senso, se 1' uomo non cogliesse coli' osservazione di- retta il proprio Io. Perocché, giovi ripeterlo, se 1' Io o il Se consistesse solamente nella totalità de' fatti interni avvertiti, codesta pluralità non si presenterebbe all'intro- spezione come un' impartibile unità. Per quanto i fatti di coscienza siano strettamente collegati fra loro, 1' uno non è r altro, sicché 1' affacciarsi di essi come pertinenze d'un unico Io non sarebbe possibile, qualora insieme coi fatti numericamente distinti non fosse colta dalla coscienza la radice comune da cui sorgono. Che se finalmente si chiegga come sia possibile av- vertire direttamente un quid che non presenta verun con- tenuto, noi risponderemo che ciò non è vero, perchè VIo un contenuto lo ha, e questo è appunto la sua identità e la sua permanenza. Noi percepiamo l'atto di coscienza^, indi r atto di coscienza B e cosi via. Qui abbiamo tre elementi : 1.° L'oggetto (che può essere eguale o differente) de' vari atti di coscienza, e ponendo che siano differenti, chiamiamoli a, b, e, ecc. 2° L' attività cosciente. Questa è eguale ne' vari atti, ma è numericamente distinta e distinta pure per 1' ordine della successione. Che sia avvertita, noi l'abbiamo provato a esuberanza ; e d' altra parte come potremmo noi mai sapere d' essere stati consci di questa o quella cosa, se il fatto dell' esser consci non potesse essere conosciuto ? In- dichiamo con a, a.\ a", ecc. queste diverse attuazioni della coscienza prese in disparte dal loro oggetto. 3.° Finalmente il principio da cui gli atti procedono, che é uno e medesimo per tutti. Se questo rimanesse ne- cessariamente celato, i singoli atti di coscienza formereb- bero una pluralità di coscienze tra loro distinte e la ri- flessione successiva non potrebbe porre che a col suo con- tenuto a, oc' col suo contenuto b, a" col suo contenuto e, ecc. e nuli' altro. Invece ella pone un cosciente che col- [81] (815) r atto a ha avvertito a, il medesimo cosciente che col- r atto a'' ha avvertito h, ecc. Dunque ella trova davanti a sé il principio di tutti i successivi atti di coscienza cioè r lo. Ma qui è da por mente a una cosa. 11 subbietto della coscienza è bensì avvertito, ma solamente come principio della funzione e per la sua medesimezza nelle varie fun- zioni. Voglio dire eh' esso si manifesta solamente nella funzione stessa e fuori di questa non gli rimane più ve- runa determinazione, verun carattere, tranne quello pu- ramente relativo dell' identità. Per chiarir bene il mio concetto mi servirò d' un paragone. Poniamo che trovan- domi in una camera al buio io mi senta toccare replica- tamente una spalla. Io penso che qualcuno o qualche cosa, un corpo insomma, mi ha toccato. Quello eh' io conosco anzitutto è 1' azione del toccare ; in questo toccamento poi io percepisco anche un toccante, ma che cosa questo sia non lo so affatto. Potrò bensì argomentare legittimamente che dev' essere un corpo solido, ma prescindiamo da ciò. Supponiamo inoltre che in un modo qualsivoglia (e se anche la cosa fosse impossibile non importa trattandosi d' una similitudine e nulla più) da ({uei toccamenti io acqui- sti r immediata certezza che quello che m'ha toccato la pri- ma volta è r identico quid che m' ha toccato le altre volte. 0 non sarebbe da conchiuderne che io lo percepisco sotto il carattere dell'identità? lo dunque percepirei l'agente sotto i due caratteri dell' essere una cosa che tocca e del- l' essere una sola e medesima per tutti i toccamenti (i). Cosi r Io è percepito, ma percepito unicamente sotto i due caratteri di cosciente (di subbietto della funzione coscienza) e dell' identità. (1) Di qui apparisce una verità importante, cioè che nella perce- zione d' un' azione è implicita la percezione dell'agente; il quale tutta- via non si mostra caratterizzato da nient' altro tranne dalla natura del- l' azione eh' egli esercita. T. Y, S. VII 54 (816) [82] Con ciò abbiamo implicitamente risposto anche all'ul- timo quesito, se 1' anima sia percepibile. E la risposta è di necessità negativa. L' anima infatti è bensì il principio so- stanziale della vita psichica, in particolare della coscienza ; ma essa è molto di più. Questo dippiù per altro nella percezione di sé non apparisce, dunque non si può dire percepibile. Quel poco o molto che potremo saperne sarà il resultato di ragionamenti psicologici, metafisici, morali, e cosi via; ma perciò appunto non è dato immediatamente neir apprensione di sé. Possiamo dunque conchiudere che nella percezione di sé 1' anima è appresa immediatamente soltanto come Io, cioè come subbietto permanente e iden- tico a sé stesso della vita psichica. Con che é risoluto an- che r apparente paradosso che, essendo in fondo l' Io e r anima una stessa cosa, il primo sia oggetto di percezione e la seconda no. Ma arrivati a questo punto, col quale si chiude l'am- bito della percezione interna per ciò che si riferisce ai fatti psichici e al loro subbietto, sentiamo una specie di sgomento. Tutte le considerazioni e tutti gli argomenti, tutte le osservazioni che siamo venuti istituendo non sa- rebbero per avventura altrettanti castelli fabbricati sul- r arena ? Quella conoscenza di se stessi, eh' era raccoman- data dall' antico oracolo, quella conoscenza che i moralisti di tutti i tempi hanno reputato la più difficile come la più preziosa di tutte e nella quale fecero consistere il culmine della sapienza, stando al nostro discorso parrebbe essere la cosa più facile del mondo e per di più non soggetta ad errore. Noi ci saremmo dunque messi in contraddizione colla coscienza e col senno del genere umano. Se infatti non solo gli avvenimenti interiori, il flusso passeggero della vita psichica, ma anche le qualità e di- sposizioni permanenti dell' anima, anzi la stessa unità ri- posta, in cui tutti que' fenomeni s' appuntano, cioè l' Io, sono oggetti di percezione, cose, a dir cosi, che basta aprir gli occhi per vederle (a quel modo che gli oggetti del [83] (81?) mondo esterno son li ad aspettare che i sensi ne ricevano in sé r impronta), come sarebbero possibili le illusioni e gli errori, donde sorgerebbe la difficoltà dell' interna os- serva loguoz Codesta obbiezione cosi ovvia è per altro priva di fondamento. E poiché si paragona la percezione interna all' esterna, clii ha detto che quest' ultima sia sempre fa- cile ? che vada sempre immune da illusioni ed errori ? che non richiegga sforzo, attitudini, perseveranza, educa- zione ? Sono dunque moltissimi quelli che sanno percepire convenientemente gli oggetti clie cadono sotto i sensi ? Basta forse a tal uopo aver buona vista, udito fine, tatto squisito e cosi via ? La percezione é forse compiuta quando r oggetto ha fatto sull' organo l' impressione alla quale é atto ? 0 non abbiamo noi visto come per primo ci occorra r attenzione, mancando la quale la sensazione stessa tra- passa senza venire appresa dalla coscienza ? Non abbiamo visto di più che ogni percezione veramente degna di tal nome, cioè intellettiva, implica un giudizio, per cui 1' og- getto è categorizzato solitamente sotto un concetto già noto 0, per lo meno, predicato di se stesso ? Qual meraviglia dunque se, vuoi per manco d' attenzione (caso tanto più facile a intervenire quanto più 1' oggetto da percepirsi è remoto dal senso) o vuoi per incuria vuoi per pregiudizio il fatto interno o passa inavvertito o, quel eh' è peggio, viene assunto sotto un predicato che non gli s' attaglia ? Notisi ancora una difficoltà peculiare che sorge a propo- sito della percezione interiore dall' imperfetta formazione de' concetti che bisognano a voler classificare esattamente i fatti psichici e più ancora il loro sostrato. In vero ciò che a parità dell' altre circostanze rende più agevole una percezione è 1' esistenza nel percipiente d' un' idea netta e precisa, sotto la quale venga ad assumersi l' oggetto che ci colpisce. L' esperienza cotidiana ce ne fornisce esempi a migliaia ; al botanico basta gittar 1' occhio sopra un'erba per classificarla ; il medico riconosce con uno sguardo la (818) [84] malattia d' un paziente ; 1' uccellatore, il pescatore distin- guono immediatamente la specie dell' uccello o del pesce, che in un baleno passa davanti a loro e cosi via ; perchè il botanico, il medico, il pescatore, 1' uccellatore hanno pronte e ben definite nella mente le idee delle cose, su cui con tanta prontezza e sicurezza proferiscono un giu- dizio. Ma i contorni, a dir cosi, e i lineamenti de' fatti psichici sono per lo più cosi sfuggevoli, vaghi, tenui, in- tricati, e gli uomini nella generalità rivolgono così rara- mente su di essi la loro attenzione, che appena è se nella lor mente e' è qualche embrione, qualche informe abozzo delle classi di quelli, delle peculiarità, delle differenze che li contraddistinguono. Ninna meraviglia pertanto se, quan- d' uno di tali fatti sforza per cosi dire la loro attenzione, se ne stanno davanti ad esso quasi trasognati e, come di- rebbe Dante, selvaggi del loco, come colui che nuove cose assaggia. A queste cause, che concorrono a render difficile la percezione de' fatti psichici, se ne aggiungono altre che possono chiamarsi morali e sono quelle, per le quali la conoscenza di sé (come osservammo dianzi) fu sempre con- siderata come il culmine d' un' assai rara sapienza. Peroc- ché spesso interviene che non si vede o si veda male quello che non vorremmo vedere, quello che umilia la nostra vanità, contrasta colle nostre passioni, coi nostri pregiudizi, coi nostri più segreti desideri. Ma tuttociò non toglie né la possibilità in genere della percezione interiore (tolta la quale e il nosce te ipsum e tutti gli altri precetti morali, che si fondamentano sul- r esame del nostro interno, sarebbero vuoti di senso), né la possibilità di cogliere sul vivo i fatti singoli che si succedono sul teatro della coscienza. Le difficoltà, le in- certezze, i dubbi, che possono in questo o quel caso offu- scare il nostro sguardo mentale e deludere gli sforzi della nostra attenzione (e che del resto non mancano anche nella percezione esterna, benché questa sia aiutata dalla [85] (819) vivacità e dall' attrattiva potente della sensazione) sono però compensati, almeno in parte, dal vantaggio proprio della percezione interna, dal vantaggio, dico , d' avere r oggetto da percepirsi non solamente sotto mano e vicino e presente, ma immedesimato con noi. A noi qui non ar- riva soltanto r effetto più o men lontano d' un' azione, che è esercitata da una realtà chiusa in se stessa e im- penetrabile ; ma 1' oggetto medesimo da percepirsi è com- penetrato e quindi esplorato nell' intimo della sua natura dal pensiero osservatore. Padova, i5 febbraio 1894. SULLA GEOMETRIA PURA EUGLIDIANA AD n DIMENSIONI NOTA DEL s. e. P. CAS SANI Nei tanti lavori intorno alla Geometria ad n dimen- sioni, si veggono trattate e svolte quistioni elevate che pure richieggono, per parte del lettore, la conoscenza di alcuni fondamentali principi. Nell'importantissima Memoria del Ch. Prof. Veronese (i) trovansi a vero dire esposte le fondamentali dottrine cui accenno, a larghi e magistrali tratti, ma un paziente esame dei singoli casi particolari non poteva né doveva esser fatto dall' esimio Autore che aveva per iscopo l'ampio e completo svolgimento di tutto il contesto geometrico nella sua più elevata esplicazione. Io puhhlicai quasi nello stesso tempo, sul Giornale mate- matico di Napoli un lungo articolo riassumente i principi fondamentali relativi al parallelismo, ?i\V ortogonalità, alla rotazione degli spazi, ed agli angoli di due spazi lineari con qualche accenno alle quadriche ed ai coni ; e tutte queste cose facendo uso dei metodi che, con poche varianti desunte dai moderni concetti, sono ancora quelli dell'ordi- naria classica stereometria, fermandomi alle quattro di- mensioni, più per fissare le idee del lettore che per asso- luta necessità. Ho riconosciuto poi che sul parallelismo e sulla ortogonalità, come pure sull'angolo dei due piani, vi erano altre cose a dirsi, né credo inutile F esporle ora (I) Behandlung- der projectivischen Verhaltnisse dei' Ràurae von verschiedenen Dimensionen durch das Princip des Projecirens und Schneidens (Math. Ann., Bd. XIX, 1881). [21 (821) sebbene la geometria abbia fatto si gran passi ; non credo inutile, ripeto, perchè di quei primi elementi nessuno oggi si occupa nella convinzione che, al bisogno, ciascuno può crearsi da sé 1' istrumento che gli occorre. Ciò è senza dubbio verissimo, ma non si può giudicare a priori delle difficoltà offerte da un problema elementare, e i periti di questi studi sanno che per quanto sicuri della vittoria, essa può costare un tempo prezioso, e che in ogni maniera si troverebbero sviati dalla ricerca principale. Serva tutto questo a giustificare il mio lavoro, ove espongo anche la soluzione analitica d'un qualche proble- metto che non parmi senza interesse e che ignoro se sia stato mai sciolto. Chiudo con la generalizzazione di alcuni teoremi, solo per non mancare all' intento e per mostrare che il metodo semplice da me seguito è suscettibile d'essere allargato. I. Sul parallelismo 1.° Tre piani afiY posti in R4 possiedono, all' infinito tre rette ci^b^c^ , immerse in R3, 3^, le quali generalmente parlando, non hanno alcun punto comune. Ora potrebbe avvenire che 1' una di esse incontrasse le altre due, senza che queste s' incontrassero ; supj)oniamo, per esempio, che b^ incontri in A^ e C^ le altre due ; si dirà allora che il piano fi è parallelo ad entrambi i piani oc e y , senza che ([uesti sieno paralleli fra loro. Può accadere che quelle tre rette si trovino in uno stesso piano e formino un trian- golo, A^ . B^^ , C^ , allora ciascuno dei piani è parallelo agli altri due, ed il piano di quel triangolo, giacente per intero all' infinito, sega quei tre piani in tre rette. Final- (822) [3] mente può avvenire che le tre rette a^ , b^ , e si incon- ■*■ co ' 00 ^ Ilo trino in un punto formando un triedro ordinario tutto si- tuato all' infinito, anche in questo caso si diranno paralleli tutti e tre i piani, però il parallelismo sarà di natura dif- ferente. 2." Sieno in R4 i tre piani a[iy posti in qualun([ue ma- niera ; sulle loro tre rette cc^à^c^ si appoggia una infinità semplice di rette formanti un iperboloide rigato. Ognuna di queste rette è la retta all' infinito di un piano paral- lelo ai tre dati. Dunque : Se nella regione finita dello spazio R4 si prende un punto P, si potrà condurre, per esso, una infinità semplice di piani paralleli ai tre dati, i quali for- meranno un cono quadrico G^, Può dirsi anche che il cono quadrico C3 è generato dalla semplice infinità di piani che si possono condurre per un punto parallelamente a tre dati. Perciò se i piani fossero quattro, per il punto P non si potrebbero condurre che due piani paralleli ai mede- simi, perchè sopra quattro rette comunque situate in uno spazio R3 non si possono appoggiare che due rette. 3.** — Dato in R4. un piano a ed una retta b esterna al medesimo, e comunque posta, si potrà condurre per b un fascio di piani paralleli ad a. Infatti per ogni punto della retta all' infinito a^ appartenente ad ce, e per b, passa un piano, perciò questi piani formano una semplice in- finità. Si scorge che la a^ è incontrata da una infinità sem- plice di rette all' infinito appartenenti ai piani del fascio ; tutte queste rette che genericamente rappresenteremo con ^80 pS'Ssano per quel punto B^ in cui b incontra lo spazio limite Rsx , e perciò descrivono un piano che ha per diret- trice la a^ . 4.^ — Se due piani a e ^ sono paralleli, per una retta m qualsiasi di R4 si potrà condurre un piano y , ed uno solo, parallelo ai medesimi, ed in quel modo per cui tutti e tre i piani vengono a possedere un punto comune all'in- finito, ma non sarà possibile condurre, per m, un piano [4] ' (823) })arallelo ai due dati, in altro modo, pei'chè la m incontra li■^,^ in un punto K che, in generale, non è in uno stesso piano colle a^ , b^ , possedute da a e da [i , che se ciò fosse, allora per K si condurrebbe una infinità semplice di rette appoggiantisi alle ci^b^ e per m potrebbesi quindi condurre un fascio di piani paralleli ai due dati. 5.*» — Ma se due piani a e [i sono comunque situati in R4 si potrà condurre per la m un piano parallelo ai medesimi ed uno solo perchè allora le rette a h non hanno -T CO ce punto comune e, qualunque sia la posizione di K all'infi- nito, si potrà sempre condurre per K una retta, ed una sola, che si appoggi ad o^ & b^ ; salvo il caso che m sia parallelo ad uno dei piani a 0 ^ . 6.° — Se A e B sono due punti giacenti in + XR,<-2) A = ^[l+2coseX-|-X2] [12] (8;n) in cui Ro*i' e R^,<2> sono, ciò che diventano R'^' e R'"^' quan- do in luogo di x,y,z si pongono ."v^VoZ^ . Ora per tro- vare il minimo basta annientare il discriminante di questa espressione, liberata dall' irrazionalità ed ordinata rispetto a À , per cui trovasi tosto : ^ (/[(Ro'*'r- + 2Ro)2 oppure quella più particolare : A2 = {RWf _|_ (R^(2))2 rappresentereblie un cilindro quadrico di rivoluzione a tre dimensioni di raggio A, e nel quale R(i> = 0 , R<^2> = 0 , rap- presentano il piano assiale. Gli spazi immaginari R^2yl)^+(^l^r^'2-l)M^^1^2--^Vl)^+(^l-2-y2gl)'+(i/lV^2^l)-+(-lV^2^^- z^ t^ — ; V2 = — ' sarà X'-) X^, ^. /r(V>-|)-+'{^.-l^l)'+(^2-^l)'+(^lf^2-^2l^l)'+(^1^2-Vl)'+' ben^^— |/|^ (l+V + lV + V,^) (l+V + t^2' + V,2) Cos cp [14] (.S33) Se le due rette fossero date mediante le equazioni y = lyx ; z = [iioo ; t = v^x ; y = ^k^x ; z = |i2X' ; t = v^a? essendo .Ti Zi il yt ij[ '^ Xi Xi ./;.2 (V>-|)-+'{^.-l^l)'+(^2-^l)'+(^lf^2-^2l^l)^+(^1^2-Vl)'+(l^l^2-^2^l)''1 V + iV + V) (1+V ^1^2 + ^1^2 + -1^2+ ^1^2 __ n^c+yi'+-i'trì ^[^2'+2/2'+=2'+'2'] ~ ~ ^^L'+^j'+i^r+^r] vTi+>^2-+i^2'+^2-] 29.° — Trovare 1' espressione analitica della minima distanza tra una retta ed un piano. Sieno _ Xj -f- Xd?.2 //i + ^^-3 ; . °~ i+x ■' ^0— l_f-X ' _ Zi + X3:o2 __ ^1 + Ik '~ 1+X ' °~ 1+X ' le coordinate d' un punto corrente sopra una retta deter- minata da (lue punti fìssi {xiìjiZit[) , {x^y^iZ:ìt.<ì) e sia R(i)=0 , R<2)=0 , il piano fìsso dato. Indicando con R^'i'Ro'^' ciò che diventano quelle due espressioni lineari quando per XiUiZiti si pongano i valori X^Y^^Z^jT^, , avremo : ed esprimendo per brevità con Ri**' , Ra**' , Ri'"^' , Ra*^' ciò che diventano quelle funzioni lineari per la sostituzione delle variabili accentuate, avremo : (1 + X)A = (/[(Rid) + XR,)-2 + (Ri'"2' + ^R2<^')^] e A deve diventare un minimum. Riducendo ed ordinando per le potenze discendenti di X si ha (834) [15] [(R2(l))2 _^ (R2<2))2 __ A2]X2 + 2[Ri(»'R2'^' + Ri'^-'Ra'^' — A^JX + + [(Ri)2 - A2] [(Ri(i>)2 + (Ri'-^>)-^ - ^^^1 - — [Ri'i'R.d' 4- Ri'2>R2<"2) _ A2]2 = 0 ; da cui _ RiR./^' — R2<»'Ri<2> Se il piano fosse 1' uno dei sei coordinati, per esem- pio quello X = 0 , Y = 0 , la formula diverrebbe : ^_K[(Xi + Y2p + (X2 + ^'2)"^] Xi 1 2 — Xg I 1 30.° — Trovm^e Vespressione dell'angolo che foì^mano fra loro una retta ed un piano condotti per V origine. Sia P un punto della retta a sia OP =^ / ; e A la perpendi- colare condotta da P al piano, sia «"^ l'angolo cei'cato sarà : A . >/[(Ro"')^ + (R.'^')T Sen^ = y,c,oe ^,^^= ,^^^-^^-^^-^^^^, essendo R**' e R'^^' in forma normale. Se la retta ha le equazioni y =^\x , z = )i.x\ t ^vx , ed il piano sia dato dalle X cos ai -|- y cos [ii -|- ^ cos yi -[~ ^ ^os S^ = 0 : X cos ag -|- ?/ cos 1^2 -f- z cos Y2 -|- ^ cos §2 = 0 sarà "(cosaj^Xcosp,-i-|JLCOSYi4-vcos5,)-[-(cosa2-l-Xcosp24-|J-cosY2+vcosSS)' Sen co := v' 1 4, X2 ^ H2 4. v2 Ora dicendo u , u , to , x gli angoli della retta cogli assi, si trova sen cp =(/ [(cosai cos^^-j-cos^i cos u-j-cosyi cosw -|-cosoiCOs-c)2-{- -\- (cos a2 COS u -\- cos ^2 cos u -j- cos Y2 cos to -|- cos 02 cos t)2] [16] (835) Ora chiamando pi , p^ le due perpendicolari condotte dal- l' origine ai due spazi determinanti il piano, ed r la retta, si ha : Sen 9 = ^[cos^jo^r -|- coiì^p^r] . Questa relazione sussiste anche nella goniometria sfe- rica ordinaria per un quadrispigolo in cui r ed h sieno due spigoli e gli altri due pi e p.2 facciano con h un trie- dro tri rettangolo. Qui invece 1' angolo r^A è sostituito da quello che la retta r forma col piano dato. 31.° — Se il piano fosse 1' uno dei coordinati, per esempio quello X =; Y = 0 si avrebbe Sen '■!^= \/ 1+X2 l+À^ + |a2 + v^>J ; COS O = |/ [i^2 + v2 1 -f- X"2 -|- |X2 _|_ v-2 e dicendo cpi , ^p^ , ?3 ? '■P4 < ?5 > 'fC) i sei angoli di quelle rette coi sei piani coordinati, esprimendo con -i sen^tp e con 2] cos '^9 le somme dei quadrati dei loro seni e dei loro coseni si ha S sen"- cp = S cos^ rp = 3 32.° Se il piano passante per 1' origine non fosse uno dei coordinati, ma la retta fosse uno degli assi per esem- pio, r asse X = Y = Z = 0 sarebbe sen 9 = ^[cos"2 h^ -\- cos"^ 62] . 33.° — Il cono C3 di 2.° ordine è il luogo delle rette che formano un angolo costante con un piano fìsso e passano per un punto fisso del piano stesso. Sia il punto fisso preso nell' origine e 9 1' angolo costante, sarà : 1 -|- X2 . , ij z t tang"^9 = -r— i — r; cioè essendo X=^: um — ; v = — : ° ^ V2 -|- [Jl2 X X X x"^- -|- ìf- = tang"^^ (j2 _|_ ^2) sarà 1' equazione del cono in discorso. Il piano XY sarà il piano assiale, che non incontra, come fu osservato, il cono stesso ; infatti per x = ij = 0, si ha 22 _j_ ^2 = 0 . (836) [17] 34.° — La proiezione ortogonale dC un circolo sopra un piano è una ellisse Invero sia x"^ -j- ?/- -|- ^2 _|_ ^:j = R,2 ^ una sfera S3 col centro nell' origine e sieno le equazioni del piano. {Vik — y±t{)x -f {hx^ — t^xi)y + (^'1^2 — ^'C'2yi)t = 0 . Se diciamo A1A2A3A4A5A6 le sei proiezioni del trian- golo OPQ sui sei piani coordinati, essendo P e Q i punti che determinano la direttrice del piano, le due equazioni ricevono la forma Ai^ -f A2?/ -|- Ai^ = 0 ; A3.1; + Agvy + Ai^ = 0 . Ora eliminando z e t fra queste due equazioni e quella delle sfera S3 si ha la proiezione del circolo sul piano XY onde si ha [Ai2 + A42 + A3"^]^2 _|_ .[Ai A, + A3A3KV + _|_ [Ai2 _]_ A22 + A32]y2 = R2Ai2 . 35." — 11 segmento h condotto dal punto (^o^'o^^o^o) allo spazio x cos a -|- ?/ cos [i -j- -sr cos y -j- t cos S — p =:0 , è dato dalla formula h = Xq cos a -(- ?/o cos fi -|- Zq cos y H" ^0 ^^s S — p . Se XiyiZiti sono le coordinate del piede del detto segmento sarà : ^Q— ^i=/icosa ; y^~iji=hcoii[i ; ZQ—Zi=Jicosy; Iq — /,=:/?coso , Se abbiasi il fascio di spazi Pv<'> -f X R<2> — 0 , il seg- mento fi varia con a e variano parimenti gli angoli. Ora supposto che oLipi^i^i ; aoj[Ì2Y2S2 sieno i nuovi angoli di due spazi fondamentali W^\ R'2> che, per maggiore facilità sup- porremo ortogonali, il minimo di h è, come si è veduto più sopra : [18] (837) ove Ro<*>, Ro*"^* è ciò die diventano W^\ R<2' quando alle variabili ooyzt si sostituiscano le costanti x'o^o^o^o- Detti u V 10 X gli angoli che quel segmento, perpendicolare al piano di sostegno, forma cogli assi si ha : cos aiR„<^'-f cos aaRp'-^' _ cosji^iRiW+cos^aRo''-' co.syiRo '^' "^ = ^/[(Ro(i))2 + (Ro^ ■' ^^' ' " K[(Ro<^')"^ + (Ro<^')"^] Dunque dette x , y , z , i le coordinate del piede della perpendicolare sarà : x~x = cosaiR„+cosT2Ro'2' ; to-i = cos&iR,+cosS<-^)Ro<2) , tutte quantità costanti come era evidente e che abbiamo scritte per comodità di chi le voglia usare. Indicandole con Ci C2 C3 C4 , avremo : x = x^ — Ci ; y== y^ — C2 ; z = z^ — C^; t=^t^ — C4 ; laonde se il punto {x^ y^ Zo t^ì corresse sopra una retta, cioè se fosse yo=AiXo-}- Bi ; Zo=-A'2'^o-]- B2 ; to=A-oOOo-{-^z si avrebbero le tre equazioni di una retta che è la proie- zione ortogonale della data sul piano poiché si ricavereb- bero XoyoZoto espresse linearmente per xyzt e quindi so- stituendo questi valori di XqI/qzJo nelle tre equazioni pre- cedenti si ottengono, le tre equazioni d' un' altra retta. Dunque la minima distanza fra una retta ed un piano è la minima distanza fra quella retta e la sua proiezione ortogonale in quel piano. Aggiungiamo che i raggi proiettanti ortogonali stabi- liscono una corrispondenza proiettiva fra quelle due rette, e perciò formano una quadrica ordinaria rigata, chiusa ìli uno spazio a tre dimensioni. (838) [19] Parte IL Generalizzazione. I. ì.° Uno spazio qualunque ha due pagine, uno spazio lineare è caratterizzato dalla proprietà fondamentale della perfetta sovrapponibilità delle sue parti, senza condizioni restrittive e senza aver riguardo al segno delle pagine. Gli spazj lineari saranno indicati cosi Rq, Ri, R-2, R3, R4...., Rw— 1 > Rn } ^n+i • 2.° Lo spazio R„_{ separa lo spazio fondamentale R,, in due regioni distinte, ed un punto non può passare dall'una all'altra regione senza attraversare lo spazio separatore. 3." Se una retta ha due punti in R„_i vi giace tutta. Invero staccata una parte di R„_i , la quale contenga i punti A e B, e supposto che tutti gli altri punti fra A e B sieno fuori della pagina e si trovino tutti in una delle due regioni, si arrovescierà il ritaglio e lo si riadagierà sul- l'ambiente R,,_i per guisa che A torni in A e B torni in B ; allora il segmento AB verrà a trovarsi nell'altra regione, ma se cosi fosse, fra due punti passerebbero due rette distinte e ciò è assurdo. 4.° Se un piano ha tre punti (non in linea retta) in Ki-i, giace tutto in esso. Sieno invero ABC i tre punti e si conducano le rette AB, AG e si faccia il ritaglio in R^_i trasportando i punti A, B, C e le rette in discorso. Poscia si capovolga il ritaglio per guisa che A torni in A, e che la retta AC si distenda sulla AB e la AB sulla AC : allora i punti del piano che prima si trovavano, per ipotesi, in una delle regioni, sono andati nell'altra eppure il piano [20] (839) passa per gli stessi tre punti, ma per tre punti non possono passar due piani, dunque etc. 5.° In generale se R^ ha h -\-l punti in R^-i , {h <:.n) vi starà per intera. Se fosse h=-3 ì punti sarebbero 4 ; e si avrebbero quattro piani. Consideriamo i due ABC, ABI). Si pratica il ritaglio e si fa l'arrovesciamento inver- tendo le posizioni dei due piani ; se tutti i punti di R3 , non restassero in R^^_i si farebbero passare due spazi R3 per 4 punti ; e ciò è assurdo. Tutta la dimostrazione dunque dipende dal numero delle condizioni determinanti lo spazio R^ le quali sono h-\-\. Q.° Se due spazi R***„_i , R'^';,_i hanno in comune un punto si segano in uno spazio R„-2 . Invero questi due spazi separano R„ in quattro re- gioni ; ora sia P il punto comune e per P si conducano in R**'„_i due rette che attraversino R*2',j_i . Sieno (ui^'a) > (^1 ^^2); le due porzioni che stanno da una banda e dall'altra; una retta che si appoggi ad aifii attraversa senza dubbio R*'2)^^_^ (n°. 1) e sta in R'**„_i , dunque detto Q, il punto di attraversamento, i due spazj avranno in comune la retta PQ, dunque si segano, intanto, in una retta che passa per P. Ora per la retta PQ si conducano in R'*l„_i due piani a e ^ e sieno (a^a^) (Pil^a) le porzioni che stanno nelle due regioni opposte di R'-*,,-i , e sopra di ai ^j si ponga in R'^*„_i un piano, questo attraverserà, almeno in un punto H lo spazio R*2'„-i e giacerà in R**'„_i , dunque i due spazj R**'„-i , R<"^\,_i oltre quella retta PQ, hanno in comune il punto H e quindi il piano (PQ) H. Ora per il detto piano comune si facciano passare due spazj R, i quali due piani non potranno formare angoli più piccoli di quei due perchè allora a e b non farebbero più uno dei minimi di R'i's con R'^^g come si è supposto. Ora si faccia muovere in R<"3 una retta passante per il punto d' incontro R'i'aR'^'s e perpendicolarmente ad a ed altrettanto si faccia nell'altro spazio R'^'g ; queste due rette generano due piani poiché ciascuna si trova in un ambiente a tre dimensioni. Sieno ora y e S questi due nuovi piani ; anch'essi forme- ranno due angoli TìiiniwA che debbono essere tali, pure per gli spazj R3 ; ma è certo che le rette generatrici dei (844) [25] piani Y e S sono: T una in un piano con a l'altra in un piano con b, e dicendo a^h^ queste due rette, si scorge che «2 deve riescire perpendicolare tanto ad a come ad a^ e h^ deve riuscire perpendicolare tanto a h quanto a h^2 • Dunque chiamato 0 il punto d' incontro degli spazj, R'^'s , R'2>3 si troverà in R- 0 ; il numero degli angoli sarà p , e ciò riesce chiaro nei casi particolari del piano che sega R„_i dello spazio R3 che sega R„_2 ecc. Prezzo della Dispensa Fogli 20 a Cent. 25 L. 5.00 ATTI DEL R. ISTITUTO VENETO D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO^ LIl) SERIE SETTIMA - TOMO QUINTO DISPENSA QUINTA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DEL R. ISTITUTO NKL PALAZZO LOREDAN TIP. CARLO TERRARI ■^'vii 1893-94 Pubbl. il 19 Maggio 1894 INDICE Atto dell'adunanza ordinaria del giorno 22 aprile 1894 p. 845 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. E. Teza, m. e. — Mancano tre parole. 11 canto XVI del Calevala Detto. — Dve' verse | Starofrancouzské legendy | o | Sv. Kater'ine' Alexandrinské. | Vydal Jan Urban Jarnik. V Praze 1894 (Ceskà akademie cis. Frani. Jose fa) in 4.0 pag. Lll, 349. Relazione .... M. Chini. _. Sopra una classe di polinomi differenziali A. Keller, m. e. — Sulla istruzione agraria nelle Università G. Marinelli, ni. e. — Determinazione di correnti sotterra- nee a mezzo di sostanze coloranti Nota fcon 1 tav.) P. Grademgo, s. e. — Sopra un caso di Dernvitohia noxialis in un bambino lattante. Osservazione (con 1 tav.) . G. B. De Tom, s. c. — Notizia sulla Hildbrandtia rivularis (Liebm.) J. Ag. ........ 847 869 872 877 951 965 969 Elenco dei libri e delle opere pei'iodiche pervenute al R. Istituto dal 10 Aprile al 10 Maggio 1894 SEP 4 U£5 ANNO 1893-94 DISPENSA V. ADUNANZA ORDINARIA DEL (3-IOR.I-5»a'jb«>t-«-- Anche per chi abbia nelle mani la penna, e' è scuola di nudo, che affatica e che addestra ; ma s' ha a mettere tutti quei figliolini in cornice ? e s' ha a farne, nelle mo- stre, la mostra ? e non diventa acerbo e spinoso censore chi ve la trova e ne giudica ? Non è certo di zucchero il Dantou quando fa parola di quella maniera di volgariz- zare i poeti che è rude et harhare, inais minuLieusement fidèle, comme celle doni M. de Chateaubriand a fail pour Milton l'essai très-hasardè {Jour. des savants, 1859, p. 558). Cicerone, un grande maestro, di questo serpeggiare per le terre non voleva saperne ; non si contentava che 1' Iliade e l'Odissea mostrassero quei muscoli che non invecchiano e gli arrontondava con un po' di grasso e di pelle lucente ; e a ritentare la prova era sempre pronto, giovane e maturo. Anche questa è una scuola di pittura, la scuola del pan- neggiare, che ebbe sempre ed ha fortuna in Italia. Met- tiamo la mano sul primo esempio che a caso s'affaccia. A' romanzi spagnoli, portati via di casa, non si trova veste che loro stia bene : dico di quelli più antichi, più genuini, che volano leggeri leggeri, ma che, se fai alle braccia con loro, ti stramazzano a terra. Toccò questa sorte anche a Giovanni Berchet, il quale aveva tanto ammodernato il suo stile di poeta che, a ritrarre quelle strofette, non gli poteva servire : e quell' altro, degli spagnoli, non era il (848) [2] suo. Cade, ma onoratamente : sorriderà, col vanto e con le beffe se è cavaliero sgarbato, chi abbia vinto davvero : e noi, che stiamo attorno allo steccato vuoto, s' ha ad aspet- tarlo un gran pezzo. Poi che dunque non si poteva avere ogni cosa, bisognava guardare l'ambito tesoro traverso ai veli : e Pietro Monti, non montato mai nella sua vita sopra un cavallo di fantasia che gli si sbrigli, fece con la sua prosa un buon servigio a chi, leggendo e godendo, non può andare più in là. Forse, anche in quelle strettezze den- tro alle quali il brav'uomo si metteva da se, e' era luogo a più vigoria ed a più grazia ; un'ala che battesse dentro alla stia, ma un'ala. A' nostri giorni, i libri di fuori diventano presto di dentro, ma codesto non avveniva che di rado, e per gli intelletti più curiosi e più vivi, del venti : e dobbiamo te- ner conto di questo pregio nel Perticari che, invogliato da' suoi studi sul provenzale, dal riaccostarlo alla lingua ed alla poesia dei nostri babbi, non trascura lo spagnolo : e, quando il Depping mette in luce il Romancero Castellano, il nostro conte cava di quel vivaio quattro ramoscelli, e li ripianta tra noi. (i) Credo utile far vedere che cosa paresse alla scuola italiana di quei tempi dovere dei traduttori : si pesa l'oro di quei gioielli che trascelgono per onorare i fantasimi dei poeti, e si giudica quali immagini si mostras- sero 0 senza garbo o scolorite agli ammanierati raccon- ci atori. Lo spagnolo, nella sua sveltezza, dice cosi: (1) Cito la nuova edizione, riveduta da Alcala-Galiano. (Lipsia, Brockhaus 1844); ma la prima, sulla quale discorre il Perticari, è del 1818. 11 breve scritto del Perticari uscì nel Giornale arcadico (Roma, Luglio 1819) e si legge anche nelle Opere (Bologna, Veroli 1823, III, 401) come negli Scrittori critici e filologi. Milano, Ubicini, 1839, pag. 628-631. [3] (849) Ya de Escipion las banderas llegan a ver las murallas de aquella cabeza antigua, de la invencible Numancia ; Cuando a todas sus legiones bien compuestas y ordenadas aquel valeroso Alcides de aquesta suerte les habla. (•) E la prosa annacquata del Perticar! dirà : « Già r Aquila di Scipione si movea per giacere nel nostro nido ; nell' invitta nostra Numanzia : e già quel ga- gliardo Alcide volgea le sue parole alle larghe e ben or- dinate sue schiere. » Quale strappo alla retorica non dir altro che di questa sorte loro parla ! Poi, un altro saggio. Don Pedro fa uccidere donna Bianca ed ecco che, negandosi liiigo Ortiz a fare il sicario, El rey de aquesto anojado a su càmara se entrò, y a un ballestero de maza el rey entregar mandò. (2) « A tale risposta il re si affanna: nò trova loco: ed entra nella sua camera : e vi chiama alcuno di quei sa- telliti, che sono armati a mazza : e comanda cli'ei consumi il delitto. » A questo modo ogni cosa (3) ; tanto può il guasto delle (1) Cfr. nella edizione del 1844, il voi. I. p. 3. — Nel Romancero del Duràn si troverà al n.° 549. (2) Depping 1,315 Duràn n.» 972. (CtV. Wolf. Primavera y fior 1,223 — Berchet, Vecchie romanze. Brus. 1837 pag. 399). (3) Gli altri due romanzi tradotti dal Perticar! sono: Depping li, 95 n.o 25 (Duràn n." 400) e li, 410 (Duràn n.» 1803). (850) [4] scuole, che un uomo, così addestrato nello studio della Com- media, come è il Perticari, non s'accorge che il forte mae- stro dei poeti sorriderebbe alle sofisticherie degli eleganti nella prima metà dell'ottocento. E nella seconda, nella nostra, si rinsavisce o si peg- giora? Questo mordere, con zanne acute, ogni pezzettino dei testi e di quel tritume rifare un pasticcio, è arte di cuoco destro o di guattero ? A codeste domande non ri- sponde il padrone di casa, ma il convitato : non già nelle parole, ma gli si legge la sentenza nel viso. Del Calevala non ho a dire né i pregi né le origini né il rinascere che va facendo, per le terre finlandesi, messe assieme molte voci di popolo ; mentre si tramuta e corregge il ritratto che ne dipingeva, padrino e babbo, Elia Lonrot. Prendo quello che egli ci regalò ; e bado solo a darmi ragione della maniera onde altri potrebbe, con industria faticosa, ridipingere anche agli italiani quel qua- dro : bado al poco che da me posso, con desiderio inutile del meglio. (^) Ogni ì'uno, come é già detto in tanti libri, ha verso trocaico, di otto sillabe, senza rime, e alletterate tra loro le parole. Il ritmo del cantore è quello stesso del parla- tore .• poiché, nel suomico, hanno le parole un' andatura discendente, trocaico-dattilica, per modo che, di due o tre sillabe che abbiano, é sempre accentata la prima e, dove crescono in numero, non muta l'armonia, facendo che di due in due, dal principio che ha sempre la forza maggiore, cada un accento più debole. Nelle nostre lingue latine non (1) Di più poteva, e più fece, Domenico Comparetti nelle sue dotte ricerche intorno alla Poesia tradizionale dei Finni (Atti dei Lincei, Scienze morali. Voi. Vili, 1891 : pag. 42-248). Anche nell' uso della prosa servile, alla quale la da tiranna la poesia di un altro popolo, vo d'accordo, e da un gran pezzo, col mio collega; come ognuno vedrà nel saggio di versione che egli ci diede di un runo (p. 182-141). [5] (851) c'è esempio che somigli, e non a questo risponde 1' indu- giare che fa il francese in molte voci sulle vocali che in- contra via via prima di arrivare alla fine. Degli slavi, il boemo s' accosta un pocolino : onde rozpoutala andrebbe accentato ì^ózpoulàla e rima, nelle canzoni, con stala ; senza contare i vocaboli nei quali la penultima è lunga, come bojovnìkem, che s'accenterebbe bojóvnìkem: meglio possono imitare l'arte finnica le razze germaniche, onde il tedesco fràuenzìmmer, V inglese mischie f-màker, lo svedese bàr- na-kimskap. Ai magiari, come a fratelli di sangue, riesce meglio la prova, e più presto. Ne venne che il verso del Calevala fu diligentemente copiato da ungheresi (Barna), da svedesi (Castrén, Collan), da tedeschi (Schiefner), da inglesi (Crawford) e da russi (Bjelski): e i boemi, stati sempre operosi imitatori dei ritmi di ogni gente, l'avranno quando vorranno (*). E verso a quat- (l) Molto lontano dalle famiglie ugriche, troviamo ritmo che asso- miglia presso un oscuro popolo di sangue dravidico, i Codaghi. Gli inglesi dicono i Coorg e il nome nazionale, senza travisarlo, sarebbe Koàagii ; con quel d cerebrale che s'accosta agli r di Europa. Nome del paese è anche Roda-male, che risponderebbe, secondo il Richter (p. 4), a monte scosceso; laddove il Caldwell {Campar, gramm. p. 36) pensa al Kuda del tamulico arcaico, che vale occidente. Nessuno creda poi che i Canaresi, vicini e fratelli, imponessero il nome per beffa ; RODAGA, nella loro lingua, è la scimin e poi lo sciocco, ma salva dallo scambio la lunghezza della vocale. Ora, stando alle parole del Richter (Manual of Coorg. Mangalore 1870, pag. 209), che resta per me unico testimonio, s' ha a dire delle canzoni [:= pàta, Cole's Gramm. p. 130] dei Codaghi, che « it is true « they move not in the gay, iambic foot; the more dignified trochaic « measure suits the Coorg mind better; each line contains 7 or 8 syl- « lables, but the accent is not carefully observed, nor is there either « rhyme or alliteration ». E dove noi diremmo che, tolta l'alletterazione, si ha proprio un verso finlandese, il Richter continua: « in its simple « form the Coorg measure may be best compared to that of English or « German blank verse ». Ma quelle otto sillabe non si trovano nei sei versi che il bravo missionario ci dà come saggio e che sono tutti settenari ; dèjakello- (852) [6] tro piedi : Bella I-ialia a-mate sponde, Piti tulla toisen kerrmi (9, 95), con tutte le varietà che danno gli accenti : vèitkosèni, sfskosèni (24, 342) Ut hti\-esa\-ni-kà\-tala (24, 327) kàihki I vèlje-\m vè-\noset (39, 252) mièh-\kki mè-\tsan ó-\mànà (14, 255), e, nelle varietà che corrono tra l'arsi e r accento, mediatore è il canto. Nel primo piede, come a rincorsa, le sillabe possono essere e tre e quattro (p. e. Là/te nyt \ kulta \ hulke-\mekan) (46, 555). In italiano questa armonia dell'ottonario, poco variata da qualche giambo, se le rime non la ravvivano, se versi più lunghi e più corti, sdruccioli e tronchi, non vi si in- nestano, si fa lento, sospeso, non pare che arrivi mai al segno, e, in una parola, alla lunga non diletta. Faticare nei versi che non dilettino ? E fatica grande sarebbe, per ogni verso dell'originale, dare un verso, cosi che le parole non si stacchino dalla loro giacitura che, nell'arte finlandese, ha parte sì grande e si bella. Molto più facile il fare di suo, anche a chi voglia usare di questo stromento straniero ; e vi si provò, e durò fino alla fine in un breve poemetto, il Longfellow, quando cantò col verso suomico le gesta degli algondiini, degli ogibuani, donando alle lettere inglesi T/ie song of Hiaioalha. Un saggio può appagare, ma è uno di (|uei fiori che non fanno })rimavera : e che ad ogni modo non biso- gnava sfogliare, come quando, senza compassione, si rifa la canzone con lo sciolto della nostra poetica. YANDADÌi I POMMAi.E KopAVAPA z=: piii che le terre tutte alto \ (inreo mo- nile è il Codar/hesf). Noteremo di passata come su questa lingua, oltre il magro schizzo del Richter (op. cit. pag. 193-214), abbiamo la grammatica, rara e buona, del capitano R A. Cole (Aìì elementari/ fframmnr of the Coorg lan- guage. Bangalore 1867): ma, sulla ritmica, non dice verbo; come non ne parlano il Mògling ed il Weilbi-echt (Das Kurgland, Basel 1866), che ne avevano bella occasione dove rammentano le feste e le canzoni del popolo, e quella sopra tutto della vacca (p. 53), che ha piii di cento versi, e della quale non ci danno che il sunto. [7] (853) La rima finale no, perchè codesti cantori non la vo- gliono; ma come togliere alla bene adorna compagine la rima iniziale (^) che annoda parole e pensieri ? Il fìnno ha nel suo verso due, e qualche volta tre, parole, che co- (1) Queste difficoltà si vincono meglio se affini sono le lingue e legati i popoli dalle tradizioni : onde possono in Germania, nel tradurre i versi alletterati di scandinavi, dì sassoni, di anglo-sassoni e de' te- deschi di mezzodì, quello che in Ispagna ed in Italia non si potrebbe ; come a un italiano è più facile che a un olandese, o a un danese, imi- tare questi giuochi eleganti in Plauto ; o a uno scrittore di sangue latino ripetere alla meglio 1'^ taglia e fende e fere e fora e tronca del Furioso (23,61), lo Sferra, spezza, scavezza, squarta e smarflia dell'Innamorato (2, 11, 27) o V E spia delle selve ogni secreto della Liberata (13, 37), o finalmente il Sovra seguiva il settimo s). sparto (3, 28, 31) e il Tutti tirati sono e tutti tirano (3, 28, 129), che sono in Dante. Non parlo poi delle novità capricciose, come quei versi imposti a Luigi Grotto da una veneziana che amava perdere e far perdere il giorno; né il paziente martellatore seppe negarle il sonetto Donna da Dio discesa, don divino, Deidamia, donde duol dolce deriva... e sempre ad un modo, pazzamente, fino alla chiusa. (Un forestiero curioso può vedere, se non la prima stampa, le Rime oneste del Maz- zoleni. Bassano 1777, voi. I, pag. 327). I francesi chiamano questo modo di verseggiare la riyne senèe (Banville, Petit Traiti, 1883, p. 254. Weigand, "Traiti, 1871, p. 100) onde Miroir, mondain, tnadanie, magnifique e via via. Questo è lo scherzare dei piccini ; ma i grandi ? Se ne ralle- gravano davvero e Sofocle (TiotvL[ia tzò.^-zix uatì-slv Tiopoi,, Elek. 210), e l'Alfieri (Forza qual può fare a f ratei fratello, Timol. 5, 3, 1) e il Leo- pardi col suo secol superbo e sciocco ? E Cicerone fa il piacevole, o l'or- nato, 0 il trascurante, quando infila tanti ci ? Ecco un luogo del De natura deor. (II, 7) : Tanta rerum consentiens, conspirans, continuata, cognatio quem non coget ea, quae dicuntur a me, comprobare ? Diventa in queste risonanze sospetta anche la verità: e quando del Saint-Lambert scrive la Du Deff"and che il est un esprit froid, fade et faux (Cfr. Sainte-Beuve. Caus. d. L. XI, 126) si domanderebbe se la natura dell" uomo vi sia dipinta davvero o se invece la soffiante effe non accrescesse, e mutasse, le tinte. (854) [8] minciano dallo stesso suono ; e con severità si tiene a questa legge di ferro ; solo allargando la mano per le vo- cali, che diventano sorelle davvero ('), e nel tener conto delle lettere che paiono in mezzo di parola e che aprono invece la seconda parte di un composto, onde buon verso sarà : kirjokannen kirjontahan (10, 282) e benissimo : tulit tilnne tuulen tieta (10, 101). Per le vocali, tanto varrà opeta omenoasi (24, 212), come oi emoni kantajani (28, 84): e, nei composti, non sarà sfuggito un verso che dica liioilìa sian-lihoilla (25, 529). Di queste ripercussioni abbiamo i saggi nella poesia di molte genti , ma vera scuola di alletterazioni non troviamo che tra i finni e le famiglie germaniche, e più nelle più boreali. Forse nasce liberamente nelle due na- zioni : ma l'esempio dei più forti, e per la varietà e per la durata e per 1' antichità dei versi, potè forse a raffor- zare i minori ; arte norrena che sorregge la suomica. Qui non direi che, a saper imitare l'artifìcio, la fatica (1) Nel corrispondersi delle vocali, benché abbiano vario il suono, il Rapp vedeva l'opera assimilatrice dello spirito lene ; e notava come i vet-'chi tedeschi (almeno nel leggere i versi) andassero più lesti di noi, così che il piccolo soffio, allo stacco delle parole, arrivava agli orecchi (Vevsuch einer Physiologie der Sprache Stuttg. 1836, voi. I, p. 214). E ad orecchi finnici dovrebbero piacere versi come quelli di Ari- stofane: oùx àv àTtoSoìTjv oùS' av òpoXov oOSevi (Nub. 12.50) e di Sofo- cle: v.cd [iTìv èycoy' sawa' èxsìvov oùx ovwvw (Elee. 321). Dei tanti esempi nelle prose dei buoni scrittori non parie: o anzi cito solo un maestro dei maestri, e dove l'occhio si getta. Veggasi p. e. "c9-t Sy), sqjTjv syw, sÌTts ■^fi'tv, èid zi Xiyzic, "ixag slvai zobc, àv5ps{oog ; y] scp' ócTuep oi SsiXoc ; (Plat. Protag. 359) x'o £|jlòv óiioXóyyjjia o'j§a|jio5 èus— Ssigag d)j oOx óp9-ò)g 6)\>.o\àyrpoi (Protag. 3.50). Ma per questa strada s'andrebbe troppo lontano e senza frutto. [9] (855) non fosse ricompensata dal piacere ; ma chi sa fare codesti miracoli ? che due voci, che tre voci, italiane rispondano a quello che dicono i finlandesi, e che anche comincino allo stesso modo ? Non bisognerebbe abbattere ogni cosa per riedificare di suo ? Fatto è che i traduttori più destri non si posero a si grave impresa e non la tentò nemmeno il Longfellow che, avendo mano libera, avrebbe fatto più presto. (1) Le canzoni raccolte sotto il nome di Calevala in un libro, in un poema, in una canzone, non sono scritte nella lingua della Bibbia e di tutta la letteratura dei Suomalai- set ; questa si tenne alla parlata di occidente, al tavastiano, e i runot sono tramandati nel dialetto carj alese ("^) ; onde quel piacere che trovano gli stranieri a riconquistarsi sil- laba a sillaba ogni parola, e, dentro alla mente, tradur- sela nella lingua comune : e, quanto alla nazione, un sen- tire come la mancata unità porti danno, ma pur lieta di quella forza che il vario dà all'arte. Una canzone di Sco- zia, anche prima che Rol)erto Burns affratellasse più du- revolmente i sassoni del nord ai sassoni del mezzodì, non andò al cuore degli inglesi ? e una voce di Epiro non ri- (1) Nessun poeta di popolo direbbe, ad un tempo, il testo e la glossa ; come è nel Hiawatha First they ate the sturgeon, Nahma, and the pike, the Maskenozha.. .. XI, 28. oppure: Then the medicine-men, the Medas, i The magicians, the Wabenos, ' And the Jossakeeds, the prophets Carne to visit Hiawatha. XV, 87. (2) Più spesso è detto il Carolo e il carelico ; ma non è male, trattandosi di voce straniera, accostarsi alla sorgente: il finlandese dice Knrjalainen (e Karjalaiset, nel plurale). Volessimo, anzi che nome che a noi non significa più nulla, dargli la sua vera vita, si tradurrebbe con Mandriano, (856) [10] ì suona in Atene ? e una voce di plebe in bocca di Sacun- | tala non ravviva il solenne dire dei bràmmani ? ■* Tutto questo accostarsi ad un segno, e scostarsene, ] sparisce nella versione e il molteplice sfuma ; né credo ' entrebbe in cervello italiano, per amore di onesta dili- genza, la fisima di rinversare tutto il pensiero dei finni in versi siciliani, o milanesi, o veneziani. Qui si guarda al corpo delle parole, al suono che fanno al muoversi e all' incontrarsi 1' una coli' altra ; ma j l'anima ? Non tutti gli alberi di lassù sono i nostri, non tutte le bestie ; né ad un modo servono, vive o morte, ai bisogni e a' capricci dell'uomo : su quei ghiacci, non si va ! come per i nostri prati : quei laghi, quelle baie, quelle j cascate fanno ingenerare altre costumanze e si rispecchiano ! nelle parole che noi non abbiamo pensate né pensiamo, j Ogni traduttore diventa, non dico un creatore, ma un mae- ' stro di novità: e, se c'è chi se ne diletti, il prudente se ne impaurisce : le parole che, già invecchiate tra noi, egli rattoppa e ritinge, non dicono più né da italiane vere né \ da finlandesi, (i) I Nel fitto ginepraio non e' é viottola : perché codesta ; creazione popolana, o genuina o un po' trasformata, anche i dove vola, non si allontana tanto dal tesoro ideale della , nazione che, là nell'alto, ognuno non la vegga e conosca : ; a noi, sotto le tante maschere che le getta adosso e la im- j perizia del volgarizzatore e quello che c'è di scabroso, per natura, per necessità, in codeste corrispondenze fatte a j mezzo, a noi il semplice diventa goffo, e una fresca can- tata di pastori o di pescatori ha l'aria di uno stentato la- (1) Dove vengono innanzi barche e barcaioli, l'arte di chi fa il j, navicello e di chi lo guida, l'arsenale ed il mare, si pensi che j, fm ad or le Muse ■! lungo avuto da l'onde hanno l'albergo (Baldi, Nautica, III, 137) Ma le Muse suomiche sono di un'altra geneiazione. [11] (857) vorio (li scuola, (i) Dell' imperizia non posso scusarmi, e il dolermene davvero non basta : c'è bensi un'altra parte che viene dalla volontà, sviata forse dal fantasticare su queste piccole battaglie tra parola e parola, e debbo cercare in- dulgenza. Ho voluto seguire sillaba a sillaba la canzone, (1) Le immagini si tramutano di straniere in nazionali, come vuole la forza del tempo e il capriccio degli uomini ; al modo che dimolte, già puramente greche, divennero latine, e quindi del mondo civile, ed altre, francesi e .spagnole, anche a' tempi buoni delle nostre lettere, si fecero italiane. Ma al primo affacciarsi a' confini quanto mai non le frugano i gabellieri ! e vedono in ogni forestiero un barbaro e un nemico ! Se la musa di Finlandia, cominciando da oggi, dovesse operare da maestra o da eccitatrice in Italia, parecchie delle strane sue voci troverebbero eco, chi le intenda, chi le ripeta, e chi a poco a poco, ritagliandovi attorno, le rinnovi ; ma adesso bisogna che ci arrestiamo a mezza via: né tutto si può travasare nell'italiano nò le bellezze di una poetica hanno lo stesso valore in un'altra. E quello che i finlandesi a noi, sono ai finlandesi altri poeti. Quando, in un'armoniosa versione in nobili versi, il Calander tra- duce alla suomica Romeo ja Julia, invano tenterebbe dire tutto tutto quello che dice l' inglese nel chop-logic che l' infuriato Capuletto scaglia contro la poco obbediente figliuola (3, 5, 150): gli deve bastare lilln riisasteles (che è, per noi, ella cavilla, sottilizza) a quel modo che Federico Bcdenstet, bene esperto di buone traduzioni, ha solo Ein siibliler Geist. E come dir tutto il green -si ckness carrion (v. 157)? llaasha, carogna, sta a luogo, ma il kàhehtynytì lo scheletrito? — Invece il tedesco bada all'aggiunto e trascura il nome, onde il suo Bleicìtsùchtiges Bingl E, se diciamo buona notte, vattene (hgv' yijtà, menhàà v. 173) si ritrarrà quello che gli antichi inglesi sentivano nel 0 God ye god-den, e che i moderni cercano sentire di nuovo, a furia di lessici, e per rispetto al grande poeta? E, da altra parte, serbare alla lettera tutto il talloic-face, nel teli-naamn (v. 159), viso di sego, non dà forse che solo in apparenza lo stesso colore alla fecondità nelle ingiurie che ha il vecchio veronese ? Ma dunque ? Scelgo un esempio a caso, dalla Giulietta dello Shakespere, e anzi una pagina, pochi versi : .solo mi spiace non fare la stessa prova di grandi scrittori italiani, mutati dai versi nostri in quelli finlandesi perchè non ne conosco; né vo' a cercare, come potrei, l'umile prosa della Turandot o delle Mie prigioni. (858) [12] di ogni voce dare quella che più somigli : lasciarle il suo posto, anche dove una spinta leggiera l'avrebbe fatta cor- rere più lesta: per i sinonimi e per i vezzeggiativi cercare col ruscellino altrettanta ricchezza nella lingua nostra, che alle volte non l'ha: e ne viene l'aspro, il saltellante, il bizzarro, quello insomma che un bravuomo del cinque- cento chiamava un usare i costrutti in zoccoli, (i) Ogni volta che io penso ai disgraziati lettori che hanno davanti solo l'opera di un traduttore, io penso ad un uomo di Turchia, al sultano Acmette primo ; il quale mangiava in piatti d'oro, col cucchiaio di legno. Chi non ha letto, o non cerca, tutto il poema non immagina che luogo abbia (questo breve canto e come agli altri si innesti. Gli eroi sono più possenti degli altri, non di braccio e di pugno, ma di pensiero e di parola, armati (1) Io so bene quali sono i pericoli nel dare di una testa i soli contorni, senza le ombre, senza i colori. Chi assomiglia codesti ritratti alla fotografia è troppo gentile critico : facesse il cervello quello che fa il sole, pittore onesto, rapido, sicuro! E se airaffacciarsi di stranieri che si veggono di rado, come è appunto dei finni presso a noi, codesto inseguirne ogni traccia può ser- vire, non si può dire cosi dei libri che conosciamo da un pezzo; e ram- mento bene tanto Topera del Weizsàcker per il Nuovo Testamento, quanto quella del Kautzsch e del Socin per il Genesi, e dei colleghi che, sotto la guida del Kautzsch, finirono adesso di darci il Vecchio Testamento, e finalmente, per tutta la Bibbia, del Reuss. Libertà che dia mano alla fedeltà e per modo che V una non sia violenta alla compagna : intorno alle quali s' ha a vedere anche l'autorevole giudicio di Adolfo Kamphausen (Cf. Zeit. cler morgenl. Gesell. XLIII, 343 seg.). Egli ci fa ripensare come Lutero traducesse la voce 'amar (dire) con quarantacinque vocaboli differenti ! Non cosi andrebbe fatto per il sano dei finlandesi ; come per Omero, tanto desideroso di tornare sulle stesse immagini, non dobbiamo seguire le leggi che vanno poste ai traduttori di Pindaro, che di quella egua- glianza si sdegna: e che, toltone pochi esempi, in una triade di strofa, antistrofa ed epodo, non ripete la stessa voce ; onde il vapiopinto delle idee, anche nel nominare i vincitori che egli incorona e i luoghi che onora e canta. [13] (850) non già di usberghi ma di incanti : e la malia non è dono di benefiche divinità che ricoprano il debole, o crescano vigoria al valente, ma di dentro nasce, dalle radici vere della umanità, dalla sapienza. Dei sapienti, e quindi de' poeti, è Vàinàmoinen e l'aiuta nelle sue pene il figliuolo dei campi. Q.uando il mondo dei vivi non basta, scende sotterra, e nel buio regno del Plu- tone e della Persefone del nord, e dei figliuoli non amabili dei due vecchi signori, tenta (i) e prova quello che il canto dice e che di lungo commento non ha bisogno. Le noterelle via via agevolano la strada : ma non vo mica render d'ogni cosa Un' esatta ragione a tutte l'ore, come diceva messer Forteguerri, e il non volere, anzi che sgarberia, è giudi- ziosa temperanza. {}) (1) Più tardi cerca le tre parole anche presso a Vipunen (Cfr. canto XVII). (2) Su questo canto discorre il Castrén nelle Vorlesunr/en ilber die fmnische Mythologie. St. Petersburg, 1853 (p. 131 segg.) e a que- ste mi richiamerò. — Traduco seguendo la stampa del 1870 con la introduzione del Rothsten (Kalevala. Helppohintainen painos. Hel- singissii, 1870) nella quale le spiegazioni del carjalese in finnico comune sono a pie di pagina, e poi raccolte nel glossario: molte ne rischiara r Erwast nel suo Fìnnisch-Deutsches Wóyterbuch. Tavastehus 1888. Ho alla mano anche le altre edizioni, fino all'ultima del 1887, e il Ronvall e il Lònnrot, cioè i due lessici che vincono tutti gli altri : ho il glos- sario, breve e buono, dell'Ahlquist (De tio fórsla sa°ngerna ur Kalevala, 1862), la versione ungherese del Barna (1871), la svedese del CoUan (1864-68) e la tedesca di un mio vecchio amico, che inutilmente desi- dero, di Antonio Schiefner. Se questa mi pare adesso meno utile, debbo pensare quanto mi fu necessaria e sostegno costante nel primo aprirmi la strada ai versi del popolo finlandese. (860) [14] 1 II fidato, il vecchio Vàinàm()inen, | maliardo sempiter- no, 1 stava intagliando il barchetto, ] novello schifo fabbri- cando, I 5 sopra il naso del nebbioso Capo, | sopra l'isola cali- ginosa: [ di legni mancava dello schifo l'artefice, | di panconi, della barca il facitore. || « Chi legno a cercare | 10 quercia ad accattare ] a Viiinamoinen per il barchetto, \ al cantore per gli assi di fondo ? » || Pellervoinen, del campo il ragazzo, | Sampsa, ragazzo picciolino, | 15 egli sta legno a cercare, | quercia ad accattare | a Vilinamoinen per il barchetto, [ al cantore per gli assi di fondo. || Cammina, la strada trascorre, | 20 per le grecali terre, | andò al monte, a un altro va, | passò 1. — Si ha l'uso, nel far comuni al resto di Europa i nomi finnici, di tenercsi al nominativo, e non già, come per gli indiani, al tema della parola. Di Vàinàmòinen il tema sarebbe Vàinàmoise ; ma non ò bene allontanarsi da quello che gli altri facero e fanno. Altrove, che sarebbe pili semplice, abbiamo Vaino, onde Vainola il luogo abitato da lui. Gli a si pronunciano come e aperto, ed ó alla tedesca. 5. — Da noi, che abbiamo e testa e piede e spalle e fianco e ter- go, anclie se di corpo d'animale non si tratta, al naso non si pensò mai : ma non può far meraviglia che fuori di casa non si trascuri nemmeno lui. Qui, d'accosto al Capo, pare proprio a suo luogo. Per- chè diciamo dosso della mano, parve al Castelvetro di poter dire anche pancia della mano. (Opere. Berna 1727 pag. 162) Cf. anche sTi'òcppu'c Ilapvaatq: (Pind. Olimp. XIII, 106) e il nostro sul ciglio della monta- gna. Il Lasca (Cene, 1857, p. 156) ha la coscia del ponte. 12. — Non dico chiglia perchè è roba straniera: piìi mi piacerebbe la colomba dei veneziani. 0 che, anche da' toscani, sul mare non si fa- rebbero rispettare ? Mi basti il fondo, come bastava al Baldi. Aver di saldo pin fasciato intorno Dee la poppa, la prora, il fondo e il fianco (Naut. I, 100). Prima base dell'opra il lungo legno Del fondo adat- terà 1, 154). 14. _ Sampsa è Sansone. (Castrén Mytli. 90.) ì^eW Indice al Kaleva- la del 1870 si dice come si possa pensare anche al Samen (== seme) dei tedeschi. Non è Pellervoinen collegato coi campi e coi loro frutti ? — Ma sono supposizioni ; come di chi volesse rammentare il Sàming della mitologia eddica {Simrock, Myth. 314). [15] (861) tosto il terzo ancora, | l'ascia d'oro sulla spalla, | di rame il manico nell' ascia. | 25 S'avvenne una tremula a lui incontro, | di braccia tre alta. || Voleva la tremula colpire, | battere l'albero con l'ascia: | la tremula, ragionando, discor- re, I 30 ella stessa con la lingua si studia : | « Che vuoi, uomo, da me, | qual cosa mai brami ? » || Sampsa, il ragazzo Pellervoinen, | pur esso ciò a parole favellò : | 35 « Ben co- desto voglio da te, | questo cerco e bramo, | a Vàinàmoi- nen una barca, | al cantore, dello schifo il legname. » || La tremula ragionò stranamente, | 40 quella dai cento rami s'ingegnò : | « Fa acqua un barchetto ch'esca da me, | e lo schifo affonda : | io sono vuota al ceppo: | tre volte, in que- sta state, I 45 un verme mangiò il mio cuore, [ un baco alla radice posò. > || Sampsa, il ragazzo Pellervoinen, | indi avanza più avanti, | muovere pensa, | 50 alle terre boreali. || Venne un abete a lui incontro, I di braccia sei alto: | percosse l'albero con 1' ascia, | schioccò con 1' accetta, | 55 interro- gò, pronunziò : | « Ci sarebbe in te, abete, | a Vainamoinen per un barchetto ? | al cantore, dello schifo il legname ?» || L'abete a rispondere s'affrettò, | 60 egli stesso a voce mor- morò : j « Non da me uno schifo esce, ] di sei coste portato- re : I io sono abete di tacche maestro ; | tre volte, in que- sta state, I 65 il corvo volteggiò sulla mia vetta, | la cornac- chia gracchiò su' miei rami. » || Sampsa, il ragazzo Peller- voinen, I sempre avanza più avanti, | muovere pensa ] 70 alle australi terre. | Venne una quercia a lui incontro, | all'ingiro nove braccia. || Interrogò, pronunziò : | « Verreb- be da te, quercia | 75 la madre irave di una barca da presa, | di uno schifo di guerra le assi di fondo?» || La quercia saggiamente rispose ; | s' ingegnava dell'albero la mela : | « C'è di certo in me legno | 80 per la madre trave di 29. — Se qui, e poi, nel distribuire i sinonimi del chVe, potessi con- tentare e gli altri e me stesso ! 78. — Naturalmente la ghianda. T. Y, S. VII 57 (862) [16] un barchette, | né sono, sottile, di tacche maestra, | né sono vuota dentro ; | tre volte, in questa state, j in questo grande ardore, | 85 il sole girò il tronco di mezzo, | la luna sulla vetta risplendè, | i cùcùli strillarono su' miei rami, | gli uc- celli sulle mie fronde posarono. » |j Sampsa, il ragazzo Pel- lervoinen, | 90 tolse l'ascia dalla spalla, | percosse l'albero con l'ascia, | l'abete col piano taglio: | presto seppe l'abete atteiTare, | l'albero gentile buttar giù. | 95 Da prima rove- sciò la vetta in due, | il tronco al tutto spaccò : | intagliò poi le assi di fondo, | panconi senza numero, | al cantore per legname, | 100 a Vainiimoinen per il barchette. || Indi al vecchio Vàinàmòinen, | maliardo sempiterno, | fece per malia la barca, ] allestì lo schifo col cantare, | 105 di una quercia colle schegge, | di un albero delle schiappe, co' frantumi. |j Cantò una strofa, il fondo saldò, | cantò un'altra, commesse il fianco, | cantò tosto una terza ancora, | 110 i scalrai neir intagliare, | i capi delle bande nel compiere, | nel suo innestare le giunture. || Cerchiate del barchette, | in- nestate del fianco le commessure, | 115 fallivano tre parole | al porre le assi de' maieri, | della prua al piantare, | della punta di poppa al fornire. || Il fidato, il vecchio Vainam/n- nen, | 120 maliardo sempiterno, | parola espresse, cosi ra- gionò : I « Ahi, poverino, i miei giorni ! | Non giunse il bar- chette alle acque, ] il nuovo schifo alle onde ! » [| 125 Pensa, riflette, j donde parole prendesse, | cogliesse propizi incanti, | o di rondini dal cocuzzolo, | di uno stormo di cigni dalla te- sta, I 130 di una turba di oche dalle spalle. || Andò a pren- dere parole, | spense un branco di cigni, | un mucchio d'oche guastò, I senza fine rondinelle ; | 135 non prese né una pa- rola, I non una parola né mezza. | Pensa, riflette: | «Là sarebbero forsti cento parole, | d'una renna d'estate sotto 81. — Qui il coraggio del traduttore si muta in sfacciataggine. L' albero è a tacche, che gli scavano la dura scorza : chi non vuole seguirmi dica piena di tacche. 139. — Dico breve come ha il testo. La renna in estate muta il pe- [17] (863) alla lingua, | 140 in bocca di candido scoiattolo! » |1 Andò a prendere parole ] malie a pigliare ; | tutto un campo di renne a terra abbattute, ] di scoiattoli una lunga stangata ; | 145 prese di là parole di molte ; | queste tutte senza prò'. || Pensa, medita : | « Di là prendo cento parole, | di là, da Tuònela dalle case, | 150 di Mànala dalla stanza eterna. » || Andò, cercando fuor da Tuonela parole, [ fuori da Màna- la malie : | nel muovere, va sollecito, | corse una settimana le macchie, | 155 una settimana seconda i cespugli, | una terza i ginepreti. | Già s'appressò di Manala T isola, ] di Tuoni il poggio risplende. || Il fidato, il vecchio Vàinàmoi- nen, | 160 nel gridare schiamazza, | di Tuonela in quel fiu- me, I di Manala al di sotto. | « Reca un barchetto, di Tuoni figliuola, I una zatta, di Manala ragazza, | 165 su per lo stretto che io giunga, | del fiume a traverso che io scappi.» || La picciolina di Tuoni figliuola, | Matala di Manala gio- vanetta, | all'era dei panni lavatrice, | 170 dei cenci soda- lame, che diventa bruno oscuro : neirinverno si vede di più il pelo bianco, che è più lungo e piìi fitto. Anche lo scoiattolo ha aspetto dif- ferente nelle due stagioni. Codesto mi insegna il collega Canestrini. 143. — La costruzione è come nel nostro un bicchiere di vino. 144. — Ucci.so lo scoiattolo, gli legano le gambe e lo attaccano a una stanga che si appende al tetto nelle stanze. Le capanne dei fin- landesi ne abbondano. E notizia che mi dà il prof. E. Setàlà. 149, — Tuoni (tema, Tuone) è il signore dei morti e Tuone-la, la sua stanza. Da Maa, terra, Maan nel genitivo, nacque la parola Maan-ala « della terra sotto » e, per accorciamento, Manala. Il -la parve allora un suffisso e si creò una parola, e un Dio infernale, Mana, che adesso ha nella fantasia popolare vita uguale agli altri (cf. anche Castrèn Myth. p. 120). — Come se TArchitriclino, che diventò nome d"uomo nella poesia delle razze latine, parendo un di:uinutivo, desse origine ad un Arehitriclo ! 157. — Non alla lettera un' isola, dice il Castrén [Myth. 129). Ma che cosa è alla lettera e che cosa in sogno dentro a queste fantasie ? 160. — Su questi infiniti cf. Setàlà Lauseoppi, 1891 pag. 100 (Nella trad. svedese, 1882, pag. 93). IfiT. — Non è la sola, né la peggio, delle figliuole: (Castrén, Myth. 131) La vince Loviatar (132). (864) fi 8] trice, I di Tuoni nel negro fiume, | di Manala al di sotto ; | parola espresse, cosi ragionò | da sé diceva, favellò: | 175 « La barca di qui si torrebbe [ quando la ragione si dicesse, | che te a Mana recò | senza da morbo essere col- pito, I essere preso da possente morte; | 180 da altra morte essere schiacciato. » || Il fidato, il vecchio Vainiimoinen, | parole espresse, cosi ragionò : | Tuoni me qui recò, | Mana dalla terra mia trascinò. » || 185 La picciolina di Tuoni fi- gliuola, I Matala di Manala giovanetta, | codesto ella, a pa- role, favellò : | « Bene lo avviso, il ciarliero ! | Se già Tuoni qui ti portasse, | 190 Mana dalle terre smovesse, | Tuoni ti porteria, nel suo venire, | il manalense, in suo viaggio, | di Tuoni il cappello in sulle spalle, | di Mana le manopole in mano! | 195 Parla il vero, Vàinàmoinen, | che cosa te a Mana recò ? » || Il fidato, il vecchio Vainiimoinen | ben a questo, a parole favellò : | « Il ferro me a Mana recò, | 200 r acciaio strascicò a Tuonela. » |j La picciolina di Tuoni fi- gliuola, I Matala di Manala giovanetta, | parola espresse, così ragionò : | « Di qui conosco il ciarliero ! | 205 se il ferro a Mana li recasse, | l'acciaio portasse a Tuonela, [ di sangue le vesti gocciolerebbero, | di cruore stillerebljero ; | parla il vero, Vàinàmoinen, | 210 parla il vero un'altra volta. » Il II fedele, il vecchio Vàinàmoinen, | egli stesso parlò, così ragionò : | « L'acqua recò me a Mana, | il flutto portò a Tuonela. » I| 215 La picciolina di Tuoni figliuola, | Matala di Manala giovanetta | parola disse, così ragionò : | « Ravviso il bugiardo ! | Se l'acqua a Mana ti recasse, | 220 il flutto portasse a Tuonela, | d'acqua le vesti gocciolereb- bero, I il tuo lembo stillerebbe ; | parla schiette verità ; | che cosa te a Mana recò ? » || 225 In questo, il vecchio Vàinàmoinen, | anche una volta ciancia : | « Il fuoco portò 193. — Ade ha l'elmo che fa invisibili (II. 5, 545). Odino si copre il viso del suo cappellone, che nessuno lo riconosca. {Simrock. Myth. 191). [19] (865) me a Tiionela, | il chiaro a Mana recò. » [| La picciolina di Tuoni figliuola, | 230 Maiala di Manala giovanetta | pur essa codesto a parole favellò : | « Indovino il bugiardo ! | Se il fuoco a Mana ti portasse, | il chiaretto a Tuonela, [ 235 sarebbero i riccioli abbrustoliti, | la barba malamente bru- ciata. Il Oh tu, vecchio Vàinàmoinen, | se vuoi barca da qui | parla schiette verità, | 240 bugie finite, | come mai venisti a Mana | senza da morbo essere colpito, | essere preso da possente morte, | da altra morte essere schiacciato. » || 245 Disse il vecchio Vàinàmoinen : ( « Se un pocolino ho pur mentito, j una volta seconda ho ciarlato, | ben io dico cosa vera. | Feci con arte una barca, | 250 formai lo schifo col cantare ; | cantavo un giorno, cantavo il secondo, | cosi per il giorno terzo, | si spezzò la slitta alle canzoni, ] la stanga si ruppe ai canti ; | 255 andai da Tuoni per un succhiello, | da Manala per un trivello, | la slittina a fabbricarmi, | la treggia delle canzoni a formarmi. [Porta adesso il barchette qui I 260 appronta per me la tua zatta ; | su per lo stretto che io giunga, | del fiume a traverso che io scappi. » jj Assai la Tuonetar rimbrotta, | di Mana la giovanetta gar- risce : I 265 « Oimè, folle, la tua follia ! ] o uomo, della tua mente la scarsezza ! | Vieni, senza ragione, a Tuonela, | senza morbo di Mana alle stanze ; | meglio a te sarebbe | 228. Perdono dell'arditezza : e più lo domando per il diminutivo al V. 234 240. — Che è ambigno, e lo sento, ma a rimendare non ho che un frinzello. Dire bugie die son finite è non dirle. 249. — A' nostri vecchi l'arte è magìa. 253. — In Ampezzo di Carnia le stanghe della slitta, coae so dal collega Pirona, sono dette Lonz'ins, e le parti ricurve auyWs e màntiis di jolz'e è la slitta. Sui nomi, nelle nostre montagne, da oriente ad occidente, fra ita- liani e ladini, vorrei raccogliere altre testimonianze Se non erro, nel Cadore, la stanga è il géstrico, che si ripiega a corni. 263. — Alla lettera « la figlia di Tuoni ». 269. — Ecco, nella crudele, e di sangue crudele, un segno di (866) [20] 270 tornare alle proprie terre: | parecchi sono qui i venuti, | non molti i tornati. » || Disse il vecchio Viiinamoinen : | « Una vecchia dalla strada si svolti, | 275 ma non uomo, né anche il pegg-io | un maschio, il più sonnacchioso ! ] Porta un barchetto, di Tuoni figliuola, [ una zatta, di Manala ra- gazza, » Il Condusse il barchetto di Tuoni la figliuola : | 280 con quello il vecchio Vàinamoinen j su per lo stretto tra- sporta, I del fiume a traverso lo tragitta, | da sé codesto, a parole, favellò : | « Guai a te, Vàinamoinen, | 285 venisti senza morte a Manala | senza spirare a Tuonela !» || La Tuonetar, la buona massaia, | la Manalatar, donna vecchia, | recò ella, nel gotto, la birra, | 290 portò nel ìmso a due orecchi, | da sé, a parole, favellò : | « Bevi, vecchio Vàina- moinen ! » Il II fidato, il vecchio Vàinamoinen | guardò a lungo il suo gotto ; j 295 rannocchi andavano in fregola dentro, | vermi a' lati sfilavano ; | indi codesto, a parole, favellò : | « Non io qui sono punto venuto | a sorbire di Ma- nala i béccheri, | 300 di Tuoni i gotti a leccare ; | ineb- briansi di birra i bevitori, | di boccale i tracannatori peri- scono. » Il Disse di Tuonela la massaia : | « Ahimè, vecchio Vàinamoinen, | 305 a che tu venisti a Mana, j perchè di Tuonela alle stufe, | prinux che Tuoni non voglia, | che Mana dalle terre non chiami ? » IJ Disse il vecchio Vàina- moinen : I 310 « Nel mio intagliare il l)archetto, | il nuovo schifo nel fabbricare, | mancai di tre parole, | della punta di poppa nel fornire, j della prua nel piantare ; | 315 come io pietà, come avverte il Castrèn p. (131) — Anche Persefone si intene- risce ai dolori di Alcesti. 281. — Una piccola Carontiade ! 287. — Nel cantare, come nel dire degli uomini, le parole si av- viluppano ; qui la Vecchia moglie del Vecchio, diventa una figliuola di Tuoni, una figliuola di sotterra, del Manala. Tanto, ogni madre è anche una figliuola! (Su questi scambi vedi il Gastrén, pag. 130) Buono è voce di ironia (v. 130). 302. — « Guai a coloro che son valenti a bere il vino e prodi a mescer la cervogia ». Isaia 5, 22. [211 (867) non le trovai già, | dalla terra, dall' aria non colsi, | biso- gnò venire a Tiionela, | muovere di Mana alle stanze | a trovare codeste parole, | 320 gli incanti ad imparare. » || Essa di Tuonela la massaia | parola disse, cosi ragionò : | «Tuoni parole non dà, | Mana sortilegi non comparte; | 325 né di qui scamperesti punto, | in questa mondana età, | al tuo abituro per andare, | alle tue terre per istrisciare. » [| Gittò giù nel sonno l'uomo, | 330 pose a dormire il vian- diante, | di Tuoni sul letto di pelliccia; | colà l'uomo si sdraia, | il maschio, sonno prende, | 1' uomo dormi, la veste vegliava. || 335 C era la Vecchia in Tuonela, | vecchia de- crepita, a bazza sporgente, | di ferreo stame filatrice, | di fili di rame umettatrice ; | filava di cento braccia la rete, | 340 di mille, l'annodava | in una notte sola estiva, | sopra una pietra nell' acqua. |1 C è il Vecchio in Tuonela, | egli è il vecchio con tre dita, | 345 di stami di rame intessitore, | di rete di ferro apprestatore ; | tesseva di cento braccia la rete, | di mille la faceva a maglia, | in essa 1' estiva notte, | 350 su essa la pietra nell' acqua. |1 Di Tuoni il figliuolo, dita a zappa, | dita a zappa, punte delle dita di rame, | egli scagliò di cento maglie la rete | traverso di Tuonela il fiume, I 355 tanto a traverso, come per lungo, | come an- cora a sghembo, ] che non liberi Vàinàmoinen, | metta all'a- perto Y nomo delle cascate, j in (questa mondana età, | 360 alla luna d'oro chiara | di là di Tuonela delle case, | di Manala dalla stanza eterna. [| Il fidato, il vecchio Vàinàmoi- nen I parola disse, cosi ragionò : ] 365 « Fosse già la rovina 334. — Dice proprio cosi, alla lettera. Temendo, ne interrogai il prof. Setalà, che mi rassicura. Potrebbe parere un parti pris d'ètran- geté, come diceva il Sainte-Beuve. 326. — Cf. 359, 402. 335. 343. — Si pensa subito ai due consorti padroni delle case sotterra: basta Vecchia e Vecchio {Akka ed Ukko). 358. — Uraiìtolainen, e altrove Suvantolainen, è chi vive in quelle acque che, dopo la cascata, hanno limpido e quieto lo specchio. Parole lunghe ; e non saprei fare che rattrappiscano in una sola. (868) [22] mia venuta, | gioi'uo di angoscia sopra giunto, [ in queste di Tuonela stufe | di Manala nell'albergaccio ? » || Presto in altro si alterò, ] 370 a un tratto in un secondo trasfigurò; | andò, come negro, per lo mare, | come lontra per il cari- ceto, I strisciò come ferrato verme, | andò come viperina serpe, | 375 traverso di Tuonela il fiume | per mezzo di Tuoni le reti. || Di Tuoni il figliolo, dita a zappa, | dita a zappa, punte delle dita di rame, | andò, sull'alba, per tempo, | 380 le sue reti a guardare ; | cento coglie trotte, ] mille della madre pesciolini, | pur non colse Vàinilmoinen, | il vegliardo, delle cascate! j| 385 Indi il vecchio Vàiniimoinen, | da Tuonela partito, | dice con questo detto, | parlò con que- sta parlata : || « Giammai il buon Iddio | 390 giammai colui prosperi, | da sé venuto a Mana, | a Tuonela cacciatosi ! | Parecchi sono colà i venuti, | pochi di là i tornati, | 395 di là, di Tuonela dalle case, | di Manala dalF eterne stan- ze.» Il Anche codesto a parole favellò, | egli stesso parlò, cosi s' allungò, I alla gioventìi, la crescente, | 400 al popolo, il sagliente: j «Non mai, dell'uomo figliuoli, | in questa mon- dana età, I fate colpa all'incolpevole, | danno all'innocente, | 405 male il riscatto a pagare | là, di Tuonela nelle case! | Luogo è colà ai colpevoli, | letti a' peccatori ] sotto di scot- tanti sassi, I 410 di fiammanti lastre, | una coperta di serpi, di vipere, | della semente di Tuoni intessuta ! 372. — Saarvn è la lontra. Chi trova presso altri traduttori la sala, il cince, pensi ohe le vecchie edizioni legg-evano sarà. Nella seconda edizione del 1849, a questo luogo; ma nella prima, che è del 1835, bisogna cercare il verso 211 del capo IX. 399. — Questa chiusa non può essere antica, dei cantori cha sanno e desiderano e ammirano la magia: qui c'è insegnamento di vangelo. Vedi anche il Castrén che lo avverte a chi non vi ponesse attenzione {Myth. 736). DVE' VERSE I STAROFRANCOUZSKE LEGENDY | 0 | SV. KATER'INE' ALEXANDRINSKÉ. | VYDAL JAN URBAN JARNIÌv. | V Praze 1894 (C'eskd ahademie cis. Frani. Josefa) ; in 4.° pag. LII, 349. RELAZIONE del socio E. TEZA In segno della fratellanza che congiunge, anche da lontano, le so- cietà dei letterati, è bene che s'aiutino: e, quando non possono far tanto, vederne almeno 1' opera rinnovata ogni dì e compiacersene. Da compiacersi è di certo che per istudiare uomini e libri, fatti ed idee, delle genti latine, non solo mostrino cosi fortunate fatiche le germa- niche ma, dietro a loro, le slave : e se un boemo tra' suoi illustra un documento delle antiche lettere della Francia, bisogna rammentarlo a chi ha gli occhi rivolti altrove, e desiderare che, spesso e bene, e ita- liani e francesi e spagnoli diano agli slaviani il ricambio. Oggi desidero mostrare con due parole ai colleghi che cosa si debba al prof, Giovanni Urbano Jarni^k, della Università boema di Pra- ga. La leggenda di Santa Caterina svegliò spesso gli affetti dei pii cristiani, e lo zelo dei verseggiatori ; ed ecco che fra i normanni d'In- ghilterra si raccontò in versi ottonari, rimati a due a due, la gesta della santa. Un codice che parrebbe accostarsi molto al primo fonte, 0 in dialetto anglo-normanno, era già nella libreria di Tours, passò per le mani un po' le.-^te di Guglielmo Libri, fu comperato dell'Ash- burnham, e finalmente tornò a casa sua, in Francia: ed ora posa dal lungo pellegrinaggio, segnato nella Nazionale di Parigi col numero 4053 {Fi: Nouv. Acquis.) Un altro codice con la stessa leggenda, colorita di dialetto pie- cardo, è pure alla Nazionale ed ha il num. 23,112. Il prof Jarni^'k ebbe copia del primo codice (che egli chiama L) prima che questo tornasse in Francia, e Io fece rivedere : di suo trascrisse l'altro (il P) ; e, come sono inediti, li stampa adesso l'uno accosto all'altro. Aveva tentata, anzi compiuta, la ricostituzione di un unico testo; ma, viste le diffi- coltà dell' impresa, si contentò di imitare ed aiutare un più fortunato divinatore ; intanto correggendo con senno, con buona esperienza, e senza (870) [2] temerità, mettendo sempre a pie «li pagina la parola data, quali che ne siano gli errori, dai due manoscritti. Fece di più ; scavò fuori un testo latino in prosa che servì certo di guida al poeta : dei ventuno codici che se ne conservano alla Nazionale, o intatti (9), o senza il prologo (12), e senza contare quelli che danno solo i frammenti (3), uno ne trascrisse, il n. 1970 che pare scritto innanzi alla prima cro- ciata, e un altro ve ne aggiunse (il n." 16,566) che dà lo stesso rac- conto, ma accorciato di molto. Intanto il dott. Einenkel, per illustrare la leggenda Cateriniana in inglese antico, dava fuori appunto quel te- sto latino; cosi che non rimaneva all'Jarni'k, che il ripetere la edizione fatta, e dalle sue copie cavare le varianti. Così si compì il libro. A luogo a luogo i due testi francesi sono lireceduti dal latino (pag. 1-80): e delle differenze che corrono tra questi e quelli, il boemo, che non risparmia fatiche, dà esatto conto in un Esame che nulla lascia a desiderare (pag X-LI). Poi segue la Compara- zione delle due versioni francesi, minuta, diligente, erudita; cosi per le varietà nella forma delle parole e le leggi di grammatica, come per la fonetica (pag. 81-212) e per l'arte dei versi ; alla quale dà maggior rilievo la lista bene ordinata di tutte le rime (pag. 212-257): e corona l'edificio il glossario (pag. 258-32), dove le parole hanno i rimandi ai due fonti come pure la serie delle forme varie nella declinazione e nella coniugazione di ciascuna, e sono interpretate in boemo, aggiun- tavi la origine onde provengono, sia questa la latina o, meno frequen- temente, la germanica. Anche fuori di Boemia il libro avrà chi lo apprezzi e ne profitti : ma certo meglio giova potere darsi ragione di tutto quello che l'erudito scrive nella lingua nazionale. Egli stesso se ne scusa, ed io non saprei che lodarlo : perde dieci lettori, cento ne guadagna, e di ([uelli che debbono crescere forza agli studi sulla letteratura della età di mezzo fra' boemi : e di qui viene ancora che, non parlando a molto sperimentati indagatori, egli sia costretto a insegnare quasi di nuovo quello che altrove è conosciuto da un pezzo. Anche per questa fonte l' Jarni^k domanda indulgenza: e chi sarebbe tanto ingiusto da negarla? Ma bensì mi accorgo di essere ingiusto alla poetessa che intes.sè questa pia gesta e che io trascuro. Ce ne aveva già detto il nome Gastone Paris in quel grande librettino, se posso dire così, che ci diede e ri- diede e ci ridarà sulla Littèrature frangaise au moyen dge (Paris 1890^ pag, 283). Mi tengo intanto a quello che 1' Jarni^k ci insegna e ripeto con lui. Il codice L avverte nell' epilogo che scritlora è una monaca, una Clèmence; che l'altro manoscritto, scambiando CI in D, chiamerebbe Dimence, il convento, por V uno, sarebbe di Berkinge, e per l'altro di Bercheringe ; ma, ripone.ido la sillaba che manca al verso, l'editore ne fa un Berehinge, e ripensa a un nome corrente nei documenti latini [3] (871) dei vecchi tempi, che è Berehingum. E insomma il Berkingense coe- nobium in agro Essexiensi, che ora si dice Barking, e che per le sue Benedettine era una volta famoso. Ancora mi resta da citare un esempio di liberalità che dà a tutti l'Accademia di Praga, e che altri vorrebbe certo imitato: ella permise al dotto professore di stampare tutto il suo testo e, su questo, in van- taggio di lui e dell'opera stessa, ordinare e compiere più tardi tutte le illustrazioni e il glossario. Della bellezza e della correzione della stampa, a chi conosce le buone usanze di quella dotta società, è inutile parlare. SOPRA UNA CLASSE D I POLINOMI DIFFERENZIALI DEL iD o 1 1, ^vd:. a n I ZiT T, Essendo ìj funzione della variabile indipendente x , si consideri il polinomio differenziale d'ordine n: f{y) = «o // + «1 ,7^ + «2 -^ + • • • + ^'^ T^ = \ a. y ' . ax dx^ d.ff 0 dove le a sono funzioni assegnate di x . E noto che S3 Y,- è una soluzione particolare dell' equazione differenziale : F(^) = ^.U-^^ (==..'/) + ~ {-'.!/) -■■■ + (-1)" iJ Ki/) = 0 UX il prodotto Y;/'(//) risulterà (ed allora soltanto) la derivata di un altro polinomio d' (U'dine (n — 1)-, della forma: °- ~ dx^ ^dr-2 I ~ clx»-i Il polinomio differenziale F (//) , che ha pure la forma: ^{u) = ÌprU'' con [i„ = (-l)"a, 0 chianuisi Y aggiunto di /'(.//) ; e questo è a sua volta Yag- [2] (873) gmnto di quello : ossia, ogni soluzione y^ dell' equazione f[ì/) = 0 rende il prodotto 2/;F(?/) uguale alla derivata di un polinomio differenziale in >/ , d'ordine (n — 1)-. Affinchè / {y) sia tale che il prodotto fra esso ed una soluzione qualunque ?/, dell'equazione /*(^) = 0 risulti, e solamente allora, la derivata di un polinomio d" ordine (n — 1) - , dovrà essere : (_l)«.F(//) = /-(^). Cioè, il polinomio f{jj) dovrà coincidere col suo aggiunto, se è d' ordine pari ; o differirne solo per il segno, se è d' ordine dispari. Ora, sviluppando le derivate che compariscono nell'e- spressione di F {(/) , troviamo facilmente : F (i/) = l ^r ir con [i, = (- i)'-.T(- 1)-^' (:V) ^?i. • 0 0 E quindi, affinchè f{u) goda dell'accennata proprietà, sarà necessario e sufficiente che le a siano legate da relazioni della forma : 0 Ciò posto, se 0 è un polinomio differenziale di siffatta specie, cambiando in esso y in yz (con z altra funzione di x) si otterrà un nuovo polinomio n{y) = ^-rrry' in cui i coefficienti y saranno polinomi differenziali in z , ognuno dei quali coinciderà col suo aggiunto (se è d' or- dine pari) 0 ne differirà solo per il segno (se è d' ordine dispari). (874) [3] Infatti, abbiamo : t\{y) = f{y^) = \<^r{vzr 0 e sviluppando le derivate del prodotto yz , si troverà : f\{y) = l,^.i/) con Y.=''CcY)aH.-*'"'=V5.2*'"' 0 0 0 essendo 5,. = ('t**) ai^^ • Ma per la natura del polinomio f[y) .si ha : «.+. = (- i)''+'+'-.T(- 1)' ci;r) 4t-f« - E moltiplicando per ('f) risulterà : (••f) a,.+, = (- ir+'+'-:'|"(_ 1).' CY) ('•+';+'') ^^^^^ . Ora : giacché entrambi questi prodotti sono eguali a : (^iJ^r+s){i+r+s-\) . . (r+s4-l)(r+s)(r+s-l) . . (r+2)(r~j-l_) iTTl e perciò avremo : CY) «H. = (- 1 )"+'•+'■"?(- !)■' CV) (''+1+0 ^^?.+. • Ma: e quindi le S risulteranno legate da relazioni della forma: I [4] (875) Ne segue che il polinomio Y; coinciderà col suo aggiunto (se n — i è pari) o ne differirà solo per il segno (se n — i è dispari). In particolare, si ha : 0 E poi facile provare che il polinomio differenziale f\ (?/) sarà sempre diverso dal suo aggiunto, in valore assoluto ed in segno (escluso il caso di f{y) = a^ ?/) . Infatti, se cosi non fosse, dovrebbe intanto risultare : Th-1 = — [(«-!' yn-i — («-l) Yn] = n Yn — T«-l ' Ma: Tn = «n ^ Tn-1 = ^n-i - + n a„ z' e perciò dovremmo avere : 2 a,,_i z-{-2na^z' = n a! ^^ z^n %„ z' . Ed essendo 2a„_i=na^„, risulterebbe na„y='0; e quindi a,j = 0 (giacché z non si suppone costante). Dunque /'{y) e fi [y] sarebbero d' ordine n — 1 . Ma allora, con ragio- namento analogo, si proverà che dovrebbe essere pure : a„_i = 0 , a,^_2 = 0 . . . a2 = 0 , ai = 0 ; cioè : f{ij) = a.^y . Infine, dimostriamo che, però, il prodotto zfi [y) sarà sempre un polinomio in y che coinciderà col suo aggiunto, 0 ne differirà soltanto per il segno. A tale scopo, premettiamo che, qualunque sia f{y) , se l'aggiunto di questo è ^ [y) , l'aggiunto di rj^ [y)= f(yz) sarà (!i{i/) = zF{y) . Infatti, è noto che la condizione necessaria e sufficiente affinchè due polinomi differenziali f{y) e F (tj) risultino aggiunti uno dell' altro è che, qualunque siano le funzioni y e z , sì ab1)ia identicamente : essendo ^ {y , z) una funzione ài y , z e delle loro derivate. (876) M Ora, poiché per ipotesi sussiste l' identità precedente, cambiando in essa ^ in yz , avremo 1' altra : Ne segue che, posto : 9 {y) = f{ijz) , O (^) = 3- F (?/) , risul- terà identicamente : zr^{y)~-y^{z) = — ^{yz, z) e perciò i due polinomi differenziali 9 (?/) e O (//) saranno aggiunti uno dell' altro. Ciò posto, l'aggiunto di cp(i/)=/'(^j) essendo 0(i/)=: z ¥{y) , V aggiunto di '^[y) = ^cp {y) =r zf{yz) sarà W [y) = 0{yz) = zF{yz) . Ora, se si suppone F{y) = { — ì)" f{y) , risulterà \ì^(t/) = (^ — l)"'\i{l/). Ed in tal caso, dunque, il polinomio t^ (q^) = z f\ {y) coinciderà col suo aggiunto 0 ne differirà soltanto per il segno, al modo stesso del polinomio f{y) . Venezia, 1894. SULLA ISTRUZIONE AGRARIA NELLE UNIVERSITÀ DEL M. E. ANTONIO KELLER L' oiior. senatore Rossi Alessandro nei Discorsi sulle Scuole di agricoltura, nelle tornate del Senato del Regno 24, 25 e 26 marzo 1885, ebbe a dire : « Gli avvenimenti economici mondiali e lo stato depresso in cui si trova la nostra agricoltura, rendono indispensabile una concorde ed efficace organizzazione dell' istruzione agraria in tutto il Regno con concetti larghi e possibilmente semplici, tali infine da liberarla da quelle esagerazioni che tuttodì as- sordano gli agricoltori coli' oportet studuisse. E percliè non v' è al mondo arte o professione che, come 1' agricoltura, viva di esperienza e di imitazione, cosi mi allieta la spe- ranza di vederci entrare finalmente guidati dalla scienza nei campi sperimentali a formare una agricoltura di più in più razionale, ed incoraggiare i nostri giovani a prati- carla ad amarla per sostenere le durissime lotte che si preparano contro i produttori di tutto il mondo. » L' on. Semmola Mariano, il 29 novembre 1883, nella discussione del disegno di legge : Modificazioni alle leggi vigenti per' la istruzione superiore del Regno, pronunziò un discorso nel quale proferì le seguenti parole : « Il ri- T. V, S. YII 58 (878) [2] spetto viene dalla scienza, il timore dalla forza: codeste sono verità indiscutibili, e non basteranno tutte le forme rettoriclie del mondo per poterle distruggere. Le nazioni che aspirano ad esser grandi e temute si affermano prima con la loro individualità scientifico-letteraria, eppoi nei Parlamenti e sui campi di battaglia. E a questo modo ap- punto che fece la Germania, che ora giustamente si prende a modello. Il segreto della grandezza stabile e progressiva non può esistere che nella coltura della scienza e nella potenza dei cannoni. » Cantoni scriveva nel 1869 : < Più volte abbiam detto che si doveva incominciare dall' istruire il proprietario ed il vero coltivatore o conduttore di poderi ; più volte di- cemmo che bisognava rivolgerci alla gioventù, poiché l'a- dulto difficilmente si spiega a ripudiare il passato, accet- tando idee e metodi nuovi. Ma i figli dei proprietari, dei grandi coltivatori e degli amministratori di fondi, vengono diretti ad altri studi che meglio solleticano l'amor proprio intellettuale. Nei discorsi accademici qualche volta sentono dire che 1' agricoltura è la prima fra le arti, ma in pra- tica vedono che le leggi e le istituzioni la considerano quale 1' ultimo dei mestieri. E cosi, anche la gioventù delle famiglie agiate della campagna, non trovando negli at- tuali studi agrari un' elevatezza consentanea alle cogni- zioni ricevute, né potendo farsene un' idea della loro uti- lità, finisce col dedicarsi a professioni cittadine, nelle quali trova spesso un compenso all' amor proprio e talvolta uno sfogo all' ambizione. Cosi le intelligenze disertano le cam- pagne, e la produzione tutt' al più rimane stazionaria. Qualche volta le disillusioni, il bisogno od il desiderio di riposo, la vanità di sfoggiare nelle campagne 1' agiatezza 0 le onorificenze acquistate, fan ritornare ai campi alcuni di questi disertori : ma gli anni migliori della loro vita son già passati ed, a vece di portarvi il frutto dell' ener- gia e dell' amore al progresso, ci portano la stanchezza, la cocciutaggine nei pregiudizi e la boria, qualità tutte [3] (879) che il coltivatore non deve conoscere, e che non valgono a far proseliti. Un istituto superiore per 1' agricoltura è adunque ne- cessario. Ne vediamo per le belle arti, pel commercio, per le scienze naturali e matematiche, per la guerra, per la marina ecc., e non vi sarà per l' agricoltura, la quale esi- ge un corredo ben più vasto e svariato di cognizioni? Un tale istituto servirà a formare quei docenti che ora si cercano, ma che non esistono ancora in numero sufficiente ; formerà buoni coltivatori e direttori d' indu- strie rurali ; volgerà all' agricoltura alcune di quelle mo- deste, forti e laboriose intelligenze che ora cercano in al- tre professioni uno sfogo alla loro attività ed ai loro ca- pitali ; ci darà uomini di Stato che non disconoscano i più vitali interessi del paese, e finalmente servirà a conservare e promuovere il fuoco sacro di quella scienza la quale, sibbene ripudiata e combattuta, spesso è la sola che possa guidare il coltivatore nelle sue operazioni, ed aumentare le produzioni del suolo. » II. Dopo e prima dei tre illustri ora nominati, scrissero suir insegnamento agrario non pochi benemeriti, ai quali stava e sta a cuore il progresso agrario, anzi economico ru- rale fra noi. Mi limito a nominarne due ai quali mi legano senti- menti vivi di stima e di afi'ezione. Cito gì' illustri comm. Miraglia Nicola, direttore ge- nerale dell' agricoltura, cui riconoscente gli deve essere r Italia per quanto si adoperò e si adopera a prò dell'agri- coltura, ed il senatore G. L. Pecile pure benemerito nello stesso senso. (880) [4] Circa all' istruzione agraria non mi mostrai mai in- differente ; ebbi spesso ad occuparmene ; incomincio col riassumere quel poco che dissi in diverse letture fatte alla R. Accademia di Scienze in Padova e pubblicate colla stampa. Già nel secondo semestre del 1858-59 dava termine ad una Memoria Sui foraggi concentt^ati e sui concimi chimici in rapporto alle nostre condizioni agricole, colle seguenti considerazioni : Dal detto al fatto havvi però una distanza considerevole. Come abbreviarla ? come indurre, non i soli coloni, ma i proprietari di terreni, a desistere dal vecchio sistema di non allontanarsi dalle abitudini dei loro avi ? Ecco la lingua che batte contro il dente ca- riato. L' Italia vanta in Padova il più beli' Orto botanico, ed è giusto che il giardino d' Europa lo abbia. In Padova si provvederà quanto prima ad uno Stabilimento chimico- tecnologico ; ed è giustissimo che un paese eminentemente agricolo, come il Lombardo-Veneto, debba servire di mo- dello anche nelle pratiche dell' industria manufatturiei-a, per la quale però (non inganniamoci) saremo inferiori in alcuni rami ad altri nell' utilità che se ne dovrebbe rica- vare, e nella perfezione di certe manipolazioni. Ma è pure a desiderarsi che Padova (per la sua posizione, pel primo Orto agrario che in essa ebbe 1' Europa, per la remini- scenza e gli utili che in quell' Orto ai Governi e ai po- poli lasciarono gli Arduini, per essere chiamata ad istruire popoli eminentemente agricoli) possegga finalmente un Podere-modello, e che in essa proveggasi all' istruzione agraria del Clero: cosi andrebbe accoppiato 1' utile al dol- ce, il necessario al lusso. Il Podere-modello fu promesso. Possa la sua prossima instituzione far si che nel 18(53, anno in cui quest' Orto agrario dovrà festeggiare un se- colo di esistenza, se ne veggano i salutari effetti. Anche a voi, o Accademici, spetta il promuovere con zelo sifatto onorevole festeggiamento. [5] (881) Nel 1867, nella seduta del 27 giugno mi occupai del- l' Istruzione agraria in Prussia. Incominciava la Memoria cosi : « Quando la Società d' incoraggiamento, tanto bene- merita dell' insegnamento agrario ed industriale in questa Provincia, mi onorava dell' incarico di dare un corso di lezioni di Agraria popolare, io preludeva ai trattenimenti serali ed alle varie conferenze col leggere la sera del 27 aprile 18G4 poche pagine. Q.ueste avevano per iscopo di dimostrare come le varie nozioni, avvalorate anche da eser- cizi pratici, dovevano essere sostenute dalla teoria. 11 li- mitarsi, diceva, ad una semplice ripetizione di fatti, ci avrebbe esposti alla taccia di empirici, a disinganni spesso dolorosi, ad avvilimenti ; ci costringerebbe ad insistere an- cora di più nel vecchio adagio del così facevia mio padre ; ci terrebbe lontani da qualunque progresso, lasciando sol- tanto aperta la via a quanti, destri nel trarre partito dalla altrui ignoranza e bonarietà, si presenterebbero per vuo- tare la borsa. Qui passava brevemente in rassegna 1' utilità che si ritrae da nozioni di Anatomia e di Fisiologia vegetabile, di Meteorologia, di Climatologia, di Chimica, di Geodesia, d' Idraulica, di Meccanica, di Economia pubblica. Poche nozioni ricavate da queste scienze giustificherebbero l' in- convenienza della coltivazione di alcune piante che si vor- ^ebbero introdotte fra noi da speculatori, oltreché da uo- mini di buona fede ; renderebbero conto dello sviluppo di molte malattie nelle piante e negli animali e del modo di prevenirle e di guarirle, della necessità di cangiare tal- volta sistema di coltivazione, dell' assurdità di coloro che pretendono che il grongo (cuscuta o lo volo) si formi nel suolo, della destrezza di chi, per procurarsi ed onori e de- naro, promette aumento di raccolto in frumento, sugge- rendo la fecondazione artificiale a forza di corde, dalle quali pendono frangie di lana grossolana unta di miele, e palle di piombo, frangie che toccheranno le spiche a me- (882) [6] rito di due giornalieri i quali, tenendo tesa la corda, cam- minano lungo i due lati del campo. La necessità di nozioni teoriche era pure imposta dalle seguenti parole di Lecouteux : « La carriera agraria vuole delle qualità morali, delle condizioni di attitudine, delle cognizioni. L'arte di far fronte a tutti i bisogni attuali e antivedere quelli futuri per essere sempre in misura di non rimanere sopraffatti, viene dalla riunione di tutte le facoltà del corpo e dello spirito esercitate nelle cose spet- tanti all' agricoltura. A ciò si rende indispensabile la teo- ria agraria, cioè 1' essere a giorno di quanto insegna l'a- gricoltura elevata al grado di scienza industriale, dalla co- scienza di fatti ben constatati che riguardano la produ- zione vegetabile ed animale nei rapporti con 1' utile, di fatti che derivano dal mondo fisico e pongono il coltiva- tore in rapporto con le leggi naturali che regolano la pro- duzione agraria. E per la teoria che la pratica direzione può essere detta la strategia agraria, cioè 1' arte di ag- gruppare le forze e di farle muovere sul campo ; che si fanno eseguire le operazioni spettanti al lavoro del suolo, alla semente, alle varie raccolte, alla preparazione degli ingrassi, al buon ordine dei magazzini ; che si sa valutare il bestiame nei suoi difetti. » Io riteneva di aver detto anche troppo sulla relazione intima che dovrebbe esservi fra teoria e pratica, fra scien- ze affini ed agricoltura, quando scorrendo il fascicolo di aprile dell'anno corrente (era il 1867) del Foglio Centrale di Agricoltura per la Germania m'imbattei in una Memoria sullo stesso argomento, scritta dall' illustre Schuhmann. Essa è pubblicata e quasi esposta per una discussione. L' autore ha in mira di segnare ai membri della Camera dei deputati di Berlino il piano per la formazione di una Accademia agraria prussiana sopra una vasta scala, e la memoria doveva rispondere al quesito : Quale sarebbe la via a seguirsi per la educazione di un agronomo ? [7] (883) Da questa ricerca già si scorgeva che in Prussia ove di Scuole agrarie vi ha un bel numero, ove a Berli- no neir Istituto Reale di Agricoltura che si trova in rap- porto con quella Università nel secondo semestre del 18C)7 si tenevano prelezioni sopra oltre venti scienze che hanno un nesso coli' Economia rurale, ove in seguito a quelle scuole di miglioramenti agricoli si ottennero non pochi ; basti il dire non esservi possessione che non abbia la sua falciatrice e mietitrice. Da questa ricerca si scorge, dico, che in Prussia i deputati delle Camere non isdegnano di occuparsi di un argomento che, forse in forza di un' im- maginazione troppo viva disturberebbe il sonno di qualche deputato di altre contrade, credendosi in mezzo alle ema- nazioni di un letamaio donde disturbi alle narici, oppure in mezzo di un campo donde danno alla loelelie, e per evitare simili sconcerti, si ritiene essere cosa opportuna di preparare gli animi dei colleghi a spargere fra le mas- se la voce che le scuole agrarie non hanno recato van- taggi, che le scuole agrarie sono passive ; quasi che da quel qualsiasi genere di scuole tutti gli inscritti ritraes- sero un utile uguale ; quasi che le biblioteche, i giardini botanici, i vari gabinetti, i musei, i laboratori, le cliniche, ecc., rendessero il cento per uno. Ora il sig. Schuhmann col suo lavoro viene alla se- guente conclusione : « La pratica agraria è la direttrice di condizioni con- formi a natura per la coltivazione delle piante e per la produzione di animali ; essa deve avere sempre fermo in mente il massimo utile, ed a questo scopo deve stu- diare una sistemazione di amministrazione e di conduzione corrispondente alle circostanze con speciale riguardo ai fattori di economia pubblica. » La pratica agraria abl)isogna di principi fondamentali e generali scientifici, per i quali il pratico, educato scien- tificamente, sia in istato di trovare in tutte le svariate cir- costanze il miglior modo di procedere. (884) [8] La scienza agraria deve studiare e svolgere le leggi naturali delle basi delle istituzioni agrarie, del suolo, del clima, della pianta e dell' animale, le leggi naturali dei loro fenomeni agrari, appoggiando la pratica su principi dedotti dalle scienze naturali ; cosi pure la scienza agra- ria nella parte amministrativa deve far conoscere i rap- porti che passano fra l' economia rurale e l' economia pubblica, e ricondurli a leggi generali. Né si supponga, o signori, diceva in quell' occasione, che il sig. Schuhmann col sottomettere al pubblico giu- dizio il suo lavoro, coli' invocarne la discussione, voglia opporsi alla fondazione di Stabilimenti che non esistessero. Aggiungerò, oltre a quanto accennai, che la Prussia, il paese dei fucili ad ago, vantava nel 1854 in Istituti supe- riori cinque per 1' agricoltura ed uno era in progetto, uno forestale, una scuola per il giardinaggio, una scuola, sem- pre superiore, per i vivai, un istituto di veterinaria. Di scuole agrarie inferiori ne esistevano, e complete, 18. Di scuole speciali, fra quelle per la coltivazione e riduzione del lino IG ; per i prati 5 ; una per la distillazione del- l' acquavite, una per 1' allevamento del bestiame lanuto ; una per il drenaggio ; una per i giardinieri ; una per i bo- schi ; e scuole 9, parte per l'allevamento del filugello parte per la trattura della seta. Non si supponga nemmeno che Schuhmann voglia di- minuire Istituti di tanta importanza; essi vanno dal 1854 anzi aumentando. Il sig. Schuhmann si costituisce più che mediatore fra quelli i quali desiderano che le scuole agrarie formino parte dell' Università, e (juanti le vogliono isolate e ridotte ad Accademie agrarie, vantando e gli uni e gli altri dei valenti campioni a sostenitori delle proprie idee. Il sig. Schuhmann con una nuova scuola vuole au- mentate le esistenti, e provveduto in qualche modo al mi- glioramento delle forze insegnanti. Ecco come la pensa Schuhmann. Nel 1873 chiudeva una Memoria Sulle radici delle [9] (885) piante ed i concimi artificiali letta il 9 febbraio, nel modo seguente : Non si tratta per la diffusione di molte piante e di concimi artificiali che di porre in esecuzione quanto proponeva in Padova, l' illustre Pietro Arduino , cioè r insegnamento dell' agricoltura in tutte le scuole, ac- compagnando tale proposta collo parole : « Il pubblico Sovrano comando pratica così utile introdurrebbe. » L'Ar- duino scriveva ciò al Magistrato dei Provveditori ed Aggiunti alle Beccherie della Repubblica Veneta li 13 agosto 1768, e li 2 settembre 1768 l'insigne Magistrato, rivolgendosi al suo Serenissimo Principe, ripeteva : « Non vi dovrebbe essere Seminario né Collegio dove colle altre scienze non s' insegnasse 1' agricoltura. Non vi dovrebbe essere chi aspirasse ad essere parroco o curato nelle ville, se prima non mostrasse di essere istruito in questa arte tanto benefica dell' umana società. » Studieremo finalmente agricoltura anche noi, e se non per appagare i voti dell'Arduino accolti ormai da altre nazioni, almeno per imitare queste. In Prussia, in Austria scuole d' agricoltura ben condotte abbondano ; per sopra più ai corsi d' agricoltura che si danno nelle Università sono obbligati ad intervenirvi e vi accorrono ben volen- tieri, oltre gli ingegneri, i teologi i legali i medici ; tutti questi accorreranno anche fra noi. Se imitando la Germania abbiamo introdotto ormai i banchetti agrari, le stazioni agrarie, e forse, non vori-ei troppo presto, verranno istituite le Università agrarie (*), si preparino almeno e per i banchetti, e per le stazioni, e per le Accademie intelligenti d' agraria a mezzo di scuole come le voleva l'Arduino. A mezzo di scuole e curati e legali e medici, che sono spesso proprietari di fondi, ap- prenderebbero che la conoscenza della formazione delle (1) Nel 1873 il numero degli insegnanti capaci era limitatissimo. (886) [-10] radici delle piante è la base per una buona coltivazione, quindi di una ragionata concimazione e forse suonerebbe per certi idraulici come lo diceva il comm. prof. Turazza (i), ma anche per gli agronomi da caffè, ben presto T ultima ora. Nei peli radicali che sono produzioni superficiali delle radici giovani V illustrissimo Gasparini (le savant italien dice Duchartre), scorge 1' organo essenziale dell' assorbi- mento che si opera nel suolo. Il carattere di organi tem- porari o caduchi che hanno i peli , giacché mancano d' inverno e non si riscontrano nelle parti vecchie delle radici, ha ispirato a (ìasparini 1' idea che essi siano per r asse discendente o per la radice, ciò che le foglie sono per F asse ascendente e per lo stelo. Il 5 dicembre 1889 chiusi la Memoria Siti progressi della statica agraria e V agricoltura in Italia, dicendo : Il Congresso agrario tenutasi a Vienna nel dicembre 1879, dichiarò necessarie le cattedre di Economia rurale nelle Università e nelle Scuole tecniche, onde agli impiegati am- ministrativi, ai teologi, agli ingegneri agrari, ecc., sia of- ferta occasione di procurarsi le cognizioni di economia rurale richieste dalla loro futura missione. Quel Congresso esternò pure il desiderio, e ne accentuò la necessità, per- chè anche nelle Università sia dato l' insegnamento della Economia rurale. Grandeau per la Francia vuole che 1' insegnamento delle cose agricole occupi il posto fino ad ora accordato solamente al diritto, alle lettere, alla medicina, alle arti industriali, e che i legislatori gli forniscano tutte le ri- sorse materiali desiderabili, perchè irradii su quel paese, e prepari, per 1' avvenire, delle generazioni di legislatori, (1) Egli, all'intento di diminuirò i danni della innondazione, rac- comandava a quanti devono occuparsi o vogliono parlare d' idraulica, lo studio in una buona scuola nella quale questa materia venga am- piamente trattata (V. Rivista pei-iodica della R. Accademia di s. 1. ed arti. Padova, 1873, voi. XXIII). [11] (887) di amministratori, di proprietari, tanto più curanti dei progres-si deli' agricoltura, quanto più ne conosceranno r importanza e le difficoltà. L' alto insegnamento agrario, comprendendo l' insieme delle scienze positive, economiche e giuridiche nei loro rapporti colla produzione del suolo, dovrebbe essere il complemento dell' educazione liberale di tutti coloro, che non si dirigono verso una carriera definita, e che dalla loro posizione sociale sono chiamati a prender parte allo sviluppo dell' agricoltura nazionale. Continua Grandeau : « Questa riforma sì importante riscontra maggiori difficoltà, poiché si tratta di modificare i costumi del nostro paese più ancora che le sue istituzioni. Essa suppone nei gusti e nelle abitudini della gioventù, appartenente alle classi ricche una trasformazione profonda: fa mestieri che rinunzi all' ozio ed all' andar a zonzo, per dedicarsi allo studio serio delle scienze fìsiclie e naturali, della economia politica e rurale, del diritto, ciò che la renderebbe atta ad esercitare sui progressi dell'agricoltura un' influenza di cui sarebbero i primi a goderne i bene- fizi, essendo la maggior parte dei giovani, ai quali alludo, figli di grandi proprietari di terre. Sino a che il proprie- tario francese, all' opposto di quello che si pratica in In- ghilterra, non s' interesserà direttamente nel governo del proprio podere ; sino a che considererà il suo affittavolo un semplice debitore il quale, ad ogni scadenza, viene a portargli 1' affitto : sino a che non sarà abbastanza istruito, e non si darà abbastanza pensiero dei propri interessi per incoraggiare, fosse pure a prezzo di denaro, miglioramenti della terra ceduta in affitto, la sorgente la più feconda di progressi agricoli presso i nostri vicini di oltre Manica mancherà alla nostra agricoltura. E dalla confidenza re- ciproca, dalla comunanza di interessi ben compresi fra })roprietario e conduttore, che dipende, in massima parte, una migliore amministrazione del suolo ; quest' unione im- plica, per gli uni e per gli altri, la necessità di una istruzione più solida, di cognizioni più estese nei diversi (888) [12] rami che formano 1' unica base sicura dei progressi in agricoltura. » E r Italia ? L' Italia geologicamenle giomne, ma da un lato dimagrata, colle mammelle alquanto inaridite, Y>oÌGhè, abna pareìis f'rugum e nutrice generosa, alimentò per secoli produzioni abbondanti, continue, ripetute non di rado le tre e le quattro volte in un anno, favorita in questa missione da un cielo, e da un clima invidiabili, dall' altro ricca di forze latenti, che potrebbero rimetterla in condizioni floride, approfitterà indubbiamente di quanto si va facendo altrove. Promuoverà l' alto insegnamento agrario, aprendo, almeno in tutte le sue Università, se- zioni agrarie presso le facoltà di scienze naturali. Lo de- duco da quanto per lo avanzamento agrario, coli' istitu- zione di diverse scuole, va facendo il R. Governo, il quale si persuaderà che le tre scuole superiori di agricoltura che si hanno son poche. Lo invoco dalle Accademie, in particolare da questa di Padova che nella sua fondazione ebbe di mira 1' agricoltura, dalla illustrissima Commissione per r inchiesta agraria nominata dal Parlamento nazio- nale, dalle Università del Regno, ed in modo speciale dal comm. Nicolò Miraglia, direttore dell' agricoltura presso il R. Ministero di agricoltura industria e commercio, alla cui attività si deve molto di quanto in questi ultimi anni si fece per 1' agricoltura, ed il quale patrocinerà presso il R. Ministero della Pubblica Istruzione ciò che è voto ge- nerale di quanti vorrebbero vedere ricca la nazione. Dell' istruzione agraria anzi dell' istruzione agraria superiore scrisse molto l'on. senatore Pecile e nel BuUettino dell'Associazione agraria Friulana ed in separate Memorie. Cosi nel volume X del BuUettino, che recò e reca tanti vantaggi non soltanto all'agricoltura friulana ma di tutto il paese, nel N. 6, 7, 8 del .31 marzo LS93 a proposito del- l' istruzione agraria in Italia, Francia e Germania, scrive : « Non credo opera buona il nascondere la nostra inferio- [13] (889) rità ed accarezzare le illusioni. Manca la volontà di ap- prendere, bisogna adoperarsi a far comprendere alle po- polazioni agricole la necessità dell'agricoltura scientifica per sopportare la concorrenza della empirica, screditando le scuole si fomenta la renitenza ad accorrervi » dice 1' on. senatore Grillini. « . . . . Passi r insegnamento agrario presso le Univer- sità con quelle norme che in Germania lianno dato e danno cosi splendidi risultati .... » L' insegnamento agrario presso le Università, giovan- dosi degli insegnamenti e dei materiali scientifici già esi- stenti, si potrebbe fare con molta economia. Nelle Univer- sità avremo giovani che le frequenteranno per diventare agronomi, e vivendo nell' ambiente universitario avranno occasione di completare la propria educazione ; molti poi di coloro, che studiano le varie professioni, potranno essere indotti ad istruirsi convenientemente nell' economia rurale e scienze affini, da una sapiente preferenza che fosse sta- l)ilita dai regolamenti pei concorsi alle amministrazioni dello stato, come si fa in Germania. » Ad eccitare la volontà di apprendere, e a fare che le popolazioni comprendano il vantaggio d' istrursi in agri- coltura, non basta il predicare, bisogna rendere evidente il vantaggio di questa istruzione. » Quando il laureato agrario avrà una posizione so- ciale pari a quella di un ingegnere, di un medico, di un giureconsulto ; quando il licenziato dalle scuole saprà far rendere i suoi campi più dell' empirico, il che oggi non avviene, gli allievi delle scuole non si conteranno più a uni- tà come nelle scuole superiori o a decine come nelle al- tre, ma a migliaia come in Francia e come in Germania . . . » A mio avviso in Italia fa duopo generalizzare l' in- segnamento agrario superiore mediante le Università, rav- vivare r insegnamento secondario nelle sezioni d' agrono- mia negli istituti tecnici, democratizzare le scuole pratiche (890) [14] e diffondere i germi del progresso agricolo -ìiiediante le cattedre ambulanti fra le popolazioni rurali. » Anch' io ho passato mezzo secolo occupandomi del- l' industi'ia dei campi, e non sono rimasto estraneo alla diffusione delle idee utili nel mio paese, ed appoggiandomi a questo, esprimo il pensiero che la questione agraria me- riti di essere vivamente discussa ; anzi faccio appello a tutti gli amici dell'istruzione agraria, compreso il senatore Grifìini (carissimo collega ed amico mio) perchè vogliano adoperarsi a esaminare il paese nelle sue vere condizioni, a mettere l' Italia sulla strada del reale progresso, tanto che in confronto colle altre nazioni civili non abbia a ri- manere miserabile e svergognata. » Nel volume X, N. 16-17 del 12 agosto 1893, si trova quanto segue : «... In un paese dove il 70 o/o della popolazione o at- tende all' agricoltura o vive dei prodotti e delle industrie relative, in un paese che ritrae dall' agricoltura la massi- ma parte delle sue risorse economiche, un insegnamento agrario dovrebbe essere offerto in tutti i gradi, dall' Uni- versità fino alla scuola elementare, in via principale od accessoria, diretta od indiretta, poiché non solo al possi- dente e all' agricoltore, ma anche al medico, al prete, al- l'avvocato, al giudice, all'impiegato amministrativo, un cor- redo di cognizioni agricole tornerebbe utilissimo. » I pastori protestanti, che conoscono bene i loro in- teressi, sono per lo più maestri di agricoltura. Quante cause vanno a male per l' ignoranza degli avvocati e giu- dici, e la più parte si riferiscono a questioni agrarie ; quante leggi mal fatte per la poca competenza in cose agricole, persino di taluni nostri uomini di Stato. » L' illustre Miraglia che tanto fece per il bene dell'Ita- lia, pubblicò nel 1877 un lavoro col titolo : Notizie e Documenti sulle istituzioni d'insegnamento agrario all'e- stero (Annali d' agricoltura, N. 22, serie 2.^). [15] (891) Nel 1887 pubblicò un volume sulle Scuole superiori agrarie all'estero, nei qual volume si occupa degli Istituti autonomi, di quelli annessi ad Università od altri istituti superiori e ricorda m Germania : 4 Istituti autonomi, 8 annessi a Università, 1 sezione agraria, 1 regia scuola su- periore ; in Inghilterra : 2 Istituti autonomi, I Collegio reale, 1 Collegio agrario ed 1 Istituto annesso ad Univer- sità (cattedra di agricoltura) ; nel Belgio : 1 Istituto auto- nomo agrario dello Stato, 1 Istituto annesso a Università (agronomico); in Austria-Ungheria: 1 regia scuola superiore agraria a Vienna. Quanto alla Francia : 1 Istituto na- zionale agronomico a Parigi, 3 scuole nazionali d' agri- coltura : 1 a Grignon, 1 a Grand-Jouan, 1 a Montpellier, Neil' introduzione si legge : « Per conoscere esatta- mente ciò che a noi fa bisogno e avvisare i modi propor- zionati e adatti al nostro fine, conviene prendere partita- mente in accurato esame: 1.° l'ordinamento e l'indirizzo generale dell' istruzione agraria superiore ; 2.° le singole discipline che debbono costituirla ; 3.° i mezzi tutti onde essa può riuscire compiutamente fruttuosa. Entrando nella prima parte, troviamo una controver- sia pi'eliminare, gravissima, che tiene divisa in due schiere le persone più autorevoli e competenti in materia, e che può essere posta in questi precisi termini : le Scuole superiori d' agricoltura de])bono far corpo da sé, essere autonome, con direzione unica e propria; oppure torna meglio, che esse formino parte, come altrettante facoltà o sezioni delle Università o di altri Istituti di simil grado ? « I fautori delle scuole autonome, partendo, nella presente questione, da principi più generali, e persuasi che neir organamento di qualsiasi nostra impresa, o di mano o d'ingegno, lo specializzare arrechi sempre buoni frutti, espongono i vantaggi che derivano alle Scuole stesse dalla libertà di predisporre, avviare, dirigere, riformare r istruzione conformemente a fini ben determinati e omo- (892) (-16] genei, imprimendo a tutto e a tutti 1' attività nella voluta direzione e con la debita energia .... »... Chi vagheggia le scuole universitarie, si compiace innanzi tutto di vedere F insegnamento agrario portato nelle sua degna sede, al pari di ogni altro più nobile e pili importante ; considera i benefici effetti, che 1' intima consuetudine della vita, e la varietà e le scambievoli atti- nenze degli studi recano a professori e scolari, accolti in sì gran numero sotto, per così dire, uno stesso tetto, e animati e spinti concordemente dalla brama di ricercare e dispensare il vero, costituendolo quasi comune patrimo- nio, e moltiplicando e riunendo insieme le fila di quel- r enciclopedia, la quale, se, oggidì più che mai, vuoisi ri- guardare come sciocca pretensione soggettiva, non cessa però di rappresentare, ridotta che sia, a grado a grado e oggettivamente, alla sintesi dei primi e fondamentali prin- cipi dello scibile, una delle più nobili mire e delle più vive necessità del nostro intelletto .... » .... Dall' estero, ripiegando lo sguardo in casa no- stra, noi abbiamo dinanzi le due forme, 1' universitaria e più antica nella scuola superiore di Pisa ; 1' autonoma e più recente nelle due scuole di Milano e di Portici » . . . . Nel nostro stato di cose a noi pare che si possa lasciar da parte ogni disputa, che potremmo dire astratta, intorno al più opportuno ordinamento della istru- zione agraria; imperocché lo stato stesso toglierebbe effi- cacia alle conclusioni puramente teoretiche, e nessuno pen- serebbe ad abolire 1' una o le altre scuole per uniformarle a quel dato tipo che, secondo tali conclusioni, fosse rico- nosciuto migliore. Ora a noi conviene far tesoro della esperienza altrui, e studiare e determinare i modi, onde trarre dalle scuole di Milano e di Portici, autonome quali sono oggidì, la maggior somma possibile di vantaggiosi effetti. » L' Illustre G. L. Pecile tenne il 29 gennaio 1894 una conferenza al Comizio Agrario di Torino. La conferenza [17] (893) fu pubblicata. L' argomento è : Come ravvivare Vinsegna- 7nento agrario in Italia. L' illustre Pecile sta per le fa- coltà agrarie presso le Università, conchiudendo : « E mia convinzione, o signori, che a Torino debba sorgere la pri- ma facoltà agraria presso 1' Università » Come da Torino parti l'iniziativa della nostra rigenerazione politica, cosi parta l'iniziativa della riforma del nostro insegnamento agrario. Le Università di Roma, di Napoli, di Palermo, di Cagliari, tutte una per volta non tarderanno a seguire il movimento. » Cosi l'insegnamento superiore agrario sarà possibile in tutte le regioni d' Italia ai giovani che frequentano le Università » Nelle jnemorie di Camillo Cavour troviamo queste memorande parole: Quando avrò compiuta V unità d'I- talia, tutto il mio pensiero dovrà essere rivolto al miglio- ramento deir ag ricottura, dalla quale solo si può atten- dere ricchezza e prosperità vera. » Dando opera alla tanto facile istituzione della fa- coltà agraria di Torino, voi realizzerete il pensiero di quel grande vostro concittadino che fu la mente e la guida del nostro risorgimento nazionale, di quel modello di uomo di Stato, cui le gravi preoccupazioni politiche non scemarono mai l'affetto all'aorricoltura, » "D" Suir insegnamento agrario superiore scrisse Memorie anche chi vi fa la presente lettura. Nella Memoria pubblicata nel 1883, riportava le pa- role dette quando parlava all' Accademia di Padova sui Progressi della statica agraria : « Come si fa a persuadere i nostri Proprietari di spen- dere, in base ed a teoria ed a fatti, un po' di più a van- taggio dell'agricoltura pratica, e cosi dell'agricoltore lavo- ratore ed operaio spesso male retribuito e peggio nutrito (informi la Pellagra)? » La risposta la dava già il chiariss. comm. Emilio Morpurgo indirettamente fino dal 1875 con T. V, S. VII 59 (894) [18] le parole : « 1 licenziati della Scuola di Agronomia degli istituti tecnici rare volte trovano collocamento presso i proprietari, » Rare volte trova collocamento anche un li- cenziato delle Scuole agrarie bene istituito, e per quanto onorifici e meritati sieno i suoi attestati Si mandino adunque, direbbe il Morpurgo, s' incorag- gino, si stimolino dal lato dell'amor proprio ad iscriversi nelle sezioni di agraria delle facoltà di scienze natu- rali delle diverse Università del Regno, e sarebbe bene si istruissero in questa sezione i proprietari, i figli dei ric- chi, garantendo loro il titolo di Dottore in Agronomia e promettendo di averli a cuore quando si trattasse di cariche onorifiche. Allora si, che il ricco e dottore, il proprietario e dottore, spenderanno, vorranno servirsi dell'opera di agenti istruiti usciti dalle scuole agrarie o tecniche. Al dottore in legge, che esce da una Università del Regno, si assi- curi la preferenza in certi impieghi, se potrà presentare, fra i molti titoli, almeno un Certificato di frequenza della cattedra di Economia rurale. Così si fa in Prussia, in Germania, in Austria. Anzi il Congresso agrario, tenutosi a Vienna nel dicembre 1879, dichiarò necessarie le cat- tedra di Economia rurale nelle Università e nelle scuole tecniche, onde agli impiegati amministrativi, ai teologi, agli ingegneri agrari, ecc. sia offerta occasione di procu- rarsi le cognizioni di economia rurale richieste dalla loro futura missione. Quel Congresso esternò pure il desiderio, ed accentuò la necessità, che nelle Università sia dato l'insegnamento della Economia rurale. Mi ero presentato anche all' ottavo Congresso dei Co- mizi agrari Liguri, tenutosi in Porto Maurizio nell' agosto 1881, pregando si appoggiasse il voto che esternava in quel lavoro. L' egregio amico prof. cav. Giovanni Maria Mol- lino, interessato da me con lettera, ne era l'interprete. Si ritenne da quell'Onorevole Consesso che io proponessi si aprisse in ogni Università del Regno una cattedra di agra- ria. Io non proposi cattedre di agraria da istituirsi nelle [19] (895) Università, molto meno in ogni Università; e, supposto che le avessi suggerite, non veggo i danni che ne sarebbero venuti al Paese. Vi fu chi si oppose alla proposta, ammesso pure anco sbagliata, con poca cavalleria; ciò che non si può (lire dell'onor. comm. prof. Frojo, né dell' onorevole Deputato al Parlamento Marchese Lazzaro Negrotto Cam- biaso (A'edi Alti Uffìciali dell'ottavo Coìigresso del Co- mizi agrari liguri in Porto Maurizio. Agosto 1881) .. . Neil' anno 1877 in data 14 agosto aveva innalzata la seguente Nota al R. Ministero d' Agricoltura, Industria e Commercio. 4. Il R. Ministero va sempre più dimostrando coi fatti le cure che prende per la diffusione dell'istruzione agra- ria. Lo confermano, fra le altre, le molte scuole aperte in proposito. Nell'ultimo lavoro: Notizie e Studi sidC Agri- coltura (1876), per di più è detto, che il Ministero rico- nosce la necessità di moltiplicare le scuole agrarie in modo che ce ne sia almeno una per ogni Provincia, di diffon- dere le colonie agricole e le scuole poderi, o scuole pra- tiche informate allo stesso sistema, e che non dimenticò l'insegnamento superiore, destinato a dare i nuiestri delle scuole secondarie ed inferiori. L'insegnamento superiore è attualmente affidato alle Scuole di Milano e di Portici, nonché alla Scuola Agraria Universitaria di Pisa. Molte sono le ragioni per indurre il R. Governo ad aumentare quelle scuole, cercando che riescano possibilmente complete. Senonchè havvi l'ostacolo della spesa ; quindi si è costretti di obbligare coloro che aspirano all'insegnamento di recarsi nelle scuole attual- mente esistenti, per quanto lontane, ove gli allievi, non per la scuola ma a motivo della località o della regione agraria in cui esiste, privi di coltura in generale, s' imbevono di principi e di pratiche sanissime riguardo alla zona in cui si trovano, ma inutili per le contrade nelle quali dovranno col tempo insegnare : dal che, almeno nei primi anni, si hanno danni non lievi. (896) [20] Io ritengo che scuole in Italia per formare maestri valenti, non soltanto coperti di una leggiera patina di scienza, ma capacissimi e adattati alle varie regioni, se ne potrebbero avere parecchie ; né perciò si andrebbe incon- tro a spese ingenti. Intanto mi fermo sulla possibilità di averne una a Padova. Qui presso la R. Università esiste la facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali con scuole di Magistero, e fra queste havvi pure la sezione di scienze naturali. Quando si considera, che non si riesce Agronomo senza profonde cognizioni nelle scienze naturali, che fra le cattedre da frequentarsi dal futuro laureato in queste scienze figurano anche la Fisica, la Chimica, l'Anatomia e Fisiologia com- parata, che né Fisica né Scienze naturali non possono trat- tarsi senza un corredo di nozioni matematiche che il can- didato ha apprese o apprende durante il corso degli studi attuali, riesce chiaro che intanto le fondamenta per dive- nire maestro di agraria, presso l'Università di Padova, non mancano. Volendo ora fare in modo che a Padova, si possano rilasciare attestati di licenza e diplomi di laurea anche nelle scienze agrarie, basterebbe obbligare i candidati a frequentare, oltre le cattedre fissate per le scienze natu- rali, la cattedra di agraria per la licenza durante due anni, e per la laurea un anno di più. Durante questi due o tre anni gli inscritti avrebbero campo di fare esercizi pratici nel R. Orto Agrario dell'U- niversità che si presta ad esperimenti e che possiede saggi di molte piante vive, essendogli anche annesso un gabi- netto ricco di modelli con collezioni di legnami, di piante secche, di terre ed altro. Gli inscritti potrebbero frequen- tare un corso di bachicoltura presso la Stazione bacolo- gica ; apprendere a mezzo di escursioni le colture di piante che spettano a varie zone agrarie, giacché la provincia di Padova e le prov^ncie vicine le off'rono ; studiare i diversi [21] (897) sistemi di bonifiche nel Padovano, nel Polesine e nel Fer- rarese ; approfittare per gli esercizi pratici dell' istituto agrario provinciale di Brusegana. Per gli esercizi pratici d'agraria e per le escursioni, oltre al Professore d'agraria, si presterebbe il suo assi- stente ; quanto alle spese, alcune si coprirebbero dagli al- lievi, come le coprono gli allievi Ingegneri, i Farmacisti, i Chimici, tutti coloro insomma che desiderano ottenere l'una 0 r altra delle licenze o lauree conferite dalla fa- coltà di scienze matematiche, fisiche e naturali. Chi aspira all'insegnamento agrario dovrebbe nei tre anni frequentare le scuole di Geodesia, Disegno, e Archi- tettura ; né della distribuzione delle materie, per il mo- mento importa occuparsi. Basta che il R. Ministero si in- vesta della necessità dell'insegnamento agrario e della fa- cilità di promuoverlo con economia, e con sommo vantag- gio del paese in avvenire. Una volta che il R. Ministero fosse convinto della bontà della proposta, ad Esso sarà ben facile di mettersi in comunicazione diretta col R. Ministero della Pubblica Istruzione, al quale deve aver scritto in argomento l'illu- stre prof. Canestrini, Presidente della sezione di scienze naturali nella scuola di Magistero. Se d'accordo fra i due Ministeri si è introdotto l'inse- gnamento agrario in alcune scuole normali, si troverà, non v' ha dubbio, anche un posto all'agraria nella sezione della facoltà già ricordata di scienze naturali, dalla quale si avrebbero abili maestri anche per le scuole normali. Io non propongo né l'istituzione di una scuola agraria Universitaria, né una scuola speciale di Magistero come quella di Pisa, sebbene vi sarebbero tutti gli elementi ; mi limito a chiedere una maggiore estensione nella sezione di scienze yialnrali, affinchè a coloro che volessero dedi- carsi all' insegnamento agrario sia offerto il mezzo di istruirvisi. » (898) [22] L'evasione a questa istanza ricevuta dal R. Ministero di Agricoltura, Industria e Commei'cio m'indusse a presen- tare una risposta. Dalla risposta o replica è facile dedurre il contenuto della evasione. « Padova, li 28 dicembre 1878. » Io chiudeva la mia umilissima del 14 agosto 1877 colle seguenti parole : « Io non propongo né l'instituzione di una scuola agra- ria Universitaria, né una scuola speciale di Magistero come quella di Pisa, sebbene vi sarebbero tutti gli elementi ; mi limito a chiedere una maggiore estensione nella Sezione di scienze naturali, affinché a coloro che volessero dedi- carsi all' insegnamento agrario sia offerto il mezzo di istmi rvisi. » y> Le ragioni addotte in appoggio alla mia proposta ; il favore con cui essa, prima d'innalzarla al R. Ministero, fu accolta da uomini competenti, fra i quali il chiarissimo Canestrini, membro del Consiglio Superiore d' Agricoltura; il bisogno sentito da molti d' istruirsi in agraria senza ve- dersi costretti di sobbarcarsi a spese troppo gravose, (qua- lora dovessero recarsi a Milano, a Pisa od a Portici, po- tendo approfittare, dedicandosi anche ad altri studi, di cat- tedre che già esistono ; il fatto che alcuni si dottorarono per avere il titolo di dottore, non per esercitare o legge 0 medicina ; l'idea invece che, in possesso di un al- tro diploma, essendo cioè dottori nelle scienze naturali ed in agraria, si dedicherebbero più tardi al miglioramento delle proprie condizioni economiche, costituendosi in tal modo maestri d'agricoltura nei loro paesi : tutto ciò, lo confesso, mi dava lusinga, in momenti nei quali lo stesso R. Ministero aveva dichiarato di riconoscere la necessità di moltiplicare le scuole agrarie, di non vedere opposti ostacoli ad un progetto il quale ha in mira l'utile del paese. Tutt' altro. La riverita Nota ricevuta contiene i-iflessioni le quali consigliano al R. Ministero di Agricoltura di dichia- rare che ad Esso non pare accettabile il progetto stesso. [23] (899) > La parola pare m'incoraggia di replicare, nella cer- tezza ohe il R. Ministero sarà persuaso essere io spinto a ciò dal vivo desiderio che 1' Italia possa trarre partito da studi riferibili alla soi'gente della sua ricchezza, e insieme a quella del suo benessere morale. > I.*' Agli attuali bisogni di studi superiori di agricol- tura in Italia saranno forse sufficienti le attuali scuole di Milano, di Portici, di Pisa ; ma non lo sono né agli at- tuali bisogni agrari, ne alle condizioni dei maestri attuali, né a quelle dei possidenti. Io non pensava, né penso che il mio progetto potesse, o possa, destare gelosie, e tanto meno in quanto che non chiedevo l' istituzione di scuole superiori, eguali alle surriferite, ma la facoltà alla Sezione di scienze naturali di rilasciare attestati di Licenza e Di- plomi di Laurea anche nelle scienze agrarie, purché i candidati, avessero frequentato, oltre alle cattedre della Sezione, anche la cattedra di Economia rurale. » Non so adunque vedere come un numero maggiore di scuole di agricoltura, che non dissi superiori, dalle quali abbiano ad uscire valenti maestri di agraria e possi- denti dotti fregiati del titolo di Dottore, possa essere non necessario, sopra tutto se le scuole fossero sparse in diverse zone. Cessa pure il timore del danno che ne deriverebbe all'insegnamento ; giacché per la scuola di Padova esi- stono e il materiale e il personale, né il Governo andrebbe ad aggravare i suoi bilanci. » II.° Il R. Ministero paria della necessità d'introdurre, nella sezione di scienze naturali e matematiche della Uni- versità di Padova, molti insegnamenti che ora mancano, e cita intanto la Chimica agraria, la Zootecnica, la Vete- rinaria. » Mi permetto di osservare che la Università vanta una scuola di Chimica, nella quale s' insegnano Chimica inorganica e Chimica organica. Io riterrei che Chimica a- graria non si apprenda senza conoscere i principi di chi- mica inorganica e di chimica organica, e che, quando si (900) [241 conoscono questi, si conosca anche la chimica agraria. D'al- tronde, negli esercizi, per chi insegna, è lo stesso dare que- siti di chimica o medica od industriale, oppure applicata alle terre, ai concimi, e cosi via. » Si potrehbe ragionare nello stesso modo riguardo alla Zootecnia. Mi appello al chiarissimo prof. Canestrini, il quale, non limitando certo il suo insegnamento agli in- tegumenti od alle estremità dei vari animali, mi direbbe : gli animali che interessano l'agronomo non esigono un in- segnamento diverso da quello che il Professore deve dare agli altri suoi allievi circa ai ruminanti, ai solipedi, agii uccelli, ai pesci, ai crostacei, ecc. Basta che lo studente sia messo sulla buona via. Migliore guida di un Professore di Anato- mia e di Fisiologia comparata e dei suoi assistenti non vedrei. » E stato il Governo che nelle Università ha abolito la Veterinaria. Quella cattedra, che si ritenne inutile pel futuro medico e che forniva pur buoni veterinari rurali, si vorrebbe necessaria per gli agronomi, quasi che la mis- sione di costoro non fosse la produzione abbondante, nor- male, in generale fisiologica, sia delle piante, sia degli a- nimali. » Valgano questi brevi cenni a togliere i dubbi ester- nati dal R. Ministero sulla convenienza del mio progetto, il quale trova appoggio nelle parole dell' illustre Cantoni Di- rettore della Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, pro- ferite in occasione solenne, cioè durante le conferenze degli onorevoli insegnanti di Agraria negli Istituti tecnici tenute nell'autunno scorso (nel 1877) presso il R. Ministero di Agri- coltura, e che qui riporto : « Si è detto che gli Agronomi non sono conosciuti né ricercati, che l'Agrimensura apriva loro la strada, che i coltivatori non li cercano ; anzi, perchè li temono istruiti e rinnovatori, che i coltivatori preferiscono gli agrimensori perchè li utilizzano di più. Questo stato di cose durerà in Italia finché non si avranno proprietari e grandi coltivatori [25] (901) istruiti. Egli è vero che in Germania sono cercati; ma là si è cominciato ad istruire la possidenza. Anche tra noi nelle Università vi erano le cattedre di agraria, ed allora ave- vamo migliori agricoltori che non oggi. » » Si noti che di queste cattedre approfittavano non sol- tanto gì' Ingegneri, ma altri, e fra questi molti possidenti, molti studenti di legge; la loro frequentazione era racco- mandata e suggerita come studio libero, come lo è ancora presso altri Governi ...» Il Ministero d'Agricoltura con circolare .30 luglio 1879 N. 127 si rivolse ai Comizi agrari per informazione allo scopo di determinare gT indirizzi delle scuole pratiche di agricoltura, ed il Comizio agrario di Padova rassegnava il 20 agosto 1879 la Nota seguente : « Siene le aziende agrarie amministrate dagli stessi proprietari, da fattori o da agenti, ovvero amministrate e coltivate per conto proprio da contadini possidenti, l'istru- zione agraria è sempre almeno monca. I.° L'istruzione agraria intanto in generale fa difetto a' proprietari che abitano nelle città. A questi essa è di somma necessità in paese eminentemente agricolo. Le ra- gioni sono ovvie. Fra le altre, ai possidenti si destinano posti onorifici di Sindaci rurali, di Consiglieri^ comunali, di Amministratori delle Opere pie, ecc. Sono i possidenti che abitano nelle città ai quali, e talvolta forse soltanto per to- gliere qualche figlio all'ozio, sta a cuore d' avere in fami- glia un dottore ; non importa poi se in medicina, in legge, in lettere od altro. Già il figlio non eserciterà, né 1' una, né l'altra delle libere professioni, ma sarà inchinato e ri- verito come dottore ; titolo poi maggiormente ambito da chi non può fare sfoggio d'un qualsiasi blasone. Se dunque in tutte le Università del Regno od almeno nelle principali, fosse possibile procurarsi un diploma di dottore in agraria, molto probabilmente i possidenti ne ap- profitterebbero con vantaggio proprio e del paese. 2.° Privi d' istruzione agraria, i proprietari, abitando (902) [26] nelle città, sono costretti ad abbandonare i loro possessi nelle mani di fattori, sottofattori, gastaldi, ecc., i quali, se un poco istruiti o se escono da una scuola pratica, difficil- mente trovano collocamento. Difatti l'agricoltura senza di- spendi non migliora. Ora al proprietario, che di cose agrarie è ignorante, suona sempre male la domanda di somme da anticiparsi pel miglioramento delle campagne, fatta da uno, il quale appena abbandonò la scuola pratica ; molto più se è stato sempre abituato ad avere fattori od agenti i quali, non richiedendogli mai denaro, del denaro gli portavano due volte all' anno; non importa poi che i campi deteriorassero. 3.° Riguardo ai contadini possidenti, si })uò ripetere per molti quanto è stato detto al N. 1. 4.° Proprietari però, impiegati, artisti, fanno studiare i loro Agli nelle Università affinchè possano coprire posti negli uffici dello Stato. In altre epoche, quando si trattava di uffici amministrativi, si preferivano giovani che potevano dimostrare di aver subito gli esami di Economia rurale presso una Università o presso un Liceo. Al giorno d'oggi, questo attestato che partisse da una Università e, per certi posti, dalle Sezioni agronomiche di un Istituto tecnico non sarebbe forse più necessario ? La Germania che si vuole sempre a modello non usa cosi ? E da noi non si insegna medicina legale agli studenti di legge ; trattati legali ai futuri ingegneri ? Sarebbe compromessa la salute dei primi, qualora si obbligassero ad un corso di Economia rurale, qualora avessero intenzione di aspirare ad impieghi dello Stato? A segretari comunali poi, in un'epoca in cui si parla tanto di statistiche, tanto di aggravi pubblici, non dovrebbero essere preferiti i migliori degli allievi degli Istituti tecnici ? 5.** Per ritornare alla facoltà od alla scuola agraria della nostra Università, la necessità massima risulta dal bisogno assoluto di maestri o di professori di agricoltura, che il K. Ministero vuole ragionevolmente sparsi per tutto [27'I (903) il Regno. Che se poi, oltre a questi professori, anche gli altri che escono dalle sezioni di magistero delle facoltà di scienze naturali ed anche matematiche e che potreb- bero trovare collocamento nelle nuove scuole, possedessero nozioni di agraria e di economia rurale, il vantaggio sa- rebbe considerevole e per queste scuole e per tutte le altre che si dovessero istituire. A merito di valenti maestri ac- quisterebbero peso le parole dell'Ili. March. Pietro Selvatico scritte ancora nel 1863 : « Non si tema che questi fanciulli (ed egli parlava di fanciulli indirizzati ad imparare da senno la scienza dei campi) crescano ignoranti di quelle parti dello scibile che fecondano a nobili imprese lo ingegno ed insegnano ad amministrare la cosa pubblica. Io credo per contrario che nessuno meglio di chi è ben inviscerato nel- l'agronomia, sia in grado di impodestarsi di quelle scienze economiche, sociali e politiche che sono veramente utili al reggimento civile delle città e degli Stati. » Prima dunque fa mestieri che i maestri s'intendano di agronomia ; indi, stando a quelle parole, un po' di Economia rurale non fa male a chiunque copra certi impieghi nello Stato, e specialmente a coloro che per coprirli devono stu- diare legge. Il Comizio agrario insiste adunque che presso la fa- coltà di scienze naturali della Università di Padova, sia aperta una sezione di agrayna con autorizzazione di rila- sciare diplomi di dottore in agraria ...» Ad insistere poi mi incoraggiano le parole del chiariss. G. Rosa stampate nell' Italia Agricola a pag. 459, anno XI, N. 20, 31 ottobre 1879 : « Si preferisce avviare i figli tutti dei ricchi proprietari all'Università, perchè diventino avvocati affacendati o sfaccendati, impazienti travetti, me- dici condotti martirizzati. L'italiani hanno urgente l)isogno di rintemprarsi nell'aria libera della campagna, di ritor- nare alle tradizioni che generarono e rinnovarono la ci- viltà e la forza, e di rinnovare la loro agricoltura e le (904) [28] industrie affini togliendole dalla direzione esclusiva di mer- cenari 0 di coloni avviliti o di fittabili fieri per avidità, e recandole nelle mani timoniere dei proprietari. » Né meno m'incoraggia ciò che scriveva il prof. Gior- dano nel Giornale di Agricoltura del Regno d'Italia : « L'a- gricoltura è la scienza dell'umanità tutta intera. Sono inte- ressati a saperla : Il Ministro di Stato, perchè possa con conoscenza di causa, regolare i destini di essa e non regolarla, come dice Destrutt di Tracy, con un tratto di penna ; Il Deputato, per discutere convenevolmente e votare coscienziosamente i progetti di legge che la riguardano ; 11 Consìgìiere municipale e provinciale, perchè possano discutere ed adottare i migliori mezzi per farla progre- dire fino a raggiungere la desiderata perfezione ; Il Magistrato, perchè possa decidere con sapienza le cause ad essa relative ; h' Aì'vocato, affinchè possa patrocinare opportunamente le cause medesime ; L' Ingegnere e 1' Architetto, acciocché possano l)ene esercitare la propria professione ; I cittadini tutti, perchè tutti o quasi tutti hanno bi- sogno di migliorare la propria tenuta per far fronte alle non lievi imposte che gravitano su di essi ; II Governo infine, per non tralasciare mezzo intentato ad accrescere la ricchezza territoriale dello Stato, se vuole appianare il gran vuoto o il gran vortice delle Finanze. » Come la pensi in proposito Gi-andeau 1' ho già detto nella Memoria « Statica Agraria » (V. pag. 10). ITI. A maggior sostegno della mia tesi, mi piace ora ri- cordare i benemeriti che in Germania si diedero all'inse- gnamento dell'agricoltura. [29] (905) Mi servo di quanto trovo scritto nella classica opera in tre volumi : « Volksioirlhschaftlicne Grundlagen und Oekononomik der LaudwirLhschaft », opera dovuta al dott. barone di Goltz prof, a Jena, al dott. Adamo Kràmer prof, a Zurigo nonché al dott. M. Kirchner prof, a Lipsia e pubblicata a Tubingo. Il primo volume, uscito nel 1890, incomincia colla SLoria dell'Economia rurale e tratlainento scienlifìco della dot- Irina deW Economia rurale, dell'insigne barone di Goltz. In essa a pag. 20 è detto come nel secolo XIX 1' Economia rurale della Germania e di tutti i popoli civili subì un com- pleto rivolgimento, parte per l'attività di distinti agronomi teorici e pratici, parte per cangiamenti radicali nella le- gislazione agraria. Il maggior merito n'ebbe Alberto Thaer, il Riforma- tore dell'Economia rurale (figlio del Medico di Corte Gio. Federico). Nato a Celle nel 1752, studiò medicina dal 1770 al 1774 a Gottinga e scrisse la dissertazione per la Lau- rea in medicina : « De actione sistematis nervosi ex fe- bribus. » Egli esercitò la medicina in modo che nel 1780 fu nominato medico di Corte. Giorgio III d'Inghilterra lo nominò nel 1796 Archia- tro della Gran Brettagna. Thaer possedeva ettari 33.52 di terreno. Per amministrare la sua possessione nel miglior modo allora conosciuto, studiò tutta la letteratura agraria di queir epoca, e nominatamente gli scritti ed i successi pratici dei Principi fondamentali di Schubart. Ne apprese poco. Il miglior lavoro per lui era 1' Inviamento (Anlei- tung) al miglioraìncnlo dell' allevamento del bestiame pei' gli agricoltori (Berlino, I78I) di Bergeu. Accidentalmente venne in possesso di opere contempo- ranee di scrittori inglesi di agraria, fra questi di quella di Arturo Young, dalla cui opera apprese che liell' Europa inglese o in Inghilterra esistevano molte varianti (difFe- (906) [30] renze) ; ciò non ostante vi era una agricoltura più alta, superiore a tutte le altre che, modificata secondo il clima e la posizione, si esercitava. L'agricoltura inglese, secondo Tliaer, era superiore per- chè : 1." si basava nella pratica sopra una grande serie di esperimenti che di continuo si ripetevano ; 2.° perchè i risultati delle singole norme agrarie si fissavano in cifre (numeri). Thaer nel 1802 si trovò, per la fama acquistata, co- stretto a dare lezioni di Agricoltura e di farne tenere da Einhof (Provvisore della farmacia in Celle) sulle scienze naturali. Federico Guglielmo III lo richiamò a condizioni favo- revoli in Prussia pei' aprire un Istituto agrario. NeM804 (S. Michele) chiuse l'Istituto di Celle, e con 23 persone passò a Moglin nei beni cedutigli dal Re. Mòglin, presso Francoforte suU'Oder a 7 miglia di di- stanza da Berlino, nel 1796 rendeva 1000 talleri, 25 anni dopo 20000. Apri la Scuola nel 1800 ; la battaglia di Jena ridusse gli allievi a 3; nel 1809 erano 160. Nominato nel 1810 professore straordinario nell' Uni- versità di Berlino, si dimise nel 1819 ; dava le lezioni d'inverno a Berlino, d'estate a Moglin ; Nel 1808 morì Einhof e nel 1813 il successore di Einhof che era Crome. Thaer voleva rinunciare all'insegnamento, quando il figlio più giovane Alberto Filippo, ritornato dalla guerra di libertà con un braccio spezzato da arma da fuoco, ri- nunciò alla carriera militare ed assunse il posto di aiuto di suo padre in Mciglin. Il padre fu nominato nel 1809 Consigliere di Stato al Ministero dell'Interno, conservando la sua residenza in Mo- glin ; nel 1810 Intendente generale dei regi ovili di razza; poi Consigliere intimo di guerra e Membro dell' Accade- [31] (90?) mia delle scienze con libertà di censura e col permesso di esercitare medicina. Nel 1826-27 passò l'inverno in letto, tenendo ancora lezioni ; mori il 25 ottobre 1828. Thaer separò l'economia parale dalla scienza camerale. Dimostrò, per tutta 1' Economia rurale e le singole sue parti, come esse, in base a fatti ed esperimenti, sieno a trattarsi, approfittando dell'Economia nazionale e della Storia naturale, in modo corrispondente alle giustificate richieste teoriche ed ai bisogni pratici. 11 metodo da lui battuto per investigare 1' Economia rurale servirà di norma per tutti i tempi. Secondo Thaer un impresa rurale è un tutto organico connesso, le cui singole parti devono completarsi. Dimostrò contemporaneamente il rapporto d' indipen- denza nel quale stanno i diversi mezzi dell'impresa. Fu il primo che spiegò teoricamente le dottrina de- gli avvicendamenti, e che diede la guida per la loro ap- plicazione pratica. Insegnò ai contadini la contabilità agraria. Allievi diretti e indiretti di Thaer erano : ^chwerz nato li 11 giugno 1759 a Coblenza. In origine destinato al sacerdozio (Gesuiti), passò poi maestro privato a S. Goar 1780, e nel 1783 dai figli del conte Renesse, il quale aveva domicilio in una possessione vicino ai confini del Brabante. Dal 1801 al 1804, compiuta l'educazione degli allievi affidatigli, si occupò dell'ammini- strazione dei beni Elderen presso Tongern ; nel 1805 se ne parti dalla casa del conte Renesse. Studiò le opere del Belgio, di Arturo Young, di Thaer. Viaggiò nel Brabante e nella Fiandra. Nel 1810 fu chiamato a Strasburgo per il migliora- mento delle condizioni economico-morali di quelle popo- lazioni. Fu ispettore delle piantagioni imperiali di tabacco, e (908) [32] la sua attività si spiegò m tutta l' agricoltura generale dell'Alsazia. Nel 1816 pubblicò la descrizione deireconomia rurale dell'Alsazia inferiore. Nel 1812 e nel 1815 fu a Hofwyl presso Fellenberg che sostituì per qualche tempo nell'insegnamento agrario. Nel 1814 ritornò in patria (Coblenza). Nel 1816 fu consigliere del governò al servizio della Prussia, ed ebbe l'incarico di viaggiare nella provincia del Reno e nella Vestfalia per informare sulle condizioni eco- nomico-rurali di quelle provincie e per proporre riforme. In questo incarico impiegò due anni ; dei suoi rapporti ufficiali passò degli estratti negli Annali di Thaer, estratti che vennero raccolti nel 1836 in 2 volumi sotto il titolo di Descìnzione dell'Economia rurale della Vestfalia e della Pi'ussia Renana. Nel 1817 Guglielmo di Wiirtemberg gli affidò l'Isti- tuzione dell' Accademia agraria di Hohenheim, nonché l'Am- ministrazione dei beni che le appartenevano e che vennero coltivati secondo i principi recenti più razionali. Nel 1823 pubblicò : L'inoiamento alV agricoltuy^a pra- tica, in tre volumi : il 1.° comparve nel 1823, il 2." nel 1825, la prima parte del 3.° nel 1828; la seconda parte comparve nel 1845 per opera di Pabst. Mori r 11 dicembre 1829 in patria ove spiegò la sua attività ed impiegò le sue ricchezze a scopi di beneficenza e cristiani. Schwerz fece per la Germania occidentale e S. 0. quanto Thaer nel Nord per l'impero Germanico. Koppe nacque il 21 gennaio 1782 a Beesdan presso Luckau provincia di Brandeburgo ; era figlio di un giorna- liere di campagna possidente. Aiutato da una zia frequentò dal 12.° al 16.° anno la scuola comunale di Llibben ; nel 1797 passò per apprendere su un podere del conte Solms. Nel 1800 il maggiore dei Thiimen gli affidò il posto [33] (909) di amministratore nella possessione di Gràfeiidorf presso luterbog. Nel 1807 si recò a Moglin presso Thaer : nel 1811 fu suo aiuto nell'amministrazione e nell'insegnamento di Moglin. Ebbe molte cariche. Nel 1850 la facoltà filosofica di Berlino lo promosse doctor honoris causa. Nel 1812 scrisse in Moglin l'opera: Istruzione sulla coltura dei campi e sidV allevamento del bestiame. Questo lavoro era destinato a rendere intelligibili i principi di Thaer a mezzo di una esposizione semplice, facile ad essere com- presa anche dai proprietari di campagne. La prima edi- zione uscì nel 1812. Lo stesso volle raggiungere colla seconda pubblicata nel 1818. Scorgendo però che i con- tadini non leggevano o non capivano il suo libro, nella terza del 1829 offriva ai giovani agricoltori una guida per amministrare beni di qualche estensione. L' ultima edizione, la nona, lui vivente, usci nel 1861 ; anche morto, la sua opera fu ristampata senza modificazioni; l'il.^ comparve nel 1885. Ancor oggidì V istruzione di Koppe è il modello di una esposizione chiara, semplice, basata sui bisogni pratici delle dottrine di Economia rurale. Koppe dal 1814 al 1827 amministrò i beni di Eckard- stein nella Marca; nel 1827 prese in affitto la posses- sione Wollup, e nel 1836 la possessione Kienitz ove apri nel 1837 una fal)brica di barbabietole. A merito dèlia buo- na amministrazione e dell'aumento dei prezzi dei prodotti agrari egli arricchì. Nel 1842 acquistò dal figlio del suo già principale i beni di Beesdau e Kienitz fissando la sua residenza nel 1848 in Beesdau, cedendo l'amministrazione subito e nel 1860 anche la conduzione per affitto dei beni Wollup e Kienitz ai suoi due figli più giovani. Lo si deve associare ai grandi riformatori dell'Econo- mia rurale, avendo dato alle dottrine di Thaer una forma che le rese intelligibili ed aplicabili senza mostrarsi un cieco adoratore del suo Maestro. T. V, S. VII 60 (910) [34] Un altro merito di Koppe sta nel fatto che egli sa- peva applicare le nuove teorie dell'Economia rurale pra- ticamente in una estensione e con successo non raggiunti dai suoi contemporanei. Morì il 1.° gennaio 1863. Giovanni Bur g er na,cc[i\e il 5 agosto 1773 a Wolfsberg (Carinzia). Figlio di un chirurgo studiò chirurgia ; fissò la sua residenza in patria nel 1793. Indi studiò medicina a Vienna e Friburgo, e fu pro- mosso presso quest' ultima università dottore nel 179(S. Esercitò medicina nel paese nativo occupandosi contempo- raneamente di giardinaggio e di agraria. Nel 1803 prese in affitto 20 jugeri (ossia ettari 11.5100) di terreno, v'introdusse la marra a cavallo, l'estirpatore, la seminatrice a file, e si occupò della coltura del mais. Tradusse il Tableau de V ngriculture de Toscane sotto il titolo: «Quadri dell'economia rurale toscana» (Tubinga 1805). Nel 1808 era professore di economia rurale al Li- ceo di Klagenfurt, ove più tardi insegnò anche veteri- naria. Nel 1812 acquistò la possessione Harbach presso Kla- genfurt. Dal 1829 in poi fu consigliere di Governo a Trie- ste ; più tardi fu impiegato a Vienna per dirigere il catasto Lombardo-Veneto e dell'Austria inferiore. Mori il 28 gen- naio 1842. Scrisse : Viaggio nell'Italia Superiore, con riguardo allo slato d'allora dell' agricoltura, due edizioni 1831-43, ed in Klagenfurt V Economia rurale, che ebbe quattro edi- zioni (1819-20-23-38). Quest'opera, lodata da Thaer, fu tra- dotta in francese, russo, polacco e svedese. Alberto Block, nato il 15 marzo 1774 a Sagan, morì a Carolath nel 1847 il 21 novembre. Si dedicò dalla sua gioventù all' agricoltura ; " più tardi prese in affitto ed acquistò diversi beni nella Sle- sia. Come scrittore si mostrò attivo nella partita conta- bile ; il lavoro suo pi-incipale fu : Comunicazioni di espe- [35] (911) rienze agrarie. Vedute e basi (3 volumi in 2 edizioni, la prima dal 1820-34, la seconda dal 1837-39) ed è una eccellente guida per T insegnamento dell'amministrazione e della tassazione. Giov. Fed° Schmalz nato il 25 gennaio 1781 a Wil- denborn presso Zeitz ; mori il 23 maggio 1847 a Kussen nella Prussia orientale. Si dedicò a tempo all' economia rurale. Fu impiegato amministrativo, indi affittavolo. Dal 1818 al 1826 pubblicò le Comunicazioni di Eco- nomia ìntrale, delle quali uscirono tre volumi. 1 suoi grandi successi nell'agricoltura pratica lo fecero chiamare dal Governo Prussiano nella Prussia orientale per istituire nella possessione Kussen, nella Lituania, un podere mo- dello. Nel 1829 passò professore di economia e tecnolo- gia all' università di Dorpat. Nel 1845 si ritirò di bel nuovo a Kussen. Della sua opera : Esperienze agrarie uscirono, dal 1814 al 1842, sette volumi. Schweitzer Augusto Goffredo, nato il 4 novembre 1788 a Naumburgo. Giovane si dedicò all' Economia rurale. Studiò nel 1807-8 presso Thaer a Miiglin ; viaggiò molto in Germania e nella Svizzera; assunse l'amministrazione del podere Mosen presso Ronneburg e contemporanea- mente fu affittavolo del podere camerale Mildenfurt (Wei- mar). Con Koppe ed altri pubblicò le ricordate « Comuni- cazioni di Economia rurale. » Nel 1829 fu chiamato a di- rettore della nuova sezione agraria dell'accademia di Tha- rand, dove già esisteva una scuola forestale (cui Cotta diede vita come istituto privato, che però dal 1816 fu dichia- rato istituto dello Stato). A Tharand rimase sino al 1846 nel quale anno as- sunse l'istituzione e la direzione dell' accademia agraria aperta a Poppelsdorf presso Bonn. Depose la sua carica per ragioni di salute nel 1851, e mori a Bonn il 17 lufflio 1854. (912) [36] Schweitzer era attivissimo come scrittore seguendo le idee del maestro Tliaer. Egli pubblicò: 1.° // libro dcW insegnamento dclC E- conomia rurale in (juattro edizioni. La prima nel 1831-34, ad uso delle prelezioni; delle altre tre, l'ultima nel 1854; 2.° Inoiamento all' impresa agrario, ordinato conforme le quattro stagioni (due voi. 1832-33); 3.° Esposizione del- l'agricoltura della Gran Brettagna (due voi. 1839, se- guendo l'opera inglese: The Critisch Husbandry). Thunen Giov. Enr°, nato sul podere Kanarienliaus di suo padre a leverlande il 24 giugno 1873. Dal 1799 in poi studiò prima agricoltura pratica, indi l' agricoltura parte teorica nell' Istituto agrario di Flottbeck presso Al- tona, e frequentò nel 1803 in Celle per un semestre le lezioni del Tliaer; nel 1803-4 si occupò di scienze naturali e di Stato a Gottinga. Nel 1836 fu promosso doctor honoris cavsa dalla facoltà filosofica di Rostock. Nel 1848 venne eletto nel Parlamento tedesco. Non potè per ragioni di malattia eser- citare il suo mandato. Nel 1806 dopo il suo matrimonio prese in affitto il podere Rulkow presso Anclan ed acquistò il podere Tellow nel Meklembui'ghese, ove rimase sino al 1850. Mori il 22 settembre 1850. Scrisse : « Lo stato isolato in rapporto all' Economia 7^ur ale e politica. \\ primo volume, 1.'*^ edizione 1826 e 2.'* edizione 1842 portava ancora il titolo speciale: «Ricerche suir influenza che i prezzi dei cereali, la ricchezza del suolo e le imposte esercitano sull'agricoltura. » Nel 2.° volume, prima sezione Thiinen pubblicò: « Il salario nor- male ed il suo rapporto all' interesse ed alla rendita. » Collo stesso titolo Schumacher pubblicò la 2.^ sezione nel 1863, e nello stesso anno la 3.* sezione : « PìHncipt fondamentali per la determinazione della rendita dei terreni, e del Datore del legname nei boschi d'abete. [37] . (913) Secondo Roscher fu il più grande Economista esatto della Germania. Carlo di Wulffen nato il 1.° dicembre 1786 a Wuticke presso Kyritz nel Priegnitz. Entrò come gentiluomo di campagna (Junker) nel Reggimento Re a Potsdam nel 1800. Chiese un permesso nel 1806 e studiò economia rurale pra- tica, indi la teorica in Moglin ; nel 1810 fu congedato in qualità di ufficiale. Percorse la Germania, la Svizzera, la Francia ed i Paesi Bassi. Nel 1813 rientrò ufficiale nel servizio militare: fece le campagne del 1813 sino al 1815, ed ultimamente come comandante di battaglione. Nel 1816 domandò ancora il congedo ; da quell'anno si dedicò totalmente all'agricoltura. Mori nella possessione Pitzpuhl, ereditata dal padre, il 23 aprile 1853. Come agricoltore pratico raggiunse grandi successi a merito dell' introduzione del lupino in terreni magri e si- licei. Si procurò fama dal lato scientifico coi lavori sulla statica agraria, nella qual partita egli era senza dubbio la prima autorità di quei tempi. Già nel 1815 pubblicò la memoria, compilata durante la guerra : Tentativo di una teoria srd rapporto del raccolto rispetto alla ricchezza e po- tenza del suolo. Più tardi usci un suo Trattato della sta- tica agraria nel 1830 ed il Progetto di un inetodo per il calcolo dei sistemi agrari. Tutti gli autori ricordati od erano esclusivamente a- gronomi pratici, oppure esercitavano la pratica agraria as- sociata ad un' altra occupazione. Giusto Liebig, nato a Darmstadt il 12 maggio 1803, era tìglio di un droghiere. Nel 1818 passò apprendista in una farmacia a Heppencheim, ma ritornò presto nella casa pa- terna per prepararsi alla frequentazione dell' università di I)Onn e poi di Erlangen allo scopo di studiare chimica. Per perfezionarsi si recò nel 1822 a Parigi, ove insegnavano Gay Lussac e Thènard, ed ove destò l'attenzione di Ales- sandro di Humboldt; fu professore straordinario di chimica (914) [38] air Università di diessen nel 1824. Nominato effettivo nel 1826, rifoi'mò il laboratorio che divenne il più frequentato in Germania, il piìi rinomato in Europa. Nel 1843 fu creato barone. Giusto Liebg mori il 18 aprile 1873. Schulze barone Giovanni nacque il 28 gennaio 1795; figlio del proprietario del podere signorile di Obergiivernitz e del podere conventuale G()risch poco lontani da Meiszen. Fece il ginnasio a Pforta, e passò nel 1813 per studiare legge, all' Università di Lipsia. Nei primi due anni si de- dicò agli studi legali, ed essenzialmente alle scienze natu- rali, alle cameralistiche, alla filosofia. Il padre, secondando r inclinazione del figlio, lo prese come apprendista nella propria amministrazione. Nel 181(5 si recò a Jena nell'Istituto agrario di Sturm, la cui sede durante 1' inverno era in Jena e durante 1' e- state nel bene camerale di Tiefurth presso Weimar. Dietro raccomandazione di Sturm. Schulze fu nominato nel 1817 amministratore superiore di tre beni camerali, sui quali r Arciduca Carlo Augusto aveva istituiti dei poderi modelli. Nel 1819 si abilitò docente privato di Economia rurale e politica all'Università di Jena; nel 1820 vi fu nominato professore straordinario di Economia rurale e politica. Nel 1825 pubblicò la monografìa sull'essenza e lo studio delle scienze amministrative e camerali, specialmente sulla base scientifica dell'Economia rurale, ed anche dell'insegnamento forestale, montanistico, sotto l'aspetto commerciale e tecno- logico a mezzo dell' Economia politica. Secondo Schulze 1' agronomia è da considerarsi al pari di qualsiasi scienza industriale appartenente alla scienza camerale, alle scienze razionali applicate, dette anche scienze di esperimenti, scienze teoi'etiche, teoria. Essendo quella (jualsiasi attività industriale una attività dell' uomo rivolta sugli oggetti della natura esterna, cosi le norme per que- ste come per 1' attività agraria devono derivarsi parte dalle scienze naturali, parte ed in modo speciale dall' economia politica. [39] (915) L' istituto di Schiilze per i suoi successi destò 1' atten- zione del ministro Prussiano Di Altenstein, il quale propose d' istituire dietro il modello di Jena un' accademia di Eco- nomia politica e rurale, incaricandolo della direzione. Schulze accettò l'invito ed apri la nuova accademia in Eldena nel 1835, ritirandosi nel 1839 dal suo nuovo posto per por- tarsi a Jena in qualità di professore d' Università, cioè di- rettore di queir Istituto agrario. Mori il 3 luglio 1860. Il barone di Goltz, a quanto si disse, aveva premesso lo sofluppo dell' economia vìirale dai tempi più remoli sino alla fine del XVIII secolo. Egli incomincia : < Le più antiche notizie sull'imprese agrarie dei tedeschi l' ebbimo col mezzo di Cesare e di Tacito .... » .... Si deve assumere con bastevole certezza che, incominciando presso a poco dall' Vili secolo, il sistema pastorale venne lentamente sostituito dal sistema granifero con avvicendamento triennale . . . » .... Il Capitidare de villis di Carlo il Grande in- forma che già allora in Germania si aveva un numero di vegetabili dei campi e dei giardini maggiore di quello che si coltiva attualmente. » Sullo sviluppo dell' Economia rurale tedesca, nei primi secoli del medio-evo, fu l' Economia rurale dei Ro- mani di una influenza tale da servire di norma. » Nelle parti occidentali e S. 0. della Germania erano domiciliati molti coloni romani. Col loro mezzo i tedeschi appresero 1' Economia rurale romana già di molto progre- dita, e trasportarono molte delle sue pratiche nelle loro imprese. » La Germania deve ringraziare la coltura di molte piante all' influenza dei vicini meridionali ed occidentali ; valga lo stesso quanto al sistema granifero, e, se allo svi- luppo progrediente dell' Economia rurale dei tedeschi con- (916) [40] tribui essenzialmente la Francia (Gallie), nella maggior parte della Francia era la coltura romana diffusa già da secoli . . . > ... Se però sino al principiare dal XIX secolo il sistema granifero coli' avvicendamento triennale era il più diffuso, nei benifondi dei grandi signori, dei conventi e nelle vicinanze delle città come Francoforte, Erfurt, Norimberga, Magonza, si aveva ancora dal XIII secolo in poi una coltura estesa di frutta, legumi, viti, piante oleifere, piante tintorie ed altri prodotti che costituivano la base di un commercio grandioso sviluppatissimo. » Goltz, che ci dà i nomi, e li abbiamo citati, dei più distinti agronomi della Germania del secolo XIX, ricorda pure con onore l'Italia dei secoli che lo precedettero. 1 meriti della Germania nel far progredire 1' Economia rurale sono espressi anche dall' illustre Gabriele Rosa (i). Basterebbero quelle poche pagine della sua vStoria del- l' agricoltura nella civiltà per darci un' idea del carattere dell' autore, della sua somma lealtà ; non v' ha parola da cui possa trasparire gelosia, antipatia ; Egli, anche in quel magistrale lavoro, vuole fratelli tutti i popoli, ed è facile convincersi da quel poco che si riporta. Difatti nel Capo XXXIII, in cui parla del risveglio della coltura europea, egli scrive : « Il seme sparso dal Crescen- zio trovò terreno ben disposto a riceverlo ed a farlo frut- tificare onde lo scritto di lui fu dei primi diffusi per le stampe nel 1470. » La stampa, fuggita dalla Germania in causa della guerra, riparò in Italia nel 1465 a Roma, a Bologna, a Brescia, ed altrove, specialmente presso le fabbriche di carta, ed a Venezia già nel 1470 s'impiegò a pubblicare riuniti i trattati di agricoltura (de re rustica) di Catone, di Varrone, di Columella, di Palladio, dei quali trattati si fecero 36 edizioni che si sparsero in tutta F Europa civile e che val- sero a suscitare 1' amore dell' agricoltura . . . (1) Milano, Emilio Quadrio, editore. Piazza del Duomo, 43 (1883). [41] (917) » .... Alla Germania, all' Inghilterra, alla Francia già rideste alla vita intellettuale per le scuole fondate a Ma- gonza ed a Parigi da Carlo Magno, per la coltura portata a Francoforte, ad Augusta, a Vienna, a Norimberga dalle principesse venute da Costantinopoli e dai mercanti vene- ziani, per gli stadi dei monaci di Cluny, di S. Gallo, di Kfulda. di Klosterneuburg, recarono grande impulso e co- piosi materiali di sviluppo, materiale morale le crociate . . » Nel capitolo XXVI è detto : « I semi agricoli appresi dai Germani e sparsi sul Baltico e nella Scandinavia de- rivavano dalla Grecia o da Roma massimamente . . . » ... La coltura della vite si era spinta sino nella Brit- tania, poscia, colà ed anche nella Germania era mantenuta dalla cura dei monaci (1551)... »... Per le vigne continuavano le buone tradizioni romane, che consigliarono al conte del Reno di ordinare che a suo tempo si scalzassero, si potassero, si colmassero, e si zappassero le vigne: e nel 1300 un'ordinanza esigeva che le viti fossero monde dall'erbe, ed ogni otto anni con- cimate . . . » La torba (lorf) già da antico usata, vi diminuiva il bi- sogno della legna, alla quale poi si andò dal 1195 surro- gando anche il carbon fossile a Liegi, ad Hagenau, a Namur. L' antico costume germanico di riparare nelle pa- ludi, avvertito da Tacito, aveva famigliarizzato quelle genti non solo colle torbe, ma anche colle costruzioni palustri, per le quali ancora nel 1177 avevano speciali fabbri detti Broel-machere, e le chiostre Broel furono ripetizione dei Broletti delle città nella valle del Po . . . »... Dopo che gli Ottoni imperatori della Germania dal 962 al 1009 stettero in Italia, che si imparentarono con la corte di Costantinopoli, dopo il ritorno dei crociati dal 1100 al 1150, e dopo che i Hohenstaufen dal 1155 al 1265 diventarono semi-italiani, anche nella Germania si ridestò lo spirito di libertà cittadina e popolare a vantaggio del- l' agricoltura . . . (918) [42] » ... Le frequenti correlazioni della Germania colla valle del Po, i molti ecclesiastici e mercanti che dall'Italia salivano alla Germania, dove la fiera di Norimberga era frequentata dai Veneziani, apportarono lassù anche prati- che d' irrigazione dei prati. Anton trovò dopo il 1200 molti documenti di opere idrauliche per migliorare prati sterili . . » Nel Capo XLIl (Risorgimento della Germania nel secolo XV IT) il Rosa scrive: « La Germania nel secolo XYll fu agitata profon- damente da guerre e da rivoluzioni, che ne prepararono le energie pel rinnovamento del secolo posteriore. » Fra le agitazioni politiche e religiose, poco vi si at- tese al progresso agricolo, al quale fu d' impulso solo il libro di Giovanni Coler dal titolo Oeconomia ruralis et do- mestica edito a Wittemberg nel 1593 e replicato con pa- recchie edizioni sino al 1711. » Il Borgomastro Luigi Liger imitava nel 1700 il Co- ler pubblicando C Economie generale de la campagne. » Chesius, ambasciatore austriaco nell' Olanda, im- portò due patate in Germania nel 1601 ; a Parigi se ne seminarono nel giardino reale nel 1616; nel Baden (1695) si pubblicò ordinanza per le decime sulle patate. » Kudìi nell'alto Erzgebirg nel 1719, per salvarlo dalla carestia, dal pulpito ne raccomandava la coltura. > Le patate si trovano dal 1708 al 1737 diffuse in Scozia, nel Meklembourg, nel Wiirtemberg, in Irlanda, Sas- sonia, in Baviera, Svezia, Prussia, Finlandia, Slesia, e già nel 1737 se ne estraeva amido ed acquavite. >' Il progresso agricolo si sviluppò in Germania colle patate e colla silvicoltura, introdotta questa da Carlowitz coir opera : Sylmcoltura Aeconomica pubblicata a Lipsia nel 1713, mentre per semi e pianticelle si moltiplicavano r acacia americana (da Robin introdotta nel 1635 nel giar- dino delle piante a Parigi) ed il larice nativo delle Alpi. » Per la pace d'Aquisgrana nel 1748, Federico II il Grande, imitando i francesi, fece divulgare nel 1759 il 13 [43] (919) aprile istruzioni popolari per migliorare i lavori dei campi, per la cura dei bestiami e dei pascoli. » Nel 1759 comparve a Berlino 1' introduzione allo studio dell'Agraria di I. G. Leopold. » Nel 1759 Scliroder introdusse nell'Alzazia il trifoglio pratense venuto, coi rifugiati per guerre di religione, dalla Fiandra. » Schubart Giovanni Cristiano lo fece accettare in Austria nel 1770, e lo propagò (3 anni dopo in Sassonia. Giuseppe II nel 1779 lo nominò Conte del Trifoglio (Klee- feld). Nato in Sassonia nel 1734, mori il 1787, viaggiò molto per riformare i Franchi muratori, diffuse la stabula- zione estiva in sostituzione al pascolo vago. » Mayer di Kupferzell insegnò a sporgere il gesso sui prati, e Schwer-z lo chiamò apostolo del gesso. » Vienna gareggiava con Berlino, nel moto agricolo, attingendo stimolo ed indirizzo dall' Italia per le relazioni con Venezia, Firenze e Milano; mentre Berlino manteneva correlazioni maggiori con Anversa, Londra e Parigi. » A Vienna nel 1732 comparve il libro popolare di Wiegaud : V Agricoltore bene istruito. » Mitterpacher Lodovico Ignazio, professore a Buda, pubblicò l'opera: Elernenta rei nfsticae (Buda 1779-1794), che nel 1784 venne tradotta in italiano e diffusa nel Ducato di Milano per ordine del Governo austriaco con note in- torno la coltivazione dei prati, delle marcite, dei bachi da seta, degli olivi e del riso. » In Germania alla comparsa dei libri gareggiava la fon- dazione di Società agrarie cominciate con quella Teresiana d'Economia a Vienna nel 1752, alla quale seguivano le So- cietà agrarie di Weisensce nel 1762, di Halle nel 1764, di Lipsia nel 1765, di Breslavia nel 1772, di Celle nel 1780. » Beckmann pubblicava verso la metà del secolo XVIII un libro che ebbe tre edizioni in 24 anni. Egli introdusse l'agricoltura nell'agronomia, dichiarando necessario di sus- sidiarla collo studio scientifico della botanica, della storia (020) [44] naturale, della mineralogia, della chimica ed anche della storia dell'agricoltore. Beckmann notò l'uso delle colmate, del debbio, dello scavo della torba, e non voleva nella Germania la viticoltura dichiarandola in quei paesi opera di lusso. » Dice che il Mais era coltivato nell'Alzazia e nel Palatinato; lo consiglia alla Germania per ricchezza e bontà di prodotto; dimostra più utile allevare i buoi che com- prarli, e che lungi d^lle città torni meglio produrre carne che latte. Il principe dell'agricoltura germanica nel secolo XVIII fu Thaer nato (e lo sappiamo) nel 1752. Il governo Prussiano comprese l' importanza dell'agri- coltura per la prosperità dello Stato, ed, indovinando i germi della sua mente, gli concesse nel 1796 il podere Mr)glin, onde gli servisse per esperimenti, per esercitazioni, per modello. Quel podere, coltivato da lui, diventò la prima Scuola d'agronomia della Germania. Thaer congiunse quel secolo col successivo che pure illuminò ...» E nel capitolo XLV, ove tratta dello « Sviluppo del- l'agronomia Germanica », che parla ancoi'a di Thaer, ben inteso sempre con lode, e continua: « Al moto agricolo germanico nel principio di questo secolo (1800) contribuirono molto eziandio Giovanni von Schwerz (1759-1794), Giovanni Burger (1773-1842), Fi- lippo Fellenberg (1771-1824), i-iportandone i meriti. Rosa cita anche Wenkerlin di Stoccarda promotore specialmente di perfezionamenti nella bestiecoltura, ed Enrico Pabst dell'Assia, successore di Schwerz, iniziatore dei Congressi agricoli. E, sempre Rosa, dice che l'associa- zione del bestiame all'agricoltura e lo studio scientifico del bestiame in nessun paese ebbe sviluppo sì rapido e vasto come nella Germania nel secolo XIX, dove sulle orme di Wenkerlin si misero : Guglielmo Hamm di Darm.stadt [45] (921) autore dell'opera : Belehrung ùhi'v alle Zioeige der Vieh- Zucht, che il governo riif5so nel 1860 fece tradurre in russo e dispensarne trecentoniila esemplari ; Enrico Settegast di Konigsberg autore delia rinomata opera: Allevamento del bestiame della quale comparve la terza edizione nel 1872 e più tarrli altre aumentate e migliorate tradotte pure in Italia; Fraas che fondò a Monaco scuola veterinaria: Giulio Kuhn che sino dal 1858 insegnò a Berlino l'applicazione della microscopia per studiare le malattie delle piante; Carlo Fraas botanico della Franconia, stato nella Grecia, che conciliò l'agricoltura colla selvicoltura: Guglielmo Hamm disegnatore che propose ai Tedeschi ad imitare le macchine con libro, la cui seconda edizione porta 711 di- segni, libro che in breve si diffuse tradotto in francese, in olandese, in svedese, tanto si stimò utile; Crusius che pro- vocò la fondazione delle stazioni agrarie scientifiche di prova, sull'esempio dell'Inghilterra: Giulio Adolf Stock- hardt di Meissen, stato farmacista come il grande Giulio Liebig che precisò i principi di economia rurale; Giusto Liebig di Darmstadt (1803-7i^) che insegnò a Monaco colla chimica la teoria del risarcimento alla terra, seguita da Settegast, perfezionata poi praticamente da Ville a Parigi. » La Germania e l'Austria vantaggiarono in questo secolo tutte le nazioni nella teoria e nella pratica fore- stale. » Da tali progressi agricoli la Germania raccolse i mezzi di mantenere validamente il grande esercito di un milione d' uomini e cento mila cavalli nella guerra del 1870-71, e l'Austria pei prodotti agricoli potè alimentare quelle industrie e quei commerci che la trassero a nuova vita dai disastri delle guerre dal 1848 al 1868. » (922) - [46] IV. Quanto il Goltz andò esponendo sui pi'ogressi dell'agri- coltura in Germania, si trova in stretta relazione con ciò che r Italia aveva precedentemente insegnato. Ci sia ancor di guida il Rosa. Egli nel Capo XX, dell'opera più volte citata, ove parla del prhno sviluppo della coltura romana, cosi si esprime : « . . . Sino dalle origini i Romani adoratori di Minerva, di Sabino e di Saturno, praticarono anche la coltura degli alberi loro sacri : e prima che l'opulenza ed il fasto dei magnati facesse scomparire le piccole proprietà nel centro d' Italia, stendendovi vaste villeggiature ed amplissimi pascoli preparatori del deserto della campagna romana, gli agricoltori romani avevano resa intensa l'arte loro, e coltivavano con grande profitto orti, frutteti e giardini persino nella metropoli, ed a Terni avevano prati artificiali da quattro tagli annuali. » Dalle prische tradizioni dei Romani che furono effi- caci sulla coltura e sulla vita loro, è monumento insigne un breve libro scritto da Marcio Porcio Catone, disceso da Tuscolo, ora Frascati ne Sabini. Libro che è come un tessuto di proverbi agrari. »... Catone erasi educato alla prisca rigidità sabina e latina, e mori quando appena incominciava l'alluvione delle letterature greche. Il catechismo agrario di Catone è schietto romano, senza imitazione delle idee e degli scritti dei Greci. » ... Fu Catone che scrisse : «Fra gli agricoltori produ- consi gli uomini più forti ed i militi più valorosi, il loro mantenimento è minimo, ma stabile e non desta invidia ». . . » Egli poneva Y Economia base del buon governo della città e dello Stato ... » Ammonisce l'agricoltore a non insuperbire delle sue [47] (923) pratiche, con spregio dell'esperienza altrui, dicendogli : bada di non disprezzare orgogliosamente l'altrui disciplina . . . » Già i Romani non solo avevano stalle; ma, per la salubrità del bestiame e per 1' uso dello stallatico, apprez- zavano la diligenza raccomandata da Catone . . . » Catone chiedesi : « In che consiste la prima opera per coltivare bene la terra? e risponde: arare bene; qual'è la seconda? arare; e la terza? concimare. » Perchè poi tali lavori riescano perfetti, consiglia di nutrire bene bovi aratori, ed operai, ed a questi raccomandava avessero due vesti. Ed ecco indicato come già sino d' allora gli operai rurali usavano la polenta oltre il pane, fatta allora con farina di miglio e di orzo. Loro fa dare anche vino, onde se ne argomenta l'abbondanza. Ma il vino per gli operai non era il prelibato, bensì un vinello fatto con le uve scadenti rifiutate nella vendemmia. Nel cap. XXI, trattando dell' apogeo della civiltà Ro- mana, scrive : «... Per le conquiste romane vennero da ogni paese intorno il Mediterraneo in Italia altri nuovi frutti, ed altre pratiche agricole. »... Fra le discipline che i Romani appresero allora dai Greci, distinguonsi perfezionamenti nell'agricoltura, rispec- chiati specialmente negli scritti di Varrone vissuto tra gli anni 116 e 27 a. C. e di Columella morto 42 anni dopo C. » Marco Terenzio Varrone aveva greggi di pecore nel- l'Apulia, mandre di cavalli nella valle di Rieti ; era più dotto di Catone, ma meno pratico e meno semplice. » Vi è citato, oltre Varrone Columella che durante r impero di Claudio scrisse 12 libri di cose agricole e la opera fu stampata primamente a Venezia nel 1470, indi tra- dotta in italiano, in tedesco, francese, inglese . . . Sino dai suoi tempi i rustici facevano pane di miglio, e con miglio, panico e latte preparavano poltiglia ; ma egli raccomandava piuttosto la fava ; citando Celso che consigliava di semi- nare il fieno nelle fave per averne secondo prodotto, come ora dal trifog-lio seminato nel frumento, dice : non è da (924) [48] agricoltore prudente d'aver più cura del foraggio che del cibo umano, mentre il foraggio si può ottenere coi prati, e la fava riesce meglio se zappata tre volte ad intervalli. « Columella dà pure molti altri consigli, Columella era spagnuolo, Cajo Plinio Secondo invece veniva da Como, da quella parte d'Italia che Tacito chiama fiorentissima, perchè la più ubertosa ed insieme la più energica ed altrice di forti ingegni, onde contemporaneamente diede alla let- teratura ed alla civiltà romana Virgilio di Mantova, Livio di Padova, Catullo e Cornelio Nepote di Verona, Plinio di Como, dove il di lui nipote ebbe la splendida villa tuttavia detta Pliniana. Nel capitolo XXXII tratta della irradiazione della dottrina agraria italiana , esprimendosi come segue : « Le scuole settentrionali rinnovavansi per trapiantamenti dall' Italia. Carlo Magno fondò gli studi di Parigi chia- mandovi dall'Italia alcuni dotti, ed iniziò le matematiche a Magonza col mezzo dell'ebreo Calonimos condottovi da Ro- ma. E la scuola di medicina di Montpellier è figlia di quella di Salerno. Quando 1' Europa era ancora tutta feudale, in Italia molte città avevano emancipati i contadini, costretti i nobili a pigliare dimora fra le cerchie urbane, ed elevato le classi operaie a reggitrici della Repubblica. Alloi*a, dalle università di Bologna e di Pavia massimamente, escivano sciami di giureconsulti chiamati a redigere e riformare Statuti di città e di comuni rurali, ed a governare Repub- bliche come Podestà, Consoli, Giudici, Avvocati, Sindaci. Allora le repubbliche italiane arrichivano per l'esportazione ad alti prezzi de' suoi prodotti agricoli speciali, nonché di quelli di transito venuti dall'Oriente, e colà mandati dai po- poli settentrionali, e de' suoi prodotti manufatti. Onde Mar- tin da Canale nel 1267 scrisse che a Venezia le mercanzie correvano come l'acqua nelle fontane. Allora Firenze aveva dieci mila scolari, coniava quattrocentomila fior, d' oro, e produceva settantacinque mila pezze di panno fino e cen- tomila pezze di grosso annualmente, mentre Milano prepa- [49] (925) . rava le armature più fine pei cavalieri europei, e Bologna forniva canapi a tutte le marine mediterranee. » Fra i prodotti più utili all'Italia era il vino, laonde Borgondione di Pisa nel 1137, essendo a Costantinopoli, tra- dusse in latino per guida ai suoi connazionali quella parte delle geoponiche che riguardava la viticoltura. Pier Cre- scenzi di Bologna scriveva la Summa Agricoltiuxe che può dirsi il Codice agrario europeo del medio evo. » Pier Crescenzi era di famiglia antica Bolognese ; studiò diritto a Bologna e poscia accompagnò nella qualità di giudice molti podestà in varie città d'Italia. Somigliò Varrone per la dottrina teorica e per la pratica, ed anche per la longevità, perchè nato nel 1232 e morto nel 1320 campò 88 anni. » La Sì Imma di Crescenzio ebbe grande celebrità, appena esci nel pubblico, giacché rispondeva, coi modi pra- tici di chi era educato alla vita popolare, a bisogni viva- mente sentiti di rinnovare la vita pubblica e privata, di riaccendere la face della civiltà coll'alimento dell'agricol- tura. Onde il libro del Crescenzi ebbe prima edizione ad Augusta col titolo: Opus ruralium comìnodorian libro XII, indi ripubblicossi a Lovanio nel 1473, a Basilea nel 1538 col titolo : De agricoltura omnibusque plantarum et ani- malium generibus, a Cracovia nel 1600. Nel secolo XIV fu tradotto in toscano e comparve stampato a Firenze in quella veste nel 1478, a Venezia nel 1495 con preziose tavole in legno. E nella stessa città, tradotto in italiano da Francesco Sanso vino, venne pubblicato nel 1561 enei 1564. L'ultima edizione italiana che fu la sedicesima, comparve a Verona nel 1831. » Fuori d'Italia il libro del Crescenzi esercitò grande influenza anche nelle traduzioni francese e tedesca. Ne fece eseguire traduzione francese re Carlo V nel 1373, ed in quella versione ebbe poi tre edizioni a Parigi. Nella versione tedesca ebbe cinque edizioni ; complessivamente quella Bibbia agraria ebbe trentadue edizioni. r. V, s. VII tìi (926) [50] » Nel suo libro specialmente pratico nomina trentadue scrittori di cose agrarie. La diffusione di quell'opera nella Germania, nella Francia, nell' Olanda, nella Polonia di- mostra la prevalenza d' allora dell' agricoltura italiana su quella delle nazioni settentrionali, e la benemerenza del- l'Italia verso esse anche nei rispetti agricoli . . . » Al predominio del feudalismo rurale, le tradizioni agricole erano raccomandate solo ai monaci difesi dal ri- spetto religioso e dalla loro superiorità morale. Il villeg- giare sicuro dei Greci e dei Romani, 1' ornamento delle ville aperte, de' frutteti, de' giardini era diventato un mito. Crescenzio, seguendo Varrone, si studiò di ridestare V amore del villeggiare che secondo Palladio adduce il miglioramento de' poderi [provectus est agri). » L' agricoltura di Crescenzio s' inizia dalla costru- zione della villa, come le colonie agricole cominciano dalla abitazione . . . » Da lui sappiamo che i toscani confortavano il fru- mento con sovescio di lupini, che i milanesi sovesciavano ravettone denso e usato ancora dai bergamaschi, e che i bolognesi lo concimavano bene. I lupini sono indicati per so- vescio anche tra le vigne. . . > Pier Crescenzio conosceva anche 1' Egitto dominato dagli Arabi e dove praticavano i Veneziani . . . » Da Palladio sappiamo che nella Gallia Cisalpina nel giugno mietevasi il frumento con macchina tratta da un bue solo, mietitura che faceva perdere molta paglia. Quella macchina è accennata ancora da Crescenzio, il quale pre- ferisce i flagelli egiziani per trebbiare il frumento al cal- pestio dei cavalli. Colla farina di frumento facevasi anche una poltiglia nel latte che si dava agli operai pei lavori forti. Allora in Italia le fave usavansi anche a sagginare i buoi vecchi ; le meliche nelle carestie si davano anche agli uomini, e di esse in Italia v'erano tre qualità: le ros- se, le bianche, e le lucenti come il miglio. Questa col noma [51 J (027) di sorgo tartarico si portò trent'anni sono in Italia come frutto niiov^o. Nel cap. XXXVI intestato : Pleiade geoponica del se- colo XVI in Europa, scrive : « Nella costellazione dei mae- stri e scrittori d'agraria del secolo XVI in Europa brilla più viva la luce di Agostino Gallo, specialmente nelle Venti gioivate di dialoghi, comparse a Venezia nel 1569, dove da otto anni erasi pubblicato il libro àeW Agricoltìira del Tatti, che gli servi da stimolo, 11 Gallo è tipo del buon senso pratico lombardo, non pompeggia per dottrina teorica, ma è accurato nella relazione degli esperimenti. Nel suo trat- tato stilla i risultati ultimi degli studi, degli esperimenti, dei risultati de' più esperti agricoltori bresciani e lombardi, rettificati dalla sua pratica di mezzo secolo. Egli è il pre- cursore de' maestri delle specializzazioni (')■•• Nel capo XXXVll {Satelliti geoponici del secolo XVI) si legge : « La Toscana anche dopo perduta la libertà de- mocratica colla caduta della repubblica di Firenze nel 15.'30, continuò ad essere la luce dell'Europa anche nelle dottrine e nelle pratiche agricole. Nel secolo XVI produsse in Siena Andrea Mattioli ed in Firenze Pietro Vettori (1499- 1585), r Alamanni, Giò Vittorio, Soderini, Bernardo Da- vanzati, nati ivi nel breve spazio di 34 anni, dal 1495 al 1529. » 11 Mattioli, medico diligentissimo, sino dal 1555 pub- blicò la traduzione della notevolissima opera botanica di Dio- scoride della Cilicia, vissuto tra il primo ed il secondo se- colo dell'era cristiana. Della quale traduzione si fece se- conda edizione splendida a Venezia da Valgrizio nel 1585 col titolo : Dioscoride tradotto, illustrato e commentato da Andrea Mattioli, e si accompagnò il testo con mirabili di- segni incisi di piante, tra le quali appare primamente una bella pannocchia di grano turco o mais venuto di fresco dall'America. (1) Non omnis fevt omnia tellus. Virg. Georg. (928) [52] Del lavoro del Mattioli ne profittò, fra gli altri, il già ricordato Giovanni Tatti di Lucca pel suo libro dal titolo : Bella agyicaUiiva. pubblicato da Sausovino a Venezia nel 1560 in cinque libri, con figure delle biade, delle erbe, degli alberi, degli animali domestici. « Il Tatti dice: in questa lingua volgare poco o mdla si legge d'agricoltura che buono sia. Perciò e per l'istru- zione del popolo, egli elesse di scrivere, nella lingua vol- gare, delle cose agricole apprese dalla esperienza propria e dallo studio di Galeno, di Mattioli, di Marcello fiorentino, di Crescenzio. Come Catone, egli infiora il suo libro di massime e di proverbi agricoli. Descrive anche il riso, ma seguendo Galeno, non per cognizione propria. « Quel grasso, egli asserisce, che nel profondo della terra è nascosto, non è convenevole se alcune volte non è levato alla parte di sopra e percosso alla luce del sole, assottigliato e dissoluto sì che diventi spirituale. » Onde accenna alla convenienza di divellere e scassare il terreno profondamente, almeno ad intervalli di alcuni anni. » Il Vettori, nobile campato 86 anni e quindi invec- chiato come Varrone e Crescenzio, toccando gli anni 70 pub- blicò a Firenze coi tipi Giunti nel 1560 il libro Delle lodi e della coltivazione degli ulivi. » Il Sederini, contemporaneo del Vettori e nobile come lui, preferi, come Davanzati, la viticoltura. Dalla tipografia Giunti in Firenze nel 1596 esci il trattato Della coltiva- zione delle riti del Soderini, e nel 1600 quello di Davan- zati col titolo : Della coltivazione toscana delle viti e degli arbori. . . » Firenze e Venezia erano i due occhi d'Italia al ca- dere del medio evo. 1 capitali, da loro accumulati colle in- dustrie e coi commerci, si volgevano a miglioramenti agri- coli, ad alimento delle arti belle. 11 Senato veneto, inco- raggiatore d'ogni opera utile e generosa, nel 1566 diramò una dissertizione di Camillo Tarello da Lonatj bresciano, per dimostrare quanta potenza si poteva trarre dall' agri- [53] (929) coltura migliorandola, e come da quel terreno che rendeva solo da cinque e dieci sementi di frumento se ne possa ottenere cinquanta, ovvero quanti sono i grani d'una spica. Egli vuole che il frumento venga seminato in fila e zappato. La terra cotta dal caldo e dal freddo, secondo lui, produrrà gran copia di biada, affidandosi più alla virtìi nativa della terra sviluppata per gli agenti atmosferici, che al concime, onde previene letro Tuli pel sistema della semina in fila, Ottavi pei lavori profondi e lo sminuzzamento della terra. » Il Senato veneto, in quel medesimo anno 1566, prese parte d' incoraggiarlo, ed egli nel 1567 a Venezia pubblicò quella sua Memoria dedicandola al doge Friuli col titolo: Ricordo d' AgricoUm^a, un opuscolo che poscia, sino al 1816 ebbe sei edizioni, fu stimolo forte ai lavori del ter- reno, e provocò a Brescia due secoli dopo gli studi del padre Lana per una seminatrice in riga. » Quel moto agricolo nella repubblica veneta vi atti- rava anche la coltivazione del gelso, e l'arte della bachi- coltura, già da secoli praticata nella Sicilia e già famigliare nella Romagna, dove Corsuccio a Rimini nel 1581 pubblicò la prima guida pratica pella educazione del filugello col titolo: Il verìniceUo della sela. In quei tempi comparve nella Sicilia un trattato della coltura dei gelsi d' un Venuto, mentre Crustolo da Spoleto scriveva sui bachi da seta, e nel mezzodì dell'Italia apprese il cremonese Vida le cognizioni che verseggiò nel poemetto De Bombyce pubblicato a Roma nel 1527. » Attivissime erano le tipografie di A^enezia a diffon- dere le cognizioni. Ivi nel 1572 si pubblicò il Trattalo di Agricoltura d'Africo Clemente, nel 1584 le Ricchezze del- r Agricoltura del Bonardo, nel 1592 il Giardiìio d' Agri- coltura del Bussato, che popolarizzavano le pratiche agri- cole. Il Bonardo, cli'era del Polesine, raccomanda assai di emendare i terreni compatti colle ceneri delle stoppie, e di zappare biade ed alberi. L' edizione in Venezia del 1592 del libro del Bussato da Ravenna è illustrata con curiose (930) [54] vignette rappresentanti le opere campestri de' vari mesi e gli attrezzi rurali usati allora nell' Italia settentrionale, dove sino dal tempo di Plinio s' era inventata una mie- titrice. » Se nel capo XXXVI il Rosa parla dei maestri e scrittori d'agraria del secolo XVI in Europa citando mae- stri e scrittori italiani, nel capo XL dà lo sviluppo agri- colo italiano dei secoli XVII e XVIII e vi premette: « Già sino dal secolo XV i frati alietavano i chiostri loro cogli agrumi, dove il clima li tollerava, e nell'Italia settentrio- nale, sino da quel secolo, le spiagge occidentali del lago Be- naco erano sparse di ville e di chiostri profumati da li- moni ed aranci in serre. » La nobiltà laica ed ecclesiastica di Roma, allora per la ricchezza, per la coltura classica e per lo spirito ari- stocratico, somigliava quella di Venezia. Onde per egual modo si diede ad imitare gli opulenti dell'Impero Romano nella costruzione di magnifiche ville. Prima a Tivoli in quella del Cardinale Ippolito d' Este nel 1542, poscia in quella del Cardinale Aldobrandini nei colli tuscolani del 1603, indi da Borgliesi al Pincio, da Panfìli che preparò la villa di quel nome. > Quelle ville inspiravano a Renato Rapini di Tours i quattro libri de Horlorum pubblicati nel 1665, che sti- molarono Luigi XIV alla pompa dei giardini reali di Saint- Germain, di Fontaine-Bleau, di Versailles, delle Tuilleries, di 8t. Cloud, di Chantilly. Pei quali quel re incaricò il genio artistico di Andrea Le Notre. Anche nei centri della Germania s'erano accumulate ricchezze e coltura classica, e quindi anche là s'era desta l'ammirazione del bello applicato ai giardini, e vi provocò il libro col titolo: HorticoUure di Lauì'cmherg , pubblicato a Francoforte sul Meno nel 1631. (i) (1) Di giardini-coltura, quindi auclie della coltura degli agrumi, si erano occupati l'ontano (De Hortis hesperiduui Venezia 1518), Voltoli- [55] (931) » Pure nell'avvilimento d' Italia le tradizioni agricole si conservavano non solo, ma a cheto si sviluppavano nel Piemonte che, per legge di rotazione, venuto ultimo alla coltura, nel secolo XYllI, pigliava a sorgere e primeggiare; nella Toscana tranquillata, e specialmente a Bologna l'ara etrusca, sulla quale il fuoco sacro dell'arte, della dottrina e della libertà non si spense mai. Bologna, che con Mar- cello Malpigli! produsse il primo libro scientifico intorno il baco (Londra, 168(1), vanta la produzione del miglior trattato d' agricoltura italiana del secolo XVII lìeìVEcono- mia del cittadino in Villa di Vincenzo Tanara, pubblicato in quella città nel 1644 e nel 1648 e riprodotto a Venezia coi tipi Zerletti nel 1713 con correzioni ed aggiunte. » Questo scrittore prevede che i boschi devono salire in valore perchè vanno scemando. » Presente anche l'avvenire del prato, ed adduce il pro- verbio bolognese: chi ha fieno ha ogni bene. Ma perchè il prato profitti, scrive, bisogna restituire al prato col con- cime quanto se ne esporta. . . » Il Tanara, parlando delle viti, preferisce il maliolo alla barbatella. . . » I Bolognesi già praticavano le colmate, bonificando i campi ac(iuitrinosi mediante le torbide dei fiumi e dei canali immessivi. » Tanara che avea praticato 1' Oriente, dà parecchie notizie curiose anche di quelle regioni. Dice che delle tre meliche coltivate nelle Romagne, due rosse ed una bianca, la più oscura ed a pannocchia unita era stata recata a Venezia da Costantinopoli. Nota come i pastori usavano assai il milio col latte, che i Tartari usavano solo milio, facendone pane e polenta con sangue di camello, e traen- done bevanda. na (De Hortorura . . . Venezia 1574), Mandirola Agostino (Manuale de' Giardinieri . . . Venezia 1662). Mandirola indicava come fare vivai di cedri e di limoni colle loro foglie. (932) [56] < Bologna è benemerita dell' Italia anche per 1' arte della seta ricoverata sotto le sue ali da Lucca nel secolo XIV, e per la bachicoltura già praticatavi nel 1300. Nel secolo XVII vi si coltivavano tre specie di gelsi, a frutta rosse, nere e bianche. « Uno dei centri di attività commerciale ed agricola d'Italia nel medio evo fu anche Trani, dove nell'anno della peste 1630 Prospero Randella osò primo a levare la voce contro i danni all'agricoltura delle proprietà feudali e delle servitù prediali col Tractatas de Pascuis defensis, forestis et acquis. La Toscana allora serbava ancora il primato della viticoltura, ed a Firenze nel 1670 Francesco Folli pub- blicò : Dialoghi intorno la coltura delle l'iti, (|uantunque vi corressero freschi ancora i libri del Soderini e del Davanzati. L'altro occhio d'Italia, Venezia vigilava ancora al pro- gresso non più marittimo, ma terrestre ed agricolo. Il di lei governo sino dal 7 settembre 1594, per l'economia delle acque irriganti, proibì di concederle al riso nei luoghi a- sciutti, e permise solo la coltivazione di questo nuovo ce- reale nelle valli (paludi). Ivi Agostinelli nel libro: // buon fattore di villa sino dal 1679 raccomandò la contabi- lità. Con Ducali 20 febbraio 1598 Venezia proibì di sce- grare o dissodare le pendici erte onde evitare le frane. Nel 30 giugno del 1(571 promise concessione gratuita di acque pubbliche a chi intendesse di preparare prati. Il 28 febbraio del 1764 nominò cinque savi perchè studiassero come liberare l'agricoltura dal pascolo vago {pensionalico), e poscia, coi decreti 18 luglio e 9 agosto del 1765, proibì tale pascolo ai Tedeschi ed agli Slavi stranieri ai suoi do- mini, volle limitato il pascolo alla capacità del terreno, ed escluse le pecore dai seminati, dai vigneti, dagli oli veti. In quel medesimo anno 1765 Venezia aprì in Padova cat- tedra d'agronomia e vi chiamò professore Pietro Arduino che prese a pubblicarvi il Giornale d'Italia per la dottrina agraria e che già in Rapporto 15 agosto 1768 chiamò Agronomia l'agricoltui-a considerata come dottrina teorico- [57] (933) pratica. Tre anni dopo, fece convertire tutte le varie Ac- cademie arcadiche delle città nel suo dominio in Accademie agrarie, che incoraggiò con premi e doni di libri. In quel- r anno 1768 il di lei Magistrato ai beni incolti fece stu- diare come aumentare le irrigazioni nel Friuli, e delegò r Arduino ad inchiesta per aumentare il bestiame e 1' uso della carne. Quel professore il 13 agosto di quell' anno riferì, che per migliorare la coltura dei campi, era mestieri d'aumentare la bestiecoltura, e però consiglia di rinnovare la proibizione di dissodare e disertare i boschi, l'inco- raggiamento alla coltivazione dei foraggi, all'economia dei letami. Consiglia rotazione di frumento, trifoglio, mais e fave 0 veccia, e preparazione del terreno pel frumento se- condo il metodo del Tarello premiato nel 1516. Quel Ma- gistrato poi con Decreto 30 maggio 1775 fondò Scuola pub- blica veterinaria. » Venezia nel 1772 mandò Sindaci in terraferma a studiarvi le condizioni degli agricoltori, ed essi riferirono che v' era urgente necessità di semplificare le imposte, e d'alleggerimento delle angherie ai villani. Perciò il Senato nel 1784 premiò il libro: Boltrina agraria di Butrio e vari scritti agrari di Arduino, di Beltrame, di Betti, diffuse in Dalmazia un Manuale d' agricoltura tradotto in illirico perchè fosse stimolo e guida al popolo. Bartolomeo Mora Podestà veneto a Bergamo, nel 1787, scrisse al Senato, che quella Provincia pativa tanto per mancanza di foraggi, che sino dal 1745 comperava fieni milanesi e li pagava con formaggi. Ed il Senato veneto l'anno dopo raccomandò ai Comuni di ridurre a pascolo regolare i luoghi loro incolti, mentre concede sussidio annuo di 150 ducati all'Accademia degli Arvali di Bergamo, e le manda in dono parecchie copie delle Memorie sui bachi da seta del Mozzi e degli studi agronomici del Berlini. I di lei ambasciatori studia- vano ovunque le materie agrarie, ed il conte Rocca di S. Fermo nel 1791 da Torino scriveva -ài '^qwqXìì \ aumentare (934) [58] la facililà di poter mantenere copioso besliarne cornuto, è faoorire decisamente e radicalmente tutti i raccolti. » Simili progressi agrari continuavano nella Toscana retta da Leopoldo li, col ministro Fossombroni, che fece asciugare e bonitìcare le pingui 'paludi della Valle di Chia- na, restringere le maremme, e che nel 178G provocò la abolizione dei bandi vendemmiali, contro i quali aveva già scritto nel 1600 Olivier de Serres nella Francia. Allora Pio VI faceva eseguire grandi lavori per asciugare le pa- ludi Puntine, ed il Piemonte estendeva la coltivazione del riso nella Lomellina, e dei prati stabili e dei gelsi, men- tre il regno di Napoli, sorto a nuova vita per 1' avveni- mento di Carlo IJorbone nel 1735, col ministro Tannucci, con buone leggi economiche, e con freni alle esorbitanze feudali, veniva in soccorso dell' agricoltura. Procedeva si- milmente il ministro Firmian per Giuseppe II a Milano, favorendo le libertà comunali, infrenando i feudi, dando incremento alle industrie ed all' agricoltura, secondato e guidato saggiamente dai Verri, da Carli, da Beccaria. » Fra le iniziative clie illustrarono Firenze, non ul- tima è quella della fondazione della Accademia dei Geor- gofili seguita l'anno 1753. I Georgofili di Firenze nel 1775 premiarono e diffusero i due volumi del dott. Francesco Pagnini awW Educazioyie dei giovani delle campagne che danno la traccia anche d' una scuola agraria pratica. Il Pagnini nel 1773 a Venezia avea pubblicato un opuscolo per inculcare ai parrochi il dovere d'istruire i villici nel- l'agricoltura, ma non approdava. Anche il Piemonte, de-- stato al moto agricolo, nel 1778 a Torino fondò 1' Acca- demia Agraria. » Le due luci della rinnovata civiltà d'Italia, Firenze e Venezia, nel secolo passato fui'ono antesignane del pro- gresso agricolo, del quale a Firenze furono saggio, nel 1787 la pubblicazione della Biblioteca georgica, e nel 1700 (juella popolare del Corso d'agricoltura pratica dello stesso. A Venezia mentre si andava spegnendo il lume politico. [59] (935) sembrava volersi riaccendere la face agraria a convertire quello Stato in repubblica agricola. Ivi nel 1768 Zanon Antonio di Udine dimostrò l'utilità degli emendamenti me- diante l'uso della marna e degli altri fossili. Prima di Par- mentier, egli raccomandò la coltivazione dei pomi di terra a prevenire le carestie. Zanon campò 96 anni (1696-1792), onde anche per ciò è venerabile come Varrone, Crescenzio, Vettori e pochi altri agronomi. » Il moto degli studi agricoli è segnato anche da que- sti libri che si pubblicarono in Venezia nella seconda metà del secolo XVIIl : Benetti Santo. — L' accorto fattore dì Villa. Venezia, 1765. Grisellini. — Il Gentiluomo coltivatore. Enciclopedia agra- ria, 1769-1782. Ronconi Ignazio. — Nuovo metodo di seminare il fru- mento. Venezia, 1770. Ronconi Ignazio. — Dizionario d' agricoltura. Venezia, 1771. Gottardo Canciani di Udine. — Memorie sulV agricoltura. Udine, 1770. Matani D. Antonio. — Memoria sulla coltura delle viti di Spaglia. Venezia, 1779. Vimercati conte Annibale. — Istituzioni intorno la coltura del lino. Venezia, 1780. Trecco Gio. Battista. — CoUirazione del lino marzuolo. Venezia, 1792. » Di tutti i libri più comprensivo fu (juello col titolo V Agricoltore Sperimentato di Cosimo Trinci modenese, che studiò anche in Lucca e nella Toscana, libro del quale si fece la seconda edizione a Venezia nel 1768. La Toscana dal Trinci apprese a fognare le viti. . . » Pei consigli del ministro Tannucci, Ferdinando IV esimette da tributi per trent' anni gli oliveti nuovi, onde moltiplicarono nel di lui regno, dove prima Grimaldi nelle Calabrie, indi Giovanni Presta a Lecce, influirono a mi- gliorare l'olivicoltura. (936) [60] « Cosi r Italia armonizzava lo sviluppo agricolo me- diante i provvedimenti del Senato veneto, e dei ministri Fossombroni, Tannucci e Firmian, ed i libri di Trinci, di Zanon, d'Arduino, di Canciani, di Lastri, allo sviluppo scien- titìco e letterario. » Intorno ai lavori degli italiani, dai quali i tedeschi ap- presero, si rileverebbe lo stesso da quel Filippo Re, di Reggio d' Emilia, che Antonio Zanelli chiamò il caposcuola degli agronomi italiani, nell'occasione che nel 1876 gli si pose lapide commemorativa in patria. Centinaia e centinaia di agronomi delle varie nazioni mi sosterrebbero in ciò che ebbi ad asserire. Procedendo in questo modo si apprenderebbe pure dal Rosa che l' Inghilterra approfittò di quanto 1' Italia avea insegnato. In proposito egli scrive nel capo XLI : « L' Inghil- terra memore dei germi di civiltà avuti dai Romani, da Agricola, sino a Papa Gregorio Magno ed ammirante gli splendori politici e civili di Firenze e di Venezia, colle (juali mantenne strette relazioni commerciali e lettera- rie, ebbe sempre amore e stima per 1' Italia dalla quale Young prese le mosse per le sue escursioni agronomi- che sul continente, e giunse a Milano nel 1768. A Lodi ammirò quel sistema d'irrigazione che fu l'invidia in- glese, e che provocò nel 1847 lo splendido libro di Carlo Cattaneo intorno l'applicazione nell'Inghilterra dei sistemi lombardi di coltivazione del piano. Allora venne assicurato Young che il Lodigiano possedeva 30160 vacche lattifere. Nello spazio detto Isola, steso fra l'Adda ed il Rrembu, am- mirò la perfezione della coltura asciutta, ove egli scrisse: « dodici parocchie gareggiavano nel far jìrosperare l'agri- coltur;i non coll'aratro, ma colla vanga. » Qui riporterò ciò che ebbi a dire in occasione solenne, nel 1877: «A chi non è nota l'ammirazione di Ai-turo Young, quando dopo un'escursione per le campagne, bagnate dalle tei] (937) acque di molti fontanili e d'estate e d'inverno, del Milanese e dei dintorni di Pavia, si recò al teatro, non so se di Milano 0 di Pavia ? In mezzo al lusso che spiegavano le belle e gentili Lombarde, fra lo splendore di mille e mille lìammelle, egli non potè trattenersi dall' esclamare : « Oh. grande, sorprendente, ammirabile potenza delle marcite, dei prati, di tutti quei campi veduti questa mattina ! » E il Rosa, prima nel capo XXXVIII, insegnava : « La dottrina ed il progresso agricolo nell' Italia influivano forte nella Francia pei rapporti intimi ed antichi fra le due nazioni. Centro delle relazioni italiane colla Francia era Firenze, specialmente dopo che Caterina de' Medici andò sposa di Enrico II e dominò a Parigi dal 1535 al 1574, e che Maria de' Medici nel 1599 vi andò sposa di Enrico IV ed, ucciso lui nel 1610 da Ravaillac pei Gesuiti, fu reggente pel figlio Luigi XIII. « L'agricoltura nel regno del generoso Enrico IV, che ambi ed ottenne il titolo di patrizio veneto, ebbe grande favore dal savio ministro SuUy professante la mas- sima che l'agricoUm-a è la base d'ogni incremento degli Siati. » V. E la ragione dell' avervi intrattenuti sull' istruzione agraria ? Attribuitela a quell'egregio uomo, cui tanto devo per l'amicizia che sempre mi dimostrò, per essersi spesso nei suoi lavori ricordato dei miei, e che tanto operò e continua operare a prò del simpatico Friuli, e della patria in gene- rale, all'onorevole G. L. Pecile, Senatore del Regno. Egli tenne, come si avverti, il 29 gennaio di questo anno al Comizio agrario di Torino una conferenza sul (938) [62] « Come ravvivare V insegnaw.enlo agrarno. » A questo scopo propone le facoltà agrarie presso le Università. Attribuitela a quei molti, i quali favorevoli a quanto esposi nella mia Memoria già più volte citata suW insegna- mento agrario all' Università di Padova, mi spronarono con parole, con lettere, colla stampa di continuare a bat- tere sull'argomento. Mi basti citare il Cerletti, il Canestrini, il Pasqualini, 1' onor. Devincenzi, l'onor. Garelli, 1' Ohlsen, oltre all'onor. Pecile, il quale vorrebbe ascrivere l'attuale mio silenzio alla poca mia attività causa la grave età. No, non è questa la causa ! ! Attribuitela a quei non pochi i quali, in barba ai vec- chi, vorrebbero erigersi a paladini, a promotori, a soste- nitori di progetti sull'istruzione in discorso, quasi fossimo nati ieri. Il Pecile scrive : « L' agricoltura come la medicina, è un'arte che si giova di molte scienze ; se la medicina prov- vede alla salute del popolo, l'agricoltura provvede alla sua alimentazione, ed è la l)ase della ricchezza nazionale. E dunque indicatis.simo che nelle grandi Università, accanto alla facoltà di medicina, funzioni come in Germania, la falcoltà agraria. » La prima facoltà agraria, secondo lui, dovrebbe sor- gere a Torino presso quella Università. Ripetiamo ancora le sue parole che già riferimmo : «Come da Torino parti l'iniziativa della nostra rigenera- zione politica, cosi parta 1' iniziativa del nostro insegna- mento agrario. » « Qui, egli scrive, esistono tutti gli elementi per or- ganizzare una facoltà agraria. ■» Presso r Università avete 1' insegnamento di fisica, botanica, zoologia, anatomia comparata e fisiologia. » Presso la scuola di applicazione degli Ingegneri a- vete r insegnamento di estimo e di economia rurale, al Museo industriale ricchi laboratori di chimica e di fisica [63] (939) industriale ; avete la Stazione agraria, la Scuola veterina- ria, il Museo nazionale di bachicoltura. « Avete il locale e 1' Orto sperimentale della R. Ac- cademia di agricoltura, dove si insegna arboricoltura e frutticoltura. « Avete l'agricoltura insegnata all'Istituto tecnico pro- fessionale. Anche l'Istituto Bonafons può fornire all' inse- gnamento oggettivo campi, vigne e podere. « In questa regione, che può dirsi regione modello, vi è ogni ben di Dio, dai boschi di monte Rosa, alle vigne, alla coltura irrigua, fino ai prodotti meridionali sulla ri- viera Ligure, ed il Piemonte ha sempre avuto valentissimi agricoltori. Poco su poco giù non è stato detto lo stesso anche da me nelle pagine precedenti ? Il sig. A. Franchi di Reggio d' Emilia nel mese di marzo scriveva del modo nel quale sono ordinati in Pisa gli studi agrari superiori, di quali e quanti insegnamenti comuni ad altre facoltà si valga l' Istituto agrario annesso a quoli' Università. Gli insegnamenti impartiti agli studenti d' agraria ver- sano sulle seguenti materie : 1. Fisica sperimentale (*) in comune cogli studenti di scienze fisiche, matematiche e naturali, di medicina e far- macia. Gabinetto comune. 2. Chimica generale (*) in comune cogli studenti di scienze fisiche, matematiche e naturali, di medicina, vete- rinaria e farmacia. (*) Ogni asterisco indica che vi è una cattedra rispaimiata. Vi sono inoltre dei titolari che insegnano piìi di una materia, cosi che le cattedre veramente create per V istituto agrario, si riducono ap- pena a quattro (archittetura e idraulica, meccanica agraria, chimica agraria, agricoltura). (940) [64] 3. Botanica generale (*) cogli studenti di scienze na- turali, medicina veterinaria, farmacia. Gabinetto comune. 4. Anatomia dei vertebrati domestici (*) cogli studenti di veterinaria, servendosi del materiale scientifico annesso alla scuola veterinaria. 5. Mineralogia (*) cogli studenti di scienze fìsiche e naturali, farmacia ecc. Gabinetto comune. 6. Elementi di geometria descrittiva e disegno (*) co- gli studenti di scienze matematiche. Scuola di disegno in comune. 7. Topografìa e geometria pratica con esercizi e di- segno (') cogli studenti di matematiche. 8. Botanica speciale cogli studenti di scienze naturali. 9. Geologia (*) cogli studenti di scienze naturali. Ga- binetto comune. 10. Esercizi di analisi chimica cogli studenti di scienze naturali e fìsiche, medicina, farmacia nel gabinetto comune. 11. Architettura e idraulica applicata all'agricoltura (corso biennale). 12. Meccanica agraria. 13. Agricoltura, agronomia, economia rurale (corso biennale). 14. Esercitazioni pratiche d' agricoltura. 15. Chimica agraria. 16. Igiene e zootecnia (') cogli studenti di veterinaria servendosi del materiale scientifico annesso alla scuola di veterinaria. 17. Contabilità ed estimo rurale. 18. Legislazione e statistica agraria. 19. Esercizi di chimica agraria (corso biennale). 20. Geografia fisica e meteorologia (') in comune co- gli studenti di scienze naturali. 21. Zoologia generale (*) cogli studenti di scienze na- turali, medicina veterinaria, ecc. Gabinetto comune. 22. Zoologia applicata all' agricoltura. 23. Esercizi di microscopia vegetale. [65] (941) 25. Economia politica (') cogli studenti di legge. 25. Tecnologia rurale. Il Franchi continua : « Ammettendo che 1' ordinamento degli studi venisse fatto come a Pisa, si avrebbero, per ogni scuola superiore autonoma trasformata in facoltà agraria, i seguenti vantaggi : 1.°) Risparmio di 12 cattedre (le quali con i relativi custodi, assistenti, ecc. importano una non lieve spesa). 2.°) Utilizzazione di 9 tra gabinetti scientifici, scuole di disegno ecc., che esistono già e servono ad altre facoltà. 3.°) Risparmio di fabbricati, spese di segreteria, ecc. Oltre a questi vantaggi economici, non certo disprez- zabili, ne avremmo anche degli altri grandissimi, e cioè : 1.°) Incremento degli studi agrari superiori in Italia, poiché molti giovani accorrerebbero alle facoltà agrarie, certi che la loro breve carriera universitaria non verrel)be continuamente compromessa o minacciata da radicali e inop- portune riforme (e mi sembra che questo solo vantaggio dovrebbe determinare la via da seguirsi). 2.°) Gli studenti potrebbero valersi per i loro studi della biblioteca universitaria, delle biblioteche, musei ecc. esi- stenti nella città. 3.°) Vantaggio per gli studenti di poter frequentare i corsi liberi o speciali non obbligatori, a seconda delle in- dividuali inclinazioni. Possibilità di studiare meglio le lin- gue straniere, che tanta importanza hanno al presente an- che per il cultore delle scienze agrarie. » Nella Memoria suW insegnameìito agrmno ecc. io pro- poneva : I. Allievi che avessero frequentata la Scuola d' appli- cazione per gì' Ingegneri e desiderassero prendere la laurea in agraria potrebbero ottenerla dopo un anno, durante il quale frequenterebbero i corsi di Botanica generale Zoologia e Anatomia comparata Geografia fisica T. V, S. VII 62 (942) [66] Igiene Chimica agraria Economia rurale (2 corsi). II. Allievi licenziati in .scienze naturali al)])isognereb- bero di 2 anni. Avrebbero ad iscriversi nel 1.° anno in: Geometria descrittiva » pratica Costruzioni civili e rurali Agronomia Chimica agraria ; nel 2° anno in : Economia rurale ed Estimo Igiene Zootecnia Materie giuridiche Meccanica applicata. III. Allievi licenziati in scienze fisiche e matematiche abbisognerebbero pure di 2 anni. S' inscriverebbero nel 1.° anno in : Botanica generale Zoologia e anatomia comparata Geografia fisica ; nel 2.° anno in : Economia rurale ed Estimo Igiene Zootecnia Geometria pratica Materie giuridiche Meccanica applicata. Quanto al corso di veterinaria, Padova non lo ha. Esso verrebbe sostituito, e se ne disse il perchè, dalla Zoologia coadiuvata da altre scienze. La difficoltà degli orari sarebbe per gli studenti di legge e medicina. Alla domanda : come facilitare a questi signori la fre- quentazione (li un corso di economia rurale, la risposta [67] (943) è tacile. Destinando ad essi due ore per settimana un corso speciale, oppure invitandoli a prendere parte alle le- zioni di economia e di estimo rurale, cercandosi in questo secondo caso di adattare 1' orario in modo da non compro- mettere per nulla 1' obbligo che hanno di frequentare le lezioni della loro partita speciale ; d' altronde né dottori in legge, né dottori in medicina s' impastano in un anno ; quindi nei quattro o nei sei anni che rispettivamente pas- sano all' Università, se ne troverà uno, durante il quale non sarebbe impossibile di vederli accettare 1' invito. Che r illustre Miraglia non sia assolutamente contrario alle facoltà agrarie, lo si potrebbe dedurre dalle seguenti parole che si leggono nel suo lavoro più volte ricordato : « Alludo solo alle difficoltà intrinseche, derivanti dalla co- stituzione propria delle nostre Università, dall' indole ge- nerale degli insegnamenti che in esse si impartiscono, dalla necessità, tuttora invincibile, di mantenere in una sola cat- tedra riunite varie parti di una scienza, oggimai divenute, per difficoltà e importanza, esse medesime una scienza in- dipendente ; ;lal bisogno infine, di dare a ciascuna delle sezioni o facoltà presenti un più ampio e proprio sviluppo, qualora le scuole di agricoltura venissero a far parte delle Università. » Le sezioni e le facoltà oggi giorno hanno uno sviluppo che sempre più va aumentando, e niente di meglio che ve- derle contribuire a provvedere al benessere dell' individuo, della famiglia, della nazione ! Le spese che costituirebbero la seconda difficoltà, si ridurebbero a ben poco ; non si tratterebbe che di lievi somme d' assegnarsi a pochi professori titolari o straordi- nari per gì' incarichi che avrebbero ad assumersi, e di qual- che centinaio di lire da aggiungersi allo stipendio che i si- gnori assistenti godono, ciò in ispecialità per gli esercizi pratici ; volendo poi lesinare anche qui, le coprirebbero già in parte i giovani colle tasse. A me non istà occuparmi della legge apposita che sa- (§44) [68] rebbe necessaria perchè la sezione di agraria figurasse nella facoltà di scienze naturali, fisiche e matematiche. A me basta dire : delle leggi se ne fanno molte, ed, ove si voglia, a tamburo battente ; la legge di cui si tratta ver- rebbe approvata da tutti. Gli alti Dicasteri poi, qualora, in previsione della rior- ganizzazione dell' istruzione superiore secondo la legge pre- sentata da S. E. il Ministro dell' Istruzione Pubblica, non credessero questo il momento opportuno per aumentare le lauree da conferirsi dalla facoltà di scienze, veggano se non lo sia d' introdurre nel secondo biennio 1' insegnamento del- l'Economia rurale come materia costitutiva della facoltà pre- detta, perchè in questo caso, approvata la legge in discorso, il laureando in scienze potrebbe scegliere 1' economia ru- rale come una delle materie che, secondo quel progetto di legge, sono oggetti di esami. Nella mia Memoria aveva detto : Do termine a questi cenni con un conforto, con una lusinga ; col conforto di essere arrivato a tempo di rendere pubblico quanto desi- dererei si effettuasse, e son desideri non nati oggi o ieri ; colla lusinga che 1' egregio comm. Miraglia, 1' ottimo comm. Cavalletto, e quanti amano l' Italia e vogliono la sua pro- sperità, faranno buon viso al mio meschino lavoro. Le ultime parole lascio ora all' onor. sig. avvocato Luigi Tegas per dichiarare che esse troveranno anche in questa circostanza concordi i Ministeri di Agricoltura e dell' Istru- zione pubblica. L' onor. Deputato Tegas scriveva ancora nel 1875 nel suo bel lavoro sulla Perequazione fondiaria, pub- blicato a Pinerolo, ove parla di catasto, anzi di mappe, a pag. 26 : « Sarebbe tempo che cessasse quella solipsia che sovente si traduce in antagonismi e conflitti tra i vari Di- casteri, i quali si considerano quasi tante potenze bellige- ranti che condividono le loro divergenze in perdite di tempo e in danni reali alla cosa pubblica. » Le [)arole dell' onor. Tegas sono riportate anche dal- l' onor. Senatore Pecile nella sua conferenza. [69] (945) Gli alti Dicasteri dell' Agricoltura e della Pubblica I- sti'uzione li voglio l)elligeranti non fra loro, ma colla igno- ranza, e li voglio vittoriosi in quella lotta che ancor per- dura fra le migliori intenzioni (buona educazione e buona istruzione), e fra il non saper nulla o ben poco di quanto può giovare all' individuo, ai Comuni, allo Stato, onde sia pro- mossa sempre più la moralità, la ricchezza e dell'individuo e della Nazione. Si dirà : Non ò il momento di passare a proposte simili. Colle condizioni finanziarie attuali, parlare di spese non va. Cosi però non la pensano tutti. Intanto Pecile scrive: '«Ho il profondo convincimento, che se in Italia un' azione energica e intelligente raccogliesse e coordinasse gli elementi esistenti, cogli uomini che abbiamo (e ne conosco di valentissimi che menano vita da gabinetto), coi mezzi scientifici che possediamo, e ciò che più monta senza verun aumento di spesa, oggi noi potremmo portare r istruzione agraria nazionale ad un grado almeno suffi- ciente e sopra tutto avviarla sulla buona via . . . »... In un paese come l'Italia, dove l'agricoltura rappre- senta il 55 o/o della ricchezza generale, mentre in Francia non rappresenta che il 40, in Inghilterra il 15, non vi do- vrebbe essere nessuna persona intelligente e soprattutto nes- suna persona eminente, nessun uomo di Stato il quale non avesse un giusto concetto dell' importanza dell' agricoltura nella nostra economia nazionale. »... E nelle dodici Università germaniche dove agli agronomi e futuri professori di agronomia è dato modo di ricevere lezioni di coltura generale, ed ai medici, giurecon- sulti, ingegneri e futuri impiegati dello Stato è dato modo di studiare agronomia, che si formano quegli uomini che presiedono ai circoli, che vivificano le scuole agrarie e le stazioni, quei consiglieri di governo che presiedono ai cu- ratori delle scuole, quegli uomini di Stato che si trovano (946) [70] cosi bene al corrente delle questioni economiche e sociali, e che in una questione finanziaria non dimenticherebbero per certo che 1' agricoltura è la principale fonte della ric- chezza nazionale. » Per Pecile, come lo disse nella conferenza del 29 gen- naio « il momento è favorevole perchè abbiamo a reggere r Istruzione Pubblica un valentissimo medico che accettava di farsi capo di un partito nazionale agrario in Italia. » A capo dell' Agricoltura sta uno dei più distinti eco- nomisti che conti il nostro paese. » A capo del Governo sta un siciliano, che pur troppo tocca con mano le conseguenze di una mancata istruzione, e che, dotato di singolare energia, quando il vantaggio del paese lo richieda, saprà spezzare tutte le difficoltà burocra- tiche che in questo genere di progetti sempre s'incontrano. » Però havvi anche un' altra considerazione da non tra- scurarsi. Da un giorno all' altro si demolirà un fabbricato ; non lo si ricostruirà. Non perdiamo adunque il tempo senza far nulla. Ap- profittiamo di quanto Edmondo De Amicis ha detto in un discorso a Torino, sostituendo, alla classe operaia, la classe agricola. Le parole del De Amicis sono riportate dal collega Ca- nestrini nella recente sua opera : Per V Evoluzione, Re- censioni e Nuovi studi, Torino 1894, avendovi premesso; < Ho anche alluso al socialismo. Riproduco alcune sue parole che approvo. » E chi non le approva ? Ecco le parole del De Amicis : « Lo stato attuale delle cose non può durare. Questa è la convinzione generale. Ma perchè un mutamento avvenga, occorre una seria prepa- razione della classe operaia, (e nel caso nostro della classe degli agricoltori che spinta da reali bisogni, più che da istigatori desiderosi di trarre partito a mezzo di torbidi che [71] (947) vogliono promuovere), occorre che questa si educhi e si istruisca. > La preparazione dei cervelli è indispensabile. Il so- cialismo non deve essere inteso come sinonimo di sommossa 0 di disordine ; il socialismo anzi ha un difetto : quello di voler troppo organizzare. » I veri socialisti non sono né i ribelli, né i violenti ; ma coloro che prevedono un avvenire migliore. Non bi- sogna lasciarsi trascinare da impazienze fatali. Nessuna ri- voluzione si fa colla violenza. » La grande trasformazione avverrà senza scosse, a poco a poco. » Da scosse siamo pur troppo minacciati. E le scosse po- trebbero riuscire violenti ; manchiamo d' istruzione. 11 popolo godrà i circenses, senonchè il popolo manca di pane. Evitiamo adunque almeno malumori. Ad evitarli basterebbe una parola del Governo. « E ritenuto e dichiarato nei programmi delle scuole estere, dice Pecile, che giovi non solo un corredo di co- gnizioni agrarie a tutte le professioni, ma che per certi im- pieghi dello Stato sia requisito indispensabile quello di aver compiuto certi studi di agronomia. » In Italia tutti vogliono essere impiegati. Ebbene lo Stato prescriva, come in Germania, come in Austria, che nei concorsi si richiedono cognizioni d' agraria, od almeno di economia rurale. Cosi le facoltà agrarie saranno frequen- tate, cosi non avverrà di trovare impiegati che guastino af- fari e commettano spropositi da rendersi ridicoli. » Ma, oltre agli impiegati futuri, non vi saranno dei genitori possidenti che induranno i loro figli a frequentare i corsi agrari ? » Air, istruzione agraria provvedano le Università. Confesso ; rimasi mortificato dalle seguenti parole del- l' onor. senatore. Egli disse : « Le Università di Roma, di (948) [72] Napoli, di Palermo, di Cagliari, tutte una per volta, non tarderanno a seguire il movimento. > L' Università di Padova non vi è nominata. Sarebbe essa forse 1' ultima a seguire il movimento partito da To- rino ? Terrebbe dietro all' Università di Sassari, per la quale r onorevole Garavatti proponeva, sono parecchi anni, V i- stituzione di una facoltà agraria ? Mancherebbero presso 1' Università di Padova gli ele- menti per organizzarvi una facoltà agraria ? Non ha l' in- segnamento di fìsica, botanica, zoologia, anatomia compa- rata e fisiologia ? Non esiste la scuola d' applicazione degli ingegneri ? Mancano laboratori di chimica e di fisica in- dustriale, orti sperimentali, scuole pratiche d'agricoltura? Non vanta una stazione bacologica che onora il paese ? Nella regione veneta vi è ogni ben di Dio, dai boschi, alle vigne, alla coltura irrigua, alle bonifiche, fino ai prodotti meri- dionali, come nel Veronese. Il Veneto ha sempre avuto va- lentissimi agricoltori. Il mio sommo dispiacere di non aver veduto aggiunto ai nomi di Roma, di Napoli, di Palermo, di Cagliari anche quello di Padova, è giustificato. Ritengo quindi mio dovere di rivolgermi a Voi che vantate a Membri di questo Sodalizio gli Arduini, i Dan- dolo ed alti'i, ai quali stava a cuore e come Legislatori e come Insegnanti l'agricoltura ; a Voi perchè in questa epoca di Congressi agrari, di riunioni di agricoltori, nei quali tal- volta si giuoca a gatta cieca, di futura associazione agrai'ia nazionale, di agitazioni in favore del decentramento, di lagni continui sugli appalti, sulle bonifiche, sui boschi, sulla pe- l'equazione, sul catasto accelerato, sui contratti agrari, sul- l'igiene, ecc., abbiate ad appoggiare, a sostenere la proposta di migliorare, di estendere l' insegnamento agrario supe- riore anche nelle Università. Da Voi che rappresentate tutte le scienze, da Voi fra i quali vi ha chi siede nel Consiglio Superiore dell' Istruzione Pubblica, da Voi, dal R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, il Paese attende un [73] (949) voto favorevole che senza dubbio avrà nn peso di qual- che importanza nelle deliberazioni a prendersi in pro- posito dal Parlamento e dal Governo. L'insegnamento agrario superiore nelle Università è richiesto pure dalla circolare-lettera dell'onor. Miraglia in data del 12 corr., propugnante una libera associazione na- zionale di agricoltori. Per lui, e per molti altri, la que- stione sociale in Italia è specialmente una questione di eco- nomia ruì'ole e di tecnica agraria. Ora i gravi problemi di economia e tecnica agraria che s'impongono in modo imperioso, e dalla risoluzione dei quali dipende in gran parte la tranquillità ed il benessere della patria, non si risolvono ignorando i principi di eco- nomia e tecnica agraria. Conviene conoscerli conviene studiarli ; le nozioni devono averle ed i rappresentanti del governo e la nuova istituzione proposta che il governo vuole al suo lato per meglio conoscere i desideri ed i bi- sogni reali delle campagne manifestati liberamente, nonché per avere consiglio autorevole intorno ai provvedimenti da prendersi, ed appoggio potente a condurre a buon fine le iniziative prese a prò dell'agricoltura. Nelle pagine precedenti non pochi furono ricordati i quali sostengono e giustamente, che l'istruzione in propo- sito deve essere data nelle Università. Mi limiterò ai nomi citati di aggiungere quello di Fr. G. Schultze il quale ebbe a dichiarare francamente che < nelle alte pretese, le quali si esigono in causa dell' adempimento completo del suo ufficio dall'agricoltore, una educazione intellettuale e morale è necessaria od almeno urgentemente desidera- bile di cercare questa educazione in una Università. » Vengano dunque facoltà agrarie o almeno sezioni agrarie, o nel peggior caso cattedre agrarie in tutte le Università, mantenendomi favorevole a tutte le scuole agrarie, quindi anche agli Istituti superiori d' agricoltura di Portici e di Milano (tutto quello che vi si spende sa- rebbe ben poco rispetto ai vantaggi che si potrebbero rag- (950) [74] giungere), ma non sono sufficienti. L' istruzione superiore che parta dai centri più alti d'un insegnamento generale è resa necessaria dalla circolare-lettera ora citata, ove si voglia che la nuova e libera associazione nazionale di agricoltori proposta, abbia realmente e vantaggiosamente a raggiungere quanto 1' onor. comm. Miraglia a mezzo suo si attende. DETERMINAZIONE DI CORRENTI SOTTERRANEE A MEZZO DI SOSTANZE COLORANTI NOTA DEL M. E. Ct. MARINELLI Uno fra gli argomenti geografici più interessanti è senza dubbio quello della idrografia sotterranea, forse perchè, al fascino dell' ignoto e del misterioso, unisce l'attrattiva che proviene dalla sua connessione coi bisogni della vita pratica e colla salute pubblica. L' interesse ch'esso desta però non è sufficiente a ri- solverne tutti i problemi, anzi avvene fra essi alcuni, che si mostrarono molte volte refrattari a tutte le ricerche, come, ad esempio, quello della comunicazione sotterranea di corsi d'acqua separati fra loro, quali quelli del Reca- Timavo nel Carso, della Guadiana in Ispagna, dell' Imele, un tributario del Salto, nell' altopiano di Carseoli (Campi Palentini), di moltissime fra le sorgenti cosidette vauclu-^ siennes, ecc. Di consueto la esistenza di una comunicazione fra due corsi d'acqua superficiali fra i quali non esista appa- rente continuità superficiale, s' inferisce per via d' indu- zione, tratta dal considerare la improvvisa scomparsa delle acque nel corso superiore e la loro ricomparsa, sovente copiosa e pur improvvisa, nell' inferiore, l'andamento e la configurazione del terreno superficiale, la direzione e la natura degli strati geologici, ed altre circostanze (tempe- ratura delle acque, coincidenze delle torbide, corrispondenza delle portate tra loro e coi fenomeni della precipitazione) che accompagnano il fenomeno. (952) . [2] Ma le conclusioni rare volte assumono il carattere della certezza, quando non sia possibile seguire il corso sotterraneo attraverso le caverne e i condotti, nei quali esso si svolge: né è raro il caso che geologi, idrologi spe- cialisti e geografi, ingegneri e igienisti abbiano presi in tali argomenti degli abbagli notevoli, com'è frequente quello di dispute accalorate e interminabili, d'altronde giustificate, allorché, sulla base della esistenza o non esistenza di tali presunte comunicazioni, si fondino progetti costosi d' im- prese destinate a fornire d'acque potabili e sane centri importanti e popolosi che ne manchino. Non cito esempi, perché ognuno può trovarne di adatti e anche poco lontani. E dun(|ue facile comprendere come studiosi e interes- sati si sieno occupati a cercare un mezzo capace di dar certezza di tale esistenza, tutte le volte che il condotto della presunta comunicazione si presenta intransitabile. E il concetto che dominò le varie ricerche fu sempre quello di cercare di far passa l'C attraverso le cavità e i meati impraticabili all' uomo, sostanze immesse nel punto di scomparsa dell'acqua e suscettibili di essere riconosciute air uscita 0 per la forma, o })er il colore, o per il sapore 0 per altri caratteri. Per cui, chi ricorse ai galleggianti, chi a segatura di legno, chi ad olio di bitume, chi a colo- ramenti d'anilina, chi ad amido e chi perfino a sai di cucina. Ma, o per un motivo, o per l'altro, tali mezzi si mo- strarono tutti 0 poco 0 nulla adatti allo scopo. Cosi riuscirono a vuoto le sperienze tentate, a mezzo deìVamido, dal Raymond e colleghi nel 1865 e, a mezzo del violetto d" anilina, dal Forel e Gollier nel 1892, per dimostrare la comunicazione, presunta in via teorica, fi'a le fessure di Bonport nel lago dei Brenets (Svizzei-a, cantone di Vaud) e la sorgente dell'Orbe (i). (1) Forel et Gmllikr, Colorution des eaux de l'Orbe. In « Aroli. des Se. phvs. et nat. » T. 30, 1893, jiag. 406-68, [3] (953) Né migliore risultato ebbe l'uso deìVanilina, fatto nel 18()9 per provare quella, pur presunta teoricamente, fra le acque del Danubio, le quali, fra Immerdingen e Mohringen, si sprofondano nelle fessure degli strati giurassici, e le sorgenti dell'Aach, distanti in linea retta 11 chilometri, comunicazione interessante, oltre i bisogni umani, anche la curiosità scientifica, come quella che designa il Danubio quale tributario di due mari : il Nero e il Germanico ('). Così a nulla approdarono le esperienze, compiute negli anni 1880, 1882 e 1883 dall' ing. Grablovitz, per assicurarsi, in modo evidente, della classica comunicazione fra Reca e Timavo {-). Nei suoi vari tentativi, egli si servì di galleg- gianti di legno, zavorrati e tali da avere un peso specifico eguale a quello dell'acqua che doveva convogliarli. Nel- r ultima prova i galleggianti immessi nella grotta di San Canciano non furono meno di 3000, ma egli gli attese invano allo sbocco del Timavo, presso S. Giovanni di Duino. Risultato che non deve maravigliare chi rifletta al lungo, accidentato ed angusto cammino, che, ammessa la presunta comunicazione, quelle acque devono percorrere, tenuto presente che la distanza superficiale rettilinea fra la grotta e S. Giovanni non è minore di 35 chilometri (3). (1) Knop. Ueber die hydrogr. Beziehwigen zwischen der Donali und der Aachquellen i>ii Bctdische Obeiiande. In « Neues Jahrb. fùr Min., Geol. u. Paleont. » Stuttgart, 1875, pag. 942 e seg.; — Knop, id. ib., 1878, pag. 350 e seg. (2) DoRiA, Cenni intorno alle ricerche sulla contiìiuità delle acque del Carso, eseguite coli' impiego della fluorescina, in «Atti e Memorie della Soc. Alp. delle Giulie» maggio 1887 — die. 1892. Trieste, 1893; — Gr.\blovitz, Sull'inabissamento del fiume Reca, in « Atti e Memorie » 1883-85 della Società degli alpinisti triestini. (3) Per avere un' idea degli ostacoli e dell' angustia presentate di consueto da tali condotti sotterranei, cnfr. fra altri De Launay e Marte!., Note sur qiielques questions relatives a la geologie des grottes et des eaux souterraines, in « Bull, de la Soc. gèol. de France » 1 dèe. 1890, 3.^ Serie, T. XIX, pag. 142. — Sulla conformazione particolare del (954) [4] E anche (jiiando, come nel caso dell'esperienze ripetute nel 1877 per verificare la menzionata comunicazione fra Danubio ed Aach, si volle ricorrere all'olio di bitume e al sale di cucina, è facile comprendere come la immissione del primo possa essere giudicata un vero, per quanto tem- poraneo, inquinamento della corrente, ed il secondo mezzo, oltre a sospendere esso pure la potabilità dell'acqua, è di natura tale da rendere l'esperienza penosa e lunga e pos- sibile quasi soltanto a mezzo di analisi chimica. Oltredichè si l'una che l'altra delle due sostanze, perchè la prova riesca efficace, deve essere impiegata in quantità assai grandi. Ad esempio, nei due casi citati, l'olio di bitume immesso nel Danubio ammontò a 12 quintali, e il sai da cucina a ben 200 quintali. Invece, per raggiungere il fine, cui mirano tali espe- rienze, era necessario trovare una sostanza che presen- tasse le qualità seguenti : essere di facile soluzione nel- l'acqua pura: possedere in piccola (juantità una grande potenza colorante: essere fornita della capacità di conferire un coloramento permanente per un certo lasso di tempo: essere finalmente sostanza innocua alla salute in modo che la potabilità dell'acqua non ne venisse sospesa neanche temporariamente. Venuta quindi in soccorso degl'idrologi, la chimica non tardò a trovarla nella fìuorescina, una sostanza che sod- disfaceva a buon numero delle cennate condizioni, come quella che riesce a colorire in una bella tinta verde fluo- rescente, una quantità d'acqua molti milioni di volte mag- giore, senza alterarne sensibilmente il gusto, né la potabilità. Alle prove essa si mostrò efficace. Nel 1877 confermò la menzionata comunicazione tra le acque del Danubio e la sorgente dell'Aach. labirinto di caverne percorso dal Reca, cnfr., fra altro, Mì'Ller, Die Grottemoelt vun St. Cntizian, in « Zeitschr. d. D. ii. Oe. Alpenver. » B. XXI, 1890. [5-| (955) Nel 1893 fu adoperata pure con ottimi risultati a due riprese, una volta dal professore Piccard (i) fra il 1" e il 4 settembre, una seconda volta dai professori Forel e Golliez (2) il 25 e 26 di dicembre, per accertarsi della menzionata comunicazione sotterranea esistente fra le acque del lago dei Brenets (fessure di Bonport) e le sorgenti dell'Orbe. Quest'anno 1894, finalmente, gli stessi Forel e Golliez l'adoperarono pure efficacemente per provare la provenienza delle acque della stessa sorgente dell'Orbe dalle acque del lago di Joux, prossimo e superiore a quello dei Brenets, che si sperdono nelle fessure di Roclieray (3), il più a monte dei suoi inghiottUotH. E se la fluorescina non valse nemmeno essa, adope- rata nel 1891, a dimostrare la presunta comunicazione fra Reca e Timavo (*), questo, più che a difetto del mezzo adoperato, si deve attribuire ad infelice esecuzione dell'e- sperienza medesima. Basti sapere in proposito che la quan- tità di fluorescina immessa ad Auremio (circa 8 chilometri a monte di S. Canciano), fu soltanto di 10 chilogrammi, cioè insufficiente rispetto alla grossa portata del Reca e a quella enorme del Timavo (s). E insufficiente a tutti sem- (1) Piccard, Communications souterraines entre le lac des Brenets et les sourccs de l'Orbe. In « Arch. d. Se. phys. et nat. T. 30, 1893, pag. 466-68. (2) Forel et Golliez, Coloration des eaiix de l'Orbe. Ib. T. 31, 15 mars 1894. (3) Forel et Golliez, cit. Ivi. (4) DoRU, citato. (5) Secondo il Burkli (Relaz. in risposta ai quesiti proposti dalla Commissione Municipale incaricata deijli studi sui provvedimenti di acqua della città di Trieste, Trieste, 1870) che ha attinto alle misure eseguite sul Timavo nel 1870 dall' ing. Frane. De Rino e sul Reca da una Commissione Civica Tecnica triestina nel 1876, la media portata del Timavo si deve calcolare almeno ad 800.000 m. e. al giorno (circa 9.3 m. e. al min. sec.) e quella del Reca presso S. Cangiano a circa (956) [6] brerà il tempo impiegato nell'osservazione, che non si estese, al Timavo, oltre a 3 giorni dall' istante della immissione, mentre sarebbe stato prudente continuarla almeno per 15. Sicché sarebbe invero precipitata e infondata la con- clusione di chi, da una cosi imperfetta esperienza, volesse inferire la condanna del mezzo adoperato, ovvero la ine- sistenza dell'accennata comunicazione. Senonchè la ffuorescina, adatta, come si disse, sotto molti rispetti per tali sperienze, presenta questo inconve- niente, ch'essa non è direttamente solubile nell'acqua pura di fiume o di sorgente e che esige quindi di essere ante- riormente sciolta colla mistione di una certa quantità di soda 0 di potassa. Inconveniente abbastanza grave, allorché si tratti di dover praticare delle esperienze, come spesso avviene, in località montuose, lontane dai luoghi abitati, e dove non si presentano facilmente le comodità necessarie per la duplice operazione. Ecco perchè, nel 1890, il professore Frischauf (*) pro- poneva nei « Mittheilungen » del C. A. Ted. Austriaco di sostituire alla fluorescina 1' urmiina, direttamente solubile nell'acqua. E r uranina mostrò di soddisfare in modo egregio a tutte l'esigenze accennate. Anzitutto essa è dotata di una potenza colorante enor- me, che arriva al 40 milionesimo. Per dirla in altre parole: 1 grammo di uranina è sufficiente a colorare in un bel verde fluorescente 40000 litri d'acqua ("^). 280.000 me. al giorno (circa 3.2 me. al min. sec.). Secondo il Gkiringer {I provvedimenti d'acqua ecc. per la città di Trieste Relaz. al Cons. della citili. Trieste, 1882) la portata di magra al Timavo si deve rite- nere ad 1,300.000 m. e. al giorno (15 m. e. al min. secondo) e quella del Reca a 90.000 m. e. al giorno (oltre 1 m. e. al min. sec). In ogni caso portate assai ragguardevoli. (1) Frischauf. — Zur Erforschungs der imterirdischen Wasserlaufe In « Mitt. d. D. u Oest. Alpenvereines » Jahrg. 1890, pag. 31 e 32. (2) Questo è il risultato testò ottenuto dall' egregio dott. Paolo [7] (957) Il colore è permanente e si mantiene anche traverso a filtrazioni nelle sabbie. Finalmente l'acqua colorata coli' uranina, se acquista un leggerissimo sapore, per niente disgustoso, è perfetta- mente potabile ed innocua. Né ad essa pure mancò la sanzione dei fatti. E qui m'è grato di riferire intorno alla prima espe- rienza di tal genere eseguita coli' uranina in Italia, e che probabilmente è anche la prima, o per lo meno una dello prime eseguite in Europa. A renderla necessaria valse una vitale questione che agita da qualche anno una delle più grandi e importanti fra le nostre maggiori città. Com' è noto, Firenze non è fornita di acqua né abbon- dante, né ottima, nonostante che da un pezzo dai preposti alla sua amministrazione si studi ogni mezzo per cercare di provvederla di tale vitalissimo elemento. Anche quivi, come altrove, le commissioni si succe- dettero alle commissioni, le ricerche alle ricerche, i progetti ai progetti. Siccome la costituzione geologica degli Appennini con- termini alla città, anche in un considerevole raggio di distanza da essa, non offre campo alla formazione di sor- give tali da soddisfare alle esigenze varie, 1' ultima com- missione eletta dal consiglio comunale di Firenze (*), allo scopo di presentare delle proposte concrete e pratiche affi- ne di provvedere la città di acque pure e copiose, concluse Malfatti, figlio dell' illustre e compianto geografo, in seguito ad espe- l'ienze compiute nel gabinetto di Geologia dell' Istituto di Studi Superiori in Firenze e che è interamente conforme a quello affermato dal Fris- chauf. Però il Forel e il Golliez asseriscono che mediante apparecchi speciali, si troverebbe modo di accertare l'esistenza di traccie d'uranina fino ad 1:1200 milionesimo. (1) Gfr. la Relaz. della Commissione incaricata dello studio di un nuovo acquedotto fiorentino. Firenze, Stab. tip. fior., 1893. T. V, S. VII 63 (958) [8] presentando un progetto di massima, secondo il quale l'ac- (luedotto fiorentino doveva derivare il proprio alimento dalle Alpi Apuane e precisamente dalla vallata della Turrite Secca, sovrastante a Castelnuovo di Garfagnana (cfr. la Tavola qui unita). Data la grande distanza del punto li provenienza (che non ammonta in linea retta a meno di 80 chilometri e, comprese le curve, a meno di 103) e la copia e la natura delle opere d'arte necessarie per una tale colossale impresa, ninno avrà motivo di meravigliarsi sentendo che il costo dell'acquedotto fiorentino, fin d' ora, si presume in circa 20 milioni di lire, e neppure che la sua attuazione sia stata e sia oggetto di serie e dibattute discussioni nel con- siglio cittadino, nei circoli e nella stampa. Fra le principali sorgenti che la Commissione propo- neva di utilizzare per tale acquedotto, assai notevole è quella cosidetta della PoUaccìa. Ma sovra di essa appunto vertevano le maggiori disparità di vedute, poiché essa dagli oppositori al progetto e specialmente dal prof. Carlo De Ste- fani, il noto geologo, perfetto conoscitore delle Alpi Apuane, non era già giudicata per una vera sorgente, ma come una risorgente del canal d'Arni, le cui acque ricompari- vano in essa, dopo un corso sotterraneo di circa 3750 metri. Ora, la distinzione era tutt' altro che oziosa, perchè lungo il tratto superiore o Canal d'Arni, trovansi le due borga- telle di Arni e di Campagrina, e da ciò la possibilità che in casi di epidemie o, anche indipendentemente da questo, per ragione di filtrazioni di pozzi neri, di acque di scolo ecc., la risorgente potesse venire inquinata, mancando cosi ad una delle qualità essenziali per cui essa veniva scelta. Valeva dunque la pena di verificare il fatto nei modi ^ìii sicuri che la scienza suggerisce. Con savio consiglio, il professor De Stefani non volle condurre a termine egli [91 (959) stesso la esperienza relativa, ma ne incaricò due studenti della sua scuola di geologia (i). Dapprima si era pensato di adoperare per tal fine la fJ.uoì^e SCina, ma venuti a cognizione dei pregi superiori deW uranina, si credette preferibile adoperare quest' ultima, che venne a bella posta fatta preparare a Darmstadt nello stabilimento Merck (2). A due riprese nel corso del passato inverno, cioè i giorni 13 e 14 del dicembre 1893 e il 3 del marzo 1894, i due giovani si recarono nell'alta regione del canal d'Arni e della Pollacela. Ma il tempo contrario impedi loro di effettuare la esperienza in quella prima occasione, nella quale dovettero accontentarsi di prendere cognizione della costituzione geoflsica di quei terreni. Invece essa riesci a meraviglia nella seconda. Diffatti il 3 marzo, fra le 15 ore e 50 minuti e le 16.10, essi immisero nella corrente del canal d'Arni, 5 chilogrammi di polvere d' uranina, circa 170 metri a monte del Passo dell'Orco, località, dove, a 771 metri sul mare, le sue acque scompariscono nelle fessure dei calcari saccaroidi (marmi apuani) che costituiscono quei terreni. L'acqua tinta im- mediatamente di un verde cosi intenso da richiamare l'attenzione dei valligiani e da destare anche in loro qualche allarme, impiegò circa 30 minuti di tempo a percorrere quei 170 metri, dopo i quali disparve per ricomparire pure intensamente colorata alla Pollacela, a 549 metri sul mare, (1) Cioè il dott. Giovanni De Agostini, iscritto nelT Istituto Supe- riore per il perfezionamento nella geografia, e Olinto Marinelli, studente nel terzo anno di Scienze naturali. Cfr. in proposito De AGosTiNt G. e Marinelli 0., La comunicazione sotterranea fra il can. d'Arni e la Pollaccia ecc. in « Rend. (l.'' apr. 1894) della R. Accad. dei Lincei », e ; — Id., Studi idrografici nella valle superiore della Turrite Secca nelle Alpi Apuane, in « Riv. Geogr. ital. » dir. da G. Marinelli, maggio 1894. (2) Fu acquistata per mezzo del dott. Aless. Bizzarri di Firenze. Essa si fabbrica pure a Ludwigshafen presso Manheim nella « Badische Anilin-und Sodafabrik. » (060) [10] intorno alle ore 9 del giorno 5, impiegando così nel tra- gitto circa 41 ora di tempo. Va avvertito che la distanza rettilinea che separa i due punti è di circa 3750 metri, mentre, seguendo le svolte e risvolte del filone superficiale della vallata, essa risulta di 5 chilometri. Dato, cosa poco probabile, che il percorso sotterraneo sia rettilineo, la velocità media di cammino delle acque sarebbe assai lento, cioè di appena 91 metri all'ora. Invece, cosa assai più probabile, dato ch'esso si svolga assecondando più o meno esattamente le curve del thalweg superficiale, tale velocità sarebbe sensibilmente maggiore, cioè pari a 122 metri all'ora. E interessante il paragonare la velocità di trasmissione sotterranea, quale risultò in questo caso, con quella osser- vata nelle altre esperienze congeneri. Anzitutto va avvertito che, a percorrere il tratto super- ficiale dei 170 metri, l'acqua verde impiegò soli 30 minuti, il che dà una velocità di 340 metri 1' ora, cioè quasi 4 volte maggiore di quella segnalata nel cammino sotterraneo. Poi che, nelle menzionate esperienze riguardanti il Danubio, l'olio di bitume impiegò 62 ore, il sale 20 ore (stato di piena), la fluorescina 60 ore a percorrere 1 1 chi- lometri, il che corrisponde a velocità di 179, 550 e 183 metri all'ora. Nelle due esperienze praticate al lago dei Brenets (fessure di Bonport) nel 1893, a percorrere 3 chilometri (*), la fluorescina impiegò una volta 50, un'altra 22 ore, il che dà le velocità di 60 e di. 136 metri all'ora; — in quelle pur concernenti il lago di .Toux (fessure di Rocheray), a percorrerne 11, la stessa sostanza impiegò ben 293 ore, con una velocità corrispondente ad appena 37 metri e mezzo all'ora ("2). (1) Con un dislivello di 224 metri (Viv de S. Martin, Dict. alla voce Orbe \ — Reclus, Gèofjy. nouv. voi. Ili, pag 33). (2) Con un dislivello di 226 metri (Forei, et Goi ltez cit.) [11] (961) La incerta conformazione del cammino sotterraneo, la possibile esistenza di ostacoli, di cascate, di stagnamenti, di materiali detritici o sabbiosi più o meno permeabili e ostruenti, nonché le condizioni altiraetriche, danno perfet- tamente ragione delle considerevoli divergenze, le quali, senza dubbio, debbono venir influenzate dalle variazioni nella portata della corrente. Anzi, in questo stesso caso della Pollaccia, la velocità avvertita può essere stata resa alquanto anormale da una piena quasi improvvisa del torrente, prodotta da dirotta pioggia, caduta nel giorno precedente e che accompagnò le ultime fasi dell'esperienza, senza toglierle della sua evi- denza, nemmeno col conseguente intorbidamento delle acque. Ma credetti opportuno di segnalare tali divergenze, per mettere sull'avviso quanti credessero opportuno di ripe- tere una congenere esperienza in casi analoghi, perchè esse mostrano necessaria un'osservazione vigilante assidua- mente nel punto della presunta risorgente, durante uno spazio di tempo di durata non prevedibile, al certo assai variabile e più lunga di quanto a primo aspetto potrebbe sembrare. Non è mio intendimento di entrare in altri particolari riguardanti la esperienza eseguita alla Pollaccia. Basti osservare soltanto che essa, in modo evidente, in tempo breve e con ispesa modesta (i), venne a risolvere sicura- mente la questione della disputata deriraz-ione della Pol- laccia dal canal d'Arni e a qualificarla quindi come una risorgente inquinabile. Risultato che concorda pienamente colle conclusioni alle quali era arrivato il De Stefani e altresì coll'opinione emessa altre volte dallo stesso Stoppani ("^). A me poi parve sopratutto opportuno di richiamare su (1) Il costo di im chilogr. di uranina, appositamente preparata ammonta a circa 40 lire. L' impiego di 5 chilogr. si mostrò di gran lunga superiore al bisogno. (2) Il Bel Paese. Serata XXII. (962) [12] di essa l'attenzione dei colleghi, in vista dell' importanza scientifica e pratica che i problemi dell' idrologia sotterra- nea presentano in un paese come il nostro, dove i cosidetti fenomeni carsici si rincorrono frequenti dalle prealpi al- l' altopiano abruzzese, al Gargano, all'estreme Puglie, alla Sicilia, e dove la questione della buona acqua potabile s'im- pone urgente a moltissimi dei nostri comuni. Nel Veneto stesso, dal Carso al Cansiglio, all'altipiano dei Settecomuni, al monte Baldo, o sotto il rispetto della scienza o sotto quello della vita sociale, le ricerche di questo genere troverebbero numerosissime applicazioni. Da ciò l'opportunità di conoscere e far conoscere un mezzo per compierle, adatto come quello di cui ho fatta parola. Roma, 13 aprile 1894. [13] (963) NOTA A SPIEGAZIONE DELLA CARTA Il bacino della Pollacela corrisponde al tratto superiore di quello della Turrite Secca, tributaria di destra del Sarchio presso a Castel- nuovo di Garfagnana e quindi spettante al versante orientale delle Alpi Apuane. Esso è esteso qualcosa piii di 25 chil. quadr. ed è limitato tutto air ingiro da una cresta di monti le cui punte culminanti stanno fra 1500 e 1800 metri. Essi sono nella massima parte costituiti da calcari triasici a strut- tura saccaroide (marmi apuani), però in modo da essere limitati infe- riormente da una zona schistosa pure triasica, al contatto della quale con i calcari sgorga la sorgente detta appunto la Pollacela. I calcari, come succede in analoghe formazioni, danno origine ad un vero sistema di idrografia sotterranea, dovuto alle fessure, che in molti sensi li attraversano e che vengono allargate e modificate per l'erosione chimica e meccanica delle acque. Cosi le vallettine superiori del Canal d'Arni e del Freddone e le loro tributane, che orograficamente formano il bacino superiore della Pollacela, idrograficamente non si mostrano collegate con essa alla su- perficie perchè le loro acque scompaiono nelle caverne che perforano le roccie nei punti segnati con semplice asterisco ("*) nella cartina. SOPRA UN CASO DI DERMATOBIA NOXIALIS IN UN BAMBINO LATTANTE (i) OSSERVAZIONE del s. c. PIETRO GRADENIGO La importanza e la stranezza di un caso di parassi- tismo, da me osservato in questi ultimi giorni, e che credo siasi almeno peli' Italia, per la prima volta presentato nella pratica oculistica, mi consigliano a tenerne parola bre- vemente, quanto più mi sarà possibile il farlo. II 22 febbraio ultimo passato, venne recato nel di- spensario della Clinica Oculistica di Padova un bel bam- bino, dell'età di soli tre mesi, reduce allora colla madre e col padre dall'America del Sud, e precisamente da un villaggio assai vicino a S. Paolo del Brasile. Seppi dai ge- nitori che la malattia pella quale si richiedeva la mia as- sistenza, e che consisteva in un enorme enfiatura della pal- pebra superiore sinistra e dei tessuti vicini, datava da più di 25 giorni, ed era apparsa senza causa nota, ed aumen- tata progressivamente massime negli ultimi giorni della fatta lunga navigazione. La palpebra superiore calda, assai dolente, mostravasi colorata in rosso livido, di molto ispes- sita, distesa in modo da ricoprire l'inferiore, ed era divenuta (1) Di questo caso di parassitismo feci parola nella seconda tor- nata della Sessione d'Oculistica del Congresso Medico Internazionale tenuto ultimamente in Roma. (966) [2] resistente cosi da non potere essere rimossa che con diffi- coltà, e solo in parte, pell'opportuno esame del globo ocu- lare, che, dopo varie prove, potei riscontrare del tutto nor- male, all'infuori d'un certo grado di chemosi sierosa, di forma anulare. Colla palpazione avvertii ancora come il turgore si estendesse profondamente, occupando tutto lo spazio perioculare, limitato al lato interno e superiore dal bordo osseo orbitale. Non esisteva alcun secreto morboso, all'infuori di un po' di sierosità tenue, nella quale erano sospesi vari fioc- chi 0 filamenti di muco. Per tali dati sospettai, fino dalle prime trattarsi di un caso di puntura avvelenata, esclu- dendo ogni altra malattia di origine infettiva. — Nel con- durre il paziente esame, reso difficile dall'intolleranza del piccolo malato, mi venne fatto di notare l'esistenza di due piccoli fori, esattamente circolari, del diametro minore di due millimetri, l'uno situato all'esterno della papilla la- grimale superiore, l'altro in corrispondenza della parte centrale del legamento interno pali)ebrale. Attraverso que- sti forellini scòrsi, e non senza meraviglia, spoi'gere ora si ed ora no, preceduta da una goccia d'umore limpido, una specie di cilindretto di colore chiaro, ad estremità li- scia convessa leggermente pigmentata, che al più leggero tocco si ritraeva prontamente, fino a lasciare libera 1' a- pertura, attraverso la quale aveva fatto capolino ; onde s'avreblje detto che in quei tessuti enfiati si ritrovasse in- nicchiata una specie di lumaca, in modo da mettere fuori a volontà l'estremo delle sue corna. Fu dopo di ciò che, armato di una sottile pinzetta ad uncini, mi misi, dirò cosi, alla caccia dello strano animale, o meglio degli strani animali, che non uno, ma due dovevano essere quei corpi moventisi, e dopo pazienti prove giunsi finalmente ad af- ferrare, in un momento della maggiore sporgenza, quel fi- lamento carnoso, che cedendo ad una dolce e progressiva trazione, venne stirato fuori dal forellino del lato interno, come attraverso una filiera, acquistando l'apparenza d' un [3] (967) grosso filo di refe sfaldato, della lunghezza di circa quattro centimetri. — Esaminato tosto quel lungo cencio al mi- croscopio, si mostrò formato e da trachee lacerate e da gruppi d'intestina e da sottili filamenti, che evidentemente appartenevano ad una grossa larva d' insetto svoltasi in quei tessuti. Ripresi quindi la ricerca dei resti di quel corpo, e dopo qualche tentativo sono riescito a trarre fuori, colla semplice pressione delle dita, e sempre dallo stesso forellino, il capo e la porzione rimanente del ventre. Per r estrazione della seconda larva procedetti in modo diverso, allo scopo di allontanare, senza lederlo, tutto intero il corpo dell'animale, ciò che mi venne fatto d'ottenere operando nel modo seguente : Introdussi dappri- ma una sottile setola di maiale nel secondo forellino facen- dola scivolare per circa un centimetro lungo il canaletto, che, come dissi, si apriva sul bordo della palpebra superiore, all'esterno del punto lagrimale, e ciò per riconoscerne la direzione ; quindi con un sottile tagliente a punta ottusa, praticai, seguendo la medesima via, l'incisione della parete esterna di quel canaletto, che cosi aperto mi permise l'in- troduzione d'una sottile sonda d'Anelio fino a "riunc-ere in una cavità, più profondamente situata, verso la parte su- periore interna dei tessuti perioculari, e che venne tosto largamente aperta con una seconda incisione. Allora mi riesci facile, e colla sola pressione, estrarre in totalità una grossa larva di dittero, intatta, viva, dotata di estesi mo- vimenti, che presentava i caratteri che verrò esponendo: La forma del corpo, che misurava dai 14 ai 15 millime- tri, era ovoidale allungata. Di colorito cinereo chiaro, al- l'estremità facciale era macchiata in giallo, , mentre la parte superiore del torace era tinta in grigio oscuro e l'addome colorato in bleu lucente con base d' un bianco- sporco. Dall'esame praticato al microscopio, a piccolo in- grandimento, si riconoscevano oltre ad alcuni peli laterali alla faccia, che era munita di mandibole, dodici anelli o (968) [4] corone di uncini robusti di colorito oscuro, disposti rego- larmente tutti all' intorno del torace. La fotografia di questa larva, che appare ingrandita due volte, venne trS^tta qlialch 1078 Programmi dei concorsi scientifici jìroposti dal R. Istituto Veneto e dalle Fondazioni : Querini Stampalia, Ca- valli e Balbi-Valier per gli anni 1894-95-96 . . » 1091 Elenco dei libri e delle opere pei-iodiche pervenute al R. Istituto dal 10 Maggio al 10 Giugno 1894 . . » ct SEP 4 1tS5 ANNO 1893-94 DISPENSA VI.* ADUNANZA ORDINARIA DEL G-lO^<3SrO 19 Iv^U^G-G-lO ±39^ "t~-cw — S~ PRESIDENZA DEL COMM. NOB. EDOARDO DE BETTA PRESIDENTE s Sono presenti i membri effettivi : Lamperticu \icepresi- (lente, Fambri -segretario, Berchet vicesegretario, Pi- RONA, Vlacovich, Lorenzoni, Trois, Canestrini, Bel- trame, Omboni, Deodatf, Bonatelli, Stefani, Spiga, Teza, Morsolin, Lioy, Martini, Tamassia, Veronese, Chicchi, Papadopoli ; e i soci corrispondenti : Da Schio, Occioni-Bonaffons, Cassani, MAzzimi, Nicolis, De Toni, Padova, Castellani, Ragnisco. Letto ed approvato l'Atto della precedente adunanza, e giustificate le assenze dei membri effettivi : Rossi, J. Ber-* nardi, E. Bernardi, Favaro, Marinelli, Bellati e Keller, il Presidente comunica gli elenchi dei libri acquistati e pervenuti in dono all'Istituto dopo l'ultima adunanza, e fra questi fa particolare menzione dei seguenti, offerti : Da Sua Maestà il Re; il voi. VI, serie I dell'Opera: Cam- pagne del Principe Eugenio di Savoia. Dal Reale Ministero della istr -zione pubblica; il voi. IV delle Opere di Galileo Galilei, edizione nazionale sotto gli auspicii di Sua Maestà il Re d' Italia. T. V, S. VII 65 976 Dalla Società Dante AUighieri (Comitato di Venezia) ; i vo- lumi I e II dell' Opera di M. Tamaro: Le città e le castella delV Istria. Dal m. e. vicesegretario Guglielmo Berchet : Annual Re- po7't of the Central Sanitari/ Bureau attached lo the Home deparlement of the Imp. Japanese Gouverne- ment i890. A Brief relieio of the Operations of the Home de- parlenent in connection loith the Cholera epidemie of the 23rd Year of Meyi 1890. Vengono quindi presentate e lette le seguenti Me- morie : Dal m. e. E. Teza — Nomi di stelle. Dal ra. e. P. Lioy — Enimmi popolari inediti del Vi- centino. Dal s, e. G. Mazzoni — Un altro commilitone di Ugo Fo- scolo : Antonio Gasparinetti. Dal s. e. E. Padova — Una osservazione relativa alla teoria di Maxwell per V anello di Saturno. Dal prof. B. Bragi — Intorno agli studenti tedeschi e la S. Inquisizione in Padova nella seconda metà del secolo XVI (presentata dal m. e. G. De Leva in con- formità all'articolo 8 del Regolamento interno). Dal prof. G. Bordiga — Congruenza del quarto ordine e della seconda classe nello spazio a quattro dimen- sioni (presentata dal m. e. G. Veronese e. s.) Dal dott. iS. Lussana — Sul calore specifico dei gas. Ri- cerche sperimentali (presentata dal m. e. M. Bellati e. s.) Dopo di che l'Istituto si raccoglie in adunanza segreta per procedere alla trattazione degli affiiri posti all'ordine del o-iorno. NOMI DI STELLE ]N OT A DEL M. E. E. TE ZA. Di tante e tante stelle sanno i dotti dove posino e quali siano le compagne, e come s' intreccino ; ma un no- me, che se ne chiami ciascuna, non e' è. Sarebbe fatica di chi lo inventa o di chi deve rammentarlo : all' occhio, o nudo ed acuto, o armato bene, sono sempre dove erano, 0 girano con un viaggio che è segnato da secoli per i se- coli ; non somigliano alle bestie e alle bestiuole, alle piante ed alle pianticine, delle quali sono tante le sorelle, con aspetto uno e diverso, che vanno e tornano e fuggono e sfuggono, che non e' è mano di possente tirannello che le freni. Ma fra quelle migliaia di lucide pallottole, senza contare le vaganti, poche ve ne sono che paressero degne di questo rito umano del battesimo ed abbiano due ordini di padrini, i dotti di scuola e i dotti dei campi, quelli che le guardarono o prima o meglio degli altri : e, nel racco- gliere e nel vagliare queste testimonianze della immagi- nazione pittrice che è negli uomini, 1' opera dell' osserva- torio, bene munito di intelletti che pensano e d'istromenti che gli aiutano, va contata assai meno di queir altra, che, di dove è terra a dove è cielo, s'alza, e fa il suo disegno, e a' contorni dà un nome, e un nome a quegli astri che più attirano 1' occhio dell' ignoto pastore, in quel mondo di meraviglie. Il primo fu uno solo, ma ignoto : e la sua parola, che resta, pare di tutta una gente. (978) [2] Oltre alla schiera degli amatori ed aiutatori di scien- za, ci sono i fantastici ; che del rimestare nelle bocche e nelle memorie i vocaboli fanno sforzo grande : e non sono molti anni da che un uomo di vari studi, e di immagina- zione sempre agitata (senza contare la onestà della sua vita che lo fa venerando), ripopolava di nomi e nomi tutto il cielo, cercando ringiovanirlo. (*) Forse di questi innocenti giocherelli e è chi sappia la storia : ed io mi contenterò solo di rammentare Giulio Schiller, e l' amico suo Giovanni Bayer che, a' primi del seicento, vogliono beatificare an- che il cielo : i dodici apostoli, ciascuno per una delle tribù d'Israello, vengono a compartirsi le varie stanze dello Zo- diaco, l'Orsa maggiore si tramuta nella navicella di Pietro, il Serpentario in papa Benedetto, la nave d'Argo nell'arca di Noè, Cassiepeia nella Maddalena, Pegaso nell'Arcangelo Gabriele, e il Cane, quello più grande, in Re Davide. Co- desto fu il Coelum stellatiim christianum ; che, morti i due poeti pittori, (se possiamo cosi chiamarli) usci in luce nel 1627. Altri ve ne sono : e, con sottilità che poteva di- ventare più proficua alle sue tasche, Erardo Weigel {Sphae- rica, 1688) tentò rispecchiare l'araldica di terra in mezzo alle nuvole, e discoprire nell'alto le armi delle città, dei regni, dei principi ("^). Gare di primazia sono anche lassù (1) Cfr. Sunto della memoria sulle ffcuranie, letta dal prof. Q. Fi- lopanti (nella seduta del 9 genn. 1862 dell' Accad. delle Scienze. Bolo- gna, 1862) che fu scritto dal segretario, Domenico Piani. Mi contento di questo Saggio perchè non ho piìi alla mano Miranda : e, rivedendolo, penso alle allegre dispute di una volta con quel brav' uomo del Piani, che s' ostinava a dire, tutto un dolce sorriso, e poi a stampare, che codesto rinnovamento è fatto per 2'^uygare il firmamento dalle tur- pitudini della greca mitologìa (p. 21). Anche il cielo è un libro, e quello che v' è scritto è scritto : non hanno valore che le varianti molto antiche. (2) R. Wolfs Handbuch d. Astronomie. Ziirich, 1891, 1,413; che ai curiosi insegna meglio e di più. Mi mette in mano questo libro eccellente il nostro dotto e gentile collega il prof. Lorenzoni, il quale mi impedisce di cadere troppo in basso. [3] (979) e fu notato (') come, dopo diecimila anni di quieta signoria, Saturno fosse vinto da Urano ; il manutengolo del ladro fortunato si chiamò Herscliel. Bensì dispiace che Astrea che, secondo autorevoli testimoni, era salita in cielo da molti secoli, vi sia stata ripescata dal Hencke solo nel 1845: e dispiace ancora che non voglia calar giù. Per i cinesi è imperatore degli imperatori 1' astro polare, e vi ha la consorte principesca, e 1' erede al trono, e i mi- nistri (2). Mio intento è solo di riportare da' libri di Ungheria e di Finlandia nomi di stelle che corrono nella lingua po- polare magiara e nella suomica : e da questa incomincio. Incomincio, perchè mi avvia il dottore Giovanni Jankó, il quale nei Nì/elvtudomànyi kózlemènyek (1893, p. 224) dava una lista di nomi finnici, con la spiegazione ungherese ; ma siccome egli rimandava al Fennia (I, n. X), che è un giornale della Società geografica di Helsingfors, (3) ho po- tuto ricorrere anche a questo, cioè a fonte più diretta (^), e qui riveggo quei nomi, in suomico ed in tedesco. Li darò anch' io nella lingua originale, con una glossa che serbi quanto meglio si può il valore delle parole. (1) Wolf, 1. e. 1,570. (2) Cfr. tra gli altri The Nature. 5 oet. 1893 p. 541-543, ove di- scorre il giapponese sìg. Kumagusu Minakata. (3) Il giornale è scritto ora in francese, ora in tedesco, ora in sve- dese ed ora in finnico ; ed in finnico è la breve noticina del s. Petre- lius, che ha il titolo : Suomalaisia tahtìen niynytyksia. (Denominazioni finniche delle stelle). (4) Chi vedesse nella lista qualche spiegazione che manca ali" un- gherese non creda che sia regalo che possa far io, ma pensi che tra- duco dall' originale. (980) [4] 1.) Aaronin sauva = verga di Aronne (a fi y Aquilae). (*) 2.) Auringon tàhti = stella del sole (a Bootis; Arcturus). (2) 3.) Ehtotàhti, IltaUlhti = stella della sera (Venere ; alle volte anche Giove). 4.) Jaakopin sauva = verga di Giacobbe = n. 1. 5.) Kalevan miekka ^= spada di Kaleva (o, e, Z, Orionis). (^i) 6.) Kalevan tàhti = stella di Kaleva (a Canis maj. Sirio). 7.) Kalevan tàhdet = stelle di Kaleva (e, %-, i Orionis). (*) 8.) Karhun nousu tàhdet == Stelle della levata dell'Orso (a, p Cephei). (s) 9.) Kierfolàhtì = Stella errante, cioè il Pianeta. 10.) Kointàhti == Stella dell' alba (Venere ; alle volte an- che Giove). 11.) Kohnitàhti = Tre stelle, oppure Kolmoiset = Trìge- mine (5, e, J^ Orionis). 12.) Korvatàìdi = Stella dell' orecchio ( = Vega , a Lyrae). 13.) Kukkotàhtì = Stella del gallo ( = a Bootis, Arcturus); alle volte anche a Tauri (Aldebaran). 14.) Kidkutàhdef. = Stelle camminanti ( = a, y Leonis) ; il nome serve anche ai pianeti. (1) È bene rammentare che le lettere furono usate dal Bayer (1603) poi seguito dagli altri astronomi : ma che, non curato da lui, era stato il primo di tutti Alessandro Piccolomini nella Sfera (1539). Cfr. Wolfs Handh. der Astronomie^ I, 415. (2) Il carro di Boote, in qualche luogo di Toscana, è detto Carro di Bòria ; certo di Borea. (3) Kaleva è il padre degli eroi nella epica popolare di Finlandia: e Kalevela è il luogo nel quale abita la forte progenie. (4) In finlandese, Orione è detto la Falce di Vàinàmòinen (cioè Yni- nàmòisen viitake) ; ora, come sinonimo, il nostro autore cita, a questo luogo, anche la Coda della Falce di V. [Vàin. viitahkeen hànta). Per errore è detto che rispondono le stelle i 9- l (che nei Kózleni. si correg- gono in O' i) ; ma la vera lezione è certo : e, %■, i. Cfr. al n. 49. (5) Proprio V orso (karhu) ; non già V orsa degli astri. [5] (^<^1) 15.) Kuusenraajctt = Accompagnatrici della Luna (Regu- lus, Mai's, a Virginis ecc.) (^) 16.) Lapin otava = Y TJrsa di Lapponia (Ursa minor). (2) 17.) Leijonan hànlà = Coda del leone (a, p, y Arietis) 18.) Lenlotàhti ^= Stella del volo (la meteora). 19.) Linnunrata = Strada dell'uccello (la via lattea). 20.) Lurnitàhdet = Stelle della neve (^, y Ursae mi- nori s). 21.) Luomisen tàhti = Stella della creazione (a Aurigae, Capella). 22.) Luoman tàhti = Stella del creato (Saturno). 23.) Orjan kyynàrà = Braccio dello schiavo [e, %•, t, Orionis). (3) 24.) Otaim = Ur.sa, oppure Oikea Otara, la vera Ursa (= Ursa major). (^) 25.) Otavan hàntà ^= Coda dell'Ursa ; (le più delle stelle nella costellazione di Bootes). (3) 26.) Otavan sarvet = Corni dell' Ursa ; (con un corno, i, k, © Ursae majoris, e o, X, x con 1' altro). 27.) Otavan silmat = Occhi dell' Ursa (a, ^ l^rsae maj.) 28.) Otavan seuraajat = Seguaci dell' Ursa (a, y Canum, P, Y Bootis). 29.) Pieni Otava = Piccola Ursa (Ursa minor). 30.) PielaìHn sauoa = Verga di Pietro (S, e, Z, Orionis). (•') (1) E il F^etrelius aggiunge, con un anìmirativo, questa nota: « sempre pres.so alla luna ! » (2) Potrei 'lire 1' Orsa., ina Otava è solo nome della stella ; onde, per distinguerlo, gli dò un abito latino. Non si conosce 1' origine della parola finnica. (3) Il braccio da misura, non quello dell' uomo. (4) Pili che mai mi piace non dire T Orsa. (5) Nei Kózl., invece della spiegazione che dà il finnico, e' è un interrogativo. (6) Naturalmente San Pietro. (982) [6] 31.) Parità/iti = Stella in giro (a Cygnj) ; che si dice ancora Piiritàhdet, al plurale, che sono le stelle più lucenti nell'Auriga, (i) 32.) Pohjan Otaoa = Ursa di tramontana (Ursa major). 33.) Pohjan làhti = Stella di tramontana (a Ursae minoris, Polaris). 34.) Paivàtàhti = Stella del giorno (a Andromedae). 35.) Rianseula, che si dice anche Riianseula, che vale, forse, Staccio di Riga (Ursa minor). (2) 36.) Rìwtsin Otava = Ursa di Svezia (Ursa minor). 37.) Rysmatàhdet = Stelle a gruppo (Plejadi). (3) 38.) Ryssan Otava = Urse di Russia (Cassiepeia). (*) 39.) Ryssan Otavan viisarit = Indicatori dell' Ursa di Russia (Perseus). 40.) Ryònàn tahli = Stella dell' Alghe morte (Procyon, a Canis minoris). 41.) Seitsentahtinen = Le sette stelle (Ursa major). . 42.) Seulaiset = Staccine (Plejadi). (s) (1) Nei Kòzl. parrà oscuro V Aurigassn; cioè il locat. finnico di Auriga. Lo dico, non ai linguisti, ma agli astronomi. (2) Il foì-se è dell'autore. Riga si dice Riiha in finlandese, e Riian ne è naturalmente il genitivo. (3) Rysmà è come ryhmà ; ma e, se non erro, più rara ortografia. Si ripensa, per le Plejadi, al klmàh (cumulo) degli ebrei e piii al (jlo- merabile sidus di Manilio (IV, 523). (4) Pili comunemente la Russia è detta Venajà. Cf. al n.° 46. Non scrivo Cassiopea per tenermi al KaaaisTrsia dei greci, e al consiglio dì Ideler {Ui-sprung, p. 82). Un brutto caso toccò al Bayer: che, leggendo nello Scaligero come « sic [cioè Dsàf. el-fthursi] etiam hebraice vocavit Aben Ezra », insegnò agli sbadati, da sbadato, che Cassiopea fu chiamata Aben Ezra! (Ideler. Urspr. p. 81) (5) Non so bene se il diminutivo o V aggettivo ; i piccoli stacci, oppure a modo di staccio. In Toscana sono le Gallinelle: e a Lam- porecchio, rài assicura l'amico C. Lupi, si chiamano la Chioccia. Il nome popolare ebbe luogo anche nella Bibbia del Diodati. (Giobbe 38,3 Ij « Puoi tu legare le delizie delle Gallinelle, ovvero sciogliere le attra- zioni dell' Orione ? » Altrove, nella prima edizione dei commenti (1607), [7] (983) 43.) Silmcimhti = Stella dell' occhio (Vega, a Lyrae), (Marte, nella primavera del 1888). (i) 44.) Suomcn Otara = Ursa di Finlandia (Ursa major). 45.) Taivaan riikhi = Rocca del cielo (Corona borealis). (a) 46.) Venajàn Otava == Ursa di Russia (Cassiepeia). 47.) Vesitahdet = Stelle dell'acqua (a, ^ Persei) 48.) Vainamòisen viitake ^ Falce di Vainamoinen (o, e, L, Orionis). 49.) Vainamòisen mUakkeen hànlli = Coda della falce di Vainamoinen (e, ^, i Orionis). (^) 50.) AmmOntaìiti = Stella della vecchia ([i Cephei). Riordinando la lista avremo : Andromedae a : (34) Aquilae a, 'p, y : (1, 4) Arietis a, [i, y : (17) Aurigae a: (21, cf. 31) Bootis a : (2, 13, cf. 25) : [i, y (28) Canis maj. a : (6) Canis min. a : (40) Canum a, y : (28) Cassiepeia : (38, 46) Cephei a, fj : (8) : [i (50) Leonis a, y : (14) Orionis S, £, C: (5, 11, 30, 48): e, -9-, i (7, 23, 49) Perseus: (39): a, [i (47) il Diodati aveva avvertito (ad Job 38, 32) : « Arturo chiamato volgar- mente Guidato r del carro o Guardiano dell' orsa ». Nella seconda stampa (1640), pose solo Guardiano dell'Orsa. Teniamo nota di i|uesje minuzie. (1) Data della quale vedremo la spiegazione più innanzi. (2) Non la torre, ma la conocchia. (3) Lascio la parola perchè non svanisca V immagine ; ma natural- uiente coda ò il manico. (084) [8] Regulus : (15) Ursa major: (24, 32, 41, 44): a, [i (27): t, x, 0 (26):o, X,t(26) Ursa minor: (16, 29, 35, 36): a (33): ^, y (20) Vega: (12, 43) Virginis a : (15) Saturno (22), Venere (3, 10), Giove (3, 10), Marte (15) : pianeti (9) Plejadi (37, 42), Via lattea (19), Corona borealis (25) e meteore (18). Juvat ire per alta Astra; ma poco dicono i nomi a chi non sappia leggere davvero la lingua che parlano agli aperti intelletti le stelle. Che più nomi tocchino a una sola non è strano, quando si badi che le famiglie da sé pen- sano, e poi fanno comuni, nelle parole, le loro scoperte ; a quel modo che la voce del popolo e la sua canzone serbava varietà in queste pitture celesti presso agli arabi, non ancora ammaestrati dai greci. (*) Il dottor Carlo Krohn, degno figliuolo di padre dotto, e come lui benemerito della sua terra per le ricei'che intorno alle canzoni popolari, pensò anche ai nomi delle stelle; e, visitato nel 1884 e nel 1885 un tre volte il pae- sello di Karstula (2), vi trovò una donnicciuola, ne vecchia né giovane, che di quei nomi ne sapeva più degli altri : come non n' erano sfuggiti a' raccoglitori di canti nazio- nali. Ma né questi né il Krohn erano addestrati nella scienza e nell' arte dell' astronomia ; cosi che ebbe il prof. Aspelin a proporre alla Società geografica di Helsingfors, vi mandasse un uomo esperto che compisse il lavoro già (1) Ideler. Untersucìiungen il. d. Urspninf/ u. s. u. Beri. 1809, pag. 426. (2) Karstula (da non confondere con Kartula che è presso a Kuo- pio) è posto lat. 63°, long. 0'' da Helsingfors. Si guardi a settentrione di Jyvàskylà e a ponente di Kuopio. [9] (985) avviato, e fu scelto il sig. A. Petreliiis, che delle cure da lui avute dà ragione nel breve suo scritto ; e parla di astronomia in un lil)ro di geografi, perchè questi liberal- mente gli diedero l' incarico delle nuove ricerche. Ma ad ogni stagione il cielo non mostra le stesse ricchez- ze ; cosi che spesso 1' astronomo non poteva riscontrare a che parola rispondesse una stella : poi qua e là, i nomi rimutano-: e se ne danno via via o molti ad un astro solo, 0 uno a parecchi. Le stelle che si veggono nel cielo superiore, come Otava (r orsa maggiore) serbano il nome immutato ; nel- r inferiore, lo cambiano spesso, e cosi pure nelle regioni dell'eclittica : ne sono cagione i pianeti che, movendosi in mezzo alle stelle stesse, confondono facilmente F osserva- tore. Ecco qualche esempio. Una notte era seguace della luna Regulus (oppure a Leonis), ed allora il Silmàiàhti era Marte e il Korvalàhti era Vega : la sera di poi, erano seguaci della luna Marte e la Spica (a Virginis), mentre Vega diventava il Sìlmà- tàhti e Regulus il Kalkutahti. Generalmente Koìntàhti risponde a Venere, benché, tra la primavera e l' inverno del 1888, il nome si desse a Giove. Kukkotàhti è Arcturus (a Bootis), ma il nome appar- tiene ancora ad Aldebaran (a Tauri) : ambidue queste stelle sono rosseggi anti come i bargigli del gallo, onde proba- bilmente la ragione del nome. Alcune stelle non si veggono ad ogni anno ; cosi nel- r anno innanzi (cioè nel 1887), non appariva Maailman- polvi. (1) Di altre si vede che il nome è di origine fore- stiera, come Jaakopin sauva che è VJacobs Stab dei te- deschi. Una volta servivano, nelle notti, invece di orolo- gio, che non c'era, specialmente tenendo conto dell' Orsa (1) Alla lettera: il ginocchio della terra; ma non è spiegato di che stella si parli. (986) [10] maggiore (Otava), e della minore (Rianseula) : i bambini imparavano i nomi degli astri più lucenti e poi via via degli alti'i ; ma, soppraggiunti gli orologi, meno è bisogno di osservatoi-i, la memoria si cancella, oppure non ne ser- bano vestigie che i vecchioni. Cosi dice, qnasi con le stesse parole, il signor Petre- lius e conchiude che la sua lista mette assieme i nomi che gli communicarono e l'Aspelin e il Krohn e quelli che di suo trovò ; ma solamente quando vide a che stelle cor- rispondessero nel cielo. Egli ha in altra cosa ragione. Scrive in finnico, ma dei nomi dà la spiegazione in tede- sco , perchè crede che ne avranno forse curiosità anche i i forestieri. L' abbiamo noi di certo, e dobbiamo ringra- ziarlo. II. Dai tìnni si passa ai magiari, e si resta in famiglia. L' anno scorso il sig. Luigi Kàlmàny intrattenne i colle- ghi sulle stelle nelle nostre tradizioni della lingua, come egli le chiamava : e, avendo V occhio a genti più strette di sangue, a fìnni ad estoni a turchi, e })0Ì ad altri di stirpe ugrica, nìangesi e mongoli, spaziava per molta parte di mondo, qua e là raccogliendo quello che somiglia ai pensieri che ebbero i magiari e che tradussero nella pa- rola, A questo elegante discorso bisognerà tornare, stu- diandovi quello che appartiene particolarmente a una parte degli ungheri, cioè ai seghedinesi, in mezzo ai quali os- serva e scrive il Kàlmàny. Per ora io getto giìi da l)ar- baro la casa graziosa che 1' architetto costruì, ne cavo via pietre scolpite e mattoni, e li metto in fila, per fare in parte quello che fece per i finlandesi il Peti-elius. (^ (1) Il libretto ha questo titolo: A csillagok nyelvhagyomànyainh- [11] (987) Della via lattea, oltre al nome che le l'isponde alla leLtera (cioè tejut), parecchi ne troviamo: la via di Dio (^) (IsTEN uttya), di Gesù (JÈzus ùtytya), del mondo (orszàg- utya), delle fate ("^) (TDndérek utja) di San Michele (SzENT-MiHÀLY utja); e poi la eia zingaresca (Czigany ut), la via degli eserciti (Hadak utya), e finalmente quella delle anime, cioè Lelkek utja. In bocca dei seghedincsi non sentì la parola il Kàlmàny, ma la serbano autorevoli testimoni e va messa a riscontro con una immagine co- mune agli estoni ai Anni ai turchi, la via degli uccelli. Il finnico dice infatti Hnnurata. Mieiilori zingari (Czigany kaszàsok) sono le stelle e ^ ^ di Orione (3), e bambino zingaro (Czigany gyerek) o lo zingaro (Czigany) è nome di Atair. (^) Le Plejadi, con vocabolo che s'accosta ai nostri, sono la gallina coi pulcini (Csirkès tyùk) o coi figliuoli (fiyas tyuk) : bella donna (szép asszony) è lo Scorpione (sit ve- nia verbo) : e Sirio diventa la ragazza zoppa (Santa làny) 0 la Caterina zoppa (Santa Kata) : (3) e molte immagini ridesta la costellazione della Corona (o // giardino del Paradiso, Paradicsom Kertje, o la Mensa di Cristo nostro Sigìure, Krisztus Urvnk asztala, o la stella degli apo- stoli, Apostolok csillagja, o il giardino di Maria, Maria Kertyi, o il giardino delle rose, RuzsÀs Kert). ban. Nèpyajzi tanulmàny irla: lùHmdìvj Laos. Szegeden 1893 (Bòba Sdndor). Una lista nuda ne cavò anche il sig. Jankó, dopo avere di- scorso delle ricerche del Petrelius (Nyelv. Kòzi.em. 1893, XXIII, 226). (1) Dove la grafia si allontana dalla comune, e in questo ctso da ùtjn, si badi che abbiamo forme di dialetto. (2) 0, con sinonimi, che si direbbero la corsa delle fate (Tùndé- REK ja'ra'sa), e il ffiì'o delle fate (Tììndérek fordulója). (3) Oppur-e il pecoraio errante : Téve.igò^ [=: téveljgò''] juha'sz. (4) Sinonimi sono, i raccoglitoìi (Gvìì'.itò'k) o i legatori dei covoni (Marokverò^k). (5) Un altro zoppo e il Sa'nta Kùdùs \z=. Koldùs], cioè il Mendi- cante zoppo, ed è la stanga del carro del Sagittario. (988) [12] La stessa voce serve a due offici : e cosi sono dette Pescatori (Halaszok) e Rete (haló) tanto [3 y § e del Delfi- no come a p Y 5 del Cavallino : tanto p S di Andromeda, come a C di Pegaso ; altre poi non ebbero buona spie- gazione finora ; come le due stelle orfane (Két àrva csillag). Ma riprenderemo questo librettino con più agio e con aiuto di altri libri : solo rammento adesso i molti nomi dell' Orsa maggiore, cominciando dal caribo di San Pietro (SzENT PETER szekere) o di Cristo (Krisztus szekere) fino a quel carro di Donczòl o Gonczòl o Konczol, che è parola da disputarci su. 11 sig. Kàlmàny sente sem- pre dattorno a sé, in questa voce, \\ d q non il g (pag. 14), ma cita la interpretazione che ne dà Gabriele Szarvas {Magyar nyeloò'r XVII, 433) accostando quel nome a una fonte germanica. Quante cose non vede il popolo lassù in quelle ca- pocchie d'argento che inchiodano la volta del cielo ! (}) quante anime di principi non si annidano nelle comete, e anime di cittadini spiccioli via via per le stelle! (2) C'era un albero grande e la gente vi si arrampicava, sparsa per tutti i rami ; poi venne altra gente, e tagliò il tronco, ma quei primi restarono lassù e sono adesso le stelle (3). (1) Che è tradizione di tedeschi. Cf. Bilinger e il Simrock (^««d- hucli d. Deutschen Myllwlogie, 1864^ p. 24) che lo cita. (2) Nell'America del Sud. Cf. Charlevoix, presso Mailer {Gesch. ci Arnerik. Urrelir/ionen p. 256). (3) Si vegga H. Yule, Notes on the Kasia hills andpeople (Journ. of the asiat. soc. of Bemjnl, 1844, voi. XHI, parte II, pag. 628). ENI M MI RUSTICI DEL VICENTINO DEL M. E. PAOLO L I 0 Y I. Felice Mendelssohn scriveva da Llancollen, amena cit- tadina del paese di Galles, una fìerissima lettera contro la Musica e le Canzoni popolari. — Qui, diceva, si è continua- mente tormentati da menestrelli rustici ; ed io che detesto fin le canzoni nazionali di Beethoven, vorrei che diecimila paja di diavoli portassero via tutti i motivi falsi e volgari sbraitati da voci stonate e nasali, macinati negli organetti, grattati sulle arpe, soffiati in cornamuse e in pifferi : nel- l'udirli, parmi di ammattire, e certo vi ho buscato un or- ribile male di denti ! Montaigne invece, passeggiando per le campagne della Guascogna, si dilettava moltissimo nell' ascoltare le canzoni villerecce, e scriveva che « la poesie populaire et pure- ment naturelle a des naifoetez et graces par où elle se compare à la principale beante de la poesie parfaicle selon l'art, comme il se veoid ez villanelles de Guascogne et aitx chansons qu on nous rapporte des nations qui n'ont cognoissance d' anemie science ou mesnie d' escrip- tures ». (990) [2] Le due sentenze, cosi diverse, dell'Autore dei Lieders one Wort e dell'Autore degli Essais, mi venivano in niente sfogliando un'a])bondante messe di canti, di ninnenanne, di bisticci, di motti, in gran parte inediti, che il mio amico Silvio Schiavi, compiacente alle mie preghiere, raccoglieva nelle campagne di Thiene nel Vicentino, e che spero sa- ranno pubblicati nella Rivista del Folk-loi'e Italiano diretta a Roma dal Degubernatis. Leggendo alcuni di tali canti, col ricordo d' averne mille volte in solitarie valli ammirate le melodie ora gio- conde ora malinconiche, davo ragione a Montaigne e torto a Mendelssohn, col quale soltanto mi riconciliavo pensando ch'ei forse pronunziava 1' aspro giudizio irritato dal male di denti, causa e non effetto ; come in altra occasione, al- lorché nell'uggia d'una giornata piovosa, dopo d'avere per ore e ore aspettato Walter Scott « mandava al diavolo tutti i grandi uomini (*) ». IL La raccolta fornitami dalla cortesia del sig. Schiavi è pur ricca di un bel numero di Enimmi popolari, ed è di questi, come poco o punto noti anche ai folk-loristi, che intendo occuparmi. Gli Enimmi, come tutti sanno, sono gran signori decaduti. Detronizzati dalla moda recente delle scia- rade, dei logogrifi, dei rebus, rimangono adesso obliati superstiti nei casolari, nei granai, nelle stalle, e un tempo vissero acclamati nelle reggie di Babilonia e d'Egitto ; eb- bero i loro fasti nella tragica storia della Sfìnge e di Edipo, (1) Ernest David, Les Mendelssohn — Bartholdi et Robert Schu- mann, Paris, 188G, pag. 96 — Montaigne, Essais, lib. I, cap. 54 — Er- nest David, op. cit. pag. 94. [3] (991) e nel messaggio che simile a ima sciarada figurata manda- vano a Ciro gli Sciti, con un fascio di strali, con un sor- cio e una rana, per dirgli che non sarebbe scampato dalle frecce nemiche se non rimpiattandosi come sorcio sot- terra 0 come ranocchio sott' acqua. In Oriente servivano di cimento a nobili giostre per acuire gli ingegni, come appunto la stella Alcor della Grande Orsa serviva di prova alla vista lincea di cacciatori e guerrieri. Nella stessa guisa di Diana d'Alteno, la Regina Saba ne proponeva a Salo- mone. In Grecia ne furono autori Simonide, Archiloco, Saffo ; in forma di sfida vivono in Sicilia sino dai tempi di Teocrito, di Bione, di Mosco, Chi non ricorda quelli di Menalca e Dameta nell'egloga di Virgilio ? (i). Dameta : Die, quibus in terris, et eris magnus Apollo, Tres pateat coeli spatium non amplius ulnas. Menalca : Die, quibus in terris inscripti nomina regum Nascantur flores : et Phyllida solus habeto ; versi sui quali molto arzigogolarono i commentatori soliti ad avviluppare le cose più semplici, mentre nei primi è agevole riconoscere il Pozzo, nei secondi il Giacinto per le cifre che si disegnano sulle corolle di questo fiore come sulle ali di alcune farfalle. Rabelais che in uno dei più comici capitoli introduce (xrippeminaud a chiedere la spiegazione d' uno di codesti imbrogli a Panurgo, nelF episodio famoso della Dive Bou- teille scaglia i pungenti dardi dal suo formidabile turcasso contro oracoli indovini e indovinelli (2). Pure in Francia anche dopo Sylvain, fiorirono i poeti enimmatisti, come ora fioriscono i decadenti e i simbolisti; numerosi nel secolo decimosettimo e nel decimottavo eb- bero per complici 1' abate Cotin, Boileau, La Mothe, Rul- (1) Vi.-gilio, Ed III, 104. (2) Pantagruel, Lib. V, cap. 12 e 44. T. V, S. Vir 66 (992) [4] hiere. Molière diceva di amare terriblement gli enimmi ; Voltaire invitava Zadig alla stessa tenzone d' Ugo di Mon- soprano nel Trionfo cV Amore di Giacosa (i). In Italia ne componevano letterati celebri ; Buonarroti il Giovane, il poeta Stigliani, Agostino Coltellini, fondatore dell'Accade- mia degli Apatisti, Antonio Malatesti autore della Sfinge. Forse lo stesso Galileo se ne dilettava per 1' amicizia che avea con costoro, come il Redi il quale fa cenno del li- bretto del Coltellini. In più di centocinquanta sonetti ne stampò un Lucchese col pseudonimo di Catone Uticense, e doveano essere la disgrazia di chi s' ostinava, senza la chiave, a voler decifrarli (-). Carlo Gozzi, nelle Fiabe, ne apre anch'egli sul Sole, sull'Anno, sul Leone dell'Adria un tor- neo fra i principi che si contendono la mano della bella principessa chinese. E la fiaba, Turandot, è tradotta nientemeno che da Schiller : in lode del vincitore, Panta- lone allegro volto a Tartaglia grida in buon veneziano : « Tartaglia, el l' ha imbroaula ! », e nella traduzione il grande autore del Guglielmo Teli: « Pantalon freuding : Tartaglia, GetrofFen ! » (3) III. Gli antichi Latini davano a codesti giochi il nome di Scirpi (giunchi), probabilmente per metafora tolta dalle nasse da pesca tessute appunto con vimini e giunchi : venivano (1) Sylvain, Enigmes francois, Paris 1581 — Voltaire, Zadig, p. 21. (2) Buonarroti, Opere Varie, Firenze, Lemonnier — La Fiera, Giorn. II, atto 3, scena 7 — Stigliani, Canzoniere, Roma 1625 — Redi, Let- tere, 2, 100 — Malatesti. La Sfinge, Enimmi, Firenze 1683 — Catone Uticense, Sonetti, Parma 1768, ristampati nella Raccolta d' Enimmi di Bosigno Distemi, Roma 1800. (3j Carlo Gozzi, Turandot, atto II, scena 5 — Schiller, Turandot, Prinzessin von China, nach Gozzi. [5] (998) in tal maniera considerati gherminelle da pigliar pesci, che tali nella gara doveano giudicarsi i grulli inetti a rac- capezzarvisi. 11 nome, che pur sarebbe adatto alla cripto- logia Thienese, palesa l'origine rustica: sembra di scorgere gli oscuri anonimi inventori, intenti, come nell' egloga di Virgilio, ad annaffiare prati, o seduti nelle ore di riposo a ciarlare, sulle soglie di capanne, tra reti sciorinate al sole, presso a paduli. Eppure, quante volte gli agresti stravincono per ar- guzie ed effetto pittorico, nonché per naifvetè et graces, i più boriosi, imbottiti di pretensioni letterarie ! Questi ul- timi al confronto appariscono scipiti, come nei leziosi so- netti del Malatesti e dell'apocrifo Catone Uticense, e nella traduzione in versi nella quale Felice Bellotti annacquò la semplice e laconica domanda della Sfinge ad Edipo (*). In quelli còlti come fiori di campo nelle campagne di Thiene, si osservano le forme di composizione identiche ai più antichi, dal Leone e dalle Api di Sansone all' Uomo della Sfinge, fino ad altri dell'età di mezzo , — per esempio a questo sulle Falene, o secondo altri, sui Diavoli , fatica d' Ercole di qualche paziente Benedettino, poiché è leggi- bile da sinistra a destra e da destra a sinistra : In girum imus nocte et consumimur igni, e gli altri notissimi sulla Catnpana, l'uno : Convoco, signo, noto, depello, concino, ploro, Arma, dies, horas, nubila, laeta rogo e il secondo, meglio risonante : (1) Tragedie di Euripide tradotte da Felice Bellotti, Milano 1850, t. Ili, pag. 308. L'enimma notissimo della Sfinge suU' Uomo che da bambino cammina carpone e da vecchio si regge appoggiato a un legno, è il seguente : Qual'è l'animale che al mattino cammina su quat- tro piedi, al meriggio su due, alla sera su tre. (094) [6] Fulgura frango, funera piango, sabata pango. Concito lentos. domino ventos. placo cruentos. Le frequenti personificazioni di cose inanimate conti- nuano identiche, quali nelle cantilene inventate dalle nutrici tra sonno e veglia, in visioni di sonnambule stanche, e con rime accattate da suoni atti a colpire le fantasie (i). L'ispi- razione scaturisce da idee chiuse nell'isolamento campestre. Con soggetti intimi, il casolare più povero fornisce argo- menti, in tutte le sue parti, negli arredi, negli utensili, nelle provviste. IV Ecco la testa della casa, dove, mentre croscia la piog- gia, i Copi (le tegole) : Zento e zento senta su una banca I se bèvara l'uno co l'altro, la Catena del Focolare, ara domestica : Mi go una fila de buzolai (ciambelle) Li toco sempre e no li magno mai, il Camino che incorona il tetto col pennacchio di fumo : Mi camino no me movo Porto cappa no gò freddo, e somig-lia ad uno del Buonarroti nella Fiera : (1) V. nel mio WhTO Notte e Ombra il capitolo Cantilene, sonnifere. [7] (995) Porto la cappa in casa e fuor non già. Di terra ho il capo e le gambe di sasso Con le quai non fo' un passo C E pure il nome mio è d'uom che va ('). E nelle huone ore del parco desinare e della cena ecco il fumo che s'alza in tortuose colonne : Alto altin Più in alto che l'andava E manco el ziel toccava, oppure diviene anch'esso persona, e dice : Nasso prima de me mare, Pena nato mi so andare, E benché sia pizzinin A me pare torno vizin. Col fumo s' innalzano farfalline di fuoco le volanti Faville : No le ga ale, ma le vola No le ga beco, ma le beca. V. Sembra talvolta d'udire proposte e risposte nelle lun- ghe sere d' inverno, entro le tepide stalle, tra il ronfare dei bovi, mentre fuori la neve fiocca, e i fossi sono diac- ciati, e sibila il vento. 11 Vento, giù dalla cappa del camino, mugola : (1) Buonarroti, La Fiera, Giora. II, atto 3, scena 7. (996) [8] Senza fasse mi son nato Son sfassado e in ogni lato Vado dentro e vado fora Passo i busi e le fessure Vado dentro anca nelle sepolture. La Neve vien giù a sua volta e con la solennità di chi va coprendo col bianco lenzuolo la terra mormora : Alta donna de palazzo. Casco in terra e no me mazzo, Bella son. brutta me fazzo. Lo stesso, sulla Neve, mi è inviato dalla gentile signo- rina Pesavento di Asiago che lu raccolse dalla bocca di montanine dell'altipiano ; ed eguale è riferito fra le poesie p(jpolari dell'Istria pubblicate da Ive. Il Ghiaccio, in lotta tra il freddo e lo scilocco, ha an- ch'esso i suoi bisticci : Mi per virtù dell' effe me fo in gè E per virtù dell'esse me desfè. Nasso femena e pò devento maschio E quando moro mi ritorno femena. oppure bruttissimi entrambi, e parti probabilmente di qualche spu- rio grammatico da dozzina, mentre, curioso contrasto, è leggiadro uno, egualmente sul Ghiaccio, del Carisio, gram- matico autentico del secolo quinto : Mater me genuit: eadem mox gignitur ex me ('). (1) Grammaticfe latina^ autores antiqui, opera et studio Helite Pnt- schii, Hanovi;e 1605, t. I, pag. 246. Il Carisio è citato come enimtuati- sta anche nelle Notti Attiche di Aulo Gelilo, lib. 12, cap. 6. [9] (097) VI. Stridono le Secchie portate alla fonte da Ijraccia roljuste di bionde e brune Samaritane, e nello scotersi, ritornando, annaffiano il cortile o la viottola, e cigolano cigolano : Séme quele cose che va via cantando E le torna a casa lagrimando, oppure, come ad Asiago : Andemo cantando, tornèmo pianzendo. Anche in Sicilia .stride la Secchia : Scindo ridendu, 'Nchiano chiancendu e nel Napoletano, nelle campagne di Benevento : Vaio ridennu Vegno chiancennu ('). Qualche volta passa la Serenata : un innamorato die- tro la siepe, sotto la finestra, sulla via, strimpella il Vio- lino 0 V Armonica, ed è pronto chi lo canzona : Intorno intorno all'orto El vivo porta el morto E per virtia del vivo canta el morto. (1) F^itrè, Canti Popolari Siciliani, t. II, pag. 6-1 — Casitti e Im- briani, Canti Popolari Meridionali (Arda), pag. 82. (998) [10] La Seggiola con le quattro gambe diventa emblema della massaja da bene, che alla sua ora ben si meriterà r epitaffio : lanam fecit, domum servavit, e cuce cuce stitck, stitck, stitck in poverty hunger and dirt come la cucitrice di Moor , o fila fila o fa calze, seduta dal mattino alla sera e spesso dalla sera al mattino, e sente dire dalle vecchie suocere burbere : Per conservar brave le donne Ghe voi quattro colonne. Ve l'eguale nell' Istria (*). E dev'essere stata una di codeste nonne che per far paura alle ragazze irrequiete inventò l'indovinello sulla Calza: La roba che al giorno la xe piena E che la notte sempre la xe voda, e l'altro sul grosso Guanto di stoppa preparato pei rigidi giorni del dicembre quando il marito andrà a potare gli alberi fra la nebbia e la brina e le giovinette andranno a spigolare legna nel bosco: El ga una panza e zinque bocche, E se qualcuno pò lo toche Come el lupo della tana El magna carne e carne umana. Del guanto dice anche il Malatesti (Part. II, son. 45) Con carne umana sol rompo il digiuno. (1) Ive, Op. cit., pag. 305. [11] (999) VII. Arrivano ad uno ad uno i personaggi più importanti del piccolo arsenale domestico, per esempio il Buratto della Farina : Vado vestio de bianco e no me straco, E quelo che me casca par de soto Ghin magna tanto el mato quanto el doto. V'è anclie in qualche casolare, se non lo schioppo, la Spada, la vecchia spada del nonno, del padre o del fratello soldato, e anch'essa è descritta : Son lunga e viperina Stago ne la me grotta La sera e la matina, E mi no vegno fora Se no i me ritira, Son tanto de natura stabilida Che fazo più mal nuda che vestida, meglio rappresentata che non sia nel Marchigiano : Io ci ho una cosa che in cammera se posa Non fila e non tesse, ma de corame se veste (i). Vili. Dalle stalle, dai pollai, dagli ovili, sbucano schiere di protagonisti. E prima il Bove che se non è il magnifico Bove di Virgilio e di Carducci, si affaccia grottescamente monu- (1) Giannandrea, Canti Popolari Marchigiani, pag. 390. (1000) [12] mentale, dipinto quasi con barbarici geroglifici, coi due oc- chi, le due corna, le quattro ganibone e la coda crinita : Dò lusenti, dò ponzenti Quattro mazzocche e una spazzaora. Tale si fa innanzi il pio Bove anche nell'Istria: Dui luzenti Dui punzenti Quattro masse C un scovulein e nelle Marche: Du' lucenti, du' pungenti Quattro zoccoli e 'na scopa. Fin nella lontana Polizzi di Trapani : Dui lucenti, dui pungenti Quattro zòcculi e 'na scupa (i). Il Majale grugnendo fa il suo comico ingresso: La senta, siora Isabela, Se questa no xe bela, Quando che gera vivo le buele Le gera in corpo ; adesso che son morto El corpo xe in te le buele. E gli corrisponde uno, vecchio di quasi tre secoli, di Fra Tomaso Stigliani : Ebbi già le budella dentro al corpo Ed or ho '1 corpo dentro alle budella ! (-) (1) Ive, Op. cit., pag. 300 — Giannandrea, Op. cit., pag. "296 — l'itrè, Op. cit., t. II, pag. 65. (2) Stigliani, Op. cit , pag. 220. [13] (1001) Uno sulla Pulce: Saltare! de geremita, de roan te si vestita. Bada ben de no becare, se no mi te fo crepare, dovrebbe per convenienza ommettersi, se dello stesso im- pertinente parassita non avesse scritto un gentile poeta quale fu Boileau : Du repos des humains implacable ennémie, J'ai rendu mille amants envieux, Je me repais de sang et je trouve la vie Dans les bras de celui qui recherche ma mort Viene poi, Principe del PoUajo, con la porpiirea cresta il Gallo : El gà la bareta rossa e noi xe cardinale El ga i speroni e noi xe cavaliere. A Palermo dicono invece : 'Un è re e avi la cruna 'Un è camperi e avi spruna 'Un è saristano e sona a matutino, e neir Istria : Sona miteino e nu è sagristano ('). IX. Nuovi personaggi fanno le loro comparse dalle madie, dai cassettoni, dai frutteti, dagli orti. Qua vi è il Pane : Più che son fresco e più caldo mi son, (1) Pitrè, Op. cit. t. II, pag. 67 — Ive, Op. cit. 299. (1002) [14] là il Lievito : Benché cosa piccolina Levo un sacco de farina. E s'aggiunge alla comitiva il Sale, che in dialetto è di genere femminile, e si vanta con questi zotici versi : No son né grande né piccolina, El mio stare xe in cusina, No ghe né re né papa Che senza de mi el faza : Né ghe xe né sapore, né vigore, né vivanda ria Che no gh'entra la persona mia : vanterie bugiarde poiché pur troppo, se non nel A^icenti- no, in vicine vallate, per esempio nel Bellunese, il sale è oggetto di lusso, né sempre viene a condire la grama po- lenta : vero che per vedere belle donne e bei bimbi bisogna andare in quelle valli ! X. Tra le frutta, a Thiene, come nell'Istria, ragiona bene e da brava pittrice la Zucca : Bianca m' impianto, Verde m'inalzo, Zala devento. Gravida me sento. Della Castagna é data la genealogia : Alto xe el pare, Spinosa la mare, Moretta la figlia. [15] (1003) La Nespola novei'a i suoi ossicini : Go la pelle e no son una bestia, Go la corona e no son una regina, Go la panza co dentro zinque osci. I contadini Istriani dicono egualmente : Fjè la curona e nu' son regina, l'jè la piele e nu' son buve, l'jè ceinque uossi ne li meje membra. (') Ma che sono davvero cinque i noccioli delle Nespole? E il grave problema che Franco Sacchetti proponeva all'astro- logo Fazio da Pisa, allorché questi vantavasi di saper predire gli avvenimenti celesti. — E credi tu, gli diceva Sacchetti per confonderlo, credi tu più agevole conoscere le cose pas- sate 0 le future, le comuni o le straordinarie, le vicine o le lontane ? Ma dimmi quello che tu facesti in cotal di or fa un mese? E che tempo fu or fa quattro giorni ? E dove fosti già una settimana a quest'ora ? E che mangiastu ier mattina ? E se sai tu d'esser desto o se tu sogni, che anche a colui che sogna pare esser desto ? E avendo mangiate Nespole le mille volte, sai quanti noccioli ha la Nespola ? . . . — E rimanendo l'astrologo senza saper rispondere smemorato mutolo e quasi balordo : — Se queste non sai che son si grosse cose, gli rinfacciava, come saprai mai le cose del cielo ? (2) XI. Tra i mestieri entra in iscena con la giacchetta bianca di farina il Mugjiajo (1) Ive, Op. cit., pag. 301. (2) Franco Sacchetti, Novelle, l'Astrologo Fazio da Pisa. (1004) [10] Se el gà acqua el beve vin Se noi gà acqua el beve acqua e noi gà vin. V'è la Tessitrice che s'affretta con mani e con piedi e più che invidie di classi par che senta contentezze di far buon lavoro utile a tutti, poveri e ricchi : El me lavoro lo fazo passare Fora e dentro per ferri e per chiodi Contesse e signori tuti ne gode. Il Polso col suo tic toc, che quando s'accelera, e peg- gio quando si arresta, mette sgomento, bisbiglia pian piano: Bato e ribato e sempre son con voi, Quando mi parto cosa sarà dì voi ? E la Bocca coi Denti e con la Lingua ? Figurarsi se può stare zitta ! Son un convento pien de frati drento, Tutti i xe d'un sol colore, Fora che el padre priore. Strana l'idea del convento ! Ma il convento vi è anche a Ficarazzi in provincia di Palermo : soltanto la Lingua, in- vece di padre priore vi diventa monachedda (monachella), e nell'Istria padre pridicator (padre predicatore) ! (i) Dell' Occ/a"o, luce degli innamorati, e detto: Pelo soto pelo sora E uno in mezzo che lavora, (1) Pitrè, Op. cit. — Ive, Op. cit. Q7] (1005) eguale nell'Istria, eguale a Palermo : Supra pilu e sutta pila 'Mmenzu c'è lu mariolu (') questo fa davvero pensare agli amorosi versi di Meli, re- divivo Teocrito : Occhiuzzi niuri Si taliati Faciti càdiri Case e cittàti. XII. Col fascino di miracoloso utensile che la penna da scrivere esercita sugli analfabeti, è detto della Penna: Capo bianco, semenza nera, Dò la guarda, zinque la mena. Identico ad altri dell'Istria, e di Polizzi in Sicilia : Cincu l'amianti, unu 'u pungenti, (2) Li terri bianchi, niuri li frumenti. La Lettera, destinata alTanumte di soppiatto, o al fra- tello coscritto, 0 al marito che lavora in lontane miniere 0 ai parenti emigrati in America, diventa l'Anima vivace Che camina parla e tace. (1) Ive, Op. cit. 302. L'occhio vi è chiamato el gardelein ~ Pitré, Op. cit (2) Ive, Op. cit. pag. 304 — Pitrè, ibid. (1006) [18] 1 La Ceralacca è l'eroina della fedeltà: si lascia bru- .. ciare pur di mantenere inviolato il segreto. ' La xe la cosa che se lassa brusare - E che el segreto ben sa conservare. E quando si fa notte ed è l'ora di chiudere l'uscio, il \ Catenaccio brontola severamente : j Savio chi son Che la sera i me dà E la matina i me tole? Ma poi lugubre sopraggiunge anche la Cassa da Morato, \ e come ad Asiago, come nell'Istria, come nell' Appennino Marchigiano (*) borbotta : Chi me fa me fa per vèndarme, -. Chi me compra no me dòpara, j Chi me dopara no me vede, < Quest' altro sul Nome proprio : j A son tuo, ma doparà j Più dai altri che da ti, ' I si trova nel Malatesti (p. Ili, ott. 6) dilungato Uno eh' è mio quant' esser mai si può Serve più agli altri che non serve a me, E quando sento eh' un lo chiama, vo' Perch' egli andar non vi potria da sé, S' altri lo biasma o loda aperto io '1 so, Che tutta mia la lode e il biasim' è. Nacqui senz' esso e poi dato mi fu, Lettor, se il nome sai, dimmelo tu. (1) Ive, Op. cit., pag. 294 — Giannandrea, Op. cit. [19J (1007) ' Il seguente : Chi xe quelo che alto vola, Senza penne e senza l'ale, , E monta sera i copi senza scale ? I esprime con maggiore concisione e con non minore ef- ficacia la questione di Diana d'Alteno nel Trionfo d'Amore: Ardito signore, sai dirmi qual sia Quel falco che corre veloce e non muove, j Che ognora è presente ed è in ogni dove, 1 Che nulla barriera trattiene per via, Che vede non visto, sé stesso alimenta, E pili di sé dona più forte diventa ? — È il Pensiero, risponde l'Ardito Signore, — è il \ Cervello, risponde la Contadinella che fila. ! XIII. Alcuni altri enimmi si formano con arzigogoli alfabe- tici, come quello di Voltaire : Cinq voyelles une consonne En francais compose mon nom. Et je porte sur ma personne De quei l'ecrire sans crayon {V O/'seau). I due di Thiene sulla lettera m devono essere antica invenzione di chi sa che Pievano o Podestà o letteratucolo Cameade, pezzo grosso di qualche villaggio: 1.° Cosa xe quela cosa che se vede 'Na volta t'un minuto, do volte in t'un momento E in zento anni no la se vede mai ? 2.° Son nel mondo e no son tra i viventi Son tra i demoni e no son ne 1' inferno, T. V, S. VII 67 (1008) [20] ma entrambi potrebbero .senza vergogna contrapporsi al celebre bisticcio di Rulhiere sulla lettera n : Je suis dans l'univers Sans paraitre en Europe, eu Asie, en Amerique, Sans étre eu Portugal je me trouve a Lisbonne, J'occupe le milieu du moude, Je nage dans le seiu de l'onde, Et je fuis toujours l'eau. Dello stesso genere ne impasticciava il secentista Mar- cantonio Alamanni, per esempio indicando la sua innamo- rata CICILIA con numeri romani corrispondenti a ciascuna lettera : Centun centuno cinquantuno e un'A. Compar, son la cagion ch'io mi disperi. Cosi Beatrice annunziava a Dante il Dux col nu- mero cinquecento diece e cinque (i). XIV. Ma ora sembra di veder farsi innanzi pomposo e so- lenne messer Balducci, editore del Canzoniero dedicato al Cardinale Borghese dal cavaliere secentista fra Tomaso Stigliani, e dire, come a un certo punto del volume : « Qui seguirebbero altri Indovinelli se essi non fossero » stati tolti via da' Superiori, i quali anno però conceduto » la lezzion de' pochi stampati, perchè nel passo letterale » non anno apparenza di lascivia, come avevano gli altri. » (2) E in cotal peccato cadono parecchi dei più arguti tra quelli (1) M. Antonio Alamanni, Sonetti alla Burchiellesca, Firenze, Giunti, 1658 — Dante, Purgatorio, XXXIII, 43. (2) Stigliani, op. cit. [21] (1009) raccolti dal signor Schiavi ; bisogna lasciarli in contuma- cia, oltre una quarantina, come ha dovuto il mio amico Pitrè per un'ottantina fra i centonovanta dell'Isola. Bricconi di enimmatisti anonimi ! Tra le donne gentili radunate nella Fiera del Buonarroti, la più savia e costumata ammoniva almeno le compagne con un endecasillabo il quale vera- mente è tutto cascante di pruderie alla Tartufo : Siavi raccomandata 1' onestà ! La raccomandazione non penetrò nelle grosse veglie campestri : ivi il gergo rabelesiano ha più fortuna d'ogni riserbo. Il doppio senso, quanto nella sostanza è onesto, al- trettanto vi si compiace sovente nel camuffarsi in sem- biante osceno ; né ad attenuarne l' apparente indecenza basta il correttivo dei due versetti a ritornello, usati dai contadini siciliani, per rabbonire qualche bel viso di fan- ciulla, diventato rosso rosso, pel sospetto che la palese malizia nasconda altre peggiori diavolerie. I due ipocriti versetti sono questi : Pri la santa Nunziata Nun c'è cosa malcriata ! E in ciò sta la differenza tra gì' indovinelli rustici scurrili e le famose QuesHons Tabariniques ; queste ca- dono nel turpiloquio per opposto cammino : si affacciano innocentissime, e poi nelle discussioni fra Tabarin e Mon- dor ruzzolano giù nel brago d' impertinenti e sconce ma- riolerie (1). (1) Tabarin, Oeuvres, Bibl. Gauloise. (1010) [22J Chiedo perdono all'Istituto d'essermi soffermato troppo sovra codesti umili fatti di demopsicologia. La loro persi- stenza nelle nostre campagne e il riscontro con quelli dell'Istria e della Sicilia, estremi lembi d'Italia, mi parvero fenomeni di microscopia demografica non indegni di arre- stare per un istante l'attenzione di questo dotto Consesso, tanto più se è vero che il celebre Rulhiere conquistò con gli Enimmi il suo seggio all'Accademia di Francia, come è vero che Buonarroti il Giovane, già accademico a diecia- sett'anni, col titolo d' Impastato, si dilettava a comporne oltre una sessantina, e nelle sue cruschevoli Giornate ne facea argomento di sollazzo a dame e a donzelle. Ma noi, Italiani del Veneto, siamo allettati a queste ricerche per uno specialissimo amore. Non vi cerchiamo soltanto eruditi raffronti e rivelazioni etniche lontane, co- me, per esempio, quelle per cui antichissime fiabe indiane del Panschatantra appariscono superstiti sulle labbra delle nostre contadine. Insieme con le amiche Società Alpine di Trento e delle Giulie, vi troviamo la continua e sempre viva manifestazione d' una fraternità indissolubile con vi- cine regioni Italiane da noi politicamente separate. II compianto sir Marsh, ambasciatore degli Stati Uniti d'America a Roma, mi comunicava molti anni or sono certi studi graziosi d' una gentile inglese , Lady Carrington , sulle Ninnenanne del Veneto del Trentino e dell'Istria , dove era giustamente affermato che at ali events Italia redenta and irredenta has a community of folk bullabies. (*) Dai monti e dalle valli del Trentino e dell' Istria, i di cui fiori Antonio Bertoloni fino dal 1833 aveva già tutti compresi come figli d' una stessa patria nella classica Flora Italica, ci ari'ivano infatti come altri fiori raccolti da Luciani, da Caprin, da Ive, da Bolognini e da altri amici, leggende, tradizioni, motti, enimmi, canti, quali sono (1) Notte e Ombra, loc. cit. [23] (1011) diffusi nelle nostre valli e nei nostri monti, e giù per le Marche e per la Toscana sino alle falde del Vesuvio e dell'Etna. E anche di questi giorni, in una fiera protesta che giunge da Rovigno {^) contro le pretese antinazionali del panslavismo, Raimondo Desanti ricorre oltre a tanti altri argomenti anche a queste umili espressioni popolari che ci accomunano e ci congiungono, evocando fiabe, proverbi, canzoni cantate dai giovani di Rovigno sotto le finestre delle loro morose, con le stesse parole come sono can- tate nelle lagune di Venezia, con gli stessi concetti come sono cantate in Toscana e in Sicilia. (1) Il Risveglio di Rovigno, 30 maggio 1894. UNA OSSERVAZIONE RELATIVA ALLA TEORIA DI MAXWELL PER L' ANELLO DI SATURNO COMUNICAZIONE del s. c. ERNESTO PADOVA Avendo in questo anno scolastico preso a svolgere nel corso di Meccanica superiore la teoi'ia della figura dei corpi celesti, mi sono attenuto alla classica opera del prof. F. Tisserand Mècaniquc celeste voi. II, ma giunto al capitolo XII dedicato alla teoria di Maxwell per l'anello di Saturno, ho notato nella esposizione un punto, che credo opportuno chiarire, affinchè i lettori di quel capitolo non siano trattenuti da una obbiezione, che si presenta spon- tanea. Fino alla pag. 176 si è dapertutto sostituito ad a la quantità w^ , ma poiché, quando si tenga conto delle azioni reciproche dei satelliti, che costituiscono un anello elementare, si trova /'M così sembra che tutte le formule vadano conseguentemente modificate e che i risultati, che si ottengono, debbano ve- nire variati. Dimostrerò ora che ciò non ha luogo e che, quando oltre al supporre molto piccoli i satelliti, si suppone che il loro numero sia sufficientemente grande, tale da dare all'anello l'aspetto di un corpo continuo, i risultati sono quelli stessi indicati dal sig. Tisserand. [2] (1013) Dalla equazione fM supposto che il rapporto \x fra la massa di un satellite e quella di Saturno sia tanto piccolo che se ne possano tra- scurare le potenze superiori alla prima, si ottiene m sostituendo questa espressione di -— nelle equazioni del moto, si ottengono in luogo delle (14), (suppongo che il lettore abbia sott' occhio il trattato del Tisserand) le equazioni [3w2 -f- n'i — to2 [X (Ly -f 2k)] A + {2mi -f w^ ,jt My) B = 0 (2wn -f- 0)2 [ji My) A -{- (w-2 jx Ny -j- n'^ B = 0 . A Dalle quali si deduce colla eliminazione del rapporto—: [3oy2-|-n2— o)2jx(Ly f 2K)] [oy2[xNy4-n"^] — [2ton+oj2[xMy]2=(? . Supposto pari il numero dei satelliti ed uguale a 2q , con q dispari, si giunge alle equazioni (24) (25) delle pag. 181-182, coll'avvertenza però che l'espressione di N,^ va lievemente modificata, essa è infatti C0S2 — C0S2 — C0S2— - — 7C N ^4- ^4-...-^ ^^+ sen3— sen3 — sen^ ^ — k 2q 2q 2q + lf_L. + ^+.,. + i^ sen — sen — \ 2g 2q perchè dando a d- i valori della serie (7) , mentre i ter- (1014) [3] mini corrispondenti a valori equidistanti dagli estremi, che sono supplementari, nell'ultima somma sono fra loro uguali, il termine corrispondente al valor medio ^ resta isolato. Proseguendo lo sviluppo della teoria col far uso della formula 1 1 , 1 , "^ , 31 , , + 6^ + 360"' +I5T20'^^+'" sen X 00 si ottiene L, = 0,525 (^) ' , N, - 2 L, = 0,000 (^) ' il che suppone 2q non inferiore a 100, ma noi abbiamo analogamente gg-i 1 1 '^-^ 1 1 , i'^v'i I 1 4 sen — 2 sen — +--'^w...=(^'y(^+^+...) ^24g 1 ^••- \n/ \cf^^ q-i^ ' e quindi collo stesso grado di approssimazione di prima K = 0,000 y—j Conseguentemente per la stessa ragione per cui si può ad N^ sostituire 2L,^ , si potrà a 2K -|- L,, sostituire L,, e si ricade così nella equazione (27) , che serve di base al resto della dimostrazione. Il maggior rigore che si intro- durrebbe nelle equazioni (14) sostituendo ad L,^ , 2K-|-L,; diviene dunque per effetto delle ulteriori considerazioni, suggerite dalla natura fisica del problema che si ha in vista di risolvere, affatto superfluo. GLI STUDENTI TEDESCHI E LA S. INQUISIZIOlNE A PADOVA NELLA SECONDA METÀ DEL SECOLO XVL DEL PROF. BIAGIO BRUGI Chi fruga ne le vecchie carte e stacca da esse le balde figure degli avi del nostro spirito, sente viva commozione discoprendo non di rado nelle lotte che essi sostennero i preludi delle odierne vittorie. Ond' è che breve nota (pri- mizia di più ampio lavoro intorno all' Università dei giu- risti in Padova nel secolo XVI) ardisco presentare a Voi, dotti accademici, pago se per un istante vogliate consen- tirmi benevola attenzione, mentre narro lontane istorie. Né sol di Venezia e del patavinimi gymnasìum qui dico le glorie, mala viva parola di studenti del secolo XVI giova a dipingere il primo diffondersi fra loro delle dottrine lu- terane e il germe di una tolleranza d' onde usci la più pre- ziosa forse delle libertà, quella di coscienza. Gli annali de- gli studenti tedeschi delle Università padovane, (d' impor- tanza assai superiore agli Acta nationis germanicae Uni- versUatis Bononiensis pubblicati a Berlino il 1887) son fonte inedita e pochissimo esplorata dell' archivio storico della Università di Padova (i). Pochi ne trassero profitto, ne pub- (1) Ann. incl. nat. gemi. lurist. I (1545-1609), III (1650-1709j n. (1016) [2] blicarono qualche frammento o ne posero in luce il pregio : il prof. Luschin per le ricerche sui nomi degli studenti te- deschi in Italia e, pei suoi studi, il prof. Favaro, che sin dal 1888 propose alla Università la pubblicazione di que- gli annali. Io pure ripetutamente ebbi occasione di giovar- mene e di pubblicarne estratti (i). Essi recano inaspettata luce anche sul metodo dei professori e mostrano più com- pletamente la prudenza della repubblica veneta nelle sue relazioni con la corte di Roma. Nella moltitudine degli studenti di Padova primeggia- vano nel secolo XVI i tedeschi divisi in due nazioni, l'una dei giuristi, degli artisti 1' altra ; parte della Universilas iuristarum la prima, della artistarum la seconda. Dal 1550 al 1599 si iscrissero nelle matricole 5083 giuristi tedeschi, 977 artisti ; in totale 6060 iscrizioni nuovo in mezzo se- colo. Il numero dei presenti ogni anno non coincide con le iscrizioni perchè non ripetevansi come ai dì nostri. Dai verbali delle adunanze della Università dei legisti, si può indurre nondimeno grande frequenza. Spesso i giuristi te- deschi votanti (degli artisti non si dice il numero) son 100; il 1564 salgono a 200, il 1587 a 260, il 1597 a 300; (jual- che volta sono indicati nel verbale con la frase ad ma- gnum, numermn {^). Siena, Pisa, Perugia, Bologna istessa, 463-64 del registro generale. Il tomo II ò perduto. Ad. ind. nat. gemi. Artist. (1553-1769) tomi sei n. 470-75- D'ora innanzi cito i pri- mi A. g. i i secondi A. g. a. (1) Nel libro La scuola pad. di dir. rom. nel sec. XVT (Padova 1888). Gli annali degli studenti tedeschi giuristi ed artisti dell'a. 1591 e 92 furono da me pubblicati nel Rotulus et Matricula D.D. lurist. et Artist. gymn. pat. (Fatavii MDCCCXCII) in collaborazione con lo stu- dente Andrich. (2) Per queste notizie, documentate con fonti del nostro archivio, rimando all' ottimo lavoro del Luschin, Vorlàiif. Mittheilung. ilber die Gesch. deutsch. Rechtshorer in Italien (Wion 1892) pag. 20, 40. Si trova anche negli atti di quell'iaccademia. [3] (1017) 10 notano anche i nostri annali (^), non poteano neppur lontanamente reggere al confronto. Si capisce cosi come gli studenti tedeschi in Padova fossero una specie di pic- cola potenza che mandava nelle importanti circostanze ri- spettabili ambascerie ai dogi e ai riformatori dello Studio, si faceva assistere da propri avvocati, sapeva, in caso di bisogno, porsi in grado di ricorrere all' ultima ratio rerum. 11 1563 una compagnia armata di circa 100 studenti te- deschi si addestrava in Padova agli esercizi militari sotto appositi condottieri e ranni vasi in caserme con proprie sen- tinelle, affine di ottener giustizia della elezióne, che asse- rivasi illegittima, di un rettore polacco anzi che alemanno (2). Anche in altre circostanze si fa parola negli atti di questo militare organamento degli studenti tedeschi (s). E non pure per virtù di armi, ma per vivo spirito di fratel- lanza, non disgiunto da quello di gerarchia (che li facea distinguere in populares e seniores) la loro nazione era più compatta delle altre. Artisti e giuristi tedeschi univansi in geniali convegni, aveano casse del consorzio, fondavano bi- blioteche, fornivansi di propri sepolcreti in chiese di Pa- dova a' cui restauri contriljuivano, tenean matricole ove se- guivasi la vita dello studente pur tornato in patria, con- solidavano le basi del nazionale sodalizio affidando ad annali la viva storia di ogni giorno, eredità di esempi e di con- sigli pei venturi. Son pagine scritte con dignità aristo- cratica, con latino quasi aulico ; si fauno roventi contro gli avversari (non di rado^oUeglii stranieri, spesso italiani), energiche nella difesa dei privilegi della nazione. Par di rivedere quegli studenti tedeschi dell' alta e della bassa nobiltà, alcuni anche della borghesia, girar per le tortuose vie di Padova, superbi del loro diritto di portare armi e (1) A. (j. i. I f. 269. CtV. f. 307, ove per V a. 1586 si dice: cum tanta sit in hoc celeberrimo Patau. f/i/mn. Germanorum freqiienfia. (2) A. g. i.l f. 97 t." (3) Cfr. il cit. Rotulus p. 40. (1018) [4] di privilegi e preminenze gelosamente custoditi, contegnosi, affezionati alla repubblica veneta, e a Padova, ossequenti ai civici rettori, ma pronti sempre a risolvere le questioni con la spada, come ne facean fede le frequenti cicatrici che tuttora li distinguono nelle nostre matricole (i). E possibile che questo nucleo di studenti convenuti a Padova da paesi luterani non fosse un focolare d' idee pro- testanti e non volesse, anche fuori di patria, rendere omag- gio a quella fede nuova che avea scosso la Germania presso che tutta ? Le nationes tedesche erano legate alla madre patria, ne sentivano le gioie e i dolori, ricevevano coppe di amicizia dai principi alemanni (2), conservavano propri usi e tradizioni. Anzi non di rado quegli studenti alloggia- vano presso donne tedesche assai in sospetto d' eresia, come ne fa espressa testimonianza il cardinale Cornaro vescovo di Padova in un monito amichevole ai consiglieri tedeschi del 1586. Il luteranismo penetrava per mille rivoli in quei sodalizi di scolari, spesso uomini fatti, sempre propensi a guardare le cose di religione con maggiore interesse de- gli italiani. Né ci stupirà di trovare atti (che noi ora giu- dichiamo puerili) di ribellione ai riti e precetti del catto- licismo, perchè nel sorgere di scismi e sette non è dato a tutti di sostener dispute teologiche, ma ognuno ambisce di affermarsi ostentando il dispregio di quotidiani precetti re- ligiosi cui ci si vuole sottrarre. Cosi non ci maraviglerà di vedere gli studenti tedeschi, più o meno seguaci del lutera- nismo, non staccarsi del tutto dai l'iti e dai templi nostri a cui facevano anche oblazioni (3), sia perchè sapevano di es- (1) Si comprende come fossero offesi quando la loro pronunzia fu derisa da Fabrizio da Acquapendente (A. (j. a. I f. 188) recando ad. es. la frase : qui ponwn fmum pipit din fiflt. Alcuni sapevano parlare be- nissimo in italiano. Rotulus p. 46. (2) A. g. i. I f. 112, 113 t.°, 164, 165 t.», 387. (3) Oblazione di 20 coronati pel restauro della chiesa degli Ere- mitani. A. g. i. I f. 191. Elemosina ai cappuccini sulla fine del 1579 [5] (1019) sere in paese cattolico, sia perchè forse volevasi non tanto fondare una nuova chiesa, quanto purgare la esistente. Certo si è che fra questi studenti ve ne erano alcuni che gli atti chiamano pontificii ('). i quali oppouevansi agli altri che sembrano maggioranza ; devesi appunto a quelli se non fu attuato nel 1580 il disegno di lasciar Padova e trasportare altrove l'erario e la sede della natio {^). Gli annali ci di- cono che il luogo ove opportunamente trasferirsi non si era determinato. Né facil cosa era sceglierlo, almeno in Italia : in ni una parte, come a Padova, tolleravasi tanto; non ultima ragione dell' affluenza dei tedeschi al nostro Studio (3), che la repubblica non volea in alcun modo de- viare. Rivivendo con questi studenti del secolo XVI, mi son chiesto più volte se gli storici dello Studio o di Venezia ne hanno sufficientemente descritto la vita, le lotte, i trionfi. Chi nel Tomasini ('••) trova qualche fuggevole accenno alla scon- tentezza dei tedeschi per una bolla di Pio IV, alla carcera- zione dello studente Weydacher nel 1570, ai richiami del vescovo di Padova nel 1580 intorno alla poca religione dei tedeschi, non ne ritrae alcun concetto che risponda al vero. Sembrano anzi fatti eccezionali quelli che eran di ogni gior- no. Il Cantù (5) accenna all' eresia di qualche dottore dello Studio padovano e di qualche altro in Padova, anzi che a quella degli scolari, se ne togli la notizia di una Scrit- iu7'a fatta sotto FedetHco Cornavo vescovo di Padova circa il tollerare o non tollerare la licenza della nazion ge?'- ne si id recusatum esset, dice l'annalista, prò apertihus Jtostibus liabe- remur ab illis, cum quibus Jiic vivendum esset. A. g. a. I f. 112 t.° Cfr. A. g. t. I f. 187. (1) A. g. i. I f. 222. (2) L. e. Cfr. A. g. a. I f. 126. (3) A torto il Facciolati, Syntagm. (Pat. 1752) p. 101 adduce a ra- gione soltanto l'ingente quantità di mercanti tedeschi a Venezia. (4) Gymnas. pat. (Utini 16'4) p. 413, 415, 420, 422. (5) Gli eret. d'Italia III (Torino 1866) p. 144-45. (1020) [6] manica, il cui originale è nell' archivio vaticano. Sappiamo poi dal Cecchetti (i) che nel 1550, nel 62, nel 78, nel 79 il Consiglio dei dieci nota la presenza in Padova di « capi di setta » che usano « modi inconvenienti alla religione » e di chi palesemente professa « l' opinione de ugonotti » malgrado la smentita dei rettori civici ; vuole che ninno si laurei per privilegio di principi « se prima non haverà fatta professione della fede » e che i rettori di Padova chiamino a se i capi delle nazioni per dir loro esser co- mando della repubblica che ivi si viva cattolicamente. Ma questo trattamento, che può chiamarsi ufficiale e palese degli studenti luterani in Padova, deve essere com- pletato col racconto di storia quotidianamente vissuta fra pericoli, ansietà, assemblee, ambascerie, che si conserva nelle pagine degli scolari stessi. P] una specie di storia ar- cana, come si sarebbe detta volentieri in altri tempi, la quale ti si apre dinanzi ora, giacché gli annali delle na- zioni non poteano esser mostrati ad alcun profano, né si consenti portarli in giudizio quando pure il magistrato lo ordinò (2). E bensì vero che furon cortesemente mostrati a qualche storico dello Studio (3) cui non poteva piacere quest' istoria dell' eresia, e che, forse già prima che le pre- ziose carte degli studenti tedeschi andassero disperse, una mano pia aveva cancellato con inchiostro nero talune pa- role, censurabili dall' Inquisizione, la cui lettura sarebbe oggi facile con mezzi chimici. Nella pressoché totale di- struzione, fortuita 0 volontaria, di documenti intorno al- (1) La Repttbhl. di Venezia e la Corte di Roma nei rapp. di re- li,!. (Venezia 1874) I p. 26-27. (2) La notizia è anche nel Tomasini, 0. e. p. 436. Per 1' autorità e utilità degli annali e il giuramento di narrarvi il vero v. A, g. i. I f. 54, 74, 97, 25.5. (3) Pel Riccoboni v. A. g. a. II f. 1 13. Cosi anzi il prof. Campolongo era venuto a conoscere un giudizio poco favorevole su di lui, ivi scritto. Spesso ricorrono tali giudizi sui professori. [7| (1021) r Inquisizione in Padova, questi annali acquistano anche per ciò peculiare importanza. E da essi appare non essere eccezionale (come sembra al Cecclietti) il fatto che nel 1580 la repubblica desse appoggio alla nazione alemanna contro il vescovo di Padova, il quale aveva offeso i tedeschi con parole sconvenienti. Il racconto è in generale più esteso negli annali dei giuristi tedeschi che in quelli degli artisti ; ma gli scolari dell' una e dell' altra facoltà, divisi sin dal 1553 in distinte nationes per una certa superbia e prevalenza numerica dei primi (i), son concordi nei propositi e nei mezzi. Da ogni pagina emerge il disegno di ottener libertà di professare la propria religione, di sottrarsi alle censure del vescovo e della Inquisizione, di godere della tolleranza concessa ai mercanti tedeschi in Venezia (2). Sanno che non si deve dare scandalo, (purtroppo talora v' è qualche scolare im- prudente), che il volgo può scatenarsi, contro i luterani, che le autorità ecclesiastiche li vigilano e porgono facile orecchio alle delazioni, che la republica, la quale pur mo- stra tanto affetto per loro, è costretta a prudente riserbo, a promettere più a voce che in scritto, massime che la bolla In Coena Domini, rinnovata da Pio V nel 1567, vietava, fra molte altre cose, ai principi di accogliere acattolici nei propri stati. Cosi in quelle ingiallite pagine ti si svolge all'occhio la tela di un lungo dramma e muovonsi pieni di ardore nobili e ricchi studenti, saggi avvocati veneziani, prudenti riformatori dello Studio, senatori e dogi abilissimi nel ma- neggio della cosa pubblica, ciascuno dei quali si affanna at- torno a quei compromessi e a quelle transazioni, d' onde penosamente doveva balzar fuori la libertà di coscienza. (1) Il fatto è narrato in una lettera, premessa al 1 voi. degli Acta degli artisti, che nel 1591 un vecchio studente, Adamo Mascherellio KnaufF, scrive dalla patria al proprio figlio, consigliere loro a Padova, che a nome della nazione, lo aveva richiesto di varie notizie. (2) A. (j. i. I f. 190. (1022) [8] Una delle figure psicologicamente più interessanti e meglio colorite dallo scolare annalista è quella del Cornaro vescovo di Padova. Entrando in Padova il maggio 1580 nel suo ritorno da Roma, dove Sisto V lo aveva creato car- dinale, fu ricevuto con gran pompa da ogni ordine di cit- tadini e da r una e 1' altra Università. Ma egli fece tosto capire che desiderava uno speciale omaggio degli studenti tedeschi ; tardando questi ad accordarsi, il cardinale stesso chiama a sé i tedeschi, i francesi e i polacchi. Dopo lungo tergiversare in cui solo i tedeschi si acconciano ad udire il vescovo, egli, prendendo le cose assai alla larga, inco- mincia col dire che come patrizio veneto sa l'affetto della repubblica per loro, non ignora i privilegi di cui godono, ma deve in pari tempo conciliare tutto ciò con gli obblighi del proprio ufficio. Vuole agire col consenso dei tedeschi stessi, tórre di mezzo gli scandali e, mettendo il dito sopra una vera piaga, si propone di condurre a vita più onesta quelle padrone e quelle ancillae tedesche con cui si scu- sano gli studenti di convivere pel desiderio di sentire la propria lingua e conservare 1 propri usi anche nel vitto. Al che egli obietta : alia aliam subsequitur vel hic nata, vel ex Germania accedens ; niuno sa chi siano, né di qual religione ; onde è ufficio di lui vigilare ne haeresis aliqua, quae tacile serpendo lalissime progredilur, totam Pata- vium inficlat ac commovat. (i) Questo linguaggio, d'onde traspare la necessità di un modus vivendi, combina con quello più minaccioso nella forma, eguale nella sostanza, tenuto da lui coi tedeschi pochi anni innanzi : o fate che il senato confermi solennemente la vostra libertà o io agirò contro di voi secondo il mio ufficio (2). Strano lin- guaggio per un Inquisitore. (1) A. g. i. I f. 293-95. Cfr. A. g. a. I f. 152 t.° Richiamo del pre- tore riguardo alle concubine ancillae germanae, ivi f. 157 t.° (decera- bre 1586). (2) A. g. a. li. 125 t.°-126. [9] (1023) Cosi il moderno psicologo può studiare con interesse quei dogi che dall' alto del loro trono ricevono le amba- scerie degli studenti tedeschi, costretti a misurare ogni parola, a lasciar capire più di quello che dicono, a rispon- dere che essi pure son soggetti al vescovo, quale ecclesia- stica autorità, ma che faranno scrivere nondimeno ai civici rettori di Padova affinchè preghino il vescovo ut nostris, dice l'annalista tedesco del 1580, paululum conniveat (i). Mite e diplomatica frase che significava gettar le basi di quel legale riconoscimento scritto della libertà di coscienza per una dotta colonia d'eretici in paese cattolico, che avvenne sette anni dopo ! Se io volessi ora, come pur sarebbe utile, narrare tutti i particolari che riferisconsi al luteranismo degli studenti tedeschi in Padova e alla condotta (diciamolo pure) assai mite degli Inquisitori, la cui mano è frenata dal senno di Venezia, dovrei far il sunto di tutti gli annali delle due nazioni alemanne. Chi ne imprenderà la stampa, lavrà il merito di aver fornito questa larga messe agli studiosi. Raccogliendo il molto in poco, io Vi prego di udire la breve narrazione di due principali episodi. L'uno è la costante lotta dei tedeschi per ottenere dalla repubblica un privilegio scritto della loro immunità dal- l' Inquisitore, l'altro è la rimostranza, più sommessamente fatta alla repubblica, perchè volesse sciogliere i laureandi tedeschi dall'obbligo della professione di fede prescritta da Pio IV. 11 primo episodio approda ad una vittoria degli studenti già nel secolo XVI ; il secondo si chiude pur vit- toriosamente nel XVII, auspice il consultore fra' Paolo Sarpi, che anche qui si palesa non propenso al luteranismo, ma tollerante cattolico in tempi di intolleranza. (1) A. g. a. I f. 126 t.» T. V, S. VII 68 (1024) [10] Qualche consigliere annalista, certo per prudenza, si esprime dubitativamente intorno al luteranismo di alcuni degli studenti tedeschi (i), ma le parole di altri e i fatti da loro narrati non lasciano alcun dubbio che già sino dal tempo in cui cominciano i nostri annali, cioè dalla metà del secolo XVI, i più dei tedeschi a studio a Padova erano della confessio augustana. Il 1563 i polacchi accusano di luteranismo i tedeschi aspiranti al rettorato dei giuristi ("^); otto anni innanzi, ai tedeschi artisti era accaduto di essere sc^icciati per luteranismo da una delle usuali assemblee (3); il 1567 un predicatore al Santo inveiva contro gli studenti tedeschi, principalmente per 1' uso di carne nei giorni di divieto (^). Che faranno questi eretici ? Diciamolo subito : non tutti sono prudenti ; alcuni danno scandalo, insultano 0 beffeggiano i sacerdoti, voltano il dorso al Santissimo, giungono a spargere immondizia nella pila dell'acqua be- nedetta al Santo (3). Forse qualcheduna di queste accuse è falsa ; gli annalisti vogliono indurci in tale persuasione, molto più che l'autorità civica o ecclesiastica, la q^iale pur dice di conoscere i nomi dei colpevoli, non li pronuncia. L'odio delle turbe doveva esser grande contro i luterani ; si vede palesemente che i tedeschi lo temono {^) ; quindi una lunga doglianza per le ingiurie ricevute dal dottore fiorentino Bianco, forse sostenuto dai gesuiti, che attac- cava la nazione alemanna, anche per la irreligione, con parole assai volgari ('), Ma, da quegli imprudenti infuori, (1) A. CI. i. I f. 220. (2) A. y. i. I f. 109 t.« (3) A. g. a. I f. 7. (4) A. f/. i. I f. 125. (5) A. (j. i. I f. 219. A. (j. a. 1 f. 12.5 t." Sulla raascheratura oscena di uno studente tedesco nel carnevale del 1585. A. g. a. I f. 146 t.° (6) A. g. i. I f. 287. A. g. a. I f. 221 : terribile enùn fulmen ex- communicationis. (7) « Et mi raerauiglio che queste bestie Tedesche Luterane siano fauorite da alcuno in questa città. » A. g- i. I f. 436. Correva Fa. 1598. [11] ^ (1025) i tedeschi assennati non esitavano a riconoscere e affidare agli annali che sol per imprudenza e incontinenza di al- cuni, talora di molti, si erano avute molestie e corsi pericoli (1). Qualche volta per vendetta uno scolare tedesco accusò i colleghi di eresia ; cosi per delazione di Basilio Werner (segnalato poi all'odio di tutti i colleghi di Pado- va, Bologna e Siena) l'Inquisitore padovano fece catturare nell'agosto del 1585 il consigliere dei giuristi tedeschi En- rico Àbramo da Einsedel e i suoi coinquilini, fra cui due italiani. Questi furono rilasciati il mese dipoi ; i tedeschi, dopo essere stati in carcere con ladri, malfattori ed altra simile gente, vennero pure liberati per intercessione di Francesco de' Medici granduca di Toscana, della natio, del duca di Sassonia, che porsero supplici libelli al pontefice e al collegio dei cardinali [^). E bello vedere che mentre i consiglieri e i seniores dei tedeschi raccomandano la prudenza, consigliano ad aste- nersi da ogni scandalo e a fare anche l'elemosina ai cap- puccini, non suggeriscono ai colleghi di fingere il cattoli- cismo. Si deve dire di essere protestanti. Il consi- gliere artista del 1579 scrive : « In toto autem hoc ne- gotio cum saepe nobis dicendum esset, cuius religio- nis essemus, nullum aliud nomen comodius et minus odiosum invenire potuimus quam Protestantium, ut quod minus exosum esset nomine Lutheranorum, idque monere necessarium duxi ut in similibus negotiis posteri caute loqui scirent (3). » E nessuno piega dinanzi all'Inquisitore, eccetto quel Weydacher che era chierico e precettore di altri studenti : i baroni di Herberstein. Fatto imprigionare dal vescovo nel marzo 1576 perchè sebbene chierico non vestiva da prete e sospettavasi quod de doclrina Catho- (1) Cuius origo et causa multorum, ut vera dicam, incontinentia fuit. A g. a. l f. 126. (2) A. g. i. I f. 289-90. Cfr. A. g. a. 1 f. 153 t.° (3) A. g. a. I f. 118 t.° (1026) [12] lica tene non sentir et, si palesa luterano, poi forsitan mela poenae, ani tedio carceris se ffecti palilur, si con- fessa e comunica e, fideiussore un padovano, lascia la città riconciliato con la chiesa romana (i). Ma gli altri non vo- gliono confessarsi ritu pontifìcio neppur quando il vescovo pone ciò per condizione della loro cura medica, allorché ardente febbre li travaglia ; taluno muore dopo essersi astenuto per ben quindici anni dai sacramenti (e dobbiam credere che fosse un tedesco ormai domiciliato a Padova) (2). Di alcuno di questi morti dice 1' annalista con frase tutta evano^elica : in vera fìde in unicum mediatorem nostrum Jesum Christum vitam cum morte commutavit (3). E si noti che quando a questi eretici negava l'autorità ecclesiastica, come al marchese di Brandeburg Gioacchino Reuclin de- funto il 26 settembre 1582, di aver pace eterna nel se- polcro della nazione agli Eremitani pei giuristi, a S. Sofìa per gli artisti (*) e si dovevano seppellire dove potevasi, talvolta in qualche orto di frati, 1' accompagnamento fu- nebre splendido mostrava di un sol cuore tutta la nazio- ne (5). Fremeva il vicario ecclesiastico e minacciava ; ma gli anni volgenti dal mezzo alla fine del secolo XVI ma- (1) A. ij. i. I f. 138 sg. ^l. r/. a. I f. 61 sg. Questo fatto fu nar- rato dal Luschin, Zeitschr. f. alUj. Gesch. 1886 p.' 805 sg. che si giovò anche di documenti dell' archivio di Stato in Venezia. Ma non deve esser preso isolatamente. 11 Luschin, Mittheil. p. 22, "ben sa che Padova attraeva i tedeschi per la speranza di libertà religiosa. (2) A. g. i. I f. 326. (3) A. (j. a. 1 f. 135 t.'' (4) A. g. i. I f. 4. A. g. a. I f. 39. 1 primi lo ebbero dal 1546, i secondi dal 1564. (5) Pel Reuclin offrirono a modico prezzo una sepoltura nel loro orto i frati di S. Spirito, forse d" accordo col vicario. L' accompagna- mento fu numeroso. A. g a. I f. 135 t,° Posteriormente le difficoltà pei morti senza confessarsi furono eliminate mediante 1" intervento del pretore. Così per la morte di Caspar Mospach il 25 novembre 1590. A. g. i. 1 f. 347. [13] (1027) turavano la libertà religiosa degli studenti tedeschi a Padova. Momenti di capitale importanza sono appunto questi anni, durante i (juali quegli scolari apprendono per propria esperienza che non bastano le promesse verbali delle ci- viche autorità e del doge istesso a difenderli contro l' In- quisitore che trae profitto dalla imprudenza di alcuni, dalle delazioni, dai segreti interrogatori delle padrone di casa e dei servi per minacciarli tutti. Lo sgomento giunse ad es- ser cosi grande fra i tedeschi, sebbene passeggiero, che essi nel 1580 volevano chiedere un salvacondotto per par- tire da Padova e temevano di non ottenerlo (i). Vinse la prudente tenacia dei maggiorenti delle nazioni alemanne e il desiderio di restare in una città ad esse tanto cara, ove ai padri, un tempo scolari, erano succeduti i figli e i tìgli dei figli, come dimostrano le matricole. Il 1569 il prefetto di Padova, mentre rimproverava ai tedeschi lo scandalo dato da alcuno di loro in chiesa e fuori e una certa propaganda che sembra facessero, li aveva assicurati che, usando ogni prudenza, poteano restare senza pericolo alcuno fra noi (2). Ma l'anno dipoi, la cat- tura di Weydacher, desta meraviglia e paura, quasi oblio della precedente assicurazione. I riformatori dello vStudio cui gli scolari ricorrono, confermano loro che possono tornare a vivere sicuramente a Padova ; ma Wej'dacher non è liberato ; il prefetto risponde dipender ciò dal pon- tefice, (liuristi e artisti tedeschi spediscono un' ambasciata al doge il 6 maggio 1570. Egli fa grandi promesse, li per- suada che non debbono temere affatto l'Inquisitore purché siano alieni da scandali e da propaganda e non divulghino in alcun modo la li1)ertà loro concessa. Chiedesi la risposta in iscritto, ma invano, osserva l'annalista («*). (1) A. (/. i l f. 2^2. A. il. a. 1. f. \2ù. (2) A. il. i. I f. 138. (3) A. g. i. I f. 139. (1028) [14] Nove anni dopo troviamo un tentativo del vescovo, aiu- tato dal professore Mercuriale, di soggiogare totalmente i te- deschi e rompere la temuta solidarietà loro con ogni inquisi- to, costringendo così tutti ad essere cattolici e vivere cattoli- camente. Mezzo a ciò doveva essere l'obbedienza a taluni capitoli che si chiamarono cose da esser osseriiate da luti gli oltramontani scholari del stadio di Padoa (i) e che, dico il vero, nella parte clie riguarda l'astensione da scan- dali e la sepoltura in luogo non ecclesiastico e senza sacer- dote cattolico, non erano esagerati. Ma quei giovani prote- stanti non volevano saperne di abbandonare i propri sepol- creti nelle chiese nostre; la commozione degli animi contro il vescovo e il Mercuriale fu grande. Mentre i tedeschi eran concordi nel respingere quei capitoli e i civici rettori di Padova non sapeano che fare, si ammala per febbre arden- tissima lo studente Enrico a Libot. Il vescovo proibisce ai medici di curarlo, se prima non si confessa. Addì 0 raag- (1) Eran queste: « Che debono nelle Chiese stare et praticare con quel respetto et culto tanto verso il Sant."^° Sacramento, quanto uerso li sacerdoti, che fano tuti li buoni Catholici ; che per le strade quando incontrano i sacerdoti o altre persone questi habino quella ri- uerenza e rispeto, che si deue ; che tanto nelle case loro priuate, quanto in publico non parlino, o non faciano cosa nessuna, la quale possa esser di malo essempio e m consequenza di scandalo a qual si voglia persona catholica ; che tuti li libri heretici che si trouano apresso di loro al presente, si deuono brusciare e per l'auenire prouedere in tuti li modi, che nessuno piìi ne porti in questa città ; che nel giorno di Venere e Sabatho e nelle uigilie commandate dalla St. Chiesa Romana non debano ne publicamente ne priuatamente mangiar carne fuora che in caso di necessità: o nelli altri tempi quadragesimali non habino da mangiare senza licenza del medico ed i superiori ; che in caso di morte s'habino a sepelire da loro medesimi in vn luogo da consegnarsele senza inter- uento di sacerdote alcuno e senza li altri riti Catholici : il qual luogo gli sarà consegnato da Mons.'"'' Rev/™" Vescouo. Le quali cose non s'os- seruando e ritrouandosi il delinquente sia quello abbandonato da tuta la Natione e conseguentemente come heretico inquisito e condennato. » A. g. i. I f. 188 t." A. g. a. I f. 115. [15] (1029) gio 1579 parte un'ambasciata per Venezia, dove il vescovo aveva prevenuto gli scolari tedeschi con querele al senato circa la loro condotta. Un eloquente memoriale è presen- tato al doge, il quale benevolmente risponde; scrivesi a nome del senato e dei Pregadi ai rettori di Padova darsi licenza ai medici di curare i tedeschi ammalati (*). Mer- curiale chiede scusa per scritto ; la sua lettera, è copiata negli annali dell'una e dell'altra nazione. 11 1580 passa fra i timori, come dissi, e il pericolo di lasciar Padova; quieti sembrano scorrere i quattro anni anni successivi. Il 1585 mentre si cerca di liberare dal- l' estremo supplizio un protestante tedesco, affinchè non desti odio nelle turbe contro tutti i luterani, la ricordata delazione di Werner fa chiudere in carcere alcuni studenti alemanni. 11 1586 leggiamo il fatto singolare che il padre Massimiliano inquisitore, di ritorno da Roma d' onde reca parole del pontefice benevole pei tedeschi, congedasi af- fettuosamente da loro {-). L'anno dipoi segna il trionfo delle nazioni germaniche del nostro Studio. Nel giugno era stato catturato a Venezia un tedesco per ordine dell'Inquisitore ; a Padova l' Inquisitore destasi pure sottoponendo ad esame, sotto vincolo di giuramento e minaccia di tortura, Anna, padrona tedesca (3). Era già partita una delle consuete ambascerie per Ve- nezia, quando l'Inquisitore citò a comparire al suo tribu- nale anche un servo del nobile studente Sebastiano a Rumrath. S'invia un altro studente a Venezia che aggiun- gasi alla ambasceria. I riformatori consigliano di recar la doglianza al doge e intanto scrivono ai rettori di Padova niente poter fare, a loro insaputa, 1' Inquisitore e doversi trattenere da ulteriori molestie, onde i tedeschi non risolvano di partire. Il doge promette clemenza pel prigioniero ; conce- (1) A. il. i. I f. 190. (2) A. (j. i. I f. 292. (3) A. g. i. I f. 276. (1030) [16] donsi lettere, e depongonsi nel tesoro della nazione, per le quali si accorda immunità ai tedeschi, dalle molestie dei chie- rici, purché vivano senza scandalo. Pochi giorni dopo (settem- bre del 1587) per render durevole la vittoria deliberarono i giuristi tedeschi (e il privilegio che cosi ottennero fu in- terpretato dagli artisti anche a loro favore) (i) che si chie- dessero al doge lettere dirette non pure ai presenti rettori di Padova, ma a tutti i loro successori. Una nuova amba- sceria parti tosto per Venezia e tornò con buone speranze. Perchè la cosa, di tanta imp(U'tanza, non cadesse in oblio spedirono gli studenti novellamente a Venezia Andrea Tri- dentino, reduce ben presto con le l)ramate lettere. 11 me- morando fatto è cosi descritto dallo annalista del 1587 : « Biduo post Tridentinus Patauium reuertitur, se- cumque affert literas ad Rectores Vrbis eorumque succes- sores. Ha3 sequenti die pra^sidi et pra'fecto a nobis sunt tradita^, utque rei nona? (siquidem id nemini antecessorum meorum contigit ut quicquam de religionis negocio a Se- natu in scriptis ut loquuntur, impetraretur) Nationi monu- nientum esset, harum litterarum exemplum sub publici Tabellionis manu et signo, in serarium nostrum reponi curaui, coque commonefactos Volo successores, ut si (juid imposterum Vel in hac uel alia re ab Amplissimo senatu Nationi concedatur, ut quantum fieri potest, publicis li- teris denotari, id ne negligant. Aufertur enim hac ratione et de grauissimis saepe dubitatio et amplissimum conue- niendi senatum minuitur importuna frequentia. » (-) Sin da quando, arma di difesa. Pio IV fece pubblicare a Padova il 4 marzo 1565 la sua famosa bolla hi sacrosanta del 13 novembre 1564 vietante l'onore della laurea in leggi (1) A. g. a I f. 166 iy-\Q' (2) A. rj. i. I f. 278-79, [17] (1031) e nelle artes a chi non avesse fatto una professio /idei (i) rigorosamente cattolica, incominciò il malcontento dei te- deschi. Essi risposero, e fa onore alla loro lealtà, che in niun modo si sarebbero prestati a tal giuramento (2). I rettori dell'Università ne scrissero al veneto senato mostran- do che i tedeschi sarebbero partiti ; non si ebbe risposta. Gli artisti tedeschi spedirono a Venezia un'ambasciata a cui il riformatore Marino Cavalli rispose che entro tre mesi quella bolla sarebbe stata mitigata a loro favore. L'annalista del 1565 scrive : quid auteìn sit futurum eventus denique ostendet (3). Ma non sembra che si otte- nesse alcunché, fuor di una certa tolleranza nel conferi- mento delle lauree in privato e per autorità dei conti pa- latini. Il numero dei dottorati tedeschi, secondochè ci mo- strano gli annali, scarseggiava ormai nel secolo XVI (*). Ad ogni istante ricompare la questione intorno al modo di sfuggire alla pontifìcia professio fìdei, anche perchè le autorità universitarie perdevano le usuali sportule della laurea, se questa mancava o era privatamente concessa (^). Gli studenti tedeschi, sebben sollecitati da queste autorità e pur desiderando vivamente la buona riuscita, dicono di ravvisare tutto il pericolo che la pretesa desti odio contro di loro e dubitano assai che la repubblica veneta voglia cosi palesemente mostrare il suo appoggio a persone aliene dalla fede cattolica (6). Infatti quando nel 1566, morto. Pio IV, si era chiesta al senato veneto ]' abrogazione di quella bolla, niente aveano ottenuto né i giuristi, né gli artisti (7). (1) Cf. il suo tenore nel Rotulus cit. p. 47. (2) A. g. a. I f. 40. (3) L. e. (4) A. g. i. I f. 196. (5) A. g. i. 1 f. 191 e 197. (6) A. g. i. I f. 198. (7) A. g. a. l f. 44. (1032) [18] Così tra desideri insoddisfatti e di continuo ricorrenti, chiudevasi il secolo XVI, ma la repubblica veneta, si^.raprc desiderosa di evitare ostacoli alla affluenza degli stranieri al prediletto Studio, girò attorno lo scoglio che non poteva superare. Il 1616 fu istituito un collegio di promozione degli artisti per autorità della Serenissima, che si sostituì in questo privilegio ai conti palatini. Rimase memoria ne- gli annali della prima laurea in questa nuova forma. Eguale collegio istituì per i giuristi nel 1635. Chiedeva il ponte- fice, quando fu istituito il primo di questi collegi, che il suo presidente esigesse pure dal laureando la professio fidei. Ma il consultore fra' Paolo rispose al doge che quella professione non era stata per lo innanzi richiesta dai conti palatini, cui ora la repubblica surrogavasi, che quel giu- ramento non è sano espediente contro gli eretici occulti, che viene frainteso dagli stranieri come atto di vassallag- gio al papa, che si deve « per carità Christiana haver per cattolico ognuno di chi non consti il contrario », che dot- torando in filosofia e medicina non pretendesi di far dei buoni teologi, che infine quella professione annichilirebbe totalmente lo Studio di Padova (^). La repubblica segui l'equo consiglio del frate. • Tornando ora col pensiero agli studenti tedeschi che frequentarono nei secoli scorsi il nostro Studio, giustizia vuole che, tolte le deplorevoli intemperanze di pochi, li diciamo gemma di esso. Leale pugna sostennero, in tempi difiScili, per la libertà di coscienza. Oltre questo nobile in- tento, essi furono l'anima del patamnum gymnasium ; ora (1) Ardi. St. Vene:-. Consult. in iure B. 12 f. 402. Questo punto è accennato anche dal Cecchetti, Le consulte di fra P. Sarpi nel!' Aten. ven. S. XI voi. 1 (1887) p. 246-47 e dal Pascolato, Fm Paolo Sarpi (Milano 1888) p. 58. [10] (1033) copiatori ed editori di ignoti o dimenticati manoscritti co- me Viglio Zuicliemo (^) e Giorgio Tanner ; ora ardenti sostenitori, ausiliatore il Bembo e il Trissino, della chia- mata dell' Alciato ; ora concordi ad onorare di sepolcro il Robortello morto in miseria ; ora propugnatori di nuove cattedre ; ora solleciti delle esercitazioni anatomiche. Non stranieri, ma cittadini del nostro Studio lo storico memore li saluta, come di famiglia. (1) Olandese, ma ascritto ai tedeschi. RELAZIONE DELLA Giunta incaricata di esaminark il lavoro PRESENTATO PER IL CONCORSO al premio DELLA FONDAZIONE Qu E R I N I-S T A M P A L l A PER l'anno 1893. Il tema prescelto dall' Istituto, nella sua seduta del 19 Aprile 1891, per il Concorso della Fondazione Qiferini- Stampalia per 1' anno 1893, e aperto, quindi, tìn a tutto il dicembre di questo anno, era il seguente : « Fare uno studio litologico, mineralogico e chimico dei niateriali pietrosi, sabbiosi, terrosi e salini, cìie imo dei principali fiumi del Veneto, nelle diverse condizioni di piena, di magra e di media, porta fuori dalle valli alpine, e depone a diverse distanze dal piede delle Alpi, fino al mare. Ed applicare questo studio a quello delle alluvioni antiche e moderne della pianura veneta ed ai cambiamenti di posto, che possono essere avvenuti, in epoche preistoriche e storiche, nelValveo di detto fiume. L' intenzione, che ebbe l' Istituto nel proporre questo tema, era questa : che si iniziasse, finalmente, uno studio particolareggiato, minuto e fatto coi metodi moderni, delle alluvioni antiche e moderne componenti la pianura veneta, ed anche dei materiali portati fuori dalle loro rispettive valli, dai singoli fiumi del Veneto, allo scopo di determi- nare quali parti di dette alluvioni siano state prodotte da un fiume, quali da un altro, e cosi via ; ed anche per ve- nire a conoscere quando siano state formate le singole alluvioni dei fiumi veneti, e dove abbiano avuto questi fiumi i loro alvei nelle diverse epoche, preistoriche e storiche. Secondo l'Istituto, insomma, questo studio avrebbe dovuto [2] (1035) cominciare con im fiume del Veneto e con le sue alluvioni, passare, poi, agii altri ed alle rispettive alluvioni, e giun- gere, alla fine, a fornire i dati sufficienti per una storia particolareggiata di tutte le parti della pianura Veneta. Alla fine del 1893 l' Istituto ricevette un solo lavoro per questo concorso, col motto Virihus unilis. manoscritto, e formato da una breve Introduzione o Prefazione, e da quattro parti, la prima delle quali è intitolata: Schizzo geologico del Bacino dell'Adige, la seconda Studio geolo- gico-paleoidrografìco, la terza Pe'.rografìa, e la quarta Chimica. Queste ({uattro parti, che, pei modi diversi, con cui sono scritte, oltre che per certe frasi della Prefazione, sono evidentemente il lavoro di almeno due o tre Autori diff"erenti, sono assa diverse anche per il numero delle loro pagine, constando la prima di 28 pagine, la seconda di 136, con un abbozzo di carta idrografica, la terza di 14 pagine, e la quarta di 15. Nella loro breve Prefazione gli Autori, — dopo aver indicato di quanta importanza e di quanto interesse sia l'argomento proposto come tema per il concorso, e come, coi moderni progressi della Mineralogia, si possono ora studiare meglio che mai i sedimenti alluvionali dei fiumi, - accennano brevemente le difficoltà da vincere per trattare convenien- temente tutte le parti del tema, la brevità del tempo con- cesso per la presentazione del lavoro, ed anche alcune cir- costanze speciali, che concorsero a mettere gli Autori nella impossibilità di condurre a termine in tempo utile il loro lavoro. Confessano, infatti, che, mentre le parti geologiche poterono riuscire molto sviluppate, quella petrografica e quella chimica sono rimaste molto imperfette ; e che anche quelle geologiche avrebbero bisogno d' esser perfezionate, qua emendate, là abbreviate, e, sopratutto, completate con una buona carta paleo-idrografica della regione studiata. Aggiungono, poi, che V insieme del lavoro può benissimo (1036) [3] dare un' idea di ciò, che essi potrebljero fare in un tempo più lungo. Il fiume, di cui si sono occupati gli Autori, è l'Adige. La parte prima del lavoro, è come abbiamo già detto, uno Schizzo geologico del bacino dell'Adige, cioè di tutta quella regione, chiusa fra montagne, da cui scendono le acque a formare l'Adige. Comincia con dei cenni oro-idro- grafici ; passa poi a dire delle pieghe, delle sinclinali e delle fratture, che presentano gli strati rocciosi in detta regione ; e in seguito descrive le rocce arcaiche, paleo- zoiche, secondarie e terziarie, che formano la superficie del suolo di tutta la regione, scendendo a molti particolari in- torno alle loro suddivisioni ed alla loro distribuzione geo- grafica. Meritano elogio grande 1' ordine, con cui sono e- sposte tutte queste cose, e l'abbondanza dei particolari stra- tigrafici. Chi, poi, volesse cercare qualche cosa a criticare in queste pagine, troverebbe soverchi i particolari pura- mente geologici e stratigrafici, e desiderabili maggiori par- ticolari intorno alla natura mineralogica delle rocce citate: cioè di quei particolari, che sarebbero atti a spiegare la natura mineralogica dei materiali incoerenti portati dal fiume fuori del suo bacino alpino, ed ai quali si riferisce in particolar modo il tema posto a concorso. Si potrebbero, per esempio, desiderare dei dati intorno alla estensione dei graniti, dei gneiss, dei micascisti, dei porfidi, ecc., per sa- pere quanto più o meno estese siano alla superficie del suolo le rocce atte a dare dei detriti felspatici, micacei, ecc. che quelle atte a dare detriti calcarei o dolomitici, a fine di vedere se nella stessa o in diversa proporzione siano, nelle sabbie, nelle ghiaie e nei ciottoli dell' Adige, gli elementi felspatici, micacei ecc. e quelli calcarei e do- lomitici. Sarebbe utile anche uno studio particolareggiato delle sabbie, delle ghiaie e dei ciottoli, che formano le frane, le alluvioni antiche e i depositi morenici nei bacini dell' Adige e del Sarca, per paragonarne gli elementi a quelli delle alluvioni moderne dell'Adige, ed a quelli delle [4] (1037) sabbie esportate da questo fiume nell' epoca attuale. In- somma, si potrebbe desiderare che questo schizzo geologico del bacino dell'Adige fosse un po' meno geologico, ed un po' più litologico 0 petrografico. La seconda parte del lavoro, intitolata: Studio geolo- gico-paleoidrografico, aveva per iscopo di raccogliere e fornire ai lettori i materiali per la conoscenza del corso antico dell' Adige, di quello moderno, e delle variazioni successive, per mezzo delle quali si sostituì, a poco a poco, al corso antico quello moderno ; ed anche i materiali per una storia cronologica di quella porzione del suolo della pianura veneta, che si è formata interamente od in parte coi sedimenti dell'Adige. — Comincia col trattare del sol- levamento della regione veronese e del lago di Garda, so- stenendo probabile che soltanto alla fine dell'epoca plioce- nica ed al principio dell'epoca quaternaria le dette regioni sono giunte ad avere una tale superficie oro-idrografica, da poter acquistare il loro stato attuale con le poche va- riazioni prodotte dagli antichi ghiacciai e dai fiumi ; cerca di dimostrarlo con una analisi minuta delle varie parti di quelle due regioni, destinata alla ricerca delle variazioni prodotte, appunto, dai ghiacciai e dai fiumi ; e viene a con- chiudere che l'Adige passò anticamente sul vasto cono di dejezione, alluvionale e morenico, che è il sud del lago di Garda, e poscia per Pozzolo e Mantova, per andare a finire nel Po, vagando per una zona assai larga (dove si ricono- scono ancora i suoi sedimenti), corrodendo in certi luoghi, deponendo sedimenti in altri, e lasciando, cosi, le sue tracce in tutta la regione, che sta fra Lonato, Montechiari, Asolo, Mantova, Roverbella, Villafranca e Sommacampagna. Passa, poi, in una dozzina di capitoli, a studiare minuta- mente le tracce geologiche e topografiche, e gli indizi ar- cheologici e storici, da cui si deduce che 1' Adige, dopo l'epoca glaciale, lasciò la regione or ora accennata, per passare per Verona, Vallese ed Isola della Scala, dividersi in due rami, uno per Albaredo, l'altro più a mezzodì, ed (1088) [5] andare poi al mare a Broiidolo, passando al sud dei Colli Euganei, ma cambiando spesso l'alveo, allagando, ora qua ed ora là, le pianure basse, deponendovi delle sabbie rico- noscibili per sue, corrodendo talora il suolo in modo di formare dei terrazzi, ecc. — In seguito, e sempre serven- dosi di documenti storici, si occupa delle principali varia- zioni avvenute nel corso dell' Adige dopo 1' epoca romana (cioè dopo che il fiume cominciò ad essere chiuso fra ar- gini), in conseguenza di grandi piene e di rotte, che ebbero luogo in vari luoghi. Ad una di tali variazioni diede ori- gine la rotta di Cucca (appress'a poco all'est di Ronco e di Albaredo d'Adige), che si è prodotta nell' anno 589 d. Cr.^ in conseguenza del cosi detto diluvio di Paolo Dia- cono, e per la quale le acque del fiume, deviando alla destra, cominciarono ad andare al mare per un nuovo alveo, che era la Fossa Chirola, ed è 1' Adige moderno ; venne poi la rotta di Badìa, che si fece fra l'anno 944 e il 955, e diede origine all' Adigetto ; poi quella di Casta- gnaro e Malòpera, che rese necessari molti lavori, per ri- mettere in ordine e bonificare le pianure inondate, este- sissime; poi quelle fra il 1500 e il 1838, contro le quali ebbero ad adoperare tutta la loro energia il governo della Serenissima Repubblica, e quello Austriaco. In un capitolo, che è denominato Appendice, si danno molti particolari intorno all'estensione del bacino dell' A- dige. alla lunghezza di questo fiume (circa 400 chilometri), alla larghezza media dei suoi diversi tronchi, alla pendenza ed alla portata di esso, alla rotta di Legnago del 1882 (che copri di uno a due metri di sabbia una superficie di un chilometro (quadrato), al modo, con cui questa piena depositò le sue alluvioni (a dossi e rilievi di varie for- me), scavò buche, presentò dei gorghi per 1' acqua sor- gente dal suolo, e lasciò numerosi acquitrini. Lo stesso capitolo dà, pure, alcuni particolari sui sedimenti antichi dell'Adige, osservati negli scavi fatti in diversi punti di [6] (1039) Verona, e sulle cosi dette acque fì^eatiche di questa città. Finalmente, la seconda parte del lavoro termina con un Elenco delle principali inondazioni e rotte storiche dell'Adige, e con quello delle pubblicazioni consultate ; è accompagnata da un abbozzo di Carta idrografica, cioè da una Carta geografica del Veneto, nella quale, con trat- teggi, è indicata la vasta regione, il cui suolo presenta, nella sua composizione geologica, dei materiali venuti dal bacino montuoso dell'Adige ; e, prima dei due elenchi or ora accennati, ha una specie di Conclusione, nella quale si tratta delle aree alluvionate dall' Adige. Dalle cose dette in queste poche pagine, come dalla Carta idrografica, ri- sulta, anzitutto, che, secondo gli Autori del lavoro, con materiali venuti dal bacino montuoso dell' Adige e del Sarca si è formato quell' estesissimo cono di deiezione, che è al sud ed all'est del lago di Garda, ed il cui limite meridionale passa per Caldiero, Buttapietra, Roverbella, Marmirolo, Goito e Carpenedolo : e poi, che di materiali tolti a questo gran cono di deiezione dalle acque piovane, ma anche di detriti, che il fiume Adige ha portato fuori dalle sue valli, uniti a quelli portati e sparsi dai fiumi del Vicentino, consta anche la pianura adiacente al detto cono, fin al Chiese ed al Po verso l'ovest e il sud, e poi quella, che si estende verso l'est, fino al mare, fra il Po ed una linea, che passa per Caldiero, vSan Bonifacio, Lonigo, le falde meridionali dei Colli Perici, quelle degli Euganei, Monselice e Chioggia. In tutta questa regione, infatti, o al- meno in molti punti di essa, furono trovate, secondo gli Autori, delle sabbie caratteristiche dell'Adige, mentre le ghiaie, attualmente, dal fiume inalveato, sono portate fin ad Albaredo e Bonavigo, e trent' anni or sono lo erano soltanto fin a Zevio. E gli Autori stessi, considerando che l'Adige in piena, in un minuto secondo, ha una portata di 3500 a 5000 m. e. d'acqua, resa torbida da 450 a 500 m. e. di materiali solidi in sospensione, trovano naturale che nei T. y, S. VII 69 (1040) [7] molti secoli passati dopo l'epoca terziaria l'Adige abbia po- tuto trasportare tanti materiali, da formarne o almeno ar- ricchirne tutto il suolo della regione or ora accennata, e conservarne la superficie sempre appress'a poco allo stesso livello, ad onta di un continuo movimento di abbassamento, che pare avvenga in tutta la vallata del Po, o almeno nella sua parte orientale. In tutta questa seconda parte del lavoro abbiamo tro- vato una grande riccliezza di dati raccolti, di fatti citati e discussi, di deduzioni interessanti, ecc. ; ma, avremmo de- siderato, qua e là, maggiormente sviluppati certi argomenti, ed un pò più di ordine e di chiarezza di esposizione. Per esempio, avremmo desiderato che fosse dimostrato con mag- gior copia di fatti e più chiari ragionamenti il sollevamento avvenuto, secondo gli Autori, dopo 1' epoca terziaria, nella regione, che comprende il lago di Garda ; ci pare che il capitolo con i dati relativi al corso, alla portata, ecc. del- l' Adige attuale sarebbe più a posto al principio di questa seconda parte del lavoro ; e così via. Finalmente, mentre è degna di grandi elogi 1' accuratezza, con cui furono rac- colti e riprodotti i documenti storici citati, si può trovare che r insieme di questa parte del lavoro pecchi di sover- chia erudizione. Alcune, infatti, delle citazioni di documenti avrebbero potuto esser tralasciate senza danno per la com- pleta trattazione del tema proposto. Tale è, per esempio, la citazione della Relazione fatta al Senato Veneto da Ge- rolamo Dandolo e Francesco Molin nel 1598: Relazione, dalla quale 1' Autore trasse delle deduzioni, che possono essere preziose per l' ingegnere idraulico, ma sono super- flue per lo svolgimento completo dell' argomento messo a concorso dall' Istituto. La parte terza del lavoro, petrografica, espone dap- prima il metodo, con cui furono esaminati e studiati i cam- pioni di inateriali incoerenti, raccolti qua e là, in molti luoghi opportuni, da strati allu viali moderni ed antichi, sabbiosi ed argillosi, e da miscele caotiche di natura mo- [8] (1041) renica ; poi espone minutamente i risultati di tali esami e studi, relativi alle sabbie attuaU dell' Adige (raccolte in cinque luoghi, cioè presso la Chiusa, fra Parona e Verona, immediatamente a monte deUa città stessa di Verona, entro la stessa città, e presso Legnago, nei sedimenti della rotta del 1882), a quelle del Sarca (raccolte presso Riva di Trento), a quelle del Chiese (raccolte vicino a Bedizzole), a quelle del Guà (raccolte a Cologna), a quelle del Bacchiglione (raccolte a Brusegana, presso Padova), ed a quelle del Po (raccolte a Borgoforte) ; poi riassume i caratteri parti- colari, micro- petrografici, di tutte queste sabbie, parago- nandoli fra loro, in modo di trovare un criterio per di- stinguere i sedimenti dell' Adige da quelli degli altri fiumi, che concorsero, coi loro sedimenti, a formare la pianura fra il Chiese, il Po, il mare e i Colli Euganei ; finalmente dice che nello stesso modo si era intrapreso lo studio dei numerosi campioni di sabbie antiche, raccolti in molti luoghi della vasta regione con sedimenti dell' Adige, citati nella parte geologica del lavoro, e in altri ancora, ma i risultati di siffatto studio saranno dati « a lavoro compiuto ». — Questa terza parte del lavoro ha tutti i caratteri d' un 'o- pera coscienziosa e fatta magistralmente, da un mineralo- gista ben pratico nello studio microscopico dei minerali in generale, e delle sabbie alluvionali in particolare. E ci pare che sarebbe riuscita perfetta, se fosse stata compiuta. Ma, come abbiamo veduto, mancano i risultati delle analisi mi- croscopiche di molti campioni di sabbie antiche, da para- gonarsi a quelli delle sabbie moderne, per determinare da qual fiume, cioè se dall' Adige o da altro fiume, sono state deposte. Ed è a desiderarsi che « a lavoro compiuto » siano egualmente studiate anche le materie terrose, che sono in sospensione nelV acqua d.elV Adige, quando questa è torbida per le piene. Se ora passiamo all' esame della quarta parte del la- voro presentato al Concorso, cioè alla Parte chimica, tro- viamo che essa contiene : (1042) [9] 1.° un certo numero di determinazioni delia quantità loUìle delle sost anze in sospensione nell'acqua dell'Adige, fatte .su campioni raccolti nei mesi di Novembre e Dicembre 1892, e in quelli di Gennaio a Ottobre 1893; 2.° la analisi di un campione dell' acqua dell' Adige, raccolto nel Novembre del 1893; 3.° la determinazione della quantità del residuo totale lasciato da un litro d' acqua dell' Adige, fatta giornalmente dal 14 al 31 del Dicembre 1892, e poi, nel 1893. dal 1.° Gennaio al 15 Maggio, dal 22 al 27 Maggio, in 13 giorni del Giugno, in 15 giorni del Luglio, dal 22 al 31 di A- gosto, dal 21 al 30 Settembre, dal 2 al 15 Ottobre, e dal 1.° al 15 Novembre. L' acqua, alla quale si riferiscono queste determina- zi(mi venne presa sempre nello stesso luogo, a valle della città di Verona, presso il ponte della Ferrovia. Questa parte è del tutto incompleta. — Non è data che una sola analisi dell' acqua, e soltanto di quella rac- colta a Verona, mentre occorreva di fare più volte, in epoche diverse, e in diverse circostanze (per esempio col fiume in magra, in media ed in piena), l' analisi dell'acqua dell' Adige a Verona, e ripeterla per 1' acqua presa in pa- recchi altri luoghi, a varie distanze, fra il piede delle Alpi e il mare. Relativamente, poi, ai residui dell'evaporazione del- l' acqua, i dati sono numerosi in quanto al loro peso, cioè alla loro (ptantità, ma se ne desideravano altrettanti, re- lativi alla qualità, non bastando 1' analisi del residuo, che è compresa nella analisi dell' acqua. E queste analisi dei residui erano tanto più necessarie, in quanto le quantità furono trovate molto variabili, anche a brevi intervalli di tempo (come, per esempio, fra il 26 e il 31 dicembre 1892, fra il 2 e il 5 gennaio 1893, e cosi via). — Inoltre, bi- bisognava studiare i residui dell'acqua raccolta in diverse circostanze speciali, ed a diverse distanze dal piede delle Alpi. [10] (1043) Delle materie in sospensione furono fatte, in generale, determinazioni complessive, mensili ; poche furono quelle diurne ; e sempre coli' acqua raccolta in un solo luogo. In- vece, un tale lavoro doveva esser fatto con acqua presa a varie distanze dalle Alpi, e in diverse circostanze speciali, cioè col fiume in magra, in media e in piena ; e le analisi dovevano essere estese ai singoli componenti delle materie stesse, specialmente nei casi, in cui si avevano forti diffe- renze nelle quantità trovate. Dovevano darsi anche le analisi chimiche di parecchi campioni di tnaleriali sabbiosi e ten^osi deposti dal fiume in vari luoghi fra le Alpi e il mare. Finalmente, si dovevano cercare le relazioni fra tutte queste analisi, dell' acqua, dei residui, delle materie in so- spensione, e di quelle deposte dal fiume, in differenti sta- gioni e circostanze, ed a differenti distanze dal piede delle Alpi ; e si dovevano cercare anche le relazioni fra queste analisi e la composizione mineralogica e chimica delle rocce componenti la superficie del suolo di tutto il bacino idrografico del fiume. Soltanto un tale studio complesso dell' acqua, dei ma- teriali portati e deposti da essa, e delle alluvioni moderne ed antiche, combinato con quello mineralogico delle sabbie deposte dal fiume, con quello litologico delle rocce del ba- cino idrografico, e con quello archeologico e storico del- l' alveo e delle sue variazioni antiche e moderne, avrebbe risposto completamente, secondo la sottoscritta (Jom missione, al quesito proposto, e meritato il premio. La Commissione, poi, si è persuasa che due anni erano troppo pochi per le numerose e diverse osservazioni ed ope- razioni da farsi in campagna e nel gabinetto ; e che, qualora gli Autori del lavoro avessero avuto a loro disposizione un tempo più lungo, avrebbero fatto e compiuto tutte le ri- cerche accennate. Per tutto questo, la Commissione, concludendo, è d' av- viso che il premio Querini-Stampalia non possa esser dato (1044) [11] al lavoro col motto « Viribus unitis », troppo incompleto. E, seguendo l' esempio dato da casi consimili, propone che sia bandito di nuovo il concorso, con lo stesso quesito, per r anno 1896 ; e fa questa proposta colla speranza, anzi con la certezza, che, con ciò, l'Istituto potrà ricevere, per il nuovo concorso, un lavoro completo e veramente degno di premio. G. A. PlRONA P. Spiga G. Omboni, 7^élatore. r DI UN'ANTICA FORMA DI RAPPRESENTAZIONE TEATRALE VENEZIANA DEL s. c. POMPEO MOLMENTI Le origini del teatro italiano furono studiate da Ales- sandro D' Ancona (*), come meglio non si potrebbe. Ma non è di tale argomento, eh' io voglio qui neppur brevemente occuparmi, bensì di una forma di rappresentazione onni- namente veneziana, alla quale il D'Ancona e gli altri cri- tici accennarono appena, senza neppure aver cura di notar di sfuggita r azione eh' essa ebbe sul teatro veneziano. Le commedie, propriamente dette, doverono essere rap- presentate a Venezia in sull' aprirsi del secolo XVI ; ma, qualche tempo prima, fra mezzo alle feste veneziane s'era introdotto uno spettacolo, chiamato momaria e il cui studio può riuscire non in tutto sterile per la storia della nostra letteratura. In origine, le momarie erano rappresentazioni ma- scherate, che si solevano fare specialmente in occasione di nozze. Finito il banchetto, v' era chi, narrando le imprese degli antenati degli sposi, accompagnava il racconto con burlesche e ridicole amplificazioni e scherzi. Nulla hanno quindi che vedere con quei drammi liturgici, o cogli an- (1) D'Ancona. — Orig. del teatro it. Libri Tre. — Torino, Loe- scher, 1891. (1046) [2] tichi ludi anche muti, usciti di chiesa in sulla piazza, ce- rimonie religiose insieme e spettacoli teatrali, dei quali troviamo esempi anche a Venezia. Infatti una di queste rappresentazioni religiose, in cui fra i personaggi v'erano la Vergine e l'angelo, fu rappresentata dinanzi al doge, nel 1267, come riferisce Martino da Canale nella sua Croni- que des Veniciens. Si è molto disputato sul significato della parola mo- maria, che, secondo Jacopo Morelli, (^) vorrebbe dire ma- scherata 0 giulleria, in francese morìinieone. Difatti Giova- chino Perionio, nei Dialoghi De Linguae Gallicae origine eiusque cum Graeca cognatìone, scrive cosi : Inter coenam nonnuUi intervenire solent ludendi causa, quos nostro ser- mone mommons vocamus. Ita est, atque hoc verbum totwn graecum est ; {jioti|i(i) enim larvae appellantur a Graecis. E il di Caseneuve, pure citato dal Morelli, aggiunge : « Le « Lexicon Longolii : [ì.o[jl(jiw larvae, terriculanienta puero- « rum ... Je puis ajouter que peut-ètre nous avons fait « ce mot de Momus, qui etoit le Dieu des moqueries. » Il Morelli segue 1' avviso del Perionio, confortato dall' auto- rità di altri eruditi, quali il Menagio, il Porto, il Vlacho, il Veneroni e il Carpentier. Per clii fosse vago di ricerche etimologiche, si può anche aggiungere che (xoixéojxac, contratto |xc[ioO[xat, vuol dire imitare, donde in italiano mimo, pantomima. Ancora in greco e' è |xa[xaó[xat vituperare, biasimare, deridere ; [xwixo? biasimo ; beffa, da cui viene, come no- me proprio, Momo, il dio della satira. Nei dialetti veneto e lombardo abbiamo poi il vocabolo marno, che vuol dire sciocco, scimunito. Le momarie furono anche dette bombarie, forse dalla voce veneziana bomba, italianamente bubbola o baia, per (1) Morelli. — Pompe nuziali in Operette. Venezia, Alvisopoli 1820, voi. I, p. 160. [3] (1047) cui il modo di dire sbaràr de le bombe sigiiitìca fare spa- rafe, esagerare e narrare cose incredibili. Non erano le motnarie buffonerie triviali, e il Morelli cita il Panegirico d' un anonimo dell' anno 1497, per le nozze di un Pisani, dove sono descritti Ludicra spectacula, que Bombariam vidgu^ appellai, nei quali facevano com- parsa i numi e gli eroi della mitologia. E non pure in occasione di nozze, ma anche sulla piazza, in qualche so- lennità civile, si rappresentavano spettacoli muti, chiamati ugualmente momarie, forme rudimentali d' arte, specie di pantomime profane e secolaresche, simili alle processioni ideate da Lorenzo de' Medici, che traevano la loro inspi- razione dalle remote fonti dell' arte antica e servivano a mettere in. mostra il lusso e lo sfarzo dei veneziani. Nel 1493, Beatrice d'Este, sposa di Ludovico il Moro duca di Milano, veniva a Venezia, con parecchi principi e oratori milanesi, per rinforzare la lega poc' anzi con- chiusa fra Venezia e Milano, in previdenza della calata di Carlo Vili. I veneziani, che voleano abbagliare i loro ospiti con le feste, fecero alla principessa splendide accoglienze, descritte da Beatrice in alcune lettere, conservate nel- l'Archivio di Stato di Milano, e che io ebbi la ventura di poter pubblicare per primo, grazie alla gentilezza dell' il- lustre Cesare Cantù. (') È curiosa fra altro la descrizione di una momaria, data nella sala del palazzo ducale. Comparivano da prima due personaggi sfarzosamente vestiti, con una palla d' oro in mano, montati sopra due animali cum due gran come in testa. Seguiva il carro della Giustizia, con spada, sulla quale era scritto Concor- dia e cinta di palme e foglie d' olivo. A canto uno bove cmn li pede levati in mezo d' uno Santo Marco, et de la bissa : ad uno archwolto facto de verdura era sopra la cima una testa de inoro cincia da la palma et da la oliva (1) Storia di Venezia nella vita privata. — I.^ ed. Torino, Roux, 1880. (1048) [4] che emineva sopra al Santo Marco et bissa. Tatto ciò vo- leva significare la lega fra i due stati. Dietro il carro due serpenti montati da giovani. Tutti costoro discesero intorno alla Giustizia, ballarono e scaricarono armi. A por fine allo spettacolo comparse la collatione, cum sono de trom- beti, accompagnata da infinite lorde. Due anni dopo, sempre per festeggiare la lega contro Carlo Vili, si diedero a Venezia altre rappresentazioni sceniche accennate dal Commines. (*) Marin Sanudo, il meraviglioso cronista, descrive parec- chie momarie. È importante per la storia dell' arte e del costume qui accennare ad alcune, anche perchè la descri- zione di esse si legge per la maggior parte negli ultimi vo- lumi dei Diari, non ancora pubblicati dai benemeriti editori. Il 14 febbraio del 1498, alcuni mercanti fiorentini che si trovavano a Venezia, vollero festeggiare la tregua av- venuta tra Francia e Spagna e la speranza di potere ria- ver Pisa. A capo della compagnia era un Bartolomeo Nerlij e dalla casa appunto del Nerli usci fuori una ma- scherata 0 momaria, così descritta dal wSanudo : « 8 homini a modo cavali marini armati da jostrar, » con armadure, et atorno altri zoveni vestiti a uno modo » con volti inarzentadi, che li portavano e forzi et lanze » et r elraeto, et con molte campanelle, atorno a questi » corevano uno contro 1' altro a modo jostra. Poi erano » molti vestiti da mori, con casche et volti negri, et uno » re 0 signor armato con alcuni pedoni atorno. Fo assa' » forze, et speseno qualche duchato ; ma non reuscite cho- » me si credeva, et dirò cussi, fo una zanza [bagattella) ■» fiorentina. » E la critica si sfogò infatti con un sonetto, in cui il poeta incomincia: « Chi fece er sera quella momaria? » e finisce dimostrando di non aver mai veduto la più freda e mal intesa. (1) Mèmoires — lib. VII. [5] (1049) Invece bellissima, al dir del Sanudo, fu quella data, il 14 ottobre 1507, sopra solai, sul campo di san Polo, dalla Compagnia della Calza, detta degli Eterni, in occasio- ne delle nozze di Luca da Lezze con una Foscarini. L' ar- gomento era Giasone alla conquista del vello d'oro. Il 3 marzo 1511, due maritaggi cospicui tennero in festa la città : una Corner andava sposa a un Malipiero, e una Pisani a un Priuli. Furono fatte tre bellissime mo- marie. I soggetti però non ci sono riferiti dal Sanudo, il quale ha invece cura di descrivere i costumi dei compagni detti Eterni, con quella stessa semplice efficacia, con cui il Carpaccio ritrasse sulle tavole gli eleganti cavalieri della Calza. « Si vestiteno « cosi egli scrive » tutti a manege do- » gal di seda e becheti di seda e d' oro, e barete di seda; » era per signor {capo) sier Daniel Barbarigo ... e ca- » daum uno fante avanti con uno torzo di lire X per uno, » e trombe squarzade, et andono a dia' Pixani e feno la » festa e con le done balono in campo e li cenono. Item, » fo un' altra mumaria di villani e villane ben in lior- » dine ...» E il 16 febbraio 1512, Marin Sanudo lasciava le sue consuetudini tranquille e morigerate e passava tutta una notte, senza dormir nulla, che fo gran cossa, a una festa in casa Lippomano, nell' isola di Murano. Anche qui il grande cronista dimentica l' argomento della mumaria buffonesca, rappresentata, ma ci fa passare dinanzi, splendi- da visione, le dame vestite honoratamente di seta, e i ca- valieri, detti Giardinieri, dall' elegantissimo costume, colle bianche calze. Alle momarie, che doveano essere molte volte rap- presentazioni coreografiche, senza un soggetto determi- nato, si sentivano attratti anche i gravi tedeschi. Nel severo edifizio, architettato da un Girolamo tedesco, dove trovava- no albergo gli alemanni, e serviva di emporio al com- mercio delle merci del levante che si spedivano in Ger- mania, la sera del 12 febbraio 1520, all' affollarsi della (1050) j-g-j gente in negozi, era succeduto il lieto strepito di suoni e di canti. Fu rappresentata dai merchadmiti tedeschi una bellissima momaria, dove fu ossa' patricn a veder. Molti di quei patrizi, il giorno appresso, 13 febbraio, dovettero trovarsi a san Simeone sul Canal Grande in casa Foscari, dove si diede una festa, che in rìiemoria di ho- meni vivi la più bella non è sta fata in questa terra. Fra altro, i compagni della Calza detti Immortali rap- presentarono una momaria: L' Edtfcazione di Troia, nella quale c'era di tutto un po': un'idra, una troia, uno zigante grandissimo con mia bissa atorno di Lao- chonte, un idolo, uno re con la fola e perfino un certo diavolo con gran fuogi. Finita la momaria si andò a cena, et zenò da 350 persone, e finita la cena si diede una com- media di Angelo Beolco detto Ruzante, ospite ambito nei patrizi convegni e negli spettacoli cittadini, che ottenne al- lora gran plauso scrivendo e rappresentando le sue com- medie, nelle quali faceva uso del dialetto rustico pado- vano. Il 3 luglio 1524, nuove grandi feste a cà Foscari. I compagni della Calza detti Valorosi, sovra palischermi e burchi pavesati, in cui aveano preso posto donne in ve- slura benissimo vestite et adornale di cadene di oro et di zoie, zoè perle, accompagnavano una regata di gondole fino a san Simeone a casa Foscari, dove il giorno ap- presso, sopra un solaio eretto sulla fondamenta di fronte al palazzo fu servita una colazione, alla (juale erano invi- tati il duca d'Urbino, gli ambasciatori e altri illustri fo- rastieri. Finita la colazione incominciai'ono le danze, mentre sul canal grande si faceva una regata di barche condotta da donne. Alla sera una momaria: Il Ratto di Elena. Forse in tali spettacoli si faceano troppe spese, e si an- davano assottigliando i cospicui patrimoni accumulati dagli avi. Certo è che in Senato, il 25 gennaio 15-26, fu fatta una legge sopra le Pompe che suonava cosi : « Le moma- [7] (1051) » rie si a noze come a compagnie over ad altri pasti e » feste publiche in ogni modo che fusseno facte siano ban- » dite sotto pena a chi le fesseno far* de ducati cinquanta » et li Maestri le fesseno o guidasseno ducati X e star mesi » sei in prezon. » Ma si sa che le leggi suntuarie furono sempre fatte apposta per esser trasgredite, anche da chi le emana. Infatti poco meno di un mese dopo, proprio in Corte di Palazzo, mentre i membri del Consiglio dei Dieci scendevano la scala dei Giganti e il Serenissimo doge stava alla fine- stra, entrò una bellissima momaria di 6 principali che baiavano bellissimo vestidi con 12 vestidi da Sarasini con torzi in maìio et ballano alcuni balleti novi che si ave gran piacer chi li fìede. E il giorno appresso, sempre per obbedire alla legge, nella stessa Corte di Palazzo, alla presenza di circa tremila persone, si rappresentò un'altra momaria da giovani gen- tiluomini, vestiti da mori, preceduti da cantanti e suonatori. Uno era vestito in scarlatto, da medico, e cinque bal- lerini, con habili doradi et velli in testa, rappresentavano Nettuno, la Primavera con fiori sopra uno corno di dovi- tia, V Estate con spige di formento, 1' Autunno con li ^ rami de uva, l'Inverno con legne seche. ■ Il di seguente, per le feste di Berlingaccio, sulla piazza di san Marco altra momaria fatta da un Maislro Tonin, con cose fabulose che fu bel veder e dete piacer a la terra. L'anno, dopo per le stesse feste sulla piazza, si rappresentò un'altra momaria, nella quale si videro quattro gran gi- ganti, una grotta, da cui uscivano ballerine e ballerini, pa- recchi cantanti, dodici armati di partigiana e di spada, che ballavano una specie di moresca, ninfe danzanti, un bam- bino vestito da angelo, che recitava versi e perfino una serpe con focho in bocha. Ma con tutto ciò la momaria, fatta dal Cherea (*) non piacque, e tutti pensavano con de- I (1) Il Sans OVINO [Veneiia descritta ecc. 1581, pag. 168) scrive; (1052) . [8] siderio alla momaria deli' anno antecedente, ideata da Maistro Tonìn. Però, nello stesso giorno, la brutta impressione della momaria del Cherea fu cancellata da un'altra del bravo Mai- stro Tonìn, giudicata bellissima. L'argomento era la favola di Andromaca e Perseo con halleti et soni ìnirabili, con gentiluomini benissimo vestiti, e cavalli marini, serpi ecc. Pel giovedì grasso del 1528, una momaria figurava le Forze d' Ercole, dove apparivano su cavalli marini Net- tuno, Marte, Mercurio e altri numi. Entrava Ercole, con la pelle di lion et la testa in capo, che faceva le sue forze con vari halleti et sacrifizi et morte di Cacho, Zer- bero et altri. E pel giovedì grasso del 1529, sovra il solaio in piazza san Marco, si fece una momaria dove si rappresentarono combattimenti con selvaggi, e ballerine e ballerini che avevano campanelli ai piedi e battevano a tempo di musica un'incudine, dalla quale escivano due fanciulli, che balla- vano da soli excellentissimamente. Lo spettacolo finiva con una tarantella. Grande aspettazione nel 1530, per la momaria che, sempre per la stessa festa doveva fare il famoso Tonin, mestro di ballar vecchio. Ma il povero Tonin morì proprio in quei giorni e la momaria allestita dagli eredi non ot- tenne il favore del pubblico. Finalmente il Sanudo fa di una momaria, rappresen- tata sulla piazza di san Marco, nel 1532 (m. v.), una de- scrizione, degna d' essere riportata integralmente, senza guastare colla scialbatura della prosa moderna l'antichità ve- neranda. « Nei tempi andati ci fu di molto nome Francesco Cherea, il quale fa- « vorito da Papa Leone X in Roma, tenendo il primo luogo fra i re- « citanti in scena (onde perciò fece acquisto del cognome del Teren- « tiano Cherea) si fuggi in queste parti per lo sacco infelice di quella « città, sotto Papa Clemente VII. » [9] (1053) Per la momaria se dia far in piaza di San Marcho alla illu- strissima Signoria il Zuoba di la caza (') 1532 (1533). Primo venirà la dea Palas armata con uno scudo et uno libro in mano a canaio de un serpente. Secundo venirà la justitia a canaio de uno elefante con la spada et balanza con una balla. Terzo venirà la concordia a canaio de una zicogna con uno scep- tro in mano con una balla et trarà uno schiopo et vederasi dei zi— gognati. Quarto venirà la viteria a caualo con la spada in mano et sento et uno sceptro con la palma dentro. Quinto venirà la pace a caualo di uno agnelo con uno sceptro et olivo dentro. Sexto venirà l'habundantia a caualo de una serpe con la divitia in man con spige et trarà un schiopo et vedarase le spigo. Al incontro di la sapientia vegnirà V ignorantia a caualo d' un a- seno con la coda in mano la violentia a caualo de una serpe la quale seminerà in fra le infrascripte zinzanie la guerra et Marte sopra un caualo con la spada et sento la Penuria a caualo de un cane con el corno pien de paja. Poi combaterà La sapientia con lignoranza — e la sapientia cazerà la ignorantia dal monte. La justitia con la violentia — cazerà la violentia ut supra. La concordia con la discordia — cazerà la discordia ut supra. La viteria con la guerra videlizet Marte cazerà Marte ut supra. Scranno al tempio de Jano con trophei et arme de diverse sorte el qual sarà fatto con le sue colonne et adornato come se richiede et sera aperto. Sera el tempio di la pace adornato con el suo ydolo et sera serate. Dapoi andera le soprascritte sei ad serar el tempio di Jano et aprire quello di la pace. Dapoi combateranno V abundantia con la penuria et labundantia cazerà la penuria di la dal monte. Da poi si ridura tutti 6 insieme et faranno balli di più sorte et sera fine. (1) Il Giovedì Grasso si facevano sulla Piazza le caccio dei tori e altre feste per commemorare la vittoria su Voldarico patriarca d'A- quileia. (1054) [10] Di tra le rozze parole del cronista ci appare uno di quegli spettacoli, a cui era scena la piazza meravigliosa. Dal palco, tutto adorno di arazzi e di tappeti preziosi, arridente il doge serenissimo, Andrea Gritti, bella e di- gnitosa figura di vecchio, fra ì veneti cittadini dell' età sua, il più venusto ripulalo, com' ebbe a scrivere di lui Nicolò Barbarigo. E intorno al Doge, che, a detta del San- sovino, curava molto l'abbigliatura e ornava la veste con fiorami d'argento e il largo manto con ricami di gran va- lore, la Signoria e i Consiglieri e i Magistrati con gli abiti più magnifici del mondo e le patrizie coperte di broc- cato d' oro, le bellissime patrizie, che sorridono ancora dai quadri di Tiziano e di Jacopo Palma. E Tiziano, e Palma, e Pordenone, e Bonifacio, e Paris Bordone, e il Tintoretto viveano allora in Venezia e forse — chi sa? — qualcuno di quegli artefici immortali avrà disegnato qual- che costume per qualche inomaria, forse una Vittoria con la spada et scuto ci scetro, o una Abbondanza con la di- vitia in man con spige. Le feste, per dirla col Machiavelli, si facevano per dare che pensare agli uomini che levassero i pensieri dello Stato, e le feste, oltre ogni dire suntuose, toccavano, com' era nell' intenzione dei governanti", la fantasia del po- polo, il quale dinanzi alle pompose rappresentazioni, alle vesti sfoggiate, ai rossi broccati, alle sete variopinte an- dava educandosi al senso del pittoresco, al gusto dell'arte. Gli spettacoli delle ìuomarie a poco a poco cederono il luogo, fino dai primi anni del secolo XVI, alla comme- dia scritta e furono precipuamente i Compagni della Calza a introdurre a Venezia nelle rappresentazioni teatrali le antiche commedie romane. Nel 1565, per una compagnia della Calza detta degli Accesi, Andrea Palladio costruiva un teatro di legname, e Federico Zuccaro vi dipingeva le scene. La prima rappre- sentazione fu Y Antigone di Conte di Monte vicentino. Poco dopo si erigeva un teatro in pietra a San Cassiano, che [11] (1055) diede alla strada il nome della Commedia vecchia o del Teatro vecchio, per distinguerlo da un altro teatro eretto, in sui primordi del secolo XVII, nella stessa contrada di San Cassiano, In quest' ultimo teatro fu rappresentato, nel 1637, il primo dramma in musica dato in Venezia, V An- dromeda, poesia del Ferrari, musica del Manelli. Per un l)ul)blico avvezzo alle magnificenze delle moniarie e di altri simili spettacoli si dovette fare un allestimento scenico mera- viglioso. Si vedeano spiagge, scogli, acque, monti nevosi, colli fiorenti, boschi, pianure verdeggianti. Alla notte tenebrosa succedea nel cielo 1' aurora, vestita d'argento, entro a una nube. Con macchinismi stupendi comparivano Mercurio volante, Nettuno sopra un' argentea conca tirata da quattro cavalli marini e Giove nel trionfo del cielo : Andromeda e Perseo erano da ultimo assunti fra i numi. 11 teatro dovea essere sopratutto uno spettacolo per gli occhi e la musica e la poesia diventavano di una im- portanza secondaria dinanzi Al complicato e sfarzosissimo apparato delle scene e agli artifici dei meccanismi. « Per- » ciò » osserva il Quadrio « era quasi comune ad ogni me- » lodramma il portare spiagge di mare, boschi, prigioni, » fontane, navilii, cacce d' orsi, padiglioni, sale, lampi, » saette, tempeste, carri trionfali, dirupi, scogli e simili » altre cose infinite. » Prevaleva sulla musica lo spettacolo coreografico, e il macchinista e 1' apparatore erano assai più importanti del poeta e del musico. « Si sono veduti » scrive r Ivanovich, bizzarro scrittor secentista « elefanti » al naturale, camelli vivi, carri maestosissimi condotti » dalle fiere, da' cavalli : cavalli pure per aria, cavalli che » ballano, macchine superbissime, figurate in aria, in terra, » in mare con artifici stravaganti, e con applausibile in- » venzione, sino a far pendere dall' aria saloni regj con » tutti i personaggi e suonatori, illuminati di notte tempo » e a farli risalire di nuovo con somma ammirazione. » « Vinegia » aggiunge l'Arteaga nelle Rivoluzioni del teatro musicale « si distinse dalle altre città nella magni- T. V, S. VII 70 (1056) [12] » flcenza ed apparato delle comparse, e memorabile si ren- » dette, fra gli altri drammi, la DicUione del mondo, rap- » presentato nel 1675, dove tutte le parti del globo terra- » cqueo si videro simboleggiate con istraordinario accom- » pagnamento di macchine di maravigliosa invenzione. » Ma tra quel mondo di carta pesta e d' orpello, tra quelle fiabe spettacolose, in cui 1' ultima cura era la mu- sica, pi'esto s' insinuarono le nobili melodie del Cavalli, del Monteverde, del PoUarolo, del Lotti, del Caldara, cac- ciando in bando il meraviglioso dell' allestimento scenico. Però lo strano e il fantastico s'erano introdotti anche nel teatro di prosa e la momaria (i) avea, prima di finire, trasmesse molte delle, sue forme, oltre che al melodramma, anche alla commedia a soggetto, floridissima in Venezia in sui primordi del seicento. Così negli scenari della com- media dell' arte si faceva apparire la luna tutta macchiata di sangue, si faceva venire un soldato colla testa d' un ucciso in mano, o un putto a cavallo d' un' orsa, menando alla lassa un leone, si facevano uscire gli spiriti infernali, i nani colle torce accese, gli orsi che combattono fra loro, i pastori portati dai satiri ecc. (2) Più tardi gli ingegni vol- gari, come il Chiari, secondarono maggiormente il gusto del popolo, ch'era avido del meraviglioso e, per dirla con Ga- spare Gozzi, voleva trasformazioni, decorazioni, intermezzi, fuochi artificiali con figure di lunga durata. E il semplice parve triviale non pure ai volgari, ma anche a menti elette (1) La momaria fini come forma di rappresentazione teatrale, non finirono però le rappresentazioni allegoriche nelle pubbliche feste. Nel 1782, giungevano a Venezia i Conti del Nord e fra i molti spettacoli si rappresentò sulla Piazza di san Marco II Trionfo della Pace, la quale appariva sopra un grandissimo carro, mentie l'Abbondanza le poneva sul capo la corona di olivo, e Marte e Bellona si riposavano sugli ul- timi gradini del suo trono. V erano sedici suonatori riccamente vestiti 9 il carro della Pace preceduto da altri quattro carri, condotti, ciascu- no, da otto candidi buoi. (2) Bartoli. — Scolari in. della commedia dell'arte, Firenze, 1880. [13] (1057) o a spiriti sdegnosi, come a Carlo Gozzi che immaginò il Teatro fiabesco. Il pubblico applaudì a quegli inaspettati casi, a quelle meraviglie paurose, si commosse udendo par- lare uccelli e bestie e porte e corde, vedendo fate, negro- manti, serpenti, foreste incantate, sale tempestate di gem- me e palazzi d' oro massiccio, finché tutto crollò sotto il sorriso di Goldoni, il quale seppe infondere nella dramma- tica il sangue giovane della nuova vita, vita operosa, espansiva, appassionata, animata dalla fede, che rimetteva in moto il cervello e svegliava il sentimento. ADUNANZA SOLENNE DElLi GIOR.lSrO SO l^dlA-O-G-IO 1894: PRESIDENZA DEL COMM. NOB. EDOARDO DE BETTA PRESIDENTE Presenti il Regio Prefetto, il Sindaco di Venezia, il primo Presidente della R. Corte d'Appello, le principali Au- torità civili e militari, oltre a un numeroso eletto uditorio, fra cui parecchie gentili signore. Vi assistono i membri effettivi : Lampertico vicepresidente, Fambri segretario, Berciiet vicesegretario, Pirona, De Leva, Vlacovich, Lorenzoni, Trois, Canestrini, Bel- trame, Saccardo, De Giovanni, Omboni, Bellati, Per- tile, Deodati, Donatelli, Stefani, Spiga, Teza, Mor- soLiN, LioY, Martini, Tamassia, Veronese, Chicchi ; ed i soci corrispondenti : Da Schio, Occioni-Bonaffons, Cassani, Galanti, Mazzoni, Nicolis, Castellani, Abetti, Ragnisco. Sono giustificati gli assenti membri effettivi : Rossi, J. Bernardi, E. Ber7iardi, Favaro, Marinelli e Keller. ' Quest'adunanza fu tenuta, come di consueto, alle oi'e 14 nella Sala dei Pregadi nel Palazzo Ducale. Il Presidente diede per primo la parola al segretario Fambri, il quale riferi sull'esito dei concorsi scientifici, pro- clamando i nuovi temi posti a concorso per gli anni venturi. Poi il m. e. Teza lesse il suo discorso intitolato: « Ar- menia. » Dopo di ciò ebbe termine l'adunanza. RELAZIONE sri PREMI SCIENTIFICI ED ANDAMENTO ANNUALE Del m. e. P. FAMBRI In una delle mille relazioni necrologiche della stampa mondiale intorno al gran Tyndal mi venne veduto questo breve dialogo di lui con uno scettico in punto a consessi scientifici. — Donde venite con tutte quelle carte, gli avrebbe chiesto colui. — Dall' accademia tale, rispose. E queir altro : Ah ce ne sono ancora delle accade- mie ! Ma servono a qualche cosa ? E lui : Crederei — per esempio — a lavorare e a FAR LAVORARE. Considerate quanto sia completa, esauriente, come si usa dire oggi, una tale risposta. Lavorare e far lavorare. — E la perfetta sintesi di ciò che precisamente occorre a far progredire. Questa lezione data ad un incorreggibile antiaccademico dall' immortale membro onorario del nostro Istituto somi- glia grandemente a quella data invece ad un incorreggi- bile accademico di non so quale arma dotta, il quale in- nanzi a Napoleone (forse per fargli la corte come prove- niente dall'artiglieria) si esprimeva con troppa aria di com- patimento intorno alle armi di linea. (1062) [2] Già già, rispondeva il gran capitano, la fanteria non è buona proprio ad altro che a vincere le battaglie. Tornando alle accademie è dunque inteso che, se sono ammodo, servono a lavorare e a far lavorare. Che l'Istituto nostro faccia la prima parte sei sanno gli studiosi i quali si occupano delle Memorie e degli xìtlì mensilmente pubblicati, — che si adoperi alla seconda di far lavorare altri, indirizzando coi programmi e criticando poi colla grande dottrina e la feconda suggestione delle sue relazioni 1' opera promossa, basterà a mostrarlo, o signori, il giudizio della speciale Commissione intorno all'impor- tantissimo concorso scaduto quest' anno. Ne completeranno inoltre evidentemente la prova i })ro- grammi dei concorsi banditi pegli anni venturi, altamente scientifici tutti senz'essere aridamente speculativi nessuno. Mi rifò dal primo citato. Il tema scelto dall' Istituto, nella sua seduta del 19 Aprile 1891, per il Concorso della Fondazione Querini- Stampalia per 1' anno 1893, e aperto, quindi, fin a tutto il dicembre di questo anno, era il seguente : « Faì^e uno studio litologico, mineralogico e chimico dei maleriali pietrosi, sabbiosi, terrosi e salini, die uno dei principali fiumA del Veneto, nelle diverse condizioni di piena, di mag)-a e di media, porta fuori dalle valli alpine, e depone a diverse distanze dal piede delle Alpi, fino al mare. Ed applicai -e questo studio a quello delle alluvioni antiche e modet-ne della pianura veneta ed ai cambiamenti di posto, che possono essere avvenuti, in epoche preistoriche e storiche, neWalveo di detto fiume. L' intenzione, che ebbe 1' Istituto nel proporre questo tema, era : che si iniziasse, finalmente, uno studio par- ticolareggiato, minuto e fatto coi metodi moderni, delle alluvioni antiche e moderne componenti la pianura veneta, ed anche dei n)aieriali portati fuori dalle loro rispettive valli, dai singoli fiumi del Veneto, allo scopo di determi- [3J (1063) Ilare quali parti di dette alluvioni siano state prodotte da un fiume, quali da un altro, e cosi via ; ed anche per ve- nire a conoscere quando siano state formate le singole alluvioni dei fiumi veneti, e dove abbiano avuto questi fiumi i loro alvei nelle diverse epoche, preistoriche e storiche. Secondo l'Istituto, insomma, questo studio avrebbe dovuto cominciare con un fiume del A'^eneto e con le sue alluvioni, passare, poi, agli altri ed alle rispettive alluvioni, e giun- gere, alla fine, a fornire i dati sufficienti per una storia particolareggiata di tutte le parti della pianura Veneta. Alla fine del 1893 l' Istituto ricevette un solo lavoro per questo concorso, col motto Viribus unitis, manoscritto, e formato da una breve Introduzione o Prefazione, e da quattro parti, la prima delle quali è intitolata : Schizzo geologico del Bacino dell'Adige, la seconda Studio geolo- gicorpaleoidrog7'afìco, la terza Petrografìa^ e la quarta Chimica. Queste quattro parti, che, pei modi diversi, con cui sono scritte, oltre che per certe frasi della Prefazione, sono evidentemente il lavoro di almeno due o tre Autori diff'erenti, sono assa diverse anche per il numero delle loro pagine, constando la prima di 28, la seconda di 136, con un abbozzo di carta idrografica, la terza di 14 e la quarta di 15. La parte prima del lavoro, è come abbiamo già detto, uno Schizzo geologico del bacino dell'Adige, cioè di tutta quella regione, chiusa fra montagne, da cui scendono le acque a formare l'Adige. Comincia con dei cenni oro-idro- grafici ; passa poi a dire delle })ieghe, delle sinclinali e delle fratture, che presentano gli strati rocciosi in detta regione ; e in seguito descrive le rocce arcaiche, paleo- zoiche, secondarie e terziarie, che formano la supei'ficie del suolo di tutta la regione, scendendo a molti particolari in- torno alle loro suddivisioni ed alla loro distribuzione geo- grafica. Meritano elogio grande 1' ordine, con cui sono e- sposte tutte queste cose, e l'abbondanza dei particolari stra- tigrafici. Chi, poi, volesse cercare qualche cosa a criticare (1064) [4] in queste pagine, troverebbe soverchi i particolari puramente geologici e stratigrafici, e desiderabili invece maggiori par- ticolari intorno alla natura mineralogica delle rocce citate: cioè di quei particolari, che sarebbe l'O atti a spiegare la natura mineralogica dei materiali incoerenti portati dal fiume fuori del suo bacino alpino, ed ai quali si riferisce in particolar modo il tema posto a concorso. La seconda parte del lavoro, intitolata: Studio geolo- gico-paleoidro grafico, aveva per iscopo di raccogliere e fornire ai lettori i materiali per la conoscenza del corso antico dell'Adige, di quello moderno, e delle variazioni successive, per mezzo delle quali si sostituì, a poco a poco, al corso antico quello moderno ; ed anche i materiali per una storia cronologica di quella porzione del suolo della pianura veneta, che si è formata inleramenle od in parte coi sedimenti dell'Adige. — Comincia col trattare del sol- levamento della regione veronese e del lago di Garda, so- stenendo probabile che soltanto alla fine dell'epoca plioce- nica ed al principio della quaternaria le dette regioni sono giunte ad avere una tale superficie oro - idrografica, da poter acquistare il loro stato attuale con le poche varia- zioni prodotte dagli antichi ghiacciai e dai fiumi. La seconda parte del lavoro termina con un Elen- co delle principali inondazioni e rotte storiche dell'A- dige, e con quello delle pubblicazioni consultate ; è ac- compagnata da un abbozzo di Carta idrografica, cioè da una Carta geografica del Veneto, nella quale, con trat- teggi, è indicata la vasta regione, il cui suolo presenta, nella sua composizione geologica, dei materiali venuti dal bacino montuoso dell'Adige ; e, prima dei due elenchi or ora accennati, ha una specie di Conclusione, nella quale si tratta delle aree alluvionate dall'Adige. Dalle cose detto in queste poche pagine, come dalla Carta idrografica, ri- sulta, anzitutto, che, secondo gli Autori del lavoro, con materiali venuti dal bacino montuoso dell' Adige e del Sarca si è formato quell' estesissimo cono di deiezione, [5] (1065) che è al sud ed all'est del lago di Garda, ed il cui limite meridionale passa per Caldiero, Buttapietra, Roverbella, Marmirolo, Goito e Carpenedolo : e poi, che di materiali tolti a questo gran cono di deiezione dalle acque piovane, ma anche di detriti, che il fiume Adige ha portato fuori dalle sue valli, uniti a quelli portati e sparsi dai fiumi del Vicentino, consta anche la pianura adiacente al detto cono, fin al Chiese ed al Po verso l'ovest e il sud, e poi quella, che si estende verso l'est, fino al mare, fra il Po ed una linea, che passa per Caldiero, San Bonifacio, Lonigo, le falde meridionali dei Colli Berici, quelle degli Euganei, Monselice e Chioggia. In tutta questa seconda parte del lavoro la Commis- sione ha trovato una grande ricchezza di dati raccolti, di fatti citati e discussi, di deduzioni interessanti, ecc. ; ma, avrebbe desiderato, qua e là, maggiormente sviluppati certi argomenti^ ed un pò più di ordine e di chiarezza di espo- sizione. La parte terza del lavoro, petrografìca, espone dap- prima il metodo, con cui furono esaminati e studiati i cam- pioni di materiali incoerenti, raccolti qua e là, in molti luoghi opportuni, da strati alluviali moderni ed antichi, sabbiosi ed argillosi, e da miscele caotiche di natura mo- renica ; poi espone minutamente i risultati di tali esami e studi, relativi alle sabbie attuali dell' Adige. Prendendo in esame la quarta parte del lavoro pre- sentato al Concorso, cioè la Parie chimica, la Commissione trovò che essa contiene : l.'' un certo numero di determinazioni dieWà quantità totale delle sostanze in sospensione nell' acqua dell' Adige. 2.^ la analisi di un campione dell' acqua dell' Adige, raccolto nel Novembre del 1 893 ; 3.° la determinazione della quantità del residuo totale lasciato da un litro d' acqua dell' Adige. Questa parte fu giudicata del tutto incompleta. — Non è data che una sola analisi àeW acqua, e soltanto di quella (1066) [6] raccolta a Verona, mentre occorreva di fare più volte, in epoche diverse, e in diverse circostanze. Relativamente, poi, ai residui dell' evaporazione del- l' acqua, i dati sono numerosi in quanto al loro peso, cioè alla loro quantità, ma se ne desideravano altrettanti, re- lativi alla qualità, non bastando 1' analisi del residuo, che è compresa nella analisi dell' acqua. E queste analisi dei residui erano tanto più necessarie, in quanto le quantità furono trovate molto variabili, anche a brevi intervalli di tempo. — Inoltre, bisognava studiare i residui dell'acqua raccolta in diverse circostanze speciali, ed a diverse di- stanze dal piede delle Alpi. Dovevano darsi anche le analisi chimiche di parecchi campioni di materiali sabbiosi e terrosi deposti dal fiume in vari luoghi fra le Alpi e il mare. Finalmente, si dovevano cercare le relazioni fra tutte queste analisi, dell' acqua, dei residui, delle materie in so- spensione, e di quelle deposte dal fiume, in differenti sta- gioni e circostanze, ed a differenti distanze dal piede delle Alpi ; e si dovevano cercare anche le relazioni fra queste analisi e la composizione mineralogica e chimica delle rocce componenti la superficie del suolo di tutto il bacino idrografico del fiume. Soltanto un tale studio complesso dell' acqua, dei ma- teriali portati e deposti da essa, e delle alluvioni moderne ed antiche, combinato con quello mineralogico delle sabbie deposte dal fiume, con quello litologico delle rocce del ba- cino idrografico, e con quello archeologico e storico del- l' alveo e delle sue variazioni antiche e moderne, avrebbe risposto completamente, secondo la Commissione, al quesito proposto, e meritato il premio. La Commissione si persuase che due anni erano troppo pochi per le numerose e diverse osservazioni ed operazioni da farsi in campagna e nel gabinetto ; e che, qualora gli Autori del lavoro avessero avuto a loro disposizione un [7] (1067) tempo più lungo, avrebbero fatto e compiuto tutte le ri- cerche accennate. Per tutto questo, la Commissione, concludendo, è d' av- viso che il premio Querini-Stampalia non potesse esser dato al lavoro col motto « Viribus unitis », troppo incompleto. Poi, seguendo 1' esempio dato da casi consimili, propose che fosse bandito di nuovo il concorso, con lo stesso quesito, per r anno 1896 ; e fece tale proposta colla speranza, anzi con la certezza, che, con ciò, l'Istituto potrà ricevere, per il nuovo concorso, un lavoro completo e veramente degno di premio. Dividendo in ogni parte le idee della sua dotta Com- missione r Istituto fu unanime nel votarne le conclusioni. PREMIO ORDINARIO BIENNALE DEL REALE ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Concorso per 1' anno 1894 (Tema prescelto nell' adunanza del 23 aprile 1893) Sul sistema dell' imposta progressiva che taluno vor- rebbe con varie forme, sostituito al principio sancito nel- l'articolo 25 dello Statuto fondamentale del Regno, per cui i cittadini contribuiscono indistintamente ai carichi dello Stato nella proporzione dei loro averi. — Si domanda che i concorrenti raccolgano i documenti pratici di quei paesi ove tale sistema sia per avventura stato applicato. (1068) [8] Ove manchino i criteri che sieno forniti dall'esperienza, i concorrenti dovranno a mezzo dell' indagine scientifica chiarire quali sarebbero gli effetti pratici della sua at- tuazione. — In generale si desidera seria e larga rassegna delle ragioni che stanno prò e cont?'0 un tale sistema, e la conclusione se sia quindi a consigliarsene o meno l'in- troduzione nel nostro paese. Il tema soprascritto venne già annunciato nell' adu- nanza solenne dell'anno scorso. Il concorso resta aperto fino alle ore sedici del giorno 31 dicembre corrente anno. Il premio è di It. L. 1500. SECONDO PREMIO DELLA FONDAZIONE QDEMNl STAMPALIA Concorso per 1' anno 1893 (Tema riproposto nell' adunanza 19 giugno 1893) Si domanda un Compendio di storia delle matematiche, corredato da una Crestomazia matematica, contenente estratti delle opere matematiche dell' antichità, del medio evo, del rinascimento e dei tempi moderni sino a Gauss inclusivamente. — Di questi estratti basterà che, oltre al- l'autore, al titolo dell'opera ed all'estensione, sia indicata la edizione. Il concorrente poi dovrà, per ogni squarcio, indicare i motivi, pei quali si è trovato indotto ad acco- glierlo nella Crestomazia. (Il premio era di it. L. 3000. — Il concorso si chiu- deva al 31 dicembre 1893). [9] (1069) Non essendosi presentato alcun concorrente a questo premio, ed essendo già la seconda volta che il tema ve- niva proposto i Membi'i del R. Istituto su proposta del Vicepresidente comm. Senatore Fedele Lampertico nella seduta del 21 gennaio p. p. deliberavano di non proporre per la terza volta lo stesso tema. — Quindi il concorso resta esaurito. TERZO PREMtO DELLA FONDAZIONE QUEMNI STAMPALEA Concorso per 1' anno 1894 (Tema prescelto nell" adunanza del 24 aprile 1892) Esporre le conseguenze, che si sono avverate dalla apertura del Canale di Suez pel commercio italiano in ge- nerale e pel commercio veneto in particolare ; e quali provvedimenti dovrebbero prendersi perchè il commercio italiano in generale e più specialmente il commercio ve- neto se ne avvantaggiassero. Alla trattazione del tema andranno unite tutte le ne- cessarie notizie del fatto, esattamente raccolte, ordinata- mente disposte e debitamente discusse. Nell'adunanza solenne del maggio 1892 venne annun- ziato il suindicato tema ; il tempo utile per poterne pre- sentare lo svolgimento è fino alle ore sedici del 31 di- cembre 1894. Il premio è d'italiane lire 3000. (1070) [10] QUARTO PREMIO DELLA FONDAZIONE QDER1N[ STAMPALIA Concorso per Tanno 1895 (Tema prescelto nell'adunanza del 7 agosto 1892). Introdurre entro l'anno 1894 in una valle a piscicul- tura nel Veneto una innovazione, che sarà giudicata im- portante ed utile da una competente Commissione nomi- nata dallo stesso Istituto, od avrà trovato il modo di avvan- taggiare sensibilmente una delle industrie che diretta- mente si collegano colla vallicoltura. Potrà quindi concorrere al premio stesso chi avrà tro- vato il modo di ottenere, con vantaggio della vallicultura, la fecondazione artificiale delle uova di qualche specie im- portante di pesci marini ; chi avrà introdotto in una valle e con buon successo qualche specie animale del mare A- driatico o di qualche altro mare ; chi col perfezionamento dei congegni vallivi avrà ottenuto in una valle risultati molto superiori agli ordinari ; chi avrà fatto progredire presso di noi 1' ostreocultura o la mitilicoltura ; chi avrà perfezionato la lavorazione del pesce di mare, in guisa da renderlo più gradito al palato e più ricercato nel com- mercio. Il concorso al soprascritto tema venne aperto nella adunanza solenne del maggio 1893 e si chiuderà alle ore sedici del giorno 31 gennaio 1895. 11 premio è d'it. L. 3000. [11] (1071) PREMIO DELLA FONDAZIONE CAVALLI Concorso per gli anni 1894-96 (Tema prescelto nell'adunananza del 20 aprile 1890) Studiando le attuali condizioni delle popolazioni agri- cole del Veneto e confrontandole con quelle delle altre })opolazioni italiane, rilevare quale parte abbia in esse il sistema di localizzazione agraria vigente fra noi, ed indi- care gli eventuali rimedi. Non essendosi presentato alcun concorrente nel ter- mine fissato (31 gennaio 1893) la prima volta che si aprì il concorso col soprascritto tema, i membri del R. Istituto nell'adunanza del giorno 21 gennaio 1894 prendevano la deliberazione, su proposta del Vicepresidente Comm. Se- natore Fedele Lampertico, visto l' importanza del tema di lasciar aperto lo stesso concorso al premio di It. L. 3000 della fondazione Cavalli pel triennio 1894-96. PREMIO DELLA FONDAZIONE BALBHALIER Per le norme che regolano questa fondazione, non essendosi presentato nessun concorrente con opere di me- dicina manoscritte o stampate o con istrumenti od altri oggetti alle scienze mediche attinenti al premio di It. L. 3000 il cui concorso venne chiuso il giorno 31 dicembre T. y, S. YII 71 (1072) [12J u. s. il R, Istituto neir adunanza del giorno 21 gennaio anno corrente stabiliva che con le medesime discipline che pel passato biennio rimanesse aperto per gli anni 1894-95 il concorso al premio d'It. L, 6000 all' italiano « che avrà fatto pì^ogredire nel biennio 1894-95 le scienze mediche e chirurgiche, sia colla invenzione di qualche istromenlo 0 dì. qualche ritrovalo, che valga a lenire le umane sof- ferenze, sia pubblicando qualche opera di sommo pì^egio. » Il concorso verrà chiuso alle ore sedici del giorno 31 dicembre 1895. PREMI INDUSTRIALI Ritenuto che, dato l'esito brillante del Concorso In- dustriale ch'ebbe luogo per cura di questo R. Istituto Ve- neto lo scorso anno 1893, le industrie della regione poco 0 nessun miglioramento possono aver fatto in un solo anno : I Membri del R. Istituto nell' adunanza del 18 feb- braio u. s. deliberarono di rimettere all'anno venturo l'a- pertura del solito concorso ai premi industriali concessi dal R. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio sia per i miglioramenti delle industrie già esistenti sia per l'introduzione di nuove. [13J (1073) Una grande perdita morale e scientifica colpi quest'anno il nostro Istituto di Scienze. Non ripeterò qui ciò che, annunziandola, ho dovuto scri- vere alla fine dello scorso ottobre, né ciò che hanno pub- blicato e commentato le piia importanti efi'emeridi accade- miche italiane e straniere. Basterà oggi rammentare l'opero- sità scientifica dei senatore Angelo Minich notando anzitutto come egli onorasse gli Atti e le Memorie nostre con ben 37 pubblicazioni originali, mentre in altre raccolte fra italiane ed estere arricchiva la scienza e la pratica di un numero forse non minore di note e dissertazioni. Quanto al carattere ed al valore tecnico di quest'Uomo basterà una prova, quella che egli, trentenne appena, si trovò neir epico periodo della difesa di Venezia alla testa del servizio sanitario militare della città e fortezza, e ciò vin- cendo le diffidenze che la gioventù ispira, e, quel che è peggio, le multiformi proteste delle quali, in nome dei lunghi servigi e dell'autorità acquisita, suole rabbiosamente armarsi 1' umiliata anzianità. Egli fini ben tosto imponen- dosi colla superiorità del valore, ottenendo nel tempo stesso, colla virtù delle forme, non solo l'obbedienza ma la coope- razione cordiale e convinta. E di ciò e di ogni altro merito suo non sarà detto più oltre. Da questa tribuna mi basterà oggi toccare delle meno conosciute virtù per l'appunto accademiche di lui, più volte amatissimo vicepresidente e presidente nostro, e lo farò aff'rontando il sorriso malevolo quanto errato di tutti coloro i quali, non diversi da quel tale Tersite che ricevette dal T\'ndal la citata lezione, stando al basso, ostentano di giu- dicare dall'alto le accademie quasi manimorte della scienza e centri d'inazione quando non sieno di reazione scientifica. Il prof. Angelo Minich nel quale la correttezza dei modi e la dolcezza dell' animo erano caratteristiche, degli scatti e delle fierezze intransigenti ebbe anch' egli ma di (1074) [14] una specie sola e molto giustificata perchè molto neces- saria ai tempi che corrono, e fu precisamente conti'O code- sti spiriti forti che in nome di qualche pagina spesso falsata di storia vorrebbero annullata ogni influenza anzi elimi- nata completamente ogni organizzazione, ufficiale o no, del lavoro e dell'autorità scientifica. Alle più avventate teoriche, quelle cioè le quali non avrebbe voluto sentire non che soscrivere, egli non mai negava 1' onore della discussione più ampia e serena e soleva anzi molto disapprovare coloro che ci si ricusavano. — Per sorprendere in lui qualche segno di vivace disde- gno non c'era, come fu detto, che vederlo ferito nel con- vincimento suo massimo dell'utilità anzi necessità intellet- tuale e civile dell' associazione degli studi e degli animi, come atta a fornire la sede del lavoro comune non che i mezzi di ricerca solidale e di accertamento ufficiale. Egli, in una parola, giudicava l'istituzione accademica al più alto grado costituente fraternità e potenza del pari feconde. Negare 1' utilità di tale alleanza scientifica e civile, combatterla comunque innanzi a lui come esclusiva e ste- rile, era come chi, ragionando con un esemplare padre di famiglia, si sbracciasse ad esaltare gli scetticismi e i cinismi dissolventi il caro e sacro culto dei Lari. Per lui le sane istituzioni accademiche erano i Lari della scienza cui negava qualunque probabilità di rapido ed efficace progresso senza il mutuo illuminarsi ed il mu- tuo aiutarsi dei suoi cultori col mezzo della collaborazio- ne 0 con quello della critica, la quale considerava aiuta- trice anch' essa quando sapiente ed urbana, sottolineo il testuale. L' Istituto nostro egli l'amava quindi del più convinto amore, e vi pensava sempre sempre ed anche, anzi più che mai, da ultimo fra lo strazio degli estremi dolori, come un buon padre di famiglia che proprio allora si occupa e pre- occupa più che mai dell'avvenire della casa cui non gli sarà dato di ulteriormente giovare col proprio consiglio. Vero [15] (1075) padre di famiglia egli si considerava e sentiva rispetto ai colleglli, e da tale si comportò. — « Noi membri del- l' Istituto non siamo fusi abbastanza, diceva, con quella parte superiore di pubblico che s'interessa seriamente agii studi e crea nel paese quell' ambiente del quale 1' uomo di scienza ha bisogno per essere circondato da quella atten- zione benevolente che moltiplica le sue forze. » « Non siamo, insisteva, neanche fusi abbastanza fra noi, perchè, trovarsi una volta al mese sotto lo stesso tetto, prendere il proprio posto, ascoltare delle note e delle memorie e ufficialmente discuterle per poi subito pigliare il treno di ritorno, non si chiama un vero comunicarsi le idee, confidarsi le impressioni e le previsioni, illuminarsi e consultarsi. Io vorrei, aggiungeva colla maggiore insistenza, che almeno un'altra volta al mese i colleglli si trovassero non in seduta, ma in conversazione, fra tutto ciò che ha di più attivo r Istituto ed anche con tutto ciò che è degno di essergli amico e solidale. » — E veniva poi sempre alla concreta solita sua conclusione dei gabinetti da doversi render pubblici agli studiosi ; della sala di lettura per co- desto pubblico speciale, e ti-atto tratto per qualche conver- sazione scientifica e letteraria nella forma e coi fini anzidetti. Erano pensieri molto accademici, ma nel tempo stesso tanto moderni da potersi in certo modo anche dire antiaccade- mici, questi dell'eminente scienziato, patriotta e benefattore il quale non pensò a se se non per mettersi in grado di poter poi pensare agli altri, e non fu mai più sapiente- mente sollecito del bene del mondo che quando una spietata necessità glie ne imponeva fra giorni l'abbandono. Di queste nobili quanto sapienti intenzioni che egli ebbe la delicatezza di comunicare a noi suoi intimi ma che per rispetto ai colleghi non volle imporre specificati nelle sue tavole testamentarie, l'Istituto è già determinatissimo, ap- pena ciò gli sia reso possibile dal possesso e godimento effet- tivo del patrimonio, ad attuare con religione di scienza e d'amore ogni parte. (1076) [161 Si, 0 signori. I gabinetti avranno la voluta sede sepa- rata e diverranno inestimabile aiuto agli studi dei naturalisti e biologlii anche estranei all' Istituto — la sala di lettura resterà aperta anche nelle ore serali, le sole utilizzabili dalle persone a tutt' altro obbligate nelle militanti ore del giorno. — Ad intervalli determinati dal bisogno e dalla richiesta, r Istituto sarà altresì ben contento di ospitalmente affrat- tellarsi con quanti degnamente s' interessano alle scienze ed alle lettere nella sala che porterà il nome e presenterà parlante 1' effìgie del più benevolo e benefico di quegli accademici che non vollero mai saperne di mantenersi chiusi in corpo disdegnoso ed arcigno non per questo rinunzian- do a costituirsi falange più che mai densa e vigorosa a tu- tela dei sacri diritti della reale induzione costruzione scien- tifica ed a confusione di quelle fittizie dell' erroneità, del- l' avventatezza e dei secondi fini. A suo tempo l'Istituto proverà al suo pubblico di non essere una mano morta e v'ho già detto con quali inten- dimenti e modi, ma occorre qui immediato uno schiari- mento per non creare illusioni e gonfiature. Non si può dire, badate, che l'Istituto sia diventato ricco come va ripetendo la sempre amplificatrice voce pubblica, e ciò principalmente per due ragioni : La 1.^ che come l' alfieriano Achimelech chiedeva: innanzi a Dio chi re ? così si può e deve chiedersi oggi : innanzi alla crisi chi ricco ? La 2.^ che ad ogni modo ricco è soltanto chi pos- segga mezzi superiori alle esigenze dei suoi veri fini. Ebbene, la scienza odierna ha molte qualità, ma la di- scretezza non l'ha per niente. Le sue esigenze sono enormi, anch' essa la scienza di- venne economicamente un vortice — libri, riviste, mono- grafie, tavole, stroraenti meccanici, mezzi chimici di ricer- ca, posti e suppelletili di conservazione, tutto costa terri- bilmente. Terribilmente, dico, e ammettendo pure che qual- [17] (1077) che volta frutti qualche cosa, va in prò della società in genere non mai delle istituzioni che si prodigarono. Laonde quel che si dice ricchi non siamo. Questo, ci affrettiamo a ripeterlo, è uno schiarimento e non una doccia gelata. Ritengasi pure che fra breve saremo in grado di largamente giovare (nei modi sovra esposti) agli studi, agli studiosi, ed anche alla superiore cultura generale. Ed è quello che 1' Istituto costantemente farà come si ingegnò di fare più o meno anche quando i mezzi erano tanto al disotto dei più urgenti bisogni. Onore pertanto e riconoscenza alla memoria del ge- neroso sapiente che ci pose in grado di tanto. I ;i ARMENIA DISCORSO DEL M. E. E. TEZA Ex oriente lux : e a questi ràggi nascenti si rivolsero ansiosi gli animi, acuti gli sguardi, irrequieti gli intelletti di molte generazioni di sapienti nel nostro secolo : la ere- dità dei maetri, al diffondere la conquistata dovizia, arricchì, per le nazioni e nelle nazioni, uno stuolo grande di amo- rosi discepoli. La tradizione, tutta quanta, fu venerata ; non già col fumo degli incensi che si sperpera, o col fiore della lode che dissecca, ma con la ricerca del vero, con- tinua, faticata e libera ; non già a ricercare catechismi di fede 0 in quell' uno che crea e governa, o in quel tutto che sta e si regge, o nel cieco e muto che svanisce nel- r ombra : non ad ispiare dentro agli annali delle istorie dove sia più nutrimento alla boria delle nazioni o puntello alle ingiustizie dei forti : non a travolgere il mondo del- l' arte con nuovi esempi, con nuove teoriche, con nuove scuole. La indagine è una candida dea che si libra sulle ali vigorose, come giovanetta audace : che s' arresta tarda e paziente, come rigida matrona : con occhio che fruga e nulla appiatta, con occhio che non si chiude, o per timore vile o per vile indulgenza, giusta e costante, una candida dea ; ed è oggi la signora del mondo. Fu un secolo glorioso per Y Italia, e dei suoi disce- poli pet^ tutto il regno della nuova civiltà, quello che rin- giovanì la memoria dei padri e degli avi, di Roma e di Atene : risorgeva la poesia ed il diritto, Clio parlava e cantava Euterpe : — fu un secolo glorioso per il sangue dei teutoni, rinfrancati a scuole latine, quando, a dar vi- [2] (1079) goi'ia alle dispute, si spezzarono i sette suggelli del sacro Libro e, nel commentarlo con sapienza ed amore, si diede vita alla erudizione orientale ; la quale per lungo tempo s' avanza a balzi, retta spesso da ingegnosi divinatori, ma impigrita, fino a che non spuntò 1' aurora di questo nostro meraviglioso ottocento. E chi non stupisce alla rapidità, alla pienezza dell' opera compiuta ? Nella famiglia dei se- miti, dare le lingue vive maggior lume alle antiche : ebrei ed arabi, etiopi ed aramei mostrarci la dottrina, il giure, la istoria : sulle rupi, archivio aperto da secoli agli intor- piditi occhi degli uomini, leggere le testimonianze di una resuscitata civiltà, 1' assiriaca : dalle tombe egiziane rive- lare i segreti che sono nella sapiente parola dei sacerdoti e nelle geste dei principi : da altri sassi, nell' intrecciarsi dei cunei misteriosi, far cosi che la morta voce degli Ache- mènidi risiioni : discoprire, nella Battriana, tutta una lin- gua e tutta una religione, che l' industre zelo degli euro- pei rinfrescherà anche tra i parsi : dall'lmalaja a Seilane, dommi di chiesa e di scuole, dei bràmmani e dei buddiani, mille inni a mille iddii, sanguinose gare sui piani dell'Aryà- varta, rapide corse di Rama Dagarathide al conquisto del mezzogiorno : 1' idillio festoso del teatro, il bene intessuto argomentare dei filosofi, i sottili accorgimenti dei giure- consulti, la poesia che delle sue glorie si inebbria, si tra- volge, si sperde. Poi il buddianesimo, 1' esule pieno di fe- de e possente, che si innova sulle vette tibetane e nel- l'isola bella, e via per le coste tra birmani e siamesi, tanto che incontri la schietta e severa parola di Confucio e di Mencio, alla quale venivano da un secolo allettando le stu- diose cure (lei missionari. Ecco il mongcUo dare la mano al samoiedo ed al tàtaro, il finlandese al ceremisso ed al magiaro : ecco insomma, ad una piccola chiesa di dotti, spalancarsi il mondo di ogni colore, di ogni voce, di ogni pensiero. A invogliare questa schiera di focosi discopritori non furono ultimi gli armeni ; ma non s' avevano, nelle inda- (1080) [3] gini, a discoprire i segreti di un popolo come nelle tombe di Kheops 0 nei savi ammonimenti del re caro agli dei, di Asoco ; maestri erano gli armeni stessi, per non inter- rotta fila di scuole, come a noi erano sempre stati gli ci- leni : maestri erano molto più vicini a noi, così per le tradizioni di chiesa come per ({uelle della scienza, che non fossero i bràmmani che si dovevano ridestare dal })igro sonno. Se non che, al primo affacciarsi degli ariani del- l' Indo e del Gange, guidatrici le muse e le grazie, sen- tirono le genti germaniche e le latine come per le vene corresse lo stesso sangue e, più del sangue, ci congiun- gesse la unità dei concepimenti e degli affetti e questa che, delle dottrine umane, è 1' opera e lo strumento, custode delle ricchezze di lei e accrescitrice, la parola. La fiac- cola accesa illuminò il mondo : e, dopo un secolo solo di ricerche, disparirono da questa nobile parte delle discipline erudite i dissentimenti che non risorgano in cervelli ma- lati ; cosi che non è da temere che nuovi studi e nuovi sforzi facciano crollare 1' edificio ariano ; saldo sui fonda- menti, elegante e forte, di variata bellezza : e, al partirsi la eredità, non avranno mai i fratelli, o invidiosi o cupidi 0 superbi, a dimenticare che sono fratelli. Indiani ed ira- ni, lituani e slavi, celti e greci e germani e latini, ora r uno più dell' altro, ma tutti e sempre, furono i padroni della terra ; nerbo nel braccio, gagliardo l' intelletto, agile la fantasia, indomata la volontà. I vincoli degli armeni con la nostra famiglia non si svelavano ad un tratto ; onde più timide e lente le con- chiusioni : e se dell' arianità di quella stirpe nessuno du- biterebbe, a mettere in chiaro dentro a quale letto corra la fiumana, di che acqua si nutra, a che sassi rompa l'onda spumante, vogliono ancora più fortunate e più compiute scoperte. Meno limpido è agli impazienti il testimonio della parola : ma da secoli le sorti della vita civile e della sa- cra avevano agli altri parenti accostato di molto gli ar- meni ; poiché, in mezzo ai figliuoli di Aicco, il cristianesi- [41 (1081) ino trovò ardenti cuori ad invogliarsene, vigorosi soldati a difenderlo, sapiente cura di sacerdoti a farne, non solo legame di chi sente, ma sostegno di chi medita. La reli- gione degli ebrei diventa nostra quando menti ariane la ripensano : e la dottrina innovata è, se può dirsi cosi, ere- sia nazionale. Opera costante della eresia, a chi bene la consideri, è la vivacità degli affetti e la vigoria, che pare violenza, della disputa; onde la idea si tramanda, non come ramoscello consacrato che le mani profanano, ma come virgulto che germoglia, come fiore che sempre muore e sempre rinasce. Nazionale era quel risorgimento : e, delle tante forme che avrebbe potuto vestire, volle fortuna che gliela imprimesse uno dei fratelli nella nostra stirpe, più ammirabile per la finezza e la lucidità dell' ingegno, il greco. Su questo albero innestò i suoi rami il cristianesimo d'Armenia : cosi 1' acume dei teologi e 1' ardore pio dei poeti del santuario si raff'orzò insieme e si fiaccò : il mae- stro, se troppo sapiente, agevola i primi passi e intorpidi- sce il piede ai secondi : e, se volontà e capriccio d' uomo potesse tramutare gli annali del mondo, sarebbe a deside- rare che r arte armena fosse stata, ne' suoi voli, più libera. Il greco guida, spinge, trascina : ma, fra tutte le fa- miglie d' oriente, questa vecchia servitù più presto e me- glio domesticava con 1' occidente le armene : e solo reste- rebbe a chiedere se forse troppo presto non gli staccava da altri compagni, che non furono certo inutili cavalieri al conquisto della civiltà. Ecco due stirpi, di una sola progenie, divise dall'am- bizione e dall'ingordigia dei principi, accese e gettate l'una sopra all' altra, 1' una contro all' altra : due religioni che si astiano, si calunniano, si insanguinano : due grandi che via via, e per vario modo, impiccioliscono nelle umane ge- nie, i persiani e gli armeni : e più acre è il veleno, più feroce è quando cognati petti il vincitor calpesta. (1082) [5] A' persiani il mazdaianesimo, già logoro e infiacchito, rinverdiva per lo zelo dei sacerdoti e dei )'e : rito, come nel brammanesimo, che si frammetteva nelle costumanze della casa, catechismo tramutato in codice, chiesa fatta tribur naie : buoni precetti di onesta vita, come sulle labbra e nelle carte di ogni famiglia sacra : speculazioni sull' infi- nito che del male e del bene cercano le ragioni e ne danno le origini, da contentare timide menti : arte di poeti che nelle immagini indica il sonante urto delle nubi via per r etere, meno ardita che non sia 1' arte dei placidi contemplatori dell'Indo. Culto e sacerdozio, dottrine e canti, che non scemano nerbo al braccio del soldato, stimoli all' avidità dei mercanti, ardimento alle imprese civili. Alle religioni di Battriana pare somigliassero le dot- trine più antiche nell'Armenia : le abbatte un'arma nuova, la croce, che, retta da greci e da siriani, sta in mani che non tremano. Non da volontà di principi, né da impeto di conquistatori, ma il Cristianesimo è portato dal Libro : la vecchia tradizione dei regni israeliti, di profeti, di inneg- giatori, resta e si travisa : un tempio si abbatte, sorge un tempio : i filosofemi di Saul Paolo vincono gli intelletti ed i cuori : esempi di sacri ed intrepidi illuminatori crescono animo ai gagliardi : tutta Armenia è cristiana. Non abbiamo nulla perduto ? E la verità cosi sicuro conquisto dell'uomo che egli possa, nella sua coscienza di umile e di onesto, vantarsene? Delle tante vesti che la rive- stono, perchè squarciare cosi subito quelle che, con amore e costanza, avevano intessuto i sofì della Battriana ? Raf- forzata nella unità delle due stirpi, la persiana e l'armena, la religione di Zarathustra avrebbe dato nerbo di vita ad una sacra filosofìa di piìi nel mondo ; contro all' invadi- trice forestiera, la maomettana, avrebbe fatti meno doma- bili gli ariani ; 1' albero non sarebbe stato dalla nutrice terra strappato per ripiantare sulle coste marattiche po- veri ramoscelli, cosi che alla breve ombra riposino gli esuli di Bombaja. . [6] (1083) Sogni nell'avvenire e sogni nel passato non sono due ombre ? Ma non c'è mai raggio che le trapassi illuminando, anche agli occhi della severa dea delle istorie ? Allo scop- piare della battaglia molti animi che parevano ancorati e forti, di nuovo galleggiano : non tanto opera il risvegliare cupidigie e vanità che fanno, dal trono di Persia, i mal tollerati signori, quanto è pungente e vivace il dubbio se abbiano, nel contemplare il divino, colto o no il vero, onde spesso i convertiti si riconvertono. Predicano cristiani e zarathustriani, vescovi e mobedi : il furore si avvelena ed avvelena : chi non è dei tuoi è scellerato, la costanza è ostinazione : il travolgimento dei pensieri è benedetto dalla schiera dentro alla quale cerchi ricovero, da quella che abbandoni è maledetto ; ma, anche in queste opere della ferocia, che è mezza la natura umana, pii!i bello che l'addentarsi per conquistare una rocca, o passar primo la insanguinata corrente, o aggiungere un palmo alle terre dei tuoi padri, e de' tuoi signori, più bello è l'impeto per questo spettro che passa, al quale presti membra e vita, che insegui senza ingordigia di lucri, di superbia, di potenza, e che tu chiami il vero. Come Vardan, così l'Armenia : titubò il conduttore dei soldati, si sgominarono i cittadini. Chi è più forte? l'uomo che imperterrito difende la sua fede e vola, cantando inni, alle fiamme che lo divorano ? o l'uomo che s' arresta un istante, che il fumo soffocatore atterrisce, che il fuoco vee- mente ispirita, ma che contrasta e si doma e vince, e che si getta con lieto viso sul rogo ? Giovanni Hus o Girolamo da Praga, i due eroi ? 11 sacro Ararat guarda il campo sopra il quale corre armeno sangue : Vardan e parecchi dei signori avevano al fiero re infinta la somraessione: cedevano ai mazdaiani i cristiani ; ma la parola dei sacerdoti è più costante che quella dei cavalieri non sia : tra le tende si levano gli altari: in mezzo alle spade si rizzano le croci: all'urlo dei guerrieri si sposa il salmo dei leviti : Vardan ha il perdono : « Io prenderò il calice delle salvazioni : e (1084) [7] predicherò il nome del Signore » : da prode guida i prodi all'ultima battaglia, alla gloriosa sconfìtta, e, levando al cielo il nome dei suoi martiri, Armenia giace per sempre. Braccio gagliardo era quello della Repubblica vene- ziana : in mare, a proteggere i conquisti suoi ed i com- merci, per terra a non essere né sola né inerme tra le sorelle, alle quali dava e toglieva gli aiuti: non feroce ma costante, al contendere con la Curia, rafforzate le sue opinioni col rispetto alla vera chiesa : non contaminata da straniere signorie, ma né tanto possente né tanto bella di spiriti nazionali da odiarle tutte e sempre. Contro agli Osmanidi combatteva da generosa guerriera che resiste all'impeto degli asiani, meglio che da cristiana che vuole scemato il vigore al maomettanesimo: infiacchi, si sconfortò, sino a che traditrice mano italiana lei vacillante precipitò; ma ingiusto sarebbe chi la volesse, nel cinquecento e nel secento, come, agli albori dell' età nuova, poteva essere questo unico castello della indipendenza d'Italia. E dove era altra gente di Europa che la incitasse con le dottri- ne e con gli esempi ? I crociati, non alla terra, ma ave- vano gli occhi al cielo : e non tanto che l'oriente cristia- no, ai moti e alle minacce dei conquisiatori, non avesse a tremare. Nei lontani e discordi e pigri fratelli non potè fidar mai. Venezia, a rinvigorire le nazioni dome sotto la malìa di addomentatori, ora cupidi, ora lascivi, ora feroci, non pensò: la Grecia, terra dei grandi, risorta due secoli prima, avrebbe tramutate le sorti del mondo : e, daccanto alla ve- neranda matrona, un'altra generosa donna giaceva pro- strata, ma non tentò la vostra mano di rialzarla, o padri della Repubblica! In questa aula, già testimonio delle nar- rate geste dei valorosi, e dei magnanimi consigli, anche riverenti nepoti possono dolersi che altri affetti, altri pen- sieri non s' agitassero nelle menti e nei cuori della vec- chia Italia e, dentro a lei e con lei, della nostra Venezia. Le gloriose ombre dei Pregadi perdonano. [8] (1085) Ma spesso le ospitali porte si aprivano. Qui accetti i greci, che sfuggono a' massacri, lasciata loro franca la fede, che della liberalità di quei non timidi senatori è segno grande, da ammirare : e quando una povera brigata di sacerdoti, di Armenia uscita, ricoverata per poco nella Morea, s' accosta a queste rive, trova aiuto e difesa. Da secoli i commerci avevano legata la Cilicia ed i Rupeniani alla Repubblica, e qui albergavano gli armeni ; ma dai cresciuti tesori, dalle arti, dalla maturata sperienza dei mercadanti poco frutto poteva sperare la vita degli in- telletti. A San Lazzaro, stata già ospizio degli ammorbati, posò, sana il corpo e la mente, la colonia pia, spartita dalla città, congiunta con lei : e il tigliuolo di Pietro, il Con- solatore, Mechithar Petrosean, corsa tanta parte d'oriente, dalla sua Sebaste ad Eccemiazin, ad Erzerum, ad Aleppo, a Bisanzio, ricoverato nella pace operosa di un monastero a Modone, scacciatone dai tàtari irrompenti, sfuggito coi veneti protettori, difeso da Angelo Emo, e da Luigi Mo- cenigo, ebbe dai padri la deserta isoletta. Anno di lieti auspici è il 1717. Nella forte maturità degli anni, poco oltre a' quaranta, pose sua stanza Mechithar e sperò : né occhio di amoroso profeta poteva vedere tanta gloria. Ospiti amici erano e rimasero : non commischiati alla famiglia italiana, come greci e slavi, che divisero coi no- stri uffici, nozze ed affetti di patria. Ed ecco nell'isola, e più tardi nella città, un maestrato di chierici e una scuola di laici : addestrate le generazioni crescenti, che tornassero nelle terre native con insegnamenti di dottrine e di esempi : una eletta schiera, via per gli anni innovantesi, di pii nK)naci e studiosi, che dei conventi serbano la tradizione più bella ; cosi che possa goderne chi, a vedere compar- tite le opere umane e le speranze, ama la vera libertà. Tra liberi cittadini trovavansi i figliuoli di Mechithar; onde più facile, qui tra noi, il ridestare l'amore a' docu- menti di storia che gli esuli seco recavano, alle lettere (1086) [9] che nutrivano, alla lingua che, nelle placide cure di un chiostro, amavano serbare intatta agli studi dei nipoti. Tanti erano stati i vincoli coi persiani coi greci coi franchi coi turchi, clie molto era da sperare nei tesori raccolti e cresciuti nell'isola. Alla industria costante, alla quasi mai rotta pace nella studiosa famiglia, alla varietà feconda degli ingegni, è dovuto che, per opera di questa falange, i libri venerati e rari e dispersi per le province armene tornati alla luce si diffondessero, che nuove sor- genti si discoprissero da illustrare gli annali delle crociate, che l'arte degli scrittori si affinasse e, gettata via la scoria del tatarico che veniva guastando l'armeno, il puro aic- cano sfavillasse della sua luce. Onde i timidi e i vee- menti, cercatori e trovatori, il critico ed il poeta: ed, in mezzo alle due schiere, un ingegno possente che congiunge le due arti, Arsenio Bagratuni. Più scuole gareggiano anche tra gli armeni : paurosa, frenata da leggi e da arbitri, quella fra i turchi : più franca quella soggetta ai moscoviti : libera davvero, se vo - gliano, la italiana e la germanica ; ma in tutte, quale è la nazione che li circonda e gli inspira, è naturale che gli aiccani ne serbino il colorito. Questa nostra vecchia Eu- ropa è tanto ingegnosa maestra nell'arte dell'interpretare i monumenti, e nel diligente studio delle cose di natura e nell'ordinarne le leggi, che sconsigliata e misera sarebbe la gente che a tanto lume chiudesse gli occhi. La luce dal- l'oriente : all'oriente torna sfavillando la luce. Ma vuole prudenza che lo imitare non sia di schiavi: e, se grande è il pregio del primo discopritore, non è meno ardua litica, sotto il peso di lunga e ricca sapienza, non rimanere schiacciati. Grave è il pericolo che i legami tra le nazioni, stringendo e stringendo, nella unità non le commischino tanto che il vario si spenga : e nell'avvivare questa varietà, nel temperarla, nel goderne, è il trionfo della bellezza, come la gloria dell' umano consorzio. Le antiche nazioni che bevono alla sacra fontana di giovinezza [10] (1087) licinno al fianco più maturi e più superbi compagni, non più alleati ma tiranni. Dei mechithariani, dei nostri, ho detto un nome solo; della vita viva che fu ed è nel convento non ho a fare l'istoria : e nessuno rammento di quelli che operano d'ac- canto a noi, lieto nel cuor mio al pensare quanti vene- randi maestri racchiude l'isola fiorita, quanti ardenti petti ella educa, innamorati della scienza, dell'arte, della patria. Ma nello stanco terreno di Europa quali semi pote- vano gettare gli armeni ? Tutta la tradizione avita è di chiesa. Il canto popolano svanisce presto nell' aria : non tanto nasce e rinasce che novella stirpe di poeti ne in- trecci r epica ghirlanda della nazione : gli annali, se di soldati, sono di cristiani soldati : più la filosofia del san- tuario che quella dell' accademia : inno sacro, fervido, ele- gante, numeroso, ma che a sbrigliare la fantasia creatrice non basta : dispute sottili di riti e di dottrine che argo- mentano, salva la fede dei teologi, non la libertà dei cri- tici ; dell' arte una veste sola, la prosa, ma nerboruta nel Corenese, schietta in Ezniche, calorosa in Eliseo, piena di dolcezza in Narsete. Ecco le scuole, a chi s' adoperi a discoprire nei raf- fronti delle nazioni, e delle geste dei loro scrittori, dove sia fiamma di fantasia, o vigoria di pensiero o grazia del- l' arte. In questi paragoni anche 1' armeno sta nell' alto : e, se i dotti che crescono all' ombra degli altari dai laici, in ogni parte della terra, seppero imparare e sanno, non vedremo noi alla coltura laicale scorrere da ogni parte fiu- mane da abbeverarcisi ? non si potrà odorare il soave profu- mo della poesia, perchè sale nell'aria insieme agli incensi ? Come i greci, cosi gli armeni. Una chiesa nazionale ed un' altra, vecchia e veneranda sorella, ma forestiera : una lingua che suona dai libri, ma da non cercarvi che avviamento e sostegno alla lingua novella. Imitino gli ita- liani di una volta, come i greci cosi gli armeni ! La pa- rola non è stromento vero dell' arte che dove sgorghi li- T. V, S. VII 72 (1088) [11] bera da petti che la sentono. Dei padri seguire gli esempi, pensando e parlando : stati forti, e degni che altri ne am- miri r opera, perchè servilmente non si trascinarono sulle orme degli avi. Non è detto in quale anno nasca alle na- zioni un Allighieri ; ma bisogna che gli intelletti amorosi del bene non gli ingombrino la via, non gli serrino la bocca, non gli tramutino quasi a forza il cervello ed il cuore. Cerchino presto anche gli armeni unità : spariscano le due parlate che la boria di province fa durare ed anzi ravviva, e in una sola gli ai*meni tutti cantino V inno della nazione risorta. Risorta ? Messe fronte a fronte incontro alle dottrine islamite, in una lunga guerra, senza vittoria e senza scon- fitte, quelle de' cristiani s' affinano, si afforzano ; onde an- che il contrasto, serbando viva la fiamma degli intelletti, ne cresce la potenza. Maggiore è il rischio dove, non petto a petto, ma fianco a fianco, stanno due emoli dentro alla famiglia ; cosi che possa intepidirsi 1' amore all' avito retaggio, e lo straniero, non impetuoso ma costante, so- verchiare il mal cauto soggetto. Onde più lucido è l'avve- nire agii armeni di Turchia e di Persia, che agli armeni del Caucaso. Hanno bensì meno duro il servaggio nelle lettere tra i cristiani di Georgia che tra gli islamiani del Bosforo ; ma libertà che fecondi i pensieri della nazione, dentro a lei e per lei, in nessuna parte della terra ; se r esule per sé non la conquista. Molto possono ferocia e ti- midezza, lusinghe e viltà : molto possono la spada affilata e l'occhio vigile dei custodi ; temono i buoni e sperano ; quan- do segreta vita serpe da secoli per le vene di un popolo generoso, del suo vivere alla luce del sole viene il giorno. Un' Armenia che metta altri confini a' tàtari, anche ad essi crescerà il nerbo ; non più costretti a signoreg- giare terre mal dome, ravviverebbero le virtù che sono per le orde asiane disperse : tra 1' oriente e 1' occidente, insieme alla Grecia, diventa l'Armenia un castello di ri- sorgente civiltà. Un castello che arresti od indugi l'irruire [12] (1089) dei prepotenti, che educhi alle armi del braccio e a quelle dell'intelletto i figliuoli suoi. Savia e generosa maestra è Inghilterra. Essa sa che cosa prepara a' nipoti educando altre braccia ed altri in- telletti sull'Indo e sul Gange : il brammanesimo riformato, ma da' suoi, darà unità di affetti, e più tardi di signoria, agli ariani di settentrione, se anche dagli antichi vincoli si disciogliessero i dravidiani. A mezza la via abbandonati, come immaturi allievi, gli indiani si perderebbero: che sempre duri la mano custode non può desiderare chi ama la giustizia, ma che a lungo duri e sovrasti vuole un' al- tra protettrice delle nazioni, la prudenza. Codeste scuole non toccarono in sorte all' armeno ; ognuno è a sé il maestro nel vigile cuore. Dell'affetto degli stranieri, che in lui mantiene e cresce la fidanza nell'av- venire, si rallegri : a braccio che lo sospinga o sollevi non tutto s' affidi ; non già che lo stenda timido o perfido amico, ma dell'affrettata redenzione chiederebbe forse un premio al quale non ci sono in tei'ra giuste bilance, né diritta mano che sappia reggerle, la riconoscenza. Una vita civile che non ricopi questa nostra, greca la- tina germana; rito che non disgreghi le famiglie : scienza che per gradi proceda, che allarghi le industrie, ma me- glio nutricando le menti che a quelle provvedono : let- tere che non aborriscano dall' altare che le educò, ma se ne franchino : lingua popolana, spiriti di nazione. Siano gli ariani ; ma gli ariani d'oriente. Con queste speranze ogni amatore di libertà saluta la sfortunata terra. Grandi e sfortunati sono altri nel mondo ; ma quando negre mani, e infocate, minacciano la civiltà, non è anche questa un dono di traditori ? Se invidia lo rode alle radici, germoglerà l'albero della giustizia? Forse, dubitando e mestamente, guardano alle nostre sciagure di uomini li- beri quegli schiavi che gemono nelle catene e nell'ombra. PROGRAMMI DEI CONCORSI SCIENTIFICI PROPOSTI DAL R. ISTITUTO VENETO E DALLE FONDAZIONI QUERINl-STAMPALIA, CAVALLI E BALBI-VALIER Per gli anni 1894, 1895 e 1896 — -s — s^s— s— E D[L RBLE ISTIIUIO Concorso per Panno 1S94 Tema prescelto nell'adunanza del 24 aprile 1893 «-Sul sistema dell'imposta progressiva che taluno » vorrebbe, con varie forme, sostituito al principio san- » cito neW art. 25 dello Statuto fondamentale del Regno, » pei' cui i cittadini contribuiscono indistintamente ai » carichi dello Stato nella proporzione dei loro averi. — » Si do7nanda che i concorrenti raccolgano i documenti » pratici di quei paesi ove tale sistema sia per avven- » tura stato applicato. Ove manchino i criteri che sieno » forniti dall' esperienza, i concorrenti dovranno a mezzo * delV indagine scientifica chiarire quali sarebbero gli » effetti pratici della sua attuazione. In generale si de- » sidera seria e larga rassegna delle ragioìii che stanno » prò e contro un tale sistema, e la conclusione se sia » quindi a consigliarsene o tneno V introduzione nel no- » Siro paese. » (1092) [2] 11 concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 1894. Il premio è d' ital. lire 1500. 'R[il mk FOiDAZIilE 5U[Rlil-STlliPllLlll Concorso per l'anno 1S94. Tema prescelto nell'adunanza del 24 aprili 1892. « Esporre le conseguenze, che si sono avverate dalla » apertura del Canale di Suez pel commercio italiano in » generale e pel commercio veneto in particolare ; e quali » provvedimenti dovrebbero prendersi, perchè il com- » mercio italiano in generale e più specialmente il com- » mercio veneto se ne avvantaggiassero. » Alla trattazione del tema andranno unite tutte le » necessaire notizie del fatto, esaltamente raccolte, ordi- » natamente disposte e debitamente discusse. » Il concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 1894. Il premio è d' italiane lire 3000. Concorso per l'anno 1S9S. Tenia ptrescelto nelV adimanzn del 7 aijosto 1892. Un premio della Fondazione Querini di lire 3000 ver- rà assegnato « a chi entro V anno 1894 avrà, introdotto » in una valle a piscicoltura nel Veneto una innova- » zione, che sarà giudicata importante ed utile da una » competente Commissione nominata dallo stesso Istituto, » od avrà trovato il modo di avvantaggiare sensìbil- » mente una delle industrie, ci» e direttamente si colle ga- » no colla vallicoUmn. [3] (1093) » Potrà quindi concorrere al premio suddetto chi » aera trovato il modo di otte'neì^e, con vantaggio della » vallicoltura, la fecondazione artifi.ciale delle nova, di » qualche specie importante di pesci marini; cJii arra » introdotto in una valle, e con buon successo, qualche » specie animale del mare Adriatico o di altro mare; » chi col perfezionamento dei congegni vallivi avrà ot- » tenuto in una valle risidtati superiori agli ordinari ; » chi avrà fatto progredire presso di noi V ostreocidtura » 0 la mitilicoltura ; chi avrà perfezionato la lavorazione » del pesce di mare, in guisa da renderlo più gradito al » palato e pili ricettato nel commercio. » Tempo utile pel concorso: a tutto il 31 gennaio 1895. Concorso per V anno 1S96. Tema riproposto neW adunanza del 19 maggio 1894 « Fare uno studio litologico, mineralogico e chimico » dei ìnateriali pietrosi, sabbiosi, terrosi e salini, che » uno dei principali fiumi del Veneto, nelle diverse con- » dizioni di piena, di magra e di media, porta fuori >> dalle valli alpine e depone a diverse distanze dal piede » delle alpi e fino al mare. Ed applicazione di questo » studio a quello delle alluvioni auliche e moderne della » pianura veneta ed ai cambiamenti di posto, che pos- » sano essere avvenuti in epoche preistoriclie nelV alveo » di detto fiume. » 11 concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 189(). 11 premio è d' italiane lire 3000. (1094) [4] PREMIO Wm FOIOA/iOiE ClfllLLI Concorso pel triennio 1S94-96 Tema riproposto neW adunanza del 21 gennaio 1894. « Studiando le attuali condiziotii delle popolazioni » agricole del Veneto e confrontandole con quelle delle » altre popolazioni italiane, iHlevare quale parte abbia » in esse il sistema di locazione agraria vigente fra noi, » e indicare gli eventuali rimedi. » Il concorso resta aperto a tutti il 31 dicembre 1896. Il premio è d' italiane lire 3000. Discipline comuni ai concorsi biennali del R. Istituto, a quelli annui della Fondazione Querini-Stainpalia e a quelli triennali della Fondazione Cavalli. Nazionali e stranieri, eccettuati i membri effettivi del Reale Isti- tuto Veneto, sono ammessi al concorso. Le Memorie potranno essere scritte nelle lingue italiana, francese, tedesca ed inglese. Tutte poi do- vranno essere presentate, franche di porto, alla Segreteria deiristituto medesimo. Secondo 1' uso, esse porteranno una epigrafe, ripetuta sopra un vi- glietto suggellato, contenente il nome, cognome e domicilio dell'autore. Verrà aperto il solo viglietto della Memoria premiata; e tutti i mano- scritti rimaranno neirarchivio del R. Istituto a guarentigia dei profe- riti giudizi, con la sola facoltà agli autori di farne trarre copia auten- tica dalla Cancelleria di questo Istituto ed a proprie spese. Il risultato dei concorsi si proclama nell" annua pubblica solenne adunanza dell' Istituto. [51 (1095) Discipline particolari ai concorsi ordinari biennali del Reale Istituto. La proprietà delle Memorie premiate resta all'Istituto che, a pro- prie spese, le pubblica ne' suoi Atti. Il danaro del premio si consegna dopo la stampa dei lavori. Discipline particolari ai concorsi delle Fondazioni Querini-^tanipalia e Cavalli. La proprietà delle Memorie premiate resta agli autori, che sono obbligati a pubblicarle entro il termine di un anno, dietro accordo colla Segreteria dell' Istituto per il formato ed i caratteri della stampa, e per la successiva obbligatoria consegna di 50 copie alla medesima. Nella stampa del lavoro premiato, l'autore ha l'obbligo di premettere la intiera relazione della Giunta esaminatrice del R. Istituto. Il danaro del premio non potrà conseguirsi, che dopo aver soddisfatto a queste prescrizioni. L' Istituto, quando lo trovasse opportuno, si mantiene peraltro il diritto di fare imprimire, a proprie spese, quel numero qualunque di copie, che reputasse conveniente. PREIIO DI POiOI/IOIE BftLBI-fALI[Ii pef il progresso delle scienze mediche e chirurgiche. É aperto il concorso al premio d' italiane lire 6000 air italiano « che am^d fatto progredire nel biennio 1894- » 05 le scienze mediche e cJnriirgiche, sia colla inven- » zione di qualclte istruniento o di qualche ritrovalo, » che valga a lenire le innane sofferenze, sìa pubblicando » qualche opera di sommo pregio. » (1096) " [6] Discipline relalive a questo premio. I membri effettivi del Reale Istituto Veneto non sono ammessi al concorso che si chiude alle ore sedici del giorno 31 dicembre 1895. II risultato del medesimo si proclamerà nella pubblica solenue adunanza del 1896. Le opere presentate potranno anche essere manoscritte; porteran- no una epigrafe da ripetersi sopra un viglietto suggellato, contenente il cognome, nome e domicilio dell'Autore : sarà aperto il solo viglietto del lavoro premiato. I lavori manoscritti resteranno in archivio a gua- rentigia dei proferiti giudizi ; gli autori possono farne trarre copia autentica, e a proprie spese, dalla Cancelleria di questo Istituto. Anche la presentazione d' istrumenti o d' altri oggetti sarà accom- pagnata dalla epigrafe e dal rispettivo viglietto suggellato. Venezia 20 maggio 1894. Il Presidente E. DE BETTA Il Segretario P. Fambri. Prezzo della Dispensa Fogli 8 Va a Cent. 25 L. 2.12 a tu del fì.UUutv Vendo. T.V.S.M. Tavola HI. FREM STAB. a FERRARI- VENEZIA !RARI- 3 2044 106 264 146 in H ■V, > ^•* ,V<*S, Y^ U 1»^ r. ^ K .3? ì:^ ^-^ :>^ ^ s< -