ritish le te 1rae4@) da ha na Y bh) È s'etoletàt,tdi; Melog valga $ 4 . )edisgte SIC) IVICILILISI dda led ATA Ù pigra ‘aly vrtt40j 5) Sine elaisha; DIATSIARAD è ax petra DE at pivsa < pipistadarit CRIOI À sà rin ratoe he e, vigii 4. ddesodetali kid jetairir ad Pet tobesetettzio mon tao se. Cari Rate lei 4 tr: È Mala ttEo ROTTE O - ‘BI The stream flows, The wind blows, The cloud fleets, The heart beats, Nothing will die. (Tennyson, Nothing will die). PROPRIETÀ LETTERARIA RIVISTAPIBIOICGIA “ B [ O NÉ — SPERIMENTALE — E GENERALE x e È } Fondatori: CESARE ARTOM (Roma) - FILIPPO CAVAZZA (Bologna) - FRANCESCO CAVAZZA (Bologna) - FRANCESCO CHIGI (Roma) - MARCO DE MARCHI (Milano) - PAOLO ENRIQUES (Bologna) - WILLIAM MACKENZIE (Genova) .. Direttore: PAOLO ENRIQUES, Istituto Zoologico (Bologna) Volume I A. F. FORMIGGINI EDITORE IN GENOVA 1913 Sh Serre nta apra Sai; : sar UE Ù AOSTA V Vi dA "i ina OMA N i PAR 4%) EIA Vesti du pa Ù Hart Rino ven Li MORAR cu Agro) RECANO it fare — è Si ni 56 da, + (3 A i F\i DIVE, (Ti Sai DV O) U, 4 } sia’ Tano Bologna - Tip. A. Cacciari - XII, ’913. LI INDICE DEL VOLUME I. FASCICOLO 1.° (Giugno 1913): Prefazione. I. LAVORI ORIGINALI: Angelo Ruffini - L'origine, la sede e le differenziazioni dell’Abbozzo del sangue e dei Vasi sanguigni nel Blasto- derma di Pollo (Nota preventiva). Paolo Enriques e Jules Zweibaum - Sul pigmento nel sistema nervoso degli Invertebrati e le sue modificazioni sperimentali . Camillo Acqua - Sulla diffusione dei ioni nel corpo delle piante, in rapporto specialmente al luogo di formazione delle sostanze proteiche Romualdo Pirotta - Organicazione ed organizzazione . Ciro Ravenna - L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche nei vegetali . Guido Vernoni - Processi regressivi, comportamento dei mitocondri e fatti di. secrezione dell’epitelio renale nel- l’idronefrosi . II. RECENSIONI di Cesare Artom, Vincenzo Baldasseroni, Augusto Béguinot, Paolo Enriques, A. F. Pavolini, Anna Valenti: Citologia : Eredità, Variazioni . Accrescimento, Metamorfosi Sesso . 1a Biometrica . Morfologia vegetale Ò : Speciografia, Flore, Coltivazioni . Fisiologia vegetale . Zoologia, varia . Fisiologia animale . a Batteriologia e Patologia Antropologia . Sult Psicologia animale . III. PROPOSTE E QUESTIONI: 1. Romualdo Pirotta - Per il riordinamento degli insegna- menti biologici. 2. Paolo Enriques - Per la formazione di un comitato bio- logico internazionale 3. Raffaele Issel — Per lo studio degli organismi umicoli . 4. Raffaele Issel - Per una serie di manuali sulla fauna e flora dei nostri mari Pag, US I % è * Rd v vu % 22 41 49 55 15 102 106 108 110 114 116 119 123 124 128 133 135 142 143 145 149 155 FASCICOLO 2-3.° (Settembre 1913): I. LAVORI ORIGINALI: Carlo Piersanti - Ricerche sperimentali sulla sostanza cro- mofila e sul pigmento delle cellule nervose nella Rana . Pag. 157 Rosa Urbinati - L’influenza di alcune soluzioni saline sulla riproduzione degli EntomostraChi. . . . ... . MSI Anna Valenti - La determinazione del sesso nelle mosche (NG preveniva fit lg n e e SI Lo IR F. Plate - Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di AVENA: SAUva lt. e PARISE (Scr II. RECENSIONI di Augusto Béguinot, Corrado Bonaventura, Paolo Enriques, Anna Valenti: Citologia » 295 Azioni di sali. » 303 Botanica. A » 306 Antropologia . » 308 NOTIZIE - Raffaele Issel - Il piccolo laboratorio marino di OtartorsdersMille! 30% di ire nc FASCICOLO 4.° (Decembre 1913): I. LAVORI ORIGINALI: Filippo Cavazza - Influenza di agenti chimici sullo sviluppo, metamorfosi e riproduzione del Bombir mori (Prima memoria) (pubblicati gli estratti nel settembre 1913). . . >» 315 F. Plate - Die neueren Studien zur Jonenwanderung im Pflan- zenkonperi i. Mi n e LE RL Sa I Ciro Ravenna - Sulla nutrizione delle piante verdi per mezzo di sostanze organiche (Nota preventiva). . . . . » 401 Ciro Ravenna e G. Bosinelli - Sopra il supposto impiego dell'anidride carbonica assorbita per le radici nella foto- shatesi clorofiliiana ‘. 0. 0 ie e Guido Vernoni - Della nessuna apparente azione dei raggi del ‘radio sulla ‘funzione del ‘cuore . ....\4W0t58010 è NOS II. RECENSIONI di Cesare Artom, Vincenzo Baldasseroni, Corrado Bonaventura, Augusto Béguinot, F. Plate, Osvaldo Polimanti: Gitologia; ‘ia » 414 Botanica, speciografia » 415 Botanica, varia . » 417 Zoologia » 418 Fisiologia » 420 { ( LI do, I } dea yi * Ù st AM A da Vi sai "utg | i) I DA do I FRI, i 4 ” / PAGO n) FI | Wi, SU ir Cap) POR ti 1 NU ia sibi II, | pi Di N a, Doubt not, go forward. (Tennyson, The Holy Grail). PREFAZIONE Le diverse discipline biologiche, classificate secondo gli oggetti e metodi di studio, e soprattutto per la esigenza dell’ insegna- mento, posseggono, ciascuna, caratteri particolari. Chi è nato ed ha vissuto dentro un laboratorio, o dentro molti laboratorî dello stesso nome, possiede un abito mentale che lo distingue dagli altri. I legami tra i cultori della stessa materia sono tanto più stretti di quelli colle materie differenti, che per lo più in ciascuno istituto si conosce perfettamente quello che si fa negli altri omo- nimi del nostro paese e nei più importanti dell’estero, mentre si ignora quasi del tutto ciò che si prepara e si compie nell’ istituto di etichetta diversa, col quale siamo — per abitazione — confi- nanti. Contro questa tendenza all isolamento entro la propria disciplina, si oppone il desiderio di spaziare in più vasti confini; ma non vha dubbio, che ciascuno di noi compie uno sforzo, nonostante tale desiderio, ad uscire dal suo piccolo nido; è da notare anzi, che, soprattutto nelle scienze sperimentali, la tendenza all’ isolamento intellettuale si accentua, per il fatto che il labo- ratorio costituisce in molti casi, col suo particolare indirizzo ed i suoi particolari mezzi tecnici, una limitazione ulteriore della disciplina che vi è studiata. Ciò senza dubbio è un bene, perchè permette l accumularsi delle esperienze di più persone verso la soluzione di determinati problemi e verso una determinata perfe- zione tecnica. Con questo giornale, che esce con un nome generale, di largo significato, scritto a grosse lettere, non vogliamo dunque certa- ente contrastare l utilità e la necessità della divisione del lavoro scientifico. Vogliamo però fare appello a quell’altra tendenza del nostro carattere, a quelle altre aspirazioni, che non sono cancel- late in noi dal bisogno e dal desiderio di specializzarci in un ramo di studî ed una tecnica. È un appello che facciamo insieme agli altri ed a noi stessi, giacchè, come ho detto, noi tutti sen- tiamo, di fronte al nostro piccolo nido, le stesse tendenze e lo stesso affetto. Questa confessione di uno sforzo, che noi pure facciamo, nell’uscire dal nostro nido, valga ad acquistarci la benevolenza Bios 1 del pubblico: noi non vogliamo insomma suggerire agli altri una fendenza nostra verso un ideale più largo. Vogliamo solo pren- dere materialmente la iniziativa di una rivista, nella quale questa tendenza — che in tutti esiste — possa trovare modo di manife- sftarsi ed esplicarsi. Ciò premesso, ecco il nostro programma. La rivista accoglierà scritti di qualunque ramo delle scienze biologiche; soprattutto desidera accogliere lavori originali con resultati nuovi; lavori, resultati, i quali possano in qualche modo interessare anche i biologi che non posseggono, dell'autore, la stessa etichetta. Tutto ciò che può avere un interesse generale, che può stabilire un collegamento tra due o più rami di studio, sarà bene accetto al nostro giornale. Saranno pure pubblicate recensioni critiche, riviste sintetiche, articoli di indole filosofico-biologico; questi ultimi, con una certa moderazione. Riguardo alle recensioni, esse non saranno proprio sunti dei lavori, ma piuttosto segnalazioni dei resultali fonda- mentali dei lavori medesimi, scelti, i lavori, ed i resultati, in maniera da dare un quadro ai lettori delle cose più importanti che si scoprono nelle scienze biologiche. Inoltre vi sarà una sezione destinata alle « Proposte e que- stioni »; questa è fatta più delle altre colla cooperazione del pubblico. Si pubblicheranno proposte atte ad organizzare studî collettivi, a proteggere o collegare istituti ed enti scientifici; ricerca e suggerimento di lavori sperimentali da compiere; que- stioni su argomenti biologici ecc. ecc. Queste proposte e questioni si attendono, come si è detto, dal pubblico; si capisce che anche la rivista medesima potrà qualche volta prendere, come chiunque altro del pubblico, delle sue proprie iniziative. Non possiamo specificare tutto ciò che si potrà richiedere od offrire per mezzo di questa rubrica; essa avrà un indirizzo molto largo, e servirà a quello a cui i lettori vorranno farla servire. Possiamo però portare, a guisa ai esempi, alcuni casi nei quali può venire utilizzata: Proposte di ordinamento di studî. Riordinamento o fonda- zione di Società. Proposte di congressi, riunioni ecc. . Lavori collettivi. Proposta di un lavoro collettivo, al quale possibilmente, il proponente prenda parte. Richiesta di uno o qualche collaboratore in rami diversi da quello del proponente. Quante volte, nel fare lavori di morfologia, si desidererebbe un collaboratore fisiologo o viceversa! E così tra fisiologia e patologia, e tra molti rami insieme. In questi casi può darsi che il proponente desideri il collaboratore perchè gli è necessario per andare avanti nella sua ricerca; oppure egli vede la questione da un lato, e può senza difficoltà andare avanti, ma suggerisce ad altri, che possiede altra tecnica ed altro indirizzo, una ricerca di indole diversa, da farsi sul medesimo soggetto. Si può insomma trattare di domanda o di offerta. Proposte di argomenti di studio, si possono fare per mezzo della rivista, anche indipendentemente dalla collaborazione e dal collegamento tra materie diverse. Chi ha molte idee e poco tempo, o non possiede il materiale e le circostanze adatte per le ricerche che vorrebbe fare, può avere piacere a pubblicare i suoi progetti. La rivista, se egli si dirigerà a lei per questo, gliene sarà grata. Anche richieste di argomenti di studio si possono fare per mezzo della rivista; queste potranno venir rivolte soprattutto da giovani ancora al principio della loro carriera, e che si trovino per circostanze speciali, privi di direzione. Insomma, tutte le proposte o richieste relative a lavori da compiere, rientrano nell’ambito della nostra rubrica. Vi sono poi quelle che più propriamente si possono chiamare « questioni »; sono informazioni desiderate sopra ad un deter- minato argomento od oggetto di studio; anche notizie di indole bibliografico difficili a trovarsi direttamente ecc. ecc. Anche qui grande larghezza e libertà di interpretazione. Vediamo ora come funziona, nella nostra rivista, questa sezione. Ci sono due modi con cui essa può funzionare: uno pubblico, l’altro privato. Il modo pubblico consiste nella pubbli- cazione pura e semplice della proposta e questione, attendendo per i numeri successivi la risposta o le risposte spontanee dei lettori. Non sarà però sempre il modo più proficuo, sebbene noi speriamo che il pubblico dei biologi si interessi a questo mezzo che gli offriamo per lo scambio delle idee e dei desiderî ed offerte. Il modo privato consiste nel ricercare risposte, inviando a determinate persone — magari designate dall'autore — le bozze o la nota già stampata; soprattutto per le proposte di larga organizzazione o per quelle che implichino un movimento notevole di idee, la rivista ricorrerà al modo privato; esso è subordinato, s'intende, al consentimento dell'Autore, che verrà di ciò richiesto al momento della correzione delle bozze. Una volta ottenute, coll’invio delle bozze ad altri, delle risposte o commenti, questi forneranno all'autore stesso, perchè egli abbia, se lo desidera, l’ultima parola, nella questione da lui stesso promossa; ed il tutto verrà pubblicato nello stesso fascicolo della rivista — natu- ralnente nei limiti di spazio disponibili. Così, per le proposte di lavori collettivi, la rivista cercherà di ottenere la adesione di qualche altro oltrechè del proponente, sì che la proposta, all'atto stesso della sua pubblicazione, acquisti maggior peso ed appaia più attuabile. Si capisce che tutto ciò è completamente internazionale ; anzi, la rivista sarà lieta se potrà contribuire, con questa sezione, al collegamento tra gli sperimentatori dei diversi paesi. Essendo pronta a pubblicare lavori — oltrechè in italiano — anche nelle altre lingue latine, in tedesco ed in inglese, la rivista si augura di avere a collaboratori anche biologi stranieri, i quali troveranno qui cordiale ospitalità. Un'ultima avvertenza dobbiamo fare, che si riferisce a questo primo fascicolo ; non da questo il pubblico può giudicare « l’ indi- rizzo » della rivista; esso è più vasto di quello che può essere l’indirizzo di un fascicolo. Anche per le « proposte e questioni », vàle, naturalmente, la stessa avvertenza. Così accennato, per sommi capi, al programma ed alle inten- zioni della rivista, non ci rimane altro che terminare, come le ballate medioevali, salutando il nostro fascicolo, che fa la sua comparsa nel mondo; e gli auguriamo di trovarlo propizio e be- nevolo, non nel senso di lodare l’opera nostra, ma solo in quello di aiutarla; e bene accette saranno a noi, anche le critiche ed i consigli. Noi saremo contenti se avremo potuto aiutare i bio- logi in quell’opera di affratellamento reciproco, verso cui, certo, tendono oggi gli sforzi di molti. LA DIREZIONE AnceLO RUFFINI — L’origine, la sede e ie differenziazioni del- l’Abbozzo del Sangue e dei Vasi sanguigni nel Blastoder- ma di Pollo — Nota preventiva. (Istituto di Istologia ed Embriologia gene- rale della R. Università di Bologna). Da qual luogo si origina l’Abbozzo del Sangue e dei Vasi? — Come il Sangue ed i Vasi si formano dal loro Ab- bozzo ? Ecco le due questioni comprese nell’arduo problema, alla cui soluzione vogliamo portare il nostro modesto contributo. Tutte le diverse opinioni esistenti intorno al primo quesito possono ridursi a tre, che fanno capo ad His, a KOELLIKER ed a RUECKERT. His fa derivare gli elementi formatori del Sangue e dei Vasi dal Keimwall (bourrelet germinatif, rempart vitellin, bourrelet entodermo-vitellin), che egli considera come fatto di vitello bianco, ossia di pretesi elementi nucleati del vitello bianco, che concorre- rebbero dunque alla formazione dei Vasi e del Sangue (Teoria del Parablasto od Emoblasto). KOELLIKER sostiene contro His che i Vasi ed il Sangue nascono dal foglietto mesodermico dell’area scura o vascolare e che il Keimwall non è aitro che una semplice dipendenza dell’entoderma. RUECKERT, specialmente nei suoi ultimi scritti, propugna idee conciliative, accettando in parte il modo di vedere di His ed in parte quello di KoELLIKER. Una delle sorgenti dell’abbozzo del Sangue e dei Vasi sarebbe quella parte del mesoderma dell’area vascolare che sta dietro l’ estremità posteriore della linea primi- tiva (« Mesoderma ventrale »); l’altra sorgente sarebbe senza dubbio il Vallo vitellino entodermico della regione latero-craniale della linea primitiva medesima. Anche gli scrittori più recenti (TUR, WEBER, SCHWANGART, GRAEPER, GREIL, HAHN, BACKMAN, ecc.) tanto dal lato anatomico, 6 A. Ruffini qnanto da quello sperimentale e quanto anche dallo studio delle malformazioni, si attengono all'uno od all’altro di questi tre modi di vedere. MaxIiMow e DANTSCHAKoFF fanno derivare il Sangue ed i Vasi da elementi mesenchimatosi indifferenti, simili ed equivalenti (1). La seconda questione è sempre stata per tutti la più ardua a risolvere. Qui esistono quasi tante opinioni quanti sono gli osservatori che ne hanno parlato. Però a me sembra che la grande maggioranza degli scrit- tori accetti ancora, nelle sue linee generali, la descrizione che ne ha data KOELLIKER. I primi rudimenti dei Vasi e del Sangue sono degli ammassi di cellule, a sezione arrotondata e funiforme, che costituiscono dei cordoni cellulari compatti, nel mesoderma del- l’area vascolare o scura (isole di WoLFF o isole di Sangue). In un secondo stadio della loro formazione questi cordoni pieni si vedono scavati da un canale irregolare; ed allora in essi è pos- sibile di distinguere: una parete, degli ammassi di cellule san- guigne ed un liquido che è il plasma sanguigno. Le pareti si individualizzano sempre maggiormente, le cellule che costitui- scono le isole del Sangue si vanno trasformando in globuli rossi, e staccandosi dalle pareti cadono nell'interno dei vasi, dove si mescolano col plasma limpido che vi si trova di già. Dunque l’area vascolare o scura diventa una parte importantissima, tanto più che in nessun altro punto del blastoderma, eccettuata la parte più posteriore dell’area trasparente, esiste la produzione dei globuli sanguigni. Questa descrizione fu variata da molti in rapporto special- mente al modo della formazione del canale o lume vasale, facen- dolo derivare o da penetrazione di liquido dai tessuti vicini, o da fenomeni di degenerazione degli elementi sanguigni, che con- tribuirebbero alla formazione del plasma; e fu anche variata in riguardo all'aumento del numero delle cellule sanguigne, e, spe- cialmente, alle trasformazioni che subiscono le primitive cellule sanguigne (eritroblasti, ematogoni) per diventare globuli definitivi del sangue (eritrociti). Nel breve articolo di WEBER (C. R. de l’Assoc. d. anat. 9° réun. 1907) trovo i seguenti passi, degni di essere ricordati. « Les portions de feuillet mésoblastique situées entre les ébauches L’origine del Sangue e dei Vasi sanguigni 7 sanguins ou vasculaires, les îlots de substance de His vont se cliver et s'organiser en deux feuillets minces, l'un somatopleural, l’autre splanchnopleural. Il y a continuité entre les deux feuillets, c’est-&-dire interruption dans le clivage du mésoderme au niveau de chaque îlot sanguin ou de chaque ébauche vasculaire. C’est de là que provient le cloisonnement bien connu de la cavité coelomique primitive. Cet aspect disparaîtra en grande partie pendant l’ évolution du germe par disparition successive des cloisons dans la région voisine de l’embryon. À la surface des gros îlots sanguins marginaux, les quelques cellules non diffé- renciées qui les récouvrent se multiplient et sont capables de donner naissance à une lamelle mésodermique qui se clive comme le reste du feuillet. Il y a donc de petites cavités coelomiques isolées à la surface de ces îlots marginaux; ces cavités sont limitées par des feuilletes somatopleuraux et splanchnopleuraux non continus avec le reste du mésoderme et qui ne s’y rattachent mes tardi 8 00 00, 0 0. sor MP, . . Ce serait là une nouvelle confirmation de ce fait que, pour évoluer chez l’embryon, le sang a besoin d'’ètre en rapport intime avec le vitellus ». Fin dal 1910 io avevo ottenuti i risultati che qui brevemente espongo e, che, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, non ho mai potuto pubblicare. Come ben si vedrà, questi miei risul- tati dissentono in molti punti dalle idee generalmente sostenute, ma è anche la prima volta — per quello che io sappia — che allo studio di questo argomento si contribuisca valendosi di una tecnica che permette di analizzare e di valutare accuratamente i fenomeni citologici e dinamici che stanno sulla base delle dispo- sizioni anatomiche. La stessa tecnica accurata mi ha condotto a conoscere esat- tamente la posizione che, in una epoca molto precoce deilo sviluppo, ha il territorio cellulare da cui dovrà svilupparsi il sangue ed i vasi sanguigni. Ciò che serve a portare non poca luce in uno dei punti più oscuri di questo intricatissimo ar- gomenio. L’abbozzo del Sangue e dei Vasi si può riconoscere già bene nei blastodermi di Pollo intorno alle 12 h. di incubazione. 8 A. Ruffini Riconoscibilissimo è quando la linea primitiva trovasi nella sua. piena manifestazione, nella fase di Notogenesi. Si trova alla periferia del mesoderma, nella regione postero- laterale del Blastoderma, dietro la linea primitiva. Forma uno strato tutto continuo tra l’area chiara e quella scura e nel suo insieme assume la forma di un ferro di cavallo con le due branche volte anteriormente e giungenti fino all’altezza del quarto anteriore circa della linea primitiva. Fino all’epoca della doccia midollare l’abbozzo del Sangue e dei Vasi ha un rapporto costante che deve fermare tutta la nostra attenzione: esso è strettamente aderente all’ectoderma. È composto di due o tre strati di elementi e per breve tratto, lungo la linea mediana ed immediatamente dietro alla linea primitiva, il numero degli strati cresce tanto ed in tal modo da conferire a questa breve porzione la forma di una carena. Gli elementi sono irregolarmente poliedrici e legati strettamente da ponti inter- cellulari; hanno un nucleo sferoidale ed un grande nucleolo, visibilissimo anche a debole ingrandimento; vi si osservano fre- quenti mitosi ed abbondanti granuli di tuorlo in via di digestione. Questi caratteri fanno riconoscere a colpo d’occhio il territorio del Sangue e dei Vasi dall’ Ectoderma sovrastante, dal Mesoderma posto sulla sua continuità e dall’ Entoderma sottostante. All’epoca della placca midollare circa, il germe del Sangue e dei Vasi abbandona la sua aderenza con l’ectoderma per andare a porsi in contatto intimo col sincizio entodermico sottostante; rapporto che manterrà fino alla sua completa evoluzione. In questa nuova sede l’abbozzo del Sangue e dei Vasi compie le sue differenziazioni, si nutre con maggiore facilità e può così accrescere il proprio materiale cellulare. Le prime differenziazioni che esso opera, possono essere meglio valutate e comprese qualora in precedenza si analizzino i fenomeni citologici e le funzioni che cooperano a determinare la formazione delle lamine laterali e della cavità celomatica nel tratto periferico del mesoderma dell’area chiara, di cui conosce- vamo la sola espressione anatomica, descrittaci per la prima volta da KOELLIKER. Durante l’avvenimento di queste formazioni noi abbiamo constatato due ordini di fatti importantissimi che si dimostrano tra loro legati come causa ad effetto. ‘060 X COI[IHA Ip IMUtIS ISOJSUIMI ODIUIAPO}UI OIZIONIS [Ep e}iooStz (IHOM\ IP 9JOSI) andues [ap ozzogge, 1] ‘p ‘DIJ - 016 X ‘©majdo;emos | euriddep ISIVUIMIV]OP è VIOUIMUOOUI ISVA 19P 9 aNSUES [PP 0ZZ0qQqe,]jop 2UNUIOI OLIOXLIX9) [EC “£ "DIJ - OSLI XK ‘0}S9} [9U ap}LIiosap OUOS 0[02JInU [PP IMOIZELIOJSV1} 2] ‘I[ELIPUOIONUI Qravdde 000)SIS9 £ 2 7 M9UMU JON ‘SANSASIP EHAVO MUAPIAd EP I}EpuUodIai9 O[[I}A 1P_IINUEIS OUVAI9SSO IS | ‘U [ON ‘O)USIUIPUEISUI 2}10} © EluI9posalu [ap amd ‘7 ‘DI J = 0L6 Xx "VUEIPALU COLI] E[ OSIAA Epaend eandi: El[op e}sop 2}1Ed è] ‘OIZIUI OUILICA ONS Je 2 LIMEUIO[II EHATI E][PP QUOIZEMIO} V| dA0P ‘CULIOPOSOUU IP ORUIL ‘I ‘914 A ISLA I iù IS" Seba va #2 ) j ai gi ra RT at rai A dad, . o s * di i x e pa sa % Ù a D. Di 5 : di % ì i, e L’origine del Sangue e dei Vasi sanguigni 11 1° Nel protoplasma degli elementi mesodermici, i quali sono riuniti per mezzo di ponti intercellulari, si osserva chiaramente la presenza di un apparato mitocondriale a forma di granuli sparsi e giammai di filamenti granulari. I nuclei di queste cellule, come pure di quelle dell’ectoderma, possiedono un nucleolo (raramente due) molto voluminoso, di forma irregolarmente ovoidale o sferoidale, che si colora intensamente con l’ematossilina ferrica. Lasciando da parte la questione se qui trattasi di un vero o di un falso nucleolo (questione che verrà discussa nel lavoro completo) l’analisi accu- rata ci ha dimostrato che esiste una chiara relazione tra la gran- dezza e la forma del nucleolo e l’esistenza o no nel protoplasma dell’apparato mitocondriale. a) Si osservano cellule senza apparato mitocondriale, con un grande nucleolo, oppure con un grande nu- cleolo insieme con uno, due o più granuli, colorati in nero, nel ca- rioplasma (Fig. 2, n. 1). Non possiamo dire se debba o no ascriversi al caso il fatto che le cellule le quali si trovano in questo stato contengono nel protoplasma granuli di Vitello in via di dige- stione. Se il rapporto osservato non fosse attribuibile ad una mera casualità, potremmo pensare che in questo momento la cellula assuma nutrimento per ricomporre specialmente le sostanze del nucleolo (stato anabolico) per poter dipoi riattivare il suo ciclo funzionale (stato catabolico). 5) Cellule con apparato mitocon- driale mediocremente abbondante, con un nucleolo meno grande dell’ordinario e con uno, due o più granuli, colorati in nero, nel ca- rioplasma (Fig. 2, n. 2). c) Cellule con apparato mitocondriale ab- bondantissimo, senza nucleolo, ma con molti granuli, colorati in nero, nel carioplasma (Fig. 2, n. 3). Il protoplasma è di colore violaceo, perchè consuetudinariamente trattiene con tenacia il colore della Ematossilina ferrica ed assume poco il colore dell’ Eosina rossa. La protratta scolorazione in allume ferrico rende visibile la sola parte acidofila della cromatina nucleare. È facile distinguere nel protoplasma i granuli mitocondriali dai granuli del tuorlo, perchè questi sono sempre circondati dalla così detta cavità digestiva o vacuolo alimentare. 2° Tra le singole cellule sono comparse numerose e minuscole cavità sferoidali, di varia grandezza, ripiene di liquido, limitate e contornate dal corpo e dai prolungamenti delle cel- lule stellate. Le cavità sono piccole e numerose in quel tratto dai Si P 12 i To A. Ruffini ZU . del mesoderma che trovasi accanto alla porzione dalla quale si differenzierà il tratto o pezzo intermedio, mentre vanno diven- tando progressivamente più grandi, più allungate e meno nume- rose verso la periferia (Fig. 1). Nel tratto periferico le cavità più larghe ed irregolarmente ovoidali hanno dato già luogo alle caratie- ristiche formazioni descritte da KOELLIKER, che assumono la par- venza di sezioni trasversali di vasi, posti in serie lineare continua. AI di là ancora di quest’ultimo tratto si trova l’abbozzo del Sangue e dei Vasi. Questi fatti ci hanno condotto a vedere quali sono le energie che cooperano nella trasformazione di un territorio cellulare polistratificato e continuo, in una serie di formazioni armoniche, dalle quali poi derivano le lamine laterali e la cavità celomatica. Le energie iniziali che determinano tutti i fenomeni che stiamo analizzando risiedono nelle cellule. Senza dubbio alcuno esse dimostrano di trovarsi in uno stato di grande attività secretoria. La presenza dell’apparato mitocondriale; le trasformazioni cui va incontro il grande nucleolo in rapporto alla presenza o meno dell'apparato mitocondriale medesimo, durante le quali trasforma- zioni la sostanza nucleolare si scompone e si ricompone con vicenda continua; la basofilia del citoplasma che dipende dalla diffusione delle sostanze che ora prevalgono nella costituzione del nucleolo e dalla vivida ossidazione che contribuisce a svi- luppare proprietà basofile; insomma, le chiare relazioni nucleo- plasmatiche che in questo momento si dimostrano vive ed attive, stanno a dimostrarci luminosamente che le cellule sono la fonte da cui sgorgano quei prodotti che alla loro volta sono capaci di manifestare delle attività, indispensabili per lo sviluppo. Dove: e sotto qual forma si trova il prodotto della attività cellulare? Lo abbiamo già veduto: tra le singole cellule sono comparse numerose e minuscole cavifà sferoidali, di varia grandezza, ripiene di liquido, limitate e contornate dal corpo e dai prolungamenti delle cellule stellate. Questo liquido conchiuso tra gli elementi cellulari i quali lo elaborano continuamente e che quindi continuamente cresce di quantità, non può rimanere indifferente ed inerte. E difatti tale non rimane. Andando dal centro verso la periferia, dove il pro- cesso di differenziazione va gradatamente completandosi, noi da - L’origine del Sangue e dei Vasi sanguigni 13 abbiamo osservato che le descritte cavità piene di liquido vanno ingrandendosi e diventando allungate in senso parallelo alla superficie. Come ciò avvenga è facile dedurre dai fatti: la pres- sione idraulica esercitata dal liquido sulle pareti che lo conchiu- dono (pareti risultanti dallo stretto collegamento esistente tra i singoli elementi) fa sì che queste pareti vengano distese ed allar- gate nel senso della minore resistenza. Ma la distensione delle pareti qui non si opera come in una membrana elastica ; l’osser- vazione accurata dimostra invece che gli elementi vengono strap- pati dalle loro connessioni reciproche nel modo seguente: le piccole cavità sferoidali allorchè hanno raggiunta una certa gran- dezza si trovano molto vicine le une alle altre: esse sono tra loro divise dai corpi e dai prolungamenti delle cellule, che for- mano come setti interposti tra le singole cavità. La pressione idraulica gradualmente crescente, che si esercita da due o più parti, allontana le cellule, i cui prolungamenti dapprima stirati finiscono per essere strappati, e così due o più cavità si fondono in una sola di grandezza maggiore. I prolungamenti strappati si ricompongono, in parte od in tutto, nella propria cellula. Questo processo si ripeterà un certo numero di volte, fino a che si formeranno le cavità poste in serie lineari, quali furono de- scritte da KOFLLIKFR. L’avvenimento finale, cioè la formazione di un’unica ed estesa cavità del celoma, limitata da due lamine cellulari continue, avviene per mezzo di un processo simile. In ogni blastoderma è facile di sorprendere qualcuno degli avveni- menti finali, perchè si compiono con una certa lentezza. Gene- ralmente due grandi cavità contigue sono separate da due linee protoplasmatiche, le quali non sono altro che i prolungamenti intercellulari delle cellule parietali fortemente stirati dalla pressione idrostatica del liquido contenuto nell'interno delle cavità. Sotto la continua e crescente azione della pressione idraulica questi prolungamenti stirati ben presto diventano evanescenti e sottili. Finalmente vengono strappati ed allora ognuno di essi va gra- dualmente ricomponendosi nella propria cellula. Notevole è il fatto che anche gli elementi che costituiscono le pareti delle grandi cavità, durante il tempo in cui si operano le trasforma- zioni descritte, mostrano un evidente apparato mitocondriale: segno di una attività secretoria sempre viva. Il secreto che con-. 14 A. Ruffini tinuamente fluisce dentro il liquido delle cavità, trasporta in esso | delle sostanze osmoticamente attive, le quali o ne aumentano gradatamente la concentrazione molecolare oppure, il che sembra più probabile, la mantengono costantemente superiore alla con- centrazione molecolare dei liquidi circostanti. In ogni modo è certo che qui si stabiliscono delle condizioni osmotiche tali per cui una quantità sempre maggiore di acqua viene richiamata per diffusione nell’interno delle cavità. Così noi abbiamo potuto obbiettivamente analizzare e valu- tare, dal principio alla fine, tutte le evenienze anatomiche che dipendono dalla pressione idrostatica del liquido contenuto tanto nelle piccole quanto nelle grandi cavità poste in serie lineare. La secrezione, l’osmosi e la pressione idrostatica, sono dunque le energie che cooperano a trasformare un territorio cellulare polistratificato e continuo in una serie di formazioni armoniche, dalle quali finalmente derivano la somato-, la splancnopleura e la cavità celomatica. È molto importante di aver riconosciuto e dimostrato che anche in queste formazioni intervengono molte delle energie che io già riconobbi e dimostrai intervenire nella formazione della Gastrula, del Nevrasse, della Lente cristallina, della Otociste ecc. Le indiscutibili documentazioni che io già da molto tempo ho raccolte per dimostrare esatte le mie prime affer- mazioni, valgono anche per dimostrare giuste le conclusioni qui sopra brevemente riferite. Ciò premesso ritorniamo a studiare le differenziazioni del- l’abbozzo del Sangue e dei Vasi. Appena che questo abbozzo ha abbandonato, come abbiamo veduto, il suo rapporto primitivo con l’ectoderma e si è portato a contatto col sincizio entodermico, col quale contrae rapporti di assoluta intimità per mezzo di molteplici ponti intercellulari, incomincia a manifestare le sue prime differenziazioni, che sono di una importanza fondamentale per lo studio di tutto l'argomento. Su tutta la superficie del germe del Sangue e dei Vasi che guarda verso l’ectoderma ed in molteplici punti, posti quasi ad eguale distanza, del suo spessore totale, si inizia un processo di delaminazione, per il quale si vanno gradatamente individualiz- zando in superficie ed in profondità, elementi di forma o affu- sata o piramidale, i quali fin da questo momento sono disposti L’origine del Sangue e dei Vasi sanguigni 15 in linea, formando una lamina, e rimangono concatenati per mezzo di evidenti ponti intercellulari. Tanto dal punto di vista che ci occupa, quanto, e più spe- cialmente, da un punto di vista generale, mi pare molto impor- tante che io abbia potuto vedere come avviene l’accennato pro- cesso di delaminazione. Sorpreso nel momento in cui esso si inizia, mi fu facile di poterne seguire tutta la evoluzione. Le cellule delaminate diventano riconoscibili solo allorchè sono circondate da una certa quantità di liquido che si raduna tra esse ed il territorio da cui si vanno distaccando. In questo momento il liquido pone in chiara evidenza i ponti intercellulari, che prima d’ora non erano discernibili. Le cellule delaminate possiedono l'apparato mitocondriale, sotto forma di granuli sparsi, un grande nucleolo colorato in nero dalla ematossilina ferrica ed il protoplasma di colore violaceo: questo ha trattenuto anche qui il colore della ematossilina ferrica (Fig. 3). Nei punti dove il processo è alquanto più avanzato si 0s- serva già che dalla massa comune dell’abbozzo del Sangue e dei Vasi si è delaminata, con lo stesso procedimento, una seconda lamina interna, la quale è connessa, a brevi intervalli, da ponti protoplasmatici tanto alla prima lamina esterna quanto al territorio cellulare da cui anch’essa si è di fresco delaminata. Essa pure si è delaminata in superficie ed in profondità, tanto che lo spazio che separa due tratti contigui del territorio del Sangue è ora aumentato; e questo appare come tagliato in pezzi, che sulla sezione si presentano di figura ovoidale. I fenomeni citologici dianzi ricordati permangono tuttora immutati. Subito dopo che le due lamine esterna ed interna si sono bene individualizzate, compaiono tra esse delle cavità poste in serie lineare. Queste cavità si sono generate negli intervalli posti tra le connessioni cellulari, che abbiamo veduto esistere fin dal- l’inizio tra le due lamine. Gli elementi delle lamine e quelli superficiali del territorio del Sangue presentano sempre bene evidenti i fenomeni citologici che già conosciamo. Le due lamine esterna ed interna essendosi poste fin dal- l’inizio in connessione diretta rispettivamente con la somato- e con la splancnopleura dell’area chiara, deduciamo che le mede- sime, formatesi per delaminazione del territorio comune del 16 A. Ruffini Sangue e dei Vasi, non sono altro che la somato- e la splan- cnopleura dell’area scura. ; Per un certo tempo non avvengono cambiamenti molto pro- fondi nella disposizione delle diverse parti. Le cavità poste in serie lineare si vanno allargando sempre di più ed in conse- guenza i pezzi del territorio del Sangue si allontano sempre maggiormente l’uno dall’ altro. Però è degno di nota il rapporto che esiste tra le due parti. Ogni pezzo del territorio del Sangue è situato nell’angolo che risulta dall’accostamento di due cavità seriate; di modo che ognuno di questi pezzi rimane circondato da un lato dalle pareti di due cavità contigue (splancnopleura) e dall’altro lato dal sincizio entodermico. Mentre fino ad ora le pareti di due cavità contigue, o splan- cnopleura, si erano tenute alquanto discoste dalla superficie di un pezzo del territorio del Sangue, ora gli si addossano e manife- stano una chiara tendenza ad avvolgerlo. Il pezzo sanguigno che a sua volta era rimasto finora aderentissimo al sincizio ento- dermico, perchè connessovi da ponti protoplasmatici, incomincia ad allontanarsene. A questo punto nelle mie serie esiste un salto: non possiedo fasi di sviluppo in cui si possa assistere all’ avvolgimento gra- duale del pezzo del sangue da parte della splancnopleura; ne possiedo solamente di quelle dove l’ avvolgimento è già avve- nuto. Io credo che l’avvolgimento completo debba avvenire in brevissimo tempo, perchè la differenza di età esistente tra i bla- stodermi da me esaminati era di 4-6 ore. Una numerosa raccolta di blastodermi, prelevati di due in due ore, non mi fu ancora possibile di poter studiare. Ad ogni modo è importante di vedere per ora come sono disposte le parti in un vaso appena formato. Il vaso consta già di una parete doppia. La parete esterna è fatta da un solo ordine di cellule basse, poste ad una certa distanza e riunite da sottilissime lamine pro- toplasmatiche, che in sezione appaiono filiformi. Il nucleo è ovoidale e contiene o uno o due grandi nucleoli, colorati in nero dall’ ematossilina ferrica. Questa parete non avvolge sempre tutto il vaso: in alcuni punti già lo avvolge completamente ed in altri no. Però in ogni caso essa mantiene ancora intatta la L’origine del Sangue e dei Vasi sanguigni 17 sua continuità; ossia dopo aver circondato la superficie esterna di un vaso, si avvalla verso il sincizio entodermico e poi poco dopo si risolleva per avvolgere la superficie esterna di un altro vaso vicino e così di seguito. Data adunque questa sua confi- gurazione e tenuto conto delle disposizioni precedenti, noi rico- nosciamo facilmente che questa parete esterna del vaso non è altro che la splancnopleura. La somatopleura trovasi accostata all’ ectoderma. La parete interna ha la medesima struttura di quella esterna, ma è continua e situata a brevissima distanza dalla prima. Non è difficile di osservare qua e là dei ponti protoplasmatici che legano gli elementi delle due pareti. Il lume del vaso sanguigno è molto ampio ed è occupato in massima parte dal plasma ed in minor parte dal pezzo del territorio del Sangue che fu circondato dalla splancnopleura. Questo si trova quasi costantemente verso il centro del lume del vaso ed i suoi elementi hanno configurazione e rapporto caratteristici. Gli elementi (ematogonî) sono irregolarmente poliedrici e possiedono un nucleo sferoidale, dentro al quale si osservano uno o due grandi nucleoli, colorati in nero dalla ematossilina ferrica. Gli ematogonî non sono più così stettamente accostati, come lo erano quando ancora le pareti del vaso non li aveva circondati; tra loro incominciano ora a farsi manifesti degli spazii abbastanza larghi, attraversati da evidentissimi e numerosi ponti intercellulari. È molto importante anche di constatare che la massa ematogo- niale, la quale in sezione si mostra come una striscia più o meno larga, tuttora aderisca tenacemente in due o più punti alla parete interna del proprio vaso. Sono gli ematogoni periferici che si trovano legati per mezzo di vaste connessioni protoplasmatiche con gli elementi della parete interna del vaso. Questa connessione degli ematogoni tra loro e degli ema- togonî periferici con la parete interna del vaso, ci spiega come le prime pulsazioni del cuore facciano circolare il solo plasma e non gli elementi del sangue. I vasi dell’area chiara, in questo stesso momento, presen- tano la medesima disposizione e la stessa struttura di quelli dell’area scura. L’unica differenza sta in ciò, che i vasi dell’area chiara non contengono ematogonî. 18 A. Ruffini Resta a provare una asserzione da noi fatta in principio di questa nota. Dicemmo come l’abbozzo del Sangue e dei Vasi, dopo di aver abbandonato il suo primitivo rapporto con l’ectoderma, si porta in contatto intimo col sincizio entodermico, dove compie le sue differenziazioni, si nutre con maggiore faci- lità e può così accrescere il proprio materiale cellulare. L’ asser- zione è desunta dai fatti seguenti. Il germe del Sangue e dei Vasi nell'epoca in cui cambia rapporto è rappresentato da un territorio non molto vasto nè troppo ricco di elementi. Da questo momento in poi con ritmo progressivo e rapido si espande in dietro, ai lati ed in avanti e si arricchisce di un gran numero di cellule; nel suo seno si osservano frequentissime figure cariocinetiche e dentro al protoplasma dei suoi elementi è contenuta una grande quantità di sfere e di sferule vitelline. Su preparati fatti con molta accuratezza si può facilmente sorprendere un momento in cui dal sincizio entodermico vengano riceduti abbondanti gra- nuli di deutopiasma alle cellule del territorio del Sangue e dei Vasi (Fig. 4). Il quale avvenimento è reso possibile dalle vaste e dirette comunicazioni protoplasmatiche esistenti tra i due territori sinciziali. E questo spiega la tenacia con la quale i pezzi del germe del Sangue rimangono attaccati alla sorgente della vita, al sin- cizio entodermico, fino all’ ultimo istante, in cui la splancuopleura rapidamente li avvolge per formare intorno ad essi gli abbozzi delle pareti vasali. CONCLUSIONS. 1. Le sang et les vaisseaux sanguins se dévéloppent d’un territoire cellulaire commun. Ce territoire est indépendant; à l’époque de la ligne primitive, il se trouve en continuité avec le mésoderme, dans la région postéro-latérale du blastoderme. 2. L’ébauche du sang et des vaisseaux sanguins est d’abord réuni à l’ectoderme; mais presqu’au temps de la gouttière médul- laire, il change ses rapports: il va s’attacher à la surface externe du syncitium entodermique. 3. La masse cellulaire commune s’accroit d’abord rapide- ment, par une prolifération très active de ses éléments; àprés elle se divise en deux portions différentes: une plus mince, L’origine del Sangue e dei Vasi sanguigni 19 externe, du coté de l’ectoderme; l’autre, plus épaisse, interne, qui adhère au syncitium entodermique. 4. Le sang (hématogonies) se forme dans la partie plus épaisse, interne. 5. De la portion plus mince, externe, par un procédé de délamination, se différencient, en surface et en profondité, la somatopleure et la splanchnopleure de l’aire opaque aussi bien que la cavité du coelome, comprise entre elles. 6. Les vaisseaux sanguins se forment seulement de la splan- chnopleure. T. Touts les procédés de délamination quon observe dans ces phènomènes, sont dus à la coopération de plusieurs énergies : la sécrétion cellulaire, losmose, et la pression hydrostatique. Nous avons déjà démontré que ces mémes énergies, associées avec l’améboidisme, coopèrent à la formation de la Gastrula, du Cristallin, de-la Vésicule auditive et de l’Amnios. ni. DI A, Vaia ivo 4) “Rule al Sl aa og PaoLO ENRIQUES e JULES ZWEIBAUM. Sul pigmento nel sistema ner- voso degli Invertebrati e le sue modificazioni sperimentali. INDICE: fglalnadazioneS= fo. e iicaiemieee ata H-XInfigeaza::dell’'età . . > Att DL EM OTT ERO Me | III. Il pigmento nelle condizioni ani e nre ren IVI IV. Esperimenti sul Sipunculus: 1°. Metodo e decorso degli esperimenti in generale. . . . » 25 2°. Effetti dell'anidride carbonica in generale . . .... » 26 Sissbbescrizione istologica del 'piemento. ._. .. . .. . 0» 27 4°, Origine del pigmento gangliare . . . > 30 5°. Distribuzione del RencEO nel ganglio, sce stadî Suc- cessivili Anti nnt Ania 1399 6°. Effetti Assisi rita art srt Ses dal lr ntepoltriagi ties ione anteriore ventrale dello stesso ganglio. x 200. 4 ore in CO?), sezioni a diversi livelli Fic. 15. Particolare dalla reg 14. Ganglio di animale asfittico (c. indietro. x 80 - Fic. 10 all’ 30 P. Enriques e J. Zweibaum della regione mediana (Fig. 13 e 14). Qui sono misti ai grandi sincizî che si trovano pure in tale regione abbondanti. Però è da notare, come impressione generale, che i piccoli elementi si portano maggiormente verso il centro del ganglio. Questa distribuzione resulta dal primo esame delle sezioni; ma il loro studio accurato in serie dimostra però anche, che le. due regioni sono collegate. Infatti, osservando la Fig. 14, si vede che nella regione media del ganglio, finite ormai le commessure, che si vedevano nelle sezioni precedenti, vi sono ancora i pic- coli elementi pigmentati; e qualcuno anche ve ne è nella regione più ventrale del ganglio, che è naturalmente in continuità colla regione analoga delle figure precedenti (13 e 12). Concludendo, si vede che esistono grandi masse pigmen- tarie soprattutto nelle regioni periferiche; piccoli sincizî e leucociti singoli, pigmentati s'intende, si trovano anche nelle parti più interne, ed in generale in tutte quelle regioni in cui esistono cellule gangliari del 3° e 2° tipo di METALNIKow (cioè massima e media grandezza). Mancano invece tra mezzo ai cumuli di cellule del 1° tipo, ossia di quelle piccole cellule gangliari che si trovano soprattutto agli estremi delle commessure. A maggiore schiarimento aggiungiamo che le cellule del 3° tipo si trovano abbondanti nella regione posteriore del ganglio, e sono quindi ben visibili nella Fig. 14. 4° - Origine del pigmento gangliare. Oltre ad avere studiato il pigmento nel ganglio, abbiamo fatto qualche osservazione anche su quello che si trova in altre parti, connesse per continuità col ganglio medesimo. Come è noto, si trova in rapporto col ganglio, un canale detto « canale dell'organo di senso »; esso si apre in avanti alla base dei ten- tacoli, e si estende indietro in una cavità alquanto complicata, che è visibile p. e. nelle nostre Fig. 11, 5 ecc. La parete ‘di questa cavità è irregolarmente piegata nei pezzi fissati, e con- tiene una quantità enorme di pigmento, negli animali asfittici. Invece negli animali che sono stati in O? il pigmento è, anche in tale regione, molto scarso. La quantità enorme di pigmento che si trova nel ganglio e nei dintorni, negli animali asfittici, SESTA = Fic. 16. Ganglio di animale asfittico. Parte compresa tra le due grandi commessure. x 200 - Fic. 17. Parte ventrale, nella regione posteriore di un ganglio asfittico. x 200 - Fic. 18. Ganglio di animale rimasto 4h in 02. X 80 - Fic. 19. Grande massa sinciziale pigmentata dello stesso. X 200 - Fic. 20. Sincizio pigmentato di un ganglio, al principio dell’azione deli’ossigeno. x 200 - Fr. 21. Massa sinciziale simile alla Fig. 19, da un altro ganglio. x 209. 32 P. Enriques e J. Zweibaum rende senz’ altro evidente che questo pigmento proviene da altre parti; non è possibile infatti che esso si sia formato, in tale quantità, nel corso di poche ore; tanto più che nel ganglio normale non si trovano neppure leucociti privi di pigmento, ai quali attribuire la origine dei grandiosi sincizî. Per lo studio della origine del pigmento gangliare, richia- miamo l’attenzione in primo luogo sulla Fig. 6. Si vede in questa un grande accumulo di pigmento, nella regione esterna del ganglio; la struttura è assai caratteristica. Mentre che le grandi masse della Fig. 15 resultano di molte cellule completamente fuse tra loro, ciò si osserva solo in parte nella Fig. 6. Vi sono dei leucociti pigmentati, singoli; vi sono dei piccoli sincizî posti l’uno accanto all’altro, ma non fusi; anche nella parte più grande della massa, si può constatare la composizione in parti piccole, unicellulari o pluricellulari. Dunque, evidentemente si tratta di un sincizio in formazione o in scomposizione; questa seconda pos- sibilità resulta esclusa da varie ragioni: 1°, che negli stadî suc- cessivi si notano grandi masse periferiche, ma più fuse. 2°, che negli stadî precedenti (animali normali) simili grandi masse non esistono nè nel ganglio, nè nelle parti vicine al ganglio. Cosicchè si deve concludere trattarsi di sincizî che si formano per riunione di leucociti pigmentati singoli o di piccoli sincizî preesistenti; si tratta cioè, più propriamente, di « plasmodî ». Accade qui quanto si osserva anche nella striscia pigmentata del vaso dorsale, dove pure si formano grandi masse per riunione di piccoli elementi. Si vedano p. e. le Fig. 6-8 della tavola di quel lavoro, già citato, sui corpi pigmentati del Sipunculus. Non si vedono invece nel ganglio, stadî di formazione del pigmento entro leucociti, quali si osservano nella striscia pig- mentata; nel ganglio anche il leucocita con un solo nucleo, ha tutto il corpo ripieno di pigmento, più o meno suddiviso in gra- nulazioni. Ciò concorda con quanto abbiamo detto prima, che negli stadî precedenti, non ci sono nel ganglio leucociti ai quali si possa attribuire la formazione del pigmento. Sempre nella Fig. 6, la parte più ventrale della zona esterna del ganglio, è occupata soltanto da piccoli elementi; questi si trovano anche al di fuori del ganglio, ventralmente, seguendo le sue connessioni col resto del corpo. Tale fatto si verifica anche Sul pigmento del sistema nervoso 33 in molti altri casi, come si può vedere nelle Fig. 5, 10, 11, 2. Ora è necessario un breve ricordo anatomico. Il ganglio si appoggia sulla parete dorsale del vaso dorsale; ciò si vede nella Fig. 14; nelle figure che rappresentano la parte più anteriore del ganglio, la cavità con cui esso è ventralmente a contatto, è la cavità del canale dell'organo di senso, come si vede p. e. nella Fig. 10, 11; la parete ventrale di questa cavità è senz’ altro la parete dorsale del vaso dorsale medesimo; dunque i gruppi pigmentati più ventrali della Fig. 14, sono proprio nella parete dorsale del vaso dorsale suddetto. Siamo qui, per quanto si riferisce al vaso dorsale, in una regione molto anteriore a quella dove è situato il gran deposito di pigmento (striscia pigmentata); ma sappiamo anche che questa striscia non è isolata; al contrario c'è del pigmento sparso anche nelle regioni più anteriori, del vaso stesso, nonchè in altre parti del corpo. Abbiamo con questo dimostrata la continuità del pigmento del ganglio con quello della striscia pigmentata, che è anche — per le ricerche precedenti — luogo della sua formazione. Resulta insomma che l’asfissia determina un trasporto di pigmento al ganglio, dal di fuori, verosimilmente dalla striscia pigmentata medesima, o regioni limitrofe; che questo trasporto avviene per mezzo di piccoli elementi (cellule isolate o piccoli sincizî), i quali si riuniscono in grandi masse nella regione peri- ferica del ganglio. 5° - Distribuzione del pigmento nel ganglio, negli stadî successivi. Nel caso della Fig. 6, non vi è una grande quantità di pigmento diffuso nelle parti centrali del ganglio; invece questo si verifica in altri gangli; l'aspetto della Fig. 6 non si ha mai dopo 5-6 ore di soggiorno in anidride; in questo tempo, quando vi è molto pigmento, esso è più sparso; cosicchè possiamo con- siderare come stadio successivo, questa condizione di maggiore spargimento; però, riguardo alle Fig. 10 e seguenti (3 ore in CO”), naturalmente non possiamo indovinare se tutto il processo di arrivo e distribuzione del pigmento sia accaduto qui un poco più celermente, oppure se sia stato soppresso lo stadio dell'accumulo 34 P. Enriques e J. Zweibaum periferico, corrispondente alla Fig. 6. In ogni modo resta stabilito che quella distribuzione non è definitiva, ma poi si formano sempre delle masse pigmentate assai più distribuite, e di varia grandezza. Ricordiamo ancora una volta i piccoli elementi della Fig. 16 e 13; naturalmente non c’è scritto dentro a ciascun pic- colo elemento la sua storia precedente, ossia se esso è arrivato così dalla striscia pigmentata, oppure se si è formato dalla divi- sione di una massa più grande. Una differenza istologica si osserva tra alcuni di questi piccoli elementi e le masse più grandi; i piccoli elementi hanno spesso il pigmento leggermente colorabile colla fucsina. Esso è talora composto, in un elemento, di pochi granuli grossi, od anche di uno solo; oppure di piccoli e numerosi granuli. Nelle condizioni della Fig. 13 e 16, cioè dopo parecchie ore di ani- dride — pigmento assai distribuito — i piccoli elementi in que- stione hanno sempre il pigmento colorabile; esso non è invece mai colorabile nelle grandi masse, nè nei piccoli elementi dello stadio iniziale (Fig. 6); anche in altre condizioni — ossigeno ecc. — i piccoli elementi non sono colorabili. Non possiamo però attribuire importanza a tale colorabilità nel senso di affermare la esistenza di due categorie distinte di elementi pigmentati; poichè si osservano anche elementi non del tutto piccoli, ma nemmeno molto grandi, i quali si. colorano leggermente, o quasi punto colla fucsina. Probabilmente si tratta dunque di modificazioni subìte ir situ dal pigmento. Inoltre è caratteristica la forma degli elementi, grandi o piccoli che siano, in particolari regioni. Nella parte ventrale del ganglio si possono trovare grandi masse arrotondate, proprio periferiche (Fig. 17); ma quelle che sono intromesse tra le cellule gangliari, hanno forma allungata — anche molto allungata —, in modo da possedere i singoli granuli di pigmento in una fila; la Fig. 17 dimostra tale disposizione per gli elementi più piccoli, e la Fig. 15 per quelli più grandi. Al contrario, tra le due commessure gli elementi pigmentati sono irregolarmente arrotondati od ovali. Tali differenze dipendono evidentemente dalla forma degli interstizî tra le cellule gangliari e le fibre, che nella regione ventrale sono disposte parallelamente, ed invece tra le due commessure, in maniera più intricata. e Sul pigmento del sistema nervoso 35 Negli ultimi tempi dell’ asfissia, spariscono prima i piccoli elementi a pigmento colorabile colla fucsina; e diminuiscono molto le più grandi masse, che hanno qui un aspetto anche leggermente diverso: i loro granuli sono molto minuti, e il loro colore è leggermente più bruno. Infine, quando l’asfissia giunge al punto di uccidere l’ ani- male, ed anche un poco prima, si ha sparizione completa del pigmento; ciò si osserva anche negli animali morti per esser stati conservati troppo a lungo in una piccola quantità di acqua non rinnovata, nè aereata. Che cosa accade di queste masse che spariscono? Non si vedono più nemmeno i leucociti che le costituivano; non pos- siamo decidere se esse si distruggono completamente, o se sono di nuovo portate via. 6° - Effetti dell’ossigeno. AI contrario dell’ anidride carbonica, l'ossigeno fa subito diminuire il pigmento gangliare, fino a farlo sparire. Questo fatto avviene con particolari modalità. Due caratteristiche notevoli vogliamo innanzi tutto ricordare. 1. Concentrazione del pigmento in grandi masse sinciziali, che occupano una posizione diversa da quella solita del pigmento stesso. Non si ha più qui la distribuzione periferica; al contrario la massima parte del pigmento è riunita in due sole masse sim- metriche, che occupano una posizione precisa e costante nel ganglio. Esse si trovano nella parte anteriore del ganglio, e pre- cisamente a livello delle fossette dell'organo di senso, all’ interno di queste, un poco dunque avanti al principio delle grandi com- messure cerebrali. Ciò è visibile chiaramente nella Fig. 18, 19. La grandezza di tali masse varia, e quando esse sono più ridotte, si nota maggiormente la loro forma allungata (Fig. 21). Al mas- simo sviluppo si vedono nella Fig. 10. Tale disposizione è asso- lutamente caratteristica dell’ ossigeno, nel senso che non si trova in altre condizioni. Oltre a queste grandi masse, si può trovare anche qualche altro piccolo sincizio, situato alla periferia del ganglio, soprattutto nella parte ventrale, verso il piano mediano. Si veda p. e. la Fig. 20. 36 P. Enriques e J. Zweibaum i % Ma si tratta sempre di quantità molto piccoli che nulla hanno a che fare con quelle degli animali asfittici. In parecchi animali inoltre, non si osserva più affatto pig- mento nel ganglio; non esistono le grandi masse su descritte, nè altri elementi pigmentati. 2. Aspetto del pigmento, molto cambiato dalle condizioni normali od asfittiche. La colorazione diventa molto più pallida, e appena rimane visibile il pigmento per una tinta giallo-citrina molto chiara. Solamente nelle masse grandi molto allungate, si nota, oltre alla colorazione generale pallidissima, qualche granulo grosso, molto scuro (in nero nella Fig. 21). La struttura, oltre al colore, è pure caratteristica, in quanto DS il pigmento è per lo più ridotto in granuli minutissimi. Non vi è alcun dato per supporre un trasporto di pigmento verso il ganglio in queste condizioni, cosicchè si deve ritenere che le grandi masse su citate — quando esistono — siano date dalla riunione del pigmento che si trovava nel ganglio all’ inizio dell’ esperimento. V. - RICERCHE SUI PROSOBRANCHI. Come abbiamo detto nella introduzione, non abbiamo avuto resultati notevoli su questi animali, a causa dello scarso numero di individui che sono stati a nostra disposizione, per ciascuna specie. Abbiamo trovato il pigmento in una specie di Cerithium, Trochus turbinatus, Cassidaria echinophora, Tritonium sp. Dapper- tutto il pigmento si trova tanto nelle cellule gangliari, quanto al di fuori, entro sincizî o leucociti singoli. Nelle diverse specie ha aspetti un poco differenti per tonalità di tinta e per struttura più o meno minuta; ma i caratteri sono uguali per quello delle cellule gangliari e quello esterno ad esse. Richiamiamo soprattutto l’attenzione sul genere 7yrifonium, per la grande quantità di pigmento che si trova nei gangli; in molte regioni le cellule gangliari sono completamente immerse in grandi zone piene di pigmento. Questo si osserva tanto nel Tritonium che abbiamo ora studiato, quanto nel 7. nodiferum, la più grande specie del genere, di cui già MoGLIA ha riportato vie ite la } TAR, Sul pigmento del sistema nervoso 37 gt no Pa #3; . LS . . una figura nel suo lavoro. Per questa grande quantità di pig- mento, il 7rifonium nodiferum si presta certamente ad interessanti ricerche sul soggetto di cui trattiamo. VI. - DISCUSSIONE DEI RESULTATI E CONCLUSIONI. Queste ricerche, come quelle di MOGLIA e di PIERSANTI, sono state fatte per cercare di stabilire quali sono le funzioni del pig- mento dei centri nervosi. Tralasciamo qui di considerare i Verte- brati, perchè gli esperimenti di PIERSANTI non hanno potuto mettere in evidenza alcun effetto su di esso, delle condizioni respiratorie. Vogliamo invece considerare insieme quelle di MOGLIA sulle chiocciole, e le nostre sul Sipurculus, poichè i resultati degli esperimenti sono stati, nei due casi, concordanti. L’ influenza delle condizioni respiratorie è resultata evidente; cioè, effetto dell’ anidride carbonica: aumento del pigmeuto in un primo tempo, sparizione, nelle ultime fasi dell’ asfisssia. Nel caso dell’ossigeno : sparizione nelle cellule gangliari della chiocciola; nel Sipunculus, ove gli animali normali posseggono poco pigmento nei gangli, concentramento di esso in determinate parti del ganglio, ciò che evidentemente rende inattiva la sua normale funzione rispetto alle cellule nervose. Inoltre abbiamo potuto stabilire il meccanismo dell’ aumento asfittico; dimostrare cioè che esso avviene per trasporto del pig- mento dall’esterno, per mezzo di leucociti e sincizî; cosa che per le chiocciole ancora non è dimostrata. Ma la identità di compor- tamento nei due casi, ed il fatto che, nei Prosobranchi, è palese l'identità del pigmento delle cellule gangliari e dei sincizî leuco- citarîi, rende probabile il trasporto anche nelle chiocciole, cosa che del resto ci proponiamo di studiare ulteriormente. Comunque sia, analizzando la possibile funzione di questo pigmento nel Sipurculus, dove siamo più al corrente di tutto il suo comportamento sotto l'influenza dell’ anidride ed ossigeno, possiamo di nuovo domandarci, se è possibile che esso serva al trasporto dell’ ossigeno al ganglio. Esaminiamo gli spostamenti osservati nel pigmento, insieme colle condizioni della tensione parziale dell’ anidride e dell’ ossi- geno nei luoghi dello spostamento. Bios 3 38 P. Enriques e J. Zweibaum Innanzi tutto, trasporto del pigmento al ganglio, nelle prime fasi dell’ asfissia. Si deve notare che in questo momento c’è abbondante pigmento anche nei tentacoli e nelle parti esterne in generale; dunque il pigmento non fugge i luoghi di minore ossigeno e maggiore anidride carbonica, come sono appunto ‘soprattutto le parti esterne. Il pigmento che arriva al ganglio pro- viene evidentemente da parti interne del corpo, e specialmente, come abbiamo indicato, dal vaso dorsale. Ora, confrontando lo stato dei gas in questo luogo e nel ganglio, è supponibile che questo, soprattutto in conseguenza della sua aumentata attività — gli ani- mali sono molto irrequieti — consumi molto ossigeno; sembra perciò probabile che lo spostamento osservato, si compia da un luogo di maggior tensione dell'ossigeno, ad uno di minore. Il pigmento, poichè si parte dalle condizioni normali, nella sup- posizione che esso serva al trasporto dell’ossigeno, doveva essere bene ossigenato. Nelle ultime fasi della asfissia, evidentemente la tensione dell’ anidride è aumentata anche in tutte le altre parti interne, e quella dell’ ossigeno diminuita; cosicchè non c’è più quel disli- vello caratteristico delle prime fasi, e dovuto alla funzionalità del ganglio; donde la mancanza di un seguitato trasporto del pig- mento verso il ganglio. Accumulo del pigmento nelle grandi masse — nella perma- nenza in ossigeno. Adesso la forte ossigenazione esterna, quando comincia a far risentire sul ganglio i suoi effetti, rende natural- mente più ossigenate le parti esterne di questo, che sole sono immerse nel sangue. In tali condizioni dunque la tenzione par- ziale dell'ossigeno è superiore all’esterno che all’interno del ganglio; ed il pigmento si ritugia nelle parti interne, dove forse, per ulteriore azione — anormalmente energica — dell’ossigeno, esso si riduce in granuli minuti, e forse anche si distrugge. Si ha insomma l'impressione di un pigmento che, una volta caricato di ossigeno, fugge questo gas, e va piuttosto nelle regioni più ricche di anidride. Come conseguenza di tale proprietà resulta il trasporto dell’ossigeno ai gangli, quando vi è stato consumato, ed il sangue è insufficiente — date le condizioni del momento — a portarvene ancora. Anzi, anche la distribuzione periferica del pigmento gangliare nell’ anidride, parla sempre nello stesso senso, Sul pigmento del sistema nervoso 39 perchè appuuto, nelle condizioni asfittiche, il sangue, che è asfit- tico, rende in un primo tempo più asfittiche delle parti centrali del ganglio, quelle periferiche, che vi sono direttamente immerse : inoltre le cellule gangliari — specialmente quelle grandi — per il loro proprio consumo di ossigeno e sviluppo di anidride, richia- mano singolarmente i corpi pigmentati nelle loro vicinanze. Questo il quadro generale, un poco schematizzato, che si presenta come conseguenza dei fatti osservati, e che tende a dimostrare una funzione respiratoria del pigmento; che se invece il pigmento nulla avesse a che fare col trasporto dei gas, non comprenderemmo davvero le ragioni dei suoi intensi spostamenti e modificazioni per azione dell’ossigeno e dell’anidride; d’altra parte le ricerche precedenti di uno di noi hanno escluso ogni sua partecipazione alla digestione ed escrezione. La mancanza del pigmento nei piccoli individui si spiega bene, col più facile trasporto dei gas in questi, dalla periferia alle parti interne. Disgraziatamente la scarsa quantità del pigmento, non per- mette di fare quelle prove chimiche che sarebbero desiderabili. Ci sembra insomma di potere affermare che i corpi piomen- tati dei gangli degli Invertebrati hanno una funzione respiratoria di supplemento. Resultati di fatto, più diretti, dei nostri esperimenti: 1. Nel ganglio nervoso del Sipunculus vi è pigmento, contenuto in leucociti e sincizî, non nelle cellule gangliari. 2. In conseguenza della asfissia, esso aumenta enorme- mente, distribuendosi a preferenza alla periferia del ganglio. Nelle ultime fasi però sparisce. Tale aumento avviene per trasporto: del pigmento dal di fuori del ganglio. 3. Negli animali tenuti in ossigeno, lo scarso pigmento normale si riunisce in due grandi masse nelle parti interne del ganglio, e si altera. Bologna, Istituto zoologico. PEGLI LILILAZALIZ]I LES ZSEZSOZIA ! p” posi cin A pu (NO a Dipivei MAIO VIT) IL) Prof. CamiLLo ACQUA - Sulla diffusione dei ioni nel corpo delle piante, in rapporto specialmente al luogo di for- mazione delle sostanze pro- teiche. Da più di due anni studio la quistione assai controversa della penetrazione e localizzazione dei ioni nel corpo delle piante. A tale quistione si connette l’ altra del luogo in cui av- vengono le prime sintesi della sostanza organica azotata, ossia del luogo in cui si verifica il processo per il quale l’ azoto viene chiamato a far parte della sostanza organica, cioè a dire — per esprimerci con una sola frase — viene organicato. È cosa infatti fuori dubbio che a questo processo servono egregiamente i nitrati assorbiti dal terreno. Conoscere adunque dove si diffondano, dove si localizzino i rispettivi ioni, significa portare un notevole contributo nella nostra quistione. Ma le ricerche compiute in proposito fino ad ora sono del tutto insufficienti. L’ analisi chi- mica non può indicarci la differenza di contenuto tra le singole cellule di una pianta superiore o tra le parti di essa; la micro- chimica, la quale è certamente la più adatta per questo genere di indagini, dà anch'essa risultati incerti, perchè nell’ uccisione dei protoplasti viventi le sostanze solute che si riscontrano nelle cellule facilmente diffondono, si spostano e non si prestano quindi più ad essere rivelate nelle regioni nelle quali si trova- vano quando l'organismo era nelle condizioni ordinarie di vita. Ciò non ostante queste ricerche sono state fino ad ora le migliori ed è sulla loro scorta che il FRANK e lo SCHIMPER principalmente seguirono il decorso dei nitrati dopo il loro assorbimento da parte delle radici. Si riuscì a trovare per tal modo che i nitrati abbondano in genere nelle radici, diminuiscono nel caule e man mano che ci si porta verso le foglie, nelle quali divengono vieppiù rari, riscontrandosi talvolta appena lungo le nervature soltanto. ee, il 42 C. Acqua Ma quando su questa constatazione si tratta di poggiare delle induzioni, le difficoltà e le incertezze divengono assai grandi. Perchè non riscontriamo più nelle foglie i nitrati assorbiti dalle radici? Perchè, potrebbe rispondersi, nelle foglie essi trova- | no il loro impiego per il processo di organicazione dell’ azoto. P.è È dl ,* i E si ha allora l’ipotesi dello SCHIMPER secondo il quale la sin- tesi delle sostanze quaternarie, ossia il processo della organica- zione dell’azoto, avviene negli stessi corpi verdi, nei quali si fissa il carbonio; in altri termini questo processo è dipendente anch’esso dalla presenza di energia laminosa. L’ ultima parte di tale ipotesi oggi non è più sostenibile, non ostante le ricerche assai recenti d’indole puramente chimica del BAUDISCH, poichè sono numerose e bene accertate le esperienze, secondo le quali la formazione delle sostanze proteiche può avvenire anche al buio. Tuttavia è accettata al giorno d’oggi — almeno in via provvisoria — l’ipotesi che il processo di organicazione dell’azoto abbia luogo nelle parti verdi, e quindi nel fogliame. Ma la constatazione sulla presenza dei nitrati nelle radici e sulla loro mancanza nelle foglie si presta anche ad un’altra ipotesi. Può essere che i nitrati non arrivino alle foglie perchè vengono consumati prima; è facile adunque scorgere come al semplice studio microchimico della diffusione dei nitrati mon si riesca a risolvere la quistione del luogo in cui avviene la loro utilizzazione. Ma il problema del quale ci occupiamo si connette, come già fu accennato, all’altro più generale della diffusione e localiz- zazione dei ioni nel corpo delle piante, e per un tale studio io mi sono valso di un metodo che per quanto io mi sappia non è stato fino ad ora usato da altri. Alcune precedenti ricerche com- piute allo scopo di ricercare l’azione delle sostanze radioattive nei vegetali, m’ avevano dato l'opportunità di osservare che con l’impiego di soluzioni assai diluite di nitrato di uranile si ottene- vano in determinati tessuti delle piante, che venivano mantenute nelle soluzioni indicate, un deposito insolubile, giallo, che evi- dentemente doveva provenire dalla formazione di ossido giallo di uranio. E queste formazioni non uccidevano le piantine le quali, pur risentendo l’azione nociva dell’ uranio, si mantene- vano lungamente in vita. Ed allora sorse in me l’idea di speri- Sulla diffusione dei ioni nel corpo delle piante 43 mentare qualche altro corpo non nocivo alla pianta ma che fosse in grado di presentare fenomeni analoghi a quelli provocati dall’ uranio, cioè a dire che nel processo di separazione dei ioni dei nitrati e di utilizzazione degli anioni dell’ acido nitrico, i rispettivi cationi potessero dar luogo ad un precipitato colorato, atto a rivelare le regioni nelle quali il processo avveniva. Per far comprendere meglio la cosa accennerò a quanto deve avve- nire allorquando i nitrati in contatto dei quali si trovano gene- ralmente le radici penetrano nell’ interno della pianta. Tali nitrati (di K, di Na, Mg etc.) in soluzioni abbastanza diluite debbono presentare il fenomeno della dissociazione. Le loro soluzioni adunque, più o meno dissociate nei rispettivi ioni, debbono dif- fondersi nel corpo della pianta. Nelle regioni nelle quali gli anioni dell’ acido nitrico vengono impiegati, deve risultare una preponderanza dei cationi di K, Na, Mg ecc., i quali infine pos- sono dar luogo a speciali combinazioni, delle quali nulla di preciso ci è dato conoscere. La ragione principale è che in questo caso noi ci troviamo in presenza di sostanze disciolte nel succo cellulare e che quindi sfuggono all’ indagine micro- scopica. Con il nitrato di uranile invece la cosa procede diver- samente; i cationi in questo caso finiscono per dar luogo ad un precipitato insolubile e colorato, nettamente visibile al micro- scopio. E allora si ha un mezzo per conoscere le regioni nelle quali avveniva questa preponderanza di cationi, dovuta con tutta probabilità al fatto che gli anioni corrispondenti o erano stati direttamente impiegati o accumulati in altre parti determinate della pianta. Ma poichè un accumulo considerevole di anioni dell’ acido nitrico avrebbe dovuto finire per riuscire dannoso alla pianta, risultava meno probabile la seconda ipotesi e più proba- bile le prima, che cioè gli anioni fossero stati utilizzati, forse nella organicazione dell’azoto, mentre i cationi di uranio, che rappresentavano il residuo dell’ utilizzazione del nitrato, finivano per dar luogo ai depositi colorati. Questi adunque potevano bene rivelarci la regione nella quale avvengono tali processi. Ma come si è detto l’uranio è nocivo per la vita delle piante, onde con il suo impiego non si possono ottenere se non risul- tati parziali e poco decisivi. Bisognava adunque trovare un altro corpo, i cui composti 44 , C. Acqua ci permettessero di compiere una indagine consimile pure non essendo nocivi per la vita della pianta. Dopo parecchi esperi- menti di saggio io mi fermai al manganese, ottenendo i migliori risultati. Usando soluzioni di nitrato manganoso opportunamente diluite (1 su 10, 1 su 20 mila) le piantine sottoposte ad esperi- — Vit mento (7rificum sativum, Zea Mays, Phaseolus vulgaris, Pisum © sativum, Sinapis alba) mostravano uno sviluppo assolutamente uguale con i lotti di controllo, il che non deve sorprendere, rammentando che il manganese non solo non è un corpo nocivo, ma anzi utile per la vita delle piante. E in queste condizioni ben presto nell'interno della pianta, localizzati in determinati tessuti, apparivano dei depositi caratteristici rosso bruni, dovuti alla formazione di un ossido di manganese e con tutta proba- bilità al biossido. Tali formazioni non si potevano considerare come effetto di reazioni avvenute casualmente nelle piante, poichè il succo cellulare estratto dalle piante stesse per compressione non era capace di provocare fuori dell’ organismo nulla di simile; essi dovevano ritenersi come un prodotto del fenomeno della localizzazione dei ioni, che normalmente avveniva nel corpo delle piante. Una lunga serie di esperienze e di osservazioni dimostrò che tali depositi si mostrano quasi esclusivamente nel sistema radicale. Talvolta come nelle radici di grano sono limi- tati al cilindro corticale e non sorpassano di regola l’ endoder- mide, ma possono accumularsi in tale quantità da riempire non soltanto il lume delle cellule, ma financo gli spazi intercellulari. La Fig. 1° rappresenta appunto questo fatto. Altre volte il depo- sito è anche esteso al cilindro centrale. Ma un fatto caratteristico si mostra quasi senza eccezione. Allorchè nella giovane radice si inizia la formazione di una radice secondaria, intorno ai nuovi meristemi che si originano in seno ai tessuti della cellula madre il deposito si accentua straordinariamente fino a formare una calotta rosso bruna che avvolge il meristema stesso. La Fig. 2, mostra questa particola- rità; essa è tratta da un preparato di radice di Zea Mays. Ora il significato di questo fatto non può esser dubbio. I tessuti meri- stemali non sono che tessuti embrionali in grande attività forma- tiva; il deposito rosso bruno di biossido di manganese, non può rappresentare che il residuo della dissociazione del nitrato man- GN Triticum sativum coitivato in soluzione di ni- , 1 su 10 mila. Ingr. 105 diam. - Fic. 3. Por- - Fre. 2. Sezione trasversale in una radice di Phaseolus vulgaris coltivato in soluzione di nitrato ganoso nitrato man , 1 su 10 mila. Ingr. 105 diam, ta in soluzione di Fic. 1. Sezione trasversale in una radice di va trato manganoso Zea Mays colti zione di sezione trasversale nel fusto di manganoso, 1 su 8 mila. Ingr. 130 diam. 46 C. Acqua ganeso e dell’ utilizzazione dell’ azoto. Esso sta quindi quasi a rappresentare una inutile zavorra, ma intanto serve egregiamente a mostrarci che è precisamente in questi tessuti formativi che ha luogo l'utilizzazione dell’ azoto per la sintesi delle sostanze pro- teiche. Nelle parti aeree invece generalmente (salvo una interes- sante eccezione cui ora accennerò) non si verifica nulla di con- simile; ciò dimostra che l'utilizzazione dell’ azoto dai nitrati avviene prevalentemente nel sistema radicale, piuttosto che nel sistema fogliare, mentre oggi invece le idee dominanti portano ad un’ opposta concezione, ritenendosi le foglie gli organi i più adatti per la organicazione dell’ azoto. Altre mie ricerche hanno portato a stabilire che realmente i tessuti nei quali avviene questa separazione di ioni e si verifi- cano i precipitati provocati da un eccessivo accumulo di cationi, sono la sede di formazione di sostanze albuminoidee, poichè le ricerche microchimiche hanno constatato che in esse si mostrano più che altrove abbondanti gli albuminoidi. Ma una costatazione che parmi decisiva fu compiuta in proposito, ed essa si riferisce a quell’ eccezione alla quale ho ora accennato. Nelle leguminose esistono delle cellule speciali, accompagnanti i fasci fibrovasco- lari, che sono ora ritenute come serbatoi di sostanze albuminoidi. Or bene nel Phaseolus vulgaris si potè constatare che, nel mentre i depositi di biossido di manganese per le altre piante si trovano sempre esclusivamente nelle radici, si aveva in questo caso un’ eccezione, poichè i depositi stessi potevano riscontrarsi nei fusti e nelle foglie, ma non diffusi più o meno uniforme- mente nei vari tessuti, bersi localizzati esclusivamente, o quasi, nei serbatoî albuminiferi. E in mezzo agli altri tessuti privi di deposito detti serbatoi si mostrarono — nelle piante coltivate in soluzione di nitrato manganoso — nettamente colorati in rosso bruno, ossia ripieni di biossido di manganese, come si scorge nella Fig. 3. In questo caso il rapporto tra la formazione di tali depositi e l'accumulo delle sostanze albuminoidee è evidente; quindi la conclusione che ne deriva è assai semplice, 1’ accumulo del biossido di manganese sta a segnare le regioni nelle quali si verifica con tutta probabllità l'utilizzazione dell’ azoto del nitrato manganoso per la formazione delle sostanze proteiche. Ciò però nelle colture col nitrato manganoso. Ora può doman- Sulla diffusione dei ioni nel corpo delle piante 47 darsi: nelle condizioni ordinarie nelle quali la pianta assorbe acido nitrico legato a basi differenti può ritenersi che accada lo stesso fenomeno? Di questa parte io tratto con qualche dif- fusione in altro lavoro, al quale è opportuno rimandare il let- tore per una esatta conoscenza della quistione; qui mi limiterò ad esprimere la conclusione, cui sono giunto, che cioè con tutta probabilità il processo avviene nelle stesse regioni anche in presenza degli altri nitrati, che la pianta ha a sua disposizione nelle condizioni ordinarie. Diverse esperienze furono compiute per ricercare il compor- tamento con altri cationi, oltre quelli di manganese, ma capaci di provocare come questo la formazione di depositi, e con altri anioni, oltre quelli dell'acido nitrico; ma su questa parte non m'è possibile diffondermi in questa breve nota. Il compiesso delle ricerche da me compiute, principalmente con il nitrato manganoso e in via secondaria con altri sali, dimostra che noi possiamo per questa via penetrare in parte il mistero della diffusione e localizzazione dei ioni, poichè i cationi del manganese, dando luogo ad un deposito insolubile e colorato, rivelano le regioni interne del vegetale, nelle quali avvengono tali processi. Così abbiamo visto che l'accumulo dei cationi per separazione dai rispettivi ioni è massimo intorno ai tessuti di nuova formazione nelle radici; non ha invece luogo di regola nelle parti aeree del vegetale, tranne in qualche caso, come nel fagiuolo, nel quale i depositi si riscontrano nelle cellule speciali ricche di sostanze albuminoidee. Parimenti nel fagiuolo fu messo in evidenza il rapporto tra il contenuto di sostanze albuminoidee e la quantità del deposito rosso mattone provocato dall’ accumulo dei cationi del manganese. La formazione adunque di tali depo- siti ci rivela con tutta probabità il luogo in cui si compiono i processi di utilizzazione dell’azoto dell’acido nitrico, dello zolfo dell’ acido solforico; di sintesi in una parola degli albuminoidi. E tali processi si verificano principalmente nelle radici, eccezio- nalmente nei fusti e nelle foglie. Le mie ricerche adunque por- tano ad una opinione completamente diversa da quella fino ad 2 48 “ C. Acqua - Su/la diffusione dei ioni ecc. + ora esistente, per la quale si inclinerebbe a credere che anche l’organicazione dell'azoto e la formazione ulteriore degli albumi- noidi abbia luogo negli stessi tessuti, nei quali avviene la sintesi del carbonio con l'ossigeno e l'idrogeno, per la formazione degli idrati di carbonio. se Roma, R. Istituto Botanico, febbraio 1913. ESSERE: ro Sia qa Prof. R. PiRoTTA —- Organica- zione ed organizzazione. Nel linguaggio scientifico in generale, in quello biologico in modo particolare si trovano non di rado delle parole, che adoperate o inventate per significare un determinato fatto o fenomeno o concetto, poco a poco hanno alterato più o meno profondamente o totalmente il loro significato, e anche sono state e sono impiegate per indicare cose assolutamente diverse. Ciò è deplorevole, perchè se è vero che nella scienza l’impor- tanza è dei fatti e delle teorie che tendono a spiegarli, non è men vero che chiarezza e precisione del linguaggio scientifico siano fattori indispensabili. Fra queste infelici parole un posto eminente spetta alla parola assimilazione. Il suo impiego risponde infatti a significati differentissimi. Nel concetto generale, per tutti gli organismi, I’ assimilazione è la facoltà o proprietà della materia organizzata cioè viva, di rendere simili a se medesima sostanze varie, venute dall’ ambiente, di costituzione differente dalla propria; cosicchè |’ assimilazione ha per conseguenza la formazione di nuova sostanza vivente, capace alla sua volta di assimilare. Nel campo della fisiologia delle piante frequentemente si usa la parola assimilazione per indicare quell'insieme di pro- cessi fisiologici, nella complessa funzione di nutrizione, per i quali acqua e sostanze minerali assorbite dalle radici e il dios- sido di carbonio preso dall’ aria, vengono trasformati in composti organici ed in materia organizzata, comprendendo tutto intero il processo anabolico, costruttivo, di sintesi, che ha luogo per 50 R. Pirotta opera delle piante; come dissimilazione comprende tutto il pro- cesso catabolico, distruttivo, di analisi. Altri attribuiscono alla parola assimilazione significati più limitati e differenti. Così, mentre per alcuni si comprendono colla parola assimilazione fuffi i processi fisiologici per opera dei quali il carbonio del biossido di carbonio può essere fatto passare in combinazione organica [fotosintesi, termosintesi, chi- miosintesi]; la maggioranza limita il concetto di assimilazione al solo processo — generale e importantissimo, ma non unico, di fis- sazione del carbonio in forma organica — che ha luogo in pre- senza della clorofilla sotto l’azione della luce e che si dice perciò anche assimilazione clorofilliana. Altri ancora distinguono varie sorta di assimilazione, cioè oltre quella del carbonio, l’ assimilazione dell’ azoto, cioè la fis- sazione o il passaggio allo stato di combinazione organica del- l'azoto elementare operato ad es. da batterii liberi mel terreno o racchiusi nei tubercoli radicali delle Leguminose e di altre piante; o anche il passaggio in combinazione organica dell’ a- zoto minerale combinato (ammoniacale e nitrico); si parla pure di assimilazione dello solfo e del fosforo, intendendo il pas- saggio da composti minerali a composti organici solforati e fosforati. E finalmente non mancano coloro, e sono specialmente gli agrarii, che parlano di assimilazione dell’ azoto, del solfo, del fosforo non soltanto, ma anche del potassio, del magnesio, del calcio ecc., e dicono che le radici assimilano i sali minerali più o meno facilmente, intendendo evidentemente trattare del- l’ assorbimento di questi sali, il quale è facile, difficile, impos- sibile a seconda della forma del composto minerale, delle con- dizioni di solubilità in rapporto colla costituzione del terreno, la presenza di microorganismi, ecc., lo stato di dissociazione, ecc. su In tutti gli organismi ha luogo il processo metabolico che comprende le due fasi, anabolica, costruttiva, di sintesi, e cata- bolica, distruttiva, di analisi. Ora, per quanto riguarda i vegetali, occorre distinguere anzitutto le piante aufofrofe dalle eferotrofe, perchè nella fase Organicazione ed organizzazione 51 anabolica delle autotrofe, si riscontra un periodo, che manca alle piante eterotrofe, come manca agli animali. Le autotrofe — che comprendono tutte le piante fornite di clorofilla e alcune poche soltanto che non hanno clorofilla — prendono dall'ambiente materiali inorganici, minerali (acqua, biossido di carbonio; raramente azoto elementare, più spesso combinazioni minerali dell’ azoto; composti minerali dello solfo e del fosforo); li introducono nel proprio corpo (assorbimento delle sostanze minerali), e /î frasformano in sostanze organiche ; costruiscono ex rovo, fabbricano, insomma, sostanza organica con materiali inorganici. Questo processo, questa funzione — fondamentale per tutti gli organismi perchè da essa traggono i materiali di costruzione del loro corpo — riservata alle piante autotrofe, costituisce la organicazione delle sostanze minerali, delle sostanze inorganiche. E si ha organicazione del carbonio, base di tutte le sostanze organiche; organicazione dell’ idrogeno, dell’ ossigeno, dell’ azoto, ed anche del solfo e del fosforo in quanto questi ultimi sono pure fatti entrare nella costruzione della molecola di determinati gruppi di sostanze organiche. Carboidrati, grassi, composti ammidici, sostanze proteiche in senso lato sono i principali prodotti della organicazione, della trasformazione cioè di elementi e di combinazioni inorganiche, minerali, in composti organici. Gli elementi ed i composti inorganici, che servono per la organicazione, sono generalmente indicati col nome di alimenti minerali; ma anche questa parola ‘alimento è fra le poco for- tunate del linguaggio biologico, e, ad ogni modo, questi cosidetti alimenti minerali ron servono che a costruire la sostanza orga- nica. Ed è la sostanza organica che, non solo negli animali, non solo nelle piante eterotrofe che comprendono quasi tutti i vegetali privi o poveri di clorofilla, ma anche nelle autotrofe fornisce i veri alimenti, che sono appunto organici per tutti gli organismi; ma che le piante autotrofe fabbricano da se me- desime, mentre le eterotrofe e gli animali debbono prendere dall’ esterno già formati, mancando in essi le facoltà di orga- nicare. 4 Una parte di questi alimenti, di questa sostanza organica, 52 R. Pirotta subisce, in fuffi gli organismi, una nuova serie di trasforma- zioni, in seguito alle quali essi diventano veramente, in tutti gli organismi, carne della propria carne, diventano cioè simili alla sostanza viva che caratterizza l’ organismo, servono, insomma, a far crescere la massa dei protoplasti esistenti e a produrre, colla moltiplicazione di questi, protoplasti nuovi. Questa sostanza organica, questo alimento organico diventa aliora organizzato ed il processo fisiologico che conduce la sostanza organica a diventare organizzata è la organizzazione. Organicazione ed organizzazione sono due funzioni com- plesse ben diverse, benchè, come si è veduto, molti le confon- dano insieme nell’ unica complessa funzione assimilatrice, distin- guendo soltanto assorbimento dei materiali e loro assimilazione. Le sostanze organiche sono senza dubbio caratteristiche degli organismi: si trovano però, come tali, nel corpo vivo e rel corpo che ha cessato di vivere; per opera della organicazione del car- bonio, dell’ ossigeno, dell'idrogeno, dell’azoto ecc. si formano zuccheri, amidi, cellulosi, grassi, composti ammidici, proteici, ecc., cioè sostanze organiche, non già materia organizzata, viva; la materia organica anche la più complessa è morta; la sostanza organizzata si trova soltanto nei corpi vivi, perchè essa sol- tanto è viva. La sostanza viva costituisce il protoplasto; nulla ancora sappiamo della sua costituzione interna; sappiamo però che le sue caratteristiche proprietà scompaiono col cessare della vita, appunto perchè cessa l’organizzazione, cioè la peculiare struttura intima del protoplasto e dei suoi costituenti morfo- logici, che caratterizza la materia viva, alla conservazione della quale struttura è legata la conservazione della vita. I due processi, organicazione ed organizzazione, collegati neccessariamente insieme, sono fasi successive della medesima funzione complessa nelle piante autotrofe; mentre nelle piante eterotrofe e negli animali /a organicazione non ha luogo, pur rimanendo essa, indirettamente, condizione indispensabile per il processo di organizzazione, perchè per essa vengono forniti i neccessarii alimenti a tutti gli organismi. La sostanza organizzata, la materia viva si trasforma in- interrottamente, e nel processo catabolico, di demolizione, di analisi ridiventa organica prima, poi attraverso a processi di Organicazione ed organizzazione 53 scomposizione, di sdoppiamento, di ossidazione, poco a poco, presto o tardi, ridiventa inorganica, minerale, per opera del pro- cesso di mineralizzazione della sostanza organica, che è appunto l’opposto di quello di organicazione; processo di mineralizza- zione che riporta la sostanza organica stessa allo stato iniziale minerale, cioè di acqua, biossido di carbonio, azoto, composti minerali dell’azoto, del solfo, del fosforo. Nelle piante autotrofe dunque il metabolismo costruttivo, il processo anabolico, sintetico presenta due fasi ben distinte, secondo il seguente schema: 1° fase: organicazione; presa di materiali minerali, inor- ganici dall’ ambiente (assorbimento delle sostanze minerali); ela- borazione e trasformazione dei costituenti di questi materiali inorganici in sostanza organica, organicazione delle sostanze minerali, che è sintesi della sostanza organica ed %a luogo sol- fanto nei vegetali autotrofi; con questo processo sono formati gli alimenti per tutti gli organismi vegetali autotrofi ed etero- trofi, e animali. 2° fase: organizzazione; con parte di questi alimenti cioè di questa sostanza organica, le piante autotrofe o eterotrofe, come gli animali, accrescono i protoplasti e ne formano dei nuovi, fanno cioè crescere la sostanza viva, organizzata e ne formano della nuova; e questa organizzazione è comune a tutti gli organismi. Negli organismi, insomma, è una lunga catena di processi per i quali sostanze minerali prendono forma organica, diven- tano cioè sostanza organica ma non viva (organicazione operata dalle piante autotrofe); poi sostanze organiche prendono forma viva, organizzata (organizzazione operata da tutti gli organismi); quindi per un processo regressivo, antagonistico ritornano di nuovo inorganiche (mineralizzazione della sostanza organica operata da tutti gli organismi). Sassa ta bolero ISLLI v wu k; | ge ue pin peroni pr i e bu fc ii I) a ins} Ri co "DI i MISTTLAIOO Mi, h E) ATRIA : ohi pico 4)! it AO sica A P% io » hi Ciro RAVENNA - L'acido cia- nidrico e la sintesi delle so- stanze proteiche nei vegetali. INDICE. I. Stato di combinazione dell'acido cianidrico nelle piante . . . Pag. 55 II. Le piante cianogene. DA I ct al upi62 III. Localizzazione e trasporto dell’acido cianidrico . . . . . . » 65 (0 Sdi CENTO A et a o V. Significato biologico dell'acido cianidrico . . . . .... >» 72 I. - STATO DI COMBINAZIONE DELL’ACIDO CIANIDRICO NELLE PIANTE. Le ricerche, segnatamente di questi ultimi anni, nel campo della chimica vegetale, hanno fatto riconoscere la presenza di acido cianidrico in un notevole numero di piante delle quali GRESHOFF, nel 1906, diede l’ elenco completo (’), riportato l'anno seguente in una monografia di GotLa (*). Da allora, il numero delle piante cianogene si è andato ancora accrescendo e, con ogni probabilità, molte altre ne verranno scoperte. In quale stato si trova l’ acido cianidrico nei tessuti vegetali? Gli autori sono concordi nel ritenere che la maggior parte di esso sia in combinazione glucosidica, ma molti suppongono che accanto ai glucosidi cianogenetici si trovino quantità variabili di acido cianidrico libero. La questione, che sembrerebbe facile a risolversi, presenta in realtà non lievi difficoltà sperimentali. Si noti infatti che nelle piante cianogene si trovano sempre presenti gli enzimi che agendo sui glucosidi mettono l’acido cianidrico in libertà. Glucoside ed enzima sono localizzati in cellule di- verse; ma se, per circostanze speciali, i due corpi vengono a (1) Archiv der Pharmacie, CCXLIV, 397 e 665, 1906. (*) Supplemento annuale all’enciclopedia di chimica, XXI, 43, 1907. 56 Ciro Ravenna contatto, il glucoside subisce l’idrolisi e di conseguenza |’ acido cianidrico si libera. Questa è la reazione che bisogna impedire quando si faccia la ricerca in parola ed in ciò consiste la diffi- coltà sperimentale perchè, durante le manipolazioni, la scissione enzimatica può avvenire con grande rapidità. I metodi seguiti, sono perciò basati sulla proprietà degli enzimi di venire distrutti, in ambiente umido, alla temperatura di 100°. A tal fine TREUB (*) versa sui tessuti in esame dell’ acqua bollente, procede immediatamente alla distillazione della massa in corrente di vapore acqueo e nel liquido distillato ricerca l’acido cianidrico considerando il prin- cipio distillato come preesistente nel vegetale allo stato libero. Il metodo usato da TREUB si è riconosciuto non rigoroso, perchè infatti gli enzimi non assumono istantaneamente la tem- peratura dell’acqua boliente, la quale, provocando invece la rot- tura delle cellule permette ad essi di mettersi a contatto coi glucosidi determinandone così la scissione idrolitica ed il relativo sviluppo di acido prussico. L’imperfezione del metodo di TREUB fu rilevata da Gui- GNARD (?) che consigliò, come mezzo migliore per distruggere istantaneamente gli enzimi, la sostituzione dell’ alcool bollente all’acqua; TREUB stesso modificò in seguito il suo metodo usando delle soluzioni di cloruro di sodio bollenti a 106° (*) oppure introducendo i tessuti in esame nel liquido bollente an- zichè versare il liquido sui tessuti (*). Anche coi sistemi così modificati si trova sempre, nei di- stillati, sebbene in quantità minore, dell’acido cianidrico che si supponeva preesistente; tuttavia rimaneva ancora il dubbio che, perfezionando ulteriormente il metodo, si potesse giungere a risultati più attendibili. Siccome condizione necessaria per distrug- gere l’enzima nel più breve tempo è che la temperatura del liquido non si abbassi al momento dell’immersione dei pezzi, noi (*), a questo scopo, sperimentando sulle foglie di varie piante (1) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2° serie) IV, 91, 1904. (2?) Comptes rendus de l’ Academie des Sciences, CXLI, 16, 1905. (3) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2* serie), VI, 93, 1907. (4) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2* serie), VIII, 114, 1909. (5) Ravenna e ToxneGutTI - Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, XIX, 2, 19, 1910. — RAvENNA e Bagni - ibid., XXI, 1, 540, 1912. — Ravenna e BosineLLI - ibid., XXI, 2, 355, 1912. L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 57 cianogene, le immergevamo una per volta nell'acqua bollente; in tal modo soltanto si può impedire l'arresto dell’ebullizione. E poichè è necessario operare in recipiente aperto, ciò che por- terebbe la perdita per evaporazione dell'acido cianidrico even- tualmente ceduto, si rendeva previamente alcalina l’acqua con alcune goccie di soluzione di potassa caustica, per fissarlo allo stato di cianuro di potassio. Il liquido ottenuto si acidificava poi con acido tartarico per mettere l’acido prussico di nuovo in libertà, si distillava col vapore acqueo e nel distillato si esegui- vano i saggi opportuni per la ricerca del corpo in questione. Si osservò allora che nelle piante sperimentate (lauroceraso, pesco, sorgo, lino, nespolo, fagiolo di Lima, mandorlo) tutte notoria- mente cianogene, non è presente acido cianidrico libero oppure vi si trova in quantità così piccole, da essere appena svelabile coi reattivi di maggiore sensibilità. Questo risultato mette quindi in dubbio la nozione dell'acido cianidrico libero anche nelle altre piante. È assai probabile che esso vi si trovi sempre completamente legato allo stato di glucoside. Si conoscono finora dieci glucosidi cianogenetici naturali. Tutti forniscono, all’idrolisi, oltre ad uno zucchero ed all’acido cianidrico, un terzo corpo che può essere di natura aldeidica, chetonica o fenolica. Diamo, per ciascuno di essi, un breve cenno. Amigdalina. — L’ amigdalina fu scoperta da ROBIQUET e BOUDRON nel 1830 e più tardi LiEBIG e WOFHLER ne riconob- bero la natura glucosidica ('). La sua composizione centesimale risponde alla formula seguente: | CHHENO Per azione dell’emulsina, l'enzima che accompagna sempre nelle piante l’amigdalina, si scinde per idrolisi in glucosio, acido cianidrico e aldeide benzoica, secondo l’espressione: C,H. | €00 CHe2H0°126;H;0}-E HEN-C;H/CHO. | AA Giamaica sierica CN d b (') Vedasi: Van Rijw - Die Glycoside, pag. 232, Berlino, 1900. Bios 4 ne 58 Ciro Ravenna Alla stessa scomposizione si giunge per mezzo degli acidi diluiti. Amigdonitrilelucoside. — Questo corpo fu ottenuto per la prima volta artificialmente da E. FISCHER (') facendo agire sul- l’amigdalina un enzima del lievito di birra che ne provoca il di- stacco di una molecola di glucosio. Fu in seguito trovato da HERISSEY (*), allo stato naturale, nei giovani rami di Cerasus Padus. La sua composizione è rappresentata dalla formula empirica: C,Hy0;N. Per azione dell’ emulsina e degli acidi diluiti si scinde in quan- tità equimolecolari di glucosio, acido cianidrico e aldeide benzoica. CH; | C,H,,0, — O — CH + H,O = C,H,,0, + HCN + C,H,CHO. | CN Per trattamento coll’ acido cloridrico concentrato l’ amigdo- nitrilglucoside dà, fra i prodotti di scomposizione, l’acido man- delico (fenilglicolico) levogiro (*). Prulaurasina. — È questo il glucoside del lauroceraso dalle cui foglie fu estratto da HfRrissey (*). Dà per idrolisi coll’ emul- sina o cogli acidi diluiti, glucosio, acido cianidrico e aldeide benzoica in quantità equimolecolari. È stereoisomero dell’ amig- donitrilglucoside. Coll’acido cloridrico concentrato dà origine all’acido mandelico racemico (?). Sambunigrina. — La sambunigrina fu scoperta nelle foglie di sambuco da BouRQuELOT e DanNjou, che ne stabilirono le proprietà (°). Ha la stessa composizione elementare dell’ amigdo- (1) Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, XXVIII, 1508, 1895. (2) Journal de pharmacie et de chimie (6), XXVI, 194, 1907. (3) BouroueLOT e Hfrissey - Journal de pharmacie et de chimie (6), XXVI, 5, 1907. (4) Journal de pharmacie et de chimie (6), XXIII, 5, 1906. (5) BouroueLoT e HfriIssey - Journal de pharmacie et de chimie (6), XXVI, 5, 1907. (8) Journal de pharmacie et de chimie (6), XXII, 219 e 385, 1905. — Comptes rendus de l’ Academie des Sciences, CXLI, 598, 1905. L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 59 nitrilglucoside e della prulaurasina di cui sono uguali tanto dal lato qualitativo che quantitativo anche i prodotti dell’ idrolisi. Questo glucoside, stereoisomero dei due precedenti, fornisce, per azione dell’acido cloridrico concentrato, l’ acido mandelico destrogiro (!). Vicianina. — Nei semi di Vicia angustifolia fu recente- mente scoperto da BERTRAND (*) un glucoside cianogenetico che venne chiamato vicianina. Per azione dell’ enzima specifico, pren- dono origine quantità equimolecolari di acido prussico, di benzal- deide e di uno zucchero (vicianosio) al quale fu assegnata la formula greggia: ‘DRS OE Questo zucchero è un disaccaride e può subire a sua volta la scissione idrolitica in d. glucosio e I. arabinosio : Cr HooOo < H,O = CH,.0; 4 CH,Os. La vicianina ha la seguente formula di costituzione : GI | CHOO CH | CN Con acido cloridrico concentrato dà acido mandelico le- vogiro. Essa ha quindi configurazione analoga all’ amigdonitril- glucoside dal quale differisce per la natura dello zucchero. Durrina. — Estratta dalle giovani piante di Surghum vul- gare (Dhurra) da DUNSTAN e HENnRy (*), la durrina differisce dai glucosidi finora enumerati poichè fra i suoi prodotti di scompo- sizione non si trova aldeide benzoica, bensì un corpo ad essa affine, la p- ossibenzaldeide. AI glucoside del sorgo fu assegnata la formula empirica: C,H,0;N. (1) BouroueLoT e Hfrissey - Journal! de pharmacie et de chimie (6), XXVI, 5, 1907. (2) BertranD - Comptes rendus de l’ Academie des Sciences, CXLIII, 832, 1906. — BerTRAND e WEISSWEILLER - ibid., CXLVII, 252, 1908; CLI, 235 e 884, 1910. (5) Philosophical Transaction (serie A), CIC, 399, 1902. 60 Ciro Ravenna Si scompone, per azione dell’ emulsina, secondo l’ equazione: C;H,(OH) C.H0;— O— CH+H,0= C,H,.0,-+- HCN + C,H.(OH) (CHO) CN picasa in glucosio acido prussico e aldeide p-ossibenzoica. Linamarina o faseolunatina. — Questo glucoside fu estratto per la prima volta dai semi germinanti di lino da JORISSEN e Hairs (') che gli diedero il nome di linamarina. Più tardi DUNSTAN e collaboratori (*) isolarono dai semi di /P/aseolus lunatus un glucoside cianogenetico che denominarono faseolunatina, ma che fu poi riconosciuto identico alla linamarina. La linamarina ha la formula greggia: Col ;O,N e si scompone per idrolisi secondo l’ equazione: (CH), CH,0,—O— È + H,0 = C;H,,0; + HON + (CH), CO CN in glucosio, acido cianidrico e acetone. Lotusina. — La lotusina venne isolata dal Lofus arabicus e studiata da DUNSTAN e HENRY (°) i quali assegnarono a questo corpo la formula bruta: C.sH,O,;N. Per azione dell’ enzima contenuto nella pianta stessa (lotasi) o degli acidi diluiti si scinde in glucosio, acido cianidrico e lo- toflavina secondo lo schema: CsyH1,,O,gN +2H,0 = 2C,;H,,Ox HCN C,;H,0O%- lotoflavina (1) Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, XXIV, (ref.), 659, 1891. (*) Dunstan e Henry - Proceedings Royal Society, London, (B), LXXII, 285, 1903. — Dunstan, Henry e Autp - ibid., LXXVIII, 145, 1906. (3) Proceedings Royal Society, London, LXVII, 224, 1901; LXVIII, 374, 1901. L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 61 La lotoflavina è un derivato del pirone ed ha la formula di costituzione: COH DS La formula di struttura della lotusina, è, secondo gli sco- pritori, la seguente: COH COH CO Ginocardina. — POWER ed i suoi allievi (*) studiarono questo glucoside isolato dai semi di Gyrocardia odorata la cui compo- sizione centesimale risponde alla formula: G;HxO,N: Si scompone coll’ enzima specifico (ginocardasi) nel modo seguente: CsHyO,N + H,O = C;H,,0; + HCN + GH 0,. AI corpo della formula empirica C;HyO, che la ginocardina fornisce per idrolisi, fu assegnata la struttura di una triossial- (1) Power e GornaLt - Chemisches Centralblatt, LXXV, 2, 340, 1904. — Power e Lers - ibid. LXXVII, 1, 1252, 1905. 62 Ciro Ravenna deide C,H,(OH),CHO o di un triossichetone C;H,(OH),: CO; il glucoside avrà quindi una delle due formule di costituzione: C;H (OH), HR C.H,0, - O— CH oppure CH, 0, —O— C. | | CN CN Carachina. — Dai semi di Coryrocarpus laevigata, EASTERFIELD e ASTON (') estrassero un glucoside la cui composizione è data dalla formula C,;H,,0,;N,. Lo studio chimico di questo corpo è assai incompleto. II. - LE PIANTE CIANOGENE. Negli elenchi compilati da GresHorr nel 1906 erano nu- merate circa 200 piante a acido cianidrico. In una pubblicazione recentissima del doit. PuyMmALy (?) ne figurano circa 250 appar- tenenti alle specie più svariate. Esse sono le seguenti: (1) Chemisches Centralblatt, LXXIV, 2, 379, 1903. (*) L’acide cianhidrigue dans les plantes vertes. Bordeaux, 1912. L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 63 Polypodiaceae Lastrea spec. Athyrium spec. Gymnogramma aurea Desv. Pteris aquilina L. Juncaginaceae Triglochin maritima L. Tr. palustris L. } Scheuchzeria palustris L. Gramineae Zea mays L. Sorghum vulgare Pers. S. halepense Pers. S. nigrum L. Panicum maximum Jacq. P. muticum Forsk. Poa aquatica L. P. pratensis L. Stipa hystricina Speg. S. leptostachya Griz. S. tortilis L. Holcus lanatus L. Gynerium argentenm Nees. Catabrosa aquatica Beauv. Melica nutans L. M. altissima L. M. uniflora Ritz. M. ciliata L. M. Magnolii G. G. Briza minor L. Lamarckia aurea D. C. Festuca poa Kunth. Araceae Anthurium pedato-radiatum Schott. A. pentaphyllum G. Don. A. Harrisii G. Don. Cyrtosperma Merkusii Schott. C. Lasioides Griff. Lasia zollingeri Schott. L. aculeata Lour. Dracontium spec. Kew. D. polyphyllum L. Dieffenbachia spec. 94. D. spec. 116. D. spec. 165. Alocasia crassifolia Engl. A. acuta Hall. f. A. porphyroneura Hall. f. A. macrorhiza Scott. A. spec. 28. A. spec. A. Watsoniana Masters. A. Celebica Engl. A. Augustiana Lind. e Rod. A. Veitchii Schott. A. indica Schott. A. nobilis Hall. f. A. pubera Schott. A. longiloba Schott. A. arifolia Hall. f. Schizocasia Portei Schott. Calocasia gigantea Hook. Arum maculatum L. Salicaceae Salix triandra? L. Urticaceae Sponia virgata Pianch. Olacaceae Ximenia americana L. Ranuncuiaceas Aquilegia vulgaris L. A. chrysantha Gray. Ranunculus repens L. R. arvensis L. Thalictrum aquilegifolium L. Th. angustifolium L. Berberidaceae Nandina domestica Thunb. Cruciferae Lepidium sativum L. Saxifragaceae Ribes aureum Pursh. R. rubrum L. R. nigrum L. R. grossularia L. Rosaceae Spiraea sorbifolia L. S. japonica L. L. Auruncus L. S. Lindlegana Wall. S. prunifolia Sieb. e Zucc. S. Kneiffii Hort. Exochorda Alberti Reg. Cotoneaster vulgaris Lindl. . microphylla Wall. affinis Lindl. multiflora Bge. horizontalis Den. . bacillaris Wall. pannosa Frane. frigida Wall. . buxifolia Wall. . thymifolia Baker. . Francheti Bois. . acutifolia Lind!. C. rotundifolia Wall. Osteomeles sp. Cydonia vulgaris Pers. C. japonica Pers. Pirus communis? L. malus L. aucuparia Girtn. . aria Ehrh. . terminalis Ehrh. ., pinnatifida Ehrh. americana D. C. . spectabilis A. Ringo Wenzig. . hybrida Sm. Eriobotrya japonica Lindl. Photinia arbutifolia Lindl. Ph. serrulata Lindl. Ph. benthamiana Hance. Ph. variabilis Hensi. Amelanchier vulgaris Mònch. A. canadensis Medic. A. Alnifolia Nutt. Stranvaesia glaucescens Lind!. Crataegus oxyacantha L. C. orientalis Bilb. Chamaemeles coriacea Lindl. Rhodotypus Kerrioides Sieb. e Zucc. Kerria japonica D. C. Neviusia alabamensis Gray. Nuttalia cerasiformis Torr. Pygeum africanum Hook. P. parviflorum T. e B. P. latifolium Mq. Prunus laurocerasus L. . amygdalus Stok. . persica Stok. armeniaca L. cerasus L. padus L. nana Stok. serotina Ehrh. domestica L. avium L. mahaleb L. . occidentalis Sw. . pensylvanica L. QNNNANANNNALNA bue Jiac fac ]ao fac fav Jac fac}ao] ODIO TOTO TOO lO 0 VIVI 64 Ciro Ravenna h spinosa L. undulata Buch. Capollin Zucce. Chamaecerasus Jacq. puddum Roxb. caroliniana Art. canadensis L. alleghaniensis Porter. bessey Bail. divaricata Ledeb. paniculata Thun. pendula Desf. . subhirtella Miq. . adenopoda K. e Val. P. javanica Miq. LRRRRARRRRERRR Leguminoseae Lotus arabicus L. Indigofera galegoides D. C. Vicia sativa L V. angustifolia Roth. V. canadensis Zucc. V. hirsuta Gray. V. macrocarpa Bert. Cicer arietinum L. Doliehos Lablab L. Phaseolus Mungo L. Ph. lunatus L. Linaceae Linum usitatissimum L. L. perenne L. Rutaceae Citrus medica L. Dichapetalaceae Chailletia cymosa Hook. Euphorbiaceae Bridelia ovata Decne. B. tomentosa BI. Ricinus communis L. Jatropha angustidens Mill. Hevea brasiliensis Mull. H. spruceana Mull. Elateriospermum Tapos Blume. Manihot utilissima Pohl. M. palmata Pohl. M. Bankensis Hort. M. Glaziovii Mull. Anacardiaceae Corynocarpus laevigata Forst. Celastraceae Kurrimia zeylanica Arn. Sapindaceae Schleichera trijuga Willd. Cupania sp. Rhamnaceae Rhamnus frangula L. Tiliaceae Echinocarpus sigum Blume. Sterculiaceae Pterocymbium sp. Flacourtiaceae Kiggellaria africana L. Ryparosa caesia BI. R. longepeduncolata Kurz. R. javanica K. e V Trichadenia zeylanica Thw. Taraktogenos Blumei Hasskl. T. Kurzii King. Erythrospermum ptytolaccoides Gartn. Hydnocarpus inebrians Wahl. e la n H. alpina Wight. H. anthelmintica Pierre. Pangium edule Reinv. P. ceramense Feys. e Binn. Homalium tomentosum Bth. Gynocardia odorata R. Br. Passifloreae Ophiocaulon gummifer Harw. Modecca Wightiana Vall. Passiflora princeps Lodd. hibrida Hort. . quadrangularis L. laurifolia L. . caerulea L. tuberosa Jacq. actinia Hook. maculata Scanag. alata Dryand. edulis Sims. racemosa Brot. foetida L. adenopoda D. C. amabilis Hook. ambigua ? holosericea L. lunata Willd. minima L. Hebertiana Bot. Reg. hibrida Nees. , pulchella H. B. e K. . violacea Vell assonia Van Volxemii Hook. Combretaceae Combretum constrictum ? Law. Myrtaceae Psidium montanum ? Sw. RIT TO IO TDI TUTO O IO IO 00 UO 0 (UU 0.0.0 Melastomaceae Memecylon, varie specie. Sapotaceae Payena latifolia? Burck. Bassia Mottlejana ?_ Clarke. Lacuma Bonplandii H. B. L. mammosa Gartn. L. Cainito R. S. Asclepiadaceae Gymnema latifolium Vall. Convolvulaceae Ipomoea sinuata Ort. I. dissecta \Willd. I. vitifolia Sw. Scrophulariaceae Linaria striata D. C. Bignoniaceae Osmohydrophora nocturna? Barb. Rubiaceae Plectronia dicocca Burck. Vangueria palembanica Miq. Caprifogliaceae Sambucus nigra L. Compositae Chardinia xeranthemoides Desf. Xeranthemum annuum L. X. cylindraceum Sm. Centaurea aspera L. C. montana L. C. solstitialis L. Cirsium arvense Lmk. Dimorphotheca pluvialis Mònch. Pyrethrum caucasicum Willd. Aplotaxis candicans D. C. Po, L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 65 Soltanto per un numero relativamente piccolo di queste piante si conosce con esattezza la natura del glucoside conte- nuto; per la maggior parte sono noti soltanto i prodotti di scissione. I glucosidi più diffusi sono quelli che dànno, all’ idro - lisi, ’aldeide benzoica; questo è il caso di tutte le rosacee e di molti rappresentanti delle altre famiglie. La p-ossibenzaldeide si è ottenuta finora soltanto dal sorgo. Abbastanza diffusi sono i glucosidi che dànno acetone: oltre al lino e al Phaseolus lunatus, la linamarina sembra presente nelle juncaginacee, in qualche genere delle ranuncolacee, euforbiacee, passiflore ecc. La lotusina fu trovata solamente nel Lofus arabicus; la ginocar- dina, oltre che nella Gyrocardia odorata, nel Pangium edule; la carachina, soltanto nella Corynocarpus laevigata. La quantità di acido prussico che possono fornire le di- verse piante è assai variabile: le più ricche, quali il Pangium edule, ne contengono nelle foglie fino al 4 per mille parti di materiale verde. III. - LOCALIZZAZIONE E TRASPORTO DELL’ACIDO CIANIDRICO. La ricerca più dettagliata sopra la localizzazione dell’acido cianidrico nelle piante clorofilliche è quella di TREUB (') eseguita sopra una pianta tropicale, il Pargium edule, che contiene il principio in quantità assai rilevante. L’ autore si serve, allo scopo, di un metodo microchimico consistente nel trattare i vari tes- suti, posti in condizioni opportune, con una soluzione ferroso- ferrica: la presenza dell’ acido cianidrico è rivelata dalla forma- zione dell’azzurro di Berlino che rimane fissato sugli oggetti in esame. Se si sperimenta il reattivo sopra sezioni trasversali del fusto o dei rami di Pangium, si osserva che, all’infuori di qualche punto azzurro che si forma qua e là nella corteccia e nel midollo, l'acido cianidrico si trova localizzato nel libro e nel periciclo. Sulla quantità, hanno grande influenza due cause interne: la vicinanza delle foglie e gli arresti di accrescimento; il principio appare cioè in misura maggiore nelle regioni ove si (1) Annales du Jardin botanique de Bnitenzorg, XIII, 1, 1896. 66 Ciro Ravenna trovano inserite le foglie e nei rami che siano normalmente o per cause fortuite in un periodo d’ arresto di sviluppo. Nella radice, nei picciòli, nei peduncoli dei fiori e dei frutti, la reazione dell’azzurro di Berlino si manifesta pure localizzata in modo particolare segnatamente negli elementi liberiani. Il lembo differisce invece da tutte le altre parti della pianta perchè l’ acido cianidrico vi è diffuso anche al di fuori del libro a condizione però che le foglie siano giovani. In quelle che si trovino in un periodo troppo avanzato di vita le osservazioni non sono attendibili perchè, salvo due sole ecce- zioni rappresentate dall’ /ndigifera galegoides (1) e dal Sambucus nigra (?) l’acido cianidrico diminuisce nelle foglie coll’età, fino alla completa scomparsa all’epoca della caduta. Nel lembo, acido prussico è localizzato in tutto il parenchima ed inoltre in due sorta di elementi dell’ epidermide che sono: le cellule basi- lari dei peli e le cellule cristallifere contenenti cristalli di ossa- lato di calcio; tanto nelle une che nelle altre, la reazione è delle più nette. Oltre ai luoghi finora menzionati, il reattivo ferroso-ferrico rivela la presenza di depositi di acido cianidrico in cellule di- stribuite qua e là, in numero variabile, nella corteccia e nel mi- dollo dei diversi organi. Sono esse le così dette « cellule speciali » ed è degno di nota il fatto che le cellule ad esse circostanti, non contengono, in generale, la minima traccia del principio. Le cel- lule speciali sono più numerose nei fusti i cui apici subiscono un periodo d’arresto che in quelli ove l’allungamento ha luogo in modo energico. L’ acido cianidrico, in questi elementi, non trae la sua origine dal libro; esso vi si forma anche quando, per condizioni particolari, dal libro è scomparso; si tratta, insomma, di piccoli centri di produzione nei luoghi che non sono in di- pendenza dal tessuto conduttore liberiano: il numero di essi poi è tanto maggiore quanto più la pianta ha o avrà bisogno, in quei luoghi, di sostanze plastiche. È questa la regola della distribuzione delle cellule speciali negli organi del Pangium. Infatti nelle parti più vecchie del fusto, ove (1) Treve - Annales du Jardin botanique de Buitenzore (2° serie), VI, 79, 1907. (*) GuicnarD - Comptes rendus de l’Academie des Sciences, CXLI, 1193, 1905. L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 67 il midollo conduce una vita quasi latente, questo non contiene più cellule speciali mentre allo stesso livello, la corteccia, la cui vitalità è più vigorosa, ne contiene parecchie. Così negli apici dei fusti allo stato di riposo che richiederanno molte sostanze plastiche quando l’ accrescimento riprenderà il suo cammino, il numero degli elementi funzionanti da cellule speciali è assai grande. Altrettanto dicasi per i picciòli dove le cellule speciali si localizzano segnatamente vicino ai rigonfiamenti basilari e terminali, parti nelle quali anche gli elementi del tessuto fonda- mentale devono continuare a condurre una vita attiva. Nei frutti e nei semi in via di sviluppo, le quantità di tali cellule è mag- giore che in ogni altra parte. Nelle cellule speciali giovanissime, il nucleo ed il citoplasma sono ben riconoscibili; coll’ avanzare dell’ età la distinzione scompare; esse dimostrano allora di contenere, coll’ acido cia- nidrico una sostanza rifrangente e omogenea che fu identifi- cata per una proteina. Quando la cellula è ancora giovane, la materia proteica è in piccola quantità. Esaminando cellule meno giovani si osserva che la proteina aumenta giacchè la sua rea- zione uguaglia in intensità quella dell’acido cianidrico. Col pro- gredire ancora dell'età la reazione dell’acido cianidrico si fa meno marcata di quella delle sostanze proteiche finchè si tro- vano cellule speciali che non contengono più acido prussico mentre permangono i depositi di proteina. Un fatto analogo è stato osservato da TREUB anche in certe cellule (cellule an- nesse) del libro. Se si pratica nei fusti una incisione anulare, avviene che dopo un certo periodo di tempo, al disotto della lesione l'acido prussico è scomparso. Malgrado ciò, parecchie delle cellule annesse contengono ancora sostanza proteica. Si vedrà in seguito come questi fatti siano di capitale importanza per il significato biologico dell'acido cianidrico. La localizzazione dell’ acido prussico segnatamente, come s'è visto, nel libro, ha fatto supporre che il principio fosse tra- sportato negli elementi liberiani. L'esperienza diretta non solo sul Pargium, ma anche su altre piante (*) ha dimostrato che (1) Le ricerche relative sono citate da TreuB in Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2° serie), IV, 86, 1904. 68 Ciro Ravenna l'ipotesi era fondata. TREUB per primo dimostrò che se si pra- tica una incisione anulare nel fusto di Pargium, dopo alcuni giorni al disopra della parte lesa il libro contiene forti quantità di acido cianidrico e al disotto poco o punto. Risultato simile si ottiene coll’incisione dei picciòli: in tal caso nelle foglie delle piante operate si può osservare un accumulo, mentre al disotto della lesione i tessuti liberiani non dànno più la reazione del bleu di Prussia. L'acido cianidrico non è dunque soltanto im- magazzinato, ma trasportato nel libro, il che è in accordo col suo ufficio di tessuto conduttore. IV. - LA CIANOGENESI. x Nel paragrafo precedente si è osservato che le cellule spe- ciali appariscono come piccoli centri indipendenti di produzione di acido cianidrico. La sede principale della sua formazione è, però, senza alcun dubbio, la foglia. Ciò è dimostrato dalla cir- colazione del principio negli elementi liberiani e dal suo accu- mularsi nelle foglie quando si pratichi nei picciòli l’incisione anulare. Ricerchiamo dunque ora le condizioni che ne determi- nano la formazione nel lembo. Si hanno indizi di importanza assai rimarchevole e che die- dero un buon indirizzo per la risoluzione della questione, dallo studio dell’ effetto prodotto, nei riguardi del contenuto in acido cianidrico nei lembi, sottraendo le piante all’azione delle radia- zioni luminose. Nella classica ricerca sul Pangium edule, TREUB trovò che i soggetti in esame, messi per alcuni giorni all’ oscu- rità, perdono completamente, o quasi, l’acido cianidrico dalle foglie e che, rimettendoli alla luce, il principio comincia a rifor- marsi. Fatti analoghi furono osservati dallo stesso autore sul Phaseolus lunatus (') sulla Manihot utilissima (£) sul Prunus javanica (*) ecc. e da noi sul Sorghum vulgare (*) nella qual pianta il metabolismo dell’acido cianidrico è tanto attivo che già nel corso di una giornata di insolazione esso può subire note- voli variazioni. (1) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2° serie), IV, 86, 1904. (®) Ibid. VI, 79, 1907. (3) Ibid. VIII, 85, 1909. (4) Ravenna e Peri - Gazzetta chimica italiana, XXXVII, 2, 586, 1907. L’acido cianidrico e la sintesi delle sosianze proteiche 69 Qual’ è la causa della scomparsa dell’ acido prussico all’ oscu- rità ? Il trasporto nel libro non è certamente la principale, poichè si può impedire il trasporto per mezzo dell’ incisione anulare dei picciòli e ciò nonostante le foglie perdono l'acido cianidrico nello stesso spazio di tempo. È questo, come vedremo, un altro punto di grande importanza biologica poichè sia a dimostrare che la foglia utilizza il principio: per quanto riguarda la sua formazione, ci basti ora l’aver stabilito che, avvenuta la scom- parsa, senza le radiazioni luminose ne è impedita una produ- zione ulteriore. L’azione della luce nella formazione dell’ acido cianidrico è, però, soltanto indiretta; essa agisce in quanto permette, colla funzione clorofilliana, la sintesi degli idrati di carbonio. Le espe- rienze sul Parngium edule, quelle sul Phaseolus lunatus e sul Sorghum vulgare, le tre piante cianogene che nei rapporti con tale questione sono le maggiormente studiate, conducono concordemente a questa interpretazione ('). Così se si im- pedisce la funzione clorofilliana ponendo piante intere o foglie staccate a vegetare in atmosfera priva di anidride carbonica, si può osservare che, sebbene sotto l’influenza della luce so- lare, in esse l’acido cianidrico subisce una forte diminuzione o scompare; mentre d’altra parte si può avere una notevole produzione del principio al buio, quando le foglie abbiano a disposizione, anche se somministrate artificialmente nel mezzo di coltura, delle sostanze zuccherine. Condizione prima per la formazione di acido cianidrico è quindi la presenza di idrati di carbonio. Un’ altra prova di ciò è fornita dall’ esame di foglie a screziature bianche (A/ocasia macrorhiza, Hevea brasiliensis) poichè solo nelle parti verdi di esse, che contengono anche molti zuccheri riduttori, si manifesta la reazione del bleu di Prussia, mentre nelle parti bianche ove gli zuccheri sono po- chissimi, la reazione è generalmente negativa (?). (') Una ricerca dettagliata riguardante la cianogenesi fu eseguita da noi anche sul Samz- bucus nigra, ma con risultati incerti. Nel sambuco, l’ enzima del glucoside cianogenetico è insolu- bile ed in ciò è forse la causa per la quale riesce difficile mettere in evidenza, in questa pianta, la reattività dell’ acido cianidrico. Vedasi: Ravenna e ToneGutTI - Le stazioni sperimentali agrarie italiane, XLII, 855, 1909. (?) Treus - Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2* serie), VIII, 85, 1909. 70 Ciro Ravenna Gli idrati di carbonio forniscono dunque il carbonio e l’idro- _ geno necessari alla formazione dell’acido cianidrico ; rimane ora da ricercare quale sia la sorgente dell’ azoto. Esso potrebbe iprovenire o direttamente dai composti inorganici azotati assorbiti dal terreno oppure dai prodotti organici azotati già elaborati dalle piante. Anche da questo lato della cianogenesi, il Pangiumn, il Pha- seolus ed il Sorghum sono le piante sulle quali possediamo maggior copia di dati sperimentali. Se si immergono delle foglie staccate dalle piante, coi picciòli nell’ acqua pura ed in ambiente illuminato, avviene in breve tempo che esse, sebbene in condi- zioni di poter fabbricare idrati di carbonio, perdono l’ acido cia- nidrico. Ciò fa pensare alla necessità per la formazione del principio, del concorso diretto delle sostanze azotate provenienti dal suolo. Questo modo di vedere è confermato da altri punti d’ appoggio. Così se si tagliano a delle giovani foglie di Pangium lasciate alla pianta, le nervature più importanti di uno dei lobi, questo rimane a contatto colle altre parti del lembo quasi esclu- sivamente per mezzo del parenchima. Si può osservare allora che il lobo operato continua a crescere, ma si dimostra privo di acido cianidrico pur contenendo grandi quantità di idrati di carbonio. Anche in questo caso, poichè i sali tolti al suolo pos- sono arrivare al lobo operato soltanto in quantità trascurabile, è logica la supposizione che all’azione diretta di essi sia dovuta la formazione del principio. Alla stessa conclusione conduce un’altra interessante esperienza di TREUB. Avviene spesso che la foglia inferiore di una giovane pianta di Pangium sia sprov- vista di acido cianidrico sebbene ricca di idrati di carbonio. È facile dimostrare che in essa la produzione del principio è ces- sata perchè la concorrenza delle altre foglie e segnatamente di quelle collocate più in alto, fa sì che la foglia inferiore non ot- tenga più dal suolo l’ azoto necessario. Infatti coll’ ablazione di tutte le foglie superiori arriva abbastanza azoto inorganico coi succhi tolti al terreno, alla foglia in esame, la quale ricomincia allora a formare acido cianidrico. Si deve dunque ritenere che la presenza di composti inor- ganici, segnatamente nitrati, sia la seconda condizione dalla quale dipende la formazione di acido cianidrico nelle foglie; l’altra è data, come s'è visto, dagli idrati di carbonio. L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 71 Le vedute intorno al meccanismo della cianogenesi nelle foglie, sebbene trovassero la loro base nella ricerca sperimentale, pareva stessero in opposizione con quanto avviene nella ger- minazione dei semi. È noto che molti semi di piante cianogene (mandorle dolci, sorgo ecc.) non contengono, allo stato di vita latente, acido cianidrico. Se si pongono tali semi a germinare anche in substrato assolutamente privo di qualsiasi composto azotato, il principio si forma in quantità notevole, come è risul- tato dalle esperienze di JORISSEN (*), poi da quelle di SOAVE (?). Tale fatto faceva supporre, poichè nei semi si trovano pochi o punti sali inorganici azotati, che nel caso dei semi germinanti, l'acido prussico avesse una diversa origine e derivasse cioè della retrogradazione delle sostanze proteiche di riserva. La que- stione, che appariva di un certo interesse, fu studiata a più ri- prese da noi (*) e i risultati delle nostre esperienze ci fanno ri- tenere che il caso della germinazione dei semi debba rientrare nel quadro generale della cianogenesi nelle foglie. Infatti, anche nei semi germinanti, la quantità di acido cianidrico che si ori- gina sembra in rapporto colla funzione clorofilliana nel senso che quelli alla luce contengono, per uguali periodi germinativi più acido cianidrico di quelli germinanti al buio ed inoltre, spe- rimentando alla luce in atmosfera limitata priva di anidride car- bonica, si ottengono spesso piantine contenenti il principio in quantità minore. Nelle piantine eziolate, poi, l'acido cianidrico aumenta notevolmente qualora la germinazione avvenga in pre- senza di soluzioni zuccherine. Tutto ciò fa apparire che anche per la cianogenesi dei semi germinanti uno dei fattori necessari è rappresentato dagli idrati di carbonio che daranno il carbonio e l'idrogeno necessari. Riguardo all’ azoto, sarà con ogni pro- babilità fornito dall’ammoniaca che, come è stato osservato, si origina sempre nella germinazione dei semi ('). A noi è ri- sultato infatti, sperimentando coi semi di sorgo, che all’inizio (1) Berichte der Deutschen Chemischen Gesellschaft, XVII (ref.), 485, 1884. (?) Nuovo giornale botanico italiano (nuova serie), VI, 2, 219 — Le stazioni sperimentali agrarie italiane, XXXIX, 428, 1906. (3) Ravenna e ZAmoRrANI - Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, XIX, 2, 356, 1910. — RavenNNA e VeccHi - ibid., XX, 2, 491, 1911. (*) ScuuLze e Castoro - Zeifschrift fiir physiologische Chemie, XXXVIII, 202, 1903. T2iga Ciro Ravenna della germinazione, la formazione dell’ammoniaca precede quella dell'acido cianidrico e che l'aggiunta artificiale di soluzioni di cloruro ammonico nel substrato, determina nei germogli dei notevolissimi aumenti nella quantità di acido prussico. l In base a queste osservazioni, non vi sarebbe quindi più motivo di considerare due differenti modi di formazione dell’ acido cianidrico: quello delle foglie e quello dei semi in germinazione. Nell’un caso e nell’ altro la genesi del principio può ritenersi determinata dalla reazione dei composti inorganici azotati sugli idrati di carbonio. V.- SIGNIFICATO BIOLOGICO DELL’ ACIDO CIANIDRICO. Le nozioni sommarie finora esposte sulla localizzazione, il trasporto e la genesi dell'acido cianidrico nei vegetati, ci per- metteranno di esaminare e discutere le ipotesi riguardanti il suo significato biologico. L’acido cianidrico è stato considerato sia come sostanza elaborata dalle piante per proteggersi contro gli attacchi degli animali; sia come un prodotto di rifiuto originatosi nella retrogra- dazione delle sostanze proteiche ed infine come il più semplice composto organico azotato proveniente dall’assimilazione del- l'azoto e a spese del quale, si edificano le sostanze proteiche. Sulla prima ipotesi suggerita dalle proprietà eminentemente tossiche del principio, si deve subito osservare, come fa TREUB ('), che non si può concepire un mezzo di difesa nascosto, come s'è visto per il Pargium, nel libro di grossi tronchi e di grosse radici. Nelle parti più accessibili, come le foglie, l’ acido prus- sico, anzichè allontanare gli animali, sembra essere gradito da certi insetti che lo utilizzano come nutrimento; le parti terminali dei rami, che sono anzi le più ricche in acido cianidrico, sono ricercate in modo particolare da alcune larve che causano alla pianta danni non indifferenti. Rilievi analoghi furono fatti su altre piante cianogene. Una coltivazione di Marihot utilissima, ad esempio, fu trovata invasa da un parassita appartenente al genere Tetranychus i cui individui si annidavano di preferenza in vi- (1) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg (2% serie), VI, 107, 1907. d' L’acido cianidrico e la sintesi delle sostanze proteiche 73 a cinanza delle grosse nervature dove il principio venefico è se- gnatamente localizzato. Anche noi (') abbiamo avuto occasione di | osservare che il Sorghum vulgare può essere seriamente danneg- | —giato da colonie di afidi che da questa pianta traggono nutri- mento infiggendo il rostro specialmente nella pagina inferiore delle di, foglie ed in genere in prossimità della nervatura principale. In uno stesso terreno in cui era coltivato mais e Sorghum, assai mag- gior numero di queste ultime piante furono invase dagli insetti. I pochi fatti ora esposti bastano a dimostrare che pur am- mettendo che l'acido cianidrico possa mettere le piante che lo contengono al riparo dall’attacco di certi animali, ciò non av- viene per molti altri per i quali esso sembra costituire un ali- mento. Sarebbe quindi erroneo assegnare a questo corpo un ef- fetto protettore generale. Riguardo alla seconda ipotesi, che considera l'acido prussico come un prodotto di rifiuto originatosi nella regressione delle sostanze proteiche, basterebbe richiamare il modo con cui si compie la cianogenesi perchè anche una simile interpretazione debba essere abbandonata. L’azione diretta degli idrati di car- bonio e dei composti azotati inorganici conduce infatti ad esclu- dere l'intervento della materia proteica nella formazione dell’ acido cianidrico. Alla stessa conclusione si giunge considerando ciò che avviene nelle cellule speciali e nelle cellule annesse del libro nel Pangium edule. Si è veduto che questi elementi con- tengono acido cianidrico ed una proteina la cui comparsa però non precede, ma segue, quella dell’ acido prussico. Quest ultimo, alla sua volta, scompare quando le cellule contengono ancora la riserva albuminica. Questi fatti dimostrarono che l'acido prus- sico non può essere un prodotto di disassimilazione della sostanza proteica messa in riserva in dette cellule poichè in tal caso, l’or- dine di apparizione e di scomparsa dei due corpi dovrebbe es- sere l'opposto. Aggiungasi a tutto ciò che nelle cellule basilari dei peli dell'epidermide delle foglie e nelle cellule cristallifere l’acido cianidrico non può considerarsi come un prodotto di tra- sformazione chimica di una riserva azotata perchè, tale riserva, non si trova in detti elementi. » LESICAL ; SY (ida Na s | e CO <> ». Osserverò a questo proposito che i granuli e depositi da me osservati non hanno niente a che fare con materiale mito- condriale e sono indubbiamente composti salini puri ossia, per me- glio dire, privi di un sostegno organizzato. Infatti nei preparati di materiale fissato ad %oc non si vede nessuna traccia di ma- teriale mitocondriale in quegli stessi vacuoli che col metodo fotografico contengono i granuli; tutti questi granuli poi sono perfettamente solubili in acqua dimodochè nei preparati di ma- teriale fissato in CARNOY che non sieno stati trattati col metodo fotografico, non vi è più nessuna traccia di granuli nè nel pro- toplasma nè — quel che più conta — nei vacuoli, nei quali sarebbero sempre facilmente distinguibili. Inoltre la riduzione dei sali d’argento che ha luogo in corrispondenza di certe mem- brane ecc. si manifesta al microscopio sotto forma di una pol- sos * e. . . . Processi regressivi, comportamento dei mitocondri ecc. 95 vere minutissima che, come ho già rilevato, non ha assolu- tamente nulla a che vedere coi grossi e irregolari granuli cristallini di acido urico (e cloruri). Un bellissimo esempio di un tal modo di ridurre il nitrato di argento lo si ha nell’orletto striato dell’ epitelio renale. Ma la quistione importante che ci si presenta è quella di stabilire la relazione fra il modo di presentarsi dei granuli in condizioni normali e quello in condizioni patologiche, cioè nei vacuoli prodotti dall’ idronefrosi. Nei reni normali, o più preci- samente, nei reni con ipertrofia compensatoria conseguente alla legatura dell’ uretere dell’ altro rene, ho visto i granuli urici di- stribuiti in tutto il protoplasma del relativo epitelio, senza spe- ciale accumulo nella regione basale o apicale della cellula e senza nessun accenno alla formazione di vacuoli. La medesima dispo- sizione si vede come abbiamo detto nei tubuli rimasti normali del rene idronefrotico. Ci troviamo così di fronte a due tipi diversissimi nel modo di apparire dell’acido urico. Come si passa dal tipo normale a quello patologico? Per cercar di chiarire questo punto ho pensato di osservare le prime fasi di questo passaggio; per es. al terzo giorno della legatura dell’uretere. Ma in queste condizioni ho trovato invece che quasi tutti i canalicoli appaiono normali e coi granuli urici distribuiti come nei reni normali: i pochi tubuli alterati presentano già i vacuoli uguali a quelli degli stadi già avanzati. Allora ho fatto un’altra esperienza. Ho legato un uretere a un coniglio e dopo 11 giorni ho legato anche l’altro uretere. Trascorse 20 ore ho ucciso l’animale per salasso. I preparati ottenuti da questi reni sono i più belli che abbia, per la ric- chezza in granuli urici, specie nel rene idronefrotico. Nel quale si trovano i soliti vacuoli ricchissimi di granuli e concrezioni uriche. L’epitelio secernente del rene ultimo operato contiene abbondanti granuli urici con lo stesso aspetto che nei reni nor- mali, cioè senza vacuoli. In quest’ ultima esperienza il rene è da un lato stimolato a funzionare in modo veramente eccessivo e dall'altro è ostacolato nel compimento della sua funzione a causa della legatura del- l’ uretere. Queste condizioni sono evidentemente favorevoli all’ ac- DI cumularsi nelle cellule di materiali di secrezione di cui è sovrac- 96 G. Vernoni carico il sangue e che non può essere da esse che molto parzialmente escreto. Ora, anche in questo caso, come abbiamo veduto, le cose, dal punto di vista istologico, non sono sensibilmente diverse che nelle condizioni normali. Ciò in verità non era nelle nostre previsioni! Ma come spiegare allora questi fatti? Se non m’inganno, la causa e quindi la spiegazione di tali fatti è questa: la cellula secernente del rene — come presumibilmente, del resto, ogni altra cellula dell’ organismo — possiede dei poteri di « autorego- lazione » 0 « autogoverno » per le sue funzioni. Ciò significa che l’ intensità di una sua funzione — poniamo quella escretrice del- l’acido urico — non dipende soltanto dallo stimolo che essa riceve a questa funzione dall’ esterno, cioè dalla maggiore o mi- nore quantità di acido urico presente nel sangue; ma è altresì condizionata dal suo stato interno o, per il caso particolare, dalla possibilità in cui essa si trova di eliminare più o meno facil- mente coll’ orina l’acido urico dopo averlo assorbito dal sangue. In altre parole la cellula non è uno strumento cieco che, perchè è capace normalmente di assorbire elettivamente anche minime traccie di acido urico via via che compaiono nel sangue, debba per questo continuare ad assorbirlo e a sopracaricarsene anche quando la successiva eliminazione ne è ostacolata. Quando que- st ultima condizione si verifica, come nella legatura dell’ uretere, la cellula pone « l’alto là » all’assorbimento, e il sangue può saturarsi quanto vuole del materiale da eliminare che non per questo la cellula se ne carica in misura sensibilmente maggiore che di norma. Così si comporta l'organismo cellulare finchè le sue condizioni di vitalità e di resistenza sono conservate e perciò l'esame istologico ci mostra queste cellule di aspetto non diverso che nei reni normali anche per quel che riguarda i granuli urici. Quando per il perdurare dello stato anormale la resistenza cel- lulare vien meno, allora compare una rapida e intensa vacuoliz- zazione: determinata molto probabilmente dal fatto che, per la diminuita vitalità cellulare, la zona protoplasmatica limitante non funziona più come membrana viva, ma piuttosto come semplice membrana semipermeabile. La concentrazione salina che era prima tollerata anche in alto grado all’interno della cellula provoca adesso per osmosi un assorbimento d’acqua, più o meno note- vole, che si raccoglie in vacuoli. Processi regressivi, comportamento dei mitocondri ecc. 97 Tornando adesso alla quistione da cui siamo partiti, del modo cioè di essere dell’ acido urico nel protoplasma dell’ epitelio re- nale dei mammiferi io non ho, in base ai fatti surriferiti, dati sufficienti per dare un giudizio. Tuttavia mi sembra che la pos- sibilità che questa sostanza in certe condizioni, per quanto patolo- giche, si trovi disciolta in vacuoli e mostri di non essere unita a nessun sostegno organizzato (granuli di segregazione), stia ad indicare come cosa più probabile che, anche in condizioni nor- mali l’acido urico e le altre sostanze di analogo comportamento istochimico si trovino semplicemente disciolte nei liquidi del pro- toplasma cellulare, dai quali vengono precipitate sotto forma di granuli cristallini in seguito alla disidratazione determinata coi liquidi fissativi (alcool). Poichè la maggior reazione di precipitazione si ottiene nel rene per l’acido urico, ho voluto vedere che risultati si possono avere in animali in cui la escrezione di questa sostanza sia più abbondante che non nel coniglio. Ho provato sul cane che come carnivoro elimina quantità maggiori di acido urico, e sul pic- cione poichè l'azoto degli uccelli è eliminato quasi completa- mente sotto forma di acido urico. Il rene di un cane con l’uretere legato da 7 giorni appare, come nel coniglio, assai ingrossato e edematoso. Ma anche tutta la loggia renale è fortemente edematosa e i vasi capsulari tur- gidi. Microscopicamente notevolissima congestione vasale; si è poi sorpresi di non trovare affatto il quadro caratteristico del coniglio; manca cioè la vacuolizzazione tipica dell'epitelio. Si ha piuttosto un quadro simile a quello di una nefrite che abbia colpito qua e là alcuni tubuli rispettando gli altri. I granuli urici sono assai minuti e sono distribuiti nel rene normale come nel coniglio senza particolare localizzazione nel protoplasma cellu- lare; non mostrano nulla di speciale nel rene a uretere legato. Nel piccione, dopo 10 giorni dalla legatura dell’uretere, il rene appare molto pallido, consistente e duro al taglio. Micro- scopicamente si ha pure un quadro diverso dal coniglio. La maggior parte dei tubuli hanno epitelio appiattito; alcuni hanno il lume rimpicciolito o le pareti sono addirittura collabite, altri, in minor numero, presentano dilatazioni cistiche. Domina il Bios 7 98 G. Vernoni quadro il notevole e precoce sviluppo del connettivo interstiziale che, come tessuto di granulazione, comprime e strozza tutti i tubuli e che ha come punto di partenza la regione papillare dove circonda anche i grossi vasi. In alcune singole cellule dei cana- licoli si sono formati dei vacuoli in tutto paragonabili, salvo le minori dimensioni, a quelli del coniglio. Una parte dei tubuli contiene nell’ epitelio più o meno appiattito dei granuli irregolari di colorito giallognolo, più grossi di quelli del coniglio, spesso formanti delle piccole concrezioni. Molti altri tubuli ne sono invece completamente sprovvisti. Questi granuli sono poco so- lubili in acqua poichè si ritrovano anche nei preparati non trat- tati col metodo fotografico. Con questo metodo appaiono neri invece che gialli. Nel rene a uretere pervio si trovano pure questi granuli e si vede nettamente che, a differenza che nel coniglio e nel cane, essi sono accumulati nella zona sopranucleare del- l’ epitelio secernente ossia verso il lume. In complesso dunque nè il cane nè il piccione danno quei risultati che si ottengono, con la legatura dell’ uretere, nel coniglio. Mi limito a constatare il fatto, senza poterne addurre la spiegazione. Dirò solo che, in parte, tale differenza può essere in rapporto: nel cane, con la ricca circolazione vicariante capsulare che si stabilisce; nel piccione, con la rapida proliferazione del connet- tivo interstiziale che distrugge precocemente i tubuli senza che possano andare incontro ad alterazioni secondarie. RIASSUNTO. 1. Nell’idronefrosi |’ epitelio secernente del rene subisce una degenerazione vacuolare caratteristica. 2. L’insieme dei tubuli renali non regredisce in modo gra- duale ed uniforme. Accanto a tubuli gravemente alterati ve ne sono altri perfettamente normali; e ciò fino agli ultimi stadi, variando solo la quantità degli uni in rapporto a quella degli altri. Si ha con ciò una chiara dimostrazione della varia resi- stenza individuale dei singoli canalicoli. 3. I mitocondri dell’epitelio renale persistono a lungo durante la distruzione della cellula, mostrando di essere intimamente con- nessi con la struttura del protoplasma. Processi regressivi, comportamento dei mitocondri ecc. 99 4. Nei vacuoli dell’epitelio renale si possono dimostrare pre- cipitati granulari e concrezioni cristalline costituiti (almeno in parte) da acido urico. Ciò spiega la genesi dei vacuoli e, indi- rettamente, fa ritenere che, in condizioni fisiologiche, l’ acido urico sia contenuto nella cellula allo stato di semplice soluzione. Bologna, marzo 1913. simpa no gi 4 a tag Intimo sun if Ì oli si 7 Lia | RECENSIONI CITOLOGIA - Cromosomi. AGAR W. E. — Segmentation and Differentiation of chromosomes (Quarterly Journal of Microscopical Science, New Series, Vol. 58, pag. 285, 1912). L’Autore dà essenzialmente un’ interpretazione della segmentazione tra- sversale dei cromosomi. Egli osserva che la cromatina ha tendenza a rac- cogliersi verso le due estremità di ogni singolo cromosoma, scorrendo quasi sostanza fluida dal centro del corpo del cromosoma verso le due estremità. L’autore mette questo fenomeno in relazione con fattori fisici (cariche elet- triche, tensione superficiale ecc.). C. ArToM - Roma. Wilson E. B. — Studies on Chromosomes (our. exper. Zoologv, Vol. 13, 1912). L’Autore si occupa della spermatogenesi di varì Emitteri: Oncope/tus. Lvgaeus ecc. In questo estesissimo studio vi è specialmente di notevole il fatto che in Oncopeltus i due cromosomi sessuali si possono seguire molto bene dall’ ultima fase spermatogoniale attraverso tutti gli stadî dello sper- matocito in accrescimento (nucleo leptoteno, sinizesi e sinapsi, nueleo pachi- teno e nucleo diploteno). In Lygaeus poi i due cromosomi sessuali sono assai diversi sia di forma, sia di grandezza. La formazione delle tetradi e l'aspetto bivalente dei cromosomi sessuali è seguita nella spermatogenesi di Orcope/tus con tutta una serie di bellis- sime figure. A tutto il lavoro fanno poi seguito due tavole di microfoto- grafie desunte da preparati sulla spermatogenesi oltre che di parecchi Emit- teri, anche di un Ortottero. L’Autore dopo l'esame di preparati di JANSENN e degli SCHREINER crede alla teoria della copulazione parallela dei cromo- somi. L'Autore infine fa notare come in Orncope/tus pur essendo i due cromosomi sessuali di eguali dimensioni, tutto induce a credere che in defi- nitiva (così come avviene in ispecie affini) gli spermatozoi debbono risultare fisiologicamente dimorfi. C. Artom - Roma. Borpas M. — La Spermatogénèse dans le Sagitta bipunctata (La Cellule, Vol. 28, p. 167). In questo lavoro, fatto essenzialmente collo scopo di colmare le lacune che contengono le osservazioni della STEVENS e di BUCHNER, sullo stesso materiale, l'Autore si professa partigiano dello schema riduttivo eteroomeo- tipico di GREGOIRE. C. ArTOM - Roma. 102 Recensioni FooT KATH. and STROOBELL E. C. — A study of Chromosomes and Chro- matinnucleoli in Euschistus crassus (Archiv fiir Zellforschung, Vol. 9, p. 47, 1912). Gli Autori sono in complesso alquanto scettici sulla teoria dell’ indivi- dualità dei cromosomi. A ciò essi sono condotti dall’osservazione che i cro- mosomi prenderebbero origine dai nucleoli di cromatina. Nella specie presa in considerazione i nucleoli di cromatina sono in numero di due, mentre in altre specie del genere Euschistus vi è uno solo di tali nucleoli. Ancora di notevole vi è da osservare che mentre in altre specie di Euschistus il nu- mero dei cromosomi è 14, nell’Euschistus crassus invece il numero dei cromosomi è 12. C. ArTtoM - Roma MuLsow K. — Der Chromosomen cyclus bei Ancvracanthus ceystidicola. Rud. (Archiv fiir Zellforschung, Vol. 9, p. 71, 1912). Questo materiale (nematode parassita della vescica natatoria di parecchi pesci d’acqua dolce) si presta molto bene per la citologia delle cellule sessuali. In modo molto chiaro viene dimostrato, che nel corso della sper- matogenesi vengono prodotti spermatozoi morfologicamente dimorfi, e cioè a cinque e a sei cromosomi. Ma ciò che soprattutto è importante si è che PAutore dimostra che gli uni e gli altri di questi spermatozoi sono atti alla fecondazione. Infatti osservando uova fecondate ed embrioni, si contano nei nuclei ora 5 + 6 cromosomi ed ora 6 + 6 cromosomi. Le uova e gli embrioni a 11 cromosomi evolverebbero in maschi; le uova e gli embrioni a 12 cromosomi evolverebbero in femmine. C. ArTOM - Roma. PayNE F. — The Chromosomes of Gry//ota/pa borealis. Burm (Archiv fiir Zellforschung, Vol. 9, p. 141, 1912). Negli organi di Gry//otalpa Vl A. conta 24 cromosomi; negli spermato- gonî invece ne conta 23. Di questi 23 cromosomi uno è il cromosoma impari corrispondente a quello descritto nella spermatogenesi di altri Ortotteri. Esisterebbero poi ancora negli spermatogonî due idiocromosomi (uno piccolo, l’altro grande). Nella prima divisione di maturazione il cromosoma impari non dividendosi, andrebbe da solo ad uno dei poli del fuso; inoltre ancora l idiocromosoma grande andrebbe ad uno dei poli del fuso, e l’idiocromo- soma piccolo all’altro polo. Risulterebbero così in definitiva due categorie di spermî; e cioè spermî a 12 cromosomi (con cromosoma impari e idio- cromosoma grande) o spermî con soli 11 cromosomi (senza cromosoma impari e con idiocromosoma piccolo). C. ArToM - Roma. FROLOWA SOPHIA — Idiochromosomen bei Ascaris megalocephola (Archiv fiir Zellforschung, Vol. 9, p. 149, 1912). Anche nell’ Ascaris megalocephola, studiando l’ovogenesi e la sperma- togenesi, vennero scoperti gli idiocromosomi, corrispondenti in modo per- fetto al noto tipo Proferor descritto dal WiLson. Nell’uovo maturo cioè sarebbe sempre presente un idiocromosoma; negli spermî invece tale idio- cromosoma può essere presente oppure mancare. Nell’uovo fecondato perciò Recensioni 103 si potranno avere oltre i cromosomi ordinari uno oppure due idiocromosomi a seconda che l’uovo è fecondato dall'una oppure dall’altra sorta di spermî. C. ArTOM - Roma. ALVERDES FRIEDRICH — Die Kerne in der Speicheldriissen der Chironomus- Larve (Archiv fiir Zellforschung, Vol. 9, p. 168, 1912). In questo lavoro viene essenzialmente seguita l’evoluzione del ben noto gomitolo cromatico (spirema permanente) delle ghiandole salivari di CAiro- nomus. La sostanza cromatica è disposta a dischi che si alternano con altri dischi di sostanza acromatica; e ciò sia nelle larve giovani, sia in quelle vecchie; nelle larve invece di media età, la sostanza cromatica è disposta secondo una doppia spirale. Tale costituzione è perfettamente identica a quella constatata da altri autori (BONNEVIE, SCHREINER) su materiale il più disparato. Le osservazioni di ALVERDES vennero in parte fatte su materiale vivente; e specialmente la disposizione della sostanza cromatica a forma di dischi pare risulti di grande evidenza. Secondo l’ Autore poi il doppio filamento a spirale di sostanza cromatica è da escludersi possa essere un principio di divisione della cromatina come vorrebbero gli SCHREINER; im- x perocchè in tali cellule la divisione è amitotica. C. Artom - Roma. BAEHR von W. B. — Contribution a l’étude de la caryocinèse somatique, de la pseudoréduction et de la réduction (La Cellule, Vol. 27, 1912). Questo lavoro è un’ amplificazione di un altro precedente dello stesso autore e si propone lo scopo di approfondire varie questioni concernenti specialmente la spermatogenesi dell’ Aphis saliceti. Su questo materiale |’ Autore descrive una profasi eteroomeotipica nel senso di GRÉGOIRE, quindi una metafasi ed una anafasi in cui è interessante soprattutto notare che tra gli spermatociti di 2° ordine che vengono pro- dotti, dopo la prima divisione di maturazione, gli uni contengono tre cro- mosomi, i mitocondri e parecchio protoplasma;- mentre gli altri molto più piccoli, contengono solo due cromosomi e poco protoplasma. Questi ultimi sono destinati a degenerare: i primi invece evolveranno in spermatidî e quindi in spermatozoi. L’Autore poi combatte la nota ipotesi di DEHORNE sul duplicismo costante dei cromosomi nelle piastre equatoriali. In successivi capitoli l'Autore tratta poi diffusamente le questioni generali sul meccanismo della riduzione, sull’eterocromosoma (negli Afidi identico agli altri cromosomi) e infine sulla teoria dell’individualità dei cromosomi. C. ArToM -. Roma. Blefaroplasti e centrosomi. LESTER W. SHARP — Spermatogenesis in Equisetum (The Bot. Gazette, Vol. 54, p. 89, 1912). Uno dei periodici più benemeriti della Fisiologia vegetale è senza dubbio la « Botanical Gazette > che raccoglie tutti i lavori compiuti nell'Istituto botanico dell’ Università di Chicago. Potrà consultarla con profitto lo stu- dioso che si voglia tenere al corrente dei varî problemi di Biologia vegetale, 104 Recensioni soprattutto riguardo allo sviluppo dell’ embrione, alla morfologia e fisiologia delle Cicadee e agli studi sulle piante estinte in relazione colla genesi delle forme attuali. Nell'anno scorso, il lavoro sopra citato ha recato un notevole contributo alla conoscenza dei centrosomi e dei cosiddetti blefaroplasti. Da vario tempo gli organi cigliati che si trovano nelle cellule riproduttive maschili di molte piante formano la base di accurate ricerche per determinarne la natura mor- fologica e la probabile discendenza dai centrosomi. STRASBURGER e DANGEARD nei loro lavori sulle alghe concludono che i centrosomi sono ben distinti dai blefaroplasti; al contrario BELAJEFF e MOTTIER per la Chara e IKENO per la Marchantia credono che i blefaroplasti cigliati si debbano considerare come veri centrosomi. Nei lavori più recenti poi, le opinioni sono divise. In questa pubblicazione lo SHARP ha esaminato la formazione degli anterozoi dell’Eguisetum e i resultati a cui è giunto sono molto notevoli. Infatti egli ha osservato che nelle ultime mitosi precedenti la formazione degli anterozoi, appare nell’anteridio, presso il nucleo, un granulo minuto che poi si divide in due. Questi granuli che sono appunto i blefaroplasti divergono ai poli del fuso nucleare e durante l’anafasi e la telofasi diven- tano grandi, vacuolati e si dividono in frammenti, i quali poi si riuniscono per formare le ciglia. Perciò, come già nelle Briofite, nelle Pteridofite e nelle Gimnosperme, si può concludere che i blefaroplasti derivano ontoge- neticamente e filogeneticamente dai centrosomi. Questo resultato è concorde con quello che è stato già osservato in molte altre specie di piante, ma in tutti questi lavori manca un’analisi accu- rata della probabile funzione dei centrosomi; però il riassumere e lumeg- giare i varî aspetti di questa funzione sarà possibile soltanto quando tali figure cariocinetiche saranno state osservate nel maggior numero di specie, soprattutto tra le Fanerogame, nelle quali rimangono ancora tante lacune; e quando, riferendosi anche alle recenti osservazioni sulle cellule animali, gli osservatori non si contenteranno dello studio degli elementi sessuali, ma estenderanno le ricerche anche alle mitosi delle cellule somatiche. A. F. PAVOLINI. Membrana cellulare. BRUNI A. — Ueber die evolutiven und involutiven Vorginge der Chorda dorsalis in der Wirbelsàule mit besonderer Beriicksichtigung der Amnioten (Arafom. Hefte, Vol. 45, Abt. 1, p. 309, 1912). In questo ampio lavoro sono contenuti molti fatti anche nuovi sulla morfologia delle corda. Noi qui vogliamo però riferirne uno solo, che inte- ressa la teoria cellulare: che cioè il tessuto cordale è dapprima cellulare, poi sinciziale, e finalmente di nuovo cellulare. È questo un bel caso in con- ferma della teoria della membrana, che io già in altra occasione sviluppai, secondo la quale la membrana cellulare è una precipitazione dei colloidi periferici della cellula, reversibile fino a che non è troppo progredita. PaoLo ENRIQUES. Recensioni 105 Individualità celiulare. Fiorio L. — Ricerche sulle relazioni morfologiche fra leucociti, globuli rossi e cellule del connettivo (/nfernationale Monatsschrift fiir Anatomie u. Physiologie, Vol. 29, p. 321-370). A parte lo studio e la dimostrazione della origine comune di tutti i leu- cociti ed eritrociti nel midollo osseo della rana, questo lavoro è notevole per la trattazione di un problema generale, nel campo della teoria cel- lulare. Si discute spesso se i leucociti possano trasformarsi in cellule fisse del connettivo, risolvendosi, ormai, in generale la questione in senso affermativo. In queste ricerche però si giunge ad una nuova conclusione in proposito: lA. ha infatti osservato, ponendo pezzetti di sambuco nell’ interno del corpo di una cavia, che i leucociti vi penetrano, e si trasformano, entro le cel- lule del sambuco, assumendo l’aspetto di giovani fibroblasti; ma non si attaccano tra loro, non formano un tessuto, rimangono elementi liberi, a differenza di quanto si osserva intorno al sambuco. Dunque la trasforma- zione citologica dei leucociti può avvenire per le sole relazioni umorali colle altre parti del corpo; invece, questi elementi liberi non possono orga- nizzarsi, se non attaccandosi a connettivo preesistente. Locinow W. — Zur Frage von dem Zusammenhang von Muskelfibrillen und Sehnenfibrillen (Archiv f. Anat. (4. Physiol), p. 171, Jahrg. 1912). Dimostra con buona tecnica e convincenti figure, la diretta continuità delle fibrille tendinee colle muscolari, attraverso anche al sarcolemma. Par- ticolarmente interessante è una figura nella quale fibre muscolari si rami- ficano in fibrille, che poi si continuano con fibre elastiche a ventaglio (Merr- brana retrolingualis). È un altro contributo alla questione, ormai risolta in senso ampiamente affermativo, della continuità protoplasmatica tra tutti gli elementi cellulari del corpo. PaoLo ENRIQUES. Potenza dello spermatozoo. LOEB J. BANCROFT F. W. — Can the spermatoz6on develop outside the egg? (Journ. Exp. Zool., Vol. 12, N. 3). A tale questione intimamente legata coi fenomeni di partenogenesi arti- ficiale e merogonia, aveva già volto l’attenzione il DE MEYER con esperienze sullo sperma di Echinus microtuberculatus. Il LOEB ed il BANCROFT hanno istituito esperienze simili con lo sperma di pollo raccolto e coltivato in goccia pendente di albume di uovo, di rosso di uovo, di soluzione di Ringer ecc. con mezzi e metodi rigorosamente asettici. Dall’ osservazione di spermatozoi viventi e di preparati con fissazione in FLEMMING e colorazione in miscela dell’ HERLA hanno potuto assistere ad una progressiva modificazione degli spermatozoi: dapprima intorno al pezzo intermedio si forma una vescicola a contenuto con basso indice di rifra- zione, la quale poi diviene sferica e chiude dentro di sè la testa dello sper- 106 Recensioni matozoo, mentre la coda rimane invariata e talora sparisce. Dopo due o tre ore da che lo sperma è stato posto nel bianco o nel rosso dell’ uovo la testa dello spermatozoo è scomparsa, e dopo 8 ore la vescicola appare come un vero nucleo nel quale si possono distinguere zolle di cromatina. Nella soluzione di RINGER 10 Si osservano i primi fenomeni ma non av- viene la trasformazione suaccennata neanche dopo 48 ore. Da tali esperienze gli Autori concludono che nel bianco e nel rosso d’uovo (notiamo non nella soluzione di RINGER!) lo spermatozoo può tra- sformarsi in nucleo, e tale conclusione è indubbiamente interessante; ma da questa a stabilire col de MEYER che lo spermatozoo può evolversi sotto la sola azione di agenti esterni vi è ancora un abisso! V. BALDASSERONI. Tecnica. BuscaLIONI L. e MuscaTELLO G. — Sopra un nuovo processo di tecnica istologica per la colorazione delle sezioni in serie e la sua applica- zione all’anatomia e fisiologia vegetale, con particolare riguardo agli organi motori (Ma/pighia, Vol. 24, p. 289, 1912). Gli autori espongono un nuovo metodo per la colorazione dei prepa- rati in serie non imparaffinati. Infatti in botanica non si può sempre, o non è conveniente l’imparaffinazione. Dovendo colorare delle sezioni in serie siffatte riesce difficile non spostare l'ordine dei pezzi. Allora si può stendere sul fondo di un cristallizzatore o di una capsula di PETRI un foglio di carta da filtro o di carta protocollo (secondochè la colorazione deve essere più rapida o più lenta) e versarvi sopra, senza coprirlo, la soluzione del liquido colorante e poi i preparati in ordine, ai quali a poco a poco la carta imbevuta cede il colore. Gli autori descrivono estesamente questo metodo applicato allo studio dei cuscinetti motori e dei piccioli delle foglie di Mimosa, facendone risal- tare tutti i vantaggi. E certo deve essere un metodo assai pratico e razionale, che, se non altro, deve presentare il vantaggio di poter controllare ad ogni istante il grado di colorazione del pezzo e di impedire così un’eccessiva impregna- zione di colore. A. F. PAVOLINI. ELGLLILZNEGESLTLI LI LSZILZIZI EREDITÀ, VARIAZIONI. Rosa D. — Il lamarkismo e le farfalle (BoZ/. Soc. Ent. If., Vol. 42, p. 39, 1911). Molti sperimentatori, allevando i bruchi in condizioni speciali artificiali di temperatura e di nutrizione, sono riusciti ad ottenere farfalle, le quali pre- sentano una colorazione speciale delle ali, talora molto diversa da quella Recensioni 107 normale per la specie. E tali nuove colorazioni delle farfalle sarebbero anche in leggera proporzione ereditarie. Ora i resultati di queste esperienze sono stati e sono da molti ritenuti come una prova formidabile in sostegno dell'eredità dei caratteri acquisiti. Il Rosa invece e con maggior ragione sostiene che i resultati di queste e altre simili prove parlano proprio contro l'eredità dei caratteri acquisiti. Infatti in tali esperienze è stato possibile, variando le condizioni ambiente, far variare un carattere che si era sviluppato in un dato ambiente in un dato senso per secoli e secoli, di generazione in generazione, far variare cioè un carattere che secondo i lamarkisti dovrebbe invece ormai esser fissato. Ma se l’azione secolare del fattore temperatura non ha prodotto effetti ereditarî sul carattere colorazione, non sarà certo la variazione di detto fattore limi- tato ad una generazione che produrrà tali effetti; quindi le eventuali tracce di eredità osservate in talune esperienze sono senza valore. Così il Rosa con un ragionamento che non potrebbe esser più semplice e più stringente rivolge contro i lamarkisti i loro propri argomenti. V. BALDASSERONI. POTONIÉ H. — Beispiele zur Frage nach pathologischen Erscheinungen mit atavistischen Momenten (Nafurw. Wochenschr., N. F. 18, XI, p. 273-277, 1912). L’A. riferisce di alcuni resultati interessantissimi sopra alla ricomparsa di caratteri atavici, in seguito ad azioni dannose. Ne riportiamo alcuni. I fiori femminili di Me/andryum album, quando sono infettati dal car- bone (Ustilago antherarum), formano stami; il fiore è così ricondotto al tipo ermafrodita atavico. Generalmente le infiorescenze delle Crucifere hanno brattee, e la man- canza di queste è ritenuta come abortiva. In alcune specie però le brattee mancano; orbene, PEYRITSCH le ha fatte in queste produrre, infettando la pianta colla PApfoptus. Molti altri fatti del medesimo genere sono riferiti. Essi mostrano una volta di più che nella evoluzione individuale vi sono molte energie che rimangono latenti; e ricordano anche quel fatto frequente, noto in generale agli studiosi d’ibridismo, pel quale due razze incrociate tra loro dànno ibridi differenti da loro stesse, e più somiglianti al loro antenato comune, come già ha sostenuto DARWIN pei colombi. L’incrocio permette lo sviluppo dei caratteri fino al punto in cui sono comuni; lascia in disparte quelli pei quali le razze incrociate differiscono, e fa perciò riapparire le comuni eredità latenti. Analogamente, azioni patologiche studiate dal POTONIÉ soppri- mono soprattutto ed in primo luogo gli ultimi acquisti del germe, i caratteri ereditari più recenti, lasciando libero giuoco alle eredità latenti, dei fatti e caratteri più antichi. Queste ricerche di patologia vegetale hanno insomma una importanza grande per i problemi generali della eredità; sarebbe certo interessante cercare qualche cosa di simile anche nel campo zoologico. Esse chiariscono un poco, per la prima volta, le oscure questioni deli’ atavismo; il quale dovrebbe intendersi — se dagli effetti è lecito paragonare le cause — come dovuto, in generale, ad azioni dannose, forse tossiche, capaci di di- struggere, nei primi tempi dello sviluppo, gli ultimi acquisti ereditari fatti dalla specie nel corso della sua filogenesi. 108 Recensioni Anche la maggiore debolezza dei caratteri ultimamente acquistati — che sono spesso recessivi negli incroci — rientra nel medesimo ordine di fatti e va d’accordo coi resultati del POTONIÉ. PaoLo ENRIQUES. BORNET E. et GaRD M. — Recherches sur les hybrides artificiels de Cistes (Beihefte z. Botan. Centralblatt, Vol. 29, 3 H., p. 306-394, 1912). In questa lunga memoria gli AA. espongono il resultato delle combina- zioni di molte specie di Cistus; il resultato più interessante è questo: una stessa specie non trasmette sempre gli stessi caratteri all’ibrido; la trasmis- sione dipende anche da quella specie con cui avviene l'incrocio; p. e. in generale il C. hirsutus trasmette all’ ibrido i suoi peli ghiandolosi uniseriati; ciò non avviene però nell’incrocio col C. sa/viplius. Quando l’etereogenità delle specie incrociate è più notevole, possono anche esservi differenze nei caratteri dei diversi ibridi fratelli. PaoLo ENRIQUES. FISENBERG PH. — Untersuchungen iiber die Variabilitàt der Bakterien (Zentralbi. f. Bakter., Vol. 63, p. 305, 1912). Scaldando a 70-90° una cultura di bacilli del carbonchio, rimangono in vita solo le spore. Queste, coltivate, dànno una « razza » sporigena; però, proseguendo la coltivazione su agar glicerinato o agar e zucchero d’uva, si trasforma la razza sporigena in razza asporigena, che tale rimane indefinitamente. Questo resultato, ed altri consimili ottenuti precedentemente da altri speramentatori (anche sullo stesso bacillo, e collo stesso effetto, mediante coltivazione a 42°), si deve raffrontare con quello di ZWEIBAUM sopra alla coniugazione dei parameci. L’ambiente muta le proprietà degli Infusorî, rendendoli coniugabili o inconiugabili. Ed una « razza coniugabile » si può trasformare in una inconiugabile o viceversa. Riguardo alla sporulazione dei Batterî per quanto io conosco, siamo però più indietro; perchè non si cono- scono le condizioni capaci di trasformare un tipo sporigeno in uno aspori- geno e viceversa, e capaci di imprimere tale modificazione alla loro funzio- nalità, che i due tipi si conservino distinti attraverso ad una successiva coltivazione in un ambiente per tutti e due uguale — come è il caso per ciò che riguarda la coniugabilità degli Infusorî. Ho detto « per quanto io so »; se ricerche più complete vi fossero in proposito, sarei lieto di averne notizia dai competenti, sì da poterne comunicare i lati più notevoli, ai lettori della rivista. PaoLo ENRIQUES. PELLE LELTILZILILLIZIIZI ACCRESCIMENTO, METAMORFOSI. CARREL A. — Réjuvenation of cultures of tissues (Stud. fr. the Rockfeller Instit. f. medic. Researches, Vol. 14, N. 39, 1912). Tutti conoscono le meravigliose operazioni e culture del Dott. CARREL. Ora egli racconta che un pezzo di tessuto vivente può sopravvivere molto Recensioni 109 più a lungo di quanto prima aveva ottenuto, quando il liquido culturale viene cambiato; così egli ha conservato un pezzetto di vena porta fuori del corpo, in attività di accrescimento, per 37 giorni, mediante trasporto per 10 volte in nuovo liquido. Hans PRZIBRAM — Die Kammerprogression der Foraminiferen als Parallele zur Hautungsprogression der Mantiden (Arch. f. Entwicklungsmech, Vol. 36, p. 194-210, 1913). Nei foraminiferi, la grandezza delle camere formate successivamente, aumenta, come si può calcolare dalla misura delle dimensioni lineari ana- loghe, nel rapporto medio di 1.267; ciò significa, essendo tale numero approssimativamente la radice 3° di 2, che ogni camera ha un volume circa doppio della precedente. Tale resultato concorda con quanto l'A. aveva già osservato nelle mute di un mantide (1912), nel quale il peso del corpo pure raddoppia dal mo- mento di una muta al momento della muta successiva. PaoLo ENRIQUES. STOCKARD CHARLES R. and DOROTHY M. CRAIG — An experimental study of the influence of alcohol on the germ celles and the developing embryos of mammals (Arc/. f. Entwicklungsmech., Vol. 35, p. 569, 1913). Gli AA. studiano gli effetti dell'alcool sopra alle cavie. Gli animali son trattati giornalmente con alcool, per inalazione, senza però mai raggiun- gere lo stadio di ubriachezza. Da 42 coppie di individui grandi e robusti, son nati solo 7 figli vitali, dei quali 5 molto piccoli. In alcune di tali coppie ambedue i genitori eran soggetti all’ alcoolismo, in altre, solo il padre o solo la madre; in tutti e tre i casi si sono avuti effetti intensamente nocivi alla riproduzione, di fronte ai buoni resultati di allevamenti di controllo, con genitori non alcoolizzati. PaoLo ENRIQUES. GRANDORI REMO — Studî sullo sviluppo larvale dei Copepodi pelagici (Media, Vol. 8, p. 360-457, 11 tavole). L’A. studia i varî stadî della metamorfosi del Diapfomus vulgaris (di acqua dolce), e di alcune specie marine. Riconosce nel 1°, 6 stadî della serie nauploide; ed in tutte e 5 le specie studiate, 6 stadî copepodiformi, normal- mente. È interessante le possibilità che si abbiano invece fino a 9 stadî copepodiformi, fatto che l A. ammette dipendere da condizioni di ambiente; sarebbe assai importante poterlo dimostrare sperimentalmente. Il lavoro è soprattutto notevole per la descrizione dei caratteri anatomici dei singoli stadî e per aver potuto stabilire con sicurezza la filiazione dei medesimi, in ciascuna specie di quelle studiate. È noto quanto ciò sia difficile e quanto imperfette siano le cognizioni che abbiamo sulla successione dei singoli stadî larvali nei Copepodi. Sarebbe importante poter raccogliere anche qui dei dati numerici, per vedere se, come è probabile, vale anche pei Copepodi la legge della meta- morfosi di PZIBRAM, di cui abbiamo parlato poco sopra. 110 Recensioni HAHN A. — Einige Beobachtungen von Riesenlarven von Rana esculenta (Arch. f. mikr. Anat., Vol. 80, p. 1, 1912). L’A. ha osservato alcune larve di rana che, senza metamorfosarsi hanno acquistato grande sviluppo. In esse ha constatato ipertrofia dell’ ipofisi. At- tribuisce a questa, lo sviluppo grande totale, nonchè quello degli ovarî. In molti organi e soprattutto nei reni ha osservato fenomeni degenerativi e in- dizî di abnorme sviluppo. L'importanza di tali ossevazioni è a mio avviso, assai notevole, perchè si apre il problema se e quanto la metamorfosi sia legata alla attività delle ghiandole a secrezione interna. UHLENHUTH EDUARD — Die synchrone Metamorphose transplantierter Sala- manderaugen (Arch. f. Enhvicklungsmech., Vol. 36, p. 211-261, 1913). L’A. constata in primo luogo che nella metamorfosi l iride dell’ occhio della salamandra modifica il suo colore, divenendo, da gialla, più bruna. Prendendo tale carattere come indice della « metamorfosi dell’ occhio », ricerca gli effetti del trapianto di un occhio larvale sopra ad un altro individuo; ed il resultato principale consiste in questo, che un occhio trapiantato in uno stadio diverso da quello dell’ospite, si mette, fino ad un certo limite, in armonia coll’ occhio dell'ospite, anticipando o ritardando le sue proprie trasformazioni, purchè la differenza di stadio non sia troppo forte. Donde la conclusione che la metamorfosi dell’occhio dipende insieme, dall'occhio e da stimoli provenienti da altre parti del corpo. È opportuno ricordare quanto io stesso ho osservato nella coniuga- zione della Opercularia (1907), un Vorticellide, nel quale spesso avviene la unione di più microgameti ad uno stesso macrogamete. Ho potuto osservare ed espressamente procurare, che uno dei macrogameti arrivasse, rispetto all’altro, in ritardo; e, seguendo sul vivo al microscopio il processo, consta- tare che i due si mettono in sincronismo tra loro e col macrogamete, per un acceleramento dei processi nel ritardatario e, in parte, un ritardo in quello arrivato prima; se questo fatto ha un significato particolare riguardo agli stadî della mitosi, che sono influenzati evidentemente dal plasma, ne ha anche uno più generale, sulla coordinazione ed armonia delle parti, nella loro evoluzione morfologica; ed è questo significato generale con cui si accordano le recenti ricerche di UHLENHUTH. PaoLo ENRIQUES. LALA LL RLTLNLILTLSLTLAT LIZA SESSO. CIESIELSKI T. — Quomodo fiat, ut mox proles masculina, mox feminina oriatur apud plantas, animalia et homines? (Leopolis (Lwéw), 1911, Typis F. Beduarski, 8°, p. 15). Questo opuscolo che, in breve mole, racchiude un denso contenuto di fatti, tratta una vecchia ed insoluta questione che, sia, per il suo alto contenuto filosofico, come per le applicazioni pratiche, ha eccitato la fan- tasia dei profani e l’acume dei naturalisti: il sesso è preformato nel seme, Recensioni 111 oppure dipende da influenze dovute a contingenze di ambiente o da altre cause interne? L’A., dopo avere esposto in maniera affatto sommaria le disparatissime opinioni dei biologici ed i non meno disparati e contraddittori fatti che hanno portato in campo a sostegno di questa o quella tesi, riassume con qualche larghezza le esperienze sopra una notissima pianta dioica, la Canape (Cannabis sativa L.), fatte tra il 1871 ed il 1878 variando attorno alla pianta i coefficienti morfogeni e quindi i presunti stimolanti e determinanti del sesso (seminagione densa o rada, esposizione all’ ombra ed al sole, terreno irrigato od asciutto, sterile od in vario modo e grado concimato, scelta dei semi in rapporto alla forma, colore, grandezza e peso ecc.), ma senza ottenere alcun plausibile risultato (*). Il problema sembrava irriducibile allorquando nel 1877 ricorse a fecondare artificial- mente piante 9 con polline raccolto da antere appena allora dischiuse e cioè nelle prime ore del mattino ed altre (tenute, s'intende, separate dalle prime) con polline perciò assunto nel mattino, ma somministrato « ad tempus pome- ridianum » e quindi con polline vecchio. Le tre piante fecondate con pol- line fresco diedero 120 semi e 96 le altre. Seminate l’anno successivo le prime produssero 112 individui, dei quali sei soltanto 9 e gli altri g7, le seconde 89 piante tutte di sesso femminile. L’ A. assicura di avere ripetuto P esperimento e di avere ottenuto seinpre lo stesso risultato. In possesso di tali reperti la cui importanza, se saranno confermati, non può a nessuno sfuggire, il CIESIELSKI ha esteso le ricerche (delle quali dà invero un rias- sunto troppo sommario e non scevro da critiche) sui conigli, cani, cavalli, buoi ecc. sempre con risultato conforme e ne conclude che trattasi di una legge generale investente tutti i viventi. Essa vale anche per le api di cui lA. così scrive: « Apium regina (mater) fecundatur a fuco (ape mari) semel per totam vitam: zoospermia a fuco in ejus vaginam injecta, conglomerantur in vesicula fructuaria, et inde eiciuntur in deponenda ova. Zoospermia illa sunt igitur vetustiora, quo fit ut ex unoquoque ovulo, a regina deposito et fecundato, nascantur tantum apes femineae. Apes tamen praeditae sunt vi parthenogensis marum, ita ut possint deponere ovula infecundata, ex quibus nascuntur tantum mares... » Ne trova pure una conferma nel fatto rilevato dalie statistiche che dopo un periodo di guerra e quindi di astensione su larga scala, nascono specialmente dei maschi, nel fatto che uomini adulti che si congiungano con giovani donne diano pure soprattutto dei maschi, che giovani che si accoppiano con femmine di avanzata età producono più spesso figli di sesso femminile ecc. Quanto al primo argomento faccio osser- vare che il MAUREL (ev. Scient. 40° anno, 1903) aveva notato che la guerra franco-prussiana del 1870-1871 non ha dato aumento sensibile di maschi e quella russo-giapponese ha, secondo accurate statistiche, prodotto risultati opposti. (!) Nessun risultato ebbero le ricerche da me compiute pure sulla Canape durante il 1911 per verificare la giustezza o meno dell'ipotesi emessa dal LaurENT (« Une nouvelle Hypothèse sur le déterminisme du sex» in Comptf. Rend. Assoc. Franc. p. l’avanc. d. Sciences. Congres de Lyon, 1906), tendente ad ammettere nelle piante l’esistenza di una relazione fra la pressione osmotica interna ed il sesso e la coincidenza del tipo femminile con una pressione osmotica più elevata (donde in molti casi lo sviluppo somatico maggiore). Un buon riassunto della complessa questione fu redatto dal Burcnon (« Les cellules sexuelles et la déterimination du sexe » in Bu//. Soc. Vaud. de Sc. Nat., Vol. XLVI, 1910, p. 263) cui rimando per chi volesse approfondire l’ argomento. a 112 Recensioni L’A. termina rivendicando a sè il merito della scoperta, ma le cogni- zioni sulla bibliografia dell’ argomento appaiono non molto ampie e sicure specialmente per gli ultimi anni e nel campo zoologico. Così fino dal 1887 JANKE aveva fatto notare che un toro spossato e con spermatozoi troppo giovani ed immaturi produsse maschi in prevalenza. Del resto egli passa sotto silenzio lavori importanti anche botanici (CORRENS, STRASSBURGER, LAU- RENT ecc.), non si è reso conto dell'importante scoperta fatta in parecchi gruppi di animali di due tipi di spermatozoi, nè delle recenti ricerche di R. HeRTwIG sulle rane nelle quali l'età delle cellule sessuali sembra eserci- tare influsso sulla determinazione del sesso nel senso, però, che la cel- lula-ovo giovane favorisce la produzione di maschi e viceversa la adulta, mentre lo sperma esplica un'influenza relativamente piccola. Molti altri fatti, che sarebbe qui superfluo di riferire, conducono a chiamare in causa parecchie altre coordinate del fenomeno e rendono scettici sulla estensione della legge. Tuttavia se essa non valesse che in casi speciali — e magari solo a spiegare il determinismo sessuale della Canape (sulla quale si sono più specialmente appuntate le ricerche sperimentali del CIESIELSKI) — rap- presenterebbe pur sempre un nuovo spiraglio di iuce nelle fitte tenebre del mistero ed aprirebbe l’ adito a risultati forse più fecondi di quelli ottenuti con la tacita ammissione che nell’ ambiente esterno — e solo in questo — fossero da ricercare i determinanti del sesso in questa specie. A. BéGuinoT. Lonco B. — Nespole senza noccioli (Bu//. Soc. bot. ital., pag. 265-270, nov. 1911 - Nuovo giornale botanico ital., Vol. 19, N. 2, 1912). Come è noto, i carpelli che formano i pistilli, sono morfologicamente foglie, modificate in maniera particolare. Esse hanno un sesso, sebbene non producano direttamente oociti; producono spore da cui si sviluppa un pro- tallo rudimentale, da cui gli oociti si formano. Ora, queste spore sono già differenziate in sesso femminile, come pure le foglie che le portano (carpelli); analogamente sono differenziate in sesso maschile le foglie che producono le spore maschili (ossia spore produttrici del protallo maschile — produttore di cellule germinali maschili). Il differenziamento sessuale ha in apparenza questo di essenziale: è un differenziamento categorico. Già in varie pubblicazioni io ho avuto occasione di sostenere che tale netta separazione in due categorie — maschile, fem- minile — non è sempre così netta come pare (Coniugazione e differenzia- mento sessuale negli Infusorî, Memoria II, Archiv f. Protistenkunde, Vol. 12, 1908, ecc.; soprattutto si veda il mio libro su « La teoria cellulare » Bologna, Zanichelli, 1912, Cap. IX). Con vero piacere ho letto perciò i resultati delle osservazioni di LONGO sopra alle nespole. Vi sono fiori senza carpelli, con tutti stami forniti delle loro antère regolarmente costituite; ebbene, dalla foglia staminale — maschile — ha origine un frutto; è un frutto senza ovuli, naturalmente, ma è, insomma, in tutti i suoi principali caratteri anatomici un frutto, il prodotto tipico dei carpelli — femminili — derivato invece da stami — maschili. Il differen- ziamento sessuale di queste parti (foglie carpellari e staminali), non è dunque categorico, ma soltanto abituale. ” Recensioni 113 Yo È poi curioso il fatto che questi stami produttori di frutti, non si tro- vano in tutti i fiori: essi prendono la posizione — quando ci sono — dei carpelli. Hanno il posto dei carpelli e diventeranno frutti. Hanno dunque, sembra, in sè qualche cosa dei carpelli. Ma allora perchè sono nettamente maschili, colle loro antère di normale costituzione? Quale ppi di sessi ha fatto qui la natura! Forse — è una supposizione — lo sviluppo in frutto è AVS non dalla forma — carpellare o staminale — bensì dalla posizione e rapporti delle foglioline tra di loro e cogli organi vicini. Si ricordino le uova degli anfibî: divisosi un uovo in due, ciascuno dei due blastomeri riproduce, se isolato, un embrione intero (HERLISTKA); se invece resta accanto all’altro uc- ciso, produce un mezzo embrione (W. Roux); il destino diverso è determinato dai rapporti reciproci delle parti. È quanto dire che le foglie carpellari, per quanto differenziate, apparentemente, in categoria femminile, non sono per nulla femminili. Di femminile, forse, seguitando a ragionare di questo passo, non troveremo nemmeno le spore ed i protalli relativi, a cui potremmo attribuire la forma particolare come conseguenza dei rapporti di posizione colle altre parti; non si può dire che sia così. Sono problemi aperti, que- stioni sollevate dalle osservazioni di LONGO, esperimenti da ideare e da compiere. Forse non resteranno, di maschile e di femminile, che le cellule germinali coi prodotti diretti del loro sviluppo; resteranno queste cellule, in ogni caso, come categoricamente distinte? Già vedemmo, nei luoghi sopra citati, che anche questo è assai dubbio! MONTI ANTONIETTA — La rigenerazione degli ovarî nelle Planarie (Archivio zoologico, Vol. 6, p. 27, 1912). Un problema analogo a quello di LonGO è trattato in questo lavoro della Signorina MONTI fatto sotto la direzione del Professor GIARDINA. Già da varî autori è stata discussa la questione se ovarî o testicoli asportati possano essere rigenerati negli animali, e ad essa si è data secondo i casi, risposta diversa. In fondo, tale possibilità, considerando gli animali nel loro insieme, o le piante, è sicura. Una porzione relativamente piccola di animali inferiori può rigenerare il tutto; anzi, nella gemmazione spontanea, abbiamo già la dimostrazione che cellule così dette somatiche possono produrre, col nuovo intero organismo, cellule germinali; cosa questa che già facevo notare in altro luogo (« Teoria cellulare » $ 126 e 127). Il problema dunque di deter- minare in quali animali la rigenerazione degli ovarî è possibile, ha, di fronte alla questione generale, una importanza subordinata. Ma ciò che soprattutto mi ha interessato nel lavoro citato, è che l’ovario sembra riprodursi, in questi animali ermafroditi, non da cellule somatiche, bensì dal testicolo. L’A. non è punto sicura di questo fatto; lo sospetta solamente; è un pro- blema aperto; ma ben posto, in quanto l'A. stessa od altri sperimentatori potranno un’altra volta, più fortunati, cogliere gli stadî della formazione dei nuovi ovarî. La presenza — già nota in qualche caso, p. e. negli Anfibî — di uova entro un testicolo, si presenta come molto più incerta, meno netta, tanto più che di queste uova sporadiche non si conosce il destino — come del resto, in fondo, ignota è la loro origine. Speriamo che si possa un’altra volta constatare nelle planarie, come il LONGO ha constatato nelle nespole, Bios è 8 Self 114 Recensioni la derivazione di un organo femminile (che cosa più femminile di un ovario ?) da un organo maschile (che cosa più maschile di un testicolo?). ADIE H. A. — The sex of the larvae of mosquitos and other experimental work (7fie Lancet, p. 865, 1912). L’A. è riuscito a distinguere il sesso nelle larve delle zanzare, osser- vando in quelle maschili, un piccolo rigonfiamento che corrisponde ai testi- coli; questa osservazione è corroborata con esperimenti, ossia coll’ isola- mento degli individui e nuova determinazione del loro sesso, dopo la metamorfosi. È interessante, perchè in generale non si riconosce affatto il sesso delle larve, pur essendo certamente determinato già (azioni esterne, nutrizione ecc., sulle larve, non possono mai mutare la percentuale dei sessi negli individui adulti che ne derivano). GALLARDO ANGEL — Variation temporaire des caractères sexuels secondaires chez une femme multipare (Bu//etin scientif. France et Belgique, Vol. 46 (7), p. 344-346, 1912). Molto interessante è il fatto raccontato in questa breve nota dal GAL- LARDO. Si tratta di una donna che aveva già avuto due figli, la quale, in seguito ad una operazione di cisti idatica all’ipocondrio destro, perdette le sue regole, e, dopo circa un anno e mezzo, cominciò a modificarsi nel- l'aspetto; le si sviluppò il sistema peloso un poco per tutto, compresa la barba ed i baffi, mentre le ghiandole mammarie si atrofizzarono. Nello stesso tempo, la voce era pure cambiata, diventando rauca. In seguito alle sue cattive condizioni di salute, fu visitata, e riconosciuta affetta da un tumore all’ovario destro; fu operata di nuovo, e si trattava di una cisti sierosa, che non fu studiata al microscopio. Qualche tempo dopo questa seconda operazione, tornò regolata, e, dopo poco, divenne nuovamente incinta; a poco a poco il sistema peloso regredì fino alle condizioni normali, le ghiandole mammarie tornarono pure normali, e tutto procedette regolarmente. L’A. osserva che, pur nella ignoranza della natura della cisti che fu tolta, e, quindi, nella impossibilità di tentare una spiegazione sopra al deter- minismo dei fatti che si son prodotti, è molto interessante questo sviluppo temporaneo di caratteri sessuali secondarî maschili, che poterono scompa- rire in seguito ad un atto operativo. PaAoLo ENRIQUES. LGLLIIPIILILILSIIISIIZILI BIOMETRICA. SEGHETTI G. — Osservazioni morfologiche e biometriche sulla Urtica mem- branacea Poir. (Annali di Botanica, Vol. 10, p. 339-378, 1912). È noto quanto vantaggio nello studio delle variazioni degli organismi abbia portato il metodo somatometrico o biometrico. In Italia fu primo il Recensioni 115 prof. CAMERANO ad adoperarlo in zoologia con qualche modificazione sui comuni metodi escogitati fuori d’Italia, rivendicando al famoso ab. OLIVI di Chioggia, i primi tentativi fatti sin dal 1792. Constatiamo però che da noi — quanto alla Botanica — ben poco sin qui si fece e tutto si riduce a tre o quattro lavori dell’ HELGUERO, a due note del TROPEA e due del CANNA- RELLA, e ad una nota per ciascuno del CALDARERA, COZZI e TRAVERSO. Il lavoro che stiamo esaminando, concepito su piano vasto ed in parte originale, mira ad illustrare una delle specie più comuni del gen. Urtfica e cioè PU. membranacea Poir. L'A. si è proposto di stabilire se in questa specie si riscontrassero variazioni alle quali ascrivere alcune delle numerose varietà introdotte dai sistematici, di ricercare, mediante l'isolamento delle stesse e lo studio dei discendenti, quale valore fosse da attribuire alle varia- zioni medesime e finalmente determinare il valore dei rapporti esistenti fra i diversi caratteri e le forme eventualmente isolate. Il sin qui pubblicato non riguarda che una parte dell’ampio programma dell’ A. impostosi. Non ci soffermiamo sulle osservazioni morfologiche (l’ A. su abbon- daute materiale vivo crescente spontaneo presso l'Orto Botanico di Roma credè di riconoscere parecchie forme, alcune delle quali in contrasto per pa- recchi caratteri con quelle ammesse dai sistematici) e lo spazio ci manca per riportare i dati singoli delle misure biometriche fatte su 1000 esemplari. Insistiamo, invece, alquanto sui risultati più generali e che potranno essere estesi e confermati, sia in altre specie del genere, come in altri gruppi di piante e forse anche, almeno in parte, nelle ricerche somatometriche sugli animali. L’A. avendo constatato che il numero medio dei nodi di Urfica mem- branacea, ad un dato stadio dello sviluppo, è 10, e che l'altezza media di ciascuno degli internodi è di cm. 4, l altezza media è espressa dal valore 10x4. Siccome poi ad ogni nodo si trova un verticillo di due foglie, il numero totale medio delle foglie della pianta sarà 102 ed il prodotto [(2Xx2)x17].10 esprimerà il numero totale medio delle loro dentature; mentre il valore 10-<<4 rappresenta il numero totale medio delle infiore- scenze che si trovano sulla pianta e 10. (4Xx n) il possibile numero medio dei fiori. Donde risulta che i valori dei singoli caratteri sono multipli dello stesso numero, che è il numero dei nodi. Siccome poi questo numero non è fisso, ma varia fra un limite massimo e minimo, entro i medesimi limiti varieranno anche i valori degli altri caratteri non cessando di esistere fra i nodi e le altre parti le relazioni di multiplicità. Si perviene, così, alla costi- tuzione di una pianta ideale o teorica, che ha come caratteri la media dei valori dei singoli caratteri e che si può considerare come il centro dell’ am- piezza di variazione della specie. Nel caso dell’ Urfica, facendo 10=1 ed assumendo il numero dei nodi come unità di misura; si hanno i seguenti Fapportt:: 1:42 ::34: 4. L’A. fa osservare che tali rapporti (e questo, sia pure con varia inter- pretazione, era acquisito alla scienza) sono espressi da numeri che appar- tengono alla serie del FIBONACCI o ne sono loro multipli e che dimostrano una certa analogia con i rapporti parametrici dei cristalli nei minerali. Se ciò si verificasse in altre specie (ef loc est în votis) si giungerebbe alla legge che in una pianta, con una certa rassomiglianza con quanto si verifica nei cristalli, le varie parti si svilupperebbero entro limiti stabiliti, i cui 116 Recensioni valori sono tra loro proporzionali: proporzionalità che permetterebbe di rappresentare graficamente le varie specie e, nel caso di entità affini di un dato ciclo o di specie di un dato genere, tale grafica rappresentazione fini- rebbe per costituire la caratteristica di ciascuna specie. Sarebbe stato opportuno che l'A. non avesse omesso di ricordare altri tentativi del genere, ad esempio, il bel lavoro del BEKETOFF « Mémoire sur la stabilité et la regularité des proportions relatives des parties foliaires » pubblicato nel Bx// Soc. /mp. d. Naturalistes de Moscou del 1858 (n. 1, p. 257-300). A. BécuinoT. EELLRLLLZIZZILSZLIZIZZI MORFOLOGIA VEGETALE. CHAVEAND G. Les principaux types de structure des plantes vasculaires considérés comme les états successifs d’un type unique en voie d’ évo- lution (Actes du IIle Congrés international! de Botanique, Vol. 2, p. 13-18, 1912). I vasi hanno, rispetto ai tubi cribrosi, una disposizione variabile. L’A. distingue 5 tipi: disposizione centrica — eccentrica — alterna - intermedia - sovrapposta. Dimostra che questi tipi corrispondono a fasi successive dell’ evolu- zione. I primi tre si trovano nello sviluppo del Po/ypodium; ed in generale la disposizione alterna, finale in molte crittogame, è invece lo stadio iniziale di molte fanerogame; vi sono però molte forme di evoluzione accelerata, con soppressione della fase iniziale o delle intermedie, oppure forme di evoluzione arrestata a mezzo. Per trovar conservato il tipo centrico, bisogna ricorrere ad antichissime felci fossili (Sp/aerophyIIum), o alla radice delle fanerogame, che ha un grado di sviluppo molto inferiore rispetto al fusto. PaoLo ENRIQUES. Borzì A. e CATALANO G. — Ricerche sulla morfologia e sull’ accrescimento dello stipite delle Palme (Affi della R. Accad. dei Lincei, Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Ser. 5*, Vol. 9, p. 167-201, 1912, con due tavole e figure nel testo). CATALANO G. — Morfologia interna delle radici di alcune Palme e Panda- nacee (Ann. di Botanica, Vol. 10, Fasc. 2°, p. 65-99, 1912, con due tavole). Le opinioni manifestate dai botanici a riguardo dell’accrescimento dia- metrale dello stipite delle Palme furono assai disparate: per aumento di volume delle cellule del parenchima fondamentale: per l’attività di una vera e propria zona cambiale atta a produrre neoformazioni secondarie: per la presenza di limitati centri di tessuti meristematici come focolari localizzati di neoformazioni di fasci e parenchima, destinati a realizzare un raccordo fra i fasci già esistenti, ma non a produrre nuovi sistemi conduttori e via dicendo. Recensioni 117 Gli AA. del primo lavoro hanno ripreso il controverso problema seguendo le vicende dell’accrescimento di alcune specie dai primi stadî dello sviluppo sino alla fioritura ef u/fra per un periodo di ben 18 anni, e giungono alla conclusione che, tanto nel caso di stipiti normali, eretti, cilindrici (tipo Washingtonia filifera), quanto in quello di stipiti rizomiformi asimmetrici (tipo Sabal! Adansonti) la formazione dell'organo dipende essenzialmente dall’ attività delle basi fogliari svolgentesi contemporaneamente nelle due direzioni: laterale e longitudinale. Nel primo tipo di stipite tale attività si manifesta uniformemente in tutta la regione posta al disotto della inserzione anulare della foglia, e si ha quindi per risultato la costituzione di un inter- nodio di forma cilindrica. Nel secondo, invece, l’ attività della base fogliare comprende solo una metà della intera zona circolare costituente la base della foglia e dall’incremento verso il basso di questa zona semicircolare prende origine l’internodio, che perciò rimane incompleto dalla parte op- posta. A qualunque tipo appartengano gli stipiti, risultano da una serie di pezzi od articoli provenienti da particolare accrescimento delle basi fogliari, sovrapposti gli uni sugli altri in ordine decrescente di età procedendo dal basso in alto. Questa complessa constatazione di fatti induce gli A. a riprendere ed approfondire la vecchia questione se, cioè, foglia e fusto esprimano con- cetti diversi morfologicamente o se debbano invece intendersi come espres- sioni topografiche di uno stesso organo. A tale riguardo essi riassumono il pensiero dei biologi sull’argomento dalla teoria delle « Metamorfosi » di GOETHE, del « Fitone » di GAUDICHAUD e del « Fillopodio » del nostro DEL- PINO, alle più recenti vedute del CELAKOWSKYv (che ritiene il sistema aereo for- mato da una serie di articoli costituiti ciascuno da una foglia e da un pezzo di fusto), del POrONIÉ (teoria del pericauloma secondo la quale il fusto sarebbe di natura assile al centro, ma rivestito all’ esterno da un mantello di natura fogliare) ed alla teoria del FLOT (?) il quale, avendo stabilito che nel cono di vegetazione delle Fanerogame vi sono iniziali speciali per i tessuti epider- mico, corticale, vascolare e midollare, i quali hanno una origine comune per la foglia ed il fusto, conclude che quest'ultimo si trova costituito dal- l’assieme delle basi fogliari. Gli AA., in seguito ad una serie di osservazioni e deduzioni, che sarebbe troppo lungo di qui riportare, pervengono alla conclusione che nodi ed internodi non sono entità morfologiche di valore assoluto, indipendenti, a costituzione specifica ed originariamente preformate nel caule, ma vanno riguardati come dipendenze dirette di organi morfologicamente tipici, che in origine non sono, nè fusto, nè foglie, ma ciascuno è l’uno e l’altra po- tenzialmente: ossia di quelle unità morfologiche discoidali primordiali che sono contenute nel cono di vegetazione. Tali parti, di matura quasi « sui generis », gli AA. chiamano merob/asti e fanno osservare che tale maniera di concepire i fatti si distacca dal concetto del fillopodio delpiniano — che sarebbe un’entità di natura puramente fogliare — e pur presentando note- voli punti di contatto con le teorie di CELAKOWSKI e del POTONIÉ, ne diffe- (1) Vedansi osservazioni critiche su questa teoria nei due lavori del CarANO, « Su le for- mazioni secondarie nel caule delle Monocotiledoni » Ann. di Bof., VIII (1910), p. 1, e « Sula ori- gine e su la differenziazione dei tessuti nelle foglie >». - /Ibid., IX (1911), p. 3065. 118 Recensioni risce da ambedue rappresentandone una fusione ed un perfezionamento. In definitiva, il cormo sarebbe costituito da una colonia di meroblasti e sarebbe, quindi, un simmeroblasto, i cui componenti nei primordî presen- tano una natura indifferente e neutrale, ed è dovuto ad effetto di evolit- zione ulteriore il carattere fogliare che acquistano alla periferia e quello assile al centro. Se con il primo lavoro si giunge alla conclusione della unità originaria nella composizione dei due membri aerei del corpo delle piante (fusto e foglia), con il secondo, di cui è qui fatto un breve cenno, si abbattono, limitatamente almeno per le Palme e le Pandanacee, le barriere che sem- bravano esistere fra fusto e radice. L’A. riferendosi al concetto di « omo- logia > che si applica a quegli organi che hanno la stessa natura, ma fun- zione e, perciò, struttura differenti ed estendendolo alle radici, ritiene addi- rittura « omologhi » i fasci metaxilematici di queste a quelli dello stipite ed il complesso del parenchima corticale-midollare al parenchima fondamen- tale. In ambedue i membri il tipo strutturale è fondamentalmente simile in virtù specialmente della disposizione sparsa dei fasci metaxilematici: d’altra parte l’endodermide che potrebbe costituire e costituisce in parecchie piante un tratto differenziale degli stessi non può essere considerata una entità ana- tomica assoluta (come VAN TIEGHEM e molti seguaci hanno creduto di dimostrare), ma come una delle modificazioni — dovute a cause posteriori di adattamento funzionale o biologico — delle vere unità anatomiche, che sono il derma ed il parenchima fondamentale. Cadono, così, tutte le dedu- zioni che dalla teoria stelare si erano venute derivando, contro la quale in Italia, è merito riconoscerlo, il primo colpo assennato fu tirato dal BELLI in seguito alle sue accurate ricerche sulla endodermide e sul periciclo nel gen. Trifolium. A. BécuinoT. CHAMBERLAIN C. J. — Macrozamia Moorei, a connecting link between living and fossil Cycads (Bofan. Gazette, 55, p. 141, 1913). Il presente lavoro che riguarda una notevolissima Cicadea è il seguito dei numerosi studi dell’ Autore sulle Cicadee in generale e sulle Zazzia e Ceratozamia in particolare. Altre note su queste interessantissime piante, che formano l'anello di congiunzione tra le Gimnosperme e le Felci, sono state pubblicate nei numeri precedenti della stessa rivista e ricordo in special modo quelle del SAXTON sugli Ercepha/artos e della F. S. SMITH sulle Zamia. In questo studio l’autore fa appunto rilevare come questa pianta per molti caratteri, possa essere considerata come un termine di passaggio tra le Crceadales e le Bennettitales del Mesozoico. Le Bennettitales, insieme alle Cordaitales sono le Cicadee deli’ èra secondaria e colle Cycadofilices, fossili anch’esse, si ricollegano alle Pteridofite propriamente dette; certo che un lavoro riassuntivo sulla sistematica e sulla discendenza di questi gruppi sarà solo possibile quando gli studi su queste piante fossili saranno più numerosi e completi. Ma frattanto le conclusioni più notevoli su questa Cicadea che purtroppo è in via di estinzione, sono le seguenti: La Macrozamia Moorei porta molti coni laterali, all’ ascella delle foglie, simile in questo alle Bennettifales mesozoiche. Recensioni 119 Il granulo di polline nel momento della germinazione contiene una cellula protallare « persistente », una cellula generativa e una cellula che formerà il tubo pollinico. L’esina non copre l’apice del granulo. La camera archegoniale è imolto ampia rispetto ail’ archegonio. L’embriogenia di questa specie si accosta più a quella delle Cycas che a quella delle Zamia e Ceratozamia. Tutte caratteristiche che fanno di questa pianta una specie che può benissimo collegare le Cicadee viventi con quelle estinte. A. F. PAVOLINI. SALI LGLSLIZGITINLGLGLILIZI SPECIOGRAFIA - FLORE - COLTIVAZIONI. ROSENBLAT-LICHTENSTEIN STEPHANIE — Ueber die differenzierung von Algen mit Hilfe spezifischer Agglutinine (Arch. f. (Anat.) u. Physio!, p.415-420, Jahrg, 1912). Con alcune culture pure di alghe unicellulari iniettate in cavie, ottiene sieri agglutinanti le alghe medesime. La reazione è differenziale per le alghe di classi differenti. Conferma dunque per questi organismi ciò che si sa in generale, e con molti particolari, pei batterî. PaoLo ENRIQUES. WEST W. and WesT G. S. — On the Periodicity of the Phytoplankton of some British Lakes (Tie fourna! of the Linn. Soc., 40, p. 395, 1 tav., 1912). È uno studio sistematico, con interessanti conclusioni fisiologiche, delle specie vegetali che formano il plankton in alcuni laghi della Gran Bretagna. La periodicità di tali specie è naturalmente dovuta al fatto che la tempe- | ratura varia nelle diverse stagioni e presenta un massimo e un minimo che differiscono di varî gradi; quindi si succedono le specie proprie delle acque temperate e quelle delle acque fredde. I massimi di temperatura si hanno in luglio e agosto, i minimi in febbraio, marzo e aprile. Il fitoplankton è soprattutto abbondante in autunno, insieme a numerose specie di Ento- mostraci. Nelle acque più inquinate si nota l'abbondanza delle Bacillariacee e delle Mixoficee mentre nelle acque più pure sono frequenti le alghe verdi. È interessante il fatto che la M/izoso/enia morsa W. et G. S. WEST, ha la massima diffusione nell’ autunno, così come si trovano abbondanti, nella stessa epoca, le specie affini del genere A/izoso/enia nel piankton marino dell'ovest dell’ Europa. L’ Autore nota infine come il fattore più importante dello sviluppo delle varie specie sia la percentuale dei sali sciolti nell'acqua; mi sembrerebbe quindi opportuno che ad ogni studio consimile andasse unita un’ analisi qualitativa e quantitativa delle acque, senza trascurare un cenno sulla natura delle roccie che circondano i bacini lacustri. Molto interessanti sono i Flagellati, che del resto si trovano in scarso numero, forse anche perchè ne riesce difficile la fissazione e la determina- zione; e varie specie nuove alle quali segue una descrizione completa. In 120 Recensioni Italia vi sono finora pochi lavori che trattino esclusivamente del fitoplankton dei nostri laghi e non sarebbe privo d’interesse uno studio comparativo di questa minuscola flora lacustre. Il lavoro dei WEST è corredato di molte tavole assai chiare ed espli- cative. : A. È: PAVOLINI. MATTEI G. E. — Osservazioni biologiche sopra alcune Cactacee (Ma/pighia, 20, p. 341, 1912). Il Prof. MATTEI fa seguito con questa nota ai suoi numerosi lavori d’indole biologica sulla disseminazione, sull’impollinazione e sui nettarî estranuziali. Egli ha già trattato l'interessante argomento dei nettarî estra- nuziali a proposito delle Crisobalanacee e osserva ora che altre Cactacee, oltre quelle osservate dal DELPINO e dal GANONG presentano questi nettarî, e soprattutto quelle poco spinose e quindi meno difese dagli animali erbi- vori. La prima specie è l’ Opuntia Ficus-Indica L., decisamente mirmecofila, e poi il Pi/ocereus euphorbioides RuMPL. e l’Hy/ocereus triangularis BRITTON et Rose. Quest'ultima pianta presenta poi una particolarità molto notevole. Mentre gli esemplari che crescono alla luce hanno rami corti, molto alati, larghi ed erbacei, quelli che crescono in luoghi piuttosto oscuri mandano rami lunghissimi, trigoni, i quali diventano poi legnosi, molto resi- stenti e sensibilissimi alla luce. È questo un altro esempio degli adattamenti mirabili che presentano tutte le piante di questa famiglia nell'ambiente in cui vivono. A. F. PAVOLINI. BARGAGLI-PETRUCCI G. — Studî sulla Flora microscopica della regione bora- cifera Toscana (Nuovo Giornale bot. ital., 20, p. 5, 1913). Fra le specie più interessanti di Schizomiceti sono da annoverarsi quelle che vivono in substrati minerali; e tra queste, alcune forme che si svilup- pano nei terreni boraciferi della Toscana a temperature piuttosto elevate sono state l’oggetto di uno studio preliminare del Dr. BARGAGLI-PETRUCCI che le ha raccolte, fin dal 1910, nelle acque, nei fanghi e nei terreni della regione boracifera. Questo microrganismo, che si presenta sotto due forme distinte, una ovoidale, mobile, con numerose ciglia flagelliformi e sottili, l altra più allun- gata, immobile, senza ciglia, è stato chiamato Baci/lus boracicola. È una specie essenzialmente aerobia che agisce come fermento sul glucosio e sulla mannite e provoca generalmente reazioni acide; ha azione patogena su alcuni animali e le sue colonie si sviluppano tanto in agar peptonizzato, che in agar contenente solo sostanze minerali. Una delle caratteristiche più notevoli di questo bacillo in relazione all'ambiente in cui vive è la sua notevolissima resistenza agli agenti fisici e chimici. Resiste al calore umido per oltre un’ora fino a 100°, al calore secco fino a 105°-110°. Sopporta soluzioni di acido borico al 4 °/, di subli- mato al 3 °/»o, l'alcool assoluto e una soluzione normale di acido solforico al 4.9°/, per oltre 24 ore. Questo lavoro, molto accurato nella parte morfologica, andrebbe com- pletato nella parte chimica, riguardo soprattutto all’azione che potrebbe Recensioni 121 esercitare il bacillo sui borati: e sarebbe anche molto interessante, tanto più che nessuno vi ha ancora posto mente, la determinazione e lo studio di numerose specie di schizoficee e di alghe verdi che prosperano nei substrati boraciferi della regione Toscana, A. F. PAvOLINI. BÉGUINOT A. — Ricerche culturali sulle variazioni delle piante (Ma/pighia, Rassegna mensuale di botanica redatta da L. Buscalioni, Catania, anno XXIV, p. 225-240, 1911-12). È il programma di una serie di ricerche che lA. intende di fare sulle variazioni e sul polimorfismo delle piante con speciale riguardo a quelle appartenenti alla Flora italiana e che egli ha in altri suoi lavori illustrato dal punto di vista sistematico. Egli fa osservare che l’uso degli Erbari, anche se ricchi e numerosi e le osservazioni dirette in natura, anche se ripetute, non dirimono tutti i dubbi sul valore di una data entità e scarsa- mente illuminano sulla sua genesi e sul polimorfismo, sia reale, che poten- ziale. Si giunge così a risultati che non mancano per certo di interesse, ma sono troppo spesso inficiati da lacune insormontabili con i comuni metodi, spessissimo in contradizione con quelli presentati, nello stesso gruppo, da altri studiosi. Fa osservare che, oltre alla sistematica pratica — che intende all’incremento dell’inventario delle entità mano a mano che si esplorano nuovi paesi e si approfondiscono le ricerche monografiche di generi critici — esiste pure la sistematica filogenetica (che grande lume può ricavare dal- l’ontogenesi e quindi dallo studio delle fasi dello sviluppo di un individuo) e quella teorica, che esige la conoscenza dei quadro completo del polimor- fismo di una data specie (e quindi anche le forme aberranti ed eccezio- nali che è difficile incontrare in natura) e l'esame di esse in condizioni definite del mezzo. È evidente che questi due rami della sistematica e specialmente l’ultimo richiedano metodi di indagine più perfetti e questi, sec. l’A, risiedono nella coltura in appositi reparti sperimentali dei soggetti di studio, sia nelle condizioni corrispondenti a quelle del normale am- biente, come in condizioni artificialmente ed intenzionalmente provocate. La sistematica assume allora una direttiva biologica da cui molto è da attendersi, non escluse applicazioni nel campo pratico infestato tuttora dal- l’empirismo più ostinato e desolante. Osserva che gli Orti botanici italiani hanno fin qui poco fatto con questo indirizzo, ma la ragione di ciò devesi per buona parte ricercare nei limitati mezzi di cui dispongono, cui si ag- giunge in alcuni la ristrettezza dello spazio ed in quasi tutti la mancanza di personale tecnico adatto, augurandosi che tutto ciò non debba prose- guire sino alla consumazione dei secoli. Eccellente e degna di encomio gli sembra la proposta del MARCHESETTI — tradotta in atto nel rinnovato Orto botanico di Trieste — che cioè gli Orti botanici dovrebbero accogliere e coltivare su larga scala piante nostrane, ma la proposta andrebbe integrata nel senso di non limitarsi alla coltura a semplice svago di curiosità sistematica, ma per fornire utile materiale di studio e di confronto per ricerche di indole biologica e biogenetica. A. BécuinoT. Ci sembra notevole l'accordo a cui giungono i biologi più varî, riguardo alla importanza dell'allevamento delle specie per la sistematica. Il buon 122 Recensioni esempio l'hanno dato da tempo i batteriologi, che non avevano, per molte specie, altro modo di fare la diagnosi, data la piccolezza degli organismi da loro studiati, piccolezza che rende più difficile lo scoprire differenze _ morfologiche. Recentemente GHIGI è arrivato a importanti resultati, in parte di natura sistematica, allevando parecchie specie di uccelli; io stesso con questo metodo, riconobbi facilmente, pochi anni fa, la esistenza di due specie diverse di Co/poda (un infusorio d’acqua dolce), confuse fino allora insieme in una sola, nonostante che si tratti di specie comunissime e già studiate da eminenti osservatori. — Quando si è provata una volta la impres- sione di sicurezza che dànno i resultati dell'allevamento nelle questioni speciografiche controverse, è certo che ci si atterrà a questo metodo tutte le volte che sarà praticamente possibile, e che vi siano altre questioni dubbie da risolvere. Anche il metodo biometrico, per quanto in alcuni casi abbia dato resultati interessanti, è ben lungi dall’offrire una sicurezza paragona- bile a quella degli allevamenti. PaoLo ENRIQUES. BEGUINOT A. — Osservazioni e documenti sulla disseminazione a distanza (Atti dell’Accad. scient. Veneto-Trentino-Istriana, Padova, anno V, p. 129-212, 1912). L’A. parte dal concetto che, mentre i biologi si trovano d’accordo nel riconoscere nei frutti, semi ed organi della moltiplicazione agamica di piante delle più disparate categorie, adattamenti alla disseminazione longinqua, grande discordia regna sull’ efficacia di tale dispersione, se cioè essa abbia luogo solo a piccole od anche a grandi distanze ‘e, nel secondo caso, quale importanza possa avere per la dilatazione dell’area geografica e per la conquista di nuovi paesi e territori. Insomma la vita attualmente vive soltanto od anche si espande e quali le sue barriere? L’A. non si na- sconde le difficoltà del problema da lui impostato e rende guardinghi dalle facili esagerazioni cui biologi e fitogeografi di un tempo erano caduti concedendo alle agenzie disseminatrici a distanza (vento, uccelli migratori, correnti marine e corsi di acqua) una potenza eccessiva, in base alla quale, e prescindendo dai fattori storici, si finivano per spie- gare tutti i casi di disgiunzioni di aree e di distribuzione anomala. In seguito si venne facendo strada un altro criterio di concepire i fatti, che cioè l'emigrazione delle specie avvenisse soltanto in massa ed a pic- cole tappe successive, in guisa che spostamenti superiori ad un migliaio di metri sarebbero uno avvenimento eccezionale. Evidente esagerazione contro la quale l'A. riunisce un cospicuo numero di fatti che provano esat- tamente il contrario e conducono a non escludere, almeno come una pos- sibilità, l’opera della disseminazione longinqua. I fatti in rapporto con la dispersione a mezzo del vento, data la natura di tale agente, sono più che altro indiziari (e cioè fondati, sia sulla piccolezza e leggerezza dei semi e delie spore, come sulla retta interpretazione degli adattamenti di tipo anemo- coro), invece cadono sotto il dominio dell’osservazione e sono sindacabili fino ad un certo punto coll’esperienza quelli relativi alla dispersione a mezzo delle correnti marine e degli uccelli migratori, sulle quali due agenzie e sulla loro reale efficacia si è venuta accumulando una copiosa ed istrut- tiva bibliografia che non è tenuta nel dovuto conto dai sostenitori della teoria delio sfafu quo ante: lavori i quali hanno contribuito a mettere in evidenza i mirabili adattamenti di un grande numero di piante al galleg- giamento ed alla resistenza alla salsedine nelle roofile e spiegato la carno- Recensioni 123 sità, il colorito, la resistenza ai succhi intestinali ed all’azione triturante del ventriglio di alcuni uccelli e finanche adattamenti mimetici nei frutti o semi nelle piante ornitocore. L’ A. ha insistito sul classico esempio del ripopola- mento floristico e faunistico dell’isola di Cracatoa nella quale, in seguito alla tremenda eruzione del 1883, scomparve ogni traccia di flora e di fauna e che attualmente (e cioè nel 1906) possedeva 137 tra fanerogame e critto- game e (nel 1908) 263 animali, tra i quali parecchi che niun zoologo avrebbe mai supposto potessero varcare una distanza non inferiore ai 40 km. quale è quella che separa l'isola dalle isole maggiori dello stretto della Sonda. L’A. invoca la concorrenza vitale e cioè la lotta che un nuovo inquilino deve impegnare, in territori preoccupati ed in formazioni chiuse, con gli antichi | abitatori come un ostacolo, oltre ai tanti già noti, per il suo definitivo inse- diamento. Vale quanto a dire che ricerche del genere devono essere con- dotte, perchè giungono a risultati sicuri, in territori nuovi o rinnovati, ed in formazioni aperte e discontinue: condizioni, specialmente le prime, piut- tosto rare a verificarsi in natura e l'A. richiama l'attenzione dei botanici sulle stesse e ciò, non solo per raccogliere nuovi dati fitogeografici, ma per giungere o formarsi un’idea sempre più perfetta dell’energie traslatrici di cui dispone la natura, dell'efficacia dei mezzi di traslazione inerenti alla pianta e di potere di questa seguire le modificazioni in essa indotte e da essa indotte nel nuovo ambiente. A. BEGUINOT. FISIOLOGIA VEGETALE. Bonvoucos G. — Transpiration of wheat seedlings as aîfected by different densities of a complete nutrient solution in water, sond and soil cultures (Beif. z. Botan. Centralbl., Vol. 29, I, 1912). L’aumento della concentrazione nel mezzo culturale porta un aumento di densità nei succhi della pianta; la traspirazione aumenta col diminuire della concentrazione del mezzo culturale, fino ad un certo punto, poi torna a diminuire; l’ aumento si spiega bene col diminuire della pressione osinotica nel liquido culturale e deila densità nei succhi; riguardo alla diminuzione nelle soluzioni notevolmente diluite, si deve pensare, secondo lA., al fatto che queste stimolerebbero troppo debolmente ia funzione traspiratoria. I fatti ci sembrano interessanti. Quest ultima spiegazione no, è puramente verbalistica. Occorrerebbe invece studiare le condizioni fisico-chimiche del protopiasma, nelle diverse condizioni di allevamento. FISCHER H. — Pflanzenernàhrung mittels Kohlensaure (Garzen//ora, Vol. 61, p. 298-307, 1912). Aumentando la quantità di CO? nell’ambiente in cui vivevano alcune piante, ha potuto ottenere una fioritura molto accelerata e notevole. Questo resultato avrà, secondo l’ A., molta importanza pratica e scien- tifica; pratica, per il giardinaggio; scientifica, per eccitare alla fioritura bastardi che hanno poco tendenza a fiorire e fruttificare; e già ricerche preliminari in proposito gli hanno dato resultati favorevoli. PaoLo ENRIQUES. 124 Recensioni HOFFMANN C. — Paraffin Blocks for growing seedlings in liquid culture solutions (Bofan. Gazette, Vol. 55, p. 244, 1913). Da che si cominciò a far germogliare dei semi e a far crescere delle pianticelle nei più svariati liquidi culturali, l'apparecchio più adoperato è stato sempre un vaso cilindrico coperto da un tappo di sughero nel quale era fissato il seme o la pianticella. Ora, chiunque abbia fatto delle ricerche in questo campo, sa per prova come sia facile che il sughero alteri la com- posizione della soluzione nutritiva, o ne lasci evaporare una parte, o, peggio ancora, faccia coprire di muffe il seme germogliante. Questi non lievi inconvenienti sono eliminati da una semplice dispo- sizione che l’autore chiarisce in una breve nota testè pubblicata. Si tratta, in una parola, di sostituire il tappo di sughero con un blocco di paraffina d’opportuna grossezza e di conveniente diametro, blocco che si può model- lare facilmente, raffreddandolo in appositi stampi dopo averlo fuso e che, ancor più facilmente, si può forare nel centro per il passaggio del seme o del fusto della pianta. La nota è accompagnata da fotografie molto convincenti della bontà del metodo e della facilità con cui si ottiene lo scopo desiderato. A. F. PAVOLINI. ZOOLOGIA, varia. MERKEL H. J. — Studies on the physiological characthers of species. The ef- fect of carbon dioxide on various protozoa (/ourz. Exp. Zool., Vol. 12, N. 4). L’azione del CO? è diversa, a parità di condizioni sperimentali, per le diverse specie di Cigliati e Flagellati esaminati dall’ A. Così mentre il Co/ pidium colpoda resiste a tale gas per molte ore, il Co/eps hirtus in tre o quattro minuti viene ucciso; nell’ Eug/era la morte invece si ha solo assai tardi, molto tempo dopo che sono cessati tutti i movimenti; altre specie, p. es. Euplotes patella, pur mantenendosi le ciglia in moto per lungo tempo sono incapaci di locomuoversi dopo pochi istanti. Le strutture vibratili (ciglia, membrane, flagelli) appaiono assai più resi- stenti che non gli elementi contrattili, le ciglia poi e le loro modificazioni presentano in generale la stessa resistenza mentre i flagelli mostrano a questo riguardo una notevole variabilità: il flagello dell Eug/ena resta immobile dopo pochi minuti, mentre nel Chril/omonas e nell’ Enfosiphon il movimento dei flagelli persiste per molte ore. E una volta cessati completamente i movi- menti è impossibile che i cigliati li riacquistino, eccetto la Vorzfice/la, la quale esposta all’aria dopo che ogni movimento è cessato da più di mez- z'ora, dopo qualche tempo riprende a muoversi, e può iniziare la rigene- razione del peduncolo che si altera velocemente e si spezza in pochi mi- nuti sotto lazione del CO?. I Flagellati invece possono recuperare i loro movimenti anche dopo un’azione di questo gas assai prolungata. L’azione del CO? secondo lA. si esplica sulla cellula causando cessa- zione dei movimenti, assorbimento di acqua e conseguente rigonfiamento, Recensioni 125 alterazione della membrana celiulare, coagulazione dei protoplasma e quindi la morte; ora si può domandarsi se tali effetti sono proprio dovuti alla diretta azione del CO* quando p. es. l'assorbimento d’acqua e l’altera- zione della membrana cellulare possono anche esser dovuti alle variazioni della pressione osmotica. V. BALDASSERONI. IsseL R. — Una nuova forma di vita latente nella fauna sopralittorale (Z00/. Anz., Bd. 41, N. 1, p. 13, 1912). L’ISSEL in questa nota riferisce alcune osservazioni compiute sull’Har- pacticus fuscus FiscH, nel piccolo, ma vitale laboratorio marino di Quarto dei Mille. L’Harpacticus fuscus è abbondante nelle pozzanghere sopralittorali della costa ligure, pozzanghere le quali, in relazione con le condizioni atmo- sferiche, in un breve giro di giorni possono contenere acque con salinità molto diversa, dall’acqua dolce piovana, all'acqua marina, ad acque sature di sali. Questi copepodi coll’ aumentare della concentrazione dell’acqua marina, nella quale a salinità normale nuotano con vivaci movimenti, ral- lentano la propria attività, si avvicinano al fondo della pozza, finchè, au- mentata ancora la concentrazione, giacciono sul fondo in uno stato di as- soluta insensibilità ed immobilità, sì che paiono morti. Ma basta riportarli in acqua marina a salinità normale, perchè riacquistino in pochi minuti intera la loro vitalità. In tale stato di morte apparente gli Harpacticus possono rimanere per un tempo assai lungo: nelle esperienze dell’ autore, il quale ha anche potuto stabilire a qual punto di concentrazione dell’acqua marina s’inizia il fenomeno, taluni sono ritornati alla vita dopo 17 giorni. A tali fenomeni lIssEL, considerandoli come totalmente causati da fatti osmotici, dà il nome di letargo osmotico, il quale si produce non solo quando il crostaceo venga a trovarsi in soluzioni ipertoniche — letargo per ipertonia — ma anche quando, allevato in acqua marina concentrata, venga posto in acqua dolce — letargo per ipotonia —; mentre però dal primo non si può in nessun modo risvegliare, se non si cambiano opportunamente le condi- zioni ambienti, dal secondo si riscuote spontaneamente dopo breve tempo. Le nuove osservazioni e ricerche sull’ interessantissimo argomento annun- ziate dall’ A. porteranno luce e sul determinismo, e sull'azione istologica del fenomeno, e forse altre e notevoli differenze riveleranno fra il letargo per ipertonia e quello per ipotonia, ma già sin d’ora si può notare che il letargo osmotico per ipertonia, il quale solo ha la forma di un vero e profondo stato letargico, si può in ultima analisi ravvicinare assai all’ anidrobiosi del GIARD; in ambedue i casi infatti, il determinante vero del fenomeno è da ricercarsi nella sottrazione d’acqua all’ organismo. V. BALDASSERONI. ISseL R. — Dove si sviluppano le Globigerine? (Afff Accad. Lincei, Ren- diconti (5), Vol. 21, Fasc. 7, p. 508-504, 1912). È nota la grande importanza che hanno nella formazione dei depositi di alto fondo i Foraminiferi e specialmente le G/obigerine; ma le nostre conoscenze sulla biologia di questi Protozoi, troppo scarse, impediscono di stabilire con sicurezza se i gusci di G/obigerina, che si accumulano sul fondo 126 Recensioni del mare, provengano tutti e soltanto da individui vaganti nel plancton, op- pure in parte anche da individui, per tutta la loro vita o solo per qualche stadio, bentonici. Ora l’IssEL colle sue ricerche sulla faunula estiva delle foglie di Posi- donia a Portofino, ha potuto stabilire che la G/obigerina bulloides d’ORB., specie diffusissima nel plancton di tutti i mari e delle più diverse profondità, vive nei primi stadi della sua esistenza « in ambiente bentonico e littorale per eccellenza » e precisamente sulle foglie superficiali di Posidonia. Questa constatazione, mentre porta qualche luce sulla questione suac- cennata, riveste una notevole importanza perchè mostra una volta di più quali stretti legami intercedano fra plancton e benthos, sì che la conoscenza dell'uno deve essere integrata da assidue ricerche sull’ altro. V. BALDASSERONI. ZWEIBAUM JULES — Les conditions nécessaires et suffisantes pour la con- jugaison du Peramaecium caudatum (Arch. f. Protistenkunde, Vol. 26, p. 275-393, 1912). Queste ricerche confermano quanto io già dimostrai per il Crypto- chilum nigricans, riguardo alla azione dei sali, necessarî o favorevoli alla coniugazione. Mostrano inoltre che, per ogni sale, vi è un opfimum di concen- trazione, al disopra e al disotto del quale non si ha coniugazione. E soprat- tutto dimostrano una azione dell'ambiente culturale, che rende per lungo tempo i Parameci coniugabili od inconiugabili. La permanenza per un mese in un vaso con molto fieno ed acqua non ricambiata, li rende inconiugabili, anche se poi si fanno moltiplicare ripetutamente col rinnovamento giornaliero del liquido culturale (infuso di fieno) e si mettono poi in condizioni di rapido digiuno e di opportuna concentrazione salina. Invece la permanenza per un mese in un vaso con infuso di fieno molto diluito e senza fieno, rende i Parameci coniugabili, quando sian fatti moltiplicare e trattati nel modo testè indicato. Ritengo che le varie razze di Parameci, più o meno coniugabili, di JENNINGS, siano in realtà non razze, ma famiglie che son state in natura sottoposte precedentemente a condizioni diverse di nutri- zione; e spero che questo autore vorrà tentare la trasformazione di una nell’ altra, col metodo esposto nella pubblicazione di ZWEIBAUM. Qualche cifra sui sali (nei dati che seguono, il 1° numero indica una concentrazione elevata a cui, pur sviluppandosi, i Parameci non si coniu- gano; il 2° l’opimum per la coniugazione): NaFl M/240; M/6000 NaCl M/15 — M/30; M/1200; HgCl, M/480.000 — M/2.400000; M/12.000.000 — M/48.000.000; FeCl, M/480.00; M/48.000. Per il sublimato corrosivo l’azione è sensibile anche alla concentrazione di circa 1 su 400 milioni. Associazioni tra varî sali, p. e. cloruri di sodio e ferro, sodio e mer- curio, nelle rispettive concentrazioni ottime, dànno piuttosto un rinforzo della epidemia di coniugazioni, che una compensazione tra le azioni di ciascuno. PaoLo ENRIQUES. DELSMAN H. C. — Der Ursprung der Vertebraten. Eine neue Theorie (Miffrei- lungen a. d. Zoologischen Station z. Neapel, Vol. 20, p. 647-711, 1913). Questa nuova teoria si basa sopra ad una supposta omologia, che a tutta prima appare un paradosso; ma leggendo e pensando, assai più plau- Recensioni 127 sibile. L'A. richiama la classificazione dei Bilaterali proposta da GROBBEN (1908), in Protostomî e Deuterostomî. Nei primi il blastoporo corrisponde alla bocca dell’ adulto, nei secondi si trasforma nell’ apertura anale, o almeno ha con essa particolari rapporti. Protostomî sono gli Anellidi, Molluschi, Tur- bellari, Nermertini, Nematodi, Rotiferi, Brachiopodi, Briozoi. Deuterostomiî, gli Echinodermi, Enteropneusti e Cordati. Le somiglianze già più volte messe in evidenza tra Cordati ed Enteropneusti e d’altra parte, special- mente per le larve, tra questi ed Echinodermi, dimostrano che la distin- zione in Protostomî e Deuterostomî è ben fondata. Ora, secondo l’A., i Deuterostomî derivano dai Protostomi, ed in questo modo: lo stomodeo dei Protostomî diventa il tubo midollare dei Cordati. Si tratta di vedere su che cosa è basata tale omologia. Confrontando lo sviluppo di un Protostomio (Liftorina) con quelle dello Ascidie (descrizione di VAN BENEDEN e JULIN, 1884), lA. osserva che lo stomodeo di Lifforina si forma da quella stessa corona di cellule, che nella gastrula delle Ascidie dà origine invece al canale midollare. Lo stomodeo è un canale ectodermico, lungo e for- mato da piccole cellule, che da una parte è aperto all’esterno, dall’ altra per mezzo dello stretto blastoporo comunica collo stomaco; è rivestito di ciglia vibratili che portano una corrente d’acqua verso lo stomaco; ora, il canale midollare dell’ Anfiosso possiede pure ciglia con ugual direzione del movimento; e ciglia esistono anche in alcuni cordati superiori. Anche esso è fatto di piccole cellule ectodermiche, è stretto, lungo, ciliato; anch’esso comunica da una parte coll’esterno (col neuroporo), e dall’ altra, per mezzo del blastoporo (che è divenuto ora il canale neuroenterico), comunica collo stomaco. Il canale midollare è insomma un antico esofago che ha cambiato funzione. Ciò appare meno strano quando si consideri che la stomodeo non ha solo la funzione di conduttore dell'alimento, ma bensì anche quella, più specifica, di organo di senso (gusto). Riguardo al modo della trasformazione, immagina lA. che l’ esofago dei Protostomî in uno stadio simile alla trocofora, si sia molto sviluppato in lunghezza, nel medesimo tempo ristringendosi. Intanto si formava una seconda apertura buccale, ed il blastoporo mutava la sua funzione. Questa formazione di una bocca secondaria e cambiamento di funzione del bla- stoporo sono, naturalmente, cose note e risolte già, le quali per nulla val- gono ad accrescere le difficoltà della teoria di DELSMAN. L’A. esamina le conseguenze della sua teoria riguardo alle formazione del capo dei Vertebrati, e per varî lati mette nuovamente in evidenza i già noti rapporti morfologici tra Anellidi e Vertebrati. Da questi resulterebbe per contro un distacco notevole tra Vertebrati da un lato, Tunicati ed Anfiosso dall’ altro, i quali non posseggono i medesimi rapporti cogli Anellidi. Con- clude perciò l'A. col credere che l’origine dei Vertebrati sia indipendente da quella degli altri Cordati. Nelle idee del DELSMAN vi sono evidentemente parecchie cose da di- stinguere. La connessione tra i varî Cordati è troppo palese ormai, per poterla negare. L'A. dà eccessivo valore ad alcuni caratteri differenziali, come i pigmenti del sangue (e non conosciamo anche in altri tipi, forme assai affini tra loro, che hanno e che non hanno emoglobina nel sangue ?), la metameria (la quale evidentemente nei Tunicati è ridotta per la vita sedentaria) e qualche altro. 7 128 Recensioni La origine da Anellidi, non è conseguenza necessaria della teoria del canale midollare. Essa porta ad ammettere solo una origine dai Protostomî, ma i Protostomî sono molti, ed ancor più se si tien conto degli estinti. Insomma, è più verosimile la idea generale del canal midollare, che non le altre, più particolari, esposte nel medesimo lavoro, e che non ne sono con- seguenza necessaria. PaoLo ENRIQUES. LALIGEIGONI GIORIO ZONI ZLI FISIOLOGIA ANIMALE. MOORE A. R. — Concerning negative phototropism in Daphnia pulex (Journ. Exp. Zool., Vol. 13, N. 4, 1912). LoEB aveva già dimostrato che la Daphnia puler e le larve di Ba/anus esposte ai raggi di una lampada a mercurio, mostrano uno spiccato foto- tropismo negativo dovuto principalmente ai raggi ultravioletti; se tra la lampada e il recipiente contenente gli animali si interponeva una lastra di vetro comune, tale effetto diminuiva, evidentemente perchè alcune radiazioni venivano intercettate. Ora il MOORE ha determinato con spettrofotografie quali radiazioni ven- gono arrestate dalle comuni lastre di vetro e quindi ha potuto stabilire con opportune esperienze che le radiazioni ultraviolette, che sono causa speci- fica del fototropismo negativo nella DapAnia puler, sono quelle con lun- ghezza d’onda inferiore a 3341 unità ANGSTROM. Ma un resultato molto interessante è questo: che il fototropismo nega- tivo così prodotto, per l'aggiunta all’acqua di piccole quantità di acido CO?, HCI > cessa, e s’inverte poi in fototropismo positivo se gli acidi ven- gono aggiunti in quantità maggiori (2 cc. di acqua con CO? in 20 ce.). Il MOORE ha così stabilito che « the acid vhich LOFB found would cause Daphnia to become positive to visible light, are effective in making these animals positive to the ultra-violet light ». Ma il LoEB indica anche che è possibile variare le reazione degli ani- mali alla luce visibile con variazioni di temperatura e di concentrazione: ora sarebbe interessante ricercare l’azione di questi fattori sulle reazioni causate dalle radiazioni ultraviolette. V. BALDASSERONI. ROTHMANN M. — Ist eine experimentelle Umkehr des Blutstroms mòglich? (Berl. Klin. Woch., p. 982, 1912). L’A. è riuscito a invertire la circolazione in territorî vasali privi di val- vole; però il campo diventa edematoso, e solo una porzione del liquido iniettato nelle vene riesce per le arterie. La questione del resto era già stata posta dal WIETING, il quale nell'uomo, a scopo chirurgico, aveva col- legato il moncone centrale dell’ arteria femorale con quello periferico della vena omonima, arrestando con tale procedimento una cancrena angioscle- rotica incipiente. pie Pe Recensioni 129 BRUNAZZI B. — Ueber die Anpassung der Amphibien an das aussere Flis- sigkeitsmilieu durch Regelung des osmotischen Drucks ihrer inneren Sifte. Bedeutung der Lymphsicke und der Harnblase (Zentra/b/. f. Physiol., Vol. 25, p. 1167, 1912). Rane immerse in soluzioni anisotoniche alterano ia concentrazione del loro sangue tra A = — 0,43 e — 0,78°. Oltre questi limiti non si ha adat- tamento, ma la morte. HIDETSURUMARU IsHikAWA — Ueber den Einfluss des osmotischen Druckes auf die Erregbarkeit und die Leitfàhigkeit des Nerven (Zerfschr. allg. Physiol., Vol. 13, p. 227, 1912). La eccitabilità e la velocità di propagazione aumentano, nel nervo immerso in soluzione ipertonica; diminuiscono in soluzione ipotonica. Masinc ERNST — Sind die roten Blutkòrper durchgàngig fiir Traubenzucker? (Pfliiger’s Archiv f. d. g. Physiologie, Vol. 149, p. 227-249, 1912). La permeabilità delle cellule alle varie sostanze diventa ogni giorno una faccenda più complicata. L’A. constata che i globuli rossi di animali diffe- renti si comportano diversamente rispetto al glucosio; questo è disciolto in soluzioni saline, o nel siero, in cui sono immersi i globuli prima centrifu- gati. Quelli di oca, coniglio, maiale e montone non si arricchiscono di glucosio, e restano spesso impermeabili anche se prima maltrattati con mezzi svariati. Invece i globuli di cane, di bove o di uomo sono permea- bili; questi ultimi si arricchiscono di glucosio fino ad una concentrazione 6-7 decimi di quella del liquido esterno, mentre sono impermeabili ai sali neutri, p. e. all’ioduro di potassio. CESANA Gino — Contributo allo studio ultramicroscopico dei processi ca- talici (Archivio di Fisiologia, Vol. 11, p. 130, 1913). Già si sapeva che qualche enzima o catalizzatore modifica la intensità della sua azione se viene sottoposto — prima di agire — a temperature ele- vate, in modo da presentare un opfimum a una temperatura determinata. Le proprietà acquistate col riscaldamento si conservano anche dopo che l'enzima è stato raffreddato. L’A. si propone di studiare questo fatto in rapporto colla grandezza dei granuli colloidali, ed arriva ad un resultato veramente interessante: la pan- creatina, portata a 42° prima di agire, acquista un opfimum di attività con- seguente: analogamente il platino colloidale portato a 45°, per la sua azione decomponente l’acqua ossigenata. Orbene, alle temperature indicate i sud- detti colloidi hanno i granuli più piccoli che a temperature superiori od inferiori; coincide insomma il massimo di dispersità, col massimo di azione. Questo resultato, perla interpretazione delle azioni enzimatiche e ca- talitiche è di primaria importanza: per la prima volta si dà qui la prova sperimentale, che tali azioni sono fenomeni superficiali; vi è infatti coinci- denza tra il massimo di superficie ed il massimo di azione. Bios 9 130 Recensioni Neppi Bice — I fermenti dell'organismo (Pubblicazione dell’ Istituto sierote- rapico di Milano, 1913, L. 4). L’A. espone dapprima i caratteri generali dei fermenti — poi il modo col quale la loro azione è influenzata dagli agenti fisici e chimici; la ana- logia tra fermenti e catalizzatori; la preparazione dei fermenti e la ricerca della azione fermentativa. Quindi, in una parte speciale, maggiormente si intrattiene su i varî fermenti, di cui descrive chiaramente la preparazione, il luogo dove si trovano, la azione; i fermenti sono divisi nelle seguenti categorie: esterasi, carboidrasi; ammidasi; coagulasi; ossidasi; catalasi; fer- menti glucolitici. L’ordine e la chiarezza sono le doti principali del libro, sì che esso è parti- colarmente consigliabile ai medici o naturalisti che vogliano conoscere lo stato attuale delle nostre conoscenze in proposito; specialmente la parte speciale, che è la più ampia, costituisce una sistematizzazione ben fatta della materia, ed assai comoda per la sua brevità; nella parte generale non è trattato il lato fisico-chimico delle azioni fermentative. Una critica devo fare, che non si riferisce però alla Autrice, riguardo alle azioni di sostanze chimiche sopra ai fermenti ed azioni fermentative, dall’ A. raccolte e riassunte. Gli sperimentatori riscontrano spesso azioni dannose di sali e di sostanze tossiche non saline. Ma in generale questi esperimenti non sono esaurienti, perchè gli AA. non si curano sempre di diluire sufficentemente le soluzioni adoperate. Chè quando questo si fac- cia, si trovano utili anche sostanze da cui non si aspetterebbe una bene- fica azione, p. e. il sublimato. Rimando, per tale questione, ad un lavoro che si pubblicherà nel 2° fascicolo della rivista, e che, pur non prendendo in esame azioni fermentative con fermenti isolati, dimostra una azione utile del sublimato sulla riproduzione dei Crostacei, la quale, probabilmente, è da ritenersi dovuta alla attivazione di enzimi. Il libro della Dott. NEPPI, è insomma un chiaro riassunto dei caratteri generali degli enzimi, ed una chiara esposizione dei diversi enzimi, soprat- tutto animali. HERLISTKA AMEDEO — Ricerche di termodinamica muscolare. Nota I. Pro- duzione di calore nel cuore isolato di mammifero (Archivio di Fisio- logia, Vol. 10, p. 501-536, 1912). L’A., per via termoelettrica e con una tecnica perfezionata colla quale si può registrare la curva termica d’accordo colla curva della contrazione muscolare, dimostra chiaramente che nella fase decrescente della contra- zione non vi è produzione di calore, punto che finora era rimasto contro- verso. Inoltre mostra che la curva termica antecipa un poco rispetto a quella meccanica, ossia i processi chimici produttori di calore avvengono già un poco prima dell'inizio della contrazione, come era @ priori prevedibile. Rossi GiLBERTO — Sugli effetti consecutivi alla stimolazione contemporanea della corteccia cerebrale e di quella cerebellare (Archivio di Fisio- logia, Vol. 10, p. 389-399, 1912). L’A. dimostra che gli stimoli faradici sopra la corteccia cerebellare accrescono la eccitabilità della corteccia cerebrale controlaterale (zona Recensioni 131 motrice). È un resultato notevole nella dottrina del cervelletto, quale sistema fisiologicamente sovrapposto alle altre parti dell'encefalo. Speriamo di poter sapere qualche cosa anche sulle eventuali relazioni tra il cervelletto e la corteccia cerebrale frontale. CAZZOLA I. — Azione ed importanza del calcio nella funzione d’ arresto del cuore (Archivio di Fisiologia, Vol. 9, p. 89-111, 1912). L’A. proseguendo gli studî di SABBATANI sul Ca, dimostra che iniezioni di piccole quantità di Ca CI® aumentano la eccitabilità del vago; di quan- tità maggiori, la aboliscono. Inoltre, la iniezione di reattivi decalcificanti diminuisce, fino ad annullarla, l’azione del vago. Si osservano, durante queste varie prove, anche variazioni della frequenza dei battiti, nonchè della pressione arteriosa, variazioni che solo in parte si possono attribuire ai cambiamenti delle proprietà del vago. Sarebbe interessante sapere su quali parti agisce la debole quantità di Ca che aumenta l’azione del vago, e la soluzione decalcificante che ia diminuisce ed annulla. Chè non bisogna dimenticare la necessità del Ca per la trasmissione neuromuscolare e per le azioni riflesse (OVERTON); fatti che tendono a mostrare ia esistenza di una connessione calcica tra le cel- lule, tra i « neuroni », nel caso dei riflessi; e che può mettere in nuova luce la dottrina delle connessioni nervose, come già ho avuto occasione di discutere più ampiamente (« La teoria cellulare », $ 18 e 149). Qui, negli esperimenti del CAZZOLA, si tratta forse di una connessione calcica tra fibre del vago e cellule gangliari del cuore ? LiLLie RALPH S. — Antagonism between salts and anaesthetics (7/re are rican Journal of Physiology, Vol. 29, p. 372, 1912; Vol. 30, p. 1, 1912; Vol. 31, p. 256, 1912). Come è noto, l’azione narcotizzante delle sostanze va assai bene d’ac- cordo colla loro solubilità nei lipoidi (OvERTON), sì che da molti si ritiene essere la membrana cellulare ricca di lipoidi, che permettono l'ingresso nelle cellule delle sostanze in questi solubili. L'azione narcotizzante consi- sterebbe, secondo questa teoria, in una alterazione della permeabilità della membrana. L’ A. studia alcune influenze combinate di anestetici e sali sopra alle larve di Arericola, donde resultano, per la dottrina della membrana, note- voli conseguenze. Etere, cloroformio, alcool, nelle concentrazioni capaci di produrre tipica anestesia, aboliscono la azione stimolante di soluzioni saline pure; e fin qui non c’è gran che di nuovo; ma questo è particolar- mente interessante, che la azione nociva di cloruro di calcio o magnesio in concentrazione notevole, viene pure abolita dalla succitata anestesia. L’A. ne conclude che gli anestetici impediscono l’azione propria delle soluzioni saline, consistente nell’aumentare la permeabilità della membrana. Vede relazioni tra l’impedimento della azione stimolante e dell’azione tossica, in quanto anche la stimolazione consisterebbe in un aumento della permeabilità della membrana (?). (1) V. a questo proposito un lavoro precedente dell’ A. « The relation of stimulation and conduction in irritable tissues to changes in the permeability of the limiting membranes > (Ann. Journ. of Physiology, Vol. 28, p. 197, 1911). 132 Recensioni Analogamente, dimostra con varî anestetici un ritardo all’azione citoli- tica di soluzioni isotoniche neutre di sali di sodio o di potassio, sull’ uovo di echinodermi non fecondato; questo uovo, messo in tali soluzioni saline, rimane molto più a lungo vitale (capace di sviluppo dopo fecondazione), in presenza di anestetici. Infine, in una terza serie di ricerche, di nuovo sulle larve di Arerzico/a, studia ancor meglio gli effetti di una soluzione isotonica di CINa: 1° forte stimolazione dei muscoli; 2° aumento della permeabilità delle membrane nelle cellule pigmentate, con evidente uscita del pigmento; 3° immediato arresto dei movimenti ciliari; 4° azione tossica generale. Ora, gli anestetici prevengono questi effetti, e tutti insieme, in ugual grado; esiste insomma uno stretto parallelismo tra l’azione antistimolante e quella anticitolitica; è dunque ancora una volta evidente che l’azione ane- stetica consiste in una temporanea azione sulla membrana cellulare, per la quale essa non va incontro, nella normale stimolazione, all’ aumento di permea- bilità essenziale per questo processo; la membrana diventa insomma più resistente a quegli agenti che tendono a modificare la sua normale semi- permeabilità. Si può aggiungere, che la semipermeabilità delle membrane viventi quale si dimostra nei più semplici esperimenti osmotici, non è una pro- prietà permanente delle cellule, in quanto tutti i processi fisiologici (assor- bimento, escrezione, contrazione ecc.) si compiono invece in tal modo che la esistenza di una permeabilità è evidente; l'anestesia, contrastando la permeabilità, impedisce tutte le funzioni; la semipermeabilità, considerata generalmente come proprietà delle membrane cellulari viventi integre, non alterate, è la proprietà delle membrane che dormono. È evidente l’importanza di queste ricerche di LILLIE, per la teoria cel- lulare e per la farmacologia sperimentale. MOELLGAARD HoLGER — Ueber Verainderungen im Zentralnervensystem bei der Tetania parathyreoipriva (Sfandinavisches Archiv fiir Physio- logie, Vol. 28, p. 65-90, 1912). Studiando i caratteri minuti delle trasformazioni a cui le cellule gan- gliari vanno incontro nella tetania paratireoipriva, giunge l’ A. a conclusioni interessanti. Le cellule normali mostrano una struttura reticolare, quando il tessuto, appena tolto dall’ animale, è fatto congelare, e sezionato in tale con- dizione. Già lA. con tale metodo aveva dimostrato che la sostanza colora- bile col bleu di toluidina (sostanza tigroide o zolle del NIssL), aumenta nella funzione, diminuisce nel riposo, e sparisce nelle narcosi. Non ci esten- diamo in una considerazione critica di questi ultimi resultati, giacchè com- parirà nel 2° fasc. della nostra rivista un lavoro del Dott. PIERSANTI appunto su questo soggetto, della sostanza tigroide e sue modificazioni funzionali. Ora, nella tetania di cui si tratta, le cellule motrici del midollo spinale ed allungato non mostrano più il reticolo caratteristico, dopo il trattamento succitato. Qualche volta ciò accade anche per le cellule dei gangli spinali e del ganglio del GASSER; invece le cellule motrici della corteccia non sono modificate. In alcuni casi nei quali l'estirpazione delle paratiroidi non pro- dusse tetania, anche le cellule gangliari rimasero normali. Per contro, i fenomeni tetanici provocati da avvelenamento stricnico Recensioni 133 o da tossina del tetano, non producono modificazioni del reticolo suddetto. La struttura reticolare in questione deriva del congelamento di sostanze colloidali in soluzione stabile; invece, soluzioni nelle quali sia incominciata una precipitazione, congelano senza struttura reticolare; ciò è riuscito ad ottenere l’ A. anche sulle cellule gangliari, trattandole prima con fissativi (ossia reattivi precipitanti), e poi facendole congelare; in tal caso la strut- tura somigliava a quella della tetania. Resulta dunque evidente che la tetania paratireoipriva dipende da una modificazione dello stato colloidale del citoplasma delle cellule gangliari, modificazione consistente in una diminuzione della sua stabilità. STÉPHAN Lepuc — Études de Biophysique: I. Théorie physico-chimique de la vie et générations spontanées; II. La biologie synthétique (Poinat, Parigi, 1910-12). L’A. espone in questi volumetti le sue idee sulla origine della vita e sulla produzione artificiale di qualche cosa che assomiglia agli organismi viventi. Studia soprattutto i fenomeni di osmosi e diffusione, e trova, con molte svariate disposizioni sperimentali, il modo di imitare le forme delle cellule, delle foglie, dei funghi ecc.; trova anche il modo di produrre accrescimenti di matura osmotica ecc. L’A. dà a tali imitazioni un valore per la spiegazione o produzione artificiale della vita, nel quale è evidente- mente impossibile seguirlo; tuttavia la somiglianza formale dei fenomeni e delle forme quale ci viene presentata dalle ricerche del LEDUC, è interes- sante, perchè può servire in molti casi ad illustrare se non la natura, almeno la distribuzione e la intensità delle forze che agiscono realmente negli orga- nismi viventi; e soprattutto, anche a parte qualunque considerazione scien- tifica, desta una intensa curiosità l’osservazione delle figure dell'autore, nelle quali vediamo forme spesso tanto note come caratteristiche di orga— nismi viventi, riprodotte per mezzo di fenomeni che nulla hanno a che fare colla vita. Infine, nel 2° volume, coglie anche occasione per parlare della narcosi elettrica, della quale l'A. stesso ha parlato più volte in pubblicazioni precedenti; i resultati che egli ha ottenuto col passaggio di correnti moderate ed intermittenti, per addormentare gli animali, sembrano veramente degni della più grande considerazione, sia per la profondità della narcosi, sia per essere essa priva di fenomeni dannosi postumi. Tuttavia sembra, da ricerche ulteriori dello stesso A., il quale ha sottoposto sè medesimo al « sonno elettrico », che si tratti più di una impossibilità di muoversi, che di una abolizione della sensibilità (eccitazione della corteccia frontale inibitrice ?). PaoLo ENRIQUES. LLLLILLI EN ESILLIZZILIAZI BATTERIOLOGIA E PATOLOGIA. SHIBATA K. — Untersuchungen iiber lockere Bindung von Sauerstoff in gewissen farbstoffbildenden Bakterien und Pilzen (/a/rbzcher fiir wissensch. Botanik, Vol. 51, H. 2, p. 179, 1912). A. G. EwaRT nel 1897 ha osservato che i Batterî colorati (p. e. Baci//us brunneus), cedono ad un’atmosfera di H?, una certa dose di O?, dimo- 134 Recensioni Te PI strata dai movimenti di Batterî aerobi (metodo di ENGELMANN). Questa secrezione di O? dura per ore alla luce ed al buio, non ha dunque a che fare colla funzione sintetica clorofilliana. Un estratto alcoolico dei Batterî agisce nello stesso modo. L’A., per consiglio e sotto la direzione di PFEFFER, fa nuove, estese ricerche. Studia numerose specie di Batterî colorati ed una muffa rosa (Monascus purpureus). Resultati: La perdita della sostanza colorante, che si verifica in alcune culture e razze, porta anche la perdita della secrezione di O?. Mentre in H? od in CO? o in N20 dura lungamente la secrezione di O?, essa cessa con grande rapidità, ponendo gli organismi in questione in . atmosfera di CO o di acetilene. Trattamento breve con un poco di CNH, non solo toglie la capacità di secernere O? quando gli organismi vengano rimessi in un gas indifferente (H?), ma fa loro perdere anche la proprietà di conquistare, dall’ aria, O?, per secernerlo poi nell’ H?, Resulta dunque una notevole analogia tra l’ emoglobina del sangue, ed i pigmenti di questi Batterî e Funghi, come quella capaci di fissare labil- mente | O?, e come quella danneggiati rapidamente dall’ ossido di C ed acido prussico, che evidentemente ne prendono il posto. Nella sostanza colorante di Morascus, Vl A. ha potuto anche osservare variazioni spettrali, in conseguenza della ossidazione o riduzione. Probabilmente la sostanza colorante a cui si devono tali proprietà, ap- partiene al gruppo dei lipocromi. Che ci sia in questi pigmenti, funzionalmente simili alla emoglobina, qualche metallo? Ecco un problema importante, che speriamo voglia at- trarre i chimici. Questi Batterî e Muffe si possono, naturalmente, coltivare con facilità ed abbondanza tale da permettere la ricerca chimica. BLUMENTHAL F. — Die Behandlung der bakteriellen infektionen im Organismus durch Chemikalien (Ber/. A7in. Wochenschr., p. 1501, 5 agosto 1912). Gli arseniati aromatici oltre all’azione battericida diretta, eccitano la produzione di anticorpi specifici nell’organismo. I preparati mercuriali agiscono coll’ intermezzo del fegato, al quale si deve dunque, secondo l’A., la guarigione della sifilide. MARRES M. — Supériorité du vaccin Fermi sur le vaccin Pasteur (Zerfra/b/. f. Bakter., Vol. 62, p. 612, 1912). Il vaccino FERMI è superiore a quello PASTEUR per la semplicità della preparazione, conservazione asettica e applicazione più economica. Può esser spedito facilmente fuori del luogo di preparazione, ed è assai più attivo. Inoltre la mortalità è con esso molto ridotta — a zero nell’ Istituto di Sassari. FooT N. C. — Ueber das Verhalten des Hiihnerknochenmarks gegen Im- munplasma in den Zellkulturen nach Carrel (Zentfra/bl. f. allgem. Phatologie u. patho!. Anat., Vol. 23, p. 577-581, 1912). Il midollo osseo di pollo cresce fuori dell'organismo tenuto nel plasma di coniglio col metodo CARREL; ma tale accrescimento è impedito, se il coniglio è precedentemente immunizzato contro il midollo osseo di pollo; si hanno in tal caso fenomeni di precipitazione, e la morte delle cellule del Recensioni 135 x midollo. Ora, soprattutto interessante è che la immunità non è specifica ma v si estende, fino ad un certo punto, anche contro il midollo osseo della propria specie. Kraus R. und IsHiwARA K.— Ueber das Verhalten embryonaler Zellen ge- geniiber Serum gesunder Menschen und Karzinomkranker (W/er. klin. Wochensch., p. 583, 1912). Il siero umano (anche materno) discioglie le cellule umane embrionali, ed anche le cellule del cancro. Il siero di carcinomatosi discioglie le cellule embrionali, ma non quelle del cancro. Il siero fetale non discioglie nè le une nè le altre. A parte le proposte spiegazioni, in ogni modo resulta di qui evidente, che cellule embrionali e cellule cancerose hanno tutt’altre proprietà. E tale dimostrazione non è fuor di luogo, visto che spesso vengono considerati i tumori come cellule rimaste embrionali che hanno assunto sviluppo e capacità riproduttiva. PaAoLo ENRIQUES. LENIRE AE NENESRENSIENEZSZESZA ANTROPOLOGIA. SERGI G. — l’uomo (Hominidae) (Bocca, 1911). - Le origini umane (Bocca, 1913). In tutte le opere del SERGI, il monogenismo e il monofiletismo ammessi per l'ipotesi dell'evoluzione organica, sono combattuti; egli dimostra che l'origine dell’uomo è poligenetica. All’obbiezione dei monogenisti che non ammettono più specie umane perchè dagli incrociamenti fra i gruppi diffe- renti si hanno ibridi fecondi, mentre ciò non avviene per vere e proprie specie, il SERGI risponde che la sterilità degli ibridi è relativa, come la loro fecondità; e che tale relatività s'incontra pure negli incrociamenti umani. Con molti esempi si dimostra che gl’ibridi umani sono deboli, si estinguono presto per una reale sterilità e la falsità del concetto di una fecondità inde- finita di ibridi umani. Così nell’ America settentrionale l’incrociamento di negri e di bianchi è meno prolifico della discendenza dei puri bianchi; ad Hawai la popolazione indigena che si mescola con altre immigrate va scom- parendo; nel Labrador avviene lo stesso fenomeno per l’incrociamento di Esquimesi con Europei; in Australia si porta la morte negli indigeni che si uniscono con Europei; e anche le unioni di Cinesi e Giapponesi tanto affini fra loro sono spesso sterili. Il SERGI ricerca le vie, le epoche, i luoghi di apparizione dei primati e dell’ uomo, vie molteplici, varie, parallele, epoche differenti e fra loro distanti, regioni separate. Dallo studio degli animali antichi, scomparsi e sopravvis- suti, il loro modo di apparire e l’epoca di apparizione nei vari continenti, si può ricostruirne la storia, la quale è però frammentaria; per esplicare la diffusione della fauna nelle varie regioni terrestri, i paleontologi ricorrono alle migrazioni, e di qui naturalmente la ricerca delle connessioni e inter- 136 Recensioni ruzioni fra i vari continenti nelle differenti epoche geologiche, che spieghe- rebbero le relazioni di fauna e di flora comuni, o caratteristiche di una sola parte. Riguardo all'origine dei mammiferi, non essendo possibile ammet- tere una fine catastrofica dell’età dei rettili ma una trasformazione di questi in altre forme, nasce naturalmente il concetto che queste forme siano i mam- miferi. I mammiferi derivano dai rettili e non da un’unica forma di questi, perciò non è inverosimile che i mammiferi siano apparsi in centri distinti in modo indipendente. Infatti i p/yv/a dei creodonti americani sono diversi da quelli europei; così per gli insettivori e per altri gruppi. Se i gruppi americani hanno origine americana, gli europei europea, non è necessario ammettere migrazioni difficili a provare, difficili ad avvenire se non impos- sibili. I Lemuroidi eocenici si possono distinguere nei seguenti rami: f 1. Notharctidae. \ 2 Anaptomorphidae. f 1. Notopithecidae. \ 2. Clenialitidae. fl Adapidae. \ 2. Microchoerus con Necrolemur. f{ 1. Megaladapidae (Lemur insignis, Palaeopropithecus). \ 2. Archacolemuridae (Bradilemur, Hadropithecus). 1. America del Nord, periodi eocenici dall’inferiore alsuperiore: Due phyla: 2. America del Sud, formazione Notostilops: Due phy/a: 3. Europa, eocene superiore e oligocene inferiore: Due phy/a: 4. Madagascar, plistocene: Due phy/a: DÉPÉRET vuol trovare la famiglia No/frarcetidae in Europa e ciò è inesatto, perchè il Profoadapis a cui si richiama è riconosciuto come insettivoro e non come primato. Il Necro/emur che si trova in Europa è differente da Anaptomorphidae a cui DÉPÉRET lo ha aggregato. L'emigrazione dei meso- donti nord-americani Pe/icodus e Hypsodus nel luteziano non si può ammettere per il fatto che Pe/licodus è della famiglia Nofharctidae mai apparsa in Europa, Ayvpsodus è un insettivoro americano. A trovare una relazione fra Adapidae e i Lemuri del Madagascar si oppone la enorme distanza di tempo fra la estinzione di Adapidae nell’oligocene e l’ apparizione dei Lemuri nel Madagascar nel plistocene. In Africa non si hanno Lemuroidi fossili nè Lemuri veri. ll Tarsius della regione orientale non può collocarsi nella linea di discendenza perchè tardi venuto, e ha caratteri comuni coi Lemuroidi ameri- cani e con alcune scimmie. L’origine delle scimmie Catarrine è oscura; il SERGI le divide nei seguenti rami: EurasIA e AFRICA AMERICA MERIDIONALE Macacus. Parapithecus. Homunculites. Mesopithecus. Moeripithecus. Pitheculites. Semnopithecus. Homunculidae. Oreopithecus. Cebidae. Hapalidae. Secondo ScHLOSSER i denti di Parapithecus lo fanno porre in Cebidae ed è così reso possibile il passaggio da Arnapfomorphidae a Tarsidae a Lunidae e principalmente a Pliopithecus. Ma Anaptomorphidae è ameri- cano e si estingue nell’eocene, e Tarsidae viventi sono in qualche isola asiatica soltanto; non può esservi quindi relazione fra queste due famiglie lontanissime di tempo e di spazio col P/iopithecus europeo miocenico. Recensioni 137 Secondo SERGI poi anche la formola dentaria di Parapithecus è diversa da quella data dallo SCHLOSSER. Nell’ America meridionale le forme fossili e viventi delle scimmie hanno forme così differenti che costituiscono un gruppo delle Platirrine. Secondo AMEGHINO /MHomunculites sarebbe una forma progenitrice di Macacus ma secondo SERGI si connette con Cedbidae. Riguardo a Simidae, le forme più evolute, più vicine all'uomo, sono le più antiche, il che è una prova dell'origine !oro multipla. Il SERGI stabilisce tre pAy/a: 1. Drvopithecus con Pliopithecus e Palaeopithecus. 2. Propliopithecus. 3. Pithecanthropus. Secondo SCHLOSSER Propliopithecus sarebbe da considerarsi come ante- nato di Pliopithecus e di tutti i Simidae e Hominidae essendo esso oligoce- nico mentre Pliopithecus è miocenico e Pithecantropus è plistocenico. Ma considerando i caratteri, Pliopithecus è inferiore a Propliopithecus parti- colarmente per la forma dei denti. Questi rami sono indipendenti per i periodi geologici ‘in cui appari- scono: se il Propliopithecus è anteriore di tempo e superiore di forma non possono esservi rapporti di progenitura. Così il Piftecantropus è talmente specializzato nelle sue forme discon- tinue rispetto agli altri Simzidae fossili e viventi che non si può considerarlo discendente di quelli noti finora e non è neppure uomo per quei caratteri che ha di Simzidae, come fu già dimostrato in Europa. Le forme viventi di Simidae si possono distinguere in 4 rami: Gori//a - Troglodites (Scimpanzè) — Simia - Hylobates, di cui per ignoranza della fauna fossile africana non è possibile rilevare l’evoluzione indipendente che questi rami devono avere avuto. Il SERGI non ammette l’ evoluzione dai Lemuroidi alle Catarrine e da queste agli antropoidi. Nell’ America del Nord i Lemuroidi si estinguono al terminare dell’eocene senza successione; in Europa si hanno Lemuroidi fino all’oligocene inferiore; nell’ Africa non si sono trovate di queste forme fossili. Le Catarrine appariscono in Europa fra il finire del miocene e il pliocene e in Asia anche più tardi. Non può esservi discendenza con un intervallo di due periodi geologici senza forme intermedie e senza altre apparizioni di Primati. Non possono le Catarrine venire dall’ Asia o dall’ Africa poichè non si conosce alcuna forma oligocenica meno i Parapithecidae del Fayum. I Le- muroidi plistocenici malgasci e quelli viventi in Africa e nel Madagascar non possono considerarsi come progenitori delle Catarrine perchè troppo recenti. Riguardo all’evoluzione di Sirzidae dalle Catarrine si ha che Proplio- pithecus, forma africana oligocenica, è contemporanea a Parapithecus e Mocripithecus. Le forme europee sono dalla fine del miocene al pliocene, potrebbero quindi essere un’immigrazione africana; ma appunto la contem- poraneità delle tre forme africane fa supporre un’evoluzione parallela. Ponendo in ordine evolutivo le scimmie estinte e le viventi, si vede come le forme recenti non sono certamente le più elevate, eccetto forse lo Scim- panzè. Non vi è dunque successione evolutiva, ma una vera poligenesi. a 138 Recensioni insieme coi vari rami di Sizzidae il SERGI colloca l’uomo, di cui dà una classificazione sistematica, ammettendo cinque generi: Pa/aeanthropus (gen. estinto), Nofanthropus, Heoanthropus, Archaeanthropus (gen. estinto), Hesperanthropus. I caratteri su cui si fonda la classificazione del SERGI sono: Scheletrici, forme del cranio e faciali, statura, proporzioni e corre- lazioni degli arti col tronco, tegumento, colori dell’iride, forme dell’ occhio, del naso cartilagineo, bocca, labbra. I fossili europei rappresentano due tipi: Pa/aeanthropus e Notanthropus di cui il primo sarebbe tipo pitecoide per caratteri morfologici inferiori, il secondo antropino con caratteri moderni, ed emigrato dall’ Africa. Che questi rami sono separati l’uno dall’ altro si può affermare per la cronologia della loro comparsa: le forme più basse sono le meno numerose e non sono le più antiche. Così pure le forme dolico- e brachimorfe in cui il SERGI divide ambedue i rami pitecoide e antropino sono primordiali ed egualmente persistenti, se sono, come è accertato, contemporanei, ed esistenti con gli stessi caratteri come d’origine. Così ai fossili di Grenelle appartengono tanto la forma brachi- che dolicomorfa, ambedue in periodi quaternarî così antichi, da mostrare inam- missibile l’ evoluzione dall’uno all’altro tipo. Al genere Nofantiropus appartengono numerose specie viventi. Carat- teri del genere sono: Cranio bimorfo, di forma lunga, o dolicomorfo, nelle specie di statura media ed elevata, brachi- e meso-brachicefalo in qualche specie pigmea; faccia varia in altezza e larghezza, ora ortognata ora pro- gnata o profatniaca; naso da lepto- a platirrino; occhi orizzontali con apertura palpebrale larga e ovale; iridi di vario colore; capelli bimorfi, lisci, ondati e crespi spiraliformi; pelle bianca o di colore vario; pelosità ricca in alcune specie e varietà, povera in altre; barba sviluppata o incipiente; statura elevata, media e inferiore o pigmea. I caratteri del genere Heoantiropus sono: Cranio bimorfo, dolico- e brachimorfo; faccia larga bassa platopica, quasi sempre ortognata, leggermente prognata in qualche varietà; naso leptomesorino, corto, depresso; occhio asiatico detto mongolico, apertura palpebrale stretta tendente alla forma triangolare; plica semilunare frequen- tissima; pelle gialla, giallastra in varie gradazioni; pelosità povera o minima; barba rara o nulla; capelli diritti, rigidi, cilindrici, neri o nereggianti; statura varia fra bassa e media, raramente elevata. Le scoperte di AMeGHINO di avanzi di primati i quali per i loro carat- teri zoologici hanno rapporti colle Platirrine, che corrispondono a quelli dei Simidae colle Catarrine, mostrano che anche nell'America meridionale ha avuto origine il tipo uomo. Soltanto, in particolare, non ammette il SERGI la filogenia di AMEGHINO, da Homunculus ad Homo sapiens: Tetrapro- thomo, Triprothomo, Diprothomo, Prothomo, Homo. L’atlante e il femore attribuiti al Tefraprofhomo possono riferirsi al Diprothomo e in questo modo ammettere la persistenza di questo vivente dal miocene superiore al pliocene. Il SERGI non ammette nella ricostruzione del Diprothomo la forma umana dei denti. Considerando poi il Diprotfomo, si osserva che per i suoi caratteri si allontana molto dalie antropomorfe dell’antico continente. L’uomo americano ha dunque origine insieme col gruppo corrispon- Recensioni 139 dente di primati del proprio tipo. Ciò viene dalla comparazione di /7omz0 pampaeus AMEGH., Platirrine e Diprothomo da un lato, con Pa/aeanthropus SeroI, e Simidae estinte e viventi dall’altro lato. ll SERGI dà una classificazione dei primati antropoidi e dell’uomo dei vari periodi geologici e dà il nome di Proanthropus al Tetra e Dipro- thomo di AMEGHINO come quello che precede il tipo di forme antropine. L’autenticità dei fossili dell'America meridionale è sostenuta dal SERGI; essi rappresentano un tipo d’uomo molto inferiore all'uomo recente e che si separa dal tipo di Neanderthal! per molti caratteri: la volta cranica è ame- topica, ma si eleva immediatamente quasi al livello dell’arcata orbitaria, poco o nulla rilevata a visiera nel maschio (cranio la Tigra) o completa- mente nulla. Lateralmente il cranio sembra un trapezio o piuttosto un triangolo; le orbite sono situate quasi su un medesimo piano e l’altezza supera la lar- ghezza cosa non mai osservata nei tipi umani. Per l’epoca e peri caratteri questo tipo è primitivo e forse più antico di quanti avanzi conosciamo e forse più antico dell’ /7omo heidelbergensis. Caratteri dell’ 7esperanthopus, sono: Cranio polimorfo nella norma verticale, arciforme nella curva anteroposteriore, elevato con massima altezza post-bregmatica; cresta mediana di varie forme, capacità varia da elatto a megalocefalia. Faccia ordinariamente grande con grande larghezza bizigo- matica; mesoplatopia, mesognatia, e ortognatia. Naso leptomesorrino, rara- mente platirrino. Pelle color rossigno o giallo rossigno, bruno rossa e anche cioccolatte nelle varietà; occhi orizzontali raramente obliqui; scuri con varia larghezza nell’apertura palpebrale; capelli lisci rigidi lunghi neri; pelosità minima o nulla, barba assente, sopracciglia povere. BIASUTTI RENATO — Studi di anrtopologia generale. I. Studi sulla distribu- zione dei caratteri e dei tipi antropologici (Memorie geografiche, N. 18, 1912). Scopo del lavoro è quello di sviluppare la Geografia antropologica esaminando la distribuzione spaziale dei caratteri antropologici e dando a ciascuno di essi il valore di sintomi atti a permettere la costruzione di una diagnosi delle razze. Con questo mezzo è possibile verificare quale sia l'estensione dell’ /abifat tipico di una forma e quale lo spazio in cui i suoi caratteri siano più o meno giustapposti e sovrapposti con quelli di un’altra forma. L’A. considera tutti questi caratteri somatici: colore della pelle, colore dei capelli e degli occhi, forma dei capelli; grado di pelosità, statura, pro- porzioni del corpo, proporzioni della faccia, forme del naso, occhio mon- golico, indice cefalico e forme della testa, e per ciascun carattere i problemi principali che vi si riferiscono. Viene così stabilita una quantità di aree di distribuzione dei caratteri somatici determinate ora da un carattere ora da un altro ora da più insieme, che egli mette in rapporto con le aree geografiche. I « relitti » umani dell’ilea del mondo antico hanno alcuni caratteri comuni come la piccolezza della statura, la brachiprosopia, la platirrinia; ma per un’ampia serie di diversità somatiche che li traggono ad affinità con tipi divergenti, costituiscono due gruppi: [aldi 140 Recensioni 1. Negrilli delle foreste centrali dell’ Africa, delle Andamane, della penisola Malacca e Negritos delle Filippine; 2. Vedda di Ceylon, Senoi di Malacca, Eoala di Celebes. Dal fatto che i Negriti asiatici sono circondati da genti con le quali non hanno affinità somatiche, mentre nell'Africa fanno parte di un ambiente antropologico dal quale si distinguono senza staccarsene, si deduce l’origine africana dei Negriti asiatici. La situazione di questo tipo in aree così distanti e disperse fa pensare ad un tipo assai antico, in un tempo in cui la foresta tropicale era loro campo indisputato; la sua diffusione deve aver avuto luogo quando per il M. Rosso fra le Andamane e le Filippine era una via continentale. Si tratta dunque di una forma antichissima, ma endemica, dell’ilea afro-asiatica; ciò spiega le forme spontanee di evoluzione somatica nella porzione più lontana dal centro d’origine. La distribuzione del tipo veddaico porta a fenomeni consimili; questi fossili viventi non sono che frammenti di quell’ antichissimo periodo migratorio che condusse l’uomo dal continente asiatico per l’arci- pelago indiano fino all’ Australia. Riguardo alla posizione cronologica relativa, l’autore pensa che la dif- fusione dei Negriti sia la più antica, sia per la maggiore dispersione e pel grado più energico d’annientamento subìti da questo strato umano, sia per l’essere i gruppetti negritici più stretti da presso e quasi circondati dai veddaici più o meno puri. Vanno notati ancora due altri gruppi che uni- scono ai caratteri craniensi degli Australiani i capelli crespi: il Bergtypus delle isole Salomone, e gli indigeni della Tasmania, i quali ultimi si tro- vano in una plaga terminale e sommamente isolata dall'area oceanica. Nel Bergiypus della zona tropicale e nei tasmaniani, abbiamo una forma molto antica e pura con caratteri di parentela coi cimotrichi australiani e quindi cogli australoidi e cimotrichi dell’ilea. Il gruppo dei tipi australi d’occidente comprende due formazioni paleomorfe: formaz. dell’ilea afro-asiatica; formaz. austro-africana alle quali per evoluzione ed incroci sono dovute le formazioni recenti. Per il gruppo australe d’ oriente V A. dimostra l’ intima unità interna e il distacco dal tipo africano o negritico ; l’approssimazione parziale di qualche carattere attestano un fondo negritico antichissimo e quasi completamente distrutto. Si hanno anche qui province paleomorfe con caratteri d’arcaismo e province neomorfe. il gruppo asiatico ci rappresenta un tipo umano assai omogeneo e costante nei suoi caratteri di cui i distintivi sono: la lissotrichia, l’occhio mongolico, la brachischelia; e presenta scarse variazioni regionali eccetto alcune zone di confine. Provincia di transazione molto importante è nella formaz. sub-artica americana dove un mongolismo di minor grado si stende per aree immense dimostrando la enorme tenacia biologica della forma, ottimo argomento secondo l'A. per confutare un'origine parziale mongo- loide a popolazioni che non ne mostrano nemmeno attenuatissimi i carat- teri, il che è toccato ai brachicefali secondo SERGI. Riguardo al gruppo americano quando si faccia astrazione dai loro sporadici caratteri mongolici, appaiono una forma australo-caucasica con sintomi diversi e caratteristici di differenziazione, differenziazione dovuta al forte isolamento e all’ampiezza dell’ habifaf nuovamente raggiunto. Recensioni 141 Per spiegare i caratteri mongoloidi insieme a quelli australo-caucasici ricorrenti nelle due Americhe, vi sono varie ipotesi; lA. ammette che ante- riormente alle immigrazioni postglaciali siano venuti dall’ Asia in America successivamente i due tipi australo-caucasico e mongolico, e che quivi sia avvenuta la fusione e la diffusione su tutto il continente. È possibile che l'invasione mongolica sia la più antica delle due e ciò spiegherebbe la prevalenza del tipo australo-caucasico sul mongolico. Il gruppo indo-atlantico (caucasico) ha per principale caratteristica l affinamento somatico; conserva dunque una grande omogeneità di carat- teri esterni e faciali mentre sotto questa generica sostanza di facies pre- senta molte variazioni per la statura, per l’indice cefalico, per il colore dei capelli e degli occhi: dunque intenso polimorfismo determinato da moti etnici e da infiltrazioni e fissato energicamente in facies regionali miste per il formarsi di agglomerati umani densissimi. Compiuto l'esame dei grandi e piccoli gruppi somatici secondo un cri- terio puramente antropologico additando volta a volta i fenomeni antropo- geografici evidenti nella situazione e nei confini delle province esaminate, lA. osserva una corrispondenza fra i gruppi stessi morfologici e le regioni dell’ecumene, e l’ influenza delle grandi aree continentali sul differenziamento somatico nelle genti umane primitive. Per fare una classificazione umana lA. ritiene che sia necessario considerare: a) la precedenza filetica e spaziale dei paleomorfi, la loro netta diffe- renziazione e la stretta parentela coi neomorfi corrispondenti; b) il distacco del tipo africano dal tipo oceanico e la bassa posizione gerarchica dei loro rappresentati; c) la stretta parentela morfologica dei tipi oceanico, europeo e americano; d) la presenza di caratteri comuni al tipo negro e all’asiatico; e) la divergenza strutturale e la convergenza evolutiva dei caratteri d’affinamento dei tipi europeo e caucasico; f) i fenomeni di metamorfismo del tipo americano. E in armonia con tali caratteri l'A. forma il seguente schema filoge- netico, per dimostrare i rapporti tra le forme viventi di M/ominidae; nel quale pone radici convergenti, essendo | A. monogenista: H. Asiaticus H Europaeus H. Americanus H\ Afer A. Ocedlmicus HOMINIDAE ANNA VALENTI. L_ 2-2. e n 0 gi pe rt fp; 4 142 Recensioni PSICOLOGIA ANIMALE. x S. METALNIKOW — Contribution à l’étude de la digestion intracellulaire chez les Protozoaires. ( Arch. zoo/. exper. et génér. (5), Vol. 9, p. 373, 1913). Si parla di digestione. E vi si raccontano fatterelli più o meno interes- santi. Ma vi è soprattutto un resultato di grande importanza, nel campo della psicologia degli Infusorî. Già VA. aveva in precedenti ricerche dimostrato che un Infusorio il quale dapprima non è capace di riconoscere polveri di carmino od altra sostanza non nutritizia, dalla sua abituale alimentazione (Batterî ecc.), dopo qualche tempo si abitua a riconoscerle. Nel presente lavoro si difende esau- rientemente dalle critiche che gli erano state mosse; racconta che l’esperi- mento riesce bene soprattutto quando si tengono gli Infusorî poco tempo — p. es. una mezz'ora — nella soluzione colla polvere, per ogni giorno; ogni giorno è più piccolo il numero di vacuoli digerenti che si formano nell’ unità di tempo e che si riempiono del carmino o di altra polvere; e finalmente gli Infusorî divengono refrattarî a questa ingestione; più presto, quanto più indigeribile è la polvere; p. e. più presto per la polvere di alluminio, che per il carmino od altra sostanza organica. Ma VA. si è, naturalmente, proposto anche di ricercare quanto dura nei Parameci la memoria della cattiva esperienza fatta. Ebbene, egli ha trovato che può durare qualche giorno. Ma se l’Infusorio si divide, allora i due figli non hanno quasi più affatto memoria dell'esperienza precedente, e si com- portano poco diversameute da Infusorî normali, che non sian stati assog- gettati al trattamento delle polveri. Da questi esperimenti dunque, mentre resulta rafforzata la prova della modificazione nel comportamento degli Infusorî, in conseguenza della espe- rienza, si riceve anche, per la prima volta, un barlume di luce, sulla que- stione tanto difficile della personalità, negli organismi che si dividono. Comu- nemente si considerano i due prodotti di scissione come la diretta conti- nuazione di quello che loro ha dato origine. Chimicamente forse sarà così; psicologicamente, no: la memoria si perde. L’individuo finisce, è morto. La questione della vita e della morte dei Protozoi, tanto dibattuta con verba- lismi (cfr. il mio articolo « La morte » Riv. di Scienza, Vol. 2, 1907), assume ora, per la prima volta, un contenuto reale, obbiettivo: si dimostra ora che l’unità biologica preesistente sparisce ed è sostituita da due, che non sono sue parti, ma ne differiscono. È il nucleo, che si è rimaneggiato, nella cariocinesi, ed ha perduto la memoria? Il macronucleo? Il micronucleo? È invece il citoplasma? Non ne sappiamo nulla. Non si vede nemmeno per quale via potremmo aggredire sperimentalmente tale problema. La lettura del lavoro del METALNIKow è molto raccomandabile per chi voglia maggiori notizie sulla esperienza, come modificatrice delle azioni degli Infusorî (si vedano per questo soprattutto le pgg. 443-459). PaoLo ENRIQUES. PLLRLLILIILILILSLZIILIZII PROPOSTE E QUESTIONI N. 1. Prof. R. PIROTTA - Per il riordinamento degli insegna- menti biologici. Primo intento da conseguire è la separazione dell’ordina- mento degli insegnamenti che conducano al conseguimento del diploma professionale (abilitazione all'insegnamento delle Scienze naturali nelle Scuole medie), da quello che conduca al consegui- mento della Laurea (preparazione alla coltura della scienza). Cogli ordinamenti affuali non si preparano nè insegnanti, nè biologi, ma soltanto specialisti in un ramo più o meno limi- tato di una singola scienza. Occorre un biennio comune per i fondamenti delle diverse scienze e per le materie ausiliari necessarie; poi separazione delle due strade, cioè da una parte un secondo biennio per il conseguimento del diploma di magistero, dall'altra un biennio 0 un triennio per il conseguimento della /aurea. La laurea deve essere in Scienze biologiche. Per le Scienze biologiche, essendo la Biologia la scienza degli esseri viventi, non vi può essere altra distinzione scientifica che quella di Morfologia, Fisiologia, Sistematica. Ciascuna di queste scienze comprende una parte generale, una parte vegetale, una parte animale, cioè: | generale Morfologia liti di eli vegetale | animale. | generale vegetale | animale. generale Sisiemalialici Lor. a. vegetale | animale. RISIOIOGia netti: ei aree Morfologia, fisiologia e sistematica generale costituiscono la Biologia generale, in quanto tratta i fenomeni fondamentali 3 144 Proposte e questioni comuni a tutti gli organismi, le teorie generali per la loro inter- pretazione, le leggi generali sulla origine e classificazione degli organismi medesimi. Morfologia, Fisiologia, Sistematica vegetale costituiscono la Biologia vegetale, in quanto tratta della forma esteriore e interna (citologia, istologia, anatomia comparata, embriologia ecc.); delle funzioni (nutrizione, respirazione ed energetica, eccitabilità e mo- vimenti, procreazione, etologia o funzioni di relazione ecc.); della ontogenesi e della filogenesi, del sistema di classificazione, della corologia ecc. delle piante. Morfologia, Fisiologia e Sistematica animale costituiscono la Biologia animale in quanto tratta di tutto quanto è detto più sopra per gli animali. La Biologia generale si svolge in un Istituto speciale, come la Biologia vegetale (Bofarica, Istituto botanico), e la Biologia animale (Zoologia, Istituto zoologico). In questi due ultimi Istituti debbono trovar posto non soltanto, e sempre, gli insegnamenti dei tre rami fondamentali — morfologia, fisiologia, sistematica — ma anche quelli relativi ai capitoli più importanti e più ampii di ciascuno dei rami medesimi (es. istologia, embriologia, gene- tica, corologia, ecc.). Si comprende facilmente, che questo concetto fondamentale del funzionamento degli Istituti Biologici porta di necessità ad un completo riordinamento degli Istituti medesimi, sia per quanto riguarda il numero di essi, sia per quanto riguarda la loro orga- nizzazione interna. Con questo modo di vedere, gli insegnamenti biologici propedeutici scientifici per tutte le applicazioni debbono essere dati negli istituti biologici. Di conseguenza, quindi, gli insegna- menti di anatomia umana, istologia umana, fisiologia umana, per dire soltanto di alcuni, debbono appartenere all’Istituto di Biologia degli animali (Zoologico) in quanto l’uomo è un orga- nismo animale e la sua morfologia, fisiologia e sistematica, ubbidisce alle stesse leggi che dominano negli altri animali. MIA DI ST] La i = SAS) SS 7) N. 2. PaoLo ENRIQUES —- Per la formazione di un comitato biologico internazionale. L’esistenza di molti congressi internazionali di materie bio- logiche, ciascuno dei quali ha una vita propria, indipendente da quella degli altri, mi ha suggerito l’idea di un organo interme- diario, al quale siano confidate le questioni di comune interesse. Si tratterebbe di formare un comitato internazionale, composto di qualche membro scelto da ciascun congresso. Questo comitato, una volta completo, si chiamerebbe « Comitato biologico inter- nazionale ». Le sue funzioni, secondo il mio punto di vista, e per quello che si può prevedere, dovrebbero essere insieme di ordine scientifico e di ordine pratico. Molte questioni vengono trattate e discusse in più congressi che hanno nomi differenti, ma notevoli affinità reali; tali questioni dovrebbero essere trasportate da un congresso agli altri ai quali possano interessare; ciò significa che i membri del comitato biologico, di una data materia, dovrebbero pensare a raccogliere dal proprio congresso, le questioni eccedenti i limiti della loro materia ed aventi un interesse apprezzabile, e comunicarle all’ in- tero comitato; ne sorgerebbe insomma una specie di relazione sopra a ciascuno dei congressi, da farsi agli altri congressi, onde stabilire rapporti di studî e di persone, sempre più stretti, tra le discipline diverse. Tale funzione collegatrice potrebbe essere faci- litata anche dai singoli membri dei congressi, i quali potrebbero, se del caso, richiamare l’attenzione del comitato sopra alle que- stioni da loro trattate, in quanto possano interessare gli altri congressi. Il comitato stesso potrebbe anche — sempre nell’ordine delle sue attività scientifiche — proporre a più congressi, dei temi di discussione, i quali, per la loro natura, abbraccino diverse materie. Nell’ordine delle cose pratiche, il comitato stesso dovrebbe in primo luogo far conoscere ai biologi di ciascuna materia, che anche gli altri esistono e vivono e si riuniscono; di solito, ogni Bios 10 146 Proposte e questioni congresso informa i biologi che hanno, sull'ingresso del loro laboratorio, la stessa etichetta, che avverrà di lì a tanto tempo una nuova riunione internazionale; ciascuno ignora, se non se ne informa espressamente per suo conto, che esisteranno riunioni di materie affini, che lo possono anche notevolmente interessare. Il comitato biologico dovrebbe rimediare a questo inconveniente, organizzando una più ampia diffusione di notizie, e riunendo, p. e. in una circolare unica annuale, l'avviso di tutti i congressi di materie biologiche od affini, che dovranno aver luogo nel corso dell’annata. Esso potrà eventualmente servire da intermediario anche in questioni di nomenclatura, di tecnica, di bibliografia, ecc., tra i diversi congressi. Esso dovrebbe accogliere anche dal di fuori ogni proposta tendente ad organizzare le discipline biologiche, e favorirla coi mezzi a sua disposizione, ossia portandola in discussione nei congressi competenti. Insomma, in questa epoca di continue riunioni internazionali, nella quale il lavoro scientifico è organizzato, per le pubblica- zioni, per gli istituti, per i viaggi personali e collettivi ecc., in maniera già assai perfetta, appare strano che manchi ancora qualsiasi relazione tra gli enti collegatori delle singole materie, ossia tra i congressi internazionali di anatomia, di fisiologia, di zoologia, di botanica, antropologia, ecc. Certo, un più vasto pro- gramma sarebbe quello di stabilire connessioni non solo tra le materie biologiche, bensì anche tra tutte, coi congressi di fisica, di chimica ecc.; relazioni di studio vi sono infatti frequenti anche tra i biologi e questi altri scienziati; ma un programma più vasto è anche più difficile ad attuarsi; conviene, in ogni caso, comin- ciare da uno più ristretto, quando, soprattutto, è già di suo molto vasto. Non mi nascondo le difficoltà della esecuzione di questo programma, che ho brevemente esposto ; difficoltà che non esistono realmente per ragioni di scienza o di denaro, chè non vi sono, nella cosa proposta, nè problemi ardui da risolvere, nè apprez- zabili spese da fare; le difficoltà risiedono nella diffidenza che in generale i cultori di ciascuna materia hanno verso quelli di altre materie: è una constatazione dolorosa, ma pur necessaria a Proposte e questioni 147 farsi: tutte le volte che si tratta di organizzare qualche cosa tra cultori di materie diverse, c'è sempre negli uni il timore che gli altri acquistino, in questo insieme, una certa predominanza; se la proposta viene da una parte, quelli che la ricevono, la temono, e sovente la respingono; altre volte la proposta non si fa nem- meno, per timore che appaia di chiedere qualche cosa, come se da noi stessi non bastassimo già a tutto. Può sembrare superflua, qui, una discussione in questa forma. Essa è frutto però della esperienza. La proposta di cui qui parlo, la ho rivolta in primo luogo al congresso internazionale zoologico di Monaco, nello scorso marzo; vi è stata una persona (non desidero fare que- stioni personali perciò non la nomino) che ha affermato senz’ altro, che tale proposta « non ci interessa »; con una tale energia, che sembrava più timore che indifferenza. In realtà le relazioni tra le varie branche di scienza non sono piacevoli a tutti; sono soprat- tutto spiacevoli alle persone di mente più ristretta e di ingegno meno elevato. La mia proposta fatta a Monaco, è stata affi- data in esame al comitato permanente del congresso; ma nell'attesa, io spero che qualche altro congresso voglia far sua questa proposta e cominciare a metterla in atto. Faccio osser- vare che la formazione del comitato biologico si potrebbe fare in maniera perfettamente neutrale tra i varî congressi, in maniera cioè che nessuno abbia alcuna prevalenza in esso, non per il numero dei suoi membri, nè per essere arrivato, nel comitato stesso, un poco prima o un poco più tardi. Se un congresso nomina qualche membro, con criterî naturalmente internazionali, e questi trasportano la proposta ad un congresso di altra materia, per istigarlo a fare altrettanto, e così via, ecco che, come una palla di neve, con un poco di buona volontà, si forma un comi- tato che potrà in avvenire rendere importanti servigi alla scienza. Ci vuole quel tanto di buona volontà che basta per avere fiducia ed affetto reciproco, amore per la scienza, pei rapporti tra le discipline diverse, per la organizzazione degli studî. Rivolgo dunque questo appello sia alle persone mature che hanno vissuto molto nella scienza e hanno quindi apprezzato i vantaggi di una ampia collaborazione per risolvere i grandi problemi scientifici, sia ai più giovani, che sono capaci di intuirne i vantaggi. S' intende che, anche prima e al di fuori dell’opera che possa 148 Proposte e questioni venire esercitata a questo proposito nei congressi, la rivista è pronta ad accogliere commenti, critiche, suggerimenti, ecc. su questo argomento. Bologna, Istituto zoologico, maggio 1913. N. 3. RarraEeLe IsseL - Per lo studio degli organismi umi- = coli. AI Congresso dell’Unione Zoologica, radunato a Pisa nello scorso aprile, presentai una proposta relativa allo studio degli organismi caratteristici del terriccio (€4aphon del Francé) animali e vegetali. A questo gruppo bionomico si possono applicare, colle debite modificazioni, tutti i metodi ed i criterìî d’indagine biologica sinora praticati per il plancton, sia con intento puramente teorico, sia prendendo di mira le applicazioni agrarie. Incomparabilmente più facili sono le ricerche, se si riflette che l’édaphon popola uno strato di terriccio di un metro di spessore; che assai meno varia è la sua composizione, e molto più agevole il suo trasporto allo stato vivente. L’accennata proposta consisteva in un invito rivolto ai col- leghi di interessarsi dell'argomento e di vedere anche se fosse possibile organizzare un lavoro collettivo, il solo veramente proficuo in questioni di tale natura. Non mancò all'invito l’autorevole appoggio della Unione (articolo e proposta sono stati pubblicati negli Atti del Con- gresso) e, se son bene informato, qualche giovane zoologo ha già iniziato ricerche in proposito. « Bios » mi pare l’organo più adatto per cooperare allo svolgimento della iniziativa, raccogliendo eventuali proposte ed osservazioni di colleghi, e cercando di mettere in luce lati nuovi ed originali della questione. LILLA LI BPLTILT LIT LCLIINSLIZI Si possono rivolgere alla Direzione della nostra Rivista: 1. Coloro i quali sono disposti a studiare per proprio conto la fauna e flora umicola, e desiderano essere in rapporto continuato cogli altri studiosi dello stesso argomento. 150 Proposte e questioni 2. Coloro che sono disposti a studiarle su materiale che venga per loro raccolto e spedito da altri. 3. Coloro che, pur non volendo fare tale studio, sono disposti a raccogliere materiale — ossia terriccio — per altri studiosi. 4. Coloro che farebbero un lavoro parziale, ossia di dati gruppi animali o vegetali, dell’édaphon. La Rivista rivolge questo appello non solo agli zoologi e botanici, ma anche agli studiosi di cose agrarie, pei quali tale opera collettiva avrebbe senza dubbio una importanza grande. Infine, nel caso che si trovino collaboratori per questa opera, propone che dei campioni e preparati degli organismi studiati vengano raccolti in una collezione comune, da depositarsi in un Museo che potrà essere scelto più tardi. È inutile avvertire che questa proposta si rivolge agli stu- diosi di tutte le parti del mondo. Riceviamo, a proposito della proposta IsseL, dal Direttore dell’ Istituto biologico di Monaco (per ciò che riguarda l’ édaphon si veda in fine, pag. 152): Das Biologische Institut in Miinchen. (Stàdt. Schulhaus a. d. Martin Greifstrasse.) Angesichts der sich mehrenden Anfragen nach Arbeitsplàtzen in dem von der Deutschen mikrolog. Gesellschaft gegriindeten und erhaltenen Biologischen ]nstitut Miinchen, diirfte es wohl angezeit sein, hier einige Mitteilungen iiber dessen Organisation, Tatigkeit und Arbeitsmittel zu geben, um so mehr als es derzeit die einzige wissenschaftliche Arbeitsstàtte ist, die sich speziell dem Studium der Protozoen und Algen widmet und auch dem Lehrer und Amateur die Einarbeitung in diese Gebiete vermittelt. Seit dem Jahre 1908 bestehend, war das B. I. zuerst in Mietsràumen untergebracht, besitzt aber jetzt durch das dankens- werte Entgegenkommen des Magistrates der Haupt- und Re- sidenzstadt Miinchen ein eigenes Heim in dem friiheren Schul- gebàude an der Martin Greifstrasse 11. Hier umfassen die Raumlichkeiten ein grosses Sommerlabo- Proposte e questioni 151 ratorium, ein Winterlaboratorium, das zugleich den Versamm- lungen der Deutschen mikr. Gesellschaft dient und an 100 Per- sonen fasst, einen Vortragssaal fiir 150 Personen, einen Raum fiir mikrochemische und photographische Arbeiten, einen Biblio- theksraum, das Arbeitszimmer des Leiters der Anstalt, schliesslich nebst einigen kleineren Nebenraumlichkeiten zwei GlashAuser zur Ausfilhrung von Kulturen und Versuchen und einen Garten zur Ausfilhrung von Freilandversuchen. In diesen Raumlichkeiten befindet sich auch die sehr wert- volle Bibliothek der D. M. G., die derzeit iiber 2000 Nummern umfasst. Ausser einer grossen Zahl von Hauptwerken der Proti- stologie findet man hier mehrere hundert von Spezialabhand- lungen iiber Protozoen und Algen (Katalog in Ausarbeitung begriffen), die den Besuchern der Anstalt innerhalb der Insti- tutsràumlichkeiten zur Verfiigung stehen (Besuchszeiten ausserhalb der Ferienmonate Juli—August: Montag, Mittwoch, Samstag von 3—6 Uhr). An die Mitglieder der D. M. G. werden Werke auch auswàarts verliehen. Ausserdem steht allen Interessenten das Lese- zimmer mit 20 Zeitschriften in den angegebenen Zeiten offen. Die Tatigkeit des B. I. umfasste in den vier Jahren seines Bestehens zahlreiche Lehrkurse in Zoologie, Botanik und allgem. Mikroskopie, bei denen ausser dem Leiter der Anstalt Herrn R. H. FrAancé noch die Herren Fachlehrer Dr. H. AMMANN, Dr. G. DUNZINGER, Assistent a. botan. Jnstitut der techn. Hochschule Miinchen, Privatdozent Dr. A. LANGHANS Prag. Frl. M. LEUZzE (derzeit Assistentin am bakteriol. Institut Stuttgart), Univ.-Prof. Dr. A. WagGNER-Innsbruck und Handelschemiker Dr. M. WINKEL- Miinchen tàtig waren. Besonderen Wert legt hierbei das B. I. auf Einzelkurse bei denen vollkommen den jeweiligen Bediirfnissen angepasst Anleitung zur mikroskopischen (auch Farbe-Mikrotomtechnik, mikr. Zeichnen, Photographieren) Technik, zum Bestimmen von Protozoen, Algen, Rotatorien, Crustaceen und Plankton zur Einarbeitung in das biologische Praktikum fiir Lehrer und in bestimmte biologische Themata gegeben wird. Als Kursgebihr sind hierfiir bei jeweils 20 Arbeitsstunden nur Mk. 15.— und Mk. 5.— als Laboratoriumsbeitrag zu entrichten, wofiir alle Instrumente und Chemikalien geliefert werden. 152 Proposte e questioni Ausserdem stehen Fortgeschrittenen auch Arbeitsplàtze (ohne Anleitung) zur Verfiigung, wofiir (fiir je 40 Arbeitsstunden) Mark 5.— zu entrichten sind. Allen Praktikanten stehen die vorhandene reiche Pràpara- tensammlung, Herbarien, die Bibliothek, die wiss. Bildersamm- lungen zur Verfiigung. Dagegen haben sie bei mikro-photogra- phischen Arbeiten Platten und Chemikalien selbst zu stellen. Die Leitung des Institutes liegt in den Handen des Direktors R. H. Francé — alle Unterrichtsangelegenheiten verwaltet Herr Fachlehrer Dr. H. Ammann — die Bibliothek verwaltet Herr Lehrer M. Gambera - die Praparaten und sonstigen Samm- lungen Frl. R. v. Aichberger. Seit 1908 waren am B. I. 152 Kursisten und Praktikanten tàtig, darunter auch solche aus Oesterreich, Ungarn, Norwegen, der Schweiz, Russland. Als Publikationsorgan dienen die « Kleinwelt >», Zeitschrift der D. M. G. und die « Natur» Zeitschrift der Deutschen naturwissenschaftlichen Gesellschaft. Die wissenschaftliche Tatigkeit des Biologi- schen Institutes spezialisiert sich im Besonderen auf das Studium der freilebenden Protozoen (und Algen), als Hauptar- beitsthema gegenwartig auf das Edaphon, die im Erdboden lebende und wirkende Mikrofauna und -Flora. Es sind derzeit ausgedehnte Untersuchungen und Versuchsreihen iiber die Ver- breitung und Oekologie des Edaphons, die Nahrung der Regen- wiirmer, das Eindringen des Lichtes in den Boden und die Bedeutung des Edaphons fiir die Gesteinsverwitterung im Gange und ein zusammenfassendes gròsseres Werk iiber das Edaphon in Vorbereitung. Anmeldungen und Anfragen sind ohne persònliche Adresse zu richten an das Biolog. Institut Miinchen, Stadt. Schulhaus an der Martin Greifstrasse 11. Inoltre alla proposta, inviata un poco in giro in bozze, hanno aderito varie persone: Il Prof. A. BeRLESE (Stazione di Entomologia agraria, Via Romana 19 Firenze) studierebbe di buon grado gli Acari del Proposte e questioni 153 terriccio che gli venisse inviato (è inutile accennare alla ben nota profonda competenza del Prof. BERLESE in questo difficile gruppo); il Prof. A. ARCANGELI (R. Istituto tecnico di Milano) gli /sopodi; il Prof. RAZZAUTI (R. Liceo di Lucera), ne studierebbe i Coleotteri; il sottoscritto i Profozoi. Il proponente, Prof. R. IsseL (Labora- torio marino di Quarto — Genova), prende la cosa da un altro lato: studierebbe volentieri il terriccio delle caverne. Chi dunque abbia terriccio di caverne, o terriccio in genere e desideri fare studiare qualcuno dei gruppi sopra indicati, sa a chi rivolgersi. Può anche, se preferisce, rivolgersi e spedirlo alla direzione della rivista, che lo trasmetterà, o eventualmente lo distribuirà tra le per- sone suindicate; includendo anzi tra queste anche il Dr. FRANCÉ direttore dell’ Istituto biologico di Monaco, il quale ci ha scritto di interessarsi di questo lavoro collettivo. Speriamo che ci giungano da più parti anche altre offerte di collaborazione; soprattutto ci sarebbe gradita la offerta di scambio di terriccio con regioni molto lontane, come p. e. Asia, America, Australia ecc. Diverse delle persone su ricordate sono disposte a fare scambî di terriccio; perciò, se qualcuno, da parti lontane, ci invia terriccio del suo paese, anche senza preavviso, può essere sicuro di venire sollecitamente ricompensato con ter- riccio di qua, raccolto, s'intende, anche secondo le sue eventuali indicazioni. Inoltre ci sono anche pervenuti alcuni commenti generici, alla proposta; il Prof. PIROTTA p. e., pur lasciandoci sperare qualche collaborazione vorrebbe che prima si organizzasse un programma per il lavoro collettivo. Se qualcuno creda di poterlo tracciare, esso sarà, naturalmente, bene accetto. Altrimenti, ci contenteremo del programma generale di una ricerca faunistico-floristica del terriccio, tenendo presenti, fin dove possibile, i costumi degli animali, gli adattamenti biologici, la biogeografia, i rapporti colla agricoltura ecc.; e, forse, questa visione generica è già suffi- cente per andare avanti. ‘tag tr RUARI De i n prio è Ei (ea: gita; (i “dara nigd.it N. 4. RAFFraELE IsseL - Per una @ serie di manuali sulia flora e fauna dei nostri mari. Botanici e zoologi che si dedicano a ricerche di morfologia, di fisiologia, di biologia sopra materiale marino un po’ vario, si trovano spesso imbarazzati per la determinazione della specie. Provvedere da sè nelle condizioni attuali della bibliografia (salvo per alcuni gruppi) reca noia, perdita di tempo e pericolo di cadere in errore; ricorrendo troppo spesso agli specialisti uno teme di riuscire importuno. Non sarebbe conveniente di organizzare per la flora e la fauna del nostro Mediterraneo un’opera complessiva alla quale collaborassero molti naturalisti ? Volumetti di poca mole; tabelle dicotomiche, descrizioni succinte, figure molto numerose, nitide e limitate al puro con- torno; ecco il concetto al quale dovrebbe ispirarsi un lavoro di questo genere. I colleghi credono l’impresa attuabile ? Mi sarà grato, pel tramite cortese di « Bios », il loro auto- revole parere. Coloro — italiani o forestieri — che reputano attuabile l’opera collettiva proposta dal Collega Issel, e che sono disposti ad in- caricarsi della trattazione di un dato gruppo di piante o di ani- mali, possono darne notizia alla Direzione della nostra Rivista ; la Rivista accetta anche indicazioni di persone determinate, alle quali essa potrebbe rivolgere la domanda di collaborazione per determinati gruppi. Riguardo alla estensione del mare studiato, rimarrebbe questa, naturalmente, una questione da decidersi se- condo le intenzioni e la quantità dei collaboratori che si potes- sero trovare. DELLE ELILLZIZIZI CARLO PIERSANTI - Ricerche spe- rimentali sulla sostanza cro- mofila e sul pigmento delle cellule nervose nella Rana. (Istituto zoologico, Bologna). SOMMARIO. I. Introduzione. . . HER i PALIO II. La sostanza cromofila e il pigmento in n generale. : > TS III. Composizione chimica della sostanza cromofila e del pigmento - - Loro reazioni — Tecnica. . » 165 IV. Generalità sul materiale adoperato, ‘sulla sostanza cromofila e sul pigmento delle cellule nervose della rana allo stato normale » 100 Mlmlbieerrheisperanentalit o 00 200 e i ee e a, 169 TE SO I OO ee OTT T 071 33 TI IT aTT186 MI I ee i e 488 (UT III 1 I. - INTRODUZIONE. Le ricerche del MogLIA sul pigmento delle cellule dei gangli nervosi dei Molluschi Gasteropodi, che lo condussero ad attri- buire a detto pigmento una funzione respiratoria, mi suggerirono l’idea di ripetere nella Rana le esperienze di quell’autore, per vedere se i medesimi risultati o qualche cosa di simile si veri- ficava anche per i Vertebrati, ai quali, supponendo una compo- sizione chimica diversa del pigmento, egli non credeva di potere estendere le sue conclusioni. Nel ripetere le esperienze del MogLIA ho creduto bene, parallelamente alle ricerche sul pigmento, di rivolgere le mie osservazioni anche alla sostanza cromofila, sul significato fun- zionale della quale, non ostante le innumerevoli ricerche, vi è ancora una notevole discrepanza di vedute. Questo studio parallelo è tanto più importante in quanto da alcuni autori (MARINESCO, OLMER ed altri), sono ammessi intimi rapporti tra pigmento e sostanza cromofila. I risultati che ho ottenuto, per ciò che riguarda la sostanza Bios 11 158 Carlo Piersanti cromofila, assoggettando gli individui all’azione dell'ossigeno e dell’anidride carbonica, furono tali da indurmi ad ampliare le mie esperienze, intervenendo all’uopo col dissanguamento, colla sostituzione al sangue di soluzione fisiologica, coll’annegamento e con diverse sostanze tossiche. Mediante tutti questi mezzi sono riuscito ad ottenere risultati abbastanza omogenei, che serviranno a dare alcune notizie nuove sulla sostanza cromofila stessa. Per ciò che si riferisce al pigmento, nulla mi autorizza ad attribuire ad esso una funzione respiratoria, perchè tanto con l'ossigeno, quanto con l’anidride carbonica, non mi è stato pos- sibile di riscontrare manifestazioni tali che anche lontanamente ricordassero quelle che i medesimi agenti avevano provocato nelle cellule dei gangli dei Molluschi. Ho per altro notato, come verrò dimostrando, che nella Rana, allo stato normale, la ricchezza del pigmento è in ragione inversa dell'abbondanza della sostanza cromofila, fatto questo, che po- trebbe fino ad un certo punto convalidare l'ipotesi dell’origine del pigmento da detta sostanza. II. - LA SOSTANZA CROMOFILA E IL PIGMENTO IN GENERALE. 1° - La sostanza cromofila. Cenni istologici. Le cellule nervose contengono una sostanza basofila, la cifocromatina, o sostanza cromatica del NIssL, o sostanza tigroide del LENHOSSEK. La scoperta di questa sostanza risale al 1874 quando ARNDT, quindi KEy, e RETZIUS e poco dopo FLEMMING la segnalarono nelle cellule dei gangli rachidei; però solo nel 1884 con i lavori del NIssL la sostanza cromofila assunse quell’interesse che le è poi stato sempre riconosciuto. Essa si presenta sotto aspetti diversi di forma; difatti oltre a semplici granuli a contorni indefiniti si notano nelle cellule nervose delle parti- celle rotondeggianti, affusate, nastriformi, triangolari ecc. Per ciò che si riferisce alla grandezza, prescindendo affatto dalla forma, gli elementi cro- matici sono di due sorta: gli uni piccoli, irregolari, i « granuli cromatici », gli altri grandi, a struttura complessa, i « grumi cromatici ». Questi grumi cromatici corrispondouo alle zolle tigroidi del LENHOSSEK e sono costituiti, secondo LENHOSSEK e JULIUSBURGER da una fine granulazione di una sostanza che LENHOSSEK chiama tigroide, riunita da un cemento. La sostanza del cemento è difficile a determinarsi. Secondo RAMON v CAJAL ciascun corpu- scolo ha uno scheletro di sostanza fondamentale facente parte dello sche- letro generale della cellula e non è impregnato se non secondariamente di Sulla sostanza cromofîila ecc. 159 sostanza cromofila. Quest’autore è di parere che la sostanza cromofila subisca una complicazione graduale quando si passa dagli animali inferiori ai superiori e fa notare come la forma degli ammassi cromofili, irregolari e poco costanti negli esseri inferiori, si presenti con caratteri tanto più fissi quanto più ci si eleva nella scala zoologica. NISSL, secondo la quantità dei corpi colorabili ha distinto tre specie di cellule nervose, cioè le picnomorfe, ricchissime di granuli e di zolle cromatiche, le parapicnomorfe con una quantità limitata di zolle, e le apicnomorfe provviste di una quantità minima di citocromatina, in granuli straordinariamente piccoli. NissL in questo modo non ha fatto che sviluppare il concetto già formulato da MAUTTNER, DEITERS, KOELLICHER, FLESCH, che tutte le cellule nervose non si colorano nello stesso modo, che cioè, mentre alcune si colorano fortemente, altre restano debol- mente colorate: e tra questi due estremi vi è tutta una serie di passaggi, FLESCH spiegava questo fenomeno con la differente proprietà chimica delle cellule nervose. NissL ha dato la vera spiegazione attribuendola al numero e alla disposizione dei corpuscoli cromofili. Il rapporto delle zolle del NISSL colle fibrille del corpo cellulare non è ancora stato chiarito, e così mentre alcuni autori pensano che i granuli siano deposti sulle fibrille, altri riten- gono che quelli siano indipendenti da queste e si trovino distribuiti negli spazi liberi intercedenti tra le fibrille medesime. Tanto i granuli che le masse cromatiche si trovano nel corpo cellulare e nei prolungamenti proto- plasmatici, mentre invece mancano nel prolungamento cilindrassile o axone e scarseggiano al livello del cono d’impiantazione dell’axone stesso. La sostanza cromofila, nei suoi diversi aspetti, compare solo nelle cellule ner- vose adulte, mentre nelle giovani manca completamente. Ciò proverebbe che questa sostanza è un attributo della cellula nervosa attiva. Detta sostanza avrebbe una parte molto importante dal punto di vista dell’attività dell’ ele- mento nervoso, ond’è che il MARINESCO ha proposto di chiamare col nome di cinetoplasma gli elementi cromofili. Le cellule nervose che nell’adulto non hanno che pochi o punti corpi cromatici sono dunque delle cellule più giovani delle altre e poco o punto evolute: solo quelle che sono ricche di sostanza cromatica possono essere considerate come perfette. RAMON Y CAJAL fa notare che non tutti i neuroni contengono granuli e ammassi cromofili come NISsL già aveva sostenuto. Vi sono infatti certe cellule nervose di dimensioni ridotte, come ad esempio quelle della sostanza di RoLANDO del midollo, che possiedono un protoplasma appena colorabile dai colori basici di anilina, perchè prive o quasi di sostanza cromofila. Da ciò il CAJAL conclude che la sostanza cromofila non è una condizione essen- ziale, sine qua non della attività nervosa, e conforta la sua deduzione col far notare che molte cellule non nervose, di origine mesodermica, conten- gono della sostanza basofila, colorabile col metodo del NISSL. Le zolle del NissL sono considerate dalla maggior parte degli istologi come formazioni naturali e preesistenti, tanto che si possono osservare anche 160 Carlo Piersanti nel vivente (TURNER). Vi sono però alcuni che le ritengono produzioni arti- ficiali dovute all’azione dei reattivi, ammettendo tutto al più la preesistenza di una sostanza liquida o dei granuli. HELD dice che i corpi del NIssL non esistono nelle cellule viventi o tolte di fresco, non appariscono che mezz'ora dopo la morte dell'animale; e di qui conclude che essi siano prodotti dopo la morte. FLEMMING fa giustamente osservare che certi elementi sono biofani in certi casi, abiofani in altri (intendendo per biofani quegli elementi che sono visibili nel vivo, abiofani quelli che non lo sono) per cui l'apparente mancanza dei corpi cromofili quale HELD aveva sostenuto, dovrebbe attri- buirsi alla loro abiofania nelle cellule nervose viventi. Del resto le ricerche del DOGIEL e SjoEVALL hanno dimostrato essere sbagliata l'opinione che considera i corpi cromatici come prodotti artificiali o formatisi dopo la morte, perchè essi, colorando intra vitam le cellule ner- vose, hanno potuto riconoscere che la sostanza cromofila preesiste nelle sue diverse forme. Alterazioni patologiche della sostanza cromofila. Per capire quale fosse il significato funzionale della sostanza cromofila sono state fatte numerose esperienze di diversa natura, allo scopo di notare se nell’attività della cellula nervosa avveni- vano modificazioni fisiche, chimiche, morfologiche. I risultati che si sono ottenuti sono contraddittorî ed incerti. FLESCH per primo distinse due sorta di cellule nei gangli spinali: gli elementi cromatofili e i cromatofobi, i primi con abbondante, i secondi con scarsa colorazione. NissL, dopo gli studi del FLESCH, riconobbe che la struttura delle cellule nervose variava con la loro funzione e infatti osservò che i corpuscoli cromofili erano quelli sui quali le modificazioni patologiche comparivano in primo luogo, e, anche senza tener conto dell’azione dei veleni, notò che la sostanza cromofila cambiava di quantità, secondo lo stato di attività in cui si trovavano le cellule nervose, e fece corrispondere allo stato di maggiore attività la colorazione più intensa del plasma cromofilo (ho già accennato alla divisione delle cellule in picnomorfe, parapicnomorfe e apicnomorfe). Altri autori, dopo NISSL, ritennero invece che la colorazione più intensa del plasma corrispondesse allo stato di riposo. Come si vede, gli autori, pur riconoscendo vero il fatto della diversa colorabilità delle cellule nervose in dipendenza dello stato funzionale, non erano d’accordo sulle conclusioni. La colorabilità più o meno grande delle cellule nervose da alcuni viene attribuita a una variazione di volume della cellula, e così, secondo RAMON Y CAJAL, nello stato di attività, in seguito ad un aumento di volume della cellula si ha una colorazione più debole (apicnomorfia), mentre nello stato di riposo, per la contrazione del corpo cellulare, si ottiene una colorazione Sulla sostanza cromofila ecc. 161 più intensa per il riavvicinamento dei corpuscoli cromofili (picnomorfia). Secondo EVE, la differenza di colorabilità delle cellule nervose allo stato di attività e allo stato di riposo consisterebbe in una leggera diffusione della sostanza allo stato di attività prolungata, diffusione che risulterebbe dall’apparizione di un acido nell’in- terno della cellula. Le opinioni del RAMON, dell’ Eve e di quelli che la pensano come loro sono perfettamente contrarie a quelle di altri, che ammettono che nell’attività la sostanza cromofila vada soggetta a un reale consumo. Ma ora voglio accennare alle alterazioni patologiche delle masse cro- matiche, alterazioni determinate da cause diverse, che vengono dal RAMON riunite in quattro gruppi, a seconda che dipendono da azione traumatica, tossica, infettiva, nutritiva. Si possono pertanto, come fa la patologia cellulare, considerare due ordini di esperienze: quelle cioè che comprendono le lesioni primitive, siano esse provocate da agenti chimici o dalle tossine; quelle che vanno sotto il nome di lesioni secondarie e sono prodotte dalla mutilazione dei prolunga- menti cellulari. Accennerò appena alle lesioni secondarie, perchè esse non fanno parte dell'ordine di esperienze da me intraprese e mi intratterrò invece alquanto sulle lesioni primitive perchè si collegano strettamente colle mie ricerche. Le lesioni secondarie hanno luogo tutte le volte che si produce una soluzione di continuità ira la fibra nervosa e la cellula che le dà origine. Queste lesioni si manifestano con la così detta cromatolisi o tigrolisi del MARINESCO, che consiste nella distruzione della sostanza cromofila. La cro- matolisi comincia in vicinanza del cilindrasse e si propaga a poco a poco alle altre parti del corpo cellulare. Il nucleo prende una posizione perife- rica. Queste lesioni sono ordinariamente seguite dalla riparazione della sostanza cromatica e dalla guarigione della cellula, qualora non sopravvenga la fase degenerativa, nella quale la cellula va incontro a un rapido disfa- cimento. Così sono distinte nelle lesioni secondarie tre fasi: una di reazione, una di riparazione e una di degenerazione. Nel gruppo delle alterazioni primarie rientrano tutte quelle provocate da rabbia, tetano, peste bubbonica, anemia, ipertermia ecc. oltre a quelle ancora più numerose determinate dall'azione dei veleni, come arsenico, piombo, alcool, stricnina, morfina ecc. Ecco il quadro delle manifestazioni delle alterazioni primarie. Natu- ralmente bisogna tener presente che i diversi agenti tossici non esercitano la loro azione con uguale rapidità. I primi a risentire dell'influenza tossica nella cellula nervosa sono i corpi del NISSL, e si può vedere, come a poco a poco, col progredire del- l'alterazione, la sostanza cromofila giunga fino alla distruzione completa. 162 Carlo Piersanti Dapprima si decompongono i corpuscoli cromofili periferici, i quali per azione della cromatolisi si risolvono in piccoli granuli. JULIUSBURGER, il quale ammette la presenza allo stato normale di un cemento che unisce le granulazioni elementari, nota come la scomparsa del cemento precede la dissociazione del corpuscolo. Successivamente a questo stadio di alterazione i corpuscoli elementari si dissolvono completamente. Infine la sostanza cro- mofila scompare del tutto. Comincia a questo punto l’alterazione della so- stanza fondamentale, che prelude alla morte della cellula. Dopo i processi d’alterazione è possibile una restifutio ad integrum? In certi casi, come ad esempio dopo alterazione per tossina tetanica, GOLD- SCHEIDER e FLATAU hanno notato una tendenza alla riparazione. Iniettando l’antitossina si avrebbe la restifutio ad integrum. Significato della sostanza cromofila. Le opinioni che si sono emesse, le ipotesi che si sono fatte, per vedere di spiegare il significato della sostanza cromofila, sono così numerose e diverse, da dimostrare quanto grande sia ancora la nostra ignoranza su detta sostanza. Pertanto ritengo utile accennare alle teorie più attendibili che si sono create, per completare le notizie sulla sostanza cromofila. RoSsIN considera le masse cromatiche come formazioni protoplasmiche comparabili alle granulazioni basofile dei leucociti, ma con questo non spiega nulla. BENDA ritiene gli ammassi cromofili come protoplasma rimasto em- brionale, non differenziato; ma non ha seguaci. VAN GEHUCHTEN con molti altri autori attribuisce alle masse cromo- file il significato di materiale nutritizio, materiale di riserva accumulato nella cellula durante la sua fase attiva. Coll’intervento di agenti che colpiscono la cellula e ne turbano le funzioni, i materiali suddetti possono disgregarsi e dissolversi. Una teoria, che per il numero e l’autorità dei sostenitori si contrappone a quella del GEHUCHTEN è quella del MARINESCO. Secondo MarinEsco la cellula è funzionalmente divisa in due parti: una parte, costituita dalle masse cromatiche, è dotata di alta tensione chimica (cinetoplasma), l’altra formata dalle fini gra- nulazioni cromatiche e dal reticolo dello spongioplasma, rappre- senta l’apparecchio conduttore. Questo scienziato fonda la sua teoria sul fatto che la cellula nervosa è una sorgente di energia, e non può considerarsi solo come un semplice conduttore. Così egli ammette che appunto l’onda nervosa al contatto cogli ele- menti cromofili, uniti dal reticolo spongioblastico conduttore subisca un aumento di energia potenziale, in guisa da aumentare Sulla sostanza cromofila ecc. 163 in intensità e in ampiezza le vibrazioni nervose. Certi veleni (stricnina, tossina tetanica) combinandosi con la citocromatina darebbero un aumento di tensione della corrente nervosa, mentre altri, dissolvendo rapidamente gli elementi cromofili, abbassereb- bero la tensione medesima. 2° - Pigmento. Cenni istologici. Un numero abbastanza grande di cellule nervose, come quelle dei gangli spinali, delle corna anteriori del midollo, le piramidali del cervello ecc. sono provviste, alcune volte, in un punto eccentrico del loro corpo, di fini granulazioni pigmentarie, di forma pressochè uguale, di colore giallo pallido o bruno ver- dastro, costituite a quanto sembra, di melanina. I granuli possono essere diffusi oppure raccolti in un cumulo più o meno grande. In certi casi nei quali i cumuli sono due, questi sono situati in punti opposti della cellula, come può vedersi molto bene in alcune cellule marginali del midollo. Talora è possibile osservare come i granuli di pigmento non occupino soltanto il corpo cellulare; ma continuino anche nei prolungamenti protoplasmatici. Il pigmento scarseggia negli individui giovani e va aumen- tando con l’età. Vi sono certe regioni in cui il pigmento è così abbondante da dare uno speciale colorito alle regioni medesime: così per esempio i gangli dei Molluschi Gasteropodi sono gial- lognoli, il /ocus coeruleus (pavimento del 4° ventricolo) e il locus «niger (peduncoli cerebrali dei Mammiferi) hanno il colorito spe- ciale da cui prendono il nome. i granuli di pigmento, anche se osservati mediante i più forti ingrandimenti, non presentano alcuna struttura particolare; ci appaiono invece come corpi perfettamente omogenei, roton- deggianti, di diametro variabile, dall'aspetto di sostanza grassa. Sono state distinte dall’OLMER e da altri due varietà di pigmento; ad una varietà apparterrebbero le granulazioni melaniche giallastre, all’altra si dovrebbero ascrivere le granulazioni bruno scure del /ocus coeru/eus e niger. Oltre al differente aspetto, a questi due tipi di pigmento si attribuisce una differente composizione chimica, parallela a un diverso comportamento per le sostanze coloranti. Il CAJAL rileva che il pigmento giallastro si colora molto intensamente coll’acido osmico e con l’ematossilina ferrica; il pigmento ‘nt 164 Carlo Piersanti bruno scuro invece ha poca affinità per questi coloranti. In altri termini più che di un pigmento delle cellule nervose, si dovrebbe parlare di gra- nulazioni pigmentarie di diverso tipo nello stesso animale. Questo può esser vero per i Mammiferi e in genere per i Vertebrati superiori, peraltro dalle mie osservazioni non mi risulta che nel pigmento delle cellule nervose della Rana vi siano dif- ferenze tali, per cui si possano distinguere diversi tipi anzichè un unico tipo di pigmento. Ritengo piuttosto che diversità anche rilevanti possano es- servi tra il pigmento delle cellule nervose di animali di gruppi diversi, così per esempio tra il pigmento delle cellule nervose dei Molluschi Gasteropodi e quello della Rana. Infatti mentre il MogLIA ha visto che il pigmento delle cellule dei gangli dei Molluschi si colora in rosa con l’eosina e in bleu con la tionina, non mi è stato possibile riscontrare la medesima colorazione per la Rana. Sul meccanismo col quale i pigmenti compaiono nelle cel- lule nervose, come su quello dei pigmenti di altra natura, che si trovano in altri tessuti, vi sono opinioni assai differenti, e si può dire che, per l’istologia, le questioni della pigmentazione, sono tra le più complicate. Alcuni autori hanno considerato i pigmenti come prodotti di un processo di infiltrazione; altri invece hanno ascritto loro un’origine endocellulare, ammettendo che il pigmento si formi nelle cellule pigmentate medesime: si è così pensato che il pig- mento possa provenire da emissioni di origine nucleare. Questa ipotesi non ha avuto seguaci. La supposizione invece dell’ OLMER, del MARINESCO e di altri, che il pigmento derivi da una trasfor- mazione chimica degli elementi cromatofili ha avuto un certo credito, ed io pure la ritengo molto verosimile, per il fatto che ho notato che nelle cellule nelle quali abbonda il pigmento, la sostanza cromofila è molto scarsa o manca completamente. Tor- nerò ancora su questo concetto. Significato funzionale del pigmento, Quale è il significato funzionale del pigmento ? MUEHLMANN, CARRIER, ATHIAS ritengono il pigmento come un prodotto di degenerazione della cellula. SCHAFFER, CAJAL, OBERSTEINER giun- ba, nà Sulla sostanza cromofila ecc. 165 gono più oltre, ritenendolo un prodotto di disassimilazione di cui la cellula non si può liberare. MaRINEScO gli attribuisce un carattere di senilità, chiamando i granuli di pigmento « granula- zioni di involuzione ». OBREJA e TATUSES considerano il pigmento come un ele- mento di riserva. Molti autori, come il PUGNAT, BATAILLON, ATHIAS ecc., che si sono occupati delle granulazioni pigmentarie dei diversi gruppi di Vertebrati, non si sono pronunziati sulla funzionalità del pigmento. Il MogLIA invece, seguendo la direttiva dell’ ENRIQUES, che nel suo lavoro sul Sipunculus nudus, ammise relazioni tra pig- mento e respirazione, attribuisce al pigmento una funzione respi- ratoria. Vedremo che nella Rana non si ottengono risultati che ci facciano rientrare nell’ordine di idee dell’ ENRIQUES e del MOGLIA. III. - COMPOSIZIONE CHIMICA DELLA SOSTANZA CROMOFILA E DEL PIGMENTO - LORO REAZIONI - TECNICA. I granuli del NissL, secondo BUEHLER, non sono altro che precipitati di proteici, dovuti all’azione dei reattivi. Anche il Donaggio la pensa allo stesso modo. Ma il DOGIEL e SJOEWALL li hanno veduti anche allo stato vivente. Un allievo del MACALLUM, il Dott. ScOTT, ha particolarmente studiato i granuli cromatici ed ha visto che essi resistono benis- simo alla digestione pepsica; sono poco digeriti dalla tripsina, dal che stabilisce la loro natura di nucleo-proteidi. Per mezzo di reazioni microchimiche si è potuto constatare che i corpi cro- mofili contengono ferro e fosforo organico. Eve ha notato che la sostanza cromofila, sottoposta all’in- fluenza di soluzioni debolmente acide o alcaline, si dissolve len- tamente, ed ha dimostrato questo facendo agire per un certo tempo su un ganglio, prima di fissarlo, una soluzione debol- mente acida ed alcalina. I liquidi salini non avrebbero alcuna azione sulla sostanza cromatica. La natura speciale della sostanza cromofila richiede per lo studio di essa una tecnica sua propria, basata sull’affinità che essa mostra per le sostanze della serie delle tiazine (bleu di metilene, tionina) e per l’ematos- silina ferrica, che la colorano elettivamente. Questa affinità per le suaccen- 166 Carlo Piersanti nate sostanze coloranti è tanto grande che KOLMER e WOLFF, iniettando un colore nell’animale vivente, ottennero una colorazione intra vifam della sostanza cromofila. Il problema di fissazione e di indurimento dei pezzi non è di troppo facile risoluzione, perchè, sebbene sia facile con i diversi fissativi mettere in evidenza la sostanza cromofila, non è altrettanto facile trovare un fissa- tivo che sia rapido ed energico, e che ad un tempo presenti sotto il vero . aspetto le così dette zolle di NISSL. Fra le varianti del metodo del NissL, quella al sublimato saturo, rac- comandata dal LENHOSSEK, dà buoni risultati, sebbene determini facilmente delle contrazioni nel protoplasma. È pure ritenuta come buona la fissazione in alcool. Io pertanto, dopo numerose prove, ho riconosciuto come ottimo fissativo una miscela di su- blimato corrosivo (gr. 5) e di bicromato potassico (gr. 2,5) in soluzione di gr. 100 di acqua distillata. Ho fatto agire il fissativo a freddo per 24 ore. In questa maniera ho evitato le possibili contrazioni nei preparati, contra- zioni, che il solo sublimato non di rado determina, e così mi è riuscito più facile lo studio del complesso e quello della posizione della sostanza cro- mofila. Dopo aver fissati i pezzi ed averli convenientemente sottoposti a lavaggio in acqua corrente ho fatto dei lenti passaggi in alcool di titolo diverso, lasciando i pezzi medesimi per 24 ore in alcool iodato a 70°: ho quindi disidratato e incluso in paraffina. Il colorante da me adoperato è stato la tionina, in una soluzione acquosa nella quale ho lasciato per 24 ore le sezioni. Queste, tanto per il midollo spinale, quanto per i gangli oscillavano da 5 ad 8 microm. ig Il pigmento è assai resistente di fronte ai reattivi più energici. È inso- lubile in alcool, etere, toluolo, e solo nella liscivia di potassa calda può disciogliersi. Da questa soluzione, acidificando, lo si può fare precipitare. Si colora intensamente con l'acido osmico e con l’ ematossilina ferrica: resiste agli altri coloranti. La tecnica che ho seguito per lo studio del pigmento è la medesima di quella della sostanza cromofila. Soltanto, a scopo di confronto, ho colorato alcune sezioni con emallume e fucsina, come aveva fatto il MOGLIA, senza però ottenere differenze di sorta rispetto alla colorazione mediante tionina. IV. - GENERALITÀ SUL MATERIALE ADOPERATO, SULLA SOSTANZA CROMOFILA E SUL PIGMENTO DELLE CELLULE NERVOSE DELLA RANA ALLO STATO NORMALE. 1° - Materiale adoperato. Prima di parlare delle mie esperienze è bene che dica qualche cosa del materiale di cui mi sono servito, e che dia una descrizione della sostanza Sulla sostanza cromofila ecc. 167 cromofila e del pigmento allo stato normale nella Rana, per vedere poi come le diverse condizioni a cui ho sottoposto gli individui abbiano agito sulla posizione o sulla quantità delle suddette sostanze. Ho scelto fra i Vertebrati la Rana (Rana esculenta L.) perchè, oltre alla grande facilità di procurarmi del materiale, avevo in essa un elemento molto resistente all’ azione di anidride carbonica, e così potevo fare agire questo gas per un tempo abbastanza lungo, cosa questa assai difficile per altri vertebrati, specialmente se si fosse trattato di Mammiferi. Ho cercato che gli individui di cui mi servivo avessero approssimati- vamente le stesse dimensioni, volendo così rendere più omogeneo il mate- riale delle mie ricerche. Ho diretto il mio studio alla sostanza cromofila e al pigmento delle cellule nervose del midollo spinale, del cervello e dei gangli. Delle cellule del midollo quelle che hanno più fermata la mia atten- zione sono state le radicolari motrici delle corna anteriori, perchè, per la loro grandezza, si rendono più facilmente atte ad essere studiate nella loro intimità, soprattutto per ciò che si riferisce alla sostanza cromofila. 2° - La sostanza cromofila allo stato normale nella Rana. Se noi osserviamo al microscopio una sezione di un ganglio spinale di Rana, vediamo che, al disotto del tessuto connettivo, esso si presenta costituito di numerose cellule assai volumi- nose, che si mostrano abbondantemente provviste di sostanza cromofila. Questa sostanza ha tanto l’aspetto di granuli piccoli, irregolari, angolosi, sparsi senza ordine alcuno per tutto il pro- toplasma, quanto quello di masse più voluminose, che occupano in prevalenza la periferia della cellula (Fig. 1). Nel midollo spinale le grandi cellule delle corna anteriori, sebbene diverse da quelle dei gangli spinali, hanno pure una quantità notevole di sostanza cromofila che anche qui si presenta sotto forma di granuli diffusi e di masse distribuite alla periferia (Fig. 2). Le masse sono allungate, a forma di fuso, orientate parallelamente tra loro e disposte in senso longitudinale, se pure la cellula è fusiforme. Se invece la cellula è multipolare stellata, le masse sono distribuite in gruppi d’orientazione diversa. Osservando attentamente, sotto un forte obbiettivo, le masse cromatiche, possiamo vedere come queste non siano omogenee; ma bensì costituite da numerosi granuli riuniti da un cemento, come precisamente ritennero in generale BENDA, JULIUSBURGER, LENHOSSEK, FLEMMING, che considerarono le masse cromatiche 168 Carlo Piersanti composte di granuli basofili indipendenti, immersi e riuniti in massa coerente in una sostanza proteica omogenea. Per ciò che riguarda la quantità della sostanza cromofila, tanto nei gangli che nel midollo spinale, si possono stabilire differenze anche nei gruppi medesimi di cellule; però, in ogni individuo, rispetto alla distribuzione della sostanza cromofila nel corpo cellulare, si riscontra un unico tipo. 3° - Il pigmento allo stato normale nella Rana. Il pigmento si trova assai raramente nelle cellule dei gangli spinali e indifferentemente tanto nelle grandi quanto nelle più piccole. Il più delle volte i granuli pigmentari sono riuniti in un ammasso situato a un lato della cellula (Fig. 14 a,b); ma in qualche caso i granuli possono essere sparsi per tutto il corpo cellulare (Fig. 14 c). Nel midollo le cellule più grandi, ricche di citocromatina, non contengono affatto granuli di pigmento, e solo in qualche caso, quando la citocromatica è assai scarsa, il pigmento può manifestare la sua presenza (Fig. 13). Vi sono delle cellule invece di medio taglio, quali sono le cellule marginali, che delimitano i confini tra la sostanza grigia e la sostanza bianca, che sono com- pletamente o quasi prive di sostanza cromofila, e contengono una quantità veramente notevole di pigmento, distribuito in una o due masse che talora occupano quasi tutto il corpo cellulare. Ciò si può osservare molto bene nelle cellule marginali situate al davanti e ai lati delle corna anteriori del midollo (Fig. 12). Anche nel pavimento del 4° ventricolo, corrispondentemente al locus coeruleus dei Mammiferi, e nei peduncoli cerebrali (/ocus niger) il pigmento è abbondante nelle cellule più piccole e prive o quasi di sostanza cromofila. Circa il numero delle cellule nervose pigmentate e circa la quantità dei granuli di pigmento nelle diverse cellule, vi sono, allo stato normale, grandi differenze individuali, sicchè accanto ad individui che possedevano pigmento in abbondanza ne ho trovati altri affatto privi o quasi. I confronti riuscivano così molto difficili ed occorreva essere molto cauti prima di trarre delle conclusioni. Sulla sostanza cromofila ecc. 169 V. - RICERCHE SPERIMENTALI. 1° - Influenza dell’ossigeno e dell’anidride carbonica sulla sostanza cromofila e sul pigmento. Essendo stata riconosciuta dal BAGLIONI la grande impor- tanza dell'ossigeno per le cellule nervose, ho pensato che l’azione di questo gas allo stato puro, quale viene sviluppato da un comune gasometro, potesse determinare una qualche modifica- zione sulla più sensibile delle sostanze della cellula nervosa, cioè sulla sostanza cromofila. Quale sarebbe stato il comporta- mento del pigmento di fronte all’ossigeno? Avrebbe esso subìto dei cambiamenti di quantità, quali il MOGLIA aveva notato nei Molluschi ? 1° Esperimento - Ho posto in un recipiente pieno d’ossigeno puro, sviluppato da un gasometro, 12 Rane, avendo cura di mantenere un po’ d’acqua nel fondo del vaso, acciocchè la pelle delle Rane medesime rimanesse sempre umettata. Ho fatto quindi gorgogliare continuamente l’ossigeno per un certo numero di ore, per mantenere quanto più era possibile un ambiente di ossigeno nell'interno del vaso. Contemporaneamente, a scopo di confronto, ho fissato i pezzi isolati di alcuni individui che avevo tenuti in laboratorio per alcuni giorni assieme a quelli già posti in ossigeno. Dopo 2, 4, 6, 8 ore ho tolto successivamente 3 Rane, per fissarne i gangli, il midollo spinale e il cervello. Esaminate le relative sezioni, ho notato che i granuli e le zolle di sostanza cromofila, man mano che si prolunga l’azione dell'ossigeno puro, vanno diminuendo e quasi scomparendo dal centro del corpo cellulare, spostandosi verso la periferia, mentre verso la periferia medesima si formano grosse masse, che talora sono così grandi da occupare, in sezione, un lato intero della cellula. Questo si verifica tanto nei gangli (Fig. 3), quanto nelle cellule motrici del midollo spinale, sia in corrispondenza dei due rigonfiamenti toracico e lombare, sia nella porzione dorsale. L’aspetto della disttibuzione periferica della sostanza cromo- fila riesce molto evidente col confronto dell’aspetto normale. Uno studio più attento delle grosse masse periferiche, fatto 170 Carlo Piersanti mediante un forte ingrandimento, mostra come le suddette zolle risultino di altre di dimensioni più piccole, e queste a loro volta di granuli finissimi strettamente addossati tra di loro. Dopo 6 ed 8 ore di ossigeno, cioè dopo un’azione più prolungata di questo gas, si hanno nei gangli delle masse periferiche perfet- tamente omogenee, che anche a forte ingrandimento difficilmente si possono ritener costituite di zolle più piccole e di granuli. L’azione dell’ossigeno sulle cellule del midollo spinale è più tardiva, tanto che una completa distribuzione delle masse cro- mofile con aspetto omogeneo alla periferia delle cellule | ho riscontrata soltanto dopo 12 ore (Fig. 4) come ho notato in una esperienza successiva. In conseguenza dunque dell’azione del- l'ossigeno, si ha uno spostamento e una concentrazione della sostanza cromofila alla periferia del corpo cellulare, senza che si riscontri alcuna sensibile differenza nella quantità della sostanza medesima. Il pigmento non accenna a modificazioni di sorta, tanto per ciò che si riferisce alla posizione, quanto per ciò che riguarda la quantità, sia nelle cellule marginali del midollo spinale, sia in quelle dei gangli, sia infine in quelle del pavimento del 4° ventricolo e dei peduncoli cerebrali. Questa esperienza con l’ossigeno, fatta in autunno, lho ripetuta nella primavera successiva, ed ho ottenuto i medesimi risultati. 2° Esperimento - Molto presumibilmente l’azione dell’ani- dride carbonica sulla citocromatina doveva essere antagonistica a quella dell’ossigeno. Da questo esperimento si vedrà che la supposizione fatta si è verificata. Ripetendo con l’anidride carbonica l’esperimento fatto con l'ossigeno, cioè ponendo senz'altro le Rane in un vaso pieno di anidride, queste muoiono dopo brevissimo tempo. Per ottenere un’azione prolungata del gas asfissiante occorre procedere, spe- cialmente sul principio, molto cautamente. Allora soltanto è pos- sibile fare resistere per un tempo abbastanza lungo gli individui all’azione dell’anidride. Ho fatto sviluppare da un comune apparecchio di Kipp dell'anidride carbonica, e l'ho condotta per mezzo di un tubo di gomma in un recipiente dove prima avevo messo 12 Rane. Sul Sulla sostanza cromofîila ecc. 171 principio ho fatto gorgogliare assai lentamente il gas nell'interno del vaso, affinchè si mescolasse con l’aria che lo riempiva, poi ho continuato ancora, finchè ho visto che le Rane si muovevano. Appena che quelle hanno cessato da ogni movimento sì da sembrare morte, ho chiuso il rubinetto di sviluppo, attendendo qualche minuto. Passato un po’ di tempo, le Rane davano nuo- vamente segno di vita, e allora, riaprendo il rubinetto, ho fatto nuovamente gorgogliare dell'anidride. Ho così continuato fino a che sono stato sicuro che gli ultimi individui rimasti fossero morti, e allora ne ho fissato prontamente il cervello, il midollo e i gangli spinali. Il tempo massimo di anidride a cui hanno resistito le Rane è stato di 7 ore. Frattanto, di tempo in tempo, cioè di 2 in 2 ore, avevo tolto dal recipiente tre Rane per fis- sarne i pezzi. Ed ecco i risultati che ho ottenuto. La sostanza cromofila, dopo 2 e 4 ore, si presenta distri- buita a forma di zolle per tutto il corpo cellulare (Fig. 5, 6). A questo stadio il corpo cellulare sembra contratto e più ricca- mente provvisto di citocromatina. In un periodo successivo, e più precisamente dalle 4 alle 5 ore (Fig. 7, 8) le zolle cromatiche sparse si riducono di grandezza, quasi venissero consumate, finchè, nelle condizioni estreme, cioè dopo 7 ore di anidride (Fig. 9), scompaiono completamente. Vi sono certe cellule, cioè quelle motrici del midollo, che, all’inizio della disgregazione della sostanza cromofila, cominciano a presentare delle vacuole periferiche, le quali, col progredire dell’azione dell’anidride, vanno man mano occupando anche l'interno del corpo cellulare, fino a dare ad esso un aspetto grossolanamente spongioso (Fig. 10). Il pigmento non ha subìto alcuna modificazione. Natural- mente, per le mie osservazioni sul pigmento ho completamente trascurato quelle cellule, che, come quelle dei gangli, molto rara- mente ne sono provviste, non potendo esse fornirmi un cri- terio di confronto. Ho invece rivolto più specialmente l’ attenzione, come nel precedente esperimento, alle cellule del 4° ventricolo, dei peduncoli cerebrali, e alle marginali del midollo. Anche per l'anidride, come per l'ossigeno, ho ripetuto in primavera l’esperienza che avevo fatto in autunno, e ho potuto constatare che i risultati ottenuti corrispondevano ai primi. 172 Carlo Piersanti 3° Esperimento - Avendo visto che le Rane resistevano molto bene all’azione dell’ossigeno, ho fatto un’esperienza sup- plementare alla prima, per vedere che cosa succedeva tenendo in un ambiente d'ossigeno degli individui per 12, 24, 30, 48 ore; ma oltre ai risultati della prima esperienza non ho riscon- trato differenze rilevanti, fatta eccezione per la sostanza cromofila delle cellule motrici del midollo spinale. In queste le masse peri- feriche di citocromatina, presentando in certa guisa esagerato quell’ aspetto che si era notato dopo 2, 4,6 e 8 ore di ossigeno, hanno formato uno strato che occupava tutta la periferia della cellula. 4° Esperimento - L° asfissia determinata dall’ azione diretta dell’anidride carbonica fino a che punto corrisponde a quella prodotta da annegamento per le sue manifestazioni sulle cellule nervose ? Per rispondere a questa domanda posi separatamente delle Rane in diversi recipienti di 200 cmc. di capacità, li riempii di acqua potabile, e li chiusi con un coperchio di vetro, in modo che non rimanesse all’interno la minima bolla d’aria. Gli animali in quelle condizioni non sopravvivevano più di 2 ore. Dallo studio dei preparati mi è risultato che la sostanza cromofila delle cellule nervose si presentava sotto una forma a zolle sparse, analoga a quella che ho già menzionato per le prime ore dell’azione di anidride carbonica, quando ancora sulle masse cromatiche e sui granuli non era iniziata la cromatolisi. Il pigmento non aveva subìto variazioni. 5° Esperimento - Occorreva vedere se dopo l’ azione dell’ ani- dride carbonica, l’ossigeno era capace di fornirci il suo tipo caratteristico di cellule a grosse masse periferiche, e se dopo la cromatolisi e la vacuolizzazione delle cellule si poteva ottenere una integrazione totale o parziale della sostanza cromofila e complessivamente della cellula nervosa. In questo modo si sarebbe capito meglio l’ influenza dell’ os- sigeno e se a questo spettava l’attribuzione di elemento inte- grante, come si poteva pensare dopo i risultati dell’esperi- mento: (1° \e 3° Per questo, presi al solito 12 Rane che sottoposi all’ azione di anidride carbonica per un numero successivo di ore. Dopo 2 Sulla sostanza cromofila ecc. 173 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Cellule nervose di rana in varie condizioni. Le figure sono state tutte disegnate con la camera lucida Abbé-Apathy. L’ingrandimento è di circa 670 d. La sostanza cromofila è colorata in violetto. Il pigmento è colorato in giallo bruno. Fic Fic: Fic. Ere. Ere: Fic. Fres Fic. Fic. Fic. Fic fisiologica Fic Fic Bios DSL 22 vo 0 1a UU Cellule Cellule . Cellule . Cellule . Cellule . Cellule . Cellule . Cellule . Cellule 10. Cellule nervose motrici del midollo spinale dopo 7 ore in CO. nervose di un ganglio spinale allo stato normale. nervose motrici del midollo spinale allo stato normale. nervose di un ganglio spinale dopo 8 ore in ossigeno. nervose motrici del midollo spinale dopo 12 ore in ossigeno. nervose di un ganglio spinale dopo 2 ore in COs. nervose motrici del midollo spinale dopo 2 ore in COs. nervose di un ganglio spinale dopo 4 ore in COs. nervose motrici del midollo spinale dopo 4 ore in CO». nervose di un ganglio spinale dopo 7 ore in COa. . 11. Cellule nervose motrici del midollo spinale dopo sostituzione al sangue di soluzione (6 giorni). . 12. Vari tipi di cellule marginali del midollo spinale. . 13. Cellule motrici del midollo spinale allo stato normale. Fic. 14. Cellule di un ganglio spinale allo stato normale (a, 6, Granuli di pigmento riuniti in un ammasso - c, sparsi). 12 e a Lore MESIONA ;0 ro ela; ve) " PI a La Man -Q Se. Sulla sostanza cromofila ecc. 181 ore ne tolsi tre dall’ anidride, le misi in ossigeno, dove rapida- mente acquistarono un notevole benessere e le lasciai quivi per 2 ore. Così pure dopo 4 e dopo 6 ore ne passai tre per volta dall’anidride all’ossigeno, avendo cura di mantenervele per tante ore per quante erano state in anidride. Le altre rimaste, dopo averle lasciate più che fosse possibile in anidride, le trasportai pure in ossigeno; ma queste, sebbene sul principio manifestas- sero un notevole benessere, non molto dopo morirono. Dai rispettivi preparati ho notato che le cellule nervose di quelle Rane che erano rimaste per 2 e anche 4 ore in anidride, quando ancora assai presumibilmente non era cominciata la cro- matolisi, e che poi erano state passate in ossigeno, mostravano lo stesso tipo di cellule coma quelle sottoposte semplicemente all’ os- sigeno come se l'anidride non fosse intervenuta. Quegli individui invece che avevano risentito di un’ azione più prolungata del gas asfissiante, offrivano nelle loro cellule segni evidenti dell’ azione deleteria dell'anidride con numerose vacuole nel midollo e con l'assenza della sostanza cromofila in tutte le cellule nervose. Se l’anidride dunque non aveva agito troppo a lungo, era possibile ricondurre gli elementi nervosi allo stato normale, mentre, dopo un’azione prolungata, ciò non era possibile. 6° Esperimento - Tutti gli esperimenti precedenti, essendo stati fatti su individui diversi, potevano lasciare ancora qualche dubbio sull'azione dei gas adoperati, epperò occorreva confer- mare i risultati ottenuti, intervenendo con gli stessi agenti sul medesimo individuo. In questa maniera i confronti sarebbero riusciti più evidenti, perchè si sarebbero eliminate tutte le pos- sibili variazioni individuali. Così presi alcune Rane, e dopo aver isolato da ciascuna un ganglio per fissarlo, le misi in anidride carbonica e in ossi- geno, ripetendo le modalità indicate nel 1° e nel 2° esperimento. Ebbi allora un materiale facilmente comparabile. Dai confronti fatti tra le cellule dei gangli tolti prima dell’ esperienza e le cel- lule di quelli che erano rimasti in ciascun animale, non potei che confermare quanto già prima avevo osservato, e cioè l’azione rispettiva dell’ossigeno e dell’ anidride. Un’ esperienza del medesimo genere non mi è stato pos- sibile estenderla, come ben si comprende, al midollo e al cervello. Bios 13 182 Carlo Piersanti 2° - Influenza del dissanguamento. Non mi volli arrestare al punto indicato dalle precedenti esperienze, e pensai di completare le mie ricerche mediante il dissanguamento, pensando che appunto il sangue serve al tra- sporto dell’ ossigeno e all’ eliminazione dell’ anidride carbonica. 1° Esperimento - Dissanguai alcune Rane, incidendo la vena addominale. I grandi vasi si svuotavano assai rapidamente; non così i capillari, per cui, volendo completare l’ uscita del sangue, facevo delle iniezioni di acqua distillata finchè non vedevo uscire dalla parte dove avevo praticato il taglio l’acqua scolo- rata. Allacciavo quindi la vena e attendevo l’esito di questo esperimento, uccidendo le Rane e fissandone i pezzi dopo 6, 12, 18 e 24 ore, condizione estrema a cui sono giunto. Dopo 6 e 12 ore le cellule mostravano la frammentazione delle zolle del Nissl e lo spostamento di quelle periferiche verso il centro del corpo cellulare. Dopo 18 ore la sostanza cromofila accennava già a una diminuzione, per scomparire poi quasi completamente col sopraggiungere della morte dell’ animale dopo 24 ore. Come al solito il pigmento rimaneva invariabile. 2° Esperimento - Ho fatto un altro esperimento che si coi- lega col precedente anche per i risultati ottenuti, tenuto però conto della maggior lentezza nella loro esplicazione. Si trattava di dissanguare le Rane, di sostituire nei vasi una soluzione fisio- logica, e di osservare in tempi diversi quali manifestazioni dava tanto la sostanza cromofila quanto il pigmento. Occorre un lungo esercizio per riuscire a spingere il liquido nei vasi sotto una pressione che sia sufficiente a riempire tutto il complesso vasco- lare e che nello stesso tempo non sia tanto forte da lacerare i capillari. Per ottenere questo duplice scopo ho seguito diverse modalità indicate dalla tecnica. Iniettando nel sistema vascolare la soluzione fisiologica mediante una siringa, sono riuscito a far vivere le Rane dissanguate per 4 giorni; solamente sostituendo alla siringa un irrigatore, col quale si regola meglio la pressione della soluzione che si inietta, le Rane sono sopravvissute fino a 6 giorni. Che cosa avviene in questo frattempo nelle cellule nervose? Dopo le prime ore la sostanza cromofila accenna alla fram- Sulla sostanza cromofila ecc. 183 mentazione e alla diffusione; ma poi il fenomeno di alterazione si arresta e per un certo tempo non si ha più segno alcuno di alterazione, di modo che dopo un giorno di dissanguamento il corpo delle cellule nervose non è molto diverso da quello che lo sia dopo poche ore. Al secondo e al terzo giorno la fram- mentazione e la diffusione della sostanza cromofila continua, ma quasi insensibilmente. Soltanto col sopraggiungere della morte dell'animale le cose precipitano e in breve periodo di tempo si ha la scomparsa di ogni traccia di sostanza cromofila. La scom- parsa di questa sostanza nelle cellule motrici del midollo avviene senza che si riscontri vacuolizzazione (Fig. 11). Per ciò che si riferisce al pigmento non si è verificata alcuna differenza apprezzabile. 3° - Influenza delle sostanze tossiche. Ho già accennato come gli agenti tossici esercitino la loro azione sulla sostanza cromofila, determinando le così dette « le- sione primarie ». Anche da uno sguardo superficiale alle mani- festazioni delle lesioni suddette può vedersi come esse presen- tino una notevole analogia con quelle provocate dalle condizioni asfittiche delle diverse mie esperienze. Ho intrapreso questo terzo ‘ordine di ricerche, per vedere se l’influenza delle sostanze tossiche si estendeva anche al pig- mento. Mi sono limitato ad esperimentare solo alcuni veleni di cui da altri era già stata conosciuta l’azione sulla sostanza cro- mofila. Questi sono la stricnina, la morfina, la nicotina, 1’ ar- senico. Ho potuto verificare per la sostanza cromofila quanto era già stato precedentemente notato da altri, senza riscontrare per il pigmento alcuna variazione. Azione della stricnina. 1° Esperimento - Ho iniettato nella cavità addominale di alcune Rane gr. 0,0001 di nitrato di stricnina in soluzione acquosa. Dopo un’ora ho ripetuto l'iniezione e così successivamente di ora in ora fino alla morte dell’ animale, che avveniva in generale dopo la 5° iniezione. L'azione di questo alcaloide che agisce 184 Carlo Piersanti specialmente sul midollo spinale, provoca la cromatolisi nelle cel- lule nervose con la distruzione della sostanza cromofila, come è stato detto nelle generalità a proposito delle lesioni primarie. Prima che cominci la cromatolisi si nota uno stadio in cui le zolle di citocromatina sono sparse nel corpo cellulare, come si è visto a proposito dell’ anidride carbonica. A questo stadio corrisponde il massimo di eccitabilità. Il pigmento non cambia. 2° Esperimento - Per studiare l’azione diretta del veleno sulla sostanza cromofila e per avere materiale di confronto nello stesso individuo ho messo una soluzione all’ 1 °/, di stricnina in contatto diretto con un ganglio spinale di una metà del corpo e l’ho quivi lasciata per 2 ore. Le cellule del ganglio suddetto, confrontate con quelle dell’ altra metà, presentavano una notevole alterazione e la sostanza cromofila era completamente scomparsa. 3° Esperimento - Dopo che è iniziata la cromatolisi è pos- sibile arrestarla ed avere una restifutio ad integrum intervenendo con ossigeno? Ho avvelenato 4 Rane mediante un’iniezione di gr. 0,0005 di nitrato di stricnina. Le ho quindi poste in un vaso entro al quale facevo giungere dell’ ossigeno puro. Le Rane andavano ugualmente incontro alla morte e in nessun caso ho riscontrato un arresto della cromatolisi e tanto meno una resfifutio ad inte- grum delle zolle del NISSL. Azione della morfina. 1° Esperimento - Come nel caso precedente, ho iniettato nella cavità addominale di alcune Rane gr. 0,001 di cloridrato di morfina. Ad intervalli di un’ ora ho ripetuto l'iniezione: così per 4 o 5 volte. La sostanza cromofila ha dato segni manifesti di alterazione, che andavano man mano progredendo. Precedeva secondo il solito alla cromatolisi uno stadio a zolle sparse. Però l’azione dell’ alcaloide era assai meno intensa sulle cellule dei gangli che non su quelle del midollo. Il pigmento non ha dato segni di modificazione alcuna. 2° Esperimento - Ho messo una soluzione di morfina all’ 1%, sopra i gangli di una Rana. Dopo un certo tempo essi presen- tavano la dissoluzione e la scomparsa della citocromatina. Sulla sostanza cromofila ecc. 185 3° Esperimento - Dopo aver provocato l’avvelenamento me- diante morfina in alcune Rane, le ho poste in un vaso con ossigeno puro, facendovelo continuamente gorgogliare. Non ho notato alcun arresto della cromatolisi prodotta per l'intossi- cazione. Azione della nicotina. 1° Esperimento - Questo alcaloide somministrato mediante iniezioni successive di gr. 0,001 nella cavità addominale di diverse Rane, non ha manifestata sulla sostanza cromofila una intensità d’azione paragonabile a quella dei due veleni precedenti. Ad ogni modo, specialmente nelle cellule del midollo spinale, ho potuto riscontrare una certa disgregazione della sostanza cromo- fila. Il pigmento resta inalterato. 2° Esperimento - Ho messo una goccia di nicotina su alcuni gangli di una Rana ed ho riscontrato dopo qualche tempo cromatolisi. 3° Esperimento - L’ossigeno somministrato ad alcuni indi- vidui, previamente avvelenati mediante nicotina, non ha manife- stato alcuna azione. Azione dell’arsenico. 1° Esperimento - L’ azione dell’arsenico era già stata stu- diata molto bene da altri e specialmente da LuGaARO sul cane. Ho potuto accertarmi nella Rana dell’esattezza e della corrispon- denza delle osservazioni di quell’ autore circa la degenerazione della citocromatina in seguito ad avvelenamento per arsenico. Ho somministrato questo veleno ad alcune Rane sotto forma di acido arsenioso, mediante iniezioni successive di gr. 0,001. La sostanza cromofila in seguito ad intossicazione per arsenico si dissolve nel modo solito. Il pigmento invece non si altera affatto. 2° Esperimento - Ho posto l'acido arsenioso in contatto diretto con diversi gangli ed ho notato la dissoluzione della sostanza cromofila. 186 Carlo Piersanti 4° - L’azione diretta dei gas ossigeno ed anidride carbonica su gangli isolati. Mi ero proposto di vedere se l’ anidride carbonica e l’ ossi- geno fatti agire direttamente su alcuni gangli isolati di diverse Rane determinavano nelle cellule quegli aspetti caratteristici già descritti. 1° Esperimento - Misi in un vaso alcuni gangli e ve li mantenni fino a © ore, facendovi giungere in contatto dell’ ani- dride carbonica. Sul principio non potei verificare alcuna diversità col nor- male. Dopo 4 e 6 ore le cellule cominciavano notevolmente ad alterarsi e oltre alla diminuzione della sostanza cromofila presen- tavano anche la sostanza fondamentale alterata. Con questo però non si poteva pensare che le alterazioni suddette dipendessero dall’ azione dell’ anidride, per il fatto che alcuni gangli tolti dall’ animale e lasciati a sè per parecchie ore senza farvi giungere in contatto dell’ anidride carbonica, mostra- vano un aspetto analogo di alterazione. 2° Esperimento - Ho mantenuto per diverse ore su alcuni gangli isolati di Rana dell’ ossigeno puro. Non ho riscontrato nè nelle prime ore nè poi, alcuno spo- stamento e alcuna concentrazione periferica dei corpi cromofili. Anche in ossigeno, come in anidride carbonica, le zolle del Nissl, dopo 6 ore, erano quasi totalmente scomparse e anche la sostanza fondamentale si mostrava alterata. VI. - CONCLUSIONI. Vediamo ora quali conclusioni si possano trarre dall’ insieme dei risultati fin qui ottenuti. I gas ossigeno e anidride carbonica hanno dimostrato sulla sostanza cromofila una notevole influenza, influenza antagonistica, perchè mentre da un lato l’anidride ha determinato una frammen- tazione delle zolle e cromatolisi, dall’altro l'ossigeno è stato capace non solo di riunire le più fini granulazioni di citocromatina in masse voluminose; ma anche di arrestare una cromatolisi iniziale e di dare una restitutio ad integrum della sostanza cromofila. Sulla sostanza cromofila ecc. 187 La formazione delie grandi masse periferiche costituisce un fatto nuovo, che non era stato ancora osservato. L’azione dell’anidride è risultata parallela a quella degli agenti tossici; difatti, tanto con i veleni quanto con il gas asfis- siante, si è ottenuto cromatolisi. Si possono dunque far rientrare le lesioni provocate dall’ azione di anidride nel gruppo delle lesioni primarie. Queste lesioni primarie rivelano l’azione deleteria dell’ ani- dride carbonica e di numerosi altri agenti in contrapposizione all’ossigeno, che manifesta invece una notevole azione integrante come elemento indispensabile per la vita della cellula nervosa. I due ultimi esperimenti, fatti con ossigeno e anidride car- bonica su gangli isolati, confrontati con quelli fatti con i gas medesimi su animali vivi, ci dimostrano che non è già l’ azione diretta dei gas sulle cellule; ma è bensì la conseguenza dello stato funzionale da loro provocato, che determina in quelle le diverse manifestazioni della sostanza cromofila. Per ciò che riguarda il pigmento, le esperienze fatte dal MogLIa sui Molluschi, da me ripetute nella Rana, non hanno fornito, per la Rana, risultati tali per cui si possa attribuire ad esso una funzione respiratoria. Il pigmento ha dimostrato una costante inalterabilità di fronte ai gas ed ai veleni, in nulla smen- tendo quella sua grande fissità chimica, ritenuta un ostacolo alla sua espulsione dalla cellula nervosa, per coloro che lo considerano come un prodotto qualsiasi di disassimilazione. Ma se l’ordine di esperimenti da me intrapresi nulla dice sul significato funzionale del pigmento, vi sono però dei fatti che, come ho già detto, inducono a ritenere il pigmento in rapporto colla sostanza cromofila. Si è visto infatti che le cel- lule nervose ricche di citocromatina sono completamente o quasi sprovviste di granuli di pigmento, mentre quelle che ne sono povere hanno dei cumuli assai abbondanti di pigmento, come ad esempio le cellule marginali del midollo. In alcuni pigmenti melanotici è stato trovato il ferro, che è uno dei componenti notati dal MAacALLUM nella citocromatina; da alcuni però vengono ritenute inesatte le ricerche fatte per dimostrare la presenza del ferro. Forse da ricerche ulteriori di microchimica si potrà dimo- 188 Carlo Piersanti strare una corrispondenza di composizione tra pigmento e sostanza cromofila, e forse solo allora si potranno con più sicurezza intra- prendere ricerche sperimentali per capire il significato delle gra- nulazioni pigmentarie nei Vertebrati. LIL SSLNLILILIILILILIPLILILIIZII BIBLIOGRAFIA. 1898 - ANGLADE (D.) — Sur les altérations des cellules nerveuses, de la cel- lule pyramidale en particulier, dans la paralysie générale. (Ann. Méd. Psychol., 8 Sér., VIII, 40-46). 1905 - ATHIAS (M.) — La vacuolisation des cellules des ganglions spinaux chez les animaux à l’état normal. (Arne? Anz., XXVII, 9-13). 1906 — » — Sur la vacuolisation des cellules nerveuses. (Ara? Anz., XXVIII, 492-495). 4 1897 - BALLET (G.) et DuriL (A.) — Sur quelques lésions expérimentales de la cellule nerveuse. (Sem. médic., 346). 1904 - BARBIERI (C.) — Ricerche sullo sviluppo del midollo spinale negli anfibî. (Arc/. Zoo/., Vol. II, Fasc. 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Enno E Rd a en o Pap OI Cenni storici. “. . An n no 1 102 Materiale di ricerca e i alti Sa NAS LITI nà TE 9 ER oi VE eine e ad 200 e e zi RT LR e 00 i 4 ei ra 207 Pola Feat eee A ee A PIP eo VOS RENI IE AR ee ARE a RR SS ZIO Saeiozns no . I IRNOIOTIOII FANTA rBURE. (bi 242 FeCk, HCI, FexSOVa FeSO, > air tisic pbhot afanco ts pi borntaltosa; divi AE). garante ne aa tot degl 213 Esperimenti gian dattero alata Gilaa sente att Eri die e ate ara rei Id 20 Caiano A ee a | Misena iisiola niche Neo e ee ee e en 228 Conclusioni . . . NIC IITA O SAREI TL A ME 1 200 Spiegazione delle Hel DROTRIOI AE AVORIO Polo FRITTA ALI LI » 3 OE ig An LI a i Ata ue ale POR gti DIE INTRODUZIONE. Scopo di questo mio lavoro è l’osservazione dell'influenza esercitata da alcuni sali sulla riproduzione dei Cyelops (Cycelops macrurus SARS). A tale studio mi hanno indotto le ricerche ini- ziate recentemente da PAOLO ENRIQUES (!) e continuate da GIULIO ZWEIBAUM (?) sull’azione di alcune sostanze a deboli concentra- zioni sulla coniugazione degli infusori, ricerche che hanno chia- (1) PaoLo EnrIgues - La coniugazione e il differenziamento sessuale negli infusori - Parte III, azione dei sali sull’epidemia di coniugazione nel Crypfochilum nigricans - Memoria letta alla R. Accademia delle Scienze, Bologna, anno 1909. (2) GiruLio ZwerBaum - Parte V, dello stesso - Les conditioris nécessaires et suffisantes pour la conjugaison du Paramaecium caudatum - Archiv fiir Protistenhunde, 26 Band, pag. 275, 1912. 192 Rosa Urbinati ” ramente dimostrato come questi organismi siano sensibili alle più piccole quantità di sali. I risultati che qui espongo provano che alcuni sali esercitano un'influenza benefica sulla vita del Cye/ops macrurus SARS, affrettando la deposizione e aumentando il nu- mero delle emissioni delle uova. Le soluzioni adoperate, più di- luite di quelle usate dallo ZwEIBAUM, attestano che i Cyc/ops sono capaci di risentire gli effetti di deboli differenze nella concentra- zione, più ancora degli infusori. CENNI STORICI. Non intendo in questo capitolo enumerare tutti i lavori in cui si è osser- vata l'influenza della composizione chimica del mezzo sulla vita animale e vegetale, ma solo ricordare brevemente quelli che si occupano dell’azione della concentrazione sulla riproduzione e lo sviluppo, dando particolare im- portanza ai pochi che trattano di risultati notevoli, ottenuti con quantità pic- colissime di sostanza. Si sa da lungo tempo che le stesse specie presentano varietà diverse a seconda dell'ambiente in cui vivono, a modificazioni esterne corrispon- dendo in generale cambiamenti morfologici e fisiologici negli organismi. Fra i numerosi lavori in proposito sono universalmente noti quelli che riguardano le variazioni dell’ Arfemzia. Non mi occupo qui delle diversità morfologiche, ma delle differenze nella maniera di riprodursi che presenta questa specie a seconda del grado di concentrazione a cui è allevata, differenze che sono state osservate recentemente da CESARE ARTOM (1). Tutte le Artemie, egli dice, si riproducono per mezzo di embrioni e di uova durature, ma tali fenomeni della viviparità e della oviparità non avvengono nella stessa epoca nei vari luoghi: così l Arfemia salina di Cagliari è vivipara nell’inverno mentre le artemie di Capo d’Istria ed altre lo sono nell’estate; una differenza più grande distingue le artemie di Lymington, di Odessa, del lago salato di Uhat e di Cagliari, dalle artemie di Marsiglia, di Capodistria, di Margherita di Savoia e Molla Kary - nelle prime i maschi sono sempre presenti e ab- bondanti, nelle seconde rarissimamente si è trovato un maschio o due su migliaia di femmine. Le artemie di Cagliari non sono mai partenogenetiche mentre lo sono tutte le altre, ad eccezione, secondo l’ autore, delle artemie delle località nelle quali si trovano maschi in cui dalle uova non fecondate non si sviluppano mai embrioni. Per spiegare tale diversità nella maniera di riprodursi, ARTOM (?) (1) C. Artom - Ricerche sperimentali sul modo di riprodursi dell’Arfemia salina Lin di Cagliari - Biologisches Centralblatt, Bd. XXVI, pag. 26. (*?) C. Artom - Osservazioni generali sull’ Arferzia salina delle saline di Cagliari - Zoolo- gischer Anzeiger, Bd. XXXIX, pag. 284, anno 1905. L’influenza di alcune soluzioni saline MW .0193 invoca la diversa composizione chimica del mezzo in cui le artemie vivono e cioè la deficenza di certe specie di cloruri nelle acque delle saline di Cagliari in confronto delle acque delle altre saline - tale ipotesi è in rapporto col fatto che egli osservò nello studiare la proporzionalità fra femmine e maschi: questi ultimi diminuiscono coll’aumentare della concentrazione. In determinate proporzioni dunque una determinata sostanza può es- sere benefica ed anche indispensabile alla vita di certi organismi; aumen- tandone la quantità può invece produrre la morte. È stato a questo pro- posito dimostrato da LOEB (*) che una soluzione di NaCI isotonica rispetto all'acqua di mare è velenosa per tutti gli animali marini: così per esempio se si pongono dei piccoli Fundulus in soluzione 10/8 N NaCI, muoiono dopo due ore circa; se si mettono i Fundulus in 100 cme. di una soluzione così composta: cme. 96 10/8 N NaCl + cme. 4 10/8 N CaCl, vivono un giorno, tre in 96 cme. 10/8 N NaCl +- 2 cme. 10/8 N CaCi, + 2 cme. 5/8 N KCI e più an- cora durano in vita in 93 cmc. 10/8 N NaCl +- 5 cme. 10/5 N CaCl, 4 2 cme. 5/8 N KCI. Fenomeni analoghi ha osservato nelle meduse e nelle larve di riccio di mare. L’autore, accertatosi che soluzioni miste di NaCI, di CaCl, e di KCI sono meno velenose di soluzioni di solo NaCI, conclude ammettendo che la velenosità delle soluzioni di NaCl dipenda dagli ioni di Na. Nello stesso lavoro il LOEB osserva, contrariamente a quanto si è sempre detto, che il NaCI è più velenoso per gli animali, del KCI; ponendo uova di Fundulus in questi due sali constata che tali, uova non si sviluppano nel NaCl, mentre nel KCI su 100 ne muoiono solo 72, e mescolando NaCl con KCI osserva che il numero delle uova sviluppate è massimo quando c’è pre- valenza del secondo. A risultati ben più interessanti il LOFB è arrivato con lo studio dell'influenza della composizione chimica del mezzo sullo sviluppo; si può infatti considerarlo come inventore della partenogenesi arti- ficiale — senza citare tutti i suoi numerosi lavori in proposito, ricordo solo che egli afferma che /e soluzioni più favorevoli a tale fenomeno sono le soluzioni alcaline. Gli organismi non risentono solo le grandi variazioni esterne, ma sono sensibili anche alle più piccole; differenze minime nella concentrazione pos- sono modificare evidentemente la vita favorendo alcune funzioni, ostaco- landone altre. Fin dal 1888 lo ScHuLz (?) ha osservato che in piccola dose tutti i veleni favoriscono la fermentazione alcoolica: una parte in peso di jodio su 100.000 parti, 1:300.000 di bromo, 1:40.000 di acido arsenico, 1:5000 di acido cromico, 1:20.000 circa di acido formico, 1:4000 di acido salicilico e finalmente 1:500.000 circa di sublimato, favorisce, secondo l’au- tore, lo sviluppo dei microrganismi della fermentazione, generando un au- mento nella produzione di CO,; il sublimato sarebbe dunque meno velenoso [S per questi organismi di quello che è generalmente, favorendo la soluzione (1) J. LoeB - Untersuchungen iiber kiinstliche Parthenogenese - Leipzig, 1906. (3) Scnurz - Ueber Hefegifte - Pfliger's Archiv. 42, pag. 517, anno 1888. 194 Rosa Urbinati 1:500.000 la fermentazione alcoolica - è da osservare però a questo propo- sito che lo SCHULZ dà una durata assai breve (due ore) ai suoi esperimenti; molto probabilmente prolungando oltre l'osservazione avrebbe ottenuto ri- sultati negativi. La stessa azione secondo il RICHET (*), hanno dosi picco- lissime di metalli sulla fermentazione lattica; col bario l’effetto è ben defi- nito alla dose di un grammo su un miliardo di grammi, col cloruro di pla- tino gli effetti sono più netti ancora. In un altro lavoro (?) l’autore constata che anche il vanadio (ossicloruro), l'argento (nitrato), il potassio (cloruro), l’jodio (cloruro) e il cobalto (tutti nella dose di uno su un trilione) favori- scono la fermentazione lattica. Questi fatti il RICHET li deduce dal dosaggio dell'acido senza tener conto delle cause che ne producono l aumento. In analoghi studi lo STASSANO (3) constata che il cloruro di mercurio ha azione sulle ossidazioni di natura chimica e diastasica; così per esempio una solu- zione di laccase fissa l'ossigeno dell’aria sulla glicocolla; ora quest’ azione è accelerata, poi ritardata, poi impedita da dosi sempre crescenti di sublimato; l'ottimo di tali dosi che produce l'accelerazione dell’oscillazione diastasica è di 1 grammo su un milione di grammi; lo STASSANO studia dunque diret- tamente l’azione del metallo sull’ enzima - le soluzioni da lui adoperate sono più concentrate di quelle usate dal RICHET, ma mentre quest’ultimo si limita solo all'osservazione dei fatti, egli ne trae conseguenze importanti. Mentre le osservazioni dello SCHULZ, dice, facevano pensare in quei tempi in cui si credeva la fermentazione strettamente legata alla vita dei micror- ganismi, che le soluzioni producenti aumenti della fermentazione agissero sopra questi organismi, dopo la scoperta di BUCHNER è /ogico invece pen- sare che influiscano direttamente sopra gli enzimi. Un'altra dimostrazione della sensibilità grande degli organismi è data da PAOLO ENRIQUES (4) nel suo lavoro sulla coniugazione degli infusori - studiando la composizione chimica dei liquidi culturali l'autore ha trovato che quantità deboli di alcuni sali influiscono sulla coniugazione. L'azione principale è esercitata dai sali di calcio e di ferro (aggiunti a soluzioni di NaCl); una parte in peso di cloruro di ferro o di calcio sopra un milione diminuisce sensibilmente la coniugazione; questi sali a dosi più forti (per il ferro 1:10.000) producono un aumento colossale nel numero delle coniugazioni; fra i sali che agiscono sulla coniugazione alcuni favoriscono nello stesso tempo lo sviluppo, altri invece l ostacolano. Tali ricerche sono state continuate da GIULIO ZWEIBAUM (5) che, adoperando, varie solu- zioni di uno stesso sale, ha constatato che esiste una soluzione ottima, pro- ducente gli effetti massimi, e che sali anche molto velenosi possono favo- (1) Cares RicHET - De l’action des métaux à faible dose sur la fermentation lactique - Comptes rendus de la Société de Biologie, 1906, pag. 445. (2) RicHET - De l’action de dose minuscule de substance sur la fermentation lactique - /biderne anno 1906, pag. 981. (3) Srassano - Pouvoir catalitique du mercur - Ibidem anno 1905, pag. 991. (4) Vedi introduzione. (5) Vedi introduzione. L'influenza di alcune soluzioni saline 195 rire la coniugazione quando vengano adoperati in determinate proporzioni. L’influenza di dosi minime di sali è stata anche provata sui vegetali; ri- cordo solo a questo proposito che nel Congresso di Parigi del maggio 1912, GABRIELE BELTRAND ha riferito che l’addizione di un miliardesimo di man- ganese a una coltura di Aspergillus niger, può determinare un aumento apprezzabile nella raccolta. Dalle ricerche su citate risulta un’azione favorevole di minime quan- tità di sali anche velenosissimi sopra processi fermentativi; non si sa però se tale azione dipenda da una cresciuta moltiplicazione degli organismi, oppure da un’azione diretta sugli enzimi, quale è stata riscontrata a parte dallo StassANO. La eccitazione della coniugazione negli infusori è d’altra parte di difficile interpretazione a questo riguardo: è noto infatti che tale fenomeno si presenta in circostanze per vari lati cattive (digiuno per esempio); si può quindi sospettare, come I’ ENRIQUES stesso ha fatto, che si tratti di un’ azione debolmente tossica esercitata da sali velenosi sugli infusori. Nelle ricerche sui Cve/ops, che mi preparo ad esporre, le soluzioni saline in cui questi hanno vissuto, hanno esercitato un’azione benefica sopra la loro riproduzione, direttamente constatata. In questo differiscono sostanzialmente le ricerche medesime, anche a parte i diversi fenomeni presi in esame, da quelle su riferite. Non è opportuno fare qui la storia di tutti gli studi che riguardano la vita e le funzioni dei Cyc/ops in generale: non sarebbe in rapporto con lo scopo del lavoro. Mi limito perciò a dire che poco si sa di questi cope- podi dal punto di vista biologico, essendo quasi tutti gli studi sui Cye/ops o di sistematica o di anatomia (per le indicazioni in proposito vedi il VOLF (1), pag. 120); riporto solo alcune notizie sulla durata della vita e sulla nutri- zione — sono le uniche che possono interessare nel nostro caso -, ricavate dallo stesso lavoro su ricordato del VoLF. Esistono specie temporanee e specie perenni di Cye/ops - in alcune specie i maschi sono abbondanti, in altre rarissimi. Il Cvc/ops macrurus SARS è perenne, raramente in questa specie appaiono i maschi. Tutti i Cyvc/ops in generale si nutrono di frammenti di vegetali o di piccole alghe, possono però anche vivere d’infusori, e cibo preferito sono i cadaveri dei loro simili. MATERIALE DI RICERCA E TECNICA DEGLI ESPERIMENTI. Linfluenza delle diverse soluzioni saline sulla disposizione e sull’emissione delle uova l’ho verificata (come ho già detto) nel Cyclops macrurus. Questa specie, che si trova abbondantis- sima alle Tavernelle, paesetto a 12 km. da Bologna, è stata gen- (1) Vorr EucenN - Die Fortpflanzungsverhaltnisse cinheimischen Copepoden Z. Jalrb. Abth. Syst, 22, Bd. pag. 101. 196 R, Rosa Urbinati sù TO. tilmente classificata dal prof. GRANDORI. I Cyc/lops pescati nella località suddetta e trasportati in laboratorio per i miei esperi- menti li ho conservati in grandi acquari coll’ acqua dello stagno da cui erano stati raccolti - in tal maniera vivono per mesi e mesi; riesce invero difficile mantenerli in vita fuori dal loro am- biente naturale nelle soluzioni saline in vasi relativamente piccoli, che possono prestarsi all’ osservazione diretta col microscopio; in pochissimo liquido i Cyclops muoiono invariabilmente dopo qualche giorno. I recipienti che ho adoperato in tutte le prove e che più si prestano, perchè conciliano la necessità dell’ osser- vazione microscopica con il bisogno di una certa abbondanza di liquido, sono vasetti delle dimensioni di circa 40 cmc. con co- perchio non a tenuta; se il vasetto si chiude con il proprio coperchio, i Cyclops muoiono invariabilmente dopo poco tempo; il medesimo risultato si ottiene lasciando il vaso perfettamente privo di ogni riparo; per mantenere quindi le culture sufficien- temente arieggiate e per evitare l'alterazione rapida del liquido, ho posto i vasetti sotto campane formate da cristalizzatori capo- volti. Gli esperimenti consistono nell’ isolare un determinato nu- mero di Cyclops e farli vivere per qualche tempo nei vasetti sopra descritti, in acqua potabile ed in concentrazioni diverse di diversi sali; e, osservandoli ogni giorno, individuo per indi- viduo, determinare la differenza di rapidità della deposizione e dell'emissione delle uova. Quando in tutto il corso del lavoro si dice « emissione delle uova » s'intende che nel Cyc/ops considerato le uova sono discese dagli ovari a formare quei due grossi sacchi esterna- mente visibili; e naturalmente per deposizione s'intende l’ atto del deporre le uova già contenute nei sacchi, fatto questo che si constata per la sparizione dei sacchi di uova nel Cyc/ops che prima li possedeva. L'andamento degli esperimenti è assai semplice, in tutti ho proceduto cogli stessi metodi preparando prima la soluzione, isolando quindi gli indi- vidui necessari. I sali adoperati li ho disciolti in concentrazione M/3 o più diluita secondo i casi colla sostanza anidra, preparando al momento del- l’esperimento la soluzione voluta per mezzo di diluizioni successive. I Cp- clops li ho isolati prendendo dall’acquario con un cristallizzatore una. qualsiasi quantità di acqua e raccogliendoli (tutti coi sacchi d’uova al- l’esterno) con pipette apposite, ed uno per uno lavandoli ripetutamente in ‘a)uazIco enboe ul 540/209 19p 0}ueweAaIY - ‘I ‘DIJ da +, ® sa L’influenza di alcune soluzioni saline 199 acqua potabile entro vetrini d'orologio. L’alimento l'ho estratto anch’ esso dall’acquario, raccogliendo le lemne che si trovano quasi sempre nell'acqua degli stagni in cui vivono i Cpc/ops. Per lavare le foglioline delle lemne prima di portarle nei vasetti degli allevamenti, in modo da essere certa ch’esse fossero perfettamente pulite, le ho sottoposte ad un getto fortissimo d’acqua per 5-10 minuti, entro una rete quadrata di filo di ferro, le cui maglie lasciano passare i Cye/ops, e quindi anche le loro uova ele larve. Poste di nuovo le lemne in un cristalizzatore con acqua potabile e lavata la rete, ho raccolto l’alimento e ripetuta l'operazione. In ogni vaso ho messo generalmente da 10 a 15 foglioline, per ogni liquido ho adoperato 10 Cyc/ops, e tutti gli esperimenti li ho preparati tripli. Ogni giorno ho, come ho già detto, osser- vato individuo per individuo, separando quelli che avevano deposto le uova, e tra- sportandoli in un altro vaso nelle stesse condizioni. Il giorno successivo ho formato altri vasi per i Cye/ops che nuovamente avevano emesso le uova. Così di seguito. Tali sono i mezzi adoperati in quegli espe- rimenti in cui, come si vedrà più avanti, è necessaria l'osservazione di tutti i giorni con o senza microscopio ; ma quando si vogliano fare colture di lunga durata, ossia conser- vare per mesi e mesi in sali Fig. 2. diversi molti x Cvelops, non servono più i piccoli vasi sopra descritti. Allora è ncees- sario un rinnovamento frequente, abbondante, e meglio ancora continuo del liquido. Si presta bene a tale scopo l'apparecchio rappresentato dalle Fio. l'e. In un filtro @ rivestito da un vaso di vetro munito di foro, sta l’acqua o la soluzione salina coi Cye/ops, filtro e vaso sono sostenuti da una specie di trepiede di filo di ferro appoggiato all'orlo di un vaso 6, in cui cade il liquido filtrante. Un sifone c munito di rubinetto mette in comunicazione il filtro con un cristallizzatore d (filtro e cristallizzatore sono al medesimo livello) che sta sotto a una bottiglia capovolta, sostenuta da un apposito Bios 14 200 Rosa Urbinati apparecchio. Il collo delia bottiglia è chiuso da un tappo in cui sono pra- ticati due fori; in uno di essi passa un tubo g di 15 mm. di diametro, che arriva quasi al fondo della bottiglia ed esce per pochi centimetri con |’ e- stremità tagliata a becco di flauto; nell'altro foro passa ugualmente un tubo di vetro di calibro molto minore del primo (f), che entra nella bottiglia per pochi centimetri ed esce terminando capillarmente, e sporgendo un po’ più del tubo più grosso. Nella bottiglia è posta acqua o soluzione salina secondo i casi. Il contenuto della bottiglia non può uscire dal tubo più grosso che sorpassa superiormente il livello del liquido, esce però pel tubo capillare e cade nel cristalizzatore 4 finchè non copre l'estremità inferiore del tubo più grosso. Intanto in @ il liquido filtra; il livello fra il liquido di @ e quello di d non essendo più lo stesso, per mezzo del sifone si ristabilisce l’ equi- librio. Nuovamente allora la soluzione salina o l’acqua abbassandosi in d lascia scoperti i tubi; l’aria può salire per il più grosso e l’acqua scendere dal più piccolo. Ordino l’ esposizione dei risultati non cronologicamente, ma a seconda della sostanza adoperata, e comincio dal NaCI, che ha effetti più semplici; ogni esperimento rappresento con una tabella che riporto in ultimo. I metodi usati in alcune prove speciali verranno descritti più avanti al momento opportuno. - Nacl - Il cloruro di sodio ed altri sali, di cui parlerò singolarmente nei capitoli seguenti, affrettano, come ho già detto, la deposi- zione e l’emissione delle uova nei Cyclops. L'influenza bene- fica del cloruro di sodio su tali importanti funzioni, mi si è manifestata in modo evidente fin dalle prime prove; accertatami di questo fatto con una lunga serie d’esperimenti, ho cercato di determinare le condizioni necessarie perchè questo sale agisca con evidente effetto. L'influenza del NaCl varia col variare della concentrazione; in generale aumentando la concentrazione si accelera la deposizione delle uova, finchè si arriva a una con- centrazione in cui i Cyelops vivono male e solo per poco tempo - l'influenza del sale scompare a un certo grado di diluizione in cui si ha effetto simile a quello dell’acqua; le soluzioni inter- medie a queste due che possono considerarsi come limiti delle soluzioni attive e chiamarsi soluzione massima (') e soluzione (*) Tali denominazioni di soluzione massima, ottima e limite sono adoperate con lo stesso significato per tutti i sali. L’ influenza di alcune soluzioni saline 201 limite, producono effetti intermedi gradualmente ordinati; una di queste che ha più di tutte influenza benefica, può dirsi perciò ottima; in tale soluzione la concentrazione è sufficientemente debole per permettere senza alcun danno la vita per lungo tempo e sufficientemente forte per farne sentire evidentemente gli effetti. Tanto del NaCl come delle altre sostanze adoperate, ho cominciato col provare le soluzioni più concentrate, e da queste via via sono scesa a quelle più diluite. Nella soluzione M/3 i Cyclops muoiono dopo poco tempo, al massimo un’ ora o due; quest’ azione dannosa persiste fino alla soluzione M/12; a questa concentrazione durano in vita a stento per qualche giorno; in M/15 depongono, come si vedrà in seguito, le uova quasi sempre più rapidamente che nelle altre soluzioni, ma dopo, invariabil- mente muoiono. Da M/15, diluendo gradatamente, sono arrivata fino ad M/1200, soluzione che ha un effetto quasi nullo; ossia in essa la deposizione delle uova avviene press’ a poco con la stessa rapidità che nell'acqua potabile. Di tutte le soluzioni pro- vate da M/15 fino ad M/1200, le soluzioni che mi sono sembrate le migliori e che ho adoperate per gli esperimenti definitivi sono M/1200, M/120, M/60, M/15; in tali soluzioni la influenza del sale si manifesta più evidentemente; essendo poi a una suffi- ciente distanza fra di loro, mostrano chiaramente | andamento del fenomeno - le soluzioni intermedie a queste hanno natural- mente effetto intermedio. Non riporto i primi esperimenti; esperimenti che riuscireb- bero poco persuasivi per l imperfezione dei metodi d’ allevamento in essi adottati, che molto poco si prestano ad uno studio accu- rato e lungo, e soprattutto perchè in tali prove ponevo a con- fronto un solo individuo nell’ acqua e uno solo nel sale a diverse concentrazioni. Dirò solo che in questi piccoli esperimenti ho sempre osservato, tranne qualche caso in cui poteva trattarsi di speciali condizioni, che i Cyclops deponevano le uova prima nel sale che nell’acqua; fu appunto questo fatto ripetutosi più volte, che m’indusse ad adoperare un numero molto grande d'’ indi- vidui contemporaneamente, per togliere il dubbio che potesse trattarsi di condizioni diverse di maturità delle uova. Dopo aver accennato a questi esperimenti perchè furono quelli che mi ser- virono principalmente per graduare le soluzioni, passo senz’ altro 202 Rosa Urbinati agli esperimenti in cui già adoperavo soluzioni determinate d'’ ef- fetto sicuro. Nell’ esperimento N. 1 (vedi Tabella I) ho operato nel seguente modo: in cinque vasetti ho messo acqua e NaCI, M/1200, M/120, M/60, M/15, con 10 Cyc/ops colle uova per-ciascuno, usando sempre i metodi di preparazione indicati nel capitolo precedente. Nelle medesime condizioni ho posti altri cinque poi altri cinque vasi, di modo che per ogni liquido adoperavo trenta individui. Ho creduto bene fare per ogni liquido tre vasi distinti anzichè porre tutti e trenta gli individui in un vaso solo, perchè ogni esperi- mento viene così diviso in tre parti distinte e il ripetersi degli stessi fatti in tutti e tre i vasi riesce a rendere più evidente l’in- fluenza del sale. Ogni giorno ho osservato quanti individui depo- nevano le uova, togliendoli di mano in mano dai vasetti per evitare equivoci. Nella Tabella I sono riportati i risultati ottenuti in tutti e tre i vasi di ogni liquido. Facendo la somma ogni giorno degli individui che hanno deposte le uova nei vasi che contengono liquido uguale, calco- lando cioè tutti e 30 i Cyc/ops insieme, riesce evidente e persua- siva la differenza che passa fra la rapidità di deposizione nel- l’acqua e nel sale. Di 30 individui in acqua, dopo un giorno, 2 soli hanno deposte le uova; 3 in NaCI M/1200, 7 in NaCl M/120, 11 in NaCl M/60, 7 in NaCl M/15; il 2° giorno gli indi- vidui che hanno deposte le uova diventano per ordine: 5, 5, 12;/(14;:115;p.il..3%.giorno.:. 9; :10,,,20;+22,(26;.il: 40:15, da 303.011 51214, <23;+20;30;; 111.102 :.,26,,;20,,:30.; il 76, SO Negli esperimenti numero due e numero tre, esperimenti eseguiti nelle condizioni identiche dell’ esperimento N. 1 adope- rando le medesime soluzioni e lo stesso numero di individui, i risultati ottenuti sono molto simili a quelli dell’ esperimento N. 1 come si può vedere dalle Tabelle II e Ill. Da quanto ho sopra detto e soprattutto dall’osservazione delle tabelle, risulta che oc- corrono in generale 2 o 3 giorni di più in acqua che in NaCl (sia pure alla concentrazione più efficace) perchè tutti gli indi- vidui abbiano deposte le uova. Solo dopo 6 o 7 giorni nel- l’acqua tutti e 10 i Cyc/ops sono privi di uova, mentre in M/60 NaCI bastano 4 e raramente 5 giorni. Nell’ acqua il 1° giorno il numero massimo d’individui che L’influenza di alcune soluzioni saline 203 hanno deposte le uova (su 10) è sempre uno, mentre nel sale si arriva fino al numero 4 e così via via ogni giorno la media della deposizione è di circa 1 in acqua e di 3 o 4 in NaCl a M60. e La soluzione M/1200 ha effetto de- bolissimo, simile all’acqua, tuttavia generalmente in 6 giorni si ha la deposizione delle uova in tutti i Cyclops; in M[/i20 si hanno effetti intermedi fra M/60 e M/1200, ma : la sua azione si avvicina di più a 7 M/60. In M/15 si ottengono risul- Trax tati più rapidi che in M/60 ma, come ho detto, dopo la deposizione i 3 Cyclops muoiono (Fig. 3). % Le soluzioni quindi che si possono considerare come estreme per il NaCl sono M/15 d FÀ ' Ì I | I Ù | I Ù | I | I | I I I I I ' \ | I | I Ù I ' I il Ù | I i il I ' {| i I Ù I I 1 i Ù Ù I I 1 M/, ST ì ] I I ] I | ' I I I (massima) e M/1200 (minima); la soluzione offima è M/60; essa si 5 avvicina molto di più alla soluzione sa più forte che alla più debole - e si Da i trova pressa poco alla stessa di- bag le stanza dalle due soluzioni M/15 e / M/120 che segnano i limiti in cui fi il fenomeno è più evidente. "| : Risulta evidente da tutto quello 5A i che ho esposto, che il NaCI, velenoso se adoperato in soluzioni molto con- PA centrate, ha un effetto benefico DI I I | I I I Il ' I ' I I ' l I ' L ' » quando venga somministrato in pro- ci / / porzioni molto deboli. Bastano gram- ; È A < i mi 3,90 in 1000 cme. d’acqua, perchè — sin —_-d- il NaCI riesca ed uccidere i Cyclops; Fig. 3. eGono!stificceniror0)99 nella stfessa'(Spiegazione delle, curve a/pap. 225). quantità d’acqua perchè esso agisca invece con effetto benefico. \ Limitate da prima le mie osservazioni all’ influenza del NaCl 204 Rosa Urbinati sulla deposizione delle uova, le ho in seguito estese all’effetto che questo stesso sale produce sulla emissione delle medesime, ed ho osservato che la rapidità con cui si compie anche questa funzione è maggiore nel NaCl che nell’ acqua. Allo studio di tale fenomeno mi hanno condotto gli esperi- menti che ho chiamati di lunga durata, in cui mi sono servita dell’ apparecchio rappresentato dalla Fig. 1, e descritto nel capi- tolo precedente. In tali esperimenti avevo notato che dopo un determinato tempo il numero dei nati in NaCl era maggiore che il numero di quelli nati in acqua. Ho creduto da prima chie questo fatto fosse perfettamente indipendente dalla funzione della riprodu- zione e derivasse dall’ avere il NaCI infiuenza conservatrice sulla vita dei Cyc/ops, vale a dire che in essi la mortalità fosse mi- nore che nell’ acqua, ma un’ osservazione si opponeva a questa ipotesi: i vecchi Cyclops da cui erano derivate le colture, erano tutti morti, tanto nelle soluzioni di CINa, quanto nell’ acqua. Questo fatto m’indusse a studiare, in prove nelle quali fosse agevole l'osservazione di ogni giorno, ciò che avveniva dopo la prima deposizione. Passando ora a parlare di questo esperimento, av- verto che non seguì immediatamente quelli sopra descritti, e fu fatto adoperando contemporaneamente al NaCI altre sostanze - da tale prova ricavo ora solo il conforto fra l’acqua e il NaCI, riservandomi di tornare sullo stesso esperimento nel capitolo in cui parlerò singolarmente degli altri sali, ein quello in cui farò il confronto fra l’azione delle diverse sostanze. La Tabella XVII a cui si riferisce tale esperimento comprende però i risultati completi ottenuti. Lo studio dell'influenza del NaCI! sulla riemissione delle uova richiede un tempo piuttosto lungo, una ventina di giorni e anche più; io ho terminato le mie osservazioni circa dopo tale periodo, perchè mi pare che risulti abbastanza evidente dopo questo tempo l’azione del NaCI, e perchè a lungo andare la deposizione avviene più lentamente e la riemissione è più rara. In questo esperimento non ho più adoperato le soluzioni di NaCI delle prove 1, 2, 3, ma soltanto la concentrazione M/60; non si tratta in questo esperimento, infatti, di osservare il variare degli effetti col cambiamento delle concentrazioni, ma, presa la L’ influenza di alcune soluzioni saline 205 soluzione ottima, studiare quali cambiamenti avvengano nella vita e nelle funzioni dei Cyc/ops quando siano allevati in tale am- biente. Presi quindi due soli vasi, ho posto nell’uno acqua pota- bile e nell'altro NaCI M/60 con 10 Cyelops per ciascuno (nelle stesse condizioni ho preparato contemporaneamente al solito altri 2 vasi per l’acqua e altri 2 per il NaCl). Ogni giorno, come ho già detto, ho separato i Cyclops che avevano deposte le uova, trasportandoli in un altro vaso nelle stesse condizioni; nel giorno successivo ho formato un altro vaso per quelli che nuovamente le avevano rimesse; ho proseguito in tal maniera per circa venti giorni, formando così una serie di vasi contenenti alternativa- mente Cyclops con e senza uova. Osservando la Tabella XVII si vede che in 19 giorni i Cyclops nell’acqua hanno emesso 4 volte le uova e nel NaCI 5 volte. Non è tanta quindi la differenza fra il numero delle emissioni quando si consideri il fatto assolutamente; bisogna osservare quanti dei 10 Cyc/ops siano arrivati alle singole emissioni, se- guire cioè le vicende di tutti i Cyc/ops uno per uno, per rendersi conto delle differenze d’ azione fra il NaCI e l’ acqua. Considerando la prima deposizione, si vede che corrono quattro giorni di differenza fra l’acqua eil NaCl, perchè tutti e 10 i Cyclops l’ abbiano compiuta; se si osserva poi la seconda emissione, risulta ancora più grande la differenza; occorrono 19 giorni perchè tutti e 10 gli individui nell’acqua vi siano giunti, mentre, nel NaCl dopo 11 giorni, tutti e 10 i Cyc/ops arrivano alla 2° emissione. Tralasciando le successive deposizioni che sono dipendenti dalle emissioni e che si compiono sempre press’a poco nella stessa maniera già osservata negli esperimenti 1 - 2 - 3, si vede che alla 3° deposizione arrivano solo 5 Cyclops nell’acqua e 8 invece nel NaCI, alla 4° poi giungono 3 nell'acqua e 5 invece nel sale, alla 5° soltanto 2 nel sale. Da quesi’ azione del NaCl sopra i Cyclops risulta un fatto importante che spiega quello che da prima mi era sembrato oscuro, come cioè dopo qualche tempo i piccoli nati nel NaCl siano in maggior numero di quelli nati nell'acqua potabile. Questa differenza che risulta poco sulla massa quando si agisce per un tempo limitato, risulta evidente, negli esperimenti di lunga durata. 206 Rosa Urbinati Ripetuti più volte nelle stesse condizioni esperimenti uguali a quello descritto, ed ottenuti sempre risultati simili, ho creduto opportuno studiare l’ azione di altre sostanze. - Na,SO, - Il solfato di sodio, come il cloruro, affretta la deposizione e l'emissione delle uova nei Cyc/lops; la sua azione è molto de- bole sia che si consideri assolutamente, sia che si tenga conto delle soluzioni adoperate; dopo il cloruro di sodio, il solfato è la sostanza in cui i Cyclops vivono alla concentrazione più forte, Ad M/12 però muoiono dopo quattro o cinque ore, ad M/15 dopo un giorno al massimo, ad M/30 vivono bene, ma solo per quattro o cinque giorni, arrivano cioè alla prima deposizione delle uova, che si compie più rapidamente di quello che avvenga nell'acqua e nelle altre soluzioni più diluite; ma dopo, invaria- bilmente muoiono. M/90 è la soluzione in cui si può osservare l’influenza del sale, che perdura, per quanto indebolita, fino a M/150; nelle soluzioni più diluite l’ influenza del solfato di sodio va scomparendo assai rapidamente, tanto che a M/250 è quasi nulla - si può quindi dire per il solfato, come per il cloruro di sodio, che la sua azione aumenta coll’ aumentare della concen- trazione, finchè si giunge ad una soluzione in cui non è più possibile la vita. Dall’ esperimento rappresentato dalla Tabella IV, si vede come la prima deposizione avvenga a M/90 in quattro o cinque giorni; corrono quindi quattro o cinque giorni dal tempo necessario perchè questa funzione si compia in tutti e dieci i Cy- clops nell'acqua; in cinque o sei giorni avviene a M/150 (in due vasi, cinque, e in uno, sei); a M,/250 comunemente occorrono sette giorni in due vasi e 8 in uno solo. La differenza quindi del tempo impiegato nel solfato di sodio e nell'acqua per compiere la prima deposizione, è abba- stanza considerevole; meno intensa è invece l’azione del solfato quando si consideri il numero delle emissioni delle uova in un determinato periodo anche alla concentrazione ottima. La Tabella XV rappresenta un esperimento di confronto fra l’acqua, il solfato e il cloruro di sodio, di cui ho usato solo L’ influenza di alcune soluzioni saline 207 le concentrazioni ottime: M/90 e M/60. Mentre nel cloruro di sodio si compiono, questa volta, 6 emissioni (in generale sono sempre solo 5 e anche in questo caso è appena 1 il numero dei Cyclops che compiono in 20 giorni la 6° emissione) nel sol- fato di sodio 5 volte i Cyclops emettono le uova (1 volta di più di quello che accade comunemente nell’acqua) ma alla 5° emis- sione arriva appena 1 individuo. Se si considera però ogni singola emissione, nel solfato di sodio il numero dei giorni impiegato a compiere una emissione è minore che nell’ acqua, e il numero degli individui è maggiore. Così alla 2° emissione arrivano in 15 giorni tutti e 10 i Cy- clops, ciò che non si riscontra ordinariamente nell’ acqua; alla 3° in 20 giorni giungono 8 individui, alla 4°%, 5, e alla 5°, 1. Si può quindi ammettere una azione del solfato di sodio sopra la deposizione e l’ emissione delle uova nei Cyclops, azione di poco discosta da quella dell’acqua in un senso, e del cloruro di sodio M/60 nel senso opposto. La soluzione ottima (*) è M/90 che può nello stesso tempo considerarsi anche come soluzione massima, dato che a M'30 i Cyclops muoiono dopo la prima deposizione; la soluzione limite è M/250. - KCI - Le osservazioni col cloruro di potassio seguirono quelle col cloruro di sodio, allo scopo principalmente di fare subito il confronto fra questi due sali. I primi risultati però furono asso- lutamente negativi: anche a soluzioni molto più diluite di quelle adoperate per il cloruro di sodio, non riuscivo a far vivere i Cyclops nel cloruro potassico - tanto che, creduto impossibile ottenere qualche risultato, abbandonai gli esperimenti con questo sale per lungo tempo. in seguito però volli ritornare sulle stesse prove e ottenni risultati abbastanza interessanti, per quanto meno intensi di quelli con cloruro di sodio. Nelle prime prove avevo osservato che i Cyc/ops muoiono subito alla concentrazione M/60, (1) La spiegazione dei termini ottima, limite, massima, vedi a pag. 209 208 Rosa Urbinati e anche in M/600, dopo qualche giorno di vita molto stentata; ad M/1200 vivono e depongono una volta le uova; dopo qualche tempo però muoiono come in M/15 NaCI. Nei nuovi esperimenti partii da una soluzione molto più diluita, M/4800; con questa concentrazione però non ottenni, come si può vedere dalla Tabella V, risultati che dimostrassero in alcun modo che questo sale ha azione benefica sulla deposizione delle uova; questa fun- zione avviene in tale ambiente pressa poco come nell’ acqua. Dopo 5 giorni nei due vasi con acqua, 8 Cyclops hanno deposte le uova e 7 nel terzo; in cloruro potassico dopo questo tempo si ha pure lo stesso risultato. Facendo la somma dei Cyclops dei 3 vasi con liquido uguale tanto per l’acqua come per il sale per osservare brevemente ciò che avviene ogni giorno, si vede che non esiste alcuna differenza essenziale, fra 1’ azione dell’acqua e quella del cloruro potassico. Infatti la differenza fra il numero degli individui che hanno deposte le uova è nulla per 2 giorni (su 5) e per 3 giorni è di uno in più, una volta per il cloruro potassico e 3 per l’ acqua. Mi arrestai dopo il 5° giorno senza aspettare la deposizione delle uova di tutti i Cyclops e posi gli otto individui che erano senza uova in M/2400; dopo 4 giorni li trasportai di nuovo a una concentrazione maggiore, M/1200, e constatai che, quando i Cyclops sono stati per qualche giorno in soluzioni più diluite, possono vivere anche a lungo in M/1200. (In concentrazioni più forti, per esempio M/600, anche seguendo il metodo su esposto non è possibile far vivere i Cyc/ops, che muoiono per quanto meno rapidamente di quando vi vengono trasportati di- rettamente dal loro ambiente naturale). I Cyclops che sopportavano la soluzione M/1200 ch’io volevo confrontare coll’ acqua, si trovavano in condizioni diverse da quelli presi dall’acquario per gli altri esperimenti avendo già compiuta una prima deposizione a M/4800; inoltre nei 4 giorni che erano vissuti in M/2400 due di essi avevano poste nuove uova. Analogamente, quelli che si trovavano in acqua potabile per il confronto, tre pure erano arrivati alla seconda emissione. Separai questi 5 Cyclops, e partii per il mio nuovo esperi- mento con 5 individui per l’acqua e 6 per il cloruro di potassio. Dalla Tabella XVI risulta che dopo 8 giorni, i 6 Cyc/ops col clo- L’influenza di alcune soluzioni saline 209 ruro potassico hanno tutti compiuta la 2* emissione; alla 3* poi arrivano 3 in 11 giorni, e 2 alla 4*. Confrontando con i risultati ottenuti con acqua, che sono sempre simili a quelli degli altri esperimenti, risulta una leggera differenza in senso favorevole per il sale; questo dimostra che anche il KCI è attivo; lo è meno del cloruro di sodio, se si considera il fatto assolutamente, senza tenere conto che esso può essere adoperato solo in solu- zioni molto diluite. I risultati ottenuti con questo sale, più che per l'emissione delle uova, sono interessanti perchè dimostrano che dopo un pe- riodo preliminare d’ adattamento si può arrivare a far vivere i Cy- clops in soluzioni, che sono per essi assai velenose, quando vi siano trasportati direttamente dal loro ambiente naturale. - HgCl, - Fra tutte le sostanze che affrettano la deposizione e l’emis- sione delle uova nel Cyc/lops macrurus, il cloruro di mercurio è quello che agisce in soluzione più diluita - gli effetti prodotti da questo sale sono però meno intensi, di quelli ottenuti col cloruro di ferro e coll’acido cloridrico. Il cloruro di mercurio è velenoso per i Cyclops ad un grado di concentrazione debolis- sima, fino a M/12 x 10° essi vivono al massimo due o tre giorni; solo a M/12 x 10° è possibile la vita per un tempo indeterminato e si manifesta l'influenza del sale. Nella Tabella XXI rappre- sentante i risultati che riguardano il sublimato, si vede che il massimo numero (6) di emissioni si ha, tanto a M/12 x 10% come a M/12x 10°; in quest ultima concentrazione però è sempre maggiore il numero degli individui che compiono le diverse emis- sioni; a M/12x 10", soltanto cinque volte i Cyc/ops emettono le uova, e a soluzioni più diluite gli effetti del sale scompaiono completamente; nelle concentrazioni maggiori di M/12 x 10% perdurano fino a M/12 x 10°, in cui si hanno 5 emissioni. L’influenza del cloruro di mercurio aumenta dunque col- l’aumentare della diluizione, fino ad un determinato punto, al di là del quale diminuisce più rapidamente di quanto era cre- sciuta. È M/12x10° la soluzione ottima, M/12x<10°% limite e M/12x 105 massima. 210 Rosa Urbinati Dato l'immenso grado di diluizione a cui il sublimato è attivo, anche se gli effetti che esso produce non sono molto in- tensi, la sua azione può dirsi più forte di tutte le altre studiate. I risultati di questi esperimenti superano di gran lunga quelli che con questo stesso sale lo ScHurz ha ottenuto sui microrga- nismi della fermentazione alcoolica; infatti la soluzione ottima per i Cyelops è M/12 x 10° vale a dire un grammo su quarantacinque miliardi di grammi e ancora a M/12 x 10" (un grammo su 450 miliardi) si ottengono effetti, per quanto meno intensi, pure evi- - - - nd _ — -_ Ì I ' I ' I Ù ì I Ù ' Ù Ù) Ù ' ' ' ' ' ' Ù I Ù I I \ I ' I ' l ' ] ' \ Ì Ù U LI ' ì ' ' U acqua HgCla M/i20.000-900000 =—M/2.000-009-000 _—M/1:200-000-000 M/n0:000-000 M/2.000.000 Fig. 4. denti, mentre per lo ScHuLz l’ottimo oscilla fra 1 su 500.000 e 1 su 1.000.000. Il cloruro di mercurio, forse il più forte di tutti i veleni salini, esercita dunque un’influenza benefica sulla vita dei Cyclops quando venga adoperato in quantità piccolissime, quan- tità che la mente non sa raffigurare e a cui si può giungere solo colla diluizione successiva - bastano 22 mg. su 1000 litri per uccidere i Cyc/lops, mentre porzioni 10, 100, 1000, 10.000, 100.000 volte più piccoli (sempre su 1000 litri) aumentano la produzione delle uova. È interessante determinare per questo sale, che agisce in soluzione tanto diluita, qual’è la più piccola quantità assoluta attiva. Poichè in generale la quantità di cloruro di mercurio ado- perata per 10 Cyclops è 30 cmc., la porzione di sublimato che influisce su ogni individuo sarà quella contenuta in 3 cmc.; pel L’influenza di alcune soluzioni saline 211 1 mgr. ’ 150 milioni cola quantità assoluta attiva di cloruro di mercurio, che è stata riscontrata in questi esperimenti. caso della soluzione limite M/12 x< 10°° è la più pic- - MgCI, - L’influenza del cloruro di magnesio sulla deposizione e sulla x emissione delle uova dei Cyclops è assai intensa; la vita in Li Ù I | ' I ' I I 1 Ì Ul [ ' ' I ' I Ù I Ù ' I ' il I a Ù LAI | 1 I î I ì ' ' ' (] 4 acqua _{ L 1 TR acqua _L = = M/20.000 MgClg M/13.000 M/,209 M/110 M/e0 M/120.009 MgCii M/12.000 M/1.300 M/120 Fig. 5. questo sale è possibile in concentrazioni più forti, in generale, che nelle altre sostanze studiate. Ad M/15, i Cyc/ops vivono al massimo qualche ora, a M/60 depongono le uova più in fretta che nell'acqua, ma dopo 6 o 7 giorni di vita stentata, muoiono invariabilmente; ad M/120 e ad M/1200 si manifesta con evidenza l’azione del sale, che diminuisce a M/12.000 e diventa quasi nulla a M/120.000. Determinate coll’ esperimento rappresentato dalla Tabella XI, le soluzioni attive, nella prova seguente, rappresen- tata dalla Tabella XX, ho studiato la differenza nel numero delle emissioni, in uno stesso tempo, in tutte le diverse soluzioni su esposte. Si vede dalla Tabella XX, che in 20 giorni i Cyc/lops hanno rimesse le uova 4 volte come comunemente accade nel- l’acqua; ma se si confronta (anche con altre prove) il numero 212 Rosa Urbinati degli individui e il numero dei giorni nelle singole emissioni, si nota una considerevole differenza - così alla 2° emissione nell'acqua sono arrivati in 19 giorni tutti i 10 Cyce/ops, mentre nel sale l'hanno compiuta in 16 giorni; per la 3° volta hanno rimesse le uova 5 individui nell'acqua e 8 nel sale, per la 4* 2 e 5. Ad M/1200 e ad M/12.000 si hanno 5 emissioni, ma nella concentrazione più forte sono più intensii risultati; ad M/120.000 nuovamente solo 4 volte i Cyc/ops emettono le uova, Il azione del sale a questa concentrazione è debolissima. Si ottengono ri- sultati un po’ più forti che nell’ acqua e un po’ più deboli che ad M/12.000. Già a M/60, come si vede nella Tabella XI si manifesta l’ influenza dannosa del cloruro di magnesio, influenza meno intensa però di quella esercitata dalle concentrazioni mag- giori: infatti le prima deposizione avviene più in fretta che nel- l’acqua, ma occorrono 5 giorni perchè tutti e 10 i Cyc/ops |’ ab- biano compiuta, mentre in M/120 bastano 4, e 3 solianto a M/1200. L’azione del cloruro di magnesio non aumenta dunque coll’ aumentare della concentrazione, ma cresce col crescere delle diluizioni fino a un determinato punto, al di là del quale torna nuo- vamente a diminuire, ciò che si vedrà anche per il cloruro di ferro. Delle soluzioni adoperate può dirsi ottima M/1200, massima M/120 e Zirzite M/120.000. MGACi, <= Contrariamente a tutte le sostanze sin qui studiate, il clo- ruro di calcio non ha influenza nè positiva nè negativa sulla deposizione e sull’ emissione delle uova nei Cyc/ops. Questo sale è velenoso anche a concentrazioni molto deboli; a M/180 i Cyc/ops vivono per un giorno o al massimo due, a M/1800 qualche volta fino a 4 o 5 giorni, a M/18.000 per un tempo indetermi- nato, ma depongono ed emettono le uova con la stessa rapidità riscontrata nell'acqua; il medesimo fatto si osserva anche a M/1800 nel tempo in cui i Cyclops durano in vita. Se si con- fronta però il numero dei nati dai Cyc/ops posti in esperimento nel sale e nell’acqua, si osserva una notevole differenza in meno nel cloruro di calcio. Per quanto ho detto sopra, ciò prova che [N la mortalità in detto sale è assai maggiore che nell’ acqua. L’influenza di alcune soluzioni saline 213 - FeCI,, HCI, Fe,(SO,),, FeSO, - Differentemente dal cloruro di sodio la cui azione, come ho già detto, mi si è manifestata subito evidentemente, i primi espe- rimenti col cloruro ferrico mi hanno dato risultati assai incerti e confusi. Gli allevamenti in questo sale mi sono riusciti da prima difficili, e molto varie furono le prove prima di poter giun- gere a colture, che dessero un risultato evidente ed intenso. L’azione di questo sale è più forte di quella del cloruro di sodio e della maggior parte delle altre sostanze adoperate; esso agisce in soluzioni assai più diluite del cloruro di sodio. Anche per il cloruro ferrico ho curato da principio solo la prima deposi- zione delle uova come risulta dalla Tabella VI. Essendo forza al solito graduare le concentrazioni a caso, sono partita da una so- luzione molto concentrata e da questa per tentativi, ne ho pro- vate altre; dal confronto fra queste soluzioni adoperate ho po- tuto stabilire quale sia l’ottima. È M/12 la soluzione da cui sono partita, a questa concentrazione però i Cyclops muoiono dopo mezz’ ora o poco più, in M/60 durano in vita qualche ora, bisogna arrivare fino ad M/120 perchè possano vivere per qualche giorno; in questa soluzione però non accade come nella solu- zione massima M/15 del cloruro di sodio, dove la deposizione è più rapida che nelle altre soluzioni, ma è assai stentata e lenta, tanto che non ho considerato negli esperimenti questa concen- trazione. Le soluzioni di cui mi sono servita nell’ esperimento rappresentato dalla Tabella VI sono: M/1200, M/2400, M/12.000, M/120.000. L’ azione di queste soluzioni non è ordinata come quella delle soluzioni di NaCI, l’effetto del cloruro ferrico non aumenta coll’ aumentare della concentrazione, ma a par- tire dalla soluzione ottima diminuisce in tutte e due le direzioni (nel cloruro di sodio invece, se la vita fosse possibile a concen- trazioni più forti della concentrazione M/60, gli effetti sarebbero più intensi). Osservando la Tabella VI, si può seguire la diffe- renza di azione delle diverse soluzioni sopra segnate e del- l’acqua. In M/1200 dopo 4 giorni tutti e 10 i Cyc/lops di due vasi hanno deposto le uova e dopo 5 giorni anche quelli del terzo, la media per giorno della deposizione oscilla fra il 2 e il 3, come RI 214 Rosa Urbinati si può vedere seguendo i cambiamenti in uno di questi vasi, per esempio nel primo. Dopo il primo giorno due individui hanno deposto le uova, 4, contando sempre anche quelli del giorno precedente, il secondo giorno, 7 il terzo, 10 il quarto. In M/2400 bastano tre giorni perchè tutti i Cyc/ops di due vasi ab- biano deposto le uova e quattro giorni perchè anche nel terzo si sia giunti al medesimo punto: infatti dopo il primo giorno già tre Cyclops hanno deposto le uova, 6 dopo il secondo, 10 dopo il terzo. In M/12.000 dopo due giorni tutti i Cyc/ops di due vasi hanno deposto le uova. Considerando adesso i vasi con acqua, si ha invece che occorrono otto giorni perchè tutti e 30 i Cyc/ops abbiano compiuta la prima deposizione. Dopo M/12.000 ho pro- vato altre soluzioni, ma l’azione del cloruro ferrico va dimi- nuendo rapidamente in soluzioni più diluite, tanto che a M/120.000 è quasi nulla. Vi è dunque un salto molto rapido e deciso. Da quanto ho detto e dalla Tabella VI mi sembra risulti abbastanza evidente l’azione di questo sale; è già grande la differenza fra l’acqua e la soluzione M/1200, occorrono infatti 4 giorni in più nell'acqua perchè i Cyclops raggiungano le stesse condizioni che si verificano nel sale, 5 giorni di differenza si hanno poi fra l’acqua e M/2400, e 6 fra l’acqua e M/12.000. La distanza fra le diverse soluzioni è abbastanza considerevole, correndo sempre fra esse un giorno di differenza. L'ultima soluzione M/12.000 è quindi l'ottima, si può considerare come limite M/120.000 e come massima (senza tener conto della deposizione, ma solo della possibilità di vita) M/120. L’ottima non è dunque media fra queste due, ma è molto più lontana dalla soluzione più forte di quello che non lo sia dalla più debole. Da quanto ho su esposto si capisce facilmente che se il cloruro ferrico agisce sopra le emissioni e le deposizioni successive colla stessa intensità mani- festata per la prima deposizione, esso condurrà necessariamente a risultati molto più forti di quelli ottenuti col cloruro di sodio. Ritorniamo alla Tabella XVII per studiare appunto l’azione di questo sale sul numero di volte che i Cyc/ops emettono le uova; al solito in questo esperimento mi sono servita soltanto della concentrazione ottima; l'esperimento è stato preparato triplo, ma per brevità mi riferisco, nelle osservazioni che qui ne traggo, ai primi 10 soltanto. 1% rio L’influenza di alcune soluzioni saline 215 Dopo 19 giorni i Cyclops nel sale hanno rimesso 7 volte le uova, mentre sono arrivati solo alla 4* emissione nell’ acqua potabile: seguendo ogni singola emissione senza curare le de- posizioni, vediamo che dopo il 6° giorno tutti e 10 i Cyc/ops del cloruro ferrico hanno emesse le uova per la 2* volta, al 15° giorno per la 3* volta; dopo 19 giorni 8 individui hanno già compiuta la quarta emissione, e di questi, 6 hanno già deposte Ù i ' LI i I ' ' ' ' ' ' I ' LI ' SOTA ' ' ' I ' I ‘ I I ì I [ I ' ' I ' I Li ' I I I I ' ' ' ' ' ( I ' ' ' 1 ' ' { ' ' ' ' I ' ' ' ' scoma SPARA A e pid acqua FeCls = My/is.son M/as00 /nsco M/120.000 FeCls M/12.000 M/1.200 Fig. 6. e già rimesse le uova per la 5° volta, 3 per la 7°. Nell’ acqua i Cyclops sono arrivati alla 4°, hanno cioè emesse le uova un numero di volte circa metà di quelle del cloruro ferrico, inoltre per la 2* emissione sono stati necessari 19 giorni perchè tutti e 10 l’avessero compiuta; alla 3* sono arrivati appena 5 e alla 4°, 3. Oltre essere grande la differenza fra il numero delle emis- sioni, è grande anche la differenza fra il numero degli individui che arrivano a queste stesse emissioni. Se si pensa che al soluzione ottima adoperata è M/12000, ci si rende conto della grande azione del cloruro di ferro anche in quantità piccolissime; basterebbe infatti porre grammi 1,35 in 100 litri di acqua potabile, per rendere l’ambiente sensi- bilmente cambiato e per ottenere conseguenze assai visibili e Bios 15 216 Rosa Urbinati importanti. A questo proposito può sorgere un dubbio: che cioè la soluzione adoperata abbia in realtà una concentrazione diversa da quella supposta perchè il cloruro ferrico potrebbe essersi depositato sopra le lemne; si vedrà in seguito che realmente esso è attivo a questa concentrazione in esperimenti preparati a digiuno, senza lemne. A questi esperimenti col cloruro ferrico seguirono immedia- tamente prove coll’ acido cloridrico e coi solfati ferrico e ferroso, e ciò perchè, essendo il cloruro ferrico tanto facilmente scompo- nibile, ho voluto assicurarmi che realmente i risultati ottenuti fossero dovuti al sale e non all’ acido prodotto dalla sua altera- zione. Preparai quindi un esperimento di confronto per il clo- ruro ferrico e l'acido cloridrico e credetti opportuno aggiungere anche i solfati ferrico e ferroso per determinare se questo me- tallo è attivo anche in altri composti. In tale esperimento non mi fermai alla prima deposizione, ma spinsi subito le mie osser- vazioni al numero delle emissioni. Prima però di poter giungere a questo esperimento complesso, ho dovuto naturalmente ese- guire vari esperimenti preparatorî, per graduare le soluzioni d’acido cloridrico e dei solfati. Le colture in acido cloridrico mi riuscirono alle prime prove, in quest acido i Cyclops vivono assai bene a concentrazioni abbastanza forti. A_M/400 non è pos- sibile la vita che per qualche ora, ad M/4000 si hanno gli stessi effetti di poco attenuati, ad M/8000 i Cyc/ops vivono bene e de- pongono le uova assai più rapidamente che neil’ acqua potabile. Da M/80.000 l’ azione dell’acido cloridrico va gradatamente scom- parendo. Posso quindi dire per questo acido quello che ho già detto per il cloruro di sodio, che aumentando la concentrazione aumenta la sua azione. La Tabella VIII rappresenta l’ esperimento in cui sono confrontate le diverse soluzioni su esposte dell’acido cloridrico. Facendo la somma ogni giorno degli individui che hanno deposto le uova in ciascuno dei gruppi dei tre vasi con li- quidi uguali, si vede che di 30 individui il primo giorno 13 hanno deposto le uova in M/8000, 12 in M/80.000; il secondo giorno i Cyclops senza uova diventano 16 in M/8000 e 14 in M/80.000, il terzo giorno 22 e 18, il 4° 29 e 20, il 5° 30 e 26, il 6° giorno L’influenza di alcune soluzioni saline 217 ancora un individuo in M/80.000 ha le uova che depone poi il 7° giorno. L’azione di M/80.000 è assai inferiore di quella M/8000, la deposizione delle uova avviene a questa concentrazione press’a poco come nell'acqua. La soluzione M/8000 è dunque l'ottima ed è anche la solu- zione massima; e da essa (*) infatti che comincia la possibilità di vita; la limite è M/80.000 Senza riportare le prove che mi sono servite per graduare le soluzioni dei solfati ferrico e ferroso dico che le soluzioni adoperate, riconosciute come ottime, sono M/24.000 per il solfato N aqua ———_—____ aqua —__—_+— acquar.________ M/0.000 HC1 M/8%.000 M/s0.000 HCl M/g.000 M/50,000 HCI M/g.000 Eiosad ferrico e M/12.000 per il solfato ferroso. Anche in queste solu- zioni però non si hanno risultati molto intensi, la prima deposi- zione avviene nel solfato ferrico in generale dopo sei giorni, come accade qualche volta anche nell’ acqua; nel solfato ferroso avviene più lentamente che nel ferrico - inoltre nel solfato fer- roso a M/1200 i Cyc/ops vivono male, con movimenti assai rari e lenti. La Tabella XIX rappresenta l’ esperimento di confronto fra il cloruro ferrico, i solfati e l’acido cloridrico. Si vede da questa tabella che in 20 giorni i Cyc/ops dell’acqua sono arrivati a 4 emissioni, in 7 giorni hanno compiuta la 1% deposizione tutti e 10; alla 2° emissione sono arrivati in 18 giorni 10 Cyc/ops e di questi 10, 6 in 20 giorni hanno compiuto anche la 3° e 3 anche (1) Vedi a pag. 200 la spiegazione dei termini: offimza, limite e massima. 218 Rosa Urbinati la 4°. Considerando adesso contemporaneamente l’acido cloridrico e il cloruro ferrico vediamo che in 20 giorni nel sale i Cyclops sono arrivati alla 7° emissione e nell’acido alla 6°. La prima deposizione si compie nell’ acido cloridrico con un giorno di più che nel cloruro ferrico, in quest’ultimo alla seconda emissione arrivano tutti e 10 i Cyclops in 7 giorni, e nel primo invece in 8; alla terza emissione arrivano i 10 Cyclops nel sale dopo 15 giorni e nell’acido dopo 18, mentre poi alla 4* emis- sione nel cloruro ferrico arrivano 9 individui e 5 alla quinta e 4 alla sesta; nell’acido cloridrico giungono solo © alla quarta, 3 alla quinta e 1 alla sesta. Vi è quindi differenza nel numero dei giorni e differenza nel numero degli individui. Nel solfato ferrico i Cyclops arrivano alla 5% emissione per quanto lentamente, si ha quindi un effetto sensibile in confronto al- l’acqua e quest’ effetto risulta più spiccatameute seguendo le sin- gole emissioni e le successive deposizioni. La seconda emissione di tutti e dieci i Cyclops avviene in 12 giorni, 9 Cyclops poi in 20 giorni arrivano alla 3%, 5 alla 4% e 2 alla 5°; il solfato fer- rico ha quindi azione meno intensa dell’ acido cloridrico e meno ancora del cloruro ferrico. Se consideriamo ora i risultati otte- nuti col cloruro ferroso vediamo che essi sono simili a quelli dell’ acqua. Riepilogando dunque, l’azione più intensa è prodotta dal cloruro ferrico, poi, in ordine, dall’ acido cloridrico, dal solfato ferrico e in ultimo dal solfato ferroso. Quindi tanto il sale come l'acido hanno effetto benefico sulla vita dei Cyc/ops. Nel solfato ferrico si hanno risultati meno intensi e meno intensi ancora nel solfato ferroso. L’azione benefica del ferro in questi due ultimi casi po- trebbe essere controbilanciata dall'azione dello zolfo che po- trebbe essere dannosa, dato che esperimenti eseguiti col sol- fato di sodio danno risultati, come si è visto meno, intensi di quelli ottenuti col cloruro di sodio. » AIGIAL Contrariamente agli altri cloruri adoperati, il cloruro d’allu- minio non affretta la deposizione e l'emissione delle uova nei n L’influenza di alcune soluzioni saline 219 Cyclops, tali funzioni avvengono in questo sale con grande stento e più lentamente che nell’acqua potabile. Il cloruro d’ alluminio è molto velenoso, ma non più però di altre sostanze adoperate, anzi in esso è possibile la vita in soluzioni più concentrate di quelle per esempio del cloruro di mercurio. In generale si può dire di questo sale che la sua azione aumenta coll’ aumentare della concentrazione. Adoperando soluzioni molto diluite, cessa la sua influenza dannosa. Ad M/60 non è possibile la vita che per qualche ora, ad M/120 i Cyelops muoiono dopo qualche giorno, la maggioranza senza aver deposte le uova, ad M/1200 è possibile la vita: è a questa concentrazione che si manifesta evidentemente l’azione del cloruro d’alluminio che persiste an- cora a M/12.000; ad M/120.000 si hanno gli stessi risultati del- l’acqua potabile. Se si osserva la Tabella XII, si può vedere che la prima deposizione nel cloruro d’alluminio non avviene con grande dif- ferenza di tempo di quello che sia necessasio perchè si compia nell’acqua: corrono appena 2 giorni di differenza; |’ azione del sale poi si manifesta pressa poco con la stessa intensità in tutte le soluzioni attive, correndo solo un giorno fra M/1200 e M/12.000; si osserva inoltre che la differenza fra l’acqua e il clo- ruro d’alluminio M/1200 si fa più intensa col crescere del tempo; mentre infatti (facendo al solito la somma di tutti e tre i vasi con liquido uguale) la differenza nei tre primi giorni è nulla, diventa di 1 nel quarto, di 2 nel quinto e nel sesto, e di 5 nel settimo giorno. Il cloruro d’ alluminio ritarda dunque assai debolmente la 1° deposizione delle uova nei Cyclops; esten- dendo però l'osservazione al numero di volte che emettono le uova in questo sale, si ottengono risultati che mostrano chiara- mente come in realtà esso abbia una grande influenza sulla vita dei Cyclops, influenza che diventa sempre più dannosa col cre- scere del tempo. Prima di parlare degli esperimenti in proposito mi fermo sulle prove d’ adattamento in soluzioni molto concen- trate che ho per questo sale curate più di quelle simili del clo- ruro potassico; accertatami che anche in concentrazioni piuttosto forti si ottengono pel cloruro d’alluminio risultati negativi, ho creduto più interessante determinare in qual maniera e in quanto tempo possono abituarsi i Cyc/ops in ambienti velenosi. 220 Rosa Urbinati Come ho già detto, in M/120 i Cyc/lops muoiono dopo 2 o 3 giorni al massimo; coll’adattamento graduale per mezzo di soluzioni più diluite sono riuscita a farli vivere fino a 6 giorni. Contemporaneamente alle prove per M/120, ne ho tentate per la soluzione M/60. Ecco come ho operato: Pescati 40 Cyc/ops indifferentemente con o senza uova e presi due vasetti di forma identica di quelli usati per gli altri esperi- menti, ma di dimensioni circa doppie, ho posto venti individui in ognuno dei vasi con la soluziane M/12.000 di cloruro d'’ allu- minio - li ho lasciati in questa concentrazione due giorni, poi li ho trasportati, senza curarmi se nel frattempo fossero avvenute deposizioni ed emissioni, a M/1200 dove sono rimasti per cinque giorni, quindi li ho posti a M/120 dove mi sono vissuti tutti fino alla sera del terzo giorno; al mattino del quarto, cinque avevano già risentita l’azione velenosa del sale, nel pomeriggio dodici; e al mattino del sesto giorno erano tutti morti. Così ho agito con il vasetto per le prove per M/120, per quello di M/60 ho operato nella stessa maniera, se non che arrivata a M/120 ho lasciato i Cyc/ops in questa soluzione due giorni quindi li ho trasportati ad M/60, a tale concentrazione non ho ottenuto in questa prova buon risultato, probabilmente perchè i Cyclops trasportati da M/120 (soluzione. a cui non erano ancora suffi- cientemente preparati) si trovavano già in cattive condizioni. Ho quindi ripetuto lo stesso esperimento nelle stesse con- dizioni con la medesima soluzione M/12.000, ho variato invece il numero dei giorni per quelle concentrazioni in cui mi è sem- brato opportuno un maggiore o minor soggiorno in esse dei Cyclops. A M/12.000 li ho lasciati al solito due giorni, da M/1200 invece li ho tolti dopo 10 giorni ed ho ottenuto così che in M/120 sono vissuti benissimo fino al mattino del sesto giorno; nel pomeriggio hanno cominciato parecchi a muoversi lenta- mente, la sera due già erano morti, poi lentamente tre o quattro al giorno, dopo aver stentato per qualche ora, hanno cessato di vivere. Per M/60 ho lasciato i Cyclops egualmente in M/12.000 per due giorni, i M/1200 invece dodici, da M/120 ho creduto bene L’ influenza di alcune soluzioni saline 221 toglierlii dopo un solo giorno. Trasportati dopo questi passaggi in M/60 mi sono vissuti tutti benissimo fino alla sera del primo giorno, il mattino seguente li ho trovati però tutti morti - quando invece si trasportino i Cyc/ops direttamente dal loro ambiente naturale a M/60 nel cloruro d’ alluminio vivono al massimo 4 o'5 ore. Si hanno quindi già in questo esperimento dati sufficienti per poter dire che in questo sale gradatamente i Cyclops si adattano a soluzioni velenose; con maggior tempo, adoperando anche soluzioni intermedie a M/12.000, M/1200 e M/120 forse si potrebbe riuscire a farli vivere in quest ultima soluzione per un tempo indeterminato - già nella prova sopra esposta i Cyclops sono vissuti tanto in M/120 come in M/60 un tempo doppio di di quello che durano in vita quando in queste soluzioni ven- gano trasportati direttamente. Ritornando ora agli esperimenti che riguardano le emissioni delle uova espongo brevemente e generalmente i risultati senza riportare la tabella e senza fermarmi lungamente sull’ esperimento. Nel cloruro d’ alluminio, avvenuta la prima deposizione delle uova, in buona parte i Cyclops non le emettono più neppure per una sola volta: così per esempio di 10 individui, 6 soli in venti giorni sono arrivati alla seconda emissione, la deposizione suc- cessiva avviene con grande lentezza e alla 3° emissione in tutto questo tempo giungono appena 2 Cyclops. Per questo esperi- mento mi sono servita della soluzione M/1200 in cui ho posto direttamente i Cyclops presi dalla natura senza prima tenerli (come ho fatto per il cloruro potassico) a soluzioni più diluite, vale a dire non mi sono servita delle prove d’adattamento, che ho solo riportate prima perchè hanno dato risultati più inte- ressanti per questo sale di quelle per l’ emissione delle uova. ESPERIMENTI DIVERSI - ADATTAMENTO. In tutte le prove finora esposte ho studiato l'influenza di alcuni sali a determinate concentrazioni su Cyclops tolti dall’ am- biente naturale a maturità sessuale completa; negli esperimenti che esporrò in questo capitolo ho invece cercato di stabilire se 222: Rosa Urbinati Mi Cyclops nati e cresciuti in soluzioni saline risentono ancora, giunti al periodo della produzione delle uova, l'influenza del sale stesso. Per tali esperimenti mi sono servita soltanto di quelle sostanze che mi hanno dato nelle prove prima descritte risultati più intensi e più sicuri. Ecco come ho operato: In cinque apparecchi per gli esperimenti a lunga durata ho posto cloruro di ferro, acido cloridrico, cloruro di mercurio, clo- ruro di sodio, tutti alle concentrazioni ottime, e acqua: in ogni vaso ho messo 20 Cyc/lops con uova. Dopo un mese e mezzo circa i piccoli Cyclops, nati da quelli posti in esperimento, avevano raggiunto la maturità e molti portavano già i sacchi ovarici. Ho pescato allora in ciascun sale 20 individui con uova, e di questi, 10 ne ho posti in acqua e 10 nello stesso sale alla medesima concentrazione, quindi giorno per giorno ho seguito la deposizione e l’emissione delle uova negli altri esperimenti; ho operato similmente anche per i Cyc/ops nati nell’acqua, vale a dire ne ho posti 10 nuovamente in acqua e 10 nel cloruro ferrico. Non riporto la tabella dei risultati ottenuti con questi ultimi 20 Cyc/ops, risultati molti simili a quelli già esposti per le prove di confronto fra l’acqua e il cloruro di ferro; e gli altri esperimenti coi Cyclops nati nei sali diversi sono rappresentati in un'unica Tabella XXIi; in questa tabella ai risultati di ogni vaso col sale, dovrebbero, per quanto ho detto, corrispondere quelli di un vaso con acqua; sono riportati invece i cambiamenti di uno solo dei gruppi di 10 Cyc/ops nell'acqua, avendo ottenuto negli altri 3, risultati assai simili. Facciamo il confronto fra la Tabella XXII e le tabelle rap- presentanti i risultati di tutti gli altri esperimenti per arrivare alle conclusioni cercate. Nelle prove descritte nei capitoli prece- denti nell'acqua comunemente i Cyc/ops sono sempre arrivati in venti, giorni alla 4° emissione; nelle prove sopra esposte hanno invece emesse le uova solo 3 volte (in uno solo dei vasi con acqua di cui non sono riportati i risultati, i Cyc/ops sono arri- vati a emettere 4 volte le uova); nel cloruro di ferro invece di 7 emissioni se ne hanno solo 6, nel cloruro di mercurio 5 in- vece di 6, nel cloruro di sodio lo stesso numero di volte i Cy- clops emettono le uova. Inoltre in queste nuove prove è sempre » * i 4 Fic. 8. - Ovarî di Cyc/ops (tutti allo stesso ingrandimento) - 1, 3 giorni in acqua - 2, 3 giorni in FeCls - 3, 19 giorni in acqua - 4, 19 giorni in FeClz (da due sezioni vicine). L’influenza di alcune soluzioni saline 225 maggiore il numero dei giorni e minore il numero degli in- dividui in ogni singola emissione. Così occorrono 2 o 3 giorni di più nel cloruro ferrico perchè tutti 10 e i Cyc/ops abbiano compiuto la seconda emissione, 3 o 4 giorni di più nella terza e c’è la differenza di uno o due nel numero di individui che arrivano in 20 giorni alla 4%, alla 5*% e alla 6* emissione. Più grande ancora è la distanza che passa fra gli effetti prodotti dall’ acido cloridrico in tutti gli esperimenti finora descritti e in quelli esposti in questo capitolo - bastano infatti generalmente 8 o 9 giorni (invece di 14) perchè si abbia completa la 2° emis- sione, 16 o 18 (invece di 20) per la 3* Nel cloruro di mercurio c'è sempre la distanza di 6 07 giorni nella 2° emissione, di 3 o 4 nella 3°, di 2 o 3 individui nella 4* e di 1 o 2 nella 5°. Contrariamente a tutti gli altri sali, non si osservano per il clo- ruro di sodio considerevoli differenze nel numero delle emis- sioni, degli individui e dei giorni. Da tutto quanto ho sopra esposto, risulta che i Cyclops nati e cresciuti in sali che affrettano la deposizione e l'emissione delle uova, risentono ancora, giunti a maturità, l'influenza dei sali stessi; quest influenza è un poco meno intensa, per quanto, evidente, di quella esercitata dalle medesime soluzioni saline in individui tolti adulti dalla natura - ciò prova che lentamente i Cyclops si abituano solo in scarsissima misura al nuovo am- biente; però, anche questo parziale adattamento non può considerarsi come legge assoluta: nel cloruro di sodio si è visto infatti che si ottengono anche in queste prove risultati simili a quelli già osservati negli altri esperimenti. Fra tutte le sostanze adoperate è l’ acido cloridrico quella in cui si ha il maggiore adattamento, nelle altre si ha press’a poco la medesima diminu- zione degli effetti. Si è inoltre visto, che i Cyc/ops nati nel sale, portati adulti nell’acqua, compiono le emissioni e le deposizioni delle uova assai più lentamente di quello che accade quando vengano trasportati direttamente dalla natura; anche questo fatto sta ad attestare un adattamento dei Cyc/lops al sale, provando che i Cyclops cresciuti in soluzioni saline ne risentono la man- canza quando vengono trasportati nell’ acqua, tanto da compiere più stentatamente la deposizione e l’ emissione delle uova. PI, 226 Rosa Urbinati ESPERIMENTI A DIGIUNO. Scopo di questi esperimenti a digiuno fu di verificare, come ho già detto in un altro capitolo, se in realtà le so- stanze studiate hanno influenza sulla vita dei Cyc/lops alle soluzioni preparate, o se, depositandosi sopra le lemne, agi- scono ad una concentrazione diversa e maggiore di quella sup- posta. In tali prove, che seguirono immediatamente quelle ri- guardanti il ferro, ho adoperato solo il cloruro di ferro, il cloruro di sodio, l'acido cloridrico (tutti alla concentrazione ottima), e l’acqua; i risultati ottenuti, come si vedrà in seguito, dimostrarono inutile estendere le stesse osservazioni alle altre sostanze studiate. Ho preparato gli esperimenti a digiuno coi soliti metodi, in ogni liquido ho posto 10 Cyclops con uova, solo naturalmente ho lasciato l’acqua e le soluzioni pure senza lemne e giorno per giorno ho seguito l’ emissione e deposizione delle uova in ogni singolo individuo. La mancanza di nutrimento comincia, per quanto debolmente, a influire sulla prima deposi- zione, che avviene con minore facilità e con maggiore impiego di tempo di quello verificatosi necessario per compiere queste stesse funzioni in Cyclops che si trovino in buone condizioni di esistenza. Dalla Tabella XIII si vede infatti che nell’acqua occor- rono 10 giorni perchè tutti e 10. gli individui abbiano deposto una prima volta le uova, ciò che non è quasi mai avvenuto negli altri esperimenti in cui bastano in generale 7 o 8 giorni al mas- simo, e così pure nel cloruro di ferro, di sodio e nell’ acido clo- ridrico sono necessari un giorno o due di più per deporre le uova. Le emissioni successive a questa prima deposizione avven- gono in tutte le sostanze naturalmente a stento, poichè la pro- duzione delle uova è in rapporto diretto colla quantità della nutrizione; però anche in cattive condizioni, quali quelle delle prove in questione, si manifesta evidentemente l’ azione benefica dei sali e dell'acido. Infatti mentre nell'acqua in 16 giorni sol- tanto 3 Cyclops arrivano alla seconda emissione, nel cloruro di ferro nello stesso tempo sei individui giungono alla seconda, L’influenza di alcune soluzioni saline 227 tre alla terza, due alla quarta e uno alla quinta e così fra il clo- ruro di sodio, l'acido cloridrico e l’acqua c'è la differenza di due nel numero delle emissioni. Le sostanze studiate sono dunque attive veramente alla loro concentrazione se la produzione delle uova è minore negli espe- rimenti a digiuno, ciò non dipende dal fatto che in questo caso le soluzioni non potendosi depositare sulle lemne agiscono come più diluite, ma unicamente dalla mancanza di nutrimento. Nessun dubbio può opporsi a tale ipotesi, perchè in queste prove c’è sempre come termine di confronto l’acqua, dove si osserva come in tutti gli altri liquidi una diminuzione nel numero di volte che i Cyclops depongono le uova (in 16 giorni solo 3 individui giungono alla 2° emissione, mentre comunemente nell’ acqua se ne hanno 4). Inoltre se si confrontano fra di loro i diversi liquidi, si verifica press a poco la stessa differenza di velocità nel compiere le funzioni della deposizione ed emissione, già osservata nelle prove con lemne; anche questo fatto conferma l'ipotesi sopra detta, in caso contrario le diverse sostanze non si deposite- rebbero tutte nella stessa maniera e nella stessa quantità, e la diminuzione della produzione delle uova non avverrebbe in maniera proporzionale. Questi esperimenti a digiuno provano pure che l’azione dei sali non consiste nell’ aiutare la digestione e favorire quindi |’ aumento della nutrizione. VELOCITÀ DELLA METAMORFOSI. Le soluzioni saline che aumentano la produzione delle uova nei Cyclops, non hanno alcuna influenza sullo sviluppo delle larve. Negli esperimenti che mi sono serviti per questi studi, sono sempre partita da un unico individuo opportunamente isolato coi metodi già descritti. Da questo Cyc/ops ho staccato i sacchi ovarici e li ho posti uno in acqua potabile, l’altro nella solu- zione salina di confronto, in goccia pendente in camera umida; in tal modo sono stata certa di partire dalle stesse condizioni di maturità delle uova. Sviluppatisi i Nauplius, li ho trasportati, raccogliendoli con un’ apposita pipetta, in un vetrino da orologio (collocato al solito in una camera umida), per agire con una f 228 Rosa Urbinati quantità maggiore di liquido. Immancabilmente il giorno seguente a quello in cui ho cominciato l’ esperimento, ho trovato tanto nell'acqua come nella soluzione salina (qualunque fosse) i sacchi ovarici completamente vuoti; ciò prova che al momento della deposizione i Nauplius sono già sviluppati. Seguendo ogni giorno la trasformazione delle larve non ho osservato alcuna differenza fra quelle cresciute nell'acqua e quelle cresciute nel sale; nel medesimo tempo (in generale nove giorni) ho ottenuto sempre in tutte le condizioni la trasformazione completa dei Nauplius in Cyclops. OSSERVAZIONI ISTOLOGICHE. Nei precedenti capitoli si è è visto che il cloruro di sodio ed alcuni altri sali influiscono sulla vita dei Cyc/ops, affrettando le deposizioni e le emissioni delle uova; resta ora da determi- nare in che cosa consiste l’azione delle sostanze che producono questi effetti. I sali attivi devono evidentemente agire sopra l’ovario o affrettando la maturazione o aumentando la pro- duzione delle uova: solo il confronto delle condizioni diverse di questo organo in individui scelti opportunamente può con- durre alle conclusioni cercate; per tale studio è quindi neces- sario fare preparati in serie di Cyc/lops presi da colture appo- site. Ho cominciato perciò col pescare dai soliti acquari 30 individui con uova, di questi ne ho posti 15 in acqua e 15 nel cloruro di ferro alla concentrazione ottima; ogni giorno ho se- guito, coi mezzi usati nelle altre prove, la deposizione e l’emis- sione delle uova. Il 3°, il 10°, il 18° e il 19° giorno ho preso tanto dall'acqua come dal sale un Cyc/ops con uova ed uno senza; questi 8 Cyc/ops mi sono serviti per lo scopo suddetto. Come si vede ho considerato un unico sale come termine di confronto per l’acqua (ho scelto quello di effetto assoluto mas- simo) sembrandomi giusto ammettere che lazione del cloruro di ferro sia della stessa natura (salvo differenze di intensità) di quella prodotta dalle altre sostanze. I Cyclops del 3° giorno, tanto nell'acqua come nel sale avevano compiuto solo la prima deposi- zione, quelli del 10° erano arrivati nell’acqua alla 2* e nel clo- ruro di ferro alla 4° emissione, quelli del 18° alla terza e alla L’influenza di alcune soluzioni saline 229 6°, e finalmente quelli del 19° alla 4% e alla 7°. Contemporanea- mente a questi ho sezionato Cyclops presi direttamente dal- l’ambiente naturale. Lo studio dell’ovario iu questi ultimi non può condurre, per quanto mi riguarda, a osservazioni interessanti; molto vari sono'gli aspetti presentati da questo or- gano, perchè gli individui presi a caso si trovano in condizioni assai diverse, alcuni avendo naturalmente compiute solo le prime deposizioni, altri le ultime. Si può a questo proposito obbiettare che in tutti i miei esperimenti i Cyclops considerati sono sempre pescati comunque e quindi sempre a vari gradi della loro car- riera riproduttiva. Ciò è indubbiamente vero: si è visto infatti che la deposizione e l’ emissione delle uova non avvengono negli individui posti in esperimento contemporaneamente, non solo, ma che tutti non ne compiono lo stesso numero, alcuni arre- standosi alla 2* emissione, altri alla 3°, altri ancora giungendo fino alle ultime; questi sono evidentemente quelli che all’inizio dell'esperimento si trovavano al principio delia produzione delle uova; constatandosi gli stessi fatti tanto nell’acqua come nel sale, si possono considerare come equivalenti (e quindi farne il confronto) i Cycelops che in un caso e nell'altro compiono il massimo delle emissioni. Queste osservazioni valgono per gli esperimenti fin qui descritti, in cui già del resto il numero degli individui adoperato e i risultati assai simili sempre otte- nuti bastano a far cadere il dubbio, che gli effetti prodotti dai sali siano dati dal puro caso; ma soprattutto dimostrano che bi- sogna basarsi principalmente sopra le condizioni dell’ ovario nel 19° giorno, per potere constatare e attestare in che cosa consiste l’azione delle sostanze attive. Pur dando poca importanza ai preparati del 3° giorno (non si può sapere se i Cyclops del- l’acqua e quelli del sale si trovano in condizioni uguali e con- frontabili, ignorandosi a che numero di emissioni essi sarebbero stati in grado di arrivare), devo dire che negli individui presi dal cloruro di ferro ho visto nell’ovario un numero di uova molto maggiore di quello che ho osservato invece nell’ ovario degli in- dividui presi dall’ acqua. Ciò l'ho constatato in più Cyclops in tutte le sezioni, in alcune delle quali nel ferro le uova grandi e piccole sono tanto abbondanti da occupare, come si può vedere nella figura, quasi tutto il corpo dell’animale. Nei Cyclops presi 230 di Rosa Urbinati alla metà del tempo, ancora si nota maggioranza di uova nel sale, quantunque assolutamente la quantità sia diminuita; alla fine, dopo 19 giorni, si hanno pochissime uova tanto nell’ acqua come nel cloruro di ferro, non sono però scomparse del tutto e, ciò che è importante osservare, la quantità di uova rimanenti nel ferro è maggiore che nell’ acqua. Dato che le emissioni compiute nei Cyclops presi dal sale sono molto più numerose (circa doppie) di quelle a cui sono arrivati i Cyclops presi dall’ acqua; poichè l’ ovario doveva trovarsi all’inizio dell’ esperimento, per quanto sopra è detto, negli individui confrontati pressa poco nelle stesse condizioni, - risulta evidente che il cloruro di ferro e le altre sostanze attive agiscono sull’ovario aumentando la produzione delle uova. Dalle osservazioni sui preparati del terzo giorno sembra poi che la loro azione sia molto rapida. CONCLUSIONI. Alcuni sali, velenosi a forti concentrazioni, in soluzioni di- luite esercitano un’influenza benefica sulla vita del Cyclops ma- crurus SARS; affrettano la deposizione e aumentano il numero delle emissioni delle uova. Le soluzioni saline attive sono com- prese fra due estremi, uno dei quali è rappresentato dalla solu- zione più forte (massima) in cui è possibile la vita; I’ altro dalla più debole (limite) in cui si ottengono ancora dei risultati evi- denti; fra tutte se ne distingue sempre una (ottima) di effetto massimo. Per certe sostanze l’azione cresce col crescere della concentrazione, in questo caso la soluzione ottima è uguale alla massima; per altre invece aumenta coll’ aumentare della dilui- zione (naturalmente fino a un determinato punto, al di là del quale torna nuovamente a diminuire); allora la soluzione ottima si trova a varia distanza fra i due estremi, generalmente sempre più vicino a quello che è rappresentato dalla soluzione limite, in nessun caso però coincide con quest’ultima. Le uova che si formano sotto l'influenza dei sali sono de- stinate a svilupparsi, come lo dimostra il fatto che il numero dei nati nelle soluzioni saline attive è assai più grande di quello dei nati dopo lo stesso tempo nelle medesime condizioni nell’ acqua; 4 L’influenza di alcune soluzioni saline 231 non si tratta di una piccola differenza constatata contando a uno a uno gli individui, ma di una grande maggioranza, che risulta subito dall’osservazione complessiva della massa. Nessuna in- fluenza hanno però le sostanze attive, sullo sviluppo, delle larve, la metamorfosi dei Nauplius in Cyclops compiendosi nel mede- simo tempo tanto nell'acqua come nel sale. Abituando gradatamente i Cyclops a concentrazioni sempre più forti, si può farli vivere anche in soluzioni che riescono loro mortali quando vi siano trasportati direttamente dall’ ambiente naturale. I Cyc/ops nati in soluzione salina, giunti al periodo della produzione delle uova, risentono l'influenza dello stesso sale un poco meno di quando vi vengono trasportati adulti: questi fatti non essendosi verificati per tutte le sostanze, non si può considerare come legge generale che i Cyc/ops lentamente si adattano alla soluzione salina. Le soluzioni saline attive agiscono sopra l’ovario aumen- tando la produzione delle uova, quest’ azione sembra, ma non è accertato, molto rapida. Fra tutti i sali adoperati hanno dati risultati più intensi e più interessanti il cloruro di sodio, il cloruro di ferro, il cloruro di mercurio; nel primo è possibile la vita in concentrazioni più forti che in tutti gli altri sali (è M/60 la concentrazione ot- tima) nel secondo gli effetti (senza tenere conto della concentra- zione) sono massimi, e il terzo finalmente è quello che agisce in soluzione più diluita. La sensibilità dei Cyc/ops per quest’ ul- timo sale è addirittura sorprendente, bastando la soluzione M/12 x 10° a ucciderli in poco tempo, ed essendo sufficiente la soluzione M/12 x 10° ad aumentare la produzione delle uova. 293 IA WC, : : il Gal LIVE La quantità assoluta attiva in questi esperinenti, è Tan ilioni per ciascun Cyclops. In generale le soluzioni saline o affrettano la deposizione e l'emissione delle uova nei Cyc/ops, o, a concentrazioni più de- boli di quella in cui comincia ad esser possibile la vita, non hanno alcuna influenza; fa eccezione fra tutti il cloruro d’allu- minio con cui si ottengono effetti danuosi alla produzione delle uova. wa * E 232 Rosa Urbinati SPIEGAZIONE DELLE TABELLE. Nei quadri delle pagine seguenti sono raccolti i dati numerici degli esperimenti descritti nel testo. Le Tabelle N. I-XIV rappresentano prove in cui ho curato solo la prima deposizione delle uova — in tali tabelle nella prima colonna a sinistra sono indicati i diversi liquidi adoperati (l’acqua e le diverse soluzioni del sale studiato); la quantità del liquido non è se- gnata essendo costante, 30 cmc., e così pure il numero degli individui, 10 per ogni vasetto; nelle altre colonne è indicato il numero degli individui che depongono le uova ogni giorno; nella seconda sono segnati gli individui che si sono trovati senza uovo il primo giorno (che è quello seguente al giorno in cui l'esperimento è posto in atto) nella terza il numero di quelli che le hanno deposte il secondo giorno, più quelli che già l'avevano de- poste il primo; nella quarta quelli senza uova il terzo giorno sommati a queili che le avevano deposte il secondo e il primo, e così di seguito. Ciascuna fila orizzontale rappresenta dunque la deposizione delle uova di dieci individui; ogni tabella è divisa in gruppi di tre file, avendo, come ho detto, preparati tutti gli esperimenti tripli. 1 numeri della colonna D servono a dare una idea complessiva del- l’esperimento. Sono ottenuti nel modo seguente. Per spiegarlo prendiamo p. e. la Tabella I, Cye/ops nell'acqua. Il N. 131 è dato dalla somma dei prodotti, ottenuti moltiplicando il numero dei Cyvc/ops che hanno deposto le uova in ciascun giorno, per il numero progressivo corrispondente dei giorni: 2x1+3x24+4Xx3+6x4+6x5+6x64+3x7= 131. Questi numeri sono più piccoli quanto più rapida è la deposizione. Nelle Tabelle I-XII sono rappresentati gli esperimenti in cui ho studiato il numero delle emissioni compiute nello stesso tempo nell’acqua e nelle diverse soluzioni saline. Ognuna di queste tabelle è divisa in parti da linee orizzontali, in ciascuna parte sono rappresentate le emissioni e deposizioni successive compiute da dieci individui in una determinata sostanza; il tempo è indicato da numeri progressivi, lo zero rappresenta il giorno in cui l'esperimento è stato posto in atto. Ciascuna parte è a sua volta distinta in file; nella prima fila del primo gruppo è segnato il numero degli individui posti in esperimento che del resto è sempre costante, 10 nella seconda la deposizione delle uova di questi 10 individui, collo stesso metodo seguito nelle altre tabelle; nella prima fila del secondo gruppo sono segnati giorno» per giorno gli individui che hanno rimesse le uova per la seconda volta e nella seconda gli individui che le hanno deposte pure per la seconda volta - e così di seguito. Anche gli esperimenti rappresentati da queste tabelle sono sempre stati preparati tripli, come resulta dalle tabelle. I numeri della colonna E servono, come i D degli esperimenti prece- denti, a rendere i resultatl intelligibili nel loro insieme. Prendiamo p. e. la Tab. XXII, Cyve/ops nel FeCl, M/12.000. Il numero 7,34 è così ottenuto. Si fa il rapporto tra 10 - numero dei Cyc/ops che hanno fatto la 1* deposizione - per 3, numero dei giorni impiegati; poi il rapporto tra 10 - numero dei Cyce/ops che hanno compiuto la 1% emissione - L’influenza di alcune soluzioni saline 233 per il corrispondente numero dei giorni (9); e così di seguito. Per l’ultima TR ” colonna, si fa la somma di tutti i suoi numeri, e si divide peri giorni (20). È 22 PACI . 2 c ed] 4 Si sommano tutti i Dr €. < 10 10 104+-64+6+4+3+2_ 7 beds ati soi di 50 "7934. LiLIBRAR sizioni ed emissioni. Le Tabelle XXIV-XXV, sono tabelle riassuntive di tutti gli esperimenti. La XXIV, si riferisce agli esperimenti che riguardano la prima deposizione delle uova. I numeri di questa tabella sono ricavati da quelli della colonna D delle tabelle della prima deposizione - e precisamente indicano il rapporto fra il numero (della colonna D) corrispondente all'acqua e quello corri- spondente alle diverse soluzioni — i diversi rapporti ottenuti nei vari espe- rimenti di uno stesso sale sono raggruppati in ogni fila - i numeri dell'ultima colonna a destra rappresentano la media fra questi diversi valori. Questi ultimi numeri danno insomma la misura dell'effetto pro- dotto dalle diverse soluzioni sopra alla deposizione delle uova. La Ta- bella XXV si riferisce agli esperimenti che riguardano il numero di emissioni delle uova; vi sono raccolti i numeri della colonna E delle tabelle delle emissioni, raggruppati esperimento per esperimento; siccome ogni espe- rimento è diviso in tre parti (per ogni liquido si hanno tre numeri) ogni gruppo è diviso in tre colonne che corrispondono alle tre parti. I tre numeri di ogni fila sono sommati e la loro somma è scritta nella penultima colonna; nell'ultima sono indicati i rapporti tra la somma corri- spondente a ciascuna soluzione e l’acqua. Questo numero dà perciò la mi- sura dell'effetto prodotto da ciascuna soluzione sopra alle deposizioni ed emissioni di uova. Questi numeri sono più grandi quanto più il sale favorisce le bei > SPIEGAZIONE DELLE CURVE. Le curve si riferiscono per lo più agli esperimenti delle deposizioni, ed esprimono l’effetto del sale in funzione della concentrazione, nel modo seguente. Sulla ascissa sono segnati dei tratti proporzionali ai logaritmi delle concentrazioni. Le ordinate sono state primitivamente ottenute con tratti proporzionali ai numeri D; però, per rendere la curva crescente col crescere dell'effetto del sale, è stata trasportata l’ascissa dalla parte opposta, e precisamente in corrispondenza del numero D dell’acqua e capovolta tutta la curva. Siccome il logaritmo di O (concentrazione dell’ acqua), è — co, non si può segnare sull’ascissa il punto corrispondente all'acqua; quanto alla curva, dopo la concentrazione più diluita, si indica il suo andamento approssimativamente con una linea tratteggiata, che si avvicina all’ ascissa molto prima che all'infinito, nella supposizione che una soluzione molto diluita agisca sui Cye/lops come l’acqua. Due curve sono ricavate dai numeri E delle tabelle del 2° gruppo. I tratti dell’ascissa sono presi come sopra; le ordinate sono proporzionali ai numeri E, ed anche qui l’ ascissa corrisponde al valore E dell’acqua: però la curva non è capovolta come nel caso di sopra. LIEGI LI RLIINLILÌO O LSLILGLO Bios 16 234 LIQUIDI TABELLA IT. - Nacil. GIORNI sia I NON dm nm WVNN (010010 QUI be NI NI o Ih O YN Wb NON (Pile) 0% co dv De 0 0102) [ni (©) | | to) | stili 131 113 s2 74 72 LIQUIDI Acqua... Naci M/1200 Nacl M/120 Nacl M/60 NaCl M/15 ra 0) Wa dd I dd DI Wa Iaia Tai uni NWN (fee) DIN Ubi 00 —1 0 Na a \\eK\eKo®) GIORNI 5|6:7 zine: |159 7| 9| 10 se 8 | 10 8| 9| 10 8|10| Moie! =c TY Veda 10 e Î DU] | | IRE" 130 lil 77 69 66 Vedi a pag, 232 la spiegazione delle Tabelle. TABELLA III. - NaCl. 235 GIORNI LIQUIDI D Tea la 8 Lella un stiz l10 Megna 3 5 89110. 128 ea lE NERE Res tizia; 5) Tola 108 / Ro 2a 6 810 NEC 120 SA eos i A 80 3l #5) 810 wa |3|s|s]t|-|- 2 M/60 ui VU È GI BOTA ig] pepe sa | | Aia Mag NaCI gas 4| 6| 9|10 Lie: E. 66 3| 6|9/1@/-|-|- TABELLA IV. - Na,SO, GIORNI LIQUIDI D 1|2|3|4 ez als STUDIO I PIET STO TO CT] A Acqua . MAI ZO A ZAR 10 144 a (0 AS a 7 4 dala taz so fi. Ta e VE ni 141 DOTE O VE REA E E SE E 1 RI RI A Na:5h5g | 1] 3| 5| 7T| olio] -|-|- 192 DOM da DNA 910 DE SU 0 I A I a 82 LUG 10 cn; INERTI (E I Nas, icona gi II 70 Si e NE 2306 TABELLA V. - KCI. GIORNI LIQUIDI 1|12|3|4|5 sE RE SRO Acqua... DA SZ0l 9 Das Br NRE Re e jas00 Fe pd Pi, fr Li 2 4 MI TABELLA VI. - FeCl,. GIORNI LIQUIDI LISA 1 |a. ia (816 (ila aio 78 e e Acqua: — ida L67310 Lia) bi 7 oa CS | 540. TIZIO EA ea | FeCl, Sdi Bert: gb-c dine n ala Lg Der? di ona Dub SAR ae e SE 2 \iAl'iT|ao0 — ZIA FA bee I AO TAI I RA (20, gl alal de 131 50 62 so Vedi a pag. 232 la spiegazione delle Tabelle. 237 TABELLA VII. '- FeCl,. | | GIORNI LIQUIDI D TEC AGIACINIEA ao SECRET de Mequa':. |] S| 51 7) 8 10 142 elia: #0 @| 8 10 ATIIOEAIEO FeCI, #NGr Gli pet A 95 dl slo glo S 10 13. te pira FeCl SL A a ed i] finali (anti (po = pila: gere FeCl; Salo io tie 66 M/1200 | 6| 7) 8| 9/10 TABELLA Vili. — HCI1. GIORNI LIQUIDI 2 Pipe DI lr Ri Mor St SNO Me I De e i e O RE A SORTE D 1 12.34 |/5/|6}]7)|8 | | TR I ELITE RECANO Di Acqua. sit 1 7 e o aa e PIO N 137 I 10 | e ico oi E n 2000 analisi DIL 89 | 708 a EEC asili HCI DEL La 238 à TABELLA IX. - HCI. GIORNI LIQUIDI IAT LADA III E RO D 1 | 28 | 4|5 | 6|7|8 | 9 | | Digit eta 10 A Aegia. ...Ul1|/2| 44 e #8) 10 147 2g 4A 601810 di: e ag Det de a 115/12.000 DTM VG No, a da E 117 | Set] i ao Hel Sesia E a 1 5 2 I [FO 1 OE St AT Se MI I200 RE | e | È ! TABELLA X. - HCI. GIORNI LIQUIDI D 12 | 3|4 | 5.67 |-:8 1 00: 337 00 Go Acqaa. i. 10-23] 5004 Sd do 140 TRO SOR SE I 0 RENE ATO CACAO REC NS Do 000 TA le e RR a 87 ; 45M LO Mon E ala ROLO a HCI A (6,910 ag ge 69 M/1200| 4| 6| 8 ni ich LIQUIDI MgCl, M/120.000 MgCl, M/12.000 MgCl, M/1200 MgCl, M/120 MgCl, M/60 TABELLA XI. - MgCIl,. GIORNI ND TY x IN 03 ngi HI Db A NIDO (fe ie) NNW NNN 3/4 3| 4 SN 4| 5 3| 5 4| 6 4| 6 9 | 10 Sio TG IS) ui 10n= LOni= 7) 10 65068 8 | 10 CRT SRIN TS 4| 6 DI 617 5x9 5.740 6!» 7/40 8|10| — 7| 9/10 8|10| — pat 10 A = Sa oe) — do 239 138 124 70 57 78 107 TABELLA XII. - AICI,. GIORNI LIQUIDI Acqua... AICI, M/120.000 AICI; M/12.000 AICI, M/1200 NNN HA MN 09 09 0) 09 03 I rb > uh WIN ob (©) Ida ua > I oi 04 (eee) JO N 00 O 00 N00 04 ‘O 00 00 | 10 10 150 134 162 240 TABELLA XIII. - Digiuno. GIORNI LIQUIDI D 1|2|]3/4|]5/6|7]8|9]10 pl Lal 0317: Beto go Acqua... «| 72 22 305 00 = 179 = {#1(*283| 51 &7/971*s Sao pedi da |:* ale I M/12.000 | +| 2 4| 9|10 DINE E ilizalta{Fatot gg 01 HCl /1200 allo elogi") Egea 195 199197] ESE pI al-ol “aio; 19) ==1 00101 Naci meg 2 115 ae ET TABELLA XIV. - Digiuno. GIORNI LIQUIDI D 1|2|13|4|]5|]6]7|8|9|10]11 I ga Aa EB 8 o iL e e e E A FeCl, 10000 sbieco - Mi2zongaa eee o NaCI DOMA da 08 AA M/60 | 3 de 2 14 i i E {4 II * Vedi a pag. 232 la spiegazione delle Tabelle. TABELLA XV. - NaCl, Na,SO,. a à N Mw co ta] 2 a a ci ci Vo ae 2| | [ora | S%°+* | Ssorman | q0ROYraX | | oowoows S| | [ona | SnvVY | Sogtman | snow. | | 0 ws | | Swowowa | eno | c\ggàtm=% | PINA | | onaewe ||] Noyon | © | sota" | MOTNa | | | nem: ©| | rogtydq | sam | oe0qN-S | oamNT | Î | mionv rta sie] a | IAN | IRA] ]| Î | Sogn *|| ouetmr | Ova | INA" | [of | | | | ovo : \ 2| | Mosar | 09] | cema-] [ata || | [SODA S|] Pesaro |] ea] |] sa] Qua ||] [PN IEEE OnSa |] || | 269a] o « lo | se] pren | PN | OA | LI | ao | ha (SMS, | gay | | mu STONE] | DION | pa | Om SiR | ES PASSO e e A A | ROSI ESSE midi i A oe | [Ras ah Tv |a e] ne i To Mie SA gt ea [OSS] ei IRSA Re o ARI DSS PR (DO Soi ae i i e SCA RN O enni RESSE (OSSA FS o. Pesa SMOG fd pal (ROSE [NT da (® ESS ace se ess | | REEAit | genna | EE eee Mesi Ci ee 2260 ee RR e a TOSI ME eee Eesti Roe Lee SE e MESI) RE FA da fr PS A ml i gl ai Di ili ii VO UE: C'e: Vo SSSSRZI ) _ " F Sa z z S i e 5 5 xl | op O (® ] Do) < e FeCl; COoUuouNMR“ E E««EEEeoeoeoooeii.; ze. °CGCIASER Ra e MAZZI] |] |] [SPoosmaas] |] [aryoama= | |} |oeaeaas= | |2 l'ellazo\ al | | i e a | | [ot a. tr | | ONIIMONE IE ON | | | | DIQOMNYN | | | D\aemaqen | | | | OvFLAN | | = CIME aL... eco A Ie ea jcoUE@O E GAEAAMAeMMMMeee>GeEAAIAE ?CU EEROGI]RR AA E MR e Se a COMES RE AE A. ML LIES / .TV7VEEEgg o AAEEUEoueuevMlMEiEIEeoeoeoeoAe=,Ee CoO]lSTgg idee... GQIV'EOEE E EEE ei: GV \ELEeEEEEEEIIEEIEIEo: qo 0 VEC EI GG |CVCVAlEroEEDEIE ZEN. Ke. È »|s|s|e | =|a]s]8[»[|s]#]|=]|s8|»]8]2[2]#]|=|8]8]8]5]8 (=, (=, 2 N pri E i NaCisFeCls TABELLA XVIII. vida * ni 3 Ra 3 m 10 (C°) A iarasona | Seen | ire GO 2] | Pesos | onexsa | | Jonesal |e Er] Ea Î | Roe | | |omsw= | E lies | pi css MN e cena | illa MM urta) rari | ese Ages]. | SEEN Ma 3 sali DE gi es |a 21712140 MO eni DOD SSN eee Z esset vee al] | TS O delier= | niet he] ii au 1. ASMA | O (00 d IE e a SR TE Sei NN E apo ei ig - a AMI de i pe] 4 SE TI RAI A | ON ee 23:05 sa ET |S© e ti Ri N et Le (SL a 3 O pellet LAM So ME O CLIL Spe uossug = |w|p|&|î | oe “lele 8 = Lal A >> z = S n) > 2 È S) °° z È 3 2 9 < Z LL mu | > CORRONO VESCICA i "00 | Hi ì LITE megneio «n - ft li > Di) i | bu mr Î a i VAR ti i, sal FRI You bug di | : | ; "ae ù e ini. defaggi— i (fee MROT. agri pedi f } ole TT dii ini RT Md é da i A È * ì UL y ul x Ù 1] » x i DUI (fi Y ” papa de Pat o i v À EURI i MT Ph Da | i Er f VA i LA i] } ug, gr è Ma CE Ò O va ta. ;' Di, DOP i ‘ Viti { Î JSP A, ue gi DO, COUTL TA i j DI gm } a FETI x ‘ I Uno i ba % { tape fu I ni Mak —® - ed ‘ sh pai î da P| i Pi so e A stat sul - R ì di i A fi 0°) ‘ sli aaJ0 7° P j - | gi e. 4#i pe lt] “ n° I) : 7 : » t, ti I fa do l| i 4 “€ PP bo i Ir t È (i i : n PI 19 I } | | 1 | a Î ] li Lg LI fo WA (Ra Mi hi) Pai PT ; i L7a % . ® a (9° vi a + L, D TABELLA XIX. - FeCl,, HCI, Fe,(SO,),. o (a) È a) E (a nr m (©)) N mi cel Di ti m N N (e 0] A e PA VAC | ene | one | (SCA 12 | Aree | |anaox | pRowa | | | Samarme |] Foroa | | een] | ranm [cpr |] euwovr | | OF | | carton | | |SogtmA | | | “= ne) | | Votvwr | | SONY | | Ova | | ggouatNm | Se |] SANT] | teo | | sea | Ma Tr aowtàs |.) | ema | | teo MM PIERO dee | 1 e een] | | aa | TS] | [asse (24 | [Zi orione. || ISS | SN] | sro O | = A ps» | | | Sa] || stresa Ta 3 i Giga) | | EST MORSE | [ore side (5; ME RESI ESRI | ene Re RoReeesi JUS | i (ego | ceti | - offset] SS oa Sa | eSSSAa RES TE DAT io MALI [cora] | sar O fera = di - 36 (1 SI IN Lic" A VO IX | se“ | ea ESS AU O AIA RA Sc NJ | [os fe A O foce NUO VE 0 | = O DO = A IA CNR | SL mossua| = |&|&|&|6| |a] | |a] -la[lo|la[p|[elt BR : ; 2200 e | 5 ml \°Nl | (3) | < 7,70 m Koi 00 Ea 2a DE Lan) \°) a re eee) a CAREER GER “|P Em ii A n e (| ORA a CCC al cc KW. eddie (CUI eee i i cc WII E Aa e a et n e EEE Roe CA piu. © OE e, CUGISCLEGEDE aio è AA AVIR GQOUOUOUMEZEEEEREEOGGbÒ+. MZ: cqUR©OUOl'TeT‘l‘l KENIA CO «| MIR TUI>OoOEAEAbea I |- |eG“>KkWW-Ée''W'W' Ei. ad (I 1 Ci Ci d s (3 (i (ei (o) Ci Si | & a [ci d a Ln. N m Ba 10 \°) _ Li N m Sr 10 (o) Ln) N Mm a l'e) (=) (©) 3 =; Si SS = = D È Ss IL IL (Continua a pagina seguente). Segue TABELLA XIX. 5,90 5,42 RR LIRA Ise SUI | [9Swoa=> | | |ncevnan | | sorse. |g AAlefisssene | 1 fessi | ana alieno | resosi 0) | ese IEEE £|I [essa |] Sese || |sesosi {8 A a I erat to) | oosrapinsi i pops “ca ae NL e e ager io ea rt esse et n open (19€) eee iS SS SNNESESSAEEEMESZE È e i e e e E e) cele sa i e “POLE | i Ie 0 o Ae a 4 ERIN EMOZIONI. - AR LT SIZEoa.. è mossua| © |#|&#|#|1|% | =|a|]8|8]p|s | =|a|p||p Î = 3 2 3 e “ ©) L % n h e Ù i w . È È aaa tenute int» nia WAI Sai Mile dalici n nr STO ì l pi; mag | peppe Tea ni mente punite +1 ato cd si degni fn È milite Mi | rele gove ne mi pù lla pio sir FREE TI PAL © da Vf titti) | pop] barre i i rr 119 La I 7 po prgn ta 1, Lora |} prat. hug rrtraania di “De if © EA pt ng è pe ia n 6 © {ASI eee ng Se “mol 4) ferri Dyl- g 9-4 Sante ft im lt a - «Pe Manat (ati i | da nd sar | ri chio di! e ii i } enne prio Dis i ME) mafia a i di Dial la Dal } gie der Pri te x Di 1 Eippernoee (i): preso (| | fto |} Saint don fin (a ima ri in = na 4 ù di — è ni ita a TE Mep perrocio .; soa || j Ora por | enne (E LI broeAa —_—_ — d pd 1 — - si -_ -- 2 pala md ai ai Le AIN! | sfrraro: li a se | SORDO IRR ul o Cini —_.. -,— — e TS o I I I TELI ni} IR E ò i 23 Ca ba vi s3 CAI 4 da de + le ha Ni: ya Br TABELLA XX. - MgcCl,. u_$ a A E N v na 2 d, S 9, d N N < a [\°) || SONY | |onwm | |orhoe% | prog | | eoovxon | | ONn#na | |ot ya | |oOYa | jane | | onoma Si | ago» | SONY*w%q | |NouwuaN | [eorotoe.stta | | sntona © | Pomma | On#Ym9a | Soy | [|N0Gq | |[S90*N= so | noma= | Soda | NoOmaA | |oowa | |0oNLAMA] - | Omar | sam] | Cogmna CAN ia | |ONvax | 2/1 osano | esoa| | sese] | sera] | eRems [o PSE | INA | | 20M | | Sura | DMN | | enamr | [z| esospo [osso | | ssea] | reo | | Pesa] | Log SI (RSS Mi AGES SMI —»— » | SSA | [oe] po | gs | ] esse | | casal “CTR Eee ‘ « | n & O > One Da = [D) = = = Mii 2,67 3,87 4,88 ilo) (c)i o ) 3 3 (=>) (=) =3 5 =3 (=) ©, S S © $ = EDS (Continua a pagina seguente). Segue TABELLA XXI. E medio 4,01 © a iu es a UMTS 2 | | |anamqar= | Sanara | È: 35 | SAIOMN | SDOENA | lE || SQ0eyanwr | SOOMA | 2 i e < | htmnex | | ndtNy | | pi all'era nen È Si e e e È = = | ONvNMN | | | Nei ef | | È ea O i i = © _ ‘ani A Me Si (0 le dn I | i e lo a I | “= _ SR 7 AV, O, | oe ds cene. 4 Mel N RT n i i | Re e o A | eee e NEO EOLE <|a|p|e]p]=[|8[P|8 | 120000000000 certe e CAESAR > Ri pr | to d. 4 al bash ® ’ al e) aa TABELLA XXII. - FeCl;, HCI, HgCl,, NaCl. $ Sì Di n | ci Î w 10 _ = m Voll mm ai | (SÌ (a N (SS il Ls | Sos | [pPwo= | | DIOvA | |pevotma N = “a [|] e iii) | [NOM | jog* va | soontmr | — || Sao*Tq | gorma. | Shtv] Ki TS] iS | DOM | Soma | Sosa | | | Q00%0x=| |0| | eues | 26000] | oe" | | mioome | ela assai 289 A | ona | | sa n = [at | | 10% [RAS | row | | Oxo] | | | la Ca | NA i. CES iii SES n I A (oe Z | | de a Su [eos + 4004 “cc IEMSAaR So a aes sd SSR | SSR | | F ss ; nl | | Ss A pia a | Ea | fd a So | | | SPS dn | « CAMERE Me: Bat | CI Sg Rae. AR e RN TI enel A “VENIRE SL.EkeI e (90 {12m o TI CREA CMS È e LO o gi ALe | mossua| © |&|p | =|W lt « | =|sa]s|® | “|s|a|a|p|p|=|a|a® | E di | e 3 SIE] 3 = s ss i i _— Si = O = = | (3) Vv < IL wu SI ® S _ (©)i vi KI leo) di ba S st a e È I [Si Nme= | | Sono | [SOIN | | QOFTBA ini O, CLS = N = mr Î j ooonmnren Î |a | | LAMA | Sei Sai — ei sd | | vornmnr | |jaoax Î | am | |OON9ONA È Me cc | OSS SS See Mu sa) piede [ess ei MER nova | Te... |- Mu (GRStA | es] je mea red | ei e casa Ears cocess Re, 8 | E CES e SCO o Mi Lo [ER de E CS RO e CSA eli Me 1; ee e n Me 11 FARE Vos AAT - Me i 1 e - CRM Pi Cage CE EMMI CIS | | 2 || «|s[s]s|je | *|[s[s|s|=[]8[8]s[9|=[]a|8|8]9 (=) (=) (©) N vi — 5E 1; Î | è LZ pure + A } i ì 1 (a CINTO sele Cale i e i r 00 4 use ; È ® Segue TABELLA XXII. 2 de i) PERI: 3 È ) = = Ò (©) S 33 S Sia 5 DS Tai _ | pegno | cotmo [ei Seno | SSA |aogtya poss ISP] esi [sn] assi vom | ‘o ea I NaCl vat E i Na pi PSE de Esta Sia : al Ò Lu» \ I - 4 Ì È ra % - DI ver? } à o & | ui tel ] LO “ = 4 “i | Ò in (0) L ni pu Si CN, n » - Ò a ì i i è i (S PI a ad | podi Tel Di si fi cai dl pu pr een go ner Taj pete V sue N fi La di UU; bel Ul fia e o h4 WOIOLA ta med #1 id SEE TTTESSTSITOZZNT jo (ara Peuso 9 ce np gii yo" db | ni le dea Vi, PI e dé « hi po Dadi a f petre4 EA (a dh {i ary Li Du] rep hh Ù An FA fap i dd al n 4 ef vere PIDI sep "RA Obi fit dig i +50 Ì dl» i sti O 1% i > e fai 2 #3 À, PO ATO AV ALL oli E Li sel j Nt! pren | | fee Le | i 21 ” @ 4% 24 | | ì "e mn i pi Pe) f } e | bali Ma Edel a AGIO Ri TI Dre PA gi | DA Me] hero Retro ai 170 f + i ani MM LIA mei E jr 240 ù} \ fd "Rosita ehi, pia Regie IITT seni cd [ratto | me pr NI nti ARE rie î fio oe VE va» Ì pe 1 1 4 diga * @ji > sheitie * | vr è | CIA | | RA -. | ai ; ra Ù : pe OI | ut Untlal ;a | “ n i tal " Î VARI al dI) | pla { iP A NI cv i dig D j : î Ì -" t Ù s4 4 À DI | Ì F } ì ad Ì . rtl i (ati 3 " dI Me Ti n met edi | Ì Ag È I 1 v ali ? \ il -_ P, x e a) i | Me. 1 I Milia BOS i'm g j" i Jpg } n i JO.) i i hl i Ì | ) vii DA" | si È Wi i Pa mt | I brad ' Li | pn en x RA } (MRI de ) È dol Liegi LR i ; d z 2, I - NC 3 i; è} È "a î ptt È 7 TABELLA XXIII. - Esperimenti a digiuno. 2 (-) ui u_$ î à E Dai ui 5 = 2 S i È “i - _ _ m 0 UD TOR 0 ai a ei e | MAN | | OMAA | | _ GRy _ |Sa | N | | TYqN | | | TN | | O0MNx | ae ssp 8 Leni suovi LST* Sx lens] MRS: tro ETTI [i SSR] | SRI 172 | (LN = CL Ss SEA RESSE Ab co ie | Sareeeen o|jn|INT LES] i ea] | OSSSSO0 | SSMIINI o S| [S| SI TRA ela E ONCE, MIA pa | ASTM ang 0] 4 peas asi NESSO (I | a Ni! | SRP | 19] [eos] iste AI E a a 501, i m| IN] ENI Sp vj [SS ARSA [S INONeT: {TTM Fa aEnt] [SU (Si PN A I RI SSSha e IS leone 2 SCRL INR IRzol Le. | SS ARESE a CL ai ME e | (= 820] Laiigi — Sena NU = ea DI (a ge n A i i°”‘”m nossa « |&a||a|2|a[s| =|a[]8]8]9]#|8|5]8|#|8[8|8|8 È (—») di = 8 [| ° =! — N 9 È co 2 5 Si QUE < uu 2,99 2,77 D, N yer | | cine mq | | qu a == | eo] eo 1 © CFMI eg I (© DI Ti 19] AMG A AE alolelzia ere pa Der 1 RGOGLII e db Ti Ì Ri LEN 273 TABELLA XXIV. - Riassunto della 1% deposizione. Acqua . M/1200 NaCI M/120 » M/60 » M/15 » M/120.000 MgCIl, M/12.000 » M/1200 » M/120 s M/60 » M/120.000 AICI.. M/12.000 >» M/1200 » M/120.000 FeCl, M/12.000 >» M/2400 » M/1200 » M/250 Na,SO, M/150 » M/90 » M/30 » M/12.000 HCI M/1200 >» Esperimenti a digiuno: Acqua M/60 NaCl : M/12.000 FeCIl, . M/1200 HCI . Bios i 1,2 D medio 1,2 1,0 1,9 1,3 1,1 274 TABELLA XXV. TABELLA IV. Acqua M/60 NaCI. M/12.000 FeCl, . TABELLA VI. Acqua M/60 NaCl. M/90 Na,SO,. TABELLA IX. Acqua M/120.000.000. 000 H gCl, | M/12.000.000.000 M/1.200.000.000 M/120.000.000 M/12.000.000 TABELLA XI. Acqua M/120.000 MEC, M/12.000 » M/1200 » M/120 » TABELLA XIV. Acqua M/1200 HCI M/12.000 FeCl, » » » » - Riassunto delle emissioni. 3,03 5,41 10,84 2,40 6,30 3,53 3,95 3,76 6,05 5,61 4,71 4,30 2,78 3,80 4,96 6,54 4,78 3,17 6,55 8,72 3,95 5,37 8,06 2,65 5,76 3,65 2,19 4,25 7,05 5,80 5,06 3,44 2,84 Sol 6,05 6,59 1,33 2,83 5,64 7,73 TABELLA XVI. - Esperimento coi nati in soluzioni saline: Acqua M/60 NacI. M/12.000.000.000 HgCl, M/12.000 FeCI, M/1200 HCI 2/34 5,42 5,28 7,34 4,81 TABELLA XVIII. - Esperimento a digiuno: Acqua M/60 NaCI. M/12.000 FeCl, . M/1200 HCI . 1,42 2,41 3,75 2,59 271 6,60 4,56 9,72 4,71 1,33 3,37 4,64 3,06 E medio 1,- 1,6 2,9 1, 22 1,4 i 1,6 2,5 2,2 1,8 1,5 i 1,3 1,9 2,3 1,6 1 19 2,6 275 TABELLA XXVI. - Composizione dell’acqua potabile di Bo- logna usata negli esperimenti (da una analisi del 1906). Su 1000 cc., dai sali: Amderde”solforica”". 1,0. 0 000 0,0588 » carbonica 0, 20.0. eee 0060 » SILCICARAI col AVRO OTO CIOfOAi tO I RETRO ‘Amdride stosforiealty 0 RIS rad. | » nitrica tracce » niurosag, ARR | Ossido: db Cardano Sa rifai 0:0810 » ME e n 0021 » Neale no a a VOLZS » Re ea O028 » BE o RA Ammoaniacat eee SE 0,0003 Materiarorsa mea NE acce Gas eee eo he OC 10:66 ai e ARA i Oy 10,90 N >» 14,28 Tutte le tabelle si riferiscono ad esperimenti fatti nell’anno scolastico 1911-1912. Degli esperimenti preliminari e di quelli a lunga scadenza, com- piuti nell’anno scolastico 1910-1911, non sono riportati dati numerici. 0 “ Ti be ‘ n na l 4 di; "1 ANNA VALENTI - La determina- zione del sesso Lele MOscie; Bologna). Esperimenti eseguiti alcuni anni fa in questo Istituto, dimo- strarono che il cloruro ferrico ed altri sali esercitano un'azione favorevole sulla coniugazione degli Infusorî (ENRIQUES, 1909 - ZWEIBAUM, 1912). Questi resultati aprirono la questione se anche nei Metazoi i medesimi sali abbiano un effetto sopra alla fecon- dazione, ed eventualmente sopra alla percentuale dei sessi. Nuovi esperimenti furono perciò intrapresi dalla S." URBINATI sui Cy- clops: ma per la rarità dei maschi e la riproduzione quasi esclu- sivamente partenogenetica in questi animali, la questione dei sessi non fu punto risolta da tali ricerche; da esse invece resultò un fatto notevolissimo riguardante la riproduzione partenogenetica: che cioè la produzione delle uova viene molto aumentata, per azione dei sali suddetti (v. in questo stesso fasc. a pag. 191). Proseguendo in questo indirizzo ho fatto esperimenti sulle mosche (Calliphora erithrocephala). Si trattava di vedere se la produzione delle uova venisse anche qui favorita dai sali, e soprattutto - quello che per le ragioni esposte non fu possibile alla S."®° URBINATI vedere sui Cyc/ops - se e come venga modi- ficata la percentuale dei sessi. Gli esperimenti fatti nel corrente anno scolastico (1912-13) dimostrano che il cloruro ferrico alla concentrazione M/120.000 non solo aumenta come nei Cyc/ops, sebbene in grado minore, la produzione delle uova, ma modifica anche la percentuale dei maschi che in condizioni normali si mantiene uguale a quella delle femmine. Tale azione non si può attribuire a cambiamenti nella intensità della nutrizione perchè tali cambiamenti, dagli esperimenti di CufNoT, resultano insufficenti a produrre uno spostamento nella percentuale dei sessi; e d’altra parte nei Cy- clops lazione del ferro nemmeno si può attribuire a ragioni di nutrizione perchè si verifica anche a digiuno. Da 22 coppie 278 Anna Valenti - La deferminazione del sesso ecc. abbeverate con acqua in 22 gabbie separate si hanno 1458 d' e 1510 9 complessivamente; in 9 di queste gabbie nelle quali non furono nè morti nè uova sterili, i resultati mostrano una rego- larità quasi perfetta: S4 925; gt 110 2 111; 3 55 9 56; g' 16 2 17; 3 82 2 83; d' 147 Q 147; 3 30 9 30; G' 118 2 118; g' 81 9 81. Riguardo all’azione del ferro si possono confrontare i seguenti valori: Coppie Abbeverate con H,0 Abbeverate con FeClsy di N. dei N. dei mine Og c) SM figli. °) QUI 17 549 265 284 368 (1) 217 151 20 609 341 328 1507 811 696 10 962 469 493 1139 649 490 2180 1075 1105 97 3014 1677 1337 125 Come nel caso dei Cyclops, anche il sublimato corrosivo (HgCl,) ha un'azione analoga a quella del ferro ma meno intensa, e nei miei esperimenti anche il cloruro di manganese. Sono in corso esperimenti per determinare su quale dei due genitori agiscono le soluzioni saline nonchè per determinare il momento di tale azione; tali esperimenti sembrano finora di- mostrare che so/fanto sulle femmine agiscano le soluzioni, per cui la regolazione dei sessi appare dovuta alle uova nonostante la presenza del cromosoma accessorio negli spermatozoi degli Insetti. Una relazione estesa degli esperimenti già fatti e di quelli in corso sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli del Bios. (1) In questo caso la soluzione del ferro è in acqua distillata al che si attribuisce lo scarso numero di figli; megli altri casi è in acqua potabile. Dott. F. PLATE —- Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di Avena sativa. — Nota preliminare. Oltre la composizione anche la concentrazione e la quantità di liquidi nutritizii hanno per le piante una grande importanza. Dalle ricerche di SACHS, KNOP ed altri (*), sappiamo che le con- centrazioni di queste soluzioni debbono variare dall’1 al 5°, € non dippiù, provocando, in caso contrario, disturbi causati dai fenomeni plasmolitici. Però, siccome nel caso dei semi, dalle ricerche di numerosi autori appare che essi possono non solo sopportare una concentrazione maggiore, ma costituire anche un vantaggio per l’ulteriore sviluppo dell’ embrione, e, conseguente- mente della piantina, ho voluto riprendere tale studio sistemati- camente per vedere sino a qual punto questi semi possono sop- portare soluzioni concentrate, senza essere danneggiati. Io ho voluto perciò riprendere tali studii con indirizzo diverso ed ordine sistematico limitando le mie ricerche su una unica varietà di seme della stessa specie. Ho creduto opportuno divi- dere le sostanze chimiche in gruppi a seconda delle loro pro- prietà chimiche specifiche, perchè intendo fare rilevare l’azione diversa esercitata dai cationi ed anioni, da cui ho potuto ottenere risultati caratteristici. A tal uopo, le sostanze chimiche furono divise per le mie ricerche nei gruppi seguenti: 1° Idrati, 2° Acidi inorganici, 3° Sali alogenati, 4° Nitrati, 5° Solfati, 6° Fosfati, 7° Sali complessi, 8° Acidi organici, 9° Sali organici (dei precedenti acidi organici): le soluzioni adoperate per ogni composto furono rispettivamente N, N/2, N/5, N/10. In quanto alla condotta delle mie ricerche, ho creduto oppor- tuno di limitare il tempo dell’ imbibizione a sole due ore; e ciò per due fatti d’ ordine fisiologico molto importanti: prima di tutto (1) Data la grande leiteratura esistente su questo argomento, non ho creduto qui occupar- mene, trattandosi di nota preventiva. 280 F. Plate per vedere se l’imbibizione comincia realmente appena immerso il seme nella soluzione ed in secondo luogo per vedere anche se un periodo relativamente breve sia sufficiente per produrre anche nell’ ulteriore sviluppo dei semi, modificazioni morfologiche e fisiologiche tali che possano far risentire la loro influenza su tutto il periodo germinativo della pianta. Posso fin d’ora dire che tali prove sono state largamente avvalorate dai fatti con- statati. Indubbiamente in questi fenomeni di natura così complessa hanno una grande importanza le reazioni, che si svolgono fra le sostanze reagenti, e quindi le azioni delle masse fra di loro: ma l’azione di massa non va disgiunta dalla velocità di reazione, vale a dire questa ci deve indicare quante di queste sostanze subiscono una modificazione in una determinata unità di tempo; per cui questa velocità di reazione rappresenta il rapporto della quantità di sostanza trasformata nell’ unità di tempo. Sappiamo ancora che in ogni sistema reagente vi è una certa forza agente, che tende a condurre il sistema in un altro stato, cioè lo stato d’ equilibrio: quanto maggiore è questa forza agente, tanto mag- giore sarà la velocità di reazione; in altri termini questa sarà proporzionale alla forza agente. I fattori che possono modificare più che altro questa forza agente sono la temperatura e la con- centrazione delle sostanze reagenti: difatti la reazione fra due o più molecole avviene solo allora, quando queste molecole ven- gono ad urtarsi, e conseguentemente il numero degli urti delle molecole reagenti dipenderà dal numero di questi urti: la fre- quenza poi di questi urti è quindi proporzionale al numero delle molecole, ossia alla concentrazione di queste. Laonde diminuendo la concentrazione delle due o più sostanze reagenti, la reazione comincia a svolgersi solo dopo un certo limite di tempo, che sarà tanto più lungo, quanto più una delle sostanze oppure tutte saranno diluite. Ma oltre l’azione delle masse e la conseguente velocità di reazione, altri fenomeni ho creduto opportuno prendere in con- siderazione: sono questi i fenomeni di superficie. Noi sappiamo che in ogni superficie solida in contatto con un liquido esiste una determinata tensione; affinchè questa tensione si avveri, oc- corre non solo che la superficie limite sia sufficientemente modi- Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa 281 ficata dalla sostanza disciolta e che questa in altri termini venga adsorbita. A questo punto è opportuno ricordare che noi nelle sostanze organizzate degli organismi abbiamo una condizione eccellente per lo svolgersi di tali fenomeni, per cui esse presen- tano nel loro interno una superficie enormemente estesa. Quindi in tal modo è già creata una condizione oltremodo favorevole per tale fenomeno. Nel caso da me studiato in cui si tratta più che altro dell’azione di elettroliti, vedremo come le leggi del- l’adsorbimento non sono costanti per tutte le concentrazioni ado- perate, ma che ai diversi anioni e cationi competono specifici coefficienti di adsorbimento: oltre a ciò molte volte si hanno delle reazioni secondarie per cui dei sali neutri sotto l azione dell’ ad- sorbimento vengono scissi in base ed acido. Ben inteso che in tutti questi fenomeni di adsorbimento esercita una azione diretta e non indifferente la dissociazione, per cui l’adsorbimento è da considerarsi piuttosto come dovuta ad azioni specifiche dei rela- tivi anioni e cationi, e in modo speciale degli idrogenioni e idrossi- lioni, che nel campo biologico assumono una grande importanza. Passando ora alla natura dei semi presi in esame, noi sap- piamo che nelle Graminacee la penetrazione del liquido general- mente è abbastanza rapida; e tale penetrazione dipende anzitutto dalla natura del pericarpio e degli altri strati ad esso susseguenti, per cui, indipendentemente dalle sostanze in soluzione, la pene- trazione di liquido ora è più rapida, ora più lenta. Oltre la su- perficie totale del seme, sono specialmente punti determinati di esso che debbono essere presi in particolare considerazione, e soprattutto il micropilo che forma, come sappiamo, un canale angusto che porta il liquido direttamente alla radicula dell’ em- brione. Questo fatto, unito all’ altro, per cui il cosiddetto strato d’imbibizione continua fino alla punta della radicula e circonda questa, ha una grandissima importanza biologica. Nel processo d’imbibizione quindi, non tutte le parti del seme sono ugualmente attive; ma sono specialmente gli spazii intercellulari del tessuto parenchimatico, e che sono in diretta comunicazione col canale mi- cropilare, che assumono una grande importanza in questo processo. Dalle numerose ricerche già fatte risulta che il protoplasma prima che avvenga l’ accrescimento, deve essere sottoposto per più o meno lungo tempo ad azioni speciali, da cui derivano 282 F. Plate notevoli modificazioni nella struttura della materia organizzata: per cui questi cambiamenti, una volta avvenuti, più non possono condurre di nuovo alle primitive condizioni: ciò avviene appunto anche nei semi, a causa dell’imbibizione. Epperò la maggior energia con cui avviene la germinazione non dipende solo da più o meno profondi cambiamenti nella struttura delle parti cel- lulari, ma sopra tutto dalla maggiore o minore azione esercitata dagli idrogenioni ed idrossilioni. Come ho già detto, gli effetti di tali cambiamenti sono duraturi e permangono per tutta la durata del periodo germinativo, come ho potuto constatare lar- gamente; ma, molto probabilmente, fanno sentire la loro efficacia anche nel periodo vegetativo. Già il fatto che non è possibile di tornare alle condizioni primitive, una volta avvenuta |’ imbibi- zione, dimostra all’ evidenza i cambiamenti profondi che debbono avvenire nella struttura dei diversi tessuti embrionali. Indubbia- mente qui non basta solo l’acqua, ed alcune delle sostanze disciolte in essa, per provocare questa energia di accrescimento, ma altre cause vi debbono concorrere, fra cui specialmente i fenomeni di superficie e la conseguente azione delle masse. Passo ora ad esporre rapidamente i risultati ottenuti per le tre serie di composti, e cioè 1° idrati, 2° acidi inorganici, 3° sali alogenati. I semi venivano privati delle squamette e scelti con cura, il tempo dell’imbibizione è di due ore e nel limite di questo tempo ogni mezz’ ora furono notate le variazioni di peso subìte dai semi: indi questi venivano lasciati ancora in soluzione per altre 10 ore, cioè 12 in tutto ed al termine di questo periodo venivano nuovamente pesati; quest’ ultima prova aveva semplice- mente lo scopo di studiare il procedere della curva d’imbibi- zione. Per le diverse pesate i semi venivano rapidamente messi fra diversi fogli di carta da filtro ed indi pesati su vetrino d’oro- logio. Siccome però ho voluto verificare, per quanto è possibile coi mezzi analitici a disposizione, anche la quantità di sostanza chimica assunta dai semi, accoppiavo alla prima serie di prove un altra nelle identiche condizioni (ma, naturalmente in Becker diversi) per il calcolo della quantità di sostanza assunta dopo ogni periodo di tempo. Questo non avrei potuto fare con la Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa 283 prima serie di prove, perchè, a causa delle continue pesate, molto del liquido sarebbe andato perduto. Per la prova analitica delle soluzioni, i semi, a mano a mano che venivano tirati fuori, erano lavati con la spruzzetta dell’acqua distillata; ho evitato quindi nella misura del possibile, tutte le cause di perdita. Nelle Tabelle che seguono, sono riportati gli aumenti di peso subìti ogni volta da 100 semi riferiti al peso dei detti semi prima dell’immersione: per quelle soluzioni, nelle quali mi è stato possibile di constatare una reale assunzione di sostanza, i risultati sono indicati ogni volta accanto alla colonna che pro- spetta per ogni soluzione l’ aumento di peso. Ed ecco ora i risultati ottenuti per la prima serie di ricerche. IDRATI. Furono sperimentati i seguenti quattro idrati: KOH, NaOH, Ba(OH),, Ca(OH).. KOH. N | N/2 NJ5 | N/10 Hs0 | Acqua Periodi | Liquid. | KOH |Liquid. | KOH |Liquid.| KOH |Liquid.| KOH | distill. | di fonte di |assorb. |assorb. |4assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p.mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 1/, ora | 126.2] — 120.7) — |128.8| — 120.6| — 178.8) 191.6 fd 1093) — 14591 — | 101.2) — 141.1| — | 193.7 | 213.7 11/, » | 216.2| 0.074| 178.2| 0.036| 2108| — |1942| — |1993| 2654 23 | 230.7 | 0.122 | 215,3 | 0.058 | 233.0 | 0.022 225.4 ali 215.5| 281.2 12 ore | 427.7| 0.152) 440.5) 0.092) 446.5) 0.046] 398.9] 0.028| 498 | 596.0 NaOH. N N/2 N[5 Î N/10 H,O | Acqua Periodi | Liquid. | NaOH |Liquid. | NaOH | Liquid. | NaOH | Liquid. | NaOH | distill. | di fonte di | assorb. assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb, | assorb. | assorb. tempo |p.mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 1/, ora | 1040} — ELIM IACI. A ee | 140.8| — | 1544| 1641 1 » | 1808] — 207.60) — 2194) — | 239.7 | — | 173.1| 184.0 11/, » | 217.0] 0.042] 213.7| 6.038| 2464! — |2488| — |195.2| 2080 24 13 | 243.7 | 0.068| 249.2] 0.050] 263.4) 0.024| 203.4) — 198.3 | 222.5 12 ore | 444.1| 0.132] 408.2| 0.072| 502.2| 0.038 | 450.7 | 0.024 | 457.3) 562.8 284 F. Plate Ba(OH), N N/2 N/5 N/10 Hs0 | Acqua Periodi | Liquid. |Ba(OHys| Liquid. |Ba(OH),| Liquid. {Ba(OH),| Liquid. |Ba(OH)y| distill. | di fonte di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille .ora| 904| — 1044| — 140.8| — 138.2) — 172.3) 143.0 1 »|1322| — 137.6| — 157.6| — 1524| — 186.1) 177.9 11/, >» | 1422] — 159.2) — 171.2) — 159.6| — 199.3 | 189.6 3. IMMEDIATE. 163.2] — |178.6| — 173.2] — | 204.5] 198.7 12 ore] 324.2] — |375.8| — 3924| — 376.4| — 424.8 | 537.9 Ca(0H), | N N/2 | N/5 | N/10 H,O | Acqua Periodi | Liquid. \Ca(OH).| Liquid. |Ca(OH)»| Liquid. |Ca(OH)s| Liquid. [Ca(OHy,| distill. | di fonte di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille Y. ora | 110.8| — 1322| — 135.8) — 126.4) — | 171.9) 192.8 1» | 1324| — 157.2) — |159.6| — | 148.7] — 183.7| 231.2 11/, » | 163.2] — 164.2) — 167.6) — 1604| — 194.8| 240.7 2» | 1844| — 189.6] — 192.7| — |1872| — | 2009) 262.7 12 ore | 393.8| — 413.2| — 436.2] — |420.2| — |4183| 521 Per la serie alcalina le prove analitiche furono eseguite volu- metricamente, mentre per la serie alcalino-terrosa furono eseguite gravimetricamente. Confrontando ora i risultati ottenuti per queste due serie, vediamo che, mentre per la KOH e NaOH vi è stato un discreto assorbimento di anioni e cationi, per Ba(OH), e Ca(OH), ciò non si è verificato affatto. Però le soluzioni alcaline hanno determi- nato profonde alterazioni nei diversi strati di cellule dell’ endo- sperma, e tali da impedire qualsiasi principio di germinazione: per cui i semi avevano perduto completamente la loro vitalità, fatta eccezione però per le soluzioni N/5 e N/10 di NaOH in cui qualche seme è germinato. Quest’ ultimo fatto è molto proba- bilmente in relazione con la meno energica azione della NaOH Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa 285 di fronte a quella della KOH. Sembrerebbe dunque che |’ azione nociva qui venga esercitata piuttosto dai cationi anzichè dall’ a- nione. Un altro fatto notevole è questo: che in tutte le soluzioni si trova una notevole depressione nell’ assorbimento rispetto a quelle dell’acqua distillata e dell’acqua di fonte, come lo dimo- strano benissimo i controlli stabiliti per ogni serie: quest’azione per Ba(OH), e Ca(OH), si esplica in un maggior ritardo della germinazione della pianta. ACIDI INORGANICI. Di questi ne furono sperimentati quattro e precisamente: BHSIFHNO;; F,SO;.e H;PO;: FIGI. N N/2 N/5 N/10 H.0 | Acqua Periodi | Liquid.| HCI |Liquid.|] HCl |Liquid.| HCI |Liquid.] HCI | distill. | difonte di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p.mille p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 1, ora) 1090) — |1254| — 1464| — | 1314) — 153.2 | 199.5 1 »]|185.2| — | 2206.2| — | 2018| — |2214| — 169.3 | 216.4 12/, » | 286.2) — | 2913| — | 2998| — | 261.6| — 178.1) 231.8 20» | 357.5) — |3794| — |4284| — |341.9| — | 185.0) 2548 12 ore] 405.1] — |435.8| — | 605.4| — 5824| — 363.5 | 497.8 HNO; N N/2 N/5 N/10 H,0 | Acqua Periodi | Liquid. | HNOs | Liquid. | HNO; | Liquid. | HNO; | Liquid. | HNO; | distill. Mili di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p.mille| p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille local 404 618), ASTON 4 |1615,|:173,8 1 > | 181.2| — 2044 — 226.2) — 229.6) — 180.9 | 181.3 13/031) 2274.160072) ‘231.81 (== 237.8) — 256.4| — 187.9) 196.8 2» | 296.2] 0.114| 299.6] 0.048] 3028. — | 331.6 | —_ 195.4 | 209.3 12 ore | 444.2) 0.137 | 495.2] 0.075] 581.0| — |451.6| — | 384.8] 456.7 280 F. Plate H,SO,. N N/2 N/5 N/10 Hy0 | Acqua Periodi | Liquid. | HsSO; | Liquid. | HySO, | Liquid. { HySO; | Liquid. | HySO, | distill. | di fonte di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille i, ora| 1092] — 1264| — 132.4) — 146.2| — 171.5) 185.6 Tha es bl e = 132.0) — 141.6| — 152.4| — 186.5 | 203.3 1/, > | 1194| — 1399) | 1514) — 163.2| — 195.7)|\ 2173 2 »|1236| 0.048] 1436] — |1632| — |1708| — |203,7| 2396 12 ore| 185.2] 0.066 226.4| 0.052| 264.8 0.036 | 251.6) 0.042 | 394.5 | 505.5 H;PO,. N N/2 | N/5 N/10 | HsO | Acqua Periodi | Liquid. | HsPO; | Liquid. | HsPO, | Liquid. | HsPO, | Liquid. | HsPO; | distill. | di fonte di | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | | i | /, ora | 1124] — | 3 Lo e zi 1384. — | 1425 169.7 | | | | | | | 1 »|1394| — 14320 = Mess 2 152.2 | — 166.7 | 192.7 | | | | | | 13/, » | 150.2| 0.054| 182.2| — IGGR i 181.6 — 175.7 | 196.5 | I | | | 2» | 181.6) 0.072] 193.4) 0.046] 199.2, 0.024| 1944, — 189.4 206.5 | ue | 12 ore | 270.4| 0.092| 299.6] 0.082] 322.4| 0.034| 318.4 | 0.020} 403.8 511.7 Le determinazioni analitiche per questi 4 acidi furono ese- guite tutte gravimetricamente. Confrontando ora i risultati ottenuti per questi 4 acidi, si nota anzitutto che la quantità di liquido assunta è massima nella serie dell’ HCI e minima in quella dell’ H,SO,. Analiticamente non mi è stato possibile di rilevare alcun assorbimento di HCI, eccetto quella quantità minima perduta per adesione dei semi, e che non è stato possibile di determinare a causa della quantità molto limitata: per gli altri acidi, invece, ho avuto risultati diversi, e l’analisi ha potuto svelare l'assorbimento di piccole quantità di acido, come risulta dalle Tabelle quivi annesse. Un fatto molto notevole e interessante è questo: che mentre l'assorbimento qui raggiunge un grado minimo rispetto alle altre serie, non solo lo Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa 287 sviluppo della pianta viene notevolmente accelerato, ma tutta la piantina mostra un rigoglio superiore a tutte le altre. Un altro fatto notevole è anche questo, che i materiali di riserva dei semi vengono esauriti nello spazio di circa 10 giorni, mentre negli altri casi occorrono da 15 a 18 giorni. Oltre che coll’ analisi delle soluzioni, anche con prove microchimiche ho potuto benissimo constatare la presenza dell’anione NO‘, nel pericarpo, a mezzo sia della brucina e sia della difenilamina. Nelle sezioni poi, trattate con H,SO, si constata la presenza dell’ anione SO,” mettendo nel vetrino porta-oggetti una goccia di acetato di piombo al 10°; si forma allora un precipitato bianco, abbon- dante di PbSO,. Questa prova è stata poi controllata da una altra più semplice ma caratteristica: difatti mettendo in stufa a 110° i semi già immersi nelle soluzioni di H,SO, già dopo '/, ora si nota un incipiente annerimento esterno che in seguito diventa intensissimo per la soluzione più concentrata, e gradatamente diminuisce d’ intensità con la diluizione. Fatta la sezione, si vede benissimo come l’ annerimento si limiti perfettamente ai due strati di cellule del pericarpo, mentre la testa, come tutto il resto dell’endosperma, rimane inalterata. Questo risultato sarebbe il primo a confermare, almeno nel caso dell’ Avena safiva, due fatti biologici molto importanti: prima di tutto che allo strato di cellule della testa compete molto probabilmente la vera fun- zione selettiva, e quindi la funzione specifica che ha la ordinaria membrana cellulare; in secondo luogo dimostra l’ enorme resi- stenza che il seme offre all’azione di agenti esterni così energici come è appunto l’acido solforico. Si pensi difatti che le solu- zioni adoperate erano N, N/2, N/5, N/10, e che quindi, ad es., la N di acido solforico contiene una concentrazione del 4,9 °/, di ac. solforico. Se aggiungiamo poi il notevolissimo sviluppo che viene raggiunto dalle piantine, superiore di molto non solo a quelle dei controlli in acqua distillata e di fonte, ma anche a quelle trattate nelle altre soluzioni: se aggiungiamo il color verde bellissimo e molto più intenso delle altre, il pieno turgore in cui si trovano tali piantine, ed infine il fatto che l’anione SO,” viene trattenuto nel pericarpo, dovremo pensare che, molto pro- babilmente, nel caso in questione, all’ idrogenione compete vera- mente una funzione specialissima. 288 F. Plate In quanto all’ H,PO,, ho potuto constatare la sua presenza non solo coll’analisi della soluzione, ma anche con la. verifica microchimica delle sezioni: difatti, trattando su vetrino diverse sezioni con soluzione di molibdato ammonico in soluzione nitrica, dopo riscaldamento graduale a 60° ho potuto constatare un bel precipitato giallo, dovuto alla formazione di fosfomolibdato am- monico; anche qui il precipitato è solo visibile nelle cellule del pericarpo: tutto l endosperma e la testa ne sono privi. Anche questo fatto ci dà dunque una nuova conferma della funzione importante e specifica della testa del seme nel caso dell’ Avena sativa: e che mentre gli anioni Cl’, NO, S$O,”, PO,” vengono trattenuti nel pericarpo, gli idrogenioni passano oltre. SALI ALOGENATI DIVERSI. Furono presi in esame i sali seguenti: KCI, NaCl, BaCI,, CaCihiznCh, CoCl'FeGis4MHgBr;f'KBH KI, Cdl KCI. N Nj2 NJ5 N/10 HsO | Acqua Periodi | Liquid. | KCl |Liquid.| KCi |Liquid.| KCI |Liquid.| KCI distill. | di fonte di |assorb.|assorb. | assorb. |assorb.|assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | 2Ssorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille !/, ora| 105.2] — 2014) — 191.6) — 1824| — 149.7 | 182.4 1 »|1203] — |2118| — |2080| — |1916) — .|.1623| 1935 ij ol bassi 2958 2226] = (2152 aa 2 Mus lrta7so co 232) — |2216| — | 1819| 218.7 12 ore| 204.5| — | 563.4] — 541.8) — 531.8 | — 302.7 | 424.6 NaCl. N N/2 N/5 | N/i@- | Hs0 | Acqua Periodi | Liquid.| NaCl |Liquid.| NaCI |Liquid.| NaCI | Liquid. | NacI | distill. | di fonte di |assorb.|assorb.|assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille Lrora| Ill.Al (— (iiOialN — 208) | dois © | 155.5| 180.6 1 » | 131.6) — ir E | 210.8 _ 200.2) — 169.6 | 191.3 1/3,» (1433| — 2144| — 22422 REN x Ct) 184.6) 201.6 2» | 1496| — |2616| — |2618| — |2316| — |1897|2124 12 ore | 241.6| — «| 5123]. —.|.4960|!)=|471:2;:=;\|,3185}4002 » Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa < N Periodi | Liquid.| BaCl» di assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille gara 11022 — ie» |aios! — 1/, » | 129.7] — Dell \n131.0| — 12 ore| 343.9] — N Periodi | Liquid. | CaCl» di | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille tizvara | 112.3]! — Nevis anzi 12/, » | 1482] — 2» |1563| — 12 ore | 367.0 | N Periodi | Liquid. di assorb. tempo |p.mille bara 141.7 MRO»: (161.9 11/, » | 1739 205 | 177.1 12 ore | 364.3 | Bios ZnCl, assorb. p. mille BaCl,. N/2 MN/5 Liquid. | BaCl, |Liquid.| BaCl. assorb. | assorb. | assorb. | assorb. p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 119.8| — 132.2| — 127.7) — 143.8| — 140.8] — 152:24M02== 159.7) — 1622| — 384.2) — 397.7) — CaCl, N/2 N/5 Liquid.| CaCl, | Liquid. | CaCl: assorb. | assorb. | assorb. | assorb. p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 131.6| — 1344| — 151.2) — 156.2| — 191.8) — 192.7 | 0—- 194.2| — 187.7| — 396.2] — 401.60) — ZnCI, N/2 N/5 Liquid. | ZnCl, | Liquid.| ZnCl, assorb. | assorb. | assorb. | assorb. p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 133.7| — 162.2) — 140.8] — 1834| — 1795| — |1879|) — 191.6| — 19330 — 3MR3 NET L43022 2 N/1 Liquid. assorb. p. mille 130.1 133.7 139.9 152.0 366.2 0 BaCly assorb. p. mille N/10 Liquid. assorb. p. mille 121.4 147.3 163.2 169.7 390.5 CaCl, assorb. p. mille N/10 Liquid. assorb. p. mille 153.7 163.9 177.2 183.1 418.2 ZnCl, assorb. p. mille Hs0 distill. assorb. p. mille 162.8 174.5 186.5 197.7 372.8 H30 distill. assorb. p. mille 146.5 160.3 166.8 178.5 299.9 H30 distill. assorb. p.mille 164.6 168.5 174.5 181.5 309.6 Acqua di fonte assorb. p. mille 165.7 179.8 194.5 199.9 384.7 Acqua di fonte assorb. p. mille 180.7 192.3 198.5 204.6 413.7 Acqua di fonte assorb. p. mille 154.5 171.6 186.5 189.9 405.8 26 Ù . MT | | il % ora | 1 pani | » li 12 ore | Periodi di tempo !/, ora 1 13/5 b D » Periodi di tempo | ì/, ora 1 12/, > » | Il do F. Plate CoCl. N Nj2 N/5 N/10 | Hs0 | Acqua Liquid. | CoCl, | Liquid.} CoCl» | Liquid. | CoCi» | Liquid. | CoCI, | distill. | di fonte assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. assorb. p. mille |P. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille p. mille p. mille 1824 — |1917| — |2016| — (1877) — |162.7| 169.7 201.6] —'\ir2133]vr |nalniz Mt n19ga bi dea 209.2) 0.042 | 225.2 0.036 | 228.2 — | 198.9) — |197.8| 184.7 213.4| 0.087| 237.3| 0.052| 247.9 0.039 2199 — 183,6 1936 n ge ab n rt a 477.2 | 0.113) 5584) 0.087 577.9] 0.041 5460. — |298.6| 3999 FeCl.. N Î Nj2 N/5 | N/10 Hs0 | Acqua Liquid.} FeCl, | Liquid.| FeCl, | Liquid.] FeCl, | Liquid. | FeCl, | distill. | di fonte assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 192.7] — 182.71 — 193.2] — 182.21 — 145.7 | 172.7 183.9) — 1854| -— 1993| — 187.8) — 155.7) 178.6 190.8 | 0.052| 191.6 0.039 204.3 | — | 195.7| — 163.2 | 188.8 205.5 0.083 | 197.8) 0.051 211.7 | 0.031 | 199,2) — | 170.7 | 194.6 12 ore | 391.6! 0.109] 421.8| 0.083| 459.3| 0.049) 441.6] — |304.9| 362.7 HgBro. N N/2 N[5 | N/10 Hs0 | Acqua | Liquid. | HgBrs | Liquid. | HgBry | Liquid. | HgBr» 'Liquia. | HgBr, | distill. | di fonte | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | | | | | 161.9] — 193.3| — | 2114] — |2108| — 159.8 | 154.6 178.2| 0.116] 207.2] 0.047] 213.3| — | 2192] — 161.3 | 162.5 203.4) 0:1725218.9| (0:008)\4227.7 | -— (| 218.9| — | 1684| 169.7 221.7 | 0.196| 229.1] 0.112] 238.2| 0.081| 227.2] — |178.2] 1813 478.2) 0.209| 526.2} 0.136| 578.2] 0.117] 536.2] — |301.1| 408.6 12 ore | ‘e ne fa ù * sita” G fia Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa PNE KBr. N N[2 N][5 N/10 ‘ Periodi | Liquid.| KBr |Liquid.| KBr |Liquid.{ KBr |Liquid.{ KBr di | assorb. | assorb. | assorb, | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille tl, ora |.113.7/. — |122.1| —. | 136.1] — |1309| — lite 2]132.8... — |.130.7|, —. | 152.2) — .|,147.2|, 1/, >» | 139.2| — |143.7| — | 1719) — 1052 2» | 146.7) — |152.9| — | 1839) — |178.5| — 12 ore] 289.3] — |291.6| — | 3614| — |3503| — KI. N N[2 N|5 N10 Periodi | Liquid.| KI Liquid.|__KI Liquid.| KI Liquid.| KI di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille 2. ora| 119.2] — | 1292) — | 1522) — | 1572] — 1» | 1243| — | 140.8) — |1983| — | 1822) — 13/, >» | 1293) 0.062] 149.2) 0.041) 192.6 0.031| 191.4| — 2» | 152.2] 0.093| 163.2] 0.056] 204.3| 0.040] 198.2] — 12 ore | 347.2| 0.113) 396.3] 0.073 | 478.2 | 0.062 | 443.2] — Cdl,. N N[2 N/5 N/10 Periodi | Liquid.| CdIs |Liquid.| Cdl, |Liquid.| Cdl, |Liquid. | Cdl», di assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. | assorb. tempo |p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille | p. mille ee AR 533 — | ir 1 > | 149.3] 0.114] 163.3| 0.092| 192.2) — |193.2] — 11/, > | 162.8) 0.133| 181.6| O.111| 178.9) 0.062| 175.2 Ma 2» | 169.3| 0.216] 189.3] 0.131| 193,3) 0.083| 183.2| 0.057 12 ore | 357.7| 0.237| 497 | 0.154| 546.0) 0.107 | 507.9| 0.093 H.0 distill. assorb. p. mille 162.5 168.6 174.5 181.6 | 317.8 Hs0 distill. assorb. p. mille 165.7 172.2 181.6 188.6 296.6 | Hy0 distill. assorb. p. mille 140.7 16527 158.3 165.7 301.7 Ì Acqua di fonte 0A assorb.. POR p. mille Di 168.7 173.3 1799 191.5 405.6 Acqua di fonte assorb. p. mille 149.6 169.7 182.5 196.4 364.5 Acqua di fonte assorb. p. mille RITA 182.5 186.8 193.7 365.7 292 F. Plate In questa serie di sali le determinazioni analitiche furono tutte eseguite gravimetricamente. Confrontando ora le diverse serie di sali alogeni sono arri- vato, come si vede benissimo dalle Tabelle, a delle conclusioni molto interessanti. Sarebbero dunque permeabili i sali seguenti : CoCl,, FeCl,, HgBr,, KBr, KI, Cdl, invece non sarebbero permea- bili tutti gli altri cloruri esaminati. Inoltre è da notare che solo KCI e NaCI (non permeabili) accelerano molto la germinazione, ma tutti gli altri la ritardano notevolmente. Un fatto molto carat- teristico avviene per il cloruro cobaltoso e il cloruro ferroso. Per il primo di questi sali sappiamo che esso presenta allo stato ionizzato il color rosso; ebbene i semi in esso immersi non presentano alcuna variazione di colore sia esternamente sia inter- namente: ma dopo tenuti in stufa a 110° e facendone poscia la sezione si vedono i due strati di cellule del pericarpo presentare dei bei depositi neri caratteristici, dovuti molto probabilmente alla formazione di un ossido Co,0,; ma appena le sezioni si portano di nuovo in contatto con acqua appare il color rosso dell’ione Co”. Che durante l’immersione non è possibile distin- guere la presenza del Co” ciò è dovuto probabilmente alla formazione di qualche composto organico incoloro, perchè ap- punto essendo il ione Co” allo stato libero, è più facile che esso nell’ interno possa sommarsi a qualche altro radicale orga- nico e formare quindi un composto organo-metallico incoloro. Viene in seguito il FeCl,; la presenza di questo nel peri- carpo risulta oltrechè dall’ analisi delle soluzioni anche dall’ esame delle diverse sezioni: infatti trattando queste con ferricianuro potassico [Fe(CN),] K, si ottiene un bel precipitato azzurro do- vuto al sale ferroso dell’ acido forricianidrico. Nella memoria completa che prossimamente sarà pubblicata, mi tratterrò di più anche su questa parte. Riassumendo dunque questi brevi cenni preventivi si può dire che tanto agli anioni quanto ai cationi competono delle fun- zioni specifiche nei fenomeni d’imbibizione dei semi: non si può quindi dire che solo agli uni o agli altri compete una tale fun- zione come vorrebbero altri autori. Questi fatti sono stati da me Ricerche sui fenomeni di imbibizione dei semi di A. sativa 293 confermati anche per i nitrati, solfati, fosfati, sali complessi, inor- ganici, acidi organici, sali dei predetti acidi; e non solo da ricerche analitiche e biologiche, ma anche fisico-chimiche. Questi medesimi risultati dimostrano due altri fatti importantissimi: l’azione acceleratrice della germinazione apportata da molti di questi agenti chimici; e che anche concentrazioni molto forti spesso non danneggiano, anzi favoriscono la germinazione. Il che viene a confermare quello che già dissi in principio di questa nota: che cioè per poter constatare gli effetti prodotti dagli agenti chimici sui processi della germinazione, occorre di procedere nelle esperienze sistematicamente, cioè vedere quale è il limite massimo, per cui tali azioni possono essere ancora sopportate dagli organismi. Roma, R. Istituto botanico, luglio 1913. i TEM ATTA TIA (HA: A nl Nrche vi A i (AC All penine= I ini ii hi tao Vigil iiar Ù; Mori, ny nisgminanpo CS sù, Pace v* ipivanioman, "Rh, Lager ) TNI DI pat hi 1 i dritti 2 ab pRUTvi mia vi SIRIA LI ara on (deg 1° puait Ù riversa vela pio lg: prom citi va sro pae nt cradle ver tia oi i 9 ero far o NR: : MELI ugitcion o! [| N a va peli Tdi" UA "4 RECENSIONI CITOLOGIA - Mitocondri. MEYER A. — Bemerkungen zu G. Lewitsky: « Ueber die Chondriosomen in pflanzlichen Zellen » (Ber. d. deut. Bot. Gesellsch., XXIX, p. 158-160, 1911). ARTHUR MEYER ricorda il resultato delle ricerche di SCHIMPER e delle sue, che cioè i cromatofori si formano per divisione di cromatofori preesistenti, e sostiene come fatto stabilito questo concetto, contro la concezione di LEWITSKY (Ber. d. deui. Bot. Gesellsch., 1910) che i cromatofori si svilup- pino da condriosomi; non esistono colorazioni veramente specifiche di parti cellulari, e non vi è, secondo l'Autore, nessuna seria ragione per ritenere morfologicamente e fisiologicamente corrispondenti le formazioni che si colorano col metodo di BENDA-MEVES. Altri autori criticarono la teoria dell'origine dei cromatofori dai mito- condri in base ai resultati delle loro osservazioni dirette, che ci mostrano come su tale questione non sia ancora stata detta l’ultima parola; in oppo- sizione con la critica del LUNDEGAARD e con quella del RUDOLPH, quella del MEYER è puramente teorica, poichè il MEYER, come dice egli stesso, non osservò mai i condriosomi. Corrapo BonavENTURA - Firenze. FORENBACHER A. — Die Chondriosomen als Chromatophorenbildner (Ber. d. deut. Bot. Gesellsch., XXIX, p. 648-650, tav. XXV, 1912). Col fine di verificare l’esattezza delle osservazioni del LEWITSKY circa l'origine dei cloroplasti dai condriosomi, osservazioni che avevano suscitato la critica del MEYER, l’Autore compie delle ricerche su varie parti di 7ra- descantia virginica, fissando con la soluzione di BENDA modificata (15 cm? di acido cromico 1/,°,, 3-4 cm? di acido osmico 2°/,, niente acido acetico) e anche, con ottimo resultato, con alcool assoluto, e colorarido all’ ematos- silina secondo i metodi di HEIDENHAIN e di MEVvES, e alla safranina-violetto di genziana-orange secondo il sistema dell’ Istituto di Bonn. Il FORENBACHER parte dai cloroplasti formati della corteccia del fusto e delle foglie, e ne segue la graduale costituzione dai condriosomi dell’apice caulinare, ricercando tutti i passaggi dai condriosomi ai cromatofori della corteccia e della foglia, e una simile trasformazione osserva nella radice dai condriosomi del dermatogeno radicale ai leucoplasti della corteccia della radice; egli incontra sempre, sia nel fusto che nella radice, accanto a cro- matofori sviluppati, formazioni morfologicamente riferibili ai condriosomi. L’Autore figura neila tavola gli stadî di passaggio dai cloroplasti adulti alle forme granulari e a manubrio, da queste alle forme filamentose e fusi- formi dei condriosomi, e figura gli stadî corrispondenti tra condriosomi e leucoplasti; le sue figure ricordano quelle del LEWITSKy, e ricordano anche quelle del LUNDEGAARD, che ricevono presso quest’ultimo autore tutt’ altra interpretazione, venendo riferite ad aspetti riflettenti delle alterazioni cellu- lari sotto l’azione dei reattivi. CorraDpo BoNnaAvENTURA - Firenze. 296 Recensioni LewITsKky G. — Die Chloroplastenanlagen in lebenden und fixierten Zellen von E/odea canadensis (Ber. d. deut. Bot. Gesellsch., XXIX, p. 697- 703, tav. XXVIII, 1911). LewIirsky G. — Vergleichende Untersuchung iiber die Chondriosomen in lebenden und fixierten Pflanzenzellen (ibid., XXIX, p. 685-696, tav. XXVII, 1911). Dopo le critiche (di indole generale) rivoltegli dal MEYER, l’Autore riprende lo studio dell’origine dei cloroplasti, e lo riprende su un materiale (Elodea canadensis) che già era stato oggetto di ricerche per parte del MEYER stesso e di altri autori, i quali ne avevano tratto il concetto opposto della individualità dei cromatofori. I cloroplasti delle gemme foliari di E/odea derivano, secondo l'Autore, da parti verdeggianti della impalcatura citopla- smatica, che presentano per lo più la forma di condrioconti, cioè di baston- cini o di filamenti, assumono tosto una forma a coppa, si rigonfiano poi alle estremità, mentre più tardi i rigonfiamenti si isolano l’ uno dall’ altro ed assumono la forma ovale di giovani cloroplasti. Il modo di comportarsi degli abbozzi dei cloroplasti in questo stadio di condrioconte di fronte ai liquidi fissatori è assolutamente identico a quello dei condriosomi; i fissa- tori ordinariamente consigliati per lo studio dello sviluppo dei plastiduli (quali sublimato alcoolico, sublimato picro-alcoolico) si prestano invece molto male: gli stadî più giovani dello sviluppo dei cloroplasti di E/odea vengono, secondo il LEWITSKy, completamente distrutti da questi fissatori; di qui la divergenza tra i resultati suoi e quelli del MEYER e dello SCHIMPER. Un’altra vasta serie di osservazioni il LEWITSKY compie su un soggetto che permette la comparazione della struttura protoplasmatica sul fresco e su materiale fissato coi metodi pei mitocondri; esso è costituito dalle così dette « Achselschuppen », scagliette inserite due a due all’ ascella delle gio- vani foglie di Z/odea, che, per essere costituite da due soli piani di cellule (e da uno solo al margine) si prestano bene per le osservazioni sul vivente. Il protoplasma delle squamme ascellari di E/odea si mostra costituito da una impalcatura formata dai condriosomi, i quali si mostrano in forma di fili omogenei o condrioconti, di granuli o mitocondri, di coroncine o con- driomiti; gli interstizî resultano occupati da una sostanza fondamentale fluida, che appare omogenea, e che può contenere inclusioni varie, quali fisodi e vacuole. Delle teorie che furono dai diversi autori sostenute circa la struttura del protoplasma, sono solo esatte secondo lA. la teoria granu- lare di ALTMANN e quella filare del FLEMMING, conciliabili nella teoria del condrioma; le formazioni solide che si rivelano nel protoplasma hanno infatti grande somiglianza coi condriosomi delle cellule animali da un lato, e dall’altro coi filamenti che FLEMMING descrisse nel protoplasma di cellule viventi; la maggior parte degli ordinarî mezzi di fissazione distruggono tale struttura del plasma vivente, e lasciano apparire le ben nota impalcatura reticolo-alveolare dei preparati fissati; i fissatori invece che fissano inalterati i condriosomi, conservano anche la vera struttura del protoplasma. La coin- cidenza fra la struttura del protoplasma vivente e quella del protoplasma fissato col metodo di BENDA conduce il LEWITSKy a ricercare in generale il valore dei fissatori, che egli ritiene di potere nettamente dividere in due gruppi. Il 1° gruppo comprende i fissatori che conservano i condriosomi e Recensioni 297 che darebbero la vera struttura del protoplasma: essi sono la soluzione di BENDA, quella di BENDA senza acido acetico, quella di ALTMANN, l’ acido osmico 1/,°, la formalina 10°/,, la soluzione debole di FLEMMING, coi quali tutti si ottengono aspetti del tutto corrispondenti a quelli osservabili e foto- grafabili sul vivo. Il 2° gruppo comprende i fissatori che distruggono i con- driosomi e che darebbero diversi prodotti artificiali e di distruzione: essi sono l’alcool assoluto, l'acido acetico al 20°/,, l’alcool acetico di CARNOY, il sublimato alcoolico saturo, il sublimato alcoolico-acetico, il sublimato acquoso saturo, il sublimato picro-alcoolico, il nitrato d’argento, l'acido pirogallico, l’acqua ossigenata, la soluzione forte di FLEMMING. Le figure del LEWITSKY mostrano uua grande somiglianza con quelle del FORENBACHER, del PENSA, del GUILLIERMOND, i quali pure sostengono l'origine dei cromatofori dai condriosomi: somigliano per altro anche a quelle del LUNDEGAARD che si oppone a tale modo di vedere, e che vede dei prodotti di alterazione dei cromatofori sotto l’azione dei reattivi in quelle figure che nel concetto del LEWITSKY rappresenterebbero gli stadî della loro organizzazione. Circa il valore delle conclusioni del LEWITSKyY è utile ricordare un fatto abbastanza sintomatico, e cioè che lo STRASBURGER, poco incline dapprima ad accogliere l’esistenza dei condriosomi nelle cellule ve- getali (Histologische Beitrége, VII, 1909), aderì in seguito alle vedute del LEWITSKY, e nell'ultima edizione (1911) del suo trattato accolse, quale resul- tato delle ricerche compiute nel suo laboratorio e delle sue proprie osserva- zioni, il concetto di mitocondrio e la derivazione dei cromatofori dai con- driosomi. D'altra parte anche ultimamente i resultati del LEWITSKy furono contraddetti dal RUDOLPH (Ber. d. deut. Bot. Gesellsch., XXX, p. 605-629, tav. XVIII, 1912) che riprendendo lo studio dell’Asparagus officinalis sul quale il LEWITSKY aveva condotte le sue prime ricerche, giunse alla con- clusione che cromatofori e condriosomi sono formazioni di natura differente che possono coesistere le une accanto alle altre, ma che non presentano tra loro nessuna connessione genetica; nella moltiplicazione dei cromatofori (che proverebbero gli uni dagli altri nella maniera stabilita da MEYER e da SCHIMPER) compaiono talvolta delle figure che pel loro aspetto allungato e bastonciniforme si possono confondere coi condriosomi; sarebbero questi stadî di divisione dei cromatofori che, secondo l’A., avrebbero tratto in errore il LEWITSKy che li descrisse come stadî della organizzazione dei cromatofori dai condriosomi. Molto interessanti sulla questione dell'origine mitocondriale dei croma- tofori sono poi i lavori del GUILLIERMOND; dopo una serie di ricerche sui cloroplasti e i leucoplasti, questo Autore ha ultimamente (in una nota che analizziamo a parte) osservato sul vivo la formazione dei leucoplasti e dei cromoplasti dai mitocondri nella corolla di /ris germanica. Circa la tecnica del LEWITSKYy, i resultati che egli ottiene non mostrano sempre concordanza con quelli degli altri autori; egli pone tra i cattivi fis- satori l’alcool assoluto, col quale il FORENBACHER ottiene buoni resultati, e considera come cattivi i processi al nitrato d’argento, esattamente al con- trario del PENSA che, come resultato delle sue ricerche, ritiene che siano i preparati assoggettati alla reazione argentica che più esattamente riprodu- cono l’aspetto del protoplasma fresco, mentre i processi di BENDA e di MEVES creerebbero degli aspetti artificiali. La reazione argentica diede, 208 Recensioni nella dimostrazione dei condriosomi nelle cellule vegetali, buoni resultati anche al sottoscritto (BONAVENTURA C. - Intorno ai mitocondri nelle cellule vegetali, in Bz//. Soc. Bot. Ital., 1912, p. 156-165) sia secondo il processo del metodo fotografico del GOLGI per l’apparato reticolare interno, anche sopprimendo il bagno di viraggio di CAJAL al cloruro d’oro, sia secondo il metodo rapido del GoLGI per lo studio dei nervi periferici, e la reazione riuscì negli apici radicali, in opposizione a quanto afferma il PENSA che la vuole connessa con la presenza della clorofilla. Vi sono certamente su tali questioni molti punti che richiedono una ulteriore elucidazione, e l’affermazione del LUNDEGAARD, che tutto quanto si riferisce ai condriosomi, fatti e concetti, è ancora così « im Fluss » che è difficile giustificare in qualche modo i diversi punti di vista, pure esage- rata espressione dello scetticismo di questo Autore, non può essere messa del tutto da parte. Corrapo BonaAvENTURA - Firenze. PENSA ANTONIO — Osservazioni di morfologia e biologia cellulare nei vege- tali (mitocondri, cloroplasti) (Arc/liv f. Zellforsch., 8 Bd., p. 612-662, tav. XXV-XXVIII, 1912). L’Autore che già in alcune note precedenti aveva studiati i rapporti fra i mitocondri e i cloroplasti, riassume, con l’ aggiunta di nuove osservazioni, in questa memoria, i resultati delle sue ricerche; egli ricorre di preferenza, come è noto, al metodo dell’ argento ridotto che applica con modalità spe- ciali, e, a vero dire, alquanto brutali, che non lasciano sempre completa soddisfazione; in ogni modo, nelle linee generali i resultati del PENSA coin- cidono con quelli del LEWITSKY e del GUILLIERMOND: nelle cellule dei tes- suti di assimilazione giovani, in via di sviluppo, dei vegetali, vengono colo- rate elettivamente delle formazioni che si presentano sotto aspetti assai sva- riati, ma che assomigliano ai mitocondri delle cellule animali; costantemente, o in uno stesso soggetto o in stadî di sviluppo successivi, sono dimostrabili le forme di transizione da tali formazioni endocellulari a cloroplasti tipici. La organizzazione dei cloroplasti può seguire vie differenti: ora i granuli sparsi nella cellula assumono a poco a poco dimensioni maggiori, contorni regolari, e la forma tipica dei cloroplasti, ora invece i granuli si riuniscono in accumuli che diventano poi i cloroplasti, altre volte i granuli si trasfor- mano prima in bastoncini o filamenti che si segmentano costituendo coron- cine di granuli simili a streptococchi, granuli che a loro volta aumentano di volume e diventano cloroplasti; talvolta lungo le formazioni filamentose appaiono varicosità che si isolano per frammentazione e si organizzano in cloroplasti. La somiglianza morfologica tra le formazioni rilevabili nelle piante con la reazione nera e i mitocondri delle cellule animali appare evi- dente, e usando come controllo i metodi pei mitocondri, l’ Autore ottenne spesso resultati concordanti, ma spesso constatò che i metodi dei mito- condri colorano qualche cosa di più che non la reazione metallica. Egli pensa che si tratti di formazioni prive di clorofilla, che l'argento ridotto non può colorare, ciò che lascia adito a dubbi, poichè formazioni mitocon- driali possono essere messe in evidenza coi metodi fotografici anche negli apici radicali, cioè in assenza di clorofilla. In alcuni elementi le formazioni endocellulari in parola invece di presentarsi, dice il PENSA, con la tinta Recensioni 299 nera elettiva dovuta al metodo, con caratteri concreti, sono finissime, mal definite, poco intensamente colorate, quasi incolore; appaiono quasi come ombre appena evidenti nel protoplasma cellulare; I Autore ne riporta l’ im- pressione che le formazioni stesse provengono da differenziazione di ele- menti facenti parte della struttura del citoplasma o a loro volta differen- ziatisi da esso, che solo tardivamente acquistano la proprietà di colorarsi in nero col metodo dell'argento; potrebbero per altro fare anche diversa impressione, quando si tenga conto della tecnica dell’ autore, e si confrontino le sue figure con quelle più convincenti del LEWITSKyY e del GUILLIERMOND. Circa la omologazione delle formazioni endocellulari dei vegetali coi mitocondri delle cellule animali, l Autore crede che non possa darsi una risposta definitiva. Corrapo BonAvENTURA - Firenze. NicoLosi RONCATI F. — Genesi dei cromatofori nelle Fucoidee (Bu//. Soc. bot. ital., p. 144-149, 1912). Nella cellula apicale del tallo della Cysfoseira barbata VA. ha osser- vato i mitocondri che, più lungi dall’apice, si avvicinano e si fondono a formare i feoplasti, con un processo che ricorda quello descritto dal PENSA per i cloroplasti. Corrapo BonavENTURA - Firenze. GUILLIERMOND A. — Sur l’origine des leucoplastes et sur les processus cy- tologiques de l’ élaboration de l’amidon dans le tubercule de pomme de terre (C. RP. Ac. Sc., CLIII, p. 1492, 1911). GUILLIERMOND A. — Sur les leucoplastes de Phajus grandifolius et leur identification avec les mitochondries (i0id., CLIV, p. 286, 1912). GUILLIERMOND A. — Quelques remarques nouvelles sur le mode de for- mation de l’amidon dans la cellule végétale (C. A. Soc. de Biologie, LXXII, p. 276, 1912). GUILLIERMOND A. — Sur les différents modes de la formation des leuco- plastes (i0fd., LXXII, p. 110, 1912). Dopo i lavori di LEWITSKY, PENSA, e GUILLIERMOND medesimo intesi a mostrare l'origine mitocondriale dei cloroplasti, parve interessante all’ A. di ricercare se i leucoplasti od amiloplasti rientrassero nello stesso caso; e la questione era particolarmente interessante perchè avrebbe potuto condurre a chiarire una questione non completamente risoluta, quella dell’ origine del- l’amido, che SCHIMPER e MEYER considerano sempre connessa alla attività dei leucoplasti, ma che alcuni altri botanici, tra i quali il BELGUNG, ricon- dussero ad una precipitazione in seno al protoplasma senza il concorso dei cromatofori. Il GUILLIERMOND, seguendo i metodi per i mitocondri, e spe- cialmente quelli di ReGAUD, ha studiato dapprima l’ origine dei leucoplasti e dell’amido nella patata, poi nelle radici di Phajus grandifolius che ser- virono alle ricerche dello SCHIMPER, poi in diversi altri materiali, ed arrivò alla conclusione che i leucoplasti derivano sempre dalla differenziazione di mitocondri preesistenti; questa differenziazione può effettuarsi in diverse maniere: in un primo caso i leucoplasti appaiono come piccoli rigonfiamenti che si producono lungo i condrioconti, in un secondo si presentano come 300 Recensioni grossi elementi fusiformi resultanti da una differenziazione speciale dei con- drioconti; altre volte provengono dalla differenziazione dei granuli di un condriomite che resulta a sua volta dalla trasformazione di un condrioconte; in un quarto caso finalmente i leucoplasti resultano dalla differenziazione di mitocondri granulari isolati. Questi diversi processi possono in fondo riunirsi intorno a due tipi fondamentali: 1° formazione di piccoli rigonfia- menti sviluppati lungo un condrioconte; 2° aumento di volume di mitocondri granulari isolati o riuniti in condriomiti. Quanto alla formazione dell’amido, talvolta i condriosomi secernono direttamente l’amido nel loro interno, altre volte subiscono prima un gonfiamento e si trasformano in corpuscoli a spese dei quali nasce l’amido; questi corpuscoli conservano l’ aspetto dei condriosomi, e istochimicamente non sembrano differirne, colorandosi come i condriosomi coi metodi di REGAUD e di BENDA, talchè | A. li identifica con le formazioni mitocondriali, e li considera come rappresentanti sempli- cemente uno stadio nell’ evoluzione dei condriosomi. i Può notarsi che ad analoghe conclusioni sull’ origine mitocondriale dei leucoplasti giunse il FORENBACHER. Corrapo BonavENTURA - Firenze. GUILLIERMOND A. — Sur les mitochondries des organes sexuels des végé- taux (C. A. Ac. Sc., CLIV, p. 888, 1912). Dalle osservazioni dell’ A. deriva che i mitocondri si trovano con co- stanza nelle cellule degli organi sessuali dei vegetali, in particolare nell’oosfera e nei granelli di polline; ne conclude il GUILLIERMOND che i mitocondri si trasmettono dalla pianta madre all'uovo. D'altra parte, nelle sue precedenti ricerche, lA. aveva mostrato come i mitocondri si trovino in gran numero in tutte le cellule delle plantule all’inizio della germinazione: alcuni si dif- ferenziono in amiloplasti ed elaborano l’amido, altri si trasformano in clo- roplasti, molti persistono in certe cellule ed hanno destini ancora ignoti. È legittimo ammettere, nota l’A., che questi mitocondri resultino dalla divi- sione dei mitocondri preesistenti nell'uovo. E questi resultati non sarebbero, secondo il GUILLIERMOND, in opposizione con quelli di MEYER e di SCHIMPER: questi autori, seguiti dalla maggior parte dei botanici, ammisero che i pla- stidî derivino sempre da elementi preesistenti, da piccoli leucoplasti che si trovano nell’uovo; a questi piccoli leucoplasti corrisponderebbero i mito- condri rivelati dal GUILLIERMOND, talchè queste nuove ricerche precisereb- bero, secondo l’ A., il significato dei piccoli leucoplasti di SCHIMPER e MEYER; esse mostrerebbero che i corpi considerati da questi autori come leucoplasti sono in realtà degli elementi aventi un valore molto più generale, poichè corrispondono ai mitocondri delle cellule animali, organiti del protoplasma a spese dei quali si elaborano la maggior parte dei prodotti di secrezione o di differenziazione delle cellule. Corrano BonavENTURA - Firenze. GUILLIERMOND A. — Sur l’étude vitale du chondriome de l’ épiderme des pétales d’/ris germanica et de son evolution en leuco- et chromo- plastes (C. A. Soc. de Biologie, LXXIV, p. 1280, 1913). Alle critiche che molti autori rivolsero alle osservazioni mostranti l’ori- gine mitocondriale dei cromatofori, il GUILLIERMOND risponde presentando Recensioni 301 delle nettissime figure riproducenti gli stadî di organizzazione dei leucoplasti e dei cromoplasti quali egli potè osservare in vivo nell’'epidermide dei pe- tali di /ris germanica; i condrioconti subiscono nelle differenti cellule epi- dermiche una evoluzione secondo due direzioni differenti: nella maggior parte delle cellule epidermiche si trasformano in leucoplasti inattivi secondo uno dei processi già precedentemente messi in luce dall’ Autore; nelle cel- lule epidermiche corrispondenti alle venature violacee si trasformano in cro- moplasti, i quali si costituiscono con lo stesso processo dei leucoplasti e si impregnano di pigmento xantico che li colora nettamente in giallo; tale pigmento giallo elaborato dai cromoplasti, associato all’ antocianina disciolta nel succo cellulare, determina il colore giallo delle papille dei sepali e le venature violacee brune della base dei petali. Le osservazioni del GUILLIERMOND acquistano uno speciale interesse pel fatto che sono state compiute sul vivo, in condizioni in cui può essere direttamente seguita l’apparizione del pigmento, che non si conserva nel meteriale fissato; esse portano un nuovo contributo alle scarse conoscenze sulla formazione dei cromoplasti nei vegetali. Corrapo BonavENTURA - Firenze. GUILLIERMOND A. — Sur les mitochondries des cellules végétales (C. RP. Ac. Se., CLIII, p. 199-201, 1911). GUILLIERMOND A. — Nouvelles observations sur le chondriome des Cham- pignons (ibid., CLVI, p. 1781, 1913). GUILLIERMOND A. — Sur le ròle du chondriome dans l’ élaboration des produits de réserve des Champignons (ibid., CLVII, p. 63, 1913). L’Autore, che si occupò in diverse note dei condriosomi nelle piante e che, rivolgendo le sue ricerche alle piante superiori, mise in luce fatti” molto interessanti che lo indussero a sostenere l’origine mitocondriale dei cloroplasti e dei leucoplasti, partendo dalla teoria che considera il condrioma come un elemento costante e indispensabile della cellula, volle estendere le sue ricerche alle tallofite, e riuscì a mettere in evidenza, nei giovani filamenti ascogeni di Pusfu/aria vesiculosa numerosi condrioconti rettilinei o flessuosi, spesso fittamente intrecciati e addossati ai nuclei; il resultato negativo ottenuto invece coi Batterî, le Cianoficee, le Mucoree, i Saccaro- miceti fece sorgere in lui il dubbio che l’assenza dei mitocondri in queste tallofite fosse solo apparente, e che, per rivelarne la presenza, occorressero differenti metodi d’indagine. E di fatto, proseguendo le ricerche, il GUIL- LIERMOND è arrivato a constatare la presenza del condrioma in numerosis- simi funghi, e a farsi il concetto che esso costituisca un apparecchio costante nella cellula dei funghi; ha potuto mettere in evidenza i condriosomi oltre che in numerosi Ascomiceti, negli organi di fruttificazione di parecchi Autobasidiomiceti, in parecchi funghi filamentosi (Endomyces Magnusii, E. fibuliger, Botrytis cinerea etc.), ed in alcuni Saccaromiceti (Saccharo- myces ceravisiae, S. Ludwigii); il Penicilliam glaucum e la Pustularia vesiculosa si sono prestati particolarmente bene alle ricerche dell’Autore. Il condrioma nei funghi sembra avere, nel concetto del GUILLIERMOND, un ufficio importante nelle secrezioni, come lo testimoniano la formazione a spese dei suoi elementi di granuli basofili e la produzione frequente di 302 Recensioni vescicole di secrezione; forse queste vescicole, che sono analoghe a quelle in cui si depone l’amido in molti vegetali superiori, hanno un ufficio nel- l'elaborazione del glicogeno e dei grassi; ma le osservazioni dell’ Autore non hanno fornito ancora dati positivi su questo punto; sembrano invece dimo- strare che i corpuscoli metacromatici sono elaborati in seno ai condrioconti. Le ricerche del GUILLIERMOND sono interessanti per aver condotto a dimostrare, anche nei funghi, la presenza di inclusioni cellulari che reagiscono come i condriosomi e che ne hanno l’aspetto; così, colmata anche questa lacuna, può dirsi che in tutte le grandi divisioni dei vegetali i reperti siano stati presso a poco corrispondenti. Resta naturalmente a vedere se tutto ciò che in organismi così differenti si comporta ugualmente di fronte a certi reattivi sia veramente omologabile e riconducibile ad un organo cel- lulare autonomo. Le ricerche del GUILLIERMOND hanno contemporaneamente contribuito a mettere in luce alcuni dettagli della struttura dei funghi. Corrano BonavENTURA - Firenze. GUILLIERMOND A. — Sur la formation de l’antocyane au sein des mitochon- dries (C. A. Ac. Sc., CLVI, p. 1924, 1913). Da una serie di ricerche compiute sulle giovani gemme in via di svi- luppo di noce e di rosa, l'Autore conclude che l’antocianina ha una origine mitocondriale al pari degli altri pigmenti dei vegetali superiori, con la dif- ferenza che, mentre la clorofilla, la xantofilla, la carotina restano fissate nei loro plastiduli, l’antocianina, una volta formatasi e dopo il riassorbimento del suo plastidulo, si localizza nelle vacuole. Corranpo BonavENTURA - Firenze. BONNET J. — L’ergastoplasme chez les végétaux. (Azzaf. Anz., XXXIX, p. 67-91, 7 figg., 1911). Ampia bibliografia e riassunto storico sull’ergastoplasma nelle cellule vegetali. Per parte sua, VA. mette in evidenza, mediante fissazione con liquido di MERKEL e colorazione all’ ematossilina di HEIDENHAIN, delle for- mazioni ergastoplasmiche nelle cellule del tappeto della convolvulacea Cobaea scandens, formazioni della stessa natura di quelle descritte, fin dal 1898, da P. ed M. BoUIN nel protoplasma della cellula madre del sacco embrionale delle gigliacee. Corrapo BonavENTURA - Firenze. LEVI GIUSEPPE — I condriosomi nelle cellule secernenti ( Anafomischer Anzeiger, Vol. 42, p. 570, 92). Sostiene che i condriosomi non hanno alcuna relazione colle gocce di secreto (anfibî), e che sono filamenti intrecciati, sempre impassibili, durante i diversi stadî funzionali. CORTI ALFREDO — Studî sulla minuta struttura della mucosa intestinale di Vertebrati in riguardo ai suoi diversi momenti funzionali (Archiv. Anat. Embriol., Vol. 11, p. 1-189, 1912). Con uno studio accurato della mucosa intestinale di Vertebrati appar- tenenti alle diverse classi, l'A. esclude la esistenza di spazî subepiteliali o Recensioni 303 intercellulari, che sono invece dovuti ai metodi di fissazione. Durante | as- sorbimento, il fatto più notevole osservato consiste nella trasformazione del citoplasma, che diventa più spugnoso; ciò si osserva soprattutto nei pesci. Inoltre lA. constata differenze nella struttura dei condriosomi, che appaiono filamentosi, nel digiuno; in forma di granuli, o di filamenti e granuli insieme, nelle altre condizioni. Però nei mammiferi ibernanti si ha la forma di granuli. Queste modificazioni dei condriosomi concordano con quello che si ritiene generalmente avvenire, nel passaggio dal riposo (forma filamentosa), alla attività cellulare (forma granulosa). Si ponga però attenzione alla cir- costanza che, là dove si parla di intestino assorbente, in questo, come nei lavori degli altri AA. sullo stesso argomento, non si ha in realtà alcun di- ritto di attribuire i fatti osservati, piuttosto a processi di assorbimento che di secrezione; non venendo mai scissi, negli esperimenti che sono stati fatti, le due funzioni, che contemporaneamente possono avvenire nelle cellule intestinali; sì che resta un poco difficile di decidere a quale delle due fun- zioni si debba attribuire il quadro citologico osservato. Pei condriosomi, la somiglianza col comportamento nelle ghiandole, secondo le osservazioni classiche del GARNIER (il nome — ergastoplasma — era diverso, ma la cosa era la stessa), fa pensare che il quadro delle trasformazioni osservate nell’ in- testino, sia appunto da riferirsi alla secrezione. PaoLo ENRIQUES. AZIONI DI SALI. FROUIN A. — Action des sels de vanadium et de terres rares sur le déve- loppement du bacillus tuberculeux (C. A. Soc. Biol, Vol. TT, p. 1034, Paris, 1912). L’A. facendo ricerche nello stesso indirizzo di quelle del RICHET sui saccaromiceti, trova un accrescimento dello sviluppo del bacillo tubercolare, quando, al mezzo di cultura (asparagina, lattosio, glicerina e sali), aggiunge un poco di vanadato sodico (0,04 °/,). Altri sali di terre rare (solfato di cerio, lantanio, neodimio, preseodimio, samario) agiscono ugualmente, a minor concentrazione (0,005 °/,)). A concentrazione più elevata naturalmente tutti questi sali divengono dannosi allo sviluppo. V. HENRI pensa che questi resultati si debbano ad una accelerazione catalitica delle ossidazioni; la tossicità a dosi elevate deriva dalla produzione di acqua ossigenata; la loro azione viene infatti diminuita quando si au- menta nella cultura la quantità delle sostanze ossidabili (zuccheri, glicerina ecc.), che assorbono una parte dell'attività del catalizzatore. PaoLo ENRIQUES. MAMELI Eva — Sulla influenza del magnesio sopra la formazione della clorofilla (Affi RA. /stituto Botanico Pavia, ser. Il, Vol. XV, p. 150-205, tav. XIX, 1912). Da quando il WILLSTAETTER trovò che la clorofilla non contiene nè ferro nè fosforo, ma invece costantemente magnesio non come semplice sé ua 304 Recensioni ione, ma legato al complesso della molecola organica, alle varie ipotesi che per spiegare la funzione della clorofilla ne invocavano le proprietà fisiche considerando la clorofilla come un trasformatore di energia, si andarono sostituendo le ipotesi chimiche, e il WILLSTAETTER, appoggiandosi sulle note sintesi del GRIGNARD, sostenne il concetto che l'assimilazione fotosintetica delle piante verdi riposi su reazioni sintetiche del magnesio. La presenza del magnesio nella molecola clorofilliana (la cui composizione sarebbe espressa dalla formula bruta C3gH,,0O;N,Mg) fu messa in luce dal WILL- STAETTER con procedimenti di indole chimica; occorreva per altro, e tale fu il compito della signorina MAMELI, ottenere la conferma sperimentale della con- statazione del WILLSTAETTER, ricercando il probabile rapporto tra la quantità di magnesio fornita alle piante in esame e la quantità di clorofilla formatasi. Le esatte indagini compiute coltivando piante superiori sia in assenza di magnesio che in presenza di quantità varie di esso, e le accurate osserva- zioni compiute col metodo colorimetrico, permisero all’Autrice di arrivare a resultati interessanti, dimostrando l’esistenza non solo di un rapporto qualitativo, ma di un rapporto quantitativo tra il magnesio e la clorofilla, rapporto che può anche essere indipendente da tutte le altre funzioni e trasformazioni, chimiche e di accrescimento, della pianta. Piante appartenenti a diverse specie (Profococcus viridis, Spirogyra majuscula, Vaucheria sp., Zea Mays, Polvgonum Fagopyrum, Helian- thus annuus, Torrenia Fournieri), rimasero scolorate o inverdirono solo debolmente in substrati culturali esenti da magnesio, e coltivate in substrati presentanti quantità diverse di magnesio formarono clorofilla in quantità legata a quella del magnesio da un rapporto diretto costante; è pure co- stante un rapporto inverso tra magnesio e pigmenti gialli. CorraDpo BonavENTURA - Firenze. BERNARDINI L. e MORELLI G. — Sull’ ufficio fisiologico del Mg nella pianta verde (Affi R. Accad. Lincei, Vol. 21, p. 357-362, 1912). La fitina contiene acido fosforico; nei grani germinanti ove essa è ac- cumulata in riserva, si scompone, per mezzo di un enzima idrolizzante: si forma inosite e fosfato Mg; questo elemento ha dunque l’ ufficio di traspor- tatore del Ph, verso i luoghi dove esso viene utilzzato per la sintesi delle sostanze proteiche, mentre il Mg stesso evidentemente viene ivi utilizzato per la formazione della clorofilla. PouGET I. e CHOUCHAK O. — Influence de la concentration des solutions de substances nutritives sur leur absorption par les végétaux (C. A. Ac. Sc., Paris, Vol. 154, p. 1709, 1912). Il resultato più notevole è il mancato assorbimento delle sostanze del mezzo ambiente, quando sono molto diluite. Così l’ acido fosforico non è assorbito alla concentrazione di 1 su 10 milioni; anzi vengono in tali circo- stanze emesse sostanze, già assorbite dalle piante. Ciò è senza dubbio notevole, per mostrare che la capacità elettiva della pianta ha un limite; l'assorbimento è capace di opporsi alle leggi della dif- fusione, ma solo fino ad un certo limite. In altri termini, l’ energia disponi- bile per l'assorbimento ha un limite. Pa Recensioni 305 ACQUA C. — L’azione dell’ uranio sulla cellula vegetale (Archiv. di farmaco]. sperim., Vol. 14, 4 pgg. (estratto), 1912). Studiando l’azione di sali di uranio, torio e manganese, constata VA. un rallentamento di sviluppo del sistema radicale, mentre una influenza molto minore si osserva sopra alle parti verdi. Nelle radici infatti si depositano questi sali, e soprattutto nei nuclei, dei quali viene impedita la divisione. L’ azione nociva del manganese è meno intensa che non quella degli altri elementi studiati; l’uranio agisce però in concentrazioni più deboli. L’A. pensa che sarebbe utile estendere le ricerche agli animali, coll’idea che queste azioni, per così dire, anticariocinetiche, possano venire utilizzate nel trattamento dei carcinomi. S'incontrano dunque le sue ricerche nelle piante, con quanto per altra via i patologi hanno cominciato a fare, studiando appunto composti di varî metalli pesanti; e s'incontrano anche colle azioni anticariocinetiche osservate per il radio, nonchè per i raggi Ròntgen (carcinoma, testicolo). Speriamo — questo è un altro lato della questione — che lA. estenda le sue ricerche allo studio di soluzioni anche molto più diluite, nel qual caso troverà forse un’ azione favorevole alla cariocinesi, anzichè contraria. Il con- trasto coll’azione favorevole del torio, nell’ anemia (v. alla pagina seguente), sembra appoggiare tale supposizione. JAviLLIER — Influence du zinc sur la consommation par l’ Aspergillus niger de ses aliments hydrocarbonés, azotés et minéraux (C. £. Ac. Se., Vol. 155, p. 190, 1912). Una traccia di Zn accresce il peso secco delle muffe; inoltre accresce l’utilizzamento dello zucchero: di esso si distrugge una quantità 2-3 volte minore, rispetto a un dato peso di muffa secca formata, quando nella cul- tura c'era Zn, che non quando non c’era. Inoltre, nella Sferigmatocystis nigra lo Zn produce aumento di Si e P delle ceneri, diminuzione di S; au- mento di Fe ed Mn, diminuzione di Mg. Il resultato è senza dubbio notevolissimo. Che il peso della muffa pro- dotta nell’unità di tempo sia maggiore per influenza dello Zn è notevole; ma più ancora è il fatto straordinario, che esso migliora enormemente le condizioni dell’ organismo, migliora — esprimiamoci in termini energetici — il rendimento della macchina. Il meccanismo chimico e termochimico di ciò, disgraziatamente ci è ignoto, ed è certo ‘molto difficile a scoprirsi! BERTRAND G. — Sur le ròle capital du manganèse dans la production des conidies de |’ Aspergillus niger (Bull. des Sc. pharmacologiques, p. 321-324, 1912). È necessaria una certa quantità di Mn perchè la pianta formi i conidi. Se la quantità di questo elemento assorbita dal micelio è troppo scarsa, la pianta può vegetare, ma resta sterile. WAKER CH. E. — The treatment of cancer with selenium (Larce7, p. 1337, 1912). Con un preparato colloidale di Se, che non è tossico, a differenza del preparato di WASSERMANN, non ha ottenuto resultati favorevoli, nella cura del cancro dei topi. Bios 27 306 Recensioni Sembra dunque che tossicità per i topi e per il loro tumore, siano pro- prietà in certo modo collegate insieme. BiCKEL A. — Beitrag zur Thorium X-Behandlung der perniziòsen Anamie (Berl. klin. Woch., p. 1322, 1912). Già si è avuto resultati favorevoli, nel trattamento dell’ anemia perni- ciosa con iniezioni di torio X. L’A. ha provato la cura del torio X per bocca, dando ogni giorno a bere 50.000 M. E. in 3 porzioni, dopo i pasti. Dopo 5 settimane di cura, nel malato aumentarono gli eritrociti, da 960.000 a 4.610.000, e l’emoglobina da 50 a 90°/,. Ciò naturalmente andò d’accordo con un miglioramento generale. Credo che gli esperimenti di questo genere potranno finalmente con- durre a preparare delle acque minerali artificiali, che abbiano, più di quelle naturali radioattive, le volute proprietà, sì da meglio ottenere i resultati che si desiderano. PaoLo ENRIQUES. PPS SSIZIZIIZIAZ BOTANICA. LIGNIER O. et Tison A. — Les Gnétales, leurs fleurs et leur position systema- tique (Ann. d. Sc. Nat., Botanique. Neuv. serie, a. 1912, pp. 55-185). Il piccolo gruppo delle Gnetacee, comprendente 3 generi (Grezum, Ephedra e Welwitschia) è uno di quelli che, sia per lo strano aspetto morfologico, come per la singolare struttura interna e l’aberrante architet- tonica fiorale, ha provocato ricerche numerosissime da parte dei bota- nici mettendone a dura prova la loro sagacia. Controversa fu ed in parte resta la sua posizione sistematica: basti dire che esso fu collocato da alcuni fra le Angiosperme, da altri fra le Gimnosperme, oppure posto alla base del grande albero genealogico delle prime e cioè fra le Proangiosperme, o ricercate le affinità fra famiglie interamente fossili (Cordaitee, Benettinee, Pteridosperme ecc.). Tutto ciò prova la grande difficoltà del problema accresciuta dal fatto che il gruppo non ha lasciato traccie sicure dei suoi proavi nei terreni geologici. Gli A. del lavoro che stiamo esaminando sono tornati all'assalto con- centrando il massimo dei loro sforzi sul gen. We/wifschia — che è quello fra i tre che ha meglio conservati i caratteri ancestrali — e ricorrendo al metodo delle sezioni in serie successive dopo le opportune inclusioni. Si tratta, quindi, di uno studio morfologico ed anatomico di una grande accu- ratezza, le cui conclusioni più generali — anche per il loro valore sinte- tico — non riusciranno discare ai lettori della « Bios ». Secondo gli A. Welwitschia si appalesa quale un Angiosperma innanzi tutto per la morfo- logia del suo apparato fiorale e specialmente per quella del fiore che comprende parecchi verticilli di cui il penultimo forma un androceo e l’ultimo un ovario chiuso terminato da un lungo stilo e uno stigma. Le sue maggiori rassomiglianze sono rintracciabili a prima vista nelle Apetale e di queste nelle Poligonacee. D'altra parte la composizione delle sue Recensioni 307 infiorescenze amentiformi, i fiori a verticilli esterni assai ridotti, il ritorno alla unisessualità, l’ovario pluricarpellare ed uniloculare, la placentazione basilare ecc. conducono a compararla, più che ad altre Famiglie, con le Amentacee: la rassomiglianza del cono di We/wifschia con quello di Myrica è davvero sorprendente. D'altra parte, caratteri specialmente anatomici ed istologici avvicinano il genere alle Gimnosperme e tra questi gli A. ricordano la nervazione dico- tomica, la struttura del legno secondario formato di tracheidi, i vasi che sembrano essere più che altro delle tracheidi allargate, lo sviluppo precoce dell’ endosperma, la gelificazione della sommità della nucella per la forma- zione di una gocciolina collettrice del polline, la formazione di un proem- brione ecc. L’esistenza del trofofito (PEARSON) ed i singolari budelli fem- minili posti al davanti dei budelli pollinici, fanno la We/wifschia indi- pendente sia dalle Angiosperme, che dalle Gimnosperme e gli A. finiscono per concludere che le Gnetacee attuali rappresentano una derivazione delle Proangiosperme, di cui SAPORTA e MARION hanno ammesso l’esistenza e che sarebbero state ed i discendenti sarebbero tuttora collegati da vincoli di parentela con i gruppi precedenti, non che con gruppi inferiori. Gruppo ipotetico di cui LIGNIER e TISsoNn, in base ai caratteri presentati da We/wif schia di confronto con quelli dei vicini gruppi, tentano di ricostruire i pro- babili elementi (morfologici, anatomici, embriologici ed organogenici) della sua costituzione. Nell’ampia rassegna bibliografica è fatta la dovuta parte alle vedute che ebbe sul gruppo il nostro PARLATORE (che, come è noto, elaborò le Gimnosperme nel Prodromo del DE CANDOLLE) ed è resa la dovuta giustizia alle accurate osservazioni organogenetiche pubblicate ben 35 anni fa da ODOARDO BECCARI sui fiori femminili di Grefum Gnemon. Ci duole invece di constatare che niun conto abbiano gli A. tenuto di quanto in più luoghi e tempi ebbe a scrivere il DELPINO sull’ argomento: ingegnose osservazioni e logiche deduzioni che anche oggidì non ci sembra abbiano del tutto perduto di valore e che, per amore di giustizia ed opportunità di confronto, amiamo qui di brevemente riassumere. Da quanto lasciò scritto nella 2° Me- moria sull’ « Applicazione di nuovi criteri sulla classificazione delle piante » che vide la luce nel 1889 ricaviamo che il DELPINO aveva escluso che il tegumento oostego fosse da ritenersi per un ovario ed emise l’ipotesi che questo organo fosse l'equivalente di un urceolo androceale decapitato, affatto analogo a quello che si osserva nei fiori femminili di Auscus. Riconobbe bensì che fra la morfologia delle Gnetacee e quella delle Cicadee e delle Conifere intercedevano differenze profonde — da fare insorgere l’idea delle esclusione delle stesse dalle Gimnosperme — ma osservò che la nucella ovulare delle prime con il suo lungo tubo micropilare forato, col processo di impollinazione mercè una goccia di linfa e con la sua embriogenia coin- cide affatto con la nucella delle Cicadee e delle Conifere. All’ acuta analisi Delpiniana non sfuggì, inoltre, un carattere altamente aberrante nelle Gimno- sperme e così frequente e con tanta insistenza ripresentantesi in gruppi disparati delle Angiosperme e cioè la gamofillia che, dalle foglie vegetative, si estende sino agli organi fiorali: niente di più contrario, egli dice, alla natura gimnospermica di avere stami monadelfici e si dimanda come si è potuto concretare un carattere così eccezionale. In tale carattere egli vide 308 Recensioni una conseguenza del primitivo ermafroditismo fiorale in quanto in un fiore policiclico, ove l’androceo è disposto a cicli, un po’ per effetto di pressione, un po’ per soddisfare a scopi connessi con la vita fiorale ermafroditica, sia affatto frequente la monadelfia. Ma poichè l’ermafroditismo fiorale trova, secondo le vedute staurogamiche, la sua spiegazione e giustificazione nella impollinazione a mezzo degli insetti, mentre le Gnetacee, come tutte le Gimno- sperme, sono oggidì anemofile, DELPINO congettura che i progenitori di quelle dovettero essere fornite di fiori ermafroditi ed entomofili e sarebbe persistenza dell’antica entomofilia il singolare adattamento della collezione mediante il sussidio di una goccia di linfa fuoruscente dal tubo micropi- lare. Alla ipotesi formulata da alcuni che le Gnetacee formassero un gruppo di transizione fra le Gimnosperme e le Angiosperme contrappone la rifles- sione che ogni forma che ne prepara un’altra, ne’ suoi caratteri neomorfici, di mano in mano che si sviluppano, porta l'impronta di una finalità per- fetta o quasi perfetta, e quindi l’asessualismo per aborto non può essere spiegato come forma preparatoria, perchè indica una incongruenza (in quanto comporta organi rudimentali ed inutili) ed un fatto postumo (in quanto non prepara l’ ermafroditismo, ma ne deriva). Parve poi al DELPINO una ipo- © tesi delle più insostenibili fare derivare le Angiosperme, che sono pluro- sperme e pluriovulate, dalle Gnetacee che sono axosperme e con carpidio abortivo e rigettò pure quella di farle derivare dalla degenerazione di un qualche tipo angiospermico primigenio. Concluse che è molto verosimile che le Gnetacee discendano da qualcuna delle molte forme Gimnospermiche preparatorie delle Angiosperme, già insignite di fiori ermafroditi ed ento- mofili, conservante tuttavia la impollinazione micropilare. A. BÉGUINOT. ANTROPOLOGIA. GIUFFRIDA-RUGGERI — L’uomo attuale, una specie collettiva (Albrighi, Se- gati e C., Milano-Roma-Napoli, 1913). Scopo del lavoro è di mostrare le nuove vedute su cui si basa il neo-monogenismo che l’autore sostiene, e fondare sul concetto delle poten- zialità parallele nel seno stesso della specie una classificazione della specie umana: una serie di metamorfosi parziali e parallele non rompe il legame visibilissimo nel comportamento fisiologico che riunisce le diverse specie elementari. Tali specie elementari non sono secondo | A. che mutazioni fisse costi- tuite da altrettanti patrimoni genotipici ma non tali che non possano nella fecondazione scambiare e sostituire a vicenda una parte dei determinanti; sono quindi semplicemente delle unità morfologiche che costituiscono nel loro insieme la specie collettiva che è unità biologica. L’A. combatte con molta forza il poligenismo ed in particolare quello di SERGI; dimostra la grande instabilità delle caratteristiche umane, per cui si può pensare come non sia possibile edificare su di esse una classifica- zione per la quale si presuppongono dei caratteri assolutamente stabili e Recensioni 309 tanto meno potrà servire tale criterio a separare i generi e le specie quando sia in contrasto col resultato mistiologico. Un dato carattere può avere ora un determinante proprio, ora essere correlativo, può essere una mutazione in certi gruppi ed una fluttuazione in certi altri. La mancata fusione dei caratteri che costituisce uno degli argo- menti principali onde dare a tali caratteri un’ importanza tassinomica è rela- tiva assai, e molti esempi dimostrano che tale fusione avviene ed offrono una prova importantissima della plasticità della specie umana. Anche la forma del cranio e i caratteri scheletrici ritenuti stabili e fon- damentali caratteristiche per separare i gruppi umani, non possono essere per molti e molti fatti di un valore assoluto. Il Boas ha notato che gl’incroci fra Pelli-rosse e Bianchi danno discen- denti, una parte dei quali non ha nè la grande larghezza faciale dei primi, nè quella più piccola dei secondi, ma intermedia; cosicchè l’indice faciale graficamente viene spostato in modo che la maggiore frequenza cade fra il massimo seriale dei Pelli-rosse e il massimo seriale dei Bianchi. L’anatomico HENLE riuscì a presentare agli studenti dell’università di Gottinga i tipi cranici di tutte le razze umane valendosi esclusivamente del materiale formato dai soli antichi abitanti di Gottinga e dintorni. E ciò si spiega quando la forma del cranio sia nel maggior numero dei casi una mutazione, ma anche possa essere una fluttuazione. Dimostrata la grande plasticità della specie umana e di conseguenza la instabilità dei caratteri morfologici, si ha una logica e naturale spiega- zione di tutte le differenze morfologiche fra le razze umane. L’isolamento va preso in considerazione non per la creazione di nuovi caratteri ma in quanto ha protetto combinazioni speciali di essi; ciò si verifica per le aree marginali di difficile accesso nelle quali una colonia umana ha mantenuta una relativa purezza. E ciò appare ancora molto più in grande risalendo ai primordi dell’ uma- nità, in cui tutto il globo era uno spazio vuoto da occupare e le vaste esten- sioni funzionarono da isolanti, favorendo il formarsi delle razze e accen- tuando quelle differenze fisiche, che ancor oggi persistono fra le stirpi. Quando l’uomo occupò i grandi spazi dell’ecumene si ebbe la vera fase di mutazione: non può quindi sussistere il paragone fra l’ Uomo e le quattro scimmie antropoidi viventi per suddividere gli Hominidae analo- gamente ai Simidee; poichè è legge zoologica che le specie più diffuse e le più ricche d’individui sono le più ricche di variazioni, è giustificato che l’uomo abbia molte sottospecie mentre gli antropoidi viventi occupando spazî assai più ristretti non presentino che una ristrettissima variazione geo- grafica. Un processo di estinzione violenta di molte razze formate nella prima occupazione della terra ha disturbato la variazione geografica e condotto alla formazione di molte lacune, che erroneamente vengono utilizzate dai poligenisti come se fossero esistite inizialmente. Si spiega anche quell’aspetto di stratificazione etnica che deve mancare nelle aree marginali dove i primi occupanti si sono potuti mantenere. L’A. raccoglie, studia, completa nel suo lavoro le vedute e le conclusioni di molti autori onde svolge con chiarezza la tesi proposta. Una differenza originaria nella potenzialità filogenetica spiega il fatto Sd "a 34 Va 3552 4,60 2,70 1,90 Sodateausiica. tengo £ > .13;31 4,40 2,20 2,20 Aeido,cloridrico . ... ..... >» 0,91 1,70 0,51 1,19 AFCIGOTACEHCO sl Lio » 0,87 1,05 0,42 1523 Sbplfato*ramelco iti. » 2,70 5,10 0,80 4,30 Solfato ferroso. ....... » 2,65 4,35 0,95 3,40 Clormnosferroso” 4. » 1,67 2,68 1,10 1,58 Cloruro cobaltoso...... » 0,459 123 0,20 1,03 Confrontando fra loro i pesi medi dei bachi di ciascun gruppo vediamo che tanto l’ azione dell’ ossigeno respirato, come quella delle diverse sostanze ingerite è stata di diminuire il peso delle larve. Nondimeno la diminuzione che si osserva nella media degli esemplari ossigenati rispetto a quella dei normali, è piccolissima. LS E assai importante osservare in che grado agirono le diverse 322 Filippo Cavazza sostanze date fra il cibo, sulla statura e peso delle larve: i due alcali ebbero un’ azione non molto forte e fra loro quasi identica per grado, i due solfati, che vengono subito dopo, hanno avuto tutti e due una stessa azione che è assai più evidente di quella degli alcali; il cloruro ferroso ha prodotto una diminuzione di peso molto forte ma non così grande come quello degli acidi; i due acidi hanno ridotto il peso medio dei bachi a meno d’un quarto di quello dei normali, e il cloruro cobaltoso ha avuto l’azione più forte riducendo il peso medio dei bachi a meno d’un nono di quello medio dei normali. Così possiamo affermare che le modificazioni nel peso della larva, prodotte dai due alcali sono fra loro uguali, che quelle prodotte dai due acidi sono pure simili fra loro come lo sono fra loro quelle prodotte dai due solfati e che i due cloruri invece hanno operato differentemente l’ uno dall'altro avendo il cloruro ferroso un’azione molto più debole di quella degli acidi mentre il cloruro cobaltoso l’ha molto più forte. Per quello che riguarda la variabilità del peso fra individui ugualmente trattati, osserviamo che pei gruppi degli alcali, degli acidi, dei cloruri e dell’ossigeno essa variabilità è stata assai inferiore a quella osservata nell’ allevamento normale, mentre per entrambi i solfati essa è stata molto superiore. Da tutto ciò vediamo che le sostanze adoperate si riuni- scono in gruppi secondo il loro modo e grado d’azione sulle larve e che tale raggruppamento corrisponde il più delle volte colla massima evidenza a certe qualità chimiche di esse sostanze. Parecchi autori asserirono che la statura e il peso delle larve viene tanto più ridotta quanto più le sostanze da essa ingerite le sono dannose. Fu infatti colla tossicità degli agenti che essi spiegarono tanto la piccolezza e leggerezza delle larve di certe esperienze come la loro grande mortalità. Ora noi osserviamo che, durante la vita larvale la mortalità fu uguale negli allevamenti delle esperienze, cogli acidi e coi solfati, che fu ancora superiore in quello dell’ esperienza con cloruro ferroso, e che nell’ esperienza con soda caustica fu quasi doppia che in quella con potassa caustica. Non troviamo dunque nessun legame fra la grande mortalità e la piccola statura delle larve, essendovi gruppi con 10 Fic. 1. - 25 giorni dalla schiusura dell'uovo. 1, normale - 2, ossigeno - 3, potassa - 4, solfato ferroso - 5, soda - 6, solfato rameico - 7, cloruro ferroso - 8, acido cloridrico - 9, acido acetico - 10, cloruro cobaltoso. _l Fic. 2. - 38 giorni dalla schiusura dell'uovo. 1, soda - 2, potassa - 3, solfato rameico - 4, sol- fato ferroso - 5, cloruro ferroso - 6, acido clo- ridrico - 7, acido acetico - 8, cloruro cobaltoso. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 325 larve relativamente grandi e pesanti che hanno avuta una mor- talità molto più forte di altri che presentano larve piccolissime e leggere. Del resto altri autori avevano avuti risultati che concordano precisamente con questi; così ad esempio il KAMENSKY (49, 51) sperimentando coll’ acido picrico sul 5. mori, ottenne larve adulte di dimensioni minime con una mortalità non molto grande mentre sperimentando sulla stessa specie l’ alimentazione con Scorzonera hispanica (52) ebbe una mortalità molto più forte sebbene le poche larve sopravissute raggiungessero le dimensioni normali. Consultando i lavori di diversi sperimentatori si potrà inoltre vedere che tutte le volte che essi agirono con acidi anche diver- sissimi l'uno dall’ altro, ottennero sempre delle larve adulte di dimensioni minime. Passiamo ora al colorito che presentarono le larve dei diversi gruppi. Il BLANC (14), lo SCHMUIDSINOWITSCH (85), il POULTON (80), il KAMENSKY (49), il LEVRAT, il CONTE (57), il PICTET (76) e molti altri fecero numerose osservazioni sulla colorazione delle larve in rapporto al cibo da esse ingerito. Tutti vennero concordi alla conclusione che moltissime delle sostanze coloranti ingerite dalle larve passano per osmosi nella circolazione di essa dando alle stesse larve la colorazione della sostanza sparsa nel loro sangue. LEVRAT e CONTE asseriscono pure che le materie coloranti hanno in diverso grado la facoltà di attraversare uno stesso tessuto così che è diversa l'intensità di colorazione delle larve prodotta dal- luna o dall'altra di esse materie. Il KAMENSKy poi afferma che la colorazione delle larve è reale solo quando la sostanza che la produce è solubile nell’ acqua. lo credo che si debba aggiungere ai due casi di colorazione artificiale delle larve citati dal KAMENSKy anche un terzo caso, quello cioè in cui l'agente chimico, pur non colorando diretta- mente i liquidi e i tessuti della larva, modifica nondimeno a tal segno l’ economia generale e il ricambio dell’ organismo da avere un’ azione talvolta anche forte sui pigmenti colorati esterni della larva. Nella mia esperienza sull'azione di un'atmosfera ricca di ossigeno osservai che le larve dopo la terza muta assumevano 326 Filippo Cavazza una leggera colorazione giallastra e translucida simile a quella dei bachi normali allorquando raggiungono la maturità. Non osservai nessuna modificazione della colorazione nor- male nelle larve cibate con foglia stata in soluzioni di potassa caustica, di soda caustica, di acido cloridrico, e di acido acetico. Nelle larve cibate con foglia stata in soluzione di solfato rameico apparve dopo la 3* muta una colorazione cenerognola specialmente evidente fra un anello e l’altro e lungo la linea dorsale; questa colorazione si andò accentuando fino alla matu- rità tendendo ad un colore azzurrognolo poco dissimile da quello di una soluzione diluita di solfato rameico. Nelle larve cibate con foglia stata in soluzione di solfato ferroso apparve nello stesso modo e tempo una tenue colora- zione giallastra. Nelle larve cibate con foglia stata in soluzione di cloruro ferroso la colorazione fu giallo-rugginosa, molto tenue e con macchie irregolari. Nelle larve a cui fu data foglia stata in soluzione di cloruro cobaltoso apparve dopo la 3% muta una leggera colorazione verdastra. Vediamo da ciò che i due composti di ferro hanno data una colorazione simile a quella delle soluzioni, che il cloruro cobaltoso ha dato una colorazione diversa dal colore della solu- zione, e che il solfato di rame ha prodotto una colorazione simile a quella della soluzione. Non cerco di spiegare questi fatti che possono essere assai complessi come pure lo è quello della colorazione (sebbene tenue) assunta dalle larve ossigenate; mi limito dunque alla esposizione. 2° - Modificazioni ottenute nel ciclo evolutivo. Moltissimi autori si occuparono della relazione che esiste fra la lunghezza dello sviluppo delle larve e crisalidi e le sostanze ingerite o respirate dalle larve. Così parecchi degli autori già citati facendo numerose espe- rienze, vennero alla conclusione «che /a lunghezza della vita larvale deriva in gran parte dalla intima costituzione dell’ ali- mento » (5). Agendo infatti sulle larve della specie che ci occupa con Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 327 diversi vegetali, alcuni di questi autori riuscirono a far variare la durata della vita larvale da 27 a 90 giorni. Il PicTET (76) poi modificò grandemente la durata del periodo larvale di molte specie di lepidotteri col mutare la pianta nutrice. Il KeLLOG, il BeLL (54) ed il SAsAKI (84) produssero pure un’ altra modificazione durante il periodo larvale del B. mori nutrendo la larve, i due primi, con lattuga, e il terzo con Cu- drenia triloba. Osservarono essi infatti che gli esemplari così nutriti invece di avere le 5 mute normali ne avevano solo 4. Stabilirono essi pertanto che un alimento molto diverso dal nor- male « può diminuire il numero delle mute proprio alla specie su cui si opera ». Non ostante la diminuzione del numero delle mute la vita larvale viene in tal caso aumentata. Il PicTET (78) colle sue belle e costanti ricerche ottenne una modificazione ancora più importante, riuscì cioè ad aumentare il numero delle mute che normalmente presenta la Lasiocampa quercus. Giunse a ciò con due mezzi diversi, 1° sottraendo al ciclo evolutivo della specie il periodo di ibernazione delle larve (su 30 larve solo 3 ebbero il numero delle mute realmente aumen- tato di una); 2° dando a larve di L. guercus delle foglie di pino (su moltissime larve solo una 9 presentò l’ aumento del numero delle mute). Egli dimostrò pure che il numero eccessivo « delle mute non ha alcun legame col sesso della larva e che non vi è correlazione fra il numero di esse mute e la lunghezza della vita larvale o la statura massima delle larve ». Osservò poi che pei casi da lui sperimentati « /’ u/fima muta, sia essa la 4°, la 5°, la 6* o la 7°, avviene irrevocabilmente ‘quando la larva ha raggiunta una data statura ». Passando agli autori già citati che sperimentarono diverse sostanze chimiche aggiunte al nutrimento normale, diremo che anche essi osservarono grandi variazioni prodotte da tali sostanze sulla durata dello sviluppo giungendo a concludere che « gli agenti chimici si dividono in due gruppi secondo che sono facilmente o difficilmente assimilati dalle larve, accelerando in un caso lo sviluppo e rallentandolo nell’ altro » (5). Abbiamo già detto nell’ introduzione come molti autori abbiano cercato spiegare tutti questi fenomeni con due sole cause - la ricchezza o la scarsezza della nutritivà del cibo ingerito. Ga 328 Filippo Cavazza Fu pure studiato il rapporto che lega fra loro la durata dello stato larvale e quello dello stato ninfale, giacchè si asserì che « la diminuzione o l’aumento dello stato larvale ha una riper- cussione anormale sullo stato ninfale > (16). Anzi il PICTET, dopo aver dimostrato che un’ alimentazione molto ricca d’elementi nutritivi produce un acceleramento dello sviluppo larvale ed un rallentamento dello sviluppo ninfale, ed aver dimostrato l’ opposto per una alimentazione molto povera, conclude categoricamente così: « il fempo guadagnato dall’ insetto allo stato di larva viene perso allo stato di crisalide mentre il tempo perso allo stato di larva vien riguadagnato allo stato di crisalide » così che « il ciclo evolutivo completo dell’ animale è sempre di durata evidentemente uguale a quella normale; non vi sono variazioni che nel rapporto di durata fra gli stadi larvale e ninfale » (76). Osserviamo ora brevemente i risultati ottenuti nelle nostre esperienze confrontandoli con gli asserti dei diversi autori. Anzitutto vediamo quali siano state le variazioni ottenute nella durata delle diverse età della vita larvale intendendo per età la distanza fra una muta e l’altra fino alla penultima e fra questa muta e la maturità. In tutti i diversi gruppi non hanno sensibilmente mutato di durata la 1°, 2°, 3* e 4* età mentre la 5° ha mutato assai sotto l’azione dei diversi agenti. Negli esemplari normalmente cibati il periodo che corre fra la quarta muta e la maturità fu di 13-14 giorni, in quelli ossigenati variò da 9 a 11, in quelli dell’espe- rienza con potassa caustica da 11 a 12, in quelli con soda cau- stica da 9 a 12, in quelli con solfato rameico da 15 a _17, in quelli con solfato ferroso da 15 a 16, in quelli con cloruro fer- roso da 16 a 18 e negli esemplari delle esperienze con acidi e con cloruro cobaltoso la 5° età, cioè il periodo che trascorre fra la 44 e la 5* muta, fu di 10, 11 giorni per l'acido cloridrico, di 7-8 per l’acetico e di 10-11 pel cloruro cobaltoso. Vediamo da ciò che l’azione dei diversi agenti si fa sentire solo dopo la quarta muta e che la durata della quinta età viene diminuita dall’ atmosfera ricca d’ossigeno e degli alcali ingeriti, mentre viene allungata dai due solfati e dal cloruro ferroso. Per quanto riguarda l’azione dei due acidi e del cloruro cobaltoso Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 329 diremo che essa ha molto diminuita la durata della quinta età facendo però osservare che il valore di questo periodo è in tal caso assai diverso pel fatto che ora andiamo ad esporre. Coll’ atmosfera ricca d’ossigeno, colla foglia stata nelle solu- zioni degli a/cali, dei solfati e del cloruro ferroso non abbiamo ottenuto nessuna modificazione del numero delle mute che furono quattro fuori dal bozzolo ed una all’interno di questo. Invece colla foglia stata nelle soluzioni dei due acidi e del cloruro cobal- toso osservammo che uffi gli esemplari giunti allo stato di crisalide avevano subìto 5 mute fuori dal bozzolo ed una sesta nell’interno di questo. La vita larvale fu pertanto aumentata di un’altra età la quale variò per l’ acido cloridrico da 9 a 11 giorni, per l’acetico da 11 a 19 e pel cloruro cobaltoso da 8 a 14. Il produrre la diminuzione del numero normale di mute è un fatto, specialmente nel B. mori, meno importante di quello osservato dal PICTET (78), e da me, giacchè avviene che alcune specie di lepidotteri, e assai spesso il 5. mori, presentino anche allo stato normale esemplari che hanno una muta di meno. Il fatto da me esposto mi sembra poi ancora diverso da quello osservato dal PICTET, perchè mentre nelle sue esperienze fu solo una piccolissima parte degli individui sui quali operava che subirono una muta sopranumeraria, nelle mie invece la muta di più o non comparve neppure come eccezione, oppure, nei due gruppi degli acidi e in quello del cloruro cobaltoso, si ve- rificò in fuffi gli esemplari che giunsero allo stato di crisalide, come se la muta di più fosse recessaria a questi individui per fare la loro evoluzione completa. Aggiungerò inoltre che mentre per quanto riguarda il nesso fra il numero delle mute e la durata della vita larvale e la sta- tura massima raggiunta dalle larve, le mie esperienze corrispon- dono esattamente agli asserti del PICTET, per quello invece che riguarda la grandezza delle larve alla loro ultima muta esse mi portano a risultati assai diversi. Infatti alla loro ultima muta le larve dei diversi gruppi non solo non erano tutte uguali fra loro di statura ma diversificavano tanto da dare alcune origine a bozzoli e crisalidi normali mentre altri ne originarono degli estremamente piccoli. 330 Filippo Cavazza Il PicTET conclude che la muta supplementare è causata da « un cattivo stato di salute sia esso momentaneo o generale (18) ».. Ma io non credo giusto ciò perchè tante piante e tante sostanze che fanno soffrire ed ammalare le larve, come tanti agenti fisici che sono a loro dannosi non producono in nessun esemplare la muta sopranumeraria, mentre certe sostanze (in certa dose) la producono in futfi. Il fatto della muta supplementare è assai difficile da spie- gare e bisognerebbe sapere quale è il modo intimo d’agire delle sostanze e degli agenti fisici che lo producono, nondimeno os- serverò che, nel mio caso, l'aumento del numero di mute si verificò nei tre gruppi che presentavano i bachi di minor peso e statura. La presenza di una età di più diede modo a questi bachi di allungare sensibilmente il periodo di nutrizione e controbilan- ciare pertanto in parte l’effetto dei tre agenti sulla grandezza della larva, per mezzo di una prolungata nutrizione. Infatti quegli esemplari che non ebbero una quinta muta fuori dal bozzolo morirono tutti senza raggiungere lo stato di maturità. È degno di nota che anche per l'aumento del numero delle mute, i due acidi hanno avuto una azione uguale e che il clo- ruro cobaltoso ha pure agito in modo simile agli acidi e diverso da quello del cloruro ferroso. Veniamo ad osservare la durata complessiva del periodo larvale e la sua relazione con quella del periodo di ninfosi. TABELLA II. - DURATA DEI PERIODI LARVALE E NINFALE. Periodo larvale Periodo di ninfosi Nonsiali. i ie giorni da 38 a 40 da 19 a 23 OSSEO Ra sen >» > #93099*97 » 20 >» 24 Potassa caustica. Siae Bian. » » 37 >» 40 » 19 » 24 Sadaucausticazia zano io » » 36 » 39 >» 23 » 25 ACIHOLCIOrLI Ani CONS » » 44 > 55 » 27 >» — Acido acetico Sr Goa » >» 45 >» 54 » 26» — Solfato" rameieo tetti rr Rin > » 41 >» 43 > 201 a022 Solfato sfertoso:- #3 cbtpbHe 4% » » 40 >» 42 3a 21822 Clomuoalertos0, tina >» » 42 » 44 » 19 » — Cloro COoDAltoso Leone » >» 40> 48 >. L70219 Da questi dati si vede che la vita larvale fu abbreviata dal- l’azione dei due alcali ingeriti e ancor più da quella dell’ ossi- Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 331 geno respirato, mentre fu molto allungata dall’ azione dei due solfati, del cloruro ferroso e assai più da quella dei due acidi e del cloruro cobaltoso. È dunque evidente che gli agenti chimici da me sperimentati si dividono nettamente in due gruppi gli uni accelerando lo sviluppo larvale e gli altri ra/lentandolo. Anche in questo caso il modo e il grado dell’azione corrispon- dono evidentemente a certe qualità degli agenti. Non credo inoltre che si debba attribuire il rallentamento o |! acceleramento dello sviluppo larvale solamente alla minore o maggiore assimi- lità dei diversi agenti ingeriti. Vedemmo già quello che ebbero ad asserire parecchi autori sul rapporto esistente fra la durata del periodo larvale e quella della ninfosi. Ora se i loro asserti si potessero generalizzare dovremmo pure nel nostro caso osservare che gli agenti i quali hanno al- lungata la vita larvale hanno prodotto un abbreviamento della ninfosi e viceversa. Per l'ossigeno e pei due alcali vediamo infatti che il periodo larvale essendo stato un po’ più breve del normale, la ninfosi fu un po’ più /unga. Ma pei due acidi osserviamo esattamente l’op- posto di quanto venne asserito dai succitati autori. Furono infatti più lunghe della normale fanto la vita larvale come la ninfosi. Pei due solfati fu a//urgato il periodo larvale e per nulla modificata la durata di ninfosi. Pel cloruro ferroso fu pure allungato il periodo larvale ri- manendo quasi invariata la durata di ninfosi; e pel cloruro co- baltoso venne allungata la vita larvale e un po’ abbreviata la ninfosi. Questi fatti dimostrano chiaramente che se certi agenti chi- mici non modificano che il « rapporto di durata fra gli stadi larvali e ninfali senza modificare la durata del ciclo evolutivo completo dell'insetto > (16), altri invece allungano entrambi gli stadi modificando grandemente la durata dell’ intero ciclo evolu- tivo, mentre altri agenti ancora allungano solamente la vita lar- vale senza per nulla produrre variazioni nella durata della ninfosi. I casi possibili di variazione di durata dei periodi larvale e ninfale in rapporto alla durata normale di essi stadi, sono 8: fu: 332 Filippo Cavazza 1° Larv. — Ninf. 4 ()) 2° Larv.. + Ninf. — SLA Ninf. — 4° Larv. — Nunirsi== 5° Larv. + Ninf. = ba sLarnv= Ninf. + 7% Larv: + Ninf. + 8° Larv. — Ninf. — Il PICTET (76), come abbiamo visto, asseriva che di questi casi si avverano solamente il 1° e il 2° dovendo la somma della durata dei due periodi esser sempre simile alla durata normale dell’ intero ciclo evolutivo. Noi potemmo produrre oltre a questi anche i casi 4°, 5° e 7°; ed io credo che sperimentando con agenti più numerosi e diversi sulle larve si potrà facilmente pro- durre anche il caso 8° in cui entrambi gli stadi vengono ridotti di tempo. Credo assai diversi invece i casi 3° e 6° i quali si avverano sempre allorchè si agisce sulla crisalide anzichè sulla larva, ma che forse non si possono produrre agendo direttamente su questa. Anche per quanto riguarda questo rapporto fra la durata degli stadi larvale e ninfale osserviamo che i due alcali hanno prodotto fenomeni simili fra loro, che i due acidi hanno pure prodotto fenomeni simili fra loro come i due solfati, che il clo- ruro ferroso ha prodotto un fenomeno poco diverso da quello dei solfati e che il cloruro cobaltoso ha prodotto un fenomeno differente da tutti gli altri. IN questo caso il cloruro cobaitoso non ha agito come gli acidi. Parliamo ora brevemente dell’azione dell’ atmosfera ricca d’ ossigeno. In un mio precedente lavoro (20) esposi i risultati di espe- rienze intorno all’ azione deli’ ossigeno sulla crisalide di Ma/aco- soma neustria; e dissi che operando su esemplari che hanno passato in ambiente normale tutto il periodo larvale « questo gas produce una abbreviazione nella durata della ninfosi... tanto (1) I segni posti dopo Larv. significano più, meno o ugualmente lungo rispetto al periodo larvale normale, e quelli posti dopo Nirf. significano le stesse cose in rapporto alla durata normale di ninfosi. MOTALOTO. tre bozzoli normali - 2, tre bozzoli, ossigeno - 3, tre bozzoli, potassa - 4, tre bozzoli, soda - 5 (nel mezzo delli 9, tre bozzoli, cloruro cobaltoso - 10, un bozzolo, cloruro ferroso. Eres3=19 > n), tre bozzoli, solfato rameico - 6, tre bozzoli, solfato ferroso - 7, tre bozzoli, acido cloridrico - 8, tre bozzoli, i Di i n) Ni ji “; 4 ‘ A n Li d È RUSTICA Ta (e Set int ur Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 337 facendo schiudere un giorno prima, la prima farfalla, quanto spo- stando la maggior frequenza delle schiusure verso i primi giorni del periodo di esse schiusure ». Riprodotta poi questa esperienza sulle crisalidi di B. mori osservai pure un acceleramento nella evoluzione ninfale. Nel nostro caso invece tanto le larve come le crisalidi furono ininterottamente sottoposte all’ azione dell’ ossi- geno ed osservammo che questo gas produce un’ acceleramento dello sviluppo larvale, ma non agisce più sulle crisalidi come quando esse derivano da larve vissute in ambiente normale. In fatti la durata della ninfosi invece di venir accorciata tende ad essere allungata. Siccome l’azione dell’ossigeno sulle crisalidi normali è di accelerarne lo sviluppo, così si direbbe che esso non produce più nessun effetto, per quanto riguarda la durata dello sviluppo, sulle crisalidi derivanti da larve vissute sotto la sua azione. L’allungamento della ninfosi non è dovuto all’azione del- l'ossigeno sulle crisalidi ma a quella di questo gas sulle larve giacchè se si tolgono all’ atmosfera ricca d’ossigeno le crisalidi derivanti da larve ossigenate che hanno avuta una vita larvale un po’ più breve, e si tengono in atmosfera normale, esse pre- sentano ugualmente una ninfosi più lunga della normale. Accade cioè il fenomeno riconosciuto ed asserito da PICTET sulla durata reciproca dei due stadi. Perchè dunque l’effetto dell'ossigeno sulle larve è tale da rendere immuni (per quanto si riferisce alla durata dello svi- luppo) le crisalidi da subire pur esse l’azione di questo gas? Ho esposti i fatti ed accennati alcuni problemi, non voglio entrare per ora in discussione su fenomeni la cui complessità ci è dimostrata dal fatto dell’esser tutt'ora in discussione teorie non solo diverse ma quasi opposte. 3° - Modificazioni ottenute nella grandezza dei bozzoli e nel peso dei bozzoli con crisalide. La Fig. 3 ci mostra i bozzoli massimo, minimo e medio di ciascuna esperienza. Facendo la media della grandezza dei bozzoli di ciascun gruppo otteniamo dei dati che ci permettono di ordi- narli in ordine decrescente come segue: 1° normali, 2° ossigeno, Bios 30 338 Filippo Cavazza 3° solfato rameico, 4° solfato ferroso, 5° potassa caustica, 6° soda caustica, 7° cloruro ferroso, 8° acido acetico, 9° acido cloridrico, 10° cloruro cobaltoso. Se confrontiamo questo ordinamento a quello ottenuto ordi- nando le larve secondo la loro statura, vedremo che esso è un po’ diverso pel fatto che i due solfati i quali tenevano là i posti 5° e 6° hanno qui invece il 3° e 4° che nella statura delle larve erano tenuti dai due alcali. Tutti gli altri gruppi si riuniscono secondo lo stesso ordine osservato per la grandezza delle larve (vi è qualche differenza ma assolutamente trascurabile). Questi fatti dimostrano che « se il più delle volte /a erandezza dei boz- zoli è proporzionale a quella delle larve > (100) vi sono anche casi in cui questo rapporto non è affatto preciso. Infatti i gruppi dei due alcali che presentavano larve più grandi e più pese di quelle dei due solfati presentano invece bozzoli un poco più piccoli. I bozzoli con crisalide di ciascun allevamento furono da me pesati 10 e 12 giorni dopo la loro formazione. Nello specchio seguente pongo i diversi pesi medi ricavati da ciascun gruppo. TABELLA II. - PESO DEI BOZZOLI. Medio Massimo Minimo Camglo i INOLIMA lA Fee eo gr. 2,61 3, 1,80 1,20 OSSIPEnO 0 e » 2,28 2,70 1,90 0,80 PotassaZcansticate = at >» 1,91 2,34 1,38 0,96 Soda,caustica” 0.2.0 Gi >, d,79 2,18 1,35 0,83 ACIAONCIOrIATICO Me e nen >» 0,906 1,12 0,57 0,55 Acidotacetico) Ne. 11 >» 1,10 1,30 0,05 0,05 Solfato ratneico....»: |}... >» 1,84 2:55 1,25 1,30 Solfato Herroso.t, ite 2001377 2:25 1,18 1,07 Cloruro Merrosolt st 0 » 1,705 1,77 1,05 0,16 Cloruro cobaltoso...... » 0,88 1,14 0,53 0,61 È assai importante osservare in qual grado agirono le di- verse sostanze sul peso dei bozzoli con crisalide. L’ ossigeno diminuì assai poco il peso normale. La potassa caustica ingerita ebbe un’azione ancor più evidente che sul peso dei bachi ma più tenue di quella della soda caustica la quale in questo caso produsse una diminuzione di peso più forte anche di quella causata dai due solfati. Questi hanno avuto entrambi una azione quasi identica. I due acidi hanno prodotto una grandissima Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 339 diminuzione nel peso dei bozzoli ed il cloruro cobaltoso ha agito ancora un po’ più fortemente di essi. Per la variabilità del peso dei bozzoli in ciascun gruppo osserviamo che nei gruppi dell’ ossigeno, dei due alcali, dei due acidi e dei due cloruri essa è assai inferiore a quella che si av- vera fra i bozzoli normali, mentre pei due solfati essa è quasi uguale a quella. Io pesai i bachi 36 o 37 giorni dopo la schiusura dell’ uovo e 10 o 12 giorni dopo la loro 4° muta; si può pertanto dire che gli esemplari normali, quelli in atmosfera ricca d’ossigeno e quelli con foglia stata in soluzioni d’alcali erano giunti al lor massimo di sviluppo. I gruppi invece dei due solfati avevano esemplari che ebbero ancora 5 e 6 giorni di vita larvale; quelli dei due acidi contenevano larve che dovevano nutrirsi ancora per ber 17 giorni, quello del cloruro ferroso ne presentava che dovevano giungere a maturità solo dopo 7 giorni e il gruppo del cloruro cobaltoso ne aveva alcuni che mangiarono ancora per ben 11 giorni. Questo fatto basterebbe da sè a spiegarci la grande spro- porzione che esiste fra il peso dei bachi e quello dei bozzoli con crisalide nei sei gruppi degli acidi, solfati e cloruri. Ma ad esso si deve anche aggiungere che gli esemplari i quali giunsero a completare il bozzolo e mutarsi in crisalide furono quasi sempre quelli che allo stato di larva erano meno piccoli e meno leggeri. Dal peso delle larve a quello dei bozzoli con crisalide nei gruppi rormale, ossigeno, ed alcali vi è in media una diminu- zione circa del 40°/,, in quelli dei solfati invece la diminuzione è in media circa del 30°/, nei gruppi degli acidi e del cloruro ferroso, in media, non solo non vi è diminuzione ma un leggero aumento, e nel gruppo del cloruro cobaltoso vi è un aumento assai forte. Non ostante ciò vediamo che se si ordinano i gruppi secondo il peso medio dei bozzoli con crisalide ne otteniamo un ordi- namento quasi per nulla diverso da quello osservato studiando il peso delle larve. Possiamo quindi ripetere che l’ azione dei diversi fattori cor- risponde evidentemente a certe qualità delle sostanze agenti. 340 Filippo Cavazza 4° - Modificazioni ottenute nel peso della seta prodotta. I bozzoli e la filaccia di seta furono pesati alcuni mesi dopo la schiusura della farfalla e dopo esser stati preventivamente seccati, il risultato di questa osservazione è esposto nel seguente specchio : TABELLA IV. - PESO MEDIO DELLA SETA PRODOTTA DA UN ESEMPLARE. INOrEalNO da IRR n Et a gr. 0,3615 Ossigeno oe E e RIS ». 0,295 Potassarcaustica. tà. AVER ne >» 0,210 Saeday caustica ebete feto dan » 0,188 ACIKONCIONGrICO e. Vill i pla » 0,091 ACITDARCEUCO LI Re o reti >» 0,0596 Soltato "FaBieico” DEI AT, pe ret >» 0,119 Solrato"terroso9t t10103 9 SE OSS: » 0,126 Cloruronkferroso dà . fiato ai » 0,096 Cloruro,cobaltoso;;. ii. al » 0,113 Il peso medio della seta prodotta da un baco normalmente alle- vato coincide quasi esattamente col peso che lo DScHEIRANOW (28) dà per la produzione media di seta in questa razza. Tutti gli altri gruppi hanno una produzione di seta assai inferiore. Se ordiniamo i diversi gruppi secondo il peso medio decre- scente della loro produzione di seta abbiamo: 1° normali, 2° os- sigeno, 3° potassa caustica, 4° soda caustica, 5° solfato ferroso, 6° solfato rameico, 7° cloruro cobaltoso, 8° cloruro ferroso, 9° acido cloridico, 10° acido acetico. La diminuzione della produzione di seta in rapporto alla produzione dei bachi normali è circa del 19°/, per l’ ossigeno, del 43°/, per la potassa, del 48 °/, per la soda, del 65 °/, pel sol- fato ferroso, del 66°/, pel solfato rameico, del 68°/, pel cloruro cobaltoso, del 73 °/, pel cloruro ferroso, del 75° per l'acido cloridico e del 83°/, per l’acido acetico. Si vede anche in questo caso che i diversi agenti si ordinano per la loro azione in modo che vengono avvicinati quelli aventi certe qualità in comune. È cosa nota che, data la dimensione media della razza di B. mori che si osserva, i bachi più grandi e più pesi producono più seta e i bozzoli con crisalide più pesanti sono i più ricchi Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 341 di seta. Questo fatto, forse giusto per le larve normalmente cibate non lo è sempre per quelle sulle quali si è agito artificialmente. Infatti se facciamo il rapporto fra il peso medio dei bozzoli con crisalide e quello medio della seta prodotta otteniamo dati assai diversi da gruppo a gruppo. Il peso della seta è negli esemplari normali circa il 13,8% del peso del bozzolo con crisalide, negli esemplari ossigenati il 12,89, come in quelli del cloruro cobaltoso, in quelli della potassa è l11°/, e il 10,4°/, in quelli della soda, negli esemplari del gruppo dell'acido cloridrico rappresenta il 10°), in quelli dei gruppi dei solfati il 6,7 e 6,4°/,, negli esemplari del cloruro ferroso il 5,6°/, e in quelli dell’acido acetico solo il 5,3 °/. Da questi dati vediamo come possa venire alterato il rap- porto fra il peso del bozzolo con crisalide e quello della seta prodotta ed osserviamo pure che mentre i due alcali hanno pro- dotto fenomeni uguali fra loro come i due solfati, i due acidi invece hanno agito molto diversamente l'uno dall’ altro come i due cloruri. Per tale rapporto il cloruro cobaltoso ha agito ancora meno degli alcali e diversissimamente dai due acidi. Da tutto quanto abbiamo detto intorno alla produzione della seta appare evidente che Zuffi i diversi agenti sperimentati, pur causando fenomeni diversi per grado, ne diminuiscono sempre la produzione tanto assoluta quanto quella relativa al peso del bozzolo con crisalide. Molti, anzi moltissimi autori, studiarono se e come per mezzo del cibo ingerito si potesse colorare la seta prodotta dal baco (14, 15, 27, 49, 51, 57, 85), ma io non riporto le loro conclu- sioni nè le discuto visto che nelle mie esperienze, anche quando i bachi avevano assunta una certa colorazione, la seta si mostrò sempre al tutto simile, pel colore, a quella dei bachi normal- mente cibati. Non credo però che si possano trarre conclusioni da questo fatto giacchè le sostanze da me adoperate non hanno alcun potere colorante molto forte. 5° - Modificazioni ottenute nel peso delle farfalle. Le farfalle furono pesate sempre appena schiuse dal bozzolo ma poi dal peso delle 9 venne detratto quello delle uova da 342 Filippo Cavazza loro deposte e di quelle che ancora contenevano nell’ addome dopo la deposizione. In tal modo i pesi qui dati sono quelli della pura farfalla. Non credetti necessario fare medie separando g' da 9 e ciò per diverse ragioni che sarebbe superfluo esporre. Noterò che il peso massimo si riferisce sempre a individui fem- minili mentre quello minimo a maschili (eccezion fatta pei gruppi dei due cloruri, del solfato rameico e dell'acido cloridrico che diedero solo insetti perfetti di sesso femminile). TABELLA V. - PESO DELLE FARFALLE. Medio Massimo Minimo GI Nogualitt a tenete gr. 0,34 0,43 0,24 0,19 IOSSIRCNOERI e, e iena ee >» 0,41 0,44 0,28 0,16 PotassaUcausticalte e » 0,51 0,50 0,36 0,20 Soda: caustica Mw 4311 4 » 0,49 0,53 0,34 0,19 Acido. cloridrico. (ef... - » 0,26 _ _ _ AGIGOMACELICONEN e e » 0,18 _ — _ Solfato*rarieico * .0000*%) 1, » 0,47 0,53 0,41 0,12 Selfato:terroso. ei 5 » 0,40 0,52 0,42 0,10 Cloruro fermoso 2° ....iiil >» 0,31 _ _ _ ClormoNcobaltoso » 0,195 0,24 0,14 0,10 Osserviamo ora in che modo e in che grado agirono le diverse sostanze sul peso degli insetti perfetti. L’ossigeno aumentò evidentemente la media del peso. La potassa caustica e la soda caustica l’aumentarono in modo stra- ordinario, (ciò non è solo dimostrato dalla media ma anche dalla massima e minima), i due solfati l’ aumentarono essi pure gran- demente sebbene un po’ meno che gli alcali. Diminuirono invece il peso degli insetti perfetti, un poco, il cloruro ferroso, un po’ di più l'acido cloridrico e molto il cloruro cobaltoso e l’acido acetico. La variabilità individuale del peso delle farfalle non ha qui valore dato il piccolissimo numero di esemplari schiusi in alcuni gruppi. Anche in questo caso vediamo che l’azione dei fattori vicini per alcune loro qualità è stata uguale o simile. Alcuni autori dissero che il peso delle farfalle viene tanto più ridotto quanto più sono state dannose le sostanze ingerite dalle larve. Le nostre esperienze dimostrano che tale spiegazione non è sempre giusta giacchè osserviamo dei gruppi le cui larve Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 343 e crisalidi soffrirono grandemente e che ebbero una mortalità grandissima i quali ci danno farfalle non solo pesanti quanto le normali ma anche di più. Nondimeno è sempre vero che i gruppi i quali hanno farfalle meno pesanti delle normali hanno sempre avuto una grande mortalità durante lo sviluppo. I risultati di parecchie esperienze di KAMENSKY (49, 50, 51, 52), di SASAKI (83, 84) e di alcuni altri confermano il mio modo di vedere. Con Cudrenia triloba ed altre piante nutrici essi ottennero farfalle di statura normale sebbene le larve avessero così sofferto da morire quasi tutte prima della maturità, mentre il KAMENSKY somministrando acido picrico ottenne farfalle piccolissime seb- bene la mortalità non fosse stata eccessivamente grande. Tornando a quanto si osserva nello specchietto diremo che mentre tanto sul peso delle larve come su quello dei bozzoli con crisalide e della seta, tutti gli agenti sperimentali avevano sempre prodotto una diminuzione in rapporto al peso normale, per le farfalle invece alcuni agenti hanno prodotto un aumento di peso in rapporto a quello delle farfalle normali. Molti autori asserirono che gli esemplari a larva più pesa danno sempre insetto perfetto più peso, ma nel nostro caso ciò non si è avverato e per convincersene basta confrontare |’ ordi- namento decrescente del peso dei bachi con quello del peso delle farfalle. Ad ogni modo non si deve confrontare il peso della larva a quello della farfalla senza tener conto del peso della seta prodotta e quello delle uova (se si tratta di 9). Confrontiamo ora brevemente il peso medio dei bozzoli con crisalide, pesati 10 giorni dopo la loro formazione, col peso medio delle farfalle. Negli esemplari normali il peso delle farfalle rappresenta circa il 13°/, del peso del bozzolo, in quelli ossigenati circa il 18%, in quelli degli alcali il 27 e il 26°/, in quelli dell’ acido cloridrico il 28 °/,, (per quello dell’acido acetico abbiamo un rap- porto poco probabile dato lo stato imperfetto della farfalla), negli esemplari dei due solfati il peso della farfalla rappresenta circa il 25°/, di quello del bozzolo, in quelli del cloruro ferroso il 18°/, e il 22°/, in quelli del cloruro cobaltoso. La grande diminuzione di peso dal bozzolo, pesato 10 giorni 344 Filippo Cavazza dopo la sua formazione, alla farfalla deriva: 1° dalla perdita di acqua e altro materiale dovuta alla respirazione e traspirazione della crisalide, 2° dal peso della seta prodotta, 3° dal peso delle uova, se si tratta di una 9. Avendo noi già studiata l’azione dei diversi agenti sulla quantità della seta prodotta così sappiamo che, in tutti i gruppi sui quali sperimentammo, il peso del bozzolo con crisalide conteneva una percentuale di seta sempre inferiore, e talvolta molto inferiore, a quella contenuta nel peso dei bozzoli (con crisalide) normali. È dunque evidente che questa diminu- zione relativa di seta dovesse andare ad aumentare il peso della farfalla o quello del materiale volatilizzato. Ma la diminuzione relativa di seta prodotta non basta in alcun caso a spiegarci l’ aumento relativamente molto più forte del peso delle farfalle. Per le 9 poi si aggiunge che, colla maggior parte degli agenti sperimentati, anche il peso delle uova prodotte (peso che faceva pur parte del bozzolo con crisalide) è aumentato. L’aumento relativo del peso della farfalla non essendo dunque avvenuto che in minima parte a detrimento del peso della seta e quasi mai a detrimento di quello delle uova, così bisogna ammettere che durante la ninfosi i bozzoli con crisalide derivanti dalle nostre esperienze abbiano perduto meno peso che non quello perduto dai bozzoli con crisalide dei bachi normali. Come spie- gare questo fatto? Si deve forse credere che le crisalidi derivanti dai bachi sui quali si è agito abbiano perduto meno peso perchè la loro respirazione e traspirazione è stata alterata dai diversi agenti? O si deve invece pensare che le larve le quali avevano subìto le diverse azioni e le crisalidi da loro derivate, conte- nessero, relativamente al loro peso, una minore quantità d’acqua e che per questo fatto ne abbiano perduta poca colla respira- zione o traspirazione ? Le mie osservazioni non mi danno certo modo di risolvere questo problema che deve venir sottoposto a molte prove e ricerche indirizzate specialmente a chiarirlo. Certo si è che i diversi agenti chimici ingeriti o respirati dalle larve hanno prodotto delle intime modificazioni tanto nella fiosiologia della larva come in quella della crisalide. Molti autori studiarono il rapporto che esiste fra la durata della ninfosi e la grandezza e peso degli insetti perfetti; alcuni Fic. 4 p normali - 3, 4, 5, Q ossigeno - 6, 7,8, ossigeno - 9, 10, O potassa - 11, 12, c* potassa - 13, 14, Q soc È rameico - 2 acido acetico. ìoda - 16, Q cloruro ferroso - 17, * solfato ferroso - 18, Q solfato ferroso - 19, 20 0, Q cloruro cobaltoso - 21, 22, O solfato =? 3» Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 349 poi conclusero che « più lungo è il periodo ninfale, più piccola e più leggera è la farfalla » (58, 62). Confrontiamo pertanto in ciascuno dei nostri gruppi la durata della ninfosi col peso medio delle farfalle (?). Durata Peso Ninfosi farfalle CISSIREIERÀ ein + + Potassari su Ses atenei + A SOA ere eta e + + AGIdO cloridrico meet i + — Acido vaceticott va. 04f: I° A — Solfatolrameico Lt — | SolFatO CIerrOSOU= tette = sE E1OnrFOMerTOsO Rete Gloruro: cobaltoso: . ...... | | Da tale specchietto appare che pel 8. mori, quando l’allun- gamento o l’abbreviamento della ninfosi è prodotto artificialmente, non si verifica il fatto asserito da alcuni autori che cioè il peso e la statura della farfalla sia tanto minore quanto è stata più lunga la ninfosi. Nelle nostre esperienze infatti vediamo che alcuni agenti che allungarono la durata di minfosi produssero farfalle più pesanti delle normali, mentre alcuni altri che la raccorciarono produssero farfalle evidentemente minori. Si potrà obbiettare che ciò può in parte derivare dal non essere nel peso della farfalla computato quello della seta e quello delle uova (se è 9) con- tenute nel suo corpo al momento della schiusura. Aggiungendo pertanto al peso delle 9 quello medio delle uova e quello medio della seta vedremmo che anche questo peso complessivo ron appare essere affatto in rapporto colla durata del periodo ninfale. Questo fatto è ancora più evidente se confrontiamo alla durata di ninfosi di ciascun gruppo, il peso perduto dai bozzoli durante essa ninfosi, infatti i gruppi in cui la perdita di peso fu minore sono quelli dei due alcali, quello dell'ossigeno e quello dell'acido cloridrico, gruppi nei quali la durata fu o uguale o più lunga della normale. (1) Nella colonna prima il segno + significa più lunga della ninfosi del gruppo normale (come i segni — e = significano più breve e di ugual durata), nella seconda colonna i segni si riferiscono al peso medio delle farfalle normali. 350 Filippo Cavazza Nel rostro caso, cioè quando si siano prodotte le modifi- cazioni agendo sulle larve, non appare dunque esistere un rap- porto costante, necessario fra la durata di ninfosi ed il peso perduto dalla crisalide durante tale periodo. 6° - Modificazioni ottenute nella lunghezza massima delle ali anteriori. Non parlo per esteso della lunghezza del corpo delle far- falle nei diversi gruppi perchè ciò mi porterebbe a ripetere la maggior parte di quanto dissi occupandomi del peso delle far- falle. Infatti due delle quattro conclusioni a cui giunsi osservando il peso valgono anche per quello che riguarda la lunghezza del corpo dell’ imzago. Solo fatto degno di nota è quello della grande diversità d’azione che alcuni agenti hanno avuto su ciascuno dei due sessi. L’ossigeno infatti ed i due alcali hanno diminuita in media la lunghezza del corpo dei maschi mentre hanno aumentata quella delle femmine. Un fatto simile fu già da me osservato agendo coll’ ossigeno sulla crisalide della Ma/acosoma neustria (20). Ora posso ag- giungere che non solo l'ossigeno respirato « produce effetti di- versi su ciascuno dei sessi di una stessa specie » ma che uguale [N fenomeno è causato dalla potassa caustica e dalla soda caustica. TABELLA VI. - MISURA MEDIA DELLE FARFALLE. Lungh. del corpo Lungh. delle ali anteriori le) 9 le) Q Notaio to el, ae suo 19,3 2153 22,8 24,4 IMSSIOEnO ni ia e nnt 18,8 22:11 22,4 24,8 Potassa CalsUuCa..". 3; a de 18,7 22,1 19,7 zii SOGAMCAUSTHCA: I REI, VETRO, DAL 17,3 22,1 21,3 21,6 Acidoxclori dricone int 103... — 18,1 _ 20 Aridoaceticoz iii non misurabile quasi nulle Sotato Uratieico; Mk Lie ai 20,3 - 213 SOLO WEICOSO 4 e n 18,6 19,8 21,6 21,8 Cloruro ferroso. fu RA _ 21,8 _ 24,1. Cloruro rcobaltoso Lia i — 18,8 _ 19,9 Da questo specchio appare con evidenza che tutti gli agenti ingeriti hanno sempre prodotto una diminuzione della lunghezza Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 351 delle ali anteriori, e ciò tanto pei g' quanto per le 9. Per quello che riguarda l'ossigeno osserviamo invece che si verifica lo stesso fatto osservato sulla M. reusfria che cioè le ali ante- riori dei g* vengono in media leggermente accorciate mentre quelle delle 9 rimangono quasi simili alle normali. Molti autori, fra i quali specialmente la S." pE LINDEN (58), osservarono che la lunghezza delle ali è collegata alla durata della ninfosi, asserendo che più lunga era la ninfosi più brevi erano le ali. A questo asserto corrispondono esattamente, pel caso nostro, gli esemplari dei due alcali e quelli dell’ acido clo- ridrico, mentre quelli dei due solfati e dei due cloruri presentano fatti assai diversi o addirittura opposti. Infatti pei due solfati e pel cloruro ferroso dove la durata di ninfosi fu simile a quella degli esemplari normali, abbiamo la media della lunghezza delle ali anteriori molto più bassa e pel gruppo del cloruro cobaltoso, dove la durata di ninfosi fu assai più breve, abbiamo ugualmente ali anteriori più brevi. Possiamo pertanto asserire che tutti gli agenti che abbiamo fatto ingerire alle larve producono una di- minuzione della lunghezza assoluta delle ali anteriori dell’ imzago e ciò indipendentemente dalla durata del periodo ninfale. Dicemmo già nell’ introduzione che la maggior parte delle esperienze fatte dagli autori somministrando alle larve di lepi- dotteri cibo diverso dai normale o cibo normale con aggiunta di diversi agenti chimici, furono dirette a studiare la distribuzione e le modificazioni delle sostanze coloranti nelle ali dell’insetto perfetto. Le mie esperienze non erano invece indirizzate a tale fine. Infatti i pigmenti delle ali del 5. mori non sono tali da poter mostrare grandi modificazioni e le sostanze da me adoperate non sono tanto colorite da darci modo di seguire la trasmissione della colorazione dal cibo della larva alle ali della farfalla. Non di meno è da parecchi stato osservato che sostanze poco o nulla colorite possono stimolare l organismo alla produzione o all’au- mento di certi pigmenti. Nel caso nostro dobbiamo dire che non ci fu possibile os- servare alcuna modificazione del colorito degli insetti perfetti in nessuna delle nostre esperienze. 352 Filippo Cavazza 7° - Modificazioni ottenute nel numero e peso delle uova prodotte. Le uova deposte dalle 9 più quelle estratte dal loro corpo dopo la deposizione, furono lasciate in ambiente normale, a temperatura variante fra 19 e 24 cgr. per un mese, ed allora vennero pesate ogni deposizione per volta. Nei gruppi dove le 9 raggiungevano o superavano il nu- mero di dieci, pesai le deposizioni di 10 9 e negli altri quelle di tutte le 9. Tenni poscia nota, per ogni gruppo del numero di uova di una 9 che pel peso delle uova da lei deposte si avvicinasse di più al peso medio del suo gruppo e da ciò de- dussi il peso medio d’un uovo. TABELLA VII. - PRODUZIONE MEDIA DI UOVA DI UNA Q DI CIASCUN GRUPPO. Peso delle uova Numero Peso medio prodotte delle uova d’un uovo Normal 910. PTEEIRIA, CR Dea gr. 0,285 407 mgr. 0,70 Ossgenowrist bem dit alte » 0,550 785 » 0,70 Sodancauslicazizi.. cu. sigle >» 0,486 616 » 0,79 PElASSAVSCANSIHCA%. > » 0,482 595 » 0,81 Acidoseloridrico e o Len CR > 0,143 206 >» 0,69 Solfatorzamerco: a ef: sk odo >» 0,389 480 » 0,81 Solfato MeLntoso cite ati ati » 0,388 473 >. 82 Giorno ferroso! Lie > 0,310 479 » 0,66 CIORMITOFCORAMOSO En = e. ee >» 0,050 125 > 0,40 Il peso medio di un uovo dell’ allevamento normale coincide esattamente con quello ottenuto dallo SCHMUIDSINOWITSCH (86) dal QUAJAT (81) e dal NENCI sulle uova di questa razza. È noto che il numero di uova deposte da una 9 varia molto allo stato normale ed anzi gli autori danno come limiti di questa variabilità (senza tener conto delle razze) 300 e 700 uova. Ma per le razze gialle nostrane la media delle uova deposte da ciascuna femmina supera assai di poco le 400. Nel mio alleva- mento normale il numero di uova di una 9 oscillava intorno alle 400, cosa che è chiaramente dimostrata dalla media del peso d’ uova prodotto da ciascuna 9 divisa pel peso medio d’un uovo. Dai dati dello specchietto si vede che i diversi agenti da me sperimentati hanno uffi agito sulla fecondità. L’ atmosfera ricca d’ossigeno ha quasi raddoppiato il peso di uova prodotto Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 353 da 10 9 e ciò raddoppiandone quasi il numero senza che il peso medio d’un uovo venga per nulla modificato. I due alcali hanno grandemente aumentato il numero medio di uova prodotte (la soda un po’ più della potassa) aumentando anche di un poco il peso medio d’un uovo. I due solfati hanno anche essi aumentata la produzione di uova, (sebbene meno degli alcali) e il peso medio d’ogni uovo. Il cloruro ferroso ha agito come i solfati pel numero d’ uova ma ha leggermente diminuito il peso medio d’ogni uovo. L’acido cloridrico ha ridotto la produzione delle uova a una metà della produzione normale senza alterare il peso medio d’ogni uovo. E il cloruro cobaltoso ha ridotto il peso delle uova prodotte a meno d’un quinto diminuendo più che di due terzi il numero delle uova e di ben */, il peso medio d’ogni uovo. Notiamo qui che bisogna ricordare che le 9 dell’ alleva- mento con acido cloridrico e con cloruro cobaltoso deposero le uova appena schiuse senza accoppiamento, sicchè le loro uova non sono fecondate. Nondimeno la fecondazione pare non abbia un’ azione sensibile tanto pel numero come pel peso delle uova prodotte; infatti una 9 normalmente cibata e non fecondata pro- duce (fra le uova deposte e quelle rimaste nell’ addome) un nu- mero e un peso d’uova non sensibilmente diverso da quelli prodotti da una 9 fecondata. Il peso medio d’un uovo della 9 dell’ acido cloridrico non è infatti diverso da quello medio d’un uovo di 9 normale fe- condata, mentre il peso medio d’un uovo della 9 del cloruro cobaltoso ne è quasi la metà. Ciò dimostra che la diversità non è assolutamente dovuta alla mancata fecondazione delle uova. Tornando all’azione prodotta dalle diverse sostanze sulla fecondità osserviamo che tutti gli agenti vicini fra loro per certe qualità hanno prodotto fenomeni quasi uguali. Così i due alcali hanno entrambi aumentato quasi nello stesso grado la produ- zione di uova e il peso medio d’ogni uovo; i solfati hanno anche essi prodotto fenomeni identici fra loro; il cloruro ferroso si avvicina ai due solfati per | aumento del numero di uova mentre se ne allontana un po’ pel peso medio d’ogni uovo; l’acido cloridrico produce un fatto opposto a quello degli alcali ed il cloruro cobaltoso produce una modificazione dello stesso 354 Filippo Cavazza tipo di quella ottenuta coll’acido ma solamente ancora molto più forte. Se facciamo il confronto fra il peso di uova prodotte in ogni gruppo e le altre modificazioni ottenute in ciascuno di essi gruppi nello sviluppo, nella durata degli stadi larvale e ninfale e nel peso dei bozzoli vedremo che ron appare esservi alcun legame. Questo legame si potrebbe forse rintracciare fra il peso della farfalla e le uova da essa deposte, ma anche in questo caso se per la maggior parte dei gruppi sembra esservi tale rapporto esso nondimeno ci appare non essere costante. Un fatto però coincide pei due gruppi nei quali la produ- zione di uova fu profondamente diminuita; la presenza allo stato di larva di una muta di più delle normali. Non sostengo affatto che ciò dimostri l’esistenza di un rapporto fra il numero delle mute e la fecondità, ma nondimeno ho voluto accennare il fatto osservato. Parecchi autori asserirono che gli agenti molto dannosi alla salute delle larve e crisalidi producono una diminuzione della fecondità. Nel gruppo del cloruro ferroso noi osserviamo la massima mortalità (98 °/)) e in quelli dei solfati (94%, e 90°) e della soda caustica (86 °/,) una mortalità grandissima; ebbene in questi gruppi così fortemente colpiti, e da 9 che avevano ripetuta- mente dato segni di sofferenza, abbiamo ottenuto un numero d’ uova molto superiore al normale. Ciò dimostra chiaramente che l'aumento o la diminuzione della fecondità è dipendente dalla costituzione della sostanza colla quale si è agito ma non dall’ esser essa sostanza più o meno dan- nosa o anche utile. Perciò credo che un dato agente il quale somministrato in leggera quantità produce 1’ aumento della fecon- dità senza danni allo sviluppo delle larve e crisalidi, anche a forti dosi, dannosissime agli allevamenti, produrrà sempre ugual- mente l’ aumento della fecondità e forse in grado ancora supe- riore. Intorno al modo di agire dell’ ossigeno respirato dalla larva e crisalide sugli organi sessuali della 9 e intorno a quello degli alcali, dell'acido, dei due sali di ferro, del sale di rame e di I n Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 355 quello di cobalto ingeriti dalla larva, sugli stessi organi, è molto difficile, per ora, fare ipotesi. Neppure può dirsi se i fenomeni osservati siano da attribuirsi ad una più o meno diretta azione del fattore chimico sugli organi stessi, oppure ad una reazione locale a stimoli secondari derivanti da altri organi eccitanti dal- l’ agente. Quello che ancora una volta vogliamo far rilevare, si è che se si riuniscono secondo la somiglianza della loro azione sulla fecondità i diversi agenti sperimentati, essi si ordinano logica- mente rispetto a certe loro qualità chimiche, come abbiamo sempre visto accadere per tutte le modificazioni ottenute nelle nostre esperienze. 8° - Diversa mortalità nei gruppi, e sesso degli eseniplari giunti allo stato d’imago. Nello specchio seguente ho messo la percentuale di morta- lità di tutti i gruppi tanto allo stato larvale come a quello ninfale, e poi ho con segni convenzionali esposto se fra gli esemplari giunti allo stato d’imzago un sesso aveva sopravvento numerico sull’ altro. TABELLA VIII. - PERCENTUALE DI MORTALITÀ. Rapporti "iarvale ” — minfale | dei sessi fa i Nonna sot. SA i E RO 0 0 Gr Mssiacaor li lati 0Ib od dol 0 0 = DalisSAACAHSHCA: e inzio it 28 28 n ©) si ET e e A aa e E 50 36 chino NCGTORCOrE RICO ene on ann 88 4 solo 9 Medpaeetico!s: III III 86 6 solo 9 SolfalorkaMacico n ni esilcsro cast. gu liti 84 6 solo 9 SOMA LICEO cn 86 8 + 9 PIOnMmoRierrOsOnv. ti i ea 92 6 solo 9 Clorsrotcobaltoso”n: tti et II 92 4 solo 9 Da questi dati vediamo che nei gruppi normalmente allevati e in quello stato in ambiente ricco d’ ossigeno non vi fu neppure un morto, raggiungendo tutti gli esemplari lo stato d'’insetto perfetto e che il numero dei gf fu in questi gruppi quasi identico a quello delle 9. Nondimeno la minima differenza di numero el * AN A 9:70 ni, LL , fe3/® ail s È LIBRARY)S i M 356 Filippo Cavazza fra gli esemplari di un sesso e quelli dell’ altro, va in entrambi i casi ad aumentare un po’ il numero dei dg. È noto che negli allevamenti normali piuttosto numerosi « si verifica che i due sessi sono nelle stesse proporzioni » seb- bene una tenue differenza tenda se mai «a far predominare, sebbene di pochissimo, i S' ». Siccome il sesso è sempre incontestabilmente determinato nell’ uovo, così il confronto fra la mortalità ed il sesso dei soprav- vissuti ci indicherà solo quale dei due sessi ha potuto più facil- mente superare l’azione dannosa degli agenti ingeriti. Nel gruppo della potassa caustica abbiamo una mortalità del 56 °/, dalla schiusura dell'uovo a quella della farfalla con una leggera predominanza di g' nei sopravvissuti. In quello della soda caustica una mortalità complessiva del- l' 86°, ed una uguaglianza di esemplari sopravvissuti per en- trambi i sessi. Osserviamo che sebbene la mortalità sia molto diversa pei due alcali, nondimeno essa si trovò avvenire in entrambi i gruppi negli stessi momenti dello sviluppo; cioè 1° dopo aver raggiunto la maturità e prima della quinta muta, 2° al momento di passare dallo stato di crisalide a quello d’imago. Inoltre la mortalità fu quasi ugualmente forte durante lo stato larvale e durante quello ninfale. Nel gruppo dell’ acido cloridrico osserviamo una mortalità complessiva del 92 °/, e gli esemplari giunti allo stato d’ {mago sono 9. Per l’acido acetico dobbiamo ripetere le stesse cose. Inoltre nei due gruppi dell’ esperienze cogli acidi osserviamo che la massima mortalità avvenne 1° durante la 5* muta sopran- numeraria, 2° alla maturità, e 3° subito dopo aver raggiunto lo stato di crisalide. La mortalità fu grandissima durante lo stato larvale. Nei due gruppi dei solfati osserviamo una mortalità com- plessiva del 90 °/, pel solfato rameico e del 94°/ pel solfato fer- roso. Nel gruppo del primo giungono allo stato d’imago solo esemplari femminili e in quello del secondo anche un g* giunse allo stato d’imzago, le 2 essendo però 2. I momenti di massima mortalità furono prima della maturità, alla maturità e subito dopo l’incrisalidamento. ea Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 357 Nei gruppi dei due cloruri la mortalità fu ancora più forte; 98 °/, (cloruro ferroso) e 96 °/, (cloruro cobaltoso), e specialmente fu più forte durante il periodo larvale. In entrambi i gruppi schiusero esclusivamente esemplari femminili. Da quanto abbiamo qua sopra esposto appare evidente che anche l’effetto patologico dei diversi agenti si esplica con disor- dini e mortalità simili nei gruppi sui quali si è agito con so- stanze vicine fra loro per certi caratteri chimici. In quasi tutti i precedenti capitoli abbiamo parlato del rap- porto fra i danni prodotti agli allevamenti dagli agenti sperimentati e le modificazioni ottenute, dimostrando che, nei casi nostri, non è quasi mai possibile trovare una relazione. » Lo STANDFUSS (90) asserisce che « /e larve maschili essendo più robuste di quelie femminili sopportano meglio le malattie inerenti alla cattività e presentano perciò una mortalità minore ». E molti altri dicono che la povertà di nutrizione è molto più dannosa alle larve femminili. Così in allevamenti con cibo scarso, poco nutritivo o difficilmente masticabile si dovrebbe ottenere, fra i sopravvissuti un maggior numero di cf. Nelle mie esperienze si osserva che nei due gruppi degli acidi, in quelli dei solfati e in quelli dei cloruri dove la morta- lità fu grandissima, e specialmente durante il periodo larvale, giunsero allo stato d’imago sole 9 (acido cloridrico, acido ace- tico, solfato rameico, cloruro ferroso e cloruro cobaltoso) oppure i g' erano in numero molto inferiore (solfato ferroso). Questi fatti non sono in contraddizione con quelli che 0s- servarono diversi autori intorno alla mortalità negli allevamenti scarsamente cibati, giacchè abbiamo già veduto come le modi- ficazioni prodotte dai diversi agenti non siano affato da confon- dersi con quelle ottenute colla scarsità o colla difficile assimila- zione del cibo. Pare nondimeno che questi fatti non concordino colla dedu- zione dello STANDFUSS perchè da essi vien dimostrato che | a- zione venefica dei due solfati, dei due cloruri e dei due acidi è sopportata molto più facilmente dalle larve e crisalidi femminili che da quelle maschili. Nei gruppi dei due alcali che furono pure assai dannosi osserviamo invece che fra i sopravvissuti i due sessi o si trovano Bios 31 358 Filippo Cavazza nelle stesse proporzioni oppure i g' sono più numerosi. La mor- talità fu molto forte anche durante il periodo di ninfosi. A che cosa attribuire queste diversità? Devesi supporre che le sostanze agiscono le une più fortemente sopra un sesso e le altre più fortemente sull’ altro, oppure pensare che secondo il momento dello sviluppo in cui capita la massima mortalità resi- stano o più g' o più 9? Solo ricerche ripetute e sopra un numero grande d’esem- plari potranno dar modo di risolvere questo problema. III. - CONCLUSIONI In ogni capitolo raffrontando fra loro i risultati ottenuti, oltre ad esporre i fatti, abbiamo discusso su essi e sugli asserti degli autori. In molti punti del lavoro e su non pochi problemi parziali siamo potuti giungere a conclusioni, ma sui problemi generali ci dovremmo accontentare di fare ipotesi. E le ipotesi, per quanto logiche e rigidamente scientifiche, sono pur sempre in parte derivate dalla maniera di valutare e giudicare; ed è perciò che amiamo meglio esporre i fatti, trarne quelle conclusioni parziali che sono positivamente acquisite, e lasciare che ciascuno si faccia le ipotesi generali, in attesa di nuovi fatti. Molti altri problemi, oltre quelli da noi toccati, potrebbero esser chiariti con esperienze simili alle su esposte, ma dovemmo per forza restringere un campo che sarebbe infinitamente vasto. È superfluo che io accenni a quanti problemi di biologia generale, fisiologia, filogenetica, patologia ecc. sono connessi i risultati di siffatte esperienze. Di quanto io mi ero prefisso di ricercare rimangono ancora da osservare due serie di fatti, e cioè quale sia l’azione degli agenti ingeriti o respirati dai genitori: 1° sullo sviluppo e sui caratteri somatici degli esemplari della seconda generazione, 2° sul sesso degli esemplari della seconda generazione. A ciò non rispondono ancora gli allevamenti dell’anno pas- sato, ma spero possono rispondere quelli che ho in corso at- tualmente. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 359 Riassunto dei fatti osservati. 1° - Sulle larve. 1. Tutti gli agenti respirati o ingeriti hanno prodotto una diminuzione della statura e del peso delle larve in rapporto a quelli delle larve normali di uguale età. 2. Non è sempre vero che la statura delle larve di uguale età sia in rapporto colla quantità di cibo da esse ingerito. 3. Se si riuniscono gli agenti sperimentati secondo il loro modo e grado d’azione sulla statura e peso delle larve, tale rag- gruppamento corrisponde colla massima evidenza a certe qualità chimiche delle sostanze. 4. La tossicità degli agenti non spiega la piccola statura delle larve, essendovi gruppi con larve relativamente grandi e pesanti che hanno avuto una mortalità molto più forte di altri i quali presentano larve piccole e leggere. Gli acidi agiscono sempre producendo larve adulte di piccolissime dimensioni. 5. Il colore assunto dalle larve è in molti casi simile a quello della soluzione somministrata loro (solfato rameico, solfato fer- roso, cloruro ferroso) ma in altri casi è nettamente diverso da quello della soluzione (cloruro cobaltoso). 2° - Sulla durata dello sviluppo. 1. I diversi agenti non agiscono sensibilmente sulla durata delle prime quattro età larvali. 2. I due acidi sperimentati ed il cloruro cobaltoso produssero in tutti gli esemplari giunti a maturità, una muta supplementare sicchè la vita larvale di questi tre gruppi fu aumentata di una altra età. 3. Non appare esservi alcun rapporto fra il numero delle mute e la lunghezza della vita larvale o la statura massima delle larve. 4. Non è sempre vero che l’ultima muta avvenga « irrevo- cabilmente quando la larva ha raggiunta una data statura» giacchè alcuni agenti ingeriti modificano grandemente la statura delle larve alla loro ultima muta. 5. La tossicità generale dell'agente non ispiega affatto la 360 Filippo Cavazza muta supplementare, la quale non viene mai prodotta da alcuni agenti dannosissimi mentre certi altri in certa dose la producono in tutti gli esemplari. 6. La vita larvale venne abbreviata dall’ossigeno respirato e dai due alcali ingeriti mentre fu allungata dai due solfati dal cloruro ferroso e ancor più dai due acidi e dal cloruro cobaltoso. 7. Non si deve attribuire il rallentamento o | acceleramento dello sviluppo larvale solamente alla « mirore 0 maggiore assi- milabilità dei diversi agenti ingeriti ». 8. Se certi agenti chimici non modificano che il « rapporto di durata fra gli stadi larvale e ninfale senza modificare la durata del ciclo evolutivo completo dell’ insetto », altri invece allungano entrambi gli stadi modificando grandemente la durata dell'intero ciclo evolutivo, ed altri agenti ancora allungano gran- demente la vita larvale senza modificare la durata della ninfosi. 0. Se si riuniscono gli agenti sperimentati secondo il loro modo e grado d’azione sulla durata della vita larvale e sul rapporto fra la durata di questa e delle ninfosi, il raggruppamento che ne deriva corrisponde a certe qualità chimiche delle sostanze sperimentate. 10. L'azione dell'ossigeno sulla durata della ninfosi appare esser diverso quando esso agisce continuamente sulla larva e sulla crisalide da quando agisce solamente sopra crisalidi deri- vanti da larve state in atmosfera normale. 3° - Sopra i bozzoli con crisalide. 1. Tutti gli agenti sperimentati hanno prodotta una diminu- zione del peso dei bozzoli con crisalide rispettivamente al peso medio dei bozzoli con crisalide derivanti da allevamenti normali. 2. Anche sul peso dei bozzoli con crisalide l’azione dei diversi fattori corrisponde evidentemente a certe qualità chimiche delle sostanze ingerite. 4° - Sulla produzione di seta. 1. Tutti i diversi agenti sperimentati, pur causando fenomeni diversi per grado, diminuiscono sempre tanto la produzione assoluta di seta quanto quella relativa al peso del bozzolo con crisalide. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 361 5° - Sul peso delle farfalle. 1. Gli alcali sperimentati hanno sempre aumentata la media del peso assoluto degli insetti perfetti, mentre gli acidi |’ hanno diminuita ed i sali ora aumentata e ora diminuita secondo la loro costituzione chimica. 2. Non si trova alcun nesso fra il grado di tossicità del- l'agente e la statura dell’ insetto perfetto. Non è quindi sempre vero che agenti dannosi alle larve e crisalidi producano una diminuzione di peso e statura dell’ insetto perfetto. 3. Tutti gli agenti sperimentati aumentarono, in media, il peso delle farfalle relativo a quello dei loro bozzoli con crisa- lide, e ciò specialmente diminuendo la perdita di peso delle cri- salidi durante la ninfosi. 4. Appare che, quando le modificazioni sono prodotte agendo sulle larve, il peso e la statura dell’insetto perfetto non sono in rapporto colla durata della ninfosi. 5. Anche in questo caso gli effetti di fattori vicini fra loro per certe qualità sono stati uguali o simili. 6° - Sulla lunghezza del corpo e delle ali anteriori. 1. L’ossigeno respirato ed i due alcali ingeriti agiscono diversamente sui due sessi per quanto si riferisce alla lunghezza del corpo dell’ imzago. Producono essi infatti una diminuzione della lunghezza del corpo dei g* e aumentano quella del corpo delle 9. 2. Tutti gli agenti ingeriti dalle larve hanno prodotta una diminuzione della lunghezza assoluta delle ali anteriori dell’ zago e ciò indipendentemente dalla durata del periodo ninfale. 7° - Sulla produzione e peso delle uova. 1. Tutti gli agenti sperimentati hanno fortemente agito sulla fecondità. L’ atmosfera ricca d'ossigeno, i due alcali, i due solfati e il cloruro ferroso hanno tutti, sebbene in grado molto diverso, aumentato il numero d’ uova prodotto da ogni 9, mentre l’acido cloridrico ed il cloruro cobaltoso lo hanno grandemente diminuito. 362 Filippo Cavazza 2. Gli agenti vicini fra loro per certe qualità chimiche hanno prodotto azioni simili sulla fecondità. 3. Non appare esservi alcun legame fra il peso di uova prodotto in ciascun gruppo e le altre modificazioni ottenute rispettivamente cogli stessi agenti nella durata dello sviluppo e nei pesi dei bozzoli con crisalide. 4. L'aumento o la diminuzione di fecondità è dipendente dalla costituzione della sostanza colla quale si è agito ma asso- lutamente indipendente dal grado di tossicità di essa sostanza. 8° - Grado di tossicità. 1. L'azione tossica di alcuni agenti sperimentati appare esser meno sopportata dai g* che dalle 9. Bologna, Istituto zoologico, luglio 1913. IV. - GIORNALE DEGLI ESPERIMENTI. 1° - Cultura normale. Circa 250 larve nate il 1° di maggio 1912 furono poste il 3 dello stesso mese in cassette simili a quelle che contenevano le larve sulle quali speri- mentavo l’azione dei diversi agenti chimici. Il 7 maggio avvenne la prima muta; 11 cominciano a vedersi indi- vidui in muta per la seconda volta, il 12 tutti sono in muta; la sera del 16 quasi tutti gli esemplari entrano nella terza muta. Il 25 di maggio molti esemplari entrano in muta per la quarta volta e gli altri seguono il giorno dopo. Nelle due cassette di bachi normalmente nutriti non si è mai visto un esemplare malato ma solo degli individui ritardatari o più piccoli. Il 6 giugno, cioè 37 giorni dopo la schiusura delle uova e 11 dalla quarta muta, peso 40 bachi scelti fra quelli che non hanno ancora smesso di mangiare, e trovo i pesi seguenti: Peso: idel40 bachi Ml. ei eu Ver 160720 »*imiedieYdi un baco gg: Lo 4,005 » massimo » SARA Noa. minimo » IRIS VINTI RA i 2,60 Centro del campo di variazione. . . . » 4,06 Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 363 La variabilità fra esemplari di eguale età e vissuti nello stesso ambiente (normale) è molto forte. È pur degno di nota il fatto che questi bachi non sono fra loro molto distanti nello sviluppo larvale avendo tutti subìta la quarta muta o il 25 o il 26 maggio. Il 6 giugno alcuni esemplari avevano raggiunto la maturità; 1 8 anche i ritardatari avevano raggiunto questo stadio; il 7 alcuni cominciano a fare il bozzolo ed il 9 anche i ritardatari. Il periodo larvale dei bachi normalmente cibati ha variato da 38 a 40 giorni e si divide nelle cinque età nel modo seguente: 1° età. Dalla nascita alla 1* muta. . giorni 6 7A ay altalene day aepetp, l » 4 di a HOT canili dan » 5060 4% >» * np Sten 499 Ve MEL ING » 9 o 10 Seme so ARM maturità +: >» 130 14 I bozzoli variano assai l’uno dall'altro per le dimensioni. Pesati 10 o 12 giorni dopo la loro formazione i bozzoli colla crisalide ci danno questo risultato: Peso di 250 bozzoli con crisalide . . . gr. 654,50 >imediordbuni bozzolot.j! sn tru gra 2,601 » massimo » IRE cone di beni pi) dela 3, » minimo » RIEVARIgd SI. FONIORIAVOIIE DOVICO 1,80 Centro del campo di variazione. . . . >» 2,40 Polpo ne ei ite o i a 1,20 Il 26 giugno schiude la prima farfalla (un c*) e la schiusura dura inin- terottamente ogni giorno fino al 2 di luglio. I bozzoli furono tenuti durante tutto il periodo ninfale in una stanza molto arieggiata ed a temperatura variante da 19 a 23 cgr. (nelle stesse condizioni furono tenuti i bozzoli di tutti gli altri gruppi). Osservai per lo sfarfallamento 50 bozzoli. Ciò feci per facilitare le esperienze e per poter far meglio confronti con altri gruppi poco numerosi. Complessivamente gli esemplari della cultura normale hanno avuto una durata di ninfosi variante da 19 a 23 giorni. Delle 50 farfalle 27 sono g' e 23 2. Come facilmente si osserva i due sessi, pur trovandosi in proporzione quasi simile, nondimeno i g' sono un po’ predominanti. Appena avvenuta la deposizione delle uova pesai tutte le 50 farfalle ottenendo i dati seguenti: Peso. di50 farfalle”(27*g''e)23 Q) hier. ‘1704 >» /imedtiotdicuna; farfalla: 1) Ign LI “ab 0394 Sulle farfalle presi due misure e cioè, la lunghezza del corpo e quella massima dell’ ala anteriore. log 364 Filippo Cavazza Misure delle farfalle: Maschi Media Femmine Media Lunghezza del corpo da mm. 18,3 a 20,2 19,3 da mm. 20,8 a 22 21,3 » ala ‘anter: =» ‘21,8.a/23,0 (4258 + 0 .23;8ra 25:2Y 0044 Si riscontra allo stato d’insetto perfetto una evidente variabilità indi- viduale e tale variabilità è assai regolare. Tutte quasi le farfalle si accoppiarono regolarmente ed io preferii lasciare che l'accoppiamento avvenisse a caso. Non volli inoltre intervenire accorciando la durata di esso accoppiamento che, secondo il modo di dire dei bachicultori, fu ///imzifato. Tenute divise dieci coppie osservai come le 9 deponessero regolar- mente le uova; pesai, un mese dopo la deposizione, le uova di questi dieci gruppi e poscia le uova di una sola 9 contando inoltre il numero delle uova da essa deposte: Peso delle uova deposte da 10 9. . . gr. 2,86 > » ) dalla 9 scelta >» 0,285 Numero » d » » uova 407 Peso medio di un uovo della » ) mgr. 0,70 Il numero di uova deposte dalla femmina da me scelta pare corri- sponda ad una media. Infatti se ammettiamo che le 10 9 abbiano deposto ciascuna 407 uova, avremo in complesso 4070 uova che moltiplicate pel peso medio di ciascun uovo delle 9 scelte, daranno un peso complessivo di gr. 2,849, peso che corrisponde quasi col peso reale delle uova di tutte le 10 9 osservate. I pesi dati dal SCMUIDSINOWITSCH (86) per le uova di questa razza con- cordano perfettamente col peso medio d’un uovo da noi osservato. Da ultimo presi i bozzoli vuoti e dopo averli ben seccati e toltine i resti dell'involucro della crisalide li ho pesati per conoscere la produ- zione di seta: Pesoltdi/50 bozza ny Cali so fa «gni 48,075 »* ‘medio’ di un'bozzelo x. Ut, +0), 03015 2° — Trattamento con ossigeno. Cinquanta bachi, che (come tutti gli altri su cui esperimento) erano nati il 1° maggio 1912 furono lasciati in ambiente normale fino dopo la prima muta (7 maggio) e il 9 del mese furono posti sotto l’azione dell'atmosfera ricca di ossigeno secondo il modo già esposto. La mattina dell’ 11 maggio la maggior parte di questi esemplari entra nella seconda muta. La sera del 15 maggio molti esemplari entrano nella terza muta e la mattina del 16 tutti stanno mutando. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 365 Tutti gli esemplari sottoposti all’ossigeno sembrano ugualmente svi- luppati. La mattina del 25 maggio molti bachi entrano in muta per la quarta volta, e tutti seguono prima di sera. Il 3 giugno alcuni esemplari hanno già raggiunto la maturità, il 4 tutti si preparano a salire in frasca. La mattina del 5 giugno un buon terzo ha già cominciato a filare il bozzolo. Durante tutto il periodo di vita larvale questi esemplari hanno man- giato con grandissima voracità. Il 4 giugno, cioè 35 giorni dopo la schiusura delle uova e 10 giorni dalla quarta muta, peso 20 bachi scelti fra quelli che non hanno ancora smesso . di mangiare (gli altri 30 sono già alla maturità), e trovo i pesi seguenti: Pesoxdei20 bachi 2 da era 76,1 » medio di un baco > 3,80 massimo » MR ae e aa RADO » minimo » A e e ZO Centro del campo di variazione. . . . . >» 3,93 La variabilità fra esemplari di uguale età ed ugualmente trattati è molto meno grande che non negli esemplari normali. Il 6 di giugno tutti i bachi di questa cassetta si sono rinchiusi nel bozzolo. Il periodo larvale dei bachi ossigenati ha variato da 36 a 37 giorni e si divide nelle cinque età nel modo seguente: 1° età. Dalla nascita alla 1* muta . . giorni 6 Dea » Di AMARE AR ARENA. » 4 gomma » 2° DFAE O RE MIALIA TOA. è AVO 4° » » 3° » 4° Pr ico) » 9 0 10 Bars » ASI ETTI A TILL TA PN » Onan Da ciò vediamo che l’abbreviamento della vita larvale degli esemplari tenuti in atmosfera ricca d’ossigeno è dovuta quasi esclusivamente all’accor- ciamento della quinta età. Pesati 12 giorni dopo la loro formazione i bozzoli colla crisalide ci danno i seguenti risultati : Peso di 50 bozzoli con crisalide. . . . gr. 114,08 = Qiiuediordi uni bozzoalo.. ‘»;... 0 eur 2,28 massimo » i tate avena 2,10 » minimo » Neli: SR I 1,90 Centro del campo di variazione. . . . >» 2,30 USGUAZIORE AO Ro n I 0,80 La diversità di peso fra bozzoli con crisalide derivanti dalle larve ossigenate, è molto meno sensibile della differenza che abbiamo osservata fra i bozzoli con crisalidi derivanti dai bachi normalmente allevati. 366 Filippo Cavazza Il 25 giugno dai bozzoli che furono pure tenuti in atmosfera ricca di ossigeno, schiude la prima farfalla (un c*) e la schiusura dura ininterrotta- mente ogni giorno fino al 30 giugno. È degno di nota che il periodo di schiusura è stato in questi esem- plari di soli 6 giorni. Complessivamente gli esemplari allevati in atmosfera ricca d’ossigeno hanno avuto una durata di ninfosi variante da 20 a 24 giorni. Delle 50 farfalle schiuse 26 erano o' e 24 9. Si osserva che i due sessi si trovano in proporzione quasi simile e che, come nell'allevamento normale, i g' sono un po’ predominanti. Appena deposte le uova pesai le 50 farfalle ottenendo i dati seguenti: Peso di 50 farfalle (26 gt e 24 9) . . . gr. 18,02 > jmedio. di: una farfalla. ....}..3, Lea OA Vediamo che il peso medio delle farfalle è più alto in questi esemplari che nei normali. Misure delle farfalle: Maschi Media Femmine Media Lunghezza del corpo da mm. 18 a 20 18,8 da mm. ‘2174223 20002251 » ala anter. >» 218a234 22,4 » 23,8a25,5 24,8 Queste misure mostrano che negli esemplari derivanti dall’allevamento ossigenato si verifica a//o stato adulto la stessa variabilità individuale riscon- trata negli esemplari normali. È degno di nota il fatto, da me già rilevato nelle esperienze sulla Malacosoma neustria, che Vl ossigeno ha prodotto una diminuzione della grandezza dei g* mentre ha aumentato la grandezza delle 9. Delle 24 9, 23 si accoppiano normalmente con c' dello stesso alle- vamento. Tenute divise 10 coppie osservai che le 9 deposero regolarmente le uova. Un mese dopo la deposizione pesai le uova delle 10 femmine e poscia quelle di una sola 9. Peso delle uova deposte da 10 2 . . . gr. 5,41 » » » dalla 9 scelta. » 0,550 Numero » » » » uova 785 Peso medio di un uovo della » » mgr. 0,70 Il numero delle uova deposte dalla 9 da me scelta pare anche in questo caso coincidere con una media. Infatti 7850 uova moltiplicate pel peso medio di un uovo della sud- detta 2 danno gr. 5,495, peso di poco superiore al peso reale delle uova deposte dalle 10 £ osservate. L’ossigeno ha avuto quindi come azione di raddoppiare quasi il numero delle uova prodotte da ciascuna 9. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 367 I bozzoli vuoti e seccati dei 50 esemplari allevati in ossigeno furono poi pesati come quelli dell’ allevamento normale: Peso "dia bozzolitlzt i carl UA. *«unedio di un DOozzolo'; .... 1. 4 4 100 290 La produzione di seta di questi esemplari è assai inferiore a quella dei normali. 3° - Trattamento con KOH. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 fu somministrata foglia normale fino al 9. In questo giorno cominciai a dar loro foglia stata in una soluzione di potassa caustica all’1 per 1000 (= soluzione normale in litri 56,15). Il giorno 11 maggio molti bachi entrano nella seconda muta ed il 12 tutti i rimanenti. Aumento la concentrazione della soluzione in cui sta immersa la foglia, portandola al!’ 1,50 per 1000 (= soluzione normale in litri 37,433). La mattina del 16 si osservano molti esemplari che entrano in muta per la terza volta e la sera tutti stanno mutando. Il 18 avendo osservato che tutti gli esemplari stanno benissimo, e man- giano voracemente, aumento ancora la concentrazione della soluzione por- tandola al 2 per 1000 (= soluzione normale in litri 28,075). Il 25 due soli individui si mostrano malaticci. Uccido due esemplari e provo se il contenuto intestinale dia una rea- zione acida o alcalina; la reazione ottenuta è nettamente alcalina. Il 26 di maggio molti esemplari entrano in muta per la quarta volta. Il 5 giugno alcuni esemplari raggiungono la maturità. Il 6 giugno peso 40 bachi; li peso cioè 37 giorni dopo la schiusura delle uova e 11 o 12 giorni dalla quarta muta. Pespider Alb aCat e SERIA LO SRI GIORGIE UNE DA CORI n III 0 3,525 » massimo » LO AGARI I dI FIN RSSTBRLT 4,60 » minimo » SPREA Roe » 2,70 Centro del campo di variazione. . . . >» 3,05 La variabilità individuale del peso appare in questo allevamento molto minore che negli esemplari normali. Questi esemplari sono meno pesanti nello stesso momento di sviluppo. Il 7 giugno più della metà degli esemplari ha raggiunto la maturità e i ritardatari raggiungono la maturità il giorno seguente. Il 9 di giugno la maggior parte degli individui hanno iniziato a farsi il bozzolo; l' 11 tutti lavoravano. Il periodo larvale fino alla maturità dei bachi cibati con foglia stata Vo Vi aglt 5 è « ‘ ba TE Re 368 Filippo Cavazza nelle su citate soluzioni di potassa caustica ha variato da 37 a 40 giorni e si divide nelle 5 età nel modo seguente: 1° età. Dalla nascita alla 1* muta. . giorni 6 PE ae » 405 SX s Di RESEZIONE ha » 405 4A RI LE” SALO TOR TSO, VSIR II BL IO NONLI Bg » 4° 5a tunita e en » io 012 La vita larvale è stata in media più breve di quella degli esemplari normali. Dei 47 bachi giunti a maturità (tre furono da me uccisi) e che avevano cominciato il bozzolo, 12 non proseguono il lavoro cominciato e dopo aver tessuto un piccolo involucro trasparente muoiono prima della quinta muta. I bozzoli sono abbastanza variabili di dimensioni (Fig. 3) ed in media più piccoli assai di quelli prodotti dai bachi normalmente cibati. Pesati 10 o 12 giorni dopo la loro formazione i 34 bozzoli con cri- salide danno i risultati seguenti: Peso di 34 bozzoli con crisalide. . . . gr. 65,1 medio di un bozzolo . > 1,914 massimo » LI SO ae ARTE » minimo > near go a 3} Centro del campo di variazione. . . . > 1,86 IOSCIIAZIONEr e et OA i da PR] UE Mena AO La diversità di peso che corre fra un bozzolo con crisalide ed un altro è in questo allevamento assai inferiore a quella osservata fra i bozzoli dei bachi normalmente allevati. Il 20 giugno schiudono le due prime farfalle (2 c*) e la schiusura seguita ogni giorno fino al 4 luglio. Osserviamo anzitutto che di 33 esemplari incrisalidatisi, solo 19 giunsero allo stato d’insetto perfetto. In tutto il periodo di vita larvale la mortalità era stata di 14 e allo stato di crisalide vi furono pure 14 morti. La mag- giore mortalità si ebbe in due momenti del periodo ninfale cioè subito dopo il passaggio dallo stato di larva a quello di crisalide e subito prima della completa formazione della farfalla. Complessivamente questi esemplari hanno avuto una durata di ninfosi variante da 19 a 24 giorni. Delle 19 farfalle schiuse 11 erano c'e 8 2. Appena ebbero deposte le uova le 19 farfalle furono pesate dando i risultati seguenti: Peso ‘di 19 ‘farfalle"(1, g''e'8. Qyesvalevan kprW970 *c>vimedio: diurna KHarfalla: 0 ella na clava 051 a to Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 369 Vediamo che il peso medio delle farfalle è molto più grande in questo gruppo che nel normale (gr. 0,51 anzichè 0,34). Misura delle farfalle: Maschi Media Femmine Media Lunghezza del corpo da mm. 17,7 a 20 18,7 da'nun.:20,8°2.232., 22,1 » ala anter. e 10,0a0202* 19,7 + 02008215 21,1 Si verifica la stessa variabilità individuale riscontrata negli esemplari normali. Delle 8 9 schiuse 6 si accoppiano regolarmente con g' dello stesso allevamento. Tenute divise queste 6 coppie osservai che le Q deponevano regolarmente le uova; un mese dopo la deposizione pesai le uova delle 6 9 e poscia quelle di una 9 scelta: Peso delle uova deposte da 6 2 . . . gr. 2,803 >» > » dalla 9 scelta. » 0,482 Numero > » uova 595 Peso medio di un uovo della » » mgr. 0,811 Il numero delle uova deposte dalla femmina scelta può supporsi non molto distante da una media perchè 3570 uova moltiplicate pel peso medio di uova della suddetta 9 danno gr. 2,895; peso che è di poco superiore al peso reale delle uova deposte dalle 6 9 osservate. La potassa caustica ingerita dalle larve ha dunque grandemente aumen- tato il numero ed il peso di uova prodotte da ciascuna 9. Il peso medio di ciascun uovo è di parecchio superiore quello osservato nelle uova delle colture normale e ossigenata. Di questo allevamento furono poi pesati 30 bozzoli vuoti e seccati come ebbi già a dire: Pesoydi 30) bozzoli.er aloni «sin Se er ti2F: 032 mediordi unaibozzolo. 0. 0 1,,0,210 La produzione di seta fu in questi esemplari inferiore a quella dei normali. 4° - Trattamento con Na0OH. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 ed alle quali fu data foglia normale fino al 9 maggio (la prima muta avvenne il 7 maggio), cominciai in tal giorno a somministrare foglia stata in una soluzione di soda caustica all’ 1 per 1000 (= soluzione normale in litri 40,058). L’11 maggio una buona parte degli esemplari entra in muta per la seconda volta. Il 13 tutti questi esemplari apparendo sani, voracissimi e sviluppati; «5 do 370 Filippo Cavazza aumento la concentrazione della soluzione portandola all’ 1,50 per 1000 (= soluzione normale in litri 26,705). La mattina del 16 molti esemplari entrano nella terza muta, la sera dello stesso giorno tutti sono in muta. Aumento ancora la concentrazione della soluzione portandola al 2 per 1000 (= soluzione normale in litri 20,029). Il contenuto del tubo digerente anche dopo parecchie ore di digiuno dà reazione nettamente alcalina. Il 26 e il 27 maggio avviene la quarta muta. Il mattino del 5 giugno parecchi esemplari giungono alla maturità. Il 6 giugno peso 40 bachi: Peso del '40 "bachi." et e IO, SRI So SRINedio NA MUN'DACO SEO AO A dd 3,312 » massimo SME IF e A » minimo » TRA RIMIRZNE, patio: 2,20 Centro del campo di variazione. . . . ©» 3,30 Appare da questi dati che la variabilità individuale del peso è inferiore di molto a quella dei bachi normalmente cibati. L’8 giugno più della metà degli esemplari ha raggiunto la maturità, il 9 tutti hanno raggiunto questo stadio ma solo pochissimi cominciano a filare. Il periodo larvale fino alla maturità ha variato in questi esemplari da 36 a 39 giorni e si divide nelle cinque età nel modo seguente: 1° età. Dalla nascita alla 1% muta. . giorni 6 Dia cala ee > 405 SEME » DI e O ETNO: > 405 4%» SA CHI AO ie eine A ea > "MOLO bra SIAE FINAL tan A » Ghasiz La vita larvale è stata un po’ più breve che negli esemplari normali. Dei 47 esemplari giunti a maturità (3 furono da me uccisi) e che ave- vano cominciato a filare, 25 non proseguono il lavoro cominciato e dopo aver disperso il filo muoiono prima della quinta muta. I bozzoli sono variabili di dimensione e in media ancora più piccoli di quelli di potassa caustica (Fig. 3). Pesati 10 o 12 giorni dopo la loro formazione 20 bozzoli con crisalide danno i risultati seguenti: Peso di 20 bozzoli con crisalide . . . . gr. 35,80 è \AMECdIO GLI EDOZZO 0, Li. rl n II » massimo » A ee » minimo » A elena a IST Centro del campo di variazione . . . . >» 1,76 @scillazione; i een TTI ti, AI RR 0183 La diversità di peso fra un bozzolo con crisalide e un altro è molto inferiore a quella osservata per i normali. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 371 Il peso medio è quasi simile a quello osservato negli esemplari del- l’allevamento cibato con foglie state in soluzione di potassa. Il 1° luglio schiude la prima farfalla (una 9) il 2 luglio una seconda e il 3 luglio nessun esemplare, il 4 due d*. Tutti gli altri individui morirono allo stato di crisalide o nel periodo di transazione fra lo stato di crisalide e quello d’i10g0. In tutto il periodo larvale la mortalità era stata di 25 su 50 e tutti dopo aver raggiunta la maturità; nel periodo di crisalide morivano invece 18 esemplari. La mortalità massima si ebbe negli stessi due momenti in cui si osservò avvenire quella degli esemplari cibati con foglie state in soluzione di potassa. I 4 esemplari giunti allo stato di farfalla hanno avuto una durata di ninfosi variante da 23 a 25 giorni, cioè un po’ più lunga di quella dei normali. Pesovdi A:farfalle (2 gelo). i, » medio’ dil'una; farfalla"! 0” = a 0,492 Il peso medio di queste farfalle è molto superiore a quello delle normali. Misure delle farfalle: Maschi Media Femmine Media Lunghezza del corpo da mm. 17,2 a 17,5 17,3 da mm. 21,8a 224 22,1 » ala anter. ve 20/2 21,8-00:21;3 da mm, 21,3 a 21,9 21,6 Questi pochi esemplari diversificano dai normali nella lunghezza del corpo per averla i ct minore e le 9 superiore. Le ali sono invece abbreviate in entrambi i sessi. Le 2 9 schiuse si accoppiarono regolarmente coi 2 g'. Esse deposero le uova che furono pesate come quelle dei gruppi precedenti: Peso delle uova deposte da 2 9 . . . gr. 0,984 » » » dalla £ scelta >» 0,486 Numero » » » » uova 616 Peso medio di un uovo della » » mgr. 0,792 (L'altra femmina aveva deposte 633 uova per un peso di gr. 0,498). La soda caustica che fu così dannosa ad una grandissima parte di individui ha aumentato la produzione delle uova ancora più che la potassa. Di questo allevamento furono pesati 20 bozzoli completi senza crisalide PESORURZOnBOzZO N RR LI) >» Niinediogdi un bozzolo =! 0188 5° - Trattamento con HCl. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 e che avevano mangiata foglia normale fino al 9 maggio (la prima muta avvenne il 7 maggio), cominciai in tal 372 Filippo Cavazza Po giorno a dare foglia stata in una soluzione al 0,80 per 1000 del solito acido cloridrico del commercio (= soluzione normale in litri 119,987). Una piccola parte di esemplari entra in muta per la seconda volta l 11 maggio, ma il numero più grande solo il 12. Il 13, vivendo questi esemplari benissimo, aumento la concentrazione della soluzione dell’acido cloridrico commerciale portandola all’1 per 1000 = soluzione normale 95,999 litri). La sera del 16 una buona parte dei bachi entra in muta per la terza volta. Il 18 porto la soluzione dell’acido cloridrico commerciale all’ 1,50 per 1000 (= soluzione normale in 64,020 litri). Il 25 maggio osservo che questi esemplari sono assai più piccoli dei normali e che vi è una disuguaglianza individuale assai più forte. Il contenuto del tubo digerente dà reazione evidentemente acida. Il 25 maggio avviene regolarmente la quarta muta. Parecchi esemplari (9) muoiono durante la muta. Il 3 giugno osservo che i 38 esemplari che non sono morti (tre erano stati da me uccisi) durante la quarta muta sono estremamente piccoli avendo una statura media della metà di quella dei normali. ì Il 4 giugno osservo che 10 giorni dopo la quarta muta questi esem- plari invece di prepararsi alla maturità entrano in una quinta muta al tutto simile alle altre. La sera del 5 giugno si svegliano da tale muta 24 esemplari e man- giano voracemente. Il 6 giugno peso 20 bachi. Pesotdei:20) bachi los canoe tano ia gryt1820 inuzediogdiguntbaco alsug riti Ao 70913 » massimo » RU er dato Sole LR, (I COPIO RIA » minimo » Stats ein N05 Centro del campo di variazione . . . . >» 1,10 x Il peso di questi esemplari è piccolissimo essendo in media meno di un quarto del peso medio dei bachi normali di uguale età. L’8 giugno osservo che dei 24 esemplari svegliatisi dalla quinta muta ben 18 vanno deperendo senza giungere a maturità. L’11 giugno offro agli individui più sofferenti della foglia normale che essi rifiutano mentre mangiano la foglia stata nella soluzione acida. Il 13 giugno due esemplari giungono a maturità non ostante le loro dimensioni minime. Il 16 altri due esemplari giungono allo stato di maturità. Un ultimo giunge alla maturità solo il 24 giugno. Gli altri esemplari tutti muoiono d’una malattia che non corrisponde affatto pei suoi caratteri alle solite malattie dei bachi. Annerisce infatti la parte anteriore del baco fino al quinto anello mentre la parte posteriore rimane d’aspetto normale. La parte annerita diviene paralizzata e morta Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 373 mentre la parte posteriore mantiene la sua vitalità anche 3 giorni dopo che l’altra l’ha completamente perduta. Il periodo larvale fino alla maturità ha variato in questi esemplari da 44 a 55 giorni e si divide in 6 età. 1° età. Dalla nascita alla 1° muta. . giorni 6 Dea > du licallanbegie ni. » 405 9° » » 9 Nd Cr ATOMO » 506 1a ES » 3° a 043 SI cai ero » 809 peas » ATO IN AIMO A I » 10 o 11 66 FARMACI ACInItAne ei eo » 9 a 19 Da ciò vediamo che la vita larvale di questi esemplari è stata assai più lunga di quella degli esemplari normali; che la quarta e la quinta età sono state un po’ più brevi che nei normali, e che esiste in tutti una sesta età variante fra i 9 e 19 giorni che non si riscontra mai in allevamenti nor- mali di questa specie. Solo tre esemplari giungono a filare completamente il bozzolo. Li peso 10 giorni dopo la loro formazione. Pesogdit3Bbozzoli con erisalide. .. ...,. br. 272 *Cmediolidivgn bozzolo: . LL... . . ©» 05906 » massimo » SRI ta a RIA » minimo » fs {Rn defsalezaecte sta 1557; Il peso medio di questi 3 bozzoli è piccolissimo ma in proporzione al peso medio dei bachi esso è assai rilevante. Dal bozzolo filato dall’ esemplare giunto a maturità, il 16 giugno schiude una farfalla 9 il 14 luglio. Gli altri due individui morirono allo stato di crisalide. La mortalità maggiore fu dunque nel periodo larvale alla quinta muta e alla maturità. L’esemplare giunto allo stato di insetto perfetto ha avuto una ninfosi di 27 giorni. L’acido cloridrico ingerito ha dunque prodotto |’ allungamento tanto della vita larvale come quello della ninfosi. Peso della farfalla (9) gr. 0,26. Il peso di questa farfalla è molto inferiore al peso medio delle farfalle dell’ allevamento normale e per di più essa è 9. Misure della farfalla: Sqluiphezza'del'corpo:. .".. (0. ‘mm. 18;1 Q » alaaiuer siii ani a20) Questo esemplare diversifica dalle 9 normali per avere tanto il corpo quanto le ali molto più piccole. i Bios 32 374 Filippo Cavazza Poco dopo schiusa questa farfalla depose le sue uova senza accoppia- mento. Peso-delle‘Hova/ deposte nen eee or OI Numero » BRL re UOVA, 200 Pesofmedio.:di*liovo: is ion Meteor. \0/694 Da ciò si vede che mentre il peso medio d’un uovo, sebbene non fe- condato, è quasi simile a quello medio d’un uovo normale, nondimeno il numero delle uova prodotte da questa 9 è straordinariamente piccolo. Di questo allevamento pesai 3 bozzoli completi e vuoti: Pesoxdei.3,;bozzoli > illa Lee > «medio-di.un. bozzolo;...... iu. he] PO La produzione di seta fu dunque meno di un terzo di quella media d’un baco normale. 6° — Trattamento con C,H,0,. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 e che avevano mangiata foglia normale fino al 9 maggio (prima muta il 7 maggio) cominciai in tal giorno a dare foglia stata in una soluzione di acido acetico all’1 per 1000 (= soluzione normale in litri 60,032). Cominciai con una soluzione assai più forte di quella dell'acido cloridrico perchè supponevo che l’azione dell'acido acetico fosse molto più debole dato che la sua acidità è di circa 100 volte minore. La seconda muta avviene in pochi individui l 11 maggio e negli altri il 12. Il 13 porto la concentrazione della soluzione d’acido acetico all’ 1,50 per 1000 (= soluzione normale in litri 40,002) Il 17 maggio avviene per tutti gli esemplari il principio della quarta muta. Il 18 avendo osservato che tutti gli individui sopportano bene l’acido somministrato porto la soluzione dell’ acido acetico al 2 per 1000 (= nor- male in litri 30,0016). Il 26 avviene la quarta muta. Durante la muta muoiono 15 esemplari. Il contenuto del tubo digerente dà reazione acida. Il 3 giugno osservo che gli esemplari sopravvissuti, 32, sono tutti picco- lissimi (simili a quelli dell’ acido cloridrico). La sera del 3 ed il 4 giugno osservo che questi esemplari invece di prepararsi alla maturità entrano in muta per una quinta volta. Accade cioè lo stesso fenomeno osservato per i bachi cibati con foglia stata in soluzione d’acido cloridrico. Il 5 giugno 18 esemplari hanno mutato e riprendono a mangiare; sono piccolissimi. Il 6 giugno peso i 18 bachi. LA Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 375 Resordebis*baehitti pib30s dci 7-09 915:66 »iimmediof diurni bigroi. ‘02 05}400 15 AEM aenO87 » massimo » IRA. a dia MM E65 » minimo » AP CIORI CUS RR I ITS » 0,42 Centro del campo di variazione . . . . >» 1,03 Il peso è circa un quinto del peso medio dei bachi normali. L’8 di giugno osservo che dei 18 esemplari svegliatisi dalla quinta muta ben 10 deperiscono senza giungere a maturità. L’11 giugno osservo che questi esemplari rifiutano di mangiare la foglia normale mentre mangiano quella stata nella soluzione d’ acido acetico. Il 14 giugno un esemplare giunge a maturità. Il 17 altri due individui giungono a tale stadio; un ultimo il 23. Tutti gli esemplari rimanenti dopo aver smesso di mangiare muoiono della malattia descritta per quelli cibati con foglia stata in soluzione d’acido cloridrico. Il periodo larvale di questi esemplari fino alla maturità ha variato da 45 a 54 giorni e si divide in 6 età. 1° età. Dalla nascita alla 1° muta. . giorni 6 Pe Malealla2r n » 405 350065 SIAT ESTA VADO DIETA O OC I » 6 4% >» SITA TOR AC CARS) VI » 9 Bi... » ASSEN » 708 0» da a MALE ile viag La vita larvale di questi esemplari è stata molto più lunga di quella dei normali ed al tutto simile a quella degli esemplari cibati con foglia stata in soluzione d’acido cloridrico. In questi come in quelli si riscontra una muta di più e quindi una età di più. Solo 4 esemplari giungono a filare completamente il bozzolo che peso 10 giorni dopo la formazione. Pesordil4" bozzoli‘con;crisalide. |... <. ©. 0 gr. 4,92 SMI RIONAIOUTIN DOZZOLO NE A IO » massimo » adi ea 1030 » minimo » ei a Dal bozzolo filato dall’ esemplare giunto a maturità il 17 giugno, schiude una farfalla (9) mostruosa il 13 luglio. Gli altri tre individui muoiono allo stadio di crisalide. La mortalità maggiore fu negli stessi momenti che quella dei bachi cibati colla foglia stata in soluzione d’acido cloridrico. L’esemplare giunto allo stato di farfalla (sebbene mostruosa) ha avuto un periodo di ninfosi di 26 giorni. L’acido acetico, ingerito ha dunque prodotto l'allungamento tanto della vita larvale come quello della ninfosi. Peso della farfalla 9 gr. 0,18 376 Filippo Cavazza Il peso di questo esemplare è ancora inferiore a quello dell’ esemplare dell'esperienza coll’acido cloridrico. Non è possibile prendere su questo esemplare delle misure. Pesai i 4 bozzoli vuoti e completi. Peso*udi4*bozzoli violi 0... Test er 0,298 > urnedioxdisunibozzol0 Ste 00595 La produzione di seta fu ancora inferiore a quella osservata nel gruppo dell'acido cloridrico. 7° - Trattamento con CuSO,. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 e che avevano mangiata foglia normale fino al 9 maggio (prima muta il 7 maggio), cominciai in tal giorno a dar foglia stata in soluzione di solfato rameico al 0,10 per 1000 (= normale in litri 2497,403). Il 12 maggio avviene la seconda muta. Il 13 porto la concentrazione della soluzione al 0,25 per 1000 (= nor- male in litri 998,961). Il 17 maggio avviene la terza muta. Il 18 porto la soluzione al 0,80 per 1000 (normale in litri 312,175). Il 23 aumento ancora la concentrazione della soluzione portandola al- 1 per 1000 (= normale in litri 249,740). Tutti questi bachi hanno assunto un colorito cenerognolo specialmente visibile fra un anello e l’altro. La sera del 25 e il 26 maggio avviene la quarta muta. Uccisi tre bachi e dopo averli calcinati e sciolto le ceneri in acido cloridrico vidi come aggiungendo ammoniaca il liquido si colorasse in ver- dastro tenue indicando la presenza di traccia di rame. Il 6 giugno peso 40 esemplari. Peso tdel 40!bacii te MEA e or A0872 *\anedio Nd infbacorntit °°. Mb 2,70 » massimo » E N E RR i 5,10 » minimo » smasiante ia dada 0,80 Centro del campo di variazione. . . . » 2,95 La variabilità da un individuo a un altro è estremamente grande in questo allevamento. L’oscillazione è di gr. 4,30 mentre nei normali essa è di gr. 2,93. Il peso medio è molto inferiore a quello dei normali. Il 9 di giugno parecchi esemplari raggiungono la maturità. Il 10 e PV 11 avviene un’ epidemia che uccide ben 25 esemplari. La ma- lattia ha gli stessi caratteri che quella osservata negli esemplari cibati con foglie state in soluzione di acidi. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori IA Altri esemplari raggiungono la maturità fino al 12 giugno. Il periodo larvale fino alla maturità di questi esemplari ha variato da 41 a 43 giorni, diviso in 5 età. 1* età. Dalla nascita alla 1° muta. . giorni 6 2* ta andato alla 9a no) eri > 5 Ch » » pa » 3% 0 . 9 ° ° » 5 4% >» RETI AI SI] » 809 i 3 4° a Maturità 2 x 15 a Ea vita larvale di questi esemplari è stata assai più lunga che nei bachi normali e tale allungamento è dovuto esclusivamente all’ allungamento della quinta età. Moltissimi esemplari dopo aver cominciato il bozzolo ne escono e muo- iono. Solo 5 bozzoli sono completi e contengono una crisalide. Dieci giorni dopo la loro formazione peso i bozzoli. Peso. di 5 bozzoli con crisalide. *. .. . . gr. 9,20 » lediogdigun bozzolo: i.) i... » 1,84 » massimo » doll RUE IA dda MIDA » minimo » SRRAI CCA SIP IZEOIOATI ST) SCPX1525 Centro del campo di variazione. . . . . >» 1,90 OSCHAZIORE e N a II ASI 30 Da due bozzoli filati da esemplari giunti a maturità l 11 e 12 giugno schiudono due farfalle (2 £) il 4 luglio gli altri esemplari muoiono allo stato di crisalide. La mortalità massima fu al momento di raggiungere la maturità. Il periodo di ninfosi dei due esemplari giunti allo stato di farfalla fu di 21 e 22 giorni fu cioè al tutto simile a quello degli esemplari normali. BPesogdelles2ifarfalle Ot Gogna er 094 >Winedio dina farfalla i eni N07 >gicale:idisiunasfarfalla.: 2 460, pe, 0053 >»liiscaleXdell'altra farfalla ca, Legea 0;41 Il peso delle due farfalle è superiore al peso medio delle farfalle normali Misure delle farfalle: Media 6 Lunghezza del corpo da mm. 19,3 a 21,3 20,3 È » ala anter. » 212205 21,3 Questi esemplari sono un po’ più piccoli dei normali e specialmente hanno le ali relativamente più brevi. Mancando i g' accoppio le due 9 di questo allevamento con due normali. Un mese dopo la deposizione pesai le uova di queste 9. 378 Filippo Cavazza Peso delle uova deposte da 2 £2 . . . gr. 0,776 >» » » dalla 9 scelta. » 0,389 Numero » » » » uova 480 Peso medio di un uovo della » » mgr. 0,811 Il solfato rameico ingerito dalle larve ha dunque agito sulle 9 facen- dole produrre un maggior numero di uova. Il peso medio d’un uovo appare un po’ superiore quello medio d’un uovo derivante da 9 normalmente cibata. Pesai da ultimo i 5 bozzoli vuoti e seccati. Peso di 5Ubozzolt*e <04%)0.3 0a ay arte ant 0588 >imedioditun'ibozzolo tt e O La produzione di seta fu piccolissima in questo gruppo. 8° - Trattamento con FeSO,. A 50 larve nate il 1° di maggio 1912 e che avevano mangiata foglia normale fino 9 (prima muta il 7 maggio) cominciai in tal giorno a sommini- strare foglia stata in una soluzione di solfato ferroso al 0,80 per 1000 (= normale in litri 347,560). Il 12 maggio avviene la seconda muta. Il 13 maggio porto la soluzione all’ 1 per 1000 (= normale in litri 278,072). Il 16 sera alcuni esemplari entrano in muta per la terza volta e il giorno seguente tutti i rimanenti. Il 18 vedendo che gli esemplari sopportano bene il sale loro dato, porto la concentrazione della soluzione al 1,60 per 1000 (= normale in litri 173,795). Il colorito di questi bachi è giallastro. Il 25 e il 26 avviene la quarta muta. Il 6 giugno peso 40 esemplari. Peso 'deie400bachite ene. 0. (pr 1004 DARIHCHIO VAL UN DATO a 0 2,652 » massimo » gi ca na 4,35 » minimo » SA E > 0,95 Centro del campo di variazione. . . . > 2,65 La variabilità da individuo ad individuo è grandissima. Il peso medio è molto inferiore a quello medio dei bachi normali. L’8 giugno parecchi esemplari raggiungono la maturità. Il 10 e l'11 avviene la stessa epidemia osservata negli esemplari cibati colla foglia stata in solfato di rame. Altri esemplari raggiungono la maturità fino all’11 giugno. In questo gruppo la vita larvale, fino alla maturità, ha variato da 40 a 42 giorni, di- visa in 5 età. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 379 1* età. Dalla nascita alla 1% muta . giorni 6 PNE, aneiriallan2” Regio vital » 5 da 1201 PA] Pirago + TAIMPUIRE TRIO VIETA DE » 405 4% » » Sere Are A » 9 o 10 bro a » sl 40 0 Inatunità, .. LL. av 150010 Vediamo che la vita larvale di questi bachi fu più lunga che nei normali. Moltissimi esemplari dopo aver cominciato il bozzolo ne escono e muo- iono. Solo 7 bozzoli giungono ad essere terminati, li peso 10 giorni dopo. Peso. di../ bozzoli' con crisalide .. ur a gr. 113,1 *imedipoide un:bozzolo;:. yi 87 » massimo » STEN TM FOGLIO » minimo » REL AB ROEARE I RE UPTCI I) Centro del campo di variazione . . . . >» 1,71 Oscillazione ee IO Ae Il peso di questi bozzoli è molto inferiore a quello dei bozzoli con crisalide, normali. Da un bozzolo filato da un esemplare giunto a maturità il 9 giugno, schiude una farfalla il 1° luglio (una 9). Il 2 schiude un g' e il 3 luglio una 9. Gli altri esemplari muoiono allo stato di crisalide. La mortalità mas- sima fu al momento di raggiungere la maturità. Il periodo di ninfosi fu di 21-22 giorni. Peso? di.3; farfalle (2° Dedo)? ae ttora 1,38 » mediosdi una:fartallari ui tasva 140)» 00:40 Si vede che il peso medio di queste farfalle è superiore al peso medio delle normali. Misure delle farfalle: loi Q Q Media Lunghezza del corpo da mm. 18,6 da mm. 19,5 a 20,2 19,8 » ala anter. > 021,0 2 1 21,004022 21,8 Gli esemplari di questo gruppo sono più piccoli dei normali ed hanno ali assai più brevi. Una $ si accoppiò col g' dello stesso allevamento ed all’ altra diedi un g' normale. Un mese dopo la deposizione pesai le uova. Peso delle uova deposte da 2 9 . . . gr. 0,775 >» » » dalla 9 scelta. >» 0,388 Numero » » » » uova 473 Peso medio di un uovo della » » mgr. 0,82 Tanto il numero quanto il peso delle uova prodotte da queste 9 è dunque assai superiore a quello prodotto dalle 9 normali. 380 Filippo Cavazza Il peso medio d’un uovo è molto più grande del peso medio d’un uovo delle 9 normali. Pesai da ultimo 7 bozzoli vuoti. Peso*Ul7.bozzolio.. el Re Spi SA +. medio ,di\un bezzolo:.u 2-04 a (0,126 La produzione di seta fu dunque piccolissima. 9° - Trattamento con FeCl,. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 e che erano state normalmente nutrite fino al 9 maggio (prima muta il 7 maggio), cominciai in tal giorno a dare foglia stata in una soluzione di cloruro ferroso al 0,80 per 1000 (= normale in litri 248,580). Il 12 maggio avviene la seconda muta. Il 13 porto la soluzione all’ 1 per 1000 (= normale in litri 198,804). Il 16 sera molti esemplari entrano in muta per la terza volta, il 17 tutti i rimanenti. La sera del 18 porto la soluzione all’ 1,60 per 1000 (= normale in litri 124,290). Il 25 maggio vedo che tali esemplari sono di piccola statura, presen- tano disuguaglianza individuale assai evidente ed hanno tutti una colora- zione giallastra con macchie rugginose. ]l 26 e 27 avviene la quarta muta. Il 6 giugno peso 40 esemplari di questo gruppo. Pesod1440 bachi !5: 0 ir/4]1,50.0105 dI artort0n9a He dio diSUun baco ee e 5 078 » massimo » LI a n AT RZE » minimo » CIA | RT AE » 1,10 Centro del.capo di variazione. . . . . » 1,89 Il peso medio è assai meno della metà del peso medio dei normali. L’11 giugno un esemplare giunge a maturità e tutti gli altri seguono il 12 e 13. In questo gruppo la vita larvale ha dunque variato da 42 a 44 giorni divisa in cinque età: 1° età. Dalla nascita alla 1° muta. . giorni 6 uv » 13 alla 2a ina » 5 Fs a dana ei 1 » 405 4° >» SR: RIBALTA >» 9 o 10 Sc » è. (& > malunità LL. i » 16 a 18 La vita larvale di questi esemplari fu molto più lunga di quella dei normali e tale allungamento è dovuto esclusivamente, o quasi, alla quinta età. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 381 Moltissimi esemplari dopo aver filato parte del bozzolo vi muoiono DS dentro mentre questo è ancora trasparente. Solo 4 esemplari giungono ad incrisalidarsi. Peso di 4 bozzoli con crisalide . . . . gr. 6,86 ».iWiziedlo di un’bozzolo. . . .°: . » 1705 » massimo » + VGA » minimo » arteria pi » 1,65 Centro del campo di variazione . . . . >» 1,71 Il peso medio di questi bozzoli con crisalide è quasi simile a quello medio dei bozzoli derivanti dai due allevamenti cibati con foglia stata in soluzione di solfati. Da un bozzolo filato dall’ esemplare giunto a maturità il 12 giugno schiude una farfalla (una 9); il 2 luglio. Gli altri 3 esemplari muoiono allo stato di crisalide. Il periodo di ninfosi di questo esemplare fu di 18 o 19 giorni. Peso della farfalla 9 gr. 0.31 Il peso di questa farfalla è inferiore a quello delle normali. Misure della farfalla: Limphezza del'corpo;. ‘.. |. cups uv ti m:821,8 » alasanteri co. e is e n A NAR2107 Da questi dati appare che mentre la lunghezza del corpo è rimasta simile a quella media degli esemplari normali, la lunghezza delle ali invece si trova molto abbreviata. Mancando maschi accoppiai questa 9 ad un g' normale. Un mese dopo la deposizione pesai le uova di questa 9. Pesoxdellelmova:deposte:.\i- Lic 0310 Numero delle uova deposte. . . . . uova 479 Pesogmediofdi mn UOvVot:.- LL. 444.4 a iner 0,602 Il cloruro ferroso ha dunque fatto sì che la $ producesse un maggior numero d’ uova. Nondimeno il peso medio di un uovo è inferiore, un po’, a quello medio di un uovo normale. Pesai da ultimo i 4 bozzoli. Pesoidif4kbozzoHt Mo) Li ne pie 0,384 “piedrotdi Mr Bozzolo! IM st010906 La produzione di seta fu minima in questo gruppo. 382 Filippo Cavazza 10° - Trattamento con CoCl,. A 50 larve nate il 1° maggio 1912 (la prima muta fu il 7 maggio) cominciai il 9 a dare foglia stata in una soluzione di cloruro cobaltoso al 0,50 per 1000 (= soluzione normale in litri 475,992). Il 12 maggio avviene la seconda muta. Il 13 porto la soluzione al 0,80 per 1000 (= normale in litri 297,266). Il 17 avviene la terza muta. Il 19 vedendo che, sebbene la loro piccola statura, questi esemplari sono sani, porto la soluzione all’ 1 per 1000 (= normale in litri 237,996). Il 25 osservo che questi esemplari sono i più piccoli di tutti, che hanno un colore verdastro e che sono molto disuguali. Il 25 sera molti entrano nella quarta muta e il 26 tutti gli altri. Ben 20 esemplari muoiono durante la muta. Il 3 di giugno osservo che gli esemplari più sani entrano in muta per una quinta volta. Accade dunque lo stesso fenomeno osservato pei bachi degli allevamenti cibati con foglia stata in soluzioni di acidi. Durante questa muta muoiono quasi tutti gli esemplari, solo 14 riu- scendo a mutare perfettamente. Il 6 giugno peso 10 esemplari. Pesoiderbi0-bachi "vu EA *Iitiinedio di un 'baco . 0 vatan Sà. A240,459 » massimo » RTP AIR Tae t9lo2a minimo » 7A STRO RE CASSINE 117.1] Centro del campo di variazione . . . . >» 0,71 La disuguaglianza fra individui è evidentissima. Il peso medio di questi bachi è piccolissimo essendo quasi un zoro di quello medio dei bachi normali della stessa età. L’11 giugno un esemplare giunge a maturità non ostante la sua statura minima. Il 16 due ancora giungono a questo stadio e il 17 un quarto. Filano ciascuno un bozzolo piccolissimo ma duro e compatto. In questo gruppo la vita larvale fino alla maturità ha variato da 40 a 48 giorni. 1° età. Dalla nascita alla 1* muta. . giorni 6 ga » era la > 5 3? » » DE È) 3? = , 3 5 D » 5 4% » » REL AS » 809 5a DANARO, (E AE ò 10 o 11 (One «Re: matita, » 8a 14 La vita larvale di questi esemplari fu diversa da quella dei normali e ciò deriva dall'esistenza di un sesto periodo che abbiamo riscontrato solo negli esemplari cibati con foglia stata in soluzioni di acidi. Peso i 4 bozzoli ottenuti. Sullo sviluppo, riproduzione ecc. del Bombix mori 383 Besokdel 4 Bozza III » uiedio di ,un“bozzolo..(. % . . »'0887 » massimo » Boi i E a a (A) » minimo » LT Sa 0 SO Centro del campo di variazione . . . . >» 0,83 Da un bozzolo filato da un esemplare giunto a maturità l 11 giugno schiude una farfalla £ il 29 giugno e da un bozzolo filato da un baco giunto a maturità il 17 giugno schiude una farfalla 9 il 6 luglio. Gli altri due esemplari muoiono allo stato di crisalide. Il periodo di ninfosi di questi esemplari fu di 17 e 18 giorni. Abbiamo cioè una durata di ninfosi più breve di quella dei normali. Besovdelle:2: farfalle Or Neo o e gE5:039 *iigedioldbminas farialla:. 00, ant 00195 » reale di una "a 0 o AI ed deere SIR 110, + .crealetdellalita! au tate e co 0148 I pesi di queste due farfalle sono assai diversi l’uno dall'altro, ma sempre inferiori a quello delle farfalle normali. Misure delle farfalle: Q Lunghezza del corpo . . . . mm. 16,8 e 20,8 Q » alaanter. st. e » 17,8 e 21,3 L’azione di questo sale è stato sempre di impicciolire gli esemplari e le ali, ma è stata molto diversa di grado su un individuo e l’altro. Appena schiuse queste 9 deposero le uova senza che fosse possibile accoppiarle. Pesai ugualmente tali uova. Peso delle uova deposte dalle 2 9. . gr. 0,097 > » » dark'OMicto ya 0,050 Numero > » » isLì (ai uova. 129 Peso medio di un uovo . . . . . .mgr. 0,40 Questo sale ha avuto sulla produzione delle uova un’azione veramente disastrosa avendo diminuito il numero delle uova d’una £ più che l’acido cloridrico. Il confronto colle uova della 9 dell'esperienza coll’acido clori- drico è possibile perchè anche quella £ non fu accoppiata. Pesai da ultimo i 4 bozzoli viloti. Pesoldit4:;bozzoHo:. tit 0 20 ber, 0,572 a mnediodi un bozzolot! 0! ANI 0,13 384 BIBLIOGRAFIA. bb 2. IRE 12. 13. 14. 15. 16. LT. 18. 19. 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Die Kom- bination der Theorie des osmotischen Druckes mit derjenigen der elektrolytischen Dissociation hat sich als iiberaus fruchtbar erwiesen. Durch sie war es einerseits mOglich, die lingst geahnten Beziehungen zwischen chemischen und elektrischen Vorgàngen aufzuhellen und klarzustellen; anderseits die Ionenlehre und die Erkenntniss, dass die lonen Trager elektrischer Ladungen sind, dass jede ionenreaktion sich electromotorisch gestalten lasst, konnte die moderne Electrochemie geschaffen und altbekannte Vorgange unserem Verstàndniss gebracht werden. So hat sich erst durch die neue Theorie der Lòsung ein Ein- blick in den Mechanismus der Stromerzeugung in den fiir den Organismen so wichtigen Fliissigkeitsketten gewinnen lassen. Dadurch werden die zahlreichen elektrischen Erscheinungen in Zusammenhang mit den allgemeinen Gesetzen des Stoffes ge- bracht. Die Notwendigkeit bestimmter Ionenkombinationen sowohl fiir Pflanzen als fiir Tiere ist mit gleicher Methode zuerst von den Pflanzenphysiologen und dann von den Tierphysiologen versucht worden. Man hat in diesen Versuchen erkannt, dass fiir das Le- ben der Pflanzen und Tiere also eine bestimmte Ionenkombi- nation, mit anderen Worten ein Elektrolyt von bestimmter Zusam- mensetzung notwendig ist. Beziiglich des elektrochemischen Be- triebes liegt die Bedeutung dieser Stoffe in ihren gegenseitigen 392 F. Plate Beziehungen. Die Stoffe die in der lebenden Substanz auftreten. sind Kolloide; aber all dieses Leben spielt sich in einer Lòsung von Salzen, bezw. Elektrolyten, ab; es gibt also ‘keine elektro- lytfreie Kérperflissigkeit. Aber die Erkenntniss dieser Bezie- hungen des kolloidalen Piasmas zu den anorganischen Salzen darf uns aber nicht zu einer einseitigen Auffassung der Dinge verleiten, denn sicherlich spielen ausser diesen absorptiven Bedin- gungen von lIonen an das Protoplasma noch rein chemische Bindungen eine grosse Rolle. In den letzten Jahren wurden von MEURER, RUHLAND, OSTER- HOUT, NATHANSOHN und andere, interessante Forschungen iiber die Funktionen verschiedener einfacher und kombinierter Elektro- lyten in dem Pflanzenkòrper gemacht. Es ist aber nicht meine Absicht in dieser kurzen Abhandlung einen historischen Riick- blick auf das Ganze, was bis jetzt iber Ionenfunktionen ge- schrieben worden ist, zu richten, sondern ich mòchte vielmehr mich auf einige Beobachtungen beschranken, die von den Ar- beiten von Prof. ACQuA und Frl. ELsA HOUTERMANN herriihren. 1910 (') theilte Prof. ACQUA in einer vorlaufigen Mittheilung die Ergebnisse mit, die er bei einer Reihe von Versuchen iber die Stelle der N-Assimilation erhalten hatte. Schon in einer frii- heren kurzen Mittheilung hat derselbe Verfasser sich iiber die Einwirkung radioaktiver Kòrper auf Pflanzen beschàftigt, und die auffallende Bemerkung gemacht, dass sich das UrO, Ion des UO, (NO;), stets an bestimmten Stellen niederschlug, die er fir die Stelle der N-Assimilation hielt. Nach der Veròffentlichung die- ser Versuche und um die schadliche Wirkung der Urankombi- nationen zu vermeiden, wahlte er das Mangan, dass auch durch seine gefàrbten Kationen sich am besten bewàahrte. Die in einer Lòsung von 0,5 bis 0,1 pro mille UO, (NO,), behandelten Pflan- zen, fingen an sich nach und nach schwarz zu faàrben ohne dass aber die Pflanzen merklich litten, obwohl eine Verlangsamung des Wachstums hàaufig stattfand. Die mikroskopische Untersu- chung zeigte dass sich ein reicher Niederschlag von braunroter Farbe in der primaren Rinde befand; dieser Niederschlag befin- det sich im Innern der Zelle oder auch in den Interzellularràumen. (1) C. Acqua - Afti delle R. Accad. dei Lincei, 1910. Die neueren Studien zur Jonenwanderung ecc. 393 Im den Blattern war kein Niederschlag warzunehmen; es wurden . auch andere Mangansalze benutzt, wie Chloriir und Sulfat, aber mit denselben Resultaten. Was das Anion NO, anbelangt, meint Verf. dass dasselbe von der Pflanze ausgenutzt werden muss, denn wenn das nicht ware, miisste sich die entsprechende Saure in solch einer Menge anhàufen, dass dadurch unbedingt der Tod der Zelle herbeigefiihrt wiirde. Hr. Acqua bemerkt zum Schluss, dass eben in den Stellen der Gewebe, wo solche Niederschlige stattfinden, auch die N-Assimilation stattfinden muss: und es fragt sich nun, ob auch fiir die anderen niitzlichen und unvermeidlichen Nitrate solche Stellen massgebend sind. Diese ersten bahnbrechenden Versuche regten ACQUA zu an- deren mehreren interessanten Versuchen an. Im November erschien eine neue Arbeit (') iiber den Wert der Wurzelspitze als Centrum der Geoperception, wo Verf. ebenfalls radioaktive Substanzen brauchte. Der Niederschlag von Uranyloxyd in der Wurzelspitze ist eine Folge der Zersetzung des Uranilnitrates. Aber auch in diesen Versuchen fand ACQUA, dass das Uran zu giftig fiir die Pflanze ist, und benutzte deshalb das Mangan. Schon in seiner ersten Abhandlung bezieht sich ACQUA auf eine Arbeit von Mo- LISCH liber locale Membranfàrbung durch Manganverbindungen bei einigen Wasserpflanzen. Aber die Ergebnisse von MoLIScH sind im Wesentlichen verschieden von denjenigen von ACQUA, da erster die Kationniederschlige nur auf der iusseren Oberflàche findet, und denselben den Wert einer Inkrustation giebt, wahrend beim zweiten es sich um Ereignisse von ganz anderem Ursprung handelt. Acqua findet eben dass in den tiefsten Geweben der von ihm untersuchten Pflanzen die Niederschlige anhaufen und nicht in den aussersten; dass zuweilen es bestimmte Organe sind in denen sich solche Niederschlàge anhàufen, wie es z. B. die Reservestoffbehàlter fiir Proteinen im Pfaseolus vulgaris sind; aber immerhin befinden sich solche Niederschiige am haufigsten in der Wurzel. Dieselben Resultate erzielte Prof. ACQUA sowohl mit den verschiedenen Uransalzen als auch mit den verschiedenen Concentrationen. Er experimentierte aber auch mit Bleisalzen, (1) C. Acqua - Il valore dell’apice radicale come centro della geopercezione - Ann. di Bot., 1911. 394 F. Plate welche natirlich ungefàrbte Niederschlàge geben: aber diese kònnen sichtbar werden, wenn man die Stiicke mit einer Lòsung von H,S in Beriihrung stellt; es bildet sich dann ein schòner schwarzer Niederschlag, der sich in denselben Stellen befindet, wo die Uran und Manganniederschlige sich befinden. Es handelt sich also hier um eine Erscheinung allgemeiner Charakters, und ACQUA teilt seine neueren Versuche in einer vor kurzem erschie- nenen Abhandlung mit ('). Bevor ich aber an die letzte Arbeit Acquas herangehe, will ich kurz ilber eine interessante Mittheilung von E. HOUTERMANN (?) iber angebliche Beziehungen zwischen der Salpetersaureassimi- lation und der Manganabscheidung in der Pflanze berichten. Die Versuche von ACQUA wurden von E. HOUTERMANN unter erwei- terten und modifizierten Bedingungen wiederholt, in denen anstatt dest. Wasser, Leitungswasser benutzt wurde. Aber die Ergebnisse dieser Versuche stimmten ganz mit denjenigen AcQUAs liberein; so fand HOUTERMANN dass sowohl makroskopisch die Schwàar- zung an allen untergetauchten Wurzelpartien sowie auch mikro- skopisch die Ergebnisse ganz mit denen von AcQuas iberein- stimmen. E. HOUTERMANN findet auch eigentiimliche anatomische Veraànderungen, hervorgerufen durch verschiedene als Reize wir- kende Gifte, sowohl durch destilliertes Wasser als auch durch zu hohe Concentrationen von Nàhrstoffen. Sicher liefern die Versuche HOUTERMANNS einen neuen Beitrag und Beweis von den interessanten Versuchen ACQUASs, die auch in der letzten Zeit durch neue Versuche bestatigt worden sind. Jedoch sind die Ansichten Acquas und HoUuTERMANNS iber die Folgerungen aus den Versuchen im Wesentlichen verschieden. In seiner letzten erweiterten Arbeit « iiber Jonendiffusion im Pflanzenk6rper in Zusammenhang hauptsachlich mit der Bildung der Proteinen » setzt AcQuA besser seine Versuche auseinander. Er macht hier den Vorschlag, dass wenn die Jonen einen un- loslichen gefàrbten Niederschlag in den Pflanzengeweben verur- (1) C. Acqua - Sulla diffusione dei ioni nel corpo delle piante in rapporto specialmente al luogo di formazione delle sostanze proteiche - Bios, Vol. I, Fasc. 1, e Ann. di Botanica, Vol. XI, Fasc. 2, pag. 281. (3) E. HourERMANN - Sitzurigsber. Kais. Akad. d. Wiss. Wien - Math. naturw. KI., Bd. CXXI, Abt. 1, oktober 1912. Die neueren Studien zur Jonenwanderung ecc. 395 sachen, man in dieser Hinsicht iber eine neue und in gewisser Beziehung bessere Methode verfiigt, welche uns iiber wichtige Probleme des Stoffwechsels Klarheit geben kann. Es ist sicher, dass wenn man bei derartigen Versuchen ausser der mikroche- mischen und plasmolytischen, auch diese Methode der gefàrbten unloslichen Niederschlige benutzt, man bedeutend bessere Re- sultate erzielen kann, was ich auch in meheren Versuchen, die nachstens zur Veròffentlichung gelangen werden, bestatigt finden konnte. Bis vor kurzem wussten wir z. B. nur, dass das Ca sich in Form von Kristallen in den Zellen niederschlagt, und dass deshalb das Protoplasma fiir Ca permeabel ist: aber durch diese neue Methode wissen wir nun auch, dass das Protoplasma auch fur andere Kationen permeabel ist. Diese neuen Versuche ACQUAS wurden mit Pflanzen verschiedener Ordnung ausgefiihrt, und zwar mit 7rificum sativum, Zea Mays, Phaseolus vulgaris, Pisum sativum, Sinapis alba. Er benutzt Aaquimolekulàre Lòsungen von verschiedenen Mangansalzen (Bromiir, Chloriir, Sulfat, Nitrat) in einer Concentration von 1/5000 bis 1/10000 und findet, dass in den Wurzeln von 7rificum sativum die Trennung von Kationen und Anionen ausserhalb der Endodermis stattfindet, und so dieser Zellenschicht wahrscheinlich die Funktion eines Filters zukommt, wie es nach den Ansichten von DE Rurz DE LAVISON (!) geschehen soll. In Zea Mays sowie in Phaseolus vulgaris findet Trennung und Anhaufung der Kationen und Anionen am hau- figsten in der primàren Wurzelrinde statt, jedoch nicht immer, also in diesem Falle verhindert die Endodermis nicht den Durchtritt der Mangansalze. Aber was noch interessanter erscheint, ist, dass bei Phaseolus vulgaris auch die oberirdischen Teile der Pflanze haupt- sàchlich in den Reservestoffbehalter der Proteinen solche Nieder- schlàge aufweisen. Hier ist eine wichtige Tatsache zu erwahnen. Wir wissen, dass die Speicherung von Reservestoffen also von Starke, Zucker oder Proteinen nicht nur an den Stellen stattfindet, an denen organische Verbindungen produziert werden: wir wissen vielmehr, dass diese Stoffe auch zur Ernàhrung der Zellen dienen sollen, die infolge ihrer Lage im Pflanzenkòrper (') De Rurz pe Lavison - Du mode de penetration de quelques sels dans la plante vivante - Rev. Gén. de Bot., T. XXII. 396 F. Plate oder infolge ihrer Organisation die notwendige organische Nah- rung nicht selbst herstellen kònnen, die vielmehr irgendeine an- dere Funktion im Dienste des Ganzen zu verrichten haben und auf die Ernàhrung durch die griinen Gewebe der Blatter ange- wiesen sind. Zu jenen Zellen wird durch mehr oder minder dif- ferenzierte Leitbahnen die Nahrung hingeleitet, und in ihnen fin- det auch zur Zeit reichlichen Zuflusses Ablagerung in Gestalt von Reservematerial statt. Am grossartigsten spielt sich aber die Ablagerung organischer proteinhaltiger Stoffe in Organen ab, die direkt zu deren Speicherung ausgebildet werden, den soge- nannten Reservestofforganen. Die Vorgànge bei der Bildung und der Aktivierung der Reservestoffe sind von gròsstem Interesse: wir wissen schon Manches iiber Reservestoffe wie Zucker und Stirke, aber jedoch iilber die Formation der N-reichen Reserve- stoffe wissen wir sehr wenig. Man vermutet, dass die Ursachen die die Aktivierung der Reservestoffe bedingen, unmittelbar in den Reservestofforganen selbst gelegen sind. Diejenigen Organe, die damit in Verbindung stehen und die ihre Nahrung daraus beziehen, wirken nur insofern, als sie die bei der Aktivierung erzeugten Substanzen verbrauchen, und so die Bedingung fiir den Verlauf der Aktivierung verschaffen. Wir wissen nun, dass die urspriingliche Aufgabe des Stoff- wechsels der Pflanze ist, die Stickstoffverbindungen unter Benu- tzung der in der Natur vorhandenen, von der Tatigkeit anderer Organismen unabhingigen Quellen, aufzubauen. Auch wissen wir, dass es einige wenige Pflanzen gibt, die sich des freien Stickstoffs zu bedienen vermògen, eine Tatsache, die nicht nur wissenschaftlich hòchst interessant ist, sondern auch fiir die land- wirtschaftliche Praxis von ausserordentlicher Bedeutung ist. Wir wissen, dass unter den zahlreichen komplexen Verbindungen der Eiweisskòrper sich die sogenannten Nucleoproteide befinden, die vor Allem in den Zellkernen der Pflanzen eine grosse Rolle spielen. Aber was mich hier speziell interessiert, ist die Tatsache, dass man bis jetzt zur Untersuchung der Proteiden die Spaltung derselben durch Sàure und Enzymwirkung anwandte, sowie zu der Untersuchung der hierher auftretenden Produkte. Man geht dabei von der Annahme aus, dass diese Spaltungsprodukte nicht erst bei der Zersetzung syntetisch entstehen, sondern, dass sie Die neueren Studien zur Jonenwanderunzg ecc. 397 in dem Eiweissmolekiil vorgebildet sind, und an dessen Aufbau teilnehmen. Nun ist dieser Befund AcQuas dass sich die Man- ganniederschlige auch in den oberirdischen Teilen des Phaseolus vulgaris, also in den Zellen der Reservestoffbehàlter einer Legu- minose befinden, von gròsstem Interesse; denn erstens muss diese Tatsache also hier mit der ausserordentlichen Zufuhr vom Anion NO, in Verbindung stehen und zweitens kann uns diese neue kolorimetrische Methode einen neuen Weg iiber die nàhere Erforschung der komplexen Eiweissstoffverbindungen im Pflan- zenkòrper geben. Denn wir miissen nicht vergessen, dass wir durch die letzten Studien der Kapillarchemie einen innigen Zu- sammenhang zwischen Kolloiden und Elektrolyten kennen gelernt haben. Und hauptsachlich aus dieser Ansicht scheinen mir die Resultate Acquas in Phaseolus vulgaris von gròsstem Interesse : es ware nur zu wiinschen dass dieser Forscher Ahnliche Ergeb- nisse auch mit anderen Leguminosen unter giinstigeren Bedin- gungen erzielen kOnnte. In Pisum sativum scheint die Trennung von Kationen und Anionen fast ausschliesslich in der Wurzel vorzukommen: hier findet ACQUA bedeutende Niederschlige auch in den embryonalen Geweben, hauptsachlich in den Meristemen der sekundàren Wur- zeln. Mit Sirapis alba begegnet AcQua denselben Resultaten, jedoch passieren die Kationen òfters auch die Endodermis. Diese Versuche AcQuAs wurden in der letzten Zeit in dem- selben Laboratorium, von E. BosELLI (*) auf verschiedene andere Pflanzen erweitert. Es wurden zum Experimentieren gezogen : Cicer arietinum, Vicia Faba, Vicia sativa, Raphanus sativus, Phytolacca dioica, Hordeum vulgare, Hyacinthus orientalis, Ni- cotiana Tabacum, Myriophyllum Proserpinacoides. In allen die- sen Pflanzen, die ausschliesslich in Mangannitrat (1/10000) kuiti- viert wurden, bestitigten sich die Befunde AcQuas, und zwar, dass die Niederschlàge des Mangans sich fast ausschliesslich in den Wurzeln bilden. Jedoch ist es sehr wiinschenswert, neue Ver- suche hauptsachlich fiir die Leguminosen einzuleiten, da es auch vorkommen kann, dass in den oberirdischen Pflanzenteilen die (1) E. BoseLLI - Sulla presenza di depositi nei tessuti delle piante provocati da colture in soluzioni di nitrato manganoso - Ann. di Botanica, Vol. XI, Fasc. 3. 398 F. Plate Faàrbung der Manganoxyde durch Bildung organometallischer Substanzen maskiert werden kann. Was nun die Ansichten iilber die Ergebnisse der Arbeiten AcQuas und HOUTERMANNS anbetrifft sind dieselben doch sehr verschieden. Gegen die Auffassung ACQUASs, dass die Stelle der Mn-Ablagerung auch zugleich der Sitz der Salpetersàureassimilation ist, hebt HOUTERMANN hervor, dass es sich in diesem Falle nicht um Stelle der N-Assimilation handelt, sondern vielmehr, dass die Schwàrzung auf enzymatische Prozesse zuriickzufihren ist. ACQUA glaubt, das die Lokalisation der Manganionen als ein gewòhnlicher Vorgang in der Pflanze aufzufassen ist, nur mit dem Unterschiede, dass das Mangan als ein gefàrbtes Jon natiirlich am meisten gefàrbte Niederschlige giebt, und dass dieser gefàrbte Niederschlag auf die Bildung eines Manganoxyd (sehr wahrscheinlich Mn,0,) zuriuckzufiihren ist, will aber nicht sagen, dass sich das Mangan nicht auch in vielen Fallen in den oberirdischen Teilen befinden kònnte, wie es eben bei Phaseolus vulgaris vorkommt. Aber wir wissen, dass die oberirdischen Teile der Pflanze allerlei Stoffe enthalten und deshalb kann es sehr leicht auch mòglich sein, dass das gefàrbte Jon an organometallischen Verbindungen teil- nimmt, also meistens farblos, und dass nur ein Ueberschuss von Kation solche gefàrbte Niederschlige im oberirdischen Teile be- wirken kann. Es ist noch zu bedenken, dass auch Acqua ahn- liche Resultate auch mit U und Pb gefunden hat, und in genau denselben Stellen. Er meint also, dass diese Erscheinungen in der Pfianze einen allgemeinen Charakter haben und direkt in Zusam- menhang mit der Bildung der Eiweissstoffe der Pflanzen sein diirfte, da wie wir gesehen haben, solche Niederschlàge sich speziell in den Reservestoffbehaltern und in den Meristemen der sekundaren Wurzeln bilden. HOUTERMANN hebt aber hervor, dass wo einmal diese Ergebnisse nicht nur mit Mangannitrat, aber auch mit anderen Salzen, dessen Anionen fiir die Pflanze nitzlos sind, vorkommen, man nicht die Meinung AcQquas annehmen kann. Aber AcQua hat sich selber diesen Vorwurf in der letzten Arbeit gemacht, und hat hervorgehoben, dass die Pflanze haufig sich an gewisse neue Bedingungen anpassen kann, obwohl die- selben fiir die Pflanzen keinen direkten Nutzen bringen wiirde. Und wie AcQua richtig hervorhebt, wenn es z. B. Falle gibt, Die neueren Studien zur Jonenwanderung ecc. 399 wo die Wurzeln unniitze Sabstanzen absorbieren, kann man des- halb doch nicht einfach behaupten, dass die Wurzeln in diesem Falle nicht zur Absorption niitzlicher Stoffe befàhigt sind. Es kònnte sich also hier auch iiber eine Art Anpassung der Pflanze handeln, wie sie iibrigens so oft stattfindet; ist aber doch diese Behauptung nicht einfach an die Seite zu stellen. Ich finde vielmehr, dass die Meinung AcQuas ilber den Zu- sammenhang zwischen Ionenlokalisation und Stelle der Bildung der Eiweissstoffe von gròsstem Interesse sein diirfte; und ohne Zweifel geben uns die Befunde AcQuas einen Anstoss zu zukiinf- tigen anderen naheren Untersuchungen in diesen sehr wichtigen Problemen des Stoffwechsels. Das einfach die Schwarzung der Wurzel mit enzymatischen Prozessen zu tun hat, wie HOUTER- MANN behauptet, dazu finde ich keinen Grund, wie iiberhaupt die Verf. selbst keinen angibt. Man macht uiberhaupt heute einen zu grossen Gebrauch davon, viele wichtige Prozesse des Stoff- wechsels einfach durch enzymatische Prozesse zu erklàren, wenn man keine andere Erklàrungsmittel zur Verfiigung hat. Ich glaube im Gegenteil dass uns die Auffassung AcQuas desto wichtiger erscheinen sollte, weil fast ohne Zweifel darin ein Zusammenhang zwischen Kolloiden {Eiweissstoffe) und Elektrolyten stecken muss. Zum Schlusse mòchte ich also nochmals betonen, dass die hier kurz erwahnten Versuche AcQuas aus zwei Griinden wichtig sind. Erstmal stellen sie eine neue Methode zur Forschung der Ionenwanderung im pflanzlichen Organismus zu unser Verfiigung, was ich auch fiir meine Versuche, die ich nachstens verdifen- tlichen werde, sehr vorteilhaft fand; und zweitens kann uns auf diese Weise Vieles iiber die Bildung und Zersetzung der Ei- weissstoffe klargelegt werden. Roma, Istituto botanico, luglio 1913. st Ai Judi Pr #% sani ono) È Martone RENE adatti ad vp 0 adi and DEU RAMA Mirra i 0 “Run 1a sist baza:notaziia tl pia ia "SA RFTUES tub nia Rae vrtrati ndo sovra ALIENO sioni) Me ua tria RACK A shit: tal a iti seit srpggtirtaie ‘nor agasih: pispnumidaseniati actor de dI Ciro RAvENNA - Sulla nutri- zione delle piante verdi per mezzo di sostanze organiche. {& Nota preventiva. È notevole il numero degli autori che, in questi ultimi tempi, si è occupato di studiare il contegno delle piante verdi colle più svariate sostanze organiche. Lo scopo di queste ricerche era di stabilire se, analogamente ai funghi, la nutrizione dei vegetali clorofillati poteva compiersi somministrando ad essi le sostanze organiche già formate ed impedendo il modo normale di assimi- lazione del carbonio mediante l’esclusione, dal mezzo circostante, dell’anidride carbonica. La conclusione concorde a cui giunse la maggior parte degli sperimentatari è che le piante superiori, oltre al sistema consueto di nutrizione determinato dall’attività cloro- filliana, possiedono anche la facoltà di edificare i principi che costituiscono il loro organismo a spese di sostanze organiche fatte assorbire direttamente. lo credo che una tale particolare attitudine di nutrizione delle piante verdi in perfetta analogia con quella dei funghi, sia sol- tanto apparente; in realtà le piante clorofillate non rinunziereb- bero, neppure quando si trovano nelle condizioni accennate, alla loro prerogativa di fabbricare le sostanze organiche partendo dal- l'anidride carbonica. In altri termini, io suppongo che le sostanze organiche fatte assorbire dai vegetali vengano, nel loro interno, completamente ossidate e che l'anidride carbonica risultante, giunta nelle cellule clorofilliche, vi sia fissata colla funzione normale. Vari sono i fatti già esistenti nella letteratura la cui interpre- tazione mi ha indotto a formulare una simile ipotesi; inoltre ho iniziato già da qualche tempo alcune esperienze che verranno pubblicate tra breve in questa Rivista, allo scopo di darne la dimostrazione sperimentale o, almeno, di rendere maggiori gli indizi della sua probabilità. Bologna, Laboratorio di chimica agraria della R. Università. LALA LGLNLIINLSISZIZIIALILI ni »’ - - ve e LL ” N il x E + = 4 l \ 1 À A - PC rate ok ma AE iigcaltao (Bay aftsia slab oreg sten" ld ee Mo; pi Za LL A 3 DOM ni Li x 2 4 Di Vito È SA a Agnoli fotti Masini ni sato norm: tig ii sa adsslt stesup i ogovi dI alta listagav fab acioistitua sf idr te alfanta nonne È afouteoz st îbz9 fe Sbinrifzinionno» femsigmon AVS Sinai alirod bom Ti abastsrmi 39 strano) A n netarn ist Jfiolanises*t afitettisr GI vd a tÒ DOTONTIDI snotruigno) Ri ninodizi i & ianiglrornitàa Host a, tari trizisontià Moosanta Tu? è tito idisaqua Mmnig dI Go siva ab piznifmsiate smolzimiam ib 04 iS. tafontic; E stnsilibtà To fut) sil Sanna on asoibagie Surtetane JD 12309’ ortuiamayroa mof-i0a | saretta ni noi lb aributitta sictepitta unit anti «sio i gia Sant tate stisup ma? sinolene abtotrsg se nat ON stgltttoneoi È alia sstgonysza inoistbr «Igtà OMnarito dots ®eh319708 se d193 dedstib paniana +0 25 cunogrpoia di ,imimzd® Mie ni fond nni ‘oi da heginav Matagoa inD +svictrogae 9A6b itebinta l add ‘4° ATER, Se i atgnnti ala iv allatta voTà Saia unsiotiat nilon irmoterio kn mà > arno stia sang Sfalunmiot 7 cpota sd nitglo 91 et51 MM 9a rifan OnNsNVON j2 0% [4i:443> Le AN iti givazari RIU 104 ‘alaprtoti gndienoi no inmatnii 105 on anna «iagtori Sndiviov ario sumshisqai aliis agGma? anotsitp ab 'arimsb i ogaza. GURS Alativifi, ‘niasup ni aveta aa pi aisfiner th. Mana ,0 stafustnitàGe daliedorg.ane DE 4119 Mete ade? iù visatriodegi RESERO Incantato òrabo C. RAVENNA e G. BoOsINELLI - Sopra il supposto impiego del- l’anidride carbonica assorbita per le radici nella fotosintesi clorofilliana. Per l’inizio di una ricerca che uno di noi si è proposto di eseguire (') abbiamo creduto necessario di verificare se esistessero condizioni nelle quali le piante clorofilliche fossero in grado di utilizzare, per la sintesi dell’amido, l'anidride carbonica even- tualmente assorbita per la via delle radici. Sebbene vari autori, come Mott (?), DEHÉRAIN (*), LEFEVRE (*) si fossero ormai pro- nunziati nel senso che l'anidride carbonica debba venire in con- tatto colle foglie per essere utilizzata, ci parve tuttavia non su- perfluo controllare il loro asserto tanto più perchè la questione è stata attualmente riaperta da una recente pubblicazione (?). Le nostre esperienze furono dapprima eseguite sopra alcuni esemplari della comune piantaggine (Planfago major) che si svi- luppava in una zona di terreno ricca di sostanze organiche e quindi di anidride carbonica, nell’ Orto agrario dell’ Università. Il metodo da noi seguito fu il seguente: una foglia di una pianta in piena attività vegetativa si copriva parzialmente, in posizioni corrispondenti nelle due pagine, con una listerella di carta nera; quindi, senza staccarla dalla pianta, veniva introdotta in una be- vuta da chiudersi con tappo di sughero munito di due fori e di una scanalatura longitudinale destinata a lasciar passare il pic- ciòlo. Dei due fori uno serviva per applicare alla bevuta un aspi- ratore (una bottiglia di Mariotte) l’altro la univa con una Drechsel contenente soluzione di potassa e con un tubo ripieno di potassa caustica in pezzi o di calce sodata. Nell’interno della bevuta ve- (!) Vedasi in questo fascicolo pag. 401: Ciro Ravenna - Sulla nutrizione delle piante verdi per mezzo di sostanze organiche. (*?) Biedermanns Centralblatt, VII, 44 (1878). (3) Biedermanns Centralblatt, VII, 872 (1878). (4) Comptes rendus de l’ Academie des Sciences, CXLI, 665 (1905). (5) G. Porracci - Nuove ricerche sull’ assimilazione del carbonio - Bu//ettino della Società botanica italiana (1912). 404 C. Ravenna e G. Bosinelli niva inoltre posto un piccolo tubo da saggio ripieno anch’esso di potassa caustica solida. Disposto così l’ apparecchio, il tappo e l’imboccatura della bevuta venivano accuratamente stuccati con mastice da vetrai. Per confronto si applicava ad un’altra pianta, contemporaneamente, un apparecchio simile al precedente dal quale però erano esclusi i tubi a potassa. L’esperienza veniva iniziata di buon mattino nei mesi di giugno e di luglio dopo esserci assicurati che durante la notte le foglie avessero perduto ogni traccia di amido. Facendo agire gli aspiratori, nell’ apparecchio munito dei tubi a potassa, l’aria circolava privata di anidride carbonica mentre nell’ altro entrava l’aria atmosferica inalterata. L'esperienza si sospendeva nelle prime ore pomeridiane dello stesso giorno, coll’arresto degli aspi- ratori e sulle foglie in esame si eseguiva immediatamente la rea- zione dell’amido. A tale scopo, le foglie, staccate dalla pianta, si immergevano per qualche minuto nell’ acqua bollente, si decolo- ravano quindi coll’ alcool caldo ed infine, dopo averle immerse ancora un poco nell’acqua per toglier loro la fragilità impartita dail’ alcool, si passavano in una soluzione di gr. 1 di iodio e gr. 4 di ioduro di potassio in 300 gr. di acqua. Risultò che mentre la foglia vissuta in contatto dell’ atmosfera normale diede una intensa colorazione bruna in corrispondenza alla superficie non ricoperta dalla carta, la foglia alla cui atmosfera circostante fu sottratta l anidride carbonica rimase di un colore chiaro, uni- forme, tanto nella parte esposta alla luce, come in quella che ne era protetta dalla carta nera, ciò che denota l’assenza di amido. L’esperienza, ripetuta molte volte nelle stesse condizioni, diede sempre il medesimo risultato. Abbiamo pensato allora alla possibilità che le altre foglie della pianta sperimentata potessero utilizzare |’ anidride carbonica assorbita dalle radici prima che essa potesse giungere alla foglia Fic. 1, 3, 5. - Foglie di limone, di atriplice e di menta prelevate dalle piante inaffiate col- l’acqua di Seltz e vissute in atmosfera privata di anidride carbonica. La reazione dell’amido è negativa. Fic. 2, 4, 6. - Foglie di limone, di atriplice e di menta prelevate dalle piante testimoni inaffiate con acqua di Seltz e vissute nell'atmosfera normale. La reazione dell’amido è positiva. Fic. 7. - Disposizione degli apparecchi usati per le singole esperienze. fiano na Ta Sopra il supposto impiego dell’anidride carbonica 407 in esame. Per accertare questa supposizione abbiamo modificato le condizioni di esperienza nel seguente modo: da due giovani piante furono asportate tutte le foglie meno una; a questa appli- cammo gli apparecchi nel modo dianzi descritto. Il risultato fu identico al precedente; la reazione dell’ amido fu cioè affatto ne- gativa nella foglia mantenuta in ambiente sprovvisto di anidride carbonica. Poichè anche operando sopra soggetti che vegetavano in un terreno notevolmente ricco di anidride carbonica, non potemmo mai osservare, come si disse, la formazione di amido, abbiamo voluto ricercare l’effetto prodotto somministrando al terreno una quantità eccessiva di questo gas. A tale scopo abbiamo utilizzato alcuni esemplari di piantaggine coltivati in vasi. L'apparecchio veniva adattato la sera alla foglia da esaminarsi e si inaffiava abbondantemente il terreno con acqua di Seltz la sera stessa ed il mattino successivo in cui veniva iniziata l’azione degli aspi- ratori. Anche questa esperienza si ripetè varie volte sia introdu- cendo nella bevuta una foglia della pianta intera sia dopo aspor- tazione di tutte le altre foglie. Inoltre si eseguirono sempre le relative prove di confronto inaffiando anche le piante testimoni colla soluzione carbonicata: ciò per accertarci che la presenza di una quantità eccessiva di anidride carbonica a contatto delle ra- dici non creasse alla pianta tali condizioni di disagio da inibire la funzione clorofilliana. Il risultato non fu differente da quello precedentemente ottenuto poichè soltanto le foglie che potevano venire a contatto col gas carbonico dell’ atmosfera diedero inten- samente la reazione dell’amido che fu negativa nelle altre. L’esperienza ora descritta venne da noi ripetuta su altre piante; abbiamo a tal fine prescelto: l’atriplice (Afriplex hor- tensis), la menta comune (Mentha viridis) ed il limone (Citrus limonum). In luogo di una sola foglia, per queste prove s’ intro- -duceva nella bevuta l’intera parte aerea della pianta; sopra una o più foglie veniva poi eseguita la reazione dell’ amido. È oppor- tuno osservare che per la ricerca sulla menta e sul limone bi- sogna prendere speciali precauzioni. Dalle foglie di queste piante, infatti, a differenza delle altre sperimentate, l’amido non scompare nel corso di una notte, ma è necessario, affinchè esso venga completamente riassorbito, sottrarle all’azione della luce per un Bios 34 408. C. Ravenna e G. Bosinelli - Sopra i/ supposto impiego ecc. periodo di tre o quattro giorni consecutivi. Non si può, d’altra parte, eccedere di molto un tal limite di tempo perchè, come potemmo osservare segnatamente per il limone, i soggetti, dopo un troppo lungo soggiorno all’oscurità, perdono tutte le foglie. Avvenuta la scomparsa dell’amido, la sua neoformazione non è svelabile, come nelle altre piante vissute in condizioni normali, dopo un breve tempo di insolazione, ma si richiedono altri tre o quattro giorni affinchè il reattivo ne dimostri nuovamente la presenza. Dopo aver stabilito tali fatti noi iniziammo le esperienze con dette piante allorchè, tenute in una stanza buia per qualche giorno, avevano perduto l’amido e si interrompeva l’esperienza stessa quando le foglie testimoni ne davano ben marcatamente la reazione. Anche le prove eseguite su queste piante e sull’ atri- plice come quelle precedentemente descritte sulla piantaggine, non poterono mai condurci a dimostrare l’ amido nelle foglie sottratte al contatto dell’anidride carbonica atmosferica, neppure somministrando sistematicamente al terreno, per un periodo di esperienza di 15 o 20 giorni quantità ben rilevanti di questo gas. Bisogna quindi ammettere che nelle condizioni delle nostre esperienze, l’amido, se si forma, sia prodotto in quantità tanto piccola che il consumo proceda di pari passo colla produzione, oppure, come appare più probabile, che l'anidride carbonica non venga assorbita dalle radici dei soggetti da noi sperimentati. Bologna, Laboratorio di chimica agraria della R. Università. | | Dott. G. VERNONI - Della nes- suna apparente azione dei raggi del radio sulla funzione del cuore. Se si graficano i moti del cuore di rana per es. col metodo della sospensione di ENGELMANN, (cioè lasciando il cuore ir situ e sospendendolo per la punta ad un filo congiunto con la leva scrivente) e, quando la grafica ha preso un andamento regolare, si accosta al cuore, a pochi millimetri di distanza, un sale di radio (ho adoperato il campione del laboratorio di gr. 0,1 di bromuro di radio), non si osserva mai, secondo la mia espe- rienza, una qualsiasi nè immediata nè tardiva modificazione della grafica stessa, la quale mostri che la funzione del cuore ha risen- tito in qualche modo dell’azione dei raggi del radio. Così pure nulla si osserva allontanando il radio. E lo si può lasciare accosto al cuore anche per delle mezze giornate di seguito senza che se ne abbia un diverso effetto. Il cuore anzi, purchè si distacchi la leva scrivente per non sovraffaticarlo, può conti- nuare a pulsare assai bene per varî giorni di seguito. Esperienza del 30. IV. 1912. - Grafica di cuore di piccola Rana esculenta fissato a una cannula del KronEcKER. - Liquido circolante siero di coniglio diluito con soluzione fisiologica. - R segna il momento di applicazione del radio. Ma se si vuole esporre ancor meglio il cuore ai raggi del radio, conviene isolarlo, separandolo dall’organismo. Se ne pos- sono allora graficare i moti con un metodo tonografico. Così ho fatto fissando il cuore ad una cannula del KRONECKER a doppia corrente, facendovi circolare del siero di sangue di coniglio diluito con soluzione fisiologica, e trasmettendo le contrazioni alla leva scrivente per mezzo di un manometrino a mercurio. 410 G. Vernoni In questo modo la vitalità del cuore è naturalmente assai ridotta: tuttavia si ottengono delle grafiche regolarissime. Si può poi avvicinare la capsula del radio al cuore sino ad essergli quasi aderente e variare a piacere la parte su cui agisce. Anche in queste condizioni si constata nel modo più chiaro (v. grafica) che la funzione del cuore, in quanto è rispecchiata dalla grafica, non è per nulla influenzata dai raggi del radio. Ho riferito queste esperienze perchè contribuiscono ad illu- minarci sempre meglio sulle peculiari proprietà biologiche di questa forma di energia. La quale, nella sua azione sugli orga- nismi viventi, si distingue da altre forme di energia fisica o chi- mica per una elettività tutta speciale. Così ad esempio negli embrioni il radio attacca e distrugge certi tessuti, mentre ne rispetta completamente altri (*). Nel caso presente, abbiamo che quella stessa dose di radio che in un’ora può determinare gravi lesioni in un embrione, non esercita invece nessuna, neppur lieve azione sulla funzione del miocardio e dei suoi nervi, i quali tessuti sono pure così sensibili a stimoli delicatissimi di altro genere, sia meccanici che fisici o chimici. Dall’ Istituto di Patologia generale dell’ Università di Bologna. (1) Cfr. per es. il mio lavoro: Studi di Embriologia sperimentale - L'azione del radio sul- l'uovo di pollo, in Archiv f. Entwicklungsmechanik der Organismen, Bd. XXXI, 2 H, 1910. =——-_______—@ mi JUST Det ; NATO \ y h È Mure O De \ da”, L 2 (2 091 TÀ 4 "i PRO PERI) he À DOS ni LI Piega SALA x ufo Verlaot doo Vi A; fg Pura