ire » Seri TRITATI SN} (chi Ri Saldi) su) ii i h Ù AIA can PETRI Ù sil TAI i SETTE MORE] Ditielatmht i 0)*g TH De i i HARVARD UNIVERSITY DO: quel EBIBRARY MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY LL Vasho 10, 1945 al i si Ul ria i i ‘i Lai De î Vj ù È it » DONATA DA S. M, IL RE VITTORIO EMANUELE III 9 spedizione, la quale in quel dì era composta di 1168 uomini con donne e fanciulli, mosse per entro la densa foresta, seguendo un sentiero sommamente paludoso, per poter raggiungere un piccolo villaggio lontano dal fiume un’ora e mezzo.»E continua dicendo: « Arrivammo appunto quando l’intollerabile piaga dei moscerini era nel massimo furore. Svolazzavano a miriadi sugli occhi, sulle narici e sulle orec- chie « (1). Riparla ancora lo Stanley di questa foresta, per la quale il 22 fu costretto colla sua gente a marciare per sei ore attraverso pozzanghere e pantani, prima di poter tro- vare un luogo di fermata. La foresta era altrettanto tro- picale nella sua lussureggiante vegetazione quanto qual- siasi altra in cui lo stesso Stanley aveva già viaggiato ; ma era più incomoda per l'eccessivo calore e la sovrabbondante umidità, la quale si manifestava con un vapore sottile ma opaco, fino all'altezza d'un uomo. Guardando sulla cima degli alberi si vedeva subito condensarsi in nebbia, più in alto appariva quale nuvola. Tra noi ed i raggi solari — scrive l’ardito esploratore — avevamo delle nubi di uno spessore di varie miglia col denso, oscuro, intrecciato fogliame delle piante, e sempre una opprimente esalazione di vapori caldi. Ci aprivamo la via attraverso paduli poco profonde e fango nero, glutinoso, sotto un continuo sgocciolare di goccie dense, e con una luce plumbea che spingeva i nostri pensieri al suicidio, mentre dai corpi affannosi pareva cadessero ruscelli di sudore (2). A chi vive nella quiete e comodità delle belle città parrà forse esagerata la descrizione dello Stanley, cui nes- suno vorrà negare le qualità più eminenti dell’intrepido esploratore. E voi, egregi signori, intendete bene che se ho riferito questi particolari, tutt'altro che lieti, ebbi per iscopo non soltanto di confermare le difficoltà narrate da ———_—___ 6 (1) STANLEY, op. cit., vol. 2°, pag. 251. Ved. traduz. tal. di Adolfo Missone, Flli. Treves edit. 1890. (2) Id. id. pag. 252. — ln taluna frase ci è parso bene sostituire qualche parola più opportunamente scelta di quella usata dall’egregio traduttore, 10 ANTONIO CARRUCCIO Sir Johnston, costretto a ritirarsi dalla foresta in cui si era coraggiosamente inoltrato nella speranza di trovare VOka- pia: ma anche di dimostrare che per le condizioni speciali del maggior numero di quelle foreste inospitali, malsane e spesso labirintiformi, si può spiegare come soltanto da brevissimo tempo questo Mammifero sia venuto in possesso degli scienziati europei. La caccia del medesimo per secoli e secoli dovette essere, ed è tuttora, assai ardua, pericolosa e rara per gli stessi indigeni, ai quali — d’altra parte — non poteva essere ignota una specie di mammifero, note- vole anche per la sua dimensione. E di questi indigeni, ecco ciò che scrive il prof. Ray Lankester nella pregevole memoria On Okapia, a new (Genus of Giraffidae, from Central Africa: » The natives are extremely reluctant to penetrate far into the forest, and hence it is that the Okapi is but seldom seen and is known chiefly to the Wam- butti or Akka, the dwarf race who, like the Okapi itself, seek the recesses of the forest as a protection against light-loving enemies » (1). Nella estrema riluttanza degliindigeni o nativi, come li chiama Ray Lankester, ai quali i penetrali di quelle fo- reste danno non minori difficoltà che agli europei, si ha la prova migliore che senza la perseveranza dello John- ston saremmo forse ancora per molto tempo rimasti privi di conoscenze morfologiche, quantunque non complete, sulla nuova specie. La quale, convien ricordarlo a parecchi che pare l'abbiano troppo presto dimenticato, primo anzi primissimo a paragonare (e mi varrò delle giuste parole del Dr. Forsyth Major) « very appropriately the Okapi » coll’ Helladotherium, — ch'è del tipo delle Giraffe — fu per l'appunto Sir Harry Johnston (2). Salendo in questa, ch'è la più grande fra le sale su- periori del Museo, avete potuto osservare nella seconda (1) V. The Transactions of the Zoological Society of London — Vol. XVI. Part. VI. August. 1902, pag, 283. (2) V. On the Okapi by Dr. C. J. Forsyth Major — (Fron the procedings of the Zoological Society of London. June 3, 1902, pag. 74. SULL’ « OKAPIA »® DONATA DA S. M. TL RE VITTORIO EMANUELE LUI 11 sala del sottostante piano, un esemplare del più alto fra i viventi mammiferi terrestri, il ben noto Camelopardalis giraffa. Questo è uno degl'individui di maggior statura che io abbia visto in più musei nostrani e stranieri: egli misura oltre 4 metri, col collo ben disteso, come venne preparato, fin dai tempi del donatore, il P.Gregorio XVI. Non manca qualche scrittore che ricorda Giraffe d’un’al- tezza massima, misurata dall’apice della testa, variabile fra wo e 6 metri. Gli scrittori affermano con pienissima ragione che la Giraffa è un animale noto dai più remoti tempi. Chi può invece affermare altrettanto dell'’Okapi? Quanti da poco tempo in quà stanno facendo ricerche sull’eremita congo- lese, rilevano come sul medesimo tacciano i migliori ar- chivi e documenti. E fra questi ultimi sono i più vetusti monumenti d'Egitto e della Nubia, e principalmente quelli che si custodivano nei templi consacrati a quel Nume bir- bone che chiamavasi Typhon. Per la Giraffa, se potessi e dovessi seguire l'ordine cronologico, comincierei da Mosè (Bibbia sacra, Deuteron., cap. XV), e poi da Tolomeo Fi- ladelfo, per saltare a Terenzio Varrone, a Orazio, Strabone, Plinio, ecc.; e volendosi ancora altre citazioni e notizie, «riguardanti sempre la Giraffa, potrei riferire notevoli af- fermazioni di Alberto Magno, di Marco Polo, Gesner, Be- lon, Prospero Alpino, Aldovrandi, Linneo, Buffon, Pallas, Levaillant, Blumembach, Malte-Brun, G. Cuvier, I. e E. Geo- roy S. Hilaire, R. Owen, Jolye Lavocat, De Blainville, ecc. Ma sarei il primo a riconoscere che farei un’erudizione fuor di luogo, perchè della Giraffa forse si è scritto anche troppo, mentre per l'Okapi c'è ancora tanto da investigare e da , TERRE LIE E TL RI fis Loi io e Pas mc NL k Ri DI te e dl < ‘ a dire ! Potrei pure — in aggiunta alle prove sull’antichità della Giraffa — ricordare con moltissimi, specialmente fra i re- sidenti in Roma, che videro al par di me nella vicina Pa- lestrina — la vetusta Praeneste — il famoso e grande pavi- mento col bellissimo mosaico posto in un salone del pa- lazzo Barberini. Questo mosaico, rinvenuto nel tempio della Fortuna Prenestina, e che si disse risalga ai tempi del- 12 ANTONIO CARRUCCIO l'Imperatore Domiziano, oltre i paesaggi presso il Nilo, offre molte figure d'uomini in costume egiziano e greco, e figure di molti animali — ed è appunto notevolissima quella della Giraffa. E lessi pure che Giulio Cesare, nel 708, con belle Giraffe « volle ricreare i Romani alla fine delle guerre civili » Anche negli affreschi di Poggio Cajano, nel palazzo dei duchi dei Medici e via dicendo, vediamo rappresentata. la (riraffa; la quale, secondo Lancret e Jomard, raffigurata nei basso-rilievi dei témpii d’ Egitto, si ha la prova che era conosciuta già dagli antichissimi Egizii. Ma, lo ripeto, nulla troviamo detto che ricordi la forma dell’Okapi. La conoscenza che ho dovuto prendere delle diverse pubblicazioni straniere, non mi fanno dimenticare che an- che in Italia un ottimo periodico romano, Ja Minerva, fu assai sollecito nel darei notizia della nuova specie di ru- minante congolese. Invero nel n. 44 de] 1901 (pag. 1039-1041) comparve un articolo, ricavato dal Me Clure's Magazine (settembre 1901) col titolo : « Il nuovo Mammifero scoperto nel centro dell’Africa ». Anche in questo articolo, di cui è autore l’istesso Sir Harris Johnston, leggesi come lo Stanley narrasse che i nani del Congo dovevano conoscere un animale in qualche modo simile ad un piccolo cavallo, anzi rassomigliante dippiù ad una Zebra, del quale potevano talvolta impadronirsi per mezzo di trappole. Rammento benissimo che quando lessi l'articolo della Minerva mi trovavo a Soriano nel Cimino :; e tanto lassù, quanto dopo tornato in Roma, non poteva davvero bale- narmi la speranza che la specie nuovissima, della quale erano privi tutti i grandi musei, eccetto quello di Londra, mi fosse concesso, prima che trascorresse un anno e mezzo, di farla osservare a voi, egregi signori, nel nostro Museo Universitario! Ma non fa duopo che io richiami alla vostra memoria un antico dettàme: È la savia generosità che rende più evidenti « sapientiam et dignitatem regis ». : | | SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M. IL KE VITTORIO EMANUELE III. 13 II. — Fsame comparativo della testa. La testa ossea dell’Okapia è notevole per alcune par- ticolarità della conformazione, le quali, a parer mio, la fanno assai differenziare da quella della Giraffa. Con questa dovetti naturalmente instituire una diligente osservazione comparativa, come già l’ebbero a fare altri, specialmente Ray Lankester e Forsyth Major, ai quali sono molto grato par le pregiate pubblicazioni inviatemi da Londra. Questi autori citano pure crani d'altri mammiferi, che fornirono ad essi parecchi e interessanti dati comparativi. Come dirò in appresso, non ho mancato anch'io di fare osservazioni comparative con diverse teste di ruminanti africani, posse- dute dal Museo Zoologico di Roma, prescegliendo quelle che o per dimensioni pressochè eguali alla testa dell’Oka- pia, o per altre ragioni meglio corrispondevano allo scopo. Per le teste di Giraffa, che in modo speciale mi ser- virono nello studio comparativo colla testa dell’Okapia, debbo ringraziare assai vivamente i chiari colleghi delle Università di Pavia e Torino, direttori dei Musei di Zoo- logia e di Anatomia comparata, cui devo gli esemplari ‘inviatemi con premura e cortesia grandissime. Avverto che di preferenza mi sono valso di quello che per sviluppo e per dimensioni si adattava maggiormente alla testa di Okapia. Dirò dapprima di talune differenze che mi colpirono confrontando la testa della Giraffa con quella del nuovo mammifero congolese. Tali differenze riguardano la regione facciale, massime nella porzione mascellare inferiore ; le regioni laterali destra e sinistra, specialmente nei contorni orbitali e nel tratto delle arcate zigomatiche ; la regione basale od inferiore del cranio; la superiore (volta del cranio), ecc. Rilevai adunque che le due metà del mascellare in- feriore dell’Okapia, nella loro porzione terminale ed ante- riore, non formante sinfisi mentoniera, si presentano meno larghe e più sottili in confronto alle due metà proprie alla mandibola della Giraffa (£ juv.): perciò le prime sono assai più acuminate delle seconde, e colle parti molli a 14 ANTONIO CARRUCCIO sito, anche il muso delle due specie deve partecipare della forma propria delle ossa. Le due porzioni anteriori e convergenti della stessa mascella inferiore, che stanno a contatto senza saldarsi, cioè senza formar sinfisi, come dissi, hanno lunghezza diversa sì nell'Okapia, come nella Giraffa. Infatti, nella prima la lunghezza è di appena 68 mm., mentre nella Giraffa sono lunghe 92 mm. Il margine alveolare nella Giraffa è più robusto e largo 50 mill. ; nell’Okapia è più debole ed è largo soltanto 350 mill. Il muso dell’Okapia appare quindi stretto ed appuntito, mentre nella (Giraffa ha una forma a paletta piuttosto ampia, tanto più pronunciata in quanto le tien dietro un brusco restringimento: tale restringimento non si osserva nella mandibola dell’Okapia. Rilevai pure notevole differenza nella grandezza delle cavità orbitarie e nello spessore dei rispettivi contorni. Nella testa della Giraffa le orbite presentano diametri maggiori. Infatti mentre in questa è di 63 mill. il diam. longit., preso dal centro del contorno orbitale superiore al centro dell'inferiore, e il diametro trasverso è di 60 mill, nell’Okapia invece il primo diametro è di circa 52 mill, ed il secondo o trasverso è di circa 00 mm. Nè si dica che tale differenza deve tutta attribuirsi all’età. Guardando addentro la cavità orbitaria della Giraffa si vede chè è più profonda ed ampia, e di forma piuttosto conica, anzichè quadrilatera, o quasi, come nell’Okapia. Dal fondo dell’orbita della più piccola testa di Giraffa (e proporzionatamente l’istesso fatto si osserva in teste più grandi), e precisamente dal centro del foro ottico tirando una linea mediana, che non oltrepassi la grande apertura esterna, si ottiene una lunghezza di mm. 83; mentre l’i- stesso asse misura nell’Okapia 72 mm. Il margine superiore dell'orbita nella Giraffa ha un massimo spessore di 80 mm.; quello dell’Okapia di soli 40 mm. Il margine superiore, che suol essere il più sottile, lo 2 (-* CAPPONI DIL LIRA II PT ULTI, Pd are n° SULL’ « OKAPIA » DONATA DA 8. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 15 x è in realtà anche nella (Griraffa, anzi in questo è quasi tagliente. All’opposto nell’Okapia quest’istesso margine è grosso: misurando fra le punte del compasso-oblungo uno spessore di 60 mm. Maggiore è la distanza che separa le due orbite nella testa della Giraffa, ed è precisamente di 170 mm.; la di- stanza medesima interorbitaria nella testa dell’Okapia è di soli 120 mm. (1). Le arcate zigomatiche dell’Okapia appaiono alquanto più sviluppate di quelle della (Giraffa, tanto è vero cbe mentre il prolungamento zigomatico (apofisi malare) del- l'osso mascellare superiore, che si unisce coll’altro fornito dal temporale, danno una lunghezza complessiva di 10 cent. nell’Okapia, l’istessa lunghezza non oltrepassa i 7 cent. e 172 nella Giraffa. Un'altra differenza, che al pari delle altre io credo far rilevare, si ha nel processo zigo- matico che si stacca dall’osso temporale con una base larga, che offre tre radici molto divergenti nella Giraffa, le quali non si osservano nell’Okapia. È inoltre importante tener conto di altri fatti differen- ziali, che risultano dal confronto dei pochissimi crani fi- nora posseduti in Europa. Dei due crani di Londra, quello ch’era unito alla pelle apparteneva ad un’ Okapia non adulta, ed era — come l’altro cranio più piccolo —- privo di corna. La lunghezza del medesimo, dalla cresta occipitale fino all'estremità delle ossa nasali, è di0.® 375; la lunghezza invece del cranio d’in- dividuo 3 posseduto dal Museo di Tervueren è di 0." 462. Il (1) Il Forsyth Major ponendo in rilievo i caratteri differenziali che ha ri- eonoscinto esistenti fra i crani di Londra e quelli di Tervueren, scrive che « Un altro carattere che sembra di valore specifico. e che è piuttosto singolare, è la differenza del taglio delle orbite. Il prof. Lankester ha descritte le orbite dell’esemplare di Londra come rettangolari, mentre nei due esemplari del Museo dl Tervueren sono circolari come nella Giraffa. lo era inclinato dapprima ad ascrivere questa disuguaglianza alla differenza dell’età ; ma dopo un più accu- rato esame non so vedere come un ulteriore sviluppo possa cagionare un tal cambiamento di forma », (V. On a specimen of the Okapi lately receveidut Brn- xelles. By Dr. C. J. Forsyth Major, Procedings of the Zoological Society of London. Nov. 18, 1902), | 16 ANTONIO CARRUCCIO primo ha una larghezza massima di 0. 182; il secondo di 0." 178 (1). Il cranio di Roma è lungo 450 mill. Il cranio di Londra conserva ancora la maggior parte dei denti di latte; il sesso dell'individuo cui esso cranio apparteneva rimane dubbio. ll cranio di Tervueren è di sesso femminino — stando alle informazioni date dal luo- gsotenente Leoni — e dall'esame delle corna « lo si direbbe adulto, se non avanzato in età » (Forsyth Major). Questo cranio di Tervueren è più stretto, ha le orbite più piccole, le ossa mascellari meno alte, le arcate zigo- matiche e le regioni parietali più corte. La differenza nelle dimensioni dei denti prova « in modo incontestabile (così asserisce il Forsyth Major) che l’indi- viduo di Londra avrebbe raggiunto in età adulta propor- zioni passabilmente superiori a quelle dell'individuo di Ter- vueren ». L'istesso aut. ne da la prova riferendo le dimensioni duno dei denti (1° vero molare inferiore) del cranio di Londra in contronto d’altro dente corrispondente del cranio di Tervueren: la lunghezza del primo è di 26,2, colla lar- ghezza di 23,5; del secondo dente è di24, mm. colla larghezza di 20,59. - Il predetto molare misurato nell’esemplare di Roma offre una lungh. di 24 mm., ed una larghezza di 25 mm. — Avverto che i due molari veri inferiori sono anche i più grossi nella mandibola della testa appartenente allo sche- letro di Okapia donato da S. M. il Re Vittorio Emanuele II. Il Dott. Forsyth Major che studiò col più vivo interesse i nuovi acquisti del Museo di Tervueren, messi a sua di- sposizione, non lascia di trattare comparativamente il modo di formazione delle piccole corna nella Giraffa e nell’O- kapia. Nella prima si hanno « prolungamenti del frontale e del parietale, oltre un osso epifisario che ad essi è so- vraposto, il quale non si salda coi medesimi se non colle Giraffe di età avanzata -. Nello scheletro dell’ Okapia del Museo di Tervueren, (1) Ved. ForsyTH MAJOR — Le Crane de lOkapi — Belg. Colon, n. 23, 8 June 1892, pag. 260. PI 3 di 3 è i î È Ra b- È 0 = DI 3 a} “= - e AR SEE PMT IRE) Bn SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M IL RE VITTURIO EMANUELE III. scheletro appartenente ad un individuo pure di età avan- zata, le corna non presentano traccie di sutura alla loro base. Perciò il Forsyth Major crede che si possa « doman- dare se le esostosi che nel 4 cuoprono le punte delle corna a mo di piccoli berretti, non siano omologhe alle ossa, assai più sviluppate nella Giraffa ». E prosegue: « Data questa disposizione rimane dimo- strato che l’Okapia si avvicina alla Giraffa più di quanto l’avessimo supposto fino al presente. In quanto alle eso- stosi (che mancano affatto nel cranio di Roma) in forma di piccoli berretti, esse dimostrano che una crescenza delle punte delle corna ha luogo nell’Okapia : e queste esostosi sono due nel corno sinistro, ch'è il più grosso (si parla sempre dei due crani di Tervueren). Probabilmente le Okapi si servono di preferenza del corno sinistro. E nella Giraffa si può constatare qualche cosa di analogo a questi piccoli berretti. Inoltre, ed è fatto curioso, nella maggioranza dei crani di Giraffa del Museo Britannico, si ha parimenti il corno sinistro più grosso ». Quindi il Forsyth Major e per le differenti proporzioni che passano fra i due crani di Okapia esistenti nel Museo di Londra e i due del Museo di Tervueren, e per le diffe- renze proprie alla pelle preparata nell’uno e nell'altro degli stessi Musei, crede che i due individui di Tervueren, appartengano a specie distinta da quella denominata da Ray Lankester Okapia Johnstoni. Propone per ciò che la nuova specie chiamisi O. Liebrechtsi, volendo — così egli scrive — associare alla scoperta il nome dell’eminente Se- gretario del Dipartimento degl'interni ». Parmi prematuro instituire ed accettare una nuova specie, e fintanto che non si avranno nuovistudi, fatti con materiale più copioso — quale possono di preferenza ot- tenere i Musei di Londra e Tervueren — mantengo prov- visoriamente la denominazione di 0. Johnstoni Ray Lank ; la quale diedi tanto all’esemplare in pelle quanto allo sche- letro donati da S. M. il Re al nostro Museo: lo scheletro, giova ripeterlo, appartiene ad altro individuo, non alla pelle donata. — Fra parentesi, e con un punto interroga- Bollettino della Società Zoologica Italiana. 2, 18 ANTONIO CARRUOCIO tivo, volli, nel cartello apposto alla base ricordare la de- nominazione proposta testè da Forsyth Major, che o verrà considerata sinonimica, o sarà confermata in virtù di nuovi studi, siccome dissi. Per la esattezza e per amor di verità debbo avver- tire che il Forsyth Major proponendo — sia pur prema- turamente — una nuova specie, così ebbe ad esprimersi : « Su quanto concerne i caratteri specifici, restano ancora molti punti da sciogliere. In primo luogo dobbiamo chie- derci se la mancanza di corna propriamente dette negli esemplari di Londra debba considerarsi come un carat- tere specifico, o se essa si debba spiegare colla condizione non adulta di essi esemplari » (1). Ch'è quanto dire delle due teste giovani esistenti nel Museo Londinese. — E qui citandosi dal Forsyth Mayor osservazioni fatte nel Giar- dino Zoologico di Londra, riferite dall'illustre R. Owen sulla durata della gestazione della Giraffa e sull’epoca del- l'apparizione delle sue corna, giustamente osserva che nel- l’Okapia quest'apparizione possa aver luogo più tardi che nella Giraffa. — Ma le prove in verità mancano, e nel cra- nio che abbiamo in Roma, e che per fermo non appar- tiene ad un individuo giovanissimo, non vha, lo ripeto, traccia alcuna di corna. All’istesso modo che non possiamo oggi affermare che le differenze constatate nel disegno e nella disposizione delle fascie alterne della pelle delle coscie, diversi nell’in- dividuo imbalsamato a Londra da quelli della pelle pre- parata a Tervueren, siano proprii di due specie distinte, ma derivino piuttosto dall'età e dal sesso; del pari non possiamo asserire che certe differenze osteologiche nel cra- nio ecc., e la mancanza di corna, non siano fatti dipen- denti pure dall'età e dal sesso. E tutto questo io mi son detto esaminando la pelle e lo scheletro che abbiamo in Roma. I dubbi espressi dal Forsyth, Major riguardavano la pelle d'una ? d’Okapia e lo scheletro di un #4 (il sesso (1) Ved. La Belg. Colon. N. 45. 9 novembre 1902, pag. 533, SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 19 fu dichiarato da chi spedì i due oggetti) avuti dal Museo di Tervueren nella primavera del 1902. Tanto questa pelle, quanto il cranio di questo scheletro, presentarono la pre: senza di piccole corna. Ma il 6 novembre dell’istesso anno col corriere del Congo venivano trasportati nel Belgio ed a Tervueren un’altra pelle ed un altro scheletro d’indi- viduo avanzato in età, senza la minima traccia di vere corna. A parte questa mancanza, nota il Forsyth Major, « il nuovo cranio presenta tutti i caratteri essenziali del- lO. Liebrechtsi, e l’istessa cosa può dirsi della pelle. Sem- bra adunque che abbiamo da fare con una ? di questa specie....,.. » (E ciò poco dopo confermava avendo avuto opportunità di studiare la pelvi di questo scheletro). ....« Bi- sogna concludere che la g dell’Okapia Liebrechtsi manca di corna. La informazione trasmessa dal Congo, che la pelle attualmente montata a Tervueren proviene da una femmina, sembra adunque erronea ». Queste franche dichiarazioni del Forsyth Major, che ho in parte fedelmente riassunto, edin parte riferito colle precise parole dell’aut., dimostrano ancora una volta che per la scarsezza del materiale non siamo al presente in grado di pronunciare un giudizio definitivo. Ad ogni modo le osservazioni compiute diligentemente sulle pelli di O- kapia e sui loro scheletri, in possesso finora di soli tre Musei, Londra, Tervueren e Roma, contribuiranno — spe- riamo fra non molto — a sciogliere il problema diagno- stico. E aggiungo che ora mi pare incerta l'opinione del Forsyth Major, per quanto espressa in termini molto mi- surati: « Io non vedrei a priori null’affatto impossibile che la femmina di quest'animale possa rappresentare uno stato transitorio, in questo senso che ora sarebbe munita di corna, ed ora ne sarebbe priva.,...,» (1). Ma in un’altra interessante comunicazione dell’istesso aut. fatta alla Zoolo- (1) V. BeZg. Col, N. 48, p. 569. Osserva giustamente il Forsyth Major che gl'indigeni nei luoghi lontani dalla stazione belga, nei quali fanno la caccia alle Okapie, nel togliere a queste la pelle, recidono ogni parte che può servire all'indicazione del sesso. Ed in tale condizione giunsero le 3 pelli possedute fi- nora in Europa, non compresa quella di Roma, 20 ANTONIO CARRUCCIO gical Society of London (18 novembre 1902), egli fa que- st'altra dichiarazione: « The absence of horns in this adult specimen is, in my opinion, a sexual character ; the horn- less skull being besides slenderer, as in the case generally in female Ruminants ». Penso anch'io che possa trattarsi di carattere sessuale, ma senza un più ricco materiale di studio ripeto che non è il caso di affermazioni definitive. Intanto anche le diligenti misure prese sulle regioni ed ossa più importanti della testa, del rachide, degli arti, ecc., potranno, forse fra non molto, tornar giovevoli per una completa monografia sull Okapia 4 e ?, adul. e giov. L'altezza delle due teste, misurata dal centro della base e secondo le norme consuete, è sensibilmente diversa : invero quella della Giraffa più giovane è alta 22 cm. e 172, l’altra dell’Okapiaè alta 19 cm. all'incirca. Prendendo poi un’altra misura, cioè dall'angolo posteriore della branca ascendente della mandibola fino in cima al condilo articolare, si ha nella Giraffa l'altezza di 22 cm. e nell’Okapia di 18 cent. Dall’ angolo posteriore della stessa branca ascendente fino all'apice dell’apofisi coronoide si ha nella Giraffa una altezza di cent. 15, e nell’Okapia di 13. Ed è notevole che l’istessa apofisi coronoide è più sviluppata in senso tra- sversale nell’Okapia (39 mm.) che nella Giraffa (32 mm.). Ma altre differenze notevoli fra queste teste, di dimensioni quasi eguali, devo ancor far rilevare. (Continua). ISTITUTO ZOOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA diretto dal Prof. AxTONIO CARRUCCIO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI Nota istologica per il Dott. RINALDO MARCHESINI libero docente d’istoiogia nella R. Università di Roma mu TkTTT—-<“«<-<—7—- Le capsule surrenali, glandulae renibus incumbentes (Eu- stachio); capsulae atrabiliariae (Bartolini); sono degli organi situati al disopra dei reni, a cui gli antichi anatomici e fisiologi avevano dato poco o nessun valore e che oggi invece dopo l’attenzione rivolta ad esse dall’ Addison (1) hanno occupato un posto eminentissimo sia nell’anatomia che nella patologia. Sono esse due organi pari, disposte al disopra dei reni e con somiglianza di forma agli stessi reni, e perciò dette anche reni saccentariati da Casserio ; e risultano costituite da una intelajatura connettivale che partendosi dalla pe- riferia ove forma una capsula di rivestimento, si spinge con sottili trabecole a guisa di raggi che si concentrano nella porzione mediana dell'organo, o parte midollare ; dove trovansi grossi vasi centrali. Da queste trabecole prin- cipali se ne staccano altre collaterali, che servono di riu- nione ed in modo da formare una intelajatura a tela di ragno. Il nucleo della tela è formato dalla parte midollare dell'organo, e qui lo strato fibrillare del connettivo, per- 1) ADDISON. On the constitutional and local effects. of disease of the suprarenal capsules. — London 1855. 99 RINALDO MARCHESINI dendo la forma raggiata, assume una forma piuttosto re- ticolare, nel.cui centro esistono i grossi vasi. Tale struttura è evidentissima nelle capsule SORRATENALI della cavia e del coniglio. Nell’interno di questa impalcatura connettivale è con- tenuto un _ tessuto di cellule epiteliali la cui disposizione ripete;la ‘forma, delle, trabecole : ed è così che già a prima vista prescindendo da altri fatti ancora più ‘essenziali, que- st'organo si scorge costituito di due parti; una parte cor- ticale, periferica, ed una parte midollare, centrale. La parte'corticale risulta formata da tanti cilindri di cellule, cilindri. corticali. di KòO/liker, che si accentrano dalla periferia verso la parte mediana o midollare, ma che però per la forma diversa delle cellule e per la disposi- zione che assumono vengono divisi giustamente dall’Arnold imaire zone; - Una zona esterna: (zona glomerularis); una zona media ‘(zona fascicularis) : éd' una zona limitata tra la corteecia ed 'il'midollo (zona reticularis). | pozib. da item Pb: strato glomerulare della ;parte corticale] dettò tale da” ‘Arnold per la disposizione glomerulare ‘da lui creduta dei ‘vasi in'tal' punto, è situata al disotto immediato: del- l'involucro connettivale della glandola. Esso varia' di: strut- ‘tura nei diversi ‘animali: in genere è formato da cordoni ‘di ‘cellule ‘straordinariamente lunghe, strette, cilindriche, .i di cui nuclei sono bene colorabili ed il BrOleEoni è leggermente sranuloso. 'Lò strato sottostante — zona fascicularis — è conisniti. da ‘cellule ‘più grosse con'nucleo rotondo, che giace: per lo più trasversalmente. del cordono, hanno un protoplasma come areolare, carico di succhi o goccioline incolori a cui Guicijsse! dà il nome'di'spongiociti e di strato spongioso. alla ‘zona intera. Il nucleo è ‘simile a quello dello strato: mo- KéLLIKER. Handbuch der Histologie. — Ultima ediz. ted. 1903. Guieysse A. La Capsule surrenale du cobaye etc. Journal de l Anatomie e. de la. Phisyolog.,— Année 1901. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI 23 lecolare, ma il protoplasma si tinge meno energicamente. Lo strato reticolare si distingue dagli altri per la più facile colorabilità delle cellule : di più in esso più che nelle altre parti della porzione corticale si riscontrano delle zolle di pismento giallognolo diffuse nel corpo delle cel- lule, che al limite della zona midollare formano una stria continua. Nella zona fascicolata e nella reticolare predomi- nano invece le goccioline di grasso. E trattando i preparati con ematossilina al ferro in queste due zone sono stati ri- scontrati dei granuli siderofili. La massa principale della sostanza midollare consiste di cordoni di cellule collegate in forma di reticolo ed an- che di nidi di cellule. Queste sono più facilmente alterabili delle cellule corticali, e se non si fissa l'organo in stato freschissimo ed il fissatore non è energico ed a lunga du- rata, sì presentano allora sotto forma dentellata e stellata. Esse giacciono a gruppi nelle maglie di una impalcatura connettivale, dove a differenza della parte corticale si no- tano molte fibrille elastiche, o le cellule sono tutte disposte a ridosso dei vasi sanguigni, ai quali ne formano come un epitelio di rivestimento. La struttura di queste cellule midollari differisce totalmente da quella delle cellule cor- ticali se si eccettua la parte glomerulare con la quale hanno una lontana somiglianza. Esse, qualora si sia rag- giunta una buona fissazione, e a tale scopo ho preferito il liquido di Zenger (liq. del Miller e sublimato) dove ho tenuti i pezzi fino a 12 ore, ed ho tolto i precipitati di sublimato immergendo a lungo i tagli nella soluzione al- colica jodata, risultano di forma cilindrica allungate, di- sposte a ridosso dei vasi con la parte grossa protoplasma- tica rivolta verso il lume, e con il nucleo all'estremo op- posto affilato. E la loro disposizione è tale che qualora si considerasse il lume vasale per il lume glandolare, esse avreb- bero tutta l'apparenza di tubi glandulari. In oltre queste cellule differiscono da quelle corticali perchè, secondo la scoperta di Henle, si colorano in giallo bruno con i sali di cromo, e perciò vengono anche chia- RINALDO MARCHESINI mate cellule cromaffini, cellule cromofile di Sting; simili alle cellule cromaffini del simpatico. Kohn. La colorazione che io ho preferita dopo il trattamento con liquido Zenger è stata con l’'ematossilina di Boemer o con la saffranina idroalcolica, o con il mio liquido mo- dificazione di quello di Ehrlich-Biondi, con cui si otten- gono delle differenziazioni nucleari o cellulari per ogni singolo strato di un interesse rilevante. Lungo lo stroma connettivale di tutto l'organo decor- rono anche numerosissimi vasi sanguigni, che ripetono l'andamento delle fibre connettivali : disponendosi cioè nella parte corticale a maglie allungate, e nella porzione midollare a maglie tondeggianti. Le pareti vasali nella sostanza corticale sono così esili in alcuni punti da parere che addossati ai cordoni cellu- lari più che dei vasi vi siano semplici spazi lacunari san- guigni. Dall’anatomia poi sappiamo che le arterie si ori- ginano dall’arterie vicine (frenica, celiaca, aorta, renale)ed in numerosi tronchicini penetrano nella capsula; di cui alcuni portano sangue alla corteccia ed altri vanno diret- tamente alla parte midollare. Le pareti però di esse, tolto quelle che decorrono nei setti connettivali più grossi, hanno struttura di capillari. Le arterie della parte midollare si ramificano in capillari e formano un ricco plesso venoso, che accoglie anche i capillari della porzione reticolare della corticale e nell'insieme danno un aspetto spongioso alla parte midollare. Queste vene defluiscono per la maggior parte nella vena soprarenale, che esce pel cosidetto ilo della capsula e sbocca a destra nella cava, a sinistra nella vena renale. Le vene poi che si formano nella porzione alta della corticale, si uniscono a quelle più ampie che si trovano immediatamente sotto l’involucro nella parte più s dille ba sei STILLING H. Die chromophilen Zellen und Kòrperch des Sympath. Anat. I Anzi ‘Bol: 15. 1889. (A KoHN A. UD. die Neben-Sonderabdr. a. d. Prager med. Woch XXIII. Nr: n 17. 1898. , KoHN A. Ub. den Ban. u. Entwichl der sog. Corotisdrisse- Arch. f. Miîikr. pd Anat. Bd. 56. 1900. bilia DI O% CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI superficiale della corteccia, ed unite a quelle dell'involucro stesso emergono in numero abbastanza grande, e decor- rono colle arterie sboccando nella renale, frenica e nella cava. I nervi sono numerosissimi, provengono dal ganglio se- milunare o dal plesso solare, e secondo Bergmann in parte anche dal vago e dal frenico. Essi formano parecchi gan- gli pericapsulari, e penetrati nell’organo la massima parte di essi giunge nella sostanza midollare e quivi formano grossi reticoli, da cui emanano numerosissime fibrille per l vasi e per i cordoni cellulari. Lungo i nervi intra cap- sulari si notano nella sostanza midollare parecchi gan- glietti, ridotti in alcuni animali come la cavia ed il co- niglio anche a semplici gangli bi o monocellulari. Io posseggo dei preparati molto ben riusciti di capsule surrenali di feto di coniglio in cui sì può scorgere benis- simo come fanno a penetrare questi gangii nell’organo e specialmente nella sostanza midollare, e come essi non siano affatto da ritenersi una modificazione delle cellule cromaffine. In questi preparati si può seguire il modo come la parte corticale vada incapsulendo man mano la sostanza midollare che gli risiede di lato, nel mentre che da un grosso ganglio periferico extracapsulare sì avanzi un fascio nervoso con a capo un piccolo ganglio, che va ad insinuarsi nella sostanza midollare, per rimanere incluso con essa dall'intera sostanza corticale; e mantenere così un diretto rapporto con la massa gangliare esterna. Secondo Sti/ling si troverebbero numerosi vasi linfatici negli strati superficiali della corteccia, pochi nella parte interna di essa e più numerosi nella sostanza midollare ove decorrono attorno alle vene. Dato così un rapido cenno delle conoscenze anatomi- che che oggi si hanno sulle capsule surrenali, ci rimane a trattare la questione più ardua, quale è quella che ri- guarda la funzione di esse. Anche a tale proposito però si è venuto mano mano rischiarando l’argomento, stante lo studio istologico più accurato che si è potuto fare, e le esperienze fisiopatolo- 26 3NALDO MARCHESINI giche intraprese largamente sulle capsule surrenali. Oggi che si è ben delineata la forma cilindrica delle cellule della parte midollare non si può più parlare di un epi- telio nervoso come molti autori credevano Kohn, Smirnow, H. Babl. ma bensì secondo afferma il Giacomini, il Phaundler ed altri di veri elementi epiteliali secernenti. E a conferma di ciò oltre le osservazioni di .M. Paul Malon, di Manasse, Carlier, Ruld etc., stanno a dimostrarlo i ricchi accumoli, che di tanto in tanto si riscontrano, di cellule chiare, ve- scicolari, caliciformi, prapagini lanciate dalla sostanza midollare nella corticale, che non assumono la colorazione delle altre (fatto riconosciuto anche da Dostojeusky e da Chandedler) e che hanno tutto l aspetto delle cellule mucipare. quali si riscontrano nell’epitelio glandolare delle vie intestinali e quindi di cellule secretorie. Però un punto rimane ancora a chiarire, come avvenga cioè la secrezione e per quali vie essa si faccia strada per mettersi in cir- colazione nell'organismo. A tale scopo ho voluto aggiungere qualche mia spe- ciale ricerca di cui ora ne esporrò i risultati. Ho praticato innanzi tutto per le vie delle arterie e delle vene delle iniezioni di gelatina in cui in luogo della sostanza colorante (carminio, bleu di Prussia, etc.) scio- glievo il percloruro di ferro, o del ferrocianuro di potassio, e trattavo poi successivamente i tagli con ferrocianuro di GIACOMINI E. Sopra la fine struttura delle capsule surrenati degli anfibi e sopra i nidi cellulari del simpatico di questi vertebrati. Siena, Tip. Bernar- dino 1902, PHAUNDLER M. Zur Anatomie der Nebenniere. Sitzungsler. der. K. Akad, der Win. Wien. Bd. 101. Abth. II. Iahrg. 1892. P. MALON. Exrcrétion des capsules surrén. du cobaye dans les vaisseaue sanguins. Soc. de Biol. 27 dic. 1902. MANASSE P. Ueb. die Beriehung der Nebenn. Zu dev. Venen. u. Venòse kreislanf. Wirch. Arch. Bd. 135. 1894. CARLIER C. W. Note on the setructur of the suprar-body. Anat. Auz. Iahrg. S. 1399! AULD A. Further report of the suprarenal gland and the causation of. addison disease. DosToIEWSKYy A. Ein Beitrag zur mikroskopischen Anatomie der Ne- bennieren bei Scingthieren. Arch. fùr. mik. Anatomie. Bd. 27. 1886. aieaica LATIISAIA dr ritira tennisti RT ee ® po FI — PPS n CE Tg, PI gl e VS rire M a TARRA RA ddr te >. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI St potassio o con percloruro di ferro viceversa di quello di cui li avevo iniettati per assistere così in vitro ad una reazione microchimica. In tale maniera potei innanzitutto osservare che essenzialmente i nuclei cellulari, oltre le vie vasali ripiene di gelatina, si coloravano in bleu, ed in qualche cellula il protoplasma granuloso pure assumeva una colorazione bleu. Questo fatto mi aveva messo sul- l'avviso che tra cellule e vasi sanguigni vi dovesse essere un rapporto diretto, per cui il secreto cellulare potesse riversarsi nelle vene dell’organo. Allora provai le iniezioni di gelatina al bleu di Berlino per le vie venose ed arte- riose, e studiai accuratamente i tagli per vedere, se mi era possibile, quale fosse il modo di comunicazione tra cellule e vasi sanguigni. Nei preparati dove l'iniezione era riuscita e specie in quella per la via venosa, si vedevano nelle vicinanze della sostanza corticale delle terminazioni ad acino, che dove erano parecchie riunite insieme simulavano un vero grap- polo. Il grosso dell’acino era aderente alle cellule in ma- niera da ricordare i medesimi rapporti che Pflilger e Kupp- fer hanno trovato tra le cellule epatiche: ed i canalicoli biliari. Questa spiegazione sarebbe stata. molto suggestiva, ma siccome questo fatto non era egualmente ripetuto su tutta la sostanza corticale, mi dovetti mettere alla ricerca di altra spiegazione valendomi di sezioni diverse di pre- parati iniettati. Potei così osservare che la rete venosa che si trasforma in esilissimi capillari circonda ogni cellula e nel punto dove rimane uno spazio tra due o tre o più cellule vicine, là il capillare assume un rigonfiamento che simula una terminazione a piccolo cul di sacco, dell’ap- parenza di un piccolo acino aderente al suo picciuolo. Le comunicazioni tra questi apparenti fondi ciechi non si pos- sono sempre seguire per il taglio, e quindi l’acino può ap- parire come aderente per un sol lato. Così risulterebbe che l'iniezione fattasi strada per itramiti capillari intercel- lulari, le vie della circolazione sanguigna si pongono in in- timo rapporto con le cellule singolarmente. 98 RINALDO MARCHESINI Da ciò ne conseguirebbe che la secrezione derivata dalle cellule nelle vie sanguigne, fatta un po’ di sosta nei piccoli allargamenti intercellulari, che funzionerebbero come piccoli serbato], si avvierebbe poi per le vene mag- giori. Così, secondo la circostanza, rendendosi più o meno ricco l'afflusso per la contrazione maggiore o minore di questi che abbiamo chiamati piccoli serbato] della dilata- zione capillare, avremmo in essi una parte molto interes- sante nella funzione delle capsule surrenali. La secrezione sarebbe come quella epatica in rapporto alle vie biliari, solo che in questo caso le vie del conducimento non si sarebbero specializzate, ma farebbero ancor parte della circolazione generale. Stilling avrebbe veduto qualcosa di simile, cioè dei sottili ramuscoli che penetrano entro uno dei gruppi cel- lulari rotondeggianti ; in modo che gli elementi di questi gli si dispongono attorno come gli epitelii di un tubo ghiando- lare al lume. Ma queste formazioni le crede vie linfatiche perchè ammette che i vasi linfatici trasportino i prodotti della secrezione delle capsule surrenali. Invece M. Paul Malon, L c., con minuziose ricerche ha potuto anch'egli dimostrare, che i materiali accumulati nelle cellule glandolari di quest’'organo passano direttamente nel sangue in alcuni punti come secrezione merocrina, in altri come secrezione olocrina, ritenendo la glandola intera di funzione endo- crina. Riguardo alla porzione midollare il rapporto tra le cellule ed i vasi sanguigni è un poco diverso per la for- mazione cilindrica più spiccata che ha assunto questo epi- telio. E siccome gli epitelii non sono aggruppati, ma di- sposti tutti ad un solo strato come rivestimento dei vasi a grande lume, la secrezione di ogni cellula è in rapporto direttissimo con il vaso. Perciò non esistono vie intercel- lulari; ma l'iniezione che si pratica si fa strada nella cel- lula per osmosi, e si veggono così questi epitelii conte- nere nel loro interno degli strai festonati di sostanza co- > editi CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI 29 lorante. Ancora qui adunque le vie di secrezione sono le vie sanguigne venose e non punto le vie linfatiche come credeva Stilling. Questa disposizione e natura diversa delle cellule della sostanza midollare è in rapporto alla natura ben di- versa ed alla diversa origine di queste cellule: da quella delle cellule che costituiscono la parte corticale. Difatti pochi autori M : Mihalcowics, Ianosik, Valenti, Grottscuti — fanno derivare la sostanza midollare delle capsule surrenali dal medesimo abbozzo dell’epitelio ce- lomatico che dà origine alla corticale: ma i più — Bal- four, Van Wyhe, C. Rabl, Diamare, Weldon, Offmann, Fusari, Kélliker, Mitsnukuri, Inaba, Kohn, Wissel, Giacomini, etc., ritengono che la sostanza midollare non abbia la mede- MiHaLcovies G. Unters. ub. die Entwicklung des Harn. und. Geschlectsap- parates der Annioten Internat. Monatsschr. f. Anat. und. Hist. BA. Il. 1885. IANOSIK I. Bemerkungen iber die Entwicklung der Nebennieren. Arch. Wink. Anat. Bd. 22. 1883. VALENTI G. Sullo svilup. delle caps. surr. nel pollo ed in alc. Imammif. Atti della Soc. tosc. di Sc. Nat. Memorie. Vol. X. Pisa 1889. GorTTscHAUu M. Structur. vu. embryon. Entwikl der Nebenn, bei Scngetk. Arch. f. Anat. u. Physiol. 1883. BaLFOUR F. M. A. Monograph. on the Development of Elasmobranch Fishes. London. 1878. Id. Veber die Entwicklung und Morphologie der Suprerenalkòrper (Neben- nieren). Biolog. Centralbl. Bd. I. 1881. VAN WWJHE I. W. Veber die Mesodermsegmente de Rumpfes und die Entwicklung des Ercretionssystems bei Selachieru. Arch. f. Unik Anat. Bd. 33. 1889. RABL. C. Ub. die Entwicklung des Urogenitalsystems der Selachier. Morph. Iahrb. Bd. 24. 1896. DIAMARE V. Mem. di Mat. e di fisica della Soc. Ital. di Sc. S. 3. T. 10. Id. Sulla costituz. dei gang. simp. negli Elasmobr. e sulla monf. dei nidi cellul. del simp. in generale. Anat. Auz. Bd. XX. 1902. WELDON W. On the supravenal bodies of Vertebrata. Quart. Journ. of mier. Sci. N. S. Vol. XXV. 1885. HoFrFMANN C. K. Zur Entwicklungsgesch der. Urogenitalorg. bei der Reptilien. Zitschr. fur wiss. Zool. Bd. 48. 1889. FusARI R, Contrib. allo stud. dello svil. delle Caps. Sur.e del simp, Arch. Sc. Med. V. 16. 1892. MITSUKURI K. On the developp. Of the Suprarenal bodies in Mammatlia. Quart. Journ. of. micr. science. Vol. 22 1882. INABA. Notes on the develop. or the suprar. bodies in the mouse. Journ. of the College of Science Imperial Universit. Tokio. Vol. IV. p. 1. 1891, 30 RINALDO MARCHESINI sima origine della corticale cioè dall’epitelio celomatico ; sibbene derivi invece dagli abbozzi dei gangli simpatici. Stante questa origine della sostanza midollare fu per molti facile concepire l’idea che queste cellule fossero anch'esse di natura nervosa: Kohn, Smirnow, H. Rabl, Guarnieri, Magini — ma oggi non vi è più dubbio di do- verle ritenere, come si è detto, col Giacomini e col Dia- mare quali vere cellule epiteliali secernenti, di semplice origine neurale. E queste due sostanze per origine e funzionalità di- verse, sì mantengono sempre tali e non arrivano mai a formare insieme una unità funzionale ; perchè oltre l’a- verle trovate dagli autori totalmente separate in animali adulti di scala inferiore, io posso aggiungere d’aver tro- vato nei conigli appena nati che questa fusione non si è ancora completata senza alcuno scapito dell'organismo in- tero. Le cellule offrono ancora in questo momento una differenza essenzialmente notevole. Le cellule della so- stanza corticale sono grandi a grosso nucleo e sono riu- nite a formare vere colonie epiteliali con nucleo e proto- plasma poco colorabile. Le cellule della sostanza midol- lare non presentano ancora la disposizione di un vero epitelio, sono sparse e frammiste a vasi ed a lacune san- guigne, con nucleo fortemente colorabile e con proto- plasma quasi del tutto incoloro. Il loro aggruppamento simulerebbe quello di linfociti mononucleati, e ciò po- trebbe farci ritenere, che gli ammassi di leucociti mono- nucleati riscontrati da Oppenheim R.e M. Loeper, HATTGUN, AxnpERSHONN, Guyesse, Stilling etc., siano da riguardarsi KoHN A. Ueb. der Ban. u. Entwickl der sog. Corotisdritse. Arch. f. Mik. An. Bd. 56. 1900. WIESEL I. Ued. die Entwickl der Nebenn des Schweines besonders der Mark substaug. Anat. Helf. Abth. I. H. 50 (Bd. 16. H. 1) 1901. SMIRNOW A. Die structur der Nervenzellen in Sympathic. der Amphibies. Arch. f. mikr. Anat. Bd. 35. 1590. GUARNIERI I. e MAGINI G. Studio sulla fine struttura delle capsule surrenali. Atti della R. Accademia dei Lincei 1888. OPPENHEIM R. E M. LOEPER. Arch. de medec. experiment, N.3. 1901, ga ni E. te È e De - A trata ” è, Le le - te ira Ata Vola ATER pt CONTBIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI dl piuttosto come piccoli residui di questa massa fetale non trasformata ulteriormente in vere cellule epiteliali. Di lato di queste formazioni esiste il ganglio, come abbiamo già visto, il quale manda propagini che si met- tono in rapporto diretto con la sostanza midollare. In tuttociò abbiamo la dimostrazione istologica evidente della differenza che esiste fra queste due parti, corticale e mi- dollare ; di più rispetto al sistema nervoso ci dimostre- rebbe come è che essenzialmente nella sostanza midollare si riscontrino le masse gangliari. Giacchè questi gangli, che si riscontrano nella sostanza midollare sarebbero gangli come ho detto più innanzi, pervenuti dall’esterno come propagine di quelli pericapsulari, e non sarebbe affatto un derivato dell'epitelio neurale che va a formare la so- stanza midollare delle capsule surrenali. Ciò sarebbe un altro argomento contrario alle vedute di quegli autori che ritennero le cellule midollari di na- tura nervosa. Anche la fisiologia oggi è venuta in soccorso a dimo- strarci la grande differenza che esiste tra le due sostanze, corticale e midollare ; giacchè ha riscontrato che ognuna ha una secrezione tutta propria e di natura differente. Per la sostanza corticale Alexander, Lubowsch e P. Mulon avrebbero trovato un composto simile alla lecitina ed altri materiali neoplasmatici, Giacomini, Guyesse, Bon- namour. Per la sostanza midollare e propriamente per la sostanza cromoaffine Vulpian e Muhlman avrebbero tro- vato un composto simile alla pirocatechina ; O. Furth si- mile all’idrodioxipidina: Abel simile alla epinefrina. E ALEXANDER C. Untersuch. ub. die Neben. und ihre Berichung zum nerven sust. Zieglers Beitr. Z. pathol. Anat u. Allgem. Pathol. Bd. 11. 1891. LuBowscH 0. Beitz sur Histol. der von Uebennierenkeimen... Virch. Ar. Bd. 135. 1894. Id. Zur Entwicklungsgesch Histol. una Physiol. der Nebenn-Ergbend. d. spec. pathol. Morphol. u. Physiol. des Meuschen. BoNnNAMOUR S. Recherches hist. sur la secret. des. caps. surr. C. R. de l’Assoc. des Anatomistes. 4% Ses. Montpellier 1902. O. v. FURTH. Zeitschr. f. phys. Chemie, 1897 e 1899, ABEL. Ibid. 1899. 92 RINALDO MARCHFSIN che oggi estratto come principio attivo va sotto il nome di adrenalina o di paraganglina secondo il Vassale. Di queste due differenti secrezioni quella riferibile alla sostanza corticale avrebbe un'azione sulle funzioni sessuali: Valsalva, Haller, Merkel, Creighton, Stilling, Gia- comini..... ; quella riferibile alla sostanza midollare avrebbe una potente azione sul tono vasale (cuore, arterie). Kohn, e tanto che oggi si adopra in medicina come potente e- mostatico. Secondo poi le ultime ricerche di N. Pende, esposte nella sua tesi di laurea fatta sotto la direzione del Prof. Bi- gnami, la vera funzione esplicata nell’organismo da questa secrezione sarebbe quella di regolare la pressione san- gsuigna, per virtù di un autogoverno della propria funzione. VASSALE E ZANFROGNINI. Atti del 1° congr. delle Sc. It. di Patin Torino. Ott: 1902: Id. IA. Soc. mel. di Modena. 13 feb. 1903. HALLER. Elementa physiologica. 1858. N. PENDE. Le alterazioni delle capsule surrenali in seguito alla resezione dello splancuico e del plesso celiaco, Tesi di Lvura - Roma 1903. i ISTITUTO D'ANTROPOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA diretto dal prof. G. SERGI Su due grosse ossa worniane del palato duro NOTA COMUNICATA ALLA SOCIETÀ ZOOLOGICA ITALIANA con sede in Roma dal Dottor Ugo G. Vram libero docente e assistente In un cranio umano della probabile età di 10 o 11 anni, proveniente da Sezze (provincia di Roma) e segnato col n. 597 delle collezioni di questo Istituto, ho osservato una formazione dello scheletro palatino che è rara a vedersi, e perciò decisi di illustrarla. Il palato misura 29 mm. di lunghezza e 27 di .lar- ghezza misurata fra i margini interni degli alveoli dei 1” molari. Denti decidui non si trovano più, e dei denti per- manenti è del tutto spuntata la corona del primo molare di destra, i due 2' molari emergono appena dall’alveolo, un premolare di destra è ancora nell’ alveolo, gli altri alveoli vuoti ci mostrano che le radici dei denti perma- nenti non erano ancora sviluppate, e che molte erano an- cora nell’inizio del loro sviluppo. In questa figura si vedono le due ossa wormiane nel centro del palato duro, che articolansi fra loro lungo la linea mediana, ai lati con le apofisi palatine del mascellare, posteriormente con le lamine orizzontali dell’osso palatino. L’osso Wormiano di destra (a sinistra del lettore) è diviso in due da una sutura. Questo disegno è tratto dal naturale dal mio ottimo amico Dr. Ugo Tedeschi, al quale rendo sentite grazie, Ballettino della Società Zoologica Italiana 3, 7 4 UGO G. VRAM Le ossa inframascellari stan sviluppandosi ed al lato destro vi è una certa irregolarità. Queste ossa viste dalla volta palatina, si articolano lateralmente mediante suture con le apofisi palatine del mascellare, e col loro margine posteriore con due grosse wormiane che ora descriverò. Le due ossa wormiane in discorso si trovano situate ai due lati del rafe mediano, anzi articolando fra loro for- mano esse stesse questo rafe in tutta la sua lunghezza, cioè dal bordo posteriore del foro incisivo alla sutura pa- latina trasversa. Esse ossa si articolano posteriormente col margine an- teriore della lamina orizzontale delle ossa palatine per un tratto di 11:5 mm.; lateralmente si articolano con le apo- fisi palatine del mascellare e si restringono verso il lato anteriore o facciale del palato ; la loro forma è irregolare ; quello di destra è diviso in due porzioni da una sutura che va dalla sutura trasversa palatina (bordo posteriore del wormiano nel nostro caso) da poco più dilmm. a destra del rafe mediano, all’articolazione del detto osso wor- miano con l’apofisi palatina del mascellare. L’osso wormiano di destra misura 13 mm. lungo il rafe mediano, e © mm. lungo la sutura trasversa, quello di sinistra rispettivamente 14 e 6:5, le ossa che formano la volta palatina sono coperte di piccolissimi forellini. Il teschio è ben provvisto di ossa wormiane anche in altre parti. Ossa simili furono osservate altre tre volte soltanto : due volte dall’illustre anatomico Calori (1), una dal mio collega prof. Giuffrida Ruggeri (2), e questo ora descritto è il quarto caso. La formazione di queste ossa wormiane deve attri- buirsi a punti di ossificazione in più in quelia parte della (1) L. CALORI. Delle anomalie più importanti di ossa, vasi ecc. Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. S. II Tom. VIII, 1869. — IL. CALORI. Sull’anatomia del palato duro, id. id. S. VIII, 1892. (2) Dr. V. GiurFRIDA-RUGGERI. Osso nasale bipartito, post-frontale e altri wormiani nello scheletro facciate. Monitore zoologico italiano, Anno XII, N-9. 1901 SU DUE GROSSE OSSA WORMIANE DEL PALATO DURO 35 volta palatina che normalmente è formata dalle apofisi palatine del mascellare, e credo di potere arrischiare l’i- potesi che queste ossa crescendo più di quello che lo spazio nel quale sono rinchiuse glielo conceda, prendono una forma o concava o convessa e se convessa costitui scono la ben nota anomalia denotata col nome di toro palatino. UN CASO DI SALDATURA DELL ATLANTE CO.N- L'OCCIPIT:ALE CIN CUN- CINO:GERTIOO Comunicazione alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma del prof. UGO G. VRAM Saldature dell’atlante con l’occipitale in crani umani sono state osservate per la prima volta dal Morgagni e dopo di lui molti altri ne osservarono e ne descrissero dei casi. Romiti, Tenchini, Fusari, Zoia, Calori, Vram, Mingazzini, Luska, Phoebus, Hirtl, Lambl, Gurl, ed altri, danno delle descrizioni di casi di sinostosi dell’occipite coll’atlante in cranii di differenti provenienze. e di differenti. età. Bo- ckshammer crede trattarsi in certi casi di sinostosi con- genita, e paragonando la sinostosi dell’atlante con l’occipi- tale, con la sinostosi del sacro con l’ultima vertebra lombare, ammettendo la teoria vertebrale nella formazione del cranio, crede di vedere nelle due masse formatesi da fusione di vertebre, cioè nel cranio e nel sacro, una certa tendenza ad assimilarsi altre vertebre che normalmente sì trovano libere. La figura è ridotta o 213 della gr. naturale, il nero rotondo indica il foro occipitale attorno ad esso si vede l’atlante saldato coll'osso occipitale. Il disegno fu eseguito dal naturale dal mio ottimo amico Dr. Ugo Tedeschi al quale rendo sentite grazie, tia Mid - UN CASO DI SALDATURA DELL'ATLANTE 37 Senza entrare in discussioni dirò che questa teoria poco mi persuade e che fra molti casi descritti e che io stesso ho potuto vedere, si trovano è vero degli individui giovani, ma neonati o di qualche anno di età non nè vidi e non so che fossero descritti, ciò che dovrebbe trovarsi se dette sinostosi fossero congenite. Ma non è per sollevare nuove discussioni che io pre- sento questo caso, gli è perchè semplicemente si tratta di un caso nuovo, non avendo sinora trovato descritto nes- sun caso di sinostosi atlanto-occipitale in crani di scimmie. Il teschio che qui presento è di un cinocefalo, proba- bilmente babuinus ; esso misura inlunghezza 92,5 mm., ha una larghezza biparietale di 69,00 mm. e l'altezza dal basio al bregma di 63,00 mm. Lo scheletro facciale devia verso il lato destro e possiede ben distinti gli ossicini naso-frontali (Maggi). L’atlante è del tutto saldato coll’occipitale, cosicchè per questo caso si potrebbero ripetere le parole del Mor- gagni « ut unum idemque os essent tum ea vertebra, tum occi- pilium ». Le due apofisi articolari superiori sono del tutto sal- date coi condili occipitali, cosicchè non vi è nemmeno traccia di divisione; nel centro fra le due apofisi vi è un foro rotondo costituito dalla incavatura che trovasi sull’arco anteriore dell’atlante fra le apofisi articolari superiori, e dall’incavatura che trovasi sul basioccipitale fra i due condili. Queste due incurvature costituiscono nel nostro esemplare un foro rotondo che è molto più stretto di quello che si forma normalmente per l'articolazione dell’atlante coll’occipitale. Inferiormente a questo foro troviamo il tubercolo an- teriore bene sviluppato, sporgente all’ingiù oltre il margine inferiore dell’arco anteriore. Assimmetricamente sono disposte le due faccette arti- colare degli omonimi condili inferiori, quella di destra pìù grande e più concava di quella di sinistra. Queste due fac- cette vicinissime fra loro, dal lato anteriore non sono distinte per nulla dalla ristretta porzione d’arco anteriore, sul quale non sì nota la solita faccetta articolare per il dente del- 88 UGO G. VRAM l’epistrofeo. La faccetta di sinistra tocca col suo margine interno la faccetta articolare del condilo occipitale che sporge un po’ sul detto margine e fra questi vi è un solco leggero. A lato di destra nulla si trova di tutto ciò, continuan- dosi faccette articolari superiori e faccie interne del con- dilo occipitale. Le due apofisi non presentano nessuna particolarità. Sull’arco posteriore si vede il tubercolo posteriore volto in su, e quasi appoggiato all'osso occipitale ; sul mar- gine superiore della metà sinistra dell'arco posteriore si trova una proliferazione ossea che rende maggiore il con- tatto fra l’atlante e l’occipitale. Le misure dell’atlante sono: Massima larghezza fra gli apici delle zigapofisi 34 mm. Massima larghezza interna 12 mm. Diametro antero posteriore interno 15, esterno 25. Altezza dell'arco anteriore al centro 8, altezza alle a- pofisi 9? CITI en LA FAUNA MALAGOLOGICA DEL PLIOCENE SUPERIORE bE.l-=BELGTO e quella postpliocenica dell’ Italia meridionale Nota comunicata dal dott. Gruseppe De STEFANO alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma L’anno scorso mi trovai per alcuni giorni a Bruxelles, e, grazie alle cortesie usatemi da E. Van den Broeck, con- servatore nel Real Museo di Storia Naturale del Belgio, ebbi agio di osservare le belle e ricche collezioni terziarie di tale regione e di fare qualche escursione nel classiso bacino pliocenico d’'Anversa. Dall’osservazione dei fossili che s'incontrano nel terziario superiore del bacino di An- versa mi convinsi che un confronto fra la fauna malaco- logica studiata da Dujardin, Nyst, Van den Broeck, etc., e quella del postpliocene dell’Italia meridionale peninsulare ed insulare mi avrebbe permesso alcune notevoli osserva- zioni, le quali varrebbero a provar meglio alcune mie idee di paleogeografia, altra volta emesse (1). In questo lavoro espongo le su accennate osservazioni. % K k Il piano Scaldisien Dumont è un orizzonte superiore del pliocene, costituito, secondo laut., dagli ultimi depo- siti pliocenici del Belgio (eccetto quelli del Poederlien, ag- giuntovi dopo) consistenti nelle cesì dette sabbie superiori di Anversa a Trophon antiquum (Fusus contrarius) ed Iso- cardia cor, abbastanza noti per i prodigiosi avanzi di Ce- tacei rinvenutivi. In effetti tale piano dovrebbe corrispondere al Red. Crag dei geologi inglesi ed all’Astiano dell'Italia. Dumont ————_——____— (1) DE STEFANO GIUSEPPE, Paleogeografia postpliocenica di Reggio-Cala- bria. Atti d. Soc. Ital. di Scienze Nat. e d. Mus. Civico di Milano. Volume XXXVIII, 1899. 40 GIUSEPPE DE STEFANO estendeva anche lo Scaldisien alle sabbie medie di Anversa, con le quali si è inteso modernamente di costituire un piano inferiore col nome di Anversiano o Bolderiano, che nella recente carta geologica ufficiale del Belgio rappre- senta il Miocene (1). Il piano Poederlien di Vincent è formato dalle sabbie a Corbula striata, superiori allo Scaldisien, e per conse- guenza rappresenta nel Belgio, stratigraficamente parlando, l'orizzonte più alto del pliocene (2). In Italia, esso equivar- rebbe, stando all'ordinamento dato dal Seguenza G. alle formazioni terziarie della Sicilia e della Calabria, al piano Siciliano del Doderlein (3). | La leggenda della nuova carta geologica del Belgio (1892) non fece da prima menzione di un piano Poederlien, ma incluse le sabbie a Corbula striata in capo al piano Scaldi- sien, sopra alle sabbie a Trophon antiquus ; però nella se-. conda edizione il Poederlien fu ristabilito sopra allo Scal- disien (4). Ciò posto, si può ben comprendere quale significato ed importanza abbia la fauna malacologica dei due oriz- zonti, perchè essa meriti di essere esaminata partitamente. Gli elenchi di ciò che si è determinato fino al giorno di oggi nello Scaldisien e nel Poederlien del bacino di An- versa ci sono stati dati ultimamente dal Van den Broeck (9), e da essi si deduce quanto segue. (1) MouRLON M., Géologie de la Belgique Bruxelles, 1881, Tom. II, pagine XIV. — Carte géologique de la Belgique. Legende dressée par ordre du Gou- vernement à l’échelle de 40.000. Bull. d. la Soc. Belg. de Géol., de Paléont. et d’Hydr., Tome VI, 1892. (2) VINCENT E. G., Documents rélatifs aux sables pliocèn. à Chrysodomus contraria d’ Anvers. Ann. Soc. Malac. de Belg. Tom. XXIV, 1887. (3) SEGUENZA G., Le formazioni terziarie della prov. di Reggio (Cala- bria). Mem. d. R. Acc. d. Lincei, Roma, 1880. (4) Carte géologique de la Belgique. Légende à l’échelle de 40,000 dressée par ordre du Gouvern., 2.e édition. Bull. de la Soc. Belg. de Géol,, de Pa- leont. ed d’Hydr., tom. X, 1806. — BoTTI U., Dei Piani e Sotto-piani in Geo- logia. Seconda ediz. Reggio-Calabria, 1898, pag. 292, (5) VAN DEN BROECK E., Mutériaux pour la connaissance des dépòts plio- cènes supérieurs rencontrés dans les derniers travaue de croisements des bas- sins maritimes d’ Anvers. Bull: d. la Soc, Belg. de Géol., de Pal. ete., 1892, Tom. VI, pag. 86-148. 39 4 x LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 41 Fra le 194 specie di Molluschi dal sopra nominato au- tore elencate come appartenenti agli strati pliocenici a Chrysodomus (Fusus) contrarius, ben centoventitrè sono vi- Venti, e tutto il resto estinte. Di quelle viventi, parte, oggi, si trovano nei mari settentrionali e nello stesso tempo in quelli meridionali, compreso il Mediterraneo. Alcune però ben poche, nell’attualità sono proprie dei mari settentrio- Wi nali: le cito: Buccinopsis Dalei Sow., Cyprina islandica L., Nassa granulata Sow., Pecten tigrinus Mill., Emarginula crassa Sow., Fusus gracilis Da Costa. Lepeta coeca Miùll., Altre specie ai nostri giorni abitano esclusivamente nei mari meridionali, come : Drillia crassa Bell., Tornatella No@ Sow., scaerisputa;Jan., Ringicula buccinea Brocchi, Natica millepunctata Lam., Limopsis anomala d’Eichw., Turbonilla internodula Wood, Diplodonta rotundata Mont., i Turritella incrassata Sow, Voodia digitaria Linn., | Fossarus lineolatus Wood, Carditascorbis.Phil Tutte le specie elencate dal Van den Broeck che ora sono viventi nel Mediterraneo, sì trovano nei depositi post- pliocenici dell’Italia peninsulare ed insulare ; e fra le specie nell’attualità confinate nei mari circum-polari, vi sono il Buccinum undatum e la Cyprina islandica, le quali carat- terizzano quasi tutti i depositi postpliocenici più antichi nell'Italia e nell'isola di Rodi. Fra le specie del bacino di Anversa più frequenti, ‘sia estinte che viventi, e rappresentate da un abbondante nu- mero di esemplari, ve ne sono molte — la maggior parte - - le quali si trovano comunissime nel postpliocene della Ca- labria occidentale e della Sicilia. Cito, ad esempio : Fusus elegans Charl., Natica catena Da Costa, Murex muricatus Mont., » Intermedia Phil, Terebra inversa Nyst., Odostoma conoidea Broce., Nassa semistriata Brocc., Turbonilla semistriata Wood, . Cassis saburon Brog,, ” Puja Phil. PSI Columella sulcata Sow., Eulima polita Linn., 42 GIUSEPPE DE STEFANO Pleurotoma intorta Brocc., Eulima subulata Donav,., » costata Da Costa, Eulimella (Melania) avicula » brachystoma Phil., lacvigata Phil., Drillia crassa Bell., crispata Jan., Cypraea europaea Mont., Natica millepunctata Lam., Trochus solarium Nyst, » Montagui Wood, Fissurella graeca Phil., Emarginula crassa Sow., Calyptraea chinensis L., Capuius ungaricus L., Dentalium costatum Sow., » vulgare Da Costa, Philine scabra Mull., Cylichna cylindracea Penn., È umbilicata Mont., Tornatina (Utriculus) trun- cata Mont, Scaphander lignaris L., Ostrea edulis (var.) L., Anomia sltoriata Brocc., ” ephippium L., Pecten opercularis L., Mytilus edulis L., Pecten pusio L. Notevoli, e degne di essere qui elencate, sono le specie che appaiono come nuove negli strati sabbiosi a Chryso- Phib, Triforis (Cerithium) perver- suse, Chenopus pes-pelicani L., Turritella incrassata Sow., Vermetus intortus Lam., Scalaria frondicula Wood, Trochus ziziphinus L., ” nodiliferus Wood, Pectunculus glycimeris L., ” pilosus L., Nucula laevigata Sow., nucleus L., Cardium edule L., Lucina borealis L., Diplodonta rotundata Mont. Astarte mutabilis Wood, È sulcata Da Costa, Cardita corbis Phil., Venus casina L., » Imbricata Sow,, » ovata Penn, e cchione 49 Cytherea rudis Poli, Artemis exoleta L., lincta Pult. Tapes edulis Chemn., Mactra subtruncata Da Costa, Latraria elliptica Lam., Tellina donacina L., Donax polita Poli, Psammobia ferrensisChemn., Solen siliqua L., »-. ensis L. x e “i nia i trent 24 di Ò x 4 » lt aL ri etneo pacata) MT. ” LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 43 domus contraria del bacino .di Anversa: molte fra esse, «non solo si trovano nel pliocene classico dell’Italia, vale a dire, nel piano Astiano Pareto, ma si rinvengono ancora _ nel postpliocene di detta regione. Sono : . Volutopsis norwaegica Chemn., Pleurotoma laevigata Phil., — Drillia crispata Jan., Ostrea edulis (var.) Nyst., __ Nassa intermedia Phil. Diplodonta rotundata Mont., Turbonilla semistriata Wood, Lasaea intermedia \ood, ” cute Phil, Astarte triangularis Mont., È È ia Wood, » parvula Wood, _ Eulimella acicula Phil, Lucinopsis undata Penn., _ Coecum trachea Mont., Tellina obliqua Sow., _ glabrum Mont, Cochloderma complanata — Rissoa obsoleta Wood, Wood, . Philine scabra Phil., Arcinella plicata Mont., . Bulla(Athys) utricula Broc., Pandora pinna Mont., | Tornatina truncata Mont. » inaequivalvis L., Pleriploma praetinuis Pult. L'elenco dei fossili pliocenici riportati dal Van den ‘Broeck (1) come raccolti nell'orizzonte superiore a quello « nominato, vale a dire, negli strati a Corbula striata (Poed- | erlien) del bacino di et a, contiene 153 specie di Mol- luschi, delle quali ottantuno ci sono rappresentate da specie peventi, e le rimanenti, a quanto sembra, sono estinte. — Come si comprende facilmente, facendo un confronto con la fauna malacologica del sottostante piano Scaldisien, nel | Poederlien il numero delle specie estinte aumenta note- | volmente in rapporto alle viventi ed alle specie comples- È sivamente determinate, poichè, là dove negli strati a Chry- - sodomus (Fusus) contrarius (Scaldisien) fra centonovanta- | quattro specie di Gasteropodi, Scafopodi e Lamellibranchi, | centoventitre sono rappresentate da specie viventi e set- tantuno da estinte, nel soprastante e testè considerato | piano Poederlien a Corbula striata, su centocinquantatre | Specie di Molluschi ben settantadue sono estinte, non es- | sendo che sole ottantuno quelle viventi. DI Lay: (1) VAN DEN BROECK E., Loc. cit.; pag. 130-14l. EE PRA 44 GIUSEPPE DE STEFANO Tale fatto è degno di nota quando si pensa che lo. Saldisien è considerato dai geologi del Belgio come più an- tico del Poederlien, il quale è al di sopra, e ci rappresenta il pliocene più recente, da sincronizzarsi col postpliocene più antico dell'italia; ce dovrebbe normalmente accadere, secondo le idee del Lyell, che le specie estinte dello Scal-. disien fossero più numerose di quelle del Poedertien. Quasi tutte le speeie viventi che si trovano nel Poe- derlien del bacino di Anversa, oggi vivono contempora- neamente nei mari settentrionali e meridionali, compreso il Mediterraneo. Poche sono oggi proprie dei mari circum- polari o settentrionali, come, a esempio : Chrysodomus despecta L., Pecten Gerardi Nyst, Buccinopots Dalei Sow., Pecten Islandicus Mùll., Emarginula crassa L., Mya arenaria L. Capulus ungaricus var. si- Cyprina Islandica nuoso Broc., Buccinum undatum L., Altre specie sono oggi viventi solo nei mari meridio = nali, come: Nassa labiosa Sav., Ringicula buccinea Broc., Drillia crassa Bell., Diplodonta astartea Nyst, Natica millepunctata Lam., ” rotundata Mont., Turbonilla internodula Wood, Woodia digitaria L., Turritella incrassata Sow., Venus rudis Poli. Un discreto numero di specie appaiono come nuove. nel Poederlien del Belgio, mentre al contrario s'incontrano non di rado nel pliocene e postpliocene dell’Italia, Sono : Cancellaria viridula Fabr., Cypraea (Trivia) avellana SOW. i Chrysodomus despecta Sour., Nassa intermedia Phil. » “ var.carinata Sars,Eulimella acicula Phil., Nassa reticosa Wood, Scalaria foliucea Sow., » consociata Wood, Rissoa obsoleta Wood, . "i Pleurotoma festiva Hornes, Trochus solarium Nyst, 3 Ringicula buccinea Broc., Venus Casina L., Peclen tigrinus Mùll., = ir 0vata:Penna ” Islardlicus Mull., Mactra subiruncata Da Costa, $ . nes n ha A I LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 45 Cardium nodosum Turton.,, Semele prismatica Mont., Lucina decorata Wood., Cultellus tenuis Phil., Astarte Omaliusi Lajonk, Mya truncata L., » triangularis Mont, Saxicava artica » Burtini Lajonk, Noto, infine, che il complesso della fauna malacolo- | gica del piano Poederlien, vuoi per le specie estinte, vuoi per le specie viventi, è quasi identico a quello del sotto- stante piano Scaldisien; e fra le tante forme che si trovano frequenti in entrambi i piani, cito le seguenti: Murer al- peolatus Sow., Fusus gracilis Da Costa, F. elegans Charl., Buccinopsis Dalei Sow., Buccinum undatum L., Terebra in- versa Nyst, Nassa reticosa Sow., N. elegans Leath, N. pri- smatica Brocc., Natica millepunctata Lam., Purpura lapillus L., Drillia crassa Bell., Cypraea avellana Sow., Natica ca- tena Da Costa, N. intermedia Phil, Chenopus pes-pelicani fL., Rissoa proxima Alder, Trochus ziziphinus L., T. sola- rium Nyst, Capulus ungaricus L. Cylichna cylindracea Penn., Mnomia striata Brocc., A. ephippium L., P. maximus L,, P. opercularis L., P. tigrinus Mùll., P. pusio L., Mytilus e- wiis L., Nucula nucleus L., Lucina borealis L., Cardium edule -L., etc. x RE Dopo il fatto esame una prima questione si presenta «nel precisare se effettivamente lo Scaldisien ed il Poederlien del bacino di Anversa costituiscono due piani distinti. Già io ho fatto notare che la nuova carta geologica del Belgio (1892) non fece da prima menzione di un piano Poederlien* ma iscrisse le sabbie a Corbula striata in capo al piano Scaldisien, sopra alle sabbie a Throphon antiquum. Io ri- tengo che sia più esatto tale ordinamento anzi che quello che si osserva nella seconda edizione della predetta carta geologica del Belgio, nella quale il Poederlien è ristabilito | sopra allo Scaldisien. Di fatti: il complesso della fauna del bacino di Anversa dal Vaden Broeck, e dagli altri geologi a lui anteriori, attibuita al piano Poederlien, indica certa- mente un orizzonte a faczes litorale, ed ha carattere bo- 46 GIUSEPPE DE STEFANO reale. Tale carattere è meno sensibile nel sottostante piano Scaldisien; ma la specie estinte sono in numero rispetta- bile nel Poederlien, il che è da tenersi in, gran conto a- vuto riguardo ai principii adottati del Lyell nella riparti- zione cronologica dei terreni terziarî. In altri termini, la. presenza di Molluschi di specie estinte dovrebbe essere in minor numero nel Poederlien anzi che nello Scaldisien, mentre nella realtà non è così. Le specie che appaiona come nuove nel Poederlien sono quasi tutte le stesse dello Scaldisien; e fra quelle ora viventi nei mari meridionali c'è tale comunanza da non potere sotto tal punto di vista distinguere le due faune. Stratigraficamente si può dire che le sabbie plioceniche a Corbula striata costituiscono un'assise scaldisiana superiore delle tipiche sabbie a Chrysodomus contrarius. Le mie brevi escursioni non aggiungono nulla di nuovo a quanto già si sa in proposito, e debbo render grazie al signor Van den Broeck se in così poco tempo di dimora a Bruxelles ebbi agio di visitare con profitto i celebri dintorni di Anversa, dove una serie di tagli artificiali, operati per lavori por- tuali od altro, mette a nudo la successione dei terreni in quistione. La quale successione dimostra che le sabbie de piano Scaldisien sono variabili di aspetto, a seconda del livello che occupano, ma per lo più hanno color grigio giallastro. Però, mentre gli strati con CArysodomus contra: rius rappresentano le sabbie plioceniche dello Scaldisiano tipico, quelli con Corbula striata, a mio avviso, sono da considerarsi come rappresentanti un'assise scaldisiana su-. periore. Le accennate sezioni lasciano chiaramente osser- vare che le sabbie conchiglifere dello Scaldisiano, conte-. nenti Yrophon antiquum, riposano in concordanza con le sabbie Diestiane ad Isocardia cor, le quali però non sono | visibili in tutte le località. D’ordinario, al banco conchi ‘| eliare inferiore, con Chrysodomus contrarius, sta. sovrap s posto un banco intermediario, contenente qualche conchi- | glia scaldisiana ; alla sua volta, quest'ultimo sopporta gli. strati sabbiosi a 7Aropon. Dette sabbie, inferiormente pos: sono avere l'aspetto di un banco conchigliare, ma in alto | 1 LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 47 sono argillose compatte, o, diventando coerenti e passando dal colore grigio a quello grigio giallastro, contengono dei resti triturati di conchiglie diverse. Tutto questo può os- servarsi nalla sezione visibile all'angolo sud del così detto » bacino Africa » ed in qualche altra località. In alcune sezioni, fra i varî banchi conchigliari dello stesso piano, vale a dire, fra le sabbie scaldisiane più basse con Trophon antiquum (Chrysodomus contrarius) e le sabbie quarzose stratificate, racchiudenti una mescolanza di resti conchi- gliari scaldisiani e di conchiglie fluviatili, stanno interposti dei banchi di sabbia giallastra, o dei banchi di torba a lenti discontinue. In tal caso la sommità dell’orizzonte scaldisiano con Trophon antiquum è coperta da uno strato mobile di sabbia gialla. Una seconda quistione è la seguente: Ammesso che il Poederlien e lo Scaldisien del bacino di Anversa ci rap- presentano due assisi o due facies di uno stesso piano, si verifica il fatto che in detto piano si osservano alcune specie caratteristiche del pliocene inferiore, anzi, da qual- cuno credute fin proprie del miocene, le quali non giun- sero all’epoca nostra, ma si estinsero in gran parte nella prima e seconda metà del postpliocene. Delle così fatte specie si trovano anche nel postpliocene dell’Italia centrale e meridionale peninsulare ed insulare, ed altrove, quali, ad esempio, sono : Neaera crispata. Scacchi (Monte Pellegrino), Arcopagia corbis Bronn (Valle Biaia, Monte Mario, Rodi), Clavagella bacillum Broc. (M. Mario, M. Pellegrino, Val- lebiaia), Cardium multicostatum Broc. (Vallebiaia, M. Mario Rodi), Arca mytilotdes Broc. (Vallebiaia, M. Mario, Carrubare), Nucula placentina Lam. (M. Pellegrino, Ficarazzi, M, Mario, Rodi), Modtiolaria sericea Bronn. (Vallebiaia, M. Mario), Cancellaria hirta Brocc. (Vallebiaia M. Mario); quindi bisogna ammettere che le circostanze nelle quali si 48 GIUSEPPE DE STEFANO trovò la fauna del Belgio all’epoca del pliocene superiore non furono molto diverse di quelle nelle quali si trovò la fauna dell'Italia all’epoca del postpliocene:; la quale fauna postpliocenica. come ben dimostrò il prof. Carlo De Stefani (1) conteneva uu insieme di parecchi elementi, fra i quali, oltre le già citate forme caratteristiche del plio- cene, anche una serie di specie, che senza essere propria- mente circum-polari, vivevano nell'Atlantico settentrionale, ed emigrarono verso il Mediterraneo. Se a tutto ciò si aggiunge la serie delle forme prettamente polari, che si trovano nel postpliocene dell’Italia. come la Crenella de- cussata Mont., il Pecten islundicus Mill, ecc.. ci si fa una idea delle relazioni paleontologiche di affinità che passano fra i depositi pliocenici del bacino di Anversa e quelli postpliocenici dell’Italia. Dette relazioni di affinità, riepilogando, consistono : 1. In una serie di forme le quali senza essere pro- priamente cireum-polari, vivevano nell'Atlantico setten- trionale, ed emigrarono poi all’epoca pleistocenica verso il Mediterraneo: 2. In una serìc di specie prettamente polari, le quali scese nei tempi andati fino nel Mediterraneo, oggi non s'incontrano che nei soli mari glaciali. 5. In una categoria di forme che dall’Atlantico sono arrivate nei mari interni del continente europeo, e quivi, tanto nel Belgio quanto in Italia, mescolandosi con quelle indigene, sono rimaste definitivamente, pigliando stabile dimora. 4. In una numerosa serie di forme identiche viventi: 5. In una serie di specie che gli autori del Belgio ritengono come nuove nel loro pliocene superiore, mentre esse sono frequenti nel pliocene e postpliocene dell'Italia meridionale. Ora, a me sembra, che la mescolanza di forme ri- scontrata nelle faune malacologiche del pliocene superiore (1) Sedimenti sottomurini dell’epoca pleistocenica in Italia, Boll. del R, Com. Geologico d’Italia, Roma, 1876. LA FAUNA MALACOLOCICA DEL BELGIO 49 belga e postpliocene più antico italiano debba in massima parte ritenersi causata dai fatti esposti da me altra volta a proposito dei depositi postpliocenici di Reggio-Calabria (1). L'esame anzi della fauna malacologica del pliocene del Belgio, porta nuova luce sull'argomento, avvalora meglio ‘le ipotesi da me fatte nel 1899, e conduce a risultati più generali. Quanto io ho allora scritto, in riassunto, tendeva a dimostrare fra l’altro quanto segue per la serie del post- pliocene marino lungo lo stretto di Messina : a) che la mescolanza di plancton littorale, pelagico ed abissale, la comunanza di specie oggi proprie, dei mari freddi, dei mari caldi e di quelli della zona temperata, le quali si riscontrano nei depositi postpliocenici dei dintorni di Reggio-Calabria, ed in genere in quelli dell’Italia me- ridionale e della Sicilia spettanti alla stessa epoca, è do- vuta all’ alternarsi ed incrociarsi di correnti fredde o polo- boreali, e calde o circum-equatoriali ; b) che tali correnti agirono fin da tempi anteriori all’epoca pleistocenica, poichè non troviamo ancora forme di Molluschi oggi confinate proprio nei mari del Nord e che pur si rinvengono nei terreni del pliocene classico ca- labrese, quale sarebbe il piano Astiano del Pareto ; c) che, vuoi per la mancanza di tracce moreniche lasciate da antichi ghiacciai, vuoi perchè la fauna abissale ha un aspetto uniforme ed alquanto polare, sia nelle re- gioni glaciali, come in quelle temperate o torride degli oceani, il clima fu mite nell'Italia meridionale durante l'epoca postpliocenica. L'esame fatto della fauna malacologica del bacino di Anversa prova in gran parte quanto sopra si è riferito. Di fatti, molte specie che attualmente si trovano solo nei mari meridionali si rinvengono anche nei letti del: pliocene su- periore di Anversa, ed altre che in tale formazione ap- paiono come nuove, in Calabria ed in Sicilia hanno una trasgressione verticale che dal pliocene arriva fino al post- ————_—__—_—_—_ (1) DE STEFANO GIUSEPPE, Paleogeografia postpliocenica di Reggio-Calabria. Atti della Soc. Ital. d. Sc. Nat. Volume XXXVIII, Milano, 1899. Ballettino della Società Zoologica Italiana 4, 50 GIUSFBPPE DE STEFANO ” pliocene superiore, mentre poi il complesso della fauna malacologica (vivente ancora nei mari attuali) dei depositi del Belgio, è identica a quella del postpliocene italiano. Le mie modeste vedute, che da qualcuno potrebbero essere ritenate inammissibili, vengono appoggiate da un recente lavoro del prof. Fritz Frech dell’Università di Bre- slavia, il quale generalizza a diverse epoche geologiche (1) quanto io ho detto per il postpliocene. Detto lavoro è contenuto nelle relazioni fatte al congresso geologico in- ternazionale di Pietroburgo, che io ho potuto solamente lesgere dopo la pubblicazione del mio lavoro, nel 1901. L’egregio Autore, in un primo paragrafo si occupa della delimitazione e denominazione dei sistemi geologici: Ueber Abgrenzung und Benennung der geologischen Systeme. Ora, ecco senz'altro quanto egli scrive: « Die weltweite Ver- breitung der lebenden o Organismen wird dadurch beginstigt, dasseinmal die Gebiete der kalten und warmen Stròmungen sich mit dem Wechsel der Jah- reszeiten um ernebliche Betràse horizontal verschieben. Anderseit treten die arktischen und antarktischen Kalt- wasserformen in der Tiefsee der Aequatorial gegenden, — wie man es schon theoretisch ,erwarten sollte (Frech, N. Jahrbuch, 1892, II, pag. 324) mit einander in Verbindung: Sagitta hamata Moebius ist arcktischen und an Tiefsee der Sargasso-See und des Florida-Stroms gefunden vorden » (2). E più avanti il prof, Frech scrive ancorata Nimmit man fiùr di geologische Vorzeit eine o Differenzirung an, so konnte — wie Tiefsee — die Ver- breitung der polaren Thierforme alhnlich wie heute er- volgen. Waren die klimatischen Zonen schwéacher oder gar nicht ausgepràgt, so erfolgete die Ausbreitung wesentt- lich ungehinderten » (3). (1) Veber Abgrenzung und Benennung der geologischen Schichtengruppen, von Dr. FrITZ FRECH ord. Prof. d. Geologie und Palaeontologie a. d. Universitàt 3reslau. (Congrés géologique international. Compte rendu de la VII session. S Petersburg, 1897). (2) FRECH, Loc. cit, Congrés géol. intern. etc., Trois. partie, pag. 34. (3) FrEcH F., Loc. cît., Congrés géol. ete., Trois part., pag. 34. LA FAUNA MALACOLOGIGA DET BELGIO 51 A dire il vero, la teoria delle correnti equatoriali e boreali fu altra volta ammessa dal prof. G. Seguenza, ma con diversi significati da quelli da me espressi poi. Il Se- guenza dopo avere ammesso la sommersione dei grandi deserti settentrionali del continente africano (1), essendosi perciò comunicazione vasta e diretta fra l’attuale Medi- terraneo ed i mari tropicali, ritenne che, tale topografia, influendo sul nostro Mediterraneo, le calde correnti ne in- nalzassero la temperatura, trasportandovi specie di quei climi. Col progredire poi delle terre e dell’emersione, le comunicazioni divennero più difficili, si assottigliarono, finchè cessarono del tutto le comunicazioni coi mari caldi, e quella con l'Atlantico potè stabilire le attuali condizioni di temperatura. Riguardo poi alle correnti il prof. Carlo De Stefani accenna (2) al modo assai verosimile usato dal Seguenza per spiegare la presenza delle forme tropicali; ma non ercde2icome ‘io gia ebbi a dire Paleog.. postplioc. di Reggio ecc.), che il quaternario di Reggio-Calabria possa dividersi in due zone distinte a seconda che gli strati rac- chiudano forme boreali o forme tropicali : ed ammettendo egli sincronismo per la trasgressione di tali forme, ecco come sl esprime in proposito : « Allo sviluppo grandioso dei ghiacciai nel continente corrispondono abbassamento di temperatura nei mari ed in tutta la regione circostante, emigrazione dai mari di specie e di generi tropicali pur tuttavia viventi nei mari più caldi ed invasione di specie, e fin di generi, schietta- mente polari, discesi dal settentrione dove pure rimasero i loro contratelli, od estinti addirittura nel Mediterraneo, quando i ghiacciai si ritirarono ed il clima tornò tempe- rato (3) », Ma su quanto aveva scritto il compianto paleontologo (1) SEGUENZA G., Le formaz. terz. della prov. di Reggio-Calabria, pag. 3SI. (2) Escurs. scient. nolla Calabria ecc,, Mem. d. R. Ace. dei Lincei, Roma, 1882, pag. 249. (3) DE STEFANI CARLO, Loc. cit, pag. 245, 52 GIUSEPPE DE STEFANO (i lei de ARE AA messinese, si può notare : 1° che egli ci ha dato spiega- zione del come si trovano nei terreni post-pliocenici ca- labresi specie tropicali, ma non ba detto come avvenne l'emigrazione di quelle polo-boreali; 2° che egli ha am- messo che la trasgressione delle forme polo-boreali sa- rebbe avvenuta prima di quelle circum-equatoriali o tro- picali. Reggio-Calabria, giugno del 1903 ISTITUTO ZOOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA diretto dal Prof. A. CARRUCCIO DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO Osservazioni e studio Comunicati alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma dal socio VALENTINO BARNABÒ ——___- In questa mia nota descrivo con maggior ampiezza ed esattezza alcune osservazioni che ebbi occasione di com- piere in una serie di dissezioni praticate all’ ospedale di Santo Spirito in Roma, le quali osservazioni comunicai già alla Società Zoologica Italiana nella seduta scientifica del dicembre scorso. Mi mancava allora il tempo necessario per uno studio accurato come lo richiedono fatti anormali di tanto interesse, sia dal punto di vista teorico della Morfo- logia in tutta l'estensione del termine, sia dal punto di vista pratico per le applicazioni alla Chirurgia. Ma ora spero non inutile il riesaminare attentamente queste di- sposizioni anomale, per darne, se mi sarà possibile, un concetto esatto. Le anomalie, che più facilmente si sogliono riscon- trare nelle sale anatomiche, appartengono al decorso e al comportamento delle arterie e delle vene, oppure al sistema muscolare; molto più rare invece sono quelle riguar- danti il decorso dei nervi. E ciò per una ragione scienti- fica, perchè in quella regione del corpo, dove l individuo per i varii bisogni e per le applicazioni speciali della vita ha necessità di compiere uno speciale movimento e in ge- nere uno speciale lavoro, si sviluppano più robuste le masse muscolari, e si ha un’ipertrofia e un’ iperplasia, un aumento cioè notevole non solo nel volume ma anche nel bi VALENTINO BARNABÒ numero degli elementi costitutivi. Altrettanto si può dire per i vasi, che si formano dappertutto dove |’ organismo li richiede. E mentre queste anomalie, dette perciò acqui- site, sono le più notevoli, quelle cong?rite, dovute a uno sviluppo manchevole o irregolare ontogenetico, sono meno frequenti, ma pur tuttavia abbastanza facili. Per i nervi invece è tutt'altra cosa, perchè essi servono a narrare la storia dei territorii innervati. Così un muscolo che, come ad esempio, il diaframma, si trovava in un periodo dello sviluppo nel collo e poi per emigrazione inerente allo svi- luppo si porta al disotto del torace, riceve sempre il suo nervo dalla regione del collo; e così un viscere, come lo stomaco, che una volta faceva parte del piano viscerale del cranio e secondariamente viene a trovarsi nella cavità addominale, riceve un nervo dal cranio. Ma vi è di più: il nervo che perciò è costretto a percorrere una via piil lunga, ha la caratteristica di seguire la strada più corta per giungere a destinazione, modificandosi naturalmente nel proprio comportamento a seconda di ciò che incontra nel suo nuovo cammino, dal qual fatto provengono spe- cialmente le anomalie. Ho ricordato questo che parrebbe superfluo, per far notare di quanta maggior importanza sia lo studio delle anomalie del sistema nervoso periferico rispetto a quelle degli altri sistemi anatomici. Ed ora passo senz'altro ad esaminare ciò che ho riscontrato nell’ ospe- dale di Santo Spirito. % xk In un uomo di masse muscolari molto sviluppate ho avuto occasione di notare uno speciale comportamento del nervo chiamato dal Testut genito-crurale, dal Cruveilhier inguinale interno, dal Sappey e dall’Henle femoro-genitale. Ed era un comportamento così strano che si notava a colpo d'occhio ed eccitava la naturale curiosità dell’osser- vatore. Come si sa, nei casi normali questo nervo, quarta branca collaterale del plesso lombare, ultima secondo al- cuni, penultima secondo il prof. Todaro e secondo altri è ee Dl (dae (Sii DÌ DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO che considerano come collaterale anche il nervo ottura- torio, si distacca dal ramo anteriore del II paio di nervi lombari. Dopo aver perforato il muscolo grande psoas obli- quamente dall'alto al basso e dall’indietro all’ avanti, sci- vola lungo la faccia anteriore del muscolo stesso su cui è tenuta aderente dall’aponevrosi fine e trasparente che vi è sopra, e quindi, postasi in avanti delle arterie iliaca pri- mitiva e iliaca esterna, si divide un poco al di sopra del legamento di Falloppio o ponte di Poupart in due rami terminali, detti luno ramo geritale o spermatico esterno, e l’altro ramo crurale, o femorale, o lombo-inguinale. Il primo, il genitale, si porta nell'uomo verso l'orificio addominale del canale inguinale, lo percorre e si distribuisce alla pelle dello scroto dopo aver innervato anche il trasverso, il pic- colo obliquo e il cremastere suo omologo; nella donna si porta invece nelle grandi labbra. Il secondo invece, il fe- morale, incrocia l'arteria circonflessa iliaca, esce dal ba- cino per il lato esterno del cosiddetto anello crurale, e arrivato nel triangolo di Scarpa in un piano più superfi- ciale del triangolo di Velpaux, si distribuisce alla fascia cribriformis e alla pelle della parte anteriore e superiore della coscia. Ma nel caso da me esaminato era tutto ben differente, perchè il nervo sin dall’ origine era diviso in più rami. Anzi sulla faccia anteriore del muscolo psoas si notava come una specie di plesso addirittura formato dalle branche di questo nervo, tenute in sito dall’ aponevrosi sopra no- tata, e incrociate superficialmente nel loro insieme, come nei -casi normali, dal lato posteriore dell’uretere. A formar questo plesso concorrevano 5 rami che si possono chia- mare afferenti e un ramo anastomotico dato dal nervo detto femoro-cutaneo da alcuni, muscolo-cutaneo inferiore dal Bichat, inguino-cutaneo esterno dallo Chaussier, e in- guinale esterno dal Cruveilhier. E da questo plesso si di- partivano 3 rami, che diremo efferenti, a comportamento del tutto speciale. Ed è bene esaminarli con chiarezza uno per uno, cominciando dalle branche afferenti. Il primo ramo afferente, o superiore, perforava il mu- 56 VALENTINO BARNABÒ scolo in alto e indietro presso al punto in cui si origina con linguette ed arcate tendinee dai dischi intervertebrali, e sl portava subito in basso e in avanti lungo la faccia anteriore del muscolo stesso per anastomizzarsi con un ‘amo speciale fornito dal femoro-cutaneo. Il secondo, il terzo e il quarto ramo perforavano il muscolo un po’ più in basso, e dopo un breve tragitto, si fondevano insieme per costituire un'unica branca, che incrociava ad X la pre- cedente. Finalmente il quinto ramo non perforava il mu- scolo, ma appariva subito al di fuori del suo margine in- terno, che costeggiava fedelmente. Il nervo femoro-cutaneo poi mandava un ramo, il quale si distaccava dal suo lato interno, scivolava sul margine esterno del muscolo psoas e arrivato sulla sua faccia anteriore, si fondeva col primo ramo afferente del genito-crurale, seguendo una direzione obliqua dall’alto in basso, dal di dietro in avanti. Ora da questa specie di plesso che si mostrava come costituito da tanti cordoni bianchi sulla faccia del muscolo, si diparti- vano tre rami, di cui due superficiali e uno profondo. Il primo ramo efferente superficiale era quello costituito, come abbiam detto, dalla fusione della seconda, terza e quarta branca afferente; esso si portava in basso e all’ esterno incrociando ad X la branca efferente profonda, ed arrivato al di sopra del margine esterno dello psoas, tra questo muscolo e l’iliaco, si divideva in due rami, uno esterno e uno interno. Il ramo esterno portandosi appunto all’esterno, andava verso il nervo femoro-cutaneo, lo incontrava a li- vello di quella incisura innominata posta tra la spina iliaca anteriore superiore e la spina iliaca anteriore inferiore, lo incrociava senza incontrare alcun rapporto intimo con esso, e portandosi poi più superficialmente in basso, si distri- buiva alla pelle della regione antero-esterna della coscia nella parte superiore, e all'infuori del ramo femorale del nervo femoro-cutaneo. Il ramo interno invece sì portava direttamente in basso lungo la direzione del margine e- sterno dello psoas, ma più superficialmente al di fuori del nervo crurale, e, arrivato all’arcata crurale, si divideva in due filetti che si distribuivano alla fascia cribriformis RE” VT, DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 57 e alla pelle della parte anteriore e superiore della coscia. Il secondo ramo efferente era invece profondo, e risultava costituito dal primo ramo efferente e dall’anastomosi del femoro-cutaneo. Esso seguiva la direzione stessa del ramo anastomotico, e si portava subito in basso e in den- tro fino ad incontrare il nervo crurale, branca terminale del plesso lombare, il quale, seguendo il lato esterno dello psoas, si immette nella lacuna musculorum all’ esterno della bandelletta ileo-pettinea. Raggiunto così il lato in- terno del nervo crurale, dopo essere stato incrociato dal primo ramo efferente, vi si accollava, restando però da esso diviso per mezzo di uno straterello di tessuto con- nettivo, e lo seguiva fino al disotto dell’arcata femorale, nello strato cellulo-grassoso che separa la fascia iliaca dai muscoli sottoposti. Quindi abbandonava con un angolo molto pronunciato il nervo crurale, e si portava all’ in- terno verso l’orifizio addominale del canale inguinale, in cui si poneva al lato inferiore del terzo ramo efferente e si distribuiva al muscolo cremastere e alla pelle dello scroto. Il terzo ramo efferente superficiale costeggiava fe- delmente il margine interno del muscolo psoas, passava sopra all’arteria iliaca esterna, penetrava quindi nel canale inguinale per l’orificio addominale al di sopra della branca profonda precedente, e si distribuiva al muscolo trasverso e al piccolo obliquo addominale. Da questa particolareggiata descrizione, che mi sono sforzato di rendere più chiara che ho potuto, pur essendo, come si vede, complicatissima la disposizione del nervo genito-crurale in questo soggetto, risulta che il nervo sper- matico esterno o ramo genitale del genito-crurale era rap- presentato dal terzo ramo efferente e dal secondo: e che il ramo crurale era fornito dal primo ramo efferente. Per rendere quindi più facile la esposizione io proporrei di chiamare il primo ramo efferente col nome di ramo femo- rale o crurale diviso in un ramo femorale esterno e in un femorale interno; di chiamare poi la seconda branca effe- rente o profonda col nome di genitale inferiore o sperma- tica esterna inferiore; e finalmente la terza branca eiferente 58 VALENTINO BARNABÒ col nome di genitale superiore o spermatica esterna superiore. lutto ciò si può riassumere in questo schema: r. femorale esterno ) 08Cia (reg. antero-esterna). br. femorale (eb) f . . . . = d . per la fascîa cribriformis D r. femorale interno Ì 4 ; f 2 f. cutaneo O coscia (reg. anter.-super.) î ©) = f. muscolare } cremastere 5 |br. genitale infer. o n. spermatico esterno infer. èp | f. cutaneo scroto 4 f. pel muscolo trasverso br. genitale super. o n. spermatico esterno super. f. pel piccolo obliquo Ora una simile disposizione di cose ho cercato anzi tutto di vedere se fosse fittizia, e a tal uopo ho osservato accuratamente la formazione del plesso lombale, sfibrando a brani, come si suol fare, il muscolo psoas stesso; ma mi è risultato normale del tutto. Ho voluto anche seguire il comportamento dei varì nervi del plesso nel loro tragitto e nella loro distribuzione, e anche ciò mi è risultato nor- male. Ho osservato poi con attenzione il plesso e i nervi lombari dell’altro lato, ma anche lì ho trovato tutto nor- male, come pure normale era il comportamento dei mu- scoli e dei vasi della regione. Infine mi sono accertato se sì trattasse davvero di anastomosi e di plesso, o di sem- plice e puro accollamento delle branche, e per quanto ho votuto osservare collo stiramento meccanico e colla disse- zione diligente non sono riuscito affatto a separar le fibre nervose là dove si ricongiungevano. Mi è mancata la pos- sibilità di fare preparati e sezioni microscopiche per ac- certarmene ancora meglio, come pure di conservare il pezzo anatomico nella formalina, chè certo sarebbe stato interessante poter fare. Studiando poi il caso e ricercando nei libri disposi- zioni analoghe a questa, mi è risultato che finora, almeno per quanto ho potuto consultare, nessuno ha descritto un fatto simile (1). È ben vero che questi nervi lombari pre- (1) Chiesi pure a questo proposito il parere del prof. P. Dorello, specialista nella materia, che sento il dovere di ringraziare anche pubblicamente. e e Van I E RE E ETTI, IT ET SOL I PETE SI ETRO, MA e dle £ de dh Pa DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 59 sentano tanto vario comportamento che neppure tutti gli anatomici sono d'accordo nella loro descrizione normale; ma si tratta spesso o di fusione completa dell’un nervo coll’altro, o di divisione ab initio delle branche normali di distribuzione, o di rapporti e comportamenti varî delle singole branche al di fuori specialmente del bacino, alla radice cioè della coscia. Io stesso ho voluto esaminare varì soggetti e ne ho esaminati precisamente 16; e in nes- suno ho ritrovato una simile disposizione. Sullo stesso in- dividuo anzi, a destra vi era l'anomalia e a sinistra tutto era normale come ho già detto. Quale sarà stata ora la ragione per cui si è venuta a formare quest'anomalia ? È ben difficile porterlo dire, per- chè non è il caso di pensare alla presenza di arterie o di “muscoli che abbiano servito a deviare colla loro insolita o anormale presenza il tragitto del nervo, come si po- trebbe fare nel caso delle bottoniere nervose dei nervi col- laterali delle dita della mano, attraverso a cui passano le arterie emananti dall’arcata palmare superficiale; o come anche si potrebbe sino a un certo punto dire nel caso della perforazione o no del muscolo coraco brachiale per mezzo del nervo perforante del Casserio, nel modo da me de- scritto in un precedente mio studio. Una ragione quindi manifesta non si può ritrovare, e tanto meno si può andar a scandagliare i segreti intimi della natura, quando i fatti e le deduzioni non riescono a guidarci su questo scabroso cammino. È perciò da rite- nere e da concludere che il fatto è degno senza dubbio di nota, che ha una importanza specialmente per la re- gione in cui si trovava, e che, per quanto a me consta, è del tutto nuovo e privo di precedenti descrizioni. Il valore di un'anomalia nervosa certamente è di molto aumentato qualora si tratti di variazione o nell'origine o nella inner- vazione; ma nessuno potrà tuttavia negare un'importanza a un fatto simile a quello che ho avuto l'occasione di osser- vare sia per la molteplicità delle divisioni, che per la stra- nezza di distribuzione nelle branche del nervo stesso. C'è da aggiungere inoltre ciò che scrivono il Beaunis e il 60 VALENTINO BARNABÒ Bouchard: « Les fibres nerveuses primitives nen accom- pliront pas moins chacune leur ròle physiologique spécial ; mais la manière dont elles gagnent l’organe auquel elles sont destinées peut varier. C'est ainsi que peuvent s’expli- quer les résultats différents et contradictoires que les phy- siologues ont obtenus par la section des troncs nerveux ». Non è privo di valore perciò il tener sempre conto delle anomalie dei nervi anche dal punto di vista della fisiologia e quindi della patologia, qualora si voglia tener poco conto della sola ricerca anatomica. x 7, Dr, Una seconda anomalia venne da me ritrovata nel plesso sacrale di un altro soggetto maschio. Si sa come normalmente questo plesso sia formato dall'insieme dei 4 nervi sacrali e dal quinto od ultimo nervo lombare. Esso. è riunito inoltre mediante importanti anastomosi col plesso coccigeo ridotto in minimi termini nell'uomo, col simpa- tico sacrale mediante i rami communicantes, e finalmente col plesso lombare per mezzo dell’interessante tronco lom- bo-sacro del Bichat. Alcuni autori anzi, tenendo conto delle intime connessioni di questi tre plessi, li descrivono come uno solo col nome di plesso lombo-sacrale, a cui annettono anche il nervo coccigeo, rudimentale, come ho detto, nell'uomo per la perdita secondaria del prolunga- mento caudale della colonna vertebrale. Da ciò risulta che il vero plesso sacrale a sè, come io ritengo sia bene de- scrivere isolatamente, seguendo la descrizione del Testut, giacchè se si volesse tener conto delle anastomosi biso- gnerebbe descrivere come un unico plesso tutti quelli for- mati dalle branche viscerali dei nervi spinali, che sono tutti collegati mediante anastomosi ; che il plesso sacrale, dico, risulta costituito dalla fusione di 5 rami nervosi. Questi, che non sono altro che le branche anteriori dei nervi sacrali, fuoriescono per mezzo dei forami sacrali anteriori dallo speco vertebrale, dove formano la cauda equina, e postisi profondamente nel piccolo bacino, costi- tuiscono il plesso che ha interessanti rapporti. Corrisponde Sans ienre DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 61 infatti indietro al muscolo piramidale che lo separa in un piano più profondo dalla faccia anteriore del sacro ; in avanti è ricoperto dall’aponevrosi pelvica superiore che lo separa dai visceri dell’escavazione pelvica tappezzati dal peritoneo ; in dentro è in rapporto col retto che lo ri- copre più o meno, rapporto questo interessantissimo per la diagnosi di compressione dei nervi e di conseguente paralisi dell’arto inferiore dovuta al soffermarsi delle feci nell’ampolla rettale, nei casi di stitichezza ostinata, ed è anche in rapporto col simpatico sacrale; e finalmente in fuori corrisponde al bordo posteriore dell’elevatore del- l’ano e ai vasi ipogastrici. Se noi vogliamo ora renderci un conto esatto del come questi nervi concorrono a formare il plesso, dobbiamo aggiungere che la branca anteriore del quinto nervo lombare, che riceve l’anastomosi già ricordata col plesso soprastante lombare mediante il nervo lombo-sacro di Bichat, si porta in basso e in fuori verso la grande incisura sciatica ; la branca anteriore del primo paio di nervi sacrali si porta pure in basso e in fuori lungo il bordo superiore del piramidale per fondersi colla precedente a livello dell’incisura suddetta; e così pure si comportano le branche anteriori del secondo e terzo nervo sacrale, l’ultima però decorrendo lungo il margine inferiore del muscolo piramidale ; finalmente la branca anteriore del quarto paio sacrale, e ciò c’interessa essenzialmente nel nostro caso speciale, si divide subito al di fuori del forame sacrale anteriore in un ramo ascen- dente per il plesso sacrale, e in un altro discendente, che si porta come anastomosi verso il plesso sacro-coccigeo. Il plesso sacrale, formato a questo modo, si presenta sotto l'aspetto di un vasto triangolo biancastro nervoso, della massima semplicità rispetto agli altri plessi formati dai nervi spinali. Il plesso sacro-coccigeo poi è costituito dal quinto nervo sacrale, dal nervo coccigeo e dal ramo di- scendente del quarto nervo sacrale. Questo nel caso normale. Ora io ho ritrovato a Santo Spirito un individuo il quale presentava il suo plesso sa- crale costituito da quattro branche solamente, Mancava 62 VALENTINO BARNABÒ cioè la quarta sacrale totalmente e mancava anche la quinta che va al plesso sacro-coccigeo di alcuni autori. Tutto il resto era normale, ossia si aveva normalmente l’anastomosi lombo-sacra!e, la quinta lombare, la prima, seconda e terza sacrale; per di più erano normali anche i rami sia collaterali che terminali che si dipartivano dal plesso. Vi era anche il nervo coccigeo per il muscolo ischio-coccigeo, per la pelle della regione coccigea e per i rametti anastomizzantisi col plesso ipogastrico del sim- patico. Il plesso sacrale era perciò formato da sole quattro branche, e il sacro-coccigeo da una soltanto. Una tale disposizione di cose mi spinse ad osservare attentamente il modo di comportarsi dell'osso sacro e del coccige. Tutti e due parevano rudimentali. Il primo infatti . invece di presentare i soliti quattro forami ne presentava tre solamente, e il coccige era delle più piccole propor- zioni, e si vedeva anzi ben distinti soltanto tre pezzi ver- tebrali, di cui sviluppato proprio era solamente il primo. Il nervo coccigeo passava anzi nell'interstizio tra il sacro e il coccige dove suole passare il quinto nervo sacrale. Ma ho voluto anche osservare il comportamento dei nervi entro lo speco vertebrale, e per quanto cercassi colla massima diligenza nell’intricato insieme della cauda equina non son riuscito a ritrovare altro che tre nervi sacrali e uno coc- cigeo. L'anomalia del sacro è stata notata anche dal Testut che dice come « le sacrum peut perdre une de ses pièces et, dans ce cas, il ne présente naturellement que trois pai- res de trous antérieurs et trois paires de trous postérieurs. Avec cette anomalie, la colonne lombaire peut avoir six vertèbres ou bien conserver sa constitution normale » (Vol. I, pag. 92). Nel mio caso si trattava appunto di un sacro che pur mancando di un forame, presentava cinque ver- tebre, del resto facilmente riconoscibili una dall'altra. Ora io ho ricercato questa anomalia in tutti quei libri che mi è riuscito consultare ; soltanto nel Gegenbaur ho trovato che « la composition des deux plexus qui consti- tuent ensemble le plexus sacré n'est pas aussi constant qu'on la indiqué. Les differences qu'ils présentent dèpen- Pr TO PET siccdia vecia dii a scritti lt si 4 Uta Sy vit Vi DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 63 dent des différences que montre le sacrum dans sa consti- tution ». Non ho ritrovato altri accenni a un fatto simile. Io stesso, sopra 19 soggetti esaminati, l’ho notato una sola volta ; ma su quel soggetto si notava da tutti e due i lati, sia a destra che a sinistra. È da concludere perciò che una tale anomalia non è comune a riscontrarsi, come non è comune neppure quella dell'osso sacrale, e forse non in tutti i casi in cui questa è stata notata, gli osservatori si son curati della disposizione del plesso nervoso e del nu- mero dei nervi. Una spiegazione di questanomalia è altrettanto facile a darsi quanto è difficile darne una all’anomalia prece- dentemente descritta. Evidentemente si tratta qui di un fenomeno dovuto a un trouble embryogénique, come dicono i francesi, il quale ha fatto sì che la tardiva ossificazione e sutura dei pezzi ossei del sacro non avvenisse normal- mente, e il nervo si è adattato a una simile condizione di cose. Si sa che verso il quarto mese della vita fetale anche nelle vertebre sacrali allo stato di cartilagine si presenta il punto di ossificazione mediano o centrale per il corpo; che dal quarto al sesto mese compaiono i punti laterali o neurali della massa apofisaria ; e finalmente che dal quinto al settimo mese si hanno sulle tre prime vertebre sacrali i cosiddetti punti costali del sacro per le apofisi trasverse. A questi punti primitivi seguono i cosiddetti complemen- tari, e finalmente si ha la sutura dei varii pezzi tra loro, sutura che non è completa prima dei 25 o 30 anni, e che nel caso nostro, trattandosi di un uomo di età matura ere del tutto completata. Riassumendo si ha questo quadro che io riporto dal Testut (Vol. I, pag. 90): Points Points primitifs. complémentaires Tota fesvertebressacrée <.-) .-. ... . 5 5; 8 2e » » 5 3 8 BO » » 5 3 8 4e » » 8 3 6 d° » » Leo ia 3 3 6 Plus, pour les còtés du sacrum. . . » 4 4 TOTAL 21 19 40 64 VALENTINO BARNABÒ Non è stato inutile ricordare questi fatti, perchè così si può intendere con chiarezza maggiore l'anomalia dei nervi che soggiacciono alla necessità di cose, e si adattano nel loro comportamento a ciò che trovano fatto per le ossa. Di qui la naturale assenza di quel nervo che avrebbe dovuto passare per il quarto forame sacrale, anomalamente chiuso. Si era quindi fuso completamente col nervo pre- cedente, oppure le sue fibre si erano ad esso accollate sol- tanto? Ho già detto che ho ricercato accuratamente nella cauda equina questi nervi, e non li ho ritrovati. Nel caso che si fosse trattato di semplice accollamento, certo si è che esso era talmente intimo, che coi mezzi ordinari della tecnica di dissezione macroscopica non si poteva riscon- trare. Forse, facendo dei preparati microscopici di quel nervo, si avrebbe potuto ritrovare le fibre di due nervi non fuse ma soltanto accollate. A me mancò anche in questo caso la possibilità di farlo e me ne rincresce, perchè sarebbe stato certo interessante: ma propendo nel credere che sì dovesse trattare di semplice accollamento anzichè di fu- sione completa delle fibre nervose, disposizione questa più semplice e più attendibile, dati due fatti: 1° che di solito suole avvenire che dove due nervi non possono esistere distinti, si accollano per un tratto del loro cammino, dopo di che si separano di nuovo senza scambiarsi neppure delle fibre anastomotiche ; 2° che i nervi viscerali che normal- mente si distaccano dal plesso sacrale come rami colla- terali del quarto nervo sacrale, si dipartivano nel mio caso dal terzo nervo sacrale. Dunque, concludendo, accollamento del quarto nervo sacrale col terzo, dovuto all'assenza del quarto forame sa- crale anteriore. Ma l'assenza anche del quinto nervo sacrale come si spiega? Il passaggio libero ci sarebbe pure stato tra il sacro e il coccige; eppure per di là passava soltanto il nervo coccigeo. Ora a me pare che deva tenersi conto anzi tutto che già gli ultimi nervi spinali hanno subito nell'uomo una forte riduzione pel fatto notevole delia scom- parsa della coda: tant'è vero questo, che qualche volta si nota un ritorno al primitivo stato di cose e si hanno in- =- Pere di attinenti it dia DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 65 dividui che presentano più vertebre coccigee e conseguen- temente più nervi coccigei come dicono il Blanchard, lo Steinbach, lo Schàffer, lo Schlemm e il Rauber ; e in se- condo luogo che nel soggetto in discussione tutta la re- gione aveva subito una notevole riduzione di sviluppo insolita anzi e anormale. Potrebbe quindi darsi che quello che io ho chiamato nervo coccigeo altro non fosse che il quinto sacrale e che l'assenza fosse invece del nervo coc- cigeo stesso. Io propenderei a credere che questo si avesse a chiamare proprio nervo coccigeo, tenendo conto della sua distribuzione assolutamente simile a quella del nervo detto coccigeo in condizioni normali. D'altra parte si può be- nissimo pensare, che, dal momento che anche il quinto nervo sacrale suole dividere la propria distribuzione col nervo coccigeo stesso e anzi non fa che unirsi a lui dopo aver ricevuto l’anastomosi del quarto nervo sacrale me- diante un semplice e piccolo arco a concavità posteriore riguardante la colonna vertebrale della regione; si può pensare benissimo, dico, che quel nervo unico risultasse dai due, il quinto sacrale e il coccigeo. Trattavasi anche qui di fusione completa delle fibre nervose, oppure di sem- plice accollamento? Mi pare che sia logico ripeter anche qui gli s‘essi ragionamenti fatti più sopra per il nervo precedente, perchè anche qui il caso si presenta perfetta- mente sotto lo stesso aspetto. Ma è tempo di concludere. L’anomalia da me notata all'ospedale di S. Spirito riguarda dunque una riduzione del numero dei nervi sacrali, che da 5 eran ridotti a 3. E ciò è da ritenersi come un accollamento dei nervi man- canti con gli altri presenti, dovuto a una riduzione note- vole dello sviluppo della regione, e a una analoga di- sposizione anomala delle ossa. Il fatto non è comune ed è degno di nota specialmente dal punto di vista dell’A- natomia, e anche, ritengo, dal punto di vista della Antro- pologia e della Embriologia Comparata, che possono valer- sene come un argomento di più per illustrare nell’uomo il Bollettino della Società Zoologica Italiana di 66 VALENTINO BARNABÒ fatto ormai indiscusso della riduzione e della scomparsa della regione della coda, Roma, aprile 1903, Libri consultati 1. Barnabò V. — Di tre anomalie muscolari dell'arto toracico. Bollet. Società Zoologica 1902. 2, Beaumis et Bouchard. — Nouveaux éléments d'anatomie descriptive. Paris, 1894, 3. Blanchard. — L’atavisme chez l'homme. Rev. d’Anthropologie, 1885. 4. Bolk. — Bezieh. zwischen Skelet, Muskulatur und Nerven des Extremitaten, dargelegt am Beckengiirtel an dessen Muskulatur, so wie am Plexus lumbo- sacralis. Mor phol. Jahr. ., 1894. D, Cruveilhier. — Traité d'anatomie descriptive. Paris, 1877. 6. Davidoff. — Ueber die Varietàten des Plexus lumbo-sacralis von Salamandra maculosa Morphol. Jahrb., 1884. 7. Eisler. — Der Plexus lumbo-sacralis beim Menschen. Abh. d. Naturforsch. Gesellsch. zu Halle, 1892. i 8. Firbringer. — Zur Lehre von Umbildungen der Nervenplexus-Morphol. Jahrb., 1879. 9. Gegenbaur C. — Anatomie des Menschen-Leipzig, 1883. 10. — Traité d’'anatomie humaine. Paris, 1889. ll. Griffin. — Some variaties of the last dorsal and first lumbar nerves, The Journ. of anat. and Phvysiol., 1891. 12. Henle J. — Handbuch der sy stematischen Anatomie-Brauvenschweig, 1876-79. 13. Holl. — Ueber die Lendennerven. Wien. Jahrb, 1880. 14. Hyrtl. — Trattato di Anatomia dell'Uomo. Milano. poi oo: und Telgmann. — Die Nervenvarietàten des Menschen. Leipzig, 16. EE — The Morphology of the sacral plexus in Man. Journ. of anat. 8 17. — The origine and distribution of the nerves of the lower Limb.Journ of anat., 1894. 18. Quain. — Elements of i London, 1893. 19. Rauber. — Anatomie des Menschen. Leipzig, 1903. 20. — Die letzten spinalen Nerven und Ganglien. Morphol. Jahrb., 1877. 21. Romiti. — Trattato di Anatomia dell'Uomo. Milano. . 22. Ritdinger. — Die Anatomie des Menschlichen Gehirn und Riùckenmarks- nerven. Stuttgart, 1870. 23. — Topographisch-chirurgische Anatomie des Menschen, Stuttgart, 1878. 24. Ruge. — Verschiebungen in der Endgebieten der Nerven des Plexus lum- balis der Primaten... Maphol. Jahrb., 18983. 25. Schdffer. — Beitrag zur Aetiologie der Schwanzbildungen beim Menschen. Arch. f. Anthrop. 1891. 26. Schlemm. — Millers Archiv., 1834. 7. Steinbach. — Die Zahl der Caudalwirbel beim Menschen. Berlin, 1889. 28. Stowel. — The lumbar, the sacral and the coccygeal nerves in the dome- stic cat. Journ. of comparat. Neurol., vol. I, 1891. 29. Testut L. — Traité d’Anatomie Humaine. Paris 1901. 30. Utschneider. — Die Lendennerven der Affen und des Menschen, Munch, medicin. Abhandl., 1892, La MARMARONETTA ANGUSTIROSTRIS (Ménétrier) in Puglia e Nota del Socio Prof. GIOVANNI ANGELINI comunicata alla « Società Zoologica Italiana » con sede in Roma, L’esemplare di Marmaronetta angustirostris (Ménétr.) che viene presentata in adunanza, è stata uccisa a Candelaro, 11 miglia di- stante da Foggia, il 20 maggio dell’anno in corso, 1903: È una femmina adulta, La ebbe in pelle ancor fresca il nostro socio sig. Coli, per la eui cortesia mi è dato mostrarla e parteciparne la cattura. Com'è noto, l’Anatra marmorizzata abita la Sottoregione Me- diterranea, estendendosi dalle Canarie all’India: comune nella Penisola Iberica, è invece in Italia di rara ed accidentale com- parsa : fu colta però in varie provincie, una volta anche nel Ro- mano, e ripetutamente in Sicilia. Un numeroso branco di una cinquantina di individui si stabili nell’estate del 1893 nel celebre lago di Massaciuccoli (Lucca), dimorandovi dal giugno all'agosto, e sembra che sì riproducessero. Dai dati che si avevano, l’Anitra marmorizzata fino a questi ultimi tempi era ritenuta di una rarità eccezionale in Italia : e, siccome per le dimensioni e per l’abito non è possibile confon- derla con altre specie per poco che si faccia attenzione, si è in- dotti a ritenere che effettivamente pel passato comparisse molto più di rado. Questo stesso conclude l’Arrigoni nel suo Catalogo Ornitologico: « Da ciò risulta, egli dice, che la Marmaronetta, ix altri tempi di comparsa affatto accidentale, ora tendercbbe a farsi di apparizione irregolare in Italia ». Un altro caso simile, come credo di aver dimostrato in un re- cente mio scritto (1), presenta il Nibbio bruno {Milvus korschun (Gmélin). Ad accertare il fatto è quindi importante tenere esatto conto delle diverse catture. Perciò piacemi render nota questa dell’Anatra marmorizzata nelle Puglie, tanto più che si tratta di una regione, donde questa specie non era stata ancor segnalata. Roma, giugno 1903. (1) Sull’aumentata frequenza in Italia del Nibbio bruno — Mîlvus kRorrekun (GMMELIN), M. migrans BODDAERT — Avicula, Anno VII, N. 67, 68 — Siena, dulla cattura del DENDROGOPUS LILFORDI (Sharpe & Dressen) (Picchio a dorso bianco di Lilford) nella provincia di Roma Comunicazione fatta alla Società Zoologica Italiana dal socio CHIGI Principe D. FRANCESCO -—_———_——— Il 23 ottobre 1902 acquistai sul mercato di Roma un Dendrocopus Lilfordi (Sharpe e Dresser) che era stato catturato presso Ardea. È il primo individuo di questa specie còlto nella nostra provincia ; comparvero però accidentalmente in Italia, a quanto sembra, altri otto esemplari, quattro cioè in Ligu- ria, due in Toscana, uno in Piemonte ed uno nelle Marche. Dal piumaggio perfettamente conservato, grazie alle cure dell’abile preparatore sig. Coli, nostro consocio, ap- parisce chiaramente trattarsi di un maschio in completa livrea di adulto, e credo opportuno darne qui una som- maria descrizione. Fronte bianco-sudicia, vertice e occipite neri alla base delle penne, rossi all'apice, in modo che il colorito del capo risulta nero fittamente macchiato di rosso-cremisino; nuca, parte superiore del dorso e sopraccoda nero lucidi; parte inferiore del dorso e groppone a fasce trasversali alternate bianche e nere, tutte di eguale larghezza, disposte in modo da continuare il disegno delle ali; lati della fac- cia, regione auriculare, gola, petto e parte superiore del- l'addome bianco-sudici; una larga fascia nera scende dalla regione auriculare sui lati del gozzo e del petto ; a questa si unisce un’altra fascia nera che partendo dalla base della mandibola si dirige obliquamente all'indietro; lati della parte inferiore del petto e fianchi percorsi da numerose ed assai appariscenti macchie longitudinali cuneiformi SULLA CATTURA DEL DENDROCOPUS LILFORDI 69 nere, parte inferiore dell'addome, calzoni e sottocoda rosei con macchie bruno-grigio-pallide. Remiganti nere con pic- cole macchie bianche ; timoniere a fasce alternate bianche e nere con apice isabella rossigno. bceco/emd7;cala* cn. 14.6". coda “emi 10,5: tarso cm. 2,2. Il Dendrocopus Lilfordi fu separato specificamente dal- l’affine D. leuconotus nel 1871 dai sigg. Sharpe e Dresser (Ann. Nat. Hist. VII, pag. 436) ed il carattere differenziale più saliente è l'avere il D. Lilfordi il dorso con fascie al- ternate bianche e nere come nel D. minor, mentre nel D. leu- conotus il dorso è completamente bianco, attraversato nella sua parte superiore da una sola sottile stria nera (1). Il primo abita, secondo il sig. Sharpe (Hand-List of Birds, Vol. II, p. 216), il Nord Italia (?), la. Dalmazia, le Isole Ionie e l'Asia minore; il secondo l'Europa setten- trionale e centrale, la Siberia, la Mongolia, la Manciuria e la Corea. Alcuni autori, fra i quali il nostro egregio consocio Conte Ettore Arrigoni degli Oddi, considerano il Picchio a dorso bianco di Lilford come una semplice sottospecie o forma meridionale del D. leuconotus; a me sembra però che i caratteri distintivi fra le due forme siano sufficienti per considerarle come buone specie. (1) Il Savi nell’ Ornitologia Italiana (Le Monnier, Firenze 1900), Vol. I, pag. 283, sotto il nome di Picus leuconotus dà un’esatta descrizione del Den- drocopus Lilfordi. CLASSIFICAZIONE: DESCRITTIVA: DEI LEPIDOTTERI ITALIANI COMPILATA per cura del comm. FORTUNATO ROSTAGNO Consigliere della « Società Zoologica Italiana » (Vedi Fasc. IV, V e VI del Vol. III, Serie II, 1902) _——@+@—& SezionE VI — TORTRICIDI. Meglio che Tortricine questa Sezione di Micro Ete- roceri può chiamarsi delle Tortricidi secondo Rebel, avve- gnachéè le Tortricine formano una speciale tribù delle Tortricidi. Questa sezione corrisponde in parte al genere Tortix di Linneo, nome dato a piccole farfalle, le cui larve vivono generalmente sulle foglie ripiegate, attorcigliate, ri- torte e riunite a cartocci all'estremità dei giovani rami. Le farfalle hanno quasi tutte volo notturno o crepuscolare, e stanno in riposo durante il giorno applicate sotto le foglie o sugli steli dei vegetali, però basta una lieve causa a farle staccare e volare, anche durante il giorno. Generalmente di piccole dimensioni, alcune sono or- nate di vivi colori e di macchie madreperlacee o metal- liche : il loro carattere più appariscente è quello di avere la costa delie ali anteriori più o meno ornata alla base, per cui ne risulta per esse, una fisonomia particolare che le ha fatte chiamare dal Reaumur « farfalle dalle larghe spalle ». Le antenne, raramente più lunghe del corpo, sono filiformi nei due sessi, i palpi inferiori e labiali sono sol- tanto visibili e sporgenti, col primo articolo corto, esile, alquanto conico, quasi nudo, il secondo articolo molto più grande, generalmente in massa compressa, qualche volta fusiforme, sempre guarnito di scaglie e velloso ; il terzo e l’ultimo articolo corto, cilindroidale, troncato od ottuso, te Fe . a N: DI ® T, CLASSIF!CAZIONE DESCRITTIVA DEI LEPIDOTTERI ITALIANI 71 quasi sempre nudo ; spiritromba membranosa cortissima, soventi nulla o invisibile, torace ovale, liscio, talvolta cre- stato alla base; ali intiere, a tetto più o meno appiattito nel riposo, le superiori allora nascondenti le inferiori meno larghe e pieghettate, quelle più o meno armate alla base ed ordinariamente tagliate quadratamente alla loro estre- mità, aventi l'apice talvolta ricurvato a mo’ di falce. Zampe corte, specialmente le anteriori, coscie appiattite, le inter- medie e posteriori munite ciascuna di quattro spine corte ed ottuse; addome non sorpassante le ali nello stato di riposo, cilindro conico, terminato nei maschi da un fiocco di peli, in punto nelle femmine. Larve a sedici zampe di uguale lunghezza e tutte pro- prie alla marcia, aventi il corpo raso o guarnito di peli corti ed isolati collocati su dei punti bitorzoluti. Crisalidi coniche, quasi sempre nude, raramente con- tenute in un guscio. Più comunemente le Tortricidi trovansi nei giardini, orti, viali ombrosi dei boschi e più spesso nelle siepi e spalliere ; generalmente si allontanano poco dal luogo ove sono sviluppate. La maggior parte si tiene sulle foglie, qualche specie soltanto sui tronchi delle piante coperte da licheni, ove il loro colore grigio o verde si confonde con quello di queste crittogame parassite. Sviluppano dal prin- cipio della primavera fino al termine dell’autunno, ma più comunemente in estate. Il loro volo è vivo ma corto e crepuscolare (1). Ciò premesso passiamo ad esaminare i vari generi e specie classificati nelle diverse famiglie nelle quali oggi si dividono le Tortricidi, secondo le ultime ricerche del Rebel, famiglie a cui diamo i numeri dal XII al XIV, facendole precedere da un breve cenno descrittivo, dappoichè per questi piccoli insetti non possono darsi caratteri assoluti generali, e per le singole specie rimandiamo le descrizioni alla parte speciale di questo lavoro. fia ii im nt (1) GIRARD, op. cit. pag. 685, è, “it 12 FORTUNATO ROSTAGNO —— Trisù MI. — Tortricine - Insetto perfetto. — 1 carat- teri generali di questa tribù si possono riassumere come segue : farfalle di media grossezza fra le Tortricidi, corpo esile, testa assai forte e sulla medesima linea del torace ; antenne semplici nei due sessi, palpi labiali spessi, il se- condo articolo molto guarnito di scaglie ed a forma Hdi mazza o pera allungata, il terzo quasi conico, spiritromba molto corta, quasi nulla, ali superiori terminate quadra- tamente, talvolta leggermente curvate al loro vertice. Larve. Essenzialmente arrotolatrici delle foglie degli alberi, alberelli e piante basse ; vivaci quanto timorose : alla minima scossa della pianta che esse abitano si veg- gono fuggire con grande agilità dal loro cartoccio e restare sospese alla estremità di un filo che si allunga a misura che esse si allontanano dalla loro dimora e che loro serve per risalirvi allorchè credono passato il pericolo. Vi sono larve arrotolatrici quasi in tutte le piante, però . più co- muni si trovano sulle quercie e sugli olmi, specie nella prima quindicina di maggio. Quasi tutte sono dannose alle piante, basti citare la Oenophthira Pilleriana, cono- sciuta più comunemente sotto il nome volgare di Pirale della vite. In questa tribù il Rebel colloca i seguenti quat- tordici generi per l Italia : Acalla (Hb. 1818), Meyr (Teras. Tr. 1829), Rhacodia Hb.), Amphisa Curt. 1828 (Philedone Hb. Meyr), Dichelia Gn. 1845 (Hastula Mill. Epagoge Hb. Meyr), Capua Stph. 1834, Oenophthira (Dup. 1844, (Oenectra Gn. Sparganothis Hub. Meyr), Cacoecia Hb. 1818, Pandemis Hb. 1818, Eulia Hb. 1818 (Lophoderus Stph. 1829), Tortrix L. Meyr (Heterognomon Ld), Enephasia Curt 1826 (Scia- phila Tr. 1830), Sphaleroptera Gn. 1845, Doloploca Hb. 1818, Cheimatophila Stph. 1829, Anisotaenia Stph. 1829 (Istorias Meyr 1895, Olindia Gn.) (1). Il Curò nel suo catalogo porta il genere Acalla sotto il nome di Teras; il genere Rhacodia Hb., dal Rebel com- preso nel genere Acalla ; non porta il genere Amphisa che comprende nel genere Tortrix non conservando la suddi- (1) STAUDINGER; Op. cit., vol. 2° pag. 79 a 93. - PESO CLASSIFICAZIONE DESCRITTIVA DEI LEPIDOTTERI ITALIANI 73 visione accennata dal Wocke nel precedente catalogo Stan- dinger ; comprende pure nel genere Tortrix i generi Di- chelia e Capua; non porta il genere Oenophthira, che a noi risulta esser proprio dell'Italia. Comprende nel genere Tortrix i generi Cacoccia, Pan- demis, Eulia; porta i generi Tortrix, Cnephasia, sotto il nome di Sciapila, Sphaleroptera, Doloploca, Cheimatophila, Anisotaenia, sotto il nome di Olindia (1). Noi conserviamo nella nostra classificazione i generi suaccennati secondo Rebel. Trigù XII. — Conchyline (Faloniine) - Insetto perfetto — Anche fra le Conchyline troviamo insetti come il ge- nere Conchylis, dannosi ai vigneti. I caratteri generali di questa tribù possono riassumersi in linea generale come segue : antenne semplici nei due sessi, palpi folti e senza articoli distinti; spiritromba appena visibile o nulla, ali anteriori strette, allungate, terminate obliquamente, aventi la costa quasi dritta, il corpo lungo ed esile. La maggior parte di queste farfalle, specie del genere Conchylis, hanno per carattere comune un aspetto più o meno lucente, come madraperlaceo, e le loro ali anteriori attraversate obliqua- mente da una o due striscie brune. Larve: alquanto simili a quelle della Pirale della vite sviluppano generalmente nel maggio. Crisalidi: racchiuse in bozzoli di seta generalmente situati entro i grani della vite (2). Appartengono alla tribù delle Conchyline, secondo Rebel, i seguenti quattro generi per l'Italia: Lozopera (Stph. 1829) rappresentato da alcune specie nell’Italia in- sulare;; Conchylis (Tr. 1829 Ld. - Phalonia Hb. Meyerì.), Euxanthis (Hb. 1818 - Meyr), Phtheochroa (Stph. 1829 - Commophila, Hb. Meyr) (3). Il Curò non fa la distinzione delle Tortricidi in Tribù (1) CuRrò op. cit. Fasc. XII, pagg. 153, 161, 157, 159, 156, 162, 164, 165. (2) GIRARD, Op. cit. pag. 704 e seg, (3) STAUDINGER, Op. cit. vol. 2 pag. 94 a 101, 74 FORTUNATO ROSTAGNÒ non porta il genere Lozopera, secondo la precedente edi- zione dello Staudinger, comprende qualche specie nel ge- nere Cochylis, secondo Treitschke (1829) ora dal Rebel de- nominato Conchylis (1). Porta il genere Conchylis sotto la denominazione di Cochylis Tr.: non porta il genere Euxanthis, comprenden- done alcune specie nel genere Cochylis; porta il genere Phtheochroa. Noi seguiamo l'ultima classificazione del Rebel, sopra accennata, conservando cioè nella tribù delle Conchyline i quattro generi: Lozopera, Conchylis, Euxanthis, Phtheo- chroa. — Trigù XIV. — Olethreutine - (Grapholitine) - Insetto perfetto. — In genere a questa tribù sono da attribuirsi i caratteri del genere Grapholitha ; diciamo in genere per- chè nella tribù stessa sono oggimai classificate molte specie varie gia appartenenti alla specie Tortrix e Tinea di Linneo e Pyralis di Fabricius, per cui riuscirebbe difficile lo sta- bilire dei caratteri decisi comuni a tutti i generi collocati nella tribù ; in ogni modo può dirsi che queste farfalle di piccole dimensioni hanno la spiritromba nulla od assai corta, le antenne filiformi nei due sessi; i palpi molto vel- losi specie nel secondo articolo quando è distinto, scuri- formi, le ali superiori strette col vertice talvolta un po’ curvo e talvolta alquanto eurva tutta la costola nella sua lunghezza, portanti alla estremità inferiore in molte specie uno scudo che presenta varie striscie longitudinali me- talliche. Larve: viventi o tra le foglie che riuniscono con fila- menti di seta ove alcune si metamorfosano, mentre altre si trasformano in un tessuto solido rivestito di terra, o sotto le scorze degli alberi. Crisalidi: sviluppantesi in farfalle generalmente nel giugno o luglio dell’anno seguente. (2) A I (1) Curò, op. cit. fasc. XII, pag. 165 a I70. (2) GIRARD, Op. cit. pag. 707 e seg. Vieat__ È ] ; i i CLASSIFICAZIONE DESCRITTIVA DEI LEPIDOTTERI ITALIANI 75 Il Rebel colloca nella tribù delle Olethreutine i se- guenti ventiquattro generi: Evetria Hb. 1818 (Retinia Gn, 1845), Olethreutes Hb. 1818 (Penthina Tr. -Sericoris Tr.), Polychrosis - Rag. 1894 (Eudemis Wck. Cat. ed II), Lobesia iniS4S45, Exrartema.. Clem.,1870 (Eccopsis Ld [non Z)) Acroclita Ld. 1859 (Sardegna), Crocidosema Z 1847 (Corsica, Sicilia), Steganoptycha Stph. 1829 (Enarmonia [|Hb.] - Meyr), Gypsonoma Meyr. 1895, Pelatea Gn. 1845, Rhyacionia (Hb. 1818) Hs, Bactra Stph. 1829( Aphelia Curt. [non Hb) Semasia Stph. 1829-HS, Notocelia Hb. 1818-Meyr, (Aspis Tr.), Pygolopha Ld. 1859 (Sicilia), Epiblema Hb. 1818 (Pae- disca Tr. Alpi, Corsica, Sicilia), Grapholitha Tr. 1829 - Hein. (Laspeyresia |Hb.] Meyr. - Captoloma Ld.), Pamene Hb. 1818 (Phthoroblastis Ld.), Tmetocera Ld. 1859, Carpocapsa Tr. 1829, Ancylis Hb. 1818 (Phoxopteryx Tr.), Ropobota Ld. 1859, Dichrorampha Gn. 1845 (Hemimene |Hb] Meyr.), pEipopihyca Ld. 1859 (1). Il Curò nel suo catalogo porta i seguenti generi: Re- tinta Gn. che il Rebel dà sotto il nome di Evetria Hb., Penthina Tr. che il Rebel dà sotto il nome di Olethreutes Hb, Eudemis Hb. che il Rebel dà sotto il nome di Poly- . chrosis Rag., Lobesia, dato pure dal Rebel, Eccopsis Z., dato dal Rebel sotto il nome di Exartema Clem, Acroclita, Ld., Crocidosema Z, Steganopthycha HS. Rhyacionia HS, Phygo- lopha Ld., Grapholitha Tr., Tmetocera Ld., Carpocapsa Tr., Rhopobota Ld., Dichrorampha Gn., generi tutti portati pure dal Rebel: dà pure i generi: Petalea Gn. dato dal Rebel sotto il nome di Pelatea Gm., Aphelia Stph., dato dal Rebel | sotto il nome di Bactra sStph., Aspis Tr. dato dal Rebel sotto il nome di Notocelia Hb. Captoloma Ld. e dato dal Rebel sotto il nome di Grapholitha Tr., Phthoroblastis Ld. dato dal Rebel sotto il nome di Pamene Hb., Phoxopterya Tr., dato dal Rebel sotto il nome di Ancylis Hb. Non porta in fine il Curò i generi Gypsonoma Meyr, Epiblema Hb., Se- masia Stph. Lipotycha Ld. ormai dati con certezza per (1) STANDIGER op. cit. vol. 2, pag. da 103 a 127, Î6 FORTUNATO ROSTAGNO l’Italia dal Rebel, per cui noi ci atteniamo in questa clas- sificazione alla ultima del Rebel (1). Genere 1 —- Acalla(Teras-Rhacodia) » II — Amphisa (Philedone) » II — Dichelia (Hastula Epagoge) » IV — Capua » V — Oenophthira (Oenectra-Sparga- nothis) » VI — Cacoecia TRIBÙ » VII — Pandemis ì Tortricine » VIII — Eulia (Lophoderus) » IX — Tortrix (Heterognomo n} » X — Cnephasia (Sciaphila) » XI — Sphaleroptera » XII — Doloploca » XIII — Cheimatophila » XIV — Anisotaenia (Istorias-Olindia) Genere I — Lozopera TRIBÙ » lI — Conchylis (Phalonia) Conchyline » II — Euxanthis » IV — Phtheochroa (Commophila) Genere I — Evetria (Retinia) » II — Olethreutes{Penthina Sericores) » II — Polychrosis (Eudemis) Tortricidi \ » IV — Lobesia | » VV — Exartema (Eccopsis) » VI— Acroclita » VII — Crocidosema » VIII — Steganoptycha (Enarmonia) » IX — Gypsonoma » X — Pelatea » XI — Ahyacionia TRIBÙ » XII — Bactra (Aphelia) » XIHI — Semasia » XIV — Notocetlia aa » XV — Pygolopha » XVI — Epiblema (Paedisca) » XVII — Graphotlitha (Laspeyresia-Co- ptoloma) » XVIII — Pamene (Phthoroblastis) » XIX — Tmetocera » XX — Carpocapsa » XXI — Ancylis (Phoxopteryx) » XXII — ARhopobota » XXIII — Dichrorampha (Hemimene) » XXIV — Lipopthycha. SEZIONE VI ) Legione II — Eteroceri Divisione II — Microeteroceri Olethreutine (1) Curò, op. cit. vol, XII pag. 171 a 191. Sui caratteri morfologici che distinguono un Siluro proteropodo del genere RHINELEPIS, e cenno sulle forme principali della Fam. Siluridae, di recente introdotte nel Museo. Comunicazione del Prof. ANTONIO CARRUCCIO alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma Avendo dovuto ristudiare diverse. forme interessanti di pesci introdotti sotto la mia direzione nel Museo, di- sposti in una delle tre distinte collezioni ittiologiche, ge- nerale, romana e didattica, pur da me instituita, mi tornò sotto gli occhi un esemplare appartenente alla ricchissima raccolta portata in dono nella Capitale dal valoroso e be- nemerito comandante della R. Marina, Comm. Carlo de Amezaga, dopo il suo lungo viaggio di circumnavigazione colla Caracciolo, durato oltre un triennio. L’esemplare di questa specie, singolarissima fra i pesci per la sua conformazione, specie mancante affatto al no- stro Museo, non potè esser determinato dalla persona cui nei passati anni ripetutamente ne avevo affidato l'incarico. Trasportata e riordinata in altra sala anche la colle- zione generale ittiologica, ripresi in speciale esame tanto l'ordine dei Plectognathi, su’ quali spero di riferirvi appena tempo ed opportunità me lo consentano, quanto l’ ordine dei Physostomi, e particolarmente della fam. Siuridae. Dirò in passando che prima del 1884 queste forme di pesci (e vo’ dire precisamente dei Plettognati e dei Siluridi) erano appena rappresentati da 5 o 6 esemplari. E ricordo con piacere che le specie di Malepterurus, Clarias e Silurus, le prime ad aversi, furono quelle donate dall’illustre Profes- ANTONIO CARRUCCIO # sore Paolo Panceri dopo il suo proficuo viaggio fatto in Egitto. Confesso che non mi fu facile, mancando di ogni ter- mine di confronto, di precisare il genere e la specie cui dovevo riferire il notevole esemplare sempre indeterminato, introdotto in Museo, come dissi, colla collezione donata dal compianto contrammiraglio de Amezaga. Ma, insistendo, potei venire a capo TO diagnosi generica e specifica, evi- tando di mandarlo più o meno lontano, come a taluno pareva necessario. E confesso pure sinceramente che quando si tratta di oggetti donati ed unici, ho avuto sempre suf- ficiente ritrosìia per non esporli a lunghi viaggi..... Lo studio intrapreso mi permise di rivedere le forme appartenenti alla Fam. Siuridae, che un po’ per volta son riuscito ad introdurre nella collezione ittiologica, già co- tanto meschina ; e credo dover mio darne un cenno e mo- strarvele. Epperò, onde vi torni più facile e comoda la cono- scenza, ho fatto trasportare in questaula un buon numero di esemplari sul totale di oltre 409, appartenenti alle 6 sotto-famiglie denominate ed ammesse dal Ginther. 1 ge- neri che ho finora studiato sono in numero di 12, e le specie sono circa una ventina. Nella :1* sotto-famiglia — SiHuridae Homalopterae -— vedete parecchi individui del gen. Clarias Gronov., colle 2 specie C/. magna Ham. Buch. di Giava (1) e CI. lazera Cuv. et Val. (2) A TE di questa 2° specie farò nota ai consoci una curiosa particolarità fisiologica osservata dal Dottor Suard, medico della Marina francese nel Senegal, narrata e commentata nel 1895 dall'illustre prof. Leon Vaillant, e che in nessun'opera ittiologica moderna trovo ricordata. Il Dott. Suard essendosi dovuto recare a Nioro, a Nord del Sudan, e a 800 Km. dalle coste, trovò che le acque in cui normalmente vivono gli Harmouths, cioè i Clarias la- (1) Viaggio del Dott. Odoardo Beccari. D. Museo Civico di St. Nat. di Genova, (2) Idem del compianto amico e collega prof. P. Panceri, SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO 79 zera, eransi evaporate. Tutti gl’individui di questa specie si trovavano infossati nel fango come usano fare i Pro- topterus annectens (Dipnoi), ma comportandosi in altra guisa, perchè questi ultimi si formano dattorno uno spe- ciale inviluppo, nel quale passivamente stanno durante l’intiero periodo estivo, senza mai allontanarsene. All’op- posto i Clarias lazera si ricoverano sì nel fango, durante le ore calde del giorno, ma di notte quasi strisciando sul suolo — si avanzano, riescendo a raggiungere distanze varie, finchè trovano il necessario nutrimento. Questo è fornito da semi di una pianta coltivata da- gl'indigeni per l’ordinaria loro alimentazione. Il Dott. Suard raccoise molti esemplari vivi di Clarias lazera e li tenne in schiavitù durante il suo soggiorno a Nioro, collocandoli dentro una cassa metallica di grandi dimensioni e nutren- doli con grani di miglio. Egli ebbe sempre la precauzione di chiuder bene la cassa di notte, avendo osservato che appena questa sopraggiungeva, i pesci con grande pron- tezza sì adoperavano per uscire dalla prigione « pour ga- gner la campagne » come ripete il prof. Vaillant. Il quale opportunamente richiama alla memoria le ricerche di Ste- fano Geoffroy St.-Hilaire, dimostranti che i Clarias al pari degli Heterobranchus posseggono organi speciali ricchi di ramificazioni sanguigne posti presso le branchie; ed egli aveva riconosciuto che grazie a tali organi l’Helerobranchus bidorsalis, siluroideo che come sappiamo si trova nel Nilo, può vivere per molti giorni fuori dell’acqua senza soffrire. Questo fatto non mancai, dopo il 1895 in cui lo lessi, di rammentarlo ai miei allievi nelle lezioni sui Pesci, come anche a voi, egregi consoci, parmi non dispiacerà di ap- prenderlo. E benissimo intendete che gl’individui di questa invero curiosa specie possano non soltanto, durante il lungo periodo di grande siccità, sostituire la respirazione acquatica con una prolungata respirazione aerea, ma deb- bano considerarsi quali pesci a regime granivoro. Ecco, come bene osserva il prof. Vaillant, altro fatto insolito in questa categoria di animali. Chiudendo la parentesi proseguo l’enumerazione delle 80 ANTONIO CARRUCCIO specie di Siluroidei possedute dal Museo, appartenenti alla già citata sotto-fam. dei Siluroidei omalotteri, e vi presento il gen. Plotosus Lacep., rappresentato dal PI. anguillaris BI, di Amboina, pure raccolto dal benemerito Beccari, e che ricevetti dal Museo Civ. di St. Nat. di (renova. S. Fam. StHuridae Heteropterae. Di questa presento il gen. Schilbe Blkr. colla spec. nilotica Sch. myxtus Cuv. et Val. (SHurus mystus L.) pur donata dal prof. Panceri; e il gen. Siluranodon B.kr. colla sp. S. auritus Geoffroy pure del Nilo, e donata dall’ istesso Panceri. Della S. Fam. Siuridae Proteropterae possediamo specie appartenenti a 7 generi diversi, cioè : Bagrus Blkr., Ma- crones Dum., Auchenaspis Blkr., Pimelodus Gthr., Arius Gthr. ecc: Del ‘1°;gen. presento‘ le ‘dure specie nitotehesgpaeo avute in dono dal Panceri, cioè il Bagrus bayad Forsk., ed il B. docmac Forsk. Del gen. Macrones Dum. possediamo il M. MHoevenii Blkr. (vel M. nemurus Cuv. et. Val.) della quale specie il celebre Giinther scrive : « differs scarsely from B. nemurus in having the body a little more slender, the hoad a little shorter, and the occipital process rather more distincet. » Del gen. Auchenaspis Blkr. avete sott'occhio la specie denominata A. biscutatus Geoffr. (Pimelodus. biscutatus Geoffr.) ; e del gen. Pimelodus Gthr. p. d. mi basti oggi presentarvi il P. maculatus Lacep., portato colla Caracciolo dal comand. de Amezaga, e vivente nel Brasile e nel Su- rinam. Importante è la specie del gen. Arius Gthr. denomi- nata A. microcophalus Blkr.; la quale fu portata da Sa- rawak (Borneo) dal Beccari (Mus. Civ. di St. Nat. Gen.) L’esemplare tipico di cui parla il Gimther lo ebbe pel Museo di Londra dall’istesso dott. Bleeker (1 ce. p. 170) preso a Bandjermasin. S. Fam. Siurid ie Stenobranchiae. Di quest'altra sotto famiglia posso presentare i 2 generi, Synodontis Cuv. et Val. Malapterurus Lacép. Del 1° gen. possediamo le 2 spec. Syn. serratus Rùpp. e Syn. schal Schn., entrambe del Nilo e donate dal prof, Panceri, e eg mi a SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO 81 Del 2° gen., pure nilotico, ch'è il Malapterurus, abbia- mo presenti parecchi esemplari, che fanno parte della collezione generale e della didattica, e precisamente del M. electricus Gm. E dico precisamente perchè dal Murray e dal Giinther vennero descritte altre due specie del Ca- labar, una col nome di M. beninensis e Valtra di M. affinis, Dell’ultima S. Fam. Siluridae proteropodes, come la chiama il Ginther, possediamo i generi Chaetostomus Hach. e Rhinelepis Spix. Il gen. Chaetostomus potè esser rappre- sentato nel nostro Museo grazie alla gentilezza del prof. L. Balzan, dal quale nel 1889 ebbi tre esemplari di Ch. cirrhosus Val., presi verso l’Assuncion, capitale del Para- guay, e quindi nel bacino del Rio de la Plata. Il 4° genere or ora menzionato è il hinelepis colla specie denominata da Cuv. e Val. RA. strigosa, che mi compiaccio di presentarvi preparata a secco in ottimo stato di conservazione. Dissi già che l'esemplare faceva parte del copioso ma- teriale scientifico portato a bordo dalla R. Pirocorvetta la Caracciolo, comandante de Amezaga. Anche nei principali Musei Zoologici in cui si conser- ‘ vano grandiose collezioni ittiologiche, e quindi moltissime forme di Siluroidi, sembra siano scarsamente rappresentate quelle proprie al gen. Rhinelepis, ch'è esclusivo all’Ame- rica del Sud. Vero è che le specie annoverate nel gen. me- desimo sono pochissime, anzi da taluno fra i più compe- tenti scrittori vengono ridotte ad una, o a due soltanto. Il Cuvier e Valenciennes che primi descrissero la RA. strigosa sovra un unico esemplare lungo 13 pollici, avuto dal celebre d’Orbigny, ammisero altre 3 specie, cioè la RA. aspera Spix, la RA. genibarbis Cuv. et Val., la RA. histrix o Loricaria histrix Vandelli, e la RA. acanthicus o Acan- thicus histrix Spix. Ma il Giinther nel suo Catalogue of the Fishes in the British Museum si limita ad annoverare nel gen. Rhinelepis p. d. la sola RA. strigosa, facendo rientrare le altre 3 specie nel gen. Acanthicus; anzi non ammette come specie distinta il RA. Acanthicus Cuv. et Val. scrivendo — fra altro — quanto segue: « This species Bollettino della Società Zoologica Italiana 6. 82 ANTONIO CARRUCCIO is founded, at present, on the single typical specimen in the Museum at Munich, it is stuffed, and said to be in a bad state of preservation. Kner after an examination of this specimen, asserts that the absence of the second dorsal fin is merely accidental, and, therefore, that it would belong to Chotfostomus (according to our definition of that genus). Scrittori contemporanei o posteriori al Ginther, quali il Bleecher, Bocourt, Day, Kner, Peters, Steindachner, Vail lant ed altri, o non poterono annoverare un maggior nu- mero di specie nel gen. in discorso o ne tacquero affatto ; e l’istesso Giinther in parecchie larghe recensioni che pub- blicò in diversi volumi del 4oological Record conferma quanto scrisse nel 1864 a pag. 253, del vol. V del suo re- putato Catalogo, o ben poco vi aggiunge. Il nostro esemplare proviene dal Brasile, e propria- mente dal Paranà ; ed anche l'esemplare che ebbero in Pa- rigi per mezzo del d’Orbigny, fu preso nel Paranà, come affermano Cuvier e Valenciennes. Però secondo l’ istesso d’Orbigny si troverebbe questo gen. anche « dans d’autres riviéres de la province de Corrientes, surtout dans les pe- tites, à fonds sablonneux. » Volendo trovare indicazioni più precise, lessi, fra gli altri lavori ittiologici più recenti, quello del dott. Emilio Goeldi sui Pesci delle Valli delle Amazzoni e della Gujana, credendo che in queste altre regioni dell'America del sud, potesse trovarsi il gen. IAinelepis. Il Goeldi però annovera 36 specie diverse ripartite in 17 generi, ma nessuna però appartiene al gen. predetto, che neppure cita. Col nome di Rhinelepis aspera Sp. lo trovo citato invece da Chr. Litken nella Enumeratio pisciun flumen Rio das Velkas et lacum Lagoa Santa qui dicuntur rivulosque vicinos habi- tantium (pag. 143). Premesse queste notizie sommarie, passo alla descri- zione del nostro esemplare, la quale darò esatta e precisa. Ciò credo opportuno di fare perchè il Giinther altro non fa che darne il solo nome in una noterella, dopo di aver riassunto i caratteri del genere; e della spec. RAinelepis a- SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO. 83 spera si limita a dire pochissime parole sull'origine della pinna dorsale. Anche la descrizione data dal Cuvier e Valenciennes, fosse la migliore che io abbia trovata, non es- sendo completa, mi ha indotto a ristudiare diligentemente la specie. Lo. Spix ed Agassiz ebbero piena ragione di separare dalle Loricarie propriamente dette i Rinelepidi, perchè questi ultimi — come suona la parola composta (risultante da due vocaboli greci, che tradotti suonano /ma e scaglia) hanno il loro rivestimento cutaneo formato da una serie non interrotta di piastre che possono rassomigliarsi ad altrettante piccole linee appiattite, di varia dimensione e forma, ma per lo più sono triangolari, col lato maggiore rivolto all'indietro. La superficie esterna del corpo non solo è ben corazzata, ma è sì aspra e ruvida che dà alla mano esploratrice la sensazione quasi di una raspa a punte finissime. e penetranti, sensazione che non si può più a lungo tollerare se la stessa mano trascorre pa- recchie volte in senso inverso alla direzione delle innu- merevoli puntine aguzze pungenti su tutte le piastre: queste poi offrono una disposizione press’ a poco embricata. In breve si verifica quanto ci accade soffregando la pelle zigrinata della Centrina Salviani, o di altra specie di Selaci. Altri caratteri morfologici notevoli, che vi prego di osservare, si hanno : nella forma e sede della bocca, ch'è posta sotto almuso ; nella curiosa conformazione dei denti, lunghi, assai esili, flessibili, unciniformi all’apice ; nei raggi spinosi, grossi, che possono rassomigliarsi a piccole raspe tondeggianti, uno posto al davanti dell'unica pinna dor- sale, un altro proprio a ciascuna pinna toracica, e così per le altre come dirò in seguito. Ritengo che questo esemplare appartenga a un indi- viduo perfettamente adulto: misurandolo otteniamo una lungh. tot. di 46 cm. — L’esemplare misurato dagli autori dell’ Histoire naturelle des Poissons, quello cioè portato dal d’Orbigny a Parigi, era lungo 13 pollici. La lunghezza della testa, — misurando naturalmente dall’apice del muso fino al centro della linea basilare for- ni Bollettino della Società Zoologica Italiana 7, 84 ANTONIO CARRUCCIO mata dallo scudo cefalico, — è di 14 cm. Il muso misu- rato isolatamente è lungo quasi 10 cm. Gli occhi sono rotondi e piccoli, avendo appena un diametro di $ mm.: sono distanti l'uno dall'altro 6 cm. e 172, e dall'apice del muso $ cm. e 172;,e da: clascuma narice, posta in sul davanti, distano 2 cm. Queste narici, che oltre di trovarsi situate più ante- riormente stanno anche alquanto più all’interno degli oc- chi;- distano l'una dall’altra‘4.cm. Sulla testa le piastrine dure e rugose, di diversa gran- dezza, formano una specie di scudo, ma si distingue nella maggioranza delle medesime la forma poligonale ; le sette posteriori sono le più grandi. Delle tre ultime la mediana rassomiglia quasi ad una fogliolina sostenuta dal suo pic- ciuolo, a motivo del prolungamento posteriore ch’essa pre- senta. Le altre due laterali sono simmetriche ed hanno una forma quasi ovalare, e sono anche le più evidenti. Tutte poi queste piastrine formanti lo scudo cefalico stanno intimamente a contatto fra loro coi rispettivi margini. La testa, lasciando la parte che forma il muso, il quale è leggermente convesso, si presenta quasi affatto piana nel mezzo, ed offre la sua maggior larghezza nella linea oculare. Le piastrine sopracefaliche che stanno al davanti delle narici sono le più piccole; esse sono più regolarmente aggruppate e strette fra loro, e talune esagonali sì spingono fin verso l'apice del muso. Questo però è coperto da pia- strine ancor più piccole e numerosissime, formanti una specie di pavimento consimile a quello che osservasi sulla faccia ventrale, cominciando però sotto le pinne toraciche per venire alle ventrali, e dagli angoli posteriori ed interni degli opercoli, fin presso la pinna anale. (Continua). : Riviste Bibliografiche I L'ATLANTE ORNITOLOGICO del Conte Professore ETTORE ARRIGONI DEGLI ODDI Recensione del socio prof. GIOVANNI ANGELINI presentata alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma Nell'estate scorsa comparve in Italia un libro destinato a se- gnare un passo importante nel progresso della Ornitologia europea. Questo è l'Atlante Ornitologico del Conte Prof. Arrigoni degli Oddi. Sugli uccelli d'Europa in generale si aveva qualche altro la- voro recente, ma straniero : la grande e splendida opera illustrata del Dresser « The Birds of Europe » in nove volumi (London, 1871-1896) costosa e alla portata di pochi in Italia; l’opera pure illustrata dell’Arnold « Die Vigel Europas » (Stuttgart 1897) più economica e popolare, ma in una lingua accessibile a pochi ita- liani; e il Catalogo del Noble « A List of European Birds ». (London 1898). In Italia l’ultimo iavoro di Ornitologia generale italiana era l’Ornitologia Marchigiana del Gasparini (Fano 12914) la quale, ad onta del suo titolo regionale, tratta di tutti gli uccelli italiani; libro pregevole e poco costoso, ma che, per essere una compila- zione fatta specialmente sui libri, ha il diffetto di non porre sem- pre in evidenza nelle brevi diagnosi delle specie i caratteri dif- ferenziali più importanti. L’Elenco degli Uccelli Italian: del Sal- vadori (Genova 1887) e l’Avifauna Italica del Giglioli (Firenze 1886) col Primo Resoconto dell'Inchiesta Ornitologica in Italia (Fi- renze 1889-91) sono importanti lavori, ma non hanno descrizioni di specie: bisogna risalire a circa trent'anni addietro, alla pub- blicazione dell’Ormitologia Italiana del Savi (Firenze 1873-77) e della Fauna d’Italia del Salvadori, Parte II, Uccelli (Milano 1872) 86 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE per trovare due opere descrittive generali intorno agli uccelli italiani. Ma questi due lavori, importantissimi per l’ep ca in cui comparvero, risultano oggi necessariamente incompleti, e non più al corrente col tempo : inoltre l’opera del Salvadori, la più esatta, è da un pezzo esaurita: quella del Savi, opera postuma, oltre alle lacune, non è scevra d’inesattezze. Ne fu fatta recentemente una ristampa, ma è a lamentare che sia stata riprodotta tale quale, senza apportarvi quelle correzioni ed aggiunte, che avreb- bero potuto mettere questo classico libro al corrente colle odierne cognizioni sugli uccelli italiani, analogamente a quanto è stato fatto in Inghilterra per le varie edizioni dell’ History of British Birds del Farrell, e si sta facendo ora anche in Germania per la Naturgeschichte der Vogel Deutschlands del Naumann. In quanto poi ad opere illustrate non possiamo notare di recente che l’ot- tima Monografia degli Uccelli di Itapina in Italia del Martorelli (Milano 1895) e la J/conografia dell’Avifauna Italica del Giglioli (Prato 1879 95), opera quest’ultima troppo bene incominciata, ma forse appunto per questo arrestatasi a mezza strada, e, pare, con poca speranza di proseguimento. Era quindi da noi sentita la mancanza ed il bisogno di un lavoro moderno e completo intorno agli uccelli italiani: a ciò provvede molto opportunamente e molto bene il libro dell’Arri- goni, che, per quanto abbia avuto dal modesto autore il semplice titolo di Atlante, si può dire un trattato completo di Ornitologia europea. Esso è diviso in due parti, generale e speciale. La parte generale tratta in modo conciso ed elementare della struttura esterna degli uccelli, del loro piumaggio e di alcuni fatti importanti a conoscersi, e che possono riuscir nuovi a quei dilet- tanti ornitologi, che non si sono occupati di studi zoologici ; e, se in qualche punto tali nozioni non riescono della desiderata chiarezza, lo si deve più che ad altro imputare all’indole degli argomenti, che male si prestano ad essere condensati in pochi periodi. Si passa poi alla distribuzione geografica degli uccelli, poi alla questione dei rapporti fra gli uccelli e l’agricoltura, ar- gomento di attualità, e per noi italiani specialmente interessante RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 87 nella presente aspirazione ad una nuova ed unica legge sulla caccia; poscia al fenomeno delle migrazioni, problema, quanto meraviglioso ed importante, altrettanto intricato ed oscuro. Viene quindi l’autore al cauto degli uccelli ed alla struttura siringea, come carattere tassinomico, poi ai nidi ed alle uova, e mostra i criteri, che lo Sharpe ne ha saputo trarre per la formazione di una delle più recenti classificazioni ornitiche, forse fra tutte la migliore. Appresso passa l’ Arrigoni a parlare delle cacce maggior- mente usate in Italia, e quì riproduce due suoi precedenti scritti, uno sulla caccia di Valle nella Laguna veneta, e l’altro sulle cacce di Sardegna. Insieme all’articolo, pure riprodotto, sui rapporti fra Uccelli ed Agricoltura, queste descrizioni di cacce sono i capitoli delia parte generale meglio scritti, fors'anche perchè non risen- tono di quell’ansia, che deve necessariamente aver animato l’au- tore durante la rapidissima compilazione del suo Atlante. Le de- scrizioni di queste cacce, fatte con tutta verità e brio, rivaleggiano con quelle lasciateci dal Savi: in esse l’Arrigoni ha saputo tra- sfondere tutta la sua passione, tutta la sua anima semplice e buona di ornitologo e di cacciatore. Poscia viene la parte tassinomica, che è ampiamente presen- tata a cominciare dalle origini, da Aristotile, alle più moderne classificazioni dello Sclater, del Newton, del Reichenow, dello Stejneger, del Fiirbringer, dello Sharpe e, per l’Italia, del Giglioli e del Salvadori. Fa seguito uno sguardo storico-bibliografico sul- l’Ornitologia europea, e specialmente italiana, dove con gentile e nobile pensiero sono da principio riportati alcuni capitoli inediti di una storia dell’Ornitologia incominciata, ma non continuata dal Padre dell'Autore, pure dotto ed appassionato ornitologo. Termina la parte generale un elenco di lavori riguardanti l’Or- nitologia europea, e la italiana in particolare: sebbene, come ne avverte l'Autore, non abbia la pretesa di essere completa, è non- dimeno questa parte assai estesa, ed utile corredo e necessario com= plemento a questo, come ad ogni altro libro scientifico moderno, Ed ora della parte speciale, che è la più importante, e che 88 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE Ls, NA; A - io considererò particolarmente dal lato, che riguarda gli uccelli italiani, a me più noto, e che ci tocca più da vicino, E porrò an- zitutto in confronto l'Atlante dell'Arrigoni col gi: ricordato Elenco del Salvadori, anche perchè, per essere stato seguito in questi due libri lo stesso sistema di classificazione, più ovvio e fa-ile ne riesce il paragone. L’Arrigoni annovera nel suo Atlante 565 specie e 70 sotto- specie: 446 delle prime e 30 delle seconde sarebbero anche ita- liane : invece nell’Elenco del Salvadori venivano registrate come italiane in tutto 428 specie. L’Atlante avrebbe quindi sull’Elenco una dif.erenza in più di ben 48 forme italiane, quasi tutte già fatte conoscere dallo stesso Arrigoni e da altri in varie pubblica- zioni scientifiche, e che rappresentano il considerevole aumento subìto in quest’ultimo trentennio dalla statistica ornitica italiana. Anzi, a quelle descritte nell’Atlante sarebbero ora da aggiungere altre 5 sottospecie nuove e proprie della Sardegna, affatto recente- mente riconosciute dal nostro Autore (vedi Avicula, fasc. 55-50, pag. 102 e segg.). Ecco la statistica precisa: Specie aggiunte nell’Atlante. l. Astur brevipes ? 20. Chersophilus Duponti 2. Aquila heliaca ? © 21. Euspiza luteola 3 » orientalis ? 22. Fringilla spodiogenis 4. » rapax 23. Serinus canarius ? 5. Hierofalco chervug 24. Pyrrhula pyrrhula 6 » istandus 25. Turtur douraca ? 7. Dendrocopus leuconotus ? 26. Glareola melanoptera 8. Ceryle rudis? 27. Aegialitis asiatica 9. Apus affinis 28. Tringa fuscicollis ? 10. Lanius algeriensis 29. Anser neglectus ? 11. Parus cyanus ? 80. Histrionicus histrionicus 12. » montanus 81. Somateria spectabilis 13. Ruticilla Moussieri 82. Pelecanus crispus 14. Calliope calliope (1) 383. Larus ichthyaetus 15. Sylvia Rueppeli 34. » argentatus 16. Phylloscopus tristis 385. Megalestris catarrhactes D7. » superciliosus 36. Puffinus assimilis 18. Locustella fluviatilis ? 37. Bulweria Bulweri 19. Motacilla citreola 388. Alle alle (1) Mentovata dal Salvadori nelle aggiunte. È 7 i i i i A RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 89 Specie dell’ Elenco ridotte nell’ Atlante a Sottospecie l. Apus apus murinus 12. Motacilla melanocephala xantho- 2. Aegithalus caudatus roseus phrys, 3 » » Irbyi 13. Calandrella pispoletta minor 4. Certhia familiaris brachydactyla 14. Emberiza schoeniclus palustris D. Cinclus cinclus melanogaster 15. Acanthis linaria rufescens 6. Saxicola melanoleuca occidentalis 16. Pyrrhula pyrrhula europaea 7. Cyanecula suecica cyanecula 17. Loria curvirostra pityopsittacus 8. Agrobates galactodes familiarìs 18. Phalacrocorax graculus Desma- 9. Motacilla flava borealis resti. 10. » » cinereocapilia 19. Larus argentatus cachinnans IV » melanocephala paradorxa 20. Puffinus anglorum yelkouan Sottospecie agginnte nell’ Atlante 1. Buteo buteo desertorum 6. Motacilla fava beema 2. Lanius excubitor major 7. Anthus spipoletta obscurus ? 38. Aegithalus caudatus siculus 8. Chloroptila citrinella corsicana 4. Turdus aonalaschkae Pallasi ? 9. Corvus corax tingitanus 5. Merula torquata alpestris 10. Caccabis saratilis chukar 2 Nuove Sottospecie dell’Arrigoni (Avic., l. c.) 1. Dendrocopus maior Harterti 4. Petronia petronia Hellmayri 2. Cotyle obsoleta sarda 5. Carduelis carduelis Tschusii. 3. Sylvia atricapilta Pauluccii Avremmo quindi in Italia, secondo l’Arrigoni, 446 specie di uccelli, di cui 11 dubbie, e 35 sottospecie, di cui 3 pure dubbiose. Una novità dell'Atlante, al confronto cogli altri libri di Or- nitologia italiana, è la distinzione delle sottospecie : io dò all’Au- tore pienamente ragione, La specie, base della classificazione, dev'essere fondata sempre sopra caratteri ben determinati e co- stanti : le differenze più incerte, e collegate da termini intermedi, debbono essere escluse dal novero dei caratteri specifici, altri- menti si imbarazza, più che non si agevoli, la distinzione delle forme organizzate. Il lavoro di sintesi e di concentramento, già iniziato dai moderni naturalisti, e seguito dall’Arrigoni nella sua opera, dovrà continuare e crescere : troppe specie si sono formate ; ma in gran parte non poteva essere altrimenti, Da principio, quando le osservazioni sono ancora poche e staccate, si è indotti a ritenere ben limitate molte forme, che ulteriori e più estesi confronti mostreranno collegate da graduali passaggi. 90 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE - Ma anche nella distinzione delle sottospecie non bisogna ec- cedere, come giustamente osserva il nostro autore (1) non già che non importi indagare la diversa variabilità delle forme: ma il voler creare un nome, sia pure trinomio, per ogni minima sfu- matura di colorito, come ad es. si è fatto per certi Paridi, equi- vale a creare un labirinto, dove la mente dello studioso si stanca e si fonde (2). Oltre alle citate 10 specie dell'Elenco del Salvadori dall’Ar- rigoni retrocesse, dirò così, a sottospecie, egli accenna al fatto molto probabile, che a qualche altra (Falco punicus, Parus bo- realis ecc.) debba toccare la stessa sorte; ed io credo che anche qui egli abbia ragione. Però la cosa, che mi ha fatto maggior piacere, è stato il vedere ridotte a semplice sottospecie tre formé o serie di forme, per una delle quali (Sazzeola melanoleuca occi- dentalis) qualche anno fa (3) e per le altre due (Motacilla flava cinereocapilla ed Emberiza schoeniclus palustris) fino da 20 anni addietro (4) io aveva già sostenuta la convenienza di cancellarle dal numero delle specie. A proposito di quest’ultima il Conte Arrigoni ricorda le mie conclusioni, e con parole molto benevole, che io debbo attribuire più alla sua gentilezza e buona amicizia, che ai miei meriti : però c'è qui un punto, dove io non posso accordarmi con lui. Per quella e (UP Lpas.s); (2) Recentissimamente lo Tschusi zu Schmidoffea distingue e battezza ben 7 sot- tospecie nell’ambito del Passer hispaniensis (Temm.), specie di diffusione assai limitata: ma poi non sembra ancora contento! Credo che con un po’ di buona volontà non sarebbe difficile trovar da fare altrettanto in una gran parte delle altre specie; ma in tal caso è pur facile immaginare quale Babele ne risulterebbe con una infinità di nomi di così difficile, e pressocchè impossibile applicazione, ogni qualvolta degli esemplari non sia certa la provenienza, (3) Osservazioni intorno alla Saricola melanolevca (Guld) ed alla Saxicola Occidentalis Salvad. Bollettino della Soc. Rom. per gli studi Zool. vol. VII, pag. 50-51, 1898. (4) Alcune osservazioni intorno alla Budytes fava Bp. ed al Puffinus an- glorum Boie : Proc. verb. della Soc. Tose. di Scienze Nat.; adunanza del 13 maggio 1883. — Osservazioni intorno ad alcune specie appartenenti alla sotto- famiglia degli Emberizini: Memorie della Soc. Tosc. di Sc. Nat., vol. VI, fasc. 1°, Pisa 1884. — Osservazioni e riflessioni intorno alle Passere di Padule (Em= beriza schoeniclus Linn. ed affini) Avicula, anno II, fase. 11, Siena 1898. ev ” Gia mne n . ft intra toe FURTO, i spit è Di FANTI A wsermpens rsu TRES 18% Ù Pe RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 0) forma più gracile di Emb. schoeniclus, che si discosta dalla forma tipo per caratteri opposti a quelli, pei quali se ne allontana la sottospecie palustris, forma che il Bonaparte e il Durazzo consi- derarono quale specie distinta, in seguito dimenticata, e da me rimessa in evidenza (l. c.) e riproposta come varietà o sottospecie, l’Arrigoni propone un nome nuovo, quello di Emberiza schoeni- clus Valloni. Questo non mi sembra giusto. E’ vero che il Bo- naparte riferì alla medesima specie le due forme figurate nella sua Iconografia della Fauna Italica sotto il nome di Emderiza Du- razzi, delle quali la prima è invece un’£mb. pusilla, ma in pari tempo, citando il contrario avviso del Durazzo, e nella previsione che questi potesse aver ragione, descrisse ed espressamente in- tese di battezzare col nome di £, Durazz? l’uccello rappresentato dalla sua figura 2°, come chiaro emerge dal seguente passo del sottostante articolo : « Ma se pur si avverasse questa duplicità, che noi non am- mettiamo, il nome di Emd. Durazzi spetterebbe sempre all’uc- cello figurato sotto il n. 2, che passiamo a descrivere ». Infatti la descrizione del Bonaparte si riferisce al n. 2: in essa, tra le altre cose, è detto che il maschio tinge tutto il capo e il collo di nero più dell’E. schoeniclus, ciò che non può certo attribuirsi all’E. pusilla. Ma, dato pure che si volesse scartare il nome del Bonaparte, c'è quell'altro di Empberiza schoeniculoides adoperato indubbiamente per questa forma dal Marchese Durazzo solo qualche anno più tardi (Catalogo degli Uccelli annesso alla De- scrizione di Genova. Genova, 1846) che deve avere la preferenza. Un'altra osservazione vorrei fare all'amico su due delle ul- time sue sottospecie sarde: queste sono la Sylvia atricapilla Pau- lucciù ed il Carduelis Tschusti. Per verità queste non fanno parte dell’Atlante ornitologico : ma, essendo state pubblicate subito dopo, possono esserne considerate come un’ appendice, Sulla fine del dicembre u. s. in occasione di una mia breve gita in Sardegna, uccisi a bella posta dei cardellini e delle capinere, queste negli uliveti intorno a Sassari, quelli proprio sulle sponde dello stagno di Sorso, una delle località indicate dall’Arrigoni; 92 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE ebbene, notai una vivacità di tinte un po’ maggiore che non nei nostri della Penisola, specialmente nei Carduelis, di cui ho con- servato tre esemplari; però non egualmente in tutti gli individui e in generale le differenze mi parvero tali da dovermi doman- dare se realmente meritassero di essere distinti come sottospecie. Per me sono due casi perfettamente simili a quelli del Gheppio sardo, ricordato dall’autore nel suo Catalogo. Finchè si tratta del Picchio rosso maggiore, della Rondine montana ed anche della Passera lagia, uccelli sedentari, o se, come quest’ultima, anche migratori, formanti speciali colonie, ed abitanti soltanto deter- minate stazioni, facilmente si capisce come l’isolamento possa produrre e conservare talune anche ieggere variazioni di colo- rito: però in specie così generalmente diffuse e largamente mi- gratrici, come le Capinere e i Cardellini, mi pare difficile che possa succedere altrettanto. Bisognerebbe ammettere per questo che gl’individui nati nell’Isola non avessero a confondersi ed in- crociarsi con quelli di altre regioni, capitati a passare o a sver- nare e poi rimasti colà, come non si mescola lo Storno nero collo Storno comune : ma ciò non mi sembra verosimile, stante la mi- nima entità delle loro differenze. Bisognerebbe fare delle osser- vazioni durante il periodo della riproduzione, e inoltre vedere se per avventura anche negli esemplari delle provincie meridionali d’Italia e della Sicilia non si abbiano tinte più vivaci. Ad ogni modo io non pretendo di assolutamente contraddire il mio amico : riconosco la insufficienza dei miei dati : credo però che la S. a- tricapilla Pauluccii e il C. carduelis Tschusii abbiano ancora bi- sogno di essere studiate, e non sia stata detta intorno ad essi l’ultima parola. Avendo il libro dell’Arrigoui un carattere piuttosto popolare, l’Autore ha preferito ad altre classificazioni più perfezionate, ma più complicate, quella del citato E/enc0 del Salvadori, che « men- tre ha il pregio di essere consona all’attuale stato scientifico, si presenta molto semplice » e meno si allontana da altre più co- munemente note; e secondo me ha fatto benissimo. Deve infatti, a mio avviso, adattarsi la classificazione all’indole del libro, ed A n E A ero Pe de PITT NOI Re e ae % RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 93 alla conoscenza delle persone, alle quali si indirizza. Ma la parte del lavoro pìù preziosa è la descrittiva, e segnatamente quella, che riguarda le diagnosi delle specie. In questa, che è anche la più ardua, l’Arrigoni rivela la conoscenza profonda, che egli possiede della materia, e il lungo studio e il grande amore, con cui ha in- vestigato li uccelli europei. Nelle brevi descrizioni egli ha racchiuso quanto è necessario e sufficiente a caratterizzare le singole forme ; sempre ha saputo porre in luce le differenze più essenziali e carat- teristiche delle varie specie. Si riconosce subito trattarsi, non già di una compilazione eseguita sui libri, ma di uno studio fatto sugli esemplari, e sopra un grande numero di esemplari; che il libro, per quanto possa essere stato affrettatamente scritto, è il frutto di un lungo e paziente lavoro. Un altro punto, dove l’Arrigoni mostra la sua valentia, è la discussione delle variazioni presentate dalle singole forme: così pure ben riassunta è la distribuzione e varia frequenza delle specie, ed opportuno il cenno sulla comprensione, sulla diffusione e sulle abitudini dei generi. Invece una cosa, che a me non piace, è la ripetizione dei nomi generico e specifico : in questo l’Autore non fa che seguire la corrente principale, sebbene, come mi sem- bra, alquanto suo malgrado. Conseguenza di questo andazzo si è che nell’Atlante una cinquantina di specie si trovano ad avere identità di nome generico e specifico. io non capisco ‘perchè si debba aver tanta ripugnanza a fare in questo caso una ragione- vole eccezione alla legge di priorità, dal momento che qualche altra pure, se ne fa ad esempio per i nomi degli autori posteriori a Linneo non rigorosamente binominalisti (1). Eppure si avrebbe così il vantaggio di evitare un'infrazione al codice linneano, in cui è espressamente detto che i nomi specifici non debbono es- sere « nominihus genericis similia » e si risparmierebbe agli 0- recchi il disgusto di una quanto mai antipatica cacofonia. La parte iconografica, da cuì il libro prende il nome, quasi che il testo ne fosse meno importante, si compone di 50 tavole (1) Vedi parte II, pag. 16. | 94 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE colorate, di cui 48 riprodotte dall'opera « Die Vigel Europas » dell’Arnold, ed altre due, eseguite dal prof. B. Lava di Padova, aggiunte dall’Autore e raffiguranti, com’egli stesso dice, uccelli poco noti o rari, o non illustrati dall’Arnold. Oltre a ciò 210 di- segni parziali o schematici, intercalati nel testo, di soggetti molto opportunamente scelti dall’Arrigoni, ed abilmente disegnati dallo stesso prof. Lava, servono ad illustrazione della parte generale, ov- vero per mettere meglio in evidenza i caratteri più spiccati e diffe- renziali delle forme più affini. Le tavole colorate comprendono 545 figure rappresentanti 350 forme, molte delle quali nei vari abiti corrispondenti ai diversi sessi, età e stagioni: le ultime tre tavole raffigurano le uova di 116 specie. Intorno a queste tavole io ho sentito e letto qualche lamento : però, se debbo dire la ve- rità, a me sembrano discretamente buone e rispondenti allo scopo. Certo le figure non sono molto fine, ed io non nego che, ordi- nandole apposta, si sarebbero potute avere migliori; ma era questione di prezzo; non bisogna dimenticare che si tratta di un libro d’indole popolare, destinato a diffondere tra noi la passione per gli studi ornitologici, e che l’editore Hoepli, pubblicandolo, doveva anzitutto avere intenzione di venderlo. In rapporto col prezzo, relativamente mite per un lavoro come questo, mi pare | che non si potesse pretendere di più: mi pare anzi che autore ed editore abbiano saputo conciliare abbastanza bene il rigore scientifico colla semplicità della forma, la bontà tipografica colle esigenze della economia. Un senso di ammirazione merita poi l’autore per la rapidità «mmensa, con cui ha saputo condurre a termine la sua opera voluminosa di oltre 750 pagine di testo. Gli studi fatti, la ricca sua biblioteca, la sua collezione ornitologica fornita di ben 14 mila esemplari (1), le visite fatte a un’infinità di musei e dirac= colte private italiane ed estere, le sue relazioni coi più valenti (1) Di cui 2000 circa montati e gli altri in pelle (Arrigoni a voce e în litt.) quindi molto più di quanto lascerebbe supporre il prof. A. Bonomi nella sua recensione dell'Atlante Ornitologico. Mi piace rettificare con dati positivi il nu- mero, perchè davvero straordinario, trattandosi di una collezione privata, e per giunta riferentesi alla sola Regione Paleoartica, E been radici “tilde init _i Pi Li DI » # noia RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 95 ornitologi del giorno, il fuoco sacro per questi studi, ed, aggiun- giamolo pure, gli agi e la indipendenza della vita permisero a lui di fare quello, che nessun altro in Italia avrebbe potuto pro- durre in così breve lasso di tempo. Tuttavia non si può negare che l’Arrigoni in quest'opera, a cuì ha saputo dare una fisonomia tutta propria, ed una spiccata impronta di modernità, abbia pure fornito una indubbia prova di non comune attività e resistenza al lavoro. Di questo libro furono pronti ad occuparsi gli ornitologi e- steri, ed alla ben riuscita prova non furono avari dei loro elogi: gli italiani tardarono un poco, ma non mancarono anch'essi di esprimere all'Autore la loro approvazione ed ammirazione : al coro degli altri unisco anch'io, ultimo fra tutti, la mia debole voce, dispiacente che varie circostanze mi abbiano impedito di mostrar prima all'amico che il suo libro l’ho anch'io letto e stu- diato attentamente. E, grato alle fatiche dell’Autore ed ai lode- voli sforzi dell'Editore, faccio voti perchè questa prima edizione di soli 500 esemplari venga presto esaurita, sicuro di vedere la nuova edizione notevolmente accresciuta e perfezionata. Roma, aprile 1903. Il NEVIANI A. — Intorno ad una rara pubblicazione di G. D. Westendorp. Acquistai di recente dalla ditta R. Friedliinder et Sohn una rara pubblicazione zoologica, sulla quale credo opportuno trat- tenere i colleghi della Società Zoologica Italiana. Essa porta il seguente titolo: Polypiersflexibles de la Belgique, Collection des Bryozcaires, Sertulaires, Ilustres et Spongiaires qu'on rencontre en Belgique, et particulièrement aux environs d'Ostende, par G. D. Westendorp. 1re Livraison. Coutrar 1853. Il Westendorp è noto come cultore di Botanica, e come autore di una memoria sopra i polipi flessibili pubblicata nel 1848 (1); ma mai ho avuto occasione di vedere citato il lavoro sopradetto, neppure da coloro che sì occuparono dei Briozoì dei dintorni d’Ostenda. Siamo quindi qui in presenza di una doppia novità, e tale va considerata sia come pubblicazione, sia come exsiccata di animali. Difatti il fascicolo contiene 32 fogli su ciascuno dei quali trovasi fermato, come si usa per gli emsiccata di botanica, un e- semplare; a piedi pagina è attaccata una scheda stampata con- tenente: il numero d’ordine, il genere e la specie con la sigla dell’ autore, la bibliografia, la sinonimia, e le necessarie indica- zioni di habitat. Completa il fascicolo un copioso indice sinonimico. L’opera è dedicata al professore di botanica nell’ Università di Gand, caval. Jean Kickx. Ecco l'elenco delle specie contenute nel suddetto fascicolo : 1. Flustra foliacea Lamk. 7. Sertularia abietina Linn. 2. Avicella avicularia Pall. JS: » cupressina Linn. 3. Membranipora pilosa Deblaim. 19, » argentea Linn. 4. » verticillata Nob. 20. Thoa halecina Lamx. 5. Gemellaria loricata Sav. 21. Vesicularia spinosa Thomps. 6. Cellarina scabra Vanben. 22. Antennularia indivisa Lamk. 7. Scrupocellaria sceruposa Vanben. 23. Plumularia Macleodii West. 8. Crisia eburnea Lamk. 24. » cristata Lamk. 9. Eucratea cornuta Lamx. 29. Serialaria falcata West. DI % e has x RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 97 10. Aetea anguina Lamx. 26. Tubularia calamaris Pall. ll. Elisia rugosa West. 27. Eudendrium ramosum Ehrb. 12. Campanularia gelatinosa Lmk. 28. Hydractinia lactea Vanben. 13. » geniculata Meyen. 29. Spongia oculata Linn. 14. » volubilis Lmk. 30. Halodactylus diaphanus Farre. 15. Dynamena operculata Lamx. 81. » arasitica Vanben. 16. » pumila Lamx. 32. Spongilla friabilis Schweiggr. Le specie sono tutte perfettamente determinate, e non molte sono le differenze con la nomenclatura ora in uso, talehè mi di- spenso dal riportare qui la relativa sinonimia ; dirò solamente che appartengono: a) ai briozoi gimnolemati chellostomi i num. 1, 2, 3, 4, 5, rt 9 010: 5) ai briozoi ciclostomi il num. 8; c) ai briozoi ctenostomi i num. 21. 25, 30 e 831; d) agli idrozoi leptolidi caliptoblasti i num. 11, 12, 13, 14, fiesto 17, 19,:19;1207 22,29 e 24; e) agli idrozoi gimnoblasti i num. 26, 27 e 28; f) alle spugne i num. 29 e 32. (1) Recherches sur les Polypiers fleribles de le Belgique, ecc. Bruges 1843 ATTI UFFICIALI DELLA SOCIETÀ —__T___ Proclamazione dei Soci onorari italiani e stranierà e loro lettere responsive Nell’adunanza generale tenutasi il 26 giugno 1903 nel- l'aula dell’Istituto Zoologico della R. Università, dietro particolareggiata proposta fatta dal presidente, a nome del Consiglio Direttivo, venivano, a voti unanimi, eletti e pro- clamati Soci onorari gl'illustri professori: comm. prof. Giglioli Hiller Enrico, direttore del R. Museo Zoologico dei Vertebrati di Firenze; comm. prof. Pavesi Pietro, di- rettore dell'Istituto Zoologico della R. Università di Pavia ; Conte prof. Salvadori Tommaso, ornitologo, vice-direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino; cav. uff. prof. Stefanelli Pietro, entomologo, Firenze; comm. prof. Blanchard Raffaele, direttore degli Archives de Paras- sitologie, professore nella Facoltà Medica di Parigi; comm. prof. Edmond Perrier, della Facoltà di Scienze, direttore del Museo di storia naturale di Parigi. Data sollecita partecipazione della proclamazioneai sin- goli nominati, questi rispondevano al nostro presidente, comm. prof. A. Carruccio, colle lettere seguenti, che ci fac- ciamo un dovere di riprodurre fedelmente, ommettendo soltanto, per ragione di spazio, di ripetere i sei indirizzi e le date, e qualche parola non necessaria. I ettera responsiva del prof. Giglioli : « La sua pregiatissima, in data del 26 corr. giugno, anrunzian- domi l'altissimo onore che ha voluto conferirmi la benemerita Società Zoologica Italiana, proclamandomi Socio onorario nazio- nale, mi ha vivamente commosso. « Cordialmente ringrazio Lei, illustre Presidente, che ha vo- luto con tanta benevola cortesia propormi, e la prego a voler essere interprete, presso i chiarissimi colleghi per l’altissima stima, che ee TI OT ALI TT ATTI UFFICIALI DELLA SOCIETA 99 hanno voluto dimostrarmi, coi loro suftragi, della mia sentita gra- titudine. « Accetto con vivo piacere, lieto di appartenere ad un Consesso, «che ha dimostrato sempre tanto amore per la scienza nostra prediletta; e sarò lieto di poter contribuire agli scopi altissimi ai quali mira la Società nostra. « Di nuovo grazie! E con antica stima ed affetto, mi abbia, illustre Presidente, pel « Suo devmo ed affmo « EnRrICO H. GIGLIOLI. » Lettera del prof. Pavesi : « Sono vivamente commosso dell’annunzio, che Ella mi dà con ‘sì cortesi parole, di essere stato acclamato Socio onorario italiano, di codesta illustre Società; e La prego di farsi interprete presso tutti gli ottimi Colleghi di tali miei sensi di infinita gratitudine « Mi terrò felicissimo di partecipare ai loro lavori in prò della scienza e della patria. « Col massimo ossequio Devmo .« Prof. Pietro PAVESI. » Lettera del prof. Salvadori : « La tirannia degli esami mi ha impedito di rispondere su- bito all’annunzio che Ella cortesemente mì dette della mia no- mina a Socio onorario della Società Zoologica Italiana. « Oggi mi giunge il relativo diploma, ed io mi affretto a rin- graziare Lei ed i membri della Società per l’onore fattomi con tale nomina. S « Con i sensi di profonda stima, mi professo Demo « TOMMASO SALVADORI. » Lettera del prof. Stefanelli : « Le sono vivamente grato, e con vero sentimento di amico La ringrazio per aver voluto parlare con favore di me in seno ‘alla Società Zoologica Italiana, proponendo e patrocinando la mia momina a Socio onorario di tal sodalizio. « Per questa distinzione, che, con sincerità, credo di gran lunga superiore agli scarsi miei meriti scientifici, ben vorrei mostrarmi con l’opera, non del tutto immeritevole ; della qual cosa, invero, dubito assai, a motivo della mia ormai avanzata età, la quale mi toglie 100 ATTI UFFICIALI DELLA SOCIETÀ una non piccola parte della energia che possedevo una volta. — Soltanto mi rimane la certezza che per quel tanto, che ancora mi rimane da vivere, non verrà indebolendosi la mia riconoscenza. verso di Lei e verso gli onorevoli Colleghi, che furono molto in- dulgenti e cortesi verso di me. Suo afro « PIETRO STEFANELLI. » Lettera del prof. Blanchard : « J'ai eu le plus vif plaisir à recevoir l’aimable lettre par laquelle vous me faites l’honneur de m’annonceer ma nomination de membre honoraire de la Societè Zoologique ltalienne. « Je suis plus touché que je ne saurais dire de l’insigne honneur qui m’est conféré par l’illustre Societé, dont vous ètes le President. Je dois cette faveur rare, bien moins à mes mode- stes merites qu’aux sentiments amicaux dont vous m’avez dejà donnè mainte preuve, et dont vous me donnez encore aujourd' hui la démonstration la plus flatteuse. — Je vous en suis infiniment reconnaissant et je vous prie de bien vouloir exprimer aussi è mes nouveaux Collégues toute ma gratitude pour leur extrème bienveillance à mon égard. « Veuillez agréer, Monsieur le President et très-cher Collégue, l’expression de mes sentiments les plus reconnaissants et dévoués. » « R. BLANCHARD, » Lettera del prof. Ed. Perrier: « Jai lu avec émotion la lettre par laquelle vous voulez bien m’annoncer que la Societé Zoologique italienne m'ha fait le très- grand honneur de me proclamer membre honoraire. Je vous prie de lui en exprimer toute ma reconnaissance et de lui dire tout le prix que j'attache à la marque d’estime qu’elle a bien voulu me donner. « Permettez moi, Monsieur le Président, de vous remercier en méme temps des termes dans lesquels vous m’avez fait part du vote de la Societé, et qui m’ont bien vivement touchè comme une marque de votre bienveillante amitié. « Agréez, Je vous prie, Monsieur le Président et cher Col- lègue, l’expression de mes sentiments de reconnaissance et de haute consideration. « EpMmonD PERRIER. » Roma 1903 — Tipografia di G. Balbi, Via della Mercede 28-29. sile re dina recati bat 4 ar o. — MEMBRI COMPONENTI IL CONSIGLIO DIRETTIVO ANNO XII Prof. Comm. AnToNIO CARRUCCIO — Presidente (Zoologia ed Anatomia comparata, specialmente Vertebrati). D. Guipo Orazio FALCONIERI Conte di Carpegna — Vice-Presidente (Ornitologia). Prof. Cav. RomoLo MELI — Vice-Presidente (Paleozoologia e Malacologia). Dott. GrusePPE RoMmERO — Segretario Biologia generale). Rag. Sig. VITTORIO ZAMBRA — Cassiere (Ornitologia). Prof. Cav. ANTONIO NEVIANI — Consigliere (Zoologia generale specialmente Briozoi). March. Dott. Filippo PATRIZI — Idem (Ornitologia). Prof. GIOVANNI ANGELINI — Idem (Zoologia generale, spec. Ornitologia). Comm. ForTUNATO RostAGNO — Idem (Intomologia, spec. Lepidotteri). March. Dott. GrusePpe LEPRI — Idem (Entomologia-Ornitologia). Pro. Cav. RINALDO MARCHESINI — Idem (Istologia generate). Prof. Cav. GIOVANNI PocHETTINO — Idem (Zoologia generate). 3. — ARTICOLI ESTRATTI DALLO STATUTO Art. 2 — La Società ha lo scopo di dare istruzioni, con- sigli, appoggi morali, e possibilmente aiuti materiali ai cultori. della biologia animale anche nelle sue varie applicazioni; di pubblicare nei modi stabiliti dal regolamento un Bollettino con- tenente i resoconti delle adunanze, le comunicazioni scientifiche |. d’indole biologica, anatomo - fisiologica, embriologica, paleonto- logica e sistematica; e quelle altre notizie che possono interes- sare gli studiosi. i Art. 3 — La Società è composta di tre categorie di soci: | 1° Soci ordinari, distinti in soci a tempo, i quali pa-. sheranno lire Dieci all’anuo, e soci a vita se pagheranno lire 200 in una sola volta. 2* Soci straordinari, i quali pagheranno lire Sette annue: | 38 Soci onorari italiani e stranieri, proposti dal Consi- glio direttivo, scelti fra i più noti ed eminenti cultori degli studi zoologici, od altrimenti benemeriti della Società. Tutti i soci hanno diritto alle publicazioni sociali. SOTTTTCT TT CYYCYTTYTWYTYYyYYTYTYTYTYTXYXYYT*YTY 117-121 || 3. Mei dott. Lea. Ortottori del Cadore 3. Rostagno comm. Fortunato. Contributo (Lecustidi e Acrididi). » 180-181 allo studio della Fauna Romana. (Un’a- 4. Peracca conte dott. L. Di una nuova berrazione della Saturnia pavonia ed specie del gen. LACERTA L., raccolta i un’altra della Pieris rapae. » 122-124 sul monte Gennargentu in Sardegna. » 182-183 4. Angelini prof. Giovanni. Catalogo dei 5. Cognetti Da Martis Dott. L. Contributo Trochili e Colibrì recentemente donati alla conoscenza delia drilofauna sarda» 184-187 da S. M. il ReV.E. II al Museo Zoo- 6. Sulle norme della nomenclatura zoolo- ‘4 logico della R. Università di Roma, e gica adottate nel V Congresso Interna- degli altri quivi più anticamente con- zionale di Zoologia in Berlino. » 188-192 servati, premesse alcune considerazioni sulla loro classificazione. » 125-133 III. NOTIZIE. 5. Carrucclo prof. Antonio. Sovra il Cigno , più raro in Italia (Oygnus Bewicki Jarr.) preso a S. Rossore nel dic. 1902, e do- nato da S. M, il Re al Museo Zoologico della R. Univ. di Roma. — Osservazioni anatomiche (Parte I) » 134-150 6. Alessandrini Dott. \iulio. Sull’appari- 1. Sul VI Congresso Internazionale di Zoologia da tenersi in Berna (agosto 1904). » 193-194 2. Concorso per professore straordinario alla cattedra di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparate presso la R. Uni- - ) i È versità di Messina, » 194--196 en el cage SE or Dee 151-152 3. Memoria premiata sugli Uccelli della 7. Angelini prof. Giovanni. Sull’aumentata provincia di Roma del march, dott. Fi- frequenza in Italia del Nibbio bruno lippo Fatrizi e march. dott. Giuseppe Milvus Korschum(Gmelin), M. Migrans Lepri. » 196-198 Boddaert. » 153-158 8. Carruccio prof. Antonio. Sui caratteri IV. ANNUNCI SULLA COPERTINA che distinguono un Siluro proteropodo 1. Prezzo di favore a chi acquisterà i XII del gen. RHINELEPIS, (Parte 22) » 159-162 volumi finora pubbiicati, e prezzo di | 9, Condorelli Francaviglia prof. Mario. Sul associazione pei non appartenenti alla linfoangioma cistico di Wegner. (Sua Società. -- 2. Membri componenti il x diagnosi differenziale col vero Echino- Consiglio Direttivo. - 3. Articoli estratti cocco), » 163-169 dallo Statuto. — 4. Sede della Società. i -——_—__r 3 >——— br] 1. — Prezzo di favore e prezzo di Associazione, 1. A quanti ne faranno domanda sollecita (essendo assai limitato îl1 numero delle copie disponi- bili) accompagnata dall'importo anticipato, verranno spediti, franco di posta se in Italia, i XII vo- lumi pubblicati dalla Società dal 1a gennaio 1892 a tutto il 1903, al prezzo di favore di lire Novantasei in luogo di lire Centoquarantaquattro, come realmente importerebbe la serie di questi volumi. Pei non Soci il prezzo d’associazione ad ogni singolo volume annuo è di L. 12 in Italia, e di L. 15 all’estero — pagamento anticipato. — Ogni fascicolo (per lo più doppio o triplo) vendesi a __L. 4. — Volumi arretrati, ognuno al ‘prezzo di L. 15. Conto corrente colla Posta — Pubblicazione bimensile. Fasc. IV, Ve VI. Serie Il — Vot. IV. Anno XII. - 1903. BOLLETTINO gELA SOCIETA ZOOLOGICA ITALIANA CON SEDE IN ROMA na —- a_- Sunn OK_A-PLA. donata da S. M. il RE VITTORIO EMANUELE III° al Museo Zoologieo della R., Università Romana Cenni illustrativi esposti dal Prof. AnToNIO CARRUCCIO (Continuazione ai fasc. I, II e III del presente vol.) Ma avendo già tenuto parola della mascella inferiore dell’ Okapia in confronto a quella della Giraffa, mi par bene aggiungere qualche altra particolarità, quale risultami da un ripetuto esame comparativo. E credo che quando i Musei d'Europa saranno in possesso di molte teste del primo fra i suddetti. mammiferi, come molte se ne posseggono del secondo, allora si potrà fare un confronto fra individui dei due sessi e di eguale età, dal quale risulteranno non solo più evidenti e sicure le differenze. morfologiche fra parecchie ossa cranio-facciali delle due specie, ma si rile- verà come talun osso abbia in ogni età uno sviluppo sensi- bilmente maggiore nella Giraffa. Tale è il caso della man- dibola, eccezione fatta dell’apofisi coronoide, che in realtà — e non solo pel diametro trasversale — è più sviluppata nella testa di Okapia appartenente allo scheletro donato BL-5 Mal he Nella testa di Giraffa più giovane, di dimensioni cor- rispondenti, come dissi, a quella dell’ Okapia, diversa è pure la lunghezza totale del mascellare inferiore : infatti nella prima spec. misura 38 cm. e 172, e soli 34 nella seconda. Diverso è anche lo spessore massimo e minimo, tanto se sì confronti la branca orizzontale, quanto l ascendente, nelle due mandibole : questo massimo nell’Okapia si ha a 2 . ANTONIO CARRUCCTO livello del 5° molare inferiore, ed il minimo spessore lo trovai in corrispondenza del 1° molare. Nella Giraffa l'uno e l’altro comprendono parecchi molari. Denti. — Esaminerò ora gl incisivi ed i molari, che per dimensione sono più piccoli di quelli della Giraffa, ed anche un po’ diversi per la forma. Anche la profondità degli alveoli propri agl' incisivi di esse mascelle inferiori è diversa: nella Giraffa è naturalmente maggiore perchè i suoi denti hanno radici più lunghe, sia pure in età giovanile. Nell’Okapia, per quanto meno giovane, i due al- veoli interni per le radici dei rispettivi denti incisivi non oltrepassano la profondità di 20 mm., con una larghezza massima di 10 mm. Nella Giraffa si ha quasi il doppio di profondità e larghezza, e le radici hanno, principalmente nell'età adulta, una forma cilindro-conica, mentre nell'età giovanile sono assai depresse lateralmente. — È pur na- turale che la corona degl'incisivi appartenenti alle Giraffe diventi sempre più larga, ma nell’Okapia parrebbe più ta- gliente nel margine libero. Bene osservando troveremo pure qualche differenza apprezzabile fra i molari dell'uno e dell’altra specie ; e se. dovessi dire in quale mi sembrano più tipici, direi che la Okapia Johnstoni è veramente caratteristica fra i Mammi- feri selenodonti, non già pel volume, che nella Giraffa adulta questo si presenta assai più considerevole, bensì per la forma delle ripiegature costituite dallo smalto, coi relativi solchi semilunari ; e questi nell’istessa Okapia vedonsi più profondamente scolpiti che in altri molari di ruminanti coi quali vennero confrontati. Da ciò deriva che in essa sono proporzionatamente alquanto più alti ed acuminati i tubercoli che non siano quelli di Giraffa giovane o d’altre specie di ruminanti. Inoltre la faccia esterna dei molari superiori dell’Oka- pia offre tre cresticciuole assai pronunciate, dirette longi- tudinalmente, due laterali ed una mediana. Fra i crani che ho sott'occhio tali cresticciuole, per forma e dimensione, le trovo quasi affatto simili nei molari dello Strepsiceros Kudu Gray. arterie earn 1 LAc ei S'ATSEA 7 re | SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III 3 Non ho ancor detto che nell’Okapia i molari nelle due mascelle son in totale 20, cioè 5 per lato, non già 6 com'è regola per i mammiferi dell'ordine dei ruminanti ; ed i più grossi fra essi molari, tanto nella mascella superiore quanto nell’inferiore sono il 4° ed il 5°, contando dall’avanti al- l’indietro, cioè dal 1° ch'è il più piccolo. Eccetto il numero totale, ch'è diverso — evidentemente per ragione d’età — nell’esemplare di Londra, ben raffigurato nella tavola an- nessa alla memoria del prof. Ray Lankester, la forma ed il volume di questi risultano quasi affatto eguali a quelli dell'esemplare di Roma. Ho già ricordato che il Dott. Forsyth Major ci ha dato le dimensioni del 1° molare vero del mascellare inferiore della testa di Okapia non adulta delMuseo di Londra, in con- fronto dell’istesso molare della Okapia posseduto dal Museo di Tervueren ; ed aggiunsi che questo stesso 1° molare in- feriore nell’esemplare di Roma offre una lunghezza di 24 mm. ed una largh. di 25 mm. — Per la prima di queste dimensioni risulta adunque eguale all’esemplare di Ter- vueren, non già a quello di Londra ch'è lungo 26 mm. 2. — Ma essendo la larghezza del dente suddetto di 20 mm. 95 nella precitata testa di Tervueren, e di 24 mm. in quella di Londra, risulta essere più largo il 1° molare in- feriore della testa di Roma di oltre 4 mm. in confronto alla prima, e di un millimetro in confronto alla seconda. Se più o men presto accadesse che un paziente e va- lente naturalista, potesse — stando nel Congo — avere a sua disposizione qualche Okapia viva, allora sarebbe più facile rilevare se le indicate differenze dentarie sono in rapporto colla natura dei vegetali di cui questa specie si nutre. Invero, non credo si possa da alcuno affermare che essi siano identici a quelli di cui si nutrono le Giraffe, le quali abitano, com'è noto, altre regioni africane. Conchiudendo su questo argomento, dirò che le dif- ferenze specialmente nei denti incisivi, mi fanno credere ad una diversa alimentazione e possanza masticatoria in relazione a piante, o parti di piante, che forse offrono maggiore resistenza o difficoltà a essere divise, una volta .V4 ANTONIO CARRUCCIO —_——_—_—__————————————————————_—— — nio —____ risalite nel cavo orale delle Okapie per la definitiva masti- cazione ed insalivazione. — (Queste parole io avevo già scritto diverse settimane prima che mi pervenisse da Lon- dra la memoria del prof. Ray Lankester, e della indicata differenza tenni parola un giorno che mi favorì in Museo un egregio collega ed amico d'altro Ateneo, e stavo esami- nando i crani di Okapia e Giraffa colla rispettiva denti- zione. Letta la memoria del R. Lankester vidi con piacere confermata l'opinione che mi ero formata: infatti egli scrive: - This difference in the relative size and in the shape of the group of incisive teeth of the lower jaw points to some marked difference in the food of the Okapi as compared with that of Giraffe »). Proseguendo l'esame della cavità orale, mi hanno pure colpito le differenze del palato osseo nell’ Okapia e nella Giraffa. Nella prima abbiamo che la volta del palato per la porzione orizzontale ch'è formata dalla lamina (pro- cesso palatino) che muove all’ingiù della faccia nasale del corpo del mascellare superiore, è lunga 18 cm., ed ha una larghezza massima di 4 cm. sa L’'osso palatino intatto (quello di sinistra, perchè il destro è in parte rotto), nella sua parte laminare che al- l’indietro fa seguito al processo omonimo del mascellare superiore, è lungo 8 cm. — In totale adunque abbiamo una volta palatina che misura 26 cm. Nella seconda invece, cioè nella Giraffa, l’istessa volta la trovo assai più corta, tanto è vero che il processo pa- latino della mascella superiore è lungo soltanto 9 cm. e 172: dunque quasi della metà è minore di quella dell'O- kapia. È però più largo nella stessa Giraffa, misurando — a livello del 5° molare superiore — circa 6 cm. Inoltre il palato osseo doll’Okapia è complessivamente più sviluppato anche di altri ruminanti aventila testa ossea di uguali o di maggiori dimensioni; ciò mi risulta con- frontandolo con grosse teste di A/cephalus caama, di Strep- siceros Kudu, di Cervus elaphus, ecc. Al maggiore sviluppo della predetta regione non fu finora forse data la importanza che pure deve avere. Del pari non trovo notato che mentre SULL’ « OKAPIA > DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 105 rella linea mediana i margini interni dell'una e dell’altra apofisi palatina del mascellare superiore, si uniscono nel- l'Okapia formando una lievissima concavità, in altri ru- minanti, quali ad esempio lo Strepsiceros Kudu, si ha una vera scanalatura, che si allarga in avanti presso l’artico- lazione coll’apofisi dell’'intermascellare. Di altre ossa cranio-facciali dell’Okapia sarà pur bene registrare le dimensioni, e quand’occorra anche la forma, per futuri confronti sia con la Giraffa sia con altri ruminanti. Le intermascellari arcuate dapprima, rettilinee dopo, sono lunghe 12 cent. con una massima larghezza all’estre- mità posteriore di 21 mm., mentre nell’estremità anteriore, che finisce a punta, la larghezza è di soli 3 mm, Esse al- l'origine sono più larghe e sottili, quasi laminari, mentre verso la metà della loro lunghezza si ingrossano assai e sì fanno convesse alla faccia esterna. Le ossa nasali dell istessa Okapia hanno la lunghezza di 13 cm., con una massima larghezza di 4 cm. All’apice, che è subrotondo, misurano non più di $ mm. L’osso mascellare superiore, nella sua faccia anteriore, offre una lunghezza di 17 cm. e 172, ed una largh. (ch’ è in realtà l’ altezza) di 6 cm. — La porzione di questa faccia che rimane sopra il margine alveolare è convessa al davanti, ma presso l'attacco coll osso intermascellare si fa piana. Nelle arcate zigomatiche dell’ Okapia osservo che lo sviluppo è maggiore che in quelle della testa di Giraffa che finora mi ha servito preferibilmente come termine di confronto ; infatti mentre le prime hanno la lunghezza di 10 cm., le seconde non oltrepassano i 7 em. Inoltre la por- zione del processo zigomatico che si stacca dall’osso tem- porale offre molto più divaricate le sue radici originarie, e questo divaricamento non esiste in veruna delle teste di Giraffa. L'osso zigomatico o malare p. d. è lungo circa 12 cm., alto 3 cm., con apofisi orbitaria alta 2 cm., larga alla base, cioè al punto di emergenza dall’istesso osso 15 mm., e al- l’apice — dove cioè si unisce col processo orbitario del frontale — la larghezza è di 10 mm. 4 n . , 106 ANTONIO CARKUCCIO La porzione che concorre a formare l’arcata zigoma- tica ha il margine superiore robusto e subrotondo, e l’in- feriore sottile, tagliente; ma s'ingrossa e si arrotonda un po prima di congiungersi coll’apofisi zigomatica del tem- porale. Queste osservazioni riguardano principalmente talune ossa dei gruppi formanti la regione mascellare, nasale ecc. Ora passerò a dire quanto mi par sufficiente sul gruppo delle ossa formanti il cranio propriamente detto (capsula cerebrale d'altri, o cranio viscerale). i Osservo prima di tutto che la capacità cranica del- l’Okapi avrei voluto e potuto studiarla con esattezza se la prudenza e l'unicità del cranio non mi avessero consigliato | di risparmiare ogni azione meccanica sul medesimo, che oltre gli effetti dei proiettili con cui fu ucciso l’animale, fu alquanto malmenato da chi (un indigeno ?) ebbe a toglier- gli colla pelle, gli occhi, l’encefalo ecc.per farla essiccare (1). ag | Cominciando dall’ osso occipitale si resta colpiti per una notevole differenza che passa fra l’Okapi e la Giraffa. Nella primalaregionè occipitale è disposta secondo un piano orizzontale che si continua in avanti fino all’incontro del frontale, senza cioè alcun abbassamento. L'occipitale invece della Giraffa lo si vede quasi bru- scamente farsi molto declive. Diversa pure è la lunghezza della faccia esterna e po- steriore dell'osso occipitale nei due mammiferi, essendo nell’Okapia di cm. 5 e 1]2, e nella Giraffa cm. 9. (Sempre, s'intende, prendendo le misure sul cranio di dimensioni (1) La essiccazione e lo induramento di questa pelle, veramente straordinarii, non saprei come spiegarli. Fu essa seppellita, come parrebbe per la grande quan- tità di finissima terra di cui in alcune parti era cosparsa? Fu sottoposta a un bagno con qualche sostanza (corteccia polverizzata di taluna pianta congolese) contenente in copia l’acido tannico? Naturalmente non fu possibile avere in Roma alcuna notizia, nè la trovai in verun periodico od altra pubblicazione. Certo che nessuna delle pelli essiccate di Mammiferi da me avute in questi ultimi anni dal- l'Africa, Asia, America ed anche dall’ Australia, offrirono mai una durezza der- mica così notevole ; e fu fortuna si riuscisse a trovare il mezzo per rammollirla e poterla preparare. SULL «€ OKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 107 quasi eguali a quello dell’Okapi. Nei crani adulti di (Gi- raffa la differenza nella lunghezza dell'asse longitudinale di quest’osso è assai più notevole). Nella linea mediana, ma soltanto in alto, della faccia suddetta dell’occipitale dell'’Okapia si osserva un rialzo corrispondente a un tratto della cresta occipitale esterna. Il gran foro occipitale è quasi cordiforme, coll’apice rivolto in sù, e del medesimo fa parte un'incisura, larga mm. 10 e profonda 5 mm. Il diametro longitudinale del foro misura 35 mm., ed il bitrasverso 40 mm. I condili occipitali offrono la superficie esterna con- vessa dall'alto in basso. e dall’indietro in avanti. Si ha una concavità nel tratto che rimane rivolto verso l’apofisi stiloide e la fossa condiloidea anteriore. Il diametro maggiore di ciaschedun condilo è di 6 em., ed il minore, ch'è ‘il trasverso; è di 3-cm. La faccia interna dei due condili è alquanto scavata, quasi triango- lare, colla base rivolta in alto verso il gran foro occipitale, e l'apice all’ingiù. La superficie superiore di ciascuno di questi condili occipitali è leggermente convessa, ha forma triangolare, ed è inclinata dall’avanti all'indietro. La loro base è rivolta in alto, verso la fossa condiloidea posteriore, è larga 24 mm.; l'apice è diretto in giù ed all’interno, ed è quasi tagliente. La già menzionata superficie interna incavata è più larga della posteriore, che ha forma pure triangolare, colla base in alto, larga 28 mm. La porzione basilare p. d. (od occipito-basilare di alcuni autori), è lunga più che in altri crani di ruminanti d'eguali dimensioni : essa, a cominciare dal davanti delle parti emergenti dei condili, fino al punto di contatto collo sfenoide, è lunga 55 mm., ed è larga 20 mm. Lo sfenoide non è fuso coll’osso occipitale, ed è net- tissima la divisione. La faccia inferiore dell’istessa porzione basilare del- l'occipitale ci presenta nel mezzo, e per tutta la sua lun- ghezza, un solco relativamente profondo, intendo dire più scavato che in crani di maggiori dimensioni, ad es. del- l’istessa Giraffa. f 108 ANTONIO CARRUCCIO Questo solco o doccia mediana rettilinea, ha la lun- ghezza di quasi 59 mm., e una larghezza di circa 10 mm, la sua profondità in avanti, ed in prossimità dell’unione collo sfenoide, è di 6a 7 mm.; ed all’indietro di 2a 3 mm. Per non recar maggior guasto al cranio, ferito come dissi, da grossi proiettili, non ho voluto isolare l’osso tem- porale, per aver comodità di esaminarlo bene. Lasciato nella sua posizione naturale non posso quindi descrivere che la superficie esterna. Anche nell’Okapi abbiamo bene distinte le tre por- zioni: petrosa o periotica, zigomatica, scagliosa o squamosa, e fimpanica. Quest'ultima offre la bulla timpanica più grossa, come cioè non la vedo in altri crani di grandezza corri- spondente all’Okapi, ad es. di Strepsiceros, ecc. La bulla timpanica destra fu lesa da uno dei proiettili. La sinistra ch'è intatta, offre un diametro trasverso di 30 mm., uno antero posteriore di 40 mm., ed uno verticale di 283 mm. Le ossa partetali dell’Okapi si trovano saldate lungo la linea mediana, cioè nel margine interparietale. Nella Gi- raffa si vedono concave nel mezzo, mentre nell’ Okapi le ossa parietali sono leggermente convesse. — Nelle dimen- sioni quasi si eguagliano, essendo la lunghezza dei parie- tali della Giraffa appena superiore di 3 mill., cioè in questa sono lunghi 111 mm. e nell’Okapi 109 mm. Aggiungo che i parietali in quest'ultimo mammifero si dispongono in modo da formare col frontale una super- ficie quasi piana, massime pel tratto posto al davanti del margine anteriore di ciascuno di essi parietali; e mentre le due metà del frontale restano disgiunte nel loro mar- gine interno, ho già detto che i parietali si saldano per- fettamente. Le ossa fronto-parietali della Giraffa giovane, con cui di preferenza fo l'esame comparativo colla testa di Okapi, non sono saldate. In quella, come ho accennato, i parietali formano una concavità, o fossa, cui prende parte anche il frontale, dopo di aver formato una bozza o rialzo sensibile in sul mezzo delle due metà costituenti. — Su- bito dopo la concavità fronto-parietale, ed ai due angoli si vedono nella testa della Giraffa i fusticini delle corna, lunghi SULL’ « ‘OKAPIA » DONATA DA S M IL RE VITTORIO DMANUELE 11. 1909 7 cent. e larghi poco meno di 5 alla base, mentre all'apice lo sono più di 1 cent.:di questi fusticini non v' ha traccia nella testa del nostro Okapi. — La distanza che passa da una base all’altra dei fusticini, cioè da un angolo all’altro del frontale, è di circa 11 cm. nella testa del Giraffa, mentre da un angolo all’altro del frontale dell’Okapi, privo — giova ripeterlo — affatto di corna, è di soli 8 cm. Il precitato rialzo mediano frontale nella Giraffa il Cu- vier ebbe a chiamarlo « une espèce de pyramide ». Il margine interno del frontale della Giraffa, non sal- dato col compagno, è lungo 13 cm. e 172 ; quello dell’Okapi, saldato come dissi, è lungo 11 cm. e 172. È diversa anche la distanza fra un’orbita e Valtra, mi- surando dal mezzo del contorno orbitale superiore destro al sinistro. Infatti nella Giraffa è di 15 cm. e nell’Okapi è di circa 12 cm. — La differenza, se invece di una testa di Giraffa giovane, si prende altra appartenente ad indi- viduo molto adulto, è naturalmente maggiore. Prima di passare ad altro argomento non riguardante la testa ossea, mi par doveroso ricordare che dall’istesso Forsyth Major, in un ulteriore comunicazione fatta alla Zoological Society of London (November 18, 1902, pag. 347) fecesi rilevare un altro carattere differenziale, che desidero non sfugga alla vostra attenzione, anche perchè lo confermo appieno. Egli dice che le cavità aeree (seni) del cranio (Cranial air-sinuses) sono meno sviluppate nell’Okapia, eccezion fatta per quelle del palato osseo, le quali invece trovansi molto più sviluppate in essa Okapia che nella Giraffa. — Su altre differenze o somiglianze con avanzi fossili, coi quali poterono fare un più o meno largo e- same comparativo il Ray Lankester, Forsyth Major ece., io non posso dir parola, perchè non posseggo in Roma nè Palaotragus, nè Samotherium boissieri ecc., dei quali possono disporre nel grande Museo di Londra. 1 10 ANTONIO CARRUCCIO HI. — Uno sguardo alle estremità. Dirò prima brevemente di alcune ossa degli arti toracici, sulle quali non trovo nei valenti scrittori inglesi parecchie indicazioni che mi sembrano necessarie. Omobplate : forma, dimensioni, Queste ossa non hanno la forma precisa e consueta che si osserva in altri mam- miferi, ma nell’Okapia si presentano quasi quadrilatere, perchè la porzione che si articola colla testa omerale sì allarga assai dietro la cavità glenoidea, ed il processo co- racoideo presentasi ben sviluppato e proeminente. Non sarebbe quindi il caso, stante siffatto sviluppo, di chiamare semplice angolo inferiore od omerale, questo del- l’omoplata, essendochè la porzione formante il lato infe- riore ha una lunghezza di ben 8 cm. e 172, se la si misura dall’estremità anteriore della cavità glenoidea al punto più prominente (apice) del processo coracoideo. La lunghezza di ciascuna omoplata, presa dal mezzo del margine anteriore superiore al punto più saliente del lato inferiore (punto che coincide coll’estremità posteriore della cavità glenoidea) è di cm. 28. La sua maggior larghezza in alto è di 15 cm.;. nel mezzo è di cm. $; sopra il processo coracoideo, in cor- rispondenza della fine della spina acromiale, dove la sca- pola presenta il maggior restringimento, essa è larga cm. 5. La faccia esterna e posteriore (da altri denominata dorsale) presenta sviluppatissima la spina della scapola : questa incomincia alla distanza di circa 2 cm. dal mar- gine anteriore, e si prolunga per ben 18 cm., offrendo la massima altezza, ch'è di 2 cm. e 172, verso la sua metà. La spina non oecupa il centro della predetta faccia scapolare esterna, ma è situata verso il 3° superiore del- l’istessa faccia, in guisa che la fossa sotto-spinosa o re- tro-spinosa, come pure fu proposto di chiamarla, è quasi del doppio più ampia della fossa sopra-spinosa od anti- spinosa. La prima è più incavata della seconda : entrambe sono perfettamente liscie. Mancano adùnque quelle linee rugose che osservansi nella fossa sotto spinosa di più sca- 3 - A ie î -@ n 4 A x" x Ie A SULL! « OKAPIA » DONATA DA S. M IL RE VITTORIO EMANUELE It. 111 pole, sulle quali linee s'inserisce il corto abduttore brac- chiale (piccolo rotondo). La cavità glenoidea è profondamente scavata nel mezzo, è larga 4 cm. e 172; ed è lunga 5; ed ha una forma lar- samente ovalare più che in altri mammiferi. La faccia interna ed anteriore (pur detta costale), offre la sua maggiore escavazione verso il centro, dove è anche più larga, e sopra la cavità glenoidea, cioè sopra il con- torno della medesima : oltre adunque la fossa sottoscapu- lare ben manifesta, si ha. una fossetta epiglenoidca ch'è in realtà più profonda. Omerî. Sono ossa che nell’Okapia, in proporzione alla loro lunghezza, si presentano assai grosse, con un perimetro massimo che ha il suo maggiore sviluppo nelle due rispet- tive epifisi : la superiore misura 26 em., l’inferiore 25 cm. Il loro corpo o diafisi forma una piramide quasi pris- matica, con tre faccie e tre margini netti. — La faccia più larga è l'esterna. La lunghezza totale di ciascun omero, presa dal punto più saliente dell’estremità superiore o scapolare, al punto parimenti più saliente dell’estremità inferiore, o radio-cu- fimtale, è di 28-cm. e 172. Il capo omerale alquanto inclinato dall'esterno all’in- terno, è assai voluminoso, ed ha una circonferenza di circa 18 cm.; ben sviluppate sono la grande e piccola tubero- sità od esterna ed interna : la prima è più alta della se- conda di circa 12 mm. La forma dell'istesso capo omerale è quasi emisferica, con due diametri disuguali: l’antero-posteriore misura gem. il burasverso -/ cm. e 172. La cavità glenoidea dell’omoplata, in cui si adatta questo capo omerale, rimane quasi due volte più piccola del me- desimo. ll collo anatomico si distinque in modo netto dal collo chirurgico. Il solco bicipitale, compreso fra le due tubero- sità, è molto profondo (16 mm.). L’epifisi non è saldata alla diafisi omerale. L’estremità inferiore o radio-cubitale dell’omero offre ri? ANTONIO CARRUCCIO un grande sviluppo nel senso trasversale, con condili e troclea ben sviluppati: essa ha un diametro trasverso di circa 9 cm., ed antero-posteriore di 7 cm. La fossa olecranica in ciaschedun omero dell’ Okapia ha una profondità assai notevole, cioè di ben 35 mm. e due fosse, chiamate una radi ‘altra coronoidea | Le due fosse, chiamate a radiale, 1 o sopratrocleare, sono abbastanza ampie, specialmente la seconda. Chiunque abbia pratica di osteologia comparata trova facilmente quali sono le maggiori somiglianze, e quali le piu o meno lievi differenze colle stesse ossa appartenenti ad altri ruminanti. E queste differenze essendomi sembrate più apprezzabili per l'omoplata e per l’omero, anzichè per le altre ossa dell’arto toracico, ho voluto un po’ trattenermi sulla loro esatta indicazione. Altre notizie interessanti ci vengono date dal Forsyth Major, riguardanti tanto la lunghezza delle 3 seguenti ossa dell’arto toracico — omero, radio e metacarpo — quanto delle 3 ossa dell’arto pelvico — femore, tibia e metatarso — appartenenti alle due specie viventi di Giraffa, all’Oka- pia, e ad una specie fossile di Samotherium. Ecco le pro- porzioni ottenute dal Forsyth Major: Arto anteriore Arto posteriore 1. Giraffa .del-Uapo, Gia ie20108 1835 2. » d'Abissinia: £ ec in=2300 2079,5 3. » del'Senegab 00 1690 40 0ORANra to AR, 948 974 5: SAMOCher Um E RIO 134 rea. Ho voluto anch'io fare questa addizione delle tre ossa dell’estremità anteriore e della posteriore appartenenti alio scheletro donato da S. M. il Re Vittorio Emanuele III, ed ottenni per la prima la lunghezza complessiva di mm. 999 (comprese però le ossa del carpo), e per la seconda di 1000 mm. (parimenti comprese le ossa del tarso). La differenza adunque fra gli arti dello scheletro avuto dal Museo di Tervueren e quello di Roma è di 47 mm. in più per gli arti anteriori, e di 26 mm. per i posteriori. Osserva pure il Forsyth Major che le Antilopi e gli altri ruminanti hanno in generale l'arto posteriore più SULL’ « OKAPIA >» DONATA DA $S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE II. 13 lungo di quello anteriore, e soltanto in taluna specie di esse Antilopi le due estremità hanno l'istessa lunghezza : in tutti però l'osso dell’avambraccio è sempre più corto di quello della gamba. E supponendo il Forsyth Major ehe la lunghezza del radio sia uguale a 100, ottenne per pa- recchi ruminanti africani le seguenti proporzioni : lungh. radio lungh. tibia ESITO e Er 109 120 Ulippolnagus EqQuInus. <.< 0.00. e. è 100 118,8 e n alli enti 100 Lg WE o) org sli 100 SOI Tre specie di Samolherium (Paloeotra- | 10 ; ETRE Aaa ve Toe 28 E RANA \ 05 Helladotherium di Pikermi (2) . . . . 100 86 figramnagidel Senegal 0. 0 a 100 83 N SS 100 79 dedotte 100 79 Rilevasi adunque da queste misure comparative prese da Forsyth Major che nelle ossa dell’estremità anteriore e della posteriore, la lunghezza - nell’Okapia - è pressa poco eguale, come è pure nei Samotherium ; ma così non è nelle Giraffe ìn cui sono più lunghe, mentre negli altri mammi- feri sono più corte. Questi risultati del precitato autore furono pubblicati nella Belgique Coloniale (N° 21, 25 mai 1902); ma in un'altra comunicazione che l’istesso Forsyth Major fece alla « Zo0o- logical Society of London » (June, 3, 1902) Ii conferma com- pletamente, e conchiude con queste precise parole: « In the Giraffa the fore limb is longer, and in Ruminants gene- rally it is shorter, than the hind limb (V. » Procedings, p. 78). Radio e ulna. — Lo sviluppo di queste due ossa dell’antibraccio della Okapia è in realtà considerevole, in confronto di alcuni altri ruminanti di dimensioni quasi eguali. wegbrimna di. tutto. .csservo. che” il corpo. del radio è molto meno curvo di quello dell'osso ulnare, e la. forte (1) TAUROTRAGUS ORYX. (2) H. DUVERNOYI, 114 ANTONIO CARRUCCIO convessità di questo è rivolta verso la faccia posteriore di esso radio, ch'è concava a cominciare dalla sua se- conda metà. La lunghezza totale del radio è di 34 cm.: dunque circa 6 cm. più lungo dell'’omero. Questa lun- ghezza del radio è maggiore nelle Giraffe: se giov., 62 cm., La faccia anteriore del radio è piana e larga in alto, poi per oltre una metà fino all’estremità inferiore è assai convessa, ma la si vede farsi di nuovo piana ed un po’ declive presso l'articolazione col carpo. La faccia esterna stretta e convesssa in alto,.si fa piana inferiormente e più larga. Il margine interno è pronunciato soltanto per due terzi dell’intiera sua lunghezza, essendo il terzo supe- riore affatto smusso, e si confonde colla faccia poste- riore ; la quale ha la sua massima lunghezza (6 cm.), presso l’epifisi. Il margine che da esterno tende a farsi posteriore, è prominente, e si ferma alla distanza di 8 cm., dall’e- stremità superiore o testa radiale. Nel punto in cui fi- nisce si vede una profonda e rugosa impronta musco- lare (forse a un m. corrispondente al bicip. brus.) Calcolo che il radio sia grosso almeno dieci volte più dell’ulna, ben inteso confrontando le porzioni me- diane dell'uno e dell’altro osso, perchè la estremità ole- cranica, come dirò, è molto sviluppata nell’ulna di questo mammifero. La circonferenza dell’estremità superiore del radio, misura 22 cm., mentre quella dell'estremità inferiore mi- sura 17 cm. Nella parte mediana del radio, dove corri- sponde la grossezza minore, la circonferenza è di 11 cm. Il diametro bistrasverso della suddetta estremità su- periore del radio, misurato quasi a livello del collo ana- tomico, è di $ cm. Queste diverse dimensioni dimostrano che il radio ha, come dissi, un considerevole sviluppo. E la superficie ar- ticolare incavata dell’estremità superiore (testa radiale) cui corrisponde il duplice condilo omerale, ha un diametro bitrasverso di cm.7 1]2, ed uno antero-posteriore di 4 cm, dA sfide è VATI pe Sa i I Ra E OE RE ST MELO À SULL’ « OCKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III 115 Anche il radio presenta la diafisi non ossificata colle due epifisi ; nè quando avvenga nell’Okapia la saldatura sarà cosa facile di poter precisare, come si è fatto per altri mammiferi ruminanti ecc. Il cubito è lungo, dalla punta dell’estremità inferiore alla superiore od olecranica, ben 40 cm. Nel mezzo s’in- curva assai, in guisa da avere il margine interno e poste- riore poco sporgente e concavo, e l'anteriore più sottile, anzi tagliente, assai convesso. Le due faccie laterali (che in altri mammiferi restano anteriore e posteriore) sono per una metà piane e per un’al- tra concavo-convesse ; ma-la convessità è più manifesta nella faccia laterale interna, specialmente in alto. L’estremità superiore od olecranica ha forma quasi quadrilatera, con una larghezza di cm. 6 172 e con una altezza di 7 cm. — Lo spessore massimo dell’olecrano è di mm. 31. — La grande cavità sigmoide, che si articola alla troclea omerale, offre nel mezzzo una cresta divisoria per la quale si hanno due escavazioni alquanto disuguali, in cui si adattano la faccia posteriore dell’estremità omerale e della estremità superiore del radio. La metà inferiore del cubito ch'è la più debole, è com- pressa ai lati, larga 11 mm., con uno spessore minimo di 4 mm; mentre in alto, prima che sorga il grosso processo olecranico, la larghezza è di 25 mm., con uno spessore di 9 mm. L'estremità inferiore si salda col radio ed è precisamente la così detta apofisi stiloidea del cubito che si fonde coll’osso maggiore dell’antibraccio, mentre non è saldata con essa apofisi la porzione terminale della diafisi. Ma è noto che nei mammiferi l'ossificazione dell’epifisi inferiore, a spese della quale si forma l’apofisi stiloidea, ha luogo con len- tezza. Ed è pur noto che il cubito della (Giraffa, svilup- patissimo, invece di saldarsi col radio per quasi tutta la sua lunghezza, come accade in altra specie, si mantiene indipendente da una estremità all'altra. Questa indipen- denza pare anche maggiore pel cubito dell’Okapia, che dista dalla faccia posteriore del radio da 10 a 12 cm. in alto, e da 7 a 10 in basso, pio:= ANTONIO CARRUCCIO Il carpo dell'’Okapia è formato di 6 ossa, disposte in 2 serie, 4 nella superiore, ma uno è situato all’indietro, e 2 nella serie inferiore. Salvo le dimensioni e piccole dif- ferenze di forma, la disposizione è quella che si osserva negli altri ruminanti; nè credo dovermi intrattenere sulla medesima. L'altezza di questo carpo è di 4 cm. e 172, mentre l'altezza o lunghezza del carpo nella Giraffa giov. è non minore di $ cm. Usso metacarpeo. — Questo è lungo 26 cm., convesso nella sua faccia anteriore, eccetto nella linea mediana, che offre una depressione lunga 4 cm. e larga da 9 a 11 mm, colla profondità di 2 mm. circa: tale depressione è situata presso l'articolazione carpo-metacarpea. Nell'istessa faccia anteriore, ma inferiormente, e sempre sulla linea mediana, si osserva una stretta solcatura assai poco profonda, lunga circa:9 cm. Le faccie laterali, massime l’interna, sono pianeggianti ; la posteriore poi è profondamente scavata per non meno di 9 mm. quasi per tutta la sua estensione. Siffatta esca- vazione o doccia è larga in alto 2 cm. e 1]2, nel mezzo ed ed in basso circa 2 cm.; ma in basso, e precisamente verso l’ultimo sesto della lunghezza toiale, questa faccia posteriore si appiana e si fa appena declive dall’ alto in basso, verso l’articolazione metacarpo-falangea. Le due estremità del metacarpo sono più grosse di tutto il rimanente del corpo dell'osso : infatt. questo ha in media una circonferenza di 11 cm., mentre la circonfe- renza dell’estremità superiore è di 16 cm., e quella del- l'estremaita inferiore èidi die Se: Trovo scrittori che affermano essere la lunghezza del metacarpo della Giraffa « presque égale à celle du radius ». (Joly e Lavocat, ecc.). Ciò, come risulta dalle esatte misure da me prese, non può dirsi per l'Okapia, che ha un radio lungo 34 cm., ed un metacarpeo lungo 26 cm.: ora una differenza di 8 cm. precisi non rende davvero queste ossa quasi eguali (1). (Continua). (1) Inalto, nella faccia posteriore del metacarpeo dell’Okapia, si vede un foro ovale, lungo 8 mm. e largo nel centro 4 mm. ch'è stato segnalato per la Giraffa e per altri mammiferi, anche non ruminanti. "30J ‘IULIpuessojy Ford "VUI QUOZIED ‘“G06L SITI "19S SAVI "TOA ‘7077 “1007 ‘20S *Ho9]10g *OI0ONIIVI) *V ‘JOId ‘MI DIN (SS IP QUOp tIideyo Ip 0x39[9US n ca A depone È; print si ili, | quid | bo SC Pei P. SOPRA ALCUNI " PESCI MOSTRUOSI ,, raccolti nelle valli del VENETO ESTUARIO Noli aommnicatà dal socio conte EMILIO, NINNI alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma Le mostruosità negli animali vertebrati superiori fissarono già l’attenzione dei più antichi naturalisti e, nelle loro opere, possono leggersi descrizioni più o meno dettagliate e coscienziose ; in alcune poi di queste, ci danno addirittura notizie di certi ani- mali sì anormalmente formati che toccano più l'immaginario, il favoloso. Lasciando le antiche pubblicazioni, come quella dell’Ulisse Aldovrandi (1624), dell’Iacobi, ecc. passiamo subito al secolo XX, e dei maggiori autori che, trattarono fino ai dì nostri di queste anomalie, piacemi ricordare lo scritto del dottor R. Canestrini (1), nel quale passa in rassegna le diverse mostruosità incontrate’ tanto negli uccelli quanto nei pesci, e descritte dal Risso, Geoffroy, Saint-Hilaire, da Baer, Cuvier et Valenciennes, De Filippi, Coste, ece. ecc., fino allo Steindachner, Lereboullet, Blanchard, Cane- strini, Panceri, Parona, Pavesi, Fatio, A. P. Ninni. E quanti an- cora ne succedettero dal 1883 fino ad oggi, un’intiera bibliografia, alla compilazione della quale ci vorrebbe un tempo non piccolo, estranea poi al titolo di questo mio breve scritto. Come dissi, il lavoro del Canestrini R. m’interessò molto, ci- tandovi un muggine (Mugit capito) pescato nelle valli, con il capo sì evidentemente deformato, che ricorda molto da vicino quello (1) Pesci mostruosi. — Atti Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali. Vol. IX, fasc. I. Padova 1883. Bollettino della Società Zoologica Italiana A U8 EMILIO NINNI di un cane alano. Anomalie di tal genere furono constatate dal Ninni A. P, e per lettera edotte allo stesso Canestrini R., nei. Mugil (chelo e capito), nel Gobius ophiocephalus, nel Labrax lupus, nel Gadus minutus, nel Pleuronectes italicus e nel Merlucius vulgaris. Nel corso di quest'ultimi anni ho potuto raccogliere (oltre a diversi albinismi) diversi soggetti anomali, ed oggi presento un Labrax lupus, un Mugil cheto, dae Mugil capito ed una Anguilla vulgaris, dandone, del più interessanti, un semplice schizzo. Esemplare I. Labrax lupus (lungh. 12 cm). Testa normale, inclinata un po’ verso destra. All'altezza della prima dorsale il corpo incomincia formare una curva assai forte oltrepassando l’ultima spina della I°, l'inserzione della II° dorsale. La colonna vertebrale descrivendo una $S che ci immaginiamo posta orizzontalmente, produce tale deformazione da rendere il corpo come diviso in due lobi; manca quasi del tutto la porzione caudale, imperocchè l’estremità della pinna dorsale II° e quella anale toccano la caudale. La linea laterale che, negli esemplari normali descrive una leggera curva, su questo è presso a poco diritta. Levati da una parte gli strati muscolari, si dovrebbe a bella prima supporre che la colonna vertebrale dovesse seguire le linee che ne deformano il corpo. Ma quì succede ben altro. Le vertebre sono fitte fra loro da non potersi distinguere nessuno spazio 0 cartila- gine intervertebrale, e partendo dal capo si alzano fino al livello dell’occhio, scendono rapidamente fino all'altezza della pettorale, si riversano un po’ verso destra e rialzandosi bruscamente for- mano una gobba posta in senso del tutto contrario a quella se- gnata dalla seconda dorsale. L’incavatura al disopra dell’anale viene prodotta da alcune vertebre poste fra loro in maniera tale da formare fra ogni una di esse un cuneo, l’apice del quale rivolto in basso. Esemplare II Mugi! chelo (14 cm). Testa rormale, soltanto l’opercolo destro assai rigonfiata. SOPRA ALCUNI «€ PESCI MOSTRUOSI » 119 —————__—______—1-—-——__£È11k__ m ttk1k#XC.-PE 2 r21 Le ultime due specie non si predano che in piccolo numero a confronto delle altre. Per peschre il pesce da semina usasi la tela 0 bragolin da pesce novello. I pesciatelli vanno subito posti entro recipienti, da questi, si portano entro grandi buche o vasche costruite a bella posta nelle barene ; dopo vario tempo vengono di bel nuovo posti in recipienti ed in tutta fretta condotti nelle valli, dove special- mente le orate vanno contate una per una. Subìte tutte queste « vi- site » finalmente si seminano nelle peschiere delle valli. Non c’è da farsi meraviglia se qualche pesciatello possa subire delle defor- mazioni che col crescere destano poi la meraviglia dell’osservatore. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA FAUNA ROMANA Una aberrazione della Saturnia pavonia L, ed un’altra della Pieris rapae L; attinenti alla fauna della provincia romana e presentate nell'adunanza scientifica della Società Zoologica Italiana del 28 dicembre 1903 dal socio consigliere Comm. ForTUNATO RostAGNO. Saturnia pavonia L. ab. Stefanelli m. Da un forte allevamento di larve fatto nello scorso anno 1902 ho avuti nel 1903 tre esemplari maschi di Saturnia pavonia L., as- solutamente aberranti dal tipo e degni della maggiore attenzione. Uno degli esemplari non sviluppò bene, e lo diedi in qualche cambio che ben non ricordo, i due altri esemplari, dei quali uno più perfetto per disegno, li conservo nella mia privata collezione a disposizione di chiunque desiderasse osservarli. Questa aberrazione maschile molto più bella ed elegante del tipo, ha i seguenti caratteri : Colorito generale della Saturnia pavonia var. romana descritta dal Calberla, cioè vivace nel colore arancione delle ali posteriori nella pagina superiore. La macchia nera ovoidale che sta all'apice delle ali superiori, pagina superiore, è quasi nulla. Le ali infe- riori sono di un marcato colore arancione unito ed in esse sono quasi totalmeate scomparse le linee marrone che circordano la macchia centrale. La differenza essenziale dal tipo consiste principalmente nella grande fascia antemarginale della pagina superiore delle seconde ali. Tale fascia nel tipo è formata da due linee oscure sinuose, che seguono il bordo esterno dell’ala, e che sono forte- mentre spolverizzate di color marrone formanti così una larga striscia oscura. Nella aberrazione che presento, non esistono queste due linee, ma invece trovasi una serie di macchie falcate luneolate, il cui sopra (linea convessa) è di un nero intenso, ed il CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA FAUNA ROMANA 123 disotto (linea concava) di un color lilla vivace uguale a quello che nella parte superiore della macchia centrale apparisce in minima parte. Nella pagina inferiore le seconde ali non presentano differenze importanti dal tipo, solo la striscia oscura antemarginale è molto più ristretta, e segnata di punti arancione ben marcati sulle nervature dell’ala. Ritengo questa aberrazione assolutamente nuova per quanto è a mia conoscenza, e meritevole di uno studio più profondo potendo forse rappresentare una nuova specie per ora non descritta. Ciò dico imperocchè nelle larve da me allevate, ne vidi tre che differivano alquanto nelle loro fasi di sviluppo dalle altre. Non pensai allora di isolarle, giacchè il mio studio aveva altro obbietto, ma mi propongo di fare nuove ricerche nella futura primavera nell’intento di determinare se la aberrazione da me descritta abbia le sue origini fino dalla larva, il che ci darebbe una nuova forma tipica anzichè aberrante. Dedico questa aberrazione all’illustre mio maestro prof. Pietro Stefanelli in segno della più alta e deferente gratitudine e del- l’affetto vivissimo che a lui mi lega — propongo quindi che questa aberrazione venga designata col nome di « Saturnia pavonia L. ab. Stefanellii m. ». Na Pieris rapae L. ab. Carrucci. m. Presento pure una interessante aberrazione del Pieris rapae L., da me rinvenuta in due esemplari nei giardini della villa Patrizi fuori porta Pia in Roma. Questa aberrazione differisce dalle descritte finora pei seguenti caratteri : Pagina superiore come nella ab. leucotera dello Stefanelli, cioè assolutamente bianca senza alcuna traccia di punti neri, ad ec- cezione di una leggerissima sfumatura grigia alle estremità api- cali delle prime ali, nessun punto nero nelle seconde ali, Pagina inferiore — prime ali; appena segnati due punti neri — 124 FORTUNATO ROSTAGNO l’apice delle ali è di un bel colore giallo-cromo che si prolunga per tutta la costola fino al corsaletto ed a metà dell’orlo esterno. Seconde ali di un giallo carico quasi arancione che ricopre completamente l'ala, Mancante assolutamente qualsiasi traccia della striscia bruna della ab. leucotera. Il corsaletto poi è fittamente cosparso di lunghi peli gialli che ne ricoprono quasi totalmente il fondo nero; — uguali peli riscontransi in minor proporzione nell’addome ove sostituiscono i peli bianchi normali dell’insetto. Dedico questa elegante aberrazione al prof. comm. Antonio Carruccio, al quale mi legano sensi di vivissima amicizia e stima. Propongo quindi di designarla col nome di « Pierîs rapae L. ab Carruccii » (1). —__=—— (1) Indico col nome di Carruccii questa aberrazione, non seguendo l’uso che vorrebbe Carruccioi. Ciò perchè Carruccius (Carruccio) al genitivo fa Carruccii e non Carruccioi, e l’egregio professore vorrà perdonarmi se non seguendo la moda mi tengo alla grammatica. Potrà forse in avvenire nascere dubbio se fosse la mia aberrazione dedicata ad un Carruccio o ad un Carruccii ma almeno non avrò fatto pronunziare chi sa quante volte un madornale errore di grammatica. Catalogo dei TROCHILI o Colibri recentemente donati da S. M, il Re V. E. III. al Museo Zoologico della R. Università di Roma E DEGLI ALTRI QUIVI PIÙ ANTICAMENTE CONSERVATI premesse alcune considerazioni sulla loro classificazione C.municazione del prof. GIOVANNI ANGELINI alla Socieià Zoologica Italiana con sede in Roma Della importante collezione di uccelli esotici non ha guari donata al Museo della R. Università di Roma da S.M. il Re Vir- Torio EmanuELÈ III, ed illustrata nei precedenti numeri di questo Bollettino dal mio amico Conte Falconieri di Carpegna, fa parte una bella serie di Zrockili o Colibrì: di questi egli volle lasciare a me lo studio. Come fosse acquistata non so: io dirò solo che, mentre gli altri esemplari, giusto o errato, avevano un nome, i Trochili non portavano alcuna indicazione di specie, o di prove- nienza. Mi ha agevolato il lavoro l’essermi qualche anno addietro occupato del riordinamento dei Colibrì formanti una più antica collezione posseduta già dal Museo della nostra Università. Sono anch'essi un bel numero : per conseguenza credo opportuno dare l'elenco anche di questi insieme a quelli della Collezione Reale, onde presentare uno specchio complessivo dei Zrochil attualmente conservati nel Museo universitario della Capitale italiana. E terrò pur conto delle altre specie di Trochili avuti in cambio dall’attuale direttore del Museo, prof. Carruccio, o da lui ricevuti in dono. Invece delle più recenti classificazioni dell’Hartert e dello Sharpe, seguirò quella adottata da Osbert Salvin nel Catalogue of the Birds in the British Museum, e ciò per due ragioni: 1° per attenermi allo stesso sistema tassinomico seguito dal Conte di Carpegna nello illustrare gli altri gruppi ornitici della Collezione Reale (1); 2° perchè il sistema del Catalogo del Museo Britan- (1) Boll. della Soc. Zool. Ital., anno 1902, pag. 120 e seg. [26 GIOVANNI ANGELINI nico è pure quello adottato nell’ordinamento dei Zrochili e di tutta la collezione ornitologica generale del Museo Romano. Prima però di dare la lista delle specie e degl’individui delle due Raccolte, mi sia permesso di fare una qualche osservazione d'indole generale sui Trochili e sulla loro classificazione. I Colibrì, od Uccelli mosca, sono ? più piccoli ed i più vaghi fra gli uccelli: si può dire che essi sono nel Regno degli uccelli quello, che sono le gemme nel Regno minerale. I più vivi splen- dori metallici, i più vaghi riflessi di pietre preziose adornano il manto di questi pigmei del mondo ornitico : a ciò sì aggiungono le più bizzarre conformazioni di becco, i più fantastici ornamenti di piume, specialmente sul capo, sul collo, sul petto e nella coda. Questi pregi sono d’ordinario un privilegio dei maschi : ma in essi la natura è andata tant’oltre, che quasi si direbbe essersi pen- tita di una eccessiva prodigalità, ed averli, come per compenso, privati delle attrattive del canto, e i più quasi anche del bene- fizio della voce, abbassandoli dal rango degli uccelli a quello delle splendide, ma mute farfalle. Nella immensa varietà delle loro forme domina grande uni- formità di struttura, per cui il loro insieme costituisce un gruppo ben delimitato e naturalissimo. Diverso valore sistematico a questo gruppo fu attribuito nei vari tempi e dai diversi autori. Consi= derato come semplice famiglia dell’antico sottordine dei Pusseres fenuirostres fino ad epoca recente, e persino dal Mulsant nella sua splendida Monografia illustrata degli Uccelli mosca (1), fu più tardi elevato al grado di ordine (Trochili) dal Salvin nella sua contribuzione a quella grandiosa opera collettiva, che è il Catalogo del Museo Britannico (2), e poi nuovamente retrocesso a sottordine del suo nuovo ordine Coraciformes, affatto diversamente concepito da quello antico dei Tenuirostres dallo Sharpe, nel suo Elenco generale degli uccelli viventi e fossili, l’ultima, la più com- (1) Histoire naturelle des Oiseaux-Mouches, ou Colibris, constituant la fa- mille des Trochilides, par E. Mulsant et feu Ed. Verreaux. — Vol. 4, Paris, 1874. (2) Catalogue of the Birds in the British Museum. — Vol. XVI, Upupae and Trochili, by Osb. Salvin. — London 1892. CATALOGO DEI TROCHILI 0 COLIBRI 127 pleta e la più autorevole pubblicazione di sistematica ornito- logica (1). Sulla suddivisione del gruppo in sezioni sono del pari di- scordi gli ornitologi : il Mulsant ne fece 3, basandole sulla forma della coda e su altri caratteri del piumaggio : il Salvin pure 3, fondandosi sulla seghettatura dei margini dei tecorinchi, La sud- divisione del Salvin in Trochili Serrirostres, Intermedii e Leviro- stres, quantunque di data più recente, non mi sembra segnare un progresso al confronto di quella del Mulsant, e neppure dell’altra più antica in Trochili a decco dritto e a becco curvo. Intatti la se- ghettatura del tomz0 interessa solo i margini corneidei tecorinchi, e non anche le ossa mascellari, come la curvatura del rostro, ed è quindi dal lato anatomico carattere meno importante di que- st'ultimo : al pari di questo non è sempre ben definito, e la de- nominazione di Zrochili intermedi sta là a dimostrarlo : è inoltre meno evidente, e nelle pelli secche e negli esemplari montati spesso assai malagevole a rilevarsi: base di distinzione quindi meno importante dal lato scientifico, e più imbarazzante dal lato pratico. I poco ben riusciti tentativi per suddividere convenientemente i Trochiki sono conseguenza della omogeneità del gruppo, e dei graduali passaggi fra le varie modificazioni di struttura: perciò nelle più recenti classificazioni, come quella dell’Hartert (2), e quella dello Sharpe (3), che ne è una riproduzione, ogni idea di suddividere il numeroso sottordine è abbandonata, ed esso forma tutto quanto una sola ed unica famiglia: Trochilidae. Se veniamo al confronto dei generi e delle specie nelle tre citate successive classificazioni del Mulsant, del Salvin e dello Sharpe, ne emerge un fatto importante. I numeri delle specie e dei generi annoverati dai tre chiarissimi Autori stanno come ap- presso : (1) A Hand-List of the Genera and Species of the Birds (Nomenclator Avium tum viventium, tum fossilium) by R. Bowdler Sharpe. — Vol. II — London 1900. (2) Thierreich, lief. IX, pp. 1-230 : anno 1900. (3) Op. cit. [ 28 GIOVANNI ANGELINI Specie Genert Mulsant (anno 1874) 420 (più una ventina di sottospecie) 150 Salvin ( » 1892) 478 (più 4 sottospecie) 127 Sharpe ( » 1900) 570 118 Come si vede, il numero delle specie è andato gradatamente aumentando, e ciò è ovvio: invece il numero dei generi è stato progressivamente diminuito. Questo a me pare un lodevole atto di resipiscenza, l’inizio di un lavoro di sintesi dei generi, che dovrà crescere ed estendersi. L’eccessiva molteplicità dei generi, prodotti dalla mania di crear nomi senza bisogno, è un malanno, che affatica la memoria, ed intralcia il lavoro di identificazione delle specie, Infatti è oramai stabilito per generale consenso fra gli ornitologi, che i caratteri generici debbono consistere in qualche modificazione di struttura del piumaggio, ovvero in piccole diffe- renze del becco e dei piedi: però queste risultano non di rado così mal definite e di così difficile apprezzamerto, che, mentre segnano distinzioni di nessun valore scientifico, sono dal lato pra= tico, più che un mezzo di facilitazione, un vero e proprio imba- razzo. I caratteri specifici invece, consistendo quasi sempre in differenze di colorito, riescono assai meglio apprezzabili delle minime sfumature della esterna conformazione: siccome però prima di arrivare alla specie è necessario aver determinato il genere, se questa determinazione è difficile e malsicura, porta un inutile spreco di tempo e di fatica, quando non conduce addirit- tura il classificatore fuori di strada. Il difficile uso, la poca utilità pratica, nella determinazione dei Trochili e di molti altri gruppi ornitici, delle chiavi analitiche dei generi inserite nel Catalogo del Museo Britannico, sono la più convincente prova della verità del mio asserto. — Ma veniamo ormai alla lista delle due collezioni, che io chiamerò Reale e dell’antico Museo. A sl } : NIE, O ST E O IT Pegi v © ni CATALOGO DEI TROCHILI O COLIBRI Trochili serrirostres 1. Heliotrix auritus (Gm.) CL » barroti (Bourc.) (1) 3. Schistes albogularis Gould. 4. Augastes superbus (Vieill.) 5 Rhamphodon naevius (Dumont.) 6 Glaucis hirsuta (Gm.) 7 Chlorostilbon pucherani (Bourc.) 8 » angustipennis (Fraser). 9 » melanorhynchus, Gould. 10 » prasinus (Less.) 11 Panichlora aliciae (Bourc.) 12 » russata, Salv. et Godm. 13 Thalurania glaucopis (Gm.) 14 » hypochlora, Gould. 15 » eryphile (Less.) 16 » fanniae Bourc. et Del. 17 » furcata (Gm.) 18 » refulgens Gould. 19 Hypuroptila buffoni (Less.) 20 » coeruleiventris (Reich.) | 21 Lampornis violicanda (Bodd.) 22 » gramineus (Gm.) 23 Eulampis jugularis (Linn.) 24 » holosericeus (Linn.) 25 Petasophora serrirostris (Vieill.) 26 » iolata Gould. 2 » thalassina (Sw.) 28 » yanotis (Bourc.) 29 » delphinae (Less.) 30 Chrysolampis moschitus (Linn.) Trochili intermedii. 81 Pterophanes Temmincki (Boiss.) 32 Lepidolarynx mesoleucus (Temm.) 33 Helianthea typica Bp. 34 » bonapartei (Boiss.) (1) Il Cat. of the Brit. Mus. porta il nome specifico scritto sempre minuscola : io non faccio che seguirlo, COLLEZIONE REALE Mas. 22 _ è» TOTALE pi i DI || « fl i mas..l 1 mas. l mas. l mas. l mas. l mas. 3, fem. 1 mm. ad: ya gl lm — I — I ee mas. l mas. 3 ad. 2 adi ad. 1 adi 1 mas. giov, 1 ped pad pd hd DO I m. ad. l,m.g.1 2 mas. l 1 Tot. 44 (I DO Ke) COLLEZIONE 3 ANTICO MUSEO E S mas. 4 fem. 2 g.1 7 mas. l 1 mas. l 1 mas. 2, fem. 1 3 ad. 6 6 mas. 2 2 mas. l 1 mas. l 1 mas. 3 3 mas. 4 4 mas, 5 fem. 3 da) mas, l mas. l Il mas. 2 2 mas. l pi mas. 6, fem. 5 E] mas. 3 3 mas. 2, fem. 1 3 mas. l 1 me, fa Legiov. li 4 Ade 4 ad...l 1 mas. 6, giov. < e a OM mas. 1 1 mas. 2 2 mas. 2 2 Tot. 88 con iniziale Ì30 GIOVANNI ANGELINI n: COLLEZIONE COLLEZIONE Aa REALE ANTICO MUSEO —* | Rip. 44 | Rip. 88.00 35 » lutetiae (Del. et Muls.) m..t,.f.‘0m.g.4 22 4aaA 158 36 Bourcieria torquata (Boiss.) mas. 2 PRO 37 » fulgidigula Gould. mas. l 1 } 88 Lampropygia prunellii (Bourc. et Muls.) mas. l 1 si 39 » columbiana Elliot. ad. 1 1 B 40 Cyanolesbia gorgo (Reich.) mas. l 1 imas. 2 2 41 Sappho sparganura (Shaw.) mas. l 1 [mas. 2 23 42 Lesbia victoriae (Bourc. et Muls.) mas. l. fem. 1 2 fmas. 3 3% 43 » gouldi (Lodd.) mas. l 1 [mas. 2, fem. 2 4° 44 Metallura aeneicauda (Gould.) mas. 1, fem. 1 2 [mas. 4, fem. 1 56 45 Eustephanus galeritus (Mol.) mas. 2 2 [mas. 5, fem. 1 6° 46 » fernandensis (King.) mas. l, fem. 1 29 47 Heliangelus clarissae (De Long.) mas. l 1 [mas. 3 3° 48 » strophianus (Gould.) mas. 3 3 49 Heliotrypha viola (Gould.) mas. l 15 50 » exortis (Fraser). mas. 1, fem. 1 2 |mas. 2 2 51 Urosticte beniamini (Bourc.) mas. giov. 1 rs 52 Polytmus thaumantius (Linn.) mas. ad. 1, non mas. ad. 3, mas. bene ad. of. 1 2 | giov. 1 4 58 » viridissimus (Vieill.) ad. 1 1 ; 54 Leucochloris albicollis (Vieill.) mas. l Il Sa 5 vò Agyrtria niveipectus Cab. et Heine. mas. 2 2° 56 » leucogaster (Gm.) fem. 1 1 i DI » bartletti (Gould.) fem. 1 1 58 » brevirostris (Less.) ad. 1 13 59 » affinis (Gould.) ad. 2 2 Imas. 2 60 » viridissima (Less.) mas. l 1 [mas. 1 1 61 » candida (Bourc. et Muls.) fem. 1 1 62 » tephrocephala (Vieill.) ad. 1 1 faa. 2 20 63 » nitidicauda (Elliot) ad. 1 13 63 » compsa Heine. ad.5i 1 |ad. 2 2 65.» taczanowscki (Scl.) ad. 2 23 66 Cyanomyia cyanocephala (Less.) ad. 1 1 67 » franciae (Bourc. et Muls.) fem. 2 2 68 Amazilia pristina Gould. ad. 1 18 69 » cinnamomea (Less.) fem. -1 l 70 » beryllina (Licht.) mas. 1, fem. 1 2 74 » yuctanensis (Cabot). mas. l l 72 » riefferi (Bourc.) mas. l. fem. 1 2 a 73 » erythronota (Less.) ad, 1 _1 fad. 3, giov.1 4 | Tot. $2 Tot. 153 | CATALOGO DEI TROCHILI 0 COLIBRI 74 » eyanifrons (Bourc.) 75 Floricola longirostris (Vieill.) 76 Cyanophaia goudoti (Bourc.) 77 Eucephala coerulea (Vieill.) 78 Hylocharis sapphirina (Gm.) 79 » cyanea (Vieill.) 80 Chrysuronia oenone (Less.) 81 Basilinna leucotis (Vieill.) Trochili laevirostres. 82 Phaetornis guyi (Less.) 83 » emiliae (Bourc. et Muls.) 84 » yuruqui (Bourc.) 85 » superciliosus (Linn.) 86 » squalidus (Natt.) 87 » pretrii (Less. et Del.) 88 » hispidus (Gould.) 89 » eurynome (Less.) 90 » nattereri Berl. 91 Pygmornis pygmaeus (Spix). de » nigricinetus (Lawr). 93 Campylopterus lazulus (Vieill.). . 94 » hemileucures (Licht). 95 Eupetomena macrura (Gm.) 96 » hirundo Gould. 97 Paeochroa cuvieri (Del. et Bourc.) 98 Eugenes fulgens (Sw.) 99 Delattria viridipallens (Bourc. et Muls.) 100 Clytolaema rubinea (Gm.) 101 Lamprolaema rhami (Less.) 102 Docimastes ensiferus (Boiss.) 103 Heliodoxa leadbeateri (Bourc. et Muls.) 104 Iolaema screibersi (Bourc.) 105 » whitelyana Gould. 106 Phòeolema rubinoides (Boure. et Muls.) 107 Lafresnaya flavicaudata (Fraser). 108 Florisuga mellivora (Linn,) 131 COLLEZIONE COLLEZIONE REALE ANTICO MUSEO Rip. 82 Rip. 153 mas. l 1 |mas. 1 1 mas. 2 2 mas. l 1 fmas. 1 1 mas. 2 2 Imas. 3, fem. 1 4 ad. l 1 |mas. 3, fem. 1 3 mas. 4 4 |mas. 5, giov. 1 6 m. l, fem. 1 (Chr. neera?) 2 |mas. 1 1 mas. l ] mas. giov. o fem. 1, giov. 1 2 mas. giov. o f.1 l ad. 2 2 ad: 1 fad. 1 1 ad. 1 il ad. l 1 ad. l 1 ad. 2 2 |ad. 2 2 ad. 4 4 mas. 3 3 fem.? 1 I mas, l 1 mas. 3 3 mas. 1, fem. 1 2 m.l;.f.o-giows1 2 mas. 1, fem. 1 2 Imas. 3 3; ad, l% mas. 1 1 mas. ? 1 J mas. l LEM 8g fa29 e] 1 mas. 2. fem. 1 3 fem. 1 1 miad. domo 2 mas. l ii mas. l, fem. 1 p Tot. 114 mas. l 1 mMas#2% fem. I 5 fem. 1 1 adi 1 mas. Il mas. l, fem. 2 3 Tot. 212 : L ti, MIT RO RE Ra LA 132 GIOVANNI ANGELINI COLLEZIONE COLLEZIONE Z REALE ANTICO MUSEO pe Rip. 114 Rip. 212° 109 » fusca (Vieill.) ad. 4 "I 110 Topaza pella (Linn.) mas. l, fem. 1 2 [mas. 1, fem. 1 2 111 Oreotrochilus pichincha (Bourc. et Muls.) mas. 1, fem. 1 2 [mas. 1 18 132 » chimborazo ( Del. et Bourc.) mas. l 1-9 113 Oxypogon guerini (Boiss.) m.lomigsof1I 2 [mas. 1 PS % 114 Rhamphomicron microrhynchum (Boiss.) mas. 1, fem. 1 2 |m.a.2,m. g.3,f.l1° 6 > 115 » heteropogon (Boiss.) mas. 4 4. 116 Patagona gigas (Vieill.) ad. 1 1 [ad. 2, giov. 2 4 È; 117 Aglaeactis cupreipennis (Bourc. et Muls.) mas. 1, fem. 1 1 [ad. 1 1 È 118 Bellona ornata (Gould). mas. l 1 |ad. 2 2 E: 119 Cephalolepis delalandi (Vieill.) mas. l 1 [mas. 5. 598 120 Klais guimeti (Bourc. et Muls.) mas. l 1 A 121 Eriocnemis alinae (Bourc.) mas. l 1 |ad. 1 1 È 122 » smaragdinipectus Bourc. mas. 2, fem. 1 3 3 123 » luciani (Bourec.) ad. 1 1 È: 124 » cupreiventris (Fraser). mas. l 1 |ad. 4 4 6 125 Panoplites matthaewsi (Bourc.) ad. 1 13 Toga flavescens (Lodd.) ad. 1 1 |ad. 3 s@ 127 Spatura underwoodì (Less.) ad. 1 1 [mas. 2, fem. 1 3 2 128. » - melananthera Jard. ad. 1 1 È: 129 Dorica enicura (Vieill.) mas. 1 1 i 130 Calliphlox amethistina (Gm.) mas. 2, m. g.l 3 im.a.2,m.g-1,f.1.4 S 131 Calothorax lucifer (Sw.) mas. 1 1 |mas. 2 36 132 Selasphorus rufus (Gm.) mas. giov. l 1 bo 133 Trochilus colubris Linn. mas. l 1 Imas. 1, fem. 1 2 > 184 Acestrura mulsanti (Bourc.) i mas. l i 1 {mas. 1, fem. 1 2 Ji 135 » decorata (Gould). mas. 1 1 3 136 » heliodori (Bourc.) mas. 2 2 5 137 Choetocercus rosae (Bourc.) fem. 1 x: 138 Myrtis fanny (Less.) m. ad. i, mM. Re69 139 Thaumastura cora (Less. et Garn). mas. 2 n 140 Lophornis ornatus (Bodd,) - Imas: 3 3 141 » magnificus (Vieill.) mas. l 1 [mas,:2, fem. da 142 » chalyboeus (Vieill.) mas. l 2 143 Prymnacantha langsdorffi (Bonn. et Viell.) mas. 2 2 im. mM ea 144 Discura logicauda (Gm.) mas. l 1 Imas. 3 3 145 Heliactia cornuta (Wied.) mas. l 1 [mas. 2 2 Tot. 148 Tot. 294 lt CATALOGHI DEI TROCHILI 0 COLIBRI 133 Riassumendo, si hanno complessivamente nelle due collezioni 77 generi, 145 specie e 442 esemplari montati: 9 generi e 29 specie non erano rappresentati prima del gradito dono di S. M. Sebbene qualche leggera variazione di colorito io abbia quà e là riscontrato in confronto colle descrizioni del Catalogo del Museo Britannico, nessuna specie nuova o particolarmente rara mi è parso esistere nelle due collezioni: con tuttociò esse for- mano un bell’insieme, non tanto facile a trovarsi, e quindi meri tevole di essere conosciuto ed ammirato. Roma, giugno 1903. Bollettino della Società Zoologwa Italrana. 3. SOVRA IL GIGNO PIÙ RARO IN ITALIA (Cygnus Bewicki Yarr.) preso a S. Rossore (Pisa) e donato da S. M. il Re al Museo Zoologico della R. Università di Roma Note zoologiche ed anatomiche comunicate alla Società Zoologica Italiana dal prof. Antonio Carruceio E In Italia non è un fatto ordinario, nè davvero frequente, di poter completamente studiare in uno dei nostri Gabinetti univer- sitari la morfologia esterna ed interna di un Cygnus Bewicki quasi appena ucciso; mentre in pelle, come suol dirsi, può esser facile d’introdurlo nelle collezioni ornitologiche. Riassumerò per la nostra Società, colla maggior precisione possibile, tutte le notizie che abbiamo circa le apparizioni e cat- ture avvenute in taluna delle nostre provincie della specie in di- scorse ; e parmi sia alla provincia di Pavia che spetti la pree- minenza numerica, ed a quella di Lucca la prima cattura bene accertata, come dirò in appresso. Quando si ha la ventura di venire in possesso d’un animale intero non comune, è naturale che, volendo, si possano verificare coi propri occhi alcune particolarità anatomiche più rilevanti, tanto più quando ci vien fatto di leggere, e non in un solo autore, ch’esse vennero esposte e ripetutein modo assai inesatto ; mentre chi da sè potè osservarle, le descrisse, e occorrendo ridescrive, con la necessaria diligenza. Serviranno poi ad incremento della speciale collezione ana- tomica e zoologica, instituita in servigio della nostra Scuola, i preparati che oggi mi è gradito di presentare in questa adunanza SOVRA IL CIGNO PIÙ RARO IN ITALIA 135 della nostra Società. Essi, come vedete, concernono i seguenti or- gani: l’encefalo, lo stomaco muscoloso coll'intiero esofago, la ghiandola epatica, il canale aerifero a cominciar dalla laringe, colle ben sviluppate ossa ioidee a sito. Vedete quindi la trachea lunghissima colla divisione nei principali bronchi, e collo sterno aperto, tenuto in sito; e bene osservate le caratteristiche infles- sioni che essa forma nella cavità esistente in questa larga carena sternale. 1l preparato consente inoltre di osservare l’intiera regione cervicale col piccolo atlante pure in sito, e le vertebre delle altre regioni dell’asse rachidico. Ed insieme alla pelvi del Cygnus Bewicki ho portato quella del C. olor e di altri palmipedi, oltre diverse ossa sternali e tra- chee, perchè si possano meglin rilevare alcune notevoli differenze. I polmoni di questo Cigno minore e una porzione dell’inte- stino terminale vennero tolti, forse dall’ istesso cacciatore, nel dubbio che il bellissimo esemplare dovendo viaggiare per ferrovia potesse andare incontro a facile alterazione: lo ricevetti in ot- timo stato di conservazione. In questa prima nota e comunicazione, esposte le notizie cui ho accennato, illustrerò brevemente alcuni particolari anatomici sul tubo tracheale e sovra alcune parti dello scheletro, in con- fronto a quello del Cigno reale (Cygnus olor), tasciando ad altra adunanza, se ne avrò il tempo e potrò avere altro materiale di confronto, d’illustrare l’encefalo e gli altri organi, ora ben con- servati del C. Bewicxs. Questo, vi dirò subito, ch’ è un maschio a- dulto : ‘e, come bene potete rilevare, venne preparato con scrupolosa precisione dal sig. Coli. L’esemplare giunse in Museo il 18 dicembre 1902, con una indicazione manoscritta, favorita dalla Direzione delle Reali caccie, indicazione che tedelmente trascrivo : « Cigno bianco ucciso a San Rossore nel Serchio dalia guardia Castelli Alfredo ». Altre interessanti notizie ricevetti dopo per lettera, e dietro mia domanda, dalla cortesia della Direzione provinciale della Real Casa in Pisa, in data 27 gennaio 1903. Debbo vieppiù compiacermi pel dono reale di questo Cygnus 1836 ANTONIO CARRUCCIO Bewicki, quale evidentemente risultò ch’era, appena esaminatolo, perchè la specie mancava di qualsiasi rappresentante nelle rac- colte, delle cinque classi di Vertebrati disposte în tre sale del Museo Universitario. A titolo di semplice ricordo debbo accen- nare che fino a tutto il 1900 avevo portato a 10 i Cigni, ap- partenenti a 3 specie diverse, ripartite nella Collezione Provinciale Romana e nella Collezione Ornitologica generale; le quali specie sono quelle ben note coi nomi di Cygnus musicus, C. olor e C. me- lanocoryphus vel C. nigricollis. Ma come ebbi a partecipare non è gran tempo alla nostra Società, S. M. il Re Vittorio Emanuele JII, prese la generosa determinazione, assai proficua ai nostri studi, che le collezioni faunistiche esistenti nel R. Castello di Moncalieri fossero divise fra i due Musei delle Università di To- rino e di Roma. Al primo venne specialmente assegnato quanto coneerne la Fauna ornitologica piemontese, ed al secondo quasi tutta la collezione di uccelli esotici, oltre sceltissimi mammiferi delle nostre Alpi, e parecchi d’altre regioni. Come rammenterete presi l’impegno di riferire di proposito per questi ultimi, appena dal tempo mi sia consentito di farlo ; e pei primi, cioè per tutti gli esemplari, assai più numerosi della raccolta ornitologica (357), diedi incarico ai due valenti e appassionati ornitologi, nostri con- soci, il prof. Giovanni Angelini e Don Guido Falconieri conte di Carpegna, di ristudiarli, onde in qualcuna delle adunanze gene- rali ci favorissero quelle più larghe notizie ch’erano del caso. l'utti ben rammentate che |’ Angelini ha già fatto una di- ligentissima esposizione orale sulla bella famiglia dei Trocheli, te- nendo di mira in particolar modo quelli donati da S. M. il Re Vit- torio Emanuele IIT. Oggi stesso poi farà una sua seconda relazione il conte di Carpegna, e dagli esemplari scelti che in quest’aula vennero approntati, potete già avere uuwidea della importanza e bellezza dei medesimi. Colgo questa opportunità per porgere i più vivi ringraziamenti ai due consocìi per l’interesse -- degno di lode ben meritata — col quale hanno nel Museo compiuto il non breve studio che loro affidai. SOVRA IL CIGNO PIÙ RARO IN ITALIA 137 Facendo per un istante ritorno alla collezione ornitologica reale di Moncalieri, devo aggiungere che di essa facevano parte altri 3 Cigni in ottimo stato: uno è il C. melanocoryphus del Chilì, e due altri appartengono alla specie già denominata da Viellot C. atratus, e più esattamente oggi Chenopis atrata Wagl., vivente nell’Australia. Questa specie mancava nel nostro Museo. Prima di descrivere il Cygnus Bewicki testè ucciso a San Rossore, ricorderò quanto potei finora rilevare nelle opere posse- dute nelle nostre biblioteche governative o nella mia privata, in- torno alle apparizioni e caccie fatte in Italia di esso cigno minore. Devonsi al Giglioli le prime notizie precise su questa specie, e riferisco ciò ch’egli ha scritto nel fascicolo XI dell’ Iconografia dell’'Avifauna italica (Prato 1881): « Ho avuto il piacere di essere stato il primo — scrive l’ill. col- lega di Firenze — ad annoverare questa bella specie nell’Avifauna italica, e la collezione centrale possiede l’unico esemplare che conosco preso in Italia : esso venne ucciso nel Lago di Massaciuc- coli nel gennaio 1874. È una femmina adulta, e faceva parte di un branchetto che per alcuni giorni si fece vedere nel chiaro di quel lago : fu allora creduto una femmina del Cigno selvatico e non fu che tre anni dopo, quando il conte Eugenio Minutoli ne fece dono al R. Museo, che io la vidi e la riconobbi per il Cigno minore ». Anche a me parecchie volte in Firenze il prof, Giglioli fece osservare l’interessante individuo, che poi doveva avere in pochis- sime altre collezioni italiane, parecchi compagni di ben constatata provenienza. Uno è per l’appunto questo, che oggi insieme alle accennate preparazioni anatomiche, mi è graditissimo di presen- tarvi. Pel nuovo dono che il Museo zoologico della nostra Uni- versità ebbe dalla somma benignità del nostro Re Vittorio Ema- nuele IIl, sono certo che tutti meco vorrete essere gratissimi. Dell’esemplare di Massaciuccoli (prov. di Lucca), conservato in Firenze, il Giglioli ha pur dato notizia nel suo Elenco delle specie di uccelli che trovansi in Italia (1), e nei resoconti dell’in- (1) Roma, Tip. Eredi Botta, 1891, pag. 110. 138 ANTONIO CARRUCCIO chiesta ornitologica. Ed è anzi in questa che aggiunse come tro= vandosi in Taranto nel novembre 1881, in compagnia del prof, De Romita, vedesse un secondo individuo di Cygnus Bewicki « pure adulto, che per le dimensioni un poco maggiori del mio esemplare, (così scrive il Giglioli), parrebbe un maschio ucciso in quel Mar piccolo nel dicembre del 1879 e serviva da insegna alla Farmacia « del Cigno » (15 Nel 2° volume dell’istessa inchiesta ornitologica, pure com- pilato dal prof. Giglioli, pubblicato nel 1889, leggo a pag. 459 quest'altra notizia : « ....Una femmina di questa rara specie venne uccisa nel pa- dule di Fucecchio, Firenze, il 23 marzo 1888 dal sig. Luigi Ancuri, il quale ne fece generoso dono alla Coliezione eentrale dei verte- brati italiani nel R. Museo zoologico di Firenze ». Nell’istessa pagina poi il Giglioli riferisce un’informazione avuta da altri per la Sicilia, cioè di alcuni piccoli Cigni giunti accidentalmente nel distretto di Terranova, Caltanisetta, che « forse » dovevano riferirsi a questa specie (Carvana). Un nostro distinto consocio, il conte E. Arrigoni degli Oddi, nella recentissima sua opera illustrata, edita dalla Libr. editr. Hoepli — Atlante Urnitologico, Uccelli Europei — scrive queste parole :... « In Italia è specie accidentale durante l’inverno (Ta- ranto, Toscana, Lombardia, Veneto); si può dire finora il più raro Cigno da noi » (2). Il conte T. Salvadori in waa lettera scrittami da Torino in data del 19 gennaio 1903, mi ha ricordato la pubblicazione fatta nel 1901 dall’egregio ornitologo Friulano, il Vallon, nell’Or- thologisches Iahrbuch (3). Aggiungo che il lavoro del Vallon fu ben riassunto ed annotato dal Damiani nell’ Avicul2, nella quale a pag. 127 dell’an. V (1901) si fa cenno del Cygnus Bewicki. Ma di questa specie esistente nella importante collezione dell’Arrigoni, (1) Ved. il vol. pubblicato a Firenze coi tipi Le Monnier, 1886, pag. 296. (2) Milano 1902, pag. 453. (3) Die Sammlung italianischer Vogel des prof. Graf Arrigoni degli. Oddi in Caoddo (Monselice) bei Padua. SOVRA IL CIGNO PIÙ RARO IN ITALIA 1399 trovo altra completa indicazione nell’Ornis (3), in cui al n. 137 si legge: « Cigno minore (Cygnus Bewick Yarrell): « 1° esemplare: « Maschio semi-adulto, 15 gennaio 1891, sul Brenta presso Corte (Padovano) ». Per la Lombardia è il prof. Pietro Pavesi che su questo Cigno ci ha fornito molte ed esatte notizie; e mi è caro riferire le sue stesse parole. « 6 gennaio 1891. Con la neve, un branco di sette Cygnus Bewicki si posa nella tesa da anitre di Cascina Brunori; ne ven- gono uccisi quattro (uno in Mus. Civ., il resto in Coll. priv.). E, specie nuova per la provincia e per tutta la Lombardia; anzi non se ne conoscevano che due esemplari, Massaciuccoli e di Ta- ranto, presi finora in Italia ». « 7 gennaio 1891. Un altro individuo di C. Bewicki (Mus. Univ.) pare di quello stesso branco, è ucciso, in tempo di nevischio, sul Ticino poco sopra Pavia e proprio di fronte alla cascina Ma- scherpa. Gli ultimi due a S. Cipriano Po. (2) ». Aggiungo che il prof. Pavesi prese pur nota che il 15 gen- naio del precitato anno un altro individuo di C. Bewicki fu « ucciso a Valleggio in Lomellina (3) ». Chi sa però in quali mani (oppure in quali stomachi) andò a finire |... Inoltre da una lettera scrittami dall’illustre collega dell'Ateneo pavese in data de! 4 febbraio 1903, ebbi non soltanto la conferma di tutte le surriferite notizie, ma gentilmente mi partecipò d’aver trovato una sua nota manoscritta, dalla quale risulta che un altro giovane C. Bewicki fu preso il 12 gennaio 1891 a Sairano (Cir- condario di Pavia). L’istesso prof, Pavesi mi fa noto che di queste (1) Bulletin du Comité Ornithologique International — Extrait — pag. 537, aris, Masson et C. Editeurs. 1898. i (2) Calend. Ornitol. Pavese 1890-93, Bollett . Scient. Ann. XV, n. 2. Giugno 1893, pag. 37-38. (3) Idem idem. 140 ANTONIO CARRU ccIo catture diede conto nel giornale Caccia e Tiri del 22 gennaio 1891, n. 169, p. 28; dove pure avverte che: « 2 Cigni avevano fatta la loro comparsa straordinaria nella bassa Lombardia fino dalla metà di dicembre, non so che fossero di questa interessan- tissima specie minore (C. olor. var. minor Pall., o ©. minor Keys. Blas.) ». Nell’istessa lettera mi scrive che :<« Altre indicazioni di Cigni d’ignota specie, perchè non veduti da me, e d’un branco dite musicus venuto fin quasi dentro in Pavia, cioè in Borgo Ticino, sono sotto le date del 10 e 13 febbraio, sempre 1891 ». Comunque, dalle esattissime notizie del Pavesi risulta che nel gennaio del precitato anno venne da lui accertata la comparsa di molti C. Bewicki; e come scrissi in sul principio di questa nota, spetta alla provincia pavese la preeminenza numerica della specie in discorso. In vero, in verun’ altra regione risulta che sia in quell’anno (1891), sia dopo, siansi visti nel giro di brevi giorni tanti Cigni minori. Resta fermo che la prima cattura dal Giglioli annunciata in Italia, è quella di una femm. adulta uccisa nel 1874 nel Lago di Massaciuccoli. L’istesso prof. Giglioli, rispondendo gentilmente a una mia domanda, mi scrisse in data del 10 febbraio 1903 che la Col- lezione centrale dei Vertebrati italiani, oltre il precitato esemplare, possiede un maschio adulto ucciso in Abbiategrasso nel dicembre 1884, ed una femmina giovine presa nel padule di Fucecchio il 23 marzo 1888. Inoltre m’informa che quasi contemporaneamente al dono reale, fatto al Museo di Roma, del C. Bewicki, il signor Pierotti uccise tre di questi Cigni « a Massaciuccoli : sono, credo, due maschi e una femmina ». I: Giglioli m’ha pure espresso il pensiero che l’esemplare di S. Rossore destinato al R. Museo di Roma possa essere la fem- mina del secondo maschio avuto dal signor Pierotti. Ma l’esem- plare donato da S. M. è, come già dissi, un maschio. Interpellai anche il sig. Direttore provinciale della Real Casa in Pisa, e della risposta, che si compiacque darmi nei seguenti termini, assai lo ringrazio: SOVRA IL CIGNO PIÙ RARO IN ITALIA 41 «Quasi ogni anno capitano in queste Reali Tenute dei Cigni, ed anzi allorquando la R. Tenuta di Coltano era riserva di caccia, qualche coppia di essi vi ha svernato. Ricordasi infatti che nel 1891 un gruppo di nove cigni, dei quali 5 bianchi e 4 neri, vi hanno svernato per oltre due mesi; ed anche negli anni seguenti, salvo poche eccezioni, cigni ne sono sempre comparsi ». Aggiunge però il Direttore che non si sa a quale specie ap- partenessero, e prosegue, ricordando questi altri importanti dati ; « Il 10 dicembre dello scorso anno (1902) in S. ltossore com- parve un branco di nove cigni bianchi, ai quali fu tirato inutil- mente. Essi si sparpagliarono in varie direzioni, e solo dopo due giorni, uno, che si suppone appartenesse a quel gruppo, e che forse dai colpi del giorno 10 era già stato leggermente ferito, fu veduto dalla guardia' Castelli, nei pressi del Serchio. « Il Castelli gli tirò, ma non potè fermarlo sul posto. L’ani- male si alzò, ma dopo breve volata si rigettò nell'acqua, e fu al- lora che potè essere ucciso. « Aggiungo che da memorie che qui conservansi, in San Ros- sore vennero dal 1871 uccisi sette Cigni, uno nel 1879, ed un altro nel 1896 ». È probabile che nell'acqua del Serchio il Cigno cercasse un po’ di cibo, ma non ne trovò. Avendo io esaminato la parte del canale alimentare che non tu estratto, non v'era traccia di al- cuna sostanza alimentare. Il ventriglio che vi presento aperto, notevole per lo straordinario sviluppo delle sue pareti, conteneva tutto questo po’ di sabbia e di granelli petrosi che vedete, con alcuni briccioli o filamenti vegetali. \ Per dare tutte quante le notizie che finora ho potuto racco- gliere, e riguardanti — s'intende — le diverse apparizioni di questa specie in Italia, non mi resta che a dire dell’individuo ucciso presso Fano in prov. di Pesaro. E ciò non posso far meglio che riferendo quanto nel 1894, in una delle adunanze scientifiche tenute dalla nostra Società zoologica, ebbe ad esporre l’egregio consocio prof. Giovanni Angelini: « Credo di dover riferire a questa specie (Cygnus Bewicki) 142 ANTONIO CARRUCCIO un giovane cigno colto presso la foce del Meiauro il 7 dicembre 1893, preparato e posseduto dallo stesso sig. Pasquale di Fano. La lunghezza del becco è di appena 10 centimetri, mentre nel C. Musicus tale lunghezza è di 12 centimetri: il culmine del becco è nerastro sino alla fronte, e la macchia nera apicale è estesa tanto da sorpassare le narici, mentre nel C, Musicus la macchia nera è più limitata, e le narici sono interamente aperte nello spa- zio basilare giallastro, del quale è pure il culmine rostrale... « I piedi sono nerastri, ed il colorito grigio chiaro, legger= mente tendente al carnicino. Quando fu preso pesava Kg. 5,700. Fu ferito di pieno giorno da un contadino a un piede e ad un'ala, e visse poi per più di un mese in schiavitù... (1) Come risulta dalle prime parole dell’ autore, prudentemente egli serive : « Credo di dover riferire », non già < sono certo». Ed aggiunge: « Mi rincresce di non aver qui (cioè a Fano) suffi- ciente materiale di confronto...». Ed a me, che verbalmente lo pregai di darmi altre notizie, rispose che molto di buon grado le avrebbe fornite, ma non puteva in Roma aggiungerne altre a quelle già da lui esposte e pubblicate nel Bollettino sociale. Avevo già raccolto i dati sovraesposti quando mi vien fatto di leggere le seguenti parole nel fasce. 59-60 dell’Avicula nel ca- pitolo intitolato: Catture di specie rare ed avventizie : « Cygnus Bewick: (Cigno minore). Nella 2° decade di dicembre furono uccisi 3 individui al lago di Massaciuccoli dal sig. Pierotti T. di Firenze. « E’ specie rara in Italia ove ben poche catture sin qui sono note. - REDAZIONE ». Speravo di trovare nell’Avicula la conferma del sesso cui real- mente questi tre Cigni appartengono, e qualche altra indicazione interessante. Intanto ‘però è certo che l’epoca della loro appari- zione e cattura in Toscana press’a poco coincide con quella in cui fu ucciso a San Rossore, e precisamente nei pressi del Serchio, (1) Ved. Alcune note sull’ Avifauna Marchigiana: Comunicazioni del socio prof. G. ANGELINI, Bollettino della Società Romana degli studî zoologici, Vol. IV, Anno 1899, fasc. I e II, pag. 76. tic SOVRA IL'CIGNO PIÙ RARO IN 1TALIA 148 l'esemplare donato da S. M. al nostro Museo. Il branchetto dei nove Cigni, come pur mi ha gentilmente riferito il Direttore della Real Casa di Pisa, comparve il 10 dicembre 190?, e i tre individui del Lago di Massaciuccoli, uccisi dal sig. Pierotti, e quindi a non grande distanza da San Rossore, lo furono nella « seconda de- cade » dell’istesso decembre, come leggesi nell’ Avicula. Possono adunque alcuni dei componenti il branchetto visto il 10 decembre essersi allontanati, per sottermarsi nelle acque dellago di Massa- ciuccoli. Kicordisi che nella lettera di Pisa che ho riportato, è detto che furono tirate inutilmente alcune fucilate ai nove Cigni, i quali si sparpagliarono in diverse direzioni: e solo dopo due giorni, uno di essi potè esser preso. Per nulla omettere di quanto è a mia conoscenza sulle indi - cazioni date in Italia intorno alle apparìzioni del C. Bewecks, devo aggiungere che il Damiani diede alcune altre notizie rias- suntive nell’ Avicula (1) già da me largamente qui esposte, mas- sime quelle dovute al Pavesi, e pon citate dal Damiani. In altro fascicolo dell’istesso giornale la redazione annunzia che crede di < un certo interesse » riferire quanto le viene comunicato, e cioè che nella privata collezione del prof. A. Fiori a Bologna, esistono due esemplari, maschio e femmina, di 0. Bewicki « da lui stesso acquistati in carne sul mercato della città il 31 dicembre 1890. Fu detto essere stati ambedue catturati nelle paludi di Comacchio, ma non con precise indicazioni, perchè la persona che li vendette al prelodato sig. A. Fiori non conosceva il cacciatore che avevali uccisi » (2). E finalmente, prima di passare all’ esame descrittivo della trachea e delle sue inflessioni nel C. Berwicki, le quali mi proposi preferibilmente d’illustrare nell'odierna adunanza, riferirò la dia- gnosi riassuntiva che ultimamente ha dato l’Arrigoni degli Oddi nel precitato Atlante Ornitologico, alla quale farò seguire alcune misure precise, ed in maggior numero, prese sull’esemplare do- nato da S. M. il Re. (1) Fasc. 61-62. Gennaio-febbraio 1903, pag. 28-29. (2) Fasc. 63-64. Marzo-aprile 1903, pag. 34-35, t44 ANTONIO CARRUCCIO « Statura piccola, il giallo alla base del becco non sè estende fino all: narici, nel resto il becco è nero; piume della fronte formanti un angolo ottuso; coda di 20 penne; piumaggio bianco (ad.) Bruno grigio; base del becco giallo-limone, cenerognolo- nerastro nel resto (giov.) ». « Lunghezza totale m. 1,250; becco m. 0,084; ala m. 0,500; coda m. 0,170; tarso m. 0,081; dito mediano c. u. m. 0,116 » (1). Queste dimensioni dateci dall’egregio ornitologo di Padova si allontanano di poco da quelle proprie dell'esemplare del nostro Museo, e perchè ho detto che sono precise, e prese sull’animale fresco dal tassidermista sig. Coli, e poi da me, giova porle in confronto con quelle date dall’Arrigoni e da altri autori, dovendosi le poco notevoli differenze attribuire all’età, al sesso ecc. de- gl’individui misurati, se pure non si ebbero pelli secche. La lunghezza del nostro esemplare è di circa m. 1,260; la testa è lunga m. 0,170; — il solo becco ha la lunghezza di m. 0,085 ; — l’ala m. 0,540 — la coda m. 0,210; —iltarso m. 0,081; — e il dito mediano coll’unghia m. 0,122. Aggiungo che il becco offre alla sua base la massima lun- ghezza di 28 mm,, ed all’apice la minima, ch'è di 17 mm.; nel. centro (misurando col compasso) è largo 20 mm. {l colorito della ranfoteca cornea è tutto di un bel nero lu- cente, eccetto che presso i lati destro e sinistro, e quasi tutt’at- torno alla porzione basilare del becco, fin presso gli occhi, nelle quali parti la membrana che le ricopre offre un colorito giallo intenso; 0, per essere più esatto, dirò che vedonsi due macchie laterali dell’indicato colore, disposte obbliquamente, a cominciar dal davanti degli occhi fino quasi al contorno della ranfoteca, senza però toccarlo. La lunghezza di ciascheduna macchia è di 58 mm., la larghezza di 25 mm. È da notarsi che sulla macchia d’amboilati, come sul mezzo della base del becco, sorgono numerosi e minutissimi rialzi, quasi granelli di sabbia; come pure si vedono — ma soltanto ai fianchi e punto sul mezzo del becco — molte strie parallele, (1) Ved. l’Atlante dell’Arrigoni L. O. p. 452-453. gg eg E SOVRA IL CIGNO PIÙ RARO IN ITALIA 145 Le narici stanno distanti dalle macchie gialle circa 15 mm., e sono lunghe 9 mm.: hanno una direzione alquanto obbliqua dall’alto al basso, e dall’inverno all’esterno. La ranfoteca superiore presénta delle lievissime solcature, quasi equidistanti e parallele, che si diriggono tutte verso le narici. Passerò ora a descrivere la preparazione dello sterno cavo coll’intiero tubo tracheale del C. Bewichi (1), e vi prego esami- narlo di preferenza e comparativamente ad altro sterno di C. Olor, del quale parimenti conservai la intiera trachea fin dal 1889. Dal confronto risulta che lo sterno del Cigno minore preso nel dicembre 1902 ha la carena scavata, ed è lungo cent. 17, mentre lo sterno del Cigno reale ha la carena piena ed è lungo cm. 22. La larghezza massima dello sterno del C. Bewicki, presa in alto, non sulla faccia esterna convessa, sulla quale sorge la ca- rena, ma sull’interna o posteriore concava, è di 10 cm, ed in basso di 8 cm. La parte inferiore di questo scudo sternale si assottiglia assai, e presso il margine libero offre due aperture ovali, ognuna lunga 2 cm, e 12, elarga 16 mm. : entrambe sono chiuse da una membranella. La larghezza massima dello sterno del C. Olor, presa pari- menti nella faccia interna concava, è dì cm. 12 e 172 in alto, e di 10 cm. in basso. La cavità formata dall’allontanamento delle due lamine ossee formanti la carena del C. Bewicki è lunga cm. 10, larga in alto 4 cent., ed inferiormente 1 cm. e 172. Penetrato dentro l’escavazione della carena il tubo tracheale, e appena raggiunto il margine superiore dello sterno, si ripiega nell’interno della stessa carena e forma un arco a convessità in- feriore che in totale è lungo 12 cm. E l’istesso tubo tosto fuori uscito dal cavo della carena, nuovamente si curva per un tratto di 6 cm., e si avanza dietro lo sterno, discendendo verticalmente (1) Le prime notizie sull’introflessione sternale della trachea de. C. Bewicki sì trovano nel Viegmanns Archiv., 1838, pl. VII e IX. Poichè conosciuta la descrizione che da parecchi fu fatta più o meno esattamente : questa che ora io dò ritengo sia esattissima. 146 ANTONIO CARRUCCIO lungo la sua faccia posteriore concava per altri 8 cm. e 1{2. Giunta la trachea verso la metà dell’istessa faccia sternale la si vede biforcarsi nei due bronchi principali, ognuno dei quali è lungo 3 cm. Ma prima di tale biforcazione vedesi la laringe inferiore, o siringe, senza ì cerchietti ossificati ben distinti, come si vedono in tutta la lunga porzione sovrastante. Le pareti laterali di questa specie di timpano aperto, che ha quasi la forma di un elmetto schiacciato ai lati, sono assai sottili e trasparenti, per quanto ossificate. Il diametro longitudinale della siringe è di 2 cm., il diametro antero-posteriore, mediano ed inferiore, è di 3 cm, mentre il diametro superiore, pure antero-posteriore, è di 16 mm.; il diametro bitrasverso è di 15 mm. All’origine dei due bronchi, e immediatamente sotto alla si- ringe, si vede una membranella tesa al margine inferiore di essa siringe: la lungh. di questa membranella è di 22 mm.: la largh, presa sul davanti è di 3 mm,, e indietro di 1 mm. Il margine in- feriore aderisce al contorno superiore di un cerchietto ossificato, che ha uno spessore appena di 1 mm. Da questo cerchietto, e precisamente dal contorno inferiore, muove da ciaschedun lato un’altra membrana timpaniforme più grande, quadrilatera, alta 10 ram., larga da 18 a 19 mill. Sotto alla membrana bilaterale, ben tesa, fra l’ anzidetto cerchietto ed il primo anello dei due bronchi principali, si ha una nuova serie di anelli, più stretti e meno rigidi di quelli propri alla trachea, costituenti cioè il bronco destro e sinistro : ognuno risulta formato da una ventina circa di tali anelli, che cominciando da un diametro di 12 mm. vanno sempre più restringendosi fino ad avere 2 soli mm. di diametro, e meno quelli che stanno per introdursi nel parenchiraa polmonale : ognuno dei 2 bronchi prin- cipali ha una forma quasi conica, colla base in alto e l’apice al- l’ingiù, cioè verso il rispettivo polmone: come dissi ciascheduno bronco ha una lunghezza di 3 cm. Questi due completi tubitracheali, cioè quello del C. Bewicki e del C. olor, che abbiamo sotto gli occhi, presentano diversità nei diametri e nel numero dei rispettivi anelli, SOVRA Il CIGNO PIÙ FARO IN ITALIA 147 La trachea del Cigno minore, della laringe fino al punto di arrivo allo sterno, cioè prima d’introflettersi nella carena, ha una lunghezza di circa 59 cm. Quindi cogli altri tratti dell’istesso condotto dei quali ho dato le misure precise, cioè della porzione intrasternale p. d., dell’episternale ad arco, e della retrosternale o discendente, abbiamo una lunghezza totale di 86 cm., non compresi i due bronchi principali. Il numero totale poi degli anelli che formano il condotto tracheale è di 205, non compresi quelli della porzione racchiusa nel cavo della carena, che appros- simativamente calcolo possano essere da 30 a 35. Il diametro degli anelli della porzione lunga e verticale è di mm. 11, ed il diametro della porzione retrosternale, prima della divisione bron- chiale, è di mm. 17. La trachea del Cygnus olor offre invece una lunghezza totale dicem. 70 e mm. 3, ed è formata da 208 anelli, oltre 10 costituenti ciaschedun bronco. Il diametro massimo degli anelli è di 52 mm., ed il minimo di 41, La lunghezza d’ogni bronco principale di s cm. La siringe è alquanto meno sviluppata che nel C. Bewscki : infatti questa del C. olor ha l'altezza di 15 mm., ed è larga 25 mm. La forma è press’a poco quella del Cigno minore, ma ha pareti un po’ meno sottili e meno trasparenti. La lunghezza del- l’ivide è di 10 cm. Il Cuvier nelle sue lezioni di Anatomia comparata nota come nel Cigno i bronchi non diventino intrapolmonali che al di là della metà anteriore di ciaschedun polmone, introducendosi sotto la faccia interna ed inferiore, L’istesso aut., facendo menzione del tragitto della trachea nel Cigno a becco nero, fa rilevare che essa procede come quella della Grue comune, ma che dentro lo sterno vi forma un’ansa ricurva che si avanza meno profondamente. Tutto questo è esatto, come potete osservare nelle preparazioni che pure posseggo di Grus- cinereac. La differenza sta nelle dimensioni della porzione tracheale ed intra-sternale, la quale secondo Cuvier avrebbe « un diamètre très-sensiblement plus grand que celui de la trachee, et ne perd L 48 ANTONIO CARRUCCIO que très-peu de son gros calibre, avant de se terminer au larynx infèrieur ». | Ciò in realtà non è, ed io devo farlo rilevare perchè la note- volissima differenza di diametro riguarda la porzione intrasternale ed estrasternale della trachea del Cygnus otor, ma non già quella del C. Bewsicki. Fra gli scrittori anche il Gegenbaur osserva che « la forma dello sterno sta in rapporto con lo sviluppo della muscolatura, come a sua volta il volume dello sterno e della sua cresta cor- risponde allo sviluppo della potenza del volo » (1). Però chi volesse stabilire questa proporzione fra lo sviluppo dello sterno del Cigno minore con quello dei Cigni di maggior mole, forse troverebbe che tale proporzione è a vantaggio di esso Cigno minore. Pure dal Berthold, Geoffroy S. Hilaire, Lherminier, e da altri autori affermasi che le modificazioni dello sterno negli Uccelli sono in rapporto colla facoltà del volo; ed al variar della potenza di questo, lo sterno subisce modificazioni nella estensione della superficie d’attacco dei muscoli, nella sua solidità, e perfino nella forma della carena. In breve il volo del C. Bewick: è meno, più od egualmente potente e duraturo di quello d’altre specie di Ci- gni? Rispondo : non lo so. Ho fatto anche non poche ricerche per ottenere una soddi- sfacente risposta alla domanda, sulla voce di questi uccelli: ma trovo che gli scrittori più competenti, pur negando valore ed impor- tanza a tutte le erronee credenze sul così detto canto dei Cigni, non hanno valide osservazioni pruprie con cui stabilire definiti- vamente le differenze di essa voce fra specie e specie. E mi par giusto ricordare di preferenza qualche vecchio e dimenticato scrittore — essendo i recenti più facilmente Letti — ad esempio il Lesson. Questi fin dal 1828 avvertiva: « La tra- chée-artere se recourbe sur lè sternum, mais la voix n’est pas (1) Ved. Manuale di Anatomia comparata, trad. dal prof. Carlo Emery. - Enr. Detken Edit. Napoli 1882, pag. 511-512. SOVRA IL CIGNO PIÙ RARO IN ITALIA 149 pour cela plus agréable, et c'est bien gratuitement qui les an- ciens ont rendu cèlebre le chant du Cygne ». Non mancano quelli che opinano che l’ampliamento ed al- lungamento della trachea in quelli uccelli che presentano questo duplice fatto anatomico, modifichi la loro voce nel senso che il tono della medesima si può fortemente abbassare ; altri aggiun- gono ch’essa diventa più sonora; ed altri che si abbiano dei suoni anzichè armonici, discordi. Ma lo scopo mio non è di riferire tutto quanto si è scritto, anche dottamente, sulla produzione e varietà delle diverse voci negli Uccelli. Vi accenno soltanto in passando, perchè intesi descrivere la forma ch'è propria della trachea di questo Cigno. Ma godo nel ricordare che altri colleghi italiani abbiano stu- diato il canale aerifero e le sue singolari modificazioni morfolo- giche in specie diverse di Uccelli. Fra questi colleghi citar devo in modo speciale il prof. Pietro Pavesi; il quale ci ha dato un ottimo lavoro sulla trachea delle Manucodie (1), accompagnato da bellissime figure. Egli si occupò pure di'taluna specie nostrana, ad es. della Ciconia nigra mas. In questa i bronchi formano una curva ch'è rivolta in sù ed all’esterno, e rimane « scavalcata dalle arterie polmonare e aorta discendente, per piegarsi poi verso i polmoni » (2). E prima del lavoro ora menzionato l’istesso Pavesi aveva dato alle stampe un interessante studio intorno ad una nuova forma di trachea della Manucodia Keraudreni Less. della N. Guinea, accompagnato da una non meno bella tavola (3). L’Aut. in questa pubblicazione cita, fra le specie italiane, la Grus cinerea, l'An- thropoides virgo, la Platalea leucorodia, e fra i Cigni anche il C. minor (C. Bewicki), quali esempi di uccelli che offrono inflessioni della trachea diversamente disposte. Trovandomi in Modena, dove dovetti instituire di sana pianta (1) Ved. Annali del Museo Civico di Storia nat. di Genova. — Vol. IX, 1876-17. (2) Ivi. (3) V. i pred. Annali, Vol. VI, 1874. Bollettino della Società Zoologica Italiana. 4. 150 ANTONIO CARRUOCIO la collezione di Anatomia comparata, che vi mancava affatto, rammento di avervi lasciate preparazioni diverse di trachee di uccelli acquatici colla caratteristica dilatazione tracheale ; ed an- che in Roma, per la nuova collezione didattica, introdussi parecchi preparati consimili, che già vi ho presentato. Vi sono specie nelle quali la inflessione più o meno pronun- ciata della trachea, ha luogo al davanti dello sterno, e quindi fuori della cavità toracica; oppure ha luogo nell’interno di questa, ed anche, come abbiamo visto pei Cigni ecc., dentro lo spazio vuoto che può presentare la carena sternale. In questo sterno di Grus cinerea, che qui avete colla rispettiva trachea a posto, ri- levate come lo spazio sia più ampio di quello che vediamo esi- stere nella carena dello sterno del C. Bewicki, E° ben vero che anche la carena della Gru è più sviluppata in confronto a quella del Cigno minore, ma la inflessione tracheale sì nell’una che nel- l’altra specie non giunge fino al fondo della cavità sternale, ma fermasi verso la metà della cavità medesima. Non è esatta adunque la figura che ci danno Pouchet e Beauregard, nella quale vedesi lo sterno aperto colla curva tracheale che si porta.a brevissima distanza dalla punta sternale. (Continua). Sull'apparizione dell'AMPELIS GARRULYS (Linn.) NELLA PROVINCIA DI ROMA No‘izia conunicata dal Dott. Giulio Alessandrini alia Società Zoologica Italiana con sede in Roma nella adunanza del giorno 25 giugno 1903 Secondo i vari autori di ornitologia l’ Ampelis garrul::s (Linn) abita normalmente il circolo artico dei due emisferi e la sua apparizione al nord dell'Europa è rara, sebbene qualche volta, d'inverno, se ne siano veduti in Italia e specialmente nel Veneto. Nel 1829 il Costa cita la cattura nel Gargano di un esem- plare, che sarebbe quello preso più al sud. Ora io posso annunziare agli egregi Colleghi che lo scorso anno (1902) nella seconda metà del mese di aprile, trovandomi in vicinanza del mare in Montalto di Castro (Roma) in mezzo a basse macchie di pinì marittimi in un piccolo largo vidi scendere un gruppo di fringuelli (Fringilla coelebs L.) ed in mezzo ad essi potei scorgere, e direi quasi esaminare con comodità e per più di due minuti, 4 o 5 esemplari di Ampelis garrulus. Il suo colorito generale cinerino rosso, |’ abbondante ciuffo sulla cervice, la fascia che circonda l’occhio e la gola nere, le macchie bianche delle ali, dovute al colorito degli apici delie cuopritrici primarie, la fascia gialla apicale della coda, mi sem brano caratteri sufficienti per distinguerlo facilmente da altri uc- celli anche a due o tre metri di distanza; tanto più quando si ha la comodità di osservarlo per un tempo relativamente così lungo. Il non avere con me il fucile mi impedì di catturarne sia pure un esemplare. Ho creduto far noto a voi questa mia osservazione sia perchè 152 GIULIO ALESSANDRINI la sua cattura nella nostra provincia non fu mai annunziata, sia perchè non sì trattava di un solo esemplare, ma di un piccolo branco, sia principalmente perchè ritengo assolutamente strana la sua presenza fra noi a primavera inoltrata. Nota. — La presente nota era già pronta per le stampe quando mì sì an- nunzia dal sig. Paolucci, studente di scienze naturali, che sulla fine di dicembre scorso vi fu un passo notevole di Ampelis garrulus ad Ancona. Ed il prof. Car- ruccio mi avverte di altri passaggi avvenuti nel Veronese, Bresciano, Bellunese, ecc., annunziati da parecchi giornali. Sull'aumentata frequenza in Italia del Nibbio Brano Milvus Kkarsckun (GmeLIN) M. migrans BoDDAERT nota del prof. Giovanni Angelini Dietro cortese invito della Presidenza della nostra So- cietà ripubblico il seguente articolo sul Nibbio bruno, com- parso già nel settembre scorso nell’Avicula (fasc. 67, 68, Siena) tanto più che ai dati riportati sono in grado di ag- giungere una conferma. Nel penultimo num. di questo periodico l’egregio Conte Ar- righi Griffoli, a proposito della cattura di un Milvus migrans (Bodd.) avvenuta lo scorso aprile in Val di Chiana, osserva come esso sia generalmente scarso o raro in Italia, sebbene in qualche luogo, come nel Romano, trovato anche nidificante. In realtà io credo che questa specie sia da noi meno rara di quanto si è finora creduto : questo almeno stimo di poter as- serire per il Romano durante il periodo delle migrazioni. In otto anni di permanenza a Roma, dal 1895 ad oggi, ho frequentemente percorsa la campagna, specialmente all’epoca dei due passi, ed allora spesso ho avuto occasione di osservare il Nib- bio bruno, ed in certe giornate ne ho visti vari individui, tanto da produrmi l'impressione di un uccello comune. L’ho visto di solito volare al di sopra dei boschi, delle praterie e delle paludi poco lontane dal mare, ed una volta l’ho trovato posato sulla spiaggia, proprio sull’orlo dell’acqua come un gabbiano, dov'era forse intento a pescare. Da una coppia, che volteggiava al di sopra del lago di Maccarese, il 19 aprile dell’anno scorso, giunsi 154 GIOVANNI ANGELINI ad uccidere un bel maschio : l’altro, probabilmente la femmina, continuò ad aggirarsi nelle vicinanze, e poco mancò che non re- stasse anch'esso vittima del mio fucile. Nello stomaco dell’ucciso trovai degli avanzi di un grosso insetto non più determinabile, ed alcuni pesci semidigeriti, che mi parvero Atherinae. Credo che i pescì li ghermiscano per lo più volando: infatti vidi quei due ogni tanto abbassarsi, e volare per un certo tratto rasentando lo specchio dell’acqua, come è costume dei gabbiani e delle sterne tenendo per solito immote le ali. Nell’inverno non mi è occorso di osservarlo, mentre invece si trova comunemente il suo affine, il Nibbio rosso (Mvus ictinus Sav) ; quando si ha avuto occa- sione di far pratica vedendoli ambedue più volte, si riconosce fa- cilmente anche a discreta distanza il Nibbio bruno al suo colo- rito più scuro, e specialmente alla coda poco forcuta. Nell'estate qualche Nibbio bruno pure rimane, e si riproduce nel Romano : infatti ne sono stati colti i nidiacei più di una volta, e ne ho vi- sti lo stesso. Quantunque così frequente nelle migrazioni, tuttavia capita di rado arche a Roma d’incontrarlo sul mercato, come succede anche del Nibbio rosso, perchè sono uccelli molto accorti, vol- teggiano per lo più alti nell’aria, ed è difficile averli a portata di fucile, se non si sta nascosti, o non si ha la fortuna di capitar loro addosso all’improvviso. Dove quasi ogni anno, di primavera, se ne possono ammirare parecchi dal preparatore sig. L. De Dominicis, il quale li riceve dall’Amministrazione delle Cacce Reali. Allettati dal premio, che ricevono per ogni rapace ucciso, sogliono, a quanto mi è stato riferito, le guardie delle RR. Cacce fare la posta in sulla sera ai Nibbi ed agli altri falchi presso gli alberi dove li han visti aggirarsi il giorno e dove sogliono appollalarsi per dormire, e giungono in tal modo ad ucciderne sovente. Siccome il sig. De Dominicis mì disse che da varii annì aveva l'abitudine di registrare sommariamente gli animali, che riceveva, lo pregai a voler fare per me lo spoglio dei Nibbi bruni, che egli sa ben distinguere dai rossi, ed ecco l'elenco che fin dall’anno scorso egli mi ha favorito : SULL'’AUMENTATA FREQUENZA IN ITALIA DEL NIBBIO BRUNO 155 S. Rossore (Pisa) | Castel Porziano (Roma) maschi femm. maschi femm. 1904 Marzo e Aprile 4 6 7 5) 1895 » 2 I 5 2 1896 » 4 A) a) 5) 1897 » 6 6 9 5) 1898 » 2 2 5) 4 1899 » fi 9 11 4 1900 » 5 Di 9 6 1901 » 11 13 8 4 1902 » 4 1 2 SA 19) Nel corrente anno, 1903, il sig. De Dominicis, mi ha dichia- rato di aver ricevuto un solo Nibbio bruno, nel marzo da Castel Porziano, e poi niente più, Che non sieno passati ovvero che non sieno stati uccisi? lo propenderei per quest’ultima spiegazione, perchè anche quest'anno io ne ho osservato più d’uno nelle mie escursioni primaverili: uno vivo ne vidi pure mandato a Roma da Viterbo a preparare per il Liceo di questa città. Il numero degli individui del presente elenco, che io ho tra- scritto fedelmente, sebbene senza assumerne la responsabilità, è da autorizzarci a ritenere il Nibbio bruno di passo regolare tanto nel Romano, quanto nel Pisano, Nel Romano il fatto sarebbe in accordo colle mie osservazioni: in quanto al Pisano ciò sarebbe in contrasto coll’opinione, che sembra aver avuto in proposito l'illustre ornitologo Paolo Savi, il quale nella sua Ornitologia, dopo di aver detto che il Nibbio bruno « è molto raro in quasi tutta Italia » ne ricorda per il Pisano un solo esemplare, ucciso nei boschi di S. Rossore il 12 aprile 1887. Per chi conosce lo spiri- to investigatore e la scrupolosa esattezza del Savi, che per lunghi anni esplorò la campagna pisana, è difficile pensare che egli possa essersi ingannato: dunque non resta altro che ammettere (1) Parecchi di questi esemplari furono dal sig. De Dominicis regalati in più volte al sig. Casimiro Coli, preparatore tassidermico della R. Università di Roma, il quale pure ricorda di averne così avui. almeno una quindicina. 156 - GIOVANNI ANGELINI che ai suoi tempi il Nibbio bruno fosse colà molto più raro, che al presente. D'altra parte un altro valente ornitologo contempo- raneamente al Savi perlustrava a scopo ornitologico la campagna romana, il Bonaparte: ebbene anch'egli nel Vol. I della sua Ico- nografia della Fauna Italica scrisse « Nei Milvini abbiamo sol- tanto comunissimo in tutte le stagioni il Nibbio Reale (MiLvus RE- GALIs BR.) e raro, quantunque nidificante sui monti, it Nibbio nero (MiLvus NiGER Br.) » Parrebbe quindi nel Romano essere acca- duto lo stesso come nel Pisano. Nel resto d’Italia il Nibbio bruno apparisce generalmente scarso o raro: però in più lunghi sembra essere diventato più frequente in questi ultimi tempi. Giò pare emergere dalle citate osservazioni del Conte Arrighi-Griffoli in Val di Chiana: recente è la scoperta della insospettata stazione estiva del Nibbio bruno a Grezzano nel Veronese, resa nota dall’Arrigoni (1): citato come raro dal Riva, e come accidentale dai signori Fatio e Studer pel Ticino, viene recentemente riconosciuto abbondante nella regione dei laghi dal Ghidini (2). Ma quella che è più esplicita e conclu- dente che mai è la dichiarazione del Moschella pel Reggiano: « Da vari anni, egli scrive, questa specie (MiLvus 10T1NUS) pare es- sere stata sostituita dall'altra (MiLvus NIGER) » (3). E noto come nei dintorni di Reggio Calabria passino i Falchi in abbondanza straordinaria, e come in primavera sieno oggetto di una caccia speciale, di cui sono appassionatissimi i Reggiani, e ne uccidono in gran copia: perciò il territorio di Reggio è la stazione più propizia per un tal genere di osservazioni. L’aumentata frequenza del Nibbio bruno sarebbe dunque un fenomeno simile a quello dell’Anitra marmorizzata (Marmaro- netta angustirostris (MENÈTRIER) la quale, al dire dell’Arrigoni « in altri tempi di comparsa affatto accidentale, ora tenderebbe a farsi di apparizione irregolare in Italia » ed opposto a quello, che, secondo le affermazioni dello stesso Autore, presentano per (1) Atti R. Istit. Veneto di Scienze Lett. ed Arti, vol. IX, Venezia 1898. (2) Note sull’Avifauna della Svizzera Italiana — Avicula, fasc. 55-56, 1902. (3) Avicula, fasc. 39-40, pag. 46, 1901, SULL'AUMENTATA FREQUENZA IN ITALIA DEL NIBBIO BRUNO 157 l’Estuario veneto il Cavaliere d’Italia e 1° Avocetta. La mutata fre- quenza del Nibbio bruno non costituirebbe quindi un fatto nuovo, nè isolato. Il Nibbio bruno, dice il Brehm, « ama è boschi, e nel tempo stess» le vicinanze dei fiumi e delle paludi, giacchè queste ultime sono è. campo favorito delle sue cacce . .... Talvolta durante tempo della frega tendono agguati ai pesci, che, a quanto pare, piac= cigno loro assai. : .. In mancanza di meglio cerca le rane; se vi sono poi carogne, non manca mai (1) ». Il litorale pisano e ro- mano, e quest’ultimo sopratutto, che offrono un iusieme di con- dizioni così conformi alle abitudini e ai gusti di questi uccelli, e che sono stazioni predilette anche dei Nibbì reali, debbono eser- citare un’attrattiva speciale sui Nibbi bruni migranti, ed indurli ad una sosta più o meno prolungata: in ciò sta senza dubbio la ragione del mostrarsi essi quivi particolarmente frequenti. Dopo scritto e spedito il presente articoletto, e precisamente il 27 giugno p. p. ebbi occasione di osservare, ancora viventi, due nidiacei di Nbbio bruno, appartenenti ad un giovine ed appas- sionato ornitologo romano, il Principe Don Francesco Chigi. A- vendo egli ‘appreso il mio desiderio di conoscere la provenienza di quelli uccelli, mi ha con squisita gentilezza comunicato per lettera diverse notizie, di cui pubblicamente lo ringrazio, e che stimo opportuno riprodurre in parte colle stesse sue parole : « Trovai questa specie sempre abbondante in primavera nelle tenute di Castel Fusano (2) e Castel Porziano (Riserva reale di caccia) ove nidifica regolarmente ogni anno. La vegetazione delle due suddette tenute si presta in modo speciale ad alloggiare ra- paci di ogni sorta, e particolarmente abbondanti vi sono i Bian- coni, i Nibbi reali e i Nibbi neri: sembra anzi che questi ultimi (1) Brehm, Vita degli Animai, Vol. III. Traduz. it. di E Branca. (2) La tenuta di Castel Fusano, attigua a quella di Castel Porziano e la più prossima al mare, è proprietà dell’ Eccma Casa Chigi, che la cedette in affitto alla Casa Reale, riservando però anche per sè il diritto di caccia. Il Chigi quindi, che ha la fortuna di potervi risiedere e cacciare liberamente, ha certo potuto constatare de visu quanto qui asserisce. 158 GIOVANNI ANGELINI vi abbondino ancor più della specie affine (Milvus ictinus). Il Milvus migrans, come il /Malvus ictinus, pone il nido di preferenza alla biforcazione dei rami inferiori dei pini di media altezza, sia che si trovino nella Pineta propriamente detta, sia in quelli isolati in mezzo ai larghi, o dominanti i bosci cedui (Tomboleti). « Meno comune è il Nibbio nero nei Colli Albani, ove, seb- bene si veda quasi ogni anno di passaggio, forse solo eccezional- mente vi nidifica. Uccisi due nidiacei di questa specie nel luglio 1899 (?) ed un terzo ne ebbi vivo nella stessa epoca. <« I due nidiacei, che Ella ha veduto ultimamente, provengono dai dintorni di Ardea, vissero una ventina di giorni in schiavitù, nè posso dire con precisione la località in cui trovavasi il nido ». Queste notizie del Chigi concordano colle mie osservazioni, e collimano anche con quelle fornite sul Nibbio bruno all’ Arrigoni dal Marchese Lepri (vedi Arrigoni, Mem, cit. pag. 98): l’attuale frequenza del N2bbio bruno nel Romano è quindi un fatto piena- mente ascertato: Roma, luglio 1903. ride à tel. i hi ' Sui caratteri morfologici che distinguono un Siluro proteropodo del genere RKINELEPIS, e cenno sulle forme principali della Fam. Siluridae, di recente introdotte nel Museo. Comunicazione del Prof. ANTONIO CARRUCCIO alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma (Ved. i precedenti Fase. I, II, III, Vol. IV, 1903, pag. 77-84) Lungo la linea laterale, ch'è poco ondulata e poco mani- festa, osserviamo una serie di piastrine triangolari, le quali presentano il loro lato inferiore — ch'è il più esteso — lungo nel maggior numero di esse, da 12 a 15 mm., ed appena rientrante nel centro. Tutte le piastre che difendono i fianchi del pesce, non sono a mutuo contatto fra loro, come quelle costituenti il grande scudo cefalico, ma pur sembrando quasi embricate, in realtà hanno tutti i loro margini a breve distanza l'uno dall'altro — cioè da 1a 2 mm. — ed hanno per lo più forma triangolare : quelle della linea laterale si distinguono da tutte le altre per la leggerissima incavatura centrale, cui ho già accennato. Dai margini della pinna dorsale, cioè a destra e a sinistra della medesima, fino alle due linee laterali infe- riori e ventrali, hannosi 8 serie longitudinali delle preci- tate piastre, cioè 4 a sinistra, e 4 a destra; ed ogni serie risulta da 24 a 25 di esse piastre, regolarmente sovrap- poste. — Quelle che formano l’ultima serie lineare, o del margine ventrale, sono più grandi, e anzichè una forma triangolare, ne presentano una. poligonale che in altre è rettangolare. Talune offrono i due lati maggiori lunghi per- fino 3 a4cm.; tutte quante poi sono finamente denticolate tanto nei contorni, quanto sulla faccia esterna libera. La 160 ANTONIO CARRUCCIO disposizione adunque a raspa è manifestissima non solo sui fianchi, ma dalla fine della pinna dorsale fino all’ori- gine della candale. La regione ventrale è difesa, come dissi, da piastrine numerosissime, e sono le più piccole che si osservino sul corpo di questa specie. — Sono anch'esse poligonali, ed è raro che i loro lati abbiano una lunghezza superiore ai 2-3 mm. — Questi lati o margini stanno a mutuo contatto fra loro, e perciò l'insieme delle medesime forma una specie di pavimento, lungo — dal disotto della bocca fino all’o- rigine della pinna anale — cm. 19, e largo fra le due pinne toraciche 11 cm., e frale due ventrali 5 cm. e 172-Le due estremità di questo pavimento — le cui piastrine non sono rugose, perchè mancano di denticolazioni — restano assai appuntite. Ma sotto ed ai lati della pinna anale ricominciano le piastre grandi a raspa, fino all'origine della pinna caudale. Ho già detto della forma e sede della bocca e dei denti- celli quasi setoliformi che si notano sul suo contorno. Devo aggiungere che la parte più grossa e lunga di questo con- torno è rivolta all'insù, e la più corta è alquanto più sot- tile al disotto. Questa bocca aperta com'è, ha un diametro trasverso di 5 cm. e 1]2, ed uno mediano e verticale di Sena Ne 1 q2: Mentre tutto il contorno superiore è rivestito da pia- strine, queste vengono a mancare ai due angoli della bocca, in ognuno dei quali scorgesi tesa una robusta membrana nera, che unisce appunto le due parti intorno, superiore più lunga ed inferiore più corta ; e da questa membrana muove un piccolo tentacolo o barbiglio, più grosso alla base, affilato all'apice, lungo circa 15 mm., e della mas- sima grossezza (alla base) di 3 mm. Questo barbiglio da ciaschedun angolo della bocca si dirige, incurvandosi, colla punta in basso all'esterno. La fessura branchiale comincia a destra e a sinistra sotto la cavità orale, alla distanza di 4 cm. e 172, e sopra le pinne pettorali alla distanza di 1 cm. Questa fessura curvilinea, lunga 6 cm., offre superiormente 6 piastre mar- ginali, di cui la più piccola quasi rettangolare sta all’an- RT STE RE SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO 161 solo interno, e la più grande quasi emisferica, od a se- mi-ruota, con un diametro maggiore trasverso lungo 32 mm., si trova all'angolo esterno. Queste piastre rugose, grosse, formano quasi un pseudo-operculo da un lato e dall’altro. Il margine inferiore, ch'è convesso, e sta imme- diatamente al disopra del primo raggio della pinna petto- rale, è formato quasi intieramente da una sola e grandis- sima piastra triangolare a raspa, con un lato, che si dispone sul fianco sopra la pinna ora nominata, e coll’apice che si avanza sulla faccia ventrale, cui corrisponde l angolo in- terno della stessa fessura branchiale: il lato maggiore poi, lungo circa 6 cm., è quello che delimita in basso l'apertura branchiale. ‘ Queste particolarità di struttura, non essendo state de- scritte convenientemente, per quanto a me risulta, in veruna opera ittiologica, credetti opportuno di precisarle. Ed altre ancora credo di sottoporre all'attenzione vostra, riguardanti le natatoie del RAinelepis, sulle quali si è sorvolato dai pochissimi che di questo pesce ebbero ad occuparsi. Tanto le pinne pari quanto le impari sono benissimo sviluppate. | Le toraciche, che s'inseriscono quasi immediatamente sotto alla fessura branchiale destra e sinistra, presentano 6 raggi, di cui il primo è rigido, straordinariamente più grosso degli altri, che sono più o meno bifidi o trifidi, poco rigidi. Questo primo raggio, alquanto curvo, è quasi intieramente coperto sulla faccia dorsale, ch'è convessa, di numerosissime e ben visibili punte o denticolazioni gial- hecreedce Tumgo-9: cin. e 172. Sulle faccie Taterali, a co- minciare dalla base, ch'è larga 11 mm., le denticolazioni sono pochissimo appariscenti. L’apice di questo primo rag- gio è alquanto appuntato e grosso 3 mm. circa. La mas- sima larghezza, nello stato di essiccamento in cui trova- ronsi le pinne medesime, è di 3 cm. La lunghezza massima corrisponde a quella del primo raggio ora descritto. Quasi egualmente lungo è il secondo raggio, il primo fra i bifidi, e gli altri vanno gradatamente raccorciandosi, cosicchè l’ultimo misura soltanto 3 cm., con uno spessore di2 mm. circa, mentre il predetto primo raggio rigido ha uno spes- sore di 9 mm, 162 ANTONIO CARRUCCIO Le altre pinne pari, o addominali — che s'inseriscono più all’indentro delle pettorali, e quindi sulla faccia ven- trale, a una distanza di 5 cm. da esse pettorali — sono più larghe ingiù, cioè verso la terminazione, anzichè al punto d'origine: la massima loro larghezza è di 4 cm. e 172, mentre alla base di origine è di circa 2 cm. La lunghezza massima corrisponde al solito al primo raggio, ch'è rigido, duro e anche più largamente cosparso di denticolazioni o spinuzze che non sia il dorsale: infatti queste si estendono anche sulle faccie laterali, superiore ed inferiore. Per lun- ghezza poi e per spessore quasi corrisponde a ciaschedun primo raggio delle pettorali. Gli altri raggi pieghevoli delle ventrali sono in numero di 6 per ciascuna, e multifidi. Il primo di questi è più grosso del primo raggio bifido delle pettorali. Delle pinne impari descrivo per prima l'anale, che s'inserisce a 1]3 circa della lunghezza della faccia ventrale, a pochi millimetri di distanza dall’orificio anale, e dall’ori- gine della natatoia caudale dista 8 cm. - Questa pinna anale è relativamente piccola, lunga 6 cm., e larga 2 cm. e 172. Il primo raggio è rigido e duro, ma assai meno grosso di quello proprio alle pinne pari, avendo uno spessore di soli 3 mm. Gli altri 5 raggi sono multifidi, e più sottili di quelli delle pettorali. L'unica pinna dorsale si erge quasi ad egual distanza dall’apice del muso e dalla punta terminale della caudale. Sulla linea mediana del dorso in cui si inserisce si nota una depressione bilaterale, ed al davanti del primo raggio una piastrina grossa, rilevata più di tutte le altre più grandi che cuoprono il corpo del pesce. Questa piastrina, che par quasi uno scudetto, misura 10 mm. tanto nel senso lungitudinale che trasversale. Il suddetto 1° raggio è rigido, rotondeggiante, spinoso e più grosso degli altri 6 multifidi, che formano questa pinna: ha una lunghezza di 6 cm. e 172, e uno spessore di 9 mm. verso la metà dell’indicata lunghezza. Ma la base di questo raggio, che lascia nel centro una depressione, dove è ricevuto circa la metà del preindicato scudetto, si allarga sì da avere un diametro trasverso di 14 mm, dn. < ito abita (hi cenni ettari SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO 163 Gli altri raggi multifidi hanno una lunghezza quasi eguale al primo, e sono, come dissi, assai meno grossi. L’ultima pinna di cui devo far cenno è la caudale, ch'è omocerca, ben sviluppata, larga alla base 6 cm. circa, ed alla terminazione, dalla punta del lobo destro a quella del sinistro, misura 9 cm. e 112. Queste due punte corri- spondono agli apici dei due raggi spinosi, alquanto de- pressi ai lati, rigidi, uno superiore, l’altro inferiore. Ognuno di essi è lungo 9 cm. ed ha uno spessore di 8 mm. Gli altri raggi intermediari, quali bifidi, quali multi- fidi, sono in numero di 14, ed i più centrali, che sono i più bassi, misurano 6 cm., mentre quelli più vicini ai due estremi o spinosi, raggiungono gli 8 cm. e 172. La membrana interradiale in tutte le pinne ha la stessa tinta giallo-brunastra del corpo del pesce, senza alcuna macchia: essa è piuttosto resistente e quasi affatto intatta nelle pettorali, ventrali e caudale : è parzialmente lacerata nella dorsale. (Continua). Sul Linfoangioma cistico di Wegner Nota del socio prof. Mario Condorelli Francaviglia TI L’egregio autore in questa sua nota, scritta con conoscenza grandissima sia dal lato parassitologico sia dal clinico, comincia dal ricordare che sull’argomento aveva già richiamato l’attenzione degli studiosi con un lavoro da lui inserito nel Bollettino della Soc. Zool. Ital. (fase. III e IV. Anno IX, 1900). E continua dicendo che pure nell’Istituto zoologico della R. Università di Roma aveva prima avuto occasinne di osservare due casi, ed un 3° l’osservò poi in Catania, di produzioni vescicolari somigliantissime all’e- sterno coll’echinococco racemoso (1). Esse invece sono il prodotto di una degenerazione cistica delle ghiandole linfatiche. — Ciò pre- messo afferma che tale degenerazione si presenta sotto forma di un grappolo di vescicole della dimensione complessiva di un pugno, o poco più, inserito alla radice del mesenterio. Esso riempie buona parte della cavità addominale, e comprime i visceri vicini: il pacchetto intestinale è spostato in avanti; i reni, per la loro posizione sovrastante a quella del tumore, subiscono leg- gera pressione, e parimenti il retto, la cui funzione rimane un poco ostacolata, tanto vero che esso si rinviene ripieno di fecce dure e bianche come calcinaccio. L’ovaia di gallina nel solo caso in cuì l’ho rinvenuta si presenta atrofica, ed è ridotta ad un sottile e corto nastrino con pochi ovuli piccolissimi e pallidi. Essa non aveva mai funzionato, e difatti la gallina non era stata ovigena. Le vescicole, variabili per numero e per dimensione, si ori- ginano dalla radice del mesenterio, formando come una specie (1) Prof. M. ConpoRELLI. Sulle pretese idatidi dei Gallinacei e loro vera natura. Comunicaz. fatta alla Soc. Zool. Ital. in Roma; e per l'attuale nota ved. la Rass, Internaz. d. Med. Mod, Anno III, n. 23. af ceo SUL LINFOANGIOMA CISTICO DI WEGNER 165 di mazzo coi peduncoli rivolti all’inserzione mesenteriale, Esse sono limitate da una membrana sottile e trasparente, e ripiene di un liquido limpido, facilmente scorrevole come acqua ; hanno forma sferica o a pera, e sono sempre provvedute di peduncolo più o meno lungo, mediante il quale si inseriscono al mesenterio. Di solito sono semplici, qualche volta multiloculari; raramente portano alla superficie, come gemme, una o due vescicoline ses- sili o peduncolate. Il numero delle vescicole è grandissimo: di quelle bene sviluppate se ne enumerano sino a 200 o 250 e più ancora; molte altre, difficili ad enumerare per la loro piccolezza, sono meno grandi della capocchia di un piccolo spillo, e si man- tengono sessili o poco discoste dalle pagine mesenteriali. Le dimensioni sono molto variabili: le vescicole più piccole hanno il diametro di circa 1 mm., le più grandi (sono poche) di mm. 25, le altre offrono tutte le gradazioni intermedie. La lunghezza dei peduncoli è d’ordinario proporzionata alla mole delle cisti. Nella cavità peritoneale non è raccolto liquido ; ed il peritoneo, tanto parietale che viscerale, è liscio e lucido senza traccia alcuna di infiammazione. Solo una volta notai una perito- nite adesiva circoscritta, segnalata da poche briglie connettivali che, sotto forma di sottili lamine fibrose, si portavano dalla su- perficie di una cisti multiloculare al peritoneo parietale, dive- nuto ruvido, ispessito e opaco in corrispondenza di tali inserzioni, Dell’esame chimico ‘e microscopico del liquido cistico il Condorelli discorre con precisione, e dimostra che le reazioni di Millon, Adamkiewiez ed Huppert, per la ricerca della metalbu- mina, sono riuscite negative. Manca l’acido succinico e non vi ha nessuna traccia di uncini. Passa poi ad esporre diligentemente i caratteri istologici della membrana cistica, e quindi si trattiene sulla diagnosi, La diagnosi di linfoangioma cistico di Wegner può farsi con sicurezza in base al reperto isto-chimico. L’apparenza esteriore del tumore a grappolo ‘può indurre, come ha indotto, ad errori diagnostici. Quando il liquido cistico per le sue qualità fisiche, chimiche Bollettino della Società Zoologica Italiana D, 166 MARIO CONDORELL! FRANCAVIGLIA e microscopiche (incolore, limpido, trasparente, ricco di albumina e di linfociti) ha i caratteri-della linfa, e la parete cistica, tenuto conto delle alterazioni meccaniche cagionate dalla pressione del liquido entrostante, dimostra ad evidenza la struttura del tessuto linfadenoide, possiamo essere sicuri che si tratta di degenerazione cistica delle ghiandole linfatiche, lesione la quale va pure coi nomi di adenolinfocele o linfoangioma cistico di Wegner. Per la diagnosi differenziale occorre che siano presi in con- siderazioni : 1. L’echinococco polimorfo, 2. La cista ovarica, 8. La cisti renale. La degenerazione cistica delle ghiandole linfatiche del me- senterio può andare coufusa, come certamente più volte è stato fatto, colla cisti parassitaria di Echinococco. In questo errore non si può, nè si deve cadere, tutte le volte che si prende in accu- rato esame la cisti; ma tali equivoci, come ho detto nel lavoro sopraindicato (1), non sono difficili a verificarsi negli uomini di scienza e competentissimi, quando per una eccessiva sicurezza della propria competenza si trascurano quegli esami particolareggiati, che si ritengono superflui. A tale proposito mi piace ricordare le parole scritte da Perroncito riguardo a taluni reperti di cisti di Echinococco, fatti in sedi piuttosto strane dell’economia animale. « ...... I fatti narrati dovrebbero invogliare gli studiosi ad esa- « minare più accuratamente i casi di tale genere che loro si pre- < sentassero acciocchè non avvenga di considerare parassiti ani- « mali delle semplici cisti o vesciche sierose o ematomi, ecc. « Mi sono permesso elevare dubbii anche sopra casi riferiti da « uomini noti nel campo scientifico perchè essi non diedero sempre « descrizioni sulle quali ognuno potesse formarsi un criterio esatto, « che sì trattasse veramente di Echinococchi ». Ad essere rigorosi, la diagnosi di cisti di Echinococco deve farsi solo in base all’esame diligente della parete cistica e del (1) M. ConporeLLIi. — Lav. citato, pag. 3. SUù LINFOANGIOMA CISTICO DI WEGNER 167 contenuto liquido. Questo è limpido di reazione alcalina di den- sità bassa (1008-1003), contiene acido succinico, tracce di albumina, abbondante cloruro di sodio. Al microscopio non lascia intrave- dere elementi morfologici, bensì scolici, uncini, pezzi di membrana e cristalli di cloruro di sodio. Vero è che nell’acefalocisti, gli scolici e gli uncini mancano, ma persistono gli altri caratteri sopracitati e quelli proprii della parete. La quale possiede sempre uno strato esterno (cuticola) tipico in qualsiasi varietà di Echi- nococco, di natura chitinoide, ialino, a struttura lamellare stra- tificata, ed uno strato interno (strato granuloso) variabile per la struttura nelle diverse varietà di questo verme viscicolare, a buon diritto appellato polimorfo. Inolire, quando le cisti di Echinococco vengono incise, i margini della parete si accartocciano. La cisti ovarica si differenzia per la sede della lesione, che colpisce la ghiandola oppure anche gli annessi, non che per la struttura stessa della membrana cistica e per le proprietà del liquido di peso specifico elevato (1020-1024), per la ricchezza di albumina e di metalbumina, che impartisce al liquido un aspetto torbido e filante. Di più al microscopio si rinvengono, oltre quantità variabili di leucociti e di eritrociti, diverse forme di epitelii e più specialmente gli epitelii cilindrici, pavimentosi e a ciglia vibratili. L’integrità dei reni esclude la cisti moltipla renale, la quale si differenzia per il rinvenimento o meno di quelle sostanze che sono proprie dell’idronefrosi. Anzitutto la parete della cisti ripete la struttura del rene (s’intende profondamente alterata, specie pei fatti di compressione); e poi, coll’esame chimico e microsco- pico del liquido cistico, è facile notare nei casì di cisti renale la presenza degli epitelii dei canalicoli uriniferi, non che una quan- tità notevole di urea e di acido urico. Iì linfoangioma cistico di Wegner, prima d’ora, non è stato conosciuto in Patologia comparata: per il passato taluni l’hanno confuso con l’Echinococco, altri con delle cisti, appellate generi- camente cisti sierose semplici. Ad esso però si riferiscono : 168 MARIO CONDORELLI FRANCAVIGLIA l° Il gruppo di cisti rinvenute nel 1794 da Rosa in Pavia nella cavità addominale di una gallina, attaccate al ventriglio. Le cisti erano grosse come ciliege, contenenti un verme attorcigliato su sè stesso, che egli non seppe determinare ; e Parona, nel suo pregevolissimo catalogo (L’ Elmintologia italiana dai suoi primi tempi all'anno 1890, Genova 1894, p. 184), riferì con dubbio, all’Echinococco. 2° Il caso di cisti sierosa multiloculare a grappolo, descritto da Nocard. Questi nella seduta del 28 marzo 1895, presentava alla Socièté centrale de médecine vétérinaire un pezzo patologico raris- simo del peso di 850 grammi, consistente in una cisti sierosa mul- tiloculare in grappolo del mesenterio, raccolta da un pollo grasso e in buono stato. 3° Il caso dicisti peritoneale a grappolo descritte da Raillet. — Raillet nella seduta del 25 aprile dello stesso anno, presentava alla medesima società un pezzo patologico simile a quello di Nocard. 4° Il caso di peritonite saccata cistica generale in una vacca, descritta dai Dottori Bertolini e De Benedictis. — Gli AA, in una loro comunicazione, portante per titolo: Un caso di pe- ritonite saccata cistica generale in una vacca, abbattuta al Mattatoio di Roma, descrissero il rinvevimento nella cavità addominale di un’unica grande sacca, dalla faccia interna della quale « parti- vano dei sepimenti fibrosi, i quali riunivano fra loro in un grande ammasso tutti i visceri addominali, formando molte saccocce di varia grandezza entro cui esisteva del liquido sieroso. La faccia interna della sacca e di tutte le saccocce era tappezzata da uno straordinario numero di vesciche di grandezza la più varia, e cioè da quella di un grano di miglio a quello di una noce, di un uovo e perfino di una grossa arancia ». A prima vista, le vesciche furono credute cisti di echinococco, ina le ricerche chimiche e {microscopiche sul liquido cistico e quelle istologiche sulla membrana, la quale risultava « costituita da fasci di fibrille connettivali e da fibre elastiche » esclusero una tale diagnosi, SUL LINFOANGIOMA CISTICO DI WEGNER 169 To non sono in grado, serive il Condorelli, per la mancanza assoluta di una qualsiasi descrizione, anche sommaria, degli au- tori, che le rinvennero, di dare un giudizio sicuro sulla loro na- tura ; ma tenuto conto che non si può trattare di Echinococco, perchè la presenza di questo verme vescicolare non è stata ancora dimostrata, inclino a credere che sì abbia da fare con una dege- nerazione cistica delle vie linfatiche peribronchiali nel primo caso, e di quelle del fegato nel secondo. La degenerazione cistica delle ghiandole linfatiche, per quanto rara ed oscura nella sua etiologia, è stata molto bene studiata nell’uomo. | Durante (1) ricorda i casi osservati da Anger nella regione sottoioidea, da Liiche nell’ascella, da Virchow alla piega del go- mito, da Reverdin al collo, e da lui stesso due volte al collo ed una nelle glandole meseraiche. Il tumore era grosso quanto un’arancia e costituito da un aggregato di cisti sierose della grandezza variabile da un cece ad una noce, con contenuto limpido, avente tracce di zucchero e abbondantissima albumina. La membrana presentava la strut= tura di un reticolo fibrillare delicatissimo, disseminato di elementi linfoidi, i quali in taluni punti si accumulavano in modo da for- mare dei cordoni o dei follicoli linfatici. Mi risulta, da relazione verbale, che anche il Prof. Gaspare d’Urso ne ha osservato un caso al collo, (1) DURANTE F. Trattato di Patologia e Terapia chirurgica generale e speciale. Roma, 1895, Vol. II, pag. 359 Riviste Bibliografiche I La Fauna dei pesci marini finora conosciuti quali abitatori delle coste della Corsica. Studi del prof. LUIGI ROULE con brevi osservazioni del prof. ANTONIO CARRUCCIO Il dotto collega dell’Università di Tolosa si è da qualche tempo dedicato allo studio della topografia zoologica delle coste insulari della Corsica, ed ha pazientemente e con esattezza deter- minato numerose specie ivi raccolte. Del frutto di tante indagini il prof. Roule ci dà un primo saggio con una diligente pubblica- zione preliminare, consacrata alla classe dei Pesci. Esposte le ragioni del suo lavoro, passa a indicare le pro- fondità medie di quella porzione di Mediterraneo (da 80 ‘a 200 metri), con rapide e brusche depressioni fino a 500-600 metri ; e a distanze variabili, altre maggiori depressioni o abbassamenti, che chiama veri abissi. Dalle coste adunque si va gradatamente di- scendendo, e da questa discesa o inclinazione « plus ou moins ac- cidentée » come è pur chiamata dall’autore, si giunge con improv- vise interruzioni « jusqu'aux“abîmes des grandes profondeurs ». Il prof. Roule ricorda con lode la recente ed importante me- moria, riguardante pure ì pescì della Corsica, pubblicata nel 1902 dal sig. G. B. de Caraffa. Questi però descrisse I47 specie della costa orientale dell’isola, mentre il prof. Roule, che estese le sue ricerche al litorale di tutta la Corsica, ha riconosciuto la esi- stenza di 172 specie. È Ma prima di dire delle sotto-classi, degli ordini, delle fami- glie ecc., l’autore dà molte ed interessanti notizie sulle regioni to- pografiche in cui divide la Corsica, cioè in quella dei grandi golfi RIVISTE BIBLIOGRA"SICHE iva della costa occidentale, del Capo Corso; de’ bassi lidi e degli stagni litorali della costa orientale ; e finalmente di Bonifacio. E per dare una più chiara idea usa questa frase molto felice : « La terre explique la mer; celle-ci reproduit en creux la relief de celle-là ». E come ricorda montagne elevate di 1200 a 1300 metri, così dice che colla sonda in certi punti trovò profondità corri- spondenti alle suddette altezze. Quindi « la fosse abyssale » ha fianchi che oltrepassando il livello del mare emergono in alte mon- tagne. Questa descrizione delle 4 regioni è fatta, per dirlo in pochis= sime parole, con molta precisione, vivacità ed eloquenza: perciò la si legge con vivo interesse, specialmente da chi ricorda di aver visitato, in tempo ormai lontano, oltre le coste della patriottica isola natia, la Sardegna italiana, quella della Corsica italo-francese. Delle zone e dei fondi diversi di cui fa menzione, non lascia — quando è il caso — di ricordare sia la esistenza di numerosi Briozoi, Polipai ecc. sia di grandi Molluschi Gasteropodi e Lamelli- branchiati assai abbondanti ; e le numerose conchiglie servono per la fissazione e dimora di ogni sorta di animali fra i più piccoli. Per l’associazione così caratteristica dei fondi coralligeni non solo ha preso origine, ma vi si mantiene una delle faune più ricche; ei pescatori di coralli e di spugne « d’aujourd’houi, y tendent leurs filets et leurs nasses. La zone coralligène procure les plus grandes ressources en Poissons et en Crustacés ». Non a caso abbiamo ricordato colle stesse parole dell’autore questa pesca del corallo e delle spugne, perchè quel che ha sa- puto fare la Francia per proteggere tale industria, in modo con- tinuativo e veramente efficace, non fa duopo che qui si ricordi ad - «esempio altrui... Ma forse verrà il momento che noi, con pa- rola libera e onesta, potremo intrattenerci di proposito di questo importante argomento, più importante di quello che sembrò a a chi aveva il dovere di tutelare un altissinfo interesse econo- mico... .. Ora dobbiamo passare senz'altro a dare un riassunto delle forme di pesci studiati dal de Caraffa e dal Roule, comin- ciando da quelle comprese fra i Selaci. 17° RIVISTE BIBLIOGRAFICHE Nella fam. Scylldae troviamo citati lo ,Scyllium canicula Cuv. e S. catulus Cuv., che sono in Corsica comuni, come lo sono. in Sicilia, Sardegna ecc, — Della famiglia Mustelidae cita il Mustelus vulgaris Miilt et Hen., che chiama erratico. Ed erratici vure chiama l’Acanthias vulgaris Risso della fam. Spinacidae, e le Zygaena malleus Val. e Z. tudes della fam. Zygaenidae. Nella fam. Squatinidae indica la ben nota Squatina angelus Risso, e nella fam. Torpedinidae la Torpedo marmorata Risso e la 7. narke Risso, entrambe assai comuni. Della fam. Rajidae abbiamo la Raîa clavata Rond., la ER. Macrorhynchrus., la R. batis L. e la A. miraletus Rond. (E. quadrimaculata Risso). L’aut. sostiene che l’opinione del Risso è inesatta, e che delle due ul- time specie bisogna farne una sola. — Inoltre annovera pure la R. puncetata Risso, E. asterias Rond., E. fullonica Rond., e E. mo- saica Lac. — In tutto 8 specie del gen. asa. Nella fam. Myfliobatidue cita, come assai comune, la Mylio- betis aquila Dum., e nella fam. Trygonidae il Trygon vulgaris Risso. Siccome i Teleostei annoverati dal prof. Roule sono in gran numero, dobbiamo, per ragione di spazio, limitarci a ricordare le sole fam. ed i soli generi, segnalando appena qualehe specie più notevole. | Fam. Syngnathidae, gen. Hyppocampus con una sp.; gen. Syn- gnathus con 3 sp.; gen. Stphonostoma e Nerophis con 1 sp. per ciascuno. Fam. Orthagoriscidae. L’Orthagoriscus mola Schn. è, secondo il Roule, erratico ed assai raro nei mari-della Corsica. Perchè in questa stessa fam. il valente scrittore francese com- prende generi che sono dagli ittiologi annoverati in famiglie di- verse ? Tali sono i gen. Uranoscopus e Trachinus, del qual ultimo cita le 4 ben note specie, e idel primo la non meno nota e co- mune specie: U. scaber L. Passa subito dopo alla fam. Plennidae: gen. Blennius e gen. Clinus. Nel 1° annovera 6 spec., e nel 2° il CI. argentatus. Nelle acque di Ajaccio il prof. Roule dice di aver trovato il BI. ruber Cuv. et Val., ma esaminati i caratteri dell’unico individuo posseduto, fi- RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 173 nisce per dichiarare che crede formi una semplice varietà di co- lore del Blennius gattorugine Briiun. Fam. Lophtidae, gen. Lophius: colle due ben note spee. — Fam, Gobdirae, gen. Gobius con 6 spec. fra le quali il C. longiradiatus Risso, di cui il Roule trovò un solo individuo nello Stagno di Diana. Fam. Mullidae, gen. Mullus con 3 spec. — Circa il M. fu- scatus Raf. il Roule ricorda come questa specie sia stata conte- stata; ma egli avendone esaminato molti esemplari crede essere più che varietà del mM. bdardatus, una var. del M. surmuletus. Fam. Triglidae con 5 gen.: Dactylopterus 1 sp.; Peristedion, 1 sp.; Zrigla, 5 sp.; Scorpena, 2 sp. — Il prof. Roule osserva che gli aut. i quali hanno studiato i pesci italiani ammettono, quale specie intermediaria alla Scorpaena porcus, e scrofa, la ‘S. ustulata Lowe; ma quest’ultima, di cui cita i caratteri in con- fronto ai giovani della S, porcus, e ad individui di media gran- dezza, ritiene non possa ritenersi qual buona specie, e che quindi come tale « doit disparaître ». Potrei ricordare in proposito il giudizio dato da parecchi fra i più competenti ittiologi, da quelli che ammettono o non ammettono come specie a sè la S. us!u/ata, a quelli che vollero si avesse invece a chiamare S. dicolorata 0 - Sg. pustulata; ma mi contenterò di citure soltanto il nostro egregio Dott. Cristoforo Bellotti che nelle sue sagaci note (ottobre 1892) al Manuale d’Ittiologia francese del Moreau, scrisse che non cre- deva « conveniente lo soppressione del nome dato da Lowe a questa specie assai bene da lui caratterizzata..... » Ma in quanto al dene caratterizzata, come si esprime il diligente Ittiologo di Milano, dirò che non possiamo non tener conto dell’ osserva- zione del Roule, che io stesso ho controllato in giovani esemplari di Scorpaena porcus di recente avuti. Invero il professore di To- losa, dopo di aver ricordato l’aspetto della S. ustulata, consimile a quello della S. porcus, ma con squame più grandi e fornite di spinule più forti, i lembi cutanei della mascella inferiore minori di quelli della S. scrofa, talvolta però mancanti, il numero delle spine marginali del sottorbitale anteriore, eguali a 3, mentre sono 174 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 4 nella scrofa e 2 sole nella porcus, — soggiunge: « Or, il con- vient de remarquer que les jeunes S. porcus ont en tout les ca- racteres de S. ustulata, y compris les trois épines du sous orbi- taire. Seulement l’épine intermédiare, plus pétite que les deux &utres, cesse hàtivement de croître, et se transforme en un tu- vercule plus ou moins saillant, attaché à la base de l’épine an- térieure ». Ed esaminati molti individui di S. porcus il Roule conclude nel modo che ho già riferito, cioè che come specie di- stinta la S. ustulata deve sparire. Fra i colleghi italiani che hanno accettato questa specie, la quale fu annoverata anche nella collezione ittiologica romana, mi limiterò a ricordare pel primo il Doderlein, il quale nel 1891 a pag. 283 del fasc. V del suo pregevolissimo Manuale Ittiologico del Medit. fece un buon riassunto di quanto parecchi avevano scritto sulla S. ustulata, citando anche Oronzio Costa, e concluse : « Non sarebbe improbabile che a questa specie possa corrispondere an- che la varietà 1° della Scorpaena porcus citata dal Risso, nel- l’Europ. Mer. III, p. 370 ; varietà di color rosso carmino, con muso puntuto, che vive nella regione coralligena del mare di Nizza ». Il Parona, in un lavoro diligente quanto utile, pubblicato nel giugno del 1898, col titolo: La Pesca Marittima in Liguria, dà un ricchissimo prospetto delle specie più importanti (in n, di 261) di pesci del Mercato di Genova, e fra queste trovo citata anche la Scorpaena ustulata (pag. 28-29-38). E per tagliar corto colle citazioni dirò dell’ultima nota che mi è venuta sott'occhio concernente la Scorpaena ustulata, nota che si deve all’operoso consocio conte Emilio Ninni. In questa nota di data recentissima (1903), l’autore crede che questa specie comparisca « assai di rado, nel Mare Adriatico »; e dice degli esemplari rinvenuti dal compianto genitore, A. P. Ninni, dei quali 2 esistenti nella collezione del R. Istituto Veneto, 2 o 3 in quella dello Scarpa, in Treviso; e altri 2 soltanto, 1 avuto dal Trois, e l’altro dall’istesso E. Ninni in sul finire del 1901. Egli aggiunge: « non mi consta che in seguito siano avvenute altre catture ». Il RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 175 e Ninni crede la S. ustutata sia « una buona specie intermedia fra la S. porcus e la S. scrofa ». Egli si è adoperato a dare i carat- teri ditferenziali che crede sufficienti per distinguerla dalle altre due: ma parmi che in modo definitivo non sia risolta la que- stione diagnostica, ed un nuovo studio comparativo, fatto con numerosi individui di varia età della S. porcus, gioverebbe per confermare o no quanto è risultato specialmente al prof. Roule (1). Fam. Percidae con 5 gen., cioè Labrax con 2 specie (e sul L. punctatus Br., ci sembra che il Roule faccia savie considera- zioni); Polyprion con 1 sp.: Serranus con 3 sp.; Anthias con 1, e Apogon pure con 1 sp. — Nella fam. Scienidae abbiamo i 2 gen. Umbrina e Uorvina, ognuno con i sp. — Nella fam. Scomberidae, 13 gen., cioè Scomber con 2 sp.; Auzis con 2; Thyn- ns con 2; Pelamys con 1; Trachurus con 1} Naucrates con 1; Lichia con 1; Seriola con Ì (e questa, la S. Dumeriliv Risso, la considera come « assez. rare »); Zeus con 1; Brama con 1; Xt- phias con 1, ed Echeneis pure con 1. Fam. Trichiuridae : 1 solo gen. Lepidopus con 1 sola spscie : questo, L. argenteus Bronn., nei mari della Corsica vien dal Roule considerato raro. — Fam. Twenioidae con 2 gen.; Cepola e Regale- cus, ognuno con l sp. Fam. Sparidae: vi annovera 11 gen. 1. Sargus, 3 sp.; 2. Charaz, 1 sp.; 9. Box, 1; 4. Oblada, 3; 5. Pagellus, 4; 6. Pagrus, 2; 7. Chrysophrys, 1; 8. Cantharus, 2; 9. Dentex, 1; 10. Maena, 3; 11. Smaris, 2. Fam. Labridae, 5 gen., cioè: Labrus con 6 sp.; Crenilabrus, 8 sp.; Coricus, 1; Julis, 2; Xyricthys, 1. — Fam. Pomacentridae, il sen. Chromis, colla sp. Chr. castanea, Fam. Mugilidae, 1 solo gen. con 4 sp. — Fam. Atherinidae con 3 sp. — Fam. Ophididae, 1 gen., 2 sp, ed è l’Ophidium Vas- suli Risso, ch'è spec. più rara. — Fam. Gadidae, 5 gen. : Gadus 1 sp.; Merlangus, 2 sp.: Merlucius, 1; Phycis, 1; Motella, 1. (1) Il prof. Luigi Paolucci che ha pur lui pubblicato una pregevole rela- zione intitolata : Le pescagioni nella zona italiana del Medio Adriatico, con un elenco di 140 spec. di pesci, annovera nel gen. Scorpaena le due sole S. por- cus e S. scrofa, (pag. 34-35. — Ancona, 1901). 176 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE Fam. Pleuronectidae, gen.: Solea, 2 sp.: Microchirus, 1: Mo- nochirus (la spec. indicata, M. pegrosa Risso, vi è rara); Pleuro- nectes, 2 sp.; Rhombus, 1 op.; Bothus, 2 sp., ma l’aut. opina che il B podas Del. faccia parte del ciclo delle forme del 5. mancus Risso, e cita le lievi differenze osservate. Fam. Cyclopteridae, gen., Lepadogaster, 2 sp. — Fam. Clu- peidae, 2 gen. : Alosa con 3 sp, Engraulis, con 1 sp. — L’Alosa finta vi è più rara della vulgaris. Bi Fam. Ewxocetidae. In questa fam. trovo riuniti i 2 gen., Belone con 2 sp., ed Ezxocetus con 3 sp., delle quali dice rarissime lE. Rondeleti ed E. volitans, e raro VE. Spilapus C. V.— Fam. Scopelidae, 1 gen., Saurus, con 1 sp. Fam. Anguillidae: 3 gen, Anguilla, 1 sp.; Conger, 1 sp.; ERE AR I ENRICA PV PE Congrumuraena, 1 sp. — Fam. Murenidae (che l’aut. separa dalla precedente) 1 gen., Muraena, con 2 sp. — La ben nota M. helena L., dice ch'è abbondantissima specialmente nella costa occidentale dell’isola, ed offre numerose varietà di colorazione, di cui 3 sa- rebbero le principali, che descrive. Non ammette la M. fulva e M. guttata del Risso: ammette però la M. unicolor Del., che però vi è rara. Opportunamente il prof. Roule fa rilevare come le analogie di questa fauna ittiologica siano le più intime con quella della Sardegna. Questa ittiofauna Sarda potei ben conoscere principal- mente mercè il ricco materiale di specie raccolto nelle numerose gite fatte. in barca nel 1809, quando da Firenze, Aiuto del com- pianto e illustre mio Maestro prof. Adolfo Targioni-Tozzetti, ci resammo in quell’isola ed altrove. L'elenco delle numerose specie tutte da me determinate con pazienza e ‘coscienza, venne pubbli- cato in Milano el altrove (cioè a Cagliari nel giornale scientifico che vi avevo fondato col compianto collega ed amico prof. E. Cu- gusi-Persi) e poi riprodotto dall’istesso Targioni nelle sue ela- zioni sulla pesca a S. E. it Ministro di Agricoltura Industria e Commercio (Genova, 1872. Tip. del R. Ist. Sordo-muti, pag. 23-27). Dopo tanti anni facendo un confronto col lavoro particola- reggiato del Roule, mi è gradito rammentare che anche all’Isola È È î o ; È È è È È sii Als nl RIVISTE BIBLIOGRAFICHE ET della Maddalena e di Caprera, dove io mi trattenni espressa- mente, trovai qualche specie non rinvenuta in Corsica dal collega di Tolosa : cito ad es. l’Alopias vulpes. — Certamente che di ta- lune forme, studiate sono ormai più di 80 anni, coi libri che avevo allora a disposizione nel Museo di Firenze, non va man- tenuto il nome scientifico, generico o specifico (ed il diritto di priorità oggi meglio lo si conosce ed osserva), sia perchè trattasi di varietà, allora ammesse come specie distinte dal Bonaparte, dal Cuvier e Valenciennes, Risso ecc., gli autori cioè che il Targiuni potè mettermi a disposizione. Per citare qualche altro esempio delle specie che mi sor- prende non siansi trovate dal de Caraffa e dal Roule nelle acque della Corsica, dirò del Mugi capito Cuv. e M. labeo Cuv.; del Thynnus alalonga Cuv. et Val.; della Sciaena aquila Lac. (rinve- nuta nei mari deila Sicilia ecc.); e così di parecchie specie del gen. Solea, non citate dal Roule, e di altri generi ancora che avrei creduto si avessero a trovare nel mare Corso, come forse ci sì troveranno, e potrà dirci in altri suoì lavori l’istesso aut. Museo Zoologico della R. Università di Roma maggio 1903. DL: Le varietà della MERULA NIGRA esistenti nel Museo Zoologico della R. Università di Roma. (da una comunicazione del prof. comm. PIETRO PAVESI) Col titolo: « E sempre il Merlo bianco » |’ illustre Zoologo dell’Ateneo Pavese fece recentemente una comunicazione al R. Isti- tuto Lombardo di scienze e lettere, la quale non soltanto dal lato dell’esattezza scientifica, ma anche dal lato letterario, per bellezza e vivacità di forma, si legge con molto diletto. Prendendo occasione da uno scritto pubblicato nell’ Awvicula dal signor Augusto De Boni di Belluno, che trova essere l’esa- stenza del merlo bianco un grazioso fenomeno talmente raro.... che sembra cosa inceredibile.... — il prof. Pavesi comincia dal ricordare che già il signor Perlini fece noto al De Boni (oltre i casi da quest’ultimo citati, ma osservati da altri, fra i quali i tre veduti dal prof. Damiani nella collezione del Conte Arrigoni degli Oddi) due casi esaminati dallo stesso Perlini a Brescia ed a Zara. L’albinismo parziale nel Merlo, avverte il Perlini, < è forse meno raro di quanto si può immaginare, tuttavia quello totale è cer- tamente il più raro ». Ma di questa rarità, e molto giustamente, non è persuaso il prof. Pavesi, e da buon maestro, ci sembra che voglia inculcare ai giovani di cercar prima < bene le notizie ». E dopo di avere con grande precisione detto di un bellissimo Merlo 4 adulto nel circondario di Pavia il 15 gennaio 1903, che presentavasi « affetto da albinismo parziale ed asimmetrico », l’autore espone tutti i casi che conosce, fra i quali notevoli quelli da lui stesso segnalati nei suoi diligentissimi Calendari ornitologici pavesi, E RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 179 dopo di aver rammentato quanto osservarono e scrissero Prada, Savi, Salvadori, Giglioli, Arrigoni degli Oddi, G. Magretti, O. Fer- ragni, C. Borromeo, G. Arrighi-Griffoli, L. Paolucci, Minà Pa- lumbo, Galli-Valerio, ed altri egregi ornitologi o cacciatori — chè troppo lunga sarebbe la citazione di essi, scrupolosamente, e per le diverse regioni italiane, fatta dall’istesso autore, questi con franchezza dichiara che non intende di annoverarli tutti, e sa di dimenticarne molti (pag. 234 dell’Estr.). Ma pur sono tanti i casi noti, ma non ricercati dal De Boni, da costringere il Pavesi ad esclamare ; « Come completare l’elenco con tutti gli esemplari di merli albini perfetti, parziali, imperfetti, sparsi nei nostri musei non precedentemente citati ? » (pag. 285). E noi del pari non possiamo fare queste numerose citazioni, riguardanti esemplari conservati in collezioni pubbliche o private. Siamo però in dovere, e possiamo aggiungere anche in diritto, — sia perchè trattasi di esemplari appartenenti al Museo Zoologico dell’Università Romana, sia perchè vogliamo pienamente confer- mare quanto scrive il prof. Pavesi, — di ripetere le precise parole che troviamo stampate tanto nel testo, quanto in una nota im- portantissima della memoria comunicata all’Istituto Lombardo : . ..3 + < nel museo della Sapienza a Roma almeno 15 gen- tilmente comuuicatimi dal prof. comm. Carruccio, che mi assicura averne uno perfettamente albino anche il principe Chigi, ucciso a Frascati, ed altri due la Casa Reale presi in quest'ultimi biennio ». — Scrive poi nella Nota. « Tutti della provincia di Roma, e sono : uno completamente albino di vecchia collezione, consunto: due maschi ad., un’albinismo parziale, quasi h- mitato alla testa (n. 498. 502) : due ad. ed un giovane toppatì di bianco in tutto il corpo, salvo la coda ele remiganti nere (n. 492. 493. 500) : uno forse femmine con mento, gola e collo, ed il ventre inferiore, specialmente a sinistra, bianchi, che visto di fronte sembra un Ciînc?us, sebbene il bianco della gola non sia e- steso sul petto (n. 501): un giovane tipo menegazzianus (n. 6040) ed altro s1- mile, ma in albinismo imperfetto, cioè col pileo, la nuca a sinistra ed un arco dorsale bianco sporco, remiganti e rettrici miste di bianco e di bruno, special- mente in senso longitudinale (n. 490): uno clorocrostico o lionato (n. 2559), ed altro isabellino (n. 494): un pseudibrido 7. merula X torquatus, con fascia bianco-lionato-nerastra al petto. dove il torquatus ad. ha la fascia bianca. ma che è una Merw/a per avere la 2°, 3° e 4* remigante della medesima lunghezza 180 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE sorpassanti di molto la lunghezza della 1°, lo stesso che quello inglese descritto dal Suchetet (sur un Turdus du musée de Carlisle, in Bull. Soc. Zool. Frane., XX, 1895 p. 84): uno var. merlo montano semitefrinico, con mento, redini, fa- scia soproculare, tempie, cuopritici auricolari, cuopritrici inferiori all’angolo delle ali e piume del ginocchio rosso-castagno, parti inferiori nerastre miste di bruno e con riflessi plumbei, dorso nerastro screziato di cinericcio, remiganti, specialmente le secondarie e rettrici, traversate da fasce più o meno strette ci- nereo-lucenti, in complesso al dì sopra ricordante quasi la piuma di Yyna torquillta (n. 497): un maschio ad. bianco grigio sporco, con qualche cuopritrice superiore delle ali e del sopraccoda brune, cappuccio nero come nel Larus me- lanocephalus (n. 499): altro simile, ma a becco corneo, tutto bianco sporco, con alcune remiganti bianche, e cappuccio bruno chiaro, come nel L. ridibundus (n. 491). « Quanto al clorocroismo ed all’isabellismo, vocaboli spesso mal compresi od applicati (Berinzaghi e Lanza, Cipolla, Pistone, ecc.) è bene sia chiarito che il primo significa impallidimento del colore, sbiadito, non verde, il secondo un giallo misto di carnicino, che dicesi isabella nel mantello dei cavalli, ma è sempre un ipocromatismo e tutt'altra cosa dell’eritrismo ». Ma i lettori crediamo ci siano. grati perchè riferiamo non meno fedelmente le conclusioni cui è venuto l'illustre autore : « 1° L’albinismo in questa specie è comunissimo in Italia e dovunque ; « 2° L’albinismo antecedente, leucopatia, leucismo od acro matismo di nascita (Weisslinge), con iride rossa, ranfoteca, scudetti dei tarsi, dita ed unghie bianco-rosei, non è frequente ; « 3° L’albinismo è di solito un epocromatismo susseguente, indicato dall’iride bruna, sia perfetto, che parziale ed allora spesso asimmetrico, od imperfetto ed in questo caso di preferenza un fefrinismo, anche ereditario, talvolta laroîde per un cappuccio più intensamente colorato, o torquillotde per strie trasverse più secure, di rado invece è un clorocroismo semplice od un isabellismo; « 4° L’albinismo è più facilmente un elichiocroîsmo, sia che sì presenti con uro-od uropterozonature (nei giovani), ed ancor meglio geraiocrorsmo albinico (nei vecchi e prigionieri); « 5° L’albinismo vero colpisce di preferenza i maschi, il tefrinismo le femmine ; RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 181 < 6° L’albinismo di adulti qualche volta è anche atavico turdoide, richiamando con un collare bianco o con una fascia pettorale trasversa il forquatus, oppure restando le macchie nere lunghe e strette'o cuoriformi sulle prime albicanti sopra tutto del ventre; « 7° I colori sbiaditi delle parti inferiori e specialmente il bianco con macchie nere della gola nel Turdus menegazzianus del Perini sono abito di merlo comune giovane (non di specie auto- noma) col suddetto carattere turdoide più spiccato e che per altro si osserva anche nelle femmine adulte ; _< 2° Il colore rossastro, screziato di nero, e particolarmente il bel color rosso mattone dei lati della testa, delle parti inferiori e delle cuopritici inferiori delle ali nel così detto merlo montano non è un eritrismo, nè un orfninismo e tanto meno un 2sabellismo, ma potrebbe credersi un eremiocroismo se fosse esclusivo dei merli della Maremma toscana, ed in vece è piuma di femmina in passo autunnale, scendente al piano, un abito stagionale proprio di questo sesso ». III. Ortotteri (Locustidi e Acrididi) del Cadore. — La dot- toressa LEA MEI ha nel KR. Museo Zoologico di Torino studiato recentemente un buon numero dei sumenzionati insetti, avuti in dono dal Museo da quell’intelligente e indefesso raccogli- tore ch'è il dott. cav. EnRIco Festa. La pubblicazione fatta dalla dott.* Mei (Ved. Bollett. deù Musei di Zool. e Anat. comp. della R. Univ. di Torino, N. 457, 16 dic. 1903) riesce tanto più interes- sante in quanto nessuno si era ancora occupato degli ortotteri cadorini. Soltanto il Brunner nel suo reputato lavoro (Prodromus der Europaisches Orthopteren) cita l’unica specie Pezzotettis alpinus, var. collina, come trovata a Belluno. Bollettino della Società Zoologica Italiana. 6. 182 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE Le località montuose nelle quali il dott. Festa raccolse le specie studiate dalla dott.* Mei variano in altezza, su! livello del mare, da 909 a 2500 metri circa. Alcune specie inoltre furono raccolte dall’autrice in provincia di Belluno in località che va- riano, per altezza, dai 1203 ai 1400 metri. La Mei dopo d'aver ricordato le opere di cui si è valsa pel suo studio, annovera, con opportune, e talvolta molto acute e giuste osservazioni, le 24 specie di Locustidi ed Acrididi del Ca- dore finora note. Fra queste specie vi sono naturalmente le co- muni e rappresentate da molti esemplari, e quelle rappresentate da un solo esemplare, quali ad es. la Platyeleis grisea (Fab.) PI. Eoeseliù (Hagen), Gamphocerus rufus (L.) Thund. e Tettix subulatus (L.) Kitt. — Stando al ragguardevole numero di esemplari rac- colti e studiati, ci sembra che le specie più abbondanti siano que- ste due: Stenobothrus dorsatus (Zelt.) Fisch. e St. parallelus (Zelt.) — Otto specie, indicate dalla Mei, non lo furono dal Krauss nel suo lavoro intitolato: Die Orthopteren Fauna Istriens. Esprimiamo molto volentieri il nostro giudizio favorevole per questi studi faunistici, — siano pur limitati per la regione — quando sono coscienziosamente eseguiti, e sono furima — ci si per- metta la frase, che pure ha un significato serio — del proprio sacco. Con siffatti modesti studi si compiono lavori che realmente ac- crescono il patrimonio delle buone conoscenze zoologiche (1). Agi (1) Non l’accrescono davvero altri lavori, fra cui certe tesi di laurea ela- borate (?) in Gabinetti-fabbriche anche d’incenso obbligatorio, ch'è fumo pas- seggiero; vogliam dire che di quando in quando non mancano candidati e candidate, in Italia e altrove, che perdono non breve tempo per compilare memorie su argomenti mal scelti, inadatti, ma che solleticano la morbosa vanità di chi li impone; memorie, del resto, che hanno la più effimera durata. RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 188 IV. Di una nuova specie del gen. Lacerta L., raccolta sul monte Gennargentu in Sardegna, e descritta dal dott. conte M. PeRACCA. — L’egregio e ben noto erpetologo, Assistente al R. Museo Zoologico di Torino, ha pubblicato un’interessante nota su questa nuova specie (Ved. Bollett. dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino, N. 458, 19 di- cembre 1903). ; L'autore scrive che trattasi evidentemente di una forma molto localizzata e limitata probabilmente alle alte regioni montuose della Sardegna. Questa forma si distingue da tutte le altre specie del senere per l’allungamento del muso, degli scudetti cefalici e sopratutto dei parietali, che anzi chiama allungatissimi, e ne dà l> proporzioni, Il capo oitre di essere assai allungato, è superior- mente molto appiattito. Descrive poi minutamente gli altri caratteri dell’ esemplare . (che però è unico), appartenente al sesso femminile, il cui corpo ha una lungh. totale di 190 mm., e la coda misura 127 mm.. Il disegno del dorso, aggiunge il Peracca, si potrebbe definire un reticolato nero, includente nelle sue maglie delle piccole mac- chie verdastre, ed è quasi identico a quello della L. 0xycephala D. et B. della Dalmazia. Se avessi a disposizione le non poche Lucertole, di età, forma e dimensione diverse, che io col prof. Targioni- Tozzetti e col mar- chese Piero Bargagli di Firenze abbiam raccolto sulle alte mon- tagne della Sardegna (comprese le cime del bellissimo Gennar- gentu, così caro al benemerito illustratore dell’isola, il Generale Alberto La Marmora e ad altri dotti), le metterei subito a di- sposizione dell’egregio erpetologo torinese, per nuovi ed oppor- tuni confronti. Molti esemplari di queste Tiliguerte, come chia- mansi nel Capo Settentrionale della Sardegna, forse trovansi nel Museo Zoologico di Firenze; e parmi di averne anche procurati, sono già molti anni, altri esemplari pel Museo di Modena. À. O. Bollettino della Società Zoologica Italiana 7. 184 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE Contribuio alla conoscenza della dnlofanna Sarda « lTerricoli di cui è fatta parola in questa nota sono stati gentilmente donati al Museo Zoologico di Torino dal prof. Ermanno GiGLio Tos dell’Università di Cagliari. Di essi è uno nuovo per la scienza. » La descrizione dei me- desimi è dovuta all’egregio Dott. Luigi CoeneTTI-DE MaRTHIS Assistente nel R. Museo Zoologico di Torino, ed è fatta, per la nuova specie, con grandissima diligenza (1). Fam. MEGASCOLECIDAE. Subfam. Megascolecinae. « Pheretima heterochaeta (Michlsn). Perichaeta heterochaeta, Michlsn, Abh. naturwiss, Ver. Hamburg XI, Heft, II, N. 2, pag. 1. Amyntas heterochactus, Beddard, Proc. Zool. Soc. Londo 1900. p. 622. Loc. Cagliari, nell’orto botanico. Un solo esemplare adulto. E’ questa la prima volta che questa specie tanto diffusa viene notificata per l’isola di Sardegna. Fam. LUMBRICIDAE. Helodrilus (Eophila) januae-argenti, n. sp. Loc. Monte Gennargentu, presso la Fontana Calabri a m. 1700 s. 1. m. Un esemplare adulto e ben conservato (in alcool), raccolto dal sig. P. Bonomi (2). (1) Ved. il N. 456 del Bo/lett. dei Musei di Zool. ed Anat, comp. della R. Univ. di Torino, Vol. XVIII, 1903. (2) Colgo l'occasione per esprimere i miei ringraziamenti a questo solerte raccoglitore naturalista, RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 185 CARATTERI ESTERNI. — Lunghezza 70 mm. ; diametro 3-3,5 mm. ; segmenti 200. La forma del corpo è cilindrica, lievemente ingrossata a clava alla coda. Questa termina a cupola e l’ultimo anello reca l'ampia fessura anale disposta verticalmente, Il tratto anteriore dell’ani- male appare rigonfio, con massimo al 7° segmento, in seguito a contrazione, cosicchè l’estremo cefalico non risulta appuntito. I segmenti anteriori al clitello sono triannulati, dal 3° al 10° muniti di carena circolare rilevata su cui sono infitte le setole. Dietro al clitello i segmenti sono biannulati ; gli ultimi 45 assai ravvicinati. L’anello cefalico mostra delle rughe longitudinali. Il prostomio piccolo e stretto protende dall’anello cefalico rimanendone affatto distinto (capo prolobo). Manca di processo posteriore, a Il colore è cerignolo, più chiaro al clitello ed alle due estremità. Le setole sono strettamente geminate : i valori numerici delle distanze parziali tra una setola e l’altra sono i seguenti, misu- rati a meta del corpo: aa = 83; ab = 4; be = 25: ed = 4; da = 104. Cosicchè l'intervallo dorsale dd risulta minore di 112 circon- ferenza. Le setole normali, lunghe circa mm. 0,3, sono sigmoidi, con nodulo distinto. Ai segmenti 12°, 13° e 14°, e cioè in prossimità delle aperture delle spermateche (v. più avanti), le setole ventrali sono sostituite da setole copulatrici, allungate, appuntite, con tratto distale con- formato a spatola-cucchiaio, ma dritto, mentre il tratto prossimale più breve, è ricurvo. Il nodulo non è sempre distinto. Siffatto tipo di setole copulatrici già notificai anche in altri Lombricidi (1). Anche al 39° segmento ritrovai setole copulatrici ai fascîì (1) Vedansi i miei due lavori « Lumbricidi del Cadore e del. Tirolo » e « Lombrichi delle Alpi marittime », in qesto Bollettino, vol. XVIII, nn. 434 e 451, Res italicae, IV e VI, 186 RIVISTE BIBL(OGRAFICHF ventrali. Sotto al clitello le setole ventrali si conservano normali. La lunghezza delle setole copulatrici è di mm. 0,45 a 0,63. Tanto al segmento 39° che al 12°, 13° e 14° le setole copula- trici sono circondate ciascuna da un piccolo anello ghiandolare. Il clitello è esteso sui segmenti (24) 25-32 (36); i suoi mar- gini anteriore e posteriore sono mal definiti. Assai nettamente visibili sono i tubercola pubertatis in forma di cordoni rilevati, separati mediante un solco dai limiti longitu- dinali del clitello. Si trovano ai segmenti 26-33 ed appaiono in- terrotti in corrispondenza degli intersegmenti. Le aperture maschili sono al 15°, circondate ciascuna da un atrio non esteso sui segmenti adiacenti. Ogni atrio ha su per giù la forma di una U aperta verso il dorso, a rami assai brevi e assai..ingrossati specialmente in corrispondenza del vertice. Le aperture delle spermateche sono in quattro paia agii interseg- menti 13-14, 14-15, 15-16, 16-17, sulla linea occupata dalle setole dorsali inferiori (c). I nefridiopori sono presso il margine anteriore di ogni seg- mento a partire dal terzo, e disposti su di una linea che segna la metà dell’intervallo laterale be. I pori dorsali cominciano dall’intersegmento (* 9-10) 10-11, e sono evidenti su tutta quanta la lunghezza del corpo, compreso il clitello. CARATTERI INTERNI. -—— Primo dissepimento visibile è il 5-6; questo e i quattro che seguono 6-7, 7-8, 8-9, 9-10 sono molto ro- busti è un po' imbutiformi. Il 10-11 è ancora ispessito ma meno fortemente, cosi pure i sepimenti 19-20, 20-21 21-22. Gli altri sono sottili. Lo stomaco ampio occupa i segmenti 18 e 19; segue il ven- triglio mediocremente muscoloso compreso nei segmenti 20, 21, 22. Di cuorî se ne contano sette paia site rispettivamente nei segmenti 6-12 (1). (1) Forse si tratta di un esemplare con .un paio di cuori, quello del 12° segmento, soprannumerario ? RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 187 Il festes ed i padiglioni dei vasi deferenti sono liberi nei seg- menti 10-11. Ne!l’11° segmento, dorso lateralmente all’esofago trovansi due vescicole seminali; altre duc, nella stessa posizione, sono al 12°; queste ultime sono voluminose, e si aprono nell’11° segmento mentre le prime sono piccole s’aprono nel 10°. Tutte sono lobate e compresse contro il setto cuì stanno attaccate. Le spermateche sessili, sono in quattro paia, rispettivamente ai segmenti 14, 15, 16, 17. La forma è obovata, compressa in senso antero-posteriore ; il volume diminuisce dal primo all’ultimo paio. Questa nuova specie è assai nettamente distinta dalle altre congeneri finora note. » (Il Bonomi, che molto giustamente il Dott. Cognetti chiama « solerte raccoglitore-naturalista » ora trovasi al Congo, dove gli auguriamo quella miglior fortuna, che sia compenso all’intelli- genza e attività addimostrata in Sardegna. E vorremmo che qualche altro naturalista proseguisse sul Gennegentu le proficue ricerche zoologiche, e trovasse anche altri esemplari della nuova specie di Helodrilus). REGOLE DELLA NOMENCLATURA ZOOLOGICA adottate nel V° CONGRESSO INTERNAZIONALE DI ZOOLOGIA tenuto in Berlino nel 1901 Per soddisfare un desiderio assai opportuno pur di re- cente manifestato da parecchi egregi soci (e sapendo che presto in un'adunanza speciale della nostra Società sarà di propo- sito trattata la importante questione della nomenclatura z00: logica, della quale anzi si è già brevemente e previamente occupato il nostro Consiglio Direttivo nell'adunanza del 15 feb- braio 1904), ci facciamo un gradito dovere di pubblicare, tradotte integralmente, o riassunte quando è il caso, le prin- cipali regole adottate nel più recente Congresso Zoologico Internazionale: furono però discusse ed approvate anche nel precedente Congresso di Cambridge (1898). — Ci siamo per- messi, nell'interesse dei giovani meno pratici di queste regole utilissime, di aggiungere esempii a quelli che leggonsi nel vo- lume del Congresso di Berlino, in verità pochissimi, e non sempre i più adatti per i giovani studiosi di zoologia. Abbiamo inoltre (pur essendo disposti ad accettare le regole adottate da scienziati così competenti) preso questa occasione per ecci- tare essigiovani a tener presente l’interessantissimo argo- mento ; e perciò qua e là esprimiamo un dubbio o facciamo un commento. $I — Nomenclatura zoologica in generale. » La denominazione scientifica degli animali è uni- nominale per il genere e sotto-genere e per le categorie su- REGOLE DELLA NOMENCLATURA ZOOLOGICA 189 x periori; è binominale per la specie ; trinominale per la sotto-specie. — —_» I nomi scientifici degli animali sono vocaboli latini, © considerati come tali ». « La indicazione degli ibridi può farsi in due modi : nell'uno e nell'altro, il nome del genitore ( 3) è citato pel primo. 1° Si riuniscano i nomi del genitore e della geni- trice col segno x: Es. Capra hircus % Ovis aries. S'intende che alla prima specie appartienejil genitore, e alla seconda specie la genitrice. 2° Si può anche far uso del modo come scrivesi una frazione, e così il numeratore rappresenterà il geni- tore, ed il denominatore la genitrice : Es. Bernicla canadensis Fringilla montifringilla Lupus vulgaris Anser cygnoides Fringilla selebs Canis familiaris L’uso di questa forma è anzi da preferirsi. $ I. — Del nome generico. « Si deve in Zoologia evitare l’uso (e quindi la scelta) di nomi generici già adoperati in Botanica (ed a maggior ragione se introdotti e usati in Zoologia da Linneo in poi). « I nomi generici devono consistere in una parola semplice o composta, ma sempre unica, sia latina, sia la- tinizzata (se non proviene dalla lingua latina). Già il sommo ‘Linneo ebbe ragione di affermare: « Nomina generica, quae ex graeca vel latina lingua radicem non habent, rejicienda sunt ». « Pei nomi patronimici composti da 2 vocaboli, uno solo dev'essere scelto come nome generico : Es. Selysius (Selys de Longchamp); Targionia (Targioni-Tozzetti); Ed- wardsia (Milne-Edwards); Duthiersia (Lacaze-Duthiers); 190 REGOLE DELLA NOMSNCLATURA ZOOLOGICA Blainvillea (De Blainville); Benedenia (Van Beneden); Chiajea (Delle Chiaie), ecc. ecc. « Queste regole si applicano anche ai sotto-generi. $ II. — Del nome specifico. « I nomi specifici, siano sostantivi, sian aggettivi, de- vono essere univoci. Sono però ammesse denominazioni specifiche risultanti da 2 vocaboli se dedicate ad una per- sona (o località) di cui il nome è doppio. — Es. Sanctae Catharinae, Jan-Mayeni, Novae-Hollandiae, Sancti-Pauli, ecc. (Vedansi gli articoli 9 e 13). « I nomi specifici sono : 1° o aggettivi che si accordano col nome generico, ad es.: Felis marmorata. Aggiungiamo : Hystrix cristata — Arvicola arvalis — Podiceps cristatus — Procellaria pela- gica — Grus cinerea — Hydrochelidon nigra — Anquis fragilis — Cistudo europaea — Callopeltis longissimus — Conger vulgaris — Hippocampus brevirostris — Exocetus volitans — Loligo sagittata — Sepia elegans — Thecla be- tulae -- Pieris brassicae — Vanessa c. album, ecc. 2° o sono sostantivi al genitivo, i quali esprimono dedica della specie a una determinata persona. Questo ge- nitivo è sempre formato dall’aggiunta di un semplice i al nome esatto e completo della persona cui vien dedicata quella forma animale. « Nel caso in cui il nome del quale trattasi sia un nome o pronome già adoprato e declinato nella lingua latina, si segnano le regole della declinazione. Es. Plinii, Aristotelis, Victoris, Antonii, Elisabethae, ecc. ». E quici sia concesso osservare che anche i nomi propri non declinati possono seguire questa regola, tanto è vero che si scrive: Miniopterus Schreibersii (perchè quì è il caso REGOLE DELLA NOMENCLATURA ZOOLOGICA 191 _————_{yj _— st. 93 TEST & = a - da era se > 3 5 = sr: pra = 2. de Se Lì Sr. PERE poet SS PO x slartr ent petei ta si . stre RHEDEE nta di ata rtestatnat DELTRINISEOA - : Ò È è 23 RI xi3i PEDIESSIDESLLE SIDE SETTORI ‘ pre tina) seta een i 3 siate RSA IRA d 31 :. ci p È * DIE $ uacaeia: ; = qrziia : ip a izia sin) * ARISTATA pi ser BP. gi Tp