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» DONATA DA S. M, IL RE VITTORIO EMANUELE III 9
spedizione, la quale in quel dì era composta di 1168 uomini
con donne e fanciulli, mosse per entro la densa foresta,
seguendo un sentiero sommamente paludoso, per poter
raggiungere un piccolo villaggio lontano dal fiume un’ora
e mezzo.»E continua dicendo: « Arrivammo appunto quando
l’intollerabile piaga dei moscerini era nel massimo furore.
Svolazzavano a miriadi sugli occhi, sulle narici e sulle orec-
chie « (1).
Riparla ancora lo Stanley di questa foresta, per la
quale il 22 fu costretto colla sua gente a marciare per sei
ore attraverso pozzanghere e pantani, prima di poter tro-
vare un luogo di fermata. La foresta era altrettanto tro-
picale nella sua lussureggiante vegetazione quanto qual-
siasi altra in cui lo stesso Stanley aveva già viaggiato ; ma
era più incomoda per l'eccessivo calore e la sovrabbondante
umidità, la quale si manifestava con un vapore sottile ma
opaco, fino all'altezza d'un uomo. Guardando sulla cima
degli alberi si vedeva subito condensarsi in nebbia, più in
alto appariva quale nuvola. Tra noi ed i raggi solari — scrive
l’ardito esploratore — avevamo delle nubi di uno spessore di
varie miglia col denso, oscuro, intrecciato fogliame delle
piante, e sempre una opprimente esalazione di vapori
caldi. Ci aprivamo la via attraverso paduli poco profonde
e fango nero, glutinoso, sotto un continuo sgocciolare di
goccie dense, e con una luce plumbea che spingeva i nostri
pensieri al suicidio, mentre dai corpi affannosi pareva
cadessero ruscelli di sudore (2).
A chi vive nella quiete e comodità delle belle città
parrà forse esagerata la descrizione dello Stanley, cui nes-
suno vorrà negare le qualità più eminenti dell’intrepido
esploratore. E voi, egregi signori, intendete bene che se
ho riferito questi particolari, tutt'altro che lieti, ebbi per
iscopo non soltanto di confermare le difficoltà narrate da
———_—___ 6
(1) STANLEY, op. cit., vol. 2°, pag. 251. Ved. traduz. tal. di Adolfo Missone,
Flli. Treves edit. 1890.
(2) Id. id. pag. 252. — ln taluna frase ci è parso bene sostituire qualche
parola più opportunamente scelta di quella usata dall’egregio traduttore,
10 ANTONIO CARRUCCIO
Sir Johnston, costretto a ritirarsi dalla foresta in cui si era
coraggiosamente inoltrato nella speranza di trovare VOka-
pia: ma anche di dimostrare che per le condizioni speciali
del maggior numero di quelle foreste inospitali, malsane e
spesso labirintiformi, si può spiegare come soltanto da
brevissimo tempo questo Mammifero sia venuto in possesso
degli scienziati europei. La caccia del medesimo per secoli
e secoli dovette essere, ed è tuttora, assai ardua, pericolosa
e rara per gli stessi indigeni, ai quali — d’altra parte —
non poteva essere ignota una specie di mammifero, note-
vole anche per la sua dimensione. E di questi indigeni,
ecco ciò che scrive il prof. Ray Lankester nella pregevole
memoria On Okapia, a new (Genus of Giraffidae, from
Central Africa: » The natives are extremely reluctant to
penetrate far into the forest, and hence it is that the Okapi
is but seldom seen and is known chiefly to the Wam-
butti or Akka, the dwarf race who, like the Okapi itself,
seek the recesses of the forest as a protection against
light-loving enemies » (1).
Nella estrema riluttanza degliindigeni o nativi, come li
chiama Ray Lankester, ai quali i penetrali di quelle fo-
reste danno non minori difficoltà che agli europei, si ha
la prova migliore che senza la perseveranza dello John-
ston saremmo forse ancora per molto tempo rimasti privi
di conoscenze morfologiche, quantunque non complete,
sulla nuova specie. La quale, convien ricordarlo a parecchi
che pare l'abbiano troppo presto dimenticato, primo anzi
primissimo a paragonare (e mi varrò delle giuste parole
del Dr. Forsyth Major) « very appropriately the Okapi »
coll’ Helladotherium, — ch'è del tipo delle Giraffe — fu
per l'appunto Sir Harry Johnston (2).
Salendo in questa, ch'è la più grande fra le sale su-
periori del Museo, avete potuto osservare nella seconda
(1) V. The Transactions of the Zoological Society of London — Vol. XVI.
Part. VI. August. 1902, pag, 283.
(2) V. On the Okapi by Dr. C. J. Forsyth Major — (Fron the procedings
of the Zoological Society of London. June 3, 1902, pag. 74.
SULL’ « OKAPIA »® DONATA DA S. M. TL RE VITTORIO EMANUELE LUI 11
sala del sottostante piano, un esemplare del più alto fra i
viventi mammiferi terrestri, il ben noto Camelopardalis
giraffa. Questo è uno degl'individui di maggior statura
che io abbia visto in più musei nostrani e stranieri: egli
misura oltre 4 metri, col collo ben disteso, come venne
preparato, fin dai tempi del donatore, il P.Gregorio XVI.
Non manca qualche scrittore che ricorda Giraffe d’un’al-
tezza massima, misurata dall’apice della testa, variabile fra
wo e 6 metri.
Gli scrittori affermano con pienissima ragione che la
Giraffa è un animale noto dai più remoti tempi. Chi può
invece affermare altrettanto dell'’Okapi? Quanti da poco
tempo in quà stanno facendo ricerche sull’eremita congo-
lese, rilevano come sul medesimo tacciano i migliori ar-
chivi e documenti. E fra questi ultimi sono i più vetusti
monumenti d'Egitto e della Nubia, e principalmente quelli
che si custodivano nei templi consacrati a quel Nume bir-
bone che chiamavasi Typhon. Per la Giraffa, se potessi e
dovessi seguire l'ordine cronologico, comincierei da Mosè
(Bibbia sacra, Deuteron., cap. XV), e poi da Tolomeo Fi-
ladelfo, per saltare a Terenzio Varrone, a Orazio, Strabone,
Plinio, ecc.; e volendosi ancora altre citazioni e notizie,
«riguardanti sempre la Giraffa, potrei riferire notevoli af-
fermazioni di Alberto Magno, di Marco Polo, Gesner, Be-
lon, Prospero Alpino, Aldovrandi, Linneo, Buffon, Pallas,
Levaillant, Blumembach, Malte-Brun, G. Cuvier, I. e E. Geo-
roy S. Hilaire, R. Owen, Jolye Lavocat, De Blainville, ecc.
Ma sarei il primo a riconoscere che farei un’erudizione fuor
di luogo, perchè della Giraffa forse si è scritto anche troppo,
mentre per l'Okapi c'è ancora tanto da investigare e da
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Potrei pure — in aggiunta alle prove sull’antichità della
Giraffa — ricordare con moltissimi, specialmente fra i re-
sidenti in Roma, che videro al par di me nella vicina Pa-
lestrina — la vetusta Praeneste — il famoso e grande pavi-
mento col bellissimo mosaico posto in un salone del pa-
lazzo Barberini. Questo mosaico, rinvenuto nel tempio della
Fortuna Prenestina, e che si disse risalga ai tempi del-
12 ANTONIO CARRUCCIO
l'Imperatore Domiziano, oltre i paesaggi presso il Nilo, offre
molte figure d'uomini in costume egiziano e greco, e figure
di molti animali — ed è appunto notevolissima quella della
Giraffa. E lessi pure che Giulio Cesare, nel 708, con belle
Giraffe « volle ricreare i Romani alla fine delle guerre
civili »
Anche negli affreschi di Poggio Cajano, nel palazzo
dei duchi dei Medici e via dicendo, vediamo rappresentata.
la (riraffa; la quale, secondo Lancret e Jomard, raffigurata
nei basso-rilievi dei témpii d’ Egitto, si ha la prova che
era conosciuta già dagli antichissimi Egizii. Ma, lo ripeto,
nulla troviamo detto che ricordi la forma dell’Okapi.
La conoscenza che ho dovuto prendere delle diverse
pubblicazioni straniere, non mi fanno dimenticare che an-
che in Italia un ottimo periodico romano, Ja Minerva, fu
assai sollecito nel darei notizia della nuova specie di ru-
minante congolese. Invero nel n. 44 de] 1901 (pag. 1039-1041)
comparve un articolo, ricavato dal Me Clure's Magazine
(settembre 1901) col titolo : « Il nuovo Mammifero scoperto
nel centro dell’Africa ».
Anche in questo articolo, di cui è autore l’istesso Sir
Harris Johnston, leggesi come lo Stanley narrasse che i nani
del Congo dovevano conoscere un animale in qualche modo
simile ad un piccolo cavallo, anzi rassomigliante dippiù
ad una Zebra, del quale potevano talvolta impadronirsi per
mezzo di trappole.
Rammento benissimo che quando lessi l'articolo della
Minerva mi trovavo a Soriano nel Cimino :; e tanto lassù,
quanto dopo tornato in Roma, non poteva davvero bale-
narmi la speranza che la specie nuovissima, della quale
erano privi tutti i grandi musei, eccetto quello di Londra,
mi fosse concesso, prima che trascorresse un anno e mezzo,
di farla osservare a voi, egregi signori, nel nostro Museo
Universitario! Ma non fa duopo che io richiami alla vostra
memoria un antico dettàme: È la savia generosità che
rende più evidenti « sapientiam et dignitatem regis ».
:
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SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M. IL KE VITTORIO EMANUELE III. 13
II. — Fsame comparativo della testa.
La testa ossea dell’Okapia è notevole per alcune par-
ticolarità della conformazione, le quali, a parer mio, la
fanno assai differenziare da quella della Giraffa. Con questa
dovetti naturalmente instituire una diligente osservazione
comparativa, come già l’ebbero a fare altri, specialmente
Ray Lankester e Forsyth Major, ai quali sono molto grato
par le pregiate pubblicazioni inviatemi da Londra. Questi
autori citano pure crani d'altri mammiferi, che fornirono
ad essi parecchi e interessanti dati comparativi. Come dirò
in appresso, non ho mancato anch'io di fare osservazioni
comparative con diverse teste di ruminanti africani, posse-
dute dal Museo Zoologico di Roma, prescegliendo quelle
che o per dimensioni pressochè eguali alla testa dell’Oka-
pia, o per altre ragioni meglio corrispondevano allo scopo.
Per le teste di Giraffa, che in modo speciale mi ser-
virono nello studio comparativo colla testa dell’Okapia,
debbo ringraziare assai vivamente i chiari colleghi delle
Università di Pavia e Torino, direttori dei Musei di Zoo-
logia e di Anatomia comparata, cui devo gli esemplari
‘inviatemi con premura e cortesia grandissime. Avverto che
di preferenza mi sono valso di quello che per sviluppo e per
dimensioni si adattava maggiormente alla testa di Okapia.
Dirò dapprima di talune differenze che mi colpirono
confrontando la testa della Giraffa con quella del nuovo
mammifero congolese. Tali differenze riguardano la regione
facciale, massime nella porzione mascellare inferiore ; le
regioni laterali destra e sinistra, specialmente nei contorni
orbitali e nel tratto delle arcate zigomatiche ; la regione
basale od inferiore del cranio; la superiore (volta del
cranio), ecc.
Rilevai adunque che le due metà del mascellare in-
feriore dell’Okapia, nella loro porzione terminale ed ante-
riore, non formante sinfisi mentoniera, si presentano meno
larghe e più sottili in confronto alle due metà proprie alla
mandibola della Giraffa (£ juv.): perciò le prime sono
assai più acuminate delle seconde, e colle parti molli a
14 ANTONIO CARRUCCIO
sito, anche il muso delle due specie deve partecipare della
forma propria delle ossa.
Le due porzioni anteriori e convergenti della stessa
mascella inferiore, che stanno a contatto senza saldarsi,
cioè senza formar sinfisi, come dissi, hanno lunghezza
diversa sì nell'Okapia, come nella Giraffa. Infatti, nella
prima la lunghezza è di appena 68 mm., mentre nella
Giraffa sono lunghe 92 mm.
Il margine alveolare nella Giraffa è più robusto e
largo 50 mill. ; nell’Okapia è più debole ed è largo soltanto
350 mill.
Il muso dell’Okapia appare quindi stretto ed appuntito,
mentre nella (Giraffa ha una forma a paletta piuttosto
ampia, tanto più pronunciata in quanto le tien dietro un
brusco restringimento: tale restringimento non si osserva
nella mandibola dell’Okapia.
Rilevai pure notevole differenza nella grandezza delle
cavità orbitarie e nello spessore dei rispettivi contorni.
Nella testa della Giraffa le orbite presentano diametri
maggiori. Infatti mentre in questa è di 63 mill. il diam.
longit., preso dal centro del contorno orbitale superiore al
centro dell'inferiore, e il diametro trasverso è di 60 mill,
nell’Okapia invece il primo diametro è di circa 52 mill,
ed il secondo o trasverso è di circa 00 mm. Nè si dica
che tale differenza deve tutta attribuirsi all’età.
Guardando addentro la cavità orbitaria della Giraffa
si vede chè è più profonda ed ampia, e di forma piuttosto
conica, anzichè quadrilatera, o quasi, come nell’Okapia.
Dal fondo dell’orbita della più piccola testa di Giraffa (e
proporzionatamente l’istesso fatto si osserva in teste più
grandi), e precisamente dal centro del foro ottico tirando
una linea mediana, che non oltrepassi la grande apertura
esterna, si ottiene una lunghezza di mm. 83; mentre l’i-
stesso asse misura nell’Okapia 72 mm.
Il margine superiore dell'orbita nella Giraffa ha un
massimo spessore di 80 mm.; quello dell’Okapia di soli
40 mm.
Il margine superiore, che suol essere il più sottile, lo
2
(-*
CAPPONI DIL LIRA II
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SULL’ « OKAPIA » DONATA DA 8. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 15
x
è in realtà anche nella (Griraffa, anzi in questo è quasi
tagliente. All’opposto nell’Okapia quest’istesso margine è
grosso: misurando fra le punte del compasso-oblungo uno
spessore di 60 mm.
Maggiore è la distanza che separa le due orbite nella
testa della Giraffa, ed è precisamente di 170 mm.; la di-
stanza medesima interorbitaria nella testa dell’Okapia è
di soli 120 mm. (1).
Le arcate zigomatiche dell’Okapia appaiono alquanto
più sviluppate di quelle della (Giraffa, tanto è vero cbe
mentre il prolungamento zigomatico (apofisi malare) del-
l'osso mascellare superiore, che si unisce coll’altro fornito
dal temporale, danno una lunghezza complessiva di 10
cent. nell’Okapia, l’istessa lunghezza non oltrepassa i 7
cent. e 172 nella Giraffa. Un'altra differenza, che al pari
delle altre io credo far rilevare, si ha nel processo zigo-
matico che si stacca dall’osso temporale con una base
larga, che offre tre radici molto divergenti nella Giraffa,
le quali non si osservano nell’Okapia.
È inoltre importante tener conto di altri fatti differen-
ziali, che risultano dal confronto dei pochissimi crani fi-
nora posseduti in Europa.
Dei due crani di Londra, quello ch’era unito alla pelle
apparteneva ad un’ Okapia non adulta, ed era — come
l’altro cranio più piccolo —- privo di corna. La lunghezza
del medesimo, dalla cresta occipitale fino all'estremità delle
ossa nasali, è di0.® 375; la lunghezza invece del cranio d’in-
dividuo 3 posseduto dal Museo di Tervueren è di 0." 462. Il
(1) Il Forsyth Major ponendo in rilievo i caratteri differenziali che ha ri-
eonoscinto esistenti fra i crani di Londra e quelli di Tervueren, scrive che « Un
altro carattere che sembra di valore specifico. e che è piuttosto singolare, è
la differenza del taglio delle orbite. Il prof. Lankester ha descritte le orbite
dell’esemplare di Londra come rettangolari, mentre nei due esemplari del Museo
dl Tervueren sono circolari come nella Giraffa. lo era inclinato dapprima ad
ascrivere questa disuguaglianza alla differenza dell’età ; ma dopo un più accu-
rato esame non so vedere come un ulteriore sviluppo possa cagionare un tal
cambiamento di forma », (V. On a specimen of the Okapi lately receveidut Brn-
xelles. By Dr. C. J. Forsyth Major, Procedings of the Zoological Society of
London. Nov. 18, 1902), |
16 ANTONIO CARRUCCIO
primo ha una larghezza massima di 0. 182; il secondo di
0." 178 (1). Il cranio di Roma è lungo 450 mill.
Il cranio di Londra conserva ancora la maggior parte
dei denti di latte; il sesso dell'individuo cui esso cranio
apparteneva rimane dubbio. ll cranio di Tervueren è di
sesso femminino — stando alle informazioni date dal luo-
gsotenente Leoni — e dall'esame delle corna « lo si direbbe
adulto, se non avanzato in età » (Forsyth Major).
Questo cranio di Tervueren è più stretto, ha le orbite
più piccole, le ossa mascellari meno alte, le arcate zigo-
matiche e le regioni parietali più corte.
La differenza nelle dimensioni dei denti prova « in modo
incontestabile (così asserisce il Forsyth Major) che l’indi-
viduo di Londra avrebbe raggiunto in età adulta propor-
zioni passabilmente superiori a quelle dell'individuo di Ter-
vueren ».
L'istesso aut. ne da la prova riferendo le dimensioni
duno dei denti (1° vero molare inferiore) del cranio di
Londra in contronto d’altro dente corrispondente del cranio
di Tervueren: la lunghezza del primo è di 26,2, colla lar-
ghezza di 23,5; del secondo dente è di24, mm. colla larghezza
di 20,59. - Il predetto molare misurato nell’esemplare di Roma
offre una lungh. di 24 mm., ed una larghezza di 25 mm. —
Avverto che i due molari veri inferiori sono anche i più
grossi nella mandibola della testa appartenente allo sche-
letro di Okapia donato da S. M. il Re Vittorio Emanuele II.
Il Dott. Forsyth Major che studiò col più vivo interesse
i nuovi acquisti del Museo di Tervueren, messi a sua di-
sposizione, non lascia di trattare comparativamente il modo
di formazione delle piccole corna nella Giraffa e nell’O-
kapia. Nella prima si hanno « prolungamenti del frontale
e del parietale, oltre un osso epifisario che ad essi è so-
vraposto, il quale non si salda coi medesimi se non colle
Giraffe di età avanzata -.
Nello scheletro dell’ Okapia del Museo di Tervueren,
(1) Ved. ForsyTH MAJOR — Le Crane de lOkapi — Belg. Colon, n. 23, 8
June 1892, pag. 260.
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SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M IL RE VITTURIO EMANUELE III.
scheletro appartenente ad un individuo pure di età avan-
zata, le corna non presentano traccie di sutura alla loro
base. Perciò il Forsyth Major crede che si possa « doman-
dare se le esostosi che nel 4 cuoprono le punte delle corna
a mo di piccoli berretti, non siano omologhe alle ossa, assai
più sviluppate nella Giraffa ».
E prosegue: « Data questa disposizione rimane dimo-
strato che l’Okapia si avvicina alla Giraffa più di quanto
l’avessimo supposto fino al presente. In quanto alle eso-
stosi (che mancano affatto nel cranio di Roma) in forma di
piccoli berretti, esse dimostrano che una crescenza delle
punte delle corna ha luogo nell’Okapia : e queste esostosi
sono due nel corno sinistro, ch'è il più grosso (si parla
sempre dei due crani di Tervueren). Probabilmente le Okapi
si servono di preferenza del corno sinistro. E nella Giraffa
si può constatare qualche cosa di analogo a questi piccoli
berretti. Inoltre, ed è fatto curioso, nella maggioranza dei
crani di Giraffa del Museo Britannico, si ha parimenti il
corno sinistro più grosso ».
Quindi il Forsyth Major e per le differenti proporzioni
che passano fra i due crani di Okapia esistenti nel Museo di
Londra e i due del Museo di Tervueren, e per le diffe-
renze proprie alla pelle preparata nell’uno e nell'altro degli
stessi Musei, crede che i due individui di Tervueren,
appartengano a specie distinta da quella denominata da
Ray Lankester Okapia Johnstoni. Propone per ciò che la
nuova specie chiamisi O. Liebrechtsi, volendo — così egli
scrive — associare alla scoperta il nome dell’eminente Se-
gretario del Dipartimento degl'interni ».
Parmi prematuro instituire ed accettare una nuova
specie, e fintanto che non si avranno nuovistudi, fatti con
materiale più copioso — quale possono di preferenza ot-
tenere i Musei di Londra e Tervueren — mantengo prov-
visoriamente la denominazione di 0. Johnstoni Ray Lank ;
la quale diedi tanto all’esemplare in pelle quanto allo sche-
letro donati da S. M. il Re al nostro Museo: lo scheletro,
giova ripeterlo, appartiene ad altro individuo, non alla
pelle donata. — Fra parentesi, e con un punto interroga-
Bollettino della Società Zoologica Italiana. 2,
18 ANTONIO CARRUOCIO
tivo, volli, nel cartello apposto alla base ricordare la de-
nominazione proposta testè da Forsyth Major, che o verrà
considerata sinonimica, o sarà confermata in virtù di nuovi
studi, siccome dissi.
Per la esattezza e per amor di verità debbo avver-
tire che il Forsyth Major proponendo — sia pur prema-
turamente — una nuova specie, così ebbe ad esprimersi :
« Su quanto concerne i caratteri specifici, restano ancora
molti punti da sciogliere. In primo luogo dobbiamo chie-
derci se la mancanza di corna propriamente dette negli
esemplari di Londra debba considerarsi come un carat-
tere specifico, o se essa si debba spiegare colla condizione
non adulta di essi esemplari » (1). Ch'è quanto dire delle
due teste giovani esistenti nel Museo Londinese. — E qui
citandosi dal Forsyth Mayor osservazioni fatte nel Giar-
dino Zoologico di Londra, riferite dall'illustre R. Owen
sulla durata della gestazione della Giraffa e sull’epoca del-
l'apparizione delle sue corna, giustamente osserva che nel-
l’Okapia quest'apparizione possa aver luogo più tardi che
nella Giraffa. — Ma le prove in verità mancano, e nel cra-
nio che abbiamo in Roma, e che per fermo non appar-
tiene ad un individuo giovanissimo, non vha, lo ripeto,
traccia alcuna di corna.
All’istesso modo che non possiamo oggi affermare che
le differenze constatate nel disegno e nella disposizione
delle fascie alterne della pelle delle coscie, diversi nell’in-
dividuo imbalsamato a Londra da quelli della pelle pre-
parata a Tervueren, siano proprii di due specie distinte,
ma derivino piuttosto dall'età e dal sesso; del pari non
possiamo asserire che certe differenze osteologiche nel cra-
nio ecc., e la mancanza di corna, non siano fatti dipen-
denti pure dall'età e dal sesso. E tutto questo io mi son
detto esaminando la pelle e lo scheletro che abbiamo in
Roma.
I dubbi espressi dal Forsyth, Major riguardavano la
pelle d'una ? d’Okapia e lo scheletro di un #4 (il sesso
(1) Ved. La Belg. Colon. N. 45. 9 novembre 1902, pag. 533,
SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 19
fu dichiarato da chi spedì i due oggetti) avuti dal Museo
di Tervueren nella primavera del 1902. Tanto questa pelle,
quanto il cranio di questo scheletro, presentarono la pre:
senza di piccole corna. Ma il 6 novembre dell’istesso anno
col corriere del Congo venivano trasportati nel Belgio ed
a Tervueren un’altra pelle ed un altro scheletro d’indi-
viduo avanzato in età, senza la minima traccia di vere
corna. A parte questa mancanza, nota il Forsyth Major,
« il nuovo cranio presenta tutti i caratteri essenziali del-
lO. Liebrechtsi, e l’istessa cosa può dirsi della pelle. Sem-
bra adunque che abbiamo da fare con una ? di questa
specie....,.. » (E ciò poco dopo confermava avendo avuto
opportunità di studiare la pelvi di questo scheletro). ....« Bi-
sogna concludere che la g dell’Okapia Liebrechtsi manca
di corna. La informazione trasmessa dal Congo, che la
pelle attualmente montata a Tervueren proviene da una
femmina, sembra adunque erronea ».
Queste franche dichiarazioni del Forsyth Major, che
ho in parte fedelmente riassunto, edin parte riferito colle
precise parole dell’aut., dimostrano ancora una volta che
per la scarsezza del materiale non siamo al presente in
grado di pronunciare un giudizio definitivo. Ad ogni modo
le osservazioni compiute diligentemente sulle pelli di O-
kapia e sui loro scheletri, in possesso finora di soli tre
Musei, Londra, Tervueren e Roma, contribuiranno — spe-
riamo fra non molto — a sciogliere il problema diagno-
stico. E aggiungo che ora mi pare incerta l'opinione del
Forsyth Major, per quanto espressa in termini molto mi-
surati: « Io non vedrei a priori null’affatto impossibile
che la femmina di quest'animale possa rappresentare uno
stato transitorio, in questo senso che ora sarebbe munita
di corna, ed ora ne sarebbe priva.,...,» (1). Ma in un’altra
interessante comunicazione dell’istesso aut. fatta alla Zoolo-
(1) V. BeZg. Col, N. 48, p. 569. Osserva giustamente il Forsyth Major che
gl'indigeni nei luoghi lontani dalla stazione belga, nei quali fanno la caccia
alle Okapie, nel togliere a queste la pelle, recidono ogni parte che può servire
all'indicazione del sesso. Ed in tale condizione giunsero le 3 pelli possedute fi-
nora in Europa, non compresa quella di Roma,
20 ANTONIO CARRUCCIO
gical Society of London (18 novembre 1902), egli fa que-
st'altra dichiarazione: « The absence of horns in this adult
specimen is, in my opinion, a sexual character ; the horn-
less skull being besides slenderer, as in the case generally
in female Ruminants ». Penso anch'io che possa trattarsi
di carattere sessuale, ma senza un più ricco materiale di
studio ripeto che non è il caso di affermazioni definitive.
Intanto anche le diligenti misure prese sulle regioni ed
ossa più importanti della testa, del rachide, degli arti, ecc.,
potranno, forse fra non molto, tornar giovevoli per una
completa monografia sull Okapia 4 e ?, adul. e giov.
L'altezza delle due teste, misurata dal centro della base
e secondo le norme consuete, è sensibilmente diversa : invero
quella della Giraffa più giovane è alta 22 cm. e 172, l’altra
dell’Okapiaè alta 19 cm. all'incirca. Prendendo poi un’altra
misura, cioè dall'angolo posteriore della branca ascendente
della mandibola fino in cima al condilo articolare, si ha
nella Giraffa l'altezza di 22 cm. e nell’Okapia di 18 cent.
Dall’ angolo posteriore della stessa branca ascendente
fino all'apice dell’apofisi coronoide si ha nella Giraffa una
altezza di cent. 15, e nell’Okapia di 13. Ed è notevole che
l’istessa apofisi coronoide è più sviluppata in senso tra-
sversale nell’Okapia (39 mm.) che nella Giraffa (32 mm.).
Ma altre differenze notevoli fra queste teste, di dimensioni
quasi eguali, devo ancor far rilevare.
(Continua).
ISTITUTO ZOOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA
diretto dal Prof. AxTONIO CARRUCCIO
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI
Nota istologica per il Dott. RINALDO MARCHESINI
libero docente d’istoiogia nella R. Università di Roma
mu TkTTT—-<“«<-<—7—-
Le capsule surrenali, glandulae renibus incumbentes (Eu-
stachio); capsulae atrabiliariae (Bartolini); sono degli organi
situati al disopra dei reni, a cui gli antichi anatomici e
fisiologi avevano dato poco o nessun valore e che oggi
invece dopo l’attenzione rivolta ad esse dall’ Addison (1)
hanno occupato un posto eminentissimo sia nell’anatomia
che nella patologia.
Sono esse due organi pari, disposte al disopra dei reni
e con somiglianza di forma agli stessi reni, e perciò dette
anche reni saccentariati da Casserio ; e risultano costituite
da una intelajatura connettivale che partendosi dalla pe-
riferia ove forma una capsula di rivestimento, si spinge
con sottili trabecole a guisa di raggi che si concentrano
nella porzione mediana dell'organo, o parte midollare ;
dove trovansi grossi vasi centrali. Da queste trabecole prin-
cipali se ne staccano altre collaterali, che servono di riu-
nione ed in modo da formare una intelajatura a tela di
ragno. Il nucleo della tela è formato dalla parte midollare
dell'organo, e qui lo strato fibrillare del connettivo, per-
1) ADDISON. On the constitutional and local effects. of disease of the
suprarenal capsules. — London 1855.
99 RINALDO MARCHESINI
dendo la forma raggiata, assume una forma piuttosto re-
ticolare, nel.cui centro esistono i grossi vasi. Tale struttura
è evidentissima nelle capsule SORRATENALI della cavia e del
coniglio.
Nell’interno di questa impalcatura connettivale è con-
tenuto un _ tessuto di cellule epiteliali la cui disposizione
ripete;la ‘forma, delle, trabecole : ed è così che già a prima
vista prescindendo da altri fatti ancora più ‘essenziali, que-
st'organo si scorge costituito di due parti; una parte cor-
ticale, periferica, ed una parte midollare, centrale.
La parte'corticale risulta formata da tanti cilindri di
cellule, cilindri. corticali. di KòO/liker, che si accentrano
dalla periferia verso la parte mediana o midollare, ma che
però per la forma diversa delle cellule e per la disposi-
zione che assumono vengono divisi giustamente dall’Arnold
imaire zone;
- Una zona esterna: (zona glomerularis); una zona media
‘(zona fascicularis) : éd' una zona limitata tra la corteecia
ed 'il'midollo (zona reticularis). | pozib. da item
Pb: strato glomerulare della ;parte corticale] dettò tale
da” ‘Arnold per la disposizione glomerulare ‘da lui creduta
dei ‘vasi in'tal' punto, è situata al disotto immediato: del-
l'involucro connettivale della glandola. Esso varia' di: strut-
‘tura nei diversi ‘animali: in genere è formato da cordoni
‘di ‘cellule ‘straordinariamente lunghe, strette, cilindriche, .i
di cui nuclei sono bene colorabili ed il BrOleEoni è
leggermente sranuloso.
'Lò strato sottostante — zona fascicularis — è conisniti.
da ‘cellule ‘più grosse con'nucleo rotondo, che giace: per lo
più trasversalmente. del cordono, hanno un protoplasma
come areolare, carico di succhi o goccioline incolori a cui
Guicijsse! dà il nome'di'spongiociti e di strato spongioso. alla
‘zona intera. Il nucleo è ‘simile a quello dello strato: mo-
KéLLIKER. Handbuch der Histologie. — Ultima ediz. ted. 1903.
Guieysse A. La Capsule surrenale du cobaye etc. Journal de l Anatomie
e. de la. Phisyolog.,— Année 1901.
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI 23
lecolare, ma il protoplasma si tinge meno energicamente.
Lo strato reticolare si distingue dagli altri per la più
facile colorabilità delle cellule : di più in esso più che nelle
altre parti della porzione corticale si riscontrano delle
zolle di pismento giallognolo diffuse nel corpo delle cel-
lule, che al limite della zona midollare formano una stria
continua. Nella zona fascicolata e nella reticolare predomi-
nano invece le goccioline di grasso. E trattando i preparati
con ematossilina al ferro in queste due zone sono stati ri-
scontrati dei granuli siderofili.
La massa principale della sostanza midollare consiste
di cordoni di cellule collegate in forma di reticolo ed an-
che di nidi di cellule. Queste sono più facilmente alterabili
delle cellule corticali, e se non si fissa l'organo in stato
freschissimo ed il fissatore non è energico ed a lunga du-
rata, sì presentano allora sotto forma dentellata e stellata.
Esse giacciono a gruppi nelle maglie di una impalcatura
connettivale, dove a differenza della parte corticale si no-
tano molte fibrille elastiche, o le cellule sono tutte disposte
a ridosso dei vasi sanguigni, ai quali ne formano come
un epitelio di rivestimento. La struttura di queste cellule
midollari differisce totalmente da quella delle cellule cor-
ticali se si eccettua la parte glomerulare con la quale
hanno una lontana somiglianza. Esse, qualora si sia rag-
giunta una buona fissazione, e a tale scopo ho preferito
il liquido di Zenger (liq. del Miller e sublimato) dove ho
tenuti i pezzi fino a 12 ore, ed ho tolto i precipitati di
sublimato immergendo a lungo i tagli nella soluzione al-
colica jodata, risultano di forma cilindrica allungate, di-
sposte a ridosso dei vasi con la parte grossa protoplasma-
tica rivolta verso il lume, e con il nucleo all'estremo op-
posto affilato. E la loro disposizione è tale che qualora si
considerasse il lume vasale per il lume glandolare, esse avreb-
bero tutta l'apparenza di tubi glandulari.
In oltre queste cellule differiscono da quelle corticali
perchè, secondo la scoperta di Henle, si colorano in giallo
bruno con i sali di cromo, e perciò vengono anche chia-
RINALDO MARCHESINI
mate cellule cromaffini, cellule cromofile di Sting; simili
alle cellule cromaffini del simpatico. Kohn.
La colorazione che io ho preferita dopo il trattamento
con liquido Zenger è stata con l’'ematossilina di Boemer
o con la saffranina idroalcolica, o con il mio liquido mo-
dificazione di quello di Ehrlich-Biondi, con cui si otten-
gono delle differenziazioni nucleari o cellulari per ogni
singolo strato di un interesse rilevante.
Lungo lo stroma connettivale di tutto l'organo decor-
rono anche numerosissimi vasi sanguigni, che ripetono
l'andamento delle fibre connettivali : disponendosi cioè
nella parte corticale a maglie allungate, e nella porzione
midollare a maglie tondeggianti.
Le pareti vasali nella sostanza corticale sono così esili
in alcuni punti da parere che addossati ai cordoni cellu-
lari più che dei vasi vi siano semplici spazi lacunari san-
guigni. Dall’anatomia poi sappiamo che le arterie si ori-
ginano dall’arterie vicine (frenica, celiaca, aorta, renale)ed
in numerosi tronchicini penetrano nella capsula; di cui
alcuni portano sangue alla corteccia ed altri vanno diret-
tamente alla parte midollare. Le pareti però di esse, tolto
quelle che decorrono nei setti connettivali più grossi, hanno
struttura di capillari. Le arterie della parte midollare si
ramificano in capillari e formano un ricco plesso venoso,
che accoglie anche i capillari della porzione reticolare della
corticale e nell'insieme danno un aspetto spongioso alla
parte midollare. Queste vene defluiscono per la maggior
parte nella vena soprarenale, che esce pel cosidetto ilo
della capsula e sbocca a destra nella cava, a sinistra nella
vena renale. Le vene poi che si formano nella porzione
alta della corticale, si uniscono a quelle più ampie che si
trovano immediatamente sotto l’involucro nella parte più
s dille ba sei
STILLING H. Die chromophilen Zellen und Kòrperch des Sympath. Anat. I
Anzi ‘Bol: 15. 1889. (A
KoHN A. UD. die Neben-Sonderabdr. a. d. Prager med. Woch XXIII. Nr: n
17. 1898. ,
KoHN A. Ub. den Ban. u. Entwichl der sog. Corotisdrisse- Arch. f. Miîikr. pd
Anat. Bd. 56. 1900.
bilia
DI
O%
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI
superficiale della corteccia, ed unite a quelle dell'involucro
stesso emergono in numero abbastanza grande, e decor-
rono colle arterie sboccando nella renale, frenica e nella
cava.
I nervi sono numerosissimi, provengono dal ganglio se-
milunare o dal plesso solare, e secondo Bergmann in parte
anche dal vago e dal frenico. Essi formano parecchi gan-
gli pericapsulari, e penetrati nell’organo la massima parte
di essi giunge nella sostanza midollare e quivi formano
grossi reticoli, da cui emanano numerosissime fibrille per
l vasi e per i cordoni cellulari. Lungo i nervi intra cap-
sulari si notano nella sostanza midollare parecchi gan-
glietti, ridotti in alcuni animali come la cavia ed il co-
niglio anche a semplici gangli bi o monocellulari.
Io posseggo dei preparati molto ben riusciti di capsule
surrenali di feto di coniglio in cui sì può scorgere benis-
simo come fanno a penetrare questi gangii nell’organo e
specialmente nella sostanza midollare, e come essi non
siano affatto da ritenersi una modificazione delle cellule
cromaffine. In questi preparati si può seguire il modo come
la parte corticale vada incapsulendo man mano la sostanza
midollare che gli risiede di lato, nel mentre che da un
grosso ganglio periferico extracapsulare sì avanzi un fascio
nervoso con a capo un piccolo ganglio, che va ad insinuarsi
nella sostanza midollare, per rimanere incluso con essa
dall'intera sostanza corticale; e mantenere così un diretto
rapporto con la massa gangliare esterna.
Secondo Sti/ling si troverebbero numerosi vasi linfatici
negli strati superficiali della corteccia, pochi nella parte
interna di essa e più numerosi nella sostanza midollare
ove decorrono attorno alle vene.
Dato così un rapido cenno delle conoscenze anatomi-
che che oggi si hanno sulle capsule surrenali, ci rimane
a trattare la questione più ardua, quale è quella che ri-
guarda la funzione di esse.
Anche a tale proposito però si è venuto mano mano
rischiarando l’argomento, stante lo studio istologico più
accurato che si è potuto fare, e le esperienze fisiopatolo-
26 3NALDO MARCHESINI
giche intraprese largamente sulle capsule surrenali. Oggi
che si è ben delineata la forma cilindrica delle cellule
della parte midollare non si può più parlare di un epi-
telio nervoso come molti autori credevano Kohn, Smirnow,
H. Babl. ma bensì secondo afferma il Giacomini, il Phaundler
ed altri di veri elementi epiteliali secernenti. E a conferma
di ciò oltre le osservazioni di .M. Paul Malon, di Manasse,
Carlier, Ruld etc., stanno a dimostrarlo i ricchi accumoli,
che di tanto in tanto si riscontrano, di cellule chiare, ve-
scicolari, caliciformi, prapagini lanciate dalla sostanza
midollare nella corticale, che non assumono la colorazione
delle altre (fatto riconosciuto anche da Dostojeusky e
da Chandedler) e che hanno tutto l aspetto delle cellule
mucipare. quali si riscontrano nell’epitelio glandolare delle
vie intestinali e quindi di cellule secretorie. Però un punto
rimane ancora a chiarire, come avvenga cioè la secrezione
e per quali vie essa si faccia strada per mettersi in cir-
colazione nell'organismo.
A tale scopo ho voluto aggiungere qualche mia spe-
ciale ricerca di cui ora ne esporrò i risultati.
Ho praticato innanzi tutto per le vie delle arterie e
delle vene delle iniezioni di gelatina in cui in luogo della
sostanza colorante (carminio, bleu di Prussia, etc.) scio-
glievo il percloruro di ferro, o del ferrocianuro di potassio,
e trattavo poi successivamente i tagli con ferrocianuro di
GIACOMINI E. Sopra la fine struttura delle capsule surrenati degli anfibi e
sopra i nidi cellulari del simpatico di questi vertebrati. Siena, Tip. Bernar-
dino 1902,
PHAUNDLER M. Zur Anatomie der Nebenniere. Sitzungsler. der. K. Akad,
der Win. Wien. Bd. 101. Abth. II. Iahrg. 1892.
P. MALON. Exrcrétion des capsules surrén. du cobaye dans les vaisseaue
sanguins. Soc. de Biol. 27 dic. 1902.
MANASSE P. Ueb. die Beriehung der Nebenn. Zu dev. Venen. u. Venòse
kreislanf. Wirch. Arch. Bd. 135. 1894.
CARLIER C. W. Note on the setructur of the suprar-body. Anat. Auz. Iahrg.
S. 1399!
AULD A. Further report of the suprarenal gland and the causation of.
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DosToIEWSKYy A. Ein Beitrag zur mikroskopischen Anatomie der Ne-
bennieren bei Scingthieren. Arch. fùr. mik. Anatomie. Bd. 27. 1886.
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TARRA RA ddr te >.
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI St
potassio o con percloruro di ferro viceversa di quello di
cui li avevo iniettati per assistere così in vitro ad una
reazione microchimica. In tale maniera potei innanzitutto
osservare che essenzialmente i nuclei cellulari, oltre le vie
vasali ripiene di gelatina, si coloravano in bleu, ed in
qualche cellula il protoplasma granuloso pure assumeva
una colorazione bleu. Questo fatto mi aveva messo sul-
l'avviso che tra cellule e vasi sanguigni vi dovesse essere
un rapporto diretto, per cui il secreto cellulare potesse
riversarsi nelle vene dell’organo. Allora provai le iniezioni
di gelatina al bleu di Berlino per le vie venose ed arte-
riose, e studiai accuratamente i tagli per vedere, se mi
era possibile, quale fosse il modo di comunicazione tra
cellule e vasi sanguigni.
Nei preparati dove l'iniezione era riuscita e specie in
quella per la via venosa, si vedevano nelle vicinanze della
sostanza corticale delle terminazioni ad acino, che dove
erano parecchie riunite insieme simulavano un vero grap-
polo. Il grosso dell’acino era aderente alle cellule in ma-
niera da ricordare i medesimi rapporti che Pflilger e Kupp-
fer hanno trovato tra le cellule epatiche: ed i canalicoli
biliari. Questa spiegazione sarebbe stata. molto suggestiva,
ma siccome questo fatto non era egualmente ripetuto su
tutta la sostanza corticale, mi dovetti mettere alla ricerca
di altra spiegazione valendomi di sezioni diverse di pre-
parati iniettati. Potei così osservare che la rete venosa che
si trasforma in esilissimi capillari circonda ogni cellula e
nel punto dove rimane uno spazio tra due o tre o più
cellule vicine, là il capillare assume un rigonfiamento che
simula una terminazione a piccolo cul di sacco, dell’ap-
parenza di un piccolo acino aderente al suo picciuolo. Le
comunicazioni tra questi apparenti fondi ciechi non si pos-
sono sempre seguire per il taglio, e quindi l’acino può ap-
parire come aderente per un sol lato. Così risulterebbe
che l'iniezione fattasi strada per itramiti capillari intercel-
lulari, le vie della circolazione sanguigna si pongono in in-
timo rapporto con le cellule singolarmente.
98 RINALDO MARCHESINI
Da ciò ne conseguirebbe che la secrezione derivata
dalle cellule nelle vie sanguigne, fatta un po’ di sosta nei
piccoli allargamenti intercellulari, che funzionerebbero
come piccoli serbato], si avvierebbe poi per le vene mag-
giori.
Così, secondo la circostanza, rendendosi più o meno
ricco l'afflusso per la contrazione maggiore o minore di
questi che abbiamo chiamati piccoli serbato] della dilata-
zione capillare, avremmo in essi una parte molto interes-
sante nella funzione delle capsule surrenali. La secrezione
sarebbe come quella epatica in rapporto alle vie biliari,
solo che in questo caso le vie del conducimento non si
sarebbero specializzate, ma farebbero ancor parte della
circolazione generale.
Stilling avrebbe veduto qualcosa di simile, cioè dei
sottili ramuscoli che penetrano entro uno dei gruppi cel-
lulari rotondeggianti ; in modo che gli elementi di questi gli
si dispongono attorno come gli epitelii di un tubo ghiando-
lare al lume. Ma queste formazioni le crede vie linfatiche
perchè ammette che i vasi linfatici trasportino i prodotti della
secrezione delle capsule surrenali. Invece M. Paul Malon,
L c., con minuziose ricerche ha potuto anch'egli dimostrare,
che i materiali accumulati nelle cellule glandolari di
quest’'organo passano direttamente nel sangue in alcuni
punti come secrezione merocrina, in altri come secrezione
olocrina, ritenendo la glandola intera di funzione endo-
crina.
Riguardo alla porzione midollare il rapporto tra le
cellule ed i vasi sanguigni è un poco diverso per la for-
mazione cilindrica più spiccata che ha assunto questo epi-
telio. E siccome gli epitelii non sono aggruppati, ma di-
sposti tutti ad un solo strato come rivestimento dei vasi
a grande lume, la secrezione di ogni cellula è in rapporto
direttissimo con il vaso. Perciò non esistono vie intercel-
lulari; ma l'iniezione che si pratica si fa strada nella cel-
lula per osmosi, e si veggono così questi epitelii conte-
nere nel loro interno degli strai festonati di sostanza co-
>
editi
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI 29
lorante. Ancora qui adunque le vie di secrezione sono le
vie sanguigne venose e non punto le vie linfatiche come
credeva Stilling.
Questa disposizione e natura diversa delle cellule
della sostanza midollare è in rapporto alla natura ben di-
versa ed alla diversa origine di queste cellule: da quella
delle cellule che costituiscono la parte corticale.
Difatti pochi autori M : Mihalcowics, Ianosik, Valenti,
Grottscuti — fanno derivare la sostanza midollare delle
capsule surrenali dal medesimo abbozzo dell’epitelio ce-
lomatico che dà origine alla corticale: ma i più — Bal-
four, Van Wyhe, C. Rabl, Diamare, Weldon, Offmann, Fusari,
Kélliker, Mitsnukuri, Inaba, Kohn, Wissel, Giacomini, etc.,
ritengono che la sostanza midollare non abbia la mede-
MiHaLcovies G. Unters. ub. die Entwicklung des Harn. und. Geschlectsap-
parates der Annioten Internat. Monatsschr. f. Anat. und. Hist. BA. Il. 1885.
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FusARI R, Contrib. allo stud. dello svil. delle Caps. Sur.e del simp, Arch.
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Quart. Journ. of. micr. science. Vol. 22 1882.
INABA. Notes on the develop. or the suprar. bodies in the mouse. Journ.
of the College of Science Imperial Universit. Tokio. Vol. IV. p. 1. 1891,
30 RINALDO MARCHESINI
sima origine della corticale cioè dall’epitelio celomatico ;
sibbene derivi invece dagli abbozzi dei gangli simpatici.
Stante questa origine della sostanza midollare fu per
molti facile concepire l’idea che queste cellule fossero
anch'esse di natura nervosa: Kohn, Smirnow, H. Rabl,
Guarnieri, Magini — ma oggi non vi è più dubbio di do-
verle ritenere, come si è detto, col Giacomini e col Dia-
mare quali vere cellule epiteliali secernenti, di semplice
origine neurale.
E queste due sostanze per origine e funzionalità di-
verse, sì mantengono sempre tali e non arrivano mai a
formare insieme una unità funzionale ; perchè oltre l’a-
verle trovate dagli autori totalmente separate in animali
adulti di scala inferiore, io posso aggiungere d’aver tro-
vato nei conigli appena nati che questa fusione non si è
ancora completata senza alcuno scapito dell'organismo in-
tero.
Le cellule offrono ancora in questo momento una
differenza essenzialmente notevole. Le cellule della so-
stanza corticale sono grandi a grosso nucleo e sono riu-
nite a formare vere colonie epiteliali con nucleo e proto-
plasma poco colorabile. Le cellule della sostanza midol-
lare non presentano ancora la disposizione di un vero
epitelio, sono sparse e frammiste a vasi ed a lacune san-
guigne, con nucleo fortemente colorabile e con proto-
plasma quasi del tutto incoloro. Il loro aggruppamento
simulerebbe quello di linfociti mononucleati, e ciò po-
trebbe farci ritenere, che gli ammassi di leucociti mono-
nucleati riscontrati da Oppenheim R.e M. Loeper, HATTGUN,
AxnpERSHONN, Guyesse, Stilling etc., siano da riguardarsi
KoHN A. Ueb. der Ban. u. Entwickl der sog. Corotisdritse. Arch. f. Mik.
An. Bd. 56. 1900.
WIESEL I. Ued. die Entwickl der Nebenn des Schweines besonders der Mark
substaug. Anat. Helf. Abth. I. H. 50 (Bd. 16. H. 1) 1901.
SMIRNOW A. Die structur der Nervenzellen in Sympathic. der Amphibies.
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GUARNIERI I. e MAGINI G. Studio sulla fine struttura delle capsule surrenali.
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OPPENHEIM R. E M. LOEPER. Arch. de medec. experiment, N.3. 1901,
ga
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CONTBIBUTO ALLO STUDIO DELLE CAPSULE SURRENALI dl
piuttosto come piccoli residui di questa massa fetale non
trasformata ulteriormente in vere cellule epiteliali.
Di lato di queste formazioni esiste il ganglio, come
abbiamo già visto, il quale manda propagini che si met-
tono in rapporto diretto con la sostanza midollare. In
tuttociò abbiamo la dimostrazione istologica evidente della
differenza che esiste fra queste due parti, corticale e mi-
dollare ; di più rispetto al sistema nervoso ci dimostre-
rebbe come è che essenzialmente nella sostanza midollare
si riscontrino le masse gangliari. Giacchè questi gangli,
che si riscontrano nella sostanza midollare sarebbero gangli
come ho detto più innanzi, pervenuti dall’esterno come
propagine di quelli pericapsulari, e non sarebbe affatto
un derivato dell'epitelio neurale che va a formare la so-
stanza midollare delle capsule surrenali.
Ciò sarebbe un altro argomento contrario alle vedute
di quegli autori che ritennero le cellule midollari di na-
tura nervosa.
Anche la fisiologia oggi è venuta in soccorso a dimo-
strarci la grande differenza che esiste tra le due sostanze,
corticale e midollare ; giacchè ha riscontrato che ognuna
ha una secrezione tutta propria e di natura differente.
Per la sostanza corticale Alexander, Lubowsch e P.
Mulon avrebbero trovato un composto simile alla lecitina
ed altri materiali neoplasmatici, Giacomini, Guyesse, Bon-
namour. Per la sostanza midollare e propriamente per la
sostanza cromoaffine Vulpian e Muhlman avrebbero tro-
vato un composto simile alla pirocatechina ; O. Furth si-
mile all’idrodioxipidina: Abel simile alla epinefrina. E
ALEXANDER C. Untersuch. ub. die Neben. und ihre Berichung zum nerven
sust. Zieglers Beitr. Z. pathol. Anat u. Allgem. Pathol. Bd. 11. 1891.
LuBowscH 0. Beitz sur Histol. der von Uebennierenkeimen... Virch. Ar.
Bd. 135. 1894.
Id. Zur Entwicklungsgesch Histol. una Physiol. der Nebenn-Ergbend.
d. spec. pathol. Morphol. u. Physiol. des Meuschen.
BoNnNAMOUR S. Recherches hist. sur la secret. des. caps. surr. C. R. de
l’Assoc. des Anatomistes. 4% Ses. Montpellier 1902.
O. v. FURTH. Zeitschr. f. phys. Chemie, 1897 e 1899,
ABEL. Ibid. 1899.
92 RINALDO MARCHFSIN
che oggi estratto come principio attivo va sotto il nome
di adrenalina o di paraganglina secondo il Vassale.
Di queste due differenti secrezioni quella riferibile
alla sostanza corticale avrebbe un'azione sulle funzioni
sessuali: Valsalva, Haller, Merkel, Creighton, Stilling, Gia-
comini..... ; quella riferibile alla sostanza midollare avrebbe
una potente azione sul tono vasale (cuore, arterie). Kohn,
e tanto che oggi si adopra in medicina come potente e-
mostatico.
Secondo poi le ultime ricerche di N. Pende, esposte
nella sua tesi di laurea fatta sotto la direzione del Prof. Bi-
gnami, la vera funzione esplicata nell’organismo da questa
secrezione sarebbe quella di regolare la pressione san-
gsuigna, per virtù di un autogoverno della propria funzione.
VASSALE E ZANFROGNINI. Atti del 1° congr. delle Sc. It. di Patin Torino.
Ott: 1902:
Id. IA. Soc. mel. di Modena. 13 feb. 1903.
HALLER. Elementa physiologica. 1858.
N. PENDE. Le alterazioni delle capsule surrenali in seguito alla resezione
dello splancuico e del plesso celiaco, Tesi di Lvura - Roma 1903.
i
ISTITUTO D'ANTROPOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA
diretto dal prof. G. SERGI
Su due grosse ossa worniane del palato duro
NOTA COMUNICATA ALLA SOCIETÀ ZOOLOGICA ITALIANA
con sede in Roma
dal Dottor Ugo G. Vram
libero docente e assistente
In un cranio umano della probabile età di 10 o 11
anni, proveniente da Sezze (provincia di Roma) e segnato col
n. 597 delle collezioni di questo Istituto, ho osservato una
formazione dello scheletro palatino che è rara a vedersi, e
perciò decisi di illustrarla.
Il palato misura 29 mm. di lunghezza e 27 di .lar-
ghezza misurata fra i margini interni degli alveoli dei 1”
molari. Denti decidui non si trovano più, e dei denti per-
manenti è del tutto spuntata la corona del primo molare
di destra, i due 2' molari emergono appena dall’alveolo,
un premolare di destra è ancora nell’ alveolo, gli altri
alveoli vuoti ci mostrano che le radici dei denti perma-
nenti non erano ancora sviluppate, e che molte erano an-
cora nell’inizio del loro sviluppo.
In questa figura si vedono le due ossa wormiane nel centro del palato duro,
che articolansi fra loro lungo la linea mediana, ai lati con le apofisi palatine
del mascellare, posteriormente con le lamine orizzontali dell’osso palatino. L’osso
Wormiano di destra (a sinistra del lettore) è diviso in due da una sutura.
Questo disegno è tratto dal naturale dal mio ottimo amico Dr. Ugo Tedeschi,
al quale rendo sentite grazie,
Ballettino della Società Zoologica Italiana 3,
7
4 UGO G. VRAM
Le ossa inframascellari stan sviluppandosi ed al lato
destro vi è una certa irregolarità. Queste ossa viste dalla
volta palatina, si articolano lateralmente mediante suture
con le apofisi palatine del mascellare, e col loro margine
posteriore con due grosse wormiane che ora descriverò.
Le due ossa wormiane in discorso si trovano situate ai
due lati del rafe mediano, anzi articolando fra loro for-
mano esse stesse questo rafe in tutta la sua lunghezza,
cioè dal bordo posteriore del foro incisivo alla sutura pa-
latina trasversa.
Esse ossa si articolano posteriormente col margine an-
teriore della lamina orizzontale delle ossa palatine per un
tratto di 11:5 mm.; lateralmente si articolano con le apo-
fisi palatine del mascellare e si restringono verso il lato
anteriore o facciale del palato ; la loro forma è irregolare ;
quello di destra è diviso in due porzioni da una sutura
che va dalla sutura trasversa palatina (bordo posteriore del
wormiano nel nostro caso) da poco più dilmm. a destra
del rafe mediano, all’articolazione del detto osso wor-
miano con l’apofisi palatina del mascellare.
L’osso wormiano di destra misura 13 mm. lungo il
rafe mediano, e © mm. lungo la sutura trasversa, quello
di sinistra rispettivamente 14 e 6:5, le ossa che formano
la volta palatina sono coperte di piccolissimi forellini. Il
teschio è ben provvisto di ossa wormiane anche in altre
parti.
Ossa simili furono osservate altre tre volte soltanto :
due volte dall’illustre anatomico Calori (1), una dal mio
collega prof. Giuffrida Ruggeri (2), e questo ora descritto è
il quarto caso.
La formazione di queste ossa wormiane deve attri-
buirsi a punti di ossificazione in più in quelia parte della
(1) L. CALORI. Delle anomalie più importanti di ossa, vasi ecc. Memorie
dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. S. II Tom. VIII, 1869. —
IL. CALORI. Sull’anatomia del palato duro, id. id. S. VIII, 1892.
(2) Dr. V. GiurFRIDA-RUGGERI. Osso nasale bipartito, post-frontale e altri
wormiani nello scheletro facciate. Monitore zoologico italiano, Anno XII,
N-9. 1901
SU DUE GROSSE OSSA WORMIANE DEL PALATO DURO 35
volta palatina che normalmente è formata dalle apofisi
palatine del mascellare, e credo di potere arrischiare l’i-
potesi che queste ossa crescendo più di quello che lo
spazio nel quale sono rinchiuse glielo conceda, prendono
una forma o concava o convessa e se convessa costitui
scono la ben nota anomalia denotata col nome di toro
palatino.
UN CASO DI SALDATURA DELL ATLANTE
CO.N- L'OCCIPIT:ALE CIN CUN- CINO:GERTIOO
Comunicazione alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma
del prof. UGO G. VRAM
Saldature dell’atlante con l’occipitale in crani umani
sono state osservate per la prima volta dal Morgagni e dopo
di lui molti altri ne osservarono e ne descrissero dei casi.
Romiti, Tenchini, Fusari, Zoia, Calori, Vram, Mingazzini,
Luska, Phoebus, Hirtl, Lambl, Gurl, ed altri, danno delle
descrizioni di casi di sinostosi dell’occipite coll’atlante in
cranii di differenti provenienze. e di differenti. età. Bo-
ckshammer crede trattarsi in certi casi di sinostosi con-
genita, e paragonando la sinostosi dell’atlante con l’occipi-
tale, con la sinostosi del sacro con l’ultima vertebra lombare,
ammettendo la teoria vertebrale nella formazione del cranio,
crede di vedere nelle due masse formatesi da fusione di
vertebre, cioè nel cranio e nel sacro, una certa tendenza
ad assimilarsi altre vertebre che normalmente sì trovano
libere.
La figura è ridotta o 213 della gr. naturale, il nero rotondo indica il foro
occipitale attorno ad esso si vede l’atlante saldato coll'osso occipitale.
Il disegno fu eseguito dal naturale dal mio ottimo amico Dr. Ugo Tedeschi
al quale rendo sentite grazie,
tia Mid
-
UN CASO DI SALDATURA DELL'ATLANTE 37
Senza entrare in discussioni dirò che questa teoria
poco mi persuade e che fra molti casi descritti e che io
stesso ho potuto vedere, si trovano è vero degli individui
giovani, ma neonati o di qualche anno di età non nè vidi
e non so che fossero descritti, ciò che dovrebbe trovarsi
se dette sinostosi fossero congenite.
Ma non è per sollevare nuove discussioni che io pre-
sento questo caso, gli è perchè semplicemente si tratta di
un caso nuovo, non avendo sinora trovato descritto nes-
sun caso di sinostosi atlanto-occipitale in crani di scimmie.
Il teschio che qui presento è di un cinocefalo, proba-
bilmente babuinus ; esso misura inlunghezza 92,5 mm., ha
una larghezza biparietale di 69,00 mm. e l'altezza dal basio al
bregma di 63,00 mm. Lo scheletro facciale devia verso il
lato destro e possiede ben distinti gli ossicini naso-frontali
(Maggi). L’atlante è del tutto saldato coll’occipitale, cosicchè
per questo caso si potrebbero ripetere le parole del Mor-
gagni « ut unum idemque os essent tum ea vertebra, tum occi-
pilium ».
Le due apofisi articolari superiori sono del tutto sal-
date coi condili occipitali, cosicchè non vi è nemmeno
traccia di divisione; nel centro fra le due apofisi vi è un foro
rotondo costituito dalla incavatura che trovasi sull’arco
anteriore dell’atlante fra le apofisi articolari superiori, e
dall’incavatura che trovasi sul basioccipitale fra i due
condili. Queste due incurvature costituiscono nel nostro
esemplare un foro rotondo che è molto più stretto di quello
che si forma normalmente per l'articolazione dell’atlante
coll’occipitale.
Inferiormente a questo foro troviamo il tubercolo an-
teriore bene sviluppato, sporgente all’ingiù oltre il margine
inferiore dell’arco anteriore.
Assimmetricamente sono disposte le due faccette arti-
colare degli omonimi condili inferiori, quella di destra pìù
grande e più concava di quella di sinistra. Queste due fac-
cette vicinissime fra loro, dal lato anteriore non sono distinte
per nulla dalla ristretta porzione d’arco anteriore, sul quale
non sì nota la solita faccetta articolare per il dente del-
88 UGO G. VRAM
l’epistrofeo. La faccetta di sinistra tocca col suo margine
interno la faccetta articolare del condilo occipitale che
sporge un po’ sul detto margine e fra questi vi è un solco
leggero.
A lato di destra nulla si trova di tutto ciò, continuan-
dosi faccette articolari superiori e faccie interne del con-
dilo occipitale. Le due apofisi non presentano nessuna
particolarità.
Sull’arco posteriore si vede il tubercolo posteriore
volto in su, e quasi appoggiato all'osso occipitale ; sul mar-
gine superiore della metà sinistra dell'arco posteriore si
trova una proliferazione ossea che rende maggiore il con-
tatto fra l’atlante e l’occipitale.
Le misure dell’atlante sono:
Massima larghezza fra gli apici delle zigapofisi 34 mm.
Massima larghezza interna 12 mm.
Diametro antero posteriore interno 15, esterno 25.
Altezza dell'arco anteriore al centro 8, altezza alle a-
pofisi 9?
CITI en
LA FAUNA MALAGOLOGICA DEL PLIOCENE SUPERIORE
bE.l-=BELGTO
e quella postpliocenica dell’ Italia meridionale
Nota comunicata dal dott. Gruseppe De STEFANO
alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma
L’anno scorso mi trovai per alcuni giorni a Bruxelles,
e, grazie alle cortesie usatemi da E. Van den Broeck, con-
servatore nel Real Museo di Storia Naturale del Belgio,
ebbi agio di osservare le belle e ricche collezioni terziarie
di tale regione e di fare qualche escursione nel classiso
bacino pliocenico d’'Anversa. Dall’osservazione dei fossili
che s'incontrano nel terziario superiore del bacino di An-
versa mi convinsi che un confronto fra la fauna malaco-
logica studiata da Dujardin, Nyst, Van den Broeck, etc., e
quella del postpliocene dell’Italia meridionale peninsulare
ed insulare mi avrebbe permesso alcune notevoli osserva-
zioni, le quali varrebbero a provar meglio alcune mie idee
di paleogeografia, altra volta emesse (1).
In questo lavoro espongo le su accennate osservazioni.
%
K k
Il piano Scaldisien Dumont è un orizzonte superiore
del pliocene, costituito, secondo laut., dagli ultimi depo-
siti pliocenici del Belgio (eccetto quelli del Poederlien, ag-
giuntovi dopo) consistenti nelle cesì dette sabbie superiori
di Anversa a Trophon antiquum (Fusus contrarius) ed Iso-
cardia cor, abbastanza noti per i prodigiosi avanzi di Ce-
tacei rinvenutivi.
In effetti tale piano dovrebbe corrispondere al Red.
Crag dei geologi inglesi ed all’Astiano dell'Italia. Dumont
————_——____—
(1) DE STEFANO GIUSEPPE, Paleogeografia postpliocenica di Reggio-Cala-
bria. Atti d. Soc. Ital. di Scienze Nat. e d. Mus. Civico di Milano. Volume
XXXVIII, 1899.
40 GIUSEPPE DE STEFANO
estendeva anche lo Scaldisien alle sabbie medie di Anversa,
con le quali si è inteso modernamente di costituire un
piano inferiore col nome di Anversiano o Bolderiano, che
nella recente carta geologica ufficiale del Belgio rappre-
senta il Miocene (1).
Il piano Poederlien di Vincent è formato dalle sabbie
a Corbula striata, superiori allo Scaldisien, e per conse-
guenza rappresenta nel Belgio, stratigraficamente parlando,
l'orizzonte più alto del pliocene (2). In Italia, esso equivar-
rebbe, stando all'ordinamento dato dal Seguenza G. alle
formazioni terziarie della Sicilia e della Calabria, al piano
Siciliano del Doderlein (3). |
La leggenda della nuova carta geologica del Belgio (1892)
non fece da prima menzione di un piano Poederlien, ma
incluse le sabbie a Corbula striata in capo al piano Scaldi-
sien, sopra alle sabbie a Trophon antiquus ; però nella se-.
conda edizione il Poederlien fu ristabilito sopra allo Scal-
disien (4).
Ciò posto, si può ben comprendere quale significato
ed importanza abbia la fauna malacologica dei due oriz-
zonti, perchè essa meriti di essere esaminata partitamente.
Gli elenchi di ciò che si è determinato fino al giorno di
oggi nello Scaldisien e nel Poederlien del bacino di An-
versa ci sono stati dati ultimamente dal Van den Broeck (9),
e da essi si deduce quanto segue.
(1) MouRLON M., Géologie de la Belgique Bruxelles, 1881, Tom. II, pagine
XIV. — Carte géologique de la Belgique. Legende dressée par ordre du Gou-
vernement à l’échelle de 40.000. Bull. d. la Soc. Belg. de Géol., de Paléont.
et d’Hydr., Tome VI, 1892.
(2) VINCENT E. G., Documents rélatifs aux sables pliocèn. à Chrysodomus
contraria d’ Anvers. Ann. Soc. Malac. de Belg. Tom. XXIV, 1887.
(3) SEGUENZA G., Le formazioni terziarie della prov. di Reggio (Cala-
bria). Mem. d. R. Acc. d. Lincei, Roma, 1880.
(4) Carte géologique de la Belgique. Légende à l’échelle de 40,000 dressée
par ordre du Gouvern., 2.e édition. Bull. de la Soc. Belg. de Géol,, de Pa-
leont. ed d’Hydr., tom. X, 1806. — BoTTI U., Dei Piani e Sotto-piani in Geo-
logia. Seconda ediz. Reggio-Calabria, 1898, pag. 292,
(5) VAN DEN BROECK E., Mutériaux pour la connaissance des dépòts plio-
cènes supérieurs rencontrés dans les derniers travaue de croisements des bas-
sins maritimes d’ Anvers. Bull: d. la Soc, Belg. de Géol., de Pal. ete., 1892,
Tom. VI, pag. 86-148.
39
4
x
LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 41
Fra le 194 specie di Molluschi dal sopra nominato au-
tore elencate come appartenenti agli strati pliocenici a
Chrysodomus (Fusus) contrarius, ben centoventitrè sono vi-
Venti, e tutto il resto estinte. Di quelle viventi, parte, oggi,
si trovano nei mari settentrionali e nello stesso tempo in
quelli meridionali, compreso il Mediterraneo. Alcune però
ben poche, nell’attualità sono proprie dei mari settentrio-
Wi nali: le cito:
Buccinopsis Dalei Sow., Cyprina islandica L.,
Nassa granulata Sow., Pecten tigrinus Mill.,
Emarginula crassa Sow., Fusus gracilis Da Costa.
Lepeta coeca Miùll.,
Altre specie ai nostri giorni abitano esclusivamente
nei mari meridionali, come :
Drillia crassa Bell., Tornatella No@ Sow.,
scaerisputa;Jan., Ringicula buccinea Brocchi,
Natica millepunctata Lam., Limopsis anomala d’Eichw.,
Turbonilla internodula Wood, Diplodonta rotundata Mont.,
i Turritella incrassata Sow, Voodia digitaria Linn.,
| Fossarus lineolatus Wood, Carditascorbis.Phil
Tutte le specie elencate dal Van den Broeck che ora
sono viventi nel Mediterraneo, sì trovano nei depositi post-
pliocenici dell’Italia peninsulare ed insulare ; e fra le specie
nell’attualità confinate nei mari circum-polari, vi sono il
Buccinum undatum e la Cyprina islandica, le quali carat-
terizzano quasi tutti i depositi postpliocenici più antichi
nell'Italia e nell'isola di Rodi.
Fra le specie del bacino di Anversa più frequenti, ‘sia
estinte che viventi, e rappresentate da un abbondante nu-
mero di esemplari, ve ne sono molte — la maggior parte - -
le quali si trovano comunissime nel postpliocene della Ca-
labria occidentale e della Sicilia. Cito, ad esempio :
Fusus elegans Charl., Natica catena Da Costa,
Murex muricatus Mont., » Intermedia Phil,
Terebra inversa Nyst., Odostoma conoidea Broce.,
Nassa semistriata Brocc., Turbonilla semistriata Wood,
. Cassis saburon Brog,, ” Puja Phil.
PSI
Columella sulcata Sow., Eulima polita Linn.,
42
GIUSEPPE DE STEFANO
Pleurotoma intorta Brocc.,
Eulima subulata Donav,.,
» costata Da Costa, Eulimella (Melania) avicula
» brachystoma Phil.,
lacvigata Phil.,
Drillia crassa Bell.,
crispata Jan.,
Cypraea europaea Mont.,
Natica millepunctata Lam.,
Trochus solarium Nyst,
» Montagui Wood,
Fissurella graeca Phil.,
Emarginula crassa Sow.,
Calyptraea chinensis L.,
Capuius ungaricus L.,
Dentalium costatum Sow.,
» vulgare Da Costa,
Philine scabra Mull.,
Cylichna cylindracea Penn.,
È umbilicata Mont.,
Tornatina (Utriculus) trun-
cata Mont,
Scaphander lignaris L.,
Ostrea edulis (var.) L.,
Anomia sltoriata Brocc.,
” ephippium L.,
Pecten opercularis L.,
Mytilus edulis L.,
Pecten pusio L.
Notevoli, e degne di essere qui elencate, sono le specie
che appaiono come nuove negli strati sabbiosi a Chryso-
Phib,
Triforis (Cerithium) perver-
suse,
Chenopus pes-pelicani L.,
Turritella incrassata Sow.,
Vermetus intortus Lam.,
Scalaria frondicula Wood,
Trochus ziziphinus L.,
” nodiliferus Wood,
Pectunculus glycimeris L.,
” pilosus L.,
Nucula laevigata Sow.,
nucleus L.,
Cardium edule L.,
Lucina borealis L.,
Diplodonta rotundata Mont.
Astarte mutabilis Wood,
È sulcata Da Costa,
Cardita corbis Phil.,
Venus casina L.,
» Imbricata Sow,,
» ovata Penn,
e cchione 49
Cytherea rudis Poli,
Artemis exoleta L.,
lincta Pult.
Tapes edulis Chemn.,
Mactra subtruncata Da Costa,
Latraria elliptica Lam.,
Tellina donacina L.,
Donax polita Poli,
Psammobia ferrensisChemn.,
Solen siliqua L.,
»-. ensis L.
x
e
“i nia i trent
24
di
Ò x 4 »
lt aL ri etneo
pacata) MT. ”
LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 43
domus contraria del bacino .di Anversa: molte fra esse,
«non solo si trovano nel pliocene classico dell’Italia, vale
a dire, nel piano Astiano Pareto, ma si rinvengono ancora
_ nel postpliocene di detta regione. Sono :
. Volutopsis norwaegica Chemn., Pleurotoma laevigata Phil.,
— Drillia crispata Jan., Ostrea edulis (var.) Nyst.,
__ Nassa intermedia Phil. Diplodonta rotundata Mont.,
Turbonilla semistriata Wood, Lasaea intermedia \ood,
” cute Phil, Astarte triangularis Mont.,
È È ia Wood, » parvula Wood,
_ Eulimella acicula Phil, Lucinopsis undata Penn.,
_ Coecum trachea Mont., Tellina obliqua Sow.,
_ glabrum Mont, Cochloderma complanata
— Rissoa obsoleta Wood, Wood,
. Philine scabra Phil., Arcinella plicata Mont.,
. Bulla(Athys) utricula Broc., Pandora pinna Mont.,
| Tornatina truncata Mont. » inaequivalvis L.,
Pleriploma praetinuis Pult.
L'elenco dei fossili pliocenici riportati dal Van den
‘Broeck (1) come raccolti nell'orizzonte superiore a quello
« nominato, vale a dire, negli strati a Corbula striata (Poed-
| erlien) del bacino di et a, contiene 153 specie di Mol-
luschi, delle quali ottantuno ci sono rappresentate da specie
peventi, e le rimanenti, a quanto sembra, sono estinte.
— Come si comprende facilmente, facendo un confronto con
la fauna malacologica del sottostante piano Scaldisien, nel
| Poederlien il numero delle specie estinte aumenta note-
| volmente in rapporto alle viventi ed alle specie comples-
È sivamente determinate, poichè, là dove negli strati a Chry-
- sodomus (Fusus) contrarius (Scaldisien) fra centonovanta-
| quattro specie di Gasteropodi, Scafopodi e Lamellibranchi,
| centoventitre sono rappresentate da specie viventi e set-
tantuno da estinte, nel soprastante e testè considerato
| piano Poederlien a Corbula striata, su centocinquantatre
| Specie di Molluschi ben settantadue sono estinte, non es-
| sendo che sole ottantuno quelle viventi.
DI
Lay:
(1) VAN DEN BROECK E., Loc. cit.; pag. 130-14l.
EE PRA
44 GIUSEPPE DE STEFANO
Tale fatto è degno di nota quando si pensa che lo.
Saldisien è considerato dai geologi del Belgio come più an-
tico del Poederlien, il quale è al di sopra, e ci rappresenta
il pliocene più recente, da sincronizzarsi col postpliocene
più antico dell'italia; ce dovrebbe normalmente accadere,
secondo le idee del Lyell, che le specie estinte dello Scal-.
disien fossero più numerose di quelle del Poedertien.
Quasi tutte le speeie viventi che si trovano nel Poe-
derlien del bacino di Anversa, oggi vivono contempora-
neamente nei mari settentrionali e meridionali, compreso
il Mediterraneo. Poche sono oggi proprie dei mari circum-
polari o settentrionali, come, a esempio :
Chrysodomus despecta L., Pecten Gerardi Nyst,
Buccinopots Dalei Sow., Pecten Islandicus Mùll.,
Emarginula crassa L., Mya arenaria L.
Capulus ungaricus var. si- Cyprina Islandica
nuoso Broc.,
Buccinum undatum L.,
Altre specie sono oggi viventi solo nei mari meridio =
nali, come:
Nassa labiosa Sav., Ringicula buccinea Broc.,
Drillia crassa Bell., Diplodonta astartea Nyst,
Natica millepunctata Lam., ” rotundata Mont.,
Turbonilla internodula Wood, Woodia digitaria L.,
Turritella incrassata Sow., Venus rudis Poli.
Un discreto numero di specie appaiono come nuove.
nel Poederlien del Belgio, mentre al contrario s'incontrano
non di rado nel pliocene e postpliocene dell’Italia, Sono :
Cancellaria viridula Fabr., Cypraea (Trivia) avellana
SOW. i
Chrysodomus despecta Sour., Nassa intermedia Phil.
» “ var.carinata Sars,Eulimella acicula Phil.,
Nassa reticosa Wood, Scalaria foliucea Sow.,
» consociata Wood, Rissoa obsoleta Wood, . "i
Pleurotoma festiva Hornes, Trochus solarium Nyst, 3
Ringicula buccinea Broc., Venus Casina L.,
Peclen tigrinus Mùll., = ir 0vata:Penna
” Islardlicus Mull., Mactra subiruncata Da Costa,
$
.
nes
n
ha
A
I
LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 45
Cardium nodosum Turton.,, Semele prismatica Mont.,
Lucina decorata Wood., Cultellus tenuis Phil.,
Astarte Omaliusi Lajonk, Mya truncata L.,
» triangularis Mont, Saxicava artica
» Burtini Lajonk,
Noto, infine, che il complesso della fauna malacolo-
| gica del piano Poederlien, vuoi per le specie estinte, vuoi
per le specie viventi, è quasi identico a quello del sotto-
stante piano Scaldisien; e fra le tante forme che si trovano
frequenti in entrambi i piani, cito le seguenti: Murer al-
peolatus Sow., Fusus gracilis Da Costa, F. elegans Charl.,
Buccinopsis Dalei Sow., Buccinum undatum L., Terebra in-
versa Nyst, Nassa reticosa Sow., N. elegans Leath, N. pri-
smatica Brocc., Natica millepunctata Lam., Purpura lapillus
L., Drillia crassa Bell., Cypraea avellana Sow., Natica ca-
tena Da Costa, N. intermedia Phil, Chenopus pes-pelicani
fL., Rissoa proxima Alder, Trochus ziziphinus L., T. sola-
rium Nyst, Capulus ungaricus L. Cylichna cylindracea Penn.,
Mnomia striata Brocc., A. ephippium L., P. maximus L,,
P. opercularis L., P. tigrinus Mùll., P. pusio L., Mytilus e-
wiis L., Nucula nucleus L., Lucina borealis L., Cardium
edule -L., etc.
x
RE
Dopo il fatto esame una prima questione si presenta
«nel precisare se effettivamente lo Scaldisien ed il Poederlien
del bacino di Anversa costituiscono due piani distinti. Già
io ho fatto notare che la nuova carta geologica del Belgio
(1892) non fece da prima menzione di un piano Poederlien*
ma iscrisse le sabbie a Corbula striata in capo al piano
Scaldisien, sopra alle sabbie a Throphon antiquum. Io ri-
tengo che sia più esatto tale ordinamento anzi che quello
che si osserva nella seconda edizione della predetta carta
geologica del Belgio, nella quale il Poederlien è ristabilito
| sopra allo Scaldisien. Di fatti: il complesso della fauna del
bacino di Anversa dal Vaden Broeck, e dagli altri geologi
a lui anteriori, attibuita al piano Poederlien, indica certa-
mente un orizzonte a faczes litorale, ed ha carattere bo-
46 GIUSEPPE DE STEFANO
reale. Tale carattere è meno sensibile nel sottostante piano
Scaldisien; ma la specie estinte sono in numero rispetta-
bile nel Poederlien, il che è da tenersi in, gran conto a-
vuto riguardo ai principii adottati del Lyell nella riparti-
zione cronologica dei terreni terziarî. In altri termini, la.
presenza di Molluschi di specie estinte dovrebbe essere in
minor numero nel Poederlien anzi che nello Scaldisien,
mentre nella realtà non è così. Le specie che appaiona
come nuove nel Poederlien sono quasi tutte le stesse dello
Scaldisien; e fra quelle ora viventi nei mari meridionali
c'è tale comunanza da non potere sotto tal punto di vista
distinguere le due faune.
Stratigraficamente si può dire che le sabbie plioceniche a
Corbula striata costituiscono un'assise scaldisiana superiore
delle tipiche sabbie a Chrysodomus contrarius. Le mie brevi
escursioni non aggiungono nulla di nuovo a quanto già si
sa in proposito, e debbo render grazie al signor Van den
Broeck se in così poco tempo di dimora a Bruxelles ebbi
agio di visitare con profitto i celebri dintorni di Anversa,
dove una serie di tagli artificiali, operati per lavori por-
tuali od altro, mette a nudo la successione dei terreni in
quistione. La quale successione dimostra che le sabbie de
piano Scaldisien sono variabili di aspetto, a seconda del
livello che occupano, ma per lo più hanno color grigio
giallastro. Però, mentre gli strati con CArysodomus contra:
rius rappresentano le sabbie plioceniche dello Scaldisiano
tipico, quelli con Corbula striata, a mio avviso, sono da
considerarsi come rappresentanti un'assise scaldisiana su-.
periore. Le accennate sezioni lasciano chiaramente osser-
vare che le sabbie conchiglifere dello Scaldisiano, conte-.
nenti Yrophon antiquum, riposano in concordanza con le
sabbie Diestiane ad Isocardia cor, le quali però non sono |
visibili in tutte le località. D’ordinario, al banco conchi ‘|
eliare inferiore, con Chrysodomus contrarius, sta. sovrap s
posto un banco intermediario, contenente qualche conchi- |
glia scaldisiana ; alla sua volta, quest'ultimo sopporta gli.
strati sabbiosi a 7Aropon. Dette sabbie, inferiormente pos:
sono avere l'aspetto di un banco conchigliare, ma in alto |
1
LA FAUNA MALACOLOGICA DEL BELGIO 47
sono argillose compatte, o, diventando coerenti e passando
dal colore grigio a quello grigio giallastro, contengono dei
resti triturati di conchiglie diverse. Tutto questo può os-
servarsi nalla sezione visibile all'angolo sud del così detto
» bacino Africa » ed in qualche altra località. In alcune
sezioni, fra i varî banchi conchigliari dello stesso piano,
vale a dire, fra le sabbie scaldisiane più basse con Trophon
antiquum (Chrysodomus contrarius) e le sabbie quarzose
stratificate, racchiudenti una mescolanza di resti conchi-
gliari scaldisiani e di conchiglie fluviatili, stanno interposti
dei banchi di sabbia giallastra, o dei banchi di torba a
lenti discontinue. In tal caso la sommità dell’orizzonte
scaldisiano con Trophon antiquum è coperta da uno strato
mobile di sabbia gialla.
Una seconda quistione è la seguente: Ammesso che il
Poederlien e lo Scaldisien del bacino di Anversa ci rap-
presentano due assisi o due facies di uno stesso piano, si
verifica il fatto che in detto piano si osservano alcune
specie caratteristiche del pliocene inferiore, anzi, da qual-
cuno credute fin proprie del miocene, le quali non giun-
sero all’epoca nostra, ma si estinsero in gran parte nella
prima e seconda metà del postpliocene. Delle così fatte
specie si trovano anche nel postpliocene dell’Italia centrale
e meridionale peninsulare ed insulare, ed altrove, quali,
ad esempio, sono :
Neaera crispata. Scacchi (Monte Pellegrino),
Arcopagia corbis Bronn (Valle Biaia, Monte Mario,
Rodi),
Clavagella bacillum Broc. (M. Mario, M. Pellegrino, Val-
lebiaia),
Cardium multicostatum Broc. (Vallebiaia, M. Mario
Rodi),
Arca mytilotdes Broc. (Vallebiaia, M. Mario, Carrubare),
Nucula placentina Lam. (M. Pellegrino, Ficarazzi, M,
Mario, Rodi),
Modtiolaria sericea Bronn. (Vallebiaia, M. Mario),
Cancellaria hirta Brocc. (Vallebiaia M. Mario);
quindi bisogna ammettere che le circostanze nelle quali si
48 GIUSEPPE DE STEFANO
trovò la fauna del Belgio all’epoca del pliocene superiore
non furono molto diverse di quelle nelle quali si trovò
la fauna dell'Italia all’epoca del postpliocene:; la quale
fauna postpliocenica. come ben dimostrò il prof. Carlo
De Stefani (1) conteneva uu insieme di parecchi elementi,
fra i quali, oltre le già citate forme caratteristiche del plio-
cene, anche una serie di specie, che senza essere propria-
mente circum-polari, vivevano nell'Atlantico settentrionale,
ed emigrarono verso il Mediterraneo. Se a tutto ciò si
aggiunge la serie delle forme prettamente polari, che si
trovano nel postpliocene dell’Italia. come la Crenella de-
cussata Mont., il Pecten islundicus Mill, ecc.. ci si fa una
idea delle relazioni paleontologiche di affinità che passano
fra i depositi pliocenici del bacino di Anversa e quelli
postpliocenici dell’Italia.
Dette relazioni di affinità, riepilogando, consistono :
1. In una serie di forme le quali senza essere pro-
priamente cireum-polari, vivevano nell'Atlantico setten-
trionale, ed emigrarono poi all’epoca pleistocenica verso
il Mediterraneo:
2. In una serìc di specie prettamente polari, le quali
scese nei tempi andati fino nel Mediterraneo, oggi non
s'incontrano che nei soli mari glaciali.
5. In una categoria di forme che dall’Atlantico sono
arrivate nei mari interni del continente europeo, e quivi,
tanto nel Belgio quanto in Italia, mescolandosi con quelle
indigene, sono rimaste definitivamente, pigliando stabile
dimora.
4. In una numerosa serie di forme identiche viventi:
5. In una serie di specie che gli autori del Belgio
ritengono come nuove nel loro pliocene superiore, mentre
esse sono frequenti nel pliocene e postpliocene dell'Italia
meridionale.
Ora, a me sembra, che la mescolanza di forme ri-
scontrata nelle faune malacologiche del pliocene superiore
(1) Sedimenti sottomurini dell’epoca pleistocenica in Italia, Boll. del R,
Com. Geologico d’Italia, Roma, 1876.
LA FAUNA MALACOLOCICA DEL BELGIO 49
belga e postpliocene più antico italiano debba in massima
parte ritenersi causata dai fatti esposti da me altra volta
a proposito dei depositi postpliocenici di Reggio-Calabria (1).
L'esame anzi della fauna malacologica del pliocene del
Belgio, porta nuova luce sull'argomento, avvalora meglio
‘le ipotesi da me fatte nel 1899, e conduce a risultati più
generali. Quanto io ho allora scritto, in riassunto, tendeva
a dimostrare fra l’altro quanto segue per la serie del post-
pliocene marino lungo lo stretto di Messina :
a) che la mescolanza di plancton littorale, pelagico
ed abissale, la comunanza di specie oggi proprie, dei mari
freddi, dei mari caldi e di quelli della zona temperata, le
quali si riscontrano nei depositi postpliocenici dei dintorni
di Reggio-Calabria, ed in genere in quelli dell’Italia me-
ridionale e della Sicilia spettanti alla stessa epoca, è do-
vuta all’ alternarsi ed incrociarsi di correnti fredde o polo-
boreali, e calde o circum-equatoriali ;
b) che tali correnti agirono fin da tempi anteriori
all’epoca pleistocenica, poichè non troviamo ancora forme
di Molluschi oggi confinate proprio nei mari del Nord e
che pur si rinvengono nei terreni del pliocene classico ca-
labrese, quale sarebbe il piano Astiano del Pareto ;
c) che, vuoi per la mancanza di tracce moreniche
lasciate da antichi ghiacciai, vuoi perchè la fauna abissale
ha un aspetto uniforme ed alquanto polare, sia nelle re-
gioni glaciali, come in quelle temperate o torride degli
oceani, il clima fu mite nell'Italia meridionale durante
l'epoca postpliocenica.
L'esame fatto della fauna malacologica del bacino di
Anversa prova in gran parte quanto sopra si è riferito. Di
fatti, molte specie che attualmente si trovano solo nei mari
meridionali si rinvengono anche nei letti del: pliocene su-
periore di Anversa, ed altre che in tale formazione ap-
paiono come nuove, in Calabria ed in Sicilia hanno una
trasgressione verticale che dal pliocene arriva fino al post-
————_—__—_—_—_
(1) DE STEFANO GIUSEPPE, Paleogeografia postpliocenica di Reggio-Calabria.
Atti della Soc. Ital. d. Sc. Nat. Volume XXXVIII, Milano, 1899.
Ballettino della Società Zoologica Italiana 4,
50 GIUSFBPPE DE STEFANO
”
pliocene superiore, mentre poi il complesso della fauna
malacologica (vivente ancora nei mari attuali) dei depositi
del Belgio, è identica a quella del postpliocene italiano.
Le mie modeste vedute, che da qualcuno potrebbero
essere ritenate inammissibili, vengono appoggiate da un
recente lavoro del prof. Fritz Frech dell’Università di Bre-
slavia, il quale generalizza a diverse epoche geologiche (1)
quanto io ho detto per il postpliocene. Detto lavoro è
contenuto nelle relazioni fatte al congresso geologico in-
ternazionale di Pietroburgo, che io ho potuto solamente
lesgere dopo la pubblicazione del mio lavoro, nel 1901.
L’egregio Autore, in un primo paragrafo si occupa della
delimitazione e denominazione dei sistemi geologici: Ueber
Abgrenzung und Benennung der geologischen Systeme. Ora,
ecco senz'altro quanto egli scrive: « Die weltweite Ver-
breitung der lebenden o Organismen wird
dadurch beginstigt, dasseinmal die Gebiete der kalten
und warmen Stròmungen sich mit dem Wechsel der Jah-
reszeiten um ernebliche Betràse horizontal verschieben.
Anderseit treten die arktischen und antarktischen Kalt-
wasserformen in der Tiefsee der Aequatorial gegenden, —
wie man es schon theoretisch ,erwarten sollte (Frech, N.
Jahrbuch, 1892, II, pag. 324) mit einander in Verbindung:
Sagitta hamata Moebius ist arcktischen und an Tiefsee der
Sargasso-See und des Florida-Stroms gefunden vorden » (2).
E più avanti il prof, Frech scrive ancorata
Nimmit man fiùr di geologische Vorzeit eine o
Differenzirung an, so konnte — wie Tiefsee — die Ver-
breitung der polaren Thierforme alhnlich wie heute er-
volgen. Waren die klimatischen Zonen schwéacher oder
gar nicht ausgepràgt, so erfolgete die Ausbreitung wesentt-
lich ungehinderten » (3).
(1) Veber Abgrenzung und Benennung der geologischen Schichtengruppen,
von Dr. FrITZ FRECH ord. Prof. d. Geologie und Palaeontologie a. d. Universitàt
3reslau. (Congrés géologique international. Compte rendu de la VII session. S
Petersburg, 1897).
(2) FRECH, Loc. cit, Congrés géol. intern. etc., Trois. partie, pag. 34.
(3) FrEcH F., Loc. cît., Congrés géol. ete., Trois part., pag. 34.
LA FAUNA MALACOLOGIGA DET BELGIO 51
A dire il vero, la teoria delle correnti equatoriali e
boreali fu altra volta ammessa dal prof. G. Seguenza, ma
con diversi significati da quelli da me espressi poi. Il Se-
guenza dopo avere ammesso la sommersione dei grandi
deserti settentrionali del continente africano (1), essendosi
perciò comunicazione vasta e diretta fra l’attuale Medi-
terraneo ed i mari tropicali, ritenne che, tale topografia,
influendo sul nostro Mediterraneo, le calde correnti ne in-
nalzassero la temperatura, trasportandovi specie di quei
climi. Col progredire poi delle terre e dell’emersione, le
comunicazioni divennero più difficili, si assottigliarono,
finchè cessarono del tutto le comunicazioni coi mari caldi,
e quella con l'Atlantico potè stabilire le attuali condizioni
di temperatura.
Riguardo poi alle correnti il prof. Carlo De Stefani
accenna (2) al modo assai verosimile usato dal Seguenza
per spiegare la presenza delle forme tropicali; ma non
ercde2icome ‘io gia ebbi a dire Paleog.. postplioc. di
Reggio ecc.), che il quaternario di Reggio-Calabria possa
dividersi in due zone distinte a seconda che gli strati rac-
chiudano forme boreali o forme tropicali : ed ammettendo
egli sincronismo per la trasgressione di tali forme, ecco
come sl esprime in proposito :
« Allo sviluppo grandioso dei ghiacciai nel continente
corrispondono abbassamento di temperatura nei mari ed
in tutta la regione circostante, emigrazione dai mari di
specie e di generi tropicali pur tuttavia viventi nei mari
più caldi ed invasione di specie, e fin di generi, schietta-
mente polari, discesi dal settentrione dove pure rimasero
i loro contratelli, od estinti addirittura nel Mediterraneo,
quando i ghiacciai si ritirarono ed il clima tornò tempe-
rato (3) »,
Ma su quanto aveva scritto il compianto paleontologo
(1) SEGUENZA G., Le formaz. terz. della prov. di Reggio-Calabria, pag. 3SI.
(2) Escurs. scient. nolla Calabria ecc,, Mem. d. R. Ace. dei Lincei, Roma,
1882, pag. 249.
(3) DE STEFANI CARLO, Loc. cit, pag. 245,
52 GIUSEPPE DE STEFANO
(i lei de ARE AA
messinese, si può notare : 1° che egli ci ha dato spiega-
zione del come si trovano nei terreni post-pliocenici ca-
labresi specie tropicali, ma non ba detto come avvenne
l'emigrazione di quelle polo-boreali; 2° che egli ha am-
messo che la trasgressione delle forme polo-boreali sa-
rebbe avvenuta prima di quelle circum-equatoriali o tro-
picali.
Reggio-Calabria, giugno del 1903
ISTITUTO ZOOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA
diretto dal Prof. A. CARRUCCIO
DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
Osservazioni e studio
Comunicati alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma
dal socio VALENTINO BARNABÒ
——___-
In questa mia nota descrivo con maggior ampiezza ed
esattezza alcune osservazioni che ebbi occasione di com-
piere in una serie di dissezioni praticate all’ ospedale di
Santo Spirito in Roma, le quali osservazioni comunicai già
alla Società Zoologica Italiana nella seduta scientifica del
dicembre scorso. Mi mancava allora il tempo necessario per
uno studio accurato come lo richiedono fatti anormali di
tanto interesse, sia dal punto di vista teorico della Morfo-
logia in tutta l'estensione del termine, sia dal punto di
vista pratico per le applicazioni alla Chirurgia. Ma ora
spero non inutile il riesaminare attentamente queste di-
sposizioni anomale, per darne, se mi sarà possibile, un
concetto esatto.
Le anomalie, che più facilmente si sogliono riscon-
trare nelle sale anatomiche, appartengono al decorso e al
comportamento delle arterie e delle vene, oppure al sistema
muscolare; molto più rare invece sono quelle riguar-
danti il decorso dei nervi. E ciò per una ragione scienti-
fica, perchè in quella regione del corpo, dove l individuo
per i varii bisogni e per le applicazioni speciali della vita
ha necessità di compiere uno speciale movimento e in ge-
nere uno speciale lavoro, si sviluppano più robuste le
masse muscolari, e si ha un’ipertrofia e un’ iperplasia, un
aumento cioè notevole non solo nel volume ma anche nel
bi VALENTINO BARNABÒ
numero degli elementi costitutivi. Altrettanto si può dire
per i vasi, che si formano dappertutto dove |’ organismo
li richiede. E mentre queste anomalie, dette perciò acqui-
site, sono le più notevoli, quelle cong?rite, dovute a uno
sviluppo manchevole o irregolare ontogenetico, sono meno
frequenti, ma pur tuttavia abbastanza facili. Per i nervi
invece è tutt'altra cosa, perchè essi servono a narrare la
storia dei territorii innervati. Così un muscolo che, come
ad esempio, il diaframma, si trovava in un periodo dello
sviluppo nel collo e poi per emigrazione inerente allo svi-
luppo si porta al disotto del torace, riceve sempre il suo
nervo dalla regione del collo; e così un viscere, come lo
stomaco, che una volta faceva parte del piano viscerale
del cranio e secondariamente viene a trovarsi nella cavità
addominale, riceve un nervo dal cranio. Ma vi è di più:
il nervo che perciò è costretto a percorrere una via piil
lunga, ha la caratteristica di seguire la strada più corta
per giungere a destinazione, modificandosi naturalmente
nel proprio comportamento a seconda di ciò che incontra
nel suo nuovo cammino, dal qual fatto provengono spe-
cialmente le anomalie. Ho ricordato questo che parrebbe
superfluo, per far notare di quanta maggior importanza
sia lo studio delle anomalie del sistema nervoso periferico
rispetto a quelle degli altri sistemi anatomici. Ed ora passo
senz'altro ad esaminare ciò che ho riscontrato nell’ ospe-
dale di Santo Spirito.
%
xk
In un uomo di masse muscolari molto sviluppate ho
avuto occasione di notare uno speciale comportamento del
nervo chiamato dal Testut genito-crurale, dal Cruveilhier
inguinale interno, dal Sappey e dall’Henle femoro-genitale.
Ed era un comportamento così strano che si notava a
colpo d'occhio ed eccitava la naturale curiosità dell’osser-
vatore.
Come si sa, nei casi normali questo nervo, quarta
branca collaterale del plesso lombare, ultima secondo al-
cuni, penultima secondo il prof. Todaro e secondo altri
è ee Dl
(dae
(Sii
DÌ DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
che considerano come collaterale anche il nervo ottura-
torio, si distacca dal ramo anteriore del II paio di nervi
lombari. Dopo aver perforato il muscolo grande psoas obli-
quamente dall'alto al basso e dall’indietro all’ avanti, sci-
vola lungo la faccia anteriore del muscolo stesso su cui è
tenuta aderente dall’aponevrosi fine e trasparente che vi è
sopra, e quindi, postasi in avanti delle arterie iliaca pri-
mitiva e iliaca esterna, si divide un poco al di sopra del
legamento di Falloppio o ponte di Poupart in due rami
terminali, detti luno ramo geritale o spermatico esterno, e
l’altro ramo crurale, o femorale, o lombo-inguinale. Il primo,
il genitale, si porta nell'uomo verso l'orificio addominale
del canale inguinale, lo percorre e si distribuisce alla pelle
dello scroto dopo aver innervato anche il trasverso, il pic-
colo obliquo e il cremastere suo omologo; nella donna si
porta invece nelle grandi labbra. Il secondo invece, il fe-
morale, incrocia l'arteria circonflessa iliaca, esce dal ba-
cino per il lato esterno del cosiddetto anello crurale, e
arrivato nel triangolo di Scarpa in un piano più superfi-
ciale del triangolo di Velpaux, si distribuisce alla fascia
cribriformis e alla pelle della parte anteriore e superiore
della coscia.
Ma nel caso da me esaminato era tutto ben differente,
perchè il nervo sin dall’ origine era diviso in più rami.
Anzi sulla faccia anteriore del muscolo psoas si notava
come una specie di plesso addirittura formato dalle branche
di questo nervo, tenute in sito dall’ aponevrosi sopra no-
tata, e incrociate superficialmente nel loro insieme, come
nei -casi normali, dal lato posteriore dell’uretere. A formar
questo plesso concorrevano 5 rami che si possono chia-
mare afferenti e un ramo anastomotico dato dal nervo
detto femoro-cutaneo da alcuni, muscolo-cutaneo inferiore
dal Bichat, inguino-cutaneo esterno dallo Chaussier, e in-
guinale esterno dal Cruveilhier. E da questo plesso si di-
partivano 3 rami, che diremo efferenti, a comportamento
del tutto speciale. Ed è bene esaminarli con chiarezza uno
per uno, cominciando dalle branche afferenti.
Il primo ramo afferente, o superiore, perforava il mu-
56 VALENTINO BARNABÒ
scolo in alto e indietro presso al punto in cui si origina
con linguette ed arcate tendinee dai dischi intervertebrali,
e sl portava subito in basso e in avanti lungo la faccia
anteriore del muscolo stesso per anastomizzarsi con un
‘amo speciale fornito dal femoro-cutaneo. Il secondo, il
terzo e il quarto ramo perforavano il muscolo un po’ più
in basso, e dopo un breve tragitto, si fondevano insieme
per costituire un'unica branca, che incrociava ad X la pre-
cedente. Finalmente il quinto ramo non perforava il mu-
scolo, ma appariva subito al di fuori del suo margine in-
terno, che costeggiava fedelmente. Il nervo femoro-cutaneo
poi mandava un ramo, il quale si distaccava dal suo lato
interno, scivolava sul margine esterno del muscolo psoas
e arrivato sulla sua faccia anteriore, si fondeva col primo
ramo afferente del genito-crurale, seguendo una direzione
obliqua dall’alto in basso, dal di dietro in avanti. Ora da
questa specie di plesso che si mostrava come costituito da
tanti cordoni bianchi sulla faccia del muscolo, si diparti-
vano tre rami, di cui due superficiali e uno profondo. Il
primo ramo efferente superficiale era quello costituito, come
abbiam detto, dalla fusione della seconda, terza e quarta
branca afferente; esso si portava in basso e all’ esterno
incrociando ad X la branca efferente profonda, ed arrivato
al di sopra del margine esterno dello psoas, tra questo
muscolo e l’iliaco, si divideva in due rami, uno esterno e
uno interno. Il ramo esterno portandosi appunto all’esterno,
andava verso il nervo femoro-cutaneo, lo incontrava a li-
vello di quella incisura innominata posta tra la spina iliaca
anteriore superiore e la spina iliaca anteriore inferiore, lo
incrociava senza incontrare alcun rapporto intimo con esso,
e portandosi poi più superficialmente in basso, si distri-
buiva alla pelle della regione antero-esterna della coscia
nella parte superiore, e all'infuori del ramo femorale del
nervo femoro-cutaneo. Il ramo interno invece sì portava
direttamente in basso lungo la direzione del margine e-
sterno dello psoas, ma più superficialmente al di fuori
del nervo crurale, e, arrivato all’arcata crurale, si divideva
in due filetti che si distribuivano alla fascia cribriformis
RE” VT,
DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 57
e alla pelle della parte anteriore e superiore della coscia.
Il secondo ramo efferente era invece profondo, e risultava
costituito dal primo ramo efferente e dall’anastomosi del
femoro-cutaneo. Esso seguiva la direzione stessa del ramo
anastomotico, e si portava subito in basso e in den-
tro fino ad incontrare il nervo crurale, branca terminale
del plesso lombare, il quale, seguendo il lato esterno dello
psoas, si immette nella lacuna musculorum all’ esterno
della bandelletta ileo-pettinea. Raggiunto così il lato in-
terno del nervo crurale, dopo essere stato incrociato dal
primo ramo efferente, vi si accollava, restando però da
esso diviso per mezzo di uno straterello di tessuto con-
nettivo, e lo seguiva fino al disotto dell’arcata femorale,
nello strato cellulo-grassoso che separa la fascia iliaca dai
muscoli sottoposti. Quindi abbandonava con un angolo
molto pronunciato il nervo crurale, e si portava all’ in-
terno verso l’orifizio addominale del canale inguinale, in
cui si poneva al lato inferiore del terzo ramo efferente e
si distribuiva al muscolo cremastere e alla pelle dello
scroto. Il terzo ramo efferente superficiale costeggiava fe-
delmente il margine interno del muscolo psoas, passava
sopra all’arteria iliaca esterna, penetrava quindi nel canale
inguinale per l’orificio addominale al di sopra della branca
profonda precedente, e si distribuiva al muscolo trasverso
e al piccolo obliquo addominale.
Da questa particolareggiata descrizione, che mi sono
sforzato di rendere più chiara che ho potuto, pur essendo,
come si vede, complicatissima la disposizione del nervo
genito-crurale in questo soggetto, risulta che il nervo sper-
matico esterno o ramo genitale del genito-crurale era rap-
presentato dal terzo ramo efferente e dal secondo: e che
il ramo crurale era fornito dal primo ramo efferente. Per
rendere quindi più facile la esposizione io proporrei di
chiamare il primo ramo efferente col nome di ramo femo-
rale o crurale diviso in un ramo femorale esterno e in un
femorale interno; di chiamare poi la seconda branca effe-
rente o profonda col nome di genitale inferiore o sperma-
tica esterna inferiore; e finalmente la terza branca eiferente
58 VALENTINO BARNABÒ
col nome di genitale superiore o spermatica esterna superiore.
lutto ciò si può riassumere in questo schema:
r. femorale esterno ) 08Cia (reg. antero-esterna).
br. femorale
(eb) f . . . .
= d . per la fascîa cribriformis
D r. femorale interno Ì 4 ; f
2 f. cutaneo O coscia (reg. anter.-super.)
î
©)
= f. muscolare } cremastere
5 |br. genitale infer. o n. spermatico esterno infer.
èp
| f. cutaneo scroto
4
f. pel muscolo trasverso
br. genitale super. o n. spermatico esterno super.
f. pel piccolo obliquo
Ora una simile disposizione di cose ho cercato anzi
tutto di vedere se fosse fittizia, e a tal uopo ho osservato
accuratamente la formazione del plesso lombale, sfibrando
a brani, come si suol fare, il muscolo psoas stesso; ma
mi è risultato normale del tutto. Ho voluto anche seguire
il comportamento dei varì nervi del plesso nel loro tragitto
e nella loro distribuzione, e anche ciò mi è risultato nor-
male. Ho osservato poi con attenzione il plesso e i nervi
lombari dell’altro lato, ma anche lì ho trovato tutto nor-
male, come pure normale era il comportamento dei mu-
scoli e dei vasi della regione. Infine mi sono accertato se
sì trattasse davvero di anastomosi e di plesso, o di sem-
plice e puro accollamento delle branche, e per quanto ho
votuto osservare collo stiramento meccanico e colla disse-
zione diligente non sono riuscito affatto a separar le fibre
nervose là dove si ricongiungevano. Mi è mancata la pos-
sibilità di fare preparati e sezioni microscopiche per ac-
certarmene ancora meglio, come pure di conservare il
pezzo anatomico nella formalina, chè certo sarebbe stato
interessante poter fare.
Studiando poi il caso e ricercando nei libri disposi-
zioni analoghe a questa, mi è risultato che finora, almeno
per quanto ho potuto consultare, nessuno ha descritto un
fatto simile (1). È ben vero che questi nervi lombari pre-
(1) Chiesi pure a questo proposito il parere del prof. P. Dorello, specialista
nella materia, che sento il dovere di ringraziare anche pubblicamente.
e e Van I E RE E ETTI, IT ET SOL I PETE SI ETRO,
MA e
dle £ de
dh
Pa
DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 59
sentano tanto vario comportamento che neppure tutti gli
anatomici sono d'accordo nella loro descrizione normale;
ma si tratta spesso o di fusione completa dell’un nervo
coll’altro, o di divisione ab initio delle branche normali
di distribuzione, o di rapporti e comportamenti varî delle
singole branche al di fuori specialmente del bacino, alla
radice cioè della coscia. Io stesso ho voluto esaminare
varì soggetti e ne ho esaminati precisamente 16; e in nes-
suno ho ritrovato una simile disposizione. Sullo stesso in-
dividuo anzi, a destra vi era l'anomalia e a sinistra tutto
era normale come ho già detto.
Quale sarà stata ora la ragione per cui si è venuta a
formare quest'anomalia ? È ben difficile porterlo dire, per-
chè non è il caso di pensare alla presenza di arterie o di
“muscoli che abbiano servito a deviare colla loro insolita
o anormale presenza il tragitto del nervo, come si po-
trebbe fare nel caso delle bottoniere nervose dei nervi col-
laterali delle dita della mano, attraverso a cui passano le
arterie emananti dall’arcata palmare superficiale; o come
anche si potrebbe sino a un certo punto dire nel caso della
perforazione o no del muscolo coraco brachiale per mezzo
del nervo perforante del Casserio, nel modo da me de-
scritto in un precedente mio studio.
Una ragione quindi manifesta non si può ritrovare, e
tanto meno si può andar a scandagliare i segreti intimi
della natura, quando i fatti e le deduzioni non riescono a
guidarci su questo scabroso cammino. È perciò da rite-
nere e da concludere che il fatto è degno senza dubbio
di nota, che ha una importanza specialmente per la re-
gione in cui si trovava, e che, per quanto a me consta, è
del tutto nuovo e privo di precedenti descrizioni. Il valore
di un'anomalia nervosa certamente è di molto aumentato
qualora si tratti di variazione o nell'origine o nella inner-
vazione; ma nessuno potrà tuttavia negare un'importanza
a un fatto simile a quello che ho avuto l'occasione di osser-
vare sia per la molteplicità delle divisioni, che per la stra-
nezza di distribuzione nelle branche del nervo stesso. C'è
da aggiungere inoltre ciò che scrivono il Beaunis e il
60 VALENTINO BARNABÒ
Bouchard: « Les fibres nerveuses primitives nen accom-
pliront pas moins chacune leur ròle physiologique spécial ;
mais la manière dont elles gagnent l’organe auquel elles
sont destinées peut varier. C'est ainsi que peuvent s’expli-
quer les résultats différents et contradictoires que les phy-
siologues ont obtenus par la section des troncs nerveux ».
Non è privo di valore perciò il tener sempre conto delle
anomalie dei nervi anche dal punto di vista della fisiologia
e quindi della patologia, qualora si voglia tener poco conto
della sola ricerca anatomica.
x
7, Dr,
Una seconda anomalia venne da me ritrovata nel
plesso sacrale di un altro soggetto maschio. Si sa come
normalmente questo plesso sia formato dall'insieme dei 4
nervi sacrali e dal quinto od ultimo nervo lombare. Esso.
è riunito inoltre mediante importanti anastomosi col plesso
coccigeo ridotto in minimi termini nell'uomo, col simpa-
tico sacrale mediante i rami communicantes, e finalmente
col plesso lombare per mezzo dell’interessante tronco lom-
bo-sacro del Bichat. Alcuni autori anzi, tenendo conto
delle intime connessioni di questi tre plessi, li descrivono
come uno solo col nome di plesso lombo-sacrale, a cui
annettono anche il nervo coccigeo, rudimentale, come ho
detto, nell'uomo per la perdita secondaria del prolunga-
mento caudale della colonna vertebrale. Da ciò risulta che
il vero plesso sacrale a sè, come io ritengo sia bene de-
scrivere isolatamente, seguendo la descrizione del Testut,
giacchè se si volesse tener conto delle anastomosi biso-
gnerebbe descrivere come un unico plesso tutti quelli for-
mati dalle branche viscerali dei nervi spinali, che sono
tutti collegati mediante anastomosi ; che il plesso sacrale,
dico, risulta costituito dalla fusione di 5 rami nervosi.
Questi, che non sono altro che le branche anteriori dei
nervi sacrali, fuoriescono per mezzo dei forami sacrali
anteriori dallo speco vertebrale, dove formano la cauda
equina, e postisi profondamente nel piccolo bacino, costi-
tuiscono il plesso che ha interessanti rapporti. Corrisponde
Sans ienre
DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 61
infatti indietro al muscolo piramidale che lo separa in
un piano più profondo dalla faccia anteriore del sacro ;
in avanti è ricoperto dall’aponevrosi pelvica superiore che
lo separa dai visceri dell’escavazione pelvica tappezzati dal
peritoneo ; in dentro è in rapporto col retto che lo ri-
copre più o meno, rapporto questo interessantissimo per
la diagnosi di compressione dei nervi e di conseguente
paralisi dell’arto inferiore dovuta al soffermarsi delle feci
nell’ampolla rettale, nei casi di stitichezza ostinata, ed è
anche in rapporto col simpatico sacrale; e finalmente
in fuori corrisponde al bordo posteriore dell’elevatore del-
l’ano e ai vasi ipogastrici.
Se noi vogliamo ora renderci un conto esatto del come
questi nervi concorrono a formare il plesso, dobbiamo
aggiungere che la branca anteriore del quinto nervo lombare,
che riceve l’anastomosi già ricordata col plesso soprastante
lombare mediante il nervo lombo-sacro di Bichat, si porta in
basso e in fuori verso la grande incisura sciatica ; la branca
anteriore del primo paio di nervi sacrali si porta pure in
basso e in fuori lungo il bordo superiore del piramidale
per fondersi colla precedente a livello dell’incisura suddetta;
e così pure si comportano le branche anteriori del secondo
e terzo nervo sacrale, l’ultima però decorrendo lungo il
margine inferiore del muscolo piramidale ; finalmente la
branca anteriore del quarto paio sacrale, e ciò c’interessa
essenzialmente nel nostro caso speciale, si divide subito
al di fuori del forame sacrale anteriore in un ramo ascen-
dente per il plesso sacrale, e in un altro discendente, che
si porta come anastomosi verso il plesso sacro-coccigeo.
Il plesso sacrale, formato a questo modo, si presenta sotto
l'aspetto di un vasto triangolo biancastro nervoso, della
massima semplicità rispetto agli altri plessi formati dai
nervi spinali. Il plesso sacro-coccigeo poi è costituito dal
quinto nervo sacrale, dal nervo coccigeo e dal ramo di-
scendente del quarto nervo sacrale.
Questo nel caso normale. Ora io ho ritrovato a Santo
Spirito un individuo il quale presentava il suo plesso sa-
crale costituito da quattro branche solamente, Mancava
62 VALENTINO BARNABÒ
cioè la quarta sacrale totalmente e mancava anche la
quinta che va al plesso sacro-coccigeo di alcuni autori.
Tutto il resto era normale, ossia si aveva normalmente
l’anastomosi lombo-sacra!e, la quinta lombare, la prima,
seconda e terza sacrale; per di più erano normali anche
i rami sia collaterali che terminali che si dipartivano dal
plesso. Vi era anche il nervo coccigeo per il muscolo
ischio-coccigeo, per la pelle della regione coccigea e per
i rametti anastomizzantisi col plesso ipogastrico del sim-
patico. Il plesso sacrale era perciò formato da sole quattro
branche, e il sacro-coccigeo da una soltanto.
Una tale disposizione di cose mi spinse ad osservare
attentamente il modo di comportarsi dell'osso sacro e del
coccige. Tutti e due parevano rudimentali. Il primo infatti
. invece di presentare i soliti quattro forami ne presentava
tre solamente, e il coccige era delle più piccole propor-
zioni, e si vedeva anzi ben distinti soltanto tre pezzi ver-
tebrali, di cui sviluppato proprio era solamente il primo.
Il nervo coccigeo passava anzi nell'interstizio tra il sacro
e il coccige dove suole passare il quinto nervo sacrale. Ma
ho voluto anche osservare il comportamento dei nervi entro
lo speco vertebrale, e per quanto cercassi colla massima
diligenza nell’intricato insieme della cauda equina non son
riuscito a ritrovare altro che tre nervi sacrali e uno coc-
cigeo. L'anomalia del sacro è stata notata anche dal Testut
che dice come « le sacrum peut perdre une de ses pièces
et, dans ce cas, il ne présente naturellement que trois pai-
res de trous antérieurs et trois paires de trous postérieurs.
Avec cette anomalie, la colonne lombaire peut avoir six
vertèbres ou bien conserver sa constitution normale » (Vol.
I, pag. 92). Nel mio caso si trattava appunto di un sacro
che pur mancando di un forame, presentava cinque ver-
tebre, del resto facilmente riconoscibili una dall'altra.
Ora io ho ricercato questa anomalia in tutti quei libri
che mi è riuscito consultare ; soltanto nel Gegenbaur ho
trovato che « la composition des deux plexus qui consti-
tuent ensemble le plexus sacré n'est pas aussi constant
qu'on la indiqué. Les differences qu'ils présentent dèpen-
Pr TO PET
siccdia
vecia dii a scritti lt si
4 Uta Sy vit Vi
DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 63
dent des différences que montre le sacrum dans sa consti-
tution ». Non ho ritrovato altri accenni a un fatto simile.
Io stesso, sopra 19 soggetti esaminati, l’ho notato una sola
volta ; ma su quel soggetto si notava da tutti e due i lati,
sia a destra che a sinistra. È da concludere perciò che una
tale anomalia non è comune a riscontrarsi, come non è
comune neppure quella dell'osso sacrale, e forse non in
tutti i casi in cui questa è stata notata, gli osservatori si
son curati della disposizione del plesso nervoso e del nu-
mero dei nervi.
Una spiegazione di questanomalia è altrettanto facile
a darsi quanto è difficile darne una all’anomalia prece-
dentemente descritta. Evidentemente si tratta qui di un
fenomeno dovuto a un trouble embryogénique, come dicono
i francesi, il quale ha fatto sì che la tardiva ossificazione
e sutura dei pezzi ossei del sacro non avvenisse normal-
mente, e il nervo si è adattato a una simile condizione di
cose. Si sa che verso il quarto mese della vita fetale anche
nelle vertebre sacrali allo stato di cartilagine si presenta
il punto di ossificazione mediano o centrale per il corpo;
che dal quarto al sesto mese compaiono i punti laterali o
neurali della massa apofisaria ; e finalmente che dal quinto
al settimo mese si hanno sulle tre prime vertebre sacrali
i cosiddetti punti costali del sacro per le apofisi trasverse.
A questi punti primitivi seguono i cosiddetti complemen-
tari, e finalmente si ha la sutura dei varii pezzi tra loro,
sutura che non è completa prima dei 25 o 30 anni, e che
nel caso nostro, trattandosi di un uomo di età matura ere
del tutto completata. Riassumendo si ha questo quadro che
io riporto dal Testut (Vol. I, pag. 90):
Points Points
primitifs. complémentaires Tota
fesvertebressacrée <.-) .-. ... . 5 5; 8
2e » » 5 3 8
BO » » 5 3 8
4e » » 8 3 6
d° » » Leo ia 3 3 6
Plus, pour les còtés du sacrum. . . » 4 4
TOTAL 21 19 40
64 VALENTINO BARNABÒ
Non è stato inutile ricordare questi fatti, perchè così
si può intendere con chiarezza maggiore l'anomalia dei
nervi che soggiacciono alla necessità di cose, e si adattano
nel loro comportamento a ciò che trovano fatto per le
ossa. Di qui la naturale assenza di quel nervo che avrebbe
dovuto passare per il quarto forame sacrale, anomalamente
chiuso. Si era quindi fuso completamente col nervo pre-
cedente, oppure le sue fibre si erano ad esso accollate sol-
tanto? Ho già detto che ho ricercato accuratamente nella
cauda equina questi nervi, e non li ho ritrovati. Nel caso
che si fosse trattato di semplice accollamento, certo si è
che esso era talmente intimo, che coi mezzi ordinari della
tecnica di dissezione macroscopica non si poteva riscon-
trare. Forse, facendo dei preparati microscopici di quel
nervo, si avrebbe potuto ritrovare le fibre di due nervi
non fuse ma soltanto accollate. A me mancò anche in questo
caso la possibilità di farlo e me ne rincresce, perchè sarebbe
stato certo interessante: ma propendo nel credere che
sì dovesse trattare di semplice accollamento anzichè di fu-
sione completa delle fibre nervose, disposizione questa più
semplice e più attendibile, dati due fatti: 1° che di solito
suole avvenire che dove due nervi non possono esistere
distinti, si accollano per un tratto del loro cammino, dopo
di che si separano di nuovo senza scambiarsi neppure delle
fibre anastomotiche ; 2° che i nervi viscerali che normal-
mente si distaccano dal plesso sacrale come rami colla-
terali del quarto nervo sacrale, si dipartivano nel mio caso
dal terzo nervo sacrale.
Dunque, concludendo, accollamento del quarto nervo
sacrale col terzo, dovuto all'assenza del quarto forame sa-
crale anteriore. Ma l'assenza anche del quinto nervo sacrale
come si spiega? Il passaggio libero ci sarebbe pure stato
tra il sacro e il coccige; eppure per di là passava soltanto
il nervo coccigeo. Ora a me pare che deva tenersi conto
anzi tutto che già gli ultimi nervi spinali hanno subito
nell'uomo una forte riduzione pel fatto notevole delia scom-
parsa della coda: tant'è vero questo, che qualche volta si
nota un ritorno al primitivo stato di cose e si hanno in-
=-
Pere
di attinenti it
dia
DI DUE RARE ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 65
dividui che presentano più vertebre coccigee e conseguen-
temente più nervi coccigei come dicono il Blanchard, lo
Steinbach, lo Schàffer, lo Schlemm e il Rauber ; e in se-
condo luogo che nel soggetto in discussione tutta la re-
gione aveva subito una notevole riduzione di sviluppo
insolita anzi e anormale. Potrebbe quindi darsi che quello
che io ho chiamato nervo coccigeo altro non fosse che il
quinto sacrale e che l'assenza fosse invece del nervo coc-
cigeo stesso. Io propenderei a credere che questo si avesse
a chiamare proprio nervo coccigeo, tenendo conto della sua
distribuzione assolutamente simile a quella del nervo detto
coccigeo in condizioni normali. D'altra parte si può be-
nissimo pensare, che, dal momento che anche il quinto
nervo sacrale suole dividere la propria distribuzione col
nervo coccigeo stesso e anzi non fa che unirsi a lui dopo
aver ricevuto l’anastomosi del quarto nervo sacrale me-
diante un semplice e piccolo arco a concavità posteriore
riguardante la colonna vertebrale della regione; si può
pensare benissimo, dico, che quel nervo unico risultasse
dai due, il quinto sacrale e il coccigeo. Trattavasi anche
qui di fusione completa delle fibre nervose, oppure di sem-
plice accollamento? Mi pare che sia logico ripeter anche
qui gli s‘essi ragionamenti fatti più sopra per il nervo
precedente, perchè anche qui il caso si presenta perfetta-
mente sotto lo stesso aspetto.
Ma è tempo di concludere. L’anomalia da me notata
all'ospedale di S. Spirito riguarda dunque una riduzione
del numero dei nervi sacrali, che da 5 eran ridotti a 3.
E ciò è da ritenersi come un accollamento dei nervi man-
canti con gli altri presenti, dovuto a una riduzione note-
vole dello sviluppo della regione, e a una analoga di-
sposizione anomala delle ossa. Il fatto non è comune ed
è degno di nota specialmente dal punto di vista dell’A-
natomia, e anche, ritengo, dal punto di vista della Antro-
pologia e della Embriologia Comparata, che possono valer-
sene come un argomento di più per illustrare nell’uomo il
Bollettino della Società Zoologica Italiana di
66 VALENTINO BARNABÒ
fatto ormai indiscusso della riduzione e della scomparsa
della regione della coda,
Roma, aprile 1903,
Libri consultati
1. Barnabò V. — Di tre anomalie muscolari dell'arto toracico. Bollet. Società
Zoologica 1902.
2, Beaumis et Bouchard. — Nouveaux éléments d'anatomie descriptive. Paris,
1894,
3. Blanchard. — L’atavisme chez l'homme. Rev. d’Anthropologie, 1885.
4. Bolk. — Bezieh. zwischen Skelet, Muskulatur und Nerven des Extremitaten,
dargelegt am Beckengiirtel an dessen Muskulatur, so wie am Plexus lumbo-
sacralis. Mor phol. Jahr. ., 1894.
D, Cruveilhier. — Traité d'anatomie descriptive. Paris, 1877.
6. Davidoff. — Ueber die Varietàten des Plexus lumbo-sacralis von Salamandra
maculosa Morphol. Jahrb., 1884.
7. Eisler. — Der Plexus lumbo-sacralis beim Menschen. Abh. d. Naturforsch.
Gesellsch. zu Halle, 1892. i
8. Firbringer. — Zur Lehre von Umbildungen der Nervenplexus-Morphol.
Jahrb., 1879.
9. Gegenbaur C. — Anatomie des Menschen-Leipzig, 1883.
10. — Traité d’'anatomie humaine. Paris, 1889.
ll. Griffin. — Some variaties of the last dorsal and first lumbar nerves, The
Journ. of anat. and Phvysiol., 1891.
12. Henle J. — Handbuch der sy stematischen Anatomie-Brauvenschweig, 1876-79.
13. Holl. — Ueber die Lendennerven. Wien. Jahrb, 1880.
14. Hyrtl. — Trattato di Anatomia dell'Uomo. Milano.
poi oo: und Telgmann. — Die Nervenvarietàten des Menschen. Leipzig,
16. EE — The Morphology of the sacral plexus in Man. Journ. of anat.
8
17. — The origine and distribution of the nerves of the lower Limb.Journ of
anat., 1894.
18. Quain. — Elements of i London, 1893.
19. Rauber. — Anatomie des Menschen. Leipzig, 1903.
20. — Die letzten spinalen Nerven und Ganglien. Morphol. Jahrb., 1877.
21. Romiti. — Trattato di Anatomia dell'Uomo. Milano.
. 22. Ritdinger. — Die Anatomie des Menschlichen Gehirn und Riùckenmarks-
nerven. Stuttgart, 1870.
23. — Topographisch-chirurgische Anatomie des Menschen, Stuttgart, 1878.
24. Ruge. — Verschiebungen in der Endgebieten der Nerven des Plexus lum-
balis der Primaten... Maphol. Jahrb., 18983.
25. Schdffer. — Beitrag zur Aetiologie der Schwanzbildungen beim Menschen.
Arch. f. Anthrop. 1891.
26. Schlemm. — Millers Archiv., 1834.
7. Steinbach. — Die Zahl der Caudalwirbel beim Menschen. Berlin, 1889.
28. Stowel. — The lumbar, the sacral and the coccygeal nerves in the dome-
stic cat. Journ. of comparat. Neurol., vol. I, 1891.
29. Testut L. — Traité d’Anatomie Humaine. Paris 1901.
30. Utschneider. — Die Lendennerven der Affen und des Menschen, Munch,
medicin. Abhandl., 1892,
La MARMARONETTA ANGUSTIROSTRIS (Ménétrier) in Puglia
e
Nota del Socio Prof. GIOVANNI ANGELINI
comunicata alla « Società Zoologica Italiana » con sede in Roma,
L’esemplare di Marmaronetta angustirostris (Ménétr.) che viene
presentata in adunanza, è stata uccisa a Candelaro, 11 miglia di-
stante da Foggia, il 20 maggio dell’anno in corso, 1903: È una
femmina adulta,
La ebbe in pelle ancor fresca il nostro socio sig. Coli, per
la eui cortesia mi è dato mostrarla e parteciparne la cattura.
Com'è noto, l’Anatra marmorizzata abita la Sottoregione Me-
diterranea, estendendosi dalle Canarie all’India: comune nella
Penisola Iberica, è invece in Italia di rara ed accidentale com-
parsa : fu colta però in varie provincie, una volta anche nel Ro-
mano, e ripetutamente in Sicilia. Un numeroso branco di una
cinquantina di individui si stabili nell’estate del 1893 nel celebre
lago di Massaciuccoli (Lucca), dimorandovi dal giugno all'agosto,
e sembra che sì riproducessero.
Dai dati che si avevano, l’Anitra marmorizzata fino a questi
ultimi tempi era ritenuta di una rarità eccezionale in Italia : e,
siccome per le dimensioni e per l’abito non è possibile confon-
derla con altre specie per poco che si faccia attenzione, si è in-
dotti a ritenere che effettivamente pel passato comparisse molto
più di rado. Questo stesso conclude l’Arrigoni nel suo Catalogo
Ornitologico: « Da ciò risulta, egli dice, che la Marmaronetta, ix
altri tempi di comparsa affatto accidentale, ora tendercbbe a farsi
di apparizione irregolare in Italia ».
Un altro caso simile, come credo di aver dimostrato in un re-
cente mio scritto (1), presenta il Nibbio bruno {Milvus korschun
(Gmélin). Ad accertare il fatto è quindi importante tenere esatto
conto delle diverse catture. Perciò piacemi render nota questa
dell’Anatra marmorizzata nelle Puglie, tanto più che si tratta di
una regione, donde questa specie non era stata ancor segnalata.
Roma, giugno 1903.
(1) Sull’aumentata frequenza in Italia del Nibbio bruno — Mîlvus kRorrekun
(GMMELIN), M. migrans BODDAERT — Avicula, Anno VII, N. 67, 68 — Siena,
dulla cattura del DENDROGOPUS LILFORDI (Sharpe & Dressen)
(Picchio a dorso bianco di Lilford) nella provincia di Roma
Comunicazione fatta alla Società Zoologica Italiana
dal socio CHIGI Principe D. FRANCESCO
-—_———_———
Il 23 ottobre 1902 acquistai sul mercato di Roma un
Dendrocopus Lilfordi (Sharpe e Dresser) che era stato
catturato presso Ardea.
È il primo individuo di questa specie còlto nella nostra
provincia ; comparvero però accidentalmente in Italia, a
quanto sembra, altri otto esemplari, quattro cioè in Ligu-
ria, due in Toscana, uno in Piemonte ed uno nelle Marche.
Dal piumaggio perfettamente conservato, grazie alle
cure dell’abile preparatore sig. Coli, nostro consocio, ap-
parisce chiaramente trattarsi di un maschio in completa
livrea di adulto, e credo opportuno darne qui una som-
maria descrizione.
Fronte bianco-sudicia, vertice e occipite neri alla base
delle penne, rossi all'apice, in modo che il colorito del
capo risulta nero fittamente macchiato di rosso-cremisino;
nuca, parte superiore del dorso e sopraccoda nero lucidi;
parte inferiore del dorso e groppone a fasce trasversali
alternate bianche e nere, tutte di eguale larghezza, disposte
in modo da continuare il disegno delle ali; lati della fac-
cia, regione auriculare, gola, petto e parte superiore del-
l'addome bianco-sudici; una larga fascia nera scende dalla
regione auriculare sui lati del gozzo e del petto ; a questa
si unisce un’altra fascia nera che partendo dalla base della
mandibola si dirige obliquamente all'indietro; lati della
parte inferiore del petto e fianchi percorsi da numerose
ed assai appariscenti macchie longitudinali cuneiformi
SULLA CATTURA DEL DENDROCOPUS LILFORDI 69
nere, parte inferiore dell'addome, calzoni e sottocoda rosei
con macchie bruno-grigio-pallide. Remiganti nere con pic-
cole macchie bianche ; timoniere a fasce alternate bianche
e nere con apice isabella rossigno.
bceco/emd7;cala* cn. 14.6". coda “emi 10,5: tarso
cm. 2,2.
Il Dendrocopus Lilfordi fu separato specificamente dal-
l’affine D. leuconotus nel 1871 dai sigg. Sharpe e Dresser
(Ann. Nat. Hist. VII, pag. 436) ed il carattere differenziale
più saliente è l'avere il D. Lilfordi il dorso con fascie al-
ternate bianche e nere come nel D. minor, mentre nel D. leu-
conotus il dorso è completamente bianco, attraversato nella
sua parte superiore da una sola sottile stria nera (1).
Il primo abita, secondo il sig. Sharpe (Hand-List of
Birds, Vol. II, p. 216), il Nord Italia (?), la. Dalmazia, le
Isole Ionie e l'Asia minore; il secondo l'Europa setten-
trionale e centrale, la Siberia, la Mongolia, la Manciuria
e la Corea.
Alcuni autori, fra i quali il nostro egregio consocio
Conte Ettore Arrigoni degli Oddi, considerano il Picchio
a dorso bianco di Lilford come una semplice sottospecie
o forma meridionale del D. leuconotus; a me sembra però
che i caratteri distintivi fra le due forme siano sufficienti
per considerarle come buone specie.
(1) Il Savi nell’ Ornitologia Italiana (Le Monnier, Firenze 1900), Vol. I,
pag. 283, sotto il nome di Picus leuconotus dà un’esatta descrizione del Den-
drocopus Lilfordi.
CLASSIFICAZIONE: DESCRITTIVA: DEI LEPIDOTTERI ITALIANI
COMPILATA
per cura del comm. FORTUNATO ROSTAGNO
Consigliere della « Società Zoologica Italiana »
(Vedi Fasc. IV, V e VI del Vol. III, Serie II, 1902)
_——@+@—&
SezionE VI — TORTRICIDI.
Meglio che Tortricine questa Sezione di Micro Ete-
roceri può chiamarsi delle Tortricidi secondo Rebel, avve-
gnachéè le Tortricine formano una speciale tribù delle
Tortricidi. Questa sezione corrisponde in parte al genere
Tortix di Linneo, nome dato a piccole farfalle, le cui larve
vivono generalmente sulle foglie ripiegate, attorcigliate, ri-
torte e riunite a cartocci all'estremità dei giovani rami.
Le farfalle hanno quasi tutte volo notturno o crepuscolare,
e stanno in riposo durante il giorno applicate sotto le
foglie o sugli steli dei vegetali, però basta una lieve causa
a farle staccare e volare, anche durante il giorno.
Generalmente di piccole dimensioni, alcune sono or-
nate di vivi colori e di macchie madreperlacee o metal-
liche : il loro carattere più appariscente è quello di avere
la costa delie ali anteriori più o meno ornata alla base,
per cui ne risulta per esse, una fisonomia particolare che
le ha fatte chiamare dal Reaumur « farfalle dalle larghe
spalle ». Le antenne, raramente più lunghe del corpo, sono
filiformi nei due sessi, i palpi inferiori e labiali sono sol-
tanto visibili e sporgenti, col primo articolo corto, esile,
alquanto conico, quasi nudo, il secondo articolo molto più
grande, generalmente in massa compressa, qualche volta
fusiforme, sempre guarnito di scaglie e velloso ; il terzo
e l’ultimo articolo corto, cilindroidale, troncato od ottuso,
te
Fe
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N:
DI
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T,
CLASSIF!CAZIONE DESCRITTIVA DEI LEPIDOTTERI ITALIANI 71
quasi sempre nudo ; spiritromba membranosa cortissima,
soventi nulla o invisibile, torace ovale, liscio, talvolta cre-
stato alla base; ali intiere, a tetto più o meno appiattito
nel riposo, le superiori allora nascondenti le inferiori meno
larghe e pieghettate, quelle più o meno armate alla base
ed ordinariamente tagliate quadratamente alla loro estre-
mità, aventi l'apice talvolta ricurvato a mo’ di falce. Zampe
corte, specialmente le anteriori, coscie appiattite, le inter-
medie e posteriori munite ciascuna di quattro spine corte
ed ottuse; addome non sorpassante le ali nello stato di
riposo, cilindro conico, terminato nei maschi da un fiocco
di peli, in punto nelle femmine.
Larve a sedici zampe di uguale lunghezza e tutte pro-
prie alla marcia, aventi il corpo raso o guarnito di peli
corti ed isolati collocati su dei punti bitorzoluti.
Crisalidi coniche, quasi sempre nude, raramente con-
tenute in un guscio.
Più comunemente le Tortricidi trovansi nei giardini,
orti, viali ombrosi dei boschi e più spesso nelle siepi e
spalliere ; generalmente si allontanano poco dal luogo ove
sono sviluppate. La maggior parte si tiene sulle foglie,
qualche specie soltanto sui tronchi delle piante coperte da
licheni, ove il loro colore grigio o verde si confonde con
quello di queste crittogame parassite. Sviluppano dal prin-
cipio della primavera fino al termine dell’autunno, ma
più comunemente in estate. Il loro volo è vivo ma corto
e crepuscolare (1).
Ciò premesso passiamo ad esaminare i vari generi e
specie classificati nelle diverse famiglie nelle quali oggi si
dividono le Tortricidi, secondo le ultime ricerche del Rebel,
famiglie a cui diamo i numeri dal XII al XIV, facendole
precedere da un breve cenno descrittivo, dappoichè per
questi piccoli insetti non possono darsi caratteri assoluti
generali, e per le singole specie rimandiamo le descrizioni
alla parte speciale di questo lavoro.
fia ii im nt
(1) GIRARD, op. cit. pag. 685,
è, “it
12 FORTUNATO ROSTAGNO
——
Trisù MI. — Tortricine - Insetto perfetto. — 1 carat-
teri generali di questa tribù si possono riassumere come
segue : farfalle di media grossezza fra le Tortricidi, corpo
esile, testa assai forte e sulla medesima linea del torace ;
antenne semplici nei due sessi, palpi labiali spessi, il se-
condo articolo molto guarnito di scaglie ed a forma Hdi
mazza o pera allungata, il terzo quasi conico, spiritromba
molto corta, quasi nulla, ali superiori terminate quadra-
tamente, talvolta leggermente curvate al loro vertice.
Larve. Essenzialmente arrotolatrici delle foglie degli
alberi, alberelli e piante basse ; vivaci quanto timorose :
alla minima scossa della pianta che esse abitano si veg-
gono fuggire con grande agilità dal loro cartoccio e restare
sospese alla estremità di un filo che si allunga a misura
che esse si allontanano dalla loro dimora e che loro serve
per risalirvi allorchè credono passato il pericolo. Vi sono
larve arrotolatrici quasi in tutte le piante, però . più co-
muni si trovano sulle quercie e sugli olmi, specie nella
prima quindicina di maggio. Quasi tutte sono dannose
alle piante, basti citare la Oenophthira Pilleriana, cono-
sciuta più comunemente sotto il nome volgare di Pirale
della vite. In questa tribù il Rebel colloca i seguenti quat-
tordici generi per l Italia : Acalla (Hb. 1818), Meyr (Teras.
Tr. 1829), Rhacodia Hb.), Amphisa Curt. 1828 (Philedone
Hb. Meyr), Dichelia Gn. 1845 (Hastula Mill. Epagoge Hb.
Meyr), Capua Stph. 1834, Oenophthira (Dup. 1844, (Oenectra
Gn. Sparganothis Hub. Meyr), Cacoecia Hb. 1818, Pandemis
Hb. 1818, Eulia Hb. 1818 (Lophoderus Stph. 1829), Tortrix
L. Meyr (Heterognomon Ld), Enephasia Curt 1826 (Scia-
phila Tr. 1830), Sphaleroptera Gn. 1845, Doloploca Hb. 1818,
Cheimatophila Stph. 1829, Anisotaenia Stph. 1829 (Istorias
Meyr 1895, Olindia Gn.) (1).
Il Curò nel suo catalogo porta il genere Acalla sotto
il nome di Teras; il genere Rhacodia Hb., dal Rebel com-
preso nel genere Acalla ; non porta il genere Amphisa che
comprende nel genere Tortrix non conservando la suddi-
(1) STAUDINGER; Op. cit., vol. 2° pag. 79 a 93.
- PESO
CLASSIFICAZIONE DESCRITTIVA DEI LEPIDOTTERI ITALIANI 73
visione accennata dal Wocke nel precedente catalogo Stan-
dinger ; comprende pure nel genere Tortrix i generi Di-
chelia e Capua; non porta il genere Oenophthira, che a
noi risulta esser proprio dell'Italia.
Comprende nel genere Tortrix i generi Cacoccia, Pan-
demis, Eulia; porta i generi Tortrix, Cnephasia, sotto il
nome di Sciapila, Sphaleroptera, Doloploca, Cheimatophila,
Anisotaenia, sotto il nome di Olindia (1).
Noi conserviamo nella nostra classificazione i generi
suaccennati secondo Rebel.
Trigù XII. — Conchyline (Faloniine) - Insetto perfetto
— Anche fra le Conchyline troviamo insetti come il ge-
nere Conchylis, dannosi ai vigneti. I caratteri generali di
questa tribù possono riassumersi in linea generale come
segue : antenne semplici nei due sessi, palpi folti e senza
articoli distinti; spiritromba appena visibile o nulla, ali
anteriori strette, allungate, terminate obliquamente, aventi
la costa quasi dritta, il corpo lungo ed esile. La maggior
parte di queste farfalle, specie del genere Conchylis, hanno
per carattere comune un aspetto più o meno lucente, come
madraperlaceo, e le loro ali anteriori attraversate obliqua-
mente da una o due striscie brune.
Larve: alquanto simili a quelle della Pirale della vite
sviluppano generalmente nel maggio.
Crisalidi: racchiuse in bozzoli di seta generalmente
situati entro i grani della vite (2).
Appartengono alla tribù delle Conchyline, secondo
Rebel, i seguenti quattro generi per l'Italia: Lozopera
(Stph. 1829) rappresentato da alcune specie nell’Italia in-
sulare;; Conchylis (Tr. 1829 Ld. - Phalonia Hb. Meyerì.),
Euxanthis (Hb. 1818 - Meyr), Phtheochroa (Stph. 1829 -
Commophila, Hb. Meyr) (3).
Il Curò non fa la distinzione delle Tortricidi in Tribù
(1) CuRrò op. cit. Fasc. XII, pagg. 153, 161, 157, 159, 156, 162, 164, 165.
(2) GIRARD, Op. cit. pag. 704 e seg,
(3) STAUDINGER, Op. cit. vol. 2 pag. 94 a 101,
74 FORTUNATO ROSTAGNÒ
non porta il genere Lozopera, secondo la precedente edi-
zione dello Staudinger, comprende qualche specie nel ge-
nere Cochylis, secondo Treitschke (1829) ora dal Rebel de-
nominato Conchylis (1).
Porta il genere Conchylis sotto la denominazione di
Cochylis Tr.: non porta il genere Euxanthis, comprenden-
done alcune specie nel genere Cochylis; porta il genere
Phtheochroa.
Noi seguiamo l'ultima classificazione del Rebel, sopra
accennata, conservando cioè nella tribù delle Conchyline
i quattro generi: Lozopera, Conchylis, Euxanthis, Phtheo-
chroa.
— Trigù XIV. — Olethreutine - (Grapholitine) - Insetto
perfetto. — In genere a questa tribù sono da attribuirsi i
caratteri del genere Grapholitha ; diciamo in genere per-
chè nella tribù stessa sono oggimai classificate molte specie
varie gia appartenenti alla specie Tortrix e Tinea di Linneo
e Pyralis di Fabricius, per cui riuscirebbe difficile lo sta-
bilire dei caratteri decisi comuni a tutti i generi collocati
nella tribù ; in ogni modo può dirsi che queste farfalle di
piccole dimensioni hanno la spiritromba nulla od assai
corta, le antenne filiformi nei due sessi; i palpi molto vel-
losi specie nel secondo articolo quando è distinto, scuri-
formi, le ali superiori strette col vertice talvolta un po’
curvo e talvolta alquanto eurva tutta la costola nella sua
lunghezza, portanti alla estremità inferiore in molte specie
uno scudo che presenta varie striscie longitudinali me-
talliche.
Larve: viventi o tra le foglie che riuniscono con fila-
menti di seta ove alcune si metamorfosano, mentre altre
si trasformano in un tessuto solido rivestito di terra, o
sotto le scorze degli alberi.
Crisalidi: sviluppantesi in farfalle generalmente nel
giugno o luglio dell’anno seguente. (2)
A I
(1) Curò, op. cit. fasc. XII, pag. 165 a I70.
(2) GIRARD, Op. cit. pag. 707 e seg.
Vieat__ È
]
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i
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CLASSIFICAZIONE DESCRITTIVA DEI LEPIDOTTERI ITALIANI 75
Il Rebel colloca nella tribù delle Olethreutine i se-
guenti ventiquattro generi: Evetria Hb. 1818 (Retinia Gn,
1845), Olethreutes Hb. 1818 (Penthina Tr. -Sericoris Tr.),
Polychrosis - Rag. 1894 (Eudemis Wck. Cat. ed II), Lobesia
iniS4S45, Exrartema.. Clem.,1870 (Eccopsis Ld [non Z))
Acroclita Ld. 1859 (Sardegna), Crocidosema Z 1847 (Corsica,
Sicilia), Steganoptycha Stph. 1829 (Enarmonia [|Hb.] -
Meyr), Gypsonoma Meyr. 1895, Pelatea Gn. 1845, Rhyacionia
(Hb. 1818) Hs, Bactra Stph. 1829( Aphelia Curt. [non Hb)
Semasia Stph. 1829-HS, Notocelia Hb. 1818-Meyr, (Aspis
Tr.), Pygolopha Ld. 1859 (Sicilia), Epiblema Hb. 1818 (Pae-
disca Tr. Alpi, Corsica, Sicilia), Grapholitha Tr. 1829 - Hein.
(Laspeyresia |Hb.] Meyr. - Captoloma Ld.), Pamene Hb.
1818 (Phthoroblastis Ld.), Tmetocera Ld. 1859, Carpocapsa
Tr. 1829, Ancylis Hb. 1818 (Phoxopteryx Tr.), Ropobota
Ld. 1859, Dichrorampha Gn. 1845 (Hemimene |Hb] Meyr.),
pEipopihyca Ld. 1859 (1).
Il Curò nel suo catalogo porta i seguenti generi: Re-
tinta Gn. che il Rebel dà sotto il nome di Evetria Hb.,
Penthina Tr. che il Rebel dà sotto il nome di Olethreutes
Hb, Eudemis Hb. che il Rebel dà sotto il nome di Poly-
. chrosis Rag., Lobesia, dato pure dal Rebel, Eccopsis Z., dato
dal Rebel sotto il nome di Exartema Clem, Acroclita, Ld.,
Crocidosema Z, Steganopthycha HS. Rhyacionia HS, Phygo-
lopha Ld., Grapholitha Tr., Tmetocera Ld., Carpocapsa Tr.,
Rhopobota Ld., Dichrorampha Gn., generi tutti portati pure
dal Rebel: dà pure i generi: Petalea Gn. dato dal Rebel
sotto il nome di Pelatea Gm., Aphelia Stph., dato dal Rebel
| sotto il nome di Bactra sStph., Aspis Tr. dato dal Rebel
sotto il nome di Notocelia Hb. Captoloma Ld. e dato dal
Rebel sotto il nome di Grapholitha Tr., Phthoroblastis Ld.
dato dal Rebel sotto il nome di Pamene Hb., Phoxopterya
Tr., dato dal Rebel sotto il nome di Ancylis Hb. Non porta
in fine il Curò i generi Gypsonoma Meyr, Epiblema Hb., Se-
masia Stph. Lipotycha Ld. ormai dati con certezza per
(1) STANDIGER op. cit. vol. 2, pag. da 103 a 127,
Î6 FORTUNATO ROSTAGNO
l’Italia dal Rebel, per cui noi ci atteniamo in questa clas-
sificazione alla ultima del Rebel (1).
Genere 1 —- Acalla(Teras-Rhacodia)
» II — Amphisa (Philedone)
» II — Dichelia (Hastula Epagoge)
» IV — Capua
» V — Oenophthira (Oenectra-Sparga-
nothis)
» VI — Cacoecia
TRIBÙ » VII — Pandemis
ì Tortricine » VIII — Eulia (Lophoderus)
» IX — Tortrix (Heterognomo n}
» X — Cnephasia (Sciaphila)
» XI — Sphaleroptera
» XII — Doloploca
» XIII — Cheimatophila
» XIV — Anisotaenia (Istorias-Olindia)
Genere I — Lozopera
TRIBÙ » lI — Conchylis (Phalonia)
Conchyline » II — Euxanthis
» IV — Phtheochroa (Commophila)
Genere I — Evetria (Retinia)
» II — Olethreutes{Penthina Sericores)
» II — Polychrosis (Eudemis)
Tortricidi \ » IV — Lobesia
| » VV — Exartema (Eccopsis)
» VI— Acroclita
» VII — Crocidosema
» VIII — Steganoptycha (Enarmonia)
» IX — Gypsonoma
» X — Pelatea
» XI — Ahyacionia
TRIBÙ » XII — Bactra (Aphelia)
» XIHI — Semasia
» XIV — Notocetlia aa
» XV — Pygolopha
» XVI — Epiblema (Paedisca)
» XVII — Graphotlitha (Laspeyresia-Co-
ptoloma)
» XVIII — Pamene (Phthoroblastis)
» XIX — Tmetocera
» XX — Carpocapsa
» XXI — Ancylis (Phoxopteryx)
» XXII — ARhopobota
» XXIII — Dichrorampha (Hemimene)
» XXIV — Lipopthycha.
SEZIONE VI )
Legione II — Eteroceri
Divisione II — Microeteroceri
Olethreutine
(1) Curò, op. cit. vol, XII pag. 171 a 191.
Sui caratteri morfologici che distinguono un Siluro proteropodo del
genere RHINELEPIS, e cenno sulle forme principali della
Fam. Siluridae, di recente introdotte nel Museo.
Comunicazione del Prof. ANTONIO CARRUCCIO
alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma
Avendo dovuto ristudiare diverse. forme interessanti
di pesci introdotti sotto la mia direzione nel Museo, di-
sposti in una delle tre distinte collezioni ittiologiche, ge-
nerale, romana e didattica, pur da me instituita, mi tornò
sotto gli occhi un esemplare appartenente alla ricchissima
raccolta portata in dono nella Capitale dal valoroso e be-
nemerito comandante della R. Marina, Comm. Carlo de
Amezaga, dopo il suo lungo viaggio di circumnavigazione
colla Caracciolo, durato oltre un triennio.
L’esemplare di questa specie, singolarissima fra i pesci
per la sua conformazione, specie mancante affatto al no-
stro Museo, non potè esser determinato dalla persona cui
nei passati anni ripetutamente ne avevo affidato l'incarico.
Trasportata e riordinata in altra sala anche la colle-
zione generale ittiologica, ripresi in speciale esame tanto
l'ordine dei Plectognathi, su’ quali spero di riferirvi appena
tempo ed opportunità me lo consentano, quanto l’ ordine
dei Physostomi, e particolarmente della fam. Siuridae. Dirò
in passando che prima del 1884 queste forme di pesci (e
vo’ dire precisamente dei Plettognati e dei Siluridi) erano
appena rappresentati da 5 o 6 esemplari. E ricordo con
piacere che le specie di Malepterurus, Clarias e Silurus, le
prime ad aversi, furono quelle donate dall’illustre Profes-
ANTONIO CARRUCCIO
#
sore Paolo Panceri dopo il suo proficuo viaggio fatto in
Egitto.
Confesso che non mi fu facile, mancando di ogni ter-
mine di confronto, di precisare il genere e la specie cui
dovevo riferire il notevole esemplare sempre indeterminato,
introdotto in Museo, come dissi, colla collezione donata dal
compianto contrammiraglio de Amezaga. Ma, insistendo,
potei venire a capo TO diagnosi generica e specifica, evi-
tando di mandarlo più o meno lontano, come a taluno
pareva necessario. E confesso pure sinceramente che quando
si tratta di oggetti donati ed unici, ho avuto sempre suf-
ficiente ritrosìia per non esporli a lunghi viaggi.....
Lo studio intrapreso mi permise di rivedere le forme
appartenenti alla Fam. Siuridae, che un po’ per volta son
riuscito ad introdurre nella collezione ittiologica, già co-
tanto meschina ; e credo dover mio darne un cenno e mo-
strarvele.
Epperò, onde vi torni più facile e comoda la cono-
scenza, ho fatto trasportare in questaula un buon numero
di esemplari sul totale di oltre 409, appartenenti alle 6
sotto-famiglie denominate ed ammesse dal Ginther. 1 ge-
neri che ho finora studiato sono in numero di 12, e le
specie sono circa una ventina.
Nella :1* sotto-famiglia — SiHuridae Homalopterae -—
vedete parecchi individui del gen. Clarias Gronov., colle 2
specie C/. magna Ham. Buch. di Giava (1) e CI. lazera Cuv.
et Val. (2)
A TE di questa 2° specie farò nota ai consoci
una curiosa particolarità fisiologica osservata dal Dottor
Suard, medico della Marina francese nel Senegal, narrata
e commentata nel 1895 dall'illustre prof. Leon Vaillant, e
che in nessun'opera ittiologica moderna trovo ricordata.
Il Dott. Suard essendosi dovuto recare a Nioro, a Nord
del Sudan, e a 800 Km. dalle coste, trovò che le acque in
cui normalmente vivono gli Harmouths, cioè i Clarias la-
(1) Viaggio del Dott. Odoardo Beccari. D. Museo Civico di St. Nat. di Genova,
(2) Idem del compianto amico e collega prof. P. Panceri,
SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO 79
zera, eransi evaporate. Tutti gl’individui di questa specie
si trovavano infossati nel fango come usano fare i Pro-
topterus annectens (Dipnoi), ma comportandosi in altra
guisa, perchè questi ultimi si formano dattorno uno spe-
ciale inviluppo, nel quale passivamente stanno durante
l’intiero periodo estivo, senza mai allontanarsene. All’op-
posto i Clarias lazera si ricoverano sì nel fango, durante
le ore calde del giorno, ma di notte quasi strisciando
sul suolo — si avanzano, riescendo a raggiungere distanze
varie, finchè trovano il necessario nutrimento.
Questo è fornito da semi di una pianta coltivata da-
gl'indigeni per l’ordinaria loro alimentazione. Il Dott. Suard
raccoise molti esemplari vivi di Clarias lazera e li tenne
in schiavitù durante il suo soggiorno a Nioro, collocandoli
dentro una cassa metallica di grandi dimensioni e nutren-
doli con grani di miglio. Egli ebbe sempre la precauzione
di chiuder bene la cassa di notte, avendo osservato che
appena questa sopraggiungeva, i pesci con grande pron-
tezza sì adoperavano per uscire dalla prigione « pour ga-
gner la campagne » come ripete il prof. Vaillant. Il quale
opportunamente richiama alla memoria le ricerche di Ste-
fano Geoffroy St.-Hilaire, dimostranti che i Clarias al pari
degli Heterobranchus posseggono organi speciali ricchi di
ramificazioni sanguigne posti presso le branchie; ed egli
aveva riconosciuto che grazie a tali organi l’Helerobranchus
bidorsalis, siluroideo che come sappiamo si trova nel Nilo,
può vivere per molti giorni fuori dell’acqua senza soffrire.
Questo fatto non mancai, dopo il 1895 in cui lo lessi,
di rammentarlo ai miei allievi nelle lezioni sui Pesci, come
anche a voi, egregi consoci, parmi non dispiacerà di ap-
prenderlo. E benissimo intendete che gl’individui di questa
invero curiosa specie possano non soltanto, durante il
lungo periodo di grande siccità, sostituire la respirazione
acquatica con una prolungata respirazione aerea, ma deb-
bano considerarsi quali pesci a regime granivoro. Ecco,
come bene osserva il prof. Vaillant, altro fatto insolito in
questa categoria di animali.
Chiudendo la parentesi proseguo l’enumerazione delle
80 ANTONIO CARRUCCIO
specie di Siluroidei possedute dal Museo, appartenenti alla
già citata sotto-fam. dei Siluroidei omalotteri, e vi presento
il gen. Plotosus Lacep., rappresentato dal PI. anguillaris BI,
di Amboina, pure raccolto dal benemerito Beccari, e che
ricevetti dal Museo Civ. di St. Nat. di (renova.
S. Fam. StHuridae Heteropterae. Di questa presento il
gen. Schilbe Blkr. colla spec. nilotica Sch. myxtus Cuv. et
Val. (SHurus mystus L.) pur donata dal prof. Panceri; e il
gen. Siluranodon B.kr. colla sp. S. auritus Geoffroy pure
del Nilo, e donata dall’ istesso Panceri.
Della S. Fam. Siuridae Proteropterae possediamo specie
appartenenti a 7 generi diversi, cioè : Bagrus Blkr., Ma-
crones Dum., Auchenaspis Blkr., Pimelodus Gthr., Arius Gthr.
ecc: Del ‘1°;gen. presento‘ le ‘dure specie nitotehesgpaeo
avute in dono dal Panceri, cioè il Bagrus bayad Forsk.,
ed il B. docmac Forsk.
Del gen. Macrones Dum. possediamo il M. MHoevenii
Blkr. (vel M. nemurus Cuv. et. Val.) della quale specie il
celebre Giinther scrive : « differs scarsely from B. nemurus
in having the body a little more slender, the hoad a little
shorter, and the occipital process rather more distincet. »
Del gen. Auchenaspis Blkr. avete sott'occhio la specie
denominata A. biscutatus Geoffr. (Pimelodus. biscutatus
Geoffr.) ; e del gen. Pimelodus Gthr. p. d. mi basti oggi
presentarvi il P. maculatus Lacep., portato colla Caracciolo
dal comand. de Amezaga, e vivente nel Brasile e nel Su-
rinam.
Importante è la specie del gen. Arius Gthr. denomi-
nata A. microcophalus Blkr.; la quale fu portata da Sa-
rawak (Borneo) dal Beccari (Mus. Civ. di St. Nat. Gen.)
L’esemplare tipico di cui parla il Gimther lo ebbe pel
Museo di Londra dall’istesso dott. Bleeker (1 ce. p. 170)
preso a Bandjermasin.
S. Fam. Siurid ie Stenobranchiae. Di quest'altra sotto
famiglia posso presentare i 2 generi, Synodontis Cuv. et Val.
Malapterurus Lacép.
Del 1° gen. possediamo le 2 spec. Syn. serratus Rùpp.
e Syn. schal Schn., entrambe del Nilo e donate dal prof,
Panceri,
e eg mi
a
SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO 81
Del 2° gen., pure nilotico, ch'è il Malapterurus, abbia-
mo presenti parecchi esemplari, che fanno parte della
collezione generale e della didattica, e precisamente del
M. electricus Gm. E dico precisamente perchè dal Murray
e dal Giinther vennero descritte altre due specie del Ca-
labar, una col nome di M. beninensis e Valtra di M. affinis,
Dell’ultima S. Fam. Siluridae proteropodes, come la
chiama il Ginther, possediamo i generi Chaetostomus Hach.
e Rhinelepis Spix. Il gen. Chaetostomus potè esser rappre-
sentato nel nostro Museo grazie alla gentilezza del prof.
L. Balzan, dal quale nel 1889 ebbi tre esemplari di Ch.
cirrhosus Val., presi verso l’Assuncion, capitale del Para-
guay, e quindi nel bacino del Rio de la Plata.
Il 4° genere or ora menzionato è il hinelepis colla
specie denominata da Cuv. e Val. RA. strigosa, che mi
compiaccio di presentarvi preparata a secco in ottimo stato
di conservazione.
Dissi già che l'esemplare faceva parte del copioso ma-
teriale scientifico portato a bordo dalla R. Pirocorvetta la
Caracciolo, comandante de Amezaga.
Anche nei principali Musei Zoologici in cui si conser-
‘ vano grandiose collezioni ittiologiche, e quindi moltissime
forme di Siluroidi, sembra siano scarsamente rappresentate
quelle proprie al gen. Rhinelepis, ch'è esclusivo all’Ame-
rica del Sud. Vero è che le specie annoverate nel gen. me-
desimo sono pochissime, anzi da taluno fra i più compe-
tenti scrittori vengono ridotte ad una, o a due soltanto.
Il Cuvier e Valenciennes che primi descrissero la RA.
strigosa sovra un unico esemplare lungo 13 pollici, avuto
dal celebre d’Orbigny, ammisero altre 3 specie, cioè la RA.
aspera Spix, la RA. genibarbis Cuv. et Val., la RA. histrix
o Loricaria histrix Vandelli, e la RA. acanthicus o Acan-
thicus histrix Spix. Ma il Giinther nel suo Catalogue of
the Fishes in the British Museum si limita ad annoverare
nel gen. Rhinelepis p. d. la sola RA. strigosa, facendo
rientrare le altre 3 specie nel gen. Acanthicus; anzi non
ammette come specie distinta il RA. Acanthicus Cuv. et
Val. scrivendo — fra altro — quanto segue: « This species
Bollettino della Società Zoologica Italiana 6.
82 ANTONIO CARRUCCIO
is founded, at present, on the single typical specimen in
the Museum at Munich, it is stuffed, and said to be in a
bad state of preservation. Kner after an examination
of this specimen, asserts that the absence of the second
dorsal fin is merely accidental, and, therefore, that it
would belong to Chotfostomus (according to our definition
of that genus).
Scrittori contemporanei o posteriori al Ginther, quali
il Bleecher, Bocourt, Day, Kner, Peters, Steindachner, Vail
lant ed altri, o non poterono annoverare un maggior nu-
mero di specie nel gen. in discorso o ne tacquero affatto ;
e l’istesso Giinther in parecchie larghe recensioni che pub-
blicò in diversi volumi del 4oological Record conferma
quanto scrisse nel 1864 a pag. 253, del vol. V del suo re-
putato Catalogo, o ben poco vi aggiunge.
Il nostro esemplare proviene dal Brasile, e propria-
mente dal Paranà ; ed anche l'esemplare che ebbero in Pa-
rigi per mezzo del d’Orbigny, fu preso nel Paranà, come
affermano Cuvier e Valenciennes. Però secondo l’ istesso
d’Orbigny si troverebbe questo gen. anche « dans d’autres
riviéres de la province de Corrientes, surtout dans les pe-
tites, à fonds sablonneux. »
Volendo trovare indicazioni più precise, lessi, fra gli
altri lavori ittiologici più recenti, quello del dott. Emilio
Goeldi sui Pesci delle Valli delle Amazzoni e della Gujana,
credendo che in queste altre regioni dell'America del sud,
potesse trovarsi il gen. IAinelepis. Il Goeldi però annovera
36 specie diverse ripartite in 17 generi, ma nessuna però
appartiene al gen. predetto, che neppure cita. Col nome
di Rhinelepis aspera Sp. lo trovo citato invece da Chr.
Litken nella Enumeratio pisciun flumen Rio das Velkas
et lacum Lagoa Santa qui dicuntur rivulosque vicinos habi-
tantium (pag. 143).
Premesse queste notizie sommarie, passo alla descri-
zione del nostro esemplare, la quale darò esatta e precisa.
Ciò credo opportuno di fare perchè il Giinther altro non
fa che darne il solo nome in una noterella, dopo di aver
riassunto i caratteri del genere; e della spec. RAinelepis a-
SUI CARATTERI MORFOLOGICI DI UN SILURO. 83
spera si limita a dire pochissime parole sull'origine della
pinna dorsale. Anche la descrizione data dal Cuvier e
Valenciennes, fosse la migliore che io abbia trovata, non es-
sendo completa, mi ha indotto a ristudiare diligentemente
la specie.
Lo. Spix ed Agassiz ebbero piena ragione di separare
dalle Loricarie propriamente dette i Rinelepidi, perchè
questi ultimi — come suona la parola composta (risultante
da due vocaboli greci, che tradotti suonano /ma e scaglia)
hanno il loro rivestimento cutaneo formato da una serie
non interrotta di piastre che possono rassomigliarsi ad
altrettante piccole linee appiattite, di varia dimensione e
forma, ma per lo più sono triangolari, col lato maggiore
rivolto all'indietro. La superficie esterna del corpo non
solo è ben corazzata, ma è sì aspra e ruvida che dà alla
mano esploratrice la sensazione quasi di una raspa a
punte finissime. e penetranti, sensazione che non si può
più a lungo tollerare se la stessa mano trascorre pa-
recchie volte in senso inverso alla direzione delle innu-
merevoli puntine aguzze pungenti su tutte le piastre:
queste poi offrono una disposizione press’ a poco embricata.
In breve si verifica quanto ci accade soffregando la pelle
zigrinata della Centrina Salviani, o di altra specie di Selaci.
Altri caratteri morfologici notevoli, che vi prego di
osservare, si hanno : nella forma e sede della bocca, ch'è
posta sotto almuso ; nella curiosa conformazione dei denti,
lunghi, assai esili, flessibili, unciniformi all’apice ; nei raggi
spinosi, grossi, che possono rassomigliarsi a piccole raspe
tondeggianti, uno posto al davanti dell'unica pinna dor-
sale, un altro proprio a ciascuna pinna toracica, e così per le
altre come dirò in seguito.
Ritengo che questo esemplare appartenga a un indi-
viduo perfettamente adulto: misurandolo otteniamo una
lungh. tot. di 46 cm. — L’esemplare misurato dagli autori
dell’ Histoire naturelle des Poissons, quello cioè portato dal
d’Orbigny a Parigi, era lungo 13 pollici.
La lunghezza della testa, — misurando naturalmente
dall’apice del muso fino al centro della linea basilare for-
ni
Bollettino della Società Zoologica Italiana 7,
84 ANTONIO CARRUCCIO
mata dallo scudo cefalico, — è di 14 cm. Il muso misu-
rato isolatamente è lungo quasi 10 cm.
Gli occhi sono rotondi e piccoli, avendo appena un
diametro di $ mm.: sono distanti l'uno dall'altro 6 cm.
e 172, e dall'apice del muso $ cm. e 172;,e da: clascuma
narice, posta in sul davanti, distano 2 cm.
Queste narici, che oltre di trovarsi situate più ante-
riormente stanno anche alquanto più all’interno degli oc-
chi;- distano l'una dall’altra‘4.cm.
Sulla testa le piastrine dure e rugose, di diversa gran-
dezza, formano una specie di scudo, ma si distingue nella
maggioranza delle medesime la forma poligonale ; le sette
posteriori sono le più grandi. Delle tre ultime la mediana
rassomiglia quasi ad una fogliolina sostenuta dal suo pic-
ciuolo, a motivo del prolungamento posteriore ch’essa pre-
senta. Le altre due laterali sono simmetriche ed hanno
una forma quasi ovalare, e sono anche le più evidenti.
Tutte poi queste piastrine formanti lo scudo cefalico stanno
intimamente a contatto fra loro coi rispettivi margini.
La testa, lasciando la parte che forma il muso, il quale
è leggermente convesso, si presenta quasi affatto piana nel
mezzo, ed offre la sua maggior larghezza nella linea oculare.
Le piastrine sopracefaliche che stanno al davanti delle
narici sono le più piccole; esse sono più regolarmente
aggruppate e strette fra loro, e talune esagonali sì spingono
fin verso l'apice del muso. Questo però è coperto da pia-
strine ancor più piccole e numerosissime, formanti una
specie di pavimento consimile a quello che osservasi sulla
faccia ventrale, cominciando però sotto le pinne toraciche
per venire alle ventrali, e dagli angoli posteriori ed interni
degli opercoli, fin presso la pinna anale.
(Continua).
:
Riviste Bibliografiche
I
L'ATLANTE ORNITOLOGICO
del Conte Professore ETTORE ARRIGONI DEGLI ODDI
Recensione del socio prof. GIOVANNI ANGELINI
presentata alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma
Nell'estate scorsa comparve in Italia un libro destinato a se-
gnare un passo importante nel progresso della Ornitologia europea.
Questo è l'Atlante Ornitologico del Conte Prof. Arrigoni degli
Oddi.
Sugli uccelli d'Europa in generale si aveva qualche altro la-
voro recente, ma straniero : la grande e splendida opera illustrata
del Dresser « The Birds of Europe » in nove volumi (London,
1871-1896) costosa e alla portata di pochi in Italia; l’opera pure
illustrata dell’Arnold « Die Vigel Europas » (Stuttgart 1897) più
economica e popolare, ma in una lingua accessibile a pochi ita-
liani; e il Catalogo del Noble « A List of European Birds ».
(London 1898).
In Italia l’ultimo iavoro di Ornitologia generale italiana era
l’Ornitologia Marchigiana del Gasparini (Fano 12914) la quale, ad
onta del suo titolo regionale, tratta di tutti gli uccelli italiani;
libro pregevole e poco costoso, ma che, per essere una compila-
zione fatta specialmente sui libri, ha il diffetto di non porre sem-
pre in evidenza nelle brevi diagnosi delle specie i caratteri dif-
ferenziali più importanti. L’Elenco degli Uccelli Italian: del Sal-
vadori (Genova 1887) e l’Avifauna Italica del Giglioli (Firenze
1886) col Primo Resoconto dell'Inchiesta Ornitologica in Italia (Fi-
renze 1889-91) sono importanti lavori, ma non hanno descrizioni
di specie: bisogna risalire a circa trent'anni addietro, alla pub-
blicazione dell’Ormitologia Italiana del Savi (Firenze 1873-77) e
della Fauna d’Italia del Salvadori, Parte II, Uccelli (Milano 1872)
86 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE
per trovare due opere descrittive generali intorno agli uccelli
italiani. Ma questi due lavori, importantissimi per l’ep ca in cui
comparvero, risultano oggi necessariamente incompleti, e non più
al corrente col tempo : inoltre l’opera del Salvadori, la più esatta,
è da un pezzo esaurita: quella del Savi, opera postuma, oltre
alle lacune, non è scevra d’inesattezze. Ne fu fatta recentemente
una ristampa, ma è a lamentare che sia stata riprodotta tale
quale, senza apportarvi quelle correzioni ed aggiunte, che avreb-
bero potuto mettere questo classico libro al corrente colle odierne
cognizioni sugli uccelli italiani, analogamente a quanto è stato
fatto in Inghilterra per le varie edizioni dell’ History of British
Birds del Farrell, e si sta facendo ora anche in Germania per la
Naturgeschichte der Vogel Deutschlands del Naumann. In quanto
poi ad opere illustrate non possiamo notare di recente che l’ot-
tima Monografia degli Uccelli di Itapina in Italia del Martorelli
(Milano 1895) e la J/conografia dell’Avifauna Italica del Giglioli
(Prato 1879 95), opera quest’ultima troppo bene incominciata, ma
forse appunto per questo arrestatasi a mezza strada, e, pare, con
poca speranza di proseguimento.
Era quindi da noi sentita la mancanza ed il bisogno di un
lavoro moderno e completo intorno agli uccelli italiani: a ciò
provvede molto opportunamente e molto bene il libro dell’Arri-
goni, che, per quanto abbia avuto dal modesto autore il semplice
titolo di Atlante, si può dire un trattato completo di Ornitologia
europea. Esso è diviso in due parti, generale e speciale.
La parte generale tratta in modo conciso ed elementare della
struttura esterna degli uccelli, del loro piumaggio e di alcuni fatti
importanti a conoscersi, e che possono riuscir nuovi a quei dilet-
tanti ornitologi, che non si sono occupati di studi zoologici ; e,
se in qualche punto tali nozioni non riescono della desiderata
chiarezza, lo si deve più che ad altro imputare all’indole degli
argomenti, che male si prestano ad essere condensati in pochi
periodi. Si passa poi alla distribuzione geografica degli uccelli,
poi alla questione dei rapporti fra gli uccelli e l’agricoltura, ar-
gomento di attualità, e per noi italiani specialmente interessante
RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 87
nella presente aspirazione ad una nuova ed unica legge sulla
caccia; poscia al fenomeno delle migrazioni, problema, quanto
meraviglioso ed importante, altrettanto intricato ed oscuro. Viene
quindi l’autore al cauto degli uccelli ed alla struttura siringea,
come carattere tassinomico, poi ai nidi ed alle uova, e mostra i
criteri, che lo Sharpe ne ha saputo trarre per la formazione di
una delle più recenti classificazioni ornitiche, forse fra tutte la
migliore.
Appresso passa l’ Arrigoni a parlare delle cacce maggior-
mente usate in Italia, e quì riproduce due suoi precedenti scritti,
uno sulla caccia di Valle nella Laguna veneta, e l’altro sulle cacce
di Sardegna. Insieme all’articolo, pure riprodotto, sui rapporti fra
Uccelli ed Agricoltura, queste descrizioni di cacce sono i capitoli
delia parte generale meglio scritti, fors'anche perchè non risen-
tono di quell’ansia, che deve necessariamente aver animato l’au-
tore durante la rapidissima compilazione del suo Atlante. Le de-
scrizioni di queste cacce, fatte con tutta verità e brio, rivaleggiano
con quelle lasciateci dal Savi: in esse l’Arrigoni ha saputo tra-
sfondere tutta la sua passione, tutta la sua anima semplice e
buona di ornitologo e di cacciatore.
Poscia viene la parte tassinomica, che è ampiamente presen-
tata a cominciare dalle origini, da Aristotile, alle più moderne
classificazioni dello Sclater, del Newton, del Reichenow, dello
Stejneger, del Fiirbringer, dello Sharpe e, per l’Italia, del Giglioli
e del Salvadori. Fa seguito uno sguardo storico-bibliografico sul-
l’Ornitologia europea, e specialmente italiana, dove con gentile e
nobile pensiero sono da principio riportati alcuni capitoli inediti
di una storia dell’Ornitologia incominciata, ma non continuata
dal Padre dell'Autore, pure dotto ed appassionato ornitologo.
Termina la parte generale un elenco di lavori riguardanti l’Or-
nitologia europea, e la italiana in particolare: sebbene, come ne
avverte l'Autore, non abbia la pretesa di essere completa, è non-
dimeno questa parte assai estesa, ed utile corredo e necessario com=
plemento a questo, come ad ogni altro libro scientifico moderno,
Ed ora della parte speciale, che è la più importante, e che
88 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE
Ls, NA; A
-
io considererò particolarmente dal lato, che riguarda gli uccelli
italiani, a me più noto, e che ci tocca più da vicino, E porrò an-
zitutto in confronto l'Atlante dell'Arrigoni col gi: ricordato Elenco
del Salvadori, anche perchè, per essere stato seguito in questi due
libri lo stesso sistema di classificazione, più ovvio e fa-ile ne riesce
il paragone.
L’Arrigoni annovera nel suo Atlante 565 specie e 70 sotto-
specie: 446 delle prime e 30 delle seconde sarebbero anche ita-
liane : invece nell’Elenco del Salvadori venivano registrate come
italiane in tutto 428 specie. L’Atlante avrebbe quindi sull’Elenco
una dif.erenza in più di ben 48 forme italiane, quasi tutte già
fatte conoscere dallo stesso Arrigoni e da altri in varie pubblica-
zioni scientifiche, e che rappresentano il considerevole aumento
subìto in quest’ultimo trentennio dalla statistica ornitica italiana.
Anzi, a quelle descritte nell’Atlante sarebbero ora da aggiungere
altre 5 sottospecie nuove e proprie della Sardegna, affatto recente-
mente riconosciute dal nostro Autore (vedi Avicula, fasc. 55-50,
pag. 102 e segg.). Ecco la statistica precisa:
Specie aggiunte nell’Atlante.
l. Astur brevipes ? 20. Chersophilus Duponti
2. Aquila heliaca ? © 21. Euspiza luteola
3 » orientalis ? 22. Fringilla spodiogenis
4. » rapax 23. Serinus canarius ?
5. Hierofalco chervug 24. Pyrrhula pyrrhula
6 » istandus 25. Turtur douraca ?
7. Dendrocopus leuconotus ? 26. Glareola melanoptera
8. Ceryle rudis? 27. Aegialitis asiatica
9. Apus affinis 28. Tringa fuscicollis ?
10. Lanius algeriensis 29. Anser neglectus ?
11. Parus cyanus ? 80. Histrionicus histrionicus
12. » montanus 81. Somateria spectabilis
13. Ruticilla Moussieri 82. Pelecanus crispus
14. Calliope calliope (1) 383. Larus ichthyaetus
15. Sylvia Rueppeli 34. » argentatus
16. Phylloscopus tristis 385. Megalestris catarrhactes
D7. » superciliosus 36. Puffinus assimilis
18. Locustella fluviatilis ? 37. Bulweria Bulweri
19. Motacilla citreola 388. Alle alle
(1) Mentovata dal Salvadori nelle aggiunte.
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RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 89
Specie dell’ Elenco ridotte nell’ Atlante a Sottospecie
l. Apus apus murinus 12. Motacilla melanocephala xantho-
2. Aegithalus caudatus roseus phrys,
3 » » Irbyi 13. Calandrella pispoletta minor
4. Certhia familiaris brachydactyla 14. Emberiza schoeniclus palustris
D. Cinclus cinclus melanogaster 15. Acanthis linaria rufescens
6. Saxicola melanoleuca occidentalis 16. Pyrrhula pyrrhula europaea
7. Cyanecula suecica cyanecula 17. Loria curvirostra pityopsittacus
8. Agrobates galactodes familiarìs 18. Phalacrocorax graculus Desma-
9. Motacilla flava borealis resti.
10. » » cinereocapilia 19. Larus argentatus cachinnans
IV » melanocephala paradorxa 20. Puffinus anglorum yelkouan
Sottospecie agginnte nell’ Atlante
1. Buteo buteo desertorum 6. Motacilla fava beema
2. Lanius excubitor major 7. Anthus spipoletta obscurus ?
38. Aegithalus caudatus siculus 8. Chloroptila citrinella corsicana
4. Turdus aonalaschkae Pallasi ? 9. Corvus corax tingitanus
5. Merula torquata alpestris 10. Caccabis saratilis chukar 2
Nuove Sottospecie dell’Arrigoni (Avic., l. c.)
1. Dendrocopus maior Harterti 4. Petronia petronia Hellmayri
2. Cotyle obsoleta sarda 5. Carduelis carduelis Tschusii.
3. Sylvia atricapilta Pauluccii
Avremmo quindi in Italia, secondo l’Arrigoni, 446 specie di
uccelli, di cui 11 dubbie, e 35 sottospecie, di cui 3 pure dubbiose.
Una novità dell'Atlante, al confronto cogli altri libri di Or-
nitologia italiana, è la distinzione delle sottospecie : io dò all’Au-
tore pienamente ragione, La specie, base della classificazione,
dev'essere fondata sempre sopra caratteri ben determinati e co-
stanti : le differenze più incerte, e collegate da termini intermedi,
debbono essere escluse dal novero dei caratteri specifici, altri-
menti si imbarazza, più che non si agevoli, la distinzione delle
forme organizzate. Il lavoro di sintesi e di concentramento, già
iniziato dai moderni naturalisti, e seguito dall’Arrigoni nella sua
opera, dovrà continuare e crescere : troppe specie si sono formate ;
ma in gran parte non poteva essere altrimenti, Da principio,
quando le osservazioni sono ancora poche e staccate, si è indotti
a ritenere ben limitate molte forme, che ulteriori e più estesi
confronti mostreranno collegate da graduali passaggi.
90 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE
-
Ma anche nella distinzione delle sottospecie non bisogna ec-
cedere, come giustamente osserva il nostro autore (1) non già che
non importi indagare la diversa variabilità delle forme: ma il
voler creare un nome, sia pure trinomio, per ogni minima sfu-
matura di colorito, come ad es. si è fatto per certi Paridi, equi-
vale a creare un labirinto, dove la mente dello studioso si stanca
e si fonde (2).
Oltre alle citate 10 specie dell'Elenco del Salvadori dall’Ar-
rigoni retrocesse, dirò così, a sottospecie, egli accenna al fatto
molto probabile, che a qualche altra (Falco punicus, Parus bo-
realis ecc.) debba toccare la stessa sorte; ed io credo che anche
qui egli abbia ragione. Però la cosa, che mi ha fatto maggior
piacere, è stato il vedere ridotte a semplice sottospecie tre formé
o serie di forme, per una delle quali (Sazzeola melanoleuca occi-
dentalis) qualche anno fa (3) e per le altre due (Motacilla flava
cinereocapilla ed Emberiza schoeniclus palustris) fino da 20 anni
addietro (4) io aveva già sostenuta la convenienza di cancellarle
dal numero delle specie.
A proposito di quest’ultima il Conte Arrigoni ricorda le mie
conclusioni, e con parole molto benevole, che io debbo attribuire
più alla sua gentilezza e buona amicizia, che ai miei meriti : però
c'è qui un punto, dove io non posso accordarmi con lui. Per quella
e
(UP Lpas.s);
(2) Recentissimamente lo Tschusi zu Schmidoffea distingue e battezza ben 7 sot-
tospecie nell’ambito del Passer hispaniensis (Temm.), specie di diffusione assai
limitata: ma poi non sembra ancora contento! Credo che con un po’ di buona
volontà non sarebbe difficile trovar da fare altrettanto in una gran parte delle
altre specie; ma in tal caso è pur facile immaginare quale Babele ne risulterebbe
con una infinità di nomi di così difficile, e pressocchè impossibile applicazione,
ogni qualvolta degli esemplari non sia certa la provenienza,
(3) Osservazioni intorno alla Saricola melanolevca (Guld) ed alla Saxicola
Occidentalis Salvad. Bollettino della Soc. Rom. per gli studi Zool. vol. VII, pag.
50-51, 1898.
(4) Alcune osservazioni intorno alla Budytes fava Bp. ed al Puffinus an-
glorum Boie : Proc. verb. della Soc. Tose. di Scienze Nat.; adunanza del 13
maggio 1883. — Osservazioni intorno ad alcune specie appartenenti alla sotto-
famiglia degli Emberizini: Memorie della Soc. Tosc. di Sc. Nat., vol. VI, fasc.
1°, Pisa 1884. — Osservazioni e riflessioni intorno alle Passere di Padule (Em=
beriza schoeniclus Linn. ed affini) Avicula, anno II, fase. 11, Siena 1898.
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RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 0)
forma più gracile di Emb. schoeniclus, che si discosta dalla forma
tipo per caratteri opposti a quelli, pei quali se ne allontana la
sottospecie palustris, forma che il Bonaparte e il Durazzo consi-
derarono quale specie distinta, in seguito dimenticata, e da me
rimessa in evidenza (l. c.) e riproposta come varietà o sottospecie,
l’Arrigoni propone un nome nuovo, quello di Emberiza schoeni-
clus Valloni. Questo non mi sembra giusto. E’ vero che il Bo-
naparte riferì alla medesima specie le due forme figurate nella
sua Iconografia della Fauna Italica sotto il nome di Emderiza Du-
razzi, delle quali la prima è invece un’£mb. pusilla, ma in pari
tempo, citando il contrario avviso del Durazzo, e nella previsione
che questi potesse aver ragione, descrisse ed espressamente in-
tese di battezzare col nome di £, Durazz? l’uccello rappresentato
dalla sua figura 2°, come chiaro emerge dal seguente passo del
sottostante articolo :
« Ma se pur si avverasse questa duplicità, che noi non am-
mettiamo, il nome di Emd. Durazzi spetterebbe sempre all’uc-
cello figurato sotto il n. 2, che passiamo a descrivere ». Infatti
la descrizione del Bonaparte si riferisce al n. 2: in essa, tra le
altre cose, è detto che il maschio tinge tutto il capo e il collo
di nero più dell’E. schoeniclus, ciò che non può certo attribuirsi
all’E. pusilla. Ma, dato pure che si volesse scartare il nome del
Bonaparte, c'è quell'altro di Empberiza schoeniculoides adoperato
indubbiamente per questa forma dal Marchese Durazzo solo
qualche anno più tardi (Catalogo degli Uccelli annesso alla De-
scrizione di Genova. Genova, 1846) che deve avere la preferenza.
Un'altra osservazione vorrei fare all'amico su due delle ul-
time sue sottospecie sarde: queste sono la Sylvia atricapilla Pau-
lucciù ed il Carduelis Tschusti. Per verità queste non fanno parte
dell’Atlante ornitologico : ma, essendo state pubblicate subito
dopo, possono esserne considerate come un’ appendice, Sulla
fine del dicembre u. s. in occasione di una mia breve gita in
Sardegna, uccisi a bella posta dei cardellini e delle capinere,
queste negli uliveti intorno a Sassari, quelli proprio sulle sponde
dello stagno di Sorso, una delle località indicate dall’Arrigoni;
92 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE
ebbene, notai una vivacità di tinte un po’ maggiore che non nei
nostri della Penisola, specialmente nei Carduelis, di cui ho con-
servato tre esemplari; però non egualmente in tutti gli individui
e in generale le differenze mi parvero tali da dovermi doman-
dare se realmente meritassero di essere distinti come sottospecie.
Per me sono due casi perfettamente simili a quelli del Gheppio
sardo, ricordato dall’autore nel suo Catalogo. Finchè si tratta
del Picchio rosso maggiore, della Rondine montana ed anche della
Passera lagia, uccelli sedentari, o se, come quest’ultima, anche
migratori, formanti speciali colonie, ed abitanti soltanto deter-
minate stazioni, facilmente si capisce come l’isolamento possa
produrre e conservare talune anche ieggere variazioni di colo-
rito: però in specie così generalmente diffuse e largamente mi-
gratrici, come le Capinere e i Cardellini, mi pare difficile che
possa succedere altrettanto. Bisognerebbe ammettere per questo
che gl’individui nati nell’Isola non avessero a confondersi ed in-
crociarsi con quelli di altre regioni, capitati a passare o a sver-
nare e poi rimasti colà, come non si mescola lo Storno nero collo
Storno comune : ma ciò non mi sembra verosimile, stante la mi-
nima entità delle loro differenze. Bisognerebbe fare delle osser-
vazioni durante il periodo della riproduzione, e inoltre vedere se
per avventura anche negli esemplari delle provincie meridionali
d’Italia e della Sicilia non si abbiano tinte più vivaci. Ad ogni
modo io non pretendo di assolutamente contraddire il mio amico :
riconosco la insufficienza dei miei dati : credo però che la S. a-
tricapilla Pauluccii e il C. carduelis Tschusii abbiano ancora bi-
sogno di essere studiate, e non sia stata detta intorno ad essi
l’ultima parola.
Avendo il libro dell’Arrigoui un carattere piuttosto popolare,
l’Autore ha preferito ad altre classificazioni più perfezionate, ma
più complicate, quella del citato E/enc0 del Salvadori, che « men-
tre ha il pregio di essere consona all’attuale stato scientifico, si
presenta molto semplice » e meno si allontana da altre più co-
munemente note; e secondo me ha fatto benissimo. Deve infatti,
a mio avviso, adattarsi la classificazione all’indole del libro, ed
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RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 93
alla conoscenza delle persone, alle quali si indirizza. Ma la parte
del lavoro pìù preziosa è la descrittiva, e segnatamente quella, che
riguarda le diagnosi delle specie. In questa, che è anche la più
ardua, l’Arrigoni rivela la conoscenza profonda, che egli possiede
della materia, e il lungo studio e il grande amore, con cui ha in-
vestigato li uccelli europei. Nelle brevi descrizioni egli ha racchiuso
quanto è necessario e sufficiente a caratterizzare le singole forme ;
sempre ha saputo porre in luce le differenze più essenziali e carat-
teristiche delle varie specie. Si riconosce subito trattarsi, non già
di una compilazione eseguita sui libri, ma di uno studio fatto
sugli esemplari, e sopra un grande numero di esemplari; che il
libro, per quanto possa essere stato affrettatamente scritto, è il
frutto di un lungo e paziente lavoro.
Un altro punto, dove l’Arrigoni mostra la sua valentia, è la
discussione delle variazioni presentate dalle singole forme: così
pure ben riassunta è la distribuzione e varia frequenza delle
specie, ed opportuno il cenno sulla comprensione, sulla diffusione
e sulle abitudini dei generi. Invece una cosa, che a me non piace,
è la ripetizione dei nomi generico e specifico : in questo l’Autore
non fa che seguire la corrente principale, sebbene, come mi sem-
bra, alquanto suo malgrado. Conseguenza di questo andazzo si è
che nell’Atlante una cinquantina di specie si trovano ad avere
identità di nome generico e specifico. io non capisco ‘perchè si
debba aver tanta ripugnanza a fare in questo caso una ragione-
vole eccezione alla legge di priorità, dal momento che qualche
altra pure, se ne fa ad esempio per i nomi degli autori posteriori
a Linneo non rigorosamente binominalisti (1). Eppure si avrebbe
così il vantaggio di evitare un'infrazione al codice linneano, in
cui è espressamente detto che i nomi specifici non debbono es-
sere « nominihus genericis similia » e si risparmierebbe agli 0-
recchi il disgusto di una quanto mai antipatica cacofonia.
La parte iconografica, da cuì il libro prende il nome, quasi
che il testo ne fosse meno importante, si compone di 50 tavole
(1) Vedi parte II, pag. 16. |
94 RIVISTE BIBLIOGRAFICHE
colorate, di cui 48 riprodotte dall'opera « Die Vigel Europas »
dell’Arnold, ed altre due, eseguite dal prof. B. Lava di Padova,
aggiunte dall’Autore e raffiguranti, com’egli stesso dice, uccelli
poco noti o rari, o non illustrati dall’Arnold. Oltre a ciò 210 di-
segni parziali o schematici, intercalati nel testo, di soggetti molto
opportunamente scelti dall’Arrigoni, ed abilmente disegnati dallo
stesso prof. Lava, servono ad illustrazione della parte generale, ov-
vero per mettere meglio in evidenza i caratteri più spiccati e diffe-
renziali delle forme più affini. Le tavole colorate comprendono
545 figure rappresentanti 350 forme, molte delle quali nei vari
abiti corrispondenti ai diversi sessi, età e stagioni: le ultime tre
tavole raffigurano le uova di 116 specie. Intorno a queste tavole
io ho sentito e letto qualche lamento : però, se debbo dire la ve-
rità, a me sembrano discretamente buone e rispondenti allo scopo.
Certo le figure non sono molto fine, ed io non nego che, ordi-
nandole apposta, si sarebbero potute avere migliori; ma era
questione di prezzo; non bisogna dimenticare che si tratta di un
libro d’indole popolare, destinato a diffondere tra noi la passione
per gli studi ornitologici, e che l’editore Hoepli, pubblicandolo,
doveva anzitutto avere intenzione di venderlo. In rapporto col
prezzo, relativamente mite per un lavoro come questo, mi pare
| che non si potesse pretendere di più: mi pare anzi che autore
ed editore abbiano saputo conciliare abbastanza bene il rigore
scientifico colla semplicità della forma, la bontà tipografica colle
esigenze della economia.
Un senso di ammirazione merita poi l’autore per la rapidità
«mmensa, con cui ha saputo condurre a termine la sua opera
voluminosa di oltre 750 pagine di testo. Gli studi fatti, la ricca
sua biblioteca, la sua collezione ornitologica fornita di ben 14
mila esemplari (1), le visite fatte a un’infinità di musei e dirac=
colte private italiane ed estere, le sue relazioni coi più valenti
(1) Di cui 2000 circa montati e gli altri in pelle (Arrigoni a voce e în litt.)
quindi molto più di quanto lascerebbe supporre il prof. A. Bonomi nella sua
recensione dell'Atlante Ornitologico. Mi piace rettificare con dati positivi il nu-
mero, perchè davvero straordinario, trattandosi di una collezione privata, e
per giunta riferentesi alla sola Regione Paleoartica,
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RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 95
ornitologi del giorno, il fuoco sacro per questi studi, ed, aggiun-
giamolo pure, gli agi e la indipendenza della vita permisero a
lui di fare quello, che nessun altro in Italia avrebbe potuto pro-
durre in così breve lasso di tempo. Tuttavia non si può negare
che l’Arrigoni in quest'opera, a cuì ha saputo dare una fisonomia
tutta propria, ed una spiccata impronta di modernità, abbia pure
fornito una indubbia prova di non comune attività e resistenza
al lavoro.
Di questo libro furono pronti ad occuparsi gli ornitologi e-
steri, ed alla ben riuscita prova non furono avari dei loro elogi:
gli italiani tardarono un poco, ma non mancarono anch'essi di
esprimere all'Autore la loro approvazione ed ammirazione : al
coro degli altri unisco anch'io, ultimo fra tutti, la mia debole
voce, dispiacente che varie circostanze mi abbiano impedito di
mostrar prima all'amico che il suo libro l’ho anch'io letto e stu-
diato attentamente. E, grato alle fatiche dell’Autore ed ai lode-
voli sforzi dell'Editore, faccio voti perchè questa prima edizione
di soli 500 esemplari venga presto esaurita, sicuro di vedere la
nuova edizione notevolmente accresciuta e perfezionata.
Roma, aprile 1903.
Il
NEVIANI A. — Intorno ad una rara pubblicazione di
G. D. Westendorp.
Acquistai di recente dalla ditta R. Friedliinder et Sohn una
rara pubblicazione zoologica, sulla quale credo opportuno trat-
tenere i colleghi della Società Zoologica Italiana. Essa porta il
seguente titolo: Polypiersflexibles de la Belgique, Collection des
Bryozcaires, Sertulaires, Ilustres et Spongiaires qu'on rencontre
en Belgique, et particulièrement aux environs d'Ostende, par G. D.
Westendorp. 1re Livraison. Coutrar 1853.
Il Westendorp è noto come cultore di Botanica, e come autore
di una memoria sopra i polipi flessibili pubblicata nel 1848 (1);
ma mai ho avuto occasione di vedere citato il lavoro sopradetto,
neppure da coloro che sì occuparono dei Briozoì dei dintorni
d’Ostenda. Siamo quindi qui in presenza di una doppia novità, e
tale va considerata sia come pubblicazione, sia come exsiccata di
animali. Difatti il fascicolo contiene 32 fogli su ciascuno dei quali
trovasi fermato, come si usa per gli emsiccata di botanica, un e-
semplare; a piedi pagina è attaccata una scheda stampata con-
tenente: il numero d’ordine, il genere e la specie con la sigla
dell’ autore, la bibliografia, la sinonimia, e le necessarie indica-
zioni di habitat. Completa il fascicolo un copioso indice sinonimico.
L’opera è dedicata al professore di botanica nell’ Università di
Gand, caval. Jean Kickx.
Ecco l'elenco delle specie contenute nel suddetto fascicolo :
1. Flustra foliacea Lamk. 7. Sertularia abietina Linn.
2. Avicella avicularia Pall. JS: » cupressina Linn.
3. Membranipora pilosa Deblaim. 19, » argentea Linn.
4. » verticillata Nob. 20. Thoa halecina Lamx.
5. Gemellaria loricata Sav. 21. Vesicularia spinosa Thomps.
6. Cellarina scabra Vanben. 22. Antennularia indivisa Lamk.
7. Scrupocellaria sceruposa Vanben. 23. Plumularia Macleodii West.
8. Crisia eburnea Lamk. 24. » cristata Lamk.
9. Eucratea cornuta Lamx. 29. Serialaria falcata West.
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RIVISTE BIBLIOGRAFICHE 97
10. Aetea anguina Lamx. 26. Tubularia calamaris Pall.
ll. Elisia rugosa West. 27. Eudendrium ramosum Ehrb.
12. Campanularia gelatinosa Lmk. 28. Hydractinia lactea Vanben.
13. » geniculata Meyen. 29. Spongia oculata Linn.
14. » volubilis Lmk. 30. Halodactylus diaphanus Farre.
15. Dynamena operculata Lamx. 81. » arasitica Vanben.
16. » pumila Lamx. 32. Spongilla friabilis Schweiggr.
Le specie sono tutte perfettamente determinate, e non molte
sono le differenze con la nomenclatura ora in uso, talehè mi di-
spenso dal riportare qui la relativa sinonimia ; dirò solamente che
appartengono:
a) ai briozoi gimnolemati chellostomi i num. 1, 2, 3, 4, 5,
rt 9 010:
5) ai briozoi ciclostomi il num. 8;
c) ai briozoi ctenostomi i num. 21. 25, 30 e 831;
d) agli idrozoi leptolidi caliptoblasti i num. 11, 12, 13, 14,
fiesto 17, 19,:19;1207 22,29 e 24;
e) agli idrozoi gimnoblasti i num. 26, 27 e 28;
f) alle spugne i num. 29 e 32.
(1) Recherches sur les Polypiers fleribles de le Belgique, ecc. Bruges 1843
ATTI UFFICIALI DELLA SOCIETÀ
—__T___
Proclamazione dei Soci onorari italiani e stranierà
e loro lettere responsive
Nell’adunanza generale tenutasi il 26 giugno 1903 nel-
l'aula dell’Istituto Zoologico della R. Università, dietro
particolareggiata proposta fatta dal presidente, a nome del
Consiglio Direttivo, venivano, a voti unanimi, eletti e pro-
clamati Soci onorari gl'illustri professori: comm. prof.
Giglioli Hiller Enrico, direttore del R. Museo Zoologico
dei Vertebrati di Firenze; comm. prof. Pavesi Pietro, di-
rettore dell'Istituto Zoologico della R. Università di Pavia ;
Conte prof. Salvadori Tommaso, ornitologo, vice-direttore
del Museo Zoologico della R. Università di Torino; cav.
uff. prof. Stefanelli Pietro, entomologo, Firenze; comm.
prof. Blanchard Raffaele, direttore degli Archives de Paras-
sitologie, professore nella Facoltà Medica di Parigi; comm.
prof. Edmond Perrier, della Facoltà di Scienze, direttore
del Museo di storia naturale di Parigi.
Data sollecita partecipazione della proclamazioneai sin-
goli nominati, questi rispondevano al nostro presidente,
comm. prof. A. Carruccio, colle lettere seguenti, che ci fac-
ciamo un dovere di riprodurre fedelmente, ommettendo
soltanto, per ragione di spazio, di ripetere i sei indirizzi e
le date, e qualche parola non necessaria.
I ettera responsiva del prof. Giglioli :
« La sua pregiatissima, in data del 26 corr. giugno, anrunzian-
domi l'altissimo onore che ha voluto conferirmi la benemerita
Società Zoologica Italiana, proclamandomi Socio onorario nazio-
nale, mi ha vivamente commosso.
« Cordialmente ringrazio Lei, illustre Presidente, che ha vo-
luto con tanta benevola cortesia propormi, e la prego a voler essere
interprete, presso i chiarissimi colleghi per l’altissima stima, che
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ATTI UFFICIALI DELLA SOCIETA 99
hanno voluto dimostrarmi, coi loro suftragi, della mia sentita gra-
titudine.
« Accetto con vivo piacere, lieto di appartenere ad un Consesso,
«che ha dimostrato sempre tanto amore per la scienza nostra
prediletta; e sarò lieto di poter contribuire agli scopi altissimi
ai quali mira la Società nostra.
« Di nuovo grazie! E con antica stima ed affetto, mi abbia,
illustre Presidente, pel
« Suo devmo ed affmo
« EnRrICO H. GIGLIOLI. »
Lettera del prof. Pavesi :
« Sono vivamente commosso dell’annunzio, che Ella mi dà con
‘sì cortesi parole, di essere stato acclamato Socio onorario italiano,
di codesta illustre Società; e La prego di farsi interprete presso
tutti gli ottimi Colleghi di tali miei sensi di infinita gratitudine
« Mi terrò felicissimo di partecipare ai loro lavori in prò
della scienza e della patria.
« Col massimo ossequio
Devmo
.« Prof. Pietro PAVESI. »
Lettera del prof. Salvadori :
« La tirannia degli esami mi ha impedito di rispondere su-
bito all’annunzio che Ella cortesemente mì dette della mia no-
mina a Socio onorario della Società Zoologica Italiana.
« Oggi mi giunge il relativo diploma, ed io mi affretto a rin-
graziare Lei ed i membri della Società per l’onore fattomi con
tale nomina. S
« Con i sensi di profonda stima, mi professo
Demo
« TOMMASO SALVADORI. »
Lettera del prof. Stefanelli :
« Le sono vivamente grato, e con vero sentimento di amico
La ringrazio per aver voluto parlare con favore di me in seno
‘alla Società Zoologica Italiana, proponendo e patrocinando la mia
momina a Socio onorario di tal sodalizio.
« Per questa distinzione, che, con sincerità, credo di gran lunga
superiore agli scarsi miei meriti scientifici, ben vorrei mostrarmi con
l’opera, non del tutto immeritevole ; della qual cosa, invero, dubito
assai, a motivo della mia ormai avanzata età, la quale mi toglie
100 ATTI UFFICIALI DELLA SOCIETÀ
una non piccola parte della energia che possedevo una volta. —
Soltanto mi rimane la certezza che per quel tanto, che ancora
mi rimane da vivere, non verrà indebolendosi la mia riconoscenza.
verso di Lei e verso gli onorevoli Colleghi, che furono molto in-
dulgenti e cortesi verso di me.
Suo afro
« PIETRO STEFANELLI. »
Lettera del prof. Blanchard :
« J'ai eu le plus vif plaisir à recevoir l’aimable lettre par
laquelle vous me faites l’honneur de m’annonceer ma nomination
de membre honoraire de la Societè Zoologique ltalienne.
« Je suis plus touché que je ne saurais dire de l’insigne
honneur qui m’est conféré par l’illustre Societé, dont vous ètes le
President. Je dois cette faveur rare, bien moins à mes mode-
stes merites qu’aux sentiments amicaux dont vous m’avez dejà
donnè mainte preuve, et dont vous me donnez encore aujourd' hui
la démonstration la plus flatteuse. — Je vous en suis infiniment
reconnaissant et je vous prie de bien vouloir exprimer aussi è
mes nouveaux Collégues toute ma gratitude pour leur extrème
bienveillance à mon égard.
« Veuillez agréer, Monsieur le President et très-cher Collégue,
l’expression de mes sentiments les plus reconnaissants et dévoués. »
« R. BLANCHARD, »
Lettera del prof. Ed. Perrier:
« Jai lu avec émotion la lettre par laquelle vous voulez bien
m’annoncer que la Societé Zoologique italienne m'ha fait le très-
grand honneur de me proclamer membre honoraire. Je vous prie
de lui en exprimer toute ma reconnaissance et de lui dire tout le
prix que j'attache à la marque d’estime qu’elle a bien voulu
me donner.
« Permettez moi, Monsieur le Président, de vous remercier
en méme temps des termes dans lesquels vous m’avez fait
part du vote de la Societé, et qui m’ont bien vivement touchè
comme une marque de votre bienveillante amitié.
« Agréez, Je vous prie, Monsieur le Président et cher Col-
lègue, l’expression de mes sentiments de reconnaissance et de
haute consideration.
« EpMmonD PERRIER. »
Roma 1903 — Tipografia di G. Balbi, Via della Mercede 28-29.
sile
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o. — MEMBRI COMPONENTI IL CONSIGLIO DIRETTIVO
ANNO XII
Prof. Comm. AnToNIO CARRUCCIO — Presidente (Zoologia ed Anatomia comparata,
specialmente Vertebrati).
D. Guipo Orazio FALCONIERI Conte di Carpegna — Vice-Presidente (Ornitologia).
Prof. Cav. RomoLo MELI — Vice-Presidente (Paleozoologia e Malacologia).
Dott. GrusePPE RoMmERO — Segretario Biologia generale).
Rag. Sig. VITTORIO ZAMBRA — Cassiere (Ornitologia).
Prof. Cav. ANTONIO NEVIANI — Consigliere (Zoologia generale specialmente Briozoi).
March. Dott. Filippo PATRIZI — Idem (Ornitologia).
Prof. GIOVANNI ANGELINI — Idem (Zoologia generale, spec. Ornitologia).
Comm. ForTUNATO RostAGNO — Idem (Intomologia, spec. Lepidotteri).
March. Dott. GrusePpe LEPRI — Idem (Entomologia-Ornitologia).
Pro. Cav. RINALDO MARCHESINI — Idem (Istologia generate).
Prof. Cav. GIOVANNI PocHETTINO — Idem (Zoologia generate).
3. — ARTICOLI ESTRATTI DALLO STATUTO
Art. 2 — La Società ha lo scopo di dare istruzioni, con-
sigli, appoggi morali, e possibilmente aiuti materiali ai cultori.
della biologia animale anche nelle sue varie applicazioni; di
pubblicare nei modi stabiliti dal regolamento un Bollettino con-
tenente i resoconti delle adunanze, le comunicazioni scientifiche |.
d’indole biologica, anatomo - fisiologica, embriologica, paleonto-
logica e sistematica; e quelle altre notizie che possono interes-
sare gli studiosi. i
Art. 3 — La Società è composta di tre categorie di soci: |
1° Soci ordinari, distinti in soci a tempo, i quali pa-.
sheranno lire Dieci all’anuo, e soci a vita se pagheranno lire
200 in una sola volta.
2* Soci straordinari, i quali pagheranno lire Sette
annue: |
38 Soci onorari italiani e stranieri, proposti dal Consi-
glio direttivo, scelti fra i più noti ed eminenti cultori degli
studi zoologici, od altrimenti benemeriti della Società.
Tutti i soci hanno diritto alle publicazioni sociali.
SOTTTTCT TT CYYCYTTYTWYTYYyYYTYTYTYTYTXYXYYT*YTY 117-121 || 3. Mei dott. Lea. Ortottori del Cadore
3. Rostagno comm. Fortunato. Contributo (Lecustidi e Acrididi). » 180-181
allo studio della Fauna Romana. (Un’a- 4. Peracca conte dott. L. Di una nuova
berrazione della Saturnia pavonia ed specie del gen. LACERTA L., raccolta
i un’altra della Pieris rapae. » 122-124 sul monte Gennargentu in Sardegna. » 182-183
4. Angelini prof. Giovanni. Catalogo dei 5. Cognetti Da Martis Dott. L. Contributo
Trochili e Colibrì recentemente donati alla conoscenza delia drilofauna sarda» 184-187
da S. M. il ReV.E. II al Museo Zoo- 6. Sulle norme della nomenclatura zoolo-
‘4 logico della R. Università di Roma, e gica adottate nel V Congresso Interna-
degli altri quivi più anticamente con- zionale di Zoologia in Berlino. » 188-192
servati, premesse alcune considerazioni
sulla loro classificazione. » 125-133 III. NOTIZIE.
5. Carrucclo prof. Antonio. Sovra il Cigno
, più raro in Italia (Oygnus Bewicki Jarr.)
preso a S. Rossore nel dic. 1902, e do-
nato da S. M, il Re al Museo Zoologico
della R. Univ. di Roma. — Osservazioni
anatomiche (Parte I) » 134-150
6. Alessandrini Dott. \iulio. Sull’appari-
1. Sul VI Congresso Internazionale di
Zoologia da tenersi in Berna (agosto
1904). » 193-194
2. Concorso per professore straordinario
alla cattedra di Zoologia, Anatomia e
Fisiologia comparate presso la R. Uni-
- ) i È versità di Messina, » 194--196
en el cage SE or Dee 151-152 3. Memoria premiata sugli Uccelli della
7. Angelini prof. Giovanni. Sull’aumentata provincia di Roma del march, dott. Fi-
frequenza in Italia del Nibbio bruno lippo Fatrizi e march. dott. Giuseppe
Milvus Korschum(Gmelin), M. Migrans Lepri. » 196-198
Boddaert. » 153-158
8. Carruccio prof. Antonio. Sui caratteri IV. ANNUNCI SULLA COPERTINA
che distinguono un Siluro proteropodo 1. Prezzo di favore a chi acquisterà i XII
del gen. RHINELEPIS, (Parte 22) » 159-162 volumi finora pubbiicati, e prezzo di
| 9, Condorelli Francaviglia prof. Mario. Sul associazione pei non appartenenti alla
linfoangioma cistico di Wegner. (Sua Società. -- 2. Membri componenti il
x diagnosi differenziale col vero Echino- Consiglio Direttivo. - 3. Articoli estratti
cocco), » 163-169 dallo Statuto. — 4. Sede della Società.
i -——_—__r 3 >———
br]
1. — Prezzo di favore e prezzo di Associazione,
1. A quanti ne faranno domanda sollecita (essendo assai limitato îl1 numero delle copie disponi-
bili) accompagnata dall'importo anticipato, verranno spediti, franco di posta se in Italia, i XII vo-
lumi pubblicati dalla Società dal 1a gennaio 1892 a tutto il 1903, al prezzo di favore di lire Novantasei
in luogo di lire Centoquarantaquattro, come realmente importerebbe la serie di questi volumi.
Pei non Soci il prezzo d’associazione ad ogni singolo volume annuo è di L. 12 in Italia, e di
L. 15 all’estero — pagamento anticipato. — Ogni fascicolo (per lo più doppio o triplo) vendesi a
__L. 4. — Volumi arretrati, ognuno al ‘prezzo di L. 15.
Conto corrente colla Posta — Pubblicazione bimensile.
Fasc. IV, Ve VI. Serie Il — Vot. IV. Anno XII. - 1903.
BOLLETTINO
gELA SOCIETA ZOOLOGICA ITALIANA
CON SEDE IN ROMA
na —- a_-
Sunn OK_A-PLA.
donata da S. M. il RE VITTORIO EMANUELE III°
al Museo Zoologieo della R., Università Romana
Cenni illustrativi esposti dal Prof. AnToNIO CARRUCCIO
(Continuazione ai fasc. I, II e III del presente vol.)
Ma avendo già tenuto parola della mascella inferiore
dell’ Okapia in confronto a quella della Giraffa, mi par
bene aggiungere qualche altra particolarità, quale risultami
da un ripetuto esame comparativo. E credo che quando i
Musei d'Europa saranno in possesso di molte teste del primo
fra i suddetti. mammiferi, come molte se ne posseggono del
secondo, allora si potrà fare un confronto fra individui
dei due sessi e di eguale età, dal quale risulteranno non
solo più evidenti e sicure le differenze. morfologiche fra
parecchie ossa cranio-facciali delle due specie, ma si rile-
verà come talun osso abbia in ogni età uno sviluppo sensi-
bilmente maggiore nella Giraffa. Tale è il caso della man-
dibola, eccezione fatta dell’apofisi coronoide, che in realtà
— e non solo pel diametro trasversale — è più sviluppata
nella testa di Okapia appartenente allo scheletro donato
BL-5 Mal he
Nella testa di Giraffa più giovane, di dimensioni cor-
rispondenti, come dissi, a quella dell’ Okapia, diversa è
pure la lunghezza totale del mascellare inferiore : infatti
nella prima spec. misura 38 cm. e 172, e soli 34 nella seconda.
Diverso è anche lo spessore massimo e minimo, tanto se
sì confronti la branca orizzontale, quanto l ascendente,
nelle due mandibole : questo massimo nell’Okapia si ha a
2 . ANTONIO CARRUCCTO
livello del 5° molare inferiore, ed il minimo spessore lo
trovai in corrispondenza del 1° molare. Nella Giraffa l'uno
e l’altro comprendono parecchi molari.
Denti. — Esaminerò ora gl incisivi ed i molari, che
per dimensione sono più piccoli di quelli della Giraffa, ed
anche un po’ diversi per la forma. Anche la profondità
degli alveoli propri agl' incisivi di esse mascelle inferiori è
diversa: nella Giraffa è naturalmente maggiore perchè i
suoi denti hanno radici più lunghe, sia pure in età
giovanile. Nell’Okapia, per quanto meno giovane, i due al-
veoli interni per le radici dei rispettivi denti incisivi non
oltrepassano la profondità di 20 mm., con una larghezza
massima di 10 mm. Nella Giraffa si ha quasi il doppio di
profondità e larghezza, e le radici hanno, principalmente
nell'età adulta, una forma cilindro-conica, mentre nell'età
giovanile sono assai depresse lateralmente. — È pur na-
turale che la corona degl'incisivi appartenenti alle Giraffe
diventi sempre più larga, ma nell’Okapia parrebbe più ta-
gliente nel margine libero.
Bene osservando troveremo pure qualche differenza
apprezzabile fra i molari dell'uno e dell’altra specie ; e se.
dovessi dire in quale mi sembrano più tipici, direi che la
Okapia Johnstoni è veramente caratteristica fra i Mammi-
feri selenodonti, non già pel volume, che nella Giraffa adulta
questo si presenta assai più considerevole, bensì per la
forma delle ripiegature costituite dallo smalto, coi relativi
solchi semilunari ; e questi nell’istessa Okapia vedonsi più
profondamente scolpiti che in altri molari di ruminanti
coi quali vennero confrontati. Da ciò deriva che in essa
sono proporzionatamente alquanto più alti ed acuminati
i tubercoli che non siano quelli di Giraffa giovane o d’altre
specie di ruminanti.
Inoltre la faccia esterna dei molari superiori dell’Oka-
pia offre tre cresticciuole assai pronunciate, dirette longi-
tudinalmente, due laterali ed una mediana. Fra i crani
che ho sott'occhio tali cresticciuole, per forma e dimensione,
le trovo quasi affatto simili nei molari dello Strepsiceros
Kudu Gray.
arterie earn 1
LAc ei S'ATSEA 7
re |
SULL’ « OKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III 3
Non ho ancor detto che nell’Okapia i molari nelle due
mascelle son in totale 20, cioè 5 per lato, non già 6 com'è
regola per i mammiferi dell'ordine dei ruminanti ; ed i più
grossi fra essi molari, tanto nella mascella superiore quanto
nell’inferiore sono il 4° ed il 5°, contando dall’avanti al-
l’indietro, cioè dal 1° ch'è il più piccolo. Eccetto il numero
totale, ch'è diverso — evidentemente per ragione d’età —
nell’esemplare di Londra, ben raffigurato nella tavola an-
nessa alla memoria del prof. Ray Lankester, la forma ed
il volume di questi risultano quasi affatto eguali a quelli
dell'esemplare di Roma.
Ho già ricordato che il Dott. Forsyth Major ci ha dato
le dimensioni del 1° molare vero del mascellare inferiore
della testa di Okapia non adulta delMuseo di Londra, in con-
fronto dell’istesso molare della Okapia posseduto dal Museo
di Tervueren ; ed aggiunsi che questo stesso 1° molare in-
feriore nell’esemplare di Roma offre una lunghezza di 24
mm. ed una largh. di 25 mm. — Per la prima di queste
dimensioni risulta adunque eguale all’esemplare di Ter-
vueren, non già a quello di Londra ch'è lungo 26 mm. 2.
— Ma essendo la larghezza del dente suddetto di 20
mm. 95 nella precitata testa di Tervueren, e di 24 mm. in
quella di Londra, risulta essere più largo il 1° molare in-
feriore della testa di Roma di oltre 4 mm. in confronto
alla prima, e di un millimetro in confronto alla seconda.
Se più o men presto accadesse che un paziente e va-
lente naturalista, potesse — stando nel Congo — avere a
sua disposizione qualche Okapia viva, allora sarebbe più
facile rilevare se le indicate differenze dentarie sono in
rapporto colla natura dei vegetali di cui questa specie si
nutre. Invero, non credo si possa da alcuno affermare che
essi siano identici a quelli di cui si nutrono le Giraffe, le
quali abitano, com'è noto, altre regioni africane.
Conchiudendo su questo argomento, dirò che le dif-
ferenze specialmente nei denti incisivi, mi fanno credere
ad una diversa alimentazione e possanza masticatoria in
relazione a piante, o parti di piante, che forse offrono
maggiore resistenza o difficoltà a essere divise, una volta
.V4 ANTONIO CARRUCCIO
—_——_—_—__————————————————————_—— — nio —____
risalite nel cavo orale delle Okapie per la definitiva masti-
cazione ed insalivazione. — (Queste parole io avevo già
scritto diverse settimane prima che mi pervenisse da Lon-
dra la memoria del prof. Ray Lankester, e della indicata
differenza tenni parola un giorno che mi favorì in Museo
un egregio collega ed amico d'altro Ateneo, e stavo esami-
nando i crani di Okapia e Giraffa colla rispettiva denti-
zione. Letta la memoria del R. Lankester vidi con piacere
confermata l'opinione che mi ero formata: infatti egli scrive:
- This difference in the relative size and in the shape of
the group of incisive teeth of the lower jaw points to some
marked difference in the food of the Okapi as compared
with that of Giraffe »).
Proseguendo l'esame della cavità orale, mi hanno pure
colpito le differenze del palato osseo nell’ Okapia e nella
Giraffa. Nella prima abbiamo che la volta del palato per
la porzione orizzontale ch'è formata dalla lamina (pro-
cesso palatino) che muove all’ingiù della faccia nasale del
corpo del mascellare superiore, è lunga 18 cm., ed ha una
larghezza massima di 4 cm. sa
L’'osso palatino intatto (quello di sinistra, perchè il
destro è in parte rotto), nella sua parte laminare che al-
l’indietro fa seguito al processo omonimo del mascellare
superiore, è lungo 8 cm. — In totale adunque abbiamo
una volta palatina che misura 26 cm.
Nella seconda invece, cioè nella Giraffa, l’istessa volta
la trovo assai più corta, tanto è vero che il processo pa-
latino della mascella superiore è lungo soltanto 9 cm. e
172: dunque quasi della metà è minore di quella dell'O-
kapia. È però più largo nella stessa Giraffa, misurando
— a livello del 5° molare superiore — circa 6 cm.
Inoltre il palato osseo doll’Okapia è complessivamente
più sviluppato anche di altri ruminanti aventila testa ossea
di uguali o di maggiori dimensioni; ciò mi risulta con-
frontandolo con grosse teste di A/cephalus caama, di Strep-
siceros Kudu, di Cervus elaphus, ecc. Al maggiore sviluppo
della predetta regione non fu finora forse data la importanza
che pure deve avere. Del pari non trovo notato che mentre
SULL’ « OKAPIA > DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 105
rella linea mediana i margini interni dell'una e dell’altra
apofisi palatina del mascellare superiore, si uniscono nel-
l'Okapia formando una lievissima concavità, in altri ru-
minanti, quali ad esempio lo Strepsiceros Kudu, si ha una
vera scanalatura, che si allarga in avanti presso l’artico-
lazione coll’apofisi dell’'intermascellare.
Di altre ossa cranio-facciali dell’Okapia sarà pur bene
registrare le dimensioni, e quand’occorra anche la forma,
per futuri confronti sia con la Giraffa sia con altri ruminanti.
Le intermascellari arcuate dapprima, rettilinee dopo,
sono lunghe 12 cent. con una massima larghezza all’estre-
mità posteriore di 21 mm., mentre nell’estremità anteriore,
che finisce a punta, la larghezza è di soli 3 mm, Esse al-
l'origine sono più larghe e sottili, quasi laminari, mentre
verso la metà della loro lunghezza si ingrossano assai e
sì fanno convesse alla faccia esterna.
Le ossa nasali dell istessa Okapia hanno la lunghezza
di 13 cm., con una massima larghezza di 4 cm. All’apice,
che è subrotondo, misurano non più di $ mm.
L’osso mascellare superiore, nella sua faccia anteriore,
offre una lunghezza di 17 cm. e 172, ed una largh. (ch’ è
in realtà l’ altezza) di 6 cm. — La porzione di questa faccia
che rimane sopra il margine alveolare è convessa al davanti,
ma presso l'attacco coll osso intermascellare si fa piana.
Nelle arcate zigomatiche dell’ Okapia osservo che lo
sviluppo è maggiore che in quelle della testa di Giraffa
che finora mi ha servito preferibilmente come termine di
confronto ; infatti mentre le prime hanno la lunghezza di
10 cm., le seconde non oltrepassano i 7 em. Inoltre la por-
zione del processo zigomatico che si stacca dall’osso tem-
porale offre molto più divaricate le sue radici originarie,
e questo divaricamento non esiste in veruna delle teste di
Giraffa.
L'osso zigomatico o malare p. d. è lungo circa 12 cm.,
alto 3 cm., con apofisi orbitaria alta 2 cm., larga alla base,
cioè al punto di emergenza dall’istesso osso 15 mm., e al-
l’apice — dove cioè si unisce col processo orbitario del
frontale — la larghezza è di 10 mm.
4 n . ,
106 ANTONIO CARKUCCIO
La porzione che concorre a formare l’arcata zigoma-
tica ha il margine superiore robusto e subrotondo, e l’in-
feriore sottile, tagliente; ma s'ingrossa e si arrotonda un
po prima di congiungersi coll’apofisi zigomatica del tem-
porale.
Queste osservazioni riguardano principalmente talune
ossa dei gruppi formanti la regione mascellare, nasale ecc.
Ora passerò a dire quanto mi par sufficiente sul gruppo
delle ossa formanti il cranio propriamente detto (capsula
cerebrale d'altri, o cranio viscerale). i
Osservo prima di tutto che la capacità cranica del-
l’Okapi avrei voluto e potuto studiarla con esattezza se la
prudenza e l'unicità del cranio non mi avessero consigliato |
di risparmiare ogni azione meccanica sul medesimo, che
oltre gli effetti dei proiettili con cui fu ucciso l’animale,
fu alquanto malmenato da chi (un indigeno ?) ebbe a toglier-
gli colla pelle, gli occhi, l’encefalo ecc.per farla essiccare (1).
ag |
Cominciando dall’ osso occipitale si resta colpiti per
una notevole differenza che passa fra l’Okapi e la Giraffa.
Nella primalaregionè occipitale è disposta secondo un piano
orizzontale che si continua in avanti fino all’incontro del
frontale, senza cioè alcun abbassamento.
L'occipitale invece della Giraffa lo si vede quasi bru-
scamente farsi molto declive.
Diversa pure è la lunghezza della faccia esterna e po-
steriore dell'osso occipitale nei due mammiferi, essendo
nell’Okapia di cm. 5 e 1]2, e nella Giraffa cm. 9. (Sempre,
s'intende, prendendo le misure sul cranio di dimensioni
(1) La essiccazione e lo induramento di questa pelle, veramente straordinarii,
non saprei come spiegarli. Fu essa seppellita, come parrebbe per la grande quan-
tità di finissima terra di cui in alcune parti era cosparsa? Fu sottoposta a un
bagno con qualche sostanza (corteccia polverizzata di taluna pianta congolese)
contenente in copia l’acido tannico? Naturalmente non fu possibile avere in Roma
alcuna notizia, nè la trovai in verun periodico od altra pubblicazione. Certo che
nessuna delle pelli essiccate di Mammiferi da me avute in questi ultimi anni dal-
l'Africa, Asia, America ed anche dall’ Australia, offrirono mai una durezza der-
mica così notevole ; e fu fortuna si riuscisse a trovare il mezzo per rammollirla
e poterla preparare.
SULL «€ OKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III. 107
quasi eguali a quello dell’Okapi. Nei crani adulti di (Gi-
raffa la differenza nella lunghezza dell'asse longitudinale
di quest’osso è assai più notevole).
Nella linea mediana, ma soltanto in alto, della faccia
suddetta dell’occipitale dell'’Okapia si osserva un rialzo
corrispondente a un tratto della cresta occipitale esterna.
Il gran foro occipitale è quasi cordiforme, coll’apice
rivolto in sù, e del medesimo fa parte un'incisura, larga
mm. 10 e profonda 5 mm. Il diametro longitudinale del foro
misura 35 mm., ed il bitrasverso 40 mm.
I condili occipitali offrono la superficie esterna con-
vessa dall'alto in basso. e dall’indietro in avanti. Si ha
una concavità nel tratto che rimane rivolto verso l’apofisi
stiloide e la fossa condiloidea anteriore.
Il diametro maggiore di ciaschedun condilo è di 6
em., ed il minore, ch'è ‘il trasverso; è di 3-cm. La faccia
interna dei due condili è alquanto scavata, quasi triango-
lare, colla base rivolta in alto verso il gran foro occipitale,
e l'apice all’ingiù.
La superficie superiore di ciascuno di questi condili
occipitali è leggermente convessa, ha forma triangolare,
ed è inclinata dall’avanti all'indietro. La loro base è rivolta
in alto, verso la fossa condiloidea posteriore, è larga 24 mm.;
l'apice è diretto in giù ed all’interno, ed è quasi tagliente.
La già menzionata superficie interna incavata è più larga
della posteriore, che ha forma pure triangolare, colla base
in alto, larga 28 mm.
La porzione basilare p. d. (od occipito-basilare di
alcuni autori), è lunga più che in altri crani di ruminanti
d'eguali dimensioni : essa, a cominciare dal davanti delle
parti emergenti dei condili, fino al punto di contatto collo
sfenoide, è lunga 55 mm., ed è larga 20 mm.
Lo sfenoide non è fuso coll’osso occipitale, ed è net-
tissima la divisione.
La faccia inferiore dell’istessa porzione basilare del-
l'occipitale ci presenta nel mezzo, e per tutta la sua lun-
ghezza, un solco relativamente profondo, intendo dire più
scavato che in crani di maggiori dimensioni, ad es. del-
l’istessa Giraffa.
f
108 ANTONIO CARRUCCIO
Questo solco o doccia mediana rettilinea, ha la lun-
ghezza di quasi 59 mm., e una larghezza di circa 10 mm,
la sua profondità in avanti, ed in prossimità dell’unione
collo sfenoide, è di 6a 7 mm.; ed all’indietro di 2a 3 mm.
Per non recar maggior guasto al cranio, ferito come
dissi, da grossi proiettili, non ho voluto isolare l’osso tem-
porale, per aver comodità di esaminarlo bene. Lasciato
nella sua posizione naturale non posso quindi descrivere
che la superficie esterna.
Anche nell’Okapi abbiamo bene distinte le tre por-
zioni: petrosa o periotica, zigomatica, scagliosa o squamosa,
e fimpanica. Quest'ultima offre la bulla timpanica più grossa,
come cioè non la vedo in altri crani di grandezza corri-
spondente all’Okapi, ad es. di Strepsiceros, ecc.
La bulla timpanica destra fu lesa da uno dei proiettili. La
sinistra ch'è intatta, offre un diametro trasverso di 30 mm.,
uno antero posteriore di 40 mm., ed uno verticale di 283 mm.
Le ossa partetali dell’Okapi si trovano saldate lungo
la linea mediana, cioè nel margine interparietale. Nella Gi-
raffa si vedono concave nel mezzo, mentre nell’ Okapi le
ossa parietali sono leggermente convesse. — Nelle dimen-
sioni quasi si eguagliano, essendo la lunghezza dei parie-
tali della Giraffa appena superiore di 3 mill., cioè in questa
sono lunghi 111 mm. e nell’Okapi 109 mm.
Aggiungo che i parietali in quest'ultimo mammifero si
dispongono in modo da formare col frontale una super-
ficie quasi piana, massime pel tratto posto al davanti del
margine anteriore di ciascuno di essi parietali; e mentre
le due metà del frontale restano disgiunte nel loro mar-
gine interno, ho già detto che i parietali si saldano per-
fettamente. Le ossa fronto-parietali della Giraffa giovane,
con cui di preferenza fo l'esame comparativo colla testa di
Okapi, non sono saldate. In quella, come ho accennato, i
parietali formano una concavità, o fossa, cui prende parte
anche il frontale, dopo di aver formato una bozza o rialzo
sensibile in sul mezzo delle due metà costituenti. — Su-
bito dopo la concavità fronto-parietale, ed ai due angoli si
vedono nella testa della Giraffa i fusticini delle corna, lunghi
SULL’ « ‘OKAPIA » DONATA DA S M IL RE VITTORIO DMANUELE 11. 1909
7 cent. e larghi poco meno di 5 alla base, mentre all'apice
lo sono più di 1 cent.:di questi fusticini non v' ha traccia
nella testa del nostro Okapi. — La distanza che passa da una
base all’altra dei fusticini, cioè da un angolo all’altro del
frontale, è di circa 11 cm. nella testa del Giraffa, mentre
da un angolo all’altro del frontale dell’Okapi, privo — giova
ripeterlo — affatto di corna, è di soli 8 cm.
Il precitato rialzo mediano frontale nella Giraffa il Cu-
vier ebbe a chiamarlo « une espèce de pyramide ».
Il margine interno del frontale della Giraffa, non sal-
dato col compagno, è lungo 13 cm. e 172 ; quello dell’Okapi,
saldato come dissi, è lungo 11 cm. e 172.
È diversa anche la distanza fra un’orbita e Valtra, mi-
surando dal mezzo del contorno orbitale superiore destro
al sinistro. Infatti nella Giraffa è di 15 cm. e nell’Okapi
è di circa 12 cm. — La differenza, se invece di una testa
di Giraffa giovane, si prende altra appartenente ad indi-
viduo molto adulto, è naturalmente maggiore.
Prima di passare ad altro argomento non riguardante
la testa ossea, mi par doveroso ricordare che dall’istesso
Forsyth Major, in un ulteriore comunicazione fatta alla
Zoological Society of London (November 18, 1902, pag. 347)
fecesi rilevare un altro carattere differenziale, che desidero
non sfugga alla vostra attenzione, anche perchè lo confermo
appieno. Egli dice che le cavità aeree (seni) del cranio
(Cranial air-sinuses) sono meno sviluppate nell’Okapia,
eccezion fatta per quelle del palato osseo, le quali invece
trovansi molto più sviluppate in essa Okapia che nella
Giraffa. — Su altre differenze o somiglianze con avanzi
fossili, coi quali poterono fare un più o meno largo e-
same comparativo il Ray Lankester, Forsyth Major ece., io
non posso dir parola, perchè non posseggo in Roma nè
Palaotragus, nè Samotherium boissieri ecc., dei quali possono
disporre nel grande Museo di Londra.
1 10 ANTONIO CARRUCCIO
HI. — Uno sguardo alle estremità.
Dirò prima brevemente di alcune ossa degli arti
toracici, sulle quali non trovo nei valenti scrittori inglesi
parecchie indicazioni che mi sembrano necessarie.
Omobplate : forma, dimensioni, Queste ossa non hanno
la forma precisa e consueta che si osserva in altri mam-
miferi, ma nell’Okapia si presentano quasi quadrilatere,
perchè la porzione che si articola colla testa omerale sì
allarga assai dietro la cavità glenoidea, ed il processo co-
racoideo presentasi ben sviluppato e proeminente.
Non sarebbe quindi il caso, stante siffatto sviluppo, di
chiamare semplice angolo inferiore od omerale, questo del-
l’omoplata, essendochè la porzione formante il lato infe-
riore ha una lunghezza di ben 8 cm. e 172, se la si misura
dall’estremità anteriore della cavità glenoidea al punto più
prominente (apice) del processo coracoideo.
La lunghezza di ciascuna omoplata, presa dal mezzo
del margine anteriore superiore al punto più saliente del
lato inferiore (punto che coincide coll’estremità posteriore
della cavità glenoidea) è di cm. 28.
La sua maggior larghezza in alto è di 15 cm.;. nel
mezzo è di cm. $; sopra il processo coracoideo, in cor-
rispondenza della fine della spina acromiale, dove la sca-
pola presenta il maggior restringimento, essa è larga cm. 5.
La faccia esterna e posteriore (da altri denominata
dorsale) presenta sviluppatissima la spina della scapola :
questa incomincia alla distanza di circa 2 cm. dal mar-
gine anteriore, e si prolunga per ben 18 cm., offrendo la
massima altezza, ch'è di 2 cm. e 172, verso la sua metà.
La spina non oecupa il centro della predetta faccia
scapolare esterna, ma è situata verso il 3° superiore del-
l’istessa faccia, in guisa che la fossa sotto-spinosa o re-
tro-spinosa, come pure fu proposto di chiamarla, è quasi
del doppio più ampia della fossa sopra-spinosa od anti-
spinosa. La prima è più incavata della seconda : entrambe
sono perfettamente liscie. Mancano adùnque quelle linee
rugose che osservansi nella fossa sotto spinosa di più sca-
3
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SULL! « OKAPIA » DONATA DA S. M IL RE VITTORIO EMANUELE It. 111
pole, sulle quali linee s'inserisce il corto abduttore brac-
chiale (piccolo rotondo).
La cavità glenoidea è profondamente scavata nel mezzo,
è larga 4 cm. e 172; ed è lunga 5; ed ha una forma lar-
samente ovalare più che in altri mammiferi.
La faccia interna ed anteriore (pur detta costale), offre
la sua maggiore escavazione verso il centro, dove è anche
più larga, e sopra la cavità glenoidea, cioè sopra il con-
torno della medesima : oltre adunque la fossa sottoscapu-
lare ben manifesta, si ha. una fossetta epiglenoidca ch'è in
realtà più profonda.
Omerî. Sono ossa che nell’Okapia, in proporzione alla
loro lunghezza, si presentano assai grosse, con un perimetro
massimo che ha il suo maggiore sviluppo nelle due rispet-
tive epifisi : la superiore misura 26 em., l’inferiore 25 cm.
Il loro corpo o diafisi forma una piramide quasi pris-
matica, con tre faccie e tre margini netti. — La faccia più
larga è l'esterna.
La lunghezza totale di ciascun omero, presa dal punto
più saliente dell’estremità superiore o scapolare, al punto
parimenti più saliente dell’estremità inferiore, o radio-cu-
fimtale, è di 28-cm. e 172.
Il capo omerale alquanto inclinato dall'esterno all’in-
terno, è assai voluminoso, ed ha una circonferenza di circa
18 cm.; ben sviluppate sono la grande e piccola tubero-
sità od esterna ed interna : la prima è più alta della se-
conda di circa 12 mm.
La forma dell'istesso capo omerale è quasi emisferica,
con due diametri disuguali: l’antero-posteriore misura
gem. il burasverso -/ cm. e 172.
La cavità glenoidea dell’omoplata, in cui si adatta questo
capo omerale, rimane quasi due volte più piccola del me-
desimo.
ll collo anatomico si distinque in modo netto dal collo
chirurgico. Il solco bicipitale, compreso fra le due tubero-
sità, è molto profondo (16 mm.).
L’epifisi non è saldata alla diafisi omerale.
L’estremità inferiore o radio-cubitale dell’omero offre
ri? ANTONIO CARRUCCIO
un grande sviluppo nel senso trasversale, con condili e
troclea ben sviluppati: essa ha un diametro trasverso di
circa 9 cm., ed antero-posteriore di 7 cm.
La fossa olecranica in ciaschedun omero dell’ Okapia
ha una profondità assai notevole, cioè di ben 35 mm.
e due fosse, chiamate una radi ‘altra coronoidea |
Le due fosse, chiamate a radiale, 1
o sopratrocleare, sono abbastanza ampie, specialmente la
seconda.
Chiunque abbia pratica di osteologia comparata trova
facilmente quali sono le maggiori somiglianze, e quali le
piu o meno lievi differenze colle stesse ossa appartenenti
ad altri ruminanti. E queste differenze essendomi sembrate
più apprezzabili per l'omoplata e per l’omero, anzichè per
le altre ossa dell’arto toracico, ho voluto un po’ trattenermi
sulla loro esatta indicazione.
Altre notizie interessanti ci vengono date dal Forsyth
Major, riguardanti tanto la lunghezza delle 3 seguenti ossa
dell’arto toracico — omero, radio e metacarpo — quanto
delle 3 ossa dell’arto pelvico — femore, tibia e metatarso
— appartenenti alle due specie viventi di Giraffa, all’Oka-
pia, e ad una specie fossile di Samotherium. Ecco le pro-
porzioni ottenute dal Forsyth Major:
Arto anteriore Arto posteriore
1. Giraffa .del-Uapo, Gia ie20108 1835
2. » d'Abissinia: £ ec in=2300 2079,5
3. » del'Senegab 00 1690
40 0ORANra to AR, 948 974
5: SAMOCher Um E RIO 134
rea.
Ho voluto anch'io fare questa addizione delle tre ossa
dell’estremità anteriore e della posteriore appartenenti alio
scheletro donato da S. M. il Re Vittorio Emanuele III, ed
ottenni per la prima la lunghezza complessiva di mm. 999
(comprese però le ossa del carpo), e per la seconda di
1000 mm. (parimenti comprese le ossa del tarso).
La differenza adunque fra gli arti dello scheletro avuto
dal Museo di Tervueren e quello di Roma è di 47 mm. in
più per gli arti anteriori, e di 26 mm. per i posteriori.
Osserva pure il Forsyth Major che le Antilopi e gli
altri ruminanti hanno in generale l'arto posteriore più
SULL’ « OKAPIA >» DONATA DA $S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE II. 13
lungo di quello anteriore, e soltanto in taluna specie di
esse Antilopi le due estremità hanno l'istessa lunghezza :
in tutti però l'osso dell’avambraccio è sempre più corto di
quello della gamba. E supponendo il Forsyth Major ehe
la lunghezza del radio sia uguale a 100, ottenne per pa-
recchi ruminanti africani le seguenti proporzioni :
lungh. radio lungh. tibia
ESITO e Er 109 120
Ulippolnagus EqQuInus. <.< 0.00. e. è 100 118,8
e n alli enti 100 Lg
WE o) org sli 100 SOI
Tre specie di Samolherium (Paloeotra- | 10 ;
ETRE Aaa ve Toe 28 E RANA \ 05
Helladotherium di Pikermi (2) . . . . 100 86
figramnagidel Senegal 0. 0 a 100 83
N SS 100 79
dedotte 100 79
Rilevasi adunque da queste misure comparative prese
da Forsyth Major che nelle ossa dell’estremità anteriore e
della posteriore, la lunghezza - nell’Okapia - è pressa poco
eguale, come è pure nei Samotherium ; ma così non è nelle
Giraffe ìn cui sono più lunghe, mentre negli altri mammi-
feri sono più corte.
Questi risultati del precitato autore furono pubblicati
nella Belgique Coloniale (N° 21, 25 mai 1902); ma in un'altra
comunicazione che l’istesso Forsyth Major fece alla « Zo0o-
logical Society of London » (June, 3, 1902) Ii conferma com-
pletamente, e conchiude con queste precise parole: « In
the Giraffa the fore limb is longer, and in Ruminants gene-
rally it is shorter, than the hind limb (V. » Procedings, p. 78).
Radio e ulna. — Lo sviluppo di queste due ossa
dell’antibraccio della Okapia è in realtà considerevole,
in confronto di alcuni altri ruminanti di dimensioni quasi
eguali.
wegbrimna di. tutto. .csservo. che” il corpo. del radio è
molto meno curvo di quello dell'osso ulnare, e la. forte
(1) TAUROTRAGUS ORYX.
(2) H. DUVERNOYI,
114 ANTONIO CARRUCCIO
convessità di questo è rivolta verso la faccia posteriore
di esso radio, ch'è concava a cominciare dalla sua se-
conda metà. La lunghezza totale del radio è di 34 cm.:
dunque circa 6 cm. più lungo dell'’omero. Questa lun-
ghezza del radio è maggiore nelle Giraffe: se giov., 62 cm.,
La faccia anteriore del radio è piana e larga in
alto, poi per oltre una metà fino all’estremità inferiore
è assai convessa, ma la si vede farsi di nuovo piana ed
un po’ declive presso l'articolazione col carpo.
La faccia esterna stretta e convesssa in alto,.si fa
piana inferiormente e più larga.
Il margine interno è pronunciato soltanto per due
terzi dell’intiera sua lunghezza, essendo il terzo supe-
riore affatto smusso, e si confonde colla faccia poste-
riore ; la quale ha la sua massima lunghezza (6 cm.),
presso l’epifisi.
Il margine che da esterno tende a farsi posteriore,
è prominente, e si ferma alla distanza di 8 cm., dall’e-
stremità superiore o testa radiale. Nel punto in cui fi-
nisce si vede una profonda e rugosa impronta musco-
lare (forse a un m. corrispondente al bicip. brus.)
Calcolo che il radio sia grosso almeno dieci volte
più dell’ulna, ben inteso confrontando le porzioni me-
diane dell'uno e dell’altro osso, perchè la estremità ole-
cranica, come dirò, è molto sviluppata nell’ulna di questo
mammifero.
La circonferenza dell’estremità superiore del radio,
misura 22 cm., mentre quella dell'estremità inferiore mi-
sura 17 cm. Nella parte mediana del radio, dove corri-
sponde la grossezza minore, la circonferenza è di 11
cm. Il diametro bistrasverso della suddetta estremità su-
periore del radio, misurato quasi a livello del collo ana-
tomico, è di $ cm.
Queste diverse dimensioni dimostrano che il radio ha,
come dissi, un considerevole sviluppo. E la superficie ar-
ticolare incavata dell’estremità superiore (testa radiale)
cui corrisponde il duplice condilo omerale, ha un diametro
bitrasverso di cm.7 1]2, ed uno antero-posteriore di 4 cm,
dA sfide è VATI pe
Sa i I Ra E OE RE ST MELO
À
SULL’ « OCKAPIA » DONATA DA S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III 115
Anche il radio presenta la diafisi non ossificata colle
due epifisi ; nè quando avvenga nell’Okapia la saldatura
sarà cosa facile di poter precisare, come si è fatto per altri
mammiferi ruminanti ecc.
Il cubito è lungo, dalla punta dell’estremità inferiore
alla superiore od olecranica, ben 40 cm. Nel mezzo s’in-
curva assai, in guisa da avere il margine interno e poste-
riore poco sporgente e concavo, e l'anteriore più sottile,
anzi tagliente, assai convesso.
Le due faccie laterali (che in altri mammiferi restano
anteriore e posteriore) sono per una metà piane e per un’al-
tra concavo-convesse ; ma-la convessità è più manifesta
nella faccia laterale interna, specialmente in alto.
L’estremità superiore od olecranica ha forma quasi
quadrilatera, con una larghezza di cm. 6 172 e con una
altezza di 7 cm. — Lo spessore massimo dell’olecrano è di
mm. 31. — La grande cavità sigmoide, che si articola alla
troclea omerale, offre nel mezzzo una cresta divisoria per la
quale si hanno due escavazioni alquanto disuguali, in cui
si adattano la faccia posteriore dell’estremità omerale e
della estremità superiore del radio.
La metà inferiore del cubito ch'è la più debole, è com-
pressa ai lati, larga 11 mm., con uno spessore minimo di
4 mm; mentre in alto, prima che sorga il grosso processo
olecranico, la larghezza è di 25 mm., con uno spessore
di 9 mm.
L'estremità inferiore si salda col radio ed è precisamente
la così detta apofisi stiloidea del cubito che si fonde coll’osso
maggiore dell’antibraccio, mentre non è saldata con essa
apofisi la porzione terminale della diafisi. Ma è noto che
nei mammiferi l'ossificazione dell’epifisi inferiore, a spese
della quale si forma l’apofisi stiloidea, ha luogo con len-
tezza. Ed è pur noto che il cubito della (Giraffa, svilup-
patissimo, invece di saldarsi col radio per quasi tutta la
sua lunghezza, come accade in altra specie, si mantiene
indipendente da una estremità all'altra. Questa indipen-
denza pare anche maggiore pel cubito dell’Okapia, che
dista dalla faccia posteriore del radio da 10 a 12 cm. in
alto, e da 7 a 10 in basso,
pio:= ANTONIO CARRUCCIO
Il carpo dell'’Okapia è formato di 6 ossa, disposte in
2 serie, 4 nella superiore, ma uno è situato all’indietro,
e 2 nella serie inferiore. Salvo le dimensioni e piccole dif-
ferenze di forma, la disposizione è quella che si osserva
negli altri ruminanti; nè credo dovermi intrattenere sulla
medesima. L'altezza di questo carpo è di 4 cm. e 172,
mentre l'altezza o lunghezza del carpo nella Giraffa giov.
è non minore di $ cm.
Usso metacarpeo. — Questo è lungo 26 cm., convesso
nella sua faccia anteriore, eccetto nella linea mediana, che
offre una depressione lunga 4 cm. e larga da 9 a 11 mm,
colla profondità di 2 mm. circa: tale depressione è situata
presso l'articolazione carpo-metacarpea. Nell'istessa faccia
anteriore, ma inferiormente, e sempre sulla linea mediana,
si osserva una stretta solcatura assai poco profonda, lunga
circa:9 cm.
Le faccie laterali, massime l’interna, sono pianeggianti ;
la posteriore poi è profondamente scavata per non meno
di 9 mm. quasi per tutta la sua estensione. Siffatta esca-
vazione o doccia è larga in alto 2 cm. e 1]2, nel mezzo ed
ed in basso circa 2 cm.; ma in basso, e precisamente
verso l’ultimo sesto della lunghezza toiale, questa faccia
posteriore si appiana e si fa appena declive dall’ alto in
basso, verso l’articolazione metacarpo-falangea.
Le due estremità del metacarpo sono più grosse di
tutto il rimanente del corpo dell'osso : infatt. questo ha in
media una circonferenza di 11 cm., mentre la circonfe-
renza dell’estremità superiore è di 16 cm., e quella del-
l'estremaita inferiore èidi die Se:
Trovo scrittori che affermano essere la lunghezza del
metacarpo della Giraffa « presque égale à celle du radius ».
(Joly e Lavocat, ecc.). Ciò, come risulta dalle esatte misure
da me prese, non può dirsi per l'Okapia, che ha un radio
lungo 34 cm., ed un metacarpeo lungo 26 cm.: ora una
differenza di 8 cm. precisi non rende davvero queste ossa
quasi eguali (1). (Continua).
(1) Inalto, nella faccia posteriore del metacarpeo dell’Okapia, si vede un foro
ovale, lungo 8 mm. e largo nel centro 4 mm. ch'è stato segnalato per la Giraffa
e per altri mammiferi, anche non ruminanti.
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SOPRA ALCUNI " PESCI MOSTRUOSI ,,
raccolti nelle valli del
VENETO ESTUARIO
Noli aommnicatà dal socio conte EMILIO, NINNI
alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma
Le mostruosità negli animali vertebrati superiori fissarono
già l’attenzione dei più antichi naturalisti e, nelle loro opere,
possono leggersi descrizioni più o meno dettagliate e coscienziose ;
in alcune poi di queste, ci danno addirittura notizie di certi ani-
mali sì anormalmente formati che toccano più l'immaginario, il
favoloso.
Lasciando le antiche pubblicazioni, come quella dell’Ulisse
Aldovrandi (1624), dell’Iacobi, ecc. passiamo subito al secolo XX,
e dei maggiori autori che, trattarono fino ai dì nostri di queste
anomalie, piacemi ricordare lo scritto del dottor R. Canestrini (1),
nel quale passa in rassegna le diverse mostruosità incontrate’
tanto negli uccelli quanto nei pesci, e descritte dal Risso, Geoffroy,
Saint-Hilaire, da Baer, Cuvier et Valenciennes, De Filippi, Coste,
ece. ecc., fino allo Steindachner, Lereboullet, Blanchard, Cane-
strini, Panceri, Parona, Pavesi, Fatio, A. P. Ninni. E quanti an-
cora ne succedettero dal 1883 fino ad oggi, un’intiera bibliografia,
alla compilazione della quale ci vorrebbe un tempo non piccolo,
estranea poi al titolo di questo mio breve scritto.
Come dissi, il lavoro del Canestrini R. m’interessò molto, ci-
tandovi un muggine (Mugit capito) pescato nelle valli, con il capo
sì evidentemente deformato, che ricorda molto da vicino quello
(1) Pesci mostruosi. — Atti Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali.
Vol. IX, fasc. I. Padova 1883.
Bollettino della Società Zoologica Italiana A
U8 EMILIO NINNI
di un cane alano. Anomalie di tal genere furono constatate dal
Ninni A. P, e per lettera edotte allo stesso Canestrini R., nei.
Mugil (chelo e capito), nel Gobius ophiocephalus, nel Labrax lupus,
nel Gadus minutus, nel Pleuronectes italicus e nel Merlucius
vulgaris.
Nel corso di quest'ultimi anni ho potuto raccogliere (oltre a
diversi albinismi) diversi soggetti anomali, ed oggi presento un
Labrax lupus, un Mugil cheto, dae Mugil capito ed una Anguilla
vulgaris, dandone, del più interessanti, un semplice schizzo.
Esemplare I. Labrax lupus (lungh. 12 cm).
Testa normale, inclinata un po’ verso destra. All'altezza della
prima dorsale il corpo incomincia formare una curva assai forte
oltrepassando l’ultima spina della I°, l'inserzione della II° dorsale.
La colonna vertebrale descrivendo una $S che ci immaginiamo
posta orizzontalmente, produce tale deformazione da rendere il
corpo come diviso in due lobi; manca quasi del tutto la porzione
caudale, imperocchè l’estremità della pinna dorsale II° e quella
anale toccano la caudale.
La linea laterale che, negli esemplari normali descrive una
leggera curva, su questo è presso a poco diritta.
Levati da una parte gli strati muscolari, si dovrebbe a bella
prima supporre che la colonna vertebrale dovesse seguire le linee che
ne deformano il corpo. Ma quì succede ben altro. Le vertebre sono
fitte fra loro da non potersi distinguere nessuno spazio 0 cartila-
gine intervertebrale, e partendo dal capo si alzano fino al livello
dell’occhio, scendono rapidamente fino all'altezza della pettorale,
si riversano un po’ verso destra e rialzandosi bruscamente for-
mano una gobba posta in senso del tutto contrario a quella se-
gnata dalla seconda dorsale.
L’incavatura al disopra dell’anale viene prodotta da alcune
vertebre poste fra loro in maniera tale da formare fra ogni una
di esse un cuneo, l’apice del quale rivolto in basso.
Esemplare II Mugi! chelo (14 cm).
Testa rormale, soltanto l’opercolo destro assai rigonfiata.
SOPRA ALCUNI «€ PESCI MOSTRUOSI » 119
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