ttt ) LUI E sii a) IRA 3 vi ba ATRIA = pi Ve \ CIR \ «DL ta ; | Ri, nia ta! , it a ‘i Vu, ; ULI id nea ESA #- Totti, 1 i \ \ ì i USA «) TRAINARE, NCR SI ATI — $ AA I LE POM N RARA TOA; } II Li VILTR fi PRA RUPE GPC A RINRRTASZA IDO Cl AI «ne VAN BUE SALI È 4 #00, Ma PI AAA I N IMAA, PRA ue i x (REPOI N cri VOLARE LU (4 < Wi DISTA RATIO, È Di URGE MIRA, p_£ \ d IMIFEDA DIEGIOTI RONITÀ ku a Ye" » 0 IRA TAMA 0, RA n SITA RN È MG DARIRARAI (0. RATA ni vp & RU Va IAS 4 \*A1 Pi j \ 5% FRAN oe \ vi VII TOM IN Ni, t--: RARA IO NESS Ni | ì) . AVIRA RZ: vi3 n EVA VAI ah d URI vt i ) i 3g. — hi vane >» I £. Ù CM ì E) 343 {> Ri u 50) dip. * a , N° “ Mi h o \ PA, ; sete per AN D) È RAI E = )) ILE y N) d Do) È La DA: ; se wi » ) } = ei TR ))) TT 8109) >< x ) £)}, ®)) LD) DIE SAR), ; " NN Pi, da ti D9)0 \ DI a VAd N è AM 1I, ), x \ ) Di Y) D 4 he, | » ), } 1) \)\ ))) Li; di DD RES) Piede? 4 1) = == x< pes \ i DI» RIP: ») I I) D) I age si sa 55; NI \U/U “fs dD DI Librarp of the Museum OF COMPARATIVE ZOOLOGY, | AT HARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS. / (o a Va | The gift of Pe ATurAAA 7, :i lrn ÙU / No. >”, / IS 4 Ilie Sy SEI — pane /897 UE Mi, DI Ea Soar 4,168 BOLLETTINO dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino TORINO TIPOGRAFIA GUADAGNINI E CANDELLERO via Gaudenzio Ferrari, 3 Pe 1%, AA ia DA ® LIIN RI eri Noa Val 4 ul sa Ri si "DA ia” a a + EVA I de x | \ ù a È è 3% 2A . kb MVP b LI ° Da è n) SP ì x IT: ‘e * hl sli PA fd se") a Nt, ESE Se lag Na: vi I AGERE AGE È e mizar. samia giDimenA nz zz 2zzzz 2zzzz Uta UM EL 17 FNEDTCE —__—_&m . Peracca (MARIO) Sulla presenza del Pelodytes punctatus Daud. in Italia. . Rosa (DANIELE) A/lo/odophora celtica n. sp. . Rosa (DANIELE) Note sui lombrici del Veneto (Riassunto). . Camerano (LoRENZO) Dell’esistenza della Talpa europea Lin. in Sicilia. . Peracca (Mario) Sulla presenza della Rana Latastti Boulenger in Piemonte. . Borzone (M.) Sulla presenza del Trifon alpestris Laur. in Piemonte. . Camerano (Lorenzo) Della Lacerta taurica Pallas in Italia. . Camerano (LorENZO) La questione delle rane rosse e la critica scientifica. . Camerano (LorENZo) Intorno alla scoperta del Pelobates fuscus in Italia. . Sacco (FEDERICO) Sopra una nuova specie di Discohelix Dunker, fam. Solariide Chenu, (con tavola in fototipia). . Camerano (LorENZO) Descrizione di una Lacerta viridis (Laur.) melanica. . Peracca (Mario) Sulla bontà specifica del Triton Blasiî de )’Isle e descrizione di una nuova forma. ibrida di Triton francese, (con tavola cromolitografica). . Pero (PaoLO) Nota sui peli-ventose de’ tarsi de’ coleotteri. . Borelli (ALFREDO) Ricerche intorno alle differenze osteologiche delle ranae fuscae italiane. . Rosa (DANIELE) Nota preliminare sul Criodrilus lacuum. . Peracea (Mario) Osservazioni intorno alla deposizione ed incubazione artificiale delle ova dell’Elaphis quaterradiatus (Latr.). Pollonera (CARLO) Aggiunte alla malacologia terrestre del Piemonte. Rosa (DANIELE) I Lumbricidi anteclitelliani in Australia. LIA, he Mei RATE Ai 4 at Li O) ù Ri: ; dtd 1 eni ne sha d : ta PMABRR ARA \ x ? all OA 4} pa d4 ‘dott Sa Hi nen tti Ci Mar cu | (pet DSS99" n todiqudotottA, (sc rsiga@) Mme ur .(otnvszni) otsnot 199 fvindanot ion ato nigra: giltoi2 gt (mi ‘nosgovisò ngist stlob asitofalagtitod tosieziro.IY on vi Tognolto@ Masink.anss alleb ipso: ‘ee saprai Gi arani vsezautio PROSS Teb psr6B9td alta (I) ei or fo. piloti ‘ni estinti porvi aston alto fossero) osntomsi Ri. softituoiva noltero hl 9 62401 agi aitob vnoidioip int (Asics) omar iv, dr il ANI Gi risor) 25000189 Job btrdgosd alli perrosni (osato 1 orta ti cano viozlau( itastbonii 1 aiooge STdUa mt (igoR ( hi Met; a | cei ot (kgitotoi al d16%nd 1100) ifoilo. obi L6diftalone {att ridi INSCETAI sntip sapitinnas@ (osndg63) 4 p Une 9 olel'i Gb RANA Wplit fo) sofinoca tod ella? (orta) a DIRT non rinodetE apotio ib deri perio) svona son th snolsi 5 ‘A i sgfurgottiamon, i > FERIE ab ian "ob szgtasv-iler ine ato (04% « (3 ollefi. oftoigolosteo spora Sila cotodni sdb109)8 COSTATTA) iti so i spfinitest bor ant ® pera sito Ton etnimilora RGLA (nt } sea) © egoizidmoni bo astolsizorgsb stà otriodatti lapisavro8so M » ABBI) PODI CI illo tro susa bfoftttrài inomeia sto onttagnntà nivofosalai stla odusstgA {oin49) pes 2 slitte ne Ria ibisindieon E (ife) " Lj N I i ORSI LAS è: L N; wi Te $ Di ho” 3a Ù d dd A L "ee i . ef A 6. > i ai y MMI SUG i uil ile fi drita MIL } DI | à j ad 4 i ) è y° < 090, di VI 00) ri DI ag BAI PA e LT ip 4 È l î e 7 CSA na AL e77 S BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia AULE È ta 69$_ 4 della R. Università di Torino ) ‘9/8 _ CI? MI dI ADE, Ù N. 4 pubblicato il 14 Aprile 1886 NOS] Sulla presenza del PELODYTES PUNCTATUS Daud. in Italia del Conte MARIO G. PERACCA Il Professore Camerano nella sua Monografia sugli Anfibi Anuri Italiani (') novera in un capitolo a parte le specie citate erroneamente dagli Autori come rinvenute in Italia o in località da vari Autori con- siderate come appartenenti al territorio faunistico Italiano — Fra queste specie (A/ytes obstetricans, Bufo calamita) citò il Pelodytes punctatus e sulla sua presenza in Italia ha le seguenti parole: « Questa specie venne erroneamente citata come trovata in Toscana « e nel Modenese. i « Il Pelodytes punctatus Daud., venne trovato con certezza nel « Nizzardo. Il Lessona ne cita un esemplare raccolto dal dott. Wie- « dersheim nella Liguria occidentale — A questo proposito il dottor « Gestro, vice direttore del Museo Civico di Genova, gentilmente mi « fornisce le seguenti notizie: l’unico esemplare di Pelodytes punctatus « che io abbia visto fu portato dal Wiedersheim al Marchese Doria, « che lo tenne vivo in casa sua per lungo tempo — Essendo poi caduto « ammalato gravemente, il piccolo anuro nel frattempo morì e si disseccò « completamente, per cui non fu possibile di conservarlo — Era stato « preso in Liguria, nella riviera occidentale, ma non ci ricordiamo più « se a Monaco od a Mentone — » Ben a ragione, dietro queste notizie, il Camerano si credette in dovere di considerare il Pe/odytes fra le specie erroneamente assegnate (1) — Monografia Anfibii Anuri Italiani — Estr. dalle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino — Serie II. — Tom. XXXyV. all'Italia. Ancorchè l'esemplare del Wiedersheim si fosse potuto conser- vare non si sarebbe perciò potuto affermare che il Pelodytes fosse vera- mente da porsi fra le specie indigene Italiane, non trovandosi che al confine occidentale della Liguria, sui limiti del Nizzardo dove si trova assai frequentemente e di dove si capisce abbia potuto estendersi e penetrare più o meno lontano nella riviera Ligure — Orbene più fortu- nato dei miei colleghi sono in grado ora di poter affermare che il Pelodytes esiste in Italia e che con ogni probabilità vi è comune. nell’alto Piemonte. Trovandomi il primo aprile di quest'anno a Castino — nelle Langhe — sulla strada da Alba a Cortemilia a circa 450 metri sul livello del mare, ed in pieno Piemonte per conseguenza, ebbi la fortuna di raccogliere 3 esemplari maschi del nostro Pelodytes. Fin dal mattino del 1° aprile esplorando le pozzanghere ed i ruscelli d’acqua stagnante che fiancheggiavano la strada avevo osservato dei gruppetti di ova che a tutta prima mi fecero pensare alle ova di Z7y/a arborea — ma che riconobbi ad un attento esame essere affatto diffe- renti — Erano di un color nero bruno intenso e più grossi di quelli dell’ZZyZa che sono di un color castagnino chiaro e bianchi per l’esten- sione di '/, della superficie del vitello dell'uovo. Alla sera poi verso le 7 1/, passeggiando in campagna mi venne fatto di udire numerose grida di Batraci anuri che non avevo mai udite, e che con certezza non pote- vansi riferire a nessuna delle specie nostrali di Batraci anuri — Muni- tomi di un lume esplorai attentamente la pozzanghera ed i fossi donde partivano i canti e riuscii con mio stupore a sorprendere 2 esemplari maschi di Pe/odytes. Verso le 9 !/, tutti i canti erano cessati e non mi fu possibile trovare altri esemplari. Osservo però che udii nella serata più di 20 canti, provenienti da direzioni differenti e che, in tutta la serata non udii che il canto del Pe/odytes. Fra poco tornerò ad esplo- rare quelle località con più agio; fin d’ora credo però di poter affermare che il Pelodytes è comune nei dintorni di Castino. Lungo il giorno per quanto attive siano state le ricerche non ne rinvenni che un solo esemplare tirato su in una rete dal fondo di una pozzanghera che era coperta da una fitta vegetazione di Care. Pare che lungo la giornata l’animale stia nascosto nelle pozzanghere in mezzo alle erbe palustri e non esca che la sera per cacciare insetti. Questa credenza mi è venuta osservando che i 2 Pe/odytes, che con- servo tuttora vivi nel mio. acquario dove vi sono dei galleggianti di sughero e delle roccie a fior d’acqua, stanno tutto il giorno sommersi non venendo a respirare che a lunghi intervalli, per nuovamente tuffarsi, e non salgono sui galleggianti che alla sera — Il canto dei Pe/odytes è lento e forte e si ode a grande distanza. Se ne può aver un’idea assai esatta pronunciando la parola ù-è — accettuando nella pronuncia pochis- simo l’u — e pronunciando dopo brevissima pausa l’e molto aperto e molto lungo — I gridi si susseguono ad intervalli di 10 o 15 secondi: dopo 4 o 5 gridi l’animale si riposa e dopo circa mezzo minuto fa sen- tire nuovamente 4 o 5 gridi. Ho creduto opportuno di insistere alquanto sui costumi e sul modo di gridare del Pe/odytes, potendo queste osservazioni agevolare la ricerca del nuovo anuro italiano ad altri osservatori. Uno dei 3 esemplari fa ora parte della collezione dei Batraci Anuri Italiani del Museo Zoolosico di Torino. Torino, 6 aprile 1886. e rg LA f Pi Meet An i A DI BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata 7 694 4 della R. Università di Torino AA 2: RC N. 2 pubblicato il 15 Aprile 1886 Vor. ALLOLOBOPHORA CELTICA n. sp. del D.r DANIELE Rosa Provenienza: Brest (Bretagna) dal sig. Bavay. Marzo 1886. Tre esemplari viventi. Dimensioni di un Lumbricus purpureus Eisen, cioè diametro da 2 mm. a 2 ‘|, e lunghezza da 35 a 40 mm. in media estensione. Forma sempre cilindrica, attenuata sopratutto posteriormente. Colore violaceo pallido sul dorso, inferiormente carneo livido. Numero di segmenti 100 nel solo es. ben intero. Lobo cefalico con largo prolungamento che taglia quasi '/, del 1° segmento; il lobo non ha un solco longitudinale inferiore. Aperture maschili al 15° segmento fra-la 2° e la 3° setola, con atrio esteso su tre segmenti (su un individuo l’apertura destra si trovava per mostruosità al 16° segmento). Aperture femminili. Si vedono bene in un individuo come due fessure al 14° segmento contro alla 2° setola, ma dal lato esterno di essa sull’atrio stesso delle aperture maschili. Ctitetto poco rilevato con segmenti non ben fusi; occupa i segmenti (31 — 36) = 6. Tubercuta pubertatis ai segmenti 38, 34 in forma di rilievi continui arcuati verso l’indentro. Essi sono affatto ventrali. Setote distanti, a intervalli laterali leggermente crescenti dal basso all’alto cioè a dire che l’intervallo laterale mediano (2-3) è maggiore del laterale inferiore (1-2) e minore del laterale superiore (3-4); lin- tervallo ventrale (1-1) non supera molto i laterali inferiori; l'intervallo dorsale (4-4) contiene circa due volte i laterali superiori. Le setole ventrali ai segmenti 31, 32 e 35 son portate da papille rilevate. Aperture degli organi segmentatli o nefridii visibili con certezza sin dal 3° segmento; parte di esse si trovano davanti alla 2° setola, parte davanti alla 4*; in entrambi i casi però un po’ esternamente; queste diverse posizioni sì seguono e si alternano senz’ordine e non vi è nem- meno simmetria fra il lato destro ed il sinistro. Questo fatto si osserva in tutti ì tre individui. Ho osservato minutamente la posizione di questi orifizi in un individuo che non essendo ben completo non aveva che 52 segmenti; su 47 di essi erano ben visibili i pori dei nefridii; orbene di questi pori circa ?/; stavano davanti alla 2° setola e '/; davanti alla 4; la proporzione è sensibilmente uguale pei due Jati. Queste diverse posi- zioni dei pori degli organi segmentali si ritrovano nel L. purpureus, rubeltus ed altre specie. Affinità. Questa specie appartiene evidentemente allo stesso gruppo della Allolobophora subrubicunda (Eisen). Essa rientrerebbe nel genere Octolasion creato recentemente dall’Orley, ma questo genere, fondato unicamente sullo scartamento delle setole mi pare troppo artificiale; esso porta a dei ravvicinamenti affatto contrari a quelli dati dalla posizione dei receptacula seminis. — eo go TIP. FODRATTI - TORINO BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata 7,625 della R. Università di Torino Vug La (ACEA SAAS N. 2 pubblicato il 15 Aprile 1886 Von: 1 Note sui lombrici del Veneto del D.? DANIELE Rosa. (Riassunto) Le note di cui precede il titolo stanno per uscire negli Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti in Venezia. Le specie che vi son segnate come trovate nel Veneto sono : 1 Lumbricus rubellus Hoffm., 2 L. herculeus (Sav.), 3 Allolobophora foetida (Sav.), 4 A. veneta n. sp., 5 A. mucosa Eisen, 6 A. chlorotica (Sav.), 7 A. trapezoides (Dugès), 8 A. subrubicunda Eisen, 9 A. trans- padana Rosa, 10 A. profuga Rosa, 11 A. Ninntî n. sp., 12 AUlurus tetraedrus (Sav.), 13 Criodrilus lacuum Hoffm. Di queste specie quelle segnate 4, 7, 11, 13, son descritte estesa- mente. In appendice sono inoltre descritte l’ AZZo/obophora gigas (Dugès) e l'A. icterica (Sav.) trovate in Piemonte dopo la mia pubblicazione sui lombrici di questa regione (!). Ecco le diagnosi delle nuove specie: Allolobophora veneta n. sp. Lunghezza media (in alcool) 60 mm.; segmenti circa 140; colore della A. foetida; lobo cefalico occupante !|3 del 1° segmento; aperture maschili al 15° segmento con piccolo atrio; clitello gene- ralmente (27 — 33) = 7; tubercoli 30, 31; setole geminate, ma non strettamente, le paia distando lateralmente le une dalle altre poco più che le singole setole d’ogni paio; le setole superiori, meno scartate delle inferiori, stanno 3-4 volte nello spazio mediano dorsale. Ricettacoli ai segmenti 9, 10 aprentisi agli intersegmenti 9-10, 10-11 presso la linea mediana dorsale. Hab. Venezia. Allolobophora Nimnii n. sp. Lunghezza media 50 mm.; segmenti circa 125; lobo cefalico intaccante il 1° segmento; aperture maschili al 15° segmento quasi invisibili; clitello (21 — 24, 25) = 4, 5; tubercoli 21, 22, 23, 24; setole geminate strettamente; ricettacoli ai segmenti 10, 11, aprentisi agli intersegmenti 9-10, 10-11, in direzione delle paia superiori di setole; colore e forma primatica di un Allurus tetraedrus. Hab. Treviso. (1) Rosa. I Lumbricidi del Piemonte. Torino 1884. A i Sr ‘‘ otòngV lab' ioindmol ju etoli L.J67 1 deRi Loti di È possi St 0 e (osmmazaizi) 9h it)£ ‘ifogi etioem ‘ig oynasta olo ti ab9d01 igo ib s stout a) pisonoV si itrà bo ototiaI osaoin® ib cdamaV ati isa «Sioa otoiio los. sis7volt omo» sisavoe mae im sb dl preostiuodorottà. "E I. 466) aaotatvrasit I E, ttoH aubtatime 23 poztonolità I, d' 10210 naooystt (hi E .j# Lt Sos LB asi e 2 “asgl ssaa 9 (25900) 2obtozagnioi asbervh EE e it aes A PE eros mpanona A dI pe 1 Mo srtisroni antitbote EI. (vez) 20 -puoizo sitimzob noe ,&I IT NV & stsivsa allaup siosgà odio. (Suu) impari dvtotgodotali hh i iue toispoilddin sim s! oqob sltomaii si atsvon (7688) pprsisni Po soinot sizonp ib i pInega ovong sllsb. isotrasib ol 09 OI vr Foltigozoh.orifagi viros GITDL9]AB 0 RPITATII ‘00 ([oos}s mi) sibont sssoriganl qa ‘i aionor sTodgqo sfelo f t: o] lo gl! atasgnzso vsilata» odo ;sbitsol i BIFSb suolos dI sila ì 10 -ottdg ollalilo indie alonoig smo» ofnoamos GL Ls iLifazna sriiiogo 00a Olioitinidotta son #1 adsnitog stoton 108 ione ind = 6 = TO) SAIUCI «alotoz olognia sf: ufo: fritp 030G salta sa ei of alfisinia stat obunte ili a stlov f-S imita Moinota! uffob alalagde droni d'idinogua olotsz ol sci î ifus iziinonga al .@ limone citi (ovaio: «sigeob onsibau ois I pivonra7 dall colazioni sasibene sondl. st azzera HI-OL 0-2 Lins ijoontgoz raro 06 sibom sszodgrini i ii MERO suodcodol cai da iltibasca “gii peo: sotgontgat SE li o!nagsosini onilitdao ocelli SES EL 1 ilootadità@ d = (GSS t9) oltosito -ilidiaivili iaonp: ion izitmo «quo xl. 01 FIAAARITA ip [inastlosit rot1roucatbertde Bini 9 siolos pilolog ib'imoitague sisqositob onoisotb ii xt DE dI-e itu6 i salvata H sauibasttol “enel 4 uu ai sol] ——_ ie IP XODRATTI — 1 TOSCA ‘biindtan L eri ui BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata VV GS | / della R. Università di Torino fugge, ; N. 4 pubblicato il 15 Aprile 1886 Vorsoi Dell'esistenza della TALPA EUROPZA Linn. in Sicilia osservazioni del Dottor LORENZO CAMERANO L'esistenza in Sicilia della Ta/pa europaa Linn. comprendendo sotto questa denominazione anche la Ta/pa caeca Savi, è considerata come dubbiosa da parecchi Autori. Il Galvagni, (') la cita come. esistente nella regione pedemontana dell'Etna dove la si trova nei profondi dissodamenti che imprendonsi per la piantagione delle viti; e negli scavi per la costruzione delle cisterne. La citazione del Galvagni, come fa osservare giustamente il Minà Palumbo (*) non si riferisce con molta probabilità alla vera Tapa ma bensì ad una qualche altra specie di insettivoro; tanto più se si consi- derano le dimensioni e i caratteri della colorazione indicati dal Galvagni. Egli dice che la lunghezza maggiore dal muso all’inizio della coda è di due pollici e mezzo, la sua altezza quasi un pollice ed è di color bruno. Il Minà Palumbo (*) riferisce essenzialmente quello che ha detto il Galvagni. Più tardi il Doderlein (“) dice che si trova « incertamente la « Talpa europaa Linn. unicamente circoscritta, giusta il Galvagni, « ad un breve raggio della regione Etnea » Lo stesso Doderlein in un opera più recente (*) dice « mancandovi del tutto la dannosa Talpa « (Talpa europea Linn.) erroneamente ascritta dal Galvagni ad alcuni « brevi tratti della regione pedemontana dell'Etna. » (1) Fauna Etn. — Atti. Gioen. XII. 105. (2) Catalogo dei Mammiferi della Sicilia. Annali di Agric. Sicil. 2° Sez. Anno XII. — Biblioteca del Naturalista Siciliano Mammiferi, fascicolo VI. pag. 40. 1868. (3) (Op. citat. (4) Alcune generalità intorno alla fauna sicula dei vertebrati. Annuario della Società dei Naturalisti. Modena. Anno VI. 1872. (5) Rivista della Fauna Sicula dei vertebrati — Nuove Effemeridi Siciliane vol. XI. 1881 pag. 7-8. Il Bonaparte nell’/conografia della Fauna Italica ed il Cornalia, nella Fauna Italiana, (Mammiferi) non danno maggiori ragguagli a questo riguardo. I vari catalogi di animali raccolti in Sicilia, non la menzionano. Io sono in grado di dare intorno all’esistenza della Talpa europea in Sicilia qualche ragguaglio più preciso. Nell'anno 1878 il Dottor Edoardo Martel di Torino ora professore a Roma veniva nominato professore di Storia Naturale del Liceo di Modica. Io lo pregai prima che egli partisse per la Sicilia di volermi inviare una raccolta di piccoli Mammiferi di Rettili di Batraci e di Insetti di Sicilia spiegandogli l’importanza che io davo alla provenienza esatta degli esemplari. Egli cortesemente corrispose alla mia domanda e mi inviò infatti una copiosa raccolta di piccoli vertebrati Siciliani e sopratutto di Batraci e di Rettili, ed anche una raccolta di Insetti. Fra i micromammiferi vi erano due Talpe che io misi senz’altro in collezione dopo aver osservato che avevano le palpebre saldate e quindi appartenevano alla forma stata descritta dal Savi col nome di Talpa caeca. L’anno scorso, io studiai minutamente gli esemplari sopradetti, ne diedi le misure e ne figurai il cranio e ìî denti di uno nel mio lavoro intitolato: Ricerche intorno alle specie italiane del genere Talpe (') io non dissi nulla tuttavia dell’Rabi/at Siciliano della Ta/pa europea (?). Il Prof. Grassi di Catania chiamò giustamente poco tempo fa la mia attenzione sopra questo punto domandandomi se la provenienza delle Talpe da me citate era veramente sicura poichè nè a Lui nè ad altri, che avevano fatto far ricerca di Talpe in Sicilia anzi a Modica stessa, era venuto fatto di trovarne. Io non ho alcuna ragione per dubitare della provenienza delle due talpe poichè esse mi vennero spedite in una cassa di latta insieme a rettili, batraci ed insetti indubbiamente Siciliani; e mi vennero spediti dal Prof. Martel, come animali di sicura provenienza Siciliana. Ricordo anzi che io ne ebbi da Lui stesso la conferma a voce quando egli ritornò a Torino nelle vacanze. Ora il prof. Martel conoscendo perfettamente l’importanza che si deve dare nelle collezioni alla esatta provenienza degli esemplari io non ho, ripeto, fino a prova contraria, nessuna ragione per porre in dubbio l'habitat Siciliano delle due talpe sopra nominate. Torino, 2 aprile 1886. (1) Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino Sez. II. vol. XXXVII. 1885, con due tavole. (2) Uno dei due esemplari venne mandato più tardi in cambio al pro fes- sore H. Giglioli a Firenze. TIP. FODRATTI - TORINO BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata /.67° della R. Università di Torino N. 5 pubblicato il 15 Aprile 1886 Ning Sulla presenza della RANA LATASTII Boulenger in Piemonte Conte MARIO G. PERACCA Fin dall'anno scorso, come risulta da una nota che ebbi l'onore di presentare all'Accademia delle scienze di Torino, (*) io avevo trovato la Rana Latastii in Piemonte. Le mie ricerche fatte esclusivamente sulla collina di Torino non mi permisero di trovare che un solo esemplare maschio in livrea di nozze e non potei per conseguenza emettere nessun fondato giudizio sulla frequenza maggiore o minore in Piemonte di questa specie così abbondante nelle Pianure Lombarde e nel Veneto. Quest'anno iniziai nuove ricerche ed esplorai essenzialmente la pianura nei dintorni di Moncalieri e potei constatare che la Rana La- tastii è oltremodo comune anche in Piemonte tantochè in due sole caccie ne raccolsi circa 40 esemplari, maschi e femmine. Queste ricerche furono fatte verso i primi giorni di Marzo: nei primi giorni mentre già trovavasi abbondante la Rana agilis, la Rana Latastii era ancora assai rara; ma verso il 10, il 12 e il 15 di Marzo nella stessa località la Rana Latastii era abbondantissima quanto la Rana esculenta nel tempo degli amori nelle nostre risaie. Approfittai di questa abbondanza per ricercare le ova di questa specie non descritte ancora e studiarne la larva. Il giorno 15 Marzo trovai le prime ova, ne ritrovai altri gruppi nel 18 Marzo e alcune ne ottenni in casa verso il 20 e 22 Marzo da parecchie coppie che conservai vive a questo scopo. Notisi che le ova raccolte il 15 non erano ancor deposte il 13 e quelle raccolte il 18 non erano ancor deposte il 15. (*) Adunanza del 26 Aprile 1885. Accademia delle Scienze di Torino. — Della Rana Latastii e dello Spelerpes fuscus in Piemonte. Le ova della Rana Latastiù sono notevolmente diverse da quelle della R. agilis. Non parlo qui della affinità e diversità che potrebbero presentare con le ova della Rana temporaria, essendo specie questa tanto diversa, così profondamente distinta dalla agilis e Latastii che appena potè venir in mente ad un nostro noto Erpetologo di riunir le 3 specie in questione, sollevando giustissime ed unanimi proteste da quanti stu- diarono su? serio queste 3 specie. Le differenze principali tra. le ova della R. Latastii e R. agilis con- sistono nel diametro del vitello dell’ovo che nella nostra Rana Latastii misura sempre meno di 2 mm. e più precisamente 1 mm. e */,. Il vitello è di un nero bruno intenso e solo in una piccolissima porzione della sua superficie (circa '/; della superficie totale dell’ova) di color bian- castro. Nella Rana agilis invece il vitello misura sempre almeno 2 #/, e soventi 3 mm. di più il vitello è per metà bruno scuro e per metà circa biancastro. Il diametro della sferula mucosa che involge l’ovo non ha alcuna importanza perchè instabile, modificandosi continuamente sotto l’azione dell’acqua, a parità però di condizioni e di età la sferula mucosa del- l’ovo della R. Latastii è sempre minore di quella della R. agilis. Le ova raccolte in 13 - 14 giorni si svilupparono ed ai 14 di Marzo ottenni i primi girini. Dirò di volo che in tutto lo sviluppo nell’ovo spiccò sempre più la differenza di mole tra l'embrione dell’Agilis e quello della Latastii che si mostrò sempre più piccolo della metà dell'embrione dell’Agilis. In una nota ulteriore ritornerò su queste differenze, descrivendo lo sviluppo della larva della R. Latastii. Oggi mi premeva soltanto di far nota e la grande abbondanza della Rana Latastii in Piemonte e la grande differenza delle sue ova per rispetto a quelle della R. Agilis; differenza che varrà a meglio dimostrare la ragionevolezza e sensatezza di coloro (e sono la maggior parte), che credono assolutamente impos- sibile una riunione della R. Latastii alla R. agilis. Torino, 8 Aprile 1886. TIP, FODRATTI - TORINO tag. 6 (EF BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata Vi 794 della R. Università di Torino N. 6 pubblicato il 15 Aprile 1886 NOLI Sulla presenza del TRITON ALPESTRIS (Laur) in Piemonte di M. BoORZONE Il giorno 1° Aprile trovandomi in Castino nelle Langhe (strada da Alba a Cortemiglia) a 450 m. sul livello del mare, trovai nelle pozzan- ghere numerosissimo il Triton alpestris. Credo conveniente di rendere di pubblica ragione questo fatto della presenza del Triton alpestris nel centro per così dire del Piemonte. Il Professore Camerano nella sua Monografia sugli Anfibii Urodeli Italiani, (') parlando della distribuzione geografica del Triton alpestris, dice: « « La distribuzione geografica in Italia di questa specie eminente- mente nordica ed alpina è poco nota. Il Triton alpestris si trova essenzialmente nelle Alpi e negli Appennini. Nelle prime sale a note- voli altezze fin oltre i 1500 m. sul livello del mare. Negli Appennini discende fin presso al livello del mare (100 m. sul livello del mare); Genovesato. « Il Triton alpestris venne trovato con sicurezza nelle Alpi del Veneto, del Trentino e della Lombardia. Nel Canton Ticino e nelle valli Ossolane è frequente. Non venne trovato mai che io sappia nelle valli di Aosta, nelle valli di Lanzo, nella valle di Susa, nella valle della Stura, e nell’alta valle del Po, ecc. Esso si trova ad Ormea, a Rocchetta Cairo, a Savona, e in quasi tutto il Genovesato. Continua nell’Appennino Modenese e nel Pistojese. Si trova pure, secondo il Bonaparte, nei monti Apuani (Seravezza) e nella Gar- fagnana. » (1) Estr. dalle Memorie della Reale Accademia di Scienze di Torino Serie II. Tom. XXXVI. Come sì vede il Trifon alpestris non era mai stato finora trovato in Piemonte all’infuori della regione Alpina, e, fatto assai importante, non era stato finora trovato che sulle Alpi e negli Appennini, od alle falde di questi. Ora Castino si trova nel centro delle colline delle Langhe, notevol- mente lontano dagli Appennini, e quindi in un ambiente un po’ diverso da quello constatato finora per questa specie. Fra i numerosi individui da me raccolti, trovai quattro o cinque femmine perfettamente adulte, in amore, e colla consueta vivace livrea di nozze del Tr7ton alpestris degli Appennini, che ancora conservavano perfettamente sviluppate le branchie. Questo fatto assai frequente nel Triton alpestris che abita i freddi ed elevati laghi delle nostre Alpi è assai curioso negli alpestris trovati sulle colline dei dintorni di Alba. Il Prof. Gasco nel 1880 (') aveva già notato la stessa permanenza delle branchie in Triton alpestris raccolti in val di Polcevera, nei din- torni di Genova, a 300 m. sul livello del mare. Nei dintorni di Alba la buona stagione ha la durata che ha nelle pianure Piemontesi e Lombarde, e l’animale avrebbe perfettamente campo di trasformarsi nell’anno, analogamente alle larve di Triton cri- status che convive coll’alpestris in Castino. Questo fatto che in Castino ed a Genova non si può mettere in rapporto, come sulle Alpi, col rigore e colla brevità della buona stagione che può interrompere l’accre- scimento della larva e costringerla così a passare l'inverno, conferma una volta di più il perfetto dimorfismo di questa specie, e l'opportunità della distinzione di una forma abranchiata e di una forma branchiata, che giustamente il Prof. Camerano pel primo introdusse nella deseri- zione di questa specie, nella sua Monografia degli Anfibii Urodeli Italiani già citata. Torino, 9 aprile 1886. (1) Annali del Museo Civico di Genova. Vol. XVI. A TIP, FODRATTI - TORINO BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata MWEeISO della R. Università di Torino fug 9: RF N "7 pubblicato il 17 Aprile 1886 Vo. Della LACERTA TAURICA Pallas. in Italia del dottor LORENZO CAMERANO Nella mia Monografia dei Sauri italiani ('), recentemente pub- blicata, io sono incorso in un errore nel riferire una forma di Lucertola italiane alla Lacerta taurica, errore che io desidero di qui rettificare. Nello studiare la Lacerta taurica io m’'ero fondato principalmente: 1° sul lavoro del Bedriaga sugli Anfibi e rettili della Grecia (?), nel quale egli descriveva minutamente questa specie; 2° sopra un esemplare ricevuto dal comm. Edoardo De Betta proveniente dalla Grecia e che egli mi aveva spedito colla denominazione di L. laurica ; 3° sopra esem- plari ricevuti dal Museo di Atene, i quali corrispondono all’esemplare del De Betta ed alla descrizione del Bedriaga. _ Le Lucertole di Sardegna, da me descritte colla denominazione di L. taurica sub. sp. Genei (Cara), corrispondono in molti punti agli esemplari sopra detti, mentre se ne discostano per altri tanto che io avevo creduto conveniente di farne appunto una sottospecie. Disgraziatamente mi sfuggì una pubblicazione posteriore del Be- driaga (*) in cui egli rettifica la sua descrizione della Lacerta taurica data nel lavoro precedente sui Rettili di Grecia, e nello stesso tempo dà i caratteri della vera Lacerta taurica che sarebbero quelli stati indicati dal Rathke nella Fauna di Crimea. La Lucertola descritta er- roneamente dal Bedriaga per L. /aurica sarebbe invece forse la L. pe- foponestaca Bibron, Bory de St. Vincent. Questo ultimo fatto tuttavia è ancora incerto. Ciò premesso è chiaro che le forme italiane da me descritte come (1) Mem. R. Accad. delle Scienze di Torino. Serie II, vol. XXXVII, 1885. (2) Bull. Soc. Nat. Mosca, 1882. (3) Die Amphibien und Reptilien Griechenlands. Berichtigungen, Zool. Anz., pag. 216 — 1883. L. taurica non sono tali e che la vera L. faurica non esiste in Italia o per meglio dire fino ad ora non vi è stata trovata. La forma tuttavia da me descritta col nome di s. sp. Gene? è una forma abbastanza caratterizzata, la quale ha notevoli punti di contatto sia colla Lacerta muralis (Laur) (L. muratis fusca Bedriaga), sia colla forma /L. peloponestaca?) di Grecia descritta nel primo lavoro del Bedriaga sui rettili di questa regione. Ho studiato di nuovo la s. sp. Genei e mi pare che essa meriti il grado di softospecîe: è cosa più incerta se essa si debba unire all'una o all’altra delle due ultime specie indicate. Provvisoriamente io la unirei alla Lacerta muratis (Laur) non senza nascondere che io trovo fra la Lacerta muratis genuina e la s. sp. Geneî, differenze costanti abbastanza notevoli ed anche una spic- cata rassomiglianza colla peloponesiaca? descritta dal Bedriaga. Basterà quindi nella mia monografia sopra citata cambiare il tau- rica in muratis rimanendo costanti la descrizione della forma e la sua ‘ distribuzione geografica. Per quanto riguarda poi gli esemplari avuti dal Museo di Atene e dal De Betta essi debbono essere, a mio avviso, riferiti alla pelopone- staca? sopraindicata descritta dal Bedriaga. Credo anch’io col Bedriaga che se la forma da lui descrittà per tfaurica non è la vera peloponesiaca è tuttavia una forma che merita di rimanere distinta dalla muralis e dalla vera taurica. In conclusione adunque le Lucertole italiane del gruppo della L. 272v- ratis verrebbero ad essere le seguenti : 1. Lacerta muratis (Laur), 2. S. sp. Genei (Cara), 3. Lacerta oxycephalta Dum. et Bibr. sub. sp. Bedriagae, Camerano, i 4. Lacerta serpa Rafin. Io debbo in ultimo ringraziare il Bedriaga di avermi non solo av- visato della mia dimenticanza e quindi della inesattezza commessa, ma anche dell’avermi gentilmente comunicati gli esemplari della Lacerta faurica genuina. — 2070 —T— TIP. FODRATTI - TORINO BOLLETTINO du di Zoologia ed Anatomia comparata Aug gino della R. Università di Torino = N. © pubblicato il 20 Aprile 1886 Vor. I La questione delle RANE ROSSE d'Italia e la critica scientifica del dottor LORENZO CAMERANO Il comm. Edoardo De Betta, con un recente lavoro Sue forme della Rana temporaria in Europa e più particolarmente in Italia (*), veniva ultimamente a sollevare la questione della bontà specifica delle Rane Agiîlis, Thom. e Latastiî, Bouleng: questione che egli scioglieva nel senso che queste due ultime specie non devono essere considerate come tali e devono perciò venir riunite all’antica specie Linneana Rana femporaria. Questo lavoro del De Betta provocò le pubblicazioni seguenti : A. P. Ninni: Cenno critico sopra il recentissimo scritto del com- mendatore Edoardo De Betta — Atti Soc. Ital. Scienze AE Vo- lume XXVIII, 1886. Michele Lessona: Nota intorno al valore specifico della Rana agîlis Thom. — Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXI, 1886. G. A. Boulenger: A. Reply to. M. De Betta's Remarks on. Rana femporaria — Annals Mag. Nat. History Mag., 1886. L. Camerano: Nota intorno ai sacchi vocali deî maschi delle Ranae fuscae d’Italia — Zool. Anz., n. 219, 1886. L. Camerano: Osservazioni intorno alle Rane rosse italiane — Atti R. Istituto Veneto Sc., 1886. Questi lavori giungono tutti essenzialmente alla conclusione che le Rane agilis e latastii devono essere considerate come specie distinte ed equipollenti alla Rana temporaria. In merito poi alla pubblicazione del De Betta questi lavori fanno vedere che il De Betta mosse a combattere le specie in discorso senza essere sufficientemente armato; (1) Atti Ist. Veneto Ser. VI, vol. IV, 1885. 1° Perchè egli trascurò di consultare, e quindi di combattere, lavori importantissimi sull’argomento ; 2° Perchè egli non considerò e non combattè che alcune delle conclusioni dei lavori da lui esaminati, non menzionando affatto carat- teri importantissimi; 3° Perchè egli non si curò di verificare dal vero l’esistenza o la mancanza di caratteri della massima importanza, esponendosi così con molta leggerezza ad incolpare a torto di errori di osservazione gli altri autori ; 4° Perchè, dovendo combattere autori i quali avevano date de- scrizioni esatte, minute, appoggiate da numerosi disegni e misure, egli espose i suoi argomenti in una maniera troppo vaga ('). Malgrado tutto ciò io credo che si debba essere grati al De Betta dell’aver egli chiamata di nuovo l’attenzione degli erpetologi sulla que- (1) A conferma di quanto è detto sopra credo utile di citare la nota sopra menzionata del Boulenger tradotta letteralmente : « Per la gentilezza del signor De Betta io ho recentemente ricevuto un opuscolo intitolato — Sulle diverse forme della Rana temporaria in Europa e più particolarmente nell’Italia — (Venezia, 1885), nel quale egli dice come un’opinione sua che le varie forme di rane di terra finora distinte sono spe- cificalmente identiche. Dopo tutto quello che è stato pubblicato per dimostrare che l’espressione Rana temporaria, nel suo senso antico, è puramente col- lettiva e abbraccia un numero di specie caratterizzate non solamente da pe- culiarità di forma e di colore, ma da peculiarità importanti anatomiche e fisiologiche, le vedute del signor De Betta non mi paiono in accordo coi progressi della scienza; e siccome l'opuscolo citato dalla penna del veterano erpetologo italiano è tale da influire su molti che hanno finora omesso di formarsi un'opinione a quel riguardo o da incoraggiare un modo superficiale di trattare la questione delle specie e della loro distribuzione geografica, io non posso lasciar passare ciò senza un’osservazione. Al giorno d’oggi il far menzione, :da qualunque località della regione Paleartica, della Rana femporaria nel suo più largo senso, val tanto quanto ricordare la Lucertola o il Tritone. Io non temo di andar troppo in là nell’affermare che le differenze tra le forme della Rana temporaria sono tanto grandi quanto quelle tra Lacerta ocellata, L. viridis e L. agilis o Coronella austriaca e C. girondica o Vi- pera berus, V. aspis e V. ammodytes o Bufo calamita e B. viridis, tutte specie strettamente collegate, che sono, credo, ammesse come tali dal signor De Betta, ma che potrebbero benissimo essere unite, essendo connesse da forme intermedie e neppur uno dei loro caratteri essendo assolutamente co- stante preso di per sè. Ad eccezione di un solo, gli argomenti del signor De Betta sono troppo vaghi per essere confutati. L’unico punto nel quale egli è molto preciso è quando stabilisce che tutti i maschi Ranae temporarsae hanno sacchi vocali e che perciò nella presenza o nella assenza di questi organi non si deve tro- stione delle Rane rosse. È un bene per la scienza che di tratto in tratto sì sollevino questioni simili. Nel caso attuale tuttavia, non giova nasconderlo, per opera del De Betta stesso, la discussione si è messa in una via per la quale io voglio sperare non vorrà proseguire. Il De Betta pubblicò in un opuscolo (') una controrisposta alla nota sopra citata del Ninni. Io deploro sinceramente, e credo che tutti siano meco d'accordo, che un uomo come il De Betta si sia lasciato trascinare in un niomento di malumore a fare quella pubblicazione. Io ho letto e riletto attentamente la nota del Ninni in cui egli ret- tifica alcune indicazioni di località ed in cui in fondo giunge alle stesse conclusioni alle quali sono giunti gli altri autori sopra citati; ma devo confessare che io non sono riuscito a trovarvi quella forma aggressiva vare nessun carattere distintivo. Io ho esaminato un gran numero di maschi della R. agilis, R. latastii e R. iberica e posso affermare che le aperture interne ai sacchi vocali sono costantemente assenti in queste tre specie, mentre sono chiaramente distinte in R. femporaria e R. arvalis. Questo è certamente un carattere distintivo molto importante. Perciò io espressi la mia sorpresa al signor De Betta e gli chiesi di mandarmi un esem- plare di R. agilis o di R. latastii che mostrasse i sacchi vocali. La sua risposta è stata che la sua affermazione non era basata sopra investigazioni dirette, ma presa principalmente dalle pubblicazioni di Thomas e Fatio nelle quali si dice che tutte le rane di terra sono provvedute di sacchi vocali interni. L’opuscolo del signor De Betta è principalmente una rivista della lette- ratura sopra il gruppo della Rana temporaria nella quale egli mette in ri- lievo le opinioni espresse fino adesso in favore o contro i loro distintivi specifici. Tuttavia questa rivista è molto incompleta e mi duole di vedere che l’autore ignora le contribuzioni di Leydig, Pflùger, Born ed altri, tutti favo- revoli ai distintivi specifici che sono certamente di molto maggior peso nello esame di questa questione che il fatto che Gunther nel 1858 (Catal. di Batr. Sal.) dall’esame di pochi esemplari in spirito, fatto quando era stato pubbli- cato molto poco su quel soggetto, non ammetteva KR. arvalis come una specie. Ma io sono contento che egli abbia fatto allusione a questa alta autorità perchè mi offre l’opportunità d’informarlo che il dott. Gùnther, dacchè ha avuto esemplari viventi di R. arvalis e R. agilis da esaminare, adotta pure l’opinione che essi hanno valore di distinzione specifica. E ora io ho solo da aggiungere che dei numerosi esemplari che sono passati per le mie mani dopo la pubblicazione della mia Rivista delle Ranae temporariae non ne ho incontrato un solo che non abbia potuto a prima vista dichiarare come appartenente all’una o all’altra delle specie europee. » (1). Conveniente risposta ad un Cenno critico del dott. Alessandro P. Ninni — Verona, 1886. e quella profonda matignità che vi trova il De Betta e tanto meno pol quelle tante bugie e quelle fante invettive (*) che UIL gli rimprovera. La nota del Ninni mi pare anzi più moderata di quella del Bou- lenger sopra citata e di quella che io stesso ho fatto. Mi pare anche che la nota del Ninni sia nei limiti d’una critica scientifica. Se la nota del Ninni è così incriminabile come vuole il De Betta, se il combattere le conclusioni di un lavoro scientifico, come ha fatto il Ninni, lo si trasforma in una guerra personale, gravida di inimicizie e di vendette, allora non è più possibile nessuna discussione e nessuna critica. Parrà strano ed anzi presuntuoso da parte mia il voler entrare giudice in una questione personale che non mi riguarda. Io dirò a mia giustificazione che io considero la cosa dal punto di vista generale del- l’interesse della scienza e sopratutto mi si permetta di dirlo dell’inte- resse della scienza italiana. ‘ In Italia i naturalisti sono in piccolo numero: pochi sono quindi i lavori che si producono; basta dare un'occhiata per convincersene agli elenchi bibliografici dello Zoo/ogischer Anzeiger di Carus, credo quindi che debba essere nell’interesse di tutti di fare la maggiore quantità di lavoro produttivo per la scienza e di non sprecare le proprie forze in polemiche inutili. Nel caso attuale il De Betta ha sbagliato, egli non ha studiato ab- bastanza l'argomento della sua pubblicazione ed io, malgrado tutto, ho troppa stima del De Betta per credere che egli a quest'ora non se ne sia accorto. Tutti quelli che lavorano sbagliano e nel campo delle scienze naturali gli errori sono più facili che altrove. Ora è compito appunto della critica di far osservare questi errori. Ma questa critica è neces- sariamente impersonale anche quando assume forme un po’ vivaci. In ogni caso deve essere studio precipuo di ogni cultore della scienza di reagire contro se stesso nei momenti pur troppo inevitabili di malu- more e d’ira,, ed aspettare a riprendere la discussione che la calma dell'animo conceda di esaminare le questioni serenamente. Il De Betta ed il Ninni vorranno perdonarmi se io, da poco tempo entrato nell’aringo scientifico, mi sono messo giudice fra di loro, ma l’ho fatto perchè desidero ardentemente che la polemica incominciata non solo non si inasprisca, ma cessi al tutto e che la questione delle Rane rosse rientri nel suo vero campo. n Torino, 14 aprile 1886. (1) De Betta, op. cit., pag. 12. TIP. FODRATTI - TORINO Ore: TINO dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata Vé d Le 09I della R. Università di Torino Mar 294, ì N. 9 pubblicato il 24 Maggio 1886 Vor. I Intorno alla scoperta del PELOBATES FUSCUS in Italia del Dottor LORENZO CAMERANO Nel numero 222 del Zoozogîischer Anzeiger (IX, 3 maggio 1886) pag. 291, il Leydig dice che il primo a menzionare il Pelobates fuscus in Italia fu Mauro Rusconi e deduce ciò dalle parole seguenti della Biografia del Rusconi scritta dal Biffi ('): « Sono pur singolari le prove che intraprese il Rusconi sulla fecondazione ibrida artificiale, spruzzando coll’umore prolifico del rospo fosco /Bu/fo acquaticus, alii redolens, Roesel) una cinquantina d’uova della nostra rana comune. » Il Leydig non dà maggiori ragguagli nè indica il lavoro del Rusconi dove si trovano gli esperimenti sopra detti. Il Biffi ha queste parole a proposito della Lettera IV a Weber sulla fecondazione artificiale e sopra alcune nuove esperienze intorno alla fecondazione artificiale nelle Rane (Giornale di Scienze mediche chirur- giche di Pavia, Anno V, vol. 1, dicembre 1838). Io ho esaminato tutti i lavori del Rusconi che ho potuto procurarmi e ho trovato che le esperienze della fecondazione artificiale fra gli anfibi si trovano oltre che nella memoria citata dal Biffi più estesa- mente riferiti nella seguente nota: Ueber kiinstliche Befruchtungen von Fischen und ber einige neve Versuche in Betreff kunstlicher Befruchtung an Fròschen. — Archiv fiur Anatomie, Physiol. di G. Muller, 1840, pag. 185-193. A pagina 191, dopo di aver parlato di alcuni esperimenti fatti per (1) Sulla vita scientifica del dott. Mauro Rusconi. Milano, 1853. — La cita- zione completa di quest'opera è la seguente: Sulla vita scientifica e sulle opere di Anatomia e Fisiologia comparata del dottor Mauro Rusconi com- mentario di Serafino Biffi. - Annali universali di medicina, vol. CKXLV e CXLVI, Fascicoli di settembre, ottobre e novembre 1883. Le parole citate dal Leydig sono a pag. 147 dell’estratto. riconoscere l’azione dell'elettricità e dell’acqua distillata sullo sviluppo delle uova, egli dice: « Und weil ich ihnen doch einmal von allen phy- siologischen Versuchen reden will, die ich in der letzten zeit angestellt habe, so erwahne ich Ihnen auch, dass ich nach Art der Botaniker, eine Kunstliche Bastarderzeugung versucht habe, und zu dem Ende mit dem Samen der braunen Kréòte (Bufo aquaticus, alii redolens Roes.). etwa ein 50 Eier des gemeinen Frosches befruchtete. Der Erfolg war gerade nicht sehr gliicklich, indess glaube ich doch, dass es Ihnen nicht unangenehm sein wird, zu hòren, was ich dabei beobachtet habe. » I suoi tentativi, come dice egli stesso, non riuscirono quantunque li ripetesse quattro volte. Egli crede che una delle ragioni della non riu- scita stia in ciò che: « Der gemeine Frosch beginnt némlich gegen Ende April sich zu paaren, wahrend die Kròte zu diesem Geschift schon gegen Mitte Màrz ihre Schlupfwinkel verlàsst und die Baàche aufsucht, weshalb ich die Kròtenminnchen in Màrz aus dem Wasser nehmen und bis Ende April aufbewahren musste. Waihrend dieser Zeit berùhrten sie die Insekten und Regenwirmer nicht, die ich ihnem zur Nahrung vor- legte, sie magesten bedeutend ab, und was das Schlimmste war, ihre Hoden verkleinerten sich merklich. Wielleicht hatte dieser Umstand einige Schuld am Misslingen der Versuche. » Egli consiglia poi a chi voglia ritentare le prove di scegliere, invece della Rana escutenta, la Rana temporarîa, che depone le uova presso a poco nello stesso tempo del draune Kròote. Ho voluto citare a lungo la memoria del Rusconi poichè essa è poco nota e non è menzionata dagli autori recenti che si occupano dell’ibri- dismo degli Anfibi. Il Rusconi conosceva tuttavia il Pelobates fuscus in Italia molto tempo prima del 1840, come si può riconoscere dai passi seguenti della sua memoria intorno alla « Descrizione anatomica degli organi della circo- lazione delle Larve delle Salamandre acquatiche, - Pavia, 1817, p. 27 « quando avverrà ch’io possa avere il piacere di vedervi qui, io vi mostrerò varie larve di rana, di rospo e di salamandra da me iniettate, alcune delle quali sono ora esposte alla pubblica vista nel nostro Gabi- netto di Anatomia comparata, e vi mostrerò pure varie branchie delle larve del rospo fusco da me iniettate di cera. » Il Rusconi iniettò pure alla presenza del dott. Panizza una larva di rospo fosco. (Op. cit. pag. 28). La prova che il Rusconi distingueva il Pelobates fuscus dai rospi si ha anche in queste parole (op. cit. pag. 29): « In un vaso di vetro di forma cilindrica, in cui eranvi due pinte d’acqua all'incirca, io riposi varie larve del rospo chiamato da Roesel bufo terrestris dorso tuber- cutlis exasperato e con esse alcuni pesciolini. » Il Rusconi nel suo lavoro posteriore « Observations anatomiques sur la Siréne mise en paralléle avec le protée et le tétard de la Salamandre aquatique, Pavia, 1837 » parla frequentemente del Pe/obates fuscus. Pag. 15 — « Nous voyons, il est vrai, les larves des grenouilles et surtout celles du crapaud brun, venir de temps en temps à la surface de l’eau. » Pag. 16 e nota « On pourra facilment s’assurer que les larves des batraciens ne respirent qu@avec leurs branchies, en répétant l’expé- rience que j'ai faite et dont j'ai donné les détails dans ma dissertation sur les organes circolatoires des larves de salamandres, laquelle consiste à faire developper des tétards après les avoir renfermés dans une cage placée au fond d’un ruisseau. » Qui aggiunge il Rusconi la nota seguente: « Dans ma dissertation j'ai dit, mais par erreur, que pour faire cette expérience je m'étais servir des tétards du crapaud commun ('); c’étaient des tétards du crapaud brun, j'ai preféré ceux-ci à tous les autres, parce qu'on peut facilement les nourrir avec de la laitue préalablement macérée. » A pag. 24 dice ancora: « J'ai injecté mainte et mainte fois le système arteriel des larves de batraciens, particulibrement de celle du crapaud brun. » È indubitato adunque che il Rusconi, il Panizza ed altri conoscevano fin dal 1817 il Pelobates fuscus come specie lombarda non rara. Lo Spallanzani (?), come dimostrò il Balsamo Crivelli (*), aveva già trovato il Pelobates fuscus in Italia e ne descrisse la deposizione delle uova e l'accoppiamento in guisa tale da non lasciar alcun dubbio al riguardo. Dopo tutto ciò non può a meno di recar meraviglia il fatto che il Bonaparte non dia nessun ragguaglio preciso nella sua Iconografia della Fauna italica intorno alla presenza del Pelobates fuscus in Italia. Tutto ciò pure non toglie menomamente al Balsamo Crivelli ed al Cornalia, e sopratutto a quest’ultimo, il merito di aver studiato per i primi il PeZobates fuscus in Italia in modo che solo dopo di loro esso potè prender posto con sicurezza nei cataloghi faunistici. (1) Vedi parole citate sopra a pag. 29 dell’opera del Rusconi. (2) Dissertazioni di Fisica animale e vegetabile. Modena, 1780, vol. II. — Della fecondazione artificiale ottenuta in alcuni animali, pag. 121, CXXVI. (3) Rend. Ist. Lomb. Scienze Lett., Ser. II, vol. VI, 1873, pag. 174. Tip. FODRATTI - TORINO 7905 DALIA RR E AO ni Si RG NI ! t dic O a RE to TANZI Mie, ND ali e £10%, dt Sali e RL HS Voc La a SIPE arzn r ; LA x: di, 210% A tal vip CENINARI Ra) MII ga a. I me feto (Rent SAMP PERI cal, SMI in ga i edit oe4fh MY ASIA PA pit areale N lupt bj Demi iano alate Ara E e dei e i er CL aus MAI i ti LUISA TITO PRENDE IE Urra Cat orti IR LUI si i . | ore 4 a MRO SOTTO ki gu l MLT O ice SARA ahi SRL REIT A 0 LE ju i agito SALSO alii ERO Vl | LOC Zi ia i UL iat: de #00 LI hf DI) sgirniari Mii i o IR, Male ri IRE, DATO Ap FEES MR I TA RA d Gai Lo ‘ee Atei 44 di VIA TATO LE LARE Aaa : t ; IOTAMIZERgA TA MEI DAR ay RAPRILS A PIE A SER) GIANT "1A CES EUCCA e TONO re aa bra teshi La UTO Ri Ago 6) IRPRES 1: si Atei RIT STIRO Ae UR, 0A IAS PAR Té PIRA TOT: Abi ATA ni Mera? LO) RR ali RIE vip n k marta PIT et, fi: IE ND A 4A, meet RASTA l A Fic ale vota tua FAVORE A ARI ERODIN 124 | n NEI CO È ‘x ì (a Ù $ Abe a” - ; CR Ari GIR AL te oe Lr MO de PATTO RARE PAUSA) ALIA Db CETTPVI E MADERNA AeA nio (ola alli) \ PRO, CATA NAST tt +00 sa: a VAN SIIT nuora Hi RE PIRPACZI itfererg) MELA VERE RT lui “PARI in E SRL ica AA ss pei de irogtuatog gii ca Gt VIA aa LEO MST.) vi arr E AI la IR RATA i È Va alii Ù ’ pe % i % Aanteitte 1tdo' at AD Az i ar ; SA Ani | sa hi BR LEO uifisrni e al VA: ni SEE sm, ati trial di gere) Mi (1 i 909 RENT ci fr e VEIL Ù Liga BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata /69S della R. Università di Torino gv 48.146 N. 10 pubblicato il 16 Giugno 1886 Vot. I Sopra una nuova specie di DISCOHELIX Dunker (Fam. So/ariide Chenu) nota del dottor FEDERICO Sacco Discohelix italica n. sp. Testa orbicularis, valde depressa, latissime umbilicata, superne parum concava; spira fere horizontatis, dextrorsa. Amfractus septem, quadrangutli, initiales laves, cotteri în longitudinem fortiter striati, eaterne complanati seu leviter excavati, duobus marginatlibus carinis muniti; carina striato-granoso; inter striis forlioribus interdum stria tevissima,; additamenti line@ fere delete. Apertura subqua- drangula. Att. 2 173 Mmillim. —— Lat. 12 millim. La Discohetia italica, di cui finora esiste solo l'esemplare descritto si trovò in terreni marnoso-sabbiosi dei dintorni di Sassello, nell’Ap- pennino Settentrionale. Da studi stratigrafici e paleontologici risulta che questi terreni appartengono all’ Oligocene e più precisamente al piano Tongriano, ciò che è abbastanza notevole giacchè sappiamo esser rare nei piani terziarii le specie di DiscoRelix, così comuni invece nel Lias. Discohelix zancloa Phil. var. ligustica Sacc. Bifrontia? zancloea Phil. — R. A. Philippi: Enumeratio Mollu- scorum Sicilie. Vol. II, tav. XXVIII - 1844. Bifrontia zanclea Phil. — I. C. Chenu: Manuel de Conchyologie. Paris, 1859. Pel complesso dei caratteri credo di poter porre nel genere Di- scohelix la forma descritta dal Philippi con nome di Bi/rontia, pur mostrandosi egli incerto che non si trattasse piuttosto di un Solarium. Accenno a questa forma rarissima del Pliocene di Sicilia perchè recen- temente ebbi a constatarne la presenza anche nel Pliocene inferiore (Piacentino) di Zinola presso Savona. L'unico esemplare finora rinve- nuto raggiunge appena la dimensione di mm. 2 1/2 e nella parte esterna degli aniratti non presenta le due linee rilevate longitudinali della D. zanclea; perciò io credo che l’esemplare della Liguria sia da considerarsi come una varietà della specie tipica. _ —_—_ ea ——-__x—_—_-& TIP. FODRATTI - TORINO Boll. R. Musci di Zool: ed. Anat. comp. di Torino. Vol. I. 1856 Fototip.Doyen,Torino Fototip. rovesciata DISCOHELIX ITALICA Sace. i # L DI OTUAMINI we Di LEA e) i A e PT o de * Pe Ao da i @S°1 ] Ù © BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata (1694 Tali a SS della R. Università di Torino ANav.28.1C%6 n E: PRI Mg fr N. 14 pubblicato il 1° Luglio 1886 Moti] Descrizione di una LACERTA VIRIDIS (Laur.) melanica del dottor LORENZO CAMERANO Nei primi giorni del corrente mese di giugno il dott. Federico Sacco mi portava un individuo di Lacerta viridis (Laur.) vivente, il quale presenta un sistema di colorazione singolare e assai notevole. Egli si impadroniva di questo esemplare presso Castell’ Annone, località non molto lontana da Asti. Quest’individuo, che io tenni vivo per vari giorni, ha la lunghezza totale di m. 0,275. Esso è quindi un individuo di media grandezza e non ancora intieramente adulto ('). Le parti superiori e ì fianchi sono dall’apice del muso all'estremità della coda di color verde olivastro oscurissimo, tanto che a primo aspetto esso appare come nero; qua e là sparsi senza ordine vi sono alcuni punticini di color verde-giallo chiaro che per la tinta cupa del fondo spiccano moltissimo; qualcuno di questi punticini si trova sul capo e anche sulla coda e sui fianchi. Qua e là sul dorso e sui fianchi, bagnando l’animale con alcool, si riesce a scorgere qualche traccia di macchiettature un po’ più nere del fondo. I lati del capo e la gola sono di color nero azzurrastro coi mar- gini delle squame sottilmente orlati di biancastro. Le parti inferiori del tronco e della coda sono di color nero un po’ olivastro, pure coi mar- gini delle squame con un sottile orlo chiaro. Qua e là vi sono delle macchiette irregolari di color giallo chiaro vivacissimo. Le regioni laterali inferiori delle estremità sono nere come il ventre; le faccie palmari e plantari sono giallastre e così pure i pori femorali (1) Vedi per le dimensioni della specie L. Camerano, Monografia dei Sauri italiani. Mem. Acc. delle Sc. di Torino, ser. II, vol. XXXVII, 1885, e la regione delle piastre preanali, le quali presentano soltanto alcune macchiettature nerastre. Non ho trovato nei vari autori che trattano della Lacerta viridis nulla che si accosti a questo sistema di colorazione all'infuori di quanto segue: Lo Schreiber (') menziona una varietà g. supra atra, punctis fNiavescentibus crebrîs sparsa d’ Illiria. II Gachet (actes de la Soc. Linn. de Bordeaux, 1833) ha una var. né9ra. Io non ho potuto procurarmi la descrizione originale del Gachet, ma lo Schreiber (op. cit.) designa questa varietà così: var. %. supra altra, concolor. Il Lataste nella sua Faune herpetologique de la Gi- ronde (?) ha a questo proposito le parole seguenti: « Il y a au Museum de Bordeaux une belle varieté de cette espéce entiérement noire en dessus, avec les bordures des plaques gulaires et des squammes ventrales et le bord dentele des verticille de la queue blances. Les ongles et la face plantaire “des pieds sont blancs. Cet indi- vidu, pris le 15 jouillet 18383 dans l’établissement de Vincennes, près Bordeaux, a été décrit par M. Gachet (*). Si vede da ciò che la frase diagnostica riportata dallo Schreiber è incompleta, poichè anche le parti inferiori sono nere e questo carattere deve essere menzionato poichè è molto importante nella L. viridîs. Si vede pure che l'individuo descritto dal Gachet è assai somigliante al nostro. Credo tuttavia che, volendo essere precisi, a questi due indi- vidui non sì debba dare il nome di varietà, ma di semplici variazioni individuati. Essi sono cioè da considerarsi come casi di 72e/anismo. L'individuo da me descritto è, notevole, poichè non presenta un melanismo dovuto all’allargarsi ed al fondersi di macchie nere: fatto che sì verifica in vario grado in quasi tutte le specie dei nostri Lacer- tini, ma bensì un melanismo dovuto allo inscurirsi della tinta fonda- mentale lasciando scorgere ancora le macchiettature. Io credo che si ha qui un fenomeno analogo a quello che presenta la Lacerta serpa Rafin, dei Faraglioni (4). Queste variazioni di colore così spiccate, anche se limitate a pochi individui, debbono essere diligentemente osservate, poichè servono allo studio delle variazioni di colore delle specie; argomento che merita di essere nella maggior parte dei casi meglio studiato. (1) Herpet. Europ., pag. 442, 1875. (2) Act. Soc. Linn. de Bordeaux, vol. XXX, 1876, pag. 90. (3) Op. cit. (4) Vedi a questo proposito la mia Monografia dei Sauri italiani sopra citata. Tip. FODRATTI - TORINO BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata AGI della R. Università di Tori Mr 23 SEG ella R. Univers i Torino N. 42 pubblicato il 15 Luglio 1886 VotL. I Sulla bontà specifica del TRITON BLASII de l'Isle e descrizione di una nuova forma ibrida di TRITON FRANCESE del dottor Conte MARIO G. PERACCA Nel 1862 il sig. Arturo de l’Iste du Dreneuf faceva conoscere una nuova specie di Triton, il Tri/on Blasti, che egli pubblicò e figurò negli Annales des Sciences Naturelles, 4° serie, XVII, tav. 12, fig. 1, 2, 4, pag. 363. Egli descrisse accuratamente la nuova specie, dimostrandone l’affi- nità coi Triton marmoratus e Triton cristatus, entrambi comuni in Bretagna e nei dintorni di Nantes, dove primieramente scoperse il detto Triton Blasti: accennò succintamente all’ habitat della nuova specie e terminò il suo lavoro annunciando che nel prossimo anno avrebbe studiata e pubblicata la larva del nuovo Tritone. Disgraziatamente questo lavoro che l’autore ci prometteva non venne mai alla luce e nessuno più si occupò di proposito di questo in- teressante 7rzfone, per cui anche oggi siamo ridotti alle poche notizie che ci lasciò il De 2’IsZe nel suo lavoro del 1862. In tutti i lavori sull’erpetologia europea o sull’erpetologia francese il Triton Blasti è citato, ma si vede che la maggior parte degli autori lo citarono in base al solo lavoro del De Z’Iste e non in base ad un esame accurato di nuovo materiale, il 7y7ton Blasîi essendo molto raro e presso che irreperibile tanto nelle collezioni scientifiche, quanto nel commercio. Dei pochi autori che se ne occuparono alcuni lo accettarono senza discussione come una buona specie; altri lo ritennero come semplice varietà; altri come ibrido. Così lo StraucAh, nella sua Revision der Salamandriden Gattungen. Mém. Acad. Impér. des Sc. de S. Petersb., VII ser., vol. XIV, pag. 46 REC lt (1870), lo ritiene come semplice varietà del Tyilon marmoratus; lo Schreiber, nella sua Herpetologia europea, p. 46 (1875), lo cita senza alcuna considerazione del suo, limitandosi a dire, come il De ?’Is/e, che è una specie în/ermedia ai T. marmoratus e T. cristatus, il De Belta, nella sua pubblicazione: Alcune note erpetologiche per servire allo studio dei Rettili ed Anfibiîi d’Italia (1878 - Venezia. Tip. Antonelli) dice a pag. 13 a proposito del 7. B/astî: « non essere altrimenti il T. Blasîti che un ibrido del 72armoratus e del cristatus. » Il Boulenger infine, nel suo Catalogue of the Batrachia Gradientia s. caudata. Brit. Mus (1882), pag. 10, dice che « forse il 7. Blasti è un èbrido tra il 7. cristatus e il T. marmoratus. Questa idea che il Triton Blasti potesse essere un ibrido non venne emessa che dal De Betta (1878) e dal Boulenger (1882) e come semplice apprezzamento; essa non divenne mai oggetto di ricerche speciali che valessero, se non a sciogliere, almeno a chiarire la difficile questione. E la questione è tanto più difficile a risolversi in quanto che fino ad ora non si sa nulla di positivo intorno all’ibridazione negli Anfibii urodeli; quei pochi naturalisti che la tentarono non avendo ottenuto alcun risultato concludente. Così il Lataste (Tentatives d’ hybridation chez les Batraciens anoures et urodéles, Bull. de la Societé Zoologique de France, 1878, 3"° vol.), che solo ch'io mi sappia tentò l’ibridazione negli Anfibii urodeli, non ottenne alcun risultato e nemmeno cogli Anfibii anuri potè ottenere qualche risultato degno di nota. Analoghe esperienze si tentarono sugli Anfibii anuri, fin dal secolo scorso, dallo Spazlanzani, di cui è cenno nelle sue « Disserlazioni di fisica animale e vegetabile, » Modena (1780), vol. II, Della fecondazione artificiale ottenuta in alcuni animali, pag. 121, CXXVI, e verso la metà del presente dal Rusconi (Ueber Kinstliche Befruchtungen von Fischen und iber einige neue Versuche in Betref Kinstlicher Befruchtung an Froschen, Archiv fur Anat., Physiol, di G. Miiller, 1840, p. 185-193). Tutte queste esperienze tuttavia non condussero ad alcun risultato, anzi nè lo Spallanzani, nè il Rusconi riuscirono ad ottenere dei prodotti ibridi. Recentemente se ne occupò il De 2’Zsle (') (1872) e l’Héron Royer (?) (1883) che, più fortunato dei suoi predecessori, vide le sue esperienze coronate dal più completo successo. I risultati delle sue esperienze, di cui ne citerò alcune in seguito, si possono compendiare nei due seguenti @ Zinea, che risultano con piena evidenza dalle numerose osservazioni esposte nella sua memoria. (1) Ann. des sc. nat., 5° serie Zool., tav. XVII. (2) Notes sur }’ Hybridation des Batraciens anoures. Bull. de la Soc. Zool, de France, VIII, 1883, 8) Pesa I. — L’ibridazione tra due specie può succedere in due sensi, tra il maschio dell’una e la femmina dell’altra specie e viceversa: generalmente però tra due specie date l’ibridazione è più facile in un senso che non nell’altro. II. — L’individuo ibrido che ne risulta riproduce sempre con grande esat- tezza il facies del maschio della specie fecondante. Alcuni esempi tratti dalla pubblicazione dell’H7éron Royer serviranno a dimostrare ed a chiarire quanto sopra è esposto. Il 13 maggio 1881 il sig. Héron Rover trovò ad Enghien-les-Bains un maschio di Rana fusca CR. muta) accoppiato ad una femmina di Petobates fuscus. Dalla cloaca della femmina pendeva un cordone di ova di circa 12 cm. di lunghezza: re girini si svilupparono da quelle ova e il 2 maggio avevano oltrepassata la mole dei girini di Rana fusca (R. muta) di cui però avevano la forma ed il colore. Il 26 maggio i fre girini erano trasformati: uno fu messo in alcool e gli altri allevati: quei batraci erano esattamente simili a delle giovani R. fusca (R: muta) tanto che, scrive il sig. Zéron Royer « dubiterei io stesso del fatto se « questi animali non fossero usciti dalle ova sotto ai miei occhi e non « fossero stati oggetto delle mie cure più assidue durante 85 giorni. » Incoraggiato da un risultato così inaspettato l’ Zéron Royer cercò di provocare l’ibridazione artificialmente tra differenti specie di anuri: fra le molte esperienze ottenne risultati accoppiando un maschio di Bu/0 calamita con una femmina di Bufo vulgaris; i prodotti ibridi furono senz'altro dei Bufo calamita. Io ebbi occasione di vedere uno di questi Bufo calamita nello scorso maggio e davvero, non avvertito, non avrei potuto riconoscerlo se lo si fosse posto in mezzo ad altri Bu/fo cala- mita. i i Quanto alla prima parte delle conclusioni delle esperienze sull’ibri- dazione citerò il fatto che mentre l’ Z7éron Royer ottiene da alcuni anni regolarmente e facilmente dei prodotti 7brîd? tra il maschio dell’ ya barytonus, H. Royer (A. arborea var. meridionatis) e la femmina del- l’Hyla arborea tipica, ibridi che rassomigliano straordinariamente al maschio dell’H. barytonus; difficilmente riesce ad ottenere prodotti tra il maschio dell’. arborea tipica e la femmina dell’. daritonus. Ora è egli possibile applicare queste conclusioni agli Anfibii uro- deli ? Io credo, stante l’affinità grandissima degli urodeli e degli anuri, che noi potremo ragionevolmente cercare di applicare a priori le con- clusioni sopraccennate agli Anfibii urodeli, e se per avventura consta- teremo che le forme di urodeli supposte ibride non contravvengono ad esse, avremo una presunzione di un valore grandissimo da aggiungersi a tutte le altre in favore della natura di ibridi di quelle forme stesse. Possiamo però farci una domanda: trattandosi di Anfibii urodeli che sono forme inferiori per rispetto agli Anfibii anuri, in un caso eventuale d’ibridazione, l’ibrido conserverà esso inalterato il facies del maschio it da cui procede o ci presenterà invece una sorta di fusione, una miscela di parte dei caratteri delle due specie? Una risposta positiva potrebbero solo darla accurate esperienze in proposito: credo però che si possa ragionevolmente supporre che il facies del maschio della specie fe- condante possa venire per avventura in qualche modo alterato. Ciò premesso, e tenuto conto della ragionevole possibilità di questo fatto, esaminiamo il Triton Blasti. Io ho studiato accuratamente i caratteri del Tri/on Blasti su d’un certo numero di esemplari di questa specie e sulla monografia del Tré/0n Blastî del De l’Iste. Ho studiato con egual cura i caratteri del Triton marmoratus e del Triton cristatus, credo quindi di poter essere in misura di deter- minare con molta approssimazione il grado di rassomiglianza maggiore o minore che il Triton Blastîi presenta con queste due specie. Le con- clusioni a cui sono venuto e che espongo qui coscienziosamente sono queste : Il Triton Blasti rassomiglia al T. marmoratus I. — Per il disegno marmoreggiato del dorso e per il colore generale verdastro che ricorda, vagamente soltanto, le vivacissime tinte verdi del 7. marmoratus ; II. — Per le apofisi sopraorbitrarie che si osservano nella parte posteriore dei frontali. Il Triton Blasti rassomiglia al 7. cristatus I. — Per la forma generale del corpo — forma del capo allungata — lunghezza del tronco — brevità relativa della coda — sottigliezza degli arti; II. — Per la forma della cresta dorsale nei maschi, interrotta sul bacino e generalmente seghettata (talora è press’a poco integra); III. — Per il fatto di presentare,.come il 7. cristatus, due varietà: una marmoreggiata corrisponde alla punteggiata nel cristatus/, ed una i2mma- colata — mentre il Trifon marmoratus non presentò fino ad ora varietà di sorta; IV. — Per la colorazione del ventre, generalmente a fondo giallo croceo o rossiccio, cosparso di grossi punti neri e talora coperto da numerosi punti bianchi. Nel 7. cristatus del nord e dei dintorni di Angers questa punteg- giatura bianca del ventre è frequente (quantunque meno intensa) come ne fanno fede alcuni esemplari che ho messi in collezione; V. — L’occhio è simile a quello del 7. cristatus. Ho riunito i caratteri più importanti che avvicinano il 7. Blast alle altre due specie: la conclusione è evidente, il T. Blasti rassomiglia di più al 7. cristatus (!), di cui riproduce a ‘un dipresso le forme e parte della colorazione. Aggiungerò che nella forma rassomiglia anche di più al 7°. cristatus (1) E lo Strauch lo vuole tenere per una varietà del T. marmoratus! — $$ = sub sp. Karetinii d'Italia, che ha, a differenza del 7°. cristatus del nord, la testa allargata posteriormente (come il T. Blas). Devesi forse a questa rassomiglianza l'errore in cui incorse il prof. Balsamo Crivelli nel 1864, che credette di aver trovato il 7. Blast nei dintorni di Pavia ('). Dato quindi che sorga il dubbio che il 7. Blast sia un rido tra il 7. marmoratus e il T. cristatus, ecco che il 7°. Blasti non si scosta dalla seconda parte delle conclusioni sull’ibridazione che ci permette- ranno di ammettere che se 77 T. Blast è un ibrido, sarà un ibrido tra il maschio del T. cristatus e la femmina del T. marmoraltus. Ora una lunga serie di considerzioni confortano l’idea che il 7°. Blasti sia un 7%briédo. Io sono stato nello scorso maggio nei dintorni di Angers (diparti- mento di Maine et Loîre, Anjou, Francia) dove ebbi la ventura, in grazia essenzialmente delle cortesi indicazioni avute dal dott. T'rowessart, diretttore del museo d’Angers, di raccogliere 12 T. Blasti di cui tre Maschi. Io mi sono essenzialmente proposto di rilevare l’Radilat di questa specie e di accuratamente determinare le condizioni in cui si trovava il detto Triton, non trovando nelle pubblicazioni in proposito che rag- guagli affatto insufficienti. Ecco le conclusioni a cui sono venuto: I. — Il 7. Blasti esiste solamente in quelle regioni dove coesistono il T. marmoratus e il T. cristatus; II. — Il 7. Blasti è raro dappertutto (non rarissimo tuttavia) — fatto inspiegabile data la enorme prolificità delle specie affini; III. — Il 7. B/aszi manca assolutamente in tutte quelle pozzanghere dove esiste il solo T. marmoratus. In 6 pozzanghere, dove raccolsi 0 esemplari di 7. 72armoratus e non trovai nemmeno un cristatus, il T. Blasti fu irreperibile. IV. — Il T. Blasti è rarissimo dove abbonda il T. marmoratus e dove è raro il T. cristatus. Raccolsi 2 7. Blasi in una pozzanghera dove trovai 15 T. mar- moratus e 4 T. cristatus. V. — Il 7. Blast: è raro o talora relativamente frequente dove abbonda il T. cristatus ed è raro il T. marmoratus. In una pozzanghera assai lontana dalle precedenti (mezz’ora circa di cammino), che si trovava in un vasto recinto dove pescai oltre 200 T. cristatus ed una quindicina di T. marmoratus trovai 10 Triton Blasti. (1) De Betta, Fauna italiana dei Rettili e Anfibii, pag. 87 — 7. Blasti. UM (Si noti che i rapporti tra questi numeri possono avere un certo valore, dal momento che pescai presso a poco interamente tutti i Tri- tonì delle pozzanghere che visitai con una grandissima rete innestata su di un bastone della lunghezza di circa 4 metrî), Da tutto ciò risulta che la presenza del 7. B/asti è collegata inti- mamente coll’ abbondanza del T. crìstatus e con una relativa rarità del 7. marmoratus. La verosimiglianza dell'idea che il 7. Blasti sia un ibrido verrebbe poi grandemente accresciuta ove si dimostrasse l’esistenza di una forma analoga al 7. Blasi, pure rara, e che potesse con ragionevolezza es- sere considerata come un #7brido pure tra i due Triton, marmoratus e cristatus, ma in senso inverso del 7. B/asti, ossia tra il maschio del T. marmoratus e la femmina del T. cristatus. Ora io ho appunto trovato nei dintorni di Angers una forma nuova di Tritone, che mi pare adempiere a tutte queste condizioni e confer- mare l’ibridismo del T. Blasiì. Ecco un'accurata descrizione del Tritone in questione, nella quale ommetterò forzatamente la disposizione dei denti ed i caratteri desunti dai frontali, conservando tuttora l’animale vivo. Il Tritone è un maschio che presi in amore. Descrizione delle forme esterne Forma generale del T. marmoratus — Capo a profilo più morbido, più rotondo, leggermente ristretto all’indietro — La superficie superiore del capo non è appiattita come nel marmoratus, ma leggermente convessa, sopratutto nel tratto compreso tra le narici e gli occhi, dove si vede una convessità lon- gitudinale mediana, come nei maschi del 7. Blasi? (generalmente) e cristatus — Muso più acuto, non troncato al davanti delle narici come nel 7. mar- morotus. Occhio come nel T. marmoratus — iride più verde metallico. Tronco un po? più lungo che nel T. marmoratus — Arti anteriori, e sopra- tutto i posteriori, alquanto più sottili, ma non più lunghi che nel 7. marmoratus. Coda sensibilmente più breve che nel T. marmoratus. Il De ?’Isle, nel suo lavoro sul T. Blasii, dà le seguenti misure per le dimensioni di un maschio di T. marmoratus. PUISNezza OLA] Re tentt 00 e e 29 A, Distanza dall’ascella all’inguine (tronco) . 33 » Dal muso all’origine della coda . .. . 72 » Lunghezza della coda‘ (1). © LL a101607 bo) Io ho trovato pel mio Tritone: Lunghezza totale . . . 123 mm. DEDICO a ME Lear I Lunghezza della coda. . 55 » (1) Misurata dalla commessura posteriore della cloaca all’apice della coda. Per quanto non approvi il criterio di questa misura, la lunghezza della coda del mio Tritone è presa collo stesso metodo, IAN, pa Malgrado che il mio Tritone sia meno lungo, i numeri che esprimono la lunghezza del suo #ronco e della sua coda sono il primo comparativamente più grande, il secondo comparativamente più piccolo dei numeri che espri- mono la lunghezza delle stesse parti del T. marmoratus, di cui il De 2’Isle ci ha dato le misure. La pelle è rugosa come nel marmoratus e la gola è pix rugosa che nel marmoratus dove generalmente è assai liscia. Una cresta alta 31/9 mm. decorre dal capo, dove si origina quasi tra gli occhi, fino sul bacino dove cessa e scompare completameute per ricomparire più in là, ad 1 1/9 cm. di distanza, sulla coda. Nel tratto dove manca la cresta esiste un solco evidente (1). Il contorno della cresta è qua e là legger- mente ?nciso, non però dentellato. Colorazione Superiormente color verde fosco pallido, quasi lavato di grigiastro, di un verde insomma quasi identico a quello del T. Blasîî con grandi macchie bruno-olivastre (non bruno-rossiccie come talora nel 7. marmoratus), come quelle del 7. Blasz: che sono generalmente più allungate e sottili — Sui fianchi molte di queste macchie si fondono, diventano diffuse e costituiscono come due fascie laterali oscure, che vanno dall’ascella all'inguine, protendendosi sulla prima porzione della meta inferiore della coda. Tra le macchie un’assai fitta punteggiatura bruna. Gola rossigna, punteggiata di bianco nel mezzo, con alcune macchie brune più grandi: i margini del mascellare inferiore sono chiazzati di bianco ar- gentino. Ventre di color rosso-vinoso, più pallido e chiaro lungo la linea mediana e finamente punteggiato di bianco; i punti bianchi vanno facendosi più nu- merosi sui fianchi, dove costituiscono come due striscie biancastre (tanto i punti bianchi sono vicini) che vanno dalle ascelle all’inguine, limitando così la colorazione delle parti superiori. I margini tumefatti della cloaca sono di color violaceo. La coda ha una colorazione differente nella metà anteriore e nella metà posteriore, come pure nella metà superiore e nella metà inferiore. Nella metà anteriore è verde-grigiastra-chiara, coperta da un fitto a colo marmoreggiato bruno; nella sua metà inferiore è uniformemente bruno- violacea senza macchie. Nella metà posteriore è di un color arancione sucido tendente al can- nellino, cosparsa qua e la di piecole macchie brune, ovali o rotonde a margini diffusi nella metà superiore; nella metà inferiore invece domina la stessa tinta arancione immacolata. Una sottile striscia di un argento un po’ giallognolo, quasi lasciasse tra- sparire l’arancione sottostante, si vede lungo la linea mediana delle due faccie laterali della coda, nella sua metà posteriore, non estendendosi affatto nella metà anteriore della coda (2). (1) Nel 7. marmoratus la cresta meno alta sul bacino che non sul dorso, non manca però mai, ed è sempre visibile anche nell’animale in livrea di terra. (2) La colorazione della coda è affatto differente da quella di un mar= moratus, come pure il disegno delle macchie, {13 a Il margine superiore della coda è orlato nettamente in bruno intenso. Le zampe anteriori e posteriori sono verdi come il dorso, con macchie irre- golari brune, non disposte a fascie come nel Triton marmoratus; le dita sono verdi anellate di bruno. La faccia inferiore delle zampe anteriori e po- steriori è di un colore rossigno sucido. La cresta è verde fosco come il dorso ed è segnata da un certo numero di macchie brune distinte alla base, ma generalmente confluenti verso il margine della cresta, per cui questa appare come orlata da una fascia confusa bruna. Riassumendo, questa forma presenta i seguenti caratteri: I. Forma generale del Tr. marmoratus, con leggiere ma constatabili differenze nelle proporzioni, che tendono ad avvicinarla al Tr. Blasît — cresta mancante sul bacino. II. Colorazione (1) delle parti superiori del corpo e sopratutto della coda identica presso a poco a quella del Tr. Blaséi, mentre la colorazione del ventre è quella di un Tr. marmoratus. Ora si potrebbe supporre che questa forma non fosse altro che una varietà del Tr. marmoratus — Le considerazioni seguenti, che mi pare siano della massima importanza mi sembrano dover escludere questa interpretazione. Tutti gli autori che si occuparono del 7r-i{on marmoratus sono con- cordi nell’asserire che questo Triton non presentò mai varietà di sorta, all'infuori di semplici variazioni nell’intensità delle sue tinte, variazioni che, come ebbi a constatare, si possono verificare nello stesso esemplare a seconda del tempo dell’anno e delle condizioni ambienti. — Così quando il Triton marmoratus fa vita terragnola è di un bel verde vivace, con le macchie nere, talora bruniccie nel centro; mentre invece quando va nell'acqua nel tempo degli amori, si presenta soventi di un verde così oscuro, ma di fono caldissimo, che le macchie nero-brune appaiono appena. Ho ancora osservato (avendo avuto occasione di esaminare circa 150 T. marmoratus vivi, di cui 37 provenienti dai Pirenei — 22 dal dipartimento dell’7éraw2 (sud’ovest Francia) — un’oftantina dei din- torni di Angers e 5 dei dintorni di Nantes (nord-ovest Francia) — più 4 esemplari Spagnuoti) che i T. marmoratus del sud della Francia hanno generalmente il ventre rossiccio chiaro, raramente violaceo, co- perto interamente da grossi punti bianchi, talora confluenti e da alcune poche macchie oscure: di più i tritoni del sud nel tempo degli amori appaiono tinti di un verde vivacissimo e chiarissimo, lavato di bian- chiccio, e le macchie marmoreggiate nere si fanno di un bruno chiaro grigiastro. (1) Questa colorazione non subì alcune modificazioni, malgrado abbia mo- dificato più volte l’ambiente in cui vive il mio Triton: si può quindi consi- derare come costante e non accidentale, in relazione cioè colla maggiore 0 minore luce dell’ambiente, colla vita terragnola od acquatica. LI Invece i Tritoni del nord ossia quelli della Bretagna e dell’ Anjou hanno generalmente il ventre rosso violaceo vinoso, con scarsissimi punti bianchi, e nel tempo degli amori si vestono di un verde così cupo che le macchie oscure più non appariscono: passato però il tempo degli amori riprendono la vivacità e lo splendore della livrea di terra. — Si noti che anche i 7r7fon? del sud, quando vanno in amore negli acquari, prendono questa tinta verde cupo. A variazioni simili io credo debbano riferirsi le varietà a e db che Schreiber cita nella sua Herpetogîia Europea — che non sono quindi di nessuna importanza e che non sono del resto citate come tali da nessun autore francese. Il De l’Iste du Dreneuf nel suo lavoro sul Triton Blasîi, dà la descrizione dal T°. cristatus e del T. marmoratus e fa notare che mentre il cristatus ed il B/asti presentano entrambi due varietà (una marmorata (Blasi) o punteggiata (cristatus) ed una immaculata) il Trifon marmoratus non presenta mat? varietà. Il Boulenger nel Catalogue of Batrachia Gradientia (1882) parlando del marmoratus non ne cita alcuna varietà. To credo quindi, in base all'esame di un così gran numero di esem- plari di questa specie e in base alla testimonianza di tutti gli autori che si occuparono di questo 7Ty7/one, di poter asserire che la tinta verde- gialla-chiara del T. marmoratus è affatto costante e caratteristica e che quindi la differente colorazione della nuova forma da me trovata (senza badare alle altre differenze) può essere considerata come un buon carattere differenziale per rispetto al T. marmoratus, di cui non mi sembra una semplice varietà. Quale sarà ora il significato, la natura di questa nuova forma? Escluso che sia da considerarsi come una varietà del 724rmoratus e tenendo conto delle analogie col T°. B/as?î, io credo che essa sia senz'altro un ibrido tra il maschio del 7°. 7marmoratus e la femmina del cristatus, un 7brido in senso inverso del B/astî, avvenuto tra le stesse due specie. Si noti che pescai questo Tritone nella pozzanghera di cui è questione al n. IV delle conclusioni sull’ habitat del T. Blasti, nella pozzanghera cioè dove pescai 15 7. marmoratus — 4 criîstatus — e 2 Blastì. Ciò posto io credo utile distinguere con un nome questa nuova forma ibrida, rarissima, che dovrà prender posto accanto al Tr. B/lasîi, ed io mi faccio un dovere di dedicarla al dottor Trowessart, direttore del Museo d’Angers, alla cui cortesia. squisita devo di poter oggi fare questo lavoro. Chiamerò perciò il nuovo Tritone, Hybridus Trovessarti — ma sul significato di questa denominazione, ritornerò più lontano. Ed ora veniamo alla conclusione. Noi ci troviamo in presenza di due forme: una il Triton Trouessarti rarissima (ne trovai un solo maschio) 2’a/tra, il Triton Blast che è rara: la prima che trovai in una pozzanghera con molti Tr. ma;- moratus e pochi cristatus: la seconda che sî trova nelle pozzanghere csi E dove abbondano i 7. cristatus e scarseggiano i marmoratus. — Tra le due forme, 7. marmoratus e cristatus ne troviamo così due altre, il Trouessarti ed il Blasti, che hanno colorazione presso che identica (sul dorso) — e di cui il prè70 riproduce le forme del Tr. marmo- ratus e parte della colorazione di esso (ventre): il secondo riproduce le forme del cristatus e parte della colorazione di esso /ventre). . Io non esito ad asserire che queste due forme sono due ?br?7di che si dimostrano a vicenda e che ci riproducono per rispetto agli Urodeli le conclusioni a cui venne l’/Zéy’0n Royer intorno all’ibridazione negli anurt. Il Triton Trovessarti (forma più rara) sarebbe l’ibrido del maschio del Tr. marmoratus e dalla femmina del cristatus. Il Triton Btasti (forma meno rara — più facile a prodursi), sa- rebbe l’ibrido dal maschio del 7. cristatus e della femmina del 7. marmoratus. Rimane infine da trattare una questione importante, quella della ri- produzione del Tron Blasti e del Tr. Trouessarti. Ritenendoli due ibridi e non conoscendosi del 7y. Trowessarti che il solo maschio, non sarà questione che dal 7. B/asti di cui si cono- scono i 2 sessi e le conclusioni a cui verrò potranno senz'altro appli- carsi al Tr. Trovessarti quando si vengano a conoscere i due sessi. Anche qui però la risposta non si può fare in base a fatti accertati: io credo tuttavia di poter dimostrare che con ogni probabilità il T'r7ton Blasti non dà opera alla riproduzione. Da 2 anni io posseggo 4 femmine ed 1 maschio di Tr. B/asti, e mal- grado che gli animali vadano regolarmente in amore non ottenni mai deposizione di ova. Il maschio si adorna di vivaci colori e mette la cresta; le femmine presentano l’addome turgido come se fossero piene di ova: questo stato di cose dura circa 2 mesi e poi gli animali ritornano nello stato di prima. Il signor De Fischer che ebbe occasione di osservare vivi un discreto numero di 7yifon Blasti osservò gli stessi fatti e mi riferì ultimamente (con lettera del 3 giugno 1886) che ottenne talora la deposizione di qualche ova, infeconde però e che andarono senz'altro a male. Le femmine poi che raccolsi quest'anno in Angers in amore, mi deposero pure alcune ova dopo alcuni giorni che erano nell'acquario, senza che si verificasse in esse alcun sviluppo. Il signor Bedriaga infine mi riferì pure le osservazioni fatte dal signor Vaézant sui pochi Triton Blasti che si conservano vivi al Jardin des Plantes di Parigi e che sono in tutto conformi ai risultati ottenuti da me e dal signor De Fischer. In natura pare che succeda la stessa cosa: altrimenti non sarebbe spiegabile la rarità del Tritone: potrebbe bensì succedere che femmine depositassero le loro ova e che di queste a/cune si sviluppassero: ma questa è una mera ‘potesî e rimarra tale finchè il Trifon Blasti non sì riprodurrà negli acquari. DIRI gi Quello che @ priorî mi conduce a credere che il Triton Blasti non si riproduce è la grande variabilità di forma e di colorazione che presentano tutti gli individui che ho preso in una sola località contem- poraneamente. Alcuni diffatti hanno un muso appuntito, altri ottuso: alcuni hanno un capo piatto superiormente (3 maschi e 2 femmine), altri invece di- scretamente convesso, sopratutto nel tratto compreso tra gli occhi e le narici. In molti Ja mandibola superiore sopravvanza l’inferiore di circa 1 '/, mm. in altri invece le mandibole sporgono egualmente. In alcuni maschi la cresta è pressochè integra, e senza macchie: in altri è seghettata e segnata da macchie varie, da fascie. Nelle femmine il dorso è generalmente scavato come da un solco longitudinale mediano, come nelle femmine del Tr. cristatus; in altre invece si osserva come un cordoncino rilevato che corre lungo il dorso, come nelle femmine del Tr. marmoratus ('). La colorazione del ventre poi varia dal giallo croceo (come nel cristatus) al giallo sporco bian- chiccio, fino al color sudicio vinoso (come nel marmoratus). Su 15 individui non trovar 2 forme eguati, almeno nella forma, è cosa strana, mentre nè nel Tr. marmoratus, nè nel Tr. cristatus in così scarso numero di esemplari di una stessa località non si verificano mai simili variazioni. Questa variabilità così sensibile neZla forma e nella colorazione non dovrebbe verificarsi în lutti gli individui sopramenzionati se il Triton Blasti si riproducesse normalmente come i Tritoni affini, nei quali il fatto non sî verifica con questa così grande intensità. Il fatto invece è spiegato coll’7bridismo: non c'è infatti una ragione perchè gli 7bridi abbiano sempre da presentare esattissimamente lo stesso /aczes, la loro produzione essendo per così dire accidentale, e la conservazione dei caratteri essendo in questo caso soggetta ad un’ infi- nità di cause di alterazione che possono variare per ogni ibrido che si produce. i Io ritengo che il Tr. B/asti sia il prodotto di 7bridazioni annuali accidentali (in alcuni anni potranno prodursi molti ?bridî, in altri pochi o nessuno: così spiego il fatto che da alcuni anni nei dintorni di Nantes il Tritone è rarissimo, (?) mentre nel 1862, quando il De l’Iste ne pubblicò la descrizione, in certe località era assai frequente, ed Il Tritone è troppo scarso nelle collezioni scientifiche pubbliche e pri- (1) Tutte le femmine del Tr. Marmoratus, di tutte le provenienze presen- tano questo cordoncino rilevato che nessun autore francese cita nelle diagnosi del Triton Marmoratus, scrivendo sempre « que la femelle a le dos creusé en gouttière! » (3) Come risulta dalle informazioni in proposito, che il signor Bureau, di- rettore del Museo di Nantes, volle favorirmi. dal vate per poter spiegare questa rar7tt con una caccia distruttrice, che del resto non ha mai prodotto nelle specie affini una sensibile diminu- zione nel numero degli individui) che vengono così ad impedire da sole la scomparsa (che potrebbe benissimo verificarsi) di questa forma che di per sè sarebbe incapace di riprodursi. Il Triton Blasiù e Trouessarti sono adunque due ibridi, che con ogni verosomiglianza non si riproducono, e che non potranno quindi considerarsi come specze il concetto della specie essendo indissolubil- mente legato a quello della riproduzione. Io propongo quindi che nei cataloghi della fauna Erpetologica Euro- pea o Francese, essi abbiano ad essere designati così: (1) Triton marmoratus. — Latreille. Hybridus Trouessarti — mihi (Triton marmoratus e Tr. cristatus). Hybridus Blasti — De l’Isle (Triton cristatus e Tr. marmoratus). Triton cristatus. — Laurenti. Propongo cioè di sostituire in questo caso alla designazione di specie sottospecie o varietà, la designazione Rybridus, che dice subito la na- tura ed il valore delle forme in questione, come pure il posto che de- vono occupare nella sistematica. Così disposte le due forme in discussione ci rappresenteranno bene il doppio legame che esiste tra il Tr. marmoratus e il Triton cristatus, Per controllare in certo qual modo tutto quanto sono venuto esponendo ho cominciata su vasta scala un’esperienza che potrà riuscire decisiva. Ho introdotto in Italia e gettati in una pozzanghera di una mia villa di Chivasso, dove abbonda il Trifon Cristatus, circa 60 Triton mar- moratus, con predominio nel numero delle femmine. Avrò così realizzato le condizioni favorevoli alla produzione del 7'rd- ton Blasti, se pure le differenze che esistono tra il Trifon cristatus subsp. Karetinii d'Italia e il Trifton cristatus tipico del nord, non saranno un invincibile ostacolo alla 2bridazione del Tr. cristatus subsp. Karetlinii col Tr. marmoraltus. (1) Anche se se ne dimostrasse la riproduzione, non cesserebbero però di essere ibridi. — Solo potremmo considerarli come specie in via di formazione ed allora si abbandonerebbe la nuova nomenclatura che propongo. __———-t_>yrS de>— — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Hybridus Blasii — maschio in amore — Nel tempo degli amori le macchie marmoreggiate brune, evidentissime nella rimanente parte dell’anno, sono appena visibili sul fondo verde del corpo dell’animale. II. Hybridus Trouessarti — maschio in amore — La cresta è ripiegata sul dorso. La colorazione dell’animale in amore, esattamente rappresentata, non si muta sensibilmente passato 11 tempo degli amori. III. Triton marmoratus — maschio in amore — L’animale rappresentato pro- viene dal Sud della Francia e presenta la livrea caratteristica dei Tritoni del Sud. I disegni furono fatti in base a fotografie istantanee degli animali ij t A pi RI RE né " è A € $ 3° Varo Pai Li PLCETENE ARI audi dtt ai: vera POT VGAITILLI: sani prato eni RA" dbina tb ; p t Hei ‘ A dr O" esele DEV sti DEE, EN Ma; di “i: ? vi4 \ / ‘ " a a TE “ RA i A i italo porta .: Was sa $ NI PAGA x dt ' suit AIQUAT LIT. AUOISADI simo fscaa Hash agguot [avi posa oi oidbasse — Moe nsdasiiebh bye doo viari gui Gist dpr) laghi bfv > Siefad Lenti Half onda af Srna Int MI STES ESITARE fina. picceitti è elena: flo STAI iti gio nei — Atina. ubirde i a _gtat IAAGOTTAAT alnogse)titzà Sua DA NL aplecatris ‘fsù ansi asialoa BITS Lo Mosto Us 3b (MJsrt89 H dlusesg ata: glidianoa aifisete. & id; to riad te. sotqpodiianasiggai singlogi. oto. pio — ar TRAI tit) ia Foa Tie: ingtivi ah sablalmijango poezil si alrogenrtd gs. dios silab' 42 G . É p É Ù dia pia er ah a tI Lgsugn. ipsa vid gia dA pigiole N KA sn 4% SS FATICLO a 1960) Mi ibi du iii 131 ; Li 4 ci À ff v 20, hi; ì Ur 9 - : l'eta SAU SIE AT » È Wi, al DAR A ) (10% P Mer: PI » n - o a "R Hi Xi di a 2 VA mn (I ero 40) » RR CR da £a VELA BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata ILA ì 1 69S_ della R. Università di Torino N. 435 pubblicato il 18 Luglio 1886 Vocal Nota sui PELI-VENTOSE DE’ TARSI de’ Coleotteri del D.r PAoLO PERO Avendo avuto occasione di studiare molte forme di Peli-Ventose de’ tarsi de’ Coleotteri, già esaminate dai Signori Camerano (1) e Simmer- macher (2), trovai, in alcuni punti, di non poter condividere l'opinione dei menzionati autori; di più osservai alcune particolarità di struttura, che molto probabilmente hanno stretta relazione col modo di funzionare di queste ventose. Dell’una e dell'altra cosa mi par bene darne cenno in questa brevissima nota. Anzitutto il Simmermacher dice che ne’ peli-ventose del gen. Carabus esiste un filo a spirale che si dispone nella parte interna più allarcata de’ peli, il quale agevolerebbe l'adesione dei peli stessi. Ma per quanti artifizi abbia usati, e per quanto abbia passato in rassegna buon numero di peli in diverse specie di Carabus, non mi venne mai fatto d’incontrare detta spirale. Sicchè si può concludere non esser altro che un illusione ottica prodotta dai rilievi che si trovano sulla superficie esterna dei peli stessi. Ma osservando queste produzioni chitinose a forti ingrandimenti, e colorite previamente colla picronigrosina di Martinotti, potei meglio stu- diare questi peli, nei quali constatai una disposizione molto variata or di linee or di semplici punti, non mai un regolare svolgimento di filo spirale. Nè questa pretesa ed illusoria spirale risponderebbe al disegno che lo stesso Simmermacher dà nella fig. 22-0 del suo lavoro. Come pure non si comprende come essa possa agevolare l'adesione dei peli medesimi, (1) L. Camerano — I Peli-Ventose de’ tarsi dei Coleotteri — Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. 14, 1879. (2) Georg. Simmermacher — Untersuchungen iber Haftaparate an Tar- salgliedern von Insecten. Zeitschrift fùr Wissenschaftliche Zoologie XL. Leipzig. 1884. giacchè farebbe supporre una troppo notevole elasticità in questa so- stanza chitinosa, che parmi assolutamente non abbia. Al contrario a facilitare assai l'aderenza dei peli in discorso, parmi concorra come parte molto importante, una sottilissima e trasparentis- sima membranella che solo è visibile a forte ingrandimento e mediante la citata colorazione della picronigrosina nella quale assume, dopo parecchi giorni, un colorito giallo verdiccio pur semitrasparente. Detta membra- nella circonda esternamente il labbro più allargato dei peli, e sarebbe quella, a mio avviso, che adattandosi alle minime sporgenze e concavità dei corpi su cui l’insetto aderisce, ne impedirebbe l’accesso all'aria, e aumentando lo spazio interno per il peso cui vanno soggetti, ne segui- rebbe una rarefazione e per la diversità di pressione la conseguente aderenza. Nel genere Feronia è notevole la forma di ventose spiccatamente campanuliforme, e tale che una sezione trasversale non risulta un cir- colo, ma una elissi molto schiacciata. Ora avendo constatato mediante la picronigrosina anche in queste forme, la sottile membranella che circonda il labbro esterno delle ventose in discorso, mi pare che torni facile la spiegazione e della loro forma compressa e del modo d’aderire. Il qual atto si compirebbe nel tempo stesso che l’insetto appoggia la zampa. Poichè spingendo esso i tarsi dall'alto in basso e dall’indietro in avanti, ferma primamente l’orlo inferiore delle ventose, continuando poi la spinta, appoggerà anche l’orlo superiore: ma intanto i due labbri si sa- ranno divaricati, ne sarà aumentato lo spazio internamente, la membra- nella avrà impedito l’accesso all'aria, sì sarà formata una rarefazione e però anche effettuata la voluta adesione. Sicchè nel tempo della loro funzione queste ventose assumerebbero una forma pressochè conica. In tal modo si intende la ragione della forma compressa di queste ventose, la presenza della piccola membrana chitinosa e la funzione loro; le quali cose non si comprenderebbero quando altri volesse sostenere che pur nella attività esse mantengano loro forma schiacciata a sezione elittica. Riguardo al gen. Harpalus il Dott. Camerano avea lasciato molto dubbio sulla struttura e specialmente sulla inserzione dei peli ventosi, e venne nella supposizione si trattasse qui della presenza di un pelo unico lamel- loso, piuttosto che di peli distinti. Ma avendo io lasciato a lungo molti tarsi di Harpalus nella citata sostanza colorante, potei chiarire che pur qui si tratta di peli distinti, i quali del resto sono molto facili a con- fondersi pel loro grande numero e straordinaria piccolezza. Per studiare poi il modo d’inserzione, per vedere cioè se alla base si confondessero in un pelo unico, o rimanessero tuttavia distinti, feci diverse sezioni mì- crotomiche, longitudinali e perpendicolari alla superficie d'ogni articolo, fino ad incontrare il piano nel quale si trova la linea d’inserzione dei peli. Da parecchie di tali sezioni risultò che anche alla loro base e per la parte immersa nello strato chitinoso, questi peli mantengono la loro distinta individualità e s'inseriscono indipendentemente l’uno dall’altro. Tali sezioni venivano praticate su tarsi previamente ammolliti per lunga dimora nella potassa caustica. i Accennerò da ultimo per ciò che riguarda gli Harpalus, che tale forma e disposizione di peli ventose, trovasi non solo nel primo paio di zampe dei maschi, ma anche sul paio intermedio. Ho cercato pure di studiare diligentemente i peli-ventose di parec- chie specie del gen. Necrophorus, perchè non mi parve molto esatta per figura e descrizione quella che il sig. Simmermacher porta nel suo lavoro, circa il Necrophorus germanicus Fig. 34. Detta figura rappre- senta uno di questi peli che all'estremità s’ingrossano e poi restringen- dosi terminano in punta acuta. Per quanto abbia cercato non ho mai potuto incontrare pur una di tali forme; ma costantemente diverse. Variano alquanto nelle singole specie, ma tutte conservano il tipo me- desimo, d’un pelo che s’allarga sempre più quant’esso discostasi dalla base. All'estremità poi non termina in lembo continuo, ma frastagliato variamente, con lacinie più o meno lunghe: generalmente presentano una divisione mediana più accentuata, poi altre successivamente minori in modo che il labbro estremo si mostra tutto elegantemente seghettato. Sulla parte terminale allargata dispongonsi vari rilievi chitinosi, che forse facilitano l'aderenza di questi peli tanto diversi dagli altri; giacchè pare che qui non si abbia una forma che agisca mediante pressione atmo- sferica, ma per semplice aderenza. Molto singolari sono i peli del g. Necrodes, per la loro forma che po- trebbesi dire di lancia, e pei rilievi che presentano alla parte allargata, essendo questi ora tubercoli, ora lineette sinuose che a due o più per- corrono un certo tratto parallelamente, ora convergenti sull'asse lon- gitudinale in modo da presentare l'aspetto di molti V posti l’uno di se- guito all’altro; ora a una linea variamente sinuosa. Si trovano anche sul 2° paio di zampe. Altra espressione meno esatta sfuggita al sig. Simmermacher parmi quella che trovasi a p. 517 op. cit. « Chei generi Necrophorus e Silpha, portano tubetti chitinosi fra loro uguali »: giacchè nelle specie di que- st ultimo genere, essi peli restringonsi alla estremità e terminano in forma acuta, e ricoprono tutta la superficie dei tarsi del 1° e 2° paio di zampe, mentre nel 1° gen. hanno la forma sopra descritta. Da ultimo debbo fare una osservazione a ciò che fu asserito dal Sim- mermacher, il quale ammette il dimorfismo sessuale, perciò che spetta ai peli in discorso, nelle specie del gen. Meloe. Io non incontrai tale di- morfismo; e non mi pare debba veramente esistere, giacchè abbiamo la presenza dei peli su tutti gli articoli dei tarsi di tutte le tre paia di zampe, come s'incontra nei Buprestidi, Tenebrionidi, Curculionidi, Ce- rambicini e Crisomelini, nei quali è dimostrato che tale dimorfismo non esiste affatto. v dere pe h na Tit, o x “a ‘ angie! tab: 7 d! pi uomo trib igpalio Spore Stasgt î af vd 3 Att AR (avigag | incixae ui e He aia MMgfa nt) A ib i dato i Lada ulagasi HA pio “psi ro Ù I OST Ab NEMIRIST sorio OÙem agio: oa cioè. dos, gs LA sl È Di Lo van O ON o mito er ti X ALLE TIÌo ib beoigoziilog | Li GERICITO vati Gifpro oMpst. e7nea br Uni HNTegh.: DI ‘No$ ‘to ufo Gslatog a*10q rastonsisgagtitie più di an alfpiig, Sisitroiani o” rifai inrinsii attolt: d&. sgi È SMALAMIANA si Sato gh li Ott i inaltitent io a, ogsaztigot e bipasa fl; Con RICCI Meglio ib lager: dr nig Ginn1ao. piads ottuso Tide STRO ce oTistttnt i mainotilio@ sc tnafzoo spit sarto) ot 49 Gemme 10 var ino DA rift Licata xmsadogaltHi sat diosta sMcrigrn ia. Meri QUOTA, A ablst ie gio nad 0829 Àgr.Up, [ia augotoa st CUTE oss olti ‘aa Abifoatigni. scr oumiinog quel, mi Gora) Not (001! fitti MIBTO O UILOt Bf t) ig SItLog sf ‘od fiala girini Ia toa i fot. 9° IA: SILA LIA [aeg OL 4104] J 7 r x ì i 7 gole iui SITRonì ie nnestizo OTd0nI IE ci otglistlana 9Igàfagoias goto 0314) quatagzetg. atnorglat9gaa, Bor , ? } ; ì î Wa TE tan MEAITIFGATTIA vegdlt'o FILT IRUORAIOGEID Gea RA E Atrani di [SPARI CATORA" spie nen iena! \ vi figi Lot fe9tp 1 BOOSrBna MITA I MORIAD SALE LO BB 20h Sile SfrL10% HIS Bigi Dei ma «BIST9O RITO Luisae gii di OG Apb sh int onal al 190. 2960710971 =» lab. Hog î gilde “piggipitit. tan: aUS Ot MozatA arto) Legllia js04, sE MT N” To A ia 0 aub.aado segue sttagmil pio Ho Reti 1E0 l'inattie \flud.. (LMORTAVT0O NUO: ITALO INGINA gi vita N Ita Let vert PISTRI Magdttì sia 1; SAI i FEfLero: ME LEONI ih cilagesì CUTA ;n6eSh1]: AD UgcgDito, #1 adong QAatosh, #4 da6204 sua USO IGCTRY ponil Ae RIù voti À » E B di i #14 SI SAee "ih 6 sie a “dora : saifopato sale nia if ‘Brizy de Bitgeo” dit det” dro 1: iedqglià artorgantio# pt {199 Lado II .90 via «E n tig a (98 Rane ia gi Hayp ib. pinegao How, GARE 18 RISATE qual st ib LOSErAAO Todi mir Ù ni dasniattath: sd PSATUCIO onnita nilfi: leg nfaeot LEDA mea” STONE Oni na aisdi Sata lk Iob ip iab al affapane gh aio GIOIE da oi dg { i - aftiprab KIA fit dì "gi Ost, Ito Pf Lot: Ha a pri siae fabiadizorzar zi aa, dia A anolsatiazzo Ritù eri Du di vl DE atiagaioda dios. stiate onusitiontib. 1 lì Adfolgitti ce La E cinte: inainooui gg, 0t, apialà 088 Di ‘GOAL bileci A esbumpidianartone lo sngtriza.a oli PARIOIAT È “pda Sao (o. e Muto Lisa:condiasi priut i iagnà. deb ([Ositie UA Kia te patio ibiza vibizorigagat. Theo Aguti (oa pil cr ln goa sonele omni alst asp, Qias gio È 3 ele ia Tip. FODRATTI - - Torino j Ù s 14 ia Ma) » e i {4 SIR. ba n 1% LION i 3 x n ] 4 & BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata VAEGSI x eri / HI. della R. Università di Torino N. 14. pubblicato il 16 Agosto 1886 VoL. I Ricerche intorno alle differenze osteologiche delle RANAE FUSCAE Italiane del dottor ALFREDO BORELLI 1° Rapporto tra la lunghezza del tronco e la lunghezza del capo Paragonando la lunghezza del capo (diametro antero-posteriore misurato dalla faccia esterna degli intermascellari alla punta superiore del foramen magnum) a quella del tronco (dalla prima vertebra all'estremità poste- riore del bacino) vediamo che: Nella Rana muta il tronco comprende presso a poco tre volte la lunghezza del capo. i Nella Rana Latastii il tronco comprende da due volte a due volte e mezzo la lunghezza del capo. Nella Rana agitis esso comprende da due volte a due volte un sesto la lunghezza del capo nei giovani individui, e due volte la stessa lun- ghezza negli individui adulti. Estremità anteriori Le estremità anteriori (misurate dall’articolazione della spalla all’estre- mità del dito più lungo) sono: Nella Rana muta più corte dal tronco e, generalmente più corte di 4 a 6 millimetri nei maschi e di 8 a 9 nelle femmine. Nella Rana Latastit le estremità anteriori sono presso a poco uguali alla lunghezza del tronco nei maschi, più corte di qualche millimetro nelle femmine. Nella Rana agilis le estremità anteriori sono presso a poco uguali alla lunghezza del tronco nei giovani, e vanno diventando più corte di questo coll’età adulta, principalmente nelle femmine. Saga Estremità posteriori Le estremità posteriori misurate dall’articolazione coxofemorale sino all’articolazione tibiotarsea sono: Nella Rana muta più corte da 3 a 5 millimetri della lunghezza del corpo (tronco e capo). Nella Rana Latastii invece esse sono più lunghe del corpo da 2 a 4 millimetri. i Nella Rana agilis esse sono più lunghe ancora e possono oltrepassare di 7 od 8 millimetri la lunghezza del corpo; nelle femmine talvolta questa differenza di lunghezza è minore ma essa non discende mai al disotto di 3 o 4 millimetri, cioè al disotto della maggior differenza presentata dalla rana Latastil. Tibia 1° La tibia paragonata alle estremità anteriori è: Nella Rana muta più corta delle estremità anteriori di un quarto e anche di un terzo della tibia stessa. Nella Rana Latastiî essa è più corta di un sesto o un po’ più di un sesto della tibia stessa. Nella Rana agilis essa è uguale a un dipresso alle estremità anteriori o un po’ più corta e questa differenza cresce coll’età. 2° Paragonata alla lunghezza del corpo la tibia è: Nella Rana muta contenuta due volte almeno nella lunghezza del Corpo. Nella Rana Latastiî da una volta e mezzo a una volta e tre quarti. Nella Rana agîlis essa è contenuta una volta e tre quarti in questa lunghezza. i Piede Se infine, alla lunghezza della tibia paragoniamo la lunghezza del piede (misurata dalla articolazione tibio-calcaneo-astragalea fino all’apice del dito più lungo) vediamo che: Nella Rana muta il piede è più lungo della tibia di metà pressa poco della tibia stessa; nella Latastii esso è più lungo di un terzo o di un quarto. Nella Rana agilis è pure più lungo di un quarto. (Ho misurato la tibia ed il piede, il femore non presentando differenze apprezzabili nelle tre specie). In complesso vediamo che in rapporto colla lunghezza del corpo, le estremità anteriori e principalmente le posteriori, grosse e corte neZla Rana muta vanno allungandosi di più nella Rana Latastii per raggiun- sere il massimo di lunghezza nella rana agitis dove le estremità po- steriori (femore e tibia soltanto) ripiegate lungo il corpo oltrepassano di = più millimetri l’apice del muso coll’articolazione tibiotarsea; quello che dico rispettivamente alla lunghezza delle estremità, posso ripeterlo per il loro aspetto giacchè le ossa che le compongono, grosse e tozze nella Rana muta vanno assottigliandosi nella Rana Latastii e sono molto sottili nella rana agîitis. Aspetto generale del cranio L'aspetto del cranio oltrechè essere dato dalla forma delle varie ossa che lo compongono, risulta anche dai rapporti esistenti fra i diametri antero-posteriore, trasversale e verticale. Lunghezza e larghezza del cranio Paragonando la lunghezza alla larghezza, prendo come diametro an- tero-posteriore la distanza intercedente fra la punta superiore del fo- ramen magnum dell’occipitale e la punta del muso e per la larghezza il più gran diametro trasversale. Ora si vede che nella Rana muta, il diametro trasversale è sempre più lungo del diametro antero-posteriore, e la differenza fra i due dia- metri varia tra un millimetro e tre millimetri. Nella Rana Latastii invece, il diametro antero-posteriore è, nei maschi pressa poco uguale al diametro trasversale e nelle femmine il diametro trasversale oltrepassa l’antero-posteriore da uno a due millimetri; meno come si vede che nella Rana muta. Nella Rana agitis invece, se si considerano individui giovani, il dia- metro antero-posteriore è uguale presso a poco al massimo diametro trasversale; negli adulti invece il diametro antero-posteriore è uguale al massimo diametro trasversale nei maschi, e nelle femmine il diametro trasversale supera di due millimetri circa il diametro antero-posteriore. Faccio osservare che ho preso come massimo diametro trasversale nelle rane mute e nelle rane Latastii, la distanza intercedente tra i punti di massima convessità dei jugali e nelle vane agilis, invece quella tra le articolazioni dei due mascellari, perchè nelle due prime specie, la larghezza del cranio va aumentando dagli angoli dei mascellari ai jugali i quali fanno una piccola convessità, più spiccata nella rana La- tastiî dove la differenza tra il diametro trasversale preso agli angoli dei mascellari e tra i punti di maggior convessità dei jugali è di circa un millimetro; mentre i jugali delle rane agilis sono rettilinei presso a poco e in queste rane, il diametro trasversale va sempre diminuendo dagli angoli dei mascellari sino all'apice del muso. Paragonando il diametro antero-posteriore al massimo diametro tra- sversale, al diametro trasversale medio (preso al punto d'incontro dei palatini col braccio anteriore dell’osso pterigoideo e col mascellare su- periore) ed al diametro trasversale 727n7m0 (preso alla sutura degli in- h z re cc tlciti_znic <= ibi FEO "0 970°0 6600 | GF0'0 Z80%0 | 97040 7000 |) 7600 660°0]| Z60°0 8G0°0| 890°0 880% 9pald pp GE0°0 7700 | 96040 G660°0 | 980°0 7800) 860°0 60 ‘0 GTO "0 800 | GI7O"0 GGEO 0 BIQUI L60'0 660°0 i 080%0 8600 | 08070 G80%0 | 760 8100 | G260°0 G080°0 | £80°0 GFE0 "0 210W19,] cu: E! 110/497s0d 6640 OFF'0 7400 | SFFO 06000] &FFO ZOO | L28000 0200) 88F°0 6IF0 | G7}'0. 06F'0 | ;duez 9||9p ezzoySun] GTO" SEOTO 9E0"0 | 8E070 0B0*0 | GI070 OFO'0 | GEEO"O GIEO*O | EG0%0 770%0 | 89200 8100 | oduez Gjfop ezzoqguni 60 "0 GL80°0 69600 | H0'0 08060 | 7700 W0"0 | 98040 9700 | 900 K80%0 | 6900 G860°%0 02UO17 Jap ezzoysun] GIZO"O GIO'O FIO"O | ZIO"O SPIO"O | SziO*0 azIOT0 | #IO'O TOO | 8070 07010 | See 0 Mt” GGIO"O 9IO70 ZIO"O | LIOTO SEIOO | LIO SOFO"O | GIO'O SFFO'O | GOZO"O EZIO*0 | 030*0 81070 | «,pisod os0tue sdOwerg GLO0 880°0 6800] g°0%0 Fvo'o| 9o'o ssot0 | oso'o ssotn | es0°0 02000 | s0t0 azoto | OTOMI RR, QUIULUII;] IYISEN QuUIULUO,I IYOSEN QUILLWII] IYOSEHN (seWoyL) SITIOV VNVY (‘[Inog) INLSVLVI YVNVY (IneT) VION VNYVY HA VOSLMAM HVNVU = Ba termascellari col mascellare superiore) osservo: che nelle rane ag??is, il diametro antero-posteriore va sempre prevalendo sui diametri trasver- sali mentre nelle rane Latastii questa prevalenza è un po’ minore ed è molto minore nelle rane mute. Difatti mentre nelle rane mute il con- torno maxillo-jugale rappresenta una curva regolare colla convessità all’esterno e nelle rane agilis il contorno maxillo-jugale è presso a poco rettilineo, nelle rane Latastiî questo contorno non è più regolare ma presenta un angolo curvilineo aperto all’esterno, di cui i lati sono fatti dal jugale, molto convesso all’esterno (più convesso che nella rana muta) e dal mascellare superiore che è meno convesso (meno convesso che nella rana muta). Quanto alla punta del muso, essa appare come tronca nella Rana agitlis e più o meno arrotondata nella Rana muta e. nella Rana Latastii. Altezza del cranio Per quel che riguarda i diametri verticali del cranio, prendendo come misura; 1° Del diametro verticale posteriore: la distanza verticale dalla parte superiore dell’occipitale alla linea che unisce gli angoli dei mascellari. 2° Del diametro verticale medio: la distanza verticale dal punto medio della sutura superiore dei fronto parietali ad una linea che unisce la sutura del ramo anteriore del pterigoideo col mascellare superiore di un lato colla sutura analoga del lato opposto. 3° Del diametro verticale anteriore: la distanza verticale dall’estre- mità anteriore dei prefrontali (fronto-nasali) al tavolo su cui poggia il muso quando il cranio è disposto su di una superficie piana. Vedo se paragono tra loro questi tre diametri verticali che: nella Rana muta le tre altezze vanno regolarmente decrescendo; nella Rana Latastii c'è una differenza poco sensibile tra l'altezza media e l’altezza posteriore, ma esiste un gran salto tra l'altezza minima e l'altezza media; ‘ nella Rana agitis l'altezza media differisce della posteriore presso a poco come nella Rana muta, ma tra l'altezza media e l'altezza minima c’è una differenza più grande. Difatti, il cranio delle rane mute presenta una inclinazione regolare dall’occipitale ai prefrontali, all’altezza dei quali il cranio è poco depresso; nelle rane Latastiî ed agilis invece il cranio è più depresso anterior- mente che nelle mute, ma, mentre nelle @g7/îs l’inclinazione è regolare dalla parte posteriore ai prefrontali, nelle Latastéi l'altezza si mantiene presso a poco uguale sino alla metà circa del diametro antero-posteriore per poi diminuire tutto ad tratto, cosicchè posteriormente il cranio delle Latastii appare convesso. Paragonando ora la maggior altezza alla più gran larghezza del cranio vediamo che: nella Rana muta Vl’altezza è contenuta 2 volte e mezzo a 2 volte tre quarti nella larghezza, mentre nella Rana Latastii e nella Rana = agilis l’altezza massima è contenuta due volte o appena un po’ di più nella maggior larghezza; dunque i cranii delle rane mute sarebbero relativamente meno alti posteriormente di quelli delle rane Latastiî e della rane agitis. Attezza del tubo craniano 0 spessore Quanto allo spessore esso è presso a poco uguale nelle tre specie se lo paragoniamo alla larghezza del cranio; lo spessore maggiore cioè, misurato al foramen magnum essendo contenuto da tre volte e mezzo a quattro volte nella più gran larghezza. Ma se prendiamo lo spessore minimo, misurato cioè alla punta dell’etmoide, vediamo che le rane mute hanno uno spessore minimo più grande di quello delle Latastii e delle agilis e ciò corrisponde alla maggior depressione della estremità anteriore del cranio che ho già constatata nelle rane Latastiî e nelle rane agilis. In complesso le rane 72ute a cagione della maggior larghezza e del maggior spessore del cranio, hanno un cranio arrotondato e tozzo, le agitis triangolare e di forma più leggera, il cranio delle Latastiî pre- sentando una forte curva ai jugali rassomiglia più a quello delle rane mute nella parte posteriore, più a quello delle rane agilis nella parte anteriore. Venendo ora ad un esame più minuto, vediamo quali sono le differenze principali che presentano le diverse ossa del cranio nelle tre specie. Per maggior brevità e chiarezza, dividerò il cranio in tre parti: una anteriore, una media ed una posteriore. La parte posteriore limitata sul davanti dal margine posteriore delle cavità orbitali, ai lati dai jugali, comprenderà: le ossa occipitalia, pe- trosa, timpanica e jugalia colle due braccia posteriore e medio delle ossa pterigoidea (di cui il braccio anteriore forma tutto il lato della cavità orbitale), più la parte posteriore dei fronto parietali. La parte media è limitata posteriormente dai margini posteriori delle cavità orbitali, anteriormente dai margini anteriori delle cavità orbi- tali, più dalla lamina anteriore dell’etmoide e comprende le seguenti ossa: Etmoide, fronto parietali, sfenoide, braccio anteriore dell’osso pte- rigoldeo. La parte anteriore è limitata posteriormente dai margini anteriori delle cavità orbitali, dalla lamina superiore dell’etmoide e comprende le seguenti ossa: Fronto nasali, intermascellari, mascellari superiori, vomeri e palatini. Esaminiamo ora di queste diverse ossa quelle che presentano delle differenze notevoli nelle tre specie. Agia Parte posteriore del cranio 1° Occipitalia Lateralia. Queste ossa in numero di 2 formano la parte posteriore del cranio circondano il foramen magnum e servono all’articolazione colla colonna vertebrale. Essi sono separati l’un dall’altro tanto superiormente quanto inferiormente da una parte più sottile, considerate superiormente come la parte squamosa dell’occipitale inferiormente come il corpo di quest’osso e denominate dal Dugès: la parte superiore occipitale superius, la parte inferiore occipitale basilare. Alla parte inferiore, ciascheduno occipitale laterale porta una apofisi articolare o condilo che serve all’articolazione colla prima vertebra del collo. Verso l’alto e lateralmente al foramen magnum discende obbliquamente verso il basso come una cresta ossea sporgente, costituita di due parti una, l’interna che appartiene agli occipitalia lateralia, l’altra l’ esterna che appartiene ai petrosi. Se ora paragoniamo il complesso delle ossa occipitalia lateralia nelle tre diverse specie vediamo: che nella Rana muta le due creste ossee che uniscono gli occipitalia lateralia colle ossa petrosa, discendono meno obliquamente che nella ana agilis e sovrattutto che nella Rana Latastii. Difatti nella Rana muta la distanza delle estremità superiori di queste sporgenze è più corta di due millimetri della distanza che separa le loro estremità inferiormente, mentre nella Rana agitis la distanza inferiore di queste due sporgenze supera la distanza superiore di due millimetri a tre millimetri e mezzo e nella Rana Latastii la distanza inferiore da tre millimetri a tre millimetri e mezzo. A questa diversa obliquità delle due creste, corrisponde una diversa forma del foramen magnum, il quale è più a forma di cuore nella Rana muta e più ovale nella Rana agitis e sovratutto nella Rana Latastii; così mentre nella prima il più gran dia- metro verticale del foramen magnum è uguale al diametro trasversale con tendenza ad essere più grande, nella Rana agîitis il diametro verticale tende a diventar minore e nella Rana Latastii il diametro trasversale è maggiore del diametro verticale di più di un mezzo millimetro. Inoltre il foramen magnum presenta nella ana muta una maggior inclinazione dall’indietro in avanti che nelle due altre specie. Paragonando infatti tra loro i due diametri antero-posteriori misurati dalla punta del muso alla parte su- periore ed inferiore del foramen magnum, si ottiene un diametro an- tero-posteriore inferiore maggiore di un millimetro e anche di un milli- metro e mezzo del superiore nella Rana muta mentre nelle altre due specie i due diametri sono press’a poco uguali o con differenza di meno di un mezzo millimetro. I condili sono ovalari, con un grande e un piccolo diametro; nella Rana muta essì sono grossi ed ovalari colle due estremità presso a poco uguali, nella Rana Latastiî e nella Rana agitis essi sono più stretti e la loro estremità superiore è più grossa di molto dell’inferiore. 200°0 1000 1000 GE00°0 30040 GIO0"0 GG000 70040 800°0 700°0 66000 6000 GL00°0 &E&00'0 700 0 OFO'0 20040 8000 GG00°0 7000 8000 GHO'O GFIO'O 8000 GOTO"0 GFFO'O 0100 GIGO"0 GFOO TIOO L00°0 &&00'40 &700"0 G610°0 91/00 ©I0°0 Quid] GGOO"O GLOU'0 00°0 GHO0'0 800°0 ©0000 G700°0 G600°0 0000 GFOO'0 GYOO"0 GE00°0 | GY700"0 €700"0 n 1040 600°0 LIO0 6500 L10'0 G7}0°0 9000 000 ZOO GEFO0 GTOO0 GH00°0 6000 €000 | G600°0 8000 800°0 G700°0 GF00°0 G000 800°0 | GE000 G100'0 | G70010 8000 G800'0 | 9000 9000 1000 6G00°0" apiow)a,j(dp e)uug OH ENCIRCINIRI ojoAe) e ijemuodjoad top Q10LI9)UO B}11DIIST Ijejaraed 07u0Iy 10p EIN)NS IP oipou un] —_—_—____________________z tG00'0 | 4000 Z00°0 ajeidiooo,jpp ‘das erooe) ele 0joAE) [pp Ezzo][Y 2000 9000 LIO'0 GYIO'0 €600 . 0300 GL00 0 900°0 aJossadg \:Y4/4=2) 54 noiodns 1se|joosea amp 109 LIE|[POSEWIIA]UL 7 IAP o4M}ns dj DAL, Iunejed top vz40)1y ajeSnf osso,jop t}issoAuO]) ezZQYSIET Me]posew fap 1oSue iS ed], OSNTU pp ezund Efje Ie}igquo ENIAED 9]jop asoLt9zue 9]sed Bf]e{ LIO'O GOFO"0 toseKl (sewoyL) SITIOV YNVY OINVUIUO TH INOISNHUNIA (*IDOg) HISVIYT VNYY (JET) VLON VNVY osnu |op ejund ejje wunufew uowEIO) |E( ‘qIUUT è gg I seguenti numeri che esprimono il valore dei due diametri dei con- dili nelle tre specie, ci fanno vedere le differenze caratteristiche che in- tercedono tra di loro. Diametro longitudinale Diametro verticale RANA MUTA maschi . . 0.002 0.002% | 0.001 0.002 Id. femmine. . 0.002 0.002 | 0.001% 0.002 RANA LATASTII maschi . 0.0015 0.002 | 0.001 0.001 Id. femmine 0.902 0.002 | 0.004 0.001 RANA AGILIS maschi. . 0.002 0.002 | 0.0008 0.001 Id. femmine. . 0.002 0.0025 0.0027 |! 0.0009 0.0018 00015 Supponendo una retta tirata tra gli angoli mascellari, i condili l’ol- trepasserebbero di un millimetro circa nella Rana mufa mentre nelle altre due e sovratutto nell’ag?/7s essi l’oltrepasserebbero di due milli- metri ed anche di due millimetri e mezzo. Ossa timpanica A ciaschedun lato del cranio sì trova verso la parte posteriore un osso composto di tre rami, avendo in complesso la forma di un 7, è I’ osso timpanico. Di questi tre rami l'uno, l'anteriore, termina con una punta nella parte posteriore della cavità orbitale e può considerarsi come un vero processo zigomatico; degli altri due, l'uno diretto. all'indietro e all’insù si appoggia all'osso petroso, l’altro volgendo obliquamente verso il basso e all’indietro serve di tratto di unione tra i mascellari e le ossa del cranio propriamente detto (tubo craniano). Queste due ossa non presentano differenze constatabili di forma nei bracci diretti all’indietro; il braccio diretto verso la parte anteriore pre- senta invece nella Rana muta e nella Rana Latastii una curva a con- vessità inferiore ed interna, curva che è più spiccata nella Rana La- tastiî; nella Rana agitis il braccio anteriore si prolunga in linea retta senza curva alcuna; infatti misurando la distanza tra i due bracci alla loro origine posteriore e la loro distanza anteriormente in corrispon- denza della maggior convessità, queste misure non presentano differenze sensibili nella Rana agilis, nella Rana muta invece la distanza anteriore supera la posteriore di un millimetro e nella Lazastz di un millimetro e mezzo. La curva presentata dal braccio anteriore dell’osso timpanico sì potrebbe dire simmetrica a quella presentata dall’osso jugale; difatti ho già detto che l'osso jugale prima di unirsi col mascellare superiore presentava nella Rana muta una curva, la quale era molto spiccata nella Rana Latastii, curva che produceva in quel punto il massimo diametro trasversale del cranio, mentre nella Rana ag?lis l’osso jugale essendo appiattito, 11 massimo diametro trasversale era come ho già detto spostato all’indietro in corrispondenza dell’angolo dei mascellari. 970°0 EFO'0 G800°0 | GEFO'0 60040 | GIOO YIO°0 | &X0°0 0500 | 81000 91000 | 8HO°0 7100 QI0LIQIUP ezUPISICI QIO°O FOO S800°0 | SEFOO GONO | VIO°O 8100 | 3100 6000 | LIOO FIO0 | ZI00 8TO0 |“ iomaisod ezueisigo ODINVAINIL HIE|[eosewi 19p 1]oSure 1]59p (0040 ©0040 €000 | #00°0 GI00°0 | “30070 40040 | 0010 GIOO'0 | GF00"0 GFOO'0 | GFOO'O &T00'0 Bani] Blje I[IPuo9 1Bp 2ZueISI(] 7000 SEU0°0 80040 | 8000 87000 | £800°0 G800°0 | “800408000 | 7000 €600°0 | 7000 600 0 | @[essoAseI) 01M9uei(] £600"0 G8E00/0 GT00 0 | “0070 GT00°0 | 80040 86000 | 80040 3000 | GE00°0 E600°0 | G700'0 &E00°0 9[P91]19A 03JQUU PIC] NWONOYN NANVUOA 600°0 200°0 GG00T0 | Z00°0 GG00%0 | GL0040 GL00°0 | 2000 6000 | 800°0 GL00°0 | £800'0 GL00°0 QIUIULIOLI9JU! € sioni) e : 3 ; quuawJolsadns E 9000 70040 8000 | 0040 £E00°0 | G00°0 GG00°0 | 70040 800°0 | 90010 £G00°0 | 9000 S00°0 | a1e11di900,]jap 15949 2I[Pp ezueIsi(I li GGIO'O 9100 FO°0 | SLFO"O G8F0°0 | ELFO 0 GOIOO | EGFOO ZFIO"0 | GIEO"0 © 8I0°0 | G0GO"0 8100 QION9JHI 06 aJonsados .,E SGIOO 9FOO ZIOO| LIOO SEIOO| ZIO GOIOO | SIOO SFIOO | SOZO0 GLIO | 0600 8HOO | ssorsaisod oso1Ue OMatweIA ——————————_—_—P——_—_———————__t......__—É€-;-i{ rr ________y _________75rÉ__zÉ_—_—_—ÉÉ uu )] IOSEN QUILU IA] I]OSEN QUI] IYOSEH (SE@IONL) SITIDV VNVU (‘Tnog) IILSVLVI YVNVU {Ine]) VLON VNYU OtTNYTO STIME 0] E Sd RL dI ai SL Parte media del cranio-fronto-parietalia Davanti alle ossa occipitalia si trovano le ossa fronto-parietalia, le quali raggiungendo anteriormente l’osso etmoide separano le due cavità orbitali e formano la parte superiore del tubo craniano. Queste ossa presentano nelle diverse specie delle differenze e di forma e di dimen- sione. Per la forma: nella Rana muta e nella Rana Latastii essi sono piatti e lisci e piuttosto convessi che incavati nella parte superiore, princi- palmente nella Rana Latastit; nella Rana agilis invece essi sono in- clinati verso la parte mediana formando come una piccola docciatura. Per le dimensioni: essi sono presso a poco ugualmente larghi all’in- dietro e sul davanti nella Rana muta e nella Rana Latastii; nella Rana agîlis invece essi sono più lunghi proporzionatamente di uno a due millimetri che nelle due prime e questa maggior lunghezza contribuisce a farli parere più stretti ancora. In media essi hanno una larghezza di quattro millimetri e mezzo a cinque millimetri nella Rana muta, di tre millimetri e mezzo a quattro millimetri e mezzo nella Rana Latastit come anche nella Rana agilis, ma in quest’ultima il cranio è proporzionatamente più lungo assai che nella Rana Latastiî. Etmoide I fronto-parietali vanno a ricoprire sul davanti un osso impari, l'osso etmoide chiamato da Cuvier /’os en ceinture a cagione della sua forma anulare. La lamina superiore di quest’osso è diversa nelle tre forme e varia anche negli individui della stessa specie, presentandosi ora tron- cata anteriormente, ora arrotondata, ora appuntita, ora, principalmente nella Rana Latastiî, tutta frastagliata. Esaminando però molti esemplari possiamo stabilire: per la Rana muta la forma piuttosto arrotondata, per la Rana Latastiî la forma frasta- gliata e per la Rana agitis la forma appuntita. Inoltre, quando nella Rana Latastii o nella Rana muta la lamina - superiore dell’etmoide presenta la forma appuntita, questa non è mai così spiccata come nella Rana agilis, come anche la Rana agilis non presenta mai la forma arrotondata perfetta che si riscontra in molte rane mute. L’osso etmoide si allarga sul davanti in forma d’imbuto e a cagione della sua forma anulare, facendo parte tanto della volta come della basé del tubo craniano, esso è ricoperto in parte al disopra, come ho già notato, dai fronto-parietali e al disotto dallo sfenoide. Quest’osso nelle tre specie ricopre completamente la parte media della lamina inferiore dell’etmoide, lasciandolo scoperto ai lati per tutta la sua lunghezza. colto — I fronto-parietali invece non ricoprono la lamina superiore dell’et- moide ugualmente nelle tre specie. Difatti se misuro la distanza che sta fra l'estremità di essi e la punta corrispondente dell’etmoide, mentre nella frana muta e nella Rana La- tastiî questa distanza è: 1° sui lati presso a poco uguale ad un milli- metro o ad un millimetro e mezzo; 2° nella parte mediana della lamina uguale a due o tre millimetri; nella Rana agilis questa distanza è di un millimetro e mezzo a due millimetri sui lati e può nella parte me- diana raggiungere quattro millimetri e mezzo. Ciò è in relazione colla diversa forma della lamina superiore dell’et- moide, la quale nella Rana agilis è generalmente più appuntita. I fronto parietali, l’etmoide e lo sfenoide formano la massima parte del tubo del cranio e separano così le due cavità orbitali. A formare queste cavità concorrono inoltre sul davanti le ossa pala- tina, al lato esterno e all'indietro i bracci anteriore e medio dell'osso pterigoideo, e all'indietro esse sono ancora delimitate dal braccio ante- riore o apofisi zigomatica del timpanico, dal petroso e dalla parte po- steriore dei fronto parietali e dello sfenoide. La forma di queste cavità essendo data dalla forma e dalle dimensioni delle ossa che le circondano, le vediamo proporzionatamente più larghe nella Rana muta e nella Rana Latastit, più lunghe nella Rana agitis; infatti abbiamo visto i fronto parietali più corti nelle rane mute e Latastii, più lunghi nella Rana agilis e inoltre i mascellari superiori, ed in conseguenza i pterigoidei che vi sono applicati, facendo nella Rana Latastiî e principalmente nella Rana muta una curva maggiore che nella Rana agilis, il diametro trasversale delle cavità orbitali sarà nelle prime proporzionatamente più grande che nella Rana agilis. Parte anteriore del cranio Le cavità orbitali limitano sul davanti la parte del cranio che ho chiamata anteriore. Questa parte, come ho già detto, è più arrotondata e più spessa nella Rana muta, un po’ meno rotonda e depressa nella Rana Latastiî, appuntita, molto depressa e tronca nella Rana agilis. Essa è limitata all’indietro dai palatini, ai lati dall’estremità allargata dei mascellari superiori, sul davanti. dagli intermascellari, al disopra essa è ricoperta in parte dai prefrontali (fronto-nasalia) e al disotto dai vomeri. Prefrontati Le ossa prefrontalia o fronto-nasalia si presentano assai diversamente nelle tre specie e per la loro forma e per la loro posizione. Essi si collegano ad una sporgenza del mascellare superiore (processus frontalis) e ricoprono l'apparato nasale cartilagineo. A = Riguardo alla forma nelle tre rane queste ossa si presentano triango- lari, più grosse o più piccole a secondo che i loro margini sono convessi, incavati o rettilinei. In essi distinguiamo tre margini; uno interno, uno posteriore ed uno anteriore ed esterno; tre angoli, più una faccia superiore libera. Margine posteriore. — Nella Rana muta esso è molto incavato meno nella Rana Latastii e solo nella parte esterna, nella Rana agilis è quasi diritto. Margine interno. — Esso è regolare e leggermente convesso nelle tre specie. Margine antero-esterno. — Nella Rana muta esso è quasi rettilineo, leggermente convesso; nella Rana agitis esso presenta una incavatura sensibile nella parte posteriore esterna ed è quasi rettilineo nella sua parte anteriore, esterna ed interna. Nella Rana Latastiî esso è più convesso che nella Rana muta a cui del resto rassomiglia. Nella Rana muta il margine antero-esterno è il più lungo e l’interno il più corto; nella Rana Latastii questi rapporti sono gli stessi. Nella Rana agilis it margine interno è molto più lungo che non nelle altre due specie, per cui l’osso ha l’aspetto d’un triangolo più regolare. Gli angoli posteriori ed interni sono nella Rana muta e nella Rana Latastii curvilinei, nella Rana agitis acuti. L'angolo anteriore è curvilineo nella Rana muta, troncato nella Rana Latastiî ed è acuto nella Rana agitis. Nella Rana muta le superficie delle ossa fronto-nasalia è fortemente convessa, pochissimo invece nella Rana Latastii ed appiattita nella Rana agilis. Quanto alla posizione notiamo che da essa dipende la distanza dei prefrontali dalla lamina anteriore dell’etmoide all’indietro e dalla punta posteriore degli intermascellari sul davanti. Così nella Rana muta Van- golo posteriore interno curvilineo dei prefrontali dista dall’etmoide di mezzo millimetro o appena di un millimetro, mentre gli angoli anteriori distano sempre dalla punta posteriore degli intermascellari di un milli- metro e mezzo a due millimetri o anche di due millimetri e mezzo. Invece nella Rana agitis l'angolo posteriore interno dista dalla lamina anteriore dell’etmoide sempre di più di un millimetro, talvolta però esso tocca questa lamina in causa della sua punta molto prolungata; sul davanti, al contrario di quello che succede nella Rana muta, i pre- frontali toccano quasi la punta posteriore degli intermascellari. Nella Rana Latastii i prefrontali toccano col loro margine posteriore la lamina anteriore dell’etmoide e talvolta la ricoprono un poco mentre sul davanti distano dagli intermascellari più che nella Rana agitis e meno che nella Rana muta. _— el cL Lr Tr _ °r rr rr —_—_r__P———T———————__€_€_—+—€_—_—_—_T—+— —T rr"err-È|È|_|u|»_—. 1_t1Pl G9I0U'0 700°0 GE00°0 | GGO040 GE00°0 | £T00°0£00 0 | stoo0 00'0 | Z00°0 &900'0 | 2000 900'0 QUO 1UY 10010 80070 #00 | 99010 SY00"0 | 9000 900°0 | G00°0 700°0 | £800°0 Z00°0 | 8000 £900°0 CIPIN 6 i. i 3 ; b 9401191S0d , Gg00°0 7000 GL00°0 | 87000 G800°0 | 670000 GGOT0 | 7000 80040 | 9000 9000 | 9000 &00°0 I]ESIOASEA] a 01040 2000 90070 | G800"0 G900°0 | GL00"0 SL00"0 | 900°0 CE 01000 60040 | OIO'0 8000 UI]SOp B EUjsiuis Ep ITezIqUOo BITACEI G010:0 80040 90010 | 60040 9090 | 6000 £600°0 | 8000 &900°0 | GFFO'O OIO'0 | FIO'0 600°0 | Bsisiuss e va)sap ep Inbi{qo 0% i[ezanIEd o]uosy oSUn] ONHIP ok | Ot0:0 8000 900°0 | E20040 9000 | 2000 £900°0 | 20070 €000 | OFO0 8000 | £6000 £200°0 ewpa)iSaoy saper È | gooo 7000 00°0| £8000 4000 | GIOo0°0 00°0 | 8000 r00:0 | 8000 80000 | £00°0 SI00 0 eueipou aNied 07 | ne I ok “Jojue-049dns G)1ua4]Sa BJ] EZUB)SI(] GHOO'O 1000 000 | GFOOO GIO'O | FOOO. 00'0 | 00010 F00'0 | GI0040.100'0 | 100'0 000 oprowig,]1?P ciund è i]eJatied 01004) #00°0 6€000 30010 | 0010 0010 | 7000 70000 | #00°0 800°0 | 000 7000 | L70040 7000 QUOLIQIUE EZZIYSALT 6700°0 7000 80040 | 70n°0 000 | 7000 7000 | #00°0 &800°0 | GY00'0 GF00"0 | K00"0&Y00°0 adolI9]sod ezz0ySIe] r]pejorded 07UO1AT | e pio?) H cI0°0 0/00 ago | 0100 80040 | 0FO'0 0500 | 6000 G900°0 | GFIO'0 0107 | Hoo 0X0°0 Ez29YFUNT Qui] | I]OSEN QUILIUII J IYOSEN QUIULWII,] | IOSEN (sewoyL) SIMDV YVNVY ('I0Og) ILSVILYI YNVU (Ine7) VLON VNVU e è SR di E O asl So Hd a S4_OSICNRE fee cd O TN" 0" N POSTN dee vid Da SLI — Dirò ancora che i prefrontali sono sempre separati fra loro, ma mentre la distanza dei loro margini interni nelle rane muta e Latastii è presso a poco uguale anteriormente e posteriormente, nella Rana agîlis essi si avvicinano dall’indietro verso il davanti, cosicchè distanti all’indietro di uno a due millimetri arrivano a distare sul davanti di un millimetro appena o si toccano quasi. Aggiungerò che questa parte del cranio è forata dalle aperture delle narici; ora questi fori sono nella Rana muta presso a poco a uguale distanza dal margine anteriore della cavità orbitale e dalla punta del naso, essi tendono nella Rana agilis ad avvicinarsi alla punta del naso e nella Rana Latastiî ne sono più vicini ancora. La parte anteriore del cranio presenta al disotto alla sua parte po- steriore due piccole ossa sottili, i palatini, i quali separati nella parte mediana del cranio dalla punta dello sfenoide si estendono ai lati sino ai mascellari superiori, al disotto di quella punta chiamata processus frontalis. Davanti a queste ossa sì trovano i vomeri, ossa appiattite che rico- prono la parte inferiore della capsula cartilaginea del naso e si esten- dono obbliquamente dai palatini dove si toccano quasi, essendo separati appena dalla punta dello sfenoide, sino alla parte posteriore degli inter- mascellari dove formano un angolo apertò che, relativamente alla mole del capo, differisce poco nella Rana muta e nella Rana Latastii, ma è meno aperto nella Rana agilis e ciò è in rapporto colla più grande acutezza del muso che ho già notata nella Rana agîlis. Ora mentre il margine interno di queste ossa è nelle tre specie regolare, il margine esterno è munito di tre punte tra le quali si trovano due insenature, la prima, l’anteriore, è poco sensibile; la seconda è assai profonda e cir- coscrive le aperture interne delle narici. I vomeri portano nella loro parte posteriore due gruppi di denti, detti denti dei vomeri. Questi denti variano nelle tre specie e per la la loro posizione e per la grandezza della superficie sulla quale essi sono impiantati. Nella Rana muta essi nascono al margine interno dell’intaccatura che circoscrive il foro interno delle narici, si dirigono obbliquamente all’ingiù sino ad incontrare i palatini che talvolta non toccano e che non oltrepassano mai. La superficie che li porta è stretta e poco allun- gata, misurante da un millimetro a un millimetro e mezzo in lunghezza; essi sono ora grossi, ora piccoli, irregolarmente distribuiti e in numero non costante. Nella Rana Latastiî la disposizione dei denti e la loro posizione sui ‘ vomeri ricordano quello che abbiamo visto nella Rana muta; nella Rana agîlis invece i denti dei vomeri sono impiantati notevolmente più basso dell’orifizio interno delle narici, essi sono impiantati su una super- ficie più spessa e più lunga che non nella Rana muta e nella Rana ia Latastiî, e andando obbliquamente all’ingiù i gruppi che essi formano oltrepassano generalmente la linea dei palatini, talora di più di un mil- limetro. Nella Rana agîlis questi denti sono generalmente in numero maggiore che nelle altre due specie; Fatio ne ha contato da 4 a 5 paia per ciaschedun lato, mentre nelle due prime specie il loro numero non è costante ed è sempre minore; non ho potuto vederne più di 4 paia nella Rana muta e di queste, due paia appena visibili colla lente. Come ho premesso, le due serie di questi denti si dirigono obbliquamente all’in- terno e all’indietro facendo un angolo aperto anteriormente, quest’an- golo è più grande nella Rana agilis che nella Rana muta e principal- mente che nella Rana Latastii. Difatti, le estremità posteriori di queste due serie di denti non sono separate di più di un millimetro nelle tre specie, ma anteriormente nella Laztastii questa distanza è di due millimetri o di tre millimetri appena, mentre nella Rana muta essa è generalmente di tre a quattro millimetri e nella Rana agilis, generalmente di quattro millimetri, essa può raggiungere quasi cinque millimetri. Finito questo rapido esame degli scheletri delle tre rane rosse ita- liane, credo di aver constatato delle differenze assai numerose e assai importanti per mettere fuori di dubbio l’impossibilità di riunire in una. sola specie le tre rane multa, Latastii ed agilis. Tip. FODRATTI - TORINO | BOLLETTINO î | Musei di Zoologia ed Anatomia comparata MM 6éG$S- i HNot.d z li 14/08 della R. sti 4 sione () N. 45 pubblicato il 23 Ottobre 1886 Mor:;sI D.? DANIELE ROSA Nota preliminare sul CRIODRILUS LACUUM Questa nota riassume una memoria da pubblicarsi fra breve sul C. lacuum Hojf7. La memoria contiene una descrizione esterna ed un esame della anatomia del Crivdrilus esteso sopratutto riguardo all’apparato sessuale. Le due metà simmetriche di quest’apparato risultano ciascuna di : A) Due destes ai segmenti 10, 11 (= segm. setigeri 9, 10) contro al dissepimento anteriore; B) Un ovariîum al 14° seg. (stessa posizione che per i testes); C) Quattro vesicul@ seminales ai.seg. 9, 10, 11, 12; le due prime contro al dissepimento posteriore, le altre all'anteriore; D) Un receptaculum ovorum nel 14° seg. aperto nel 13°; E) Un vas deferens biforcato nel 12° seem. aperto anteriormente con due padiglioni liberi nei segm. 10, 11, ed esteriormente nel 15° con grosso atrium globoso ghiandolare; F) Un oviductus aperto inloriormenta nel 13° segm. ed esterior- mente nel 14°. Receptacula seminis mancano come pure (ciò che è per me una conseguenza) il cZilellum ed i tubercula pubertatis. Negli altri apparati i fatti nuovi più importanti sono: A) Nel canal digerente la presenza del 7ypR/oso/ys (negato da Vejdovsky) e la mancanza. delle ghiandole di Morren; B) Nell’apparato circolatorio due vasi (omologhi ai vasi intestino- tegumentari ?) che partono dal vaso dorsale nel 13° segm. e risalgono sino al 5° contro la parete del corpo esternamente alle anse pulsanti; C) Nell’integumento la mancanza di por? dorsales e di cellule ghiandolari (eccetto per queste la regione degli orifizii sessuali). La conelusione della memoria è la seguente: « Il Criodritus ha'i suoi più prossimi parenti nelle A//0/obophora VE (A. tugida Eisen e simili); esso appartiene allo stesso p7y2um dei « veri lumbricidae (str. senso) dei quali però è una forma estrema- « mente modificata. » Si propone però di creare pel Criodrilus una sottofamiglia Cr70- drilinae, fam. Lumbricidae, ordine Otigochaeta. Torino, Museo Zoologico 12 ottobre 1886. TIP. FODRATTI - TORINO BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata /h 698 della R. Università di Torino Mar. 41887 i > N. 16 pubblicato il 19 Novembre 1886 Vot. I Osservazioni intorno alla deposizione ed incubazione artificiale delle ova dell'ELAPHIS QUATERRADIATUS (Latr). del dottor Conte MARIO G. PERACCA In sui primi giorni di luglio ricevetti dal Napoletano, tre esemplari vivi ed adulti di Z/aphis Quaterradiatus, di cui due femmine ed un maschio. Le femmine erano gravide ed il loro ventre era erande- mente disteso dalle ova entro contenute. Noto un fatto assai curioso ed è che, sopra 15 esemplari che da 3 anni a questa parte ricevetti dal Napoletano, ottenni soltanto 5 maschi. Questo predominio nel numero delle femmine è forse dovuto a ciò che queste più dei maschi fanno vita sedentaria, eleggendo per covo una buca, da cui non si discostano mai troppo e dove fanno, ogni anno, le ova, e diffatti i serpentelli maschi, che si ottengono da una covata, sono generalmente eguali in numero alle femmine o di poco inferiori. Le due femmine che ottenni quest'anno deposero entrambe le ova, una il 23 luglio e l’altra nei primi giorni di agosto. A questo riguardo ho osservato, in questa specie, alcune particolarità degne di nota. Alcune femmine partoriscono le ova in breve volger di tempo e soventi in poche ore, ed ora queste ova stanno tutte assieme legate l’una all’altra, ade- renti per un piccolo tratto della superficie del guscio, ora invece stanno separate ed indipendenti le une dalle altre. Altre volte la femmina non partorisce tutte le ova in breve tempo, come generalmente succede, ma ne depone una al giorno, raramente due: ed è questo appunto quello che verificai nella femmina che mi partorì le ova nei primi giorni di agosto. Questo diverso modo di comportarsi dell’animale non dipende dal fatto, a cui tutta prima sì potrebbe pensare, dalla condizione anormale di vita, a cui è soggetto in schiavitù. Le due femmine ricevute quest'anno, circa un mese prima che deponessero le ova, erano state messe in un’ampia è e cassa, con piante, acqua e radici di alberi, dove potevano correre e rintanarsi e dove non stettero così male, poichè mangiarono parecchi passeri e molte lucertole, che loro gettavo nella cassa. In condizioni identiche, le due femmine avrebbero dovuto partorire le loro ova nello stesso modo, il che non si verificò; è quindi probabile che anche in natura si verifichi questo fatto. Io ebbi occasione di osservare parecchie volte la deposizione delle ova. L'animale si raccoglie a spira nella sua tana e, contraendo l’ultima por- zione del corpo, in corrispondenza degli ovari, cerca di spingere fuori le ova. Devo avvertire che nelle femmine a termine le ova sono così grosse e sviluppate che sporgono sotto i tegumenti del corpo e sì possono quindi contare. Al momento del parto compare sul corpo una contrazione circolare, una sorta di strozzamento tra il primo uovo e l'apertura cloa- cale. La contrazione lentamente cammina verso la cloaca spingendo l'uovo, che finalmente compare all'apertura cloacale. L'animale cammina lentamente a spira su se stesso per facilitare l’uscita dell'uovo. L'uovo incomincia ad uscire allungato, sottile, grosso poco più del piccolo dito, Quando è circa mezzo fuori, d’un tratto si ingrossa e diventa globoso, come se tutto il suo contenuto aftluisse repentinamenie nella parte già uscita (ed è appunto quel che succede): la rimanente parte dell’ uovo continua ad uscire assottigliata ed allungata fino a che l'uovo cade a terra tra le spire dell'animale. Quest’operazione dura circa 20 minuti. Appena deposto, l’uovo è floscio ed ha la consistenza d'una vescica sottile non interamente riempita d’acqua. E così floscio che sembra appiattirsi e distendersi sul terreno: in capo a mezz'ora circa, non mai prima, il suo guscio molle ed elastico si indurisce alquanto al contatto dell’aria, l'uovo, da accasciato e floscio, si rialza e sembra gonfiarsi ed assume una forma stabile. La sua consistenza è allora notevole e paragonabile a quella di una palla di gomma elastica. La forma delle ova è molto varia e certo vi influisce quello stiramento, a cui va soggetto l’ovo stesso nell'atto del parto. Gene- ralmente però ha forma ovoide, egualmente grosso ai due capi; talora è molto allungato e pare quasi un cilindro arrotondato alle due estremità. Solo nel caso; in cui l’animale depone un gran numero di ova, si hanno uova di forma mostruosa. Ne osservai, in un caso, dei prismatici, di quelli a forma grossolana di ottaedro, e ciò è senza dubbio dovuto ad un inceppato sviluppo in causa della mutua pressione delle ova nell’ovario. Queste ova anormali sono più piccole delle altre e vanno generalmente a male. Quando le ova sono appena partorite, sono bagnate da un umore viscoso, che non è altro che il muco, di cui sono lubrificati gli ovidotti. Ora, quando le ova, tanto più se sono numerose, vengono partorite in breve tempo, accade che, riposandosi l’animale per qualche tempo del lavorìo del parto stando ravvolto a spira intorno alle ova, esse riman- Lene, ME sano per qualche tempo tutte a contatto : allora in brevissimo tempo quel muco, di cui le singole uova erano spalmate, si essica all’aria e le ova vengono così ad essere congiunte tra di loro. Provai diffatti a tenere vicine 2 ova da poco deposte e potei perfettamente farle aderire: come pure constatai, separando alcune ova, che erano unite assieme, che i gusci delle ova separate erano integri e non avevano preso parte coi loro tessuti all'unione affatto superficiale delle ova. Io credo quindi che al puro caso debbasi addebitare la disposizione delle ova a grappolo od isolate. Le ova di Elaphis Quaterradiatus sono di poco più piccole delle ova di gallina : alcune sono più lunghe di queste, altre non ne differiscono che per essere egualmente grosse alle due estremità. Il numero delle ova deposte dalle diverse femmine è molto vario. Le femmine molto adulte ne depongono ordinariamente 7 od 8 e raramente 10: le femmine più giovani ne depongono 15 o 16. Non ebbi finora occa- sione di osservare in questa specie un numero più grande di ova. Le due femmine ricevute quest’ anno mi deposero, l’ una 16 uova il 23 luglio, alcune legate assieme ed altre libere, di cui 6 deformi e piccole, che, dopo alcuni giorni, si disseccarono, l’altra 6 ova, partorite in 5 giorni, di cui 4 erano libere e 2 legate assieme. Cercai, come già avevo tentato, senza ottenere per l’innanzì alcun risultato, di ottenere lo schiudimento di queste ova e di determinarne la durata dell’incubazione, Le disposi perciò entro ad una cassa di zinco quadrata, di 30 cm. di lato, munita di un coperchio di tela metallica. Il fondo della cassa era ricoperto di uno strato di sabbia grossolana di 15 cm. di spessore ed in questo sotterrai le ova ad una profondità di circa 5 0 6 cm., tanto che fossero appena coperte. Riempii quindi la cassa di muschio, che ebbi cura di tenere continuamente umido, per modo cioè che le foglie rimanessero sempre espanse. Potei così senza altro regolare molto bene l’umidità dell'ambiente. Ebbi cura di mettere discoste le ova partorite il 23 luglio da quelle partorite nei primi giorni di agosto. La cassa fu portata in una camera sita in una torretta, che riceveva la luce da 4 finestroni esposti preci- samente ad Est, Sud, Ovest, Nord, e la disposi per modo tale che rice- vesse, pel maggior numero d’ore possibili, i raggi solari. Chiusi i vetri delle finestre e non li aprii per tutta la durata della incubazione. Due volte al giorno mi recavo ad osservare le ova ed a notare la temperatura massima del giorno e la minna della notte. Per tutto il tempo dell’incubazione la media temperatura massima fu di 26° centior. e la media temperatura minima di 19° centigr. Ecco ora brevemente i fenomeni che osservai fino allo schiudimento delle ova. L'aspetto delle ova, come pure la loro consistenza, rimasero inalterati per circa 30 giorni, Dopo questo periodo di tempo le ova diventarono sa LE floscie e molli: la consistenza del guscio non pareva modificata, ma sem» brava che il contenuto delle ova fosse diminuito, che le ova fossero meno piene. Apersi, in giorni differenti fra il 30"° ed il 40"° giorno, le ova (3 delle ova deposte il 23 luglio ed 1 di quelle deposte nei primi di agosto) per vedere a che punto erano giunti gli embrioni. In tutti e quattro trovai embrioni ben sviluppati: nei primi due osservai completamente formati i tegumenti, e le scaglie del dorso e del ventre erano bene appariscenti: il cervello (lobi olfattivi, emisferi, lobi ottici, cervelletto e midollo allun- gato) era però completamente scoperto e la parete ventrale era incom- pleta, dal punto d'entrata del cordone ombelicale fino all'origine della coda. Negli altri due il cervello era ancora scoperto, ma la parete ventrale era completamente formata. Nei primi due non vi era ancora traccia di colorazione, di pigmento — negli ultimi due invece si osservavano già, allo stato però di vere sfumature, le macchie caratteristiche della colorazione dei giovani Z/apris. I quattro esemplari erano maschi e, cosa notevole, in tutti e quattro gli esemplari, i due peni erano distesi e pendenti fuori dell’ apertura anale. I gusci delle ova erano strettamente aderenti alle membrane degli embrioni e sulla loro faccia interna correva una fitta rete di vasi san- guigni. Verso il 50° giorno, le ova, da floscie che erano, si fecero nuovamente gonfie, non turgide però come quando vennero deposte. Premendo le ova si udiva un leggero e dolce crepitio, come quando sì stropiccia un pezzo di carta. Pensai allora che il tempo dello schiudimento non doveva esser lontano ed osservai più assiduamente le ova : anzi, per non render difficile o quasi impossibile l’ uscita del serpentello, dissotterrai le ova e, postele sulla sabbia, le ricoprii soltanto con muschio umido. Il 55° giorno, 15 settembre, dalle 4 alle 6 pom., assistei alla rottura delle 7 ova che rimanevano delle 10 sane e normali partorite il 28 luglio. Tutte le ova, che nel corso dell’ incubazione erano state voltate e rivoltate più volte, si apersero sulla loro faccia superiore. La rottura del guscio avvenne in un modo curiosissimo. Comparve dapprima e tutto ad un tratto una fessura lineare, retti- linea, a margini nettissimi, come se fosse stata fatta con un rapido colpo di distorè, e lunga al più 2 cm. Poco dopo comparvero altre fessure, identiche alla prima, ma così disposte da intersecarla e da intersecarsi fra di loro, per cui si determinarono uno o più lembi, che vennero tosio sollevati dalla testa del serpentello, che venne a far capolino dall’aper- tura. Cercai di rendermi conto del come avevano potuto prodursi simili fessure. A tutta prima, osservando il rigonfiamento avvenuto nelle ova, dap- prima fiosce, pensai che la parziale tensione della membrana poteva ouLio] ‘USRo(] ‘107 n xutd Fg 9:>:SE I TOA IT (AV ‘(QULLO] TP ‘duo? J0Up Pa ‘7007 IP PSN Y 20°T ast e ee aver facilitato il prodursi delle fessure in seguito ad un colpo rapido è secco dato dalla testa del serpentello. Ma mi accorsi ben presto che la tensione non era sufliciente per spiegare quelle fessure lineari, le ova non essendo tuttavia turgide e gonfie come quando erano state deposte. Del resto provai più tardi, appena dopo l’ uscita di un serpentello dal guscio, a sfondare, colla punta di una matita, le pareti del guscio, ma constatai, con sorpresa, che o le pareti resistevano o si determinavano delle fenditure irregolari, a zig-zag, per nulla paragonabili alle esilissime e rettilinee fessure che si producevano naturalmente nel guscio delle ova. Non pensai neppure alla possibilità che le fessure fossero apparse in un punto determinato di 727n0r coesione della membrana dell’ovo: le ova erano state voltate e rivoltate tante volte durante l’incubazione! La conclusione è che non seppi e non so rendermi conto di quelle fessure. Le 7 ova si ruppero successivamente sulla loro faccia superiore, l’una dopo l’altra, ed alcune contemporaneamente. Quelle ova erano appunto state partorite in breve tempo nella mattina del 23 luglio. Con mia grande sorpresa i serpentelli non uscirono dall’ovo il 15 settembre. Osservai che gli animali respiravano attivamente, ed avendo allargato l'apertura di una delle ova, potei constatare che la circolazione fetale era ancora attivissima, rimanendo ancora nell’ovo da consumare circa mezzo cucchiaio di vi/e/Zo, di cui non rimaneva più traccia nel guscio il giorno dopo, quando i serpentelli ne uscirono, circa 24 ore dopo aver rotto le ova, ossia tra le 4 e le 6 pom. del 16 settembre. Al loro uscire dall’ovo, il cordone ombelicale, il cui lume si era già obliterato, si staccò quasi subito in seguito ai rapidi movimenti dei ser- pentelli, che sfregavano, camminando, il loro ventre contro il terreno per liberarsene più presto. I serpentelli neonati misuravano 35-38 cm. di lunghezza ed erano grossi, poco su poco giù, come il piccolo dito. L’incubazione era durata dal 23 luglio al 26 settembre, ossia 56 olenita rimanendo le ova esposte ad una media temperatura di 23° ctg. e mezzo. Informatomi della media temperatura estiva del Napoletano, seppi, dal chiar.®° geologo dott. Federico Sacco, che questa è a Napoli precisa- mente di 23°,8 ctg. Posso Stu affermare che la durata dell’incubazione delle ova di Elaphis Quaterradiatus è in natura di circa 56 giorni, potendo le vicende atmosferiche estive allungarla od abbreviarla di alcuni giorni. Le 5 ova, che mi rimanevano delle 6 ova partorite nei primi giorni di agosto, si schiusero circa 10 giorni più tardi delle ova partorite il 23 luglio, in giorni differenti, e la durata della loro incubazione fu pure di 56 giorni. Due di questi serpentelli furono messi in alcool, ed uno di essi fa ora parte, con un ovo, in cui si osservano bene le figure caratteristiche di Pai per cui ho parlato, della collezione dei rettili italiani del R. Museo Zoologieo di Torino, I 10 serpentelli rimanenti li conservo vivi e vivono tuttora. Circa 10 giorni dopo l'uscita dall’ovo avvenne la muta dell’epidermide. Durante questi 12 giorni gli animali non presero cibo alcuno e crebbero note- volmente, allungandosi di circa 5 0 6 cm. Dopo la muta, nei giorni che seguirono, fecero il primo pasto divorando molte lucertoline, che avevo loro gettato nella cassetta, dove li conservo. I giovani Elaphîs Quaterradiatus hanno una colorazione molto diffe- rente dagli adulti. Il Bonaparte (Iconografia Fauna Italica — Rettili ed Amfibit) dà del giovane di questa specie una discreta figura ed una buona descrizione. Già il Metaxà, nel 1823, nella sua Monografia dei serpenti di Roma e suoi contorni (edita in Roma. Stamperia De Ro- manis, 1823) aveva accennato alla differente colorazione del giovane di questa specie: pare però che non conoscesse esemplari giovanissimi 0 neonati, in quanto che il giovane E/apRis, di cui dà la descrizione e la figura del capo, deve misurare almeno 80 cm. di lunghezza, e quando l’animale ha raggiunto questa statura ha già una colorazione molto differente da quella della prima età, presentando già abbozzate le 4 righe brune-nere, longitudinali, che corrono, due per parte, lungo i fianchi, che sono caratteristiche della specie (adulti) e che mancano totalmente nella livrea dei giovani. Ecco la descrizione della colorazione dei giovani che ottenni dalle mie ova Parti superiori (dorso e fianchi) dì un color bianco-cenerognolo, volgente al bruno-grigio sui fianchi, chiarissimo invece lungo la linea mediana del dorso, Sul capo osservansi, dall’avanti all’indietro: 1. Una sottile linea nera concava all'indietro, che, partendo dal margine anteriore dell’occhio, poniamo di destra, si porta in avanti in corrispondenza della narice, contorna il margine superiore dello scudetto rostrale e, lambendo la narice sinistra, termina al margine anteriore dell’occhio sinistro, 2. Una sottile linea bianco-bruna, parallela alla precedente, di forma e decorso eguale. 3, Un tratto semilunare nero, concavo all’indietro, che collega i due oechi. 4. Un tratto semilunare bianco-grigio, parallelo al precedente e general- mente interrotto in tutto od in parte nel mezzo. 5. Una grande macchia nera; che occupa tutta la rimanente parte del capo e l’occipite, dove si spartisce in due rami; che, o si ricongiungono; limitando tra loro una macchia bianco-cenerognola, o terminano indipendentemente sul dorso; o si collegano colla prima macchia dorsale; ora tutti e due; ora uno solo. e De Dall’occhio parte una grossa fascia nera, che discende obbliquamente all’in- dietro ad incontrare l’angolo della bocca. Le piastre sopralabiali, gli scudetti naso frenali e rostrali sono bianeo-bru- nicci arabescati di linee nere. Sul dorso e sui fianchi si vedono sei serie longitudinali di macchie nere. Le due serie mediane sono generalmente fuse insieme formando una sola serie di grosse ed irregolari macchie nere, che diminuiscono in grossezza dal collo alla coda. Soventi si uniscono le precedenti alle seguenti irregolarmente e vengono a costituire una linea nera a zig-zag, che ricorda una simile dispo- sizione delle macchie nella colorazione del dorso delle vipere. Sui fianchi stanno, come ho detto, due per lato, due serie di macchie nere: la serie superiore fatta di macchie più piccole di quelle del dorso, tondeg- gianti, che talora confluiscono in qualehe punto del corpo colle macchie dorsali: la serie inferiore fatta di macchie irregolari, quadrate, che talora comunicano colle macchie nere ventrali. Le parti inferiori ora sono uniformemente di un color nero-grigiastro, ora esistono due serie di macchie nero grigie, che simulano 2 striscie nere, che stanno sui lati dei gastrostegi e che limitano una striscia irregolare mediana di un bianco-rossigno poco spiccato. Il rossigno aumenta verso la gola del- l’animale, dove è assai intenso e dove qua e là si vede orlare qualche scaglia, Aggiungerò alla descrizione della colorazione qualche particolare rela- tivo alla forma dello squame, che pare sia sfuggito al Bonaparte. Le squame dorsali del giovane EZapRis sono presso a poco lunghe e larghe egualmente, sono cioè a contorno spiccatamente ovale e non strette ed allungate e terminanti in punta come le squame degli adulti: di più la carena ben visibile nelle squame dorsali e caudali degli adulti è, nello Elaphis neonato, mancante nella regione dorsale anteriore del corpo e visibile appena nella regione dorsale posteriore del corpo, mancando di nuovo completamente nelle squame della coda. Solo dopo la prima muta la carena delle squame comincia ad esser un po’ più visibile sul dorso e sì indovina nelle squame della coda e della parte anteriore dorsale del corpo. Prima di finire credo utile rilevare un errore, in cui incorse il De Betta nella descrizione del giovane dell’ E/apRîs. Il De Betta, nella sua Fauna d’Italia, deî Rettili ed Anfibi, descri- vendo l’Elaphis Quaterradiatus, dà pure la descrizione del giovane riferendosi alle descrizioni del Melaxà e principalmente del Bonaparte, che, come ho detto, dà appunto del giovane una figura. La descrizione del capo del giovane Eaphis del De Betta è particolarmente inesatta e merita di essere rilevata. Egli scrive: « Il capo nerastro nei giovani con due macchie se27272u- « nari gialle, si fa presto fulvo-cinericcio e quindi bianco, giallastro e « biancastro, mano a mano che avanza l’età, ecc. » pers pen Dove mai ha potuto vedere, l'egregio autore, nelle tavole del Bona- parte e nelle descrizioni del Bonaparte e del Metaxà, queste macchie semilunari gialle ? Nessuno dei due autori le cita per la semplice e buona ragione che non esistono, come ho potuto constatare sui 12 esemplari che ho ottenuto e che farebbero forse rassomigliare da lontano il giovane Z/aphis ad una giovane Natrîx Torquata. TORINO, TIP. FODRATTI, VIA GAUDENZIO FERRARI, 3 | BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata 11, (di “ai SHESI Las della R. Università di Torino N. 4"7 pubblicato il 22 Novembre 1886 Vor. I CARLO POLLONERA Aggiunte alla Malacologia terrestre del Piemonte Nel mio Elenco dei molluschi terrestri viventi in Piemonte, pubbli- cato lo scorso anno negli Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, dimenticai di annoverare tra le specie di questa regione la Helix nautiliformis Porro, già segnalata dallo Stabile e dal Lessona, credo perciò utile questo breve supplemento al mio lavoro sopracitato. Nella seguente lista di specie conservo la numerazione del mio Elenco, segnando con un asterisco le forme non menzionate in quello. 2. Lîmax psarus Bourguignat — Sacra di S. Michele, 900”, valle della Dora Riparia. i Var. nova subzonatus, differt a forma typica, dorso interrupte quadrifasciato. 2° * L. millipunetatus Pini. Atti Soc. Ital. Sc. Nat., Milano, 1884 — Monte Castello sopra Givoletto, 589", provincia di Torino. L'individuo che raccolsi in questa località è un po’ più grosso che quello mandatomi dal dott. Pini, di tinta fondamentale più chiara, cinereo-carnicino, cappuccio leggermente castagno con punteggiatura nera più minuta che nel tipo. I Limax psarus, millipunctatus e ca- napicianus formano un piccolo gruppo notevole per la posizione quasi mediana dell'apertura respiratoria e si distinguono inoltre da qualunque varietà del L. cearius (cinereus auct.) per il bordo esterno del piede che è sempre segnato in tutto od in parte da una serie di lineette o di . punti neri, mentre tale bordo è sempre uniformemente bianchiccio nel L. cellarius e nero unito nel L. cinereo-niger. 7. L. da campi, Menegazzi — Rivarossa Canavese, valle del Ma- lone, un solo esemplare a carena rossa. 21. Vitrina diaphana, Drap. — Colle di San Giovanni sopra Viù, 1100”, valle della Stura di Lanzo. TERE: pre 27. V. peltucida, Muller — Contorni di Asti. 31. Hyatinia (Vitrea) subrimata, Reinh. — Colline di Gassin6 presso Torino. 32° * XX. (Vitr.) etrusca, Paulucci. Materiaux Faune Malac. Italie, 1878, p 25. Contrib Fauna Malac. Ital., 1881, tav. 1, fig. 4 — Colline di Gassino presso Torino e Govone nelle Langhe, rarissima. 45. H. (Polita) Riulca, Ian. — Gozzano sul lago d’Orta. 45%s * FI. (Pol.) nitens, Michaud Complèm. de Drap., 1831, p. 44, pl. XV, fig. 1 — Courmayeur in Val d'Aosta, 1218" 47. H. (Pol.) dutailtyana, Mabille — Cesana, valle della Dora Riparia. 49. H. (Pol.) clara, Held — Colline di Gassino. 51% * XX. (Pol.) stabilei n. sp. Differt a proxima Z. pura Alder, spira depressiore; umbilico ampliore. Lat. 44/, - 4#/; alt 1*,- 2 mm. — Colle di S. Giovanni, 1154”, valle Stura di Lanzo; Courmayeur in val d'Aosta, 1218”, rarissima 60. Bradybona ciliata, Venetz. — Colle di San Giovanni, 1154”; Cesana, valle della Dora Riparia, 1500". A queste altitudini elevate la conchiglia di questa specie è piccola, sottile, fragile e povera di ciglia. 67. Vertigo (Edentulina) inornata, Mich. — Colline di Gassino, rarissima. 69. V. (Isthmia) 22uscorum, Drap. — Colline di Gassino. 73. V. (Dexiogira) moulinsiana, Dup. — Posature del Tanaro a Govone. 74. V. (Dex.) antivertigo, Drap. — Posature del Tanaro a Govone. 75. V. (Dex.) pygmea, Drap. — Colline di Gassino e posature del Tanaro a Govone. 77. V. (Vertilla) venefzit, Charp. — Posature del Tanaro a Go- vone. 83. Pupa (Sphyradium) ferrari, Porro — Vetta del Musinè, 1138”, valle della Dora Riparia. 89. Torquilla granum, Drap. — Serravalle Scrivia. 127. Zua subcylindrica, L. — Colline di Torino. 128. Z. exîgua, Menke — Colline di Torino. 130. Ferussacîia hohenwarti, Rossm. var. îriana, Pollonera. Nel mio Elenco avevo messo un punto interrogativo al nome generico di questa specie; ora lo tolgo perchè avendo ricevuto- dalla gentile signora marchesa Paulucci alcuni esemplari di questa specie conservati in alcool, ho potuto accertarmi che essi possiedono realmente il poro mucoso caudale, carattere che distingue le Ferussacia dalle Zua. 135% * FIeliîx (Drepanostoma) nautiliformis, Porro. Mag. Zool., 1836 — Val Toce: Calasca, Maccugnaga, 600-1400"; Val Sesia : Varallo, 400-600", Fobello; Val Cervo: Rosazza e Montasinaro; Val Dora Baltea: Colline di Viverone, 330", la Serra d'Ivrea; Valle Stura lg di Lanzo: regione inferiore della valle, 480-715”, Col S. Giovanni, 1154"; Monte Castello, 589" e Monte Bernard, 1074", sopra Givoletto presso Torino. 136. Z. (Gonostoma) camerani, Lessona. — Questa specie si trova in tutta la parte alta della Valle del Cervo al di sopra di 1000". Da giovane è coperta superiormente e lateralmente da un pelame bianchiccio, che sussiste benchè diminuito in gran parte degli adulti, ma sempre mancante nelle conchiglie trovate morte. Il diametro massimo della conchiglia varia tra 9 e 11 millimetri. 137>is H. (Gon.) spinelliana mihi = H. bilanci, Pollonera. Atti Soc. Ital. Sc. Nat., 1884, non Z. blanci, Bourguignat, specie della Grecia che ha diritto alla priorità di tal nome. 141bis * FX. (Trichia) vagienna, n. sp. Testa depressa, aperte umbilicata, cornea, irregulariter striatula, nitidula; anfractus 4 '/, - 5 convexiusculi, ultimus supra medium subca- rinatus (carina ad aperturam evanescente); apertura rotundato-lunata, subdepressa, peristomate simplice, recto, intus tenui callo albido incras- sato. Colore pallide corneo, circa umbilicum albidulo; zonis nullis. Lat. 81/,-9, alt. 4'/, mm. Purriac, Valle Stura di Cuneo tra 2100 e 2500" (dott. Sacco). Questa specie ha qualche analogia colla ZH. îsarica Locard = H. glabelta Mortillet di Grenoble, ma ne differisce per la sua forma molto più depressa (che rammenta la Z. cazzata Studer), l’ultimo an- fratto subcarenato, l’umbilico assai più ampio, le dimensioni minori e la colorazione più pallida. 142%is * KI. (Tr) chonomphala, Bourguignat in Locard. Cat. Moll. Terr. France, 1882, pag. 79 e 318 = Z. ripularum, Lessona (partim) — Rivoli, valle della Dora Riparia. 152. H. (Carthusiana) /amalovensis, Reyniés. Ann. Malac, 1870, p. 34. L’illustre signor Bourguignat riconobbe questa specie nella forma che io avevo distinto col nome di Z. arvensis var. taurinensis, co- sicchè la 7. arvensiîs tipica di Pini deve ritenersi come una var. m27n0r della ZH. lamalouensis Reyniés. 159. H. (Fruticicola) strigellta, Drap. — Cesana sul Chaberton, 1350”, walle Dora Riparia; è questa la massima altitudine a cui si rin- venne questa specie in Piemonte; sul versante francese invece sale sino a 1400. 165. 4. (Campyloea) zonata, Studer. — Var.* modesta Moq. Tand. -H. foeetens var. modesta Moq. Tand. Moll. Franc. 1855. Mon- tasinaro, Valle del Cervo. Un solo. esemplare, a conchiglia fragilissima e sottilissima, di un giallo ocraceo sporco senza la più leggiera traccia di fascia scura; malgrado ciò perfettamente distinta dalla 7. Mavovirens. 165% H.(Camp.) /avovirens Dumont e Mortillet, Moll. Savoie, 1852. Ritengo debba accettarsi per buona specie questa forma che nel mio ene peo Elenco avevo considerato quale semplice varietà della H. zonata. La H. flavovirens se ne distinguerà sempre per la sua colorazione chia- rissima che va dal bianchiccio al giallognolo ed al verdastro pallido; nè questa colorazione va considerata come un albinismo di quella della H. zonata, poichè dei 3 esemplari donati dal cav. J. Blanc a questo Museo, uno perfettamente tipico manca al tutto di faccia, il secondo ne ha una traccia leggierissima verso la fine dell’ultimo anfratto, il terzo. infine ha una fascia bruno-rossiccia, netta e forte come nella H. zonata. Ri questa varietà col nome di: * var. monozonata. Differt a typo zona brunneo-rufa. Fu trovata. nella località detta Bard sulla strada del Moncenisio un po’ al disotto del sito in cui si trova la forma tipica. La H. flavovirens si distingue ancora dalla 7. sonata per una maggiore solidità e per la callosità che accompagna internamente il peristoma, la quale, sebbene molto forte è sempre come fusa colla parete interna della bocca, mentre nella H7. sonata questa callosità è sempre nettamente limitata, più stretta e più rilevata quantunque meno solida. 171. H. (Tachea) sy/vatica, Drap. — Dogliani, valle del Tanaro. 172. H. (Pomatia) aspersa, Mùll. — Rivarossa Canavese, valle del Malone. 178% * XI. (Xerophila) braidensis, Pollonera. Moll. foss. post- plioc. cont. Torino; Mem. Ace. Sc. Torino, 1886, f. 51-53. V. del Tanaro: Bra, Govone, Asti. 197. Punctum pygmeaum, Drap. Colline di Gassino. 197% * P. massoti, Bourguignat Moll. nouv., 1863, pag. 30, pl. V, f. 5-8 — Vallone di Riciai sotto il Colle di San Giovanni, valle. Stura di Lanzo. 206. Carychium tridentatum, Risso — Colline di Gassino. Con queste aggiunte il numero delle specie di molluschi terpestrii vi- venti trovate in Piemonte si eleva a 223. Chiudo questa mia breve nota ringraziando i signori dottori Camerano, Piolti, Sacco e Tellini ai quali devo gran parte del materiale malacologico che mi servì a compilarla. TORINO, TIP. FODRATTI, VIA GAUDENZIO FERRARI, 3 BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata fi, &9SÙ Urari 4, 1067 della R. Università di Torino N. 44 pubblicato il 29 Novembre 1836 Vot. I Dr. D. RosA I LUMBRICIDI ANTECLITELLIANI IN AUSTRALIA Nei Proceedings of the Linnean Socîety of New South Wales (30 giueno 1886) è apparso un lavoro molto accurato del sig. J. J. Flet- cher: Notes on australian earthworms, Part I. In questo lavoro si fa menzione di otto specie di lumbricidi intra e postclitelliani e di tre sole specie di anteclitelliani: di queste una, di cui l’autore non vide esemplari adulti, è lasciata indeterminata, l’altra, che è la nostra comune AZ/olobophora foetida (Sav.), è ritenuta dal- l’autore come importata, la terza è riferita al Lumbricus Nova Hol- landia, Kinberg. Ora, dalla descrizione molto completa che dà il Fletcher, risulta invece che la sua specie non è altro che l’Az/olobophora turgida Eisen, così comune in Europa e di cui Ude (') ha già segnalato la presenza in Australia. Vedansi, per descrizioni di. questa specie, gli scritti di Eisen (?), Rosa (*), Ude (!) e, per la struttura del suo apparato sessuale, il recente lavoro del Bergh (*). Il vero Lumbricus Nove Hollandia di Kinberg è una specie molto differente. Riporto qui la descrizione di quest’ autore, che il Fletcher non ha potuto consultare (?). L. Nove Holandie. Lobus cephalicus (1) Ude H., Ueber die Ruchenporen der Terricolen Oligocheten in Zeît- schrift fur wiss. Zoot. Band XLII, 1885. (2) Eisen G., Om Skandinaviens Lumbricider in Oefversigt àf. kh. Vetens- kaps-Akademiens Forhandtlingar, 1873, n. 8. (3) Rosa D., I Lumbricidi del Piemonte. Torino, 1884. (4) Bergh R. S., Untersuchungen ber den Bau und die Entwicklung der Geschlechtsorgane den Regenwurmer in Zeitschrift fùr wissenschaftl. Zool., Band XLIV, 1886. (5) Kinberg J. G. H., Annulata nova in Oefv. af k. Vet-Akad. Fòrhand- lingar, 1866, n. 4. integer, postice quadrangularis, antice semicircularis, segmentum primum corporis longitudine 2equans; cingulum segmenta corporis 20-26 occu- pans; tubercula ventralia nulla; longitudo 75 mm.; segmenta 110. Seta ubique binae approximate ; juniores 1-2 validiores. Jun. Sidney Nove Hollandie, ubi terram humidam habitat. Notiamo che la caratteristica del gen. Lumbricus per Kinberg è la seguente: Lobus cephalicus integer vel trasversim sulcatus; sete dor- suales et ventrales anteriores et posteriores ubique binae approximata; preterea sepe binae juniores; tubercula ventralia, ubi adsunt, duo. Risulta da questa diagnosi che il lumbrico del Kinberg non è, come quello del Fletcher, un’A//o/obophora turgida; infatti il clitello di questa ultima comprende i segmenti 27-34, mentre nel L. Nova Hollandi®e Kinberg comprende i segmenti 21-27 (20-26 per Kinberg, che non con- tava il segmento boccale). Che cosa sia poi il L. Nov@ Hollandia Kinberg (non Fletcher) è difficile determinare. Pare veramente che si tratti di un anteclitelliano, ma la posizione molto anteriore del suo clitello non permette di ravvi- cinarlo che al comune A/lurus tetradrus (Sav.) (clit. 22-27) o allo A. neapolitanus Oerley (clit. 20-25) (°), oppure ancora alla A//o/obophora Ninnii Rosa (Clit. 21-25) (7). Ad ogni modo la sua diagnosi è troppo insufficiente. Il Perrier ha esaminato i tipi stessi del Kinberg, ma nella nota da lui recentemente pubblicata a questo riguardo (*) non si fa menzione di questa specie. Da quanto si è detto noi possiamo trarre la seguente conclusione, che, dal lato zoo-geografico, non è senza importanza: Lo stato presente della scienza non ci concede ancora di ammettere la presenza in Au- stralia di lumbricidi anteclitelliani, che non siano importati. Pare anzi che tale conclusione possa estendersi al resto dell'Oceania; p. es. l’Hypogeon havaîcus Kinberg (*) è evidentemente l’ A//o/obophora subrubicunda Eisen; non conosco la descrizione del Lumbricus annu- Zatus Hutton della Nuova Zelanda, che Beddard suppone essere un anteclitelliano. Altre forme dell'Oceania riferibili a questo gruppo non sono finora note. (6) Oerley L., Revisio et distributio specierum terricolarum regionis pal@- artico. Budapest, 1885. (7) Rosa D., Note sui lombrici del Veneto in Atti dell’Istituto Veneto di scienze ecc. T. IV, serie VI, 1886. (8) Perrier C., Sur les genres de Lombriciens terrestres de Kinberg in Comptes rendus de l’Accad. des Sciences. T. CI, n. 15, Paris, 1886. TORINO, TIP. FODRATTI, VIA GAUDENZIO FERRARI, 3 - NULUNRIInInED 3 2044 1