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Il socio Savastano legge un lavoro del socio Grimaldi ed a nome dell'autore ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. L' Assemblea accetta ad unanimità le dimissioni del socio Cen- tonze votate in 2.a convocazione. Il presidente presenta le dimissioni del socio Scarpa le quali non possono essere votate per mancanza di numero legale vii socii. La seduta è levata alle ore 2 pom. Il Segretario: Ugo Milone _ 2 — Assemblea generale del di 4 dicembre 1887 Presidenza del Signor F. Raffaele Socii presenti: Fed. Raffaele, L. Savastano, Ant. G. Cabella, S. Lo Bianco, F. Sanfelice, P. Delli Ponti, G. Mottareale, Fé. Sav. Monticelli, A. Palanza, 0. Forte, U. Milone. La seduta è aperta all'ora 1 pom. Il Segretario legge il verbale della tornata precedente che viene approvato. Presenta i giornali pervenuti in cambio e i libri in dono. L' assemblea accetta ad unanimità le dimissioni del socio Scarpa votate in 2.a convocazione e quelle del Vice-Presidente Geremicca , del Seoretario Milone e del Consigliere Raffaele . Il socio Cabella propone un voto di ringraziamento ai tre membri uscenti del Consi- glio Direttivo per l' opera da essi prestata a vantaggio della So- cietà, il che è accettato ad unanimità. La Società nomina socii ordinarli residenti i signori Giuseppe Boccardi , Gaetano Jappelli , Pio Mingazzini e Giuseppe Mazzarelli, e socii ordinarli non residenti i signori Mse. Alfonso Cappelli e Dr. Giulio Giacobbe. La Società procede alla elezione dei Revisori dei conti e dei tre membri del Consiglio Direttivo. Risultano eletti : Revisori dei Conti: L. Savastano e F. Sanfelice. Vice-Presidente: A. di Vestea. Consigliere: A. Palanza. Segretario: 0. Forte. La seduta è levata alle ore 2,30 pom. Il Segretario: Ugo Milone Tornata de! 18 dicembre 1887. Presidenza del Signor S. Pansini. Socii presenti : S. Pansini, Fr. Sav. Monticelli , G. Mazzarelli , C. Cianci, G. Angioleela, S. Lo Bianco, Ant. G. Cabella, F. Sanfe- lice, G. Mottareale, Feo. Raffaele, P. Mingazzini, L. Savasta- no, D. Damascelli, S. Miele, U. Milone. La scinta è aperta alle ore 12,50 pom. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente — 3 — che viene approvato. Presenta i giornali pervenuti in cambio ed i libri in dono. La lettura del lavoro dei socii Boccardi, Jappelli e Manfredi an- nunciata all'ordine del giorno è rimandata per assenza degli Autori. Il socio Sant'elice fa una comunicazione verbale su : Nuove ri- cerche intorno alla Spennato genesi nei mammiferi. Il socio Raffaele fa una comunicazione verbale : su l'uovo e lo sviluppo dello Scombresox Dumerilii. Il socio Monticelli legge un lavoro dal titolo : Intorno allo sco- lex polimorphusì e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La So- cietà prende atto delle dimissioni del signor Angelo Pavone da socio ordinario residente. La seduta è levata alle ore 2,45. pom. Il Segretario: Ugo Milone Tornata del di 15 gennaio 1888. Presidenza del Signor G. Jatta. Socii presenti: G-. Jatta, U. Milone, Fr. Sav. Monticelli. Gr. Mazza- rella, G. Boccardi, L. Savastano , Ped. Raffaele, S. Mikle, S. Pansini, F. Sanfelice , P. Mingazzini, C. Praus, D. Damascelli, 0. Porte. La seduta è aperta alle ore 12,50 pom. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente che viene approvato. Presenta i giornali pervenuti in cambio e i libri in dono. Il Segretario uscente signor Milone fa una breve relazione in- torno allo sviluppo ed ai lavori della Società nello scorso anno. Il socio Boccardi legge il lavoro fatto insieme ai socii Jappelli e Manfredi : Influenza dei microrganismi sull' inversione del Sacca- rosio. Il socio Mazzarelli legge un suo lavoro: Sopra alcune gravi ano- malie anato mo-fisiologiche riscontratesi in un piccione domestico, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il socio Mingazzini legge una sua comunicazione: Sul preteso re- ticolo plastinico dilla fibra muscolare striata e ne chiede la pubbli- cazione nel Bollettino. — 4 — La Socieià prende atto delle dimissioni del socio Di Vestea da Vice-Presidente. Il Presidente presenta il bilancio consuntivo dell'anno 1887. La seduta è sciolta alle ore 2,30 pom. Il Segretario: Oreste Forte Tornata del di 29 gennaio 1888. Presidenza del Signor G. latta. Socii presenti: G. Jatta, S. Passini, A. G. Cabella, G. Mazzarelli, L. Savastano, P. Mingazzini, Fr. Sav. Monticelli, D. Damascel- li, U. Milone, Fed. Raffaele, A. Palanza, 0. Forte. La seduta è aperta all'ora 1.30 pom. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente che viene approvato. Presenta i giornali pervenuti in cambio e i libr in dono. Il socio Savastano, da parte anche del socio Sanfelice, legge la relazione del bilancio consuntivo 1887. Il cassiere Monticelli legge il bilancio presuntivo del 1888 che viene approvato ad unanimità. Il Presidente mette ai voti la radiazione del socio Montemayor, la quale risulta approvata ad unanimità. La Società nomina Socio ordinario residente il signor Giulio Ta- gliani, ed approva le dimissioni dei soci Cianci e Angiolella. Passa alla elezione del Vice-Presidente e risulta eletto il socio Cabella. Sta- bilisce come orario delle tornate l' ora 1 pom. La seduta è sciolta alle ore 3 pom. Il Segretario: 0. Forte Tornata del di 12 Febbraio 1888. Presidenza del Signor G. Jatta. Socii presenti: Gius. Jatta, M. Geremicca, G. Tagliasi, G. Mazzarel- li, S. Miele, L. Savastano, Fed. Raffaele , F. Sanfelice, Fr. Sav. Monticelli, P. Mingazzini, U. Milone, 0. Forte. La seduta è aperta all'ora 1,30 pom. Il Segretario legge il processo verbale della tornata precedente che viene approvato. Presenta i giornali pervenuti in cambio e i libri n dono. La Società delibera che ogni discussione sulle modificazioni da apportarsi al Bollettino sia rimandata all'aono venturo. La sedata è levata alle ore 2 poni. Il Segretario: Oresti: Fobti Tornata del di 26 febbraio 1888. Presidenza del Signor G. Jatta. Socii presenti: G. Jatta, S. Pansini, P. Mingazzini, Fr. Sav. Monti- celli , L. Savastano , F. Sanfelice , Fed. Raffaele , U. Milonb, A. Palanza, Gì-. Mazzarelli, G. Tagliani, 0. Forte. La seduta è aperta all'ora 1,15 poni. Il Segretario legge il processo verbale precedente che viene ap- provato. Presenta i giornali pervenuti in cambio ed i libri in dono. Il socio Sanfelice legge un suo lavoro dal titolo: S perniato genesi dei vertebrati, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Presidente comunica all'Assemblea alcune deliberazioni del Consiglio Direttivo riguardanti il Bollettino e le tornate. La Società approva il Regolamento per la Biblioteca. La seduta è levata alle ore 2,30 pom. Il Segretario: Oreste Forte Sopra alcuni derivati degli acidi feiiilparacuma- rico e metilatropico. — Comunicazione del socio ordinario A. G. Gabella. (Tornata elei 13 Novembre 1887) Come il prof. Oglialoro ha annunziato nella sua memoria sulla sintesi dell'acido metilatropico (Rend. della R. A. delle Scienze Fisi- che e Matematiche di Napoli, novembre 1885), la preparazione del- l'acido fenilparacumarico riesce più conveniente scaldando solo a tem- peratura di poco superiore a 100° per molto tempo. Infatti gr. 36 di fenilacetato sodico, gr. 28 di aldeide paraossibenzoica e gr. 160 di ani- dride acetica, furono scaldati in apparecchio a ricadere a bagno di acqua salata per 26 ore in tre giorni, il prodotto della reazione, che a freddo si mostra in massa solida cedrina, venne trattato con circa due litri di acqua, fatto bollire e filtrato. Il liquido filtrato fu trattato con etere, il quale non lasciò alcun residuo e perciò non si tenne più conto delle acque madri. La sostanza rimasta sul filtro venne prima asciugata fra carta e poi fatta bollire con soluzione di carbonato sodico, nella quale si sciolse quasi tutta. La porzione insolubile nel carbonato sodico sepa- rata per filtrazione fu provata, che è solubile nell' alcool, ma non è stata ancora ulteriormente esaminata. Il liquido alcalino e di colore rosso, venne trattato con acido clo- ridrico puro e diluito, precipitando frazionatamente. Si ebbero così una prima ed una seconda porzione, ed un estratto etereo dal trattamento con questo solvente delle acque madri acide. Tutte e tre le parti so- pracennate cristallizzate frazionatamente dall' alcool acquoso diedero varie porzioni, le quali quasi tutte fondevano da 210° a 221°. Solo qualcuna fra le meno pure presentava un punto di fusione di qualche grado più basso, mai però al disotto di 215°. Ciò dimostra che in que- sta preparazione si è formato quasi esclusivamente dell'acido fenil- paracumarico e che l'acido acetilfenilparacumarico si forma a tem- peratura più elevata. Avendo così a mia disposizione una certa quantità di acido fe- nilparacumarico ho voluto rifarne 1' analisi e studiarne alcuni de- rivati. Per le analisi si sono scelte le porzioni più pure e fondenti a 219° 220°; ma la sostanza brucia con estrema difficoltà cosichè, sia usando il metodo di Liebig, sia quello di Piria, un gran numero di combu- stioni hanno dato risultati assai discordanti. Per far bruciare infatti il carbone che si deposita sulle pareti della canna di vetro e su quelle della navicella di platino, è necessario di far passare una grandissi- ma quantità di ossigeno ed allora i risultati sono superiori a quelli teoretici, se invece la corrente di ossigeno viene limitata il rendi- li! Mito in carbonio è variabile e sempre inferiore a quello voluto dalla teoria. Alcune delle molte analisi diedero per cento i seguenti risultati: I II III IV C 72,83 ?3,76 75,50 75,0 IT 5,71 5,52 5,98 6,10 La teoria per la forinola C13 K,, 03 vuole G = 75,00 II = 5,00 Sale di arg .nto. Si è preparato allora il sale di argento precipitando con soluzione di nitrato di argento il sale di ammonio dell' acido fenilparacumarico. Il sale di argento così preparato si presenta bianco, quasi del tutto insolubile nell'acqua e molto stabile. Disseccato pi-ima tra carta e poi alla stufa ad acqua se ne sono fatte le tre determinazioni di argento e le due combustioni qui sotto segnate, e calcolate per cento si ha : 1 2 3 4 5 Ag- 30,87 31,07 31,21 C. — 50,92 49,56 II. 3,65 La teoria per la formola CIS H„ Os Ag. richiede Ag.= 31,12 C. = 51,87 II. = 3,17. Sale di Bario. Un'altra porzione dell' acido si è trasformata in sale baritico la a caldo con un lieve eccesso di barite, eliminando l'ecces- — 9 — so di questa con C02, filtrando» concentrando sino a pellicola e lascian- do cristallizzare. Si sono così ottenuti dei bei cristalli colorati in gial- lognolo, lasciati un giorno all'aria se ne è poi determinata l'acqua di cristallizzazione ed il bario del sale idrato e dell' anidro. I. gr. 0,2310 di sale idrato trattati al solito con acido solforico e nitrico lasciarono gr. 0,0788 di solfato baritico. II. gr. 0,2188 ne lasciarono gr. 0,0810 e per cento: I. II. Ba 20,00 19,99 gr. 2,810 dello stesso sale scaldati in corrente di aria secca per due ore a 125° ed in bagno d' olio, hanno perduto di peso gr. 0,2608 o quindi H20 = 9.4S% I. gr. 0,3074 del sale così seccato diedero gr. 0,1142 di solfato. II. gr. 0,4562 ne diedero- gr. 0,1692 cioè : I. II. Ba 21,84 21.8) Questi risultati si accordano con quelli del sale contenente tre e mezzo o quattro molecole di acqua di cristallizzazione. Infatti per C30H22OGBa 3H,0 si calcola Ba =20,00 H20= 9,10 Per C30H2206Ba 411,0 si calcola Ba = 19,94 H20 = 10,48 Pel sale anidro C30H22OeBa la teoria vuole 22,27 di Ba. Etere metilico. Si è preparato col solito metodo, cioè facendo gorgogliare per circa un'ora dell'acido cloridrico secco nell'acido fenilparacumarico sciolto nell'alcool metilico. Il residuo, scacciato l'eccesso di alcool, fu rip eso con acqua bol- lente e filtrato a caldo, col raffreddamento si è depositata una so- stanza bianca di asp3tto cristallino, la quale venne raccolta e ascili- — 10- gata. Trattata con acqua alcoolica, si ebbero delle scagliette bianche perlacee, fondenti a 168°- 170°. All' analisi si ebbe per cento: C = 74,81 H = 6,35 La teoria per la formola C1GHu03 vuole : G = 75,59 H = 5,51 Etere etilico. Fu preparato riscaldando per un ora a 100° a bagno d'olio ed in apparecchio a ricadere, quantità equimolecolari del sale di argento ed ioduro di etile. Il residuo dopo i trattamenti con alcool assoluto e poi con cloroformio, che elimina tutte le impurezze, venne trattato con acqua ed alcool da cui cristallizza l'etere etilico in scaglie gial- lette. Fonde a 151°— 452°. All'analisi per cento diede: G 75,37 7(5,15 75,27 II 6,47 6,52 6,37 La teoria per la formula C,,7HK(Os vuole G = 76,11 H= 5,97 Sale di argento dell acido mclilatropico. Questo salo si è preparato precipitando il sale di ammonio del- l'acido metilatropico con soluzione di nitrato di argento. Si otten- nero degli aghi bianchi abbastanza solubili nell' acqua calda e di fa- cile alterazione alla luce. All' analisi diedero " ' : Ag 39,82 40,13 C 44,55 II 3,41 La teoria por la formola Ci(,Ha02Ag vuole A = 40,1 1 G = 44,60 II = 3,34. Agosto 1887. - 11 — Sopra ima forma particolare di soccume nella vite. — Comunicazione del socio ordinario non residente Clemente Grimaldi. (Tornata del 13 Novembre 1887.) Percorrendo un vigneto nel territorio di Modica, ho visto che alcune foglie erano affette in modo particolare. Si presentavano coper- te nella pagina inferiore da grandi macchie bianche, alquanto lucenti, alle quali corrispondeva nella pagina superiore un ingiallimento, che indicava essere la foglia sofferente. Nel successivo sviluppo della ma- lattia, la macchia gialla della pagina superiore dava luogo a una mac- chia di secchereccio, che si estendeva a tutto lo spessore della foglia, mentre la colorazione bianca della pagina inferiore era più persistente, ed assumeva solamente una leggiera tinta di secco: in ultimo la fo- glia finiva per bucarsi. Talvolta l'affezione si limitava alla sola pa- gina inferiore, e la pagina superiore, nonché il parenchima, si rimeti tevano presto dall'ingiallimento, ripigliavano il color verde e conti- nuavano a vivere. Trattate le foglio ammalate con alcool od etere dopo breve tem- po la colorazione bianca spariva, per dar posto ad una tinta verde gialliccia simile a quella della pagina superiore, e riappariva col dis- seccamento. Analogo effetto si otteneva con un soggiorno di qualche ora in acqua distillata, seguita da un'oretta di esposizione all'aria. Nell'esame microscopico non mi fu dato di rinvenire traccia di crittogama; ma invece ho costatato che le cellule epidermiche della pagina inferiore erano prive di protoplasma. Il parenchima sottostante si presentava solamente colla clorofilla alquanto ingiallita. Da questi fatti ho inferito che la colorazione bianca fosse dovuta all'aria, che doveva riempire le cellule epidermiche morte e vuotate di succhi cellulari. La malattia era abbastanza diffusa nel vigneto; parecchie foglie erano a metà o completamento distrutte dal male, ma tuttavia esso non presentava sintomi allarmanti né in questo vigneto, né in altri, nei quali l'ho osservato di poi. La prima volta che ho esaminato il vi- gneto affetto, la malattia era al suo primo apparire, giacché quantun- que le macchie bianche fossero numerose, pochissimo portavano trac- cio di secco. Alquanti giorni dopo ritornai a più riprese nello stesso vigneto, e mi parve che le macchie bianche non fossero aumentato in numero, ma moltissime erano divenute macchie di secco. Ho quindi creduto che la malattia non sia andata successivamente diffondendosi, ma sia venuta come di un colpo. Le foglie le più colpite erano quelle che, por essere stati smossi i tralci , presentavano al sole la pagina inferiore, anzi ho osservato che certe foglie in seguito allo sposta- mento dei tralci, si erano ripiegate sulla pagina superiore e la mac- chia si estendeva lungo la via della piegatura. Nello stesso vigneto poi ho costatato i gravi danni che vi ha fatto il comune seccume, come del resto in moltissimi vigneti di questa re- gione. Lo macchie da esso prodotte appaiono prima giallognole e po- co dopo di secco, senza presentare colorazione bianca in nessuno sta- dio della loro manifestazione. Questa colorazione bianca è la sola differenza, che si osserva tra il comune seccume e la malattia da me osservata; ciò che mi ha in- dotto a considerare quest'ultima come una forma particolare del primo. Il prof. Comes [Agricoltura meridionale anno X. N.° 18 p.283) crede che il disseccarsi delle foglie possa attribuirsi a due cause di- verse: 1° alle rapide oscillazioni di temperatura fra la notte e il gior- no, clie riescono mollo più dannoso quando il terreno è umido e ricco di rugiada: 2° al difetto di acqua nel terreno. Il seccume che ha colpito i vigneti di questa regione a me pare debba attribuirsi più alla seconda causa che alla prima, attesoché 1' està è stata questo anno oltremodo secca; il terreno si è trovato quindi molto deficiente di sequa e si aggiunga che fu scarsa la rugiada. Le viti erano per questa causa povere di acqua quando sopravvennero parecchie giornate caldissime e secchissime: le radici non poterono sopperire alla'abbondante evaporazione prodottasi. Questa venne quindi a diminuire, non fu più sufficiente a mantenere le foglie ad una tem- peratura non molto superiore a quella dell'aria ambiente ed i cal- dissimi (1) raggi del sole riuscirono a mortificare il protoplasma, già danneggiato dalla deficienza di acqua. La colorazione bianca di cui sopra è parola panni potrebbe spie- garsi in modo analogo. Se le foglie, rovesciate per una causa occasio- nale, presentavano al sole la loro pagina inferiore quando sopravven- nero le caldissime giornate di cui si è parlatola cuticola poco spessa mal riuscì a proteggere l'epidermide, che colpita per la prima morì. La morto indusse il vuotarsi le cellule dei succhi cellulari, il riempirsi di aria «'conseguentemente la foglia assunse l'aspetto bianco perlaceo. Un interesse speciale può avere lo studio di questa forma parti- colare di seccume per la somiglianza delle macchie , con cui si ma- nifesta, a (pi die prodotte dalla peronospora (Peronospora viticola de By). Ad occhio nudo un osservatore volgare con una certa difficoltà lla I \ - • più o meno favorevole allo sviluppo di essi. I medesimi non s ino di/xV. 2 \%\ ^ V — 18 — stribuiti in egual numero sulle varie masse di zucchero, né sulle varie parti di una stessa massa, onde si spiega il fatto, facile a verificare, che frammenti diversi, conservati e saggiati nelle identiche condizioni, presentino al dosamento differenti quantità di glucosio. Il raschiamento , mediante il quale si asportano gli strati più esterni delle masse cristalline, è un mezzo per liberarle da una gran parte dei germi, s' intende di quelli che hanno aderito alla superficie, non di quelli che si son fatti strada tra i singoli cristalli. Le solu- zioni fatte con masse in tal modo deterse contengono una minor quan- tità di glucosio, in confronto di quelle fatte con altre che non subi- rono raschiamento. S'intende poi come la riduzione di un grosso pezzo di saccarosio in piccoli frammenti, o meglio in polvere, accrescendo l'estensione della superfìcie che la sostanza presenta ai germi, ne fa- cilita lo sviluppo e quindi favorisce indirettamente l'inversione. In questo senso va, a nostro avviso, interpretata l'osservazione di Du- bbunfaut {Ann. de Chini, et de Phys. III. 21. 169), secondo il quile la più facile inversione dello zucchero di canna polverato dovrebbesi riferire semplicemente ad un'azione meccanica. Il saccarosio dunque rappresenta un eccellente terreno di coltura per quei microrganismi, che sono appunto dotati del potere di sdop- piarlo in glucosio e levulosio. Epperù tra le innumerevoli specie di batteri che si trovano nell'aria, chi volesse scegliere questi, che bre- vemente potrebbero chiamarsi microrganismi inversivi, non avrebbe che a cercarli alla superficie delle masse di saccarosio, dove per na- turale selezione essi si sviluppano a preferenza; allo stesso modo come , secondo ha notato Pasteur , basta esporre all' aria sostanze fermentescibili perchè vi si vadano spontaneamente ad isolare dal co- mune vivaio i batteri delle rispettive fermentazioni. Assodata in tal modo l'influenza dei microrganismi siili' inversione del saccarosio lasciato all'aria, rimaneva ad indagare se quella ne fosse o pur no la cagione unica ed esclusiva. Per rispondere a tale quesito, era necessario, lasciando immutate tutte le altre condizioni, eliminare dal saccarosio i germi vivi ed impedire che altri ve ne ca- pitassero dall'esterno; con altre parole, occorreva sterilizzare il sac- carosio e conservarlo in recipienti sterilizzati. A tal fine ecco come abbiamo proceduto. In alcuni tubi ili vetro, chiusi con ovatta e sterilizzati a 160° per un'ora, si versa secondo le norme batteriologiche una determinata quantità di soluzione di saccarosio ( in acqua sterilizzata ), dopo aver apprezzato con grande approssimazione la quantità percentuale di glu- cosio , onde esso è raro che non sia inquinata. Questi tubi vengono poi tenuti nella stufa a vaporo a 100" per 10' al giorno e par tre — 19 — giorni consecutivi, allo scopo di sterilizzarne il contenuto. Della stessa soluzione e allo stesso modo si riempiono altri tubi, dei quali alcuni tappiti con ovatta, altri aperti, si lasciano da parto por controllo. Dopo pochi giorni questi ultimi s'intorbidano, e saggiati col liquido di Fehling mostrano che il saccarosio è già in parte intervertito: gì i innesti fatti da questi tubi in terroni nutritivi palesano in essi la pre- senza di germi inversivi , il cui numero è in rapporto diretto col grado dell'inversione. I tubi sterilizzati invece, si conservano limpidi; gli innesti ricavati da essi riescono negativi, e l'esame col liquido di Fehling dimostra che i detti tubi o son privi ancora di glucosio , o ne contengono la stessa quantità .la cui era inquinata la soluzione madre (1). Noi abbiamo conservato per due a tre mesi una serie di tubi cosi sterilizzati ; e ci siamo convinti, dopo averne saggiato di tanto in tanto qualcuno , che in essi la soluzione di saccarosio si mantiene inalte- rata (2). Deriva inoltre dalle nostre ricerche, che le condizioni le quali favoriscono l'inversione del saccarasio lasciato all'aria ( temperatura. umidità , ecc. ) non sono che condizioni più o meno necessarie o fa- vorevoli alla vita e allo sviluppo dei microrgranismi; e che esse, ope- rando da sole con rigorosa esclusione dei germi, non riescono ad in- vertire il saccarasio. Invitiamo i chimici a voler sperimentare il nostro metodo, il quale permette di conservare indefinitamente e in un modo assai semplice soluzioni di saccarosio, o esenti da glucosio, o con titolazione definita (1) il liquido di Fehling , di cui ci siamo serviti nei saggi quantitativi riferiti in questa Nota, fu preparato sempre con le stesse norma e ben con- servato. Le soluzioni di saccarosio adoperate furono sempre al 10 °[0, e la quantità di liquido per ogni tubo di 20 gr. Ci siamo limitati nei saggi quan- titativi dei singoli tubi a tener conto di quantità di glucosio non inferiori a milligr. 2 i\2, adoperando sempre lp2 ce di reattivo: non abbiamo cre- duto necessario spingerci più in sotto di questo limite, essendo sufficiente pel nostro scopo ottenere valori relativi o di confronto, non assoluti \ uolsi inoltre notare che i detti saggi furono fatti con la maggiore possibile ra- pidità, per non incorrere in errori dipendenti dall' ulteriore inversione che il saccarosio subisce a causa di un troppo lungo contatto col liquido 'li Fehling (2) Oltre die col calore, abbiamo tentato di sterilizzare le soluzioni d» saccarosio col mezzo di alcuni antisettici, per es. col sublimato. Se il resultato sia stato conforme alle nostre vedute, non crediamo per ora fermarci su questo punto, perchè la quistione si complica per di ordine chimico. — 20 — e costante Questo metodo, con le debite modificazioni, permette di conservare il saccarosio anche se cristallizzato. Istituto fisiologico dell'Università di Napoli e Laboratorio batte- riologico annesso alla Clinica Cantani — Novembre 1887. Su di alcune gravi anomalie anat omo-fisiologiche, riscontratesi in un piccione domestico — Os- servazioni del socio ordinano residente G. F. Mazzarella (Tornata del 15 Gennaio 1888.) Il piccione (£) le cui anomalie formano l'oggetto delle presenti osservazioni, apparteneva ad una comune varietà domestica della Co- luniba livia. Nacque da una coppia dell'età di quattro anni, robusta, che ogni mese periodicamente covava le uova, da cui uscirono sem- pre piccioni normali e robusti. Nei primi giorni di sua vita non ila va nessun indizio che l'avesse potuto far credere anomalo ; ma dopo circa un mese, abbandonato dai genitori, che dovevano badare ad altra prole, cominciò a dar segni manifesti di gravi anomalie interne , cosa che di giorno in giorno si rendeva sempre più evidente. E prima di tutto un fatto curioso , degno di nota , fu che esso non sapeva mangiare, cioè non sapeva come fare per soddisfare la fame. Vedeva dinanzi a sé il cibo, vedeva i genitori beccarlo, ma esso, pur avendo fame, non chinava il becco per prendere il cibo, né, immerso in questo a forza il suo becco, ne prendeva alcuna parte, e allora soltanto mangiava quando gli s' introduceva il cibo (pan bagnato) nel becco, cibo che inghiottiva con manifesta soddisfazione; sebbene, specialmente negli ultimi tempi della sua vita, lo digerisse con gran fatica. D'altra parte eliminava le fecci e l'urina a grandi intervalli di tempo. Inoltre abi- tuato così a ricevere il cibo dalle mani altrui , quantunque dell' età di circa tre mesi, non riconosceva punto la persona che glielo dava, e neppure riconosceva il luogo dov'era solito ricevere il cibo. Un altro fatto interessante era il curioso modo di camminare che aveva, poi- cbè procedeva barcollando e con direzione incerta, sebbene però cer- casse di evitare gli ostacoli che gli si paravano davanti. Infine, fatto importantissimo, sembrava, massime negli ultimi giorni di sua vita, che durasse fatica a respirare, poiché spesso restava per un certo tempo col becco aperto, come se gli fosse mancata l'aria Finalmente una mattina, dopo che il giorno precedente aveva sten- tato più elio mai a respirare, tanto che ad ogni inspirazione restava — 21 — un pezzo col becco spalancato, battendo l'aria con le ali, fu trovato morto, evidentemente per asfissia, prodottagli da una causa allora ignota, come d'altra parte, sezionandolo, potei assicurarmi. La prima cosa che mi colpì nel farne l'autopsia fu Lo straordi- nario sviluppo del fegato, che si estendeva dall' ipocondrio destro al sinistro, spingendosi inferiormente sin pressori bacino, e superiormente ricoprendo anche tutto il cuore. Tolto il fegato mi apparve il cuore che irovavasi quasi al medesimo livello dello stomaco, per modo che il cardia venivasi a trovare un pò più in alto del setto in- terauricolo-ventricolare cardiaco. Sollevati Io stomaco e gì' intestini potei vedere i polmoni, che gia- cevano quindi al di sotto del pacchetto intestinale e di un fegato enorme. Essi però avevano le impronte delle costo. I rapporti tra il cuore ed i polmoni non erano alterati. Mi apparve quindi una triplice anomalia: I. Sviluppo straordinario della glandola epatica; II. Spo- stamento del cuore; III. Spostamento dei polmoni, i quali erano discesi 7ieW addome, lasciando libera la cavità toracica, e collo- candosi dietro agli organi digerenti, e al fegato, dei quali sop- portavano la non lieve pressione. Come conseguenza diretta di que- sti spostamenti trovai lunghissima la trachea , i cui anelli parò non erano in maggior numero, ma soltanto più lunghi. La cavità toracica, salvo una piccola parte occupata dal fegato, era vuota. L'aorta ascen- dente era lunga e si ramificava più in alto che d'ordinario, ma del resto l'arco aortico era normale, e normale del pari l'aorta discen- dente. Ogni relazione tra i polmoni e lo sterno era rotta, poiché- quei ligamenti che rappresentano negli Uccelli il diaframma, erano discesi insieme coi polmoni. L' innervazione del cuore e dei polmoni era poi normale. Oltre a ciò tutto il tubo intestinale sino allo stomaco era pieno di fecoi, e si notava, specialmente sotto la cute, uno straordinario svi- luppo di adipe. Ma un' altra grave anomalia era quella presentata dall' encefalo, poiché esso non occupava tutta la scatola craniana, ma ritiran- dosi per così dire verso il centro tutta la sua massa, con la pia madre e V aracnoide, lasciava tra questa e la dura madre uno spazio relativamente assai considerevole. Inoltre sulla sua super- fìcie non appariva quasi traccia di vasi sanguigni. Ecco dunque una duplice anomalia in quest'encefalo: I. la sua piccolezza; li. la sua evidente anemia. D'altra parte però esso non mancava di nes- suna sua parte. Infine i muscoli dell'animale, specialmente il pecto- ralis major e il pectoralis terlius, e così pure le ossa, senza pre- 22 sentare anomalie, apparivano assai deboli e poco sviluppati. L3 ossa poi erano assai poco pneumatiche. Affinchè queste osservazioni avessero potuto acquistare maggior valore, mi son valso del metodo comparativo, che è certamente sempre il migliore. Mi son quindi provveduto di impiccione (2 della mede- sima cova e dell'identica età dell'altro e, fattolo morire per asfissia, come evidentemente era morto l'altro, ne feci la sezione. Si noti però che questo era un individuo robusto, dotato di tutte le sue forze fì- siche e psichiche, un piccione insomma nella piena attività della sua vita normale, senza di che la comparazione non avrebbe avuto valo- re. Dirò solo ciò che trovai in quest'animale in riscontro di ciò che avevo prima trovato nell'altro. E prima di tutto il fegato aveva uno sviluppo normale assai minore, non giungendo punto né a toccare il bacino né a coprire il cuore, di cui era relativamente molto più in basso. Il cuore trovavasi nella regione toracica tra i polmoni , che, fissi, incastrati tra le vertebre e le costole, occupavano la medesima regione, senza punto spingersi nell' addome. Lo stomaco occupava la sua posizione normale, e trovavasi quindi molto più in basso del cuore. Del tubo intestinale il solo retto conteneva regolarmente fecci , e lo stomaco poi aveva le pareti assai più spesse di quelle dell'altro. Del pari le pareti cardiache erano sensibilmente più spesse, ed in ge- nerale tutto il cuore era più sviluppato che non nell'altro. In ultimo il sistema muscolare e 1' osseo erano normalmente sviluppati, le ossa normalmente'pneum3tiche, mentre poco sviluppo aveva il tessuto adiposo. Infine per poter meglio conoscere il valore di queste anomalie mi son valso anche del peso degli organi in parola. Pesando comparativa mente gli organi del piccione anomalo e del normale, posti nelle me- desime condizioni, cioè induriti nell'alcool ordinario, giunsi al se- guente risultato : Encefalo Cuore. . Polmoni . Fegato L'encefalo quindi del piccione normale pesava 60 centgr. più di quello dell'anom ilo, differenza considerevole, essendo uguale a più della metà del peso di quest'ultimo. Il cuore del normale pesava del pari 85 centgr. più di quello dell'anomalo, mentre i polmoni di questo pe- 1 Individuo Individuo anomalo normale gr. contg. gr. centg. 1, 04 1, 04 3, 60 4, 45 7, 54 6, 39 14, 50 14, 50 - 23 - savano gr. 1, 15 più di quelli del normale, ed il fegato doli' uno do- sava identicamente a quello dell'altro. Inoltre, sebbene non mi .sia stato possibile di fare delle osserva- zioni istologiche, come avrei desiderato, ho potuto notare solarci che la massa cerebrale presentava moltissime lacune e sembrava es- sere povera di elementi nervosi, e che il fegato aveva i lobi mollo dilatati e delle lacerazioni nello stroma. Adunque, riassumendo, i caratteri anormali pressntati da questo piccione erano i seguenti: I. Spostamento dei polmoni e del cuore,— quest'ultimo poco sviluppato— discesi entrambi nell'addome; II. Straordinaria estensione del fegato, e in questo lobuli allargati e lacerazioni nello stroma ; III. Grande sviluppo di adipe; IV. Poco sviluppo del sistema muscolare e dell'osseo; V. Poca spes- sezza delle pareli dello stomaco: VI. Poca pneumaticità nelle ossa; VII. Aionia dell'intestino e dispepsia; Vili. Encefalo poco svi- luppato, non occupante tutta la cavità cranica, di poco peso, ane- mico, e con numerose lacune nell'intima sua struttura ; IX. Man- canza di facoltà psichiche. Da queste osservazioni ci sembra di poter concludere: I. Lo spostamento dei polmoni non era originario, ma avvenuto molto tempo dopo della loro formazione, poiché essi, conservando la impronta delle costole, avevan dovuto di necessità occupare un tempo la cavità toracica. II. Lo spostamento del cuore era forse dovuto allo spostamento dei polmoni, essendo questi organi strettamente connessi tra loro. III. Il grande sviluppo di adipi era causato principalmente dalla insufficiente respirazione , che lasciava incombusta una gran parte delle sostanze idro-carbonate, come invero voliamo ogni giorno svi- lupparsi adipe in abbondanza in quegli individui che esercitano poco la funzione respiratoria. IV. Il poco sviluppo del sistema muscolare e dell'osseo, e del cuore, la dispepsia, l'atonia dell'intestino dipaudevano probabilmente dalla poca quantità di materiali nutritizi!, che per la insufficiente re- spirazione trovavansi nel sangue. Il grande sviluppo dei polmoni ora certamente dovuto in gran parte allo scarso deflusso del sangue; V. La poca pneumaticità delle ossa dipendeva anche dalla insuffi- ciente respirazione. Non potendo i polmoni giungere neppure a t'ir entrare l'aria in tutte le vescicole pulmonari, era naturale che questa in quantità minima passasse nelle tasche aeree e poi da queste a stento passasse o non passasse affatto nelle ossa. VI. La mancanza delle facoltà psichiche dipendeva direttamente — 24 — dalla piccolezza dell'encefalo, forse originaria, e dalla presenza anor- male di numerose lacune vuoto nell'intima sua struttura— specialmente da quest'ultimo fatto. Napoli Gennaio 1888 Sul preteso reticolo plastinico della fibra musco- lare striata. (Tav. I.) — Ricerche del socio ordinario residente P. Mingazzini. ( Tornata del 15 Gennaio 1888. ) È ammesso presentemente da molti istologi, che hanno investigato la struttura della fibra muscolare striata, che essa sia costituita ana- logamente ad una cellula ordinaria, in cui però il reticolo sia rego- larmente disposto e 1' enchilema contenga il composto proprio della fibra muscolare, cioè la miosina. Con la presente comunicazione mi sono proposto di mostrare la erroneità di tale asserto, esponendo i risultati delle mie ricerche sulla fibra muscolare striata ed in ispecie sui muscoli della chela dell' A- stacus fluviatilis, che furono studiati da una gran parte degli isto- logi che si occuparono della costituzione della fibra striata. Il primo a mostrare nell' interno della libra muscolare un ele- mento figurato, corrispondente alle maglie longitudinali del reticolo, fu SchaCer (l), il quale descrisse nei muscoli viventi delle gambe del Dijtiscus dei filamenti brevi , ingrossati alle loro estremità e da lui denominati mascle vocis, i quali si trovavano disposti lungo tutta la fibra in serie parallele. Il restante del contenuto della fibra era omo- geneo e l'apparenza striata di esso dovuta solo ad un effetto ottico dato dalie estremità ingrossate dei filamenti muscolari. In seguito Gerlach (2) descrisse una rete di natura nervosa tra- versante la fibra striata, rete che sarebbe stata in diretta connessione con l'asse del cilindro della fibra nervosa. (i) Alb Schaefer. — Minute Structure of the Leg-muscles of t li e YY a ter b e etle (D y ti s e u s in a r g inai i s)—Philoso placai Transaclions, Voi. LXIll, 1873, p. 429-4 13. I) Gerlach. — Das Verhaltniss der Nerven zu den willkiir- lichen Muskeln der Wirbelthiere.— Silzungsber. der phyìik. med. So- cielàl -a Erlangen, Hefl V, p. 93. 1873 ed anche: Ueber das Verhaltniss '•'" nervosen und contractilen Substanz des quergestreiften Muskeis— Ardi. /'. Mikr. Anni., Bd. \l/l, pag. 399-414. — 25 — Le ricerche di Thin (1) sullo stesso argomento condussero alla scoperta di un reticolo, corrispondente alle maglio trasversali della rete oggi ammessa nella fibra striata. Secondo questo autore la stria- tura trasversa della fibra sarebbe da attribuirsi a questa reto trasver- sale, che essendo posta perpendicolarmente all'asse della fibra , da- rebbe in proiezione sulla superficie l'aspetto di una linea. Devesi considerare però che egli ammette le fibrille preesistenti nelle quali si scinderebbe la fibra col dilacerarsi del reticolo , e però ne viene di conseguenza che egli considerava la fibrilla come omogenea in tutto il suo decorso. Contemporaneamente a Thin, Biedermann (2) descrisse una rete trasversa la quale non differirebbe da quella di Thin se non per la provenienza , giacché egli sostiene che sia costituita da protoplasma interfibrillare, mentre il Thin la crede formata dai prolungamenti delle cellule centrali della fibra. Retzius (3) studiando la struttura della fibra striata di molti Ar- tropodi e di alcuni Vertebrati, descrisse una rete trasversa, analoga a quella di Thin e Biedermann e corrispondente in posizione alla mem- brana di Krause. Inoltre trovò un'altra rete, che egli denominò di secondo ordine, corrispondente in posizione alla stria di Ilensen. Que- ste diverse reti trasverse erano riunite fra loro per membrane lon- gitudinali. Anche Bremer (-1) descrisse due reti trasverse, analoghe in po- sizione a quelle descritte da R.etzius, ma egli però inverte la denomi- nazione di questo autore, chiamando rete di primo ordine quella che per Retzius non è che di secondo ordine e viceversa; differisce anche da questo autore tanto per la descrizione delle reti, ammettendo la rete in corrispondenza alla stria di Hensen fatta da maglie più grosse di quella corrispondente alla stria di Krause, quanto per il modo con cui sostiene che queste diverse reti siano fra loro col legate, giacché crede che l' unione fra le reti trasverse si faccia non per mem- (1) G. Thin. — On the structure of Muscular Fibre. — Quart. Journal, of. Micr. Sci., Voi. XVI, N. S., p. 251-259, My, 1876. (2) Biedermann. — Zar Lehre vom Bau der quergestreii M li sk eli'aser. — .S'«7^. d. Mathem-nalurw. CI. d. K. Akad. z. Wien., Bd LXXIV, III Abili., p. 49 62, Mi, 1876. (3) .Retzius. — Zur Ken.ntD.iss Ller q uergestreifteo Muskel- faser — Biologische Unlers. v. Retzius, p. 1-26, 1881. (4) Bke.mek. — Ueber die Muskelspindeln nebst Bemerkungen ùber Structur , Neubildung und [onervatioa der querge- 9 treiftenMuskelfaser— Arch.f. Mikr AnaL, Bd.XXIl p. 318-328, 1883. — 26 — brane, come vuole Retzius, ma per filamenti analoghi a quelli delle reti trasverse. Leydig (1) è anch' egli d'opinione che nell'interno della fibra vi sia un reticolo. Solo egli differisce dagli altri autori, perchè non lo crede solido, ma liquido. Infatti là ove gli autori ammettono che vi sia un enchilema omogeneo, egli crede che vi sia una sostanza solida la quale lascia degli spazi vuoti nei quali trovasi una sostanza liquida. Rollet (2) sostenne nuovamente l'opinione di Thin e Biedermann, cioè ammettendo tra le fibrille una rete formata da protoplasma inter- fìbri Ilare (sarcoplasma). Melland 3) non ammette nella fibra striata che due sostanze: una rete regolare formata di maglie trasverse e longitudinali ed un en- chilema liquido omogeneo. HasweU (4) descrisse una struttura reticolata nei muscoli striati del gozzo di Syllis, benché egli ammetta che le fibrille siano pree- sistenti. La teoria che ammette nella fibra striata solo un reticolo ed un enchilema, negando l'esistenza delle fibrille nel muscolo vivente, fu poi ampliamento svolta da Gehuchlen (5), il quale estendendo le sue ricerche sulle fibre muse da ri di molti Artropodi e studiando le mo- dificazioni apportatevi da diversi reagenti, giunse alle Stesse conclu- sioni di Bremer, Carnoy (6) e Melland. Collo studio di sezioni trasverse Pilliet (7) sostiene nei muscoli dell'uomo la presenza di una rete protoplasmatica fra le diverse fi- brille. (i) Leydig. — Zelle und Gewebe, Bonn, p. 124-133, 1885. (2) Rollet. — Untersuchungen iiber den Bau der querge- streiften Muskelfasern, I. Theil. — Denkschr. d. K. Akad. d. Wiss. eie, Bd. .MIX, p. 81-133,4885. (3) Melland. — A simplified view of the Histology of the Striped Mus eie-Fibre.— Qmrl. Journ. of Micr. Se, Voi. XXV, N S., p. 371-390, July, 1885. f'i) Haswell. — On the structure of the so-called Glandular ventricle of Syllis — Qmrl. Journ. of micr. Sci., Voi. XXVI, N. S.,p.474- %80, Aprii, JS86. (5) Vam Gehuchten. — K tini e sur la structure intime de la cel- lule musculaire striée. — La Cellule, T. If, 2e fase, p .'291-453,1886. (fi) Carnoy enuncia appena questo concetto sulla fibra striata a p. 193 della sua Biologie Cellulaire. 1884. (7) Alta. Pilliet.— Note sur l'aspect des champs «le Cobnheim dans Ics fibre s rausculaires striées.— Bull. Soc. Zool. da France, XII Voi., N.° 2-4, p. 145-149, Aout. 1887. Da ultimo Marshall (1) estendendo lo suo ricerche sui muscoli di tutto il regno animale, seguendo i metodi di ricerca di Melland, è venuto a concludere elio la struttura reticolare della fibra striala è comune a tutti i tipi dei metazoarl. Come si può dedurre dall'accenno storico qui riportato, gli au- tori che hanno sostenuto esservi un reticolo nell' interno della fibra striata, si possono raggruppare in due categorie. In quelli cioè che ammettono nella fibra e le fibrille e un reticolo, e in quelli die cre- dono la fibra costituita solo da due parti, una liquida contenente mio- sina: l'enchilema, l'altra solida e figurata: il reticolo. Nel presente lavoro verrà discussa solamente la teoria sostenuta da questi ultimi, e siccome fra essi Gehuchten è stato il solo che, con grande abbon- danza di argomenti e diversità di ricerca, abbia sostenuto una simile tesi, cosi la discussione sopra il presente soggetto sarà particolarmente portata sopra le idee sostenute da questo autore. Servendoci degli stessi metodi indicati da Gehuchten per consta- tare la struttura intima della fibra striata, e prendendo fra essi i più semplici, quello ad esempio in cui si adopera l'alcool come fissatore, si giunge a vedere nella fibra le figure del reticolo. Sfibrando cogli aghi una fibra , che mostra tale aspetto , si troverà che là ove si è riusciti a risolvere in fibrille la fibra, la figura del reticolo non si mostra più. Prendendo a considerare una singola fibrilla che per un certo tratto rimane aderente alla parte della fibra ancora intatta e nel resto si allontana, si troverà che il filo longitudinale del reticolo che si osserva nel primo tratto del suo decorso, non si vede più dal punto in cui essa si allontana dal restante della fibra. Indagando le cause che producono un tale fenomeno , si può chiaramente scorgere come le figure del reticolo siano date dalle pa- reti delle fibrille. Conviene anzitutto notare che quando sulla fibra vi- vente si fa agire repentinamente un liquido energico fissatore, il quale non ne precipiti gli albuminoidi, come fa il sublimato corrosivo, ma stimoli le proprietà motrici del protoplasma della fibra e nello stesso tempo lo uccida, proprietà che è posseduta in alto grado dall'alcool forte (a 90° od assoluto), nelle singole fibrille avviene una coagulazione del contenuto verso le pareti, e questo effetto si vede in modo assai chiaro nella sostanza della zona scura. Nella zona chiara ciò è assai meno sensibile, ed il risultato di questa azione complessiva nelle diverse parti della fibrilla sarà che essa avrà i suoi contorni molto accentuati (1) Marshall — Ouservations on the structure and distribu- tion of striped und unstriped muscle etc— Quarl. Joura. of Wcr. Sii., Voi. XXVIII, N. S., p 75-107, Aug. 1887. — 28 — nelle zone scure e nelle membrane di Krause, mentre tali contorni saranno più deboli nelle zone chiare. Se una fibrilla rimane isolata, questo fatto è poco apparente, ma se due fibrille sono fra loro adiacenti, allora le diverse zone essendo giustaposte, daranno lungo la loro linea d'incontro molto appariscenti i loro contorni così coagulati, i quali per la loro adiacenza appariranno successivamente come un filamento scuro [zona scura), un filamento chiaro (prima metà della zona chiara), un punto scuro [membrana di Krause), un filamento chiaro (seconda metà della zona chiara), un filamento scuro, e così via. La figura schematica di una fibrilla , qui a fianco ri- portata , fa vedere del resto assai chiaramente come dalle sue pareti possa ottenersi l'im- magine del filamento longitu- dinale del reticolo , come è disegnato da Gehuchten. Una fibra essendo costituita da mol- tissime fibrille disposte paral- lelamente, mostra quindi l'ap- parenza di tanti fili longitudi- nali più e meno ispessiti e fra loro paralleli, i quali non sono l'espressione di una rete reale come vuole Gehuchten ma bensì un'illusione ottica data dalle pareti delle diverse fi- brille. Il fenomeno del resto viene anche meglio spiegato dal fatto che quando s'innalza, o si abbassa il foco del microscopio, e si ha una variazione d'intensità luminosa nelle diverse zone , anche l' intensità dell' immagine del contorno varia analogamente , come del resto ha in un modo assai amplio dimostrato Gehuchten nel descrivere i vari aspetti del suo reticolo muscolare. La controprova del fatto or ora indicato ci viene data dalle dige- stioni artificiali della fibra muscolare. Eseguendo il processo stesso indicato da Gehuchten, quello dell'acido cloridrico, o quello dell'al- cool assoluto e della potassa, noi otteniamo la soluzione del contenuto della fibra striata ed in ispecie della miosina. La zona scura perciò dopo tale aziono viene resa assai più trasparente e dopo che i reagenti vi hanno agito per un certo tempo (l'aziono più sicura è quella della potassa) le varie zone avranno tutte quasi la stossa trasparenza ed allora il contorno delle fibrille sarà omogeneo dovunque , cosicché Kit;. i Figura schematica rappresentante ima fibrilla, per mostrare come dalli- pareti di essa possa ottenersi la figura del filamen- to longitudinale del reticolo plastinico. esso si presenterà come un filamento, di uguale spessore lungo tutto il decorso. Ed infatti è tale l'aspetto che si ottiene e che da G shuchten è stato descritto come la forma del filamento del reticolo dopo la digestione artificiale. A conferma dell' asserzione ora esposta, che cioè l'immagine delle maglie longitudinali del reticolo delle fibre muscolari sia dal i dai con- torni delle fibrillo, cito anche il seguente fatto. Gehuchten mentiv in tutti i muscoli del corpo degli Artropodi nega la struttura fibrillare esi- stente nella fibra viva e sostiene che le fibrille, in cui la fibra fissata si scinde, siano prodotti di coagulazione dell' enchilema miosico attorno ai filamenti longitudinali del reticolo, ammette poi le fibrille preesi- stenti nei muscoli delle ali degli Insetti. In tal modo si avrebbero duo strutture muscolari essenzialmente differenti : nell' una cioè non esi- sterebbero fibrille, nell' altra invece vi sarebbero normalmente esi- stenti; ed egli per distinguere le fibrille dell'una e dell'altra categoria chiama le prime fibrille artificiali, perchè egli suppone che siano do- vute all'azione dei reagenti sull' enchilema miosico, e le altre fibrille naturali. Noto anzitutto come egli non abbia potuto constatare nes- suna differenza di configurazione tra le sue fibrille naturali e le pre- tese fibrille artificiali e che inoltre tutti gli istologi che si sono oc- cupati dei muscoli delle ali abbiano fatto vedere come essi fossero uguali alle fibrille delle altre parti dei corpo degli Insetti, e elio anche Ciaccio (1) in un suo ultimo lavoro sui muscoli delle ali degli In- setti, benché si dichiari favorevole alla teoria del reticolo secondo le idee di Gehuchten, pure non ha citato nelle conclusioni questa enor- me differenza che vi sarebbe fra i muscoli delle ali e quelli dolio Mi- tre parti del corpo. Premesso ciò si metta ora a confronto una fibrilla naturale come è disegnata da Gehuchten, quella ad es. della fig. 149 Tav. 5, insieme colla figura del reticolo che egli dà a fig. 9 Tav. I, od a fig. 49 Tav. 2 e si vedrà che con una serie delle sue fibrille naturali si ottiene l'immagine del suo reticolo, e lo stesso si dica per quelle fibrille che hanno subito l'azione digestiva della potassa, o dell'acido cloridrico (Si confronti la fig. 163 della Tav. 5, colla fig. 115 della Tav. 4). Ho riportato qui, per comodo del lettore, alcune figure scelte dalle tavole di Gehuchten, per mostrare appunto l'identità di configura- zione fra una fibrilla delle ali degli insetti e il reticolo delle libro striate. (I) Giaccio. — Della notomia minuta di quei muscoli che negli insetti muovono le ali- Read. d. lì. Ac d. Scienze di Bologna, Serie IV., T. VII, p. 525 e scg. 1887. — 30 — iiiMioir HHhl.'-HI-f-è-l-M?- FlG. 2 FlG. Fru. 4 u h FlG. 5 Fig. -i — Riproduzione dulia Fig. 123 (Tav. 4) di Gehuchten mostrante il reticolo delle fibre striate delle larve di Melolontha vulgàris. Fig. 3 — Riproduzione della Fig. 149 (Tav. 5) di Gehuchten mostrante una fibrilla delle ali di Hydrophilu8 piceus. Fig. 4 — Riproduzione della Fig. 56 (Tav. 2) di Gehuchten mostrante mia porzione di fibra striata di Astacus fluviatilis dopo il trattamento colla potassa all' 1 op> e la fissa- zione eoli' alcool assoluto. Fig. 5 — Riproduzione della Fig. 1GG (Tav. 5) di Gehuchten mostrante una fibrilla in esten- sione di llydropliilus piceus dopo il trattamento per 4 o r> minuti in una soluzione ■ li potassa al 10 oj0 e l'immersione per 24 ore nell'alcool diluito. È chiaro tanto dalla descrizione che egli dà delle sue fibrille naturali, quanto dal confronto che si può istituire colle stesse sue figure, che ciò che egli disegna come l'immagine del filamento lon- gitudinale reticolo, non è che il contorno della parete di due fibrille adiacenti. Né solo si limita all' espetto la somiglianza assoluta tra le fibrille naturali e le pretese fibrille artificiali, ma esse hanno anche un ana- logo comportamento. Infatti Wagner, Engelmann, Ranvier e Vialla- nes hanno constatato come le fibrille delle ali degli insetti non siano indivisibili, ma si scindano in elementi più piccoli denominati filamenti muscolari. Ma questa proprietà non è esclusiva ai muscoli delle ali, giacché come dimostrò Huxley (l) ed io ho potuto confermare , ali- li The fra vii sii, London, p. 181-187, 1880. — 31 — che le fibrille deU'Astacus /luviatilis si scindono in filamenti musco- Lari. Fatto quest'ultimo che non si dovrebbe verificare per le fibrille artificiali, che sarebbero dovute ad una mera cristallizzazione del- l'enchilema attorno ai filamenti longitudinali del reticolo. In com- portamento affatto simile è stato anche trovato da Haswell per le li- brille striate di Syllis. Veniamo ora alle maglie trasversali del reticolo. Queste s bero formate, secondo la teoria di (lehuchten, da filamenti riuniti in- sieme con ispessimenti puntiformi nei luoghi d'incontro, formanti una fìtta rete, il cui piano sarebbe perpendicolare all'asse longitudinali; della fibra. Una rete così fatta si troverebbe ad intervalli regolari e più pre- cisamente nel luogo della membrana di Krause. Neil' Astacus /luvia- tilis una sezione trasversa di fibra striata, come è rappresentata da Gelmchten a T. 2 fìg. 60, mostrerebbe l'interno di una fibra perfetta- mente omogeneo e solo traversato da un fitto reticolo a maglie poli- gonali, con ispessimenti nei punti nodali. I nuclei sarebbero disposti lungo la parete interna del sarcolemma ed avrebbero contórni rego- lari ed una forma ovale ed ellissoidale; infine il sarcolemma sarebbe rappresentato da una finissima membrana. FlG. G Riproduzione della fìg. co (Tav. 2) di Gehuerhten mostrante la sezione trasversa di due libre muscolari di Attacus fluviatili» trattate col liquido digestivo artificiale. In una di esse è stato omesso in parte il reticolo ed i nuclei. — 32 — Debbo però dichiarare che questo non è affatto l'aspetto della sezione trasversa di una fibra striata dello stesso animale come ri- sulta dalle mie preparazioni. ( Si paragoni l' incisione qui riportata a fig. G, colla fig. 7 della Tav. 1) Contrariamente a quanto ha descritto e figurato Gehuchten per le sezioni trasverse delle fibre dell' Astacus fluvialìlis, le mie preparazioni, che sono fatte principalmente sui mu- scoli dell'ultimo sogmenio della chela, mostrano una configurazione affatto differente. (Ved. Tav. 1 fig. 7). L' interno della fibra non è così omogeneo come egli 1' ha disegnato, ma vi si trovano lacune di differente larghezza che partono dall' esterno e si dirigono verso l' in- terno. Si possono distinguere lacune di primo, di secondo e di terzo or- dine, gradualmente più ristrette dall'esterno all'interno, ed in esse si trova una gran quantità di nuclei. Le ultime lacune limitano piccole areole di sostanza contrattile che hanno figure circolari e poligonali diversissime. La fibra non è circondata dal sarcolemma e il perimisio interno penetra liberamente nelle lacune esterne (primarie) e si può seguire in modo assai chiaro nelle interne ( SGCondarie ) ed i nuclei, che si trovano nell'interno della fibra, non appartengono alla sostanza contrattile, ma sono dipendenza del tessuto connettivo perimisiale. Colla reazione della glicerina, cioè chiudendo nella glicerina le preparazioni già colorate col carminio boracico, si ottiene uno scoloramento assai notevole di questo connettivo e dei nuclei ad esso appartenenti, mentre la sostanza contrattile rimane fortemente colorata. Intanto per dare una spiegazione di ciò che Gehuchten e gli altri istologi della sua opinione hanno descritto come reticolo trasverso, bisogna por mente ai diversi metodi con cui questo reticolo è stato preparato. Neil' un caso si tratta di sezioni trasverse fatte nella fibra e che sempre mostrano le areole del Cohnheim. Qui ciò che si è de- scritto come reticolo, non è che la sostanza interstiziale delle areole del Cohnheim, e che ciò sia, lo mostra il fatto che se il reticolo esi- stesse a distanze regolari, come afferma Gehuchten, si dovrebbe tro- vare in qualche caso, quando il taglio cade in uno spazio compreso fra due reticoli , una sezione della fibra, che dovrebbe mostrare le sezioni delle fibrille artificiali in forma di tanti piccoli cerchi, ciascuno con un punto nel centro, rappresentante la sezione del filamento lon- gitudinale del reticolo, e in altri casi, quando nella sezione è compreso il reticolo trasverso, oltreché la figura di questo, anche le sezioni delle fibrillo artificiali. Ma queste apparenze non sono statene vedute da Gehuchten, ne da quelli che prima di lui si sono occupati della struttura della fibra muscolare. Del resto anche volendo ammettere che sezioni di fibra, come lo suppongo nel primo caso, siano quasi im- possibili a trovare, a causa della minima distanza fra un reticolo e — 33 — l'altro, rimane sempre la difficoltà fatta pel secondo caso, che è poi il generale , in cui la figura del reticolo trasverso dovrebbe essere complicata da quella delle fibrille, cosa mai da nessuno descritta. Ma si è ottenuta anche la figura del reticolo trasverso risolven- do in dischi la fibra striata. Con questo mezzo si dissolve la sostanza della zona chiara e si lasciano isolate tanto le membrane di Krause, quanto le zone scure, e nel caso in cui la fibra sia in estensione, al- lora, siccome nel centro della zona scura vi è la stria di Hensen, che rappresenta una linea di minor densità della sostanza birifrangente, si potrà avere il dissolvimento in dischi anche secondo questa linea e così la zona scura sarà divisa in due metà. È chiaro che quando si vedono i dischi in piano essi mostrano, come le sezioni della fibra, le areole de! Cohnheim. Quindi si vede che nell'un caso, come nell'altro, ciò che ha in- dotto ad errore rispetto al reticolo trasverso, è la sostanza intersti- ziale delle areole di Cohnheim, il sarcoplasma di Rollet. Secondo la mia opinione le areole del Cohnheim nell' Astacus fluviatilis non sono però le sezioni di singole fibrille, ma invece le sezioni di aggrup- pamenti di fibrille. E ciò per le seguenti ragioni : primo perchè la forma di ciascuna areola è poligonale e raramente circolare, mentre la sezione di una fibrilla dovrebbe essere rappresentata da un circolo, in secondo luogo, perchè il diametro di ciascuna areola è assai mag- giore del diametro trasverso di ciascuna fibrilla. Tra i diversi aggrup- pamenti di fibrille vi è anche maggiore o minor quantità di plasma interstiziale, variabile a seconda dei differenti animali; neWAstacus fluviatilis esso è assai abbondante e in alcuni casi troviamo con esso anche un pò di connettivo, mentre nella massima parte dei Vertebrati esso è in piccolissima quantità, e per rendere visibili le areole del Cohnheim è necessario aumentare la distanza fra un aggruppamento e l'altro, ciò che si ottiene col processo di Cohnheim, cioè colla con- gelazione del plasma interstiziale. Senza una prova diretta della sua esistenza, si è ammesso nella fibra striata, dagli autori che hanno sostenuto la teoria del reticolo, un contenuto omogeneo, che si è voluto rassomigliare al contenuto liquido delle cellule ordinarie, chiamandolo enchilema miosico. Que- sto è stato descritto come una sostanza più o meno liquida o pastosa, e Gehuchten sostiene che quando la fibra muore, od è trattata coi reagenti, esso si coaguli regolarmente intorno allo trabecolr longi- tudinali del reticolo, dividendosi nello stesso tempo in due sostanze differenti, l'ima meno densa, l'altra più, le quali darebbero, disponen- dosi a strati, l'apparenza striata alla fibra morta. Per ■ poi «ome anche nella fibra vivente si abbia lo stesso effetto ottico, egli 3 - 34 — sostiene che in questo caso la stilatura si deve ad un fenomeno di ottica, alla riflessione totale della luce, data dalle maglie trasverse del reticolo. Perchè 1' enchilema debba coagularsi sempre attorno alle maglie longitudinali del reticolo e mai alle trasversali, perchè debba subire una scissione così caratteristica in due sostanze e per- chè solo le maglie trasversali del reticolo diano quel fenomeno otti- co iTella fibra vivente, egli non si cura di spiegare. Ma ciò che rima- ne ancora più oscuro, si è come questo enchilema così semiliquido, o pastoso, possa conservare la forma perfetta delle fibre, quando non è contenuto in un sacco sarcolemmatico. Ed in questo caso davvero, a meno che non si voglia tirar fuori dai sostenitori del reticolo un'altra teoria, come quella già fatta pei muscoli delle ali degli insetti e quelli delle altre parti del corpo degli stessi animali, non si saprebbe affatto come conciliare la presenza di un plasma semiliquido libero, conser- vante forme assai ben determinate nei vari stadi dnamici delle fibre non avvolte dal sarcolemma. Il fatto sta frattanto che se si mette una fibra vivente sotto il microscopio e si lascia morire o nell'acqua , o in qualche reagente, non si nota nessun fenomeno, che possa lasciar supporre questa pretesa scissione dell' enchilema miosico in due so- stanze differenti e molto meno se ne vede la particolare cristalliz- zazione. Che tali mutamenti fondamentali debbano sfuggire intiera- mente all'occhio dell'osservatore è cosa assai improbabile, giacché mutamenti assai meno profondi nella costituzione del protoplasma cel- lulare, come quelli che avvengono nell'interno delle cellule glando- lar! sotto l'azione di vari reattivi, sono invece assai appariscenti. Del resto se questa pretesa cristallizzazione avvenisse attorno a ciascun filamento longitudinale del reticolo, si dovrebbe vedere, nel centro di ciascuna fibrilla artificiale, il filamento del reticolo stesso. Giacché Gehuchten afferma che l' enchilema miosico nella fibra vi- vente non fa vedere il reticolo, perchè ne ha lo stesso indice di ri- frazione. Ma ciò non dovrebbe avvenire nel muscolo morto, ove 1' en- chilema si sarebbe scisso in due sostanze, ciascuna delle quali do- vrebbe avere un indice di rifrazione diverso della loro mescolanza, o combinazione-ed inoltre avrebbe anche mutato di costituzione fisica, essendosi solidificato e cristallizzato. Però nella fibrilla nessuno ha mai potuto constatare nel suo interno la traccia del filamento longitudinale del reticolo. Io stes- / 1 1 so, anche adoperando forti ingrandimenti (—ed — Zeiss), non ho mai potuto constatare nell'interno di essa traccia alcuna del preteso filamento longitu.iinale. Ho anche ricorso alla isolazione dei sarcons elementi, che ho ottenuto facilmente facendo macerare il muscolo per — 35 — 12 o 14 ore nell' acqua a temperatura ordinaria, e con questo mezzo, sfibrando il muscolo cogli aghi, ottenevo i singoli sarcous elements isolati, giacché la sostanza della zona chiara della fibrilla era decom- posta. (Ved. Tav. 1 fig. 6). Neppure questi singoli elementi, osservati con ingrandimenti assai forti, svelavano nel loro interno la presenza di un filamento qualunque, che potesse corrispondere alla maglia lon- gitudinale del reticolo. E per quanto riguarda lo studio della fibra muscolare allo sta- to di riposo, sarà necessario, prima di terminare la presente discus- sione, di vedere ancora in qual conto debbasi tener ciò che afferma Gehuchten rispetto al valore citologico della fibra striata stessa. Risulta chiaramente da tutto il lavoro di questo autore, come egli dia alla fibra muscolare il valore di una semplice cellula , e so- stiene , come il sarcolemma non sia altro che la membrana cellu- lare dell'elemento primitivo che ha originato la fibra. Egli infatti così enuncia la sua idea in proposito « Le sarcolemme représente la « membrane cellulaire proprement dite , enveloppant, comme dans « tonte cellule, le réticulum et 1' enchylème; il appartient doiic aussi « en propre à la cellule musculaire. Quant aux cellules centrales, « elles constituent , avec leurs nombreux noyaux , une portion non « differenciée, non régularisée, de la cellule musculaire primitive ». Queste dichiarazioni sono fatte in modo assiomatico, senza citare in loro appoggio alcun fatto, che valga a dimostrare si embriogenica- mente, sì citogenicamente, che la fibra striata abbia il valore di ima semplice cellula e che il sarcolemma ne rappresenti la membrana cellulare. Eppure non bisognava dimenticare che moltissimi fra gli istologi, che hanno fatto delle ricerche sul presente soggetto, sono di parere che la fibra muscolare non possa avere il valore di una sem- plice cellula, anzi taluni, come M. Schultze (1) e Viallanes (2) vo- gliono che la sostanza contrattile della fibra rappresenti una sostanza intercellulare di elementi che si trovano nella fibra e di cui il corpo cellulare sarebbe assai ridotto. Lo stesso poi ti dica rispetto al sar- colemma, che la massima parte degli istologi sostiene essere di na- tura connettivale , ciò che del resto ha dimostrato Froriep (3) con (1) Max. Schultze.— Uè ber M u skelkòr perdi e n unii das, was man cine Zelle zu nennen habe. — Reichert und Da Bois Reymond Archiv, p. 1-27, 186 I. (2) Viallanes.— Re eh er che s sur l' histolo gie des Insectes— Ann. Se. Nat. Zool., VI. Sèrie, T XIV, 1882, p. 225-268. (3) Froriep. — Uè ber das Sarcolemm unti die Muskelkerne.— Ardi. f. Antri, und Enkoickel., Jahrg. 1876, Anat. Abili., p. 516. — 36 — la prova chimica e Deiters (1) lungo tempo innanzi colla prova em- briogenià. Per quanto riguarda l'origine delle fibre striate nella chela del- l' Astacus ffuviatilis mi volli assicurare embriologicamente del loro valore citologico e potei constatare i seguenti fatti. I piccoli Astacus nati nella vasca ove erano conservati gli adulti, dopo sei o sette giorni dacché erano usciti dall' ovo venivano presi e le piccolissime chele erano sfibrate a fresco ed i frammenti, fis- sati col bicloruro di mercurio e colorati con carminio allumico, era- no poi chiusi nel balsamo. Collo stesso metodo furono proparati i muscoli di altri individui in età un pò più avanzata, cioè circa quin- dici giorni dopo che erano usciti dall' ovo. Le fibre muscolari si ori- ginano da un tessuto cellulare composto di elementi fra loro adia- centi. (Ved. Tav. 1 fig. 1). Le cellule nella condizione primitiva sono o rotonde , o poligonali , con grossi nuclei e corpo protoplasmatico molto largo. In seguito esse mostrano un allungamento secondo l'asse longitudinale delle future fibre ed infine si comincia a distinguere fra queste cellule così allungate la traccia delle fibre striate. (Ved. Tav. 1 fig. 1). Se queste vengono isolate si mostrano debolmente striate di trasverso e si presentano come fini cilindretti in dipendenza stretta non da una cellula primitiva, ma da più cellule. (Ved. Tav. 1 fig. 3). In seguito poi, coll'aumentare di grossezza delle fibre, i corpi cellulari vanno man mano a scomparire. È chiaro quindi in questo caso che una fibra muscolare striata può dirsi derivata dalla trasfor- mazione in sostanza contrattile del protoplasma di più cellule. In appoggio di questa conclusione cito anche un risultato delle ricerche di Bremer che concorda, per quanto riguarda 1' origine della fibra muscolare della rana, colle mie osservazioni. Questo autore infatti dice « dass die (junge) Muskelfaser nicht aequivalent einer « Zelle ist, sondern dass sie die Summe einer Reihe von Zellen « darstellt, v\-obei die Kerne die Zellenterritorien markiren. » Inoltre per gli insetti le ricerche di Weismann (2) convalidate da quelle di Ganin, di Kùnckel d'Herculais (3J e di Viallanes hanno dimostrato che tanto le fibre striate del corpo della larva, quanto quelle delle ali dell'insetto perfetto, non sono derivate da una cellula unica, ma da più cellule. E dovrei qui aggiungere anche 1' opinione di un gran nu- \\) Deiters. — Beitrag zur II istologie der CLuergestreiften Muskeln. — lìeichert und Da Bois Reymond Ardi. IS(ÌI, p. 393-424. (2) Weisman. — Entwickelung der Dipteren. Leipzig, 1864, (3) Kunckel d' Herculais. — Organisation et développement dee Volucelles, Paris 1875. — 37 — mero di autori, i quali benché non abbiano studiato lo sviluppo della fibra striata, pure sono di opinione che essa non possa avere il va- lore di una semplice cellula. Che in alcuni casi una fibra muscolare derivi realmente da una cellula, non sono alieno dal crederlo, ma non sono affatto persuaso che ciò si possa generalizzare per 1' origine di tutte le fibre striate. La teoria della contrazione di Geliuchten mostra che la parte attiva nello stato dinamico della fibra è il reticolo plastinico, mentre l'enchilema miosico avrebbe una funzione affatto passiva. Egli sup- pone che durante la contrazione le trabecole longitudinali si ispessi- scano nella loro parte centrale, e facciano così diminuire la lunghezza totale della fibra. Trova in tal modo che nell' onda di contrazione, nel ventre dell' onda stessa le maglie hanno una larghezza maggiore ed una minore lunghezza che non nelle altre parti della fibra. Dopo la dimostrazione data precedentemente di ciò che si deve intendere per il reticolo, non sarà necessaria una lunga spiegazione del fenomeno visto e disegnato da Geliuchten. Durante la contrazione le strie trasverse in corrispondenza dell' onda di contrazione dimi- nuiscono assai di altezza e la zona oscura composta, nel ventre del- l'onda, di materiale assai più condensato che non nelle altre parti, darà nella fibrilla un contorno assai più accentuato, sebbene di al- tezza assai minore che non nello stato di riposo. Non vi ha del resto momento più opportuno per convincersi della preesistenza delle fi- brille nel muscolo vivente che quando una fibra è in contrazione. Tutti gli osservatori, che hanno visto la fibra striata contrarsi sotto il microscopio, hanno notato il fatto che essa, in ispecie nello spazio occupato dall' onda di contrazione, si presenta striata in senso longi- tudinale in un modo più distinto che nel resto, appunto per la sepa- razione passeggera delle fibrille in quel momento funzionale, e le mie osservazioni su questo punto concordano pienamente colle loro. L'onda di contrazione esaminata nella fibra vivente mostra dei fenomeni assai interessanti a studiare. Una gran parte degli istologi però non ha potuto sorprendere tutte le varie fasi che si osservano durante il succedersi dell'onda, a causa della rapidità con cui questa si produceva e delle difficoltà che vi erano per disporre con prestezza a differente foco il microscopio, per poter osservare contemporanea- mente i punti più elevati ed i più bassi dell'onda stessa. A questo proposito Ranvier (1) fa notare assai chiaramente tutte le difficoltà che si incontrano per tale osservazione e Gehuchten nelle ligure 196 e (1) Ranvier. — Trai té te enni qu e d' h istologie. Paris, 1875, pag. 488-489. — 38 — 196' della Tav. VI lascia in bianco una parte di onda di contrazione assai energica. Isolando delle fibre muscolari dalla chela di Aslacus fluvialilis e ponendole sul portaoggetti nel plasma dello stesso animale, le fibre si conservano per un certo tempo viventi. Durante questo tempo in taluna di esse si possono osservare facilmente le onde di contrazione che sono piuttosto deboli e poco rapide. Constatato che siasi nell'on- da la direzione secondo la quale si propaga, si potranno distinguere in essa tre parti: una anteriore, una media ed una posteriore. Nella parte media, in cui è il massimo della contrazione, si ha una forte dilatazione del diametro trasversale della fibra stessa, ed in quel tratto le zone chiara e scura hanno una piccolissima altezza. Nella parte anteriore si nota invece l'inverso di quel che succede nella parte media, perchè la sostanza muscolare vi si presenta assai rare- fatta e perciò molto chiara, a causa della dilatazione assai forte che vi subiscono la zona chiara e scura. Quest'ultima, essendo assai dila- tata, non presenta più quella differenza cosi grande dalla zona chia- ra, come avviene nella fibra contratta, o in riposo»Questa dilatazione, col progredire dell' onda, si avanza anch' essa all' innanzi e nel pas- sare che fanno le strie dalla condizione di riposo a questa di mas- sima estensione, si ha l'apparenza di un movimento delle strie stesse verso la parte media o ventrale dell'onda. Nella parte posteriore succede un fenomeno inverso a quello della parte anteriore, vale a dire che le strie assai ravvicinate nel ventre dell'onda, tornano allo stato normale di riposo. Qui si ha un'illusione ottica inversa a quella della parte anteriore, cioè sembra che le strie siano respinte dal ven- tre dell' onda. Quando 1' onda è molto forte e veloce, allora tanto la parte media, che ha le strie molto ravvicinate, quanto la parte an- teriore, che ha le strie assai dilatate, possono dare l'effetto, con un'os- servazione fuggevole , di due zone omogenee , 1' una scura , V altra chiara. Questo è ciò che da molti autori, che hanno descritto la con- trazione muscolare, è stato chiamato col nome di stadio omogeneo del- l' onda di contrazione. Ma questo stadio omogeneo non esiste. Per provarlo ancora più chiaramente ho fissato dei muscoli in cui i due stati dinamici opposti della sostanza muscolare erano assai esagerati. Con questo mezzo si ha il vantaggio di potere osservare bene le varie apparenze della sostanza muscolare nei suoi diversi stadi dinamici, giacché col solo studio della fibra durante la contrazione taluni fenomeni possono sfuggire, od ap- parire male all'osservazione, a causa del breve tempo in cui un certo punio rimane in un dato stadio. Neil' un caso ho fissato una fibra striata in contrazione massima, nell'altro delle fibre in massima esten- — 39 - sione. Le libre in contrazione totale erano così preparate: venivano distaccate alcune fibre viventi dai muscoli doWAstacus fluvialilis ed erano poste immediatamente in alcool od a 90°, od assoluto. La fibra libera così dai suoi attacchi tendinei, sotto l'eccitazione dell'alcool si contraeva repentinamente, diminuendo di circa la metà od un terzo della sua lunghezza primitiva. Fibre dapprima Lunghe 6 millimetri erano ridotte a 3 o4 millimetri dopo 1' azione contraente dell'alcool. Queste fibre così preparate erano poi colorate e mostravano al micro- scopio le strie trasverse assai ravvicinate fra loro e conseguentemente di un' altezza minima, tanto che nella zona chiara non era più visibile la membrana di Krause, se non ad un ingrandimento assai forte. (Ved. Tav. 1 fig. 8) Col processo inverso, cioè colla estensione massima mi servivo dell' ultimo segmento della chela dell' Astacus e tagliavo per un certo tratto il tegumento chitiuoso negli spigoli d'incontro delle faccie del segmento. Mercè bastoncini di legno tenevo distanti, per quanto era possibile, le due pareti, sulle quali vanno a fissarsi le fibre che sono attaccate al tendine centrale ; in tal modo queste ultime rimanevano in una posizione di estensione assai esagerata. Tutto intero l'organo così preparato veniva posto nel bicloruro di mercuri:) e quindi nei vari alcool e dopo alcuni giorni le fibre erano talmente indurite nella posizione di estensione, che, anche togliendo i baston- cini di legno , le pareti rimanevano così allontanate come erano state fissate. Le singole fibre esaminate al microscopio mostravano le strie assai alte, la membrana di Krause assai ben visibile, nello stesso tempo però che la distinzione fra la zona chiara e la zona scura era assai meno netta, che nella fibra in contrazione totale, o in riposo ed in alcuni punti di estensione massima assai difficile a constatare con deboli ingrandimenti ( Ved. Tav. 1 fig. 9 le fibre nella parto supe- riore ). Ma tanto nel caso della contrazione totale, quanto in quello di massima estensione , mai ho potuto trovare uno stadio omogeneo della sostanza contrattile e devesi notare che questi due casi da me esaminati sono casi limiti, che certamente non si verificano mai nella fibra vivente per impossibilità meccanica di effettuazione. Le fibrille dei muscoli in contrazione od in riposo si presentano con un diame- tro assai maggiore di quello delle fibrille in estensione od in riposo. (Si paragonino le fig. 4 e 5 della Tav. 1.) Senza voler aggiungere alle tante esistenti un'altra teoria della contrazione, mi limiterò a concludere che anche collo studio dei mu- scoli striati nello stato dinamico, si ha una riprova di ciò che ho cer- cato di mostrare nel presente lavoro, che cioè la teoria del reticolo plastinico non può ammettersi. Per l'enchiloma miosico ricorderò soltanto che nella contrazione della fibra striata si ha una certa — 40 — diminuzione di volume della fibra stessa , cosa che è incompatibile con un liquido, come dovrebbe essere l'enchilema, in cui, come è noto, la compressibilità è sempre infinitesima. La più importante quindi delle conclusioni a cui è giunto Gehuch- ten non può essere in niun modo accettata. Egli sostiene infatti che non possa esservi contrattilità senza reticolo isotropo ed abbiamo vi- sto qual valore abbia il reticolo da esso descritto. Questa conclusio- ne, a cui egli è giunto solo collo studio delle fibre muscolari negli Artropodi, non potrebbe autorizzarlo, com3 egli ha fatto, ad esten- dere tale conclusione a tutto il regno animale, tanto più che egli non ha preso affatto a considerare le fibre muscolari liscie per dimostrare in esse la presenza di un reticolo. E sotto questo punto di vista molto più logicamente ha condotto le sue ricerche Marshall, che ha esa- minato, sebbene in un modo molto superficiale, le fibre muscolari striate e liscie in tutto il regno animale ed ha sostenuto che anche queste ultime sono provviste nel loro interno di una rete analoga a quella che egli ammette nei muscoli striati. Ma sembra però dalle sue descrizioni, e andando per analogia dalle fibre striate, che anche nelle liscie ciò che si è descritto per filamenti del reticolo, non sia che l'espressione ottica delle pareti delle fibrille. Per mia parte la conclusione principale a cui mi portano le ri- cerche sul presente argomento è la seguente. Che le immagini dei filamenti longitudinali del reticolo plastinico sono date dalle pareti delle fibrille e le varie modalità di essi , lungo il loro decorso, sono date dai contorni delle zone chiara e scura e dalla membrana di Krause delle singole fibrille. Tali immagini sono prodotte in ispecie dalle particolari coagulazioni determinate dai diversi reagenti sopra gli elementi costituenti le singole parti della fibra striata ed in ispe- cie sulla sostanza birifrangente della zona scura. Le immagini delle reti trasversali sono date dada sostanza interstiziale delle areole di Cohnheim. Le presenti ricerche sono state eseguite durante 1' anno 1886-87 nel laboratorio di Anatomia comparata della R. Università di Roma, e rendo i maggiori ringraziamenti al Direttore, Sig. Prof. F. Gasco ed al suo assistente Sig. Dr. C. Crety, pei consigli ed aiuti che mi hanno dato per l'esecuzione di questo lavoro. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Fig. 1 — Tessuto cellulare miogenico della chela di Astacus fluvia- tìlis di pochi giorni. Colorazione con carminio ali umico. BolLcCSbùdi Mtlin Va/u>à in. fi. Fas\ / 5 • ' ù. ■ « i % ' _ < ».» » > e V*, ■ • — 41 — Fig. 2 — Piccole fibre derivate dal tessuto iniogenico della chela di Astacus di pochi giorni. Colorazione con carminio allumico. Fi.?. 3 — Una fibra isolata dello stadio di quelle della fig. 2. At- torno ad essa si vedono ancora le cellule che l'hanno ori- ginata. Colorazione con carminio allumico. Fig. 4 — Una fibrilla in estensione di Astacus adulto. Colorazione con carminio boracico. Fig. 5 — Una fibrilla in istato di riposo di Astacus adult >. Fig. 6 — Gruppi di sarcous elements di Astacus fluviatili* adulto, isolati colla macerazione in acqua. Colorazione con carminio boracico, inclusione in glicerina. Fig. 7 — Sezione trasversa dei muscoli della chela di Astacus flu- viatilis adulto. Colorazione con carminio boracieo. Fig. 8 — Parte di una fibra in contrazione totale di un Astacus adulto. Colorazione con carminio allumico. Fig. 9 — Sezione del muscolo della chela di Astacus fluviatilis adul- to, preparato in estensione massima. Le fibre superiori sono in estensione, le inferiori in riposo. Nel centro si vede il tendine centrale ed il modo di ter- minazione in esso delle fibre muscolari. Colorazione con carminio boracico . — 42 — Sperniatos'enesi dei vertebrati. — Ricerche del socio ordinario residente F. Sanpélice. ( Tornata del 15 Gennaio 1888. ) INTRODUZIONE 1." Cenno storico Una scoperta importante per la isti logia del testicolo fa quella del Sertoli delle cellule ramificate, fatta nel 1865. Queste cellule, con nu- cleo grande e con nucleolo chiaro, si trovano alla superfìcie interna della tunica propria dei canalini spermatici. I loro prolungamenti for- mano una rete, nelle cui maglie sono situati gli altri elementi costi- tuenti l'epitelio del canalino spermatico. Secondo Sertoli queste cel- lule non prendono parte alla formazione degli spermatozoi, ma rap- presentano 1' epitelio fisso del canalino, a differenza dell' epitelio mo- bile, destinato alla produzione degli elementi spermatici. Merkel osservò le stesse cellule e le descrisse col nome di cel- lule di sostegno, perchè secondo lui i prolungamenti dei corpi proto- plasmatici cellulari formano una rete, che serve di sostegno a tutti gli elementi, che si trovano nel canalino spermatico. Anche secondo Merkel queste cellule non prendono parte alla formazione degli sper- matozoi. Molto diversa dalle opinioni di questi due autori è quella di Eb- ner, il quale considera le cellule ramificate, come le cellule madri degli spermatozoi e dà loro il nome di spermatoblasti. Immediata- mente al di dentro della tunica endoteliale dei canalini seminiferi os- servò uno strato costituito da due specie di cellule, caratterizzate per lo aspetto dei loro nuclei. Le une posseggono nuclei lisci, ellittici, a contorno netto , provveduti di un nucleolo voluminoso e distinto. Le altre presentano nuclei più piccoli, arrotondati e molto granulosi. Le prime di queste cellule, sprovviste di membrana, si estendono dalla periferia del canalino fino al centro. A livello delle loro basi queste cellule costituiscono una rete protoplasmatica, nelle maglie della quale si trovano incluse le cellule a nucleo granuloso, più piccole. Questo è il reticolo descritto dall'autore col nome di germinativo e che corri- sponde allo insieme delle cellule ramificate di Sertoli, alle cellule di sostegno di Merkel. Nei prolungamenti centrali di questo reticolo ap- pariscono le primo tracce dei giovani spermatozoi. Qui tengo a fare osservare che tanto Sertoli, che Merkel ed Eb- — 43 — ner insistono sul fatto elio il nucleo chiaro di queste formazioni cel- lulari, da loro distinte con diversi nomi, non mostra mai traccia di divisione e che non prende alcuna parte alla formazione dei nuclei situati nelle maglie della rete. Rivolta, Neumann, Mihalkovics e Blumberg sono della opinione di Ebner. Solamente Blumberg crede che le cellule rotonde sono an- che atte a formare spermatozoi. Molti altri autori seguirono la opinione di Ebner e vi fu chi ar- rivò a paragonare lo sperma toblasto ad una grande cellula epiteliale a ciglia vibratili, nella quale le code degli spermatozoi rappresenta- vano le ciglia. Le pubblicazioni di La Valette, quantunque sembrino molto im- portanti, perchè introducono nella scienza considerazioni interessanti dal punto di vista morfologico, pure, quanto a risultati, da molti non sono state giudicate tali. Egli distingue nel canalino seminifero ele- menti cellulari di due specie, che si possono paragonare alle cellule corrispondenti dell' ovario. Sono da una parte le cellule seminali pri- mordiali (Ursamenzellen), paragonabili agli ovuli primordiali, d'altra parte le cellule follicolari, (Follikelzellen , paragonabili alle cellule epiteliali del follicolo di Graaf. Le cellule primordiali seminifere divi- dendosi danno luogo da una parte alle sperma togonie, dall'altra alle spermatogemme. Le spermatogonie sono le cellule caratterizzate dal gran nucleo chiaro , a nucleolo molto apparente , che Ebner de- scrisse già nel suo reticolo germinativo e che Sertoli e Merkel de- scrissero l'uno come cellule ramificate, l'altro come cellule di so- stegno. Le spermatogemme sono prodotte per divisione del nucleo in seno al protoplasma e restano unite per tratti protopìasmaticii alle spermatogonie. Le cellule follicolari sono piccole, rotonde, situate contro la tunica propria, negli interstizi delle spermatogonie. La Va- lette non attribuisce loro alcuna parte essenziale nella genesi degli spermatozoi e le considera come omologhe alle cellule epiteliali del follicolo di Graaf. Queste vedute si allontanano molto da quelle di Sertoli, il quale distingue le cellule rotonde costituenti, come ho detto innanzi, l'epi- telio mobile del canalino seminifero, in cellule germinative, seminife- re, nematoblasti. Le cellule germinative occupano la parte periferica del canalino; sono situate negli interstizi delle cellule fisse e costitui- scono nel canalino il primo termine della evoluzione degli sperma- tozoi. Corrispondono agli elementi granulosi, che Ebner ha descritto nel suo reticolo germinativo e che considera come non aventi parte alla formazione degli spermatozoi, sibbene come leucociti passati nel canalino dagli spazi linfatici e destinati in parte a formare il liquido d i — 44 — secrezione, in parte a favorire la uscita degli spermatozoi. Le cellule seminifere sono i grossi elementi granulosi, disposti in una sola serie, che nei tagli trasversali costituiscono uno strato circolare e parallelo alla tunica propria del canalino, da cui sono separate per la zona delle cellule germinative e le basi delle cellule epiteliali fisse. Que- ste cellule non sono altro che le cellule germinative di una genera- zione anteriore spinte per la generazione attuale verso il centro del canalino. Le cellule seminifere, moltiplicandosi, costituiscono intorno al lume del canalino uno strato spesso di piccole cellule, i nemato- blasti, che presentano 1' aspetto intermedio tra quello delle cellule ro- tonde a nucleo circolare e quello degli spermatozoi in via di matu- razione. Il primo lavoro in cui viene accennato il meccanismo col quale gli spermatozoi sono espulsi dal canalino spermatico è quello di Ren- son. Questi descrive il corpo cellulare delle cellule di sostegno come irregolare ed esteso verso il lume del canalino. Per l'accrescimento di queste cellule si avvera un movimento del loro protoplasma verso il lume del canalino ed i fasci di spermatozoi, essendo compresi in questo protoplasma, sono costretti a progredire. Per questa ragiono l'autore considera le cellule di sostegno co- me mezzi di espulsione. Quanto sia giusta questa interpretazione, ve- dremo in seguito. Per ciò, che riguarda l'epitelio mobile, si attiene alla classificazione di Sertoli. Tutti gli autori, di cui finora ho esposto le opinioni, pensano che solamente una parte degli elementi del canalino spermatico servono alla formazione degli spermatozoi. Biondi è il primo, che non rico- nosce questa differenza di funzione ed ammette che tutti sieno desti- nati a produrre spermatozoi. Descrive otto fasi di trasformazioni per la produzione degli elementi spermatici. La prima è caratterizzata da tre specie di cellule, che formano tre distinte zone dalla periferia verso il centro del canalino. La pri- ma zona, considerata in un settore, si compone di un elemento distinto dall'autore col nome di cellula stipite (Stammzelle), che corrisponde alla cellula fissa di Sertoli, a quella di sostegno di Merkel. La seconda zona si compone in media di due elementi , detti dall' autore cellule madri (Mutterzellen) ; la terza in media di quattro elementi , cellule figlie, (Tochterzellen) , destinate a mutarsi in spermatozoi. Tutti gli elementi della colonna si originano dalla cellula stipite. La seconda fase è caratterizzata dalla trasformazione degli elementi della terza zona in spermatozoi, mentre quelli della seconda zona sono divenuti cellule figlie e l'elemento della prima zona ha preso l'aspetto di cel- lula madre. La terza fase è caratterizzata dalla trasformazione degli — 45 — elementi della seconda e di quelli della terza zona in spermatozoi; la quinta dallo avanzarsi depili spermatozoi verso il lume del canalino; la sesta dalla comparsa alla periferia del canalino di un nuovo elemento coi caratteri di una cellula stipite. La origine di questo nuovo elemento è dai preesistenti. Qui richiamo l'attenzione del lettore, perchè mi sembra essere la parte più importante del lavoro. Mentre Merkel, Sertoli ed Ebner non hanno posto mente al modo come avviene una nuova generazio- ne di elementi, mentre Renson alla fine del suo lavoro non sa spie- gare onde abbiano origine le nuove cellule germinative , Biondi è il primo, che parla della origine dei nuovi elementi dai preesistenti. La settima ed ottava fase sono caratterizzate dalla riproduzione delle colonne primitive. Fo notare che le cellule descritto dall'autore col nome di cellule madri corrispondono allo cellule seminifere di Sertoli, le cellule fi- glie ai nematoblasti dello slesso autore. Fiirst ammette, con la maggior parte degli autori, due specie di cellule nel canalino spermatico, delle quali solamente alcune sono de- stinate alla produzione degli spermatozoi. Quelle, che non prendono parte alla spermatogenesi corrispondono alle cellule fisse di Sertoli e dall'autore sono dette cellule marginali (Randzellen). In queste non ha osservato figure cariocinetiche e crede che servano alla nutrizione degli altri elementi del canalino. Gli elementi destinati a formare sper- matozoi sono distinti dall'autore col nome di cellule seminali stipiti (Sa- menstammzellen), cellule germinative di Sertoli; cellule seminali ma- dri (Samenmutterzellen), cellule seminifere di Sertoli; cellule seminali figlie ('Samentochterzellen) destinate a mutarsi ciascuna in uno sper- matozoide, nematoblasti di Sertoli. Secondo Benda il corpo protoplasmatico della cellula di sostegno manda prolungamenti verso il centro e ciascun filamento si pone in rap- porto con un elemento. Non ammette la partecipazione di queste alla formazione degli spermatozoi. Crede che la rigenerazione del nuovo epitelio avvenga dagli spermatoblasti parietali, con quanta ragione, dirò in seguito. Ciò, che veramente reca meraviglia nel lavoro di Benda è che egli non avendo veduto fenomeni di divisione nelle cel- lule di sostegno, che chiama cellule basali (Fusszelleni, crede « che possono originarsi per differenziamento dei prodotti di divisione degli spermatoblasti ». Come ciò possa avvenire, non lo comprendo. Anche Prénant si è occupato delle cellule di sostegno e della rete ammessa da Merkel ed è venuto alla conclusione che in tutto lo spes- sore della parete cellulare del tubo seminale vi è un reticolo molto sviluppato, nelle cui maglie si trovano gli elementi diversi del tubo — 46 — seminale. Non ammette con Merkel la natura cellulare di questa rete. Quanto alla sostanza, di cui è formata, crede trattarsi di una sostanza albuminoide ed intercellulare. Non è quindi della opinione di Biondi, il quale ammette che questa rete si origina dai resti dei corpi cellulari, i cui nuclei sono mutati in spermatozoi. Del significato poi della cel- lula di sostegno caratterizzata da un grande nucleo ovale e chiaro, con nucleolo, da corpo protoplasmatico granuloso di forma variabile, non sa dire nulla. Quanto alla formazione degli spermatozoi le prime ricerche esatte si devono al Kòlliker. Egli dimostrò che la testa di ciascun spermato- zoide proviene dalla metamorfosi più o meno completa del nucleo di una cellula seminale. Henle scoprì in seguito che la coda si forma a spese del protoplasma cellulare. Con la scoperta di Schweigger-Sei- del del tratto mediano, la istogenesi degli spermatozoi fa un passo in- nanzi. In seguito La Valette confermò e sviluppò la opinione di Henle: lo spermatozoide, secondo lui, è paragonabile ad una cellula vibra- tile modificata, di cui il nucleo sarebbe rappresentato dalla testa, il protoplasma dal tratto mediano ed il ciglio vibratile dalla coda. Merkel fu il primo a descrivere con più particolari le modifica- zioni nucleari, che precedono la formazione dello spermatozoide. Le cellule rotonde del canalino divengono ellittiche; il nucleo, dapprima centrale, si porta ad una delle estremità del grande asse della cel- lula. Nel medesimo tempo il nucleo diventa ugualmente ellittico e so- pra una metà del suo contorno la membrana nucleare s' ispessisce ed appare più distinta. Al centro dello emisfero ispessito ha sede un pic- colo rigonfiamento rifrangente, bottone terminale (SpitzenknopfJ. La membrana cellulare ricopre 1' emisfero ispessito di una calotta jalina, il cappuccio cefalico, (Kopfkappe). Alla estremità opposta dello emi- sfero ispessito vi è un filamento, primo vestigio della coda dello sper- matozoide. Dopo Merkel, Bloch riprese la teoria antica di Kòlliker ed ammise che gli spermatozoi provengono dal differenziamento di un nucleo, senza partecipazione del protoplasma. Von Brunn constata, dopo Merkel, il differenziamento del nucleo in due emisferi, ma respinge la opinione di Merkel che cioè il bot- tone terminale sia di origine protoplasmatica. Lo considera invece co- me un ispessimento locale della membrana nucleare e destinato a co- stituire il cappuccio cefalico. Secondo Renson lo spermatozoide ha significato nucleare, in quan- to che il corpo cellulare ne forma la coda, mentre il nucleo dà la testa ed il tratto mediano che sembrano le sole parti attive nella fecondazione. La descrizione, che dà, della trasformazione della cel- — 47 — lula in spermatozoide, è identica a quella di Merkel, tranne nel diffe- renziamento della coda. Biondi è della opinione che le tre parti di ogni filamento sperma- tico si originano solamente dal nucleo, che darebbe con la metà an- teriore la testa e con la posteriore il tratto mediano e la coda. Della medesima opinione di Biondi sono Fiirst e Benda. Anche secondo Flemming lo spermatozoide ha origine dal nucleo; egli perù non è certo se 1' acromatina del nucleo vi prenda parte. 2.° Metodo di ricerca Come liquidi fissatori ho usato da principio il liquido di Flem- ming, il sublimato, l'alcool assoluto, i quali liquidi, sperimentati su pezzi di uguale grandezza e del medesimo testicolo, mi hanno dato come fissazione i medesimi risultati. In seguito, perchè il liquido di Fiernming penetrava con difficoltà nello interno dei pezzi anche pic- coli e perchè l'acido cromico, fissato fortemente nel pezzo per la pre- senza dell' acido acetico, impediva la buona riuscita della colorazione con la ematossilina, mi sono limitato alla fissazione con sublimato ed alcool assoluto, liquidi di facile uso, che penetrano facilmente nello interno dei pezzi, sieno questi anche abbastanza grandi e che per- mettono la colorazione in loto con la ematossilina con buoni risultati. Sono convinto che quando con tre liquidi di natura chimica diversa si ottengono su tre pezzi del medesimo tessuto risultati identici, tutto ciò, che si osserva, è normale e non è alterazione del liquido fissatore. Che veramente non saprei comprendere come tre liquidi chimica- mente diversi possano produrre alterazioni identiche nel medesimo tessuto. Né mi sono contentato di sperimentare V azione di questi tre liquidi fissatori solamente sul testicolo, ma ho preso anche tre pezzi di uguale grandezza di cartilagine sternale di Tritone, ove i nuclei» abbastanza grandi, permettono di vedere bene le figure cariocinetiche, e li ho fìssati coi tre liquidi sopra detti. Ebbene, osservati i preparati con lente ad immersione, dopo colorazione con ematossilina, non ho veduto alcuna differenza nelle diverse fasi cariocinetiche dei tre pre- parati. Questa prova mi ha tolto ogni dubbio sulla bontà del metodo di fissazione col sublimato e con 1' alcool assoluto. Come già ho esposto in altri lavori, diluisco la soluzione satura a freddo di sublimato con eguale volume di acqua distillata e in que- sta immergo i pezzi di testicoli, avendo cura di agitare, affinchè i pezzi vengano in contatto sempre con nuovo liquido. Dopo otto o dieci mi- nuti li tolgo dalla soluzione di sublimato, li sciacquo e li passo in alcool a 90°. Allo indomani coaiincio il trattatamento con tintura dì ujILIBRa — 48 - iodio per togliere lo eccesso di sublimato. Quando l'alcool colorato dalla tintura di iodio, dopo circa 24 ore non si vede scolorato, lo ec- cesso di sublimato è tolto. Nel fare il trattamento con la tintura di iodio bisogna avere la cura di mutare l' alcool , per impedire che si saturi di biioduro di mercurio. La fissazione con alcool assoluto o con quello a 90°, che vale lo stesso, è molto più semplice, giacché basta mettervi i pezzi e dopo un paio di giorni, mutando 1' alcool un paio di volte, si possono colorire. Come liquidi coloranti ho dato la preferenza alla ematossilina, colorando piccoli pezzi in loto. La ematossilina preparata secondo la forinola di Bohmer ovvero quella resa acida con l' aggiunta di poche gocce di acido acetico, la quale più specialmente io uso, perchè pe- netra meglio nello interno, sieno anche i pezzi abbastanza grandi, mi ha dato ottimi risultati. Quanto a metodo d'inclusione ho preferito quello con la paraf- fina perchè più comodo a paragone di quello con la celloidina, che richiede una manipolazione più lunga e perchè mi sono convinto, pa- ragonando i tagli con i preparati a dissociazione , che non arreca danno al tessuto. La dissociazione fatta nel seguente modo mi è stata di grandis- sima utilità: un canalino spermatico isolato in alcool con l'apparec- chio a dissociazione Mayer, da un pezzo di testicolo colorato prima in tolo, si passa successivamente in alcool assoluto, in creosoto, in benzina. Si mette poi sul vetrino porta-oggetti una goccia di balsamo ed in questa si esegue molto facilmente una completa dissociazione del canalino. Riesce spesso, operando diligentemente, di aprire il canalino, fa- re uscire gli elementi mobili e far rimanere solamente la tunica pro- pria con le cellule germinali e gli spermatoblasti parietali. Quanto sia utile osservare gli elementi in uno strato così sottile e gli altri liberi isolatamente, si comprende facilmente. A questo metodo più che ai tagli devo la conoscenza esatta della cariocinesi nella sperma- togenesi. I tagli in serie sono stati attaccati sul vetrino porta-oggetti con collodion. I testicoli, se piccoli , come quelli di Mus musculus , Mioxus quercinus, Rana esculenta etc. sono stati utilizzati tutti intieri per la ricerca; se grandi, no ho presi diversi pezzi da vari punti e questi sono stati tagliati in serie. Mi dispenso qui dal parlare dei diversi animali, di cui mi sono servito nelle ricerche, perchè alla fine del lavoro il lettore ne tro- verà lo elenco. — 4!) — PARTE I. Spermatogenesi nei Mammiferi Capitolo 1.° Elementi del canalino spermatico e loro disposizione. Per facilitare la descrizione degli elementi, che si trovano nel canalino spermatico funzionante, li distinguerò in quelli, che occu- pano la periferia, addossati cioè alla tunica propria, in quelli, che occupano lo strato interno ed in quelli , che sono situati fra questi due strati. Solamente negli animali giovani, nei quali non ancora è comin- ciata la formazione degli spermatozoi, non è possibile distinguere que- sti strati, ma quando al centro del canalino si trovano spermatozoi o cellule di secrezione, di cui dirò in seguito, questa distinzione è pos- sibile. Qui devo far notare che lo strato medio e lo strato interno sono costituiti da elementi simili, mentre nello strato esterno si vedono elementi non simili fra di loro. Nello strato esterno addossati alla tunica propria si notano in maggior numero spermatoblasti con fase gomitolare o di riposo, co- stituenti ima serie, interrotta solamente da alcuni elementi più grandi con nucleo e nucleolo chiaro. I primi corrispondono alle cellule ger- minative di Sertoli, agli elementi di secrezione di Ebner, alle cellule follicolari di La Valette, gli altri alle cellule fìsse di Sertoli, alle cellule di sostegno di Merkel, agli spermatoblasti di Ebner, alle sper- matogonie di La Valette, alle cellule stipiti di Biondi, alle cellule basali (Fusszellen) di Benda. Neil' elemento descritto come nucleo da questi diversi autori ho osservato una figura cariocinetica costituita da due masse cromatiche più o meno grandi, secondo i diversi animali e da una massa acroma- tica, la quale dico acromatica non nel senso di Flemming, perchè non è che non si colora punto, ma molto meno per rispetto alle due masse cromatiche. Questa parte che si colora meno, in alcuni animali ha forma di fuso, in altri ha forma sferici. Per queste cellule ho pro- posto il nome di germinali già usato da Ebner, che ha dato il o di rete germinale allo insieme di questi elementi, nome da non con- fondersi con quello di cellule germinative dato da Sertoli agli ele- menti più piccoli, che si trovano tra gli spazi rimasti liberi menti in parola. i — 50 — Per avere osservato questa figura cariocinetica nel granulo de- scritto come nucleolo del nucleo delle cellule fìsse o di sostegno de- gli autori, io, nei precedenti lavori, seguendo le opinioni di Flemming, il quale considera il nucleo come costituito di sostanza cromatica ed acromatica , espressi la idea di considerare il nucleo descritto dagli autori come cellula ed il granulo come nucleo. Nello osservare inol- tre il modo di divisione di questi elementi ho veduto, come ciò, che prende parte attiva alla divisione, è appunto -la figura cariocinetica^ metre ciò, che è descritto come nucleo dagli autori, ha una parte pu- ramente passiva e non fa altro che seguire la divisione del fuso acro- matico, che tien dietro al distacco delle due masse cromatiche. Se- condo le teorie moderne a me quindi parrebbe giusto di dare il si- gnificato di cellula a ciò , che gii autori hanno fin oggi considerato come nucleo. E veramente sarebbe una cosa strana voler considerare un nucleo come passivo ed un nucleolo come fattore di una divisione cellulare. È più giusto considerare come corpo cellulare il nucleo descritto dagli autori anzi che il protoplasma , che circonda questo elemento, come tutti gli altri del canalino spermatico. Se .poi , con- trariamente a tutto ciò, che ho esposto, si voglia continuare a dare il significato di nucleo allo elemento da me considerato come cellula, sia pure, ma resta il fatto che unico fattore della divisione di questa cellula è il nucleolo , supposizione, che non si accorda punto con le teorie moderne, svolte specialmente da Flemming, intorno al signifi- cato dinamico del nucleo. Giusta questa seconda interpretazione dello elemento, di cui è quistione , bisogna considerare come corpo cellu- lare il protoplasma incolore, che lo circonda e che non è nettamente separato dal protoplasma, che attornia gli altri elementi vicini. E qui cade in acconcio di considerare la rete di sostegno de- scritta da diversi autori come avente origine dalle cellule fisse e che si estenderebbe fra tutti gli elementi mobili del canalino spermatico. Mihalkovics è stato il primo a sostenere, fondandosi sopra una serie di osservazioni concludenti, che questa rete non è altroché l'effetto della coagulazione della sostanza albuminoide intercellulare, dovuta alla morte o al reattivo usato por fissare ed indurire l'organo. Se- condo Biondi questa rete è un resto dei corpi cellulari non impiegati alla formazione degli spermatozoi, che si trasforma in sostanza al- buminoide intercellulare. Prénant, quantunque neghi il sistema di so- stegno ammesso da Merkel, \>nvi>. è venuto alla conclusione che in tutto lo spessore della parete cellulare del tubo seminale vi sia un re- tici ' i ni dto sviluppato, di cui le maglie ora regolari, ora irregolari si trovano approj nate alla fonila degli elementi, che vi sono rin- chiusi. Mollo diversa è la interpretazione, che io do a questa rete. Fri- — 51 — ma da Strasburger, poi da Flemming è stato notato intorno ai nuclei in fasi cariocinetiche uno spazio chiaro e spiegato dal primo e succo nucleare emesso dal nucleo stesso nel mentre che si divide, dal secondo come campo di azione nutritiva del nucleo stesso. Ora nel canalino spermatico funzionante solamente i nuclei all'ivi sono circondati da questo spazio chiaro, mentre le cellule germinali, gli spermatozoi e le cellule di secrezione, di cui terrò parola in segui- to, sono comprese in una sostanza protoplasmatica comune. 11 proto- plasma quindi, che immediatamente circonda i nuclei attivi, è meno denso e si mostra più chiaro di quello, che si trova alla periferia dei corpi cellulari dei nuclei medesimi. Questa è la ragione per cui tra gli sperma toblasti con fasi cariocinetiche si vedono dei tratti o fila- menti protoplasmatici, i quali rappresentano l'estremo limite di azione nutritiva degli elementi in divisione. Questa differenza di densità e di chiarezza nel protoplasma, che circonda l'elementi) da me considerato come cellula e dagli autori come nucleo, non esiste e però sembra come se i tratti protoplasmatici esistenti tra gli spermatoblasti avessero origine dal protoplasma, che circonda le cellule germinali. L' apparenza dunque della rete non è altro che l'effetto dell'azione nutritiva esercitata dai nuclei in divi- sione sul protoplasma che li circonda. Secondo me i tratti protoplasmatici, che si trovano tra gli sper- matoblasti, equivalgono alle membrane cellulari dei nuclei vecchi. Da ciò, che ho esposto intorno alla natura di questa rete, si vede co- me malamente le spetta questo nome e come cade la idea di rete di sostegno messa innanzi da Merkel. Non è rete, perchè apparisce co- me tale solamente nei tagli ottici, mentre in natura lo strato denso di protoplasma si trova tutto allo intorno degli spermatoblasti; non è rete di sostegno, perchè se fosse tale , dovrebbe trovarsi intorni) a tutti gli elementi del canalino spermatico e non già solamente intorno ai nuclei attivi. Tanto più manifesta apparirà questa supposta rete per quanto meno si toglierà dai tagli lo eccesso del colore, perchè allora il pro- toplasma intercellulare resta colorato. Se si toglie invece lo eccesso del colore con alcool acidificato, allora la rete apparisce solamente, perchè i tratti protoplasmatici intercellulari rifrangono maggiormente la luce. Mentre lo strato esterno quasi sempre è costituito dalle cellule germinali e dagli spermatoblasti con fase di riposo o gomitolare, va- riano gli elementi, che formano lo strato medio. Qui fo notare che si può parlare di questo strato medio sempre che il lume del cana- lino è occupato dagli spermatozoi. Questo strato può essere costituito da spermatoblasti con fase cariocinetica a diastro (Fig. 2). I diastri più vicini alla periferia sono più grandi e mostrano chia- ramente gli uncini nelle parti, che si guardano; quelli, che seguono verso il centro, vanno diminuendo in grandezza e finalmente quelli, che sono in vicinanza degli spermatozoi, sono molto piccoli ed in mas- sima parte mostrano l'asse di divisione pirallelo al raggio del cana- lino. Questi spermatoblasti sono disposti in più serie ed il carattere principale è la diminuizione di grandezza dalla periferia verso il cen- tro. I piccoli astri, che si trovano vicini agli spermatozoi, sono molto più distanti tra loro, che non quelli della periferia ed inoltre non la- sciano nettamente distinguere la parte acromatica. In alcuni anzi men- tre si distingue ancora la forma allungata del piccolo astro, se ve- duta di profilo; a corona, se veduta di prospetto, il protoplasma già mostrasi diviso in due parti, ciascuna delle quali circonda il piccolo astro. In questi piccoli astri non si distinguono più gli uncini, ma si osserva solo un anello intensamente colorato, se il piccolo astro è ve- duto di prospetto, un bastoncino, se è veduto di profilo. Inoltre in que- sto strato, specialmente, se la sezione è molto sottile avverrà di non vedere i diastri completi, ma se ne vedranno alcuni isolati di profilo o di prospetto. Se il taglio è spesso riuscirà di vedere i diastri com- pleti. Ciascuno di questi piccoli astri, che sono più vicini agli sper- matozoi, si muta in uno spermatozoide o in uno spermatoblasto. La divisione di questi spermatoblasti ha per primo scopo la pro- duzione degli spermatozoi e quando di questi se ne sono formati tanti da occupare il lume del canalino, allora ciascuno dei piccoli astri non si muta più in spermatozoide, ma può dare spermatoblasti in ri- poso o in fase gomitolare, la cui destinazione esporrò in seguito. Altri elementi, che più comunemente si osservano tra gli sper- matozoi e lo strato parietale, sono le cellule rotonde o figlie (nemato- blasti di Sertoli), che gli autori tutti descrivono come quelle destinate a mutarsi in spermatozoi (Fig. 4). Sono cellule, i cui corpi cellulari non si distinguono nettamente, i cui nuclei rotondi, con pochi granuli cro- matici o residui di filamenti cromatici, mostrano una capsula, che si colora con la ematossilina, la quale capsula non è continua, ma mo- stra interruzioni. Questi nuclei sono disposti in più serie e gli uni strettamente addossati agli altri formano tutti insieme uno strato, che spesse volte è nettamente separato dallo strato esterno. Queste cel- lule figlie secondo me non sono destinate alla formazione degli sper- matozoi, sebbene da una parte col loro disfacimento producono un li- quido di nutrizione agli spermatozoi già formali, d'altra parte costi- tuiscono il fattore principale della espulsione degli spermatozoi stessi. — 53 — Questi elomenti rotondi, che proporrei di chiamare cellule di secre- zione, nome già proposto da Ebner e poi in seguito da Gruenhagen, possono avere origine o dai medii e piccoli astri descritti preceden- temente, di cui i più centrali già si sono mutati in spermatozoi o pos- sono avere origino direttamente dagli spermatoblasti dello strato pa- rietale, perché, come esporrò meglio nel capitolo seguente, si pos- sono seguii', tutti gli stadii per cui passa uno spermatoblasto in fase gomitolare finche diventa una cellula figlia dello strato in parola. Si vede cioè io strato medio costituito da molti gomitoli, di cui alcu- ni, i piti periferici, mostrano ancora filamenti cromatici, altri, quelli verso il centro, fanno vedere appena qualche sottilissimo filamento cromatico, granuli cromatici scarsi e la capsula di cromatina. Altri elementi, che si osservano fra lo strato esterno e lo interno, sono alcune forme gomitolari , in cui i filamenti cromatici sono più distanti e però il nucleo appare alquanto più grande dei soliti gomi- toli (Fig. 0). Secondo me provengono dagli spermatoblasti parietali e sono destinati a disfarsi per dare le cellule di secrezione, come ho detto innanzi. Non posso dire con certezza, se tutti subiscono questa sorte oppure se alcuni persistono per dare nuovi spermatoblasti. In questo strato medio finalmente si osservano non tanto frequen- temente però, come gli elementi di cui innanzi ho fatto parola, al- cune cellule con nucleo di varia forma (Fig. 3). Sono masse cromati- che di forma più o meno sferica, le une accanto alle altre in modo da costituire nuclei polimorfi. Alcune volte qualcuna di queste piccole masse cromatiche, che costituiscono questi nuclei, si mostra distaccata dalle altre. Questi nuclei non sono da confondere con quelli in fasi cariocinetiche. Questi spermatoblasti con nuclei polimorfi sono disposti in due a tre serie ed occupano tutto lo spazio compreso fra lo strato esterno e gli spermatozoi. Ciascuno di questi nuclei polimorfi proviene da un astro, il quale non ha dato la figura gomitolare, perchè al centro del canalino già vi erano spermatozoi. Sono in una parola fasi di riposo dei nuclei cariocinetei , pronti a presentare un' altra volta forme di divisione, subito che saranno stati emessi gli spermatozoi, che occu- pano il lume del canalino. Voglio cioè dire che gli astri più grandi dello strato medio, una volta che quelli centrali hanno dato buon numero di spermatozoi, non danno la fase gomitolare e poi quella di riposo, come sarebbe la regola, ma invece assumono, dopo aver ripresa la parte acromatica, queste forme irregolari, che continueranno ,i dare spermatozoi, subito che saranno emessi quelli già formati. Gli spermatozoi sviluppati, che occupano il lume del canalino e che costituiscono lo strato interno, sono disposti con il loro asse mag- — 54 — giore secondo il raggio del canalino spermatico. Sono ordinati a gruppi dei quali alcuni raggiungono lo strato periferico, altri restano al centro. Questa disposizione si spiega facilmente dopo quello, che ho detto innanzi circa la trasformazione dei piccoli astri in sperma- tozoi la quale avviene là dove la divisione cariocinetica ha raggiunto il suo limite e comincia sempre dal centro del canalino continuando verso la periferia. Mentre dunque la divisione degli spermatoblasti procede dalla periferia verso il centro, la formazione degli sperma- tozoi, comincia dal centro e può progredire verso la periferia. Così si spiega come qualche volta si osservano gruppi di spermatozoi, che raggiungono il protoplasma della cellula germinale e danno l'aspetto dello spermatoblasto di Ebner, dovuto al meccanismo stesso di for- mazione degli spermatozoi, i quali più facilmente si mettono in rap- porto con le cellule germinali, che restano inattive per tutto il tempo che gli spermatoblasti da esse prodotti si mutano in spermatozoi ed in cellule di secrezione. Le teste degli spermatozoi sono rivolte verso la periferia del canalino, mentre le code guardano il centro. Accanto alle teste degli spermatozoi si osservano abbondanti gra- nuli cromatici di diversa grandezza più o meno irregolari Fig. 8). Questi granuli sono stati veduti da molti osservatori, ma da pochi spiegati. Flemming nel suo ultimo lavoro intorno alla sperma togenesi della salamandra parla anche di questi granuli, ma non dà alcuna spiegazione intorno alla loro origine. Io posso dire di averli osservati solamente nei mammiferi e non credo che quelli menzionati da Flemming sieno granuli cromatici, ma elementi destinati alla produzione degli spermatozoi. Secondo me que- sti granuli cromatici hanno origine dal disfacimento degli spermato- blasti, e sono residui di masso cromatiche. Dapprima mi era nato il sospetto che fossero piccole gocciolino adipose, che cosi piccole fos- sero capaci di prendere il colore, ma con la osservazione] con lente ad immersione mi sono convinto che non sono tali, perchè non sem- pre hanno la forma sferica, ma qualche volta irregolare. In alcuni mammiferi sono molto abbondanti, ad esempio nel Topo bianco, nel Topo comune, nella Talpa. Nel descrivere gli elementi, che fanno parte dei diversi strati, ho detto che più comunemente nello strato esterno si osservano le cellule germinali e gli spermatoblasti in fase di riposo o gomitolare. Alcune volte si possono osservare le cellule germinali più ab- bondanti e scarsi gli spermatoblasti. A proposito di questa osserva- zione tengo a far notare che esiste un rapporto molto intimo tra la proliferazione delle cellule germinali e la formazione degli sperma- toblasti e spermatozoi. Sempre che gli spermatoblasti cominciano a mancare, perchè trasformati in spermatozoi od in cellule ili secre- zione, le cellule germinali alla periferia si vedono più numerose. Questo rapporto è sfuggito a tutti quelli, che si sono occupati di spermatogonesi. Qualche volta nello strato periferico si possono osservare anche sperma toblasti con diastri o con piastra equatoriale. Quando nel lume del canalino non vi sono spermatozoi, allora non è possibile la distinzione degli elementi in tre strati, in quanl i che si trovano allo interno le cellule di secrezione, che, osservate nei tagli longitudinali dei canalini, si estendono per un buon tratto e nel tratto seguente si vedono gli spermatozoi. Queste porzioni di ca- nalini, che verso il centro fanno vedere le cellule di secrezione, le ho osservate in parecchi mammiferi (Cane, Cavia, Topo comune, Puc- cio, etc). Sono queste le porzioni secretrici destinate con la produ- zione degli elementi a mandare fuori gli spermatozoi, che sono nel tratto seguente. Non è necessario che gli elementi di secrezione siano proprio dietro gli spermatozoi per spiegare in questo modo solamente la espulsione dei medesimi , ma anche se in un tratto vi sono sper- matozoi ed in un altro vi sono elementi di secrezione, questi ultimi disfacendosi e spinti dalla continua formazione, spingeranno gli sper- matozoi, che si trovano nel tratto seguente. La forza dunque, che costringe gli spermatozoi ad uscire, non è rappresentata solamente dagli elementi, che si trovano immediatamente dietro di loro, ma anche da quelli, che si trovano nelle sezioni precedenti , in cui non esistono al centro spermatozoi,, È tanto evidente questo meccanism > di espulsione, che mi sembra veramente inutile invocare, come ha fatto Benda, prima la unione di un prolungamento della cellula ger- minale con ciascuno degli elementi destinati alla produzione degli spermatozoi e poi il distacco del filamento dallo elemento mutato in spermatozoide. Riassumendo tutto ciò, che ho esposto intorno alla disposizione degli elementi ed alla formazione degli spermatozoi, fo osservare come l'epitelio di riserva per la nuova formazione dell'epitelio del canalino spermatico, è rappresentato da quelle cellule granii, a M os- sale alla tunica propria e descritte dagli autori coi nomi di cellule di sostegno, spermatoblasti (Ebner), cellule stipiti, cellule fisse, alle quali io, conformemente al loro significato morfologico e funzionale, preferisco dare il nome di cellule germinali. Sono quelle, che, divi- dendosi, danno origine agli spermatoblasti, dei quali la prima gene- razione è destinata a formare gli spermatozoi, la seconda è destinata a formare gli elementi, che dovranno da una parte favorire la espul- sione degli spermatozoi, dall'altra disfarsi per produrre un liquido — SG- di nutrizione per gli spermatozoi. Tutti gli spermatoblasti prodotti dalla divisione delle cellule germinali sono consumati ; non restano che poche cellule germinali alla periferia, le quali dovranno dare la nuova generazione di elementi, quando quelli prodotti prima saran- no espulsi. Questo fatto si fonda sulla osservazione che spesso tra le sezioni di canalini se ne vede qualcuna rivestita internamente solo da cellule germinali. E un canalino vuotato interamente e che mostra la proliferazione delle cellule germinali per la formazione del nuovo epitelio. Con ciò non va escluso che si possa anche osservare proli- ferazione di cellule germinali, mentre ancora vi sono spermatoblasti e spermatozoi. In questo caso l'attività formativa è maggiore e gli ele- menti saranno presto espulsi. Capitolo 2. Cariocinesi nella spermatogenesi. Già nel capitolo precedente ho notata la importanza delle cel- lule germinali, le quali si devono considerare come la matrice del- l'epitelio del canalino seminale -e le ragioni, per cui io ritengo co- me cellula ciò, che dagli altri è ritenuto come nucleo. Non rifarò la descrizione di tutte le fasi cariocinetiche di queste cellule, perchè già le ho descritte in un altro lavoro. Qui noterò solamente che al- lora si possono osservare tutte le fasi da me descritte, quando si ha la opportunità di avere la sezione di un canalino, in cui queste cel- lule sono in via di proliferazione e però numerose. Quando il cana- lino presenta spermatoblasti e spermatozoi, allora ve ne sono poche alla periferia t; le fasi, che mostrano, sono o quella del fuso con le due masse cromatiche unite o una massa cromatica con mezzo fuso. Nella Cavia cobaya, nel Mus musculus, nel Mas clecumanus etc. la s istanza acromatica è in forma di fuso; nel Mus decumanus var. albina, nell' Erinaceus europaeus, etc. la sostanza acromatica è di forma sferica. Quanto alle due masse cromatiche variano per grandezza nei di- versi animali. Quando le due masse cromatiche sono piccole, non si osservano i punti chiari nel mezzo; quando invece sono un poco più grandi, appariscono in forma di cercine col punto chiaro nel mezzo. Alcune cellule germinali oltre alle masse cromatiche unite alla so- stanza acromatica, mostrano altre masse cromatiche sparse nel loro corpo, l'aito, .-he ho già notato in altri lavori. Nello strato periferico (Va le cellule g.'nninali e gli spermatoblasti in fase di riposo, di cui terrò parola inseguito, si osservano alcuni spermatoblasti i cui nuclei — 57 — presentano i seguenti caratteri: sono per grandezza medii fra i nuclei delle cellule germinali (nel senso degli autori) ed i nuclei degli spermatoblasti in fase di riposo, sono intensamente colorali e pre- sentano nel loro interno granuli cromatici piccolissimi, sparsi nel corpo nucleare, granuli cromatici più grandi, meno numero i dei precedenti, riuniti qualche volta da filamenti cromatici sottilissimi. I granuli cromatici più grandi non sono costanti per numero. Al- cune vello se ne vedono due, altre volte tre o quattro. Questi sper- matoblasti, non ancora notati dagli autori, provengono dalla divisio- ne delle cellule germinali e diventano spermatoblasti in fase di riposo. E per questa ragione che ioli distinguo col nome di spermatoblasti in fase di passaggio, iFig. 49-50) intendendo con ciò che sono stadii intermedi fra le cellule germinali e gli spermatoblasti in fase di ri- poso. E qui fo notare che le cellule germinali prima di acquistare la proprietà di dividersi con le fasi cariocinetiche caratteristiche de- scritte da Flemming, subiscono una divisione speciale, in cui prendo parte attiva quello, che dagli autori ò considerato come nucleolo e che diventerà parte cromatica degli spermatoblasti. Dopo la osservazione di questa fase di passaggio ho potuto meglio spiegarmi perchè nel corpo nucleare delle cellule germinali si osservano spesso più masse acromatiche. Già comincia la divisione della sostanza cromatica per formare i granuli dell'elemento di passaggio. Non ho potuto seguire le trasformazioni della sostanza acromatica e perciò non posso dire quali modificazioni subisca nella fase di passaggio. Ho osservato solo che spesso quando si comincia a vedere nelle cellule germinali la proliferazione delle masse cromatiche , più non si vedono le figure cariocinetiche descritte, ma si osservano granuli diversamente grandi, senza poter distinguere la massa acromatica. Il nucleo dello spermatoblasto in fase di passaggio diventa nu- cleo in fase di riposo, (Fig. 51-52) che è caratterizzato da granuli cro- matici ugualmente grandi, riuniti tra loro da filamenti cromatici sot- tilissimi. Il corpo nucleare è un poco meno colorato che non quello in fase di passaggio. Questa fase, che io considero come quella di ri- poso degli spermatoblasti è diversa dalla fase di riposo descritta da Flemming, il quale asserisce che il nucleo in questa fasi; mostra ima membrana con contorno splendente e nello interno di questa una massa omogenei, nella quale si trovano corpuscoli grandi e piccoli e cordoni o filamenti senza nessuna regolarità nella disposizione , quantità e spessezza. Ciò, che quindi caratterizza questa fase di riposo cioè la mancanza di regolarità nella disposizione , quantità e spessezza dei granuli e dei filamenti, non si osserva negli spermatoblasti, i quali al contrario mostrano sempre ugualmente grandi i granuli cromatici ed — 58 — ugualmente sottili i filamenti. Come nuclei in fase di riposo considero anche quelli, (Fig. 54) che si trovano in alcuni animali (Topo comune) e che si diversificano dagli altri per essere un poco più grandi di quelli ora descritti e che presentano granuli cromatici maggiori, irre- golari ed uniti tra di loro per mezzo di filamenti cromatici. Quanto alle forme gomit'olari degli sperma riddasti se ne distin- guono diverse. Osservo che Klein, il quale ha descritto sommària- mente la cariocinesi degli spermatoblasti, non ne parla punto. Alcuni spermatoblasti, che si trovano nello strato, esterno, presentano i fila- menti cromatici sottili e molto ravvicinati gli uni agli altri, in molo, che il nucleo nello insieme è grande quanto quello degli spermatoblasti in fase di riposo e non permette di poter distinguere il modo come i filamenti crematici sono disposti. Questa forma di gomitolo (Fn termina con superficie piana, ma più o meno concava secondo i diversi animali. Inoltre non è in tutti gli animali della stessa spessezza; più ampia nel Cane, Riccio, Gatto, etc. minore nella Talpa, etc. Osservando le figure si potranno rilevare queste differenze meglio che io non possa fare con una de- scrizione. La testa, che ha sempre la stessa intensità di colorazione, è più o meno larga, più o meno lunga, secondo i diversi mammiferi. Negli spermatozoi asimmetrici si distinguono nettamente due parti; una fortemente colorata, di forma speciale e la coda. Questi sperma- tozoi, come si può rilevare «-alle figure, hanno forma di falce, con una insenatura nella parte larga. Nel punto della insenatura, ove ter- mina il margine concavo, si attacca la coda. Nel Mus musculus la falce e più corta e più larga, nel Mus decumanus invece è più lunga e più stretta. I contorni sono, sempre netti. Ho già detto nel primo capitolo il modo come si presentano i pic- coli astri veduti con lente ad immersione. Veduti di prospetto appa- riscono come cercini colorati con un punto chiaro nel centro e solo alla periferia mostrano qualche filamento. Tra i due piccoli astri vi è la parte chiara, che corrisponde alla figura acromatica. In seguito scompaiono gli uncini alla periferia e la sostanza cromatica, che prima appariva non omogenea, ma come l'insieme di più anse unite stret- tamente, diventa omogenea e si colorisce omogeneamente. Se ora si osserva uno di questi piccoli astri di profilo si vede della forma di una scodella, in cui una delle bocche è sempre chiaramente visibile, quella cioè situata al polo opposto alle facce, che si guardavano nel piccolo diastro e dove comparirà la coda. Veduto invece di faccia ap- parisce come un cercine colorato con un punto chiaro nel centro, che corrisponde al punto chiaro del piccolo astro, intorno a cui erano rag- gruppate le anse. Questa forma ora descritta, che ha origine dal pic- colo astro, corrisponde ad un nucleo nel senso di Flemming in quanto che questi ammette che il nucleo sia costituito di sostanza cromatica ed acromatica, le quali sono fuse insieme nelle fasi di riposo e gomi- tolare , mentre sono separate 1' una dall'altra nelle fasi di monastro e diastro. E queste vedute sono fondate dal Professore di Kiel sopra la seguente osservazione che cioè i filamenti cromatici, che costitui- scono il gomitolo o i granuli e filamenti cromatici della fase di riposo sono un poco meno intensamente colorati che non le anse della pia- stra equatoriale e dei diastri, ciò che indica, che queste anse, le quali — 62 - costituiscono le ultime due fasi, hanno perduto qualche cosa con cui prima erano unite e che loro impediva di prendere intensamente il colore. Ecco la ragione per la quale la figura , che ho descritta in- nanzi come avente origine dal piccolo astro, si mostra un poco meno colorata. La ragione è che ha ripreso la sostanza acromatica. Dalla parte, che corrisponde alle facce degli astri, che si guardavano, co- mincia a mostrarsi una lunula, che prende poco il colore. È il primo accenno della testa, che aumenta a poco a poco a spese della parte fortemente colorata. Qui sorge il dubbio se questa sostanza , che si colorisce poco e che formerà la testa, corrisponda alla parte acroma- tica del nucleo. Il certo è che dal nucleo costituito di sostanza cro- matica ed acromatica si separa prima questa porzione , che formerà la testa e poi la coda ha origine dalla parte opposta. La coda corri- sponde certamente alla parte acromatica del nucleo, in quanto che non prende punto il colore. Lo stesso non può dirsi della testa, la quale, quantunque si colorisca meno del tratto mediano , pure in un certo modo si colorisce. Quanto agli spermatozoi asimmetrici,* la trasformazione del pic- colo astro ha luogo nello stesso modo come 1' ho descritto innanzi per quelli simmetrici. Nei piccoli astri, in cui è scomparsa la figura acromatica, si nota ugualmente la piccola bocca, che corrisponde al punto chiaro della figura cariocinetica. In seguito si allunga o non ho potuto vedere a quale parte dello spemi atozoide completamente sviluppato corrisponda in seguito l' apertura del centro dell' astro. Non in tutti i mammiferi nell' elemento proveniente dal piccolo astro si nota sempre l'apertura. Nel Gatto per esempio i nuclei pro- venienti dai piccoli astri (Fig. 92) diventono rotondi e più non mostrano l'apertura. Alcuni si coloriscono omogeneamente, altri in una metà sono coloriti più fortemente che nell'altra. Inoltre questi nuclei nel centro o nel limite della parte più colorata e di quella meno colorata pre- sentano un granulo cromatico. Non bisogna confondere questi nuclei con quelli degli spermatoblasti in via di disfacimento o con gli ele- menti anche provenienti da piccoli astri, e che assumono anche que- sto aspetto, ma non continuano poi a trasformarsi in spermatozoi, per- chè diventano più grandi, non si coloriscono più intensamente, non mostrano più granulo cromatico ed hanno la cromatina ridotta alla periferia. Il criterio dunque per distinguere i nuclei destinati a tra- sformarsi in spermatozoi è principalmente il modo come si coloriscono e la grandezza. Una volta che i nuclei delle cellule di secrezione sono mollo più grandi degli spermatozoi sviluppati, non si vorrà ammettere la loro trasformazione in spermatozoi. Poche parole mi restano ancora a dire intorno agli elementi, che - 03 - si disfanno e che gli autori considerano come quelli destinati a mu- tarsi in spermatozoi. Il centro dei nuclei delle cellule di secrezione è chiaro ; la sostanza cromatica si porta alla periferia formando una capsula cromatica, che alcune volte è continua, altre volte è inter- rotta. Un poco allo interno di questa capsula ed intorno allo spazio chiaro centrale si vede in quelli in cui ancora il disfacimento non è molto avanzato, un alone, che si colorisce poco, con qualche residuo di sostanza cromatica. In quelli, in cui il disfacimento è più inoltrato, non si vele che la sola capsula cromatica interrotta spesso in due punti opposti. Sono questi i duo emisferi della capsula cromatica de- scritti da Benda nel suo ultimo lavoro, e che egli ha creduto erro- neamente fossero destinati l'uno a formare la testa, l'altro il tratto mediano e la coda. I nuclei più vicini agli spermatozoi non mostrano più nulla nello interno e solo in alcuni si vede ancora il contorno del nucleo rappre- sentato da granuli cromatici interrotti. Da quanto ho detto, come bisognerà considerare lo spennato zoide, come cellula secondo Henle o come nucleo secondo Kolliker? Lo spermatozoide ha origine da un nucleo costituito di sostanza cromatica ed acromatica. Quindi ben si può dire che è 1' equivalente di un nucleo, in cui è avvenuto di nuovo il distacco della sostanza cro- matica dalla acromatica. La coda è certamente parte della primitiva sostanza acromatica, il tratto mediano è la parte cromatica. Non pos- so dire con uguale certezza, se la testa appartiene alla unione della sostanza cromatica colla acromatica o ad una delle due. Per gli spermatozoi asimmetrici, i quali non presentano tratto mediano, si può ben dire che la coda corrisponde alla parte acroma- tica, la parte tingibile alla cromatica. Capitolo IV. Ri venerazione fisiologica dell' epitelio del canalino spermatico. Degenerazione degli spermatozoi. Nelle sezioni di testicolo di diversi mammiferi spesso capita di osservare sezioni di canalini rivestiti internamente da cellule germi- nali. Fo notare che queste sezioni si possono seguire per più tagli in serie e nei tagli longitudinali dei canalini si possono ved >re per un tratto abbastanza lungo. Sono canalini completamente vuotati del loro contenuto mobile e che presentano proliferazione Uule germinali, destinate a dare nuovi spermatoblasti. Spesso anche quando il canalino contiene ancora spermatoblasti e — 64 — spermatozoi, si osservano le cellule germinali più numerose che non nelle altre sezioni. È la proliferazione, che già comincia, perchè gli sper- matoblasti sono in massima parte trasformati in cellule di secrezione e spermatozoi. Esiste dunque uno stretto rapporto tra la trasforma- zione degli spermatoblasti e le cellule germinali. Quando poi tutti gli spermatozoi e gli elementi di secrezione in parte disfatti, sono stati espulsi, allora si ha 1" aspetto della sezione di canalino innanzi notata. Se gli elementi descritti dagli autori come nuclei avessero il corpo cellulare ramificato, sarebbe appunto in questi canalini, che i prolun- gamenti protoplasmatici si dovrebbero vedere chiaramente. Eppure que- sti nuclei si vedono compresi in una massa protoplasmatica comune in qualche punto più rifrangente che in altri, la quale spesso limita nettamente il lume del canalino, altre volte verso il centro si pre- senta irregolare. La rigenerazione fisiologica dell'epitelio del canalino spermatico avviene nello stesso modo della rigenerazione fisio-patologica. Già ho dimostrato in altro lavoro ^che se si asporta un pezzo di testicolo ad un animale adulto, si osserva dopo un certo numero di giorni che nella cicatrice ha luogo proliferazione delle tuniche proprie dei ca- nalini rimasti aperti e poi le cellule germinali riempiono questi tubi endoteliali. Nei canalini preesistenti si osserva la necrobiosi dell'epi- telio mobile e nello stesso tempo la proliferazione parietale delle cellule germinali. E questa , secondo me , è la migliore dimostrazione per provare che le cellule germinali non rappresentano l'epitelio fìsso del canalino spermatico, come sostiene Sertoli insieme con molti altri, né sono cellule di sostegno, come ammette Merkel, ma costituiscono la matrice dell'epitelio seminale. 11 processo fisiologico di rigenerazione dell' epitelio seminale ed il fisio-patologico sono identici al processo embrionale di sviluppo del parenchima testicolare? Prima di tutto negli animali ineuigià vi è un accenno di canalini spermatici non si distinguono gli elementi come nel testicolo di un animale adulto. I nuclei si presentano tutti confor- mati nella stessa maniera e non si distinguono cellule germinali e spermatoblasti. Alcuni nuclei sono alquanto più grandi di altri, ma non fanno nulla vedere nel loro intorno, che accenni alle figure ca- riocinetiche delle cellule germinali. Presentano in generale un gra- nulo situato più o meno al centro e granuli piccoli sparsi nel corpo nucleare. Se si osservano testicoli ancora più giovani si vedono al- cuni elementi differenziarsi da quel blastoma fondamentale, che poi diventerà sostanza interstiziale. In altri animali, seguendo lo sviluppo del testicolo, mi sono meglio potuto convincere del modo come si svi- luppa l'epitelio proprio del testicolo, che è diverso da quello, che si — 65 - osserva nella rigenerazione fisiologica doli' epitelio e fisio-patologica. Credo perciò che i processi rigenerativi nell'organo adulto seguano altra via di quella embrionale, quantunque alcuni osservatori in questi ultimi anni abbiano affermato il contrario. Sposso nel centro del canalino invece di osservare gli sperm zoi del solito aspetto, che si coloriscono intensamente e; 1 omogenea- mente e con contorni notti, si notano spermatozoi diversamento con- formati (Fig. 7). Sono più grandi, non hanno contorni netti e si colo- riscono molto meno di quelli soliti. Questo fatto avevo già notato da molto tempo, ma siccome non ancora avevo bene accortalo il modo co- me gli spermatozoi si sviluppano, così per mo ora rimasi,) senza spiega- zione. Escludo completamente che questo aspetto sia dovuto all'azio- ne doi reagenti perchè si può osservare in una sezione un t iglio tras- versale di canalino spermatico, il cui lume è occupato da spermatozoi di questa forma circondato da sezioni di canalini, in cui l'aspetto de- gli spermatozoi è quello solito. Ora veramente non saprei spiegare come il liquido fissatore e poi il colore agissero diversamente sopra gli uni e gli altri cosi vicini. Questi spermatozoi di diverso aspetto sono in via di degenera- zione. Tutti gli autori, che si sono occupati di spermatogenesi, li han- no veduti, ma li hanno interpretati come gradi di trasformazione delle cellule rotonde o figlie, che Jio descritto innanzi come spermatoblasti in via di disfacimento. Non hanno però pensato che questi sperma- tozoi così poveri di sostanza cromatica non possono acquistare l'aspet- to degli altri, che sono ricchi di sostanza cromatica, con contorni netti e quel che più monta, più piccoli. Questi spermatozoi, osservati con lente ad immersione, mostrano nel loro interno minutissimi gra- nuli cromatici ed alla periferia un contorno colorato, più o meno con- tinuo. In quelli in uno stato non avanzato di degenerazione si distin- guono ancora i contorni degli spermatozoi normali, Nelle figure il lettore troverà le diverse forme di questi spermatozoi degenerati, che però mi dispenso dal descrivere. Che degenerazione è questa da cui sono colpiti gli spermatozoi? Dapprima ho creduto trattarsi di degenerazione grassa e pero ho fatto alcune pruove con acido osmico, ma senza risultato positivo. Vera- mente voler sapere di che degenerazione trattasi, mi pare superfluo, perchè è più che sufficiènte l' altera/ione, che si nota nella forma e nel modo, come prendono i colori, per essere convinti che sono spermatozoi diversi molto dai normali. In un taglio trasversale di canalini spermatici, che ne mostra una ventina, facilmente si possono osservare due o tre sezioni, che comprendono questi spermatozoi degenerati. — GG — Quanto alla ragione fisiologica perchè degenerano credo che sia lo stare troppo a lungo nei canalini. La loro degenerazione potrebbe avere uno scopo fisiologico in quanto elio disfacendosi forniscono ma- teriale di nutrizione a quelli già sviluppati o in via di sviluppo. Sa- rebbe inoltre da osservare se negli animali, che non esercitano il potere genitale, aumenta oppur no la degenerazione. È questo un ar- gomento a parte, che ho creduto di non dover trattare, perchè non entra nell'indole delle presenti ricerche. PARTE IL Spermatogenesi negli Uccelli Come nei mammiferi, anche negli uccelli, nel canalino sperma- tico funzionante si distinguono gli elementi in tre strati. Nello ester- no si osservano le cellule germinali, gli sperma toblasti di passaggio fra cellule germinali e spermatoblasti in fase di riposo, gli sperma - toblasti con gomitolo stretto. Queste forme cellulari qualche volta si vedono disposte in un solo strato, addossate alla tunica propria, altra volta i gomitoli stretti costituiscono una seconda serie. In alcune se- zioni sono più abbondanti le cellule germinali, in altre gli sperma- toblasti in fase di passaggio e scarsi i gomitoli stretti. Non è molto frequente osservare in questo strato esterno spermatoblasti con dia- stri, più frequentemente si osservano gomitoli larghi. Mentre nello strato esterno le forme cellulari sopra descritte sono quelle, che costantemente si notano, variano quelle, che costi- tuiscono lo strato medio. Dapprima fo menzione degli spermatoblasti Con diastri di grandezza decrescente dalla periferia verso il centro. Questi non sono disposti in una serie continua, come nello strato esterno, ma a gruppi, in guisa che tra un gruppo e 1' altro rimane uno spazio libero. Questa disposizione a gruppi degli elementi del se- condo e terzo strato si osserva bene specialmente nel Gallo comune; non è ugualmente chiara negli altri uccelli da me osservati. Come nei mammiferi , la divisione degli spermatoblasti in un primo tempo ha per scopo la formazione degli spermatozoi e, avvenuta questa, è de- stinata alla .formazione degli spermatoblasti, che devono effettuare la espulsione dei fascetLi di spermatozoi. Oltre a queste forme si possono osservare in questo strato go- mitoli larghi, sempre disposti a gruppi. Queste forme hanno origine, come le precedenti, dagli spermatoblasti parietali e non mostrano, nei mammiferi, tendenza a disfarsi, perchè si osservano sempre ben colorite e con disposizione regolare dei filamenti cromatici. In questo — 67 — strato final monto si vedono anche spermatoblasti con nuclei fortemente colorati, di forma diversa, che non ricordano nessuna delle ligure cariocinetiche descritte e che io ho chiamato polimorfi. È la sostanza nucleare, che negli intervalli della divisione, assume queste svariate forme. Lo strato interno è costituito da spermatozoi e da elementi pro- venienti dai piccoli astri. Questi ultimi nella maggior parte dello se- zioni sono così strettamente uniti ai fascetti di spermatozoi, che non è possibile farne due strati a parte. Qualche volta gli elementi dello strato medio possono mancare ed allora lo strato esterno resterebbe costituto dagli stessi elementi, lo strato medio sarebbe costituito dalle celialo provenienti dai piccoli diastri e lo strato interno dagli sperma- tozoi. Spesso gli spermatoblasti giovani, che appariscono, veduti con piccolo ingrandimento, con nuclei, il cui contorno si colorisce forte- mente, compresi in una sostanza protoplasmatica comune, si trovano anche tra un gruppo di spermatozoi e l'altro. Gli spermatozoi sono aggruppati in fascetti con le code sempre rivolte verso il lume del canalino e con le teste verso la periferia, compresi anche essi in una sostanza protoplasmatica comune. Questa disposizione degli elementi costituenti il canalino sperma- tico è quella tipica e che ho osservato molto chiaramente nel Gallo comune. Tengo a dichiarare, come ho fatto nella descrizione dei canalini dei mammiferi, che questa disposizione è quella, che più comunemente si osserva, ma che non è costante. Inoltre chi osserva per la prima volta un canalino, se non ha perfetta conoscenza delle diverse forme cellulari, difficilmente riconoscerà tra i diversi strati un limite netto. Spesse volte nello strato esterno sono scarsissime le cellule ger- minali ed abbondanti i gomitoli larghi o stretti e gli spermatoblasti in fase di passaggio. Nel Verdone lo strato esterno è costituito spesso da una serie di cellule germinali e gomitoli stretti o spermatoblasti di passaggio, poi immediatamente, senza nessun limite netto, seguono gomitoli larghi in più serie in guisa da costituire uno strato abba- stanza spesso. In seguito, separati nettamente da questi, seguono gli elementi con piccoli nuclei, colorati alla periferia e con un granulo al centro, provenienti dai piccoli astri, uniti insieme con gli sperma- tozoi ordinati in fascetvi (Fig. 15) Ora qui non è possibile ordinare gli elementi del canalino sola- mente in tre strati , perchè , a voler essere rigorosi , si distinguono dalla periferia verso il contro i seguenti elementi: 1° cellul nati, gomitoli stretti, spermatoblasti di passaggio. 2° Gomitoli larghi. 3° Cellule di secrezione. 46 Spermatozoi. Questo fatto si nota sempre — 68 — che, avvenuta la formazione degli spermatozoi, continua la prolife- razione degli spermatoblasti per la produzione delle cellule di secre- zione. In conclusione si può dire che finché la divisione degli sper- matoblasti riguarda la produzione degli spermatozoi , è possibile la distinzione degli elementi in tre strati, ma quando, prodotti gli spermatozoi, continua la proliferazione, allora tra lo strato medio ed i fascetti di spermatozoi si aggiungono le cellule di secrezione. Quanto al modo di formazione degli spermatozoi è lo stesso di quello, che ho descritto nei mammiferi. Le cellule germinali danno gli spermatoblasti, che, dividendosi, producono piccoli astri, ciascuno dei quali si muta in uno spèrma tozoide. Solo è da notare che non avendo osservato disfacimento degli spermatoblasti credo che tutti questi sieno destinati alla formazione degli spermatozoi in un primo tempo e che in seguito , formati gli spermatozoi al centro , diano le cellule di secrezione. Per quante sezioni io abbia fatto, non ho osservato nessun cana- lino rivestito solo da cellule germinali. Ho osservato invece che in alcune sezioni erano molto più abbondanti nello strato periferico le cellule germinali. Ciò vuol dire che la formazione degli spermatozoi è continua e sempre che gli spermatoblasti hanno dato, dividendosi, spermatozoi ed elementi di secrezione, prima anche che questi ven- gano espulsi, continua alla periferia la proliferazione delle cellule germinali. Stante la grande attività formativa sono rare le cellule germi- nali, che mostrano tutte le fasi cariocinetiche descritte, giacché quasi tutte fanno vedere proliferazione delle masse cromatiche e più non si distingue la sostanza acromatica. Pure se si fanno molti preparati a dissociazione e molte sezioni, riuscirà, osservando con lente ad im- mersione, di vedere le cellule germinali con tutte le fisi cariocine- tiche descritte. La sostanza acromatica è fusiforme, le due masse cro- matiche sono puntiformi e non mostrano però il punto chiaro nel centro. Tutta la cellula è piuttosto piccola ed è contornata dal solito protoplasma, in cui sono compresi tutti gli elementi del canalino. Si nota anche la così detta rete protoplasmatica, di cui ho già data la spiegazione. Gli spermatoblasti con fase di passaggio e di riposo non mostrano nulla di particolare, che sia degno di nota. Quanto alle forme gomitolari se ne distinguono due chiaramente. La forma go- mitolare stretta si presenta coi filamenti cromatici molto ravvicinati gli uni agli altri, in modo che nella massa del nucleo è difficile di-v stinguerli e solamente alla periferia so ne vedono alcuni liberi equi si osserva che s-mo molto sottili. L'altra forma gomitolare è quella larga, in cui i filamenti cromatici sono separati gli uni dagli altri — G9 — e non lasciano stabilirò nessuna disposizione costante. Non sempre chiaramente si distinguono masso residuali. Gli spermatoblasti con diastri grandi presentano le anso cromatiche molto ravvicinate, sicché non si distinguono. Lo stesso dicasi della piastra equatoriale. I diastri piccoli, che ancora mostrano la figura acromatica, filino vedere i filamenti cromatici solo verso lo interno. Quando poi la fi- gura acromatica più non si vede, allora ciascuno veduto di profilo si mostra di forma semilunare con la parte concava rivolta là, dove esisteva la figura acromatica, con la parte convessa allo esterno. Il eentro della semiluna apparisce meno colorato, perchè corrisponde al punto intorno a cui erano raggruppate le anse cromatiche. Scomparsa dunque la figura acromatica, ciascuno di questi pic- coli astri è costituito da sostanza cromatica ed acromatica ed è però l'equivalente di un nucleo. Il protoplasma circonda allo intorno questi elementi. Veduti con la faccia interna rivolta allo osservatore appari- scono in forma di anello fortemente colorato con uno spazio chiaro al centro, che corrisponde al centro del piccolo astro (Fig. 93 e 94). Questi piccoli astri modificati e destinati a mutarsi ciascuno in spermatozoide si vedono aggruppati insieme nello interno dei cana- lini, quando non ancora si osservano gli spermatozoi. Questi stessi elementi, quando in un primo tempo si sono mutati in spermatozoi, in un secondo tempo, continuando la divisione degli spermatoblasti, diventano spermatoblasti gomitolari molto più piccoli di quelle due forme innanzi descritte e che si distinguono anche da quelli per la sede perchè si trovano accanto agli spermatozoi. Avviene una rare- fazione della sostanza cromatica e si formano filamenti disposti per lo più in una sola direzione. Sono questi quei nuclei , che , aumentando di volume, non si coloriscono più e si disfanno, presentando solo alla, periferia un poco di sostanza cromatica residuale, che poi scompare del tutto. Mi resta ora a dire il modo come i piccoli astri modificati dieno luogo alla formazione degli spermatozoi. Ciascuno degli elementi in- nanzi descritti comincia ad allungarsi nel senso dell'asse, che passa per il centro dell'astro. E già quando comincia l'allungamento si osserva una piccola appendice allo estremo posteriore , che secondo la mia opinione è l'accenno della coda (Fig. 95). In questo stadio mostrano sempre nel centro una parte meno colorata, che è la parte corrispon- dente al centro dell'astro. La parte, che corrisponde a quella con- cai si mantiene sempre tale, mentre dura rallungamene). Quando poi lo spermatozoide per l'ulteriore allungamento si assottiglia, allora si vede terminare piatto ad una estremità, 1' anteriore, in punta allo estremo opposto, ove si attacca la coda. Non ho notato tratto me- - 70 — diano nei preparati colorati. Questo, che ho detto, riguarda il Gallo comune. Le stesse cose, meno poche differenze nella forma, ho no- tato negli altri uccelli studiati. Nel Verdone gli elementi provenienti dai piccoli astri hanno la forma di una scodella con una bocca ab- bastanza larga, che persiste anche quando si allungano ed hanno rag- giunto il completo sviluppo (Fig. 96). Gli spermatozoi sviluppati sono più corti di quelli del Gallo ed un poco più larghi. Ad un estremo, l'anteriore, continuano a mostrarsi concavi, all'altro terminano un poco arrotondati (Fig. 119). Negli uccelli non ho notato forme di spermatozoi, che facessero pensare ad uno stato di degenerazione. Quanto alla rigenerazione fisiologica ho già detto innanzi che questa non avviene quando tutti gli elementi sono stati espulsi , ma ha luogo continuamente alla periferia per la maggiore quantità di spermatozoi, che si produce in questi animali. PARTE III. Spermatogenesi nei Rettili. Mentre negli uccelli la distinzione degli elementi del canalino spermatico funzionante in tre strati, quando non ancora sono stati prodotti gli elementi di secrezione, è in alcune sezioni possibile, noi rettili si fa sempre più rara questa possibilità. Infatti solo rare volte mi è capitato di osservare la sezione di qualche canalino, in cui net- tamente si potevano distinguere i tre strati. In questo caso nello strato esterno ho osservato come al solito cellule germinali dispo- ste a coppia, spermatoblasti con fase di passaggio, con fase di riposo e con gomitoli stretti. Gomitoli stretti si notano anche in una seconda serie. Nello strato medio si osservano o spermatoblasti con diastri, più grandi verso la periferia e più piccoli verso lo interno, o gomi- toli larghi o spermatoblasti con nuclei polimorfi. Lo strato interno è formato dagli spermatozoi, i quali non sono disposti in gruppi, gli uni accanto degli altri, ma senza alcun ordine si vedono occupare il lume del canalino. Prodotti gli spermatozoi al centro del canalino, continua la pro- liferazione degli spermatoblasti per la produzione delle cellule di secrezione e quando queste sono formate, non è più possibile distin- guere tre strati solamente. Restano sempre gli stessi elementi costi- tuenti lo strato esterno, medio ed interno, si aggiungono solamente tra gli spermatozoi e gli spermatoblasti dello strato medio le cellule di secrezione. D'altra parte considerando come queste cellule hanno — 71 la stessa origine degli spermatozoi e si trovano sempre strettati! unite con i medesimi e separate dagli spermatoblasti dello strato medio, potrebbero riunirsi insieme in un solo strato e però continuare a raggruppare gli elementi del canalino spermatico funzionante nei soliti tre strati. Le stesse considerazioni ho fatto anche trattando degli uccelli. I nuclei delle cellule di secrezione veduti con piccolo ingrandi- mento appariscono compresi in una massa protoplasmatica comune e colorati intensamente solo alla periferia. Al centro non mostrano granuli cromatici. Si presentano così in uno stadio avanzato di loro vita. Se si osservano quando sono giovani, allora si mostrano ro- tondi ed intensamente colorati. Come dirò in appresso l'unico crite- rio che possa far giudicare che questi sono nuclei di cellule di se- crezione giovani è quello di vedere verso il centro del canalino già formato buon numero di spermatozoi , giacché se al centro non vi fossero questi, non si potrebbe dire con certezza a che sono destinati questi nuclei, se a formare spermatozoi o cellule di secrezione. Con più probabilità, quando occupano il lume del canalino, si mutano in spermatozoi. Come negli uccelli, anche nei rettili il modo di formazione degli spermatozoi è lo stesso. Le cellule germinali danno gli spermatoblasti, i quali dividendosi danno prima luogo alla formazione degli sperma- tozoi e poi producono le cellule con nuclei rotondi, che devono nu- trire gli spermatozoi ed effettuarne la espulsione, essendo destinata a ciò la continua proliferazione degli spermatoblasti, quantunque al cen- tro del canalino vi sieno molti spermatozoi. Nei rettili non ho veduto sezioni di canalini, in cui si osserva proliferazione di cellule germinali e più nulla e però ritengo che anche nei rettili ha luogo continuamente aumento di cellule germina- li, mentre ancora vi sono spermatoblasti e spermatozoi! e ciò perchè vi è bisogno di abbondante formazione di spermatozoi e di cellule di secrezione. Non ho mancato di osservare alcuni testicoli di rettili nei mesi più freddi dello inverno, in cui questi animali sono in letargo. Il te- sticolo mi si è presentato della seguente struttura : alla periferia dei canalini uno strato abbastanza spesso di nuclei, alcuni con un granulo cromatico, altri con più granuli, compresi in un protoplasma comune. Nel centro dei canalini molti spermatozoi (Fig. 19). Lo si - i aspetto avevano le sezioni di canalini di un testicolo di testuggine giovane, solo che al centro dei canalini non vi erano spermatozoi ed i corpi cellulari erano meglio limitati (Fig. 30). Il testicolo dei rettili, che cadono in letargo, ritorna quindi al tipo embrionale rimanendo gli - 72 - spermatozoi al centro nel caso che ve ne erano nel tempo in cui l'a- nimale è caduto in letargo. Intorno alla quistione se questi sperma- tozoi rimangono durante il periodo di letargo in una vita latente e finito tale periodo sono ancora atti a fecondare non posso dire nulla, non avendo fatto ricerche a tale proposito. Alla osservazione con lente ad immersione le cellule germinali mostrano la sostanza acromatica in forma di fuso, le due masse cro- matiche unite al fuso sono puntiformi e non mostrano spazio chiaro al entro. Le altre figure cariocinetiche di queste cellule si osservano, ma bisogna fare molte sezioni per poterle vedere tutte e ciò per il fatto, che ho notato anche negli uccelli che cioè avviene subito la trasformazione in spermatoblasti di passaggio. Questi, come al solito, sono più [acculi e mostrano it nucleo intensamente colorito con gra- nuli cromatici di diversa grandezza e filamenti cromatici sottilissimi. Nella fase di riposo i granuli cromatici sono più numerosi ts filamenti sottili uniscono questi granuli tra di loro. Intorno alle fasi gomitolari devo dire che si distinguono chiaramente come negli uccelli, un go- mitolo stretto, in cui i filamenti cromatici sono molto sottili e molto ravvicinati tra di loro ed un gomitolo largo, in cui i filamenti al- quanto più larghi, costituiscono maglie larghe. Non sempre chiara- mente si vedono masse acromatiche residuali , né ho potuto vedere nettamente la forma che qu> ste presentano. Negli spermatoblasti con piastra equatoriale le anse cromatiche sono molto ravvicinate tra di loro e solo nelle parti, che si guardano dei due astri, si osservano i filamenti cromarci isolati, che qualche volta congiungono insieme i due astri. Lo stesso vale per gli spermatoblasti con diastri piccoli Dai piccoli astri, dopo che è scomparsa la figura acromatica, hanno origine i nuclei in l'orma di lunula , con la piccola bocca, che corri- sponde al centro del piccolo astro (Fig. 97). L'aspetto di questi astri modificati, perchè le anse cromatiche si sono fuse insieme, veduti di profilo e di prospetto è perfettamente identico a quello descritto negli uccelli e però qui mi risparmio di ripetere tale descrizi me. Da ciascuno di questi nuclei ha origine uno spermatozoide o un nucleo delle cellule di secrezione. So devono dare origine agli spermatozoi, non subiscono un al- lungamento in toto, come avviene negli uccelli, ma dal polo posteriore cominciano dal mandare un prolungamo;!: (abbastanza spesso, mentre la parte anteriore continua a conservare la forma serailunare con la piccola bocca ancora evidi . ] . Rimane quindi stabile anche pei rottili la ' he L'allungamento .lolle teste di spermatozoi av- riene smpre nel senso dell'asse, che passa por il centro del piccolo a tro tri formato. Continua sempre l'allungamento, finché lo sperma- — 73 — tozoide completamente sviluppato acquista la forma di un baston alcune volte retto, altre volte, ed è ciò che osservasi più spesso, curvo. L'estremità anteriore , che corrisponde alla borea del nucleo prove- niente dal piccolo astro, termina tagliata nettamente, l'altro estr ove attaccasi la coda, termina in punta. Anche in questi spermatozoi, come in quelli degli uccelli, non si distingue chiaramente trailo me- diano. La coda quindi come in tutti gii animali (inora ricreati , ha origino dalla parte del piccolo astro opposta a quella , che guarda l'astro compagno. La estremità anteriore dello spermatózoide curri- sponde alla parte del piccolo astro, che guarda il compagno. Itagli stessi nuclei provenienti dai piccoli astri hanno origin i i nuclei delle cellule destinate a disfarsi per nutrire gli spermatozoi e per favorire la loro espulsione. Questi nuclei appariscono colorati alla periferia ed i più piccoli mostrano ancora nel loro interno un reticolo cromatico, i più grandi solo granuli cromatici sparsi. I più piccoli fanno vedere ancora la piccola bocca, che appare nei nuclei veduti di profilo come una interruzione della capsula cromatica, in quelli veduti di prospetto, come un cercine limitato da un contorno colorato In quelli più grandi non si distingue più nulla (Fig. 141). Qui è bene far notare che i nuclei provenienti dai piccoli astri, quando non si mutano in spermatozni, diventano più grandi ed a mano a mano che ingrandiscono, la sostanza cromatica subisce rarefazione, in modo da dare origine ad un reticolo cromatico. Quando invece gli stessi nuclei devono mutarsi in spermatozoi, non divengono più grandi e si mo- strano sempre intensamente ed omogeneamente colorati, anche dopo che hanno dato origine al prolungamento descritto innanzi. PARTE IV. Spermatogenesi negìi Anfibi. Negli animali finora studiati si possono distinguere gli elementi costituenti l'epitelio del canalino spermatico in strati dalla periferia verso il centro; negli anfibi questa distinzione non è più possi >ile. La disposizione degli elementi nel canalino seminale degli anfibi ricorda quella, che si osserva nel testicolo dei selaci, di cui discorrerò nel capitoli seguente. Sicché il testicolo degli anfibi rappresenta come struttura l'anello di unione tra i testicoli delle tre classi di animali finora ossei vati e quello dei selaci. La prima cosa, che colpisce l'oc- chio di chi osserva le sezioni di testicolo di Rana esculenta , che scelgo come tipo di descrizione, è che gli spermatoblasti nella me- desima fase cariocinetica sono ordinati in gruppi come tanti sei — 74 — In ciascuno di questi gruppi si osservano gli spermatoblasti, che negli altri animali costituivano strati diversi. Così in un settore si osser- vano tutti spermatoblasti con diastri, più grandi quelli alla periferia, più piccoli quelli verso il centro; in un altro settore si osservano spermatoblasti in fase di riposo; in un altro spermatoblasti con nuclei polimorfi; in un altro spermatoblasti con gomitoli di diversa forma. Tutti i nuclei di questi spermatoblasti sono compresi in un proto- plasma comune, che limita nettamente un gruppo dall'altro. Alla pe- riferia di questi gruppi qualche volta si osservano alcuni nuclei, di cui in seguito dirò la struttura, veduti da la Valette e dinotati col nome di nuclei follicolari, perchè secondo lui sono i rappresentanti dei nuclei dell'epitelio del follicolo di Graaf. Sono stati veduti anche da Duval e da lui designati col nome di nuclei granulosi. Mentre La Valette a questi nuclei non attribuisce alcuna parte nella formazione degli spermatozoi, Duval dà loro maggiore impor- tanza, perchè crede che prendano parte alla sperma togenesi. Dirò in seguito quello che penso a questo proposito. Allo insieme dagli sper- matoblasti riuniti in diversi gruppi tanto La Valette, che Duval danno il nome di cisti spermatiche, noma veramente, che non so con quanta ragione possa applicarsi a gruppi di elementi nob rivestiti da nessu- na membrana endoteliale o connettivale. Tra le basi delle cisti spermatiche si osserva un nucleo grande, con granuli di diversa grandezza, compreso in un protoplasma ab- bondante, che è stato descritto tanto da La Valette che da Duval, co- me nucleo dell'ovulo maschile (Fig. 20). A questo nucleo, perchè nello interno mostra la solita figura cariocinetica , descritta nelle cellule germinali degli altri animali, io do il significato di cellula. In contatto col protoplasma, che circonda questo nucleo degli autori e stretti da due. cisti, spesso si trovano gli spermatozoi disposti in fascetta, con le teste strettamente ravvicinate le une alle altre e con le code rivolte verso il lume del canalino. Accanto alle teste d^gli spermatozoi vi sono alcuni granuli cromatici, che non hanno il valore di quelli de- scritti nei mammiferi, sibbene rappresentano, come spiegherò in se- guito, nuclei provenienti da piccoli astri, che non ancora hanno su- bito 1' allungamento. 1) ipo quanto ho detto, è facile spiegare il modo di formazione delle cisti spermatiche e degli spermatozoi. La cellula germinale, che si trova tra le basi di due cisti, si di- vide e dà un certo numero di spermatoblasti in fase di passaggio, che poi passano in spermatoblasti in fase di rip iso, poi in gomitoli e così via dicendo daranno un numero di spermatoblasti, il cuieff-tto sarà prima quello di espellere gli spermatozoi, che si trovano tra le due — 75 — cisti vicine e poi, continuando a dividersi, di costituire una nuova cisti. Negli anfibi quindi il meccanismo di espulsione degli spermatozoi ha luogo per la formazione dello nuove cisti dalla parete. Non avviene come negli animali finora studiati, disfacimento di elementi pi nienti dai piccoli astri, perchè mi sono assicurato che tutti i piccoli astri si mutano in spermatozoi. Più facilmente si osservano cisti con spermatoblasti nella mede- sima fase cariocinetica, quando tutti gli spermatoblasti della cisti sono in fase di riposo ed allora tra le cisti vi sono molti spermatozoi, o quando trattasi di spermatoblasti con diastri ed allora la cisti è in grande attività per la produzione di spermatozoi. Invece le cisti in cui si vedono spermatoblasti con fase gomitolare, mostrano qualche volta anche qualche altra figura cariocinetica. Importante a dirsi è che non tutte le cellule germinali pi nienti dalla divisione di quella unica, che trovasi tra le basi fi: due cisti, mutansi in spermatoblasti, ma ne resta una o più per ris destinate a dare nuove cisti, sempre che quelle prodotte prime ab- biano già dato spermatozoi. Spesso nella Rana ho osservato che tra due cisti, le quali mo- stravansi in grande attività, perche costituite da spermatoblasti con diastri di diversa grandezza vi erano due o tre cellule germinali, una delle quali mostrava la figura cariocinetica tipica, cioè piccole masse cromatiche unite alla sostanza acromatica e le altre già face- vano vedere proliferazione delle masse cromatiche e scomparsa della sostanza acromatica per dare spermatoblasti. Questo fatto dimostra la grande attività formativa, che ha luogo nel testicolo degli anfibi. Quanto ai nuclei fol'icolari di La Valette o nuclei granulosi di Duval per me sono nuclei di spermatoblasti in fase di passaggio, de- stinati come la cellula germinale, a mutarsi in &permatnblasti, sem- pre che gli spermatoblasti attivi si sieno mutati in spermatozoi. Questo fatto è confermato dalla osservazione che nelle cisti molto ripiene di spermatoblasti con diastn non si osservano nuclei follico- lari alla periferia, mentre si- osservano nelle cisti ripiene di sper- matoblasti con fasi di riposo e goraitolari. Credo quindi ohe quando le cisti entrano in maggiore attivila formativa, esagerando il proces- so di divisione degli spermatoblasti. anche i nuclei follicolari vi pren- dano parte e se alcuni restano inattivi, hanno lo stesso ufficio della cellula germinale, che si trova alla periferia, addossata alla tunica propria, cioè quello di produrre nuovi spermatoblasti, quando quelli attivi si sono mutati in spermatozoi. Ciascuna cisti spermatica del canalino seminale degli anfibi può benissimo paragonarsi ad una ampolla del testicolo di un selacio. Co- — 76 — me in questa alla periferia vi sono le cellule germinali, così alla pe- riferia delle cisti spermatiche degli anfibi vi sono le identiche cellule con questa differenza però che nella ampolle dei selaci le cellule ger- minali hanno lo stesso aspetto, nelle cisti degli anfibi invece quelle della periferia sono più grandi e quelle descritte come nuclei folli- colari sono più o meno allungate per la giusta posizione delle cisti medesime. Rimanendo alla periferia qualche cellula germinale ed avvenen- do la trasformazione in spermatozoi di tutti gli elementi di una cisti, avviene spesso di vedere diversi fascetti di spermatozoi, compresi fra due cisti, stare in rapporto con la cellula germinale. Sopra questo rapporto, che si spiega facilmente col meccanismo di formazione delle cisti e degli spermatozoi, hanno discusso molto gli autori ed Ebner ha fondato la sua teoria della spermatogenesi, teoria ora abbando- nata dalla maggior parte degli osservatori e da lui stesso. Questo rapporto potrebbe far nascere il sospetto che fosse fisiologico per gli spermatozoi in quanto che ricavassero nutrizione dal protoplasma, che circonda il nucleo della cellula germinale degli autori. È questa una supposizione, che non ho nessun fatto per rendere certa. Come negli altri animali osservati anche nella Rana avviene di osservare un canalino, il quale alla periferia m )stra cellule germi- nali scarse con molti nuclei in fase di passaggio e riposo disposti in una o due serie e poi verso il lume fascetti di spermatozoi (Fig. 21). E un canalino, in cui avviene la rigenerazione fisiologica dell'epitelio. Questa osservazione si può fare solo quando si ha il caso di avere sezionato un canalino in cui tutti gli sperma toblasti delle cisti si sono mutati in spermatozoi. Lo cellule germinali con le fasi cariocinetiche già descritte ne- gli altri animali sono rare a riscontrarsi nel testicolo degli anfibi e la ragione di ciò sta nel fatto che queste cellule subitamente si di- vidono por dare spermatoblasti in fase di passaggio. Le due masse cromatiche sono molto piccole, quasi puntiformi, la massa acroma- tica invece è abbastanza grande e di forma sferica. Intorno a questa figura cariocinetica si osservano granuli cromatici piccoli. Se si ri- cercano molte sezioni, si vedono anche le altre fasi cioè il distacco delle masse cromatiche dalla sostanza acromatica, la divisione di que- sta in due parti, che prendono subito di nuovo la forma sferica, il ravvicinamento di queste duo sfere ai due punti cromatici e final- mente la divisione del corpo cellulare. Alcune di queste fasi si pos- sono vedere l'una accanto dell'ultra, se si trova una sezione di cana- lino con proliferazione di queste cellule. In alcuni canalini si vedono di queste cellule che mostrano duo masse acromatiche sferiche e nel — 77 — corpo non presentano più punti cromatici , ma filamenti in vario di rezioni e granuli cromatici molto piccoli. Altre presentano una ncassa acromatica e nel loro corpo già vi è un chiaro accenni' di reticolo cromatico. Questo fatto potrebbe fa re psnsare ad un passaggio diretto (lolla cellula germinale in un gomitolo largo senza dare sp -rinatobla- sto in fase di passaggio odi riposo. Questa stessa osservazioni; è ita da me fatta nel Gatto e darebbe spiegazione della esistenza nelle forme gomitolari delle masse acromatiche residuali, le quali corrispondereb- bero alle masse acromatiche delle cellule germinali (Fig. 11 e 45). L'elemento in fase di passaggio presenta il nucleo intensamente colorato e provveduto come negli altri animali di granuli cromatici più grandi, meno numerosi , di granuli cromatici piccolissimi , molto numerosi e di filamenti cromatici, alcuni liberi, altri, che uniscono tra loro i granuli cromatici più grandi. I nuclei follicolari si differenziano dalle cellule germinali perchè sono più piccoli e perchè non mostrano le figure cariocinetiche, che caratterizzano quelle. Presentano una massa acromatica piccola, sfe- rica e più granuli cromatici sparsi nel corpo. Spesso un granulo cro- matico è unito alla massa acromatica (Fig. 46). Di forme gomitolari re ne distinguono due; una in cui le anse cromatiche sono molto ravvicinate le une alle altre ed i filamenti sottili, un'altra, in cui le anse cromatiche sono più distanti tra di loro, in modo che il nucleo nello insieme è quasi del doppio più gran- de del precedente ed i filamenti un poco più spessi. Intorno alla di- sposizione di questi filamenti cromatici in questa seconda forma non ho potuto stabilire nessuna regola. Nell'altra forma si vedono qualche volta in una metà del nucleo i filamenti cromatici molto ravvicinati tra loro e nell'altra metà più distanti in modo da distinguersi gli uni dagli altri. È questa una forma gomitolare , che accenna a dare un gomitolo largo (Fig. 65). I monastri e diastri fanno vedere chiaramente le anse cromati- che, se grandi; non ugualmente distinte, se piccoli. Anche negli anfibi, come negli altri animali si osservano sper- matoblasti con nuclei polimorfi. Sono masse cromatiche più o meno grandi, globulari, riunite insieme senza nessuna regola. Alcune di que- ste masse cromatiche sono spesso distaccate dalle altre (Fig. 75 a 79). Non saprei dire se sono questi nuclei quelli descritti anche da Bellonci, perchè le sue figure non corrispondono punto a quo li da me veduti. Sono forme, che prendono i nuclei cariocinetici nello in- tervallo della divisione. Spesso le masse cromatiche sono più grandi e giustaposto in modo che per il contatto reciproco assumono forma speciale. Altre volte queste masse si mostrano allontanate le une dalle altre ed il nucleo nello insieme appare più grande. Queste masse poi mandano prolungamenti cromatici sottili, per mezzo dei quali si riu- niscono tra loro. Da questa forma si può in seguito ad ingrossamento di questi filamenti per relativo impicciolimento delle masse cromati- che , da cui partono , avere un gomitolo largo. Questi nuclei sono quindi in istretto rapporto con la cariocinesi e sono perciò attivi. Negli spermatoblasti del Triton cristatus ho osservato un l'atto degno di nota. Alcuni spermatoblasti mostrano i nuclei con la so- stanza cromatica ridotta alla periferia, in modo da costituire una ve- ra capsula cromatica, non ugualmente spessa in tutti i punti. In altri non si vede questa capsula cromatica, ma invece la sostanza croma, tica è fusa in due o più masse, più o meno rotonde (Fig. 143). Que- sto forine nucleari sono state vedute anche dal Flemming nei testi- colo di Salamandra e spiegate come fasi di degenerazione, a cui ha dato il nome di cromatolitica. Anche prima di leggere il lavoro del Flemming, io avevo già osservato la fusione della sostanza croma- tica negli spermatoblasti dei testicoli operati e la formazione della capsula cromatica mi aveva fatto pensare anche in questo caso ad un fatto degenerativo. I nuclei provenienti dai piccoli astri e destinati alla produzione degli spermatozoi sono diversi, se veduti di prospetto o di profilo. Nel primo caso appariscono come masse rotonde fortemente colorate con uno spazio chiaro nel centro, che corrisponde al centro del piccolo astro (Fig. 99). Se sono veduti di profilo appariscono ovali e più non si vede la piccola apertura. Dalla parte opposta all' estremo anteriore si nota un appendice colorata, che è la prima origine della coda (Fig. 100). Questa osservazione conferma quella già fatta negli altri ani- mali, che cioè la coda appare prima che la testa abbia raggiunto il suo completo sviluppo. In seguito questi nuclei si allungano, conser- vando la stessa spessezza. La parte anteriore dello sKermatozoide è arrotondata ed un poco più spessa della parte posteriore, dove si attacca la coda. Nella Rana esculenta, non ho veduto tratto mediano. Nel Triton cristatus, in cui lo sviluppo degli spermatozoi avviene in modo identico osservasi che dopo la parte fortemente colorata e molto più lunga che non nella Rana segue un piccolo tratto della stessa spessezza della parte colo- rata e che non prende il colore (Fig. 122) A questa si attacca il fi- lamento codale. Non saprei diri; se questa parte non colorata corri- sponda oppur no al tratto mediano degli spermatozoi dei mammiferi, questi '• tratto mediano a differenza della testa si colorisce molto più intensamente. 1 fatti da me osservati nella spermatogenesi degli anfibi sono per- — 79 — lettamente di accordo con quelli osservati dal Flemming nel suo ultimo lavoro intorno alla spermatogenesi della Salamandra maculosa. In- fatti egli ammette che la testa dello sperma tozoide -si forma dal nu- cleo della spermatide e tutta la cromatina si trasforma nulla testa fortemente colorata. Rimane ancora in dubbio, se la sostanzi acro- matica del nucleo prende parte alla formazione dello sperma tozoide. Secondo la mia opinione però la parte fortemente colorata è la cromatina, la coda è acromatina. Ciò vale par lo spcrmatozoide svi- luppato. Ho già dotto innanzi che la coda, ne! suo primo apparire come una piccola appendice dell' astro modificato, prende il colore e che poi allungandosi non si colora più. Negli spermatozoi, che devono ancora raggiungere il completo sviluppo ed in quelli completamente sviluppati osservasi spesso che la sostanza cromatica non è ugualmente distribuita, ma qua e là vi sono dei punti, in cui non se ne vede, quasi come se fosse avvenuta una rarefazione. Questo fatto , notato anche negli spermatozoi del Gallo, resta senza spiegazione e non so se è normale o dovuto a de- generazione (Fig. 123). PARTE V. Spermatogenesi nei Pesci Ho studiato la spermatogenesi nei selaci. Gli elementi destinati alla produzione degli spermatozoi sono contenuti in vescichette detto ampolle , ciascuna delle quali morfologicamente è equivalente ad un canalino spermatico. Infatti alla periferia è limitata da una tunica propria endoteliale ed allo interno di questa si osservano le cellule germinali, le quali alcune volte costituiscono una serie continua, altre volte sono scarse e tra loro si vedono gli spermatoblasti con nuclei in fase cariocinetica. La prima osservazione, che si fa vedendo una sezione di testicolo funzionante di un selacio è che non tutte le ampolle sono nel medesimo grado di sviluppo. Alcune sono più piccole e sono quelle più giovani, altre più grandi e sono quelle, nelle quali o si osserva attiva prolife- razione degli elementi o vi si trovano già gli spermatozoi sviluppati. Qui non parlerò della origine delle ampolle, quistione, che tratterò in un altro lavoro e perciò descriverò solamente quella varietà di am- polle, che per grandezza sono medie fra quelle appena sviluppate e quelle, che hanno raggiunto il completo sviluppo. Queste ampolle, medie per grandezza, sono quelle in cui comincia appena la proliferazione — 80 — degli elementi per darne un numero determinato necessario alla pro- duzione degli spermatozoi. L'aspetto di queste ampolle è il seguente: alla periferia si vedono cellule germinali e tra queste spermatoblasti con fase gomitolare , i quali sono disposti in più serie verso il lume dell'ampolla. A questi seguono dei nuclei più o meno allungati, ordi- nati in due serie, con il loro asse più lungo secondo il raggio dell'am- polla. Alcuni di quelli, che si trovano più perifericamente, stanno tra gli spermatoblasti gomitolari; quelli centrali sono molto ravvicinati gli uni agli altri. Questi nuclei sono quelli designati dallo Swaen e Masquelin e dall'Hermann col nome di nuclei follicolari ed il cui significato fi- siologico non è da loro chiaramente spiegato (Fig. 26). Una ampolla giovane è costituita solamente da nuclei follicolari. La trasformazione di questi nuclei in spermatoblasti avviene dalla periferia verso il cen- tro, rimanendo però alcuni di questi non trasformati alla periferia, come cellule germinali destinate a produrre nuovo epitelio , quando quello prodotto per una prima divisione abbia dato gli spermatozoi. I nuclei follicolari dunque, che si notano verso il centro delle ampolle medie sono destinati, come quelli periferici, a mutarsi in spermatobla- sti. Questa asserzione è confermata dallo osservare che, aumentando il volume delle ampolle, diminuisce il numero dei nuclei follicolari. Infatti nelle ampolle un poco più grandi di quelle finora descritte gli spermatoblasti con fasi cariocinetiche sono più abbondanti ed i nuclei follicolari formano una sola serie verso il centro. Finalmente nelle ampolle, che hanno raggiunto il volume massimo non si osservano punto nuclei follicolari. Quando tutti questi nuclei si sono trasformati in spermatoblasti, comincia la serie di trasformazioni per la produzione degli sperma- tozoi. Per lo più gli spermatoblasti di un'ampolla si mostrano nella medesima fase cariocinetica e quando i piccoli astri si sono mutati negli elementi destinati ciascuno a trasformarsi in spermatozoide, in tutta l'ampolla presentano per lo più il medesimo grado di sviluppo. Questo è ciò, che si osserva più comunemente. Anche questa legge ha le sue eccezioni e qualche volta in una stessa ampolla si vedono al- cuni spermatoblasti di un settore con diastri e quelli del settore vicino con gomitoli. Più raramente si osservano ampolle, nelle quali accanto ai nuclei provenienti da piccoli as'tri vi sono spermatoblasti con fase cariocinetica. Ho anche osservato, ampolle in cui alcuni dei nuclei provenienti da piccoli astri cominciavano ad allungarsi ei altri non ancora. In qualunque fase sieno gli elementi, che costituiscona l'ampolla, alla periferia notansi sempre le cellule germinali. Quando il conte- nuto delle ampolle è fatto da spermatoblasti con gomitoli, diastri o — 81 — monastri, non si nota nessuna regolarità n*ila disposizione. Sono or- dinati in più serie e lasciano poco spazio libero al centro. *Son è così per i nuclei provenienti da piccoli astri, la cui disposizione Ilo rico- nosciuto perfettamente identica a quella descritta dall'Hermann. Si di- spongono allora in settori lunghi e stretti, e ciascuno è nettamento separato da quelli vicini. Tagliati questi gruppi trasversalmente appa- riscono cosi, come li ho disegnati cioè una corona di nuclei compresi in una massa protoplasmatica comune (Fig. 25). Oliando questi nuclei cominciano ad allungarsi, serbano la stessa disposizione e solo, dopo che hanno raggiunto il completo sviluppo, si mettono gli uni accanto agli altri in fascetti. Ai gruppi di nuclei destinati a mutarsi in sperma- tozoi gli autori, seguendo la nomenclatura del La Valotte, hanno dato il nome di spermatogemme. Da principio i fascetti di spermatozoi sono posti gli uni accanto agli altri in modo da formare uno strato con- tinuo, con le code rivolte vèrso il centro dell' ampolla, con le teste verso la periferia, comprese nel protoplasma, che circonda i nuclei delle cellule germinali. In seguito si stringono in gruppi gli uni vi- cino agli altri e ciascun gruppo è compreso nel protoplasma, che cir- conda i nuclei periferici. Intorno a questo rapporto ripeto ciò, che ho detto nel capitolo precedente; è un rapporto, che si può spiegare col meccanismo stesso di formazione degli spermatozoi. Si potrebbe anche qui mettere in- nanzi la ipotesi che questo rapporto fosse fisiologico per la nutrizione degli spermatozoi. Non ho nessun fatto, che renda certa questa ipo- tesi. Le code degli spermatozoi sono anche ravvicinate tra di loro e descrivono una curva verso il centro dell' ampolla. Il ravvicina- mento delle teste comincia dalle estremità, che guardano la parete dell' ampolla e poi procede verso il centro (Fig. 24). Un fatto degno di nota è il seguente: spesso osservansi ampolle, che al centro mostrano fascetti di spermatozoi, i quali hanno perduto il rap- porto con le cellule germinali ed alla periferia mostrano la prolifera- zione di queste cellule (Fig. 22). Questa osservazione fa pensare a due cose: la prima è che appena gli spermatozoi stanno per essere espulsi dall'ampolla, comincia la proliferazione delle cellule germinali per produrre il nuovo epitelio, la seconda è che facilmente la espulsione degli spermatozoi è dovuta alla proliferazione delle cellule germinali. Infatti nei selaci, se non si voglia ammettere questa come cagione di espulsione degli spermatozoi, bisogna ricorrere a quella messa avanti dallo Swaen e Masquelin che cioè il protoplasma della cellula basilare subisca una retrazione, per cui vengono messi in libertà i fascetti di spermatozoi. Le ampolle, che mostrano la proliferazione delle cellule gerrai- 6 — 82 — nali, fanno vedere queste comprese in un protoplasma comune, senza limite netto e verso lo interno questo strato protoplasmatico termina irregolarmente, qualche volta con prolungamenti. Le cellule germinali veduto con lente ad immersione mostrano le masse cromatiche puntiformi e la massa acromatica nella Raja asterias fusiforme, nello Scyllium stellare sferica. Oltre alle masse cromatiche unite alla sostanza acromatica, se ne vedono anche altre sparse nel corpo cellulare. Tutte le altre fasi cariocinetiche di queste cellule si vedranno, se si ricercano molte sezioni. Le masse acromatiche provenienti dalla divisione di una massa acromatica sferica assumono subito la forma sferica e però nella stessa cellula germinale in divisione si vedono due masse acromati- che sferiche con più granuli cromatici. Queste cellule dividendosi danno origine agli spermatoblasti in fase di passaggio. I nuclei follicolari appariscono come quelli degli anfibi. Si distinguono tre forme goraitolari. Le anse cromatiche dei mo- nastici e diastri sono molto ravvicinate tra loro. Lo stesso vale per i diastri e monastri piccoli. I nuclei provenienti dai piccoli astri si presentano di forma sfe- rica con un emisfero qualche volta più intensamente colorato del- l'altro ed alcuni fanno vedere chiaramente due aperture, altri una solamente situata dalla parte dello emisfero più intensamente colorato (Fig. 101 e 102). Quando sono giovani, la differenza di colorazione nei due emisferi non vi è. La coda ha origine dall' emisfero meno inten- samente colorato e la parte colorata più fortemente rappresenta la parte anteriore dello spermatozoide. Questi nuclei si allungano ed al polo anteriore fanno sempre vedere una piccola insenatura, che cor- risponde al centro del piccolo astro. Quando comincia l'allungamento alla parte posteriore si osserva un filamento, che prende bene il colore e che dà origine alla coda. Questi nuclei sono sempre circondati da un protoplasma comune. Secondo me la parte più intensamente colo- rata del nucleo proveniente dal piccolo astro corrisponde al cappuccio cefalico descritto dall'Hermann. Non ho osservato il corpuscolo pre- cursore descritto da questo autore. Le testo degli spermatozoi completamente sviluppati sono abba- stanza lunghe e si presentano curvate a spira (Fig. 124). Nei prepa- rati colorati non si distingue tratto mediano. In conclusione nei selaci la origine degli spermatozoi è identica a quella degli altri animali innanzi studiati. Ciascuno spermatozoide ha origine da un piccolo astro modificato. Gli stesssi nuclei prove- nienti da piccoli astri possono anche mutarsi in spermatoblasti, sem- pre che vi sia ancora bisogno di questi. Prodotti abbondantemente — 83 — gli spermatoblasti e continuando la divisione, i piccoli astri mutansi in spermatozoi. CONCLUSIONI 1.° Salvo piccole differenze , causate dalla diversa elevatezza di struttura dell' organo, la spermatogenesi in tutte le classi dei Verte- brati, segue uno stesso tipo di funzione. 2,a Nei Mammiferi, Uccelli e Rettili la divisione del lavoro per la produzione degli spermatozoidi è più elevata , perchè gli sperma- toblasti dapprima producono spermatozoi e poi elementi destinati da una parte ad espellere gli spermatozoi , dall' altra a nutrirli. Negli Anfibi e nei Sciaci la divisione degli spermatoblasti ha per scopo solo la formazione degli spermatozoi. La espulsione è dovuta forse alla proliferazione delle cellule germinali. 3.° Come termine di transizione fra il testicolo delle prime tre classi di vertebrati e quello dei Selaci esiste il testicolo degli Anfibi. Infatti nei canalini del testicolo degli Anfibi si osserva già la dispo- sizione degli elementi, che ricorda quella delle ampolle dei Selaci, in guisa che una cisti spermatica del canalino di un Anfibio corrisponde morfologicamente ad una ampolla del testicolo di un Selacio. 4.° Le cellule germinali, dette cellule fìsse da Sertoli, cellule di sostegno da Merkel , rappresentano la matrice dell' epitelio sperma- tico in quanto che sono esse, che danno i nuovi spermatoblasti, quando quelli già da esse originati si sono mutati in spermatozoi e cellule di secrezione. 5.° Secondo le teorie di Flemming do significato cellulare agli elementi descritti dagli autori come nuclei. Sono questi che dividen- dosi danno origine agli spermatoblasti in fase di passaggio. 6.° La rete protoplasmatica descritta dagli autori come avente origine dalle cellule germinali e che si distende fra gli elementi del canalino spermatico è il risultato dell' azione dei nuclei degli sperma- toblasti in divisione , i quali rendono il protoplasma, che immediata- mente li circonda , meno denso del protoplasma , che è al di là del loro raggio di azione. Sono appunto questi tratti protoplasmatici tra i diversi spermatoblasti ed al eli fuori del loro campo di aziono, che danno 1' aspetto di un reticolo a ciò, che non è che protoplasma non influenzato dai nuclei in cariocinesi. 7,° Nei Mammiferi, Uccelli e Rettili la espulsione degli sperma- tozoi è favorita dalla trasformazione di una parte degli elementi del canalino in materiale di secrezione. Negli Anfibi e nei Selaci forse è dovuta alla proliferazione delle cellule germinali. Di qui ne viene che — 84 — in queste due ultime classi di Vertebrati il rapporto fra spermatozoi e cellule germinali è assai più chiaro che nelle altre tre classi. 8.° Gli spermatozoi hanno origine direttamente dai piccoli astri e perciò non sono equivalenti a cellule , ma a nuclei. La parte tingi- bile dello spermatozoide proviene dalla sostanza cromatica del nucleo, da cui ha preso origine, la parte non tingibile dalla acromatica. Nei soli Mammiferi ho notato due specie di spermatozoi diverse per la forma e pel modo di comportarsi colle materie coloranti. 9.° I nuclei polimorfi, descritti finora solo negli Anfibi, non sono particolari a questa classe di animali , ma si riscontrano in tutte le classi dei vertebrati. 10.° La rigenerazione fisiologica dell' epitelio del canalino ha luogo dalle cellule germinali , quando tutti gli elementi prodotti da una prima generazione sono stati espulsi. La proliferazione delle cel- lule germinali può osservarsi anche quando vi sono spermatoblasti e spermatozoi , giacché esiste rapporto costante fra la trasformazione degli spermatoblasti e la proliferezione delle cellule germinali. 85 — Elenco delle specie utilizzate per le ricerche Mammiferi; Mxls decumanus Pali. — Mus dee urna nus Pali, var albina. — Mus musculus Lin. — Canis familiari s Lin. — Cavia cobaya Schreb. — Myoxus quercinus Lin. — Erinaceus earopaeus Lin. — Lepus cuniculus Lin. — Felis domestica Lin. — Talpa europaea Lin. Uccelli: Galla.? bankiva Tenim. — Ligurinus Cliloris Lin. — Passar Ita- liae, Vie ili. Rettili: Tropidonotus viperimts Merr. — Tropidonotus natrix Lin. — Lacerta viridis Lin. — Platydactylus mauritanicus Lin. — Testudo yraeca Lin. — Lacerta agilis Lin. Batraci: Rana esculenta Lin. — Triton cristatus Laur. Pesci: Torpedo narce Risso. — Raja clavata Lin. — Scyllium stellare Lin. — Raja panciata Risso. AR V — 8G — LETTERATURA INTORNO ALLA SPERMATOGENESI DEI VERTEBRATI ED ALLA CARIOCINESI. 1. 1850 — Leydig. Zur Anatomie der mannlichen Geschlechtsorgane und Analdriisea der Sàugethiere. Zeitschrift f. wiss. Zoo- logie. Voi. II. Pag. 47. 2. 1S56 — Kolliker. Physiologische Sfcudien iiber die Samenflussig- keit. Zeitschrift f. wiss. Zoologie. Voi. VII. Pag. 201. 3. 1857 — Ankeruaxn. Einiges iiber die Bewegung und Entwickelung der Samenfaden des Frosehes. Zeitschrift f. wiss. Zoo- logie. Voi. Vili. Pag. 129. 4# i$Q5 — G-rohe. Ueber die Bewegung der Samenkorper. Virchoid's Archiv. Voi. XXXII. Pag. 401. 5. 1865 — La Valette St. George. Ueber eine neue Art ainoboider Zellen. Archiv f. mik. Anat. Voi. 1. Pag. 68. 6. 1865 — La Valette St. George. Ueber die Genese der Samenkor- per. Erste Mittheilung. Archiv f. mik. Anat. Voi. I. Pag. 403. 7. 1865 — Sciiweigger-Seidel. Ueber die Samenkorperchen und ibre Entwickelung. Archiv f. mik. Anat. Voi. I. Pag. 309. 8. 1867 — La Valette St. George. Ueber die Genese der Samenkor- per. Zweite Mittheilung. Archiv f. mik. Anat. Voi. III. Pag. 263. 9. 1871 — Ebner. Untersuchuogen iiber den Bau der Samenkanal- chen und die Entwickelung der Spermatozoiden bei den Saugethieren und beim Menschen. Centoralblatt f. med. Wiss. Pag. 342. 10. 1871 — La Valette St. George. Der Hoden. Strickers Ilandbuch. Voi. I. Pag. 522. 11. 187 1 — Merkel. Die Stiitzzellen des menschlicben Hoden. Archiv f. Anat. und Phgsiol. von Reichert und du Bois-Reymond. Pag. 1. 12. 1871 — Merkel. Ueber die Entwickelungsvorgange im Innern der Samenkanalchen. Archiv f. Anat. und Physiol. Pag. 644. 13. 187 1 — Sertoli. Osservazioni sulla struttura dei canalicoli semi- niferi del testicolo. Comunicazione preventiva. Gaz. med. il. il. Serie VI. Tomo IV. Pag. 7. 14. 1872 - Eimer. Zur Ivenntniss vom Baue des Zellkerns. Archiv f. mik. Anat. Voi. Vili. Pag. 141. 16. 1872 — Xeimann. Ueber die Entwickelung der Samenfaden. Zweite v.irlliufige Mittheilung. Centralblatt f. med. Wiss. Pag. 881. — 87 - 16 1872 — Rivolta — Sopra gli elementi morfologici contenuti nei canalini seminiferi del testicolo degli animali domestici. Giornale di anatomia, fisiologia e patologia degli animali. 17. 1872 — Sertoli. Osservazioni sulla struttura dei canalicoli s niferi del testicolo. Comunicazione preventiva. Central- blatt f. med. Wiss. Pag. 263. 18. 1873 — Blumbbrg. Ueber die Entwickelung der SamenkSrperohen des Menschen und der Thiere. 19. 1874 — Bloch. Ueber die Entwickelung der Samenkorper des Menschen und Thiere. Inaugurai Dissertation. Prag >. 20. 1874 — La Valette St. George. Ueber die Genese der Sameik'ir- per. Dritte Mitthoilung. Archi» f. mik. Anat. Voi. X. Pag. 495. 21. 1874 — Merkel. Erstes Entwickelungsstadium der Spermatozoi- den. Centralblatt f. med. Wiss. Ntcm. 5. Pag. 65. 22. 1875 — Neujiann. Untersuchungen ùber die Entwickelung der Spermatozoiden. Arc'iiv f. mik. Anat. Voi. II. Pag. 292. 23. 1875 — Semper. Das Urogenitalsystem der Plagiostomen und seine Badeutung fiir das der ubrigen Wirbelthiere. Arbeiten aus dem Institut in Wurzbarg. Voi. II. Pag. 195. 24. 1876 — Brunm. Beitrage zur Entwickelungsgeschiclite der Sa- menkorper. Archiv f. mik. Anat. Voi. XII. Pag. 528. 25. 1876 — Eberth. Ueber Kern-und Zslltheilung. Virchotvs Archiv, Voi. LXVII. Pag. 523. 2G. 1876 — Flemming. Baobachtungen iiber die Beschaffenheit des Zellkerns. Archiv f. mik. Anat. Voi. XIII Pag. 693. 27. 1876 — La Valette St. George. Ueber die Genese der Samenkor- per. IV. Mitth. Archiv f. mik. Anat. Voi. XII. Pag. 797. 2S. 1876 — Sertoli. Sulla struttura dei canalicoli seminiferi del te- sticolo studiata in rapporto allo sviluppo dei nemasper- mi. Saconda comunicazione preventiva. Centralblatt f. med. Wiss. Pag. 483. 29. 1877 — Elemming. Zur Kenntniss des Zellkerns. Centralblatt f. med. Wiss. Num. 20. Pag. 353. 30. 1877 — Stieda. Ueber den Bau des Menscheu-H nden. Archiv f. mik. Anat. Voi. XIV. Pag. 17. 31. 1878 — Aeanasiew. Untersucbungen iiber die sternformigen Zel- len der Hodenhanalchan und anderer Driiscn. Archiv f. mik. Anat. Voi. XV. Pag. 200. 32. 1878 — Klein. Observations on the Structure of Cells and Nuclei. Qnarterlg Journal of microsc. Science. Voi. XV III. Pag. 315. 33. 1878 — La Valette St. George. Ueber die Genese der Samenkor- per. V. Mitth. Archiv f. vaile. Anat. Voi. XV. Pag. 261. 34. 1878 — Peeemeschko. Ueber die Theilung der Zellen. Centralblatt f. med. Wiss. Num. 30. Pag. 545. 35. 1878 — Schleichee. Theilung der Knorpelzellen. Centralblatt f. mecl. Wiss. Num. 23. Pag. 417. 30. 1878 — Sertoli. Struttura dei canalicoli seminiferi e sviluppo dei nemaspermi del ratto. Torino. 37. 1879 — Arnold. Ueber feinere Structnr der Zellen unter normale n und pathologischen Bedingungen. Virchow's Archiv. Voi. LXXVIL Pag. 181. 38. 1879 - Arnold. Beobachtungen iiber Kerntbeilungen in den Zel- len der Geschwiilste. Virchow's Archiv. Voi. LXXVIIL Pag. 279. 39. is79 — Bigelow. Notiz iiber den Theilungsvorgang bei Knorpel- zellen, sowie iiber den Bau des Hyalinknorpels. Archiv f. mik. Anat. Voi. XVI. Pag. 457. 40. 1879 — Flemming. Geriiste des Zellkerns. (Orig. Mitt.). Central- blatt f. med. Wiss. Xuìh. 23. Pag. 401. 41. 1879 — Flemming. Beitriige zur Kenntniss der Zelle und ihrer Lebenserscbeinungen. Tbeil I. Archiv f. mik. Anat. Voi. XVI. Pag. 302. 42. 1879 — Flemming. Ueber das Verhalten des Kerns bei der Zell- tlieiluug und iiber die Bedeutung mehi'kerniger Zellen. Virchow's Archiv. Voi. LXXVIL Pag. 1. 43. 1879 — Ivleix. Structur des Zellkerns. Centralblatt f. med. Wiss. Numero 17. Pag. 289. 44. 1879 — Peeemeschko. Ueber die Theilung der thierischen Zellen. Archiv f. mik. Anat. Voi. XVI. Pag. 437. 45. 1879 — Peeemeschko. Ueber die Theilung der rothen Blutkorper- chen bei Amphibien. (Orig. Mitt.). Centralblatt f. med. Wiss. Num. 38. Pag. 673. 46. 1879 — Schleichee. Die Knorpel - Zelltheilung. Archiv f. mik Anat. Voi. 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Neue Beitriige zur Kenntniss der Zelle. Arch. f. mik. Anat. Voi. XXIX. Pag. 389. 88. 1887 — Plemming. Weitere Beobachtungen iiber die Entwickelung der Spermatosomen bei Salamandra raaculosa. Archiv f. mik. Anat. Voi. XXXI. Pag. 71. 89. 1887 — FiiitST. Ueber die Entwickelung der Samenkorperchen bei den Beuteltbieren. Archiv f. mik. Anat. Voi. XXX. Pag. 327. 90. 1887 — Jensen. Untersuchungen iiber die Samenkorper der Silu- gethiere, Vògel und Amphibien. Archiv f. mik. Anat. Voi. XXX. Pag. 379. 91. 1887 — Prénant. Recherches sur la signification des éléments du tube seminifere adulte des mammifères. Inferii. Monat. Voi. IV. Pag. 358. 92. 1887 — Prénant. Recherches sur la signification des éléments du tube seminifere adulte des mammifères. Intem. Monat, Voi. IV. Pag. 379. 93. 1887 — Sanfelice. Intorno alla cariocinesi delle cellule germinali del testicolo. Boll. Soc. Nat. in Napoli. Voi. I. Pag. 33. 94. 1887 — Sanfelice. Intorno alla rigenerazione del testicolo. Parte prima. Boll. Soc. Nat. in Napoli. Voi. I. Pag. 90. 95. ^887 — Waldeyer. Ueber Bau und Entwickelung der Samenfàden. Anat. Anzeiger. Num. 12. Anno II. 96. 1888 — Ebner. Zur Spermatogenese bei den Saugethieren. Arch. f. mik. Anat. Voi. XXXI. Pag. 236. — 92 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Le figure da 1 a 2G sono state disegnate con Oc 3. Ob. C. Zeiss. Lunghezza del tubo = 17 min. La figura 27 con Oc. 3. Ob. %,. Lunghezza del tubo= 17 min. La figura 28 con Oc. 3. Ob. C. Lunghezza del tubo = 17 mm. La figura 29 con Oc. 2. Ob. C. Lunghezza del tubo = 17 mm. La figura 30 con Oc. 3. Ob. C. Lunghezza del tubo ~: 17 mm. Le figure da 31 a 143 con Oc. 3. Ob. V,,. Lunghezza del tubo z= 17 min. La camera chiara U3ata per fare i disegni è stata quella di Abbe. La distanza dallo specchio ha variato da 30 a 33 cent. Le figure disegnate con la lente ad immersione i/lì sono state prese da preparati a dissociazione. Tavola II. Fig. 1. Mus decumanus var. albina. Porzione di un taglio trasversale ili canalino spermatico. Lo strato esterno è formato da cellule germinali e spermatoblasti con gomitolo stretto. Strato interno formato da spermatoblasti con diastri decrescenti per grandezza dalla periferia verso il centro. Fig. 2. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e sperma- toblasti con gomitolo stretto. Strato medio formato da spermato- blasti con diastri. Strato interno formato da spermatozoi. Fig. 3. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e da sper- matoblasti con gomitolo stretto. Strato medio formato da sper- matoblasti con nuclei polimorfi. Strato interno formato da sper- matozoi. Fig. 4. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e sperma- toblasti con gomitolo stretto. Strato medio formato da cellule fi- glie o di secrezione. Strato interno formato da spermatozoi. Fig. 5. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e da sper- matoblasti con gomitolo stretto. Strato medio formato da sperma- toblasti con gomitoli larghi, che si trasformano in cellule di se- crezione. Strato interno formato da spermatozoi. Fig. G. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e sperma- toblasti con gomitolo stretto. Strato medio formato da spermato- blasti con gomitoli larghi. Strato interno formato da spermatozoi. Fig. 7. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e spennato- — 03 — blasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da spermatobla- sti con gomitoli larghi. Strato interno formato da Bpematozoi degenerati. Fig. 8. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e sperma- toblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da cellule di secrezione. Strato interno formato da spermatozoi con granuli cro- matici. Fig. 9. Mus musaci us. Porzione di canalino spermatico tagliato tra- sversalmente. Strato esterno formato da cellule germinali e sper- matoblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da sperma- toblasti con gomitoli larghi. Strato interno formato da cellule di secrezione. Fig. 10. Talpa europaea. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e da spermatoblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da spermatoblasti con gomitoli larghi. Strato interno for- mato da cellule di secrezione. Fig. 11. Felis domestica. Idem. Strato esterno formato da cellule ger- minali, da spermatoblasti con gomitoli stretti e da spermatobla- sti con gomitoli larghi. Strato medio formato da cellule di secre- zione. Strato interno formato da spermatozoi. Fig. 12. Canis familiaris. Idem. Strato esterno formato da cellule germinala e da spermatoblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da spermatoblasti con gomitoli larghi. Strato interno formato da cellule di secrezione. Fig. 13. Gallus bankiva. Sezione longitudinale della parete di un ca- nalino spermatico. Strato esterno formato da cellule germinali e da spermatoblasti con nuclei in fase di passaggio. Strato medio formato da spermatoblasti con gomitoli larghi e stretti. Strato interno formato da cellule di secrezione e spermatozoi. Fig. 14. Idem. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e spermatoblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da sper- matoblasti con nuclei polimorfi. Strato interno formato da sperma- tozoi. Fig. 15. Ligurinus chloris. Porzione di una sezione trasversale di ca- nalino spermatico. Strato esterno formato da cellule germinali, da spermatoblasti con nuclei in fase di passaggio, da spermato- blasti con gomitoli larghi. Strato medio formato da cellule di secrezione. Strato interno formato da spermatozoi. Fig. 16. Lacerta agilis. Idem. Strato esterno formato da cellule ger- minali e da spermatoblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da spermatoblasti con nuclei polimorfi e da spermatoblasti — 94 — con diasti. Strato interno formato da cellule di secrezione e da spermatozoi. Fig. 17. Idem. Idem. Strato esterno formato da cellule germinali e da spermatoblasti con gomitoli stretti. Strato medio formato da cellule di secrezione. Strato interno formato da spermatozoi. Fig- 18. Lacerto, viridis. Idem. Strato esterno formato da cellule ger- minali e da spermatoblasti con gomitoli stretti. Strato medio for- mato da cellule di secrezione. Strato interno formato da sper- matozoi. Fig. 19. Testudo graeca. Porzione di una sezione trasversale di un canalino spermatico di animale in letargo. I nuclei dsgli sper- matoblasti non mostrano mitosi. Il centro del canalino è occu- pato da spermatozoi. Fig. 20. Rana esculenta. Spermatozoi in rapporto con una cellula germinale, compresi fra due cisti spermatiche. Fig. 21. Idem. Rigenerazione fisiologica dell' epitelio del canalino. Il centro è occupato ancora da spermatozoi. Fig. 22. Raja asterias. Proliferazione delle cellule germinali. Fig. 23. Idem. Cellule germinali e spermatozoi non ancora dispo- sti a fascetti. Fig. 24. Raja clavata. Spermatozoi disposti in fascetti, a ciascuno dei quali corrisponde una cellula germinale. Fig. 25. Idem. Taglio trasversale dei gruppi di nuclei provenienti dai piccoli astri. Fig. 20. Scyllium stellare. Il centro dell'ampolla mostra nuclei folli- colari. Alla periferia si notano cellule germinali e spermatoblasti. Fig. 27. Mas muscidus. Cellula germinale circondata da spermato- • blasti con gomitoli stretti. Rete protoplasmatica. Da un preparato a dissociazione. Fig. 28. Canis familiaris. Taglio trasversale di un canalino sperma- tico di cane giovane. Fig. 29. Felis domestica. Taglio trasversale di un canalino sperma- tico con proliferazione delle cellule germinali. Fig. 30. Testudo graeca. Taglio di un canalino di testicolo d'indivi- duo molto giovane. Fig. 31. Mus decumanus var. albina. Cellula germinale. Fig. 32. Mus musculua. Idem. Fig. 33. 'Talpa europaea. Idem. Fig. 34. Felis domestica. Idem. Fig. :<."). Canis familiaris. Idem. Fig. 36. Cavia cobaya. Idem. Fig. 37. Lepus cuniculus. Idem. — 95 — Fig. 38. Mus decumanus. Idem. Fig. 89. Erinaceus europaeus. Idem. Fig. 40. Gallus banlcica. Idem. Fig. 41. Lìgurinus chloris. Idem. Fig. 42. Lacerta agili*. Idem. Fig. 43. Rana esculenta. Idem. Fig. 44. Idem. Cellula germinale con proliferazione delle masse cro- matiche. Fig. 45. Idem. Proliferazione delle masse acromatiche e formazione del reticolo cromatico nelle cellule germinali. Fig. 46. Idem. Nucleo follicolare. Fig. 47. Raja asterias. Cellula germinale. Fig. 48. Scyllìum stellare. Idem. Fig. 49. Mus decumanus var. albina. Spermatoblasto con nucleo in fase di passaggio. Fig. 50. Mus musculus. Idem. Tavola III. Fig. 51. Mus decumanus var. albina. Spermatoblasti con nuclei in fase di riposo. Fig. 52. Mus musculus. Idem. Fig. 53. Idem. Idem. Fig. 54. Rana esculenta. Idem. Fig. 55. Mus musculus. Spermatoblasto con gomitolo stretto. Fig. 56. Idem. Spermatoblasto con gomitolo di passaggio. Fig. 57. Idem. Gomitolo largo. Fig. 58. Talpa europaea. Gomitolo di passaggio. Fig. 59. Felis domestica. Passaggio della cellula germinale in gomi- tolo largo. Fig. 60. Canis familiaris. Gomitolo largo. Fig. 61. Mus decumanus. Gomitolo di passaggio. Fig. 62. Idem. Gomitolo largo. Fig. 63. Gallus bankiva. Gomitolo largo. Fig. 64. Idem. Spermatoblasti giovani con nuclei in fase gomitolare. Fig. 65. Rana esculenta. Gomitolo stretto , che accenna a divenire largo. Fig. 6G. Idem. Gomitolo largo. Fig. 67. Raja asterias. Spermatoblasti giovani con gomitoli stretti. Fig. 68. Idem. Spermatoblasto con gomitolo di passaggio. Fig. 69. Mus musculus. Spermatoblasto con monastro. Fig. 70. Idem. Spermairoblasti con diastri. - 96 — Fig. 71. Gallus hankiva. Sperrnatoblasto con diastro. Fig. 72. Raja asterias. Idem. Fig. 73. Mus decumanus var. albina. Spermatoblasti con nuclei po- limorfi. Fig. 74. Mus musculus. Idem. Fig. 75 a 79. Rana esculenta. Spermatoblasti con nuclei polimorfi. Fig. 80. Mus musculus. Piccoli diastri. Fig. 81. Canis familiaris. Piccolo diastro. Fig. 8*2. Mus decumanus. Idem. Fig. 83. Gallus hankiva. Idem. Fig. 84. Raja asterias. Idem. Fig. 85. Mus decumanus var. albina. Spermatoblasti giovani prove- nienti da due piccoli astri. Fig. 86. Canis familiaris. Spermatoblasti giovani. Fig. 87. Mus musculus. Trasformazione dei piccoli astri in sperma- tozoi. È avvenuta la scomparsa della parte acromatica e la fa- sione delle anse cromatiche. Fig. 88. Talpa europaea. Idem. Fig. 89. Canis familiaris. Idem. Comincia a differenziarsi la testa dal tratto mediano. Fig. 90. Idem. Testa di spermatozoide già quasi formata. Fig. 91. Erinaceus europaeus. Trasformazione dei piccoli astri in spermatozoi. Fig. 92. Felis domestica. Nuclei provenienti dai piccoli astri e de- stinati a mutarsi in spermatozoi. Fig. 93. Gallus hankiva. Nuclei provenienti da piccoli astri, nei quali è scomparsa la parte acromatica ed è avvenuta la fusione delle anse cromatiche. Veduti amendue di profilo. Fig. 94. Idem. Alcuni sono veduti di profilo, altri di prospetto. Fig. 95. Idem. Trasformazione dei nuclei provenienti dai piccoli astri in spermatozoi. Fig. 96. Ligurinus chloris. Nuclei provenienti dai piccoli astri, ve- duti di profilo. Fig. 97. Lacerta agilis. Idem. Fig. 98. Idem. Trasformazione dei nuclei provenienti dai piccoli astri in spermatozoi. Fig. 99. Rana esculenta. Nucleo proveniente da un piccolo astro, ve- duto di prospetto. Fig. 100. Idem. Nuclei provenienti dai piccoli astri , veduti di pro- filo. Si vede l'accenno della coda. Fig. 101. Raja asterias. Nuclei provenienti dai piccoli astri e desti- — 97 — stinati a mutarsi in spermatozoi. Uno è veduto di prospetto, l'altro di profilo. Fig. 102. Idem. Nuclei provenienti dai piccoli astri in grado più avanzato di sviluppo. Fig. 103. Idem. Trasformazione dei nuclei provenienti dai piccoli astri in spermatozoi. Fig. 104. Raja clavata. Nuclei provenienti dai piccoli astri , veduti di profilo. Mostrano due aperture. Fig. 105. Idem, (xli stessi in grado più avanzato di sviluppo. Fig. 106. Idem. Trasformazione degli stessi in spermatozoi. Fig. 107. Scyllium stellare. Nuclei provenienti dai piccoli astri e de- stinati a mutarsi in spermatozoi. Fig. 108. Idem. Formazione degli spermatozoi. Fiff. 109. Mus decumanits var. albina. Teste di spermatozoi svilup- pate. Fig. 110. Mus musculus. Idem. Fig. 111. Talpa europaea. Idem. Fig. 112. Felis domestica. Idem. Fig. 113. Canis familiaris. Idem. Fig. 114. Mus decumanits Idem. Fig. 115. Erinaceus europaeus. Idem. Fig. 116. Cavia cobaya. Idem. Fig. 117. Lepus cuniculus. Idem. Fig. 118. Gallus banJciva. Idem. Fig. 119. Ligurinus chloris. Idem. Fig. 120. Lacerta agilis. Idem. Fig. 121. Rana escxdenta. Idem. Fig. 122. Triton cristatus. Idem. Fig. 123. Rana esculenta. Teste di spermatozoi in sviluppo con rare- fazione della sostanza cromatica. Fig. 124. Raja asterias. Testa di spermatozoide sviluppata. Fig. 125. Mus decumanus var. albina. Teste di spermatozoi dege- nerate. Fig. 126. Mus musculus. Idem. Fig. 127. Talpa europaea. Idem . Fig. 128. Canis familiaris. Idem. Fig. 129. Lepus cuniculus. Idem. Fig. 130. Mus decumanus. Idem. Fig. 131. Cavia cobaya. Idem. Fig. 132. Mus decumanus var. mlbina. Trasformazione degli sperma- toblasti con gomitolo largo in cellule di secrezione. Fig. 133. Mus musculus. Cellule di secrezione. — 98 — Fig. 134. Idem. In grado più avanzato di disfacimento. Fig. 135. Talpa europaea. Cellule di secrezione. Fig. 136. Canis familiaris. Spermatoblasti giovani in disfacimento. Fig. 137. Felis domestica. Cellule di secrezione. Fig. 138. hepus cuniculus. Idem. Fig. 139. Erinaeeus europaeus. Idem. Fig. 140. Gallus bankiva. Idem. Fig. 141. Lacerta agìlis. Idem. Fig. 142. Canis familiaris. Elementi di testicolo giovane. Fig. 143. Triton cristatus. Spermatoblasti , i cui nuclei mostrano la degenerazione cromatolitica. Stazione zoologica — Najioli. ÀI *% '» , *(!. ; ,,.»... « teÙttUt. '/' // :,5^ i jfa . »• .*••« '■ iVte ^ ;> f V % , , g '''•■ ! t* . / * % * ■ , 4 *►■ * .)0 . 5P -A- .*". ; „' 6/ 69, » # # ól 64- Q 3 f J o ® (>0 7^ // 70 y p * ** •p »*// 7.V 0 , . 7^ A* «fa 9 g » i i .',7 ■•'.' o e > e ? s f * * - % Hi • ■■>' ■':.' . .05 Qì G 97 O Oó V-' y #7 //v f O o /(io «* «9 0 0 t 8 ~ < I f "V /// // <®> /2.3 o " lì) /24- ri 5 /IO /.:.; ■ \ /17 /2\ — 113 — erano altri spazii non ossificati, altre cavità, simili a quello prima notate nel frontale destro e di queste cavità ve n'era propriamente una nel mascellare, e un'altra nel premascellare, separate tra loro dalla normale sutura. Esse avevano del pari il fondo costituito da osso spongioso, e il fondo della cavità che trovavasi nel mascellare era diviso in duo da un profondo solco. Inoltre il medesimo fondo spon- gioso di questa cavità, che ad ogni modo era parte del mascellare, era interamente fuso col corrispondente nasale destro. D'altra parte il premascellare, mediante una lamina ossea si fondeva col medesimo nasale, il quale alla sua volta era completamente fuso inferiormente col vomere, e questo con l'etmoide. In modo che si presentava un bell'esempio di fusione completa tra l'etmoide, il vomere, il nasale destro, il mascellare e il premascellare corrispondente, restando però ben distinti tra loro questi due ultimi, — fusione che non si manife- stava punto negli altri cranii di Ricci da me osservati, né del resto suole manifestarsi, mentre d'altra parte nel lato sinistro queste ossa erano ben distinte tra loro. L'osso nasale presentava inoltre sulla sua superficie esterna due incisure, una anteriore e un'altra posteriore. La prima era assai profonda e tale da far credere che l'osso fosse di- viso in due, ma le due parti erano inferiormente per brevissimo tratto saldate tra loro. La seconda meno. Le ossa palatine presentavano normalmente degli ampii spazii non ossificati, erano in istretto rap- porto coi pterigoidei, fusi normalmente coi processi pterigoidei dello sfenoide, e presentavano anche normalmente i loro margini posteriori spessi, similmente — come notò 1' Huxley (1) — a quanto avviene nei Lemuri. La mandibola era anche normale e i denti presentavano la loro forinola tipica ed erano poco logorati : l' individuo quindi sebbene adulto non era vecchio. Cosicché le anomalie presentate da questo cra- nio erano le seguenti: I. Fusione completa del basi-occipitale col ba- si-sfenoide: II. Fusione dell'etmoide, del vomere, del nasale destro e del corrispondente mascellare e premascellare ; III. Cavila con fondo spongioso nel frontale destro e nel mascellare e prema- scellare del medesimo lato, fondo spongioso che attraversando tutta la spessezza dell'osso, appariva anche nella superficie in- terna dÀ queste ossa. Queste anomalie erano dunque essenzialmente unilaterali. Ho esposto queste brevi osservazioni perchè ho creduto degno di una certa attenzione quest'esempio di fusione completa di ossa di so- (1) Th. Huxley. Anatomia degli animali vertebrati. Trad. da Giguoia" Firenze 1874. - 114 — lito distinte negli Insettivori anche adulti, e nello stesso tempo di ca- vità con fondo spongioso esistente nel tegmen cranii, cosa che d'or- dinario non suole avvenire in questo gruppo di Mammiferi. Del Plesso e dei gangli propri! del Diaframma — Nota anatomo-istologica del socio ordinario residente Sergio Pansini. (Tornata del dì 25 Marzo 1888) Il nervo frenico o diaframmatico pel fatto di essere, quale nervo precipuo della respirazione, in quasi continua attività, ebbe a richia- mare la mia attenzione, e mi è accaduto di trovare così sul suo de- corso come sui suoi rami talune particolarità anatomo-istologiche, al- cune speciali ad esso nervo, altre riferibili ai nervi in generale, le quali credo di certo interesse il pubblicare. Le più importanti particolarità relative al nervo frenico sono la formazione da parte dei suoi rami di un complicato plesso nervoso sul diaframma, e la presenza sopra di questi di bene caratterizzati gangli nervosi. Ancora prima di andare avanti mi preme di eliminare un dubbio, che può ingenerarsi nella mente di chi legge la presente nota: si conosce dall' anatomia umana di plessi diaframmatici, i quali non sono altro che rami che il simpatico manda lungo le arterie dia- frammatiche superiori, provvenienti dalle mammarie interne, e lungo le arterie diaframmatiche inferiori, che vengono o dall' aorta addo- minale o dal tronco celiaco: questi rami del simpatico, che decorrono lungo le arterie diaframmatiche superiori ed inferiori, intorno alle quali formano un sottile e tenue intreccio di fibre pallide, e penetra- no colle ramificazioni delle arterie nella spessezza dei fasci muscolari, hanno il nome di plessi diaframmatici. Sui plessi diaframmatici infe- riori, sopratutto in vicinanza dei loro punti di partenza, non mancano dei piccoli ganglietti nervosi: anzi sul plesso diaframmatico inferiore destro esiste costantemente nell' uomo (Schwalbe) un piccolo ganglio, che si intitola ganglio diaframmatico, alla cui formazione pigliano parte fibre provvenienti dal plesso solare e dal ganglio celiaco. Non è di tali plessi e di tale ganglio che io intendo parlare : essi appartengono alla parte periferica del sistema del gran simpatico: intendo parlare di un plesso proprio del nervo frenico e di gangli annessi al mede- simo plesso. Le mie ricerche sono fatte sul nervo frenico e sul diaframma — 115 — dei piccoli mammiferi : cavie, conigli, sorci bianchi, neonati di cani e di gatti, animali che hanno il muscolo diaframmatico poco spesso e quasi laminare: sopra mammiferi di maggiori dimensioni la ricerca è assai faticosa, perdio il diaframma non solo è più granile, ma anche nelle parti meno spesse risulta di parecchi piani di fibre muscolari: e il dissociare minutissimamente tutto 1' organo e passare ad osser- varlo pezzetto per pezzetto sotto al microscopio, come pel genere della ricerca si richiede , esige lunghissimo tempo ed improba fatica. Ciò ohe sono per dire si riferisce specialmente al coniglio ed alla cavia. l.° Si conosce come il nervo frenico prende origine da un ramo principale, che viene dal 4° nervo cervicale, e da ramoscelli del 3°, del 5° e talvolta anche del 6" cervicale. Le fibre così originato for- mano il tronco del nervo frenico , il quale percorre tutta la cavità toracica fino a raggiungere il diaframma: non mi occupo con parti- colarità del tragitto del nervo diaframmatico, né dei differenti rap- porti che hanno quello di destra e quello di sinistra. Ricordo però come il nervo frenico ha lungo il suo percorso molteplici anasto- mosi: 1° ne ha con il simpatico per mezzo di fibre provenienti dal ganglio cervicale inferiore o dal primo dorsale, e qualche volta dal ganglio cervicale medio, non che con i filetti simpatici che accompa- gnano 1' arteria mammaria interna, e secondo Valentin con il plesso cardiaco e con il plesso pulmonale, fatto negato da Beaunis e Bouchard e da Sappey; 2° con l'ansa, che l'ipoglosso forma con la branca discen- dente interna del plesso cervicale (Valentin, Hirschfeld); 3° coi nervo del muscolo succlavio; 4° Blandin e Valentin ammettono uri' anasto- mosi coli' accessorio; 5° Sappey ha trovato eccezionalmente un'anasto- mosi per mezzo di un ramo estremamente piccolo con il pneumaga- strico. È difficile dire se per tali anastomosi il nervo diaframmatico dà fibre o ne riceve: probabilmente parte ne somministra e parte ne ac- coglie. Comunque sia di ciò, il modo come le fibre che compongono il tronco del nervo frenico decorrono tra loro, non è ch'io sappia per anco descritto: ritiensi, che il nervo frenico, come tutti i nervi in generale, non sia se non un fascio di fibre nervee decorrenti pa- rallelamente tra loro, il che non è conforme al vero né per il fre- nico né per molti altri nervi. Or bene su di una cavia o di un coniglietto si tagli il nervo fre- nico da una parte a livello della sua entrata nella cavità toracica, e dall'altra sul punto ove si vede cominciare la sua ramificazione sul diaframma: il pezzo di nervo così isolato si tenga immerso per lo spa- zio di due a tre ore in soluzione di acido formico al 2 0[o; dopo si potrebbe immediatamente procedere alla osservazione, ma meglio è — 116 — fare impregnare il nervo ili una soluzione all'lOfo di acido ipero- smico per tanto tempo, che si colori in bruno : lo si lava in acqua distillata, e si porta sopra una lastrina portoggetti con una grossa goccia di glicerina, e si sovrappone il vetrino coproggetti: basterà fare una leggierissima pressione sul vetrino, perchè i fascetti che com- pongono il tronco nervoso si dispieghino. Già l' osservazione ad occhio nudo potrebbe bastare, ma giova assai più 1' osservazione con un mi- croscopio semplice, per accorgersi che quello che noi crediamo un fa- scio di fibre tutte parallele tra loro, è invece un intreccio di fascetti per la presenza di fibre anastomotiche tra questi. Infatti come nella Fig. la è rappresentato, il tronco del nervo diaframmatico di coni- glio è in sul principio risultante di cinque tronchicini minori, i quali nel tragitto dal livello a al livello b si intrecciano ripetutamente tra loro per mezzo di ramuscoli alcuni grossetti, altri più piccoli: sicché chiarissimamente si vede come il tronco del frenico è un intreccio di rami secondo maglie losangiche allungate e strettissime, che l'azione macerante dell' acido formico ha di alquanto allargate. Siffatto intrec- cio avendolo rappresentato in figura, non mi dilungo a descriverlo minutamente, tanto più che il modo d' intreccio non è uniforme nelle varie specie di mammiferi, né uniforme negli individui di una stessa specie. Nella cavia l' intreccio è ancora più complicato che nel coni- glio. Come dalla stessa figura I può rilevarsi , il risultato finale dl tale intreccio è questo, che mentre il tronco nervoso al principio ri- sultava di cinque rami, alla fine cioè immediatamente prima della sua ramificazione apparente, ne risulta di otto. Non è a credere che questa disposizione ad intreccio delle fibre di un tronco nervoso sia esclusiva al nervo diaframmatico, ma io l'ho trovato comune a molti rami nervosi muscolari. E penso che tale reperto non raro e di facile riscontro si debba all' opportuno metodo di ricerca ; infatti, se invece di macerare precedentamente il tronco nervoso, si ricorre a sfibrarlo o ancora fresco o indurito in uno dei tanti reagenti fissatori, o molte delle fibre anastomotiche sa- ranno spezzate, sicché non si riesce a vedere l' intreccio delle fibre tra loro, oppure si corre rischio di vedere come intreccio quello che è l'effetto di sovrapposizione di fibre spostate dal loro sito. Si comprende di leggieri come non possa menare sicuramente allo scopo neppure il metodo delle sezioni longitudinali e trasversali del pezzo di nervo: sulle sezioni trasverse nulla si potrebbe vedere di questa disposizione a rete o ad intreccio: sulle sezioni longitudinali non è mai possibile che il piano del taglio vada parallelo a tutte le fibre del tronco nervoso. 2" Non mi occupo dei rami, che il nervo frenico manda fuori del diaframma, cioè dei rami che manda al pericardio e alle pleure pri- — 117 — ma elio giunga sul diaframma, e di altri ramoscelli che manda oltre il diaframma, cioè di un ramuscolo che risale lungo la vena cava in- feriore, e delle fibre che manda alla capsula esterna del fegato, alla capsula surrenale, al ganglio celiaco, al plesso solare; ma solamente dei rami , che vanno distribuiti al diaframma. Per seguirli si isoli il diaframma di un piccolo coniglio dai suoi attacchi sternali, costali e vertebro-lombari tagliando accuratamente dalla parte addominale le connessioni col plesso celiaco e col ganglio solare, col ligamento so- spensorio , coi ligamenti coronarli , e tagliando dalla parte toracica l'aorta, la vena cava inferiore, l'attacco del pericardio, le pleure: si spogli con grande diligenza del suo rivestimento pleurale dalla faccia anteriore e del rivestimento peritoneale dalla faccia posteriore, e si tenga a macerare per ventiquattr' ore in soluzione di acido formico al 2 Ojo o di acido arsenicico all'I 0[o; quando parte carnosa e parte tendinea del diaframma hanno l'aspetto quasi trasparènte, s'immerga il tutto in alcool ordinario: sulla massa trasparente del muscolo e del ten- dine brillano i nervi pel loro colorito bianco perlaceo; allora si distenda tutto il muscolo sudi un vetro bleu (per distenderlo bene-, essendo il diaframma conformato a volta, si formi con un taglio verso indietro una sola incisura del forame quadrilatero, del forame aortico e del forame esofageo) e si porti su di un microscopio da dissociazione Miyer, illuminando collo specchietto inferiore; in tal modo, guardando dalla lente d'ingrandimento dello stesso microscopio di dissociazione, si possono seguire anche i finissimi filetti nervosi. Sull'uomo, il cui diaframma relativamente a quello dei piccoli mammiferi è abbastanza spesso, gli anatomici fanno distinzione di ra- mi superiori del frenico o sottopleurali, e di rami inferiori o sotto- peritoneali: negli animali piccoli, come quelli sui quali sono fatte le le mie osservazioni, tale dist'.nzione è superflua, essendo il loro dia- framma quasi laminare. Però prima di descrivere la ramificazione elei nervo frenico sul diaframma, per facilitarmene il compito voglio ricordare come in cia- scuna metà del diaframma la parte carnosa, a seconda dei punti di attacco che perifericamente prendono le fibre muscolari, si può distin- guere in tre parti, una parte anteriore o sternocostale, una laterale o costale ed una posteriore o lombo-vertebrale: sopratutto la parte an- teriore è distinta dalla latero-posteriore da un interstizio di connettivo comune interfibrillare più largo che tra le altre fibre muscolari. Ciò posto, seguiamo la ramificazione del nervo frenico, e prendo ad esem- pio quella del coniglio, che è rappresentata dalla Fig. II. Il nervo diaframmatico destro FD ancora al disotto della pleura si divide in due rami, e questi ciascuno immediatamente in due: sic- — 118 — cliè il tronco principale si «livide in tutto in quattro grandi rami 1,2, 3, 4. Il N. frenico sinistro FS si divide in due: uno più piccolo ante- riore 1', e l' altro più grande posteriore, che ben tosto si divide in tre altri di quasi uguale grossezza 2', 3', 4': sicché alla sua volta anche il frenico sinistro si viene a dividere in quattro ; i quattro granii di destra ed i quattro di sinistra all' incirca si corrispondono per il loro ulteriore comportamento. Il primo 1, 1' va direttamente in avanti ad innervare le fibre della porzione sternocostale PS del proprio lato, e forma con i suoi rami un piccolo plesso G, G', per quanto poco com- plicato pure abbastanza chiaro, plesso anteriore. Il secondo ed il terzo da ciascun lato 2, 3, 2' 3' vengono alle fi- bre della porzione costale del diaframma, il secondo 2, 2' percorrendo un lungo tragitto in forma parabolica verso in avanti, il terzo 3, 3' venendo quasi direttamente sul lato. I rami del secondo e del terzo formano con rami, che i tre ultimi intercostali I, I, I, I', I', V manda- dano al diaframma, un plesso complicatissimo, H, H' plesso medio cui pigliano parte ancora dei ramoscelli anteriori del quarto 4, 4'. Anche il grosso ramo posteriore 4, 4' venendo a distribuirsi sulle fibre della porzione lombo-vertebrale forma tra i suoi rami ulteriori un altro plesso K, K', plesso posteriore. — Nella Fig. II. a destra il primo dei tre ultimi intercostali piglia parte non solo al plesso H, ma anche al plesso G. — Dei tre plessi il più importante e com- plicato è il medio o laterale, che essendo raffigurato, tralascio di descrivere. Il plesso laterale , come sulla stessa figura si può osser- vare , ha molteplici anastomosi col plesso posteriore , tanto che si potrebbe considerare come uno solo con questo : sicché allora si di- stinguerebbe un piccolo plesso anteriore ed uno latero-posteriore complicatissimo ed esteso. Ma il plesso laterale è in anastomosi an- cora con l'anteriore per mezzo dei filetti terminali del grande ramo 2, 2': in modo che i tre plessi anteriore, laterale e posteriore formano in tutto un solo plesso risultante di tre plessi minori. E se si tien conto di un' anastomosi notata dal Sappev nell' uomo tra alcuni rami poste- riori del frenico di un lato con quelli del frenico dell'altro lato, la ramificazione sul diaframma di entrambi i nervi frenici si può consi- derare come una grande corona nervosa interrotta solamente in avanti. 11 fatto anatomico della presenza sul diaframma di un plesso ner- voso così intrecciato deve avere pure la sua importanza funzionale: anzi credo realizzi la migliore condizione perchè la contrazione di tutte le fibre muscolari del diaframma sia sinergica e sincrona. 3." Nella cavia su taluni rami del plesso posteriore del diafram- ma esistono degli importanti gangli nervosi. Per ritrovarli si isoli la porzione lombovertebrale del diaframma, e la si tratti al cloruro di — 119 - oro col metodo di Lòwit, comesi volesse procedere a Ila ricerca delle terminazioni nervose sulle fibre muscolari ; s'immerga prima il pezzo in una soluzione al 20x0 di acido formico por la durata di tre a quat- ti-'ore, indi si impregni in una soluzione all' lj2 0[Q di Cloruro di oro finché il pezzo prende una tinta paglierina, poi si rimette in soluzione di acido formico per ventiquattr' ore lontano dalla luce, e poi ancora in soluzione di acido formico ma alla luce fintanto che ha luogo la riduzione del cloruro d'oro. Indi, tutto il pezzo si porti in glicerina leggermente acidulata con acido formico, e dissociando con la massi- ma cura sul microscopio da dissociazione Mayer si seguano paziente- mente i rami nervosi fino quasi alle terminazioni, e si porti paziente- mente ogni pezzettino ad osservare ad un ingrandimento di 50 a 1(X) diametri : così ricercando, sul tragitto dei nervi si troveranno i gangli. Ne esistono di varia forma e grandezza e con rapporti varii coi nervi. Nella Fig. Ili ov' è rappresentato uno dei più piccoli; il grosso ramo nervoso a spicca lateralmente sulla sua sinistra un ramoscello dd, il quale rimanda al grosso ramo dei. filamenti nervosi e, e, e di- verge con il ramuscolo h: questa figura giova a dimostrare ancora, un'altra volta la disposizione a plessi dei rami del N. frenico. Sul punto dove il rametto dd si divide in h ed e esiste un ganglietto con otto a niive cellule nervose interposte alle poche fibre nervee. — Nella Fig. IV. è rappresentato un ganglio G, più grande del precedente: le cellulo nervose sono riunite intorno alle fibre nervose formando uno di quei gangli, che gli anatomici chiamano a corona: tutto il ganglio è circondato da una guaina connettivale propria, che è in continua- zione con il nevrilemtna del nervo, cui il ganglio è annesso, e tra cellula e cellula nervosa non mancano sottili fibre connettivali man- date verso l'interno dalla guaina. Il ganglio della fig- VI. è assai più voluminoso, anzi sono propria- mente due, uno più grande G, l'altro più piccolo G': le cellule che lo compongono sono frammiste alle fibre del nervo a a. Nella Fig. V. sono due gangli G, G' a breve distanza sul decorso di uno stesso ramo nervoso a a : le cellule nervose che compongono detti gangli sono raccolte a preferenza verso uno dei lati del nervo e perfettamente contenute dentro del fascio nervoso. Il plesso diaframmatico dunque, è almeno in taluni animali, come la cavia, un plesso ganglionalo. Qual'è la funzione che spetta a questi gangli? La buona parte dei fisiologi oggidì pensano che il nodo vitale di Flourens non sia 1' unico centro dei movimenti del respiro, ma il cen- tro coordinatore di molteplici centri, che si trovano alcuni più in alto del centro di Flourens, altri più in basso nel midollo cervicale e forse - 120 — pure nel midollo toracico ed esistono numerosi fatti sperimentali, i quali dimostrano come i movimenti respiratorii ponno continuare an- che tolta assolutamente di mezzo 1' influenza della midolla allungata ■ Brown-Séquard, Schifi', Badge, Rokitanski); Langendorff e Ritschmaun hanno sopra tutti dimostrata l'esistenza di centri respiratorii spinali. E più recentemente il Mosso ha dimostrato con numerose osservazioni sull'uomo e sugli animali, che sempre la respirazione del diaframma benché coordinata a quella toracica, ne è disgiunta tanto rispetto al tempo quanto pure alla durata e alla intensità. — Quest' ultimo fatto deve essere spiegato non solo ammettendo la possibilità di esistenza di un centro proprio del nervo frenico nel midollo spinale, ma se- condo me ancora tenendo conto di questo nuovo fatto anatomico, cioè della presenza sul diaframma di gangli proprii, finora dimostrati solamente sulla cavia. E non mancano fatti clinici ed esperimentali , che danno auto- revole conferma al mio modo di vedere: si conoscono in talune iste- riche casi di nevrosi del diaframma, in cui si notano contrazioni rit- miche del diaframma indipendenti dai movimenti del torace, contra- zioni che persistono anche sospendendo gli atti respiratori! : il Brown- Séquard notò che recisi i frenici negli animali, si continuano a ve- dere movimenti ritmici di abbassamenti ed elevamenti del diaframma: ed infine è notevole il fatto, che nella morte, cessato di muoversi il torace, il diaframma si contrae ancora lungo tempo quando ogni al- tro muscolo striato non è capace di muoversi, eccettuato il cuore. Questi ultimi fatti dimostrano un vero automatismo nella funzionalità del diaframma, ed autorizzano. a considerare i gangli suddescritti co- me veri gangli intrinseci capaci di eccitazioni automatiche. 4.° Lungo il corso dei rami del nervo frenico s'incontra con gran- dissima facilità e ad intervalli di varia lunghezza dei colletti o cap- pa o cingoli, che la guaina connettivale esterna nel nervo o epine- vro forma attorno al fascio delle fibre nervose: sono dei piccoli fa- scetti di fibrille connettivali, qualche volta un solo fascetto, qualche volta parecchi , che abbracciano il cordone trasversalmente al suo decorso, e ne mantengono strette insieme le fibre nervee, che lo com- pongono. Questi cappii o colletti risultano di ordinarie fibrille di con- nettivo, cui bene spesso si aggiunge qualche fibra elastica: parallella- mente a tali fibrille non mancano dei nuclei di forma ellittica o ro- tonda; talvolta scorre lungo il cappio qualche capillare sanguigno. I fascetti di fibrille, che formano il capp:o o cingolo d'ordinario stringono tutto il cordone, come nella figura VII. è di e, e, e; qualche volta non riescono che ad abbracciarlo in parte, come in d, d: altra volta sono così numerosi e così completi che formano per un eerto — 121 — tratto attorno al tronco nervoso una specie «li manicotto; sempre a livello di questi cappii la spessezza del tronco o ramo nervoso si re- stringe di alquanto. Onesti cappi o colletti si riscontrano con facilità lungo il decorso dei grossi tronchi nervosi, più facilmente ancora sui medii e sui piccoli rami, e non mancano sui più tini ramuscoli com- posti di due a tre fibre nervose. Sui rami del frenico sono frequen- tissimi, e trovansi sparsi a varia distanza tra loro senza norme de- terminate : ma sono comuni a quasi tutti i nervi, se non a tutti nei mammiferi; li ho vidti in tutti i nervi muscolari, sui nervi della ve- scica urinaria, della cistifellea, delle ghiandole salivari, delle sierose peritoneo, pleure, pericardio); e nei rami nervosi muscolari e tendi- nei degli uccelli, dei rettili, degli anfibii, e tra i pesci sui nervi delle torpedini, non però degli ippocampi. L' ufficio di questi cappii non può essere che tutto meccanico: devono servire a mantenere al loro po- sto le fibre del cordone nervoso. 5.° Altra particolarità comune alla gran parte dei nervi perife- rici, ma che sui rami del frenico riscontrai la prima volta, e sopra di loro si può andare a trovare con maggiore facilità che altrove, sono taluni rigonfiamenti dei tronchi nervosi dovuti in gran parte ad accumolo nelle fibre nervose contenutevi di una maggiore quantità di mielina. Per vederli chiaramente, si ricorra, dopo avere trattati i nervi per qualche ora in soluzione di acido formico o di acido arse- nicico, al trattamento al cloruro di oro o meglio all'acido iperosmico. Vi ha di taluni rigonfiamenti così grandi, che a prima giunta, visti a piccolo ingrandimento si possono scambiare con gangli; ma se ne di- stinguono ben presto , se si passa ad osservarli a maggiore ingran- dimento, poiché non si trovano all'interno cellule nervose. Questi ri- gonfiamenti possono raggiungere un diametro trasverso una volta e mezza o due della larghezza del tronco nervoso: la loro lunghezza è varia a seconda della grandezza del nervo: per forma sono rotondi Fig. Vili. B, od ovali od ellittici: in molti casi sono limitati da uno o da entrambi gli estremi da colletti o cappii , ma non sempre. Tal- volta il rigonfiamento non occupa tutta la larghezza del nervo , ma solamente una parte come in B della Fig. IX. — Le fibre nervose nei tratti corrispondenti a questi rigonfiamenti hanno un notevole in- grossamento della guaina mielinica, talvolta si notano dei blocchi di mielina accumulativi; è importante il fatto che negli stessi tratti i seg- menti interanulari di Ranvier sono molto più corti che pe! resto delle fibre, sicché questi rigonfiamenti hanno il significato di lunghi di ri- generazione di fibre nervose ed infatti il modo di comparire di q tratti delle fibre nervose rassomiglia aite figure che il Sigmund Mayer dà per i tratti di fibre nervose in rigenerazione. 122 6.° Ho seguito i rami del nervo frenico fino alle sue termina- zioni. Quanto alle terminazioni sulle fibre muscolari non ho che a confermare quello che il Ciaccio ha veduto e descritto sulle pia- stre motrici delle fibre muscolari del diaframma del sorcio bianco: voglio però notare, che non raramente s'incontra talune fibre musco- lari con due piastre motrici anziché con una sola: particolarità isto- logica, che non deve essere senza ragione, tenuto conto del continuo lavorio muscolare cui queste fibre vanno soggette. Altri rami si distri- buiscono sul centro tendineo , e si risolvono tanto dalla faccia pleu- rale del centro tendineo quanto dalla sua faccia peritoneale in sottili, tenui ed eleganti plessi che seguono il corso degli ultimi rami arte- riosi e venosi dei vasi del diaframma. Conchiusioni \ ° Il tronco del nervo frenico, non che molti rami nervosi in ge- nerale non sono costituiti da fibre nervose decorrenti parallelamente tra loro , ma i fascetti che li compongono si intrecciano più o meno complicatamente tra loro. 2.° Il frenico forma sulla metà corrispondente del diaframma un complicatissimo plesso, cui pigliano parte pure rami provvedenti dai tre ultimi intercostali; questo complicatissimo plesso si può distinguere in uno anteriore, un altro laterale, un altro posteriore. 3.° Su questo plesso, nella sua parte posteriore, esistono nella cavia ganglii proprii od intrinseci, la cui presenza coordinata a fatti clinici e sperimentali fa ammettere nel diaframma un automatismo di funzione. 4." Sulla gran parte dei nervi nei vertebrali esistono alcuni strcz- z amenti o cappii formati dal nevrilemma : sono frequenti pure sui nervi, e sui rami del frenico in particolar modo dei rigonfiamenti do- vuti ad accumoli nei tratti corrispondenti delle fibre nervose di mielina. Bibliografia Sàppey — Traité d' anatomie descriptive — Paris 1877. B. Beaunis et A. Bouchard — Nouveaux éléments d'anatomie de- scriptive et d' embriologie — Paris 1885. Schwalbb — Lehrbuch der Neurologie. Erlangen 1881. Bbown-SéQUARD — Experim. Researches on the spinai cordou. — Rich- mond 1885. Sun t — Lezioni sul sistema nervoso encefalico — Firenze 1ST.1. Budge. Ueber den Einflues der Reizimg des N. Vagus auf das atbmen holen. — Virchow's Archi» XVI 1859. Rokitanski— Untersuchungen iiber die Atbmen-Nerven-Centra — Me- dizinische Iahrsbiicher 1874. Soli.d..Soc A Mai Ann .'.' tlis .7 Thv. IV ■ ■ - • i s ; - a V i : 8 9 — 123 — Langendorff — Studien iiber die Innervation der Athmenbewegungen — Archiv fiir Physiologìe von Du-Bois Reymond 1HSO. Mosso — La respirazione periodica e la respirazione superflua o di lusso. Atti dell1 Accademia dei Lincei 1885. Giaccio — Osservazioni intorno alle terminazioni motive dei muscoli striati delle Torpedini, del topo casalingo, del ratto albino con- dizionati col doppio cloruro di oro e di cadmio — Bologna 1883. Sigmund Meyeb — Ueber Vorgànge der Degeneration und Regenera- tion in unversehrten peripherischen nerven-system — Praga 1881. Indice 8 spiegazione delle figure Fig. I. — Tronco del N. Frenico di coniglio — a a estremità supe- riore, ò, b estremità inferiore; e, e, e, e, e fasci che formano il tronco del N. Frenico; d, cZ, d, grossi rami anastomotici e, e, e — Ingrandimento di D. 5 (acido formico, acido osraico). Fig. II. — Diaframma di piccolo coniglio, rappresentato in piano. — A forame quadrilatero, aortico, esofageo tagliati ed in continua- zione con l'incisura, B, che corrisponde allo sporto della co- lonna vertebrale: C centro tendineo; p s porzione sterno-costale delle fibre muscolari del diaframma, p e porzione costale, p l v porzione lombovertebrale; F I) frenico destro F S frenico sinistro. I, I, I, I, I, I ultimi tre paia d'intercostali; 1, 1' ramo anteriore del N. Frenico, 2, 2' 3, 3' rami laterali ; 4, 4' ramo posteriore ; G, G' plesso anteriore; H, H' plesso laterale; K, K' plesso poste- riore. — Ingr. 2 volte dal vero (acido formico, alcool ordinario). Fig. III. A. Cavia — grosso ramo del Frenico; B epinevro, e, e ca- pillare; d piccolo ramo nervoso, e, e rami che d manda al grosso ramo a; h ramo divergente; G ganglio, Oc: 2, Obb. 5 Koristka, Camera lupida di Zeiss (ac. formico, clo- ruro di oro e soda). Fig. IV. Cavia; a, a piccolo ramo del Frenico; G ganglio, e cellule ganglionari; d guaina del ganglio. Oc : 3, obb. 3 Koristka, Camera lucida Zeiss (acido formico, clo- ruro di oro). Fig. V. — Cavia — a a un ramo del Frenico, G, G' gangli. Oc: 3, Obb. 3 Koristka, Camera lucida Zeiss (acido formico, clo- ruro di oro). Fig. VI. — Cavia — a, a rami del Frenico, G, G' gangli. Oc^ 2, obb. 2 Koristka, Camera lucida Zeiss (acido formico, clo- ruro di oro). - 124 — Fig. VII. — Sorcio bianco — a a ramo del Frenico, b b nevrilemma, e, e, e, e cappii o colletti completi, d, d cappii o colletti incom- pleti. Oc : 3, Obb. 3. Koristka, Camera lucida Zeiss (acido formico, clo- ruro di oro). Fig. Vili. Cavia a a ramo del Frenico, B rigonfiamento. Oc: 1, Obb. 1, Koristka (acido formico, cloruro di oro). Fig. IX. — Cavia a a ramo del Frenico, B rigonfiamento parziale, (acido formico cloruro di oro). Oc : 1, Obb. 3, Koristka. Note morfologiche intorno al Solenophorus meg*aceph.a- lus Greplin. — Comunicazione preliminare del socio or- dinario non residente Cesare Crety. (Tornata del dì 8 aprile 1888) Nell'intestino di cinepue grandi Ofìdi appartenenti ai generi Boa e Python, dissecati in tempi diversi in questo laboratorio di Anatomia comparata, si rinvennero costantemente i Solenofori. L'organizzazione di questi parassiti è stata studiata e descritta dal Leblond (1), dal Bazin (2), ed in questi ultimi anni dal Poirier (3) , dal Moniez (4), dal Roboz (5), dal Griesbach (6). I risultati ai quali (1) C. Leblond. — Quelques observations d'IIelminthologie. — Ann. d. Se. nat,, Sér. 2— Tom. VI— 1836— pag. 289-307. (2) Bazin. — Note sur l'Anatomie du Bothrydium Pythonis Blain. - Compi, rend. — Tom. 13 — 1841 — p. 728-730'. (3) J. Poirier. — Sur l'appareil excréte li r du Solenophorus megalocephalus. — Compi, rend.— Tom. 87—1878 — pag. 1043-1045. — Appareil exeréteur et system e nerveux du Duthiersia expansa et 'du Solenophorus megalocepha- lus. — Com\,l. rend. —Tom. 102 — 1886 — pag. 700-703. (4) P . Moniez . — Sur quelques points d'organisation du So- lenophorus megacephalus Crep. — Bullet. scienl. de pari, du Nord. Avril 1879 — Tom. XI. (5) Z. Roboz. — Beitràge zar Kenntniss der Cestoden. Zeil. {. wiss. Zoologie, lìd. 37 — Hefl 2— 1882 —pag. 263-28.'). (6) II. Griesbach. — Ueber das Nervensy s tem von Solenopho- rus megalocephalus — Archiv. f. Microscop. Anatomie. Bel. 22 — 1883 — p. 365-368. — Beitriige zur Kenntniss der Anatomie der Cestoden. — Idem. pag. 5% 5 584. — 125 — pervennero questi tre ultimi autori, specialmente per ciò che si rife- risce al sistema nervoso, sono contradittorii. Collo scopo ili stabilire definitivamente tale questione intrapresi delle ricerche, avendo a mia disposizione un abbondante materiale e conservato nelle migliori con- dizioni. La specie che fu rinvenuta più abbondante e che servi ai miei studi fu il Solenophorus raegaccphalus Crepi in. Nella presente comunicazione preliminare accennerò brevemente ai risultati delle mie ricerche; riservandomi di svolgere più ampia- mente, in un prossimo lavoro, la parte bibliografica e critica. Lo scolice dei Solenofori è diviso in due metà eguali e simme- triche da un profondo solco. Ciascuna metà porta una ventosa tabu- lare con doppia apertura, una superiore e l'altra inferiore corri- spondente alla linea mediana dello strobiìa. La forma delle ventose in questi parassiti è caratteristica, poiché sono allungate e caliciformi; circa alla metà presentano una dilata- zione ampollare terminata superiormente ed inferiormente da due brevi tubi cilindrici, i quali finiscono nelle due anzidette aperture. La struttura dello scolice è essenzialmente muscolare. I muscoli longitudinali dello strobila si continuano nello scolice e forman > at- torno a ciascuna ventosa uno strato di fibre muscolari longitudinali ed in parte oblique. I muscoli circolari sono pure molto sviluppati e trovansi vicino allo strato cellulare sottocuticolare interno della ven- tosa; in taluni punti questi muscoli presentano tale sviluppo da arri- vare fino in vicinanza della cuticola esterna. L'apertura superiore delle ventose è provveduta di uno spesso e potente strato di fibre circolari che trovasi immediatamente sotto lo strato sottocuticolare; questo muscolo occupa in lunghezza quasi tutta la parte superiore del tubo che termina la ventosa e può chiamarsi sfintere superiore; nel tubo che termina la parte inferiore della ven- tosa trovasi egualmente un altro simile muscolo, che, come il primo, può chiamarsi sfintere inferiore. Questi due muscoli furono veduti e descritti dal Bazin (1) fin dal 1841. A livello dello sfintere superiore notasi una discreta quantità di fibre muscolari radiali; nel rimanente dello scolice queste fibre radiali sono alquanto scarse. Nel tramezzo che divide le due ventose, ed al- quanto in alto, prendono origine quattro muscoli, che si dirigono obli- quamente verso lo strato sottocuticolare esterno e si estendono per circa due terzi della lunghezza della ventosa e contribuiscono alla (1) Bazin. — 1. e. pag. 728. -- 126 — chiusura dell'orificio superiore. Vicino all'apice di siffatto tramezzo si origina un forte fascio di fibre a direzione orizzontale, che si dirige da una parte e dall'altra al lato interno della rispettiva ventosa e qui si termina sparpagliandosi a mo' di ventaglio. Per tutta la lunghezza dello scolice il tramezzo che divide le ventose è occupato da un in- tricatissimo reticolo di fibre muscolari, che si dirigono in tutti i sensi verso ciascuna ventosa. Lo strato sotto-cuticolare risulta di cellule molto allungate, nelle quali possiamo distinguere due estremità , una rivolta verso la cu- ticola , l' altra verso l'interno : l' estremo rivolto verso la cuticola è sottile, l'altro invece è alquanto slargato a mo' di bottiglia: nel mezzo della cellula trovasi il nucleo di forma ovalare che si colora inten- samente; il contenuto della cellula è finamente granuloso. L' insieme di queste cellule, il posto che occupano vicino alla cuticola, e di più il loro contenuto, fanno nascere il sospetto che si tratti di glandole unicellullari, a cui si debba attribuire l'origine della cuticola. Questo concetto s'impone sempre all'occhio dell'osservatore. Queste cellule sono collegate fra loro da una discreta quantità di sostanza intercel- lulare granulosa che ha i medesimi caratteri morfologici del conte- nuto delle cellule sotto-cuticolari; questa sostanza è molto abbondante in vicinanza della cuticola, dove, la porzione sottile delle cellule sot- to-cuticolari termina e si confonde con essa sostanza granulosa , in guisa che il limite di dette cellule non si distingue nettamente. L'Hamann (1 ) pure ascrive a questo strato cellulare l'origine della cuticola. Oltre questi elementi cellulari nello strato sotto-cuticolare si os- servano anche cavità di grande diametro, che hanno forma tubulare ovvero anche di bottiglia con la parte più ristretta rivolta verso la cuticola. Tali cavità sembrano limitate da una membrana propria ed il loro contenuto è composto di granulazioni finissime; non si osserva però alcuna traccia di nucleo. Queste formazioni non si limitano allo strato sotto-cuticolare , ma si addentrano nel parenchima fino allo strato dei muscoli longitudinali assumendo forme e dimensioni varie, rotonde alcune, ellittiche altre; non di rado queste cavità si osservano prive di contenuto granuloso: le dimensioni delle più grandi sono per il grande diametro mm. 0,044; per il minore mm. 0,013. Nel parenchima inoltre si osservano anche cellule rotonde od (1) IIamaxn. — Taenia lineata Goeze , eine Tà'nie mit flà- chenstàndigen Geschlechtsol'fnungcn. — Zeit. f. wiss. Zoologie. Bd. 4.2, ffeft. -/.»' — 1885 pag. 718-744. — 127 — ovali con contenuto granulare e nucleo voluminoso, ma che perù non si colora cosi intensamente come il nucleo delle cellule sotto-cutico- lari. L'Hamann ha ritrovato questi elementi nei parenchima della Tae- nia lineata , ed asserisce che hanno la facoltà di muoversi come un'ameba. Nel Solenoforo gli elementi ovalari sono scarsissimi. In tutto il parenchima sono sparsi nuclei liberi senza alcuna trac' eia di protoplasma cellulare, né di membrana; misurano in media nini. (i,0()17. S s si sottopone all'azionò di qualunque sostanza colorante (car- minio borico, litico, nllumico, ematossilina) una sezione d'uni giovane proglottide, il risultato è sempre identico; i nuclei che si colorano più. intensamente sono quelli delle cellule sotto-cuficolari , con media in- tensità quelli delle cellule ovalari del parenchima; poco colorati poi i nuclei liberi: la massima attività fisiologica dunque risiede nello strato sotto-cuticolare (ho taciuto dei nuclei delle cellule che formano gli organi genitali, ovari, vitellogeni, glandole del guscio, testicoli, tasca dol pene ecc. che si colorano senza distinzione intensamente). Mi sembra dunque pienamente giustificata l'opinione dell'Hamann (l), del Moniez (2) e di altri che la formazione ed il rinnovamento della cuticola nell'animale adulto debba attribuirsi alle cellule sotto-cuti- colari. Un elegantissimo reticolo di fibrille di tessuto connettivo si estende per tutto il parenchima; la loro direzione è prevalentemente trasver- sale e sono sottilissime e rifrangenti; si colorano bene con l'emf tossi- lina, non ostante l'asserzione del Roboz che dice rimangano sempre decolorate; alcune sono diritte, altre hanno unandimmto serpentino e le loro sottili estremità possono seguirsi fino fra le cellule sotto- cuticolari. A tutte queste formazioni serve di cemento e sostegno una so- stanza fondamentale jalina, ed in alcuni punti finamente granulosa, che hi tutti i caratteri morfologici della sostanza mucosa. Nel parenchima trovansi anche i corpuscoli calcarei, numerosi nello strato corticale, scarsi invece nello strato mediano. Il sistema nervoso del Solenoforo consta di due nervi longitudi- nali, che si estendono per l'intero strobila e di un centro o ganglio situato alla sommità dello scolice. I nervi longitudinali trovansi vi- cino ai dotti escretori, al loro lato esterno, e nelle sezioni trasverse delle proglottidi, appariscono molto grandi e perciù visibilissimi anche con piccoli ingrandimenti. Essi pervenuti nello scolice si trovano si- ti) Hamann. — 1. e pag. 720. (2) Moniez. — Mómoires sur les Oestodes, pag. 83. — 128 — tuati nel tramezzo che separa le due ventose, e che possiamo consi- derare come un proseguimento dello strobila nello scolice. Vicino al- l'apice dello scolice i due nervi longitudinali incurvatisi alquanto verso la linea mediana ed unisconsi l'uno con l'altro mediante una commes- sura ispessita nel mezzo, ove trovansi le cellule nervose ganglionari. La commissura, come tutto il rimanente del sistema nervoso , spicca molto bene nelle sezioni trasverse, dai circostanti tessuti, perchè poco si colora eccetto gli elementi ganglionari , che si colorano intensa- mente; la commessura ha un diametro trasverso di mm. 0,066 ed un diametro longitudinale di rana. 0,22. Nel mezzo della commessura tro- vansi le cellule nervose; sono grandi, a contenuto protoplasmatico gra- nuloso, con membrana cellulare distinta e nucleo voluminoso. La loro forma è allungata con uno, due e talvolta tre prolungamenti; il loro diametro maggiore è di mm 0,020 ed il minore di mm. 0,011; alcune cellule più allungate e p ù strette hanno un diametro maggiore di mm. 0,024, ed uno minore di mm. 0,006. A livello quasi della commessura, ma alquanto più in basso, si ori- ginano quattro grossi filamenti nervosi, i quali si dirigono all'esterno ed obliquamente verso le ventose , le circondano e si anastomizzano due a due formando attorno a ciascuna ventosa un anello completo, il quale, insieme alla commessura ed all' anello nervoso del lato op- posto, forma una cifra ad 8; il diametro trasverso di questi nervi è di mm. 0,039 e sono situati all' esterno dei muscoli circolari pr-oprii della^ventosa ed immediatamente al di sotto del muscolo sfintere su- periore, che chiude l'apertura omonima della ventosa.. Questi nervi, per la loro posizione, dimensione ed importanza possono chiamarsi nervi 'principali della ventosa e provvedono all'innervazione dello sfintere superiore e di tutta la parte superiore dello scolice. Poco dopo la loro origine, da questi medesimi nervi si staccano quattro sot- tili ramuscoli nervosi che discendono alquanto in basso, indi la loro direzione da verticale si fa orizzontale , circondano la ventosa stri- sciando al suo fondo, e, unendosi due a due, formino un altro anello completo al disotto del primo. Questo è situato fra lo strato cellu- lare sotto-cuticolare ed i muscoli circolari propri della ventosa. I nervi principali della ventosa lungo il loro decorso attorno a questa, mandano qualche sottile ramuscolo che si perde subito nel pa- renchima. Nella parte superiore della commissura i nervi longitudinali dello strobila si continuano ancora un poco e terminano con due sottili fi- lamenti nella parte superiore del tramezzo che divide le ventose. Lungo il loro decorso nello strobila i nervi longitudinali emet- tono finissimi ramuscoli trasversali , che, a causa della loro estrema — 129 — sottigliezza, anche con forti ingrandimenti, possono seguirsi per breve tratto. Per quanto risulta dalle mie osservazioni sopra numerosi tagli eseguiti nelle tre direzioni, i nervi constano di fibrille nervose, di una scarsa quantità di sostanza interfibrillare e di qualche raro nucleo libero del tutto simile a quelli del parenchima. Le fibrille nervose sottilissime e finissime con andamento leggermente on lulato non si colorano; la sostanza interfibrillare, che loro serve di sostegno è s jarsa e presenta i medesimi caratteri della sostanza fondamentale mucosa del parenchima e nelle sezioni trasverse assume aspetto reticolato. La presenza dei nuclei nell'interno dei nervi ha fatto supporrò a qualche Autore l'esistenza di cellule nervose lungo il loro decorso: Griesbach e Roboz infatti descrivono nei nervi longitudinali del Sole- noforo cellule nervose bipolari. Ho sezionato numerose proglottidi di Solenoforo conservate con acido osmico, sublimato, liquido di Flem- ming e non mi è mai riuscito vedere cellule nervose lungo il decorso dei nervi; le cellule nervose d'altra parte presentano caratteri istologici così spiccati, da non indurre il menomo dubbio sulla loro presenza. Però reputo conveniente fare ulteriori osservazioni intorno a que- sto importante argomento della struttura dei nervi dei Gestodi. I nervi non sono limitati da una membrana propria, bensì sono come immersi nel parenchima e soltanto i nuclei liberi di questo, in qualche punto , appariscono più numerosi intorno alla loro periferia. II sistema nervoso del Solenoforo, in questi ultimi anni, è stato studiato e descritto dal Roboz, Griesbach, e Poirier, e ciascuno ne dà una descrizione differente. Adottando le loro vedute, il Solenoforo sa- rebbe di molto allontanato, per quanto riguarda il sistema nervoso, dalle disposizioni omologhe che riscontransi nella famiglia deiB>trio- cefalidi, coi quali il Solenoforo presenta invece le più grandi affinità. Qualora si faccia astrazione dei due anelli nervosi, i qinli rap- presentano una particolare disposizione dovuta allo sviluppo ed alla speciale organizzazione delle ventose tubulari, il sistema nervoso ri- dotto alla sua parte centrale (commessura e ganglio), ed ai nervi lon- gitudinali, presenta la più grande rassomiglianza con quello del B)- thriocephalus lalus descritto or non è molto dal Niemiec (1) in due lavori. (1) J. Niemiec. -^ Sur le system e nerveux des Bot hi* yoc ópha- lid es. — Compi, remi. — Tom 100 — 1885 — pag. 1013-4015. — Untersuchungen ù b e r d a s Neryensystem d e r Cestoden. — Arbeiten aus dem Zool. Inslilule der Universilàl Wien. — Tom. V//. —He fi I. — 130 — Anche nel rimanente della sua organizzazione il Solennforo ci fa ve- dere le più grandi affinità col Botriocefalo; valga d'esempio la posi- zione deg'i orifizi sessuali, l'utero ecc. ecc. Gli organi riproduttori maschili e femminili sono stati descritti e figurati dal Roboz. Una particolarità sfuggitagli è la forma 'Ielle uova: queste rassomigliano a quelle del Botriocefalo, però un lato è piano, anzi nel suo mezzo leggermente concavo ; in uno dei poli distinguesi nettamente l'opercolo. Nelle proglottidi mature si trovano le uova per- fettamente sviluppate con la caratteristica larva exacanta; non di rado però si trovano gli uteri completamente vuoti; ha luogo dunque con probabilità una regolare deposizione di uova, fatto osservato nel Bo- triocefalo. Le uova hanno un diametro longitudinale di mm. 0,086 ed un diametro trasverso di mm. 0,048. Roma, Istituto di Anatomia comparata, Aprile 1S88. Ricerche anatomiche ed istologiche sul tubo dige- rente delle larve di alcuni Lamellicorni flfeo- fa«*i. — Xota preliminare del socio ordinario residente P. MAGAZZINI. (Tornata del dì 13 maggio 1888) I principali nuovi fatti che ho potuto constatare collo studio del sistema digerente delle larve adulte dei generi Oryctcs , Anomala Cetonia e Tropinota sono i seguenti: 1) La presenza nel mesenteron di muscoli lisci , per un periodo almeno della vita larvale. Esaminando durante l'inverno la costituzione degli strati musco- lari del mesenteron di queste larve, ho potuto constatare che le fibre di questi parte dell'intestino, invece di essere striate, sono in gran parte liscie. Si presentavano tali tanto nelle preparazioni a fresco, quanto nelle preparazioni permanenti, fatte con fissazione al sublimato e co- lorazione con carminio boracico, picrocarminio ed ematossilina. Né l'acido acetico, né il cloridrico facevano apparire alcuna striatura; ma invece lasciando per alcuni minuti le fibre fresche in acqua, si presen- tava una falsa striatura molto irregolare a zigzag ed a V. L'aspetto delle fibre così trattate era perfettamente somigliante a quello di alcuni muscoli lisci di altri insetti (Goccidi). Non posso attribuire a tale fatto alcuna importanza filogenetica, cioè di diversità specifica negli insetti dei muscoli della lamina splancnica da quelli della somatica , come — 131 — può farsi pei' i vertebrati, giacché le mie osservazioni non sono siate estese agli altri ordini d'insetti in modo da potermi permettere una simile generalizzazione. Del resto sembra che le fibre liscie siano più facili a trovare fra quelle che hanno un diametro trasverso molto piccolo che fra quelle che hanno un diametro trasverso di maggiore larghezza, poiché le grosse fibre della linea mediana ventrale si pre- sentano, almeno in parte, striate mentre tutte le altro sono liscie Ad ogni modo, il failo. tanfo di per so stesso, quanto in relazione alio re- centi controversie di Blanchard e Fol, sulla presenza ilei muscoli striati e lisci nei vari tipi del regno animale, ha una certa importanza. 2) Un nuovo tipo di tossalo connettivo. Nelle larve di Oryctes , Cetonia e T copinola riscontrasi nella parte ventrale del mesenteron tra gli strati muscolari e l'epitelio, un tessuto connettivo di forma speciale e che non si può riportare a nes- suna delle forme finora descritte. Esso forma principalmente i due rialzi del solco ventrale mediano nelle larve di questi generi. Questo solco però non si trova nel mesenteron delle larve appartenenti al gruppo dei Melolonta ni. È costituito da una sostanza fondamentale gelatinosa, assai rifran- gente in cui stanno immersi gli elementi figurati cioè le fibre e le cellule. Le fibre partono da speciali formazioni che hanno la figura di gabbia e che sono costituite da un intreccio caratteristico delle fibre stesse. Le fibre hanno la specialità di essere, in gran parte almeno, trasversalmente striate, sicché esse hanno l'aspetto di fibre muscolari striate. Osservando però attentamente si scorge come questa non è che una falsa striatura, giacché è molto irregolare tanto nella forma, quanto nella dimensione e perchè talvolta le zone scure di un segmento sono cinque o sei volte di grossezza maggiore delle zone scure di un altro segmento. Un'altra particolarità di questa striatura si è che essa in molti casi si prolunga ora da un lato ora dall'altro e talvolta da entrambi al di là del limite laterale delle fibre stesse, mercè piccoli filamenti di lunghezza varia che partono dalle zone scure. Le gabbie caratteristiche sono fatte da fibre grosse e sottili an- ch'esse in gran parte striate e nelle preparazioni fatte col metodo delle sezioni mostrano ciascuna un grosso nucleo nell' interno. Da queste gabbie partono le fibre, parte delle quali vanno a formare un intrec- cio di sostegno, e le altre vanno ad anastomizzarsi colle fibre partenti dalle gabbie adiacenti. Oltre a questi elementi si trovano sparse nell'interno della so- stanza fondamentale delle cellule di apparenza ameboide, con prolun- — 132 — garaenti più e meno lunghi e trasformati. Siccome ho trovato tutte le forme intermedie di transizione tra queste cellule e le gabbie colle fibre caratteristiche, così credo che tali cellule sieno destinate a for- mare i nuovi elementi costitutivi di questo tessuto di forma speciale. La forma più caratteristica di questo tessuto si trova nella larva di Oryctes; nella Cetonia e Tropineta invece il tessuto si presenta meno differenziato , le cellule sono meno frequentemente trasformate nelle caratteristiche gabbie e le fibre si mostrano meno decisamente striate di trasverso. Sono d'opinione che questo nuovo tessuto debba trovarsi anche nella larva di Osmoderma giacché il suo mesenteron ha la stessa forma di quello dei tre generi in cui ho riscontrato questo tessuto. Siccome le fibre di questo tessuto presentano una grande analo- gia a quelle del tessuto muscolare striato, così do ad esso il nome di tessuto mioideo. 3) Cristalloidi nel nucleo di alcune cellule del mesenteron di Oryctes. Ho riscontrato nel nucleo di alcune cellule del mesenteron di Oryctes dei cristalloidi di forma e configurazione affatto speciale. Essi sono localizzati nei nuclei delle cellule poste nei rialzi ventrali del mesenteron di questa larva. Ciascun nucleo generalmente contiene un sol cristalloide il quale è piuttosto grande ha una forma tondeggiante a piastrina, con o senza un foro nel centro. Talvolta il cristalloide ha la forma di 8, altre volte ha quella di una morula ed altre volte è ellissoidale. A fresco e nelle preparazioni permanenti ha un colore giallastro, sì che a prima vista e con un debole ingrandimento può pren- dersi per una gocciolina di grasso. Ma la forma sua non perfettamente rotonda, anzi talvolta molto irregolare e la sua insolubilità nell'alcool, nel cloroformio e nell'etere come pure l'insieme di una serie di reazioni, con acidi organici ed inorganici e con sali diversi, tolgono ogni dubbio e fanno con certezza asserire che esso non sia affatto un globulo di grasso. Questo speciale corpuscolo si può secondo il mio parere ripor- tare alla forma di cristalloide trovata da Frenzel nei nuclei del- l'epitelio del mesenteron della larva di Tenedrio molitor, sebbene differisca da esso, perchè mentre il cristalloide del Teneorio ha in generale una forma assai regolare, essendo comunemente esagonale, quello della larva di Oryctes ha sempre una forma irregolare. Il cristalloide si trova tanto nelle larve di piccola dimensione, quanto nelle grandi, tanto in quelle ben nutrite, quanto nelle larve tenute per quindici giorni od un mese a digiuno e che presentavano il mesen- teron ripieno unicamente di terra. Ho potuto però constatare che il — 133 — cristalloide si trova solamente nei nuclei dell'epitelio in fase regressi- va cioè durante il periodo avanzato di istiolisi. Il cristalloide, che dalle ricerche fatte, sembra essere costituito principalmente di sostanza organica, rappresenta forse un prodotto di regressione della sostanza protoplalmatica, prodotto che non si è po- tuto eliminare a causa della fase necrotica in cui si trovava l'epitelio. 4) Valore morfologico del solco ventrale mediano del mesenteròo. Nelle larve di Qryctes, Cetonia e Tropinota, per uni disposi- zione speciale della tunica muscolare e per la presenza specialmente rli due cordoni di connettivo nella parte ventrale media del mesen- teron , si ha un solco longitudinale che ai suoi estremi anteriore e posteriore presenta delle disposizioni più o mano complicate a seconda dei generi e delle specie. Simroth e Van Lidth de .1 ;ude hanno attribuito a questo solco ventrale la funzione di trasportare dalla parte posteriore alla anteriore del mesenteron il secreto di due dei quattro vasi malpighiani che sboc- cano nel limite tra il proctodeum ed il mesenteron. Secondo qu isti autori i due vasi malpighiani il cui secreto sarebbe trasportato nel mesenteron per mezzo del solco ventrale, avrebbero una funzione epatica ed il liquido da essi segregato sarebbe analogo alla bile degli animali superiori. Così questi autori hanno rimesso in campo una teoria fatta fino dal 1829 da Strauss Durckheim e sostenuta in seguito da Leydig, cioè della diversità di funzione dei diversi vasi malpighiani di questi Sca- rabei. Però lasciando anche da parte la considerazione che tale teoria fu già abbattuta da Koelliker e da Plateau che dimostrarono l'identità di struttura di tutti i vasi e l'identità del secreto di essi, mi limiterò a fare osservare come una simile disposizione, della presenza cioè del solco ventrale nel mesenteron, non sia nemmeno costante in tutte le larve di Lamellicorni fitofagi, giacché le larve del gruppo delle Me- lolonte ne sono sprovviste. In queste perciò sarebbi assai difficile spiegare il modo con cui tale secreto sarebb3 trasportato. Invece le mie ricerche sul tubo digestivo di questi animali mi hanno condotto a dare una spiegazione affatto differente sulla pre- senza del solco ventrale di queste larve. Il solco cioè rappresenta una sorta di ceco glandolare che dà secreto digestivo analogo a quello delle diverse file di cechi che si trovano nel mesenteron di queste larve. Questa opinione è fondata sull'osservazione del liquido segregato dalle cellule di questo solco, ed inoltre sull'aspetto delle cellule che lo tappezzano ed infine sulla speciale disposizione che presenta nella — 134 — larva di Orycles ove non si può considerare come un solco, ma come una serie lineare di cechi disposti longitudinalmente. Il gruppo delle Melolonte, come più antico, avrebbe il mesenteron di una maggiore semplicità e la funzione secretrice vi esisterebbe non localizzata in disposizioni anatomiche speciali, ma sparsa per tutto il mesenteron. 5) Il sacco è la parte assorbente dell'intestino di queste larve. Il sacco, che è la parte media del proctodeum, si presenta assai ri- gonfiato, e, come tutte le parti dell'intestino provenienti dall'epiblasto, si presenta ricoperto di chitina. Però la chitina in questa parte del pro- ctodeum non forma una membrana continua, ma si trova forata da pori canali. Questi sono disposti in areole speciali (areole di assorbimento) né\Y Anoiìiala e Trovinola e sono sparsi senza ordine apparente nel- I' Oryctes. Questi pori canali rappresentano i punti di assorbimento di que- sta porzione dell'intestino. Tra le speciali areole di pori canali, o tra i gruppi non specializzati di essi deìYOryetes, la chitina presenta delle produzioni arborescenti di varia forma e dimensione; queste servono a trattenere l'alimento per farlo meglio assorbire e sono disposte in maggior quantità lungo l'ultima parte del sacco, che nella parte an- teriore. L'assorbimento è assai maggiore laddove sono queste produ- zioni chitinose, che là ove non si trovano e ciò si constata per la quan- tità di materie alimentari che dai pori canali vedonsi passare nelle sottostanti cellule. L'epitelio di questa parte dell' intestino è dimorfo. Là ove la chi- tina si presenta appiattita le cellule sono poligonali e formano un epi- telio pavimentoso semplice. Là ove sono le protuberanze arboriformi le cellule non hanno limite netto, sono più piccole, hanno i nuclei al- lungati e non rotondi come le altre e nell'insieme prendono l'aspetto di un sincizio. Esse penetrano nell'interno di queste produzioni spe- ciali chitinose. Napoli dalla Stazione Zoologica, Maggio 1888. 135 — Delle terminazioni dei nervi sni tendini nei ver- tebrati.— Studi istologici del socio ordinario residente Sergio Pansini. (Tornata del dì 22 Aprile 1888) §. i.° La scoverta, importante così dal punto di vista fisiologico come dal punto di visia patologico e clinico, dei riflessi tendinei fatta da Erb (1 e da Westphal (2) ha richiamato l'attenzione degl'istologia studiare sui tendini 1' esistenza non solamente di nervi proprii, ma ancora di apparati nervosi terminali, dai quali partissero gì' impulsi afferenti, che riverberati dai centri si mutassero in impulsi efferenti e dessero luogo a quegli speciali movimenti riflessi , che sono i ri- flessi tendinei. Primi ad occuparsi di siffatte ricerche furono contem- poraneamente A. Rollet e C. Sachs. Rollet (3) studiò sul tendine dei muscolo sternoradiale della rana e su quello del corrispondente mu- scolo del proteo, della salamandra, del tritone; e sopra tulio sul ten- dine dello sternoradiale della rana descrive minutissimamente un plesso nervoso proprio del tendine, ed agli estremi di fibre nervose mieli- niche provenienti dai più piccoli rami del plesso riconosce delle for- mazioni terminali o zolle nervose (Nerven-Schollen, di f rma piatta, allogate in mezzo alla sostanza tendinea, abbastanza somiglianti alle piastre terminali o eminenze delle fibre muscolari striate. Nella zolla nervosa Rollet distingue una parte continua colla fibra nervosa e co- stituita dalla divisione e suddivisione di questa in rami mielinici sempre più brevi, ed una massa interposta alle ultime fibre midiniche oche riempie gli spazii da queste limitati di questa massa egli non dimo- stra chiaramente la continuità con le fibre nervose, ma la ritiene dubbia o piuttosto la presume, e ne dà- un doppio tipo: secondo il primo la massa è pcco bene delimitati dalle parti circostanti e con- tiene dentro di sé, variamente avvicinati tra loro , dei chiari nuclei (1) Eri;. — Ueber Sehnenreflexe— Archiv far Psychialrie 1*75. (2) Westphal — Ueber einige durch mechanische Einwirkung auf Sehnen und Muskeln ber vòrgebrachte Bewegungs ersch- neinungen — Archiv fiir Psychialrie 1875 (3) Rollet — Ueber einen Nervenplexus und einigen Ner- venendigu ngen in einer Sehne. — Silzungberichle der Kaiscrlichen akademie dei* Wissenschaflen. Mai 1876. - 136 — provveduti di nucleoli ed analoghi a quelli delle piastre motrici o delle piastre elettriche o delle cellule ganglionari nervose; nell' altro tipo la massa ha nuclei meno distinti e meno chiari, e piuttosto gra- nuli lucenti decorrenti secondo linee ondulate, tra cui esistono spazii egualmente chiari ed intrecciati senza formare vere reti: la quale seconda forma ha contorno meglio limitato della prima, ma non esi- ste una linea delimitante perfettamente spiccata. Sachs (1) ha fatto ricerche anche più es ese, ed ha studiato oltre che sul tendine dello sternoradiale della rana , su quello del semi- tendinoso dello stesso animale , sui tendini dei muscoli della faccia posteriore della coscia e sui tendini di alcuni muscoli della coda della salamandra. Non trova nervi nei lunghi tendini d'41e gambe del pas- sero, trova qualche fibra nervosa nei tendini fusiformi delle ali: tra i mammiferi descrive nervi nei lunghi e sottili tendini della coda del sorcio e nel centro tendineo del diaframma. Quanto a terminazioni dei nervi dei tendini egli non ne ha trovato che negli anfibi) e nelle lucertole: alla fine di quasi tutte le fibre nervose dei tendini in que sti animali rinviene una specie di piastra o scudo, dentro cui la fibra nervosa si risolve o in un intricato cespuglio di fibre pallide, ovvero in un pennello di fibre pallide: ammette pure sul tendine dello ster- noradiale della rana un'altra forma di terminazione, quella a clava di cui dà pure una figura; ma questa forma da niun altro ricercatore è stata riscontrata dopo di lui. Gempt (2) parla di terminazioni visibili ad occhio nudo, e nella zolla nervosa non ammette intreccio di fibre nervose amieliniche, ma divisione dicotomica di esse. Lavoro memorabile sull'argomento è quello di Golgi (31: il Golgi non solo ha migliorato notevolmente la tecnica, ma ha esteso di gran lunga le ricerche, e per il primo ha trovato terminazioni nervose spe- ciali nei tendini dei mammiferi e degli uccelli. Egli distingue tre for- me di terminazioni nervose nei tendini: 1° la terminazione libera; 2.° il siro organo terminale nervoso muscolo-tendineo-, 3.° i corpuscoli terminali. La prima forma si riscontra nei tendini dei muscoli della lu- (J) Sachs — Die Nerven der Sehnen. — Archiv far Anatomie, Phy- siolof/ic und ivissenschaftlichc Mcdicin. Leipzig JS75. (2) T. Gempt— E in Beitrag zu der Lehre von den Nerven en- digungen in Binde gè webe. Disserl. Kiel 1887. (3) G. Golgi — Sui nervi dei tendini dell' uomo e di altri vertebrati, e di un nuovo organo nervoso termi naie muscolo- tendineo. — Memorie della li. Accademia delle Scienze ili Torino 1880, Se~ rie '?.* Tomo XXXII. - 137 — certola e della rana, ed è cosi costituita: una fibra nervosi perde la sua guaina midollare, ed il suo cilindrasse si divide in due, tre, quat- tro fibrille, che tosto danno origine, in svariate divisioni, a nume- rose altre fibrille , le quali alla loro volta scomponendosi in (ili di estrema finezza ed anastomizzandosi tra loro, riescono a formare una reticella a maglie irregolari con rigonfiamenti sui punti nodali di essa rete: accollati alle fibrille sono dei nuclei tondeggianti od ovali. L' or- gano nervoso terminale muscolo-tendineo, conosciuto sotto il nome di corpuscolo di Golgi, si trova sulla gran le maggioranza delle espan- sioni tendinee dei muscoli dei mammiferi e degli uccelli , ed in par- ticolar modo sull'espansione tendinea dei muscoli gemelli: esso è co- struito da un circoscritto ftispessimento di tessuto tendineo, di forma fusata, con ima estremità in connessione sempre con un fascia di libre muscolari, con V altra o semplice o divisa, che si confonde con i fasci tendinei : sopra di esso o da una de'le due estremità ovvero da uno dei lati arrivano una o più fibre nervose; e questo si dividono in fibre di secondo ordine, che si dirigono verso i bordi del corpuscolo, e qui si trasformano in fibre pallide , le quali dando al- cune divergenti suddivisioni si terminano in circoscritti intrecci re- ticolali, simili ciascuno ad una piastra motrice. Il terzo tipo, delle terminazioni a clava, è stato dal Golgi visto solamente in alcuni ten- dini di muscoli dell'uomo (grande e piccolo palmare, flessore comune delle dita, pronatore rotondo etc): sono formazioni somigliantissime ai corpuscoli di Krause o ai corpuscoli di Pacini , hanno un invo- lucro composto di una serie di finissimi strati concentricamente di- sposti, con nuclei ovali interposti, e un contenuto fatto da una massa gialliccia e risultante di una sostanza fondamentale omogenea e da granuli rifrangenti: la fibra entrante o termina con piccolo rigonfia- mento all' estremità opposta- dei corpi, come nei corpuscoli di Pacini, ovvero nell'interno si dispone ad ansa, ovvero l'ansa si conforma a gomitolo. Marchi (1) trovò i corpuscoli di Golgi anche sui tendini dei mu- (1) Marchi. — Sugli organi terminali nervosi nei tendini dei muscoli motori dell' occhio — Nota preventiva — Alti dell' Ac cademia delle Scienze di Torino — Volume -76"° — Anno 1887. — Ueber die Terminalorgahe der Nerven (Golgi' s Ner- ven-Kòrperchen) in den Sehnen der Augenm nschel n - Graefe's ~ con — Archiv. far Ophthalmologie — Berlin 1882 — Band ?8J — Sugli organi terminali nervosi [corpi di Golgi) nei tendini dei muscoli del bulbo oculare — Archivio dell'' Scienze mediche — Torino — IS82. Volume V. — 138 — scoli motori del bulbo oculare dell'uomo e del maiale, ove Golgi li cercò inutilmente : li ritiene esclusivamente tendinei e senza connes- sione colle fibre muscolari. Cattaneo (1) ha ripetuto le osservazioni di Golgi, e dimostrato sugli organi nervosi terminali muscolo-tendinei un rivestimento endo- telico non che, studiato il loro rapporto con i così detti fusi muscolari, e cercato di dimostrare sperimentalmente come essi sono in relazione colle fibre nervose centripete ed indipendenti da quelle centrifughe, e che molto verosimilmente sono gli organi del senso-muscolare. § 2.° Le mie osservazioni son fatte su tutte le classi dei vertebrati, e dirò man mano nei successivi capitoli, secondo i varii animili, quali •sono i luoghi a preferire per la ricerca; dico qualche pai-dia sulla tecnica. Mi sono avvalso ordinariamente dei metodi ad impregnazioni metalliche, cioè dei metodi conosciuti all'acido iperosmico e al clo- ruro di oro, e di un altro metodo suggeritomi dal Prof. Palladino, e che chiamiamo metodo al cloruro di palladio e ioduro di potassio o di sodio. E bene che sempre l'azione di questi preziosi reagenti sia pre- ceduta dall'azione macerante degli acidi minerali o vegetali: li ho usati presso che lutti gli acidi in uso, acido cloridrico all'I o 2 OjÒ acido nitrico 1 0[0, acido formico 1 o 4 0[0, acido tartarico 1 o 2 0,0, acido citrico 1 o 2 0|0, acido arsenicico l{2o 1 Ofl; le soluzioni di acido arsenicico 1 0]0 e acido formico 2 OfO, sono quelle che, meglio hanno corrisposto: in generale la durata di azione di questi agenti non è fissa, ma relativa al grado di maggiore o minore durezza del ten- dine o dell'aponevrosi o del muscolo, e alla grandezza loro. Il pezzo è adatto alla impregnazione consecutiva quando ha assunto un aspetto semi-trasparente. L'acido osmico si può usarlo anche contemporaneamente all'a- cido arsenicico o all'acido formico come pratica il Golgi: ovvero si usa, previa l'azione dell'acido macerante: si preferisca la soluzione all' 1(2 0|0, ed i pezzi ad impregnare sieno piccoli: la soluzione al- l' ì\2 0(0 penetra più facilmente che soluzioni più forti , e permette (1) Cattaneo — Sugli organi nervosi terminali muscolo- tendinei in condizioni normali, e sul loro modo di com- portarsi in seguito al taglio delle radici nervose e dei nervi spinali — Accademie delle Scienze, di Torino 1887. — Serie II — Tomo 38, — 139 - che l'impregnazione duri senza inconvenienti anche per ventiquatt'ore. L'acido osmiCo raggiunge le terminazioni nervose, e ne pone in vista le particolarità di struttura: ina non dà immagini così precise come quelle che si ottengono col cloruro di oro. Dei compósti di oro ho usati il cloruro di oro semplice, il cloruro di or«» e di solio il cloruro di oro e potassio il cloruro di oro e cad- mio: quello che meglio mi ha corrisposto è stato il cloruro d'oro, prece luto e seguito dalla macerazione in acido formico al 2 <)[() Voglio dire qualche cosa di più del metodo al cloruro di palla- dio e ioduro di potassio o -di sodio. Sono già note le proprietà fissatrici del cloruro di palladio (1) sulle quali non voglio intrattenermi; ma varii tentativi furono fatti per cavare profitto da questo reagente perla ricerca della fina strut- tura rldle terminazioni periferiche dei nervi, ed anche il Sachs (2) ed il Golgi (3) nei loro studii sui nervi dei tendini hanno cercato di ritrarne vantaggio: realmente il cloruro di palladio benché riesca, da solo a mettere in evidenza le terminazioni dei nervi nei muscoli e noi tendini, pure le immagini che con esso si ottengono, sono molto pallide ed inferiori a quelle ricavate con il cloruro di oro o con l'a- cido osraico; invece la colorazione, che si ottiene col cloruro di pal- ladio, si può ravvivarla, se i pezzi in esso impregnati, si immergono dopo in una soluzione di ioduro di potassio o di sodio : perciò a que- sto metodo abbiamo dato il nome di metodo al cloruro di palladio e ioduro di patassio e di sodio. È noto come soluzioni anche attenuatis- sime di cloruro di palladio, si riconoscono colla massima facilità perchè trattate con soluzione di ioduro alcalino danno un precipitato bruno o nero di ioduro di palladio insolubile negli acidi, solubile in eccesso di soluzione di ioduro alcalino : questa stessa reazione si fa avvenire nel seno dei tessuti, ed ottenuta nelle condizioni , che sono per de- scrivere , somministra immagini chiare delle terminazioni dei nervi nei muscoli, e più chiare nei tendini. Un pezzetto piuttosto piccolo di tendine o di muscolo si macera colle proscrizioni indicate in soluzione all'I 0(0 di acido arsenicico o al 2 OpO di acido formico: si lava ri- petutamente nell' acqua distillata, si immerge in soluzione all' 1 OpO di cloruro di palladio (il cloruro di palladio è assai poco solubile in acqua; per ottenere una buona soluzione all'I OiO bisogna aggiun- gere tante gocce che bastino di acido cloridrico) il pezzo può essere (1) Schiefferdecker— Henle's Handbuch der Nervenlehre 1871. Archìv. fur mikr. Anatomie IS74. (2) Sachs — Opera citata. (3) Golgi - Opera citata. — 140 — anche più grande di quello che è necessario per il trattamento al cloruro di oro e all'acido iperosmico, dei quali la forza di penetra- zione è minore di quella del cloruro di palladio. La sola difficoltà di questo metodo consiste nella determinazione del tempo di im- mersione nel cloruro di palladio , tempo che se è molto breve , la colorazione che se ne ottiene dopo coli' ioduro è ancora pallida, se molto lungo, la colorazione è assai scura, e per giunta il tessuto si altera e si spezzetta; la regola è che il pezzetto raggiunga un colo- rito leggerissimamente gialletto. Ciò ottenuto, il pezzo si lava in ac- qua distillata e si tuffa in soluzione al 4 0[0 di ioduro di potassio o di sodio : la reazione è tanto pronta che può dirsi immediata : il pezzo passa dal suo colore gialletto ad un rosso più o meno scuro : si può farlo restare per ventiquattr'ore in soluzione di ioduro, anzi è me- glio che resti, così l'eccesso di precipitato si scioglie; dopo nuovo e ripetuto lavaggio in acqua distillata, finché ogni traccia di ioduro sodico o potassico sia scomparsa : indi di bel nuovo, si fa macerare in soluzione di acido arsenico o formico al percentuale indicato. Dopo di che si dissocia e si chiudono i preparati in glicerina, o se i pezzi .vogliono conservarsi per servirsene con proprio agio, si mantengono in glicerina acida. Con siffatta reazione si colora in giallo pallido la guaina di Schwann, in giallo più vivo la guaina mielinica , in giallo più vivo e tendente al caffè il cilindrasse ed i nuclei della guaina di Schwann : la fibra muscolare striata mostra nettissimamente la sua doppia stria- tura longitudinale e trasversa, non che la stria .di Krause e quella di Amici : del tendine si colora in giallo sbiadito la sostanza intercellu- lare o fondamentale , in giallo rossastro gli elementi. Le immagini delle piastre motrici sono chiare, ma non uguagliano forse quelle ni- tide, che ponno ottenersi col cloruro di oro: le immagini delle piastre tendinee spiccano elegantemente sul fondo bianco-gialletto del tendine, e mostrano chiaramente tutti i loro attributi istologici. Questa reazione ha i vantaggi di essere pronta, indipendente dal- l'azione della luce, di dare preparati persistenti ed inalterabili. Me ne sono avvalso anche per lo studio dei gangli e dei nervi di pa- recchi organi: conservo bellissimi preparati di gangli della vescica urinaria e biliare della rana, del coniglio, del cane ottenuti per dis- sociazione: e preparati di gangli mienterici interni ed esterni del- l' intestino di cane , ottenuti coi tagli e chiusi in balsamo. Utili servigi presta pure il bleu di metilene : dopo 1' azione degli acidi maceranti si colorino i pezzi in bleu di metilene : la reticella in cui si dissolve il cilindrasse ed i nuclei delle piastre si mostrano in modo evidentissimo. Questo metodoè eccellente sopra tutto per con- — 141 — frontare con i preparati al cloruro di oro o al cloruro di palladio. Se le preparazioni sono fatte all'acido osmico , si può consecutiva- mente colorare con il bleu di metilene. § 3 Ho ricercato sull'ippocampo e sulla torpedine. Si prenda un ippocampo comune VIlippocampus bi-evirostris, o V Mppocampus gutUdalus) ed a preferenza di grosse dimensioni, e lo si immerga intero in una soluzione al 2 0[0 di acido formico: dopo un'ora o due la cute dell'animale, una specie di corazza con scudi ossei, si può togliere facilissimamente, se pure non se n' è, almeno in parte, spontaneamente caduta : allora si isolino i muscoli del dorso, due lunghi cordoni muscolari situati nelle gronde vertebre-dorsali e ridottili in piccoli brandelli si rimettono nella suindicata soluzione di acido formico, indi in soluzione all' 1 [2 0[0 di cloruro di oro finché non prendono un colore giallo-paglierino, e poi un'altra volta in acido formico 2 OpO per ventiquattr' ore lontano dalla luce, e altre venti- quattr' ore a luce diffusa. Si dissocia accuratatamente sopra di un microscopio da dissocia- zione, modello Mayer, e si monta in glicerina. I nervi di questi animili hanno ramificazioni corte e scarse , e sono muniti di guaina mielinica assai ristretta: o direttamente dai tronchi nervosi che passano sui tendini per andare a ramificarsi nei muscoli, o dalle ramificazioni muscolari, si staccano dei piccoli fila- menti che vengono a terminarsi nei tendini: il piccolo ramuscolo ner- voso dopo consecutive ramificazioni si riduce ad una semplice ed unica fibra midollata, e questa si avanza sul tendine per due o tre segni Miti interanulari del Ranvier, finché ad un tratto si spoglia così della sua guaina di Schwann come di quella mielinica, e come nudo cilindrasse si spinge ancora oltre, o senza ulteriori ramificazioni, come in T" della Fig. 2.a ovvero si ramifica in due branche piuttosto corte come in I" della Fig. 2.a , ovvero più lunghe come in T della Fig. 3.a; ovv sro, ma è più raro, la biforcazione incomincia direttamente dal punto in cui la fibra nervosa perde guaina midollata e guaina di Schwann, come in T e T' della Fig. l.a Raramente la divisione è a tre, ossia a tridente. Sul cilindro dell'asse così denudato, semplice o ramificato, si trovano o proprio aderenti ad esso, ovvero appesi per mezzo di corti e sottili peduncoli, dei nuclei, taluni così piccoli che sono più granuli che nuclei , altri più grandi che sono veramente dei nuclei di forma ovale o rotonda: il numero dei nuclei e dei granuli varia da otto a quindici, a diciotto. — 142 — Tutta la lunghezza della terminazione misura da p 18-33 a « 55-63; nell'insieme, a seconda della lunghezza del cilindrasse, del nume- ro dei nuclei e della lunghezza dei piedicelli, la terminazione neuro- tendinea rassomiglia o ad una rada pannocchia quali T deda Fig. 2/' e T della Fig. 3.a o ad un grappoletto semplice come T' della Fig. 2.a In casi eccezionali per accorciamento dell'asse e per allunga- mento dei peduncoli che sostengono i nuclei si ha la forma quasi di una stelletta, ossia si ha la prima comparsa di una piastrina, quale T della Fig. 4.a Tra i nuclei non si vede nessun accenno di sostanza intermedia: tutta la terminazione non è circondata da alcun rivestimento , ed è una vera terminazione libera. Il numero di siffatte terminazioni non è abbondante, ma non si può dire scarso: in generale si trovano a discreta distanza dagli estre- mi delle fibre muscolari: altra volta sono poste in vicinanza agli estre- mi di esse fibre, altra volta negli interstizii degli estremi deile fibre. Adunque una fibra nervosa mielinica ridotta ad un nudo cilin- drasse semplice ovvero ramificato^ fornito con piccoli nuclei sessili o muniti di corti peduncoli, ecco la prima ed elementare forma nei ver- tebrati di terminazioni neuro-tendinee. Questa forma più semplice di terminazione neuro-tendinea è ab- bastanza somigliante alla terminazione neuro-muscolare degli stessi animali, per la quale mi riporto completamente alla descrizione, che ne fa il Trinchese (1): sicché possiamo dire che le terminazioni ner- veo-tendinee sono degli equivalenti morfo istologici delle terminazioni neuro-muscolari. Ancora prima di passare oltre, poiché il terreno opportunamente si presta , vo' portare un contributo di fatti alla nota questione sul modo onde la fibra muscolare striata si connette col tendine, concili va col suo estremo ad attaccarsi, tanto più che il Rinviar sceglie i muscoli ed i tendini del cavallo marino come il campo più adatto a decidere la questione: e le mie osservazioni mi conducono ad avere un'opinione non conforme a quella dell'autorevole osservatore. A proposito della quale questione i pareri sono discordi: Fick (2) e Wa- (1) Trixgiiese — Mor foto già delle terminazioni nervose mo- trici periferiche dei vertebrati — Nota preliminare — Bend. d. R. Acc. d. Lincei — Maggio JS85. (2) Fick. — Ueber die Anheflnng der Mu skeelfasern an die Sehen — Archiv. fìir Anatomie, Phisiologie una wissenschaflliche Medecin IS50. - 14;ì — genar (l) ammisero che le fibre muscolari si continuassero diretta- mente nei tendini; Rollet (2), Herzig (3) Biesàdecki (1) Weissmann 5) Frey (6), Ranvier (7), Krause (8) Toldt (0 , che le fibre, muscolari hanno una terminazione assolutamente indipendente, e che esiste tra l'estremo della fibra ed il tendine un fitto e tenace cemento, che col- lega l'uno all'altro: varii istologi sono di parere eclettico od ammet- tono elio in taluni muscoli le fibre si terminano liberamente, in altri si continuano direttamente nella sostanza del tendine: l'opinione più diffusa e che è volgarizzata nelle scuole, è la seconda. Fra gli ultimi ad occuparsi dell'argomento è stato il Golgi (10), al cui lavoro rimando chi volesse avere più particolareggiate cono- scenze intorno ai differenti modi di vedere degli autori: il Golgi è pervenuto alla conchiusione che « ogni fibra muscolare è composta « da una serie di segmenti longitudinali, che sono distintissimi in pros- « simità delle terminazioni delle fibre stesse, ma che vanno gradata- « mente confondendosi coi vicini, man mano nei punti più lontani della « terminazione » e. che i fascetti di fibrille primitive di ogni fibra mu- scolare si continuano nei fascetti primitivi tendinei, da cui ogni tendine elementare viene composto. (1) Wagener — Uè ber die Mùskelfasern der Ewertebraten — Reichert's und Duboù — Reymónd's Archiv, 1863. (2) Eollet — Ueber freie Enden quergestreiften Mùskelfasern in innern Sehnen. Sitzgumòerichte der Kaiserlìchen Akademie der Wissenschaflen zu Wien, Band XXI, 1856. (3) Herzig. — Spindelform ige Elemente quergestreiften Mùskelfasern. Wiener Siizungberichte, Band XXX, I8ò8. (4) Biesàdecki und Herzig. — Die verschiedenen Formen der qu ergestreiften Mùskelfasern — Wiener Sitz ugberichte eie, Band. XXXIU 1858. (t>) Weissmann. — Ueber die Verbindung der Mùskelfasern mi t ihren Ansatzpunkten — Zeitschrifl far raiion. Medicin. — ///. Band XII, -186 1. (6) Frey. — llandbuch der Histologie und Ili s t odierni e der Menschen. — Leipzig, 1877. (7) Ranvier — Traité Tacimi que d ' II is tolo gie. —Paris, 1878. (8) Krause. — A 1 1 g e m e i n e undmicroscopische Anatomie — Annover, 4886. (9) Toldt — Le hrb udì der Gewebelehre. — Slutlgard, 1877. (io; Golgi. —Annotazioni intorno all' istologia normale e patologica dei muscoli volontari — Archivio per le scienze mediche* Volume V, Torino 1882. — 144 — Mi fo lecito di allontanarmi per poco dalle terminazioni neuro- tendinee, perchè i dati da me ottenuti a riguardo dei rapporti tra fi- bre muscolari e tendini si ricavano con il metodo stesso, che si usa per la ricerca delle terminazioni nervose, ossia col metodo del clo- ruro di oro. Per lo scopo si scelgano piuttosto che i fascetti musco- lari presi dai lunghi cordoni muscolari siti nelle gronde vertebro-dor- sali , i piccoli muscoli motori della pinna dorsale dell'ippocampo, i quali hanno per ogni fibra muscolare un tendinuccio proprio: il metodo di preparazione è né più nò meno di quello per le terminazioni ner- vose, e che non ripeto: i preparati si montano in glicerina acidificata con acido formico. Osservando tali preparati si è sorpresi di trovare nello stesso preparato, e talvolta 1' una accanto all'altra, talune fibre muscolari che si terminano in modo netto o a punta conica o a becco di flauto, in modo da far credere vera l'opinione di Ranvier e di Weissman, come le fibre muscolari A, A, A delle Fig. 2a e 3a; ed al- tre , che alla loro estremità si sfioccano , e si dividono in appendi- ci, e si spennellano come in A, A, A delle Fig. 5a, 6a, 7a, 8a. Il nu- mero di siffatti prolungamenti , simili a dei fittoni , che la fibra mu- scolare infigge nella sostanza del tendine, è vario, da due o quattro fino a quattordici, sedici: se sono numerosi, i più corti son posti or- dinariamente allo esterno, ed i più lunghi nel mezzo; e la lunghezza loro oscilla tra fi. 7 a ■<. 70-80. Ciascuno di loro ha forma conica con la base del cono verso il ventre della fibra muscolare, e con l'apice appuntato verso il tendine: hanno decorso taluni rettilineo, altri fles- suoso. Col trattamento al cloruro di oro prendono lo stesso colorito della sostanza contrattile: visti ad ingrandimento di circa D. 500 ma- nifestano una piccola seghettatura laterale, e sopratutto se sono lar- ghi, mostrano qualche accenno di striatura trasversa : qualche volta quando sono ben lunghi e larghi contengono un corpuscolo di Schultze, o come sogliono dire, nucleo del sarcolemma, di cui più spesso una maggior parte è contenuta dentro de 1 prolungamento ed una minor parte nel corpo della fibra muscolare, ovvero tutto il corpuscolo di Schultze si contiene dentro del prolungamento. — Ma oltre delle fi- bre, che si terminano a coutorno netto, e di queste altre che finiscono in un pennello più o meno ricco di prolungamenti, ne esistono delle altre ohe rappresentano forme di passaggio o di transizione tra le prime e le seconde, ossia di quelle in cui i prolungamenti si vanno fa- cendo sempre più corti, sicché somigliano a piccole seghettature, di cui 1' estremo dell a fibra è munito; il numero delle seghettature può essere molto vario: p. es. in A' della Fig. la le seghettature sono po- chissime 5-7; in A' della Fig. 4a arrivano a 50. Così è varia pure la lunghezze di dette seghettature, alcune sono così corte che non — 145 — sono visibili che a forti ingrandimenti , altre sono cosi lunghe che possono considerarsi conio dei veri e spiccati prolungamenti. Altro fatto importante a notare è che in taluni punti i fittoni o prolungamenti, che la fibra muscolare manda nella sostanza del ten- dine, sono ih continuazione con i corpuscoli tendinei, come è rappre- sentato nella Fig. 7a; e che anzi in questi punti i corpuscoli tendinei acquistano uno straordinario rigoglio , e sono accumulati in gran numero. Esiste adunque realmente una diretta communicazione tra ten- dine e fibra muscolare — Ed inoltre le fibre muscolari, che sono an- cora piccole come A, A della Fig. 8a, e che mostrano perla loro stria- tura trasversa molto marcata i caratteri di fibre giovanissime, sono munite di prolungamenti, i quali sono di poco numero, ma ben grossi e caratteristici; gli estremi delle fibre della Fig. 8a sono uno biforcuto, ossia munito di due soli prolungamenti V altro triforcato , ossia con tre prolungamenti. Possiamo dunque conchiudere: che le fibre muscolari realmente hanno una continuazione diretta con i tendini, come lo dimostra so- pratutto il fatto della continuità tra i corpuscoli tendinei ed i prolun- gamenti della fibra muscolare, e che perciò il rapporto tra fibra mu- scolare e tendine non è di semplice connessione chimica, ma di vera continuità morfologica: che le opposte apparenze del modo di termi- narsi delle fibre muscolari a cono netto o a pennello, non sono che gli estremi di una serie con tutte le gradazioni intermedie; e conside- rando che tutte queste apparenze si riscontrano nelle fibre muscolari d'uno stesso animale, in uno stesso muscolo, sotto lo stesso trattamen- to, e che la fibra giovane è munita di prolungamenti , possiamo rite- nere che quelle varie apparenze devono mettersi in correlazione con le fasi della vita della fibra muscolare, e che se la fibra muscolare giovane è munita di prolungamenti, quella che ne è sprovvista è adulta, e le altre sono di età intermedia, come dalla lunghezza dei prolun- gamenti viene significato. E torno alle terminazioni dei nervi sui tendini, e propriamente a quelle delle Torpedini. Ho ricercato quasi sempre sulla torpedo ocellata, qualche volta sulla torpedo maculata. Si spelli l'animale di fresco ucciso, e si isolino le lamino apo- nevrotiche dei muscoli dorsali, specialmente di quei muscoli che stanno avanti e dietro ad una sbarra o trasversa di cartilagine, che in que- sti animali divide la parte cefalo-toracica dal resto del corpo: isolata in un punto una di queste aponevrosi o con sottili forbici, o col ta- gliente del bistorino con movimento a sega si tagliano le fibre mu- — 146 — scolari presso i loro punti di attacco: isolati cosi dei grossi pezzi di aponevrosi, con il tagliente del bistori si cerca, abradendo delicata- mente, di asportare la gran parte di quegli apici di fibre muscolari; si riducono questi tratti di aponevrosi in più piccoli pezzi di quattro a cinque centimetri quadrati, si trattano col solito metodo al cloruro di oro: ed i preparati si chiudono in glicerina. Nella Fig. 9a è rappresentata una di queste lamine aponevrotiche con i suoi nervi e con le termina- zioni di questi. È un grande e ricco plesso di nervi a fibre mieliniche, a maglie irregolarmente rettangolari; dentro di maglie più grandi che sono limitate o da fibre nervose più grosse oda parecchie fibre nervose, ossia da veri rami nervosi, sono contenute maglie più piccole, di for- ma analoga a quella delle maglie maggiori lunghe da 120 a 130 p e larghe ^ 90 a 110; dalle fibre limitanti queste maglie partono le fi- bre terminali, le quali dopo un corso alquanto sinuoso e più o meno lun^o, vengono quasi verso il centro della maglia a finire in carat- teristiche formazioni terminali, di cui nella Fig. 91 sono rappresentati melteplici esempii. Ogni terminazione è costituita dalle ramificazioni di una fibra mielinica in fibre amieliniche e da nuclei, che sono appesi alle estremità di questi filamenti amielinici. Il numero delle fibre ter- minali, che arriva ad una piastra è o di una o di duo, e se di due, que- ste ponno provvenire da punti abbastanza discosti; mi non è che le piastre alle quali arrivano due fibre nervose sieno necessariamente più grandi di quelle dove apriva una sola; la grandezza delle piastre è in coria^pondenza colla ricchezza di ramificazione: la larghezza delle piastre è di 50 a 70 ^ e la larghezza , poiché con questo metodo di preparazione non è misurabile, si può dire solamente che sia pochis- sima, sicché le piastre devono essere formazioni piatte. L' unica o dop- pia fibra mielinica si ramifica, come ho detto, in fibre amieliniche, e queste si suddividono ancora senza formare mai intrecci tra loro, ma sempre separate e distinte; e poiché con i loro estremi cui sono at- taccati dei nuclei, vengono a trovarsi o allo stesso livello o formano in tutto una curva con leggiera conversità esterna, l'aspetto della piastra è presso a poco quello di un corimbo. Di solito è un corimbo semplice, qualche volta, e non molto raramente, è ramificato. I nuclei sono ben grandi, di forma ovale o rotonda e tanto più abbondanti quanto pili ricca è la ramificazione: tutta la formazione terminale non è limitata da una membrana che separi la piastra della sostanza del tendine; con tutto ciò non può menomamente confondersi alcun ele- mento della piastra nervosa con quelli dell' aponevrosi, tanto sono differenti gli uni dagli altri. Del tutto somiglianti a queste piastre a corimbo delle aponevrosi dei muscoli dorsali sono quelle che si trovano sui tendini dei muscoli — UT — delle pinne (vedi Fig: IO.*), però manca la formazione di veri plessi ner- vosi, ed i più dei rami nervosi vengono dai nervi muscolari, le piastre T'T' T'' sono a grande vicinanza degli estremi delle fibre muscolari; quanto a costituzione sono, relativamente a quelle delle aponevrosi dor- sali, a ramificazioni alquanto più diradate. Altra forma più complicata e più svolta di terminazione neuro- tendinea riscontrasi pure nelle torpedini, ma non è molto frequente: l'ho trovata in taluni punti delle aponevrosi dorsali, senza distribu- zione bene determinata. Nelle Figure 11.'' e I2.a sono rappresentati due esempii : sono dei veri corpuscoli terminali per la loro grandezza, pella loro fisionomia, pella esatta delimitazione dal tessuto tendineo circostante: dove si trovano, sono per lo più riunite a gruppi di cin- que o sei, ma a certa distanza tra loro. Hanno forma ovale, ellittica o rotonda, e raggiungono una lunghezza di 90 a 140 ^ ed una lar- ghezza di 40 a 85 «,;vi arriva o una sola fibra nervosa, come è nella Fig. 12/' ovvero due come nella Fig. 11*. Comunque sia, la fibra ner- vosa (o le due fibre nervose) si ramifica ancora una o due volte in fibre ancora midollate, e queste si dividono e suddividono successiva- mente dicotomicamente in fibre amidollate, che diventano sempre più sottili, e si espandono regolarmente senza formare mai una rete, ed in modo che gli estremi degli ultimi fili sono circa alla medesima di- stanza dal centro della piastra, cui corrisponde ordinariamente il punto della primitiva divisione della fibra midollata. Lungo il decorso dei fili amielinici, e ancora più alle loro estremità esistono dei nuclei piccio- lissimi, granulari f delle fig. 11.* e 12.a; ed a questi lungo il contorno della piastra si aggiungono dei nuclei più grandi, muniti di nucleoli, e simili ai nuclei delle cellule ganglionari g delle fig. 11* e I2a, e che sono disposti molto regolarmente lungo la periferia della piastra al disotto di una specie di membranella . che sembra limitare tutta la piastra. Tutto 1' interno della piastra è riempito di una sostanza finissimamente granulare, ed alcuni di questi granelli si confondono con quelli che sono annessi ai sottili ramuscoli amielinici. Non può sfuggire ali* oc- chio dell'osservatore la grande rassomiglianza che corre tra la prima e la seconda forma delle piastre neurotendinee con le due forni i di piastre motrici che esistono in questi animali , e che furono con tanta precisione descritte e raffigurate da Ciacccio. (1) il quale di- (1) Ciaccio — ~Os servazioni istologiche intorno alla ter- minazione delle fibre nervose moti ve nei muscoli striati delle torpedini del topo [casalingo e del ratto albino, con- dizionati col doppio cloruro di oro e di cadmio. — 148 — stingile due maniere di piastre motrici , una , che chiama forma ini- ziale « consistente in certi grappoletti di minate coccoline nervose « di figura oblunga o bistonda, i quali grappoletti si originano dal re- « plicato dividersi che fanno le fibre nervose pallide nelle ultime « estremità loro » e l'altra più complicata, che egli chiama piastra motrice con terminazione dei nervi in grappoli spargoli di coccoline nervose. Così si dimostra un'altra volta come le terminazioni neuro- tendinee sono degli equivalenti istomorfologici delle terminazioni neuro-muscolari. Non voglio lasciare questo studio intorno alla Torpedine senza far parola di un raro reperto del quale però per quanto abbia ricer- cato con cura, non sono riuscito ad ottenere altri esempii: però il pre- parato è così chiaro che vale la pena di tenerne conto: è un piccolo pezzo di tendine (Fig. 13), cui si inserisce un gruppo di muscoli delle pinne pettorali: su questo pezzo di tendine di figura ovoidale vengono a terminarsi due fibre nervose N, N', e ciascuna di esse si suddivide in due, ognuna delle quali finisce in T, T, T, T, piastrine ricchissime di nuclei. Tutta la formazione rassomiglia certi corpuscoli , che stu- dieremo più avanti, cioè i corpuscoli di Golgi. • § 4. Fra gli anfibii la Rana comune è quella che più facilmente si presta a queste ricerche, ed è il campo di studio preferito da Sachs e da Rollet in poi per ottenere nitidi preparati di terminazioni neuroten- dinee: si può ricorrere al tendine del muscolo sternoradiale, ma più numerose terminazioni sono sulla faccia plantare del tendine di Achille ed ancora più sull'aponevrosi plantare. Del pari ne ho trovato sui ten- dini del semitendinoso del tricipite della coscia non che sui tendini della gran parte dei muscoli degli arti anteriori: in generale possiamo dire che se non sono tutti i tendini che ne vanno provvisti, sono ben po- chi quelli che ne mancano: il maggior numero si ha come preceden- temente ho connato, sul tendine d' Achille e sull'aponevrosi plantare dei piedi posteriori. Si ottengono belli preparati con acido iperosmico, con cloruro di oro, con cloruro di palladio e ioduro di potassio. Una fibra mielinica terminale a livello di uno strozzamento di Ranvier si parte in due, tre, quattro fino a cinque fibre provvedute ancora di rivestimento midollare, i cui segmenti interanulari si vauno facendo sempre più brevi , più corti e più tozzi , i quali visti a pic- colo ingrandimento sembrano terminarsi a punta nella massa della piastra: occorre passare ad un ingrandimento di oltre D. 150 per ve- dere come queste ultime si connettono intimamente cogli elementi — 149 - della piastra. Il cilindrasse degli ultimi segmenti interanulari si espande in una sottilissima e delicatissima reticella, che si continua e confonde con la reticella in cui si dissolve il cilindrasse dei prossimi ultimi segmenti interanulari: questa rete si estende molto più in lunghezza, che in larghezza: la rete risulta di fili tenuissimi e delicati tanto, che se i preparati non sono nitidi, neppure appare, ed è fatta di moglie piuttosto grandi: sui punti nodali di questa rete esistono , non che in- terposti nell' interno delle maglie , un grandissimo numero di nuclei granulari ed oltre a questi sono in numero limitato nuclei molto più grandi muniti di nucleoli , e che si colorano chiaramente con bleu di metilene in bleu scuro , mentre i più piccoli con lo stesso si co- lorano in verde chiaro. Tutta la formazione terminale risalta chia- ramente sul fondo del tessuto tendineo , ed ha un colorito più cupo di quello che assume il tendine : se la impregnazione è al cloruro di oro , tutta la piastra ha colorito violetto oscuro ; e se al cloruro di palladio, colorito giallo più intenso che non il tendine: in tal modo, vale a dire per l'intensità del colorito, come pure per i suoi rap- porti colla fibra nervosa , la piastra è del tutto distinta dal circo- stante tessuto tendineo , però non esiste un involucro speciale e proprio della piastra, ma sono gli elementi tendinei, che si allineano a contornare la piastra dalla parte opposta al punto , per dove pe- netra la fibra terminale : d' altra parte è impossibile confondere un corpuscolo tendineo , che è di forma sempre allungata o quasi ser- pentina, con i nuclei della piastra, che hanno i caratteri precedente- mente descritti. Frequentemente le piastre sono contornate o attra- versate da capillari sanguigni e Fig. 14a. Le dimensioni di queste piastre variano di molto: oscillano in lunghezza tra 140 a 235 ». ed in larghezza tra 70 a 120 a. Fatto notevole ad osservare è la tendenza che in quesli animali hanno le piastre a riunirsi in gruppi, ossia ad accentrarsi parecchie di esse in tratti limitati del tendine : così nella Figura 1 1 sono due gruppi di piastre, e non manca tra le piastre di un medesimo gruppo qualche punto di continuità tra loro; ma quello che è più, in taluni casi affatto rari, sono varie formazioni terminali neurotendinee così riunite tra loro, da formare un'unica e sola formazione, come è di quella rappresentata nella Fig. 15, ove a prima giunta non si può dire se si tratta di una sola grandissima piastra , o di alni ino due grandi piastre riunite ; ed è solamente una osservazione estesa su molte di siffatte formazioni, che dà a vedere nei tendini dello stess > animale la piccola e la grande piastra, non che le gradazioni interme- die, sì che permette di conchiudere che la piastra grossa come quella della Fig. 15 è la riunione di parecchie più semplici. — 150 - - Le piastre tendinee sono distribuite la maggior parte su quella parte del tendine, che non è molto discosta dalla zona d' impianto delle fibre muscolari, ovvero sono sparse proprio nel corpo del ten- dine : le une e le altre sono quelle che hanno tendenza a raggrup- parsi o a riunirsi: più semplici sono quelle che sono allogate in que- gli interstizii di sostanza tendinea che si frappongono tra gli apici delle fibre muscolari, e talune di loro si internano tanto tra queste, che possono considerarsi come terminazioni interfibrillarì. §5. Non esiste grande differenza tra le piastre neurotendinee della Rana e quelle della Lucertola : si prestano allo studio meglio i ten- dini della Lacerto, virùlis che quelli della Lacerto, agilis; in questi animali, come per le terminazioni neuromuscolari, la ricerca è anche più facile, e più eleganti i preparati, perchè le piastre tendinee sono più numerose ed abbondanti II Golgi nell'opera summentovata accenna ai tendini dei muscoli di questi animali, dove più sicuramente se ne riscontrano: io preferisco il tendine di Achille e i tendini dei piccoli muscoletti dei piedi posteriori. Le piastre sono più chiare, e maglio caratterizzati i loro elementi costitutivi: le loro dimensioni variano per ogni singola piastra 'isolata , in lunghezza da 90 a 140 y, e su lar- ghezza da 25 a 50 fi. È molto più spiccata la rete b (Fig. 17 e 18) che è formata dal cilindrasse; in alcune l'ultima fibra terminale diretta- mente si risolve in una reticella, in altre, come in T della Fig. 18" il cilindrasse prima si ramificano in un numero maggiore o minore di filamenti, i quali si spennellano alla loro volta, e dopo si intrecciano formando una rete: i filamenti sono più grossi e le maglie più strette che nella Rana: più evidenti i nuclei, così quelli minuti e granulari, come quelli grandi e provveduti di nucleoli: i primi sono in cosi gran numero che non è facile contarli, gli altri da sei a quindici: e mentre i primi sono taluni negli interstizii, altri sui nodi della rete del cilin- drasse, questi secondi sono a preferenza accumulati verso la periferia delle piastre. Certe piastre sono perfettamente libere, ossia prive di qualsiasi involucro , come T, T della Fig. 17a r, altre come quelli della della Fig. 18a la guaina di Henle h della fibra terminale forma da un lato della piastra come un tentativo od un accenno di involucro connettivale , mentre dall' altro lato sono dei corpuscoli tendinei che la delimitano. Sono piuttosto rare in questi animali le piastre isolate, come è la Fig. 18a: le due piastre della Fig. 17a sono in continuazione tra loro per gli estremi che si corrispondono , e sono tolte da un preparato con un gruppo di sette piastre. Nella Fig. 16* n'è rappre- sentato un gruppo, che non è neppure dei più ricchi: su certi tratti — 151 — del tendine di Achille esistono delle distese di tendine, su cui le pia- stre sono numerosamente disseminate, e o prossime tra lore, o a con- tatto, o in continuazione. Mancano studii sui nervi dei tendini nelle testuggini: qui la ri- cerca è diffìcile per la grande durezza dei tendini, e per la presenza di numerose cellule di cromatofori sopra di essi; por la grande du- rezza dei tendini occorre una lunga dimora di essi nelle soluzioni di acidi maceranti, dimora che talvolta deve essere prolungata per ven- tiquattro, e perfino per quarantott' ore, per ottenere la sufficiente mol- lezza del tessuto: e l'azione così prolungata dagli acidi deve finire per -alterare notevolmente la delicata struttura degli organi terminali. Dall' altra parte i cromotofori così isolati come riuniti per i loro prolun- gamenti vengono bene spesso a coprire o in parte od in tutto le forma- zioni terminali: si aggiunga che queste in questi animali non s >no nep- pure numerose: e si intenderà come lo studio n' è veramente diffìcile. Ho ricercato sul tendine di Achille, sulP aponevrosi del gastro- cnemio, sui tendini dei muscoli della spalla : il più facilmente gli or- gani terminali si riscontrano nel tendine di Achille. Uno ne è rappre- sentato nella Fig. 19a: ciò che qui colpisce si è che il tendine in corrispondenza di tre piastre terminali T, T, T, tutto quanto emerge sul livello della rimanente sostanza tendinea, e si rileva come fosse scolpito in bassorilievo, in modo che non solo in corrispondenza delle piastre, ma anche delle ultime diramazioni nervose si ha la forma- zione di un vero e caratteristico corpuscolo. Da uno degli estremi del corpuscolo penetra la fibra nervosa N, la quale giunta sul corpuscolo immediatamente si divide in tre fibrille, che raggiugono l'estrem > op- posto del corpuscolo, ove esistono tre piastre terminali. Nella Fig. 20a è rappresentato un altro corpuscolo, che è dell' aponevrosi del gastro- cnemio; è di forma più allungata dell'altro della Fig. 19a, il quale è più rotondo: la fibra nervosa, che lo raggiunge, penetra da uno dei lati e si ramifica in due minori fibrille che raggiungono due piccole piastre T, T situate verso una dell' estremità del corpuscolo. Niente di par- ticolare ho a dire intorno alla costituzione di queste piastre: risul- tano di una reticella del cilindrasse e di un numero di nuclei annessi a questa rete: paragonate queste piastre a quelle della lucertola, sono più piccole e meno numerose. L'importante è che sulla testuggine per la prima volta le pia- stre neurotendinee , che pure sopra altri animali si raggruppono in determinati punti del tendine, sono raccolte sopra una speciale, for- mazione tendinea , ossia in esse comparisce per la prima volta , benché di forma ancora elementare, un vero corpuscolo di Golgi: il quale riesce costituito, in sul principio, da un rilievo del tendine — 152 — di una lunghezza di 90 a 190 fi; di forma rotonda od ovoidale o fu- soide, sul quale o da uno degli estremi, o da uno dei lati penetra una fibra nervosa, che presto o tardi si ramifica, ed i suoi rami si ter- minano su piastre, che ponno essere in un corpuscolo nel numero di due o cinque. La struttura della parte tendinea del corpuscolo non ha nulla di speciale; è un comune tessuto tendineo: però gli elementi tendinei sono più piccoli e più numerosi di quelli del tendine circum- ambiente. Fino da questo punto possiamo risolvere una questione, se cioè il- corpuscolo di Golgi sia realmente, come lo ha ritenuto il suo autore, un organo terminale nervoso muscolo tendineo, vale a dire in con- nessione sempre per mezzo di uno dei suoi estremi con un gruppo di fibre muscolari, o se non sia piuttosto, un organo esclusivamente ten- dineo od aponevrotico. Il corpuscolo raffigurato nella Fig. 20a, che è tolto dall' aponevrosi del gastrocnemio non ha da nessuno degli estre- mi alcuna connessione con fibre muscolari; ma potrebbe credersi però che in seguito alla prolungata azione dell' acido formico o arsenicico le fibre muscolari sieno cadute. Invece il corpuscolo della Fig. 19a è preso dal corpo del tendine di Achille, ossia è completamente ed esclusivamente tendineo: come è dei corpuscoli di Golgi visti dal Mar- chi sui tendini dei muscoli oculari del maiale, dove gli organi termi- nali nervosi sono sopra tratti del tendine a notevole distanza dalla zona d'impianto delle fibre muscolari. Il corpuscolo di Golgi, fino dalla sua forma più elementare adunque è un organo esclusivamente tendineo. È frequentissimo di trovare sui nervi dei tendini della testuggi- ne, come in taluni punti il nervo si rigonfia nella sua guaina esterna e si riduce al solo cilindrasse (Fig. 22a) : la guaina esterna si arric- chisce di nuclei i quali si allineano tra loro e formano uno, o due o tre strati di nuclei ovali parallelamente disposti: in corrispondenza di questi rigonfiamenti della guaina esterna il cilindrasse si denuda di ri- vestimento mielinico, e resta costeggiato da nuclei liberi analoghi a quelli della guaina connettivale. Tutta siffatta formazione è allungata e di forma più o meno ovoi- dale. Se ne riscontrano senza alcuna norma lungo il decorso dei nervi dei tendini. Questi rigonfiamenti sono differenti da quelli che Golgi e Cattaneo hanno riscontrato nei nervi dei tendini dei mammiferi, e pro- priamente in corrispondenza di quei punti ove una fibra nervosa tendi- nea si incrocia con un vase arterioso: trattasi di una iperplasia.che la guaina connettivale, e talvolta la stessa fibra nervosa contenutavi su- bisce, in seguito all'irritazione del battito dell'arteria incrociata. Sui nervi dei tendini del coniglio mi è accaduto di trovare non raramente di questi inspessimenti fusiformi della guaina di Henle in corrispon- — 153 — denza del punto d'incrocio con un vaso arterioso. Ma incrocio con vasi non ho mai riscontrati sopra degli ingrossamenti fusoidi dei nervi tendinei, ingrossamenti tanto frequenti nelle testuggini. E ritengo, co- me il Marchi, che siffatti rigonfiamenti si formano anche in quei punti, ove una fibra nervosa passa di traverso alla direzione di un fascio tendineo o aponevrotico; però i corpuscoli fusoidi dal Marcili visti noi tendini dei muscoli oculari del maiale si seguono con certa regolarità tra loro: nella testuggine sono distribuiti irregolarmente. Abbastanza somiglianti ai precedenti per forma esteriore, ma molto differenti per significato sono altre formazioni fusoidi, che ho trovato sul tendine di Achille dilla testuggine, e che vengono rappre- sentate nella fig. 21a. A primo aspetto possono confondersi con i pre- cedenti; vale a dire sono dei rigonfiamenti di una fibra nervosa, che allo esterno risultano di tre a quattro strati di guaine connettivali, su ciascuna delle quali sono allineati dei nuclei allungati: questi ri- gonfiamenti molto spesso si seguono in gruppi di tre, quattro, cinque, ed a brevissima distanza tra loro: ponno anche essere isolati tra loro. La cavità interna di ciascuno di questi rigonfiamenti è ripiena di una massa omogenea o leggermente granulare , dentro cui sono immersi dei grossi nuclei, in numero vario da 10 a 25, di forma rotonda ed ovale, e di aspetto del tutto differente da quelli delle guaine connet- tivali : la fibra nervosa in prossimità di questi rigonfiamenti perde la mielina^, e si riduce al semplice cilindrasse, il quale si sperde nel - l'ammasso dei nuclei. — Non è facile dire quale sia il significato di queste ultime formazioni fusoidi: il fatto che il cilindrasse si perda nella massa dei nuclei fa credere che esse rappresentino delle termi- nazioni nervose, di tipo somigliante ai corpuscoli di Pacini e di Krau- se, ma di forma ancora meno svolta, ed iniziale. §«• Assai poco ho a dire circa le terminazioni nervose dei tendini degli uccelli, ho ricercato a preferenza sui tendini dei muscoli del co- lombo, ove è facilissimo incontrarsi con le formazioni terminali sulle aponevrosi dei muscoli pettorali. Per trovarle bisogna seguire il metodo già indicato a proposito della preparazione delle piastre terminali delle aponevrosi dei muscoli dorsali della Torpedine. In questi animali il corpuscolo di Golgi già costituito nelle Te- stuggini assume forma più elevata. Il numero dei corpuscoli di Golgi , benché non così abbondante come ordinariamente nei mammiferi, è assai più ricco che nelle Te- — 154 - staggi ni : la forma è sempre allungata , ma per lo più con estremi arrotondati, (vedi fig. 23 24), le dimensioni varie in lunghezza tra 325 a 550 p,. e in larghezza tra 90 a 230 ^. Negli uccelli è una fibra nervosa di solito, che raggiunge il cor- puscolo, e verso il centro di esso si ramifica in tre , quattro fino ad otto (ordinariamente fino a cinque) fibre secondarie, ognuna delle quali viene a costituire una formazione terminale o piastra neurotendinea che dir si voglia. Ogni piastra risulta dalla ramificazione e dall'intrec- cio reticolare dei filamenti del cilindrasse di ogni singola fibra ter- minale (vedi fig. 24) con nuclei piccoli sui punti nodali della rete e e >n altri più grandi nell'interno delle maglie della medesima. Le pia- stre di uno stesso corpuscolo talvolta sono una all' altra così pros- sime che si continuano tra loro. Degno di nota è il fatto, che così negli uccelli, come ancora più nei mammiferi il pezzo di tendine che costituisce lo stroma del cor- puscolo di Golgi, o da uno solo degli estremi ovvero da entrambi sono limitati (fig. 23 e 25) da fibrille connettivali in senso trasverso al decorso delle fibrille tendinee: ponno queste fibrille essere di numero molto ristretto, ovvero più abbondante, in modo che sono veri fascetti che abbracciano trasversalmente uno degli estremi, ed ambedue del tessuto tendineo; e allora somigliano a quei colletti o cappii o cingoli, che ho descritto sull'esterna guaina connettivale dei nervi (1). Però tali fascetti più o meno ricchi eli fibrille connettivali dispo- ste in senso trasverso alla direzione delle fibre connettivali del tes- suto tendineo del corpuscolo di Golgi non sono punto speciali ai me- desimi corpuscoli, ma invece sono comuni a tutti i tendini ed alle aponevrosi che non sono altro che tendini disposti in superficie. Nella fig. 23a immediatamente sotto al corpuscolo di Golgi è un altro ten- dine, che sopra breve decorso ha tre dei sopraddetti cingoli. Anzi la pres3n7,,i di questi serve a distinguere le fibrille connettivali che appartengono a ciascun tendine elementare; ed è dalla loro presenza che si conchfude essere il tessuto tendineo dei corpuscoli di Golgi un tendine elementare. §7. Non mancano mammiferi, in cui il corpuscolo di Golgi è perfet- tamente simile a quello degli uccelli; ma nel cane, nel coniglio, nel- l'uomo raggiunge un grado di maggiore sviluppo; e me ne rimetto a (1) Pansini — Del Plesso e dei gangli proprii del Diafram- ma— Progresso Medico Napoli JSSS. — 155 — quanto hanno notato e scritto il Golgi od il Cattaneo non solo par ciò che riguarda il modo di decorrere e distribuirsi dei nervi Lungo i tendini, ma ancora le particolarità di forma, dimensione e struttura di quello che essi chiamili;) organo nervoso terminale muscolo : m- dineo, non che le particolarità che riguardano altre forme di tei mina- zipni nervose nei tendini, le quali si riportano al tipo dei còrpusc di di Pacini. Mentre negli uccelli il numero di piastre terminali che si rac- coglie sopra un corpuscolo di Golgi non è maggiore di otto nel coni- glio e più nell' uomo possono raccogliersene fino a trenta , e ad un corpuscolo pervengono spesso due o tre fibre nervose. Le piastre sono ordinariamente disposte regolarmente sui bordi del corpuscolo, gli elementi della piastra sono sempre i medesimi: nella fig. 20 non è rappresentato che un tratto di un corpuscolo p >r far vedere chiaramente le piastre, le quali salvo le proporzioni sono perfettamente somiglianti a quelle delle lucertole, solamente è più grande e più chiaro il reticolo in cui si dissolve il cilindrasse e più abbondante i nuclei, i quali sono in gran parte nuclei grossi , pochi sono granulari, Di solito è uno solo il ten line elementare che costi- tuiscono lo stroma del corpuscolo; qualche volta sono due, come nella fig. 25. Sicché possiamo concilivi lere che il corpuscolo di Golgi non è che una o parecchi tendini elem3atari, che raccolgono un numero più o meno abbondante di piastre nemoteadinee. Come dalle figure 23, 24, 25 più rilevasi, il corpuscolo di Golgi rappresentato da entrambi i lati non ha connessioni con fibre musco- lari, ma dall'uno e dall'altro estremo si confonde con 1' aponevrosi. A me non è accaduto che di rado il vedere ciò che il Golgi ha visto costantemente, cioè che ad uno degli estremi sono attaccate delle fibre muscolari. Il Golgi, movendo dalle sue osservazioni, immagina che ognuno dei suoi corpuscoli funzioni come da un dinamometro, che misura dal grado de'la propria distenzione l'intensità della contrazione compiuta delle fibre che si attaccano ad uno dei suoi estremi. Perchè questo meccanismo potesse esplicarsi, sarebbe necessario che il pezzo di ten- dine che costituisce lo scroma dell'organo di Golgi , fosse attaccato da una parte all'aponevrosi, e libero in tutto il rimanente: a me non è riuscito di vederlo altrimenti che sempre ligato all' aponevrosi da tutte e due gli estremi. Non voglio tralasciare di ricordare che l'organo di Golgi non è l'unica fjrma di terminazione dei nervi nei tendini dei vertebrati su- periori, mi che abbondano ancora corpuscoli analoghi a quelli di Pa- cini, di Meisner e di Krause. 15G — CONCHIUSIONI 1.° In tutti i vertebrati esistono tendini muniti di nervi proprii e di speciali apparati nervosi terminali. 2.° La forma più semplice di tali terminazioni viene costituita da un nudo cilindrasse, semplice o ramificato, munito di piccolissimi nu- clei sessili e con cortissimo picciuolo ; questa forma di terminazione è affatto libera, ossia sprovveduta di membrana involgente, nei tendini degl'ippocampi, in cui queste iniziali forme nervose terminali si pos« sono agevolmente riscontrare; non manca negli stessi animali qualche raro esempio di piccola piastra terminale. 3.° Nella torpedine troviamo sui tendini esempii di abbondanti e ricchi plessi nervosi terminali , non che di varie forme di piastre terminali: la piastra a corimbo, la grande piastra, eccezionalmente il corpuscolo tendineo. La piastra a corimbo è una ramificazione corim- biforme del cilindrasse con nuclei più o meno grandi agli estremi dei rami; è sprovvista di membrana involgente: le piastre a corimbo ten- dono a riunirsi parecchie in una sola — La grossa piastra nervosa ten- dinea delle torpedini può considerarsi come la riunione in una unica formazione di parecchie piastre a corimbo: essa è provvista di mem- brana involgente. 4.° Negli anfibii la piastra nevrotendinea è costituita da una de- licatissima rete, in cui si risolve il cilindrasse, sui fili e sui nodi della quale esistono dei nuclei, altri negli interstizii della rete medesima. Le terminazioni neurotondinee sono libere , ossia sprovviste di invo- lucro proprio, quantunque bene delimitate alla periferia: sono spessis- simo riunite in gruppi di due, tre, quattro, cinque, sui punti circo- scritti del tendine. 5.° Nelle piastre neurotendinee delle lucertole la reticella for- mata dal cilindrasse è più distinta, meglio visibili i nuclei; qualche volta il cilindrasse prima di risolversi in rete, si divide a ino' di pen- nello in tanti fili, che poi si annodano. In questi animali talune pia- stre sono provvedute di un involucro incompleto formato dalla guai- na di Henle. I gruppi, in cui le terminazioni neurotendinee tendono a riunirsi, sono più numerosi e più ricchi. 6.° Nelle testuggini i piccoli raggruppamenti di piastre terminali si raccolgono sopra un tratto determinato del tendine e dell' apone- vrosi, che in corrispondenza di quelle si rileva dando luogo alla for- ma elementare del corpuscolo di Golgi. Nelle testuggini esistono ancora altre formazioni nervose, che se- — 157 - concio ogni probabilità sono formazioni terminali che avrebbero somi- glianza coi corpuscoli sensitivi clavati dei mammiferi. 7.° Negli uccelli il corpuscolo di Golgi è ancora meglio costituito, e si eleva al grado di un organo indipendente: è più ricco di piastre, e queste sono più ampie, pili regolari, con più complicata rete del ci- lindrasse, con maggior numero di nuclei. 8.° Nei mammiferi il corpuscolo di Golgi raggiunge il grado più alto di organizzazione , ma sempre risulta di uno o piti tendini ele- mentari, su cui raggruppano regolarmente un numero più o ni sno ab- bondante di piastre neurotendinee, ognuna delle quali è somigliante alla piastra neurotendinea delle lucertole. Dal Laboratorio aV Istologia e Fisiologia generale della lì. Università di Napoli. INDICE E SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. VI e VII) Fig. I. — Hippo campus brevìrostris. Muscoli e tendini dorsali. A. A fibre muscolari con terminazioni nette. A' fibra muscolare con terminazioni a piccole dentellature, B B tendine; N fibra nervosa, e, e, e strozzamenti di Rauvier, d ra- mificazione del cilindrasse , T, T" terminazioni nervose, e cilin- drasse, f nuclei granulari, g nuclei più grandi. Oc. 3 Obb. 5 Camera lucida Zeiss: disegno al piano del tavolino microscopico. (Acido formico, cloruro d' oro e di sodio) Fig. II. — Idem. A, A, A, A, A fibre muscolari, B,B tendine, N fibra nervosa, T terminazione semplice , T' terminazione a cilindrasse biforcato e cilindrasse, f nuclei granulari, g nuclei più grandi. Oc. 3 Obb. 5 Ivoristka, Camera lucida Zeiss. Disegno al piano del tavolino microscopico. (acido formico, cloruro di oro). Fig. III. — Idem. A, A fibre muscolari, B, B tendine N fascio nervoso, d, d fibre nervose che vanno ai muscoli, T terminazione e cilindrasse, f piccoli nuclei, g più grandi nuclei. Oc. 3 Obb. 5 Koristka. Fig. IV. — Idem. A segmento di fibra muscolare, A? fibra muscolare con grandis- simo numero di seghettature allo estremo, B, B tendine, N fa- scio nervoso, h fibre nervee che vanno a fibre muscolari vicine, T piccola piastra, g nuclei della medesima. — 158 — Oc. 3 Obb. 5 Koristka. (Ac. formico, cloruro di oro) Fig. V. — Illppocampus guttulaius. Muscoli della pinua dorsale. A. A fibre muscolari. B B tendini elementari, e corpuscoli di Schultze, d cellule tendinee, e e e prolungamenti della fibra mu- scolare. Oc. 3 Obb. 5 Koristka. (Ac. formico, cloruro di oro). Fig. VI. — Idem. A fibra muscolare, B tendine elementare annesso , e corpuscolo di Schultze, d cellule tendinee, e e e prolungamenti della fibra. Oc. 3 Obb. 8 Koristka. (acido formico, cloruro di oro). Nig. VII. — Idem. A fibra muscolare, B tendine, e e corpuscoli di Schultze, d cel- lule tendinee, e e prolungamenti della fibra muscolare. Oc. 3 Obb. 8 Koristka. (ac. formico, cloruro di oro). Pig. Vili — Idem. A. A giovanissime fibre muscolari, e e prolungamenti. Oc. 3 Obb. 8 Koristka. (ac. formico, cloruro di oro). Pig. IX — Torpedo ocellata. Muscoli e tendini della pinaa laterale. A, A fibre muscolari, B B tendine N fascio nervoso, f, f, f fibre nervose terminali, T, T ' T ' ' piastre terminali e ramificazioni del cilindrasse, g nuclei. Oc. 3 Obb. Koristka. (ac. formico, cloruro di oro). Pig. XI — Torpedo ocellata. Aponevrosi dorsale . B aponevrosi, N N doppia fibra nervosa terminale, T grande pia- stra neurotendinea vista di profilo, e e ramificazione a fibre ami- eliniche, d d finissime fibrille cilindrassili, f. f nuclei granulari, g nuclei grandi, i, i involucro esterno. Oc. 3 Obb. 5 Koristka. (ac. formico, cloruro di oro). Pig. XII — Idem. B aponevrosi, N fibra nervosa terminale, T grossa piastra vista di piatto e, e ramificazione della fibra mielinica in fibrille ami- eliniche, d d fibrille cilindrassili, f, f piccoli nuclei, g g grandi nuclei, i, i involucro estarno. Oc. 3 Obb. 5 Koristka. (ac. formico, cloruro di oro). : L^ X V:\ J a ■■:■ , /;,,■ r// y\s' ~jì < .-." •? ' v * \ \ / > \ T § i r _u i/i i . a . ovi ni _ii /£ 16 y 'J «t7 /< i > /' / — 15«J — Fig. XIII — Torpedo ocellata; dalla pinna laterale. B pezzo di tendine, N fibra nervosa che si divide in «lue N', N > d celiale tendine T, T, T, T piastro terminali e, e, e sottilis- sime ramificazioni cilindrassili, g, g, g nnolei delle piastre, m. m, m luogo d'impianto di fibre muscolari. Oc. 3 Obb. arsinicico, cloruro di oro). Fig. XIV — Rana esculenta. Tendine di Achille. B, B tendine, N , N fibre nervose , e e capillare sanguigno , d cellule tendinee, T, T. T, T piastre terminali, n, n nuclei delle piastre. Oc. 3 Obb. 4 Koristka, (ac. formico, acido iperosraico). Fig. XV — Idem. B B tendine, N fibra nervosa terminale, T grande piastra risul- sultante dalla fusione di piastre piccole P, P, P; a, a, a stroz- zamenti di Ranvier, b, b, b reticella del cilindrasse , d cellule tendinee, f piccoli nuclei, g grandi nuclei. Oc, 2 Obb, 7 Hartnack. (ac. formico, acido iperosmico). Fig. XVI — Lacerta viridis. Tendine di Achille. A, A, A fibre muscolari; B; B, tendine N fibra nervosa, a, a. a strozzamenti di Ranvier, d cellule tendinee T. T, T, piastre ter- minali. Oc. 3 Obb. 4 Koristka. acido formico, cloruro di palladio, ioduro di potassio'. Fig. XVII — Idem. B tendine, N fibra nervoso, T, T piastre neurotendinee, d cellule tendinee , b reticella del cilindrasse, f piccoli nuclei, g grandi nuclei. Oc. 3 Obb. 8 Koristka. (ac. formico, ac. osmico, bleu di metilene). Fig. XVIII — Idem. B tendine, N nervo, T piastra, d cellule tendinee, e spennella- mento del cilindrasse, b reticella del cilindrasse, f piccoli nuclei, g grandi nuclei, h guaina di Henle h' h' involucro incompleto for- mato dalla guaina di Henle. 0i 6 li — 164 Grapsus maculai us Edwards ..... 3 „ Grapsus maculatus var. omatus Edwards . . 3 „ Nauiilu grapsus pusillus (De Haan) .... 1 ., Jlalicarcinus planatus White ..... 4 „ Halicarcinus ovatus Stimpson ..... 1 ., Calappa flammea (Herbst) ..... 1 „ Ethusa mascarone Roux ...... 1 „ Lithodes antarctica Hombron e Lucas ... 3 „ Aniculus typicus Dana . . . . . . 2 „ Cenobita rugosa Edwards. ..... 1 „ Scyllarus Haanii Siebold ...... 1 „ Thenus orientai is (EabricinsJ ..... 1 „ Panulirus fasciatus Fabricius ..... 2 „ Panulirus spinosus (Edwards) ..... 1 „ Alpheus strenuus Dana ...... 1 „ Alpheus setimanus n. sp. ..... 1 „ Leucifer Reynaudii Edwards ...... „ Gonodactylus graphurus White .... 2 „ Spaeroma gigas Leacb ...... 2 „ Limulus polyphemus Latreille ..... 1 „ Hippolyte Gaymardii Edwards ..'... 1 „ Lepas anatifera Linneo ....... „ Balanus tintinnabulum Chenu ...... „ Balanus laevis Brug ........ „ Balanus nigrescens Darwin ...... „ Tetraclita porosa Darwin ....... „ ORDO DECAPO DA Sectio I. Brachyura Div. I. Oxyrbynea o Majoidea Genus Eurypodius Guérin Eurypodius Latreillei Guerin var. B Miers Eurypodius sepientrionalis Dana, Crust. in U. S. Explor. Esped. I. p. 101. pi. 2. fig. 6 (1852). Eurypodius Latreillei Guerin var. B Miers. Report Brachyura Voy. H. M. S. Challenger p. 22 (1886) ubi synon. Secondo il Miers (Proc. Zool. Soc. of London 1881) tutte le di- verse forme appartenenti al genere Eurypodius devono riferirsi al- — 1G5 — V Eurypodius Latreillei Gttérin , il quale perciò comprende due di- stinte varietà, l'ima colla mano allungata e colle dita strettamente unite senza limitare un largo hiatus alla base (Eurypodius Latreil- lei Guerin, Eurypodius brevipes Dana), l'altra colla mano tumida e col pollice incurvo in guisa da circoscrivere in contatto coli' indice, un largo hiatus basilare (Eurypodius iuberculosus Eydoux et Sou- leyet, E. septentrionalis Dana, Auduinii Edwards et Lucas). Tutti gli altri caratteri ritenuti dai diversi autori come specifici, quali la lunghezza comparativa del rostro , la disposizione della re- gione antennaria, il numero e lo sviluppo dei tubercoli sul carapazio, l'estensione della pubescenza nel margine inferiore del penultimo ar- ticolo etc. vengono da quest'insigne carcinologo considerati quali sem- plici caratteri individuali. I due esemplari della collezione ricordano completamente il tipo dell' 'Eurypodius septentrionalis quale fu descritto e figurato dal Dana. Dimensioni d'un j ad. Lunghezza del rostro min. 18. Lunghezza del cefalotorace „ 54. Larghezza del cefalotorace min. 44. Lungh. dell'articolo tibiale nelle zampe del 1.° paio nini. 45. » „ tarsale „ ,, „ 45. Provenienza: Porto Bueno. Genus Hyastenus White Hyastenus diacanthus (De Haan) Naxia diacantha De Haan. Fauna Japonica, Crust. p. 96, pi. XXIV fig. 1 (1835); Heller Novara Reise. Crust. p. 3 (1867). Hyastenus diacanthus A. M. Edwards , (Nouv. Archiv. du Museum t. Vili, p. 250 (1872), Miers , Crust. Japaa.es Seas etc. Proc. Zool. Soc. of London p. 26 (1879', ubi synonima. Dimensioni d'un del Miiller addizionato con acido osmico. Incomin- ciai nel campo embriologico le mie osservazioni, ottenendo però risul- tati dapprima negativi, perchè questa reazione fallisce specialmente nei primi stadi embrionali. Dopo cinque mesi di prove potei ottenere tagli del cervello di embrione di Colwnba livia veramente sorpren- denti per la finezza e regolarità di reazione. Notai subito la mancanza assoluta della cellula tipica poligonale nervosa dell' adulto ; invece , irregolarmente poste in tutta la massa del parenchima fondamentale e in gruppi numerosi nelle parti perife- riche, notai cellule piuttosto grandi, sferiche, semisferiche, spesso a con- torno irregolare, provviste di numerosi prolungamenti protoplasmatici brevi e sottili. Ciò nei primi stadi, ma verso il 7° e 8° giorno d' incu- bazione, queste cellule* incominciano a gemmare. Se ne vedono poche staccate , alcune unite alla cellula madre , soltanto per un filamento più o meno sottile, che talora prolungandosi e dividendosi dicotomica- mente in punti equidistanti , si divarica e si comporta come cordone infilante cellule ; direi quasi come un filo di perle o meglio come i fili delle Nostocacee. Con la differenza che le varicosità non sono ade- renti come le cellule delle Nostocacee, ma unite per un processo fila- mentoso più o meno lungo e spesso, e invece della cellula limite vi (1) C. Golgi. Sulla fina anatomia degli organi centrali ieì sistema nervoso — Milano JSSfì. — 18(5 — è una varicosità più grande delle altre; questi prolungamenti varicosi li chiamerò cordoni a nostoc. Ultimamente il Dott. G. Magmi (1), in una memoria sul sistema nervoso dei feti, notava questi cordoni. Le sue osservazioni si limitano per feti umani dal 7° al 9° mese, dal 6° al 7° per quelli di vitello e pei neonati da uno a tre giorni di coniglio , cavia e cane, ma in questi ultimi due la reazione fu negativa. Non vide mai cellule gemelle unite di fianco, ma sempre congiunte in senso verticale a cordone. Parla poi di alcune cellule « che non si saprebbe giudicare se siano di nevroglia o nervose» che stanno nella parte inferiore della corteccia; cellule simili aveva scorto anche il Golgi ,2). Tali varicosità hanno somiglianza con quelle trovate dal Dott. V. Marchi (3) ne' prolungamenti delle cellule cilindriche che costituiscono la membrana ependimale del corpo striato , con quelle trovate dal Tartuferi (4) nella retina, ( strato delle cellule e delle fibre nervose) ed infine con quelle descritte dal Golgi e Manfredi (5; nello strato in- tergranulare della retina del cavallo ; però nessuno di questi ne dà alcuna spiegazione. Il Golgi le credeva causate dal reattivo e lo Schultze le ritiene prodotto cadaverico. Ma ora, esclusa questa idea per la fre- schezza del materiale e differenti esperienze, e specialmente, per giu- dizio dato dagli stessi Golgi e Bizzozzero, quando osservarono i propa- rati del Magini, a queste varicosità normali d*vesi attribuire un' im- portanza essenziale. Ed il Magini (6) dice: « 4° Quando fanno la prima comparsa nello sviluppo fetale? — 2° Quando scompaiono nella vita estrauterina? — 3° Compaiono esse prima dei filamenti su cui sono inserite, o sono da questi precedute? — 4° Infine tutte o in parte sono espansioni protoplasmatiche , rigonfiamenti mielinici ? — Se ulteriori ricerche facessero costatare in esse il nucleo, si potrebbe forse cre- derle cellule nervose in via di sviluppo? Né il Flemming, nò il Carnoy nella Biologie Gellulaire, trattano (1) G. Magini — Nevroglia e cellule nervose cerebrali nei feti— Pavia 1888. (2) Golgi — 1 1 sistema nervo so in generale — Part? I. Milano /SS.'J. (3,i V. Marchi — Sulla (ine struttura dei corpi striati e tala- mi ottici — Reggio Emilia 1887. (4) F. Tartuferi — Su 11' anatomia della retina — krch. per U scienze mediche — Voi. XI /'. 3° Tonno 1887. {'•>) Golgi e Manfredi — Annotazioni istologiche sulla retina | del cavallo — Torino 4872. (6j Lo e. cit. — 187 — della moltiplicazione cellulare nervosa, soltanto il IMI (lj noli' em- brione di pollo del 3° o 4" giorno di sviluppo rinvenne cellule con nucleo e nucleolo e poi elementi incerti, dando alle prime significato nervoso, ai secondi connettivale. Ultimamente anche il Golgi (2) (ben- ché si tratti di un caso patologico) nel ^osservare il cervello, tinto con la safranina, di una scimmia morta per virus rabicus, sorprese ne' diversi elementi cellulari che costituiscono gli organi centrali ner- vosi, le mod ficazioni successive e caratteristiche nucleari d«lla scis- sione indiretta (cariocinesi) anche nella nevroglia e cellule nervose, notando però che la forma cariocinetica è rara e che molte cellule presentano un'alterazione del nucleo, né sa dire so si tratti d'un ca- rattere speciale indeterminato, o di mitosi irregolare, oppure di uno sviluppo disordinato di nevroglia o cellule nervose. Lo stesso Kòlliker (3, dichiara di non poter descrivere lo svi- luppo delle prime cellule e delle fibre nervose, benché possegga sezioni di cervello di coniglio dal 9° al 23° giorno di sviluppo. Notati que' fatti che ho descritti nello sviluppo della Columba livia, volli assicurarmi meglio ripetendo le stesse esperienze in tempi e condizioni differenti, in tutti gli stadii di sviluppo della gallinacei cani , gatti, conigli. I risultati furono identici, tranne qualche piccola differenza nella posizione, numero e grandezza cellulare. Inoltre osservai che verso il 6° giorno, le prime cellule con cor- doni a nostoc, con varicosità aderenti, con prolungamenti regolari o terminanti in una sola varicosità, avevano tutto l'aspetto di quelle della così detta nevroglia del cervello dell' adulto. Ad inoltrato svi- luppo oltre alle cellule di incerta natura unite per un prolungamento protoplasmatico, vi sono molte cellule a tipo nervoso quasi perfetto, dico quasi perfetto perchè tutte le cellule nuove sono sferoidali con pochi prolungamenti protoplasmatici fino ad avanzato sviluppo, e sol- tanto allora incominciano a presentarsi veramente poliedriche. Nel progressivo sviluppo sì degli uccelli come de' mammiferi le cellule della nevroglia apparentemente diminuiscono di numero , in- vece le cellule perfette poligonali nervose occupano il parenchima fondamentale finamente granuloso. Questi altri fatti incominciarono a far sospettare anche a me che (1) Franz Boll— Die Histologie nini Histiogenese der nervò- sen Centralorgane — Archiv. /'. Psxjchialrie una Nervenkmnklieiien Voi. IV. - Berlin 1873. (2) Golgi — Archives italiennes de Biologie —Tom. Vili, 1887. (3ì Kòlliker— Embriologie, traduit par Scbneider— Paris 1882 — 188 — si trattasse realmente di una moltiplicazione cellulare nervosa, ma la mancanza del nucleo m'impediva qualunque decisione. Dopo molti tentativi, con un trattamento speciale che avrò occa- sione di esporre in altro lavoro, ottenni ultimamente di vedere il nu- cleo in queste prime cellule e varicosità , in modo così spiccato da poterlo colpire nelle varie fasi che attraversa, fatto che non aveva neanche lontanamente potuto ottenere né col bicloruro di mercurio, uè col metodo del Magini (cloruro di zinco). La prima cellula è piuttosto grande con membrana spessa, poco protoplasma e nucleo grande. Durante lo sviluppo rt contorno cellu- lare incomincia a divenire irregolare, sinuoso, secondando queste ir- regolarità di contorno il nucleo, che è spiccatissimo ricco di nucleina e di grandezza tale da occupare due terzi dello spazio cellulare. Nel pulcino verso il 6° giorno d' incubazione e ne' mammiferi dopo un mese di vita intrauterina, queste cellule incominciano ad accentuare l'irregolarità del contorno in modo da dar luogo in alcuni punti a gemmazioni cui prendono parte , nucleo , protoplasma e membrana, ed il nucleo nelle stesse proporzioni in cui si trova nella cellula madre. Di queste cellule figlie alcune si fanno indipendenti, altre restano unite in senso equatoriale o polare, non di rado per un filamento più o meno lungo. Frequentemente queste cellule unite per il filamento alla loro volta gemmano successivamente allo stesso modo, dando luogo ai cordoni a nostoc. Alcune varicosità o cellule gemmate più grandi , che corrispon- derebbero a quelle limiti nel cordone delle nostocacee, danno luogo ad altre ceMule per segmentazione diretta. Per maggiore sicurezza, temendo qualche inganno ottico, osservai e feci osservare questi nuclei in vari modi d'illuminazione ed ottenni risultati conformi. Non contento ancora, per confermare il fatto, sotto- posi allo stesso trattamento alcuni pezzi di cervello, tra gli uccelli di Saolopax rusticola, Buteo vulgarìs, Columba livia, Corvus co- rax , Cypsclus apus ; tra i mammiferi di cane, gatto e cavia, tutti adulti ; ottenni non solo la conferma , ma vidi che le cellule della nevroglia hanno il nucleo grande e ricco di nucleina perfettamente simile a quello delle cellule primitive nei feti, mentre i nuclei delle cellule nervose perfette sono più piccoli e poveri di nucleina. Dal complesso delle osservazioni abbiamo: 1° La mancanza asso- luta nello stato fetale delle cellule poligonali nervose e la presenza invece di cellule primordiali identiche a quelle della nevroglia nel- 1' adulto. — 2.° cellule provenienti dalle primitive per gemmazione, di cui molte disposte per cordoni a nostoc — 3.° La graduale tra- — 181) — sformazione delle cellule nuove allo stato di poligonali perfette li- bere. — 4.° La somiglianza del nucleo delle primordiali con quello della nevroglia noli' adulto. — 5.° Infine le cellule primitive tratta- te col nitrato d'argento danno la stessa reazione di quelle della ne- vroglia e delle poligonali perfette, che alla loro volta si comportano come quelle della nevroglia anche, secondo gli studi di Ewald e Kiihne, col metodo della digestione artificiale col succo gastrico e colla tripsina. Con questi fatti, inclinerei a ritenere le cellule primordiali nel- cervello dei feti come celiale neurogenetiche delle cellule specifiche nervose. Inoltre, la nevroglia dell' adulto è provvista, come accennai, di moltissimi prolungamenti protoplasmatici in cui non è raro trovare qualche varicosità e di un nucleo grande, talora in segmentazione, ca- ratteri proprii delle cellule giovani o in moltiplicazione; laddove i caratteri delle cellule nervose perfette, sono nucleo piccolo privo quasi di nucleina e mai in segmentazione, che corrispondono a quelli delle cellule adulte. Si verrebhe quindi alla conclusione, che le cellule nervose spe- cifiche sarebbero della stessa natura di quelle della nevroglia, le quali si potrebbero nell'adulto ritenere, pur ammettendo l'idea del Golgi, che fa servire la nevroglia a sostegno ed alimento delle cellule ner- vose, come cellule neurogenetiche o che non abbiano avuto il tempo e le condizioni favorevoli per svilupparsi a perfette o, come è più pro- babile, servano alla sostituzione di quegli elementi cellulari che hanno compiuto il ciclo evolutivo. Il numero considerevole di prolungamenti protoplasmatici delle cellule primitive o neurogenetiche e di quelle della così detta nevro- glia , risponderebbe in certo modo al bisogno di maggiore superficie osmotica. Né posso dire se tutte le cellule neurogenetiche mantengano la tipica morfologia nel cervello dell'adulto o si trasformino e periscano alcune. Anche le fibre nervose presentano delle varicosità, ma non ho osservazioni sufficienti per parlarne. Posseggo tagli di lobi anteriori e ottici di Cypselus apus giova- nissimo, ne' quali si vede chiaramente il passaggio delle cellule ner- vose dallo stato fetale al perfetto poligonale. Le mie osservazioni sulle cellule della nevroglia, non s'accor- dano quindi con l'opinione espressa dal Ranvier (1) in una memoria '1) Ranvier — Compt. remi, de l'Acad. des sciance*. Paris J87S> — 190 — in cui sostiene che le cellule della nevroglia non sono altro che sem- plici lamelle o cellule appiattite d'aspetto connettivo che si trovano nel punto d'incrociaraento di numerose fibre che non si diramano, idea che ha sostenuto anche recentemente dando quasi la stessa spiega- zione. Invece queste cellule hanno i prolungamenti che emanano dal corpo cellulare ed il Marchi (1) crede che I.' opinione del Ranvier sia effetto di un' illusione ottica. Come il Gotte (2), i fratelli Hertwig (3) e Kolliker incomincia- rono a dimostrare, combattendo 1' idea del Remale, che i foglietti pri- mitivi possono dar luogo a tutti i tessuti, il sistema nervoso divenne uno dei punti maggiormente controversi dell'embriologia; fra le que- stioni più dibattute fu quella della nevroglia se sia di origine meso od ectodermica. Fin dal 1846 il Virchow richiamò Y attenzione degli istologi e fisiologi sull' esistenza di uno stroma connettivo diffuso nella massa cerebrale nervosa, chiamandolo nevroglia o cemento nervoso avvol- gente gli elementi nervosi. Il Bidder e altri appoggiarono il concetto dei Virchow , mentre l'Henle, Stilling, Stephany, Uffelman, Mauthner ed altri si opposero negando assolutamente la presenza di uno stroma connettivo nel si- stema centrale nervoso, considerando tutto lo stroma interstiziale d'o- rigine nervosa. Lo Schultze e Kolliker sostennero che questa sostanza connettiva non è speciale nel cervello ma somiglia a tutti gli altri connettivi. Il Deiters per primo accennò a questi elementi di nevroglia a corpo poco distinto emanante prolungamenti; ma il Golgi nel 1870 (4) e 1871 (5) le descrisse nettamente come cellule connettive raggiate con moltissimi prolungamenti, occupanti la maggior parte del tessuto interstiziale nervoso. Dal fin qui detto, vediamo che la maggioranza col Ranvier, con lo Schwalbe (6) e con quella schiera cui sta a capo il Virchow con- sidera la nevroglia di provenienza mesodermica. 1 1 ) Loc. cit. (2) Gotte — Die E n twcklun g sge s eh ic li te der Unke — Leipzig 1875 (3) Hertwig — Die Actinien — fèndisene Zeilschr. Voi. XIV. (4) Golgi — Sii 11 a sostanza connettiva del cervello — Rendi cicli' Istituto Lombardo di Scienze e leltere Aprile 4870. (5) Golgi — Contri b uziane alla l'ina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso — Riv. clinica di Bologna 1871-72. (6) Schwalbe — L e h r b u e h der Neurologie — Erlangcn 188 1. - 191 — A questo punto debbo riferire un fatto che ho spesso notato nei cervelli fetali ed è che quando siamo ai primi stadi di sviluppo , i capillari, specialmente quelli vicino alle meningi, danno luogo a gem- mazioni che somigliano a cellule claviformi che poi si rendono indi- pendenti mandando qualche prolungamento. Forme cellulari in cui non ho potuto vedere con chiarezza il nucleo, ma che rammentano per la forma quelle primordiali o neu- rogenetiche. Se ciò potesse essere confermato da ulteriori ricerche (tenendo anche conto che il Kolliker , il Gotte el'Hensen, attribui- scono 1' origine delle meningi e quindi de' capillari al mesoderma e e che i capil'ari danno col nitrato d'argento sempre la stessa reazione delle celule poligonali perfette, di quelle della nevroglia e delle pri- mordiali che si trovano in numerosi gruppi vicino alle meningi) si ver- rebbe a dimostrare che le cellule della nevroglia non solo , ma an- che le specifiche nervose sarebbero di natura mesodermica. Tale con- clusione sarebbe certamente in opposizione con l'opinione che ha la maggioranza degli istologi specialmente sulla provenienza del tessuto specifico nervoso in relazione col vero ufficio dei foglietti blastoder- mici. Epperò io mi limito a riferire il fatto della gemmazione capillare senza la pretenzione di volerne dare la spiegazione ed un giudizio. Ed ora lasciando da parte anche la quistione delle fibre nervose, se si formino prima o dopo e come; cosa che si risolverà soltanto, io credo, collo studio embriologico degli esseri inferiori , passiamo allo studio del cervello degli adulti. Ho fatto per ora osservazioni sopra cervelli di Scolopax rusti- cola, CìjpsahtsMpus, Biileo vulgaris, Carduelis elegans, Turdus menda, Rusticula monticula, Anas boschas, Fringilla canaria, Par us màior, Sylvia atricapilla, Gallus domesticus, Vanellus cri- status, Fringilla coeltbs e Pratincula rubicula. Vi ho trovato in tutta la massa cerebrale finamente granulosa , in gruppi e irregolar- mente sparse, cellule poligonali e cellule della cosidetta nevroglia, fatto che contrasta con la quasi regolare distribuzione cellulare ne' cervelli di Felis catus, Canis domesticus ed Homo. Le cellule nervose hanno molli prolungamenti protoplasmatici. La grandezza delle cellule è varia, più grandi in generale di quelle dei mammiferi; molto grandi ne ho trovate nel midollo allungato. La forma predominante è la poligonale regolare ma manca la piramidale tipica dei mammiferi. Perciò mi sembra troppo assoluta l'opinione di quelli che non vogliono dare alcun significato alla forma e grandezza cellulare, che credo invece abbia somma importanza fi- logenetica avendo io notato non solo la mancanza delle cellule ner- vose tipiche delle classi superiori, ma la presenza di quelle che sono 6 — 192 — di forme transitorie nei mammiferi. La stessa cosà si potrebbe dire per la differente disposizione distributiva, benché non so ne pos-a tener gran conto per 1' irregolarità del reattivo che potrebbe con- durre ad errori. La nevroglia spasso come nelle punte anteriori degli emisferi cerebrali, è molto più abbondante che nel cervello dei inani- mi fé ri. In alcuni tagli di cervelli di rettili, di Laceriti viridis , di L. nigra e di Elaphis quadriradiaJus, ho riscontrato molti caratteri identici a quelli del cervello degL uccelli. Riguardo al cilinder axis niente posso dire perchè mai l'ho ve- duto con chiarezza nel cervello degli uccelli; soltanto nelle corna po- steriori del midollo spinale di un rondone nidiaceo ho veduto due gruppi di bellissime cellule poligonali emananti ciascuna un prolungamento simile a quello descritto dal D after?. Qui entrerebbe in campo anche la questione dei rapporti intimi nel cervello. Oltre all'opinione dello Stephany, v'è quella del Gerlach (1) che dice che nell'interno della nevroglia v'è un reticolo de' processi pro- toplasmatici delle cellule ganglbmari e delle ulteriori diramazioni del- le fibre midollari. Anche il Butzke e il B 11 amra ttono questo reti- colo ed il Bellonci (2) pure si attiene alla teoria del Gerlach. Il Golgi invece, dando ali* cosidetta nevroglia soltanto il signi- ficato di sostegno e mezzo d'alimento delle cellule nervose, esclusi assolutamente il summenzionato reticolo Divise egli, in seguito alle osservazioni nel midollo spinale, le cel- lule nervose in due tipi , al 1° ascrisse quelle cellule che hanno un prolungamento nervoso che mantiene, pur dividendosi, la propria in- dividualità; al 2° tipo quelle in cui il detto prolungamento dividendosi complicatamente perdendo la propria individualità forma un intrec- cio nervoso. Chiamò le cellule del 1° tipo motorie e quelle del LJ,) tipo sensorie. In coi rispondenza a questi due differenti prolungamenti ner- vosi esistono fibre nervose che si comportano alla loro volta ugual- mente, e l'intreccio di queste fibre e prolungamenti nervosi , forma secondo il Golgi, il vero reticolo nervoso. I fatti da me posti in rilievo e le conseguenti considerazioni sul vero ufficio della nevroglia, tendono a semplificare di molto la que- stione sulla relazione reciproca degli elementi centrali nervosi. (1) Gerlach— Von dem Rùckenmarck.— Slrickcr's Handbuch 187Q\ ld. , li e b e r d i e S t r u e t u r d e r g r a uè n Substarizdes m e n s e hli cb e o Oro s s li i r.n s CenlralblaU 1872. (2) Bellonci — Ricerche comparative sulla struttura dei ••entri nervosi il -\ vertebrati — Accad. Liwei, Scric. $* Voi. V. ISSO. — 193 — Inoltre ho notato ne' tubercoli olfattori ( molto sviluppati ) della beccaccia, un agglomeramento straordinario di fibre e cellule nervose; e nelle altre regioni cerebrali d(jgli uccelli altri l'atti che poco s'ac- cordano con gli studi dello Stieda 1) ed altri, di cui parlerò ampia- mente in altra occasiono. Ne' ventricoli di uccelli e specialmente in quelli della boccaccia, ho veduto in file serrate cellule ependimali caratteristiche, perchè non sono cilindriche come quello che ho trovato ne' ventricoli dei mam- miferi e come qu-lle descritte dal Marchi (2), ma sono invece trian- golari con tre o quattro ciglia vibratili pescanti nel liquor ventricidi, e che hanno nell'angolo opposto al ventricolo, un prolungamento che senza dividersi talora attraversa un'intera zona addossando l'estremità ad un vaso capillare, cosa che spessissimo si riscontra nei prolunga- menti protoplasmatici delle cellule neurogenetiche e specifiche nervose adulte. Nel rendere il lavoro, con !e necessarie illustrazioni, di pubblica ragione, esporrò maggiori particolari riguardanti specialmente il cer- vello adulto degli uccelli comparato con quello dei mammiferi. DalV Istituto di Anat. Comparata delV Università di Roma — Giugno 1888. Sulla Cercarla setifera Miiller , breve nota preliminare del socio ordinario residente Fr. Sav. Monticelli. (Tornata del 1 Luglio 1888) Nel nostro golfo s'incontra ora liberamente nuotante, ora, e più frequentemente, sugli animali pelagici (Celenterati, Tunicati , Vermi, Molluschi,) una Cercaria con lunga coda fornita lateralmente di setole. Nel 1864 A. Costa (3) descrisse questa Cercaria, che aveva tro- vata sugli Acalefi, col nome di Macrurochaeta acaiepharum, nel 1880 Chun (4, avendola anch'esso osservata sui Ctenofori, la riferi (1) Ludwig Stieda — Studien ueberdas centrale Nervens ystem der Vògel and Sa ugethiere. Zeitsch far wiss. Zool.Bd. XIX Leipzig 1869. (•2) Log. cit. (3) Di alcuni Crostacei degli Acalefi e di un Disto mi deo parass ita — Read, della I{. Accad. Se Fisiche e Mal. di Napoli Fase, i . JS.'i /'. (4) Die Ctenophoren des Goll'es von Neapel. Fauna und Finta des Golphes von Neapel. 1880. I. Mong. tig. 133. — 194 — alla Cercaria Thaumantiatis del Graffe (1) e recentemente il Da- day (2) l'ha litrovata liberamente nuotante, e da una preparazione fatta in balsamo del Canada, la descrive come nuova specie col nome di Histrionella setosicaudala, non senza però far notare le grandi affinità che questa sua Cercaria ha con la Cercaria seiifera dei Muller (3), la Histrionella elegans del Diesing (4) e la Histrionella echinocerca del de Filippi (5). Le mie ricerche su questa Cercaria del nostro golfo mi permet- tono conchiudere che essa non è altra cosa che la Cercaria seti- fera del Muller, quindi, tanto la Macrurochaela del Costa, come la Hi si rione Ila setossicaudata del Daday, rientrano nella sinonimia della Cercaria seiifera. Questa Cercaria descritta dal Muller nel 4850 e figurata poi nell'opera del De la Valette (6) è stata ritrovata pure dal Claparède (1) a St. Vast, il quale ne completò in parte la de- scrizione: quest'autore non esitava a riferire alla Cercaria setifera le Cercarie che egli trovava incitate in parecchie Meduse Craspedote. Le figure della Cercaria setifera date dal Muller ( tav.II del- l'opera di de la Valette) sono tre: una (fig. II.) rappresenta la Cer- caria setifera trovata nel golfo di Trieste, l'altra (fig. III.) rappre- senta la Cercaria setifera del Golfo di Marsiglia, l'ultima (fig. IV.) rappresenta la stessa Cercaria di Marsiglia priva di coda. Diesing credette nel 1858 (op. cit.) di trovare delle differenze specifiche fra la Cercaria setifera del Golfo di Trieste e quelle due del golfo di Marsiglia e creò per queste ultime la specie: Cercaria (Histrionella elegans; ma, come ho potuto convincermi, queste diffe- renze non esistono. (1) Beobachtungen iiber Radiateli und Wùrmer in Nizza. — Denk. Schweiz. Naturf. Gesellsc'if. XVII Bd. 1858. (2) Eine neue C ercari a-f or m aus dem Golf von Neapel. — Természelrajzi, Fiiretek. Voi. XI, N.° 3, 48.88, pag. 84. (3j Uè ber eine eige nthii mliche Wurmlarveausder Classe der Turbellarien und aus den familie der Planarie. — Muller1 s Arch. f. Anal. u. Phys. IS.ìO, pag. 497. (4) Berichtigungen und Zusatze zar Revision der Cerca- rien. — Sìlz. Berich. k. Ak%d. Wien, XXXI Bd 1858, pig 269 (5) D e u x i e ni e raémoire p o u r servir àl'histoire g è n è t i q u e des Trématodes. — Meni. Acal. Scicn. de Turin, Il Scr. Tome XVI, 1855*. (6) Symbole ad Trematodum evolutionis historiam. — Bc~ rotini, 1855. (7) Beobachtungen ueber Anatomie und Entwichlungsge- schichte wirbelloser Thiere an der Kuste von Normandie. — Leipzig, 1863, pag. 42. L95 — Nel 1879. Villot (1), nella cavità viscerale della ScroÒicularia tenuis, ha trovato dello Sporocisti con Cercarie che e^li riferisce alla Cercaria setifera del Miiller. Gonsiderendo bene la descrizione e le figure del Villot e paragonando tanto la prima, che le seconde con la descrizione della Cercaria setifera del Miiller e del Glaparède e con le figure del Miiller , si osserva che la Cercaria descritta dal Villot come setifera, differisce essenzialmente da questa per la di- sposizione delle setole e per 1' assenza di macchie oculari , le quali esistono india Cercaria setifera e, contrariamente a quanto asseri- risce il Villot, anche il Claparède le ha vedute. Ancora anatomica- mente differisce la Cercaria del Villot dalla setifera. La Cercaria I del Villot va quindi considerata forma distinta e potrebbe , per ora, indicarsi col nome di Cercaria Villoti. In un lavoro esteso che spero fra non molto poter pubblicare discuterò più largamente questa sinonimia ed esporrò pure le ragioni che ini in lucono a riunire alla Cercaria setifera anche la Cercaria Thaumantiatis del Graffe, trovata a Nizza sulla Thaumantias e la Cercaria echino-cerca descritta dal De Filippi (op. cit.) delle Piedie del Buccinimi Linnaei, conclusi* ne questa alla quale mi hanno con- dotto le grandi affinità anatomiche che queste Cercarie presentano con la C. setifera. Anche alla Cercaria setifera deve riferirsi la Cercaria trovata liberamente nuotatile dal Fewk.es (2) a Newport e probabilmente an- che la Cercaria di Biitschlii (3). Forse anche alla Cercaria setifera \ deve riferirsi quel Distomo sconósciuto, di cui parla il Leuckart (4), del, a cavità del corpo della Phyllirhoé e ciò per due ragioni, prima per la forma e disposizione delle macchie oculari, poi perchè anche nelle Phyllirhoé del nostro golfo ho trovato comune abbastanza la Cercaria setifera. Anche alla Cercaria setifera, come risulta dai miei confronti, deve riferirsi il Distomum hippopodii del Vogt (5) trovato a Nizza (1) Trematoti es endqparasites marin s. Ann. Se. Nal. (6), '/'. 17//. pag. 28-48, PI IO. (2) A Cercaria with càudal setae (with fig.). — Amer. Journ. Se. 'oh 23, pag. 134-135. ■)l. 23, pag. 134-139. (3 Untersucli ungen ùfcer freilebènden Nematoden und die a'ttung Chetonotus. — Zeil. f. tuiss. Zool. XWI Bd. pag. i 00, Taf. XXV. (41 Die Par-assiten des Menschen ec. Zwail. Aufl. Ziveil. Band. ■'! Lief. Tremaloden, pag. SS, Leipzig 1886 (5)Recherches sur le s Si ph o n ophore s d e la mer de Ni ce. — Uémoires de V Iaslitul Oenevois, Tome I, JS<~>3, pag. 99, PI. 15. fig. ■>■ — 196 — sull' Hippopodius luteus , forse anche il D. geniculatum del Diesing trovato dal Philippi (1) sulla Phisopora tetrasticha ed il D. carina- riae di Delle Ghiaie (2) che egli ha trovato nella Carina.ria , nella Pterotrachea e nella Cotiloriza. La Cercaria seti fera ha due ventose una anteriore piuttosto piccola, che circonda la bocca', ed una posteriore più grande della anteriore e peduncolata brevemente. Il corpo ora è allungato e sub- terete , ora breve ed allargato, ma questa formi varia moltissimo, perchè l'animale si muove con molla rapidità ed assume forme diffe- renti. Nella parte dorsale del corpo che corrisponde alla ventosa po- steriore, il corpo si mostra leggermente incavato. N.dla parte ante- riore del corpo si osservano due grosse macchie pigmentarie le quali accompagnano due occhi forniti di un cristallino e di una relativa capsula pigmentaria. Tutta la superficie del corpo è rivestita di pic- cole sporgenze a forma di cono disposte in serie trasversali, più grandi anteriormente e che vanno mano mano impiccolendosi e facendosi meno apparenti verso 1' estremo caudale. Il tubo digerente consta di una faringe imbutiforme, che è circondata nella sui parte anteriore dalla ventosa anteriore, da un esofago lunghetto, che presenta lungo il suo decorso un bulbo musco'are es »fageo, e da due gambi ini nali molto lunghi, che si prolungano fino circa l'estremità posteriore del corpo e finiscono assottigliandosi. I grossi tronchi del sistema escretore mettono capo ai lati di una grossa vescicola caudale la quale si stende nel mezzo del corpo per tutta la metà posteriore e si spinge spesso anteriormente fino oltre la ventosa posteriore: in questa vescicola si osservano dei grossi globuli fortemente rifrangenti la luce che hanno una leggiera tinta ver astra. Questa grossa vescicola si restringe posteriormente e mette capo in un organo a forma di barilotto, che sembra all'aspetto costituito da tanti spicchici quale sbocca nel forameli caudale, che trovisi in fondo ad una leggiera infossatila dell'ectoderma della estrem tà poste- riore del corpo. Nei grossi tronchi sboccano i canalicoli fini i quali terminano con imbuti cigliati. Lungo i tronchi del sistema escretore si osservano non di rado ciuffi che vibrano rapidamente. Dietro l'esofago, sotto la faringe trovasi una sottile commessura (4) Ueber den Bau der Physophoren unii eine neue Arto derselben ttPhysophora t'etrasticha»— Miillér's-Arch. f. Anat. und Phys. 1843, pag. 66. lab. V, ftg. II. 2) Noto mia e descrizioni; degli Animali senza vertebre del Golfo di Napoli. — Tomo I. 1841, pag. 139. — 197 - nervosa elio dà origine a due nervi laterali molto fini. La coda è attacata alla parte posteriore del corpo e varia molto di lunghezza da un individuo all'altro. La coda, come il corpo, è rivestita esternamente da una cuticola é sotto di questa si osserva un doppio sistema di fibre circolari esterne e longitudinali internamente alle prime. La massi della coda è Titta principalmente di parenchima. Nella Cercaria Vi/lo/i e nella C. fìs- sicaudala il Vii tot ha osservato che la vescicola caudale si continua nella coda. Nella C- seti fera questa comunicatone non esiste, perchè ho visto con la più grande evidenzi che i globi, che si trovano nella grande vescicola del sistema escretore, traversavano l'organo a forma dì botticella e uscivano fuori per il forame cantale senza passare nella coda. La parte mediana della coda che, si estende dal' i base fino alla estremità, e che ha un aspetto scuriccio e granuloso, e fatta come l'asse mediano della coda della Cercaria armati, second lo Schwarze (l),di sostaza contrattile. Lungo i due margini della coda si osservano dei ciuffi di setole disposte simmetricamente cosicché fanno parere la coda tutta formata ad anelli. L'anellatura della coda, descritta da molti osser- vatori, non esiste, ma è un fatto accidentale el è dovuto h\ contrarsi della coda; infatti essa è tanto più accentuata e visibile quanto la coda è p ù contratta e, per contro, sparisce del tutto quando la co 1 1 si estende totalmente. Il numero di queste coppie di ciuffi di setole e variabile secondo la lunghezza della coda. Ciascun ciuffo e fatto di quattro a sei setole o più: queste sono tutte riunite alla base a f>rmare un corto manico e poi si slargano subito a ino' di ventaglio : il ma- nico è concavo-convesso ed è inserito trasversalmente lungo il mar- gine della coda, alquanto obliquamente, cosicché ciascun ciuffo di setole rassomiglia ad una pinna natatoria. El infitti 01 «parò le, in vista di questa caratteristica disposizione, credette di vedere fra le setole una membrana da queste sostenuta. Le singole setole s ino leg- germente ristrette nella loro metà inferiore, e poi si allargano nella estremità e si restringono bruscamente in punta: essi hanno gran le rassomiglianza con le setole degli Ariellidi. Quanto alla possibilità di considerare le setole della cola della stessa natura dei coni tattili di alcuni Trematodi, messa innanzi da R amsav, Wright e Macallum (2), debbo dire che le setole non sono degli organi tattili, perchè io non (1) Die pò s te mbri ornale Entwicklung der Trematoden. — UH. f. wiss. Zool, ILUl IH. pan 63, 1885-86. (2) Sphyranura Osleri a contribu.tion to in Helmin- thology, — Journ. o,\ Morph. Voi. I. 1887, pag. IO. — 198 — ho potuto scorgervi nessuna terminazione nervosa come Fischer (1) Ramsay Wright (2) e Wright e Macai ium hanno descritto nei coni tattili, ma semplicemente degli organi di locomozione. Questa Cercaria quando incontri gli Animali pelagici (io l'ho trovata pure su un gruppo di uova pelagiche, probabilmente di Scor- paena) ora perde la coda, che rimane fuori e si stacca, ora la tra- sporta con se nell'ospite e viene riassorbita. La identificazione della* Cercaria echinocerca del de Filippi con la C. seti/era mi permette conchiudere che quest'ultima viene da una Redia che vive nei Molluschi marini e dopo aver vagato liberamente per un certo tempo, penetra negli animali pelagici e vi si incista. Ma il ciclo biologico di questa Cercaria non è così completo e resta a sapere se essa può trasformarsi negli animili pelagici in Distomideo adulto o questi non sono che ospiti accidentali intermedii. La prima ipotesi non può accettarsi, perchè io ho sempre trovato Cercarie e mai Distomi sessuati e adulti sugli animali pelagici in qua- lunque mese esaminati, per conseguenza gli animili pelagici rappre- sentano, secondo penso, L'ospite intermedio. Il de Filippi pensava che gli ospiti intermedii della sua Cercaria echinocerca fossero i Pleu- ronettidi e che la C. echinocerca si trasformasse in Dist. histrico Duj (3) incistandosi nella mucosa boccale di questi pesci e che finalmente lo stato adulto fosse rappresentato dal D. appendicidatum. Io ho ten- tato varii esperimenti dando a mangiare a molti pesci così ossei, che Plagiostomi le Cercarie trovate n^lle meduse; ma sempre senza risul- tato. Credo però di poter dire di aver riconosciuta la sua forma adulta nel Dist. contortimi delle branchie dell' Orthagoriscus mola. Questa non è che una induzione alla quale mi hanno condotto alcuni fatti che brevemente esporrò. Il Dott. Paolo M aver ha raccolto nel Gennaio 1884 alcuni Distomi sulla Beroe Questi distomi, quantunque somiglianti us- ai alla Cercaria seti/era per forma esterni, sono più grandi perchè misurano da 2 % -3 mill. di lunghezza e circa 1 mill. di larghezza, mentre la Cercaria setifera appena raggiunge il millimetro: essi hanno un intestino bifido assai lui g > come quello della Cercaria seti- fera, nel terzo medio del corpo presentano due corpi rotondeggianti che sono l' inizio &i due testicoli e non mostrano più la grande vesci- cola del sistema escretore della Cercaria. A questo distorno potrebbe fi) Ueber den Bau d. Opistho trema cochleare. — Zeit, f. wiss. '/.«Di, XL lui. pag. 1.2. (2) A free swimming Spòrocyst — Amcr. Naturai. Voi XflL,p.340* (3) Hist. nat. des Ilelm. pag. 433. — 199 — forse riferirsi il D. Pelagiae del Kolliker, (1) il D. Velellae del Phi- lipp! (2) ed il D papillosum Diesing trovato dal Will (3) nella Beroe (le quali due ultime forme lo stesso Kolliker credeva non differenti dal suo D. pelagiae) e forse, a giudicare dall'esame della figura, anche il Distornimi Rhizophisae trovato dallo Studer (4) sulla Rhizophisa conifera. I Distomi della Beroe raccolti dal Mayer, se da un lato rasso- migliano, come ho detto, alla Cercaria seti/era, dall'altro hanno pure grandi somiglianze con il D. contortimi Rud dell'Orthagoriscus mola così per forma esterna, come per anatomiche d'imposizioni. Questi fatti sono quelli che mi fanno pensare che il Distoma della Beroe fosse! una Cercaria seti/era , che. avendo perduto la coda, avesse eccezionalmente cominciato a sviluppare in parte gli organi genitali e, per le rassomiglianze che in questo stato presenta eoa il D. contortimi, potesse riguardarsi la forma giovane di quest'ultimo. Come la Cercaria seti/era possa pervenire nell' Orthagoriscus questo io non saprei dire; per altro osserverò che nel mio giornale del 1887 trovo notato di aver rinvenuto nell' intestino di un piccolo Or- thagoriscus mola, pescato il giorno otto Maggio, alcuni resti di ani- mali pelagici, specialmente Pirosomi, il qual fatto potrebbe avere un certo valore in favore della mia supposizione. Napoli, Stazione Zoologica. — (riugno 1888. Osservazioni sopra ! Orthagoriscus mola, L. — Nola del Socio ordinario residente Federico Raffaele. (Tornata del 1 Luglio 1838) Un giovane ortagorisco, (lungo poco più di mezzo metro) pescato da una sciabica a Mergellina, ha vissuto per qualche giorno in una vasca dell'Aquario della stazione zoologica. Ciò mi ha permesso di studiarlo da vicino e poter aggiungere qualche notizia intorno a questo cu- rioso animale che è difficile osservare in condizioni così favorevoli. uè D i sto me a. — Bericht. Konigl. Zootom. Aliatali, Wurz- (1) Zwei n e u e D i s t o m e n. — Berte burg, 1849, pag. 53, T. II, fig. 5-6. (•2) Op cit. pag. 66, Tab. V, Qg. 12. (3) Ueber Distoma Beroès. — Arch. f. Naturg. Ì844, p 343. (4) Ueber Siphonophoren des Tiefefn Wasser — Zeil. f. wiss. Zooì. XXXI Bd, pug. 12, Taf, f, fig. 7. — 200 — E prima di tutto, ho voluto verificare quanto vi fosse di vero nej- Y asserzione di Gessner e di altri antichi autori, che cioè, quando questo pesce viene preso di notte, esso tramanda vivissima luce; e debbo dire che a me e ad altri che mi hanno accompagnato, non è riuscito vedere la più piccola luce, sebbene l'ortagorisco si agitasse e sbattesse 1' acqua per sfuggire alla stretta. Quanto al grugnito che lo stesso Gessner attribuisce all' ortago- ìàsco, una sola volta ho sentito un leggiero rumore mentre lo affer- ravo, ma stimo più prudente non pronunziarmi sul fatto. Molto interessanti sono i movimenti. Mentre nei pesci di forma comune i movimenti di progressione si compiono sopratutto e quasi pscl usi va mente per opera della coda, nell' ortagorisco essi sono pro- dotti dalle due grandi pinne, anale e dorsale, molto sviluppate nelle quali i raggi non sono mobili isolatamente ma, tenuti insieme dai forti tegumenti, costituiscono delle vere pale somiglianti a quelle di un'elica. Le due pinne si muovono con movimenti oscillatori simultaneamente a destra e a sinistra e nel tempo stesso ciascuna compie una leggera rotazione sull'asse longitudinale, mantenendo fissa la porzione ante- riore, così che batte 1' acqua obliquamente ora da una parte ora dal- l'altra. Questo movimento che fa avanzare il corpo, gì' imprime natu- ralmente una oscillazione, una specie di rullìo che, poco sensibile quando le pinne si agitano rapidamente e la corsa è veloce, diventa tanto più accentuato quanto più si rallenta l'andare. Sempre che la mezza oscillazione della pinna a destra è eguale in ampiezza e velo -ita a quella a sinistra, il pesce procede in linea retta. A mutare la direzione contribuiscono: da una parte la codale alta e breve, che sta in forma di crescente lunare lungo tutto il con- torno posteriore e funziona come timone; dall'altra le due pinne sud- dette, le quali battono l' acqua a^sai più energicamente dalla parte dove si deve compiere la voltata; opponendo così resistenza al pro- gresso nella direzione primitiva a quel modo che i marinai dicono sciare. Similmente, sebbene in grado minore, operano le pettorali: quella del lato opposto alla voltata si adagia lungo il corpo, perden- do così ogni effetto meccanico, l'altra batte l'acqua da dietro in avanti. Quando l'animale vuole modificare soltanto leggermente la direzione, mi pare che adoperi esclusivamente quest'ultimo modo. Altro movimento è quello verticale, e qui noto di passaggio che qualunque sia a tal riguardo nei pesci la funzione della vescica na- tatoria, in questo caso non è da parlarne perchè essa manca. Questo movimento è iniziato dalle pettorali che battendo l'acqua obliquamente da sotto in sopra o viceversa, cambiano la direzione del — 201 ~ corpo, facendo si che la porzione anteriore sia corrispondentemente più bassa o più alta. Stando così obliquo il corpo , i soliti movimenti di progressione lo faranno scendere o salire; ciò non accade mai verticalmente. Resta a dire come il corpo così compresso ed alto dell' ortago- risco riesca, quando è fermo, a tenersi in equilibrio. Ciò accade e per i movimenti della dorsale e dell'anale che continuano ad oscillare come nella progressione, ma più dolcemente e senza compierti il mo- vimento di rotazione, e per quelli alternanti antero-posteriori delle pettorali. in conclusione è da notare come i movimenti, che nei pesci di l'orma ordinaria si compiono per mezzo della coda e delle pettorali, in questo caso di estrema riduzione della coda, di assoluta rigidezza del corpo e di pochissimo sviluppo delle pettorali, si compiono per opera della dorsale e dell'anale che hanno acquistato uno sviluppo ed una conformazione corrispondenti al bisogno. Questa funzione della dorsale e dell'anale che nell' ortagorisco raggiunge il massimo sviluppo si trova in vario grado anche in altri pesci e più comunemente nella dorsale. Infatti in molti pesci la por- zione posteriore di questa pinna è più alta e visi notano dei movimenti oscillatori laterali nei quali essa funziona come un corpo rigido; questi movimenti sono tanto più accentuati quanto più è ridotto L'asse ante- ro-posteriore del corno. Crostacei del R. Avviso Rapido nota del Socio ordinario non residente Cavo Gavino. (Tornata del 15 Luglio 1881). ORDO DEGAPODA Trib. Biuchtura. O.vyrhynca o Majoidea Genus Lambrus Lea eh. Lambrus longimanus i Linneo). Lambr un longimanus Leach. Trans. Lin. Soc. voi. XI. p. 310 (1815). Edwards Hist, nat. des Crust. t. I. p 354 (1834) Atlas in L. atr. frégne animai de Cuv. Crust. pi. XXVI fig 1 ; Miers. Annal and Mag. nat. Hist. s. v. voi. IV. p. 20 (1879). — 202 — Dimensioni à1 una ± ad. Lungh. del oarapazio mm. 28 Largh. „ „ 30 LuDgh. del braccio „ 35 Lungh. della mano „ 40 Provenienza : Singapore Glenus Cryptopodia Edwards. Cryptopodia fornicata Fabr. Cryptopodia fornicata Edwards, Hist. nat. des Crust. t. I. p. 362 (1834) ubi synon. De Haan. Fauna Japonica, Crust. p. 90 , pi. XXII, fig. 2 (1835) Dana, Crust. in IL S. Explor. Exped. t. I. p. 140 (1852); Miers : Crust. Zoo!. Coli. H. M. S. Alert. p. 203 (1884). Dimensioni d' una TjT ad. Luno'b.. del carapazio mm. 35 Largh. „ „ 55 Lungh. del braccio „ 19 Lungh. della mano „ 22 .Provenienza : Singapore. Catometopa o Grapsoidea Genus Ocypoda Fabr. Ocypoda brevicornis Edwards var. longicomuta. Ocypoda brevicornis Edwards var. longicomuta Dana, Crust. in U. S. Explor. Exped. t. I. p. 327, pi. XX, fig. 4 (1852). Ocypoda ceratopthalma Kingsley, Revision Ocypoda in Proc. Acad.. nat. se. of Philad. p. 179 (1880) ubi synon. Questa varietà si distingue dalle forme tipiche dell' Ocypoda bre- vicornis Edwards per la lunghezza degli stiletti terminali nei pedun- coli oculari. In collezione è rappresentata da quattro esemplari, i quali con- servano distinta verso le parti postero mediane del tergo quella stri- scia rosso-sanguigna in l'orma di semiellissi che si rileva nella figura del Dana. La lunghezza degli stiletti podoftalmarii soltanto negli in- dividui adulti si mantiene conforme a questo tipo; in un giovine esem- plare perù sono poco sviluppati (Ocypoda brevicornis Edwards). — 293 Delle differenze pure rimarchevoli si osservano nell'aspetto ge- nerale del carapazio. L'angolo orbitario esterno dell'orbita non rag- giunge in generale 1' altezza del bordo sovraorbitario verso 1' inser- zione dei peduncoli, il medesimo sporge all'esterno quanto l'angolo branchiale anteriore, però non si continua con questo in una linea retta. In un esemplare il dente orbitario esterno s'avanza all' infuori oltre l'angolo epibranchiale, il medesimo è più acuto e guadagna in avanti quasi l'altezza del bordo sovraorbitario verso l' inserzione dei pedun- coli, il quale perciò si presenta più sinuoso (Ocypoda Urvillii Guérin). Dimensioni d'una T adulta. Lungh. tra gli angoli orbitari esterni min. 39 „ „ epibranchiali „ 39 „ „ postero-laterali „ 27 Provenienza : Singapore. Genus Gelasimus Latr. Gelasimus arcuatus De Hann. Ocypoda (Gelasimus) arcuala De Haan, Fauna Japoniea. Crust. p. 53 pi. VII fig. 2 (1835). Gelasimus arcualus Kiogsley, Revision Gelasimus in Proc. Acad. nat. se. of Philad. p. 143. pi. IX flg. 10 (1880;. Il cefalotorace largo anteriormente, assai ristretto posteriormente nei lati arcuato, carenato, misura in lunghezza mm. 19, in larghezza tra gli angoli orbitarli esterni mm. 29, tra quelli postero-laterali mm. 14. Il solco cervicale è bene impresso, quelli branchio gastrici e car- diaci larghi e assai profondi. 11 braccio nel grosso chelopode è guer- nito sul bordo superiore ed inferiore d'una serie di granulazioni ; il corpo all'esterno rotondato, offre delle granulazioni analoghe a quelle che si osservano sulla palma della mano, il suo bordo interno è ri- vestito da una pubescenza rssai marcata, le pinze oltre i grossi tuber- coli che si osservano disposti in serie nel bordo prensile presentano due forti denti uno submediano e l'altro subterminale. Il colorito del carapazio è d' un verde cupo diffuso uniformemente sul tergo. In collezione è rappresentato da tre esemplari, due provengono da Singapore ed uno dalle isole Seychelles. Gelasimus chlorophthalmus Edvvards. — 204 — Gelasimus chiaro phthalmus Edwards, Hist. nat. des Crust. t. II. p. 54 (1837) Kingsley, Revision Gelasimus in Proc. Acad. nat. se. of Philad. p. 151 pi. X. fig. 26, 27 (1880), ubi synon. È rappresentato in collezione da numerosi esemplari ($¥)» l quali nella conformazione della pinza al grosso chelopode presentano quella caratteristica stata descritta e figurata da Heller (Reise des Osterreichischen Fregatte Novara uni die Erde, Crust. p. 38 taf. 5 fig, 4 1807). Dimensioni d'un r? ■ Lnngh. del earapazio min. 10 Largh. tra gli orbitarli esterni mm. 12 Largii, tra gli angoli postero laterali „ 9 Provenienza : Malie Isole Seychelles . Trib. II. Anomur.v. Paguridea Genus Diogenes Dana. Diogenes miles Pa.bincius. Pagurus miles Fabr. Supp. Ent. Syst. p. 412 (1798); Edwards, Hisfc. nat. des Crust. t. II. p. 285 (1837) ; De Haan, Fauna Japonica Crust p. 208 (1835). Diogenes miles Dana, Crust, in U. S. Explor. Exped. t. p. 435) pi. XXVII fig. 9 (1852). Stimpson. Proc. Acad. nat. se. of Philad. p. 232 (1858). Tutta la superficie del earapazio è rivestita di un forte tomento, villoso, la squama rostrale mediana concava nella sua metà poste- riore, sporge in avanti in una punta unica aguzza, la quale eccede appena le squame basilari nei peduncoli degli occhi. Un semplice rango di tubercoli spiniformi sul bordo superiore del carpo, della mino e del dito mobile, ed un altro sul margine superiore dei tre ultimi ar- ticoli nello zampe del primo e del secondo paio. Dimensioni d' una ]£ ; Lungh. del earapazio min. 14 Largh. „ „ 11 Largh. della fronte „ :> Lungh. dei peducoli oculari „ 4 Habit. Murex tenuispina — -20;"» Provenienza : Singapore. G-emis Pagurus Fabr. Pagurus punctulatus Olivier. l'agurus punctulatus Edwards, Hist. nat. des Crust. t. II p. 222 (1337); Dana, Crust. in U. S. Exped. t. I. p, 451. pi. XXVIII fìg. 4 (1852) ; Stiinpson, Proc. Acad. nat. so. of Philad p. 233 (1858). È rappresentato in collezione da due esemplari _ ad. 30 11 37 20 Dimensioni: Luogh. del carapazio nini. Largh. della fronte ,, Largh. del carapazio „ Lungh. dei peduncoli oculari „ Habit. Voluta. Provenienza : Singapore. Genns Cenobita Latreilie. Cenobita clypeata Herbst. Cancer clypeatus Herbst, Krabben und Krebse p. 22. pi. 2'J. fìg. 2. Cenobita eh/peata Edwards, Hist. nat. des Crust. t. II. p. 329 (1837J; Dana Crust. in U. S. Explor. Exped. t. I. p. 473 (1852) ; Dimensioni cf una ''~ ad. Lungb. del carapazio mm. lì' Largh. A „ 13 La mano nella chela più grossa misura di altezza mm. 17, in lar- ghezza verso l'articolazione del dattilo mm. 16, la superficie della palma è completamente liscia e glabra, soltanto verso il bordo supe- riore offre qualche rara granulazione, più appariscente verso la linea di mezzo della sua superficie interna. Il colorito del carapazio e delle zampe è rosso-violaceo, l'addome ha un colore giallastro molto intenso, Provenienza : Zanzibar. Cenobita compressa Edwards. Cenobita compressa Edwards. Hist. nat. des Crust. t. II. p. 241 (1837). Siebold, Fauna Japonica Crust. by W. de Haan p. 213 (1850). Stimpson, Proc. Acad. nat. se. of Philad. p. 232 (1858)- LIBRARY — 206 - Dimensioni cV una 1£ : Limgh. dello scudo mm. 10 Largh. „ „ 7 La superficie tergale è rivestita di minutissime squame, verso i lati alquanto pelosa ; la mano tanto nella chela di destra quanto in quella di sinistra oltre le numerose granulazioni che rivestono la su- perficie della palma offre tra le granulazioni spiniformi del suo mar- gine superiore un grosso ciuffo di peli di color fulvo, il quale pro- cede dal bordo articolare del carpo. Il colorito è rosso porporino, sbiadito in qualche punto del tergo per F azione dell' alcool. Trib. III. Macrura. Caridea Genus Penaeus Latreille. Penaeus canaliculatus Oliv. Penaeus canaliculatus Edwards, Hist. nat. des Crust. t. II. p. 414 (1837) ; Siebold Fauna Japonica, Crust. by W. De Haan, p. 190 (1850y Spence Bate, Revision Penaeidae in Armai and Mag. nat. Hist. serie v. t. Vili p. 174. Dimensioni (V un j^ ad: Lunghezza totale del corpo mm. 48, il rostro in tutta la sua lun- ghezza misura mm. 30 ; il medesimo presenta al disopra otto denti, in- feriormente è integro cigliato, ed oltrepassa col suo apice il pedun- colo mobile delle antenne esterne. Provenienza : Singapore. ORDO STOMAPODA Genus Squilla Fabricius. Squilla nepa Latreille. Squilla nepa Latr. Encyclop. meth. t. X p. 471 (1825). Squilla oratoria De Haan , Fauna Jap. Crust. p. 223 pi. I. fig. 2 (1835 ; Dana Crust. in U. S Explor. Exoed. t. I. p. 231 (1852), Squilla nepa Miers, On the Squillidae in Annal and Mag. nat. Hist. ser. v. 5 t. p. 25 pi. II fig. 13 (1880). È rappresentata in collezione da due esemplari "?"• Lunghezza totale del corpo mm. 82, del capotorace mm. 20. Provenienza : Singapore. — 207 — Composizione chimica di alcuni calcari magne- siferi del Monte Somma. — Nota del Socio ordina- rio non residente Eugenio Casoiua. (Tornata del 5 Agosto 1888) Credo meritevole di presentare i dati analitici che si riferiscono alla composizione chiaiica di tre calcari magnesiferi del Monte Som- ma da me raccolti nella regione vesuviana. Lo studio di questi calcari fa seguito a quelli già da me già stu- diati (1). III. Frammento calcareo trovato nel conglomerato vulcanico dell'al- tipiano di Torre del Greco. Si presenta di aspetto cristallino con struttura finamente gra- nellosa e friabile, al punto da risolversi, anche sotto la semplice pres- sione delle dita,, in una polvere cristallina, rude al tatto. Questo calcare si scioglie negli acidi minerali allungati con pro- duzione di viva effervescenza. L' acido acetico, per l' opposto vi eser- cita debole azione, e solo con prolungato contatto, a caldo, ne deter- mina la dissoluzione. I risultati quantitativi riferiti a 100 p. di calcare forniscono. Ossido di calcio . . . Gram. 30,384 » magnesio ... » 21,267 Anidride carbonica . . » 47,662 Residuo insolubile in C1H » 0.046 99,359 Per stabilire la neutralità salina per la quantità di anidride car- bonica totale e la quantità di ossido di calcio e di ossido di magne- sio, divido i valori dell' analisi pel rispettivo peso equivalente o mo- lecolare, ed ottengo : Ossido di calcio . . . 30,384:28 = 1,085 » » magnesio . . 21,267 : 20 = 1,063 Anidride carbonica . . 47,662:22 = 2,166 Questi quozienti indicano che la quantità di ossido di calcio e di (1) Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli — Serie I, Voi. I. An- no /, fase. I, 1887. 7 — 208 — ossido di magnesio sono nel rapporto di 1 equivalente ad 1 equiva- lente, mentre per l' anidride carbonica si hanno due equivalenti. Tutto ciò dimostra all' evidenza la esatta corrispondenza fra le quantità di basi e la quantità di anidride carbonica totale. Per conseguenza il calcare in esame contiene un equivalente di carbonato di calcio ed un equivalente di carbonato di magnesio. IV. Questo masso calcareo è fra gli altri degno di nota pel fatto che in esso si possono riconoscere due parti essenzialmente distinte, sia per il loro aspetto fisico che per la loro chimica composizione. Infatti lo strato superficiale del masso suddetto presenta una struttura finamente cristallina, e mostrasi dotato di un notevole grado di traslucidità. Esso presenta in media lo spessore di circa 2 cm. ed avvolge la massa centrale, la quale si presenta finamente granellosa e friabile al punto da risolversi, anche sotto la semplice pressione delle dita, in polvere cristallina. A queste differenze nell'aspetto fisico corrispondono le seguenti variazioni nella composizione chimica : 100 p. di ciascun calcare contengono : (a) Strato superficiale (b) Parte friabile Ossido di calcio .... 35,214 .... 31,452 » » magnesio . . . 23,385 .... 20,741 Anidride carbonica . . . 41,412 .... 47,450 100,011 99,643 Stabilendo la neutralità salina fra l' anidride carbonica e le basi si ha : [a) (Jb) Ossido di calcio . . 35,214: 28 = 1,257 » » magnesio. 23,385:20 = 1,169 Anidride carbonica. 41,412 : 22 = 1,884 Da questi quozienti ricavasi : l.° Nello strato superficiale la quantità di anidride carbonica to- tale non è bastevole a salificare tutta la calce e magnesia. Equivalenti di ossido di calcio 1,257 » » magnesio 1,169 Totale degli equivalenti delle basi. 2,426 Equivalenti di anidride carbonica .... 1,884 Equivalenti in più di basi 0,542 31,452 : 28 = 1,123 20,741 20 = 1,037 47,450 22 = 2,156 — 209 — Moltiplicando 0,512 per 22 si hanno grm.J 1,924 di anidride car- bonica in meno, che dovrebbero aggiungersi alla quantità percen- tuale, determinata dall'analisi (grm : 41,412) per raggiungere la neutralità salina. In base a questi dati il calcare analizzato è costituito da carbo- nato di calcio, carbonato di magnesio con quantità variabile di ossido di calcio o di magnesio. 2.° La porzione di calcare (b), che si presenta finamente granel- losa e friabile, contiene la calce e la magnesia nel rapporto dei ri- spettivi equivalenti. Di più l'anidride carbonica è espressa dalla somma degli equi- valenti delle due basi. Da questi dati si ricava che nel calcare in esame l'anidride car- bonica salifica la quantità totale delle basi determinate. La composizione chimica di questo calcare è quasi identica al calcare rinvenuto nel conglomerato vulcanico dell' altipiano di Torre del Greco. Riporto la composizione chimica dei due calcari per rendere più chiaro lo studio di confronto. IV (b) Parte friabile III Calcare di Torre delGreco Residuo insolubile 0,046 Ossido di calcio 31,452 30,384 » » magnesio .... 20,741 21,267 Anidride carbonica .... 47,450 47,662 99,643 99,359 V. Frammento calcareo di figura irregolarmente ellissoidale, rac- chiuso in un conglomerato vulcanico, al quale tenacemente aderisce. In questo frammento la zona periferica è di aspetto terroso e friabile ; mentre il nucleo centrale mostra ancora indizio di tessitura cristallina. Questo calcare presenta reazione alcalina; è attaccabile a freddo dagli acidi minerali, 1' acido acetico vi spiega debole aziono dissol- vente. — 210 — 100 p. di calcare contengono : Ossido di calcio 36,420 » » magnesio 15,336 Anidride carbonica 42,342 Residuo insol. in C1H .... 0,146 Acqua eliminata a 100.° . . . 0,600 » » combinata 4,795 99,639 Dividendo i valori dell' analisi pel rispettivo peso equivalente o molecolare si ha : Ossido di calcio = 36,420: 28 = 1,300 » magnesio = 15,336 : 20 == 0,776 Anidride carbonica = 42,342: 22 = 1,924 Confrontando la somma degli equivalenti delle basi con gli equi- valenti dell' anidride carbonica, si ha una differenza in più dovuta all'eccedenza delle basi. Equivalenti di ossido di calcio 1,300 » » » » magnesio .... 0,766 Totale degli equivalenti delle basi. 2,066 Equivalenti di anidride carbonica .... 1,924 » in più delle basi 0,142 Questa differenza dì equivalenti moltiplicata per 22 ci fornisce il complemento di anidride carbonica! che occorre per raggiungere la neutralità salina. 0,142 X 22 = 3,124 Per conseguenza restando pienamente dimostrata la reazione al- calina, nonché la deficienza di anidride carbonica, il calcare in esa- me, conterrebbe oltre al carbonato di calcio e di magnesio, un ec- cesso di base. Questo eccesso di base potrebbe essere rappresentato, avuto ri- guardo alla presenza dell' acqua di combinazione , da quantità varia- bili di ossido di magnesio idrato. Laboratorio di Chimica Generale della R. Scuola Sup. di Agricol- tura in Portici. — Agosto 1888, — 211 — Sulla presenza del calcare nei terreni vesuvia- ni. — Nota del socio ordinario non residente Eugenio Ca- SORIA. (Tornata del 5 agosto A me sembra che nessuno abbia finora preso a considerare la presenza del calcare nei terreni vesuviani. Avendo compiuto alcune ricerche, che si riferiscono a tale argo- mento, credo opportuno di registrare nella presente nota i risultati ottenuti. Fino dall' anno 1882 analizzando il terreno del Podere S. Croce in Ponticelli, rinvenni nel sottosuolo, a 10 cm. dallo strato attivo, la proporzione di grammi 11,438 di carbonato di calcio per 100 di terra. Nell'anno 1884 intrapresi l'analisi del terreno del campo speri- mentale della R. Scuola Sup. d'Agricoltura in Portici, e con mia me- raviglia determinai nello strato attivo il 9,70 di carbonato di calcio per 100 grammi di terreno. Il campo sperimentale è di breve estensione, fa parte di una zona del Parco Gussone e comprende lo spazio di terra, che si estende in- nanzi la vaccheria dove è il R. Deposito di animali miglioratori. Tro- vasi circondato e sottoposto allo strato di lava del 1631, e per i suoi caratteri non diversifica dal terreno di Ponticelli, e da quelli della regione vesuviana. Guidato dalla opinione invalsa fra i nostri agronomi, che i ter- reni vesuviani sono privi di calcare, fui indotto a supporre che il calcare ivi esistente vi fosse stato aggiunto. Ma le mie recenti ricerche sui calcari del Monte Somma mi han- no indotto a conchiudere : che la presenza del calcare nei terreni analizzati non è casuale, ma che proviene dalle rocce originarie. Ed invero fatta eccezione delle zone di terreni originati per mu- tamenti chimici avvenuti nelle lave e ceneri vulcaniche, la regione vesuviana è costituita da terreni dipendenti da eruzioni antiche. Tale opinione è avvalorata dai caratteri fisici e dalla composi- zione chimica, nonché dalla presenza nel calcare tanto diffuso nei materiali del Monte Somma. Per acquistare qualche altro dato di fatto intorno alla presenza del calcare dei terreni vesuviani, ho creduto opportuno di analizzare un campione di terreno, che nello scorso autunno raccolsi sull' alti- piano di Torre del Greco presso la corrente della lava del 1861. Il terreno in esame è composto di un conglomerato vulcanico di- sposto a strati, e composto di terra fine ed omogenea quasi inferme- — 212 — dia fra la sabbia e la cenere, e dotata di una semiplasticità, poiché i colpi dei pali di ferro e delle zappe vi lasciano quelle strisce lucide e levigate, che si osservano nelle cave di argilla; col disseccamento all'aria facilmente si riduce in polvere. In questo terreno si contiene del calcare in dose elevata, e ciò si deduce dal fatto che gli acidi minerali messi a contatto del detto terreno producono una prolungata effervescenza. L' acido acetico, a freddo, vi esercita debole azione; e da ciò s'in- travvede che il calcare contenuto nel detto terreno appartiene ai cal- cari magnesi feri. La determinazione del calcare fatta con acido nitrico allungato ha fornito i resultati seguenti: Per 100 grammi di terra: Ossido di calcio gram. 12.951 » magnesio » 0,811 Alle rispettive quote di calce e magnesia corrisponde la equiva- lente quantità di anidride carbonica. L' anidride carbonica si è determinata con l' apparato di Geissler, adoperando l'acido cloridrico, e facendo passare il gas carbonico sulla pomice contenente solfato di rame anidro. Da tre determinazioni concordanti si è ottenuto: che la quantità di anidride carbonica per 100 di terra è espressa da grm. 11,850. E stabilendo l'aggruppamento salino delle basi determinate si ha: Grm. 23,127 di carbonato di calcio, » 1,701 di carbonato di magnesio. Di più in questo terreno si contengono per 100 di terra grm. 0,420 di anidride fosforica e grm. 1,297 di potassa disciolta dall' acido clo- ridrico. Questi due ultimi dati sono compresi nelle medie stabilite dal- l'analisi per i terreni della regione vesuviana. Da quanto ho esposto si può concludere: che la presenza del calcare è una conseguenza prossima delle originarie rocce del Monte Somma che con la loro disgregazione, e colle alluvioni successive hanno formato i terreni coltivabili della regione vesuviana. Laboratorio di Chimica Generale della R. Scuola Sup. d1 Agricol- tura in Portici. — Agosto 1888. - 213 - Composizione chimica dell' acqua di Serino at- tinta nella città di Napoli — Nota del Socio ordi- nario non residente Eugenio Gasoria. (Tornata del 5 Agosto 1888; Presento i risultati dell'analisi da me eseguita sull' acqua di Se- rino, che si attinge nella città di Napoli. I metodi analitici prescelti per tale ricerca sono identici a quelli già da me seguiti nelle numerose ricerche sulle acque vesuviane. Un litro di acqua contiene: Anidride silicica Grm. 0,01105 « solforica » 0,00469 Cloro » 0,00864 Ossido di calcio '. . » 0,07330 « « magnesio » 0,01248 « « potassio » 0,00353 « « sodio » 0,00577 Residuo fisso a 180° » 0,18864 Laboratorio di Chimica Generale della R. Scuola Superiore di Agri- coltura in Portici — Agosto 1888. — 214 — Mutamenti chimici che avvengono nelle lave ve- suviane per effetto degli agenti esterni e della vegetazione. — Studii e ricerche chimiche del socio or- dinario non residente Eugenio Casoria (1). (Tornata del 5 Agosto 1888). I. Delle cause modificatrici delle lave. — II. Ricerche istituite. — III. Compo- sizione chimica della lava del 1631. — IV. Composizione chimica del ter- reno.— V. Composizione chimica della materia umica. — VI. Composi- zione chimica dei residui vegetali in confronto alla materia umica. — VII. Confronto fra la composizione chimica del terreno e la lava del 1631. — Vili. Conclusione 6" est sans aucun doule à la réunion des alcalis, des phosphales, que les sols d'o- rigine volcanique doivenl en parile leu? fecondile exceplio nelle. On peul ciler le voisinage de V Etna, la cam- pagne de Naples, les vignobles planlès sur les coteau* du Vésuve eie. BOCSSINGAULT Delle cause modificatrici delle lave La zona delle lave coltivate, che si estende alle falde del Vesu- vio, mostra come il concorso di varie cause può modificare la super- ficie delle lave, fino al punto di trasformarle in terreno vegetale. (1) La presente memoria fa seguito alle mie precedenti ricerche già pubblicate, e che si riferiscono allo studio dei materiali della regione ve- suviana. Vedi: Studi e ricerche chimiche sul terreno del Podere S. Croce in Ponticelli. — Annuario R. Scuola Sup. d' Agricoltura in Portici Voi. IV. Fase I. 1884. Gli elementi minerali contenuti nella materia umica in relazione alla composizione chimica del terreno. — Ricerche chimiche. — hi. Voi. V. Fase 1. J885. L'acqua della Fontana pubblica di Torre del Greco ed il predominio della Potassa nelle acque vesuviane. — hi. Voi. V. Fase. I. J885. Composizione chimica e mineralizzazione delle acque potabili vesuviane — 215 — La lunga esperienza dimostra che la fertilizzazione delle lave av- viene dopo il periodo di varii anni, quando cioè la superfìcie si è in gran parte modificata. Le cause che concorrono in gran parte a modificare le lave pos- sono riassumersi: 1.° Nello stato di aggregazione delle parti che costituiscono la su- perficie. 2.° Neil' azione degli agenti esterni. 3.° Nei fatti biologici. Esaminando la prima delle cause accennate, è risaputo che le lave si fendono e si riducono in frammenti ali* stessa guisa di quei materiali, che dallo stato di fusione subiscono un raffreddamento più o meno rapido. La roccia già ridotta in frammenti conserva la superficie scoria- cea, ed allo stesso modo di quanto si riscontra nei corpi porosi od a superficie alveolata , si presta meglio all' azione degli agenti esterni, in ispecial modo al processo di ossidazione ed all'azione corrodente, benché lenta, dell'anidride carbonica sopra i materiali componenti la primitiva roccia. E tutto ciò indipendentemente dalle modificazioni, che la lava po- trebbe subire per effetto delle emanazioni acide e saline provenienti dal vicino vulcano. Al periodo delle trasformazioni fisico-chimiche segue quello dei fatti biologici, i cui effetti sono più appariscenti di quelli fin qui ac- cennati. In tali condizioni lo strato scoriaceo, già modificato per 1' azione degli agenti esterni, prepara il sostrato alle forme più semplici di or- ganismi. E ben presto, come osserva il Comes, (1) i licheni sassicoU Studii e ricerche chimiche. — (Memoria letta al Congresso internazionale d'Idrologia e Climatologia tenuto a Biarritz nell'anno 1886.) L'Idrologia e la Climatologia medica. — Anno IX. N. 3. — Firenze ISS7 . Sopra due calcari magnesiferi del Monte Somma. — fìoUellino della So- cietà di Naturalisti in Napoli. — Ser. /* Voi. I Anno I. IS87. Composizione chimica di alcuni calcari magnesiferi del Monte Somma. hi. id. Voi. II Anno 1888). Sulla presenza del calcare nei terreni vesuviani. — Id. id. l'I) 0. Comes — Le lave, il terreno vesuviano e la loro vegetazione. — Spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei. Napoli 1887 ■ — Non potendo, per l'indole del presente lavoro, riassumere gli argomenti svolti dall'autore, esortiamo il lettore a consultare la interessante memoria originale. — 216 — non tardano a svilupparsi su quelle superfìcie logore e corrose, po- polando e rivestendo le rocce, che non avevano presentato per lo in- nanzi, almeno ad occhio nudo, alcuna orma di vegetazione. Gli avanzi degli organismi , che a dozzine di specie popolano le lave, producono il primo detrito organico, che è indispensabile per la vegetazione di altre piante di ordine superiore. Ed infine mercè le assidue cure dell' agricoltore vesuviano le aride superficie delle lave sono ben presto ridotte a coltura. Ora se i fatti biologici già accennati forniscono la prova evidente della fertilità delle lave vulcaniche, d' altra parte nulla e' insegnano intorno ai mutamenti chimici, che avvengono nei materiali vulcanici in esame Ed a tal proposito voglio ricordare, che i criterii adottati fin qui dagli autori, per spiegare i mutamenti chimici, che avvengono nelle lave vesuviane si riferiscono ai risultati ottenuti dallo studio di ma- teriali appartenenti ad altre regioni vulcaniche. Per i prodotti vesuviani, bisogna pur confessarlo, non esistono finora ricerche chimico-agricole per spiegare i fatti già accennati. Nello intento di studiare i mutamenti chimici, che avvengono nelle lave vesuviane per effetto delle azioni meteoriche e della vegetazio- ne, ho proceduto alle seguenti ricerche. IL Ricerche istituite Non potendo per tali ricerche fare di una lava un terreno ve- getale, ho procurato di studiare la composizione chimica della lava in confronto alla composizione chimica del terreno originato dalla lava stessa. Ho eseguite le ricerche sul terreno del Parco Gussone annesso alla R. Scuola Sup. d' Agricoltura, e sulla lava del 1631. Il terreno del Parco Gussone costituisce una estesa zona di bosco piantato sulla lava del 1631, e risulta dal detrito di scoria e da una ffiiota di ceneri lanciate nelle varie conflagrazioni vesuviane. A que- sti ingredienti minerali trovasi mescolato il terriccio proveniente dal cumulo dei residui appartenenti ai vegetali, che vivono sulla superfi- cie della lava. In questo terreno tenuto a bosco non è stato mai introdotto con- cime. Purtuttavia, ad eliminare qualunque dubbio sulla vera origine dei materiali, che formano oggetto del presente studio, ho procurato di raccogliere lo strato di terreno, che copre immediatamente la lava vulcanica, e trascurando il terreno che trovasi nella parte piana. — 217 — A completare questo studio di confronto., ho voluto eziandio stu- diare la composizione chimica della materia umica, sotto il punto di vista della qualità e quantità degli elementi minerali, che in essa si contengono. Di più, avuto riguardo alla origine del materiale organico, pro- dotto per decomposizione dei residui vegetali, ho determinato la com- posizione chimica delle foglie di quercia mescolate ad altri residui di vegetali, nello intento di stabilire lo studio di confronto fra la com- posizione chimica del materiale organico preesistente ed il materiale umico prodotto. Riassumendo, le ricerche che formano oggetto del presente stu- dio comprendono : 1.° La composizione chimica della lava del 1631 ricavata dal- l'impiego dei solventi acidi e dall'analisi del residuo insolubile. 2.° La composizione chimica del terreno originato in gran parte dai mutamenti avvenuti nella lava del 1631. 3.° L' analisi della materia umica e dei residui dei vegetali. Tratterò paratamente di ciascuno dei materiali indicati, discu- tendone i dati quantitativi ; riserbandomi, dopo lo studio di confronto, di trarre le analoghe conclusioni. III. Composizione chimica della lava del 1631 Lo studio della composizione chimica della lava del 1631 si ri- ferisce allo strato superficiale scoriaceo, che concorre in gran parte alla formazione del terreno vegetale, ed allo strato compatto, che co- stituisce la lava propriamente detta. Per meglio stabilire un esatto studio di confronto fra la compo- sizione chimica del terreno e della lava, ho creduto opportuno adope- rare per quest' ultima il metodo di analisi, che si applica ai terreni proposto dal Prof. Fausto Sestini di Pisa, e già da me prescelto per l'analisi dei terreni vesuviani. Lo stato di aggregazione dei materiali sottoposti all' analisi è iden- tico a quello che si riscontra nel terreno. La scoria e la lava ridotta in minutissimi frammenti si è fatta traversare per una serie di stacci metallici, raccogliendo la porzione che traversa lo staccio con fori di 1|2 mm. di diametro. Seguendo il metodo già indicato, 100 grammi di scoria e di lava così ottenuta contengono. cT v~^ Ci r~ Ci «* o Ci oo o *^ o lO I -* lO oo r- l-^ n — t > C- CD C-i co CO E— . ■— *" <1 O o CO 3 CO o "=3 D2 -3 ■^ cr=> -Ci v — ' S=1 03 < CD CD CO ira ^ o 'l — ! O OO o Ci o co So CZJ > LO 1 oo ■f1 co ^H -"' ca "3 *3 o" 1 o o o o --, -!=! CJ i-J -^ E— era. C=j cz> < CD o lO ^ Ci lO s oo »n Ci CO •; — ; -^ 1 C-. o o^ o_ CO ^=3 ca o o o" 1 o" © o" o" o c/2 V2 cc3 _; o c3 c3 O 13 ce cu o co o o o o e co o o o ' co O co O CU o il u Te o te ce 2 o *5 -3 o c/5 o co o o a c3 'S c3 c3 +^ 5 'e a T3 co co a a s » 3 cr1 < o O — 219 — Dai trattamenti eseguiti sopra ciascuno dei materiali indicati si ricava : Nel trattamento acetico della scoria e della lava si osserva: che l'acido ha disciolto quantità sensibili di anidride silicica e di ossido di sodio. Per poco si rifletta alla costituzione mineralogica della lava del 1631, si è tratti ad ammettere: che l'anidride silicica e l'ossido di sodio provengono dalla sodalite. La sodalite infatti è di facile scom- posizione per 1' azione dell' acido acetico allungato. È da osservarsi altresì: che la quota di sesquiossidi contiene in eccedenza l'allumina, che risulta dalla decomposizione della sodalite. prodotta dall' acido acetico. L'assenza dell'anidride fosforica nel liquido acetico esclude la presenza di fosfato di calcio. Nel trattamento dell'acido cloridrico si osserva: che il potere cor- rodente di quest'acido minerale è bastevole a mettere, in evidenza dosi elevate di anidride fosforica e di ossido di potassio. L' anidride fosforica proviene dai fosfati di sesquiossido inattac- cabili dall'acido acetico. La potassa proviene dalla leucite, [che trovasi abbondantemente diffusa nella lava del 1631. Questa specie mineralogica è di facile de- composizione per l' azione dell' acido cloridrico concentrato. Le quantità rilevanti di ossidi di ferro e d' alluminio sono da ri- ferirsi all' attacco dell' acido minerale avvenuto sulla leucite e sul- 1' augite. Il residuo insolubile negli acidi contiene ancora una quota di alcali. In quest'ultima categoria di materiali la potassa è fornita dalla mica, e dal feldspato vitreo, che sotto forma di piccole squame bian- che splendenti suole accompagnare la sodalite nelle cellette e fen- diture della lava del 1631. L' acqua di combinazione, la perdita a fuoco, nella scoria e nella lava sono espresse da quantità minime. IV. Composizione chimica del terreno L'analisi chimica del terreno si è eseguita secondo il metodo già adoperato per la lava del 1631. 100 grm. di terra seccata all'aria contengono: Ci 52 co ^s © <3 co e fi PI < c3 ^3 O 03 «2 CD O o o bn £-< rr* etf « '£ — © .Sr <1 ^ *— V ^H Eo c/Q w t- CO C3 o ce CO CO co o co —3 r~ CN Ci O G^ co C5 ^H co co Pl- r— CO in «* 00 o co o C-i CO s lo o o oc O L.O C> io Ci •=* co co -t| a ^ <= C^2 -i_i fcafl CT3 -c=J ff l§2 ■=*< O r— tr IO o 1 i— LO C— co LO 1 tz; CO -i-t co co kh oc v_J o o cS ■tì o CD ai CO O o ci U CJ bD f-< X ^ =8 CD — 227 — Ponendo ora a confronto la composizione chimica dei due mate- riali sopra indicati, si osserva: che nelle trasformazioni della primi- tiva roccia in terreno vegetale vi è fissazione di acqua, e tutti gli elementi, ad eccezione dei sesquiossidi, sono eliminati in dose piuttosto elevata. Tutto ciò risulta dal seguente prospetto: SOMMA COMPLESSIVA SCORIA LAVA TERRENO Anidride silicica Ì8,870 48,260 45,777 « fosforica 0,697 0,70 1 0,625 Ossido di ferro e d'allum. 26,165 27,280 30,126 « calcio 10,825 9,450 8,509 o magnesio 3,880 4,023 0,420 « potassio 7,197 7,224 5,838 « « sodio 1,931 2,815 2,096 Anidride carbonica — — 0,316 Perdita a fuoco 0,264 0,145 5,013 Acqua igroscopica 0,075 0,062 - Credo opportuno estendere questi confronti sopra ciascuno dei singoli trattamenti. 1° Trattamento acetico SCORIA Anidride silicica 0,489 « fosforica — Ossido di ferro e d'allum. 0,740 « calcio 0,055 « « magnesio 0,024 « potassio 0,062 « « sodio 0,845 Anidride carbonica LAVA 0,509 0,889 0,108 0,025 0,104 1,430 TERRENO 0^ < 0,139 0,785 tracce 0,110 0,125 0,316 — 228 — Le differenze , nei risultati ottenuti col trattamento acetico, si riscontrano nelle quantità di silice, di sesquiossidi e di ossido di sodio. Ora in ordine a quanto ho già accennato intorno al potere dis- solvente dell' acido acetico, sopra le specie mineralogiche costituenti la primitiva roccia, resta pienamente dimostrato: che la eliminazione dei tre materiali indicati è dovuta alla scomparsa della sodalite. La presenza di piccole dosi di carbonati, nel terreno, conferma che il primo periodo di trasformazioni chimiche è dovuto al potere disgregante, benché lento, dell' anidride carbonica sopra i materiali costituenti la primitiva roccia. 2.° Trattamento cloridrico SCOEIA Anidride silicica 0,171 « fosforica 0,697 Ossido di ferro e d'ali ura. 11,7.34 e « calcio 1,402 « « magnesio 0/123 a « potassio 6,216 « « sodio 0,591 LAVA 0,154 0,704 13,980 1,748 0,159 6,357 0,6-23 TERRENO 0,049 0,6-25 19,608 1,307 0,066 5,051 1,086 Per i materiali disciolti dall'acido cloridrico ,si verificano dimi- nuzioni sensibili: cioè per la silice, la magnesia e la potassa. La diminuzione è poco sensibile per l' acido fosforico e l' ossido di calcio. La eliminazione dei suindicati materiali è accompagnata dalla produzione di sesquiossidi, originati in gran parte dalla decomposizione della leucite, che fornisce l'allumina, e dall' augite che cede molto ossido di ferro. La eliminazione di quantità rilevanti di magnesia può riferirsi alla scomparsa dell'olivina, silicato attaccabile dagli acidi. — 229 3.° Residuo insolubile negli acidi LAVA 17,597 12,401 7,594 3,839 0,763 0,762 SCOI.'I \ Anidride silicica 18,210 Ossido di ferro e d' illuni. 13,691 « « calcio 9,368 « « magnesio 3,733 « « potassio 0,919 « « sodio 0,495 TERRENO 45,504 10,379 6,417 0,35 ì 0,677 0,885 In quest'ultima categoria di materiali si osserva diminuzione sen- sibile per la silice, 1" ossido di calcio, 1' ossido di magnesia, 1' ossido di potassio ed i sesquiossidi. Solo per 1' ossido di sodio non si verifica diminuzione. La sensibile diminuzione dei sesquiossidi nella parto insolubile negli acidi, conferma e caratterizza le trasformazioni chimiche av- venute nella primitiva roccia, originando il terreno vegetale. A completare lo studio dei materiali, che hanno concorso alla formazione del terreno in esame, non voglio trascurare di riportare la composizione chimica di alcune ceneri vesuviane, analizzate da altri sperimentatori. Anidride silicica Ossido di ferro e d'alluni. « « calcio « « magnesio « « potassio u « sodio Cenere 1822 ROTH 53,67 23,07 7,15 1,92 4,02 9,55 Cenere 1861 FUCHS 46,59 31,94 11,54 6,01 3,70 1,48 Cen. 29 ap. 1 S7 -J RAMMELSBERG 49,15 25,90 10,73 5,30 6,55 3,08 Come si rileva dai dati esposti , la composizione chimica delle ceneri lanciate nelle varie conflagrazioni vesuviane è identica e per alcuna poco dissimile per proporzione di elementi, alla lava del 1631, come si osserva per la cenere del 29 Aprile 1872. — 230 — È da osservarsi però che la quota di ceneri, che potrebbe tro- varsi mescolata allo strato di lava è minima, in confronto alla gran massa di detrito prodotto dalla lava stessa. Vili, CONCLUSIONE Dal complesso dei risultati analitici si ricava che: La lava del 1631 contiene tutti gli elementi minerali, che concor- rono alla fertilizzazione del terreno vegetale. Tutti questi elementi sono contenuti sotto tale forma di combi- nazione da essere messi in evidenza dai comuni solventi acidi. I costituenti della lava sono di tal guisa distribuiti in tre cate- gorie. La prima comprende i materiali disciolti dall'acido acetico si hanno dosi elevate di ossido di sodio, quantità sensibili di anidride silicica e di allumina, risultanti dall'attacco della sodalite per mezzo dell'acido acetico al 10 per cento. In questo caso 1' ossido di sodio supera la quantità strettamente necessaria alla vegetazione; purtuttavia questo dato è importante, per- chè dimostra che il primo periodo di trasformazioni chimiche della lava del 1631 è accompagnato dalla eliminazione della sodalite. La seconda categoria comprende i materiali disciolti dall' acido cloridrico. L'acido cloridrico bol!ente decompone la leucite, eliminando tutta la potassa e l'allumina preesistente; contempjraneamante si ha disso* luzione di una quota di ossido di ferro appartenente all' augite, e di una quota di ossido di magnesio proveniente dall' olivina. Alla terza categoria appartengono le materie inattaccabili dagli acidi o derivanti da materiali sui quali gli acidi non hanno spiegata completa azione corrodente. Considerando i primi fra i materiali indicati si ha: che la potassa deriva dalla mica e dal feldspato vitreo. La composizione chimica del terreno, ricavata dall' uso dei sol- venti acidi e dall' analisi del residuo insolubile, ci mette in grado di classificare gli elementi ivi contenuti in tre categorie, alla stessa guisa di quanto si è praticato per la originaria roccia. Ora confrontando questi risultati con quelli ottenuti dalla lava si osserva: Nella prima categoria (trattamento acetico) vi è diminuzione pei' l'ossido di sodio e di magnesio, per la silice ed i sequiossidi; accresci- — 231 — mento poco sensibile per l'ossilo di calcio, oltre alla produzione di carbonati. Nella seconda categoria (trattamento cloridrico si osserva dimi- nuzione nelle rispettive quantità di anidride silicica, anidride fosfo- rica, ossido di calcio, ossido di magnesio ed ossido di potassio. La diminuzione dei materiali indicati è accompagnata dall'accu- mulo dei sesquio.ssidi. Nella terza categoria (residuo insolubile) dei materiali costituenti si osserva: diminuzione poco sensibile per l'anidride silicica, l'ossido di potassio, i sesquiossidi; mentre la magnesia è stata eliminata in dose piuttosto elevata. Ed infine un'altra differenza si riscontra nella quantità di acqua chimicamente combinata, che nella lava è espressa da quantità mini- me, mentre nel terreno si eleva a 5,013 per cento. La fissazione dell'acqua caratterizza i mutamenti chimici avve- nuti nella roccia, ed è una conseguenza dei medesimi. Le ricerche istituite sulla materia umica d '" — ■*^acrm CIie g11 elementi minerali già resi liberi p<» n disfacimento della primitiva roccia, oltre a concorrala allo sviluppo dei vogatali sparsi alla super- ficie della lava, contraggono combinazione col materiale umico. Ed infatti dal confronto fra la composizione chimica dei residui vegetali e della materia umica si ricava: che nei residui vegetali ri- dotti a terriccio vi è accrescimento nella quota degli elementi mine- rali. Questo aumento è dovuto senz'altro alla combinazione e dissolu- zione degli elementi minerali risultanti dalle alterazioni della pri- mitiva roccia. Questa serie di confronti, che pur potrebbe estendersi, dimostra: che il metodo Sestini da noi per la prima volta adoperato per lo stu- dio d^lle rocce vulcaniche, risponde pienamente allo scopo: e si po- trebbe dire che l' azione dell' acido acetico e dell' acido cloridrico equivale, e in qualche modo misura, la doppia azione degli agenti atmo- sferici e della vegetazione su questi materiali vulcanici. Da quanto si è esposto si può concludere: che, i mutamenti, che avvengono nelle lave vesuviane, non sono da riferirsi a semplici cangiamenti nello stato molecolare degli elementi costituenti, ma ad alterazioni profonde, per effetto delle quali alcuni elementi sono eliminati , mentre altri di subordinata importanza per la vegetazione si vanno accumulando. Laboratorio di Chimica Generale della R. Scuola Sup. d' Agricol. tura in Portici. — Agosto 1888. — 232 — Intorno alla Rigenerazione del testicolo. Parte IL — Ricerche del socio ordinario residente F. Sanfelice. (Tornata del 5 Agosto 1888) Nella prima parte del lavoro , pubblicata nel Giugno dell' anno scorso, ho esposto i risultati ottenuti sopra otto cavie operate, delle quali l'ultima era stata tenuta in esperimento 60 giorni. In questa se- conda parte del lavoro esporrò le osservazioni, fatte sopra altre sei cavie, tenute in esperimento per un tempo maggiore e sopra molti al- tri vertebrati per la conferma di ciò, che avevo osservato nelle cavie. Tra i mammiferi oltre alle cavie ho operato alcuni topi bianchi un riccio, un coniglio; tra gli uccelli ho operato tre galli; tra i ret- tili molte lucertole ed un colubro; tra gli anfibi alcune rane. Ho cercato in questi ultimi tempi per completare la serie dei - -'-i-.,„f; nnerare anche degli Scyllium canicula e catulus. Gli ani- mali sono vissuti più u-. ao c;nrni, ma non ho osservato nessun pro- cesso di rigenerazione nell' organo , ciò, che attribuisco alle cattive condizioni, in cui si trovavano gli animali iterati nello vasche del- l'acquario. Il metodo operativo, che ho seguito per i mammiferi, è stato lo stesso di quello, che ho esposto per le cavie nella prima parte del lavoro. Ho operato i galli incidendo la cute ad un centimetro dalla linea mediana, in direzione quasi parallela a questa ed aperta la ca- vità addominale, ho cercato di raggiungere il testicolo con una pin- zetta e lacerarne una porzione. Ho preferito questo metodo di lace- razione al taglio per evitare emorragie. Più facile che non nei galli mi è riuscita la operazione nei ret- tili e negli anfibi. Fatta una incisione nella linea mediana e messo allo scoperto il testicolo, con piccole forbici ne ho tagliato un pezzo- La emorragia, che seguiva, era tanto di poco conto do non destare apprensione. Tutti questi animali sono stati operati nei mesi di Giugno, Lu- glio ed Agosto dell'anno passato. Quanto a metodo di ricerca, avendo avuto da principio migliori risultati dalla fissazione con sublimato ed alcool assoluto nel modo esposto nel precedente lavoro e dalla colorazione con ematossilina se- condo la formola di Bohmer, mi sono limitato a questo metodo nelle ulteriori ricerche. — 233 - . tBRAR 1. Mammiferi 5£sD^ Cavie. Le cavie operate alcune ad un solo testicolo, altre ad amendue i testicoli, sono state tenute in esperimento 75, 80, 90, 100, 122, 150 giorni. Indipendentemente dal numero dei giorni, che ho tenuto in espe- rimento gli animali, ho trovato che il testicolo qualche volta aderiva alla cute, altre volte era interamente libero, e sulla superficie si no- tava un ispessimento dell'albuginea nel sito, ove era capitata la ope- razione. Ordinariamente ho trovato aderenza del testicolo alla cute in quegli animali, in cui il pezzo, che ho asportato, era molto gran- de; così in due delle cavie in cui ho asportato quasi la metà dell'or- gano, ho trovato aderenze con la cute. In questi casi non ho distac- cata la cute del testicolo, ma ho avuto la cura di tagliare tutto in- sieme per non perdere i rapporti. Il testicolo, dopo fissato ed indurito, è stato diviso in due parti con uri taglio perpendicolare alla superficie ove era capitata la ope- razione. Di alcune di queste metà ho fatto tagli perpendicolari alla superficie operata, di altre tagli paralleli alla superficie stessa. Nella prima delle cavie operate, tenuta in esperimento 75 giorni, là dove è capitata 1' operazione, si osserva l' albuginea alquanto più spessa e più ricca in nuclei. Le tuniche proprie dei canalini spanna- tici in vicinanza di questa albuginea più spessa sono un poco ispes- site e rivestite internamente dalle cellule di Sertoli proliferate. Il centro dei canalini è per lo più libero e solamente in alcuni si vede qualche spermatoblasto con fusione di cromatina verso la periferia del nucleo. La disposizione degli elementi nei canalini lontani dal punto ove è avvenuta l'operazione è quasi in tutti normale. Alcune sezioni solamente fanno vedere proliferate alla periferia le cellule di Sertoli e la necrobiosi degli elementi mobili (spermatoblasti, cellule figlie, spermatozoi) con la fusione della sostanza cromatica dei nuclei e con formazione di masse polinucleate si da sembrare cellule gi- ganti. La porzione di albuginea più spessa è formata dal connettivo ci- catriziale, che in forma di cuneo riempie lo spazio corrispondente alla parte di parenchima asportato. Da principio, come ho notato anche nell' altra parte del lavoro, questo connettivo cicatriziale è del medesimo aspetto in tutta la sua estensione, ma in seguito quel tratto, che è compreso tra l'albuginea preesistente, prende l'aspetto di questa. Nel tessuto cicatriziale ed anche nel tratto compreso tra l'albu- — 234 — ginea preesistente si notano alcuni canalini spermatici isolati, tagliati in diverse direzioni con tuniche proprie più ricche delle altre in nu- clei, rivestiti internamente dalle cellule di Sertoli. Solamente in alcune di queste sezioni si vede qualche spermato- blasto con fusione della sostanza cromatica del nucleo, ciò, che dimo- stra essere questi canalini in continuazione con quelli già descritti al di sotto del connettivo cicatriziale. Indipendentemente da questa osservazione questi canali isolati si possono seguire nel loro percorso nei tagli asseriati e vedere come sono in continuazione con gli altri. Osservando con forte ingrandimento le sezioni del testicolo di questa prima cavia nei granuli dei nuclei delle cellule di Sertoli de- scritti dagli autori come nucleoli si vedono diverse figure di divisio- ne. Alcune mostrano un fuso acromatico con due punti cromatici uniti. Il fuso lo dico acromatico non nel senso di Flemming, perchè non è che non prende punto il colore, ma molto meno per rispetto alle due masse cromatiche. Altre mostrano le masse cromatiche di- staccate dai poli del fuso; in altre il fuso è diviso e le due metà sono riunite alle due masse cromatiche ; in altre si osserva la divisione del corpo nucleare, che segue quella del fuso acromatico. Per il fatto di avere osservato nei granuli delle cellule di Ser- toli, descritti come nucleoli dagli autori, queste forme di divisione, mi è sembrato giusto di dare il significato di cellula a ciò, che gli altri considerano come nucleo. Se non si vuole ammettere ciò, biso- gna dare il valore di corpi cellulari a quella sostanza più o meno omogenea, più o meno rifrangente, che comprende tutti gli elementi del canalino spermatico e che qualche volta resta libero il centro del canalino, qualche altra lo riempie tutto. Tra le cellule di Sertoli, che rivestono i canalini nuovi, vi sono alcuni nuclei fortemente colorati che nel loro interno mostrano una o due masse acromatiche più grandi e parecchie masse cromatiche più piccole, sparse per tutto il corpo nucleare e filamenti cromatici scarsi, che qualche volta partono dalle masse cromatiche più grandi. Questi nuclei provengono dalla divisione delle cellule dì Sert---r--i--,''' .. ■ V ■°*.v—» 2/ 22 35 ~^.: ..-■■ :•,. 1 ,- •; / £/ • , ••■ ■u I IO 20 ',v Or? qO op ^ - - . - bb / . ,*«- — 247 • Fig. 40 a 44. — Cavia (75 giorni) — Spernaatoblasti in fase di pas- saggio provenienti dalla divisione delle cellule di Sertoli. — Oc. 3. Ob. %2. Zeiss. Fig. 45 e 46. — Topo bianco (15 giorni) — Idem. Fig. 47 a 51. — Topo Manco (15 giorni) — Forme di necrobiosi degli elementi mobili preesistenti dei canalini spermatici. — (Forma- zione di masse polinucleate e fusione della sostanza cromatica dei nuclei). — Oc. 3. Ob. '/,,. Zeiss. Napoli — Stazione zoologica. Novembre 1887 . Tumori nei coni gemmarli del Carrubo ( Cer atonia Siliqua L.) — Terzo contributo allo studio dei tumori vegetali. — Studio del socio ordinario residente L. Sba- stano. (Tornata del 5 agosto ! I. Descrizione del male. — II. Sviluppo del cono gemmario. — III. Degene-' razione in tumore del cono. Sviluppo morfologico. Sviluppo anatomi- co. — IV. Etiologia. — V. Cura. ' I. Descrizione del male Il Carrubo è affetto da un male, che, oltre a deturparne i rami, ne diminuisce notevolmente la produzione fruttifera. I rami, e talvolta anche il fusto, cacciano escrescenze, come tanti bitorzoli irregolari, difformi (Tav:iX Fig. 1). A partire dai rami di 2 a 3 anni, quando cioè incomincia ad essere -visibile il male, procedendo oltre nei rami suc- cessivamente più avanzati in età, tali tumori diventano maggiormente Una nota preliminare di questo studio — Ilypertro phies des cu- ne s à bourgeons (maladie de la loupe) du Caroubier — fu pubbli- cata nei Compies rendus Voi. C. JSSù p. 181. Il primo contributo allo .studio dei tumori vegetali è: Tubercolosi dell'olivo: Memoria I. Il secondo: Iperplasie e tumori dell'olivo Memoria II. — Annuario li. Scuola Slip. d'Agricoltura in Parlici Voi. V. /SS? . — 248 — più grossi. Talvolta è tutta la pianta che ne è affetta sino ai tronco: altra solo alcuni rami. Sulle piante giovani, nelle quali non è inco- minciata ancora la fruttificazione, non si osserva il male: esso si ma- nifesta quando la pianta entra in piena fruttificazione, e maggiormente quando questa declina. Le piante affette dal male, tranne la costante mancanza di fruttificazione di ogni anno , non dimostrano nel loro aspetto gravi disturbi organici; ma non sono certamente di appariscente vegetazione. Le piante, che sia per vecchiaia sia per loro natura scar- seggiano nella produzione fruttifera, non sono sempre affette dal male. Il male è stato osservato da me nella regione vesuviana. Dietro mia richiesta fu dal D.r G. Grimaldi osservato nei carrubeti di Modica (Sicilia): i campioni cortesemente inviatimi mostrarono come il male sia identico nelle due regioni. Esso è poco noto ; ma ha una diffusione maggiore di quanto non sia da supporre. Difatti il Gussone, esattissimo osservatore, dice dei carrubi siciliani: rami saepe tuber- culis... ex inseetorum p> me tur a ortis obdiicli (1). A parte la causale, della quale si dirà nell'etiologia, questo passo dell' A. ci prova come il male sia diffuso nei carrubeti siciliani. Non ho riscontrato altre no- tizie del male negli autori, che si sono occupati della coltivazione di questa pianta, quali il Gallesio (2) ed il Bianca (3). IL Sviluppo normale del cono gemmario In generale i litografi hanno un concetto abbastanza inesatto del valore dell'organo speciale d^lla fruttificazione del carrubo. Il Gus- sone (1. e.) , il Bianca (1. e.) ed ancora il Tenore (4) , che pure ci danno qualche notizia migliore degli ai-tri, noti sono abbastanza esatti. Il Gallesio (1. e.) però lo descrive con maggiore esattezza. Ho stimato indispensabile studiare lo sviluppo normale di un tale organo, perchè sviluppandosi il male appunto nel detto organo, è ne- cessario aver prima una cognizione esatta della sua struttura e svi- (1) Gussone Joanne. — Florae Siculae Synopsis. — Neapoli 1843, Voi. II. pag. 646. (2) Gallesio Giorgio. — Po mona italiana ossia Trattato degli Alberi fruttiferi. — Pisa 1817. Tomo II. Carobba. (3) Bianca Giuseppe. — Il Carrubo. Monografia storico-botani- co-agraria.— Agricoltura italiana Anno VII. p. 475. (4) Tenoeb Michele. — Flora napoletana. — Tom. IV. Napoli 1830, pag. 188- — 249 — luppo allo stato normale, per poi poter studiare il male con maggiore esattezza. Sino a che la pianta non entra nel suo periodo di fruttificazione, ciò che accade verso i venti anni, le gomme che formansi all'ascella delle f glie sono tutte da ramo: di queste talune poche sviluppano, la maggior parte restano assopite. Quando la pianta passa nel suo pe- riodo di fruttificazione si ha il seguente processo.— Alle ascelle delle foglie si formano le gemme, le quali anatomicamente e morfologica - mente non presentano differenza alcuna da quelle formatesi negli anni precedenti. Una di queste gemmo o non può sviluppare, e restare come dicesi assopita, ovvero sviluppandosi si specializza o a ramo o a fruito. No! secondo anno la gemma da ramo si sviluppa ed allunga; quella da frutto invoco non fa che leggermente ingrossarsi, e raramente caccia una piccola infiorescenza; ciò accade nelle piante in piena fruttificazione 0 nel declinare della loro vita: questa infiorescenza normalmente non abonisce frullo alcuno. Fra il 2.° ed il 3.° anno la foglia cade. La gem- ma va ingrossandosi, e forma una specie di rigonfiamento, nel quale nel 3." .-nino e qualche volta nelle piante più giovani nel 4.°, incomin- ciano a comparire le infiorescenze. È da notarsi che non tutte lo gemme normali di un ramo, che si specializza a frutto, subiscono una tale trasformazione, ma soltanto una buona parte di esse, variando in cagione della produttività della pianta. In tutto questo sviluppo del nuovo asse gli elementi liberiani e corticali non fanno che accompagnare il rigonfiamento, restando nor- mali sia in ciascun elemento, sia ancora nel complesso nei differenti strati. G-Ii elementi legnosi invece hanno una notevole moltiplicazione collaterale, rara invece apicale, per modo che il rigonfiamento resta di forma schiacciata. Ndla zona cambiale di quest'organo, che per ora si dirà cono, al 3." e i.° anno si incominciano a costituire le infiorescenze: esse si ori- ginano allo stesso modo delle gemme avventizie. Sviluppandosi una di quelle nel settembre o nell'ottobre, ed abonendo nel caso sia femminile, si allunga e s'ingrossa, formando alla sua base un cornetto a forma di un breve e conico piedistallo. Nel settembre prossimo la rachide si di- sarticola al vertice del cornetto. Resta questo: il protoplasma degli ele- menti è riassorbito, e perciò il cornetto si rattrappisce e si atrofizza. La zona cambiale, rimasta interrotta nell'area d'impianto della rachide, a poco a poco con sviluppo periferico rinchiude il vuoto, e perciò l'area scomparisce. In tal modo il cornetto di base scompare tra le verrucosità della superficie del cono. Nel caso che l'infiorescenza sia di fiori ma- schili , questo processo di riassorbimento diventa più rapido , poiché cessata la fecondazione la rachide si disarticola poco dopo. — 250 - Denomino questo cono, dal quale solo si originano le gemme a frutto, cono gemmario (1). Esso segue il suo sviluppo allargandosi più che sollevandosi a misura che ingrossa il ramo; continua a pro- durre infiorescenze per 10, 15 anni, e dopo va gradatamente a dimi- nuire nella produzione (2). Da questo esame si può conchiudere : che la fruttificazione del Garrubbo non è fatta per gemme avventizie, ma bensì da un organo speciale che denomino cono gemmario , origi- nato da una gemma normale. E come vi ha coni gemmar ii nor- mali, che sono appunto quelli già descritti , possono ancora trovarsi dei coni gemmarli avventizii, originati da gemme avventizie. Però essi sono rari, e si trovano nello stesso rapporto coi normali, come le gemme normali colle avventizie. III. Degenerazione in tumore del cono gemmario SVILUPFO MORFOLOGICO Allorquando il cono gemmario è affetto dal male, il tumore pro- cede nel modo seguente. Nel 1.° e 2.° anno, e talvolta anclie nel 3.°, non si nota differenza alcuna di sviluppo in confronto al cono sano. Verso il 3.° però incominciando a comparire le infiorescenze, queste sviluppano meno, appaiono più meschine, e le femminili difficilmente menano innanzi un qualche misero frutticino. Negli anni seguenti si accentua maggiormente questo fatto : le rachidi sono ancora più me- schine, e talvolta presentano anche casi di fasciazione: le infiorescenze femminili portano un più scarso numero di fiori, e questi con carpelli o nulli o meschini: quelle maschili hanno antere rachitiche ed abortite. Contemporaneamente il cono gemmario va ingrossando. Disarticolan- (1) Quest'organo ha' molta rassomiglianza, se non di forma ma certo di sviluppo, a quell'organo detto dagli arboricoltori francesi bourse du poirier: organo che si trova in diverse pomacee ed anche nel Giuggiolo (Ziziphus vulgaris Lam.). Anziché chiamarlo borsa, sarebbe più esatto, a quanto me ne sembra, denominarlo cono gemmario. Ed allora per cjno gemmario si potrebbe intendere: quell'asse raccorciato, originato da una gemma ascel- lare, raramente avventizia, specializzata per la produzione delle gemme fiorifere. (2) Nell'albero di Giuda (Gereìs Siliquastrum L.) si trova l'identica forma- zinne di organo. — 251 — dosi una rachide, il cornetto basilare invece di essere assorbito, come si è visto nel caso normale, s' ipertrofizza ; restano in tal guisa tanti piccoli tubercoli , i quali danno poi al cono quella superficie capric- ciosa , svariata (Fig. 5, G, e). Negli anni seguenti continua lo svi- luppo delle infiorescenze, le quali spuntano più meschine, al punto da contarne in qualche caso su di un solo cono quasi una cinquantina: però avvizziscono più per tempo, ed il cono ingrossa sempre di più. Succede un periodo di anni, piuttosto breve, di rapida diminu- zione delle nuove infiorescenze, sino poi a cessare queste definitiva- mente. Il cono allora ingrossa con maggiore rapidità, allargandosi sempre in ragione del ramo : ne ho visto di quelli che misuravano per fino 30 e 40 cm. di periferia. Questo tumore è limitato al solo cono gemmario (Fig. 1,2,3): il legno circostante, specialmente nei primi anni, è perfettamente sano, per modo che esso si forma normalmente in tutto il resto del ramo (Fig. 2, 3.). Negli anni seguenti il cono allargandosi invade una por- zione del legno circostante; ma però resta sempre un tumore a confine sufficientemente determinato (1). La consistenza di questo tumore è come carnosa: la sezione pre- senta chiazze e venature di color rossiccio. Questa è la storia dello sviluppo di un tumore completo : però possono accadere talune volte casi di arresto. Succede ciò quando da uno di questi coni, nei primi anni però, si sviluppa una gemma a ra- mo . il quale ramo assorbisce per così dire il tumore. Se poi que- sto ramo si sviluppa tardi, allora invece è sopraffatto dal tumore, e resta intisichito. SVILUPPO ANATOMICO Esaminando il tessuto nei primi anni del cono gemmario nei quali incomincia a formarsi il tumore, non si nota che un semplice accre- scimento numerico degli elementi, un' iperplasia semplice. Disartico- landosi la rachide (Fig. 5, 6) il cornetto basilare invece di essere as- sorbito, si accresce per proliferazione della sua zona cambiale, la quale ancora per proliferazione periferica rinchiude l'area rimasta nuda dalla (1J Sinora non ho riscontrato un male simile nel cono gemmario del Cercis SUiquaslrutn L. ; ma credo che questa pianta non debba esserne esente : essendo essa boschiva, è più raro che sia alletta da malattie per ri- spetto al carrubo, che è pianta coltivata. Credo ancora che un simile tu- more dovrà svilupparsi anche in qualche pomacea, che abbia l'identica con- formazione del cono gemmario. — 252 — disarticolazione della rachide. Ne deriva perciò che la zona cambiale del cono gemmario, pei' questi cornetti basilari non riassorbiti, diventa irregolarmente sinuosa ^Fig. 2, 3). Nell'anno seguente continua l'aumento dei nuovi elementi. Però la loro produzione iperplasica è limitata al solo libro ed al legno: i tessuti corticali accompagnano tutte le tuber- colosità del cono, rimanendo quasi sempre normale, sia nei suoi ele- menti, sia ancora nello spessore del suo strato. Però se gli elementi in questo primo periodo non variano gran fatto per forma, variano per disposizione, la quale incomincia ad ac- cennare ad anormalità, che in seguito si faranno più gravi. I fasci fibrovascolari incominciano a torcersi, decussarsi e fondersi; i raggi midollari diventano sinuosi. Continuando lo sviluppo del tumore, i nuovi elementi incomin- ciano a deformarsi. Nel legno i vasi s'accorciano; le fibre ingrossano e s'accorciano anch'esse; le cellule lo stesso, e quelle del raggio mi- dollare, s'attondano. Una simile degenerazione succede negli elementi del libro, avvicinandosi alla forma dei bendelli radiali, le cellule dei quali anch'esse tondeggiano. Tutti gli elementi poi aumentano i loro diametri ed assottigliano le pareti. Di anno in anno si arriva alla degenerazione completa degli ele- menti, la quale coincide in certa guisa con l'ultimo periodo del tumo- re, cioè quando le infiorescenze scompariscono. Il tessuto è diventato uniforme, e composto di cellule tra poliedriche e tondeggianti. La pun- teggiatura negli elementi legnosi è irregolare: qui fìtta, ii rada; spesso ampia e quasi sempre ineguale. Gli elementi liberiani senza punteg- giatura restano tali. Il tessuto diventa tale che una sezione comunque sia fatta, tangenziale, trasversale, orizzontale, apparisce sempre la stessa. Si ha nel caso di questo tumore una degenerazione di tessuto si- mile a quella che esaminai nella tubercolosi dell'olivo (l) (v. p. 17 e seg. e tav. II. fig. 5, 6'), che denominai formazione di tessuto morbido. Nei nuovi tessuti patologici si trovano qua e là chiazzette e ve- nature di un colore che tende al violetto: sono formate da cellule le cui pareti hanno una tale colorazione. Altre chiazzette e venature hanno invece un color giallognolo, e queste sono format ì da cellule a contenuto grumoso e gommoso. Sin" poi dal primo anno del male si nota nei tessuti del cono un accumulo di tannino, che aumenta successivamente negli anni seguenti. I tessuti legnosi perdono la reazione caratteristica della fìuoglucina; (1) Tubercolosi, iperplasie e tumori dell'olivo, (già c\) — 258 — ciò. che dimostra come il processo di lignificazione delle pareti degli elementi sia proforrlamente disturbato; e perciò si ha la consistenza quasi carnosa del tessuto. Al quarto anno circa il tessuto incomincia a presentare, quando si tratti con l'acido cloridrico, una colorazione russo vinosa; è la parete degli elementi, che piglia una tale colorazione. Queste sono le principali degenerazioni degli elementi che ho po- tuto constatare. IV. Etiologia Sono da escludersi come causale di tali tumori sia i parasiti ve- getali che gli animali: normalmente non se ne trovano, e se ve ne ha qualcuno, sono i soliti che non hanno correlazione col male. Parimenti nell'inizio del male non mi è riuscito di constatare alcun microrga- nismo. Il tumore in esame è quindi un tumore costituzionale autoctono, come si può rilevare dalia sua biologia. La causale però non si pre- senta chiara. Potrebbe attribuirsi alla mancata fecondazione e fruttifi- cazione delle infiorescenze femminili, fatto che nei carrubeti suole alle volte avvenire per ignoranza dei coltivatori, scarseggiando le piante ma- schili, ovvero le poligame (1). I principii elaborati, che dovrebbero es- sere impiagati nello sviluppo dei carpelli, arrivati nel cono gemmario e non trovando un tale impiego, si trasformerebbero in tessuto iper- trofico. Questa ragione, che potrebbe sembrare alquanto plausibile, non è da ammettersi per due ragioni. La prima fisiologica: i principii ela- borati accorrono là dove essi sono richiamati; una volta che manca la fecondazione e lo sviluppo dei carpelli cessa questa causa di richia- mo e quindi l'accorrere dei principii elaborati: non ci sarebbe alcuna ragione perchè essi accorressero al cono gemmario in quantità forti. La seconda di fatto: si può facilmente constatare che nelle piante ste- rili, per mancata fecondazione in tutto od in parte, i coni gemmarii restano nella loro forma e dimensione normale. Studiando il decorso del male si è visto, che le infiorescenze .di anno in anno degenerano nella loro conformazione, e se aumentano di numero non perciò aboniscono dei frutti. Il cono gemmario quindi se ha la potenza di formare le infiorescenze, invece non ha quella di farle sviluppare. Di anno in anno perde pure questa potenza. I principii (1) Bianca Giuseppe. — Dubbi e volgari pregiudizii intorno alla razionale coltivazione del Carrubo. Atti Soc. Acclimazioni Pa- lermo 4882 — 254 — elaborati quindi, che accorrono nel cono, restano colà destinati, e spe- cializzati da una forza superiore, allo sviluppo ipertrofico dei tessuti a danno della riproduzione. Oltre di tali induzioni non ci è permesso di farne altre; forse lo studio generale dei tumori, che mi son proposto, potrà chiarire meglio la causale di questa specie di tumori. V. Cura Se questo male si manifesta in piante invecchiate, allora è meglio rinunziare a qualunque cura: si recida la pianta e se ne faccia buon legno. Se in piante giovani, ovvero bene sviluppate si faccia una pota molto forte, anzi fortissima. Svilupperanno numerosi e forti succhioni, e nuovi rami, i quali per la loro robustezza e pronto sviluppo potranno vincere il male. Se malgrado la pota non si arrivi allo scopo, allora non resta che recidere la pianta. È poi da raccomandarsi scrupolosamente che non si piglino marze di piante affette per innestare. Il male essendo costituzionale potrebbe riprodursi con faciltà nelle piante novelle. L'arboricoltore non si fac- cia illudere dalla bontà della varietà. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IX. Tig. 1. — Porzione di ramo con coni gemmarli affetti dal tumore : grandezza naturale. Fig. 2. — Sez. oriz. di un tumore di circa 7 anni gr. nat.: Ibt parte liberiana e corticale, let parte legnosa del tumore, zct zona cam- biale del tumore: Ib parte liberiana, le parte legnosa , zc zona cambiale del legno sano: b, b linee di divisione del tumore dal le- gno sano: e, e chiazze e venature. Fig. 3. — Sez. vert. di un tumore: gr. nat. Fig. 4. — Sviluppo normale di una rachide con frutti gr. nat.: e cor- netto basilare del cono gemmario: l linea di disarticolazione: fr frutti non interamente disegnati. Fig. 5. — Ramo con tumori gr. nat.: cg cono gemmario con rachidi r corte e sottili: fr frutticini rachitici: e cornetti basilari: cg1 cono gemmario senza rachidi. Fig. 6. — Ramo più giovine del precedente con tumore: e cornetto basilare: l linea di disarticolazione: fr frutticini rachitici. Laboratorio di Arboricoltura della R. Scuola Sup. d' Agricoltura in Portici. — Agosto 1888. '.. ù Vai.Ann.II.Fas.il Tav.IX. > # # ls .' ' / ZCi r . > ■ y zrt •fri* ■ ■ \. Vjff c9 . ■ ' - I ■ ó St.lii /t. Serimr-Mapoh - — 255 — Azione dell'ossigeno sni vini. — Nola preliminare del socio ordinario non residente Antonio Fonseca. (Tornata del 5 Agosto 1888) Il vino non è prodotto unicamente dalla fermentazione alcoolica, che subisce il mosto d'uva: né i caratteri dei vini sono dovuti sola- mente all'uva ed alla fermentazione. Cessata la fermentazione del mosto, il vino che ne risulta continua a subire una lunga serie di lente trasformazioni nei suoi principii, che ne modificano i caratteri. Al dir dei pratici il vino è giovane dopo la fermentazione alcoolica, si matura poi man mano, indi si invecchia, sino a diventare decrepito. La causa di queste continue mod ideazioni nei vini è stata oggetto di varie ricerche. Prendo in esame quelle solamente del Pasteur che addebitano all'azione dell'ossigeno dell' aria [atmosferica la causa di tali modificazioni nei vini (1). Volli pertanto sperimentare fino a che punto ì' azione dell' ossi- geno dell'aria avesse influenza sull'invecchiamento dei vini. Cominciai gli esperimenti nel 1884 e li ho continuati negli anni successivi. Ri- porto in questa prima nota preliminare i risultati sinora ottenuti. Esperimenti fatti nel 1884 Gli esperimenti cominciarono in Napoli, nell'estate del 1884, con lo studiare, seguendo gli studi del Pasteur, l'azione dell'aria, assieme alia luce ed al calore del sole, sui vini. Sottoposi agli esperimenti \ seguenti vini, tutti rossi A. Vino dei dintorni di Napoli. B. Vino della Provincia di Avellino. C. Vino della Provincia di Bari. D. Vino della Provincia di Firenze. Ciascun vino fu messo in sei bottiglie, delle quali tre erano bor- dolesi ordinarie, di vetro verde molto oscuro, e tre di vetro quasi in- colore. Delle tre bottiglie di ciascun gruppo: una fu riempita comple- tamente, ben tappata con tappo di sughero ricoperto da mastice; una egualmente piena, fu chiusa con cotone ; la terza fu lasciata dimez- zi) L. Pasteur — Ètudes sur le viri, Paris. 10 — 256 — zata e fu chiusa con cotone. Per ciascun vino fu tenuta una bottiglia a parte per campione. Di tal modo per ciascun vino abbiamo le seguenti bottiglie: Bottiglie verde di vetro incolore 1 9 3 4 5 6 1 piene ben tappate. id. chiuse da cotone, dimezzate chiuse da cotone. bottiglia campione. Le sei bottiglie di ciascun vino furono il 20 luglio messe su di una terrazza, lungo un muro rivolto quasi a mezzogiorno, e vi fu- rono lasciate fino al 20 agosto. Le bottiglie per campione furono conservate in luogo adatto. Fin dai primi giorni si osservò un intorbidamento nelle bottiglie dimezzate, più sollecito e più intenso in quelle di vetro incolore. In seguito intorbidarono anche i vini tenuti in bottiglie piene e chiuse con cotone, però più debolmente. Presto però i vini intorbidati chia- rirono, dando luogo a depositi, che si raccoglievano sotto forma polve- rulente nel fondo delle bottiglie o sotto forma di sottile pellicola sulle pareti laterali delle stesse. I depositi erano a parità di tempo più ab- bondanti nelle bottiglie dimezzate e di vetro incolore, seguivano quelle egualmente dimezzate e di vetro verde , e poi con lo stesso ordine quelle piene e chiuse da cotone. Nelle bottiglie ben tappate non si osservava apparentemente mutamento alcuno. Dopo alcuni giorni il colorito dei vini nelle bottiglie dimezzate cominciò a modificarsi , prima e più intensamente nelle bottiglie di vetro incolore. Il colorito cominciò man mano a perdere la vivacità, il carattere rubino, ed a farsi alquanto giallo, smorto; prendeva cioè man mano la tinta caratteristica dei vini vecchi. Il 20 agosto furono stappate le diverse bottiglie e furono degu- stati i vini comparativamente a quelli delle bottiglie messe a parte per confronto. I risultati furono i seguenti. I. Bottiglie piene e ben tappate. Il vino in bottiglie piene e tappate erasi conservato quasi del tutto inalterato ; il colorito era identico a quello dei campioni , solo un poco meno brillante , meno rubino. Il t-apore era solo alquanto meno fresco. Tra i vini delle bottiglie di vetro verde ed incolore non v'era quasi differenza; ben riflettendo si riusciva a scorgere un colore alquanto meno rubino, — 257 — alquanto tendente al giallo nelle bottiglie di vetro incolore ; per il resto erano eguali. II. Bottiglie piane chiuse con cotone. Il vino in queste botti- glia s'era un pò decolorato ed aveva subito un leggiero mutamento nel sapore. Il colorito, più nelle bottiglie di vetro incolore che nelle altre, s'era alquanto ingiallito, rendendosi leggermente sbiadito, ed acquistando la tinta propria dei vini vecchi di più anni. Il sapore rassomigliava ai vini vecchi; era però secco, paglioso, sciapito, vuota, III. Bottiglie rimaste dimezzate. Le modificazioni subite dai vini erano molto più intense che non nelle altre bottiglie. Il colorito del vino erasi sbiadito molto sensibilmente, acquistando una tinta gialla bene spiccata , e ciò con maggiore intensità nelle bottiglie di vetro incolore che nelle altre. Il sapore proprio di vini molto vecchi, la- sciava emergere un gusto di secco, come di vino spossato per decre- pitezza; il vino si mostrava pieno di profumo, di morbidezza, di gra- zia. Di aspetto i vini erano limpidissimi ed avevano dato luogo ad abbondante deposito, molto più che nei saggi che precedono. I diversi agenti esterni avevano influito in modo diverso a se- conda delle qualità del vino. 1 vini più alcoolici, come quello della provincia di Bari, subirono più favorevolmente le modificazioni. I vini in bottiglie dimezzate si mostrarono meno secchi, meno privi di gra- zie, di morbidezza. Man mano che i vini erano meno alcoolici, meno robusti, diventarono più secchi, più sciapiti , e, diciamo anche, più decrepiti. Da questa prima serie di esperimenti risulta che : Nelle bottiglie ove 1' aria esterna non ha potuto venire in con- tatto del vino, questo è rimasto quasi inalterato. Nelle bottiglie, ove è stato reso possibile il libero accesso dell' aria, il vino ha subilo modificazioni tanto più profonde quanto maggiore è stato il contatto dell' aria col vino. Questi risultati comprovano quelli ottenuti dal Pasteur, cioè: l'ab- bondanza del deposito, l'intensità del colore, l'invecchiamento del vino sono legati strettamente all'assorbimento dell'ossigeno dell'aria che viene in contatto del vino. L' azione del sole concorre a rendere più attivi e solleciti gli stessi risultati. Esperimenti fatti nel 1885 Dopo i primi esperimenti fatti sottoponendo i vini all' azione del- l'aria, pensai che, se l'ossigeno è causa dell'invecchiamento dei vini, se, cioè, sonò dovuti alla ossidazione di alcuni componenti del vino i mutamenti, che il vino subisce invecchiando, tanto più rapidi e com- — 258 — pleti saranno tali mutamenti, per quanto maggiore sarà la quantità di ossigeno di cui di vino potrà appropriarsi. Nel vino vi sono molti principii estremamente avidi dì ossigeno, per cui l'ossigeno non resta disciolto nel vino, come altri gas, quali l'azoto e l'anidride carbonica. Questi principii fissano l'ossigeno, tra- sformandosi per modo da apportare quei mutamenti che fanno diffe- renziare il vino maturo, il vino vecchio, dal giovane. Ora tanto più rapido e completo sarà il perfezionamento, l'invecchiamento dei vini, per quanto più rapida e completa sarà l'ossidazione dei principii os- sidabili dei vini stessi. Di conseguenza pensai che se invece di un gas che contiene solamente una parte di ossigeno, quale è 1' aria, si facesse agire sui vini 1' ossigeno assoluto, l'effetto sarebbe maggiore; e facendo concorrere gli altri agenti già sperimentati, cioè la luce ed il calore del sole, si otterrebbero effetti ancora maggiori, per inten- sità e celerità. In ordine a tali concetti volli sperimentare l'azione dell'ossigeno assoluto sui vini e valutarne la intensità. In base a ciò disposi nel- l'estate del 1885, i seguenti esperimenti, che furono fatti nel labora- torio di Chimica agraria della R. Scuola Superiore di Agricoltura in Portici. Sottoposi agli esperimenti due vini, ambedue rossi, che con- traddistinguo con le lettere A e B: A. Vino della Provincia di Firenze (Sieci presso Pontassieve). B. Vino della Provincia di Lecce (Brindisi). L'analisi dei vini rivelò in esso le seguenti proporzioni di ele- menti: (1) Alcool Acidità complessiva Bitartrato potassico Tannino Materie estrattive Intensità colorante A B 11. 10 14. 50 6. 29 5. 44 1. 24 2. 13 0. 5492 0. 8855 27. 341 30. 245 0. 50 1. 30 (1) I metodi d'analisi seguiti furono i seguenti: Alcool — Ebulliometro Malligand. Acidità complessiva — Soluzione tito- lata di potassa. Bitartrato potassico — Metodo Berthelot-Fleurieu. Materie btive — Nell'essicatoio ad acido solforico fino a peso costante. Intensità colorante — Colorimetro Houton-Labillardier. Tannino — Metodo Grassi. — 259 - - Furono adoperati, per gli esperimenti, dei malaccetti di vetro sot- tile a forma conica con base piana ( Matracci di Erlenmayer ) della capacità di cm3 850. Ad essi furono adattati dei tappi di sughero, che li chiudevano ermeticamente. Detti tappi erano provvisti di due fori circolari per i quali passavano due tubi di vetro fusibile, piegati fuori del matraccio ad angolo retto. Dei due tubi di vetro, uno giungeva fin quasi al fondo del matraccio, l'altro si fermava poco sotto il tappo. Nei duo bracci orizzontali dei tubi, poco dopo l'angolo, furono fatte con la lampada delle strozzature, senza però saldarli; queste strozzature avevano lo scopo di rendere, dopo, più facile e sollecita la saldatura. Col vino A furono apparecchiati cinque matracci, con le seguenti quantità di vino : due furono completamente riempiti e tappati con tappo intero, senza tubi; in altri due furono messi 250 cm3 di vino per ciascuno; nel quinto furono messi 130 cm3 di vino. Agli ultimi tre furono adattati i tappi provvisti dei tubi di vetro. Col vino B furono apparecchiati quattro matracci, nello stesso modo dei primi quattro, apparecchiati col vino A; mancava il quinto, quello con 150 cm3. In tutti i matracci furono ben legati i tappi e lutati accurata- mente con paraffina. Contraddistinguo con numeri progressivi i diversi matracci appa- recchiati coi due vini A, di Toscana e B, di Puglia. 1. Matracci completamente pieni messi a parte in uno scaffale nel laboratorio, al riparo dell'azione della luce, per servire da campione. 2. Matracci completamente pieni. 3. Matracci con 250 cm3 di vino. Si fa passare, collegando i ma- tracci ad un aspiratore, una corrente d'aria per un paio di minuti attra- verso il vino, per i tubi di vetro , che poi si saldano alla lampada, nelle due strozzature già fatte. 4. Matracci con 250 cm3 di vino. Collegando, mercè un tubo di gomma, il braccio orizzontale del tubo di vetro, che passando pel tap- po del matraccio, arriva al fondo di esso, con un gassometro pieno di ossigeno puro, si lascia attraversare il vino da una corrente di os- sigeno, che, gorgogliando, esce dal tubo corto. Fatto gorgogliare per un paio di minuti l'ossigeno attraverso il vino, per modo che si è si- curi che tutta l'aria soprastante al vino sia stata scacciata, si sal- dano con la lampada le due strozzature già fatte nei bracci orizzon- tali dei tubi di vetro. Il vino si trova così in un ambiente formato da solo ossigeno puro. L' ossigeno oltre ad essere stato sciolto nel vino, vi resta a contatto per una larga superficie. 5. Matraccio con 150 cm3 del solo vino A. Si collega il tubo di vetro più lungo col gassometro contenente ossigeno, e si fa attraver- — 260 — sare il vino da una lunga corrente di ossigeno, come nel caso pre- cedente. Si saldano poi egualmente alla lampada i due bracci oriz- zontali dei tubi di vetro. In questo matraccio il vino si trova in pre- senza di una grande quantità di ossigeno, in proporzione molto mag- giore dei matracci precedenti, essendovi in questo matraccio 150 era3 di vino e 200 cm3 di ossigeno. Una prima osservazione da notare è che nel fare attraversare i vini dei matracci num. 3 dall'aria, essi si appannarono leggermente V nel fare attraversare dall'ossigeno gli altri nei matracci 4 e 5; essi si intorbidarono prontamente ed intensamente. È questo un primo indizio della rapida ossidazione di alcuni principii dei vini. Detti principi su - birono una maggiore ossidazione nell'essere posti in contatto dell'os- sigeno puro e quindi, più che l'aria, l'ossigeno puro rese prontamente insolubili i principii ossidabili dei vini. Il 13 luglio i sette matracci contenenti i due vini A e B, dal nu- mero 2 al num. 5, furono esposti al sole, fuori una terrazza del la- boratorio, poggiandoli, 1' uno accanto all' altro, su di una spessa la- stra di marmo bianco, che correva su di una balaustrata. Il giorno seguente, 14, osservando i vini, quelli rimasti in pre- senza dell' aria, nei matracci num. 3, s'erano intorbidati alquanto an- ch'essi, molto meno però di quelli che erano in presenza dell'ossi- geno. I vini in matracci pieni sono limpidissimi come prima di essere messi nei matracci stessi. Nei giorni seguenti i vini intorbidati cominciano a chiarire ed a dar luogo a depositi, i quali per la forma favorevole, conica, dei ma- tracci, si raccolgono tutti sul fondo degli stessi. Il giorno 17 i depo- siti apparivano ben formati, in quantità molto maggiore nei vini con 1' ossigeno, che in quelli con 1' aria. I vini in matracci pieni sono sem- pre limpidi, né hanno depositi. Il colorito è molto ben conservato, intatto, nei vini dei matracci pieni; è alquanto meno rubino, meno vivo, in quelli che sono in pre- senza dell'aria; comincia ad ingiallire in quelli che sono in presenza dell' ossigeno. Nei giorni successivi aumenta sempre nei vini dei matracci dimez- zati la quantità dei depositi e si fanno più spiccate le modificazioni nel colorito. Precedono sempre i vini con ossigeno, e fra essi il ma- traccio num. 5 del vino A, che è in presenza di maggiore quantità di ossigeno. I vini con aria vengono dopo. I vini nei matracci pieni non subiscono apparentemente alterazioni. ' Nella terza decade di luglio gli stessi fenomeni si resero man mano sempre più appariscenti e con gli stessi rapporti fra i vini nei diversi matracci. Il vino A, nel matraccio num. 5, acquistò presto una - 261 — tinta molto chiara, simile ai vini bianchi ambrati. I vini nei matracci num. -1 acquistarono una tinta anche giallognola, ma di natura più tendente al rosso e più intensa. Ancora più rossa e più intensa era la tinta del vino rimasto in presenza dell'aria. Senza variazione sen- sibile era rimasta la tinta noi matracci pieni. Il deposito era, propor- zionatamente alla quantità del vino, nel matraccio num. 5 più abbon- dante che in tutti gli altri, seguivano i matracci num. 4; in quantità sensibilmente minore nei matracci num. '.); poco visibile era infine nei matracci num. 2. In seguito la tinta continua a sbiadirsi fino a diventare, dopo un mese, gialla paglina, chiarissima, nel vino del matraccio num. 5, gialla ambrata nel matraccio num. 4, rossa gialliccia o rossa mattone nei ma- tracci num. 3, restando sempre rossa leggermente sbiadita nei ma- tracci pieni. Alla metà di agosto i matracci furono entrati in laboratorio e messi a parte, accanto ai matracci pieni serbati per campione. In ot- tobre furone aperti e si degustarono i vini. Alla degustazione si ri- levarono i seguenti risultati (1). I vini tenuti nei matracci pieni e serbati in laboratorio erano ben conservati, possedendo nella loro integrità tutti i caratteri che prima avevano. I vini nei matracci pieni tenuti al sole avevano leggermente sbia- dito il loro colorito, perdendo alquanto la primitiva vivacità ; erano alquanto torbidi: il profumo era leggermente sviluppato, molto simile a quello primitivo; il sapore era ruvido, grossolano, molto simile al pri- mitivo, leggermente invecchiato. Vuotato il matraccio, resta in fondo poca quantità di deposito rosso , polverulente , che non aderisce alle pareti del matraccio. I vini rimasti in presenza dell'aria avevano modificato sensibil- mente la loro tinta, la quale era diventata color rosso mattone, molto sbiadita nel vino di Toscana ed alquanto intensa e fosca nel vino di Pu- glia. I vini erano spiccatamente limpidi. Il profumo era ben svilup- palo, gradevole, proprio di vino vecchio. Il sapore mostra vasi mar- catamente modificato: era alquanto gradevole, ricordando alquanto il il malaga; era però eccessivamente secco, ruvido, polveroso sulla lin- gua, molto meno però dei precedenti del num. 2. Più gradevole era il vino di Brindisi, perchè conservava maggiore grazia, maggiore pie- (1) Alla degustazione assistevano il Prof. Giglioli, direttore del labora- torio di chimica agraria, il Dottor Rossi, assistente, ed alcuni allievi della Scuola. — 2G2 — nezza, che covrono alquanto la ruvìdità, il tannico. L'alcoolicità spicca- ta in questo vino e l'insieme della proporzione degli altri costituenti, facendone un vino che i pratici direbbero robusto, di molto corpo, fanno sì che questo vino, sebbene slegato alquanto, ha pure guada- gnato nelle modificazioni subite, e nell'invecchiamento cui è stato sot- toposto. Si nota però un sapore speciale, caratteristico, sui generis, non molto gradevole, quasi come di vino cotto o riscaldato. Il vino di Toscana si mostrava più secco, spossato, stittico, senza che 1' al- coolicità o altri principi moderassero questi caratteri. Il deposito nei due vini è molto più abbondante che nei vini dei matracci pieni. Di più i depositi aderiscono alle pareti anche laterali del matraccio, sotto forma di una pellicola o membrana sottilissima, uniforme, di color rosso gialliccio, simile ma più oscuro del colore del vino. Sul fondo dei matracci il deposito si raccoglie sotto forma di uno strato alquanto spesso, rosso-cupo, granuloso. I vini nei matracci rmm. 4 nei quali 2^0 cm.3 dei vini rimasero in presenza di 100 cm.:ì di ossigeno, presentavano rilevanti differenze di fronte ai precedenti. Il colore era degenerato in giallo ambrato, simile a quello del marsala, limpido, lucido, con bei riflessi vivissimi brillanti, simpatico. Profumo pronunziatissimo, intenso, delicato, estre- mamente gradevole, delizioso, che ricorda molto da vicino quello dei vini bianchi alcoolici molto vecchi, vecchissimi; sapore gradevolissimo, assolutamente diverso da quello dei vini primitivi, non regge aicun confronto con essi, è morbido, vellutato, pieno di grazia, con gusto spiccatissimo , eccellente , proprio dei vini vecchissimi, che ricorda molto da vicino il malaga ben vecchio. I vini non hanno la ruvidi tà, la tannicità spiccata, dei vini precedenti. Il vino di Puglia si presenta alquanto più profumato, morbido, pieno, nell' insieme più gradevole del vino di Toscana :' questo si mostra un po' spossato. I depositi sono molto più abbondanti di quelli dei vini prece- denti Il vino A non ha membrana aderente alle pareti; il vino B ne ha dei pezzi. Quasi tutto il deposito è raccolto nel fondo dei ma- tracci in grossi glomeruli formanti uno strato spessissimo. Il co- lore dei depositi è rosso meno cupo dei precedenti. II vino infine nel matraccio num. 5, cioè il vino toscano tenuto in presenza di molto ossigeno, si presenta oltremodo decolorato, è in- teramente scomparsa ogni traccia di colore rosso, la tinta del vino è diventata color giallo paglino, chiaro, molto simile a quello dello Chablis, del Capri o dei Graves bianchi. Odore superiore allo ptesso vino A nel matraccio precedente, con profumo gradevolissimo', fina- mente delicato, squisito. Sapore parimenti più delicato, più fino, mor- bido, vellutato, ricco di grazie, più di liquore che di vino, squisito. — 263 — Il deposito è abbondantissimo, in proporziono della quantità di vino, più abbondante dei precedenti : di natura identica a quella dei vini num. 4; la pellicola, che aderisco alle pareti del matraccino fino all'orlo superiore del vino , è sottilissima e di color gialliccio, alquanto più oscuro di quello del vino. Riassumendo i risultati ottenuti si ha che : 1° I vini tenuti al sole in matracci pieni sono rimasti quasi quali erano dapprima, subendo solo un leggerissimo decoloramento e svi- luppando un profumo tenuissimo. 2.° I vini tenuti in matracci dimezzati hanno subito rimarche- voli modificazioni, cioè a dire: decoloramento, sviluppo di profumo, modificazione nel sapore, segregazione di depositi. Questo modifica- zioni sono state più intense nei vini tenuti in presenza dell'ossigeno che in quelli tenuti in presenza dell'aria atmosferica; ed in quelli te- nuti in presenza dell'ossigeno sono state tanto più intense per quanto era maggiore la proporzione dell'ossigeno rispetto al vino. Da questa seconda serie di esperimenti possiamo dedurre che : 1.° Il perfezionarsi del vino nell'invecchiamento, lo sviluppo del profumo, le modificazioni nel sapore, la separazione dei depositi di buona natura, sono dovuti all' ossidazione di alcuni principii del vino stesso. 2.° L'ossidazione degli stessi principi', e quindi il perfezionarsi del vino, saranno tanto più rapidi e completi per quanto maggiore sarà la quantità di ossigeno di cui il vino potrà appropriarsi. o.° L' ossigeno assoluto agisce più rapidamente e più intensamente di quello che è mescolato nell'aria atmosferica. 4.° L'azione dell'ossigeno puro sarà tanto più rapida ed in per quanto maggiore ne sarà la quantità, che sarà messa in presenza del vino. 5.° L'azione del sole deve avere influenza sulle citate modifi- cazióni. È degno di nota il fatto osservato negli esperimenti dell' anno scorso e di questo anno, che il vino tenuto al sole in presenza dell'aria diventa ruvido, secco, polveroso sulla lingua ed acquista un gusto ca- ratteristico, che in pratica si potrebbe dire di cotto. Ciò fa avvertire subito che il vino è stato tenuto al sole in presenza dell'aria. Nei vini tenuti al sole in presenza dell' ossigeno non si avverte nessun sapore sgradevole , né essi diventano secchi. A prescindere dagli altri van- taggi, solo questo basterebbe a dare una grande importanza all'ossi- dazione dei vini per mezzo dell'ossigeno puro. 264 — Esperimenti fatti nel 1887. • I risultati favorevoli ottenuti nelle due serie di esperimenti de- scritti mi invogliarono a studiare: 1. più da vicino l'azione dell'os- sigeno sui vini e l' influenza che sulla azione stessa potevano eserci- tare la luce ed il calore: 2. l'applicazione pratica del perfezionamento dei vini mercè l' ossidazione. Nell'estate del 1887 in Barletta potei ciò fare ampiamente. Raccolgo in due serie gli esperimenti, a secondo che riguardano il primo od il secondo gruppo di questioni. Una prima serie di espe- rimenti ebbe cioè per iscopo lo studio speciale dell'azione dell'ossi- geno sui vini e dell' influenza sulla azione stessa della luce e del ca- lore ; questi esperimenti furono svolti agendo su piccole quantità di vino, in recipienti che non eccedevano il volume di un litro. Una seconda serie di esperimenti ebbe per iscopo lo studio dell'applicazione pratica del perfezionamento del vino, valendosi dell'azione dell'ossigeno; questi esperimenti della seconda serie furono svolti agendo su masse relativamente grandi di vino, in recipienti del volume da 1 a 50 litri. Serie 1. In questa prima serie gli esperimenti furono in numero di quat- tro e li descrivo partitamente. I. Esperimento II vino adibito a questo primo esperimento era della Provincia di Bari (Tenuta Curtopassi, presso Andria), della vendemmia 1886, rosso da taglio. I recipienti allestiti erano bottiglie del volume di un litro, di ve- tro incolore, spesso, ed erano in numero di 15. Le bottiglie furono riempite ed ordinate come segue : Tre bottiglie furono riempite completamente; nove furono riem- pite per due terzi, vi furono messi cioè 660 era.3 di vino; tre furono riempite per un terzo, vi furono messsi cioè 330 cm3 di vino. Le pri- me tre, piene completamente , furono ben tappate con tappo di su- ghero. Delle nove che contenevano 660 cm3 di vino, tre furono tap- pate senz' altro con tappo di sugbero , a tre fu messo nel collo del cotone salicilizzato, alle altre tre furono adattati dei tappi di sughero provveduti di due tubi di vetro piegati ad angolo retto , come nello esperimento precedente. Le ultime tre bottiglie, contenenti 330 cm3 di vino, furono parimenti tappate con tappi di sughero provvisti dei due tubi di vetro. Attraverso al vino contenuto nelle sei ultime bottiglie — 265 — fu fatto gorgogliare , durante un paio di minuti per ciascuna botti- glia, dell' ossigeno puro contenuto in un gassometro. L' ossigeno fu fatto gorgogliare in tre bottiglie assieme, collegato l'una all'altra con tubo di gomma: in ciascun gruppo di tre bottiglie gorgogliarono circa 12 litri di ossigeno. Furono saldati alla lampada i duo bracci oriz- zontali dei tubi di vetro in ciascuna bottiglia, per modo che la parte delle bottiglie non occupata dal vino rimase piena di ossigeno puro. Di tal modo possiamo ordinare le bottiglie nei seguenti cinque gruppi di tre bottiglie ciascuno: 1° gruppo— bottiglie piene. 2° » — bottiglie con 660 era3 di vino , il resto aria , tappate con tappo di sughero. 3° » — bottiglie come il secondo gruppo, chiuse al collo con cotone. 4° » — bottiglie con 6G0 cm3 di vino ed il resto occupato da ossigeno puro. 5° » — bottiglie con 330 cm3 di vino ed il resto occupato da ossigeno puro. In tutte le bottiglie dei gruppi 1, 2, 4 e 5 i tappi furono bene adattati, legati e lutati con mastice di catrame. Per ciascuno dei cinque gruppi : una bottiglia fu portata in can- tina sotterranea, e due furono messe su di una terrazza, esposta al sole: di queste due bottiglie una fu ricoperta con carta nera incollata sulle pareti esterne della bottiglia, l'altra fu lasciata senz' altro. Il seguente specchietto varrà a rendere più chiaro l'ordinamento delle varie bottiglie: Con 660 cm:i di vino Con ossigeno (1) ed il resto aria PIENE con tappo di sughero con chiusura di cotone con 660 ciu- di vino con 330 cmi di vino 1 4 7 10 13 2 5 8 11 14 3 6 9 12 15 messe in cantina sotterranea. ricoperte con carta nera senza carta nera messe al sole. (I) Oltre le sei bottiglie notate in queste due colonne, ne furono appa- recchiate varie altre con le stesse norme e servirono per la degustazione in vari periodi. — 266 — In ciascuno dei tre gruppi di cinque bottiglie ]a quantità di ossi- geno a disposizione del vino aumenta seguendo la linea orizzontale (1). Le bottiglie portate nel sotterraneo erano sottratte all' azione della luce e del calore del sole, quelle ricoperte di carta nera era- no sottratte all' azione della luce e sottoposte all' azione dei calore del sole, le altre erano sottoposte all' azione della luce e del calore assieme. Possiamo così studiare l'azione dell' ossigeno, sia assoluto, sia in mescolanza nell'aria atmosferica: 1° senza altra influenza; 2° sotto l'influenza del calore solare; 3° sotto l'influenza del calore e della luce del sole. Tutte le quindici bottiglie furono riempite ed apparecchiate la mattina dell'8 agosto e furono nell' istesso giorno portate in cantina o disposte fuori la terrazza. Queste ultime furono disposte l'una ac- canto all'altra su di un parapetto discosto da ogni muro, di tal molo, essendo anche la lastra di pietra, su cui le bottiglie poggiavano, larga pochi cm. e r|i colore oscuro, il vino non subiva che la sola azione diretta del sole, senza. alcuna azione riflessa. I fenomeni che accompagnarono man mano l'esplicarsi dell'azione sia dell'ossigeno puro, sia dell'ossigeno dell'aria, sotto l'influenza della luce e del calore del sole, furono identici a quelli osservati nel prece- dente esperimento. I fenomeni nelle bottiglie ricoperte di carta nera non poterono essere visibili durante il tempo che il vino rimase al sole. Non ripeto perciò qui le osservazioni prelevate con frequenza durante il tempo che le bottiglie rimasero al sole. II 9 settembre , un mese dopo cioè si portarono le bottiglie in locale chiuso e poi, assieme a quelle tenute in cantina, nel laborato- rio della II. Cantina sperimentale. Alla fine dell'inverno si aprirono tutte le bottiglie e si fecero le osservazioni e le degustazioni, mettendo in comparazione i diversi vi- ni (2). Riassumo i risultati ottenuti. I. Bottiglie- piene. Il vino della bottiglia tenuta in cantina sotterranea è rimasto invariato in tutti i suoi caratteri; solo, essendo il vino in origi- ne non ben secco, nello stappare la bottiglia il vino spuma lievemente. (1) Nelle bottiglie chiuse da cotone 1' aria può rinnovarsi nelle bottiglie e fornire maggiore quantità di ossigeno ai vini di quello che può farlo 1' aria in ambiente limitato. (2) La Società di Naturalisti nella stessa tornata del 5 agosto prese in esame, come risulta dal processo verbale della tornata i campioni di molti vini sottoposti a questo ed agli altri esperimenti che seguono , presentati dall' Autore , ed ebbe a constatare i vari risultati riportati nella presente nota. Gli stessi risultati ebbero a constatare molte persone competenti alle quali in varie epoche si fecero esaminare i vini. , — 267 — Il vino della bottiglia ricoperta con carta nera serba il colore primitivo; ben riflettendo, nel paragonare questo vino al precedente, si nota un leggierissimo ingiallimento, 11 sapore lascia scorgere un leggiero gusto speciale non (M tutto gradevole. Al palato il vino si presenta ruvido, tannico, poco gustoso. Il sapore di questo vino si discosta poco del resto da quello del vino primitivo. Molto simile a questo è il vino india bottiglia senza carta nera, colore anche ben conservato sebbene un poco più tendente al giallo- gnolo. Il sapore ha egualmente il gusto speciale del precedente, sgra- devole, assolutamente estraneo ai vini, resta egualmente la bocca stit- tica, polverosa. Questo vino però, sebbene non gradevole, è preferi- bile alquanto al precedente. Il deposito in queste tre bottiglie è poco abbondante , polveru- lente, rosso cupo molto oscuro e raccolto tutto nel fondo delle botti- glie. Nessuna membrana aderisce alle pareti delle bottiglie. IL Bottiglie dimezzate, con aria, tappate con sughero. Il vino della bottiglia tenuta in cantina conserva intatto il colore, ha però subita la degenerazione acetica. I vini nelle bottiglie tenute a! sole presentano mutamento nella tinta, sviluppo di profumo e modificazioni nel gusto, come nei vini te- nuti al sole in presenza dell' aria, negli esperimenti precedenti. Queste modificazioni sono più intense nella bottiglia senza carta nera, che in quella con la carta nera. Si deve rimarcare che il vino ha acquistato il gusto speciale, estraneo ai vini, come di cotto o ri- scaldato, poco gradevole, come negli esperimenti che precedono. II vino nelle tre bottiglie ha segregato molto deposito , più in quelle al sole che in quella in cantina. III. Bottiglie dimezzate come le precedenti e chiuse con co- Ione. Il vino tenuto in cantina è anche acetificato. Quello delle bottiglie tenute al sole presenta le stesse modifica- zioni dei precedenti vini, solo al giisto si presentano sciapiti, vuoti, privi di grazia e profumo. IV. Bottiglie con 660 cm.% di vino ed il resto ossigeno. Il vino tenuto in cantina presenta il colorito simile a quello della bot- tiglia piena, solo alquanto sbiadito e tendente al giallo. Il vino è al- quanto alterato per acetificazione. Ad onta dell'odore e del sapore acetico, si può scorgere nel vino un profumo più grato di quello del vino in bottiglia piena, come di vino più vecchio, ed un sapore cor- rispondente, più gradevole, più morbido, più armonico, Il vino nella bottiglia al sole coperta di carta nera ha colorito giallo ambrato, intenso, simile a quello del marsala, alquanto più oscuro lucido, odore gradevole, con profumo speciale, spiccato, gradevole, es- ~ 268 — senzialmente diverso da quello del vino primitivo, ricorda invece vini bianchi, liquorosi, molto vecchi: sapore morbido, caratteristico come l'odore, assolutamente diverso, molto lontano da quello del vino pri- mitivo , difficile a paragonarsi ad altro vino , si accosta alquanto al marsala, proprio di vino alcoolico molto vecchio , non ha però gran finezza, il sapore resta perciò un pò indietro all' odore. Il vino nella bottiglia senza carta nera e tenuto al sole è migliore del precedente. Il colorito è più chiaro del marsala, ha tinta dorata, lucida, simpatica, con bei riflessi. Odore gradevolissimo, più delicato e più fino di quello del vino precedente. Sapore simile ma migliore del precedente , più fino , con profumo più delicato e più spiccato ; nell'insieme è più armonico, più fuso, più vellutato del precedente; si presenta al palato quale un vino bianco, liquoroso molto fino e molto vecchio. I depositi in queste tre bottiglie sono abbondanti; nelle due ulti- me molto più abbondanti che in tutte le altre che precedono. Fino al livello del vino nelle due ultime bottiglie aderisce alla parete inter- na di esse una sottile membrana di color giallo, più oscuro in quella ricoperta di carta nera, meno nell'altra. Uno strato molto alto di de- positi agglomerati, mobili, giace in fondo alle bottiglie, V. Bottiglie con 330 cm.3 di vini ed il resto ossigeno. Il vino tenuto in cantina ha colorito più chiaro e più tendente al giallo de- gli altri vini tenuti anche in cantina ; il colorito ricorda il granata, con leggiero ingiallimento, è limpido, lucido, brillante. II vino ha subita una intensa degenerazione acetica, il che im- pedisce una giusta valutazione dell'odore e del sapore; pure si riesce a scorgere che il vino sembra più vecchio degli altri tenuti in cantina. Il vino tenuto in bottiglia con carta nera è alquanto simile al- l'altro tenuto anche con carta nera nel gruppo precedente (IV), è però di colorito più chiaro, essendo simile ad un marsala, chiaro, ben limpido, lucido, vivissimo, con riflessi brillanti. Odore più spiccato e più delicato dello stesso vino , come di vino più fino e più vecchio. Sapore anche come di vino alcoolico bianco più fino e vecchio, è più armonico, più fuso, più morbido, nell'insieme molto migliore. La bottiglia tenuta al sole senza carta nera ci o ffre un vino molto migliore di tutti i precedenti. Il colore è più chiaro di tutti, si può dire paglino, molto simpatico, irreprensibilmente limpido, lu- cido, vivissimo, con riflessi brillantissimi. Odore gradevolissimo, molto pronunziato, finissimo, del tutto delizioso. Sapore, perfettamente cor- rispondente all' odore , ci fa somigliare il vino a vini più fini e più vecchi di quelli cui potevano essere somigliati i vini precedenti. Il profumo è delicatissimo, ben pronunziato, di gran lunga, per finezza, — 2G9 — superiore ai precedenti, armonicità completa, morbidezza del tutto superiore. Possiamo riassumere come seguo i mutamenti notati nei vini. I. — Le bottiglie piene hanno conservato quasi immutati i loro vini; solo leggerissimi mutamenti, poco apprezzabili, si sono osservati in quelle al sole ; più in quelle senza carta nera che in quelle con carta nera. II.— Nelle altre si sono osservate rimarchevoli modificazioni, le quali sono state man mano più profonda seguendo questo ordine : 1. bottiglie con aria e tappo di sughero; 2. bottiglie con aria e tappo di cotone; 3. bottiglie con 2[3 di vinoedl[3di ossigeno; 4. bottiglie con 1[3 di vino e 2[3 di ossigeno. III. — Per ciascun gruppo di tre bottiglie le modificazioni sono state quasi nulle o di poco rilievo nei vini tenuti in cantina, più in- tense in quelli tenuti al sole. IV. — Per le bottiglie tenute al sole, le modificazioni osservate nei vini sono state meno intense nei vini ricoperti da carta nera, più intense negli altri. V. — La segregazione dei depositi si è riscontrata in stretta re- lazione con le modificazioni subite dai caratteri dei vini; la quantità dei depositi è stata perciò limitatissima nelle bottiglie piene ed è an- data aumentando con lo stesso ordine notato per le modificazioni nei caratteri dei vini. I risultati di questo esperimento perciò confermano pienamente e completano quelli ottenuti dagli esperimenti che precedono. Circa l'influenza esercitata dalla luce e dal calore del sole pos- siamo dire che : I. — Il solo ossigeno, senza il concorso del calore e della luce, esplica sui vini un'azione limitata. Sebbene limitata però l'azione aumenta in ragione della quantità d'ossigeno messa in presenza del vino. IL — Il calore del sole rende più intensa l'azione dell' ossigeno. III. — Il calore e la luce assieme rendono più intensa ancora 1' azione dell'ossigeno. IV. — L' influenza del calore solo e del calore e della luce as- sieme si esercita tanto sul colore del vino, quanto sull'insieme degli altri principii, che subiscono modificazioni nello invecchiamento dei vini. V. — L'azione dell'ossigeno nella segregazione dei depositi subisce, come quella sui caratteri del vino e con la stessa proporzione, l' in- fluenza della luce e del calore del sole. Anche in questi esperimenti, oltre all'insufficienza dell'azione del- — 270 — l'aria, si sono constatati dei caratteri sfavorevoli, che l'azione dell'a- ria stessa imprime nei vini. Il colore è tale che non può fare accet- tare i vini dall'odierno commercio, essendo essenzialmente differente dal colore di tutti i vini, che oggi sono offerti ai consumatori. L'o- dore ed il profumo acquistano caratteri speciali, che lasciano scorgere chiaramente un trattamento speciale, non solito nelle pratiche di vi- nificazione e rendono quasi sgradevoli i vini. L'azione del solo ossigeno si è rivelata perciò di gran lunga su- periore e preferibile a quella dell'aria. L' azione dell'aria nelle bottiglie con cotone è stata anche meno fortunata, che gli eteri, che si formavano nella ossidazione dei vini, hanno avuto agio di disperdersi liberamente. II. Esperimento In questo esperimento volli ancora più attentamente studiare l'a- zione dell' ossigeno sui vini e delle stesse influenze della luce e de calore. Per ciò fare volli escludere interamente ogni causa di modi- ficazioni anche tenue nelle bottiglie tenute piene. Al certo nel met- tere il vino nelle bottiglie esso nel traversare 1' aria ne piglia una certa parte; di più non potendo riempire completamente le bottiglie, la piccola porzione d'aria, che resta tra la superficie del vino ed il tappo, fornisce certamente dell'ossigeno al vino. Sebbene in bottiglie piene il vino subiva perciò una certa benché piccola ossidazione. Né la chiusura col tappo di sughero e mastice può dirsi per bot- tiglie piene ed esposte a continue oscillazioni di temperatura rigoro- samente perfetta. "^olli perciò, per quanto i mezzi a mia disposizione il permette- vano, escludere ogni azione dell'aria sui vini, facendo gorgogliare nei vini dell'anidride carbonica. Il Pasteur, confermando le esperienze del Boussingault e del Berthelot, osservò che il vino non serba in soluzione dell' ossigeno, ma solo dell'anidride carbonica e dell'azoto. Questi gas non hanno in- fluenza sui vini. Perciò un gas inerte, quale l'anidride carbonica, eli- minerebbe ogni azione dell'ossigeno. Allestii a tale uopo nove matrac- cini di vetro sottile a pancia sferica e fondo piano, del volume di 230 cm.3 Il 13 settembre misi in ciascun matraccino 125 cm.3 di vino rosso comune di Barletta, dell'annata, di buona qualità, già limpido. Tre matraccini furono ben tappati senz'altro ; agli altri sei fu- rono adattati i soliti tappi di sughero coi tubi di vetro piegati ad an- golo. In tre di essi feci gorgogliare dell'ossigeno puro, negli altri tre feci gorgogliare dell'anidride carbonica pura, saldando sollecitamente - 271 — come al solito i tubi di vetro. Si ebbero così tre gruppi di ma- traccini : 1° .Tre matraccini con vino ed anidride carbonica. 2° Tre matraccini con vino ed aria. 3° Tre matraccini con vino ed ossigeno. Tutti i matraccini ebbero i tappi accuratamente legati e bon lu- tati con mastice di catrame. Dei tre matraccini di ciascun gruppo : uno fu messo in cantina sotterranea, due al sole fuori una terrazza: di questi due: uno fu co- perto con carta nera, l'altro lasciato senza carta nera. Il seguente specchietto ci mostrerà ordinati i nove matraccini Con anidride carbonica Con aria Con ossigeno (1) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 messi in cantina. ricoperti di carta nera j \ messi al sole. senza carta nera ) I matraccini furono lasciati al sole un mese, poi furono entrati in locale chiuso. Neil' inverno si stapparono e si degustarono i vini. Senza rilevare qui i risultati, che confermano pienamente quelli osservati nei precedenti esperimenti, rilevo quelli che ci fornisce in special modo questo esperimento. I tre vini tenuti in presenza dell'anidride carbonica, tanto in can- tina che al sole, e tanto quello ricoperto da carta nera, quanto quello direttamente esposto all'azione della luce solare, non subirono alcu- na modificazione apprezzabile. Il loro colore, il loro odore, il sapore si mantennero perfettamente intatti. Gli altri subirono modificazioni simili a quelle già osservate negli altri esperimenti che precedono. Da ciò possiamo dedurre: 1° che sono esclusivamente dovute all' os- sigeno le modificazioni, che i vini subiscono nell'invecchiare; 2° che l'i) Bisogna notare che per quanto in ambiente ben chiuso e senza os- sigeno, pure i vini, prima di essere messi nei matraccini assorbirono del- l' aria. — 272 — la luce ed il calore del sole concorrono a rendere più intense le stesse modificazioni indotte dall'ossigeno, ma non hanno azione diretta sui vini. III. Esperimento Mentre che nel I. esperimento di questa serie sperimentavo l'in- fluenza del sole sull'ossidazione dei vini nelle bottiglie ricoperte con carta nera, volli anche studiare l'influenza della luce solare in diverso grado attenuata. Scelsi a tale uopo tre bottiglie da vino della forma bordelese e della capacità di 80 centilitri. Differivano fra loro solo per una diversa tinta verde di cui ne era colorato il vetro. Una aveva una tinta verde chiarissima ed era di quel tipo di bottiglie, che il commercio e l'industria dei vini hanno adottato per alcuni vini bian- chi paglini. Le altre due avevano tinta verde successivamente più oscura. In ciascuna bottiglia furono messi 500 era.3 dello stesso vino co- mune di Barletta, di buona qualità. Le tre bottiglie furono tutte egualmente tappate con tappi di su- ghero provvisti dei soliti tubi di vetro. Fu fatto gorgogliare l'ossi- geno nelle tre bottiglie, contemporaneamente, collegando le bottiglie fra loro, l'una appresso l'altra e l'estrema col gassometro: in tal mo- do attraverso ciascun vino gorgogliò la stessa quantità di ossigeno. Furono come al solito saldati i due tubi di vetro di ciascuna botti- glia e, la mattina del 13 agosto, le tre bottiglie furono messe al sole, in identiche condizioni, l'una accanto all' altra. Vi si lasciarono un mese. Aperte poi le bottiglie si osservò che la decolorazione dei vini, le modificazioni nell'odore e nel gusto di essi, la segregazione di de- positi furono tanto più intense per quanto più chiara era la tinta del vetro. IV. Esperimento In questo esperimento volli valutare l'azione degli stessi agenti innanzi studiati (ossigeno, luce e calore) in rapporto al periodo di tempo durante il quale si fanno agire sui vini. Era importante infatti studiare l'intensità dell'ossidazione, e perciò delle modificazioni subite dai vini, in rapporto alla durata dell'azione dell'ossigeno sotto l'in- fluenza del calore e della luce del sole. Questo esperimento, molto delicato ed importante, richiedeva un adeguato svolgimento, con mezzi adatti ed attente osservazioni. M'ero — 273 — proposto, come anche per il precedente, impiantare questo esperimento con mezzi e norme che avrebbero con maggiori dettagli forniti buoni risultati. Per varie ragioni, da me indipendenti non potei attuare che solamente l'esperimento che descrivo. In tre bottiglie di vetro incolore, della capacità di un litro, come quello del 1° esperimento di questa serie, furono messi 060 era3 di vino rosso comune di Barletta per ciascuna. Vi furono adattati i tappi coi tubi di vetro , vi fu fatto gorgogliare 1' ossigeno , collegandolo luna all'altra e col gassometro, e, saldati i tubi di vetro, furono messe al sole, l'una accanto all'altra, in identiche condizioni, il giorno 20 agosto. Le bottiglie furono aperte , degustandone il vino , la prima dopo 15 giorni e le altre a 15 giorni di differenza l'una dall'altra. Si os- servò che nella seconda e nella terza bottiglia le modificazioni subite dai vini nel colore, nel profumo, nel sapore, ecc. erano in ciascuna più intense che nella precedente. I depositi erano parimenti in mag- giore quantità. Le differenze erano più spiccate fra la seconda e la prima bottiglia , che fra la terza e la seconda. In questo l'atto ha dovuto contribuirvi anche certamente la temperatura meno elevata , che il vino subì nella terza quindicina. Serie li. In questa serie gli esperimenti furono numerosi e variarono ol- tre che per i metodi, coi quali furono condotti, per le diverse nature e quantità dei vini sottoposti all'azione dell'ossigeno. Tutti ebbero scopo precipuamente pratico. I recipienti di vetro adottati per questo esperimento furono di- versi per forma, per capacità e per colore del vetro. Si adottarono infatti bottiglie comuni da vino del tipo bordelese e del tipo per vini spumanti , bottiglie da un litro di vetro incolore , fiaschi toscani, ai quali fu tolto il rivestimento esterno, boccioni sino alla capacità di litri 16, damigiane del tipo Beccaro sino alla capacità di litri 55, alle quali fu tolto il rivestimento esterno. I vini prescelti furono diversi e rappresentavano tipi differenti, cioè: vini da taglio, vini da pasto, vini dolci bianchi e rossi, tutti dell'an- nata. Tra i vini da taglio e da pasto si raccolse una serie caratteriz- zata da differenti alcoolicità, intensità colorante, ricchezza in materie estrattive, ecc. Nello insieme i diversi vini raggiungevano la quantità totale di circa 20 ettolitri. Tutti i citati recipienti furono chiusi con tappo di sughero o di gomma provvisto di due tubi di vetro: i tappi furono ben legati e lu- ♦ _ 274 - tati con mastice di catrame. Furono riempiti per varie proporzioni di vino; vi fu fatto gorgogliare l'ossigeno in varia proporzione e, sal- dati alla lampada i tubi di vetro, furono portati per la maggior parte su di una terrazza bene esposta al sole. Alcuni boccioni della capacità di 10 litri non furono esposti al sole, ma invece, dopo apparecchiati come si è descritto, furono ri- scaldati a bagno maria e poi portati in cantina. Il riscaldamento fu necessario per evitare cause di alterazioni. Di tutti i vini furono serbati campioni in bottiglie piene e ben tappate e tenute in cantina sotterranea. I vini esposti al sole vi furono lasciati per un tempo variabile da 10 a 45 giorni. I risultati ottenuti furono vari e molto soddisfacenti. Essi nel con- fermare tutti quelli ottenuti dagli esperimenti descritti, dimostrarono i vantaggi della ossidazione dei vini per mezzo dell'ossigeno assoluto. Non riporto qui i vari risultati ottenuti in questa serie di esperimenti, essendo essi essenzialmente pratici, e perciò uscirei fuori i limiti di questa nota. Solo dico che essi fornirono molti ed utili ammaestra- menti riguardo ai vari metodi adottati in rapporto ai mezzi disposti. Rilevo solo un fatto per ciò che riguarda i boccioni non esposti al sole, ma conservati in cantina dopo il riscaldamento. Essi furono aperti a brevi gicrni di intervallo fra loro ed, oltre a rilevare in essi modificazioni simili alle precedenti, si ottenne una rapida e spontanea chiarificazione. Avendo innanzi osservato il pronto intorbidarsi dei vini per rapida ossidazione nel farli attraversare dall'ossigeno puro, volli vedere se, a prescindere dagli altri vantaggi, si potesse applicare 1' ossidazione dei vini con 1' ossigeno puro per una pronta chiarifica- zione. I risultati anche da questo lato furono soddisfacentissimi, che, resi insolubili perchè ossidati, molti principii, precipitarono sollecita- mente. Il vino però, essendo ruvido, rimase spiccatamente tannico, per essersi messo in maggiore evidenza il tannino. Per eliminare il tan- nino fu necessario ricorrere poi anche alla chiarificazione ordinaria mercè una sostanza ricca di albumina. Molti studi restano ancora da fare, sia in rapporto alle conoscen- ze dell'azione esercitata dall'ossigeno, dalla luce e dal colore sui vi- ni, sia in rapporto ai vantaggi che la vinificazione potrà trarre dalla stessa azione. Già ho in corso alcuni studi ed esperimenti ed altri mi propongo imprendere quanto prima, tutti consigliati dai risultati fin qui otte- nuti. Riferirò a suo tempo dei risultati che man mano otterrò. Per ora mi limito a rilevare i buoni risultati ottenuti per la favo- revole azione esercitata dall'ossigeno sui vini e la possibilità di una — 275 — facile traduzione in pratica dell'ossidazione quale processo per il mi- glioramento ed invecchiamento rapido dei vini. Barletta — R. Cantina Sperimentale. — Luglio 1888. Influenza delle diverse densità ed acidità dei mo- sti d' uva sulla fermentazione e sui vini — Nota riassuntiva preleminare del socio ordinario non re- sidente Antonio Fonseca. (Tornata del 5 Agosto 1888) La vinificazione nei paesi meridionali offre spiccate differenze di fronte a quella dei paesi meno caldi, perchè caratteri essenzialmente diversi si riscontrano nella costituzione dei mosti. Di conseguenza si hanno a riscontrare in tali paesi speciali difficoltà nei vari processi di vinificazione e speciali caratteri nei vini. Avendo finora l'industria enologica meridionale e gli elementi di essa attirata molto poco l'at- tenzione di coloro che in vario modo attendono a studi enologici, poco si sa di essa, poco si sa dei caratteri speciali delle uve, dei mosti, dei vini, poco dello svolgimento dei processi di fermentazione dei mosti, di elaborazione dei vini. Molte e gravi difficoltà perciò ancora oggi ostacolano l'industria enologica nei nostri paesi meridionali; molte e gravi avversità si oppongono a che le varie pratiche di vinificazione fossero svolte razionalmente, a che i vini riuscissero bene accetti, di- rettamente bevibili e serbevoli. Né, sovente, è dato ai comuni vinifi- catori vincere le difficoltà, ovviare alle avversità, perchè molti fatti restano ancora incogniti alla stessa scienza enologica. Sono pertanto da ritenersi di essenziale necessità studi speciali diretti ad indagare le cause delle difficoltà, che avversano la vinificazione, e dei carat- teri sfavorevoli, che depreziano i vini in questi paesi, ed a ricercare i mezzi più acconci ad ovviare o vincere le difficoltà stesse ed a ren- dere migliori i vini. A tale uopo, stando in Puglia, mentre sono andato osservando quanto ivi in pratica si fa nel coltivare viti e fabbricare e commerciare vini, ho impresi a svolgere speciali esperimenti diretti agli scopi accennati. Gli esperimenti che impresi a svolgere furono diversi e di varia indole. In una serie di esperimenti, intrapresi nella decorsa vendemmiai feci oggetto di studio due speciali caratteri, che si riscontrano nei mo- sti di Puglia, e che io precedentemente aveva avuto ragioni ritenere — 276 — di sfavorevole influenza sulla fermentazione e sui vini. Tali caratteri riguardano la densità e 1' acidità complessiva dei mosti stessi. Per tali caratteri i mosti di Puglia si differenziano in modo positivo da quelli dei paesi settentrionali, per avere, relativamente ad essi, ecces- siva la densità (1) e deficiente l'acidità. L'uno e l'altro carattere pos- sono essere causa di varie difficoltà, che si riscontrano nella fermen- tazione dei mosti e di vari difetti, che si addebitano ai vini di questa regione. In questa serie gli esperimenti furono parecchi , e di essi parte furono svolti agendo su piccole quantità di mosto, ed in recipienti di vetro, parte agendo su masse relativamente grandi di mosto ed in tini ordinari di fermentazione, in legno. I. Esperimento Un primo esperimento si prefiggeva: 1° prendere in esame l'in- fluenza esercitata dalla densità eccessiva sulla fermentazione e sui vini; e ciò con l'osservare le differenze che, nell'andamento della fer- mentazione e nei vini prodotti , presentavano due mosti identici , in uno dei quali era stata diminuita la densità; — 2° prendere in esame l'influenza stessa esercitata dall' acidità deficiente con l'osservare si- mili differenze fra tre mosti identici, in due dei quali era stata au- mentata in proporzione varia l'acidità complessiva. Non bastando però fermarsi ad indagare le cause dei mali , ma occorrendo anche, anzi come scopo precipuo, ricercare rimedi pronti e di non difficile attuazione , volli anche , nello stesso esperimento , provare 1' efficacia di un mezzo il quale , senza tener conto per ora delle cause che potessero rendere difficile la fermentazione, rendesse questa attiva e suscettibile a prestarsi agevolmente alle esigenze della industria vinicola. Tale mezzo consisteva nell' aggiungere al mosto appena ottenuto una certa quantità di fermento del vino in piena atti- vità fermentativa. Avevo ragione di ritenere che 1' aggiunta di altro fermento , già in pieno sviluppo ed in pieno rigoglio , perchè prove- niente da mosto in piena fermentazione, giovasse a rendere più pronta ed attiva la fermentazione. Agli scopi accennati perciò l'esperimento di cui si tratta se ne prefiggeva un terzo. L'esperimento fu condotto in modo da avere in cinque palloni di (1) La densità è eccessiva, oltre che per una proporzione rilevante di glucosio contenuto in tali mosti, anche per un eccesso di altre sostanze, quali albuminoidi, mucilagini , gomme, sostanze pectiche e coloranti, ecc. — 277 — vetro eguali quantità di uva diraspata e pigiata, perfettamente iden- tica. Uno dei palloni serviva da campione e perciò non fu fatta al mosto, che vi era contenuto, alcuna aggiunta o correzione: un secondo pallone aveva il mosto meno denso, per sostituzione a parte di esso di acqua distillata ed acidulata con acido tartarico puro nella pro- porzione del 6 °/00; un terzo ed un quarto pallone avevano il mosto più acido perchè vi fu aggiunto rispettivamente uno e due grammi di acido tartarico puro; un quinto pallone infine ebbe sostituito a parte del mosto, altro mosto prelevato mercè una pipetta dal centro di un cappello di vinacce emerso in un tino, in cui la fermentazione era in pieno rigoglio (1). I cinque palloni, tappati con tappi di gomma, i quali erano prov- visti di tubi di vetro da svolgimento, pescanti nell'acqua, furono tenuti l'uno accanto all'altro, in identiche condizioni. Tutto lo svolgimento della fermentazione fu accompagnato da esatte e minuziose osservazioni, che si prelevavano due volte al gior- no. Cessata o quasi la fermentazione, si sottoposero a dettagliate ana- lisi, organolettica e chimica, tanto i vini che si ottennero dalla sem- plice decantazione dei palloni, quanto quelli ottenuti dalia premitura delle vinacce. I risultati a cui portò questo esperimento si possono riassumere nelle seguenti conclusioni. l.° La eccessiva densità dei mosti nei paesi caldi è una delle cause che ne rendono inceppata la fermentazione. 2.° La deficiente acidità può esserne altra causa. 3.° La deficiente acidità nei mosti è in ogni modo causa di caratteri difettosi nei vini. Aumentando V acidità i vini migliorano sensibilmente per molti caratteri. Principali tra essi caratteri sarebbero: colorito del vino e della spuma più intenso , rosso , rubino, vivo; sapidilà maggiore con gusto più franco, fresco ; limpidezza maggiore. Questi caratteri, nei limili nei quali fu fatto l'esperimento, si riscontrano più intensi in ragione che aumenta nei vini l'acidità. 4.° La seminagione nel ?nosto, prima della fermentazione, di fermento di vino, già in piena attività fermentativa, costituisce un mezzo efficace per combattere le difficoltà-, che si riscontrano nello svolgimento della fermentazione dei mosti nei paesi meri- dionali. (1) Il mosto del tino proveniva da uve identiche a quelle che servirono per 1' esperimento di cui si tratta - 278 II. Esperimento Riconosciuto dal primo esperimento che certi pregi nei vini au- mentano in ragione dell' acidità, volli studiare con maggiori dettagli questo fatto, per ricercare entro quali limiti esso dava ragione ai ri- sultati ottenuti. A tal proposito impiantai un secondo esperimento, il quale si pre- figgeva di studiare i vini, che si ritraevano da cinque mosti identici, ma fermentanti in presenza di diverse acidità. Distribuita all' uopo la stessa quantità d'uva nera identica in cinque palloni, ne corressi l'acidità, in modo da avere una progressione costante per quantitativo di acidità complessiva. Distribuii infatti i palloni, in ciascuno dei quali v'era un kg. d'uva diraspata e pigiata, come segue: Num. 1 — Vi fu aggiunto carbonato di calcio puro in quantità corrispondente alla neutralizzazione di un grammo di acido tartarico. Num. 2 — Non vi fu fatta alcuna aggiunta o correzione. Num. 3 — Vi fu aggiunto un grammo di acido tartarico puro. Num. 4 — Vi furono aggiunti due grammi dello stesso acido. Num. 5 — Vi furono aggiunti tre grammi dello stesso acido. I vini furono fatti fermentare come nell'esperimento che precede. I vini, tanto quelli ottenuti dalla semplice decantazione , quanto quelli ottenuti dalla premitura delle vinacce, furono, come gli altri precedenti, sottoposti alle stesse osservazioni; di più questi furono con- servati durante l' inverno e la primavera successivi, ripetendo in più volte le osservazioni. I risultati, confermando pienamente quelli ottenuti nel precedente esperimento, ci portano alle seguenti altre conclusioni, le quali vogliono essere intese entro i limiti nei quali fu fatto l' esperimento : 1° II colorito del vino e della spuma migliora, e si rende più serbevole in ragion diretta della proporzione di acidità, in pre- senza della quale i mosti fermentarono. 2° I vini, seguendo la stessa ragione, si rendono limpidi pili sollecitamente ed in modo progressivamente più completo. 3° Il sapore dei vini migliora per molti pregi seguendo la stessa ragione ; un'' acidità eccessiva però emerge troppo facil- mente a principio sugli altri costituenti di vini e rende i vini stessi alquanto sgradevoli : nei mesi successivi tal difetto vien mitigato ed i vini si fanno ben sapidi e gradevoli. - 279 — III. Esperimento Mentre studiavo in piccoli palloni di vetro gli effetti dell'aumento del titolo acido dei mosti in Puglia, per sopperire alla deficienza na- turale di esso, volli anche studiare L'utilità dell'aggiunta diretta di acido tartarico ai mosti, quale mezzo da adottarsi nella pratica della vinificazione. A tale uopo impiantai speciale esperimento (1). Allestii quattro tini in legno per capacità e forma pressoché eguali, e che erano collocati nello stesso locale, l'uno accanto all'altro, in identiche condizioni. In ciascuno furono messi 20 quintali di uva identica per tutti, e prima trattata allo stesso modo. Al primo tino non è fatta alcuna aggiunta; al secondo si aggiunge acido tartarico puro in ragione di un grammo per ogni kg. d' uva ; nel terzo si aggiunge dello stesso acido in ragione di due grammi per kg. d'uva, e nel quarto se ne aggiunge in ragione di tre grammi. Dopo la svinatura i vini furono conservati accanto ai precedenti, e fu- rono egualmente in varie epoche sottoposti a speciali osservazioni e ad analisi chimiche. I risultati di questo esperimento confermano pienamente quelli ottenuti precedentemente, di più dimostrano di facile ed utile appli- cazione industriale V aggiunta di acidi al mosto in Puglia, il che può formare una pratica ordinaria di vinificazione razionale destinata a fornire grandi aiuti alla industria enologica meri- d tonale. IV. Esperimento L'acidità è deficiente nelle uve per varie cause delle quali qui sarebbe fuor di proposito trattare. Tra esse ve n'ha una che, certo non da sola, né in modo principale, fa essere nel mosto deficiente l'aci- dità. Questa causa può risiedere nel terreno che, per lo speciale modo di allevar molto basse le viti, aderisce ai grappoli ed è mescolato nel mosto, allorché si pigia, l'uva. Per la natura calcarea del terreno di Puglia, una frazione di acidità deve essere al certo neutralizzata. Volli valutare l' influenza di questo fatto sulla fermentazione e sui vini. fi) Questo esperimento fu fatto in S. Ferdinando di Puglia e no sono già pubblicati i risultati.— Dr. Ant. Fonseca — Esperimenti enologici fatti in S. Ferdinando di Puglia, presso la Società Viticola Popolare, per incarico di S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Corani. — Barletta— Tip. Vecchi e Delli- santi 1888. — 280 — Raccolta in stesso dell' uva nera la portai con grande cura in laboratorio e ne prelevai due parti, del peso di kg. 2 ciascuna, sce- gliendo grappoli il più che fosse stato possibile eguali. Una delle due parti fu lavata accuratamente con acqua distillata, acino per acino, ed asciugata bene con carta da filtro, l'altra non fu lavata. Pigiate le due parti d'uva furono messe in due palloni, come nei casi precedenti. Al pallone contenente uva lavata fu aggiunto un pò di fermento di vino, per sostituire quello asportato col lavaggio. I due palloni furono messi l' uno accanto all' altro, in identiche condizioni, e furono fatti fermentare, prelevando esatte e frequenti os- servazioni. I vini ottenuti, sia dalla semplice decantazione, che dalla premi- tura delle vinacce, furono sottoposti, come gli altri, ad attente osser- vazioni ed analisi. I risultati si possono riassumere come segue : II mosto proveniente da uve lavate ed il vino che se ne ottenne presentarono, di fronte al mosto ed al vino dell' uve non lavate, le stesse differenze, che negli esperimenti che precedono, i mosti in cui fu aggiunta acidità ed i vini che ne risultarono presentavano di fronte ai mosti in cui non fu fatta alcuna aggiunta ed ai vini che ne risul- tarono. Tali differenze erano in questo terzo esperimento in proporzioni apprezzabili ma di minor rilievo che negli esperimenti che precedono, Analizzata 1' acidità complessiva dei vini , sotto forma di acido tartarico, si ebbe : Vino proveniente da uve non lavate 5,32 0[00 Vino proveniente da uve lavate 5,71 » Il terreno che aderiva ai grappoli perciò, neutralizzando 0,39 0[00 di acidità complessiva, rendeva, per quanto hanno dimostrato i vari esperimenti, più sfavorevoli le condizioni del mosto. Si può ritenere quindi che il terreno aderente ai grappoli d'uva, i quali per il sistema di coltura adottato in Puglia, son mante- nuti molto prossimi al suolo, concorre a rendere deficiente l'aci- dità nei mosti (1). Altri esperimenti In numerosi saggi di vinificazione fatti nelle due vendemmie del- l'86 e dell' 87 ho formato oggetto di minute indagini l'utilità e la con- (1) Per rimediare a questo fatto occorrerebbe rialzare i ceppi delle viti. — 281 — venienza in pratica dell'aumento dell'acidità nei mosti, e la propor- zione più conveniente per l'aggiunta di acidi (1). Tali esperimenti hanno portato a riconoscere, per concordi risultati favorevoli, e l'uti- lità e la convenienza di adottare in pratica tale mezzo , che è alla portata di ogni produttore divini (2); oltre diche hanno fornito molte utili indicazioni sulle proporzioni, che si presentano più convenienti a seconda dei vari casi, a seconda delle uve che si hanno a trattare, dei caratteri che si richiedono nei vini, etc. L'importanza di questi saggi e la grande variabilità dei casi in cui essi possono trovare appli- cazione richiedono che siano attentamente continuati gli studi e le indagini in proposito. Non riporto perciò qui i singoli risultati ottenuti anche perchè di indole essenzialmente pratica. Barletta — R. Cantina Sperimentale. — Luglio 1888. (1) Neil' aggiunta di acidi si deve tener conto che una parte di essi forma tartrati. (2) Da più tempo ed in varie occasioni ho consigliati quattro mezzi quali meglio atti a rendere più acidi i mosti nei paesi meridionali. Tali sarebbe- ro : 1° allungamento della potagione, 2° vendemmia precoce, 3° mescolanze di uve immature ad uve mature , 4° aggiunta diretta di acidi. — Studierò nella prossima vendemmia l'efficacia relativa dei quattro mezzi. Nella nota del D.r Mingazzini: " Sul preteso reticolo plastinico della fibra muscolare striata „ sono da correggere i seguenti errori: Errata Corrige pag. 30 linea 4 longitudinale reticolo — longitudinale del reticolo „ 30 „ 6 all'espetto — all'aspetto „ 39 „ 35 od in riposo — (si tolga) „ 41 „ 8 Fig. 4 - Fig. 5 „ 41 „ 10 Fig, 5 - Fig. 4 Elenco dei periodici ricevuti in cambio Alti della R. Accademia dei Lincei. Roma. Rendiconto delV Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Nuovo Giornale Botanico Italiano. Firenze. Gazzetta Chimica Italiana. Palermo. Il Naturalista Siciliano. Palermo. Bollettino di notizie agrarie. Roma. Bollettino di notizie sul credito e la previdenza. Roma. Annali di Agricoltura. Roma. Rivista mensile del Club Alpino italiano. Torino. Bollettino del Club Alpino italiano. Torino. Annuario della Sezione di Roma del Club Alpino italiano. Roma. Bollettino della Società Geografica Italiana. Roma. Rivista Veneta di Scienze mediche. Venezia. Bollettino della Società Veneto -Trentina di Scienze Naturali. Padova. U Ateneo Veneto. Venezia. La Sicilia Agricola. Palermo. U Agricoltura Pratica. Firenze. Lo Spallanzani. Roma. -L' Agricoltore messinese. Messina. U Agricoltore , giornale degl'interessi della classe rurale del Trentino. Trento. Gazzetta degli Ospedali. Napoli. Il Progresso medico. Napoli. Bollettino della Società Africana d' Italia. Napoli. GV Incurabili. Napoli. Giornale di Agricoltura. Jesi. Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova. Le api e i fiori. Jesi. Le viti americane. Alba. Bollettino della Società dei Viticoltori italiani. Roma. Il Raccoglitore, Giornale Agrario Padovano. Padova. Atti della Società Toscana di Scienze naturali. Pisa. Bollettino mensile di Bachicoltura. Padova. Bollettino della Società entomologica italiana. Firenze. Bollettino della Società d'igiene. Palermo. Giornale della R. Accademia di Medicina. Torino. Bollettino della R. Società Toscana di Orticoltura. Firenze. Nuova Rassegna di Viticoltura ed Enologia. Conegliano. Gazzetta Medica di Torino. Atti dell Accademia Gioenia di Scienze Naturali. Catania. Memorie della Reale Accademia medica dì Genova. Archivio per V Antropologia e V Etnologia. Firenze. Commentari dell Ateneo' di Brescia. L'Agricoltore Calabro -Siculo. Catania. Bollettino del R. Comitato Geologico d' Italia. Roma. JJ Orosi. Firenze. Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. H Picentino. Salerno. La Rassegna di Scienze mediche. Modena. Bollettino della Sezione dei Cultori delle Scienze mediche in Siena. Atti della R. Accademia dei Georgofili. Firenze. Bollettino Farmaceutico. Roma-Milano. Notarisia1 commentarium phycologicum. Venezia. Feuille des jeunes naturalistes . Paris. Naturae Novitates. Berlin. Proceedings of the Academy of Naturai Sciences of Philadelphia. Annales Télégraphiques. Paris. Opere ricevute in dono D.r Antonio Fonseca. — Esperimenti enologici fatti in S. Ferdi- nando di Puglia — Barletta 1888. B. Halbherr. — Coleottori finora raccolti nella Valle Lagarina — Staphilinidae — Rovereto 1888. Prof. G. Licopoli. — Cenni biografici intorno al Barone Vincenzo Cesati — Napoli 1887. G. F. Mazzarella — Di alcuni organi rudimentali nella serie ani- male — Milano— Torino 1888. G. F. Mazzarella — Sulla fondamentale analogia tra l'esoscheletro degli Artropodi e l'endoscliel9tro dei Vertebrati — Genova 1888. G. F. Mazzarella — Sulla diversa direzione dello sviluppo ontoge- netico e filogenetico dello scheleletro nei Vertebrati e negli Artropodi — Genova 1888. Fr. Sav. Monticelli. — Intorno allo Scolex polymorphus , Rud. — Napoli 1888. C. Pollonera. — Specie nuove o mal conosciute di Arion europei — Torino 1887. D.r G. Rovelli. — Ricerche sugli organi genitali degli Strongyloides — Como 1888. G. Paladino. — La destruction et le renouvellement continuel du parenchyme ovarique des Mammifere s. — Turin 1888. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DI NATURALISTI I3ST IsT^-IPOLI SERIE I. — VOL. II. ANNO II. - FASC. I. 1888 HAPOLI Stabil. Tipografico Fili. FERRANTI-, Vico Tiratoio 25 1888 SOMMARIO 1. Processi verbali delle tornate di Novembre e Decem* bre 1887, Gennaio e Febbraio 1888 .... pag. 3 2. A. G. Gabella — Sopra alcuni derivati degli acidi fe- nilparacumarico e metilatropico. „ 7 3. C. Grimaldi — S^pra una forma particolare di seccu- me nella vite ......... 11 4. Fr. Sav. Monticelli — Intorno allo Scolex polymor- phus Rud . „ 13 5. L. Manfredi, G. Boccardi e G. Jappelli— Influenza dei microrganismi sull'inversione del saccarosio . „ 16 6. G. F. Mazzarelli— Su di alcune gravi anomalie ana- tomo-fisiologiche, riscontratesi in un piccione dome- stico „ 20 7. P. Mingazzini — Sul preteso reticolo plastinico della fibra muscolare striata ....... 24 8. F. Sanfelice — Spermatogenesi dei vertebrati „ 43 9. Elenco dei libri e cambi pervenuti . . „ 99 I sodi che non hanno ricevuto i precedenti fascicoli del Bollettino sono pregati di fame richiesta alla Se- greteria. Sono pregati i signori socii ordinarii non residenti di spe- dire la loro contribuzione annuale al socio Cassiere Fr. Sav. MONTICELLI, Ponte di Chiaia 27, Napoli. Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al Segretario della So- cietà : Signore Oreste Forte , Via Duomo , Largo S. Severo, IO. JDJ^X, EEGOLAME1TTO Contribuzioni dei Socii Art. 1. La contribuzione annua pei socii ordinarli residenti è di lire 24, pagabili mensilmente. Art. 2. La contribuzioue dei socii ordinarli non residenti é di lire 12 pagabili in una sola volta. Art. 3. La contribuzione dei socii aderenti è di lire 6 annue. Tornate Art. 4. Le tornate ordinarie si terranno due volte al mese con V intervallo di quindici giorni , salvo nei mesi di vacanza i quali verranno determinati dall'Assemblea. Art. 5. La parte scientifica delle tornate ordinarie consta: a) di lettura di lavori originali; b) di comunicazioni verbali; e) di letture; d) di conferenze. I primi vengono inseriti nel Bollettino ; le altre semplicemente indicate nei processi verbali. Art. 6. I socii che leggono lavori originali devono dichiarare se intendono pubblicarli nel Bollettino , affinchè il Segretario possa in- dicarlo nel processo verbale della tornata, e in tal caso consegnare il manoscritto al segretario. I socii poi che fanno delle semplici comunicazioni verbali devono dichiarare se intendono che vengano inserite nei processi verbali, nel qual caso devono darne un brevissimo sunto per iscritto al segretario. Art. 7. I socii ordinarli non residenti possono incaricare sia il segretario, sia altro socio ordinario residente di dar lettura del pro- prio lavoro. Bollettino Art. 13. La società imprende la pubblicazione di un bollettino contenente i processi verbali delle tornate e lavori originali dei socii ordinarii. Art. 14. I lavori da pubblicarsi nel Bollettino dovranno leggersi nelle tornate; su di essi potrà essere fatta discussione. I lavori pubblicati da un tempo maggiore di due mesi in un altro periodico non si potranno pubblicare nel Bollettino Art. 15. I lavori debbono versare su argomenti di scienze natu- rali e loro applicazioni. Art. 16. Il Consiglio Direttivo cura la pubblicazione del Bol- lettino. Art. 19. Gli autori avranno gratuitamente gli estratti dei loro lavori. II numero di essi sarà stabilito ogni anno dal Consiglio Direttivo. Art. 20. È permesso agli autori chiedere un numero maggiore di estratti a proprie spese, previo avviso al Segretario, salvo che gli estratti siano la copia conforme all'originale scritto. DALLO STATUTO Art. IV. La società è costituita di socii ordinarli ed aderenti, I socii ordinarli sono residenti e non residenti. Art. V. Possono essere socii ordinarli tutti i cultori delle scienze naturali. Possono essere socii aderenti coloro che vogliono seguire i la- vori della Società. Art. VI. L'ammissione dei socii è fatta dietro domanda presen- tata da un socio ordinario al Consiglio Direttivo. Nel caso dei socii ordinarli , il Consiglio Direttivo presenta le conclusioni all'Assemblea la quale delibera sulla ammissione; nel caso dei socii aderenti, li nomina. Art. VII. I socii ordinarli residenti hanno cura dell'amministra- zione e dell' andamento scientifico della Società, ed eleggono il Con- siglio Direttivo. Art. Vili. I socii ordinarli non residenti sempre che si trovano in Napoli , godono di tutti i dritti dei socii residenti , meno quello della eleggibilità. Art. IX. I socii ordinari! solamente hanno dritto a pubblicare e tener conferenze. Art. X. I socii non residenti che stabiliscono la loro dimora in Napoli, se vogliono continuare a far parte della Società, debbono en- trare nella categoria dei residenti. Art. XI. Tutti i socii indistintamente hanno dritto ad interve- nire alle tornate scientifiche ed a ricevere le pubblicazioni della So- cietà. Art. XII. I socii di tutte le categorie pagano una contribuzione annua, la quale, per i residenti è doppia di quella dei non residenti e per questi è doppia di quella degli aderenti. 6. Per questo anno la Società dà agli Autori 50 copie di estratti. Gli Autori i quali ne vogliano un maggiore numero, pa- gheranno le copie in più secondo la seguente tariffa. V4 foglio (4 pagine) . '/8 foglio (8 pagine) . % foglio (12 pagine) . . 1 foglio (16 pagine) . . Esemplari 25 50 75 L. 2 50 . 4 - „ 6 75 „ 8 - 100 L. 4 - „ 5 50 „ 9 - „10 - L. 1 75 „ 2 25 „ 3 50 „ 4 00 L. 2 25 „ 3 50 n 5 - „ 5 DO N. B. — Per i sopra segnati prezzi va inclusa legatura e coper fina senza stampa. Prezzo dui I fascicolo lire due „ del II „ r tre „ del Voi. I (fase. I e II) „ quattro Al T \ Ò\ ' " / LIU rfv (/ ìli'iiiimiìi"01 "BRAKV *^$vNr a # v ■*& ^V *f# i;^ r^' ^•"1