Anno 1. Fascicolo l.° BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. I. — 1882. KOMA COI TIPI DEL SALVIUCCI 1882 BOLLETTINO DELLA ITALIANA _ -, Voi. 1. — 18812 ROMA 0 0 1 T I r I D E L S A L V 1 U C C I 1882 -=1 h C ELENCO DEI SOCII DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA. Anno issa Cornili, prof. Giuseppe Meneghini. Presidente. Cdmm. prof. Giovanni Capellini. Vice-Presidente Ing. Luigi Baldacci. Cav. prof. Igino Cocchi. Cav. prof. Alfonso Cossa. Comm. bar. Achille De Z Ugno . Dott. Carlo Forsyth Major. Comm. Felice Giordano. Cav. prof. Guglielmo Guiscardi. Cav. prof. Arturo Issel. Cav. prof. Giulio Andrea Pirona. Cornili. Giuseppe Scarabei-li Gommi Flamini. Cav. prof. Giuseppe Sequenza. Cav. prof. Torquato Taramelli. Avv. Tommaso Tittoni. Tesoriere. Ing. Romolo Meli. Archivista. Prof. Dante Pantanelli. Segretario. Ing. Bernardino Lotti. Vice-Segretario. / Consiglieri I Soci (') Amici Bey ing. Federico. Cairo (Egitto). Alessandri ing. Angelo. Via Broseta n. 14. Bergamo. Aragona dott. Luciano. Bobecco d’Oglio (Cremona). Baldacci ing. Luigi. Piazza Cattolica n. 40. Palermo. Balestra cav. prof. Serafino. Istituto sordo-muti. Como. Bargellini prof. Mariano. R. Liceo Siena. Barelli prof. Martino. R. Museo Geologico Università. Torino. Basterai (conte di). Via Rasella n. 148. Roma. Bellardi prof. Luigi. Museo di Mineralogia. Torino. Bollinger ing. IL Via principe Umberto n. 3. Milano. Bombicci cav. prof. Luigi. R. Università. Bologna. (*) I Soci perpetui sono indicati con un asterisco. 4 — Bornemann dott. J. G. Eisenach. Borsari Ferdinando. Via Pratella n. 0. Bologna. Botti cav. avv. Ulderico. Consigliere delegato. Peggio Calabria. ' Bumiller ing. Ermanno. Firenze. Cantoni ing. Angelo. Direttore delle miniere di Rosas Sili- qua (Sardegna). Capacci cav. ing. Celso. Via Vaifonda n. 7. Firenze. Capellini comm. prof. Giovanni. R. Università. Bologna. Castracene conte Francesco. Piazza delle Coppelle. Roma Cattaneo ing. R. Direttore delle miniere di Monteponi. Torino. Chasilus ing. Alberto. Ing. di miniere. Bagnasco. Chancourtois comm. prof. G. B. Rue université n. 10. Paris. Chigi- Zondadari march. Bonaventura, Deputato al Parla- mento. Siena. Chiminelli cav. dott. Luigi. Bassano (Veneto). Ciò fa lo Saverio. Termini Imerese (Sicilia). Cocchi cav. prof. Igino. Firenze. Conti ing. C. Reai Corpo delle miniere. Caltanisetta. Coppi dott. Francesco. Modena. Corini avv. Mariano. Via arcivescovado n. 13. Genova. Corna lia comm. prof. Emilio. Museo civico. Milano. Cortese ing. Emilio. R. Comitato geologico. Roma. Cossa cav. prof. Alfonso. Museo Industriale. Torino. Dalgas cav. Gustavo. Via Palestro n. 3. Firenze. Bai Pozzo cav. prof. Enrico. R. Università. Perugia. De Bosniaski dott. Sigismondo. S. Giuliano (Pisa). Dclaire ing. Alex. 135 Boulevard SS Germain. Paris. Delgado Nery Philippe Joaquim. Lisbona. Bel Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. Bonza cav. prof. Francesco. Moncalieri. De Bossi cav. prof. Michele Stefano. Aracoeli n. 17. Roma. Be Stefani avv. Carle. Siena. De Zigno bar. comm. Achille. Padova. Di lucci ing. Pacifico. Velletri. Bewalque prof. G. Rue de la paix n. 17. Liège. Barvai ing. Carlo Enrico. Monterotondo (Massa Marittima). Flottes Léon. Rue de Courcelles n. 52. Paris. Fontanncs doct. F. Rue de la République n. 4. Lyon. Fornasini dott. Caro. Via Lame n. 24. Bologna. Foresti dott. Lodovico. Museo Geologico. Bologna. Forsyth-Major dott. Carlo. Museo Geologico. Firenze. Fossen ing. Pietro. Pisa. Gamba ing. Cesare. Genova. Gemmellaro prof. comm. Giorgio. R. Università. Palermo. Giordano comm. Felice. CasaBraschi piazza dellaPilotta.Roma. Guiscardi cav. prof. Guglielmo. R. Università. Napoli. Haupt ing. Costantino. Borgo degli Àlbizzi. Firenze. Issel cav. prof. Arturo. R. Università. Genova. Issel Leone. Via Palestre n. 3. Genova. Jervis cav. prof. Guglielmo. Museo industriale. Torino. Lotti ing. Bernardino. Pisa. 4 Maycr prof. Carlo. Zurigo. Marinoni prof. Camillo. Istituto tecnico. Udine. Mattinolo ing. Ettore. Piazza Lagrange n. 1. Torino. Mauro dott. Francesco. Istituto chimico. Roma Mazzetti ab. dott. Giuseppe. Modena. Mazzuoli ing. Lucio. Via Palestre n. 13. Genova. Meli ing. Romolo. R. Università. Roma. Meneghini comm. prof. Giuseppe. R. Università. Pisa. Missaghi cav. prof. Giuseppe. R. Università. Cagliari. Molon prof. Francesco. Vicenza. Negri dott. Arturo. R. Università. Padova. Niccolis Enrico. Verona. (imbonì cav. prof. Giovanni. R. Università. Padova. Pantanelli prof. Dante. R. Università. Modena. Parodi ing. Lorenzo. Via Palestre. Genova. Parona prof. Carlo Fabrizio. Pavia. ‘ P ardue ci march. Marianna. Villa Novoli. Firenze. Pelagaud doct. Elisée. Sl. Paul. (Ile de Bourbon). Pollali cav. ing. Niccolò. Comitato geologico. Roma. Piatti prof. Angelo. Desenzano sul Lago. Picaglia dott. Luigi. Segretario società naturalisti. Modena. Pili ing. Tommaso. Direttore Miniera Libiola. Sestri Le- vante (Genova). Pirona cav. prof. Giulio Andrea. Udine. Pompucci ing. Bernardino. Pesaro. 6 Ponzi comm. prof. Giuseppe, Senatore del Regno. Roma. Portis dott. Alessandro. Via Pescatori n. 7. Torino. Regazzoni cav. prof. Giuseppe. Brescia. Ribeiro Carlos. Lisbona. Rossi dott. Arturo. Possagno (Veneto). Salmojraghi ing. Francesco. Via Monte di Pietà n. 9. Milano. Scander Levi bar. Adolfo. Piazza d’Azeglio n. 7. Firenze. Scarabelli Gommi Flamini comm. Giuseppe , Senatore del Regno. Imola. Secco Andrea ex deputato. Solagno (Baccano Veneto). Segrè ing. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Napoli. Seguenza cav. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. * Sella comm. Quintino, Deputato al Parlamento. Biella. * Silvagni dott. Enrico. Piazza Garibaldi. Bologna. Silvestri cav. prof. Orazio. R. Università; Catania. Simoìii dott. Luigi. Via Cavaliera n. 9. Bologna Spezia cav. prof. Giorgio. R. Università. Torino. Statuti cav. ing. Augusto. Via dell’Anima n. 17. Roma. Stoppavi comm. prof. Antonio. R. Istituto superiore. Firenze. Strobel cav. prof. Pellegrino. R. Università. Parma. Struver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. Szabó prof. J. Prof, de Min. et Geologie. Buda Pest. Taramela cav. prof. Torquato. R. Università. Pavia. Tawney Edoardo. Woodwardian Museum. Cambridge. Theraizol connn. Salvadore. Allées de Meilhan 18. Marseille. Tittoni avv. Tommaso. Via Rasella. Roma. Tommasi dott. Annibaie. Mantova. Travaglia ing. Riccardo. Caltanisetta. Tuccimei prof. Giuseppe. Via dell’Anima n. 61. Roma. Turche ing. John. Ufficio degli acquedotti. Bologna. Uzielli prof. Gustavo. Scuola sup. di applicazione. Torino. Vanisco prof. Antonio. Bergamo. Verri cav. Antonio. Capitano nel genio. Terni. Villa cav. Antonio. Via Sala n. 6. Milano. Virgilio dott. Francesco. R. Museo Geologico. Torino. Zezi prof. Pietro. R. Comitato Geologico. Roma. ' Zicnkowicz A. Victor. Via Coito n. 1. Torino. 7 — OEIGINE DELLA SOCIETÀ In occasione del 2° Congresso internazionale di Geologia in Bologna essendosi riuniti la massima parte dei cultori delle disci- pline geologiche, nacque a molti spontanea l’idea di fondare una Società Geologica Italiana onde « contribuire ai progressi della Geologia con pubblicazioni, con incoraggiamenti e coH’agevolamento dei rapporti tra i Soci » . La sera del 28 settembre riuniti i promotori di questa Società in una sala dell’Archiginnasio, sotto la presidenza del comm. Ca- pellini, fu nominata una Commissione composta dai sigg. Meneghini, Capellini, Sella, De-Stefani e Taramelli coll’incarico di studiare e proporre nel più breve tempo possibile lo statuto organico della nuova Società. Presero parte alla votazione i sigg. Acconci, Ales- sandri, Amici, Andino, Baldacci, Balestra, Bassani, Bombicci, Bor- nemann, Bumiller , Borsari, Capellini, Capacci, Cossa, Cortese, Cavazzi, Cavalletto, Canevazzi, Cardinali, Canavari, Cocchi, Castra- cane, Conti, De Stefani, De Bosniaski, De Possi, De Zigno, De Ferrari, Donzelli, Foresti, Forsyth-Major, Giordano, Jervis, Jona, Lotti, Mauro, Macchia, Meli, Mattirolo, Mazzetti, Meneghini, Maz- zuoli, Marinoni, Molon, Missaghi, Niccoli, Nicolis, Omboni, Pan- tanelli, Pompucci, Pirona, Parona, Peruzzi, Pellati, Rosa, Possi, Regazzoni, Seguenza, Silvestri, Sella, Segrè, Speciale, Travaglia, Taramelli, Tenore, To.mmasi, Yarisco, Venturi, Uzielli, Zaccagna. In una adunanza successiva del 29 settembre fu discusso ed approvato lo Statuto della Società più lungi riportato. Diffusa quindi una circolare ai cultori della Geologia, risposero ascrivendosi alla Società molti fra loro, come risulta dall’elenco generale pubblicato nelle pagine precedenti. — 8 — STATUTO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA. 1. È costituita una Società Geologica italiana, avente lo scolio di contribuire ai progressi della Geologia con pubblicazioni, con incoraggiamenti e coll’ agevolamento elei rapporti tra i Soci. 2. Per far parte della Società occorre essere presentati da due Soci in una delle adunanze ordinarie e pagare una tassa annua anticipata di L. 15 ed una tassa di entrata di L. 5. La tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. 3. L’amministrazione della Società è affidata ad un Consi- glio composto di un Presidente — un Vice-Presidente — dodici Consiglieri — un Segretario. Il Consiglio nomina due Vice-Segre- tari, un Archivista ed un Tesoriere. 4. I membri del Consiglio sono eletti a maggioranza assoluta dei votanti; ove ne sia il caso si procederà ad una votazione di ballottaggio fra quelli che ebbero un maggior numero di voti. Tutti i Soci votano o direttamente nell’assemblea o per lettera. 5. Il Presidente dura in carica un anno, gli subentra il Vice- Presidente eletto nell’anno innanzi. Il Segretario dura in carica tre anni; i Consiglieri parimente, e ciascun anno vengono cambiati per un terzo. 6. Gli ufficiali uscenti di carica non possono essere rieletti nelle medesime funzioni prima che sia decorso un anno. 7. La Società tiene ciascun anno due adunanze generali, l’ima estiva, T altra invernale. La Società stabilisce anno per anno il luogo ove deve tenersi l’adunanza estiva. 8. Solo nella adunanza ordinaria estiva si nominano gli uffi- ciali, si approvano i bilanci e si adottano le deliberazioni concer- nenti l’amministrazione della Società. 9. L’adunanza invernale sarà tenuta, la seconda metà di gen- naio, nel luogo ove dimora il Presidente annuale della Società, od in altro luogo designato dalla Presidenza. 10. Quando almeno dodici Soci si accordino nel tenere adu- nanze scientifiche periodiche o straordinarie, devono darne avviso — 9 — alla Presidenza sei settimane prima, acciocché siano diramati gli inviti a tutti i componenti la Società. Le adunanze saranno tenute sotto la presidenza della persona scelta dai Soci presenti, la quale manderà al Presidente della So- cietà il processo verbale dell’adunanza. 11. La sede dell’ archivio e della biblioteca della Società 'e in Roma, ove risiederà pure l’Archivista. 12. La Società pubblica un Bollettino periodico che viene distribuito gratuitamente ai Soci. In proporzione ai fondi dispo- nibili si pubblicheranno anche delle Memorie. 13. Le modificazioni allo statuto dovranno essere anzitutto approvate neH’adunanza generale estiva. Esse saranno poscia sot- toposte al voto per lettera di tutti i Soci, i quali risponderanno per Si o per No. Le modificazioni non s’intendono definitivamente adottate se non quando sieno approvate dai due terzi dei votanti. Di sposi zioni transitorie. 14. Quelli che entreranno a far parte della Società nei d e primi anni non pagheranno tassa d’entrata. 15. Nei due primi anni verranno estratti a sorte i nomi dei quattro Consiglieri di prima nomina che dovranno uscire di carica. 1(>. Il prof. Giuseppe Meneghini è nominato Presidente della Società per l’anno 1881-82, ed è incaricato della prima nomina degli altri ufficiali di cui all’ art. 3 e di quanto occorre all’ im- pianto della Società. Bologna, 29 settembre 1881. 10 — ADUNANZE DEL CONSIGLIO DIRETTIVO Bologna, 30 settembre 1881 (estratto) ]n quest’adunanza si determina che la carta e il timbro della Società recheranno la leggenda « Società Geologica Italiana , mente et malleo»; il timbro recherà quindi nella parte centrale due martelli incrociati uguali a quelli del sigillo dei Congressi inter- nazionali di geologia, onde ricordare l’origine della Società in seno al II0 Congresso internazionale geologico. Si determina di computare per il primo anno l’annualità di L. 15 ai Soci che intendessero passare da ordinari a perpetui. Si stabilisce di proporre per la prima adunanza generale un regolamento interno. Si nomina a Tesoriere della Società il sig. Tommaso Tittoni, e a Vice-Segretario il sig. Bernardino Lotti. Pisa, 29 gennaio 1882 (estratto) Il Consiglio formula il Regolamento, che deve essere discusso ed approvato dalla Società, nomina ad Archivista il Socio inge- gnere Romolo Meli ; delibera d’interpellare nuovamente quei signori che presero parte ai primi atti di fondazione della Società e che tuttora non si sono definitivamente ascritti alla medesima. — 11 — ADUNANZA GENERALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Pisa, 29 gennaio 1882. Presidenza Meneghini; presenti i Soci : Capellini, Scarabelli , Giordano. Cocchi, Forsytii-Major, Tittoni, Lotti, De-Stefani, D’Acni ardi, Fossen, Zaccagna e il sottoscritto Segretario. Il Presidente aprendo radunanza propone d’inviare un tele- gramma all’on. Sella esprimendo l’omaggio dei convenuti ('). Il Segretario partecipa alla Società P omaggio del Socio Ba- retti di due lavori intitolati: Relazione sulle condizioni geologiche del versante destro della Dora Riparia e Apercu géologique sur la cimine du Montblanc, e l’omaggio del Socio Forsyth-Major di un suo lavoro intitolato : Beitrcige zur Geschichte der Fossilen Pferde; partecipa che i'Soc! Cossa, Baldacci, Omboni, Theraizol, Tuccimei, Zienkowicz, Denza, Molon, Bombicci, Foresti, Fornasini, Simoni e Bargellini, giustificano la loro assenza dalla presente adunanza ; dando conto dei risultati ottenuti per P iscrizione dei Soci, presenta l’elenco dei medesimi ; annunzia che sono stati pre- sentati alla presidenza i seguenti lavori per essere pubblicati nel Bollettino : Chancourtois. Notes sur les serpentines. Nicotra. Diatomeae in quibusdam schistis Messanensibus de- fedar. Taramelli. Osservazioni sulle serpentine. Bargellini. Saggio d’un dizionario geologico. Questo lavoro è stato ritirato dall’autore per completarlo. Molon. I colli Berici del Vicentino. Sunto geologico. Forsyth-Major. Studi sui mammiferi pliocenici. De-Stefani. Sulle pieghe delle Alpi Apuane. 0 L'on. Sella rispondeva col seguente telegramma: Ringrazio vivamente colleglli Società Geologica sua preziosa benevolenza: auguro Società luminoso avvenire. — 12 — Il Presidente annunzia che il Consiglio ha nominato ad Ar- chivista il Socio prof. Itomelo Meli. Si procede all* estrazione dei quattro Consiglieri uscenti di carica e risultano sorteggiati i sigg. Giordano, Cocchi, Scarabelli c Seguenza. Si passa quindi alla discussione del regolamento interno, che viene approvato nei seguenti termini. REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 1. Consiglio direttivo. — Presenta all’approvazione della So- cietà i bilanci preventivi e consuntivi ; coadiuva il Presidente nella direzione della Società. 2. Presidente. — Ha la rappresentanza officiale della Società; convoca e presiede le adunanze; firma la corrispondenza potendo a tal uopo delegare il Segretario ; firma i mandati d’ uscita; no- mina la Commissione per le pubblicazioni della Società. 3. Vice-Presidente. — Subentra al Presidente nel caso di mancanza di questo e convoca la Società per l’elezione del Pre- sidente nel caso che non sieno trascorsi sei mesi dalle elezioni. 4. Segretario. — Conserva la corrispondenza tenendone pro- tocollo ; dietro ordine del Presidente dirama gl’inviti per le adu- nanze ; tiene il registro dei Soci ; è responsabile dei verbali del Consiglio direttivo e delle adunanze generali; è coadiuvato dai vice- segretari eletti annualmente dal Consiglio. 5. Archivista. — Ha in consegna i libri della Società , le pubblicazioni invendute, la corrispondenza anteriore all’ anno in corso, e i documenti affidatigli dalla Presidenza, tenendone rego- lare inventario; cura la stampa delle pubblicazioni della Società a meno che non ne sia dispensato , e veglia alla distribuzione delle medesime ai Soci ; versa al tesoriere il prezzo delle pubbli- cazioni vendute. 6. Tesoriere. — Risiede in Roma; tiene l’amministrazione della Società ; cura la riscossione delle quote annuali rimetten- done la nota al Segretario e all’Archivista ; paga i mandati firmati dal Presidente e riscuote qualunque entrata della Società. 7. Pubblicazioni della Società. — La Società pubblica le Me- morie presentate ed accettate nelle adunanze o dalla Presidenza in fascicoli in S.° ad intervalli possibilmente periodici, unitamente — 13 — all’elenco dei Soci, ai bilanci e ai verbali delle adunanze ordinarie e straordinarie. Nel caso di tavole unite alle Memorie e che la spesa sia consentita dal bilancio, gli autori dovranno accordarsi per la loro pubblicazione con la Commissione a ciò delegata. I Soci potranno presentare le loro Memorie alle adunanze generali ordinarie e straordinarie o inviarle direttamente alla Presidenza. 8. Timbro della Società. — Porterà scritto in giro « Società Geologica Italiana mente et mcdleo » e nella parte centrale due martelli incrociati. Si delibera die la prossima adunanza generale estiva debba aver luogo in Verona verso la fine di agosto e i primi di settembre. I Soci Forsyth-Major e De-Stefani leggono le Memorie pre- sentate al principio della seduta. Quest’ultimo presenta inoltre la carta geologica delle Alpi Apuane nella scala di 1/25000 offerta dall’autore al Ministero della Pubblica Istruzione. Dopo di che è levata dal Presidente l’adunanza. Il Segr. D. Pantane lli — 14 — » ESTRATTO DELLA CONFERENZA SULLE SERPENTINE TENUTA IN BOLOGNA TN OCCASIONE DEL TI. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI GEOLOGIA (') Il prof. Taramelli avverte che delle formazioni serpentinose così alpine che appenniniche, si è occupato incidentalmente, quando ebbe a rilevare una porzione dell’ Appennino settentrionale nella valle della Trebbia e per aver raccolto in Valtellina, neirAppennino bolognese e nelTUmbria i materiali esaminati dal sig. Cossa. Le sue osservazioni furono pubblicate in due Memorie (*) stampate prima che si conoscessero i risultati di altri rilievi stratigrafici sulle regioni ofìolitiche e quando non era ancora possibile far tesoro delle istruttive ricerche del sig. Cossa. Egli pertanto si limita ad accennare le condizioni stratigrafiche delle serpentine alpine ed appenniniche , astenendosi da ogni apprezzamento teorico sulla origine di queste rocce. Le serpentine della Valtellina sono indubbiamente inferiori ad una potente formazione gneissica e granitica, e da questa se- parate per una zona di rocce anfiboliche, granatifere e di calcari saccaroidi. Nel gruppo del M. Disgrazia e della Bernina a nord del corso dell’Adda, in Valtellina, le rocce più profonde sono dei talcoscisti assai quarziferi; sopra stanno le sserpentine in po- tenti banchi, assai continui e con tutta l’apparenza di rocce stra- tificate. Contengono le pietre oliavi e V amianto : le prime di due tipi; cioè le steatitose e le cloritiche. Vengono quindi delle rocce anfiboliche ed epidoticbe, associate a calcari saccaroidi, spesso falciferi ; poi delle anfiboliti scistose, dei gneiss talcosi, dei tal- coscisti, delle eclogiti e finalmente i gneiss a grossi cristalli di (') Il verbale di questa conferenza dovrà formare parte integrante degli Atti del Congresso; sono state intanto qui raccolte le principali osservazioni fatte in quell'occasione, per aderire al voto dei convenuti, che a proposta del Socio Sella, chiesero di cominciare le pubblicazioni della Società con il resoconto di quella conferenza. (s) T. Taramelli, Sulla formazione serpentino.sa dell' Appennino pavese. Att. R. Acc. dei Lincei 1878. — Parallelo tra le formazioni precarbonifere nella Vallellina e nella Calabria. Rendiconti del R. Istituto lombardo. Dicembre 187U. - 15 — ortose, noti in Lombardia col nome di serizzo ghianclone. Sopra queste rocce si stende la formazione granitica del Disgrazia e della Bernina, con rocce anfiboliche sempre associate al granito. Questa serie è assai più profonda di tutte le rocce che ponno con qualche probabilità riferirsi al carbonifero. A Manno, presso Lugano, si vede la puddinga carbonifera a Calamites riposare discordante sugli scisti granatiferi, che entrano nella sunnominata zona anfìbolica. La puddinga è formata inoltre di quelle mede- sime rocce, che ora si trovano nella Valtellina associate e supe- riori alle serpentine; fatto questo che dimostra l’antichità di queste, in appoggio a quanto il compianto Gastaldi ha sostenuto per le analoghe pietre verdi del Piemonte. Quanto alle serpentine terziarie della Liguria orientale (chè nella Liguria ad ovest di Sestri-Ponente sonvi rocce serpentinose e scistose precarbonifere) e dell’ Appennino Bobbiese, il prof. Ta- ramelli le avrebbe rinvenute sempre in amigdale di limitata esten- sione, talora avvicinate ed addensate, tal’altra isolate nella forma- zione scistosa del Liguriano. Il gabbro rosso e le argille scagliose si osservano in generale superiormente alle serpentine; sotto e tra queste si osservano spesso dei calcari marnosi di grana finis- sima, usati come pietre litografiche. Le serpentine terziarie non presentano mai la continuità e la potenza delle protozoiche alpine della Liguria occidentale. Differiscono anche da queste per la man- canza del talco nelle rocce ad esse direttamente associate. Man- cando l’orizzonte nummulitico delBeocene medio nell’area da lui esplorata, non può affermare alcun rapporto di questa zona ser- “ pentinosa con piani di cui sia sicuro l’orizzonte. Però la presenza delle fucoidi labirintiche, proprie del Flyscli, nei dintorni di Ge- nova, nella valle del Bisano, nei dintorni di Bobbio e di Ottone fanno credere che quivi le serpentine cadano nella zona arenaceo- scistosa normalmente superiore ai piani più fossiliferi dell’eocene. Il prof. Uzielli riferisce sopra i risultati delle osservazioni da lui fatte sulle rocce serpentinose del Modenese e della Liguria. Egli trova che nell1 Appennino predominano le rocce diaba- siche piuttostochè le dioritiche. Queste rocce diabasiche si pre- sentano sovente molto alterate e queste alterazioni differiscono fra loro anche a breve distanza in una medesima località. Le alterazioni essenziali sono le seguenti; — 10 — 1° Il plagioclasio diviene semi-trasparente e si trasforma in saussurite con eliminazione lenta dell’elemento pirossenico e tra- sformazione di questo in silicato magnesiaco idrato. Tale è lo stato di molte Eufotidi. A Matterona presso Sestri- Levante in Liguria, già aveva notato simili passaggi il Fuchs lino dal 1843. I due limiti di questa trasformazione sono rocce verdi (serpentine) e rocce basiche (saussurite?) — Nell’Eufotide si notano passaggi a una serpentina ove la Bastite corrisponde al diallaggio. Tale roccia è sviluppatissima nell’ Appennino settentrionale. 2° Il plagioclasio perde l’emitropia e diviene trimetrico cioè si trasforma in altra sostanza trimetrica (enstatite ?); il pirosseno viene sostituito poco alla volta da sesquiossido di ferro e si ar- ricchisce in carbonato di calce (serpentini e conglomerati serpen- tinosi di Renno a Modena ecc.) — Sovente la diabase si divide in masse sferoidali di tutte le grandezze, che si trasformano talora in masse ferruginose. Ma se in uno di tali giacimenti si esamina la roccia nel sottosuolo si vede che a misura che essa è più lon- tana dall’azione degli agenti esterni perde la disposizione globu- lare e passa a una vera diabase a elementi distinti, benché in nerale alterati. In quanto ai Gabbri rossi ritiene che questo nome non sia sempre applicato dai geologi alle medesime rocce. Ma ciò dipende da che queste rocce, provenendo dall’alterazione di altre rocce per la sopraossidazione del ferro accompagnata da altre alterazioni chi- miche, non possono presentare caratteri ben definiti. In ogni modo ritiene che, tanto molti conglomerati di rocce diabasiche e dioritiche, quanto queste stesse rocce possano alte- rarsi e trasformarsi in Gabbro rosso. Ciò ammesso, ed osservando che tutte le rocce alterate del- T Appennino sono più povere in silice delle rocce tipiche c in generale contengono acqua; deve ammettersi che le rocce ofioliti- che dell’ Appennino tendono a diventare più basiche di quelle che non fossero originariamente, e ad idratarsi. Vi sono poi dei serpentini che possono dirsi i serpentini tipici che contengono Olivina in condizioni tali da far supporre che siano alterazioni delle Lerzoliti. Ma crede inopportuno entrare nella questione oscura dei rap- porti fra le dioriti, le diabasi e le lerzoliti tanto pili che per gli Appennini mancano ancora in numero sufficiente le notizie esatte sulle rocce serpentinose che vi si trovano. Infine dice che le sue osservazioni sugli Appennini concordano con quanto era stato già detto dallo Zirkel, da Rosenbusch e altri insigni petroglifi, risultati confermati pure dalle analisi fatte dal prof. Cossa. In quanto alla stratigrafia riconosce che le rocce ofiolitiche si trovano in Liguria interstratificate nel Mysch , ma ciò non è argomento più favorevole alla teoria nettunica che alla plutonica e airidroplutonica delle serpentine, e può spiegarsi sia ammettendo che il terreno apparentemente sottostante e soprastante debba ri- ferirsi a una stessa età o ad età diverse. In quanto alla stratigrafia della massa ofìolitica stessa, essa non è semplice, come sembrerebbe da uno studio superficiale. L’esame della stratigrafia interna, che egli ha fatto nelle mi- niere di rame di Sestri-Levante, lo ha convinto che la massa olio- litica ha subito una serie grandissima di modificazioni meccaniche e chimiche e di sconvolgimenti tali da rendere pericolose le gene- ralizzazioni premature. L’ing. Mazzuoli comincia coll’affermare che i terreni di sedi- mento, entro cui stanno racchiuse le grandi masse serpentinose della Rivièra di Levante, hanno la stessa forma litologica di tutti gli altri terreni della Liguria Orientale riconosciuti per eocenici, o che in quelli si rinvennero in diverse località le fucoidi carat- teristiche dell’eocene. Un altro fatto importante da lui osservato è che le serpen- tine sono così disposte tra le rocce sedimentarie da apparire chia- ramente interstratificate. Il contatto tra le rocce di sedimento e la serpentina avviene il più delle volte senza transizioni e la loro linea di demarcazione è così netta che spesso si può riconoscere anche a grande distanza. Su questo proposito egli soggiunge che la serpentina, sia essa sovrapposta o sottoposta alle rocce di sedi- mento, non ha indotto in queste alcun metamorfismo di contatto. Talora accade di trovare delle rocce metamorfiche vicinissime alle serpentine ; ma in condizioni tali da dimostrare che il loro meta- morfismo non deve considerarsi come metamorfismo di contatto. In conferma di quest’asserzione egli cita i fatti osservati a s. An- tonio, presso Casarza, e al Monte Pelato, presso Tavarone, località ■2 — 18 — in cui si vedono gli scisti argillosi, adagiati sulle serpentine, tra- sformarsi gradatamente, per un tratto di poche decine di metri, in banchi di ftaniti e di diaspri ; però tra queste rocce e la ser- pentina si hanno alcuni metri di scisto argilloso inalterato. Altro fatto sul quale egli insiste è la grande omogeneità che si riscontra nelle masse serpentinose ; mentre nelle rocce da lui e dal prof. Issel distinte col nome di anfimorfiche (dioriti, afaniti, varioliti) si hanno passaggi infiniti. Questi passaggi si verificano con molta frequenza anche tra le rocce anfimorfiche e quelle di sedimento. Egli passa quindi a parlare degli strati calcari, i quali in vicinanza delle serpentine sono spesso erosi e sostituiti in parte da un argilla smettica, il più delle volte ferruginosa e mangane- sifera, avendo i piani di sfaldatura normali ai piani di stratifica- zione. In mezzo a quest’argilla si vedono di frequente dei frammenti di calcare logorati, a superficie ricurve, i quali col loro modo di essere testimoniano che lo strato di cui facevano parte fu assog- gettato a potenti erosioni dovute molto probabilmente all’azione di sorgenti di acque acide. Infine egli afferma di aver trovato presso Velva un grosso blocco di calcare intercluso nella serpentina, e di avere osservato che al piano di contatto fra le due rocce queste aderivano forte- mente tra loro. Isseu — La questione delle serpentine è assai complessa e può essere considerata sotto aspetti assai diversi. Per soddisfare al desiderio espresso dal Presidente, toccherò solo di pochi punti circa i rapporti della serpentina colle rocce dalle quali suol es- sere accompagnata e mi limiterò all’ esposizione dei fatti, senza accennare ad alcuna teoria od ipotesi. Come già disse il mio collega ing. Mazzuoli , le serpentine costituiscono nella Liguria orientale dei letti irregolari interstra- tificati fra formazioni indubbiamente eoceniche. Talora sono in contatto con scisti e calcari inalterati, talora con vere rocce me- tamorfiche, come diaspri e ftaniti, talora con rocce cristalline (ou- fotidi, diabasi, varioliti) da noi denominate anfimorfiche. Era questo, l’eufotide presenta uno sviluppo grandissimo e merita particolare attenzione. Disgraziatamente questa roccia fu quasi sempre confusa dai geologi colla serpentina propriamente detta, fu cioè associata — 19 — alla medesima nelle carte geologiche sotto una tinta convenzio- nale comune e nelle indagini relative alla genesi e alla strati- grafìa le due rocce furono considerate come una cosa sola. Credo che tale confusione sia stata esiziale allo studio che ci occupa e valga a spiegare, almeno in parte, le gravissime divergenze dei geologi. Mentre la serpentina si trova bene spesso in contatto coll’eufo- tide, è però quasi sempre separata da essa mediante piani di con- tatti ben netti e se ne distingue facilmente. È ben vero che alcune volte l’eufotide presenta una alterazione particolare per la quale i suoi elementi si convertono in serpentina o in steatite; ma si tratta di un fenomeno locale, di un accidente che si manifesta in cam- pioni di piccole dimensioni e non interessa la massa rocciosa. In un tratto della regione esplorata, presso la Baracca, vi ha come un miscuglio caotico di massi delle due rocce che a tutta prima può destar l’idea di confusione; tuttavolta anche in questo punto la serpentina e l’eufotide sono nettamente distinte e con- servano la propria individualità. All’ incontro -1’ eufotide passa per graduate transizioni alle rocce diabasiche e agli scisti argillosi e ciò non in via d’ ecce- zione, ma in molti punti e in modo evidentissimo. Io ebbi occa- sione di verificare più volte questo fatto lungo il Bargonasco, anche nell’interno delle gallerie di miniere. In altre parole l’eufotide si può dire geneticamente e stratigraficamente connessa alle rocce stratificate e non alla serpentina propriamente detta. Consimili osservazioni sarebbero a farsi riguardo alle rocce diabasiche e in particolar modo in ordine al cosidetto gabbro rosso. Queste rocce inoltre presentano frequenti passaggi alle eufotidi, colle quali sembrano intimamente collegate. Apparisce dalle se- zioni che lo stesso strato o complesso di strati in un punto risulta di scisti, poco innanzi passa al gabbro rosso, quindi alPeufotide. A ninno poi sfuggirà l’importanza della coincidenza già se- gnalata dall’ing. Mazzuoli, cioè del fatto clic in prossimità di tali rocce cristalline, così strettamente connesse a quelle di sedimento, si trovano nei calcari profondo erosioni dovute evidentemente ad acque minerali. Nella Liguria orientale i giacimenti ramiferi, sia in masse, sia in filoni, sia in compenetrazioni, si trovano il più delle volte nel gabbro rosso e rocce affini e neU’eufotide, presso i contatti fra queste rocce da una parte e la serpentina dall’altra; nella serpentina s’incontrano assai raramente. I filoni corrispondono non di rado agli stessi contatti. La ganga dei filoni ramiferi risulta di quarzo, di calcare e |ii ìi comunemente di una materia serpentinosa detritrica che si deno- mina impropriamente serpentina, ma non è tale nel senso geolo- gico. Si tratta di una roccia rigenerata che sta alla serpentina come l’arcose sta al granito. Allorché il mio collega ing. Mazzuoli dichiarava eoceniche le serpentine della Liguria alludeva soltanto a quelle della Riviera di Levante. A ponente di Genova vi sono serpentine più antiche, generalmente interstratificate nei talcoscisti. La prima emersione serpentinosa che s’incontra a ponente di Genova sembra però eo- cenica. La linea di separazione deve esistere fra il Varenna e il Chiaravagna. Nella serpentina antica non esistono miniere ramifere, ma in alcuni punti, per esempio ad Arenzano, non mancano tracce di rame. Dirò ancora, poiché ho la parola, che la regione più oppor- tuna per lo studio delle serpentine è il territorio di Sestri Levante. In alcuna altra località questa roccia si presenta con maggiore sviluppo e in modo più istruttivo. Colà una sola massa misura 12 chilo- metri e o di lunghezza e 2% di larghezza massima, con una spessezza minima di un centinaio di metri. E si noti che le stratificazioni e i letti interclusi essendo raddrizzati, appariscono soltanto nelle testate. II dott. De Stefani dice che, limitandosi all’Appennino, v’hanno rocce serpentinose almeno di tre epoche, paleozoiche, triassiche, ed eoceniche ; non si accorda perciò con un recente lavoro dell’ ufficio geologico che ne distingue due sole. Serpentine paleozoiche si trovano soltanto nelle Calabrie: d’ac- cordo con Tchihatclieff e Lovisato e diversamente dal Tarameli^ dice che esse fanno parte della zona degli sciasti cristallini costituita da svariatissime rocce e sovrastanti al gneiss antico, che è la roccia più profonda di quelle regioni. Quella zona sottostà a rocce cer- tamente carbonifere ma probabilmente in parte anche più antiche, e di essa fan parte eziandio le dioriti delle Calabrie meridionali e settentrionali. - 21 — Il De Stefani indica un taglio che si può osservare presso /simigliano (Catanzaro), nel quale si vedono serpentine ed eufotidi non in dighe plutoniche ma in masse e banchi regolari in mezzo agli schisti cristallini. Le serpentine di Voltri e Sestri — ponente, nella regione più settentrionale dell’ Apennino, indicate da alcuno come prepaleozoiche appartengono invece all’ Eocene. In mezzo agli schisti cristallini si trovano invece le serpentine della Corsica che la carta d’Italia recentemente pubblicata mette in mezzo a terreni cretacei contro l’opinione dei più recenti geologi francesi, coi quali si accorda pure il De Stefani. Delle serpentine della Basilicata, che il De Giorgi ritiene cre- tacee, non potrà parlare, non conoscendole. Nell’Italia centrale, al M. Argentaro (Calagrande e Calamo- resca), al Giglio e nella regione orientale dell’Isola Elba, sono ser- pentine ed altre rocce concomitanti racchiuse entro filladi appar- tenenti al trias superiore. Cita uno spaccato di Calagrande nel quale si vede la roccia serpentinosa in piccolissimi strati regolar- mente ed evidentemente alternanti cogli schisti sedimentarli; accenna alle ragioni per cui ha attribuito questi al trias superiore e ri- corda che pure il Lotti ha giudicato triassiche le serpentine del M. Argentaro. Quanto alle serpentine eoceniche dell’Apennino settentrionale ripeterà quel che ha detto ne’suoi passati lavori, rimettendosi a questi anche per la designazione sommaria del territorio da esse occupato. 11 De Stefani dice che dall’ Umbria e dal Lazio alla Liguria, come pure nelle isole dell’ Elba e di Gorgona le rocce serpentinose occupano un orizzonte costante; espone le ragioni per cui egli attribuì quest’orizzonte all’Eocene superiore (escluso il Ton- griano di molti geologi) e dice che quelle rocce stanno sopra la zona dei calcari marnosi ad Heminthoidea labyrinthica IL, e di pre- ferenza in mezzo alle rocce argillose. Delle rocce dell’Apennino indicate come serpentine , un quarto solamente può conservare questo nome, essendo le altre rocce, diabasi, eufotidi, graniti tipici, graniti cloritici. ecc. Nelle varie regioni poi vi è la prevalenza dell’ima o dell’altra delle rocce indicate. Sovente però si trovano insieme ed alternano anche E una con l’altra, ma con regolarità ed in banchi distinti, specialmente se si prescinda dai movimenti più o meno recenti che ne hanno alterati i rapporti ; il qnal fatto, secondo il De Stefani, mostra la reciproca indipendenza di quelle rocce ed accenna alla loro successiva emersione in periodi diffe- renti. Come uno dei tanti esempii in cui si verificano queste cir- costanze, cita l’alte manza delle diabasi, dei graniti, delle serpentine, delle eufotidi, delle ranocchiaie nel Bosco di Villa (Massa). A schia- rimento delle rocce appellate Gabbro rosso , il De Stefani dice che esse sono formate per alterazione dovuta ad acque' superficiali o interne delle diabasi tipiche. Quelle rocce formano nelle varie regioni delle masse centrali, grandiose ed alte, nelle quali si verificano i fenomeni sopra accen- nati; alla periferia queste masse vanno diminuendo di potenza e si vanno sperdendo; nei limiti più esterni terminano con lembi pic- colissimi ed isolati e con conglomerati sempre più sottili ; questi fatti accennano alla esistenza di varii centri di emersione, quali si verificano per le rocce basaltiche e trachitiche odierne o pei porfidi permiani delle Alpi. In ogni regione si verificano numerose ed evidenti alternanze di queste rocce con le rocce eoceniche sedimentarie ; le quali alter- nanze hanno luogo molte volte, specialmente alla periferia delle masse maggiori, fra strati sottilissimi. In ogni luogo poi, entro le masse e negli strati sedimentarli coetanei, si trovano tufi o conglo- merati, grossolani o sottili, più o meno regolari, dei quali fan parte tutte le rocce indicate (diabasi porfiriche ed afanitiche, eufotidi, serpentine, ecc. ecc.) che per conseguenza erano allora già formate, tanto più che i cristalli delle diabasi porfiriche , delle eufotidi, dei graniti sono interrotti e spezzati alla superficie dei conglome- rati. A simili conglomerati si debbono attribuire le spiliti ed una gran parte delle oficalci. De Stefani soggiunge che in nessun luogo sinora ha potuto osservare dighe plutoniche di quelle rocce in mezzo alle rocce sedimentarie. Se in qualche luogo esse sono chiuse dentro strati anche arenacei che potrebbero accennare a mari non molto profondi, merita però d’ essere ricordato il fatto che moltissime volte esse alternano anche in strati sottili con diaspri più o meno manganesiferi, che secondo gli stridii del Pantanelli e secondo le osservazioni del De Stefani, non sono rocce metamorfiche ma sono costituite da resti di radi otarie e dovettero essere for- mati a grandissime profondità. Anche i calcari compatti orniamosi, che accompagnano le rocce serpentinose e le altre concomitanti, sono interamente costituiti da foraminifere e da altri corpi orga- nici che accennano pur essi a profondità non piccole. Molte volte dei piccoli strati calcarei alternano in mezzo a grandi masse di diabasi e serpentine, e vi sono spezzati ed in frantumi isolati che però conservano rallineamento primitivo e provano che l’interru- zione nella stratificazione si deve a movimenti interni successivi. Non si trovano tracce di alterazioni ignee nelle rocce stratificate contigue alle diabasi, serpentine, ecc. : le sole alterazioni reci- proche sembrano dovute al passaggio di acque ricche di materie tolte alle rocce prossime in tempi più o meno recenti e poste- riori alla loro formazione. 11 De Stefani, aggiungendo alcune conclusioni nuove a quelle già pubblicate nei suoi studii passati dal 1870 in poi e confer- mate dai recenti lavori, dice che : I. Nell’Apennino sono rocce serpentinose almeno di tre epoche, cioè: 1 dell’Eocene superiore, 2 del Trias superiore, 3 del Paleo- zoico. Ninna di tali rocce si trova nella zona cristallina più antica. II. Tutte queste rocce formano zone e banchi regolari in mezzo a rocce sedimentarie. In nessun luogo sono state trovate fin qui sotto forma di dighe plutoniche. III. Le varie specie delle rocce serpentinose e delle rocce non sedimentarie che le accompagnano sono distribuite in zone regionali ed alternano reciprocamente in banchi regolari. IV. Nelle medesime possono distinguersi varii centri di emer- sione, la cui periferia è limitata da conglomerati. V. Almeno i tipi principali delle diverse rocce indicate (ser- pentine, diabasi, eufotidi, graniti, ecc.) apparvero tali quali fin dalla loro emersione. VI. In gran parte dei casi, le rocce sedimentarie che accompa- gnano le rocce suddette vennero formate entro mari molto profondi. VII. Non si conosce finora verun caso di metamorfismo ìgneo nelle rocce sedimentarie a contatto delle rocce anzidette. L’ing. Capacci si restringe a parlare esclusivamente dei fatti geologici e litologici chiaramente constatati al Monteferrato, presso Prato in Toscana e che furono per parte sua l’oggetto di uno studio di dettaglio ('). Al Monteferrato la massa olìolitica si presenta sotto forma di un’amiddala intercalata fra gli strati eocenici, in perfetta con- cordanza con questi. Gli strati eocenici sono quivi formati da banchi alternanti di schisti galestrini e di calcare alberese e talvolta con associazione di qualche banco di arenaria. La massa olìolitica mostra evidentemente di appartenere al- l’eocene. Le varie rocce che costituiscono la formazione olìolitica, cioè la serpentina, l’eufotide, il gabbro rosso, la diabase e tutte le altre rocce affini, si presentano sotto forma di masse lenticolari o di con- centrazioni ami ddaloidi . Così ad esempio l’eufotide è costituita da una lente, la quale trovasi intercalata fra due masse, pure lenticolari di serpentina. La Diabase è formata in masse isolate, situate più special- mente presso al contatto dell’eufotide colla serpentina. 11 gabbro rosso ci si offre in amiddale assai stiacciate, sul contatto delle ftaniti colla serpentina, tanto al disopra quanto al disotto di questa. Le oficalci occupano zone non molto estese e di piccolo spes- sore, situate sempre però sul contatto della serpentina colle ftaniti. I grès ed i conglomerati serpentiuosi trovansi spesso a con- tatto della massa serpentinosa. Le ftaniti sono distribuite secondo zone saltuarie sopra e sotto la massa serpentinosa, sul contatto di questa, ed in perfetta con- cordanza cogli strati eocenici adiacenti. Nei tratti ove mancano le ftaniti sul contatto, l’amiddala ofio- litica trovasi al disopra ed al disotto in intimo ed immediato contatto colle rocce eoceniche, alberesi e galestri, i quali hanno tutti i loro caratteri distintivi spiccatissimi e non presentano nessuna traccia di alterazione o metamorfismo. Passando ora all’esame litologico, e lasciando da parte le rocce (') La formazione ofìolitica elei Monteferrato presso Prato (Toscana). r>ol- lettino del r. Comitato geologico, anno 1881, n. 1-8. tipiche come la serpentina, l’enfotide, la diabase, il gabbro rosso ecc. le quali si presentano con tutti i loro caratteri distintivi non solo, ma anche con ricchezza di varietà, è interessante citare i princi- pali esempi di passaggi di una roccia all’altra, che possono vedersi chiarissimamente nel Monteferrato. L’ eufotide passa insensibilmente alla diabase per la trasfor- mazione del diallaggio in augi te. Analogamente vedesi l’eufotide passare alla diorite per la tras- formazione del diallaggio in orneblenda. L’eufotide inoltre fa passaggio ad una vera e propria serpentina, allorché il feldspato comincia ad arricchirsi in magnesia per divenir poi serpentina, mentre il diallaggio rimane inalterato. Un’ultima trasformazione dell’eufotide si osserva allorché il feldspato si trasforma in saussurrite; il diallaggio diviene una vera e propria steatite, e la roccia é poi compenetrata in ogni senso da venuzze di talco, in modo da assumere i caratteri di un’euri- talcite. È evidente inoltre il passaggio che il gabbro rosso fa alla diabase ed alla diorite, nelle quali rocce poi alcune parti assu- mono il carattere variolitico, mentre altre passano alla borzolite. La serpentina passa insensibilmente all’ofi calce per l’arricchi- mento della sua massa in calcite, la quale poco a poco la compenetra. Chiaro infine è il passaggio degli schisti galestrini alle ftaniti e delle argille ai diaspri. Tali sono i principali caratteri geologici e litologici i quali si presentano ‘con somma chiarezza e precisione nel Monteferrato di Prato. Daubrée. — I fatti precisi su i giacimenti dei serpentini che furono esposti dai nostri colleglli italiani sono estremamente istruttivi e mi dispensano dal ritornare su questo argomento. Ma credo dover toccare la questione delicata della origine di questa roccia, e sono dispiacente di trovarmi in disaccordo con le idee state emesse dal mio dotto amico il sig. Sterry Hunt. Per il sig. Hunt i serpentini sono depositi sedimentari dovuti alla precipitazione di silicati magnesiaci determinata dalla presenza di silicati solubili, alcalini o calcici, nell’acqua di mare provvista di sali di magnesia. Questi silicati solubili possono essere stati portati o da fiumi o da sorgenti termali. — 26 La presenza così abbondante del peridoto cristallino, che per ogni sorta di gradazioni passa alla serpentina, non sembra all’au- tore incompatibile con la sua ipotesi. Invece di considerare il fatto come una prova che la serpentina deriva allora da una roccia peri- dotica, il sig. Sterry Hunt spiega questo legame intimo ed evidente di parentela dicendo che anzi è il peridoto che deriva dal silicato idrato primitivo, e che P anidrite aneli’ essa può risultare dalla disidratazione del gesso. Se la serpentina avesse questa origine, pare che essa dovrebbe formare depositi (nappes) più frequenti, invece di occorrere in re- gioni fratturate. Neppure si vede il perchè la serpentina sarebbe ovunque priva di fossili. 10 ho molto studiate le azioni delle sorgenti minerali e sono convinto della parte importante che hanno esercitata nella crosta terrestre, non solamente nella formazione dei giacimenti metalliferi ma anche in quella dei terreni sedimentari. Nonostante sono per- suaso che nella questione presente la loro influenza è stata di molto esagerata. Anzi tutto importa rammentare le condizioni caratteristiche nelle quali si presenta il peridoto, specie minerale che tanto spesso ha lasciate le sue vestige nella serpentina. Si sa che i basalti, di cui non è più contestata la origine eruttiva, contengono peridoto in masse spesso voluminose che sem- brano essere state strappate dalle regioni profonde del gioito. Inoltre il ‘peridoto abbonda nelle rocce meteoritiche, le quali spesso ne sono formate per la metà del loro peso. Ora in queste masse cosmiche esso è associato a minerali, come 1’ enstatite, il ferro cromato, il ferro nativo, che sono tanto poco di origine acquea quanto i basalti. Niuno d’altronde ignora quanto è grande la tendenza del peri- doto a formarsi e cristallizzare per via secca; i suoi cristalli na- scono ad ogni momento nelle scorie delle fucine, con una facilità tanto più significativa da che mai, almeno fino ad ora, si è veduto produrre per via umida. Delle rocce costituite da silicati anidri, labradorici e piros- senici, sono strettamente associate alla serpentina. Per quelle, meno ancora che per questa, si potrebbe invocare una origine acquea. 11 ferro cromato, altro compagno sì frequente della serpentina, fa testimonianza nel medesimo senso, tanto per i suoi caratteri di giacimento quanto per la riproduzione artificiale che Ebelmen ne ha ottenuta. Così è anco delle pepiti di platino incassate col ferro cromato nelle masse serpentinose degli Urali. Se vuoisi realmente trovare nei giacimenti serpentinosi notizie sulla loro origine, bisogna rivolgersi a terreni ove azioni meccani- che, calorifiche e chimiche intense non hanno ulteriormente, come negli schisti cristallini, profondamente cancellato o modificato i caratteri generali. La coincidenza con la stratificazione, sì spesso menzionata, non può essere invocata come un argomento contro l’origine eruttiva; soprattutto dopo l’esito della celebre discussione, a cui hanno preso parte i più grandi geologi durante un mezzo secolo, sull’origine dei depositi (noppes) di basalte, di frappi, di porfido felspat.ico. È la stessa cosa della disposizione delle lenti di serpentina intercalate negli scisti e in conformità delle lamine di questi. Si sa ora come si è prodotta la schistosità, da che se ne sono spe- rimentalmente riprodotti tutti i caratteri. Nelle laminazioni che hanno dato luogo a questa struttura tutte le masse associate che non erano affatto rigide, fossero esse o no di origine eruttiva, hanno necessariamente prese disposizioni concordanti. È ciò che ne atte- stano le rocce di Decille nelle Ardenne, ove la schistosità è comune e alle filladi siluriane e a rocce di cui l’origine è certa ('). Occorrono d’ altronde molti casi in cui la serpentina attesta in modo indiscutibile l’andamento delle masse intercalate. Il fatto che le serpentine sono idrate ha la sua analogia in altre rocce eruttive; come i basalti, certi argillofiri e i caolini pegmatiformi. L’ idratazione è il risultato di una seconda fase nella storia della roccia, sia posteriore, sia anteriore alla uscita di lei. In quanto al meccanismo stesso di questa idratazione esso è completamente illustrato dalle esperienze in cui 1’ acqua sovrari- scaldata ha trasformato il vetro in silicato idrato (5). Quindici anni fa le rocce peridotiche neppure erano menzio- (’) Daubrée, Sur Ics roches crismali, subor donnés au terrain silurien de l'Ardenne francaise ■ — Bulle!, de la Soc. Géolog de Franco; Sèrie. T. V, p. 106. 1876. (:) Daubrée, Eludei synthétiqver de gioloyie expérimenlale. Première partie. Paris 1879, pag. 158. — 28 — nate nella classificazione delle rocce. In conseguenza delle forti analogie che uniscono le rocce meteoritiche alle rocce terrestri io aveva emessa l’idea (') che il peridoto doveva abbondare nelle rocce profonde. La facilità con cui esso, a motivo della sua natura essenzialmente basica, si decompone a contatto di rocce silicee più acide potrebbe spiegare la sua supposta rarità nelle rocce che giungono alla superficie. Nonostante d’allora in poi è stato riconosciuto dapertutto; in Norvegia, in vari paesi della Germania, dell’ Austria-Ungheria, della Spagna, della Nuova Zelanda, della Nuova Oaledonia, sia in masse recentemente scoperte , sia in rocce di cui era stata mal determinata la natura. Adunque ora non manchiamo più di rocce magnesiache anidre che in certo modo formano il contrapposto della serpentina. Szabò. — Come vi sono molti minerali, i più magnesiaci, di cui la trasformazione in serpentina è nota, così vi è una grande varietà di circostanze per le quali può aver luogo la serpentiniz- zazione delle rocce. La maggior parte delle serpentine è antica, ma non mancano serpentine di cui è incontestabile l’età terziaria. Ho l’onore di fare una comunicazione sopra alcune serpentine deH’Ungheria e della Serbia, il di cui giacimento mi è più o meno noto. Serpentina terziaria. Nel Banato (’) vi sono serpentine che si sono formate in un calcare cristallino contenente magnesia. Questo calcare si trova a contatto con una roccia eruttiva felspatica a biotite e quarzo. 11 calcare è cretaceo, e poiché la roccia eruttiva si è aperta la via attraverso i depositi cretacei, anche superiori, essa è terziaria ; io la considero come trachite micacea quarzifera (a andesina). È il tipo trachitico antico di cui l’eruzione può essere avvenuta durante il periodo dell’ Eocene superiore o del Miocene inferiore. In questa località i depositi eocenici mancano; soltanto sap- piamo che la eruzione ò anteriore al miocene medio (mediterraneo), ma posteriore ai depositi cretacei. (') Daubréc, Éxpcriences relalives aux météoriiet. Bull, de la Société geo log. de Trance, T. XXIII, -2me sèrie. 1866 (p. 391). (’) Nel S. E. dell'Ungheria, comitato di Krassò a Moraviera, fra Bokga e Dagnougka; miniere di ferro «Jupiter» nella montagna calcare di Daniel. — 29 — La serpentina si trova talora sola in vene o filoni, ò di un colore verde chiaro, di una sostanza omogenea, a struttura com- patta o radiata, la composizione chimica rivela una serpentina tipica; essa nei minimi dettagli rassomiglia la serpentina di Zer- inatt (Schweitxerite e Chrysolite) analizzata da Menz. Talvolta è associata agli altri minerali formati nel calcare cristallino per l’azione delle acque contenenti gli elementi neces- sari a generare un metamorfismo chimico ; cioè alle augiti raggiate di un color chiaro, alla Wollastonite, al granato (grossularia), alla vesuviana, e principalmente alla Ludwigite che si trova ora nei filoni di magnetite, ora disseminata nel calcare. Nel primo caso fra la massa della Ludwigite e la massa del calcare si trovano mucchi di serpentina formati nel calcare; nel secondo la Ludwigite è sempre accompagnata dalla serpentina. Adunque fra la Ludwigite e la serpentina vi è una correlazione genetica. Gli elementi di ferro, di magnesio, degli acidi borico e silicico sono stati portati dalle acque e hanno dato origine alla magnetite, al borato anidro di ferro e di magnesio (Ludwigite), o all’ idrosilicato di magnesio appena colorato dal ferro (serpentina), mentre la parte corrispon- dente di calcio è stata sottratta per formare altrove combinazioni calciche. La serie paragenetica può benissimo essere stabilita. L’alterazione chimica comincia sempre nelle fenditure del calcare, e la serpentina è sempre quella che si forma la prima; nella massa della serpentina, di un verde molto chiaro, si colloca se- conda la Ludwigite, e nella massa nera e di splendore non me- tallico della Ludwigite il ferro, non trovando acido borico, si è deposto come magnetite formandovi grani di splendore metallico. Se le acque non hanno portato in quantità gli elementi del ferro e dell’acido borico, il magnesio e l’acido silicico contenuti nell’acqua hanno prodotto soltanto la serpentina. Nel caso incili il calcare cristallino è poroso, la serpentiniz- zazione non si è limitata alle parti vicine alla fenditura, ma si diffonde nell’interno e ne risulta un ammasso piìi o meno globu- lare della serpentina. In questo caso la serpentina è accompagnata anche dalla Ludwigite e dalla magnetite. È dunque una serpentina d’origine terziaria che sta forman- dosi per il metamorfismo chimico di una roccia d’origine nettuniana. Un giacimento simile è conosciuto anche nel terreno trachi- 30 — tico dei dintorni di Seliemnitz. A Hodritsch al contatto del tipo trachitioo antico (di un aspetto sienitico) il calcare magnesiaco si è trasformato talora in serpentina, talaltra in oficalcite. Serpentina antica. Sulla riva destra del Danubio nel sud della Ungheria a Petervaradino s’ incontra una montagna di ser- pentina che fa una punta ardita nella grande pianura. Nella massa di questa serpentina ha avuto luogo una piccola irruzione di tra- udite micacea ; è dunque un caso in cui la trachite antica è eviden- temente più recente della serpentina omogenea di Petervaradino. Nella Serbia, passando da Belgrado nel centro del paese nella direzione di Eragujevatz, occorrono delle serpentine, ed io ho in alcuni siti osservato gli stessi contatti di una trachite micacea e della serpentina : la trachite nel suo movimento verticale dal basso in alto ha traversato la serpentina, e l’azione vulcanica nel con- tatto è visibile per un colore più forte e per delle bolle di gas nella massa della serpentina, prodotte dalla formazione di un silicato di ferro acidulato anidro e la volatilizzazione di una parte del- P acqua. Modo di formazione. Rispetto al modo di formazione la ser- pentina, per quanto io ne conosco, è in ogni caso il prodotto di un metamorfismo chimico. La serpentina, come tale, non è mai erut- tiva. Ma la roccia originaria può essere stata in alcuni casi una roccia sedimentaria, in altri una roccia eruttiva. Le serpentine caratteriz- zate per la presenza di un felspato quasi sempre calcico sono per la massima parte di origine eruttiva (gabbro, diabase, melafiro ecc.) nelle quali la serpentinizzazione è incominciata così. Da principio sono i minerali magnesiaci neri che soccombono all’ azione degli agenti chimici; il felspato, come minerale non magnesiaco, resiste più a lungo. Per l’azione continua delle dissoluzioni magnesiache anche i felspati finiscono per trasformarsi, tantoché il risultato è una serpentina più o meno omogenea, o almeno una roccia che non contiene più felspato visibile. Nelle serpentine di questa ori- gine l’analisi chimica segnala la presenza dell’ alluminio, ele- mento che non entra tanto facilmente nelle combinazioni solubili e che per conseguenza non ò trasportato così presto come gli altri elementi associati. Le serpentine omogenee possono dunque essere di origine eruttiva o di origine nettuniana. Le rocce originariamente eruttive 31 — possono subire questo metamorfismo in tutte le loro forme : cioè nelle loro masse eruttive, nelle loro masse irruttive e nelle loro rocce clastiche intercalate nella serie delle altre rocce sedimentari. 11 risultato finale è sempre lo stesso. La serpentina può dunque, rispetto al giacimento, avere la forma di una roccia massiccia, quella di una intrusione, di un dicco e finalmente quella di una roccia sedimentare. Le rocce originarie della serpentina possono essere state rocce felspatiche senza o con peridoto, rocce peridotiche senza felspato e finalmente rocce sedimentarie di varia composizione (schisti an- fibolie], augitici, cloritici, calcari e marne magnesiache ecc.). Se la serpentinizzazione è ancora incompleta si riesce talvolta a rico- struire la roccia originaria, come si fa con le griinsteine, le quali altro non sono che il prodotto di un altro genere di metamorfismo chimico di una roccia felspatica. I bisilicati ortorombici (enstatite, bronzite) sono prodotti for- mati durante il processo di serpentinizzazione. È possibile che alcuni giacimenti sembrino a primo aspetto enimmatici e che non bene si prestino al geologo onde facilmente decida in posto la origine della serpentina in questione; ma d’altra parte lo studio mineralogico dei cristalli pseudometamorfici e lo studio petrografico delle lamine sottili, ove così bene si può seguire lo « status nascendi » della serpentinizzazione dei minerali e delle rocce, ci forniscono prove incontestabili, che la serpentina è in ogni caso uno stato secondario della massa, e che nel suo giaci- mento non si vede che il giacimento della roccia originaria. 'Ò2 RIASSUNTO DELLA CONFERENZA (') fatta dal D.r T. STERRI HUNT Signori , Dopo l’onore fattomi d’invitarmi a presiedere questa riunione, nella quale voi avete esposto cosi sapientemente i risultati dei vostri studi sulle serpentine d’Italia , mi domandate di dichia- rarvi in poche parole le mie proprie idee sulla geognosia e la geogenìa delle rocce serpentinose. È un soggetto troppo vasto per venire riassunto nei limiti , entro i quali mi trovo ristretto , e richiederebbe per la completa discussione una serie di conferenze. 10 mi contenterò di fare solamente alcune considerazioni che ser- viranno ad indicarvi il mio modo di vedere nelle più importanti questioni sollevate dal problema delle rocce a base di serpentina. È ben noto che la specie minerale, alla quale si dà questo nome, è un silicato magnesiaco, idrato, di composizione assai ben definita, contenente delle quantità accidentali e variabili di ossido ferroso. — Questo silicato amorfo costituisce, esso solo, ammassi considerevoli, formanti vere rocce, ossia le ofioliti normali. Il più delle volte però la serpentina si trova unita ora con 11 diallagio, ora con altre specie appartenenti alla famiglia dei piros- senidi, col peridoto, col granato, ed anche col carbonato di calce e di magnesia, dando per queste ultime mescolanze le ofioliti cal- caree, le dolomitiche e magnesiache, che non bisogna confondere con talune oficalci, le quali sembrano essere di origine secondaria, e sono da riportarsi a brecce o conglomerati. Viene ora la questione dei rapporti geologici delle rocce otìoli- tiche, che nella maggior parte dei casi si trovano associate in un modo piìi o meno intimo colle rocce cristalline — dioriti, diabasi, anfiboliti, gneiss, granuliti, ed anche scisti cloritici, talcosi, mica- cei od argillosi, calcarie e dolomiti — . Ogni roccia nella crosta terrestre appartiene ad una delle seguenti categorie. — 1. Rocce (') Trad. dell’ ing. Meli. — 33 indigene, come sono le arginiti, i calcari fossiliferi, le arenarie, e le lave contemporanee, le quali furono tutte cleposte per strati successivi nei loro giacimenti attuali. — 2. Rocce esotiche, ossia che furono iniettate in uno stato più o meno plastico attraverso rocce più antiche, sotto forma di ammassi, di filoni, o di nappe intercalate. — 3. Rocce endogene, ovvero formate dalla deposizione acquea nelle fenditure, o nelle cavità, come sono i filoni metalli- feri, e quelli di quarzo, di calcite o di pegmatite. — La serpentina si trova qualche volta nei filoni nettuniani; resta a sapere se le elioliti, propriamente dette, debbano classificarsi tra le rocce indi- gene o le esotiche. La distinzione tra rocce indigene ed esotiche non corrisponde assolutamente all’ altra tra rocce nettuniane e plutoniche, poiché bisogna riconoscere entro sedimenti acquei 1’esistenza di strati di rocce ignee contemporanee, benché moltissime rocce, alle quali fu assegnata questa origine, siano probabilmente indigene. Le ofioliti, sono esse d’origine acquea e sedimentaria, od anche rocce plutoniche, sia contemporanee, sia posteriori alle rocce in- cassanti ? Fino a qualche anno fa tutti i geologi s’ accordavano nel porre le ofioliti tra le rocce d’origine plutonica, ma poiché per la loro composizione chimica, e per la natura idrata, differiscono molto dalle altre rocce, riconosciute come plutoniche, quali i ba- salti, le diabasi e i graniti, s’ immaginò che queste rocce potessero essere trasformate in ofioliti da un processo metamorfico, che con- sistesse in una aggiunta di certi elementi chimici, ed in una elimi- nazione di alcuni altri. Questa ipotesi di metamorfismo fu adottata da taluni geologi, che ammettevano in pari tempo l’origine indigena c nettuniana delle ofioliti, e le riguardavano come derivanti da una trasformazione dei calcari e delle dolomiti, od anche degli scisti anfibolici, o delle granuliti. La composizione eccezionale delle serpentine ha condotto un gran numero di geologi ad accettare queste idee metasomatiche che furono spinte ad esagerazioni poco probabili. Gfli intimi rapporti di composizione, che uni- scono la serpentina al peridoto, ed il fatto che in certe condi- zioni la serpentina sembra risultare da una trasformazione di questa ultima specie, ha condotto taluni geologi a riguardare tutte le serpentine come derivanti dal peridoto. Ma qui bisogna rimarcare che l’origine delle rocce peridotiche non è meno oscura di quella — 34 — delle serpentine, e clic ammettendo del tutto che il peridoto può formarsi per via ignea, è da avvertirsi che le rocce composte es- senzialmente di peridoto, sono evidentemente indigene, e possono benissimo derivare dalla trasformazione della serpentina, la quale per fusione ignea si convertì in roccia peridotica. Un buon numero di geologi moderni, tra i quali mi segno an- eli’ io, riguardano le ofìoliti quali sedimenti originari, formati come i gessi, le dolomie, le glauconie ed i minerali di ferro, in condi- zioni chimiche speciali. Quei depositi di silicato magnesiaco che colla loro aggregazione hanno dato luogo alle ofìoliti, si trovano intercalati in sedimenti della più svariata composizione, ora nei calcari e dolomie, ora negli strati feldspatici, anfìbolici, cloritici, tal- cosi, argillosi o silicei. — Risulta poi dai movimenti della crosta terrestre, fratturanti gli scisti più o meuo solidi , che le ofìoliti intercalate si trovino spostate , e presentino spesso una falsa ap- parenza di apofisi, come una roccia ignea. Un fenomeno analogo, d’altronde si presenta nel caso di certe altre rocce, come gli ossidi di ferro, ed anche in taluni casi, il carbon fossile. — La formazione delle ofìoliti ha avuto luogo in diversi periodi nella storia dei ter- reni stratificati, ossia le condizioni necessarie si sono riprodotte in parecchie epoche. Per mettere ciò in evidenza io mi limito a segnalare i diversi orizzonti geologici, in numero di cinque, nei quali ho potuto studiare le rocce ofiolitiche nell’America del nord, co- minciando dal più antico. 1. La,urenz!ano. I terreni formati dei gneiss, ai quali, 27 anni fa, si era dato il nome di laurenziani, si dividono in due parti, — un gneiss granitoide, che costituisce la serie inferiore, apparen- temente senza calcare, ed una serie superiore, parimenti granitoide, intercalata alle quarziti, ed alle calcarie cristalline. Queste due divi- sioni sono comprese in quello che Logan aveva segnato sulle sue carte geologiche per Laurenziano inferiore. — La serpentina si trova spesso disseminata nelle calcarie laurenziane, nelle quali essa riempie le camere dell’ Eozoon Canadense, e presenta inoltre belle varietà di oficalce granulare, e degli ammassi, qualche volta di un metro di diametro, di serpentina pura, spesso associata ad animasi di piros- sene. Le serpentine del terreno laurenziano sono ordinariamente di un colore più pallido, e sono piìi idrate che le altre dei ter- reni meno antichi. * 35 — ÀI Laurea ziano succedono due terreni importanti — il Noviano o Labradoriano (Laurenziano superiore di Logan) composto in gran parte di rocce granitoidi, o gneissoidi a base di feldspato anor- titico, qualche volta passanti alle varietà di gabbro o d’ iperste- nite. — Intercalati in questo terreno si riscontrano i veri gneiss, come anche i calcari cristallini, che racchiudono talvolta la ser- pentina in piccola quantità e che' io cito solamente per memoria. — Viene in seguito il terreno Arvoniano, composto essenzialmente di rocce quarzo-feldspatiche del tipo del petroselce o dell’ halle- flint, che fanno passaggio ai porfidi quarziferi. Pino ad oggi, non vi si riconobbero rocce ofiolitiche. 2. Huroniano. Nel terreno huroniano, che succede all’ Arvo- niano in alcune località, ed altrove riposa in stratificazione discor- dante sul Laurenziano, le ofioliti si trovano sviluppate Isu di una vastissima scala. Esse vi sono d’ordinario associate in modo intimo a rocce eufotidiche, e diabasiche, come a scisti talcosi, cloritici, ed argillosi, ovvero ad altri scisti untuosi composti in gran parte di una mica idratata. Questo stesso terreno huroniano racchiude pure delle dolomie e magnesiti, che accompagnano spesso lo serpentine, e vi sono qualche volta frammiste. Le ofioliti huroniane si distin- guono per la presenza quasi costante del cromo e del nichel. 3. Montalbano. Il terreno che succede all’ huroniano è carat- terizzato da gneiss teneri a grana minuta, passanti da un lato alle granuliti, e dall’altro a scisti micacei, nei quali predomina la mu- scovite. Racchiude del pari molte rocce anfiboliche gneissoidi, e qualche volta strati di serpentina, i quali sono talora associati a rocce peridotiche. Le ofioliti appartenenti a questo orizzonte nel- l’America del nord sono ben caratterizzate. Però esse sono molto meno sviluppate che nell’ huroniano. 4. Taconicino. Il terreno taconiano, che occupa l’intervallo tra 1’ huroniano e la base del cambriano (che comincia colla fauna primordiale di Barrande) si compone in parte di quarziti con cal- carie cristalline, spesso magnesiache, e frequentemente di marmi sta- tuarii e cipollini. Associati a questi calcari si trovano gli scisti argillosi e micacei, talora con clorite, talco, e raramente piccoli ammassi di serpentina, che sono incassati ora negli scisti, ora nei calcari, dando luogo ad una varietà d’ ofìcalce. La facies di tutte queste rocce differisce molto da quella del terreno huroniano. — 36 — À questi quattro orizzonti d’ ofioliti, che ho riconosciuti e studiati nei terreni precambriani dell’ America del Nord, bisogna aggiungere un quinto, compreso nei terreni paleozoici e del quale non si conosce finora che un solo esempio. L’ofiolite in questione si trova a Siracusa nello Stato di New-York, intercalato nel gruppo d’Onondaga, nome locale, mediante il quale si designa una serie di sedimenti verso l’alto del terreno siluriano. Questo gruppo si compone di marne rosse e verdi, con sai gemma, gesso e dolo- mie, racchiudendo qualche volta solfo cristallizzato, come pure ferro oligisto. Gli strati, avendo una debolissima inclinazione, riposano in stratificazione concordante sui calcari fossiliferi e non hanno punto i caratteri dei terreni cristallini precambriani, ma vi si rinvenne tra due letti di dolomia porosa uno strato di eliolite, che era un tempo esposto per una distanza di più metri. Questa località, già studiata e descritta dal defunto prof. Vannu- xem, non è più accessibile da oltre 40 anni, ma io ho potuto averne dei campioni autentici, che non mancai di sottoporre ad esame. La roccia si componeva d’una pasta di vera serpentina di color pallido, contenente un poco di diallaggio e racchiudente dei frammenti di calcare grigiastro. Questo giacimento fa vedere che le condizioni favorevoli alla produzione delle ofioliti hanno durato lungo tempo, dopo il periodo della formazione dei gneiss, delle granuliti, delle anfiboliti e della maggior parte delle rocce composte di silicati, che caratterizzano i terreni eozoici. Infatti , come io feci vedere, l’ insolubilità relativa dei silicati magnesiaci determina la loro formazione e la loro deposizione per via umida in condizioni che hanno dovuto riprodursi spesso alla superficie del globo, come d’altronde ne fanno testimonianza i giacimenti di sepioliti c di materie consimili, che si trovano nei depositi sedimentar! anche di formazione terziaria. Mi sembra che bisognerebbe ammettere die gli strati di ser- pentina, di steatite ed anche di rocce peridotiche non abbiano avuto un’origine molto diversa da quella delle sepioliti, e che tutte queste rocce derivino da sedimenti di silicati magnesiaci modi- ficati da processi diagenici. È però da osservare che i silicati ma- gnesiaci dei terreni terziari della Francia e della Spagna, che ho po- tuto visitare, conservano ancora i loro caratteri di sedimenti terrosi, e non sembrano avere finora subito alcun cambiamento molecolare. — 37 — Questa osservazione ha ini interesse particolare per la geologia italiana, a causa delle rocce ofiolitiche trovate in certe parti d’Italia, ritenute da parecchi geologi come depositi contemporanei, inter- calati nella serie dei terreni eocenici. Vi sono tre possibili modi di riguardare le rocce ofiolitiche in questione: 1° come rocce d’ origine acquea, formatesi nelle indicate condizioni, e per conseguenza , contemporanee con le rocce che le accompagnano ; 2° ovvero, come rocce eruttive di origine ignea, lo che fu sostenuto da parecchi geologi, e le quali sarebbero state emesse a guisa dei basalti, salvo ad essere modificate da processi metaso- matici ; 3° od anche , come porzioni di un terreno più antico, mostrantesi attraverso gli strati eocenici, sia per causa delle condizioni della primitiva deposizione di questi ultimi, sia come risultato dei movimenti di ricalcamento e di dislocamento, che avrebbero accompagnato le ripiegature subite dai terreni eocenici. Io non sono partigiano della ipotesi della origine eruttiva delle otìoliti, giacché i miei studi fino al presente mi conducono a riguardarle tutte come indigene. Resta adunque a stabilire, secondo me, se le ofìoliti della Liguria e della Toscana siano depositi sedi- mentari del periodo terziario, paragonabili con le ofìoliti siluriane di New -York, ovvero se siano brani di un terreno inferiore, che si mostra, in seguito di perturbazioni stratigrafiche, in mezzo agli strati del terziario. Evidentemente è questione geognostica, la quale richiederebbe per la sua completa soluzione degli studi che richia- mano l’attenzione dei geologi. APPENDICE Dopo d’aver avuto l’onore di presentare le esposte considera- zioni alla Società geologica italiana, ho potuto visitare qualcuno dei giacimenti ofiolitici, che appariscono in mezzo all’eocene d’Ita- lia; visitai, cioè il giacimento dei dintorni di Sestri-Levante nella Liguria, ove fui accompagnato dal prof. GL Uzielli, e quello di Monte Ferrato presso Prato in Toscana, già sì ben descritto dal- l’ing. Capacci, il quale volle anche servirmi di guida. Tutto ciò — 38 — che ho potuto vedere in entrambi le località, mi porta a ritenere che le serpentine, del pari che i granitoni, i gabbri, le rocce epi- dotiche, ecc. non sono altro che brani d’un terreno antico stratifi- cato sul quale le ftaniti, i macigni, e l’alberese del terreno terziario si vennero a deporre in stratificazione discordante. Seguirono poi i movimenti della crosta terrestre, i quali dettero luogo a ripie- gature, ed a ricalcamento accompagnati talvolta da inversioni, e seguiti da erosioni nelle due serie. Tale maniera di vedere mi sembra la sola che possa render ragione dei fenomeni presentati dai giacimenti in questione. Questo antico terreno ofìolitico mi sembra identico alla serie delle pietre verdi, riconosciuta su d’una sì grande scala nelle Alpi e che, d’accordo col Gastaldi, io riporto allo stesso orizzonte del terreno huroniano dell’America del N, del terreno pebidiano del paese di Galles, del VUrschiefer della Scandinavia. Prima di lasciare l’Italia, io ho visitato, in compagnia del- l’onor. Sella, il Biellese, ove ho potuto accertare l’esistenza dello stesso terréno huroniano, apparentemente giacente sopra un gneiss granitoide, con calcare cristallino (serie che io riferisco al Lau- renziano); seguito da micascisti del terreno montalbano. Difatti queste tre grandi serie eozoiche sono molto bene sviluppate nel Biellese, e vi offrono le stesse condizioni caratteristiche deH’Ame- rica del Nord, o delle isole britanniche. 39 — SULLE SEEPENTINE Nota del prof. G. B. CHANCOUETOIS. Ho l’onore di indirizzare al segretario della Società geologica italiana alcune osservazioni, per le quali io non volli domandare la parola sul line della seduta di inaugurazione, temendo d’ illan- guidire, con semplici considerazioni d’ordine generale, l’impres- sione viva e favorevole, ricavata dalla esposizione dei fatti e delle teorie, concernenti le serpentine, tanto brillantemente svolti in quella seduta. Oltre le vene di serpentina, che si osservano con altri mi- nerali a contatto dei calcari, e di certe rocce eruttive della serie pirossenica, vi sono (ciò sembra messo fuori di dubbio dalla de- scrizione dei giacimenti italiani) masse serpentinose subordinate alle formazioni schisto-cristalline, ed altre masse decisamente eruttive. Lo studio litologico dei loro materiali, che mostrano avere i più intimi rapporti con le rocce peridotiche, è reso particolar- mente interessante, dapprima dalla natura stessa dei minerali ferro - magnesiaci, che occupano il posto principale, e poi dalla presenza di metalli essenzialmente croicolitici, sia combinati collo zolfo, o con l’ossigeno, sia allo stato nativo ; come anche dal notevole intervento del carbonio, che denotano almeno i carbonati calcarei e magnesiaci. Tutti questi fatti sono principalmente, se non esclusivamente, propri della serie delle formazioni eruttive dette pirosseniche , o basiche, ma la condizione dell’ idratamente della serpentina domina al certo tutti i rapporti. Quando, dunque, si tratta dell’origine delle rocce serpenti-, uose, credo conveniente il ricordare (lo che non mi sembra essere stato notato) che queste rocce son ben lungi dal presentare un caso unico di idratazione dei silicati integranti. Per non parlare da principio che delle rocce decisamente eruttive, farò rimarcare che le fonoliti ne offrono un simile riscon- — 40 — tro nella serie delle rocce eruttive, dette feldspatiche , o acide. Come le serpentine, le fonoliti hanno evidentemente fatto eruzione in uno stato di plasticità più o meno vischiosa, definita comune- mente dalla parola pastoso. Per le serpentine sarebbe meglio di impiegare il vocabolo cereo, che ricorda il loro aspetto. Al lato delle serpentine, si devono collocare , come masse minerali eruttive composte di silicati idrati, le Wacchie palago- nitiehe , più o meno scoriacee, apparse insieme sia con i mela- tiri od i frappi, sia con gli argillofiri più o meno tufacei associati ai porfidi od alle Euriti ,■ ovvero con le trachiti. Queste ultime categorie di materie minerali possono, è vero, in taluni casi essere riportate alle formazioni sedimentarie, che ne derivano, essendo i risultati della prima azione delle acque esterne sulle eruzioni operate in fondo ai mari od ai laghi, ma molte furono certamente emesse in uno stato fangoso, (lei quale un grande numero di vulcani fornisce il principio di spiega- zione, non dico già l’esempio, perchè bisogna accuratamente man- tenere, sotto ogni riguardo, la distinzione tra le eruzioni vulcaniche, e le eruzioni plutoniche anteriori. Le materie fangose eruttate dai vulcani sono il risultato delle emanazioni sviluppate durante i periodi di calma relativa, ove i crateri offrono le Solfatare. Glie il vapore acqueo, predominante in queste eruzioni, pro- venga direttamente dai magma fusi sottostanti, dai quali sarebbe cacciato per il progresso interno di solidificazione, come sembra avvenire nel raffreddamento delle lave , o che esso sia formato dalle acque, le quali venendo dalla superfìcie, avrebbero penetrato fino a questo magma, si comprende che la modificazione delle masse eruttive di materia pietrosa, prodottasi in seguito, più o meno presso la superficie nelle Solfatare, ha dovuto farsi del tutto internamente, allorché le eruzioni non erano ancora localizzate nei vulcani con carattere esplosivo, ed erano dei semplici trabocchi .determinati dalle crisi prodotte da movimenti della scorza terrestre. Di là le emissioni, delle quali le sostanze erano non solo idrate, ma di consistenza fangosa. Se relemento acqueo veniva a predominare in queste materie, elaborate al di sotto della scorza terrestre, i fanghi facevano pas- saggio necessariamente ad acque, più o meno torbide per i sili- — 4Ì — cati tenuti in sospensione gelatinosa, la cui considerazione, tra parentisi, finisce di stabilire la continuità nella seria eruttiva, cominciando dalle rocce propriamente dette, fino alle acque mine- rali, cariche solo di elementi in soluzione. Le acque minerali melmose non potevano mancare di river- sarsi all’esterno, anche da strette fenditure , fuori dei tempi di crisi, durante i periodi nei quali la crosta terrestre, lentamente deformata, si copriva di sedimenti regolari, ed esse dovevano effettuare depositi di silicati più o meno distinti dai depositi calcari, alimentati dalle acque che tenevano solo disciolto il car- bonato calcico. Molti depositi argillosi , intercalati in rocce sedimentarie hanno una sì grande rassomiglianza con le salbande dei filoni che io, da lungo tempo, e prima anche di avere accertato per alcuni di essi l’esistenza di camini di ascesa, ho ammesso e professato che essi avevano una tale origine. Gli studi micropetrografici, non limitandosi più alle rocce eruttive tipiche, vengono a confermare questo modo di vedere, e si dovrà, senza dubbio, restringere sempre più il ruolo litoge- nico dei fanghi eruttivi nella produzione di quei depositi che non acquistarono, come spesso lo si vede, i caratteri nettamente sedi- mentari, accusati sopratutto dalla presenza dei fossili, però a distanze assai grandi dai punti di emissione. T depositi glauconiosi devono, anche essi , avere avuto una tale origine. Non vedo dunque nel giacimento serpentinoso descritto dal sig. Sterry Hunt, e del quale le condizioni di giacitura escludono l’ idea d’ una eruzione massiva, che un deposito dello stesso genere, analogo del resto ai depositi di silicato idrato magnesiaco cono- sciuti nel piano terziario del calcare di S.4 Ouen , inferiore al gesso parigino. Ritorno ora alle masse serpentinose, a cui non può negarsi il carattere di roccia eruttiva. Riportandosi esse , incontestabil- mente, per la loro composizione alle rocce le più peridotiche , che formano, tutto lo fa pensare, dei magma ancora fusi a una certa profondità, segnano, in questo gruppo di rocce, a mio pa- rere, un primo grado dell’alterazione generale operata dalle sostanze emanate dalla parte superiore di magma interni di ogni specie. — 42 Questa alterazione è del medesimo ordine del metamorfismo, ma assolutamente contrastante perchè è originaria, per non dire preventiva, e al punto di vista litologica modifica le materie eruttive, ravvicinandole alle condizioni sedimentarie, mentre il metamorfismo, che si produce dopo la formazione dei depositi, tende al contrario a ravvicinare litologicamente le materie sedi- mentarie alle condizioni eruttive. Questa alterazione sta, in una parola, al metamorfismo, come l’andata al ritorno, e il suo carattere transitorio mi sembra bene espresso dal vocabolo di amorfismo suscettibile, se non m’inganno, di rendere nella terminologia geologica gli stessi servigi della parola metamorfismo e che può essere con eguale facilità adoperato. Proponendo tale vocabolo, io desidero almeno di richiamare l’attenzione sulle condizioni mine- rali, ordinariamente trascurate negli studi litologici , benché le masse, che le presentano, sieno spesso osservabili sul terreno. D’ordinario, si è soddisfatti d’ indicare le materie di queste masse, col nome di rocce alterate ed in molti casi assai male a proposito, perchè l’epiteto alterate implica la supposizione che esse sieno passate per lo stato di perfezione tipica di compat- tezza o di vetrosità, che sieno state cristalline ; mentre che , se il modo di costituzione osservato fosse originario, meriterebbero al contrario di essere chiamate rocce imperfette. È vero però che gli adenti atmosferici, a lungo andare, eser- citano sulle rocce venute fuori dall’ interno allo stato tipico effetti, che necessariamente producono materie analoghe alle masse originariamente imperfette: conviene ad esse del pari la denomi- nazione di rocce diamorfiche, poiché la disposizione alla condi- zione sedimentaria risulta in tal modo, tanto dall’alterazione, quanto dall’ imperfezione delle condizioni eruttive. La parola diamorfismo non avrebbe d’altronde, come il ter- mine metamorfismo, per iscopo di delimitare una categoria lito- logica, perchè le descrizioni di rocce diamorfiche non possono essere che corollari alle descrizioni delle rocce tipiche, nella stessa guisa che la descrizione dei depositi metamorfici è inseparabile da quella dei depositi non alterati. Ma, se si vuole contemplare l’enumerazione delle masse mine- rali, alle quali appartiene la denominazione proposta, bisogna ag- giungere alle menzionate tutte le masse eruttive brecciformi o — 43 conglomerate, e infine, da una parte le scorie, le pomici e le ceneri, dall’altra le sabbie caoliniche. Generalizzando la portata della denominazione nel senso di una condizione non più di passaggio, ma mista, può applicarsi alle masse scisto-cristalline, che almeno per la maggior parte olirono i risultati della solidificazione iniziale alla superficie del globo, che dovè allora essere fluida, dopo la quale solidificazione solamente ha potuto realizzarsi la divisione dei fenomeni geoge- nici , eruttivi e sedimeutarii, perchè il modo di formazione delle masse aveva per necessita un carattere incerto. L’apparenza stratificata delle formazioni di questo periodo preliminare può essere considerata come l’effetto d’una specie di sedimentazione. Per me i letti alternanti di natura diversa, risul- tano piuttosto dalla separazione degli elementi mineralogici, operata nella materia ancora fluida a causa delle proprietà specifiche di gravità, e di lievitazione fisico-chimica, principio delle emanazioni; separazione, che continuata in seguito sotto la corteccia già for- mata ìia determinato la divisione progressiva delle materie eruttive di natura diversa, ma che, allorquando avea luogo nel bagno, non ricoperto alla superficie dello sferoide regolare, e di più senza causa di localizzarsi, doveva produrre le zone orizzontali fissate poi dal raffreddamento. Comunque possa essere stato, le formazioni scistocristalline sono certamente passate per lo stato di fluidità, più o meno vi- schiosa, che bisogna ammettere per le prime formazioni eruttive. Ora, essendo un tale stato di fluidità di condizione idro-termale, niente v’ ha di più naturale che di riscontrare nel primo grado di diamorfismo, indicato dalla idratazione dei silicati, le materie, che tra le rocce eruttive offrono questo carattere. Le serpentine intercluse in giacimenti originariamente oriz- zontali colle formazioni scistocristalline del periodo preliminare, si presentano dunque, a mia opinione, in una maniera del tutto normale, ossia in perfetto accordo con la teoria, che fino al pre- sente permette di riunire nel modo più razionale tutti i fatti della storia del globo. Presentando tale teoria il difetto di non precisare le rea- zioni fisico-chimiche, che essa ammette, io non esito a dichia- ra re, non essere perciò appunto meno da consigliarsi, perchè i grandi — 44 — fenomeni naturali si producono nelle circostanze le più com- plesse, il cui apprezzamento resterà sempre congetturale per ciò che concerne l’ interno del globo; e, se allo scopo di perfezionare la fìsica e la chimica terrestre si deve, senza dubbio, prendere in considerazione ogni fatto sperimentale , che offra (come la importantissima reazione accennata dal sig. Sterry Hunt) qualche analogia con un fatto naturale, non si dovrebbe mai troppo badare a non stabilire una spiegazione geogenica su di una sola di queste esperienze da laboratorio, nelle quali le condizioni, essendo neces- sariamente riportate alla più grande semplicità possibile, corrono rischio per questo fitto solamente, di divenire non naturali. Per dimostrare la ragionevolezza della mia riserva, io credo che basti di ricordare come nella stessa conferenza, che mi ha dato campo di esporre le precedenti considerazioni, la imitazione delle meteoriti ottenute dalla riduzione ignea delle materie sefpentinose ha potuto essere interpretata in un senso direttamente contrario alPopinione del suo autore il sig. Daubrée, sui rapporti geogenici delle rocce peridotiche e delle serpentine. Quei miei colleglli, che sarebbero i più lontani dalla mia maniera di vedere, troveranno, almeno lo , spero , nella presente nota argomento per qualche utile osservazione, che sarò in tutti i casi felice di vedere accolta a titolo di contribuzione, provando il desiderio di unirmi al loro esordire nei lavori di una Società, nella quale io annovero numerosi ed antichi amici. Baden, 29 ottobre 1881. — 45 — DIATOMEAE IN SCHISTIS QUIBUSDAM MESSANENSIBUS DETECTAE. Intel- complura Messaiiensis Provinciae terrena ad Àevum ter- tiarium spectantia scliisti extant silicei (tr ipoli), quos zonae gypsi- ferae suppositos, ad mentem Cl. Stohrii, Tortonianos esse haud dubie affirmari potest. Dominus J. Seguenza, praeceptor meus amatissimus, atque Geologiae Calabro-siculae sedulus cultor, in libro suo, cui titulus : Le formazioni terziarie della Provincia di Reggio-Calabria (Ro- mae 1880), R. Academiae Lynceorum sumptibus edito, schi- storum talium mentionem habet, siqiiidem in Calabria quoque zonam gypsiferam observavit, illosque ulterius investigare, atque ad innumere in ipsis contenta fossilia recensenda, analysi subjicere microscopica pollicitus est ('). Quibus negotiis meipsum, haud din sane est, implicavit, dia- tomearum, quae in schistis messanensibus praedictis adsunt com- plurimae, studium mihi suadens; quod licet magni sit momenti, magnaque efficiat delectamenta, me asperitate sua nimia facile arcuisset, nisi illustrium quorumdam virorum auxilio roboratus, animos quodammodo assumpsissem. His in diatomeis prima quidem inquisitio earum numerimi e speciebus a Cl. Ehrembergio in farina fossili ( Kreidemergel ) Cala- tanixectensi detectis potissimum consistere testatili-; nam sequen- tes saepius occurrunt, quas notis geographicis illustratas exhibeo: Coscinodiscus linealus Ehr. (foss. in Virginia, viv. in Cuxhaven) » radialus Ehr. (foss. in Zante; viv. in Cuxh.) » radiolatus Ehr. (hab. in Peruvia) » centralis? Ehr. (foss. tantum in Calatanixecta) » Argus Ehr. (foss. in Virginia; viv. in Cuxh.) » minor Ehr. (foss. in Virg.; viv. passim in America) » eccentrìcus? Ehr. (foss. in Oran; viv. in Cuxh.) (') Uno stadio microscopico delle rocce di questa zona verrà pubblicato di unita allo studio dei terreni messinesi, di cui preparo da ben lungo tempo i materiali (pag. 166). — 46 — Aclinocyclus quaternarius Elir. (rarus; a Kutzing Bacili, ocler Dia- tom. non relatus) » quinarius Ehr. (rarus; a Kutzing non rei.) » oclonarius Ehr. (rarus; a Kiitz. non rei.) » biternarius Ehr. (foss. in Oran; viv. in mari septen- trionali.) Aclinoplycus senarius Ehr. (foss. in Graecia; viv. in mari Baltico et in America.) Melosira sulcata (Ehr.) Ktzg. (foss. in Zante et Algeri; viv. in America bor.) Cocconcma Crctac (Ehr.) Ivtzg. (foss. tantum) Odontidium pinnatum (Ehr.) Ktzg. (viv. in America bor.) Navicula major Ktzg. (viv. in aqnis dulcis Europae) Grammalophora africana Ehr. (foss. in Oran; viv. in Hélgoland) Hhabdonema arcuatum (Lyngb.) Ktzg. (viv in Europa bor., et America bor.) Surirclla rhomboidea Ehr. (fossilis tantum) » sicula ? Ehr. (foss. tant. in Calatanixecta) » paradoxa Ehr. (foss. tantum? a Kiitzing non refert.) Mcsaccna triangula Elir. (foss. tant.) Dictyoca Fibula Ehr. (foss. in Virg.; viv. ad oras Norvegiae) » mesophthalma Ehr. (?) » Spcculum (Foss. in Zante; viv. in mari septentrion.) Praeterea viventium aliorum reliquiae intersunt (rhizopodum imprimis et spongiarum); sed ex classe Bacillariarum species non- nullas ab illis adhuc usque detectis alienas non semel inveni. Porro , quum ex Ehrembergii tabulis (') maxima fossilinm pars antea memoratorum ad miocenicam periodimi tantum pertinere pateat, schistos de quibus agitur, miocenicos esse etiam palaeon- tologica ratione demonstratnr. Quod tarnen hactenus effeci commen- tarii cujusdam quo de fossilibus diatomeis Calabromessancnsibus plenius agetur, est inchoatio: latissimus itaque mihi patebit cam- pus, segetumque uberiorem copiam me collecturum esse arbitror. Dabam Messanae pridie Idus Septembris anno MDCCCLXXXI l).r Leopoldus Ni coir a (’) Fortsetzung dcr mikrogeologisphen Stmlicn (Boriili 1875.) I COLLI BEEICI DEL VICENTINO. Sunto Geologico di E. MOLON BIBLIOGRAFIA 1760. Arduino, Sui (lenii di coccodrillo al Colle della Favorita. 1769. Arduino, Effetti dei vulcani antichi nel Vicentino. 1778. Fortis, Della Valle vulcanico -marina di Ronca. Venezia. 1802. Fortis, Mèmoires pour servir a l'histoire na’;urelle. Essai da geologie du Vicentin. 1806-1819. Marzari-Pencati, Suo epistolario e note geologiche. 1818. Malacarne, Sulle scoperte geologiche del Co. Mar zar i Penanti sui colli del Vicentino. 1823. Brongniart, Mèmoires sur Ics terrains de sedimeli ts supericurs calcareo- trappeèn du Vicentin. Paris. 1828. Catullo, Sopra le peperili del Veneto. 1829. Murchison, On tlie relations of thè lerliary und secundarg Rocks forming thè Southern flanks ofthe lyrolese Alps neat Rassano (London, Ann. 1829). 1831. Pasini, Sull'epoca del sollevamento delle Alpi Venete. Ann. delle Se. del Regno Lom. Ven. 1831. Murchison, A sckelch óf thè slructure of thè Easlern Alps (Trans, of thè geol. 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La sua totale superfìcie potrebbe essere valu- tata mediamente in duecento cinquanta chilometri quadrati circa. — Questo gruppo resta staccato al Nord-Ovest dalla serie delle col- line terziarie prealpine per circa tre chilometri, sia che si prenda la minore distanza dai boschi di Altavilla a Montecchio Maggiore, sia quella fra Montebello Vicentino e il Monticello della Favorita. Resta del pari diviso dal gruppo dei colli Euganei per circa otto chilometri, tanto che si prenda la distanza fra S. Pancrazio e Bastìa, quanto da Villaga a Rovolon. Molte eminenze isolate sparse qua e là nell’ area infrapposta al gruppo Berico, al gruppo Euganeo, nonché al gruppo delle colline terziarie prealpine legano rispettivamente questi tre gruppi di modo che il gruppo Berico si lega al Nord tanto al Prealpino a mezzo del colle della Favorita fra Meledo e Montebello Vicen- tino, quanto fra Vicenza o Costabissara a mezzo dei colli della Crocetta, di S. Giorgio e di Monte Cucco, mentre al Sud-Est si legherebbe agli Euganei a mezzo dei colli di Montegalda, di Mon- ticello, di Albettone e di Lovertino. Le accidentalità vulcaniche occorse ai colli Berici nelle pas- sate epoche geologiche, colla emersione dei basalti e colla forma- zione dei tufi, diedero loro una fisonomia caratteristica che con- corse di molto al loro artistico paesaggio ed alla loro rara bellezza. Il suolo presenta le più grandi varietà ne’ suoi componenti mineralogici ed offre in generale la felice combinazione dei sili- 4 — 50 cati ai carbonati, di guisa che, pel naturale emendamento, si mo- strerebbe rimuneratore alle cure diligenti della industria agricola, prestandosi ottimamente alle più variate produzioni, fra le quali in via eccezionale risulterebbe squisitissima quella del vino, se una ben intesa fabbricazione traesse partito dalle sue naturali qualità. Le vallate principali, che ne intersecano il territorio, sono quelle della Liona, delle Valli di S. Agostino, di Debba e del lìumicello Brendola, ma in generale puossi lamentare una defi- cienza di acque specialmente nelle regioni collinesche. — Vi si tro- vano pure due piccoli laghi, quello di Fimon e quello della Fontega. Le condizioni ipsometriche e topografiche di questo gruppo permettono salite facili e di mite pendenza, per cui qualsiasi plaga avrebbe comodo accesso pegli usi agricoli. — Al Monte di S. Got- tardo ed al Monte di S. Giovanni presso Barbarano si hanno le sommità più elevate; però il secondo, che è piu alto del primo, per poco oltrepassa V altezza di metri 400. CAP. II. Sunto geologico Struttura. La grande frattura degli strati, già intraveduti da Murchison, da Pasini, dal De Schauroth e descritta nel 1868 dal prof. E. Suess, determina i generali profili tectonici del Vicentino. Essa, facendo angolo a Schio, dirigesi ad Est nella direzione di Bassano e Possagno, mentre da Schio, S. Libera di Malo, Castelnovo ed Isola di Malo dirigesi P altra linea verso Sud-Est presso Vicenza. Ora se prolunghiamo ancora questa seconda linea si toccano precisa- mente i lembi orientali tanto del gruppo Borico, quanto dell’Eu- ganeo, per cui restando per detta linea diviso questo territorio in due regioni occidentale Luna ed orientale l’altra, i due gruppi Berieo ed Euganeo sarebbero ambedue compresi nella regione occidentale. Veggasi a maggiore schiarimento nella Tavola I." il Tipo d’avviso — in ragione di M. 1, 00 per M. 384,000. preso sulla Carta topo- grafica militare, nella scala di M. 1, 00 a 288,000. — In esso vennero tracciate in rosso le due linee di frattura: OM da Schio a Possagno, ed ON da Schio a Vicenza ed oltre fino agli Euganei. 51 — Soltanto ora si trova di osservare che, prolungata in P la linea ON verso Nord-Ovest, si andrebbe ad incontrare in direzione quasi normale l’asse delle Alpi Betiche. Dalla ispezione di detto tipo rilevasi inoltre che l’ Idrografia stessa del territorio Vicentino proverebbe il fatto della frattura da Schio a Vicenza e la sua direzione, poiché appunto i princi- pali corsi d’ acqua scorrono paralleli ad essa e convergono anzi al punto più depresso di essa linea, che sarebbe presso la Città di Vicenza. — Diftàtti ad Ovest della linea di frattura, fra Mon- tecchio e Brendola, vi ha nel Vicentino la linea dei due displuvii occidentali ed orientale. Puossi ritenere in generale che V azione vulcanica, salvo un breve tratto nel ristretto lembo della linea ad Est, sia resa mani- festa specialmente nella regione occidentale e che in questa sol- tanto si trovino tutti i sedimenti che si depositarono durante l’epoca che, dal primo comparire delle dighe e masse basaltiche provenienti dall’ Ovest presso Bolca, finì colle emersioni trachitiehe dei colli Euganei. Egli è perciò che, oltre ai due gruppi Berico ed Euganeo, torna indispensabile lo studio principalmente di un terzo e più importante gruppo terziario, che stando sempre nella stessa regione occidentale, trovasi contiguo alle Prealpi e viene formato da una serie di colline che perciò sarebbero prealpine. Se si osserva infatti il contrafforte alpino che, dall’Adige fino alla linea Sud-Est di frattura, si protende al piano, lo si scorge rive- stito e cintò al piede da una zona di colline terziarie che va ognor più allargandosi verso Est, fino ad avere la sua massima larghezza prossimamente appunto alla suddetta linea di frattura. A questa zona prealpina corrisponde la serie classica dei terreni terziari, specialmente dell 'eoceno inferiore del Vicentino, terreni perciò che costituirebbero nella regione occidentale il terzo gruppo ben più importante degli altri due, sia per la estensione che pei rapporti paleontologici, e che potrà essere designato come gruppo Prealpino. Se si osserva poi la regione orientale della linea di frattura, essa presenta bensì un lembo ristrettissimo di terreni pure ter- ziari con tufi basaltici, ma con sedimenti che appartengono ad una epoca che è tanto più recente quanto più procedesi verso Est. — Se non che, dovendoci occupare soltanto del gruppo Berico, rammenteremo questa breve zona al solo scopo di accennare che lungo la corrispondente linea di frattura da Ovest ad Est, cioè da Schio a Bassano e Possagno, si trovano raddrizzati anzi talvolta capovolti colla stessa scaglia i suddetti strati terziari. Ora volendo dire qualche cosa della costituzione geologica del gruppo Berico, non puossi a meno di esaminare quella del gruppo Prealpino, poiché in questo, prima che in altro luogo, ebbero a mani- festare i primi fenomeni vulcanici, specialmente al suo estremo Ovest, e perciò in esso prima che in altra regione ebbero a deporsi immediatamente sulla scaglia i primi e piii antichi sedimenti del mare terziario. Ma prima di esporre i rapporti paleontologici fra questo gruppo Prealpino e quello dei colli Berici, mi è d’ uopo esporre una considerazione che potrebbe avere qualche importanza sulla causa degli attuali profili tectonici, e sullo stesso fenomeno della frattura degli strati. Veggasi a tale uopo la Tavola P e si osser- vino le due traecie in tinta rosea e la direzione x y dell’asse delle Alpi Retiche. Se presi parecchi punti ove mostrasi la scaglia sul gruppo Prealpino immediatamente a contatto ai sedimenti terziari, cioè da Spilecco di Bolca verso Novale e Magrè, e se nella media direzione di tali punti conducasi una traccia, come è segnata in tinta rosea, questa rappresenterebbe pfesso a poco la media dire- zione di quella spiaggia che a quel tempo esisteva al Nord del mare terziario. Ora se si osserva la direzione di tale linea, ne risultano le seguenti osservazioni : 1° che la zona cretacea resta interrotta nella sua disposi- zione a Magrè, ove successe la frattura; 2° che da Magrè verso Est fino al Brenta la scaglia, cam- biando disposizione venne raddrizzata a strapiombo ; 3. che successivamente verso Est riscontrasi di nuovo e potente la zona cretacea dal Brenta alla Grappa fino alla Piave, ma non più in prolungazione della prima traccia da Spilecco a Magrè, colla quale però mantenne il parallelismo. 4° che infine ambedue queste direzioni della zona cretacea, mentre riuscirebbero parallele all’asse x y delle Alpi Retiche, sarebbero pur anco perpendicolari alla stessa linea di frattura Sud-Est da Schio a Vicenza. Di più, oltre le osservazioni fatte sulla zona cretacea, torna — 53 — importante considerare che i sedimenti terziari del gruppo Preal- pino si manifestarono in zona ristretta quando ebbero il loro cominciamento presso Bolca, e che si svilupparono successivamente estendendosi ed allargandosi in direzione Sud-Est, di guisa che compariscono nella loro massima larghezza, e per conseguenza la corrispondente zona mostrasi nella sua massima estensione, precisa- mente appunto dove successe la frattura degli strati, lungo la linea Sud-Est segnata nel Tipo colle lettere ON. Oltre tale linea, cioè nella regione orientale, i sedimenti terziari immediatamente successivi quasi piti non compariscono, e solo, come fu detto, si scorgono sedimenti in lembo ristretto, lungo P altra linea di frattura 0 d/, i quali successero più tardi e dopo una qualche interruzione di tempo. Egli è perciò che il gruppo Berico può essere considerato siccome la prosecuzione della manifestazione degli stessi fenomeni vulcanici e la continuazione della stessa formazione sedimentaria della regione occidentale cioè dello stesso gruppo Prealpino. Ed è molto istruttivo, come fu notato dai celebri Suess e Bayan, che, mentre razione vulcanica dei basalti manifestavasi qua e là tanto nell’ uno quanto nell’altro gruppo, nondimeno essa non alterava in generale la inclinazione degli strati, limitando la propria influenza ad una semplice azione locale. Ovunque infatti presentasi il carattere della incessante ma calma sedimentazione del mondo organico, la quale operavasi in mare, non agitato da convulsioni telluriche. Il gruppo Berico sorse dal fondo del mare terziario prima dell’ Euganeo, ma posteriormente però alle prime manifestazioni basaltiche del gruppo Prealpino ; manifestazioni che si palesavano a lunghi e rari intervalli, notandosi che nella regione settentrio- nale dei colli Berici piuttosto che nella meridionale fu maggiore l’attività vulcanica. La zona terziaria del gruppo Prealpino, adagiandosi sulle spiaggie cretacee da Est ad Ovest, presentasi con una serie di colline die, dai più antichi sedimenti detti di Spilecco, continuò a formarsi senza interruzione Ano ai più recenti depositi detti dei Grumi di Castelgomberto, ed è appunto durante questo lunghis- simo periodo di tempo, segnato da questi limiti, che sorsero prima il gruppo Berico, poi l’ Euganeo. — 54 — [1 gruppo Berico, come abbiamo veduto, è bensì la conti- nuazione degli stessi fenomeni, ma fra più ristretti limiti di tempo, in confronto del gruppo Prealpino, per cui ebbe a cominciare più tardi e terminare più tosto. Il gruppo Euganeo sorse posteriormente al Berico, come si vedrà in appresso, e non sarebbe che la successiva manifestazione degli stessi fenomeni vulcanici, i quali si svilupparono nella stessa direzione del Sud-Est, prima coi basalti ed in fine colle emersioni trachitiche, ma in condizioni differenti di sollevamento e forse d’ intensità. Soltanto qui si trova di ricordare nuovamente che questa ulteriore manifestazione vulcanica ebbe a palesarsi sempre ad occidente di quella stessa linea di frattura 0 N che sopra venne più volte accennata : lo stesso Monte Oliveto, all’ estremo Est dei colli Euganei, resta compreso pure nella stessa e suddetta regione occidentale. Nel gruppo Prealpino la vita organica ferveva rigogliosa fino dal primo apparire dei fenomeni vulcanici, e fino dai piani più antichi delle prime stratificazioni restarono conservate con mara- vigliosa fedeltà le ricchissime spoglie degli esseri che in questa nostra regione popolarono a que’ tempi i seni ed i golfi dell’antico mare terziario, per cui fu possibile avere le fisonomie caratteri- stiche della fauna e della flora per ognuna delle epoche, che senza interruzione, andavano succedendosi. Ora, siccome la vita organica nei due gruppi Berico ed Euganeo non poteva essere che una diretta emanazione di quella del gruppo Prealpino, così nelle roóce sedimentarie di questi due gruppi Berico ed Euganeo deve tro- varsi reciprocità di corrispondenza sincronica cogli stessi piani paleontologici del gruppo Prealpino. Forse potrà essere che ogni piano del gruppo Prealpino non abbia il proprio corrispondente fra quelli dei gruppi Berico ed Euganeo, ma però ogni piano paleontologico di questi due ultimi deve avere il suo corrispondente fra i piani del gruppo Prealpino. Si sa che all’epoca terziaria il mare invadeva la Valle Padana, colla quale l’Adriatico comunicava per largo e profondo golfo. A » quell’ epoca, con clima tropicale, questa nostra regione presentava una iìsonomia nella vita animale e vegetale che soltanto la rigo- gliosa natura delle isole dell’Arcipelago Indiano e della Malesia potrebbe ritrarne il paesaggio. I colli Berici ed Euganei sorgevano quali arcipelaghi d’ isole in parte emerse ed in parte sottomarine, e nelle tepide acque di quel mare scherzavano miriadi di pesci, che ricordano come loro congeneri alcune specie che tuttora vivono nell’ Oceano Indiano. II gruppo Prealpino era contiguo invece al continente ed i suoi sedimenti, addossandosi gli uni agli altri, fornivano successi- vamente nuove spiagge al mare terziario, di guisa che già quasi del tutto emersi risultavano i due gruppi Berico ed Euganeo quando il gruppo Prealpino presentava tuttora qualche golfo o seno di mare per ricevere ancora gli ultimi e più recenti se- dimenti. Egli è perciò che per la contiguità continentale il gruppo Prealpino raccoglieva, oltre i prodotti marini, anche tutto quanto poteva tributargli il continente. Dighe basaltiche talvolta costi- tuivano seni ed estuari nei quali si andavano magazzinando tutte quelle masse di vegetabili che discendevano dal continente e che più tardi vi formarono banchi di lignite. Produzioni di acqua salmastra e di acqua dolce caratterizzano questi banchi del gruppo Prealpino, eccettuato il banco lignitifero di Monteviale, il quale, mentre esso è dovuto a produzioni affatto marine, racchiude la prova che quivi trovavasi una terra a fior d’acqua dove accorrevano gli antracoteri e le cheionie, poiché appunto negli stessi banchi lasciarono le proprie spoglie. Le condizioni orografiche di Monteviale del gruppo Preal- pino hanno il loro riscontro anche nel gruppo Berico , dove si ebbero le identiche condizioni di luogo e di tempo in Zovencedo, le cui fauna e flora corrispondono mirabilmente a quelle di Monte- viale, come si vedrà in appresso. Patta eccezione alle accidentalità e circostanze locali che potevano determinare lo sviluppo di faunule e fiorale speciali, si ritiene in generale che le facies succedutesi nei vari tipi della vita organica abbiano avuto luogo alle stesse epoche geolo- giche perchè comuni ai due gruppi erano i sedimenti e comuni esistevano le condizioni per cause ed effetti. — Conseguentemente deve esistere una perfetta corrispondenza nelle specie animali e botaniche che popolavano contemporaneamente le due plaghe del gruppo Prealpino e del gruppo Berico. Ovunque deponevasi il lento ma incessante lavorìo delle — 56 — infinite foraminifere nelle varie specie (li Nummuliti, e col gra- duale sollevamento dei fondi e dossi sottomarini si formavano qua e là estesi banchi sottopelagici di polipai, che vivevano nelle più vaghe forme di una stupenda fauna corallina. Golfi ed estuari trovavansi in ambedue i gruppi, e tanto nell’ uno che nell’altro ne fanno fede non solo le succitate ossa di antracoteri e di trionici dei suddetti bandii lignitiferi di Monteviale e Zovencedo, ma eziandio i numerosi avanzi di Sirenii fossili trovati al Monte Snello e Caslelgomberto pel gruppo Prealpino, siccome pure a Lonigo ed alla Favorita pel gruppo Berico. Lunghissima fu l’epoca trascorsa durante questi avvenimenti ed infinito il tempo nel quale addossavansi uno sopra l’ altro que’ mondi defunti. 1 primi albóri dell’epoca terziaria spuntano coll’apparizione in Bolca di una fauna e di una flora a tipo equatoriale indo-australe, e la sua fine può considerarsi rap- presentata dalla flora e fauna di Monteviale e di Zovencedo a tipo tropicale. Nel gruppo Berico in generale le faune si successero le une alle altre, finché pel graduale sollevamento andavano a sparire le aree dei sedimenti, e l’ultimo fra questi si crede sia stato appunto contemporaneo al formarsi della fiora di Zovencedo, dove, come fu avvertito, la presenza dell’ antracoterio proverebbe che quel banco lignitifero, egualmente come a Monteviale, sia stato formato sopra terra a fior d’acqua. Non si omette perciò di ricordare che la fauna dei tufi che servono di letto ai suddetti banchi di lignite appartiene agli strati dei Grumi di Castelgomberto, nei quali con molluschi essenzialmente marini, quali l’ Hemicardium difficile Mieli., la Natica crassatina Lk., la Venus AglauraeBvongn., ecc. ecc. si costituivano que’ grossi banchi calcarei che vengono caratte- rizzati dal vaghissimo Echinide quale fu il Macropneustes Mene- ghina Desor, come si vedrà in appresso. Questo deposito di Zovencedo sarebbe stato bensì il più re- cente del gruppo Berico, ma sarebbesi formato in uno al suo sin- cronico di Monteviale, sempre in epoca anteriore alla frattura occorsa da Schio a Vicenza, i cui effetti, a mio avviso, non furono estranei al rilievo ed alle emersioni, tanto del gruppo Prealpino, quanto degli altri due gruppi Berico ed Euganeo. Noi vedremo in seguito che i così detti Strati di Schio furono posteriori a questo deposito, ed ebbero luogo soltanto dopo il grandioso feno- meno della frattura suindicata. Data una idea generale della costituzione geologica dei colli Berici e dimostrate le relazioni che per identità di cause e di effetti legano questo gruppo col gruppo Prealpino, torna ora necessario di esaminare in dettaglio quali siano le rispettive cor- rispondenze paleontologiche onde potere dal sincronismo delle faune designare e distinguere le diverse epoche delle respettive stratificazioni. — A tal fine e poiché ad una data fauna caratte- ristica non appartiene nei nostri terreni terziari un solo strato , ma vi appartengono strati parecchi , si è creduto designare col nome di piani le divisioni generali paleontologiche dei colli Berici, distinte ove occorra in sottopiani anche per adottare le stesse denominazioni accettate dalla sotto Commissione italiana per la uniformità della nomenclatura. È dovere in fine di accennare come siasi creduto di non riportare gli elenchi dei fossili fino ad ora rinvenuti secondo i piani e sottopiani delle fattesi divisioni, giacché si trovano pub- blicati nelle varie Memorie ed Illustrazioni fatte dai signori De Zigno, Massalongo, Michelotti, Tournouer, Hébert, Kenss, d’Ac- chiardi, Laube, Fuchs e Bayan, come rilevasi dalla Bibliografia esposta al principio di questo Sunto. A maggiore intelligenza veggasi la Tavola IIa, nella quale si è delineato il profilo geologico, lungo la linea AB della Tavola Ia, con indicazione de’ diversi piani de’ terreni terziari del gruppo Prealpino e del gruppo Berico. Cominciando perciò dal basso all’alto abbiamo: Piano I. Strati di Spilecco. Alla fine dell’epoca cretacea, nel mare di queste nostre regioni, depositavasi il Senoniano, cioè la scaglia rossastra, quando comin- ciò la vulcanicità dei basalti nel Vicentino da Ovest verso Est, par- tendo dal territorio Veronese con dighe e con grandi espandimenti di masse basaltiche e procedendo sempre con decrescente attività vulcanica verso la parte orientale del Vicentino. — 58 Fino, per conseguenza, dal primo apparire dei fenomeni basal- tici compariscono contemporanei alcuni sedimenti tufacei e calca- rei adagiati con perfetta concordanza sulla scaglia e che si riten- gono per questa nostra regione siccome i più antichi sedimenti terziari. Questi si rinvengono in molti luoghi del Vicentino, come a Spilecco sopra Bolca, al Giogo dei Crocchi sopra Monte-Magrè, al Giogo di Castelvecchio sopra Valdagno, a Chiampo, alla Geche- lina di Malo, e vennero dai geologi distinti col nome di Stro.ti di Spilecco. La stessa scaglia comparisce anche nel Gruppo Berico presso Mossano, come fu rilevato per primo dal celebre e nostro veneto geologo Bar. De Zigno, ma qui torna utile di accennare che, mentre nella regione prealpina la scaglia si approfonda dal Fiord verso Sud, questa a Mossano invece approfondasi dal Sud verso Nord, per cui tutti i sedimenti delle colline prealpine e dei colli Berici, come fu avvisato dal prof. Suess, sarebbero adagiati quasi in una conca longitudinale. A tale importantissima osservazione troverei di aggiungere che questa conca, oltre trovarsi come fu detto in quella regione ad occidente della linea di frattura, avrebbe pure il suo asse che risulterebbe in direzione parallela alla stessa linea. Sembra però che la conca sovra accennata non si estenda oltre il gruppo Berico, e che il gruppo Euganeo, sorto molto posteriormente e come ve- dremo soltanto dopo il piano III, sia dovuto all’ultima manifesta- zione dell’azione vulcanica, la quale, forse per lo spessore dei sopra- venuti sedimenti e per la conseguente maggiore difficoltà di aprirsi un varco, ivi ruppe tutti gli strati, dal Giurese ai terziari antichi, facendo emergere le rocce trachitiche in filoni, cupole e scogliere, fino ad elevarsi a quasi G00 metri sul livello attuale del mare ('). Gli strati terziari a Mossano riposano bensì sulla creta, ma non sarebbero però a mio credere, precisamente coevi a quelli di Spi- lecco, poiché mentre questi sarebbero tufi a macchie verdi e rosse con piccoli denti di Oxyrhina e con articolazioni di Burgheticrini di piccola specie, associate alla Terebratula bolcensis Mass, ed alla lìhynchonella polymorpha, a Mossano invece sopra la scaglia si avrebbero coi tufi pure anco degli strati marnosi che sarebbero (’) De Zi»Tio. Sulla costituzione geotcxjica dei Monti Euganei. Padova 1801. — 59 — privi affatto delle succitate Terebratule e Rinconelle, e dove si presenterebbero piuttosto alcune specie di Pentacrini e di Tere- dini la cui facies troverebbe la identica nei calcari a teredini dei Pulii sopra Valdagno e negli strati di tufi e marne che in Alet- tone si trovano egualmente sopra la scaglia. — Una seconda lo- calità che oltre a Mossano nei colli Berici, presenterebbe il sin- cronismo di questo orizzonte sarebbe fra Longàre e Costozza, a piedi di un piccolo colle detto il Mortecelo , presso S. Michele sul versante al Sud-Est, ove presentansi coi tufi e marne le stesse Teredini e le articolazioni delle stesse specie di Pentacrini. Ciò farebbe sospettare che i tufi e le marne di Longàre, di Sossano e di Albettone corrispondessero ad una epoca relativamente pili re- cente e riferibile almeno alla parte superiore e più moderna degli strati di Spilecco, ciocche tanto più resterebbe dimostrato dalla presenza delle articolazioni di Pentacrini che tanto copiose mostransi a Mossano e Longàre, mentre a Spilecco non si riscontrano punto ; d’altronde il Burgueticrino di Spilecco delle assise inferiori, che non trovasi a Mossano nè a Longàre, presentasi a Spilecco sempre nei tufi più antichi e si avvicinerebbe al Bourgueticrinus elliptìcus d’ Orb. che è specie cretacea. Pi ano II. Strati di S. Gio. llarione. Riportando quanto già disse il prof. Suess nella sua Strut- tura dei sedimenti terziari del Vicentino, diremo che questo piano diversifica nei suoi caratteri sovente ed a breve distanza, secondo lo spessore delle dighe basaltiche, delle brecciole o de’ tufi, nonché degli strati calcarei. Dopo i sedimenti di Spilecco vengono in gene- rale alcuni strati di brecciole basaltiche, come da Chiampo alla Croce Grande di S. Gio. llarione, mentre che dalla Contrada Pozza verso Chiampo e verso Brentone s’incontra un calcare nummuli- tico detto Membro di Chiampo. e mentre a Roncà avvi un letto di argilla screziata, dove esiste quella famosa fauna detta di Roncà, che sarebbe una fauna salmastra con carattere affatto locale. Le brec- ciole o tufi sono tutti fossiliferi, specialmente quelli verdi di Ciup- pìo in S. Gio. llarione, la cui fauna venne studiata da Hébert, il - 60 — quale ha trovato eli poterla sincronizzare alla parte inferiore del ccilcaire grossier del bacino di Parigi. Alla parte inferiore di questo piano possono essere riferite tanto la pesciaja del Postale, quanto le famose flore di Bolca e di Novale illustrate, la prima da Massalongo e la seconda dal prof. Yisiani. Tutti questi sedimenti fossiliferi sono sincronizzati dalla comu- nanza di fossili caratteristici che si trovano specialmente nella loro parte superiore sia entro le brecciole e sia entro gli strati calcarei che in generale li coronano. Nelle diverse contrade di S. Gio. Ilarione, come a Ciuppìo, Croce Grande, Pozza ecc. ecc. questa fauna ebbe il suo massimo sviluppo, e forma ora soggetto di studio al- l’egregio mio amico e chiarissimo geologo palermitano dott. An- tonio de Gregorio, che già ne diede uno splendido saggio nel suo 1° fascicolo. Fra i fossili, due sono caratteristici perchè comuni a tutte le località, quali sono la Nerita Schmiecleli Chemnitz ed il Cono- clypeus conoicleus Leske, per cui questo piano di S. Gio. Ilarione è noto ai geologi anche col nome di piano a Nerita Schmiedeli. Le marne di Sossano, che come abbiamo veduto riposano sulla Scaglia, sono seguite in alto da tufi verdi, che si scorgono nello stesso Mossano ed in altri luoghi dei colli Berici, specialmente nelle valli della Liona, e che ricordano quelli di S. Gio. Ilarione a Ciuppìo e Croce Grande. Questi tufi passano nella loro parte superiore ad altri strati calcarei nummulitici, col corteggio de’ nu- merosi fossili di S. Gio. Ilarione, fra i quali primeggiano tanto la Nerita Schmiedeli quanto il Conoclypeus conoidetos. Questa stessa fauna, oltre che a S. Gio. Ilarione, presentasi nello stesso gruppo Prealpino anche alla Gechelina, a Monte di Magre, alle Cime di Novale, alla Piana, a Cerealto, ad Altissimo, a Castel- vecchio ecc. ecc., e nel gruppo Berico, oltre che essere a Mos- sano, si trova pure fra Zovencedo e S. Gottardo, nonché lungo tutta la costa occidentale presso Monticello di Lonigo e Sarego, siccome pure a Piediriva presso Grancona, risultando comuni ai due gruppi anche le stesse specie di Nummuliti. A Zovencedo, sul fondo di un pozzo ivi scavato a scopo industriale profondo oltre venti metri, fu raccolto lo Strombus Bartonensis Sow., che ap- punto forma parte della fauna di Croce Grande di S. Gio. Ila- 61 — rione. La lamosa pietra tenera da costruzione di Costozza appar- tiene a questo piano, per essere fra gii strati a teredini e gli strati di Priabona, per cui corrisponderebbe all’orizzonte del così detto Membro di Chiampo e della Pesciaja di Bolca. Da questo piano comincia veramente lo straordinario sviluppo delle diverse specie di Nummuliti, della cui prodigiosa quantità può aversi una idea solo pensando che le accumulate loro spo- glie sono misurate da banchi il cui spessore oltrepassa talvolta il centinaio di metri. Queste foraminifere comparvero lino dai sedi- menti di Spilecco, dove esistono piccolissime, lenticolari e quasi microscopiche non solo sovra i tufi gialli, ma ancora entro gli stessi, commiste alle Rinconelle e Terebratule caratteristiche di quegli strati inferiori. Uno studio speciale riuscirebbe necessario per la loro determinazione specifica, ma si crede però clic fino dalla loro prima comparsa siano rappresentate dalle Assiline nella Sezione delle Subreti cola, tae colla Nummulites Lamarki d’Orb., in quella delle Explanatae colla N. Leimeriei d’Àrch. et Haime ed infine nell’ altra delle Punclulatae colla N. Guettardi d’Arch. Ciò che si osserva in generale è che, successivamente agli strati di Spilecco, le Nummuliti vanno acquistando ognor più una grande forza biologica che si manifesta tanto nelle dimensioni, quanto nelle varietà delle forme specifiche. Già fino dagli strati calcarei giallastri, che sono i più bassi del Membro di Chiampo, siccome pure al Postale di Castelvecchio, ed al giogo di Novale, ed egualmente nei più bassi strati di S. Gio. Uarione, si riscontrano bensì le suddette specie, ma rilevasi pure che esse vissero in comune con altre specie di forme diverse e di ben maggiori dimensioni come si dirà in appresso. La loro com- parsa presentasi quasi improvisa ed invadente, e la comune con- vivenza fra specie diverse farebbe credere che ciascuna specie in particolare non possa distinguere con divisione netta l’ epoca e stratificazione respettive. Soltanto fra gruppi lontani di età si hanno nelle loro facies generali differenze notevoli, le quali po- tranno servire di criterio nel giudizio della successione de’tempi, ma non si crede che ciò valga per le singole specie. Eguali con- dizioni si trovano anche fra Feltre e Belluno, dove presso Bribano esiste nella Valle di S. Giustina un breve sedimento nummuli- tico dello spessore di m. 1,50, che presenta benissimo conservate — 62 parecchie specie nummulitiche che vissero tutte contemporanea- mente, fra le quali rimarcansi la N. Brongniarti, la i\. exponens e la N. spiro. \ assieme alla N. vasca Joly et Leym ed alla N. Boucheri de la Harpe. Negli strati di S. Gio. Ilarione, presso Pozza, Croce Grande e Ciuppìo ed egualmente ai Gioghi di Castelvecchio e di Novale, alla Gechelina di Malo, alle Cengielle ed a Mossano dei Colli Bevici si trovano frequenti e di grandi dimensioni Nummuliti della classe delle Assiline colla N. spira de Roissy, colla N. expo- nens Sow. e colla DI. Murchinsoni Bromi, della Sezione delle Ex- planatae. La N. spira raggiunge il diametro dai tre ai quattro centimetri ; della Sezione delle Punctulaiae o Granulata e si tro- vano pure la N. Brongnartii (var. Paschi) d’Archiac e la N curvi- spira Meneghini, ma copiosissima scorgesi dovunque la N. per- forata d’Orb., la quale trovasi sviluppatissima per molte varietà. Comincia a farsi vedere nelle assise più elevate di questo piano la Di. laevigata Lana, della Sezione della Subreticolatac e la N. lati- spira (N. Tchihatchefjì ) d’Archiac della Sezione delle Laeves, sic- come pure non manca la Sezione delle Plicatae o Striatae nella N. Pratti d’Archiac e nella N. contorta Desìi. Continuano copiose la N. laevigata e la N. perforata costantemente commiste negli strati fra il Conoclgpeus conoideus al basso e la Nerita Schmie- dcli in alto , e mostrasi pure frequentissima la N. complanata d’Orb. della Sezione della Laeves, la quale arriva al diametro dai cinque ai sei centimetri. Esse si trovano a Ronca, a S. Gio. Ila- rione nelle località sopra nominate, alla Gechelina, alle Cengielle ed ai Pulii di Valdagno, come pure su tutti i Colli Bevici, cioè a Mossano, a Meledo, a Sarego e specialmente a Piediriva di Gran- cona, dove rinviensi pure la N. gizehensis Ehrg., che raggiunge talvolta il diametro di sei centimetri. Ovunque trovatisi sempre asso- ciate al Conoclt/peus conoideus ed alla Nerita Schmiedcli. Giacché siamo sull’argomento delle Nummuliti troviamo op- portuno di aggiungere ora quanto resterebbe ancora ad accennare in via sommaria su queste foraminifere, anche perchè quel poco che si dice su tale argomento sia esposto di seguito anziché ritor- nare ad esso quando verranno descritti a mano a mano i piani successivi. Nel piano III degli strati di Priabona continuarono le Num- — 63 — ululiti nelle suddette specie, ma il loro sviluppo non è crescente e neppure stazionario, ma comincia invece a diminuire tanto nella loro forza biologica, quanto nelle stesse dimensioni. Al Monte Zitello, a Montecchia, a Priabona ed a Castelgomberto del gruppo Prealpino, nonché fra Meledo e Sarego, a Grancona, a S. Daniele di Lonigo del Gruppo Berico, trovasi in letti calcarei e precisa- niente in quelli ad Halytherium una piccola Nummulite commista alla N. laevigala e che corrisponde alla N. Romandi Defrance, della Sezione della Stria tac , la quale trovasi associata pure alla Serpillo, spiralaea. Negli stessi strati ad Halytherium continua la esistenza della N. complanata e della N. laevigata e comincia a farsi scorgere la N. lucasana Defranc. A Priabona trovasi ancora, oltre alla suddetta lucasana , una altra specie di Nummulite che io crederei corrispondere alla N. Vicentiaensis de Hantken della Sezione delle Reticulatae e che esisterebbe nelle assise più elevate. Nelle stesse e suddette località ed in letti calcarei alternanti a marnosi dal basso all’alto continua frequente la N. lucasana della Sezione delle granulalae la quale trovasi associata alla Ser- pula spiralaea , nonché a moltissime specie di Orbitoliti, e di Oper- coline, fra le quali la Orbitoides sella , la 0. stellaris , la 0. voluta , e la 0. radiata, ecc. ecc. Continua la vita delle specie stesse ulti- mamente indicate anche durante il piano IV, e specialmente quella della /V. lucasana , tanto ne’ letti di marne a briozoi, quanto pure in quelli calcarei a Cyphosoma, quali si trovano a Priabona, a Mon- tecchio Maggiore, a Gambugliano'. ecc. del gruppo Prealpino, sic- come anche ne’ colli Berici al Castello e Chiesa di Brendola, al Crearo presso Grancona , a Monticello di Lonigo, a S. Giovanni di Barbavano, ecc. ecc., ma la loro vita specifica va ognor più de- crescendo, e soltanto la N. lucasana mostra qualche resistenza a scomparire fino agli strati del piano V, nei quali essa pure più non esiste. All’epoca di questo piano V, cioè degli strati de’Grumi di Castelgomberto a Trochus Lucasi, sorgono però due nuove spe- cie della Sezione delle Reticulatae , quali sono la N. intermedia d’Arch. e la N. Fiditeli Michelotti, ma con esse finisce il regno delle foraminifere nel Vicentino. Queste ultime due specie sono al confronto delle preesistenti di piccole dimensioni , ma se si considera le sensibili loro fre- — HI — quenza ed estensione, si potrebbe dire che siano vissute però di una vita più rigogliosa delle specie del piano IV ; fu 1’ estremo sforzo biologico prima di estinguersi. Queste due specie apparterrebbero ad un piano che, secondo Bayan, chiude l’epoca oligocenica e si palesano abbastanza co- piose tanto al monte Pulgo, alla Bastìa, ai Bernuffi di Monteechio Maggiore del gruppo Prealpino, quanto a- S. Rocco, a S. Nicolò, a S. Giovanni ed a Zoveneedo dei colli Berici. Non si ommette infine di avvertire che nella classica Mono- grafia sulle Nummuliti (') di d’Archiac ed Haime si citano quali esistenti nel terreno nummulitico del Vicentino, oltre le suaccen- nate, anche le seguenti: A'. Lyelli d’Arch., N. Defrancei d’Arch., N. Riarritzensis d’ Ardi., N. striata d’ Orb. e la N. granulosa d’ Ardi. Alla parte superiore di questo stesso piano II corrispondono gli strati della flora a Palme dei Vegroni, siccome pure quelli delle ligniti impure di Bolca, ove dall’esploratore Cerato fu rin- venuto il Crocodilus Vicentinus Lioy, che si conserva nel nostro Museo. In questo stesso piano potrebbero essere compresi come sottopiano gli strati ad Alveolinc , che si riscontrano al monte Bolca od al monte Postale, nonché ai Pulii di Valdagno ed alla Geche- 1 ina di Malo, ed è appunto perciò che, trovandosi ad essi sotto- posta la lignite dei Pulii che si escava presso Valdagno, si dedur- rebbe clic questo banco lignitifero corrispondesse alla parte inferiore del piano medesimo. Con questo stesso piano comincia già a farsi vedere alla Croce Grande di S. Giovanni Barione la Serpula Spirulaea Lk., la quale ebbe ai colli Berici un immenso sviluppo come vedremo in seguito. (') D'Archiac et Haime. Dèscription ilei animavi 1 fossili;* ila gronde iXuin- nmlitiijuc de rinite précedéc il' ime Monoijraplve sur ’cs Mitmmvliles. Paris. 1853. — 65 — Piano ni. Strati di Priabona. 1. Sottopiatto ad Ha lyt ho riunì Presso Priabona del gruppo Prealpino presentasi una serie di strati calcareo-marnosi con fossili, fra i quali caratteristici sono due bellissimi Echinidi cioè, il Chrysomelon Vincentiae Laube e V Echi noia mpas si milis Ag. — Questi sedimenti raggiungono il loro massimo spessore appunto sui colli Borici specialmente al lembo occidentale da Lonigo fino a S. Yito di Brendola, ma si trovano abbastanza sviluppati anche nell’ altro lembo da Barbarano a Mossano prolungandosi fino a Lumignano. Questo piano, che prese il nome dal luogo di Priabona, si manifesta ai colli Berici in tutte le sue stratificazioni cominciando dalle più basse ove si ha un letto di tufi i quali passano ad altri letti calcarei e marnosi accom- pagnati qui e lì dalla Serpula spirala c a Lk., la quale però rag- giunse il massimo suo sviluppo soltanto nel sottopiano successivo, come si vedrà in appresso. Alla base di questo piano appartengono gli strati detti ad Flalylherium , cioè a Sirenii fossili, i quali vennero rinvenuti nei colli Berici a S. Daniele, a Sarego ed a Monticello di Lonigo in contrada Scuffonaro, a Mossano, ed a Grancona, non che nel gruppo Prealpino a Priabona, a Montecchio ed al Monte Suello, accusan- done il loro sincronismo la presenza della Serpula spirulaea e della Merita Schmiedeli , come ha osservato il bar. De Zigno, che ad onore della veneta geologia ne fece la scientifica illu- strazione. A mio credere questo orizzonte ricorda le consimili ossa tro- vate da Scortegagna nel 1835 a Monticello di Lonigo, e dal Castel- lini a Castelgomberto. Gli FJalytherium dell’epoca terziaria furono i precursori dei Sirenii che vivono attualmente alle foci dei fiumi fra il 15.° di lat. mer. ed il 20.° di lat. sett., quali sarebbero il Lamantino ed il Dugongo. In banchi calcarei o colle stesse ossa di Halytherium si tro- vano, assieme alle Nummuliti ed alla Serpula spirulaea, in noduli, ossia colle semplici impronte, grandi esemplari di ostriche, di cipree 5 e di ceriti specialmente del Cerithium giganteum , quali si scorgono specialmente a Priabona, a Brendola,. a Mossano, a Lonigo, a Gran- comi ecc. ecc. del gruppo Berico. 2. Sot topi Ano a S e r pul a Spirulaea Gli strati di questo sottopiano si trovano talvolta letteral- mente impastati colla suddetta specie fossile, la cui prodigiosa quantità fece dare ad essi il nome di strati a Sei'pula spirulaea. Questi strati si presentano ai colli Beriei nel massimo loro svi- luppo e spessore al confronto di qualsiasi altra stratificazione, c quantunque pel loro sviluppo potrebbero costituire una grande divisione o piano, pure si preferì distinguerli come sottopiano, poiché facendo parte dei sedimenti di Priabona conveniva pure separarli dagli strati sottoposti ad Halytherium. Nei colli Beriei perciò questo sottopiano ne costituisce quasi da sè tutti i fianchi, specialmente da Barbarano e Mossano, fino a Toara e Villaga da un lato, ed alla base di Castagnero, fino al Monte Parnaso dall’ altro. Mostrasi ancora da Lonigo a Grancona alla Bocca d’ Anziesa, al Cao de là, a S. Gaudenzio, a S. Vito, lino ad Altavilla. Questo sottopiano è rimarchevole pe’ suoi letti di marna e di calcari grigiastri con Orbitoliti al basso, e con Opercoline in alto. Questi letti di marna passano nella loro parte superiore ad una massa calcarea a Solen rimosus Bell, ed a Schizaster rimosus Desor, ove talvolta si scopersero i frammenti del grande e bel- lissimo Nautilo Vicentino. — Non si ommette di osservare che negli Euganei questi letti di marna riposano talvolta immediata- mente sopra la scaglia, come scorgesi a Rovolon ed a Teoio, e talvolta sopra le stesse trachiti, come sulla strada da Zovon a Padova, mentre puossi credere con Ba3ran che nei colli Euganei non esistano sedimenti che appartengano ad epoca più recente di questo sottopiano. A questo stesso si riferiscono pure quegli strati die a S. Orso presso Schio si presentano raddrizzati tanto da trovarsi spesse volte rovesciati e sottoposti alla scaglia. Questo fatto, rimarcato per primo da Murchison, fu verificato dai geologi del congresso 1847 in Venezia e valse forse di base alle opinioni di Suess e di Bayan sulla frattura degli strati. — 67 Piano IV. Strati di Val di Lonte. 1. Sottofiano delle Marne azzurre a Briozoi Il piano IV viene aneli’ esso distinto in due sottopiani, cioè in quello di marne azzurre al basso e nell’ altro di calcari in alto. Immediatamente sovra l’ ultimo sottopiano di Priabona a Ser- ■pula spirulaea riposano molti letti di marna turchiniccia, che hanno il massimo loro sviluppo fra Lavarda e Crosara presso Marostica, dove vennero penetrati da numerosi cespiti di corallo per modo da costituirne interessantissimi banchi. Tali marne sono ripiene di uno immenso numero di briozoi, per cui la fauna di questo sottopiano risulta in generale costituita di animali inferiori, i quali talvolta sono accompagnati da una piccola Terebratula affine alla tenui - striata Leymerie e da pochi altri molluschi e radiati. I briozoi furono soggetto di una pubblicazione del prof. Reuss ed i polipai vennero studiati ed illustrati dal d’Achiardi e dallo stesso Reuss-, che ne pubblicarono respettivamente due interessan- tissime Monografie. Questi letti di marna possono essere osservati anche a Pria- bona, a Montecchio Maggiore (Galantiga), a Gambugliauo, a Mon- teviale (Valle dei Peruzzi); in Val di Lonte (Case Fontana) e sopra Creazzo, siccome pure ai colli Berici, dove s’ incontrano in Brendola presso la Chiesa, al Castello ed alla Bocca d’Anziesa, nonché ad Monte Creano presso Grancona, fra Grancona e Lonigo, fra Mossano e S. Nicolò, a S. Giovanni presso Barbarano e final- mente presso il Santuario di Vicenza e presso Altavilla in Valle di Nibàle. La loro corrispondenza fra il gruppo Prealpino ed i colli Berici viene accusata anche dalla comunanza delle poche specie fossili, fra le quali si possono citare VGstrea Brongnarti Broun e la Plagiostoma spinosa Bone, che si rinvengono tanto in Val di Lonte e Priabona quanto in Brendola e Grancona al Monte Crearo. Non si ommette in fine di ricordare l’importante osserva- zione del prof. Suess, che cioè gli intercalati letti di marna del Lavarda non si distinguono punto dallo stesso Fiysch tipo, — 68 • — offrendo egualmente l’aspetto di quello conformazioni a cercine sopra i piani di stratificazione, che trovatisi così frequentemente nelle montagne del Flysch germanico. 2. Sottomano dei Calcari a Cyphosoma cribrimi Viene distinto questo sottopiano dal precedente, soltanto per- chè questo è il primo che manca agli strati di Priabona, i quali, per conseguenza, all’epoca di quest’ultimo sedimento erano già emersi dal mare, mentre la presenza del Cyphosoma cribrum stacca questo sottopiano dal successivo piano V degli strati di Castelgomberto, dove questo caratteristico Eehinide più non si trova. Nel gruppo Prealpino in Valdiezza, fra i Monti Eivon e Parlotto, al Monte Sgreve di S. Urbano ed al Monte delle Car- riole di S. Lorenzo ed in molti luoghi dei colli Berici, siccome a Brendola, a Longare, a Mossane ecc. le marne a briozoi ed a polipai sono ricoperte da letti calcarei a nullipore, i quali pas- sano ad altri calcari nei quali rimarcasi frequente il caratteristico ecliinide Cyphosoma cribrum Ag., come può scorgersi facilmente salendo da Sovizzo a S. Urbano pel Monte Sgreve. Altri letti calcarei, detti pietra da sega , quali si escavano a Val di Sole, al Cao de là, ed in qualche altro luogo dei colli Berici, talvolta ripo- sano immediatamente sopra gli strati a Cyphosoma , per cui tutti gli strati compresi fra i calcari a nullipore e quelli a pietra da sega ven- nero dai geologi designati col nome di strati a Cyphosoma cribrum. E qui si osserva clic, di solito, a questo eehinide trovasi asso- ciato un secondo eehinide, qual è il Cidaris calamus Laube, e che questo ultimo s’incontra quasi sempre accompagnato da una fauna conchiologica che ha per caratteristica VEburna Caronis Brongn , la quale distingue per la sua frequenza gli strati di Sangonini. Ora questo fatto ci somministra la chiave della determinazione stratigrafica di molte località, mentre ci offre la prova della cor- rispondenza e sincronismo fra il gruppo Prealpino ed i colli Berici. 11 Cardium carinatum Bromi ed una nuova specie di Ceri- thium del Monte Carlotto infatti si trovano, oltre i due sopraci- tati ochinidi, comuni tanto a Valdiezza quanto a Brendola, Longare — 69 — e Mossano. Egualmente nel primo colle di S. Marco di Monte- galda vennero raccolti dallo stesso Bayan tanto il Cyphosoma , quanto il Cidaris sovradetti, per cui quel gruppo di colline cor- risponderebbe probabilmente all’orizzonte di questo sottopiano. Nel gruppo Prealpino, presso Salcedo, nelle contrade Gnata e Salbegbi, siccome pure presso Lugo in contrada Sangonini esisto, come già abbiamo avvertito, una rimarchevole faunula localo, le cui specie conchiologiclie vennero illustrate dal prof. Fuchs, il quale trovò che per una sesta parte corrispondono agli strati di Latdorf, di Helmstaedt e di Brockenhurst. Questa faunula esiste entro strati di tufi azzurri, e fra le numerose specie che la costi- tuiscono, quella più frequente, e perciò caratteristica , è appunto P Eburnei Caronis Brongn. Ora questi tufi azzurri passano in alto ed a contatto a tufi giallastri, nei quali trovasi il Trochus lucasi che, come si vedrà nel seguente piano V, caratterizza gli strati di Castelgomberto. Conseguentemente il posto stratigrafico della fau- nula di Sangonini, Gnata e Salbeghi starebbe fra le marne del Lavarda e gli strati calcarei a Cyphosoma-, che anzi tale posto potrebbe essere, secondo me, più precisamente determinato dicendo che esso avesse la sua corrispondenza sincronica agli strati cal- carei a nullipore sovraccennati. Finalmente non si ommette di ricordare che a questo stesso sottopiauo deve riferirsi il banco di grès calcarifero che al Chiavon offrì quella stupenda flora fossile che giustamente è ammirata nella magnifica collezione fatta a merito del nob. Andrea Piovene e che si custodisce nella sua villa a Lonedo, siccome pure si avverte che allo stesso sottopiano corrispondono le marne calcarifere di Salcedo, nelle quali sta sepolta una fauna ittiologica nota per al- cune specie conservatissime che furono illustrate da Haeckel. Piano V. Strati elei Grumi di Castelgomberto. Al Sud-Est di Castelgomberto, nella località detta dei Grumi, sovrapposta sempre alla Pietra da sega, esisto una interessante e potente massa di strati calcarei alternanti con tufi giallastri, carat- terizzata dalla frequente presenza del Trochus Lucasi Brongn. Si trova specialmente al Monte Palgo, al Monte delle Carriole presso Gambngliano, alla Bastia ed alla Trinità di Montecchio Maggiore, come pure sopra Priabona al Monte Piana, e presso la Rocchetta di Monte di Malo, e dai geologi venne classificata col nome di strati dei Grumi di Castelgomberto o strati a Trochus Lucasi. Questi strati sono facilmente decomponibili e contengono molti fossili, fra’ quali abbondano i polipai. Ai colli Berici sono scarsa- mente rappresentati e si mostrano qua e là quali dossi scogliosi, che si sgretolano facilmente alle influenze atmosferiche. Sono però costantemente accompagnati dai fossili caratteristici di questo piano, quali sono il Trochus Lucasi Brongn. la Natica crassatina Lk., V Hemicardium difficile Mieli., lo Strombus auricularius Grateloup ed il bellissimo Echinide noto col nome di Macropneustes Mene- ghina Desor. Da S. Rocco a S. Nicolò, presso la Fontana delle Soglie, fino a Lumignano da un lato e da S. Giovanni di Barba- rano a Zovencedo e presso S. Gottardo dall’altro, si trovano gli stessi strati calcarei colla presenza della stessa fauna. A Zovencedo, superiormente a tufi che contengono questi stessi fossili caratteristici, trovasi un banco lignitifero già stato esplo- rato e che perciò corrisponderebbe alla parte più elevata di questo stesso piano. Monteviale, nel gruppo Prealpino, coi suoi banchi lignitiferi, ricorderebbe lo stesso e sincronico giacimento, il quale trova pure una terza corrispondenza a Chiuppano nelle Bragonze alla Valle dei Beccari , ove s’ incontrano tracce di lignite ed impronte di foglie e pesci. In tutte tre queste località, oltre la presenza degli stessi fossili caratteristici , abbiamo in maggiore o minore proporzione gli stessi banchi di lignite, la quale non riconosce la causa di sua formazione a produzioni terrestri d’acqua dolce, ma ad alghe e produzioni essenzialmente marine o salmastre, presentandosi tanto a Monteviale che a Zovencedo il carattere di una terra a fior d’acqua colla presenza degli stessi avanzi di animali la cui sta- zione solitamente è sul cordone litorale allo sbocco dei fiumi nel mare. In ambedue questi banchi si mostrano in copia le ossa ed i clipei di Cheioni della famiglia delle Trionici, e più special- mente gli avanzi fossili, in ossa e mandibole, di Antracoteri nella specie dell’ Antracolhcrium magnum Cuv. — 11 — In questi ultimi tempi venne rinvenuto a Monteviale uno scheletro di un Mammifero (') che trovasi tuttora impigliato nella lignite, ma che da qualche traccia e specialmente da quanto si può vedere del suo sistema dentario, io non esiterei ascriverlo alla classe dei Mammiferi ruminanti e forse ad un ordine interme- diario fra la famiglia dei Cavicorni e quella dei Cervidi. In qua- lunque modo, i molari ricordano perfettamente quelli del Paloplotlic- rium minus Gerv. delle ligniti de la Dèbruge, i cui resti ven- nero egualmente trovati associati alle ossa dello stesso Antra- coterio. Il sig. Bayan accenna che a questo stesso piano va sincro- nizzata la fauna dei tufi di Monte Buso (!) di Montegalda, dove egli stesso raccolse il Trochus Lucasi con una Cassis sp. che trovò pure negli strati di questo stesso piano a S. Trinità di Montecchio Maggiore , per cui verrebbe tanto più addimostrato che le piccole eminenze di Montegalda apparterrebbero, pel primo colle di S. Marco al piano IV, e per gli altri al piano Y dei Grumi di Castelgomberto. Con questo piano avrebbe avuto fine nei Berici la vnlcani- cità basaltica, e così pure nel gruppo Prealpino, dove gli ultimi effetti vulcanici si palesarono coi basalti di Castellare) presso Castel- gomberto e con quelli del Monte dei Schiavi a S. Trinità di Mon- tecchio Maggiore. Con questo piano si chiuse pure la vita orga- nica delle foraminifere nella ultima specie della Nummulites Fiditeli Mieli, e della N. intermedia d’Àrchiac e, secondo Bayan, collo stesso piano sarebbe anche stata chiusa la epoca oligocenica. Lo stesso Bayan osserva che, in seguito ad accidente pura- mente locale, gli strati di Zovencedo sarebbero ad un livello ribas- sato per circa trecento metri al confronto di quello delli stessi e sincronici strati che esistono dalla parte di Barbarano. Questo piano studiato dai prof. Fuchs e Reuss nella relativa fauna con- chiologica e corallina sarebbe stato riferito prossimamente al periodo geologico del Calcare ad Asteries di Gaas e, per poche specie coralline, a quello di Oberburg. (') Esiste nelle sale terrene del Musco Civico di Vicenza. (■) L'importanza della fauna di Monte Buso di Montegalda non isfuggì punto aH'altissima mente dell’ab. Fortis fino dal 1180. — 72 — Piano VI. Strati eli Schio. Dopo la formazione degli ultimi sedimenti che si effettua- rono all’epoca del piano V in questa nostra regione, successe una nuova condizione di fatti che ne ebbe ad alterare sensibilmente la orografia, e quantunque per poca parte ed in lembi ristretti vi compariscano nuovi ed ulteriori sedimenti, pure si può ritenere che siano già emersi, almeno per la massima parte, tanto il gruppo Prealpino quanto quello dei colli Borici, e specialmente quest’ul- timo, il quale non presenta quasi in alcun luogo le tracce di questi nuovi e successivi sedimenti. La discordanza marcatissima fra i sedimenti che costituirono gli strati dell’antecedente piano V e quelli dell’attuale piano VI, specialmente nel gruppo Prealpino, non può a meno di persuadere che un hiatus di tempo decorse fra gli strati a Trochus Lucasi e quelli successivi, che vengono denominati dai geologi Strati di Schio. Abbiamo già fino da principio accennato che ad una certa epoca, per improvviso e parziale abbassamento della regione orien- tale, si ebbe a verificare una grande frattura negli stessi strati, e si ritiene che, appunto dopo le ultime sedimentazioni del piano V, sia successo questo grandioso fenomeno. Le due linee di frattura OM ed ON della Tavola P comprendono quello spazio che noi abbiamo designato come regione orientale, per- chè sta per l’appunto ad Oriente di quella linea di frattura che in direzione Sud-Est divide il Vicentino in due regioni, orientale ed occidentale, come accennammo al principio di questo scritto. Ripeteremo perciò, rapporto alle suddette due linee di frat- tura, che facendo angolo a Schio, runa dirigesi verso Oriente, passando per S. Orso, Chiuppano, Valrovina, fino a Possagno, e l’altra, come abbiamo già detto, partendo da Schio s’indirizza al Sud-Est verso Malo, Isola di Malo, Castelnovo, fino a Vicenza, da dove, sempre prolungandosi nella stessa direzione, tocca Montegalda ed il Monte Oliveto dei colli Euganei. Si è ripetuto quanto sopra, per indicare che soltanto nella direzione di queste due linee di frattura si trovano i così detti Strali di Schio , i quali si forma- — 73 — rono nei conseguenti avvallamenti, depositando sedimenti di natura calcarea, ma discordanti cogli strati sottoposti. Rapporto alla linea Sud-Est, questi strati, partendo da Schio, ove raggiungono il massimo spessore, si trovano in breve e ristretta zona nelle località sovra accennate di S. Libera di Malo, Isola di Malo, Castelnuovo ecc., ed in generale s’incontrano al piede delle colline, ove gli strati terziari più antichi talora si piegano appro- fondandosi quasi verticalmente La fauna degli strati di Schio venne studiata recentemente da Hoernes ('), il quale per il confronto fatto dei fossili caratteri- stici potè trovarne il sincronismo. Essa è rappresentata da pochi fossili, quali il Pecten Haueri, la Scutella subrotunda Lk, li Clypeaster Micheloltii , C. placenta, V Echinolampas conicus, la cui facies ricorderebbe lo stesso orizzonte che trovasi a Liban e Bolzan del Bellunese, dove la presenza della Venus multilamella Lk. e del Pecten cìeletus Mieli, offrirebbe il dato a giudicare gli strati di Schio quali corrispondenti alla parte superiore e più recente del Mioceno inferiore. Lunghesso la linea da Schio a Possagno abbiamo gli strati raddrizzati per modo che talvolta la Creta trovasi sovrapposta ai ter- reni terziari, come già fu detto, ed anche per questa regione orien- tale, in breve e ristrettissima zona, gli strati di Schio compariscono a Marostica e precisamente presso il Convento dei frati, avver- tendosi che, in prolungazione della stessa direzione Est, si palesano sedimenti che si riferiscono ad epoche geologiche ognor più recenti. Non si ommette di osservare che questa linea da Schio a Possagno, non trovasi punto, in prolungazione alla linea di frat- tura detta periadriatica dal prof. Taramelli ed accennata dall’ il- lustre geologo quale esistente in Friuli da Barcis a Starasella e Caporetto, e ben meno all’altra linea di frattura da Schio a Vi- cenza come sarebbe detto a pag. 174 (s). Penserei subordinata- mente che la linea periadriatica friulana, piuttostochè prolungarsi nella indicata direzione, giunta a Barcis, piegasse verso Alpago e quindi piìi al Sud, passando pel Lago di S. Croce e Serravalle, si dirigesse per la Valle Marena fino ad incontrarsi colla frat- (’) B. Hoernes (Verliandl. k. k. geolog. Beichss. 1877, n. 9). (2) Taramelli, Spiegazione della Carta geologica del Friuli. (Tipi Fusi Pavia 1881. — '14 — tura da Schio a Possagno, sia per la Valle di Soligo, oppure per Valdobiadene. Non isfuggì punto al prof. Taramelli l’indicazione di tali tracce, ma soltanto ora se ne fa cenno per dire che que- ste due fratture Friulana e Vicentina si legano ma non s’incon- trano nelle loro direzioni. Veggasi a maggiore schiarimento la Tavola IIIa — delineata nella scala da 1 a 1,200,000. — nella quale vennero indicate le direzioni delle linee di frattura Friulane e Vicentine in relazione agli assi delle Alpi Retiche e Carniche. Se si osservano le direzioni da Est ad Ovest della linea di frattura, cioè nel Friuli quella della Mauria al M. Canili e l’altra da Barcis a Caporetto, e nel Vicentino quella da Schio a Passagno, risulterebbe che tutte avessero una divergenza verso Ovest e con- seguentemente una convergenza verso Est, per cui si avrebbe la indicazione che causa delle fratture fosse stata un grande abbas- samento ad Oriente. Nei colli Berici questo piano degli strati di Schio non esiste, e solo fa eccezione, in causa forse della frattura, il cono isolato di Altavilla, dove soltanto in area circoscritta si trovano i suddescritti fossili entro strati di argilla alternanti a strati calcarei. Ora1 torna impossibile immaginarsi questo grandioso fenomeno della frattura senza pensare alPimportanza delle conseguenze che ne derivarono negli strati stessi. Ripiegature, abrasioni, faglie e più che tutto fratture secondarie e lacerazioni devono essere stati gli effetti necessari di tale fenomeno. Si crede perciò die, fra Castelnovo e Vicenza, la frattura principale sia stata causa di altra frattura secondaria, che viene segnata dalle tracce degli strati di Schio lasciate nei pressi di Monteviale, Creazzo e Sovizzo, e che essa siasi appunto prolungata fino al cono isolato che porta la chiesa di Altavilla. ■ Similmente si crede che l’ampia vallata, ove scorrono le acque dell’Agno e del Poscola, sia stata originata da una frattura secon- daria conseguente dalla principale. Questi stessi strati di Schio in fatti si trovano sui bordi della stessa vallata, cioè al Covolo ed a S. Trinità di Montecchio Mag- giore, nonché al monte Sgreve di S. Urbano, ove scorgesi evidente l’importante fatto della loro discordanza cogli strati dei Grumi di Castelgomberto. Finalmente si crede clic il movimento discensionale della regione orientale non siasi limitato al Vicentino , ma che siasi esteso in generale a tutta la regione Veneta della Valle Padana, nè si pensa che tale movimento siasi arrestato alla sola epoca della grande frattura degli strati di Schio, ma bensì che abbia conti- nuato anche nei successivi tempi dell’ epoca terziaria ed anco quaternaria accentuandosi però più verso oriente, ed inoltre ognor più in minori proporzioni. Ciò verrebbe provato anche dalla povertà delle scarse tracce degli apparati glaciali del Brenta e del Piave che sarebbero stati spazzati dal mare, e ciò concorderebbe pure colle osservazioni fatte dal Pasini e dal Dègousè in occasione dei tentativi fatti in Vene- zia nel 1846 per ottenere i pozzi artesiani. Nelle terebrazioni fatte ai Giardini di Venezia, pel tentato pozzo artesiano, risulta che furono traversati costantemente letti di argilla torbosa con produzioni terrestri fino alla riflessibile profon- dità di m. 114., al cui livello soltanto per la prima volta s’ incontrò uno strato di sabbie con produzioni marine. Questi dati emergono dalla ispezione del quadro originale dei terreni e profondità che trovavasi esposto al Congresso internazionale geografico di Venezia nell’anno corrente. CAP. III. Conclusioni Riepilogando quanto si è detto, risulterebbe che il gruppo Serico può considerarsi quale una continuazione, nella sola regione occidentale del Vicentino, dei sedimenti terziari del gruppo Preal- pino, per identità di cause e di effetti, sia nei rapporti vulcanici che sedimentari. Sarebbe adunque come la maggiore estensione di quegli stessi strati che rivestono il contrafforte alpino dall’Adige, fino alla linea Sud-Est di frattura. Il fenomeno di abbassamento con frattura della regione orientale, crederei da quanto esposi essersi verificato soltanto dopo la emersione del gruppo Berico dalle acque del mare e dopo i sedimenti del piano V dei Grumi di Castelgomberto, ma prima però dei sedimenti del piano VI, relativi agli strati di Schio. So cogli strati del piano V dei Grumi di Castelgomberto resta chiuso il periodo dell’oligoceno superiore, come fu dimostrato da Baimn , e se gli strati di Schio appartengono al periodo più recente del mioceno inferiore, come dimostrò Hòernes, ne risul- terebbe ima lacuna od un hiatus , che sarebbe misurato nel tempo dal periodo più antico del mioceno inferiore, e nei sedimenti dal salto fra gli strati a Macropneustes Meneghina od a Trochus Lucasi dell’ oligoceno superiore, e gli strati di Scliio a Scutella subrotuncla , corrispondente ai piani più elevati del mioceno infe- riore, per cui il fenomeno della frattura sarebbe successo nel periodo più antico del mioceno inferiore, ciocché sarebbe pur anco provato dalla mancanza assoluta dei relativi fossili caratteristici. I sedimenti del gruppo Berico si effettuarono, come già si disse, senza interruzione, lenti e tranquilli dagli albóri quasi del- l’epoca terziaria dei sedimenti di Spilecco, fino e compresa l’epoca del banco lignitifero di Zovencedo, e durante questa epoca lento pure e senza scossa in generale successe ancora il loro innalza- mento dal Nord al Sud, poiché mentre nel gruppo Prealpino non ebbero più luogo al di là di Castelgomberto al Nord-Ovest i se- dimenti a Cyphosoma del piano IY, questi continuarono in parte nello stesso gruppo ad Est della grande Vallata Guà e Poscola. Egualmente pei colli Berici : questi non erano del tutto emersi alla fine del piano Y, poiché in alcune località, però ristrettissime, come a S. Rocco verso Lumignano ed a S. Nicolò alla Fontana delle Soglie, continuarono i sedimenti degli strati dei Grumi di Castelgomberto compresi dallo stesso piano V, per cui si ritiene che soltanto alla fine di questo piano il gruppo Berico sia stato totalmente emerso dalle acque del mare. Sarebbe inoltre un giusto desiderio conoscere a quali piani e periodi dei bacini terziari d’Europa avessero a corrispondere quelli dei colli Berici, ma mentre ciò sarebbe di qualche difficoltà tornerebbe talvolta quasi impossibile la precisa determinazione del loro sincronismo, primieramente perché spesso fra bacini lon- tani la identificazione delle specie fossili torna assai dubbia, e poi perché le differenti circostanze locali, indipendentemente dalle cause puramente zoologiche, influiscono ad imprimere alle rispettive faune, quantunque contemporance, una impronta o facies caratteristica o locale. Di più, benché la somiglianza piuttostoché la identità basti talvolta ad un criterio di confronto, pure le varietà, le sottovarietà, la sporadicità, la forza biologica ecc. ecc., possono essere talvolta altrettante cause di errore ; perciò il bacino nummulitico del Yi- — 77 — centino, formatosi fra basalti, fra tufi, fra marne e calcari potrebbe essere un bacino speciale, senza identità di corrispondenza coi bacini terziari di Parigi, di Nizza, di Londra, ecc. ecc. — Cionon- dimeno, è dovere riferire i giudizi dei valentissimi geologi che ne studiarono le faune rispettive e furono nella possibilità d’ istituirne i confronti cogli immensi materiali che in bene ordinate collezioni si conservano nei principali Musei d’Europa. Il piano I di Spilecco, secondo Bayan, potrebbe avere una qual- che analogia col piano che Leymerie ha designato col nome di Kubiano (Kubien). La scarsa sua fauna avrebbe piuttosto un carattere locale e potrebbesi far corrispondere questo piano a quel terreno che da qualche geologo italiano venne detto epicretaceo , siccome in- termediario fra la creta ed i terreni terziari. Crederei peraltro che questo piano potesse avere una indicazione più precisa fa- cendolo corrispondere al Garumniano superiore , e più specialmente alle ligniti di Euveau del bacino di Aix, alle sabbie di Brachette ed ai calcari di Eilly del bacino di Parigi, cioè al Fiandriano supe- riore di Mayer. Il piano II a Nerita Schmiedeli sarebbe compreso nell’Eoceno medio, mentre questa specie caratteristica ed i fossili che l’accom- pagnano, come fu rilevato da Hébert, corrisponderebbero nel ba- cino di Parigi al Calcaire grossier in parte ed in parte alle sabbie di Beauchamp. Con quelle cominciano i sedimenti nummulitici ad avere il loro massimo sviluppo. — La Plora di Bolca e la Pesciaia del Postale appartengono alla parte più bassa di questo piano II e corrisponderebbero alle argille e sabbie di Soissons ( Soassonesc di Mayer) ed alle argille di Londra. Il piano III, cioè gii strati di Priabona, secondo Hébert e Suess, corrisponderebbero al terreno nnmmulitico di Biarritz ( Bar - tornano di Mayer). Noi abbiamo diviso questo piano in due sotto- piani, 1’ uno più basso ad IJali/therium, che corrisponderebbe al Bartoniano inferiore e forse agii strati calcarei di Blaye, i quali, secondo Bayan, sarebbero compresi ancora nell’ Eoceno medio, e l’altro a Serpillo, spirulaea , che dallo stesso Bayan fu riferito al periodo più antico dell’Eoceno superiore. Questi strati trovano i loro corrispondenti, tanto nel Bellunese quanto nel Friuli, a Rosazzo, Brazzano e Cormons e specialmente a Butrio ('). (') Tarameli; Spiegazione della caria geologica del Friuli. Pavia 1881. — IS- TI piano IV venne pure diviso in due sottopiani, in quello delle marne a briozoi , che secondo Bayan corrisponderebbe alla parte più recente del nostro Eocene, ed in quello dei calcari a Cyphosoma, al quale sarebbero sincronici i sedimenti di Sangonini. Ora le faunule di Sangonini del piano IV sincronizzano, come fu dimostrato dal prof. Fuchs, cogli strati di Latdorf, che stanno a livello dei gessi d’Aix o di Parigi, i quali alla lor volta, siccome provò Sandb erger, corrispondono al periodo più recente dell’Eoceno superiore ( Ligu - rico secondo Mayer.) Non si ommette di osservare che a questo stesso orizzonte del piano IV appartiene pure l’epoca dello sviluppo della magni- fica Flora con Palme del Chiavon, come io stesso tentai di dimo- strare fino dal 1867 (l), nel Quadro sincronico dei terreni, ad onta del rispettabile parere del celebre prof. Heer di Zurigo. La Flora del Chiavon, secondo P illustre professore, nonché quella di Zoven- cedo, apparterebbero all’epoca oligocenica, cioè la prima al Ton- griano e la seconda all ' Aquitaniano di Mayer. Egualmente la Flora di Polca, secondo lo stesso celebre Botanista, sarebbe compresa nel- l’epoca dell’Eoceno superiore. Nel 1878 a Parigi, nel congresso per l’ avanzamento delle scienze, sotto la presidenza del conte di Saporta (2) tornai a con- fermare le stesse conclusioni, provando con nuovi dati scientifici quanto io aveva già pubblicato nel 1868, ed addimostrando il sin- cronismo della Flora del Chiavon e deiVegroni di Bolca coi Gessi d’Aix e di Parigi, e che la stessa Flora di Bolca doveva essere compresa nell’ Eoceno inferiore, per essere corrispondente piuttosto all’epoca delle Ligniti e delle Sabbie di Soissons, anziché all’Eoceno superiore, come aveva pubblicato il prof. Heer nella sua Flora del Paese terziario (3). Il piano V dei Grumi di Castelgomberto comprende una fauna che fu studiata da Fuchs e da Beuss, i quali trovarono che, pei molluschi corrisponde al calcare ad Asterie di Gaas e pei coralli. (') F. Molon, Flora terziaria delle Prealpi Venete. Meni, della Società Ital. di se. nat. Milano 1868. (‘) F. Molon, Rapporls syncroniques des Flores lertiaires fruncaiscs, avec r.elles des Alpes Venitiennes. (’J 0. Heer, Recherch.es sur le climat, et la vógélation du Pays Ir li aire. — Winterthur 1861. — 79 — in più debole proporzione, agli strati di Oberburg. Solo si trova di aggiungere che la lignite di Zovencedo, la quale riposa appunto sopra gli stessi strati dei Grumi di Castelgomberto, siccome pure la sua analoga in Monteviale, presentano ambedue il proprio sincronismo col banco lignitifero di Cadibona, per la comune presenza dellMn- thracotherium magnum. Con questo piano infine cessano i sedi- menti nummulitici. Dopo il piano V, sarebbe stato chiuso pei colli Berici il periodo dei sedimenti se non fosse avvenuta la frattura degli strati die divise in due regioni il Vicentino, e questo grande fenomeno decise sui generali profili tectonici di questa nostra regione. I sedimenti successivi, che vennero distinti col piano VI e che vennero designati col nome di Strati eli Schio, continuarono a de- positarsi nelle parti ribassate, ma essi nella loro massima parte si trovano sepolti nella regione orientale, e solo lungo le depressioni occasionate dalla linea di frattura si mostrano a giorno da Schio a Vicenza da un lato, e da Schio a Possagno dall’ altro. Questi stessi sedimenti, per frattura secondaria dipendente dalla principale, giunsero per Creazzo a Sovizzo fino al cono isolato che porta la Chiesa di Altavilla, che pur fa parte dei colli Berici. Questi Strati di Schio si trovano egualmente nel Bellunese e nel Friuli e si riferiscono all’ Aquitaniano di Maj^er. Nel Vi- centino non avvi sedimento più recente, e solo verso Est s’ incon- trano strati ancor più moderni, cioè presso Bussano verso Romano ed Asolo, dove le sabbie fossilifere rappresenterebbero il Tortoniano colla presenza della Panopaea Faujasi Basi. In generale puossi dire che dall’ Elveziano medio esistono sedimenti ognor più recenti che vanno fino e compreso il Messiniano inferiore. Nel finire questo mio Sunto geologico, non posso a meno di tornare a ripetere che ben poco appartiene al suo autore, poiché i prin- cipali dati e giudizi scientifici sono tratti dagli studi fatti da E. Suess e da F. Bayan, i quali fino dal 1868 si occuparono dei terreni ter- ziari del Vicentino, non avendosi ora che procurato di coordinare le più importanti risultanze, in relazione sempre al solo gruppo dei colli Berici. Vicenza li 25 novembre 1881. Francesco Molon, — 80 — OSSERVAZIONI GEOLOGICHE fatte dal prof. T. TARAMELLI NEL RACCOGLIERE ALCUNI CAMPIONI DI SERPENTINI (') INTRODUZIONE Le seguenti note di viaggio furono inviate a due riprese nello scorso anno al R. Comitato Geologico quali rendiconti di alcune gite, compiute nei due anni precedenti per incarico di detto Ufficio e allo scopo di raccogliere materiali di studio per la complicata questione dell’origine e dell’epoca delle varie formazioni ofìoliticlie italiane. Non tutto il materiale raccolto potò essere studiato dal chiarissimo signor Cossa: tuttavia questi potè stabilire importanti osservazioni sulle rocce di Valtellina, che poi furono pubblicate. Lo scrivente avrebbe desiderato di poter vestire di forma più con- veniente queste notizie ed anche di poter trarne qualche risul- tato; senonch'e si persuase essere l’accennata questione, almeno pel nostro paese, in una fase del tutto analitica e pensò che pubblicando le sue osservazioni senza alcuna pretesa di novità e senza accompagnamento di considerazioni teoriche, meglio si ot- terrebbe lo scopo di richiamare altri colleglli sopra l’importante argomento onde tutti insieme preparare i materiali indispensabili per lo sviluppo ulteriore di sua trattazione. La Valtellina e le Alpi Marittime sono tra le regioni meno studiate a questo ri- guardo; epperò potrà esser giudicata non inopportuna tale pub- blicazione, sebbene sia molto lontana dal potersi chiamare uno studio e tanto meno uno studio definitivo di tali regioni. 0 Adopero indifferentemente serpentino c serpentina non conoscendo alcun minerale, a cui spetti l'uno o l'altro nome ; generalmente uso come la maggior parte dei geologi il sostantivo maschile, perchè sembrami il più anti- camente usato dai nostri scrittori di geologia. — 81 — PARTE PRIMA A. Valtellina. 1 Luglio-Agosto 187',). Valle del Mallero o V. Malenco, nord di Sondrio. — Le rocce verdi sono sparse abbondantemente in tutta la valle per trasporto morenico. Un grosso masso sporgente dalla morena terrazzata di Torre S. Maria fu cagione die il sig. Curioni ed i sigg. Escher e Strider segnassero quivi il principio dell’affioramento serpentinoso. La Carta del Theobald presenta qualche inesattezza, dovuta spesso-alla troppo complicata suddivisione ed a parallelismi meno sicuri; come a proposito del calcare saccaroide, del quale le superfìcie di affio- ramento sono sempre assai esagerate. Il suo livello, come procurerò di dimostrare in appoggio a quanto ne pensava il sig. Curioni, non può essere del Trias medio. 11 sig. Curioni poi alla sua volta ommise la indicazione dei calcari dello Stelvio, a quanto pare, giustamente interpretati dal sig. Theobald. Oramai 'e scemato il valore strati- grafico del piano distinto da questo autore colPinfelice nome di scisti .di Casa una ; e le rocce scistose, talcose od anfiboliche sulla sua carta distinte colle iniziali Sev ; Set; sa; st, sino a Gl ( Glimmerschiefer ) si ponno riunire in un complesso normalmente inferiore ai gneiss ed ai graniti di tutte le montagne circostanti alle valli di Chiavenna, di Malenco, di Poschiavo e dell’Adda. La massima parte di queste rocce scistose si connette più o meno stret- tamente alle serpentine (S), ai gabbri (Gs), agli scisti di V. Ma- lenco o serpentinoscisti (SM — SMS) ed alle stesse dioriti (D) ; sono tutti sempre in banchi od in lenti, meno rarissimi ed assai dubbi casi di filoni, che d’altronde non si possono spiegare coll’idea d’una iniezione lavica, per essere di rocce diverse dalle cristalline, sopra- stanti in supposte colate. Una di queste eccezionali apparenze di dicchi è la giacitura di diorite, che si trova salendo da Sondrio ai Mossini, sulla destra del Mallero e che è in qualche modo in- dicata nelle carte suddette. In fatti è una sottilissima e diraman- 6 — 82 — tesi striscia di fina diorite , che si attraversa tre volto colle ri- svolte della strada recentemente costrutta e che è limitata sopra e sotto (o se vuoisi ai lati) dai gneiss anfibolie!, quivi prevalenti. Gli scisti di Y. Malenco, indicati quivi dal sig. Theobald, mi sem- brano mancare assolutamente ; questa diorite non ha quindi diretto rapporto colle rocce serpentinose. Più a monte, appena sopra la chiesetta d’ Aschieri (nord di Sondrio) si trova una grande lente di granito anfibolico, che si accompagna fino a Gualtieri d’Arquino e ch’è attraversata dal P. Mal- loro; non è segnata nello accennate due Carte. Essa roccia è coin- volta negli scisti micacei passanti ai gneiss ocracei, straordinariamente franosi, che si accompagnano rimontando il Mallero, fino al paese di Torre S. Maria. A monte di questa massa di granito anfibolico la forma del gneiss si fa più distinta e più costante ; abbonda un gneiss talcoso, che finisce col prevalere ad ogui altra roccia, al più alternandosi con banchi di gneiss cloritico. Questo continua fino alla tenue zona di calcare saccaroide di C. Bassi, che si contorce in modo assai complicato sopra entrambi i versanti della valle; sempre allimite tra il gneiss talcoso ed il sottostante serpentino scistoso. Infatti sotto questa zona di calcare saccaroide si presentano tosto le pietre verdi scistose, che sporgono sui due versanti dalle potentissime morene, sin presso il paese di Chiesa; e sul versante destro anche più avanti. Giustamente il Theobald indica costituito da queste rocce ser- pentinose il versante orientale del M. Disgrazia ; il loro sviluppo nella Val Sassersa (di cui dà un profilo questo autore al n. 11, e parla alla p. 249) , sullo sprone del M. Braccia ed in Val Giu- dellino, è stragrande ; quasi con esclusione d’ogni altra roccia. Dico ; quasi; perchè oltre ad una diorite segnata sulla Carta del Theo- bald che io non vidi , evvi una bella lente di roccia anfibolica ad ovest-nord di Chiesa, al sito chiamato casone Braccia, sulla porzione più elevata dei serpentinoscisti ed al contatto dei gneiss epidotici od anfibolici , che succedono in alto alle pietre verdi. Questi gneiss epidotici hanno qualche somiglianza colle rocce, che ricoprono le serpentine al M. Viso. La pietra oliare di M. Pillo, località prossima al M. Braccia, è una dorile fibrosa a struttura eminentemente cristallina ; con- tiene belli cristalli di sfeno , di apatite , con lìloncelli e mosche — 83 — di calcopirite o di pirite. Il limite occidentale delle pietre verdi è segnato abbastanza esattamente nella Carta del Theobald. Una gita da Chiesa al M. Pirio, all’Alpe Giumellino, al Lago di Pozzacchero, al M. Sorco ed al Campo di Torre mi porse oc- casione di osservare i rapporti stratigrafici tra queste rocce e di persuadermi : 1° che il gneiss talcoso è sempre superiore al calcare saccaroide; 2° che questo è constratificato nella formazione protozoica; 3° che al di sotto le serpentine non toccano il calcare saccaroide ma vicino ad esso si sfumano prima nei serpentino -scistosi ( Materico - Schiefer), poscia in gneiss anfibolici o cloritici, a grana assai mi nuta. Tali rapporti mi furono anche confermati da un oculato osser- vatore del sito, il sig. dott. Emilio Zerzi dimorante da anni in Val Malenco. Devesi ad uno sconcerto stratigrafico , che al presente non saprei precisare, ma che non può diminuire la verosimiglianza della accennata successione in piu luoghi verificata, se al Ponte Curio, a nord di Primoio (ove erroneamente il Theobald segna la pietra oliare), i gneiss anfibolici e cloritici compaiano apparentemente inferiori alle pietre verdi di Primoio e del M. Braccia. Suppongo che sia il residuo d’una ruga o sinclinale coricata, che più a le- vante si fa meglio manifesta con rocce parimenti gneissiche e con interstrati calcari (ritenuti triassici dal Theobald) e che prosegue per Lanzada allo spartiacque tra la valle del Mellero e la valle di Poschiavo. Il sig. Cossa ha poi osservato in questi gneiss la presenza di numerosi cristallini di granato; altra analogia colle rocce normalmente superiori alle pietre verdi. Una gita da Chiesa al Passo del Muretto, ed altra nel giorno successivo da Chiareggio a Franscia pel Lago del Palli, mi offer- sero opportunità di stabilire le seguenti osservazioni. Appena sotto le accennate rocce gneissiche del Ponte di Curio stanno le ardesie serpentinose , delle quali le cave principali, che fruttano buon commercio alla valle, si trovano al sito detto il Castello di Primoio. Sono le più pregiate per leggerezza, per sot- tigliezza, per inalterabilità e perchè si prestano ad essere estratte anche in grandi dimensioni. Gli scavi sono talmente e con sì poca prudenza internati nella franosissima roccia che di sopra ad uno di essi osservai un marcatissimo crick , e disgrazie di frane quivi succedono ogni anno. Più a nord, in vari punti del versante est — 84 — #• del M. Braccia, presso Laguzzolo, sopra le Alpi Zecche, sopra il Lago del Palli e per entro la Val Lanterna superiore, si estrae dell’aimanfo ; ma le cave principali sono a Franscia e ne vedremo pili sotto. L’alto bacino del Mallero (coi suoi tre tributari di Val del Muretto dal passo omonimo, della valle di Sissons e della valle di V. Ventina) presenta nella sua porzione occidentale un prevalente svi- luppo delle rocce scistose anfiboliche; quelle medesime, che for- mano la base dei monti che stanno intorno ai bagni del Masino, e che nella stessa valle Melenco coprono le serpentine di Pri- moio e di Chiesa. Le varietà di queste rocce sono infinite; ma tutte passano alla forma gneissica: i gneiss poi si alternano qualche volta con micascisti e con talcoscisti, come sotto le Alpi d’Oro e presso Chiareggio. La delimitazione, anzi la sola denominazione di queste rocce esigerebbe un lunghissimo studio ; posso dire però che le anfiboliti non sono separate dai gneiss pel corso del torrente , come appare nelle Carte del Theobald e dello Ziegler. Poiché io osservai pietre verdi in posto sulla sponda sinistra, e vedousi i gneiss passare pili sopra anche sulla destra del torrente; e più a valle, presso lo sbocco di V. Forbesina, per quanto si può giudicare dalle rupi sporgenti dalla vasta morena granitica, che proviene dal Disgrazia, vi sono gneiss talcosi ed anfìbolici, talvolta dovi - tici come quelli al Ponte del Curio. Epperò quivi una carta geo- logica, per essere esatta andrebbe fatta da capo ; quando si sa- ranno fissate, meno vagamente di quanto si è fatto sino ad ora, lo denominazioni ed i livelli delle rocce. Tenuissime zone di calcare saccaroide, a leccature talcose, esi- stono in Val Ventina ed a nord-est di Chiareggio; ancora più a levante ed in alto , all’ Alpe Roggione , presso al Lago di Palli, ove raccolsi i campioni inviati al sig. Cossa. La picciolezza della carta, che ritorno colorata con queste poche note , mi obbliga ad esagerare le indicazioni di questi banchi; credetti però opportuno d’accompagnare tale indicazione dei calcari saccaroidi alla carta delle serpentine, e per la • importanza teorica che ponilo questi calcari acquistare nello studio delle genesi di queste e per faci- litare l’accordo colle zone delle pietre verdi piemontesi. La roccia anfibolica al Passo del Muretto, presenta degli interstrati di giada o saussurito d’una tenacità fenomenale e ne mandai campione al — 85 — sig. Cossa. A giudicare dalla morena, il granito del M. Disgrazia 'e analogo a quello di Asquini , sopra Sondrio; cioè cloritieo ed anfìbolico, a struttura porfiroide, passante a gneiss. Tranne il limitato affioramento di pietre verdi lungo il sen- tiero pel Muretto, queste non si presentano nell’alto Mallero a nord di Chiareggio; ma incominciano alla valle del Foraschetto e si sviluppano assai al M. Nero. Sopra esse si svolge con meravigliosa continuità la zona calcare del Sasso d’Eutova, del Pizzo Tramog- gio e del M, Carpoggio. Più in alto, stanno graniti e gneiss, in- clinati a nord-est, i quali secondo le carte svizzere formano il gruppo dei monti della Bernina. 11 limite tra questi serpentini ed i gneiss anfibolici e clori- tici, nella regione in cui feci le rapide mie escursioni, sono segnati nella Carta del Theobald abbastanza esattamente tra le due valli del Mallero e del Lanterna ; poiché di fatto il M. Motta è una grande massa di pietre verdi ; mentre il monte a sud del Lago di Palli è di gneiss anfìbolico. Le pietre verdi sono poi traversate da fìloncelli cupriferi al dosso di Tetto (da Campolongo ad Ova) ed in molti punti attorno ad Ova, a Franscia, a Chiasso presen- tano dell 'amianto, che all’epoca della mia escursione si scavava con febbrile attività, grazie alle applicazioni che questo minerale veniva appena allora a ricevere nelle industrie. Alle cave presso Franscia oltre un centinaio di uomini erano intenti ad abbattere un colle serpentinoso, senza alcun riguardo alla vegetazione e con qualche pericolo dei prossimi casolari. Parvemi osservare che l’a- mianto abbonda dove la roccia serpentinosa è più omogenea, più tenace, ed in banchi di maggiore potenza. Esso venne probabil- mente a formarsi in fratture, che non hanno alcuna relazione col- l’attuale scistosità della roccia. Le fibre vanno dall’ una all’ altra parete della spaccatura, che fu riempiuta dal minerale ; e talora si vede che per posteriori movimenti della roccia la frattura si è ri- stretta ed il minerale fibroso si è arricciato e pieghettato. L’amianto contiene parecchi minerali, tra i quali il sig. Cossa ha già determinato e descritto un bel granato verde , in minuti cristalli, che insito dai cavatori si chiamala semenza dell'1 amianto. Il gneiss talcoso sotto Campolungo contiene bellissimi cristalli di quarzo jalino. A nord-est di Franscia evvi una zona talcosa, con steatite. Le cave della pietra oliare di Lanzada, a differenza da — 86 — quella di M. Pillo, somministrano una varietà steatitosa anziché cloritica e sono al sito detto Val Brutta. Questo nome è dato con molta ragione; essendo quello un tratto della sinistra del P. Lanterna orrido per frane, per dirupi e per scarsità di ve- getazione. A sud del corso della V. Lanterna la roccia serpentinosa, con una tenuissima zona calcare (esagerata ed al solito interpre- tata come triasica dal Theobald), passa ai monti Cavaglio, Agua- nera e Pizzo Scalino ; poi riappare sotto i gneiss e sotto i calcari saccaroidi del P. Fontana e passa nella valle Poschiavina, conio dirò piu avanti. E siccome le dette pietre verdi dell’alta valle del Mallevo sono coperte dalle rocce gneissiche e granitiche della Ber- nina, così queste del versante sud di V. Lanterna sottostanno ai gneiss, ai graniti, alle sieniti , alle serìzzette ( gneiss anfibolici , gra- nitoidi ) ed al serizzo ghiandone (gneiss spesso anfibolico a grossi cristalli di feldspato, generalmente orientati tutti in un senso); un complesso di rocce cbe si sviluppa nelle montagne a nord di Ponte e di Tirano. Percorrendo le falde del M. Corna-Mara a nord di Sondrio, ho potuto constatare che, oltre all’accennato micascisto ocraceo, at- versato dal fiume Mallevo sotto Torre S. Maria, evvi molto abbon- dante il vero gneiss micaceo, con alternanze frequentissime di gneiss anfibolico; assai più di quanto compaia nella Carta del Theobald; mentre posso affermare che mancano affatto le rocce serpentinose segnate sopra Acqua e Pendolesco. Quivi invece affiorano gneiss anfibolici ed anfiboliti più o meno analoghi a quelli dello sbocco di V. Forbesina. La ommissione fatta dal Theobald delle frane e delle morene, che in questa regione per l’erodibilità delle rocce sono svi- luppatissime, lo ha costretto ad una inevitabile approssimazione nelle indicazioni dei confini tra le varie formazioni, da lui, a quanto mi pare, troppo sminuzzate. Mentre sono tralasciate talune indi- cazioni, che sarebbero tornate utili al suo intento di individuare il piano degli scisti di Casanua ; poiché, ad esempio, presso S. Tom- maso di Tresivio, esistono e non sono indicati nella Carta dei mi- cascisti argillosi, leggermente talcosi, pur essi passanti ai gneiss, che hanno una rassomiglianza assai grande a quelli della Poschia- vina e di Bormio, riferiti appunto dal Theobald a tale piano. Credo che trattandosi dei margini della regione di cui l’egregio geologo — 87 — coloriva il suo foglio geologico , egli si sia accontentato di dare indicazioni approssimative. Le pietre verdi affiorano verso l’ Adda sotto Teglio, verso S. Giacomo, con belle anfiboliti zonate ; credo che affiorino inoltre in qualche altro punto a ponente di Sondrio. A Morbegno già com- pare un gneiss passante a serpentino appena oltre il Ponte Ganda; ma questa regione è tutta da studiarsi al pari del versante set- tentrionale della catena che separa la Valtellina dalle vallate del Brembo e del Serio. In questa catena orobica, per quanto sappia, non esistono pietre verdi e forse nemmeno rocce dioritiche ; io però non feci che brevi escursioni intorno a Sondrio, ed a nord di Foppolo sino al Passo Dordona e nei dintorni di Branzi nel versante della Valle Brembaua, trovando in taluni punti dei gneiss granitici, che al momento non saprei collegare colle formazioni valtellinesi. Pietre verdi dei dintorni di Poschiavo. — Visitai le valli di Orse e di S. Cauciano, le quali scendono dalla sponda orientale del M. Bernina (M. Confinale e M. Verona 3463”) e dal passo di S. Canciano (3107”) ; cioè dallo spartiacque della V. Lanterna, con- fluente nella Valle Malenco. Nella valle d’ Orse ho osservato che i talcoscisfci (St. di Theo- bald) tengono il fondo della V. Poschiavina e volgono ad est, in modo da lasciar affiorare le sottostanti pietre verdi entro la valle. Queste sono scistose, più frequentemente anfiboliche e più fittamente al- ternate con talcoscisto in confronto alle analoghe presso Chiesa di V. Malenco. Osservai anche sull’altipiano orografico presso lo sbocco della valle dei massi d’ un serpentino dicillagico , che forse è il gabbro cui il Theobald segna estesissimo in questa valle d’ Orse. Erano massi staccati che ponno provenire da qualche banco del serpentino affiorante quivi presso. Mi sembra però che la indica- zione del Theobald non sia molto esatta; poiché appunto dove la sua Carta segna il gabbro percorsi lungo tratto sul gneiss talcoso, in posto. Ed appena sopra, nella vasta area segnata dal Theobald come S M ( Gruner-Malenco-Schiefer ), il M. Confinale ed in parte il M. Buzzi sono costituiti da gneiss talcosi e dai serizzi ghian- doni della più caratteristica struttura e con bellissimi esempi d’in- terclusi anfìbolici, che apparentemente fornirebbero fortissimi ar- gomenti a sostegno della origine eruttiva di tali rocce, per me — 88 — metamorfiche. L’affioramento serpentinoso è limitatissimo, presso allo sbocco della valle, e diretto dal nord-est a sud-ovest. Altrove stanno le zone normalmente superiori al serpentino, feldispatiche e talcose. Nella valle di S. Canciano trovai le cose alquanto più con- formi a quanto è indicato nella Carta del Theobald. Infatti, ai talcoscisti presso la V. Poscliiavina si associano gli argilloscisti micacei Gl, che danno delle belle beote, scavate sotto S. Antonio. Guadagnato quindi ed attraversato un altipiano morenico, mi trovai innanzi ad una parete di rocce verdi, alternate con anfiboliti, sulle quali mi sono inerpicato sino ad un punto abbastanza alto (2100m), ove si stava lavorando per scavare col solito rovinìo del bellissimo amianto. Le serpentine, delle quali percorsi le testate salendo alla cava, sono alternate con banchi di compattissime anfiboliti; sono tenacissime e contengono del ferro magnetico. Più in alto, con tenue strato intermedio di gneiss talcoso, trovai la zona del calcare sac- caroide, bindellino, talcoso, che scende dal Pizzo Fontana e si avvia alle Prese di Poschiavo, ove questa roccia fu segnata e descritta dal Theobald. Mi recai a questa località delle Prese, sul Lago di Poschiavo, in un amenissimo luogo ove sorge uno stabilimento idroterapico di molto lusso. Dirò d’incidenza che questo lago è chiuso da frana e non da morena, e che la frana è scoscesa da sinistra, come evi- dentemente si scorge guardando dalle alture circostanti a Poschiavo. Esaminando attentamente la serie di questa località (descritta e rappresentata dal sig. Theobald a p. 288-91 e nel profilo 17) osservai che il calcare saccaroide o granulare concorda perfetta- mente coi talcoscisti che lo comprendono; che forma parecchi banchi alternati coi talcoscisti e che uuo di questi banchi si ac- compagna per 170m; che nessuna roccia vi si incontra, la quale presenti analogìa anche lontana colle triasiche. Esistendo poi queste non metamorfosate nelle non lontane montagne bergamasche, anzi con tutta probabilità nell’attiguo Sassalbo di Poschiavo, non si capi- sce come dovessero essere quivi così svisate. Rimontando la via postale, a nord di Poschiavo , vidi che i talcoscisti scendono fino al fondo della valle e che contengono dei banchi di roccia epidotica analoga a quella del Pillo, di V. Maidico e della V. della Varaita in Piemonte. Gita da Poschiavo a Grossotto pel Passo di Sassiglione. — — 89 — Interessavano di esaminare quel lembo inaspettato di mesozoico del Sassalbo, che compare sulle Carte del Ziegler e del Theobald 0 die io desiderava di confrontare con analoghi non meno enigmatici e, per la loro potenza importantissimi, lembi dell’alta Valle Brem- bana. Sono rocce che stonano così litologicamente come stratigra- tìcamente nella serie cristallina; ma che non ponno riferirsi ad alcun periodo mesozoico senza un atto di fede ; stantech'e mancano 0 per lo meno non vi furono scoperti dei fossili caratteristici. Se- condo la detta Carta e secondo il profilo e la descrizione del Theo- bald (p. 300, f. 6), io avrei dovuto attraversare per lo meno un calcare del Muschelkalk ed il sottoposto terreno colle puddinghe del Verrucano. In fatto però, sotto al calcare più 0 meno dolomi- tico non trovai che una dolomia cariata con degli scisti cloritici , quarziferi, i quali potrebbero bensì con. qualche sforzo riferirsi al gruppo del Verrucano alpino, ma che molto meglio convien la- sciare nella serie cristallina, concedendo un certo valore a quella alterazione che questa deve aver quivi subito quando depone va si e quando alteravasi la dolomia soprastante. Non vidi traccia’ di fos- sili sul calcare, ma interstrati arenacei 0 marnosi. I calcari sono franosi, distintamente stratificati e formano un riccio, ricoperto per arrovesci amento dal talcoscis 0 che forma la cresta più orientale, parallela e meno elevata della cresta calcare del detto Sassalbo. Non nego che possa essere un lembo mesozoico, ma sospenderei ogni giudizio sulla sua epoca. Attraversata questa briglia calcare, si giunge al Passo di Sas- siglione sopra micascisti così analoghi a quelli paleozoici delle Alpi Carniche e Carinziane che io fantasticava meco stesso i piu strani riferimenti; se nonché, a togliermi dall’erronea associazione, incon- trai i gneiss, che quivi si alternano e poi sostengono i micascisti, come giustamente ha indicato nella sua Carta il sig. Theobald. Vidi anche una grossa lente di serizzo ghiandone avviarsi verso i Monti Bosco e Lena, attraversare la Valle di Sasso e perdersi nella massa gneissica del M. Campana. Così fui ripiombato nel càos delle for- mazioni precarbonifere, cui ci accontentiamo per ora di distinguere con nomi litologici più 0 meno inesatti. Osservai anche delle lenti di granito e di gneiss, non segnate nella detta Carta. Questa, più a nord-est, segna un affioramento di diorite, che io non ho potuto visitare. Il gneiss, che s’incontra — 90 — appena discesi dal Passo di Sassiglione, è a struttura occhiadina (cogli arnioni elittici di quarzo disposti a quinconce) come lo Slrona- Gneiss del sig. Gerlach. Sceso nella valle e percorrendone il versante settentrionale, fui all’importante giacimento di calcare saccaroide (indicato col solito riferimento nella Carta svizzera) tra Yaldana e Eamendigo. Questo calcare è quivi compreso nello gneiss talcoso. Roccia micacea o scistosa riferibile in alcun modo a formazione diversa da quelle accennate sino ad ora, superiormente alle pietre verdi, io non vidi; quindi giudico incerta la indicazione dei Ca sauna- Schic fer (co- munque vogliano interpretarsi) che il Theobald segna con tanta ampiezza di sviluppo per entrambi i confluenti di Val Grosiua. Sib- bene dove la strada svolta per un lungo tratto a nord, per scendere nel letto del confluente di V. d’ Avedo, rimarcai gli scisti anfi- bolici, quivi segnati anche dalla detta Carta e mi persuasi che la serie, se fosse la valle più profondamente incisa, verrebbe * ad essere come nella Valle di Poschiavo. Più oltre, scendendo dalla rapida china del terrazzo orografico-morenieo sopra Grosio, rividi i gneiss anfibolici e cloritici del Ponte del Curio e della Poschia- rina, laddove il Theobald omette le morene per segnare il micascisto. Tale ricomparsa del gneiss anfibolico e talcoso, a tanta vi- cinanza ed a mio avviso inferiormente alle masse granitiche e sienitiche delle Prese di Sondalo, è per me un argomento molto importante per giudicare coeve alle serpentine sino ad ora esa- minate altre rocce, alquanto diverse ma parimenti distinte da colorito verde, che chiamerò le serpentine arenacee o fibrose di Grossotto e di Bormio. Nella scarsità delle mie osservazioni in argomento e collo sconforto di trovarmi così poco in accordo con una Carta di tanto meritevole geologo, senza aver potuto studiare, come molto desiderava di fare, lo spartiacque della Valle Canio - nica, io mi trovo ad emettere un’ipotesi affatto gratuita; tanto più che mancano ancora i dati litologici e chimici. Ma quando seppi che presso Sondalo sonvi rocce granatifere, generalmente superiori alla zona delle pietre verdi , che in Valle di S. Catterina si trovò dell’amianto, che le sieniti delle Prese, superiori a mio avviso a queste pietre verdi arenacee di Bormio e di Grossotto, contengono esse medesime dei tenui banchi di serpentino, mi credetti abilitato a concedere qualche valore a questa mia ipotesi e segnai con tinta — 91 — speciale queste rocce sulla piccola Carta spedita al r. Comitato, pel caso che questa ipotesi fosse per esser divisa da chi avrà l’in- carico di riunire gli elementi per uno studio sulle formazioni ser- pentinose italiane. Quanto alle relazioni geologiche delle rocce circostanti a Bormio, veduto quanto ne scrissero Theobald, Ziegler, Mojsi- sovics (Beitrdge zur topogrctphischen Geologie der Alpen. Jalirb. k. k. geol. R. A. 1873 Taf. Y), mi sono persuaso che l’ampia zona calcare, che quivi mette capo provenendo dalla Valle di Braulio, sia veramente triasica; tantoché riposa sopra rocce assai analoghe al Verrucano e presso al contatto di questo contiene anche grosse amiddale di gesso. Riferimento questo, che acquista tanto maggior valore inquantochè si appoggia a ciò che si è finito a concludere a proposito dei calcari e delle dolomie parimenti gessi fere di Airolo e dintorni. Osserverò poi che, precisamente in queste adiacenze di Bormio, il sig. Theobald fu indotto dalle più evidenti diffe- renze tra questo calcare triasico e l’altro calcare saccaroide (altrove supposto come rappresentante del Muschelkalk), a distinguere con tinta apposita e colla lettera m la zona di calcare saccaroide, che si diparte dal colle di S. Pietro ed 'e segnata svolgersi con tanta continuità verso i monti dell’alta Valle Camonica; calcare saccaroide equivalente a quello di Vezza e forse anche a quello che il Lepsius e, prima di lui, il Curioni ed il Ragazzoni hanno os- servato e descritto come riposante a ridosso della tonalite. Per la tesi che io sostengo, appoggiandomi anche all’opinione del Curioni circa alla spettanza di questo e degli altri accennati calcari sac- caroidi alle formazioni precarbonifere od anche presiluriane, giovi pertanto che io affermi che questo calcare, esaminato attentamente al Colle di S. Pietro, non è per nulla diverso da quello delle Prese, di V. Grosina, di Lanzada, di M. Roggione e degli altri punti che ho detto della Valle del Mallero ; e per conseguenza si pa- rallelizza con quelli di Montagna di Sondrio, di Dubino, di Do- maso e di Dongo, nel bacino Lariano. Le serpentine arenacee e scistose di Bormio e di Grossotto, hanno, come ho detto, sensibile differenza da quelle amiantifere di V. Malenco e di V. Poschiavina; oltreacciò sono calcarifere, come quelle di Amantea in Calabria, si lavorano facilmente come pietre di ornamentazione per stipiti di chiese e di abitazioni, come — 92 — si può scorgere in tutti i paesi a monte di Tirano e specialmente in Bormio ed in Grossotto. Passano non a talcoscisti ed a gneiss talcosi, come le pietre di V. Malenco, ma a degli scisti argillo- talcosi, più o meno quarziferi ; mancano di epidoto. In complesso, se appartengono, come io suppongo, alla stessa zona che le pietre verdi di V. Malenco, esse o provengono da rocce differenti da quelle onde si 'e per metamorfismo ingenerato il serpentino amian- tifero, o fu diverso il processo di loro formazione. Statigrafica- mente non potrei al presente indurmi a collocarle al di sopra delle rocce granitiche di Sondalo. Vedasi del resto per questa que- stione il risultato delle analisi stabilite dal sig. Cossa. Valle di Dongo. — Quanto alla serie di questi dintorni, in una breve escursione, m’ internai nella valle e poscia piegando verso Musso, per esaminare la lente di calcare saccaroide, ho potuto confermare pienamente le osservazioni del compianto mio amico E. Spreafico, quali sono esposte nel volume illustrativo della sua Carta (pag. 162-166); specialmente per quanto risguarda gli intimi rapporti del calcare saccaroide cogli scisti coi quali esso ripetutamente si alterna. Potrebbe elevarsi la questione se a queste rocce calcareo-scistose ed agli scisti anfibolici e granatiferi che le ricoprono stiano sopra o sotto le masse granitiche del Chi ave n- nasco e della Val Cederà, così ben descritte dal Curioni e dal Theobald. Bisognerebbe connettervi gli isolati affioramenti granitici, che io ho descritto presso Lugano al M. Alpe di Lago e M. Gheggio di Magliaso. La questione è tuttora aperta e non ne fa cenno nemmeno il sig. Bolle nel lavoro per altro interessantissimo dal titolo : Uebersicht der geologischen Verhciltnissen der Landschaft Chiavenna . Nella Valle di Dongo non vidi alcuna traccia delle serpentine valtellinesi ; le anfiboliti però sono quelle stesse di Primoio e del Muretto e si tengono piuttosto basse. L’enorme sviluppo delle morene, quivi insinuate dal ghiacciajo abduano, vie- tano di stabilire con sicurezza il limite delle anfiboliti coi sopra- giacenti scisti micacei e talcosi, più o meno ricchi di granati. Dintorni di Chiavenna. — La esistenza nel Chiavennasco di serpentine è nota da moltissimo tempo e le indicazioni delle Carte del Curioni e di Escher e Strider sono approssimativamente esatte; mentre la Carta di Hauer non vi nota che anfiboliti. Ecco quello che ho osservato da Chiavenna al confine svizzero. — 93 — Un fortissimo contrasto orografico si avverte tra la Valle di Chiavenna e le altre della Valtellina. Panni che questo contrasto si debba alla più distinta stratificazione che quivi assumono le formazioni gneissiche e grauitoidi, le quali in alto si lasciarono erodere a guisa delle dolomie mesozoiche. Le serpentine si accompagnano da Chiavenna, ove questa roccia sostiene il Castello, fino alla croce di Piu.ro e formano mammelloni bellamente arrotondati dal ghiacciaio, fin quasi a 200 metri sul thalweg. Per essere state meno erodibili delle soprastanti rocce gra- nitoidi, esse formano un distinto terrazzo orografico. Osserverò che l’affioramento di scisti cristallini segnato lungo il thalweg sulla Carta svizzera è affatto erroneo ; invece, a monte del grande talus di Pi uro le rocce gneissiche si abbassano per poco, e perciò scompare per breve tratto il serpentino. Ma tosto ricompare ed oltre Piuro, precisamente sotto la villetta chiamata Sans-Sou^i, raccolsi bellissimi campioni che furono esaminati dal sig. Cossa. Quanto sia grande la erodibilità delle rocce gneissiche rico- prenti il serpentino lo dimostra l’enorme scoscendimento di S. Ab- bondio, con quel campanile a strapiombo, che si erge dalle ma- cerie, ultimo avanzo di un paese sepolto. Sull 'accennato terrazzo orografico, il quale è inciso da bella cascata, stanno i paeselli di Dosila e di Sarogno. Sopra Piuro, di fronte a Prosto, eravi una cava di pietra oliare, analoga a quella di M. Pirlo di Chiesa; ma da molti anni se ne sospese il lavoro in causa di grandi scoscendimenti quivi avvenuti. In complesso, la posizione e la struttura delle serpentine nel Chiavennasco corrisponde precisamente alle condizioni, che ho ac- cennato per quelle delle valli di Poschiavo e di Malenco. — 94 — B. Apennino Bolognese. Alta Valle Tiberina. — Monti Rognosi di Anghiari-Castiglion- CELLO DEL TlNORO (SARTEANO). — ALLERONA DI ORVIETO. Settembre 1879. Da Vergato a Castel d’Ajano (l). — Sotto Fiuontero, movendo per Labbante, s’ incontra un tenue affioramento serpentinoso, cir- condato come ovunque dalle argille scagliose. L’ofìolite è verde chiara, con diallaggio (?) biancastro e contiene belle geodi di quarzo roseo. Stanno vicini degli strati di arenarie e marne del tipo del Flyscli, sollevati alla verticale; cosicché riesce molto evi- dente la discordanza che presentano con questa serie eocenica i soprastanti strati miocenici. E questi sono: alla base, una molassa serpentinosa, con ciottoletti di quarzo, di calcare e forse anche di rocce gneissiche, passante gradatamente ad un conglomerato a grossissimi elementi calcareo- ofiolitici, a strati irregolari. In gene- rale queste rocce, che spettano probabilmente al Bormidiano, vol- gono a sud-ovest. Procedendo, dopo un tenue affioramento di altre argille scagliose, ricompaiono le molasse, in strati potenti e quasi orizzontali; più sopra si entra nel vero Schlier , quivi e presso il non lontano paese di Africo assai ricco di fossili, in specie di echinidi. Movendo poi verso Castel d’Ajano, s’incontrano molasse, marne ed arenarie sempre più somiglianti alla serie del pliocene vogherese e Piacentino; ma non ci vidi dei gessi. Di fossili non raccolsi che taluni dentali e delle ostree. Le arenarie, presso Ca- stel d’Ajano, sono erose a torrioni come quelle del vicino Marza- botto e di Rivanazzano, nella valle della Staffora. Castel d’Ajano. — Bombiana — Gaggio. Scendendo a Sasso- Molare, s’incontrano conglomerati e molasse del pliocene inferiore; poi al molino della Canavaccia rinvenni molti fossili che mi sembrano del tortoniano. Al Malandrone, a nord di Spomicila, incontrai banchi più compatti e più inclinati di calcari marnosi e di are- i (') Queste osservazioni sul Bolognese furono fatte quando non ora ancora pubblicata la Carta del signor Capellini, e sicuramente non sono nuove; tut- tavia non lio creduto di tralasciarne la stampa perchè mi porgono o mi por- geranno occasione di talune considerazioni, clic ritengo non del tutto spregevoli nella questione della genesi delle rocce ofioliticlio. — 95 — «arie glauconiose, identiche a quelle di Serrctvalle Scrivici e di Varzi, epperò del miocene medio (*). Subito dopo s’ incontrano le formazioni stesse di Labbante, con chiazze rossovinate, che preludono all’affioramento delle pros- sime ofioliti. Difatti un primo grugno di queste sbuca dal suolo a levante della via per Bombiana. Recatomi ad esaminarlo, osser- vai che presenta da est a ovest una successione dalle ofioliti al gabbro rosso, passando attraverso la eufotide quivi assai alterata. Anche la ofiolite con bastite qua compare alteratissima e si sfalda in globuli di piccola dimensione, con intermezzo di pasta steatitosa; epperò la roccia scoscende, quasi fosse argillosa. Il paese di Bombiana posa tutto sopra banchi di calcare va- riegato, assai ricco di interstrati e di arnioni di selce; tanto da presentare una certa analogia col rosso acl aptichi e col gruppo Kimmeridgiano prealpino — depositi ritenuti, credo a ragione, come di mare profondissimo. Movendo verso sud (non so se sopra o sotto in senso stratigrafico) trovasi sviluppatissimo il gabbro rosso, brec- ciato, od in conglomerati, omogeneo, venato; insomma con tutte quelle gradazioni, colle quali mi si presentò nella Liguria, .nel Pavese e nel Reggiano. Ancora più a sud ovvi la serpentina brecciata, ve- nata di calcite con amianto abbondantissimo. Furono trovate quivi: la capar cianite, la savite e la datolite. Tra 1’ ofiolite e il gabbro stanno dei banchi irregolari , che non oserei chiamar filoni , di eufotide bellissima e di euritotalcite. Questo classico affioramento serpentinoso è poi immerso nelle argille scagliose, le quali for- mano, a quanto pare, il sottosuolo di tutta questa porzione di Apenniuo e furono stranamente contorte , con rottura e sfacelo dei compresi interstrati di alberese e di macigno. Non so preci- samente in qual punto del Porrettauo esistano in posto dei fossili cretacei. Quello che è certo si è che non è più antico dell’eocene il macigno della Por retta; e se la opinione che esso spetti alla creta col calcare a globigerine fu giustamente abbandonata e sonovi argomenti per ritenerlo miocenico, per altre osservazioni stabilite nell’ Apennino Ligure e Bobbiese io ho forti argomenti a so- (') Avverto il lettore che per evitare possibilmente gli errori, mi attengo a quelle più generali denominazioni che meglio valgano a far conoscere la posizione relativa delle formazioni esaminate. — 96 — spettare che questa roccia sia sottostante alla zona serpentinosa. Ma io non voglio entrare nella questione dell’epoca di codesto ma- cigno porrettano, essendovi impegnati valenti miei colleglli. Al mo- mento non vedrei alcuna ragione per riferire questa formazione serpentinosa e le annesse argille scagliose ad un livello più antico che nell’Apennino Ligure e Bobbiese. Osserverò però che tali rocce sono nel Porrettano , per una più abbondante miscela con fram- menti di banchi arenacei e calcareo-marnosi, assai meno sterili che nel Keggiano e nel Pavese; ma questa non è uua differenza intrinseca alle argille scagliose, aventi ovunque la stessa struttura, le medesime gradazioni di colorito e gli stessi minerali accessori. Da Borabiana andai al Gaggio, località descritta già dal Bian- coni nel libro sui terreni ardenti. Una bellissima rupe sostiene una porzione del paese e torreggia sulle case più basse, con in cima una torre con orologio. La roccia prevalente in questa rupe è una eufotide, che impasta frammenti anche grossissimi di cal- care marnoso, senza punto alterarli. 11 fatto si vede identico a a Fontanigorda nel Bobbiese. Questa eufotide poi si alterna con banchi assai contorti di alberese arenaceo, attraversati in tutti i sensi, al pari delPeufotide, da venuzze e da filoncelli di ben cri- stallizzata calcite. Al limite meridionale dell’affioramento, Peufotide passa alla serpentina; questa poi in venule e in rilegature, a sprazzi, invade tutta la massa delPeufotide, quasi fosse formata col macini- lamento di questa. È anche interessante l’osservare che, verso la porzione superiore della rupe, l’eufotide è parimenti brecciata; ma la rilega, non il serpentino compatto, ma una sostanza cloritoide, fangosa, analoga a quella che spalma gl’ interstrati calcareo-mar- nosi, rotti e sparsi nello sfacelo delfe argille scagliose. Questi, se non mi inganno, sono fatti, in appoggio dell’origine delle rocce ofiolitiche per sedimento chimico, lentamente elaborato da forze cristallogeniche. A nord del paese di Gaggio, nella valletta del R. del Rame, evvi un bell’affioramento di gabbro rosso, formante una zona di banchi alternati, come sotto Bombiana, con del calcare screziato, selcifero. Yi si associa con una roccia verde e rossa, finamente cri- stallina, accompagnata dalla solite varietà di gabbro arenaceo. A Bologna il sig. Bombicci mi mostrò al microscopio le lamine sottili di queste rocce e se ne vede la struttura assolutamente cristallina, come — 97 — un intreccio di piccoli aghi probabilmente di un pirosseno. Sono lo rocce stesse che poi si vedono affiorare dall’ immenso sfacelo, al molino del Gaggio. Gabbro e serpentino affiorano poi non lontano al Castellimelo. La rupe del Gaggio è alta 65ra sul piano dell’ osteria, posta a metà del paese. Accenno per incidenza che presso al Gaggio, movendo verso Ghecchia attraverso alberesi e rocce del Flysch , visitai una ema- nazione di gas idrocarburo, che si era manifestata il 20 aprile 1879 e che era stata usufruita per cottura di calce. Le emanazioni ana- loghe della Porretta, usufruite per follature di cappelli, sembrano ingenerarsi allo stesso focolaio, che io ritengo non avere alcuna relazione colle serpentine. Il giorno dopo, esaminando i rapporti stratigrafici del macigno di Porretta, in cui si sono trovate delle bivalvi non molto diverse dalle Lucine del miocene superiore e medio, trovai molto sin- golare che le argille scagliose si appoggino al lato nord est di questo lembo di macigno, quivi inclinato a nord-ovest. Che poi le argille siano quelle stesse che anche altrove contengono” le ser- pentine, lo dimostra lo affioramento non lontano di queste rocce, appena a nord di Lizzo, al Berignone, ed ancora più a nord. Al Beri- gnone evvi anche un bellissimo gabbro. Quanto più andiamo verso sud troviamo, a quanto mi pare, delle rocce più recenti e le ar- gille si fanno sempre più compatte ; formando una zona di calcari marnosi, che accompagnai sino al paese di Suviana (320m sopra Porretta) e vidi che si continuano più oltre fino a Castel Bargi. Prevale P inclinazione a sud ovest. Ritengo che il macigno e le sottostanti arenarie spettino al Liguriano, perche in queste trovai le fucoidi labirintiformi tanto comuni e caratteristiche nel Geno- vesato, nel Bobbiese, non meno che nel Friuli e nell’Istria. Il Fosso della Castellina è certamente una delle più impor- tanti località per lo studio delle serpentine; poiché quivi si osserva un ammasso di grossi frammenti globulari di eufotide, impastati da serpentino fangoso, insieme a dei massi di calcare alberese. Questo strano conglomerato è poi attraversato dalla vallicella, che forma quivi una gora assai artistica. È compreso, sotto e sopra, da marne compatte, alternate con galestro ; uno strato regolare di calcare marnoso , della potenza di 3 a 6 metri , aitraversa obli- 7 — 98 — quamente la parete occidentale del dirupo. La marna ofiolitica si perde a sud ed a nord nelle argille galestrine, analoghe al tas- sello istriano (posto tra il calcare ad Alveolina del Piano di M. Po- stale e Pisino ed i banchi nummulitici di S. lllarione-Pinguen- te-Albona). La complicazione degli accidenti stratigrafici e, pili ancora, l’abbondanza dello sfacelo superficiale esigerebbero il più accurato studio per isbrogliare la tectonica di questa serie. E un quesito, per esempio, la improvvisa scomparsa di questo conglo- merato di eufotide.ed il comparire delle ’ofioliti con gabbro e con prevalenza di serpentine a nord di Lizzo. Come nel rimanente dell’Apennino, 'e molto probabile che quivi siano più direzioni di curve, che la più antica di queste non abbia alcun rapporto colla più recente e che tutte siano più o meno slegate dalla orografia, quivi dovuta più che ad altro alla erosione fluviale e meteorica. La determinazione del macigno porrettano come oligocenico sem- plificherebbe d’assai la stratigrafia di questa contrada; ma non la considero dimostrata a sufficienza e rimetto la questione ai col- leglli che la conoscono meglio di me. Alta valle Tiberina — Ommetto le osservazioni risguardanti la serie pliocenica e le rocce mioceniche dell’Umbria, poiché cor- rispondono in generale a quanto ha pubblicato il mio amico capi- tano Antonio Verri in parecchie Memorie. Quanto alle mioceniche, mi sembra risultare sempre più probabile 1’ enorme sviluppo di arenarie e di glauconie con rocce d’aspetto di Flysch, appartenenti all’ oligocene anziché all’ eocene superiore ; il quale fatto si coor- dinerebbe a quanto i signori Fuchs, Hornes ed io abbiamo osser- vato nelle prealpi del Veneto orientale. Lo sviluppo di queste rocce oligoceniche nell’Apennino Umbro spiegherebbe poi assai bene lm relativa scarsità degli affioramenti serpentinosi in questa contrada, in confronto colla prossima Toscaua. Giunti però che noi siamo nel dominio delle rocce aventi l’aspetto del Liguriano deH'Apennino settentrionale, e tali ap- punto sono quelle dei monti intorno e sopra Borgo S. Sepolcro , troviamo un vasto affioramento serpcntinoso, ancora più esteso di quanto il Giuli ha indicato con lodevole approssimazione nella sua pregevole carta geologica. Precisamente presso S. Pietro in Valle, la natura delle are- narie e del galestro con quelle alternato, é caratteristica : sino a — 99 — tanto che dominano le prime , il terreno vegetale è abbastanza ferace. Ma non tardano a comparire le vere argille scagliose, colla solita sterilità e col solito sfacelo, appena sopra S. Marco e poco dopo, ima forte massa ofiolUìca si getta traverso al Tevere, av- viandosi a nord-est, per M. Petrosa verso Corbajolo, senza però toccare e tanto meno comprendere questo paese, e verso sud-est movendo verso Caprese e S. Cassiano. Veramente le o Soliti in questa ultima direzione sono meno continue di quanto segna il Giuli ; ma per compenso al M. Petrosa si sviluppano assai ampie e contengono delle varietà di eufotide così singolari e così appa- riscenti che di simili io non ne vidi altrove, nemmeno nelle masse oSolitiche delle Alpi marittime. Attraversata questa zona serpen- tinosa, continuando per pochi passi verso Pieve St0 Stefano , si nota come sulle serpentine non si appoggiano già delle argille scagliose, quali si vedono piu a sud, ma dei calcari marnosi oìno- genei, giallicci, con arenarie a grana minutissima, con aspetto di rocce che di solito sottostanno alle serpentine. Laonde non vorrei escludere la probabilità grandissima, che non ho potuto nella mia breve dimora verificare, che la inclinazione verso nord delle rocce tra i serpentini e le eufotidi di M. Petrosa e la borgata di S. Stefano si debba ad un avvenuto rovesciamento, simulante una soprapo- sizioue del calcare marnoso al serpentino. Epperò il giacimento di questa zona ofiolitica non sarebbe n'e così semplice nè così facil- mente intelligibile come quello della non lontana Valle del So vara sopra Anghiari, quale lo descrive il Pilla a p. 494 del voi. I del suo trattato. Quivi il macigno, passante inferiormente alla ftanite, ricopre regolarmente, come in una cupola, il serpentino diallagico. Onde tentare un primo barlume di orientamento, andai da Pieve, S. Stefano a Corbajolo, attraversando una zona non molto ampia di ofiolite ed una larghissima formazione di eufotide, di gran lunga alla ofiolite prevalente. Osservai che la eufotide era in gene- rale in grossi arnioni, rilegati da diallagio o da bastite , come diranno le analisi chimiche. La duplice zona di queste rocce è indubbiamente stratificata, e prevale sin presso Corbajolo una incli- nazione a nord-ovest. Interpretando questa come effetto di un arro- vesciamento, come ho supposto, si spiegherebbe assai bene l’ap- parente superiorità dei serpentini alle eufotidi di M. Petrosa. Se non che, salendo verso Corbajolo, s’ incontrano le rocce che nel — 100 — Bolognese formano di solito cappello alle ofioliti; e sono bellis- sime ranocchiaje, gabbri rossi, arenarie e marne variegate, in perfetta alternanza con calcari marnosi regolarmente stratificati. Questi calcari marnosi sembrano essere stati rotti e risaldati in posto con cemento fornito dalla roccia originaria del gabbro rosso. La si direbbe una formazione in origine composta di una alternanza di argille con calcari marnosi, nella quale sieno avve- nute tali modificazioni nella parte argillosa da indurre, in questa una mineralizzazione cristallogenica, e negli iuterstrati calcari l’ac- cennato fenomeno di rottura e di rilegatura colle argille meta- morfosate. Tutto questo, avvenuto sotto al mare e sotto al man- tello di più recenti terreni terziari, prima del sollevamento oro- genico dell’Apennino, che io credo doversi collocare dopo il periodo tongriano. Il cocuzzolo di Corbajuolo 'e di 375m più elevato che la piazza di S. Stefano; è formato da gabbro rosso d’aspetto microcristal- lino come quello del Gaggio e di molte località dell’Apennino Ligure e Bobbiese. Io non ho potuto spingermi fino al crinale del Monte della Luna, ma a vista d’occhio la formazione ofiolitica non arriva sin là; anzi a giudicare dallo sfacelo dei torrenti non che da alcuni campioni di arenarie di quei monti, mostratimi da un signore di Umbertide, il crinale tra il Tevere e la Marecchia sarebbe appunto costituito dalle rocce oligoceniche a fisonomia di Flysch, quali ad esempio abbondano nella Valle della Sabina, dove qualche giorno innanzi aveva fatto una bellissima gita col sullodato mio amico, capitano Antonio Verri. Notisi altresì che quivi presso, il Giuli segna, tra Via-Maggio e Badia-Tebalda, un lembo pliocenico e che di là poi i terreni terziari superiori si sviluppano assai, lungo il Foglia ed il Metauro. Del resto, credo che sia uno studio tutto da farsi e tre giorni di escursioni non mi danno certamente il diritto di volere indovinare i risultati di questo studio. Ai Monti Eognosi di Anghiari e precisamente a Monte Acuto e Micciano, trovasi l’estremità occidentale dell’ accennata fila di giacimenti ofiolitici dell’alta Vaile Tiberina, presso a poco come c indicato nella carta del Giuli. Da Anghiari al Carmine si attraversa il terreno pliocenico, il quale, per esser formato dallo sfacelo delle rocce ofiolitiche assai — 101 — decomposte, è ocraceo e rosso ; precisamente come in taluni punti della formazione fabiana, composta degli elementi medesimi sulle colline del Vogherese. La formazione ofiolitica si trova poco dopo, ma la separa dal conglomerato un sottile interstrato di calcare marnoso biancastro con fucoidi. Non escludo la possibilità che la massa più profonda dei detti conglomerati spetti al miocene. La ofiolite sale con banchi colossali ma assai bene distinti a formare il Monte Acuto ; del quale però la vetta è costituita da calcari marnosi. La roccia serpentinosa segue verso sud il corso del Sovara, terminando con una lingua appuntita sotto a Bagnola. L’ofiolite forma altresì il Pizzo della Croce e verso nord-est, per Peppiano , spingesi sino al Tevere e forse anche sotto al colle di Succastelli, tra il fiume e la via di Borgo a S. Stefano. Diretta- mente però non si congiunge nemmeno per di qui all’ affioramento serpentinoso di cui ho detto di sopra. È molto singolare il fatto che mentre al M. Petrosa e sotto Corbajolo abbondano cotanto le eufotidi , qui ai Monti Rognosi d’Anghiari queste rocce non si scorgano se non come elementi di un conglomerato coinvolto nelle ofi oliti , insieme a massi arro- tondati e sempre non alterati di calcare alberese. Il serpentino, assai riccamente cosparso di bastite e con frequenti rilegature di crisotilo e di asbesto, presentasi assai alterato e come quello di Bombiana si sgretola in globuli non molto grossi. In complesso, la roccia è eludibilissima e le superficie ne è solcata da valli- celle con pareti nude, di colorito glauco assai chiaro; talmente che a luoghi pare d’ essere sopra colli argillosi. Il suolo ò sterile, come indica il nome di questa regione desolata. Al sito detto Ponte di Pietra si ò scavato del rame nativo, come seppi dall’ egregio prof. Beliucci. Devo poi al signor Verri, delle cui osservazioni io sono sicuris- simo, la notizia che molti ristretti affioramenti serpentinosi, accom- pagnati sempre da galestro e da alberese, esistono nei punti che ho segnato nel tratto tra Gubbio, Umbertide e Gualdo -Tadino. Inoltre mi avvertì il signor Filippo Natali di quest’ultimo paese che un altro affioramento di queste distintissime rocce esiste a nord di Fabriano. Per formarmi un’idea di questi affioramenti di una formazione, certamente assai estesa nel sottosuolo di questa contrada, mi recai da Gualdo-Tadino al più prossimo di essi , — 102 — cioè a quello delle fase-nove di Branco, presso al letto del T.Ciaccio, ove anche si sono tentati col solito cattivo risultato degli escavi per estrazione di minerali cupriferi. Ci si arriva facilmente abbandonando a Branco la postale per Gubbio e piegando a manca. Quivi veramente il serpentino è scarsissimo e solo in massi staccati , alterati. Abbonda invece il gabbro rosso brecciato, in banchi inclinati a sud, immediatamente ricoperti da alberese colle solite leccature verdastre; come ovunque dove il calcare si alterna eoi galestro. Colleganò le sconnesse parti del detto gabbro rosso delle venule e dei filoncelli di bel- lissimo crisotilo asbestoide. Anche le argille scagliose fanno capo- lino tra gli alberesi, ma per piccolissimo tratto; tutto insieme l’affioramento ha il massimo diametro di sessanta metri. Degli affioramenti più settentrionali il signor Verri mi mostrò bellissimi saggi di eufotide e di serpentino e potè procurarmene due di Montarnaldo di Gubbio, ove vennero pur fatti con cattivo esito dei saggi di ricerca per minerali cupriferi. Castiglioncello del Tinoro. — Ancora per suggerimento di questo signore, mi portai da Sarteano (ovest di Chiusi) al paesello di Castiglioncello del Tinoro, con qualche intenzione di prolungare la gita almeno sino alle falde del M. Amiafca, di cui 1’ epoca di formazione costituisce a mio avviso, un problema insoluto. Se- nonchè un tempo indiavolato mi costrinse a ripararmi in un caso- lare ; per fortuna era a breve distanza dalTaffioramento ofiolitico, che formava il principale scopo della mia gita e così , se il mio desiderio fu deluso, il compito assunto fu soddisfatto. Ecco che cosa ci trovai. L’ affioramento sta ai piedi di uno sprone che si stacca dalla stradella pel detto paese e scende a sud-ovest, portando una villetta con dei cipressi attorno. Quivi si osserva un serpentino arenar.eo avente la solita frattura globulare scagliosa, in un banco della potenza di circa 10 metri. Vi si associano dei banchi assai accidentati di gabbro rosso e verde, brecciato, passante ad oficalci, con frammenti di calcare intercluso , arrossati sul loro contorno. Se poi si scende per un chilometro, verso un fosso confluente nel F. Orcia, trovasi un affioramento più vasto; e questo presenta 1’ interessante particolarità di esser formato da un serpentino cuni- cjdaloide, a pasta amorfa, quale altrove non vidi. Si alterna, come al solilo, con alberesi a finte variegate. — 103 — Al momento pensai che vi fossero alcune relazioni tra questo fatto e la vicinanza dello spento ed ora inscheletrito vulcano tra- chitico ; ma non ebbi a trovare alcun argomento sicuramente in aPP°g»i° a questo dubbio. La soprastante formazione calcare è colorata per un grande tratto da tinte più o meno verdastre; mancano, a quanto panni, le argille scagliose, quali si osservano nell’Apennino settentrionale. Allerona di Orvieto. — Il Colle di Allerona, a nord di Orvieto, è formato da conglomerato pliocenico, a cemento arenaceo, alter- nato con molasse e con argille fossilifere. Il fosso elio scorro a ponente del paese intacca però il terreno ofìolitico. Quivi pure non è il gabbro rosso ma Vofìcalce, che rappresenta l’anello di congiunzione del serpentino colla roccia calcare ; alternandosi essa oficalce con calcari marnosi compatti ed a frattura scagliosa, simili al tassello istriano. Sotto al serpentino stanno poi degli scisti marnosi scuri , rilegati con calcite, aventi un’ aspetto assai analogo a quelli che accompagnano e sostengono la formazione ofiolitica nell’alta Valle della Trebbia. Coprono poi l’oficalce taluni alberesi coi soliti lustri verdi. In complesso le rocce ofioliticlie hanno quivi una potenza di circa 35m, ed affiorano per un tratto assai vasto. La guida mi diceva che di tali rocce se ne osserva anche nel prossimo bosco di M. Spanno, sotto al quale la formazione calcareo-marnosa si nasconde. Vera ofiolite con bastile quivi non vidi, e può darsi che essa manchi anche in profondità. Questo, per quanto io sappia, è il più meridionale affioramento di serpentini apenninici nel- !’ Italia centrale. Evidentemente, n'e questi sporadici giacimenti, dei quali un buon numero venne rilevato dal signor capitano Verri verso il Senese, n'e il più ampio della Valle Tiberina, non mi offrirono alcun fatto, per cui dovessi abbandonare l’idea, a cui venimmo contem- poraneamente De-Stefani ed io, della esclusiva spettanza delle zone serpentinose al terreno eocenico superiore. E sempre piìi mi convinco della difficoltà di sostenere l’idea della origine vulcanica di queste rocce, se voglionsi comparare ed assimilare ai basalti od alle lave; e mi si aumentano quei dubbi, che non ho lasciato di esprimere nel mio lavoro sulle serpentine pavesi. — 104 — C. Piemonte e Liguria. Valle della Varaita — M. Viso. — Dintorni di Demonte in Valle della Stura di Cuneo. — Dintorni di Mondo vi. — Din- torni di Savona. Ottobre 1880. Fra i molti studi dei geologi piemontesi , die converrebbe riassumere per trattare meno superficialmente la questione dei rapporti tra i serpentini Alpini e gli Apennini , presentasi più dirottamente quello del compianto Gastaldi sulle valli della Varaita e del Po (Bollettino del Comitato geologico del 1875). Io divido pienamente le idee del Gastaldi circa la posizione stratigrafica della zona delle pietre verdi alpine, ed ho dimostrato in un mio scritto inserito nei Rendiconti dell’Istituto Lombardo (dicem- bre 1879) come a queste si coordino anche quelle della Calabria. Nelle seguenti osservazioni panni di avere raccolto qualche argo- mento per dimostrare che alla zona stessa, sicuramente 'precar- bonifera e probabilmente azoica , appartengono altresì quelle della Liguria occidentale e quelle della Stura di Cuneo e di Mondovì. NelFaccennato lavoro del Gastaldi la successione è dal gneiss con grosse lenti di calcare saccaroide e di calcescisto al serpentino, poi all’eufotide, alla epidotite, al micascisto quarzifero ; e tale ap- punto in complesso a me pure risulta. Rimangono compresi nelle formazioni inferiori al serpentino le lenti granitiche di Venasca, non accennate dall’autore , ma raffigurate nella pregevole Carta geologica del Sismonda. E di molto maggior pregio sarebbe stata questa Carta senza la malaugurata idea del Giura metamorfico (g) sotto la quale indicazione sono confuse pressoché tutte le formazioni scistoso- cristallino di questa porzione delle Alpi. Fatto questo assai istrut- tivo e che mi rende molto guardingo nel sostituire a questa altre associazioni cronologiche, che potrebbero al pari di quella pron- tamente tramontare. Su questa Carta le serpentine del M. Viso sono segnate con molto minore estensione e continuità di quanto realmente esse — 105 — presentano anche a dii non voglia uscire dal valore più ristretto della denominazione poco precisa ma abbastanza comoda di pietre verdi ; per chi vi comprende cioè, come io faccio, il serpentino , le lerzoliti, i serpentinoscisti , gli scisti di V. Malenco, le rocce passanti alle epidoliti, e tralasci le epidotiti, le anfiboliti, i gneiss anfibolici e talcosi, le rocce cloritiche in genere, tutte insomma quelle formazioni, che ponno bensì entrare in un teoretico rag- gruppamento coi serpentini, ma che sono chimicamente assai diverse da questi. I serpentini di Valle della Stura, di Mondovì o del Genovesato occidentale sono del pari ben segnati sulla detta Carta, e solo con un rilievo assai paziente si potrebbe meglio precisare l’area di loro affioramento. Non posso passare sotto silenzio per la teutonica di questa regione l’idea del Gastaldi del grande sconcerto per salto, che corrisponde alla parte superiore della Valle del Po; ed è a desi- derarsi che una buona Carta geologica, bensì svincolata da teorici parallelismi, ma non esclusivamente litologica ed accordata col resto della geologia alpina , possa precisare stratigraficamente questo concetto, che si connette colle vicende più importanti da cui venne determinata la orografia della nostra penisola. Trascrivo dal portafoglio le fatte osservazioni , pregando chi è incaricato di ordinarle con altri studi a considerarle come di prima impressione e guidate esclusivamente da due desideri che mi animarono: di corrispondere cioè, meno male che poteva, alla fiducia dimostratami dal R. Comitato geologico, ad onta che i nostri rapporti fossero tesi per un assai diverso apprezzamento sulle mansioni dei geologi e degli ingegneri di miniere, e di istruirmi sulle analogie e sulle differenze che esistono tra questa porzione del Piemonte e le montagne valtellinesi. E qui debbo dichiarare che sono grato a questo Ufficio, per avermi esso porto occasione e mezzi di visitare delle regioni che altrimenti mi sarebbero tut- tora sconosciute. Costigliole. — Venasca. — S. Peyre. — Alle fornaci di Costi- gliele solivi calciscisti inclinati a nord-est-est, con interstrati di sci- sti argillo-talcosi. Poco dopo compare, come indica la Carta del Sis- monda, una grossa massa di serpentino in banchi regolari, della potenza almeno di 200m. Sotto, stanno altri scisti talcosi; poi, al — 106 — ponte presso Venasca, osservatisi altre pietre verdi con serpentino più chiaro, assai analogo alle varietà più scialbe delle pietre di Val Malenco. Il granito sotto Brossasco è molto meno esteso di quanto è indicato dalla detta Carta; affiora sulla testata destra del Ponte delle Forche e serve poco bene alle costruzioni, perche il suo feldispato si decompone prestamente. Del resto è impossibile di rilevarne così alla sfuggita le relazioni ed i confini, stante renorme sviluppo che in questa valle assumono le frane e le morene, proprio appena sopra questo punto. Fatto sta che, a monte di questo affio- ramento, mi trovai tra i gneiss talcosi, volti prevalentemente a sud-ovest. Presso al Frassino poi si ripresentavano i calciscisti con bel calcare saccaroide, in banchi contorti ma prevalente- mente volti a nord. Panni questa zona compresa nella serie cri- stallina e però analoga alla valtellinese e precisamente a quella di V. Gfrosina. Le pietre verdi non tardano a comparire sotto le morene di S. Peyre. La sera mi colse quivi e non vidi più nulla sino a Casteldelfino, ove giunsi in vettura. Casteldelfino. — Laghi del M. Viso. — Ritorno a Costi- . gliole. — Di fronte a Casteldelfino, ove la roccia è a nudo e porta gli avanzi di un fortilizio, evvi un gneiss molto quarzifero, volto a sud ovest, di grana minutissima, di colorito verdastro, assai diverso da quello sottostante alle pietre verdi verso Venasca. Questa roccia continua sino a Casteldelponte ; ma di là in avanti, come si è entrati nella valletta del M. Viso lasciando a manca il R. Cb io- naie, si avverte che al gneiss sottostanno degli scisti argil lo -talcosi, rilegati con calcite, analoghi alle pietre tegulari di Corona, del carbonifero. Il torrente Vallonta vi fa indescrivibile rapina. Var- cato questo torrente e cominciata che si abbia la salita pei laghi del Viso, si trovano tosto le rocce epidotiche ed anfiboliche fina- mente fibrose, che ripetutamente e sempre per banchi regolari si alternano con serpentinoscisti di varia tinta, con varioliti è, più sopra, con cloriiescisto e con quarziti. Il feldispato, unito all’an- fibolo ed all’ epidoto, è bianco. La roccia è franosa in ischegge e lastre che rendono il camminare assai malagevole. Sembra clic la massa del Viso debba risultare a preferenza di queste rocce, ed i sor- — 107 - pentirti stanno più bassi. Quivi pure essi però si avvertono in filoni e rilegature tra le rocce epiclotiche, le quali, come indica il Ga- staldi, sono le prevalenti. Talune sporgenze dallo smisurato sasseto presentano la più forte analogia coi ricci di strati tanto comuni in tutte le formazioni a fitta stratificazione, appena di epoca un po’ remota (l). I serpentini si vedono distintamente continuarsi sulla dirupata montagna a nord- est di Casteldelfino e congiungersi con quelli di Villarete sulle due sponde della Varaita. Perciò non mi pare die esista la interruzione, che quivi è segnata dalla Carta del Sismonda. Sulla destra della Varaita, di fronte e sotto Casteldelfino , prevalgono sempre i gneiss taìcosi; ma è reale il passaggio su questo versante del serpentino, segnato nella detta Carta ; anzi credo elio quivi sia anche più esteso di quanto è in essa indicato. E poi certo che sul versante sinistro , da Casteldelfino a S. Peyre, le pietre verdi formano una zona continua, passante dalla Valle della Varaita in quella della Guba, come benissimo si scorge dal paese di Venasca. Osservai sulla sinistra dei bei serpentini con roccia epidotica e trovai anche un masso di roccia anfibolica con granati e con pirite. Altri granati trovai in posto nel serpentino-scisto di Villarete. Nel ritorno ho verificato le osservazioni fatte nell’ andata e visitai la cava di beote presso al Ponte di S. Carlo, sotto Venasca. Gli strati quivi inclinano a sud-sud-est, sotto le già accennate zone dei cloritescisti. Dintorni di Demonte (B. S. Dalmazio-Cuneo). — A proposito di questa località ricordo un breve scritto, con pochi cenni geo- logici, del signor cav. Guglielmo Jervis: Sul giacimento di carbon fossile antracitoso di Demonte , Milano, (dall’Industriale, anno V). Credo che qui vi sia scavata poca e cattiva antracite ed i lavori sono sospesi. A me sembra che i terreni, in cui si rin- venne questa sostanza carboniosa, siano sicuramente superiori alla zona delle pietre verdi. (') Ho preso uno schizzo di questo interessante esempio di stratificazione regolare e di contorcimento della roccia epidotica, come di uno dei fatti che vanno sempre più rendendomi famigliare all' idea dell’origine per sedimento di queste rocce precarbonifere. — 108 — Appena sopra Gajolo, incomincia il lembo di calcari in fitti strati assai contorti, che furono dal Sismonda riferiti all’ eocene, ma che potrebbero, almeno in parte, essere più antichi. Predomina un calcare scuro, subcristallino, fittamente venato, siliceo, che ricorda quello, che ritiensi titoniano o neocomiano , del M. Cocuz/o in Calabria. Per quanto vi cercassi dei fossili, specialmente nel colle su cui era la fortezza di Demonte, non fui fortunato di rinvenirne nemmeno un’impronta; eppure mi si disse che vi si trovarono delle nummuliti. La massa di questi calcari passa in alto a scisti argillosi e quindi ad arenarie giallognole, micacee, sulle quali si può scorgere una non molto lontana somiglianza colle rocce del IJguriano. Tantoché, la definizione del Sismonda non va così leg- germente abbandonata. E tanto più mi confermo nell’idea che almeno la porzione più elevata di questa formazione di Demonte si debba lasciare nell’ eocene, inquantochè a due chilometri da questo paese trovai tra i detti argilloscisti dei veri gabbri varie- gati e brecciati, non dissimili da quelli di Rovegno nella Valle della Trebbia. Quivi però non rinvenni alcuna roccia ofiolitica. Ritengo per la stratigrafia assai importante la presenza di questo gabbro ; ma esso non ha nulla di comune col serpentino che la Carta del Sismonda molto precisamente mi indicava al Passo delle Ortiche. Mi ci recai il giorno appresso, quantunque mi trovassi poco bene in gambe. Salii il bel terrazzo morenico che sta a nord di Demonte, e parvemi di rilevare che gli scisti a fisonomia eocenica siano inferiori per arrovesciamentu al calcare suddescritto, nel quale ò sculta la selvaggia vallicella che sbocca sotto il paese di Petrosa (‘). Continuando la salita, la stratificazione si stabilisce a sud, e credo sicuro che movendo in senso opposto si debbano osservare delle formazioni sempre più antiche. Sotto al calcare, di cui ho detto, sonvi delle arenarie verdo- gnole passanti a cloritoscisti e ad arenarie verdi che hanno qualche analogia colle rocce di Wengen ( pietre verdi del Calullo) delle (’) Or>a che si è scoperta una bella serie di terreni mesozoici all' Ar- gentiera, in grazia dei pazienti studi del signor Alessandro Portis, sarà tanto più importante di verificare questo mio apprezzamento della condizione stra- tigrafica di questa massa calcare; epperò chiamo l’attenzione dei geologi su questo interessantissimo tratto dello Alpi marittime. — 109 — prealpi lombardo-venete. Subito dopo, trovai una puddinga quarzosa, che mi ricordava il Verrucano , specialmente il più talcoso della Valsassina e dell’alta Y. Brembana. Ma si osserva che il cemento nei banchi inferiori abbonda, tanto da prevalere, e vi hanno poi dei nodi quarzosi, che non sono ciottoli ma arnioni di concentra- zione. Così , grado grado , da una puddinga si passa ad un tal- coscisto quarzifero, con molta analogia a quello che si osserva nelle valli bergamasche al contatto del Permiano col carbonifero, il quale credo quivi sicuramente rappresentato dagli scisti tegulari di Carona. Non esagero assegnando a queste rocce talcoso- quar- zifere la potenza di 600 metri. Tantoché non sarebbe molto im- probabile che colà fossero veramente sotto al calcare , in parte mesozoico, delle rocce paleozoiche e triasiche inferiori. Se noi poniamo mente a che cosa è ridotto il sistema triasico nelle vici- nanze di Angera e di Borgosesia, ed al tenue spessore che il carbo- nifero con fossili caratteristici assume in tutte le Alpi orientali ('), non saremmo molto lontani dal concedere qualche valore a questo sospetto. Osservo però che nel tratto da Demonte a Valdieri le formazioni non cristalline sono assai sviluppate, colla potenza di centinaia di metri, e vi è quindi un larghissimo campo per le necessarie verifiche. Quello che è certo, a mio avviso, si è, che appena sotto questa roccia talcoso-quarzifera stanno degli scisti plumbei, talcoso- argillosi, nei quali furono aperte tre cave in cerca dell’antracite. Salendo più oltre, verso il detto M. delle Ortiche, si trovano le rocce serpentinose, involte in una sottile zona di gneiss anfibolico e di rocce con epidoto. Le serpentine sono brecciate e con dial- laggio, senza alcuna traccia di gabbro rosso. Quivi presso, un poco a sud-est, vi è del calcare saccaroide, cinereo, diverso dal calcare suaccennato di Demonte e di Petrosa. Il passo è alto circa 1940™ > Non vidi rocce granitiche. Ricordo però che non è molto lontana (') Insisto assai sa questo fatto della reale tenuità di potenza delle for- mazioni sicuramente carbonifere nel versante meridionale delle Alpi ; tantopiù che la massima parte di esse accennano ad alluvioni od a vicinanza di terra emersa. Abbiamo già veduto in questi ultimi anni a che si sono ridotti gli orizzonti degli scisti di Casalina e della Valle di Gali, e nelle Carnicbe e nelle (laravancbe passiamo rapidamente dii siluriano fossilifero al permiano, — Ilo — la grande elissoido granitica, con dioriti e sieniti, delle Alpi marit- time, ove traggono le loro origini il Gesso e la Stura. Se si ammettesse che questi serpentini di Demonte siano coevi con quelli del M. Viso, siccome questi sono alla loro volta superiori al granito di V. Varaita, sarebbe anche piu interessante uno studio della detta elissoide in cerca delle relazioni, che si p'onno V scoprire con possibili giacimenti ofiolitici. E appunto quanto io non ho potuto fare e che spero altri farà con molto più profonda conoscenza di questa contrada. Affioramento serpentinoso di S. Michele presso Mondovì. — Per formarmi un’idea degli affioramenti di serpentino che affiorano dal miocene delle Lunghe, mi recai da Mondovì a S. Michele. Mi colpì, lungo la ferrovia da Carru a Mondovì, la abbondanza di erratici colossali di rocce alpine, che mi sembrano provenire dalle Alpi marittime. Il terziario è sviluppatissimo ed in banchi poco contorti. Intorno a S. Michele abbondano i fossili, con specie che mi sembrano del miocene medio (. Pecten deletus , P. aduncus, Clypeaster , Balaims). Colle molasse si alternano dei conglomerati, che finiscono poi col prevalere e forse con questi ultimi si arriva al pliocene tabbiano. Tratto tratto sporgono dal terreno terziario delle masse calcari, di roccia superficialmente arrossata, compatta, cerea , analoga a quella della fortezza di Demolite ; e da questi affioramenti si estrae il petrame per le strade carrozzabili e per calce ('). Salendo poi da S. Michele a Torre nella Valle del Cor- saglia, si trova in posto una grossa zona calcare, fortemente incli- nata a nord. Credo che esso non abbia che fare col serpentino. La Carta del Sismonda mi fu buona guida per trovare questa roccia , proprio presso il letto del Corsaglia ed a sud-est dì S. Michele. Interpretando poi come scisti cristallini il terreno g, si vede anche giustamente segnato in questa Carta un contorno di tali rocce, che accompagna questi affioramenti serpentinosi. Infatti, se noi rimontiamo lungo il torrente Corsaglia a Torre, noi vediamo che tra il calcare che ho detto e le pietre verdi, che poco lungi da esso affiorano lungo il fiume, stanno degli scisti argille -talcosi , plum- bei, analoghi a quelli che ricoprono le pietre verdi di Bormio in C) Vedi più innanzi, quando parlo della gita quivi fatta coll’ egregio prof. Carlo Bruno, il quale mi condusse nello località fossilifere da lui scoperte. — Ili — Valtellina e di Amautea in Calabria. Poi improvvisamente sbuca da questi scisti il serpentino, analogo a quello di Demonte; ma qui senza l’intermezzo di rocce epidotiche od anfiboliche. Evvi un serpentino variolitico, screziato, con una eufotide alteratissima. Il tutto in masse globulari, per l’alterazione subita da questo come da tutti i piccoli affioramenti. Non osservai gabbro rosso. A nord, il serpentino si immerge nelle molasse plioceniche e mio- ceniche. Venni assicurato che esiste realmente anche l’altro affiora- mento presso Mombasilio, appena piu a levante, ove io non ho potuto recarmi, ma che è segnato nella Carta del Sismonda. Escursione a Vado e ad Aiienzano in Liguria ('). — Sa- rebbe molto interessante procurarsi i dati ottenuti nei vari tra- fori, occorsi lungo la linea da Ceva a Savona, perchè da quel poco che si può vedere dallo sportello di una vettura ferroviaria, sotto ai gneiss devono esistere assai svariate rocce granitoidi. Lo sfacelo superficiale è profondissimo, ocraceo, analogo a quello delle vici- nanze di Orta e di Sai uzzo. Intorno a Vado le serpentine sono assai meno estese di quanto mostra la Carta Sismonda. Invece sono molto comuni gli argilloscisti talcosi, di color plumbeo, contorti ed arricciati come i cloritoscisti della Valtellina. In generale queste rocce cadono a ponente. Sono della piu distinta fisonomia alpina e molto ricordano quelle della Calabria littorale, sopra Paola ed Amantea. Non pre- sentano il più lontano ricordo colle rocce eoceniche del piano liguriano. Lungo la linea littorale, attraversando tenui affioramenti scistosi, qualche lente di granito talcoso e vasti lembi di conglomerato bormidiano, si giunge alla grande massa serpentinosa di Varazze, ben delimitata sulla Carta Sismonda. Il passaggio avviene attra- verso talcoscisti e cloritoscisti. Il serpentino è compatto, basaltizzato in forme prismatico-piramidali, con lamelle di bastitc o diallaggio C) Il brevissimo tempo clic lio potuto dedicare a questa ultima escur- sione per essere imminenti le lezioni, mi sia argomento di scusa se non ho fatto che osservare alla sfuggita. Sapeva d’altronde elio i signori Issel c Mazzuoli si occupavano della Liguria c mi limitai a raccogliere le rocce ed a fave qualche confronto per mia istruzione e per meglio intendere quanto fossero per pub- blicare in proposito questi signori. — 112 come deciderà l’analisi chimica. Per vedere la successione dal serpentino alle rocce scistose, mi recai ad una località che mi era stata gentilmente indicata dal sig. Issel, ad un chilometro a levante di Arcnzano ; e procedendo dal serpentino, che si trova oltre una galleria della via postale, verso il paese, osservai la seguente serie di rocce, tutte volgenti a nord-est est, con fortissima inclinazione: a) Serpentino ofiolitico, in massa compatta ; 20m di serpentino-scisto verdiccio, a straterelli arricciati, con spalmature talcose e nuclei di quarzo. 25m di talcoscisto argilloso, con quarzo in fitte venule parallele. 30m di serpentino-scisto più omogeneo e distintamente stra- tificato. 50m detto, con serpentino zonato, amorfo, di colore smeral- dino, glauco o verdepomo. 22m di serpentino più compatto, sempre zonato. 5m di scisto talcoso, quarzifero. 18m di serpentino-scisto , passante alla base a serpentino zonato come il precedente. 150"' di scisto talcoso-argilloso, eludibilissimo, tagliato dalla detta galleria. 3m talcoscisto più chiaro, avente filoneelli di minerale cu- prifero ed aurifero. b) Serpentino-scisto sin presso Aronzano. A ponente del paese e nel paese stesso, sotto la Chiesa nuòva, trovasi un calcare cereo, grigio , analogo a quello di Demonte, fortemente inclinato a sud. È questa la roccia che il Sismonda volle riferite al piano e nummulitico ? Il signor Issel, da me interpellato sul punto ove incomin- ciano a ponente di Genova le serpentine apenniniche eoceniche, mi scrisse : « I serpentini indubbiamente eocenici, coi gabbri rossi, « cominciano presso al mare a M. Domenica nei pressi di Sestri « Ponente. D’altronde conosco dei gabbri rossi connessi ai serpen- « tini alpini, per esempio a Rivara ». Attendo il lavoro del signor Dieulafait , sui serpentini di Corsica, onde giudicare quanto vi sia di vero nella supposizione molto spontanea che questi serpentini antichi della Liguria occidentale riaffiorino in questa isola. Si potrà anche vedere come i mede- simi si comportino nell’Arcipelago toscano ed al Capo Argentaro. — 113 — PARTE SECONDA Relazione di una seconda gita nelle Alpi marittime , per lo studio dei Serpentini, in rapporto colle formazioni fossilifere guivi recentemente scoperte. Da Mondovì a Yillanova , Chiusa di Fesia , Roccaforte , Frabosa. — Accompagnato dall’egregio sig. prof. Bruni Carlo di Mondovì, il quale ha rilevato i fogli della Carta geologica di quella regione e scoperto i fossili di cui farò parola qui sotto, mi recai la mattina del giorno 8 giugno alle cave di Villanova a sud-ovest di Mondovì. Esse sono aperte in una potente forma- zione calcareo-dolomitica , avente una stratificazione abbastanza distinta e costante, con inclinazione di 40° a sud-ovest. Visitammo due cave presso il paese ed una terza sulla sinistra della via che conduce a Gfaravagna, in vicinanza alla lunga caverna detta dei Dossi, nello sprone verso sera della montagna su cui è il San- tuario di Villanova. Quei calcari sono dolomitici, hanno un colore vario dal cinereo scuro al bianco cereo, una struttura subsacca- roide, con lustro vetrigno. Sono analoghi a quelli di S. Michele, di Bagnasco, di Cairo, dei dintorni di Vado e di Savona , non meno che a quelli della catena mesozoica litorale e del gruppo del M. Pollino in Calabria. Presentano delle rilegature di talco e rare geodi con lamelle di questo minerale; fatto che io ho osservato lo scorso anno anche sul lembo di dolomie e calcari sicuramente triasici dei M. Cavallo e Pegherolo, nell’ alta Valle Brembana. Alle prime cave, dietro al paese, osservai e raccolsi molti esemplari di giroporelle, della cui esatta determinazione sta ora occupandosi il sig. Alessandro Portis. Osservai e raccolsi inoltre delle sezioni di vario diametro di Natica e di Chemnitzia ; di queste ultime talune riferibili probabilmente alla Ch. pupoides Stopp. di Esilio. .Si aggiunge quella particolare struttura, che nei calcari triasici frequentemente si osserva, tutta a meandri ed a rilegature, in cui parve allo Stoppani di riconoscere le traccie di 8 — Ili — spongiari ; mentre in genere i geologi tedeschi non vogliono vedervi che un caso di stalagmitizzazione interna della roccia. Io giudico che nel maggior numero dei casi si tratti realmente di organi- smi. Non manca però la struttura brecciata, la quale anzi per taluni banchi è caratteristica ; pur essa associandosi alla abbon- dante presenza dello giroporelle. In complesso si ha l’ impressione di una di quelle masse calcareo-dolomitiche, sparse a più livelli tra le arenarie variegate e le marne di Raibl nello Alpi orientali. Ulteriori studi sulle poche specie raccolte potranno forse modi- ficare questa impressione ; ma al momento in cui scrivo non posso dubitare che i tratti di Trias e precisamente di qualche piano della zona di Wengen, in contatto col Trias medio. Andando verso Garavagna, quindi rimontando la serie (quando non vi fosse rovesciamento) si vedono questi calcari prima alter- narsi poi dar luogo gradatamente ad alcuni scisti talcosi, argil- losi, giallognoli o cinerei, i quali hanno tutta l’apparenza delle rocce scistose alternate col Verrucano alpino; e questo viene riferito nella sua massa principale al Permiano. Appena più a sud stanno delle quarziti talcose ; esse mi sembrano talcoscisti in cui il quarzo, in gocce ed in cristalli incompleti ed assai rav- vicinati, si sia formato posteriormente al deposito della roccia. Ne risultò una roccia compattissima e dura, usata spesso come pietra da macine e sempre come buona roccia di costruzione. La pasta è in alcuni luoghi feldspatica, ed anche questa roccia non si distinguerebbe da quella quarzite bianca o verdognola , che nelle alte valli bergamasche e nella Yalsassina si alterna al Ver- rucano. Questa quarzite talcosa è sviluppatissima in Valle del Pesio ed in generale in tutta la catena dei monti di Mondovì e di Valdieri, dove costituisce tutto l’alto bacino della Valle del Casotto, il P. d’ Ormea , la Bismauda e la massa principale dei monti Mondolè , Cars , Carsette e Mongiojè. Questi monti però hanno la loro porzione terminale costituita da calcari o da calce- scisti mesozoici. In queste falde della catena, la quarzite non passa mai al porfido felsitico, come è il caso nell’ interno delle valli; ma essa mantiene un’aspetto uniforme, con una prevalente incli- nazione verso sud-ovest, come i calcari che sembrano sostenerla. Non saprei trovare al presente miglior parallelo a questa roccia fuorché nel piano di Gruden, alla base del Permiano, quale si presenta nello Alpi orientali; ritenuto permiano anche il calcare a Bellerophon , in conformità a quanto pensano i geologi austriaci. Movendo a nord della massa calcare, verso i Mussi, per quanto si può scorgere ad onta dell’ abbondante vegetazione e dello sfacelo ocraceo che rivestono le falde, non vi sono quarziti ; ma si pre- sentano talcoscisti con calciscisti talcosi, i quali sembrano soste- nere direttamente i calcari ed anzi spettare alla medesima zona. Più oltre, i talcoscisti fìssili, splendenti, di color plumbeo, pas- sano al serpentino, che affiora in due località lungo il torrentello ed una terza volta sulla strada dai Mussi a Chiusa, presso Peve- ragnino. È in masse stratiformi di 5-10m di potenza, molto asbestoide, senza diallagio od altro minerale a questo simigliante ; è di colo- rito assai sbiadito perchè alterato. Nell’ ultimo affioramento, si presentano anche delle eufotidi di varia grana , comprese tra i banchi di serpentino. Tutto quello sprone di monti, tra Chiusa di Pesio e Villanova, è formato di serpentino e talcoscisto, così sfumantisi P uno nell’altro che tornerebbe difficile il distinguerli anche sopra una carta in grande scala. Procedendo poi verso Chiusa di Pesio, trovammo altra massa di calcare simile a quello di Villanova, ma senza fossili ed a più minuti straterelli. Altra massa più potente, con brecce dolo- mitiche e con dolomia cariata, trovasi appena a sud di Pesio ; entrambe sono immerse nelle quarziti, che si trovano di nuovo rimontando per più chilometri la valle, sempre alternantisi ripe- tutamente coi talcoscisti quarziferi. Altre masse calcari, in iden- tiche circostanze ed al più contenenti le accennate tracce di spon- giari, s’ incontrano sulla sinistra della strada detta del Mortèr da Chiusa a Roccaforte e quindi da Roccaforte a Frabosa-sottana; con stratificazione volgente a sud-est o sud-ovest, con apparenza non molto varia, quasi residui, se non dello stesso strato, almeno della stessa formazione, deposta con pochi talcoscisti sulle quarziti. Non molto diverse sono le condizioni tectoniche, che riscon- transi nelle altre finitime vallate , per quanto assicuravano il signor prof. Bruni, il quale è persuaso che si tratti di una tran- sizione regolare dal serpentino alla quarzite, al porfido ed alla puddinga del Vcrrucano, attraverso banchi di 'calciscisti c lenti di calcare, fossilifero o meno. Io invece, non potendo negare il valore delle analogie paleon- — 110 — fcologiche e litologiche e persuaso che le contorsioni e gli accidenti stratigrafici sono sempre più complicati di quanto possa imma- ginarsi anche quando sembrano mancare affatto, interpreto i calcari fossiliferi di Villanova e gli altri che ho accennato, come gli avanzi di una zona calcareo- dolomitica, depositatasi in origine così sulle quarziti come sui serpentini e sulle rocce annesse , in un periodo di sommersione , in cui anche si depositarono i cal- cari- ed i calcoscisti formanti la porzione terminale della catena mondovita. Poniamo mente alle relazioni cronologiche, che devono sussistere tra questa serie e quella che ho intraveduto nella non lontana Valle della Stura, presso Demonte ed a quella con- statata presso l’Argentiera dal signor Portis. Presso Demonte la serie è regolare; calcari mesozoici ricoprono il Verrucano e que- sto riposa sopra quarziti talcose, scisti antracitiferi, scisti anfì- bolici e serpentini ; questi ultimi sono inferiori ad un livello con tutta probabilità carbonifero anche per epoca. Poniamo mente alla straordinaria potenza di più chilometri che verrebbe ad assu- mere la massa di terreni, compresa tra i calcari fossiliferi di Vil- lanova ed i calcari delle Vette, tutta da riferirsi, secondo l’idea del signor Bruni, al Trias ed al Permiano, anche nel caso che i fossili di Villanova siano precursori paleozoici di forme triasiche. Rimando del resto la questione dei precisi rapporti di queste rocce all’epoca in cui anche di questa regione si avranno rilievi detta- gliatissimi. 10 non escludo che taluni banchi di calcare possano spettare al Permiano , equivalendo ad- esempio al Bellerophonkalk, ma potrebbe anche essere che questi banchi fossero piuttosto altret- tanti lembi della formazione stessa di Villanova, la quale, depo- sta sopra la massa dei talcoscisti quarzitici, venne poi in varia guisa smembrata, contorta ed ultimamente travolta in un gene- rale andamento degli strati verso sud-est o sud-ovest, quando si formarono le curve determinanti la orografia attuale. Questo rove- sciamento della serie verso il vano della depressione padana costi- tuisce un fatto stratigrafico che non è sfuggito alla sagace osser- vazione del compianto prof. Gastaldi e che io giudico della mas- sima importanza sulla tectonica della regione subalpina. 11 marmo di Frabosa-soprana, assai estesamente usato come pietra di ornamentazione, è un vero cipollino talcoso ; ap pareli- — 117 — temente è una di cotali lenti incuneate nelle quarziti talcifere; ma non vorrei pronunciarmi in proposito , mancando di sufficienti osservazioni e sapendo come la struttura saccaroide possa essere assunta da formazioni calcari anche molto recenti, persino cretacee, come ho constatato per il Neocomiano nel Feltrino e pel Turo- niano nei dintorni di Sacile e nell1 Istria. Da Frabosa alla grotta ni Bossea, quindi a Torre di Cor- sagli a e dintorni di questa borgata. Calcari ad Encriniti. — Tra le masse calcari spettanti con tutta probabilità al Permiano si potrebbe annoverare quella, che trovasi scendendo da Frabosa a Corsaglia, sulla destra, con dolomie cariate e con brecce calca- eareo-marnosc , compresa sotto e sopra da talcoscisti quarzitici. Passato di poco tale affioramento calcare, trovasi una roccia che non compare alle falde della catena verso Villanova; cioè un clori- tescisto con cristalli di feldispato ; taluni sono lunghi oltre tre cen- timetri ed includenti sempre della clorite. La roccia, presa in campioni isolati, si direbbe un porfido a pasta anfibolica, alterato ; ma la stratificazione sempre mantenuta per grande estensione, la frequente alternanza di tale roccia con talcoscisti e con quarziti e la mancanza di dicchi, ne farebbero ritenere Porigine piuttosto sedimentare e la struttura come effetto di metamorfismo regionale. Mi ricordo d’avere osservato che nel Verrucano lombardo anche gli elementi porfirici sono spesso convertiti parzialmente in clo- rite e che in rocce cloritiche di quella zona stessa compajono cri- stalli feldispatici. Così nella zona dei porfidi quarziferi dell’Agor- dino sonvi banchi di arenarie verdi cloritico-quarzifere, che spesso del pari passano a porfidi arenacei, regolarmente stratificati. Panni quindi che queste rocce non escano dal comune vanissimo modo di presentarsi delle rocce comprese nella zona del Verrucano alpino, in cui stanno confuse tuttora le due formazioni del Per- miano e del Carbonifero. Ammesso il ribaltamento e la ripeti- zione della serie per delle curve, da precisarsi con più esatti ri- lievi, queste rocce cloritico-feldispatiche si porterebbero sotto alle quarziti talcose. Infatti (prima di giungere alla massa calcare di Bossea a Fontana) trovasi di nuovo la detta quarzite, che presenta a questo punto in taluni banchi il vero aspetto del Verrucano, con ciottoli quarzosi , anche grossi e con frammenti di scisti, di arenarie e di calcari. Ed oltre il calcare di Bossea, rimontando — 118 — la valle, altre quarziti, altro conglomerato e di nuovo le rocce cloritico-feldispatiche, all’asse d’ima anticlinale coricata, che poi, colla gamba sud, viene a formare il crinale della catena. La rinomata grotta di Bossea, così ben descritta nel gra- zioso libretto del compianto senatore G. Garelli, è formata per frattura nella massa calcare, quivi evidentemente foggiata a ven- taglio. Il calcare è senza fossili; ma litologicamente non si di- stinguerebbe da quelli di Villanova e di Chiusa. Nelle quarziti, a sud della massa calcare, si scava baritina e galena argentifera; i filoni di quest’ultimo minerale sono a ganga steatitosa come quelli di Val Vasera, nel Varesotto. Anche il signor Bruni am- mette la equivalenza di questo calcare di Bossea con quello che costituisce le montagne di Chers, Mongiojè, Monoblè e G'hersette; ma egli troverebbe che si distinguono tutti dalla roccia fossilifera di Villanova per esser questa più facilmente divisibile in fram- menti e più saccaroide. Trattasi però di una differenza poco marcata e che forse può dipendere dal diverso modo di giacitura; quelli essendo in masse più estese e meno tormentate. Aggiungasi che a nord del calcare di Bossea affiorano talcoscisti calcariferi o ardèsie calcari, le quali ponilo rappresentare le rocce analoghe sotto i calcari di Villanova. Quanto poi alla mancanza di fossili nel calcare di Bossea, è un carattere negativo da deplorarsi bensì ma di poco valore per stabilire delle differenze cronologiche. Po- trebbe essere che le masse staccate di Villanova, di Prabosa, Roc- caforte, Chiusa di Pesio ecc., rappresentassero i residui di for- mazioni coralline del periodo norico, e che invece la massa di Bossea e la terminale della catena rappresentassero la formazione retica, depositatasi dopo la completa sommersione delle quarziti e delle rocce talcose. Ma entriamo nel campo ipotetico ; fatto sta che questo calcare di Bossea è compreso nelle quarziti e pre- senta tracce di stratifìcazione a ventaglio. (') Da Bossea scesi a Corsaglia, verificando . l’accennata posi- (’) Anche il signor prof. Bruni è, come dissi, del parere che il calcare di Bossea equivalga a quello delle vette più a sud. Credo lo opinioni di questo oculato osservatore degne della massima considerazione e. se espongo un modo di vedere diverso dal suo, sono altrettanto lieto di trovarmi in alcuni punti d'accordo con lui, ed in ogni modo è tutto suo il merito delle osservazioni stratigrafiche, alle quali mi appoggio. — 119 — zione del calcare, rispetto alla quarzite e di questa in rapporto colle rocce cloritico-feldispatiche. Da Corsaglia venni quindi a Torre, lungo un sentiero che costeggia un antico acquedotto, costruito dai Mon- teregalesi due secoli fa con grandiosità non comune di concetto e che si chiama la Bealera del Diavolo; decorre a mezzo ciglio, sul ver- sante sinistro della Valle Corsaglia e quivi il terreno è un poco meno coperto. Si può constatare come la roccia fondamentale sia sempre la quarzite talcosa. Però di fronte a Dreglia compare una grossa massa calcare, che si allarga assai sulla destra della valle e pare che faccia seguito alla massa de’ marmi di Frabosa. Seguono pochi talco- scisti calcari, poi ripiglia la quarzite. Altra piccola massa di calcare scuro, cristallino, scistoso, si avverte più a nord, tra lo sfacelo delle quarziti. Lungo la via del Pilone della Mora alla frazione Oberti (740m) compajono i conglomerati miocenici, i quali si esten- dono sino al fiume Corsaglia ; forse ricolmando una antica depres- sione, non collegata colla attuale idrografia. Gli elementi di questi conglomerati sono assai grossi ed esclusivamente locali. Riappajono poscia, movendo verso nord, altri calciscisti talcosi, inclinati debolmente a sud-sud-ovest e passanti a scisti cloritici e ser- pentinosi, analoghi alla ardesia di V. Malenco. Appena oltrepassato il paese di Moline, allo sprone che cagiona la brusca risvolta del Corsaglia, si trova la massa calcare in cui il signor Bruni ha scoperto la presenza di abbondanti Encriniti. Io pure ne raccolsi nelle cave aperte in servizio di una fornace. Però si smise la cottura della roccia, perche dava della calce assai magra, stan- techè il calcare è troppo ricco di selce. Il calcare è rilegato con talco, e questo contiene talora dei piccoli cristalli di pirite. Al di sotto stanno dei talcoscisti calcariferi. La massa calcare inclina a nord-est ed accompagna il Corsaglia fino presso a S. Michele. Sulla destra del fiume forma le sprone alla confluenza del Eoburentello ; al paese di Torre-piano, dalla cartiera alla salita per Torre-Castello, sonvi quarziti talcose ; Torre-Castello posa sopra calcare inclinato a sud; però in modo confuso, essendo tutto rotto e franato. A me pare che si tratti sempre della stessa massa calcare. Sonvi giro- porelle, ma scarse assai ; anche gli encrini sono in taluni bandii di piccola potenza, del resto la roccia è sterile di fossili. L’ap- parenza della roccia nelle sue varietà di struttura e di colorito •è come a Villanova; e qui ricorderò come il signor Bruni abbia — 120 — raccolto encriniti anche verso il santuario di Villanova, nonché nella massa dei calcari superiori verso i monti di Valdieri. Gli encrini sono apparentemente simili a quelli molto abbon- danti nel piano di S. Cassiano ( Encrinus granulosus Schloth.) e sono in generale di piccola dimensione; non avvertii quivi altro fossile, ma occorrerebbero giornate intiere di pazienti ricerche. Incerte vestigia organiche abbondano anche nelle cave aperte nel detto sprone tra V. Corsaglia e il Roburentello ; ma al momento non posso dirne parola, non avendone esaminato le sezioni al mi- croscopio. Rimontando la Valle del Roburentello, sino di fronte a Mon- taldo, superiormente alle rivolte molto ampie fatte dalla strada carrozzabile, si trova un altro interessante affioramento di calcare ad encrini, tra lo sfacelo degli scisti talco-quarzosi circostanti; c, sebbene non ne possa essere precisata la posizione, pure è logico lo ammettere che esso rappresenti la continuazione della identica roccia alle fornaci di Moline. Tra questo affioramento ed il Ponte dell’Asino, sopra il Roburentello, affiorano calciscisti talcosi, che si lavorano come buona pietra da costruzione. Presso a questo ponte ripigliano i talcoscisti quarzosi, che poi a S. Ambrogio con- tengono o sopportano una lente calcare, a quanto sembra, indi- pendente dai calcari fossiliferi. Tra le quarziti talcose di V. Roburentello, noto la presenza di rocce cloritico-feldispatiche come da Frabosa a Bossea; e questo panni abbastanza importante argomento per ammettere in mas- sima la possibilità della curva ideata e quindi la probabilità che le masse di calcare fossilifero, sia ad encrini sia a Giroporelle, costituiscano un livello corrispondente alla base del calcare for- mante le vette della catena Mondovita. Senza ammettere ripeti- zioni per curve e salti della stessa e delle stesse zone calcari, verremmo ad avere una serie di smisurata potenza, con ripetizione delle analoghe rocce a grandissima lontananza; il che mi pare poco verosimile. Nella precedente relazione dissi del serpentino di S. Michele e del come esso sia coperto da talcoscisti argillosi e calcari ; come sia assai decomposto e passi ad eufotide alterata, e sia rilegato da abbondante crisotile. È nella posizione identica di quelli di Villanova e delle molte sporgenze della, roccia stessa presso Dogo, — 1 2 1 — Calcare, Mombasiglio, Bagnasco, Sassello, Cairo ecc. ; assai più numerose di quanto trovasi indicato sulla Carta Sismonda. È fatto generale che i serpentini e le rocce annesse sono sottostanti ai calciscisti talcosi e questi alle quarziti del pari talcose. Altri calciscisti sostengono le masse calcari e di queste talune sono fossilifere come le accennate di V. Roburentello e di Moline. La costante sopraposizione dei calcari fossiliferi alle quarziti talcose si può rilevare anche dagli sparsi affioramenti tra le marne ed i conglomerati miocenici dei dintorni del Santuario di Vico; poiché in due siti, presso allo stabilimento balneario ( posto a breve distanza dal detto Santuario), si osservano i calcari con en- ormi; più sotto calciscisti talcosi come presso le Moline a ridosso delle quarziti talcose, e queste poi affiorano più a nord, nella Valle deirErmenetta, non lungi dal Polverifìcio Viriglio. Tali sparsi affioramenti di calcare fossilifero accennano certamente ad una formazione un tempo assai estesa, di cui i frammenti riposano in vario modo sulle quarziti talcose e sui talcoscisti calcari. Dintorni di Cairo, Dego, Rocchetta, Montenotte e San- tuario di Savona. — Appena a ponente del paese di Cairo affiora una larga zona di calcare subsaccaroide, con alcuni banchi di cal- care nero a rilegature bianche, con vestigia di organismi come quelli presso Torre-piano. Gfli strati inclinano a sud-ovest-ovest ed alimentano una grandiosa fornace a fuoco continuo, somraini- nistrando anche la ghiaja per le strade; al pari di tutti questi cal- cari in masse sparse su area di rocce scistose. Ove la strada postale attraversa la ferrovia, presso la stazione di Cairo, affiorano cal- ciscisti talcosi con vene di quarzo e con tinte variegate dal verde al rosso; tantoché alla lontana si piglierebbero per argille sca- gliose. Calcari e scisti sono poi ricoperti da potentissimi conglo- merati contenenti macigni angolosi di rocce locali, del diametro di più metri. Sulla destra della Borali da, superiormente alle ac- cennate rocce, ecco in più siti affiorare i serpentini, sempre ana- loghi a quelli di S. Michele, Mombasiglio e Villanova presso Mondovì. Se prescindiamo dagli scarsi lembi di conglomerato mio- cenico, a levante di Cairo, questi serpentini • sono estesi per più chilometri, colla solita alternanza con talcoscisti e quarziti talcose; così che si potrebbe sopra una carta a piccola scala estendere — 122 — benissimo sino alla Borimela la zona serpentinosa, segnata nella Carta Sismoncla. Qui poi è manifesta la discordanza dei calcari delle dette fornaci del Cairo, volgenti a sud-ovest-ovest, dalle sotto- poste formazioni scistoso-serpentinose, che volgono a est o sud-est. Ma la posizione del calcare nemmeno qui è costante; poiché un proseguimento della massa delle Fornaci di Cairo, gira a sud del paese e poi si incurva in lenta semi-cupola verso nord, sino alla costa di montagna che si percorre andando da Cairo a Montenotte, portandosi così nel cuore della formazione serpentinosa. Il paese di Dego riposa su calciscisti, inclinati ad ovest; ma appena a sud si alterna ai soliti talcoscisti ed a serpentino- scisti analoghi alle ardesie di V. Malenco. Alla Rocchetta, il dosso che sostiene le rovine del forte è di calciscisto talcoso, inclinato ■ a sud-est; ma il serpentino tosto compare poco dopo quel dosso, quivi accompagnato dalle stesse rocce cloritico-feldispatiche, che osservammo da Frabosa a Bossea e presso Torre-piano. Il ser- pentino affiora nuovamente al casello n. 7 della ferrovia, e sullo stacelo ocraceo di questa roccia e degli annessi quarzoscisti tal- cosi e cloritici allignano assai prosperi i pini, come sul Ferretto di Lombardia. In questo affioramento serpentinoso tra la Rocchetta e Cairo, e sulla destra della Bormida (non segnato come molti altri dal Sismonda) compare abbondante l’eufotide a larghe lamine di diallaggio. Più sotto solivi ancora degli scisti talcosi, volgenti a sud, sino all’acceiinato affioramento serpentinoso che sta di fronte al paese di Cairo. Il giorno seguente salii a Montenotte. Noterò per incidenza che le marne langhiane, appoggiate al serpentino ultimamente ricordato, hanno delle tinte variegate ed a sprazzi come le ar- gille scagliose ; la quale apparenza devesi probabilmente a qualche vena di acqua mineralizzata entro la decomponentesi massa delle serpentine; e quindi tale apparenza può esser comune a tutte le formazioni che accidentalmente ponilo ricoprire rocce ofiolitiche. Tali marne variegate mioceniche si avvertono appena oltrepassato il serpentino di Cairo. Non tardano a comparire i talcoscisti plum- bei, e le quarziti assai talcose ; ma non trovai alcun masso di conglomerato analogo al Verrucano. Dopo due chilometri, di nuovo si presenta il serpentino con bella eufotide; indi scisti talcosi, — 123 — calciscisti passanti al calcare, poi il calcare che ho eletto prove- nire dalla massa delle fornaci di Cairo. Alla Chiappa ripiglia il serpentino con bella eufotide, che più non si abbandona sino a Montenotte inferiore, con speciale frequenza della seconda roccia ivi sviluppata, come nel gruppo del Viso; la frazione Garbassa è il centro dell’affioramento di questa eufotide. Notisi però che giammai le rocce ofiolitiche sono quivi scompagnate dai talco- scisti e quindi non costituiscono punto una massa omogenea, come farebbe credere la Carta Sismonda. Anche la irregolarità orografica dei dintorni di Montenotte inferiore potrebbe con qualche studio dettagliato ridursi ad un allineamento stratigrafico dei serpentini e delle eufotidi ; a prima vista però vi è un grande disordine e le creste si succedono non parallele, interrotte senza alcuna legge, come a cagion d’esempio nei monti dell’alta Valle Tiberina e negli sproni montuosi presso Chiavenna e Chiesa di V. Malenco. Il tratto da Montenotte inferiore a Montenotte soprano è di oltre un’ ora ; attraverso scisti talcosi di color vinato, alternati con eufotide a minuti elementi. Più sopra, quando la vailetta • dcll’Erro si allarga in, un bellissimo circo di prati, s’incontrano calciscisti talcosi e quarziferi, inclinati a nord-nord-ovest; e con questa roccia si arriva a Montenotte soprano (830ra). Tali rocce formano gran parte del dosso su cui fu la battaglia contro Napo- leone; coll' intermezzo di altri scisti si passa di nuovo all’eufo- tide, la quale costituisce la culmina per cui si scende al San- tuario. È importante osservare come fino a questo punto s’in- nalzino i conglomerati miocenici, evidentemente continuanti si con quelli di Cadibona. Sotto ai conglomerati si spiega poi la mas- sima espansione delle rocce ofiolitiche, coll’ intermezzo costante degli scisti talcosi e con assoluta prevalenza della eufotide. In- teressante può tornare il fatto che anche in questa roccia abbonda o per lo meno è sempre presente il talco; costituendo così va- rietà di rocce non ancora osservate nell’ Apennino settentrionale. Anche qui la Carta Sismonda è erronea; poiché non vi ha nè protogino uè gneiss, ma una continuazione della zona serpentinosa, quale rinviensi intorno a Montenotte e quale la rividi il giorno appresso andando da Veltri ad Ovada. Converrà del resto assumere informazioni precise sulle rocce attraversate delle numerose gal- lerie della ferrovia Savona-Ceva e poco si può scorgere ora che — 124 — le gallerie sono rivestite ('). Nella scesa, più volte si trovano ser- pentini ed enfotidi negli scisti talcosi e specialmente si avverte una massa di eufotide che attraversa quello sprone del M. S. Gior- gio in direzione est verso la Valle di Stella, ed è forse questa massa la quale, per contenere talco, fu giudicata protogino dal sig. Sismonda. Raccolsi campioni di queste rocce e li spedii al sig. Cossa, in Torino. Sarebbe interessante di constatare se queste enfotidi talcose si estendano anche a ponente delle valle percorsa dalla ferrovia ; la qual cosa mi sembra probabile come è certo che i con- glomerati miocenici quivi, lungo la valle, o mancano del tutto o sono meno sviluppati di quanto è indicato dalla detta Carta, in cui non sono notati quelli di Montenotte. In una Carta più det- tagliata, i serpentini della grande massa del M. Ermette verreb- bero a diffondersi con tante frangie nel seno delle formazioni scistose quarzo-talcose o talco-calcari, le quali qui comprendono l’eufotide e presso Arenzano, Voltri, Varazze e Sestri compren- dono invece le ofioliti. Del resto, non mancano nemmeno quivi i serpentini, presentandosi questi a tratti nella massa stessa delle enfotidi talcose, a vene od a nuclei. Da Vor/rR] ad Ovada. — Volli attraversare la massa serpen- tinosa indicata dalla Carta Sismonda per formarmi un’ idea della sua struttura e delle rocce che questo geologo aveva inteso di in- dicare colla tinta dell’eocene, nella quale fossero compresi anche i calcari probabilmente mesozoici di Vado ed Arenzano. Vidi che ovunque le serpentine sono comprese ed alternate nei talcoscisti venati di quarzo, in quantità più o meno abbondante ; che nelle aree segnate come eoceniche non vi è altro che scisto talcoso, più o meno fissile, senza alcuna analogia colle note ardesie di Genova (') Una delle più deplorabili conseguenze della scarsa importanza, che ebbero in Italia per molti anni gli studi geologici, fu certamente quella che si trascu- rassero molte preziose occasioni di rilevare esattamente la struttura delle mon- tagne attraversate da gallerie ferroviarie. Così non si è pensato di associare al rilevamento topografico anche lo studio geologico di una buona parte delle meno conosciute regioni del regno e certamente gli ingegneri civili o quelli del genio militare sarebbero stati pei geologi non meno attivi alleati che gli inge- gneri delle miniere. Ora le gallerie sono rivestite, le mappe sono rilevate e per la grande pluralità delle provincie conviene incominciare da capo il rilievo geologico. e senza lembi eli calcari ; che sino alla cima della salita e nel dosso attraversato dalla galleria (530ra) si ha quasi esclusivamente lo scisto, come indica a suo modo la Carta del Sismonda; che ap- pena passata la galleria, sopra Musone, incomincia la formazione ofiolitica , con prevalente sviluppo della eufotide. A Rossiglione soprano è massimo lo sviluppo di queste rocce, le quali formano dei dossi, simili a quelli dei dintorni di St. Peyre alle falde del Viso e che hanno la loro massa perfettamente stratificata, con leg- gera inclinazione a nord-ovest. Osservai anche che presso Ovada le molasse ed i conglomerati del miocene si adagiano direttamente sul serpentino, senza l’intermezzo di rocce riferibili all’ eocene; rimanendo, secondo ogni analogia, escluso che a questo periodo appartengano i talcoscisti, ovunque alternati, ricoprenti queste formazioni ofiolitiche a tipo alpino. Mancano rocce analoghe al gabbro rosso ed alle argille scagliose ; mancano arenarie e scisti riferibili al Flysch eocenico od oligocenico. Non è questa, a mio avviso, altro che la formazione serpentinosa delle Alpi marittime completamente denudata dalle quarziti talcose , dal conglomeralo del Verrucano e dai calcari mesozoici. Sino ad ora non mi de- termino ad abbandonare 1’ opinione che questi serpentini appar- tengano a periodi precarboniferi. Accettando le idee dell’ egregio signor Bruni, che ebbe il inerito della scoperta dei fossili impor- tantissimi di Villanova e di Torre, non potrei spiegarmi la con- servazione dei fossili nelle formazioni calcari piu profonde , pro- prio a contatto o quasi delle serpentine; mentre manca ogni traccia organica nei calcari di Frabosa, lungo il Corsaglia, lungo l’Ellero ed il Pesio. Il signor Issel mi disse che furono rinvenuti fossili anche presso Arenzano, nel calcare, ed egli potrà direttamente for- nire particolari in proposito. Passo della Bocchetta. — Voltaggio. — Poco ho potuto fer- marmi lungo questo importantissimo confine orientale della for- mazione ofiolitica qui considerata. È però regione dove stanno facendo rilievi altri geologi, e potrà il R. Comitato colmare le lacune, che la poca pratica dei siti e la fretta mi hanno costretto a lasciare. Da Pontedecimo a P. Morone sonovi argilloscisti talcosi con larghe rocce di calcite e di quarzo ; somigliano, a- vero dire, agli scisti talcosi di Voltri e di Arenzano, di S. Michele e di Monte- — 12(5 — notte; ma d’altra parte ricordano ancora maggiormente gli scisti del piano Liguriano, quali si presentano nei dintorni di Toriglia e nell’alta Valle della Trebbia. Poiché non possiamo giovarci per ora che di analogie litologiche , non ometterò di ricordare come presso P. Morone si alternino con questi scisti dei calcari mar- nosi , potenti da uno a due decimetri , di cui la presenza parmi assolutamente mancante nella zona scistosa connessa più a ponente colle ofioliti. Altro carattere differenziale, che mi parve avvertire a questo limite orientale della zona serpentinosa, si è la presenza ed il grandissimo sviluppo delle ofìcalci identiche al notissimo marmo di Levanto. Tali ofìcalci si trovano in un primo affioramento sopra Gerschi , poi formano una larghissima zona , non indicata nella Carta Sismonda, che dal paese di Pietra Lavezzara si dirige a levante della postale verso nord-est. È forse in relazione col ser- pentino che è indicata su questa Carta a sud-ovest' di Ronco. Quivi la ofìcalce passa, o per meglio dire ne costituisce una accidentalità della serpentina con bastite ; e questa roccia è di più colori, dal rosso al verdescuro. D’onde grande varietà di macchie, colle belle ri- legature di calcite e di crisotilo. Ricoprono oppure si arrovesciano sulle ofìcalci taluni serpentinoscisti talcosi, di color rosso vinato, che ricordano le rocce di Montenotte; poi si scorge una grossa zona di argilloscisti talcosi, che piega a sud-ovest e separa quindi queste ofìcalci dai serpentini della massa principale, della Ri- viera di Ponente. Tali scisti, superiormente alle ofìcalci, affiorano sino al passo , connettendosi ai serpentinoscisti così stretta- mente da non potersi sicuramente affermare die siano una cosa diversa dai talcoscisti di Voltri ed Arenzano, come da prima mi pareva suggerito dalle analogie cogli scisti della Valle della Trebbia. Vi è qualche cosa di rimestato, di confuso, di indecifra- bile, specialmente a chi vi faccia soltanto una corsa. Qui si in- tende assai bene come il compianto Gastaldi avesse le sue buone ragioni per avanzare una teoria, la quale, se non può spiegare le serpentine eoceniche, potrà però trovare conferma in alcuni punti della penisola, presso al Tirreno. Scesi dal crinale verso Moline di Voltaggio, si è nel cuore delle serpentine o meglio delle eufotidi, con e senza talco, con degli scisti serpentinosi identici a quelli di V. Maidico., persino con banchi di quarziti e di conglomerati del Verrucano. È la conti- — 127 nuazione esatta della massa serpentinosa di Rossiglione ; sempre però distinta dal fatto che la ricoprono e vi si frappongono degli scisti più calcari, meno compatti, meno quarziferi e di tipo me- glio somigliante alle rocce eoceniche. Giunti alla Chiusa , a sud del paese di Voltaggio, vi trovai una grossa zona di calcare mar- noso, leggermente talcoso, il quale forse rappresenta l’eocene, seb- bene non vi abbia trovato traccia di fossili. Questa zona di cal- care mi sembra indipendente da altra massa calcare , che forma lo sprone di monte sopra il paese, colle rovine del Castello e con ai piedi lo stabilimento di bagni. Le acque solficree originano dalla decomposizione delle numerose piriti sparse entro la massa del calcare, che è tutto brecciato, senza apparente stratificazione, ora subsaccaroide , ora cereo , ora farinoso, venato in ogni senso ; in- somma, una massa stritolata nel sollevamento e poi ricomposta. La zona della Chiusa invece è regolare e, per quanto ho potuto vedere, volgente con forte inclinazione a nord-est. A ridosso di questa massa calcare, infranta e rilegata, stanno calciscisti e serpentinoscisti verdi, rossastri, venati, più o meno talcosi; i quali sembrano estesi assai lungo il versante orientale della catena, che separa questa valle dalla finitima di Casaleggio. Appena sotto il paese di Voltaggio si trovano i conglomerati del miocene inferiore e le glauconie elveziane; ma queste non si appoggiano direttamente sul serpentino; perchè vi è di mezzo una zona di argilloscisti talcosi; la quale potrebbe essere eocenica se si accetta essere di quest’ epoca gli scisti ricoprenti la oficalce di Pietra Lavezzara. Io però non sarei di questo avviso. Singolare ad ogni modo sarebbe, in quest’ ultima ipotesi, la assoluta mancanza del gabbro rosso e dei galestri , così sviluppati nei non lontani giacimenti ofiolitici dell’ Apennino bobbiese. Se poi teniamo fissa l’ idea della remotissima epoca dei serpentini della Ligu- ria occidentale, ne sorprende non poco il trovar quivi tanta aualogia colle ofioliti e colle eufotidi delle formazioni serpentinose apenniniche, e precisamente di trovare queste oficalci di Pietra Lavezzara così identiche a quelle di Levanto e dell’ Apennino bolognese. Speriamo che le analisi chimiche e microscopiche pos- sano gettare un poco pili di luce sopra questi rapporti. Ad qgni modo potrebbervi essere ofioliti di due o più periodi, come nei Pirenei. — 128 — In quanto risguarda l’argomento principale di questa Nota, cioè i rapporti delle serpentine delle Alpi marittime colle rocce fossilifere triasiche, da quanto lio esposto compare che l’esistenza di queste rocce non fa clic comprovare maggiormente l’antichità delle serpentine. Lo spiegare poi come possano i calcari trovarsi apparentemente inferiori a rocce per lo meno permiane, è un pro- blema stratigrafico, da dilucidarsi con pazienti e minuti rilievi piut- tosto che con una rapida escursione. Pavia, 21 giugno 1881. fc T A EAMELLl TORQUATO. X Elenco dei Soci della Società Geologica Italiana .... Pag. Origine della Società » Statuto della Società Geologica Italiana » Adunanze del Consiglio direttivo » Adunanza generale della Società Geologica Italiana. . . . » Estratto della conferenza sulle serpentine ....... » Riassunto della Conferenza fatta dal doti. T. Sterri/ Hunt . » Sulle serpentine. Nota del prof. G. B. Chanchourtois ...» Diatomeae in schistis quibusdam messanensibus detectae . . » / Colli berici del Vicentino. Sunto Geologico di F. Molon . » Osservazioni Geologiche fatte dal prof. T. Taramelli nel racco- gliere alcuni campioni di serpentini » Anno 1. Fascicolo 2.° BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. I. — 18S2. ROMA COI TIPI DEL SALVIUCCI 1883 ] 29 — ADUNANZA GENERALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Verona, 3 settembre 1882. (Adunanza pubblica). Presidenza Meneghini; presenti i Soci: Capellini, De Zigno, Sca- RABELLI, PlRONA, GrUISCARDI, TARAMELLI, ALESSANDRI, BASSANI, Cantoni, Chiminelli, De Ferrari, De Stefani, Foresti, For- NASINI, MALAGOLI, MAZZETTI, NICCOLI, NlCOLIS, OMBONI, Pa- rona, Rossi A., Secco, Segré, Sormanni, Statuti, Tommasì, Vari sco, Zezi e il sottoscritto Segretario. Pres. Meneghini. Il Congresso internazionale, che affratellò, or è l'anno, a Bo- logna i geologi di tutte le nazioni e trattò le più ardue quistioni, che se non giunse a risolvere, avviò a soluzione, utilissimo fu poi a noi italiani, avendo gli stranieri dovuto riconoscere in Italia il risveglio dell’antico valore, ed operosità proporzionata all’alto grado cui ora è giunta la scienza. Ma frutto ancor più grande e prezioso io reputo il legame che si strinse fra i geologi italiani, i quali in quell’occasione so- lenne con islancio spontaneo si unirono in Società, che, dopo una seduta preparatoria, oggi per la prima volta si raduna ad inau- gurare esistenza laboriosa ed utile. Fu saggio provvedimento la scelta di questa sede, perchè fra le cento sorelle nessun’altra offriva pari ricchezza di antiche glorie, d’illustri cultori, di materiali preziosi e di vicine località famose per i fatti stupendi che la natura vi ha esposto e la scienza invita a nuovamente osservare. A questi calcolati elementi di prosperità, uno se ne aggiunge che supera di gran lunga le previsioni e le speranze di questa inaugurazione: il sapiente favore, la splendida generosità, la cor- diale e gentile ospitalità che qui troviamo. Agli illustri Capi delle Autorità supreme ed alle Autorità stesse qui risiedenti, ai benemeriti 9 — 130 — Membri del Comitato ordinatore, alle Direzioni degl’istituti, degli Stabilimenti e dei Corpi scientifici, alla cittadinanza tutta ed in particolare a quella eletta di gentili persone che onorano di loro presenza questa adunanza, la Società Geologica Italiana serberà perenne gratitudine, riconoscendo in questo vivo interesse dimostrato da Verona al peritoso suo sorgere, seme fecondo di quei frutti che sarà per cogliere nell’avvenire. Arra dell’avvenire sia intanto il presente. L’anno non ancora compito di nostra esistenza sociale è fecondo d’importanti ed utili lavori, in parte non ancora pubblicati, come quelli che vi saranno qui presentati per essere inseriti nel Bollettino della Società. Ma non è a questo solo che io alludo, citando i recenti lavori geologici italiani ; io tutti li comprendo, qual che ne sia il modo di pubblicazione. Se le norme regolamentari e le necessità eco- nomiche della stampa circoscrivono ancora il campo concesso alla diretta azione della Società, essa virtualmente abbraccia tutti i cultori italiani della Geologìa, e si gloria di tutti i loro prodotti. Desideratissimi quelli che, a guisa di monografie, illustrano talune regioni non per anco od incompletamente finora deciferate, a col- mare le lacune o scemare le inesattezze della carta geologica d’Italia. Ed è ben con lieto e grato animo che. dobbiamo qui nominar per primi i lavori del signor Nicolis sulla provincia di Verona. Al titolo stesso troviamo connesso il nome del sig. Varisco a quello della provincia di Bergamo, che va debitrice al sig. Curò di nuovi rilievi ipsometrici. L’infaticabile prof. Taramelli, mentre attende alla pubblica- zione del grande premiato lavoro sul Veneto, compie la illustra- zione delle belle carte del Pavese e del Friuli che ammirammo a Bologna, e prepara col Tommasi nuove illustrazioni del Par- mense, già in alcune parti illustrato dal Del Prato, associa i suoi studi sul Modenese a quelli del Pantanelli, che sta completando la carta del Doderlein e raccoglie assiduo materiali nuovi per la monografia del bacino Padano. Molon unisce in ordinata mono- grafia quanto si conosce dei Berici. Tommasi studia il Pizzo dei Tre Signori, ad illustrazione del trias inferiore e de’ suoi giaci- cimenti metalliferi. Baretti continua a lottare contro le difficoltà delle Alpi ; ne studia le viscere nella galleria di Exilles, ne attacca da ogni - 131 — lato il gigante M. Bianco. Il I)e Stefani rivendica pertinacemente la priorità delle sue scoperte sulla tettonica delle Alpi Apuane, ed anche dalla troppo acerba critica sprizzano scintille luminose sni punti controversi. Così è sperabile avvenga delle Calabrie: Seguenza, De Stefani, Taramelli, Lovisato ne hanno studiato tale o tal’altra parte, le opinioni ne sono in alcuni particolari discordi, e la storia della estrema punta della penisola non è per anco intie- ramente chiarita. Vi si collega quella dell’isola e dello stretto che ne la separa. Il rilievo in grande scala di Sicilia già quasi compito, che il Baldacci sta riordinando, esigeva accurati studi sull’estrema parte N. E. ; ed il Cortese attendeva con grande amore al doppio oggetto: alla storia dello stretto di Messina, già tanto proficua- mente indagata dal Seguenza, aggiungeva nuove ed importantis- sime pagine: nella classificazione geologica delle antiche formazioni non fossilifere dei Peloritani s’ingegnava a far valere la strati- grafia ed i caratteri litologici. In continuazione ai precedenti suoi studi geologici ed idrogra- fici sulla provincia di Salerno, il De-Giorgi descrive e delinea tutto il bacino del Calore. L’uffizio centrale del R. Comitato continua il rilievo geologico in grande scala dei contorni di Roma ed estendendolo ai monti della Tolfa discute i limiti del terreno cretaceo dal Bosniaski estesi oltre alle anteriori presunzioni. Così i limiti dei terreni Lassici, nei monti Umbro Sabini, sono nuovamente discussi e più esatta- mente seguiti dai recenti studi del Tuccimei, del Meli. Lotti, Zaccagna, eEossen continuano il rilievo delle AlpiÀpuane, ma il primo di essi dà intanto nuova descrizione del monte Pisano, ed il secondo assoggetta a nuovo esame le formazioni di Monsum- mano e di Montecatini in Yal di Nievole. Continuando i ben noti studi sulla Valle Tiberina, il cap. Verri presenta ora quelli nuovissimi sulle valli della Nera e del Velino, tessendo la storia delle conche di Terni e di Rieti. A questo lodevolissimo indirizzo degli studi geologici, che per la via delle recenti trasformazioni risalgono alle precedenti condizioni idrografiche, si riferiscono pure le nuove ricerche del- P Avanzi, del Ricciardi e del Molon. I fatti parziali si collegano così ai grandi fenomeni tellurici, — 132 — e godiamo poter, anche riguardo a questi, citare le primizie della grande opera, nella quale l’illustre Stoppani narrerà ai posteri, coll’autorità scientifica che gli compete e colla efficace vivezza dello stile che gli è propria, i mutamenti che adesso si compiono, inosservati o non abbastanza osservati dai contemporanei e che segnano una grande oscillazione dei fenomeni glaciali, lasciandone intravedere le cagioni. Dalle sublimi armonie che comprendono cielo e terra, al di- namismo tellurico, alla serie cronologica degli avvenimenti e delle formazioni, alla storia geologica ed archeologica delle terre e dei mari, delle montagne e delle valli, delle rocce, delle piante, degli animali e dell’uomo, tutti i molti rami della geologia hanno cul- tori in Italia ed in tutti ferve il lavoro attestato da note e da memorie che sarebbe troppo lungo l’annoverare. Vorremmo almeno potere una ad una citare le numerose con- tribuzioni paleontologiche, delle quali dobbiamo anche in quest’anno rallegrarci : trattano di piante e di animali di ogni classe, di ogni terreno, di ogni orizzonte geologico : sono nomi ben noti ed a noi carissimi: De-Zigno, Strobel, Capellini, De-Gregorio, De-Stefani, Parona, Canavari, Bagatti, Sordelli, Foresti, Di Stefano, Gemmel- laro, Cafici, Bassani, Bosniaski, Major, Omboni, Pantanelli, Terrigi. E per quanto possa sembrare qui fuor di luogo il magnifi- care le difficoltà che la paleontologia deve superare, e vantarne i risultamenti, non puossi a meno di notare nei recenti lavori paleontologici italiani la preparazione di buoni studi, l’indirizzo filosofico, il rigore della critica, la saviezza del metodo. È ormai lontano il tempo, nel quale ognuno poteva credersi paleontologo pur che raccogliesse petrefatti e ne paragonasse le esteriorità alle figure onde riboccano i libri, ricavandone più o meno appropriata la denominazione scientifica, che non può essere giustamente ap- prezzata se non da chi, prima che paleontologo, sia botanico e zoologo. Più di ogni altro ramo della zoologia, quello che tratta de’ mol- luschi, ha frequenti applicazioni alla paleontologia, offrendole facilità di confronti ed evidenza di legame genealogico. Ben giustificata è perciò la Società Malacologica Italiana, se, associata alla sorella, volle qui in oggi stesso tenere la sua annuale adunanza straor- dinaria. È quindi anche in nome di essa che io devo ringraziare — 133 la ospitale città ed i gentilissimi cittadini che resero festosa la scientifica nostra riunione. La memoria di questa festa rimarrà perennemente scolpita nell animo nostro : ne avrà eccitamento e pascolo il sentimento di fraterna cordialità fra tutti i cultori della scienza stessa. L’animo, al pari dell’intelletto, partecipa alle grandi scoperte, nè senza la fiamma della passione può dalla mente emanar luce che basti a penetrare gli arcani di natura, compenso sufficiente alle durate fatiche per la scoperta del vero. Dall’animo nostro dunque, e con l’animo tutto compreso di riconoscenza, prorompa il grido : Viva Verona ! Anche ai più fausti avvenimenti suole accompagnarsi qualche nota di tristezza: mentre noi giubbiliamo di unirci e godiamo così festose accoglienze , ci attrista l’ assenza dei colleglli , da malattia, da affari o da altre difficoltà trattenuti lontani. Il se- gretario ne leggerà i nomi e il desiderio da essi espresso di qui raggiungerci ce li farà considerare quasi come presenti. Ma di un vuoto irreparabile non possiamo consolarci; la nostra società, prima ancor di aver compito un anno di vita, ha già a deplorare una grave perdita ; Emilio Cornalia non è più. È sven- tura per le scienze naturali, per molti consorzi scientifici ; noi ne deploriamo la perdita principalmente come zoologo e come paleon- tologo. Ma non è dei soli scienziati il compianto; il nome ne resterà eternamente venerato, come quello di un benefattore, nella memoria di quanti attendono alle industrie che si vantaggiano delle scientifiche applicazioni, ed in modo particolare a quella del prezioso baco da seta, industria in questa provincia tanto fiorente. È quindi quale interprete della società Geologica Italiana e di Verona stessa, che, prima di dar principio ai nostri lavori, io com- memoro a titolo di onoranza e di gratitudine la recente doloro- sissima perdita di Emilio Cornalia. Il sig. Conte Piatti per il Sindaco di Verona ringrazia le due Società di avere scelto questa sede alle loro adunanze, accenna il progresso della scienza fecondato da libertà e termina con un saluto a S. M. il Ke d’Italia. Il senatore Gadda Prefetto della provincia, con nobili ed acconce parole, dà agii scienziati il "benvenuto a nome e in qua- lità di rappresentante il Governo. Hanno scusato la loro assenza i soci Sella, Issel, Cocchi, Giordano, Paulucci, Ciofalo, Chaylus, Molon, De Dossi, Mazzuoli, Di Tucci , Simoni , Capacci , Cortese , Baldacci , Meli , Pellati , Piccaglia, Coppi, Lotti, Bombicci, Stoppani, Zienkowiez, Portis, Marinoni, Mauro, Dalgas, Tuccimei. Sono stati presentati in omaggio ai convenuti i seguenti lavori: E. Nicolis, Carta geologica della 'provincia di Verona. — Id., Note illustrative della carta. — Id. Monografìa dei terreni Liassico-Giuresi della provincia di Verona. — R. Avanzi, Le no- stre pianure ed il lago. — A. Goiran, Storia sismica della pro- vincia di Verona. — Id., Specimen morphographiae vcgetalis. — Id., Catalogo degli oggetti presentati all' esposizione preistorica di, Verona. — Adriano Garbini, Palaemonetes varians. — Bollettino del Club Alpino sezione di Verona. — Storia della Lega d’inse- gnamento di Verona. Omaggi alla Società: Capellini, Del Tursiops Cortcsii e del Delfino fossile eli Mombercelli nell'astigiano. — De Zigno, Anno- tazioni paleontologiche : Nuove aggiunte alla fauna eocenica del Veneto; Sopra un cranio di coccodrillo scoperto nel terreno eoceno del Veronese. — Meneghini, Biografìa di Paolo Savi. — De Ste- fani, L'ufficio geologico d' Italia a proposito del progetto di legge sulla carta geologica. — Pantanelli, Note microlitologiche sopra i calcari. Meneghini svolge una serie di considerazioni sugli strati paleo- zoici di Sardegna ad illustrazione dei fossili cambriani e siluriani, che mostra figurati in quattro tavole già litografate ed in nume- . rosi disegni. Capellini presenta, già presso che compito, il volume degli Atti del Congresso geologico internazionale, ed i primi saggi della carta geologica d’Europa eseguita dalla Commissione di Berlino. Meneghini presenta le tavole litografate per il lavoro che il socio Canavari stà pubblicando sul Lias inferiore della Spezia. Nicolis presenta la carta geologica del Veronese in grande scala ed espone le conclusioni dei suoi studi su questa provincia. Taramelli rende conto delle sue osservazioni fatte al Sempione unitamente ai colleglli della Svizzera per gli studi preliminari 135 — di un nuovo passaggio Alpino. Presenta i resultati elei suoi studi nel Piacentino, e, a nome del socio Yerri, comunica una serie di osservazioni sui bacini della Nera e del Velino. Pantanelli presenta una serie di tavole di Radiolarie del mio- cene medio di Montegibio e Baiso nelPApennino modenese : a nome del socio Bombicci annunzia la presenza di strati nummulitici al lago Scaffaiolo. Mazzetti rende conto di alcune sue osservazioni sulle argille scagliose di Montese. Bassani intrattiene la Società su alcuni nuovi pesci cretacei di Monte S. Agata nel Goriziano; sull’età degli strati ad ittioliti di Castellavazzo nel Bellunese, e presenta le tavole che saranno unite alla descrizione dei pesci fossili di Lesina, da pubblicarsi negli atti dell’ Accademia delle scienze di Vienna. De Stefani comunica alcune correzioni alla carta geologica d’Italia, in parte già dal medesimo illustrate ; partecipa alcune sue osservazioni sui terreni mesozoici dell’ alta valle del Serchio, sui terreni cretacei dell’Apennino settentrionale e sulla tettonica dei dintorni dello stretto di Messina. Il Segretario Dante Pantanelli. (Adunanza privata). Verona, 5 settembre 1882. Presidenza Meneghini; presenti gli stessi della seduta pre- cedente meno il sig. Chiminelli e più il prof. Stoppani. Letto il processo verbale della seduta del 29 gennaio in Pisa, viene approvato. Il presidente annunzia la presentazione di una Memoria del sig’. Calici : « Contribuzioni alla fauna cretacea italiana »; ed altra del prof. Tuccimei : «Caso di curvatura attuale di una roccia». Omaggi alla Società; Omboni, Denti eli ippopotamo eia ag- giungersi alla fauna fossile del Veneto — Fossili triassici del Veneto descritti e figurati da Catullo — Il gabinetto di Geologia e Mi- neralogia della lì. Università di Padova — Pellegrini; Officina preistorica del Matite Rocca , Rivole Veronese — Officina preistorica a Rivole Veronese — Pozza glaciali nel Veronese — Di un sepolcreto preromanzo scoperto a Povegliano Veronese. 130 — Si procede alle elezioni incaricando dell’ufficio di scrutatori i soci Fornasini e Malagoli; i votanti presenti sono trenta; i soci che hanno votato per lettera ventuno. Il Presidente invita il socio prof. G. A. Pirona a dar lettura del resoconto della gita di ieri 4 settembre. Pirona. — Devo prima di tutto domandar venia agli onorevoli Colleglli se ardisco prender io la parola per riassumere brevemente le osservazioni che la Società ha potuto fare nella bella quanto rapida escursione d’ ieri. Tale riassunto meglio assai di me , e con molto maggior competenza, sarebbe stato fatto da qualcuno di quei va- lentissimi, che colle ripetute escursioni, collo studio accurato e paziente delle formazioni e delle varie loro assise, colla scoperta di luoghi ricchi di fossili, collo studio e scientifica determinazione di questi quasi direi cronisti contemporanei dei vari depositi, hanno avuto il merito d’ illustrare codesta parte così interessante della geologia italiana e in ispecie della geologia delle Alpi venete Ho obbedito alle sollecitazioni di alcuni amici, e ciò valga a scusarmi. Alle 5 del mattino nessuno dei membri della Società geolo- gica e della Società malacologica mancava all’appello. Con isquisita gentilezza vollero unirsi a noi l’onorevole avv. Righi deputato di Bardolino, parecchi membri del Comitato ordinatore e alcuni soci del Club alpino Veronese. La vaporiera rapidamente ci portò lungi da Verona, e sor- passata la stazione di S*. Ambrogio e le famose sue cave, ci depose al casello n. 17, dove comincia la Chiusa dell’Adige. Scesi sulla strada maestra ci furono incontro il sig. Capitano co- mandante e gli altri ufficiali del distaccamento di Rivole, i quali colla cortesia abituale della ufficialità del nostro valoroso esercito, ci accompagnarono non solo fino al passo militare dell’Adige, graziosamente concessoci dal sig. Generale comandante ad abbre- viarci la via, ma ancora fino al paese di Rivole e per buon tratto di via al di là. Alla Chiusa si poterono da noi osservare sulle due sponde le sezioni quasi verticali dei potenti strati della oolite alternanti con strati a pentacrini e ricoperti dai calcari gialli e dai varii membri del giura superiore, sui quali torreggiano i forti che difendono il passo. — 137 - Col riattamento ed allargamento della strada militare sulla destra dell’Adige vennero posti a nudo con recenti tagli e la massa delle ooliti ed i depositi morenici. Nessuna traccia di fos- sili in quella potè essere veduto, in questi invece numerosissimi i ciottoli striati, sicché ognuno potè raccoglierne a piacere. Giunti a Rivole e festosamente accolti dalle autorità comu- nali, dalla popolazione e dal comm. De Betta, fummo ben presto all’ abitazione del D1'. Gaetano Pellegrini, il quale, uscito appena da gravissima malattia e quasi ancora convalescente, la volle posta a disposizione dei convenuti per sedervi alla colazione die il solerte Comitato aveva voluto prepararci. L’incontro di questo ve- terano tanto benemerito della geologia e della paleoetnologia vero- nese con vecchi amici e colleglli fu cordialissimo, commovente e resterà vivo nella memoria di tutti quelli che ne furono testimoni. La proposta del comm. De Betta di lasciare al D.1' Pellegrini scritti di proprio pugno i nomi di tutti i membri presenti della Società come dimostrazione di affettuoso ricordo fu accolta con viva acclamazione, e la presentazione del Bottone-medaglia del Congresso geologico internazionale di Bologna fattagli dal Presi- dente del medesimo e nostro vice-presidente prof. Capellini, parve compensare il nostro illustre collega del non aver potuto , a cagione della malferma salute, prender parte di persona a quel Congresso e al nostro convegno. Da Rivole a Costermanno si attraversarono le morene dell’an- tico ghiacciaio dell’Adige; poi il breve tratto che separa queste dalla morena sinistra di quello del Garda. Un accidentale sbaglio della via per parte dei cocchieri ci permise di meglio vedere i rilievi eocenici del monte Moscai e di Rocca di Garda, ai quali quest’ ultima morena si appoggia, innalzandosi potentissima lino all’altezza di Costermanno. Per rapido pendìo si scese quindi nel bacino di Garda, scavato nelle formazioni più erodibili della serie de> giura superiore. Dopo la breve sosta, ripreso il cammino attraverso i lieti oliveti di questo seno e le ridenti ville che si specchiano nelle limpide e tranquille acque del lago, toccammo ben presto quello sprone che, rompendo la uniformità della sponda sinistra del Garda, forma la ormai famosa punta di S. Vigilio, dove affiorano i più bassi membri del giura inferiore di questa regione. — 138 Abbandonate le vetture noi ei demmo ad esaminare lungo il facile pendìo gli strati tanto riccamente fossiliferi caratterizzati dall1 llarpoceras Murchisonae e qualcuno fu abbastanza fortunato di raccogliervi esemplari più o meno bene conservati sì della specie caratteristica, come anche di altre specie : llarp. suh insigne Opp. /' allax , gonionotum Ben., Virgilii Zign., Simoceras scissioni, Aego- ceras sp., Trochus cfr. lamellosus, Lima semicircularis Grldf., fìlii/n- clionella Clesiana , tutte forme assai distinte e che rendono di eccezionale importanza per la geologia alpina questo gruppo di strati da noi esaminato. Procedendo verso Torri, presso la prima fonte, ci si presentò, sicuramente superiore ed assai prossimo al piano ad Ilarpoc. Murchisonae , un calcare bianco subsaccaroide ricchissimo di avanzi di Posidonomya alpina , nel quale riconoscemmo il limite supe- riore del bathoniano, o, se vuoisi, la base dell’ oxfordiano, essen- doché questa stessa specie così distinta e che si estende dalla Sicilia al Tirolo venne trovata col Pelloceros transversarium in altri luoghi del Veronese. Avanzando più verso Torri, notammo che la serie giurese, come fu indicato così bene nella carta testé pubblicata dal bene- merito nostro collega sig. Nicolis, si trova alquanto più acci- dentata per varie contorsioni e per un salto, sicché se ne vedono comparire ripetutamente lungo la via i piani più recenti, qua e là ricoperti dal neocomiano e dalla scaglia senoniana. A Torri, estinta la sete indotta dal caldo e dalla polvere, alcuni dei membri salirono alle prossime cave di calcari variegati e prevalentemenie gialli, ricchissimi di fossili della zona ad Aspi- doceras acanlhicum e della sovrastante zona a Phglloceras ply- choicum e Terebvalula triangulus. In questa località non venne ancora riconosciuta la presenza della zona ad Oppelia lenuilohata Opp. sp., della cui esistenza il sig. Nicolis raccolse prove sicure a Vajo Comparso, località nelle dipendenze dei monti Cessini. Nel ritorno da Torri ci fermammo alla punta di S. Vigilio ad esaminarvi quelle cave, che sono praticate nelle ooliti e nei calcari a Crinoidi; ma alla Società mancò il tempo di esami- nare colla necessaria accuratezza le relazioni di questo piano con altri calcari che vi si associano inferiormente , e nei quali pur troppo finora non vennero trovate traode sicure di organismi fossili. Il piano fillitico a Terebratula Holzoana e T. Renieri non venne difatti fino ad ora scoperto a ponente del Baldo, mentre mostrasi sul pendio orientale. Riprese le vetture, fummo ben presto a Bardolino, dove ci attendeva il pranzo fatto imbandire dal Comitato e la gentile ospitalità, del marchese Gianfilippi e degli abitanti. La campana del piroscafo ci chiamò alle 8 a bordo, donde nello staccarci dalla riva potemmo godere lo spettacolo dell’ ac- censione di fuochi d’artifìzio preparati per la circostanza dai Bar- dolinesi, e che riflessi dalle tranquille acque del lago erano d’ un effetto stupendo. Fatta rapidamente la traversata e giunti a Peschiera, ebbimo nuovi accoglimenti festosi da parte de’ rappresentanti del paese e della popolazione, che s’ intrattenne alla stazione fino all’ ora della nostra partenza per Verona. Riassumendo quindi, la Società potò accertare la esattezza dei fatti fin qui osservati dai varii geologi, sì locali che fore- stieri, intorno al gruppo interessantissimo dei membri del giura compresi fra la zona ad Harpooeros Murchisonae e la zona a Philloc. pthychoicum, che fecero di questa località una delle più classiche della regione. La Società poi ha potuto confermare un altro fatto, appar- tenente ad ordine del tutto distinto, riconosciuto già da ben lungo tempo, ma sempre nuovo, quello cioè della squisita e nobile gentilezza d’animo dei Veronesi, della città e provincia, del loro grande amore a tutto ciò che può recare lustro e vantaggio alla umanità, al paese, alla scienza. Verona è sicura di avere nel cuore di tutti i membri della Società un perenne ricordo di riconoscenza. A proposta dei soci Capellini e Nicolis sono accolti a nuovi soci i sigg. comm. Edoardo De Betta, prof. cav. Agostino Goiran, prof. Carlo Massalongo, prof. Francesco Dal Fabbro, march. Ot- tavio di Canossa, march. Lodovico di Canossa, march. Filippo Gian- filippi, ing. Luigi Farina, cav. Stefano De Stefani, dott. Ric- cardo Avanzi, prol. Gaetano Pellegrini, ing. Vittorio Camis, dott. Bartolo Bertoncelli, dott. Silvio Rossi, avv. cav.^ Carlo Inama, march. G. A. Belcredi, cav. avv. P. F. Ruffoni; a proposta dei soci — 140 ■ Capellini e De-Zigno è accolto socio il Conte Gio-BattaBurri,e a pro- posta dei soci Taramelli e Pantanelli il prof. Massimiliano Calegari. Capellini propone che venga modificato l’articolo 17 dello Statuto nel senso di eleggere tre vicepresidenti, tra i quali nell’anno successivo a quello della loro elezione sarebbe scelto il presidente della Società; dopo matura discussione, alla quale prendono parte Alessandri, Stoppani, De Stefani, Pantanelli e il proponente Capel- lini, viene votato l’ordine del giorno puro e semplice. Non essendo risultato eletto un consigliere, si procede al bal- lottaggio tra i due che, dopo gli eletti, ricevettero il maggior nu- mero di voti; eseguito il ballottaggio, l’ufficio della Società per l’anno prossimo 1882-1883 risulta composto come segue: Comm. G. Capellini. Presidente. Comm. A. Stoppani. Vice-Presidente. Ing. Luigi Balclacci. Cav. prof. Alfonso Cossa. Àvv. Carlo De Stefani (nuovo eletto). Comm. bar. Achille De Zigno. Dott. Carlo Forsylh Major. Comm. prof. Giorgio Gemmellaro (nuovo eletto). Cav. prof. Guglielmo Guiscardi. Cav. prof. Arturo Jssel. Enrico Nicol is (nuovo eletto). Cav. prof. Giovanni Omboni (nuovo eletto). Cav. prof. Giulio Andrea Pirone. Cav. prof. Torquato Taramelli. Àvv. Tommaso Tittoni. Tesoriere. Ing. Romolo Meli. Archivista. Prof. Dante Pantanelli. Segretario. Ing. Bernardino Lotti. Dott. Carlo Fornasini. Viene approvato il bilancio preventivo per l’anno 1883, se- condo le proposte del consiglio, cioè, SPESE Per venti fogli di stampa come da contratto L. 1,200 Speso di segreteria » 300 Spese per tavole ed eventuali » 430 .lì bp C/2 r-j o O Vice-Segretari. ENTRATE Da 122 Soci ordinari tasse so- ciali L Frutti in capitali depositati 1,830 » 100 1,930 1,930 — 141 — È proposto dal presidente ed approvato all’unanimità d’in- viare al socio Q. Sella un telegramma in saluto dei convenuti e per rammaricare la sua forzata assenza dalle presenti adunanze. I soci Alessandri, Eossi, Bassani, Secco, Parona, Tommasi, Nicolis e Varisco presentano il seguente ordine del giorno: « La Società, geologica Italiana, nella sua prima seduta estiva, fa voti che sia quanto prima presentato al Parlamento il progetto di legge relativo alla carta geologica del Kegno, in conformità ai principi fondamentali stabiliti dalla commissione ministeriale nel marzo 1882. » Dopo matura discussione, alla quale prendono parte Capellini, Alessandri, Pantanelli, Stoppani, Guiscardi, Secco, De Stefani e altri, è approvato a maggioranza dei presenti. Bossi presenta le conclusioni dei suoi studi sulla Geologia del Trevigiano. De Zigno parla dei resti di un Sauriano del Veronese. Segrè comunica alcune sue osservazioni su i calcari di An- trodoco. Stoppani richiama l’attenzione dei convenuti sopra i depositi lacustri dei laghi prodotti dallo sbarramento dei ghiacciai. II Presidente dà conto di una lettera olla Società del sig. Ga- spare Biondelli, sopra i fatti e le tradizioni di frane e di subissa- meli nei contorni del Benaco. A proposta del Presidente viene a comune ed unanime plauso approvato di ringraziare le Autorità provinciali e Comunali che tanto si prestarono per la buona riuscita delle adunanze, come pure il comitato ordinatore e tutti coloro che concorsero a ren- dere più gradevoli e proficue le presenti riunioni. Il Segr. Dante Pantanelli. Adunanza del Consiglio Direttivo. f Estrailo) Verona 2 e 3 Settembre 1882. È nominato Vice-Segretario il dott. Carlo Fornasini. Si delibera di sospendere la pubblicazione di tavole a meno che gli autori non intendano sostenerne del proprio la spesa. Il Segr. Dante Pantanelli. o FAUNA MIOCENICA A RAX5I0LARIE DELL’ APENNINO SETTENTRIONALE. Montegibio e Baiso. Letta nell ’ adunanza della Società geologica italiana in Verona il 3 settembre 1882. Salendo da Sassuolo, città a circa sedici chilometri al S-O. di Modena, a Montegibio ('), località ben conosciuta dai geologi non tanto per le salse, per i pozzi peti-oleiferi, quanto per i dotti lavori di Doderlein, Stohr, Coppi e molti altri e che dovrò ripe- tutamente citare, oltrepassata la salsa di Sassuolo che sbocca tra le argille scagliose (s), s’ incontra lungo la strada un ultimo lembo pliocenico della larga zona che cinge la parte più meridionale dell’ Apennino; poscia si raggiunge un piccolo affioramento di arenarie serpentinose indicato da Stohr nel secondo profilo unito alla memoria intorno agli strati terziari di Montegibio (3) con il n. 6: oltrepassata questa arenaria si presenta un calcare che Do- derlein chiama marna biancastra (r‘) e marne biancastre pinguedinose (') Nell’ortografia del nome di questa località preferisco quella usata da Doderlein essendo più prossima alla usata nel luogo ; riunisco però in una sola parola, come ha usato Canestrini, Monte e Gibio essendo questo nome impie- gato da tempo per indicare l’amena villa Borsari. (*) Doderlein e Stòlrr collocano la salsa di Sassuolo nel pliocene deri- vando le argille scagliose che la circondano dai materiali eruttati dalla salsa; è indubitato che la salsa nelle sue esplosioni ha spinto fuori molti materiali delle argille scagliose (V. descrizione di Brignoli, Reggio 1836, dell’ ultima eruzione della salsa di Sassuolo,) ; però dalla medesima non escono quei tor- rentelli fangosi che sono continui a Nirano le cui salse sorgono dalle marne plioceniche, nè le argille scagliose tra le quali si trova unitamente alle altre vicine sino a quella di Salvarola possono staccarsi , essendo continue , con lo marne estesissime a S. di questa località. (3) Intorno agli strali terziari superiori di Montegibio e vicinanze per Emilio Stohr: con una tavola. Ann. Soc. nat. di Modena, anno IV, 1861). (l) Cenni geologici intorno la giacitura dei terreni miocenici superiori dell' Italia centrale. Pietro Doderlein , Atti del X congresso degli scienziati italiani, Siena 18G2. — 143 — che indica (') col n. 11 nella sna carta, collocandole nel Serra- valliano e che Stohr, chiamandole marne biancastre untuose e fes- surate, pone nell’ Elveziano e al n. 8 nel citato profilo. Quest’ ultimo autore descrive assai esattamente questa roccia che si presenta bianchiccia tendente al giallognolo, rotta e spac- cata in tutte le direzioni, talché riesce difficilissimo coglierne l’andamento stratigrafico che, non riconosciuto da Stohr (a), è pure visibile in alcuni punti lungo la strada ed evidente nelle erosioni del rio di Cavriola (3); tra gli strati e lungo le fenditure è spesso tappezzata da un sottile indumento rosso nerastro resistente all’acido cloridrico bollente e che si decolora solo in seguito ad una vio- lenta calcinazione ; trattato con l’acido cloridrico prima a freddo e poi a caldo perde , secondo un’ analisi favoritami dietro mia richiesta dal prof. Maissen, circa il trentasei per cento, lasciando un residuo prevalentemente siliceo, costituito per alcuni esemplari quasi completamente da Radiolarie, Diatomèe e Spongiari squisi- tamente conservati ; in altri esemplari e sono i più numerosi, sono commisti agli avanzi organici di esseri a scheletro siliceo molti residui quarzosi ed alcune volte serpentinosi. Questi calcari (') che nel loro andamento stratigrafico inclinano di preferenza a S-O. essendo in alcuni punti addirittura verticali ed accennando nella parte più settentrionale ad una pendenza inversa, concordemente agli strati alternanti di arenarie e marne calcaree di Montegibio (Doderlein n. 5 del profilo I e n. 1 del profilo II (“), Stohr n. 6 (') Note illustrative della caria geologica del Modenese fi del Reggiano. Pietro Doderlein, Mera. Accad. di Modena, tomo XII, 1870. (’) Loc. cit. pag. 275. (’) Battezzo con questo nome il torrente che cominciando presso l’osteria del Merlo corre tra Montegibio e Cavriola terminando nel rio Yidese e non nel rio di Valle Urbana come è indicato nelle carte geografiche austriache e loro riduzioni, non avendo trovato che nel luogo abbia un nome speciale ; lo stesso dicasi per il rio delle Vigne compreso tra questo e il rio Videse. (') Io per il primo non sono contento di chiamare calcare una roccia che contiene circa il 64 per cento di silice e forse sarebbe meglio chiamarla tripoli addirittura tanto più che trovo nella Guida geo-mineralogica del Coppi, Ann. nat. Mod. anno XIV, pag. 131, che è usato per levigare i metalli; pas- sando però questa roccia insensibilmente ad una marna calcarea impiegherò, salve le restrizioni qui accennate, i due nomi che mi serviranno a distinguere gli strati a Radiolarie da quelli che non ne contengono. (') Doderlein, Atti del X congresso degli scieuz. Siena loc. cit. — 144 — del sopraccitato profilo) passano insensibilmente a queste dive- nendo prevalentemente marnose, perdendo le Radiolarie e conser- vando le spicule di spugne clie poi si ritrovano più abbondanti negli strati sabbiosi di Montegibio : gli strati più ricchi a Radio- larie sono quelli più esterni, nè per quanto abbia raccolto numerosi esemplari di questi calcari, ho potuto riconoscere che esse sieno riunite in uno strato speciale, essendosi due campioni presi nello stesso posto a forse cinquanta centimetri di distanza, uno pre- sentato quasi esclusivamente formato da Radiolarie e l’altro rela- tivamente povero delle medesime ; per ora posso solo ripetere che questi avanzi predominano nei primi strati salendo verso Monte- gibio in una zona ristretta che dal colle di Mongiolo o dei tre cipressi passa per la casa colonica di Cavriola sin oltre al rio che corre tra quest’ ultima località e Montegibio. I generi fino ad ora riconosciutivi sarebbero i seguenti: Aulacantha, Achantodesma, Die ty odia, Litharachn ium, Cyrtocalpis , Cornutella, Dictyospyris, Ceratospyris , Petalospyris, Lophophciena , Lithocampe , Eucirtidium , Pterocanium , Dicthyomitra, Podocyrtis , Dicthyopodium, Lithobotrys , Cyrtidosphaera , Ethrnosphaera, Acan- tometra, Haliomma , Actinomma , Sponyosphaera, Spony odisene, Spongocyda, Hymen iastrìum , Trematodiscus, Euchitonia, Discospira e Ommatodiscus. Tra le Diatomèe: Actinocyclus, Coscinodiscvs. Triceratium e altri; spicule e sferule di Geodia?; pochi fram- menti di Globigerinidae. Un’altra località dove ho ritrovato avanzi di Radiolarie è al vecchio castello di Baiso nel Reggiano ; questi avanzi si trovano nel calcare a Lucina pomum Doderlein (') ; a Baiso la roccia a Radiolarie è un calcare grigio compatto, silicioso i di cui piccoli frammenti trattati con gli acidi dopo aver perduta tutta la parte calcarea mantengono la loro forma e solo si riducono in polvere o frammenti più piccoli sotto una leggiera pressione ; le radio- larie vi sono rare, spesso in frantumi e mediocremente conservate, e unitamente ad esse, resti di Spongiari, molti frammenti quarzosi e abbondanti nuclei silicei di Foraminifere sì in loggie isolate che x (’) Doderlein, Carla geologica del Modenese e del Reggi ino — Carta geo- logica della jirovincia di Reggio — Statistica generale della provincia, di Reggio nell' Emilia, 1870. — 145 — completi e tali da riconoscere in molti di essi indubbiamente la estesissima e comune Globigerina bulloides D’Orb. Le Radiolarie di questo calcare appartengono ai generi: Eucirtidium , Lithocampe, Ilaliomma, Actinomma, Trematodiscus e Euchilonia ; oltre poi a resti di Foraminifere, contiene spicule e sferule di Spongiari. Resta da determinare a quale piano della serie miocenica debbano riferirsi i due piani di Montegibio e Baiso, il primo dei quali mi ha fornito tanta messe di Radiolarie. E qui sono dispia- cente di non potere ancora rispondere in modo soddisfacente come risulterà nel seguito di questa comunicazione. Ho percorso minutamente tutti i dintorni di Montegibio, mi sono preparato una carta in grande scala e una serie dei profili senza essere ancora giunto ad una conclusione definitiva, che io attendo dalle indagini che mi propongo di fare, non più a Montegibio, ma nel rimanente delle colline modenesi e reggiane. Riprendendo la descrizione degli strati oltre Montegibio, si trova addossato al sud del medesimo un lembo di argille sca- gliose, quindi degli strati leggermente inclinati a N-E di are- narie intercalate da straterelli marnosi del Tortoniano nelle quali ho potuto raccogliere le seguenti specie : Parmophorus Bellardii Micht., Nassa pseudoclathrata Micht. , Natica Joseph inia Ris. , Turntella Archimedis Brg., T. cochleata Sow. Comes fuscocingu- latus Part. ed Ervilia Zibinica Dod. Sotto a questi appare un rilevante affioramento di argille scagliose e sotto alle medesime le marne grigie oscure fossilifere, classiche di Montegibio e dalle quali provengono i tanti mollu- schi fossili dei quali hanno dato contezza in diverse occasioni Doderlein (') e Coppi (*); nel breve esame fatto delle medesime vi ho raccolto le seguenti specie: Dentalmm Douei Desìi., Gadulus gadus Sow., Natica redempta Micht., N. Josepliinia Ris., Tur ri- bella Archimedis Brg., Mitra scrobiculata Broc., Pleur otoma pustu- lata Br., P. Jouannetti Desm., Nassa senilis Dod., Phos polygo- num Broc., Ancillaria glandiformis Lmk., Cardila Jouannetti Basi ed Ervilia zibinica Dod. (’) Doderlein, Atti del X congresso degli scienz. Siena. (’) Coppi, Catalogo dei fossili miocenici c pliocenici del Modenese. Ann. della* Soc. dei nat. in Modena, anno IV, 1870. — Frammenti di paleontologia modenese. Bull. Cuniit. geol. italiano, Anno VII, 1870. 10 - 146 — Questi strati certamente tortoniani sono, come Lo detto più sopra, discordanti con le arenarie e le marne di Montegibio, in- clinano a N-E, mentre gli strati di Montegibio pendono a S-0 ; questo fatto fu pure riconosciuto da Stohr nel profilo citato e da Doderlein. Quest’ ultimo osservò per il primo in queste marne (') le interposizioni di argille scagliose e questo fatto fu confermato da Stohr in un suo lavoro su queste argille (2) e in quello po- steriore sopracitato (pag. 275) ; io ho cercato di rendermi conto minuto di questa circostanza per la storia delle argille scagliose e sono venuto nella conclusione che piuttosto di vere interstratifi- cazioni si tratti piu semplicemente di un dosso d’argille scagliose sul quale si appoggia il Tortoniano e messo a nudo qua e là irregolarmente dalla erosione ; infatti lungo una linea prossima- mente N-S al sud di Montegibio gli strati tortoniani sono con- tinui dalla sommità di Casa al Chierico sino al fondo del rio Yidese (3) e solo più ad est compajono le argille scagliose che poi ricomparendo in piccolo lembo tra Montegibio e Casa al Chierico fasciano in parte a S-E di Montegibio le arenarie ; è forse in questo fatto che devesi trovare la spiegazione della mancanza delle argille scagliose nel profilo citato di Stohr per quanto ne parli nella memoria ; esse mancano effettivamente in quell’ allinea- mento e dovrebbero invece figurare tra Montegibio e Casa al Chierico nel punto segnato con la lettera x ; intanto dirò qui una volta per sempre che i due profili di Stohr non sono condotti per- pendicolarmente alla direzione degli strati che è in generale N-N-E. S-S-0 ina uno presso a poco parallelo alla medesima e l’altro quello di n. 2, che più specialmente ho preso in esame, da N a S. Le marne tortoniane terminano col rio Yidese e oltre a queste il fondo della valle è occupato dalle argille scagliose meno un (') Doderlein, Atti del X congresso degli scienziati, Siena. (’) Stohr, Alcuno osservazioni intorno alla storia naturale delle argille scagliose. Ann. Soc. natur. in Modena, anno III, 1868. (3) Questo torrente ha origine presso Marzola e sbocca in valle Urbana. Doderlein lo chiamò rio Videse o del Yidese; Stohr corresse questa denomi- nazione chiamandolo rio delle Bagole che ò poi un podere lungo il suo corso; avendo interrogato persona del posto mi furono dettati i due differenti nomi di rio Gaserà e rio delle Scafo , in tanta confusione ho preferito attenermi al primo nome usato da Doderlein. - 147 — . lembo all1 origine del detto rio nel quale compajono le arena- rie serpentinose ; le dette argille, variegate, fortemente colorate terminano ai dirupi del monte Penna Montebaranzone (') che sono nella parte inferiore costituiti da arenarie serpentinose e nella parte superiore da calcari, dapprima ad elementi serpentinosi e quindi al vero calcare a L pomum analogo a quello di Montar- done, Baiso e tante altre località dell’Apennino settentrionale e che come l’ultimo, se non le Radiolarie, presenta i soliti nuclei silicei di Foraminifere : questi ultimi strati sono inclinati a S-0 come le arenarie di Montegibio; la loro inclinazione è però assai minore di quella degli ultimi. Girando attorno a Montegibio si trova che a N-E e ad E i calcari a Radiolarie confinano colle argille scagliose e si pro- tendono concordanti colle arenarie susseguenti sino ai colli oltre il rio Videse; la loro inclinazione non si mantiene sempre co- stante ; divengono unitamente alle arenarie verticali nell’attraver- sare il rio delle Vigne e il rio Videse, mentre verso il fondo del rio di Cavinola si scostano lievemente dalla verticale pendendo a nord: la sola particolarità è che in ogni punto conservano inal- terata non solo la direzione ma anche P insieme stratigrafico senza offrire nessuna di quelle saltuarie contorsioni tanto comuni negli strati alternanti di materiali diversi e che si riscontrano nelle arenarie serpentinose sottostanti al calcare a L. pomum : oltre alle citate Radiolarie ho raccolto in questi strati nella parte più marnosa una piccola Lucina e il Pecten duodecim-la niella tus Broun. Al N-E di Montegibio in questi stessi strati si trovano i pozzi a petrolio ; non azzardo dire che quest1 ultimo possa provenire dalla materia organica sparsa sì abbondantemente in questi cal- cari, ma certo il raccogliersi dell’acqua sulla quale galleggia il petrolio deve essere singolarmente favorito dalla disposizione quasi verticale di questi strati. Ad 0 di Montegibio alla confluenza del rio di Cavriola col rio Videse compajono a loro volta circondate dalle argille sca- gliose le arenarie serpentinose concordanti con i vicini calcari a (') Montebaranzone è una cura posta più a Sud dalla quale prende il nome tutto questo massivo: la prima pendice di esso e il masso traversato dalla strada, che da Montegibio conduce a Montebaranzone, mi sono accertato che si deve chiamare monte Penna. — 148 — Radiolarie mentre a N-E di Montegibio i calcari a Radiolarie si perdono nel pliocene. Il Tortoniano di Casa al Chierico e rio Yidese è circondato in parte dalle argille scagliose (rio Yidese e sella tra Montegibio e Casa al Chierico) dai calcari a Kadiolarie sul dorso della collina tra il rio Videse e il rio delle Vigne, dal pliocene ad E e dalle arenarie serpentinose sulla strada che da Montegibio conduce a Montebaranzone ; questa stessa strada lungo il crinale che separa le acque del Videse da quelle del rio di Spezzano oltre Marzola è tutta occupata dalle argille scagliose tino ai citati dirupi del monte Penna. Le arenarie serpentinose compajono oltre ai colli citati cioè, strada dalla salsa a Montegibio, confluenza del rio di Carriola col rio Yidese (queste sono citate anche da Stolir) (') e tra Marzola e Casa al Chierico tra le marne tortoniane e le argille scagliose, lungo e sotto tutta la zona del calcare a L. pomum e in forti dirupi nella collina e sulla destra del rio che da Marzola scende alla fossa di Spezzano ; finalmente ricompariscono in piccolo lembo circondate dalle argille scagliose tra Nirano e Marzola sulla destra del rio di Spezzano per ricomparire potenti sotto i dirupi di S. Maria: il calcare a /.. pomum oltre ai luoghi citati si riscontra in piccolo lembo tra Nirano e Marzola sulla sinistra del rio di Spezzano sovrapposto all’arenaria serpentinosa sopracitata. Descritto come meglio ho potuto le condizioni superficiali di Montegibio e suoi dintorni passerò in rivista ciò che ne hanno pensato prima di me coloro che hanno visitato questa regione o regioni consimili. Doderlein (2) riferisce i calcari a Radiolarie e le arenarie di Montegibio al miocene superiore, collocandole sotto le marne, infe- riormente alle arenarie come sono di fatto e tutte sotto le marne ad Ancillarie tipiche del Tortoniano; e la successione è esatta purché se ne escluda il concetto di continuità ; una scheda poi che accompagna un esemplare di questo calcare nelle collezioni universitarie di Modena (3) contiene le seguenti frasi: « Terreno (') Stuhr, Intorno agli strali ter. di Montegibio , loc. cit. (3) Doderlein, Note illus. della caria geol. Modena e Reggio, loc. tit. (*) Nel Museo di geologia e mineralogia della Università di Modena esiste una ricchissima raccolta di roccie dell'Apennino settentrionale; appartengono nel loro più gran numero alle provincie di Modena c Leggio ; alla massima — 149 — miocene medio. Marna argillo-sabbionosa biancastra. È questa una marna calcarea biancastra alquanto sabbionosa che presentasi in strati di qualche potenza sul versante meridionale ? di M. Gibbio, ove alterna con marne grigie friabili, e con calcari e molasse del periodo miocene medio, mentre a sua volta resta sovrapposta agli strati del calcare argilloso a fucoidi ; perocché mi sembra che essa appartenga alle roccie del miocene medio e corrisponda alle marne calcari biancastre che accompagnano l’arenaria serpen- tinosa del Colle di Torino. Le località, principali dove apparisce questa roccia sono la salita e il capitello di M. Gibbio, il vertice del colle della Marzola, i burroni orientali di Valle Urbana non meno che alcune adiacenze del torrente Cianca e della villa di S. Valentino presso Castellavano. L’attuale saggio venne staccato dalle roccie sottostanti al capitello di M. Gibbio ». Qui cade acconcio osservare che Fuchs (') ripetutamente dice avere Doderlein posto le marne ad Ancillarie sotto il calcare a a L. pornum ; questa osservazione è poi ripetuta da Manzoni (*) in due lavori successivi. Capellini (3) fece notare la inesattezza di questo ravvicinamento, io aggiungerò che non mi riesce a capire come il sig. Fuchs si sia potuto formare questo concetto che certo ben diverso appare da tutti i lavori di Doderlein il quale non lia mai pensato a collocare le marne ad Ancillarie sotto il calcare a /,. pomum. Stòhr riferisce (loc. cit.) le marne a Radiolarie alFElveziano staccandole inesattamente dalle arenarie di Montegibio colle quali parte di esse sono unite delle schede illustrative della mano di Doderlein su tenore di quella citata ; contengono osservazioni preziosissime che rappresen- tano fedelmente le prime impressioni di una persona che nel fatto suo vedeva molto lungi, e mentre mostrano l’ immenso materiale raccolto per l' illustra- zione geologica di questa provincia, fanno rimpiangere che l’autore non abbia potuto fin qui riassumerle che in piccola parte. C) Fuchs, I membri delle formazioni terziarie dell' Apennino settentrionale. Bull. Comit. geol. italiano, anno YI, 1875, pag. 245, pag. 255. (’) Manzoni, Della posizione stratigrafica del calcare a Lucina pomum Meycr Bull. Comit. geol. italiano, anno VII, 1876. — Lo Schlier di Oltnang nell'alta Austria e lo Schlier delle colline Bolognesi. Bull. Comit. geol. ita- liano, anno VII, 1876. (') Capellini, Su i terreni terziari di una parte del versante settentrio- nale dell' Apennino. Memorie dell’Accad. delle scienze di Bologna, serie IIT. toni, VI. 1876. — 150 — formano un tutto inseparabile e intercalandovi le marne ad Ancil- larie, senza avvalorare questo distacco con nessun argomento anzi contrariamente a quanto può dedursi dai suoi profili. Secondo Manzoni (') che ne riferisce nel confronto dei gia- cimenti consimili del Bolognese, dopo aver dichiarato di non essersi raccapezzato nei profili di Stòhr e Doderlein il che non esito a credere 'quando si esaminino isolati e senza il complesso dei lavori di questi geologi, le marne a Badiolarie apparterrebbero allo Sclilier dei geologi austriaci seguendo in questo la opinione del Fuclis; io non credo molto opportuno questo sincronismo assoluto tra le due serie di terreni al di qua e al di là delle Alpi e die sia conveniente riunirli in un’unica denominazione, tanto è vero che l’egregio Manzoni stesso ha sentito questa diffi- coltà e mentre nei primi lavori estendeva lo Sehlier a tutto il miocene superiore e medio includendovi anche il Tortoniano, è venuto successivamente limitando le sue vedute (') sino a che nell’ultimo lavoro sulla miocenità del macigno (’) lo ha ridotto all’ ultimo membro del miocene medio. De Stefani (r‘) riferisce questi terreni al miocene medio. Nessuna discussione può esservi sulle arenarie e marne del Tor- toniano del versante meridionale di Montegibio, su questo almeno tutti sono d’accordo e il loro livello è chiaramente stabilito, ag- giungerò solo che nello stesso insieme vanno comprese le arenarie della sommità di Casa al Chierico contenendo fossili indubbia- mente tortoniani ; è in questa parte che Doderlein (") riferisce a marne d’ acqua dolce alcuni strati di argille compatte prive di grossi fossili ; cercandovi con cura vi ho potuto trovare alcune Foraminifere cioè: Robulina cultrata D’Orb., R. calcar D’Orb. (’) Manzoni. Considerazioni geologiche a proposito del Pentacrinus Ga- staldi della molassa di Montese. Ann. Società nat. in Modena, anno XII. 18~8. — Della posizione slratigrafica del calcare a Lucina pomum , loc. cit. (s) Manzoni, Il Tortoniano ed i suoi fossili nella provincia di Bologna. Bullet. Comit. geol. italiano, anno XI. 1880. (’) Manzoni, Della miocenità del macigno e dell’ unità dei terreni mioce- nici nel Bolognese. Bull. Comit. geol. italiano, anno XII, 1881. (') De Stefani, Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono l’ Apen- nino settentrionale. Atti della Società toscana di scienze naturali residente in risa, voi. V. fase. 1, 1881. (') Doderlein, Note illustrative alla carta geologica , loc. cit. e Globic/erina bulloides D’Orb. ; Doderlein fu tratto a questa deter- minazione dagli strati d’acqua dolce di S. Valentino e Castella- rano al di là del Secchia ai quali li credette corrispondenti , opinione che divisi io pure fino al momento nel quale ebbi rico- nosciuto che questi strati sottostavano a strati marini del Tor- toniano : aggiungerò che le Foraminifere citate non le ho raccolte sul posto ma le ho staccate dall’ interno di un grosso esemplare di queste marne portato nel mio gabinetto e da me stesso rac- colto sul posto. La molassa o arenaria serpentinosa si presenta un po’ più imbrogliata ; non citata da Doderlein in questa località è poi dal medesimo riferita al piano a Spala ngus austri acus Laube ( Pericosmus latus Dod. non Agas.) (') ed è dal medesimo collo- cata come lo è difatti sotto il calcare a L. pomum ; per Stolli* assume diversi significati; così le arenarie serpentinose tra Casa al Chierico e Marzola (s) che riferisce al Tortoniano sono invece molto al di sotto di questo, non rappresentano strati d’acqua dolce contenendo frammenti di conchiglie, Nodosarie ed altre Forami- nifere, nè si possono staccare dalle altre che in enormi masse assorgono sotto il calcare a L. Pomum ; egualmente egli pone allo stesso livello, cioè superiori al Tortoniano, le arenarie alter- nanti con calcari di Montegibio e le altre alla confluenza del rio di Cavriola con il rio Videsé ; egli viene a questa conclusione ritenendo che sieno i due rami di un anticlinale la cui sommità erosa si troverebbe al N di Montegibio: riservandomi quest’ar- gomento dirò subito che non posso accettare per identiche le arenarie e marne sulle quali posa Montegibio con quelle di cui parlo ; queste sono vere arenarie serpentinose con frammenti di serpentino grossi anche qualche centimetro, solo sulla strada che da Sassuolo conduce a Montegibio si presentano uniformemente minute, mentre le arenarie del castello di Montegibio sono pove- rissime di elementi serpentinosi ; tutt’ al più nella parte più sot- tile separata con lavaggi se ne può separare qualche tenue e dubbio frammento riconoscibile al microscopio, come riscontrasi in tutte le roccie mioceniche e plioceniche al di sopra di un (') Doderlein, Nule illustrative alla carta geologica , loc. cit. ("•) Stohr, Terreni terziari di Montegibio , loc. cit. dato livello ben noto ai conoscitori dell’ Apennino ; sono invece abbastanza ricche di Spongiari e altri resti di organismi i cui simili mancano nelle vere arenarie serpentinose, come io l’intendo. Resta finalmente a parlare del così detto calcare a L. pomum; occorre qui subito dire che con questo nome specifico s’indicano non solo specie diverse di generi affini, ma anche di generi di- versissimi dalle lueine e dalle ciprine ; basti per questo una occhiata alla tav. Ili della Memoria di Capellini sul macigno di Torretta (’), nella quale saviamente il detto autore non si pro- nuncia su i nomi specifici, e qui si tratta di forme di uno stesso strato, come pure ai molti nomi che in diversi tempi ha ri- cevuto (2). Doderlein infaticabile quanto dotto illustratore del Modenese ne fa un piano distinto e lo pone nell’ Elveziano sopra gli strati d’arenarie serpentinose a Spatangu v auslriacus (3) ; Stolli* lo conserva nell’ Elveziano (4) ; Manzoni lo colloca alla base dei terreni gessoso-solfìferi (B) per poi pili tardi riconoscere che queste grosse bivalvi che gli hanno dato il nome si possono riscontrare in tutti i piani del miocene (fi); crede poi che quello di Monte- baranzone, ed io aggiungo Monte Penna, sia anch’esso nella stessa posizione di quello di Brisighella e Morticino (7) nel Bolognese ; io non pongo in dubbio che in queste località da me non cono- sciute il calcare a L. pomum non sia nel posto assegnatogli da Manzoni, respingo però assolutamente che quello di Montebaran- zone, Baiso, Montardone e tutte le località indicate per questa roccia da Doderlein sieno a un livello diverso da quello indi- cato; Capellini (R) lo colloca al suo vero posto cioè superiore ai (’) Capellini, II macigno di Torretta e le roccia a Globigerinae. Meni. Accad. scienze di Bologna, serie IV, voi. II. 1881. f:) Ecco una lista credo incompleta dei vari nomi ricevuti da questa o queste bivalvi: Lucina pomum. Destn. L. apunninica Dod. L. globidosa Desìi. Cpprina Dicomani Mgh., L. corbarica Lcym., L. globosa ? Desìi, ccc. (3) Doderlein, Note illustrative alla carta geologica , loc. cit. (*) Stohr, Terreni terziari di Monlegibio , loc. cit. (') Manzoni, La geologia della provincia di Modena. Ann. Soc. naturai, in Modena, anno XIV, 1880. (6) Manzoni, Della mioccnità del macigno , loc. cit. (;) Manzoni, Posizione del calcare a L. pomum , loc. cit. (') Capellini, Terreni terziari dell’ Apennino, loc. cit. 9 conglomerati del 2° piano Mediterraneo ossia adoprando la divisione introdotta già da tempo per gli strati miocenici, nell’ Elveziano, se non nel Serravalliano. Coppi riconosce (') la giusta posizione di questo calcare rifiutando aneli’ esso l’opinione del Manzoni che ' possa essere sovrapposto alle marne tortoniane come aveva detto attenendosi alla inesatta interpretazione del Fuchs piu sopra riferita. Resterebbero le argille scagliose; su queste non dirò nulla, tanto se ne è parlato e in così vario modo, che poco potrei ag- giungere al molto già detto in queste roccie, nelle quali nulla credo che possa confortare nell’ idea di una manifestazione endo- gena qualsiasi. Dette le opinioni altrui dovrò pure parlare della mia; è una confessione dolorosa che più sopra cominciata debbo ora terminare ; non sono ancora riusciuto a formarmi un’ idea chiara della tetto - iiica di questi strati e specialmente di quelli a Radiolarie ; parten- domi dal caposaldo del Tortoniano accetto la collocazione del calcare a L. pomum nell’ Elveziano, ma non sono sicuro se i calcari a Radiolarie sieno dello stesso orizzonte o inferiore a questo e alle arenarie serpentinose che gli sottostanno : volendo ricorrere senza prove ben certe o a un rovesciamento o a un comodo salto tutto potrebbesi svolgere facilmente, ma in tutte le spiegazioni che mi si sono presentate ho sempre trovato qualche punto che non s’ accorda colle osservazioni ; così, se le marne a Radiolarie sono una stessa cosa con i calcari a L. pomum dovrebbero pure appartenere' agli stessi strati le arenarie serpentinose ; l’andamento generale sarebbe quello allora di una stratificazione a gradinate con rottura degli strati tra Montegibio e Monte Penna , affiora- mento delle argille scagliose e necessario addossamento a questo delle marne ed arenarie tortoniane ; questa ipotesi sarebbe con- fortata dall’aver trovato nel calcare di Baiso nel Reggiano alcune delle Radiolarie di Montegibio ed è questo ben povero argomento che male si accorda con la grande differenza litologica dei due giacimenti , troppo vicini per supporli aspetti diversi di un medesimo orizzonte ; se poi dovessero ritenersi i calcari a (') Coppi, Nota sul calcare a L. pomum. Bull. Comit. geolog. italiano, anno, Vili, 1S77. — 154 — Radiolarie inferiori al calcare a L. pnmum , le arenarie serpentinose del versante settentrionale di Montegibio verrebbero ad essere distinte da quelle di monte Penna ; V esame di questi sedimenti in altre parti delPApennino, non essendo questi limitati al solo Montegibio, risolverà spero il problema qui reso intricatissimo specialmente dalla presenza delle ‘argille scagliose , che ognuno sa quanto . sieno d’ impiccio, non essendo possibile riconoscere in esse una direzione e nelle quali spesso smisurate frane complicano e mascherano la loro vera posizione ; per ora di una cosa sola sono certo ed è che questi calcari a Radiolarie non solo sono più antichi del Tortoniano ma anche non più recenti dell1 Elveziano. Questo punto è per me assodato ; rappresentano quindi queste Radiolarie una fauna nuova per il- continente e per livello geolo- gico; infatti se si tolgono le poche sezioni da me illustrate dell’ eocene superiore e le poche specie accennate da G-ùmbel e Rothpletz della creta, del trias e del paleozoico, le più antiche Radiolarie conosciute in quantità e in buono stato di conserva- zione provengono dai tripoli tortoniani della Sicijia. Quello che ho dotto di sopra mi dispensa di parlare del se- condo giacimento di Baiso, ricorderò solo che in questo calcare le Radiolarie sono commiste a molte Foraminifere e sono assai peggio conservate, sicché si vedono meglio in sottili sezioni di quello die isolandole per mezzo di acidi che sciolgano la parte calcarea; contiene inoltre frequenti come molte roccie di questo periodo dei piccoli frammenti di ambra. Terminerò questa comunicazione con alcune considerazioni paleontologiche; nel mio lavoro sulle Radiolarie dei diaspri delTeocene superiore (') stabiliva per molte sezioni che non poteva ricondurrre a generi conosciuti le tre nuove divisioni generiche Polystichia , Urocijriis e Aclelocyrtìs ; il primo genere lo ritenni affine ai Litho- campc , talché posteriormente credei ritrovare in un calcare di Savignano una forma intermedia (*) alla quale conservai il nome generico di Lithocampe chiamandola L. Bombiceli : come allora scrissi questa separazione fu da me fatta perché non avevo ancora (') Pantanelli, I diaspri della Toscana e i loro fossili, Atti dell' Accade- mia dei Lincei, anno CCLXXVII, 1880. (2) Pantanelli, Note microli lologichc sopra i calcari. Atti della r. Acca- demia dei Lincei, anno CCLXXIX, 1882. 155 — riscontrato tra i Lilhocampe conosciuti, nessuno che oltre alle profonde strozzature presentassero una forma decisamente conica come quella delle sezioni che avevo sottocchio ; nelle radiolarie di Montegibio trovo dei Lithocumpe che cominciano a presentare questo carattere, sicché potrei dire che finiscano in questo periodo quelle forme speciali di Cyrtidae così estese ai diaspri e ai cal- cari di quell’epoca; del genere Urocyrtis non ho trovato nulla che ci si avvicini; non così del genere incerto Adelocyrtis e che provvisoriamente avevo collocato nella divisione delle Cyrtidae ; ho trovato riferibili a questo nuovo genere almeno sei specie dif- ferenti , tutte caratterizzate da una grossa spina apicale porosa ; l’esame di queste specie mi obbliga però a correggere la loro posizione nella sistematica appartenendo alle Disphaeridae e non alle Cyrtidae come anche avevo dubitato quando studiavo le sezioni dei diaspri ; essendo poi molto comune il genere Ommatodiscus fondato da Stohr per alcune Discidae del Tortoniano si vede che questa fauna è anche paleontologicamente intermedia ai due periodi. Non mi fermerò sulla povertà relativa delle Diatomèe ; è fatto comune che raramente convivono in abbondanza con le Radiolarie, le condizioni di vita che favoriscono lo sviluppo delle prime non essendo identiche a quelle che facilitano raccumulazione delle se- conde ; è piuttosto notevole la povertà delle Foraminifere in quelle specialmente di Montegibio e questo fatto accennerebbe ad una fauna di mare profondo dove le Globi ger in kla'e sono ordinaria- mente le sole specie che vi sopravvivono. Modena, agosto 1882. Dante Pantanelli — 156 — RELAZIONE INTORNO AL MODO DI FORMAZIONE DELLE ARGILLE SCAGLIOSE DI MONTESE. Verona, adunanza 3 settembre 1882. Formazione originaria delle argille scagliose di Montese. — Sino dal marzo dell’anno scorso, allorché nel nostro opuscoletto: Montese e i suoi terreni geologici , parlammo delle argille scagliose di quella località, scrivemmo quanto segue: « A Montese le argille scagliose si presentano per lo più in forti ammassi ordinariamente disposti in catena, lungo il corso dei loro principali torrenti. « Osservati superficialmente questi ammassi si mostrano subito all’occhio come tutti di un pezzo, e perfettamente amorfi: tuttavia in alcuni posti mostrano ancora traccie chiarissime di strati- ficazione ». Ebbene : il dubbio da noi concepito sino da quell’ istante, che la formazione delle argille scagliose di Montese « fosse in origine di natura stratificata», ci è stato or’ ora risolto in una quasi to- tale certezza dalle ultime nostre osservazioni, intorno alla giaci- tura delle medesime ; per cui, se non ci siamo male apposti, pos- siamo ormai con tutta probabilità asserire : che la formazione delle argille scagliose di Montese, fu veramente in origine « una for- mazione stratificata ». Se non che per rilevare pienamente questo fatto, non basta soltanto osservare la formazione delle argille scagliose attraverso dei loro orridi e desolanti ammassi; ma conviene buttarsi anzi tutto sul fondo dei loro primari torrenti, e studiarle più parti- colarmente lungo il corso di quelli che più profondamente le hanno incise : perchè mentre superficialmente lo stato originale di dette argille si trova sempre più o meno mascherato dalle innu- merevoli frane a cui è continuamente soggetto ; nell’alveo invece de’ loro torrenti, per le profonde erosioni che fecero in esse, questo all’incontro si trova quasi sempre messo a nudo: ed una delle Ragioni die produsse poi tanta disparità di opinioni fra i geologi, 157 — intorno alla natura originaria della formazione delle argille sca- gliose, si fu forse questa appunto «di non avere cioè sin’ ora posta ordinariamente attenzione che ai loro cumuli esterni ». Così almeno è sempre accaduto a noi; giacché fino a tanto che cir- coscrivemmo lo studio della formazione argillo-scagliosa alla sua superficie, ne comprendemmo sempre meno di prima, ma appena ci venne in mente di gettarci senz’altro sopra l’alveo dei loro torrenti, la natura vera ed originaria di detta formazione cessò subito di esserci un impenetrabile mistero: tanti furono gli af- fioramenti di esso regolarmente stratificati, che trovammo spun- tati qua e là pei medesimi. Natura delle roccie principali che costituiscono la formazione delle argille scagliose di Montese. — Alla costituzione delle ar- gille scagliose di Montese, vi concorrono sicuramente più roccie: roccie che, tanto per compattezza, quanto sotto l’aspetto litologico, sono sempre fra loro stesse assai differenti, però tra tutte queste le principali sono le seguenti: 1. Un « calcare marnoso variamente colorito », che i pae- sani chiamano « galestrino ». Cotesta roccia, che bene spesso con- tiene dei « fucoidi », è ordinariamente molto fragile ; per cui esposta un’aria si scioglie quasi subito in piccoli frammenti pseudo-polie- drici, e a poco a poco si riduce in polvere quasi impalpabile. Di più : in alcune località questa stessa roccia assume l’aspetto di « pietra paesina ». 2. Un « arenaria selciosa » scissile, molto micacea, e per lo più di colore oscuro : roccia che ora si trova così compatta da emettere percossa un suono quasi di campana, ed una tanto tenera e friabile che si riduce in polvere anche al più piccolo urto. Tale arenaria contiene pur essa qua e là, oltre ad impronte algacee, non pochi frammenti di « vegetali carbonizzati » ; e nella qualità durissima qualche verminazione, che sembra alludere a resti fos- silizzati di « aleyonari ». 3. Un « calcare selcioso, durissimo », pur esso molto mi- caceo. Di questo calcare non abbiamo potuto fissare ancora la sua posizione stratigrafica relativamente alle altre roccie che con- corrono alla formazione argillo-scagliosa di Montese ; ma appartiene però ad essa, trovandosi ovunque sparso per la medesima, non al- trimenti delle altre roccie or’ ora indicate. — 158 — \. Delle« argille scagliose pure ». Coleste argille, come si può chiaramente rilevare da alcuni « affioramenti », che si ri- scontrano nell’alveo di non pochi loro torrenti, e singolarmente poi nell’alveo del Rio di S. Martino, si trovano per lo più inter- calate fra i calcari marnosi, e le arenarie superiormente descritte. In uno di tali affioramenti, esistente alla destra del Rio di S. Mar- tino predetto, nella località detta i Roncoccioli, si veggono ap- punto fra due strati regolari di arenarie, di cui il superiore è alto cent. 60 e l’ inferiore cent. 30, due strati parimenti regolari di argille scagliose, alti ciascuno cent. 30, intercalati senz’ altro da uno strato pur esso regolare di calcare marnoso con fucoidi, non più alto questo di cent. 6. Di più: anche gli ammassi stessi di argille scagliose, che nella medesima località di Montese si mostrano all’esterno per- fettamente amorfi, non sono tali neppur cotesti, se non là ove le lavine e gli agenti esterni, più o meno li alterarono, e questo poi viene senz’altro indicato dai grossi blocchi di esse argille ancora perfettamente stratificati, che le erosioni torrentizie vanno di quando in quando scoprendo di mezzo a loro : blocchi che le lavine divel- sero dal posto loro originario, e si cacciarono innanzi; ma che però non poterono nò stritolare, nè infrangere. Età relativa della formazione delle argille scagliose di Mon- tese. — Si ritiene comunemente dai geologi, che il calcare mar-' noso a fucoidi appartenga all’ « eocene superiore». Ora, se il calcare marnoso a fucoidi appartiene realmente all’ eocene supe- riore, all’eocene superiore medesimo dovrà pur anche di neces- sità appartenere la formazione delle argille scagliose di Mon- tese, che in detta località si trova per lo più intercalante con esso calcare. Se non che ; potrebbero forse far quivi un po’ di senso alcuni fossili rinvenuti in queste argille, e tenuti sin’ ora per « cretacei »: ma perchè consimili fossili non potrebbero ancora dal cretaceo passare all’ «eocene»?; certo è che anche il genere « [Jemipneu- stcs » fu pur esso creduto sempre cretaceo, finché la nuova spe- cie « VHemipneustes italicus », da noi primamente raccolto a Mon- tese stesso e reso noto, non ha fatto chiaramente vedere, che il mede- simo genere può essere ancora del «miocene». Del resto poi la roccia stessa in cui si rinvengono incassati questi stessi fossili, non è — 159 — pur esso minimamente diverso dall’arenaria che si trova quasi ovunque intercalante colle argille predette. Epoca molto probabile del totale sollevamento della forma- zione argilla-scagliosa di Montcse. — Porse il moto ascendente della formazione delle argille scagliosa di Montese cominciò col sollevamento degli Apennini che stanno loro di fronte ; poiché è troppo naturale che ad un tale innalzamento vi partecipassero pur anche le terre che li fiancheggiano. Però l’epoca più probabile in cui la formazione argillo-scagliosa di questa località si ruppe, si sollevò, e venne ridotta allo stato attuate, fu forse quella della emersione « dei serpentini », che loro spuntano di mezzo. Chec- ché se ne dica, almeno i serpentini di Montese sono così stretta- mente legati col terreno delle argille scagliose di detta località, che non si dà mai di riscontrare le une senza imbattersi ancora negli altri. Ma e i serpentini di Montese in che epoca forse emersero essi ? Dai geologi italiani si crede generalmente, che i serpentini apenninici dell’ Italia centrale siano tutti quanti eocenici. Tuttavia, rapporto ai serpentini di Montese ci permetteremo di far osservare: 1. Che la maggior parte dei serpentini di Montese sono esternamente coperti di non pochi framenti più o meno voluminosi di calcare marnoso. A Montespecchio, ove si trova certo la for- mazione serpentinosa più potente di Montese stesso, se ne vede un grosso blocco emisferico, separato dalla massa principale, che ne mostra tanti, da far quasi pensare, che ancor pastoso si sia rotolato su di essi. 2. Che i frammenti di calcare marnoso, esternamente appi- ciccati ai serpentini di Montese, non sono punto litologicamente diversi dai calcari marnosi intercalanti colle argille scagliose. Ebbene : se i serpentini di Montese sono esternamente coperti di frammenti di calcare marnoso : e se i frammenti di calcare mar- noso di cui sono coperti, non sono punto litologicamente diversi dai calcari marnosi intercalanti colle argille scagliose di Montese stesso ; sembra dunque certo che anche l’ emersione di essi ser- pentini medesimi non possa essere accaduta, se non dopo la com- pleta formazione dei calcari predetti: cioè, non possa essere ac- duta, se non dopo la completa formazione dell’ « eocene superiore », a cui questi stessi calcari appartengono. — 160 — Del resto poi: il dubbio che tanto il sollevamento totale delle argille scagliose di Montese, quanto l’emersione dei serpentini dello stesso luogo, appartenessero direttamente al « miocene » ci nacque pure anche questo sino dall’ anno passato, appena che ci accorgemmo, o almeno che ci sembrò di accorgerci, che le predette argille, tutt’altro che costituire la base delle molasse mioceniche di quella località, si adagiavano invece sopra esse medesime. Così che nel nostro opuscoletto, che citammo sino da principio, trat- tando dei terreni eruttivi di Montese, concludemmo senza più « che il sollevamento della zona subapennina, incominciato forse sino dal- l’epoca eocenica, terminasse in sul finire dell’epoca miocenica col- 1’ emersione appunto dei serpentini stessi». Ma qui intanto porremo fine a questa nostra breve esposi- zione, intorno allo stato originario della formazione argillo-scagliosa di Montese. Però nel deporre la penna non possiamo non permet- terci la libertà di rivolgere una calda e rispettosa esortazione ai nostri illustri connazionali, che hanno tempo, potere e volontà di far escursioni geologiche, di non trascurare questa classica località, ove in un ristrettissimo spazio, oltre ad una ricca fauna, che ha già dato alla paleontologia le prime spugne terziarie raccoltesi in Italia, un nuovo genere di echini « l’ tleteroibrissus »(H. Montcsii) , e la nuova specie pure di echini « 1’ Hemipneustes italicus », po- tranno ancora osservare tutte le formazioni del periodo terziario, e i loro andamenti, dal « pliocene forse inferiore, sino al Macigno del Cimone inclusivi » : e quando anche da queste escursioni ci dovessimo accorgere, che le nostre deduzioni intorno ai medesimi sono errate, non saremmo mai che lietissimi di poter modificare i nostri scritti a seconda della verità, che ò Punica cosa a cui ar- dentemente aneliamo. Àbb. G. Mazzetti. 161 — RESTI DI SAUDIANI NEL LOMBARDO- VENETO. Verona, adunanza del 5 settembre 1882. Presento un fossile, rinvenuto erratico in una cava di calcare ammonitico (Titonico) presso Erbezzo nel Veronese, dal cav. Stefano de Stefani. I suoi caratteri lo qualificano per la porzione anteriore di una mandibola d’ittiosauro e fa vedere come i denti sieno inse- riti in un canaletto continuo, anziché in alveoli separati. II cav. de Stefani inviò all’ illustre prof. Riccardo Owen un modello in gesso e il celebre zoologo inglese vi riconobbe una grande affinità colla porzione corrispondente dell’ Jchtyosaurus in- termedius di Conybeare. Al qual proposito mi permetto di osservare che se il prof. Owen avesse avuto sott’ occhio il pezzo stesso, invece di un modello assai mediocremente eseguito, vi avrebbe riscontrato dei caratteri che lo distinguono dalla suddetta specie. Ricordando le comunicazioni recentemente fatte alla Società geologica di Francia dai signori Cornuel e Pouech, sopra alcuni fram- menti di mascelle d’ittiosauro trovati nei terreni cretacei e giu- resi della Francia, è facile riconoscere come il fossile di Erbezzo abbia molto più analogia con alcuno di questi ultimi, specialmente pel solco longitudinale che segna esternamente i lati della man- dibola, solchi prodotti dalla obliquità dei forellini destinati al passaggio dei vasi. Concludo, rammentando i bellissimi esemplari di Sauri tro- vati in Lombardia ed illustrati dal Curioni i quali spettano ad altri generi e non appartengono all’ ordine degli Enaliosauri, è quindi tanto più importante la scoperta dal cav. de Stefani che ci reca il primo indizio della presenza di un vero Ittiosauro nei terreni mesozoici d’Italia. A. De Zigno. il 162 — NOTE DI GEOLOGIA VERONESE, Verona, adunanza del 3 settembre 1882. Gli ultimi ondeggiamenti di una parte del versante meridionale delle Alpi costituiscono l’orografia veronese ; non spingendo lo sguardo oltre questa ristretta area, apparisce che le movenze stra- tigrafiche localmente derivano dalla slanciata catena del Baldo (prealpi Retiche), che tocca m. 2200 d’elevazione sul livello del mare e che corre parellela da 0. S. S. a N. N. E. , fra il bacino del Garda e la valle d’Adige ; e dal sistema dei Gessini al quale, indipendentemente, fa seguito, ad est, il gruppo della Posta-Zevola m. 1800 a 2200 circa (prealpi Cantiche), gruppo che si allinea da 0. ad E., parzialmente rotto a tramontana dalla valle-frattura de’ Ronchi. Tronche, poco distese, discontinue, con elevazione di strati talora assai ripida, sono le propaggini del Baldo; spiegatissimi, estesi, con ondeggiamenti flessuosi e concordanti nelle successive assise stratigrafiche, sono i contrafforti dei Gessini, con generale pendenza a S. S-0. e leggera inclinazione di circa gradi 10. Due sistemi di gradini però, fanno guadagnare una maggiore elevazione all’altipiano Gessineo; e questi approssimativamente coin- cidono con una linea, che accompagna il primo affioramento delle roccie giuresi, e con un altra, che determina il più elevato alti- piano a nord al confine del territorio. Ge maggiori elevazioni dell’area in esame derivano da fles- sione di strati, talvolta seguite da fratture. Nella catena Baldense e nel sistema del Pastello e Pastellette, questi fenomeni succedono parallelamente e lungo linee che cor- rono approssimativamente da S. S-0., a N. N-E e nei versanti orientali di queste montagne. Nei Gessini invece il raddrizzamento è da 0. ad E. dal lato della pianura, e nei monti dolomitici della Posta, Zevola, Porto e Spitz accade nel loro versante occi- dentale e va da N. 0. a S. E. Sono onde di sollevamento o residui d’ ampie volte, o gambe — 163 — d’anticlinali, che costringono i terreni più antichi, denudati, a rag- giungere considerevoli altezze, lasciando ai loro piedi le rocce più recenti talvolta anche dislocate. Gran parte della regione montuosa muore fra le formazioni moreniche, fluvio glaciali e quaternarie dell’alta pianura cui suc- cedono in leggero declivio, le fertili alluvioni contemporanee della valle Padana. Molto probabilmente si stendeva continua, nella regione ora corrispondente all’alta provincia veronese, sopra il sistema giu- rese, l’immane pila degli strati cretacei e nummulitici con una potenza verticale, che verosimilmente variava da m. 400 a 600. Allorquando il concordante complesso di tutti questi sedi- menti marini, fu costretto a restringersi e guadagnare in altezza con pieghe, rughe, sinclinali ed anticlinali, quanto perdeva in confronto della regolare distesa quasi orizzontale che gli sfuggiva, esso andò soggetto a salti ed a dislocazioni e le forze esogene dippoi, l’abrasero, l’esportarono in gran parte, l’incisero e lo pla- smarono tale quale si presenta oggidì. Durante l’epoca di sollevamento — eh’ ebbe il suo decisivo sviluppo dopo la sedimentazione delle più recenti assise del si- stema nummulitico e fors’ anco di alcune mioceniche che ora for- mano la scarpa ai contrafforti che maggiormente si protendono in pianura e si trovano a circa m. 1,800 sopra il livello del mare su parte del versante orientale del M. Baldo — arsero quei vul- cani certamente terziari, in gran parte sottomarini, che, special- mente nella porzione orientale della provincia, lasciarono tanta copia di lave, di cenere, di lapilli. Dagli agenti meteorici, com’è naturale, gli strati più antichi affioranti in questo territorio, cioè i giuresi, furono meglio ri- spettati, ma non rimasero incolumi. Abbastanza estesi, specialmente nelle loro assise inferiori, rimasero i terreni cretacei, che anche oggidì leggermente ammantano gran parte dei dossi alpini ; scarsi, ristretti, assai discontinui restarono invece i brandelli del man- tello superiore, cioè, del sistema terziario. Però anche di tale mantello, rimase quanto basta per veri- ficare l’antica sua continuità, poiché a poco meno di m. 1600 sul M. Baldo, a m. 850 sul Pastello, a m. 1200 circa a S. Gio- vanni di Fosse, a 900 al Tesoro e Masua, a 1257 sulla Purga — 164 di Velo, a 700 a Bolca ecc. trovai faune identiche o coeve fra questi lembi eocenici, assai discosti e staccati, e le rinvenni altresì a m. 80 o poco più in valle d’Avesa ed altrove. Il breve sguardo è finito; le pubblicazioni che or ora vid- dero la luce — alle quali mi riferisco (‘) — portano un mag- gior contigente all’ illustrazione di questo territorio. Enrico Nicolis. (') E. Nicolis, Carta geologica della provincia di Verona , Scala la 75000. — Note illustrative alla Carta geologica della provincia di Verona. Sctt. 1852. editore C. Hayser Verona. i / / • 0SSERVA2I0NI SULLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PUBBLICATA IN OCCASIONE DEL CONGRESSO DI BOLOGNA. Verona, adunanza 3 settembre 1882. Importantissimo e desiderato lavoro fu quello della Carta geologica d’Italia pubblicata in occasione del Congresso di Bo- logna, e non potremmo bastantemente esserne grati al Prof. Stoppani che 'ne propose la pubblicazione ed all’Ufficio geologico che la eseguì. In vista delle pubblicazioni che saranno neces- sarie pel Congresso internazionale prossimo, verrò ad indicare le rettificazioni che saranno a farsi a parer mio, tenendo conto soltanto degli stridii anteriori alla pubblicazione della Carta , specialmente di quelli fatti nelle regioni che meglio mi son note, tralasciando le rettificazioni derivanti da studii e da osservazioni posteriori od ancora inediti. Ordinamento generale dei terreni. L’ ordinamento dei terreni è eminentemente subiettivo , e finché una convenzione generale non l’ abbia fissato in modo meno instabile, quand’ anche per alcuni terreni si avessero idee alquanto diverse da quelli che lavorarono nell’ insieme della carta, sarebbe a farne oggetto di discussione, non di critica. (’) Questo sia detto per la distinzione delle epoche e delle età. Mi permetterò invece di dire qualche cosa sulla distinzione litologica delle rocce cristalline. Di alcune imperfezioni dovute allo stato odierno degli studii nostri, non è a far calcolo ad alcuno, come p. e. dell’unica colorazione delle 'pietre verdi an- tiche, e dell’avere applicato in una regione il colore di queste ed in altre regioni il colore diverso di alcune rocce litologi- camente uguali e coetanee. Molte imperfezioni ed inesattezze (') Ad esempio si potrebbe assai discutere sull'avere unita la zona ad Avicula contorta al Trias, anziché al Lias. — 166 — sono nello studio di tutte le rocce eruttive nostre; ma mag- giori delle reali sono quelle che appaiono nella carta, talché, tenendo pur conto soltanto dello stato odierno della scienza ita- liana, reputo che questa parte dovrà essere totalmente modi- ficata* Altri parlerà intorno ai Tufi vulcanici ed ai Tufi trachi- tici , intorno ai Basalti e lave ed intorno ad una parte dei Porfidi. Quanto ai graniti è forse prematura nelle scuole italiane la distinzione in graniti sedimentarli antichi, che non sono se non uno stadio di maggiore compattezza del gneiss , in graniti formanti filoni prodotti da secrezioni in mezzo ad altre rocce cristalline, ed in graniti eruttivi triassici, eoceuici, etc. Questa distinzione che ho seguita nella Geologia delle Calabrie (') non è nuova nelle scuole straniere. Ad ogni modo mi sembra indi- spensabile distinguere con colori diversi p. e. i Graniti delle Calabrie che appartengono all’epoca detta nella carta del Gneiss antico e che potrebbero indicarsi col colore di quest’ultima roc- cia, dai Graniti p. e. dell’ Elba e del Giglio che sono rocce erut- tive facenti parte del Trias e del terziario, e che appartenendo al gruppo delle Lipariti hanno, secondo valentissimi e recenti petrografi, non minori analogie colle Trachiti che coi veri Graniti. Il colore turchino indica Dioriti e Diabasi. Quanto alle re- gioni delle Alpi nelle quali si indicano queste rocce gli autori parlano quasi sempre di Dioriti anziché di Diabasi ; nelle Cala- brie tanto nei luoghi indicati, quanto negli altri che per la pic- colezza degli strati non si possono indicare ; conosco soltanto Dio- riti facenti parte della zona degli scisti cristallini, e punto Dia- basi. Si rimaneva dunque più nel vero se si diceva che il colore turchino era applicato soltanto alle Dioriti. Tanto più sarebbe necessario fare questa rettificazione in quanto che le vere Diabasi sono confuse col colore delle Serpentine. Io già indicai nel mio lavoro sulla Montagnola senese le principali regioni dell’Apennino nelle quali, per quanto mi è noto, si estendono le Dia- basi, cioè una parte dei Monti della Castellina, la Garfagnana, la Lu- nigiana, ed una parte della Liguria. Le Diabasi che in minori quantità e commiste con altre rocce vulcaniche si trovano nel resto del- (') Questo lavoro fu presentato alla T>. Accademia dei Lincei fin dal 1880; — 167 — l’Appennino, nelle regioni colorite in verde, possono benissimo lasciarsi unite alla roccia predominante, come, per la piccolezza delle masse, si deve fare coi graniti che accompagnano le rocce eruttive eoceniche. Il colore verde applicato unicamente alle Serpentine , oltre al comprendere come dicevo quasi tutte le Diabasi , ed i limita- tissimi graniti che non si potevano segnare, comprende anche le Eufoticli , straordinariamente comuni dappertutto. Le vere serpen- tine, in realtà formano soltanto un quarto circa delle masse che nella carta sono colorite come tali. È singolare che appunto le maggiori imperfezioni neH’ordinamento generale della Carta si veri- fichino a proposito di queste Diabasi, Dioriti e Serpentine , le cui molteplici questioni l’Ufficio geologico si era esplicitamente pro- posto di schiarire almeno in parte in occasione del Congresso di Bologna, e pelle quali presentò pure un apposito lavoro d’ insieme. Concludendo, sottopongo alla considerazione di chi presie- derà alla ripubblicazione della Carta geologica d’Italia, le seguenti proposte, limitandomi a quelle che mi sembrano più indispensabili. 1° Si distinguano i graniti antichi, dai graniti eruttivi più recenti. 2° Si tolgano le Diabasi dalla dizione del colore turchino. 3° Nella dizione del colore verde, oltre alle Serpentine , quando non si vogliano fare le distinzioni possibili, si nominino almeno le Diabasi e le Eufoticli. Passerò ora all’esame di alcune regioni. Calabrie meridionali Le Calabrie a mezzogiorno di Catanzaro sono colorite secondo gli studii che ho fatto per incarico del Ministero dell’ Istruzione pubblica. Col colore roseo vengono indicate tutte le rocce più antiche comprese col nome di schisti cristallini. Infatti una buona parte della regione è costituita da Micaschisti, anfiboliti, e da altre rocce che si comprendono con quella denominazione gene- rale e che hanno analogie nelle Alpi. Ma le rocce più antiche sono quelle che io ho chiamato gneiss perchè vi sono palesi tracce di stratificazione, e che altri qui ed altrove, prima di me, chiamò graniti. Esse sono affatto diverse dagli schisti cristallini — 168 — sovrastanti ed hanno analogia con quelle rocce di Sardegna che sono indicate come Granili, con parte di quelle delle Alpi indicate con questo stesso nome, p. e. colle masse dell’ Adamello, con qualche parte delle rocce centrali delle Alpi indicate pur esse col nome generale di schisti cristallini, e con tutte o quasi tutte quelle rocce delle Alpi occidentali, indicate col colore e col nome di gneiss antico. Quest’ultima era la denominazione più adattata pegli gneiss ora indicati della Calabria, attenendosi quanto ai con- fini, almeno per ora, alle carte da me presentate. Con ciò si sarebbe fatta una distinzione di grande importanza e si sarebbe evitato in parte l’ inconveniente non piccolo di avere indicato una medesima roccia, appartenente probabilmente ad un medesimo periodo, con almeno tre colori diversi secondo le regioni in cui si trova (‘). Sopra gli schisti cristallini vengono dei cloroschisti, dei mica- scisti damouritici e delle filladi carboniose alternanti. La distin- zione di questa zona nelle Calabrie ed in Sicilia (nelle quali regioni è identica) è importantissima perchè è la zona metallifera di que’ paesi. In Sicilia vi sono stati trovati fossili carboniferi, ma è probabile che gli strati inferiori, nell’una regione e nell’altra, arrivino ad età più antica. Ad ogni modo non si possono distin- guere le rocce della Sicilia da quelle della Calabria. Pella Calabria al colore nero ed alla dizione Permeano e carbonifero (p. c.) è' aggiunto un interrogativo che manca pella Sicilia, e che manca pure, come vedremo, in altre regioni nelle quali pur non si trova nè il Permeano nè il Carbonifero. Il compilatore od i compila- tori avranno avuto delle buone ragioni per far ciò; ma in attesa che i loro studii vengano alla luce, reputerei miglior partito levare P interrogativo di lì o metterlo dappertutto. Soggiungerò che se l’ interrogativo fù messo per accordarsi un poco colle carte di Burgerstein e Noè e degli antichi autori, si è caduti in errore, giacché questi, segnarono granito in quelle regioni perchè ne tro- varono, nei torrenti presso il litorale, delle ghiaie che proven- gono dai terreni miocenici, mentre in posto non vi è granito nè (') È a notarsi che le differenti e svariate rocce cristalline di questi piani non erano dall’ Uflicio geologico indicate nemmeno nelle carte in grande scala della Sicilia. — 169 _ gneiss. Crederei utile anzi trovar modo di levare l’ indicazione del Permeano per tutto l’Apennino e pelle isole, giacché di questo terreno o non si è trovata finora alcuna traccia, ovvero si può escluderne a dirittura la esistenza, in molti luoghi della penisola. I piccoli lembi a Palizzi, ad ovest di Siderno e ad ovest di Stilo, furono indicati con color verde carne cretacei perchè li ri- tenni tali nella prima copia della carta fatta al mio ritorno dalla Calabria, giacché vi si contengono Nerineae e qualche fossile cre- taceo; ma un più attento esame delle rocce mi fece scoprire Num- muliti e fossili eocenici come già il Suess aveva trovato presso Stilo; si deve ritenere adunque che si tratti almeno per la mag- gior parte di conglomerati o meglio di alcuni frantumi calcarei di formazione cretacea disordinati e mescolati coi fossili dell’epoca eocenica, e che debbono essere indicati col colore di quest’ultimo (!). Ricordando per memoria la possibilità da me ammessa che una buona parte delle sabbie dei pianalti appartenga al pliocene anziché al miocene, credo utile passare a dir due parole dei ter- reni quaternarii. In questi ho distinto i terreni quaternarii d’ori- gine alluvionale, quelli marini del Postpliocene superiore (piano di M. Pellegrino e Ficarazzi) e quelli marini del Postpliocene inferiore (Piano di Yallebiaia e Monte Mario). Il Tournoùer che non ne ragiona a lungo, ed il Neumayr che si fonda sopra alcuni fatti inesatti, non ammettono quei terreni marini nel postpliocene, ma nel pliocene. Io però credo avere delle buone ragioni per man- tenere più che mai la mia opinione non recente ("); la scoperta di mammiferi fossili porrà termine alla questione ; ma certamente la loro fauna non è quella contemporanea all 'Eleplias meridionalis ed al Mastodon arvernensis pliocenici, bensì, per quel poco che si conosce, sembra essere la fauna dell’ Elephas antiquus. Intanto ricorderò che varii autori italiani sono già del mio parere e che in sostanza mi trovo d’accordo col Seguenza, il più valente osser- vatore di que’ terreni* (') È probabile però che nelle parti inferiori, al M. Untolo c nei monti eli Stilo, si trovino calcari più antichi. (5) De Stefani, Sui tur reni marini dell’epoca posl-pliocenica. Proc. verb. soc. tose. se. nat. 1881. — Sedimenti sottomarini dell’ epoca, posl-pliocenica. Boll. R. Com. geol. 1876* — 170 — Nella Sicilia sono giustamente segnati col medesimo colore, come quaternarii, alcuni terreni dei dintorni di Palermo ; però alcuni terreni equivalenti di altre regioni dell’ Isola, e molti tratti delle provincie meridionali a nord di Catanzaro hanno invece la colorazione gialla del Pliocene. Ora panni opportuno richiamare l’attenzione dei futuri correttori della Carta sopra questo punto, acciocché la disparità di colorazione, inevitabile in qualche punto secondo le idee obiettive dei varii osservatori, sia ridotta ai più stretti limiti possibili. Concludendo, le mie proposizioni quanto alle Calabrie sono le seguenti. 1° Si distingua il Gneiss antico dagli schisti cristallini , se- condo gli studii miei. 2° Si levi l’interrogativo al terreno così detto Perni eano-Car- bonifero, oppure si metta dappertutto. 3° Si mettano nell’ eocene anziché nella creta i lembi presso Stilo, Siderno e di Palizzi. 4° Si coordinino alquanto meglio i terreni indicati come qua- ternarii con quelli contemporanei del resto d’ Italia. Apennino settentrionale Per memoria rammenterò che nella geologia dell’Apennino centrale e specialmente dell’Umbria numerose e giuste rettifica- zioni si sarebbero potute fare tenendo conto della carta mandata dal Capitano Verri all’Esposizione geografica di Venezia. In esso Apennino la Creta va assai diminuita ed in varia parte deve diminuirsi l’Eocene ; così p. e. ne’ dintorni di Perugia è Pliocene non Eocene. Quanto alle isole del Giglio, di Montecristo, e dell’ Elba ho già detto che sarebbe opportuno distinguere quei graniti eruttivi dagli altri. Aggiungerò che all’Elba non vi sono Schisti cristal- lini analoghi a quelli delle Alpi e di Calabria; le rocce indicate come tali sono triassiche. Quanto all’ isola di Corsica pure, prescindendo dalle ordinarie confusioni che si fanno tra varie rocce col nome di serpentine, è a notarsi che secondo i più recenti e valenti geologi che esplo- rarono quell’ isola, coi quali furono pienamente d’accordo le ossei- — 171 — vazioni mie, le rocce della parte nord-est dell1 isola contenenti le serpentine, debbono per la massima parte avere il colore degli Schisti cristallini , anziché quello de1 terreni cretacei come nella vecchia carta geologica di Francia e nella nostra. Passiamo ora all’Apennino settentrionale, al qual proposito noterò come dall’esame della carta stessa apparisca a occhio la giustezza dei confini da me proposti pelPApennino settentrionale, centrale e meridionale. Quel che dirò ne proverà l’esattezza ancora maggiore, e le correzioni che ora faccio sono coerenti al piccolo lavoro che pubblicai in occasione del Congresso geologico ('). Lascierò alcuni punti incerti e discutibili, e comincerò dal mezzogiorno verso il Settentrione. I. monti di Civitavecchia e delle vicinanze sono indicati come eocenici e tali furon creduti pure da me in antico; ma gli stridii del De Bosniaski hanno provato che essi sono per la massima parte cretacei. II. Nei dintorni del Lago di Bolsena si distinguono dei tufi vulcanici aerei (ta) e dei tufi vulcanici subacquei. La distinzione però è affatto artificiale non essendovi alcun documento che giu- stifichi quella divisione e niuna differenza tra i tufi perfettamente stratificati dei colli più alti circostanti al lago, e quelli delle pendici più lontane. Sarà opportuno perciò sopprimere quei con- fini non esatti e segnare tutti quei tufi con un solo colore, o per lo meno far ristudiare la questione. III. Una piccola porzione delle rocce indicate come triassiche a sud di Sovicille presso Siena risponde a calcari cavernosi più recenti dell’ ìnfralias cui furono comunemente attribuiti in pas- sato, ed appartenenti al giura- li as, se non alla creta. Si dovrebbe perciò estendere alquanto la colorazione di questi ultimi terreni. IV. A ponente del Lago Trasimeno, lungo la ferrovia Tuoro- Chiusi sono segnati due lembi di Serpentino ; ciò non può essere se non effetto di poca chiarezza della carta che io feci di quei luoghi o di un equivooo nel leggerla, giacché io non vi ho tro- vato che terreni cretacei, ed i serpentini vi mancano. Y. Gli estesi colli del Chianti a sud di Firenze sono indicati (’) C. De Stefani, Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono l’Apen- nino settentrionale . Pisa, Nistri, 1881. — 172 — come cretacei , credo, dietro indicazioni mie. Li ritenevo tali in- fatti in passato, quando i consimili calcari della Toscana si attri- buivano alla creta anziché all’ Eocene, ma da varii anni lo studio delle fucoidi e l’osservare la sovrapposizione di queste rocce al Macigno ed al Calcare Nummulitico mi hanno persuaso che sono invece Eoceniche. VI. Alcuni lembi sono indicati come cretacei nelle Valli del- l’Arno, presso Firenze, e del Bisenzio ; molti di essi appartengono invece alla porzione più recente dell’Eocene, come lo provano i fossili e la posizione stratigrafica; ritengo ora eoceniche anche molte rocce delle colline a sud di Pistoia che ritenni un tempo cretacee. Eocenici, non cretacei, sono i lembi di Cantagallo ad est di Pracchia, e in parte quello a nord di Scarperia di Mugello nel Fiorentino. Una parte dell’estesa serie di rocce che nei din- torni di Bagno di Romagna sul versante Adriatico è indicata come cretacea, sta sovrapposta all’asse di arenaria con calcare nummulitico che si estende fino ai monti di Cortona e d’ Arezzo, è in continuazione diretta colle rocce del Val d’Arno e contiene solite fucoidi eoceniche, per cui andrebbe indicata come eocenica; nè cretacei ma eocenici sono i terreni a nord di S. Marcello pistoiese. In conclusione le masse cretacee comprese tra la Ferrovia Siena- Empoli, il fiume Pescia, la strada da Pescia, S. Marcello, Pavullo, Modena, il confine occidentale delle rocce mioceniche lungo l’Adria- tico fino a ponente di Urbino, la strada nazionale Urbino-Arezzo e la ferrovia Chiusi-Siena, debbono in parte portare il colore dell’ Eocene. VII. Presso il monte Uccelliera ad ovest della ferrovia Pistoja- Bologna è segnato un lembo di Pliocene, ne so con qual fonda- mento, giacché ivi sono non terreni pliocenici, ma eocenici con frane recenti e quaternarie. Vili. Al Paleozoico è attribuita la massa schistosa dei monti Pisani, senza nemmeno un’ indicazione del Trias. Suppongo che i calcari infraliassici non si sian potuti segnare perchè formano masse troppo piccole; quanto agli schisti i quali per accordo di tutti quei criterii che la geologia somministra, rappresentano la parte superiore del piano carnico, non mi è nota la ragione per cui sono attribuiti al paleozoico: se il cambiamento dell’opinione che io ebbi [fin qui fu fatto a cagione di quell’ impronta incerta ritrovata dal De Bosniaski che questi sul primo attribuì ad un Lepidodendron, è utile dire, che il sopra accennato geologo non la ritiene più come tale , e che per ora quella impronta troppo dubbia non può avere alcun valore paleontologico. Dopo la pub- blicazione della carta in quegli schisti sono stati trovati dei fos- sili e li vidi io pure ; ma sarebbe più facile attribuirli al ter- ziario che al paleozoico; ritengo perciò che debba essere restituito ai monti Pisani il colore del Trias. IX. Un piccolo lembo di Paleozoico è indicato anche nel Pro- montorio orientale della Spezia; ma, come dirò più sotto, si tratta di rocce appartenenti alla zona più recente del Piano carnico. Il Paleozoico nell’Apennino settentrionale non si conosce, come ho detto nel mio citato scritto , che nelle Alpi apuane e a Iano nel Fiorentino ; ed in questi luoghi non si conoscono terreni Permiani. X. Un lembo di terreno Giura Massico è segnato fra la Valle del Serchio e S. Marcello pistoiese. Si tratta dei terreni con selce della Valle di Lima i quali dal Murchison, dal Savi, e ne’miei scritti, furono sempre riguardati come Neocomiani; il giura-lias si trova soltanto in fondo alla valle. Cinque piccoli lembi cretacei sono indicati intorno alla cresta delPApennino di Barga ad est della Valle del Serchio e nell’alto della Valle del Dragone verso il Modenese: in quei luoghi sono arenarie o calcari dell’ Eocene. Parimente all’eocene (inferiore) appartiene almeno in massima parte il lembo segnato come cretaceo intorno a Barga. Lasciando di parlare della posizione inesatta di alcun’altri ter- reni della Val di Serchio aggiungerò che nel piccolo lembo segnato come cretaceo intorno Sillano nella stessa valle andrebbe dimi- nuita la parte della creta e segnata una porzione triassica, giac- ché vi sono calcari ad Avicula contorta ed altre antiche rocce. Per completare questi cenni parlerò di altre due carte pub- blicate e presentate dall’ Ufficio geologico, cioè delle Carte del Golfo della Spezia, e dei dintorni di Livorno e Volterra. Il Cata- logo delle Carte presentato dall’ Ufficio predetto al Congresso di Bologna dice che « ces cartes sont l’oeuvre du prof. Capellini, membre du Comitè géologique, avec la coopération partielle de l’ ing. Zaccagna du Corp des mines. » Nel fare alcune osserva- zioni sui terreni rilevati in queste carte intendo solo esporre i 174 — miei modi di vedere intorno ad argomenti ed a regioni delle quali altre volte ho avuto occasione di parlare. Carta geologica dei monti di Livorno e Castellina marittima e d'una parte del Volterano. A schiarimenti di differenze che potrebbero parere fra i risultati degli studi miei ed alcuni fatti indicati nella Carta mi sia concesso dire due parole sull’ordinamento dei terreni ivi segnati. Il Carbonifero ( Arenarie e schisti antracitiferi) è giusta- mente indicato, nell’estremo Est della carta presso Iano secondo gli studii del Meneghini i quali danno autorità a ritenere che quei terreni appartengono al Carbonifero superiore. La roccia è più schistosa che arenacea. È per di più indicato nello stesso luogo con apposito colore, un Permiano rappresentato, secondo la carta, da Psammiti schi- siose, cinabri fere. Alcune osservazioni , possono farsi su questo proposito. Anzitutto la roccia cinabrifera è quasi sempre schistosa, essendo molto rare le arenarie e le psammiti in quella formazione e trovandosi il cinabro di preferenza nelle masse più tenere argil- lose e carboniose. Il cinabro inoltre si trova esclusivamente nella formazione carbonifera e nemmeno nei suoi strati più recenti; i resti vegetali di quell’epoca i quali furono studiati dal Meneghini e si possono vedere in vari musei furono scavati nelle gallerie aperte pella ricerca del cinabro; questo minerale appunto si trova insieme con le piante carbonifere come può verificare tuttora chi esamini le rocce superficiali di quei luoghi. La formazione cina- brifera è dunque tutt’una cosa colla formazione carbonifera. Quanto all’indicato terreno Permiano è utile ricordare che in tutto l’Apennino non è stato trovato finora nessun indizio dell’esi- stenza di esso. Qualche volta ne fu supposta 1’esistenza come si suppose quella di piani Laurenziani , laconici, ecc. ecc. , ma per ora senza fondamento. Anzi se dobbiamo giudicare da molti indizii il terreno permiano manca affatto nell’Apennino settentrio- nale a somiglianza di quello che accade in altre regioni; nelle Alpi apuane sopra a terreni carboniferi o più antichi sta diret- tamente il Trias; a Iano sopra il piano carbonifero superiore e — 175 — prima dell’Infralias stanno, come già ho indicato altrove (') in or- dine ascendente e rappresentati da pochi metri, 1° schistijrasati lucenti bianchi e rossi, 2° quarziti damouritiche bianche rossastre, e micaschisti damouritici, 3° anagenite damouritica. In questi strati non si trovan fossili, ma essi rispondono in tutto alla parte più re- cente del Trias superiore del resto della Toscana. Anche qui a Iano dunque v’è una interruzione, come nelle Alpi apuane, anzi alquanto più estesa , fra il Carbonifero superiore ed il Trias superiore o Piano carnico. La Carta distingue giustamente il Trias con due colori ri- spondenti a due rocce e piani diversi. La roccia inferiore è quella che ultimamente accennavo; è indicata con color giallo (qt) come quarziti o anageniti , e si potrebbe aggiungere — schisti ; essa appartiene come dicevo alla parte superiore del Piano Carnico o Trias superiore di molti autori. La roccia sovrastante è colorita in turchino (et) ed ha la indicazione di Marne variegate e gesso ; calcare cavernoso e dolo- mitico. Si tratta de’ calcari cupi e compatti e talora cavernosi che secondo le osservazioni da me fatte in diverse parti delPApennino, partendomi dagli studi del Capellini sulla Spezia, appartengono all’ Infralias o piano retico. Forse sarebbe stato opportuno trat- tandosi di una carta a scala piuttosto grande fare lafdistinzione del piano retico. Non sarà inutile una osservazione sul’cenno delle Marne variegate e gesso, fatto per questo terreno. A chi non co- nosca i luoghi queirindicazione potrebbe a priori indicare la sup- posizione dell’analogia di que’ terreni colle note Marne variegate del Keuper, la quale cosa non sarebbe esatta. Infatti il terreno di Iano è d’epoca diversa, ed inoltre, in tutti quei dintorni non esi- stono marne variegate. Si può anzi aggiungere che marne va- riegate non se ne trovano in tutto il Trias ed in tutto lTnfralias delTApennino settentrionale. Quanto all’indicazione del gesso, forse è fatta perchè questo minerale non manca in terreni coetanei di altri luoghi non lontani , ma gli altri autori che hanno par- lato di Iano (Savi e Lotti) non ve lo hanno indicato ed esso sa- rebbe sfuggito pure alle mie ricerche. (') C. de Stefani, Breve descrizione geologica del Poggio d’ Iano. Proc. verb. Soc. tose. se. nat. 1879, p. 78. 176 — Dal punto di vista topografico il colore turchino nel lato ovest del monte di Iano occupa anche il tratto cui si estendono le Quar- ziti ed Anageniti triassiche (carniche). Due colori sono riserbati per indicare insieme Eocene e Cre- taceo; uno è il colore verde (<7) pelle rocce eruttive cioè gabbri e rocce concomitanti , gabbro rosso , ofisiiice , ofxcalce , Serpen- tina, Diabase , l’altro è un colore giallastro (e) pelle rocce sedimen- tarie, Calcari alberesi, scliisti, arenarie, argille schisiose e sca- gliose, calcare con selci, ftaniti e diaspri. Quanto alle rocce eruttive che appartengono come il solito all’Eocene Superiore, a ragione vi sono indicate tutte quelle va- rietà, di rocce, di una importante parte delle quali notai mancare l’indicazione nella carta d’insieme dell’Italia. In edizioni succes- sive potranno distinguersi quelle varietà, per es., le Diabasi afa- nitiche, le Diabasi porfiriche dei monti di Riparbella e di Miemo, le Ranocchiaie dei monti di Castiglioncello e le Enfotidi 0 Gabbri degli altri luoghi. Quanto alle rocce sedimentarie reputo che dall’elenco dovreb- bero togliersi i calcari con selce. Questa roccia quasi caratteri- stica della creta in tante parti della Toscana e deH’Apennino centrale non fu mai indicata dagli autori nella regione cui si riferisce la Carta. Quanto alle altre rocce, salvo alcuni strati dia- sprini nei dintorni di Iano che pella loro piccolezza non potreb- bero comparire, non si conoscono in modo certo terreni cretacei nella regione. Io ho dubitato che potessero appartenere alla Creta superiore alcuni diaspri dei dintorni di Gello Mattaccino (') che sembrano formare la roccia più antica nei monti della Castellina ; ma quel che ho manifestato era un semplice dubbio; dopo gli studi che ho fatti altrove non sarei ora alieno dal ritenerli appar- tenenti all’eocene inferiore come alcuni diaspri di regioni limi- trofe. Per concludere si approssimerà maggiormente al vero chi riterrà eocenici tutti i terreni sedimentarii indicati colla tinta del- V Eocene e Cretaceo. Sarà pure utile in altra circostanza distin- guere dai sovrastanti alberesi e galestri le pochissime arenarie dei dintorni di Gello ad ovest dei monti della Castellina e di Ca- (’) De Stefani. Sui terreni eocenici dei monti Livornesi e della Castellina. Proc. verb. Soc. tose. se. nat. 1880, 82. — 177 — lafuria e del Montacelo lungo mare ad ovest dei monti Livornesi. Questa distinzione oltre ad avere importanza litologica (fondamen- tale principio almeno per ora della nuova geologia italiana) l’ha anche stratigrafica, poiché almeno in questa regione, come in tante altre, quelle arenarie sono la roccia più antica dell’eocene e sono poco più recenti od equivalenti del calcare nummulitico. Il rima- nente appartiene all’Eocene superiore. La parte relativa al Miocene è stata studiata con grande cura dal prof. Capellini e a tutti sono noti i suoi bellissimi lavori che hanno gettato tanta luce sugli strati a congerie del bacino Mediterraneo. Nel Miocene è pur messa col nuovo nome di Mon- tecatinite la Trachite pirossenica di Montecatini e d’Orciatico de- scritta dal Rosenbusch. Giova però ricordare come questa opinione sull’età della roccia che io pure ho manifestato con esitanza (') sia tuttora molto incerta, potendo quella essere postpliocenica. Quanto al Pliocene gioverà soltanto ricordare che il calcare ad Arnphistegina è la roccia più recente, o contemporanea alle più recenti tra quelle che appartengono al tipico pliocene. Sopra di quello non sono in questa regione argille turchine come po- trebbe parere da una dizione della carta ; sola roccia più recente sono le sabbie del Rio della Tavola presso Fauglia, nella parte più settentrionale della Carta, le quali contengono una fauna notevol- mente più vicina di quella del pliocene alla fauna marina vivente. Si tratta dei così detti terreni di Yallebiaia i quali secondo ogni verosimiglianza si debbono attribuire al postpliocene inferiore. Pei dintorni di Zano e Montaione, nell’ estremo nord-est della carta credo sia più esatta la carta mia, come pure pei ter- reni eocenici e serpentinosi che sono più estesi, e alla disposi- zione degli altri, salvo pel travertino della striscia da me non indicato. Passando da ultimo a parlare della distribuzione topografica e dei confini dei varii terreni non mi tratterrò a lungo, poiché in carte topografiche imperfette non si può avere molta esattezza ; nè molto meno questa si può avere quando le dimensioni sono pic- cole; d’altronde chi sa di geologia conosce che eziandio con carte (') C. De Stefani, Sulla cronologia dei vulcani della Toscana. Proc. verb. sue. t.'SC. se. nat. 1878, p. 21. 12 - 178 — topografiche migliori l’esattezza geometrica è da lasciarsi a chi fa carte geologiche errate. Dell’ insieme dei terreni si ha certa- mente dalla carta una idea sufficiente; le masse eruttive dell’eo- cene sono per altro assai più estese di quel che non paia, mentre il Miocene superiore o piano dei gessi (ms) lo è meno. Per co- modo di quelli cui capitassero sottocchio alcune carte di quella regione rilevate da mè dirò che a sud della Val di Cecina la carta ora esaminata è molto più esatta della mia; come pure è più esatta pella porzione meridionale dei monti della Castellina ma- rittima e di Riparbella e pei contigui monti di Miemo ed Orcia- tico ; a proposito delle vicinanze di Montecatini lungo la Val di Cecina è utile forse osservare che al di sopra dei calcari e de’ ga- lestri colle Diabasi acquista qualche estensione un’arenaria com- presa nella carta col colore dell’ Eocene e cretaceo, la quale, per la sua situazione stratigrafica, per certi materiali che la compongono, e per la diversità di certi geroglifici che io vi ho osservati di- versi da quelli della comune arenaria dell’eocene medio, potrebbe appartenere al miocene come le arenarie di Porretta, di Dicomano, e di tant’altri luoghi deH’Àpeniiino. Come tale io l’ho considerata da qualche tempo ed all’ osservazione della medesima richiamo coloro che in avvenire visiteranno que’ luoghi. La carta indicata è pure più esatta della mia pella parte settentrionale ed orientale dei monti Livornesi. Pei dintorni di Iano e Montaione, nell’estremo nord-est della carta credo sia più esatta la carta mia come pure pei terreni eo- cenici e serpentinosi che sono più estesi, e pella disposizione degli altri, salvo pel travertino della Striscia da me non indicato. Credo che la mia carta sia più esatta pure, pella parte meridionale dei monti Livornesi, per l’indicazione de’ terreni miocenici nella parte occidentale, e finalmente pella porzione settentrionale ed occiden- tale nei monti della Castellina ('). (’) Le differenze, derivanti forse principalmente dal diverso modo di con- siderare alcuni terreni, sono fra le altre le seguenti. Secondo me il Piano (lei gassi ecc. (m/) è molto più limitato nella valle del Marmolaio ad ovest della Castellina; come pure esso manca del tutto nella regione che costeggia iter- reni eocenici, a settentrione di Pomaia, fino verso Chianni ed in parte anche più a sud di questo paese ; perciò si dovrebbe togliere qucll'esteso tratto attribuito a questo terreno che si vede anche nella Carta complessiva d'Italia in piccola scala. — 179 — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore 2n Edizione rivista con la Carta nella scala di 1 à 25,000. A proposito di questa carta devesi rammentare come quasi contemporaneamente alla sua prima edizione, il Capellini pubbli- casse una Monografia sui fossili infraliassici dei dintorni della Spezia , la quale si può ritenere uno dei più importanti lavori apparsi di recente intorno alla geologia della penisola italiana. La pubblicazione di quel lavoro aprì nuovi orizzonti ed apportò grandi avanzamenti alla geologia del resto della Toscana. Non sarà del tutto inutile che io ripeta le osservazioni da me già pubblicate sulle medesime rocce della Spezia fino dal tempo dei primi miei lavori sulla geologia delle Alpi apuane ('): comincerò dalle rocce più antiche. Le rocce a levante del Capo Corvo formano tutto un insieme di schisti micacei (detti talcosi nella carta), e filladici, alternanti Infatti si tratta di argille e marne marine le quali stratigraficamente sono sovra- stanti e non equivalenti al piano de’ gessi, come si può vedere direttamente nella valle del Marmolaio ; quelle rocce sono orizzontali e sono nella continuazione di- retta con quelle della valle della Fine e della Cascina, cioè di Orciano, Pieve di S. Luce Casciana, etc., si ha quindi l’inconveniente che un medesimo strato a ri- dosso dei monti eocenici viene attribuito al piano de’ gessi e poco più lontano al Pliocene; sopra tutto poi in tutti que’ luoghi, a Pomaia, S. Luce, Pastina, Gello, e, cercando, in tutti gli altri luoghi, si raccolgono in abbondanza i fos- sili più caratteristici delle argille turchine plioceniche di mare profondo, lo non dubito perciò, come già ritenni altra volta, di attribuire que’ terreni al Pliocene. Lungo i monti eocenici si trovano qua e là soltanto alcuni conglo- merati marini discordanti sotto al pliocene ed appartenenti al piauo detto del calcare di Leitha, ma sono così piccoli che nella carta non potrebbero essere segnati. Aggiungerò per ricordo, che mancano delle ragguardevoli masse di serpentino nella Valle della Torà ed una piccola nel Botro del Gonnellino presso la ferrovia a sud di Rosignano marittimo; come pure, forse per equi- voco tipografico, lungo la ferrovia ad est di Rosignano vennero segnate due masse serpentinose , mentre realmente quella più occidentale , dove è scritto Botro deve essere tolta. (') C. de Stefani, Considerazioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi apuane e del monte Pisano, 1874. — 180 — con quarziti; vi si trovano nel mezzo dei sottili strati calcarei e de’ cipollini marmorei , e nelle parti superiori alterna qualche banco di anagenite grossolana. Il Capellini ritiene che esista un ordine stratigrafico assoluto nelle suddette rocce e comin- ciando dall’alto le dispone nella serie seguente: 1 quarzite, 2 ana- genite, 3 psammiti, schisti paonazzi, calcari, 4 schisti talcosi (cioè micacei) (') e nodulosi. A me questa distinzione stratigrafica pare tale da non potersi tradurre in pratica , sicché le linee che do- vrebbero rappresentare nella Carta quelle differenti zone non si trovano corrispondenti ai fatti quando si vada sul luogo; dovetti pur mostrare a suo tempo come quelle distinzioni non rispondes- sero ai fatti nemmeno nelle Alpi apuane dove il Cocchi le aveva volute applicare seguendo l’esempio del Capellini. A mio parere nemmeno reggono le distinzioni cronologiche che il Capellini ha voluto conservare in quelle zone. Le rocce del Capo Corvo sotto- stanti ai calcari compatti cerulei, o cavernosi, sono la più esatta ripetizione delle rocce del fianco occidentale delle contigue Alpi apuane e specialmente della Brugiana. Chi ha qualche fede nella paleontologia non può più dubitare che desse appartengano al Trias. Dopo che già feci questi medesimi paragoni e queste osservazioni nel 1874, furono da me riesaminati i fossili vecchi e raccolti fos- sili nuovi indubbiamente triassici nella formazione schistoso-mar- morea delle Alpi apuane, e vi trovai oltre a parecchi tipi secon- darvi specificamente indeterminabili, Gyroporellae , Turbo solita- rius, Encrinus prossimo o identico all’ A1, granulosus Mùnst. del trias superiore , Chondrites prodromus H. ecc. In epoca più re- cente negli stessi cipollini marmorei della Punta bianca scopersi quel medesimo impasto di Encrini (sebbene in quel luogo spe- cificamente indeterminabili) che è sì comune alla Brugiana ed in tutti gli strati marmorei delle Alpi apuane. Per conseguenza quella zona -calcarifera della Spezia che sarebbe la zona 4a suddetta e che il Capellini nella la edizione attribuiva al permiano e nella seconda al pernio-carbonifero, non può togliersi, almeno nello statò odierno delle nostre conoscenze, al Trias superiore o piano carnico, anzi alla porzione più recente di questo. Nè vi ha indizio (') Ricorderò che, fatte numerose osservazioni microscopiche ed analitiche sugli schisti triassici e paleozoici della Toscana, non vi ho mai trovato talco. — 181 che faccia attribuire a piano diverso gli strati superiori ai calcari, che il Capellini bensì ora come nel passato attribuisce al trias, (sebbene abbia aggiunto il dubitativo) e gli strati inferiori che egli nella prima edizione suppose siluriani e che ora con leg- gerissima modificazione attribuisce al Paleozoico indeterminato. Certo è che quegli strati non hanno la minima analogia con quelli paleozoici delle Alpi apuane e di Iano nel Fiorentino. Il Capellini ora, come nella la edizione, sebbene in questa aggiunga il dubitativo, attribuisce al trias i calcari cavernosi. Fin dal 1875 esposi le ragioni pelle quali ritenevo che i calcari ca- vernosi dovevano unirsi agli altri calcari infraliassici e notai come mi fosse avvenuto di trovare anche ne’ calcari cavernosi di Lerici la solita lumacliella retica. Àll’Infralias o Retico sono con ragione attribuiti i calcari cerulei ritenuti prima del Capellini Neocomiani, facendone però due zone, una superiore di calcare compatto, una inferiore fossilifera. Nella pratica dovrei notare che la distinzione topografica fatta nella Carta fra queste zone, compresa anche quella del calcare cavernoso è per lo piu artificiale ('). Nel Lias, come nella l2 edizione così nella 2a, sono fatte tre di- stinzioni, cioè cominciando dal basso : 1 • calcare grigio chiaro, 2° calcare rosso e chiaro con arietites e entrcchi , 3° schisti a Po- sidonomyae. Specialmente nelle due prime zone abbondano assai i fossili. La zona 1 è la zona dell 'Aegoceras angulosum appartenente al Lias inferiore, come ho esposto nel Quadro comprensivo dei ter- reni che costituiscono P Apennino settentrionale. La zona 2, come chiarii fin dal 1875, si compone di, un cal- care rosso ad arietiti appartenente alla parte superiore del Lias inferiore e d’un calcare chiaro con Harpoceras e Pliylloceras piri- tizzati appartenente al Lias medio. Quanto all’ Eocene sarebbe stato importante distinguere le (’) Nelle Carte in grande scala delle Alpi apuane e del monte Pisano, esposte daH'Ufficio geologico erano applicate queste distinzioni, come già in an- tico il Cocchi aveva tentato applicarvi le distinzioni fatte al Capo Corvo pei terreni anteriori all’ Infralias. Non potrei comprendere però l’applicazione di quelle distinzioni a queste ultime regioni, se non col supporre che gli strati infraliassici cui si applicarono non siano stati visitati da quelli i quali dovevano far la carta. arenarie o Macigni dai calcari e schisti. Le prime, qnì come dap- pertutto nell’Apennino, sono evidentemente sottostanti ai secondi ; esse secondo me appartengono alla parte superiore dell’Eocene medio, mentre i calcari e gli schisti appartengono all’Eocene su- periore o Liguriano di Meyer. Nelle rocce eruttive messe al confine tra il miocene e l’eocene ed alternanti come di solito entro quest’ul- timo terreno si potrebbero distinguere con colori diversi l’Eufotide e la Serpentina, Aggiungerò che secondo la mia opinione le ghiaie costituenti le colline a nord-est di Sarzana, appartengono proba- bilmente al pliocene ed hanno la stessa età e le medesime cir- costanze delle ghiaie plioceniche della Val di Serchio e dell’Alta Val di Magra ('). C. De Stefani. (') Per i studi più recenti e posteriori alla pubblicazione della Carta mi sono persuaso che la Creta [G 2) equivale ai piani Santoniano e Coniaciano della Creta superiore, e che gli schisti a Posidonomyae debbono probabilmente rife- rirsi al Giura medio anziché al Lias supcriore. — 183 — OSSERVAZIONI PATTE NEI MONTI CIRCOSTANTI AL PASSO DEL SEMPIONE. Verona, adunanza 3 settembre 1882. Il prof. Taramelli comunica verbalmente talune osservazioni da lui fatte nei monti circostanti al passo del Sempione, mentre trovavasi a far parte di una commissione internazionale per lo studio di un traforo alpino sotto a quelle montagne. Siccome l’egregio signor Renevier, altro della commissione, sta elaborando il rapporto da pubblicarsi, così sarebbe indiscreto il diffondersi sull’argomento e più ancora lo insistere sopra taluni apprezzamenti personali, che il prof. Taramelli si limita ad accennare, come quelli che ponilo avere qualche importanza nella geologia di quella regione senza influire gran fatto sui dati positivi, dei quali doveva la detta commissione a preferenza occuparsi circa la natura e la posizioue delle rocce che sarebbero perforate. Furono studiate varie linee di tunnel per quel gruppo mon- tuoso, già noto per gli studi del Gerlach e per le pubblicazioni del signor Renevier. L’ultimo tracciato era secondo una spezzata, facendo angolo verso oriente presso a poco in corrispndenza del pizzo d’Aurona; e la ragione di quest’angolo sta nell’intento di ricercare i punti di minima temperatura, avuto riguardo alla con- formazione superficiale. Si sarebbe calcolata una massima tem- peratura di 35°, quasi alla m§tà della lunghezza del tunnel, che sarebbe di circa venti chilometri. Le formazioni che saranno attra- versate dalTimbocco. nord, presso a Briga, allo sbocco sud sopra Varzo, si possono raccogliere nei seguenti tre gruppi: 1° Nella valle del Rodano, gli argilloscisti talcosi, di co- lorito nero o plumbeo, con vene di quarzo, di calcite e di talco (Sci- stes lustrés). A volta presentano arnioni di attinoto , accompa- gnato da arragonite e da talco. Formano la catena tra la valle principale e la valletta della Ganter, salendo sino ai 2945 met. col Tunnetschhorn. Probabilmente spettano al Trias ; almeno nella — 184 loro porzione inferiore, dove passano a banchi dolomitici di varia potenza con alternanza degli scisti stessi ad apparenza gneissica; ed osservansi anche parecchi ma non molto potenti banchi di gesso saccaroide. Questi scisti saranno attraversati per la lunghezza di 3 a 4 chilometri e si presenteranno pressoché sempre in posi- zione verticale, essendo ripetutamente contorti in curve assai com- presse; trattandosi di strati assai fissili, ciò tornerà vantaggioso nell’esecuzione della grandiosa opera, specialmente per non ri- chiedere rivestimenti di eccessiva grossezza. 2° Segue verso mezzogiorno la zona degli scisti cristallini e sono dei micaseisti quarziferi, cloritescisti, talcoscisti spesso granatiferi, sericiti ; sono rocce anfiboliclie, attinotiche, epidotiche, scistose, zonate o gneissiche. Queste ultime prevalgono nella por- zione inferiore, a breve distanza dallo gneiss, il quale non manca però di presentarsi a volta in banchi, con struttura occhiadina o porfiroide, anche in questa zona scistosa. Sono in fine banchi di calcari saccaroidi, più o meno dolomitici, spesso talcosi o mi- cacei, cipollini, intercalati a più riprese verso la base della zona prevalentemente al contatto cogli scisti granatiferi , ed hanno varia potenza da 20 a 50 metri. Compaiono questi banchi calcari per assai evidenti e tortuosi affioramenti e furono esaminati in più siti, specialmente : al ponte di Berisal e nei dintorni, presso all’ospizio del Sempione, sotto il ghiacciajo e nel versante sud del Pizzo d’Aurona, all’alpe di Campo Chiaverò, all’alpe di Nembro, presso al rifugio n. 6 della via nazionale, e sviluppatissimi alla vetta di monte Teggiolo, che alla particolare disposizione di essi banchi deve la forma di tavola ed il nome. Sono quegli stessi calcari che si affiorano a Crevola, presso allo sbocco della valle Di- veria. Sonvi anche gneiss calcariferi, specialmente a sud-ovest di Campo Chiavaro. Questi affioramenti di rocce calcari hanno gio- vato assai nel rilevare le principali curve stratigrafiche, le quali sono nè semplici nè tutte ancora completamente constatate ; seb- bene le osservazioni fatte sino ad ora possano ritenersi sufficienti per un preventivo di massima e per un coscienzioso confronto di questa con altre regioni alpine, per le quali vennero studiati analoghi trafori. — È certo che oltre alla grande volta, rilevata nelle prime osservazioni e che compare nei profili pubblicati nel 1877 del signor Kenevier, esistono altre secondario contor- — 185 — sioni, le quali esagerano la potenza di tale zona; questa sarà attraversata dal tunnel per la lunghezza di circa 9 chilometri. 3° Più profonda (se non più antica) è la zona del così detto gneiss di Antigorin , che è un gneiss compatissimo, spesso gra- nulitico, od occhiadino, o porfiroide, con mica bianca e mica nera. Passa a micascisti quarziferi tenacissimi, ripetutamente interstra- tificati e specialmente potenti lungo il tratto meridionale della valle Cherasca, Verso la metà di questa stessa valle, presso al ponte di S. Bernardo, osservammo un’ interessante interstrato di gesso micaceo, compreso nello gneiss ; ed è molto probabile che anche questo sia incontrato dal tunnel. In generale queste rocce sone tenacissime; ma non lo saranno meno le anfiboliti zonate della sezione precedente. In compenso, per quanto si può giudicare dallo stato delle attuali gallerie lungo la via nazionale, non vi sarà molta abbondanza di acqua, nè occorreranno forti rivesti- menti. Il tunnel si manterrà in questa zona almeno sei chilometri, sino al suo sbocco a mattina di Isella. Non puossi certamente affermare che in fatto lungo questa sezione non si abbiano a trovare così numerosi quei disturbi stra- tigrafici, che furono dimostrati, ad esempio, nel traforo del Got- tardo. Quella reticolazione di fratture è un carattere immancabile delle masse di terreni molto antichi. È però un fatto che in questa sezione delle rocce gneissiche la posizione a ventaglio, alla quale più facilmente si associano contorcimenti, rotture e salti secondari, deve essere quasi eccezionale; affiorando le rocce così lungo la Diveria come lungo la Cherasca in posizione poco incli- nata. Anzi, come già osservò in una delle più importanti opere geologiche recentemente pubblicate il signor Heim, altro membro della commissione, questa regione costituisce un particolare tipo tectonico insieme al M. Rosa ('). Nel mentre che venne sicu- ramente constatato anche dalla recente pubblicazione del signor Ba- retti (") che il monte Bianco è un grandioso ventaglio, al quale nel versante italiano si iustapongono altre curve del pari molto comprese, così che da Morges a Taconnaz, per circa 24 chilometri non si (') A. HEIM: Mechanismus der Gebirgsbildung ; 1878, II B. p. 143. (••■) vi. BAU ETTI: Apercu géologìque .tur lei chetine da moni Blanc Tu- rili, 188 . — 186 — troverebbero clic rocce inclinatissime o verticali; specialmente sotto la massa della montagna, la quale incombrerebbe per oltre tremila metri pel tratto di due chilometri e con una media di duemila metri per oltre sei chilometri, sul piano del tunnel progettato. Che se anche da questo punto di vista si può prevedere che le condizioni di costruzione saranno più favorevoli pel Sempione, abbiamo poi la considerazione della temperatura, la quale forte- mente combatte la scelta del tunnel pel monte Bianco; stantechè in esso, nell’accennato tratto di massimo spessore della roccia sopraincombente, secondo i calcoli del signor Heim, basati sulle risultanze delle esservazioni fatte nel traforo del Gottardo, devesi incontrare una temperatura non minore di 50° centigradi. E notisi che il piano del tunnel del Sempione offre su quello del monte Bianco l’altro rilevante vantaggio di trovarsi a 627 anziché all’al- tezza di 1026 e 1070 metri sul livello marino ; che il tunnel del Sempione verrebbe a congiungere direttamente una linea ferro- viaria già in servizio , quella del Vallese sino a Briga , con un punto a breve lontananza da Domodossola, dove si arriverà con una ferrovia a debolissima pendenza; nè la costruzione del tratto Varzo-Domodossola offre eccezionali difficoltà, specialmente se asso- gettandosi ad un leggero prolungamento esso si svolge in ansa nella valle Bognanco, per portarsi più facilmente all’altezza del ciglio di Crevola. Diamo ora una rapidissima occhiata alle rocce, le quali affio- rano a mezzogiorno del punto di sbocco della galleria, onde con- siderare se è veramente molto probabile che esse, come pensava il sig. Gerlach, siano più recenti del così detto gneiss d’Antigo- rio, che sarebbe attraversato nell’ultimo tratto della galleria stessa: Lungo la valle del Toce, a sud di Domodossola, gli strati di gneiss scavati in più siti sono verticali o volgono a nord, sono a più riprese alternati con micasciti e con scisti anfib olici e ri- coprono una zona di rocce dolomitiche, la quale attraversa la valle da nord-est a sud-ovest. Questa zona anfibolica riappare in vai Bognanco , dove contiene amigdale di serpentino a venature di talco, identico e quello della cava d’Oira, sul lago d’Orta, ed al pari di esso lavorato in tubi di varia foggia a dimensione. Ora queste rocce anfìboliche, cosi in vai Bognanco come sul lago d’Orta, sono sottostanti allo gneiss colle amigdale granitiche di Alzo, — 187 — nel quale io non troverei grande differenza dal granito contenuto in amigdale nel così detto gneiss di Antigorio, e precisamente in valle Antigoria sotto a Crodo. Tutte insieme poi queste rocce somigliano assai ai graniti ed ai gneiss della Bernina e della Di- sgrazia, nella Valtellina e Canton prigioni, dove le rocce anfibo- liche colle annesse serpentine sono indubbiamente sottostanti allo gneiss, sempre coll’intermezzo di zone con calcari saccaroidi, con rocce granatifere, epidotiche, attinotiche e minerali titaniferi. No- tisi ora che il serpentino , come fu giti indicato,- sebbene meno precisamente dal Gerlach, esiste presso al passo del Sempione, dove anzi offre una bella varietà disseminata di cristalli di fel- dspato e di rilegature di talco ; che epidoto , attinoto , granati , rutilo sono minerali comunissimi nella zona scistosa, sopraposta e per suo avviso arrovesciata a ridosso dello gneiss d’ Antigorio nella 2a sezione del suesposto profilo. Epperò, anziché ammettere la ripetizione di due zone similari sopra e sotto il detto gneiss, il prof. Taramelli proporrebbe che si consideri questa massa di gneiss d’ Antigorio formante le falde meridionali dei monti intorno al Sempione come il residuo di una uniclinale concava, compresa da un ripiegamento delle inferiori rocce cristalline, calcaree, an- fiboliche, granatifere e serpentinose. Supporrebbe inoltre che più a nord questa massa più profonda di terreni cristallini si ripieghi sopra sé stessa e si contorca per altre curve, che andranno ulte- riormente studiate ma che sono indubbiamente attestate anche dalla composizione e struttura del più conservato capostabile della massa medesima che è il M. Leone (33G5), a levante del passo del Sempione. Esso infatti verso la valle di Veglia presenta una curva, che è accennata del ripiegamento della zona di calcare ; ep- però i gneiss della vetta ricompaiono sulla parete sud della mon- tagna; mentre più in basso anfìboliti, scisti granatiferi, calcari saccaroidi e gneiss calcari affiorano nelle vicinanze di Campo Chia- verà e quivi attraversano la Cherasca. Più in basso ancora la zona calcare, però scompagnata dalle rocce granatifere, compare presso all’alpe di Nembro in più siti, per salire alla summentovata vetta di M. Teggiolo e per discendere in vai Diveria. Le quali idee vengono dilucidate con un profilo approssimativo, mostrato ai soci. Come consegue di questa ipotesi, la serie degli argilloscisti talcosi della valle del Bodano, da Briga a Berisal, colle dolomie — 188 — e colle amigdale di gesso alla base, sarebbe compresa nella for- mazione degli scisti cristallini per discordanza; come può ragio- nevolmente supporsi qualora si ammetta la mancanza quivi di tutta la serie paleozoica, dal siluriano in su, della quale il prof. Ta- ramelli non sarebbe disposto ad accettare equivalenze se non in base a forti analogie litologiche e paleontologiche coi terreni sicu- ramenti siluriani o devoniani o pernio-carboniferi, noti pei loro fossili nella catena delle Alpi. Se non chè tali apprezzamenti non tolgono punto il merito di molta esattezza dei rilievi, precedentemente eseguiti dagli altri membri della commissione e sui quali si basa il profilo pubblicato dal signor Kenevier ('). Il dubbio, al quale, accenna il prof. Ta- ramelli, dovrà esser risoluto specialmente collo studio del ver- sante italiano di quella catena; tenendosi anche calcolo del fatto che il profilo 1° annesso all’opera del Gerlach (s), riguardante appunto la valle Antigorio, sarebbe molto più facilmente intelli- gibile quando si accetti l’idea della superiorità normale dei gneiss ad amigdale granitiche, rispetto alla zona dei calcari saccaroidi e delle annesse rocce granatifere, anfiboliche, epidotiche e ser- pentinose. Perciò il prof. Taramelli dichiara di considerare lo studio come appena iniziato e si propone di continuarlo almeno per quanto concerne il suolo italiano. T. Tarameli,!. (') Bullelin de la socMti vaudoise dei Sciences naturelles\ voi. XY. (’) Gerlach — Die penniniscìum Alpen. Mi- 1 plex Sow. Sire ta — 217 — Serie Piano Bocce Fossili principali III. Giura Pitonico a) inf. Calcari marnosi friabili piritosi — Marne rosse arenacee — Calcare mandorlato rosa, rosso scuro e giallo rosa. Apticus lamellosus Voltz — A. latus Park. — A. punctatus Cocq. — A. Zignodianus Men. — Miliobates sp. — Belemniles ti- thonicus Opp. — Periphinctes cóntiguus — P. colubrinus ecc. b) sup. Calcari grigio ver- dognoli — Calcari bianchi simulanti il biancone, ma assai più compatti. Lepidotus maximus Wagn. — Terebralula Euganeensis Pict. — Ter. triangulus — Pigope diphya Gol. sp. — Lylhoc. quadrisulca- tum D’Orb. — Api. Didahi — Phylloceras ptycoicum Opp. IV. Creta Neocomiano 1 a) inf. Calcare bianco più o meno compatto — Pietra litografica di Pove — (Bian- cone). Ter. Euganeensis Pict. — T. triangulus Lk. — T. Catulloi Pict. — T. Bilimbi Suess. — Amm. Aslierianus D’Orb. — A. quadrisulcatus D’Orb. — A. in- c&rtus D’Orb. — A. Neocomiensis D'Orb. ecc. t b) sup. Calcari bianchis- simi scissili (Biancone supe- riore). Ancyloceras Matheronianus D'Orb. — Crioceras Duvalii Leym. — Api. Haertlae Vinch. ( Beyrichi Opp.) — Ap. Serano- nis Cocq. Albiano Calcari durissimi compat- ti, bianchi a macchie blua- stre, molto selciosi — Cal- cari a vene e rilegature spa- lmile — Calcari marnosi bianchi con noduli di pirite di ferro. Hamiles altermius — Amm. Royssianus D’Orb. — Amm. Ro- yerianus D'Orb. — Apticus nu- merosissimi. Turoniano Calcari grigio azzurrogno- li — Calcare compatto e sel- cioso a rudiste. lìippur. rugulosus Cat. — Hipp. cornupasturis Desm. — Radio- lites Ponsiana D’Orb. — Tcre - brattila sp. — - Coralli. Sebie Piano Rocce Fossili principali , a) nero. Scisti bituminosi e calcari fragili bluastri sel- cio-bituminosi. Leuciscus sp. — Melclla cre- nata Haeck. — Thryssops mi- crodon Huh. — Belcnoslomus sp. Ag. — Scombroclupea sp. — Cae- lodus sp. Senoniano ] b) bianco rosa. Calcari bianchi e bianco rosei com- jpatti con interstrati di ar- gilla azzurra, verde o rossa. Stenonia tubercolata Desìi. — Curdiasler Ilalicus D'Orb. — Car. Zignoanus D'Orb. — Echi- nocaris Beawnontii D’Orb. — Ihjpp. cfr. fitoloideus Cat. — Amm. sp. ecc. c) rosso cupo. Calcari rossi sempre più potenti che pas- sano ad un arenaria rossa durissima. Inoceramus Cuvieri — Fucoi- des — Zoophycus sp, — Odon- taspis contar t idens Aq. — Echini tra cui un Ananchiles sp. ERA CENOZOICA V. Eocene Suessoniano? a) Marne rosse e cineree e bianche talora alternate a calcari nummulitici. b) Marne azzurre — Ar- gille azzurre. Apiocrinus ellipticus — Fu- coi des intricatus — Lamna sp. — Nummidites sp. — Gancer pun- ctulatus Desh. medio Parisiano (orizzonte di S.Gio.Ilavione e Nizza) a) Argille plastiche az- zurre. b) Marne argillose cemen- tate da ossido di ferro ed argille. (Via degli Orti). Voluta harpula — Cassis dia- dema Desh. — Naidilus n. sp. — Oliva Marmini Mich. — Fusus Noe Lk. — F. longaevus — Sola- rium bistriatum Desh. ecc. — Cycloliles Zignoi D’Ach. — Cycl. patera Menegli. — Cycloseris Pe- reti M. E. e H. — - Paltalophillia subinflata D’Ach. — Pati, co- stata D'Acli. ecc. più 4 nuove sp. — Turritdla gradatae-for- mis Schaur. superiore Bartoniano sup. Parisiano (or. di Priabo- na e Crosara) a) Arenaria cinerea. b) Calcare nummulitico. e) Calcare ad Orbitoidi e nullipore. Cerithium giganteum — Oslrea gigantea, trilobata e Martinsi D’Orb. — Nummulites — Molte specie di Ecliinolampas — Echi- naìithus — Ghrysomclon Vicen- tiaeì Laubc — Leplomussa varia- bili' D'Ach. — Serpula spirulaea Lk. — Spondylus Ilalicus ecc. I - 219 — Serie Piano Rocce Fossili principali VI. (Piano di Tor- Calcare marnoso gialla- Astraeopora minima D’Ach. — reselle e Cast. stro — Argille azzurre — Phyllangia alveolaris (Cat. sp.) Oligocene Gomberto) Arenaria e puddinga diaspri- fera. D’Ach. — Placophyllia contorta (Cat. sp.) D’Ach. — Schizaster- Pericosmus spatangoides Desh. — Pectcn Michelotti Arch. — Pa- nopaea Faujasi. VII. Miocene Aquitaniano (piano di Schio' a) Arenaria bigia o verde cloritica (glaucoma). b) Molassa a nuclei di fliscli gialla (V. Orcana). c) Calcare a nullipore. Scutella subrotunda Ag. — Pleurotomaria sp. — Echinolam- pas Stucleri Ag. — Linthia insi- gnii Merian. — Schizaster Scil- lae (Desin. sp.) Ag. e Des. — Echinocyamus alpinus Ag. — Periasler Capellini Laube — Pe- ricosmus spaiangoides. Elveziano (Falunniano) Marne argillose cloriti- che — Marne azzurognole a grosse bivalvi. Oxyrhina hastalis Ag. — Lamna cuspidata Ag. — Moietta crenata Heck. — Crysophris mio- cenica Bass. — Odontaspis hopei Ag. — Galeocerdo lalidens Ag. — Carcharodon megalodon Ag. — Odonlaspis conlortidens Ag. — Otodus Irigonalus Ag. ecc. — Griphaea Brongnarti Bronn. — Schizaster Desori — Peclen ar- cualus — P. cristatus Gl. — Iso- cardia cor Lk. Tortoniano a) Marne argillose e mo- lasse cineree verdognole ta- lora arenaceo quarzose. b) Argille azzurre marno- se con leggeri banchi ligni- tici e spruzzi di sabbie e letti leggerissimi di ghiaie dolomitiche e diasprose a ciottoli improntati (Forabo- sco-Col Pedina). Voluta harpula — Buccinum clathralum Lk. — B. temn-slria- lum Br. — Pleuroloma Sotteri Lk. — P ■ Jouanmli Desm. — P. calcarata Grat. — P. sinuata Bell. — P. pustidata Brocc. — Venus Du-Jardinì Desh. — So- larium canaliculatum Brocc. — Cor buia gibba Olivi — Ancillaria glandifortnis Lk. — Pyrùla con- dita Brongn. — Natica mille- punclata Desh. — Anomia squa- mosa Brocc. ecc. — T. margina- la Brocc. — Turritella Archi- medis A. Br. T. rolifera Desh. 220 — Serie Mio-Plio- cene Pliocene Piano Rocce Fossili principali Messi ni ano inf. Sabbie gialle alternate ad argille azzurre — Sabbie gialle a grossi elementi cal- carei — Molasse gialle a nu- clei di arenarie ed alternate con letti di puddinghe — Ligniti. (S. Zenone degli Ec- ceini). Fiorala di Corovigo presso Bassano — Natica Josephina Mag. — Pect. affinis — Venus unibonaria — Fusus roslratus — Turrilella Dublieri — Pcclen Vi- samensis Font. — Fycula geo- metrica — Pecten Slazzanensis May. — P. scabrellus Lk. — P. pusio Lk. — P. benediclus Lk. — Balanus tintinnabulum L. — lì. sidcatus L. — Anomia ephippium L. — Venus Brocchii — Ostrea lacerata Miinst. — 0. cataplasma May. — 0. caudata Miinst. — 0. arenicola May. — 0. Meriani May. — 0. palliata Miinst. • — 0. plica tuia Gmel. — 0. molas- sicola May. — 0. exasperala May. — 0. lamdlosa May. — 0. martulus May. — Murex bran- daris L. — Merita lacustris Brocc. — Arca Idmonea — Ostraea crassissima (Lk.sp.) — 0. Iloernesi — 0. Virginica Lk. — 0. Vcrsaliensis Lk. — Hippopo- lamus major Cuv. Astiano I. a) Ligniti a lenti dis- seminate in mezzo a fortis- simi strati di puddinghe cal- careo dolomitiche. b) Puddinghe sempre più potenti con elementi fluviali cristallini alternate a stra- terelli di sabbie grossolane, argille azzurre e verdi. c) Puddinghe a grossi ele- menti fluviatili (Colli Asola- ni). IL Conglomerati pregla- ciali davanti le chiuse del Piave e del Brenta — Conglo- merato calcareo dolomitico di Schievenin e di Fietta. llelix sp. — Turrilella sp. — Ostrea Virginica Lk. — Masto- don augustidens Cuv. ERA NEOZOICA Serie Piano Rocce Possili principali Fusi-plio- cene Glaciale a) Altre morene del To- matico e Roncone. b) Anfiteatro morenico di Quero — Morene delle Cro- ci ecc. — Alluvioni glaciali ora cementate ora no con tutti gli elementi delle alpi venete — Calcari stalattitici e caverne ossifere — Tufi di acqua dolce — Talus poi ter- razzati torrenziali del Piave- go, Paveggion ecc. — Terra rossa (ocra ferrosa). Ursus spelaci is Cuv. ? (Buca del Marmo e S. Vito di Valdob- biadene) • — ossa di chirotteri — Cervus megaeeros — Elephas pri- migenius. Antropo- zoico Postglaciale Alluvioni a ghiaie minute a mezzodì della linea di sor- give pr. Treviso — Terrazzi del Piavo e Brenta — Tor- biere di Mussolente — Ar- gille e sabbie superficiali — Caranto terrestre. Canis vulpes — Sus prisca — Equus caballus — Abbondanti ossami di carnivori e ruminanti nelle caverne. Armi di pietra rozza e levigata. Armi e stru- menti di bronzo. Stazioni pre- romane e romane di Schieveniii, Quero, Cogolo, Asolo con abbon- danti utensili, vasi Etruschi, ar- mi, monete ecc. Possagno, 2 ottobre 1882. I).1' Rossi Akturo. — 222 — 4 ANTICHE LINEE LITORALI DELLA LIGURIA Le terre della Liguria marittima, per lo più alte e scoscese, offrono a varie altezze vestigia di antichi livelli marini che sfug- girono fin qui all’attenzione dei geologi o furono da essi appena avvertite. Pur tuttavolta la cognizione loro mi sembra un ele- mento non lieve per rintracciare le vicende subite dal territorio di questa provincia e però credo non far cosa superflua porgendo ai Colleglli un primo saggio delle osservazioni che ho potuto rac- cogliere in proposito. La prima linea litorale ben netta è visibile a pochi metri sopra il livello marino e si manifesta in gran parte del Genovesato, con fori di litodomi ( Lithodomus litophagus ), i quali non si trovano che entro il calcare. Nei luoghi ben riparati dalle onde, essi sono in per- fetto stato di conservazione, cioè profondi, lisci internamente e conservano la forma loro primitiva; lungo i lidi esposti all’azione distruttiva dei flutti, invece, a causa della corrosione della roccia, o mancano del tutto o sono poco profondi e irregolari, talché avviene talvolta che si riconoscano diffìcilmente. Nello stesso porto di Genova, sotto la chiesa di S. Tommaso, questa zona è ben definita. Sugli scogli calcarei che costituiscono 0 piuttosto che costituivano la costa, giacché d’ innanzi ad essi fu costruito un ampio scalo, si vede una fascia di fori assai fitti che misura m. 1,08 di larghezza e si trova col suo limite supe- riore a circa m. 7 sul livello medio del mare. Sotto questa fascia 1 fori sono in piccolo numero, sparsi qua e là fin presso l’attuale livello marino, inferiormente al quale mancano affatto. Sarebbe ora impossibile che colà allignassero i litodomi, perciocché le acque sono troppo impure e stagnanti. I fori sono ampi, profondi; internamente i margini loro sono acuti, il che dimostra che furono poco o punto alterati dal tempo. 223 — La zona di fori è ben circoscritta superiormente da una linea oriz- zontale; è però probabilissimo che i molluschi spesseggiassero, come è loro costume, nei due metri che stanno sotto il livello della bassa marea e non si mostrassero al di sopra di questo livello. Si direbbe che lo scoglio foracchiato si sollevò piuttosto rapida- mente (nulla si oppone all’ ipotesi che il movimento sia stato istan- taneo), poiché, dopo l’emersione della zona a fori spessi, sembra che i litodomi non abbiano potuto allignare in sì gran numero in quella parte dello scoglio che trovavasi allora nella condizione più propizia per loro e che doveva alla sua volta sollevarsi ('), Lungo il litorale di Camogli, si osservano numerosi fori di litofagi emersi ovunque il calcare è sano e omogeneo; mancano invece o sono scarsi nei tratti in cui la roccia è fessurata, no- dulosa o attraversata da vene spatiche; generalmente sono più comuni sulle superficie degli s-trati che sulle testate loro (*). Questi fori salgono ben alti (a non meno di 10 metri sul mare) nello scoglio che sostiene il castello di Camogli, ma ivi non potei mi- surare la loro altitudine. A ponente del paese, fuori del porto ne osservai a circa m. 7,50 sulle basse acque. Essi sembrano piut- tosto spessi, nella parte superiore della zona forata, senza però dar luogo ad una linea di livello ben definita e si fanno più radi in basso; a circa 50 centimetri sulle basse acque formano, nella me- desima località, un’ altra striscia assai fitta, superiormente ben limitata, il qual fatto accenna ad un rallentamento o ad un arresto nel movimento d’ascensione. È da notarsi che in quelle acque, nella parte sommersa delle medesime rupi, i litodomi sono an- cora viventi. Passando alla Riviera di ponente, credo si possano connettere le traccie sopradescritte con certi depositi di ciottoli regolarmente stratificati che s’ incontrano in riva al mare, tra Cogoleto e Arenzano. A levante di Cogoleto, di contro alla villa Durazzo, si os- serva un piccolo scoglio sporgente sul mare, tutto formato di breccia (') Non ho mai osservato alcuni di questi fori nelle antiche costruzioni in riva al mare, nè a Genova nè in altri punti della Liguria, e perciò credo probabile che l’ emersione sia avvenuta anteriormente ai tempi storici. (-) Questo fatto è ben visibile a ponente di Camogli , ove la costa risulta di strati di calcare a fucoidi raddrizzati e ripiegati, i quali ora presentano al mare le testate ora le superficie laterali. olìolitica, che riposa sopra un talcoscisto in strati contorti, visibile in qualche punto della spiaggia sottoposta. La breccia risulta eli grossi pezzi di serpentina normale e porfirica (ve ne hanno di oltre un mezzo metro di lunghezza), di frammenti più piccoli di serpentina, di calcare e di talcoscisto (questo talora con quarzo), quali decisamente angolosi quali arrotondati, ad angoli smussati. Non mancano anche minuzzoli delle medesime rocce. Il cemento è una sorta di detrito serpentinoso, talora di struttura arenacea, il quale, per lo più, è di color bigio-verdastro e qualche volta appa- risce invece rossiccio , a causa di un’alterazione subita. I pezzi di calcare si direbbero un po’ erosi. Al di sopra di questa breccia, si osserva il deposito di ghiaie e ciottoli cui accennavo, il quale evidentemente appartiene ad una antica spiaggia. Esso giace da 5 a 6 metri sul livello del mare ed ha in quel punto spessezza non maggiore di 2 metri; attra- versando la ferrovia e la via provinciale, vedesi a fianco di questa che il deposito di ciottoli era, ed in parte è ricoperto ancora, da un potente ammasso detritico, oscuramente stratificato, formato di terra rossiccia con frammenti angolosi di talcoscisto ('). Gli strati del deposito ciottoloso appariscono orizzontali nella testata che guarda il mare, ma in un taglio perpendicolare alla riva si vedono invece alquanto inclinati verso di essa. I ciottoli sono per la massima parte di serpentina, la quale, a causa di un’alterazione superficiale, ha acquistato un color giallo chiaro, e la forma loro è generalmente ovoidea, allungata, più o meno com- pressa, coll’asse maggiore disposto per lo più parallelamente alla riva. È degno di nota il fatto che, tanto il deposito ciottoloso quanto la breccia ofiolitica sottoposta, sono scoscesi, anzi tagliati a picco dall’azione distruttiva dei flutti, la quale si esercita tut- tora colà con grande energia ed è causa di una lenta, ma continua, retrocessione di quel litorale. Da ciò si ha motivo di argomen- tare che il movimento ascendente, in virtù del quale si sollevò l’antica spiaggia di Cogoleto, sia cessato e nasce spontaneo il so- spetto che ad esso sia succeduto un movimento dall’alto al basso. Si vedrà in seguito come per una località poco lontana il sospetto si converta in certezza. (') Questo deposito detritico si trova fra Voltri e Savona in quasi tutti quei tratti di litorale nei quali l’ inclinazione della costa ò lieve. — 225 — Dal lato di levante, il deposito si vede costituito in basso di massi che raggiungono da mezzo metro a un metro di lunghezza, nell’asse maggiore, i quali riposano immediatamente sulla breccia ofiolitica. Sopra questi massi v’ha uno strato di ciottoli grossi come il pugno o più (per una spessezza di circa 35 centimetri), il quale sorregge alla sua volta ghiaie serpentinose minute, di forma molto allungata, connesse fra loro da un cemento are- noso, rossiccio (per altri 30 centimetri) ; superiormente, vi sono altri ciottoli che giungono fina all’altezza del piano stradale fer- roviario. Procedendo dalla villa Durazzo verso Arenzano, si osserva in vari punti la medesima spiaggia emersa ad altezza sempre cre- scente sul livello marino. Dapprima, si vede appoggiata sopra il talcoscisto, a circa 50 centimetri sul piano della ferrovia, il quale si trova a 6 metri sulla spiaggia odierna (poco meno di 8 sul mare). Ivi risulta di ghiaie grosse ed ha da 3 a 4 metri di spessezza. Più avanti, apparisce costituita, inferiormente a metri 1,20 sul livello stradale, di massi arrotondati frammisti di ciottoli, poi di straterelli di ghiaiette alternati con strati di sabbione, per 4 a 5 metri complessivamente. La stratificazione è, in questo punto, net- tissima. Finalmente, di contro alla imboccatura della prima gal- leria ferroviaria che si trova nella direzione di Arenzano, mentre il piano stradale è alto sulla spiaggia circa 10 metri, quindi presso a poco 11,50 sul mare, si trova al di sopra di esso la formazione ciottolosa per circa 6 metri. La spiaggia antica è adunque 16 metri più alta della odierna. Anche qui al di là della spiaggia emersa si trova il solito deposito detritico, talora frammischiato in basso'a qualche ciottolo. Alla estremità occidentale del paese di Yoltri, si scorgono lungo la ferrovia vestigia di un simile deposito di ciottoli, il quale deve essere stato in gran parte sconvolto dai lavori stradali e dalla coltura e, per altra parte, è occultato e coperto dalle costru- zioni. Ivi non pare che i ciottoli raggiungano tanta altezza sul livello marino. La vasta grotta che si apre in riva al mare, presso Bergegi, sembra scavata dalle onde in un epoca durante la quale la costa ra meno elevata che non al presente. Le sue pareti e la sua 15 — 226 — volta presentano, infatti, numerosi fori di litofagi ( Uthodomus lithophagus) die raggiungono un’ altezza di circa 6 metri sul pelo dell’ acqua e lasciano supporre che le onde esercitassero l’azione loro erosiva ad altezza anche maggiore. Tali fori costituiscono come piccoli gruppi sparsi senza ordine e non presentano, come quelli del porto di Genova, una zona ben definita superiormente. Questa grotta, esplorata diligentemente, or son due anni, dal Sig. Elio Modigliani, gli somministrò numerose reliquie preisto- riche e specialmente cocci di stoviglie, conchiglie forate, utensili litici, avanzi di pasti; oltre a ciò, parecchi scheletri umani, accanto a ciascuno dei quali si trovò la consueta suppellettile funeraria propria alle tombe dei litoplidi. Questi oggetti giace- vano in una propaggine che sbocca nel lato sud-ovest della cavità principale, quasi a fior di terra, fra in. 2 e 2,50 sopra il livello marino. Il suolo della caverna risulta prevalentemente di detriti di roccia cementati da concrezioni calcarifere. Dal cunicolo che la termina a monte, ove supera di circa 3 metri il livello marino, fino alla parte sommersa, esso declina irregolarmente e presenta una serie di gradini, dovuti alla parziale corrosione degli strati di cui si componeva. A breve distanza dalla riva, uno di questi strati, che s’ innalza di meno d’un metro sul pelo delle basse acque, è di color bruno e presenta ossa di piccoli mammiferi spezzate dall’ uomo e frammenti di carbone saldamente aggregati dalla stalagmite; si tratta di un vero strato archeologico. Orbene, appena il mare sia un po’ agitato, questo è dilavato ed eroso dalle onde, talché, se non fosse durissimo, da lungo tempo sarebbe distrutto; è chiaro, pertanto, che, se i materiali di cui risulta si fossero depositati nella posizione in cui ora si trovano, il mare li avrebbe dispersi. Non v’ ha dubbio, adunque, che, dopo la sua emersione, quel tratto di litorale ha subito un avvallamento, il quale, giudicandone dall’altitudine che presentemente raggiungono nella grotta le acque del mare, durante le maggiori traversie, non fu minore di 2 metri. Qnanto all’epoca nella quale il suolo della caverna era di tanto più alto che non al presente, siccome fra i manufatti che accompagnano taluno degli scheletri e che probabilmente furono sepolti insieme a questi, v’ erano frammenti di fittili e di vetri di fattura romana, stimo risalga ad una ventina — 221 eli secoli; non volendo con ciò determinare nè la misura seco- lare del movimento, nè il momento in cui ebbe principio. Anche dalla posizione degli scheletri, i quali, quantunque situati assai più a riparo delle onde, di quel che non sia lo strato, si trovarono in parte guasti dall’ acqua marina ; si deve inferire che la grotta subì una sensibile depressione ('). Nel Finalese, la spiaggia quaternaria emersa è rappresentata, se non sono in errore, da grandi ammassi di arene silicee, bian- castre (poco diverse per composizione dalle arene della spiaggia odierna), le quali mosse dai venti di mezzogiorno, formarono come sorta di dune che penetrano nelle anfrattuosità della costa e sal- gono sulle alture. Queste arene si vedono in qualche punto del Capo di Noli, ma principalmente presso Finalmarina, nella loca- lità che, per ciò, ebbe nome di Arene Candide. Ivi raggiungono l’altezza di oltre 80 metri sul mare e coprono di niveo lenzuolo i fianchi scoscesi del Caprazoppa. Il Prof. Gl. Gentile di Porto Maurizio m’ informa che a due chilometri a ponente di questa città lo scoglio calcare, sul quale è fondata la torre diroccata detta Preiren ed alcune pietre alla base della torre stessa, sono forati dai litofagi, fino a circa me- tri 2,70 sull’attuale livello medio del mare. Anche la base della torre detta dei Saraceni ad un chilometro a levante di Oneglia presenterebbe, secondo lo stesso osservatore, analoghe perforazioni fino ad un altezza un po’ superiore (m. 3,59). Non saprei dire se tali fori si connettano alla linea litorale quaternaria già descritta o dipendono da una oscillazione posteriore. Alla spiaggia emersa di Cogoleto e alle dune del Finalese si connette forse la formazione recente segnalata da Risso, nel 1813, nella penisola di Sant’Ospizio presso Nizza (5), formazione di cui si occupò pure Lamarmora (3). Si tratta di un deposito di cal- care e di sabbie, ricco di conchiglie marine di specie viventi, sollevato a circa 20 metri sul livello marino. (') L’esame del terreno, all’esterno della grotta, esclude la possibilità che abbia subito un avvallamento locale. (’) Observations sur la presqu'ile de Saint-IIospice aux environs de Nice, Journal des mines, n.° 200, p. 81-98. Paris 1813. (■’) Vo'jage en Sardaigne, 3C partie, tomo I, p. 345, Turili 1857. — 228 — Dopo aver fatto cenno delle linee litorali che indubbiamente si riferiscono ai tempi quaternarii o recenti, dirò di altre più antiche, generalmente più alte, che risalgono, io credo, al plio- cene inferiore. Nella Riviera di levante, tra la Spezia e Pieve di Sori, man- cano affatto, a mia cognizione, depositi pliocenici e se a Sestri di Levante si trova, a pochi metri sul livello del mare, nei campi che fiancheggiano la via nazionale, una terra da mattoni che ricorda pei caratteri esterni le argille marnose di Albissola e di Savona, l’assoluta mancanza di fossili non permette di assegnare una data sicura a questo deposito. Presso la stazione ferroviaria di Pieve di Sori, si trovano le prime traccie di una formazione e di una antica riva che a parer mio debbono essere attribuite al pliocene. Si tratta di un banco di sabbione giallastro calcareo, contenente minuti detriti di conchiglie, cementato dal calcare sovrapposto ad uno strato di ciottoli e detriti. La spessezza del sabbione è circa di 5 metri; quella dello strato ciottoloso è di circa 40 centimetri. La for- mazione di cui si tratta riposa sopra una ripa di calcare eocenico, a vene spatiche (a stratificazioni un po’ inclinate), all’altezza di circa 80 metri sull’attuale livello marino. I ciottoli sottoposti al sabbione sono in parte forati da molluschi litofagi. La natura lito- logica del sabbione, identico a quello di Voltri, che è di data certa, in’ inducono a ritenerlo pliocenico. In altra occasione descrissi il piccolo bacino pliocenico di Genova, una propaggine del quale si estende fino al borgo di S. Fruttuoso ('). La roccia è una marna cinerea ricca di fossili, la quale, secondo ogni verosimiglianza, si depositò in un mare profondo e tranquillo. Presso Genova, ravviso traccie di litorali contemporanei a questo deposito nelle zone di fori di litofagi, visibili nelle valli del torrente di Nervi, del Bisagno (a Bavari e Traso) e del Con- casca tra 100 e 250 m. d’altitudine e sulle stesse colline della città, in vari punti, specialmente nel fosso di Santa Barnaba. Vi (’) Appunti Pale ontologici , I, fossili delle marne di Genova , Annali del musco Civico di storia naturale di Genova, IX 1870-77. Appendice , come so- pra, X, 1877. — Appunti Paleontologici , II, Cenni su! Myliobales fossili dei /errali terziari italiani , come sopra, X, 1877. — 229 — si connette forse l’agglomerato sabbioso, con pettini, che trova- vasi altra volta (però ad altezza assai minore) lungo la salita d’Oregina, e die ora non è più visibile, perchè asportato o coperto dalle costruzioni ('). Procedendo da Genova verso la Riviera di ponente, s’ incon- tra un altro piccolo lembo pliocenico lungo il rio Borzoli e sul Chiaravagna ; lembo il quale raggiunge presso a poco la stessa altitudine delle marne di Genova; esso risulta di marne bigie e alla sua estremità settentrionale e superiormente è coperto di sabbie e ciottoli. Nelle marne si raccolgono massi di calcare forati da litofagi, ma non si scorge superiormente a questo deposito alcun resto dell’ antico litorale, forse perchè le roccie ofiolitiche che limi- tarono in quel punto il mare pliocenico non erano atte a conser- varne le traccie. Proseguendo verso ponente, ci si presenta a Yoltri nella pro- prietà della duchessa di Galliera un nuovo esempio assai istrut- tivo di lido pliocenico. Si trova fra i torrenti Cernsa ed Acqua- santa, ma più presso a quest’ultimo, a circa mezzo chilometro dal mare, sopra una collinetta di talcoscisto antichissimo, uno degli ultimi scaglioni dei monti che si adergono a settentrione del paese. A circa 80 metri d’ altezza sulle testate degli strati di talcoscisto, che son quasi verticali, si osserva una formazione di sabbie giallastre e bigie con lieve inclinazione (poco meno di 20°) verso sud-ovest, le quali, in alto, passano ad una sorta di limo, poi si agglutinano in un conglomerato a cemento calcareo, con- tenente anche ghiaie di serpentina, frammenti di talcoscisto e resti organici. I fossili sono: Carcliaroclon Megaloclon, Ag. (denti); Lamtia dubia , Ag. (denti); Conus antidiluvianus , Brocchi; Ostrea cochlear , Poli; 0. exa- speroia, Mayer; Pécten latissimus, Brocchi; P. glaber, Lin; Vola Jacobaea, Lin; Chama sp Isis Melitensis , Gold; frammenti di balani e di foraminifere indeterminati. Il piccolo deposito pliocenico di Terralba, presso Arenzano, non offre alcuna particolarità degna di nota, in ordine al soggetto (') Di questo lembo fecero menzione Lavaggiorosso, jicl 1814 (Un cenno sulle montagne vicine alla nostra città , Memorie dell’Accad. di scienze, lettere ed arti di Genova, voi. Ili), Pareto nel 1846 ( Descrizione di Genova e del Geno- vesalo voi. I) e Lamarmora ( Vogage en Sardaigne, 3e parile, tom. T). — 230 di cui tengo discorso. Fra Arenzano ed Albenga, l’autico litorale si accusa però con segni caratteristici, i quali sfuggirono forse fin qui all’ attenzione degli osservatori. Prima di tutto, è da notarsi, lungo i fianchi delle colline, resistenza di un terrazzo evidentissimo, il quale presenta un piano irregolarmente inclinato verso il mare e si trova, nella parte inferiore, a circa 80 metri d’altitudine, nella superiore ad oltre 150. Le colline e la costa, essendo state profondamente incise dagli agenti esterni e sopratutto dalle acque correnti, dopo il sollevamento del terrazzo, questo non è più continuo ed invece costituisce una serie di promontori e di capi che facilmente si possono riconoscere, anche da lontano, pel loro profilo rettilineo, che ricorda quello di morene. Tali sono i capi di Arenzano, d’ Invrea, di Vado, di Noli. Sopra questi promontori e specialmente nella regione loro più alta, abbondano ghiaie, ciottoli, grosse pietre arrotondate dal mare, materiali talvolta in posto, più spesso, invece, rimossi dal- l’uomo, pei bisogni della coltivazione. Osservai questi ciottoli presso la Cascina Masetti e la Cascina Ciapin, sopra Cogoleto, lungo l’antica via di Scierborasca, tra Cogoleto e Varazze, lungo la via provinciale, alla Patrona sopra Albissola (a circa 85 m.). Presso quest’ ultima località nel punto detto il Piano, si vedono l’uno sopra l’altro massi di gneis, a spigoli arrotondati e smus- sati che subirono, a parer mio, logoramento per opera del mare. Alla medesima azione attribuisco gli incavi, i solchi, le erosioni che si osservano sulle rupi d’eufotide che appariscono lungo la via nazionale, tra Cogoleto e Varazze, ed emergono da un depo- sito alluviale. Ad Albissola, si trovano ad un livello alquanto meno alto dell’antica riva le consuete marne ed argille plioceniche; queste ricompariscono poi con sviluppo assai maggiore e copia grande di fossili a Savona, Zinola e Vado; ma sulle colline sovrastanti non ho avuto occasione di osservare tracce di antiche rive. Tali reputo però, oltre la città di Finalmarina, la caverna delle Arene Can- dide ed altre minori che si osservano nel fianco meridionale della montagna calcarea della Caprazoppa, allineate a 90 metri d’al- tezza sul livello del mare. Con ciò non escludo P ipotesi che alla formazione delle medesime caverne e di altre molte che s’ incontrano — 231 — nei dintorni abbiano contribuito altre cause e specialmente l’azione di acque minerali acidule. Presso la caverna delle Arene Candide, ad un livello di poco inferiore, osservai, nel calcare antico, anche fori di litofagi assai alterati. È probabile che ai lembi di marne e sabbie del pliocene visibili ad Albenga, Oneglia, Porto Maurizio, Santo Stefano, S. Remo, Castel d’ Appio, Yentimiglia, lembi i quali costituivano indubbiamente, insieme ai già ricordati, un deposito continuo, corrisponda il seguito della linea littorale già segnalato ; io però non ebbi ancora agio di verificar siffatta presunzione. Noterò sol- tanto, in proposito, che, fin dal secolo scorso, H. B. De Saussure considerava alcune delle caverne del territorio di Yentimiglia come scavate dal mare in tempi remoti (*) mentre FaujasDe Saint- Fond, ligio alle ipotesi che allora padroneggiavano la geologia, le riteneva conseguenza di una catastrofe diluviana (*). Fori di litofagi meno frequenti e meno ben conservati di quelli fin qui ricordati si osservano, spesso associati ad erosioni, in molti luoghi della Liguria, a livelli assai superiori, cioè fra i 400 e i 500 metri; così, per esempio, presso il Colle della Scoffera tra Genova e Torriglia, a Rovegno, sul promontorio di Portofino, sopra Nascio, sopra Cassagna e Statale in quel di Chiavari (3), lungo la via provinciale di Varese Ligure, fra que- sta città e Santa Maria del Taro ('). Per quanto concerne il valore cronologico di tali sicuri testi- moni di un ordine di cose tanto diverso dall’ attuale, io già mani- festai l’avviso che potessero appartenere al pliocene (5), tanto più che altrove, per esempio nella regione subalpina, le formazioni marine di questa epoca risalgono ad un livello di poco infe- riore. Ma, dopo maturo esame, dubito dell’ esattezza di questa (’) Voyagès dans Ics Alpes etc., p. 186. Neufchatel 1 "7 S 6 , III. C) Voyage gèologique de Nice a Mentoli, Vintimilte etc., Annales du Mu- seum, tome XI. Paris 1808, p. 189-225. (s) In questa regione, a 450 m. sul mare e a 10 o 12 chilometri dal- la costa. (*) Qui a 400 m. d’altitudine e da 16 a 17 chilometri dal mare. (s) Della Pupa amicta , Parreys , come indizio di antichi livelli marini , Ballettino della Società Malacologica italiana, Voi. VII, 1881. — 232 — interpretazione, prima di tutto perchè le linee litorali immediata- mente sottoposte sembrano piuttosto regolari e si riferiscono certa- mente al pliocene, in secondo luogo perchè si trovano nella Ligu- ria occidentale, specialmente al nord di Yarazze e di Celle, depositi marini miocenici a tutte le altezze fra il livello del mare e 600 metri. Reputo adunque miglior partito lasciar, per ora, insoluta la questione. A. Issel. — 233 — APPUNTO GEOGNOSTICO SULLE ROCCIE CALCAREO-MAGNESIACHE CHE COSTEGGIANO IL VELINO VICINO AL PAESE DI ANTRODOCO. 1. Sulla sponda destra del Brapella vicino alla confluenza di questo torrente nel Velino e nella stretta valle ove scorre questo fiume dall’abitato di Antrodoco fin sopra S. Quirico si incontra una roccia calcareo-magnesiaca degna di rimarco per il passaggio che in essa si verifica , quasi senza saltuarietà, da una composi- zione calcareo poco magnesiaca, ad una roccia essenzialmente dolomitica. Questa roccia s’appoggierebbe sui calcari compatti del monte Giano probabilmente liassici, almeno pel versante sud-ovest che discende al Velino; mentre sul fianco destro di questa stretta valle subito a monte dell’abitato di Antrodoco servirebbe d’appoggio diretto, ma con alquanta discordanza, alle arenarie eoceniche che si sviluppano poi nel colle Faita, il contatto si vede rimontando il cosidetto « Castello » ('). (’) Il professore Taramelli nella sua descrizione geognostica del Margraviato d’ Istria parla di calcari dolomitici facenti parte della formazione cretacea che affiora nell’altipiano del Carso e che si sviluppa nei monti Maggiore, Bergut e Sissol pag. 30-31; egli riconobbe un aspetto molto somigliante a quelli, nelle roccie che faccio oggetto di questo appunto e di cui gli presentai a Verona alcuni campioni. In seguito alla mia breve comunicazione alla Società, l’egregio professore soggiunse che « nel Veneto e precisamente al Sud di Feltro e di Arten ampie « amigdale dolomitiche si annidano nella zona calcarea del Neoeoiniano; come « più a ponente la forma dolomitica invade vari piani del Giura superiore, per « modo da presentarsi come un fatto generale la presenza di formazioni dolo- « mitiche più o meno vaste in tutta la serie sedimentaria alpina dal permo- « carbonifero al Sononiano. Lo Stadie anzi la accenna nel Liburnico (Eocene « superiore); ciò è non pertanto possibilissimo poiché nelle Carniche come nelle — 234 — 2. La roccia che ci interessa ha un aspetto generalmente cereo, resinoso, che in molti punti ci ricorda quello della blenda e che si presenta caratteristico sia nelle fronti naturali che nei tagli artificiali, il suo colore è grigio più o meno scuro. Presenta frequen- temente tre piani di clivaggio ben distinti e secondo le faccie di un parallelepipedo doppiamente obbliquo. I pezzi staccati col mar- tello si risolvono spesso in minuti detriti se la roccia fu lungamente esposta agli agenti esterni; essa va soggetta ad un’ alterazione che in certi punti è detritica, in altri pulverulenta, producendosi così degli appicchi e delle piccole guglie. Non di rado queste roccie pur conservando il loro ordinario aspetto e struttura sono molto friabili, e talvolta anche passano persino ad una roccia biancastra con piani di clivaggio lucenti, ma riducibile in polvere con lieve pressione. Finalmente vi abbiamo rimarcate delle intercalazioni di roccie bianche granulari poco coerenti , ed anche bianche sacca- roidee, e che sul posto mostrano di essersi desposte contempora- neamente alle roccie d’aspetto cereo predominanti. Si considerò utile di fare l’analisi di queste roccie per vedere quale fosse la relazione di composizione nel passaggio delle parti d’aspetto cereo-resinoso più o meno compatte e fragili, alle bian- castre e friabili ed infine alle bianche granulari e saccaroidee. Per rendere poi manifesto ravvicinarsi della composizione di talune parti a quella corrispondente alle dolomie , abbiamo stralciata dalla composizione centesimale la parte che risponde alla forinola (Ca C - M, C). - 3. Se partendo dalle gole di Antrodoco si avvia verso l’ab- tato costeggiando le falde del monte Giano, s’incontra uno speron- cino detto da quelli del luogo di « S. Terenziano ». Quivi la roccia « Giulie vi è spesso un passaggio gradatissimo dalla Creta superiore all'Eocene « inferiore. » I Calcari-magnesiaci di Antrodoco sembrerebbero appartenere alla parto superiore del cretaceo, come tenderebbe a mostrare il loro rapporto stratigrafico colle arenarie del Colle Faita; a meno che non sieno un’apparizione del Lias medio, ove, l’egregio Sig. Capitano Verri trovò le dolomie saccaroidee in con- tatto dei calcari bigi, probabilmente magnesiferi, sia nella valle della Meta nel Terminillo, che in quella del Rio Fuscella sotto il monte della Pelosa, e nel monte Cetona. — 235 — presenta tante piccolissime faglie i cui piani di spostamento cor- rispondono al piano di clivaggio più facile della roccia, e le aper- ture sono riempite al solito del fino detrito proveniente dalle parti spostate. La roccia non alterata risulta costituita come segue: Calce 42,82 Magnesia 7,62 Allumina 1,52 Silice 0,15 Acido carbonico ed acqua . . . 47,38 99,49 Si potrebbe considerare d’avere in questa roccia un calcare dolomitico contenente prossimamente il 35 o/o di dolomia ed il 57 % di calcare. Poco più innanzi procedendo sempre verso S. Quirico s’in- contra un altro piccolo sperone detto di S. Anna, quivi la roccia cerea ha un aspetto eguale a quello della roccia precedente ma sembra alterarsi meno agli agenti esterni, è più dura ma egual- mente fragile. La sua composizione è: Calce 28,39 Magnesia 19,24 Allumina 2,80 Silice 0,96 Acido carbonico ed acqua . . 47,71 99,10 Questa composizione corrisponderebbe ad una roccia dolomi- tica contenente 88°/o di dolomia ed il 3% di calcare in eccesso. Continuando verso S. Quirico per circa 700 metri a monte del ponte sulla Strada Nazionale la roccia si conserva per aspetto e composizione analoga a quella dello speroncino di S. Terenziano, cioè in questo tratto dalle dolomie calcaree si ritorna ai calcari- dolomitici. Passando ora sulla sponda destra del fiume troviamo fra la roccia cerea calcareo-dolomitica le interposizioni di cui si è fatto — 236 — cenno più indietro. Così al punto ove il « Rio dei Migliori » sbocca nel Velino s’incontra un nucleo di roccia bianca a struttura sac- caroidea, questa risulta appunto costituita da un aggregato di tanti minutissimi cristalli romboedrici, la sua composizione è la seguente : Calce . 31,29 Magnesia . 19,78 Allumina 0,21 Silice . 0,17 Acido carbonico ed acqua. . . 47,91 99,36 Questa sarebbe la composizione di una roccia dolomitica con- tenente di 91 °/0 di dolomia ed il 6°/0 di calcare in eccesso. Un po’ più avanti verso l’abitato s’incontra sulla sponda destra del valloncino del Gugnolo, ove questo fosso sbocca nel Velino, una roccia bianca granulare pochissimo coerente che, a guisa di lente sta intercalata fra le roccie calcareo-magnesiache del solito aspetto, essa si mostrò così costituita. Calce . . 28,41 Magnesia . . 19,94 Allumina . . 2,88 Silice . . 0,74 Acido carbonico ed acqua. , . . 47,15 99,12 La qual composizione corrisponderebbe ad una roccia dolo- mitica contenente prossimamente 91°/0 di dolomia mentre il cal- care in eccesso sarebbe trascurabile. Osservasi anche come la composizione di questa roccia dolomitica sia molto prossima a quella del piccolo contrafforte di S. Anna, quantunque il loro aspetto e la loro struttura sieno ben diversi. In questa roccia del Gugnolo si scorgono moltissimi cristal- lini romboedrici la si direbbe una dolomia saccaroidea a grossa grana alterata ; essa ci ricorda le dolomie granulari che sovente si riscontrano nelle assise del lias inferiore. — 237 — Del resto la roccia magnesiaca predominante anche sulla sponda destra del Velino, in questa località, ha un color grigio con vene biancastre, l’aspetto cereo è ben marcato specialmente dopo il valloncino del Gugnolo andando verso l’abitato. Allo sperone che fa di piccolo contrafforte al colle detto della Rocchetta vi hanno le roccie fragili del solito aspetto, nelle quali abbiamo riscontrata la seguente composizione: Calce 38,97 Magnesia 12,13 Allumina 0,79 Silice 0,18 Acido carbonico ed acqua. . . 47,53 99,60 e questa sarebbe ancora una roccia dolomitico-calcarea conte- nente circa il 56°/o di dolomia ed il 38% di calcare. È fra questa roccia che si trovano intercalati dei banchi fria- bili generalmente bianchissimi, ove si osserva ancora la struttura della roccia cerea incassante; queste roccie bianche si riducono in polvere fina sotto lieve pressione. Un vero contatto non esiste fra le due roccie perchè il pas- saggio vi si fa in un modo quasi insensibile alla guisa che si os- serva in molti punti dei depositi pegmatitici e trachitici ove esistono i passaggi alle roccie caoliniche. La composizione di questa roccia bianca friabile è : Calce . . 39,08 Magnesia . . 10,31 Allumina . . 2,57 Silice . . 0,21 Acido carbonico ed acqua . . . 47,10 99,27 Quivi si avrebbe prossimamente il 47% di dolomia ed il 44°/0 di calcare. In molti punti si vede, nel passaggio graduato una specie di roccia intermedia di color bianco sporco pure frabile, ma un po’ — 238 — meno tenera, essa rappresenta imo stadio di minore alterazione epperò la sua composizione dovrebbe essere intermedia fra le due ultime citate. 5. Nella breve zona di calcari dolomitici che abbiamo descritta, si è dunque visto variare la quantità corrispondente alla dolomia dal 35 al 91 °/o ; e si potrebbe altresì ritenere che vi si effet- tuano dei passaggi senza saltuarietà dai calcari dolomitici alle do- lomie-calcaree ed alle dolomie granulari e saccaroidee. Claudio Segré. — 239 — SOPRA I LEMBI PLIOCENICI SITUATI TRA IL BACINO BEL LAGO D’ORTA E LA VAL SESIA E SULL’ALTO-PIANO DI BOCA E DI MAGGIORA. Nota del doti. C. F. PARONA L’onorevole incarico conferitomi dalla Sezione del Club Alpino di Varallo di studiare geologicamente il suo distretto, mi porse occasione di continuare le ricerche già precedentemente da me iniziate e che mi condussero a rilevare qualche fatto interessante, che resi di pubblica ragione due anni or sono ('). Cause indipen- denti dalla mia volontà e più che tutto il tempo avverso, che fu- nestò i due ultimi autunni, non mi permisero di dare al mio studio queU’impulso che avrei desiderato : tuttavia ebbi campo di fare qualche osservazione che non sembrami indegna d’ essere pubblicata. Lo scopo di questa mia Nota è quello di far conoscere la natura e la giacitura dei lembi pliocenici che finora rinvenni alle falde di quel gruppo montuoso, che s’innalza tra il lago d’Orta c la bassa Valsesia a nord dell’altopiano di Boca e Maggiora. Queste montagne per la loro natura geologica possono essere suddivise in tre zone : quella più settentrionale è costituita dalla potente for- mazione granitica, che, originatasi a Baveno sul lago Maggiore , attraversa in direzione di nord-est a sud-ovest il bacino ortense, al- l’altezza di Pella e del M. Naviglio, e si spinge sino in Valsesia costituendo i monti del passo di S. Bernardo sopra Breja. La zona mediana è formata dallo schisto micaceo argilloso, in cui sono (') Appunti geologici sul bacino del lago d'Orta. Mera. Soc. archeol. no- varese. 1380. Il calcare liassico di Gozzano e i suoi fossili. Atti della R. Ac- cadem. dei Lincei. 1880. — 240 — incise ad est la insenatura di Pogno e ad ovest la Valduggia, fra loro divise dal passo della Cremosina. La meridionale è data dal nucleo granitico di Bugnate a levante, e nel resto dalla forma- zione porfirica,, che assumendo uno sviluppo straordinario si stende sino a toccare il piano di Maggiora e di Boca, e termina a Ca- vallirio e Romagnano. Come accidente che rompe la monotonia geologica di questa contrada si hanno ad est i lembi di calcare del Lias medio di Gozzano e quello di dolomia presso Maggiora e ad ovest si innalza, tra Borgosesia, Grignasco e Valduggia, il M. Fenera; interessante montagna a dolomia triassica, a calcari ed a schisti calcareo-marnosi Lassici, che fu molto studiata, ma che si presta ad esserlo ancora. Sulle falde estreme del delineato sistema di rilievi si adagiano qua e là quei depositi pliocenici che ora mi proverò a descrivere paratamente, prendendo le mosse dal versante occidentale del lago d’Orta. Nei miei appunti geologici sul bacino ortense precedente- mente pubblicati ho già indicato il pliocene in due località vi- cine a Gozzano : Luna sulla strada che conduce ad Arona, a poca distanza dal ponte sulPAgogna, l’altra nella discesa da Auzate al torrente Grua. Nelle successive ricerche mi si presentarono altri affioramenti entro il paese stesso di Gozzano e lungo il terrazzo che gli sta ad ovest. Al piede di questo terrazzo riscontrai l’argilla plio- cenica sotto Bugnate, appena a sud del M. della Guardia (530 m.), di fronte alla Cascina della Sorte (367 m.); quivi una piccola frana ha messo a nudo per lo spazio di pochi metri il pliocene, nel resto nascosto da grossolano detrito morenico e da abbondante vegetazione. L’argilla è pura e finissima , a straterelli, per quel poco che si vede, inclinati verso valle, con nicchi di echinodermi e con filliti. Un altro piccolissimo affioramento di pliocene lo si incontra, circa un chilometro più a sud, alle falde dello stesso terrazzo, presso la Fontana Santa. Evidentemente l’argilla, che quivi affiora di sotto al mantello di materiali morenici, costituisce l’intero corpo della collina-terrazzo di Auzate; inquantoche, come già ricordai, la stessa roccia riappare lungo la china opposta, per cui si discende nella valletta della Grua. Dissi sopra che riscontrai il pliocene anche entro l’abitato di Gozzano; infatti l’argilla fu scoperta nello scavare il pozzo in — 241 — servizio del casello ferroviario, eretto al bivio delle due strade per Orta e per Pogno (353 m.). Questa interessante scoperta venne fatta sul principio deiranno corrente (1882) dal sig. cav. 0. Mognaini, ingegnere dirigente i lavori della ferrovia Gozzano -Domodossola; il quale fu meco tanto cortese che, oltre ad informarmi del rinve- nimento fatto, volle anche comunicarmi i dati riguardanti la pro- fondità del pozzo e del punto d’affioramento dell’ argilla, nonché i fossili, dei quali do più sotto l’elenco. Sono però ben lieto che qui mi si presenti l’opportunità di profess armigli gratissimo di questa e delle altre gentilezze usatemi. Nei lavori per lo scavo del pozzo si attraversarono primamente 6 m. all’incirca di terreno prettamente glaciale, ad elementi grossolani, poi, al livello di 55 m. sopra lo specchio del lago d’ Orta si passò di botto all’ argilla pliocenica finissima. Questa è quasi esclusivamente costituita da lamelle di mica, con qualche assai raro granulo di quarzo e non presenta ciottoli, nè massi di nessuna sorta, nè piccoli, nè grossi. La formazione argillosa venne attraversata dallo scavo per 19 m. e dopo si ebbe un forte efflusso di acqua : con molto stento si potè proseguire rescavazione per m. 1.50, in seguito a cui si fece un foro, con una barramina del diametro di 5 cent., profondo due metri circa, che provocò tale affluenza d’acqua da impedire ogni ulteriore lavoro. Siffatto deposito presenta dei fossili , come potè meco con- statare anche il mio riverito maestro prof. Taramelli nello scorso aprile: essi non sono abbondanti, ma (caso raro per i lembi plio- cenici in discorso) portano ancora ben conservato il guscio. Le specie che distinsi sono le seguenti, fra le quali abbonda special- mente la prima. Nassa semistriata Br. Cassidaria echinophora Linn. Natica millepunctata Link. Turritella vermicularis Br. (?) Cypraea europaea Mont. (?) Trochus patulus Br. Anemia sp. Pecten(Pleuron.) De Filippi Stopp. Leda commutata Phil. Lucina borealis Linn. Psammosolen coarctatus Gmel. Syndosmya anguiosa Ben. Corbula gibba Oliv. Pinna tetragona Br. (?) Ditrupa incurva Ren. Schizaster sp. Cristellaria clypeiformis d’Orb . 16 — 2-12 — In seguito al rinvenimento di questa argilla il signor Mo- gnaini convenne nell’idea di ricercare se anche in altri pozzi, re- centemente aperti in Gozzano, si fosse rinvenuto lo stesso deposito. Ed infatti, in seguito alle indagini eseguite, l’egregio mio amico potè communicarmi, che detta argilla venne riscontrata nei pozzi Saccamei, Ravelli, e Cerutti ad un livello di 55 a 56 m. sopra il lago. Di più potè anche accertarmi che il pliocene venne ri- scontrato allo stesso livello nello scavo del pozzo per la Cantoniera della ferrovia, all’incontro della strada che conduce a Bolzano, a poco più di un Kilom. di distanza (N- E.) dell’altra Cantoniera suaccennata. Ora se si considera che l’argilla pliocenica affiora a Gozzano, sotto Bolzano, alla Cascina della Sorte ed alla Fontana Santa a livelli pressoché corrispondenti; se si considera che nei pozzi della parte bassa di Gozzano si attinge l’acqua ad una profondità mi- nore di IO m. e che nelle parti più depresse del territorio gozzanese sono abbondanti le sorgive (Fontana Santa e dintorni, prati torbosi ad est del poggio di Gozzano e sotto Bolzano), sembra lecito arguire che al di sotto di uno strato poco potente di terreno alluvionale-morenico si stendono continui i sedimenti argillosi pliocenici, sulla cui superficie impermeabile si trattengono le acque suddette. A mezzodì delle tre località descritte non riscontrai altri banchi argillosi se non alle falde di quell’ altro terrazzo che si eleva a sud-est, al di là del torrente Grua. Questa corrente ero- dendo profondamente il piede del terrazzo al di sotto di Gargallo, incise il proprio alveo nell’argilla fossilifera compattissima. Tosto però il torrente devia verso il piano, e di nuovo la vegetazione, che cresce vigorosa, nasconde il pliocene sino al poggio di Ver- gano, il quale è costituito nel fianco di levante da strati pliocenici, che si adagiano direttamente sul porfido, che ne forma il fianco occidentale. In questi dintorni il terziario superiore si estende assai, addossandosi in parte sul porfido ed in parte sullo schisto micaceo e si addentra sino alla cascina della Madonnina. Forma poi, oltre la collina di Vergano e la porzione basilare di quella di Motto Fiorio e di Colombera, anche i fianchi dei colli fra i quali si svolge la nuova via, che provenendo da Borgomannero raggiunge il torrente Sizzone, oltre il quale sale a Maggiora. La presenza di fossili marini nell’argilla di questi dintorni fu avvertita già da lungo tempo daH’Amoretti (') o dal Brocchi (s); più tardi il sig. A. Bossi (:i) descrisse un interessante giacimento fossilifero, incontrato a sud di Maggiora, sulla destra del torrente Sizzone, al sito delle Coste vicino al Molino nuovo, dove raccolse oltre 30 specie di molluschi pliocenici. Ad est del torrente Sizzone, visitando le falde della montagna da Maggiora, a Boca, a Cavallirio, fin giù nel bacino della Sesia, non riscontrai alcuna traccia di pliocene. Non credo però che esso quivi manchi, anzi lo ritengo sepolto sotto il potente man- tello alluvionale dell’ altopiano di Maggiora e Romagnano, che i miseri torrentelli discendenti dagli attigui monti non giunsero ad incidere tanto da porre allo scoperto gli strati marini. N ella bassa vai Sesia i depositi pliocenici assumono un grande sviluppo, costituendo buona parte dei contrafforti del versante orientale. Essi si addossano ai fianchi dei monti porfirici e si dispongono a festoni degradanti giù giù , sinché vanno a na- scondersi sotto le alluvioni dell’ampio bacino, che si stende fra le due strette di Serravalle e Romagnano. Si ponno esaminare seguendo il corso dei torrentelli e le stradicciuole delle vailette Cavallina, Val Mezzena e Valle del Frà; dove si vede chiaramente che l’argilla posa sul porfido e che affiora per larghi tratti, spoglia affatto da altri depositi, nei punti di maggiore elevazione ; mentre che nelle estreme falde verso il piano della valle è ricoperta da un altro deposito argilloso , il quale , come dirò più sotto , non ha con essa alcun rapporto di origine, non rappresentando altra cosa che lo sfacelo della parte superficiale alterata delle masse porfiriche sovrastanti. Nei dintorni della C. Gibellina e di Gri- gnasco il pliocene perde questa disposizione a festoni, assumendo la forma di vere colline : tale è quella che si eleva fra i dossi porfirici di S. Michele e del Roccolo; tali sono i primi rilievi presso S. Rocco, il Torchio, sotto la Cascina Marietta ; tale la bella (’) C. Amoretti, Viaggio da Milano ai tre laghi. Milano, 1824, pag. 72. C) 6. B. Brocchi. Conchiologia fossile subappenina. Milano Silvestri, 1843. pag. 252. (3) A. Bossi, Intorno alle argille, agli altri minerali ed ai fossili di Mag- giorante. Soc. ital. di Se. nat. (geologica). 1850. Voi. 1. pig. 317. — 244 — collina che si innalza tra il torrente Molagna e Grignasco, nonché quelle più basse che verso nord fanno corona a questo borgo ('). L’argilla di questo pliocene è meno micacea di quella dei lembi del versante ortense, è più compatta, ma egualmente pura e non contiene che qualche raro frammento di roccia assai alte- rata, Gli strati superficiali sono a tinta giallo-carica, i più pro- fondi di un bell’azzurro : talvolta però, come osservai nei profondi tagli fatti pei lavori della nuova strada, che da Grignasco conduce alle frazioni Stella e Bertolotti, gli strati azzurri alternano con strati gialli. Yi abbondano i fossili sì vegetali che animali; i primi meglio conservati degli altri, i quali sono per lo più allo stato di modello interno. In qualche punto osservai dei fuscelli fossilizzati in pirite di ferro. Sono gratissimo all’egregio dott. G. Francioni di Grignasco, alle cui diligenti ricerche devo una collezioncella di echini, quasi tutti esemplari dello Schizaster Se illae Des. e di filliti, che co- municai per studio all’amico prof. F. Sordelli. A nord di Grignasco e di Serravalle il pliocene si ripresenta presso Borgosesia, e precisamente nei dintorni di Pianezza, in gia- cimenti a me non ancora ben noti. Si estende anche abbastanza largamente in Valduggia, per cui discende lo Strona, tributario di sinistra della Sesia; e quivi il terreno in discorso fu già da lungo tempo segnalato dal mio egregio amico il prof. cav. P. Cal- derini (2). In questa valle il pliocene si riscontra dapprima di fronte alla cartiera del Baragione, lungo la strada per Valduggia, dove si vedono degli strati di argilla stendersi sopra banchi di arenaria e di conglomerato, le cui testate affiorano per uno spazio di circa cento cinquanta passi. Tale arenaria, come dimostrerò più sotto, dev’essere considerata come una accidentalità dello stesso pliocene. (') Su questi colli crescono rigogliosi i vigneti che ai viticoltori ed eno- logi intelligenti danno vini prelibati. Non è senza interesse l'osservazione che la vite prospera meno bene nelle argille plioceniche che nella roccia porfirica, la quale, per essere quivi alteratissima, si lascia facilmente dissodare e ridurre allo stato di terreno sciolto. (') P. Pai levini, Li gvgnsia e la geologia dii M. Falera allo sbocco di Valsenti. Atti Soc. ita 1. di se. nat., 1868. % — 245 — Le argille si addentrano poi nella valletta clie discende dalle al- ture di Valbusaga e si estendono nella direzione della strada pro- vinciale , costituendo precisamente quei due colli , di mezzo ai quali passa la strada stessa. Osservo però che il dosso , che sta alla destra per chi cammina verso monte, è pliocenico soltanto sul suo fianco di nord-ovest, mentre nel resto è porfirico. Altri strati argillosi si insinuano nella valle che si incontra subito dopo e che sale a Plello; quivi l’incisione di un torrentello mette a nudo il sottosuolo di micaschisto, ricoperto da pliocene fossilifero, che alla sua volta sopporta dei depositi morenici ed altre argille non fossilifere, che alimentano parecchie fornaci da mattoni. Il pliocene costituisce le falde meridionali delle colline di Valmi- gliora e si può osservare anche più innanzi lungo la stradicciola, che conduce a Crabia superiore e precisamente nei dintorni del Molino , dove il sentiero abbandona il torrente per salire verso il paese ; quivi non torna difficile lo scorgere nell’ argilla degli avanzi di filliti. Che queste argille siano plioceniche non vi è dubbio, poiché lo provano gli echini e le filliti, che si conservano nel Museo di storia naturale di Varallo, affidato alle cure diligenti del sullodato prof. Calderini. Tali fossili furono esaminati non pochi anni or sono dal prof. Meneghini e più recentemente anche dal prof. Sor- delli. Fra gli echini notai: Scliiznster major Des. Brissospsis Sismondae Agass. » Scillae Desor. Fra i vegetali posso citare come sicuramente determinate, per consenso dell’egregio amico prof. F. Sordelli, soltanto le se- guenti specie: Quercus drymeja Unger. Piatanus aceroides Goeppt. (PI. Il deposito di cui ho fatto più sopra menzione e che dissi doversi considerare come accidentalità dei sedimenti pliocenici, è una molassa calcareo-quarzosa, ricca di granuli di serpentina, co- sparsa di impronte indeterminabili di vegetali, a strati alternanti con altri di ciottoli di granito, calcare, diorite, anfibolite, serpen- » » Merlarti Heer. chlorophylla Ung. deperdita Mass, sp.) Laurus princeps Heer. Alnus Kefersteinì Goeppt. — 246 — line, di quelle varie rocce insomma che predominano nelle mon- tagne della Yalsesia, ad esclusione però dei porfidi, che pure pre- sentaci tanto potenti nelle vicinanze. L’arenaria di questo deposito, che qua e là offre tracce di sottili banchi di lignite, è quasi incoerente quando è esposta all’influenza dell’aria o quando è molle d’acqua, ma si fa dura e compatta allorché vengono a mancare le due condizioni accennate. Gli strati, potenti al più qualche deci- metro, si dirigono da sud a nord e sembrano inclinare debolmente a sud-ovest, e, come già dissi, sono ricoperti dalle argille in modo, per quanto mi parve, perfettamente concordante. Questo giacimento arenaceo venne indicato fin dal 1868 dal prof. Calderini ('), il quale, dalla sua posizione inferiore rispetto alle argille, trasse argomento per esprimere l’avviso eli’ esso po- tesse spettare al miocene. Successivamente il prof. Gastaldi (*) accennò anch’esso a siffatta arenaria, ma la ritenne un tutto assieme colla formazione delle argille; escluse che potesse essere riferita al miocene, basandosi sul risultato dello studio fatto dal prof. Si- srnonda, non sulle singole fàune delle varie località, ma sulla col- lezione complessiva proveniente da' diversi depositi delle prealpi piemontesi, fra cui anche quelli argillosi ed arenacei di Valdug- gia. Più tardi il geologo ing. Spreafico (3) ne prendeva pure nota, qualificandolo però quale un ammasso di sabbie plioceniche, con fossili marini e con strati assai considerevoli di ciottolame, osser- vando inoltre che la stessa arenaria è assai sviluppata (?) sulla sponda opposta dello Strona, dove va ad estendersi immediatamente sopra la formazione porfirica quivi potentissima. Resta quindi ancora aperta la questione sull’ età di questa arenaria. Il passaggio repentino e marcatissimo da una forma li- tologica ad un’ altra, dalla arenaria bigio-chiara allo argille finis- simo azzurre o gialle, potrebbe lasciar pensare che il mutamento della forma e natura dei sedimenti si colleglli a qualche varia- zione nelle condizioni orografiche, tale da modificare i rapporti esistenti tra la idrografìa della plaga di regione alpina allora emersa ed il mare che ne bagnava le spiaggie. Un altro fatto, che po- pi P. Calderini, Mem. citata. (5) B. Gastaldi, Studi geologici sullo Alpi occidentali. 1871. pag. 6. (3) E. Spreafico, Osservazioni geologiche nei dintorni del lago d' Urta e nella Valle Sesia. (Meni, post.) Atti Soc. ital. se. nat., 1880- — 247 — trebbe indurre a ritenere che qui trattasi effettivamente di due terreni, non soltanto distinti litologicamente, ma anche riferibili a due periodi geologici diversi, si è la perfetta somiglianza che passa tra questa arenaria e quella che affiora a’ piedi delle pre'alpi lombarde, tra il lago di Como e la sponda orientale del lago Mag- giore, in vicinanza della quale venne recentemente riscontrata dal sig. prof. Tarameli!, presso a Giano, sotto ai depositi morenici, nei lavori per una galleria del tronco ferroviario Gallarate-Laveno. È anche questa arenaria calcareo-quarzosa ; contiene dei piccoli banchi di lignite ed è alternata con strati di ciottoli, specialmente predominanti alla Camerlata ( Gonfalite ). La sua età fu giudicata miocene inferiore e medio, in base alla posizione stratigrafìca ri- spetto ai depositi eocenici e pliocenici. Altri fatti però ci pongono in grado di poter giudicare in modo diverso circa l’antichità della arenaria di Valduggia. Innanzi tutto devo segnalare l’analogia grandissima tra questo terreno e quello che, nella nota località del Ponte dei Preti dell’anfiteatro morenico d’ Ivrea, soggiace ai depositi morenici. Quivi il signor prof. Taramelli raccolse una bella fauna a molluschi, che fu stu- diata dall’amico comune prof. Dante Pantanelli e giudicata riferi- bile al pliocene superiore. Il rinvenimento poi, fatto lo scorso anno, di un picciol numero di molluschi nello stesso giacimento di Val- duggia conferma quanto dissi più sopra; che cioè questa molassa non è altro che una accidentalità dei sedimenti pliocenici, nel resto prevalentemente argillosi. Tali fossili mi vennero gentilmente comunicati dal prof. Cal- derini e fra essi distinsi le seguenti specie, delle quali la predo- minante è VOstrea undata Lmk. ; Nassa miocenica Mieli. (?) » semistriata Br. Natica millepunctata Lamk. » Josephinia Riss. Turritclla subangulata Br. Cerithium vulgatum Brug. Vermetus intortus Lmk. Dopo di avere così descritti questi lembi pliocenici sarei ten- tato di ricercare a quale fra i vari piani del terziario superiore Ostrea mutata Lamk. Anomict ephippium Limi. » costata Br. Cardium aculeatum L. Venus plicata Gml. Lucina sp. — 248 — sarebbero essi da riferire. Ma pur troppo le specie animali in essi riscontrate sono troppo poche, perchè dal loro studio si possa ot- tenere un dato cronologico, per il quale sia concesso passare ad una determinazione meno generale di quella semplice di pliocene. Qualche maggiore lume lo si ottiene tuttavia dall1 esame dei ve- getali fossili : a questo proposito il sig. Sordelli, da me interpel- lato, pensa che, per la facies generale della flora, il giacimento a filliti di Valduggia e Grignasco debba riferirsi ad un piano del pliocene non più recente del 'piacentino . Di opinione poco dissi- mile fu anche il sig. Doderlein ('), il quale nel suo studio sul terziario dell1 Appennino modenese e reggiano, parlando per inci- dente del pliocene di Cossato e Masserano, sincrono al certo con questo di Valduggia, lo ascrive alla zona tabianese , intermedia fra il piacentino ed il messiniano . Lo stesso prof. Sordelli conviene poi meco nel ritenere che i sedimenti a filliti della bassa Valsesia non siano altro che il prolungamento ad ovest del pliocene lom- bardo. E ciò è sicuramente, dappoiché fra questi depositi e quelli di Val Eaido e della Folla d’Induno, che fra i lombardi sono i più occidentali, riscontratisi i lembi intermedi pure pliocenici di Maggiora e di Gozzano. II. Credo non inopportuno aggiungere qualche notizia intorno ai depositi alluvio-giaciali, sotto cui stanno per gran parte nascosti i lembi pliocenici suaccennati. Quanto sto per esporre potrà forse non tornare del tutto inutile nella grave questione del mare gla- ciale a pie ’ delle Alpi , che tiene divisi in due campi i nostri geo- logi. Sui depositi del ghiacciajo valsesiano e più ancora di quello della valle del Toce, raccolsero già importanti dati i signori Om- boni, Mortillet, Gerlach e Stoppani (2) ; ed io stesso, nel mio pre- (') Doderlein, Noie illustrative della caria geologica del Modenese e del lleggiano. 1872, pag. 53. (s) Omboni G., Sul terreno erratico della Lombardia. Atti Soe. ital. se. nat., 1859. — G. Mortillet, Anciens glaciers des Alpes. Ibid. 1861. — Gerlach, Dir Pcnninischcn Alpen. Meni. Soc. Elv. di Se. nat., 1869. — A. Stoppani , Era Neozoica. Milano, Vallardi, 1880. — 249 — cedente lavoruccio sul bacino del lago d’Orta, aggiunsi qualche cenno di dettaglio. Le traccie lasciate dal ghiacciajo della Sesia mi forniranno argomento per un futuro lavoro speciale : per ora le mie ricerche limitate non mi permettono di aggiungere nulla al poco che ne scrissero i signori Gerlach e Stoppani. Tuttavia voglio ricordare come sia opinione del prof. Stoppani (') che questo ghiacciajo si fermasse, durante il periodo degli anfiteatri morenici, nelle vici- nanze di Borgosesia. Ciò sarebbe confermato dal fatto che il de- trito morenico è piuttosto abbondante nei dintorni di Pianezza e Valduggia, presso Borgosesia, dove osservai eh’ esso si estende sopra le argille plioceniche , insinuandosi anche nelle incisioni, operate antecedentemente nelle argille stesse da qualche acqua cor- rente, come lo prova la diversa natura del deposito ed il taglio netto che separa P argilla dalla morena. Confermerebbe inoltre l’idea del prof. Stoppani la scarsità dei materiali morenici sul versante settentrionale del Penerà, che per la sua posizione tra- sversale al decorso della valle, dovrebbe esserne rivestito, qualora il ghiacciajo avesse, nell’ accennato periodo, varcata la stretta di Serravalle ; il che sembrami anche per parte mia di poter esclu- dere, per il fatto che i depositi morenici mancano al di sotto di Serravalle, nei dintorni di Grignasco e di Cavallirio. Abbandoniamo quindi la Yalsesia e passiamo al lago d’Orta dove troveremo qualche fatto interessante da osservare in riguardo alle relazioni tra il pliocene ed il glaciale. Comincierò [col dire che non credo di errare asserendo, che dall’esame dell’un terreno e dell’altro si ottiene la convinzione che fra essi non corre alcun legame d’origine. Infatti, come già abbiam visto, l’argilla plioce- nica si distingue per la sua regolarità di stratificazione, per la mancanza di ciottoli piccoli e grossi e per essere quasi eslusiva- mente costituita da un solo elemento mineralogico. Sopra di essa, con successione improvvisa, si stendono tra Maggiora e Gozzano i depositi erratici di natura varia, per quanto lo permette la non grande varietà delle rocce che costituiscono il bacino d’onde pro- vengono. Sono essi singolarmente grossolani e di frequente com- prendono massi di enorme volume, quali si incontrono spesse volte (') Stoppani, op. cit-, pag. 121. — 250 — nei dintorni di Gozzano, anche sotto la superficie del terreno; ad esempio quelli che, nei lavori di trincea per la ferrovia quivi in costruzione, vennero posti allo scoperto ad un livello appena di qualche metro superiore agli strati di pura argilla pliocenica che forma il sottosuolo. Ma questa assenza di nesso stratigrafico risulterà forse più evidente dalle considerazioni che passo ad esporre e che special- mente concernono la diversità altimetrica riscontrata tra l’anfi- teatro morenico del Cusio e gli affioramenti argillosi. I livelli di affioramento del pliocene alla cascina della Sorte (367 m.) ed al casello di Gozzano (347 m.), quantunque inferiori a quelli cui si spingono i banchi della strada per Aroma e delle vicinanze di Auzate, pure toccano già una tale altezza da superare di 55 a 76 metri quella dello specchio del lago d’Orta (291 m.) e di 314 a 315 metri la massima profondità conosciuta del lago stesso, che è di m. 259 ('). Sorprende quindi non poco il fatto che più a nord dei due lembi pliocenici ora menzionati non se ne trovino altri nella bassura del lago, come me ne rendono quasi sicuro le indagini da me invano istituite a questo scopo. — Veramente le argille non mancano, ma queste sono di origine prettamente gla- ciale. Un deposito si rimarca lungo la strada Gozzano-Miasino, di fronte al poggio della Torre di Buccione, poco prima di arrivare alla cascina della Torre. È una argilla micacea, molto compatta nella quale stanno immersi dei ciottoli di anfìbolite, di schisto micaceo , nonché un grandioso erratico di micaschisto. Altri due depositi argillosi mi furono indicati dal cortese sig. ing. Mognaini. Quasi nelTabitato di Corconio, venne aperto nel fianco della china, che volge al lago con rapido pendio, un cunicolo per esplo- rare la stabilità del suolo, su cui si pensava di far passare la ferro- via: gli scavi furono spinti a parecchi metri di profondità e sempre attraverso una argilla compatta. Una roccia analoga si incontra in una vailetta più a nord di Corconio e precisamente laddove si lavora (') L’ing. V. Clerici [Riduzione dei laghi a serbato}' artificiali per uso dd- !.' industria manifatturiera. Roma, tip. Romana, 187G) espone i seguenti dati sul lago d’Orta. Kilm. quadr. 17 di specchio; lunghezza 1-1 kilm. ; larghezza massima 2 kilm. La profondità da 200 a 300 m. — l’iù tardi il Sig. Avv. A. Ru- sconi [Il lago d'Orla , sua riviera eie. Torino , 1880) espose quest’ altre cifre: Kilm. quadr. 1(5,00 di specchio; lunghezza circa m. 13,00; larghezza media m. 1,200; profondità massima m. 250. a costruire un viadotto per la ferrovia. Dalla loro giacitura si può arguire che siffatte argille si depositarono nelle insenature laterali al bacino cusiano, allorquando queste erano sbarrate dal gliiacciajo che ne occupava il fondo. Nell’aspetto somigliano alle plioceniche; ma per poco si esaminino davvicino, si scorge tosto che esse sono meno micacee e però più compatte, che comprendono detriti mo- renici più o meno abbondanti, così da passare anche a vera morena cementata; sono del resto assolutamente prive di avanzi d’orga- nismi sì vegetali che animali. Se per tal modo resta pressoché dimostrato che il pliocene non invade il bacino lacustre, torna d’altronde molto difficile lo indicare la causa che impedì l’espandersi dei sedimenti pliocenici a nord di Gozzano. Si potrebbe ricorrere alla idea del prof. Stop- pani (’), secondo la quale nell’epoca pliocenica tanto questo quanto gli altri bacini lacustri subalpini sarebbero stati fiord marini, invasi dai ghiacciai, che avrebbero costrutto le loro morene fron- tali in presenza del mare. Ma nel caso del lago d’Orta mi sembra che a questa teoria si oppongono fatti di non lieve importanza. Si osserva innanzi tutto che le morene di Buccione, della villa Luz- zara, di S. Maurizio, di Opaliolo, il cui assieme forma l’anfiteatro cusiano, non superano nella loro altezza il livello di oltre 400 metri raggiunto dall’argilla ad Auzate ed altrove. L’argilla plio- cenica, per la giacitura e composizione così semplice che presenta a tanta vicinanza dell’anfiteatro, mi sembra che difficilmente potrebbe essere stata deposta sotto un mare nel quale dovevano muoversi le torbide del ghiacciajo e i ghiacci galleggianti carichi di ciottoli. Di più non mi venne fatto mai di riscontrare nelle morene suaccen- nate traccie di animali marini, per quanto osservassi diligente- mente nelle trincee che colà continuamente si tagliano per la costruzione di nuove strade, o negli scavi dei pozzi di alcune nuove ville; quantunque non vi manchino banchi anche potenti di sabbia facilmente distinguibili dai depositi pliocenici per la varietà dei loro elementi minerali. Osservazioni queste, le quali, anziché comprovare la contemporaneità della sedimentazione plio- cenica colla formazione dell’anfiteatro, dimostrerebbero invece che il pliocene era sollevato ed eroso quando si iniziava l’accumularsi dei detriti morenici (Spacc. I. II.). fi) Opera citata Case, della Sorte Gozzano — 252 — — 253 — La mancanza di pliocene nel bacino lacustre, cosa del resto comune per tutti i laghi lombardi, potrebbe anche, nel caso nostro, essere attribuita a condizioni del lido pliocenico non corrispon- denti alla orografia attuale e mutatasi in conseguenza degli ultimi movimenti subiti dalle prealpi. Ma confesso che mi troverei a mal partito, qualora mi si chiedessero le prove, o le tracce di tali mutazioni orografiche. Non mi avanzerò quindi più oltre sulla via delle ipotesi circa questo problema, pago di avere indicato dei fatti, i quali, credo, bastano a confermare la mia tesi : che, cioè, nelle circostanze di Gozzano non si riscontra nessun indizio della contemporaneità del mare pliocenico col ghiacciajo. Piuttosto panni che i descritti lembi pliocenici sebbene isolati, ci permettono di immaginare una formazione argillosa continua, la quale, avanti l’ultimo sollevamento che sottrasse dal mare la pianura subalpina, copriva regolarmente le falde di questi monti, estendendosi verso il piano. Essa venne di poi smembrata dallo erosioni delle correnti terrestri di quel tempo e quindi anche pla- smata dall’azione del ramo occidentale del ghiacciajo della Toce, durante la sua maggiore espansione. Sulla superficie delle argille così elaborata si estese in seguito la grande conoide formata dalla dispersione dei materiali portati dal ghiacciajo durante le varie fasi di regresso, che lo ridussero nei limiti indicati dalla cerchia di morene, costrutte nel periodo degli anfiteatri. La alluvione gla- ciale si disperse largamente sull’alta pianura novarese, estendendosi sui fianchi sino a fondersi colla conoide del ghiacciajo del Ticino ad est e con quella della Sesia ad ovest, Ma questo talus venne in seguito profondamente inciso e ter- razzato, probabilmente a cominciare nel periodo degli anfiteatri e durante il periodo di regresso del ghiacciajo della Toce, dalle acque di disgelo. L’erosione continuò attiva nel periodo dei terrazzi per opera delle acque che provenivano dal bacino del lago, fino a che la superficie del lago stesso si mantenne a tanta altezza, sul livello attuale, da sormontare in qualche punto quella specie di culmina, formata da rocce in posto e dalle morene, che sta tra la bassura del lago e la parte settentrionale della pianura novarese. Ciò si sarà potuto verificare solo finché il ghiacciajo della Toce avrà ingom- brato lo scolo naturale del lago; vale a dire la valle Strona, nel tratto da Omegna a Gravellona ('). C) Per questa via le acque del Cusio (291 m.) discendono rapidamente a confluire nella Toce a poca distanza dal lago Maggiore (192 m.), il cui li- — 25-1 — In seguito il terrazzamento venne ope- rato dalla Agogna e da’ suoi confluenti: sulla sinistra risultò molto irregolare, sulla destra invece si formarono due stupendi terrazzi prin- cipali. Uno si diparte da Soriso e continua, abbassandosi gradatamente, per Gargallo e Ver- gano per terminare a poca distanza di Careggio. L’altro, inciso dal torrente Sizzone, si stacca dalle montagne appena sotto Maggiora e s1 estende giù giù sin oltre la confluenza del torrente stesso coll’ Agogna, ponendo capo sotto Barengo, dove confluisce col terrazzo sinistro della Sesia. Oltre questi due terrazzi principali, di cui il primo misura poco sotto Gargallo m. 44 sul letto del Grua, ed il secondo m. 43 sopra il letto del Sizzone di fianco a Careggio, si os- servano altri terrazzi molto più bassi e speciali a ciascuno dei corsi d’ acqua qui accennati. Il risultato ultimo di questo lavorìo di ero- sione fu quello di formare quel basso piano lungo il quale sale la ferrovia Novara-Gozzano e che si distingue dall’altipiano di Maggiora non solo per essere ad un livello inferiore, ma anche perchè meno sterile. Dall’alto della col- lina di Briga si ha un bel colpo d’occhio di queste due estese di pianura e di là si può valutare 1’ entità del fenomeno del terrazza- mento in questa regione (Vedi il profilo). Per tal modo sarebbe stato isolato l’alto- piano, intorno al quale mi propongo di spen- dere qualche parola, prima di porre termine a questo scritto. Compreso tra il descritto bacino della Agogna e quello della Sesia sten- desi l’altopiano di Maggiora, Boca e Gatti- nara; che comincia alle falde dei monti por- firici, dove ha la larghezza massima di circa 7 kil. e si stende poi, abbassandosi di livello vello, in Confronto rii quello del suddetto lago suo tributario, è inferiore di 99 metri. gradatamente, verso la bassa pianura novarese per ben 16 Idi. e termina nelle vicinanze di Briona. Ha la forma di triangolo colla base a nord ed è delimitato a levante dal descritto terrazzo, che corre da Maggiora a Barengo; ad ovest dal terrazzo non meno distinto formato dalla Sesia sulla sua sinistra, il quale si stacca dalla montagna presso Cavallirio, si continua regolare fino a poca distanza da Romagnano, dove è interrotto dal gruppo di colli por- firici, che quivi affiora come isola in mezzo alle formazioni allu- vionali e che colla prospiciente montagna di Gattinara forma una chiusa alla corrente della Sesia. Sotto Romagnano riprende il ter- razzo che si continua fino a metter capo sotto Briona, dove si in- contra ad angolo acuto col terrazzo orientale. In questo terrazzo della Sesia prosperano i vigneti, dai quali si ottengono i vini, che resero celebri i paesi di Fara, Sizzano e Ghemme, grossi borghi che giaciono al suo piede, lungo la strada provinciale per Novara. L’altopiano, quantunque sembri singolarmente livellato, quando lo si contempli dall’alto delle sovrastanti montagne, pure subì an- ch’esso l’effetto della erosione operata specialmente dal torrentello Strona, che si origina sopra Boca, e da molti piccoli suoi con- fluenti, che sono alimentati dalle sorgive. Le parti più elevate sono affatto incolte e ridotte a brughiera. La sua costituzione è degna di essere considerata, e se ne può avere una idea abbastanza chiara percorrendo la strada provinciale che da Borgomannero conduce a Romagnano; Tratto tratto vi si incontrano delle bassure profon- damente incise dai ruscelli, che si raccolgono in occasione delle grandi pioggie e che colla erosione mettono allo scoperto il sot- tosuolo. A me appunto occorse di visitare la parte settentrionale di questa regione in seguito ai rovesci di pioggia, per cui andrà tristamente celebre lo scorso mese di settembre ; allora il terreno si presentava in più siti profondamente e di recente eroso, nelle condizioni quindi più opportune per studiarne la struttura. Dal- l’esame fattone mi risultò costituito dalla associazione di ciottoli di mediocre grossezza, più o meno profondamente alterati alla superficie e disposti per modo da accennare ad un trasporto acqueo, lo che sarebbe comprovato dalla loro forma arrotondata, deri- vata presumibilmente all’ essere stati rotolati. Il loro stato di decomposizione si indovina anche da lungi per il colore intensa- mente rosso por cui spiccano sul circostante terreno le parti de- — *25(5 — nudate dalla crosta superficiale. Osservai poca varietà, nelle rocce costituenti tale alluvione; sonvi dei gneiss e graniti in piccola quantità, mentre prevalgono gli elementi porfirici più degli altri alterati ed in uno stato di profonda caolinizzazione. La natura di questo terreno si può studiare anche lungo la strada da Roma- gnano a Cavallirio, la quale, da poco costrutta, corre per un lungo tratto sui fianchi del terrazzo sopra descritto. Il taglio recente lascia vedere una alternanza di strati di sabbia minuta e grosso- solana e di grossi ciottoli, meno alterati, per quanto mi parve , di quelli che prevalgono nella parte orientale della brughiera. In quelle sabbie , che nell’ aspetto ricordano le sabbie gialle del- T Astiano, e in questi conglomerati invano ricercai qualche traccia organica, che mi permettesse di stabilire qualche relazione colle argille marine fossilifere, che appena più a nord si adagiano, come già vedemmo, sui fianchi dei colli porfirici di Grignasco, raggiun- gendovi una altezza superiore di certo al livello del terrazzo di Romagnano. La superficie dell’altopiano è formata di uno strato più o meno potente di argilla ocracea, originatasi per la completa alterazione delle parti del conglomerato più vicine alla superficie e quindi più soggette all’azione delle meteore. Essa è attivamente scavata in molti punti ed utilizzata nelle fornaci per tegole, mattoni e stoviglie grossolane , e rassomiglia quell’altra argilla che in grande quantità copre il piede dei primi rilievi montuosi, che si innal- zano a nord della brughiera , stendendosi in qualche sito sopra i depositi morenici, come osservai presso Gargallo, lungo il mar- gine del terrazzo orientale ('). Al lettore non sarà sfuggita l’analogia grande che passa tra la costituzione dell’ altipiano di Maggiora e quella del deposito alluvionale che nella Brianza si estende ai piedi delle prealpi e che (') Questa argilla, uguale alla prima per la sua composizione, non è altro che il prodotto della degradazione, verificatasi dal periodo glaciale in poi, delle sovrastanti montagne porfiriche, ancora al presente in stato di attiva decom- posizione ed erosione. Ch'essa provenga dalla alterazione del porfido, od anche dal granito (Soriso), non vi ha dubbio; che la stessa formazione ricopre il por- fido ed il granito , laddove la inclinazione del suolo non è tale da impedire alla parte alterata della roccia di restare in posto. Anzi in più luoghi , spe- cialmente nelle trincee delle molte strade recentemente aperte, ebbi occasione — 257 fu frazionato e terrazzato dal Larnbro, dal Seveso, dalla Lura e dall’Olona ('). Questa formazione lombarda per il prof. Stoppani non è altro che la porzione del deposito glaciale marino che s formava esternamente alle morene nell’ epoca glaciale, sul fondo del prolungamento occidentale dell’ Adriatico, convertitosi ora in pianura o valle del Po. Tale opinione non è però accettata dal prof. Taramelli (*), che dubita della sua origine marina ed è piut- tosto portato a considerarla come residuo di un antichissimo apparato frontale morenico, il quale è avanzato colà dove all’epoca della costruzione degli anfiteatri morenici questa formazione non fu sepolta nè abrasa dalle acque di disgelo. Siffatto modo di ve- dere del mio amatissimo maestro mi sembra che trovi un nuovo punto d’appoggio in quanto esposi piìt sopra intorno alla natura e giacitura dei materiali costituenti l’altopiano di Boca e Mag- giora. Mi affretto però a soggiungere che io sono ben lontano dal permettermi una decisione su questi giudizi esposti dai nostri due illustri geologi, chè non avrei nè l’autorità di farlo, nè vorrei dare soverchia importanza ad osservazioni fatte in un distretto cosi poco esteso. di osservare uu passaggio graduato della roccia cristallina (Boca, Soriso) dallo stato inalterato a quello di ultima decomposizione. Ne risulta talvolta un caolino bianco, roseo ed anche verde; ma prevalentemente si ha una argilla più o meno gialla di struttura omogenea, che essicandosi si diva in prismetti screziati di venature rossastre e nere e che da un osservatore poco attento potrebbe essere scambiata per argilla pliocenica. (') T. Taramelli, Alcune osservazioni sul Ferretto della Drianza. Atti Soc. ital. se. nat., 1876. — A. Stoppani, op. cit., 1880, pag. 177. (•) T. Taramelli, Il Ganton Ticino meridionale ed i paesi finitimi. Ber- na, 1880, pag. 103. — 258 — AVVERTENZA Nella tavola IIa annessa al Sunto Geologico dei Colli Bevici del Vicentino, publicato nel fascicolo 1° del Bollettino della Società Geol. Ital., corse errore di semplice delineazione che l’Autore trova dover rettificare colla seguente avvertenza. « Nella sezione geologica dei terreni terziari dei gruppi preal- pino e berico (tav. IIa) il livello del mare viene rappresentato da una linea orizzontale che fu prolungata anche al profilo del gruppo euganeo, quantunque questo non faccia parte dello studio geo- logico sopraccennalo. Si è creduto rappresentare il profilo del gruppo euganeo nella sola intenzione di rendere più intelligibile la se- zione geologica dei gruppi prealpino e berico. Senonchè il suddetto profilo euganeo quale apparisce dalla Tavola stessa venne delineato al disotto anzi che al disopra della linea orizzontale, che rappresenta, come si disse, il livello del mare. Conseguentemente i punti di livello corrispondenti a S. Marco, Montegalda, Albettone, Lovertino e Teoio, si trovano in una linea che risulta, bensì parallela a quella già delineata, ma al disopra della orizzontale che rappresenta il livello del mare, mentre i li- velli dei monti della Madonna e del Venda, resterebbero come furono delineati. » Francesco Molon. «IPII; ip < o l J&, V VI £5 D i ■ >*H PJ ai r* a> ai .S o ^ i5 ■— co t ^ £ ai crf - Pi O ° Pj r-H 02 od ad .£3 -cd ■caO 03 pj »=h ; -cS I 3.-S Boll, lidia Soc Gerì Ita] ISA? Tuv.H PROFILO GEOLOGICO dei terreni terziari dei Gruppi Prealpino e Beri co del Vicentino 2 f Sottopùmo a. Ct/phasoJrm Piceno JV Strati di Val di Lorde a$oU opiizno dzlle. /narri*, a,Jfriozot J^icc n o JZf JPiano Jf Flojvo / fìlli 2 ? So ólnp inno a* /Ser/juda, Spwldazas Strati di Priabona i Scale • | l 1113 /' Sotlop ormo a*l /TalytJi zruim. flirti Strati di S Gio. Ilanone MM Strali di Spilecoo istm Creta, 00 2Lt. Urtino e Salomone, /fama. Bo/lc/e/toSoc. GcofJtaf. W*? Tai’.M/ TIPO nella, scala Ji 1,00: 1200000 A- Qfock+t+x, indicante la direzione degli Assi delle Alpi _ Jtf. Bruno /j Salomone. Berna. 7 C/£TA_G£0L0GVC,4 /TAL/AM Tav. IV. ■^si> • - •..■;• . :-T^' • • - J CAF/C/eo F.co/vroi/ ojs« t/7. ù\ PIZZO 1077/ - M GOFF A INDICE Adunanza generale della Società Geologica Jtaliand . . Pag. 129 Fauna miocenica a radiolarie dell’ Apennino settentrionale (Mon- tegibio e Baiso ) ;....» 142 Relazione intorno al modo di f orinazione delle argille scagliose di Montese » 15G Resti di Sauriani nel Lombardo- Veneto » 161 Note di Geologia Veronese » 162 Osservazioni sulla Carta Geologica d' Italia pubblicata in occasione del Congresso di Bologna » 165 Osservazioni fatte nei monti circostanti al passo del Sempione . » 183 Osservazioni fatte nell' Apennino di Piacenza » 189 Trasformazioni idrografiche nel territorio di Rieti e Terni . » 191 Contribuzione alla fauna cretacea Italiana. Nota di Ippolito Cafìci » 196 La provincia di Treviso. Sunto geologico di Rossi Arturo. . » 203 Antiche linee litorali della Liguria » 222 Appunto geognostico sulle rocche calcar eo-magnesiache che costeg- giano il Velino vicino al paese di Antrodoco .... » 233 Sopra i lembi pliocenici situali tra il bacino del lago d’Orta e la vai Sesia e sull' alto-piano di Boca e di Maggiora. Nota del doti. C. F. Parona » 239 Avvertenza » 258 TST. B. I signori Soci che non hanno ancora soddisfatto la quota per il secondo anno 1882-83, sono pregati d’ inviarne P importo al teso- riere signor avv. Tommaso Tittonì ; via Rasella 155, Roma.