Anno XIY. Fascicolo 1 “1 i BOLLETTINO - - ' j • : . r- ' j DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XIV. — 1895. ROMA I TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1895 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA x Volumi finora pubblicati. Voi. 1 (1882) ■ 11 (1883) « III (1884) - IV (1885) » V " (.1886) ■ VI (1887» - VII ,(1888) .;■* vili (1880) - ; IX (1890) ;> X (1891) ' - XI (1892) - XII (1893) ■.» XIII (1894) I volimi i I. II e III si vendono, al prezzo di L. 15 ciascuno, tutti gli altri a L. 20. A chi richiede parecchi volumi si accorda un ribasso proporzionato. ' ili librai si accorda uno sconto da convenirsi. . Ai soli soci che desiderane completare la collezione’ sono accordati i volumi arretrali al prezzo di L. 8 l'uno indistintamente. Si accorda anche un ribasso per chi. non essendo socio, paga anti- cipatamente l’abbonamento per ogni annata da pubblicarsi. 260 pag. e' 4 tavole. X M 314 - - 6 tavole. ’ i 188 i - - una tavola, | 528 - 19 tavole e 3 carte geologiche a colori Js 516 •• 11 tavole. 570 * 18 . tavole e una carta geologica a colori.): 430 ; - . 14 - - - - . 600 - 8 - - 826 25 - : - - 1 023 • 21 - e 2 carte geologiche a colóri.' | 7 1)2 - Il tavole.) • 892 - 7 - . Per L'acquisto dirigere lettere e vaglia adì’ Economo cav. iag. Augusto Statuti, via dell’Anima 17, Roma. _ '•#- BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XIV. — 1895. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1895 Il «JUL93 37. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Ufficio di Presidenza per l’anno 1895. Presidente. Prof. cav. Igino Cocchi (Firenze). Vice-Presidente. Prof. Carlo De Stefani (Firenze). Segretario. Ing. dott. Enrico Clerici (Roma). Vice-Segretari. Dott. Vittorio Simonelli (Bologna). | Dott. Giuseppe Ristori (Firenze). Tesoriere. Avv. comm. Tommaso Tittoni, Deputato al Parlamento Nazionale (Roma). Economo. Ing. cav. Augusto Statuti (Roma), Archivista. Prof. ing. Romolo Meli (Roma). Consiglieri Prof. comm. G. G. Gemmellaro, Se- natore del Regno (Palermo). Prof. Carlo Fabrizio Parona (Torino). Prof. cav. Torquato Taramelli (Pa- via). Ing. cav. Pietro Zezi (Roma). Cav. Luigi Di Rovasenda (Sciolze). Ing. Bernardino Lotti (Roma). Prof.comm. Giovanni Omboni (Padova). Ing. comm. Nicolò Pellati (Roma). Ing. cav. Luigi Baldacci (Roma). Prof. Mario Canavari (Pisa). Ing. comm. Lucio Mazzuoli (Roma). Prof. Arturo Negri (Padova). Commissione per le pubblicazioni. Il Presidente 1 ì! SS? ! o« L’Archivista | Prof. cav. A. D’Achiardi (Pisa). Prof. comm. G. G. Gemmellaro (Palermo). Prof. Francesco Bassani (Napoli). Commissione del bilancio. Prof. comm. Giovanni Struever (Roma). Ing. cav. Pietro Zezi (Roma). Prof. cav. Giuseppe Tuccimei (Roma). Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico IV ELENCO DEI PRESIDENTI. SOCI PERPETUI Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. Torquato Taramelli 1891. Gaetano Giorgio Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini. Soci perpetui 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre istitutori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il 1 marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testa- mento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci per- petui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale del 14 settembre 1885. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’AdunanzugeneralediSavonail 15 settembre 1887. 4. Giovanni Capellini , senatore del Regno. È uno dei tre fonda- tori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nella Adunanza generale tenutasi in Taormina il 2 ottobre 1891. fi. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’Adunanza generale tenutasi a Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V Elenco dei Soci per l’anno 1895. (L’asterisco indica i Soci a vita). Anno di nomina 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Alessandri ing. Angelo. Piazzale Stazione 24. Bergamo. 1891. Ambrosiani dott. Michelangelo. Chignolo d’isola. (Ber- gamo). 1890. Amighetti dott. sac. Alessio. Collegio di Povere (Provin- cia di Bergamo). 1891. Angelelli ing. Ettore. Via Madonna de’ Monti 7. Roma. 1886. Antonelli dott. D. Giuseppe. S. Pantaleo 3. Roma. 1891. Armanelli prof. Giuseppe. R. Liceo. Novara 1889. Avanzati dott. Francesco. Piazza della Lizza. Siena. 1881. Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. 10 Baratta dott. Mario. Osservatorio geodinamico al Col- legio Romano. Roma. 1884. *Bargagli cav. Piero. Via de* Bardi , palazzo Tempi. Firenze. 1882. Bargellini prof. Mariano. R. Liceo. Siena. 1881. Bassani prof. Francesco. R. Università. Napoli. 1883. Beliucci prof. comm. Giuseppe. Università. Perugia. 1883. Benigni Olivieri dott. march. Oliviero. Ospedale S. Or- sola. Bologna. 1883. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano 43. Bologna. 1884. Biagi dott. Giuseppe. Badia Polesine (Rovigo). 1881. *Bombicci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. 1892. Bonarelli dott. Guido. Gubbio (Umbria). 1885. 20 Bonetti prof. Filippo. Via S. Chiara 57. Roma. 1885. Borgnini ing. conino. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. 1881. Bornemann dott. J. G. Eisenach (Germania). 1882. Botti avv. cav. Ulderigo. Reggio di Calabria. 1893. Botto Micca dott. Luigi. Via Accademia Albertina 21. Torino. 1891. Brigida avv. Giuseppe. Salita Pontecorvo 54. Napoli. VI ELENCO DEI SOCI 1884. Brugnatelli dott. Luigi. R. Università (Museo minera- logico). Roma. 1884. Bruno prof. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. 1887. Bruno dott. Luigi , Geometra. Ivrea. 1891. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. 1881. 30 * Bumiller ing. comm. Ermanno. Via Lorenzo il Ma- gnifico 12. Firenze. 1889. Cacciamoli prof. Giovanili Battista. R. Liceo. Brescia. 1882. Cafici barone Ippolito. Vizzini (Catania). 1882. Canavari prof. Mario. R. Museo geologico. Pisa. 1881. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda 7. Firenze. 1881. * Capellini prof. comm. Giovanni , Senatore del Regno. R. Università. Bologna. 1891. Cappa ing. Umberto. R. Corpo Miniere. Nebida (Iglesias). 1891. Carapezza ing. Emerico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. 1881. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 1883. Castelli dott. cav. Federico. Villa S. Michele. Via Roma. Porta maremmana. Livorno. 1882. 40 Cattaneo ing. cav. Roberto. Via Ospedale 50. Torino. 1890. Cermenati dott. Mario. Via di Parione 37. Roma. 1894. Cerulli Irelli Serafino. Via Milano 24. Roma. 1887. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt 25. Marsiglia. 1895. Chetassi prof. Italo. R. Scuola Normale. Aquila. 1882. Chigi Zondadari march. Bonaventura. Senatore del Regno. Siena. 1882. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). 1886. Clerici ing. dott. Enrico. Quattro Fontane 159. Roma. 1881. * Cocchi prof. cav. Igino. Via de’ Pinti 51. Firenze. 1883. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bo- logna. 1886. 50 Colale ing. Michele. Scuola mineraria. Agordo. 1894. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). 1894. Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda 34. Firenze. 1881. Cortese ing. Emilio. Cesena per Borello (Prov. Forli). 1890. Corti dott. Benedetto. Museo Civico. Milano. 1895. Crema ing. Camillo. Via Barctti 3. Torino. 1882. D'Achiardi prof. cav. Antonio. R. Università. Pisa. 1894. D'Achiardi dott. Giovanni. R. Museo Mineralogico. Pisa. 1885. D'Ancona prof. cav. Cesare. R. Istituto superiore (Museo geologico). Firenze. ELENCO DEI SOCI VII 4894. De Agostini dott. Giovanni. Via S. Zenobi 51. Firenze. 1883. 60 De Amicis prof. Giovanni Augusto. Via Sacchi 38. Torino. 1895. De Alessandri dott. Giulio. Piazza Castello 25. Torino. 1894. De Angelis D ’ Ossat dott. Gioacchino. R. Università. Roma. 4895. Deecke prof. Wilhelm. Università. Greifswald (Prussia). 4884. De Ferrari ing. Paolo Emilio. Contrada de’ Proti. Vicenza. 1894. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). 4883. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo. Palermo. 4884. *Delaire ing. cav. Alexis. Boulevard St. Germain 135. Parigi. 1886. Del Bene ing. Luigi. Miniera di Morgnano e S. Croce. Spoleto. 4881. Délgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus. Lisbona. 4886. 70 Dell'Erba ing. prof. Luigi. Via Trinità maggiore 6. Na- poli. 1890. *Dell'Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico 12. Milano. 1891. De Lorenzo dott. Giuseppe. Museo Geologico della R. Università. Napoli 4881. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. 4882. Demarchi ing. cav. Lamberto. Via Napoli 65. Roma. 4894. De Pian ing. Luigi. Massa Marittima (Grosseto). 1892. De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 4881. De Rossi prof. comm. Michele Stefano. Piazza d’Ara- coeli 47. Roma. 4889. Dervieux sac. Ermanno. Piazza Gran Madre di Dio 44. Torino. 1881. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco 2. Firenze. 1881. 80 Dewalque prof, uffic. Gustavo. Rue de laPaix47. Liége. 4883. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). 4885. Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 4893. Fabrini dott. Emilio. Castelfìorentino. 4894. Ferraris ing. comm. Erminio, Dirett. miniera di Mon- teponi. Iglesias. 4895. Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale 33. Torino. Vili ELENCO DEI SOCI 1887. Foldi prof. cav. Giuseppe. Savona. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via delle Lame 24. Bologna. 1881. Forsijth Major dott. Carlo Via Senese 4. Firenze. 1891. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico Roma. 1889. 90 Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele 397. Napoli. 1887. Frumento ing. Giuseppe. Via Genova 6. Savona. 1889. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1891. Galli prof. cav. D. Ignazio. Direttore dell’Osservatorio Fisico-Meteorologico. Velletri. 1890. Gavazzeni dott. sac. Bernardino. Celana Bergamasco (Bergamo). 1882. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. R. Univer- sità. Palermo. 1891. Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola tecnica. Como. 1893. Gioii dott. Giuseppe. S. Frediano a Settimo (Pisa). 1884. Gobboni dott. Omero. Città della Pieve 1886. Gozzi ing. Giustiniano. Cesena, 1892. 100 Greco dott. Benedetto. R. Museo geologico. Pisa. 1884. Gualterio dott. march. Carlo. Bagnorea. 1886. Gualterio ing. march. Giambattista. Bagnorea. 1881. * Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenntj. Università. Cambridge (Inghilterra). 1895. Incontri march. Gino. Via Giuseppe Giusti 20. Firenze. 1891. lnghilleri prof. Giuseppe. Corleone (Palermo). 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo 3. Genova. 1881. Jervis prof. cav. Guglielmo. Museo industriale. Torino. 1889. Johnston-Lavis dott. Henry. Beaulieu (Alpes Mariti- mes) Francia. 1883. Lais prof. p. Giuseppe. Via del Corallo 12. Roma. 1888. 110 Lanino ing. comm. Giuseppe. Via d’ Azeglio 38. Bologna. 1883. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale 96. Roma. 1891. Lavalle ing. prof. Giuseppe. R. Università. Messina. 1884. *Levat ing. David. Rue de Printemps 9. Paris. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’ Azeglio 7. Firenze. 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. 1893. Manzone prof. Faustino. R. Istituto Anatomico. Roma. 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo Civico. Milano. 1894. Marinelli Olinto. Piazza d’ Azeglio 12. Firenze. 1891. 120 Marinoni prof. can. Luigi. Lovere (Bergamo). ELENCO DEI SOCI IX 1881. Matleucci dott. Vittorio. Museo geologico della R. Uni- versità. Napoli. 1881. * Mattirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. -1881. 'Maijer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. Mazzetti dott. ab. Giuseppe. Via Correggi 5. Modena. 1881. Mazzuoli ing. cornili. Lucio. Via S. Susanna 9. Roma. 1881. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle 51. Roma- 1889. Melzi conte Gilberto. Monte Napoleone 36. Milano. 1885. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1894. 130 Mezzena ing. Elvino. Boccheggiano (Grosseto). 1882. Miniera di Libiola (Direzione). Sestri Levante. 1881. Missaghi prof. cav. Giuseppe. R. Università. Cagliari. 1895. Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1887. Morelli prof. 1). Niccolò. R. Museo geologico. Via S. Agnese 1. Genova. 1895. Morena ing. Tobia. Cantiano (Ancona). 1891. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morirti prof. Fausto. R. Università. Messina. 1886. Moschetti ing. Claudio. Sai uzzo. 1890. Namias dott. Isacco. R. Università (Museo di Minera- logia). Modi-ma. 1881. 140 Negri dott. Arturo. R. Università. Padova. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Quirino Visconti. Roma. 1881 *Niccoli ing. comm. Enrico. R. Corpo delle Miniere. Bologna. 1883. Niccolini ing. march. Giorgio. Via Scialoja 19. Firenze. 1881. Nicolis ( De ) cav. Enrico. Corte Quaranta Verona. 1888. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1883. Olivero tenente generale comm. Enrico. Via Venti Set- tembre 69. Torino. 1881. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. 1881. Pantanelli prof. Dante. R. Università. Modena. 1881. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico (Pa- lazzo Carignano). Torino. 1892. 150 Patroni dott. Carlo. Anticaglia 24. Napoli. 1882. *Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1881. Pélagaud dott. Eliseo. 15 Quai de l’Archevèché. Lyon. 1881. Pellati ing. comm. Niccolò. R. Ufficio geologico. Roma. X ELENCO DEI SOCI 4893. Peola dott. Paolo. Museo Civico Craveri. Bra (Cuneo). 4891. Platania-Platania dott. Gaetano. Aci-Reale. 4882. Piatti prof. Angelo. Desenzano sul Lago. 4881. Pirona prof. comm. Giulio Andrea. Via del Sale 24. Udine. 4881. Pompucci ing. Bernardino. Pesaro. 4894. Porro ing. Cesare. Via Passione 4. Milano. 4891. 160 Ragazzi dott. Vincenzo. R. Università. Modena. 4883. Rag nini dott. Rojnolo. Capitano medico 74° reggimento fanteria. Vercelli. 4893. Ricci dott. Francesco. S. Domenico di Fiesole (Firenze). 4886. Ricciardi prof. Leonardo. R. Istituto tecnico. Girgenti. 1893. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 4885. Ristori dott. Giuseppe. R. Museo palentologico (Piazza S. Marco). Firenze. 4892. Riva Carlo. Corso Magenta 52. Milano. 4883. Riva Palazzi maggior generale Giovanni. Comandante la Brigata Basilicata. Novara. 4890. Roncalli dott. conte Alessandro. Bergamo (alta Città). 4895. Rosselli ing. Emanuele Via del Fosso 4. Livorno. 4892. 170 Rossi Guido. Via Privata (Porta Salaria) 42. Roma. 4893. Rovello cav. ing. Alberto. Via Maria Vittoria 52. To- rino. 4892. Rovereto march. Gaetano. Salita Rondinella 3. Genova. 4892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Prov. di Como). 4884. Sacco prof. Federico. R. Museo geologico (Palazzo Ca- rignano). Torino. 4884. Samojragln ing. Francesco. Via Monte di Pietà 9. Milano. 4894. Sabatini ing. Venturino. R. Ufficio geologico. Roma. 4889. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli 19. Napoli. 4881. Scar abelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. 4884. Schneider ing. Aroldo. Montecatini in Val di Cecina. 4891. 180 Schopen dott. Luigi. R. Università (Museo geologico). Palermo. 4895. Scott Herbert. 15, Ashmed Road Si. John’s. Londra S-E. 4884. Segrè ing. Claudio . Direzione ferrovie meridionali. Ancona. Sella ing. Corradino. Deputato al Parlamento. Biella. 4885. ELENCO DEI SOCI XI 1893. Sella ing. Erminio. Biella. 1882. * Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi 4. Bologna. 1883. Simonelli dott. Vittorio. R. Museo geologico. Bologna. 1881. Simoni dott. Luigi. Via Cavaliera 9. Bologna. 1882. Sorniani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1883. Speranzini prof. Nicola. Arcevia (Ancona). 1882. 190 Spezia prof. cav. Giorgio. R. Università. Torino. 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Via dell’Anima 17. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1886. * Stephanescu prof. Gregorio. Università. Bukarest (Ru- mania). 1882. Struver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1881. Taramelli prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1883. Téliini dott. Achille. R. Istituto fpcnico. Udine. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno 41. Napoli. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Deputato al Parlamento. Via Rasella 157. Roma. 1889. 200 Toldo dott. Giovanni. R. Scuola tecnica. Legnago. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1892. Torrigiani march. Luigi. Palazzo Torrigiani. Firenze. 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1892. Traverso ing. Stefano. Via Caffaro 13. Genova. 1893. Traverso ing. comm. Giovanni Battista. Via Girandi 4. Alba (Piemonte). 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dell’Anima 59. Roma. 1882. * Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. 1893. Uzielli Guido. Piazza d’Azeglio 26. Firenze. 1881. 210 Uzielli prof. Gustavo. Viale Michelangelo 1 bis, Villa Nobili. Firenze. 1883. Valenti prof. Esperio. Imola. 1882. Verri colonnello cav. Antonio. Direzione territoriale del Genio militare. Perugia. 1890. Vigliarolo prof. Giovanni. Salita Pontecorvo 22. Na- poli. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. S. Benedetto. Cascina (Pisa). 1893. XII ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. 1882. Virgilio dott. Francesco. R. Museo di geologia (Palazzo Carignano). Torino. 1881. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Corpo delle Miniere. Carrara. 1881. 217 Zezi ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche, ecc. che ricevono il Bollettino in cambio [c.J o in omaggio [d.]. Accademia Gioenia di scienze, lettere , ecc. Catania, [c.] Accademia (R.) dei Lincei. Roma, [c.] Accademia (R.) Petrarca. Arezzo, [d.] Biblioteca Civica. Bergamo, [d.] Biblioteca Civica. Catanzaro (Calabria), [d.j Biblioteca Civica. Terni, [d.] Biblioteca Civica Comunale. Vicenza, [d.] Biblioteca Comunale. Arezzo, [d.] Biblioteca Comunale. Rimini, [d.] Biblioteca Comunale. Savona, [d.] Biblioteca Comunale. Termini-lmerese (Palermo), [d.] Biblioteca del Club alpino. Savona. [d.J Biblioteca della Repubblica. S. Marino, [d.] Biblioteca del Ministero di Agricoltura, Ind. e Comm. Roma, [d.] Biblioteca Universitaria R. Università. Bologna, [d.] Comitato (R.) geologico. Roma, [d.] Società Economica. Savona, [d.j Società geografica italiana. Roma, [c.] Società Ingegneri ed Architetti. Roma, [c.] Académie des Sciences. Cracovia, [c.] Bureau géologique roumain. Bukarest (Rumenia). [c.] Comité géologique. Institutdes mines. S*. Pétersbourg (Russia), [c.] Comptoir géologique. Docteur Dagincourt . Paris, [c.] Deutsche geologische Gesellschaft. Berlin, [c.] ELENCO DELLE SOCIETÀ, ISTITUTI, BIBLIOTECHE ECC. XIII Direction des Travaux géologiques. Lisbona (Portogallo), [c.] Geological (thè) Society. London, [c.] Geological (thè) Society of America. Rochester (New-York). U. S. America, [c.] Geological (thè) Society of India. Caleatta (India), [c.] Geological Survey of New South Wales. Sydney (Australia), [c.] Instifuto geogràfico argentino. Buenos-Ayres. [c.] K. k geologischen Landesansta.lt und Bergakademie. Berlin, [c.] K. k. geologiche Reichsanstalt . Wien. [c.] K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. Geolog. und palaeont. Ab- theilung. Wien. [c.] Magyarorsggi Karpategyesulet. Lòcse (Ungheria), [c.] N aturforschende Gesellschaft. Freiburg (Baden). [c.] Naturhistorischen Verein d. preuss. Rheinlande und Westfalens. Bonn am Rhein (Germania), [c.] Royal Institut géologique de Hongrie. Budapest (Ungheria), [c.] Royal (thè) Dublin Society. Dublino (Irlanda), [c.] Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d'Hydrologie Bru- xelles. [c.J Société des naturalistes. S‘. Pétersbourg (Russia), [c.] Société géologique de Belgique. Liége (Belgio), [c.] Société géologique de France. Paris, [c.] Société Linnéenne. Bordeaux (Francia), [c.] Société rogale malacologique de Belgique. Bruxelles (Belgio), [c.] United (thè) States geological Survey. Washington (U. S. Ame- rica). [c.] Université rogale. Upsala. [c.] University of Visconsin (U. S. America), [c.] SUI POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ERUTTATE A GRANDI PROFONDITÀ NEI MARI Nota di Carlo De Stefani. L’idea che le roccie eruttive la quali sgorgano sotto il mare nelle grandi profondità abbiano caratteri diversi dalle roccie vul- caniche subaeree è fra quelle comunemente adottate per ispiegare la natura di certi terreni, specialmente antichi, ai quali si crede non trovare analogie nei vulcani odierni. Niuno però ha tentato addentrarsi nella questione. Lo sperimento varrebbe molto più dello studio, tanto più che parecchie circostanze da esaminarsi sfuggono a dirittura ad un calcolo preciso. Però alcune osserva- zioni teoretiche sono più che sufficienti per condurre a conclusioni diverse da quelle forse comunemente sospettate (')• Sotto tre aspetti, parmi, sono ad indagare le possibili diver- sità fra le lave subaeree e quelle subacquee; cioè dal punto di vista dell’acqua che contengono, dei vetri che vi si possono for- mare e della cristallizzazione loro. I. Acqua contenuta nelle lave. Non si sa con precisione assoluta quale sia la temperatura di fusione delle varie lave (2). P) Debbo ringraziare l’ ing. A. Zanni ed il professore Marangoni per consigli, libri e calcoli che mi hanno favorito. (2) Solo il Bartoli ha fatto alcuni esperimenti sulla temperatura delle lave basaltiche dell’Etna (’). Si ritiene che i basalti, i più fusibili tra le lave, fondano a 2000° Fahr. o 1093° C. (2). Il sig. Francesco Ricci, mio allievo, per gentile permesso del (') Bartoli A., Sulla temperatura delle lave dell'attuale eruzione del- l'Etna (Boll. Acc. Gioenia. Catania, 1892, p. 2). (2) Dana J., Characteristics of volcanoes. London, 1890. 2 CARLO DE STEFANI Ogni lava che viene verso la superficie contiene in istato di diffusione molecolare dei gas, ma sopra tutto dell'acqua allo stato aeriforme, i quali, svolgendosi a deboli pressioni e mentre la roccia sollecitamente si raffreddi, possono produrre delle bollosità. L’acqua rinchiusa nelle lave, alle grandi temperature dei fo- colari vulcanici dovrebbe decomporsi nei suoi elementi; però la pressione esistente nelle profondità si oppone alla decomposizione (!); se questa ha luogo si può verificare soltanto non lungi dalla su- perficie, quando le pressioni diminuiscono ed alle temperature fra marchese Ginori, cui rendo vivissime grazie, intraprese, nel 1889, alle For- naci di Doccia, alcuni esperimenti, col metodo calorimetrico, sul grado di fu- sibilità di alcuni dei principali componenti le varie lave. Però, causa alcune imperfezioni nella difficile serie degli esperimenti e dei calcoli, imperfezioni che del resto credo si sarebbero potute vincere non potè giungere a conclu- sioni esatte, e sospese il lavoro (1). Poco di poi vidi che il problema aveva richiamato le cure della sezione fisica dell’Istituto geologico degli Stati Uniti d’America, ed il Barus, appartenente alla detta sezione, pubblicò un volume, proponendo un nuovo metodo per determinare con esattezza le temperature più elevate (2), scoglio che ha reso impossibile fin qui gli studi precisi sulle temperature di fusione di quasi tutti i minerali. Più tardi il Joly, assistente alla cattedra di fisica a Cambridge, pubblicò una nota, nella quale annuncia aver determinato, con un metodo affine a quello del Barus, il grado di fusione di parecchi minerali (3). Però questa nota presenta qualche appiglio ad incer- tezze. Io sono tuttora di parere che il metodo più rigorosamente scientifico sia quello calorimetrico. La viscosità e la scorrevolezza delle lave cominciano qualche centinaio di gradi prima della completa fusione, secondo le esperienze del Ricci e di altri, e dopo la fusione seguitano fino a temperature più basse di quelle che erano necessarie anteriormente ad ottenere il medesimo stato fisico (Barus) ; d’altronde per avere una eruzione lavica alla superficie può bastare che sia fuso alcuno dei principali componenti della lava. (!) Schroeder, Poggendorf Annalen, voi. 129, p. 493. Le esperienze del Cailletet (Pfaff, Allgemeine Geologie als exacte JVis- senschaft, p. 308) e del Sorby (0. Lehmann, Molekularphysik, voi. I, p. 814) mostrano pure che se una reazione chimica produce aumento di volume, la pres- sione si oppone alla medesima, e viceversa. (!) Ricci F., Introduzione alla ricerca del punto di fusione dei mine- rali componenti le lave recenti. Firenze, Ciardelli, 1893. (2) Barus C., On thè thermo-electric measurement ofhigh temperatures (Bull, of thè U. S. geol. Survey, n. 54, 1889). (3) Joly J„ On thè determination of thè melting point of minerals. Part I (Proc. of thè R. Irish Ac. Dublin S. III, voi. Il, p. 38). SI I POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECO. 1500° e 2000° C. quali sono proprie di molte lave trachitiche. Alla sua volta, quando la temperatura si abbassa, l'acqua si ricosti- tuisce. Ciò, s’intende ha luogo oltre ai fenomeni chimici che so- gliono accompagnare la presenza dell'acqua. Ad ogni modo, qualunque sia la pressione, a temperature su- periori al punto critico, come sono sempre quelle delle lave, vale a dire sopra 365°, l'acqua non può mantenersi liquida ma si tra- sforma nello stato di gas incompressibile. Al ribassare delle pressioni, l’acqua allo stato di gas, come è ordinariamente nelle lave, ovvero, sotto 340°, allo stato liquido nelle lave il cui raffreddamento è molto avanzato, si trasforma in vapore acqueo, e questo, allorché le lave giungono alla superficie terrestre, si svolge. Se la lava non viene all’aperto ma si raffredda sotto ragguardevole pressione, le particelle acquose condensate ri- mangono distribuite nell'interno dei cristalli ed in tutta la roccia dove verranno scoperte dall’analisi chimica e microscopica. Che avverrà di queste particelle acquee diffuse nella lava quando essa sgorghi sotto il livello del mare? Se la pressione del- l’acqua è sufficente a bilanciare la tensione del vapore o del gas acqueo diffuso nella lava, questo, nel momento della eruzione non potrà svolgersi, e mentre la lava si raffredderà senza diventare bollosa e scoriacea, dovrà restare chiuso sotto forma di molecole acquee. Resta a vedere (]) se questa ipotesi si possa verificare. Per cercare anzitutto quale sia la pressione in atmosfere, secondo la O Supponiamo un’eruzione che abbia luogo a mille metri di profondità nel mare alla latitudine di 45°. Una colonna d’acqua distillata di m. 10,35, a -f- 4° C., alla latitudine di 45° ed al livello del mare, bilancia la pressione d’un’atmo- sfera; sicché una colonna di 1000 m. d’acqua dolce darebbe una pressione di 96,80 atmosfere. Però l’acqua dell’oceano ha un peso specifico maggiore del- l’acqua distillata ed equivalente in media a 1,026; pei" la qual cosa la pres- sione di 1 atmosfera è prodotta da m. 10,068 di acqua marina e il peso della detta colonna di 1000 m. e la pressione conseguente vanno aumentati di “/ìooo. e ne risulterebbe a 1000 m. sotto il mare la pressione di 99,3168 atmo- sfere. Per maggiore esattezza si può tener conto ancora del coefficente di compressibilità lineare dell’acqua. Il (trassi (*), le cui osservazioni hanno retto (*) Regnault, Relation dea expériences entreprises pour déterrniner les lois et les constant e qui interviennent dans le calcul dea machines à vapeur, T. I, et Mémoires de l’Acade'mie des Sciences, T. XXI, p. 429, 1847. — Grassi, Recherches sur la compressibilité des liquides (Annales de Chimie et de Physique, 1851, S. 3a, T; XXXI, p. -137). 6 C. DE STEFANI tensioni dell'acqua allo stato di gas itncompressibile, a tempera- ture superiori a quella critica, ciò che principalmente sarebbe ne- cessario pei casi nostri ('). Le forinole del Magnus (-), del Clausius, del Tredgold (3), del (*) Con l’esperimento il Regnault (loc. cit.) 43 anni fa, determinò le tensioni massime del vapore corrispondenti alle temperature contigrade da -f- 32° a -j- 230°, alla quale ultima temperatura corrisponde la pressione di circa 27 atmosfere. Arago e Dulong con altri esperimenti osservarono che alla temperatura di 265, 88° C. il vapore acqueo ha la tensione di 50 atmosfere. Cailletet c Colardeau osservarono la tensione a temperature più alte, fino alquanto sopra al punto critico (L- Per calcolare le tensioni a tutte le temperature più basse, intermedie a quelle osservate, si sono proposti i metodi dell' interpolazione grafica e pa- recchie formole, fondate sul fatto, già notato dall’August, che la tensione del vapore acqueo aumenta quasi (non però esattamente) in progressione geome- trica, quando la temperatura aumenta in ragione aritmetica (2). Le curve rap- presentate dalle varie equazioni ipotetiche, fuori del tratto che si fonda sul- 1’ esperimento, non solo divergono dalla vera curva di elasticità del vapore ad altissime temperature, ma divergono fra loro ; p. e. l’Avenarius sulle os- servazioni del Regnault aveva stabilito a 700 C. la temperatura critica dell'acqua che è invece sotto 400 0.: così pure cercando la tensione a 1000 atmosfere colle differenti formole si otterrebbero differenti risultati. La formola del Pea- coch a 2000 Fahr. (1093, 33 C.) darebbe la tensione di poco più che 22918 atmosfere. Inoltre le dette formole, anche per le basse temperature, sono applicabili al vapore acqueo puro e semplice. Babo (Bericbte der Freiburgen naturforsch. Gesellschaft, t. XVII) e Wùllner (Poggendorf, Annal. t. GLI), p. 129, hanno trovato che la tensione del vapore emesso dalle soluzioni saline è inferiore, a pari temperatura, a quella che ha il vapore emesso dall’acqua pura: ciò che però non ha luogo per le soluzioni di saimarino. Ora il vapore emesso dalle lave non contiene solo cloruro di sodio, ma ordinariamente anche altri sali, i quali possono rendere la tensione molto minore, sebbene non si possa cal- colare di quanto, causa le infinite circostanze che ci sfuggono. (2) Poggendorf, Annal., T. LXI. (3) Tredgold, Traité des machines à vapeur, p. 101. (!) Cailletet L. et Colardeau E., Recherches sur les tensions de la vapeur d'eau saturée jusquau point critique et sur la détermination de ce point critique (C. R. Tome 112, 1891 p. 1170). (2) Vedi anche una formola affatto empirica di Peacock R. A., Saturateti steam thè motive power in Volcanoes and Earthquakes. Ed. 2, London, Spon, 1882, p. 5, 109, 119, 196. SUI POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECC. Biot, dell’Antoine (') etc. e le curve del Regna ult determinanti la tensione del vapor d'acqua, sono utili solo per le temperature inferiori al punto critico. Ignorando l'equazione della vera curva che regola l'aumentare delle tensioni per le altissime temperature e sostituendo l'equazione di una delle curve proposte per le temperature basse noi supporremmo che la curva delle temperature più alte coincidesse in tutto con quest’ultima, mentre coincide solo per una parte della medesima che perciò non può dare alcuna regola. Però da quanto si conosce della termodinamica possiamo affermare che le tensioni au- mentano in proporzioni molto più rapide di quella delle. tempera- ture, e si può ritenere che la temperatura dei vapori contenuti nelle lave sia più che sufficente a far vincere la pressione opposta dall’acqua marina, a permettere lo svolgimento dei medesimi, ed a lasciar le lave bollose se queste si raffreddano sollecitamente. Infatti furono veduti sovente nelle eruzioni sottomarine svol- gersi vapori alla superficie del mare, ed anche dai mari profon- dissimi sorgere e galleggiare pomici e scorie prodotte dalle eru- zioni sottomarine, e scoppiar lave lanciate alla superficie, sper- dendo vapori, come nell’ultima eruzione di Pantelleria (2). Cono- sciamo pure lave sottomarine, però superficiali, scoriacee e bollose. Per la qual cosa si avranno nelle lave in fondo ai mari i mede- simi fenomeni che alPaperto. Possiamo concludere dunque che, nelle eruzioni sottomarine il vapore acqueo si svolge dalle lave quand’ anche non giunga all’ atmosfera. Però negli ultimi stadi del raffreddamento della lava, la ten- sione del vapore acqueo diventerà insufficente, alquanto più presto che nell' atmosfera, e tanto più quanto maggiore sarà la profondità del mare, sicché le lave possono rimanere meno scoriacee e bollose, anche per l'ostacolo che la pressione oppone al loro rigonfiamento. I criteri per giudicare le altre circostanze sono ancor meno sicuri: pur esamineremo quel che possa avvenire circa alla trasfor- mazione delle lave in materie vetrose. (*) (*) Comptes-rendus CVIT, 1888, p. 681. 778, 836. (2) Riccò A., Terremoti, sollevamento ed eruzione sottomarina a Pan - telleria (Annali déU’Uff. Centrale di Met. e Geodinamica, Serie II, parte III, voi. 9, 1889. Roma, 1892. 6 C. DE STEFAM tensioni dell'acqua allo stato di gas imcompressibile, a tempera- ture superiori a quella critica, ciò che principalmente sarebbe ne- cessario pei casi nostri ('). Le forinole del Magnus (-), del Clausius, del Tredgold (3), del (*) Con l’esperimento il Regnault (loc. cit.) 43 anni fa, determinò le tensioni massime del vapore corrispondenti alle temperature contigrade da -(- 32° a -f- 230°, alla quale ultima temperatura corrisponde la pressione di circa 27 atmosfere. Arago e Dnlong con altri esperimenti osservarono che alla temperatura di 265, 88° C. il vapore acqueo ha la tensione di 50 atmosfere. Cailletet o Colardeau osservarono la tensione a temperature più alte, fino alquanto sopra al punto critico (*)• Per calcolare le tensioni a tutte le temperature più basse, intermedie e, quelle osservate, si sono proposti i metodi dell’ interpolazione grafica e pa- recchie formole, fondate sul fatto, già notato dall’August, che la tensione del vapore acqueo aumenta quasi (non però esattamente) in progressione geome- trica, quando la temperatura aumenta in ragione aritmetica (2). Le curve rap- presentate dalle varie equazioni ipotetiche, fuori del tratto che si fonda sul- 1' esperimento, non solo divergono dalla vera curva di elasticità del vapore ad altissime temperature, ma divergono fra loro ; p. e. l’Avenarius sulle os- servazioni del Regnault aveva stabilito a 700 C. la temperatura critica delTacqmi che è invece sotto 400 C. : così pure cercando la tensione a 1000 atmosfere colle differenti formole si otterrebbero differenti risultati. La forinola del P^a- coch a 2000 Fahr. (1093, 33 C.) darebbe la tensione di poco più che 22918 atmosfere. Inoltre le dette formole, anche per le basse temperature, sono applicabili al vapore acqueo puro e semplice. Babo (Berichte der Freiburgen naturarseli. Gesellschaft, t. XVrlI) e Wiillner (Poggendorf. Annal. t. Olii), p. 129, hanno trovato che la tensione del vapore emesso dalle soluzioni saline è inferiore, a pari temperatura, a quella che ha il vapore emesso dall’acqua pura: ciò che però non ha luogo per le soluzioni di saimarino. Ora il vapore emesso dalle lave non contiene solo cloruro di sodio, ma ordinariamente anche altri sali, i quali possono rendere la tensione molto minore, sebbene non si possa cal- colare di quanto, causa le infinite circostanze che ci sfuggono. (2) Poggendorf, Annal., T. LXI. (3) Tredgold, Traité des Machines à vapeur, p. 101. P) Cailletet L. et Colardeau E., Recherches sur ies tensions de la vapeur d'eau saturée jusquau point critique et sur La détermination de ce point critique (C. R. Tome 112, 1891 p. 1170). (2) Vedi anche una forinola affatto empirica di Peacock R. A., Saturateci steam thè motive power in Volcanoes and Earthquakes. Ed. 2, London, Spon, 1882, p. 5, 109, 119, 196. SUI POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECC. Biot, dell’Antoine (’) etc. e le curve del Regna ult determinanti la tensione del vapor d’acqua, sono utili solo per le temperature inferiori al punto critico. Ignorando l’equazione della vera curva che regola l'aumentare delle tensioni per le altissime temperature e sostituendo l’equazione di una delle curve proposte per le temperature basse noi supporremmo che la curva delle temperature più alte coincidesse in tutto con quest’ultima, mentre coincide solo per una parte della medesima che perciò non può dare alcuna regola. Però da quanto si conosce della termodinamica possiamo affermare che le tensioni au- mentano in proporzioni molto più rapide di quella delle. tempera- ture, e si può ritenere che la temperatura dei vapori contenuti nelle lave sia più che sufficente a far vincere la pressione opposta dall’acqua marina, a permettere lo svolgimento dei medesimi, ed a lasciar le lave bollose se queste si raffreddano sollecitamente. Infatti furono veduti sovente nelle eruzioni sottomarine svol- gersi vapori alla superfìcie del mare, ed anche dai mari profon- dissimi sorgere e galleggiare pomici e scorie prodotte dalle eru- zioni sottomarine, e scoppiar lave lanciate alla superficie, sper- dendo vapori, come nell’ultima eruzione di Pantelleria (2). Cono- sciamo pure lave sottomarine, però superficiali, scoriacee e bollose. Per la qual cosa si avranno nelle lave in fondo ai mari i mede- simi fenomeni che all’aperto. Possiamo concludere dunque che, nelle eruzioni sottomarine il vapore acqueo si svolge dalle lave quand’ anche non giunga all’ atmosfera. Però negli ultimi stadi del raffreddamento della lava, la ten- sione del vapore acqueo diventerà insufficente, alquanto più presto che uell'atmosfera, e tanto più quanto maggiore sarà la profondità del mare, sicché le lave possono rimanere meno scoriacee e bollose, anche per l’ostacolo che la pressione oppone al loro rigonfiamento. I criteri per giudicare le altre circostanze sono ancor meno sicuri; pur esamineremo quel che possa avvenire circa alla trasfor- mazione delle lave in materie vetrose. (1) Comptes-rendus CVIf, 1888, p. 68!, 778, 836. (2) Riccò A., Terremoti, sollevamento ed eruzione sottomarina a Pan- telleria (Annali déll’Uff. Centrale di Met. e Geodinamica, Serie II, parte III, voi. 9, 1889. Roma, 1892. 8 C DE STEFANI II. Formazione (lei vetri. La vetrificazione è il consolidamento di un corpo nel quale le forze molecolari cristallogeniche non hanno avuto tempo di ma- nifestarsi completamente. § 1. Rapidità del raffreddamento. Perciò una circostanza è assolutamente indispensabile alla formazione del vetro; vale a dire un raffreddamento sollecito, ossia la perdita di una massima quantità di calore in minimo tempo, si che ne venga impedita l’opera delle forze molecolari. Ciò fu riscontrato anche mediante resperimento, fin dai principi del se- colo, da Hall e Kennedy a Edimburgo. Le lave inoltre, vetrificandosi, perdono il vapore acqueo. L’osservazione ci dice che le lave subaeree divengono vetrose a contatto coll’atmosfera o, sebbene in modo assai più limitato, a contatto immediato colle roccie fredde sulle quali scorrono. Inoltre sono maggiormente soggette a diventare vetrose le lave fusibili solo alle più alte temperature, perciò fornite, quando sorgono, di mag- giore eccesso di temperatura sull’ ambiente, e più suscettibili di perdere con maggior velocità maggiori quantità di calore, come sono appunto le lave sanidiniche o leucitiche, assai più facilmente delle lave basiche, labradoritico-augitiche. Masse vetrose ragguardevoli non se ne formano ordinariamente nell’ interno delle lave dove il raffreddamento ha luogo con assai maggiore lentezza pella cattiva conducibilità del primo manto di lave consolidate esteriormente. Vediamo ora quello che possa accadere delle lave le quali entrano in mare o vi fanno eruzione a piccole profondità. La velocità del loro raffreddamento ha luogo in funzione d’una quantità di elementi variabili, alcuni dei quali difficilissimi a cal- colarsi. Una gran parte di essi, fra gli altri tutti quelli insiti alle lave, possono essere identici, sia ch’esse sorgano nell’aria sia nel- l'acqua, perciò non produrrebbero alcuna differenza nei risultati. Esa- miniamo perciò le variazioni degli elementi insiti negli ambienti e costituenti le differenze fra essi. I. La quantità di calore raggiante dalla lava è tanto mag- giore quanto più alto è il divario di temperatura fra essa e l’am- SUI POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECO. 9 biente, e secondo la legge di Stefan è proporzionale alla 4a po- tenza della temperatura assolata (’). Secondo la legge del Clausius (-) il potere emissivo di un corpo è proporzionale al quadrato dell'indice di retrazione dell’ ambiente nel quale ha luogo l'irraggiamento. L’indice di retrazione dell’aria è 1,000294; quello dell’acqua distillata è 1,336000. L’indice del- l’acqua di mare, secondo le esperienze fatte da Soret e Sarasin sull’acqua del Mediterraneo a 4 chilom. da Nizza (3), è più grande di 0,00691 a 0,00756 o in media di 0.007235; è cioè circa 1,343235. Esso è leggermente più alto per le acque più salate; anzi l'Hilgard dall'indice di retrazione dell’acqua di mare crede si possa dedurre con approssimazione di circa 0,00006 la densità della medesima (4). Come peli’ acqua distillata, l'indice dell’acqua di mare varia colla temperatura, diminuendo alquanto al crescer di questa ; p. es. secondo Soret e Sarasin diminuisce in media di 0,00085 passando da 10° a 20°. Chiamando dunque e = 1 il po- tere emissivo nell’aria, ex il potere emissivo nell'acqua, v l'indice di retrazione dell’aria = 1,000294, vx l’indice dell’acqua di mare v 2 = 1. 343235 , si ha el = e ; cioè il potere emissivo nell’acqua sarà 1,34284 o in altre parole sarà di 34284 100000 o di appena più che un terzo maggiore nell'acqua marina che nell’aria. Questo po- tere emissivo ed il conseguente irraggiamento della lava, legger- mente maggiori nei bacini più salati, e maggiori nel mare che nei laghi, andranno diminuendo col crescere della temperatura del- l'acqua ambiente a contatto della lava. Però questa diminuzione che sarà quasi insensibile per dato e fatto della variazione del- l'indice di retrazione, sarà ragguardevole pel successivo diminui- mento del divario di temperatura. (*) (*) Wiillner, A. Lehrbuch der Experimentaìphysik, ed. IV, 1885, voi. Ili, p. 316. (2) Abhandlungen ùber die meckanische Wàrmetheorie, Abth. Vili, (Poggendorf. Ann. Bd. CXXI). (3) Soret J. L. et Sarasin Ed. Sur Vindice de refraction de Veau de mer (Archives des Se. phys. et nat., Ili, T. XXI, 1889). (4) Sigsbee C. D., Deep sea sounding and dredging (U. S. C'oast and geodesie Survey, 1880, p. 101). 10 C. Dii STKFAM IL A ragguardevoli differenze conduce pure la perdita di ca- lore per conducibilità. La conducibilità assoluta dell'aria e quella dell’acqua sono minime; però è assai maggiore quella dell’acqua. Questa, deducendola dai lavori del Lundquist (’) è 0,0933; quella dell'acqua salata a 1,178 di densità è 0,0895. la qual cosa ci fa ritenere che l’acqua marina deve avere conducibilità assoluta di qualche millesimo minore dell’acqua dolce, d'accordo colle osser- vazioni di Paalzow e di Weber, non però con quelle di Guthrie e di Winkelmann, secondo i quali le soluzioni salate avrebbero conducibilità maggiore dell’acqua pura. La conducibilità dell'aria secondo il Winkelmann è 0,0000525, vale a dire 1775 volte mi- nore di quella dell’acqua: però l'aria, variabilmente fornita, come sempre avviene, di vapore acqueo, ha, secondo tutte le osservazioni, conducibilità di 5 o 6 volte maggiore, quindi differenze alquanto minori dell’acqua. La conducibilità varia assai secondo la tempera- tura. aumentando coll'alzare di questa, per ciò inversamente all’ir- raggiamento, e varia meno secondo la pressione; ma l’effetto di tali variazioni è ordinariamente piccolo, attese le piccole differenze di densità e le ristrette variazioni di temperatura di cui può es- sere suscettibile l’acqua oceanica. In conclusione, a cagione della differenza grandissima di conducibilità, un corpo si raffredda 1175 volte più presto nell’acqua che nell’aria, sebbene, d’ altronde, le quantità assolute di calore perdute nell’ acqua per conducibilità, siano ancora troppo piccole per avere come conseguenza un raffred- damento repentino ed una conseguente vetrificazione. V'ha ancora questa differenza fra l’irraggiamento e la con- ducibilità nell'aria e nell'acqua, che cioè, supposto la lava non riceva nuove quantità di calore, le quantità di calore irraggiate variano in funzione dei tempi secondo la forinola empirica di Dulong e Petit; sicché le differenze dell’irradiamento fra l’acqua e l'aria si vanno ravvicinando a zero, mentre le differenze dovute alla con- ducibilità restano sempre ragguardevoli (2). (*) Wiillner, 1. c., voi III, p. 316 (*) Volendo rappresentare la perdita di calorie x per effetto dell’irrag- giamento e della conducibilità sopra un numero s di cent. q. di superficie della lava, in un numero t di secondi nell’aria a e nell’acqua si ha (d) a = nx -(- 0,0000525 ts ai = nx + Y+ 0,0933000 ts (e) SUI POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECO. 11 III. L'eccesso di temperatura è elemento di grande impor- tanza in quanto sia insito alle lave. Per quella parte che dipende dall'ambiente non esisteranno differenze essenziali tra l’acqua e l'aria. Però la temperatura di quest’ ultima può variare da molti gradi sotto zero ad una quarantina e più sopra, mentre la tem- peratura dell’acqua nei mari varia entro limiti ristrettissimi com- presi naturalmente entro i limiti normali di variazione dell’aria. Infatti le temperature dei mari sono comprese fra — 3°. 67 circa, punto di congelamento medio dell’acqua salata e 32°. Inoltre nelle profondità, salvo nei mari interni, l’acqua marina ha dovunque temperature bassissime, fra -f- 2° e — 2° e densità massima, quale essa ha a temperature sempre più basse dell’ acqua dolce (Q; perciò lasciando i lievissimi aumenti iniziali dell’ irradiamento e della conducibilità dovuti alla variazione della densità, si ha il fatto che l'eccesso di temperatura e la velocità di raffreddamento riman- gono maggiori nelle acque dei mari profondi che nell’aria, nella quale temperature così basse si hanno normalmente solo verso le regioni polari o nelle montagne più alte. 1Y. Sono pure a tenersi in conto le correnti di trasporto pro- dotte dal riscaldamento e dalla conseguente variazione di densità dell'ambiente a contatto della lava. Esse dipendono da molti ele- menti diversi, il cui effetto totale non si può valutare col cal- colo senza l’ esperimento. Questi elementi sono cioè, il potere emis- sivo delle lave; il potere assorbente dell’ambiente; la capacità ter- mica di questo; il coeflicente di dilatazione di esso; la resistenza del mezzo che è proporzionale al peso specifico; l'attrito interno (2). donde si vede che ad ogni secondo e per ogni cent. q. la lava emette nel- l’acqua un terzo più di calorie per irraggiamento e calorie 0,0932475 di più per conducibilità, che nell’aria; in altre parole, a circostanze pari, la stessa quantità di calore viene perduta, per irraggiamento, con velocità d'un terzo maggiore nell’acqua che nell’aria, per conducibilità con velocità di 1175 volte maggiore nella prima che nella seconda. (‘) Lenz S., Ueber die thermische Ausdehnung des Meerivasser aus den Deobachtungen des Herrn Reszoiv berechnet (Mém. de l’Ac. de Saint Peters- bourg, S. VII, T. XXIX, 1881). (2) a) Potere emissivo delle lave. Si è visto che è un terzo maggiore nell’acqua che nell’aria, che è mag- giore nelle acque più salate e che diminuisce un po’ col crescere della tem- peratura dell’acqua. Supponendo che le correnti mancassero, l'ambiente a contatto acquisterebbe sollecitamente temperatura uguale alle lave, in fim- h) Potere assorbente dell'ambiente. L’acqua assorbe l’intero calore irradiato e più prestamente l’assorbe se è acqua marina, e quando è compressa cioè nelle profondità. Invece la quantità di calore radiante che l’aria assorbe è piccolissima, circa del 12 p. 100; mentre è rag- guardevole, più che in tutti gli altri gas finora sperimentati, quella ch’essa lascia passare. Secondo il Magnus ('), alla pressione di un’atmosfera, quella quantità è dell’88 p. 100. A vero dire, quando l’aria è fornita di vapori e di altri gas, la qual cosa è generale in ogni eruzione subaerea, l’assorbimento può essere quasi completo anche nell’aria, ma in strati sufficentemente lontani dal con- tatto colla lava. Queste due circostanze le quali tenderebbero al maggiore riscaldamento dell’acqua, parrebbe dovessero rendere più veloci le correnti in essa che nell’aria. c) Capacità termica. Perù la capacità termica dell' acqua è incomparabilmente maggiore di quella dell’aria. Presa come unità la capacità termica d’un peso d’acqua di- stillata, la quale aumenta leggerissimamente colla temperatura, ma pegli usi pratici si può ritenere costante fra 0° e 100°, quella dell’acqua marina a sal- sedine normale (a densità 1,026), è 0,985 (2), aumentando leggermente coll’au- mentare della salsedine; quella di un peso uguale dell’aria secondo il Wie- demann è 0,2389. Variano leggermente le cifre relative all’aria secondo i diversi autori, ma si può ritenere che a pesi uguali, per aumentare di t gradi la temperatura dell’acqua occorra una quantità di calore quasi 4 volte mag- giore che pell’aria. Però trattandosi di calore ceduto da un corpo ad un am- biente bisogna confrontare la caloricità a volumi uguali. Questi si ottengono moltiplicando le capacità termiche a peso, per le rispettive densità. Acqua di mare: 1,026 (densità; X 0,935 (cap. terni, in peso) = 0,959220 (capacità terni, a voi. uguali). Aria : 0,001293187 X 0,2389 -- 0,0003088623743. Quindi a volumi uguali la capacità termica dell’acqua di mare (0,95922) è circa 3100 volte maggiore che la capacità termica dell’aria (0.000309). d) Coefficente di dilatazione. Il coefficente di dilatazione, con la conseguente diminuzione di densità nell’aria, essendo questa sempre alla pressione costante di un’atmosfera o poco meno, sono proporzionali all’altezza delle temperature acquisite dagli strati a contatto colla lava. Nell’acqua marina il coefficente di dilatazione è più grande che nell'acqua dolce e cresce colla quantità del sale, come risulta (•) Poggendorf, Annalen. Bd. CXII. (2) Thoulet J. et Chevallier, Sur la chaleur spécifique de l'eau de mer à divers degrés de dilution et de concentration (Comptes rendus Ac. Sciences CVIII, 794, 1889). Sl'I POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECC. 13 zione della velocità di raffreddamento per irradiamento e per con- ducibilità, del potere assorbente e della capacità termica dei due ambienti, perciò in un tempo assai maggiore peli’ aria che per l’acqua. Con ciò il raffreddamento della lava verrebbe ritardato. Se nell’ambiente si originassero dei moti convettivi lenti quel ri- tardo verrebbe in proporzione diminuito. Ora per tutte le circo- stanze esaminate sopra, i moti convettivi, sia nell’acqua sia nel- l’aria, saranno tanto più veloci al principio del raffreddamento e quanto più sarà alta la temperatura della lava; la loro velocità andrà diminuendo successivamente colla temperatura della lava fino a diventare uguali a zero. Siccome essi hanno luogo in un ambiente praticamente indefinito, come il mare e l’atmosfera, così essi, rinnovando continuamente l’ambiente a contatto colle lave, tendono a mantenere in questo una temperatura uniforme, ed a serbare conseguentemente più alto il divario di temperatura. Perciò i moti convettivi hanno semplicemente ufficio mode- ratore coll’ eliminare quasi completamente i perturbamenti ed i ri- tardi al raffreddamento derivanti dall’innalzamento di temperatura dell’ambiente e col mantenere la velocità del raffreddamento della lava nei limiti normali voluti dagli elementi insiti ad essa. 11 piccolo ritardo che vi può essere nell’ eliminare i perturbamenti cagionati dall’innalzamento di temperatura dell'ambiente potrebbe essere soggetto a calcolo, non però breve nè facile. Può essere ancora che i moti convettivi, essendo più lenti nell’acqua che nell’aria, ne dalle ricerche di Tornoè, Thorpe, Eiicker, Karsten etc. Q). Però a profondità, a pressioni variabili e sempre maggiori di un'atmosfera, esse diventano propor- zionatamente minori. Questa circostanza e la precedente favoriscono la mag- giore velocità delle correnti nell’aria. e) peso specifico. La velocità delle correnti sarà in ragione inversa della resistenza del mezzo e dell’ attrito interno, quindi proporzionale al peso specifico dell’am- biente. Ora essendo quello dell’acqua 1, quel dell’acqua marina è in media 1,026, quel dell’aria è 0,001293187, vale a dire 996 volte minore di que- st’ultimo. f) Anche l’ attrito interno è assai minore nell’aria che nell’acqua. Queste ultime circostanze sono quelle che rendono incomparabilmente più ve- loci le correnti nell’aria che nell’acqua. Q) Thoulet, 1. c. p. 301. 14 C. DE STEFANI risulti io quella un maggiore ritardo ad eliminare que’ perturba- menti, onde una leggerissima diminuzione nel rapporto delle ve- locità del raffreddamento. Sebbene il calcolo non lo possa dire, anche a parere di parecchi fisici da me consultati, sembra ad ogni modo che l’effetto delle correnti, circa a quelle piccole differenze che da esse potrebbero risultare sia nell'irradiamento sia nella con- ducibilità fra l'aria e l'acqua, praticamente potrà essere trascurato, e potremo infine ritenere la velocità del raffreddamento dei due ambienti regolata dalle forinole (d) ed (e) indicate in addietro. A cir- costanze ordinarie dunque la lava si raffredderà molto più presto nell'acqua a qualsiasi profondità che nell'aria. V. Un’altra circostanza che sollecita straordinariamente il raf- freddamento nelle acque superficiali è la trasformazione in vapore di parte dell'acqua marina a contatto colle lave incandescenti. Co- tale circostanza, sottraendo in un istante innummerevoli calorie pella trasformazione del calore in lavoro meccanico, raffredderà istantaneamente grandi masse di lava le quali sgorghino a poca profondità ne’ mari o dalla superficie terrestre scendano a bacini acquei circostanti. È probabilissimo che la vetrificazione anche nelle lave subaeree abbia luogo il più delle volte pella subitanea evaporazione di acque specialmente atmosferiche o superficiali ve- nute a contatto. Siffatto veloce raffreddamento però non avrebbe luogo a profondità massime sotto pressioni che non potessero essere vinte dalla tensione del vapore acqueo. In conclusione le lave a contatto coll’acqua si raffreddano assai più velocemente che a contatto coll'aria; cioè con velociti! d’un terzo maggiore per irradiamento, e 1175 volte maggiore per conducibilità; sicché a parità di circostanze anche il fenomeno della vetrificazione è facilitato d’altrettanto nell'acqua appetto al- l’aria. Però il raffreddamento repentino ed improvviso non ha luogo che nelle acque meno profonde; entro queste perciò la formazione dei vetri deve aver luogo per tutte le lave in proporzioni assai maggiori che nelle lave subaeree ed in tutte le lave subacquee delle profondità maggiori. Si può dire che l'osservazione conferma questa induzione la quale è accennata pure dal Dana('). (‘) Dana. 1. c., p. 145, 301. SUI POSSIBILI CARATTERI DELLE LAVE ECO. 15 § 2. Effetti possibili della pressione. Nel diventare vetrose le lave di qualsiasi specie diminuiscono di volume pochissimo o talora punto, secondo le osservazioni del Delesse; mentre diminuiscono di volume in proporzioni assai rag- guardevoli quando si consolidano sotto forma cristallina ('). Un granito (non affatto vetroso) nel passare dallo stato li- quido allo stato solido perde 8 a 11 p. 100 del suo volume ; una trachite quarzifera costituita dagli stessi elementi del gra- nito ma parzialmente vetrosa, perde 3 a 5 p. 100; un vetro tra- ehitico (ossidiana), cioè un granito o una trachite totalmente ve- trosa, perde 0 p. 100; un diabase perde 3,5 a 4 p. 100 (2) ; se- condo gli studi di Delesse, Daubrée, Deville, Bunsen, Bischof, Brongniart, Rogers, Rose, Rammelsberg, Siemens, Waller, Wedg- wood, ecc., ecc., risulta che tanto più facilmente vetrificano quelle lave le quali maggiormente diminuiscono di volume nel diventare cristalline e tanto più diminuiscono di volume quanto meno sono fusibili (3). Tutti i corpi indicati e gli altri ancora che prendono parte alla costituzione delle lave e che aumentano più o meno di vo- lume nel passare dallo stato solido cristallino allo stato liquido, nell’aumentare di volume allorché fondono danno luogo ad un la- voro meccanico il quale assorbe una certa quantità di calorie. Questa quantità di calorie viene integralmente riemessa quando, pel fe- nomeno inverso, il corpo torna a cristallizzare. Però siffatto lavoro meccanico co’ conseguenti assorbimento e riemissione di calore, non Q) II Niess ( Ueber das Verhalten der Silicata. Pro.gr. z. 70 Jahrs. d. K. Wiirt. Laudw. Ak. Stuttgart 1889), contro i fatti sotto accennati, sosteneva il contrario. (2) Barus D., The fasion Constant of ir/neous rochs. Part II. The con- traetion of molten igneous rocks on passing from liquid to solid (Philosophical Magazine March 1893), p. 173. — High temperature work in igneo us fasion and ebullition, chiefly in relation to pressure (Bull, of thè U. S. geol. Surv. n. 103 1893) pag. 25 e seg. (3) Queste però non sono regole costanti per tutti i corpi giacché p. es. l'augite e molti altri minerali diminuiscono di volume assai più dell’ ortose e d’altri minerali che sono meno fusibili e che' pur si vetrificano più facil- mente. 16 C. DE STEFANI ha luogo o sì verifica in assai minori proporzioni, secondo i casi, pel passaggio dallo stato vetroso allo stato liquido e pel ritorno allo stato vetroso. In altri termini la fusione di un corpo cristal- lino richiede più calore che la fusione dello stesso corpo se è ve- troso. Viceversa la riconsolidazione cristallina si verifica con emis- sione di maggior quantità di calore che la consolidazione vetrosa, mentre il calore sprigionato nel cristallizzare della lava, ritardando il raffreddamento, favorisce così la cristallizzazione ulteriore. La pressione ha per effetto di rialzare d’un variabile numero di gradi il punto di solidificazione cristallina di un corpo, il quale, come le lave, diminuisce di volume nel raffreddarsi (1). Dalle cose dette deve risultare che l’aumento di pressione ri- duce e tende a sopprimere la differenza fra le perdite di calore necessarie ai due modi di consolidamenti vetroso o cristallino : sic- come poi i corpi tendono ad assettarsi secondo le loro affinità mo- lecolari più stabili, che rispondono allo stato cristallino, sembra che l’aumento di pressione debba perciò facilitare la formazione di questo. (*) Volendo conoscere di quanto raumento di pressione innalzi il punto di consolidamento di una lava, secondo gli studi di J. Thompson (>) e del Clausius, ci si potrebbe servire della forinola „ , , AT (s — a) , (k) dt = , i ■ dp dove dp è il cambiamento di pressione dt il cambiamento della temperatura di fusione A requivalente termico dell’unità di lavoro = T la temperatura assoluta s il volume dell’unità di peso della lava liquida alla pressione p (di un’atmosfera) f thè Geol. Society, voi. XLIX, P. I, 1893, p. 117. Cavoli nia Cookei n. sp Cavolinia Cookei Sim. ingr. 7/1. — «.faccia ventrale: b. faccia dorsale; c. profilo. o o 20 V. SIMONELLI ad ugual distanza dal margine anteriore e dalla così detta punta terminale , risulta quasi perfettamente circolare, prevalendo di po- chissimo ora il diametro margino-laterale, ora quello dorso-ventrale. Il diametro antero-posteriore supera invece costantemente così la larghezza come l'altezza. L’apertura si estende per una larghezza uguale a circa 5/G del diametro trasversale della conchiglia. Non apparisce traccia d’inci- sioni laterali pei bilancieri; lungo la commettitura delle due facce corre invece una carena ben rilevata e quasi tagliente. La faccia ventrale, considerata isolatamente, è più larga che lunga, assai regolarmente convessa, capuliforme. La punta terminale conica e breve, robustissima, si ricurva ad uncino come il becco di certi brachiopodi. Dalla base dell’ uncino agli angoli della bocca sporgono le carene laterali, seguendo una linea arcuata con la con- vessità volta all' in su. Il margine buccale è leggermente riflesso, quasi rettilineo. La regione iniziale non ha ornamenti di sorta; ma il resto della superfìcie reca sottilissime pieghe trasversali, parallele al margine anteriore, alquanto flessuose nella parte mediana del loro decorso, separate da intervalli pianeggianti, che son larghissimi verso il mezzo della faccia e gradatamente si restringono man mano si va verso i lati. Qualche esemplare mostra anche indizi di deboli strie longitudinali, fitte, poco regolari, discontinue. La faccia dorsale è press’a poco orbicolare nel contorno, con- vessa anche un pò più della ventrale e protratta oltre il margine anteriore di questa, in modo da formare un labbro sviluppatissimo: labbro che, mutilato com’è in tutti i nostri esemplari, non lascia veder traccia d’inflessione o d’ispessimento marginale. La super- ficie porta un sistema di coste raggianti, assai più scolpite di quel che non siano in generale consimili ornamenti nelle forme affini. Più rilevata di tutte è una costa mediana, limitata da fian- chi quasi verticali, semplice nel terzo posteriore del suo decorso e nel rimanente spartita in due mercè un solco largo ma poco profondo. Succedono quattro coste più depresse e tondeggianti, due di qua e due di là dal rilievo mediano ; semplici le esterne, contigue ai margini laterali, e bifide le altre due per la maggior parte della loro lunghezza. I solchi intercostali sono a un dipresso così larghi come le coste. — Questa maniera d’ ornamenti s’ ac- SOPRA. UN NUOVO PTEROPODE DEI. MIOCENE DI MALTA 21 corda con la globosità della conchiglia e con la disposizione della punta terminale per impartire alla C. Cookei un aspetto, che ricorda in modo singolarissimo quello di alcuni brachiopodi. Dimensioni I II Ili IY V Diam. antero-posteriore millim. 2,8. 3,5. 3,6. p 5,6. » margino-laterale » 2,5. 3-. 3-. 3,7. 5,2. » dorso-ventrale « 2,4. 2,8. 3,3. 3,8. 4,8. Come risulta da queste misure la specie nostra presenta, nella grandezza della conchiglia, la variabilità che in grado anche mag- giore fu notata nelle congeneri viventi da Boas (1), Pelseneer (2), ed altri. Il più grande fra gli esemplari che abbiamo sott’occhio raggiunge statura esattamente doppia rispetto a quella del più pic- colo, benché sotto ogni altro rapporto ambidue si presentino svi- luppati ugualmente. Rapporti e differenze. — Sulla pertinenza del fossile mal- tese al genere Cavolinia Abildgaard, non sembra possa cadere ombra di dubbio. Fra i tecosomi a guscio diritto e bilateralmente simmetrico, solo le Cavolinia riuniscono i caratteri della conchi- glia che non si restringe dietro all' apertura, del labbro superiore protratto ed inflesso davanti all’apertura medesima, e del labbro inferiore anteriormente riflesso. Quanto ai rapporti con le altre forme congeneri, quel che si può dir con sicurezza è che la C. Cookei si stacca nettamente dalle 8 specie che vivono nei mari dell’attualità, le quali tutte hanno come caratteri comuni la presenza sui lati della conchiglia di più o meno estese fenditure, di punte più o meno sviluppate, la forma piatta della faccia superiore e la debole curvatura della punta terminale. Tra le specie fossili quella che più si avvicina alla nostra è la C. tau- rinensis Sismd. sp.. del Miocene medio del Piemonte, per la quale (') Spoli a Atlantica. Bidrag til Pteroderaes, ai I. E. V. Boas. - Vidensk. Selsk. Skr., 6. Baekke, naturvidenskabelig og matliem. Afd. IV, 1., s. 206. Kjobenhavn, 1886. (2) Report on thè scient. res. of thè voyage of IL M. S. Challenger - Zoologi i, voi. XXIII. Report on thè Pteropoda hg P. Pelseneer, p. 70. Lon- don, 1888. 22 V. SIMONELLI il Bellardi (*) creava il nuovo genere Gamopleura e che ritornò in seguito fra le Cavolinia od Hiyalaea , come tipo di un sottoge- nere a cui fu mantenuta la denominazione bellardiana (:?). Taluni caratteri peculiari di questa forma, e precisamente quelli che in- dussero i paleontologi a tenerla distinta, o come genere, o come sottogenere, da tutte le altre Cavolinia , si trovano riprodotti nel pte- ropode maltese; così è della commettitura laterale completamente saldata, e della convessità quasi uguale nelle due facce opposte (3). Ma lo sviluppo e la forma della regione iniziale, gli ornamenti. Yhabitus, sono nelle due specie completamente diversi. La C. tav- rinensis ha una punta terminale appena distinta, invece dell’ un- cino relativamente enorme della C. Cookei , non ha coste raggianti nel dorso, e su tutta la superficie, indistintamente, porta sole pie- ghe trasversali. Qualche affinità con la specie nostra sembra venga pure offerta dalla H. pisum Seg. (Studi paleont., Moli, del plioc. di mare profondo, Bull, della Soc. Malac. It., voi. 11, 1876, p. 34) globosa anche questa e fornita di mucrone breve, solido, incurvo, ma non provveduta di coste nella faccia dorsale, che presenta invece due solchi longitudinali limitati alla regione anteriore. Giacimento. — Intorno alla provenienza del nostro fossile ho ricevuto dal sig. J. Cooke interessanti e particolareggiate in- formazioni, che mi compiaccio di riprodurre integralmente. « Esaminata in senso verticale, la serie delle formazioni lan- ghiane ed aquitaniane delle isole maltesi offre numerosi e ben pronunziati contrasti litologici, che, salvo poche eccezioni, si ri- producono esattamente in ogni parte delle due isole. La sezione gene- ralizzata che si riporta qui sotto esprime con approssimazione stret- tissima l'ordinamento dei vari membri delle serie, in tutti i luoghi ove gli strati vengono allo scoperto. (B Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, P. I. p. 28, t. Ili, f. 9 — 1872. (2) Fischer P., Manuel de Concliyliologie, p. 434, Paris 1887, e Zittel. Traiti de Paléonlologie, T. II, p. 311, 1887. (3) Quest’ultimo carattere non è esclusivo delle Cavolinia lateralmente impervie. Si ritrova p. es. nella C. inflexa Seguenza (Pai. malac. dei terr. terz. di Messina, Pteropodi ed Eteropodi. Mem. della Soc. It. di Se. Nat. voi. II, Milano 1867) fornita di distinte incisioni laterali. SOPRA. UN NUOVO PTEROPODE DEL MIOCENE DI MALTA 23 III. Marna .... j a) Pietra viva ( freestone ) grigia- i stra, finamente granulare . . 15-20 piedi i ) Primo filare di noduli fosfa- tici 1 » c) Pietra viva compatta, bian- castra 40-50 » d) Secondo filare di noduli fo- sfatici 1-2 « Langhiano e) Calcare azzurro, tenero, con II. Calcare ] j r j? c i* ■ ■ , , noduli tostatici irregolarmente a \ distribuiti bigerme f) Calcare bianco con arnioni silicei g) Terzo filare di noduli fosfa- tici h) Pietra viva bianchiccia, gra- nulare, grossolana, con noduli fosfatici sparsi iì Quarto filare di noduli. . . I. Calcare corallino inferiore 50 n 30-50 » 1,6-2 « 50 » 2-3 » Aquitaniano « Lo strato (h) in cui fu raccolta la C. Cookei , rimane alla base del calcare a globigerine. nella parte superiore della serie aquitaniana; è costituito dal calcare gialliccio che sta interposto fra il 3° ed il 4° filare di noduli fosfatici. Stando alle osserva- zioni fatte finora, la C. Cookei è caratteristica di questo orizzonte, nò mai si trova al di sopra o al disotto dei filari di noduli che limitano quello strato. « Ambedue i filari di noduli son largamente estesi in senso orizzontale e molto uniforme è la natura litologica dello strato ad essi interposto. Quest'ultimo in molte località, come a Fom- is - Rih e Dingli in Malta, a Kala e Xeuchia in Gozzo, viene traversato da filaretti fosfatici, la lunghezza dei quali eccede ra- ramente poche yards, ed è generalmente in questi che si rac- 24 V. SIMONELLI, SOPRA UN NUOVO PTEROPODE ECO. coglie la C. Cookei, associata ad avanzi fosfatizzati di altri pte- ropodi. « La superficie inferiore del terzo filare di noduli che si scorge nel fianco della rupe di Kala a Gozzo, è molto irregolare nel con- torno; e, in alcuni punti, presenta delle cavità ( pockets ) che per solito contengono in abbondanza la C. Cookei. Tanto sopra come sotto a questo filare, che serve come linea di separazione tra il langhiano e l’aquitaniano, si trovano in gran quantità concrezioni silicee di svariatissime forme: ora son masse irregolari di 1-2 piedi in lunghezza e di sei a dodici pollici in spessore, ora son noduli sferoidali, a contorno più o meno simmetrico. Dove si presentano queste concrezioni silicee mancano i filaretti fosfatici, e manca con essi la C. Cookei ». Bologna, Istituto geologico e paleontologico della Università. [6 Agosto 1895]]. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI DEI MONTI DEL CHIANTI Nota del prof. Giacomo Trabucco (con una tavola) L’ing. B. Lotti, in una recente pubblicazione dal titolo Re- lazione sul rilevamento eseguito in Toscana nell’anno 1893 , con- chiude, tra l’altro, che i veri e propri monti del Chianti, ad est di Greve, sono costituiti (x) dall’alto al basso: Eocene: Arenaria {macigno). Calcari e scisti argillosi ; banchi di calcare nummulitico con scisti variegati e diaspri manganesiferi. Arenaria {macigno). Cretaceo {senoniano) : Calcari rossi argillosi e scisti rossi e verdastri ricoperti a tratti da calcare nummulitico. Cita inoltre come località caratteristiche le regioni tra Mon- telisoni e M. Muro, tra Pieve di Gaville e Celle ad est del M. S. Michele, tra M. Collegalle, Cintoia e M. Maggio, tra Poggio della Croce e S. Piero al Terreno presso Incisa. Corrobora infine (>) Estr. dal Boll, del R. Com. Geol., 1894, n. 2, pag. 15, 18. G. TRABOCCO, SUl.LA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI ECC. 25 le sue ipotesi stratigrafiche eolie sezioni rappresentate dalle iig. 3 e 4 (pag. 16 e 17). L’importanza di queste conclusioni, così divergenti dalla stra- tigrafia dell'eocene dei terreni limitrofi, il valore istesso dell'au- tore rendevano doveroso a me, che da tempo mi occupo dei terreni eocenici del bacino di Firenze, di verificarne l’esattezza. Ho perciò visitato (') minutamente e ripetutamente quei luoghi, studiata la stratigrafia dei terreni, percorrendone per lunghi tratti il contatto, raccolte diligentemente le singole rocce e studiati i fossili che, fortunatamente, quasi tutte contengono. Ed ora mi duole di dover dire che, a mio avviso, le ipotesi stratigrafiche e le citate conclusioni del Lotti non corrispondono alla realtà dei fatti. Hi accingo pertanto a dimostrare: I. Gli scisti policromi (galestri) eoa brecciole numrnu- liticheJ intercalati con calcari che divengono nummulitici alla base , filar etti di calcare psammitico e strati scontinui di brec- cia cloritico-serpentinosa, talora ricoperti da calcari varicolori e calcari screziati nummulitici , non si intercalano mai coll’are- naria macigno , ma giaciono sull' arenaria stessa. IL La zona dei galestri , ricoperta a tratti in discordanza da calcari policromi e screziati nummulitici, che da Cintoici segue fino a Luculena , Dudda , Torsoli , non appartiene affatto in parte al senoniano, nè è sottoposta alle arenarie; è invece identica per fossili , posizione e litologia alla zona superiore pretesa interca- lata alle arenarie , di cui è la continuazione. III. I calcari screziati (granitello) nummulitici contengono dappertutto gli stessi fossili , appartengono all’eocene medio (pari- siano ) e giaciono sempre in discordanza sopra gli scisti policromi {galestri) e guando questi mancano , sull' arenaria. IV. La stratigrafia dell’eocene dei monti del Chianti è perfettamente identica a quella del bacino di Firenze , sulla quale emisi le prime conclusioni in due recenti note (2). (’) Nella prima escursione Greve, Luculena, M. S. Michele, Gaville ebbi compagno gentile il compianto dott. Malfatti, troppo presto rapito alla scienza ed agli amici. (*) Trabucco G., Sulla posizione del calcare di Mosciano e degli altri G. TRABUCCO 26 Premettiamo una lapida descrizione geologica delle località in discussione ; essa servirà a spianare la via per giungere a di- mostrare le proposizioni avanti emesse. Greve , M. Domini , Lucute na , M. S. Michele, Castiglione _. Gaville. Movendo da Greve verso M. Domini, si seguono dapprima strati di arenaria; è la solita arenaria macigno, passante talora ad una 'puddinga a ciottoletti di quarzo, feldispato. gneiss, sci- sto argilloso-arenaceo, calcare con resti di fossili, scisto siliceo e porfido quarzifero con rilegatura calcareo-quarzosa (simile alla ti- pica del Piano dei Giullari), intercalata con strati di scisti argilloso- arenacei, ora molto assottigliati, ora con potenza maggiore, come a M. Ceceri (Fiesole) ed altrove. Gli strati arenacei-argillosi sono con- cordanti, diretti N. 0. ed inclinati di circa 40°. A proposito di questa puddinga mi preme di rettificare una inesattezza in cui incorsero ripetutamente il Lotti ed altri, prima e dopo di lui, perchè può essere causa di confusione. Questo stu- dioso, nella nota di cui discuto le conclusioni ed in un'altra pre- cedente (Q, chiama granitello una facies dell’ arenaria macigno , che si osserva in molti luoghi, ma tipica al Piano dei Giullari (V. Vanni), dietro Castel di Poggio, S. Andrea Sveglia, ecc. Ora il gra- nitello del volgo e degli autori, da Savi ad Hoffmann, Repetti, Giuli, alla riunione degli scienziati italiani in Firenze nel 1841, a Pareto, Villa, Cocchi, ecc.. è il calcare screziato nummulitico di Mo- sciano e conseguentemente di cento altri luoghi del bacino di Fi- renze, mentre la facies puddingoide del macigno (ruvido degli scalpellini) è la cicercliina degli autori. (2) Granitello (brecciola) e cicercliina (puddinga) pertanto sono due rocce differentissime per fossili, età , litologia e posizione stratigrafica. Nelle citate note (3) Lotti designa ancora col nome terreni eocenici del bacino di Firenze. Firenze, 1 luglio 1894. — Nummu- lites ed Orbitolites dell' arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze. Proc. Verb. Soc. Tose, di Se. Natiir. Adun. 18, novembre 189 4. f1) Lotti B., La creta e Teocene dei dintorni di Firenze. Estr. dai pro- cessi verb. della Soc. toscana di scienze naturali, 20 maggio 1885. (2) Cocchi I , Description des roclies ignées et sédiment. de la Toscane Ex. du Bull. d. la. Soc. Géol. d. Trance, sér. 2, t. XIII, 1856, p. 39. (3) Lotti B., La creta e Veocene, etc. p. 220; Rilevamento geol. ese- guito in Toscana, etc. p. 14. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI ECC. 27 di pietraforte vera e tipica i filaretti di arenaria psammite (cal- care psammitico), intercalati nei galestri. Osservo di passaggio, pel- erà, che la pietraforte tipica (eslusivamente cretacea ) non si può e non si deve confondere col calcare psammitico , dal quale dif- ferisce per litologia , stratigrafia ed età. Ritornerò, in una pros- -ima nota, su quest’argomento, riferendo dettagliatamente i carat- teri litologici di ambe le rocce. Proseguendo, poco al di sopra del Cimitero di Canonica, si osserva, per breve tratto, che il calcare nummulitico ricopre in discordanza l’arenaria. Quivi, quantunque assottigliata, la serie cal- carea è completa: sono calcari compatti marnosi, bianchi, cenero- gnoli, rossastri e bigi che passano gradatamente al caratteristico calcare screziato nummulitico. Gli strati sono diretti a N. e in- clinano di circa 20°. Poi arenaria colla solita intercalazione fino a M. Domini ; nel versante sud di questo monte, lungo la mulat- tiera che tende a Luculena, si osservano, tratto tratto, brandelli di calcare, con graduale passaggio al nummulitico, che giaciono in discordanza sulle arenarie, le quali hanno direzione costante verso N.O. ed appaiono fortemente inclinate. I brandelli di calcare, diretti a N. ed inclinati di circa 25°, si osservano poco prima del punto in cui il Borro Cerungoli taglia la mulattiera un po’ più sotto e presso la C. Cicali. Quindi le solite arenarie, intercalate cogli 'Cisti argilloso-arenacei, fino a Luculena. Sotto l’abitato, nella val- lecola del Borro del Cesto, compare la zona calcareo-argillosa (galestri), ricoperta a tratti dalla serie calcareo-nummulitica, che da Dudda e Luculena di sotto, lungo il Borro Cerungoli (in parte), segue, nella valle del Borro Cesto, per Dimezzano, Torsoli, Est del M. S. Michele fin verso M. Muro. Di questa importante for- mazione diremo a momenti. Da Luculena a M. S. Michele (crinale) sempre le solite are- narie, intercalate cogli scisti argillosi arenacei, dirette N.O. ed in- clinate di circa 45°. Discendendo lungo il versante Est del M. S. Mi- chele, poco al disotto della strada che tende a M. Muro, da una parte torreggia la vetta arenacea del monte, dall'altra, un po’ prima di arrivare al Borro, ricompare la formazione dei galestri che si spinge verso M. Muro. È costituita da calcari e scisti argil- losi (galestri) policromi, in mezzo ai quali s’intercalano i soliti filaretti arenacei (calcare psammitico), brecciole nummulitiche, ciò- 28 G. TRABUCCO ritico-serpentinose e noduli diasprigni a Cenosphaera , ricchi di ferro e manganese. Questi sopportano, in discordanza, la serie completa cal- careo-nummulitica superiore diretta a N. Ho camminato per pa- recchi chilometri al contatto fra questa zona e l’arenaria verso M. Muro ed escludo assolutamente che passi sotto all'arenaria stessa. Seguitando per Montelisoni, la serie calcareo-nummulitica (più o meno assottigliata) ricopre sempre i galestri, che solo ricompaiono nella stretta e profonda vallecola ad ovest di Montelisoni; alla C. Granala, mezzo chilometro sopra Castiglione, la formazione calcareo-nummulitica, già molto ridotta, cessa e ricompaiono le solite arenarie. Alla C. Rimbrentola si osservano brandelli di calcare num- mulitico che, quasi pianeggianti, ricoprono l'arenaria; quindi are- naria e di nuovo brandelli di calcare nummulitico al di sotto di Pieve di Gaville. Finalmente arenaria e poi calcare nummulitico, che, vicino a Gaville, è ricoperto dalla formazione pliocenica lacustre. La sezione Tav. I, fig. 1 dà l’idea della disposizione dei ter- reni descritti. faville. Ponte degli Stolli , Padda, Cintola. Da Gaville bran- delli, poco interrotti, di calcare nummulitico ricoprono l’arenaria fin quasi al pittoresco Ponte degli Stolli, che poggia sopra due enormi masse di arenaria. Anche qui ho attentamente osservato il contatto delle due formazioni ed escludo in modo assoluto che il calcare nummulitico passi sotto l’arenaria. Da Ponte degli Stolli a Dudda le solite arenarie in alto, ri- coperte, tratto tratto, in basso dalla zona che chiamerò, per bre- vità, calcareo-argillosa-nummulitica. A Dudda la stessa zona da una parte seguita, lungo la valle del Borro dei Cesti, per Luculena di sotto, Luculena, Dimezzano e Torsoli tìn sotto M. S. Michele, dall’altra si spinge, per le valli di Cintoia Alta e Cintoia (di cui ricopre intieramente il fondo e parte degli opposti versanti), a Mugnana e Strada. Cintoia , M. Maggio , M. S. Giusto , M. Colle galle , Collegalle , lizzano , Greve, Pansano. A Cintoia la zona calcareo-argillosa- nummulitica ricopre il versante sinistro ed il fondo della valle lino al di là del Borro. Il M. Maggio dalla base alla sommità è co- stituito, quasi intieramente, della solita arenaria, intercalata cogli SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI ECC. 29 scisti argillosi; la formazione galestrina superiore ricopre, in con- cordanza, un breve tratto della base ed un piccolo lembo si osserva pure a circa 400 metri. Anche qui ho camminato per chilometri lungo il contatto fra l'arenaria e la formazione calcareo-argillosa- nummulitica e posso, colla maggiore certezza, affermare che quest' ul- tima non passa sotto, ma si adagia sull'arenaria. Da Cintoia, salendo per M. S. Giusto e M. Collegalle, si cammina, sino quasi alla vetta, sulla formazione calcareo-argillosa- nummulitica, più del solito inclinata e di cui dirò dettagliatamente più avanti. Escludo che, qui od altrove, il calcare nummulitico superiore passi sotto alla formazione calcareo-argillosa (galestri); giace sem- pre in discordanza sui medesimi, i quali concordano invece colla sottostante arenaria. 11 crinale di M. S. Giusto (m. 643) e M. Collegalle (m. 675) è costituito della solita arenaria e così pure il crinale dell’intiera catena che, raggiunto il punto più elevato al Poggio di Rubbiana (m. 697), va abbassandosi vicino a Dudda (Passo di Sugarne) (m. 537). Da M. Collegalle, scendendo verso Collegalle e quindi verso lizzano, sempre arenaria, rivestita, a tratti, dalla serie calcareo- nummulitica molto assottigliata, come sopra C. Ripa, sotto C. Pia- nettole e poco prima di Uzzano. Questi brandelli di calcare nummulitico, come altrove, sono evidentemente il residuo della denudazione. Alla sinistra di Greve, verso Panzano, dal basso all'alto: Arenaria, talora passante alla più volte citata puddinga, in- tercalata con scisti argillosi; Calcari e scisti argillosi (galestri), intercalati coi soliti filaretti arenacei (calcare psammitico), brecciole nummulitiche, cloritico- serpentinose e noduli diasprigni a Cenosphaera. Questi sottili filaretti arenacei, intercalati sempre cogli scisti (galestri) ('), occupano dappertutto una posizione costante e non si possono, neppure lito- logicamente, confondere colla vera e propria pietraforte, decisa- mente cretacea; Serie calcareo-nummulitica completa. (’) Trabucco 6., op. cit., p. 4. G. TRABUCCO 30 La seziono (Tav. I, Fig. 2) dà F idea della disposizione dei terreni tra Collegalle, M. S. Giusto. Cintoia e M. Maggio. Strada, Mezzano, Magnarla, Speclaluszo , V. Fonzicchi, Giob- bole , V. Mar sic chi, M. S. Giusto, C. Fattevi, Castello di Cintoia , Poggio Poggerina. Da Strada a Mezzano, Mngnana, Bagni. Speda- luzzo, Y. Fonzicchi, Giobbole, V. Màrziochi si segue la tipica for- mazione galestrina, che ricopre le falde orientali ed occidentali di M. S. Giusto. È costituita, come sotto M. S. Michele, al Poggio alla Croce, tra Dudda e Ponte degli Stolli, tra Dudda e Luculena ed in cento luoghi del bacino di Firenze, da scisti argillosi (ga- lestri) policromi con aragonite , noduli calcareo-diasprigni ricchi di ferro e manganese a Cenosphaera e brecciola nummulitica ad Orbitoliles, Orbitoides, Nummulites ed Alveolina, intercalati con calcari argillosi che divengono nummulitici alla base, tìlaretti di calcare psammitico e breccia a frammenti di diallagio (cloritico) olivina (serpentinosa), rocce diabasiche (tipo spilite), melanriche (tipo melafiro labradoritico), scisto arenaceo con cemento quar- zoso e scisto argilloso in strati scontinui ed arniosi verso la base. Poco sopra V. Marzicchi affiora il solito macigno a Nummulites ed Orbitoliles fino alla vetta di M. S. Giusto, e quindi, discendendo nella valle di Cintoia, dapprima si incontra la formazione ga- lestrina, che è quasi subito ricoperta dalla solita formazione calcareo nummulitica superiore tino alla C. Falleri. Dopo ancora galestri, che ricoprono intieramente tutto il fondo della valle e si innalzano nel versante opposto tino al Castello di Cintoia (m. 416): poi macigno tino al Poggio Poggerina (m. 500), contrafforte di M. Scalari, posto a S. di fianco a M. Maggio. La sezione Tav. I. Fig. 8. rappresenta la stratigrafia dei terreni da Giobbole a P. Poggerina. Dallo spartiacque su cui giace la C. Casone (ra. 404) . quasi di fronte a Cintoia Alta, discendono in direzione opposta due piccole valli; la prima (valle di Cintoia Alta) verso Dudda, la seconda (valle di Cintoia Bassa) verso Cintoia Bassa, V. degli Alessandri, etc. Ora da Dudda a Cintoia Alta, al Castello di Cin- toia Bassa la formazione dei galestri, adagiata in concordanza sul macigno, ricopre intieramente il fondo delle valli ed i due oppo- sti versanti fino all’altezza di circa 400 m.; dal Castello a Cin- toia Bassa la medesima formazione ricopre ancora intieramente la valle, il versante N. E. di M. S. Giusto, oltrepassa il Borro SI I LA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI KCC. 31 e si adagia sul macigno alla base del versante opposto ; più sotto, oltrepassata Cintoia Bassa fino a V. degli Alessandri, la valle di- viene profonda e strettissima e la formazione galestrina (causa l’erosione) a poco a poco passa al di qua del Borro, scompare nel fondo della valle e si innalza nel versante N. E. di M. S. Giusto fino al di sopra della strada. Fatto questo importantissimo e che (se ancora ce ne fosse bisogno) esclude assolutamente che la detta formazione, come pretende il Lotti, passi sotto il macigno di M. Maggio. Discendendo ancora, al di là di Sezzate, la formazione galestrina ricopre nuovamente la valle, le falde orientali di M. 3. Giusto e Pian della Vite (a X. di Monte Maggio), seguitando verso Mugnana, Mezzana e Strada. Incisa , S. Vito, Loppi ano. Borri, Pratelli, Allori, M. Poggio alla Croce, M. Scalari , S. Piero al Terreno. Da Incisa a S. Vito, Doppiano e Borri calcari e scisti calcarei bianchi, gial- lastri, verdognoli e grigli con nummuliti alla base a Zoophycos , largamente utilizzati per calce e cementi. Sotto Pratelli, presumi- bilmente per effetto della denudazione, compare la parte inferiore della formazione e cioè calcari-grigii oscuri passanti al solito cal- care screziato nummulitico, che poggia direttamente sull’arenaria, sempre intercalata cogli scisti argillosi. Poi arenaria fino alla C. Al- lori; oltrepassata questa compare la zona calcarea argillosa, rive- stita da brandelli di calcare nummulitico. La medesima ricopre intieramente il versante Ovest del M. Poggio della Croce; solo alla vetta ricompare l’arenaria. La zona calcareo-argillosa-nummulitica dallo spartiacque su cui sorge il caseggiato di Poggio alla Croce, da una parte ricopre la valle che tende a Grassina, dall'altra discende nella valle che tende a S. Piero al Terreno, terminando a punta tra S. Piero e C. Bonalli, mentre lateralmente torreggiano i monti costituiti dalla solita arenaria. Il versante Est di M. Scalari, a partire dalla strada, è costituito esclusivamente di arenaria, intercalata coi soliti scisti argillosi diretta a X. 0. ed inclinata di circa 45°. La sezione (Tav. I. tìg. 4) dà l'idea della disposizione dei terreni. ★ -¥■ * Dalla rapida descrizione geologica e dalle corrispondenti se- zioni (Tav. I, Fig. 1, 2, 3, 4) emerge chiaramente che i veri e propri monti del Chianti sono costituiti da diverse elissoidi di arenaria, conti- G. TRABUCCO 32 gue, corrispondenti ad anticiinali, un poco oblique sulla direzione generale dei monti stessi, in mezzo alle quali stanno le sinclinali, in cui la zona dei galestri , ricoperta da brandelli di calcare screziato nummulitico, si adagia e non si intercala (come asserisce il Lotti) coll’arenaria. Quando mancano gli scisti (galestri), i brandelli di calcare nummulitico rivestono, in discordanza, l’ arenaria. Le supposte intercalazioni del Lotti sono invece zone sincli- nali sovrapposte e più recenti dell' arenaria ; e ciò che egli chiama senoniano corrisponde perfettamente alla zona superiore, pretesa intercalata all’arenaria sotto M. S. Michele ed altrove. Infine gli .scisti segnati sotto l’arenaria (Fig. 3) sono affatto ipotetici. Ripeto, in altre parole, che non esiste l' ipotetico prolunga- mento sotto l’arenaria degli scisti ( senoniani per lui, ma eocenici) di Cintoia, i quali veramente si continuano nella regione Dudda, Luculena, M. S. Michele, Montelisoni e costituiscono la parte su- periore dell'eocene inferiore. ìk ¥- -¥■ La serie calcareo-nummulitica superiore, talora ridotta al solo calcare screziato nummulitico {granitcllo). che riveste a brandelli gli scisti argillosi (galestri) o l’arenaria, quando questi- mancano, ò costituita dall'alto al basso: Calcari marnosi bianchi, verdognoli e rossastri a Globigerìna builoides D Orb., Nnmmulites sp. (Fig. 1); Calcare bigio-oscuro, a grana finissima, con frammenti di Li- thothamnium , Orbitoides, Nnmmulites , Alveolina , Globigerina ed altri foraminiferi ; Calcare screziato nummulitico, a grana più o meno grossa {granitello). a: Lithothamnium nummuliticum Giimb. Orbitoides nummulitica Giimb. » stella Giimb. » stellata Giimb. « radians D'Arch. Nnmmulites irregularis Desìi. * anomala De la H. « curvispira Menegh. Nummulites sp. Assilina sp. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI ECC. 33 Alveolina cfr. melo F. et M. Alveolina sp. Flosculina sp. Rotalia sp. Globigerina eocaena Giimb. Plecanium sp. Cìdaris sp. Questi calcari, appartenenti paleontologicamente ad un me- desimo piano (parte inferiore dall’eocene medio) di non grande estensione cronologica e che somigliano perfettamente (anche lito- logicamente) ai coevi del bacino di Firenze, sono impropriamente spartiti dal Lotti in tre successivi piani di età diversa e cioè dal basso all’alto: a) Calcari nummulitici della zona infer. di Cintoia; b) Calcari nummulitici sovrapposti alla zona scistosa, pretesa intercalata alle arenarie a Cintoia, M. S. Michele; c) Calcari nummulitici intercalati all’arenaria tra Gaville e Celle. Queste suddivisioni evidentemente sono inesatte e la paleon- lologia torna a confermare quello che, anche sopra semplici basi stratigratìche, si poteva stabilire. CONCLUSIONE Dunque niente senoniano , niente zona calcareo-argillosa-num- mulitica superiore intercalata coll'arenaria; la stratigrafia dell’ eo- cene dei veri e propri monti del Chianti è semplicissima, perfetta- mente identica a quella dei terreni a sinistra della Greve e del baci- no di Firenze e non c’è proprio bisogno di squarciare le viscere di quei monti con tanti cunei, quanti realmente si dovrebbero secondo l’ ipotesi del Lotti. Eocene inferiore ( suessoniano ) : Arenaria ( macigno ) in po- tenti strati con stipiti e lenti argillose (passante talora ad una puddinga - cicer china - a frammenti di gneiss, quarzo, feldispato, scisto argilloso-arenaceo, calcare, scisto siliceo e porfido quarzifero con rilegatura calcareo-quarzosa) a Nummulites ed Orbitolites , interca- lata con scisti argillosi arenacei. Scisti argillosi ( galestri ) policromi con aragonite, noduli diasprigni ad Cenospliaera e brecciola nummulitica ad Orbitolites 34 G. TRABUCCO mmmiditica Griimb., Nummulites sp. (Fig. 2), Nummulites (') sp. (Fig. 3) Orbitolites sp. (Fig. 4), Alveolina sub-depressa n. sp. Fig. 2. — Nummulites sp. (Fig. 5) (2), intercalati con calcari marnosi che divengono nummu- Ulici alla base, fìlaretti di calcare psamrnitico e strati scontinui (*) Fig. 3. — Nummulites sp. (*) Le due Nummulites (forse specie nuove) somigliano a numerosi e- semplari estratti dal macigno di S. Andrea Sveglia e di altre località del ba- cino, che si stanno studiando. (2) La nuova specie differisce essenzialmente dall’ A. depressa Meneghini (Meni, sulla strutt. gcol. d. Alpi, Apen. e Carpazi del Murchison. Appendice sulla Toscana, pag. 416) per minori dimensioni e minore numero di giri. Non è improbabile che rappresenti la forma a megasfera della specie di cui quella del Meneghini rappresenterebbe quella a microsfera. Di questa specie, di cui posseggo numerosi esemplari di Mosciano e di altre località dei dintorni di Firenze, darò una completa descrizione in una prossima monografia. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI ECC. 35 ed arnioni di breccia a frammenti di diallaggio (cloritico), olivina serpentinosa, rocce diabasiche, melafiriche e scisto arenaceo con cemento quarzoso o scisto argilloso. E. medio ( Parisiano ) Calcare: screziato nummulitico ( grani - tetto) con scisto argilloso quarzifero e selce cornea a Lith. nummuli- Fig. 4. — Orbitolites sp. ticum Gùmb., 0. nummulitica Giimb., 0. stella Giimb., 0. stellata Gùmb., 0. radians D’Arch., Nummulites irregularis Desh., N. ano- mala De la H., N. curvis'pira Menegh., Nummulites sp., Assilina sp. Fig. 5. — Alveolina subdepressa Trab. (Fig. 6), Alveolina cfr. Melo Ficht. et Moli, Alveolina sp., Flo- sculina sp., Rotalia sp., Globigerina eocaena Gùmb, Plecanium sp., Cidaris sp., etc. Calcare bigio-oscuro a grana finissima con frammenti di Li- thothamnium , Orbitoides, Nummulites , Alveolina , Globigerina, etc. Calcari marnosi rossastri, verdognoli e bianchi a Nummulites sp. (Fig. 1) e Globigerina bulloides D’Orb. 4 36 G. TRABUCCO, SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI EOCENICI ECC. Evidentemente questa disposizione dei terreni eocenici dei monti del Chianti trova adeguato riscontro con quella dei terreni coevi del bacino di Firenze (')• Centinaia di località di questo si potrebbero citare per confronto; mi limiterò ad alcune tipiche e cioè: Poggio delle Calle, Poggio al Pino, Poggiona, Montale sopra Y. Arrigo (Mosciano) ; M. Rinaldi, M. Ceceri, Castel di Poggio S. Andrea Sveglia (Fiesole), Consumma (Pontassieve). M. Senario (Pratolino), Montebuoni (Tavernuzze), Poggio Firenze (Sud di S. Donato), M. Giogo (sopra S. Brigida). Tra i monti del Chianti ed il bacino di Firenze passa questa sola differenza, che, mentre Fig. 6. — Assilina sp. là prevale l'arenaria macigno, talora ricoperta da calcari e scisti argillosi (galestri) o da brandelli di calcare nummulitico, qui 1 are- naria affiora solo nei colli elevati e prevalgono la formazione dei gale- stri ed i calcari marnosi, passanti gradatamente al tipico cal- care screziato nummulitico (granitello), che affiora in centinaia di luoghi. Negli alti monti del Chianti, insomma, prevalgono le are- narie dell’eocene inferiore, nel bacino di Firenze i galestri (parte sup. dell’ eoe. infer.) ed i calcari dell’eocene medio e la ragione è ovvia. Persuadiamoci dunque una buona volta che le ipotesi strati- grafiche, non sussidiate dalla paleontologia, difficilmente conducono a conclusioni serie e durature. O Trabucco G. Op. cit., p. 3. [3 agosto 1895] Eocene medio Eocene liner' iaEiicco-SPllaveraP°slzterr-eoceiL del Chianti . Tav.I Boll d. Soc.G-eol.Ital. Voi XIV GavilLe F.2 M-S Giusto Castiglione le Querelale M.Maggio M S Michele'^ CMontelfi M.Scalarr- C.Boiwcchì C. Allori C.Born C.Noce F.3 SPIEGAZIONE (SUiena/iias macuyie i ntevea GcvUx celi OclòIa aity Pico l oetcuaeci a. Nllrmn.ulilt'y. cPcìòli/ ouuqi tto&i ( c^aietXù/) uvleroccx£oJli' co-iu Cieca afe- e ccx.dc arti- n-iM-WM-utii ici , •> infine subentra un micascisto quarzitico a mica bianca, formante un complesso con il precedente dello spessore di quindici metri. Sotto C. Porzi al contatto si ha un sottile strato di gneiss, poi vengono le anfiboliti della serie inferiore. A Vetriera il granito tocca i calcescisti; si comincia con più marcata scagliosità, dopo si ha indurimento e scomparsa della forma scistosa, quindi si sviluppano, come sotto Gameragna, quarzo e mica bianca. Poco discosto si osservano lungo la strada a Stella affio- ramenti di apofisi filoniane di contorno; ma precise osservazioni sono impedite dalla profonda alterazione superficiale. In fondo della salita alla Stella si nota un altro contatto im- mediato, ed ivi è un micascisto a mica bianca di facies molto quarzitica. Lungo il Sansobbia, tra Ritani e Stella, il contatto immediato è occultato dalla cotica terrosa ; però nel letto del torrente si os- servano ancora roccie che rientrano nel cerchio metamorfizzato. La direzione degli strati delle roccie che vengono a contatto è a grande discordanza con il contorno della massa eruttiva, succedono perciò serialmente al contatto anfiboliti e calcescisti. Predomina il feno- meno di quarzificazione e di feldispatizzazione, e nelle anfiboliti quello di cloritizzazione. Nell’alto del Rio Montegrosso lembi di trias, di miocene e la folta vegetazione impediscono osservazioni minute e proficue. Alle falde del M. S. Giorgio si ha quel micascisto, a mica sericea, del quale ho detto trattando dei rapporti fra le due serie. Presso la sommità di Cima della Biscia osservasi una apofisi filoniana di con- torno e grossi massi di granito sono pure nel piano della Crocetta, non so se in posto o per trasporto miocenico. Scendendo dalla C. Crocetta a Montenotte inferiore, è straor- dinaria la quantità di uno scisto ftanitico, alcune volte vero diaspro, di aspetto affatto eocenico, che s’incontra erratico lungo la strada, e poi anche in tutta la valle a settentrione di Montenotte. In posto ho trovato di questo un piccolo interstrato, di un qualche metro di potenza, fra anfiboliti attinolitiche molto cloritizzate. Lo credo in rapporto a qualche apofisi del granito che non affiora (dista dal massiccio granitico circa tre chilometri) ('). (') E a notarsi, per completare l’elenco delle silicizzazioni della zona, che di contro alla Cappella del Salto, ed al Passo del Bonomo, si trovano 56 G. ROVERETO Nella insellatura di costa della falda meridionale di M. Ne- gano passa il confine sud della massa granitica, ed è a contatto con gneiss, nei quali nulla ho osservato di peculiare. Lungo la stessa costa il confine nord è a contatto con anfiboliti, che si collegano di già alla serie superiore. Lungo la valle di Acquabona, sopra il Santuario, il contatto è con calcescisti (sopra C. Bossarino), veri calcari di aspetto trias- sico, e con anfiboliti (presso C. Provenzale). Nello studio micro- scopico di tutte queste roccie metamorfosate ebbi parecchie volte a ricorrere al consiglio dell' ing. Traverso, che avendo studiato nel Sarrabus simili prodotti di contatto, ma meglio caratterizzati, potè risolvermi molti dubbi. Influenze endomorficlie Endomorficamente gli effetti di contatto sono ben poco pronun- ziati; mancano affatto le strutture più tipiche. Mi limito a ricor- dare alcune osservazioni fatte sul terreno, sulle quali non insisto; se non per altro varranno a far conoscere il granito normale. Alla Pace, lungo il Rio di Sanda, in punti molto circoscritti, osservai nel granito una lontana orientazione delle lamelle di mica nera (tav. IV, fìg. 3a), che tendono a disporsi parallelamente e si modellano nelle loro direzioni intorno ai grossi individui di fel- dspato. Al contatto nord di M. Negino, dove il granito è giustaposto con anfiboliti, è straordinaria la quantità della clorite, che lo tinge in verde, e quasi si direbbe lo inquina, pensandola proveniente dalla anfibolite. Proviene invece dalla mica nera, e potrebbe sem- plicemente rappresentare una alterazione atmosferica, favorita inter- namente dal piano di contatto. Sono più notevoli presso lo stesso contatto dei grumi di roccia nera, costituiti da quarzo granitico e da bruna sericite, osservati altrove e ricordati come accidentalità molto interessante (*). Sopra la C. Pocapaglia, fuori strada, a non molta lontananza reticolature di calcedonio (Issel), che al Passo del torrente di Montenotte. sotto la C. Arbin, vi è nella serpentina un grosso filone di quarzo, accompa- gnato da salbande brecciate della roccia incassante. (*) Grubenmann, Zar Kenntniss der Gothardgranit. Verh. tburg. naturi’. Gesellsch. IX, 15, 1890. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE O ( dal contatto, il granito si divide in grandi lastroni per paraclasi regolari ed equidistanti. Influenze esoinorflclie Contatto coi gneiss Gneiss scistoso brecciato. — Ha apparenza di una vera e pro- pria breccia, come se ne noverano tante a contatto delle roccie ba- siche di profondità. La roccia gneissica, qui a varietà assai com- patta ed a scistosità maldefinita, si riduce in cogoli rotondeggianti, cementati dai frammenti più miuuti. Per questo escluderei ogni azione chimica, interna o esterna, che abbia alterata la roccia ; si sarebbe invece indotti a ritenerla una breccia di attrito ; attrito esercitato dalla massa eruttiva impellente, già alquanto solidificata nelle parti periferiche ('). Colla osservazione microscopica si giunge a riferire questo gneiss alle forme tipiche dei gneiss scistosi alpini, accostantesi alquanto alla varietà granulitica. Miche se ne hanno di tre sorta : mica bruna, tutta investita dai frequenti passaggi a clorite e con inclusioni zirconiche ; mica bianca , posteriore, originaria e a lamelle isolate ; altra mica bianca in minute lamelle facilmente confondibili con quelle di caolino , nelle plaghe torbide di alterazione. Del quarzo è predominante il gneissico. più raro è il granulitico. Voto il quarzo rigato , che corrisponde forse al quarzo felucciato del Franchi e che con dubbio ritengo quarzificazione di cristalli pla- gioclasici. La clorite è abbondante e forma contorni alle miche, anche agli individui che appariscono di mica bianca. Un altro compo- nente accessorio, lo sfeno, trovasi incluso nelle lamelle di mosco- vite ed anche in forme listate concresciuto con clorite. Un invo- lucro cloritico accerchia grani isolati di granato in stato fran- tumato. L'elemento bianco feldispatico è d’ordinario alterato, difficil- mente si riconosce ortose non meno che i plagioclasi ; ne risultano le plaghe torbide, nelle quali l’abbondante diagenesi del quarzo e della moscovite esclude che tale alterazione sia atmosferica. Delle azioni di contatto, oltre le meccaniche, si svelerebbero in questo P) Il Bonney e l’Hill hanno segnalato a contatto del granito una brec- dazione nelle anfiboliti: Cristalline rocks of Sari;. Q. J. G. S. pag. 122, 1892. •58 G. ROVERETO gneiss quelle più propriamente esosmotiche, per l'abbondante idra- tazione, svelata dalla produzione di clorite, e per le azioni dissol- venti e riassorbenti subite dall'elemento bianco. Gneiss afanitico. — È roccia che raccogliesi lungo lo stesso contatto, poco lungi dalla breccia sopra descritta. Presenta il pas- saggio che offre una forma scistosa che a contatto del granito perde la scistosità, forse per le stesse influenze dinamiche che de- terminano la breccia. Al microscopio si distinguono tutti i componenti normali dei gneiss, eccetto i feldispati alterati come nel prece- dente. L'interessamento dinamico si svela dalla frantumazione del quarzo, finamente circondato da pasta caolinica, dalla tenuta delle miche, ridotte a nuclei isolati. La scistosità scomparsa è sostituita solo in alcuni punti da laminazione, determinata non dalle miche, ma dalle forme del quarzo. Gneiss laminato. — È quasi salbanda al contatto e ne assume infatti l’aspetto. Ad occhio nudo osservasi una pasta biancastra, con liscioni e plaghe di mica bianca, la sola tra i minerali com- ponenti riconoscibile direttamente. Sotto il microscopio si ravvisa che trattasi di gneiss; ma di gneiss profondamente rigenerato. Il quarzo gneissico , ricco in inclusioni, è stirato e laminato, circon- dato da zone quarzose microgranulari riprodotte e da ontose. La clorite è la parte residuale della mica nera , pressoché scomparsa, e la moscovite è interamente secondaria. Novero ancora, zircone in inclusioni uella mica nera cloritizzata e ferro-titanato , più o meno alterato in leucoxeno. Gneiss combatto. — Al contatto Porzi vi è un sottile inter- strato di gneiss tra le anfiboliti e il granito. Questo gneiss è profon- damente modificalo, irriconoscibile per tale ad occhio nudo, compatto e con lucentezza quarzosa. Ma al microscopio si osservano ancora quarzo gneissico a contorni ronchiosi; ontose , che accusa notevoli deformazioni meccaniche, ed è tutto sagrinato dalle trasformazioni caoliniche; oligoclasio con geminazioni a tratti interrotti; mica bianca in lamelle stirate ; mica nera con clorite. Le solite zona- ture caolinico-micacee e microlitiche, con ferro ossidato e idrato. Contatto con le roccie pirossen ico-anfiboliche Ho studiato campioni di roccie pirossenico-anfiboliche di parec- chie località che presumevo presentassero fenomeni di contatto. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE 59 L' unico campione però, in cui sono certi i segni di metamorfi- smo, l’ho rinvenuto lungo il Sansobbia, presso le cascine Collaeta. Si ha attinoto in grossi cristalli laminati che dànno alla roccia un aspetto macroscopico compatto e uniforme. Yene di rottura obblique alla laminazione sono riempiute da sfeno e da quarzo. Piccoli grani di un pirosseno incoloro sono fasciati da attinoto, che si trova anche allo stato microlitico nelle zonature quarzo-feldispatiche. Nel complesso le bandelle costituite da attinoto laminato forma- no con le zonature dell’elemento bianco un tessuto assai fine, com- penetrato dalle azioni epigeniche. Questa epigenesi non è quindi quella anteriore all’eruzione; ma essendo stati profondamente sfatti gli elementi di primo tempo, è certo che i minerali epigenici, più facilmente solubili e disaggregabili, hanno dovuto anch’essi essere riassorbiti. Contatto con i calcescisti Biotitescisto a chiaslolite. — Sotto il rio di Gfameragna, il calcescisto è ad immediato contatto convertito in una roccia nereg- giante, a scistosità male definita, un biotitescisto ricco in chiastolite. Nelle sezioni microscopiche predominano noduli di mica nera e gra- nuli freschi di quarzo , associati a grossi cristalloidi frantumati di chiaslolite con aspetto granulare. Vene e lenti di quarzo secon- dario rilegano queste zone di minerali rigenerati, e si hanno an- cora zone torbide in parte caoliniche , nelle quali raramente si rico- nosce un plagio clasio di abito albitico, e rotture ricementate da calcite e da mica bianca. Moscovitescisto quarzitico. — A Sanda il calcescisto assume aspetto quarzitico, con le numerose crepe e rotture delle quarziti. È ancora ricco in calcite che predomina sulla mica bianca , ma non sul quarzo. Questi minerali, cui si associa ferro ossidato e limo- nile, formano zone finamente laminate, divise da parti torbide. In- cluso in questa roccia ho trovato un nodulo quarzoso-feldispatico, nel quale prevalgono zonature feldispatiche , più precisamente irre- conoscibili, tra plaghe di limonite e di magnetite, cosparse di gra- nellali di quarzo. I prodotti ferruginosi si svelano anche ad occhio nudo in venule e filonetti, e dànno al nodulo aspetto listato. Biotitescisto. — Ancora a Sanda ho osservato, lungo il contatto, una roccia scistosa, formata da letti di granuli stirati di quarzo. 60 G. ROVERETO legati da liste di mica aera e di mica bianca associate. Trovasi un feldspato assai torbido e rara calcite in rilegamenti obbliqui alla scistosità. Moscovitescisto feldispatico. — A Vetriera, ad immediato con- tatto, il calcescisto indurito si presenta con struttura affatto com- patta e ricco straordinariamente in feldspato, in grande parte cao- linizzato, che forma una pasta polverulenta, amorfa e torbida, nella quale si scorgono quarzo e mica bianca. La calcite si ha solo nelle crepe. Moscovitescisto quarzitico. — In fondo alla salita di Stella S. Giovanni per lungo tratto il calcescisto è convertito in uno scisto quarzitico. Al microscopio non si rilevano però fenomeni di contatto notevoli. Quarzo gneissico è avviluppato da listerelle scistose, com- poste da quarzo granulare , e da mica bianca in fibrille tutte pa- rallelamente allineate. Raro granato, e plaghe torbide leucozeniche. Moscovitescisto a sillimanite. — Come i precedenti compatto e non scistoso, raccolto lungo il Sansobbia. È costituito da quarzo gneissico frammentario, a mosaico, evidentemente di contatto, at- traversato da fibre criniformi di sillimanite e cementato da mica bianca e clorito. Il fondo della roccia è dato da'quarzo microgranu- lare. con mica bianca microfibrosa, e da molta parte caolinica in cui si distingue ontose, un plagioclasio , clorite, ferro ossidato. Noto ancora sfeno deformato e avvolto da clorite. Moscovitescisto cloritico. — Campione raccolto nel letto dal Sansobbia. Somiglia per la facies a quarziti verdi cloriticbe. L’osservazione microscopica lo svela costituito predominantemente da (quarzo, irregolarmente stirato, con estinzioni ondulatissime, cementato da clorite di uno sbiadito colore e pressoché inerte. Serve di cemento anche la mica bianca listata, è raro un plagio- clasio alterato; ferro ossidato e calcite si osservano nelle rotture. Nessuna traccia di scistosità microscopica. Microgranulite. È una microgranulite tipica in tutti i suoi caratteri. Trovasi filone di contorno al granito ; presenta ben distinti i due tempi di con- solidazione ; appariscono come sviluppatissime le azioni di dinamo- metamorfismo nei rapporti dei due tempi, con rotture e susseguenti iniezioni. Grossi individui di ontose, di micr oclino, di oligoclasio. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE 61 di quarzo e di epidoto stanno inclusi nella massa microgranulitica quarzo-feldispatica. Pernio-carbonifero Tettonica. — Direzione e jeagruppamento delle pieghe. Ad ovest del massiccio arcaico si estende la zona degli scisti del yer- rucano, con affioramenti di carbonifero dalla sommità di anticlinali della regione centrale , e con strati di trias inferiore e medio rac- chiusi nelle sinclinali delle regioni esterne. Tale complesso ho investigato nella sua tettonica sino ad Albenga, e secondo una linea, con la direzione dei meridiani, passante all’incirca per Toi- rano ed Osiglia. Il movente tettonico che ha avuto massima influenza nella regione è il masùccio rigido arcaico, e solo più verso ponente quello proprio dell'orogenesi dell' Appennino, o per meglio dire, delle Alpi Liguri. Sembra infatti che a ponente del limite propostomi, sino di contro al massiccio del Clapier. prevalgano le ripiegature longitudinali secondo l’asse della catena, come avviene d’ordinario nella parte centrale della catena Alpina ; ma qui si ha come nelle Basse Alpi, nelle Prealpi Lombarde ed altrove il passaggio agli accidenti di assetto tettonico trasversali. Non esistono assi rettilinei di anticlinali ; l’andamento della catena non è però in rapporto con questi, non è quindi molto sinuoso. Può considerarsi che gli affioramenti di carbonifero diano 1 'anticlinale centrale; benché la catena apparentemente sia assirn- rnetrica , essendo le pieghe laterali, del versante settentrionale co- perte dal miocene; poiché tra quelle che racchiudono il trias scor- gesi la sola di Roccavignale. Anche nei contorni di rilievo si può facilmente comprendere che gli anticlinali del carbonifero sono assai irregolari; prevale però la direzione est-ovest, eccettuato l’affio- ramento di Mallare che è diretto nord-sud e nord-est. Ciò dipende dalla particolare modellazione che hanno dovuto subire più a sud gli strati del verrucano. L'ostacolo aveva una direzione nord-ovest, e gli strati compressi contro di esso una est-ovest, invero poco dif- ferente. ma occorrendo un forte raccorciamento non si passò diret- tamente alla direzione dell’ostacolo. L’ anticlinale di Mallare (n. 7) cade nella zona di passaggio al modellamento , e benché assai vicino all’ostacolo, non lo seconda G. ROVERETO 02 intieramente ; essendo entrata tra questo e il massiccio, a guisa di cuneo, una zona di intumescenza composta da più pieghe (n. 1-6) ('). Dove osserviamo perfetto il modellamento è lungo la valle di Quiliano, in una zona che, a partire dal contatto, comprende i territori immediati di Quilianello e di Roviasca. Con una sezione fatta da Quiliano ad Oliano (sez. 4. tav. Ili) non ho riconosciuto nella massa delle assise permiane alcuna piega, però, avendo cal- colato altrove lo spessore della formazione, ho fatto corrispondere un sinclinale di contro al massiccio di ostacolo (n. 1) ed uno in corrispondenza dell’anticlinale carbonifero (n. 6). L’anticlinale in- terposto (n. 2) ha nei suoi due fianchi opposti le due direzioni rispettive. Il rovesciamento dell'arcaico sul verrucano è solo apparente, per la generale immersione a nord della serie arcaica. Ciò osservando planimetricamente; per fare osservazioni in sezione occorrerebbe uno spaccato naturale che manca. Con probabilità vi saranno faglie, o il verrucano sarà semplicemente compresso, o adagiato, a grande discordanza angolare, sull’arcaico. I due sinclinali contro di questo verso settentrione si congiuugono nello strettoio in corrispondenza deH’anticlinale di Mallare; ma a mezzogiorno, avendosi, come ho detto, direzioni divergenti, l'uno si continua modellandosi con l’ar- caico (n. 1); l’altro, dapprima ricostruito teoricamente, si svela sul versante meridionale del M. Alto, perchè ivi racchiude due lembi di calcare dolomitico (n. 6). Nella zona interposta fra M. Alto e Vado ha massima impor- tanza l’anticlinale (n. 2) in rapporto ai due sinclinali citati. È rego- larmente clinalico sino a mezzogiorno del M. Cima delle Rocche, poi diventa isoclinalico, e si rovescia sul bacino di trias medio Spotorno-M. Mao (tav. Ili , sez. 4a, 5a, 6a). Questo rovesciamento fu già riconosciuto dal De-Stefani ; teoricamente può dirsi un rove- sciamento di estremità contro l’ostacolo. Il bacino di trias medio citato è un sinclinale che nasce a mezzo della catena, e, venen- do nella parte esterna di questa, si apre a catino per racchiude- re gli strati superiori (n. 3). Questi a loro volta sono ripiegati e contorti, e abbiamo un terzo complesso di pieghe, più esterno e quindi più complicato, che si ripete negli altri bacini. Da questo (') Vedansi lo schema pianimetrico della tav. Ile le sezioni della tav. III. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE 63 vedesi come sia necessario nel ricostruire la tettonica partire sempre dalla formazione più profonda. Nel nostro caso è anche evidente la distinzione delle pieghe interne del carbonifero, che non giungono più ad interporsi fra le pieghe esterne verrucano-triassiche ; come pure la zona triassica della parte esterna della catena si presenti, anziché disposta in fascia regolare e continua, in bacini isolati J che in altre catene laterali, nelle Prealpi ad esempio e nelle Alpi calcari, sono caratteristici della parte più tormentata. Il rovesciamento si osserva ancora a Spotorno sul lato opposto del bacino, trattasi quindi di un sinclinale rovesciato anche nel suo fianco normale inferiore ( Mulclenschenkel in Heim). Il bacino seguente Noli-Varigotti-Verzi, e che ricomparisce disotto al miocene a Orco Peglino e Boragni presso Portio è un sinclinale regolare in. 10) ( av.frechte Fatte in Baltzer), quindi l'anticlinale del fianco a monte è uno dei pochi aperti che esistono nella regione, e che continuandosi a nord lascia affiorare l’isola di carbonifero di Mal- lare. Questo evidentemente non avverrebbe se V anticlinale fosse chiuso. L’anticlinale corrispondente del fianco a mare (n. 12) è a San Rocco, fra Orco Feglino e Calice Ligure, chiuso e rovesciato sul trias del bacino della valle di Calice (tav. II, fig. 3). Osser- vando lungo la costa si ricostruiscono in questo bacino da Noli a Varigotti tre anticlinali secondari lentiformi od angusti, l’ uno a Capo di Noli, chiuso perchè vedesi nella parte superiore, gli altri aperti con interposizioni di strati quarzitici. (Tav. IV, fig. 8a, n. 10). A Capo di Varigotti comincia il fianco dell’anticlinale del verrucano che doveva cingere dalla parte del mare il bacino triassico. Altri piccoli e numerosi ripiegamenti secondari trovansi sugli orli del bacino. Un anticlinale di scisti filladici a S. Giacomo delle Manie (n. 9), altro con quarzite sopra i piani dei Sardi, pa- recchi nei dintorni di Selva, e, dopo la striscia di scisti a sud di Selva, nuovamente affiorano quarziti e calcari dolomitici a Capo San Donato. La zona esterna della catena fra Finale e Celiale, come si comprende dal rilievo geologico, è costituita principalmente da sin- clinali (n. 14 e 17), nei quali è racchiuso il calcare dolomitico da Finale a Borgio, da Borgio a Ranzi e sino alla strada fra Loano e Verzi- Il contorno di questa zona dolomitica è assai accidentato, e dipende, non da ineguaglianze di erosione, ma dall’assetto degli G. ROVERETO 6 1 strati, che formano nelle loro direzioni rientranze e racconcia- menti. Lungo la strada fra Finalmarina e Gorra i calcari del sincli- nale n. 14 sono inflessi in parecchie pieghe: la prima cade in mare a Finalmarina (n. 16) con direzione N-30°-0., ed una inclinazione di 30°; una seconda è riconoscibile al Pilone di Finalborgo (tav. II. sez. 2a e 3a) con affioramenti di strati quarzitici. È evidente che si è prossimi al fondo della conca triassica, tanto più che in altri punti lungo la strada appariscono creste anticlinaliche degli strati inferiori. A Gorra in un sinclinale inclinato (n. 14) è compresa una massa di quarzite, che appare molto notevole, perchè raddoppiata nel catino. Tutte queste piccole pieghe sono longitudinalmente poco continue. Tra Pietraligure e Toro non ho riconosciuto inflessioni ; da Tovo a Magliolo havvi l'anticlinale per il quale affiora la zona degli scisti perniici, che si continua sino a Toirano. In questa zona sono notevoli il sinclinale che racchiude V isola triassica di Giustenice (n. 19), e la rottura fìlonifera della miniera di S. Libera. Il mas- simo restringimento della zona triassica corrisponde a sopra Rauzi, dove, nella sottile striscia di calcari delle pendici del M. Pianosa, affiora ancora alla sommità di questo un piccolo lembo di verrucano. La grande zona triassica di Bardineto-Ceriale, che a cominciare da Melogno è coperta per rovesciamento dall’ anticlinale n. 20, è a ponente di Toirano sottoposta a strati di trias superiore e di iu- fralias che giungono al mare, fra Borghetto e il Castello Borelli. Alle anomalie più notevoli nelle direzioni stratigrafiche corrisponde la pronunciata inflessione del contorno sopra Toirano ; inflessione che viene a racchiudere la pianura che si estende fra Toirano e Loano, essendo il nucleo permico deH’anticlinale eroso. Questo contorno, come osservasi nella carta geologica, fa anche conoscere le direzioni che gli scisti perniici assumono rove- . sciandosi; direzioni che appaiono presso che normali a quella del- l'anticlinale centrale (n. 23). Nella parte esterna della catena la di- rezione nord-sud non si estende molto verso levante ; già sotto Ma- gliolo si ha N-70°-O., a Bardino est-ovest, direzioni che concordano a mezzogiono col contorno della zona triassica Tovo-S. Giacomo e Brassale. Lungo la strada a Calizzano ho calcolato a S. Pantaleo N-60°-E., a Rocca Cucca N-40°-E., alla sommità del M. Settepani ARCAICO E PALEOZOICO NEI. SAVONESE G5 N-70°-E. Dal Settepani scendendo ad Osiglia, secondo il versante sinistro della Boimida, si osserva sopra le C. Tetti-Badi perfetto accordo fra gli strati permiani e i carboniferi ; si trovano arenarie e la prima miniera di antracite. Dai M. Aliburni e di Femma-Morta sino quasi alla strada di Calizzano, gli strati sono nord-sud ; dirimpetto invece, lungo la costa del Bando, hanno già la direzione dei paralleli e spuntano di sotto ai calcari triassici. Secondo l'anticlinale nord-sud di Calizzano abbiamo la zona triassica di M. Sotta e di M. Giovetti. Un anticlinale colla dire- zione della catena è presso M. Granarolo; il lembo triassico di Millesimo è racchiuso in un bacino come quelli del versante me- ridionale. Da Pallare, dapprima con la direzione nord-sud, poscia con passaggio alla est-ovest, comincia un anticlinale che si continua fra Ronco di Maglio e Murialdo, con affioramento di carbonifero a Bertolotti. Al Ponte della Volta, sulla strada di Altare, esiste il nucleo di un anticlinale (nord 40° ovest), localmente cupoliforme , tra il sinclinale di contro al massiccio arcaico e quello di contro alla zona carbonifera di Mallare. Rapporti fra V 'oroidrografia e la tettonica. — Innanzi tutto è a notarsi che il crinale di questo tratto delle Alpi Liguri ha un andamento assai irregolare ; perchè seconda i bacini di origine dei torrenti dei due versanti ; ma in massima può dirsi sia nord- est e che si mantenga ad una eguale lontananza dall’arco della costa. Le maggiori alture, a cominciare dalla valle di Quiliano sino a quella del Maremola, si trovano sul crinale. Il M. Settepani alle origini di questa, di massima altezza nella regione (m. 1391). trovasi tuttora sul crinale e su di un secondo asse ipsometrico (M. Settepani-M. Carmo), con direzione pressoché nord-sud (’). Da tutto ciò si deduce che Tasse ipsometrico e il geografico coincidono. Ed ancora, gli affioramenti di carbonifero, ossia gli an- ticlinali della zona centrale, essendo tutti sul versante settentrio- nale, è evidente che asse stratigrafico e asse tettonico non coincidono con i sopra citati. Ne hanno però in massima la stessa direzione, esiste quindi un legame fra loro, e solo l’erosione, favorita dalle roccie friabili del carbonifero, può avere spostato il crinale. (') Cfr. Rovereto e Squinabol, Carta, ipsomelrica e.batimetrina della Li- paria. Genova, 1892. 66 G. ROVERETO E sono principalmente queste azioni erosive esterne che, in rapporto alla varia natura rocciosa, hanno dato lo stampo al Fina- lese. Le valli corrono normali alla direzione crinalica e gli affluenti affluiscono, eccetto che per la valle di Quiliano, sotto un angolo molto ridotto. L’angolo di apertura verso il cielo delle vallate, che, secondo Elie de Beaumont (*), presenta modificazioni in rapporto alla durezza della roccia e alla forza delle correnti nei vari tempi, è infatti più o meno ampio secondo si tratta o di scisti o di cal- cari. Però, oltreché essere in rapporto alla natura rocciosa, i pendii delle valli sono più o meno ripidi secondo Y inclinazione degli strati; e dove questi vengono tagliati orizzontalmente, come nella zona miocenica, il pendio è quasi perpendicolare. Queste valli , che corrono quasi traversalmente alle direzioni sinclinali, sono interamente di erosione. Mancano vere valli geo- teniche che seguano le conche delle pieghe; poiché nell’emersione dal mare dopo il miocene si ebbe un asse di sollevamento diretto trasversalmente a quello tettonico eocenico. Del resto mancano valli che risalgano all'età delle conche, poiché nell’abbassamento anti- miocenico, se non nello stesso sollevamento eocenico, le sommità delle pieghe vennero abrase, e la terra emersa non si presentò affatto corrugata. L’erosione quindi non ha dovuto tagliare trasver- salmente sommità di anticlinali ; ma semplicemente le correnti, at- traversando una superficie inclinata, sono giunte al mare perpen- dicolarmente, per la via più breve. Non comprendo la teoria, applicata molto nelle Alpi, delle valli di frattura ; perchè bisognerebbe ammettere un sistema di faglie trasversali alla catena, che è affatto ipotetico. Ma anche, se questo sistema esistesse, il labbro di una faglia non presenta un inter- stizio più notevole delle diaclasi normali che osservansi nelle roccie arcaiche; anzi è lungo il labbro delle faglie che si manifestano maggiormente le pieghe e si ha maggiore compressione. Un altro modo di percorso obbligato delle valli ci è dato nel Finalese da quella del Maremola. Infatti la sua direzione iniziale è stata determinata dal contatto fra i calcari dolomitici e gli scisti. In questa e nelle altre valli i froldi in corrosione producono una ripa piar da o perpendicolare , specialmente dove sono calcari; (*) Proc. Veri), de la Soc. Philom. pag. 90, 1843. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE 67 dove trovatisi scisti si hanno frane a piano più o meno inclinato, che nel modellamento del versante accentuano gli effetti dei semi- coni di corrosione. L'erosione marina ha inciso a capi ed a seni la costa, che per grandi tratti è a picco per un recente cambiamento di rapporti col livello marino. Il Capo di Noli è un nucleo anticlinalico di calcare dolomitico, marmorizzato dalle composizioni orogeniche. Allo stesso modo, per la composizione rocciosa, resistono al mare i capi di Caprazoppa, di S. Donato, di Yarigotti, di Bergeggi, di Vado. I seni più ampi di Vado e di Spotorno sono tali dal pliocene, e vanno colmandosi dal quaternario, difesi dalle traversìe di libeccio che, dove regnano, trasportano le sabbie a levante e deviano nella stessa direzione le foci dei torrenti. Altri seni pliocenici, come quelli di Loano, di Pietraligure, di Finale, sono già per intero col- mati, e in parte, come i porti di Noli e di Yarigotti. si colmarono in tempi recenti ('). Età delle pieghe. — Le pieghe che si riconoscono nei calcari e negli scisti sono autimioceniche, quindi risalgono all’eocene su- periore, quando si costituì con i motivi tettonici attuali la catena alpina. In questo primo formarsi delle Alpi Liguri è evidente che (*) (*) Il Vinzoni, poco dopo il 1764, scriveva dei dintorni di Pietraligure (M. S. in Biblioteca Brignole) « sopra un alto Scoglio Isolato yi è un Castello, parte del quale nel Piano è stato distrutto e fattini Giardini, in alcuni dei quali inoltrandosi, ivi è tradizione che vi fosse Porto, e vedasi ancora in una parte delle muraglie del d.° Castello due annelli murati, et incastrati, che ser- vivano per uso dei Bastimenti; et ora resta distante dal mare un buon tiro di fucile, framezandosi, oltre li Giardini due Contrade di Case, e la Spiaggia » . In alcune carte antiche sono segnati tre scogli attorno alla Gallinaria. La prima che abbia potuto riscontrare è quella del Gastaldo nel Theatrura orbis terrarum dell’Ortelio (1573). Ricompariscono nell’Aids major del Blaev (1662) e nell’Mf(as novus dell'Janssonio (1640). Mancano nella Geographia di Fran- cesco Berlingheri (1480?), che nota il porto di Bariotta (Varigotti) ; neW'Atlas del Mercatore (1619), le cui carte furono poi parecchie volte ripubblicate con lievi modificazioni dall’Hondio, nello stesso secolo. L'Hondio pure scrisse del porto di Noli: Portuni est eximium ( Nova et accurata Italiae hodiernac drscriptio. Lugduni Batavorum, 1627); come pure è noto un passo simile del Giustiniani. Pressoché in tutte le carte citate è sito a ponente del paese. A Vado erano paludi ricordate da Strabene, e indirettamente da Cicerone, che si riprodussero nel secolo XVIII (Vinzoni in M. S. citalo). N. B. Le date riportate si riferiscono alle edizioni che si conservano nelle biblioteche di Genova. 6 (38 G. ROVERETO l'asse tettonico avrà concordato con quello di sollevamento, ossia avrà per l’incirca corrisposto all'attuale. Ma nell'Apennino Ligure le pieghe nord-sud avranno dato alla catena un assetto diversissimo dall’odierno ; assetto odierno che si deve quindi ad un altro asse di sollevamento postmiocenico e che fu pressoché normale a quello eocenico. In questo tratto di Alpi Liguri invece, succedette come nelle vere Alpi ; i due assi di sollevamento concordarono ; come in seguito in tutte queste catene concordò l'asse miocenico con quello pliocenico. Tutto questo conduce a ricercare le pieghe mioceniche e le plioceniche. Collegando le varie inclinazioni delle isole mioceniche tongriane, sparse sul massiccio arcaico, si possono ricostruire, come ho già fatto 0 , delle curve di sollevamento, di corda lunghissima e quindi non riconoscibili nell'ossatura montuosa, le quali prese nel loro insieme debbono dare la semiellissoide del sollevamento postongriano. L’asse di una di queste curve corrisponde alle costo- lature Cimaferle-M. Poggio-M. Colma che hanno all’ineirca la dire- zione del crinale. Al passo del Giovo di S. Giustina vi è un' altra saetta di una curva assai più ridotta, che corrisponde al crinale; e le anfìboliti delle falde di ponente dell’Ermetta sembrano piegate secondo quest’ asse. Alla Colla di Altare invece i giacimenti tongriani del ver- sante settentrionale (C. Manazzi), come quelli del meridionale (Ca- dibona) sono inclinati a N. di una diecina di gradi. Credo che questa anomalia sia dovuta al sollevamento pliocenico. Infatti l'el- lissoide pliocenica, a sua volta ampia da presentare un massimo pendio di 10° (valle del Segno, Zinola, Fornaci), alterò l’orizzon- talità che si aveva al mezzo dell'ellissoide postongriana ; conside- rato che al mezzo dell’ampia curva miocenica, con l’asse al cri- nale di Altare, gli strati dovevano essere pressoché orizzontali. Se il miocene dei monti di Finale è veramente elveziano, inclinato coni’ è sino a 25°, dà una ellissoide di media ampiezza fra le precedenti, ed a sua volta corrisponde con gli altri assi di sollevamento. Quindi al terminare del tongriano l'Apennino cominciò a pren- ci Rovereto G., La serie degli scisti ecc.: parte II. pag. 45, tav. I. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE 69 dere l'aspetto attuale, dividendosi in due versanti; la valle del Po ebbe nuova forma; il Tirreno avanzò verso settentrione. In questi vari periodi di emersione, quindi di erosione, che si possono stabilire dal miocene all’attuale, altri fatti fanno cre- dere ad uno spostamento del crinale. Si osservi che nel pliocene il versante tirreno era assai ridotto: la costa del golfo di Vado, essendovi giacimenti pliocenici sopra Quiliano, non trovavasi a più di quattro chilometri dallo spartiacque; quindi il versante set- tentrionale. essendo più esteso ed anche più inclinato che non at- tualmente, l’erosione, a cominciare dal pliocene, doveva spostare verso il Tirreno la linea crinalica. Il passo di Altare, che corrisponde alla insellatura di spar- tiacque fra la valle del Letimbro e quella della Bormida di Spigno. divide geograficamente Alpi Liguri ed Apennino (la divisione tet- tonica è invece al passo della Bocchetta) , non è solo dovuto all'azione erosiva delle acque plioceniche e quaternarie del ver- sante settentrionale ; ma anche a quelle antimioceniche, come è dimostrato dai giacimenti ciottolosi tongriani che trovansi alla Sella a 470 m. Gli stessi ciottoli trovandosi a più di 670 m. (falde del Baraccone) , le acque postmioceniche, spartite in due versanti, hanno dovuto nuovamente incavare la Sella per più di 300 m. Potenza delle assise. — Del carbonifero non compariscono che arricciature degli strati estradossali di pieghe profonde; quindi non se ne può valutare lo spessore. Allo stesso modo non è facile conoscerlo del permiano, essendo d'ordinario raddoppiato, ed anche quadruplicato, in pieghe chiuse. Alcuni anticlinali ben definiti, come quello di S. Rocco (tav. II, sez. 3a), darebbero una potenza intorno a 1000 m. Le quarziti del trias inferiore da pochi metri, perchè sostituite da strati eteropici non ancora bene delimitati, non rag- giungono i 200 m. nel Finalese; nel Loanese invece oltrepassano i 700. Il calcare dolomitico, nel quale la fratturazione occulta le pieghe, non dà una quota esatta; la pongo tra Finale e Vado in- torno ai 1000 m. ; ma più verso levante tale cifra vuole essere quasi raddoppiata. Con questi dati ho ricostruito la parte teorica delle sezioni Discordanze cronologiche. — La concordanza perfetta fra permiano e trias non ammette che sia corso tra essi un periodo orogenico molto notevole ; ma non lo esclude affatto, esistendo fra 70 G ROVERETO essi un livello di mare sottile. Le isole di trias medio, come è noto, posano sulla serie arcaica e sul granito d’ordinario diretta- mente; alcune volte (Eric Greppino, salita Naso di Gatto, passo del Bonomo) sono accompagnate da scisti forse equivalenti alle quarziti ; mancherebbero il permico e il carbonifero. Potrebbero es- sere carboniferi certi scisti plumbei osservati alla base della Ma- donna del Monte e alla Piazza d'Armi di Savona e che comple- terebbero la serie che dovrebbe posare sull’arcaico; se i movimenti orogenici, non ancora bene conosciuti lungo il contatto con i gneiss, non occultassero in grande parte, se non per intero, questo carbo- nifero. La grande discordanza angolare e l 'hiatus che esistono ai confini delle due formazioni, si ripete nelle isole di permiano che occupano bacini profondamente incisi nei gneiss (Tav. Ili, Sez. la-2a) ; bacini che dimostrano di quanto già fosse eroso nel paleozoico l’arcaico, dopo essere stato piegato nelle grandi geoclinali Questa discordanza è nota in particolare modo per le Alpi Occidentali. Sezioni. — La principale fra le sezioni (Tav. IH, Sez. 5a) attraversa tutta la zona di andamento irregolare, e collegasi alle altre (Sez. 4a e 6a) per l’anticlinale del carbonifero (n. 7), che appa- risce pressoché centrale. I dati che hanno valso per ricostruirla sono: l’evidente rovesciamento di Val Maremola; le immersioni sopra a Rialto, che danno un sinclinale collegantesi a quello di S. Rocco ; le immersioni alle falde del M. Alto ; una isola di calcare dolomitico, poco discosta dalla linea di sezione, che dà il sinclinale alla sommità del M. Alto; le immersioni della Valle del Segno; rovesciamento dell'anticlinale n. 2 riportato dalla Sez. óa. Sono il primo a non dare molto valore alla parte di rico- struzione ideale e teorica ; credo però che, anche modificandola nei dettagli, dia sempre l’aspetto vero delle pieghe dello strato per- mico, non molto profonde ed alte, ma a raggio raccorciato; e in ciò basandosi, inferiormente sui numerosi affioramenti di carbonifero che trovansi a settentrione, superiormente sull' isola di calcare dolo- mitico del M. Alto, come pure sugli accordi con la Sez. 6a. E in un campo ancora più teorico si potrebbe asserire : le spinte tangenziali contro il massiccio hanno prodotto l’arricciatura; erano molto superficiali ; nello strato medio compresso, che sarebbe lo strato neutro, le pieghe sono tutte chiuse ; i rovesciamenti avven- nero, come vuole il Suess, nel senso della spinta. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE 71 La Sez. 6a corrisponde in planimetria alla precedente per il rovesciamento di M. Mao. per l’anticlinale del carbonifero, per il sinclinale con calcare triassico n. IO, che è quello di Rialto, ma molto modificato. In profilo potrebbe rappresentare della stessa sezione la parte ideale superiore; ossia la parte esterna dello strato permiano, molto più arricciata e ripiegata che non la media e la inferiore. Petrografia. — Ho già segnalato scisti sericitici a Capo di Vado, ed ultimamente ho riferito al permiano tutto il complesso sericitoso o fillitico del Finalese ; distinguendovi però le quarziti, che ho riferito al trias inferiore. Questa distinzione feci per con- cordare il complesso permo-triassico ligure con quello delle Alpi Occidentali e delle Alpi Lombarde, nello stesso modo suddiviso ed ordinato. In realtà però è intimo il legame fra le quarziti, che sono anch’esse sericitiche, sostituite talvolta da scisti sericitici di aspetto particolare, e gli scisti permiani ; poiché è raro osservare gli strati di anagenite che dovrebbero dividere le due formazioni. La grande rigenerazione della sericite in tutti i campioni di scisto che ho esaminati avviene sulle superficie di scistosità, dove forma un sottile strato sericeo, che il Bonney direbbe sheen-sur- faces ('). In origine erano forse schistiti argillose che qua e là, specialmente nella parte superiore, ancora vi appariscono in sottili strati: poi avvenne una rigenerazione sotto forte pressione, e i mi- nerali allumino-alcalini si scomposero e ne nacque la sericite autoctona. Allo stesso modo i minerali clastici magnesiaci diedero origine a clorite, anche questa frequente, talvolta sola nella roccia, più o meno prevalente sul quarzo, tal’ altra associata alla sericite. D’altra parte dei minerali clastici non rimangono che traccie dubbie, ed anche il quarzo è quasi tutto rigenerato, specialmente al centro delle pieghe, dove d'ordinario si hanno le forme più compatte e più metamorfosate. Sotto queste forti pressioni, come l1) Quart. Journ. Geol. Soc., 1886, voi. 42, p. 95. Il Bonney e il King hanno proposto di chiamare metilosi queste modificazioni di elementi per rea- zioni chimiche. Il Dana le dice invece metachimiche ( Amer . Journ. XXXII, 1886, 9-71). La riproduzione della sericite avviene come è noto anche sui feldispati delle roccie cristalline per dinamo-metamorfismo; sia la loro strut- tura olocristallina, come nel protogino ; sia ipocristallina, come nell’adinolo (Sericit-adinolo). 72 G. ROVERETO ha già verificato chi mi ha preceduto, questo quarzo ha preso l’aspetto del quarzo delle roccie cristalline arcaiche, e come iu queste è stato rimesso in circolazione dopo l’assetto frammentario. Tale assetto non è uniforme e regolare come nelle roccie arcaiche; manca un perfetto sistema di rotture normali alla stratificazione; si hanno invece rotture con minore grado di incrocio colla scisto- sità, irregolarissime, per modo che il quarzo di riempimento prende forme assai bizzarre (tav. IV, fìg. 1-2). Non mi dilungo davan- taggio sulla petrografia di queste roccie, perchè ultimamente ne hanno trattato l’Issel e il Traverso nel lavoro citato. Trias Aggiungo questo capitolo perchè nella carta geologica compare nuovamente limitato il trias inferiore in rapporto al paleozoico. Agli strati inferiori spettano d’ordinario quarziti di varia po- tenza, che circondano gli affioramenti di calcare triassico. Talvolta queste quarziti, isomesiehe con gli scisti permiani, sono sostituite da scisti bianchi, che, come a Verzi, sembrano talciferi; ma in realtà sono sempre sericitosi. Una descrizione petrografica delle quarziti è stata data dal- l’Issel e dal Traverso. Il loro presentarsi in tutta l’Europa Occi- dentale, al cominciare del trias, fu recentemente spiegato dal Termier, invocando la presenza di copiose sorgenti silicifere. Questa spie- gazione fu anche accettata dal Kilian (’); però al microscopio non mi pare che il quarzo rigenerato abbia i caratteri di quello pro- dotto da acque termali. Sta il fatto che la quarzifìcazione fu poten- tissima; sono anche quarzificati i gusci delle bivalvi trovate fos- sili dallTssel a Castagnabianca sopra Verzi. D'ordinario queste quarziti sono cronologicamente considerate corrispondenti alle arenarie di Werfen (per le Alpi Occidentali, regione di Lugano, vedi Steinmann, Schmidt) (2) , ed alcune per la loro struttura corrispondono alla Flaserquarsit , segnalata dal Griimbel nei dintorni di Bormio. Nello Stache (3) questo livello (*) (*) Kilian in P. Lory, Les Alpes Francai sei à travers les périodes géologiques, 1894, pag. 49, (2) Recenzioni in Archiv. d. Se. Pliis. et Natar. 1892, pag. 452. (3) Stache G., Die Palàozoischen Gebiete der Ostalpea. Jahr. d. K. K. geolog. Reich. 1874, pag. 135. ARCAICO E PALEOZOICO NEL SAVONESE è compreso nella parte superiore della Randegebirgs-Facies , e corrisponde nella sua carta geologica agli scisti di Werfen, al servino, al verrucano, così riuniti dall'Hauer ('). Il trias medio è dato dai calcari dolomitici che presentano la stessa facies in tutta FEimopa Occidentale. Come delle prece- denti quarziti, le descrizioni locali di questo complesso calcareo sono state date dall'Issel (2). Appena fuori dellla regione da me illu- strata vi si debbono distinguere ancora delle assise pertinenti al trias superiore e all'infralias. Queste distinzioni non sono però riu- scito a vedere nel Finalese, e fossili trovati negli strati che ap- paiono superiori ( Schwageria sp., non Diplopora, nel calcare scistoso della Caprazoppa) fanno ritenere che si tratti sempre della parte media del trias. Per la tettonica del trias si consulti il capitolo sul pernio-car- bonifero, nelle cui pieghe è tutto compreso. Conclusioni È conclusione a questa e alle antecedenti memorie, che ho pubblicato sull’arcaico e sul paleozoico della Liguria Occidentale, la carta geologica che unisco al presente lavoro. L’ho ridotta a piccola scala, ricavandola da minute di campagna eseguite al 1:25.000 e al 1:50.000 su carte dell’Istituto Topografico militare. Credo che non sia un lavoro compiuto; ma suscettibile di molte perfezioni, sempre possibili, specialmente trattandosi di carte geo- logiche. Mi sono valso nel redigerla anche di lavori altrui; dalle carte geologiche del Sacco e dell’Issel ho tratto alcune parti del confine del miocene e del trias medio; come pure mi furono utili la cartina del carbonifero del Mazzuoli e la nota del Franchi. Ma è intieramente nuovo il rilievo delle zone serpentinose, distinte da quelle antìboliche e micascistose, il contorno della massa gra- nitica e di quella gneissica nel Savonese, e del permiano e del trias inferiore nel Finalese. Pi meno notevole ho fatto alcune mende ai confini del miocene, ho trovato nuovi lembi di miocene, di pliocene, di trias medio. (*) (*) Hauer (von) F. R., Uebersichtskarte der Lombardei. Jahr. der K. Iv. geolog. Reich., 1858, pag. 445. (2) Issel A., Liguria geologica ecc., 1892, voi. I, pag. 380. 74 G. ROVERETO Il motivo tettonico del complesso arcaico è stato già pa- recchie volte ricordato; ho ancora però da insistere sull’assetto che assumono le roecie eruttive nella parte superiore della serie. La zona serpentinica dell’est, che si può attraversare dall'Acquasanta al M. Tobbio, per una estensione topografica di circa 17 Km., senza incontrare roccie estranee; le non meno potenti zone dell’ovest sono grandi masse dipolari, a contorni rotondeggianti, circondate, partico- larmente all’ovest, in modo discontinuo e irregolare dalle roccie pi- rossenico-anfiboliche, con gli stessi rapporti che si osservano nell’eo- cene fra diabase e serpentina. Si direbbe quindi che esse alterano il regolare sviluppo seriale e che sono di iniezione posteriore. Credo quindi che la serie ligure possa dare la chiave di come spiegare la genesi del complesso ; notando che nelle Alpi invece le zone di roccie eruttive, serpentinose e anfìboliche, sono allungate e seguono le flessioni principali della catena. I micascisti rappresentano una crosta arcaica sedimentare che si confermò in grandi pieghe, e secondo queste, sempre nell’arcaico, si iniettarono le roccie di profondità. L'ordine di eruzione a cominciare dalla roccia più antica è il seguente : ^ serpentina ( antìbolite { peridotite l eufotide Nei periodi orogenici successivi le roccie sedimentari, con inter- calazioni di ammassi eruttivi, si comportarono come un solo com- plesso, senza ripetersi le antiche pieghe; ma formandosi un in- sieme seriale, con pieghe orogeniche nuove e indipendenti da ogni ordine cronologico e stratigrafico delle intercalazioni. Termino, ricordando ancora una volta : 1° Seguo il Franchi nel considerare che i gneiss e le roccie piros- senico-anfiboliche formano un tutto seriale, e la parte inferiore della formazione degli scisti e delle serpentine, già da me dimo- strata arcaica e seriale. 2° Rimane suffragata l'identità fra l’arcaico ligure e quello al- pino ; e non meno il carattere di massiccio rigido che assume l’intera serie, messa in rapporto alle leggi orotettoniche dell’Apennino. 3° Vanno collocati nel permiano gli scisti sericitici del Finalese. ffio/l della Soc. Geo! Hai Voi XIV TJLfrtUvJavo ìfe& PétAOu^g u SEZ. /* Jd 60 E Z. o Tav.IH. z- o 12>alc. ì-0 |(XUui ->5-<^Ov<^tìAvO | ; 50000 SEZ. J“ SJZZ. 2. * \ ift-'tcccLco Jl i- = • CK- asri^ZE> olii* C/ = C€*/ceJcZa£ù. • ò ~ c/tZ^i&nZUsn^z. J _ j?UX /* 5XZ\ o ixx viX. £t> ; V w. ( r 't • JoùrmZÙ- co ; rrv = ì*?moc€^« Boi/, della Soc. Geo/. /tal do/. X/d. Tav. IV So//. Soc. Geo/. Iteti. Io/. X/V f / s 35 J Tav. V. fio>/arsio di& ARCAICO E PALEOZOICO SEI, SAVONESE IO 4° Il trias inferiore è rappresentato dalle quarziti sericitose e cloritiche. 5° La massa granitica paleozoica della valle del Sansobbia pre- senta al contatto svariati fenomeni di metamorfismo. SPIEGAZIONI DELLE TAVOLE Tav. II. Fig. 1. Schema pianimetrico delle pieghe terziarie del perino-carbonifero e del trias di contro all’Àor’sf arcaico. » 2. Sezione lungo la strada da Finalborgo a Gorra; comprende il sincli- nale rovesciato n. 13 (vedasi Schema pianini, e perla spiegazione delle lettere la tavola seguente). x 8. Sezione per la costa montuosa da Finalborgo a S. Eocco, passante per Perti; comprende l’anticlinale n. 12, quivi rovesciato. Tav. III. Sez. I1 e 2*. Sezioni schematiche d’insieme del massiccio arcaico. » 3a e 6a. Sezioni del permo-carbonifero e del trias. Le sez. 4a-6a sono col- legate dall’anticlinale n. 7 (per questo e per gli altri numeri in alto delle sezioni vedasi lo schema planim.; sono pure notate, d’ordinario in alto, le direzioni strati grafi che e talvolta le sole inclinazioni in gradi). Tav. IY. Fig. 1 . Forme del quarzo di rigenerazione nelle rotture normali alla scisto- sità negli scisti del permiano. « 2. Quarzo di due tempi, secondo e normale alla scistosità, negli scisti come sopra. « 3. Principio di sc-stosità nel granito presso il contatto. x 4. Accentrazione ovoide, favorita dal dinamismo, nelle anfiboliti della serie inferiore. x 5. Lente di micascisto gneissico nei gneiss scistosi. x fi. Accentrazione pseudofilouiana, favorita dal dinamismo, nelle anfibo- liti come sopra. x 7. Lente di anfibolite nei gneiss a M. Moro. La sezione vale per far co- scere la disposizione delle rotture nelle lenti anfiboìiche, i rapporti fra gneiss e anfiboliti. e la discordanza fra trias ed arcaico. ” 8. Corrugamenti del sinclinale n. 10 (v. Schema planim.) visti per spac- cato naturale fra il Capo Noli e Yarigotti. Tav. V. Carta geologica della regione al 1:200.000, ridotta da minute di campagna fatte al 1:50.000. Volendo completare la parte topografica, affatto in- sufficiente, si sovrapponga la presente carta a quella di eguale scala pubblicata dal Donath. [6 agosto 1895] ALCUNE ROCCIE DI CAMPIGLIA Nota del prof. Italo Chelussi. Queste roccie provengono dalla Gran Cava (Campiglia) e fu- rono raccolte tutte in un medesimo filone dal chiarissimo ing. B. Lotti, il quale ebbe la bontà d' inviarmele perchè ne facessi lo studio microscopico. I campioni sono così indicati : N. 1. Porfido quarzifero — N. 2. Porfido qnarzifero augi- tico — N. 3. Porfido quarzifero — N. 4. Porfido augitico — N. 5. Porfido augitico piritifero — N. 6. Porfido quarzifero con olivnia e mica. N. 1. Caratteri microscopici. — È una roccia a grana fina, di color bianco con tono leggermente verdastro ; presenta qua e là cristalletti bianchi di feldspato e macchie verdastre. Al microscopio essa risulta di una massa fondamentale micro- cristallina di quarzo e feldspato ai quali si aggiungono in non molta abbondanza, esili scagliette e fibrille di un minerale verde chiaro, leggerissimamente pleocroico, con i colori di polarizzazione molto bassi nei toni bleu cupo e biancastro, e perciò riferibili alla clorite, forse prodotto secondario di alterazione. Entro questa massa si trovano : 1° rari granuli di quarzo a contorni sinuosi, privo d’ inclusioni a meno di qualche intrusione della pasta fondamentale che allora assume aspetto felsitico; 2° rari cristalletti di feldspato alterato per lo più in sostanza terrosa ! grigiastra, più raramente in muscovite verde chiara a colori di polarizzazione vivamente iridati; 3° scaglie irregolari verdiccie poco pleocroiche riferibili alla clorite ; 4° muscovite in rare e grosse lamelle irregolari contenenti, come inclusione, cristalletti di apatite ; 5° magnetite in sezioni quadratiche spesso alterata con formazione di un’aureola giallastra intorno al cristallo; più rara- I. CHELUSSI, ALCUNE ROCC E DI CAiMPIOLIA 77 mente essa diventa rossastra e si converte in ematite ; 61 prodotti d' alterazione giallastri o brunastri. Le macchie verdastre che qua e là chiazzano la roccia, si presentano al microscopio formate da cristalletti rettangolari al- lungati di feldspato, riuniti di una sostanza verdiccia riferibile alla clorite; il loro insieme ricorda alquanto la struttura dei diabasi. Le roccie N. 2 e 3, tra loro macroscopicamente simili, hanno pasta verde chiara, entro alla quale vi si osservano ad occhio nudo cristalli di feldspato, granuli di quarzo e numerosi cristalletti ver- dastri di augite alterata. La massa fondamentale di queste due roccie si risolve al microscopio in un feltro finissimo di numerose scagliette e fibre augitiche, cementate da feldspato ad accompagnate da alcuni gra- nuletti di quarzo ; le fibre augitiche sono verdi chiare poco pleo- croiche ed hanno colori di polarizzazione abbastanza vivaci che spiccano sui colori più smorti del feldspato. Gli interclusi di queste due roccie sono il feldspato, X augite, la clorite , il quarzo e qualche rara lamella di biotite rosso bruna. Il feldspato è quasi sempre in grossi cristalli o in aggrup- pamenti di cristalli nei quali raramente si scorgono le linee della geminazione polisintetica dei plagioclasi, tanto che i più di essi potrebbero essere riferiti all' ortose, benché il modo e i prodotti d’ alterazione comuni tanto ai pochi a struttura polisintetica quanto ai molti che ne sono privi, li potessero tutti far ritenere di na- tura plagioclasica. In roccie analoghe, pure del Campigliese, il vom Rath (‘) distinse il feldspato ortosico e il feldspato triclino; quindi anche nelle presenti roccie si può ritenere verosimile la presenza di ambedue. L’ alterazione in questi feldspati produce generalmente una caratteristica e ben netta zona esterna di una sostanza grigia opaca (caolino terroso), entro alla quale sono talvolta disseminate orili fibre augitiche fortemente birifrangenti ; nell’ interno invece si forma un aggregato di scagliette a colori vivaci di polarizza- zione, talvolta molto iridescente e riferibili in parte al caolino, (!) Vom Rath G., 1 monti di Campic/lia , versione del dott. B. Lotti. Roma 1877, pag. 31 e seg. I. CHELl'SSI in parte alla muscovite. Le inclusioni sono per lo più di un' au- gite alterata in clorite, ciò che farebbe ritenere i feldspati di for- mazione posteriore ad essa. L’ augite è in cristalli a sezione esagonale o quadrangolare, verde sporca per alterazione, poco o quasi niente pleocroica ; a nicols incrociati rivela spesso una struttura eminentemente fibrosa con bassi colori di polarizzazione che ricordano il serpentino e la clorite. Il quarzo si presenta o in granuli a struttura omogenea o in sferulette a struttura granulare ; ed in ambedue i casi contiene molto spesso 1’ augite, la clorite ed un minerale in granuli ed in prismetti, fortemente pleocroico dal verde olio al verde chiarissimo quasi incolore, con sufficiente rilievo e con i colori di polarizza- zione molto vivaci ; caratteri tali che lo ravvicinano all' akmite o all’ egirina ; esso si trova di preferenza nelle sferrile di quarzo granulare. Il quarzo di queste e delle seguenti roccie parali doversi ritenere, piuttosto che come minerale di prima formazione, come ultimo prodotto dell’ alterazione dell’ augite. Nella massa fondamentale della roccia n. 3 appariscono in alcune plaghe listerelle feldspatiche e i rari interclusi feldspatici presentano meno raramente le linee caratteristiche della gemina- zione polisintetica. La roccia n. 4 ha colore grigio ferro, che in sezione sottile diventa gialliccio per trasparenza. La sua massa fondamentale è composta da molte sottili liste, poco alterate, di feldspato, da scagliette verdastre d'augite e da frequentissimi prodotti d'altera- zione giallastri e brunastri. In essa sono sparsi porfiricamente cristal- letti d 'augite molto alterata con i caratteri di quella delle roccie precedenti, s ferule e granuli di quarzo , rari individui, molto al- terati, di ortose e grossi cristalli di plagioclasio. Questi ultimi presentano numerose e nette linee di gemmazione, le quali fanuo con le direzioni di estinzione angoli abbastanza forti e tali da riferirli alla labradorite. Essi sono poco alterati ; hanno all'esterno la solita zona grigia, inattiva alle luce polarizzata e all’interno, in alcuni punti il solito aggregato a colori di polarizzazione molto vivaci. Le inclusioni loro più frequenti sono di scagliette ver- dastre di augite alterata in clorite e di qualche lamella di biotite ALCUNE ROCCIE DI CAMPIGI.IA 79 rosso bruna, pleocroica, la quale, a sua volta, porta talora nell’in- terno cristalletti di 'magnetite. Le roccie n. 5 e 6 hanno pasta fondamentale verde scura ed in essa sono disseminati grossi cristalli di feldspato , piccoli e numerosi cristalli d 'augite e rari granuli di quarzo, olivina^ cal- cite e pirite , rare lacinie di biotite rosso bruna e numerose mas- serelle irregolari, verdi chiare a luce riflessa, verdi a luce trasmessa, opache, le quali accompagnano molto spesso 1’ augite e sono forse da ritenersi come opale prodotto dall' alterazione di quest’ ultima. La pasta fondamentale di queste roccie si risolve a forte in- grandimento in una massa quasi felsitica di natura feldspatica entro alla quale si notano numerose scagliette d’ augite e i soliti prodotti di alterazione. Degli interclusi, i feldspati in bellissimi e grossi cristalli ed in aggruppamenti di cristalli, sono evidente- mente, quasi tutti, di natura plagioclasica, probabilmente labra- doritica, per quanto si possa dedurre dalla misura degli angoli di estinzione; presentano talvolta in un medesimo individuo asso- ciate le due leggi di geminazione dell’ albite e del pendino; sono per lo più freschissimi all’ interno e provveduti all’ esterno della solita zona grigia. L’ augite è in cristalli molto più freschi che nelle roccie precedenti; e anche più sensibilmente pleocroica dal verde erba al verde chiaro o del verde olio al verde chiaro (ak- mite o egirina) ed in tal caso con i colori di polarizzazione molto vivaci; essa produce per alterazione serpentino, clorite e raramente quarzo ; più spesso dà origine alla sostanza verde amorfa, che at- taccata da HC1, diventa biancastra e che ho più sopra riferito all’ opale. Degli altri rari interclusi, tralasciando il quarzo che non ha mai sezione di cristallo, noto qualche raro granulo d’olivina, abbastanza fresca, con forte rilievo e sagrinatura, e traversata da numerose linee di frattura; qualche rara lacinia di biotite, qualche plaghetta di calcite secondaria e cristalletti di magnetite e pirite. All’ esame microscopico di queste roccie credo opportuno far seguire due osservazioni: 1° Lasciando alla roccia n. 1 il nome di porfido quarzi- fero, le altre dal n. 2 al n. 6 sembrami doverle riferire piuttosto al tipo dei Diabas porphvr di Hussak (’); di esse i n. 1, 2 e 3 C1)' Hussak e Voitschach, Repetitorium der Min. u. Petr.. Eresiai! 1890. 80 I. CHELUSSI, ALCUNE ROCCIE DI CAMPRJLIA sarebbero analoghe ai porfidi augitici verdastri della cava sopra 1' Ortaccio descritta dal vora Rath (loc. cit.) ; e i numeri 5 e 6 analoghe al porfido augitico verde cupo del medesimo autore, 2° Dei minerali componenti 1' augite è sempre più torbida e alterata a misura che la roccia si avvicina al porfido quarzifero n. 1 ; i feldspati invece diventano tanto più basici quanto più ci si avvi- cina alla massa pirosseno ilvaitica che è a contatto delle roccie u. 5 e 6 ; e ciò confermerebbe le teorie dimostrate dal Vogt (J), cioè che la concentrazione degli elementi basici specialmente etc presso il contatto è da ritenersi un fenomeno generale; quindi nella segregazione del magma eruttivo gli elementi più acidi avrebbero formato le roccie dei numeri 1, 2, 3 e 4 e i più basici le roccie dei numeri 5 e 6, però con graduato passaggio dal n. 1 al n. 6 che è, come ho accennato, a contatto immediato con la massa pirosseno-ilvaitica. f1) Vogt J. H L., Bildung von Erzlagerstatten durch Differentiations- processe in basisclien Eruptiomagmata. Eecenzione dell’ ing. Lotti nel Boi!. R. Com. geol it., 1893 n. 4 ( Sulla genesi dei giacimenti metalliferi nelle roccie eruttive basiche). [6 agosto 1895] LE MARGTNULINE E VAGINULINE TERZIARIE DEL PIEMONTE. Nota del socio Ermanno Dervieux. Avendo esaminati i fossili foraminiferi raccolti nei terreni terziarii del Piemonte appartenenti ai due generi Marginulina e Vag inulina , per continuare il mio studio sui Foraminiferi piemon- tesi. presento in queste poche pagine il risultato delle mie osser- vazioni. Gen. Marginulina d’ Orb. 1826. Il gen. Marginulina fu rinvenuto solo molto tardi nel Pie- monte ed il primo che ne raccolse degli esemplari, e li determinò come appartenenti a tale genere fu il cav. Luigi di Rovasenda. il quale fece di pubblica ragione il catalogo delle preziose sue collezioni in un lavoro pubblicato nell’anno 1878 dal Puchs ('). E così per la prima volta fra i fossili piemontesi si trova il gen. Marginulina. 1. Marginulina glabra D’ Orbigny. (;)/. glabra. D’ Orbigny. 1826. Ann. Se. Nat. Paris, voi. VII, pag. 259. n. 6; mod. 55). Tralascio la descrizione della specie perchè ripetuta in molti lavori e neppure faccio delle osservazioni perchè in 60 e più esemplari esaminati non ho trovato alcunché di rimarchevole. Mi limito ad una breve sinonimia speciale per la regione. 0) Fuchs Th., Sludien uber die Gliederung der jungeren Tertiàrbil- dungen Ober-Italiens, 77 Bande der Sitz. der k. Akad. d. Wissenscli. 1 Abtli. pag. 54 dell' estratto. 82 E. DERVIEL'X 1878. Marginai in a glabra, infarda, pediforrnis, regularis, Fuchs (1. c.), p. 54. 1889. Marginulina glabra, infarda, pediforrnis, regularis, Sacco Catal. Pai. Pierri., n. 470,. 468, 469; 471. p. 304 (Q. Il prof. De Amicis in un suo lavoro del 1893 (-) accenna nella sua ricca sinonimia a questa specie Piemontese. Località. Sciolze (Elvez.) abbondante. Colli Torinesi (presso S. Vito) rara. 2. Marginulina hirsuta D’ Orbignv. (M. hirsuta. D'Orbigny. 1826. Ann. Se. Nat. Paris, voi. VII, pag. 259, n. 5). Questa specie è rappresentata da abbondante materiale, nel quale si trova qualche esemplare, che accenna una qualche somi- glianza colla M. fragaria Glumbel, 1868 (1870), pag. 57, tav. I, fìg. 58. c. 1878. Marginulina hirsuta Fuchs (1. c.) pag. 54. 1889. » » Sacco, Cat. Pai. Piem., n. 477, pag. 305. Località. Sciolze. Colli Torinesi (Monte Cappuccini). 3. Marginulina costata (Batsch). {Nautilus ( Orthoceras ) costatus, Batsch, 1791. Sechs Kupfertafeln ecc. Jena, pag. 2, tav. I, fig. 1, a. g). Questa specie risulta rinvenuta per la prima volta nel Pie- monte dal catalogo paleont. del dott. Sacco pubblicato nel 1889 al numero 476. Ed io ne rinvenni degli esemplari in un mate- riale di foraminiferi nei pressi di Castelnuovo d' Asti, ai piedi del colle su cui giace la parrocchia di Primeglio. in un terreno plio- cenico attribuito al Piacenziano. Nel catalogo del Fuchs (1878) e per conseguenza anche in quello del Sacco (1889) si trovano registrate le seguenti specie : Marginulina Mailer i Reuss; M. .foresi Reuss; M. rugosecostata D’ Orbignv ; M. triangularis D’ Orbignv. (0 Nel lavoro del Sacco per errore si trova il. insarda (2) De Amicis G. A., Contribuzione alla conoscenza dei foram. plioce- nici. Boll Soc. Geol. Ital. voi. XII, (1893), fas. 3, pag. 398. LE MARGINULINE E VAGINULINE TERZIARIE DEL PIEMONTE 83 Ho esaminato gli esemplari che diedero origine a queste determinazioni e mi sono assicurato che essi appartengono tutti al gen. Cristellaria per essere di forma compressa, come lo sono anche nelle figure date nei lavori del Reuss e del D’ Orbigny. Quindi questi nomi specifici dovranno far parte della sinonimia di qualche Cristellaria. La Marginulina triangularis poi è sinonima della Cristel- laria italica. Defr. Gen. Vaginulina D’ Orbigny. 1826. Il primo a darci notizia di questo genere nella regione pie- montese fu Eugenio Sismonda nel 1871 pubblicando i Matériaux jjour servir à la Paléontologie du terrain tertiaire du Piémont (1). 1. Vaginulina legumen (Linné). (Nautilus legumen Linné. 1758. Sy stema naturae ed. IV, pag. 711, n. 248) Questa specie molto antica, che ha per base figure grossolane del Plancus, fu studiata da molti e in diversi modi ; di una forma semplice se ne fecero varietà sopra varietà finché 1’ anno passato il prof. De Amicis nel suo lavoro poc’ anzi citato volle rimettere ogni cosa a suo posto perfino più del necessario, a mio modo di vedere, riunendo la sp. Vag. legumen con ornamentazioni molto sviluppate alla sp. Vag. badenensis D’Orb. che si trova priva quasi di ogni ornamento. La sp. Vaginulina legumen certamente si deve considerare come la forma tipica del genere, ma che debba comprendere tutte le altre forme con caratteri così marcati e costanti, che potreb- bero stabilire altre specie, non mi pare esatto. Ed infatti se si ammettono caratteri così illimitati, allora nulla più ci proibisce di raccogliere nella stessa specie anche la Vag. linearis Montagu non vedendo motivi che la possano escludere, perchè la Vag. li- nearis per le sue ornamentazioni di costule longitudinali si acco- sta alla Vag. margaritifera Batsch e per mezzo di essa alla Vag. legumen. 6) Memorie E. Accad. Se. di Torino, voi. XXV, serie 2a, pag. 261. * 84 E. DERVIEUX, I.E MARGINE LINE E VAGINULINE ECC. Per ora almeno, tengo come specie distinte la Vag. legumen e la Vag. badenensis. 1871. Vaginulina legumen Sismonda (1. c.) pag. 261. Località. Sciolze, Montaldo, Marmorito, Robella (Elveziano) ; Castelnuovo d’ Asti (Astiano). 2. Vaginulina badenensis D’ Orbigny. (V. badenensis, D’ Orbigny 1846. Foram. foss. de Vienne pag. 65, tav. Ili, fig. 6-8). 1879. Vaginulina badenensis Sacco. Catalogo Pai. Piem. pag. 304, Per la legge di priorità forse questo nome specifico dovrebbe essere sostituito o in quello di V. legumi ni f or mis Batsch 1791, od in quello di V. laevigata Roemer 1838, ma per non aver potuto esaminare queste due figure fondamentali conservo il nome specifico del D' Orbigny. Località. Sciolze, Marmorito (Elveziano). [7 agosto 1895] 1878. 1889. Fuchs (1. c.) pag. 54. Sacco. Calai. Pai. Piem. n. 465, pag. 304, n. 466. ADUNANZA GENERALE INVERNALE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA IN FIRENZE IL 21 APRILE 1895. L'adunanza è aperta ad ore 10,30' in una sala del R. Istituto di studi superiori. Presidenza Cocchi. Sono presenti i soci : Baldacci, Can avari, Capacci, De Ste- fani, Gioli, Levi-Scander, Marinelli, Ristori, Scarabelli, Statuti, Toso, Trabucco, Vinassa de Regny ed il sottoscritto segretario. Aderiscono all'adunanza scusando la loro assenza i soci: Capellini, D’Achiardi, De Angeus, Demarchi, Fucini, Greco, Lotti, Meli, Neviani, Parona, Pellati, Sacco, Sormani, Spe- zia, Taramelli, Virgilio, Zezi. Il Presidente comunica la notizia della perdita dei soci Bollinger, Gatta e Sansoni che saranno commemorati nell'adu- nanza estiva. Comunica altresì le dimissioni dei soci Cantamessa, Eroli, Fossen, Ragazzoni e Simoncelli che sono accettate. Il Presidente legge V elenco dei nuovi soci la cui nomina, approvata dal Consiglio, è ora sottoposta all’approvazione dell’As- semblea. Essi sono: Chelussi prof. Italo a Aquila, proposto dai soci De Stefani e Ristori. Crema ing. Cesare a Torino, proposto dai soci Parona e Sacco. Incontri march. Gino a Firenze, proposto dai soci De Ste- fani e Ristori. Morandini ing. Bernardino a Massa Marittima, proposto dai soci Lotti e Schneider. ADUNANZA GENERALE INVERNALE 8fi Morena ing. Tobia a Caotiano (Ancona), proposto dai soci Bonarelli e Parona. Rosselli ing. Emanuele a Livorno, proposto dai soci No- varese e Stella. Scott Herbert a Londra, proposto dai soci Clerici e Lotti. L’Assemblea approva ad unanimità. Il Segretario legge il titolo delle memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino. De Pretto 0., La degradazione delle montagne e la sua in- jleunza sui ghiacciai. [23 dicembre 1894.] Rovereto G., Arcaico e Paleozoico nel Savonese , con 4 tav. [17 febbraio 1895.] Johnston-Lavis H. e Flores Ed., Notizie sui depositi degli an- tichi laghi di Pianura e di Melfi e sulle ossa di mammiferi in essi rinvenute , con 1 tav. [22 febbraio 1895.] Chelussi I., Alcune roccie di Campiglia [21 aprile 1895]. Neviani A., Briozoi del calcare nummulitico di Mosciano [21 aprile 1895]. Il Segretario legge 1’ elenco delle pubblicazioni giunte in omaggio alla Società dal 19 settembre 1894 al 21 aprile 1895. D’Ancona C., Storia genealogica del cavallo. 24 pag., 1 tav. Firenze 1894. 8.° Fornasini C., I foraminiferi della collezione Soldani relativa al saggio orit- tografico esistente nel museo paleontologico del R. Istit. di studi supe- riori in Firenze. 32 pag., 1 tav. Bologna 1894. 8.° — Lagena felsi- nea n. sp., 1 pag., Bologna 1894. 8.° — R e oph a. x p apillosa Neug. 1 pag., Bologna 1894. 8.° — Contributo alla conoscenza della micro- fauna terziaria italiana. Foraminiferi delle marne messinesi. 32 pag., 3 tav. Bologna 1894, - Id. continuazione e fine. 20 pag., 2 tav. Bologna 1895. 4.° Harlé Ed., Restes d'élan et de lion dans une station préhistorique de tran- sition entre le guaternaire et les temps actuels d Saint- Mar tory ( Haute - Garonne). 7 pag., Paris 1894. 8.° Johnston-Lavis H., The ejected blocks of Monte Somma. Part 1. Strati fied Limestone. 37 pag., 3 tav. Edinburgh 1893. 8.° — The Causes of va- riations in thè composition of igneous Rocks. 7 pag. London 1894. 8.° — Notes on thè pipernoid Structure of igneous Rocks. 4 pag., London 1893. 8.° — Eruptive rocks of Gran, Norway. 3 pag., London 1894. 8.° — Note on thè Lithophyses in Obsidian of thè Rocche Rosse, Lipari. 2 pag. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 87 London 18S2. 8.° - The volcanic phenomena of Vesuvius and its Neighbourhood. 3 pag. London 1893, — Id. 3 pag. 1894. 8.° Johnston-Lavis H. and Gregory F. W., Eozoonal strutture of thè ejected blocks of Monte Somma. 20 pag., 5 tav. Dublin 1894. 4 ° Marco C., Note geologiche sui territori del comune di Vasto ( Abruzzo cite- riore). 14 pag., 1 carta geol. Vasto 1895. 8.° Tenore G., L'industria carbonifera in Italia ed il suo avvenire nel Napo- letano. 22 pag. Napoli 1893. 4.°. — Primato idraulico delle pozzolane ferrifere della Campania. 16 pag. Napoli 1894. 4.° Weidman S., On thè quartz Keralophyre and associated Rocks of thè North Range of thè Baraboo Bluffs. 21 pag., 3 tav. Madison, 4Vis„ 1895. 8.° Consorzio del Canale Nerino. Processi verbali delle Adunanze della Commis- sione tecnica incaricata dello studio per la sistemazione della presa. 41 pag., 3. tav. Perugia 1895. 8.° (dono del colonnello A. Verri, presi- dente della Commissione). Morena T., Sulla condizione idraulica di Canliano. 20 pag. Cagli 1892. 4.° Gumbel, Naturvcissenschaftliches aus der Umgebung von Gardone Riviera am Gardasee. 26 pag. Miinchen 1895. 8.° Pennavaria F., Ricordi archeologici e paletnologici. Mem. 2a. Illustrazione archeologico-storica sulle opere di escavazione nelle contrada dei Cento- pozzi e di Buttino e sulle grotte delle Trabacche presso Ragusa. 42 pag., 4 tav. Palermo 1891. 8.° Virgilio F., La Collina di Torino in rapporto alle Alpi, all' Appennino ed alla pianura del Po. 159 pag., 1 tav. Torino 1895. 8.° Il Presidente presenta e fa leggere il bilancio consuntivo del 1894 ed il preventivo per il 1895. Il consuntivo 1894, che fu già esaminato dalla Commissione del Bilancio, sarà stampato e spedito ai soci prima dell'adunanza estiva. Dopo la lettura dei bilanci, il Presidente fa notare la gra- vità della situazione economica della Società, e raccomanda all’As- semblea di adottare i provvedimenti che le saranno presentati per porvi riparo. Il socio Trabucco si lagna del ritardo con cui ora si pub- blicano i fascicoli del Bollettino. 11 Segretario risponde che anche egli è dolente di questo fatto tanto più che a lui potrebbe attribuirsene la causa, la quale invece è chiaramente indicata dalle risultanze dei bilanci ora letti. Infatti colle entrate del 1895 si deve pagare un’ultima parte del voi. XII che spetta al 1898, più tutto il volume XIII del 1894, più la massima parte se non tutto il voi. XIY che è effettivamente del 1895. Onde ottenere il perfetto equilibrio del bilancio fu ne- 1 88 ADUNANZA GENERALE INVERNALE cessità, fin dallo scorso anno, diminuire il numero dei fogli e rallen- tarne la stampa. Mercè le disposizioni prese dalla presidenza nel passato anno e nel presente, nel corso stesso dell'anno sarà otte- nuto l’intento. Il socio Trabucco osserva che, siccome la maggior parte delle entrate è naturalmente assorbita dalle spese di stampa, si debba cercare una tipografia più economica e ritiene che la stipulazione del relativo contratto debba essere sottoposta all’approvazione del- l’assemblea. Per fare qualche economia egli propone che non si facciano stampare le bibliografie e le sinonimie troppo spesso in- concludenti. Il Segretario risponde che, per quanto personalmente con- vinto dell’inutilità di certe sinonimie come in generale vengono redatte, egli non deve entrare nel merito delle memorie presentate dai colleghi e non può nè accorciarle nè consigliare alcuna modi- ficazione. Questo compito spetta alla Commissione per la stampa. Il vicepresidente De Stefani trova giusta l'osservazione del Segretario, ma vorrebbe che le sinonimie fossero disposte in modo da occupare il minor spazio possibile Il socio Ristori vorrebbe che si raccomandasse agli autori di far uso assai limitato delle sinonimie. Il Presidente legge una lettera del prof. Forel colla quale fa domanda che la Società nomini un suo membro per far parte della Commissione per lo studio dei ghiacciai. Il Presidente propo- ne il prof. Taramelli e la proposta è approvata per acclamazione. Il Segretario legge una comunicazione consegnatagli dal socio De Angelis D’Ossat sopra I corallari fossili del carboni- fero e del devoniano della Co, mia (1). « Sul principio del '93 il eh. prof. T. Taramelli mi mandò in istudio molti coralli paleozoici della Carnia. Contemporaneamente, con quella competenza e gentilezza che lo distinguono, mi fu largo di interessanti notizie intorno alla giacitura di tanto prezioso materiale. « Lo stesso Taramelli, or sono venti anni, ne fu il principale raccoglitore. Gli esemplari alcuni furono estratti da un lembo di roccia corallina, che giace a nord di Paularo, al passo di Chiaula, altri p) Ultime bozze restituiti il 14 luglio 1895. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 89 invece furono raccolti dal Taramelli, dal prof. Parona e dal prof. Tom- masi a M. Pizzul ed in altre località più ad oriente. Parte del materiale appartiene al Gabinetto dell’Istituto tecnico di Udine ed ora trovasi a mia disposizione mercè la gentilezza del diret- tore di quel gabinetto, prof. Teliini. « Le località citate sono abbastanza note, specialmente quella di M. Pizzul, per gli studi di Taramelli, Parona, Tommasi, Bozzi, Sacco, Precb, Stache, Gever, Unger, Hauer, Tietze, Pirona. ff Le forme raccolte nel calcare nero e nei calceschisti, sono quasi tutte determinate, almeno quelle che appartengono stretta- mente alla classe degli Àntozoi; esse appartengono al Carbonifero e sono: Cyathophyllum sp. Lophophyllum breve de Kon. « Dimoriti E. H. » tortuosum Mich. Aulophyllurn fungites Plem. sp. Campophyllum compressum Ludwig Petraja Benedeniana de Kon. Zaphrentis Omaliusi E. H. Cyatliaxonia cornu Mich. Lithostrotion irregulare Phil. » junceum Flem. Monilipora macrostoma Koemer F. Syringopora reticulata Goldf. ff Le forme invece raccolte a nord di Paularo corrispondono abbastanza bene al Mitteldevon dei tedeschi. E finora posso citare : Cyathophyllum caespitosum Goldf. » helianthoides Goldf. » Lindstròmi Frech Cyathophyllum sp. Phillipsastraea ananas Goldf. sp. Heliolites B arrandei (R. Horn. in. sch .) Pen. » porosa Goldf. » megastoma M’ Coy. » vesiculosa Pen. 90 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Eadophyllum priscum Mùnster sp. Beaumontia Guerangeri E. H. Alveolites suborbicularis Lamk. Clionophyllum sp. ? Petraja sp. « Con questo materiale paleontologico viene ancora una volta confermata la presenza del devoniano nell’Italia e forse si potrà con maggiore esattezza stabilire qualche confronto del nostro car- bonifero con quello extralpino. Con una ispezione poi all’ultimo lavoro del Frech ( Die Karnischen ALpen , Halle 1894) panni che debbansi modificare i limiti stabiliti al Mitteldevon a nord di Pau- laro e che si trovi il Carbonifero dove non è riportato sulla carta (Bacino del Yogel B.). Ciò però sarà pienamente confermato quando potrò dallo stesso prof. Taramelli farmi indicare le loca- lità da cui proviene il materiale in istudio. « Tuttavia le forme citate, tanto del Carbonifero, come del Devoniano, essendo quasi le uniche determinate finora in Italia, ed alcuna nuova per i terreni sincroni extralpini, credo che non riuscirà discaro che ne comunichi per ora la presenza « . Il socio Marinelli constata l’importanza della comunicazione ora letta in relazione con un recente lavoro del Frech. La seduta è sospesa a ore 11.45' per riprenderla ad ore 15. 30'. Quindi l’Assemblea passa alla discussione delle proposte pre- sentate dalla Presidenza a nome del Consiglio. Vengono pertanto approvate dopo discussioni, alle quali prendono parte quasi tutti i soci presenti, le seguenti proposte del Consiglio in aggiunta al re- golamento. 1. La Società, per uniformarsi all’ art. 8 del suo statuto, con- ferma che nessun contratto riguardante l’amministrazione possa esser legalmente fatto senza l’approvazione preventiva dell’assemblea generale estiva. 2. Le comunicazioni da inserirsi nei processi verbali non po- tranno superare la lunghezza di due pagine del Bollettino. 3. I resoconti delle adunanze saranno redatti nel modo più succinto possibile. I resoconti delle adunanze estive saranno stam- pati col visto del presidente. 4. I manoscritti presentati per la stampa porteranno la data DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 91 del ricevimento e saranno stampati secondo l'ordine di presen- tazione (’). 5. Il segretario provvederà che la stampa riesca nella forma meno costosa, evitando gli spazi vuoti e l’eccessivo spazio occu- pato dalle sinonimie. Tiene data lettura di un progetto di regolamento per definire le attribuzioni del tesoriere e dell’economo in conformità delle de- liberazioni prese nell’adunanza di Massa Marittima. Esso riguarda particolarmente l’istituzione di un registro per entrata ed uscita dal quale in ogni istante potrà dedursi lo stato della Società, e ri- guarda pure il modo col quale saranno registrati gli incassi e le condizioni alle quali l’economo sarà autorizzato ad effettuare i pagamenti rimanendo libero da ogni responsabilità quando essi son fatti nel jnodo prescritto. Detto regolamento fu approvato in mas- sima dopo lunga discussione e verrà presentato all’adunanza estiva per essere definitivamsnte approvato e adottato. Per quel che riguarda la sede dell’adunanza estiva il Presi- dente propone la città di Lucca ed espone brevemente le principali cose che si potrebbero osservare come per esempio il giacimento di piante carbonifere e permiane dei monti Pisani, la serie secon- daria di S. Giuliano. Una escursione potrebbe esser dedicata a Monsumano e Montecatini ed altre escursioni facoltative nelle Alpi Apuane potrebbero essere effettuate dopo il congresso. La proposta del presidente è approvata. Il Segretario legge una comunicazione del socio Meli in- titolata : Notizie sopra alcuni fossili ritrovati recentemente nella provincia di Roma (2). « Presento alla Società geologica italiana brevissimi cenni sopra alcuni recenti rinvenimenti di fossili nella provincia di Poma. Si tratta di resti spettanti quasi tutti a mammiferi (cervi, elefanti) quaternari. * Un frammento basilare di un grosso corno destro di Cervas f1) Per ciascuna memoria la data d’arrivo è notificata nei resoconti delle adunanze ; la data, c dia quale l’autore licenzia definitivamente le bozze, sarà indicata al termine della memoria stessa. (2) Ultime bozze restituite il 17 agosto 1895. 92 ADUNANZA GENERALE INVERNALE ( Strongyloceros ) elaphus Lina, fu estratto dalle deiezioni incoerenti del gruppo vulcanico Vulsinio, presso Torre-Alfina, frazione di Ac- quapendente, sull’estremo confine N. della provincia romana. « Questa regione, peraltro, non è costituita solamente da terreni vulcanici sciolti; ma vi si osservano tufi, e numerose correnti di lave, per lo più leucitiche, di tipo diverso, le quali giungono fino di contro ad Orvieto, uscendo dai confini attuali della provincia di Roma. « La lava di Torre Alfina è assai porosa; contiene cristalletti macroscopici di augite-verde chiaro, di leucite, ed è molto ricca di interclusi cristallini, alcuni dei quali a struttura zonata (sfe- noidi). Sembrerebbe un leucitofiro od una fonolite leucitica, ana- loga a quella, che, traboccata dal medesimo sistema vulcanico, si mostra presso Bagnorea. La fonolite leucitica di Bagnorea pre- senta, nella parte inferiore della corrente, una tendenza ben marcata alla scistosità e viene perciò utilizzata per lastre da marciapiedi, le quali, usate da anni in Roma, hanno dato buona prova di du- revolezza e di resistenza alla logorabilità. « Delle roccie eruttive di Torre-Alfina fecero parola, fra gli altri, Procaccini-Ricci fin dal 1820, il Pareto nel 1844, e più recente- mente Bucca, Klein, Verri, Ricciardi e De Stefani. Procaccini anzi dice d’aver rinvenuto, nelle lave della località la Lupa presso Torre- Alfina, mellilite, pseudo-nefelite e pirosseni ('). « Peraltro, presso l’abitato di Torre-Alfina si hanno anche cal- cari argillosi, giallastri, alternanti con scisti, riferibili all’ eocene superiore. « Altre due corna frammentarie di Cervus elaphus furono rin- venute, parimenti nelle deiezioni vulcaniche (tufi) del gruppo Vul- sinio, a Sugano presso Orvieto e ne fu data, a suo tempo, comu- nicazione alla Società nell’Adunanza generale di Palermo (Ved. Boll. d. Soc. geolog. ital. voi. X, 1891, fase. 5., pag. 1001). (*) (*) Procaccini-Licci Vito — Viaggi ai vulcani spenti d'Italia nello Stato Romano verso il Mediterraneo. Viaggio Secondo. Da Bolsena ai con- torni Orvietani ed al lago Cimino e di lui adiacenze — Firenze, 1821 (Ved. tomo II0, pag. 213). Ved. anche l’altra opera del Procaccini: Descrizione metodica di alquanti prodotti dei vulcani spenti nello Stato Pontificio, Fi- renze, 1820. pag. 48 n. 67, e pag. 64 n. 105. Per le roccie dei dintorni di Torre-Alfina ved. ancora pag. 48, n. 68-70; pag. 66, n. 124; pag. 94 n. 16, n. 36, ecc. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 93 « Ho poi rinvenuto, ad 0. del cimitero di Canino, nel circon- dario di Yiterbo, presso l’ angolo posteriore sinistro del muro di cinta, numerose impronte di felci e di vegetali erbacei in un tufo omogeneo, grigio-giallastro, della potenza di 0,60. Lo strato, che racchiude vegetali, è superiore al tufo litoide a pomici bianche di quella località. « Dò inoltre notizia del rinvenimento di alcuni premolari e molari inferiori, intatti, e perfettamente conservati, spettanti ad un giovane Cervus, estratti dalle marne quaternarie della valle del Diri, a Colle Viccio, presso Ceprano, sull’estremo confine S. E. della provincia di Roma. La predetta località trovasi sulla sini- stra del Liri, dopo la sua confluenza col Sacco, a due Km. circa dal paese di Ceprano. I denti si estrassero a circa 4 metri di profondità sotto il piano di campagna e furono raccolti dall’inge- gnere Luigi Rosi nelle fondazioni, ivi eseguite, di un grande fabbri- cato ad uso di convento, costruito sui disegni del predetto ingegnere. Le marne riposano sopra un conglomerato, parimenti quaternario. « È pure a mia cognizione che nella valle del Sacco, parimenti presso Ceprano, sono stati rinvenuti nello scorso anno resti fos- sili di elefante (Elephas antiquus Falc.) « Comunico ancora che, anni indietro, fu estratto un bel molare di cervo dalle deiezioni incoerenti (pozzolane) dei vulcani laziali, in una perforazione eseguita per ricerche acquifere nella tenuta di Carano (territorio di Velletri) a circa 5 Km. a N. di Cam- pomorto) dall’on. Menotti Garibaldi. Il dente fu da me, depositato nel Gabinetto di Geologia dell’ Università di Roma (!). « So inoltre che nella suddetta perforazione si rinvenne altro dente di mammifero fossile, e spero di poterne parlare in altra Adunanza, avendo fatto ricerche per vederlo e studiarlo. f1) Della perforazione eseguita nel 1879 nella tenuta di Carano trovasi fatta menzione nelle Notizie preliminari per una statistica dei pozzi artesiani in Italia, pubblicate dall’ing. L. Respigbi (Annali d. Soc. d. ingegneri e degli architetti italiani, Roma, anno 1888, parte IIa. Memorie tecnolog. e scient. pag. 153-166). La perforazione giunse a 63m sotto il piano di campagna, che in quel punto ha la quota di -+- 56m sul mare e perciò si spinse a — 7m sotto il livello marino. Circa alla successione dei terreni, si ebbero detriti alluvio- nali fino a 10m di profondità, poi terreni vulcanici e pozzolane rosse. Le pozzolane nere furono superiori alle rosse. 94 ADUNANZA GENERALE INVERNALE « Finalmente dò pure notizia d’avere acquistato per il Gabinetto di Mineralogia e Geologia del E. Istituto Tecnico di Roma le due branche mandibolari, destra e sinistra, unite per la loro sinfisi, spet- tanti ad un individuo di Elephas antiquus Falc. con i molari in posto, molto ben conservati, rinvenute nelle ghiaie d’alluvione frammiste a minerali e detriti vulcanici (Chelleane e Moustieriane) della valle dell’ Amene. La suddetta mandibola fu trovata nella cava di ghiaia, che è presso la via Nomentana, dopo il 3. Km., a destra venendo da Roma, (sponda sinistra dell’Àniene), prima di arrivare al ponte Nomentano. « Le due branche mandibolari sono unite per la loro sinfisi ; ma si presentano rotte nei rami ascendenti e mancanti dei condili, spe- cialmente la sinistra, che è troncata quasi al principio del predetto ramo ascendente. I molari sono infissi nell'osso mandibolare al loro posto {in sitn), ed hanno la corona molto ben conservata. La sinfisi della mandibola è ampia, robusta, ha forma di doccia. È mancante della punta, o becco, che doveva essere obliquo e rivolto in avanti. * Insieme alla mandibola, potei ricuperare alcuni frammenti di zanna elefantina ed un pezzo di molare spettante ad altro individuo, parimenti di Elephas antiquus Falc. « . Una seconda comunicazione dello stesso socio Meli ha per titolo : Sopra alcune rare specie di molluschi fossili estratti dal giacimento classico del Monte Mario presso Roma (1). « Avendo eseguito, a mie spese, altre esplorazioni nello strato delle marne sabbiose grigie, fossilifere, del Monte Mario presso Roma, nella località, ben conosciuta ai geologi, della Farnesina, ho fatto aprire una nuova cava nella parte posteriore di quel monte. Ivi le sabbie grigie risultarono assai ricche di conchiglie e piene di foraminifere. Da tali escavazioni si sono estratte parecchie specie fossili, sconosciute al Monte Mario, non segnate in alcuno dei cata- loghi finora pubblicati di quella località, oppure dubbiose, ovvero rarissime per quel giacimento. Tra queste specie sono da indicarsi la Venus umhonaria Agass. — V. Brocchii Desh. (prò parte); la Venus casina Linn. la quale, rinvenuta nelle sabbie gialle di Valle (*) (*) Ultime bozze restituite il 17 agosto 1895. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 95 dell’Inferno in buoni esemplari, era rarissima nelle sabbie grigie. Di questa ultima specie se ne ebbero ora parecchie valve. Tra i gasteropodi sono pure a citarsi : Deatalium Delesserti Chenu (') Umbrella mediterranea Lamk. Siliquaria anguilla Lin. ( Serpula) (-) Abmnia zetlandica Montg. ( Turbo) Triton affine Desh. Morio ( Cassidaria ) tyrrhenus Chemn. (Buccinum) Brillia sigmoidea Bronn (Pleurotoma) (3) = PI. crassa Conti Cypraea physis Brocc. (= C. pyrum Conti, Zucc. non Linn.) Trivia pulex Gray. Typhis tetrapterus Bronn ( Murex) « Quest’ ultima specie (4) è indicata solamente nel catalogo Conti, in entrambe le edizioni (1864 e 1871), col nome di Murex sypho- p) Nella mia collezione è conservato un’esemplare di questa specie, pro- veniente anche dalle sabbie gialle della Valle dell’Inferno. (2) Anche questa specie rinviensi nelle sabbie gialle dell’alta Valle del- l’Inferno e ne ho un’esemplare nella mia collezione di fossili. (3) Specie essenzialmente pliocenica, secondo Cocconi (Enum. sist. dei moli. mioc. e plioc. di Parma e Piacenza pag. 68, n. 17). (4) La specie si rinviene nei terreni miocenici, ma sopratutto nei plio- cenici ed è vivente tuttora nel Mediterraneo. Difatti, è citata nel miocene inferiore di Mioglia (Piemonte) dal Bei- lardi; però sembra trattarsi di specie affine sì, ma distinta. Nel miocene superiore italiano fu rinvenuta a Cornarè nel Piemonte (Bellardi). Fuori d’Ita- lia è indicata nel bacino Aquitanico (Grateloup); nel piano Faluniano dei dintorni di Bordeaux (Bronn) e nel bacino di Vienna (Homes). Si rinviene poi, ma in generale rara, nel pliocene di parecchie località italiane. Fu citata difatti nell’Astigiano (Sismonda, Michelotti, Bellardi, Sacco); a Diolo ( pliocene inferiore), allo Stramonte presso Lugagnano Val d’Arda nel Piacentino ed a Tabiano nel Parmense f'Cocconi); nel Modenese (Coppi); nelle colline Pisane (D’Ancona); a Lego li in Val d’Era (Seguenza); nelle colline del Senese (D’Ancona, Pantanelli); a Pietrafitta e Poggiarone presso Siena (Panta- nelli); ad Altavilla in Sicilia (Seguenza). Nel post-pliocene inferiore fu trovata a Ficarazzi presso Palermo (Mon- terosato) e fuori d’Italia è citata fossile a Duéra nell’Algeria (Weinkauff). È vivente nel Mediterraneo, e fu raccolta sulle coste meridionali della Francia (Petit), les Martigues (Petit), Garlaban, chàteau d’If (Marion), Tolone (Locard); a Nizza (Verany): sulle coste del Piemonte (Jeffreys), alla Spezia, a 96 ADUNANZA GENERALE INVERNALE nellus Bon., come rarissima. All’ infuori dell’ unico esemplare, che deve trovarsi nella collezione Conti, a Ferrara, la specie non era finora rappresentata in alcun’altra delle collezioni paleontologi- che dei dintorni di Roma. « L’esemplare, ora rinvenuto nelle marne sabbiose del Monte della Farnesina, quantunque mancante dei primi due anfratti, mi- sura una lunghezza di mm. 26 ed una larghezza di mm. 16. Ha perciò dimensioni ben maggiori di quelle indicate dagli autori, che descrissero questa specie, e delle figure datene dal Bronn. Bellardi e Michelotti, Philippi, Hornes, D’Ancona, ecc , che in ge- nerale assegnano 18 mm. di lunghezza e 10 mm. di larghezza, Soltanto Carus, per la specie vivente, dà una lunghezza di mm. 20. u Dalle marne sabbiose grigie della Farnesina estrassi pure pa- recchi dischetti, o vertebrine, di Ophiura ». Il socio Clerici si compiace del sistema tenuto dal prof. Meli di comunicare qualunque piccola notizia di nuovi rinvenimenti di fossili, e, imitandolo, a proposito dell'estrema parte nord della pro- vincia romana ancora poco conosciuta in dettaglio, dice che fra i fossili di quella regione sono da annoverarsi il Bos primigenius Boj. e il Rhinoceros Merchi Kaup ( — li. megarhinus) di cui ne possiede un molare trovato a Proceno presso Acquapendente. « Il socio Clerici fa una comunicazione Sopra un giacimento di diatomee presso Viterbo (1). « Uscendo da Viterbo per porta Faul e dirigendosi al celebre Bullicame, che ne dista 2 km., la strada ha da principio alla sua de- Palmaria (Capellini, Capparone-Canefri) ; a Cagliari in Sardegna (Gennari) a Livorno (Appelius), a Napoli (Scacchi, Costa), in Sicilia a Siracusa, Palermo, alla B irra (Philippi, Aradas, Benoit, De Gregorio, Monterosato), a Malta a 72m di profondità (Wimmer); nella Tunisia (Monterosato, De Gregorio), a Gabes (Dautzenberg); sulle coste dell’Algeria (Weinkauff, Monterosato), ad Algeri e Bona; nelle isole Baleari, Mahon (Hidalgo); sulle coste della Dalmazia (Bru- sina); ad Adria, Rovigno, Oserò, Spalato (Stossich), Brevilaqua (Brusina), Lesina (Hitler); nel mare Egèo a Paros (Forbes); nell’Egitto, a Ramleh (Schneider). [Ved. Weinkaff H. C., Die Conchyl. des Miltelmeeres., Voi. II, 1868, pag. 82. Carus J. V., Prodr. faunae mediterr., Voi. IL pars II (Mollusca) pag. 383]. (l) Ultime bozze restituite T 8 agosto 1895. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 97 stra una rupe di tufo pomiceo della stessa varietà litoide rossastra con pomici nere, tanto frequente, quindi passa in profonda trincea nella varietà bigia meno litoide, talora friabile, ricca delle stesse pomici nere, pezzi di lave ed altri proietti. Subito dopo la fonte del Boja, la strada, nuovamente incassata, salisce e allora si scopre il suolo biancheggiante per le incrostazioni calcaree attorno al Bol- licarne. Al disopra dell’anzidetto tufo pomiceo vi è una terra tufacea bruna, quindi uno strato di tripoli o f: rina fossile bianca la quale superiormente passa ad altro strato più potente di farina calcarea bianco-giallognola gremita di molluschi d'acqua dolce appartenenti però a poche specie : Limnaea palustris Muli., L. ovata Drap., Bythinia rabens Menke, Velletia lacustris Liun., Planorbis um- bilicatus Muli., PI. nautileus Lin., var. crista, Pisidium sp. # Segue infine un banco di travertino in cui oltre ad impronte di vegetali palustri si discopre anche qualche mollusco. « La farina fossile, quasi pura inferiormente e inquinata di cal- care superiormente, è costituita da un ammasso di diatomee in prevalenza Epithemie e Synedre ; contiene anche spicule e special- mente bellissimi amfìdischi di Ephydatia fi av iati li a Johnst. (Spon- giUa) (')• « Fra le specie di diatomee citerò le seguenti: Amphora affinis Ktz. Cymbella cistula Hempr. » gastroides Ktz. Navicula viridis Ktz. » oblonga Ktz. » sculpta Ehr. » cuspidata Ktz. » limosa Ktz. var. gibberula Grun. » elliptica Ktz. Rhoicosphaenia curvata (Ktz.) Grun. Gomphonema capitatum Ehr. » insigne Greg. forma minor V. Heurck » dichotomum Ktz. f1) Cfr. Clerici E., Sulle spugne fossili del suolo di Roma ( Potamospon - gie). Boll. Soc. Geol. It., voi. XIII, 1894. 98 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Cocconeis placeniula Ehr. Epithemia zebra Ktz. » turgida (Ehr) Ktz. « granulata W. Sm. » Westermanni Ktz. » argus Ktz. Synedra ulna (Nitz.) Ehr. » longissùna W. Sm. Nitzschia Brebissoni W. Sm. Fragilarìa mutabili s Gran. (— Odontidium W. Sm.) Melosira arenaria Moore « crenulata (Ehr.) Ktz. » varians Ag. Cyclotella meneghiniana Ktz. « Anche la sovrapposta farina calcarea contiene diatomee, Spon- gilla e ostracodi. « Non vi ha dubbio che qui si tratta di una formazione d’acqua dolce di cui forse la sorgente del Bullicame è un ultimo residuo. Benché un giacimento di diatomee al disopra del tufo sia meno importante di quando se ne ha al disotto, pure ho creduto utile darne comunicazione atteso il frequente ripetersi di simili relazioni fra tufi e formazioni tipicamente continentali». 11 socio Baldacci legge la seguente comunicazione consegna- tagli del socio Lotti: L’età geologica dell' arenaria di Firenze a proposito d’una pubblicazione del prof. G. Trabucco su questo argomento (!). « Il prof. Trabucco (2) in un suo breve lavoro sull’arenaria di Firenze, dopo aver diviso l’Eocene di quei dintorni in Liguriano, Parisiano e Suessoniano, conclude coll’ affermazione, che l’arenaria macigno tipica del bacino di Firenze ritenuta plora cretacea , vien collocata per la prima volta alla base dell’Eocene, in se- guito alle sue scoperte, le quali consistono nell' avere osservato (!) Ultime bozze restituite il 6 luglio 1895. (2) Trabucco G., Nummulites ed Orbitolites dell'arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze (Proc. verb., Soc. Tose, di Se. Naturali. A.dun. 18 nov. 1894). DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 99 sezioni di Nummuliti e di Orbitoliti nell'arenaria del M. Ceceri presso Fiesole e di altre località dei dintorni di Firenze. « Incomincio col fare osservare che l’arenaria di cui è parola è stata ritenuta eocenica dal Savi, dal Meneghini, dal Cocchi, dal De Stefani e da quasi tutti i geologi che studiarono la Toscana. Io pure l’ho sempre ritenuta eocenica e se per un momento ne du- bitai. in seguito al rilevamento geologico dei monti del Chianti (*) eseguito nel 1893 e alla scoperta di strati nummu litici sotto l’are- naria di questi monti, ritornai tosto all’antico riferimento. « Quanto alla scoperta di nummuliti nell’arenaria devo osser- vare che io ve ne aveva trovate molto tempo prima e ne riferii alla Società Toscana di Scienze naturali nel maggio 1885 (2). Gli esemplari trovansi in Roma presso TUfficio geologico. “ Il prof. Trabucco aggiunge nella sua nota, che è da esclu- dersi assolutamente che siansi trovati Inocerami nell’arenaria e che la promiscuità di Inocerami e di Nummuliti non solo è un’ eresia paleontologica, ma anche un’ eresia di fatto. « Io, a dir vero, non mi preoccuperei d’essere eretico in paleon- tologia, quando trovassi appoggio nei fatti. Ora i fatti son questi. Le Nummuliti, oltreché (rare) nell'arenaria, trovansi in quantità nella formazione calcareo-argillosa che vi sta sopra e che il prof. Tra- bucco riferisce in parte al Liguriano, in parte al Parisiano (Vac- ciano, Certosa, Soffiano, Pantanico, Yincigliata e Castellina). Gli Inocerami furon trovati in questa stessa formazione dal march. Strozzi e da altri sulle alture di Pratolino, di Monte Senario, a Monte Fie- sole presso Pontassieve e a Villamagna ; da me, negli strati di passaggio tra la stessa formazione calcareo-argillosa e l’arenaria sotto- stante, a Casa al Vento presso Vincigliata e a S. Lorenzo a Ser- piolle (Loc. cit. p. 217). “ Non è poi vero che non siasi giammai trovato Inocerami nel- l'arenaria. Un bell'esemplare di questo fossile nella più tipica arenaria si osserva nel Museo di Pisa. Esso proviene, è vero, dall’arenaria di Pistoia, ma non credo che il prof. Trabucco voglia ritener questa ( 1 ) Lotti B., Rilevamento geol. eseguito in Toscana nell'anno 1893 (Boll. Comit. geol., n. 2, 1894). (2) Lotti B., La creta e l'eocene nei dintorni di Firenze (Proc. verb., Soc. Tose, ecc., IV, p. 219. I 8 100 ADUNANZA GENERALE INVERNALE di età diversa da quella di Firenze. Un altro esemplare, che si conserva nel Museo del R. Ufficio geologico, fu da me trovato di recente nell’ Arenaria del Mugello sopra S. Agata presso Scarperia. « Da tutto ciò devesi adunque inferire in modo assoluto che Inocerami e Nummuliti vissero contemporaneamente? Non ritengo ciò necessario, abbenchè nemmeno lo ritenga assurdo, e può essere che possa darsi una ragionevole spiegazione del fenomeno. Concludo pertanto che il prof. Trabucco, nè è stato il primo a riferire all’Eocene l'arenaria dei dintorni di Firenze, nè è stato il primo a ritro- varvi Nummuliti; e quanto alla promiscuità di Inocerami e di Nummuliti, se può essere un’ eresia paleontologica, non è davvero un’ eresia di fatto » . Il socio Trabucco risponde colla seguente comunicazione : Sul- l’età geologica del macigno di Firenze ('). « Ho chiesto la parola per rispondere subito alla comunicazione dell’ingegnere Lotti, letta dall’egregio cav. Baldacci. « Colla medesima si vorrebbe provare che : 1. non sono stato il primo a collocare alla base dell’eocene l’arenaria macigno del bacino di Firenze, ritenuta fin’ora cretacea ; 2. non sono stato il primo a stabilire la presenza di num- muliti nello stesso macigno ; 3. la promiscuità di inocerami e di nummuliti negli strati eocenici del bacino, affermata dal Lotti, non sia anche una eresia di fatto; 4. la divisione, da me fatta dell’eocene del bacino, sia ba- sata sopra caratteri paleontologici di molto dubbio valore. « I. Innanzi tutto non è vero che Savi, Cocchi, Meneghini, De Stefani, Lotti, od altri abbiano collocato, prima di me, l'arenaria macigno del bacino alla base dell' eo cene ; cito a conferma gli ul- timi lavori di questi studiosi, anteriori alla pubblicazione della mia prima nota (-) : Sulla posù. del calcare Mosciano e degli altri terreni eocenici del bacino di Firenze. (*) (*) Manoscritto consegnato il 10 maggio 1815 ; ultime bozze restituite il 19 agosto 1895. (2) (Nota preliminare). Firenze 1 luglio 1894. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 101 « Savi colloca il macigno « sopra il calcare nummulitico e la - calcaria screziata » (Q; Savi e Meneghini sopra « gli scisti galestrini « che tengono incluso il calcare nummulitico « (2); Cocchi dice che * le calcaire nummulitique (calcare screziato di M. Savi et gra- * nitello de Mosciano des marbriers) forme la base de ce terrain - (tertiaire inférieur) »(3) ; De Stefani ascrive alla creta l’arenaria macigno del bacino (4); finalmante Lotti crede doversi ritenere cre- tacea l’arenaria (macigno) nel Fiorentino (5). « Questo per ristabilire la verità dei fatti. Ma se anche qualche autore antico avesse collocato (quello che non è) il macigno alla base dell’eocene, non sarebbe meno artifiziosa l’affermazione del Lotti. « Infatti è chiaro che, affermando che nessuno prima di me aveva collocato il macigno alla base dell’eocene, intendevo parlare dell’opinione scientifica generalmente ammessa prima della pub- blicazione della mia nota preliminare sull’eocene del bacino. E che, secondo l’opinione scientifica generalmente ammessa prima della pubblicazione della mia nota, il macigno fosse ritenuto decisamente cretaceo è ampiamente provato dai citati lavori di Lotti e De Stefani ed anche dalla Carta geologica d'Italia (Comitato geolo- logico) del 1889, ispirata, certamente, in questa parte alle idee del Lotti stesso. « Quanto alle nuove conclusioni del Lotti (6), in parte ancora erronee, come dimostrerò in una nota in corso di stampa, basterà che io faccia notare che furono precedute dalla citata mia nota preliminare sull’eocene del bacino. (*) Savi P., Saggio sulla costituzione geologica della Prov. di Pisa. Pisa 1863, pag. L. (2) Savi e Meneghini, Consideraz. sulla geologia stratigr. della Toscana, ecc , pag. 304. (3) Cocchi I., Descript, des roches ignées et sédiment. de la Toscane , pag. *37. (4) De Stefani C. I terreni e le acque del bacino di Firenze. Firenze, 1891, p. 6. — Le pieghe dell' Appennino fra Genova e Firenze. Cosmos, 1892, Serie II, voi. XI, p. 138, tav. V, fig. 14. (5) Lotti B., La creta e l'eocene nei dintorni di Firenze. Proc. verbale soc. Toscana, 10 maggio 1885, p. 221. (6) Lotti B , Rilevamento geol. eseguito in Toscana (Boll. Com. Geol., n. 2, 1894). 102 ADUNANZA GENERALE INVERNALE « Il Lotti soggiunge nella sua comunicazione : « io pure l’ho « sempre ritenuta eocenica e se per un momento ne dubitai ecc. « ; curioso davvero questo momentaneo dubbio, che si esplica facendo dipingere cretacea sulla carta geologica d’Italia del 1889 l’arena- ria macigno, dapprima segnata nell’ eocene, e che dura dal 1885 al 1894! * IL Nel quadro riassuntivo del Lotti (’), che rappresenta la se- rie discendente delle formazioni dei dintorni di Firenze, si legge : « Arenaria macigno e puddinga ( Nummulites (?) dubbie nella « volgarmente detta granitello (2) ( parte superiore. « Dopo ciò io domando : è serio scrivere che non sono stato il primo a stabilire la presenza di nummuliti nell'arenaria macigno del bacino di Firenze? « Che cosa, infatti, stabiliva l'accenno del Lotti alla presenza di nummuliti nel macigno, se egli stesso metteva in dubbio anche la determinazione generica? « Le nummuliti, isolabili a centinaia e soventi in perietto stato di conservazione, esistono nella parte superiore ed anche nella parte inferiore del macigno. « III. La prova migliore che la promiscuità di nummuliti e di inocerami negli strati eocenici del bacino è non solo un’eresia palenteologica, ma anche un’eresia di fatto è fornita dallo stesso Lotti, il quale, dopo avere visto inocerami dappertutto e citate (3) le località della Casa al Vento, di S. Lorenzo a Serpiolle, base del gruppo di M. Morello, valle del Mugnone, base dei M. di Villamagna, Colli, versante N. E. del tratto montuoso dall’Impru- neta a Signa, messo alle strette è obbligato a riportarsi a vecchie citazioni di fossili in parte indeterminate, in parte inesatte, che un autorevole studioso ha, da tempo, ridotto al loro giusto valore. « Infatti il prof. De Stefani, certamente il più esperto conosci- tore della regione e dei suoi fossili, scriveva lino dal 1892: « Negli * scritti del Meneghini, del Peruzzi e miei si trovano parecchie « altre indicazioni di inocerami cretacei nei dintorni di Firenze, * fondati sopra esemplari esistenti nei Musei di Firenze e di Pisa, (') Lotti B., La creta e l'eocene nei dintorni di Firenze, p. 220. (3) Cicerckina e non granitello. (3) Lotti B., Op. cit.. p. 217 e 220. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 103 » indicazioni in parte troppo indeterminate, in parte inesatte. I « detti esemplari furono acquistati quasi tutti, in breve periodo di « tempo, da un cercatore del defunto marchese Strozzi, il quale « ne raccoglieva moltissimi lungo il torrente Yicano di Altomena « presso Pontassieve. « Parecchie indicazioni dei predetti Musei, come Pratolino, « S. Piero a Sieve, Borgo (Vaglia), ecc. sono certamente errate, « essendo in quei luoghi soltanto terreni eocenici o perfino mio- » cenici. « Nei dintorni di Firenze la distinzione paleontologica della « creta dall’eocene è sempre sicura, mentre non è altrettanto quella « litologica e si può escludere nel modo più certo che si trovino « Nummulites negli strati con Inoceramus o sotto questi (*) * . « Non è dunque con questi vecchi fossili dei Musei, di prove- nienza ignota, indeterminata od inesatta, raccolti da estranei alla scienza che si può arrivare a serie conclusioni stratigrafiche, tanto più quando si tratta di applicare ai terreni le nuove divisioni in- trodotte nella cronologia. « Ma se Lotti non ha potuto citare un solo fatto concreto in appoggio alla sua tesi, non credano gli studiosi che io affermi il contrario basandomi solamente sulle conclusioni peleontologiche acquisite alla scienza. Vi sono invece indotto dallo studio lungo e minuzioso dei terreni del bacino e dalla scoperta di bellissimi esemplari di Inoceramus Cripsii Mant. nella pietra forte in posto di alcune nuove tipiche località, dove si può osservare il contatto e la successione dell’intiera serie dei terreni dall ’eocene inferiore alla creta superiore. «Questa serie, dall’alto al basso, è costituita: « Eocene inferiore. Scisti argillosi (galestri) policromi, in po- tenti strati, con aragonite e noduli calcareo-diasprigni, intercalati con sottili filaretti di arenaria psammite a Globigerina , Rotalia e Nummulites, breccia cloritico-serpentinosa, calcari che divengono nummulitici alla base e brecciole nummulitiche a Nummulites, Orbitoides , Alveolina, Orbitolites, Globigerina, ecc. f1) De Stefani C., Nuovi fossili cretacei dell' Appennino settentr. Estr. dei Rend. Acc. Lincei, voi. I, 1892, p. 6. 104 ADUNANZA GENERALE INVERNALE « Arenaria macigno , in potenti strati, con stipiti e lenti argil- lose (passante talora alla tipica Cicerchina) a Nummulites, Orbi- toides, Orbitolites , intercalata con scisti argillosi soventi molto assottigliati. « Gli strati del galestro e del macigno sono sempre concordanti, diretti S. 0. ed inclinati di circa 20°. « Creta superiore. Calcari marnosi compatti bianchi, ver- dicci, intercalati e facenti graduale passaggio a scisti argillosi ga- lestrini varicolori a Chondrites, Gtobigerina , ecc. « Arenaria pietra forte in potenti strati, intercalata coi calcari e cogli scisti, ad Inoceramus Cripsii Mant., Nemertilites, Hel- minthoida, ecc. * Calcari, scisti argillosi e pietra forte sono sempre concordanti diretti N. E. ed inclinati di circa 35°. « Ad ogni modo, poiché sembra che il Lotti voglia insistere nella sua eresia di fatto, lo costituisco giudice in causa propria; lo sfido cioè a presentare un inoceramo del bacino di sicura provenienza constatabile in strati a Nummulites o sopra questi. « IV. Ha ben ragione il Lotti di affermare che la divisione da me fatta dell’eocene del bacino è basata su caratteri paleon- tologici di dubbio valore. Essa infatti è il frutto di centinaia di escursioni ; si basa su fossili peculiari numerosissimi (avuto riguardo alle condizioni generali dell’eocene appenninico) pazientemente ri- cercati, isolati e studiati e sull’esame microscopico di numerosis- sime sezioni delle roccie dei differenti luoghi del bacino; fossili in buona parte di indiscutibile valore stratigrafico, dopo gli im- portanti lavori di D’Archiac et Haime, Giimbel, De la Harpe, Han- tken, Munier-Chalmas, Benoist, Ficheur, Oppenheim, Teliini, ecc. « Un alto valore scientifico hanno invece le sue conclusioni stra- tigrafiche sul bacino, che si fondano sui generi Nummulites ed Ino- ceramus (citato a sproposito negli strati, dove è assolutamente esclusa la sua esistenza). « Conchiudendo : i fatti brevemente esposti mi sembrano, per- ora, più che sufficienti a provare erronei ed artifiziosi gli appunti del Lotti, valente studioso, ma i cui lavori stratigrafici sull'eocene del bacino (forse perchè prematuri e non sussidiati dalla paleon- tologia) non hanno certo fatto progredire la scienza « . DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 105 Il socio Clerici fa una comunicazione preliminare Sopra l' Ad- ditarla italica , nuovo fossile problematico (’). « Fra le comunicazioni pervenute alla R. Accademia dei Lincei prima del 16 luglio 1893 trovasi una mia nota dal titolo: Il Pliocene alla base dei monti Cornicolani e Lucani , nella quale è detto (v. pag. 61) « Un fossile caratteristico per la sua abbon- ii danza e perchè si trova nelle argille salmastre di tutte queste lo- ti calità, è una nuova specie del genere Acicularia, compreso ora fra « le alghe siphoneae , che illustrerò in altro periodico ». « Il genere Acicularia che, come mostrerò con una nota det- tagliata, fu sempre d'incerta posizione sistematica e giudicato poli- paio, spugna, briozoo, foraminifero ed ora alga, fu fondato dal D’Archiac (2) nel 1843 per la specie A. pavantina rinvenuta nelle sabbie medie (eocene) di Pisseloup presso Pavant, che poi fu nuo- vamente descritta e figurata dal Michelin (3), il quale alla località di Pisseloup aggiunse Étrechy (Seine-et-Oise) e, con qualche in- certezza, basandosi su esemplari avuti da Hauer, anche Nussdorf presso Vienna. « Nel 1861 Reuss pubblicò una breve monografia del genere Acicularia (4) descrivendo e figurando VA. pavantina , già nota, ed una nuova specie VA. miocenica che egli sotto il nome di Eschara acicularis aveva già descritto e figurato nel 1847 (5). « Il mio fossile, al quale ho imposto il nome di Acicularia ita- lica, si accordava bene coi caratteri generali risultanti dalle de- scrizioni e figure date da Carpenter (6) per il genere Acicularia. Ma le sezioni trasversali date dal Reuss affatto in disaccordo colle descrizioni del Carpenter (pur dissimili da quelle di D’Archiac e di (') Ultime bozze restituite T8 agosto 1895. (2) Description géolog. du dep. de l'Aisne. Mém. Soc. géol. de France. Tome 5, 20 partie, pag. 386 e 388, tav. XXV, fig. 8. (3) Iconographie Zoophytologique, descr. par localités et terrains des polypiers de France et pays env. Paris, 1840-47, pi. 46, fig. 14, pag. 177. (4) Ueber die fossile Gattung Acicularia d'Arch., XLIII Bd. der Sit- zungsber. d. k. Akad. d. Wissensch. (5) Die fossilen Polyparien des Wiener Tertiàrbeckens. Naturwiss. Abli. II Bd., p. 67, T. Vili, f. 18. (6) Introduction to thè study of thè Foraminifera. Ray Soc. London, 1862, tav. XI, fig. 27, 31 e 32, pag. 137. 106 ADUNANZA GENERALE INVERNALE Michelin) ed assolutamente differenti da quelle che io avevo otte- nuto dal fossile mi fecero dubitare, poiché nè D’Archiac nè Mi- chelin, parlarono della interna struttura, che non fosse da adottarsi 10 stesso genere di D'Archiac. - Ritenni quindi necessario giungere in possesso di qualche esemplare di A. pavantina sulla quale, come ho detto, fu fondato 11 genere. Malgrado la buona volontà dei negozianti ai quali mi ero rivolto e specialmente di alcuni miei corrispondenti a Parigi, fra cui il dott. A. Bonnet che mi aveva perfino promesso di re- carsi sul posto a farne raccolta qualora io non fossi riuscito a pro- curarmene altrimenti, il mio giusto desiderio non poteva essere appagato. In conseguenza mi era più che doveroso ritardare la promessa pubblicazione. « Finalmente il 28 marzo scorso il prof. R. Zeiller mi scriveva che, per mezzo del dott. Besan5on, era in grado di donarmi alcuni esemplari di A. pavantina che mi giunsero pochi giorni dopo, e sono parte dell’eocene sup. di Le Guépel e parte dell’ eocene medio di Neauphle. « Fatte con essi delle sezioni longitudinali e trasversali riscon- trai l’inattendibilità delle sezioni del Reuss e l’identità di interna struttura fra Ì’A. pavantina e l 'A. italica la quale differisce da quella per la forma esterna e per il numero e grandezza delle camere interne. « Avrei nondimeno ritardato ancora a nominare la nuova specie, desideroso di terminare alcuni confronti con alghe viventi onde trovare, se possibile, la posizione sistematica di questo genere pro- blematico, quando il 12 corr. mi pervenne in estratto un lavoro del dott. Tuccimei F) in cui si parla di Acicularia, specificamente indeterminata e proveniente dalle stesse località da me indicate due anni prima, come se si trattasse di nuova scoperta (2). F) Il villafranchiano e l'astiano nella valle tra i Corniculani e i Lucani. Atti Acc. pont. dei nuovi Lincei (senza indicazione di volume nè di seduta) Roma, 1895. (*) Che tale fosse la presunzione dell’autore lo si deduce da una sua autorecensione del lavoro citato, inserita nella Rivista Italiana di Paleontologia anno I, fase. 2°, 30 aprile 1895, pag. 56, ove è detto che gli elenchi di fos- sili da lui dati sono interessanti perchè vi figurano specie che nei dintorni di Roma non erano state ancora trovate come u il genere di alghe incrostanti DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 107 « Non è soltanto per una questione di priorità che ora parlo, ma specialmente per interessare i colleghi a facilitarmi il con- fronto con alghe viventi e per informarmi se nelle loro collezioni di fossili esiste qualche cosa di eguale o di somigliante. « A questo scopo metto a disposizione dei colleghi buon numero di esemplari giacché il fossile è molto abbondante e presento sopra una tavola murale il disegno (che a suo tempo sarà riprodotto) del fossile in due differenti stati di conservazione, che ne modifi- cano notevolmente l’aspetto, e le sezioni trasversale e longitudinale. « Da queste sezioni si apprende che nell’interno del fossile si trova un grande numero di camere sferiche indipendenti, disposte regolarmente all’ ingiro e tangenti alla superfìcie esterna, eburnea, sulla quale originano altrettanti forellini che s'ingrandiscono sem- pre più in ragione della cattiva conservazione. a La parete di tali camere è di natura più compatta. Il fossile è cilindrico-fusiforme, dritto o leggermente incurvato. L’asse è mas- siccio ma di natura meno compatta del resto, cosicché in qualche ■esemplare mal conservato vi appare talvolta una perforazione. « L’assenza di canaletti radiali e del canale centrale lo fanno differire da tutte le altre dasi/clade e o sifonee verticillate f1). E, contrariamente a ciò che taluno ha asserito nessuna rassomiglianza esiste col genere Acetabularia (2). « Acicularia con una specie forse nuova che l’A. non descrive, ma di cui dà «copiosissime e originali notizie storiche». Queste notizie sono tanto poco copiose dacché non vi si parla che di una sola specie finora conosciuta, VA. pavantina, e vi s’ignora, fra l’altro, com- pletamente la monografia del Reuss. Di più non si fa alcun cenno della in- terna struttura. Quelle notizie sono in compenso ben originali perchè l’A. scrive « Credo che il genere fossile Acicularia sia di D’Archiac il quale ritenne pure « di aver che fare con una foraminifera » il che farebbe supporre che l’A. non avesse neppure sfogliata l’opera del D’Archiac (nota aggiunta rivedendo le bozze). (*) Alcuni nuovi generi, non ancora descritti, furono istituiti da Munier- Cbalmas nella mem. Observations sur les Algues calcaires appartenant au groupe des Siphonées verticellées ( Dasycladées Harv.) et confondues avec les Foraminifires (Comptes rendus, t. LXXXV, p. 814). (2) Sono probabilmente le fig. 29 e 30, tav. XI, di Carpenter che hanno fatto supporre qualche analogia col cappello d e\V Acetabularia. Già nel trattato dello Zittel (trad. Barrois) è fatto notare il dubbio di questa comparazione. Io ho fatto confronto con belli esemplari di Acetabularia mediterranea ap- positamente pescati presso il castello Odescalchi a Palo. 108 ADUNANZA. GENERALE INVERNALE «Circa la distribuzione geografica dell’J. italica dirò che il prof. De Stefani interessato della mia ricerca, mi assicurava oral- mente di averne visto altra volta in Toscana ed a conferma di ciò in data 3 luglio 1893 mi scriveva « Quel fossile è figurato in « Soldani nel saggio orittografico, tav. XIII, fig. 69-E. Io lo vidi « in certa quantità proveniente da strati salmastri degl’immediati « dintorni di Siena ma non rammento di dove ». « Il Soldani (1780) ne parla infatti a pag. 119 ed anche a pag. 49 ove, a proposito dei tufi di Volterra esistenti presso la villa Inghirami, dice che contengono anche « certi piccoli cilin- « dretti di circa due linee di lunghezza tutti esternamente traforati « a guisa di escariti » . « Finalmente il prof. Neviani mi otteneva in dono dal prof. Pan- tanelli alcuni esemplari raccolti a Colle Val d’Elsa che riconobbi essere identici a quelli da me scoperti in Sabina. « Termino mandando un riconoscente ringraziamento al dottor Bonnet, al dottor Besanjon, al prof. Zeiller ed ai prof. De Stefani, Neviani e Pantanelli». Il socio Carlo Gualterio presenta tre molari, di cui uno spettante al genere Sus, rinvenuti nelle argille plioceniche escavate per le fondazioni della spalla Faenna del viadotto sul Rio Morto presso Ronta (Mugello). Presenta altresì un molare di Hippopotamus cfr. major rin- venuto nella cava di sabbia e ghiaia del marchese Gerini la quale tro- vasi a destra del Rio Morto a monte del suddetto viadotto. Di questi interessanti resti il socio Gualterio ne fa dono al Museo geolo- gico del R. Istituto di studi superiori in Firenze. Il socio Trabucco fa una comunicazione sulle Nummuliti del- l'arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze ('). « In una precedente Nota (-) comunicavo agli studiosi la sco- perta di nummuliti (specificamente indeterminabili) in sezioni (') Ultime bozze restituite il 18 agosto 1895. (2) Trabucco G., Nummulites ed Orbitolites dell'arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze. Proc. Verb. Soc. Tose, di Se. Natur., Adun. 18 no- vembre 1894. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 109 di arenaria macigno di parecchie importanti località del bacino, soggiungendo che avrei seguitato le ricerche allo scopo di racco- gliere esemplari isolati e quindi specificamente determinabili. Que- ste furono coronate dal più. lieto successo. « Ritornando da un’escursione, insieme ai sigg. prof. C. De Ste- fani e doti 0. Marinelli, si rinvenne una prima nummulite isolabile nell' arenaria macigno di S. Anclrea Sveglia lungo la valle del (Mugnone) , poco al di sopra della stazione delle Caldine. Ritornai, com’ era naturale, altre volte col Marinelli nella stessa località e riuscimmo ad estrarre dai detriti delle cave del macigno di Villa di Masseto una trentina di esemplari. Vi ritornai ancora da solo ed accompagnato da alcuni miei allievi e riuscii ad isolare cen- tinaia di nuovi esemplari dai detriti della cava di Poggio Giro J posta un pò al disopra di quelle di Villa di Masseto; numerosi sono poi i frammenti osservati e non isolabili. Lo stato di con- servazione della maggior parte di queste nummuliti è abbastanza buono, mentre parecchie sono perfettissime. « Il macigno di S. Andrea Sveglia, che sopporta in concordanza scisti argillosi varicolori (galestri) intercalati con calcari argillosi, passanti gradatamente al calcare nummulitico J è evidentemente la continuazione della grande e tipica massa di macigno Fiesole-Monte Rinaldi , dalla quale è separata da un sinclinale occupato dalle formazioni dei galestri. « Successivamente ebbi ancora la ventura di raccogliere altri esemplari di nummuliti nei detriti del macigno della cava Righi ( Boccia , M. Ceceri ) , prossima alla località, dalla quale proveniva il macigno, in cui avevo scoperto la prima nummulite in sezione ed anche nelle cave M. Rinaldi « Seppi pure dagli scalpellini delle numerose cave di macigno M. Ceceri-M. Rinaldi che le nummuliti (che essi chiamano aglia- gliotti ) si osservano abbastanza comunemente in tutti gli strati del macigno, specialmente nella parte superiore ed inferiore dei medesimi nel macigno ruvido (a grana un pò più grossa). Il cat- tivo tempo ha impedito altre ricerche, che proseguirò colla mas- sima diligenza. « Le numerose nummuliti raccolte si stanno ora diligentemente studiando. Ad ogni modo le importanti scoperte fatte, mentre con- fermano le mie precedenti conclusioni sull 'eocenicità del macigno , 1 10 ADUNANZA GEN. INVERNALE DELLA SOCIETÀ GEOL. ITALIANA contenute nella mia Nota : Sulla posiz. del calcare di Mosciano e degli altri terreni eoce. del bacino di Firenze (Firenze 1 lu- glio 1894), sono destinate a risolvere definitivamente una impor- tante e molto discussa questione stratigrafica della regione « . Il presidente Cocchi dice che tra Monte Ceceri e S. Dome- nico vi sono strati con abbondanti nummuliti. Questi strati sepa- rano la pietraforte cretacea dai galestri e dalle arenarie macigno di Fiesole, di Monte Ceceri e delle circostanti alture. Prova si- migliante della eocenicità , per così dire, del macigno non è con- finata a questa sola località che l'oratore ricorda per la sua vi- cinanza, ma in moltissimi luoghi del bacino di Firenze tra Pontassieve e Signa si può riscontrare. Conferma poi come in varie occasioni egli ha esposto che gli Inocerami si trovano in un oriz- zonte ben definito e distinto: e altro non aggiunge per contenere la presente disputa entro i limiti ne’ quali fu posta. La seduta è tolta alle ore 16,15'. Il Segretario Enrico Clerici. AVVERTENZE La Società geologica italiana tiene due Adunanze ordinarie alTanno, Luna in- vernale, l’altra estiva, in luogo da destinarsi anno per anno. Per fai; parte della Società occorre esser presentata da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 e una tassa annua di L. 15. La- tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 2<10 per una sola volta. Ógni socio all’atto deH’arrimissiene si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l'impegno s’intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata entro i due primi mesi del- l’anno. I soci hanno diritto al Bollettino che periodicamente si stampa in fascicoli. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme al- l'elenco'dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale saranno in- viate alla Presidenza, e per i ssa al Segretario. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. - - ~ La Società concorrerà nelle spèse delle illustrazioni nella misura dei mezzi di- sponibili. La Presidenza determinerà caso per caso, interpretando i voti del Consiglio, so debba concedersi il concorso e in quale proporzione. Per le carte geologiche non si concede alcun sussidio. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima- delia tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una prava in colonna, che dovrà essergli restituita al più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi 'entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- caricherà d’ufficio della materiale correzione -degli errori tipografici senza assumere-- alcuna responsabilità per ii resto. II Segretario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che tutte le correzioni indicate dagli autori riano state esattamente eseguite e correggerà quegli errori che evidentemente fossero passati inosservati agli autori stessi i quali sono perciò responsabili di ogniNaltra cosa. Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori del consueto, da cam- biamenti o rifusione di paragrafi, come pure la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle al Segretario non appena ne abbiano ricevuto il relativo cónto col visto del Presidente. Agli autori si danno 50 copie degli estratti con copertina stampata. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla’ prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che. ne desidera. Il- prezzo di 50 in 50 copie, con copertina stampata ecc. sarà di L. 4 "gni foglio di pag. lfi, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indie ito dal Segretario sulle bozze impagi- nate e dovrà essere pagato anticipatamente al Segretario stesso. Senza di che l’au- tore riceverà soltanto le 50 copie tirate per conto della Società. A qualunque socio, il quale col 1° aprile dell’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per Tanno precedente, sarà sep- z’altrò sospeso T invio delle pubblicazioni della Società e il medesimo non potrà prendere parte alle Adunanze. La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa dell’anno in corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. •> Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e vaglia all’Economo cav. ing. Augusto Statuti, via- dell’Anima, 17, Poma. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Ufficio di presidenza pel 1895 . . . . Pag. Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi . . . . . - Soci perpetui. - Elenco dei soci per Vanno 1895 ....... E .. - Elenco delle Società J Istituti , Biblioteche , eie., che ricevono il Bollettino in cambio o in omaggio - De Stefani C. Sui possibili caratteri delle lave eruttate a grandi profondità nei mari * Simonelli V. Sopra un nuovo pteropode del miocene di Malta . Trabucco G. Sulla vera posizione dei terreni eocenici del Chianti (con una tavola) . . . . . * Rovereto G. Arcaico e paleozoico nel Savonese (con quattro, ta- vole) « Chelussi I. Alcune roccie di Gampiglia . . . . ... * Dervieux E. Le Marginatine e Vaginuline terziarie del Pie- monte i Resoconto delV Adunanza generale invernale tenuta in Firenze il 21 aprile 1895 ' . — Memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino .... » Comunicazioni scientifiche: Db Angelis D’Ossat G. I Corollari fossili del Carboni fero- e del Devoniano della Gamia » Meli B. Notizie sopra alcuni fossili ritrovati recentemente nella ■ provincia di Roma ... . . . . . . . » Id. Sopra alcune rare specie di molluschi fossili estratti dal gia- cimento classico del Monte Mario presso Roma n Clerici E. Sopra un giacimento di diatomee presso Viterbo . » Lotti B. L'età geologica dell'arenaria di Firenze ■> Trabucco G. Sull'età geologica del macigno di Firenze . . » ClericiE. Sopra l'Acicularia italica, nuovo fossile problemodico. » Trabucco G. Sulle nummuliti dell' arenaria macigno del bacino eocenico di Firenze . >. .. . ... . . . » Finito di stampare il 28 agosto 1895. ni IV ivi V XII 1 19 24 òl 76 I 81 85 " ~ 86 Sé 01 9-t 96 98 100 105 108- Anno XIV. Fascicolo 2 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XIV. — 1895. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1896 Finito di stampare il 12 febbraio 1896. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MÉNTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881. Ufficio di Presidenza per l’anno 1896. Presidente. Prof. Carlo De Stefani (Firenze). Vice-Presidente. Prof. cav. Dante Pantanelli (Modena) Segretario. Ing. dott. Enrico Clerici (Roma). Vice-Segretari. Dott. Mario Baratta (Roma). | Doti Giuseppe Ristori (Firenze). Tesoriere. - Avv. comm. Tommaso Tittoni, Deputato al Parlamento Nazionale (Roma). Economo. Ing. cav. Augusto Statuti (Roma). Archivista. Prof. ing. Romolo Meli (Roma). . Consiglieri. Cav. Luigi Di Rovasenda (Sciolze). Ing. Bernardino Lotti (Roma). Prof.comm. Giovanni OMBONi.(Padova). Ing. comm. NrcoLò Pellati (Roma), Ing. cav. Luigi Baldacci (Roma). Prof. Mario Canavari (Pisa). Ing. comm. Lucio Mazzuoli (Roma). Prof. Arturo Negri (Padova). Dott, Giuseppe Mazzetti (Modena). Prof. Federico Sacco (Torino). Ing. Pietro Toso (Firenze). Dott,- Mario Cermenati (Roma). {prò tempore) Commissione per le pubblicazioni. Il Presidente IL Segretario . Il Tesoriere L’Archivista | Prof. cav. A. D’Achiardi (Pisa). Prof. cav. Francesco Bassani (Napoli). Prof. cav. Torquato Taramelli (Pavia). Commissione del bilancio. Prof. comm. Giovanni Struever (Roma). Ing. cav. Pietro Zezi (Roma). Prof. cav. Giuseppe Tuccimei (Roma). Sede- deUa Socie. Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologici NOTIZIE SUI DEPOSITI DEGLI ANTICHI LAGHI di Pianura (Napoli) e di Melfi (Basilicata) del prof. H. J. Johnston Layis E SULLE OSSA DI MAMMIFERI IN ESSI RINVENUTE del dott. E. Flores I. Ossa e depositi del lago di Pianura. 1. Introduzione storica. È notevole la scarsezza di ossa di mammiferi negli immensi depositi dei materiali eruttivi che concorsero alla formazione dei Campi Flegrei. Nel 1886 uno di noi rinvenne nelle cave del tufo pipernoide di Fiano, presso Nocera dei Pagani, un osso probabil- mente appartenente ad un cervo. Il prof. Arcangelo Scacchi poco tempo dopo ricevette da un raccoglitore di minerali alcuni fram- menti di vertebre di mammiferi ovini rinvenuti nel tufo pipernoide di Fossa lupara , località poco distante da Fiano, e li descrisse nella sua memoria sui vulcani fluoriferi della Campania. In se- guito volle anche studiare T osso rinvenuto a Fiano e lo illustrò con una nota pubblicata nel 1888. Nel 1889 infine, il dottor Chapman, della comitiva di geologi inglesi riunita per studiare i vulcani dell’ Italia meridionale, scendendo un giorno dai Carnai- doli per la via che conduce al fondo Pignatiello, credette di ve- dere un pezzo di legno fossilizzato nella pozzolana. Lo raccolse e si avvide trattarsi di un moncone di corno di un ruminante. Egli prese nota esatta della località per poi ritornarvi in compagnia del primo degli scrittori di questa nota. Difatti vi ritornarono, ma forniti di tutto T occorrente per scavare il terreno, e dopo un arduo lavoro di tre persone per tre giorni consecutivi, si potettero raccogliere in [quella pozzolana 9 112 JOHNSTON-LAVIS F. FLORES varie ossa. La larghezza di quella via, o cupa , come volgarmente si chiama, è di circa tre metri. Pochi giorni prima della scoperta di quel corno, alcune forti alluvioni avevano tagliato dei profondi solchi nella pozzolana che costituisce quella via ed avevano messo in evidenza il corno, che fu poi la chiave della scoperta. Nei tre gorni di lavoro fu tagliata una trincea lunga venti metri, pro- fonda uno e larga quanto tutta la cupa. In questo modo fu mossa ed accuratamente esaminata una quantità di pozzolana che rag- giungeva quasi sessanta metri cubi di volume. In essa si potettero ritrovare quattro vertebre, le branche della mandibola con quasi tutti i molari, la parte basi-occipitale del cranio, 1’ osso frontale con le corna quasi intere, un metatarso, un frammento di arcata zigomatica ed altri frammenti indeterminabili. Lo stato di con- servazione di queste ossa era tale, che fu necessario un arduo lavoro per ridurle allo stato in cui si trovano al presente. 2. Descrizione delle ossa. Cranio (tav. VI, fìg. 2). La parte del cranio che si conserva comprende 1’ occipitale quasi intero con i condili ed il forame intatti ; 1’ apotìsi basilare ; parte dello sfenoide, che comprende la fossetta della sella turgica, la fossetta pituitaria ed i fori laceri; la rocca petrosa con i forami uditivi di ambo i lati, visibile per 1' assenza del temporale. Inoltre si conserva anche un frammento dell' arcata zigomatica destra, proprio la parte di essa che si uni- sce al temporale (fìg. 10). Corna (tav. YI, fìg. 1). Il frontale, conservato fino alle ar- cate delle orbite, sostiene i rami principali delle corna, ai quali sono attaccati varii rami secondarii. Mancano i rami oculari e le altre ramificazioni terminali. Mandibola. La branca mandibolare destra (tav. YI, fig. 4), va dal foro mentoniero fino al quinto molare. La branca sini- stra (fig. 3) è completa e presenta tutta la serie dei molari, la branca ascendente e 1’ apofisi glenoidea. I molari, misurati in- sieme sull’ orlo degli alveoli, offrono la lunghezza complessiva di 125 m.m. I premolari hanno alcuni caratteri che sono proprii dei denti del Cervus elaphus Lin. Il primo di essi ha la corona trian- golare, il secondo ed il terzo hanno alcune pieghe dello smalto che tendono a dividere la corona del dente in due parti. Nel NOTIZIE SUI DEPOSITI DEGLI ANTICHI LAGHI ECO. Ilo terzo specialmente una di queste pieghe è tanto sviluppata che giunge quasi a toccare lo smalto del lato opposto. Vertebre (fig. 6, 7, 8 e 9). Sono due vertebre dorsali e due lombari. Le apoflsi trasverse sono quasi totalmente distrutte, si conservano soltanto i processi spinosi e qualcuna delle faccette d’ articolazione. Metatarso (fig. 5). È il metatarso dell’arto destro, rotto al- l'estremità distale. Non presenta alcun carattere importante. Tutte queste ossa sono molto fragili, leggerissime, di un color bianco giallastro. I caratteri dei molari e delle corna sono tali da permetterci di riferirle senza alcun dubbio al Cervas elaphus Lin. 3. Descrizione geologica del terreno. La struttura geologica della collina dei Camaldoli è abba- stanza complicata. La parte più antica dei depositi costituenti giunge alla massima altezza dalla parte di Soccavo, ma per la formazione di un talus poco si può osservare. Però ad un certo punto è scoperto, per un piccolo spazio, un deposito di pomice bianca, molto simile a quella della stessa natura rinvenuta sotto il tufo pipernoide, nel fare il traforo per la funicolare di Montesanto (v. H. J. Johnston-Lavis, Reports British Assoc. Vesuvian Committee 1888-00). Sovrap- posto a questa pomice bianca è il piperno in due fasce separate V una dall’ altra da una fascia di trachite frammentaria, che segna un periodo di riposo seguito da una o più esplosioni violente at- traverso la crosta che si era formata sul magma di piperno, du- rante la fase eruttiva che gli dette origine (v. H. J. Johnston-Lavis, Notes on thè Pipernoid Structure of Igneous Rocks: « Naturai Science » voi. 5, n° 19, sett. 1893. London , pag. 218-221). Al disopra di questo piperno si trova la « Museum breccia » composta di blocchi di un gran numero di rocce, fra le quali si distinguono, come materiali essenziali dell’ eruzione, massi di vetro nero trachitico con tessitura porfirica e struttura eminentemente vescicolare e che passa gradatamente a vera scoria pomicea. La « Museum breccia » alla parte superiore diventa sempre più uni- forme ed e costituita di elementi sempre più piccoli, fino a raggiun- gere la grossezza di una nocciuola, e questi frammenti sono tenuti 114 JOHKSTON-LAVIS E FLORES insieme da un cemento di color rosso violaceo, di guisa che tutta la roccia acquista un color generale rosso chiaro. Più in alto, ma nettamente separato dalla « Museum breccia » si trova il tufo giallo compatto, caratteristico dei dintorni di Napoli e specialmente della collina di Posillipo. Proprio sotto Camaldoli, dalla parte di Soc- cavo, posata sul tufo giallo, s’ incontra una pozzolana alternata a letti di pomice, 1’ una e 1' altra di colore assai chiaro. Final- mente, al disopra di tutte queste formazioni troviamo gli strati superficiali della collina, formati di pomici e pozzolane grigie, materiali provenienti dalle eruzioni relativamente recenti dei cra- teri di Agnano, della SolfataraJ Astroni, Cigliano e Fossa Lupara. In questa serie di depositi troviamo notevolissime variazioni nelle dimensioni verticali degli elementi in punti poco distanti l'uno dal- l’altro. La discordanza più importante è senza dubbio quella tra il tufo giallo di Posillipo ed i depositi più recenti. La storia geologica dei Camaldoli si può riassumere in poche parole. Il punto ove ora sorge la collina era vicinissimo a varii centri eruttivi; vi si accumularono i materiali delle varie eruzioni dei dintorni, non essendovi propriamente in quel punto manifesta- zioni vulcaniche, e così si formò la massima elevazione dei Campi Flegrei. In parte per effetto di cratere di esplosione, questo monte fu tagliato a picco, ed a questa erosione laterale si aggiunse quella del mare, quando le acque di questo giungevano alle falde del monte Barbaro e la riva giungeva alla Montagna spaccata e si continuava tino ai dirupi di Pianura e di Soccavo, essendo coperta dal mare quasi tutta la pianura di Bagnoli. Era proprio quel mare cha in- franse il cratere di Campiglione e che depositò il materiale della Starsa e la terrazza marina di Stabia ed altri punti della penisola sorrentina (v. Johnston-Lavis, Reports Brit. Assoc. Vesuvian Com- rnittee, 1890 e « South Ralian Volcanoes , Napoli 1891, Chapter 1). La costa, sotto Camaldoli, formava due seni divisi fra loro dalla sporgenza che ancora oggi separa il piano di Soccavo e di Bagnoli da quello di Pianura. Questa sporgenza, però, è in maggior parte di formazione posteriore ai seni che divide, essendo formata quasi interamente dal tufo giallo di Posillipo. Come 1’ altura dei Ca- maldoli si aumentò pel deposito di materiali rigettati da Astroni, dal cratere di Agnano e dagli altri vulcani più recenti, così pure questa sporgenza aumentò in altezza. Con la formazione del era- NOTIZIE SUI DEPOSITI DEGLI ANTICHI LAGHI ECC. 115 tere di Agnano, che in un punto tocca questo rialzo, tutto il di- stretto e specialmente l’ anfiteatro di Pianura, fu assai turbato. Più tardi quando per la gran serie di esplosioni che formarono lo splendido cratere degli Astroni, la grande quantità di materiali rigettati occupò e chiuse la parte Sud-Ovest dell' anfiteatro di Pianura, ben presto l’acqua vi si raccolse e si formò un lago che noi chiameremo Lago di Pianura. In fondo a questo lago, che forse già in parte esisteva quando si formò 1’ anello craterico di Astroni, si depositarono strati di pozzolana generalmente di grana finissima, interrotti qua e là da straterelli di pomici, che indicano eruzioni ed alluvioni accadute nelle vicinanze. Gli strati sono assai ben definiti, qualche volta sot- tilissimi, ma sempre con uniformità di spessore e tutti caratteri speciali di un deposito di acque stagnanti. Uno strato violaceo molto uniforme, dello spessore di pochi centimetri si può seguire per un lungo tratto nella cupa di Pianura, che offre una sezione assai interessante di questi depositi. Alcuni strati di questa pozzolana sono di struttura vescicolare e ricchi di pisoliti, caratteri che ci indicano che questi depositi furono formati da polvere vulcanica caduta nel lago insieme con goccie di pioggia. Difatti la formazione delle pisoliti si spiega ammettendo che le goccie di pioggia, at- traversando l’aria carica di polvere vulcanica, cadessero impregnate di questa. E prima vi si attaccarono i granelli più grossi, che di- fatti si trovano al centro delle pisoliti, e poi all’ esterno i granuli impalpabili, non avendo, l’acqua più la forza di far aderire granuli grossi. Così troviamo un nucleo granulare con una crosta assai più compatta e di grana più fina. Qualche volta le pisoliti sono vuote al centro ; fenomeno dovuto a porzione d’ acqua rimasta al centro: ciò si incontra anche alla Solfatara. La struttura vescico- lare è comunissima in quei tufi, ed anche è dovuta a gocce di pioggia, cadute in una atmosfera meno carica di polvere, per cui le gocce non hanno avuto il tempo di impossessarsi di tanta pol- vere da formare una pisolite. Altri strati di questo deposito lacustre sono formati di ma- teriale di alluvione delle alture circostanti, e se li seguiamo fino alla riva del lago, troveremo che son formati di elementi più gros- solani e con quella stratificazione falsa tanto comune nei depositi di detriti trasportati da violenti corsi d’ acqua. 116 JOHNSTON-LA.YIS E FLORES Il fondo di questo lago è oggi rappresentato dalla vasta su- perficie sulla quale sorge il piano di Pianura, e 1' acqua, un giorno, per eccessivo aumento dovette riversarsi ad un punto corrispon- dente a quello ora occupato dalla strada nuova che da Soccavo conduce alla Montagna spaccata, attraverso a quella gola stretta e profonda, che si trova sotto la masseria Pignatiello (carta to- pogr. Stato Magg. 1 : 50,000) o alla Croce del Fosso di Fra Giusto (carta topogr. Stato Magg. 1 : 25,000). La strada ed il fosso sono dovuti alla lenta erosione che operava V acqua del lago e mano a mano che questa via si allargava e diveniva profonda per F uscita dell’ acqua, il lago di Pianura lentamente si disseccava. Se questo procedimento naturale fosse o no aiutato dalla mano del].’ uomo, oggi non lo possiamo dire. Il sito dello sbocco è indicato dalle linee altimetriche, che convergono alla gola o fossa suindi- cata. La parte più profonda dell’ antico lago oggi è rappresentata da una zona lunga un chilometro in linea N. NO - S. SE, e sulla quale s’ incontrano i fondi di Toro ed Undici Moggia. L’altezza minima del fondo del lago oggi è di 157 metri sul livello del mare e la superficie dell’ acqua probabilmente non oltrepassò mai i 180 metri, cosicché, ammettendo il massimo riempimento, il lago non era mai molto profondo e rassomigliava in ciò all’ ex-lago di Agnano. L’ area coperta dall’ acqua non ha potuto oltrepassare due chilometri quadrati. Come già abbiamo detto, questi depositi lacustri si possono studiar bene lungo la cupa di Pianura, che come quasi tutte queste vie tagliate nel fondo di burroni, è dovuta in primo luogo all’ opera dell’ uomo, e poi all’ erosione del terreno incoerente, cagionata da piogge, ecc. (v. EL J. Johnston-Lavis, The Geology of Monte Somma and Vesuvius , in Quarterly Journal of Geol. Soc. London , voi. XL) ; essa serviva ai cavatori del famoso pi- perno fin dall’ epoca dei Romani, per trasportare le pietre a Na- poli. È quasi rettilinea, e, giunta sotto il declivio di Carnai doli forma anch'essa un leggiero declivio, ove intercettava tutta l’acqua piovana che veniva giù dai Camaldoli; così divenne subito il letto di un torrente durante i forti temporali. Al punto in cui questa cupa si unisce alla strada maestra, al sito conosciuto col nome di Croce del Fosso di Fra’ Giusto , si distacca un’ altra via, che voltando ad ovest, conduce al fondo Pignatiello, e, continuando a NOTIZIE SUI DEPOSITI DEGLI ANTICHI LAGHI ECC. 117 salire, giunge ai Camaldoli. Presso il fondo Pignatiello essa è una vera cupa tagliata nella pozzolana, che si alterna a strati di pomici, e quasi a mezza distanza dal fondo, si rinvennero le ossa già descritte, tra le linee altimetriche 170 e 180, e calcolando la profondità in cui si rinvennero, erano press’ a poco a 155 metri sul livello del mare. La prima parte della via offre all’osservatore uua serie di depositi lacustri simili a quelli della Cupa di Pianura, già descritti, e a misura che si sale, si va incontro all' antica sponda del lago; la stratificazione è sempre più irregolare ed i depositi hanno sempre più il tipo delle alluvioni. Proprio al punto in cui i depositi lacustri diventano alluvionali furono trovate le ossa. Il modo col quale queste ossa furono colà deposte si può spiegare in varii modi. Il cervo recandosi a bere sulla sponda del lago, potette sprofondare nel fango e morire in quel luogo, ed in seguito le alluvioni avrebbero trasportato le ossa poco lontano. Oppure si può supporre che il cadavere avesse galleggiato sulle acque, ed a misura che il disfacimento delle carni si avverava, le ossa sarebbero state deposte sul fondo. In questo caso però non si sarebbero trovate le ossa tanto vicine tra loro. Le condizioni di giacimento delle ossa ci assicurano che queste dovettero essere deposte quando il lago era ancora molto profondo, essendovi al disopra di esse 12 a 20 metri di depositi lacustri. evidente che la morte del cervo è stata assai più recente della formazione del tufo .giallo di Posillipo, posteriore alle grandiose eruzioni di Agnano e di Astroni e forse contemporanea alla formazione del cratere di Cigliano, di Monte Senga e cratere di Campana. II. Ossa e depositi del lago di Melfi. È curioso il fatto che le ossa trovate nei dintorni di Melfi sieno state rinvenute anch’ esse in depositi lacustri. Nel 1884 uno di noi, recatosi in Basilicata per studiare il gruppo vulcanico del Monte Vulture, rinvenne nei depositi di tufo dei dintorni di Melfi alcuni monconi di ossa e corna di cervo. L’ antica via mulattiera che va da Melfi a Rapolla scende per una cupa dovuta all’ opera umana ed anche a correnti di acqua alluvionale. Al principio di questo taglio naturale s’ incontrano strati di pomici e scorie di varie eruzioni esplosive sovrapposte ad una serie di depositi lacustri costituiti da una pozzolana cal- 118 JOHNSTON-LA.V'IS E FLORES, NOTIZIE SCI DEPOSITI ECC. carea di grana finissima, simile ad una roccia marnosa, interstra- tificata con altri banchi di pozzolana di grana più grossa, di tra- vertino e resti vegetali. In questi strati di pozzolana a grana fina si incontra una gran quantità di geodi vuote, formate di limonite e grosse quasi quanto un pugno. In questo tufo appunto fu tro- vato il pezzo di corno figurato nella tav. YI, fig. 11 e l’epifisi di un metatarso. Il frammento di corno consiste nella parte basilare sinistra attaccata a porzione del frontale. Evidentemente va riferito al genere Cervus , ma è impossibile determinarne la specie. Esso è molto pesante per avanzata mineralizzazione, con carbonato di calce ed idrossido di ferro. Il lago di Melfi probabilmente non era molto esteso e dovette formarsi per la chiusura del corso del fiume, cagionata da qualche corrente di lava, oppure da qualche alluvione scesa giù dal Vul- eture, o infine per qualche cono parassitico formatosi nel vallon stesso. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI. (tutte le figure sono ad un quinto del vero) Fig. 1-10 Cervus elaphus Lin. — Lago di Pianura. Fig. 1. Frontale e corna. Fig. 2. Parte basilare del cranio. Fig. 3 e 4. Mandibola. Fig. 5. Metatarso. Fig. 6-9. Vertebre. Fig. 10. Frammento di arcata zigomatica. Fig. 11 Cervus sp. ind. — Lago di Melfi. Frontale e parte basilare del corno sinistro. [30 settembre 1895] Boll, della Soc. Geo! It. Voi. XIV il895) Tav. VI ROMA FOT BARESI BRIOZOI EOCENICI DEL CALCARE NUMMULITICO DI MOSC1ANO PRESSO FIRENZE. Nota del prof. Antonio Neviani. Il prof. G. Trabucco, volle testé darmi prova di fiducia e di amicizia, della quale gli sono gratissimo, inviandomi in comuni- cazione per studio alquanti Briozoi, provenienti dal calcare num- mulitico (Parisiano) di Mosciano presso Firenze. (’) ■ Lo stato di conservazione di quei fossili non è il migliore, ma ad ogni modo con un poco di pazienza sono riescito a deci- frare quattordici specie ed una varietà; di due esemplari riferisco solo il nome generico; di una quindicina non azzardo alcuna deter- minazione, nè credo che altri potrà darla, stante la scomparsa completa o quasi di ogni carattere zoeciale. Un esemplare ho cre- duto doverlo considerare per una specie nuova appartenente ad un genere che, per quanto sia comparso nel mesozoico, e sia ancora vi- vente, pur tuttavia non è comune, anzi è per la prima volta tro- vato fossile in Italia. 11 materiale era racchiuso in dieci tubetti che contenevano complessivamente cinquantaquattro esemplari, dei quali ne ho deter- minati trentacinque, come dal seguente quadro. Cheilostomata. 1. Membranipora Hookeri Haime (esempi. n° 3) 2. » macrostoma Reuss » 6 3. » sp. * 1 (') Lo studio che il prof. Trabucco sta facendo su questa interessante formazione sarà pubblicato fra breve; intanto fu preceduto dalle seguenti note: Sulla posizione del calcare di Mosciano e degli altri terreni eocenici del bacino di Firenze — 1° luglio 1894. — Nummulites ed Orbitoides dell'a- renaria macigno del bacino eocenico di Firenze — 18 novembre 1894. 120 A. NEVIANI 4. Onychocella anguiosa Reuss (esempi, n" 1) 5. Gonescarellina eocoena Neviani n. sp. » 1 6. Retepora sp. * 1 Cyclostomata. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. Idmonea cfr. carinata Ròmer (esempi, Pavotubigera flabellata d'Orbigny * Diastopora tenuis Reuss * Defrauda stellata Reuss » Heteropora anomalopora Goldfuss » » dichotoma Goldfuss « » stipitata Reuss « Fungella plicata Hagenow * Ceriopora megalopora Reuss « » arbusculum Reuss » n° 2). 1 2 2 1 1 2 9 1 1 Delle suddette specie due vennero sin ora trovate solo nello Eocene (M. Hookeri, e D. tenuis ); due comparse nel Mesozoico sono ancora viventi (0. anguiosa e D. stellata ); delle altre: I. cari- noia , H. anomalopora, H. dichotoma si rinvennero nel Cretaceo e nel Miocene; H. stipitata , C. megalopora e C. arbusculum nel solo Miocene; F. plicata nel solo Cretaceo ; M. macrostoma nel- l'Eocene e Miocene ; e finalmente P. flabellata dal Mesozoico al Pliocene. Seguono ora brevi cenni su ciascuna specie. 1. Membranipora Hookeri Haime 1868. Membranipora Hookeri Reuss. Die foss. Anth. und Bryoz. d. Schicht. von Crosara ; pag. 252, 288, tav. XXIX, fi g. 6, 8. 1885. r. n Gottardi. Brioz. foss. di Montecchio Mag- giore; pag. 7, num. 34. 1891. » » Waters. North Ital. Bryoz. Chilosto- mata ; pag. 1 3. Due esemplari discretamente conservati. Corrispondono bene alla fig. 6 data dal Reuss per i Briozoi di Crosara ; in uno degli BRIOZOI EOCENICI DEL CALCARE NUMMULITICO ECC. 121 esemplari si nota in parecchi zoeci che il cordoncino è percorso nel mezzo da un solco finissimo che viene cosi a sdoppiare il margine. Fossile nel Bartoniano (*) di Crosara, Tal di Fonte, Montec- chio Maggiore e nel Nummulitico dell'India. 2. Membranipora macrostoma Reuss sp. 1847. Cellaria macrostoma Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Tertiur- beckens; pag. 64, tav. VIH, fig. 5, 6. ■« Yaginopora tevturata Reuss. 1. c. pag. 73, tav. IX, fig. 1. 1868. Biflustra macrostoma Reuss. Die foss.Anth. und Bryoz. d. Schicht. von Crosara-, p. 274 e 290, t. XXXIII. fig. 12, 13. 1877. Flustrellaria macrostoma Manzoni. I Brioz. foss. d. Mioc. d' Au- stria ed Ungheria-, 2a. p.; pag. 19, tav. XIII, fig. 46. 1877. Flustrellaria texturata Manzoni. 1. c. pag. 19, tav. XIII, fig. 45, a - e. 1885. » » Goliardi. Brioz. foss. di Montecchio Mag- giore; pag. 9, num. 73. » » macrostoma Gottardi. 1. c. pag. 9, num. 74. » Biflustra macrostoma Gottardi. 1. c. pag. 9, num. 75. 1891. Membranipora macrostoma. Waters. North Ital. Bryoz. Chilost-, pag. 11. Num. sei esemplari; di essi uno è conservatissimo, e mi è ser- vito a stabilire la specie; gli altri sono alquanto più logori e si avvicinano alla figura data dal Reuss per la Yaginopora texturata che viene appunto considerata come sinonimo di M. macrostoma. Fossile nel Bartoniano di Crosara, Val di Fonte, Montecchio Maggiore, Brendola, Ferrara di M. Baldo; nel Miocene di Austria- Ungheria, in Australia. 3. Membranipora sp.? Un frammento, che certamente va riferito a questo genere; ma il cattivo stato di conservazione non mi permette di dare una denominazione specifica neppure approssimativa. f1) Seguo la determinazione stratigrafica data dal Suess, dall’Hébert, dal Munier - Chalmas e dal Waters. 4. Oriychocella anguiosa Heuss sp. « Con por ta mento di Vincularia » . 1847. Eschara escavata Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Tertiàrbec- kens-, pag. 72, tav. Vili, fig. 36. 1851. » Lamarcki Hagenow. Die Bryoz. d. Maastrichter Kreide- bildung; pag. 74, tav. IX, fig. 2, 3, 4, 1852. n Royana d'Orbigny. Pai- frang. Ter. Crét. Bryoz.-, pag. 108, tav. DCII, fig. 12, 13, tav. DCLXXIII, fig. 2, 3. 1865. Vincularia disparilis Beissel. Aachener Kreide ; pag. 15, tav. I. fig. 7, 8. 1868. n g eom etr ic a Reuss. Die foss.Anth.und Bryoz. d. Schieht. von Crosara ; pag. 276, tav. XXXIII, fig. 16. 1877. Biflustra escavata Manzoni. I Brioz. foss. d. Mioc. d'Austria ed Ungheria ; pag. 67, tav. XIII. fig. 44 1885. » « Gottardi. Brioz. foss. di Montecchio Maggiore : pag. 9, nura. 76. 1891. Onychocella anguiosa Waters. North Ital. Bryoz. Chilost.; pag. 9. tav. I, fig. 20. Un esemplaretto allo stadio di Vincularia. Waters (1. c.) ha fatto una completa illustrazione di questa specie tanto polimorfa nel suo portamento. Nell’esemplare studiato non sono riuscito a di- stinguere bene gli onicocellari; ma la forma dei zoeci e del loro orificio mi rendono certo della determinazione. Questa specie, fossile dal Cretaceo, è ancora vivente. o. Conescharellina eocoena n. sp. Zoeci prismatici quasi sempre esa- gonali, formanti un zoario irregolar- mente conico ; orificio circolare ; piccole aperture vibracolifere (?) sul solco su- perficiale che divide i vari zoeci. L’unico esemplare da le seguenti dimensioni : Diametro medio dei zoeci mm. 0,30 k » degli orifici » 0,10 Lunghezza del zoario » 2,33 Larghezza massima del zoario « 1,47 BRIOZOI EOCENICI DEL CALCARE NUMMULITICO ECC. 123 Le- maggiori affinità di questa nuova specie si hanno colla Batòpora conica Seguenza (non Hantken) del Tongriano di An- tonimina (Reggio Calabria) e che ritengo essere essa pure una Conescharellina. La forma del zoario e dei zoeci è quasi identica nelle due specie; ma in quella di Calabria mancano gli orifici se- condari che ho creduto interpretare per vibracoliferi. Ricorda pure la Vincularia (Biflustra) rustica d'Orb. della Creta di Perignac ; ma in quest'ultima non solo il zoario è allungato, cilindrico e forse ramificato, ma i zoeci hanno bordo un poco rotondeggiante, in modo che il solco di demarcazione fra essi è più profondo; mancano in- oltre i piccoli forami intermedi. Di questa nuova forma unisco una figura semischematica ingrandita 22 volte. 6. Retepora sp.?. Un solo frammento. Nella superficie dorsale si distinguono malamente alcuni vibici ; in quella zoeciale si vedono alcuni zoeci, ma sono talmente logori che non è possibile proporre determina- zione specifica alcuna. 7. Idmonea cfr. carinata Roemer. 1847. Idmonea carinata Reuss. Die foss. Polyjp. d. Wiener Tertiàrbec- kens; pag. 44, tav. VI, fig. 27. 1877. » » Manzoni. 1 Brioz. foss. d. Mioc. d'Austria ed Ungheria-, pag. 5, tav. Ili, fig. 10. Due frammenti; essi mostrano la dicotomia, e le creste sa- lienti dei zoeci; questi però sono indistinti e perciò segno dubi- tativamente il riferimento proposto. Gli esemplari si avvicinano più alla figura data dal Manzoni, che a quella del Reuss. Fossile nel Cretaceo di Maastricht e nel calcare di Leitha di Austria ed Ungheria. 8. Pavotubigera flabellata d’Orb igny. 1852. Pavotubigera flabellata d’Orbigny. Pai. frane. Ter. Crét. Bryoz.-, pag. 763, tav. DCCLII, fig. 4. 1884 n » Waters. Foss. Cyclost. Brioz. from Au- stralia; p. 691, tav. XXI, fig. 25. 1892 n » Waters. North Ital. Bryoz. Cyclost ; pag. 161. Una sola colonia sufficientemente conservata. Per la determi- nazione mi sono servito della descrizione e figura data dal Wa- ters (Australia). Fossile nel Cretaceo di Meudon, nel Bartoniano di Brendola eMontecchio Maggiore e nelle formazioni Mio-plioceniche d'Australia. 9. Dmstopora tenuis Reuss sp. 1868. Discosparsa tenuis Reuss. Die foss. Anth. und Bryoz. d. Schicht. von Crosara-, pag. 280, tav. XXXIV, fig. 9-10. n ìi regularis Reuss. 1. c. pag. 280, tav. XXXIV, fig. 11. 1885 » tenuis Gottardi. Brioz. foss. di Montecchio Maggiore -, pag. 4, num. 1. » n regularis Gottardi. 1. c. pag. 4, num. 2. 1887 Lichenopora tenuis Pergens. Not. prélim. s. I. Bryoz. foss. d. en- vir. d. Kolosvar-, pag. 6. 1892. Diastopora tenuis Waters. North Ital. Bryoz. Cyclost.-, pag. 154. Due piccole colonie con i zoeci tabulari poco conservati ; ma la forma generale della colonia, il numero e disposizione delle creste mi assicurano della fatta determinazione. Fossile nell’Eocene di Crosara, Val di Lonta, Montecchio Mag- giore, Brendola, Malo, e cosi pure nell’Eocene d’Ungheria a Kolosvar (Pap-Patak, Pap-Falvi-Patak e Kolos-Monostor). 10. Defrauda stellata Goldfuss sp. 1847. Defra n eia stellata Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Tertiàr- beckens-, pag. 37, tav. VI, fig. 2. 1877 n n Manzoni. I Brioz. foss. mioc. d'Austria ed Ungheria-, pag. 16, tav. XVI, fig. 63. 1880. Domopura stellata Hincks. A Hist. of thè Brit. Mar. Polyzoa.-, pag. 481, tav. LXIII, fig. 10-14. Due esemplari giovani ben conservati. Credo si sia esagerato nella sinonimia di questa specie. Comprendo che gli individui gio- vani sieno bassi e si rassomiglino a Lichenopora, Defrauda , He- teropora od altro genere, e che gli adulti sieno più o meno elevati per formazione di strati successivi, e giunga il Briozoario ad es- sere anche peduncolato, semplice o ramificato ; ma che dalle forme che si possano ascrivere a Defrauda si possa tranquillamente pas- BRIOZOI EOCENICA DEL CALCARE NUMMCL1TIC0 ECC. 125 sare, anzi si consideri sinonimo, Stellipora di Hagenow, Domopora d'Orbigny e Corimbopora di Smitt, non ne sono persuaso. Restrin- gendo tuttavia molto la sinonimia quale è data nel « Synonimic Catalogue of thè recent marine Bryozoa » di Miss Jelly a p. 86, si ha che questa specie, comparsa nel Mesozoico, ha attraversato tutto il Terziario, ed è tuttora vivente. IL Heteropora anomalopora Goldfuss sp. 1847. Heteropora anomalopora Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Ter- tiàrbeckens ; pag. 34, tav. V, fi g. 17-18. 1851. Ditaxia anomalopora Hagenow. Die Bryoz.d.Maastrichter Krei- debildung ; pag. 49, tav. IV, fig. 9. 1852 » » d'Orbigny. Pai. Frane. Ter. Crét. Bryoz.; pag. 953, tav. DCCLXXV, fig. 7-15. Un solo esemplare, nel quale i fori zoeciali, perfettamente circolari, sono lontani fra loro ; fra essi altri forami più piccoli, parimente circolari, fanno irregolare corona ai primi. Fossile nel Mesozoico e nel calcare di Leitha di Nussdorf presso Vienna ed Eisenstadt in Ungheria. 12. Heteropora dichotoma Goldfuss sp. 1847. Heteropora dichotoma Reuss. Die Foss. Polyp. d. Wiener Ter- tiàrbeckens ; pag. 35, tav. V, fig. 20. 1851 » » Hagenow. Die Bryoz. d. Maastrickter Kreid. ; pag. 47, tav. V, fig. 15. 1877 n « Manzoni. I Brioz. foss. d. Mioc. d'Austria ed Ungheria-, pag. 19, tav. XII, fig. 46. Un frammento con le aperture zoeciali perfettamente circolari ; negli spazi intermedi i forami sono minutissimi ed irregolarmente sparsi. Fossile nel Cretaceo e nel calcare di Leitha d'Austria ed Ungheria. 13. Heteropora stipitata Reuss. 1847. Heteropora stipitata Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Tertiàr- beckens; pàg. 35, tav. V, fig. 19. 1877 » Manzoni. I Brioz. foss. mioc. d'Austria ed Ungheria ; pag. 19, tav. XI, fig. 45. 126 A. NEVI ANI Due colonie sferoidali con fori zoeciali grandi, subcircolari o subellittici; i forami intermedi relativamente grandi, non hanno alcuna distribuzione regolare. Fossile nel calcare di Leitha a Nussdorf e Rudelsdorf. 14. Fungella plicata Hagenow. 1851. Fungella plicata Hagenow. Die Bryoz. d. Maastrichter Kreide- bildung; pag. 37, tav. Ili, fig. 7, a-e. 1852. Fasciculipora plicata d'Orbigny. Pai. Frana . Ter. Crét. Bryoz.-, pag. 668. Nove esemplari di forma conica dominante ; la massima parte hanno il peritecio laterale logoro, che lascia scoperta la struttura cellulare interna, in modo da dare l’apparenza di una Ceriopora ; le aperture zoeciali sono tutte situate sulla parte allargata del zoario. Se la determinazione è esatta, sarebbe la prima volta che questa specie è trovata nel Terziario. Fossile nel Cretaceo di Maastricht. Il genere Fungella oggi non viene adottato per alcuna delle forme viventi, e pochi autori lo mantengono per le fossili; se questo nome generico deve realmente scomparire dalla nomenclatura dei Briozoi, la specie di Mosciano si potrebbe riferire al gen. Fron- dipora. 15. Ceriopora megalopora Reuss. 1847. Ceriopora megalopora Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Ter- tiàrbecken-s ; pag. 34, tav. V, fi g. 14. 1852. Ceriocava megalopora d’Orbigny. Pai. Frane. Ter. Crét- Bryoz.-, pag. 1017. Una sola colonia. Questa specie dal 1847 in poi non è stata più indicata in alcuna località, neppure come sinonimo di altre forme, d’ Orbignv la cita solo per riportarla al suo genere Ce- riocava. Fossile nel calcare di Leitha di Eisenstadt (Ungheria). BRIOZOI EOCENICI DEL CALCARE NUMMULITICO ECC. 127 16. C erioforo \ arbusculum Reuss. 1847. Ceriopora arbusculum Reuss. Die foss. Polyp. d. Wiener Tertiàr.-, pag. 34, tav. V, fig. 12-13. 1852. Ceriocava arbusculum d’Orbigny. Pai. Frane. Ter. Crèt. Bryoz.-. pag. 1017. Il Manzoni unisce questa specie alla C. globulus Reuss, ma è provato che la C. globulus è un foraminifero ; altrettanto, almeno per ora, non può dirsi della C. arbusculum , che anche dal Waters viene considerata per un Briozoo, anzi secondo questo autore si hanno le maggiori analogie colla Crassohornera Waipukurensis W. (Bry. cvcl. New-Zealand). Un solo esemplare che corrisponde bene alla descrizione e figura date dal Reuss. Fossile nel calcare di Leitha del Bacino di Vienna. Q8 novembre 1895] ANCORA DUE PAROLE SULL'ETÀ GEOLOGICA DELLE SABBIE CLASSICHE DEL MONTE MARIO PRESSO ROMA. Nota del prof. Bomoi.o Meli. 11 dott. De Franchis, nel suo recente ed assai importante lavoro: Descrizione comparativa dei molluschi postpliocenici del bacino di Palatina (Lecce), stampato nel Bullett. d. Soc. Ma- lacolog. italiana , voi, XIX , 1894, ma pubblicato nell’agosto 1895, assegna i tufi calcarei dell’anzidetta località al post-pliocene in- feriore, o post-pliocene antico, e li riguarda come sincroni dei de- positi del Monte Mario, da lui considerati come depositi tipici del post-pliocene inferiore, sull’autorità del prof. De Stefani. Non faccio alcuna questione sull’età geologica dei tufi calcarei di Galatina, che sono certamente più recenti del giacimento clas- sico del Monte Mario ; si mettano pure nel post-pliocene inferiore, o in altro terreno più moderno, se si voglia. Noto soltanto inciden- talmente che i tufi calcarei della Basilicata e delle Puglie furono riferiti generalmente al pliocene. Così, i tufi calcarei di Matera fu- rono messi al piano inferiore del pliocene dal Mayer, il quale nel 1877 ne fece un sottopiano del Messiniano, che, appunto da Matera iu Basilicata, nominò Materino (’)• Anche C. De Giorgi, dapprima, nel 1876 (2), li considerava come spettanti al pliocene antico, tipico, e poi, nel 1879 (3), accettava la determinazione del Mayer. Col De Giorgi, il dott. Sarra (4), il dott. Di Poggio (5), O Mayer Ch., Sur la carte géologique de la Ligurie centrale Nel Ballet. d. la Soc. géolog. de France, 3.me sèrie, tom. V, 1877. (2) De Giorgi C., Note geologiche sulla provincia di Lecce. (3) De Giorgi C., Note geologiche sulla Basilicata. Lecce, 1879. in 8° cui carta geologica nella scala di 1 a 400,000. (4) Sarra R., Topografia e geologia dei strati materini. Matera, 1887. (3) Di Poggio E., Cenni di geologia sopra Matera in Basilicata (Atti d. Soc. tose, di Se. Natur. residente in Pisa, Memorie, voi. IX, 1888). 129 R. MELI, ANCORA DUE PAROLE SULL’ETÀ GEOLOGICA ECO. il R. Ufficio Geologico in alcune sue carte ('), il prof. Capellini (2), assentirono tutti alle considerazioni e determinazioni del Mayer e considerarono i tufi calcarei come pliocenici. Più recentemente, il dott. Di Stefano e l’ing. Viola (3) dichiararono i tufi calcarei di Matera e Gravina assolutamente pliocenici e riportarono liste di fos- sili esattamente studiati e determinati. Essi scrivevano: « I tufi calcarei di Matera (4), Laterza, Ginosa e Gravina (5) « sono a ogni modo dei depositi litorali nettamente pliocenici come « mostra la loro fauna, per nulla differente da quella delle sabbie - gialle o delle argille sabbiose dei dintorni di Asti, del Parmi- * giano, del Bolognese, ecc., che sogliono nel linguaggio comune - attribuirsi al pliocene superiore e ne rappresentano strati più o « meno litorali » (6). L'autorità e la assoluta competenza del eh. dott. Di Stefano in fatto di terreni pliocenici e post-pliocenici, non che i numerosi elenchi di fossili, riportati in quella memoria, sarebbero valevolissimi argomenti per ritenere i tufi calcarei dell'Italia peninsulare infe- riore, come pliocenici. Intanto rilevo un curioso riscontro; anche per i terreni dell' Appennino romano si aveva, anni indietro, una tendenza a riferirli ad età geologiche più recenti di quelle da essi realmente rappresentate. Così, fino a pochi anni fa, non si cono- l1) Carta geologica d'Italia, eseguita dal E. Comitato geologico nel 1889, nella scala di 1 a 1.000.000. (2) Capellini G., Balenottere fossili e Pachyacanthus dell' Italia meridio- nale (Atti d. E. Accad. dei Lincei, serie 3a; Memorie d. Classe di se. fis. mat. e natur. voi. I, 1877). I calcari grossolani sono riferiti al pliocene inferiore (Ved. pag. 5 e 12 dell’estratto). (3) Di Stefano G. e Viola C., L'età dei tufi calcarei di Matera_ e di Bravina e il sottopiano “ Materino » M. E. ( Bollettino cl. R. Comitato geo- logico, 1892, n. 2). (4) La roccia pliocenica di Matera, nella provincia di Potenza, in Ba- silicata, è un calcare sabbioso grossolano, a debole coesione, assai simile per la facies litologica al Macco di Anzio nella provincia di Poma. Come questo, la roccia pliocenica di Matera racchiude resti di grossi Echinus e Spatangus. (5) Sui fossili di Gravina, vi ha una memoria dello Scacchi, che ho nella mia biblioteca', col titolo: Notizie intorno alle conchiglie ed a' zoofiti fossili che si trovano nelle vicinanze di Gravina in Puglia. Napoli, Fer- nandes, 1836, in 8°, di pag. 74 con 2 tavole (Estr. dal fascicolo XII e XIII degli Annali civili, 1835). (6) Ved. op. cit., pag. 21 dell’estratto. 130 R. MELI scevano nella provincia di Roma strati più antichi del Lias medio : oggi, nei monti Lucani ed alla base del Soratte, che guarda verso Civitacastellana, sono stati determinati calcari del Retico e del- l'Infralias, e nel 1° gruppo, presso Moncone, si rinvennero grosse bivalvi del genere Conchodon. Fino a poco tempo fa, la piccola catena dei monti di Fara in Sabina era segnata come cretacea, e con essa una gran parte dei monti sabini, che poi furono ri- conosciuti presentare i diversi piani del Lias. 11 Circeo parimenti era indicato come cretaceo; ora invece lo studio dei fossili rin- venutivi dal dott. Di Stefano lo ha dimostrato del Lias inferiore e medio. Ma, ritornando ai tufi calcarei di Galatina, si mettano pure nel post-pliocene antico. Non è poi improbabile che in progresso di tempo, il rinvenimento in essi di qualche silice scheggiata o di qualche oggetto romano e medioevale, li faccia successivamente giudicare anche più recenti e moderni. Non intendo occuparmi qui dei tufi predetti e dell'età relativa, alla quale devono ripor- tarsi. Voglio soltanto ribattere, ancora una volta, che le sabbie fossilifere classiche del Monte Mario, riposanti sulle marne del pliocene antico, per il complesso della fauna fossile, che racchiu- dono, per il posto, che occupano nella serie stratigrafica dei din- torni di Roma, devono includersi nel pliocene e riferirsi alla parte superiore di esso. Il dott. De Franchis, nello studio, che ha fatto dei molluschi di Galatina, ha considerato come tipo del post-pliocene inferiore il giacimento classico del Monte Mario e lo dichiara alla pag. 207 del suo lavoro « ho ritenuto (egli scrive) i terreni di Vallebiaia « e Monte Mario per tipici rappresentanti del post-pliocene infe- « riore, come ritiene il prof. De Stefani ». Quindi l’autore ha evi- dentemente ammesso come dimostrato, e posto fuori di controversia che il predetto giacimento appartenga al post-pliocene inferiore. Per me invece questo non è affatto dimostrato, e può vedersi in proposito quanto scrissi recentemente su tale argomento (‘). Gli (L Meli E., Paragone fra gli strati sabbiosi a Cyprina aequalis Bronn del Monte Mario nei dintorni di Roma e quelli di Ficar azzi presso Po.lermo racchiudenti la medesima specie [Boll. d. Soc. Geol. ital. voi. XIII, 1894, fase. 2°, pag. 162-166). ANCORA DUE PAROLE SULL'ETÀ GEOLOGICA ECC. 131 ulteriori rinvenimenti di molluschi, fossili nelle sabbie grigie della nuova cava dietro il monte della Farnesina, mi confermano sempre più che quel giacimento debba essere posto nel pliocene superiore. Del Monte Mario furono pubblicati parecchi cataloghi com- prendenti specialmente gli invertebrati (molluschi in massima parte ; briozoari; echinodermi; cirripedi; coralli e foraminiferi) dal Ray- neval, van den Hecke e Ponzi nel 1854, dal Conti (1864, 1871), dal Mantovani (1868, 1874), dal Ponzi (1875), dallo Zuccari (1882), e, per i molluschi (solamente una parte delle bivalvi) da me insieme al Ponzi, che scrisse solamente la prefazione di quella memoria, nel 1887. Tralascio i cataloghi speciali e parziali, del Terrigi (1876, 1880, 1883) pei foraminiferi ; del Ristori (1889) pei crostacei; del De Angelis (1893) pei coralli; quelli del Clerici (1888) e l'altro mio (1881) per i fossili delle sabbie gialle di Acquatraversa, e mi restringo sol- tanto ai cataloghi dei molluschi del giacimento classico (sabbie mar- nose grigie e sabbie gialle, immediatamente sopragiacenti alle prime). Ora, in tutti i cataloghi del Rayneval, Conti, Ponzi, Mantovani e Zuccari si contengono specie rinvenute a diversi livelli nel gruppo del Monte Mario e perciò spettanti ad orizzonti geologici diffe- renti. Inoltre i primi cataloghi sono antiquati, richieggono revi- sione per le determinazioni, e mancano delle specie rinvenute nelle recenti esplorazioni del giacimento in parola. Il catalogo dato dallo Zuccari è certamente il migliore dei cataloghi pubblicati tino al 1882, in specie per i molluschi; ma, anche in esso si trovano confuse specie di giacimenti diversi (Farnesina e Villa Madama; Acquatraversa sulla via Cassia ; Malagrotta sulla via Aurelia). Non è quindi possibile servirsi di essi per venire a conclu- sioni rigorose sui rapporti tra le specie estinte e viventi, fossili nel giacimento classico del Monte Mario. Resta in fine il catalogo dei molluschi, stampato da me e dal Ponzi nel 1887: in questo le provenienze delle singole specie dai vari giacimenti fossiliferi sono indicate con esattezza ; ma, si tratta soltanto di un frammento di catalogo : comprende una parte dei molluschi, non essendo neppure terminata la enumerazione ed indi- cazione delle conchiglie bivalvi. Quindi non può servire a trarre conclusioni strettamente rigorose, e quelle, che se ne volessero oggi trarre, potrebbero subire cambiamento a catalogo completamente pubblicato. Premessa questa dichiarazione, in mancanza di meglio, 132 R. MELI cioè di un completo ed esatto elenco dei molluschi estratti dal giacimento classico del Monte Mario, esamino il catalogo da me pubblicato nel 1887. Vi sono segnate 153 specie di bivalvi, con 30 specie estinte e 6 emigrate. Di queste 153 specie, 30 sono esclusive delle sabbie di Acquatraversa e Malagrotta e mancano finora nel giacimente classico del Monte Mario. Le trenta specie, sulle 153 enumerate in quel lavoro, trovate soltanto a Malagrotta ed Acquatraversa, sarebbero: 1. Mactra corallina Lin. Acquatraversa e Malagrotta (pag. 677, n. 6). 2. Eastonia rugosa Gmel. ( Mactra ). Malagrotta (pag. 677, n. 11). 3*. Cardilia Michelotti Desìi. Acquatraversa (pag. 678, n. 12) (*)• 4. Pandora inaequivalvis Lin. (Solai). Acquatraversa (pag. 678, n. 18). 5. Solen vagina Lin. Acquatraversa e Malagrotta (pag. 679, n. 26). 6. Polla legumen Lin. (Solen). Acquatraversa (pag. 680, n. 28). 7. Mesodesma cornea Poli (Mactra). Acquatraversa (pag. 680, n. 32) C-). 8. Scrobicularia plana D a Costa (Trigonella). Acquatraversa (pa- gina 680. n. 35). 9. Tellina exigua Poli. Acquatraversa (pag. 681, n. 39). 10. » fabula Gronov. Malagrotta (pag. 681, n. 40). 11. » lacunosa Chemn. Acquatraversa (pag. 681, n. 45). 12. » nitida Poli. Acquati-, e Malagrotta (pag. 681, n. 46). 13. Fragilia fragilis Limi. ( Tellina). Malagrotta (pag. 682, n. 51). 14. Donax semistriata Poli. Acquatraversa (pag. 682, n. 57). 15. » venusta Poli. Acquatraversa (pag. 682. n. 58). 16. Venus gallina Lin. Acquati’, e Malagrotta (pag. 682, n. 60). (1) Le specie non riscontrate finora come viventi sono segnate con un asterisco. (2) La Mesodesma cornea si rinviene insieme ai Donax trunculus Lin.. D. semistriata Poli, D. venusta Poli, nelle sabbie di Acquatraversa; non si conoscono fin’ oggi esemplari delle altre località fossilifere dei dintorni di Poma, all’infuori di una piccola e dubbiosa valva delle marne sabbiose della Farnesina. È per tale motivo che l’ho tolta dal giacimento classico del Monte Mario in questo calcolo statistico delle specie. ANCORA DUE PAROLE SULL’ETÀ GEOLOGICA ECC. 133 17*. Tapes caudata D'Anc. Malagrotta, Magliana, Ponte Galera. Rimessola (pag. 687. n. 71). 18. Tapes decussata Lin. ( Veaus). Malagrotta (pag. 687, n 72). 19. - aurea Gm. ( Veaus). Malagrotta (pag. 687, n. 73). 20*. » Olivi Menegh. Malagrotta (pag. 687, n. 75). 21. Dosinia exoleta Lin. ( Veaus). Acquatraversa (pag. 687, n. 77). 22*. « lentiformi^ Sow.( Veaus). Àcquatraversa (pag. 687, n. 78). 23. » (cfr. discus Reeve). Àcquatraversa (pag. 687, n-. 79). 24. Corbicula fluminalis Muli. ( Tellina). Acquatraversa (pag. 687, 688, n. 82). 25. Carclium edule auct. '(= C. Lamarcki Reeve) et varietates. Acquatraversa e Malagrotta (pag. 689, n. 94). 26. Mijrtea lactea auct. ( Lucina ) — L. leucoma Turt. Malagrotta e Acquatraversa (pag. 690, n. 110). 27* . Cardila intermedia Brocc. ( Chama ). Acquatraversa (pag. 692, n. 122). 28*. Cardita pedinata Brocc. (Chama). Acquatraversa (pag. 692. n. 123). 29. Arca imbricata Poli (non Brug.). Acquatraversa (pag. 692, n. 130. 30* . Anomalocardia pedinata Brocc. (Arca) var. (=A. Breislaki Pliil. non Baster.). Malagrotta (pag. 693, n. 134). Or bene, togliendo dalle 153 specie indicate nel catalogo, le 30 esclusive di Acquatraversa e Malagrotta, restano, pel giacimento classico del Monte Mario, specie 123. Sulle 153 specie si hanno 30 specie estinte; ma, poiché sette specie estinte trovansi sulle 30 esclusive di Acquatraversa e Malagrotta, così il numero delle specie estinte si riduce a 23. Si potrebbe, coi recenti ritrovamenti, fatti nelle escavazioni prati- cate da me in questo anno nella nuova cava dietro il Monte della Farnesina (*), aumentare il numero delle specie estinte rinvenute, sempre mantenendosi nei generi di bivalvi già segnate nel catalogo. Per esempio, si potrebbe aggiungere : la Venencardia rudista Lamk. I1) Meli E., Sopra alcune rare specie di molluschi fossili estratti dal giacimento classico del Monte Mario presso Roma [Boll. d. Soc. Geol. ital. voi. XIV, 1895, fase. 1°, pag. 94-96). 134 K MELI (Cardila), di cui ho avute tre valve dalle marne sabbiose della Farnesina ; Lepton depressum Nyst ( Erycina ), della quale specie ho trovato una bella e grande valva nelle predette sabbie marnose grigie ; e la Cyprina aequalis Bronn, che va messa invece della C. islandica di quel Catalogo (*). Ma, limitandomi alle specie pub- blicate in quel catalogo, non farò che cambiare la C. islandica vivente, nella C. aequalis Bronn, estinta; per cui si avrebbero su 123 specie del giacimento classico del Monte Mario, 24 specie estinte, lo che darebbe una percentuale, in cifra tonda, del 20 %• Le specie estinte sarebbero : 1. Clavagella bacillaris Desh. 2. Pholadomya alpina Math. 3. Arcopggia ventricosa M. de Serres ( Corbis ). 4. Venus(Meretrix)lamellosa Ponzi-Rayn.-van den Heck. 5. » » libellus Ponzi-Ravn. (= V. praecursor May.). 6. '» islandicoides Lamk. (V. Brocchii Desh. partim). 7. Cyprina aequalis Bronn 8. Cardimi Bianconianum Cocc. 9. » multicostatum Brocc. 10. Cardium hirsutum Bronn 11. Diplodonta dilatata Wood. (n. Phil.). 12. » astarlea Nyst (Lucina). 13. Megaxinus rostratus Pecch. (Lucina). 14. Chama squamata Desh. 15. Soldania mytiloides Brocc. (Arca). 16. Pectunculus insubricus Brocc. (Arca). 1 7. » obliquatus Ponzi-Meli. 18. Nucinella ovalis Wood (Pleurodon). 19. IÀmopsis anomala Eichw. (Pectunculus). 20. Nucula piacentina Lamk. 21. » Jeffreysi Bell. 22. I.eda consanguinea Bell. 23. » concava Bronn, var. A. Bell. 24. Yoldia nitida Brocc. (Arca). 0) Meli R., Paragone fra gli strati sabbiosi a Cyprina aequalis Bronn del Monte Mario, ecc. (memoria già citata). ANCORA DUE PAROLE SULL'ETÀ GEOLOGICA ECO. 135 Sulle 123 specie di bivalvi rinvenute nelle sabbie classiche del Monte Mario, se ne trovano dunque 24 estinte. Se ne hanno poi 2 emigrate dal Mediterraneo, cioè: Lutraria intermedia So w., Laevicardiurn pectinaturn Lin. ( Cardimi ). Il rapporto quindi delle specie rinvenute alle specie non ri- scontrate viventi è, in cifra intera, del 20 per %. Ma, ripeto, questo rapporto sarà certamente variato e aumentato, qualora si esten- desse all'intera fauna conchiologica del Monte Mario, della quale le 123 specie, segnate nel catalogo pubblicato, non rappresentano che una porzione (poco meno della terza parte). Ora, il dott. De Franchia nella sua conclusione scrive : * su - 40 specie da me trovate nel tufo, 30 corrispondono con quelle - di Monte Mario e Yallebiaia; si ha così una corrispondenza « del 75 % ” (ved. pag- 208). e Inoltre nelle stesse 40 specie, quelle estinte sono solamente 0, » cioè il 15 % » (ved. pag. 209). Quindi la proporzione delle specie trovate a quelle estinte nel tufo calcareo di Galatina è inferiore a quella delle sabbie clas- siche del Monte Mario, la prima essendo del 15 %, la seconda, determinata sempre sul frammento di catalogo pubblicato, è del 20 %. Perciò, in ogni caso, il giacimento del Monte Mario sa- rebbe più antico del tufo calcareo di Galatina. Faccio poi un’ altra considerazione. Nel tufo di Galatina si rinvennero 40 specie di molluschi. Al Monte Mario, il catalogo Ponzi-Ravneval-van den Hecke segna 272 specie, delle quali 245 sono di molluschi, togliendo dal novero dei molluschi la Ditrupa coarctata (Brocc.), segnata tra i Dentalium al num. 245 del cennato Catalogo, e la Patella sp. n. (G.) = P. latero-compressa , segnata al num. 113 e descritta alla pag. 16, (G.), del suddetto Catalogue , poiché il fossile predetto non si riferisce ad una piccola specie di mollusco del genere Pa- tella, ma è un opercolo di anellide ( Serpula ), probabilmente della Serpula, descritta dal Conti, come nuova specie, col nome di Ver- metus rectus ('). Il Conti, nella sua prima edizione (1864), segna 608 specie di fossili al Monte Mario, delle quali 459 si riferiscono (!) Conti A., Catalogo cit., la edizione, 1864, ved. pag. 30 e 50, n. (27) ; 2a edizione, 1871, pag. 37 e 56, n. '33). 136 R. MEI-I ai molluschi. In questo numero sono comprese le specie nuove, le varietà, le numerose specie errate, non che alcune di località diverse (Àcquatraversa e Malagrotta) e di livelli differenti (marne inferiori o vaticane). Nella seconda edizione (1871) enumera 688 specie di fossili, nel qual numero entrano 505 specie riferite a molluschi, contandovi sempre le specie nuove, le varietà, le specie errate e di livelli diversi, come ho indicato per la prima edizione dello stesso autore. 11 catalogo stampato dal Mantovani, nel 1868, catalogo ben poco esatto in molte determinazioni specifiche, enumera 206 specie, delle quali 192 si riferiscono ai molluschi. L'altro catalogo, edito dal medesimo Mantovani nel 1874, ha 240 specie, delle quali 199 si riferiscono a molluschi, togliendo sempre dal novero dei molluschi la Ditrupa coarctata (Brocc.), segnata anche in questo catalogo tra i Dentalium , al num. 60, e la Patella latero-com- pressa, che trovasi al num. 65. Nella Cronaca subappennina (1875) il Ponzi pubblica un'elenco di 160 specie, trovate dal Mantovani alla Farnesina, delle quali 150 sono molluschi, avendo tolto da questo numero la Ditrupa coarctata (Brocc.), che porta il n. 150 dell' elenco. Nella medesima Cronaca è pubblicata dal Ponzi un'altra lista di 310 specie rinvenute nelle sabbie gialle del Monte Mario con altre 43 specie delle sabbie gialle di Acqua- traversa; nel 1° elenco vi si trovano 287 specie di molluschi, escludendo dai molluschi la Patella e la Ditrupa , sopra menzionati. Nel catalogo Zuccari, 1882, sono indicate 435 specie fossili del Monte Mario, di cui 410 specie di molluschi; ma in questo numero sono incluse alcune specie di altre località, cioè di Acquatraversa e Malagrotta. Il catalogo Ponzi-Meli (1887). quantunque incompleto, enumera 153 specie di molluschi, dei quali 123 specie estratte dalle sabbie grigie e gialle della Farnesina, di Villa Madama, o dalle sabbie gialle dell'alta Valle dell'Inferno. Ebbene, i precedenti cataloghi, con tutti i loro errori e difetti, dànno però un' idea della ricchezza della fauna conchiologica del Monte Mario nel giacimento classico. Ora, domando, si può fare un paragone serio tra questa fauna, così ricca di specie, e quella dei tufi calcarei di Galatina, che ab- braccia soltanto 40 specie di molluschi ? E si può venire alla con- clusione, che quei due giacimenti spettino entrambi al post-plio- cene inferiore, e perciò sieno sincroni e contemporanei? ANCORA DEE PAROLE SULL’ETÀ GEOLOGICA ECC. 137 Ma. mi si risponderà, c' è il rapporto tra le specie viventi e le specie estinte, che è del 15 %. Rispondo: che il rapporto di fatto riscontrato nelle specie di Galatina è di 6 specie estinte, sulle 40 raccolte. Poniamo, per un momento, l'ipotesi che nel bacino di Galatina si raccogliesse un numero di molluschi uguale a quello che si riscontra nelle sabbie classiche del Monte Mario, mettiamo 400 specie, ma si troverebbe conservato il rapporto del 15 % de- dotto sulle cifre di fatto riscontrate nei molluschi di Galatina? Io credo assolutamente di no e non sarebbe ragionevole il supporre sul serio che si troverebbe mantenuto il predetto rapporto. Sta bene quindi che tra le 40 specie di molluschi fossili di Ga- latina. ve ne siano 30 comuni al Monte Mario. Anzi, io dico che ve ne saranno anche di più, perchè parecchie specie, citate per i tufi cal- carei di Galatina, si sono rinvenute al Monte Mario di recente; ma. non essendo segnate sui cataloghi stampati finora, non potevano venire indicate dal dott. De Francliis nella penultima colonna della sua tavola, che sta in fine al suo molto interessante lavoro, in corrispondenza delle località di Monte Mario e Vallebiaia. Cito ad esempio le specie seguenti : Ostrea ( Gryphaea ) cochlear Poli var. alata Foresti (’). Pectea ( Chlarmjs ) septemradiatus Miill. (Ostrea) (2J. » inflexus Poli (Ostrea). Fusus cinctus Bell, e Michtti. Cassidaria eckinopliora Linn. (Buccinum) (3). Dentalium Delessertia.ium Chenu (4). specie tutte rinvenute nelle sabbie gialle dell’alta Valle dell’In- ferno e delle quali ho esemplari nella mia collezione di fossili dei dintorni di Roma. Le prime tre specie si rinvennero anche nei tufi calcarei di Galatina. Altre specie, non segnate nell’anzi- (!) Meli R., Le Marne plioceniche, del Monte Mario [Boll. d. R. Com. Geolog. anno 1882, n. 3-4). Ved. nota in fondo alla pag. 92. (2) Zuccari A., Collezione Rigacci. Catalogo dei fossili dei dintorni di Roma. Ptoma, Salviucci, 1882, in 8° gr. (Ved. pag. 13, n. 281). (3) Zuccari A., Catalogo cit. pag. 17, n. 482. ri) Meli E., Sopra alcune rare specie di moli (mem. cit.) Boll. d. Soc. Geolog. ital., voi. XIV, 1895, fase. 1°, pag. 95. 138 R. MELI detta colonna, furono raccolte nelle sabbie classiche del Monte Mario; tra queste accennerò : 1. Lucinopsis nudata Penn. ( Venus) ('). 2. Dosinia Lincia Pultn. ( Venus) (2). Del resto, trattandosi di terreni pliocenici e post-pliocenici, s’intende facilmente come la maggior parte dei molluschi, che vi si rinvengono, spetti a specie viventi nel Mediterraneo, le quali perciò per lo più passano dal pliocene a terreni sovrastanti e sono comuni ai terreni dei due sistemi. Ma, tra il fatto che 30 delle 40 specie rinvenute nel tufo calcareo di Galatina sono comuni anche alle sabbie del Monte Mario e il concludere che la fauna conchiologica del Monte Mario, ricca di oltre quattrocento specie, sia da collocarsi allo stesso piano di Galatina, corre una gran differenza. Circa poi alla pi iocenicità delle sabbie classiche dal Monte Mario, oltre ai molluschi, si hanno altri argomenti, desunti dai resti d’ echinodermi e di mammiferi, per dimostrarla, e confermarla. Difatti, in livelli superiori a quelli delle sabbie marnose grigie e delle sabbie gialle, cioè, sulla sommità del Monte Mario, ove i fossili si rinvengono spatizzati, si trovò l' Echinolampas hemi- sphaericus Lamk. ( Clypeaster ), che è specie essenzialmente plio- cenica, secondo A. Manzoni. I resti di mammiferi poi tolgono via ogni dubbio sull’età geo- logica del giacimento classico. Il prostro di Dioplodon, descritto dal Capellini, ritrovato nelle marne sabbiose grigie della Farnesina ; il molare di Elephas meridionalis Nesti rinvenuto nelle sabbie ghia- iose gialle, superiori alle sabbie fossilifere, del quale tanto si parlò, e che fu figurato dal Tuccimei, ed il molare di Equus Stenonis (') Ponzi G. e Meli R., Moli. foss. cl. Monte Mario, 1887, (op. cit.) Atti Lincei, pag. G82, n. 52, e pag. 687, n. 76. — Zuccari, Catal. cit. pag. 12, n. 184. (2) Tra i fossili dei tufi calcarei di Galatina è citata la Tapes laeta Poli ( Venus). (Poli, Test, utriusq. Siciliae, eorumque hlst. et anatome etc., Toni. II (1795), pag. 94-96, tab. XXI, fìg. 1, 2, 3). Questa specie è segnata nel Catalogo dello Zuccari pag. 12, n. 187, ma proviene dalle sabbie gialle di Malagrotta sulla via Aurelia, le quali sono da riguardarsi come più mo- derne del giacimento classico del Monie Mario, e come appartenenti al post- pliocene; essa vi è rarissima. ANCORA DUE PAROLE SULL’ETÀ GEOLOGICA ECC. 139 Cocchi, rinvenuto alla quota 130.m sul mare nelle sabbie ghiaiose, dimostrano la pliocenicità del giacimento ('). Qualora poi non bastassero tutti i sovraesposti argomenti, che al certo hanno il loro valore, resta sempre, a dimostrare la pliocenicità del giacimento classico del Monte Mario, il posto che occupano nella serie stratigrafica dei terreni dei dintorni di Roma, le sabbie grigie e gialle. Esse sono sottostanti, e perciò anteriori : 1° alle sabbie gialle marine povere di fossili; 2° al banco di ghiaie non accom- pagnate da frammenti di minerali e roccie vulcaniche; 3° agli strati salmastri a Cerithium vulgatum Brug. e Tapes caudata D’Anc., ecc. ; 4° alle marne sabbiose grigie e giallastre con belle impronte di vegetali Posidonia, Quercus, ecc.; 5° alle sabbie silicee, un poco ar- gillose, talvolta giallognole, talvolta rosso-brune, con nuclei di limonite, usate per gli stampi nelle fonderie di metallo ; 6° a tutte le deiezioni vulcaniche (tufi, scorie, ceneri, pozzolane, lave, leuci- titi, ecc.); 7° ai depositi d'alluvione frammisti a minerali vulcanici ed ossa logorate di vertebrati, per lo più mammiferi, con specie estinte di Elephas rxntiquuSj prrimigenius ; PJiinoceros Mereiài; Ursus spe- laeus; Hgaeaa spelaea; ecc. od emigrate di H ippopotami ampki- bius var. major Guy., Castor fiber Lino. ecc. ; 8" alle marne tripo- lacee d’acqua dolce; 9° ai terreni moderni. Nella precedente serie cronologica dei terreni affioranti negli immediati dintorni di Roma, ho riunito alle sabbie gialle del Monte Mario, quelle dell'alta Valle dell’Inferno e le altre di Ac- quatraversa presso la via Cassia. Queste ultime rappresentano un deposito decisamente di spiaggia a livello del mare. Le sabbie sono frammiste a ciottoletti; le valve delle conchiglie sono isolate, disgiunte, spesso assai logorate per il trasporto. Vi si ritrovano specie littorali e gusci di conchiglie d’acqua dolce e terrestri, fluitate in mare da qualche corso d’acqua che doveva sboccare in quei dintorni. L’ing. E. Clerici, che ha fatto tanti e belli lavori sulla geolo- gia di Roma e dintorni, ed al quale si deve la interessante sco- perta degli strati salmastri a Tapes caudata D'Anc., tiene distinte dalle sabbie classiche del Monte Mario quelle di Acquatraversa, (x) Questi argomenti furono accennati e svolti con maggiori dettagli nell’altra mia Nota, Paragone fra gli strati sabbiosi a Cyprina a e qua- li s Bronn del Monte Mario ecc. già citata. 140 R. MELI che stima alquanto più recenti (*). Sebbene io convenga con lui. non ho creduto qui di farne separazione dalle sabbie classiche, poiché non voleva ora eseguire un lavoro minuto di dettaglio, ma solo accennare all’ingrosso la scala dei terreni snccedentisi alle porte di Roma, sopra le sabbie gialle classiche. Del resto, la serie da me data concorda con quella, che venne già pubblicata dal Clerici. Il giacimento di Acquatraversa è incluso anche dal Clerici nel pliocene superiore (astiano). Gli strati indicati coi numeri 1° e 2°, da molti geologi si ritennero ancora come appartenenti al pliocene superiore; gli strati superiori (n. 2°) sono generalmente riguardati quali depositi di deltazione e riferiti da taluni al Villafranchiano. Questi strati di ghiaie si deposero prima che i vari gruppi vulcanici, cioè, in- nanzi che i vulcani Vulsinì, Cimini, Sabatini e Laziali fossero attivi, giacché in quelle ghiaie non si riscontra alcun frammento di roccia eruttiva od alcun detrito di minerale vulcanico. È in questi strati che si rinvennero i molari di Elephas meridionalis e di Equus Stenonis già accennati. Per i tufi litoidi dei dintorni di Roma, segnati al n. 6°, ricorderò soltanto che, venti anni fa, quando, cioè, era universalmente ammessa l’ipotesi del Brocchi, che fossero di formazione sottomarina, si consideravano come plio- cenici. Ma la loro posizione nella serie dei terreni romani, i rap- porti stratigrafici ai sottogiacenti terreni, lo studio e le conside- razioni sui resti organici, tanto animali che vegetali, contenutivi, li dimostrarono giustamente quaternari, e la grande maggioranza di essi fu riportata al glaciale. Recentemente il prof. Tuccimei, che ha scritto parecchie im- portanti pubblicazioni sul pliocene della sponda sinistra del Te- vere, sia nei dintorni di Roma, che nella Sabina (Magliano-Sa- bino, Roccantica e valle del Galantina, dintorni di Poggio-Mirteto, valle tra i Oornicolani ed i Lucani) sostiene che col vulcanico si debba cominciare il quaternario nei dintorni di Roma. Egli (2) si t1) Clerici E., La formazione salmastra nei dintorni di Roma. Ren- diconti della R. Acc. dei Lincei. Classe di scienze fis. mat. e nat. Voi. II, l.° semestre, fase. 3°, 1893, pag. 149, 150, 153. (2) Tuccimei G., Il Villafranchiano e V Astiano nella valle tra i Cor- niculani e i Lucani (Accad.pont. d. Nuovi Lincei), 1895. Vedi pag. 29 estr. ANCORA DUE PAROLE SULL'ETÀ GEOLOGICA ECC. 141 dichiara sempre più connato * nell’idea (adottata dalla gran - maggioranza dei geologi) che appunto col vulcanico... si debba « cominciare il quaternario » e poi soggiunge: « Ogni altra clas- « situazione, specialmente per i dintorni di Roma, è artificiosa - . Per tutti i motivi sovraesposti io considero il giacimento clas- sico del Monte Mario (marne sabbiose grigie e sabbie gialle fossili- fere immediatamente soprastanti alle prime ; sabbie gialle dell’alta Valle dell’Inferno; sabbie fossilifere con Donax, Mesoderma, Corbi- cula , ecc. di Acquatraversa) quale rappresentante, senza dubitazione, del pliocene superiore. Come tale, fu sempre ritenuto dai geologi pas- sati, e dalla grande maggioranza dei geologi e paleontologi moderni. [10 decembre 1895.] MOLLUSCHI FOSSILI ESTRATTI RECENTEMENTE DAL GIACIMENTO CLASSICO DEL MONTE MARIO PRESSO ROMA. Nota del prof. Bojioi.o Meli. « Avendo continuato, anche nei mesi estivi del corrente anno, le esplorazioni delle marne sabbiose, grigie, fossilifere del Monte Mario presso Roma nella nuova cava, da me fatta aprire dietro il monte della Farnesina, ho avuto esemplari delle specie di mol- luschi, qui appresso segnate. Si tratta di specie rare, o citate con inesatta determinazione, od anche non indicate affatto per quel gia- cimento, nei cataloghi finora pubblicati; e perciò nuove per il plio- cene superiore dei dintorni di Roma. Cardita (Venericardia) rudista Lamk. Cardium paucicostatum Sow. = C. ciliare Poli (u. Linn). (') « erinaceum Linn. « echinatum Linn. “ mucronatum. Poli « Deshayesii Payr. « tkbercìdatim Linn. « Biaaconianum Cocc. (*) Buoni esemplari di questa specie trovai nelle marne della Fornace della Magliana sulla via Portuense. Placunanomia Broccliii Mgh. - Simonel. (valve sinistre) « Silicata Poli {Anemia), (valve sinistre) « varians Simonel . = Anomia striala Brocc. (partim), Conti, Zucc. ('). * margaritacea Poli {Anomia). Anomia costata Brocc. » ephippmn Linn. (Esemplari completi). Emarginula rosea Bell. « elongata 0. G. Costa Lamellaria perspicua Linn. (Helix) Nassa limata Chenm. (Buccinum) « prismatica Brocc. ( Buccinum ) « serraticosta Bronn = N. pusilla Conti * circumcinta A. Adams (2) « incrassata Muli. {Tritonium) t mutabilis Linn. {Buccinum) « s var. gibba (= N. gibba Conti) i- musiva Brocc. {Buccinum) *• semistriata Brocc. {Buccinum) t n var. integro-striata Coppi = var. pro- fanile transversim striata Conti = gigantula Bonel. ( Buccinum ) - ungulata Brocc. {Buccinum) E ione gibbosula Linn. {Buccinum) Mitrella minor Scacc. ( Columbella ) Columbella subulata Brocc. ( Voluta) = C. nassoides Conti, Zucc. (n. Bell.) Homotoma histrix Jan {Pleurotomia) = PI. spinosus Conti. * reticulata Ren. {Murex) - elegans Donov. {Murex) « » var. B. Bell. lìgula proxima Aid. = Rissoa striatissima Rayn. van d. Heck. Ponzi (!) Ho rinvenuto questa specie anche nelle sabbie gialle dell’alta Valle dell’Inferno e ne ho esemplari nella mia collezione di fossili dei dintorni di Koma. (2) Ritrovai esemplari logorati di questa specie anche nelle sabbie a Donax di Acquatraversa presso la via Cassia. MOLLUSCHI FOSSILI ECC. 143 Trochus cinctus Phil. = Solarium Calandrelli Conti Solarium fcdlaciosurn Tiberi = Solarium stramineum Conti, Zucc. (n. Lamk.) Emmericia Pigorinii Clerici Vivipara fasciata Muli. ( Merita ), var. pyramidalis Jan. Le due ultime specie sono particolarmente interessanti. Di Emmericia si conoscevano finora pochissimi esemplari, rinvenuti ad Acquatraversa, descritti e figurati dal Clerici col nome di Em- mericia Pigorinii (’). Niente di questo genere era stato trovato nelle sabbie grigie marnose e nelle sabbie classiche del Monte Mario. L'esemplare, ora rinvenuto alla Farnesina, è alquanto consumato e logorato : ha dimensioni un poco maggiori di quelle date dal Clerici. Anche la Vivipara fino al presente era sconosciuta al Mg Mario. Però sulla posizione di questa specie io non sono del tutto tran- quillo. Fu rinvenuta nella cava della Farnesina sulla superficie del terreno di fresco rimosso; ma non fu estratta in posto dal gia- cimento fossilifero. Devo fare questa dichiarazione, perchè potrebbe la specie ritrovarsi negli strati superiori del monte, dai quali po- trebbe essere caduta nella sottostante cava, le frane essendo ivi frequenti. Però, la roccia, che riempie la Vivipara , è la marna grigia, e non conosco marne grigie negli strati superiori a quelli del giacimento classico in quel luogo, cioè nella sezione posteriore del monte della Farnesina. In ogni modo, indico la presenza di questa specie d'acqua dolce alla Farnesina, salvo in seguito a pre- cisarne meglio la posizione nella serie stratigrafica, col rinvenimento in posto di altri esemplari, che tolgano così qualsiasi dubbio ed incertezza sulla sua giacitura. Aggiungo anche a questo proposito che l’amico cav. A. Zuc- cari mi mostrò in questi giorni un’ esemplare di Planorbis fossile in frammenti, rinvenuto nelle medesime sabbie grigie della cava dietro il monte della Farnesina. Il Planorbis J a giudicarlo dai l1) Clerici E., Sulla Corbicula fluminalis dei dintorni di Roma e sui fossili che l' accompagnano. (Bollettino d. Soc. Geolog. ital. voi. VII. 1888, fase. 2°. Ved. pag. 121, tav. V, fig. 41, in grandezza doppia del naturale). Clerici E., La formazione salmastra dei dintorni di Roma. Rendiconti della R, Accademia dei Lincei. Classe di se. fis. mat. e nat. Voi. II, 1° se- mestre, fase. 3°. Seduta del 5 febbraio 1893. (Yed. p. 149). 144 R. MELI pezzi presentatimi, si poteva riferire ad un PI. ( Coretus ) corneus Linn. {Helix) , giovane, o di mediocre grandezza (1). La marna grigia, di cui era ripiena la Vivipara fasciata , è assolutamente la stessa marna sabbiosa del giacimento marino; vi si contenevano foraminiferi (Orbulina universa D’Orb., Rotalia Beccarii Linn.) , frammenti di radioli d ' Echinus, pezzetti di con- chiglie ( Nudila nucleus (Linn.), Leda , Corbula gibba (Oliv.), ecc.). Avverto che non ho rinvenuto finora questa specie vivente nei din- torni di Roma e nella nostra provincia. Dal Canale Selcella presso il laghetto Manello nelle Paludi Pontine, ebbi buoni esemplari, vivi, della forma tipica della Vivipara contecta (Mill.) = Pala- dina vivipara (Miill.) n. Linn. — Vivipara vera von Frauenfeld, [Frauenfeld v. Verhandl. d. k. k. zool.-boi. Gesellsch. Wien, 1862, t1) Il PI. corneus (Linn.) si rinviene vivente anche oggi negli stagni di Ostia e nelle Paludi Pontine (Statuti A., Catalogo sistem. e sinonim. d. moli. terr. e fluv. viventi nella prov. romana, 1882, pag. 69, n. 109). In en- trambe le località ne raccolsi esemplari viventi. Fu rinvenuto allo stato fossile iubellissimi esemplari nelle argille qua- ternarie di acqua dolce scoperte entro Poma nel 1877 sul Quirinale nel pro- seguimento e sbocco di Via Nazionale sulla piazza Magnanapoli. Cfr. Ter- rigi G., Considerazioni geologiche sul Quirinale (Atti d. R. Accad. d. Lincei 1876-77, Serie 3a. Transunti, voi. I, pag. 209-210); Terrigi G., Il Colle Quirinale, sua flora e fauna lacustre e terrestre (Atti d. Accad. pont. de’ Nuovi Lincei tomo XXXV, 1882), ove sono menzionati gusci di Planorbis. — Clerici E., I fossili quaternari del suolo di Roma (Boll. d. R. Comitato geologico, anno 1886, n 3-4). Il Clerici, oltre al citarlo nelle marne del Quirinale (pag. 15 dell’estratto), lo indica pure nelle marne giallastre di via Sistina (pag. 13 eslr.). Il PI. corneus (Linn.) si rinviene ancora nell’argilla quaternaria d’acqua dolce sotto il tufo litoide della cava dello Spinaceto presso la via Ostiense; ne raccolsi alcuni esemplari frammentari in una escursione fattavi sulla fine del 1892, insieme al caro amico aw. Jose' Santos Rodriguez. La specie in parola è citata anche dal Clerici nell’elenco dei fossili riscontrati in quel giacimento [Clerici E., Sopra un giacimento di diatomee al Monte del Fi- nocchio, o della Creta, presso Tor di Valle. Nel Boll. d. Soc. Geol. ital.. Voi. XII, 1893, fase. 4° (Ved. pag. 786)]. Finalmente lo rinvenni nei terreni di alluvione recente, scavati nelle fondazioni della spalla destra del ponte di ferro a Ripetta. [Meli Ri, Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tabulari del nuovo ponte in ferro costruito sul Tevere a Ri- petta ecc. Atti d. R. Accad. dei Lincei 1879-80, Memorie della classe di se. fis. matem. e nat., Voi. Vili. Ved. nota a piedi della pag. 323]. MOLLUSCHI FOSSILI ECC. 145 Band XII, pag. 1161. — Id., Verseicliniss il. Narnen d. fossilen und lebenden Arten d . Gatt. Paludina. - Abhandi. d. k. k. sool.-bot. Gesell. Band. XIY, Wien, 1864, pag. 592, n. 202, e pag. 658, n. 886]], i quali convengono esattamente con la figura di Dra- parnaud (Hist. natur. d. moli., tav. I, fig. 16) con quelle date dal Kiister nella sua monografia ( Die Gcilt. Paludina, Hydro- caena und Valvata, tav. 1, fig. 1-10 col nome di Paludina viviparo), ec‘. Finora non rinvenni, come dissi disopra, la Vivi- para fasciata vivente nelle Paludi Pontine. Peraltro, lo Statuti la segna nel suo Catalogo sistematico e sinonimico dei moli. terr. e ftuv. viventi nella prov. romana , 1882, (vedasi pag. 74. n. 120 col nome di Paludina vivipara). Essendo peraltro, come è noto, la P. vivipara (Muli.) = Vivi- para contecta (Mill.) diversa dalla P. vivipara (Linn.) = Vivipara fasciata (Muli.), e questo doppio impiego di nome generando spesso confusione, ho usato nella determinazione il nome specifico di fa- sciata, dato a questa da Muller (Muller 0. Fr., Wvrmer, II, pa- gina 182, n. 869, Nerita fasciata. — Schroter J. S., Die Ge- scliichte der Flussconchyl. 1779, pag. 369, Nerita fasciata) ed usato anche dal Kiister nella sopracitata monografia, che fa se- guito all'opera di Martini e Chemnitz ( Systematisches Conchyl.- Gabinet). Sulla determinazione dell’esemplare fossile della Farnesina non può cadere alcun dubbio. Conviene in generale colla fig. 18 della tav. I dell’opera cit. di Draparnaud, colle figure 11-14 della tav. I e fig. 1 della tav. IY dell'opera citata di Kiister, colla fig. 1, tav. X dell’opera di Bourguignat Les Spicilég. Malacolog. 1862. Ne ho fatto confronto con esemplari viventi della V. fasciata , provenienti dai dintorni di Venezia e con altri bellissimi e di forte grandezza, presi da me cogli animali vivi nei fossi laterali, che sono sulla sponda destra del fiume Oglio presso Robecco d'Oglio (prov. di Cre- mona), i quali sono nella mia collezione di conchiglie viventi. Però, le citate figure e gli esemplari di Robecco sono di dimen- sioni maggiori dell’esemplare fossile della Farnesina, il quale mi- sura mm. 26,5 nell’altezza e mm. 18 nella larghezza. L’esem- plare della Farnesina non presenta traccia di colorazione, 0 di fascie : ha inoltre anfratti poco convessi, ed ima forma generale ten- dente alla conica; conviene colla Vivipara pyramidalis Jan (Bour- 146 R. MELI guignat, Spiciléges malacolog. pag. 129, pi. X, fig. 3). Questa forma è riguardata da Frauenfeld come una varietà della Vivipara fa- sciata (Miill.) (Ved. von Frauenfeld G., Verzeichniss der Namen d. foss. und lebenden Arten der Gattung P al ad i n a Lam. — Abhandl d. k. k. zook-bot. Gesellsch., voi. XIV, pag. 640, n. 690. Wien, 1864). Parimenti è considerata dalla Paulucci come una va- rietà della Vivipara vivipara (Linu.) = V. fasciata Miill. e fu rin- venuta vivente nell'Italia settentrionale (Paulucci, Materiaux p. servir à l’ elude de la faune malacol. de V Italie et de ses iles, 1878, pag. 18, n. 465; pag. 46, n. 104). La suddetta va- rietà viene anche indicata come vivente nelle Paludi Pontine dallo Statuti ( Catalogo sistematico , citato, pag. 75 var. la)(‘). Nella stessa cava della Farnesina trovai pure erratico sul ter- reno marnoso, rimosso di fresco, un pezzo di calcare con fori cilin- drici operati da Lithodomus non molto grandi, giacché il diametro trasversale del foro maggiore misura solo ìpm. 7. Anche di questo genere di molluschi tinora non si era osservata traccia nel giaci- mento del Monte Mario. Nella lista dei molluschi, data superiormente, ho segnato al- cune specie, ben cognite nei terreni pliocenici e post-pliocenici ita- liani, unicamente allo scopo di constatare la loro presenza negli strati sabbiosi della Farnesina, o di rettificarne, se era il caso, inesatte determinazioni, comparse in precedenti cataloghi del Monte Mario. (!) In una escursione, fatta acl Acquatraversa nell’ottobre 1895, insieme ai miei amici, cav. A. Zuccari e sig. Martinetti, nelle sabbie marine a Donax trunculus (Linn.), Jl/esodesma cornea (Poli.), Mactra corallina (Linu.) var., Corbicula fluminalis (Miill.), ecc., bo trovato un frammento di Limnaea, un esemplare di Valvata piscinalis (Miill.) ed un esemplare frammentario di grossa Vivipara (cfr V. fasciata Muli.). Tutti questi esemplari furono rinvenuti nelle sabbie con Donax, Solen e conchiglie marine a valve disgiunte e logorate. Ciò indica la presenza in quel punto di una spiaggia, nella quale dovevano sboc- care corsi d’acqua, in cui vivevano Limnaea, Paludina, Vivipara, Corbi- cula, ecc. Nella medesima escursione il cav. Zuccari ritrovò un esemplare, alquanto logorato, di Potamides tricinctus Brocc. ( Murex ), specie rara per i dintorni di Roma e finora citata nei nostri giacimenti fossiliferi soltanto dal Clerici per Acquatraversa (Clerici E., Sulla C orbicula fluminalis dei dintorni di Roma. Boll. d. Soc. Geol. Voi. \II, 1888, citato anteceden- temente. Ved. pag. 108). MOLLUSCHI FOSSILI ECO. 147 Oltre le sopracitate specie di molluschi, menziono ancora pa- recchi individui di Echinocyamus pusillus Muli. ( Spatangus) (') ed un bell’esemplare di Pyrgoma silicatimi Phil. affisso a una Cargo- - phyllia clavus Scacchi, = Gyathina pseudo-turi inolia, Miln. Edw., tutti provenienti dalle marne sabbiose grigie della detta località. L' esemplare conviene esattamente, anche per le dimensioni, colla figura datane dal Philippi nella * Enumeratio mollusc. Siciliae » Tom. I, 1836. pag. 252, fig. 24 della Tav. XII. Per questo ho conservato nella determinazione il nome del Philippi, quantun- que Darwin (2), Seguenza (3) e recentemente De Alessandri (4) riportino il Pyrgoma sulcatum di Philippi al P. anglicum G. B. Sow. — Megatrema (Adna) anglica Gray. Nel catalogo Conti è segnata la specie come rarissima col nome di P. sulcatum (5). Le dimensioni dell'esemplare della Farnesina convengono con quelle date dal Philippi, mentre sono minori dell’esemplare figurato dal De Alessandri (meni, cit., tav. III. fig. 11, la quale figura è doppia del vero). All’infuori dell’esemplare, che deve esistere nella collezione Conti a Ferrara e che io non ricordo di aver veduto, quando osservai quella raccolta e presi su di essa appunti per molte specie, credo non si conosca altro esemplare di questa specie nelle collezioni pa- leontologiche dei dintorni di Roma. Finalmente cito anche buoni esemplari di Lichenopora medi- terranea Blainv. = Discoporella mediterranea Busk, affissi su pezzi di Peclunculus e di Terebratula. f1) Questa specie nei cataloghi di Conti e di Zuccari è segnata col nome di Arbacia Spadae (n. Des., n. Agass.). (2) Darwin., A monograph of thè fossil Balanidae and Verrucidae ecc. 1856, pag. 36, tav. II, fig. 7 a - 7 c (Pyrgoma anglicum). (3) Seguenza G.. Ricerche paleontolog. intorno ai cirripedi terziari della prov. di Messina. Parte Ia. Fam. Balanidi e Verrucidi - Napoli, 1873 (Atti Accad. Pontaniana, voi. Xj. Ved. pag. 12, 50-52 dell’estr. Tav. II. fig. 4 a, - 4, b. [Pyrgoma anglicum). — Seguenza G., Ricerche ecc. Parte II. Terza famiglia LepaduJ.i Darwin. Napoli, 1876 (Atti Acc. Pontan., voi. X). Ved. pag. 88-89, e 102 dell’estr. (4) De Alessandri G., Contribuzione allo studio dei cirripedi fossili d'I- talia. Bollettino d. Soc. geolog. ital. voi. XIII, 1894, fase. 3°. Ved. pag. 246, 250, 251, 297-298, tav. Ili, fig. 11 (Pyrgoma anglicum). (5) Conti A., Il monte Mario ed i suoi foss. subapenn. 1\ edizione, 1864, pag. 36; 2a. edizione, 1871, pag. 42 (Pyrgoma sulcatum). 148 R. MELI La presente comunicazione fa seguito all' altra sullo stesso argomento, presentata nell’ ultima Adunanza della Società geolo- gica italiana, tenutasi a Firenze il 21 aprile 1895, e stampata nel Bollettino della Società suddetta, Voi. XIV, 1895, pag. 94-96. f28 dicembre 1895]. NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI RINVENUTI RECENTEMENTE IN LOCALITÀ ITALIANE Nota del prof. Romolo Meli. Ho preso abitudine, da qualche anno in qua, di fare brevis- sime comunicazioDi, nelle adunanze generali della Società geolo- gica italiana, sui resti fossili ritrovati nella provincia di Roma, durante l’intervallo di tempo, che trascorse fra un'adunanza e l’altra, dei quali potei avere cognizione. Ritengo buona questa usanza, perchè in tal modo non va del tutto perduta la notizia di tali ritrovamenti, alcune volte per la località assai importanti. Seguendo adunque questa consuetudine, dò oggi comunicazione di alcuni rinvenimenti, eseguiti anche fuori del territorio spettante alla provincia di Roma. Nelle sabbie gialle del pliocene superiore di Tigliole, che è a circa 14 chilom. di distanza ad ovest di Asti nella provincia d’ Ales- sandria (Piemonte), fu rinvenuto, tempo indietro, cioè nel 1892 (]). (1) Nello stesso anno 1892 si rinvennero, parimenti nelle sabbie gialle del pliocene superiore, scavate a Val di Berti per la costruzione della nuova strada tra Castello di Annone e Nizza-Monferrato in provincia d’ Alessandria, altri resti di Mastodon, associati a Rlii.noceros etruscus Falc., Equus Ste- nonis Cocchi, ecc. Su tali ritrovamenti fece il dott. A. De A nicis una co- municazione, che è stampata nel Boll. d. Soc. geol. italiana, voi. XI, 1892. fase. 1°, pag. 29-30. Prima di questi ritrovamenti, cioè, nel gennaio 1884, parimenti nel- l’Astigiano, a Cinaglio, che è distante circa 11 km. da Asti, l’avv. Filippo Cantamessa disotterrò dalle sabbie marine del pliocene superiore i resti di un grande scheletro di J lastodon arvernensis. Del rinvenimento l’avv. Canta- NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 149 un grosso dente molare superiore di Mastodon ( Tetrcdophodon) ar- vernensis Croiz. et Job. messa dette una prima notizia in una lettera, colla data 27 gennaio 1884, che è stampata negli Atti della R. Accad. d. Scienze di Torino, voi. XIX. 1883-1884, disp. 2\ pag. 292-293. In seguito, nel 1891. lo stesso aw. Cantamessa pubblicava una dotta memoria, nella quale veniva illustrata la bella mandibola del Mastodonte in parola, che ora è nel Museo paleontologico di Bologna, (Cantamessa F., Il Mastodonte di Cinaglio d'Asti ed il Mastodon ( Tetralophodon ) arver- nensis. Osteografia ed osservazioni, Torino, C. C'iausen, 1891. in 4.° di pag. 43 con 2 tavole. (Estr. d. Memorie della E. Accad. delle Scienze di Torino, Serie II, tom. XLI). In questo pregevole lavoro trovasi riportata la letteratura relativa ai mastodonti, fino all’anno 1888, ricca di 66 citazioni. A tale elenco bibliografico di scritti relativi al Mastodon, rimando il lettore. Soltanto qui menzionerò le seguenti opere, perchè parlano di resti di Masto- don rinvenuti nell’Italia media (Toscana, Umbria e confine dell’Umbria, Sa- bina e provincia romana) e perchè, all’infuori della prima memoria, le altre sono posteriori al lavoro del Cantamessa. Capellini G., Sui resti di Mastodon arvernensis recentemente scoperti a Spoleto. Pontremoli e Castrocaro. Bologna, Gamberini e Parmeg- giani, 1888, in 4.° di pag. 10 con 2 tavole. Estr. d. Memor. della R. Accad. d. Scienze dell’Istituto di Bologna. Tomo IX, Serie IV, 15 aprile 1888, pag. 251-258 . Il eh. prof. Capellini ricci da che si conservavano denti di Mastodon al Museo Kircheriano, esistente al Collegio romano, quando Cuvier visitò Roma e che lo stesso Cuvier dice di averne avuti, provenienti da Monte Verde (vedi Capellini, op. cit. , pag. 252). Sull’autorità di Cuvier, nella distribuzione geo- grafica dei resti di Mastodonti in Italia, segna anche i dintorni di Roma, (pag. 253). Più innanzi dirò come i denti di Mastodon, esistenti al Museo Kircheriano, ove li ritrovai nel 1875, non sieno di provenienza italiana, ma americana. Nella stessa memoria (pag. 256) il prof. Capellini fa parola di una zanna di Mastodon rinvenuta nella miniera di lignite a Santa Croce presso Spoleto e donata anni indietro dal prof. G. Moro, che allora dirigeva la escavazione della miniera, al R. Comitato Geologico. Or bene, la zanna in questione, in- sieme ad un bel molare, trovasi oggi conservata nel Museo di Geologia della Università di Roma; io la ottenni in dono per il Museo anzidetto dal R. Co- mitato geologico, quando fui incaricato della direzione di quel Gabinetto. Questi denti (incisivo e molare) sono citati anche dal Weithofer [Probo scidi ani foss. 1893, ved. pag. 132 dell’estr.) e dal Tuccimei nella memoria, qui ap- presso citata, alla pag. 21 dell’estratto. Tuccimei G., Alcuni mammiferi fossili della provincia Umbra e Ro- mana. Roma, tip. della Pace, 1891, in 4.° di pag. 68 con 7 tav. (Estr. dalle Memorie d. pont. Accad. de’ Nuovi Lincei, voi. VII). 150 R. JIEU Il dente mi fu donato in più pezzi dal dott. Carlo xlvetta, professore di botanica nella Università di Parma; io lo restaurai Capellini G., Resti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della provincia di Bologna — Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1893, in 4.° di pag. 10 con nna tavola. (Estr. d. Mem. d. R. Accad. d. se. dell’Ist. di Bologna, Serie V, tom. Ili, pag. 363-370). Weithofer C. A., Die fossilen Proboscidier des Arnotliales in Toskana. Yed. Beitrage zur Palaontologie Oesterreichs-Ungarns und des Orients, voi. Vili. Wien, 1891. Weithofer A. C., Proboscidiani fossili di Valdarno in Toscana — Fi- renze, G. Barbèra, 1893, in 4.°, di pag. 152 con XV tav. (Estr. d. Memorie d. R. Comit. Geolog. d'Italia, Voi. IV, parte 2a). Questa memoria è la tradu- zione italiana della precedente. Oltre questi scritti, che riguardano resti di mastodonti rinvenuti in Italia, sarebbero da aggiungersi alla bibliografìa stampata dal Cantamessa, le citazioni sul genere Mastodon date dallo Zittel ( Handbuch der Paloxontologie, I Abth. Palaeozoologie, Band IV, (1891-1893, pag. 458459), ed i lavori di A. Gaudry (Remarques sur les Mastodontes, nelle Mémoires de la Soc. géulog. de Fran9e. Paléontologie, n. 8, 1891) e di Marsh ( Restoration of Mastodon , 1892). Ho detto di sopra che Cuvier cita denti di Mastodonte, rinvenuti a Monte Verde. « J’en ai aussi rapportò de Rome, qui ont e'té trouve'es près de Monte Verde » (Cuvier G., Recherches sur les ossemens fossiles. 4me édition. Ved. voi. II (1834) , pag. 332), e poco innanzi scrive di averne veduti al Museo Ivircheriano al Collegio Romano. Pianciàni, parlando di tali denti conservati in quel Museo, descrive due molari. Egli ritiene che possano provenire, invece che da Monteverde, da Castel di Guido sulla via Aurelia, (Pianciani G. B., Di alcune ossa fossili rinvenute in Roma e nei dintorni e conservate nel museo Kircheriano — Roma, 1836, in 8°, di pag. 16. Estr. d. Giornale Arcadico, tom. LXV1I. Ved. pag. 11, estr.) Sui denti riportati da Cuvier io ritengo possibile uno scambio di loca- lità; lo ammetteva pure il Pianciani. Circa i denti di Mastodonte, conservati già nel Museo Kircheriano e nel 1875 trasportati al Gabinetto di Geologia della R. Università di Roma, scrisse molto bene in proposito il prof. Tucci- mei (Ale. mamrnif. foss. (op. cit.) .Ved. pag. 19-20 dell’estratto). Alle notizie date dal prof. Tucc-imei aggiungo che, essendo io stato incaricato della scelta e trasporto degli oggetti di paleontologia esistenti allora nel Museo Kirche- riano per riunirli al Gabinetto di Geologia Universitario, rinvenni i due sopra- detti denti di Mastodon senza alcuna scritta o indicazione di località. Per quanto ricordo, devono spettare a due specie diverse. Inoltre per il loro aspetto e per la fossilizzazione ritengo, debbano, invece che dai dintorui di Roma, provenire dal continente americano. Nel lavoro del prof. Tuccimei sono illustrati i resti del M. arvernensis rinvenuti a Nera-Montoro. Questa località trovasi sulla sponda destra della NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 151 parzialmente, riunendone alcuni frammenti ; ma non è completo, giacché manca della parte anteriore, della quale non si ha che un Nera, vicino allo sbocco di questo fiume dalla gola stretta e profonda dei monti calcarei di Narni. E a poca distanza dalla riva sinistra del Tevere, e rimane presso il confine dell’Umbria, della Sabina, e della provincia romana. Nera-Montoro rappresentava finora il limite più meridionale, ove in Italia fos- sero stati rinvenuti resti del genere Mastodon, bene accertati. Anche von Eichwaid parla, senza precisarne le località, di ossa di Ma- stodonte provenienti dal tufo vulcanico della Campagna di Roma e di zanne rinvenute nei depòsiti quaternari dei dintorni di Roma; egli dice di averne vedute presso il prof. Ponzi. (Eichwaid v. Ed., Naturhistorische Bemerkungen ah Beitrag zur vergleichenden Geognolie auf einer Reise durh die Eifel, Tyrol, Italien, Sizilien, ecc. Moskau und Stuttgart, 1851. Ved. pag. 251 dell’estr.). Ma, evidentemente vi ha inesattezza di località, giacché il Ponzi non ebbe mai alcun altro resto di Mastodon dei dintorni di Roma all’infuori di quello ritrovato a Nera-Montoro, che fu estratto nel luglio 1858 nel fosso di Monte Bove, come lo attesta l’Eroli (Eroli G., Miscellanea storica Narnese, voi. II, pag. 398. Acquedotto Montorese, nell’ Album, anno XXV, pag. 259-262). Il Ponzi, nelle sue numerose memorie, non fa mai alcuna menzione di residui di Mastodonti rinvenuti nella provincia di Roma, all'infuori di quelli di Nera-Montoro, e più volte, parlando con me su tale argomento mi dichiarò di non averne mai ritrovati nella suddetta Campagna. Con ciò non intendo escludere la possibilità che possa un giorno o l’altro, rinvenirsi veramente questo genere di proboscidiferi anche nel pliocene romano, ma soltanto ho voluto far rilevare che finora non può asserirsi con certezza che se ne siano rinvenuti nei dintorni di Roma. Io ritengo che le notizie date dal Cuvier e le vaghe indicazioni dell’Eichwald sieno, per quanto si riferisce alla località, inesatte e credo che vi sia stato qualche scambio di provenienza. Esclusi cosi questi ritrovamenti di Mastodon dai dintorni di Roma, resta il Mastodon arvernensis rinvenuto a Nera-Montoro, che è pochi chilo- metri distante dalla riva sinistra del Tevere, il quale in quel tratto segna il confine tra le provincie di Roma e di Perugia. Questo punto sarebbe il limite più meridionale, in cui fino al presente si sarebbe constatato il Ma- stodon in Italia. In tale senso scrive il prof. Tuccimei (pag. 12-13 op. cit.) “ ... scoperta che è rimasta sempre eccezionale, perchè nessun resto di questa “ specie, e nemmeno del genere, è stato mai più trovato a minore distanza “ da Roma » ed alla pag. 14 dice « L’importanza nel descriverli (i resti dì “ Mastodon di Montoro) si rileva dal fatto che quest’individuo dovette essere « forse l’ultimo rappresentante sul suolo italiano della specie, che emigrava « verso il sud ». Ed in altro recentissimo lavoro lo stesso autore scrive : « il Mastodon « arvernensis, che non si propagò oltre al piano astiano, emigrava da nord « a sud arrestandosi nell’Umbria » (Tuccimei G Elementi di Geologia e di Geografia fisica — Roma, Soc. editrice Dante Alighieri, 1896. (Ved. pag. 304). 152 R. MELI piccolo pezzo isolato ; manca pure delle radici. Non presenta quindi che la sola corona del dente, nella sua parte posteriore, troncata poco dopo il collarino del dente, verso le radici. Il dente, essendo incompleto, si compone soltanto delle quattro ultime serie di colline trasversali (ultima, penultima, antepenultima, e la serie seguente in parte conservata, perchè ivi il dente è spez- zato e mancante). Alla base dell'ultima serie di colline si nota un piccolo risalto, che può riguardarsi come un' incipiente tallone. Le valli trasver- sali sono molto profonde. Il dente è, in generale, poco logorato Ma, anni indietro, essendomi recato alle miniere di lignite a Morgnano e Santa Croce, presso Spoleto, ove erano stati ritrovati resti di Mastodon, visitai la collezione di minerali e fossili del defunto conte Francesco Toni in Spoleto. Vi osservai conservati denti di Mastodon e di Tapirus pri- scus, provenienti dalle ligniti plioceniche delle suddette miniere, e, con sorpresa, vidi nella collezione Toni un frammento di molare di Mastodon arverneìisis estratto dalle ligniti plioceniche di Rocca-antica (circond. di Rieti in Sabina). Maravigliatomi di tale provenienza, ne domandai notizie al conte Toni, il quale mi assicurò della precisione della località e della certezza di quel rinvenimento, tanto che, in seguito alle assicurazioni del Toni, ne presi nota nei miei appunti di viaggio. Questa nuova località è interessante, perchè sposta il limite meridionale dei ritrovamenti di Mastodon, dal confine ùmhro-romano-sabino, più verso sud, entro la Sabina e lo fa avvicinare verso Roma, pur rimanendo T esistenza di esso constatata sempre sulla sponda sinistra del Tevere. Essendo pertanto cosi interessante questa nuova località, riporto la serie dei terreni ritrovati nel bacino lignitifero di Rocca-antica, serie, che mi venne comunicata in quel- l’epoca dal Dutt. Francesco Nardi di Poggio-Mirteto, e che non credo sia stata pubblicata finora. Gli strati hanno l’inclinazione nord-nord-est a sud-sud-ovest. Sulla sinistra del fosso Galantina si riscontrarono le seguenti roccie, dal- l’alto verso il basso : 1. Marna cerulea torbosa con Cardium Lamarcki Reeve, Cerithium doliolum (Brocc.), Trochus Brocrhii May., Mure a: truncatulus Foresti, Nassa bollenensis Tourn., ecc.: lo strato aveva la potenza di m. 0,60. 2. Argilla; potenza m. 1,60. 3. Marna cerulea con m. 4,40 di potenza. 4. Lignite, con la potenza di m. 2,00. 5. Marna cerulea sabbiosa, per uno spessore di m. 0,70. 6. Sabbia silicea grigia per m. 0,75. 7. Marna cerulea, per uno spessore non esattamente precisato. 8. Lignite con m. 1,00 di potenza. NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECO. 153 sull’apice delle colline e dei mammelloni ; l’ultima serie di mam- melloni è intatta. Le seguenti serie hanno successivamente sempre più smussate le sommità dei mammelloni. La forma del dente e la disposizione delle colline principali e dei tubercoli secondari indica un ultimo molare superiore. Tenendo poi conto che, mentre nella mandibola sono più logorati i mammelloni situati sull’orlo esterno ( p r e tr i*t i ) , secondo Vacek ( Ueber oeslerr. Must, und ih re BeMehungen za d. Mastodonarteu Europa* 1877), nei molari superiori invece devono essere più consumati i tubercoli che sono verso l'interno, si rileva facilmente che si tratta dell’ul- timo molare superiore sinistro. Il dente ha una tinta plumbeo- 9. Marna grigio-azzurrognola sabbiosa e sabbia nerastra con gusci di conchiglie. Sulla destra del fosso, s’incontrò nel pozzo, fatto per la ricerca della lignite, la seguente serie, a partire dall’alto verso il basso : 1. Marna azzurrognola con Cardimi Lamarcki Beeve, Fragilia fragilis (Linn.), Murex truncatulus Foresti, Murex Pecchiolianus D’Anc., Chenopus pespelicani (Linn.) ecc. con lo spessore di in. 8,00. 2. Marne e sabbie a sottili strati alternati con Neritina, Bithynia, J/e- lanopsis nodosa Fe'r. ecc., avente una potenza di m. 0,30. 3. Marna cerulea a Cardium Lamarcki Beeve, Fragilia fragilis (Linn.), con m. 0,08 di potenza. 4. Impasto di frammenti di valve spettanti a piccole Ostree lamellose Brocc., Cardium Lamarcki Beeve, Tapes decussala (Linn.) Nassa bollenen- sis Tourn., Melanopsis nodosa Fér., Bithynie ecc.; spessore m. 0,20. 5. Marna, come al num. 2, c< n potenza di 0,30. Segue marna cerulea. Gli strati marnosi, fossiliferi, a Cardium Lamarcki Beeve, Melanopsis nodosa Fe'r., e forme affini (ìli. flammulata De St., M. Dufouri Fe'r., M. oomor- plia De St.), Bithynia e Neritina, si collegano con gli strati analoghi e sin- croni della Sabina (Magliano-Sabina, Cannel accio, Galantina), già conosciuti per i lavori del Tuccimei: con gli altri strati più a nord di Otricoli e della località Le Vigne nel territorio di Xarni, che osservai l’anno scorso : e più a sud, col pliocene alla base dei Cornicolani e Lucani, studiato dal Ponzi, Tuccimei e Clerici. Fin dal 1889, il prof. Tuccimei ha già parlato degli strati con ligniti, che ritrovansi nel fosso del Cannetaccio e lungo il Galantina presso Boccan- tica nella sua Memoria II Villa franchi ano nelle vaili sabine e i suoi fos- sili caratteristici (Ved. Boll. d. S'oc. Geol. ital., voi. Vili, 1889, p. 102- 103). Xe ha dato anche la successione degli, strati, che riferì al Yillafran- cliiano, includendolo, ben inteso, nel pliocene. La serie dei terreni indicata dal Tuccimei s’accorda con quella ora da me riportata. [Xota aggiunta du- rante la revisione delle bozze]. 154 R. MELI perlaceo nello smalto, mentre è bianco-latteo nella dentina, od avorio, scoperta sulle vette delle colline, logorate per la mastica- zione. La lunghezza della corona, nel frammento sopra indicato, è di mm. 136, computata circa la fine della quarta serie, incompleta, di colline trasversali; la larghezza è di mm. 90, misurata alla base dell’ antepenultima serie trasversale (ovvero 3a nel frammento, a partire dall’estremità posteriore del dente: questa serie corrispon- derebbe alla serie mediana del dente completo). Supponendo quindi che manchino le prime due serie, anteriori, di colline trasversali e prendendo a base del calcolo le misure di lunghezza e larghezza riportate da molti autori per molari superiori, preferibilmente sini- stri, la lunghezza tolale del dente intiero risulterebbe di mm. 193. Questa cifra rappresenta la media di cinque valori, calcolati in proporzione delle cifre di lunghezza e larghezza segnate da diversi autori (Capellini, Weithofer, ecc.), per altrettanti molari superiori di Mastodon , di diversa provenienza. Il dente si trova nella mia collezione. Parimenti, tempo indietro, acquistai pel gabinetto di minera- logia e geologia del R. Istituto tecnico di Roma porzione di cranio di Caais associato ai 6 incisivi superiori di Equus, impiantati al loro posto, in un frammento delle ossa premascellari. Il cranio è man- cante dei canini e degli incisivi, essendo rotto e troncato nella parte anteriore; è pure incompleto nella parte posteriore, essendo privo dei parietali, degli inter-parietali e del forame occipitale; manca anche la mandibola. Tali resti provengono, a quanto mi si assicurò, dal pliocene (?) di Chiusi e furono rinvenuti tra il lago di Chiusi e il Trasimeno nelle sabbie gialle alquanto indurite. Di queste si scorge un testimonio nella roccia, che cementa insieme il suddetto cranio colla parte anteriore delle ossa premascellari, dalle quali emergono, infissi nelle loro cavità alveolari, i predetti sei incisivi di Equus. Che i predetti sei incisivi di Equas sieno superiori, si può dedurre facilmente dalla forte curvatura esterna di ciascuno di essi, non che dall’ angolo che la superficie triturante fa colla superficie esterna, o superiore, degli incisivi e delle ossa prema- scellari, nelle quali sono infissi. Nella medesima località si rinvennero anche due molari di Elephas , uno dei quali, superiore destro, mi sembrò doversi riferire NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 155 all’ A. primigenius Blum. È per questo che, non avendo studiato e veduto il giacimento, ove furono ritrovati i suddetti resti di mammiferi, con dubbio l'bo indicato come pliocenico. Se, però, così fosse, non potrebbe esservi stato rinvenuto il dente ài E.primige- nius , e certamente quest'ultimo deve provenire da terreni quater- nari. Colla gentile cooperazione del nostro socio ing. A. Statuti potei acquistare, pel gabinetto di geologia della R. Scuola d’ Applica- zione per gli Ingegneri di Roma, due molari superiori, destro e si- nistro, spettanti ad un medesimo individuo di Elephas antiquus Falc. rinvenuti nel travertino dello stabilimento Arrigucci, in Con- trada antica Querciolaia, a Rapolano (provincia di Siena). Il dente destro è infisso nell'alveolo ed aderisce a porzione di osso mascel- lare, racchiuso in parte nel travertino. Il molare sinistro è isolato dall’osso mascellare. Dallo stesso travertino insieme ai molari, si estrasse un pezzo di dialisi di osso lungo, parimenti elefantino, che, per la sua sezione, e per le sue dimensioni, potrebbe spettare ad una fibula, o perone. Vengo ora ad indicare i ritrovamenti avvenuti nella provincia di Roma. [Jn capo articolare inferiore di femore destro, con porzione della sua dialisi, si incontrò nel quaternario della valle dell’Aniene a Pra- talata sulla via Tiburtina, nello scavo fatto per piantare i pali occorrenti alla trasmissione della energìa elettrica da Tivoli a Roma. In seguito a tale rinvenimento, e dietro mio consiglio, il prof. Mengarini, direttore dell’impianto elettrico, fece ampliare lo sterro in quella località e trovò : una grossa zanna elefantina, che venne estratta in più pezzi; due molari inferiori di Elephas an- tiquus Falc., uno de’ quali aderente a porzione di osso mandibo- lare ; un capo articolare superiore di ulna, o cubito elefantino, pre- sentante la cavità sigmoidea e l’apofisi olecranica, ben conservate; numerosi frammenti di vertebre cervicali (corpi vertebrali, o dischi di vertebre) e di ossa lunghe. Tutte queste ossa elefantine vennero donate dal predetto prof. Mengarini al gabinetto di geologia della R. Scuola degli ingegneri di Roma. Mi sto occupando del loro restauro, ma la maggior parte di esse sono però rotte e frammen- tarie, essendo quasi tutte calcinate, assai friabili ed incomplete. 156 K. MELI Dalle ghiaie alluvionali (Chelleane e Moustieriane), frammiste a minerali e pezzi di roccie vulcaniche, della cava, che sta nella valle dell’Aniene sulla sponda sinistra presso la via Nomentana dopo il chilom. Ili, prima di arrivare al ponte omonimo ('), ebbi un frammento di branca mandibolare sinistra con quattro denti molari infissi nei loro alveoli di Bos 'prirnigenìus Boj. Il fram- mento è conservato nel gabinetto di geologia del R. Istituto tecnico di Roma. Dal sig. Virgilio Bedoni, già allievo nel R. Istituto tecnico di Roma, mi fu donato un dente molare inferiore sinistro di cavallo, rinvenuto presso Campomorto, sul confine tra il territorio di Nettuno e quello di Velletri, in provincia di Roma. Il dente appartenne ad un giovanissimo individuo di Equus e la superficie triturante del molare è appena usata, e pochissimo logora. Presenta una tinta nera, in qualche parte bruna. Fu estratto a 15 m. di profondità nello scavo di un pozzo, eseguito per trovare acqua nel sottosuolo (2). In una escursione che eseguii in compagnia del nostro segre- tario ing. Enrico Clerici, sul principio del decorso agosto, nella valle dell’ Astura (s), visitando Campomorto, le Ferriere di Conca e C) Nelle ghiaie della stessa località si rinvenne una mandibola di Ele- phas antiquus Falc. con i molari in posto, .ed altri denti elefantini. Ne detti già comunicazione nell’adunanza iemale di quest’anno (vedi Boll. d. Soc. geol. italiana, voi. XIV, 1895, fase. 1°, pag. 93-94). (2) Probabilmente proviene dalla perforazione di Carano, che trovasi distante circa 5 chilom. a nord da Campomorto, e che sta sul confine tra i territori di Velletri e Nettuno. Nella trivellazione di Carano fu ritrovato un molare di cervo e ne detti già notizia alla Società geologica nell’adunanza iemale del corrente anno (vedi Boll. d. Soc. c/eol. italiana, voi. XIV, 1895, fase. 1°, pag. 93). Appunto al dente fossile di cavallo, donatomi dal sig. Bedoni, io alludeva in quella comunicazione, esprimendo la speranza di poter avere altri resti di mammiferi, rinvenuti nello scavo del pozzo trivellato di Carano. (3) Nell’alveo del fiume Astura, al ponte delle Ferriere di Conca, raccolsi pezzi rotolati di lave leucitiche (per lo più leucititi), di peperino, scorie, cri- stalli di augite, biotite e di altre roccie e minerali laziali. Vi trovai anche un ciottolo di leucitofiro-haùynico, che s’ incontra in blocchi erratici sulla via Appia Nuova all’osteria del Tavolato. Di questo leucitofiro-haùynico, descritto e studiato dal prof. Strùver (Strùver G., Studi petrografici sul Lazio, Atti d. B. Acc. dei Lincei, Serie 3 a. Mem. d Classe di se. fis. mat. e natur. Voi. I, 1876-77) trovai numerosi blocchi, di varia grandezza, nello scavo, fatto per il prestito delle terre im- NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 157 Conca, furono rinvenuti dal Clerici due pezzi di ramificazioni (stiletti) di corno di Cervus ( Slrongyloceros) elaphus Linn., in un terreno d'indole alluvionale, superiore alle pozzolane rosse, alla distanza di un 150 m. dall’abitato di Conca. La sezione geologica di quel punto presentasi nel modo seguente: piegate nel rilevato della ferrovia sul tratto della direttissima Roma-Ciampino, sotto il casello cantoniero al km. 11,553, a circa 2 km. e mezzo, prima dell’ attuale nuova stazione di Ciampino. Evidentemente in quella località si rinvenne la continuazione dello stesso strato alluvionale, scoperto al Tavolato nel 1882 (Ponzi G., Intorno alla sezione geologica scoperta al Tavolato sulla via Appia-Nuova nella costruzione del tramway per Marino. Atti d. R. Accad. dei Lincei. Serie 3a. Memorie d. Classe di se. fìs. matem. e naturali, voi. XII, 1881-82). Un pezzo erratico di questo leucitofiro fu da me rinvenuto nel cratere dei Campi d’ Annibaie presso la sua slabratura sopra Rocca di Papa (sistema interno del gruppo Laziale). U prof. Striiver ne rinvenne un masso erratico compreso nelle pozzolane grigie, che sono sulla strada rotabile, la quale dal ponte degli Squarciarelli conduce a Rocca di Papa (Striiver G., meni. cit. pag. 7 dell’estr.); ne rac- colse altri pezzi ad Albano ed a Castel Gandolfo; inoltre, nell’anno 1878, lo stesso prof. Striiver s’incontrò in grossissimi massi di tale roccia, presso S. Procula, sulla Via di Ardea, a 25 Km. da Porta S. Sebastiano (Striiver G., Contribuzioni alla mineralogia dei vulcani sabatini. Parte 1*. Sui proietti minerali vulcanici trovati ad est del lago di Bracciano. Roma, tip. d. R. Accad. d. Lincei. 1885, (in 4°. Estr. d. Atti d. R. Accad. dei Lincei, Serie 4a. Memorie della Classe di se. fìs. mat. e nat-, voi. I (1884-85), nota 1 a piedi della pag. 5 dell’estratto). Breislak descrive questa roccia molto bene nelle sue Institutions géo- logiques, 1818, nel voi. Ili, § 682, pag. 226, e dice di averne trovati pezzi erratici nelle colline vulcaniche d’Albano. Anche Brocchi segna questa roccia nel suo Catalogo ragionato di una raccolta di rocce, 1817, pag. 29, n. 19-20. Mi sembra che torni pure ad in- dicarla alla pag. 43 sotto il n. 2. Il fiumicello Astura, che origina alle falde dei monti Laziali tra Velletri e Civita-Lavinia, è perenne, ed anche nella estate convoglia una massa d’acqua considerevole. Era utilizzato come forza motrice nelle ferriere di Conca, quando lavoravano e riducevano il minerale di ferro (oligisto) dell’Elba, del quale trovansi ancora campioni sparsi tutto all’intorno dei fabbricati; ha un salto di 4 m., che ora è impiegato a muovere un molino, ma con qualche opera d’arte, credo, che si aumenterebbe ancora l’altezza verticale della caduta. In ogni modo si potrebbe utilizzare la forza motrice dell’ Astura alle Ferriere di Conca per impiantarvi lo stabilimento della luce elettrica da trasportarsi a Velletri, Nettuno ed Anzio, essendo distante, in linea retta, Nettuno dalle Ferriere di 12 km., e di poco maggiore essendone la distanza da Velletri. ■ 158 H. MELI Inferiormente si hanno pozzolane rosse, a scorie rosse, le quali sono, per l'aspetto e colore, ugnali del tutto alle pozzolane tipiche di Grotta Perfetta, delle Tre Fontane e dei dintorni di Roma. Queste pozzolane, come molti tufi, non sono stratificate, ma pre- sentarlo aspetto caotico; vengono usate a Conca nelle costruzioni con buon risultato per la loro ottima qualità, e sono scavate, come le pozzolane romane, in gallerie sotterranee, lasciando pilastri na- turali, senza armatura e rivestimenti. Lo spessore visibile delle pozzolane di Conca è di circa m. 3,50. Sopra di esse trovasi un materiale tufaceo, dotato di maggior coesione delle sottostanti pozzolane, alle quali poi passa gradata- mente. Ha una potenza media di m. 1,50. La sezione termina in quel punto con depositi di alluvione a stratificazioni embricate, contenenti pezzi, arrotondati pel trasporto, di tufo e rocce laviche, delia potenza di m. 1. Appunto in questi depositi fluviali, che sono addossati, qua e là, nelle depressioni scavate per erosione nel tufo litoide delle colline circostanti a Conca, furono rinvenute le ramificazioni del corno di cervo. Da Campomorto a Conca, le colline sulla destra del fiumi- cello Astura sono tutte di tufo litoide; le case di Campomorto, le ferriere, posano sul tufo litoide giallo-lionato, magnetico, (secondo le notizie favoritemi dal prof. F. Keller), che in qualche fabbricato è tagliato verticalmente e si mostra negli ambienti terreni delle case. Conca sta sopra un'isolato di tufo; presso il fontanile di Conca si hanno cave di un tufo giallastro, pel colore analogo a quello del Vescovo e della Falchetta sulla via Flaminia presso Roma; però non contiene, come questo, gli interclusi di aggregati mine- rali. I tufi litoidi, verso il corso d’ acqua, furono incisi ed erosi talvolta, come nella sezione superiormente descritta, ed allora al loro posto si hanno i depositi alluvionali, che racchiudono ossa fossili di mammiferi. Anche qui, come nelle grandi valli del Tevere, dell’Aniene e nella vailetta di Ponte Buttero sulla via Laurentina, le ossa di mammiferi, isolate e logore pel trasporto, trovansi sparse nei de- positi d'alluvione, superiori ai tufi litoidi. Il posto quindi, che oc- cupano nella scala stratigrafica, è sempre identico. Assai belle sono le pozzolane rosse di Conca ; molto migliori delle pozzolane, che si scavano nella macchia d’ Anzio, presso Carro- NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 159 ceto e che furono messe in commercio anni indietro (*). Potrebbero benissimo essere oggetto di lucro e venire esportate in sostituzione delle pozzolane di Roma: non si avrebbe che a mettere un bina- rietto Decauville in discesa, lungo la valle del torrente Astura fino alla foce (Torre di Astura) e quivi potrebbero essere caricate su barche e trasportate all'estero. Le pozzolane di Conca (-) sono fin qui sconosciute industrial- mente. Parimenti è sconosciuta dal lato geologico e paleontologico p) Feci pamla delle pozzolane della macchia di Anzio nella mia me- moria, Notizie bibliografiche sulle rocce magnetiche dei dintorni di Roma, stampata nel Bollettino d. Società Geolog. Rai. Anno IX, 1890, fase. 3°, pag. 624, nota (2) verso la fine (Vedi pag. 18 dell’estratto). (2) Le ferriere di Conca furono fra gli stabilimenti siderurgici più im- portanti dell’ex-Stato pontificio. A Conca si trovava uno dei quattro alti forni, che trattavano il minerale di ferro. Gli altri alti forni erano a Canino e Brac- ciano. Si ha notizia che nel 1739 il Governo inviò a Conca per un’esperi- mento il minerale di ferro (limonite) della Tolfa, le cui miniere erano state concesse ad un tal Mattioli (Demarchi L., I ■prodotti minerali della provin- cia di Roma. Annali di Statistica, voi. II, serie 3a, 1882. Vedi pag. 15 e 73 dell’estr.). Le ferriere di Conca furono in attività fin dopo il 1850. Oltre le ferriere di Conca, più a valle, nella vailetta dell’Astura stavano quelle di Campoleone, le quali sono indicate su talune carte topografiche dello Stato pontificio, disegnate verso la fine del secolo scorso. Di Conca e Campo-morto (anticamente S. Pietro in Formis, citato in una bolla di Innocenzo HI del 1201) parlano incidentalmente diversi scrittori. Ricorderò soltanto, fra gli altri: Eschinardi (1696 la edizione; 2a edizione colle aggiunte di R. Venuti 1750); Campigliain Cingolani (1770) ; Nicolaj (1803, e 1830); Chàteauvieux (1816); De Tournon (1831, la edizione; 1855, 2a edi- zione) ; Nibby (1848-49); Lombardi (1847, 1865); Palmieri (1857); Moroni (in parecchi volumi del suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica )•, Matteucci (1872); Pareto (1862) ; Canevari (1874); Soffredini (1879); De Marchi (1882) ; Tomassetti (1885) ; Abbate (1890, 1894) ; Pinto (1895), i quali fecero menzione delle predette due località. Nelle colline circostanti tra Conca e Campomorto esisteva l’antica Sa- trico e nello scorso anno 1894, tra Conca e le Ferriere vennero ritrovate costru- zioni antiche e tubi di piombo con iscrizioni. Probabilmente cotali tubulature conducevano le acque potabili a Satrico od a qualche villa circostante. Vidi un frammento di tale condottura in piombo, conservato nella residenza mu- nicipale di Anzio, con la scritta M • ANTONIVS • LONGINVS • F • La iscrizione è disposta in una sola riga, in lettere rilevate, con carat- teri, che risentono già dell’epoca della decadenza. 12 160 R. MELI tutta la regione in parola, dai monti Laziali lungo la valle del- l’ Astura, fino alla foce presso Torre Astura e regione circostante, se si tolgano le poche notizie, che ho dato in varie pubblicazioni sul tufo delle Grottacce presso Torre Astura. Questo tufo racchiude rocce laziali, lave leucitiche, pezzi di peperino, aggregati minerali svariati, tra i quali alcuni formati da sanidino. leucite, e cristal- letti di melanite, non che numerosi pezzi di calcare bianco, ana- logo a quello secondario dei monti lepini e pontini. Cotali inter- clusi del tufo devono essere stati trasportati e convogliati da un corso d’acqua, che presso a poco, percorreva la valle attuale del- l’Astura e sparpagliati poi alla foce, frammisti ai materiali tufacei. Percorrendo la valle del fiume Astura riesce manifesto, per i rapporti tettonici dei tufi colle altre roccie, a chi non sia animato da preconcette idee e da personali avversioni che i materiali degli impasti tufacei furono convogliati lungo un corso d'acqua e vennero deposti ed accumulati sulle sponde di questo, e portati alla sua foce in mare. Due stupendi corni di Cervus ( Strongyloceros) elaphus Linn., alti ciascuno cm. 78, destro e sinistro, spettanti forse allo stesso individuo, furono rinvenuti presso Nettuno, sulla costa del mare, poco prima di giungere al ponte sul fìumicello Loraciua. I pre- detti bellissimi corni si trovarono in questo anno nell’ ampliare e riparare lo stabilimento balneare Valeri. Erano racchiusi in una sabbia marnosa, giallognola, ferrifera, la quale costituisce il fondo scoglioso del mare in quel punto, e che può vedersi subito dopo una forte mareggiata, quando, cioè, sieno state spazzate via dai flutti impetuosi le arene mobili, mascheranti d’ordinario il fondo, de- poste dall’onda lambente la spiaggia. Del resto, una cotale roccia si mostra all’ingresso del suddetto stabilimento, sotto il lehm giallo-tabacco, ed affiora poco sopra il livello del mare nella fa- laise lungo tutta la costa, da sotto le mura di Nettuno a s. Kocco, ai tumuleti verso Foglino. Tutto quésto tratto di costa è in forte corrosione (Q. Uno dei corni è conservato nella residenza munici- 0) La corrrosione di questo tratto, la demolizione della falaise per ef- fetto delle onde del mare in agitazione e il conseguente arretramento della costa è sorprendente. Nelle grandi mareggiate del gennaio 1895 e specialmente in quella fortissima del 17 gennaio predetto, il mare fece arretrare notevol- NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 161 pale di Nettuno, l'altro era appeso, durante la stagione estiva, nella guardaroba dello stabilimento balneare Valeri. È per questo mente tutta la linea della falaise da Nettuno ai tumuleti; in quella circo- stanza demolì parte del muraglione di sostegno della rotabile presso s. Rocco, del quale oggi si veggono i resti nei monoliti rovesciati e giacenti entro le sabbie mobili della spiaggia, e danneggiò la banchina e le mura castellane. Che quel tratto di costa sia in corrosione da secoli, lo dimostrano i ruderi di costruzioni romane, che oggi formano scogli entro mare a non piccola distanza dalla spiaggia e che affiorano a bassa marea e ad acque tranquille. Lo dice anche la lapide sul ponticello Loracina, ricostruito nel 1852 per la quarta volta entro terra, successivamente sempre a maggiore distanza dalla spiaggia, essendo stati distrutti i tre ponti precedenti dal flutto invadente. La lapide, murata nell’interno del parapetto, che guarda la foce, dice : ABSOLVTA • NOVA • ET • AMPLIORI • VIA AB • VETVSTO • PORTV • AD • ARAM • PERGENTE DEIPARAE • PATRONAE PONTEM • IN • AMNIS • LORACINAE ORIENTALI • CORNV • MARIS ■ PROGRESSV ITERVM • ABSORPTVM • AC • TERTIO OB • INGRVENTES • FLVCTVS • LABENTEM ORDO • NEPTVNEN • ANTIASQ • RESTITVIT ANNO • MDCCCLII E certo poi che da quattro anni a questa parte si nota un maggior lavoro di corrosione lungo tutta la costa Anzio-Astura, cominciando da sotto Tilla Borghese verso Astura, mentre, nel tratto di spiaggia dall’interno del porto Innocenziano fino al di sotto Villa Borghese, l’insabbiamento in questi ultimi anni ha proceduto con pari aumento. Questo maggior lavoro di insab- biamento e di demolizione sembra sia la conseguenza della protrazione del molo Innocenziano, eseguita nel 1890-91, per una lunghezza di 100 m. L’aver prolungato il molo entro mare fu una protezione alla costa da Anzio a Villa Borghese, giacché le grandi onde, impetuose, che, come una diga mobile s’avan- zano verso terra, si frangono nei blocchi di calcestruzzo del molo prolungato; in tal modo, nell’interno del porto Innocenziano, non giungono a percuotere la riva, e si estinguono sulla spiaggia sottile, deponendovi perciò le arene; così cresce sempre l’insabbiamento lungo questa porzione di spiaggia. Ma, i forti marosi, che non si sono franti nella scogliera del molo, proseguono im- petuosi verso la costa, la quale in pianta presenta la forma di una C, colla concavità rivolta verso il mare; si avanzano come una diga mobile verso terra e si rompono violenti sulla falaise, flagellando le roccie della costa, demo- lendole, e per conseguenza facendo arretrare il ciglio della falaise entro terra, mentre che scavano il fondo del mare in quel punto, lo sconvolgono e ne sparpagliano le arene mobili, che si sono potute ivi deporre durante un pe- riodo di mare calmo. 162 R. MELI che, non avendo potuto avere contemporaneamente sott’occhi i due corni e farne il confronto, ho detto con dubbio che spettino ad un medesimo individuo: però la loro grossezza, le dimensioni (circa Così può molto bene spiegarsi il fatto avvenuto nella presente stagione sulla spiaggia di Nettuno, agli stabilimenti balneari, che sono tra il paese e s. Rocco, e specialmente intorno allo stabilimento Valeri. Ivi, la spiaggia era sabbiosa, sottile e si protraeva unita ed uniforme a dolce pendio entro mare, fino a distanza dalla costa. Ma, sopravvenuta la forte mareggiata del 5 agosto ultimo scorso, il fondo fu sconvolto dai marosi, le arene mobili, che mascheravano e nascondevano la natura scogliosa del fondo, vennero ri- mosse e portate via, e, calmatosi il mare, la spiaggia da sabbiosa, che era per lo innanzi, divenne scogliosa, mostrandosi le argille sabbionose giallastre in corrosione, che costituiscono in quel punto il fondo roccioso del mare in corrosione. E appunto in queste roccie del fondo, che spuntarono fuori i corni del cervo, di cui è parola nella presente nota ed è pure in seguito di tale mareggiata che, sulla spiaggia di Foglino, restato scoperto il fondo naturale e liberato dallo strato di sabbie mobili, apparvero gli affioramenti entro mare di torba; lo che forma soggetto di altra mia comunicazione nella presente adunanza della Società geologica italiana. Le arene mobili portate via in quella mareggiata, avevano una potenza di oltre un metro sulla striscia di spiaggia, che trovasi all’ingresso del più volte nominato stabilimento Valeri. Lungo quindi la sponda romana da Tor S. Lorenzo a Torre Astura si verificano due fatti d’indole meccanica, assai importanti per il regime della spiaggia, cioè: 1° corrosione e demolizione della costa, con conseguente ar- retramento di essa entro terra (la linea di spiaggia nel tratto anzidetto è in corrosione); 2° insabbiamento della spiaggia. Ove i marosi si frangono vi ha lavoro di distruzione e demolizione di roccie ; ove invece T onda va ad estinguersi gradatamente sul piano poco inclinato della spiaggia, vi ha deposito di sabbia. Di questi fatti si dovrebbe tener gran conto per risolvere una buona volta la questione del porto di Anzio. Abbandonato il vecchio porto Inno- cenziano, che si colma di arene e alla cui manutenzione ed escavazione mec- canica, mediante draghe, pure si spendono annualmente parecchie diecine di migliaia di lire, si potrebbero utilizzare i ruderi dell’antico porto Neroniano coi moli Innocenziano e sua protrazione, per la erezione di un porto nuovo, che in quel punto avrebbe forte fondale, e che coll’aiuto dell’antico bacino Neroniano laterale, si dovrebbe costruire, come lo fecero i romani, a molo traforato, di- minuendo così per il movimento delle correnti locali, che necessariamente si determinano coi moli traforati, nel nuovo porto la deposizione delle arene. Un tal argomento non venne finora acconciamente trattato, quantunque molto si sia scritto, in specie nella prima metà del secolo corrente, sull’insabbia- mento del porto Innocenziano e sul ristabilimento dell’antico porto Neroniano. NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. 163 78 cm. d'altezza ciascuno di essi), la disposizione dei rami e delle di- ramazioni, per quanto mi assiste la memoria, sono nei due corni tali da poterli giudicare come appartenenti allo stesso individuo, tanto più clie l’uno di essi, è destro, sinistro l’altro : tutti duo sono com- pleti ed intieri; soltanto quello, che è nella residenza municipale, ha qualche troncatura alle punte delle ramificazioni, o stiletti. Sembra che i corni fossero aderenti al cranio, perchè quello, che è al Municipio di Nettuno, porta alla base del corno sotto il col- larino le traccie dei colpi di piccone, dati dagli operai per estrarlo dalla roccia incassante. L'altro corno è staccato alla circonferenza nodosa nell’ estre- mità inferiore ; ha il ramo, o stiletto, laterale più basso, diretto in avanti (stiletto d’occhio). L’estremità superiore presenta parec- chie punte e tra queste se ne trovano altre, lungo il tronco del corno. L'aspetto generale delle due corna conviene colla figura del corno di Cervus elaphus Linn., disegnata nell’opera dello Zittel: Eandbuch d. Palaeontologie. I. Abtheil. Palaeozoologie, Voi. IV. M ammali a (1891-93), pag. 392, fig. 324 (ultima a destra). Fui informato del ritrovamento di questi corni di cervo dal- l’amico ing. Antonio Montanari, delegato scolastico per Anzio e Nettuno, il quale mi condusse gentilmente anche a vederli. Sono quindi in obbligo di esprimere all’ mg. Montanari vivi ringraziamenti. Cotali ritrovamenti di corna di cervo a Nettuno ed a Conca, nonché l’altro del molare di cavallo a Campomorto, sono interes- santi perchè vanno ad aumentare le scarse notizie, che abbiamo sulla fauna mammalogica fossile, finora conosciuta di quel territorio. Ecco invero, in riassunto tutto quello che si conosce fino ad oggi in fatto di mammiferi fossili, ritrovati nel territorio di Anzio e Nettuno : Due molari superiori destro e sinistro, forse spettanti al medesimo individuo, di Elephas antiquus Falc. rinvenuti nel 1882 nel lehm tra Nettuno e Foglino, e donati, per mio suggerimento, al Gabinetto di Geologia della R. Università di Roma, ove tuttora devono trovarsi. Di essi ho parlato più volte nelle mie memorie e note dal 1882 in poi. Un molare inferiore di Fquus caballus Linn. rinvenuto pari- menti nel lehm verso la spiaggia di Foglino, del quale detti comu- nicazione alla Società Geologica nell’Adunanza Generale di Pa- 164 R. MELI, NOTIZIE SU RESTI DI MAMMIFERI FOSSILI ECC. lermo (Yed. Boll ., voi. X, 1891, pag. 1001-1003). Esso è conser- vato nella mia collezione. Un dente di cervo rinvenuto nella trivellazione di Carano del quale detti comunicazione nell’ Adunanza generale di Firenze (Yed. Boll., voi. XIV, 1895, pag. 93). Fu da me deposto nel Gabinetto di geologia Universitario. Un molare di Equus (cfr. caballus Linn.) assai giovane, rinve- nuto probabilmente nella medesima perforazione di Carano, del quale bo dato notizia nella presente comunicazione. L’esemplare trovasi nel Gabinetto di Mineralogia e Geologia del R. Istituto Tecnico di Roma. Frammenti di ramificazioni (stiletti) di corno di Cervus ela- phus delle alluvioni superiori di Conca: due corna intiere trovate sotto il lelim di Nettuno, delle quali detti pure notizia nella pre- sente comunicazione. I frammenti dei rami del corno di Conca sono presso l’ing. E. Clerici: i due corni intieri si trovano, come bo già detto, uno nella Residenza comunale di Nettuno, l'altro presso il sig. Valeri. [28 dicembre 1895]. SOPRA DUE FELIS DI ROMAGNANO. Nota del prof. Emilio Fabrini (tavola VII). Da molto tempo è conosciuta la breccia ossifera del Serbaro vicino a Romagnano di Yalpantena (prov. di Verona): fu scoperta dal conte Giambattista Gazola, e ne pubblicò per il primo la no- tizia il Fortis fino dal 1786, riconoscendovi alcuni resti di Elefante ('). Le visitò anche il Catullo che vi trovò e descrisse egli pure resti di Elefante e di altri animali non bene determinati (2): una mandibola incompleta e un osso di metacarpo di Elefante; ossa (x) Fortis A., Delle ossa fossili d'Elefanle e d'altre curiosità naturali de' Monti di Romagnano. Vicenza 1786. (2) Catullo T. A., Su le caverne delle provincie venete. Venezia 1844, pag. 23 e seg. E. FABRINI, SOPRA DUE FELIS DI ROMAGNANO 165 di cavalli, di pecora e di cervo furono inviate dal Gazola al Museo di Parigi e probabilmente furono pure inviate a quello di Firenze. Il Nicolis fece qualche scavo, ma non trovò che avanzi di cervo Q). Taramelli intorno a questi ritrovamenti dice che le specie di Romagnano sono mal definite (-). Di questi esemplari illustriamo quelli appartenenti ai felini. IFelis spelaea Goldfuss (tav. VII, fig. 2). Il Museo paleontologico di Firenze possiede alcuni resti fos- sili di un grosso felino ritrovati a Romagnano. Essi sono: 1) una porzione di cranio (parte laterale sinistra inferiore) ; 2) frammento di branca mandibolare sinistra ; 3) frammento di branca mandibolare destra: 4) frammento di ferino superiore destro; 5) frammento superiore di tibia sinistra; 6) due frammenti costali; 7) una vertebra cervicale. Il primo fossile è quello che merita maggiore considera- zione: esso apparteneva a un individuo, se non vecchio, certo adulto, come si rileva dal premolare 2°, che è molto consunto nella metà posteriore ; degli altri denti non si vede che la sezione della radice, poiché sono rotti a livello del colletto; così è per il ferino, pel premolare 1°, per il canino e per l’incisivo esterno. Quanto alle ossa della faccia è da notarsi: l'osso nasale ter- mina smussato al di sotto della branca montante del mascellare superiore, che si porta assai in alto : il processo naso-mascellare dell’osso frontale si insinua per breve tratto fra le due ossa ma- scellare e nasale senza troppo ristrettirsi: il premascellare fa col mascellare sup. una linea di sutura quasi diretta: il margine in- temo di questo osso, non integro del resto, in corrispondenza del- l’incisivo esterno, ha una curvatura poco marcata: il mascellare superiore è rotto in corrispondenza della articolazione dell’osso zi- gomatico in guisa che manca il foro sottorbitale : detto osso presenta (1) Nicolis E., Note illustrative alla carta delle provincie venete. Ve- rona 1882, p. 116. (2) Atti della E. Accademia dei Lincei, anno 1881-82. serie terza. Me- morie. Voi. XIII, Eoma 1882. Geologia delle provincie Venete, p. 476. 166 E FABRIM sulla faccia esterna nella porzione antero-inferiore una superficie, ampia assai, convessa a causa della radice del canino, che si di- mostra molto grossa. La branca orizzontale del mascellare superiore e le ossa palatine sono assai deteriorate: non si vede netta che la sutura mediana che dista 45 mm. dal premolare 2°. Le altre ossa della faccia e del cranio mancano. Le misure principali prese su questo fossile sono le seguenti : Dal margine alveolare del premolare 2”, all'estremità dell’apofisi montante del mascellare superiore . . mm. 113 Dal margine alveolare anteriore del premolare 2°, al margine alveolare posteriore dell’ incisivo esterno . » 61 Lunghezza (antero posteriore) del premolare 2° . . » 24 Distanza tra il colletto del prem 2° e il punto più vicino della superficie ant. dell’osso zigomatico . » 50 Il 2° fossile ha in sito discretamente conservati e assai robusti il canino e i due premolari; il cauino è rotto all’apice e in cor- rispondenza del colletto è stato restaurato : anche l’osso mandibolare è robusto e assai alto; il diastema presenta una superficie concava esternamente: e mentre in corrispondenza del diastema l’osso si fa più sporgente all'interno e anteriormente, al di dietro del diastema diventa concavo: l’altezza dell’osso non si può, in corrispondenza del diastema, misurare con precisione, poiché sul margine inferiore mancano alcuni strati d’osso. In avanti e in basso la branca man- dibolare presenta una discreta apofisi mentoniera. Diamo qui alcune misure prese su questo fossile : Altezza approssimativa in corrispondenza del diastema mm. 44 Spessore in corrispondenza del premolare 2n . . . » 25,5 Ampiezza del diastema » 34 Dalla corona del canino all’apofisi mentoniera (faccia esterna) » 73 Lunghezza del premolare 1° » 16 Larghezza massima del premolare 1° » 9 Lunghezza del premolare 2° . . ” 25,5 Larghezza massima del premolare 2° * 13 La branca mandibolare destra (3) ha tutti e due i premolari ed il ferino rotti a livello del colletto; misura sul margine in SOPRA DUE FELIS DI ROM AGNANO 167 lunghezza 73 mm., ed ha uno spessore massimo, in corrispondenza della radice posteriore del 2° premolare di 22 mm. Il frammento di canino superiore (4) ha la solita forma dei canini dei grossi Felis con le caratteristiche strie longitudinali: appartiene a un individuo discretamente robusto. Il frammento superiore di tibia sinistra indica un individuo assai robusto: è più grosso della parte corrispondente dell'osso omonimo del leone e della tigre. La testa di detto osso è assai ampia; il condilo esterno ha il margine della superficie articolare logorato, la faccia articolare peronea è poco evidente; l’eminenza intercondiloidea è bene marcata, come è molto sviluppata la cresta della tibia. La doccia poplitea, che si porta obliquamente all’in- terno, ove si fa anche più ampia, misura mm. 10 e anche in basso si restringe poco. Le misure principali, che si possono prendere su questo osso sono le seguenti: Fra i punti estremi dei condili mm. 59,5 Spessore dell'osso in corrispondenza della spina della tibia » 37 Ampiezza della faccia interna al di sotto subito della spina della tibia » 36 Ampiezza della faccia interna presa allo stesso livello » 40 Ampiezza della faccia posteriore » 24 Esistono pure nel Museo fiorentino, e per le loro dimensioni attribuisco al F. spelaea , sebbene con dubbio, una vertebra dorsale e una cervicale e due frammenti di costa. Tanto i primi due fossili che gli altri due sono deteriorati e non bene conservati mancando alle vertebre le apofisi trasverse e l’apofisi spinosa, alle coste i capi articolari: però non credo ne- cessario di descrivere questi fossili, specie dopo le diligenti pub- blicazioni del Bovd-Dawkins. Tanto il cranio che la mandibola e i denti di questo F. spe- laea di Romagnano ci indicano un felino grosso e robusto di di- mensioni che si potrebbero paragonare a quelle di un leone non troppo grosso : in confronto con individui della stessa specie è piuttosto piccolo però : sono molto più grossi gli individui descritti 3 68 E. FABRIM dal Boyd-Dawkins Q) e quelli della grotta delle Fate di cui parla l’Issel. Questa specie era nel postpliocene molto diffusa: per non par- lare che dell’Italia furono trovati, oltre che a Romagnano, resti di essa dal prof. Issel nella caverna delle Fate (2), dal Rivière nella grotta dell’ Albarea (3), in quella di Gerbai (4), nella caverna di Cucigliana (5) e nella caverna del monte delle Gioie presso Roma (6). Felis an ti qua Cuvier (tav. VII, fìg. 1). Riferiamo a questa specie una branca mandibolare destra pro- veniente da Romagnano; essa ha in sito il ferino e il premolare 2° Il ferino slanciato ha il colletto rotto, e però Don si può dire se era o no, provvisto di tallone : è un dente assai robusto : il pre- molare 2° è intatto: è robusto anche esso, tozzo, più massiccio posteriormente che davanti: ha tre tubercoli. Il premolare 1° è rotto e manca quasi tutto. Il diastema, abbastanza lungo, è in dire- zione obliqua rispetto all’asse della branca; anche il canino è rotto tra il terzo medio e il terzo inferiore, e nel piccolo tratto rimasto non si presenta striato : il margine inferiore mandibolare è convesso, il mento è sfuggente all’indietro: il foro mentoniero ampio. Questa mandibola trova riscontro con quella del F. pardus, però è più alta e più robusta alquanto, e i denti sono anche essi, in propor- zione, più grossi; per la direzione di questi denti notiamo che il premolare 2° è impiantato molto obliquamente dall'avanti all’in- dietro e dall'indietro all’esterno: il ferino invece è obliquo verso t1) Boyd-Dawkins, The British pleistocene Mammalia. Palaeontogra- phical Society, London, 1866. (2) Issel A., Liguria geologica e preistorica. Voi. II. Genova, 1892, pag. 268-295-305. (3) Issel, loc. cit. (4) Issel A., Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria. Atti della R. Accademia dei Lincei, 1877-78. (5) Acconci L., Di una caverna fossilifera scoperta a Cucigliana ( Monti Pisani). Pisa 1880. (6) Clerici E., Sopra alcune specie di Felini della caverna al Monte delle Gioie presso Roma. Boll, del R. Comitato geolog. d’Italia, serie II, voi. IX, n. 5-6, pag. 149-167. oli. della Soc . Geo! Italiana. Voi. XIV Tciv.vii c,hot. Calzolari e Ferrari o -Mi lainc SOPRA DUE FELIS DI ROMAGNANO 169 l’interno e sulla faccia interna è assai concavo. Posteriormente al ferino la branca mandibolare è rotta. Il Felis antiqua Cuv. è stato anche esso trovato nei terreni postpliocenici da Acconci nella Caverna di Cucigliana (op. cit.) nei Monti pisani, e dall’Issel nella Grotta delle Fate (op. cit.). Sembra una specie meno diffusa nel postpliocene del F. spelaea ; ma è più vecchia. Certamente non è ancora anatomicamente ben definita: a me sembra che abbia stretti rapporti, oltre che col F. pardus, anche col F. pardinensis. Ma su questa questione spero di potere fra breve tornare sopra. [15 dicembre 1895]. SULLA PROBABILE ESISTENZA DI UN ANTICO CIRCO GLACIALE NEL GRUPPO DEL MONTE VULTURINO IN BASILICATA Nota del dott. Giuseppe De Lorenzo Dopo che ho fatto nota T esistenza di tipiche morene di fondo pleistoceniche nel gruppo del monte Sirino, a 40° 7' di Latitudine Nord, si è resa probabile la scoperta di segni di un’antica gla- ciazione negli alti nodi montuosi dell’ Appennino che si trovano sotto paralleli più elevati. Morene di fondo potrebbero trovarsi agli sbocchi dei valloni più profondi del gruppo del monte Vul- turino, situato fra 40° 23' e 40° 28' di Latitudine Nord, perchè esso è interamente costituito, come hanno già fatto notare Bal- dacci e Viola nel loro lavoro Sull' estensione del Trias in Basi- licata e sulla tettonica generale dell’ Appennino meridionale (Boll. Com. Geol., 1895), da calcari a noduli di selce e da scisti silicei del Trias medio, identici a quelli di Lagonegro, i quali rendono possibile la produzione dei ciottoli lisciati e striati carat- teristici delle morene di fondo. Inoltre il gruppo del Vulturino, per l’alte cime da cui è composto e che arrivano fino a 1836 metri d’altezza sul mare, per le sue profonde valli longitudinali e per l’abbondante precipitazione atmosferica che riceve dai venti del 2° quadrante, provenienti dal Jonio (al gruppo del Sirino portano 170 G. DE LORENZO maggior quantità di acqua i venti del 3° quadrante, tirrenici), si presta all’ipotesi di una glaciazione pleistocenica, di cui io non ho potuto vedere segni sicuri perchè non ho percorso la parte set- tentrionale nè i valloni più profondi del gruppo. Ho invece notato, e credo che sia in relazione con lo svi- luppo di antichi ghiacciai, un piccolo bacino ellittico, detto il Fug- gione, situato alle falde S.E. del monte Tumolo, lungo 500 e largo 150 m., circondato a nord-ovest, nord e nord-est da un an- fiteatro montuoso, che nel punto più elevato, a est, raggiunge 230 metri d’altezza sul fondo del bacino, mentre si abbassa gradata- mente verso sud, in modo che l'orlo meridionale è alto poco più di 10 metri sul fondo di quella depressione. Riesce un poco difficile imaginare la genesi di un simile ba- cino, situato a circa 1100 metri sul mare. Esso non è certo stato prodotto da ineguaglianza di deposizione di detrito montuoso nè da uno sbarramento dovuto a frane o coni di dejezione, perchè le sue sponde sono interamente formate dai compattissimi calcari a noduli di selce del Trias medio. Si può del pari escludere che esso abbia una origine eolica, come i bacini osservati in Mongolia da Pumpelly. perchè il clima, la vegetazione e la natura della roccia non danno luogo nel nostro caso a una crosta di decom- posizione molto potente, nè del resto nei monti vicini si osservano depressioni che possano riferirsi a una 'simile causa. Non si può ammettere che si abbia qui l'effetto d’erosione d’acqua corrente, perchè questa può produrre un bacino chiuso solo nel caso di li- bera caduta, e anche perchè mancano corsi d’acqua nelle alture circostanti e i torrentelli, discendenti lungo i fianchi interni del- l’anfiteatro montuoso durante le forti piogge, anzi che scavare ten- dono a colmare il bacino con i loro coni di deiezione. Deve si- milmente rigettarsi l’ipotesi che il Fuggione sia un bacino tectonico, perchè in quel punto gli strati calcarei non formano delle pieghe longitudinali o trasversali, non sono attraversati da fratture nè spostati da faglie, ma, seguendo la curvatura dell’ellissoide del monte Tumolo e del monte S. Nicola, inclinano leggermente e re- golarmente verso Est. Potrebbe sospettarsi che esso sia un bacino di slavamente (Auslaugungsbecken di Richthofen) o una dolina simile a quelle tipiche del Carso. Infatti nelle montagne dell’Italia meridionale SULLA PROBABILE ESISTENZA DI UN ANTICO CIRCO GLACIALE ECO. 171 costituite da calcari liasici e cretacei le doline e le depressioni dolinefoimi sono frequenti : io ne ho fatto conoscere nei dintorni di Lagonegro e recentemente Cortese nella sua Descrizione geo- logica della Calabria ha notato quelle del Cozzo Pellegrino e della Mula nella Calabria settentrionale. Ma nel caso del Fug- gione l’ipotesi di una dolina, che pare la più giusta a prima vista, comincia a sembrare non tanto sicura dopo un esame più accurato: i calcari del Trias medio della Basilicata, contenendo molta silice, sia allo stato diffuso che concentrata in noduli, liste e letti, ed essendo alternati da numerosi strati di scisti marnosi, argillosi e silicei, non sono dolinogeni, non si prestano cioè allo slavamento di grandi massi calcaree per mezzo d’acque sotterra- nee, neanche quando queste seguono, come Reyer suppone, le su- perficie di fratture e di faglie. Infatti nei monti costituiti da tali calcari siliciferi non mi è finora avvenuto di trovare delle depres- sioni dolineformi. Non resta che pensare a un antico circo prodotto da exara- zione glaciale. Se, dopo aver allontanata l’alluvione che riempie il fondo regolarmente concavo del bacino, si fa di questo una sezione e si suppone che nel Pleistocene una calotta di ghiaccio scendesse dall’anfiteatro montuoso verso mezzogiorno, si ottiene la seguente figura, in cui la linea continua aa rappresenta il profilo attuale del bacino e dei monti circostanti, la linea bb indica la superficie ipotetica del ghiaccio pleistocenico e la linea punteg- giata ricorda il profilo del monte prima della glaciazione. Stando le cose come qui si suppongono, l'azione erosiva del ghiaccio avrebbe prodotto in corrispondenza del Fuggione un bacino iden- tico a quello che attualmente si osserva. Considerando infatti che l’energia cinetica della calotta gla- ciale era proporzionale alla sua massa e al quadrato della sua 172 G. DE LORENZO, SULLA. PROBABILE ESISTENZA ECC. velocità, e tenendo conto della velocità in rapporto al tempo e allo spazio, espressa da risulta che la capacità massima a produrre un lavoro e quindi la massima capacità erosiva del ghiaccio corrispondeva teoricamente al punto della sua massima pressione, e praticamente un poco più avanti di questo punto, vale a dire al centro del bacino del Fug- gione. È noto che tale è la spiegazione adottata da Richthofen in Fuhrer fur Forschungsreisende e da Penck in Morphologie der Erdoberflàche per l’origine dei Kare o circhi glaciali. Se dunque il Fuggione rappresenta un antico circo glaciale dovuto all’exarazione dei ghiacci pleistocenici del Yulturino, esso subito dopo la fine dell’epoca glaciale doveva presentare un fondo regolarmente concavo e delle sponde lisciate e arrotondate: la de- nudazione posteriore ha eroso le sponde e con i suoi prodotti ha appianato il fondo del bacino, che tende ora a colmare compieta- mente con i piccoli coni di dejezione torrentizia. A considerare il bacino del Fuggione come un antico circo glaciale si oppone la sua poca altitudine, 1100 m. sul mare, e la sua esposizione a Sud. lo ho ammesso che nel gruppo del Sirino il limite massimo delle nevi persistenti pleistoceniche non supe- rasse i 1800 metri, ma non può escludersi che esso scendesse molto più basso, e in tal caso nel Yulturino avrebbe potuto arri- vare anche a 1100 metri: l’effetto dell’esposizione meridionale sa- rebbe annullata dal fatto, già notato, che la maggior quantità di acqua è portata al Vulturino dai venti del 2° quadrante. Non mi nascondo però le difficoltà che si oppongono a cercare l’origine del bacino del Fuggione nell’exarazione glaciale e mi contento di in- dicare per ora una tale spiegazione, aspettando che ulteriori osser- vazioni vengano a confermarla o a darne un’altra migliore. [11 dicembre 1894] IL LANGHIANO DELLA PROVINCIA DI FIRENZE Nota preliminare del prof. G. Trabucco In una precedente nota (') scrivevo : « Fossili caratteristici del Langhiano (appartenenti ai ge- « neri Balantium , Vaginella, Lucina , Solenomya, Ostraea , Glo- <* big er ina, Palaeodictyon , ecc.) ho anche raccolto in molti luoghi « nelle assise marno-calcaree-arenacee della vasta zona della Pro- « vincia di Firenze, nota sotto il nome di Romagna Toscana, che « non lasciano dubbio sull’età delle medesime e di cui mi occu- « però appena avrò potuto completare le mie ricerche » . Durante le vacanze autunnali ho percorso la tipica regione, raccogliendo fossili peculiari in numerose località ed ora posso presentare alla Società le preliminari conclusioni del mio studio. Intanto sento il dovere di ringraziare pubblicamente i chia- rissimi sigg. ingegnere Andrò Sindaco di Rocca S. Casciano ed oO O o Alessandro Tassinari presidente di quel Comizio Agrario per le gentilezze ed utili indicazioni di cui mi furono larghi. La vasta zona della Prov. di Firenze, che comprende parte dei territori di S. Piero a Sieve, Vicchio, Ronta, Dicomano, S. Gau- denzio fino alle falde della Falterona e quasi intieramente la Tosco- Romagna, è costituita dall’alto al basso: a) Potenti assise di marn-e scistose grigio-bluastre a globuli (che non si possono in alcun modo confondere coi galestri ), passanti talora ad un calcare marnoso compatto bianchiccio ed alternanti con b) Strati più o meno potenti di arenarie tenere, giallognole, scistose (mollasse), che divengono spesso grigie, durissime e fetide (vero macigno). 0) Trabucco G.. Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano nella serie miocenica. Estr. dai Proc. Verb. della soc. Toscana di Se. Natur., Adunanza 13 gennaio 1895. 174 G. TRABUCCO Sopra questa alternanza di strati di marne e di arenarie si adagiano, in concordanza, lembi più o meno estesi (specialmente nei territori dei comuni di Marradi, Palazzolo e Firenzuola) di marne indurite scagliose ( fissili ), che contengono fossili pecu- liari, spesso schiacciati o ridotti a sole impronte. Verosimilmente questi lembi di marne indurite scagliose sono il residuo di assise che ricoprivano una volta uniformemente, come in altri luoghi» gli strati marno-calcarei-arenacei sottostanti. L’uniformità della natura delle rocce e della loro disposizione in tutta la regione è davvero stupefacente ; nè deve fare meraviglia quando si rifletta che esse rappresentano un deposito di mare pro- fondo. Nelle marne ed arenarie, regolarmente stratificate, formanti successivi anticlinali e sinclinali scoscesi e dirupati, dirette N. 0. e che pendono di circa 25°, furono da tempo raccolti fossili pecu- liari, che fanno parte dei Musei di Firenze e Pisa e della col- lezione Strozzi. Erano specialmente note le località fossilifere di Filetto sopra Majoli (Vicchio), C. Casellino e Ricolli (S. Gaudenzio), Madonna dei tre Fiumi (Ronta), Paretaio della Collina (Palazzolo), Rovereti di Val di Pondo presso S. Sofia e Mortano per i numerosi esem- plari di Lucina , Tapes, Teredo , accumulazioni di Globigerine , Cuvierie , ecc. che si raccolgono tanto nelle mollasse tenere, are- nacee, quanto nel macigno duro e fetido, oltre a pochi pteropodi e piccole ostriche (!) delle marne ; note anche per le discussioni (2) (1) Canavari M., Rei. annuale al R. Com. Geol. sul lavoro della carta geol. (1883-84). Boll. Com. Geol. d’Italia 1884, p. 11. (2) Bianconi G. G., Consideraz. intorno alla formaz. miocenica dell'Apen- nino. Mem. Acc. Scienze di Bologna, Ser. 3, voi. Vili ; Michelotti G., Mio- cène infér. de l' Italie Septentr., 1861, p. 158; Pareto L., Bull. d. la soc. Géol. de France, 2me Se'r., Voi. XIX, 1862, p. 241 e Voi. XXII, 1865, p. 232; Savi, Descriz. geol. della Prov. di Pisa. Pisa. 1872; Manzoni A., Della posiz. del calcare a Lucina pomum, Boll. Com. Geol. d’Italia, n. 5 6. 1876. Della miocenità del macigno e dell'unità dei terreni miocenici del Bolognese, Boll. Com. Geol. d’Italia, voi. XII, 1881, p. 48; Scarabelli G., Geol. della Prov. di Forlì, Forlì, 1880, p. 49; De Stefani C .,11 macigno di Porretta ed i ter- reni corrispondenti, Atti della Soc. Tose, di Se. Natur., Proc. verb. Adunanza 13 marzo 1881, p. 206. I foss. di Dicomano in Toscana e della Porretta nel Bolognese, Atti della Soc. Toscana di Se. Natur. Proc. verb. Adun. 14 novem- IL LANGHIANO DELLA PROVINCIA DI FIRENZE 175 di molti valenti studiosi sull’ età di questi terreni a Lucina Dico- mani Menegh., dei corrispondenti della Porretta, di M. Cavallo, ecc. del Bolognese e delle citazioni della Lucina Dicomani Menegh. in altri terreni della penisola. Durante le varie escursioni ebbi la fortuna di raccogliere nel- l'alternanza degli strati marno-calcarei-arenacei , non solo delle loca- lità note e citate, ma ancora di molte altre nel territorio di quasi tutti i comuni della regione in esame, numerosi esemplari dei se- guenti fossili, oltre a resti di piante e lignite : Vaginella sp. Lucina pornum Desm. » Dicomani Mengh. « globulosa Desb. Tapes depressa Mengh. Ostraea langhiana Trab. (Fig. 5). »» SP. Globigerina sp. Palaeodictyon rubiconis Scarab. (Fig. 6 a , b ). Il P. rubiconis Scarab. = P. giganteum Peruz. è, molto probabilmente, identico al P. tectiforme Sacc., comunissimo nel tipico langhiano dell’alto Monferrato. bre 1880, p. 115. L' Appennino fra il Colle di Altare e la Polcevera. Estr. dal Boll, della Soc. Geol. Italiana, Voi. VI, fase. 8, p. 25 ; Cafici I., Sulla deterrà, del calcare a selce piromaca, ecc. Boll. Com. Geol. d’Italia, n. 11-12, 1880. Formaz. miocenica di Licopodio Eubea. Boll. Com. Geol. d’Italia 1882 ; De Bosniaski S., La formaz. gessoso solffera ed il secondo piano Mediterr. in Radia, Atti della Soc. Tose, di Scienze Natur., Proc. verb. Adun. 14 novem- bre 1880; Capellini G., / calcari a bivalvi di M. Cavallo ecc., Boll. Com. Geol. d’Italia, voi. XI, 1881 ; Il macigno di Porretta e le rocce a globigerine dell'App. Bolognese. Mem. R. Acc. Se. di Bologna, Ser. IV, T. II, 1881; Gioii G., La Lucina pornum Duj. Atti della Soc. tose, di Se. Natur., Mem. voi. Vili, fase. 2, p. 301; Ristori G., Il bacino plioc. del Mugello. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Vili, 1889, p. 461 ; Simonelli V., Sopra la fauna del così detto Schlier nel Bolognese e nell'Anconitano. Pisa, 1891 ; Trabucco G., Sulla vera posiz. del calcare di Acqui. Firenze, 1891. Se si debba sostituire il nome di Bur- digaliano a quello di Langhiano nella serie miocenica. Estr. dai Proc. verb. della Soc. Tose, di Scienz. Natur., Adun. del 13 gennaio 1895, p. 5. 13 176 G. TRABUCCO Fig. J. Attoria Aturi Bast. Fig. 2. Balantium pedemon- tanum May. Fig. 4. Solenomya Doderleini May. Fig. 6 a. P. rubiconis Scarab. F[g. 5. Fig. 3. Ostraea langhiana (valva Vaginella Calandrelli superiore) Trab. Michtti. Fig. 6 l. P- rubiconis Scarab. IL I.ANGHIANO DELLA PROVINCIA DI FIRENZE 177 Inoltre raccolsi, in parecchie località, nei lembi superiori delle marne indurite scagliose i seguenti importanti fossili : Aturia Aturi Basi (Fig. 1) Balantium pedemontanum May. (Fig. 2) » sp. Vaginella Calandreili Michtti (Fig. 3) » sp. Solenomya Doderleini May. (Fig. 4) Ostraea langhiana Trab. (!) Globigerina sp. Evidentemente quindi le assise marno-calcaree-arenacee della regione in esame della provincia di Firenze ad A. Aturi Basi, B. pedemontanum May., V. Calandreili Michtti, S. Doderleini May., L. pomurn Desm., L. Dicomani Mengh., L. globulosa Desh., T. depressa Mengh., 0. langhiana Trab., P. rubiconis Scarab., Glo- bigerina sp. devono essere ascritte al miocene medio, piano lan- ghiano , ed essere assimilate a quelle coeve delle tipiche colline delle Langhe, della collina di Torino, di Yal Scrivia, Val Staffora, dell'Emilia, ecc. Così i lembi di marne indurite scagliose (fìssili) ad Aturia , Balantium , Vaginella , Solenomya , Ostraea corrispondono alle as- sise superiori del tipico lancghiano , mentre gli strati marno-cal- carei-arenacei a Vaginella, Lucina, Tapes, Ostraea , Globigerina, ecc. ne rappresentano la zona media (-). Aggiungerò ancora che natura e disposizione delle rocce, pae- saggio (valloni stretti e profondi con pareti ripide e franose), an- che il terreno agrario somigliano talmente a quelli delle tipiche Langhe, che si ha quasi l'illusione di trovarsi in quelle vere e proprie colline dell'Alto Monferrato f1) Richiamo l’attenzione degli studiosi sull’importanza stratigrafica dei- fi 0. langhiana, assolutamente caratteristica del piano langhiano, dove abbonda ed esclusivamente si raccoglie tanto nelle assise superiori, quanto nelle medie. (2) Trabucco 6., Sulla vera posiz. del calcale di Acqui, Firenze, 1891, p. 9 e 27. Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Lan- ghiano nella serie miocenica. Proc. Verb. della soc. Toscana di se. Natur., Adun. 18 novembre 1895, p. 4. 178 G. TRABUCCO, IL LANGHIANO DELLA PROVINCIA DI FIRENZE All'estremità della Provincia, tra Modigliana e Brisighella (Parrocchia di Tussino), Pieve Salutare (Dovadola), Castrocaro e Terra del Sole, sulle assise langhiane poggiano in discordanza i terreni messiniani (gessoso-solfiferi) e 'pliocenici inferiori (argille e breccie conchigliari) illustrati da Scarabelli (*) Manzoni (2) e Foresti. Prima di finire sento il dovere di ringraziare pubblicamente i due eminenti specialisti di stratigrafia terziaria Tb. Fuchs ed M. E. Fallot; il primo, tanto benemerito della geologia terziaria italiana, per avere confermato (3) colla sua autorità le mie con- clusioni sulla esatta corrispondenza del langhiano tipico al primo piano Mediterraneo ; il secondo per avere, in omaggio alla scienza ed alla giustizia, conservato il termine di langhiano nel suo re- cente ed importante studio sui dintorni di Bordeaux (4). [24 gennaio 1896] (fi Scarabelli L., Geologia della Prov. di Forlì. Forlì 1880. (2) Manzoni A. e Foresti L., Cenni geol. e paleont. sul plioc. antico di Castrocaro. Bologna, 1876; Manzoni A., Briozoi del plioc. antico di Castro- caro. Bologna, 1875. (3) Fuchs Th., Notizen, Ann. des K. K. Naturhistorichen Hofmuseums Bd. X, Heft 2, 1894, p. 62- (4) Fallot M. E., Notice relative à une carte Géol. des environs de Bor- deaux, Bordeaux 1895, p. 30. SOPRA ALCUNE ROCCIE E MINERALI RACCOLTI NEL VITERBESE. Nota del socio Romolo Meli. Una delle regioni dell’Italia centrale, che, non ostante pa- recchie importanti pubblicazioni comparse in questi ultimi anni, ha ancora bisogno di essere percorsa da geologi e naturalisti per essere scientificamente illustrata, come si merita, è il Viterbese (1). Della geologia e paleontologia del territorio di Viterbo par- larono, con maggiore o minore brevità, negli scorsi secoli, princi- palmente i seguenti scrittori, limitandomi a citare solamente quelli, che fecero lavori originali e più importanti : Ciampini in Langenmantel (1688), Maire e Boscovich (1755), Lapi (1760, 1781), De la Condamine (1762), Desmarest (1773, 1774), D’Aubreuil et Guenée in Guettard (1774), Ferber (1773), De Saussure (1776), Dolomieu (1788) e Morozzo (1791). Nel secolo attuale ne scrissero ancora: Pini (1802), Broc- chi (1814, 1816, 1817, 1820), Pianciani (1817, 1821), Breislak (1818), Dureau de la Malie in Breislak (1818), Semeria (1819), Procaccini-Ricci (1820, 1821), Calindri (1829), Pareto (1842, 1844), Pilla (1845), Ceselli (1846, 1848), Ponzi (1846, 1849, 1850, 1851, 1873, 1877, 1881), Eichwald (1851), Morichini (1852), Gaudin e Strozzi (1857, 1859), Savi (1863), Stoppani (1871, 1875, 1876), Poulett Scrope (1872), Rùtimever (1876), Struver (1876, 1885), vom Rath (1866, 1878), Barbieri (1877), Verri (1878, 1880, 1883, 1885, 1886, 1883, 1890, 1892), Mercalli (1883, 1889), Ricciardi (1885, 1888), Meli (1886, 1893, 1894, 1895), Bucca (1888, 1892), i1) Svolsi questa mia opinione, anche nelle poche parole di prefazione, messe innanzi all’elenco dei lavori stampati sulla geologia del Viterbese, che pubblicai nella Bibliografia della città di Viterbo. Roma, Tip. R. Accademia dei Lincei, 1894-95, in 16°. (Ved. pag. 95-98). 180 R. MELI R. Ufficio geologico (1888), Artini (1889), Deecke (1889), Mau- gini (1890), De Stefani C. (1891), Mariani (1891), Salmojraghi (1992), Clerici (1895). Ma, non ostante le pubblicazioni di tutti questi autori e gli scritti minori di altri, omessi per brevità, ma che possono vedersi riportati nella mia Bibliografìa della città di Viterbo (Parte IIa. Geologia) si è ancora ben lontani dall’avere studiato scientifica- mente l’intiero territorio Viterbese, sia dal lato geologico e pa- leontologico, che da quello petrogratìco, mineralogico, malacologico ed in generale dal lato della storia naturale. Difatti, in una escursione, che eseguii durante le ferie pa- squali dal giorno 8 al 12 aprile del corrente anno, insieme agli allievi ingegneri della R. Scuola di Applicazione di Roma, col- l’itinerario « Ronciglione; Lago Cimino, o di Vico; S. Rocco; Vi- terbo ; Bagnaia e dintorni di Viterbo ; Monte Piascone ; Lago di Boi- sena ; Monte-Rado ; Orvieto * ed in altre escursioni, fatte da me in seguito nel maggio decorso, al Monte di Soriano, o Cimino, e regione circostante, a Grotte S. Stefano e Montefìascone, raccolsi e mi procurai campioni di roccie eruttive assai interessanti e bellissimi cristalli di minerali, che mi erano sconosciuti per quelle località, quantunque negli anni precedenti avessi pure percorso, per mio conto e in varie direzioni, il gruppo Cimino e Vulsinio. Dò comunicazione pertanto dei più interessanti minerali, da me raccolti, o procuratimi, nelle ultime gite dell’anno corrente. Splendidi e grandi cristalli di Sanidino, completi, terminati alle due estremità, ebbi distaccati dalla trachite, a macrostruttura grossolanamente porfìroide, del Monte Cimino. I cristalli sono d’ordinario con facies prismatica, geminati a penetrazione, secondo la legge di Carlsbad. Ho esemplari geminati tanto destri, che sinistri. Abitualmente presentano le combinazioni cristalline jOlOf do- minante, jllOj , |001( , J20L . Talvolta hanno un altro prisma (Clinoprisma) )130j, ed in casi più rari, oltre le forme indicate, presentano le 4 faccie di un prisma obliquo parallelo all’asse XX' (Clinodoma) }021{ , non che il prisma obliquo Jlllf . Alcuni dei geminati misurano anche mm. 54 di lunghezza nella direzione dell’asse ZZ' . Oltre ai geminati a penetrazione, si staccano dalla pasta, che li avvolge nella medesima roccia, anche SOPRA ALCUNE ROCCIE E MINERALI ECC. 181 cristalli semplici di Sanidino. Questi cristalli in individui unici presentano aspetto, a prima vista, di un prisma a base quadrata. Un tale abito prismatico è loro dato dalla combinazione dei due pi- nacoidi monoclini, verticali JlOOf jOlOj , che, come è noto, si in- contrano in 4 spigoli verticali, cioè paralleli all’ asse ZZ', e si tagliano fra loro ad angolo retto. Anche tali cristalli sono completi e terminati alle due estre- mità. Però, sono meno frequenti dei cristalli geminati e in generale di minori dimensioni. I cristalli di Sanidino della trachite del Monte Cimino sono bianchicci o bianco-lattiginosi, leggermente grigiastri, pellucidi in massa (Q. C) Breislak fa parola del feldspato, di color grigio, ovvero lattiginoso, con piccole lamelle di mica nera, talora a riflessi metallici, che si rinviene nella roccia eruttiva dei Monti Cimini, nelle sue “ lnstitutions géologiques traduites du manuscrit italien en frangais par P. J. L. Campmas, (Yed. voi. Ili, 1818, pag. 148, § 656). Ma più diffusamente ne parlano Brocchi G. B nel suo Catalogo ragionato di una collezione di roccie. Milano, 1817. (Yed. il capitolo, col titolo Monti Cimini all' E. di Viterbo. Lave necroliti a grandi feltspati, alla pag. 156 e seguenti), e Procaccini-Ricci Y., nella Descrizione metodica di alquanti prodotti dei vulcani spenti nello Stato romano ecc. Firenze, 1820. (Yed. specialmente pag. 68, n. 151-161). Ne parla anche Pian- ciani nella sua IY lettera stampata nell’opera di Procaccini-Ricci V., Viaggi ai vulcani spenti d'Italia nello Stato Romano verso il Mediterraneo — Viaggio secondo, Tomo II, 1821. (Yed. pag. 38-44). Egli scrive: « Da questi pezzi « (interclusi erratici) si trae talvolta qualche cristallo di feld-spato che pre- ti senta forme assai complicate. Al contrario i feld-spati frequenti nelle roccie « chiamate peperino e lava, offrono ordinariamente figure semplici, cioè prismi « con sommità cuneiforme o la varietà unitaria di Haùy. Questi feld-spati, come « ha notato il Brocchi, sono striati e decomponendosi presentano un aspetto « fibroso » (Yed. op. cit. pag. 41). I cristalli di feld-spato vitreo (Sanidino) sono anche segnati dal Procaccini-Ricci nella sopra citata opera: Descrizione dei prodotti vulcanici raccolti alla montagna di Viterbo (Ved. Viaggi ai vulc. ecc. Viaggio Secondo. Tomo II, pag. 37, e 186-190, specialmente ai nu- meri 24, 25, 26, 32, 34 e 38). Verri in parecchie sue memorie e principal- mente in quella: Sui vulcani Cimini, fa più volte menzione delle trachiti viterbesi con grossi cristalli di Sanidino (Ved. mem. cit., 1880, in specie alle pag. 14-16). — Il Verri ritiene che la trachite a grossi cristalli di Sanidino, che costituisce la massa principale del Monte Cimino, sia posteriore all’ande- site biotitica (peperino). Jervis cita pure la trachite di Bagnaia, a grossi cristalli di Sanidino nella sua opera: 1 tesori sotterranei dell'Italia, Parte IVa, Geologia economica dell'Italia, 1889, pag. 348, n. 1224. 182 E. MELI Altri consimili geminati ebbi anche dalle roccie trackitiche del Monte S. Valentino, e del Quartuccio, a Petrignano, presso la via rotabile (Amelia). Nei dintorni di Montefiascone, alla Madonna del Riposo, nel gruppo Vulsinio, raccolsi grossi e belli cristalli di Augite; cristalli isolati di questo minerale troyansi pure nell’isoletta Martana, nel lago di Bolsena. Misurano talvolta mm. 50 in lunghezza, secondo 1’ asse del prisma verticale monoclino, il quale asse coincide con quello cristallografico ZZ'. Presentano d’ordinario le solite combina- zioni cristalline, frequenti nell’augite, che si rinviene nelle deie- zioni vulcaniche del gruppo Sabatino (’) e Laziale. I predetti cri- stalli sono spesso terminati, ovvero impiantati in geodi nelle cavità degli aggregati minerali augitici. Numerosi campioni di roccie eruttive a grossi cristalli di Sanidino (Trachiti) e con Plagioclasio (Andesiti), trovai interclusi nella trachite tra il Monte S. Valentino presso Bagnaia ed il Monte Sorianese. Un frammento di nodulo di Quarzo, del diametro maggiore di centimetri 8 nella lunghezza, e di cm. 5 e 4 nello spessore e nella larghezza, fu cavato dalla trachite di Monte Alto presso Vi- torchiano, nella quale trovavasi intercluso. L’esemplare è conservato nella collezione del Gabinetto di Geologia applicata della R. Scuola degli Ingegneri di Roma (2). Da S. Martino al Monte Cimino ebbi campioni di una leu- cotefrite, a macrostruttura porfìroide, analoga a quella di Borghetto ; (L) Cristalli isolati e terminati di augite, molto nitidi, ma più piccoli di quelli sopraccennati, ho raccolto presso Canale-Monterano, sulla mulattiera, che, distaccandosi dalla strada provinciale Rota-Manziana, va alle antiche cave di solfo, oggi del tutto abbandonate. (2) Brocchi, parimenti nella trachite a grossi cristalli di Sanidino, delle falde del Monte S. Angelo, rinvenne dei pezzi di quarzo e li segna nel suo Catalogo ragionato (op. citata) alla pag. 159, n. 8. Ma, i frammenti di quarzo furono dal Brocchi staccati, come egli stesso dichiara, da un filoncello ; mentre il campione di quarzo, che io ho sopra menzionato, era intercluso nella tra- chite e per ogni parte circondato da questa roccia. Pianciani nella citata lettera, stampata dal Procaccini-Ricci, parla di pezzi di quarzo rinvenuti nel peperino viterbese e nelle rocce di Vitorchiano, Bagnaia e dell’ Orvietano. Menziona anche cristalli quarzosi in un pezzo erra- tico di lava ferruginosa (trachite) del Viterbese. (Ved. Viaggi, op. cit. Viaggio Secondo, Tomo II, pag. 42). SOPRA ALCUNE ROCCIE E MINERALI ECO. 183 ma i cristalli di leucite sono caolinizzati (*). Campioni di leucote- frite, però con cristalli di leucite di diametro minore di quelli della leucotefrite di Civitacastellana e d' aspetto vitreo, furono staccati sulla via di S. Martino al Cimino. Campioni di una leucotefrite, a grosse leuciti, per aspetto macroscopico analoga a quella della corrente Civitacastellana-Bor- ghetto, staccai in posto sulla via Cassia, oltrepassata la colonnetta migliaria XLYII, verso Viterbo. Ne ebbi pure campioni provenienti dalla Madonna del Lauro, presso Vetralla. Ma, pezzi erratici di leuco- tefrite a grossi cristalli leucitici, di facies simile a quella di Bor- ghetto, trovai sparsi in tutta la regione Cimina, sia nei tufi, che nelle deiezioni sciolte e nelle ghiaie d'alluvione (Ronciglione, Capranica di Sutri, Caprarola, Vignanello, ecc.) Ciò dimostrerebbe che i tufi nei vulcani Cimini devono essere posteriori alle leucotefriti (2). Nei tufi della regione cimina si devono distinguere: tufi giallastri con con pomici bianche; tufi giallo-lionati con scorie nere e cristalli di sanidino (Capranica di Sutri, Bassano, Sutri, ecc.) ; e tufi grigio- bruni, più o meno coerenti, detti sul luogo p ozzolanelle. Questi ultimi stanno sotto al tufo giallo a scorie nere. Un tripoli bianco fu trovato al passo del Rigo presso Mago- gnano ed altro materiale tripolaceo con molluschi d’acqua dolce, raccolsi presso il Bulicame di Viterbo (3). I molluschi raccolti sono : Bithijnia Boissieri (Charp.), abbondantissima. « rubens (Menke), molto più rara della precedente. Limnaea ovata Drap. Planorbis umbilicatus (Miill.). (!) Cristalli icositetraedrici, terminati, di Leucite, caolinizzata furono estratti da massi erratici interclusi nelle pozzolane rosse dell’Elce presso S. Quirico. (2) Tale è anche l’opinione del Verri (Ved. Appunti per la geologia dell' Italia centrale — Bollett. d. Soc. Geol. Ital., voi. IV, 1885, pag. 182, nota a piedi pagina). (3) Sulla marna tripolacea del Bulicame vedasi la recente comunicazione dell’ing. E. Clerici, Sopra un giacimento di diatomee presso Viterbo, stam- pata nel Boll, della Soc. geol. ital. Voi. XIV, 1895, fase. 1, pag. 97-98. Ve- dasi pure: Meli R., Relazione sommaria delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi della R. Scuola d'Applic. per gli Ingegneri di Roma nell'anno scolastico 1894-95 al Monte Soratte e nel Viterbese. Roma, 1895, in 16° (Estr. dall' Annuario della R. Scuola predetta per l'anno 1895-96. Leggasi alla pag. 103). 184 R. MELI Sabbie quarzifere, bianche, buone per vetrerie (analoghe a quelle che trovansi ai piedi del Monte Soratte, sotto il “paese di S. Oreste, nel versante, che guarda la valle del Tevere, di fronte a Simigliano) trovai presso le rovine di Perento, sotto il tufo vul- canico, con una potenza di oltre 15 metri (1). Come quelle del Soratte, anche queste, contengono squamette di mica bianca-argentina (muscovite); non dovrebbero essere altro, che una modificazione delle sabbie gialle plioceniche. Altra sabbia silicea bianca deve pure trovarsi nei dintorni di Civitacastellana, giacché la vidi, nella fabbrica di stoviglie, che è fuori Civitaca- stellana nell’ex-convento dei Cappuccini, usata per le vernici. Ivi mi si disse che veniva cavata nella valle del Treia. Ocre gialle e rosse raccolsi in prossimità dell'antico edifizio del vetriolo presso Grotte S. Stefano. Argille bruno-nere (Bolo) trovansi in fìloncelli nelle fenditure della trachite di S. Martino al Cimino. Un calcare conchigliare, grossolano, d'aspetto analogo al Macco, che si trova ai Montarozzi presso Corneto-Tarquinia, ebbi dalla fabbrica di mattoni, che sta in prossimità di Viterbo. Contiene modelli di molluschi Pecten cfr. opercularis (Linn.), Cardita, ecc., tubi di Ditrupa coarctata (Brocc.), ecc. Ma, il calcare, essendo grossolano, bucherato, ed i fossili trovandovisi allo stato di modello, riesce difficile la determinazione esatta di essi. La posizione di questo calcare è importante, giacché è sotto- stante alle marne marine, generalmente ritenute plioceniche, usate per i laterizi, le quali, a loro volta, sono ricoperte dall’ andesite micacea, detta peperino dai viterbesi. Cristalli lenti colori e gruppi di tali cristalli di Selenite trovai nelle marne plioceniche di Bagnaia alla fornace di 0. Milioni (2). (fi Di queste sabbie si parla nella Rivista del servizio minerario nel 1890, Firenze, 1892, ved. pag. 695. Ne fa anche parola il Clerici nel suo lavoro « Per la storia del sistema vulcanico Vulsinio (Atti d. E. Accademia dei Lincei, 1895, serie quinta. Rendiconti. Classe di se. fis. mat. e nat. Seduta del 3 marzo 1895, Voi. IV, fase. 5°. I semestre. Ved. pag. 224). Sabbie silicee, usate in Roma come sabbie terebranti dagli scalpellini, sono quelle di Bra- vetta fuori Porta S. Pancrazio. Il Brocchi {Conchiol. foss. subapenn. 1814 voi. I, pag. 76) dicela sabbia di Bravetta « candida e interamente quarzosa» e afferma che si scavava ai suoi tempi per usarla nelle fabbriche di vetri. (2) Pianciani menziona i cristalli lenticolari di Selenite delle marne di SOPRA ALCUNE ROCCIE E MINERALI ECC. 185 Così pure ebbi buoni e nitidi cristalli di Calcite nelle fendi- ture del calcare argilloso, spettante alinocene superiore, al fosso della Yezza presso Magognano, e nell'alberese di Barbarano. Altri cristalli, scalenoedrici, di Calcite si rinvennero in geodi, nelle fenditure di un calcare grossolano, di facies eocenico (num- mulitico) a Monte Razzano. Nella predetta roccia nummulitica trovai pure scalenoedri di Calcite (forma metastatica di Hativ) geminati di contatto, con per piano di congiunzione. Ma i più belli per grandezza e nitidezza (prisma esagono regolare combinato con romboedri) si osservano nel calcare argilloso (albe- rese) di Vetralla nel circondario di Viterbo. Oltre allo Spinello nero (Pleonasto) raccolto dallo Spada-Medici nel Monte di Soriano, citato dal prof. Strùver ('), al granato giallo di Ronciglione ed all'Idrocrasio bruno-chiaro dei Monti Cimini, se- gnalati entrambi dallo Strùver (2), indico, come minerale nuovo per la regione Cimina, l'Haùvna in cristalli. Tutto ciò dà un'idea della ricchezza mineralogica della regione cimina e rivela chiaramente quale copioso materiale potrebbe riu- nirsi da chi, avendo agio di percorrere, passo a passo, quel terri- torio, raccogliesse campioni, sia di minerali, che di roccie, per for- marne una collezione locale. [28 dicembre 1895] (') Striiver, G. Studi sui minerali del Lazio, Parie Ia. Atti d. R. Accad. dei Lincei, serie IIa, tom. III. (1876). Ved. nota (l) in fondo alla pag. 15 del- l’estratto. Id., Die Mineralien Latiums. I Theil. Nel Zeitschrift fiìr Kristallogr. und Mineralogie del Groth, voi. I, 1877, nota alla pag. 234. Id., Contribuzioni alla Mineralogia dei Vulcani Sabatini. Parte Ia. Sui proietti minerali vul- canici trovati ad Est del Lago di Bracciano ( Atti d. R. Acc. dei Lincei, 1884-85, serie 4a, Mem. d. classe di se. fis., mat. e natur. pag. 4 estr). (2) Strùver G., Contrib. alla Miner. d. Vide. Sabatini (Mem. cit.) , 1885. Ved. pag. 4 estr., ove è citato il granato e l’idrocrasio di provenienza cimina. Bagnaia in una lettera diretta al Procaccini-Ricci e da lui stampata nei suoi Viaggi ai vulcani spenti. Viaggio Secondo. Firenze, 1821. in 8° (Tomo I, p. 165). Balle marne plioceniche delle ruine di Perento ebbi numerose valve di Ostrea cochlear Poli. La maggior parte degli esemplari si riferiscono alla var. alata Foresti (Foresti L, Dell' Ostrea cochlear (Poli) e di alcune sue varietà. Bologna 1880, in 4° con 2 tav. Estr. d. serie IV, tomo I delle Mem. dell' Accad. d. se. dell' Istituto di Bologna. Ved. tav. I e II, fig. 2 e 3). In minor numero convengono coll’altra var. navicularis Brocc. (Foresti, mem. cit., tav. I e II, fig. 4 e 5). Una valva si riferirebbe alla var. transversa Foresti (Foresti, Note sur deux nouvelles variélés de V Ostrea cochlear Poli, in 8°, Extr. d. Annales de la Société Roy. Malacolog. de Belgiqae, tome XVII, 1883. Ved. tav. Ili, fig. 6). L’APPENNINO SETTENTRIONALE Parte III. La Toscana. Studio geologico sommario del dott. Federico Sacco. Nel voi. X (1891) del Bollettino della nostra Società pub- blicai lo studio geologico della parte centrale, o meglio occiden- tale, dell’ Appennino settentrionale. Nel voi. XI (1892) pubblicavo la seconda parte di questo studio, riguardante l’Appennino dell'Emilia. In seguito avendo eseguito alcune revisioni nelle regioni antece- dentemente rilevate, ne pubblicavo i risultati, come Appendice, nel voi. XII (1893). Infine durante il luglio del 1894 e del 1895 estendevo gli studi geologici nell’ Appennino toscano e regioni fini- time; delle osservazioni fatte rendo conto col presente lavoro. Le attuali condizioni economiche della nostra Società ed i nuovi regolamenti che ne risultarono mi obbligano ad una rela- zione molto concisa ed affatto sommaria, nonché a tralasciare l’elenco bibliografico e le sezioni geologiche che sarebbero pur tanto oppor- tune. Perciò che riguarda i terreni precretacei mi limiterò a sem- plici cenni, rimandando agli studi precedenti del Meneghini, del Pan- tanelli, ecc. (per la Paleontologia), del Savi, del Lotti, del Zaccagna, del De Stefani, ecc. (per la Geologia), del D’Achiardi (specialmente la per Mineralogia), ecc. ; quanto ai terreni cretacei e terziari dovrò pure tralasciare le osservazioni e le descrizioni minute e particolari, mantenendomi sulle linee generali; infine riguardo alla Bibliografia indicherò soltanto, a luogo opportuno, i lavori più importanti, ri- mandando pel resto alla Bibliographie géol. et paléont. de l’ Italie pubblicata nel 1881 ; notevole pure è la Bibliografia pubblicata dal Reyer nel suo lavoro Aus Toscana , 1884. I lavori posteriori al 1881 si trovano specialmente nel Bollettino del R. Comitato geologico ita- liano, negli Atti della Società toscana di Scienze naturali e, in i.’appennino settentrionale 187 minor numero, negli Atti della R. Accademia dei Lincei. Notizie mineralogiche riassuntive si possono trovare nei Tesori sotterranei dell’ Italia del Jervis. Non posso chiudere questa breve prefazione senza mandare un reverente saluto alla memoria dei due grandi pionieri della Geo- logia e della Paleontologia toscana, Savi e Meneghini. Permo-carbonifero. La formazione permo-carbonifera, che costituisce la parte più antica della cosidetta catena metallifera , appare nel promontorio orientale del Golfo della Spezia, forma il nucleo delle Alpi Apuane, riappare di tratto ed amplissimamente a costituire i Monti Pisani, riaffiora per poco presso Jano, sviluppasi di nuovo notevolmente fra Siena e Grosseto, per sprofondarsi infine nel Tirreno a sud di Orbetello. La sua costituzione è nel complesso abbastanza uniforme ri- sultando dalla successione ed alternanza di schisti filladici (grigio- lucidi o violacei), quarzitici ed arenacei, nonché di strati puddin- goidi od anagenitici ( Verrucano (Savi 1832) dalla regione Ver- ruca nei Monti Pisani). Il massimo sviluppo osservasi nei Monti Pisani di cui il Savi rilevò, sin dal 1832, una carta geologica alla scala di 1:80,000. Più recentemente il De Stefani pubblicò un esteso studio sulla Geologia del Monte Pisano (1878, Mem. Com. geol. it., voi. Ili) attribuendo la formazione in esame al Trias. In seguito però il recente rinvenimento e lo studio fatto dal De Bosniaski (che fu il primo a scoprir traccie di filliti sin dal 1880), dal De Ste- fani e dal Canavari, di una ricca fiora inclusa negli schisti filla- dici di varie località del Monte Pisano (specialmente presso S. Lo- renzo), nonché speciali lenti antracitifere, traccie di Anthracosia e varie Ichniti, Insetti, eco., provarono l’età pretriassica di questi terreni, rimanendo tuttora aperta la questione se trattisi di Per- miano inferiore , come pensa il Bosniaski, o di Carbonifero su- periore, come opina il De Stefani. In ogni caso il nome di Permo-carbonifero corrisponde assai bene al fatto, qui, come al- trove, assai evidente, che in realtà il Carbonifero ed il Permiano rappresentano momenti successivi di una stessa fase, specialmente F. SACCO continentale direi, della storia geologica della terra, per cui le loro formazioni si succedono gradualmente e spesso si rassomigliano tanto che ne riesce difficile e talvolta arbitraria la distinzione. Quanto alla stratigrafia del Monte Pisano essa è più svariata di quanto sembri a primo tratto; infatti percorrendone il crinale vediamo che tra la fascia infraliasica di Monte S. Giuliano ed il Monte della Conserva gli strati, prevalentemente schistosi, sono per 10 più fortemente sollevati ed anche rovesciati, mentre più ad est mostrano ondulazioni svariate, come ad esempio assai bene si os- serva sul versante meridionale del Monte Cascetto-Monte Serra, ma per lo più con inclinazioni poco forti. Le diversità locali nelle inclinazioni farebbero supporre l’esistenza di anticlinali ripetute. Presso Jano affiora per breve tratto la gamba orientale di un anticlinale permo-carbonifera rappresentata da una serie poco potente di strati schistosi ed arenacei antracitiferi e da schisti psammitici cinabriferi inclinati specialmente verso l’ est-nord-est. Anche qui furono rinvenuti numerosi resti di una flora, studiata sin dal 1851 da Savi e da Meneghini, che l’attribuirono al Car- bonifero, ma che sembra già costituire passaggio al Permiano. D’altronde questi strati passano gradualmente in alto a strati quar- zitici ed anagenitici attribuibili al Vosgiano , ma che potrebbero però, almeno in parte, rappresentare ancora il Permiano. Yeggansi al riguardo gli studi del De Stefani ( Breve descrizione del Poggio di Jano , Proc. Verb. S. T. Se. N., 1879), e del Lotti {Alcune osser- vazioni sui dintorni di Jano presso Volterra , B. C. G. I., 1879.) Nella parte nord-ovest della Montagnola senese compaiono, specialmente al Monte Vasone, schisti quarzitici e micacei vari- colori grigio-biancastri, verdognoli o violacei e talora con arenarie che potrebbero riferirsi al Permiano, se pure non sono vosgiane. Trias. Vosgiano. La formazione costituita di schisti arenacei e sen- tici che sono attribuibili al Trias inferiore, passante al Permiano , appare per un tratto abbastanza esteso frammezzo alla zona di calcari secondari che fasciano ad ovest il Monte Pisano ; anzi presso 11 Convento Rupe (fianco orientale del Monte Maggiore) affiorano l' APPENNINO SETTENTRIONALE 189 anche schisti arenaceo-quarzosi imiti a puddinghe che ricordano il Verrucano del Permiano. La posizione speciale di questa zona schistoso-arenacea fece sì che essa venne generalmente inglobata nei terreni secondari, finché il Lotti con uno studio accurato ( Un problema stratigrafico nel Monte Pisano, B. C. G-. L, XIX, 1888.) riuscì a provare trattarsi di un affioramento triasico causato da forti pieghe e da una grandiosa faglia. Rimandando a detto lavoro per i dettagli noto solo come per l’affioramento della zonula anagenitica di Rupe il Lotti abbia cre- duto doversi adottare l'ipotesi di una stretta anticlinale permiana, per modo che la potente formazione schistoso-arenacea dei dintorni di C. Romagna ecc. rappresenterebbe una compressa sinclinale. Dubito in- vece trattisi solo di una stretta anticlinale un po’ coricata; gli strati anagenitici di Rupe rappresentano forse una di quelle lenti puddingoidi che talvolta trovansi anche fra gli schisti del Vosgiano , se pure non si volesse riferire il tutto al Permiano superiore. Presso Jano, sopra alla serie permo-carbonifera, si sviluppa una pila di schisti più o meno micacei, di arenarie rossigne, e di strati anagenitici e quarzitici che paiono rappresentare il Vosgiano ; ma anche qui rimane il dubbio che essi possano ancora, parzial- mente almeno, riferirsi al Permiano superiore ; questa formazione è inclinata dolcemente e prevalentemente ad est-nord-est, ma nella parte settentrionale gira alquanto in modo che sembra chiudere a semielisse b affioramento paleozoico di Jano; essa inferiormente passa per lo più gradualmente agli schisti permiani, ciò che aumenta la diffi- coltà della delimitazione. Veggansi in proposito: Alcune osserva- zioni sui dintorni di Jano presso Volterra , B. C. G. I.. 1879. del Lotti. In Val d’Elsa sul fianco occidentale del Monte Maggio affio- rano ampiamente speciali schisti lucidi, grigio-giallastri o vinati, attribuibili al Trias; al Monte Yasone sviluppansi potenti strati quarzitici e schisti seritici varicolori che sono da riferirsi al Vos- giano od al Permiano. Ma riguardo a questa zona, che fa parte della famosa Montagnola senese, consultinsi i numerosi lavori spe- cialmente del Pantanelli, del De Stefani ( La montagnola senese , B. C. G. I., 1879, 1880) e del Lotti ( Nuove osservazioni sulla geologia della Montagnola senese, B. C. G. I., XIX, 1888) 190 F. SACCO Keuperiano. — Nell' affioramento, piccolo ma tanto interessante di Jano, sopra agli schisti vosgiatii sviluppasi una caratteristica zona di calcare dolomitico, cavernoso, talora gessoso, già riferito all’Infralias, ma che sembra meglio attribuibile al Keuperiano’, esso è inclinato leggermente ad est circa, ed a sud tende a chiudere l’affioramento paleo-mesozoico di Jano. Zone calcaree alquanto simili appaiono nella fascia occiden- tale dei Monti Pisani ed alle falde occidentali del Monte Maggio (Montagnola senese), ma paiono già attribuibili all’Infralias. Giura-Lias. Le formazioni giuraliassiche appaiono qua e là nella regione in esame, ma siccome vennero già studiate e descritte, spesso mi- nutamente, dal Savi, dal De Stefani, dallo Zaccagna e dal Lotti, non ne feci uno studio particolare e quindi a questo riguardo ri- mando a detti lavori. D'altronde la serie giurese presenta una suc- cessione stratigrafica abbastanza costante che possiamo così rias- sumere : Giura (str. s.). Calcescbisti e schisti diasprigni con Àptici. Calcescbisti e calcari selciosi. Lias. Calceschisti a Posydonomia Bronni. Calcari selciosi con Harpoceras. Calcari rossigni con Arietites. Calcari biancastri. Infralias o Retico . Calcari ad Avicula contorta e Bactrilli ; calcari grigio-bruni cariati, cavernosi. La zona giurassica (str. s.) affiora solo nella fascia calcarea occidentale dei Monti Pisani ed è poco potente; lo stesso dicasi ad un dipresso per la zona liassica di tale regione. Invece le formazioni liassiche ed infraliassiche sono assai svi- luppate non solo nella bassa Valle del Sercbio e, le ultime, attorno al Monte Pisano, sia ad ovest sia a sud, ma affiorano anche presso i Bagni di Casciana, assai estesamente presso S. Giminiano, dove costituiscono l’elevato Poggio del Comune, ed infine al Monte Maggio che fa parte della Montagnola senese. Consultinsi a questo riguardo specialmente i lavori del De Ste- fani ( Geologia del Monte Pisano. Mem. R. C. G. I., Ili, 1878; l’aPPENNINO settentrionale 191 La Montagnola senese. Boll. R. C. G. I., 1879-80) e del Lotti, ( Serie stratigrafica dei Monti Pisani. S. T. Se. Nat., 1882; Un 'problema stratigrafico nel Monte Pisano. Boll. C. G. I., 1888 •, Un piccolo lembo di roccie antiche in mezzo al Plio- cene presso i Bagni di Casciana. Proc. Verb. S. T. Se. Nat., IV, 1884 ; Terreni secondari nei dintorni dei Bagni di Casciana. Proc. Verb. S. T. Se. Nat., V, 1886; Nuove osservazioni sulla geo- logia della Montagnola senese. B. C. G. I., 1888 ; Sui dintorni di S. Giminiano in Val d'Elsa. B. C. G. I. 1890). Dal lato paleon- logico è molto importante il recente lavoro del Fucini, Sulla Fauna dei calcari bianchi ceroidi del Monte Pisano. Atti S. T. Se. N., XIV, 1894. Ricordo infine come assai interessante l’ affioramento giuralias- sico dei Bagni di Montecatini-Monsummano che rappresenta la for- mazione più antica di qiW caratteristico sistema montuoso (Monte Albano) che chiude ad ovest il Bacino di Firenze. Consultinsi al riguardo i lavori del De Stefani (7 dintorni di Monsummano e di Montecatini in Val di Nievole. B. C. G. I., 1877), dello Zaccagna, (7 terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Montecatini. B. C. G. I. 1882), e del Meneghini ( Fossili di Monsummano e del Monte delle Panteraje presso Montecatini. Proc. verb. Soc. T. Se. nat. 1882). È notevole come i terreni paleozoici e mesozoici, sino al cre- taceo, presentino in generale anticlinali più dolci, più regolari e meno frequenti che i sovrastanti terreni cretacei ed eocenici ; ciò che è attribuibile in parte alla natura litologica, ed in parte alla relativa posizione di detti terreni. Infracretaceo. Questo terreno si collega strettamente alla serie giurese alla quale passa gradualmente e di cui costituisce la fascia esterna quindi per la sua descrizione rimando ai lavori sopracitati pel Giura. La formazione infracretacea, costituita essenzialmente dal Neo- comiano , è rappresentata da una potentissima pila di calcari gri- giastri, talora quasi biancastri, talvolta un po’ selciosi, general- mente ben stratificati. Il Neocomiano affiora largamente nella bassa Val Serchio a 14 192 K. SACCO guisa di ampia cupola o dolce aaticlinale, abbastanza regolare; ap- pare eziandio per qualche tratto nella parte esterna dei Monti Oltre Serchio e della fascia calcarea occidentale dei Monti Pisani. Nella parte alta dell’affioramento paleo-mesozoico di Jano, poco ad ovest di Montignoso, sopra i calcari triasici, osservansi strati cal- carei grigio biancastri, inclinati dolcemente ad est, che ricordano alquanto quelli neo comi ani , ma non vi rinvenni fossili per stabi- lirne l’età. Cretaceo. Uno degli scopi precipui che mi spinsero ad uno studio geo- logico sommario della Toscana fu appunto il desiderio di osservare quali fossero i rapporti esistenti in questa regione fra le forma- zioni già state riconosciute come assolutamente cretacee, a causa dei fossili caratteristici che vi furono rinvenuti, e quelle (schisti ofio- litiferi, argille scagliose con Alberesi, ecc.) che sono attribuite al- l’Eocene, anzi da molti all’Eocene superiore, mentre da alcuni anni io sostengo essere cretacee. Dirò subito che l’esito di questo esame mi fu assai confor- tante, giacché potei constatare il collegamento della classica regione cretacea di Monte Ripaldi presso Firenze colla tipica regione ofio- litifera deUTmpruneta ; inoltre, a rilevamento compiuto, consultando i lavori che accennano a rinvenimenti sia di Inocerami e di Am- moniti cretacee, sia di Nummuliti nel bacino di Firenze e di Pistoia, ebbi la soddisfazione di vedere che tali rinvenimenti cadevano precisa- mente nelle zone che io avevo rispettivamente segnate come cretacee o come eoceniche, seguendo il criterio secondo il quale da alcuni anni sono andato distinguendo il Cretaceo dall’Eocene nell'Appen- nino settentrionale. È vero che tali interpretazioni obbligano ad ammettere forti anticlinali e sinclinali, spesso ripiegate e coricate, ma chi ha per- corso l’alto Appennino ha potuto ben spesso constatare de visu questi fenomeni stratigrafici nella serie cretaceo-eocenica ; e qui nell'ampio bacino di Firenze se il geologo non può osservare quei grandiosi e convincenti spaccati naturali che spesso veggonsi nell’alto Appen- nino (vedi per esempio le sezioni naturali figurate nella Parte I del mio studio sopra l’ Appennino settentrionale ), trova però nei dati paleontologici forniti dalle ricerche di tanti studiosi non solo il l’afpennino settentrionale 193 mezzo di constatare i fenomeni stratigrafici, ma anche la conferma delle distinzioni cronologiche fatte nell’alto Appennino in base spe- cialmente a criteri litologici. D'altronde, ammessa naturalmente la rarità generale dei fos- sili nella potente formazione degli schisti più o meno otìolitiferi che io attribuisco al Cretaceo, il loro rinvenimento è spesso rife- ribile a cause individuali, direi ; infatti i rinvenimenti più abbon- danti di fossili cretacei negli schisti sovraccennati dell' Appennino settentrionale si verificarono specialmente nei dintorni di Fornovo di Taro, di Montese, dei Bagni della Porretta. e lungo la linea ferroviaria Pistoia-Bologna, cioè là appunto dove fecero speciali ri- cerche persone pazienti ed intelligenti quali, rispettivamente, l’ing- Ponci, l'abate Mazzetti, il dott. Lorenzini ed il De Mortillet. Il ripe, tuto rinvenimento di fossili nei dintorni di Firenze è dovuto sia all’esser questa città un attivo centro geologico, sia specialmente all’escavazione in grande che vi si fa nei terreni cretacei, per l’estra- zione della così detta Pietraforte (arenarie calcareo-silicee a grana fina); del resto la stessa ricchezza fossilifera del famoso Monte Ripaldi presso Firenze è molto relativa, giacché quando a questa cava gran- diosa era applicato un centinaio di operai, estraendosi così una quan- tità enorme di materiale in lastre, in mezzo secolo si potè riunire nel Museo di Firenze una non molto copiosa raccolta di fossili cretacei; ma ora che il lavoro di escavazione fu rallentato tali ritrovati son divenuti rarissimi. Però se le mie ricerche mi portarono ad estendere in Toscana le zone cretacee assai più di quanto è ora accettato, viceversa attri- buisco all'Eocene estese regioni di Macigno, come gran parte del Monte Pratomagno, del Colle di Fiesole, dei Monti del Chianti, di Monte Albano, ecc., che nella carta geologica d'Italia del 1889 (ultima pubblicata su questa regione) sono in gran parte colorate come cretacee. Ad ogni modo la ricerca della soluzione del problema stratigra- fico delle argille scagliose e degli argilloschisti ofiolitiferi si impone sempre più per la sua importanza, non soltanto dal lato scientifico, co- stituendo queste formazioni parte notevolissima dell’ Appennino d’Ita- lia, ma anche dal lato pratico, applicativo. Così, per citare un esempio riguardante il bacino di Firenze, il Lotti ( La Creta e V Eocene nei dintorni di Firenze. Proc. Verb. S. T. S. N., IY, 1885) oltre a segna- 194 F. SACCO lare una zona racchiudente assieme Inocerami e Nummuliti, ciò che non parmi accettabile, stabilisce nettamente che il Macigno sta sotto agli schisti argilloso-calcarei-arenacei oflolitiferi ; perciò nel suo studio sopra Le condizioni geologiche di Firenze per le trivellazioni ar- tesiane, B. C. G. I., XVIII, 1887, il Lotti indica e disegna il bacino di Firenze come una sinclinale in cui la zona argilloschistosa, sulla quale posa Firenze, si adagierebbe sopra una potente zona arenacea {Ma- cigno) foggiata pur essa a conca, e quindi egli consiglia l’esecuzione di fori artesiani profondi circa 300 m., da farsi con una spesa non mag- giore di L. 60,000 per foro, allo scopo di provvedere la città con buone acque potabili che spesso si incontrano nelle zone del Macigno. Invece secondo il mio modo di vedere il bacino di Firenze rappre- senterebbe una complessa e molto abrasa anticlinale cretacea, cioè di argilloschisti, ecc.; le zone di Macigno , di Calcari ad Helminthoi- dea ecc., starebbero sopra detti argilloschisti costituendo, con pieghe più o meno forti, le alture di Fiesole, di Monte delle Tortore, di Pog- gio Balestieri, di Montanto, di Torri, ecc.; quindi le trivellazioni fatte nel bassopiano fiorentino, oltrepassato lo strato alluvionale, si spro- fonderebbero nel Cretaceo potentissimo senza probabilità di tro- vare acqua potabile, abbondante, buona e zampillante. Accenno infine come oltre alle numerose Badiolarie studiate dal Pantanelli nel lavoro sopra I Diaspri della Toscana ed i loro fossili , Mem. R. A. L. 1880, i resti stati finora trovati nel Cre- taceo della Toscana, specialmente al famoso Monte Ripaldi, secondo gli studi fattivi finora, ma ancora assai incompleti, sono partico- larmente i seguenti: Fucoidi numerose e svariate, Zoophycos Villae , Palaeodictyon, Nemertilithes, Ostraea Cocchii , Inoceramus Cripsii , I. sp., Crioceras Pillae , Acanthoceras navicidaris, A. Mantella, Schloembachia tricarinata, S. Michelii, S. Cocchii , S. Tar- gionii, S. Berberi , Desmoceras Ausleni con Aptychus , Turrilites cf. hwgardianus, T. costatus, Hamites sp., Toxoceras ? ecc. Quanto alle numerose e spesso ampie e potenti formazioni ofiolitiche (Diabasi, Serpentine, Eufotidi, Dioriti ecc.) che si trovano fra i terreni cretacei della Toscana credo opportuno rimandare senza altro agli speciali lavori di Meneghini, Giuli, Reyer, Mazzuoli, Lotti, Schneider, Capacci, vom Rath, Gucci, Busatti, Capellini, Caillaux, Pilla, Burat, Dufrenoy, Targioni-Tozzetti, Perazzi, Savi, Coquand, D'Achiardi, Boeris, Cossa, Rosenbusch, Mattirolo, Artini, Bechi, l’appennino settentrionale 195 Haupt ecc., tanto più che trattandosi di formazioni spesso escavate per estrazione di minerali di Rame, nonché di Piombo, Manganese, Ferro, Cromo, ecc., esse furono già ampiamente e spesso minutamente studiate dal lato chimico e mineralogico, sia a scopo scientifico sia a scopo industriale; infatti sin dal 1847 erasi costituita in Pisa una società per l'esplorazione mineraria dei Monti della Castellina. Lasciate per brevità altre considerazioni generali, e rimandando a quanto ho già esposto riguardo al Cretaceo nella parte Ia e IIa di questo lavoro sopra l’ Appennino settentrionale , passiamo senz’altro all’esame rapido e sommario degli affioramenti cretacei, procedendo in generale dal Lucchese al bacino di Firenze e di qui al Livornese. Già nella regione detta dei Monti Oltre Serchio vediamo appa- rire la formazione cretacea costituente coi suoi argilloschisti, alter- nati con strati arenaceo-calcari, lo sprone collinoso ad ovest di Filet- tole. Una sottile zona di schisti cretacei esiste pure tra il Neocomiano e F Eocene della collina di Ripafratta. Nella bassa Yal del Serchio incominciamo a veder affiorare una stretta striscia di a;gilloschisti bruni e rossigni, probabilmente cretacei, tra Yal D'Ottavo e Ponte a Moriano, fra i calcari neo- comiani ed i banchi di Macigno f arisiano che sovrappongonsi ai primi con un hyatas più o meno forte; ne risultano le depressioni orografiche di S. Donato, della Croce d'Aquilea e di S. Maria a Sesto. Questa zona va poi rapidamente allargandosi verso est, come continuazione della anticlinale giurese-neocomiana della bassa Yal Serchio, in modo da costituire le falde appenniniche sino a Pescia coi soliti schisti ed argilloschisti grigio-plumbei, spesso arricciati e contorti, alternati con straterelli arenaceo-calcari, per lo più fran- tumati alla superficie, talora con grumuli otìolitici, come nelle col- linette ad ovest di S. Colombano. Nella stessa guisa l'ampio affioramento giurese-neocomiano della Yal di Lima continuansi a sud e sud-est della Penna di Lucchio con una zona di schisti che discende in Val di Pescia e forma lo depressioni di Pontito, Lanciole, Crespole, ecc.; solo che non è sempre facile distinguervi gli schisti rossigni, qua e là nummuli- tiferi, dell’Eocene, da quelli inferiori già cretacei. Di questa zona è probabilmente la continuazione meridionale, più o meno diretta, il notevole affioramento di calceschisti ed ar- F. SACCO 196 gilloschisti bruno-rossastri, verdastri, violacei o giallognoli che si stendono dalle vicinanze di Marliana alle colline dei Bagni di Montecatini, dove anzi appaiono calcari del Giura-Lias, che affio- rano poi ancora più ampiamente presso Monsummano; generalmente la zona schistosa (inglobante ancora strati arenacei ed attribuibile all’ Eocene) soggiace direttamente al Macigno , e sotto essa com- paiono i Calceschisti grigio-roseo-verdastri. I dintorni di Monsummano sono specialmente interessanti poi- ché ci mostrano una bella serie stratigrafica dall' Infralias all’Eo- cene; in questa serie vediamo appunto come sopra agli schisti rossi, che avviluppano l' Infralias e che sono forse attribuibili in parte al Giura, sviluppasi una potente zona di schisti brunastri o grigio-plumbei, talvolta rosso-violacei, spesso fortemente sollevati ed arricciati (rappresentanti in modo caratteristico la solita zona degli argilloschisti ofìolitiferi) che vanno ad immergersi nettamente sotto al Macigno eocenico. Detta zona abbassandosi scompare poco a sud presso Cecina, sotto alle sabbie astiane. La sovraccenuata zona cretacea di Montecatini estendendosi inoltre ad est per Vergando e Ponte di Serravalle allo sbocco di Val Nievole, coi soliti schisti bruno-plumbei o vinati, costituisce la depressione di Serravalle pistoiese ed entra così nel bacino di Firenze. Quivi la formazione in esame estendesi in parte verso nord-est attraverso le colline di S. Michele, ecc., in modo da an- dare a collegarsi colla famosa zona cretacea segnalata dal De Mor- tillet nelle colline pistoiesi ; in parte invece essa continua più o meno regolarmente nella sua direzione verso sud-est coi soliti ca- ratteri litologici (talvolta con grugni ofiolitici), attraversa l’Arno a Poggio e Bruccianese e raggiunge poscia la bassa Val Greve dove collegasi assai bene col famoso Cretaceo dei dintorni di Firenze (Monte Ripaldi, ecc.). Le grandi irregolarità stratigrafiche (arric- ciamenti, pieghettature, rovesciamenti, ecc.) che presentano gli argilloschisti cretacei ci spiegano gli irregolari affioramenti di questo terreno e la irregolarissima distribuzione delle zone e delle nume- rose placche eoceniche le quali sono talora trasgressivamente so- vrapposte al Cretaceo, talora invece prese frammezzo ad una piega di schisti cretacei, ecc. Le colline di Pistoia sono molto interessanti non tanto per la loro costituzione geologica, che è analoga a quella che osservasi 1,'aPPENMXO -SETTENTRIONAl E 197 molto frequentemente nell’ Appennino settentrionale nella zona di passaggio fra i Calcari ed il Macigno eocenici e gli schisti che 10 attribuisco al Cretaceo, ma bensì perchè sin dal 1861 il De Mortillet {Note sur le Crétacé et le Nummulitique des environs de Pistoia , Atti S. it. Se. nat., Ili) segnalò le Nummuliti nella zona calcarea e gli Inocerami (un grosso esemplare largo circa 15 centirn., improntato sopra un gran blocco di tipico calcare Alberese, trovasi nel Museo paleontologico di Pisa) nella zona schistosa. alternata a calcari alberesi, ecc., attribuendo natural- mente la prima all'Eocene e la seconda al Cretaceo. Esaminando questa regione si rimane stupiti come dopo oltre trent’ anni dacché 11 Mortillet aveva fatta la sovraccennata distinzione, d’ altronde così semplice e naturale, e basata su dati paleontologici così netti e sicuri, siasi continuato e si continui a porre nelheocene le argille scagliose e gli schisti ofiolitiferi assolutamente analoghi (ed il Mortillet stesso 1’ accenna) agli schisti ad Inocerami di Pistoia. La formazione cretacea di Pistoia si collega a sud-ovest con quella di Serravalle, a nord probabilmente colla zona di S. Marcello- Bardalone, ecc.; verso est essa poi sembra affiorare per breve tratto presso S. Alessio e Candeglia, ma emerge poi più chiaramente nelle colline di Santomato ed estesissimamente a nord di Prato dove ingloba numerose e potenti lenti ofìolitiche ( Verde di Prato , Gra- nitone, Ranocchiaia, ecc.) descritte dal Cocchi e specialmente dal Capacci {La formazione o fiolitica del Monferrato presso Prato , B. C. Gl. I., XII, 1881); abbassasi in seguito e scompare com- pletamente sotto la potente formazione dei calceschisti eocenici dei Monti della Calvana. Ma subito ad est la formazione cretacea riappare a Carraja e specialmente con una serie di piccoli affioramenti, come a Bovec- chio, Fisciano, Vaglia (dove venne già rinvenuto un Inoceramo), e con una zonula che da S. Giovanni in Petrojo va a Bivigliano, cioè con marcata direzione nord-ovest sud-est ; ciò credo che sia in rap- porto col fatto che la formazione cretaceo-eocenica dell’alto Appen- nino toscano ad oriente di Castiglione dei Pepoli si volge in gran parte verso sud, sud-est o sud in modo da costituire le depressioni di Tronale e di Passo della Futa, discendendo così nel bacino del Mugello. La formazione cretacea delle colline fiorentine settentrionali 198 F. SACCO quantunque presenti la solita facies litologica, cioè schisti svariati alternati spesso con straberei li arenaceo-calcarei (che i toscani appellano Pietraforte ed utilizzano largamente per costruzione e pavimentazione), ed i soliti fenomeni stratigrafici, cioè arriccia- menti, contorsioni, anticipali coricate, ecc., tuttavia è special- mente interessante sia per la sua grande estensione, sia perchè i numerosi scienziati che la visitarono e studiarono vi rinvennero Ino- cerami (come a Vaglia, a Pratolino (esemplare di Inoceramo coperto da Paleodyction ), in Val Faltona, a S. Lorenzo in Serpiolle, presso la Badia, a Casa del Vento presso Vincigliata, ecc.), ed anche in que- sto caso è a stupire come l’analogia assoluta che esiste tra questa zona schistosa ad Inocerami e quelle ofiolitifere poco lontane non abbia ancora convinto i geologi dell'età cretacea della grande for- mazione delle argille scagliose e degli argilloschisti ofiolitiferi del- l’Àppennino italiano. È bensì vero che qui, come frequentissimamente nell' Appennino, si trovano gli argilloschisti, che credo cretacei, in- terposti fra i calcari nummulitiferi ed il Macigno eocenico, per cui si considerarono anch'essi come eocenici, ma credo ciò dovuto a fenomeni stratigrafici ; così per esempio tra i Calceschisti ad Helminthoidea labirinthyca edaNummuliti delle colline di Quinto, ed il Macigno pure eocenico e con piccole Nummuliti di T. Terzo- lina-Fiesole, sviluppasi la zona di argilloschisti bruni di S. Lorenzo in Serpiolle dove furono già trovati Inocerami ; sembra evidente che si tratta di una zona cretacea presa per forti pieghe fra due zone eoceniche e non già di un’ unica formazione eocenica ; e questi fenomeni, come già dissi, ripetonsi molto frequentemente nelle zone di argilloschisti ofiolitiferi dell'Appennino settentrionale. D'altronde come si volle stabilire un ' Ammonite s eocenica per un tipico Pachidiscus stato raccolto dentro agli schisti arenacei, che credo cretacei, dell’Appennino emiliano, così erasi pur voluto costituire un Inoceramus eocenus per un fossile proveniente da ter- reni, che pur credo veramente cretacei, dei dintorni di Pontassieve. Sotto il Castel Beiforte presso Villamagna, dove già furono trovati resti di Inoceramo, affiorano infatti al fondo del Vallone gli schisti bruni alternati con strati di Pietraforte analoghi a quelli di Monte Ripaldi. Sotto Castel Beiforte gli strati pendono specialmente verso S. E., ma più a valle assumono inclinazioni diverse, talora molto accentuate. l’appenmno settentrionale 199 Ad est del Bacino di Firenze riaffiorano gli schisti cretacei presso la Villa Strozzi a Montefiesole ed a Pontassieve, ed è nota d'altronde l’abbondanza relativa di Inocerami, Ammoniti ecc., tro- vate presso Pontassieve presso Rignano ecc. ; ma limitandoci al solo bacino fiorentino notiamo come la formazione cretacea della parte settentrionale di detto bacino passando sotto alla pianura di Firenze vada a riaffiorare largamente nella sua parte meri- dionale, costituendo così notevole porzione dei colli fiorentini me- ridionali; questi sono famosi perchè nelle numerose escavazioni che da tanti anni vi si fecero, vi si poterono scoprire, specialmente nelle colline di S. Francesco di Paola, al Monte Ripaldi, al Monte Cuccioli, alle Girotte sotto S. Margherita a Montici, a sud della Certosa, ecc. abbondanti resti di Inocerami, Ammo- niti. ecc., che obbligarono i geologi ad ascrivere queste colline al Cretaceo; ma in verità si tratta di una formazione analoga a quella dagli schisti che altrove si vogliono porre nell' Eocene. Il famoso Monte Ripaldi ci presenta la solita alternanza di argil- loschisti grigio-giallastri o plumbei con straterelli calcareo-are- nacei (detti qui Pietraforte ) ; l'abbondanza di questi strati com- patti e la loro regolarità (fatti che occasionarono la grande esca- vazione che l'uomo fece di questo rilievo perchè vicino ad una grande città) sono fenomeni che si osservano in cento punti nelle zone degli schisti otìolitiferi dell’ Appennino settentrionale; quanto alla frequenza dei fossili cretacei al Monte Ripaldi è una fre- quenza affatto relativa, motivata cioè solo dalla grandiosa esca- vazione che da tanti anni si va facendo in questa collina, e dall'attenzione dei cavatori che vendono questi fossili ad un prezzo abbastanza elevato; del resto ricordo come, forse anche perchè ora detta escavazione è assai rallentata, in questi due ultimi anni che visitai la gran cava di Monte Ripaldi e quelle vicine non trovai ad acquistare nè un’Ammonite, nè un Inoceramo, il che sembrami provare che detti fossili sono relativamente rari. Noto poi come assai interessante e suggestivo il fatto che il famoso cretaceo di Monte Ripaldi sembri costituire col Monte Cuccioli una specie di anticlinale relativamente dolce e rego- lare, attorno e sopra la quale sviluppansi i soliti argilloschisti bruni e rossicci (con grugni ofiolitici), alternati con straterelli calcareo-are- nacei, i quali infine vengono coperti dai calcari eocenici, spesso 200 F. SAFCO nummulitiferi, di Montici, Vacciano, Certosa, ecc. Qui, come general- mente nell’Appennino, le colline cretacee sono poco elevate e di tinta generalmente un po’ oscura, talvolta giallo-rossiccia, mentre le colline eoceniche calcaree sono più elevate e di tinta comples- sivamente più chiara, giallo-biancastra. La sovraccennata formazione cretacea si estende verso sud in modo da andarsi a collegare colla zona cretacea, già precedente- mente accennata, che proviene da Serravalle pistoiese attraversando l’Arno a valle di Lastra a Signa. Anche questa regione è geolo- gicamente molto interessante in quanto che ci mostra il graduale passaggio fra il famoso cretaceo di Monte Ripaldi e la tipica forma- zione ofìolitifera dell'Impruneta, tanto che potei raccogliere diversi Inocerami sino a Tavernuzze; naturalmente quando si entra nelle zone riccamente ofìolitifere i fossili vengono quasi a mancare, in causa dei fenomeni, certamente poco propizi alla vita organica, che diedero origine alle formazioni serpentinose. La grandiosa zona cretacea dell’Impruneta si sviluppa ampia- mente verso sud, costituendo la parte bassa di Val Greve dove essa divide in complesso assai bene l’ampia formazione dei Calceschisti eocenici del lato sinistro della Valle dalle elevate formazioni di Macigno eocenico dei Monti del Chianti ; vi predominano sovente i Calcari alberesi, ma vi mancano quasi i grugni ofiolitici. Attra- versando il Colle di Panzano la formazione cretacea discende in Val Pesa; di qui essa spingesi in parte verso occidente in modo che, passando sotto la gran placca di Calcari eocenici di S. Do- nato, va a costituire, sul versante orientale del bacino idrografico dell'Elsa, un ampio affioramento di schisti bruni, spesso alternati con straterelli calcareo-arenacei (vera Pietraforte) con numerose Nemertiliti, ecc., come per esempio sotto Monsanto. Ma per una parte notevole detta zona cretacea dirigendosi verso sud-sud-est risale la Val Pesa e quindi in stretta zona si spinge a Gajiole, S. Martino al Vento, ecc. sin oltre il Castello di Brolio, coi soliti schisti bruni, spesso fortemente sollevati e contorti, sovente alter- nati con schisti rossi, in particolar modo verso l'alto della serie. Ad est della grande zona cretacea Firenze-Greve-Radda, le grandiose masse di Macigno eocenico presentano ripetuti e fortissimi arricciamenti diretti per lo più da nord-ovest a sud-est, i quali le scindono in diverse elevate regioni montuose (Monte Muro, Monte l’appennino settentrionale 201 Scalari, Monte S. Michele, ecc.), divise da affioramenti di terreni cre- tacei disposti in strette zone, così quelle di S. Donato, di Poggio alla Croce, di Cintoja-Dudda, ecc. È notevole che mentre nei primi due casi affiorano i soliti argilloschisti bruni e rossigni (che sembrano rappresentare il Cretaceo superiore) passanti a marnoschisti grigi che attribuirei all’Eocene, coperti infine regolarmente dagli strati del Macigno , spesso fortemente sollevati ed anche rovesciati, invece nella estesa zona di Cintoja-Dudda-Pescina, sotto agli strati cal- carei ed arenacei dell’Eocene, talora nummulitifero, affiorano este- samente, oltre ad argilloschisti, anche calceschisti e strati calcarei di tinta prevalentemente rossigna od anche rosea o grigia o ver- dognola che attribuisco provvisoriamente al Cretaceo superiore, ma che potrebbero fors’anche riferirsi in parte all'Eocene inferiore, per quanto ebbi ad osservare altrove ; saranno perciò necessarie accurate ricerche paleontologiche per sciogliere la questione. Qualche cosa di consimile osservasi presso Montigrossi dove una parte di que- sta zona grigio-rossigna credo sia realmente riferibile all'Eocene. Tratteggiata così la formazione cretacea che dall’alto Appen- nino emiliano-toscano discende al bacino di Firenze e di qui si sviluppa per Greve-Radda, ecc., con direzione complessivamente da nord-ovest a sud-est, costituendo per lo più la parte più antica delle diverse anticlinali, passiamo ora ad accennare ad un’altra complessa zona cretacea situata ad occidente della prima e subpa- rallelamente ad essa. Questa zona cretacea che affiora nella To- scana occidentale rappresenta nel suo assieme la fascia della grande anticlinale paleo-mesozoica di: Alpi Apuane-Monti Pisani- Jano-Poggio del Comune e Montagnola senese. La parte orientale (che corrisponderebbe alla zona ofìolitifera della Garfagnana) di questa grande fascia cretacea è piuttosto stretta, trovandosi ampiamente mascherata dai terreni pliocenici; la vediamo comparire coi soliti argilloschisti, inglobanti una notevole lente ofiolitica, poco a nord di Monteriggioni, dove essa fascia le falde dui Monte Maggio ; riaffiora per poco presso Cellori attorno al Poggio del Comune ; ma sviluppasi poi tosto da Larniano sin oltre Montaione con numerose lenti otìolitiche, spesso escavate per estrazione di minerali di Rame, coi soliti Diaspri e Ftaniti a Radiolarie. Noto come in questa zona siano già stati raccolti resti di Inocerami. Il 202 F. SACCO notevole spingersi a nord che presenta questa zona schistosa-ofìo- litica in mezzo al pliocene ci indica appunto come la formazione paleo-mesozoica su cui essa si appoggia tenda verso il Monte Pisano. La parte occidentale della grande fascia cretacea sovraccennata è assai più ampia e complicata di quella orientale ed è suddivisibile in tre zone principali, cioè: 1. ° Zona che fascia direttamente la formazione paleo-mesozoica di Jano-Montagnola senese e che potrebbe corrispondere a quella della bassa Yal Maira. Essa (colla solita costituzione di argilloschisti alternati con Calcari alberesi e straterelli calcareo-arenacei, ed in- globante numerosi gnigni ofiolitici) si presenta ampiamente svilup- pata nell’alta Val dell’Elsa, fascia l’affioramento antico di Jano, venendo poi completamente mascherata dai terreni pliocenici. 2. ° Zona, la quale potrebbe corrispondere a quella di Yal di Vera (a nord-ovest della Spezia), che coi soliti caratteri ed inglo- bando grandiose lenti ofiolitiche, famose sin dal tempo degli Etruschi per la ricchezza in minerali di rame, ecc., si sviluppa amplissimamente tra Montecatini in Val di Cecina (vedi specialmente lo studio del Lotti, La miniera cuprifera di Montecatini , B. C. G-. I., 1884 e del Reyer Aus Toskana , p. 40, 1884) e Castellina Marittima; detta zona, dopo esser stata per largo tratto mascherata dai terreni eoce- nici, vedesi fasciare l’affioramento liassico di Casciana, dopo di che essa scompare subito sotto i depositi pliocenici. 3. ° Zona amplissima e potentissima, inglobante estese e nu- merose lenti ofiolitiche, che costituisce i Monti livornesi ; questa zona, che panni corrispondere alla grandiosa zona ofiolitifera della Riviera di Levante (Borzonasca-Levanto), nel suo sviluppo verso sud-est va forse a congiungersi, dopo Rosignano e sotto i terreni pliocenici, colla 2a zona. A dire il vero l’accennata divisione in tre zone ed ancor più le accennate probabili corrispondenze con lontane zone della Liguria sono in parte solo d’indole generale, in quanto che queste zone si collegano, si innestano variamente tra di loro secondo circostanze sva- riatissime. Naturalmente in realtà trattasi di una sola potentis- sima formazione cretacea che, più o meno arricciata, ricopre ed avvolge le varie zone paleo-mesozoiche, contro cui essa si assot- tiglia ad unghia e che alla sua volta è più o meno ampiamente mascherata dai terreni terziari. L APPENNINO SETTENTRIONALE 203 Eocene. In Toscana, come nel resto dell’ Appennino settentrionale, la formazione eocenica è specialmente rappresentata dal Parìsiano giacché l'Eocene superiore o Bartoniano sembra mancare comple- tamente, e l’Eocene inferiore o Suessoniano è forse solo rappresen- tato da sottili zone di schisti calcarei ed arenacei grigio-rossigni che appaiono qua e là sotto al tipico Parìsiano. La formazione parisiana è potente, sviluppatissima, costituita essenzialmente di arenarie ( Macigno , Pietra serena , Pietra morta , o terreno etrurio del Pilla) e di schisti marnoso-calcarei (o Liguriano del Mayer, in stretto senso) con numerose Fucoidi, Elmintoidi ecc. General- mente questi due terreni sono distinti, ma non di rado si veri- fica anche una transizione tra di essi tanto che per certe zone si rimane incerti a quale di essi debbansi attribuire ; quindi sembra probabile un’eteropia più o meno estesa fra dette due formazioni. Generalmente le regioni costituite di Macigno si presentano come colline erte, giallo-rossiccie per alterazione delle arenarie, e coperte per lo più di Castagneti ; invece le colline di calceschisti sono spesso meno ripide, di tinta più chiara e sovente coperte di Uliveti. Quanto al rapporto fra detti due terreni esso non è sempre ben chiaro; ben spesso i calcari sembrano soggiacere al Macigno ed in tal modo ne venne interpretata da molto tempo la posizione dai geologi toscani che diedero loro il nome di Calcari screziati (Gra- nitello quando ha facies un po’ brecciosa); ma sovente si osserva anche che i calceschisti si sovrappongono al Macigno. Talvolta nel Macigno osservarsi lenti ciottolose, puddingoidi (pietra ricerchino), per. lo più poco estese. Riguardo a resti fossili le minute ricerche hanno dimostrato che essi non sono rari, non tanto nel Macigno , dove solo qua e là osservansi Orbitoliti e Nu immoliti, quanto nei Calcari, specialmente nei cosidetti Calcari screziati che in moltissimi punti sono num- mulitiferi e probabilmente corrispondono alla zona niceana del Nizzardo. I fossili di questa zona secondo gli studi particolarmente del Meneghini e, recentemente, del Trabucco, del Marinelli e del Neviani sono specialmente i seguenti: Lithothamnium nummu- liticim; Globigerina bulloides, G. És perula , G. eocaena ; Oper- 204 F. SACCO culina complanata , 0. calcari fera, 0. ammonea; Orbitolites submedia ; Calcarina telhraedra; Rotalina pteriscoidea\ Pleca- nium eocoenicum; Alveolina oblonga , A. media ; Orbiloides aspera, 0. dispansa, 0. nummulitica, 0. papyracea, 0. radians, 0. sella, 0. stella , 0. stellata ; Nummulites Beaumonti, N. curvispira, N. discorbina, N. Gueltardi, N. irregularis, N. laevigata, N. lucasana , N. Ramondi, N. subbeaumonti , N. sub discorbina, N. subirregularis, N. scabra e N. Tchihatcheff ; Assilina granu- losa, A. Leymeriei , A. marni Hata ; Cidaris nummulitica ; Echi- nocyamus alpinus, Echinus, Spatangus ; Membranipora Hookeri , M. macrostoma , Onychocella anguiosa , Conescarellina eocoena , Retepora ; Idmonea cf. carinata , Pavotubigera flabellata , Dia- stopora tennis , Defrauda stellala , Heteropora anomalopora, H. IL dichotoma , stipitata , lungella plicata , Ceriopora mega- lopora, C. arbusculum; P eden; Cerithium\ Odontaspis\ Oxyrhina, eco., ecc. Nelle due Parti precedenti (App. sett. ed Emilia) avevo descritto separatamente la zona arenacea da quella calcarea, ma per brevità ne faccio qui una sola descrizione complessiva ed affatto sommaria. Nella bassa valle del Serchio e nella regione cosidetta dei Monti oltre Serchio è specialmente sviluppata e potente la forma- zione del Macigno ; vi si osservano però anche zone di Calceschisti come a Montemagna, tra Vaccheria e Pieve ad Elici; amplissima quella del Monte Catino-Moriano che sembra sovrapposta al Ma- cigno, quantunque l’apparsa qua e là di schisti rossigni (ad ovest di Villa Raffaeli, ad est di Villa Giovannetti e, fra il Macigno , presso Villa Sardi ecc.) ci accennino a contorsioni che fanno affio- rare i terreni eocenici inferiori. In alcuni punti, così per esempio tra il Monte Eormicoso e S. Donato (versante destro della bassa valle del Serchio) si vede che sotto alla potente pila di Macigno sviluppasi una serie di strati e di schisti calcarei ed arenacei alternati che sembrano costituire l'Eocene inferiore. Troviamo anche i tipici Calcari nummulitiferi, passanti agli schisti rossigni dell’Eocene inferiore e del Cretaceo, presso Massa- ciuccoli e C. Baffino, a Ripafratta, ecc. Straordinariamente sviluppata e potentissima è la formazione L 'APPENNINO SE l'TENTRIONALE 205 arenacea nelle Vallate del Pescia (di Collodi e di Pescia), con pendenze per lo più dolci, che però talvolta rappresentano pieghe coricate; talvolta fra le arenarie notansi pure strati calcarei. Bi- cordo come nella parte alta della Pescia di Pontito (verso Penna di Lucchio, presso Croce a Veglia, ecc.), sotto ai banchi di Macigno si trovino strati arenaceo-calcarei nummulitiferi alternati con schisti, (talora con strati conglomeratico-brecciosi ad elementi rocciosi an- tichi, come nel gruppo del Monte Granaio, ecc.), che sembrano passare inferiormente al Cretaceo. Anche attorno all' affioramento cretaceo di Marliana-Monteca- tini una parte degli schisti varicolori affioranti sotto il Macigno possono attribuirsi all’Eocene inferiore, anzi vi si trovano verso l’alto traccie di Nummuliti. Il compianto Sansoni che ebbe a fare uno studio microscopico del Macigno di Vellano vi riscontrò i seguenti minerali: 1. ° Feldspato ontose , quasi integro, 2. ° Plagioclasio, più raro, in frantumi più minuti; 3. ° Quarzo in granuli. 4. ° Calcite , e, in quantità subordinata, Mica biotite , Ematite bruna e Pirosseno. Ad oriente di Montecatini la formazione calcarea (Calcari scre- ziati, calceschisti, ecc.) ricomincia ad affiorare irregolarmente sotto alla zona arenacea, alla quale sovente passa con ripetute alternanze di strati calcarei ed arenacei, per modo che la sua distinzione riesce spesso incerta. Talora questi calcari, qua e là nummulitiferi, si presentano in banchi potenti, compatti, grigiastri, alternati con straterelli schistosi rossigni e ricordano perfettamente la tipica zona niceana delle Alpi Marittime. Le zone calcaree sviluppansi in modo irregolare specialmente nella regione di passaggio, direi, tra il Macigno ed il Cretaceo, sia verso est, dove da oltre trentanni il Mortillet segnalò nella trincea ferroviaria di S. Anna (sotto la Torre Catilina) la presenza delle Num- muliti (M. Piamondi , N. Guettardi , N. variolaria , ecc.) con Zoo- phicos , Chondrites, ecc., nella contorta formazione calcarea diretta- mente sovrapposta agli arricciati schisti cretacei ad Inocerami ; sia verso sud-est. In questa ultima direzione i terreni arenacei per la loro posizione e compattezza costituiscono le regioni elevate del Monte Albano (spesso venendo escavati per materiale da costruzione). Essi 206 F. SACCO mostransi sovente in sinclinali strette, più o meno coricate, finché sembrano andare a terminare in Val Greve, dove sono pure utiliz- zati qua e la i più compatti banchi di Macigno. Invece le zone calcaree occupano una posizione altimetrica meno elevata lungo le falde orientali del Monte Albano, talora mostrandosi nummulitifere, come presso Tizzana ; quindi poco a poco esse si vanno sviluppando in estensione e potenza verso est, sinché nella parte orien- tale del bacino di Firenze costituiscono amplissime e potenti zone di calceschisti, qua e là nummulitiferi come a Villamagna, Ponte a Ema, Vacciano, Certosa, Collegramole, Marignolle, Soffiano, Mo- sciano, ecc. ; d'altronde la frequenza maggiore o minore delle lenti nummulitiche è spesso specialmente in rapporto colle ricerche più o meno minute che furono fatte a questo riguardo. Nella forra dell’ Arno è assai notevole, a valle di La Nave, la zona di calcari e di marne grigio-friabili coronate dal Macigno , zona probabilmente riferibile al Parisiano inferiore ( Niceano ?) e che ricorda molto zone analoghe, e forse contemporanee, dell’ Ap- pennino pavese, ecc. Particolarmente interessante, sia per la ricchezza in fossili sia perchè segnalata e studiata fra le prime (dal Murchison e dal Meneghini), è la zona nummulitifera di Casellina o di Mosciano ; quivi, tenendo conto delle pieghe, vediamo i soliti fenomeni stratigra- fici ed i soliti caratteri litologici, cioè calcari più o meno compatti, nummulitiferi, giacenti sulla formazione schistosa, bruna, ofioliti- fera, del Cretaceo, passanti in alto a banchi di Macigno , ed alternati con schisti rossigni. Naturalmente se osservasi superficialmente la serie stratigrafica delle colline di Mosciano essa sembra costituita di una successione ed alternanza regolare di argilloschisti (bruni con grugni breccioso-ofiolitici), arenarie ( Macigno ) e calcari, ma in verità credo vi esistano forti pieghe e notevoli disturbi stratigrafici. Si ve- rificano cioè probabilmente a Mosciano ad un dipresso fatti analoghi a quelli che abbiamo notato presso il podere Salimbeni (est di Mon- summano), che osservansi nella famosa regione di Torre di Catilina nelle colline pistoiesi, che abbiamo ricordato per l’alta valle della Pescia di Pontito, e, in altri lavori, per molte regioni dell’ Appennino settentrionale sia sili suo versante nordico (Monte Sporno, ecc.), sia sul versante meridionale, dove è tipica, per ampiezza e potenza l’appennino settentrionale 207 della formazione nummulitifera in questione, la regione di Barga- Coreglia-Gromignano. D'altronde fatti consimili osservai pure nell’ eocene inferiore della Lombardia (così a Centemero in Brianza) e del Veneto, dove anzi gli schisti rossigni soggiacenti ai calcarei nummulitiferi sono talvolta attribuiti, in parte, al Suessoniano, come per esempio quelli di Spilecco. Nell’ Appennino pistoiese predomina assolutamente la forma- zione del Macigno , ma verso est, in quello di Prato, va rapida- mente sviluppandosi la formazione calcarea che assume tosto tanta potenza ed ampiezza da costituire i Monti della Calvana sino a Montecuccioli, però con grandiosi arricciamenti, spesso a zig-zag, come per esempio osservasi assai bene sul fianco occidentale di Monte Pini-Pianaccio. Tali arricciamenti ripetuti, che tuttavia of- frono spesso gli strati quasi orizzontali, e che solo si possono ben riconoscere nelle grandi sezioni, ci fanno avvertiti come le sem- plici ondulazioni che spesso presentano gli strati, sia arenacei che calcarei, nei monti fra i bacini del Mugello e di Firenze, sono ben sovente solo apparenti, mentre in realtà corrispondono a pieghe più o meno forti, frequentemente coricate. Nella zona di passaggio tra la serie calcarea e le argille sca- gliose spesso affiora una zona poco potente costituita di schisti bruni alternati con strati arenaceo-calcari con piccole nummuliti, opercu- line, briozoi, denti di squalo, ecc. come osservasi per esempio presso il Poggio della Lucietta, 1 chilom. e 1/2 circa ad est di Osteria delle Croci; trattasi evidentemente di zona riferibile all’eocene in- feriore. D'altronde anche nella stessa zona dei calceschisti, special- mente verso la base, compaiono lenti o strati marnoso-argillosi, bruni o rossicci, cioè galestri analoghi a quelli cretacei, e che spesso vengono utilizzati per laterizi. Nella regione montuosa fra il Mugello e Firenze predominano nella parte sud-ovest le formazioni calcaree (talora nummulitifere, come per esempio a Castellina presso Quinto, a Cercina, sopra Pratolino), fatta eccezione specialmente della famosa zona di Ma- cigno di Monte Ceceri o di Fiesole (largamente escavata per pietra da costruzione), che rappresenta in complesso una sinclinale coricata e compresa fra gli schisti cretacei, in modo un po’ analogo a quanto verificasi pel contemporaneo e ben noto Macigno della Porretta. Ma 208 F. SACCO nella parte nord-est di detta regione sonvi pure bensì zone di calcari e calceschisti, ma predominano le formazioni arenacee, sia sotto forma di vero Macigno (come nel gruppo di Monte Senario — Monte Giogo, ecc.), sia specialmente sotto forma di schisti marnosi cal- careo-arenacei, grigi, poco compatti; questi talora sono piuttosto calcarei, talora piuttosto arenacei; nel complesso li ho indicati spe- cialmente colla tinta della zona arenacea. Qua e là compaiono speciali zone marnose, friabili, grigie o roseo-verdastre (cosi nel Fosso Strutta a sud di Borgo S. Lo- renzo, sul lato orientale del Monte Rinaldi, sul fianco meridionale del Monte Giovi, tra Poggio Celione e Montalto, dove gli strati sono portati alla verticale), le quali sono probabilmente analoghe anche per età a quelle che tanto frequentemente si incontrano nel Parisiano inferiore (zona niceana ?) dell' Appennino pavese, pia- centino, ecc. Dette marne talora ricordano alcune formazioni bar- lontane ed oligoceniche del versante padano dell’ Appennino, tanto da lasciare talvolta il dubbio che i supremi banchi arenacei siano appunto riferibili al Tongriano. Accenno a questo riguardo come altri attribuisca appunto parte di questi terreni, specialmente a nord del bacino del Mugello, al Miocene, ciò che non panni ac- cettabile. Fra Montalto e Montefiesole si sviluppa pure assai quella speciale formazione di schisti bruni, alternati con arenarie e calcari, (spesso in banchi), che ricordano la formazione cretacea, ma che sono ancora riferibili all’Eocene inferiore, come già accennammo poco sopra verificarsi al Poggio della Lucietta; l’analoga forma- zione si riscontra eziandio sviluppatissima nel basso Appennino pavese (Soriasco-Agazzano, ecc.), dove si rinvennero numerose lenti nummulitifere. Si è già detto sopra come la formazione calcarea, qua e là uummulitifera, sia molto sviluppata nella parte orientale e meri- dionale del bacino di Firenze ; ma verso sud e sud-est essa va ra- pidamente scomparendo, mentre che verso sud-sud-ovest costituisce un'amplissima zona tra Val Greve e Val d'Elsa, spingendosi sin nel Senese, dove sembra circondare la formazione arenacea di Va- gliagli-Pieve Asciata ; questa formazione è profondamente alterata, tanto che viene utilizzata in alcuni punti come sabbia nonché per fabbricazione di recipienti per olio, vino, ecc. I. APPENNINO SETTENTRIONALE 209 Invece la formazione del Macigno, che nei bacino di Firenze è quasi ridotta alla zona di Fiesole, riappare potentissima verso sud- sud-est, costituendo gli elevati gruppi montuosi di Monte Muro, Monte Scalari ed i Monti del Chianti ; detti gruppi corrispondono in complesso a diverse forti arricciature tra cui vengono a giorno zonule di Cretaceo e di Eocene inferiore. Dove la serie è meno incompleta si vede che tra gli schisti cretacei ed il Macigno si sviluppano schisti marno-calcarei, gri- giastri, talora friabili. Ho già accennato altrove come creda debhasi riferire al- l’Eocene inferiore parte degli schisti e calceschisti rossastri che appaiono talora sotto al Macigno, specialmente tra Cintoja e Pe- scina; come sono pure certamente in massima parte eocenici i calcari grigiastri e gli schisti rossigni che si alternano e soggia- ciono ai banchi di Macigno presso Montigrossi. Riguardo a questi monti del Chianti, come sovente anche nelle altre regioni ho delineato solo a grandi tratti la distinzione delle zone arenacee da quelle calcaree (spesso invece irregolarmente e variamente in- nestate, commiste) giacché per una minuta delimitazione occorrono rilevamenti geologici assai minuziosi, mentre il presente esame è semplicemente complessivo. La zona arenacea dei Monti del Chianti si estende poi amplissima e potentissima, spesso profondamente decomposta, verso sud-est, tra il Senese e l’Aretino, costituendo una vasta regione submontuosa, poco abitata, caratteristica, solcata in modo dedalico da mille torrentelli e rivoletti. È notevole l’af- fioramento occidentale di questa formazione nella zona di Vagliagli- Pieve Asciata, dove essa ha l'apparenza di presentarsi in stratifi- cazione dolcemente ondulata. Fra il Senese ed il Livornese la formazione eocenica è ri- dotta a lembi sparsi e relativamente rari, che non furono distinti finora dalla sottostante potentissima e vasta formazione cretacea. Un tipico lembo di calceschisti, arricciati in sinclinale co- ricata, costituisce il rilievo di Collalto nell'alta Valle dell’Elsa. Altri lembi esistono probabilmente nel Volterrano a nord di Sen- zano, presso Montecatini, forse al Monte Pietra Cassia ed al Monte Vitalba presso Castellina, ma trattasi solo di zone calcaree isolate in cui non trovai fossili e non abbastanza tipiche per essere attri- buite con sicurezza all’Eocene. 210 F. SACCO Invece tra i monti cretacei di Castellina Marittima e Casciana troviamo un'ampia e caratteristica zona parisiana rappresentata sia da tipici Calceschisti (talora anzi alla base dell’Eocene trovansi i soliti calcari nummulitici, come nel gruppo del Poggio Riosti a sud di Bagni Casciana, dove osservasi un tipico passaggio dal Giura-Lias al Cretaceo) sia dal Macigno’, sovente inoltre si os- serva, particolarmente nella parte centrale e settentrionale, di detta regione montuosa, una ripetuta alternanza di strati calcarei fram- mezzo alla serie essenzialmente schistoso-arenacea. La stratifica- zione vi si mostra generalmente assai dolce, ma non è raro osser- vare strati fortemente sollevati i quali ci avvertono come in realtà esistano nella zona in questione disturbi stratigrafici assai notevoli. Nel Livornese è notevole l’apparsa della zona di Macigno che sviluppasi tra la Torre del Romito e la Torre del Boccale ; i suoi banchi, spesso escavati per materiale da costruzione, inclinano spe- cialmente a nord e nord-ovest di 10° a 30°, e probabilmente rap- presentano una porzione di piega coricata; pure interessanti sono i prossimi due piccoli lembi di calceschisti eocenici che veggonsi a Montenero ; forse nel rilievo di Le Fornaci-Il Piastrone abbiamo un altro lembo di Calceschisti eocenici, ma la folta boschina im- pedisce un accurato esame della sua costituzione geologica. Miocene (Sarmatiano-Messiniano). In Toscana esiste generalmente un hyatas notevolissimo fra l’Eocene, di cui non esistono le assise superiori, ed il Miocene di cui mancano affatto le assise inferiori e medie; anzi la formazione, essenzialmente messiniana , che qui pongo nel Miocene superiore, per molti caratteri parrebbe meglio collocarsi almeno in parte alla base del Pliocene. Il Miocene superiore si trova assai sviluppato nella parte sud- ovest della Toscana, cioè nel Volterrano e nel Livornese, ma sic- come esso fu già ripetutamente descritto ed illustrato specialmente dal Capellini nei seguenti lavori : La formazione gessosa di Ca- stellina Marittima , 1871. Mem. A. Se. I. B.; Il Calcare di Leitha , il Sarmatiano e gli strati a Congerie , ecc., Mem. R. A. L., 1878 ; Gli strati a Congerie e la formazione gessoso-sol fifera, ecc. Mem. R. A. L, 1880; Carta geologica dei Monti di Livorno, di Castel- l Appennino settentrionale 211 lina Marittima \ e di una parte del Volterrano. 1881 ; così credo opportuno rimandare pei particolari a detti lavori, come anche a quelli del Savi, del De Bosniaski (specialmente per le Ittioliti), del Fuchs, del Targioni-Tozzetti, ecc. Accenno solo come la for- mazione in questione si presenti in generale così costituita d'alto in basso. 1. ° Strati marnosi a Cardii, Congerie, Melanie, Melanopsidi, Neritine, Hydrobie, Saccoie, Valvate. Cypridi, ecc. ; lenti di salgemma e di gesso (talora alabastrino, talora con venule di zolfo), lenti ciot- tolose ; marne fissili con resti di Insetti, Pesci, foglie, ligniti. 2. ° Calcare grossolano con fossili di littorale ; tripoli (con Dia- tomee, Filliti, Ittioliti, Insetti, ecc.) ; marne, sabbie, arenarie e con- glomerati, con fossili salmastri od anche marini, specialmente Ce- rizi, Potamidi, Cardii, Ostriche. Queste due zone però non sono nettamente distinguibili, ma per lo più esiste tra di esse graduale transizione e ripetuta alter- nanza per modo da renderne la delimitazione spesso scolastica ed arbitraria. La zona superiore corrisponde assolutamente al Messiniano superiore e medio ; la zona inferiore corrisponde al Messiniano me- dio ed inferiore, ma forse le sue assise più antiche possono già riferirsi al Tortoniano superiore con facies sarmatiana ; le zone marnose bleuastre, ricordanti quelle del tipico Tortoniano, parreb- bero avvalorare questa idea. Debbo ancora indicare qui come il Capellini nella suaccennata Carta geologica del 1881 collochi la Montecatinite (Trachite pirosse- nica, Trachite micacea, Trachite micacea augitifera, Selagite, Minetta o Andesite micacea) di Montecatini e di Orciatico nel Miocene supe- riore, tra la zona a Congerie ed il Sarmatiano, facendone poi ancora uno studio speciale : Sulle roccie vulcaniche di Montecatini ed Orcia- tico nella provincia di Pisa., Rend. R. A. L., Voi. IV. 1885. Il De Stefani nel suo: Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono T Appennino settentrionale , 1881, indica la Minetta peridotifera di Montecatini ed Orciatico fra le roccie vulcaniche postplioceniche; anche il Lotti : La miniera cuprifera di Montecatini e suoi din- torni, B. C. G. I. Voi. XV, 1884 crede questa roccia di età posteriore al Miocene superiore. Io invece inclino ad inglobare quest i roccia, come le prossime roccie ofiolitiche, nel Cretaceo. A Montecatini la 212 F. SACCO roccia in questione vedesi compresa fra gli scliisti cretacei come le solite lenti ofìolitiche ; ad Orciatico la roccia è alquanto diversa, meno tipica, molto meno sviluppata, e meno visibili ne sono i rap- porti colle roccie che l’inglobano. Alcuni geologi, specialmente il Pantanelli ed il Lotti, in- dicarono affioramenti miocenici nel senese settentrionale (in Val Staggia, ecc.), nonché più a nord nei dintorni di Gambassi; credo però che trattisi, specialmente nel primo caso, di depositi piacen- ziani che presso le zone mesozoiche od eoceniche (costituenti re- gioni sollevate quando si depositarono le formazioni piacenziane) per lo più presentano una speciale facies littoranea od anche marem- mana, cittoloso-arenacea o marnoso-argillosa. Ma ad ovest dell’alta Val d’Elsa le tipiche formazioni messi- niane appaiono e tosto si sviluppano ampiamente sotto forma di marne sabbiose, grigiastre, arenarie, lenti ciottolose o conglomera- tiche, lenti gessose e calcaree, straterelli di tripoli, ecc. La loro distribuzione è assai irregolare. Tali formazioni discordano strati- graficamente dai terreni antichi sottogiacenti, su cui si applicano in modi svariatissimi, tanto che certe placche gessose, come quella di Poggio Cornocchi, furono da alcuni attribuite all’ In fr alias. Le zone ciottolose del Messiniano sono spesso caratterizzate da una tinta brunastra o grigio-rossigna e da una specie di lu- centezza, quasi una vernice, che presentano sovente i ciottoli per lo più poco voluminosi ma talora anche molto grandi. La discor- danza stratigrafica fra il Messiniano ed il Piacenziano è pure spesso marcatissima, diminuendo però verso il margine delle conche plio- ceniche, dove talora osservasi una vera transizione fra i due ter- reni. Ciò notasi per esempio in diversi punti di Valle Pine e sulla destra di Val Cecina a sud-ovest di Volterra, dove anzi spesso riesce incerta la delimitazione fra le marne grigio-bleuastre del Piacen- ziano e le marne grigio-biancastre del Messiniano inferiore, per modo che occorrono minute ricerche, sia di fossili, sia delle lenti di gesso e di salgemma e delle sorgenti salate (che caratterizzano qui il Messiniano superiore) per giungere ad una distinzione un po’ razionale, quantunque talvolta ancora alquanto incerta ed ar- bitraria. Le lenti gessifere sono talvolta tanto piccole che dovetti esa- gerarle per farle apparire sulla carta geologica, ma esse sono sovente l’appennino settentrionale 213 utili per segnalarci affioramenti anche piccoli di Messiniano , come per esempio quello di Colle Gfinepraie (sud-est di Kiparbella). Nelle grandi conche le formazioni messiniane sono specialmente sabbioso-marnose, come ad esempio a sud di Volterra; invece là dove esse si appoggiano alle regioni montuose, e specialmente là dovè (come in Val Sterza) si trovano entro una vallata circondata da ri- lievi un po’ spiccati, dette formazioni sono prevalentemente sabbiose e ciottolose o arenaceo-conglomeratiche, ciò che è facilmente spie- gabile. Talvolta, come tra Buriano e Casaglia in Val Cecina, le arenarie sono così compatte da ricordare i banchi del Macigno eo- cenico. Non di rado i terreni messiniani presentano una tinta ros- signa dovuta in parte alla decomposizione degli elementi (ofìoli- tici, ecc.) del Cretaceo, come vediamo ad esempio assai bene in Val Lupicaia (a nord di Casaglia) ed allo sbocco della vallata messi- niana , eminentemente ciottolosa, dello Sterza, subito sotto le marne piacenziane. Tutto ciò ci prova come le diverse suddivisioni che si vollero da alcuni istituire in queste formazioni messiniane , basandosi su dati litologici e paleontologici, in parte corrispondono solo a feno- meni locali, mentre che dette formazioni in realtà rappresentano un complesso solo, una facies , direi, maremmano-littorale che, inizia- tasi verso la fine del Tortoniano si continuò, con varianti di tempo e di luogo, sino alla chiusura del Messiniano. Attorno alla zona montuosa, cretaceo-eocenica, di S. Luce - Casciana, la fascia messiniana scompare quasi completamente sotto la formazione pliocenica; certi lembi sabbioso-ciottolosi che talora si incontrano contro le falde montuose lasciano incerti se debbansi attribuire al Messiniano (come è per esempio il caso pel lembo conglomeratico esistente ad ovest del cimitero di Chianni) o al Piacenziano littoraneo, che spesso ha una facies appunto sabbioso- ciottolosa, come è probabilmente il caso per simili lembi affioranti tra Pieve di S. Luce, Gello e Casciana. Pel Messiniano di Val Fine, importante anche industrialmente per gli splendidi alabastri di Valle del Marmolaio, consul tinsi gli interessanti studi geologici e paleontologici, sovrastati, del Capellini. Noto qui soltanto la speciale facies marina del cosidetto Cal- are di Rosignano , rappresentato da alcuni banchi di Calcare grigio- 214 F. SACCO giallastro, spesso un po’ spugnoso-areolato, talora con lenticelle ciottolose, escavato come materiale da costruzione; questa zona calcarea, variamente interpretata dai geologi (veggansi i lavori di Ca- pellini, Manzoni, Fuchs, Meneghini. De Bosniaski) riguardo alla sua posizione stratigrafica, sembrami riferibile al Messiniano inferiore; l'attuale vicinanza di Rosignauo al mare sembra spiegarci la fa- cies marina che assunse quivi localmente la formazione messiniana. D'altronde ben sovente il Messiniano inferiore è di tipo ma- rino; così per esempio tra C. Cesari e Castelnuovo (Rosignauo) si possono raccogliere, fra le marne arenacee grigie, numerosi resti d’ Ostriche, Cardii, Arche, ecc., anzi pare che detta zona passi gra- dualmente a quella calcarea ( Calcare di Rosignauo) che si mostra già sviluppatissima a Castelnuovo. Tra i depositi messiniani del livornese ricordo come interes- santissimo per facies , posizione e ricchezza in fossili, quello di Val Quarantoio a sud-est di Montenero; si tratta di una stretta zona marnoso o marnoso-arenacea, grigia (con qualche lenticella di gesso) che sembra andarsi a collegare, per mezzo di lembi intermedi, alla zona, assai più ampia, di Popogna. Detta / zonula marnosa con qualche lenticella gessosa, giace al fondo della valletta sul lato sinistro e in alcuni punti, specialmente poco a sud-est di C. Quarata. presenta una meravigliosa ricchezza in fossili ( Ghama , Ostraea crassissima Lk., Ostraea sp., numerosissime Clausinella, Lucina sp., L. transversa Brn., Arca Diluvii Lk., Pecten Besseri Andr., Gorbula gibba 01., Turritella tricarinata Br., Nassa sp., Murex cf. dertonensis May., Clavatula cf. Sotteri May., Tiarapirenella bicincta Br.. Pirenella cf.bidis juncta Sacc., Pithoceritliium obli- quistoma Seg., innumerevoli Pitliocerithium cf. costatavi Bors. ; Polipai, ecc. ecc.) fra le Ostriche sonvene alcune di dimensioni enormi, così un esemplare completo di 0. crassissima che inviai al Museo geologico di Torino, col resto della fauna sovraccennata, aveva la lunghezza di circa 57 centim. ed un peso di quasi 8 Kg. e mezzo. Credo che uno studio paleontologico speciale di questo lembo costituirebbe ima Monografia interessantissima, anche per risolvere la questione dell'età di questi terreni, restando il dubbio che si tratti di Tortoniano, come parrebbe risultare dal complesso della fauna, piuttosto che non di Messiniano. l’appennino settentrionale 215 Pliocene. La formazione pliocenica ha in Toscana un immenso sviluppo in causa delle ampie conche o sinclinali che si verificarono fra le emersioni dei terreni paleo-mesozoici ed eocenici. In Toscana, come generalmente nel bacino mediterraneo, possiamo distinguere il Plio- cene in due piani principali. Piacenziano ed Astiano, che esami- neremo brevissimamente, accennando specialmente alle interessanti facies che essi presentano. Quanto alìe ricchezze paleontologiche di carattere marino esse trovansi illustrate dai lavori specialmente di Pecchioli, De Stefani e Pantanelli, Semper, Silvestri, Soldani, Mayer, Fucini, Capellini, Lawley, Manzoni, Meneghini, Brocchi, D’ An- cona, ecc. ; per la filliti ricordo specialmente Gaudin e Strozzi, Ristori, ecc. Piacenziano. — Il fatto generale più notevole riguardo alla formazione piacenziana in Toscana è che essa, per la sua speciale ubicazione molto entro terra, oltre alla tipica facies di marne grigie, spesso assume, ad anche amplissimamente, una speciale facies sabbioso-ghiaiosa od anche ciottolosa (specialmente contro le re- gioni rilevate) che ricorda sia quella astiana , sia persino talvolta quella fossaniana e villafranchiana. Il Piacenziano non affiora nella Toscana settentrionale, ma probabilmente esiste sotto i depositi astiani e quaternari nella pia- nura pisana, nonché sotto l'ampio piano che si sviluppa tra l'Ap- pennino di Pescia, il Monte Pisano ed il Monte Albano. Ad occidente della regione montuosa del Chianti si svilup- pano estesissimamente i terreni picicenziani e vi possiamo osser- vare molto bene che, mentre nel Senese centrale e meridionale e nella bassa Val d’Elsa, essi presentano la tipica facies di marne grigio-azzurre di mare profondo ( mattaione , crete senesi , ecc.), in- vece verso le regioni elevate mesozoiche ed eoceniche (che rappre- sentano le antiche linee di spiaggia) poco a poco colle marne si alternano sabbie ed arenarie grigio-gialle, poi compaiono lenti ghia- iose od anche ciottolose (spesso a ciottoli traforati dai litodomi), finché contro le falde rocciose troviamo ben spesso estese forma- zioni ciottolose anche molto potenti, alternate con sabbie ed are- narie, di tinta grigio-giallastra o rossiccia, che a primo tratto par- 216 F. SACCO rebbero depositi villafranchiani. Sono invece depositi piacenziani littoranei o di foce, analoghi per esempio a quello famoso di Sasso nel Bolognese; ed infatti seguendone lo sviluppo si vede che, allon- tanandoci dalle regioni montuose, dette zone ciottolose si trasfor- mano in zone sabbiose ed anche marnose, fino a riassumere la facies piacenziana. Queste transizioni più o meno regolari si possono osservare in mille punti, nè credo opportuno scendere a disamine speciali; ricordo solo i grandi cumuli ciottolosi di Fosso Spugnaccio (nord di Castelnuovo Berardenga), di Montelupo - Capraia , di Casole d’Elsa, ecc.; i potenti banchi arenaceo-conglomeratici di Montelupo - S. Casciano in Val di Pesa - Mercatale, ecc. Talora queste zone ciot- tolose del Piacensiano sono ora ridotte a lembi isolati sulle roc- cie antiche, così quella di Àrgennina (nord-est di Siena), di Mon- santo (nord-est di Poggibonsi), di Lamole sopra l’Arno, ecc. Le zone ciottolose sono generalmente giallastre, ma talora anche ros- siccie, specialmente quando trovansi addossate a rilievi cretacei ofiolitiferi, l’alterazione dei cui elementi cagionò appunto la tinta rossastra, come sembrami il caso per le zone ghiaiose che appaiono qua e là fra le marne piacenziane ed il Cretaceo in Val Casciani presso Gambassi, quantunque esse ricordino alquanto speciali affio- ramenti messiniani . Talora i ciottoli sono traforati dai Litodomi, anzi talvolta tali fori trovansi anche sui calcari secondari in posto che costituirono littorale durante il Pliocene, cosi per esempio in alcuni affioramenti Basici ed infraliasici dei Bagni di Casciana. Le zone o lenti arenaceo-ciottolose per lo più stanno nella parte superiore del Piaceaziano , ma spesso appaiono anche nella parte media e veggonsi talvolta ancora coperte da strati mar- nosi grigi. Naturalmente anche i fossili di queste speciali facies del Pia- cenziano differiscono più o meno da quelli tipici (di mare abba- stanza profondo) di detto terreno, cioè sono fossili di mare poco profondo o di littorale (con Gerithium , Potamides , Ostraea , Pecten , Cardimi) od anche continentali (terrestri o lacustri), nel qual caso essi nel complesso si avvicinano naturalmente a quelli del Messiniano\ è perciò che furono qua e là indicati come miocenici certi depo- siti littoranei o maremmani che crederei piuttosto riferibili ancora al Piacenziana. Così per esempio la regione pliocenica del Senese l’appexnixo settentrionale 217 settentrionale, per esser compresa fra i rilievi della Montagnola e del Chianti, costituì anche durante il periodo piacenziano una regione prevalentemente maremmana, con notevoli e ripetute varia- zioni di facies e di sedimentazione, dove si depositarono ligniti (ora utilizzate) con numerose fìlliti e resti di Cyjrris, Helix , Planorbis, Paladina , Bithynia , Vale ala J Nematurella , Melania , Melanopsis ■, Neritina , Dreissena , ecc., nonché resti interessantissimi di Ver- tebrati, come : Tryonix, Emys, Tapirus priscus , Eipparion gra- cile., Sus provincialis, Hippopotamus liippoaensiSj Cervus elsanus , Antilope Massoni ed A. Cordieri , Myolagus elsanus , Semno- pilhecus monspessulanus, ecc. ; questo deposito, conosciuto special- mente sotto il nome di Casino, e noto già al Soldani che ne parlò or è più di un secolo nella sua Testaceogratìa, venne poi studiato per il lato paleontogico da Capellini, Forsyth-Major, Sordelli, Ristori, Peruzzi, De Stefani, Fuchs, Campani, ecc., ma specialmente dal Pantanelli che pubblicò una Monografia geologica e paleontologica: Sugli strati miocenici del Casino , Mem. R. A. L. 1879 e dal De Stefani: La Montagnola senese B. C. G. I. 1880, concluden- dosi in generale alla miocenicità di detta formazione. Come dissi sopra piu- ammettendo che la speciale facies marem- mana del deposito abbia naturalmente portato con se una facies messi- niana nei fossili, tuttavia dall’esame complessivo della regione inclino a porre detta formazione ancora nel Piacenziano inferiore, eccetto che possa bastare la presenza di Congerie e d’altri fossili specialmente messi niani per far collocare detta formazione nel Messiniano. Se è accettabile la mia interpretazione si accrescerebbe l’ interesse della formazione del Casino che rappresenterebbe una delle poche re- gioni italiane in cui esista il Piacenziano con facies maremmana o continentale, riccamente fossilifero. In seguito ad osservazioni fatte 1’ anno scorso nella regione della Bresse presso Lione, in compagnia dell’ amico prof. Depéret, mi parrebbe poter confrontare la formazione di Casino con quelle dei noti orizzonti di Mollon, di Sermenaz, ecc. che rappresentano ap- punto il Piacenziano inferiore e medio di detta regione assoluta- mente classica per il Piacenziano a facies continentale. Zonule arenaceo-ciottolose, grigio-giallastre, con qualche resto di Vertebrati, osservansi anche nella parte alta delle tipiche colline marnose pia- cenziane , così per esempio nelle colline attorno a Valecchio (Castel- 218 F. SACCO fiorentino) e servono benissimo a collegare le zone piacenziane tipiche con quelle a facies littoranea che attorniano la regione occidentale del Chianti. Riguardo al Senese ricordo anche il minuto studio del De Ste- fani : Descrizione degli strati pliocenici dei dintorni di Siena , B. C. Gr. 1. 1877, e la speciale monografia paleontologica di De Stefani e Pantanelli sopra i Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. B. S. Mal. it. 1878-80. Consultisi pure la bella Bibliogra- fia geologica e paleo litologica della Prov. di Siena , B. C. G. I. 1878, redatta dal Pantanelli; da essa risulta quanta ricchezza di osser- vazioni siasi già accumulata in questa interessante regione da oltre tre secoli e per opera di tanti scienziati fra cui molti chiarissimi. Un'altra facies assunta talvolta dal Piacenziano è la cal- carea, specialmente, come è naturale, presso i rilievi calcarei me- sozoici. Tale facies calcarea vedesi assai sviluppata in alcuni punti del Senese; si distingue dalle zone travertinose quaternarie per la tinta generalmente più giallastra, oltre a presentare spesso Ostri- che, Pettini, ecc. Lo stesso fatto osservasi attorno all' affioramento di Jano (in rapporto forse colla zona calcarea del Trias), special- mente nelle vicinanze di Jano stesso che è appunto fondato sopra potenti banchi calcarei, travertinosi, leggermente inclinati ad ovest nord-ovest, da alcuni attribuiti al Quaternario. Ma, fatta eccezione delle sovraccennate facies speciali, più o meno locali, ciottolose o calcaree, littoranee o maremmane, la for- mazione piacenziana sviluppasi tipica, potente, amplissima nelle grandiose sinclinali o bacini idrografici dell’Elsa, dell'Era, e della Fine; ne risultano quelle tipiche regioni collinose grigie, quasi senza abitazioni e senza alberi, che costituiscono per tratti notevoli un paesaggio molto triste, regioni aride d’estate, fangose d'inverno; solo vi troviamo qualche centro d'abitazione là dove compare qualche zona sabbiosa. Ovunque vi sono frequenti i fossili, ma nelle vallate del- l'Elsa e dell'Era, specialmente presso le zone sabbiose, essi sono per lo più così straordinariamente abbondanti che il Naturalista ne rimane colpito e pensa con soddisfazione che le più incessanti ricerche di tutti i Paleontologi del mondo non basteranno mai ad esaurire l'infinita ricchezza di questo grandioso Museo plioce- nico naturale! Oltre alle zone sabbioso-arenacee, giallastre, submontane, l’appenmno settentrionale 219 direi, che presenta il Piacenziano verso il Chianti, nelle colline dell'alta Val d’ Elsa. S. Gimignano-Montajone, S. Vivaldo, ecc., osservansi anche formazioni consimili nelle grandi conche piacen- ziane specialmente nella zona di passaggio all’ Astiano, ciò che è ben naturale ma che spesso produce incertezza nella delimitazione dei due piani. Sonvi poi qua e là speciali zone di arenarie gial- lastre, e ne sono tipo per esempio quelle di Volterra e del prossimo Monte Voltraio, le quali per la loro facies sembrano affatto rife- ribili a.11' Astiano, mentre che per la grande lontananza dalle vere regioni astiane sono forse ancora da attribuirsi al Piacenziano su- periore; cioè si debbono forse considerare come depositi formatisi sulla fine del periodo piacenziano al fondo di un golfo marino che andava gradualmente emergendo e passando quindi qua e là allo stato di seno poco profondo, sublittoraneo. Astiano. — Quantunque molti geologi, anche fra quelli che si occuparono particolarmente della Toscana, non credano ragionevole distinguere il Piacenziano dell’ Astiano, ritenendoli soltanto due facies dello stesso piano e non due divisioni cronologiche, tuttavia, ammettendo naturalmente una graduale transizione fra di esse, credo opportuno distinguere una formazione dell'altra; d'altronde trovai che in Toscana tale distinzione è quasi altrettanto facile e naturale come nella Vallata padana, dove l’ho seguita e segnata dal Pie- monte al Veneto da una parte ed alla Romagna dall’ altra. Noto però come non solo esista una graduale transizione in senso ver- ticale tra Astiano e Piacenziano , ma che spesso nelle colline toscane, per esempio in quella di Palaja, ecc., abbia osservato una vera transizione laterale, cioè un passaggio litologico in senso orizzontale per modo che alcune zone marnoso-grigie, attribuibili al Piacenziano superiore, in certe direzioni diventino poco a poco sabbiose, grigio- giallastre, acquistando così una facies astiano, che ne rende diffi- cile la distinzione dal vero Astiano ; ma trattasi di fenomeni più o meno locali che non alterano, a mio credere, la distinzione gene- rale dei due orizzonti geologi. L 'Astiano della Toscana, come in generale nel bacino circum- mediterraneo, è rappresentato da marne e sabbie giallastre, le quali più o meno ripetutamente alternandosi in basso con strati sabbiosi e marnosi grigi passano gradualmente al Piacenziano per modo che spesso la delimitazione riesce incerta ad arbitraria; invece in 220 F. SACCO alto detta formazione spesso diventa prevalentemente sabbiosa, sab- bioso-ghiaiosa, talvolta anzi gbiaioso-ciottolosa a tinta giallo-ros- siccia, finché generalmente verso il centro delle conche essa viene regolarmente ricoperta dai terreni sahariani. Facciamone un cenno sommario. Tra lo sbocco della Valle montana del Serchio ed il torrente Pescia si estende una zona astiano, che verso ovest fu amplissi- mamente e profondamente abrasa dalle correnti acquee del Serchio, che la ricoprì anche in parte colle sue alluvioni, mentre che nelle colline di Gragnano, Monte Carlo, ecc., essa si presenta ancora assai ben conservata. Però non trattasi qui del tipico Astiano marino, riccamente fossilifero,- bensì di un Astiano a facies littoraneo- deltoide, cioè di un deposito di foce, direi, costituito di marne sab- bioso-argillose, grigio-giallastre o rossastre, frequentemente alternate con letti o lenti ghiaioso-ciottolose (a ciottoli prevalentemente quarzitici e dilavati) quasi senza fossili o con scarsi e meschini resti di una fauna littoranea o d'acqua salmastra; talvolta incon- transi anche speciali zone marnoso-argillose grigio-bleuastre (spesso escavate per uso di laterizi) , nonché interstrati argilloso-sabbiosi, grigio-giallastri o rossigni; non sono rare le lenti con fossili sal- mastri ed anche terrestri ( Eelix italica De Stef., ecc.) che ci in- dicano precisamente la vicinanza di una foce ed il passaggio, verso l’alto della serie, a strati salmastro-lacustri. Abbiamo cioè un Astiano a facies fossaniana , che probabilmente in origine passava gradualmente alla formazione villafranchiana delle colline lucchesi; tutto ciò naturalmente causato dallo sbocco della grandiosa massa acquea del Serchio che durante il periodo astiano doveva costituire una regione deltoide-lacustre nella pianura lucchese. Tra lo sbocco di Val Pescia e quello di Val Nievole esistono probabilmente le formazioni astiane sotto al Diluvium ed all ’Al- luvium , ma questi lo mascherano in modo che non potei osservarne direttamente affioramenti notevoli. li Astiano marino, come il Piacenziano , non penetra nel ba- cino di Firenze, che costituì una conca pliocenica lacustre; ma seguendo le falde occidentali del Monte Albano lo vediamo riaf- fiorare poco a sud-est di Montevettolini colle solite sabbie gialle, inglobanti qua e là verso l’alto lenti di ciottoli di Macigno , profonda- mente decomposto, come ad esempio nelle colline di Lamporecchio. l’appennixo settentrionale 221 L'ampia incisione ed abrasione fatta dalle acque del Pescia e dell’Arno isolò dalla restante cerchia asticina una regione amplis- sima, caratteristica per costituire nell'assieme una specie di alti- piano inclinato dolcemente a conca verso occidente ; è l’interessante regione di Cerboje-S. Maria in Monte. Questa regione stratigrafi- camente costituisce una specie di bacino aperto ad ovest, giacché i suoi strati nella regione Cerboie pendono a sud-ovest ad un dipresso e nella regione Cerboie- S. Maria inclinano a nord-ovest circa, na- turalmente con graduali passaggi tra i due casi; l'inclinazione è sempre dolcissima, talora con leggiere ondulazioni. La costituzione geologica della regione in esame è abbastanza uniforme; cioè nella parte inferiore (che però1 corrisponde all 'Astiano medio) e media si sviluppano le solite marne e sabbie giallastre, però con rari fossili e di littorale, il che indica un deposito formatosi in un mare poco profondo dove si veritìcava la fluitazione di varie correnti continentali ; d’altronde le locali irregolarità e diversi fenomeni che presentano certe zone sabbioso-arenacee mostrano chiaramente trat- tarsi di depositi littoranei soggetti talvolta a movimenti d’onda o simili; nella parte superiore si osserva che agli strati sabbiosi si alternano lenti ghiaiose e ghiaioso-ciottolose a facies fossaniana J passandosi gradualmente a strati essenzialmente sabbioso-ghiaioso- ciottolosi, giallo-rossastri, talvolta a facies diluviale, e che sem- brano far passaggio ai depositi diluviali che si stendono su di essi- anzi riesce spesso alquanto incerta la delimitazione dei due ter- reni, anche in causa della rarità di sezioni un po’ nette ed estese in queste regioni. Le formazioni ciottolose compaiono non solo nella parte su- periore dell 'Astiano, ma talvolta anche nella parte media, come osservasi per esempio tra Calcinaja e Montecalvoli ; quivi infatti; vediamo che sotto le sabbie e le marne giallastre con fossili di litto- rale appaiono banchi ciottolosi, anzi conglomeratici, quasi orizzontali, tanto cementati che opposero forte resistenza all’erosione dell’Arno che tuttora vi si getta contro, tra Cateratte ed il ponte di Pontedera. A sud della sovraindicata isola, direi, astiarla di Cerboie-S. Maria, e da essa separata per la profonda ed ampia incisione dell’Arno, sviluppasi più o meno ampiamente la zona astìana periferica, direi, cioè quella che costituisce la sponda meridionale del grande seno marino pliocenico della Toscana occidentale. Devesi subito notare 222 F. SACCO come la zona marginale stratigraficamente inferiore di questa forma- zione astiana , cioè quella che passa al Piacenziano superiore, sia costituita di una tale e così ripetuta alternanza di strati sabbiosi e marnosi, giallastri e grigiastri, che una delimitazione netta dei due orizzonti credo sia affatto impossibile ; quindi è piuttosto coll'esame generale che non con quello minuto, particolare, che si riesce a di- stinguerli complessivamente in modo abbastanza razionale, ma na- turalmente un po’ arbitrario riguardo alla linea di delimitazione che si presta a dubbi ed a varie interpretazioni. Questa formazione astiana è generalmente molto fossilifera, spesso anzi meravigliosamente zeppa di fossili, ciò che la diver- sifica dalle sovraccennate quasi contemporanee zone esistenti sulla destra dell’Arno, il che è in diretto rapporto sia colla grande fluita- zione proveniente dal versante meridionale dell’ Appennino (fluitazione che rendeva fangose e dolciastre le acque della parte settentrionale del grande golfo pliocenico in esame), sia col fatto che a nord dei- fi Arno non affiora (eccetto che tra Fucecchio e Vinci) X Astiano inferiore che è generalmente la zona più fossilifera. Infatti nelle regioni a sud dell’Arno i fossili sono specialmente abbondanti nell 'Astiano medio ed inferiore, particolarmente in quest’ultimo dove le marne e le sabbie, grigie e gialle, ripetutamente alternan- tesi, sono spesso zeppe di fossili, particolarmente Molluschi. Ma nella parte superiore della serie astiana , cioè verso il centro della conca pliocenica, i fossili divengono rari finché quasi mancano ; compaiono invece lenti ghiaiose e ciottolose che divengono sempre più abbondanti verso l’alto, alternandosi con sabbie terrose giallo-rossastre,, finché in molti punti sembrano quasi passare a de- positi diluviali; abbiamo cioè qui la ripetizione, relativamente limi- tata, di quanto si è notato verificarsi tanto ampiamente ed esser quasi caratteristico dell 'Astiano a nord dell’Arno. I ciottoli sono special- mente quarzitici, diasprigni, arenacei o calcarei, provandoci il fatto interessante di derivare essi dalle regioni montuose del Monte Pisano o dell’Appennino, piuttosto che non dai vicini rilievi dei Monti livornesi e castellinosi, come già aveva indicato il Savi e, più precisamente, il D’Achiardi nel lavoro Sulle ghiaie delle colline pisane , ecc. B. C. Gf. S., 1872. Una interessante facies dell 'Astiano inferiore è quella che sviluppasi a sud di Lari; cioè colle sabbie si alternano strati e l’appennino settentrionale 223 banchi arenaceo-calcarei così compatti da poter venire escavati per pietrisco e materiale da costruzione ; il materiale cementante è essen- zialmente costituito di organismi (Molluschi, Balanidi, Briozoi, Brachiopodi, Echinodermi, Corallari, Foraminiferi, ecc.), ma in certi punti abbondano talmente le Amphistegina, che esse costitui- scono quasi da sole intieri banchi, donde il nome di Pietra lenti- colare , o, meglio Calcare ad Amphistegina che venne giustamente dato a tali banchi ; tipici per questa formazione sono i dintorni di Parlascio, Fridiano, S. Ermo, ecc. Consultisi a questo riguardo oltre i lavori di Pilla, Passerini, Capellini, Manzoni, D’Àchiardi, De Ste- fani, ecc. specialmente la Monografia del De Amicis sopra II Calcare ad Amphistegina nella Provincia di Pisa ed i suoi fos- sili, Atti S. T. Se. Nat., voi. VII, 1885. Quanto alla posizione stratigrafica di questo calcare è notevole come esso sia stato da molti considerato quale miocenico, mentre esso vedesi assai chiaramente sovrastare (in modo speciale a sud di Parlascio) alle marne argillose grigie del Piacenziano per modo che la sua attribuzione all' Astiano non parai contestabile. Accenno invece al dubbio che possano ancora riferirsi al- l’ Astiano inferiore i banchi sabbioso-arenacei giallastri di Volterra; malgrado le zone sabbioso-arenacee intermedie di Terricciola, Pec- cioli. Montelopio, Lajatico, ecc., inclino a pensare che si tratti solo di depositi locali, a facies astiana , formatisi alla fine del periodo piacenziano pel graduale riempimento del seno pliocenico di Volterra, il quale probabilmente emerse già sul principio del periodo Astiano ; se si trattasse di veri lembi astiani, parai che si osserverebbero mag- giori, più estesi, e più potenti lembi, sabbioso-arenacei, di collega- mento tra Volterra e la linea periferica (Lari-Palaja) del tipico Astiano. Ricordo qui come i famosi depositi marini fossiliferi di Val- lebiaja presso Fauglia, che aitri volle riferire al Postpliocene, siano certamente attribuibili all' Astiano ; veggansi in proposito i lavori di De Stefani, Busatti, ecc. Notiamo in ultimo come allo sbocco di Val Fine, a sud di Rosignano, compaiano sotto al Diluvium parecchi banchi sabbioso- arenacei giallastri che paiono riferibili all 'Astiano e che si esten- dono nelle colline più a sud, quantunque non siano quivi facilmente delimitabili dalla formazione piacenziana che presenta spesso anche essa una facies astiana specialmente là dove appoggiasi ai rilievi 16 224 F. SACCO cretacei ; questo Astiano arenaceo verso ovest passa forse gradual- mente in alto alla Panchina. Villafranchiano. — Comprendo con questo nome le formazioni di natura fluvio-lacustre depositatesi durante il Pliocene superiore e che quindi rappresentano la facies continentale dell 'Astiano. Già presso Lucca, nelle colline di S. Alessio, Monte S. Qui- rico, Villa Barsanti ecc., troviamo depositi ciottolosi abbastanza estesi e potenti, ricoprenti strati marnosi grigio-bleuastri, che credo attribuibili al Villafranchiano ; essi rappresentano i resti di un deposito fluvio-lacustre, certamente molto più esteso in origine, che si formò nella conca lucchese, probabilmente per quella specie di ristagno che dovevano quivi costituire le acque del Serchio e delle vallette vicine, in causa della relativa strettezza della forra di Ripafratta ; tali formazioni vennero in seguito, cioè durante il periodo terrazzano , largamente e profondamente incise ed abrase dalle correnti acquee che inoltre le mascherarono per la massima parte coi loro depositi alluvionali. Si è già accennato come verso est probabilmente questa formazione villaf ranchiana passi a quelle marine o maremmane della regione subappennina di Pescia. Nel lavoro sull' Appennino dell'Emilia ebbi già a segnalare, pel versante meridionale dell' Appennino toscano, le interessanti e vaste conche villafranchiane di Castelnuovo Garfagnana e del Bar- ghigiano, il curioso lembo di Montepiano ed il grande bacino vil- lafranchiano. qua e là lignitifero, del Mugello; rimando perciò a tale lavoro e, per l’ultima regione accennata, specialmente ai re- centi lavori del Ristori, Il Bacino pliocenico del Mugello. B. S. G. I., voi. IX, 1890 e del De Stefani, Il Bacino ligniti fero della Sieve. B. C. G. I., voi. X, 1891. Accenno solo come questi depositi siano specialmente marnoso-sabbiosi, grigiastri, nella parte inferiore, invece sabbioso-ghiaiosi e ciottolosi, talvolta conglomeratici, giallastri, nella parte superiore, la quale viene generalmente ricoperta dal loess o dai depositi ciottoloso-terrosi del Sahariano. La pendenza degli strati è per lo più verso il centro del bacino, e dolcissima, eccetto locali per- turbamenti di facies torrenziale o deltoide. I resti fossili non sono rari e sono rappresentati da ligniti (spesso utilizzate), fìlliti, Molluschi lacustri e terrestri (Plano rb isJ Bythinia J Nernaturella Limnaea , Val- vata , Helix, Hyalinia , Pisidium J Unio, Dreissena , ecc.) e Vertebrati (. Rhinoceros etruscus , Eléphas meridionalis , Cervus , Inuus, ecc.). I. 'APPENNINO SETTENTRIONALE 225 Il bacino di Firenze costituì certamente una conca lacustre dm-ante il Pliocene, ma Y azione posteriore delle correnti acquee, sia per erosione sia per grande trasporto alluvionale, fece sì che ne vennero in massima parte abrase o mascherate le formazioni villa franchine. Contuttociò se ne osservano traccio alle falde orien- tali del Monte Albano, così per esempio nei banchi giallastri are- naceo-conglomeratici di Comeano, così pure presso Firenze special- mente tra Ricorboli e Ponte ad Ema, nonché in Val d’Ema sopra Grassina, ecc. Gli antichi profondi fori fatti in piazza S. Marco, a S. Maria Novella, sulla piazza del Carmine, ecc., secondo la serie pubblicata dal De Stefani nel suo lavoro sopra: I terreni e le acque del Bacino di Firenze , R. Acc. Georg., 1891 , sem- brameli provare che nel sottosuolo di Firenze, sotto oltre 10 m. di alluvioni terrazziane , si trovino 20 a 40 m. di marne, argille, ghiaie, ecc., del Villafranchiano che riposa direttamente sugli schisti cretacei. Presso Firenze è appena in pochi e brevissimi tratti che potei osservare i conglomerati villafranchiani , ma è certo che essi sono molto più estesi, forse anche esistendone lembi alle falde delle colline tìesolane; ma in questo caso alle cause naturali (loess, alluvioni, vegetazione, ecc.) si aggiunsero anche quelle artificiali (costruzioni, coltivazioni, ecc.) a rendere difficile la diretta consta- tazione di questi depositi. I resti di Elephas meridionali s e di Mastodon arvernensis trovati fuori Porta Romana e presso S. Gaggio ci indicano esistervi lembi villafranchiani ora mascherati dalle opere artificiali; lo stesso dicasi per F Equus stenonis trovato presso il Camposanto degli Inglesi agli Allori. Presso il Cimitero delFAntella esiste, in una specie di conca, un lembo di terreno breccioso-ciottoloso, essenzialmente calcareo, cioè formato localmente alle spese delle vicine zone eoceniche, lembo che forse è riferibile al Villafranchiano , poiché pare colle- garsi inferiormente a strati marnoso-arenacei di facies villafran- chiana. Fra i depositi Villafranchiani della Toscana sovratutto fa- moso per la sua vastità e per la sua ricchezza in fossili è il gran- dioso bacino di Val d’Arno. Son tanti gli studi, specialmente d'indole paleontologica stati fatti specialmente da Blainville, Cuvier, Falconer, Forsyth-Mayor, 226 F. SACCO Rutimeyer, Weithofer, Gaudry, Fabrini, Nesti, Ristori, Gaudin e Strozzi, Cocchi, Simonelli, ecc. su questo bacino pliocenico di Tal d'Arno che anche la semplice loro citazione bibliografica sarebbe assai lunga ; io credo perciò inutile qui di trattare di detta forma- zione; mi limiterò quindi ad accennare che essa, come ad un dipresso quelle contemporanee della Toscana, presenti nel complesso la seguente costituzione: Sahariano. Loess giallo-rossiccio con lenti o letti ghiaiosi. Villafranchiano . Sabbie o arenarie, ghiaie e ciottoli, di tinta grigio-giallastra ( Sansino). Sabbie e marne grigiastre con lenti ghiaiose o ciottolose. Sabbie e marne grigio-verdastre. Si vede chiaramente qui, come generalmente negli altri ba- cini pliocenici, l’accentuarsi, regolare nell'assieme, ma irregolare nei particolari, del regime fluviale e quindi torrenziale; l’avanzarsi delle formazioni alluvio-deltoidi, ecc., e quindi, ciò che è interes- sante, il graduale passaggio dal regime pliocenico a quello qua- ternario. Gli elementi ciottolosi sono specialmente di Macigno. Noto come mi rimanga il dubbio, che ho già espresso in altri lavori geologici, sia sull’ Appennino sia sulle prealpi lombarde, che cioè la zona marnosa basale di alcuni più potenti e più completi bacini pliocenici villa franchiani , come precisamente questo di Val d’Arno, oltre che all 'Astiano inferiore, possa già corrispondere a parte del Piacenziano ; è noto come Gaudin e Strozzi studiando le tìlliti della bassa Val d’Arno riferissero la zona fìllitifera mar- nosa basale al Miocene superiore ( Oeninghiano ), ciò che fu giu- stamente contradetto in seguito dal Ristori. Rimane tuttavia a mio parere il fatto che la flora e la fauna della zona basale del bacino valdarnese ha caratteri di una certa antichità. Ma occorreranno ul- teriori studi paleontologici, specialmente di confronto colle faune di tipici depositi piacenziani a facies continentale, per sciogliere il dubbio. La formazione Villafrancliiana di Val d’Arno, oltre a costi- tuire il tipico bacino subellittico, si avanza variamente ed anche notevolmente fra i rilievi eocenici circostanti ; così per esempio ne troviamo lembi più o meno estesi in Valle Ambra sino al Ca- stello di Montalto. l’appenxino settextrioxale 227 Quaternario. I terreni quaternari occupano una vasta estensione in Toscana ma non presentano un grande interesse dal lato della geologia pura. Sahariano. In un lavoro sopra Lo sviluppo glaciale nel- l' Appennino settentrionale , C. A. I., 1894, ho già trattato dei depositi morenici o submorenici che esistono nell’ Appennino sino al gruppo di Corno delle Scale, dopo di che non ne trovai più traccie degne di nota. Il De Stefani scrisse pure largamente sopra Gli antichi ghiacciai delle Alpi Apuane , C. A. I., 1891; quindi al riguardo non ho che a rimandare a detti lavori. Le formazioni fluviali o Diluvium sono relativamente assai sviluppate, sia come semplici veli di loess , sia come veri depositi ghiaioso-ciottolosi, ed anche un po' brecciosi, più o meno commisti a sabbia terrosa, di tinta complessivamente giallo-rossastra ; la loro potenza è generalmente poco notevole, talora di solo uno o due metri, raramente di oltre 15 o 20. Come di solito i depositi di- luviali si trovano ormai ridotti a lembi o in alto o riparati da sproni rocciosi, cioè in regioni dove la grande abrasione verificatasi durante la prima metà del periodo ter razziano non potè verificarsi; essi sono quindi elementi preziosi per valutare la potenza delle erosioni postdiluviali, per riconoscere l’ampiezza, la direzione, l’altezza, ecc., dei corsi d’acqua sia del periodo sahariano sia del periodo ter- razziano. Diamone un brevissimo cenno. Nella cosidetta regione dei Monti Oltre Serchio trovansi qua e là lembi diluviali rappresentati sia da accumuli ciottolosi-sab- biosi come ad ovest di Maggiano, sia da veli di loess e ghiaiette rossigne come nella conca di Farneta, ecc. Allo sbocco di alcune vallate del Monte Pisano si osservano piccoli coni di deiezione, di cui i più tipici credo attribuibili al Diluvium , quantunque per alcuni resti il dubbio se trattisi di alluvioni sahariane o terrazziane , tanto più che sovente vi fu ri- maneggiamento delle prime per azione delle correnti acquee che depositarono le seconde. Generalmente il Diluvium fu spazzato via allo sbocco delle vallate maggiori o percorse da acque più abbon- danti, mentre invece si conservò allo sbocco delle vailette aventi 228 F. SACCO un corso d’acqua di media portata che incise il Diluvium invece di spazzarlo via; ma sovente, come dissi, i due casi si combina- rono producendo incertezza nella determinazione cronologica com- plessiva di queste formazioni. Allo sbocco della valle montana del Serchio il Diluvium fu probabilmente assai più sviluppato, ad un dipresso come è ora per esempio nella regione di Altopascio, ma l'erosione terrazziana l’ha in gran parte fatto sparire ; ne troviamo solo una striscia verso est alle falde appenniniche (sopra alla zona asticina) dove le grandi correnti acquee lo rispettarono ; consimile è il suo sviluppo allo sbocco montano del Pescia. Nella regione appenninica si trovano qua e là, a 100, 200 e talora oltre 200 metri sull’attuale fondo delle vallate, piccoli al- tipiani, talvolta con sottile velo ciottoloso, i quali ci indicano il residuo degli antichi letti torrenziali durante il periodo sahariano. Ne sarebbe interessante lo studio particolare. A sud delle colline astiane di Porcari-Montecarlo il Diluvium si estende amplissimamente a costituire gli altipiani di Altopascio, avanzandosi poi notevolmente, a guisa di velo sempre più sottile, sopra le formazioni astiane di regione Cerboie-Calcinaja, alle quali formazioni parrebbe talora quasi far passaggio, donde la difficoltà di una netta delimitazione. Questo Diluvium è costituito essenzialmente di depositi ciottoloso-terrosi, giallo-rossastri, talora a facies di tipico ferretto (i cui ciottoli arenacei ( Macigno ) sono completamente de- composti), per lo più coperti da loess di egual tinta o giallo-bian- chiccio. È notevole come nel Diluvium che si stende tra Montecarlo ed Altopascio abbondino i ciottoli quarzitici ed anagenitici, fatto che ci indica la provenienza di questi materiali diluviali. E poi da osservarsi come la direzione ed il modo di erosione del Diluvium di Altopascio-Orentano ecc. sul lato occidentale, sino a Calcinaja sembri indicare che questa incisione fra detta re- gione diluviale ed il Monte Pisano sia stata fatta non solo dalle acque scendenti dai versanti nord ed est del Monte Pisano e da quelle del Leccio e torrentelli vicini, ma fors’anche da una parte delle acque del Serchio, specialmente nei periodi di grandi piene torrenziali. Strisele più o meno estese di Diluvium costituito di loess giallo-rossiccio, talvolta con straterelli ciottolosi o quasi brecciosi, l’appennino settentrionai.e 229 talvolta con grossi elementi ciottolosi, si incontrano lungo le falde appenniniche tra Pescia e Montecatini, estendendosi esse ampiamente ad ovest del Monte Albano, sotto forma per lo più di potente Loess giallo-rossastro. Nel bacino di Firenze riscontransi analoghi lembi diluviali specialmente alle falde orientali del Monte Albano dove le erosioni postdiluviali dovettero verificarsi meno intense e meno estese che altrove; sembra riferibile al Diluvium il velo di loess con ciot- tolali che ricopre le depresse colline cretacee che si stendono alle falde del Monte di Fiesole, quantunque le opere artificiali non mi abbiano permesso di osservare sezioni geologiche un po’ profonde ed istruttive. Sono curiosi ed interessanti per la loro elevata posizione i lembi ciottolosi di Grassina, La Martellina, Casoni, ecc., i quali sembrano riferibili al Diluvium, talora anzi avendo la facies di vero ferretto; essi ci provano quanto potente e profonda (talora di oltre 100 metri) sia stata l’erosione e l'incisione prodotta dalle acque in queste colline cretaceo-eoceniche nel solo periodo terrazziano. Lo stesso fatto osserviamo in qualche punto di Val Greve; così ri- cordo il lembo di ciottoli di Macigno decomposto che trovasi ad un centinaio di metri sopra il letto del torrente a nord-est di Greve. Nel bacino del Mugello e, meno ampiamente, nel bacino di Val d’Arno superiore si vede la formazione v illa fr anelli ana rico- perta da un velo più o meno sottile di Diluvium in forma spe- cialmente di loess impuro giallastro, spesso terroso e commisto ad elementi ghiaiosi e brecciosi. Nel bacino di Val d’Arno le gran- diose erosioni postdiluviane erosero ed incisero tanto ed in modo labirintoide, direi, la formazione villa franchiana e diluviale che quest’ultima, generalmente sottile, venne in gran parte abrasa e solo essa si conserva a guisa di cappello là dove l’intiera serie stratigrafìca è tuttora conservata. Nella bassa Val d’Arno, sul lato sinistro, si vede che ben so- vente le collinette plioceniche al loro termine settentrionale sono coperte da alluvioni ciottolose, per lo più a piccoli elementi, spesso rivestite di loess , che paiono in generale riferibili al Diluvium', Detti depositi sono interessanti perchè ci segnano l'altezza e l’am- piezza che avevano la fiumana dell’ Arno ed i suoi affluenti in 230 F. SACCO queste regioni durante il Sahariano e quindi il grado di erosione verificatosi durante il Terrazziano ; il dislivello fra l'altopiano dilu- viale e l’odierno bassopiano alluviale è in media di una quaran- tina di metri ma talora si mostra persino di oltre 50 o 60 in.; talvolta tra detti due piani esiste un salto netto prodotto dell'ero- sione terrazziamo spesso invece si nota una graduale degradazione che ci mostra il graduale ritiro delle acque (come per esempio fra colle Salvetti e Ponsacco) e ci rende incerta e spesso arbitraria la distinzione fra i depositi sahariani e quelli terrazzani, incertezza che si incontra anche quando si tratta di lembi alluviali isolati che si trovano a poca elevazione sul livello del bassopiano. Sono invece più rari i casi in cui (come per esempio in alcuni punti delle colline a sud-est di Pontedera) riesca un pò difficile la netta delimitazione del Diluvium dalle supreme zone ghiaiose faVÌ Astiano a facies fossaniana. Una parte delle breccie ossifere del Monte Pisano, così quella ad Hippopotamus Pentlandi , ecc. sembrano riferibili al Sahariano. Probabilmente una parte della formazione travertinosa del Se- nese è ascrivibile al Sahariano, tant'è che in alcuni punti (alti- piano delle Grazie presso Colle) essa si trova ad un centinaio di metri sopra il livello attuale delle Vallate; ma spesso essa si vede anche degradare poco a poco sino a congiungersi coi depositi consi- mili dei bassipiani, per modo che resta difficile la distinzione sua dai depositi terrazziani. Qualche cosa di simile devesi ripetere per parte della Panchina del Livornese. Terrazziano. — Le formazioni alluviali del Terrazziano se hanno una grande importanza, dal lato specialmente dell’ agricoltura, costituendo la parte superficiale delle ampie pianare dei bacini di Firenze, Pisa, Lucca, ecc. ne hanno relativamente poca dal lato geolo- gico, per cui non credo sia qui il caso di descriverle quantunque talora, come ad esempio nella pianura pisana, i depositi terrazziani fluvio- marini raggiungano anche in alcuni punti la potenza di 50 e più metri, come è risultato da vari scandagli. Si tratta in generale di alluvioni ghiaioso-sabbiose, più o meno terrose, alternate con letti ciottolosi, sovente coperte da un velo terroso, Loess impuro od humus. Qua e là localmente il Terrazziano si mostra con una facies tra- vertinosa compatta, specialmente nelle vicinanze di rilievi calca- rei (Colle Val d’Elsa, Montecatini, Monsummano, ecc.) come è natu- l’APPEXKINO SETTENTRIONALE 231 rale, ed allora talvolta includono fossili lacustri o terrestri (Pilliti, Molluschi, ossa di Bos, Cervus , Equus). Per questi depositi, spe- cialmente sviluppati nell’alta Val d’Elsa, credo opportuno rinviare senz’altro agli studi particolari fatti dal Pantanelli sopra i Mol- luschi post plioceni ci dei travertini della Provincia senese B. S. M. I. voi. V, 1879, dal De Stefani, La Montagnola Senese , Ca- pit. IX. B. C. G. I, voi. XI, 1880, e dal Lotti, Il regime sot- terraneo delle sorgenti dell’Elsa, B. C. G. I, 1893. Ricordo solo come probabilmente queste formazioni travertinose sieno in parte sahariane. È nota la speciale panchina marina o tufo postplio- cenico, talora ghiaioso, del livornese, in cui vennero però anche trovati resti di Elephas e di Hippopoiamus ; i Molluschi ( Ostraea , Cardiurn, Lutraria , Spondilus Mytilus, Pecten , VenusJ Pectunculus , Lima, Astante , Cerithium, Nassa, Strombus , ecc.), gli Echinodermi, i Litotamni, ecc., appartengono a specie viventi. Però paragonando questa formazione con quella astiana che si stende alle falde meri- dionali dei colli di Rosignano marittimo, nasce il dubbio che questa panchina livornese passi inferiormente all' Astiano, mentre che verso l’alto è quasi recente essendovisi rinvenuti frammenti di vaso etrusco o romano. Ricordiamo ancora le breccie ossifere (con Molluschi terrestri e resti di Ursus, PJiinoceros, Elephas, Eyena , Bos, Cervus, Equus, Comis, Felis, Arctornis , Arvicola , Lepus , Cricetus, ecc.) state scoperte in molti punti nelle spaccature o nelle cavernosità dei terreni cal- cari delle Alpi Apuane e dei Monti Pisani, (presso Uliveto, Pari- gnana, S. Giuliano. Vecchiano, ecc.); tali depositi però si forma- rono sia durante il Sahariano sia durante il Terrazziano. Si consultino in proposito specialmente i lavori di Acconci, Capellini, Forsyth-Major, Savi, Regnoli, ecc. Frequenti pure sono i resti di Molluschi terrestri ( Testacella, Helix, Zonites, Bulimus , Poma- tias. Pupa, Clausilia , ecc.) fra la terra rossa delle crepaccie cal- caree, e di essi si occupò specialmente il De Stefani. Quanto all'uomo non credo se ne possa accettare la comparsa in Toscana durante il pliocene, come altri credette poter affermare fondandosi su intagli esistenti sopra ossa di Vertebrati raccolti in ter- reno pliocenico. L’uomo quaternario in parte cavernicolo, specialmente nel pe- 232 F. sacco, l'appennino settentrionale riodo terrazziano antico, lasciò numerose traccie in Toscana, ma non è ora il caso di trattarne. Ricordiamo qui, come formatesi nel periodo terrazziamo , le torbe poco potenti che trovansi attorno e ned sito dell’ asciugato lago di Bientino, nonché quelle presso Pisa a sud dell’Arno verso Livorno. Sarebbe interessante lo studio del graduale sviluppo della pia- nura pisana, ma al riguardo credo opportuno rimandare alle osser- vazioni fatte dal D’Achiardi, dal Savi, ma specialmente dal De Stefani nella sua: Geologia del Monte Pisano, 1875 e dal Gioii II sot- tosuolo delle pianare di Pisa e di Livorno; B. S. G. I., voi. XIII, 1894. Ricordo solo come in linea generale la pianura pisana siasi avanzata gradatamente verso il mare, tant’ è che al princi- pio dell’era volgare Pisa distava soltanto 8 o 4 chilometri dal mare mentre ora ne dista circa 12. Poco a poco va scomparendo la natura paludosa, anticamente generale, di questa bassa regione pisana ; si ha qui un bell’esempio della lotta fra il mare e le correnti continentali che coi loro alluviona- menti hanno in generale il sopravvento. D'altronde prova di tutto ciò ce lo mostrano anche i ritrovati, fatti in varii punti della pia- nura in questione, a profondità non molto grandi, di resti di Car- diurn edule , Cerithium vulgatum, ecc. sotto ai depositi alluviali della superficie; lo stesso fatto c’indicano le efflorescenze saline dette Salmastraie , Salicineti o Terre biancone , effetti dei depositi marini ; soltanto tuttora vediamo il passaggio e talora la lotta, direi, tra la regione perfettamente emersa e coltivata, la regione paludosa, la zona dei cordoni littorali o dune ( Tomboli , Cotoni ) di origine ma- rina e la regione delle lame od estuari. [1° febbraio 1896J. LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE E SITA INFLUENZA SUI GHIACCIAI Memoria del dott. Olinto De Pretto. Capitolo I. Influenza di una maggior altezza delle montagne sui ghiacciai e teoria della degradazione delle montagne. Non è la prima volta certamente che si ricorre all’ipotesi di una maggior altezza delle montagne, per spiegare l’epoca glaciale alla quale ipotesi ricorsero appunto De Charpentier, Lyell, Eavre, Tindall, Desor e qualche altro. È questa infatti la prima idea che s’affaccia alla mente ed è strano che sia stata abbandonata per altre teorie che, a mio modo di vedere, sono assolutamente in- sufficienti a spiegare il grande fenomeno. Ciò proviene dal fatto che non si è dato, e non si dà nemmeno ora, la dovuta importanza al fenomeno della degradazione delle montagne, mentre raggiunse, specialmente durante l’epoca glaciale, proporzioni incredibili e ciò avremo campo di toccar con mano, nel corso di questo breve scritto. Molti autori, parlando degli effetti dell' epoca glaciale, accennano ai vasti e potenti depositi alluvionali di quel periodo, a cui è do- vuta la formazione di tanta parte dei nostri continenti e quasi di- menticano, che tanto materiale non può essere stato preso che dalle montagne, le quali per conseguenza, devono essere molto diminuite di altezza. Ora vediamo se tale fenomeno possa realmente aver determi- nato la scomparsa dell’epoca glaciale. Per maggior chiarezza parto dall’ ipotesi di un sollevamento delle Alpi di 1000 metri. Quantunque difficilmente si possa farsi un’idea anche appros- 234 0. DE PRETTO simativa degli effetti che potrebbe produrre un tale sollevamento, sullo sviluppo dei ghiacciai, è certo che questi ne avrebbero in- cremento grandissimo. L'estensione delle nevi perpetue aumente- rebbe enormemente, invadendo tutta la vasta regione delle Alpi, superiore all’attuale altitudine di 1700 metri. Per conseguenza oltre ad aumentare gli attuali ghiacciai, se ne formerebbero di nuovi, si può dire, in quasi tutte le valli anche secondarie, tornando a comparire anche sulle Prealpi. Sappiamo che i monti sono i condensatori della pioggia e delle nevi e che tale proprietà aumenta con 1’ altezza, quindi per l’effetto del sollevamento supposto, il tributo delle nevi aumen- terebbe moltissimo, e si abbasserebbe per conseguenza la linea delle nevi, come succede sotto i climi umidi della Patagonia e della Nuona Zelanda, risultandone un maggior incremento dei ghiacciai. Importa però farsi un’idea chiara del modo d’agire delle mon- tagne sulle correnti d’aria che devono superarle. È noto che la condensazione dell’ umidità sulle montagne è determinata dalla diminuzione di pressione che subisce l’aria quando è obbligata ad innalzarsi, diminuzione di pressione che determina una forte dilatazione e conseguente raffreddamento. In natura l’aria non esiste, in termine assoluto, priva d’umi- dità, poiché un’aria calda e asciutta, pel semplice raffreddamento, può diventare soprasatura e abbandonare parte della propria umi- dità. Secondo l’Helmoltz, per un’altezza di 11000 piedi, l'aria rad- doppia presso a poco di volume e subisce un raffreddamento di 16 a 25 gradi R. Si comprende come in queste circostanze l’aria debba essere ben secca, per non cedere umidità e infatti le alte monta- gne sono più di rado sgombre di nebbie. In conseguenza di tale fenomeno, tanto più elevata sarà una catena di montagne e maggiore sarà la perdita di umidità deter- minata dalla catena stessa, su di una corrente d'aria che l’oltre- passa. Si potrebbe da ciò dedurre che l’umidità condensata e quindi la pioggia e la neve saranno tanto maggiori, quanta maggiore sarà l’altitudine. Ciò è realmente, fino ad una certa altezza, che sarebbe per le Alpi a 2000 metri e per l’Imalaia a 1270, mentre l’umi- dità più in alto sarebbe minore. Non cessa per questo l’influenza della maggior altezza delle montagne, sulla condensazione dell'u- midità, e ciò si spiega benissimo. LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECO. 235 Consideriamo infatti una corrente d’aria umida che attraversa una catena ; mano mano che si eleva, l’umidità si condensa in neb- bia e può formare uno strato di nubi che si sciolgono in pioggia, prima che l’aria abbia varcato la montagna. Questo fatto succede sovente, cioè le nubi ferme sotto le cime più elevate, danno la pioggia alle valli, ai contraforti ed alla stessa pianura, mentre sulla cime non piove e perfino splende il sole. Non vi è però chi non veda l'influenza che arreca (fig. 1) in questo fenomeno, la porzione della montagna che è più elevata e che può trovarsi senza pioggia. Si avrebbe poi un forte e graduale abbassamento del limite delle nevi, oltre che per la maggior precipitazione d’umidità, de- terminata dalla maggior altezza delle montagne, anche pel fatto che il clima locale in causa dell'aumento dell’estensione delle nevi e dei ghiacci, a poco a poco subirebbe un sensibile raffreddamento. Così si spiega come nell’epoca glaciale il limite delle nevi giun- gesse, secondo quanto si ammette, in prossimità ai 1200 metri di altitudine, occupando per conseguenza gran parte dell’area delle Alpi. Per avere un’idea di quanto aumenterebbe 1’ estensione delle nevi pel sollevamento supposto, nelle valli alpine più importanti, valendomi di una carta coi piani quotati, volli fare un tale cal- colo per l’alta Val Tellina, cioè pel tratto al disopra di Tirano. Questa porzione della valle dell’ Adda con un’ area totale di circa 1120 chilometri quadrati, avrebbe attualmente circa 240 chilometri occupati dalle nevi persistenti e dai ghiacciai, cioè meno dei z/9 dell’area totale: dopo il sollevamento supposto, in- vadendo le nevi l’area attuale superiore ai 1700 metri, verreb- bero ad occupare una estensione non minore di 780 chilometri quadrati e quindi i Vio dell’ area totale. Questo per semplice fatto del sollevamento, supposto che il livello delle nevi non abbia da abbassarsi dall’attuale linea dei 2700 metri. Senza alcun dub- 236 0. DE PRETTO bio però in conseguenza della maggior altezza, i venti deporranno in tutta la valle maggior umidità, risultandone un abbassamento nel livello delle nevi, accresciuto come vedemmo pel graduale ab- bassamento della temperatura. Bisogna tener conto poi di ciò che aveva luogo durante 1' e- poca glaciale e che non mancherebbe di ripetersi; in molte valli i ghiacciai si alzavano talmente, da ostruirle completamente, supe- rando i 1000 e 1500 m. sul fondo. In questo modo, valli anche basse, venivano a trovarsi nel limite delle nevi, cosi i ghiacciai non erano soltanto alimentati, come avviene attualmente, dalle nevi delle sole creste e dei dorsi più elevati, ma da quasi tutta V area del bacino. Ber tutte le cause accennate, si comprende quale influenza avrebbe sullo sviluppo dei ghiacciai, il sollevamento che abbiamo supposto e, basterebbe che questo fosse sufficientemente forte perchè ricomparisse una novella epoca glaciale. Si potrà però obbiettare che molti gruppi Alpini, come quello dell'Adamello, quelli dell’alta Val d’Adige e in generale di tutta la regione orientale delle Alpi, supposto che avvenisse un solleva- mento di 1000 metri, raggiungerebbero appena l' altitudine dei gruppi del Rosa, del Monte Bianco, o delle Alpi Bernesi, nei quali se vi sono ghiacciai relativamente molto importanti, sono ben lon- tani però dall’estensione che avevano i ghiacciai anche più mode- sti dell’epoca glaciale. Questo è vero, ma bisogna tener conto anche del clima locale. Come si sa, nelle Alpi Orientali, domina in generale un clima piuttosto umido e in causa di ciò, vediamo attualmente dei ghiac- ciai che non sfigurano di fronte a quelli dei maggiori colossi delle Alpi. L’Oetzthaler, il Venediger, il gruppo del Cevedale e lo stesso modesto Adamello con le cime in generale molto più basse di 4000 metri, hanno ghiacciai quasi di primo ordine. In Piemonte domina invece, nei paesi vicini alle Alpi, un clima più asciutto. Abbiamo infatti le seguenti medie annuali di piog- gia: Torino 826 millimetri, Mondovi 876, Cuneo 1001, e Aosta 572. ti strano che Aosta, così internata fra le montagne, abbia una media di pioggia così bassa, quasi come i paesi della Sicilia. Pel Veneto invece abbiamo le seguenti medie: Belluno 1427 min., Pordenone 1619, Udine 1551; le Alpi Carniche poi hanno un clima straordinariamente piovoso, poiché a Gemona si ha una LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 237 media che supera i 2400 mm. e a Tolmezzo si hanno tino 4 metri in un anno. Evidentemente se la Val d’Aosta con quella cerchia di mon- tagne tanto elevate, avesse un clima umido come quello della Car- nia, avrebbe dei ghiacciai molto più vasti e forse ne sarebbe in- vasa tutta. Così per la Carnia, basterebbe che le montagne fossero sol- tanto alte in media forse appena 4000 metri, perchè vi si formas- sero i vasti ghiacciai d’un tempo, invece per la Valle d’Aosta l'al- tezza media dovrebbe essere di 5000 o 6000 almeno. Visto come 1’ epoca glaciale possa essere stata determinata sem- plicemente da una maggior altezza delle montagne, ecco intanto come si può compendiare la teoria della Degradazione delle montagne : Col cessare del Miocene , le montagne si sollevarono a grandi altezze e, in causa di ciò, i ghiacciai si estesero molto, ma poi , per l' azione degli agenti degradatori e pili specialmente degli stessi ghiacciai, le montagne mano mano si abbassarono, per cui nel corso dei secoli , si ridussero alle attuali proporzioni e an- che ora, indipendentemente dalle oscillazioni di cui siamo oggi- giorno testimoni, sono soggetti ad una lentissima diminuzione, fino alla loro totale scomparsa. Si tratta ora di dimostrare che i monti avevano in passato una elevazione molto maggiore e se potremo anche conoscere con qualche approssimazione l'entità della diminuzione d’altezza subita, dimostrando che tale diminuzione avvenne specialmente durante l’epoca glaciale, mi pare che si possa dire dimostrata anche la teoria della degradazione. Capitolo II. Azioni degli agenti degradatori e specialmente dei ghiacciai sulle montagne. Il compito di dimostrare che i monti, in causa della rapina a cui sono soggetti da parte delle acque, devono subire una lenta diminuzione d’altezza è facile, poiché ognuno sa quanto materiale continuamente trasporti in sospensione e in soluzione e trascini 233 0. DE PRETTO sul suo fondo un fiume, specialmente durante le sue piene. Basta considerare soltanto il delta del Po che si avanza annualmente per oltre 80 metri sul mare, per comprendere come le montagne del suo bacino, debbano, in lungo volgere d'anni, subire una ap- prezzabile diminuzione d’altezza. E bisogna tener conto che la parte più tenue del materiale, che può essere, in un fiume di lungo corso, la parte prevalente, avendo bisogno di riposo assoluto, va a de- porsi, trasportata dalle correnti marine, lungo i litorali e sui fondi tranquilli del mare. L’attuale processo di degradazione delle montagne, per quanto anche in oggi coadiuvato dal fenomeno glaciale, per una porzione apprezzabile dell’ area delle Alpi, sarebbe ad ogni modo troppo lento, per poterlo considerare causa di una fortissima diminuzione d’altezza delle montagne. Tenendo pur conto che fuori del limite della vegetazione, Fattività degli agenti degradatola è molto mag- giore e quindi più energica la rapina che vi esercitano, siamo an- cora lontani dall’energia che deve essere stata necessaria, per dare risultati così sorprendenti. Dobbiamo perciò considerare in modo speciale il fenomeno della degradazione, quale si verifica sui ghiac- ciai attuali e da ciò ci faremo più facilmente un’idea delle gran- diosità di questo fenomeno, durante l’epoca glaciale, quando i ghiac- ciai ed i nevai coprivano quasi in totalità l'area delle Alpi. Il mantello di neve che ricopre la montagna si direbbe che la protegga dagli assalti del tempo ; quei vasti campi di neve sem- brano impetriti, congelati sulla roccia, invece ciò non è; quelle masse di neve e di ghiaccio della potenza spesso di più centinaia di metri, sono in continuo movimento di discesa e con 1’ enorme pressione, col materiale impigliato nella loro massa, striano e sol- cano profondamente la roccia. Il prodotto di questo attrito poderoso, viene trasportato dal- l’acqua che va a formare l’emissario del ghiacciaio, mentre il ma- teriale più grossolano e specialmente i massi, che costituiscono le morene laterali e mediane, si accumulano a formare la morena frontale, la quale in un periodo di sosta del ghiacciaio anche di pochi anni, può assumere proporzioni rilevanti. Ma la morena fron- tale non rappresenta che una piccola parte del prodotto strappato alla montagna, rimanendo le ghiaie ed i ciottoli e la parte tenue, in balìa del torrente. LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 239 Durante i calori estivi succede una vera piena del torrente e da un ghiacciaio di pochi chilometri d'area sbuca, stracarico di materiale, un fiume fragoroso, il quale ci dà in certo modo la mi- sura della furia demolitrice del ghiacciaio da cui proviene. Sarebbe importante conoscere la portata media dell' emissario di un dato ghiacciaio, e la quantità di materia che trasporta, ed io, con qualche dato che ho potuto raccogliere, voglio fare alcuni calcoli. Il 2 agosto 1887, raccolsi dal torrente del ghiacciaio di Yal Gavia nel gruppo del Cevedale, una bottiglia di quell’ acqua tor- bida e feci con mio agio la dosatura della materia in sospensione che trovai essere di 2,9 per mille in peso, cioè circa 3 grammi per litro. Calcolando il peso specifico della roccia pari a 2,50, avremmo 1,2 in volume di materia solida per mille, sospesa nel- l'acqua. Notando che il campione analizzato non si era potuto rac- cogliere nella corrente principale, ma in un ramo secondario del torrente e anche un po' lontano dallo sbocco del ghiacciaio, credo non esagerare calcolando che la materia sospesa nell'acqua del tor- rente fosse di 1,50 in volume per mille. A questa cifra bisogna aggiungere la ghiaia ed i sassi che, per la veemenza della corrente, vengono in grande quantità trasportati ; e ammettendo che tale ma- teriale equivalga anche esso a 1,5 in volume e così pure a 1,5 ciò che si arresta a formare la morena, avremmo così in to- tale 4,5 per mille del volume dell’acqua. Volendo ora fare alcuni calcoli, tenuto conto che il ghiacciaio di Yal Gavia è piccolo e che senza alcun dubbio un ghiacciaio più importante, per la maggior energia corrosiva determinata dalla massa maggiore in movimento, deve fornire quantità maggiore di materiale al proprio emissario, credo di poter portare, senza essere tacciato di esagerazione a 5 per mille, cioè l/2W del volume del- l'acqua, la quantità di materiale lasciato libero da un ghiacciaio. Mi valgo di questa cifra pel ghiacciaio del Mandron, il prin- cipale del gruppo dell'Adamello, del quale conosco presso a poco l'area, che è di circa 17 chilometri quadrati, in cui è compreso l'intero bacino del ghiacciaio, che è quasi completamente coperto di nevai. Ammettendo che su quest’area di 17 chilometri, cada annual- mente uno strato di 2 metri d’altezza d’acqua, la più parte sotto 17 240 0. DE PRETTO forma di neve, si avrebbero 34000000 di metri cubi d’acqua, che si scaricherebbe (trascurando l’evaporazione) sul torrente del ghiac- ciaio, tutta col suo fardello di materiale strappato alla montagna. Se questo, come ammettemmo fosse V200 del volume dell' acqua, si avrebbero 170000 metri cubi di materiale esportato ogni anno, corrispondente ad uno strato di 1 centimetro di diminuzione d’al- tezza media, ragguagliato all’ intero bacino di 17 chilometri. Bene inteso, non pretendo di dare importanza a queste cifre ; servono solo a formarci un criterio dell’azione demolitrice, dei ghiac- ciai e degli effetti che, nel corso di tanti secoli, possono recare. In ragione di 1 centimetro all'anno, si avrebbe 1 metro in cento anni, 10 metri in mille anni e 100 metri in diecimila. Questo varrebbe per le condizioni presenti, ma nell’epoca glaciale, per la straordinaria intensità di tutti quei fenomeni che caratterizzano i ghiacciai, il decremento delle montagne deve essere stato assai più rapido che al presente. Sappiamo poi che col ritirarsi dei ghiacciai, diminuì grada- tamente la portata dei fiumi e le acque più povere di materiale, incominciarono a scavarsi il proprio letto, negli stessi depositi da essi anteriormente formati, e così ebbero origine i terrazzi, che ca- ratterizzano iu ogni paese, il periodo successivo al glaciale e che porta appunto il nome di periodo dei terrazzi. Questa circostanza è una prova splendida che la maggior atti- vità degli agenti degradatoli e per conseguenza, la più forte di- minuzione d’altezza delle montagne, si ebbero durante il maggior sviluppo dei ghiacciai e che, se la degradazione continuò anche dopo e dura tutt’ora, non può trattarsi che di un processo immen- samente più lento, poiché anche attualmente, dopo tanto tempo, buona parte della materia i fiumi la rubano ai vecchi depositi, ai coni di deiezione ed alle antiche morene, in mezzo a cui da secoli si scavano il loro letto. Vediamo ora, se è vero che le Alpi hanno di tanto diminuito d’altezza, dove sia stato deposto tanto materiale, e se è possibile, dalla potenza ed estensione dei depositi, giudicare deH’importanza della degradazione. La valle del Po ottimamente si presta, per tale valutazione. Questa grande valle era, come già sappiamo, un golfo del mare Adriatico riempito mano mano da depositi alluvionali e ve- LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 241 diamo ora a qual punto si trovasse il suo interrimento, all'alba del periodo glaciale. Conoscendo la storia dei nostri maggiori laghi, potremo forse farci un'idea della profondità originaria di questo mare. Sappiamo che prima dell'invasione dei ghiacciai, questi laghi erano braccia di mare. Occupati più tardi dai ghiacciai, mentre ra- pidamente si colmava il mare verso il largo, poterono i laghi con- servare una notevole profondità, protetti dal ghiacciaio che riget- tava tutto il materiale verso l'esterno. La profondità originaria deve però essere di molto diminuita. Infatti, incominciato a diminuire il ghiacciaio, che occupava il lago, avrà impiegato certamente molti anni ad abbandonarne interamente il bacino, deponendo nel ritirarsi tante morene, più o meno grandi secondo che sostava più o meno e intanto l’acqua dell' emissario, che riempiva la parte libera, doveva deporre tutta la fanghiglia ed il materiale di cui era carica. Più tardi, rimasto sgombro af- fatto il lago, sul suo fondo continuarono a deporsi i fanghi portati dal fiume durante migliaia d'anni fino ai nostri giorni, che noi vediamo sempre entrare torbido ed uscirne limpidissimo. È cosa notevole quindi, che questi laghi abbiano potuto man- tenersi col loro fondo a più centinaia di metri sotto il livello del mare, mentre si può ragionevolmente ammettere che la profondità attuale non rappresenti che una frazione di quella originaria. Quale doveva essere infatti la profondità originaria del Lago Maggiore se anche attualmente ha il suo fondo ad oltre 600 metri sotto il livello del mare? Non sarò quindi certamente tacciato d’esagerazione se suppongo la profondità originaria del lago stesso e quindi di tutto il golfo Padano, di almeno 1000 metri. Ora esaminiamo quali profondità si riscontrano attualmente, nel mare Adriatico. In tutta la sua metà settentrionale esso è po- chissimo profondo cioè 40, 70 e al massimo 100 metri e solo verso Lissa, si riscontra la profondità di 243 metri. In vicinanza alle Tremiti è di 140 metri e solo verso la costa albanese si riscon- trano profondità di 1000, 1260 e 1590. Il fatto che la profondità del mare continuamente decresce quanto più si va avvicinandosi al fiume Po, è prova che, nell’in- nalzamento del fondo marino, entrò in giuoco la causa stessa che 242 0. DE PRETTO determinò l'interrimento completo del golfo padano, rimanendo come testimoni dell'antica profondità da un lato i laghi e dall’altro, all’ estremità del mare Adriatico verso la costa Albanese, la pro- fondità rilevante di 1590 metri, la quale si può supporre che poco abbia diminuito per l’ interrimento. Alla porzione più tenue del materiale portato dai fiumi e di- stribuito dalle correnti marine, si deve la forte diminuzione di profondità verificatasi nell’Adriadico, mentre tutta la pianura del Po non sarebbe, in certo modo, che un grande delta costituito dalle parti meno tenui, deposte direttamente dai fiumi o rigettate dal mare. Tutto questo enorme lavoro di colmata fu prodotto, per la massima parte, dui-ante l’epoca glaciale e se si ammette che il mare Adriatico avesse in origine 1590 metri di profondità, ne viene che i sedimenti, da attribuirsi all’epoca glaciale, avrebbero una po- tenza, per quasi due terzi dell’area dell'Adriatico, di 1300 e 1500 metri, e altrettanto e forse più si dovrebbe ammettere per la po- tenza dei depositi sedimentari ed alluvionali della pianura padana, tenuto conto che essa si alza gradatamente fino a oltre 450 metri sul livello del mare. Non si esagera quindi se per i nostri calcoli, si ammette una potenza media di 1000 metri, per tutta l'area della pianura del Po e per 2/3 dell’area dell’Adriatico. L’area del bacino del Po, compreso l’Adige e tutti i fiumi del Veneto fino allTsonzo da una parte e compreso il bacino del Reno dall’altra, si può calcolare di circa 123000 chilometri qua- drati, dei quali 73 mila si possono assegnare ai monti ed alle colline e 50 mila alla pianura alluvionale, formata a spese del- l’area montuosa. Se il materiale costituente la pianura, della po- tenza supposta di 1000 metri, lo si immagina distribuito sull’area montuosa, formerebbe uno strato di 700 metri d’altezza e se a questo si suppone aggiunto il materiale deposto sul fondo del- l’Adriatico, che abbiamo supposto occupare i 2/3 dell’area su 1000 metri di potenza, tenuto conto che l’area totale dell’Adriatico è di cbilom. q. 136000, si otterrebbe uno strato medio di circa 1600 metri di spessore, distribuito sull’intera area montuosa. Questa enorme cifra di 1600 metri, la quale potrebbe, forse a rigore, essere notevolmente aumentata, rappresenterebbe la di- minuzione d’altezza subita in media dall’area montuosa. Evidente- LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECO. 243 mente, per le colline ed i monti poco elevati e così per buona parte del versante appenninico, la diminuzione d’altezza deve essere stata assai minore e all'incontro per la cresta centrale delle Alpi, dove il fenomeno glaciale agì per più lungo tempo e con la massima energia, la diminuzione media d’altezza deve essere stata assai maggiore, così qualche cima potrà essersi abbassata di più mi- gliaia di metri. Queste cifre sorprendenti, non sono certamente da prendersi a rigore, ma ad ogni modo, possono dare una sufficiente idea del- l'importanza della degradazione, facendo così un passo non piccolo verso la soluzione della nostra tesi. Ora abbiamo un altro mezzo per verificare la diminuzione d'altezza delle montagne, un mezzo diretto, meno incerto, che ci potrà fornire la controprova del risultato che abbiamo ora ottenuto e ciò vedremo nel seguente capitolo. Capitolo III. Esempi di degradazione e misure approssimative probabili. In tesi generale, date due cime di una montagna ( a b, fig. 2), costituite da una serie regolare di strati, se in una mancano alcuni degli strati superiori più recenti, posso dire che quella sulla quale Fig. 2. ancora si trovano, per condizioni speciali, fu meno consumata dagli agenti degradatori. Così tenendo conto della potenza complessiva degli strati che in una delle due cime mancano, potrò calcolare con una certa esat- tezza, la diminuzione d’altezza da essa subita, in confronto del- l’altra, sulla quale ancora si trovano. 244 O. DE PRETTO È certo che esempi a questo riguardo, con un attento esame, potranno trovarsi in ogni regione ed in gran numero. Ciò che si disse di due cime di una stessa montagna, potrà dirsi quasi sempre anche di due monti molto lontani, di una stessa re- gione geologica, che si trovino nelle condizioni delle due cime suddette. Tediamo ora se ci sarà possibile, analizzando qualche caso pratico di giungere a farci un’idea almeno appossimativa della di- minuzione d'altezza subita dalle montagne. Nelle vicinanze di Schio vi è il Monte Novegno, le cui due cime opposte, la Ronchetta e la Priaforà, alte tutte due circa 1670 metri, ci offrono un beH’esempio di disuguaglianza nella degrada- zione subita. Infatti essendo la cresta della Priaforà formata dalla Dolomia e la Ronchetta invece costituita dei calcari Grigi, che sono immediatamente sopra la Dolomia stessa, calcolando la potenza di tali strati approssimativamente di 200 metri, si viene alla con- clusione che siccome tali strati dovevano coprire in origine anche la dolomia della Priaforà, questa cima doveva essere in origine di circa 200 metri più elevata della Ronchetta e che per qualche causa speciale fu maggiormente erosa dagli agenti degredatori. Lo spaccato rappresentato dalla fig. 8 ci presenta una sezione del piccolo altipiano di Tonezza, prolungato fin suda vetta del Monte Spiccio. Verso la superficie dell’altipiano vi troviamo l’ammonitico rosso e strati più recenti, poi al disotto, tutta la serie dei calcari grigi fino alla dolomia, la quale forma la base dell’altipiano, ma verso il Monte Spiccio, inclinandosi bruscamente, sale a formarne la cima. LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 245 Da questa, gli strati più recenti sono scomparsi ed infatti come risulta dallo spaccato, li possiamo immaginare prolungati tino a coprire la retta. Naturalmente, nel sollevamento tutti quegli strati verso la vetta, per la piega brusca da essi presa, furono spezzati in mille modi, rimanendone così oltremodo facilitata la distruzione. Per la scomparsa di tali strati la cima del Monte Spiccio deve essere diminuita di varie centinaia di metri. La figura 4 rappresenta uno spaccato ideale da nord a sud di tutto il vasto altipiano dei Settecomuni, avente ai due estremi le due cime dolomitiche di Pah e Cima Dodici, distanti l’una dal- l'altra in linea retta circa 30 chilometri. Queste fanno parte di una serie di cime che circondano tutto all’ ingiro l’ altipiano. A Fig. 4. settentrione e strapiombanti sulla Val Lugana, vi sono le cime più elevate come Cima Dodici, Undici, Portule, ecc., alte intorno a 2300 e da quel lato l'altipiano si eleva maggiormente. Sulla parte più depressa dell’altipiano, vi sono rappresentati tutti gli strati secondari superiori alla dolomia, compresa tutta la Creta e for- mano ima gigantesca sinclinale poiché tanto nella direzione di Cima Dodici, quanto in quella di Pah si elevano gradatamente. Ma quanto più si avvicinano ai due culmini estremi, scompaiono successiva- mente gli strati più superficiali e cessano poi affatto, lasciando sulle due cime suddette scoperta la dolomia. Yi è inoltre, dato prezioso, un piccolo lembo di terreno Terziario, unico avanzo che resistette alla rapina di tanti secoli, di tutta una serie di strati che occupavano indubbiamente tutto l’altipiano. La Chiesa di Gallio a circa 1090 metri di altitudine è appunto fabbricata su di un 246 O. DE PRETTO dorso costituito di strati calcari a Cerithium giganteum apparte- nenti all’Eocene inferiore. E certo che tutta la potente serie di strati che si adagia so- vra la dolomia, compresi gli strati terziari, continuava senza al- cuna interruzione, tanto sulla Cima Dodici, che sovra il Pah e possiamo perciò avere un dato sul decremento subito dalle due cime. Basta infatti conoscere la potenza degli strati superiori alla dolo- mia in questa località, per misurare con sufficiente esattezza la diminuzione di altezza subita. In seguito a varie misurazioni avrei trovato approssimativa- mente le seguenti misure per la potenza dei vari terreni superiori alla dolomia dei Settecomuni. Metri 200 almeno: Calcari grigi, Ammonitico rosso ecc. » 500 circa: Terreno Cretaceo. » 500 almeno: Strati Terziari. Quest’ ultima cifra è per verità molto più incerta, ma la credo piuttosto inferiore al vero. Sono dunque complessivamente almeno 1200 metri, ed essendo ora la Cima Dodici alta 2330 metri, avrebbe superato in ori- gine i 3500 e così la vasta regione settentrionale dell’ altipiano, avrebbe raggiunto e superato i 3000 metri d’altezza, costituendo perciò nell’Epoca Glaciale, un vasto nevaio di oltre 200 chilometri quadrati d’area. È da stupire, per chi conosce l'altipiano dei Settecomuni, che, di tanta estensione e potenza di strati terziari, non sia rimasto ora che il ristrettissimo lembo di Gallio, di appena qualche ettaro d’area. Ma ciò si spiega per la natura erodibile di quasi tutti gli strati terziari, che offrivano facile preda agli agenti degradatovi ; le montagne in causa di ciò, devono essere diminuite sui primordi, con estrema rapidità. La importantissima conclusione che abbiamo tratto, sulla di- minuzione d’altezza della Cima Dodici, non v’ha dubbio che, salvo le differenze nello spessore degli strati nelle varie località, si può applicare quasi a rigore a tutte le altre cime e catene dolomitiche del Veneto e dei paesi finitimi. jrfj da notarsi che la potenza dei terreni superiori alla dolo- mia si può ammettere, in generale, molto maggiore, di quanto l'ab- biamo calcolata pei Sette Comuni ; inoltre non abbiamo tenuto conto LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 247 della degradazione della dolomia che costituisce le cime stesse, la quale deve trovarsi essa pure, in molti casi, in uno stadio molto avanzato di demolizione. Non dimenti- chiamo poi che col nome di Dolomia, si distingue la roccia, più che tutto pel ca- rattere mineralogico, mentre sotto quel nome è compresa tutta una massa di rocce calcaree magnesiache che possono essere tanto del Trias che dell'Infralias e proba- bilmente anche del Lias, senza che spesso si possano distinguere l’una dall'altra. È forse da credere che le cime dei Sette Comuni, siano costituite dalle dolomie più recenti, ma altrettanto non si potrà certo dire di tutte le altre cime dolomitiche, delle quali molte sono costituite dalla do- lomia più antica. La diminuzione d'altezza di queste cime deve essere stata per conse- guenza molto maggiore. Nella regione dolomitica le cime che superano i 3000 metri, sono molte, e mol- tissime le cime e interi gruppi montuosi superiori ai 2000, per cui con una tale forte diminuzione di altezza, che per l’in- tera area montuosa si può ritenere sicu- ramente superiore ai 1000 metri in media, resta spiegato chiaramente, prima il grande sviluppo dei ghiacciai e poi il graduale ritirarsi degli stessi. Rimanendo ancora nella regione do- lomitica, il seguente esempio ci mostra il rapporto della dolomia coi terreni più an- tichi e ci porge la prova di una demoli- zione ancora più grandiosa. La figura 5 rappresenta uno spaccato disegnato dal Suess che tolgo dalla Geo- logia d'Italia di Gaetano Negri. Lo spaccato partendo dalla Cima d'Asta in Val Sugana va fino a Bressanone nel Tirolo, e indipen- 24S O. DE PRETTO dentemente da altre considera- zioni di geologia, non potrebbe essere più appropriato all’ar- gomento che stiamo trattando. Alla base di tutti gli strati vediamo il granito, che dalla cima d'Asta fino a Bres- sanone, punti nei quali questa roccia affiora, forma una gigan- tesca sinclinale, assecondata nel suo andamento da tutti gli strati superiori. Sotto la Cima d'Asta, la sinclinale si è ro- vesciata, ripiegandosi il gra- nito su se stesso e sotto di questo giaciono in serie re- golare rovesciata, tutti i ter- reni, passando dal granito allo scisto di Casanna, ai terreni secondari fino all’Eocene, il quale viene a trovarsi inferiore a tutti. Invece adagiati sulla curva della sinclinale in serie regolare ma normale, abbiamo i medesimi terreni, fino alla dolomia, la quale costituisce le cime del Weisshorn, Late- mar e Schiera. È evidente che tutti i terreni superiori al granito, compresa la dolomia, copri- vano in origine il granito an- che dove questo ora è scoperto, tenuto conto di ciò, si com- prende che la diminuzione subita dalla granitica Cima d’Asta, deve essere stata molto al disotto del vero se calcoliamo PlG. 6. forte. Infatti siamo probabilmente LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECO. 249 della potenza di 1500 metri la sola dolomia e di almeno altrettanto, tutto il complesso di strati, compresi fra la dolomia ed il granito. Si deve inoltre aggiungere che sovra la dolomia di quelle mon- tagne dolomitiche, dovevano esistere in origine gli strati del Lias, della Creta e del terziario, essendo avvenuto il sollevamento dopo l'Eocene. Questi strati superiori alla dolomia, li abbiamo calcolati nell’esempio precedente di una potenza complessiva non minore di 1200 metri, per cui ne viene la conseguenza che la diminu- zione d'altezza subita dalla Cima d'Asta, avrebbe proporzioni fa- volose, forse quattro o cinque mila metri. Prendiamo ora in esame un altro interessante spaccato (fìg. 6) che tolgo, riducendone le proporzioni, dal Favre (’). Il disegno rappresenta uno spaccato del Monte Bianco preso da sud a nord, dalla Val d’Aosta a Chamonix e oltre. Se s’immagina che dalla cima del Monte Bianco sia scom- parsa tutta la ripiegatura del protogine e poi gli scisti cristallini e tutti gli strati compreso il giurese, si viene ad un altezza in- credibile, ben più che doppia dell’attuale. Effettivamente ima tale brusca anticlinale non potè prodursi senza che gli strati si sieno spezzati e dislocati, di modo che l’altezza originaria raggiunta, deve essere stata molto minore, di quella che risulterebbe teori- camente, con la somma degli spessori dei vari strati sovrapposti. Si consideri poi, con quale efficacia, abbiano agito sui primordi gli agenti degradatola, su quella enerme catasta di materiali. Vi sono poi altre considerazioni da farsi esaminando lo spaccato: Gli strati terziari, cioè il calcare nummulitico ed il Grès di Traviglianaz , che oltrepassano l’altitudine di 3100 metri sulla Pointe de Sales, accennano ad essere stati prolungati in origine, insieme a tutta la serie di strati inferiori, fino a oltre il Monte Brévent, la cui cima alta 2525 metri è costituita dagli scisti cri- stallini. Anzi nella piccola catena in cui trovasi il Brévent, havvi più ad oriente l’Aiguille Rouge (vedi figura), costituita nella sua massa principale dagli scisti cristallini, ma la cui cima è anche attualmente composta di un lembo isolato di strati del Trias e del giurese. Sul Brévent evidentemente gli agenti degradatori agi- rono con maggior energia, e solo pel fatto della scomparsa di tutta l1) Favre, Recherches Géologiques dans les parties de la Savoie ecc. 250 0. DE PRETTO la serie sedimentaria che si mostra completa nella vicina punta di Sales, deve essere diminuita d’altezza, per oltre 2000 metri, per cui il Brévent, ora tanto modesto, sarà stato probabilmente in origine, dell’altezza attuale del vicino colosso. Esaminando lo spaccato, si potrebbe anche dedurre che tutti gli strati superiori al giurese che si vedono sulla punta di Sales, si prolungassero in origine anche sul Monte Bianco, risultando per conseguenza assai più notevole lo spessore complessivo degli strati scomparsi da quella cima. Ciò sarà probabile, ma ad ogni modo, mi basta aver provato, che il Monte Bianco, al pari della Cima d’Asta, è diminuito fortemente d’altezza e così potrà dirsi di tutte o quasi tutte le cime cristalline, che dovevano essere originaria- mente qualche migliaio di metri più elevate che al presente. Sappiamo che le Alpi si sollevarono per buona parte soltanto dopo l'Eocene o il Miocene e solo qualche tratto, molto limitato, si crede che fosse già emerso durante l’epoca secondaria; per conse- guenza i terreni sedimentari, secondari e terziari dovrebbero, alla superficie, prevalere di gran lunga su tutta l'area delle Alpi; in- vece è precisamente il contrario, prevalgono di assai, come sap- piamo, i terreni antichi. Se vediamo l’Eocene nel cuore dell' Alpi in Isvizzera sul Bif- fertenstock nel gruppo del Todi, a 3425 metri, ed il Miocene sul Righi a 1800 metri, vuol dire che quei terreni coprivano una parte non piccola delle Alpi. Quei ristrettissimi lembi, che ora ve- diamo qua e là, furono salvi per un puro accidente, dalla furia degli agenti degradatoci, la cui azione fu tanto energica, da can- cellare in molte valli e vaste regioni, perfino la traccia, di serie complete di terreni e di intere epoche geologiche. Senza alcun dubbio, ciò che ora vediamo delle Alpi, non sono che le fondamenta di un edificio, che era in passato, ben più im- ponente e grandioso. Capitolo IY. Dei sollevamenti. Ora dobbiamo parlare del sollevamento che, secondo la nostra teoria, fu causa della comparsa dell’epoca glaciale. Se questa ebbe principio col Pliocene, vediamo se realmente col cessare del Mio- cene, si verificò un tale sollevamento. LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 251 Fra il Miocene ed il Pliocene, vi fu infatti un fortissimo e generale sollevamento, sufficiente a determinare non solo il forte sviluppo dei ghiacciai, ma anche a mutare notevolmente il clima. Lo Stoppani nel suo Corso di Geologia, per misurare i succes- sivi sollevamenti avvenuti in Europa, si vale dei seguenti dati: Elevazione mass, attuale d'Europa 4810 m. sul livello del mare. » » dell’Eocene d'Europa 800o m. » » » » del Miocene » 1800 m. « » » » del Pliocene » 400 m. » « Poi fa i seguenti calcoli : Se l’Eocene è a 3000 metri, anteriormente al suo solleva- mento, l’altezza d’Europa era di 3000 m. minore dell’attuale, cioè 4810 meno 3000 pari a metri 1810, la quale cifra rappresente- rebbe secondo lo Stoppani la massima altezza d’Europa, mentre si depositavano i sedimenti Eocenici che furono poi spinti a varie ri- prese fino a 3000 metri Q). Sottraendo analogamente, sempre da 4810 metri la massima altezza dei depositi miocenici, che è di 1800, si ottiene 3010 metri, massima altezza d’Europa, durante il periodo miocenico. E infine, sottraendo da 4810 metri, la massima altezza dei depositi pliocenici che è di metri 400, si ottiene l’altezza massima d'Europa durante il periodo pliocenico pari a metri 4410. Da queste cifre ecco in qual modo si può ottenere una mi- sura dei singoli sollevamenti. 3000 metri (altezza dell’Eocene), meno 1800 (altezza del Mio- cene) uguale a metri 1200 ; sollevamento avvenuto alla fine del- l’Eocene (?). 1800 metri (altezza del Miocene) meno 400 (altezza del Plio- cene) uguale a 1400 metri; sollevamento avvenuto alla fine del Miocene. Finalmente i 400 metri d’altezza del Pliocene, rappresentano il sollevamento ultimo, che avvenne durante il periodo glaciale e che segna il principio dell’Epoca Quaternaria. (fi Essendo stato constatato che 1’ Eocene arriva in Svizzera all’altezza di 8425, bisognerebbe invece dire che, anteriormente, la massima altezza d’Eu- ropa fosse 4810 meno 3425 uguale a 1385 metri. (2) Analogamente si ha invece 3424, massima altezza dell’Eocene, meno 1800 usuale a 1615 metri: sollevamento avvenuto alla fine dell’Eocene. 252 0. DE PRETTO In questi calcoli non si tien conto come vediamo della degra- dazione, quasi che le montagne siano sempre rimaste tali e quali come oggi le vediamo. I dati d'altezza presi per base del calcolo, non hanno effettivamente alcun valore, poiché, senza alcun dubbio, tanto gli strati eocenici che miocenici, dovevano trovarsi ad alti- tudini molto maggiori. Appunto nel precedente capitolo abbiamo veduto come sopra molte cime dolomitiche, gli strati terziari, do- vevano raggiungere e superare i 4000 metri. A simile conclusione siamo venuti anche pel Monte Brévent, parlando dello spaccato del Monte Bianco. Nè si potrà negare che lo stesso Monte Bianco, coi suoi 4810 metri, preso come massimo d'altezza raggiunto dalle Alpi, non sia a sua volta, diminuito d’altezza notevolmente, anche da chi voglia accettare, con tutta riserva, le conclusioni che abbiamo dedotte, trattando di quella montagna. Le cifre dei vari sollevamenti, non possono per conseguenza avere alcun valore assoluto, ma ad ogni modo prendiamole come termini di confronto, per giudicare dell’importanza relativa dei sin- goli sollevamenti. Certo è che un sollevamento rilevantissimo, avvenne alla fine del Miocene, sollevamento che si può senz’altro ammettere di molto superiore al migliaio di metri. Ciò è importante per la nostra teoria, poiché a questo sollevamento, si deve attribuire la comparsa del- l’Epoca glaciale. Il decremento d’altezza delle montagne deve essere stato ra- pidissimo in sui primordi; basta considerare infatti che gli strati più recenti, non potevano ancora essere completamente induriti e si trovavano dislocati e spezzati in mille modi. Ritiratisi i ghiacciai entro l’àmbito degli anfiteatri morenici, devono avervi soggiornato a lungo, anche perchè sopravvenuto forse dm-ante quel periodo, il sollevamento post-pliocenico, deve averne arrestato per qualche tempo il regresso. Credo anzi che questo sol- levamento post-pliocenico, possa dar ragione della seconda invasione glaciale, ammessa generalmente dai geologi d' oltre Alpi. Da quella lontana epoca, i ghiacciai non hanno cessato e con- tinuano tutt’ora a ritirarsi e la mancanza di morene frontali im- portanti, come si verifica nel corso di molte delle valli alpine, è prova che non hanno subito soste notevoli nella loro ritirata lenta, ma incessante. LA DEGRADAZIONE DELI. E .MONTAGNE ECC. 253 Capitolo Y. Conclusione , nuove prove. Da quanto abbiamo veduto nel precedente capitolo, il fortis- simo sollevamento successo alla fine del Miocene, fu causa del grande sviluppo dei ghiacciai e importava, per la nostra tesi, dimostrare la stretta relazione fra questi due grandiosi fenomeni. Il successivo abbassamento delle montagne, per opera specialmente dei ghiac- ciai. credo d’averlo bastentemente dimostrato, restando dimostrato anche il ritiro dei ghiacciai, come conseguenza necessaria. La teoria adunque che si vale dei sollevamenti, per spiegare la comparsa dell’Epoca Glaciale e della degradazione delie mon- tagne, per spiegarne la cessazione, non lascia lacune, rimanendo in evidenza il legame intimo fra tanti fenomeni che precedettero, accompagnarono e seguirono l'Epoca Glaciale. Questa teoria ha poi questo di buono, che può dare, per così dire, la mano a qualunque altra teoria e si voglia pure limitare e •restringere la sua influenza, deve, come principio teorico, essere ac- cettata da tutti, per quanto fautori d’altre teorie. Nessuno potrà escludere che l’altezza delle montagne abbia influenza sull'umidità e sullo sviluppo dei ghiacciai e, per conseguenza, riconosciuto che le montagne devono essere diminuite d’altezza, anche se in misura limitata, ognuno dovrà concedere che i giacciai se ne siano risentici. Ricordiamo che non basta che l’aria sia umida, ma occorre anche la causa che faccia condensare l’umidità, perciò il clima umido o secco è tutto in relazione alla causa condensatrice. Questa causa è quasi sempre una catena di montagne. Il clima dell’Alta Italia piuttosto umido, cesserebbe d’ esser tale se scomparissero le Alpi. Guardiamo il Sahara col suo clima caldo e aridissimo ; s’im- magini che sorga nel suo centro una grande catena di montagne ed il clima di quelle regioni, muterà per incanto, da arido potrà cambiarsi in piovoso e se l’altezza sarà sufficiente, quella catena potrà coprirsi di nevi persistenti, come è il caso delle montagne che si trovano nel centro dell’Africa. 254 O. DE PRETTO Abbiamo già avuto occasione di dirlo ; l'aria assolutamente spoglia d’umidità non esiste in natura e, dall’ aria più secca, si potrà spremere nuova umidità, col raffreddamento o la rarefazione. Gli stessi venti che hanno dispensato abbondante umidità sul nostro continente temperato, giungendo alle terre polari sono in grado di cederne ancora. Stoppani (!), paragonando il sistema da cui dipende la forma- zione dei ghiacciai ad un alambicco, dice : « che direste di un “ distillatore il quale avendo il serpentino immerso in un’acqua a « 10 gradi di temperatura, credesse di ottenere il doppio prodotto “ facendolo abbassare fino a 5 ? — Lascia pure, direste, che l’acqua « in cui si bagna il serpentino, si scaldi qualche grado di più, ma “ va prendere maggior copia di vinacce, aggiungi fuoco in propor- « zione e lavora giorno e notte » . E più avanti : « Tanto d’inverno come d’estate le cime delle “ Alpi e dell’ Imalaia, sono là pronte a convertire in acqua o in « neve i vapori atmosferici. Perchè le vediamo noi per giorni e « mesi disegnarsi nel purissimo azzurro del cielo, liete d'indorarsi « al raggio del sole nascente e di riverberare gli ultimi rossori “ del firmamento ? Dite pure che quella che vedete è una mac- « china oziosa » . Tutto questo è vero; nel caso dell’alambicco, per aumentare il prodotto dovrò fare più fuoco e lavorare di più e ciò è vero, fino ad un certo punto, anche in natura; se un clima più caldo mi darà più umidità, i monti potranno condensarne maggior copia, ma è vero parimenti, che l’aria che attraversa le Alpi senza ce- dere umidità, perchè troppo asciutta, se fosse obbligata a salire più in alto, finirebbe per cederne. Su questo punto capitale, credo d’insistere, anche a rischio di ripetermi troppe volte. Se le Alpi fossero più elevate, assai più di rado le vedressimo disegnarsi nel purissimo azzurro del cielo e la macchina non resterebbe più tanto oziosa, senza bisogno di aumentare il fuoco all’ alambicco, cioè senza un clima più caldo. Il clima con le sue oscillazioni non potè avere che assai poca influenza sul regime dei ghiacciai ed è certo che qualche grado di più o di meno nella temperatura media dei paesi, che erano C) Era Neozoica, p. 269. LA. DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECC. 255 teatro dell'epoca glaciale, non può avere influito che assai limita- tamente sul grado di umidità dei venti che provenivano dalle regioni calde. Fu invece l’apparato condensatore che ha variato di potenza, essendosi le montagne abbassate dalla primitiva altezza, tanto che lo stesso vento che un giorno era obbligato a cedere buona parte della propria umidità, ora passa liberamente, lasciando le cime sgombre di nubi, rimanendo così la macchina oziosa, per tanti giorni dell' anno. Ora io m'aspetto un’obbiezione ; si dirà: fìn’ora voi m’avete sempre parlato delle Alpi e supposto realmente provato per queste, il fortissimo abbassamento d’altezza che avrebbe determinato la scomparsa dei ghiacciai, si potrà dire altrettanto di tutte le altre montagne, dove il fenomeno dei ghiacciai, si manifestò con pari, o anche maggior energia? Si potrà ugualmente dimostrare la forte diminuzioni d'altezza da voi supposta, anche pei Pirenei, per le Montagne Rocciose e per la Scandinavia? Si potrà spiegare l’enorme sviluppo dei ghiacciai di quest' ultima regione, semplicemente per una maggior altezza delle sue montagne? Per tutte queste montagne il compito di dimostrare la di- minuzione d'altezza che possono aver subito, non so se sarà così facile e così persuasivo, come nel caso delle Alpi ; ma non vi ha ragione per dubitare, che anche quelle montagne, abbiano subito una fortissima degradazione, proporzionata certamente all’ imponenza stessa del fenomeno glaciale di cui furono teatro. I massi ed i materiali della Scandinania sono disseminati su mezza Europa e le pianure nordiche sono in gran parte opera di quei ghiacciai, i quali non saranno passati attraverso il Baltico ed il mare del nord, senza far subire a quei due bacini, in origine certamente più pro- fondi, un notevole rialzamento del fondo. Si può infatti rilevare dalla carta che la penisola scandinava è circondata tutta all’ingiro, da una zona di rilevante larghezza, zona che si estende a buona parte del Mare del Nord e a tutto il Baltico, in cui il mare pre- senta assai minor profondità che verso il largo, dove la profondità aumenta bruscamente fino a 2000 e 3000 metri. Anche nell’in- terno dei fiordi si verifica una maggior profondità e ciò per azione dei ghiacciai che ne hanno tenuto libero il fondo. Certo adunque, anche quelle montagne, devono aver subito fortissima diminuzione d'altezza, fornendo il materiale per quella immensa colmata. 18 2.56 0. DE PRETTO La Scandinavia deve avere attualmente un clima piuttosto asciutto, poiché, quantunque in latitudine nordica, non presenta ghiacciai di qualche importanza che nella sua parte settentrionale. Ebbene, fate che l’altezza media delle sue montagne, che arrivano ora al massimo ai 2600 metri, aumenti di 1000, 2000 o più metri e le cose certamente cambieranno e si potranno vedere ghiacciai estesi come in passato. Ancora un argomento in appoggio della nostra teoria e poi chiudo il mio dire. Esaminando con la scorta di qualche carta, le catene princi- pali di montagne del globo, è un fatto evidente che le catene più elevate, si trovano in generale assai prossime o comprese nella zona torrida. L’Imalaia si trova sotto il 30° parallelo, la grande catena dell’ America presenta le maggiori altezze, si può dire da un tro- pico all’altro o in latitudini prossime, mentre tanto a sud, quanto a nord, decresce d'altezza. È si può dire, un fatto generale che, avvicinandosi ai poli, si riscontrano montagne meno elevate. Per l’Europa è rimarchevolissimo il fatto, che le catene del Caucaso, delle Alpi e dei Pirenei a sud, sono molto più elevate delle ca- tene a nord, come quelle della Scandinavia e della Scozia. Questo fatto che è, si può dire, costante, non può essere ac- cidentale, ma si collega senza alcun dubbio alla nostra teoria gla- ciale. Evidentemente gli agenti degradatola, ma più di tutto i ghiacciai, non hanno agito che limitatamente o mancarono affatto nei paesi caldi, mentre l’azione dei ghiacciai e la degradazione delle montagne si manifestarono con maggior energia nei paesi a nord. Così facendo un confronto fra le Alpi e la Scandinavia, è chiaro che poterono le prime mantenersi ad una maggior altezza, poiché abbassatesi di un certo grado, in causa del clima più caldo, i ghiacciai diminuirono e in gran parte scomparvero, mentre le montagne della Scandinavia, pel clima nordico vi mantennero i ghiacciai quantunque molto diminuite d’altezza. Ma allo stesso proposito vale la pena di soffermarsi un poco a considerare la catena delle Ande dell’America Meridionale che ci dà un esempio meraviglioso a nostro favore. Questa colossale catena di montagne, ci presenta le maggiori altezze sotto la zona torrida non solo, ma anche inferiormente al LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECO. 257 tropico, tutto lungo quella parte del Chili, dove per qualche causa affatto speciale che certamente non ha mutato da secoli, l'umi- dità vi è quasi ignota. Più a sud, aumentando la latitudine e l'umidità, l’altezza delle montagne rapidamente decresce e si man- tiene assai più bassa fino allo stretto di Magellano. Tolgo i seguenti dati d’altezza e lo schizzo unito (fìg. 7) dal recente Atlante di Stieler. Dal 20° parallelo fino al tropico, trovo altezze da 5520 a 5950, dal tropico fino al 34° parallelo, altezze ancora maggiori, cioè anche superiori ai 6000 e fin quasi ai 7000, come l’Aconcagua alto 6970, una delle montagne più elevate della catena se non la più alta. Da questa montagna, che si trova un po’ a sud del 32°, le altezze incominciano a decrescere. Fino al 40° parallelo troviamo da nord a sud le seguenti quote: 5313, 4740, 3954, 3207, 3010, 258 0. DE PRETTO, LA DEGRADAZIONE DELLE MONTAGNE ECO 2840, 2980, 3680 e continuando verso sud altezze sempre minori: 2980, 2438, 2400, 1600, 1200, 1170, Ebbene lungo questo litorale, la pioggia quasi sconosciuta a Gopiapò, incomincia appena verso il 28° e 30° parallelo e con- tinua ad aumentare fin verso il 40° dove è straordinariamente abbon- dante e continua a mantenersi tale fino a circa il 50°, cioè lungo tutta la zona dove si riscontrano le minori altezze e dove non mancano anche attualmente ghiacciai che discendono fino al mare Come vediamo è evidentissima la perfetta relazione fra l'umi- dità e l'altezza delle montagne, le quali sono due o anche tre volte più elevate, dove il clima è tanto secco; e se vediamo an- cora grandi altezze come l'Aconcagua, in una zona dove la pioggia non è tanto rara, vuol dire che per la latitudine il clima ancora troppo caldo, impedì la formazione di ghiacciai, almeno di qualche importanza. Non dimentichiamo poi che in qualche caso può trat- tarsi di vulcani i quali con le eruzioni possono aver compensato le eventuali perdite subite per la degradazione. Questi fatti mi paiono abbastanza convincenti, ma v'ha di più ed io prego il paziente lettore di dare un'occhiata alla figura 7. Con linea punteggiata vi sono rappresentati i piani quo- tati delle profondità marine ; ebbene, tutto lungo la costa del Chili, con meravigliosa corrispondenza colla lunga linea delle montagne di maggior altezza, il mare si inabissa rapidamente, quasi seguendo la grande scarpata della catena, alla profondità di 4000 metri. Invece precisamente nel luogo stesso, dove le montagne incomin- ciano essere meno elevate e lungo tutta la zona di minor eleva- zione e dove, come abbiamo veduto il clima è tanto umido, le linee delle quote di profondità, si allontanano bruscamente dalla costa. È chiaro che quello che i ghiacciai, col lavoro di tanti secoli, hanno tolto alle montagne, demolendole per una metà e per due terzi dell'altezza originaria, è finito in mare, il quale ha subito un fortissimo, evidente, rialzamento del fondo. Sono fatti collegati strettamente l’uno all'altro : clima umido, minor altezza delle montagne, minor profondità del mare. Questi fatti che qualcuno non mancherà di chiamare pure combinazioni o mere accidentalità, io mi permetto di chiamarli prove convincenti, in appoggio alla teoria della degradazione. [1 febbraio 18963- ADUNANZA GENERALE ESTIVA DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA TENUTA IN LUCCA NEL SETTEMBRE 1895. Seduta inaugurale del 15 Settembre. La seduta è aperta ad ore 11 in una sala del palazzo pro- vinciale. Presidenza Cocchi. Sono presenti i soci: Bassanl Bonetti, Canavari, Capel- lini, Corsi, D'Achiardi A., D’Achiardi G., De Stefani. Der- vieux, Fucini, Greco, Lotti-, Mazzetti, Omboni, Pellati, Rova- senda, Ristori, Rosselli, Sacco. Stella, Taramelli, Trabucco, Toldo, Toso, Vinassa de Regny, Zaccagna, Zezi ed il segretario Clerici. Assistono il comm. Bertarelli Prefetto della provincia di Lncca, il comm. Bongi rappresentante il Sindaco di Lucca, i professori Barduzzi, Fedeli. Fantozzi, Salomon e scelto pubblico. Il Presidente salutati' e ringraziati gli intervenuti dà la parola al Segretario per informare i presenti delle adesioni di que‘ soci che, non potendo intervenire personalmente, vogliono essere consi- derati come presenti, e per leggere i nomi di quelli che hanno giustificato l’assenza. Essi sono: B.ildacci, Botti, De Angelis, De Rossi, Foldi, Isìel, Meli, Morena, Platania, Scander-Levi, SCARABELLI, SoRMANl, STATUTI, TlTTONI, TcJCCIMEI, VERRI. Si leggono lettere dell’on. Barazzuoli ministro di agricoltura industria e commercio e dell’on. Miraglia direttore generale del- l'agricoltura i quali, invitati, scusano la loro assenza per prece- denti impegni. Si da pure lettura delle lettere di omaggio della Fratellanza Artigiana e dei Reduci delle Patrie Battaglie per le quali il Pre- sidente contraccambia ringraziamenti. 260 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Quindi il Presidente dichiara aperto il XIV Congresso dei geologi italiani e dà la parola al comm. Bongi. « Signori , « Il sindaco di Lucca si sarebbe fatta una festa d’esser qui presente, e di poter salutare a nome della città il fiore eletto de’ cultori di una scienza sì importante, sì vasta e tanto piena di avvenire, come la geologia. Una dolorosa indisposizione, che tutti speriamo sia passeggera, gli ba impedito di esser presente a questa vostra riunione, cui partecipa con tutto l’animo e col cuore. Tocca a me dunque, come uno dei suoi colleghi d'ufficio, con troppa minore autorità e con incolta parola, a portarvi il saluto di questa cittadinanza, eh’ è superba di avervi come ospiti e che si gloria di essere stata eletta per una delle vostre adunanze. Io voglio sperare che alla vostra volta vi sarà gradito d’essere, benché per pochissimo tempo, fra noi, e vi piacerà il paese che ci fa co- rona, e che sarà soggetto delle vostre speciali osservazioni. Così tutti ci auguriamo, che qui e sempre, i vostri studi possano gio- vare al progresso delle dottrine che con tanta competenza e sì viva passione andate coltivando; e tutto sia a vantaggio ed a gloria della nostra patria, nel cui nome saranno benedetti e ispi- rati i vostri lavori. Viva l’Italia ! « Il Presidente risponde. « All’ illustre Capo del civico magistrato di questa città, alla rappresentanza cittadina e alla intera cittadinanza Lucchese a nome de’ presenti e, meglio, di tutti i geologi italiani, mando il più affettuoso saluto ed esprimo i sensi della più viva riconoscenza per la gentile ospitalità colla quale noi siamo accolti. « Lucca, tanto ricca di maravigliosi monumenti, di stupendi og- getti d’arte e di preziosi cimelii, non è da meno per importanza di istituti scientifici, e l'Accademia Lucchese fu ed è celebratis- sima. Uomini di vasta dottrina e di rara erudizione la resero in ogni età famosa; essa di questi scienziati non meno che de’ suoi artisti ed uomini politici conserva riverente memoria e ne va superba. Essa fu una delle prime città italiche ad accogliere fra le sue mura gli scienziati italiani a Congresso nel 1843, e li accolse con inusitata magnificenza e festosità. I geologi italiani riunendosi qua oggi per i loro studi vi si trovano adunque come in famiglia. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 261 Qui oltre la gentile accoglienza ritroveremo abbondante materia di studio e apparirà manifesta la ragione della nostra riunione in Lucca in quest' anno. Ringrazio dunque nuovamente l'on. Sindaco di questa città nella persona del comm. Salvator Bongi Direttore del R. Archino di Stato e primo assessore che lo rappresenta e con esso la intera cittadinanza ». Il comm. Bertarelli, Prefetto della provincia di Lucca, pronuncia il seguente discorso: Signori , « In nome del Governo io vi saluto, rappresentanti di quella dottrina che studia il fondamento della nostra esistenza, e, parte essenziale del grande movimento scientifico odierno, è insieme fe- conda di reali vantaggi. n Anche i molti che, come me, sono profani a’ vostri studi, sentono l'importanza di questi congressi, dei quali si avvantaggia una scienza, che è la più sicura interprete del mondo dei fatti. Essa, scrutando nelle viscere del nostro pianeta, studiando le sue lente trasformazioni, i suoi annali, le sue relazioni con l'uomo, ha sbandito al lume dei più irrecusabili documenti le viete e troppo semplici cosmogonie. E voi, continuatori di una tanta opera, fate che le vostre adunanze siano occasione e scopo di studi speciali sulla regione che di vostra scelta onorate. « E Lucca, o signori, è sede degna di voi : qui la vostra bene auspicata presenza ricorda giorni lieti e memorandi per la patria e per la scienza. « Qui nel 1843 si adunarono gli scienziati italiani in uno di quei congressi, nei quali il pensiero dei dotti fu seguito dalla coscienza de’ patriotti; così che le assemblee alla scienza dedicate riuscirono i primi focolari dell’idea nazionale. « In breve volgere di tempo si maturarono gl’italici eventi. Mezzo secolo è trascorso da quando la capitale del piccolo stato, accogliendo nel suo seno illustri scienziati, ne accomunò le sco- perte e gli studi, e i sommessi voti per la risurrezione della patria. « Quale serie di avvenimenti, o signori, da allora, quando i vostri maestri qui si adunarono, sotto la presidenza di Antonio Mazzarosa, la cui memoria suona sempre a’ Lucchesi riverita e cara; e all'Italia, pensosa, dubitante, dettero segno e misura del loro 262 ADUNANZA GENERALE ESTIVA valore nelle matematiche, nella fisica e nella chimica, nella geo- logia e mineralogia, nella geografia, nella botanica, nella zoologia, nella medicina e nella chirurgia. « E il santo pensiero della patria si rannoda al Congresso te- nuto in Lucca nel 1843, non per il valore soltanto dei dotti, ma ancora perchè ci ricorda cari nomi di eroi. « Qui in quel congresso si segnalarono Ottaviano Mossotti, pro- fessore già celebre di fisica, matematiche e meccanica celeste nella Università di Pisa, il quale, nel 1848, fu maggiore coman- dante il battaglione universitario toscano, e a Curtatone dette mi- rabile prova di animo intrepido, sembrando, scrisse uno de’ suoi militi, che de’ razzi micidiali studiasse le parabole; e Leopoldo Pilla, professore di geologia pure nella Università di Pisa, che in quella memoranda giornata combattè e morì da valoroso. Era ca- pitano della prima compagnia: un colpo di cannone gli squarciò il fianco: spirò sul campo, ripetutamente gridando: Viva l'Italia! « Degni continuatori di quei dotti, con la loro memoria io vi saluto ! E plaudo alla scelta per voi fatta di questa provincia, poiché essa appartiene a una regione non poco importante per i vostri studi, e del vostro convenire degnissima anche per le opere di uo- mini insigni. « Ho io soverchio il facile ardire di chi non sa, affermando che la Toscana fu la culla della geologia italiana, che Paolo Savi ne fu il fondatore? « Concedete che nel nome di lui io qui ricordi un atto nobi- lissimo di reverenza e di fratellanza scientifica. « Appena è trascorso un quarto di secolo da quando qualcuno di voi, e i vostri maestri e i colleghi loro di tutte le nazioni, rac- colti in congresso internazionale a Bologna, mossero a Pisa in pellegrinaggio alla tomba di Paolo Savi, e il nome ne acclamarono come di padre della geologia italiana. « A voi, operosi cultori della vostra scienza, gelosi custodi della sua gloria, patriottici ricercatori di utilità nazionali, non sia discaro che la mia parola, la quale, per quanto disadorna, esprime a ogni modo l'affettuoso interessamento del Governo, qui rammenti il nome e le opere di Paolo Savi, di lui che fu tra’ primi ad opporsi ai metodi trascendentali, che tanto avevano invaso le menti nello studio della storia della terra ; di lui. che, innovatore e maestro, DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 263 aperse alla scienza geologica nuovi, luminosi orizzonti. Non vi sia discaro che anche solo per me, per l’affetto e la devozione che a questa regione mi stringono, fra voi si ricordi, a nobile esempio per i giovani qui convenuti ad ascoltarvi, che Paolo Savi combattè quarant'anni in difesa del suo vero ; studiò, insegnò finché visse, con amore infinito. « Non certo a voi. e da me. è da far cenno del considerevole numero di lavori da lui pubblicati, tutti importanti per il nuovo indirizzo della scienza. I Toscani ricordano con gratitudine che egli o o fu l’iniziatore della bonifica delle Maremme, promotore di industrie minerarie. a Qui, dove il vostro convegno allieta e affida per il futuro della scienza e della economia nazionale, il suo nome ha pieno diritto di essere con grato animo ricordato; perchè egli, valente cultore di microscopia, di zoologia, di anatomia comparata, di botanica, ma principalmente geologo, fu il fondatore di una scuola, che della Toscana onora il nome, che di questa regione studiò le naturali ricchezze e coltivò ingegni elettissimi, che divennero poi chiari nomi, illustre fra tutti quello di Giuseppe Meneghini. « Paolo Savi e Giuseppe Meneghini videro fatta l’Italia, pro- gredita la geologia per vie sicure: sul loro esempio, una novella vita scientifica trasse gli animi, le menti, le operosità. « E voi, che su le loro tracce vi faceste notomisti e fisiologi della terra, interpreti i più positivi del nostro pianeta, della sua storia e delle sue vicende in incommensurabili età, voi siete nella risorta nazione degni di quegli illustri. La vostra letteratura scien- tifica, le vostre annuali adunanze, gli organismi governativi che ai vostri studi fanno capo dimostrano le tradizioni e la vita del vo- stro pensiero. Non senza legittimo vanto voi potete oggi preludere a’ vostri lavori ricordando nomi insigni, convegni che attirarono l’attenzione dei dotti di tutto il mondo, libri e carte, che a voi, sempre poveri di mezzi, meritarono i primi onori in grandi mostre scientifiche, anche in paesi che non sono facili dispensieri di lodi, nè sempre giusti in riconoscere, non che primato, fratellanza di gloria. « Così ricordando, io qui ancora traggo auspicio all’opera vostra dai nomi di Quintino Sella, che nel congresso di Fabriano, con l’autorità del suo nome, con la lucidità delle idee, con l’efficacia 264 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA del chiaro suo dire, chiamò sui vostri lavori l'attenzione di tutta Italia; e di Felice Giordano, che da tragica morte troppo presto rapito alla scienza e all’ affetto di moltissimi, sì larga parte hanno avuto nelle opere vostre. « La nobile curiosità e il plauso che qui vi accolgono eccedono, o signori, i confini della città: l’intera provincia vi aspetta, vi crede, da voi spera. u A tanto ricambio di pensiero nessuna provincia è più di questa degna, per i suoi giacimenti, per le ricchezze minerali onde natura la fece avventurata. « Pochi paesi d’Europa possono al pari di questo, per le mira- bili sue sorgenti di acque minerali, ripetere il detto di Pindaro: L’acqua è migliore dell’oro! « Percorretela, o signori, questa provincia, chiamatela a far te- soro de’ vostri studi. « Dappertutto troverete la più schietta espressione de’ buoni sentimenti, dell’indole mite, della civiltà di queste popolazioni. Dappertutto vi seguirà il pensiero di quanti sanno l’importanza pratica de’ vostri studi. « Il Governo del Re, nonostante le strettezze del presente, ha testé mosso un nuovo passo a prò della vita industriale di cospi- cua parte di questa provincia. Un breve tratto di ferrovia nella valle del Serchio, al quale si è di questi giorni messo mano, fa sperare in nuove industrie, in un prossimo incremento economico di quella parte della provincia, nella quale le condizioni della po- polazione sono meno buone, dove l’emigrazione costante non ha i confortanti caratteri nè i benefici effetti, che sono tradizionali nelle altre sue parti. « Interprete dei bisogni delle popolazioni, chiamato dal dovere di pubblico ufficiale a parlare dove indole e coscienza mi vorreb- bero tacito ascoltatore, e di ammaestramento soltanto desideroso, ai vostri studi, signori, io raccomando la valle del Serchio, così nella parte che appartiene a questa provincia, come in quella che non felici vicende ancora tengono separata dalla circoscrizione, cui territorio, natura, viabilità, e propensione di animi e interessi vor- rebbero di un sol nome chiamata. « Seguite, vi prego, il provvido pensiero del Governo. La fer- DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 265 rovia sarà terminata in poco più di due anni ; diteci il vostro pen- siero sui vantaggi che se ne possano trarre, per le ricchezze minerali della regione che essa è destinata a servire. » cfr. deperdita d’Orb. » carinata d’Orb. » sp. Clavulina communis D’Orb. Bolivina dilatata Eeuss Nodosaria raphanistrum (Lin.) » scalaris fBatsch) » hispida D’Orb. » inornata (D’Orb.) 0) Numerosi esemplari di N. contraria estrassi dal red crag di SufFolk e della costa di Norfolk all’ E. dell’ Inghilterra, durante le escursioni, che seguirono la IVa sessione del Congresso geologico internazionale, tenutosi a Londra nel settembre 1888. Appunto di questi esemplari, da me raccolti, mi sono servito nei confronti colla A. sinistrorsa. (2) Si rinviene nello Scaldisiano giallo (Nyst P. H., Conchyl. des terr. tert. de la Belgique. lère partie, Terr. plioc. scaldisien. Bruxelles, 1881, in fol. Ved. Fusus contrarius Linn., pag. 14-15). (3) Manoscritto consegnato il 18 settembre 1895, ultime bozze l’il ot- tobre 1895. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 307 Nodosaria cfr. pauperata (D'Orb.) » sp. Lingulina costala d’Orb. Frondicularia complanata (Defr.) Frondicularia sp. Marginulina costata (Batsch)’ v hirsuta D’Orb. Vaginulina legumen (Lin.) Cristellaria cassis (F. et M.). n var. cultrata (Montf.) •n var. calcar (D’Orb.) » var. echinata (Sold.) n galea (F. et M.) » auris 'Sold.). Cristellaria ariminensis (D’Orb ) » italica Defr. Uvigerina pygmea D’Orb. Glohigerina bulloides D’Orb. Orbulina universa D’Orb. Pullenia sphaeroidea D'Orb. Planorbulina mecliterranensis D’Orb. Truncatulina Haid, ingerii D’Orb. » Schreibersii D’Orb. » partschiana D’Orb. Ammalino ariminensis D’Orb. Rotalia Beccarii (Lin.) Nonionina scapha (F. et M.) Polystomella crispa ('Lin.) Stazzano. Miliolina seminulum (Lin.) » oblonga (Montagli) Alveolina melo D’Orb. Textularia gibbosa D’Orb. « carinata D’Orb. Clavuli.na communis D’Orb. Nodosaria sp. Vaginulina sp. Cristellaria sp. Uvigerina pygmea D’Orb. Globigerina bulloides D’Orb. Polymorphyna ovata D’Orb. Truncatulina lobatula (W. et J.) Ammulina ariminensis D’Orb. Discorbina rosacea (D’Orb.) Rotalia Beccarii (Lin.) Nonionina scapha (F. et M.) PulvinuUna Karsteni Reuss Polystomella crispa (Lin.) ? Heterostegina sp. Il socio Clerici fa due comunicazioni intitolate: Presen- tazione di fossili della regione fra i monti Cornicolanì e Lucani , e Digressione sitila pretesa epoca villafranchiana di detta re- gione (1). Dei fossili presentati vien fatta speciale menzione delle specie: Melania Verri De St. ; Nematurella etnisca De St. ; Melanopsis nodosa Fér. ; M. ftammulata De St. ; M. oomorphaDe St., Meri- tino Marcellinae Cler., Typhis tetrapterus Bronn; Venus excen- trica Ag. ; Tapes caudata D’Anc. ; Ciurma sinistrorsa Brug. ; Pecten Alessii Phil. e Aciculario italica Cler. L’autore sostiene, contrariamente a quanto fu da t iluno asse- rito, che nella regione in parola gli strati salmastri ed i marini, (J) Queste comunicazioni trovansi stampate a pag. 315 dopo il resoconto. 808 ADUNANZA GENERALE ESTIVA che più volte si alternano, sono concordanti e che non si debba, per alcuni di essi, adottare un’ epoca speciale : che tanto meno si debba chiamare villafranchiana una tale epoca quando comprende anche strati marini. Il vice-presidente De Stefani pronuncia il discorso di chiu- sura. Egli rileva i meriti insigni della città di Lucca in ogni ramo della coltura umana ed anche nelle scienze, e l’ interesse che la provincia sua presenta per la geologia, del quale hanno dato parziale testimonianza le escursioni fatte. Ricorda le cortesissime accoglienze avute dalla città e dovunque, e propone un ringraziamento al Consiglio ed alla Deputazione provinciale di Lucca, al Consiglio comunale della città, alla Commissione nominata per accogliere i geologi, alla Direzione dei Bagni di San Giuliano, alle Direzioni dei musei scientifici di Pisa, ed al cav. De Bosniaski il quale per noi espose la sua splendida raccolta di fossili del Monte Pi- sano, ai signori Babbini Giusti proprietari della grotta e dei Ba- gni di Monsumman'o, ai signori Parlanti proprietari della relativa grotta e dei Bagni, all’Amministrazione delle R. Terme di Monte- catini, alla Direzione amministrativa e medica degli stabilimenti termali dei Bagni di Lucca ed a tutte le singole cortesi persone che ci hanno colmato di gentilezze e di favori in Lucca, in San Giuliano, ai Bagni di Lucca e per tutto altrove. Il De Stefani propone pure un saluto ed un ringraziamento al Presidente prof. Cocchi momentaneamente assente, per il modo col quale ha condotto la riunione riuscita una delle più numerose per intervenuti, e delle più variate per le cose viste. Le proposte sono accolte dal plauso unanime dei soci. La seduta è tolta ad ore 17. Il Segretario Enrico Clerici. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 309 RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI FATTE NEI DINTORNI DI LUCCA Escursione del 16 settembre. Partiti da Lucca in vettura si scese a S. Lorenzo e quindi a piedi si percorse la valle della Botte fra il Monte Vignale ed il Colletto soffermandoci all' affioramento di Antracite e specialmente agli scisti grigi a filliti da taluni at- tribuiti al permiano, da altri al carbonifero superiore, da altri infine ad una zona di passaggio fra le due epoche. In posto si raccol- sero parecchi campioni di belle filliti dei generi Pecopteris, Sphe- nopteris Callipteris , Asterophyllites ; esemplari più grandi, abbon- danti, se ne ebbero in una fattoria della località. L'esplorazione si protrasse fino in vista delle Anageniti che stanno sugli scisti an- zidetto Quindi dal Borgo ci si pose in cammino per S. Maria del Giudice : nella salita si osservarono gli stessi scisti perniici, il cal- care retico dolomitico ed il calcare biancastro del lias inferiore. Nella discesa per la strada di S. Giuliano si notò una bella faglia per la quale gli scisti perniici stanno a contatto diretto della serie Basica e sembrano ad essa sovrapposti. Nell’ ultimo tratto della strada s’incontrano calcari rossi e grigi del lias medio e inferiore. A San Giuliano la comitiva fu festosamente accolta dal sig. march. Sciamanna deputato amministrativo delle R. Terme, dal prof. Barduzzi direttore sanitario delle stesse, dal prof. Arcangeli dell’università di Pisa e dal cav. De Bosniaski. Presso S. Giuliano, alla località de’ Bagnetti, si visitò, alla base di una rupe di calcare Basico, una sorgente ricinta da vasca, interessante pel fatto Vhe ci venne narrato che cioè, quando si toglie la paratoia del canale di scolo e il livello dell’acqua nella vasca si abbassa, un corrispondente abbassamento si nota nella sorgente degli stabilimenti balneari di S. Giuliano : il che farebbe supporre 10 ADUNANZA GENERALE ESTIVA una sotterranea comunicazione fra le due località, benché la tem- peratura dell’acqua in esse sia differente, potendo ciò dipendere da un’aggiunta di acqua fredda che si mescola a quella dei Bagnetti prima che sgorghi. Poscia si ammirò la ricca collezione di piante fossili del Monte Vignale e località vicine raccolte e studiate dal cav. De Bosniaski il quale appositamente le volle trasportare ed esporre in bell’ordine in una sala del Casino. Nel pomerigio la comitiva si recò a Pisa in vettura, scendendo all' Università. Guidati dal prof. Baraldi si visitò il ricco Museo zoologico, diretto dal prof. Richiardi, ove tanto materiale si lascia ammi- rare per lo squisito gusto artistico con cui gli animali, isolati od in gruppo, sono montati e per la eccezionale ricchezza di prepa- rati anatomici. Non meno ricco è il museo di Mineralogia diretto dal prof. D’Achiardi. Ma un particolare interesse presentava il museo geologico tra- sportato in nuovi ed ampi locali e totalmente riordinato dal so- lerte suo direttore prof. Canavari. Finalmente guidati dal direttore prof. Arcangeli si visitò l'Istituto botanico, e l’annesso orto. Alla sera, la ferrovia ci riconduceva a Lucca. Escursione del 18 settembre. Di buon mattino s’andò per fer- rovia a Pieve a Nievole e di là con vetture a Monsummano. Fe- stose accoglienze s’ebbero dalla rappresentanza municipale, dall’am- ministrazione di quelle terme e dall’on. Martini venuto espressa- mente ad incontrarci e che per tutto il giorno ci onorò della sua piacevole e dotta compagnia. Si visitò minutamente tutta la Grotta Giusti tanto rinomata per la sua efficacia terapeutica, indossando gli abiti di circostanza richiesti dalla elevata temperatura che vi regna nelle parti più interne. Essa è scavata nei calcari Basici. È difficile immaginare come descrivere una scena originale e fantastica come quella che si presenta in quel cunicolo tortuoso dal cui cielo pendono gruppi di stalattiti e veli alabastrini e le cui pareti cristalline scintillano alla luce di cento fiammelle ar- tisticamente disposte. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 311 Ritornati all’aperto si cominciò la salita intorno alla collina di Monsummano Alto osservando tutta la serie del lias. del cre- taceo, fino all'eocene. L’ing. Zaccagna ne faceva notare frattanto le particolarità stratigrafiche. Presso il Fangaccio s’incontrarono piccoli affioramenti o meglio residui di roccie d’origine serpentinosa, secondo l’opinione del Zaccagna. Nella discesa dell’altro fianco si osservarono comodamente i diaspri del titoniano contenenti Aptici de’ quali si raccolsero alcuni esemplari : si notarono pure gli scisti rosso-violacei che si disgregano in sottili pezzetti come asticelle, donde il nome bene appropriato di scisti aciculari. Nel visitare le vicine cave di calcali liasici furono trovati esemplari di Harpoceras } Coeloceras J Rhinchonella. Prima di giungere ai Bagni dei sig. Parlanti si vistò una gran- diosa cava di compatto travertino, di colore un po’ oscuro, ma adatto alle costruzioni, che è sovrapposto agli scisti cretacei. Contiene im- pronte di foglie, fra cui parve scorgersi il Laurits canariensis, e numerosi molluschi continentali fra cui particolarmente abbondante la Cyclostoma elegans. Si ebbero anche frammenti di ossa, forse Bos, e graziosi esemplari di Telphusa fluviatili s. Speciali accoglienze ci furono tributate daH'amministrazione dei Bagni Parlanti. Ne fu visitato lo stabilimento e si ebbero co- piose notizie sui metodi di cura ivi praticati e sui benefici effetti che si ritraggono. Nel pomeriggio ci recammo, in vettura, a Montecatiui, ove ricevemmo non meno festosa accoglienza delle precedenti lo- calità. I prof. Fedeli e Casciani ispettori sanitari, e il direttore sig. Giuliani ci guidarono alla visita di quegli splendidi stabili- menti, illustrandone dottamente ogni particolare. Si visitarono le varie fonti ed alla sorgente che porta il nome di Paolo Savi la Direzione delle Terme aveva preparato un trofeo con busto del- l’illustre geologo, dinanzi al quale il prof. Fedeli pronunciò un forbito discorso : ad esso rispose il presidente Cocchi con affettuose parole. Poscia si salì al Monte delle Panteraie ove si ripete la serie di Monsummano. 312 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Prima di ritornare ai Bagni di Montecatini, si visitò una grandiosa cava di calcare grigio del lias inferiore e poscia la Grotta di Maona scavata in detto calcare. Il proprietario sig. Morini ce ne permise gentilmente l’accesso e volle degnamente illuminarla per la circostanza. Questa grotta non è destinata ad uso salutare ; ma saggiamente sistemata come è con comode scalette, che permettono la discesa a vari livelli, costituisce una piacevolissima escursione sotterranea pei touristi. Il proprietario ci comunicò che nei recessi della grotta furono ritrovati resti di bove, di orso ed armi in pietra. Alla sera la comitiva si riuniva nella grandiosa sala da pranzo della Locanda Maggiore e fra i molti brindisi e discorsi di circostanza va certamente notato quello dell’on. Martini in cui svolse il concetto che le future battaglie fra le nazioni, non sa- ranno più combattute in campo colle poderose fortezze e armi mi- cidiali ; ma coi laboratori ed istituti scientifici e la nazione più forte sarà quella che li avrà meglio dolati e forniti. Egli fece voti infine che l’Italia possa avere il posto che le spetta in questa nobile gara che si riverbera nel campo pratico delle industrie. A tarda sera si era di ritorno in Lucca. Escursione del 19 settembre. L'escursione, in vettura, ai Bagni di Lucca si svolse rapidamente onde aver tempo di tenere un'adu- nanza nelle ore pomeridiane. La strada segue le valli del Serchio e della Lima, oltremodo pittoresche e di variata visuale ad ogni tratto. Si attraversarono calcari grigi ben stratificati del titoniano e neocomiano, di cui v’ ha una grandiosa cava fra Ponte a Mo- riano e Diecimo. Presso Borgo a Mozzano si entrò nei terreni eoce- nici, che si percorrono fino ai Bagni di Lucca. Le celebri sorgenti sono appunto nell’arenaria eocenica. A Bagni di Lucca, vero luogo di delizia, si ebbero lietissime accoglienze, specialmente da parte dell’ amministrazione dello stabilimento sanitario. Escursione del 20 e 21 settembre. Di buon mattino si partì da Lucca in vettura, e, sfiorato il lembo pliocenico di M. S. Qui- rico, si entrò nella valle della Freddana, fiancheggiata da macigno dell’eoceue medio e da calcari alberesi e scisti galestrini dell’eo- DELLA. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 313 cene superiore. A S. Martino in Freddana appare qualche lembo di scaglia del senoniano e i calcari a selci del neocomiano. Poscia la strada si svolge tutta nell’eocene medio e superiore fino a Nocchi. Quivi, lasciate le vetture, s'incominciò, per sentieri montani, la sa- lita verso Torcigliano, percorrendo la serie in senso inverso, prima i calcari con selci del titonico, quindi gli scisti argillosi giallastri del lias superiore in cui si raccolsero campioni di Posidonomya Bronni, quindi calcari ad arietiti del lias medio, poscia i calcari marnosi e gli scisti a Bactrilli, di cui si raccolsero pure saggi, ed infine sull’ altipiano del Lucese i calcari dolomitici brecciati e cavernosi del retico. Poscia cominciò la discesa negli stessi terreni verso Convalle e, ripiegando nella valle di Pescagliora, si salì a Pescaglia, che sta sul titonico, ove si fece fermata. Eimessi in cammino, si passò per Colletto, Pascoso e Buc- cine, ritrovando i calcari nummulitici, quindi, per sentieri boscosi, si giunse a Palagnana, e, a sera, all’albergo del Matanna, ove la comitiva ebbe accoglienze delle più festose con spari e luminarie per cima del sig. Barsi proprietario, e dei gentili villeggianti. La mattina del 21 di buon ora si salì al Pian d’Orsina (m. 1040), ove nei calcari grigi Basici si ebbe la fortuna, poiché i fossili vi son rarissimi, di trovare due piccole ammoniti limonitizzate e suffi- cientemente ben conservate. Dopo breve sosta alla succursale del- l’albergo del Matanna, si cominciò ad inerpicarsi su per la vetta del Matanna (m. 1317), soffermandoci ad esaminare un tentativo di cava del calcare rossastro, in cui si rinvennero due arietiti. Molto tempo si restò sulla vetta, contemplando la bellezza delle linee delle vicine creste che rivaleggiano col Matanna per altezza e i contrasti di chiari ed ombre pel sole da poco alzato, e il panorama quasi pianimetrico della pianura e del littorale tir- reno. Sicché, a malincuore, se ne cominciò la discesa verso l’Alpe della Grotta, dal cui lato, il Matanna, Basico, cade a picco, mo- strando una immensa sezione naturale di lias e sotto di retico, fino alle ardesie del trias, dalle quali sgorga una fonte abbondante ed eccellente. Si passò sotto al Procinto, colossale obelisco dovuto alla erosione, che la Sezione livornese del Club Alpino, con speciali lavori, ha reso accessibile, facendone la meta di una delle più belle escursioni touristiche che possano immaginarsi. La direzione di quella Sezione molto gentilmente aveva disposto perchè la co- 814 ADUNANZA. GENERALE ESTIVA mitiva dei geologi vi avesse libero accesso; ma, l’ora avanzata e la strada che ancora rimaneva a fare, ci impedirono di approfit- tarne, come sarebbe stato nostro desiderio. Di là fino a Stazzema si restò su roccie del trias, e. discen- dendo per la strada a zig-zag che va a Ponte Stazzamese, si os- servarono le importanti cave del bardiglio, e, più sotto, quelle della superba breccia di Stazzema. Quindi si entrò nella zona dei grez- zoni , pure essi del trias superiore e medio, e subito fuori di Ponte Stazzamese si videro gli scisti del permiano. E. Clerici. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 315 PRESENTAZIONE DI FOSSILI DELLA REGIONE FRA I MONTI CORNICOLANI E LUCANI E DIGRESSIONE SULLA PRETESA EPOCA VILL AFRANCHIANA , DI DETTA REGIONE Comunicazioni dell’ing. Enrico Clerici. Un nostro collega asserisce di aver riconosciuto nella regione tra i monti Cornicolani e Lucani, in prov. di Roma, 1'esistenza di speciali formazioni geologiche riferibili ad un’epoca che dovrebbe chiamarsi villafranchiana ('). Basandomi sulle mie raccolte di fossili e sulle ricerche che ho fatto in quella regione e rese pubbliche soltanto in parte (2), non posso convenire colle conclusioni dell’ accennato autore, ma con- stato con piacere che egli è meco d’accordo nell’ ammettere l’egua- glianza d’avvenimenti fra questa regione e la Sabina. Benché l’argomento sia tale da fornire oggetto di discussione, tanto più necessaria perchè intesa a dissipare errori di apprezza- mento e sopratutto di osservazione, pure altre doverose occupazioni mi hanno finora impedito di riunire a questo scopo le mie note, il che non tralascerò di fare appena mi sarà possibile. Frattanto m’interessa di presentare alcuni fossili della regione e di registrare le specie seguenti: (1) Tuccimei G., Il villafranchiano e l'astiano nella valle tra i Cor- niculani e i Lucani. Atti Acc. Pont, dei nuovi Lincei (senza indicazione di volume nè di seduta). Poma 1895. (2) Clerici E., Il pliocene alla bo.se dei monti Cornicolani e Lucani. Rend. R. Acc. dei Lincei, voi. IJ, 2° sem., serie 5a, p. 61, luglio 1893. — Id. Sopra VAcicularia italica nuovo fossile pmblematico. Comunica- zione fatta alla Soc. Geologica Italiana nell’adunanza del 21 aprile 1895. (Boll. Soc. Geol. It., voi. XIV, p. 105). 16 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Melania Verni De St. (x) Da me raccolta in due località ai fianchi destro e sinistro di V. Poldana presso il casello ferroviario km. 31,196 che si trova fra il viadotto sul fosso Yannoni ed il ponticello sopra un piccolo fosso, nel cui letto poco accessibile sta una delle località. Nematurella etrusca De St. Abbondante al fosso di Castello ; alla predetta località sul fianco sinistro di V. Poldana e al fosso Castelluccio. Determinata per con- fronto con esemplari di Città della Pieve avuti dal prof. De Ste- fani e con esemplari del museo di Firenze. È considerata come va- rietà (2) della N. Meneghiniana De St. Melanopsis nodosa Fér., flammulata De St. e oomorpha De St. Bellissimi esemplari e, benché frequenti, non citati dal nostro autore. Alcuni esemplari possono assegnarsi alle dette specie, altri partecipano de’ caratteri dell’ima e dell'altra. Trincea ferroviaria del colle Cigliano, insieme a Neritina , negli strati biancastri marnosi compresi fra strati marini : insieme a Tapes caudata nelle sabbie argillose sovrapposte al banco di ghiaia cementata dal quale il fosso di Castello precipita formando cascata: burrone laterale a sinistra del fosso di Casale Rosso sotto un banco di lignite : finalmente in una collina del gruppo del C. della Colonnella di cui in appresso (3). (•) Foresti L., Di alcune varietà della Melania Verni De Stef., Bull. Soc. Male. It., voi. XVI, tav. Y, fig. 1. (*) « Differt spira magis acuta, testa ovata ; anfractu ultimo minus an gulato ; ore magis elongato ». De Stefani C., Moli cont. plioc. d'Italia , pag. 98 estr. La fig. 1 della tav. Ili non riproduce con tutta perfezione l’aspetto del fossile ; sicché tanto i miei esemplari, come quelli summentovati di Città della Pieve, potrebbero, in certo modo, dirsi intermedi fra la fig. 1 (N. etrusca ) e la fìg. 22 (A. Meneghiniana). (3) Ho trovato anche esemplari di Melanopsis risalendo la destra della vallata del Treia a valle di Civitacastellana, che credo località nuova. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 317 Neritina Marcellinae Clerici Nuova specie a bordo columellare denticolato, spira prominente ornata da tre fasce ; prossima alla N. sena Cantr. con cui ho fatto confronti al museo di Firenze. Burrone presso il fosso di Casale Rosso dove è la lignite. Typhis tetrapterus Bronn (Mar ex) Nelle sabbie grigie presso il casello Km. 31,196. Specie ra- rissima nei dintorni di Roma. Finora se ne conoscevano due soli esemplari trovati dal Conti e dal Meli al M. Mario (1). Venus excentrìca Agassiz (2) Bella specie pliocenica (nuova per i dintorni di Roma), fre- quente, in esemplari completi, nelle sabbie grigie nel fosso già men- zionato presso il casello Km. 31,196. Tapes caudata D’Anc. Interessante specie estinta, frequente nei dintorni di Roma e che ho intenzione di illustrare. Cascata del fosso di Castello; fosso di Castelluccio ; collina del grappo del C. della Colonnella ; argille bluastre sulla sinistra ed a livello dell’acqua nel fosso di Casale Rosso, non molto lungi dal suo sbocco nella Sarina. (B Meli E., Sopra alcune rare specie eli molluschi fossili estratti dal giacimento classico del M. Mar io presso Roma (Boll. Soc. Geol. voi. XIV, p. 95). il Murex tetrapterus Bronn è citato dal Ponzi ( Cronaca suhappennina, pag. 21 estr.) come trovato dal Mantovani nelle sabbie grigie della Farnesina, ma non è riportato nel catalogo di questo autore ( Descr . geolog. della Campagna Romana, pag. 40-47). (2) Agassiz L., Iconographie des coquilles tertiaires réputées identiques avec les espèces vivantes etc., Nouv. Mém. de la Soc. helvétique des se. nat., tomo VII, Neuchàtel 1845, tav. V, fig. 9, 10, 11, pag. 34. 318 ADUNANZA GENERALE ESTIVA Chama sinistrorsa Brug. In esemplari molto grossi e completi, nelle sabbie giallastre a fossili marini del colle Turrita e del colle Cigliano, a circa un terzo della sua altezza dalla ferrovia. Pecten Alessii Phil. (') Specie pliocenica, spesso confusa col P. flabelli formis , abbon- dante alla trincea del colle Cigliano sopra gli strati salmastri, e parimenti alla collina del C. della Colonnella. Acicularia italica Clerici Fossile problematico abbondantissimo specialmente negli strati a Nematerella etnisca del fosso di Castello ed in quelli a N. etni- sca e Melania Verrii nella località a sinistra in V. Foldana. Ed ora due parole sulla pretesa epoca villafrauckiana. Le con- clusioni dell'autore sono: 1° gli strati marini più profondi, le sabbie gialle e le ghiaie cementate, sovrapposte a quelle, appartengono all 'astiano ; 2° gli strati salmastri e i susseguenti strati marini appar- tengono al villafranchiano, intendendosi con ciò non già una sem- plice fase lacustre o salmastra dell' astiano, ma una vera epoca geologica con stagni, lagune, estuari e mar libero profondo, la quale precede il quaternario; 3° gli strati astiani sono quasi sempre inclinati e gli strati villafranckiani sono orizzontali e discordanti sugli astiani. Questa discordanza fa appunto distinguere le due epoche, poiché manca il criterio paleontologico. Non occorre rammentare che il nome di Villafranchiano fu creato dal Pareto ed in seguito risuscitato dell’egregio collega il prof. Sacco, il quale ieri mi ha confermato oralmente quanto ebbe (!) Fucini A., Il pliocene dei dintorni di Cerreto-Guidi (Boil. Soc. Geol. Ital. voi. X, p. 75, tav. II, fig. 3). — Il P. Alessii trovasi pure nel macco di Palo. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA 319 a scrivere altre volte (') in proposito e che cioè, per esempio, il villafranchiano è unar facies fluvio-lacustre del periodo astiano o pliocene superiore e che cronologicamente il villafranchiano e l'astiano possono essere perfettamente sincroni quantunque il primo serva di coronamento al secondo. Non è conforme alle regole di buona nomenclatura adoperare una denominazione da predecessori e contemporanei impiegata con un significato diverso. Anzi, poiché nel concetto di Pareto e di Sacco il villafranchiano indica formazioni assolutamente continen- tali, il dire villafranchiano marino, come fa il nostro autore, equi- vale a dire formazioni continentali che sono marine. Anche am- messo che fra il pliocene ed il quaternario vi sia una vera e propria epoca, è raccomandabile che sia indicata con un’altra denomina- zione: ma io ripeterò che un’epoca speciale, come viene definita non può essere ammessa mancando i fatti che ne confermano resi- stenza. La prima collinetta del gruppo del C. della Colonnella, ap- pena intaccata dalla strada Palombara-Ponte Lucano, a 350 m. dalla risvolta da cui si distacca il sentiero che conduce a Montecelio, è costituita dal basso in alto da: arenaria giallastra, sabbia argil- losa giallastra con molluschi fra cui Cardium edule var. L amar chi , Tapes caudata D’Anc., Melanopsis nodosa Fér: pila di strate- relli biancastri marnosi e marnoso-calcari a fossili continentali, pieni di Melanopsis , Neritina , Hydrobia, Planorbis, Limnaea , By- thinia, ecc.: sabbie argillose con ostriche ed altri molluschi ma- rini, fra cui Pecten Alessii , P. polymorphus ed altri, come alla trincea del colle Cigliano. Questi strati sono tutti paralleli e perfettamente concordanti come può discernersi da una fotografia della collina che presento. Ho voluto accennare in modo particolare a questa collina perchè l’autore ne ha data una sezione come prova la più appariscente e facilmente constatabile sul posto delle sue argomentazioni le quali sono perciò inattendibili non meno di quella. Del pari inattendibile dichiaro la sezione lungo la strada dalla stazione ferroviaria a Marcellina e Palombara, nel punto ove le sabbie fossilifere contengono blocchi di calcari forati da lito- (>) Sacco F., Il bacino terziario del Piemonte. Capitolo XVII. 22 320 ADUNANZA GEN. ESTIVA DELLA SOC. GEOL. ITALIANA. domi. Avvertirò pure che tutte le stratificazioni del colle Turrita si ritrovano nel colle Cigliano, e che lo strato a Corbula gibba ed altri fossili marini, ammesso dall'autore come astiano e come li più antico della serie, non è punto il più antico essendo visibil- mente sovrapposto ad una pila di strati, pure essi inclinati, di ma- teriale biancastro calcareo e farinoso, nella sua parte superiore quasi affatto privo di conchiglie marine ma contenente, dove più, dove meno, Planorbis , Hydrobia , Bythinia , ecc., e che ha sotto di sè nuovamente strati a fossili marini e salmastri. Queste mie affermazioni saranno a suo tempo documentate; intanto, per riassumere, dirò che parecchie volte nella regione in parola strati decisamente marini si alternano con strati a ca- rattere salmastro, con strati a fossili continentali, con sabbie ste- rili, con ghiaie (di cui ve n’ha almeno tre livelli). Nessuna di- scordanza nel senso proprio della parola (eccettuata quella delle roccie vulcaniche) esiste fra tutte queste formazioni e se, seguendo passo passo l'uno o l'altro strato, si rimarcano talvolta notevoli varia- zioni nella grossezza delle sabbie o delle ghiaie, nella maggiore o minore frequenza di talune specie di fossili, ciò ha ragione nel carattere eminentemente littorale della serie e nelle alternative fra mare, spiaggia, lagune e simili. Col dire che non esiste l’invocata discordanza non escludo 1’esistenza di strati salmastri orizzontali o che, per una ragione elementarissima, possano apparir tali. In conclusione nego l’ esistenza della discordanza e per conse- guenza ritengo inammissibile tanto la pretesa epoca, quanto, su- bordinatamente, il nome di villafranchiano che ad essa si vorrebbe assegnare. [20 dicembre 1895] INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XIV. Ufficio di Presidenza per l’anno 1895 pag. ni Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi » iv Soci perpetui » ivi Elenco dei Soci per l’anno 1895 » v Elenco delle Società, Istituti, Biblioteche ecc. che ricevono il Bollettino in cambio od in omaggio » xxu De Stefem C. — Sui possibili caratteri delle lave eruttate a grande profondità nei mari » 1 Simonelli V. - Sopra un movo pteropode del miocene di Malta » 19 Trabucco G. — Sulla vera posizione dei terreni eocenici del Chianti (con una tavola) 24 Rovereto G. — Arcaico e paleozoico nel Savonese (con quat- tro tavole) » 37 Chelussi I. — Alcune roccie di Campiglia » 76 Dervieux E. — Le Marginuline e Vaginuline terziarie del Piemonte » 81 Resoconto dell’adunanza generale invernale tenuta in Firenze il 21 aprile 1895 » 85 Soci presenti » ivi Nomina dei nuovi soci » ivi Memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino . . « 86 Elenco delle pubblicazioni giunte in omaggio alla Società dal 19 settembre 1894 al 21 aprile 1895 » ivi Presentazione dei bilanci consuntivo 1894 e preventivo 1895 » 87 Comunicazioni scientifiche » 88 De Angelis D’ossat G. — I corollari fossili del car- bonifero e del devoniano della Carnia .... « ivi Seduta pomeridiana » 90 Deliberazioni in aggiunta al regolamento » ivi 322 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XIV Progetto di regolamento per definire le attribuzioni del Te- soriere e dell’ Economo pag. 91 Scelta della sede per l'adunanza estiva » ivi Comunicazioni scientifiche » ivi Meli R. — Notizie sopra alcuni fossili ritrovati re- centemente nella provincia di Roma » ivi Meli R. — Sopra alcune rare specie di molluschi fossili estratti dal giacimento classico del Monte Mario presso Roma » 94 Osservazioni del socio Clerici alla antecedente comu- nicazione n 96 Clerici E. — Sopra un giacimento di diatomee presso Viterbo » ivi Lotti B. — L'Età geologica dell'arenaria di Firenze a proposito d'una pubblicazione del prof. G. Tra- bucco su questo argomento » 98 Trabucco G. — Sull'età geologica del macigno di Firenze » 100 Clerici E. — Sopra l'A cicularia italica, nuovo fossile problematico « 105 Gualterio C. — Presentazione di fossili del Mu- gello » 108 Trabucco G. — Sulle Nummuliti dell' arenaria ma- cigno del bacino eocenico di Firenze .... » ivi Osservazioni del presidente Cocchi alla comunicazione precedente » 110 Johnston-Lavis H. e Flores E. — Notizie sui depositi degli antichi laghi di Pianura ( Napoli ) e di Melfi ( Basilicata ) e sulle ossa di mammiferi in essi rinvenute (con una tavola) » 111 Neviani A. — Briozoi Eocenici del calcare nummulitico di Mosciano presso Firenze » 119 Meli R. — Ancora due varale sull'età geologica delle sabbie classiche del Monte Mario presso Roma ... » 128 Meli R. — Molluschi fossili estratti recentemente dal giaci- mento classico del Monte Mario presso Roma. . » 141 Meli R. — Notizie sui resti di mammiferi fossili rinvenuti in località italiane » 148 Fabrini E. — Sopra due Felis di Romagnano (con una tavola) « 164 De Lorenzo G. — Sulla probabile esistenza di un antico circo glaciale nel gruppo del Monte Volturino in Basilicata » 169 Trabucco G. — Il Langhiano della provincia di Firenze. . » 173 Meli R. — Sopra alcune roccie e minerali raccolti nel Vi- terbese » 179 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XIV 323 Sacco F. — L' Appennino settentrionale. Parte III, La Toscana, pag. 186 De Pretto 0. — La degradazione delle montagne e sua in- fluenza sui ghiacciai » 233 Adunanza generale estiva tenuta in Lucca nel settembre 1895 . » 259 Seduta inaugurale del 15 settembre » ivi Soci presenti » ivi Discorso del comm. Bongi rappresentante del sindaco di Lucca » 260 Discorso del comra. Pietro Bertareli.i prefetto della pro- vincia di Lucca » 261 Discorso inaugurale del presidente Cocchi » 265 Nomina dei nuovi soci » 274 Seduta antimeridiana del 17 settembre » 275 Soci presenti » ivi Approvazione del regolamento che definisce le attribuzioni del Tesoriere e delTEconomo » ivi Comunicazioni scientifiche » ivi Zaccagna D. — Presentazione della carta geologica delle Alpi Apuane » ivi Cocchi I. — Di uno scheletro di Elephas anti- quus trovato presso Arezzo » 276 Taramelli T. — Osservazioni sul Paleozoico delle Alpi Carniche » 277 Osservazioni dei soci De Stefani e Salomon sulla co- municazione precedente » 280 Seduta pomeridiana del 17 settembre » 282 Soci presenti » ivi Memorie e note presentate per la pubblicazione nel Bollettino. » ivi Comunicazioni scientifiche » ivi De Stefani C. — Viaggio nella penisola Balcanica. » 283 Trabucco G. — Terremoto della Romagna- Toscana del 4 settembre 1895 » 284 Salomon G. — Sul metamorfismo di contatto nel gruppo dell' Adamello » 286 Lotti B. — Rinvenimento di nummuliti ed inocerami. » 289 Osservazioni dei soci De Stefani e Trabucco alla comunicazione precedente e replica del socio Lotti. » ivi Toldo G. — Rinvenimento di fossili miocenici nel- l' Imolese » 290 De Stefani C. e Trabucco G. — Nuovi fossili cre- tacei dei dintorni di Firenze » ivi Cortese E. — Escavazione di un pozzo nel giaci- mento lignitifero di Montemassi » 291 Osservazioni dei soci De Stefani e Ristori alla co- municazione precedente e replica del socio Cor- tese n ivi 324 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XIV Clerici E. — Sopra un nuovo giacimento diatomei- fero presso Orvieto e sui blocchi di argilla ma- rina contenuti nei materiali vulcanici sostenenti questa città pag. 294 Clerici E. — Rinvenimento di Tapiro nella lignite di Spoleto » 296 Seduta del 19 settembre 297 Soci presenti n ivi Elenco delle pubblicazioni giunte in omaggio alla Società dal 22 aprile al 18 settembre 1895 » 299 Stato patrimoniale della Società » 300 Bilancio consuntivo 1894 » 302 Elezioni sociali » ivi Comunicazioni scientifiche » ivi Meli R. — Ancora sugli esemplari di Neptunea sinistrorsa Desh. ( Fusus ) pescati sulla costa d'Algeri » ivi Dervieux E. — Foraminiferi tortoniani del tortonese Italiano » 306 Clerici E. — Presentazione di fossili della regione fra i monti Cornicolani e Lucani e digressione sulla pretesa epoca villafranchiana di detta re- gione » 307-315 Discorso di chiusura del vice-presidente De Stefani . » 308 Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di Lucca » 309 AVVERTENZE La Società geologica italiana tiene due Adunanze ordinarie all’anno, l’una in- vernale, l’altra estiva, in luogo da destinarsi anno per anno. Per far parte della Società occorre esser presentato da due soci in una Adu- nanza ordinaria, e pagare una tassa d’entrata di L. 5 e una tassa annua di L. 15. La tassa annua può essere sostituita dal pagamento di L. 200 per una sola volta. Ogni socio all’atto dell’ammissione si obbliga di restare nella Società per tre anni, al cessare dei quali l’impegno s’ intende rinnovato di anno in anno, se non venga denunziato tre mesi prima della scadenza. La tassa sociale annua di L. 15 deve essere pagata entro i due primi mesi del- l’anno. I soci hanno diritto al Bollettino che peiiodibameùte si stampa in fascicoli. Nel Bollettino si pubblicano le memorie presentate nelle Adunanze, insieme al- l’elenco dei soci, ai bilanci, ai resoconti delle Adunanze generali e delle escursioni. Le memorie che non vengono presentate in Adunanza generale saranno in- viate alla Presidenza, e per essa al Segretario. Fino a nuova disposizione non si accettano le memorie che per estensione su- perino approssimativamente quattro fogli di stampa e quelle che fossero lavori di compilazione. La Società concorrerà nelle spese delle illustrazioni nella misura dei mezzi di- sponibili. La Presidenza determinerà caso per caso, -interpretando i voti del Consiglio, se debba concedersi il concorso e in quale proporzione. Per le carte geologiche non si concede alcun sussidio. Le prove delle tavole (anche di quelle che gli autori fanno eseguire a proprie spese) debbono essere sottoposte al visto della Presidenza prima della tiratura. Di ciascuna memoria il Segretario spedirà all’autore, per la correzione, una prova in colonna, che dovrà essergli restituita al. più tardi entro 15 giorni, e una in pagina, da restituirsi entro 8 giorni. Se le prove non saranno restituite nel termine prescritto, il Segretario s’in- caricherà d’ufficio della materiale correzione degli errori tipografici senza assumere alcuna responsabilità perii resto. II Segretario prima di deliberare la stampa delle memorie si assicurerà che tutte le correzioni indicate dagli autori siano state esattamente eseguite e correggerà quegli errori che evidentemente fossero passati inosservati agli autori stessi i quali sono perciò responsabili di ogni altra cosa. - ■ Le spese straordinarie cagionate da correzioni maggiori, del consueto., da cam- biamenti o rifusione di paragrafi, come pure la stampa di tavole sinottiche di formato maggiore del testo saranno addebitate agli autori, ed essi saranno in obbligo di pagarle al Segretario non appena ne abbiano ricevuto il relativo conto col visto del Presidente. Agli autori si dànno 50 copie degli estratti con copertina stampata. Se l’autore intende far tirare estratti per conto proprio, deve indicare per iscritto sulla prima prova corretta della sua memoria il numero degli esemplari che ne desidera. Il prezzo di 50 in 50 copie, con copertina stampata ecc. sarà di L. 4 ogni foglio di pag. 16, e di L. 2 per ogni mezzo foglio o frazione di mezzo foglio. L’importo di questi estratti sarà indicato dal Segretario sulle bozze impagi- nate e dovrà essere pagato anticipatamente al Segretario stesso. Senza di che l’au- tore riceverà soltanto le 50 copie tirate per conto della Società. A qualunque socio, il quale col 1° aprile dell’anno corrente si trovi ancora in arretrato pel pagamento della tassa sociale dovuta per l’anno precedente, sarà sen- z’altro sospeso l1 invio delle pubblicazioni della Società e il medesimo non potrà prendere parte alle Adunanze. La presentazione delle memorie e la stampa delle medesime non avrà corso se l’autore non avrà pagato la tassa dell’anno in corso o soddisfatto ogni altro impegno verso la Società. Per il pagamento della tassa d’entrata, della tassa annua e per l’acquisto dei volumi del Bollettino dirigere lettere e vaglia all’Economo cav. ing. Augusto Statuti, via dell’Anima, 17, Roma. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. 1. I (1882) 260 pag. e 4 tavole. II (1883) 314 Ti » e ì tavole. III (1884) 188 li » una tavola. IY (1885) 528 Ti 19 tavole e 3 carte geologiche a colori. Y (1886) 516 n 11 tavole. YI (1887) 570 Ti 18 tavole e una carta geologica a colori. VII (1888) 430 n 14 Ti Ti Ti Ti Ti -Vili (1889) 600 tì 3 Ti Ti Ti Ti TI IX (1890) 826 ji 25 Ti Ti Ti Ti Ti X (1891), 1023 n 21 » e 2 carte geologiche a colori. XI (1892) 702 n 11 tavole. XII (1893) 892 n 7 Ti XIII (1894) 317 * 5 Ti XIV (1895) 324 Ti 7 Ti I volumi I, II e III si vendono al prezzo di L. 15 ciascuno, tutti gli altri a L. 20. A chi richiede parecchi volumi si accorda un ribasso proporzionato. Ai librai si accorda uno sconto da convenirsi. Ai soli soci che desiderano completare la collezione sono accordati i volumi arretrati al prezzo di L. 8 l’uno indistintamente. Si accorda anche un ribasso per chi, non essendo socio, paga anti- cipatamente l’abbonamento per ogni annata da pubblicarsi. Per l’acquisto dirigere lettere e vaglia all’ Economo cav. ing . Augusto Statuti via dell’Anima 17 j, Roma. ■ ■ - 5^