PER BX4878 .B64 no. 149-153

Bollettino della SocietdL di studi valdesi.

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N. 150 Dicembre 1981

BaiETTINO

DELLA

SOCIETÀ DI STVDI VALDESI

L'opinione pubblica inglese e le «Pasque Piemontesi»: nuovi documenti (*)

1. È noto l'interesse con il quale il governo di Cromwell, e di con- seguenza l'opinione pubblica inglese che il « Protettore » era in grado di orientare in maniera precisa, seguirono le vicende della piccola mino- ranza riformata esistente negli stati del Duca di Savoia durante la grave crisi del 1655; note del pari le varie iniziative assunte dal governo in- glese in questa circostanza (1).

L'intreccio strettissimo tra religione e politica che si riscontra soli- tamente nell'azione di Cromwell non permette di individuare tutte le motivazioni di un simile interessamento. L'azione in favore dei Valdesi rispondeva da un lato ad una esigenza di carattere morale a sfondo con- fessionale, e da un altro lato si armonizzava molto bene con un più vasto disegno del Protettore, di proporre all'opinione pubblica un'im- magine della nuova Inghilterra, ed in particolare del suo capo supremo, in veste di strenuo difensore della causa di tutto il protestantesimo eu- ropeo, rivendicando in tal modo il diritto ad assumerne la guida.

(*) Il presente studio, che raccoglie le risultanze di ricerche protrattesi per vari anni, è stato messo a punto indipendentemente, e senza che gli autori fossero a conoscenza delle ricerche perseguite da questo studioso, dal lavoro di Giorgio Vola, pubblicato nel numero 149 del presente « Bollettino ». I punti di interferenza con l'articolo di Vola sono più d'uno; vi sono anche delle discrepanze, per altro su elementi di dettaglio. Nella sostanza, tuttavia, le risultanze della nostra indagine non contraddicono, ma piuttosto confermano alcuni punti della più vasta indagine del Vola, e pare a noi utile farle conoscere, accostandole a quanto è già stato proposto da questo studioso. Gli autori del presente studio hanno preso le mosse da preoccupazioni di natura filologica far conoscere dei testi sin qui poco noti o del tutto sconosciuti, e poi approfondirne il significato e nutrono la convin- zione che il loro apporto serva ad illustrare meglio una situazione complessa, quale quella che sta alle spalle dell'azione inglese a favore dei Valdesi perseguitati nel 1655, che, come ben sottolinea il Vola, necessita ancora di approfondimento.

(1) Per la vastissima bibliografia sull'argomento rimandiamo unicamente alla Bibliografìa valdese di A. Armand Hugon-G. Gonnet (numeri 1562-1639) e agli im- portanti aggiornamenti fomiti dall'articolo di G. Vola, Cromwell e i Valdesi, una vicenda non del tutto chiarita in B.S.S.V., 149, 1981.

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Questo aspetto dell'operato di Cromwell è stato ripetutamente stu- diato (2), già dai contemporanei (3), in genere con intendimenti ridut- tivi, per mostrare che motivazioni politiche prevalgono su considerazioni più disinteressate in questa azione di sostegno della minoranza rifor- mata degli stati sabaudi. Interpretazione parziale, in realtà, che, per non tener conto del viluppo singolare tra religione e ragion di stato nel- l'azione politica del Protettore e che, per supporre che l'agire umano possa avere motivazioni semplici, non può rendere ragione in tutta la sua ambiguità del contenuto di verità di frasi come quella, veramente esem- plare, per citarne una, che si legge nel messaggio di Cromwell al Parla- mento appena riunito, il 3 novembre 1654: « pesano sulle vostre spalle gli interessi cristiani di tutto il mondo » (4). È infatti l'assunzione, in tutta la loro portata, delle responsabilità che discendono da una posi- zione confessionale rigorosa che porta il puritanesimo inglese a travari- care dal campo della pietà in quello dell'azione politica e al limite militare.

Scopo del nostro studio è di far conoscere alcune pubblicazioni inglesi relative alla crisi del 1655 sulle quali sin qui non è stata attirata l'attenzione e che possono essere considerate, segnatamente nel campo degli studi valdesi, come del tutto sconosciute. Si tratta, è vero, di pub- blicazioni conservate nell'ex-British Museum di Londra (oggi British Library), e descritte perciò nel catalogo a stampa di quella biblioteca; ma solo ad uno studioso inglese contemporaneo, il Woolf, era accaduto di menzionarle, nel quadro di uno studio d'insieme sui rapporti cultu- rali tra l'Inghilterra il ducato sabaudo (5). Alcune di esse sono anche segnalate dal Vola, nello studio precedentemente citato.

(2) Ricordiamo in primo luogo il vecchio ma sempre valido lavoro di J. N. Bowman, The Protestant interest in Cromwell's foreign relations, Heidelberg 1900; inoltre i lavori di B. Gagnebin: O. Cromwell, Genève et les Vaudois du Piémont in B.S.S.V., 72, 1939, pp. 237-254; id., Cromwell protecteur d'Angleterre, Genève 1947; di F. Contino, L'intervento diplomatico inglese in favore dei Valdesi in occasione delle Pasque Piemontesi del 1655. in B.S.S.V., 93, 1953, pp. 3543; ecc.

(3) Questa è, in sostanza, T'nterpretazione di G. Leti Historia e memorie recon- dite sopra la vita di Cromwell, 1 vol., Amsterdam 1692; ma analoga è l'impressione ricavata dall'ambasciatore straordinario veneziano Sagredo, che ne rende conto al Senato che con una sua lettera del 26 novembre 1655 (pubblicata da E. Momigliano in appendice al suo Cromwell, Roma, Mondadori, 1931, pp. 212-13); il proposito di Cromwell è di farsi capo del protestantesimo europeo, onde cupe minacce si ad- densano sul capo dei sovrani cattolici. « Le Protecteur a bien la vanité de vouloir passer pour défenseur de la foi, quoi qu'il n'en prenne pas le titre », nota in una lettera da Londra al ministro Brienne anche l'ambasciatore francese de Bordeaux, impegnato nelle trattative per la conclusione del trattato di commercio tra ia Francia e l'Inghilterra, che sarà firmato nel mese di ottobre (la lettera del de Bor- deaux è pubblicata in appendice al voi. II àeW'Histoire de la République de Crom- well di F. GuizoT, Paris, Didier, 1854, p. 532). Il testo del trattato è pubblicato, in francese e in latino, in un'apposita « plaquette » : Traité de paix entre la France et la République d'Angleterre, d'Ecosse et d'Irlande (Paris, Cramoisy, in -4°, pp. 42: un esemplare nel ms. 442 del Fondo Clairambault della B.N. di Parigi).

(4) Cfr. E. Momigliano, op. cit., p. 137.

(5) S.J. Woolf, Enghish public opinion and the Duchv of Savoy, in « English Miscellany », 12, Roma, Ed. Storia e Lett., 1961, pp. 211-258: cfr. in particolare le pp. 229-231.

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Sul carattere spontaneo di queste manifestazioni a favore dei Val- desi perseguitati non sembra lecito farsi illusioni : lo stato di polizia instaurato da Cromwell, la cui efficienza sorprende persino l'ambascia- tore straordinario della Serenissima (pure abituato ai sistemi del Con- siglio dei Dieci) (6), non doveva lasciare molti spazi per iniziative non concertate dal potere. Si rileva per altro, nel gruppo di pubblicazioni di cui intendiamo parlare, la presenza di uno scritto di parte cattolica, una voce di dissenso, dunque, nel coro di lamentazioni sull'infausta vicenda che ha travolto le comunità valdesi del Piemonte.

2. Di un intervento del potere non è comunque possibile dubitare. Il ruolo di principale informatore dell'opinione pubblica sulla questione valdese è demandato ad un settimanale politico, che ha iniziato le sue pubblicazioni da alcuni anni, il « Mercurius Politicus », diretto da Mar- chamont Needham (7): ora, non soltanto Needham è l'uomo di Crom- well, ma, all'incirca dal 1651 (appena un anno dopo l'apparizione del settimanale), uno stretto collaboratore del Protettore, il poeta John Mil- ton, è stato incaricato di una generale « supervision and censorship » (8) della pubblicazione, che acquista in tal modo un carattere ufficioso, se non ufficiale.

Uno studio recente ha attirato l'attenzione sull'interesse che, ai fini di una ricostruzione dell'immagine che il pubblico inglese fu in grado di farsi degli avvenimenti piemontesi, presentano le notizie pubblicate nel « Mercurius Politicus » : ci limiteremo perciò a fornire in proposito un complemento di informazioni che integrano quelle contenute nell'arti-

(6) Cfr. la lettera del Sagredo al Senato veneto in data 23 die. 1655 (pubblicata da E. Momigliano, op. cit.,, pp. 217-18), che contiene un quadro rivelatore della si- tuazione interna inglese : lo stato limita la libertà di movimento degli stranieri ma anche dei sudditi, gli assembramenti sono vietati, la polizia numerosa e molto ben armata controlla la situazione anche valendosi di una rete capillare di informa- tori, ecc. Non vi è in pratica ambasciatore veneto a Londra durante il periodo di Cromwell. L'ultimo ambasciatore veneto è Giovanni Giustiniani, che lascia Londra il 20 nov. 1642. Durante la guerra civile, gli affari sono curati da un segretario d'ambasciata, Girolamo Agostini, che rientra in patria nel 1645. Gli affari veneti sono allora curati dal ministro toscano Salvetti (le cui lettere sono consen'ate a Firenze). Nella guerra di Candia, navi inglesi collaborano con i Turchi : di qui la necessità di un ambasciatore straordinario. Nel frattempo era giunto a Venezia un ambasciatore di Carlo II : la repubblica in un primo tempo lo accoglie, ma ne! 1652 lo espelle. Il 25 gennaio 1655 il Senato decise di mandare un'ambasceria straordinaria: venne scelto per questa missione l'ambasciatore a Parigi Giovanni Sagredo, che giunse a Londra in ottobre. La sua missione si rivelò inutile, ed egli ripartì il 18 febbraio 1656, lasciando al suo posto il proprio segretario Francesco Giavarina, che resterà in Inghilterra fino alla Restaurazione. Alcune lettere del Sagredo e la relazione della sua missione sono state pubblicate da G. Berchet, Cromwell e ta repubblica di Venezia, Venezia, Naratovich, 1864.

(7) Sul Needham (o Nedham) si veda in primo luogo l'articolo della National Biography e rif. bibliograf. ivi ; numerosi riferimenti alla sua personalità e alla sua opera si leggono nel lavoro di M. L. Bignami, Le origini del giortiali'imn ingle';e Bari. Adriatica, 1968.

(8) Cfr. D. Masson, The Life of Milton, 7 voli., London, 1858-94, ÎV (1877), p. 324.

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colo testé citato (9). In sostanza, si tratta di aggiungere all'elenco pro- posto da Julia M. Buckroyd altri quattro numeri del « Mercurius », che contengono anch'essi notizie circa gli avvenimenti piemontesi : il n. 250, relativo alla settimana 22-29 marzo, il 268 (26 luglio -2 agosto), 270 (9-16 agosto) e 271 (16-23) agosto.

Come si sarà notato, la piìi antica menzione di quanto stava acca- dendo nelle Valli Valdesi è contenuta in un numero di marzo del setti- manale di Needham : è perciò anteriore all'inizio della spedizione puni- tiva del marchese di Pianezza (che giunge a Torre Pellice il 17 aprile) e ai veri e propri massacri, che si susseguono durante il restante mese di aprile e la prima decade di maggio. È infatti consacrata all'antefatto della vicenda per la quale il pastore e storico valdese Alexis Muston ha forgiato, nel secolo scorso, l'incisivo appellativo, ricco di risonanze bi- bliche, di «Pasque Piemontesi» (10), e cioè all'espulsione, da tempo decisa dalle autorità sabaude ma realizzata concretamente tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 1655, dei nuclei valdesi fissatisi in loca- lità di pianura adiacenti lo sbocco della Val Pellice Bibiana, Campi- glione. Fenile, principalmente al di fuori dei « limiti » previsti dagli accordi di Cavour del 1561. La nota del « Mercurius », non datata, e per la quale viene indicata una generica provenienza « from Piedmont », con- siste in una veemente denuncia dell'ingiustizia di cui sono rimasti vittime i protestanti piemontesi, cacciati dalle loro case « in the midst of winter, in extreme Frost and Snow » (il decreto di espulsione reca la data del 25 gennaio), a seguito della « subtility of the Popish Priests », e conclude con un appello alla vigilanza : « A matter worthy the sad and seriuos consideration of all their Brethren » (11). La pubblicazione di una nota come quella testé evocata, assume il valore di una « spia » dell'interesse con cui il governo di Cromwell segue fin dall'inizio la crisi valdese. Un inviato speciale del Segretario di Stato Thurloe, John Peli, che sta a Zurigo dal maggio 1654, informa infatti regolarmente le autorità inglesi circa il decorso della vicenda: le sue lettere di questo periodo (febbraio- marzo 1655) sono ricche di informazioni di ogni genere, anche sulle ini- ziative prese dai Cantoni protestanti in favore dei profughi, e su quanto i Cantoni si aspettano che faccia il Protettore (l'ipotesi di un'azione in- glese è ventilata in una lettera del 24 febbraio) (12). Le idee più avven-

(9) Julia M. Buckroyd, / valdesi e i giornali inglesi, in B.S.S.V., 137, 1945, pp. 21-26.

(10) L'espressione ricorre nella grande storia del movimento valdese, dal titolo, anch'esso impregnato di biblicismo, di Israel des Alpes, in 4 voli., pubblicata dal Muston a Parigi nel 1851 (ripubblicata nel 1879); ma era già stata usata dallo stesso Muston come titolo di un volumetto, pubblicato anch'esso a Parigi e consacrato unicamente agli avvenimenti del 1655, e che risale al 1850 (Les Pâques Piémontaises, 1 voli, di 74 pp.).

(11) Loc. cit., pp. 5215-16.

(12) La corrispondenza di Peli con Thurloe è pubblicata in appendice al suo fondamentale lavoro da R. Vaughan, The Protectorate of O. Cromwell, 2 voli., London, 1839: per le lettere cui qui si accenna, cfr. t. I, 136-140. L'ipotesi di una azione inglese è ventilata in una lettera del 24 febbraio : « upon that information you are entreated to move his highness, that he would use such means for thein relief as he shall think most expedient... » (loc. cit., p. 137).

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turose di « appoggiare » l'azione diplomatica con l'argomento della flotta dell'ammiraglio Blake, che incrocia in quel frangente nel Mediter- raneo (13) accarezzate dal governo di Cromwell quando le truppe del Pianezza saranno passate alla repressione, si presentano fin da que- sto periodo alla mente dei collaboratori del Protettore, come si può de- durre da un brano di una lettera di Peli al Segretario di Stato Thurloe, databile della fine del mese di febbraio :

Here they say [il suggerimento è presentato come una proposta che scatu- risce da un'opinione largamente condivisa] that a letter of intercession from the Lord Protector would have been more regarded by the Duke of Savoy, if it had been sent him whilst General Blake was sonear his port of Nice: but they think it is not yet too late to write (14).

In queste lettere si ha anche la sorpresa di veder apparire, fin dal mese di febbraio, il nome di Samuel Morland, già impegnato in faccende relative alla distribuzione degli aiuti agli esuli valdesi (raccolti questa volta dalle chiese francesi : 9.500 sterline sono già state trasmesse a Gre- noble; si aggiimge ora un contributo di 2.000 sterline (15)). Ed è infine in queste lettere che si legge il primo accenno a propositi di resistenza o di riscossa valdese, attribuiti però alle comunità della riva sini- stra del Chisone, soggette al re di Francia, che sembrano coagularsi fin dal mese di febbraio (due mesi prima della spedizione punitiva del Pianezza) :

From Pinasche, near Pignerol, Feb. 22. That the people there abouts arm themselves in their brethren's quarrel, and that they are likely to come to blows shortly ; they want a skilful soldier to command them. Some say that some French will join themselves with them. I shall use all possible care to be informed of their proceedings (16).

L'esistenza di questo fitto reticolo di manifestazioni di interesse, di tentativi o di iniziative ancora solo parzialmente esplorato confe- risce alla pubblicazione nel « Mercurius Politicus » di notizie relative agli avvenimenti valdesi del 1655 già a partire dal mese di febbraio uno spessore significazionale forse insospettato.

Ricordiamo ancora che numerosi altri periodici inglesi contempo- ranei parlano degli avvenimenti valdesi. Non è infatti esatto quel che viene spesso ripetuto (17), che « la pubblicazione di ogni periodico di notizie » (18) fosse proibita nel 1655: una ricerca sistematica anche se,

(13) Una squadra navale inglese incrocia nel Mediterraneo fin dai primi mesi del 1655. Tocca la Toscana (chiede indennizzi per oscure questioni di sequestri e di vendita di beni inglesi), Tunisi (bombardata il 3 aprile: i forti e la flotta del bey sono distrutti, i prigionieri inglesi liberati) e altri porti. Sulla missione del Blake fornisce particolari e riferimenti bibliografici importanti il Vola, nell'art, preced. cit.

(14) Loc. cit., p. 138.

(15) Thurloe a Morland: lettere del 28 febbraio e del 13 marzo (loc. cit., I, pp. 141-43).

(16) Pell a Thurloe, loc. cit., p. 140.

(17) Cfr. M. L. BiGNAMi, op. cit., p. 140.

(18) Cfr. G. Vola, art. cit., p. 13.

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ovviamente, non del tutto esauriente, ha già permesso di raccogliere molte indicazioni, che pensiamo possa essere utile mettere a disposizione dello studioso che vorrà riprendere l'indagine.

Oltre al « Mercurius », i principali periodici inglesi contemporanei ove si ritrovano echi degli avvenimenti del 1655 sono :

« The Weekly Intelligencer of the Commonwealth [...] »: numeri del 22/29 mag- gio, 5/12 giugno, 11/19 giugno, 7/14 agosto, 11/18 settembre;

«The Weekly Post»: numeri dell'S/lS maggio, 29.5/5 giugno, 12/19 giugno;

« The Perfect Diurnali [...] : numeri del 30.4/7 maggio, 7/14 maggio, 14/21 mag- gio, 21/28 maggio, 28.5/4 giugno, 25.6/2 luglio, 16/23 luglio, 30.7/6 agosto, 13/20 ago- sto, 27.8/3 settembre, 10/17 settembre, 17/24 settembre ;

« Perfect Proceedings of State Affairs » : numeri del 17/24 maggio, 24/31 maggio, 7/13 giugno, 13/21 giugno, 21/28 giugno, 12 19 luglio, 13/20 settembre;

«A Perfect Account of the Daily Intelligence [...]»: numeri del 9/16 maggio, 16/23 maggio, 23/30 maggio, 6/13 giugno, 27.6 4 luglio, 19/26 settembre.

Un ultimo periodico va menzionato, il « Publick Intelligencer of the Com- monwealth », che si occupa dei postumi degli avvenimenti della primavera nei numeri del 15/22 ottobre, 22,29 ottobre, 29.10/5 novembre, 26.11/3 dicembre, 17/24 dicembre.

3. Si ritrova il Protettore anche all'origine di un'altra iniziativa edi- toriale, la pubblicazione, che ha luogo sotto la pressione degli avveni- menti (e cioè dopo l'inizio della repressione), della traduzione inglese della Histoire des Vaudois et des Albigeois di Jean-Paul Perrin. Si tratta di una riedizione, poiché l'opera del Perrin, apparsa a Ginevra nel 1618-19, era già stata tradotta in inglese nel 1624 da Samuel Lennard, con il titolo di Luthers Fore-Runners or a Cloud of Witnesses, deposing for the Pro- testant faith, Gathered together in the Historié of the Waldenses [...]. La sollecitudine con cui il mondo protestante inglese accoglie il libro del Perrin non esclude possibilità di strumentalizzazione : come è detto in un secondo frontespizio della traduzione testé citata, l'opera del pastore francese non soltanto denuncia « the Bloudy Rage of that Great Anté- christ of Rome and his superstitious adherents against the true Church of Christ and the faithfull professors of his Gospel », ma rende manifesta « unto the World the visibilitie of our Church of England and of all the reformed Churches throughout Christendome, for above foure hundred and fiftie years last past ». La storia dei Valdesi serve la causa di tutte le chiese riformate, dimostrando che anche prima di Lutero sono esistiti dei credenti sottratti alle « superstizioni » di Roma : operazione di vasta portata, che consentiva di ricuperare la storia dei Valdesi (sia pure a prezzo di una loro confusione con gli Albigesi) alla storia generale dei testimoni della verità, con il risultato di fare della storia dei Valdesi antichi e della sorte dei Valdesi moderni un fatto concernente tutto il protestantesimo. Operazione analoga a quella già realizzata dai martiro- logi protestanti, di « associazione » del valdismo alla storia della « dis- sidenza » religiosa, sulla quale abbiamo già avuto occasione di attirare

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l'attenzione studiando i martirologi anabattisti (19) : da accostare al fatto che, nei Several Papers, di cui parleremo tra breve, ricorre, a due riprese, una menzione del martirologio di John Foxe, che accoglie, come è noto, anche la storia dei Valdesi. Sottofondo da cogliere per valutare la deci- sione di ripubblicare, nel 1655, il libro del Perrin: questa volta con un nuovo titolo che, non meno del precedente, ne rende a prima vista pro- blematica l'identificazione, di Matchlesse Crueltìe declared at large in the ensuing History of the Waldenses [...] (20). Pubblicazione sin qui scono- sciuta, che viene in tal modo ad aggiungersi alla prima traduzione inglese del Perrin, che è segnalata anche dalla Bibliografia valdese. « By command of his Highness the Lxjrd Protector», precisa il frontispizio : non vi è motivo di pensare che si tratti di un'indicazione di comodo.

Dal frontispizio si ricava altresì che alla storia dei Valdesi antichi è stata aggiunta « an exact Narative of the late Bloody and Barbarous Massacres, Murders and other unheard of Cruelties [...] » perpetrate con- tro i Valdesi moderni, e cioè una relazione degli ultimi avvenimenti veri- ficatisi in Piemonte. Al volume di cui stiamo parlando è stato infatti aggiunto un opuscolo di 60 pagine, con frontispizio indipendente (e stam- pato da un altro editore, H. Robinson) : la prima edizione della sola pub- blicazione inglese di cui si avesse notizia sin qui, consacrata ai massacri perpetrati nel corso delle « Pasque piemontesi », conosciuta sotto il titolo di A Collection of the Several Papers sent to his Highness [...] (21). Si può in tal modo stabilire che questa Collection ha avuto due edizioni : una prima, con un titolo leggermente diverso {A Collectioìì or Narative [...] sent to his Highness [...]) incorporata nella riedizione della traduzione del Perrin, ed una seconda indipendente, con il titolo sopra ricordato.

Benché l'esistenza della Collection fosse già nota (ma non il fatto che ne fossero state approntate due edizioni) (22), ne proporremmo una breve analisi. La differenza tra le due edizioni si riduce a pochi elementi, oltre alla variante del titolo. Entrambi constano di 16 pp. n.n. + 44 pp. (e cioè di 60 pp. in tutto): nella Narrative la stampa termina a p. 43 (44 bianca), mentre nei Several Papers anche la p. 44 è stampata (si ha un lieve spostamento di piombi a partire dalla p. 41, per cui il contenuto delle pp. 43 e 44 scivola di qualche riga, così da occupare in parte anche la p. 44; dall'una all'altra edizione, ovviamente, la composizione è stata rifatta). Nella Narrative si hanno errori di paginazione (p. 26 27 segnate 23/22 e 30/31 segnate 19/18), corretti nei Several Papers; « culs de lampe », fregi e capilinea subiscono lievi variazioni passando dall'una all'altra edizione, anche se risultano sostanzialmente gli stessi, in quanto le due edizioni escono dalla stessa officina tipografica.

(19) Cfr. il nostro studio su Le Théâtre des Martyrs di Jan Lmken in B.S.S.V., 141, 1977.

(20) London, Brewster, 1655.

(21) La sua esistenza è segnalata anche dalla Bibliografia Valdese, p. 144, n. 1628.

(22) Il Woolf, che non conosce la seconda edizione della Collection (con il ti- tolo di Collection of the Several Papers), afferma che la Collection or Narrative sarebbe stata ristampata nel 1667 (art. cit., 230). Non abbiamo potuto ritrovare un esemplare di questa ristampa.

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Il contenuto dei due testi è identico, a parte la variante di cui si dirà : la dedica a Cromwell, firmata da J. B. Stouppe (o Stoppa, come si ve- drà), il compilatore materiale dell'opuscolo, ridonda di piaggerie am- pollose nei confronti del Protettore, ma contiene anche la conferma che la pubblicazione è stata realizzata per volontà dello stesso Cromwell Your Highness having thought it convenient that I should put in print the writings I have received concerning the horrible massacre committed upon the poor Protestants of Piedmont »); un'introduzione di una de- cina di pagine, To the Christian Reader, anonima ma dovuta verosimil- mente allo stesso Stoppa, contiene un primo racconto sommario dei massacri in Val Pellice (seconda metà di aprile) e in Val Chisone (prima settimana di maggio) e si conclude con un appello alla liberalità di tutti i credenti per venire in aiuto ai sopravvissuti, attualmente rifugiati in Val Chisone e nel Queyras, in terra di Francia, valutati a circa 16.000 per- sone. Stoppa non trascura di ribadire la tesi dell'origine apostolica dei Valdesi : che discendono bensì da Pietro Valdo di Lione, « a man of great Erudition and singular pietie », ma che hanno trovato, quando si sono rifugiati, a seguito delle persecuzioni, nelle valli ove abitano attualmente, degli abitanti con i quali si sono confusi, che professavano le loro stesse idee :

Which proves that the reformed ReUgion protest in those VaHies did not begin within an age or two of this, as some ignorant adversaries say, but that it hath been either from the very Apostles, or from the first ages, and that the Wal- denses found there the seed of the true ReUgion... » (23).

Una Briefe Apologie di sei pagine è consacrata all'antefatto, l'espul- sione dei Valdesi dalle località di pianura; anche il decreto dell'Uditore Castaldo, del 25 gennaio 1655, viene pubblicato in traduzione inglese. Una Second Apologie (8 pagine) ricapitola la politica dei duchi di Savoia nei confronti dei Valdesi dai tempi di Emanuele Filiberto, insistendo in par- ticolare su quella di Madama Reale e del duca attualmente regnante, e racconta ancora una volta quanto è accaduto nelle Valli Valdesi tra la metà di aprile e la prima decade di maggio; una Third Apologie, infine (6 pp.), ripete le stesse cose, sottolineando con asprezza il ruolo svolto dalla Congregazione per la Propaganda della fede.

Seguono poi delle testimonianze, desunte da « several letters », di cui si dà, a volte, la data e la provenienza: nell'insieme, esse costituiscono « An Appendix to the foregoing Apologie » (24). Anche qui le informa- zioni si ripetono ma, in sostanza, si sommano e si completano, ogni testi- monianza arrecando una sua pennellata ad esempio, mediante l'indi-

(23) Op. cit., pp. 8-9 (n.n.).

(24) Segnaliamo un errore di datazione, che si ripete nella Narrative come nei Several Papers: a p. 33 inizia una «Continuation of the description of the mur- thers... committed... on the 6 and 7 April 1655 ». La data non si spiega, ai primi di aprile non è ancora accaduto nulla. Anche l'ipotesi che la data sia espressa in stile antico (giuliano) e debba perciò leggersi 16-17 aprile non è del tutto soddisfa- cente: il Pianezza, come sappiamo, giunge a Torre Pellice il 17 aprile, e l'azione repressiva vera e propria ha inizio nei giorni seguenti. È possibile che si tratti di un refuso, e che l'indicazione debba leggersi 6-7 maggio.

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cazione del nome delle vittime al quadro d'insieme. Le lettere che, incorporate nel tessuto espositivo, hanno conservato un'integrità che per- mette di riconoscerle come tali sono quattro: del 17(27) aprile « from the Vale of Perouse », dell'S maggio da Lione ; del 3 maggio dalla Val Chisone ; e infine dell'S maggio, senza indicazione precisa di provenienza. Solo quella del 3 maggio è firmata the Deputies of the Vallies of Luzem, Perouse and St. Martin »). Ugualmente senza sottoscrizioni (e senza data) la lettera che chiude il volumetto, che figura scritta « to his Highness the Lord Protector » e che avrebbe accompagnato l'invio delle altre lettere e memoriali relativi agli avvenimenti piemontesi.

Il catalogo a stampa del British Museum segnala l'esistenza di un esemplare dei Several Papers mancanti delle ultime pagine (42-44), quelle che contengono la « lettera di accompagnamento » a Cromwell (25). Non avendo potuto controllare l'esattezza dell'indicazione, ci limitiamo a for- mulare l'ipotesi che possa essere esistita anche un'edizione (la terza della stessa opera) in cui la lettera finale a Cromwell era stata soppressa.

Come sia stato messo assieme il volumetto lo dice una breve nota dal titolo The Stationer to the Reader, presente solo nella seconda edi- zione (Several Papers), e inserita tra l'epistola dedicatoria a Cromwell e la prefazione To the Christian Reader. Ne è autore con ogni probabilità lo stesso Stoppa : il proposito originale era « only to print a Relation », modificato poi per il fatto che non si conoscono ancora « ali the partic- ular Circumstances » ed anche perché sono circolate voci discordanti circa la portata degli avvenimenti, qualcuno ha cercato di far credere che « the evil was not so great as it was reported ». Per questa ragione ha scelto di pubblicare dei documenti, una piccola silloge dei molti dispo- nibili, « as they came, without adding or diminishing », anche ispirandosi « to a Relation of the same printed in France ». Non importa se con- tengono delle ripetizioni, è opportuno che le stesse cose siano « repeated in several writings », non importa se il filo del racconto è sconnesso, sono documenti giunti in momenti diversi, non importa che siano scritti in maniera poco elegante, sono testi tradotti « by several hands », anche da forestieri. Il lettore abbia pazienza, e sappia che si sta lavorando « to give an Historical Narrative more exact ».

Un documento palpitante, colto dal vivo, che riunisce materiale di prima mano, anche di grande importanza. È il caso della lettera « from the Vale of Perouse the 17 of April 1655 describing the beginning of the murders » (pp. 26-30), la più antica testimonianza di fonte valdese sugli avvenimenti del 1655, scritta mentre la repressione è ancora in corso, conosciuta sin qui, oltre che per la pubblicazione nell'opera del Mor- land, solo in una pessima trascrizione della versione originale fran- cese procurata nel 1894 da Emile Jolibois (26). Un documento abil- mente costruito, altresì. Come abbiamo visto, la cronistoria degli

(25) Ne diamo la collocazione, desunta dal predetto Catalogo: 700 f 6 (11).

(26) Pubblicata nella « Revue Hist. Scientif. et Litt. du Département du Tarn » s. II, III, 1894, pp. 68-72. Il testo pubblicato dal Jolibois (una copia, owiamente, che tuttavia l'editore ritiene coeva) è tratto dagli archivi del castello di Roquefort

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eventi si ferma alla prima decade di maggio. Lo Stoppa, tuttavia, per esplicita ammissione, conosce delle pubblicazioni a stampa, « printed in France » ; dall'analisi del suo testo è possibile stabilire che conosce en- trambe le pubblicazioni di parte protestante apparse poco dopo gli avve- nimenti di aprile-maggio, e cioè il Récit véritable (27) e la Relation véri- table (28). Dall'uno come dall'altro testo desume tuttavia solo quanto collima con l'intenzione generale della sua pubblicazione la denuncia delle atrocità e tace di una circostanza alla quale entrambi alludono, la resistenza armata. I Valdesi non si sono limitati a subire l'attacco del Pianezza e a fuggire ma, come scrive il Récit véritable, la stessa perfidia degli assalitori « donna occasion aus assaillis... de repousser la force par la force» (29) ; mentre la Relation véritable è molto più esplicita (e trion- falistica nella narrazione dei primi episodi di questa resistenza), poiché consacra tutta la seconda parte all'esposizione delle ragioni « pour les- quelles les Réformés ont esté contraints de prendre les armes ». Di questo tema, che costituiva senza dubbio una delle principali motivazioni delle due pubblicazioni di parte protestante alle quali attinge, lo Stoppa non fa parola, l'immagine di innocenti pecorelle disperse dalla ferocia dei persecutori che egli vuol proporre dei Valdesi risultando inconciliabile con quella di arditi guerrieri che contrastano vittoriosamente gli assalti di un nemico immensamente più potente.

(Puylaurens), che apparteneva, nel XVII sec, ad una famiglia protestante. Il carat- tere insoddisfacente del testo da lui riprodotto non è sfuggito all'editore, che se ne giustifica con queste parole : « l'orthographe en est mauvaise, et c'est peut-être la faute du copiste; mais au XVIIe siècle l'orthographe était loin d'être régulière en France; d'ailleurs notre lettre émane de personnes étrangères. Quoi qu'il en soit, nous avons cru en devoir respecter le texte » (loc. cit., 68). In realtà, la mag- gior parte dei difetti della sua trascrizione paiono imputabili a scarse conoscenze paleografiche. Che una copia della lettera di denuncia della sopraffazione di cui sono stati vittime i Valdesi si sia potuta ritrovare negli archivi di un castello pro- testante di provincia testimonia indirettamente dell'emozione suscitata in Francia dall'avvenimento e della cura messa dai destinatari della lettera (i pastori della provincia sinodale del Delfinato ?) nel duplicare e nel far circolare la missiva ricevuta.

(27) Récit véritable de ce qui est arrivé depuis peu aux Vallées de Piémont, s.l. 1655; 1 voli, di 48 pp., in -8**. Malgrado l'assenza di indicazioni, è possibile sta- bilire che il volumetto è stato stampato a Parigi (l'editore usa il materiale tipo- grafico di Louis Vendosme, uno stampatore protestante operante a Parigi intomo alla metà del XVII sec). Se ne conoscono tre edizioni. Esemplari nella B.S.H.P.F., nella B.N. di Parigi e nella B.R. di Torino.

(28) Relation véritable de ce qui s'est passé dans les persécutions et massa- cres faits cette année aux Eglises Réformées de Piémont [...], s.l. 1655; 1 vol. di 84 p. in 4°. L'opera è divisa in due parti da uno pseudo frontispizio che annuncia una Suite de la Relation véritable (la numerazione segue dalla prima alla seconda parte), ove figura anche una confessione di fede. Esemplari nella B.S.H.P.F. di Parigi e nella B.P.U. di Ginevra. Esiste una seconda edizione in formato ridotto (in -8°), dello stesso numero di pagine, ma mancante della Suite e del suo conte- nuto. Esemplari nella B.S.H.P.F. e nella B.R. di Torino. Per uno studio piìi appro- fondito sotto il profilo bibliografico di questo fondamentale testo della letteratura ispirata dalle vicende del 1655 rimandiamo al volume, attualmente in preparazione nel quadro della Collana « Storici Valdesi » della Casa Editrice Claudiana, che riprenderà un certo numero di queste « plaquettes » di propaganda.

(29) Op. cil., 23.

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Circa J. B. Stouppe, e cioè, come si è detto, Giovanni Battista Stoppa, appartenente ad una famiglia di riformati grigionesi, abbiamo, come ha scritto recentemente Giorgio Vola, « non poche tracce ma scarse cer- tezze ». Pastore della chiesa francese di Londra dal 1652, Stoppa avrebbe ricoperto un certo ruolo in quello che lo steso Vola definisce « l'in- telligence » del governo di Cromwell ; è certo che conosceva bene i Val- desi, poiché risulta essere stato in corrispondenza (ed è ancora una scoperta del Vola) con Antoine Léger (zio di Jean Léger, imo dei pro- tagonisti delle vicende del 1655), che esercitava in quegli anni a Ginevra il duplice ruolo di pastore e di professore. Si può in tal modo capire come mai disponesse di documentazione tanto abbondante sugli avve- nimenti piemontesi, anche se resta impregiudicata l'attendibilità di que- sta documentazione, e non facilmente spiegabile perché proprio a lui confluissero le informazioni.

Senza giungere a farne un personaggio inquietante, si devono regi- strare con una certa sorpresa episodi e circostanze sicuramente ascri- vibili alla sua attività che preludono all'esito più clamoroso, il suo farsi, in una fase ulteriore, « pamphlétaire » al servizio del re di Francia (30), fino a morire, nei ranghi dell'esercito francese, nel 1692, nel corso della guerra della Lega di Augusta.

Agli episodi già ricordati dal Vola non è inutile aggiungerne un

(30) Dopo la morte di Cromwell, Stouppe, che deve aver incontrato delle dif- ficoltà con il nuovo regime, abbandona l'Inghilterra per l'Olanda, prima, e poi per la Francia, dove viveva un suo fratello, colonnello di un reggimento svizzero al servizio del re di Francia. Attraverserà indenne la bufera della Revocazione. Si farà « pamphlétaire » al servizio del re di Francia con due opere, La Religion des Hollandais, Paris, 1673, e La justification des colonels, Paris, 1690. La prima, di cui esiste anche un'edizione con l'indicazione di Colonia (1673), una traduzione inglese (The Religion of the Dutch, 1680 e ristampa 1681) e una traduzione italiana (La Religione degli Olandesi, Parigi, 1674), è in sostanza un appello rivolto ai cantoni svizzeri perché non vengano in aiuto dell'Olanda, in quel momento in guerra con- tro la Francia; la seconda, un opuscolo di 30 pp., di cui esiste del pari una tradu- zione italiana (Giustificazione dei colonnelli, Paris 1690), contiene una critica della decisione dei Cantoni cattolici, e in particolare dei Grigioni, di ritirare i loro sol- dati dalle file francesi in occasione della guerra di Luigi XIV contro la Spagna e le altre potenze europee. La Religion des Hollandais darà luogo ad una replica, ad_ opera del pastore Jean Brun (La véritable religion des Hollandais, Amsterdam 16/5): nella sua prefazione il Bioin fornisce alcuni particolari sulla carriera dello Stouppe, accusato di apostasia e di essere stato « esclave de Cromwell ». Alcuni dettagli si ricavano anche dalla prefazione di una Vie de Spinoza [...] (L'Aia, Johnson, 1706) del pastore luterano Jean Colerns, segnatamente circa i rapporti di Stouppe con Spinoza. Altra circostanza curiosa: Stouppe è il destinatario di una lettera pubblica del pastore Charles Drelincourt (che durante la crisi del 1655 ave\a messo la sua penna al servizio dei Valdesi perseguitati), che lo impegna a usare della sua influenza, nel 1660, affinché il Parlamento inglese voti la restaura- zione degli Stuart (Lettre à M. Stouppe sur le rétablissement du Roy de la Grande Bretagne, s.l. 1660, un opuscolo di 11 pp.: un esemplare nella B N" di Parigi). La lettera di Drelincourt è datata 3 aprile 1660. Per maggiori particolari oltre alle Ì^tAS^^'^"^ fornite dal Vola, cfr. L. Feer, Un pamphlet contre les Hollandais au XVIIe siècle in B.S.H.P.F., 31, 1882, pp. 78-91; P. de Wm, Une apologie des Hollan- dais au XVIIe siècle, in B.S.H.P.F. 31, 1882, pp. 226-234; id.. Les coilaborateurs du colonel Stoppa, in B.S.H.P.F., 32, 1883, pp. 368-374; A. Galland, Les pasteurs fran- çats et la royauté de droit divin, in B.S.H.P.F., 77, 1928, p. 237 e rif bibli ivi

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altro, strettamente collegato alle vicende di cui ci stiamo occupando: le relazioni al ministro Brienne di Antoine de Bordeaux-Neufville, amba- sciatore straordinario a Londra, sull'andamento delle trattative in vista della conclusione di un trattato tra la Francia e l'Inghilterra, pubblicate dal Guizot, ci informano che Stouppe interviene nelle trattative, che sono già a buon punto, facendo scoppiare come una bomba la notizia dei massacri perpetrati congiuntamente dai soldati del duca e da reg- gimenti francesi (reparti francesi, in marcia di trasferimento attraverso gli stati sabaudi e diretti all'assedio di Pavia, erano stati temporanea- mente impiegati nell'azione repressiva contro i Valdesi).

« Ils me dirent que Son Altesse et le Conseil avaient appris avec beaucoup de ressentiment la persécution des protestants de Savoie... et que la bienséance ne lui [a Cromwell] permettait pas de s'unir avec Sa Majesté dans le temps qu'elle faisait persécuter lesdits religionnaires », scrive il De Bordeaux in data 27 maggio (31), precisando poi che è « le ministre Stouppe qui avait apporté cette nouvelle ». Ma sullo Stouppe, De Bordeaux possiede altre informazioni: sa che ha fatto circolare ad arte la notizia in quel momento « quoi que la nouvelle en fût arrivée il y a long temps », sa dei suoi contatti con gli spagnoli (che intrigano per impedire la conclusione del trattato e utilizzano la notizia dei mas- sacri per creare dissapori tra i futuri alleati), sa della sua venalità (ha ricevuto 2.000 franchi dagli spagnoli) (32) e non dubita di poter giun- gere a un accordo con lui. Il P luglio, infatti, può nuovamente scrivere al Brienne di aver in programma un incontro notturno con questo per- sonaggio che si è offerto « de servir désormais la France, moyennant récompense », e si dichiara deciso a versargli la somma di 300 sterline che gli è stata richiesta (sperando che il re gliela vorrà far rimborsare) : benché l'autorità di Stouppe non sia tale da poter « faire la paix ou la guerre », non gli sembra opportuno « rebuter un homme » che è stato « employé par M.le Protecteur dans ses desseins touchant ceux de la religion prétendue réformée » (33).

« Minister of the Gospel in London » (34), dunque, lo Stouppe; ma anche agente politico, collaboratore attivo del « regime » cromwelliano. Una pennellata supplementare, che aggiunge luce e ombra, ma in so- stanza densità di significato alla pubblicazione della Narrative (e dei Several Papers ) : essa aiuta a comprendere che in una delle lettere da lui pubblicate, cui assegna la data dell'S maggio 1655, sia inserita questa frase, attribuita all'estensore della lettera stessa: « I have hastily given

(31) Loc. cit., p. 524.

(32) Loc. cit., p. 525.

(33) Loc. cit., p. 529.

(34) In questi termini lo definisce la lettera dei maggiorenti valdesi a Cromwell del 27 luglio 1655, pubblicata nel « Mercurius Politicus » n. 275 del 13-20 settembre dello stesso anno, e che espressamente lo designa come il destinatario di « severa! letters of undoubted credit » che gli permettono di essere « fully instructed » di tutta la vicenda e di potere, se richiesto, fornire adeguate informazioni circa « the more important and necessary Point » (loc. cit., p. 5615).

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you a Copy of this tract of the horrible furies of the Adversaries, desiring you to see if his Highness the Serenissime Lord Protector could take occasion to insert in the Treaty with France the re-establishement of our Brethren escaped from the Massacres... » (35). Sarebbe singolare che la capacità di impostare in termini tanto lucidi sul terreno diplomatico la questione della minoranza valdese fosse riscontrabile in un testimone- protagonista degli avvenimenti alla data dell'S maggio, quando le truppe del Pianezza non hanno ancora terminato i loro rastrellamenti in Val Chisone.

4. Oltre al « Mercurius Politicus » e ai Several Papers (nelle loro due o forse tre edizioni), vi furono altre pubblicazioni inglesi nel 1655, di cui ci proponiamo ora di rendere conto rapidamente.

Si tratta in primo luogo di un volumetto di 64 pp., dal titolo The Barbarous and Inhumane Proceedings against the Professors of the Refor- med Religion within the Dominion of the Duke of Savoy [...], anonimo e senza precisa marca editoriale Printed by M.S. ») (36). La pubblica- zione, come spiega il titolo lunghissimo, non è interamente consacrata alla questione valdese, ma concerne altresì « the Bloody Massacres... committed upon the Protestants in Ireland » e « the Lamentable... Condi- tion of Germany ». I Valdesi, infatti, se hanno l'onore del titolo, hanno diritto solo a cinque pagine della trattazione ; mentre gli affari irlandesi (un elenco dei massacri commessi « by the Irish Papists » contro i pro- testanti nel 1641 ) occupano le pp. da 6 a 23 e la relazione sullo stato della Germania durante e all'indomani della guerra dei Trent'anni (divisa in 9 capitoli), le pp. da 24 a 46. Un'ultima sezione, non menzionata nel fron- tispizio (pp. 47-54) contiene un elenco dei prodigi manifestatisi « in the Ayre, Water and on Earth », in Germania dal 1618 e in Inghilterra « before our Troubles ».

A questo punto il volumetto risulterebbe completato, come è dimo- strato anche dalle segnature dei fascicoli, che si seguono regolarmente (da A* a G"*: sette fascicoli di 8 pp., pari alle 54 pp. del volumetto; il frontespizio e la pagina di risguardo non sono numerate). Così accade infatti per uno dei due esemplari giunti fino a noi. Un altro esemplare invece è arricchito di un ulteriore fascicolo, segnato H (e perciò previsto in continuazione dei sette precedenti, ma che ha tuttavia numerazione indipendente), e che contiene « A Perfect List » dei membri che siede- ranno nel futuro Parlamento, la cui convocazione è prevista per il 1656. Anche dei Proceedings dunque si sono avute due edizioni, una con l'ap- pendice contenente il nome dei futuri parlamentari e l'altra senza : anche dietro questa pubblicazione si travede un intreccio di motivazioni tra le quali ha una parte la politica e che non è semplice districare.

Come giustificare il carattere disparato del volumetto? Nel fronti-

(35) Narrative cit., p. 41.

(36) Due esemplari nel British Museum: G. 5572 z e 114.b.47.

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spizio si tenta una spiegazione, questa congerie di avvenimenti deve condurci « to consider the Vialls of Gods wrath are powring forth on his owne Churches for correction, and will end to their Adversaries utter destruction ». La citazione dell'Apocalisse (18, 21 e 24), che annuncia la fine di Babilonia, macchiatasi del sangue dei santi e dei profeti, ne for- nisce forse un'altra, indicando nel libro un prodotto della particolare temperie spirituale della prima metà del Seicento : epoca tragica, che ha conosciuto la più straordinaria calamità mai abbattutasi sull'Europa dopo le invasioni barbariche (la guerra dei Trent'anni, ripetutamente evocata) e che faticosamente deve riassorbirne i sussulti, gli spasimi e gli scompensi. Istanze religiose (il protestantesimo europeo sta attra- versando tra l'altro la grave crisi dell'arminianesimo), spunti apocalit- tici (le visioni, i prodigi), fermenti politici di ogni genere, rancori inespia- bili (la questione irlandese), passioni non sopite (la polemica anti-mo- narchica, che serpeggia nel libro), che si accavallano, si combattono, coesistono senza fondersi, rendono in sostanza possibili opere come que- sta, in cui si distilla una certa visione barocca del mondo.

Alla fine, però, anche la politica spicciola fa la sua apparizione, come dimostra l'appendice che da un'edizione all'altra compare o scompare. Basta ricordare per questo i « démêlés » di Cromwell con il Parlamento. Il capo puritano aveva, per così dire, ereditato il Lungo Parlamento, con- vocato dal defunto re, e che siede ininterrottamente dal 1640 al 1653. Il 20 aprile Cromwell lo scioglie e alla fine dell'anno (16 dicembre) fa approvare dai capi dell'esercito l'atto che lo nomina Lord Protettore. L'Atto prevedeva anche l'istituzione di una camera unica di 140 membri, forniti del « timor di Dio », nominati dal Protettore d'accordo con i capi delle varie chiese: il nuovo Parlamento, come abbiamo già ricordato, si riunisce il 3 novembre 1654, ma è sciolto quasi subito (22 gennaio 1655). Durante tutto il 1655 si parla della nomina di un nuovo Parlamento (e in questo senso i nostri Proceedings si ricollegano ad una problematica di attualità), ma non se ne farà nulla, anche negli anni a venire: solo nel 1658, pochi mesi prima della sua morte, Cromwell riunirà un nuovo Parlamento (inaugurato il 20 gennaio).

In questo contesto, la pubblicazione deU"elenco di coloro che siede- ranno nel futuro Parlamento, giustapposto alla congerie di fatti diver- sissimi che il libro contiene, non può non assumere un valore di lealismo governativo: a conferma che spunti apocalittici (timore e tremore di fronte al mistero del destino che si compie), fervore religioso e passione politica ai piia alti livelli non sono inconciliabili con la tutela di interessi di piccolo cabotaggio.

Un'altra circostanza contribuisce a segnalare all'attenzione questo curioso libro, sottolineandone, fino ad esasperarla, la tonalità fortemente biblicistica e pietistica : la presenza di un consistente gruppo di illustra- zioni, previste, come precisa il frontispizio, affinché « the eye may affect the heart ». Sono in genere scene orrende di atrocità alle quali sono stati sottoposti i protestanti inglesi in Irlanda, di non meno tragiche torture

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praticate dai soldati in Germania, di inenarrabili sofferenze alle quali sono stati esposti i tedeschi, rappresentate con un compiacimento che suscita repulsione e che sembra denunciare non solo nell'artista che le ha eseguite ma nel pubblico destinato a fruirne di una componente mor- bosa, spiegabile, forse, solo alla luce di un puritanesimo apocalittico. Trenta illustrazioni in tutto, di autore ignoto, suddivise in « cartouches » (piccole incisioni contornate, raggruppate in serie di due, o tre, o sei: 24 in tutto, ripartite su 9 pagine) e in incisioni non contornate (6, di cui due a piena pagina). Tre di queste illustrazioni sono consacrate agli avvenimenti valdesi. Non pare si possa dubitare, in effetti, che l'autore del volumetto abbia preso lo spunto da quanto era accaduto in Piemonte durante la primavera per comporre la sua opera (il frontispizio lo rivela molto bene) e che sia poi stato indotto a « étoffer » la materia aggiun- gendovi vecchie storie di persecuzioni e massacri più o meno logicamente collegabili con quella raccontata nel testo iniziale.

Il testo consacrato ai Valdesi è stato messo assieme partendo da una pubblicazione che già conosciamo, i Several Papers : l'autore dei Barbarous Proceedings riproduce in parte la lettera « from the Vale of Perouse, Aprii 27, 1655 » (pp. 1-3, che rimandano ai Several Papers 27-29), e questa parte ha una certa organicità ; segue poi un pulviscolo di notizie e di particolari, anch'essi desunti in massima parte dai predetti Pa- pers (37) o, come è anche probabile, dalle stesse fonti alle quali aveva attinto lo Stouppe, e cioè il Récit e la Relation véritable. Nessuna origi- nalità di fondo, dunque, per il contenuto dell'informazione : un testo messo assieme in fretta, senza preoccupazioni di organicità, di evitare le ripetizioni, che sono numerose ; mentre originale è l'idea di tradurre in immagini alcuni degli episodi raccontati, con il risultato di attribuir loro una icasticità ed una violenza cui una relazione letteraria potrebbe diffìcilmente pretendere. Gli episodi « illustrati » sono tre, descritti nella narrazione in questi termini :

1. « Some had... their bodies cut and slashed, and then the wounds being filled with Salt and Gun-powder, their shirts were put ont them and set on fire ».

2. « They took Mr. Thomas Hargher of 95 years old, because he refused to go to Masse, and first cut off his Noze, then one of his ears, and after the other, and then one limb, and after another... and at last hanged him ».

3. « They took little Children, one Souldier by one leg and another by the other, and splitting them by the twist asunder ».

Scopo di simili pubblicazioni non poteva essere che quello di ecci- tare l'opinione pubblica : non vi è dubbio che tutto sia stato messo in atto per raggiungerlo.

(37) È possibile fornire i riscontri testuali : per l'episodio di Jean Paillas (p. 3) il rimando è a Several Papers, pp. 35 e 36; per quello di Paul Clément, diacono di Torre Pellice (p. 3), alle pp. 24, 35 e 36 della stessa fonte; ecc.

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5. Considerazioni particolari sollecita il componimento che ci accin- giamo ora a presentare : per la forma, se non per il contenuto, che lo distingue non solo dalle altre pubblicazioni del 1655 esaminate in questo studio ma anche da tutte le pubblicazioni sin qui note suscitate in Gran Bretagna dalle « Pasque Piemontesi ». Si tratta di una « broadside ballad » (ballata stampata su un volantino) : le prime tre righe del titolo- preambolo ( che ne conta complessivamente quattordici : spesso un preambolo in prosa riassumeva il contenuto di tal genere di ballate) annunciano « A Dreadful Relation, of the Cruel, Bloudy, and most Inhumane Massacre and Butchery, committed on the poor Protestants, in the Dominions of the Duke of Savoy, by his Soldiers, with some French and bloudy Irish joyned together » (38).

La ballata pare interessante proprio a motivo della sua specificità formale, indicativa com e della diffusa risonanza fino alle frange meno letterate del « common people » che nell'Inghilterra del Protettore dovette conferirsi a un dramma che si era consumato nelle relativamente lontane e senz'altro ai più non ben note Valli Valdesi. Infatti se, a diffe- renza delle lettere di Cromwell « ex Aula Alba », destinate ai circuiti chiusi delle corti e dei governi, o di un'opera quale la riedita traduzione della storia del Perrin, rivolta a- una cerchia limitata di lettori, « pamphlets » come la raccolta dello Stouppe (A Collection of the Several Papers) o i Barbarous & Inhumane Proceedings potevano interessare un pubblico assai più numeroso ; e se chiunque sapesse leggere poteva essere rag- giunto dalla stampa periodica, dove i fatti piemontesi del 1655 trovarono pronta e vasta eco (oltre al Mercurius Politicus, di cui si è detto, a quei fatti riservarono più o meno spazio, con maggiore o minore frequenza. The Publick Intelligencer, The Perfect Diurnali, The Weekly Intelligencer, The Weekly Post, The Faithful Scout) (39), anche a coloro che non sape- vano leggere era indirizzata una « broadside ballad », il più capillare cioè dei « mass media » dell'epoca, una forma di protogiornalismo « low brow » che non poteva non essere sfruttata da chi avesse interesse a farlo.

« Broadside ballads », o semplicemente « broadsides », erano dunque chiamati i volantini, solitamente delle dimensioni di un in folio, stampati su un'unica facciata. Metodo di stampa facile ed economico, esso ebbe a Londra il suo naturale centro propulsore : da le ballate venivano distri- buite, smerciate, spesso per mezzo di venditori ambulanti, in altre città e nelle campagne, e il « ballad-seller » divenne una figura familiare agli angoli delle strade, nei mercati, nelle fiere. La « broadside » sostituì in effetti, a partire dal XVI secolo, con il diffondersi della stampa, la ballata popolare tramandata oralmente già in declino (40), e il venditore di bal-

(38) 1192 Ballads (collocazione nel catalogo a stampa del British Museum).

(39) Non esiste ancora, a quanto ci risulta, uno studio esauriente dedicato alla risonanza avuta dagli avvenimenti valdesi del 1655 sulla stampa britannica coeva.

(40) La raccolta delle ballate « popolari » e la loro pubblicazione è fenomeno /etterario di epoca successiva, che prenderà per lo più le mosse verso la fine del XVII secolo. La più famosa diverrà quella di Thomas Percy, Reliques of Ancient English Poetry (1765), dalla cui edizione in tre volumi a cura di Henry B. Wheati^,

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late, più o meno abile nell'arte del canto, sostituì il menestrello di pro- fessione. La musica restò comunque componente fissa della « broadside ballad » (41 ), anche se fin dal tempo di Shakespeare era invalso l'uso di scrivere « a new song to an old tune », di utilizzare cioè melodie pre- esistenti per testi nuovi, uso che si consolidò con il proliferare del genere (la « broadside » era veicolo, tra l'altro, di propaganda politica, di pro- testa sociale, di cronaca nera), la parola inevitabilmente prendendo il sopravvento sulle note (42). Nel caso specifico della nostra ballata, essa porta stampato in evidenza, dopo il titolo-preambolo, il nome del motivo musicale The Bleeding Heart ») su cui andava cantata. Accorgimenti entrambi, il riassunto in prosa e l'indicazione della melodia, volti a susci- tare l'interesse del potenziale acquirente.

Come la ballata popolare, la « broadside ballad » continuò ad essere una narrazione in versi di regola anonima, senza pretese letterarie, ma con la pretesa, invece, di raccontare fatti realmente accaduti (43), donde l'impiego frequente, come nella nostra ballata, del termine relation, tipico anche dei « pamphlets » coevi, essi pure con pretese di veridicità.

Con l'introduzione in Gran Bretagna della Riforma, i seguaci sia della « Old » sia della « New Profession » ebbero i loro rispettivi « ballad- makers » (sebbene normalmente non firmassero le loro composizioni). Era naturale tuttavia che la ballata di argomento solitamente pro- fano, spesso frivolo se non scabroso, e per giunta da cantarsi risultasse maggiormente congeniale ai « papisti » e ai partigiani della monarchia in genere più spregiudicati che non ai Puritani e ai fautori della repubblica in genere più morigerati. Durante la Guerra Civile il più noto autore di ballate a favore del re fu Martin Parker, sprezzantemente chiamato dai Puritani « ballad-maker lauréat of London ». Nel 1648, i repubblicani, or- mai vincitori, misero al bando ballate e autori di ballate, ma nel 1653, quando Cromwell divenne Protettore, il bando fu revocato. Vero è che durante il Protettorato le ballate, per non urtare la sensibilità dei « New Gospellers », furono debitamente espurgate : ad esempio, il famoso inizio « Row well, ye mariners » divenne « Row well, God's mariners » e l'in- vito all'amore « Dainty, come thou to me » fu trasformato in « Jesus, come thou to me » (44). La ballata in effetti si avviava, sotto il regime di Cromwell, ad essere soppiantata dall'inno, che in Inghilterra ebbe la sua età aurea nei secoli XVII e XVIII, in buona parte ad opera dei « Dissenters », eredi della lezione puritana. L'inno ricalcò spesso, nel-

New York, Dover Publications, 1966, abbiamo tratto alcune delle informazioni che seguono.

(41) Cfr. in proposito Claude M. Simpson, The British Broadside Ballad and Its Music, New Brunswick, Rutgers University Press, 1966.

(42) In pieno Settecento, nella Londra in cui sarà operoso Handel e trionferà l'opera lirica, John Gay rimanderà per la grande maggioranza delle canzoni in The Beggar's Opera a melodie già note al pubblico.

(43) Cfr. W. Shakespeare, The Winter's Tale, 4.4.270-282.

(44) Cfr. Robert Graves, English and Scottish Ballads, London, Heinemann, 1957, pp. XXI-XXII.

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l'intento di rivolgersi come quella a un vasto pubblico, il linguaggio semplice e il metro più comune della ballata, il cosiddetto « common metre » appunto (45).

La nostra Dreadful Relation, stampata nel climaterico 1655, con un titolo-preambolo altisonante e ricco di dettagli sensazionali, adornata j da cinque incisioni e composta per essere cantata su un motivo allora | assai famoso, dovette presumibilmente avere il suo momento di for- tuna. Ma di essa si persero le tracce, fu ritrovata se non dopo 230 anni circa, alla fine del 1884, quasi per caso.

Fu infatti acquistata, insieme ad altre trentadue ballate, ad un'asta presso Sotheby l'S novembre 1884 da J. Woodfall Ebsworth, F.SA. Fellow of the Society of Antiquaries »), appassionato raccoglitore e autorevole studioso di ballate (46). Tre settimane dopo essersi assicu- rato i trentatre componimenti, il 29 novembre Ebsworth scriveva a John Bullen, della biblioteca del British Museum (egli pure un F.S.A.), per riferirgli sulla fortunata operazione splendid new haul ») relativa a quello che chiamava, fondandosi sull'indicazione della rilegatura. The Book of Fortune (47). Alla lettera Ebsworth accludeva un « memoran- dum », che reca la data del giorno precedente (28 novembre), in cui riportava i risultati della collazione delle trentatre ballate da lui ese- guita : soltanto otto di esse risultavano « duplicated », trovandosi incluse in raccolte di ballate già note ( e Ebsworth specifica dove : Bagford, Douce, Euing, Pepys, Roxburghe, Wood) (48), mentre venticinque, e tra esse la Dreadful Relation, risultavano essere « unique impressions ».

Come le altre ballate in The Book of Fortune, tutte all'incirca coeve (nel catalogo a stampa della British Library sono datate « c. 1651-5 ») (49), la Dreadful Relation è stampata in « black letter », ossia in caratteri gotici, più dispendiosi di quelli romani o tondi white letter »), ma che continuarono ad essere impiegati per le ballate anche dopo essere caduti altrimenti in disuso. Come le incisioni, i caratteri

(45) Quartine di tetrametri e trimetri alternati rimanti abab. Cfr. infra, nota 52.

(46) A cura di Ebsworth erano allora già uscite The Bagford Ballads, 2 voli., London, Ballad Society, 1878; a cura di William Chappell e Ebsworth stavano uscendo The Roxburghe Ballads, 8 voli., London, Ballad Society, 1871-99.

(47) Al «memorandum» di Ebsworth qualcuno ha aggiunto questa nota: « These ballads are quoted by Mr Ebsworth as the « Book of Fortune » ballads, from the Collection having been so lettered on the original binding ».

(48) Bagford: raccolta di ballate riunite da John Bagford (1650-1716), attualmen- te nella British Library (cfr. supra, nota 46). Douce : raccolta di « broadsides » se- centesche e settecentesche già appartenenti a Francis Douce (1757-1834), attualmente nella Bodleian Library, Oxford. Euing: raccolta di ballate già appartenenti a Wil- liam Euing attualmente nella biblioteca dell'Università di Glasgow. Pepys : raccolta di « broadsides » iniziata da John Selden (1584-1654) e continuata da Samuel Pepys (1633-1703), il famoso diarista, attualmente nella Pepsyan Library, Magdalene Col- lege, Cambridge. Roxburghe : raccolta di « broadsides » iniziata da Robert Harley (1661-1724) e grandemente aumentata da John Ker, terzo duca di Roxburghe (1740- 1804), attualmente nella British Library (cfr. supra, nota 46). Wood: raccolta di ballate riunite da Anthony Wood (1632-1695), attualmente nella Bodleiam Library, Oxford.

(49) Cfr. supra, nota 38.

LE "PASQUE PIEMONTESI": NUOVI DOCUMENTI

21

gotici erano considerati infatti una forma di abbellimento che aiutava a promuovere la vendita delle « broadsides ». Intorno alla metà del XVII secolo tuttavia (intorno agli anni cioè in cui veniva stampata la Dreadful Relation) l'uso più economico del tondo era ormai divenuto frequente anche per la composizione di ballate, specie se politiche, e, sempre « for cheapness sake », come informa Samuel Pepys (50), si tendeva a ridurre il numero delle incisioni o addirittura ad abolirle, sostituendovi talvolta qualche rigo di notazione musicale. Il fatto che la nostra ballata, sen- z'altro catalogabile come politica, sia stata composta in gotico e illu- strata con cinque incisioni, fa suppore che vi si attribuisse, da parte di chi l'aveva lanciata, una certa importanza.

Le incisioni, in ogni modo, sono di fattura modesta, hanno pre- cisa attinenza al testo della Relation. È vero che solo raramente le « braodsides » presentavano puntuale corrispondenza tra parole e illu- strazioni, le medesime incisioni essendo ripetutamente riutilizzate al punto che, è stato osservato, « cuts which were executed in the reign of James I were used on ballads in Queen Anne's time » (51), ma è vero altresì che esistevano in circolazione incisioni di fattura migliore : ve ne sono in The Barbarous & Inhumane Proceedings, anche nella prima se- zione (quella, si ricorderà, relativa agli stessi fatti narrati nella Dreadful Relation), anche se non sono le più notevoli di tutto il « pamphlet », in ogni caso incisioni eseguite a commento specifico dei testi cui si accom- pagnano. Si può dunque dedurre che le « rozze » incisioni della nostra ballata (nel catalogo citato sopra si parla di « rude woodcut headings », invero a proposito di tutte le ballate incluse in The Book of Fortune) siano state scelte tra quelle che lo stampatore già aveva a disposizione. Nella prima delle cinque si vede un fuoco acceso, forse vaga configura- zione dei roghi menzionati nel testo della ballata ; nella seconda e terza, formanti per così dire un dittico, si ravvisa il sacrificio di Abele a Dio gradito e il conseguente delitto di Caino, simboli forse, nelle intenzioni di chi le scelse, Abele dei Protestanti e Caino dei Cattolici; nella quarta e quinta, pure interpretabili congiuntamente, si legge un « memento mori » di tipico gusto barocco: dell'uomo al termine della vita, avvolto in un sudario (l'illustrazione fa pensare al monumento funebre di John Donne nella cattedrale di San Paolo), non resta, poco tempo dopo la morte (vi è una clessidra nell'ultima incisione), che lo scheletro.

In quanto al motivo musicale che doveva accompagnarsi al testo della Dreadful Relation abbiamo solo l'indicazione « To the Tune of The Bleeding Heart » : doveva trattarsi, come è stato confermato dalla nostra ricerca, di un motivo allora ben noto. Tra le ballate da cantarsi con tale « tune » figura, assai prima della nostra, in una versione databile attorno al 1600, la famosa composizione di Edward Dyer (l'amico di Spenser e Sidney), « My mind to me a kingdom is » (52); d'altra parte identica

(50) H.B. Wheatley, ed. cit., I, p. LIX.

(51) Ibid.

(52) In sestine, tuttavia, anziché in quartine di tetrametri, come invece la Dreadful Relation.

22 E. BALMAS - E. MENASCÉ

indicazione a quella apposta sulla Dreadful Relation abbiamo trovato in una ballata stampata trentanni più tardi nel 1695 (53), quando in alcune « broadsides » figuravano ormai le prime battute delle melodie cor- rispondenti.

Siamo comunque ragionevolmente certi di avere identificato l'aria su cui The Dreadful Relation andava cantata, per la quale rimandiamo al testo citato di Claude M. Simpson. In un primo tempo il motivo fu noto come « In Creet », in un secondo tempo come « The Bleeding Heart. Or, In Creet », e solo in un terzo tempo come « The Bleeding Heart » (54). Un'eloquente testimonianza di quanto quella melodia fosse apprezzata affiora dalle pagine dello scrittore elisabettiano Thomas Nashe, il quale riferisce che per Gabriel Harvey (altro amico di Spenser) essa era « food from heauen, and more transporting and rauishing than Platoes Discourse of the immortalitie of the Soûle was to Cato » (55).

Gli accenti solenni e talora struggenti di « The Bleeding Heart » bene si accordano con la « sad story » annunciata nel preambolo della ballata. Preambolo che accortamente sintetizza la tragedia del 1655 nelle Valli Valdesi, chiamando anzitutto in causa, a fianco dei soldati del Duca di Savoia, i francesi e i « bloudy » irlandesi loro alleati, accennando poi alle migliaia di vittime they destroyed thousands [...] without mercy »), insistendo su dettagli orrifici (lattanti dilaniati sotto gli occhi delle pro- j prie madri e quindi sfracellati contro le rocce, donne sventrate come | animali, i loro seni recisi da colpi di spada, vecchi di ottant'anni e oltre torturati con l'amputazione progressiva di orecchie, naso, dita delle mani e dei piedi, gambe, braccia, organi genitali), ponendo in risalto l'incle- menza dei luoghi the Mountains »), della stagione (che diviene « the midst of winter »), del clima frost and snow »), e presentando il tutto secondo le convenzioni della ballata come verità assoluta; senza dimen- ticare un accenno al digiuno nazionale voluto da Cromwell e alla raccolta di fondi a favore dei « poor Protestants » organizzata in tutta l'Inghilterra.

La ballata stessa, che consta di ventiquattro quartine di tetrametri rimanti per lo più aabb, essenzialmente amplifica i motivi annunciati nel preambolo organizzandoli però entro i suoi schemi fissi. È immediata- mente introdotto il narratore in prima persona, garante della veridicità del proprio racconto, e subito dopo è presentato il pubblico cui si rivolge, tutti i buoni cristiani Good Christians all »), esortati a lasciarsi coin- volgere emotivamente dalla dolorosa vicenda che sta per essere loro nar- rata (« Then mourn with me all you that hear »). L'esortazione è poi usata, a mo' di ritornello, verso la fine del componimento, che si chiude su una nota moraleggiante, che ne ribadisce l'intento ispiratore di natura propagandistica.

Il valore letterario della Dreadful Relation è modesto : la ballata

(53) Great News from Southwark: or, the Old Woman's Legacy to her Cat.

(54) CM. Simpson, op. cit., pp. 363-65.

(55) Have with You to Saffron-Walden (1596). Nell'edizione a cura di Ronald B. McKerrow, The Works of Thomas Nashe, Oxford, Blackwell, 1958, III, p. 67.

LE "PASQUE piemontesi": NUOVI DOCUMENTI

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sembra essere opera di uno dei tanti « hack versifiers » dell'epoca, con ogni probabilità di un versificatore al servizio del regime. Ci si domanda, ovviamente, dove l'anonimo autore abbia attinto le sue informazioni. I temi accennati nel preambolo e quindi sviluppati nella ballata, con l'ag- giunta di alcune note nuove, come i più volte evocati roghi, la perfetta innocenza dei poveri perseguitati, la loro eroica sopportazione per non tradire la fede, il loro martirio suggellato nel sangue, e con la ribadita insistenza sugli orrendi supplizi inflitti loro dai « papisti » idolatri ( « And some they tyed up in trees, / Binding their heads between their knees: / And others they did boyl also, / And of their brains made sawce thereto ») sono tutti presenti nel « pamphlet » dello Stouppe, A Collection of the Several Papers, in particolare nelle pagine centrali (non numerate) del- l'introduzione « To the Christian Reader », nella lettera scritta « from the Vale of Perouse [...] Describing the beginning of the murders and cruelties » (pp. 26-30) e nella « Continuation of the description of the murthers, and cruelties » (pp. 33-41). Le stesse prime tre righe del titolo- preambolo della nostra « broadside » citate sopra sembrano persino rie- cheggiare il titolo della raccolta dello Stouppe. L'autore della ballata deve avere avuto sotto gli occhi la medesima documentazione cui Milton presumibilmente attinse, a nostro avviso, per la composizione del suo celebre sonetto sul « massacro » (56). Va per altro aggiunto che si muove, entro i limiti del possibile, con una certa indipendenza, tentando di con- ferire una nota personale al suo racconto, riportando vivacemente i fatti come se il narratore ne fosse testimone oculare To hear the cries and grievous mones, / Of Mothers for their little ones; / « Twas very sad for to behold, / Yet nothing mov'd those wretches bold »). La componente che meglio caratterizza la composizione e ne rivela la matrice emerge tuttavia verso la fine, laddove il narratore, assumendo il tono del predi- catore e quasi sfociando nei modi dell'inno, esorta gli ascoltatori a pre- gare Dio in ginocchio affinché li mantenga al sicuro nelle loro isole felici : componente patriottica, dunque, di quel patriottismo insulare intriso di esaltata religiosità tipico dell'epoca e grandemente incoraggiato dal regi- me cromwelliano (il nuovo Popolo Eletto sono gli Inglesi: Dio si rivela, scrive Milton, « first to his Englishmen ») (57), tramite il quale diviene possibile ricordare ai popoli del Commonwealth la loro somma fortuna di poter vivere al riparo dei papisti sotto la protezione di Cromwell, « God's Englishman » (58): « Unto the Lord let's cry and call, / From Papists he would keep us all ; / And from their bloudy cruel hands, / To keep us safe in these our lands. / And let us on our bended knees, / Desire of God that he would please, / Both evening, morning, noon and night, / To keep us from their power and might ».

(56) Cfr. il nostro studio Milton e i Valdesi in B.S.S.V.. 121, 1967.

(57) Areopagitica, 1644. Nell'edizione a cura di C. A. Patrides, John Milton: Selected Prose, Harmandsworth, Penguin Books, 1974, p. 237

(58) Titolo dell'opera di Christopher Hill, God's Englishman : Oliver Cromwell and the English Revolution, London, Weidenfeld and Nicolson, 1970.

24

E. BALMAS - E. MENASCE

La Dreadful Relation insomma, come tanta parte della paralettera- tura provocata in Gran Bretagna dalle « Pasque Piemontesi », appare annoverabile tra le iniziative concertate dal potere per orientare l'opi- nione pubblica.

6. Ben diverso l'interesse dello Short and faithfull Account of the Late commotions in the Valleys of Piedmont [...] l'ultimo degli opuscoli di cui dobbiamo dare notizia. Anonimo, di sole 8 pp., con una marca edi- toriale poco chiara printed for W.P. and G.L. »), esso si ricollega, fin dal frontispizio, alla pubblicazione dello Stouppe, a proposito della quale annuncia « some Reflections », ma si distacca dai vari testi che abbiamo citato sin qui per l'impostazione dell'argomentazione.

Grazie ad alcune circostanze possiamo datarlo con una certa pre- cisione. In data 10 giugno l'ambasciatore De Bordeaux scrive al ministro Brienne :

L'on a d'ailleus jeté cette nuit force libelles qui excitent le peuple à faire sentir aux catholiques le même traitement que le duc de Savoie a fait sentir aux Vaudois ; ce qui leur cause une grande alarme et a obligé quelques-uns des principaux à me demander une relation de ce soulèvement pour la faire imprimer, et par désa- buser le peuple, persuadé que toutes les cruautés imaginables ont été exer- cées contre leurs frères... (59).

Di uno stato d'animo di questo genere si fa l'eco il nostro Account dove, deplorando gli eff^etti di pubblicazioni del genere di quella pro- curata dallo Stouppe, denuncia « those who cry out for a retaliation upon any Papist where-ever they meet them, not considering the innocent are not to be destroyed with the guilty, if the peace of the State where they live permits a triall » (60). Sul frontispizio dell'esemplare dell'Account conservato nel British Museum una mano anonima, oltre ad arrecare alcune maliziose correzioni (faithfull corretto in unfaithfull; « Written by a Papist », aggiunto a guisa di commento per infirmarne l'attendi- bilità), ha apposto una data, 20 agosto. Se si tiene presente la data della richiesta del De Bordeaux e il tempo ragionevolmente necessario per la redazione e la stampa dell'opuscolo, si può concludere che la data della prima metà di agosto può essere indicata con qualche fondamento come il periodo in cui il nostro Account è stato messo in luce. La lettera del De Bordeaux arreca anche un'indicazione utile in vista della datazione dei Several Papers.

Molto pacatamente, l'autore dell'Account rimette a posto varie cose, anche facendo riferimento a ciò che lo stesso Stouppe scrive nei suoi Papers. Non è vero, per cominciare, che i Valdesi discendono dagli apo- stoli come essi stessi pretendono e come sostengono i loro amici : discen-

(49) F. GuizoT, loc. cit., p. 528. (60) Op. cit., p. 6.

Matchleffç ^ CruélciCoS

DECLARED ^

At large in the cnftiing HHlcfff of the 3 W

WALDENSÈS: t

Apparently manifefting unto thc| J

World the horrible Pcrfccucions which they have fuflFcred by the Papifts, for the fpace of four

hundred and fifw years. Wherein is related their ri^al ana Beg

Purity in /G'/O JV, botk for

Ori

eginning ; their Piety and •LIG lON.ha ' 'IkUriiu and "IHÇciflime.

LIKEWISE,

Hereunto is added an exad Narrative

of che late Bloody and Barbarous Mafiacres, Mur- ^ ^

d£rs> and other unheard of Cruelties committed ou many thôu&nds of the ProtelUnts,dwcUinp m the Valleys of «P / £D MO /7Ty tic. by the Duke of Stvtfi Force* , ioyned with die rnncb Army, aoJ icreral bloody Irijh ________ "Kt^imtats.

Publifoed hyXpwmand of his Higbnefs:, îbei^oià Protedor.

jji LOATDOT^,

Printed for eàwttrà Brmficr , at the Crtutt in TtuUt Church-yard, 1655.

3H>

1 a.

Traduzione della Histoire di J. P. Perriìi.

A

COLLECTION N ARATI VE

LO%T> T'S^OTECTO'R of the Common-Wealth of

CONCERNING

TIicBIoocJy and Barbarous MaflTicres, Mar- thcrs, and other Cruelties, commiKcd on many

dioufinds of Rrfixroed , or Procedano dwelling in the ViWctofTudmtMt,ÌM the Oukeof Forces,

rMifhtdij Cemmâitd êf bit fiìgbntfs.

Primed for nr. at the three Pigeons in St.

Chutch-Yard, i j f .

Sent to hh Highnefs the

icverail "jr^ Regintcots.

/ b.

Several Papers di J.B. Stouppe.

A li

COLLECnONr<

OF THE SEVhRAL

PAPERS

Scritto ^ IJighncfs thv LO%V T\0 T BCTO'K of the Common-Wealth of

CO NCER N I N G

TTieBloodvand Barbarous MafTicrcs, Mar- thcri, and othci Cruelties, cominirtcJ on many cli>.Httind«of Refoffved , oi Piottliino dwrHn'j; m the Vïllie» oCTuJmair,bv the fluke of -'>'4ftf)'i Foice», joyotd tfierein v»itl> thcFrc'kh Arn y, and inaili Jr^h Rcgiinçwj.

Primed for U, Rthinfan, at the three Pigeonj in St. fâifl'i Church- Yard, i 6 > j.

2 a.

Opuscolo pubblicato da J. B. Stouppe.

THE

Barbarous ùr liibumane Proceedings

THE

.Profefîbrs ol the Reformed P.digion within

the Douiinion of the Duke of

SAVOY.

AfriU the 27''', 1655.

AS AL S O-

A true Re'afidii <»f the Rloody Mjif (cre<i, Tortures Cruelties, and Abomiiwbic Outr tges «.om m.'icd upontljc Pro- teftants tn 1 R E I. A M 1), proved upoii 0»th,and Ejc-

Wiiimio •• Wli<.h iHht- 2^. 1 ft < 1.

A t: T)

The Lamentable and Miferable Condition of GERMANY, Çttn by Extortions, and Exaâion», Tortures, and Torments, Rapes, a»l «»v.fhm>>', Uob!«;iy, i.id Pilljginj;. t;.o-..-'.li .1. 4.1.1 Killing, Eai.- ÌBg< and O (tioyiiig!,»i)<l Fjh.iiics, Skkiiilfc- , iiid L>ilct(<i, that c r(i:c 1 l(-cr all ilxfc : Whith ieW u.p, .Voi. 1 j. i «^7.

Who makes qucftion, hut that thofe Churthes, Nations, Perfoas and Places which have fpeciall Relation one onto another, Sacmî or Civil, in the bonds of Religion,Neif,hboHrhcod,or Commerce, are more efpecully bound mutually to « on/ider and bemoan oix anothers conditions: And none fo propiiane as to fay, what is this to us, be it all be true ? Bue to confi der the Vialls of Godi «rrath arc powring forth on liis owne Churihet for corre<S ion,and vnW end to their Ad vcrtarie< utter deflruClioii.

Rev. 18. Z J . 24- / /iw f^l^-'y ■^"f/'l -? *ir<At Hint likf 4 milftofit, *ni c*fi it int« the S r4 ,f*yi»(, thtu wtih violente fimii BaÌj- Un i>e ihrovnt âmnt, *nd jhAU be fsund'n,' more. Fêr in her VM ftuniltPidfloodvfTrofhtti^dndef SaintJ. mdaf 4U thmt were (Ìmm mftmth*e*rth. ^

Illoflraced will Pifture», that the eye may afeâ the heart.

LO NT)OJV: Printed iflfiM. S. for 7"/».- ftmitr at the Soub* Rotiaiice of the Roy aU EXCHANGE, i 6 $ S-

2 b.

Pubblicazione in favore dei valdesi.

Incisioni dei Barbarous Proceeding.

A î>re»}ful Rdatìon, of the Crad^Ioody, and mofl Lihismaiie Mai-

tttK Buulicry, coamknd on the poor Piowflana, in the Doaiuiant «f the Duke of S*tn^ bj hi< SeuMurt, with foaie Prtmi loà blouòy irifî, joynrd together : Where they ael\mjal thoufitids, bothmen, wotnt n ind chiWreo, without oMicjr; teiting little fuck.-.gmfiniiliaii from litob be! jft iheir ino hen deei , and i ifhmg their brains ou; igtinft the locVi ; inti jtta- wuds ripptogupt^^ bo^eUof the mot^;ft > cutting off then breafls , itxl luinuig viotpca with cbiWt, «od fome iyino iti, out o( dorts, in the mioft of win:ei m ftott jnd iiow, who petithn! by coni iJ Cx McTjnauu. Cur.ng oft' the ein, then the r.oft. fingeii ini toet j Jien :he legs, mok tod prÌTie mfiibeiï of ine», fowe btinj aged «bove foutfcoie years , and lo tottur.iiç ihem to death, becauft tliey would oet fmiikc theni Religion at^d luin I'apfii : the like auci ;< > were ne- ver koown noi r.-aid o'twforr, Theuu'.bof ttmlad Hory was lenito his H gh. <,i the l.oid Ptoieftor, vth - appolnrcd a getictal Fifl ihioughom thii NatLon, ir.d oidcicd rtlic ;o bt £aihe- led.aiidfenttothofeihatercapedthehandiofthelcblaudy wtc-.dici, and ate teidy to pci^fhfot want, in t!xDKJun:j!in.

To the Tuae of, Tht' Klttding Bttri .

IT r H% biàcin? iK.nt J Bustntal ti W Sam cnfojrci; ' « oselarj : 39 (sBScr flo}? nsrt '.ut: (olo, Etentitre ti. coni wi.'onlolt.

CE>m6 îtttlfftaRSall ^Jâl ;;atntceil, ViMu tbU nttM tDat 3 Ot-'i icU ; %St ^lltt) of ir(trti Irttl rare!; m it^t, ysor •ft', tarts toifi fiat to roalu.

cii'ica tttgnge ente onr ussn, 9«iS uoTf L«menttng »at: ant nistK : Sta nuacpisitt) indilli ?aa ttiat Mr.

Sl»»r t*» Z>llk( Sa,oy nott.,

Utie> mm CMftlMu goto ; Wio t«nS«itl; pjohC t^K >rot(i, Sb» tor»U Met tMt p;Mii)iU btoe,

r Coos eJc caoi -Mr W asrp M iSTitliili tDJ8 t;c rndf c a't (bit ttCf ; M t_l)n« tiiici'.r li, biooocniin,

bluaor (luci tk^O men, glôotl) 1 - ano li'ih,allin ar«t«, DiB (âU nson ll)!fc Cl>!ifl: ins Si>i8. g CaSiii nebci bio tçcm dnr 6 .rm.

iMiem Ji: cf sçtwiuaeiliiuJ anijont, M ^no ESr ccrcàtte or t^etr tsciltt . f| teonv; lott ttîtr limbs, atiû I'srac (fetir llket, Sir iStto clOers tî)f(>totrc ttartee.'o

S SSomc ot^cri! tbecc totre t«rs'o alita, m cttitrg tsitprts ssdetonQ; ; ^ 2i!> (iUw9 fat Into luitaarRw.

4 a.

Volantino conlcìiente la Drcafull Relation.

A fliort and faitlifuU

ACCOUNT

OF THE LATE

COMMOTIONS

IN THE ^. -

Valleys of Piedmont*

Within the Dominions of the

Duke of Savoy.

With fomc Rcflcdions on hlrJtouppss coUc^e4 Papers touchifig the funcbufUvcSc.

Primed for TP. aiid q.L. i6i ?

i -

Replica cattolica ai Several Papers.

LE "PASQUE piemontesi": NUOVI DOCUMENTI

25

dono più semplicemente da Pietro Valdo, « a meer lay-man and only a giften Merchant ». L'editto del Castaldo, che mette in moto tutta la tra- gica vicenda, e che viene riprodotto anche qui, contiene l'ingiunzione ad abbandonare le località di pianura e a ritirarsi in altra località dello stato neighboring Valleys, not any forraingn Country ») e non l'ordine di abbandonare lo stato, cioè una vera e propria espulsione, per cui i cosidetti esuli, di cui parla lo Stouppe, « they were only banisht into their own country, and that no farther ofî then next valley ». I Valdesi, che denunciano l'altrui intolleranza, dimenticano la loro: come quando si sono rifiutati di mettere a disposizione dei locali per la celebrazione della messa nelle zone interamente sotto il loro controllo the valleys had refused him [al duca] some houses to have the Masse said in them, in such Commonalties, there were no Romish Catholicks » : sono parole dello Stouppe, osserva maliziosamente l'autore àeW Account). Parimenti non vi è dubbio, e lo stesso Stouppe lo ammette, « that the Waldenses inlarged their Quarters and introduced themselves and Religion beyond the limits of their Toleration » e non possono perciò pretendere che solo gli avversari siano dalla parte del torto. Ma soprattutto, ed è l'argomento centrale, « the Waldenses were in arms, when the Marquesse Pianesse came against them », e a resistere con le armi hanno continuato, così come avevano cominciato. Non vi è in proposito argomentazione che tenga, l'impiego delle armi contro il proprio sovrano non ammette giu- stificazione e ancora una volta i Valdesi non possono pretendere di essere immuni da responsabilità.

Non meno pungenti le osservazioni rivolte direttamente allo Stouppe. Nella sua difesa dei Valdesi costui passa sotto silenzio ogni eventuale colpa dei suoi protetti. Diviene in tal modo impossibile capire perché il loro sovrano li opprima : descrivere la punizione senza menzionare il crimine equivale a condannare « ali the Tribunals in the world of bar- barousnesse and even God himself of injustice ». Discutibile è anche la disinvoltura con la quale lo Stouppe accusa il duca di Savoia : un sud- dito deve essere cauto nel giudicare le supreme magistrature dello stato, anche di un paese straniero, il popolo può trarne lo spunto per pensare che anche i magistrati del proprio paese debbano essere sottoposti al giudizio del buon senso e della ragione... E infine, se non appare negabile che crudeltà siano state commesse, che i Valdesi siano ora in parte pro- fughi e bisognosi di aiuto, e che li si debba aiutare, come lo Stouppe propone, non si potrà tacere che nei suoi Papers « there are many extra- vagant and indeed incredible exaggerations in relating the matter of fact ».

Non tutto il libretto si mantiene a questo livello, raro e perciò note- vole, di senso critico se non di moderazione, poiché l'autore, dopo aver criticato lo Stouppe, adotta a sua volta la tesi cattolica che consiste nel riversare sul rifiuto dei Valdesi di sottomettersi la responsabilità dell'ac- caduto. È tuttavia notevole che egli colga nel libro dello Stouppe, in ulti- ma analisi, un messaggio irenico, di cui è pronto a dargli atto: « I shall

26

E. BAl.MAS - E. MENASCÉ

willingly give Mr. Stouppe his just praise, because me-thinks in the whole désigne of his Book, he strives still to excite his Readers to a resentment of charity, rather then of revenge ».

Enea B almas - Esther Menasce (*)

ILLUSTR.'^ZIONI FUORI TESTO

1 a. Frontispizio della riedizione sconosciuta sin qui della traduzione inglese deU'Histoire des Vaudois et des Albigeois di J. P. Perrin, fatta predisporre da Crom- well in occasione delle « Pasque Piemontesi » del 1655, nel quadro dell'azione di propaganda in favore dei Valdesi. Esemplare del British Museum.

1 b. Frontispizio della prima edizione dei Several Papers pubblicati da J. B. Stouppe, per ordine di Cromwell, per sensibilizzare l'opinione pubblica inglese di fronte ai massacri commessi dalle truppe sabaude, « joyned... with... several Irish Regiments », nelle Valli Valdesi nell'aprile-maggio 1655. Benché stampata da im altro editore, la Narative viene pubblicata unita assieme alla Matchlesse Crueltie.

2 a. Frontispizio della seconda edizione (la sola conosciuta sin qui) dell'opu- scolo di denuncia delle atrocità commesse a danno dei Valdesi, pubblicato dal pa- store J. B. Stouppe. Esemplare della Biblioteca Reale di Torino.

2b. Frontispizio di una pubblicazione inglese di propaganda del 1655 a favore dei Valdesi, sconosciuta sin qui, che contiene un sommario racconto degli avve- nimenti e una serie di tre incisioni, che illustrano le atrocità commesse a danno dei Valdesi. Esemplare del British Museum.

3. Le tre incisioni relative ai Valdesi pubblicate nei Barbarous Proceedings: sommarie nell'esecuzione come nella concezione, illustrano con crudo realismo episodi di atrocità descritti nel racconto. Si tratta delle sole incisioni inglesi con- temporanee, relative agli avvenimenti valdesi, conosciute sin qui.

4 a. Prima pagina del volantino contenente la Dreadfull Relation (poche righe in prosa) e la ballata ispirata agli avvenimenti valdesi del 1655. Le incisioni ripren- dono motivi convenzionali (il sacrifìcio dell'agnello, l'uccisione di Abele da parte di Caino, ecc.). Esemplare del British Museum.

4b. Frontispizio della terza pubblicazione inglese relativa ai massacri del 1655 recentemente scoperta. Di parte cattolica, è una replica ai Several Papers dello Stouppe. Le annotazioni manoscritte che figurano sull'esemplare conser\'ato nel British Museum sono di un contemporaneo.

(*) I paragrafi 1, 2, 3, 4, 6 sono stati redatti da E. Balmas; il paragrafo 5 da E. Menascé.

Mérindol: fine del Valdismo?

Dovendo commemorare il 450" anniversario del Sinodo di Mérindol del 1530, premetto subito che questa roccaforte dell'evangelismo euro- peo fu contemporaneamente, a distanza di un anno, un punto di par- tenza e un punto di arrivo: di partenza, quando i due « barbi » Morel e Masson si recarono pieni di speranza a Basilea e a Strasburgo, con il loro memoriale e le loro domande; di arrivo qualche mese dopo, quan- do il solo Morel Masson era stato arrestato a Bigione nel viaggio di ritomo cercò di fare il bilancio degli incontri avuti coi due riforma- tori Ecolampadio e Bucero.

Ora, ogni bilancio degno di questo nome ha il suo attivo e il suo passivo. Che cosa erano andati a fare Morel e Masson in Svizzera e in Alsazia? Perché vi furono inviati? In una serie di articoli apparsi l'armo scorso sul « Deutsche Waldenser » e successivamente nel « Bulletin de la Société de l'Histoire du Protestantisme Français » (1), Gabriel Audi- sio ha voluto rispondere ad un primo perché; corne si realizzò quel che giustamente egli chiama una « mutazione », cioè il passaggio dei Val- desi alla Riforma? Ponendosi questo quesito, Audisio era perfettamen- te consapevole che era altrettanto necessario chiedersi per quale mo- tivo quella mutazione era stata desiderata ed attuata. « Alutazione » si- gnifica che qualcosa è cambiato. Un cambiamento, dunque, ma a par- tire da che cosa e verso che cosa?

I fatti sono noti, nel loro preciso svolgimento storico. Sappiamo che quel cambiamento si fece concretamente due anni più tardi per opera del Sinodo di Chanforan del 1532; ma sappiamo anche che quella decisione non fu accettata all'unanimità e che due « barbi » contesta- tari andarono a protestare niente meno che in Boemia, convinti che con la sua adesione alla Riforma il valdismo aveva perso la sua originalità. Ma in che cosa consisteva questa originalità? Quali erano le caratteri- stiche del pensiero e dell'azione dei Valdesi alla vigilia dei loro contatti coi riformatori nei vari campi della teologia, della pietà, della disci- plina e dell'organizzazione ecclesiastica? L'adesione dei Valdesi alla Ri- forma avvenne nell'epoca d'oro del luteranesimo, con predicatori e teo-

(1) G. AUDtsio, Eine Wandlung: die Waldenser schliessen sich der protestan- tische Reformation an, in «Der Deutsche Waldenser» (- DW), 1979, nn. 135 e 136; lo stesso. Une mutation: les Vaudois passent à la Réforme, in « Bulletin de la Société de l'Histoire du Protestantisme français » ( = BSHPF), 1980, pp. 153-165.

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logi riconosciuti un po' dappertutto, in Francia, Svizzera e Germania, ma Calvino non era ancora spuntato all'orizzonte. Il « dossier » di quel che fu chiamato il passaggio dalla prima alla seconda Riforma è stato ampiamente sviscerato, ma qualche documento rimane ancora nell'om- bra, anche dopo le fatiche di Valdo Vinay sul manoscritto C.5.18 di Dublino e la preziosa edizione del processo di Apt del 1532 curata dal- l'Audisio (2). Dunque, c'è ancora come dicono i francesi « du pain sur la planche ». Per il momento, mi limiterò a vedere un po' più da vicino l'interrogativo posto nel titolo stesso di questa relazione, preci- sandolo magari un po' meglio: che cosa ha guadagnato e che cosa ha perso il valdismo aderendo alla Riforma? Intanto posso anticipare che i responsabili valdesi riuniti a Mérindol nel 1530, riprendendo l'inizia- tiva presa quattro anni prima a Laus nel 1526 nel tentativo di saperne di più sulle « merveilles de la Réformation qui se faisoit en Allema- gne » la frase è del Gilles (3) , erano ancora ben lontani dal pen- sare ad una futura concreta adesione alla Riforma. Chiedersi che cosa hanno guadagnato o perso i Valdesi degli anni 30 del secolo XVI facen- do quel passo vuol dire anche tentar di sapere quali caratteristiche essi avevano avuto nei tre secoli e mezzo che li separavano ormai dalle prime esperienze evangelistiche di Valdesio di Lione. Allora, nell'ulti- mo trentennio del secolo XIII o ai primi del XIV, i Valdesi non aveva- no alcuna preoccupazione di sopravvivere. I discepoli del lionese non avevano nulla da tesorizzare, nulla da difedere, nulla da conservare, se non la loro consapevolezza di voler essere un fermento rinnovatore al- l'interno della Chiesa ufficiale. Il valdismo, nato dalla sequela del ricco mercante di Lione che si spoglia dei suoi beni e della propria famiglia ad imitazione del nobile romano Alessio, si costituisce presto in « so- cietas », cioè non è ancora « ecclesia », e nemmeno « congregatio », terz 'ordine, ma è solo movimento, sia pure in qualche modo organiz- zato. E' la sua forza, ma anche la sua debolezza. Vivere nudi come il Cristo nudo va bene per l'apostolo, per l'evangelista, per il missionario; se non supplisce l'elemosina, occorre un minimo di organizzazione tra i fedeli per sopperire ai più elementari bisogni materiali dei predicatori itineranti. A ciò penseranno, agli inizi del secolo XIII, le « congregacio- nes laborantium » dei Poveri Lombardi, ma tutto sommato era già in atto, anche presso i Valdesi italiani assai meno tradizionalisti dei loro confratelli francesi, una prima elementare distinzione tra chi predica e chi assiste il predicatore. Nato come un movimento essenzialmente laico anche se presto entreranno a farne parte preti e monaci , il

(2) V. Vinay, Mémoires de George Morel. L'importanza del codice valdese cS-lS (Ms 259} del Trinity College di Dublino per la storia dell'adesione dei Val- desi alla Riforma, in « Bollettino della Società di Studi Valdesi » (= BSSV), n. 132, die. 1972, pp. 35-48; G. Audtsto, Le barbe et l'inquisiteur. Procès du barbe vaudois Pierre Griot par l'inquisiteur Jean de Roma (Apt, 1532). Aix-en-Provence, Edisud, 1979, p. 196.

(3) P. Gilles, Histoire ecclésiastique des Eglises Réformées... autrefois appe- lées Vaudoises, del 1644. Nuova edizione: Pinerolo, Chiantore e Mascarelli, 1881, tomo I, p. 47.

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valdismo delle origini è costretto dalla forza stessa delle cose a ritor- nare alla vecchia distinzione tra « laos » e « kleros », pur in una forma del tutto rudimentale e comunque ben lontana dalla compiuta gerar- chizzazione cattolica .La cosa si evidenzia più nettamente nel corso dei secoli: appaiono prima i perfetti, ad imitazione dei Catari; poi il tripli- ce ministerio dei diaconi, presbiteri e episcopi; infine, nei secoli XV e XVI, la figura ben caratterizzata del barba, come la troviamo descritta nel processo di Apt del 1532 (da parte cattolica) o nel memoriale di Mo- rel (da parte valdese). Anche le connotazioni sociologiche degli aderenti cambiano coi tempi e nelle diverse regioni della vasta diaspora medio- evale. Sulle prime, a Lione, in Linguadoca, altrove, ci sono ricchi bor- ghesi (che poi si fanno poveri), commercianti, artigiani, membri del clero ecc.: gente colta, che sa il latino ed è pratica di negozi, di affari, di pratiche anche giuridiche. Nel secolo XVI invece, causa soprattutto le secolari persecuzioni, gli aderenti si contano soprattutto tra i conta- dini o i montanari nelle campagne o nelle zone alpine, oppure tra gli operai e i tessitori nelle città, gente comunque priva di lettere, spesso analfabeta, come Morel descrive il mondo valdese del suo tempo, di cui è pastore. In campo dottrinale, le faccende sono ancora più com- plicate. Accanto al moderatismo dei Valdesi delle valli piemontesi e delfinatesi che formano il classico « rifugio » di qua e di del crinale alpino, spiccano per esempio le tendenze rivoluzionarie del gruppo di Paesana e dintorni, nell'alta valle del Po. Se quasi dappertutto impera il mimetismo se non addirittura il nicodemismo , se generalmente i Valdesi assistono alle messe cattoliche, se cioè come dirà più tardi il Miolo (4) c'era ancora parecchia « farina papale » nei loro sacchi, tuttavia rimaneva, tra tanta varietà di atteggiamenti e tra tante incoe- renze e incertezze, una costante, qualcosa che permane indefettibile attraverso i secoli, cioè il non aver voluto e il non voler accettare se non la Bibbia come norma suprema e ultima di vita e di dottrina (5).

Ma non anticipiamo i tempi. Secondo un dato tradizionale, che ve- diamo ripetuto soprattutto nelle opere di divulgazione e da un manuale all'altro, i Valdesi medievali si sarebbero distinti non solo per questo attaccamento alle Sacre Scritture, ma anche per un duplice rifiuto: ri- fiuto di mentire e rifiuto di prestare giuramento. A prescindere dall'in- cidenza, positiva o negativa, che questo duplice rifiuto ebbe sia per lo stesso movimento valdese, sia per la società medievale in tal modo con- testata, questo ridurre l'identità del valdismo ad una nota più etico- sociale elle teologica o ecclesiologica ha fatto nascere dei grossi equi- voci: i Valdesi medievali, ai quali peraltro si riconosce volentieri il me- rito di essere stati precursori della Riforma, avrebbero agito soprattut- to sul terreno morale o, se si vuole, anche su quello socio-politico ,

(4) H. Miolo, Historia breve e vera de gl'affari de i Valdesi delle Valli, ed. ms. Dd. 3.35 di Cambridge a cura di Giovanni Jalla, in « Bulletin de la Société d'His- toire Vaudoise» (BSHV), n. 17, 1889, p. 104.

(5) Su tutta questa materia cfr. J. Gonnet - A. MolnAr, Les Vaudois au moyen âge. Torino, Claudiana, 1974, p. 511; A. MolnAr, Storia dei Valdesi, I, Dalle origini all'adesione alla Riforma. Torino, Claudiana, 1974, p. 370 (passim).

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essendosi limitati, in nome della fedeltà al senso letterale delle Sacre Scritture, a richiamare la Chiesa romana, e in particolare il suo clero, ad una più stretta coerenza tra fede e costumi. Cotesto sminuire la fun- zione di quella che molti si compiacquero di chiamare mater reforma- tionis ebbe funeste conseguenze sul terreno storiografico: se da una parte i Valdesi sono stati esaltati come i soli fedeli, all'interno àeW'Ec- clesia universalis, al messaggio del Sermone sul Monte inteso e prati- cato alla lettera, dall'altra dato questa riduzione della protesta val- dese ad una semplice funzione da « cani da guardia » di un clero rico- nosciuto corrotto si è finito per misconoscere l'apporto da essa dato sul terreno ben più vasto e impegnativo della riforma globale della Chiesa « in capite et membris » assai prima delle intuizioni fondamen- tali di Lutero. Da qui due tendenze storiografiche che si escludono vi- cendevolmente: una, che oppone ad ogni costo le due riforme, la pri- ma morale e la seconda teologica; l'altra, invece, che primeggia l'evan- gelismo della prima rispetto al dogmatismo della seconda. Certo, oc- corre intendersi sul senso e sulla portata rispettiva di queste due ri- forme, e lo vedremo meglio nel corso del mio intervento.

Una ventina d'anni fa, uno dei più recenti storici valdesi sostene- va, in occasione del quarto centenario del Trattato di Cavour del 1561, che « la tradizionale storiografia che fa del sinodo di Chanforan del 1532 una pietra miliare del valdismo viene ad essere intaccata », in quanto a parer suo non si dovrebbe riconoscere « a quella famo- sa riunione una importanza decisiva e determinante, nel senso che essa chiuda un periodo e ne inizi un altro diverso ». In altre parole, Chan- foran non sarebbe « uno degli episodi e dei momenti cruciali di un lun- go periodo di crisi e di revisione », che invece « si concluderà soltanto durante la campagna del Conte della Trinità » e « con la pace di Ca- vour del 5 giugno 1561, giorno in cui il valdismo appare nella sua strut- tura e fisionomia moderne » (6).

Ora, se si consultano i primi cronisti o storici valdesi, si vede che tutti, chi più chi meno, mettono in rilievo un dato di fatto notevole, e cioè che i Valdesi dei primi decenni del Cinquecento erano autocritica- mente consapevoli della necessità di « correggere », di « emendare », in una parola di « riformare » ciò che stimavano non andar bene pres- so di loro. Abituati da quasi quattro secoli a richiamare la Chiesa uffi- ciale all'esigenza sempre più urgente della « riforma », essi, giunti allo stremo della sopravvivenza, si accorgono che anch'essi non sono im- muni da difetti, lacune ed errori. Devono questa consapevolezza so- prattutto al confronto con quanto sta avvenendo oltr'alpe, in Germa- nia, in Svizzera, in Alsazia dove scriveva Gilles più di un secolo do- po — la Riforma era veramente « oeuvre de Dieu » (7). Ciò che più li angustiava erano le grosse questioni del libero arbitrio e della prede- stinazione, strettamente connesse col rapporto tra fede e opere in vi-

(6) A. Armand-Hugon, Popolo e chiesa alle Valli dal 1532 al 1561, BSSV, n. 110, die. 1961, pp. 5-6.

(7) Cfr. più sopra, nota 3.

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sta della finale giustificazione dei credenti. Accanto a tutto ciò, nume- rosi altri problemi di maggiore o minore incidenza: dal rifiuto del giu- ramento al rigetto delle autorità costituite, dal ministerio itinerante al conseguente celibato dei « barbi », dalla necessità di lavorare con le proprie mani al poco tempo dato alla preparazione biblica e teologica; dal governo delle comunità alla celebrazione dei sacramenti e a tante altre pratiche di pietà religiosa che rasentavano il legalismo levitico, come la confessione auricolare, le preghiere a ore, i digiuni fissi, i do- veri dei coniugati, i rapporti col « mondo »: esercizio della giustizia, commercio, usura, canzoni, giuochi, modi di vestire ecc.

Le fonti ci parlano di quattro tappe decisive nel passaggio dalla prima alla seconda Riforma: 1) Laus 1526, 2) Mérindol 15.30, 3) Mérin- dol 1531, 4) Chanforan 1532, con, in ultimo, lo strascico delle contesta- zioni fatte dal malcontenti presso i Fratelli dell'Unità in Boemia.

Tutto ebbe inizio a Laus nel 1526, dove, alla presenza di ben 140 « barbi », si decise di inviare in Germania due di loro per rendersi di- rettamente conto sul posto dei progressi della Riforma, ed essi ritor- narono con « quantité de livres de la Religion imprimés » (8). Di che genere erano cotesti libri e quali riformatori incontrarono? Lo si igno- ra, forse Farei (9). Quattro anni più tardi, nel 1530, si ha l'iniziativa più importante, cioè i colloqui con Ecolampadio e Bucero decisi dal Sinodo di Mérindol. Di fatto, la lettura delle opere portate nel 1526 do- vette certamente spingere i responsabili valdesi ad approfondire un mucchio di questioni, che alla fine vennero dettagliatamente sviscerate e presentate per iscritto nel memoriale di Morel e nelle successive ri- sposte dei due riformatori: un grosso carteggio non ancora del tutto esplorato (10). Di ritorno a Mérindol nel 1531, Morel fece il punto di tutte le cose discusse, redasse un secondo memoriale (11), e indusse senza dubbio i suoi colleghi ad indire un sinodo generale per il 1532 nel cuore stesso delle valli valdesi. Di questo sinodo, riunito a Chanfo- ran in vai d'Angrogna, si dovrà parlare ampiamente in occasione del suo prossimo 450° anniversario, ma per il momento basti dire che ben poco almeno sulla base delle « proposizioni » a noi note rimase

(8) Sul cosiddetto sinodo di Laus e sulle altre tappe fino a Chanforan cfr. G. GONNET, / rapporti tra i Valdesi franco-italiani e i riformatori d'oltralpe prima di Calvino, in Ginevra e l'Italia, Firenze Sansoni, 1959, pp. 1-64. Per Laus in par- ticolare, ivi, pp. 6 e 12-13; Miolo, pp. 104-105; Gilles, I, 47.

(9) AuDisio, Mutation cit., p. 154.

(10) GoNNfiT, Rapporti cit., p. 14.

(11) Dunque, del Morel, possediamo due memoriali, uno in latino redatto pri- ma dei colloqui coi due riformatori, il secondo in provenzale scritto al ritomo dalla sua missione: Gonnet, Rapporti, pp. 16-18; Vinav, Mémoires, pp. 35-36; Id., Barba Morel e Bucero sulla giustificazione per fede. ed. dei fogli 81-96 del ms. C.5.18 di Dublino, BSSV, n. 133, giugno 1973, pp. 29-36; Id., // breve dialogo fra pri- ma e seconda riforma, 1530-1533, BSSV, n. 136, die. 1974, pp. 99-115; Id., Le con- fessioni di fede dei Valdesi riformati, Torino, Claudiana, 1975, pp. 36-51, 72-73 e

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del lungo rimaneggiamento di idee e di pratiche religiose su cui i Val- desi avevano discusso a lungo per ben sei anni! (12).

Come accennavo prima, la situazione dei Valdesi, agli inizi del se- colo XVI, erra abbastanza critica. Dopo un certo periodo di calma, ca- ratterizzato da missioni pacifiche presso gli abitanti delle valli tipo quella fatta dall'arcivescovo di Torino Claudio di Seyssel nel 1518 (13) le persecuzioni avevano ripreso ad infierire soprattutto contro i Val- desi del Luberon, ormai identificati come « luterani ». Secondo una fonte piuttosto tardiva, tale risveglio delle vessazioni contro i Valdesi sarebbe stato provocato dal desiderio di questi ultimi di aderire alla Riforma: « Quod cum rescivissent cioè essendo venuti a conoscenza del consilium dei Valdesi de emendatione Ecclesiae Praeses Provin- ciae, Episcopi, sacerdotes, monachi non destitere Valdenses omnis ge- neris tormentis vexare et affligere », e in ciò si distinse soprattutto il domenicano Giovanni di Roma, che inventò contro di essi i supplizi più crudeli (14). Rievocando tutte queste vicende, Gilles annotava sia pure anch'egli con uno scarto di più di un secolo che i riformatori, pur lodando il comportamento delle chiese delle valli « et spécialement les conducteurs d'icelles de leur zèle, piété et gran soin à maintenir la pure Religion prophétique et apostolique », le avevano però « charita- blement exhortés à remédier à quelques défauts que par leur Confé- rence ils avoyent reconnu estre encores parmi eux ». Tali difetti, Gilles li riassumeva in tre punti: 1) discordanze su talune questioni di dottri- na e di organizzazione ecclesiastica; 2) assemblee religiose tenute in se- greto; 3) partecipazione alle messe e superstizioni papali (15). Ora, in quale modo si rimediò a quanto da tutti veniva riconosciuto come manchevole sul terreno sia dogmatico che ecclesiologico? Per dare una risposta adeguata, bisogna basarsi non solo sui testi di provenienza valdese o riformata come il « dossier » Morel, le risposte di Ecolam- padio e di Bucero e le « proposizioni » di Chanforan ma anche sui documenti di parte avversa, soprattutto quelli di origine inquisitoriale, tra i quali possiamo includere oggi grazie all'opera di un giovane docente dell'Università di Aix-en-Provence gli Atti del processo in- tentato a Apt nel 1532 dall'inquisitore Giovanni di Roma contro l'aspi- rante barba Pierre Griot dell'alta Val Chisone (16).

Se riprendiamo in esame il « dossier » Morel, vedremo che il pri- mo memoriale, quello in latino, contemplava una sessantina di argo-

(12) Per Chanforan 1532, cfr. Gonnet, Rapporti, pp. 3-8, 15-16 e 57-61; V. Vinay, La dichiarazione del Sinodo di Chanforan 1532, BSSV, n. 133, giugno 1973, pp. 37-42; Id., Mémoires, p. 38; Id., Confessioni, pp. 139-143.

(13) Claudio di Seyssel, Adversus errorer et sectam Waldensium disputatio- nes per quam erudiiae ac piae. Parisiis, Johan Petit, 1520 (redatte nel 1518). Cfr. Giovanni Gonnet, Le confessioni di fede valdesi prima della Riforma. Torino, Claudiana, 1967, pp. 135-136.

(14) A. ScuLTETUS, Annalium Evangelii passim per Europam decimoquinto sa- lutis partae saeculo renovati decades II, Heidelberg 1620, t. II, pp. 315-316; Gon- net, Rapporti cit., p. 10; Audjsio, Barbe cit., pp. 14, 23-24, 33 e 34.

(15) Gilles, I, pp. 47-48.

(16) Cfr. più sopra nota 2.

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menti, di cui una ventina sotto forma di questioni. Un certo ordine lo- gico presiede alla loro formulazione: prima ciò che si attiene al mini- sterio pastorale, poi le dottrine e i riti, infine la disciplina delle comu- nità e i loro rapporti col mondo esterore (17). Per quanto riguarda i due riformatori consultati, essi non risposero a tutte le domande, seguirono lo stesso ordine del memoriale, ma diedero la priorità a ciò che pensavano essere più importante o più urgente per l'avvenire im- mediato del valdismo. D'altra parte, le due risposte non concordano nella sostanza, nel numero degli argomenti presi in considerazione: ima trentina da parte di Ecolampadio, contro più di una cinquantina ad opera di Bucero (18).

Ecolampadio insiste prima di tutto sulla necessità di rescindere ogni legame ambiguo con la Chiesa romana, la quale, per il basileese, è ancora l'Ecclesia malìgnantium così come l'avevano definita, insieme con altri eretici coevi, i Valdesi dei secoli XIII e XIV. Questo distacco da Roma va fatto radicalmente, a cominciare dalla decisione di non più ricevere la comunione insieme con gli infedeli e di disertare le « abominevoli messe dei papisti » con le quali ogni giorno vengono be- stemmiate la passione e la morte di Cristo: è soltanto celebrando in modo autonomo i due sacramenti istituiti da Gesù Cristo battesimo e santa cena che i Valdesi riusciranno finalmente a fondare una loro chiesa, del tutto indipendente da Roma e fedele al suo unico Signore. In quanto ai rapporti col mondo, Ecolampadio invita i Valdesi a non più contestare le autorità civili, perché anch'esse secondo Romani XIII, 1, 4 e 6 provengono da Dio; ma il rispetto loro dovuto, aggiun- ge il riformatore di Basilea, ha un limite che non si dovrebbe superare: se lo Stato e le leggi che esso promulga non s'ispirano allo spirito del Vangelo e all'amore del prossimo, il credente ha l'obbligo di opporvisi. In questa prospettiva, il giuramento è lecito, lo jus gladii sarà eserci- tato con carità, mentre la vendetta personale è contraria all'insegna- mento di Cristo, che esige dai suoi discepoli pazienza e sopportazione. In ultima analisi, tutto dev'essere visto e praticato secondo l'ottica del- la nuova justitia fidei, che relativizza ogni specie di relazioni umane, ponendole sotto la sovranità di Dio. Ma la questione più grave rimane- va quella del libero arbitrio e della predestinazione, che obbligava fa- talmente a prendere posizione sul rapporto fede-opere in vista della giustificazione e della salvezza dei credenti. A tal riguardo, Ecolampa- dio si limita a dire che il libero arbitrio ripugna alla grazia divma, il che non significa necessariamente che si è liberi di peccare. La prede- stinazione è certa, nessuno la può negare, ma, se la salvezza risiede solo in Dio nostro Signore, la nostra perdizione deriva direttamente da noi (19).

Bucero invece si soff^erma soprattutto sulle questioni del celibato dei ministri e del battesimo, contestando con vigore le posizioni radi- ci?) GoNNET, Rapporti cit., pp. 20-37; Vinay, Confessioni cit., pp. 36-51.

(18) Vinay {Mémoires, pp. 36-37) scrive che Ecolampadio non intervenne che su 17 argomenti, contro i 47 di Bucero

(19) GoNNET, Rapporti cit., pp. 37-44; Vinay, Confessioni cit., pp. 52-69.

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cali degli anabattisti. Se Romani XIII è al centro delle considerazioni del riformatore di Strasburgo, tuttavia la sua preoccupazione maggio- re è quella di convincere i Valdesi sul fondamento neo-testamentario della giustificazione per fede. In quanto agli altri problemi sollevati dai due barbi, Bucero conferma gli argomenti del suo collega di Basi- lea sostenendo che accettare i sacramenti dalla mano dei papisti è una grande debolezza e che il potere delle chiavi è solo potestas Verbi, cioè che non c'è altra chiave diversa dalla Parola di Dio per aprire o chiu- dere le porte del cielo. Su tutto il resto. Bucero non risparmia gli elogi ai Valdesi riconoscendo che essi avevano ricevuto la luce del Vangelo molto prima della protesta di Lutero. Se qualcosa li turba ancora, se talune questioni risentono ancora del legalismo della Scolastica, esse dovranno essere risolte in uno spirito di carità e di libertà cristiana, per l'edificazione dei fedeli e il bene comune delle chiese (20).

Che cosa è rimasto di tutto ciò nell'intervallo di tempo che separa i colloqui di Morel e Masson coi due riformatori e il Sinodo di Chan- foran? Come già ricordato più sopra. Morel compilò in provenzale un secondo memoriale al suo ritomo da Strasburgo nel quale, oltre a ri- maneggiare domande e risposte, aggiunse anche molto di ciò che i ri- formatori gli avevano detto di viva voce, come, per esempio, un lungo discorso di Bucero sulla giustificazione per fede (21). Audisio osserva giustamente che il primo memoriale di Morel ci mostra i barbi riimiti a Mérindol nel 1530 esitanti sia « à l'égard de leur propre tradition », sia « face à la Réforme protestante » (22). Vinay, riferendosi allo stadio finale dei colloqui coi riformatori, pone all'attivo dei Valdesi medievali solo il loro attaccamento alla Bibbia, ancorché interpretata letteral- mente e spesso con uno spirito leviticamente troppo legalistico (23). Tutto il resto sarebbe stato spazzato via dal vento della Riforma: il ce- libato dei barbi, la predicazione itinerante, la confessione auricolare é l'imposizione delle mani, i ben noti sette sacramenti eccettuati ov- viamente il battesimo e l'eucaristia , le numerose opere di pietà, la ripugnanza per il denaro, l'opposizione alle autorità costituite e il ri- fiuto del giuramento. Al posto loro trionfavano i due principi fonda- mentali della giustificazione per fede e della libertà cristiana. Per altro, se rileggiamo le « proposizioni » di Chanforan, le troviamo eccessiva- mente laconiche. C'è l'abolizione del celibato dei pastori e del loro itinerantismo; c'è l'adozione di due soli sacramenti; c'è l'accettazione del giuramento; c'è l'abbandono di ogni formalismo legalistico nelle preghiere quotidiane, nei digiuni e nel culto domenicale; c'è persino una chiara formulazione del rapporto tra libero arbitrio e predestina- zione, ma non troviamo nulla sulla giustificazione per fede sulle autorità costituite (24). Se Romani XIII era stato il cavallo di battaglia

(20) GoNNET, Rapporti cit., pp. 44-55; Vinay, Confessioni cit., pp. 74-117.

(21) GoNNET, Rapporti cit., pp. 32 e 55; Vinay, Mémoires cit., pp. 36 e 4246; Id., Barba Morel, p. 36, nota 4; Id., Dialogo, p. 110.

(22) Audisio, Mutation cit., p. 155.

(23) ViNAY, Dialogo cit., p. 107; sul legalismo, ivi, pp. 104, 112 e 115.

(24) Cfr. più sopra, nota 12.

mérindol: fine del valdismo?

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tra i riformatori ortodossi e gli eretici della Riforma, a Chanforan que- sto grosso problema venne appena sfiorato con due articoli, uno sull'ac- cettazione del giuramento, l'altro sulla possibilità per i credenti di par- tecipare personalmente agli uffici giudiziari (25). Se i colloqui coi rifor- matori erano stati positivi, lo si dovette soprattutto al fatto che tra le dottrine e gli usi dei Valdesi c'era ben poco di quelle posizioni « radi- cali » sostenute un tempo dai loro predecessori. Bucero soprattutto sta- va all'erta. A Strasburgo, nell'anno stesso di Mérindol, egli aveva do- vuto agire duramente contro gli anabattisti; e fu proprio contro questi ultimi ed altri radicali che almeno un terzo degli articoli della « Con- fessio Augustana » del 1530 vennero rivolti (26). D'altra parte si com- prende bene perché i Valdesi, dopo più di tre secoli e mezzo trascorsi da una persecuzione all'altra, erano rimasti estremamente perplessi ri- guardo alle autorità costituite, visto che esse erano state quasi sempre il braccio secolare della Chiesa dominante. In Germania, invece, la si- tuazione nel 1530 era ben diversa, caratterizzata com'era dal fatto ca- pitale che molti principi avevano accettato pienamente la Riforma in- sieme con le loro popolazioni. Dato ciò, si capisce bene perché la « Con- fessio Augustana » insiste non solo sulla necessità di un ministerio pa- storale riconosciuto dalla Chiesa e legato più alla « parola esterna » della Bibbia e alla corretta celebrazione dei sacramenti che non all'illu- minazione interna dei credenti (27), ma anche e soprattutto sulla legit- timità delle istituzioni civili e sulla liceità della partecipazione dei cre- denti alle cariche pubbliche, ivi comprese le funzioni di giudice e la carriera militare (28). In questo contesto, è altrettanto ovvio che la « Confessio Augustana » condanni in vario modo tutti i « radicali » (anabattisti, antitrinitari, spiritualisti, millenaristi, neo-donatisti ecc. (29) ), tra i quali però non compaiono i Valdesi i Fratelli boe- mi. Certo, essa non può ignorare la famosa risposta data dall'apostolo Pietro al Sinedrio di Gerusalemme, che Valdesio di Lione aveva ripe- tuta nel 1181 davanti all'arcivescovo di Lione (30). Con maggiore inci- sione di Ecolampadio, che per conto suo aveva già espresso qualche ri- serva sul rispetto incondizionato delle autorità temporali (31), la « Con- fessio Augustana », pur ribadendo che « i cristiani devono necessaria- mente obbedire ai loro magistrati e alle leggi », dichiara tuttavia che essi hanno ugualmente l'obbligo di opporvisi quando « comandino di

(25) Si tratta degli articoli 1 e 11: Gonnet, Rapporti cit., pp. 58 e 60; Vinay, Confessioni cit., pp. 139 e 141.

(26) La Confessione Augustana, versione di M. R. Serafini. Commento a cura di G. Toum. Introduzioni di A. Agnoletto, M. Cassese, U. Gastaldi, J. Kleemann, P. Ricca. Torino, Claudiana, 1980: cfr. in particolare il saggio di U. Gastaldi, / « radicali » nella Confessione Augustana, pp. 55-98.

(27) Conf. Aug., artt. 5 e 14, pp. 120 e 126.

(28) Ivi, art. 16, p. 127.

(29) Ivi, artt. 1, 5, 8, 9, 12, 14, 16 e 17, pp. 116, 120, 122, 125, 126, 127 e 129.

(30) Atti 5,29: « Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini », passo ricor- dato dall'art. 16, p. 128.

(31) Cfr. più sopra nota 19.

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GIOVANNI GONNET

commettere peccato », perché in tal caso vai meglio « obbedire a Dio an- zicché agli uomini » (32). A questo invito alla disubbidienza civile, la nostra « Confessio » ne aggiunge un altro altrettanto significativo alla disubbidienza religiosa: « se i vescovi insegnano o istituiscono qualco- sa di contrario all'Evangelo, le Chiese hanno in tal caso il comanda- mento di Dio che vieta loro di obbedire », e in appoggio vengono citati dei versetti biblici estremamente significativi, come il « Guardatevi dai falsi profeti » di Matteo 7: 15, o il « Non possiamo nulla contro la ve- rità » di II Corinzi 13: 8 (33). In questo duplice invito alla disobbedien- za sia civile che religiosa, io ci vedo un retaggio valdese! Certo, le cose non erano così semplici come appare a prima vista, e i Valdesi che in taluni momenti tragici della loro storia dovettero prendere le armi per difendere non solo se stessi, le loro famiglie e le loro terre, ma anche l'integrità della loro fede, ne sapevano qualcosa!

Giunti al termine del nostro discorso, possiamo in qualche modo dare una risposta alle nostre domande iniziali? Per quanto provvisorio debba essere il nostro bilancio, porrei all'attivo, oltre il duplice invito alla disubbidienza testé ricordato, una opposizione più netta nei ri- guardi di Roma, la decisione di formare delle chiese autonome con pa- stori fissi e templi per il culto pubblico, una preparazione dei futuri pastori più approfondita in senso teologico, una nuova ermeneutica più Paolina che giovannea, nonché la spiritualizzazione delle forme di pietà sia individuali che collettive sotto il duplice segno della giustificazione ner fede e della libertà cristiana. Di fronte a questi evidenti guadagni, ci sono però delle perdite, quali il mancato dinamismo dell'evangelismo itinerante, l'offuscamento del principio di una riforma endocrina della Chiesa, e soprattutto l'obnubilazione mi si perdoni il termine del senso del provvisorio e del transeunte, che dovrebbe essere e rima- nere la caratteristica dei discepoli di Cristo inviati nel mondo senza possedere oro, argento, moneta nelle loro cinture, sacco per il viaffsio, due tuniche, scarpe, bastone, « perché l'operaio è degno del suo nutrimento » (Matt. 10: 9-10). Certo il valdismo autenti- co non muore per questo. Esso permane malgrado tutto, come spirito, come molla interna di risveglio e di riforma, pur soffocato dalla istitu- zione ecclesiastica.

GIOVANNI GONNET

(32) Conf. Aug.. art. 16, p. 128.

(33) Ivi, art. 28, pp. 169-170.

Il Valdismo medievale come religione penitenziale

1. Nella tradizione cristiana la fede si è sempre espressa in articoli che sono stati oggetto di glosse e di più ampi commenti presso i Padri e i Dottori della Chiesa. Tali articoli o sentenze, secondo una diffusissi- ma leggenda del primo medioevo, furono dettati ciascuno da un deter- minato Apostolo e raccolti nel Simbolo Apostolico (1).

La comunità valdese, presumibilmente già nella seconda metà del '200, redasse una formula di fede, la regola della vera fede, in sette arti- coli, attenendosi alla confessione o professione di fede di Valdo del 1179-1180 (2). Questa regola di fede valdese divenne ben presto la formu- la a credere, a difendere e a predicare la quale si impegnavano i Maestri nel momento della loro ordinazione (3). Si trattava di una formulazione attenta ai contenuti autentici della fede cattolica così come erano comu- nemente accettati verso la metà del secolo XII, creduti identici a quelli della prima Chiesa. In sostanza si tratta della stessa fede di Valdo, espres- sa secondo formule già in uso nella Chiesa del primo Medioevo, a cui Valdo aveva aggiunto espressioni di impegno per la pratica della po- vertà e per la difesa della fede (4).

Non sarebbe comprensibile la storia della teologia medievale val- dese senza un continuo attento riferimento alla professione di fede di Valdo dalla quale furono ricavati i 7 articoli. Alla regola di fede valdese non ci furono obiezioni di fondo da parte della Chiesa Cattolica: gli in- quisitori si limitarono a far presente che questa regola, formulata in sette articoli, aveva sostituito il Credo e si era quindi verificato il feno- meno, ben documentabile nei processi dei Valdesi del Brandeburgo e della Pomerania alla fine del '300, che i fedeli Valdesi non conoscevano

(1) Vedasi ad esempio il Sermo de symbolo attribuito ad Agostino in Sancii Augustini Opera, t. XVII, Bassano 1797 (secondo l'ed. Maurina, 1951-52).

(2) Vedasi R. Cegna, Storia della teologia valdese, introduzione a Fede ed etica valdese, I, di prossima pubblicazione.

(3) Per il 1391 cfr. E. Werner, Nachrichten iiber spdtmittelalterliche Ketzer aus tschechoslowakischen Archiven und Bibliotheken. Beilage zur Wissenschaftlichen Zeitschrift der Karl-Marx-Universitdt Leipzig, XII, 1963, 1, pp. 266; per la prima metà del '400 vedasi trattato Continuatio simboli apostolorwn attribuito a Stefano Bodecker, D. Kurze, Qiiellen zur Ketzer geschicht e Brandenburgs und Pommerns, Berlin 1977, p. 281.

(4) Vedasi R. Cegna, Introduzione cit.

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ROMOLO CEGNA

più il simbolo apostolico (5). Solo nel '400, sotto l'influsso ussita-tabo- rita, esso torna a far parte del bagaglio delle nozioni che il buon Valdese deve conoscere, come risulta dal suo ricupero nella letteratura valdese del secolo XV.

2. Per comodità d'inquisizione e secondo l'antico uso delle condan- ne di eresiarchi ed eretici con enunciazione dei vari errori, gli operatori della Chiesa romana, quando dovettero rivolgere la loro attenzione al movimento valdese, usarono redigere serie di articoli di errori che non si riferiscono a principi di base ma ad applicazioni della comune fede cristiana. Inquisitori e polemisti esaminarono e commentarono questi errori con diverse enunciazioni e da diff^erenti angolazioni. Oltre che nel DoUinger (6) e in Rudolf Holinka (7), anche in E. Werner troviamo una importante ricerca, limitatamente però ai documenti di biblioteche e archivi cecoslovacchi sugli eretici dell'ultimo medioevo ('300-'400) con la pubblicazione di serie di articoli (8) di errori valdesi. Per quanto ri- guarda le raccolte di errori valdesi va pure indicato l'opuscoletto in lin- gua tedesca stampato in Germania negli anni venti del '500, presentato da Valdo Vinay (9) nella nota Dottrine e origine dei Valdesi, dei poveri di Lione, di Wyclif e Hus.

Vinay, che ha trovato l'opuscolo Artikel und Ursprung der Walden- ser und der Armen von Lugdun auf Joannis Wicleffen und Joannis Hussen nella biblioteca dell'Evangelisches Stift di Tubinga, fa presente che copie manoscritte si trovano in varie biblioteche tedesche. Per quan- to riguarda alcuni punti del commento di Vinay osservo che una scono- sciuta copia stampata dell'opuscolo si trova nella Knihovna Pamâtnîku Nârodm'ho pisemnitctvi na Strahovô di Praga con la segnatura B CH V 150/2/Valdesi rilegata con opuscolo datato 1522 (10).

Nella introduzione storica dell'opuscolo si rileva che i poveri di Lione « non conoscendo il latino, hanno scritto libri nella loro lingua in- glese, francese e italiano», come traduce Vinay (11). L'anonimo autore della nota storica con il termine « welsch » probabilmente intendeva la lingua parlata nelle zone italiane che non erano necessariamente solo quello che noi diciamo « italiano », ma la varietà delle lingue parlate in

(5) Testimonianze negli interrogatori in D. Kurze, op. cit., passim.

(6) Dokumente vornehmlich zur Geschichtc der Valdesier und Katharer in Beitrdge zur Sektengeschichte des Mitteìalters, II, Miinchen 1890, passim.

(7) Sektàrstvi v Cechach prded revoluci husitskou, Bratislava 1929.

(8) E. Werner, op. cit.

(9) « Bollettino della Società di Studi Valdesi », n. 143, 1978, pp. 57-61.

(10) L'anno di edizione 1524 attribuitole dalla Biblioteca del British Museum è probabilmente errato, se nella copia di Tubinga l'opuscolo risulta acquistato, con nota manoscritta, nel 1522, la cui data concorderebbe con quella possibile della copia di Praga.

(11) Il termine «italiano» è, nell'opuscolo, welsch. Tale parola degli antichi germani, che si scontrarono coi celti Volcae, passò all'area dell'antico slavo e si è conservato ancora tra l'altro nell'antico ceco Vlach, da cui Italia = Vlachy, italia- no = vlassky, nell'attuale polacco e nel croato Wochy, Woch, woski.

IL VALDISMO MEDIEVALE COME RELIGIONE PENITENZIALE

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Italia alla fine del '300 e nel '400, tra cui il provenzale nelle sue deriva- zioni piemontesi. Non sembra quindi esatto parlare di solo « italiano ». Il fatto poi che non si faccia riferimento alla letteratura valdese in tede- sco è spiegabile anche con ciò che ci è noto: la letteratura valdese ha la sua origine nelle comunità piemontesi e svizzere (lingua latina e lingua francese o provenzale) e nelle comunità austriache (che pure usavano la lingua latina, come risulta dal carteggio tra Valdesi italiani e Valdesi austriaci attorno al 1368) (12).

Osserviamo inoltre che gli « errores pauperum de Lugduno » del- l'opuscolo non ci danno notizie originali poiché non sono altro che la traduzione letterale in tedesco di parte del De inquisitione hereticorum dello Pseudo Davide d'Augsburg (13). E ancora la notizia dell'opusco- letto su Pietro da Dresda, che, secondo la tradizione del tardo '400, avrebbe introdotto nella riforma boema la pratica della comunione del popolo con le due specie, è falsa: la storiografia del '400, seguita poi per secoli, ha confuso la persona del canonista Nicola della Rosa Nera, ini- ziatore con Jacobello dell'Utraquismo boemo, con quella del filosofo collega Pietro da Dresda, dello stesso gruppo. Vinay non corregge l'ine- sattezza, riferendosi semplicemente a una ristampa recente di un lavoro del tutto errato di Heinrich Bohmer del 1915, completamente superato dagli studi della scuola storica dell'Ussitismo di Sedlâk-Bartos-Pekaf- Kaminsky-Molnâr con motivazioni e argomenti e documenti ben cono- sciuti (14).

3. Differente da liste di errori valdesi finora edite o comunque co- nosciute è la lista di quindici errori che ho trovato nel Codice 229 della Biblioteca del Seminario di Pelplin in Polonia, nel nord verso Danzica. Tale Biblioteca ha la sua origine dall'Abbazia cistercense di Pelplin fon- data nel 1274 e soppressa nel 1823. L'allora biblioteca comprendeva al- cune migliaia di codici e in parte passò alla Biblioteca del vescovo di Chem, che dal 1824 ebbe come sede appunto Pelplin, e quindi al locale seminario dove tuttora si trova. Codici preziosi furono donati alla Biblio- teca in seguito a soppressione di ordini e di monasteri e conventi negli anni trenta dell'SOO nel nord-ovest della Polonia, sotto il governo prus- siano. Attualmente la biblioteca ha conservato parte della sua ricca do- tazione e ha subito perdite solo del quaranta per cento durante l'ultima occupazione tedesca.

Quanto ho detto aiuta a capire come sia difficile indicare la prove- nienza del Codice 229: di formato cm. 21 x 15, con fogli 268, esso pro-

(12) Ved. testi ad esempio in Ms. Hs. Aug. 48 della Badische Landesbibliothek- Karlsruhe, ff. 328' - 341'.

(13) Ed. Wilhelm Preger in « Abhandlungen dar historischen Klasse der Kò- niglich-bayerischen Akademie der Wissenschaften », III, 14, B. 2, Miinchen 1878, n. 5, alle pp. 206-209.

(14) Ved. R. Cegna, introduzione a Nicola della Rosa Nera, De reliquiis et vene- ratione sanctorum: de purgatorio, Warszawa 1977, « Medievalia Philosophica Polo- norum » XXXIII.

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ROMOLO CEGNA

viene probabilmente dalle stesse zone in cui si era diffuso il Valdismo tedesco con la colonizzazione del '200 e '300 (Nuova Marca, Brandeburgo orientale, Pomerania occidentale). Nella scheda della Biblioteca il Co- dice è datato 1394, ma giustamente Wadysaw Senko nel quaderno 14 del catalogo microfilm della Biblioteca Nazionale di Varsavia contenente i microfilm di codici di Pelplin lo data genericamente « sec. XIV-XV ». In esso infatti troviamo una annotazione nella carta 44v, immediatamente precedente la nostra lista, con l'indicazione dell'anno 1402 in cui fu scrit- to il « registro » dei temi dei sermoni domenicali. C'è appena prima, al f. 33v, l'assoluzione data dal Concilio di Basilea, non prima del luglio 1431, probabilmente aggiunta su foglio precedentemente lasciato in bian- co nel codice redatto tra la fine del '300 e i primi del '400.

Il foglio 45 recto che contiene i quindici errori valdesi ha subito gravi danni per l'umidità nel margine inferiore e nell'angolo superiore a destra, per cui alcune righe risultano assolutamente illeggibili, ma il fatto non compromette la comprensione del loro senso.

Presento ora la trascrizione dell'inedito testo del codice [Ms 229, f. 45r]:

Nota. Secuuntur articuli secte waldensium hereticorum etcetera. Primo quod orationes, jeiunia, elemosine, celebraciones et alia quevis de genere honorum opera ob solius Dei et non beate et intemerate Dei Genitricis Marie nec alicuius sancto- rum fieri debeant laudem, gloriam et honorem.

Secundo quod post banc vitam nullum sit omnino purgatorium, sed solum due (sic) vie honorum inmediate ad vitam et malorum inmediate ad mortem eternam.

Tercio quod sufìragia ecclesie pro defunctis facta nichil omnino prosint.

Quarto quod omne juramentum sive in iudicio sive extra quocumque modo factum sit peccatum.

Quinto quod omne homicidium quanticumque eciam maleficij judicialiter et quocumque modo factum fuerit sit peccatum.

Sexto quod indulgencie papales et episcopales nichil omnino prosint.

Septimo quod can tus ecclesiasticus nichil valeat (seguono circa otto parole illeggibili).

Octavo quod sepultura ecclesiastica nichil omnino prosint.

Nono quod aqua benedicta, sai, candele, palme, herbe, cibi, cineres ad nichi- lum conférant id est nichil addite sanctificationis ex verbis prolatis obtineant.

Decimo quod paramenta episcoporum scilicet infula, cur\'atura, cirotece, san- dalia et apparatus alius ipsorum non sit necessarius nec eciam apparatus orna- tuum in ecclesiis pro sacerdotibis celebrantibus.

Undecimo quod ymago crucifixi et beate Marie et aliorum sanctorum ymagines non sint aliqualiter venerande.

Duodecimo quod dedicaciones ecclesiarum et annue celebraciones earundem ad nichilum sint utiles.

Tertiodecimo quod excommunicaciones papales, episcopales et judiciales prela- torum ecclesie coram Deo nichil ligent.

Quartodecimo quod illa secta waldensium sit vera fides... (illeggibile)... et... ea sola... (illeggibile).

4. Non conosciamo liste uguali o simili di errori valdesi. Qualche rassomiglianza, ma solo per alcuni punti e non certo per l'impostazione

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IL VALDISMO MEDIE\ ALE COME RELIGIONE PENITENZIALE

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generale, si riscontra colla lista edita da Jacob Gretser (15), su trascri- zione del Codex Olomoucensis 69 da E. Werner (16) e dal Codice XIII E 7 della Biblioteca universitaria di Praga da Holinka (17). Si tratta di qual- che punto di assonanza di formulazione, nulla di più: « Item omne ho- micidium, quarumcumque maleficiorum, credunt mortale peccatum... »; « Item omnia apparamenta episcoporum, infulas, cyrothecas, curvatu- ram, annulos etc. vocant superstitionem ».

Compare lo stesso insegnamento a riguardo della negazione del pur- gatorio, della non liceità di qualsiasi tipo di giuramento, della condanna del canto nelle Chiese, della venerazione di immagini e della stessa croce, della dedicazione, consacrazione delle Chiese e celebrazione dei loro an- niversari, del rifiuto dei cosiddetti sacramentali, della sepoltura eccle- siastica in luogo consacrato a tal fine, delle indulgenze, delle scomuniche.

Anche linguisticamente è notevole la coincidenza dell'insegnamento dell'articolo sui paramenti, piia ricco però nella nostra lista: vi si riscon- tra la parola « curvatura » che nel Glossarium Mediae et infimae latini- tatis di Charles Du Cange è detto di difficile interpretazione: « Legendum forte paraturam, nisi Curvaturae nomine intelligatur pedum episcopale incurvum ». Il termine è Ietto appunto nell'elenco degli errori dei Val- desi, edito dal Gretser e potrebbe effettivamente voler dire « verga pa- storale ».

La presenza di questo punto della condanna dei paramenti vesco- vili in due diverse liste di errori valdesi è segno di una sicura sua collo- cazione nell'insegnamento valdese del '300 (la lista è databile nella fine del secolo, in base all'età del manoscritto che la contiene) nel quadro della critica alla composita liturgia cattolica e al desidero di una sem- plificazione di essa. Non si condanna la dottrina romana ma la struttura del culto romano, come risulta evidente nella serie di errori raccolti nel- la lista di Pelplin che conclude in forma simile a quella della serie di Gretser-Werner-Holinka: « Item quod ilia secta sit vera et unica fides katholica extra quam nullus possit salvari ».

La fede valdese raccoglie nella sua sostanza l'unica vera dottrina cristiana alla quale per salvarsi bisogna aderire esplicitamente con aper- ta professione o almeno implicitamente, quando si è fuori della setta (da parte dei cattolici romani), con l'osservanza della vera legge di Cristo.

Insolita, originale anzi, è la formazione di questa lista di errori che non parte, come le altre liste, dalla condanna esplicita della Chiesa di Roma o dalla credenza dei Valdesi nell'autenticità della loro missione di pastori, si limita invece a esprimere ciò che i Valdesi condannano nel- la realtà operativa della Chiesa di Roma: indulgenze, scomuniche, pur- gatorio, culto dei santi e venerazione di immagini e croce, liturgia ecces- siva, benedizione alle cose e nella sepoltura, liceità del giuramento e del- l'omicidio legale, venialità della menzogna.

(15) Jacobi Gretseri, Opera omnia, tomo XII, Lutherus Academicus et Walden- ses, Ratisbonae sumptibus Conradi Peez, 1738, pp. 95-96.

(16) E. Werner, op. cit., pp. 267-271.

(17) Holinka, op. cit., pp. 176-179.

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ROMOLO CEGNA

Si rispecchia la situazione della fine del '300 in una zona della Pome- rania, cioè quella documentata dai processi del Brandeburgo e Stettino editi dal Kurze nell'opera citata. Valga come esempio di corrispondenza la deposizione di Cune Corrado di Grifenhagen oggi Gryfino, a una de- cina di chilometri a sud di Stettino (Szczecin) sui confini nella Polonia nord-ovest: « Interrogatus an eciam invocaverit beatam Virginem Ma- riam et alios sanctos in patria et crediderit se per oraciones eorum adiu- vari, respondit quod invocaverit, attamen crediderit heresiarcarum per- suasionibus, eis non eos debere invocare, quia pieni essent gaudio, quod non oportet. Interrogatus an oraverit pro animabus defunctorum fide- lium, respondit quod non, quia dixerint ei, quod non essent nisi due vie post hanc vitam et non purgatorium... Interrogatus an crediderit sectam suam fuisse veram fidem katholicam, extra quam nullus salvaretur, re- spondit quod sic, quia hoc dixerunt eis heresiarce ».

L'interrogatorio (18) è del 22 novembre 1399 svolto su articoli, come chiarisce il verbale: « Ad alios articulas inquisitor transiit » (19).

Il 9 dicembre dello stesso anno un certo Giacomo Welsaw depone: scherzando un poco con i Maestri valdesi quod semel iocose dixerit ») aveva detto che i loro sermoni gli piacevano « quoniam non darent in- dulgencias » e quelli risposero « quod dimittere peccata essent indul- gencie » (20).

L'indulgenza è quindi intesa come assoluzione dai peccati, con rife- rimento al perdono dato unicamente e direttamente da Dio, in seguito a vero pentimento e penitenza: appunto « Dall'indulgenza » sarà chia- mato nel Libro espositivo delle dottrine valdesi e nel Trésor e lume de fe, il capitolo sulla assoluzione dai peccati (21). Margaritha il 26 gennaio 1393 depone: « ...et omne iuramentum crediderit esse mortale pecca- tum... et maleficos occidentes eciam iucialiter reputaverit dampnandos, si non peniterent » (22). Sybe Hutvilter di Barenwàlde (oggi villaggio di Bincze, nel Nord-Ovest della Polonia, attorno a Czuchòw, a metà strada tra Stettino e Danzica) depone il 26 gennaio 1393: « Interrogatus an can- tum ecclesiasticum crediderit magis valere quam simpliciter sub silen- cio celebrari, respondit quod audiverit, quod melius esset sub silencio fieri » (23).

Tyless, moglie di Hans Sleyke di Fredewalde (in quel di Templin nella Repubblica Democratica Tedesca, al sud estremo del Nuovo Bran- deburgo, a un centinaio di chilometri a sud-ovest di Stettino) depone il 27 gennaio dello stesso anno: « interrogata de indulgenciis an crediderit esse utiles, respondit quod non quia dixerint excogitatum propter ava- riciam clericorum, et de excommunicationibus similiter » (24).

(18) D. Kurze, op. cit., pp. 79-80.

(19) Luogo cit.

(20) D. Kurze, op. cit., p. 96.

(21) Ved. R. Cegna, Introduzione cit.

(22) D. Kurze, op. cit., p. 117.

(23) D. Kurze, op. cit., p. 120.

(24) D. Kurze, op. cit., p. 124.

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Caterina, moglie di Heyne Frieze di Gunterberg (attorno ad Anger- munde nella Repubblica Democratica Tedesca, a metà strada tra Stetti- no e Berlino) depone il 28 gennaio: « ...et quod aqua benedicta, sai, ci- neres, etc. esset infidelitas et quod presbiteri excogitassent, et hoc credi- derit. Item cantum ecclesiasticum et pulsus dixerit, presbiteros per hoc pervertere mundum et melius facere sub silencio celebrare, et quod nul- lum esset orandum quam Pater Noster... » (25).

Le citazioni potrebbero continuare.

5. La sostanza degli articoli valdesi della nostra lista, che rispecchia la situazione del Valdismo della seconda metà del '300 delle zone indi- cate, è in sintonia con la lista di cui si è detto, edita tra l'altro dal Wer- ner e datata con il 1 settembre 1391, attribuibile a un inquisitore vicino a Pietro Pilichsdorf o meglio a Peter Zwicker della seconda metà del '300, bene informati sui Valdesi della Marca del Brandeburgo e Pomerania e Austria (26), secondo la polemica antivaldese del Tractatus Petri de Pilichsdorf contra heresiam Waldensium attribuibile al ricordato Pietro Zwicker, provinciale dell'Ordine dei Celestini, organizzatore dell'Inquisi- zione a Stettino, Brandeburgo e Pomerania nel 1392-1394 (27). Tuttavia la novità essenziale della lista di articoli valdesi del codice di Pelplin è l'impostazione, il significato dato a tutta la dottrina valdese, con l'intro- duzione di un nuovo articolo che non compare in nessuna altra lista, proposto in prima posizione: « Preghiere, digiuni, elemosine, celebrazio- ni, qualsiasi altra opera di quelle buone devono essere fatte a lode, glo- ria e onore del solo Dio e non della beata e intemerata Maria, Genitrice di Dio di alcun santo ».

Nei processi di Stettino si ha una significativa deposizione di Sybe Hutvilter, già sopra ricordata, il quale afferma: « Interrogatus quid fue- rint doctrine eorum de invocacione sanctorum, respondit, quod fecerint eum ieiunare... ad laudem Dei... et quod ieiunaverit apostolis suis Sy- mone et Juda et aliis ad laudem solius Dei et non sanctorum... » (28). Nella lista di Olomouc si legge nella penultima posizione: « Item déri- dent Christianos qui eligunt sibi apostolos... et qui vigilias sanctorum ieiunant et festa celebrant et si ipsis... similia faciunt et dicunt se hoc solum ad laudem Dei et non sanctorum facere » (29).

L'inquisitore che ha redatto la lista di Pelplin ha voluto sottolineare il prevalente carattere penitenziale del Valdismo, dogmaticamente alli- neato con la Chiesa di Roma, disciplinarmente però all'opposizione. I Maestri Valdesi predicano quindi la religione della penitenza, della re- missione dei peccati che si ottiene con il pentimento, la confessione dei peccati, il compimento delle opere buone come preghiera, elemosina, di-

(25) D. KURZE, op. cit.. p. 131.

(26) D. KuRZE, op. cit., p. 131.

(27) D. KuRZE, op. cit., pp. 5 seguenti; il Tractatus dello Pseudo-Pilichdorf tro- vasi edito in Gretser, Opera omnia, t. XII, Ratisbona, pp. 50-87.

(28) D. KuRZE, op. cit., p. 120.

(29) E. Werner, op. cit., p. 270.

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giuno. Tutto è ovviamente, direttamente rivolto a Dio, non alla celebra- zione dei santi.

I processi di Stettino presentano la penitenza come il momento es- senziale dell'atto di fede valdese: i Maestri itineranti infatti confessano, ma i fedeli sanno che non si tratta di sacramento, per il quale continua- no a rivolgersi al prete cattolico, debitamente consacrato dal Vescovo. Presso i Maestri si ha una esplicazione di penitenza con la quale si ottie- ne la remissione dei peccati, compiuta nella denuncia al maestro in se- greto dei proprii peccati e del compimento di digiuni e preghiere ed elemosine. Pur con sfumature di differenze nelle varie esposizioni, rima- ne illuminante quella, sopra citata, di Cune Corradi:

Et sic primo venit ad confessionem heresiarce in domo paterna, cum esset annorum 12 et iam sit bene in etate 40 annorum... denuo revocatus est ad sectam quod sunt iam anni 18, in quibus ipse confessas est in anno ad minus semel et ali- quando bis in domo ipsius et aliquando hic circa Stetyn in domo Hans Gudynger. Interrogatus quales reputaverit eos puta confessores eosdem seu heresiarcas, respondit quod sanctos homines loco apostolorum ambulantes, sed non reputaverit eos presbiteros unquam. Interrogatus quid iniunxerint ei pro penitencia, respondit aliquot dies ad ieitmandum, 10 vel 20 eciam in pane et aqua et aliquando in cervisia et pane et ad oratidum 50 Pater noster in omni die et dominicis centum... et quod tenuerit iiiam peniteiìciam et crediderit se absolutum et penitenciam sibi proficere ad salutem. Interrogatus an eciam confessus sit sacerdotibus ecclesie e*, suscepe- rit corpus Christi, respondit quad sic omni anno, sed non revelaverit se esse in secta quia prohibitus (30).

Confessione sacramentale e penitenza con ugual potere di assoluzio- ne o indulgenza dei peccati (come, si è visto sopra, predicano i Maestri valdesi) fan parte della pratica regolare di questa religione valdese che non ha bisogno di insistere su una dogmatica conosciuta dai fedeli nella consueta frequenza della predicazione cattolica ma piuttosto ripulisce la professione di fede dalle molteplici consuetudini superstiziose legate a quell'altra religione popolare che prospera sotto lo sguardo compia- cente del parroco o del plebano. In queste superstizioni o aberranze sta tutto ciò che si è accumulato fuori della professione di fede di Valdo, che, bisogna ricordare, ha trovato la sua enunciazione nei sette articoli di fede. Per quanto riguarda in particolare la penitenza Valdo aveva sot- toscritto: « Peccatoribus corde penitentibus et ore confitentibus et opere secundum scripturas satisfacientibus veniam a Deo posse consequi con- cedimus » (31). Secondo l'intenzione di chi accoglieva nel 1180 tale pro- fessione, cioè il Legato pontificio, le parole si riferivano al sacramento ma, in un atteggiamento iniziale di Valdo di predicazione pauperistica e penitenziale, nella sua opposizione, particolarmente in questi atteggia- menti, al Catarismo, si deve pensare che egli intendesse la penitenza nel senso anche più ampio.

(30) D. KURZE, op. cit., pp. 79-80.

(31) Edizione critica in K.-V. Selce, Die ersten Waldenser, Berlin 1967, II, p. 4.

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6. La tradizione valdese portò nel campo della penitenza a una dico- tomia: confessione come sacramento e penitenza come confessione. Nel Trecento il fatto è chiaro, si è visto. Ma nel '400, come si comportò il Val- dismo? Una risposta si può avere dalla ricca letteratura valdese elabo- rata e prodotta lungo il secolo XV in parte a noi giunta. Non si può fare un diretto confronto con la letteratura valdese del '300 in gran parte di- strutta, di cui c'è rimasta solo la cosiddetta narrazione della Régula val- densium e l'epistolario tra Valdesi italiani e Valdesi austriaci, produ- zione che risale agli anni attorno al 1368, ben conosciuta da parte dei polemisti cattolici e inquisitori della fine del '300 (32) che la indicano come il « liber electorum » scritto da uno « storiographus » (33).

7. Quanto si è detto sull'anima penitenziale del Valdismo del '300 è però sufficiente per rendersi conto che il Manuale catechetico valdese del '400 (34) è fedele alla tradizione valdese quando presenta, nell'ambi- to del capitolo dei Sacramenti, la Penitenza e confessione (su testo lega- to ad opere del vescovo taborita Nicola Biskupec di Pehlfimov) e d'altra parte si diffonde in uno speciale capitolo a parlare della Penitenza, con- servando il rispetto alla dicotimia che è propria non solo del Valdismo, ma anche della più autentica tradizione cristiana da Agostino in poi.

Se vogliamo porci il problema delle fonti dei temi trattati nella Pe- nitenza valdese del Libro espositivo e del Trésor e lume de je dobbiamo infatti ricordare quanto sulla penitenza abbiano scritto i grandi dottori della Chiesa, tra cui Ambrogio e Agostino.

L'idea fondamentale che regge in particolare l'ideologia penitenziale agostiniana, che così si trasmette alla tradizione, è il riferimento a quan- to insegna il capitolo VI di Matteo in cui Cristo insegna che la giustizia per la salvezza spirituale si realizza in elemosina, preghiera e digiuno, che vengono presentate come le forme in cui si attua l'insegnamento fon- damentale che inaugura il Vangelo: « Fate penitenza » (Matteo 4, 17).

8. La letteratura ussita e taborita volle dare spazio agli insegnamen- ti penitenziali secondo la tradizione di Agostino e Ambrogio completati coi riferimenti penitenziali di Gregorio Magno (35) e di ciò che insegna il cosiddetto Opus imperjectum dello Pseudo-Crisostomo, dove, appunto nella molto utilizzata omelia 15 a commento del capitolo VI di Matteo,

(32) Per la Régula valdensium vedasi R. Cegna, Storiografia ed ecclesiologia dei Maestri Valdesi, in « Bollettino della Società di Studi Valdesi », n. 135, giugno 1974.

(33) Ved. Anonimo, Tractatus contra waldenses et libellum cuiusdam heretici: Quamvis diversi sunt hereses fidei catholice adversantes, Codice Aug. 48, Landes- bibliothek, Karlsruhe, f. 329' - 330-.

(34) Detto da Fra Samuele di Cassine Libro espositivo, sostanzialmente corri- spondente al Ms. 208 di Ginevra per la parte rimasta e del Trésor e lume de fe del Manoscritto C 5 22 di Dublino; ved. R. Cegna, Fede ed etica valdese cit.

(35) Soprattutto nelle 40 Omelie sui Vangeli, P.L. 76, 1075-1312.

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ROMOLO CEGNA

si codifica l'insegnamento cristiano nella formula: « Item omnium hono- rum prima et fortiora sunt tria bona, elemosyna, oratio et jeiunium » (36), con riferimenti anche al vero Crisostomo (IV secolo) e in particolare all'omelia 46 (37).

Nel settimo secolo Isidoro di Siviglia compone tra l'altro tre lihri di Sentenze, opera detta poi Summum bonum dal suo Incipit. Si tratta più che altro di una raccolta di citazioni prevalentemente prese da Ago- stino e Gregorio che ebbe enorme fortuna nel Medio Evo e in partico- lare presso i riformatori ussiti e taboriti. La penitenza è trattata indi- rettamente o direttamente in alcuni capitoletti del libro II e III (38). Non fu dimenticato il consigliere di Carlo Magno, capo della Scuola palatina, abate in S. Martino di Tours, Alcuino, che scrisse sulla Penitenza e sulle opere di penitenza tra l'altro nell'opuscolo De virtutibus et vitiis li- ber (39). Fu Pietro Lombardo (+ 1160) a fare per primo un discorso com- pleto e sintetico sulla penitenza, base di ogni commento e ampliamento posteriore, nei IV Libri sententiarum e precisamente nel IV libro, distin- zioni 14-22 (40).

La ricchezza dell'insegnamento medievale sulla penitenza fu raccol- ta dal canonista Graziano nel Decretum (41). Graziano collocò nella se- conda parte alla questione III della Causa 33 un ampio Tractatus de poenitentia, diviso dopo di lui in sette distinzioni (42) dove leggiamo la maggior parte tra l'altro dei testi, relativi all'argomento, dello Pseudo- Agostino, di Girolamo, Gregorio, Isidoro, dello Pseudo-Crisostomo e di commenti di papi.

Alcuni temi dei canonisti diverranno presto argomento di discussio- ni e di insegnamento nella riforma boema: ci si chiedeva cosa fosse pe- nitenza vera, quale fosse quella falsa, a chi ci si dovesse confessare e so- prattutto quale fosse il tempo della vera penitenza, vale a dire, se si po- tesse diflFerire pentimento e riparazione dei peccati agli ultimi istanti e se ci fosse possibilità di penitenza dopo morte.

Non poteva non occuparsi dell'importante argomento della peni- tenza Roberto Grossatesta (+ 1255), cancelliere all'università di Oxford e dal 1235 vescovo di Lincoln (per cui verrà chiamato Lincolniense nelle citazioni e nei riferimenti). Zelantissimo, egli promosse la riforma dei costumi del clero e fu oppositore estremo degli abusi nella concessione e utilizzazione di più « benefici ecclesiastici », tanto da opporsi allo stes- so Papa Innocenzo IV che esigeva un canonicato per un suo nipote nella Chiesa di Lincoln (43). Le sue opere, in gran parte inedite, come i Dieta,

(36) P.G. 56, 715.

(37) Per altri numerata 47: P.G. 58, 475-482.

(38) P.L. 83, 606-679.

(39) P.L. 101, 618-626.

(40) L'illustrazione del sacramento della confessione o penitenza, P.L. 192, 868-899.

(41) Concordantia discordantium canonum, edizione critica nel Corpus Juris Canonici, editio lipsiensis secunda post Aemilii Ludovici Richterì curas instruxit Aemilius Friedberg, l, sull'edizione del 1879, rist. anastatica, Graz 1959.

(42) Fried., l, 1159-1247.

(43) HuRTER, Nomenclator litterarius theologiae catholicae, Innsbruck 1906, l\, 330-333.

IL VALDISMO MEDIEVALE COME RELIGIONE PENITENZIALE

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furono utilizzatissime per il loro spirito riformista anticuriale da rifor- marsi come Wyclif (+ 1384) e in genere dagli operatori ussiti e taboriti.

Wyclif, il noto riformatore inglese che ispirò il cosiddetto lollar- dismo e fu maestro amato della riforma boema, si occupò nel suo Tria- logo soprattutto della critica al sacramento della confessione che si era strutturato nel '200, in contrasto con la precedente tradizione, in con- fessione auricolare segreta del singolo penitente al singolo sacerdote (44). Nelle sue numerose opere non dimenticò ovviamente il problema della penitenza e suggerì una formulazione chiara agli stessi prossimi futuri riformatori boemi del primo '400 nel suo De religione privata (45) dove leggiamo: « ...deus non constituit papam vicarium suum ad remittendum, scilicet certa remissione penitenti periodum integri sacramenti peni- tencie. Nec obstat huic sententie sed consonat cum ea quot in homine discreto, dum hic vivit, est duplex penitentia que consistit in ieiunio et oracione et elemosina, que prudenter a sacerdote ministrantur... » (46). L'ampia utilizzazione che Wyclif fece di Roberto Grossatesta favori con l'ingresso delle sue opere in Praga anche quello del Lincolniense i cui Dieta e Sermones nella sola Biblioteca Universitaria di Praga si trovano trascritti in ben cinque codici di origine ussita sicuramente databili tra i primi del '400 e il 1419.

Il Maestro Giovanni Hus, bruciato sul rogo a Costanza all'inizio del luglio 1415, su condanna dell'Assemblea del Concilio di Costanza, verso il 1409 aveva compiuto il suo commento al quarto libro delle Sentenze di Pietro Lombardo e dedicava alcune pagine alla confessione e peni- tenza (47). Egli conferma la dottrina sulla penitenza proponendo attor- no a questo tema una logica concatenazione di insegnamenti: « Quot sunt opera satisfaccionis? respondetur quod tria principalia, ad que omnia alia reducuntur, scilicet elemosina, oracio et ieiunium » (48).

Nisola della Rosa Nera, del gruppo dei Maestri tedeschi legati al mo- vimento di Hus, dedicò al problema della confessione e della penitenza con prospettive originali, ricche di documentazione canonista, una parte degli inediti Puncta (49) e un accenno, coi riferimenti ai Puncta, nel com- mento alla quarta domanda del Pater Noster, a proposito dell'accidia, quando parla della penitenza ritardata alla fine della vita (50).

Venendo da questa scuola, nello spirito del radicalismo taborita ma con rispetto alla struttura gerarchica della Chiesa e alla sua essenza sa- cramentaria, Nicola Biskupec di Pelhì'imov negli anni venti del '400 si occupò della penitenza e della confessione ed elaborò scritti vari. Questi furono perduti o distrutti al tempo della persecuzione di Giorgio Po-

(44) John Wyclif, Triologus cum supplementum Triologi, ed. Gotthardo Lechler, Oxford 1869, pp. 326-333.

(45) In Polemical Works in Latin, edite da Rudolf Buddensieg, II, London 1883.

(46) Wyclif, op. cit., pp. 511-512.

(47) G. Hus, Super IV Sententiarum, ed. Vaclav FlajShans, Praha 1906, pp. 588-630.

(48) Op. cit., p. 594.

(49) Ms. IV G 15 della Biblioteca Universitaria di Praga, ff. 32v - 43v.

(50) Super Pater Noster, Ms. cit., f. 73v.

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KOMOLO CEGMA

dëbrad (51) ma il vescovo taborita li aveva già utilizzati nella Confessio Taboritarum nel 1431-1434.

9. Edouard Montet {Histoire littéraire des Vaudois du Piémont, Pa- ris 1885) aveva già attirato l'attenzione sul Trattato della penitenza val- dese nelle sue cinque redazioni: corta (Codice 207 di Ginevra), lunga (Co- dice 208 di Ginevra, col nostro Libro espositivo, e Codice 5. 22 di Dubli- no, nel Trésor e lume de fe) e ridotta (Codice 209 di Ginevra e DD XV 32 di Cambridge). Nella introduzione all'edizione del manoscritto di Gine- vra 209 (52) Annabella Degan Checchini prende atto che « questo tema (il tema penitenziale) doveva essere particolarmente caro ai Maestri Val- desi » (53), data la presenza di trattati su di essa in molti codici valdesi e aggiunge ai codici citati dal Montet il ms. 234 della Biblioteca Muni- cipale di Digione (Ara diren de la penitencia vera et de la falsa, ff. 8a - 15b, analogo al 207 di Ginevra) e il codice C 5 26 (ff. 103b - 105a) di Dublino dove, dice l'Autrice, si ha « un frammento di 3 pagine sotto il titolo cor- rente de la penitencia, che non ha però alcun rapporto, a parte la con- sonanza del titolo, con il testo » della Penitenza dei Manoscritti ginevri- ni e di altri da lei esaminati. Osservo che si tratta invece di due Sermoni, di origine ussita: il primo è su Gioele 2, 12-13 « Nunc ergo, dicit Domi- nus, convertimini ad me in toto corde vestro, in ieiunio et in fletu et in planctu et scindite corda vestra et non vestimenta vestra » (ff. 103v - 105r), l'altro su Matteo 6, 16 « Cum autem ieiunatis nolite fieri, sicut hy- pocrite, tristes » (la prima parte è penitenziale, ff. 105r - 106r; la seconda parte ff. 106r - 107r commenta Matteo 6, 19 « Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra ecc. »).

A proposito dei due sermoni non è possibile accettare la conclusio- ne della Degan Checchini che essi non abbiano niente in comune con i contenuti degli altri trattati penitenziali, poiché vi troviamo motivi pro- pri della meglio conosciuta trattatistica penitenziale valdese: impegno di non differire la penitenza (f. 103v - 104v), conversione con digiuni, la- crime e contrizione di cuore contro cupidigia carnale, avarizia e super- bia (ff. 104v - 105r), quattro condizioni del buon digiuno che sono vera penitenza, retta intenzione, integrità e completezza, accompagnato da digiuni ed elemesine (f. 106r). I sermoni che seguono si intonano a quel futuro al quale ci prepariamo con la penitenza.

10. Il sermonario raccolto nel Codice C 5 22 denuncia evidenti deri- vazioni da una scelta fatta da una colletta di sermoni proveniente da qualche circolo taborita e chi ha scelto, in apparente disordine, alcuni

(51) Circa la distruzione degli scritti taboriti e in particolare di quelli di Nicola Biskupec vedasi riferimento in A. MolN/<r, O tàborském pisemnictvi, in « Husitsky Tabor», II, 1979, p. 18.

(52) // Vergier de cunsollacion e altri scritti, Torino, Claudiana, 1979.

(53) Ed. cit., p. XXV.

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testi, rivela con questa scelta di voler predicare il bisogno, la necessità della penitenza, secondo lo spirito dell'insegnamento valdese da Valdo in poi, confermato in particolare nel '300 anche dal primo articolo della lista degli articoli valdesi di Pelplin (54). Si modifica tuttavia profonda- mente l'atteggiamento nei riguardi della ricca tradizione letteraria di padri e dottori della Chiesa, che viene non respinta ma recepita, assieme all'Opus imperi ectum dello Pseudo-Crisostomo, a Grossatesta e a Wy- clif, attraverso l'utilizzo che ne aveva fatto la letteratura ussita-taborita.

Varsavia, agosto 1980.

ROMOLO CEGNA

(54) Rinvio, per una più ampia illustrazione della letteratura penitenziale val- dese del '400 all'introduzione al secondo volume, in preparazione, R. Cegna, Fede ed etica valdese II [purgatorio, penitenza, preghiera, digiuno-elemosina, invocazione dei santi, p>otere della Chiesa, indulgenze].

Ricerche recenti su Juan de Valdés e il valdesianismo in Italia

Lo spunto per questa mia rassegna mi è stato offerto dalla stampa della prima edizione spagnola dell'opera di José Costantino Nieto, ap- parsa lo scorso anno con il titolo: Juan de Valdés y los origines de la Reforma en Espana e Italia (México-Madrid-Buenos Aires 1979).

Questa edizione segue la prima edizione in lingua inglese, apparsa nel 1970. Essa tiene conto del dibattito culturale che ne è seguito e dei nuovi contributi sull'argomento. Inoltre è corredata di un'importante Appendice di saggi, complementari all'opera, pubblicati da Nieto in questi ultimi anni. All'apparire dell'edizione del '70 Marcel Bataillon ne sottolineò la novità dell'interpretazione del pensiero del Valdés e si domandava, a conclusione della sua recensione sulla « Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance », XXXV, 1973: « L'important ouvrage de J. C. Nieto aurait-il ouvert une crise dans les études valdésiennes? ».

Purtroppo di questa svolta nella storiografia valdesiana si è avuta in Italia una scarsa consapevolezza. Se si eccettua l'ottima recensione di Massimo Firpo sulla « Rivista storica italiana » del '72, le reazioni nel nostro ambiente culturale, dominato ancora dalle interpretazioni di E. Cione e di frate Domingo di Santa Teresa, furono modeste.

Occorre pertanto richiamare qui, molto brevemente, l'interpreta- zione di Nieto. Valdés non è un mistico e nulla ha a che fare con la mi- stica spagnola o con quella tedesca di Tauler e di maestro Eckhart; non è neppure uno spiritualista nel significato di assertore di una reli- gione dello spirito disancorata da una precisa dottrina. E' un teologo. La sua teologia ha come punto di partenza l'insegnamento dello alum- brado Pedro Ruiz de Alcaraz, da lui ascoltato giovinetto ad Escalona mentre dimorava presso il marchese di Villena. In questa nuova pro- spettiva l'A. è stato aiutato dalle indagini di Angela Selke de Sanchez Barbudo, che ha studiato il processo inedito dell'Inquisizione spagnola contro Pedro Ruiz del 1524-29 e ne ha messo in evidenza l'originalità teologica rispetto al movimento degli alumbrados, la scarsa parentela con la letteratura mistica e la vicinanza alla dottrina della giustifica- zione per la sola fede di Lutero. La formula riassuntiva della sua teo- logia è la seguente: « dejamiento o dejarse al amor de Dio ». Quando Dio nella sua libertà sovrana concede il suo amore all'uomo, costui è salvato, nonostante il permanere in lui del peccato. Da questa giustifi-

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cazione discendono la negazione delle opere e delle devozioni, la nega- zione dello stato ecclesiastico e della realtà di Cristo nel sacramento dell'eucarestia.

Valdés ha subito una profonda influenza di questo insegnamento e, sebbene non sii debba sottovalutare la fase erasmiana nel periodo di studio trascorso nella capitale della cultura spagnola ad Alcalâ de He- nares, quell'insegnamento costituì il binario della futura riflessione teo- logica. Pur tenendo conto del simbolismo religioso derivato dall'Alca- raz, i capisaldi della sua teologia (l'elezione divina del credente, la giu- stificazione per la sola fede nel « benefìcio di Cristo », la pietà come frutto della giustificazione, il governo dello Spirito Santo dato al cre- dente), formulati in un linguaggio originale, sono molto vicini a quelli della Riforma, particolarmente di Lutero e di Calvino. Nieto ritiene che il riformatore spagnolo sia pervenuto in modo indipendente a que- ste conclusioni, ma mi pare impossibile che egli non sia stato influen- zao dalla lettura di Lutero e di Melantone e forse dello stesso Calvino. Delio Cantimori in un profilo del 1961, pubblicato postumo, .scriveva: Valdés « seppe inserire il suo rifiuto della tradizione dogmatica catto- lica e la sua propaganda per le dottrine luterane in quel movimento di ritorno alla pratica e alla fede dell'età evangelica e di quella aposto- lica, che viene chiamato evangelismo e che non ha nulla di eterodosso » {Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino 1975, p. 197).

Ma allora ci si domanda in che consiste il preteso spirituali- smo del Valdés, avvicinato a Sebastian Franck da Edmondo Clone nel saggio del 1938, ancora di recente riaffermato dal Bakhuizen e divenuto il cavallo di battaglia di Tommaso Bozza per negare ogni legame del Benefìcio di Cristo con il pensiero valdesiano? Consiste soprattutto nella lettura delle Considerazioni III, XXXII e LXIII, le quali in forma allegorica e simbolica affermano la superiorità dell'ispirazione dello Spirito santo sulla Sacra Scrittura.

A parte il fatto che al di dell'arditezza delle immagini (la Scrit- tura è paragonata a un alfabeto per i principianti nella conoscenza del- la vera pietà o a una candela, la cui luce è superata dalla luce del sole, cioè dallo Spirito santo) se ne può fare una diversa lettura mettendole a raffronto con altri testi più chiari sul rapporto Sacra Scrittura e illu- minazione dello Spirito santo, è stato un errore grossolano di metodo enucleare dal pensiero di una personalità così complessa e che ha su- bito l'influenza di ambienti diversi dalla Spagna all'Italia, queste tre Considerazioni e averne fatto la chiave di lettura di tutte le altre Consi- derazioni e di tutta la teologia valdesiana.

Dal punto di vista concettuale in queste Considerazioni, al di del linguaggio alumbrado dell'Alcaraz, non vedo una sostanziale differenza con i tre gradi della fede, dei quali Lutero ci parla in una predica del 1516. citata da Walther von Loewenich nella sua classica opera Luthers teologia crucis. In questa predica sulla guarigione del figlio dell'ufficia- le reale (Giov. 4: 43-54) Lutero distingue^re gradi della fede: incipiens, proficiens, perfecta. La prima nasce dalla vista dei segni o dei mira- coli; la seconda per mezzo della parola di Cristo (nudo verbo sine ope-

RICERCHE RECENTI SU JUAN DE VALDÉS

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ra); la terza « non ha più bisogno del ver bum externum, è la stabile prontezza interiore a compiere la volontà di Dio ». Nessuno certo si so- gnerà mai di pensare che qui il grande teologo della Parola intendesse screditarla per affermare la superiorità dello spirito umano, sia pure illuminato da Cristo.

L'illuminazione dello Spirito santo come ha ben chiarito Nieto è un aspetto della dottrina della giustificazione e della rigenerazione e non si comprende al di fuori del quadro soteriologico. Valdés non è un mistico in quanto non ha mai parlato di rivelazioni private, del- l'anima che attinge direttamente il divino, ma di un'esperienza esisten- ziale nella quale il credente realizza, attraverso la parola di Dio e la preghiera, il governo dello Spirito santo. La sua accentuazione sulla fede ispirata da Cristo è polemica contro il letteralismo biblico dei ri- formatori e contro la « fede istorica » di chi conosce il fatto di Gesù Cristo ma non ha fiducia nelle sue promesse.

Vi è poi un ultimo arogmento decisivo non sfruttato da Nieto. Se la tendenza illuministica fosse una divaricazione dal fondamentale pen- siero valdesiano, ci si dovrebbe domandare se la si ritrovi nell'ultima opera dello spagnolo, che è il commento all'Evangelo di san Matteo. Questo commento è preceduto da un Proemio de los Evangelios, indi- rizzato a Giulia Gonzaga, dove l'A. informa il lettore di avere lasciato oer ultimo questo commento, dopo quello ai Salmi e alle epistole pao- line, per comprendere meglio le parole di Gesù Cristo. Ebbene proprio qui, nel maturo Valdés, anche quando il testo lo solleciti, come nel caso di Matt. 22: 29, dove Gesù dice ai Sadducei: « Voi errate perché non co- noscete le scritture, la potenza di Dio », non esiste traccia d'illumi- nismo. Nel proemio viene chiarito in maniera definitiva il rapporto Sacra Scrittura - ispirazione dello Spirito santo, dove si legge: la « leción de las escrituras escritas con espiritu santo e interpretadas con aquel mismo espiritu comò fueron escritas ».

Questo lungo discorso costituisce una premessa indispensabile per capire alcuni aspetti dell'opera di T. Bozza, Nuovi studi sulla Riforma in Italia, I, // benefìcio di Cristo, apparsa nel 1976. In essa furono ripub- blicati i precedenti contributi con una nuova minuta esauriente e ricca analisi delle dottrine contenute nella famosa operetta e delle sue fonti. E' ormai nota l'importanza della scoperta dell'A. sulle interpolazioni e i prestiti dalla Institutio christianae religionis di Calvino contenuti nel Beneficio, il quale sarebbe un riassunto dell'opera calviniana del '39 per quanto si riferisce ai temi dell'operetta italiana. E' altrettanto nota la mia riserva rispetto a questa conclusione e il mio convincimento che i prestiti da Calvino, da Lutero, da Melantone, e prevalentemente da Valdés, abbiano un valore strumentale per confermare la validità della dottrina della giustificazione per la sola fede, che i valdesiani conside- ravano essenziale per la salvezza e che era per loro il termometro per misurare la vera fede. Il Bozza ha negato qualsiasi legame del Beneficio con il Valdés, poiché per lui il riformatore spagnolo è un illuminista, che ha fiducia solo nell'ispirazione individuale, disprezza la Sacra Scrit- tura e finisce per fare dello spirito umano la fonte dell'esperienza reli-

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giosa (pp. 391; 395-403). In quest'opera, dove peraltro si leggono nuovi raffronti preziosi con il commento aW'Epistola ai Calati di Lutero, con i Loci di Melantone, con Bucero, oltre che con Valdés, si arriva a con- clusioni arbitrarie e per me inaccettabili. Il Benefìcio di Cristo è calvi- nista. Esso è il manifesto della « chiesa » di Viterbo: ergo Pole, Flami- nio, Carnesecchi e tutto il gruppo di Viterbo erano dei calvinisti, dei ni- codemiti, che intendevano riformare la Chiesa i-omana dall'interno, la- sciandone intatte le strutture. Ma nell'attesa si godevano i loro bene- fìci ecclesiastici (pp. 122 e 132)!

Il Bozza, che ha puntigliosamente contestato quanti non erano d'accordo con la sua interpretazione distribuendo a tutti la patente di ignorante, ha tralasciato di discutere il saggio così bene informato ed equilibrato di Dermot Fenlon, Heresy and obedience in Tridentine Ita- ly. Cardinal Pole and the Count erreformation (Cambridge 1972). Vi è in questo libro un capitolo dal titolo: Valdés, Viterbo, and the « Benefi- cio di Cristo ». La narrazione del periodo viterbese del Flaminio è qui di segno contrario a quanto aveva già scritto il Bozza. Quel periodo, posteriore al soggiorno fiorentino del '41, durante il quale Flaminio e Carnesecchi stiudiavano V Institut io di Calvino e l'andavano confron- tando con l'insegnamento di Valdés, viene qui descritto come una fase di scambio di opinioni fra il poeta e il cardinale inglese. Contarini, Pole, Mo rone accettavano la dottrina luterana della salvezza per la sola fede, ma chiedevano ai luterani di rimanere in comunione con la Chiesa di Roma senza rendersi conto della inconsistenza del loro ideale (p. 105). Questo il Pole insinuò lentamente nel poeta latino e il frutto di questa lenta azione sarebbe attestato dalla lettera del Flaminio indirizzata al Carnesecchi da Trento il gennaio del '43, qualche mese prima del- l'uscita del Beneficio di Cristo.

Uno dei contributi migliori di questo libro per comprendere la po- sizione del Pole, prima dell'apertura del concilio di Trento e dopo l'at- tacco del Catarino al Beneficio, è lo studio di un'opera da lui scritta fra il marzo e la fine di aprile del '45, dove l'autorità della Chiesa è fondata sulle parole di Gesù Cristo a Pietro di Matt. 16: 18: « Tu sei Pietro e su questa pietra io fonderò la mia chiesa ». Questo punto capitale della controversia della Riforma è qui interpretato all'opposto di tutti i ri- formatori, nonché di Erasmo e di Valdés e del Beneficio che ripete il commento a S. Matteo di Valdés. Non ci sono dubbi sulla fedeltà del Pole alla Chiesa di Roma, nonostante il suo irenismo del periodo ita- liano.

La mancata discussione dei libri del Nieto e del Fenlon, e delle ri- serve avanzate da me e da altri all'estremismo del Bozza, il quale, di- menticando la precisa testimonianza del Carnesecchi nel suo ultimo processo, arriva ad affermare che di valdesiani in Italia non ce ne sono stati (p. 397), ha avuto conseguenze storiografiche che mi sembrano de- formazioni della verità storica. Ma prima di passare a questo argo- mneto desidero segnalare due contributi recentissimi che aggiungono nuovi documenti alla conoscenza del Valdés e alla diffusione delle sue

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RICERCHE RECENTI SU JUAN DE VALDÉS

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idee. Mi riferisco al volume di Pasquale Lopez e a una memoria del com- pianto Emilio Menegazzo (1).

Il primo ha scritto una buona biografia di Mario Galeota e ha di- mostrato con il soccorso di nuovi documenti come la casa di questo barone napoletano fosse divenuta « un centro irradiante della dottrina del Valdés, un centro d'incontri, di discussioni, di trascrizioni, che Giu- lia Gonzaga e forse lo stesso Valdés alimentò e nel quale era vivo il fer- vore apostolico ». Il Galeota, divenuto alla morte del maestro, il diret- tore del movimento assieme a Giulia Gonzaga, aveva creato due copi- sterie delle opere dello Spagnolo a Napoli e a Monasterace in Calabria. Per merito suo e dei suoi amici sono state salvate, tradotte e divulgate le opere del grande riformatore spagnolo.

La memoria del Menegazzo riporta tre documenti nuovi sul Valdés, in uno dei quali, una résignât io del 19 marzo 1541, a pochi mesi dalla morte, compare Pietro Carnesecchi come testimone. Un legame dunque con il fiorentino fatto di stima e di fiducia. Inoltre con un'indagine mi- nutissima di archivio stabilisce la parentela di Benedetto Fontanini, l'autore del Benefìcio, con la famiglia dei Gonzaga di Mantova. Pertan- 1 to è molto verosimile quanto era indicato in modo impreciso da alcune I fonti: una sosta del benedettino a Napoli, durante il viaggio da S. Gior- gio Maggiore a Catania, nel monastero dei santi Severino e Sossi, per incontrare donna Giulia Gonzaga. Infine ci fa conoscere come il rap- porto del Flaminio con la congregazione benedettina di Santa Giustina di Padova non era episodico in quanto il poeta aveva donato nel 1537 una donatio inter vivos di mille ducati d'oro. La Congregazione s'impe- gnò a versare una responsio annua di 100 ducati d'oro. La donazione era stata ricevuta da Gregorio Cortese, abate del decano Benedetto da Mantova, il quale ebbe a dire: « Quando la mattina mi metto il giup- pone, io non mi so vestire d'altro che di questo Beneficio di Cristo ». Il Cortese probabilmente sapeva chi era l'autore dell'operetta e chi lo ave- va « polita con il suo bello stile ».

Accennavo prima alle conseguenze dell'estremismo del Bozza in campo storiografico. Intendo riferirmo al recentissimo volume di ben cinquecento pagine di Paolo Simoncelli, Evangelismo italiano del Cin- quecento. Questione religiosa e nicodemismo politico (Roma 1979). L'A. riprende tutta la questione del significato del cosiddetto « evange- lismo italiano » descrivendo la dimensione e il risvolto politico della polemica fra gli spirituali e gl'intransigenti con abbondanti citazioni testuali, con acquisizione di nuove testimonianze e con osservazioni di notevole interesse. Ma la distinzione proposta di un'ala moderata e di una radicale complica ancor di più le cose al punto che il termine sto- riografico di evangelismo per la preriforma italiana converrà abbando- narlo. Infatti Simoncelli afferma che l'ala radicale farebbe capo al Pole e al Flaminio e il loro manifesto sarebbe il Beneficio di Cristo, il quale

(1) P. Lopez, // movimento valdesiano a Napoli. Mario Galeota e le sue vicen- de col Sant'Uffizio, Napoli 1976.

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è sostanzialmente calvinista. Con grande disinvoltura, sulle orme del Bozza, passa sopra tutte le difficoltà e le contraddizioni della sua tesi. Ignora testimonianze precise che rendono assurda l'accettazione di una fede « riformata » da parte del Pole. Il cardinale ebbe a dire il Car- nesecchi ai giudici dell'Inquisizione non permetteva la lettura li- bri eretici, anzi quella lettura era da lui « detestata » (Proc. Carnesec- chi, pp. 214 e 505). Se l'A. non fosse partito dal pregiudizio dell'equiva- lenza del Benefìcio con la fede calvinista, si sarebbe accorto che i suoi radicali sono i valdesiani, i quali erano ben convinti che solo coloro che avevano accettato coerentemente la giustificazione ex sola fide in- segnata dal Valdés erano gli eletti ed erano entrati « nel regno di Dio ».

Il capitolo finale di quest'opera, dal titolo // « Beneficio di Cristo » a Firenze. Un'ipotesi su Riforma e nicodemismo politico nell'età di Co- simo I, è un altro esempio di costruzione della storia pigiando i fatti dentro la camicia di forza di una tesi. La dissidenza religiosa è equiva- lente alla dissidenza politica. Ma questo è sempre e dovunque vero nel- l'Europa del '500? Gli stessi ugonotti finché non furono perseguitati e massacrati erano fedeli alla monarchia di Francia e speravano nel trion- fo della loro causa con l'aiuto di Margherita di Navarra, Francesco I e l'ammiraglio di Coligny. Comunque l'equazione dissidenza religiosa- dissidenza politica non funziona nella Firenze di Cosimo I: tutti gli ammiratori o seguaci di Erasmo, di Valdés, di Lutero, di Calvino sono fra i fedelissimi di Cosimo e fanno parte della classe dirigente e della élite intellettuale: Riccio, Torelli, Bartoli, Del Caccia, Panciatichi, Car- nesecchi. Celli, Domenichi, Varchi. Piero Gelido al momento della fuga a Lione era residente di Cosimo a Venezia. Finirono quasi tutti per pie- garsi alla nuova politica di Cosimo dopo la morte di Paolo III, rilut- tanti alcuni ma senza ribellione.

In questo capitolo non manca l'acquisizione di conoscenze assai notevoli confermanti le mie ricerche sulla diffusione del valdesianismo a Firenze, come la dimostrazione del plagio del Beneficio operato dal Varchi nel Sermone fatto alla croce del venerdì santo. Ma poiché il Be- nefìcio è per l'autore un'opera calvinista e senza agganci con il movi- mento valdesiano, Varchi diventa un riformato e l'Accademia una con- venticola calvinista. Ma qualche pagina dopo, a riprova di questa rico- struzione, si riporta il sonetto del Varchi indirizzato a Caterina Cybo, la discepola dell'Ochino e la confidente del Flaminio, nel quale il poeta colloca in paradiso Pietro Bembo, Vittoria Colonna e il « buon Val- delsio »!

Su questo sonetto (del resto già segnalato da Marcel Bataillon) avevo richiamato l'attenzione nella mia relazione senese del dicembre del '74 per il convegno storico su La nascita della Toscana, relazione che purtroppo vedrà la luce entro questo mese dopo sei anni! Comun- que ho ripreso tutta la questione nel mio recente lavoro Aonio Paleario (1503-1570) e la Riforma protestante in Toscana (Torino, Claudiana, 1979) e ad esso rinvio per una diversa valutazione del dissenso religio- so a Firenze.

Desidero chiudere rammentando come nei documenti fiorentini il

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RICERCHE RECENTI SU JUAN DE VALDÉS

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nome del Flaminio è legato a quello di Valdés. Quando nel 1573 Silvano Razzi pubblicherà i Sonetti spirituali del suo amico Varchi, nel sonetto alla Cybo muterà il nome di Valdés, ormai conosciuto per eretico, in quello di Flaminio. Flaminio diventa la maschera di Valdés.

Al rapporto innegabile del riformatore spagnolo con il revisore del Benefìcio di Cristo, testimoniato in modo così commovente dalla cele- bre lettere di Jacopo Bonfadio al Carnesecchi, si contrappone il silenzio del poeta; nelle lettere, adesso pubblicate in bella edizione da Ales- sandro Pastore, nei Carmi è mai nominato il maestro, sebbene fosse da lui amato e ammirato più di qualunque altra persona. Valdés era un eretico, era un nicodemita e i suoi amici più intimi ben lo sapevano. Celio Secondo Curione nella prefazione alle Centodieci e divine consi- derazioni (Basilea 1550) scrisse di lui: « Pareva che costui fosse da Dio dato per dottore e pastore di persone nobili e illustri, benché egli era di tanta benignità e carità che a ogni piccola e bassa e rozza persona si rendeva del suo talento debitore e a tutti si faceva ogni cosa per tutti guadagnar a Cristo ».

SALVATORE CAPONETTO

Gli Avventisti in Italia

È uscita di recente una storia della Chiesa Avventista in Italia, scritta da un pastore di questa denominazione Giuseppe De Meo, « Grami di sale ». Un secolo di storia della Chiesa Cristiana Avventista del T Giorno in Italia (1864-1964), Torino, Claudiana, 1980, pp. 255 sulla base di una documentazione italiana e straniera molto vasta, raccolta con anni di lavoro paziente. Ovviamente, quest'opera non è il lavoro di uno storico di mestiere ed è animata da quell'affetto, che è logico atten- dersi da parte di un credente il quale narri le vicende della propria comunità. Tuttavia, la sua attendibilità sul piano informativo è fuori discussione e altrettanto fuori discussione è la sua onestà: racconta i fatti come sono accaduti davvero e non bara al giuoco, imbellettando questo o gettando su quest'altro un velo pietoso. Anche per uno storico di mestiere, dunque, la sua lettura può esser istruttiva e stimolante a riflessioni di un certo interesse.

L'A. prende le mosse dalle origini americane della Chiesa Avventista e a prima vista questa può parere una banalità irrilevante. Ma se si riflette meglio, si vede che le confessioni religiose di origine interamente americana non sono poi molte. La stragrande maggioranza delle confes- sioni oggi presenti negli Stati Uniti dal metodismo e il battismo al cattolicesimo o al luteranesimo e dall'episcopalianismo al presbiteriani- smo riformato in realtà è stata importata in America dall'Europa. Viceversa, la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno condivide la prerogativa di un'origine del tutto americana con una serie di vicini piuttosto inquietanti: la Chiesa dei Santi dell'Ultimo Giorno (o Mor- moni), la Christian Science e la Watch Tower dei Testimoni di Geova. Fra queste tre ultime denominazioni e la Chiesa Avventista vi è un abisso sul piano dottrinale : gli avventisti fanno parte dell'area del pro- testantesimo, mentre i mormoni, i testimoni di Geova e i Christian Scien- tists sono fuori di tale area e molto al margine del cristianesimo stesso, e magari al di del margine addirittura. Però questo abisso dottrinale non impedisce che vi siano delle affinità sul piano storico, dovute senza dubbio al comune sostrato culturale americano. Lasciamo pure da parte il fatto che tutte queste formazioni hanno raggiunto un grado assai alto di efficienza organizzativa ed un successo veramente americano sul piano materiale stesso. Salta ugualmente agli occhi il comun denominatore escatologistico che c'è tra avventismo, Chiesa dei Santi dell'Ultimo Gior-

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no e Watch Tower. E salta altresì agli occhi il fatto che tanto gli avven- tisti quanto i Christian Scientists derivano gran parte della loro ispira- zione dell'insegnamento di donne dai talenti eccezionali Ellen White Gould Harmon nell'un caso e Mary Baker Eddy nell'altro caso che provenivano ambedue da stirpe yankee del New England e ambedue si preoccupavano della salute fisica, oltre che di quella spirituale, del loro prossimo.

Dagli yankees del New England trassero origine, in realtà, un po' tutti i padri dell'avventismo, oltre alla sua madre spirituale Ellen White. Questo fatto è spesso trascurato perché la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno assunse la sua forma attuale a Battle Creek, Michi- gan, attorno alla metà del secolo scorso. In questa cittadina del Nord- West fu tenuta infatti la prima Conferenza Generale della Chiesa Av- ventista nel 1863. Già avanti a quell'anno, inoltre, gli avventisti avevano posto il centro del loro movimento a Battle Creek e vi avevano impian- tato una famosa tipografia a vapore, da cui facevano uscire fiumane di pubblicazioni per portare il verbo del Secondo Avvento in tutti gli Stati Uniti e oltre. Sempre a Battle Creek furono poi impiantate anche altre istituzioni caratteristiche del movimento avventista : la Western Health Reform Institution nel 1866, cioè la prima delle tante istituzioni sanita- rie ed ospedaliere che gli avventisti hanno seminato in tutti i continenti, e il College universitario nel 1874, che fu analogamente la prima delle tante scuole di ogni ordine e grado, di cui gli avventisti hanno costel- lato tanti paesi nel mondo. Pure a Battle Creek ed alla Health Reform Institution degli avventisti è legato il nome, oggi noto anch'esso in tutto il mondo, di quel John Harvey Kellogg (1852-1943), che sulla scia delle idee innovatrici della signora White in materia di alimentazione, inventò i corn flakes ; non per nulla le prime fabbriche di questo nuovo alimento sorsero appunto a Battle Creek per opera di avventisti e la produzione dei corn flakes assunse le dimensioni colossali odierne sotto la guida di un altro Kellogg, Will Keith (1860-1951) fratello del precedente. Però gli avventisti andarono a porre la propria centrale nel Michigan perché in quegli anni una buona parte della popolazione originaria del New En- gland stava emigrando per l'appunto in questo stato, il cui suolo era assai più fertile di quello della costa nord-atlantica. E comunque, a monte della Conferenza Generale del 1863 da cui si inizia la storia del- l'attuale Chiesa Avventista del Settimo Giorno, c'è una preistoria di un buon quarto di secolo, che è quasi tutta connessa con il New England, la sua cultura e i suoi yankees.

Anche a costo di ripetere notizie a tutti note, dobbiamo ricordare, infatti, che la preistoria della Chiesa Avventista si inizia con un campa- gnolo del Massachusetts, William Miller (1782-1849), già ufficiale nella guerra contro gli inglesi del 1812-15 e poi vissuto parte nel Vermont e parte nell'interno del New York, ove divenne anche predicatore. Partito da un deismo di stampo illuministico, Miller arrivò infatti ad uno stu- dio appassionato della Bibbia, unito a calcoli cronologici sulle profezie, da cui giunse alla convinzione che il ritorno di Cristo sulla terra sarebbe

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avvenuto attorno al 1843. Poiché era solo un predicatore di campagna, da principio non potè fare molti proseliti, ma nel 1839 ne fece uno ve- ramente eccezionale; Joshua Vaughan Himes (1805-95). Questi era nato nello stato di Rhode Island e nel seno della Chiesa Episcopaliana, ma poi era diventato ministro di una congregazione indipendente a Boston, nonché seguace di Garrison e dell'anti-schiavismo, e aveva preso a cal- deggiare riforme sociali. Oltre a tutto questo, era un autentico genio della pubblicità: in pochi anni, strappò Miller dall'oscurità facendolo diventare un personaggio famoso grazie all'organizzazione di meetings sempre più affollati e soprattutto attraverso la pubblicazione di una quantità fenomenale di periodici e di opuscoli. L'attesa del ritorno di Cristo nell'anno 1843 divenne una febbre che contagiò a quanto pare dalle 50.000 alle 100.000 persone. Quando quell'anno fu passato senza che Cristo fosse tornato, Miller rifece i suoi calcoli e spostò la data del Secondo Avvento al 1844. Quando anche quell'anno fu trascorso invano, la delusione sottentrò all'entusiasmo e l'avventismo fu travolto sotto un'ondata di discredito : il povero Miller si avviò così alla tomba, dove scese qualche anno dopo, nel 1849. Perfino allora, però, un gruppo di irriducibili continuò a ritenere che la fine dell'età presente e il ritorno di Cristo fossero imminenti. Appunto tra costoro si affermò la leader- ship di Ellen Gould Harmon ( 1827-1915) ; una ragazza yankee del Maine. A nove anni, una sassata di un'altra bambina le aveva prodotto una grave ferita alla testa, a causa della quale era restata sfigurata in viso e non aveva potuto fare degli studi regolari. Seguace anch'essa di Miller, dopo la crudele delusione del 1843-44 aveva cominciato ad avere delle visioni ed a ricevere messaggi profetici. Ma oltre a queste doti fuori dell'ordinario rivelò anche talenti eccezionali di oratrice, scrittrice e organizzatrice. Divenne così la guida del nucleo superstite di coloro che attendevano il ritorno imminente di Cristo, fra cui erano un giovane pastore, James White (1821-1881), pure del Maine, che nel 1846 divenne suo marito, e Joseph Bates (1792-1872), un capitano di mare del Massa- chusetts dai cui studi sulla Bibbia l'avventismo derivò un'altra delle sue caratteristiche più tipiche : la convinzione che il « settimo giorno », in cui il Signore si riposò dopo la creazione del mondo, è il sabato e non è la domenica, e che pertanto i credenti debbono astenersi scrupolosa- mente da ogni lavoro in tale giorno. Di qui il nome di « avventisti del Settimo Giorno » che fu adottato dagli aderenti al movimento negli anni sessanta dell'Ottocento.

Sulla stessa linea di rigoroso letteralismo, ispirato in buona parte al Vecchio Testamento, furono ripresi dagli avventisti anche l'osservanza integrale del Decalogo e quella della decima, intesa come « restituzione al Signore » da parte del credente, del 10 % di ogni suo introito. Te- nendo conto che si trattava di yankees del New England, è facile mettere tutto questo in rapporto con lunghe tradizioni, risalenti ai puritani del Seicento. Ma i puritani antichi, essendo discepoli della Riforma del secolo XVI, contrappcsavano se così è permesso dire il Decalogo e il legalismo di stampo vetero-testamentario con dosi massicce di paoli-

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nismo e con la rivendicazione del primato della Grazia sulla Legge, in un'ottica di stampo calviniano. Viceversa, la cultura del New England del primo Ottocento aveva mandato Calvino in soffitta e spalancato le porte all'unitarismo sociniano, con la sua accentuazione dell'etica come momento centrale del messaggio cristiano. Naturalmente, il sociniane- simo era diventato la religione ufficiale dei ceti piìx ricchi e più istruiti : aveva le sue roccaforti nell'alta borghesia di Boston e nell'università di Harvard. Viceversa, i padri dell'avventismo erano di un'estrazione so- ciale più modesta dei « brahmini » di Boston e non avevano studiato a Harvard. Però traducevano lo stesso il proprio millenarismo in categorie arieggianti in qualche modo il moralismo sociniano. Non c'era infatti alcuna reale contraddizione fra questo e quello : il millenarismo aveva una tradizione illustre nel New England, che risaliva al secolo XVH e ai Quinto-monarchisti addirittura; ed anche i più razionalisti fra i neo- sociniani di Boston erano periodicamente assaliti dal brivido di un pos- sibile approssimarsi della fine dei tempi. Tanto per dirne una sola, basta guardare come uno degli esponenti dell'unitarismo bostoniano, James Freeman, già nel 1807, carteggiando con un'altra eccezionale si- gnora yankee, la scrittrice Mercy Otis Warren, discutesse appassionata- mente l'ipotesi che le gesta straordinarie di Napoleone fossero un segno dell'attuazione imminente delle profezie di Daniele. In fondo, la conce- zione della storia come una successione provvidenziale di « epoche », sostenuta dal brahmino Bancroft nella sua monumentale History of the United States, non è mille miglia lontana da una prospettiva di stampo avventista...

Con molta onestà, l'opera di Giuseppe De Meo della quale stiamo parlando, ammette che Himes, White, Bates ed altri fondatori della Chiesa Avventista erano degli anti-trinitari e che la dottrina della giusti- ficazione per fede non comparve se non negli anni ottanta dell'Ottocento nei documenti ufficiali della Chiesa Avventista. Dunque, è assurdo liqui- dare l'avventismo in sede storica, catalogandolo come una delle tante forme di fondamentalismo derivanti dal primitivo ambiente pionieristico della « frontiera ». I padri dell'avventismo non erano per nulla dei fron- tiermen primitivi ; erano dei figli legittimi ( anche se a noi moderni po- trebbero sembrare dei figli un po' esagitati e bizzarri...) della cultura di quel New England, che allora era l'area più progredita sul piano in- tellettuale dell'intera America settentrionale. La religione tipica della « frontiera » era un « evangelicalism », che puntava tutto sul « risveglio » delle coscienze individuali dal sonno del peccato e della morte, attraverso un appello fortemente emotivo, il quale a volte poteva sboccare anche in manifestazioni di isterismo collettivo. L'avventismo si rivolgeva assai più all'intelletto, che non al sentimento : il fatto stesso di avere dato origine, sino dagli inizi, ad un'attività pubblicistica intensa è la prova che si in- dirizzava a gente che come minimo fosse in grado di leggere cor- rentemente. II che, alla metà del secolo XIX, non era poi tanto scontato. In concreto l'avventismo non si rivolgeva a masse di analfabeti o semi- analfabeti, sepolti nella miseria e nell'alcool altrettanto che neW'infide-

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lity e nel peccato, sibbene ad ambienti relativamente qualificati, anche sul piano economico-sociale, e formati da bravi protestanti coscienziosi. Ed a costoro voleva fare constatare che uno studio « scientifico » e filo- logicamente inappuntabile della Scrittura portava inevitabilmente ad ac- cettar le dottrine dell'imminente fine dell'età presente e del « settimo giorno ». Mentre i predicatori della « frontiera » terrorizzavano le folle con la minaccia del fuoco dell'inferno, gli avventisti avevano elaborato una teoria tutt'altro che priva di sofisticazione intellettuale anche sul destino degli uomini nell'ai di là. Respingendo infatti la concezione al- lora universalmente diffusa dell'immortalità dell'anima, avevano tratto dallo studio della Scrittura la convinzione che i morti dormiranno sino al giorno del ritorno di Cristo ; allora gli empi saranno annientati e i santi risorgeranno per regnare eternamente insieme al Cristo.

Se ripensiamo al clima storico in cui si viveva attorno alla metà del secolo XIX, particolarmente negli Stati Uniti, ci apparirà sempre meno strambo e sempre più comprensibile che si siano uniti insieme un acceso millenarismo ed un discreto livello di sofisticazione intellettuale. Proprio negli anni quaranta-cinquanta, gli Stati Uniti e il mondo cambiarono faccia in seguito ad un accavallarsi di eventi l'uno più sconvolgente del- l'altro : la conquista a velocità stupefacente del West da una parte, per cui gli americani da una nazione di rivieraschi dell'Atlantico divennero di colpo i padroni di un favoloso impero continentale, e lo sfondamento subitaneo dall'altra delle barriere secolari che avevano precluso sino al- lora all'uomo bianco l'accesso all'Estremo Oriente cinese e giapponese, cui si aggiungeva contemporaneamente la nascita di nuovi paesi come l'Australia e la Nuova Zelanda alle estremità più remote della terra. A tutto ciò si univa, nel caso dell'America e degli americani, una serie di novità altrettanto sconvolgenti dal punto di vista di quella che oggi chiameremmo la « qualità di vita » : per esempio, l'avanzata fulminea delle ferrovie attraverso i grandi spazi del continente e l'arrivo a valanga dall'Europa di masse umane di mai vista imponenza; per esempio, i prodigi sempre più stupefacenti di una tecnologia tesa a conquistare gli spazi e sostituire la fatica del lavoro umano basta pensare a quello che dovette significare l'arrivo della mietitrice McCormick per gli agri- coltori americani ! e la minaccia sempre più paurosa della guerra all'orizzonte di un popolo ormai avvezzo da decenni alla pace; prima quella guerra col Messico, che gli yankees del New England considera- rono obbrobriosa opera di Satana; poi quel massacro spaventevole, sen- za paragone nel secolo XIX, che fu la guerra civile tra Nord e Sud. Davvero vorremmo sostenere che non esistessero molte buone ragioni per mettersi in mente che la storia umana, ormai, era arrivata ad una svolta decisiva e che il Secondo Avvento era imminente? Giuseppe Maz- zini non leggeva certamente nella Bibbia le stesse cose che vi leggevano gli avventisti yankee; ma neanche lui scherzava proprio in fatto di toni millenaristici. E Karl Marx era pure convinto, a suo modo, che la storia umana fosse giunta ad un capovolgimento radicale, sebbene non met- tesse certi problemi nei termini biblici cari agli « evangelicals » americani.

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Benché non si possa considerare la Chiesa Avventista come una va- riante qualsiasi del revivalismo della « frontiera », si può invero parlare di « evangelicalism » anche nel caso suo, a proposito del periodo poste- riore agli anni ottanta. Nel New England si era già arrivati alla scissione tra « unitarians » anti-trinitari ed « evangelicals » trinitari nei primi de- cenni dell'Ottocento. I ceti più abbienti e colti, predominanti anche nel governo locale, erano in gran parte imbevuto di socinianismo e quindi fecero che gH edifìci ecclesiastici restassero agli unitariani. Però i ceti popolari seguirono la predicazione degli « evangelicals » e quindi la mag- gioranza dei fedeli lasciò i pastori unitariani a predicare ai banchi vuoti, andandosene a ricostruirsi altrove delle cappelle nuove, magari più mo- deste. Anche fra gli avventisti, in una serie di dibattiti dottrinali svilup- patisi fra il 1863 e il 1888, il socinianismo anti-trinitario fu battuto e tutte le dottrine tipiche dello « evangelicalism » furono adottate ufficial- mente, compreso quella della giustificazione per fede, quella della « nuova nascita » in Cristo e quella tipicamente metodista della santificazione dei credenti mediante lo Spirito Santo. Ellen White ebbe una funzione di importanza decisiva in questa evoluzione dell'avventismo in senso « evan- gelical ». Viceversa, si ebbe una serie di scissioni e distacchi, anche da parte di alcuni tra i primi esponenti del movimento : J. V. Himes, per esempio, se ne tornò alla Chiesa Episcopaliana; nel 1907 anche J. H. Kel- logg, pure continuando a mantenere rapporti amichevoli con gli avventi- sti, se ne andò dalla Chiesa non trovandone conciliabile l'evoluzione dot- trinale con le sue personali convinzioni di stampo non tanto sociniano quanto panteista addirittura.

Oltre che nell'evoluzione dottrinale, l'influenza della vigorosa perso- nalità di Ellen White è riscontrabile anche nello sviluppo di quelle che a tutto oggi sono le forme di attività pratiche tipiche degli avventisti. Si è già detto della produzione di massa di periodici, libri ed opuscoli, come strumento principale di diffusione delle dottrine avventiste e ad essa si deve mettere a fianco la prassi del colportaggio, attraverso vendi- tori itineranti, mandati ad offrire la merce libraria di casa in casa. Si è già accennato alla creazione a Battle Creek di un'istituzione per la « ri- forma della salute » fin dal 1866 e alla prassi successiva degli avventisti di impiantare ovunque istituzioni sanitarie ed ospedali. Ma va sottoli- neato che questo interesse per la salute fisica degli uomini, stimolato nella White anche dal fatto che tanto suo marito quanto lei erano cagio- nevoli di salute e bisognosi di cure, assunse forme assai originali per i tempi. Il punto di partenza, al solito, era il letteralismo biblico ; poiché la Bibbia dice che il corpo è il tempio dello Spirito Santo, occorre averne cura, evitando che venga guastato da abitudini deleterie, come quelle del fumo, dell'alcool e delle droghe, oppure da un'alimentazione errata e malsana. Ma le conclusioni cui Ellen White e i suoi arrivarono, somigliano assai a quello che oggi chiameremmo psico-terapia, medicina dietetica e fisio-terapia. Non ci vuol molto a capire che proprio queste nuove idee in materia di salute, che oggi ci sembrano tanto ovvie e tanto sensate, dovettero contribuire alla fama di squinternati degli avventisti, nell'età

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della medicina positivistica e delle sue macellerie di carne umana. E tan- to più in quanto certe idee erano insegnate ohibò da vma donna, anziché da maschi con tanto di barba. Si è accennato infine alla fonda- zione del primo college avventista a Battle Creek ed al successivo impe- gno della Chiesa Avventista nel campo scolastico. Ci vuol poco davvero a ricordare la formidabile tradizione yankee in fatto di istruzione popo- lare e di colleges. Il che sia detto di passaggio rappresenta ancora un altro punto di divergenza dal « fondamentalismo » americano col suo tradizionale malumore verso gli intellettuali.

Sappiamo tutti che è imprudente applicare alla storia il motto post hoc, ergo propter hoc. Ma sta di fatto che solo dopo l'assunzione della sua guida da parte di Ellen White, l'avventismo si trasformò da una spe- cie di bega di famiglia tra yankees in un movimento esteso a tutti gli Stati Uniti e successivamente anche al resto del mondo. Al momento della sua prima Conferenza Generale nel 1863, la Chiesa Avventista con- tava poco più di 5.000 seguaci appena : oggi ne ha oltre tre milioni sparsi in tutti i cinque continenti. Va tenuto presente, tuttavia, come una delle caratteristiche storiche dell'avventismo rispetto ad altre denominazioni, che si trattò di una crescita molto costante e continua, ma altresì molto lenta, specie durante il primo mezzo secolo di esistenza della Chiesa. Ancora nel 1910 gli avventisti erano circa 90.000 negli Stati Uniti, che pure erano il paese ove essi erano più forti. Ovviamente, non era facile reclutare aderenti ad un movimento che chiedeva ai suoi seguaci di disertare il lavoro di sabato, mettendosi in urto dovunque con impren- ditori, dirigenti di amministrazioni pubbliche ed ufficiali degli eserciti, di seguire una disciplina cosi rigorosa nel costume e di versare il 10 % di ogni guadagno come « restituzione » al Signore. D'altra parte, era al- trettanto ovvio che era impossibile arrestare l'avanzata di una simile razza di Ironsides, ì quali oltre tutto disponevano anche di mezzi finanziari di tutto rispetto, grazie alla prassi della decima. Detto di pas- saggio, forse queste caratteristiche possono aiutarci a capire perché l'avventismo, dopo il suo sbarco in Europa, avesse successo soprattutto fra i tedeschi della Germania, dell'Impero degli Asburgo e dell'Impero degli zar di Russia.

In questa cornice storica generale rientra la vicenda italiana narrata dal pastore De Meo nel suo libro. Il primo missionario avventista in Italia arrivò nel 1864, cioè quando il movimento era ancora in uno stadio molto embrionale e piuttosto confuso nella sua stessa patria americana. E fu un personaggio altrettanto romantico quanto confusionario : un polacco Michael Belina Czechowski, già frate francescano nella sua pa- tria e poi proscritto politico, in seguito alla rivoluzione del 1830, vagante per l'Europa mescolando ardori religiosi e patriottismo polacco alla maniera dei suoi tanto più illustri compatrioti Mickiewicz e Towianski, quindi sfratato e convertito al protestantesimo, partito per l'America e

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colà imbattutosi negli avventisti già nel 1857. Naturalmente, anche in Italia, il Czechowski cercò di fare proseliti tra i protestanti : quindi pre- dicò nelle Valli Valdesi per un paio di anni e prese contatti col patriarca dell'evangelismo italiano, il conte Piero Guicciardini. Però raggranellò ben poco, a parte qualche simpatia generica. Quando ripartì dall'Italia nel 1866 lasciò dietro di solo un'unica convertita all'avventismo : una valdese, Caterina Revel. molto combinò anche nel resto della sua vita, salvo la creazione di un modesto nucleo di seguaci in Svizzera. Andò perciò ramingando da un paese all'altro, comprese l'Ungheria e la Ro- mania, sempre più sbandato, povero e malato, fino che si spense in un'ospedale di Vienna nel 1876.

Nel 1874, la Chiesa Avventista aveva già raggiunto un minimo di con- sistenza negli Stati Uniti e decise l'invio di un missionario John Nevins Andrews in Europa. Questi cercò di darsi da fare anche in Italia attra- verso un medico irlandese, Herbert Panmere Ribton, residente a Napoli, convertitosi alle idee avventiste e sabatiste. Ma il Ribton passò nel 1878 in Egitto, dove finì tragicamente, assassinato durante la rivolta contro gli europei del 1882, ed il gruppetto di seguaci da lui creato a Napoli restò cosa quanto mai esigua e alla lunga effimera.

Neanche nel resto del Vecchio Continente l'avventismo trovò un gran numero di seguaci. Tuttavia costoro furono in grado già nel 1884 di tenere a Basilea una prima Conferenza Avventista Europea. Da questa conferen- za, la signora White (che nel 1881 era rimasta vedova) fu invitata a veni- re in Europa per aiutare l'opera avventista con la sua predicazione. E si iniziò così l'ultimo ciclo della stupefacente esistenza di costei, nel quale essa fece il giro del mondo passando da un continente all'altro e fece fare alla Chiesa Avventista un salto di qualità, che da un movimento li- mitato quasi unicamente nell'America, la fece divenire un'organizzazione intercontinentale. Ellen White, infatti, lavorò in Europa dal 1885 al 1889; poi andò in Australia dal 1891 al 1900; dopo il 1901, benché ultra-set- tantenne, passò a conquistare gli stati già della Confederazione sudista e la California. Nei 1903 la cittadina provinciale di Battle Creek cessò di essere la sede del centro direzionale avventista e quest'ultimo fu impiantato nella capitale stessa degli Stati Uniti, a Washington. Ma fu soprattutto nella California « l'America dell'America » che gli avventisti colsero i loro successi maggiori. Fra l'altro, appunto in Cali- fornia sorse nel 1903 la scuola sanitaria di Loma Linda, che é ancora oggi una delle istituzioni più prestigiose dell'avventismo ; e nel 1915 vi chiuse gli occhi a Saint Helena Ellen White, ormai quasi novantenne.

Questi sviluppi non ebbero però riscontro o quasi in Italia. Alla Conferenza Europea del 1884 era presente un solo italiano: un prof. Bi- glia di Napoli. Negli anni seguenti, dopo una campagna propagandistica condotta dalla White in persona, sorse una piccola comunità avventista a Torre Pellice. Qualche altro convertito fu racimolato qua o nel resto dell'Italia. Ma ai primi del Novecento, gli avventisti italiani erano appena 37 e quasi tutti appartenevano alla comunità di Torre Pellice. Solo a puro titolo di curiosità si può menzionare che la prima comunità avventista

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nella Romania fu creata a Pitesti nel 1884 da un italiano, Romualdo Ber- tela, ebreo di nascita, ma entrato poi nella Chiesa Libera Italiana del garibaldino Alessandro Gavazzi (e quindi, molto probabilmente, affiliato alla massoneria), vissuto per vari anni nel Levante e nell'Europa orien- tale e guadagnato all'avventismo sabatista da quel medico Ribton, di cui si è detto prima.

I motivi di questo insuccesso sono evidenti. A quel tempo, gli av- ventisti cercavano di attirare a soprattutto dei protestanti, convin- cendoli a lasciare le loro chiese perché infedeli alla lettera della Scrittura e ad accettare la Chiesa Avventista del Settimo Giorno come lo strumento suscitato da Dio per guidare i credenti negli ultimi giorni. Anche nell'Im- pero Russo, ove l'awentismo penetrò a partire dagli anni 80 (soprattutto ad opera di tedeschi come quel Riccardo L. Conradi, di cui riparleremo fra un momento) raccogliendo alcune migliaia di seguaci, questi ultimi erano per poco meno della metà provenienti dal luteranesimo o dal bat- tismo. Ma in Italia i protestanti erano davvero quattro gatti e per di più troppo occupati dalla loro battaglia anti-papale per avere gran che voglia di discutere del sabato e del secondo Avvento. Vi fu un'eccezione solo alle Valli perché colà la Chiesa Valdese ha il carattere di una chiesa « nazionale » e quindi il sano spirito di Bastian contrario del protestantesimo porta periodicamente alla nascita di una dissidenza minoritaria. Come prima vi era nata una dissidenza plymouthista, così vi fu una dissidenza avventista e in seguito ve ne fu anche una battista.

Comunque, in questi anni decisivi tra la fine dell'Ottocento e la Guerra Mondiale, la difìusione dell'avventismo non avvenne per impul- so spontaneo dal basso, attraverso la formazione di gruppi locali e il loro coordinamento successivo secondo linee « orizzontali » : in questo caso, infatti anche l'awentismo avrebbe imboccato la strada di un con- gregazionalismo libertario. Avvenne per opera di missionari, inviati da una centrale e da essa sostenuti finanziariamente, i quali talvolta erano degli stranieri addirittura rispetto al paese in cui dovevano operare. Questi missionari, a loro volta, si sforzarono di creare delle comunità e delle organizzazioni locali modellate il più strettamente possibile sul- l'esempio delle strutture da cui essi erano stati mandati. Si arrivò così ad un'accentuata uniformità organizzativa ed ad un apparato istituzio- nale molto compatto, articolantesi in una sorta di gerarchia « verticale » di organi direttivi. La Conferenza Generale restò come istanza suprema della Chiesa Avventista a scala mondiale : ad essa vennero a fare capo più Divisioni, corrispondenti ognuna all'area di un continente oppure di vari paesi di un paio di continenti ; ogni Divisione venne ad articolarsi in più Unioni, ciascuna delle quali comprendeva più Federazioni (o Mis- sioni), formate a loro volta da un certo numero di chiese locali. La provvista di pastori per queste ultime restò di competenza di ciascuna Federazione (o Missione).

Pertanto, ai primi del Novecento, si ebbe una Divisione Europea, sotto la presidenza di quel tedesco Riccardo L. Conradi, di cui si è già menzionata l'attività in Russia; da questa Divisione Europea dipendeva

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una Unione Latina, presieduta da un pastore francese Léon Tièche; alle dipendenze di quest'ultima venne organizzata nel 1903 una Missione Italiana. Detto di passaggio, già allora il peso dell'elemento germanico era molto sensibile nell'avventismo europeo; anche la centrale edito- riale, da cui uscivano le pubblicazioni avventiste in varie lingue, era stata posta ad Amburgo nel 1901. Viceversa la Missione Italiana aveva assai poco di italiano. Dal 1903 al 1909 fu diretta da un americano, Charles T. Everson, e vi operarono soprattutto due francesi, Léopold Bénézet e Alfred Vaucher : questo ultimo era un nipote di Caterina Revel, la valdese che per vario tempo era stata l'unica avventista in Italia, e fu altresì autore di pubblicazioni notevoli di storia e di teologia. Come al solito, la Missione Italiana batté la strada del proseUtismo fra i pochi e tribolati evangelici italiani. Oltre alla comunità già esistente a Torre Pellice, ne sorse così un'altra a Gravina nella Puglia, a spese di una co- munità battista locale. Ma i frutti continuarono ad essere magri; al tempo della Guerra Mondiale, c'era in Italia un centinaio appena di avventisti.

Oltre tutto, l'avventismo soffriva della sua scarsa o nulla integrazio- ne con la realtà italiana. A parte la popolazione delle Valli Valdesi abbar- bicata alle sue montagne da secoli, le chiese evangeliche italiane erano nate quasi ad un medesimo parto col Risorgimento e con la Questione Romana e si erano sviluppate nell'Italia unita, condividendo di que- st'ultima le vicende liete o tristi abbastanza intensamente. L'avventismo era arrivato troppo tardi per avere parte negli entusiasmi garibaldini e nei furori della Questione Romana ; e nell'Italia unita era rimasto come un corpuscolo estraneo, senza agganci con la realtà circostante. Negli anni immediatamente precedenti alla Guerra Mondiale, tuttavia, qual- cosa cominciò a cambiare, sia pure da principio in modo quasi impercettibile. Qua e là, specie nel Mezzogiorno, tornò qualche emigrato che era diventato avventista in America e si adoperò a fare proseliti tra parenti e compaesani: un fatto del genere fu agli inizi anche di quella comunità di Gravina, di cui si è detto. Per la prima volta dopo mezzo secolo l'avventismo si trovò a partecipare in qualche modo ad una delle grandi vicende della popolazione italiana, come era in quegli anni l'emigrazione. Dalla comunità di Gravina uscirono degli attivisti, fra cui un ex-ferroviere Gian Luigi Lippolis, un giovane Nicola Cupertino e qualche altro, i quali si dedicarono a fare il colportore ; lo stesso fecero alcuni, di provenienza geografica diversa come l'oriundo delle Valli Elia Bertalot. Costoro, dopo avere dato buona prova di come colportori, furono chiamati a fungere da pastori e col passare del tempo più di uno di loro assunse anche funzioni direttive in seno alla Chiesa. In questo modo, la predicazione avventista cessò gradualmene di essere opera di stranieri, specie americani o francesi, dotati magari di un certo patri- monio intellettuale ma privi di rapporto con la realtà italiana, e divenne opera di italiani, in buona parte di estrazione popolare e meridionale, cioè idonei a capire e farsi capire dalla media dei propri connazionali. Ma poiché la media degli italiani non è fatta per nulla di protestanti e

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poiché i popolani meridionali sono sanamente mangiapreti, i nuovi pre- dicatori della sorte dei Lippolis e dei Cavalcante abbandonarono la prassi di cercare proseliti dentro le altre chiese evangeliche e concentrarono la loro polemica contro la Chiesa Romana. Probabilmente questa svolta avvenne senza che i suoi protagonisti stessi se ne rendessero molto conto. Però fu una svolta decisiva, da cui l'avventismo italiano fu avviato verso un'espansione sempre meno asfittica e più prospera.

L'opera del pastore De Meo documenta le tappe di questa espansione con precisione esemplare e con grande onestà, cioè senza tacere che al- cune cose non andarono sempre in modo soddisfacente. Per esempio, nel 1910 fu dato come successore allo Emerson un italo-americano Luigi Zecchetto, la cui condotta sembra abbia lasciato a desiderare. Un po' per questo, un po' per il cataclisma della Guerra Mondiale, l'opera av- ventista in Italia ebbe daccapo una fase di sbandamento. D'altra parte vi fu anche una pagina così luminosa come l'eroica fermezza nel rifiuto di usare le armi di Alberto Long, un avventista delle Valli Valdesi più tardi missionario nel Madagascar. Ed è da notare a tutto onore degli avventisti italiani il fatto che essi accettarono senza alcuna obiezione come dirigente dell'opera nel dopoguerra un ex-nemico, il pastore Dio- lode Werner che in precedenza aveva lavorato in Germania, in Austria e infine a Bolzano. Del resto, la presenza di costui non restò un caso isolato perchè altri germanici, austriaci o alto-atesini, ebbero parte altresì nel- l'opera avventista in Italia dagli anni venti del Novecento in poi.

Il pastore Werner restò alla direzione della Missione Italiana dal 1921 al 1928. Dopo il 1928 e fino al 1934, la direzione dell'opera avven- tista in Italia passò al già ricordato Gian Luigi Lippolis. Successivamente, e per un assai lungo volgere di anni, dal 1934 al 1958, la guida dell'opera fu retta daccapo da un pastore Luigi Beer, che era pure un tedesco del- l'Austria, sebbene prendesse subito la cittadinanza italiana. Dal 1958 al 1963, infine, la presidenza fu assunta dal pastore Giuseppe Cavalcante. Questa specie di coltivazione a mezzadria fra germanici e pugliesi del campicello avventista è un caso veramente singolare e non troppo co- mune. Ma non c'è dubbio che la mezzadria funzionò bene.

Fino ad allora la Missione Italiana era andata avanti cercando a tentoni la propria strada. Dopo il 1921 la strada fu individuata con chia- rezza e decisione nella produzione massiccia di pubblicazioni popolari e nella loro vendita di casa in casa mediante colportori. Non sembra che allora si facesse molto nel campo della scuola e della sanità, contraria- mente alla tradizione internazionale dell'avventismo. Ma forse il clima del fascismo era tale da scoraggiare ogni tentativo di questo genere. Co- munque fu individuato pure, con altrettanta chiarezza e decisione, il ba- ricentro geografico dell'opera avventista in Italia nella città di Firenze, ove furono pertanto dislocati la centrale editoriale e poi anche l'istituto per la formazione dei quadri pastorali. Anche al problema dei quadri, del resto, si dettero cure serie e sistematiche, arruolando decine di col- portori coraggiosi ed entusiasti, inviando un buon numero di giovani a studiare per pastori nella scuola avventista di Collonges in Francia

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e mettendo in valore i talenti di coadiutori laici specie nei piccoli centri dove non si giustificava la presenza di un pastore. Nel 1928, al termine della gestione Werner, mutò lo status internazionale stesso dell'opera avventista in Italia. Cessò infatti di essere una Missione alle dipendenze dell'Unione Latina e attraverso questa connessa alla Divisione Europea. Divenne invece una Unione essa stessa di tre Missioni, rispettivamente per l'Italia settentrionale, centrale e meridionale, connessa direttamente ad una delle tre Divisioni in cui fu spartito allora l'area europea, con sede in Svizzera.

Se c'era qualcosa che facesse imbestialire la gerarchia cattolica almeno a quel tempo era proprio l'attività capillare, di casa in casa, dei colportori avventisti. La stampa cattolica di quegli anni assunse toni isterici addirittura nel denunziare questo pericolo per le anime dei fedeli. Vi furono appelli frequenti al braccio secolare del governo fascista, uno dei quali fu rivolto personalmente da Pio XI a Mussolini. Dall'opera di Giuseppe De Meo si vede che non mancarono i fatti, oltre alle parole, cioè misure poliziesche e vessazioni delle autorità. Ma si vede altresì che quella mezzadria di serietà germanica e di testardaggine pugliese da cui era improntato allora l'avventismo in Italia non si lasciò smontare dalle parole furibonde dai fatti vessatori. Neanche il cataclisma della crisi economica mondiale degli anni trenta riuscì a quanto pare a metterne in crisi la placida imperturbabilità. Forse nessun 'altra chiesa evangelica operante in Italia ha mantenuto altrettando coraggio tranquillo e altrettanta continuità di lavoro durante gli anni difficili della dittatura, della crisi economica, delle guerre fasciste. Non per nulla certamente proprio quegli anni difficili videro un balzo in avanti signi- ficativo dell'avventismo in Italia sul piano numerico stesso. Nel 1921, gli avventisti erano solo 150 in tutta Italia e le loro comunità si conta- vano sulle dita di una mano. Nel 1928, alla fine della gestione Werner, s'aggiravano sui 400: nel 1941, cioè nel pieno della seconda Guerra Mon- diale, erano ormai un migliaio con una ventina di chiese.

Sugli sviluppi sempre più prosperi dell'opera avventista in Italia dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo possiamo risparmiarci di entrare in particolari, rinviando alla cronaca accurata e ben docu- mentata che ne l'opera del pastore De Meo. Tuttavia, alcune riflessioni si impongono così in sede di valutazione storica del passato come in sede di ragionevole visione del futuro.

Colpisce infatti, anche per il periodo successivo alla seconda Guerra Mondiale, l'ininterrotto incremento numerico dell'avventismo italiano. Da poco più di mille nel 1941, gli avventisti salirono in Italia a circa 2000 nel 1953, poi a circa 3000 nel 1963, e infine a circa 4500 nel 1978. Come si vede, gli anni del « miracolo economico », del massiccio esodo dalle campagne meriodionali alle fabbriche settentrionali e del malfama-

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to « consumismo » non hanno rappresentato affatto un periodo di crisi per l'opera awentista. Al contrario si direbbe, che un migliore livello di istruzione popolare, un tenore di vita meno gramo e primitivo di un tempo e una maggiore mobilità dei lavoratori da una regione all'altra e da un settore produttivo all'altro abbiano stimolato, anziché rallentato, le conversioni. Il che smentisce la tesi di quegli storici marxisti secondo cui l'escatologismo è una tipica ideologia da poveracci, che ingannano la loro miseria trasformandosi in « fanatici dell'Apocalisse ». Viceversa, ima facile estrapolazione ci mostra che se questo trend non subirà inter- ruzioni, la Chiesa Awentista in Italia, in un futuro non lontano, rappre- senterà una forza assai consistente nell'ambito del protestantesimo italiano.

Colpisce altresì l'espansione dell'avventismo nel mondo intero. Nel 1940, v'erano nel mondo circa 450.000 avventisti, di cui oltre un terzo, cioè circa 165.000 in V.SA. e Canada; in altre parole, dai tempi della signora White l'avventismo aveva fatto dei progressi notevoli, ma non dei balzi particolarmente spettacolosi e conservava tuttavia il proprio baricentro nell'America settentrionale anche in termini numerici. Nel 1955 gli avventisti erano circa 1.000.000; nel 1970 erano oltre 2.000.000; per il 1979 le statistiche davano circa 3.200.000 avventisti nel mondo, di cui meno di un quinto, circa 574.000 in America Settentrionale. Come si vede, proprio in questo nostro tempo « scristianizzato » e « secolariz- zato », l'avventismo ha fatto più convertiti, sia in termini assoluti che in termini relativi, di qualsiasi altro periodo precedente. Se in Italia si è più che quadruplicato dal 1941 al 1979, nel mondo si è moltiplicato per oltre 7 volte. Però in questo stesso giro di tempo l'antico primato nord-americano è andato declinando. Secondo le statistiche del 1979, la Divisione più forte dell'avventismo mondiale è quella centro-americana con 593.016 membri; quella nord-americana è al secondo posto con 547.231 ; seguono al terzo e al quarto posto la Divisione sud-americana con 439.996 membri e la Divisione dell'Estremo Oriente (che però non comprende la Cina) con 388.385. Nato come una sorta di dissidio interno del protestantesimo, l'avventismo sta ormai espandendosi assai più in paesi cattolici (o magari neo-cristiani) che non in paesi di cultura pro- testante. E' vissuto per decenni come un movimento predominantemente americano, sta oggi diventando sempre meno americano e sempre più estesamente radicato nel Terzo Mondo. Se continuerà questo trend, at- torno alla fine del secolo XX avremo un avventismo mondiale forte di vari milioni di seguaci, la cui maggioranza sarà però formata da latino-americani e da asiatici.

L'Encyclopedia Britannica, alla voce Seventh-Day Adventists, afferma che gli avventisti « appartengono all'ala ultra-conservatrice del prote- stantesimo ». La storia dell'avventismo mondiale e italiano dimostra che questo ultra-conservatorismo non è stato tanto « ultra » da impedire un bel po' di cambiamenti durante i cento e più anni trascorsi da quando un gruppo di yankees, in buona parte sociniani, si riunì nella Conferenza

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Generale del 1863. Quindi non è assurdo, ne provocatorio, porsi il pro- blema di ulteriori cambiamenti eventuali nell'avvenire.

Per quanto riguarda l'Italia, si possono trarre alcune indicazioni interessanti dalle vicende degli ultimi decenni. Come si è detto, l'awen- tismo era rimasto in Italia, per molto tempo, come una sorta di corpu- scolo estraneo alla realtà storica, politica, sociale, culturale del paese. E certamente la Chiesa Avventista non è uscita dal suo tradizionale riserbo rispetto alle lotte politiche e ai conflitti sociali neanche dopo la seconda Guerra Mondiale. Tutto si può dire degli Avventisti, ma non che siano stati contagiati dalla moda del parlare in sinistrese ! Però sono stati anch'essi coinvolti in una vicenda nazionale di grande importanza, come la lotta per la libertà religiosa degli anni successivi alla seconda Guerra Mondiale, e a quella vicenda hanno portato un loro contributo originale a motivo della questione del sabato. Per la prima volta dopo tanti decenni, i leaders avventisti hanno discusso con governanti e con parlamentari dell'Italia e sono diventati a loro volta oggetto di attenzione da parte di forze politiche e di organi di stampa. Fra l'altro, sono stati presenti onorevolmente anche in occasione di un problema di così alto significato civile e morale come l'obiezione di coscienza al servizio mi- litare. Oltre che con l'Italia politica, gli avventisti hanno intrecciato un dialogo, in questi ultimi decenni, con l'Italia della cultura. Tanto fra i membri, quanto fra gli operai della Chiesa Avventista il numero di coloro che hanno studiato in facoltà universitarie laiche, oltre che in scuole denominazionali, è cresciuto in modo significativo. Lo stesso presidente attuale dell'opera avventista in Italia, dr. Gianfranco Rossi, è laureato di una facoltà statale. E alla Andrews University avventista, negli Stati Uniti, è oggi docente un italiano, Samuele Bacchiocchi, che si è laureato alla Pontificia Università Gregoriana addirittura. Dicendo questo, non si vuol davvero sminuire il valore dell'opera compiuta da quei colportori autodidatti e da quei pastori formati in scuole estere, che lavorarono con tanta abnegazione, tanto coraggio e tanto importanti risultati nei de- cenni passati. Ma si prende atto realisticamente di un processo evolutivo ormai in corso, che a vista umana almeno non si vede come possa arrestarsi o tornare indietro.

Ciò vale anche per i rapporti tra gli avventisti e gli altri evangelici in Italia. Come si è visto, l'avventismo cominciò ad espandersi in Italia quando abbandonò la prassi del cercare proseliti nelle chiese evange- liche. Al periodo dei tentativi (per dirla scherzosamente) di abigeato, successe un periodo durante il quale gli avventisti da una parte e gli altri evangelici italiani dall'altra smisero bensì di litigare ma si igno- rarono o quasi a vicenda. Neanche dopo la II Guerra Mondiale la Chiesa^ Awentista in Italia ha dimesso un atteggiamento prudente e un po' riservato nei confronti delle altre denominazioni evangeliche. Pero trovo per vari anni un terreno di collaborazione con esse e col Consiglio Federale delle Chiese Evangeliche in Italia in quella difesa della liberta religiosa, di cui sopra si è detto. Posteriormente, la Chiesa Avventista non ritenne opportuno di aderire alla Federazione delle Chiese

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Evangeliche in Italia, quando essa fu costituita. Tuttavia fu presente al II Congresso degli Evangelici Italiani e seguì le iniziative della Fede- razione, sia pure dall'esterno, con attenzione non malevola. In pratica, tra gli avventisti e gli altri evangelici italiani è passato e passa quoti- dianamente un complesso di rapporti e di dialoghi, sia pure del tutto informali, e magari personali soltanto, quale mai sarebbe stato pensa- bile in altri tempi. Tutto è possibile, al solito; ma è davvero poco pro- babile che si torni indietro anche sotto questo profilo.

Al contrario è probabile e secondo chi scrive queste pagine è auspicabile che da una sorta di « disgelo » reciproco si passi ad un franco ed amichevole confronto fra gli avventisti da una parte e l'evan- gelismo « storico » italiano (valdesi, metodisti, battisti) dall'altra. Ov- viamente, il confronto fondamentale non può non essere teologico : deve essere quindi un confronto sul problema escatologico alla luce degli sviluppi della teologia protestante da Bonhoeffer a Moltmann. Però in questa nostra età, che vive sotto l'incubo della droga e di tanti altri flagelli annidati nella psiche oltre che nella carne degli uomini, è vera- mente urgente un confronto anche su temi di « health reform » e di medicina; in questo campo, come l'evangelismo italiano può attingere dall'ormai vasta esperienza dei suoi ospedali, così può fare l'awentismo dal suo imponente patrimonio internazionale. E non è da escludere che vi siano non poche cose da dirsi anche a proposito dell'America Latina, specie per quanto riguarda i valdesi.

Si potrebbe continuare ancora in questa ipotizzazione di temi di comune interesse. Ma il fatto centrale è comunque che « sola Scriptura » sta scritto idealmente sulla porta tanto delle chiese awen- tiste quanto della altre chiese evangeliche italiane. Forse è giunto il momento di una lettura comune della Parola di Dio, con tutta l'umiltà che è necessaria per lasciarsi da lei ammaestrare. E forse è arrivato il momento anche di comprendere meglio come il seme della Parola non sia stato gettato invano nel caso degli uni, nel caso degli altri. II bene, in parole alla buona, può anche volere dire uno sforzo per ca- pirsi a vicenda meglio di quanto sia stato fatto fino ad ora. È utopistico pensare che la Claudiana, come ha pubblicato quest'opera del pastore De Meo cui sono dedicate le presenti riflessioni, così pubblichi in un fu- turo non lontano un'antologia di scritti di Ellen White? Ed è ancora più utopistico sognare il giorno in cui gli scritti di un dottore della Chiesa valdese, come Giovanni Miegge, possano essere diffusi anche da librerie awentiste?

GIORGIO SPINI

INDICE

ENEA BALMAS - ESTHER MENASCE' - L'opinione pubblica

inglese e le « Pasque Piemontesi »: nuovi documenti . . pag. 3

GIOVANNI GONNE! - Mérindol: fine del Valdismo? ...» 27

ROMOLO CEGNA - // Valdismo medievale come religione pe- nitenziale » 37

SALVATORE CAPONETTO - Ricerche recenti su Juan de Val-

dés e il valdesianismo in Italia » 51

GIORGIO SPINI - Gli Avventisti in Italia » 59

1 1012 01474 7572

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