A *< 0 , H.A > ^r^ :H£À 3 o v HH Bt'*4 fcj^^J E«^H t^A«3 yv^ ' » sM kM BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DI NATURALISTI BODDE^FriNO DKLLA SOCIETÀ DI NATURALISTI i^r n>r j± :p o il i SERIE I.- VOLUME XX ^^5- 3ST IS" O X 1906 Con 3 tavole (Pubblicato il 26 febbraio 1907) NAPOLI • R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Strada Cisterna dell' Olio 1907 Notizie sulle arboricole della flora cavese , pel socio L. Marcello. (Tornata del 1° dicembre 1905) Raccogliendo il materiale per ulteriori contribuzioni allo studio della flora cavese , ho creduto bene di non trascurare le piante arboricole, massime dopo che i dottori A. Béguinot e Gr. B. Traverso r) hanno fatto conoscere la importanza di esse. Tali autori distinguono col nome di « arboricole » quelle piante, che, vegetando nelle cavità degli alberi, costituiscono un primo passo all'epifìtismo. Come precedentemente ho detto in altre mie pubblicazioni 2), il territorio di Cava abbonda di selve e di boschi cedui. Questi ultimi sono formati, per lo più, di querce e di castagni tagliati generalmente a capitozza, e danno il maggiore contributo di ar- boricole. Nella flora cavese ho trovato le seguenti specie portanti ar- boricole: Robinia Pseudo-Acacia L. , Populus tremula L. , Alnus gluti- nosa Graert., Carpinus Betulus L., Castanea saliva Mill ., Quercus rohur L. Robinia Pseudo-Acacia. — I dottori Béguinot e Traverso hanno constatato la presenza di arboricole su alberi di questa specie solo a Napoli e a Roma; pare quindi che nell'Italia set- tentrionale, forse per altro modo di coltura, la specie sia più refrattaria che nell' Italia meridionale. Nel territorio di Cava ho notato la presenza di 8 specie di arboricole, e cioè : Cerastium vulgatum L., C. campanulatum Viv., Geranium molle L., Oxalis corniculaia L., Trifolium subterraneum L., Ceterachof- fainarum Wild., Asplenium Trichomanes L., e A. Adianthum-ni- i/niut L. 1 BÉGurNOT A. e Traverso G. B. — Notizie preliminari sulle arboricole 'Idia flora italiana (Boll. Soc. Bot. Bai. Firenze, 1901). - Marcello L. — Primo contributo allo studio della flora cavese Boll. Si,-. y,«t. ili Nap. 1901Ì. Marcello L.— Cava d'i Tirreni, sguardo allo stato fisico ecc.. Salerno. 1903. 1 — 2 — Populus tremula. — Questa specie non è indicata dai si- gnori Béguinot e Traverso come portante arboricole ; tuttavia ho riscontrato in un individuo di essa, e nella biforcazione di due rami, l'esistenza di una piantina di Ficus carica L. Alnus glutinosa. — Come notano i suddetti autori , questo albero è normalmente refrattario a portare arboricole; io però, in una cavità di un vecchio individuo, ho trovato due piantine fiorite di Muscari comosum L. Carpinus Betulus — Albero non notato, fin qui, come ospi- tante arboricole. Vi trovai qualche esemplare di Polypodium vol- gare L. Castanea sativa. — Questo è l'albero della flora cavese, il quale alberga il maggior numero di arboricole , e ciò dipende sia dalla sua maggior frequenza, sia dal fatto che viene, per so- lito, coltivato a capitozza , per ottenerne pali per 1' agricoltura. Nelle cavità del breve tronco rimasto nascono numerose arbori- cole, mentre nell'Italia settentrionale, ove il castagno si coltiva solo ad alto fusto, la specie alberga un numero più scarso di tali piantine. Sui tronchi di castagno così capitozzati ho rinvenuto le seguenti specie: Anemone apennina L. , Arabis muralis Bert., Viola hi/la L. — var. Denardtii Ten. , V. selvatica Fr., V. trico- lor L. — var. arvensis Murr., Silene italica Pers., S. infiala Sm. — var. angustifolia Ten. , Stella-ria media Vili. , Geranium molle L., Trifolium nigrescens Vir. — var. Polijantemum L. , Galega offici- li alis L., Vieta peregrina L. , V. cordata Wulf. , V. pseudocracca Bert., V. ochroleuca Ten. , Orobus vernus Ten. , Fragaria vesca L. , Rubus cacsius L. ?, Cotyledon umbilicus L., Sedimi album L., S. dasyphyllum L. — var. neapolitanum Ten., Torilis sp. , Hedera lielix L., Sherardia arvensis L., Bahia peregrina L., Galium Cru- ciata Scop., G. Aparine L., G. rerum L., Bellis perennis L., Son- chus tenerrimus L. , S. asper Bert. , Crepis leontodontoides Ali., Vinca major L., Convolvulus arvensis L., Linaria Qymbalaria L., Veronica arvensis L., Nepeta glechoma Benth., Ajuga reptans L., Primula vulgaris Huds., Cyclamen neapolitanum Ten., Samolus Valerandi L., Rumex acetosa L., Urtica sp.. Daphne Laureola L., Aristolochia longa L., Théligonum Cynocrambe L., Eupliorbia Pe- plum L., Orchis sp. , Crocus Imperati Ten., Euscus aculeatus L., Asparagus acutifolius L. , Musca/i comosum Mill. , Arimi italicam Mill. , Luzula Forstcrii 1)C. , Carex brizoides L. — var. praecox Schrb., Anthoxanthum odoratum L., Poa nemoralis L., P. trivialis L., Cynosuriis echinatus L., Dactylis glomerata L., Vulpia bromoi- des L.. Polypodium vulgare L. , Asplenium Trichomanes L. , A. - 3 — Adianthum-nigrum L., Adianthum Capillus-veneris L., Pteris aqui- lina. L. Quercus Robur. — Con questo nome intendo le diverse formo di querce che si riscontrano nella regione, cioè pedunculata, scs- siliflora ed altro varietà. Sono meno soggette del castagno a portare arboricole, tuttavia ho potuto rinvenire le seguenti : Ara- bis murali* Beri., Geranium molle L., Vida cordale Wurf., Rubus discolor Weih et Nees. , Rubia peregrina L. Sonchus tenerrimus L., Hieracium sp., Aristolochia longa L., Theligonum Cynocrambe L., Serrafalcus secali ini* Bah.. 8. mollis Pari. La maggior parte di queste arboricole fioriscono ed anche fruttificano sugli alberi ove sono nate; fanno eccezione 'A Rubus caesius, il R. discolor, V Hedera helix, il Ficus carica e poche altre. * * * Le arboricole, secondo i loro adattamenti biologici, si pos- sono considerare sia rispetto agli apparecchi disseminativi , sia rispetto alla natura del terreno che preferiscono. Per la disseminazione si hanno diversi adattamenti. Anzitutto possiamo considerare piante a frutti, semi, od in generale germi anemofìli, e questi possono essere leggerissimi, cioè atti ad essere sollevati e trasportati dal vento, senz'altra modificazione di forma, oppure più pesanti, con appendici, pappi, code, ali, od altri mezzi di aeronautica. Hanno semi, o spore, piccolissimi e leggieri le seguenti specie: Stellarla media, Cotyledon umbilicus, Sedum album, Samolus Va- lerandi, Urtica sp., Orchis sp., Poe nemoralis, P. trivialis, ('tienici) officinarum, Polypodium vulgare, Asplenium Trichomanes, A. Adian- thum-nigrum, Adianthum Capillus-Veneris, Pteris aquilina, etc. Hanno invece frutti provvisti di organi di aeronautica le seguenti specie: Sonchus tenerrimus, S. asper, Crepis leontodon- toides, Hieracium sp., Rumex acetosa, Cynosurus echinatus , Vulpia bromoides, Serrafalcus secalinus, S. mollis, etc. Si comprende facilmente come i germi di tutte queste piante possano, con frequenza, essere trasportati dal vento entro la cavità degli alberi. Altre arboricole hanno frutti polposi, e di conseguenza or- nitofili, cioè cercati dagli uccelli, i quali, cibandosi della polpa, espellono, con gli escrementi, i semi ancora, e forse più, atti a germinare: ed è chiaro come possano con faciltà ossero depositati anche nello cavità degli alberi. Presentano frutti polposi la Fra- gola vesca, i Rubus caesius e discolor, Y Hedera helix , la Rubia _ 4 — peregrina, la Daphne Laureola, il Ficus carica, il Ruscus aculeatus, V Asparagus acutifolius, YArum italicum, etc. Poche specie arboricole hanno frutti con appendici uncinate, ossia erionli; infatti , essendo tali frutti in relazione con animali lanuti, solo accidentalmente possono capitare sugli alberi , forse portati aderenti al pelo di qualche ghiro o scoiattolo. Ho notato in proposito solo la Torilis sp. ed il Galium Aparine. Altre poche , come Ara-bis murali?, Ajuga reptans, Euphor- bia Peplus, presentano semi, che al contatto dell'acqua, sviluppano abbondante mucillagine; ma è da credere che questo sia un espe- diente più per rissarle al tronco, una volta che le specie sono capitate su quello, che non di vera disseminazione, potendo, forse, anche esse venire trasportate dal vento, avendo semi non molto grossi. Infine si hanno alcune specie a semi autodinamici , cioè: Geranium molle ed Oxalis corniculata; ma anche per queste non credo che la forza di proiezione sia sufficiente a far pervenire i semi sui tronchi. Anche più difficile è dare un' adeguata spie- gazione del modo come possano capitare sugli alberi semi rela- tivamente grossi e pesanti, quali ad esempio quelli delle diverse specie di Vida e degli Orobus, salvo non si ammetta che siano portati sui tronchi da ghiii o da scoiattoli. Tuttavia è a credere che per molti di questi semi abbia grande azione, e forse mag- giore di tutti i precedenti mezzi disseminativi, la presenza di formiche, che , generalmente, nidificano negli alberi a tronchi vuoti o deperenti. Le formiche trasportano molti semi, sia per servirsene di cibo, sia, a quanto pare, per materiale da costru- zioni, e per questo sono più specialmente preferiti i semi delle Leguminose, delle Composite e delle Graminacee. Tali insetti rac- colgono anche con avidità tutti quei semi forniti di aridi o di caruncule carnose, come quelli di Viola, di Theligonum, di Eu- phorbia, ecc.; quindi uno studio più preciso sulle relazioni elio passano tra le formiche e la disseminazione di molte piante, può rendere ragione della, frequenza di determinate specie come ar- boricole. Rispetto alle stazioni che le arboricole prescelgono (piando vivono sul terreno, seguirò la classificazione dei dottori Bégui- not e Traverso; cioè abbiamo : I. Specie nemorali a foglie larghe, per solito molli e glabre, cioè non adattate a sopportare direttamente le radiazioni solari, e con sistema radicale adatto ad un terreno ricco di humus. — ■ Posso indicare le seguenti: Anemone apennina, Viola Iurta — var. Denardtii, V. silvatica , Sileno italica. Stellarla media. Cerasti uni campa ii ni atavi, Orobus vernus, Nepeta Glecìioma, C gelameli neapo- litanum, Aristolochia longa, Daphne Laureola, Croca* Imperati, Aram italicum , ecc. Si comprende come sia facile , per queste specie, il divenire arboricole, trovando, nella chioma degli alberi che le ospitano , un sufficiente riparo contro 1' azione diretta del sole. II. Specie pratensi senza spiccati adattamenti né alla igrofilia, nò alla xerofilia. — Sono da notare fra questo specie: Geranium molle, Trifolium nigrescens — var. Polganthemum, T. subterraneum, Fragaria vesca , Galiuni veruni, Bellis perennis , Hieracium sp., Ajuga reptans, Luzula Forsterii, Carex brizoides — var. praecox, Poa trivialis. III. Specie palustri a tipo igrofltico, cioè con adattamenti che rivelano nel suolo una notevole percentuale di acqua: — Di specie appartenenti a questo tipo noto solo il Samolus Valerandi e si capisce come queste male si adattino a divenire arboricole, massime nell' Italia meridionale, dove si ha clima generalmente asciutto e sereno , per cui difficilmente queste specie resistereb- bero ad un principio di disseccazione. IV. Specie decisamente xerofitiche, cioè con adattamenti atti a sopportare una più o meno prolungata siccità e viventi natu- ralmente, per solito, in stazioni rupestri. — -Si possono citare le seguenti: Arabis muralis, Sedani album, S. dasipìigllum — var. nea- 'politanum, Cotyledon umbilicus, Linaria Cgnibalaria, Dadylis glo- merata, Val pia bromoides, Cynosurus echinatus , Serrafalcus seca- linus, S. mollis, Polypodium vulgare, Ceterach officinaruni, Asple- nium Trichomanes, A. Adianthum-nigrum, ecc. V. Specie ruderali o domestiche, cioè viventi, per solito, in vicinanza delle abitazioni. Si hanno : Oxalis comiculata , Sonchus tenerrimus, S. asper, Theligonum Cynocrambe, Urtica sp., ecc. Le altre specie non citate sono , per lo più ; proprie a di- verse stazioni, quindi possono essere comprese fra quelle ubiqui- tarie, cioè sfornite di spiccati adattamenti relativamente alle sta- zioni medesime. Quanto alla composizione del terreno preferito dalle specie da me riscontrate come arboricole, si può fare qualche interes- sante considerazione. Nella regione in cui furono raccolte queste arboricole si hanno terreni preponderantemente calcarei , come appare anche dalla vegetazione predominante, che è di tipo completamente cal- careo. Ma nelle arboricole ora citate, stando al catalogo di geo- grafia botanica pubblicato dal Contejean, si vede che ben poche di esse sono ad adattamenti spiccatamente calcicoli o calcifughi; cosi, sopra 74 specie , ben 35 appartengono alla categoria delle indifferenti , e solo 5 apparterrebbero alle calcicole, di cui una sola esclusiva . cioè 1' Orobus vermis. Si noti che le altre specie non figurano in questa lista, perchè piante meridionali, non con- template dal Contejean. Questo fatto può avere una duplice spiegazione; può dipen- dere cioè dall'essere le cavità degli alberi riempite di detrito di diversa provenienza (di cui molti organici), nei quali scarseggia sempre 1' elemento calcareo ; ed anche dal fatto che la massa di questi detriti è molto più permeabile all'acqua che non le rocce calcaree , quindi è atta maggiormente ad accogliere piante con radici avvezze ad affondarsi nei terreni morbidi. Per questo è a ritenere che i semi delle piante esclusivamente calcicole, perve- nuti nelle cavità degli alberi, danno luogo a pianticelle che pron- tamente periscono; mentre quelli delle specie indifferenti o cal- cilughe potranno, con maggiore faciltà, persistere e così, costituire, quasi per intero, la vegetazione delle arboricole. * * * Dopo di aver enumerato le arboricole di Cava e di averne rilevato i principali adattamenti , credo opportuno trattenermi alquanto su alcune di esse, per notare le caratteristiche che pre- sentavano, o le differenze colla flora cavese. Anemone apennina L. — Questa specie, abbastanza comune nel territorio di Cava, si trova con frequenza anche come arbo- ricola. Secondo il Béguinot 1), è entità che rappresenta, nell'Italia !) Beguinot, A. — Appunti per una flora dell' isola di Capri (Boll. Sor. Bot. /fui Firenze 1905), <• : Saggio sulla flora e sulla Biografia dei Colli Eu* ganei. Roma, L904 meridionale, VA. nemorosa L. dell'Italia settentrionale, cioè è una di quelle forme vicarianti, com'egli dice. L' A. nemorosa è data come silicicola esclusiva, ed il trovarsi come arboricola VA. a/pen- nina confermerebbe questa indicazione. È da notare clie in questa primavera la fioritura dell' A. a/pennina, tanto a Cava che all'Orto . di Napoli, si è presentata con grande predominanza di fiori bianchi e di colore azzurro-pallido ; mentre , negli altri anni , erano in predominio i fiori azzurro-carichi. Suppongo sia ciò dovuto ai geli abbastanza forti avuti nella precedente invernata, e ciò può confermare il legame esistente fra questa specie e VA. nemorosa, essendo quest'ultima a fiori bianchi, ed abitando regioni più set- tentrionali. Arabi s murali s Bert. — Questa specie vive normalmente sui muri, quindi si comprende come facilmente possa divenire arbo- ricola. La forma da me raccolta appartiene a quella entità di- stinta dal Tenore col nome di A. collina e da alcuni autori ri- tenuta come specie distinta , mentre il Béguinot la cita come vicariante, nell'Italia meridionale, della vera "A. muralis, che sa- rebbe più propria dell'Italia settentrionale. Se ne distingue per i cauli ascendenti, non ramosi; per le foglie oblunghe, ottuse, scabre su entrambe le pagine , con pochi denti ; per i petali a lembo largamente obovato e patenti, ed infine per le silique più compresse e più avvicinate. Viola Denardtii Ten. — Da alcuni autori considerata come varietà della V. Iurta L. e da altri come specie distinta. È da ritenere sia questa pure una entità vicariante, che sostituisce ap- punto, nell'Italia meridionale, la vera V. Iurta. Viola silvatica Fries. — La forma raccolta come arboricola è perfettamente glabra, a differenza del tipo frequente nei boschi, che si presenta sempre più o meno peloso. Grli esemplari da me trovati sono alquanto più piccoli, ma ben fruttificati. Viola tricolor L., var. arvensis Murr. — Questa specie è data come silicicola esclusiva, quindi sta a confermare come le silicicole possano più facilmente divenire arboricole, che non le calcicole. Silene inflata SM. — L'entità trovata come arboricola, e co- mune nella flora cavese , appartiene alla varietà a ,n gusti folla Ten. che, secondo il Béguinot, è vicariante della vera S. infiata, pro- pria dell'Italia settentrionale. Stellarla media Will. —La forma che si presenta come ar- boricola è piuttosto gracile, con foglie minute e con sepali più 0 meno pelosi. Geranium molle L. — Gli esemplari arboricoli presentano, sullo foglie, una peluria bene sviluppata e si trovano con abbon- dante fruttificazione. E degno di nota, fra gli altri, un esemplare assai ridotto in tutte le sue parti e quasi acaule, che rammenta quelli della microflora mediterranea. Oxalis corniculata L. — Gli esemplari trovati sulla Robinia appartengono alla varietà villosa MB, distinta per essere pianta più pubescente die nel tipo. Trifolium nigrescen Viv, var. polyanthemum Ten. — Questa varietà , che trovasi frequente nell' Italia meridionale , e quindi come vicariante del vero T. nigrescens, è facilmente distinta dal tipo, e si potrebbe ritenere per specie a sé, appunto quale l'aveva considerata il Tenore. E pianta molto più sviluppata, a fusti re- penti, fistolosi, con infiorescenze più grandi e più multiflore, ed a corolla completamente bianca. Anche gli esemplari trovati come arboricoli presentano uno sviluppo assai maggiore del vero T. ni- grescens. Vicia cordata Wulff. — E da rilevare , incidentalmente , la eterofillia di questa forma , certamente affine alla V. sativa L. Essa presenta le foglioline delle foglie inferiori obovato-smargi- nate, mentre quelle delle superiori sono strettamente lanceolato- lineari: per questi caratteri la forma raccolta come arboricola resta quasi intermedia fra la vera V. cordata e la V. eteroplnjlla Presi. Orobus vernus Ten. — Quest'è l'unica specie delle arboricole, che sarebbe data dal Contejean come calcicola assoluta ; però il Béguinot nota di averla osservata, come elemento immorale, nei boschi a substrato siliceo. Sedum album L. — Specie indicata come silicicola esclusiva, quindi confermante quanto già si è detto in precedenza. Sonchus tenerrimus L. — Questa specie abbonda sui muri ed è frequentissima anche come arboricola, a causa dei suoi frutti, che sono facilmente portati dal vento. La forma che più frequen- temente si trova sugli alberi appartiene alla varietà italìcus Spr., distinta per le foglie a lacinie strettamente lineari ed intere o quasi. Crepis leontodontoides Ali. — La forma raccolta come ar- boricola appartiene alla varietà Presili Nic, che si distingue per l'involucro dei capolini ispido-glanduloso e che, secondo il Bégui- not, rappresenta una entità vicariante, propria dell' Italia meri- dionale. — 9 — Nepeta Glechoma Bcnt. — La forma raccolta , quantunque noli fiorita , appartiene certamente all' entità distinta col nome di Glechoma hirsuta A\rk., da alcuni ritenuta come specie a sé e che si dovrà considerare come forma vicariante della forma tipica. Ajuga reptans L. — Questi esemplari sono notevoli per le foglie completamente glabre e non irsute, come , per lo più , si presentano, e perchè sono, inoltre, affatto intere. I fiori poi ap- pariscono alquanto più grandi, con le brattee dell' infiorescenza colorate. Cyclamen neapolitanum Ten. — Il Béguinot ritiene qnesta come una specie vicariante meridionale del C. europaeum L. Aristolochia longa L. — Ho trovato parecchi esemplari di questa, specie, tanto sul castagno che sulla quercia. Forse è forma sufficientemente distinta dall' A. pallida W. , colla quale alcuni autori tendono riunirla. Luzula Forsterii DC. — Specie abbastanza comune nella re- gione, ritenuta dal Béguinot come forma vicariante di L. pilosa Villd. Carex brizoides L. var. praecox (Schreb). — È un fatto assai interessante aver trovato, come arboricola, questa specie non an- cora riscontrata, per la flora di Cava, né per le regioni limitrofe. Il Tenore aveva dubitativamente indicato tale Carex pel Napole- tano , ma gli autori più recenti non hanno ritenuto si trattasse di questa specie; forse più minuziose ricerche la faranno trovare anche in altri luoghi, non essendo supponibile che si presenti solo in un punto e per giunta come arboricola. Dactylis glomerata L. — L'entità da me trovata si avvicina assai per diversi caratteri alla JJ. hispanica Roth., che appunto viene indicata dal Béguinot come forma vicariante propria del- l'Italia meridionale. Tuttavia non si può identificare con questa ultima, stante le foglie alquanto più larghe e verdi e 1' infiore- scenza più sviluppata. Polypodium vulgare L. — La forma che qui si presenta come arboricola è ascrivibile alla varietà serratimi W., anch'essa con- siderata dal Béguinot come vicariante dell'Italia meridionale; gli esemplari però raccolti sugli alberi sono molto meno sviluppati di quelli che vivono sul terreno e nei boschi , quantunque pre- sentino abbondante sporificazione. Questa specie, più che semplice arboricola, si può considerare vera epifita, aderendo spesso alle cortecce degli alberi non solo, ma vegetando nelle cavità di essi, ricche di detriti. 10 — Dalle su esposte considerazioni appare evidente quanto sia importante lo studio delle arboricole nei nostri paesi, ed io mi auguro, con successive raccolte e nuove osservazioni, di apportare altro materiale, per meglio approfondire questo interessante ar- gomento. Sopra alcuni casi di teratologia vegetale, pel socio L. Marcello. (Tornata del 1° dicembre 1905) Presento ancora pochi altri casi di teratologia, che potei con- statare in diverse piante, sia a Napoli, sia a Cava dei Tirreni. 1. — Helleborus foetidus L. Una foglia di questa specie mostrava il segmento mediano sdoppiato verso la metà , in modo da terminare con due apici, di cui, uno maggiore, in continuazione del nervo mediano, e l'altro, alquanto minore ed un poco laterale, che assumeva quasi l'aspetto di un lobo. Quest'ultimo era pure fornito di nervatura mediana propria, la quale si dipartiva poco al di sotto dello sdop- piamento della lamina. 2. — Diplotaxis tenuifolia DC. In parecchi fiori di questa specie ho riscontrato una note- vole anomalia. I sepali , in luogo di restare eretti e conniventi , o quasi saldati fra loro, si trovavano distesi orizzontalmente e presenta- vano uno sviluppo assai maggiore, con unghia più o meno pro- nunziata e lembo alquanto concavo , ed erano di colore verde, ma un poco più giallognolo del normale. I petali , pure distesi orizzontalmente, raggiungevano una lunghezza doppia dei sepali, ed il loro lembo si restringeva gradatamente verso la base, ren- dendosi cosi meno sensibile la presenza dell' unghia, ed acqui- stando una forma pressoché spatolata ; la, loro colorazione poi era più verdastra che nei fiori normali, avvicinandosi cjsì a quella dei sepali. Gli stami poi presentavano una riduzione nella lun- ghezza del filamento e le antere, quantunque bene sviluppate, non contenevano più che poco polline a granellini affatto rudi- mentali, il pistillo, invece, aveva assillilo uno sviluppo enorme, superando più volte in lunghezza gli altri organi, ed era appiat- — 12 — tito, di forma quasi ovale e di aspetto vescicoloso; internamente, in luogo degli ovuli, conteneva dei piccoli organi fogliacei. Un'anomalia analoga a questa fa osservata e descritta, per la medesima specie, da Seringe e Heyland, nel Bulletin botani- que, 1830, n. 1 ; ma tali autori non rilevano la causa di siffatta mostruosità. Un' altra mostruosità, che ricorda questa stessa, fu descritta , per la Sinapis arvensis L., dal Molliard (Recherches sur les cécidies florales) negli Ann. (Ics Sciences Natnr. Ser. 8.e t. I, p. 136. Tale autore ammette che detta anomalia sia dovuta alla presenza di un afido; ed è a credere che questa possa essere la causa della deformazione testé descritta per la Diplotaxis, tanto più che, nelle infiorescenze che ho esaminate, tutti quanti i fiori erano deformati , cosa facile a spiegare , se si ammette la pre- senza dei suddetti insetti, i quali facilmente possono passare dal- l'una all'altra gemma fiorale. 3. — Bergenia crassifolia Moench. In questa specie ho potuto osservare due foglie teratologiche abbastanza interessanti. Una foglia presentava il lembo accartocciato alla base, e sal- dato in modo da formare un vero ascidio. Così la foglia risul- tava peltata , avendosi anche lo sviluppo di un nervo suturale nella reo-ione della saldatura dei due lobi basilari. o L' altra foglia mostrava , invece , due ascidii alla baso del lembo, uno per ciascun lato della nervatura mediana, ed il mar- gine fogliare si prolungava , seguendo appunto questa nerva- tura, in due creste, per i quattro quinti della lunghezza della lamina. Tali creste presentavano molte sinuosità od increspa- ture assai pronunziate ed il loro margine aveva una dentellatura identica a quella che si riscontra nel margine normale della foglia. Un caso assai simile solo a quest' ultimo è stato descritto da Massalongo nel Nuovo giornale botanico italiano, voi. XV [II, p. 324. Egli pensa che questo caso possa dare spiegazione della formazione delle antere da metamorfosi della lamina fogliare; in- vero questa supposizione non corrisponde coll'idea che hanno i botanici moderni del modo di costituzione delle antere. In realtà, cdiuc ha fatto spesso notare il Delpino [Annuario Scientifico del Tre- ves, Anno XIII, p. 481, ecc.), lo protuberanze pollinifere delle an- giosperme sono considerate come analoghe ai sacchi polliniferi delle gimnosperme, e debbono essere, le une e gli altri, tenuti quali — 13 - formazioni distinte dalla foglia che le ha prodotte , e soltanto longitudinalmente adnati alla foglia stessa. Convengo poi pie- namente col Massalongo che tale anomalia non risulti dalla fu- sione laterale di due foglie, bensì sia il risultato della saldatura dei due margini fogliari ripiegati e prolungati lungo la nerva- tura mediana. Infatti , il primo caso teratologico su esposto si può ritenere come un inizio di tale anomalia; imperocché se sup- poniamo che la parete anteriore del detto ascidio rientri e si saldi colla pagina superiore della foglia, e precisamente nella re- gione della nervatura mediana, ne risulteranno due ascidii laterali, simili a quelli che si riscontrano nel secondo caso descritto. 4. — Jasminum grandiflorum L. In un individuo di Jasminum grandiflorum, ho riscontrato un caso di fasciazione di rami molto pronunziato, con tendenza di avvolgimento a spirale. Tale fasciazione si estendeva alla re- gione fiorale, ed infatti, i peduncoli di alcune infiorescenze ed i pedicelli di alcuni fiori erano anche compressi, come i rami fa- sciati, e variamente riuniti fra loro. Cosi si avevano fiori certa- mente costituiti dalla riunione di due o tre di essi, presentando calici di 10-12 o più sepali, corolla egualmente di molti petali, in maniera che i fiori assumevano l'aspetto di fiori doppii. Anche l'androceo consisteva di molti stami, ed infine si avevano 2 o più pistilli liberi od alquanto saldati fra loro. Notevole il fatto che l'estremità libera di un petalo di uno di questi fiori portava un ovulo perfettamente sviluppato. 5. — Cornutia pyramidalis Spr. In un individuo di questa specie ho riscontrato una dupli- cazione fogliare, cioè una foglia semplice alla base e terminante in due apici ben distinti, ciascuno con nervatura propria , deri- vante da biforcazione della nervatura primaria. Si tratta, certamente, di ^moltiplicazione e non di sinfisi, imperocché questa lantanacea ha foglie opposte, e, nel caso pre- sente , non si riscontrava alcuna anomalia fra le diverse coppie di foglioline , ma tanto le precedenti quanto le seguenti erano normalmente in ordine decussato. — 14 — 6. — Allium sativum L. Una pianta di tale aglio mostrava, quasi a mota dello scapo, un secondo bulbo, più piccolo, composto di 4 bulbilli benissimo sviluppati, mentre si continuava lo scapo stesso, il quale, in alto, aveva prodotto, normalmente, parecchie foglie. A proposito di questa specie giova notare che in Napoli è facile rinvenire una sua varietà, la quale porta il bulbo semplici'. sferico, e non composto di bulbilli , come di regola avviene. Il Pasquale (Flora vesuviana , p. 102) osserva che gli agli a bulbo composto, coltivati sulle lave del Vesuvio , costantemente danno origine ad altri agli con bulbo semplice. Sulla terminazione dei canalini dentinali nel cemen- to dentario e sulla presenza o meno dei canali di Havers nel cemento stesso , pel socio Alberto Evan- gelista. (Tornata del 31 dicembre 1905) Gli autori che si sono occupati della struttura del dente sono molti ed eminenti. Avendo letto le conclusioni dei varii studii istologici al riguardo , mi avvidi intanto che non vi è accordo fra loro su di alcune particolarità strutturali dei denti, e perciò intrapresi lo studio istologico di questi, per formarmi una propria convinzione con lo studio dei fatti. I quesiti che mi proposi di risolvere sono i seguenti : 1.° Qual' è la terminazione dei canalini dentinali nel cemento e quali i loro rapporti con questo ? 2.° Esistono o non canali di Havers nel cemento dentario ? In quanto al primo quesito vi sono principalmente le diver- genze del Tomes e del Kòlliker, in quanto che il primo fa ter- minare i canali dentinali nello strato granuloso da lui scoperto; il secondo li spinge più oltre, ponendoli in rapporto cogli osteo- plasti del cemento. Riguardo al secondo quesito, anche molti autori sono discordi. Tomes, Magitot, Morel, Retzius differenziano il cemento dall'osso solo per la mancanza della stratificazione lamellare e dei canalini haversiani; il Kòlliker ed il Thomson invece ammettono i canali di Havers. Mi posi al lavoro, fornendomi di un numero abbastanza co- pioso di denti. Ed ho studiato il dente umano dapprima, poi quello di altri animali, e propriamente ho esaminato il dente del cavallo , del bue e del cane, come quelli che avendo il cemento e la dentina maggiormente sviluppati, potevano più evidentemente lasciarmi osservare la struttura di queste sostanze. — 16 — Tecnica Ho usato tutti e due i metodi di preparazione, che si sogliono pei denti, cioè quello per decalcificazione ed inclusione e quello per usura ; e mi son dovuto convincere che la decalcificazione altera le cavità del dente, e volendo proprio queste studiare, il metodo da preferirsi è assolutamente quello per usura. Nondimeno, al principio, credendo che le aberrazioni di strut- tura dipendessero dal liquido decalcificatore, ne sperimentai pa- recchi, usando prima l'acido solforico, poi l'acido nitrico con al- lume, poi l'acido picrico; ma -mi convinsi che non era il liquido decalcificatore, ma la decalcificazione stessa che altera le cavità. Le inclusioni le ho fatte in celloidina ; i metodi di colora- zione sono stati: l'ematossilina ed eosina, il carminio boracico, il carminio alluminoso, il picrocarminio; ma, essendo già scomparse le cavità per la decalcificazione e non comparendo esse con nessuno di questi mezzi di colorazione, non vi ho molto insistito e sono passato all'altro metodo, quello a secco, per usura. Ho segato il dente colle seghette che si usano pei metalli, e poi, con lime di varia gradazione, ho assottigliata la sezione fatta , sino a ridurla trasparente in tutti i suoi punti , lavoro noioso e lungo e che, specialmente al principio, fa sciupare molto materiale, perchè le lamelle si spezzano proprio quando son di- venute sottili e perciò buone ad osservarsi. Io per vedere quando poteva servirmi delle sezioni, le ponevo su di uno stampato, e se lo leggevo, la sezione era certamente giunta al punto da po- tersi montare per la osservazione. Prima però bisogna lavarle con un pennellino in acqua e poi in alcool, per togliervi la rasura dipendente dalle manipolazioni e che impedisce la netta visione ; poi si può montarle. Ho ten- tato di colorare le sezioni fatte a secco, ed usai dapprima il me- todo Garbini, con l'azzurro di anilina e safranina; poi l'azzurro di anilina solubile nell'alcool, ponendo le sezioni col liquido in una capsula e facendolo poi evaporare lentamente, ma la colo- razione non veniva egualmente diffusa in tutte le cavità, poiché alcune restavano colorate, altre no. Allora pensai di far restare le sezioni per un paio di giorni nello stesso liquido, ma pure ri- scontrai l'istesso inconveniente. Ed allora passai all'acido osmico, con cui ho avuto delle buone colorazioni. Basandomi sul princi- pio noto che l'acido osmico colora in nero i grassi, feci restare per 24 ore le sezioni in olio di ricino, e (piando mi parvo che — 17 — tutte le cavità e lacune dovevano essere impregnate di olio, asciu- gai molto bene la superficie delle lamelle, per impedire la colo- razione dove non esistevano cavità e poi esposi le sezioni stesse ai vapori di una soluzione di acido osmico , che dopo un paio di ore mi aveva bella e colorata la sezione, la quale, dopo pas- sata per poco sul vetro smerigliato, diveniva tale da potersi mon- tare. Le cavità vengono tinte in nero, la sostanza fondamentale non viene colorata affatto, come del resto aveva pel primo con- statato il Petraroja, che usò tale espediente per lo studio della struttura delle ossa, per consiglio del Prof. Antonella Dapprima tutte le sezioni le montavo in balsamo duro, poi mi son trovato più contento di montarle in glicerina e fare la cornice all' intorno del coprioggetto ; così i preparati appaiono molto più chiari. Dentina Ed ora, prima di dire le mie osservazioni sulla struttura della dentina e del cemento, ricorderò in breve come ne avviene la formazione. Per ciò che riguarda la dentina, gli autori che si sono oc- cupati dell' argomento non si trovano d' accordo. Thomas Bell credette che l'avorio fosse secregato da una membrana prefor- mativa, la quale inviluppa immediatamente la polpa. Purkinje e Schwann ritennero che la polpa si trasformi in dentina per un lavorìo speciale, cioè dapprima le cellule perife- riche della polpa prenderebbero una forma allungata , di modo che la polpa si dentini ficherebbe, cominciando dalle cellule peri- feriche. Nasmiht credette che le cellule della polpa si conver- tissero in cellule dentinarie o di avorio, per deposito di sostanze calcaree nell'interno delle cellule, avvenendo ciò per proprietà speciale delle cellule stesse di trasformarsi in avorio assieme al loro nucleo, il quale assume una disposizione speciale, costituen- dosi le così dette da lui « fibre dentinarie ». Il Kòlliker ammise che la dentina fosse una trasformazione degli strati periferici della polpa , le cui cellule si allunghereb- bero sino a raggiungere il tipo normale. Robin e Magitot ammisero che le cellule della periferia della papilla sono gli elementi formatori dell'avorio e che il bulbo forma il blastema necessario per la genesi di dette cellule. Appena for- mate, queste cellule si solidificano , si saldano tra loro , compa- ■2 — 18 — rendo nella stesso tempo i canalicoli dentarli. I quali , secondo i detti autori, sarebbero gli spazii esistenti tra cellula e cellula. Tomes infine sostiene che l'avorio nasca dalla superficie ester- na del bulbo, da fuori in dentro, per attività delle cellule che co- stituiscono la membrana dell'avorio e sono dette « odontoblasti ». Esse formano uno strato nettamente definito e sono disposte in uri solo piano al di sopra di elementi molto differenti, che for- mano il sostrato dell'organo dell'avorio. Sono elementi dapprima cubici con nucleo conico , quando poi la polpa ha terminato la formazione dell'avorio, le cellule si affilano ad una estremità per formare i prolungamenti dell'avorio. Di modo che per Tomes l'avorio si forma per diretta trasformazione delle cellule odonto- blastiche e le fibrille dell' avorio sarebbero prolungamenti degli odontoblasti stessi. Queste sono le diverse teorie sulla formazione dell' avorio, ma pare che la più accettata sia quest' ultima del Tomes , rap- presentando gli odontoblasti le cellule formatrici dell' avorio ed i loro prolungamenti i generatori dei canalini. La dentina o avorio è la parte essenziale della sostanza dura del dente, di cui riproduce la forma. Il colorito è vario dal bianco bluastro al bianco gialliccio, splendente nei denti disseccati. Lo splendore 1' ho riscontrato variabile nei varii denti del- l'uomo non solo, ma anche dei varii animali che sono stati og- getto di mio studio. Neil' uomo, in denti giovani, ho riscontrato una lucentezza maggiore che nei denti dei vecchi ; nel cavallo la lucentezza è superiore a quella della dentina umana, di modo che, ad un taglio trasversale netto, si osserva addirittura una superficie speculata; in seconda linea viene quella del bue ed ultima è quella del cane, in cui si nota la superficie dentinale inatta e di colorito bianco- gialliccio. La durezza dell'avorio è maggiore dell'osso e del cemento, ma inferiore a quella dello smalto. Anche essa è variabile nei varii denti, e volendo tenere un ordine, sempre riguardo ai denti che ho studiato, bisogna mettere in prima linea la dentina del cavallo , che è di una durezza straordinaria , ciò che ho visto molto praticamente, perchè , per ogni sezione di un tale dente, ho spezzato de sei a sette seghette. Seconda, in (pianto a durezza, è la dentina del bue, poi quella umana, ultima quella del cane, che si lascia segare abbastanza facilmente. — 19 — L' avorio limita là cavità dentaria, ad eccezione di un orlo o cercine molto piccolo nell'apice della radice , per cui passano i vasi ed innervi. Esso consta di sostanza fondamentale omoge- nea calcificata e di canalicoli, di modo die la differenza essen- ziale tra la dentina e l'osso sta nel fatto, che la prima non con- tiene ne vasi, né cellule, eccetto i prolungamenti degli odontoblasti, che sono cellule speciali , che formano uno strato semplice alla superfìcie della polpa dentaria. Sono più lunghe che larghe, con nucleo rotondeggiante, spostato verso l'estremo che è rivolto alla polpa. Sono piccole nei denti vecchi, grosse nei giovani ed hanno ciascuna un prolungamento centrale o prossimale, che s'insinua nella polpa, due prolungamenti di lato, per cui gli odontoblasti si riuniscono tra loro e quattro o cinque prolungamenti perife- rici o distali, che s'insinuano nei canalini dentarli, rappresentan- done la matrice e chiamati « fibre dentimene ». I canalicoli, che nei tagli freschi, contengono le fibre den- timene degli odontoblasti , in tagli di avorio secco appariscono neri, come le cavità ossee, perchè ripieni di aria. I canalicoli o tubi della dentina sono scavati nella sostanza fondamentale; sono numerosi, lunghi, sottili, estesi dalla cavità dentaria radialmente verso la periferia , cioè dalla superficie interna alla esterna del- l'avorio e perpendicolari alla superficie dello stesso, sono quindi trasversali alla radice del dente, divengono sempre più obliqui mano a mano che si avvicinano alla sommità della corona, dove sono longitudinali e si interrompono nello strato granuloso di Tomes o strato delle zone interglobulari (quando ci sono), e poi si ricostituiscono e si possono seguire nello smalto, dove si riu- niscono a fasci. Nel punto in cui sboccano nella cavità dentaria hanno maggiore ampiezza. Al confine della dentina collo smalto e col cemento, si divi- dono più volte ad angolo acuto e finalmente alcuni terminano come esilissimi ramoscelli ciechi alla estrema periferia della so- stanza, altri raggiungono lo strato granuloso di Tomes ed ivi si fermano, altri finiscono fra i prismi dello smalto e moltissimi ho visto che dallo strato granuloso si ricostituiscono, diventano più larghi e vanno ad anastoinizzarsi colle ramificazioni laterali delle cavità ossee del cemento (v. figura I) , laddove nello smalto, quando vi passano, sono riuniti a fasci , che si possono seguire sino alla superficie. Inoltre, i canalicoli della dentina si dividono e suddividono dicotomicamente ad angolo acuto, anastomizzan- dosi colle divisioni vicine. — 20 — Nella dentina della corona/e non lungi dal confine della den- tina stessa collo smalto si trovano delle cavità irregolari, che in sezione appaiono delimitate da superficie sferiche, e che consi- stono probabilmente di dentina non calcificata. Esse presentano grandi varietà individuali e sono conosciute col nome di « spazii interglobulari » (v. figura II). Altre simili cavità , ma assai più piccole , si riscontrano più costantemente verso il confine della r 43 '"**-■ *4v *s$k *5 Mf '- m & ì. * -■ :£■ * «K Fig. I. dentina col cemento, alcune fuori dell'ambito delle ultime termi- nazioni dei canalicoli dentarli, altro in comunicazione con questi; formano quindi un altro strato posto tra la dentina ed il cemento ed è lo « strato granuloso » di Tomes (v. figura I). Parecchi au- tori però chiamano strato granuloso sia quello che sta ai limiti della dentina col cemento, che quello tra la «leni ina e lo smalto. Ma a me parrebbe più corrotto farne la distinzione, perchè mentre lo strato granuloso pr. d. l'ho riscontrato quasi sempre, gli spazii interglobulari non sempre; come pure non formano in tutti i casi — 21 — uno strato , ma si riscontrano molto spesso delle cavità irrego- larmente distribuite. Vi è differenza anche nulla forma e nella grandezza, poiché gli spazii interglobulari sono più grandi e più irregolari, i gra- Fig. IL nuli sono più piccoli e più regolari. Entrambi sono ramificati. Nel dente di bue ho riscontrato qualche cosa di più, e costante- mente, cioè che in corrispondenza della cavità dentaria, sempre nell'avorio, vi sono degli strati concentrici di cavità irregolari, alcune più piccole, altre più grandi, alcune triangolari, altre ro- — 22 — tondeggianti od ovali, rassomiglianti molto alle cavità che for- mano lo strato granuloso, che sta al limite tra dentina e cemento, colla differenza solo della grandezza, poiché queste sono notevol- mente più grandi di quelle (v. figura II). Questi strati in alcuni denti sono al numero di tre a quattro/ in altri arrivano sino ad otto e sono sempre disposti concentricamente alla cavità dentaria. Rassomigliando molto a quelli dello strato granuloso, ne devono avere anche lo stesso significato , cioè di dentina non perfetta- mente calcificata. In un dente fresco il contenuto delle zone interglobulari è molle, simile a dentina decalcilicata; ma, in una sezione di den- tina secca, dette zone, per l'essiccamento del loro contenuto, ap- paiono nere, perchè piene di aria. Le zone interglobulari si spiegano studiando lo sviluppo del- l'avorio. Infatti questo si calcifica in corpi sferici; ora, se fra loro rimane della dentina imperfettamente calcificata, essa in una se- zione assume 1' apparenza di dentina circoscritta da larghi seg- menti sferici. Infine debbo ricordare di aver constatato nei denti molari del cavallo una particolarità, che fu già notata dal Baume e che, secondo questo autore, è propria soltanto degli equini. Si tratta di uno straterello di smalto, che trovasi tra la dentina ed il ce- mento, il quale, in questi animali, non si limita a rivestire soltanto la radice, ma si estende a ricoprire buona parte della corona (v. figura III). Esso è attraversato da canalini esilissimi, alcuni iso- lati , altri riuniti a fasci, e sembra che siano continuazione dei canalini dentinali, i quali, giunti allo strato di Tomes, si assot- tigliano, poi si ricompongono, attraversano lo strato anzidetto in modo tortuoso e poi terminano alcuni al limite di esso strato col cemento, altri si pongono in relazione cogli osteoplasti. Cemento Tutti gli scrittori sono concordi nell' ammettere che il ce- mento fosse una derivazione del sacco , però di quella parte di esso che riveste la porzione allungata della polpa, che deve for- mare la radice del dente , e la sua formazione continua anche quando , dopo lo spuntar del dente , è divenuto periostio del- l'alveolo. Il cemento rappresenta il rivestimento esterno della radice del dente. Comincia come uno strato sottile dove lo smalto cessa (tranne nel caso degli equini, come sopra si è detto), diviene più — 23 — spesso verso la radice, e verso l'apice di essa assume lo spessore maggiore. La sua faccia interna si unisce nell'uomo, senza una sostanza interposta, alla dentina, la faccia esterna è in rapporto col periostio alveolo-dentario. , Il cemento è un tessuto osseo modificato , perchè privo di lamelle e di canali di Havers. Questo nell'uomo, perchè costan- temente non li lio riscontrati in quaranta denti che ho sezionati, -. 4 Fisr. IH. sia di giovani, sia di vecchi, sia di denti incisivi, sia di molari, e neanche in quelli in cui vi era unione dei cuspidi delle radici, mercè cemento, e quindi più probabile la presenza dei detti ca- nali per la iperplasia di tessuto. Nel cavallo ci sono, e li ho riscontrati non molto raramente, sempre però nei grossi molari ed in quelli di cavalli adulti , in cui il cemento è molto più abbondante; tanto che ho potuto iso- lare, quasi sempre dal mezzo della biforcazione delle radici, dei pezzi di cemento, che ho preparati, e quasi tutti con esito po- sitivo. Questi canali di Havers però sono molto irregolari, alcuni sono rettilinei, altri si piegano ad angolo acuto, altri sono appena — 24 — accennati e molto brevi, ed altri infine sono ramificati, con tre a quattro rami; mancano però le anastomosi tanto spiccate come si trovano nell'osso e manca pure intorno ad essi una stratifica- zione regolare delle lamelle, che si riscontra nell'osso stesso (v. fig. IV). Invece ho riscontrato frequentemente che attorno ai canali haversiani, molto corti, gli osteoplasti si dispongono circolarmente !» a. oc ®* »• f • * f • i ul\ - ■ y *• • « N" •> * Ó» fi hi '■'■*! » * t »■ ■''* il fl/'j ^ si* 4'Jr- : * * [ ,ff «&^ |j fi 4 • Fig. IV. in uno strato semplice. Ora, data la presenza dei canali haver- siani nel cemento dentario, io inclino a ritenere che il periostio alveolo-dentario non si possa considerare un legamento , come molti autori vogliono , ma che si debba considerare vero perio- stio , giacché i canali di Havers non si possono formare che a spese del tessuto fibroso che è situato al di fuori del cemento. Veramente, in favore di coloro che ritengono esser quello un le- gamento, sta il fatto che le fibre che lo costituiscono sono quasi tutte tese dall'alveolo al cemento; ma poiché le sue parti interne — 25 — si ossificano, come il periostio dell'osso, e contribuiscono ad ispes- sire il cemento, dando a questo tragitti vasali, che non giungono nella dentina, evidentemente essi devono esser formati da un pe- riostio, come quello che riveste le ossa tipiche, ed è perciò che mi pare impropria la denominazione di legamento alveolo-dentario. Gli osteoplasti del cemento umano sono più larghi che quelli dell'osso ed i loro canalicoli sono diretti in massima parte verso la periferia della radice, altri poi, come già si è detto, volgono verso lo strato granuloso per anastomizzarsi almeno in parte coi canalicoli dentinali. Sono inoltre più irregolari, come anche i ca- nalicoli a cui danno origine, poiché gli uni sono molto fini, gli altri spessi e si biforcano in modo capriccioso ; alcune cavità hanno sei a sette ramificazioni, altre sino a venti. In quanto a forma, alcuni osteoplasti sono ovali e paralleli all'asse longitudi- nale del dente, altri arrotonditi o piriformi. Alcuni più notevoli sono quelli che , con una forma molto allungata , posseggono una cavità canaliforme molto stretta (v. figura II). Ciascun osteopPasto contiene una cellula ossea prov- veduta di prolungamenti, che percorrono i canalicoli primitivi ed i loro rami, come dimostrano i preparati decalcificati. La so- stanza fondamentale del cemento differisce da quella dell' osso, perchè è più trasparente e più dura, quindi si potrebbe avvici- nare a quella della dentina. Negli strati molto sottili mancano quasi le lacune, ma molte volte le ho trovate scarse anche negli strati molto spessi. Il cemento del dente di cavallo, di bue e di cane si diffe- renzia molto spiccatamente da quello del dente umano , per la grandissima quantità di osteoplasti : si può dire che sia tempe- stato di cavità ossee , di modo che la sostanza fondamentale è molto scarsa; inoltre le cavità sono più grandi, presentano un maggior numero di ramificazioni, sono più regolari e più roton- deggianti. CONCLUSIONI 1.° Ho riscontrato i canali di Havers, non molto raramente, nel cemento dei grossi molari del cavallo ; sono però meno ra- mificati, meno regolari e vi manca una netta stratificazione la- mellare. 2.° Data la. presenza di questi canali , e non potendo per- venire che dal periostio alveolo-dentario, parrebbe più giusto con- — 26 — siderare, questo come vero periostio e non come legamento, se- condo le opinioni di taluni autori (Giuria P. M.). 3.° Dei canali dentinali alcuni terminano nello strato gra- nuloso del Tomes , altri all' interno di esso a fondo cieco , altri all'esterno e si anastomizzano cogli osteoplasti. 4.° Nei denti di bue , all' intorno della cavità alveolo-den- taria, sempre nell'avorio, vi sono varii strati concentrici di ca- vità molto simili a quelle che formano lo strato granuloso di Tomes. 5.° Nei denti molari del cavallo , tra lo strato granuloso ed il cemento, vi è uno strato di smalto, attraversato dai cana- lini dentinali, che si sono interrotti nello strato granuloso e che poi, facendosi più rari, vanno alcuni a finire nel cemento o li- beri o in anastomosi cogli osteoplasti, altri al limite interno del cemento stesso. Istituto anatomico della E. Università di Napoli, diretto dal Prof. Giovanni Antouelli. ' — 27 — BIBLIOGRAFIA Tomes. — Traité d'anatomie dentaire humaine et comparée. — Traduction du D.re Cruet, 1880. KSlliker. — Handbuch der Gewebslehre des Mense) ìen 1. Anrlage. Magitot. — Contribution à 1' Etude du developpement des dents. Tróisiéme mémoire, 1881. Morel et Villemin. — Traité élómentaire d' histologie humaine , 3." edition. Paris, 1880. Thomson (P. I).— Ueber die atroph. Veràander in d. Alveolarfortsaizen d. Kief. bel locomotor. Ataxie. 1883. Scervini P. — Trattato completo di odontojatria. 1899. Giuria P. M. — Fase. 41. 42 del Trattato italiano di chirurgia. Odontojatria. Ed. Vallardi. Garbini. — Zeitschr far wiss. Mikrosk. Bd. V. 1888. Petra roja. — Studio sulla struttura delle ossa. Nasmiht (Alex). — Becherches on the developpement, structure and discases of the tbeeth. London, 1839. Borin. — Quelle est la valeur des signes fournis par l'ètat des dents. Paris, 1839. Baume R. — Fersuche einer entwickelungsgechickte des Gebisses. Leipzig 1882. Beaunis e Bouchard. — Nuovi elementi di anatomia descrittiva e di embrio- logia. Hyrtl G. — Anatomia dell'uomo, ultima edizione. Bell Thomas. — Notes à Unter. Oevres completes, 1843, t. II. Retzius. — Mikrosk. Untersòk ecc. Stockholm 1837 , and Translation in Na- sniytli on the Teeth 1839. Schwann Th. — Mikroskopische Untersuchungen iiber die Uebereinstimmung in der Structur der Ptìanzen imd Thiere. Berlin. 1839. 8. Sulle difese marginali delle foglie. Secondo contribu- to pel socio Alessandro Bruno. (Tornata del 30 marzo 11)06) Le mie continuate ricerche intorno alle difese marginali delle foglie, delle quali ho già, or non è molto, comunicato una prima serie 1)1 mi han vie maggiormente convinto della importanza di una condizione protettiva, a cui, evidentemente, è mancata fi- nora la meritata attenzione. Del che, a mio avviso, è causa precipua 1' essersi acconten- tati di una semplice indagine macroscopica sì, da ritenere intere ed inermi , sol perchè macroscopicamente nulla rivelano, anche foglie più o meno difese nel loro contorno. Invisibili organi, che, svelati dal microscopio, si presentano numerosi al nostro occhio, riuniti come in falangi protettrici, di difesa e di offesa, sempre vigili a respingere, passivamente o at- tivamente che sia , i nemici della foglia , fanno intuire come il loro uffieio , in apparenza modesto e ristretto nei suoi confini, sia più importante di quel che a prima vista non sembri, e come una esatta ed esauriente cognizione di esso potrebbe, forse, ap- portare non poca luce a qualcuno dei più difficili problemi delle leggi biologiche. * * Presento qui, da me studiate , una seconda serie di piante, nelle cui foglie offre il contorno delle note sufficienti a darci del suo valore un concetto più esatto ed adeguato. Solo per faciltà ed ordine di esposizione conduco il mio studio secondo la divisione in gruppi, già precedentemente sta- bilita nel mio primo lavoro, divisione, a cui— lo ripeto ancora una volta — non intendo dar di classifica carattere alcuno. h A. Bruno— Sulle difese marginali delle foglie. Boll. d. Soc. di Na- turalisti in Sa i>nli. Anno XIX- Voi. XIX, l'J05. 29 — * * * Noto anzitutto alcuno specie , nelle quali il contorno, asso- lutamente privo di qualsiasi macroscopica o microscopica difesa, rappresenta, tuttavia, esso stesso una valida protezione della la- mina, data la resistenza cartilaginea, che gli vien conferita dalla sua densa struttura. Gladiolus segetum. — Iridacee. Foglie verticalmente disposte , ensiformi, aguzze , paralleli- nervie. Il margine, intero, resistente, cartilagineo, limita nettamente la foglia. Al microscopio apparisce come un cordone chiaro, ben distinto dalla massa laminare e costituito di più strati di cellule fittamente riunite. Pittosporum Tobira. — Pittosporee. — Asia orientale. Foglie ovali , con apice arrotondato, penninervie , coriacee, glabre, picchiolate. La lamina è limitata da un margine fortemente cartilagineo, bianco-giallognolo , che al microscopio si rivela assolutamente sprovvisto di peli e di qualsiasi altra difesa e costituito di una fittissima palizzata di cellule, disposte in molteplici strati paral- leli, nettamente distinti dal parenchima foliare. Picconia excelsa. — Oleacee. Foglie ovali, picchiolate, coriacee, glabre, penninervie, ottuse all'apice, di color verde-cupo nella pagina superiore, verde-chiaro nella inferiore, con margine intero, biancastro, cartilagineo, molto resistente. * * * Le specie, che seguono , hanno una caratteristica notevole nel loro contorno , difeso conio è questo da una ricca peluria, anche ad occhio nudo visibile. Il fatto che simili peli si rincontrano pure in altre regioni della foglia, regioni, che, costanti per la stessa specie , variano — 30 — dall'una all'altra, è degno di rilievo, perchè la difesa offerta dai peli, se esistesse in tutte le piante costantemente su una mede- sima regione foliare, avrebbe minore importanza di quel che ha, invece , col variar da pianta a pianta , costituendo una prova dell' adattamento di organi protettori a seconda del bisogno, ed' una prova, quindi, della loro reale importanza. In effetti , i peli , che difendono il contorno laminare delle foglie nelle specie, che più giù descrivo, si trovano anche in al- cune o lungo il picciuolo o lungo le nervature nella sola pagina superiore , o lungo le nervature della sola pagina inferiore , in altre sulle nervature o sulla intera lamina sia inferiormente, sia superiormente , in altre , infine , su entrambe le superfìcie lami- nari e sul picciuolo. Solarium nigrum. — Solanacee. Foglie nell'insieme ovali, con contorno largamente sinuoso, membranacee, penninervie, picchiolate. Il margine lascia agevolmente distinguere a occhio nudo una minuta e fitta peluria , che al microscopio si rileva ancora più densa e fatta di peli pluricellulari, di forma conica, impian- tati perpendicolarmente al contorno stesso. Le cellule, che costituiscono questi peli , sono, in generale, in numero non maggiore di sei, di forma appiattita , rettango- lare, disposte 1' una in seguito all' altra in un' unica fila ed ap- pariscono come altrettanti articoli, che possono anche rotare sulla superficie di contatto, senza lacerarsi : non è raro, infatti, il caso di veder degli elementi di un medesimo pelo alcuni di prospetto ed altri di coltello. È notevole che identici peli abbondano moltissimo sul pic- ciuolo ed anche sui piccoli rami , mentre non esistono né sulla pagina superiore, né sulla inferiore delle foglie. Solarium tuberosum. — Solanacee. Foglie composte, pennato-sezionate, a foglioline alternativa- mente più grandi e più piccole. In tutte, indistintamente , il margine è fornito di peli, che ricordano per la loro costituzione quelli del Solarium nigrum e che, oltre a proteggere il contorno, si trovano anche su entrambe le facce della lamina sul percorso delle nervature. - 31 Convolvulus arvensis. — Convolvulacee. Foglie picciuolate, saettiformi, penninervie. Lungo il margine s' innalzano dei peli frequenti , senza , pertanto , esser numerosi , a t'orma di cono molto allungato , i quali esistono anche sul contorno della regione basilare della foglia e lungo la nervatura principale sulla pagina superiore. Primula offlcinalis. — Primulacee. Foglie ovali, restringentisi alla base fino all' inserzione sul- 1' asse. Membranose , penninervie , superiormente glabre , hanno il margine lievemente sinuoso e protetto da peli, i quali son costi- tuiti da cellule di forma rettangolare, che, in numero perfino di dieci, si seguono in fila, articolate. Anche la pagina inferiore lungo le nervature offre un' ab- bondante quantità di peli, come quelli descritti. Fagus silvatica. — Cupulifere. Foglie ovate, picciuolate, di consistenza tra membranosa e coriacea, penninervie, dal margine leggermente sinuoso e ricca- mente fornito di peli bianchi , lunghi , dritti e visibilissimi ad occhio nudo. Peli di dimensioni più piccole, ma, pel resto, identici a quelli, che proteggono il contorno, ricovrono il picciuolo e le nervature principali di entrambe le superficie laminari e le secondarie della sola pagina inferiore. Digitalis purpurea. — Scrofulariacee. Foglie lanciolate, con picciuolo, penninervie, coverte, come anche il fusto, di morbida peluria. Al microscopio questa si rileva anche lungo il margine e si scorge costituita di numerosi peli pluricellulari , a cinque o sei elementi, articolati fra loro , di forma rettangolare , disposti su unica fila e spesso in guisa, da presentarsi alternativamente l'uno di prospetto, 1' altro di taglio. — 32 — Questi peli per la forma e la struttura ricordano gli analo- ghi delle foglie del Solarium nigrum, dei quali, però, sono molto più piccoli. Vicia sativa. — Papiglionacee. Foglie pennato , terminanti ciascuna con un viticcio parec- chie volte diviso. Le foglioline, ovali e penninervie, hanno l'apice ottuso fino ad apparire quasi piano; la nervatura mediana, però, si prolunga ancora un po', sola, assottigliandosi, fuori del lembo. Questo su entrambe le pagine è fornito di numerosi peli sottili e lunghi , impiantati in massima sul percorso delle ner- vature. Anche lungo 1' asse della foglia si scorgono siffatte forma- zioni, il cui numero vediamo decrescere a misura che ci avvici- niamo all' estremo del viticcio. Nello stesso modo evidenti sono i molti peli, che, in tutto identici ai precedenti, armano il contorno della foglia : unicellu- lari, lunghi, sottili, acuti, a forma di cono molto allungato. Fragaria vesca. — Rosacee. Foglie composte di tre foglioline ovate, penninervie, mem- branose, grossamente seghettate. Tutto il margine è protetto da una grande quantità di peli, macroscopicamente visibili. Un sufficiente ingrandimento mostra questi peli essere uni- cellulari e, perchè sottilissimi e relativamente 1 ungili , di forma molto slanciata. Più lunghi, più numerosi e, quindi , anche più arruffati, si scorgono simili peli lungo i picciuoli. Esistono pure sulla pagina inferiore della lamina foliare, dove, però, sono sdraiati sulla superficie e più regolarmente ordinati, essendo disposti tutti con 1' estremo libero verso 1' apice della foglia. E appunto alla presenza di questa fitta peluria, che si de- von riferire il colorito chiaro ed i riflessi sericei della pagina in- feriore della lamina , mentre la superiore . che è glabra . è più oscura e senza alcuna lucentezza. 33 - * * * Nelle specie fin qui passate a rassegna altra difesa non pre- senta il margine foliare che o la sua compatta e resistente strut- tura, o una più o meno folta peluria, in alcuni casi esclusiva del contorno, in altri diffusa anche a diverse regioni della foglia. Più importante, però, è, senza dubbio, il caso di foglie, nelle quali la protezione è affidata ad organi molto più validi, quali punte e denti o contemporaneamente a denti ed a peli , siano diversamente localizzati , siano coesistenti nella medesima re- gione. E cito qui , anzitutto , la Bergenia crassifolia, che offre sul suo contorno numerose e forti punte, la Rosa canina, nella quale esistono analoghe formazioni, benché più aguzze e meno nume- rose, lungo il margine laminare, VEpimediwm alpihum similmente difeso e la Oryza saliva , la cui foglia è tutta armata , sia nel lembo, sia nel contorno, di acutissimi aculei. Bergenia crassifolia. — Sassifragacee. Foglie di forma rotondeggiante, tendente all'ovale, carnose, penninervie, verdi, di colore più oscuro nella pagina superiore. Glabre su entrambe le superficie, hanno, però, un contorno irregolarmente sinuoso per molteplici punte di colore rossiccio, solide più che aguzze , ed il cui tessuto si continua con quello del margine, sul quale esse sono saldamente impiantate. Rosa canina. — Rosacee. Foglie composte, impari-pennate, con cinque a sette foglio- line ovali, coriacee, penninervie. Il margine è seghettato per la presenza di validissime punte, che, molto acute e dirette tutte verso l'apice della foglia , coo- perano alla energica difesa offerta a questa specie dai forti aculei impiantati lungo il fusto ed i rami. Né alla base , né fra i dentelli l'esame microscopico mi ha fatto rilevare peli od altre analoghe formazioni. 34 Epimedium alpinum. — Berberidee. Foglie composte di tre elementi situati 1' uno , più grande, in mezzo ed in alto, e gli altri due, più piccoli, di lato , quasi perpendicolarmente al primo. Il picciuolo è liscio e cilindrico. Ciascuna fogliolina è cordiforme, profondamente incisa fino all' inserzione del lungo picciuolo , da cui prende origine una nervatura palmata. La lamina , benché sottile, è tuttavia di resistenza quasi co- riacea. Glabra e di color verde-chiaro su entrambe le facce, lu- cida su quella superiore, termina all'apice con una punta poco acuminata e meno pungente delle numerose e piccole spine, che, a brevi intervalli , interrompono la continuità del contorno , al quale conferiscono una notevole protezione, fattore precipuo cer- tamente della incolumità della foglia. Oryza sativa. — Poacee. Foglie lineari, lanciolate , lunghe, strette, coriacee, paralle- linervie. Strisciando col dito nel senso dall' apice alla base della fo- glia, sia superiormente, sia inferiormente sulla lamina ed anche lungo il margine, vi s'incontra una resistenza energica opposta da una serie di punte, che danno 1' effetto di una sega a denti minutissimi. Il microscopio ce ne dà ragione, mostrandoci come, sia lungo il margine, sia su entrambe le superficie laminari, esista una va- lida difesa, costituita di numerose punte con 1' apice acutissimo rivolto verso quello della foglia. Questi denti, fortemente impian- tati, si succedono con sufficiente regolarità e conferiscono una asprezza tutta speciale alla foglia. Si noti come quelli del margine sono più grandi di quelli disseminati sulla lamina lungo il percorso delle nervature. * * * Mentre sono validamente difese solo da punte le foglie delle due specie dianzi descritte, nella seguente è, invece, notevole la presenza di punte sul contorno laminare e di peli sul picciuolo. — 35 — Escallonia speciosa. — Sassifragacee. — America meridionale. Foglie ovato-lanciolate, ad apice ottuso, membranose, pen- ninervie, picchiolate. Quanto al contorno , esso è seghettato ed al microscopio i denti si scorgono triangolari nella forma, con una punta rossa, e terminanti ciascuno una nervatura. Degno di nota è che, mentre il margine è armato di simili dentelli, il picciuolo , invece , presenta un fitto rivestimento di corti peluzzi, non discernibili a occhio nudo. * * * Molto caratteristica è la maniera, con cui è provveduta di difese la foglia del Sambucus nigra. Insisto su questa pianta, perchè essa dà prova evidentissima del come sia troppo vago l'esame, che si suol fare degli organi vegetali, accontentandosi in quasi tutte le comuni descrizioni di fermarsi alla semplice osservazione macroscopica. Sambucus nigra. — Loniceracee. Foglie composte, impari-pennate , con foglioline ovato-lan- ciolate, penninervie, terminanti a punta e fortemente seghettate. Questo all'esame macroscopico; ma l'indagine microscopica offre ben più importanti circostanze. I numerosi denti, che rendono seghettato il contorno e dei quali la punta è la terminazione di una nervatura , presentano lungo il loro margine, perpendicolarmente infittivi, dei peli uni- cellulari , di forma conica , aguzzi , non molti , ma abbastanza forti. Un po' più grandi , benché ugualmente invisibili ad occhio nudo, analoghi peli abbondano pure, sia superiormente, sia infe- riormente , lungo il percorso delle nervature principali , secon- darie, terziarie ed anche di quart' ordine. Qualcuno se ne scorge ancora lungo il picciuolo , special- mente presso la base della foglia. 36 * * Nel mio precedente lavoro feci cenno della caratteristica forma di difesa marginale presentata dalle foglie della Rhotìo- dendron Chamaecystis e consistente in lunghi peli ghiandoliferi. Sul medesimo tipo, benché diffusa anche alla lamina ed al picciuolo, è la difesa offerta alle foglie della specie seguente. Geranium Roberti anum. — Geraniacee. Foglie pennato -divise, membranose, ricoverte superiormente ed inferiormente di una rada peluria bianca, facilmente visibile ad occhio nudo e che a sufficiente ingrandimento si lascia veder costituita di peli pluricellulari, a quattro o cinque cellule e ter- minanti con un rigonfiamento di natura ghiandolare. Identici peli ghiandoliferi, ma più piccoli, esistono lungo il margine dei lobi foliari, in numero limitato ed isolatamente disposti ; se ne veggono specialmente nelle sinuosità fra lobo e lobo. Queste formazioni protettrici costituiscono la continuazione di quelle, che abbondano lungo il picciuolo, fornito di peli ghian- doliferi numerosi e molto più lunghi dei peli esistenti sul mar- gine e sulle superficie della lamina foliare. A riassumere il concetto in me formatosi della importanza, che rivestono i peli nella difesa foliare, credo non inutile richia- mar l'attenzione su di una idea, più radicata di quel che. a mio avviso, non comporti il vero , che , cioè, le pelurie rivestenti le superficie laminari delle foglie abbiano, in massima, 1' ufficio di proteggerle dal soffermarsi dell' acqua. Senza pretender, di certo, d'oppugnare del tutto simile con- cetto, non posso, però, non notare come esso sia troppo prevalso finora, inducendo i più a trascurare un maggiore indugio su una così fatta organizzazione di difesa. * * * Se solo quello fosse o, almeno, se quello fosse il prevalente ufficio dei peli , come si spiegherebbe non tanto il trovarsi essi più addensati sulle foglie di alcune specie e meno folti in quelle di altre, (pianto l' esser diversi per grandezza e per forma, per — 37 — struttura e per numero di elementi e l'essere a volte disseminati su tutta la superficie, a volte localizzati sulle nervature? Né si spiegherebbe, poi, il localizzarsi, in alcuni casi, dell'azione idro- fuga alla sola pagina inferiore, che , già per la sua posizione, è poco esposta all'acqua o, se meglio pare, meno predisposta a per- metterne il soffermarsi : e ciò, pur non notando che, per la sua posizione appunto, siffatta superficie lascerebbe defluire 1' acqua meglio ancora, se fosse glabra. Sarebbe, invero, un inutile sciupio la produzione di organi destinati a difender la foglia dall' acqua là, dove meno l'acqua può fermarsi , mentre che i peli spesso mancano sulla pagina superiore, che a quella più agevolmente offrirebbe asilo. Quanto alle foglie in posizione diversa dall' orizzontale , la disposizione stessa dei peli , che , in generale , hanno la punta verso 1' apice , non è certo la migliore per impedire 1' arresto dell' acqua. Se , in effetti , si pensi che in una peluria , i cui elementi guardino con la punta 1' apice della foglia, i peli , per così di- sporsi, devono incurvarsi in guisa, da presentare una convessità verso la base laminare ed una concavità verso 1' alto , si vedrà all' evidenza come, in pari condizioni , una gocciolina di acqua possa trattenersi sulla foglia più facilmente nel caso descritto, che non in quello di una peluria dagli elementi rivolti con l'a- pice in giù, così, come è più facile all' acqua di scorrere su un tetto, le cui tegole siano embricate nel modo ordinario, di quel che non sarebbe , se esse fossero collocate in senso opposto , le più basse ricovrendo le superiori. E, per conseguenza, se si noti che nelle foglie ricoverte per una almeno intera superficie della loro lamina da peli , questi, nel maggior numero delle volte, come ho potuto constatare, son disposti in guisa , da volgere lo estremo libero all' apice della foglia, si dovrà ammettere che essi son disposti nel modo meno opportuno allo scopo, che costituirebbe il perchè della loro esi- stenza, secondo il più degli autori. * * Mi è sembrato opportuno svolgere siffatte argomentazioni , perchè non mi è parso mai giustamente assegnato il valore fin oggi attribuito ai peli esistenti nelle foglie e negli organi vege- tali tutti in genere. Istituto di Botanica della II. Università di Napoli. Sulla cariocinesi nelle cellule epidermiche (Contribu- zioni istologiche) pel socio Alessandro Bruno. (Tornata del 80 marzo 1906) Tra le molteplici osservazioni , che a me è occorso di fare nello studio da tempo intrapreso sulla cute degli Anfibii in ge- nere e della Rana esculenta in ispecial modo e delle quali ho già pubblicato una prima comunicazione *), ho esteso attenta- mente le mie indagini su un fatto di non poco rilievo , che ho potuto ripetutamente constatare. * * * Come è noto, l' epidermide , perchè, col rivestire il corpo, è la parte più direttamente esposta alle lotte ed alle vicissitudini dell'ambiente, è soggetta ad una straordinaria dispersione di ele- menti, che, prima corneificandosi e poi separandosi, vengon via isolati o a brandelli, lasciando così a nudo gli strati sottostanti, ai quali, a loro volta, toccherà in breve medesima line. Nelle Rane, come in altri animali, questa desquamazione è evidentissima , giacché le cellule epidermiche si staccano dalla superficie cutanea, riunite a centinaia, in brandelli caratteristici, che desquamano come tante lamine così estese, da potersi age- volmente raccogliere. Un sì continuo desquamare epidermico presuppone un al- trettanto attivo rinnovellarsi : e sono , infatti , numerosissimi i casi di elementi in cariocinesi, che si offrono a chi indaghi nella zona germinativa dell'epidermide. È stato appunto osservando queste forme cariocinetiche nella cute della Rana, che io ho potuto riconoscere non perfettamente rispondente al vero 1' affermazione del Ranvier e di quanti lo han seguito, che, cioè, nell'epidermide la moltiplicazione cellulare si compia esclusivamente nella zona più profonda, che avrebbe, perciò, meritato il nome di zona germinativa. l) A. Bruno. — Sulle ghiandole cutanee della Rana esculenta. — Boll. d. Soc. di Naturalisti in Napoli, voi. XVIII, a. XVIII. 1901. — 39 — A me, infatti, è stato dato sorprendere elementi in carioci- nesi, oltre che nello strato più profondo, anche in quelli sovrap- posti, beninteso in numero qui relativamente molto limitato. * * * Essendo oggetto dei miei studii principalmente quella parte della cute della Rana, che ricovre il pollice degli arti anteriori e che nel maschio è ricca di speciali caratteristiche ghiandole, fu in tale regione, che cominciai a trovare siffatte forme cario- cinetiche. E, poiché qui la cute presenta dei rilievi a forma di papille, che col loro decorso accompagnano corrispondenti papille del derma, ho creduto dovere con scrupolosa attenzione notare la relativa posizione degli elementi in cariocinesi, affinchè potessi con piena sicurezza stabilire, se quelle cellule in via di moltipli- cazione appartenessero realmente a strati superiori alla zona ger- minativa e non piuttosto a questa , potendo bene aversi il so- spetto che gli elementi in esame , pur appartenendo alla zona germinativa, si presentassero negli strati sovrastanti per lo spo- stamento determinato dalle papille. E perciò che mi sono assolutamente astenuto dal tener conto di quegli elementi, che per la loro posizione potevano of- frire campo a qualche dubbio ed ho soltanto raccolto quei casi di cariocinesi, che, anche esistendo nelle regioni papillari descritte, appartenevano in modo evidente a strati sovrastanti alla zona germinativa. Non solo, ma ho esteso le mie ricerche, forse con maggior cura, alla regioni epidermiche piane di varii altri punti del corpo, come quelle che, non avendo gli strati deviati nel loro decorso parallelo alla superficie del derma, potevan permettere una esatta valutazione della serie dei loro strati e della posizione di quegli elementi, che meritassero di essere in ispecial modo notati. * * * Chi, infatti, osservi nella fig. 1 gli elementi in cariocinesi segnati con le lettere S, M e DS, in fase rispettivamente di spi- rema, monastro e dispirema, li riconosce in modo più che chiaro come appartenenti al 2° ed al 3° strato di cellule epidermiche. E nella fig. 2 il diastro DA è tra il 4° ed il 5° strato e lo spirema S nel 3°: anzi questo è, forse, un esempio più evidente dello stesso diastro, giacché fa parte della zona epidermica non — 40 — sollevata in papille , come , invece , potrebbe obbiettarsi per il diastro. Nessun dubbio può sussistere per la posizione nel 2° strato del diastro DA riprodotto nella fig. 3 e che è una delle tante forme da me di proposito non rilevate, e per 1' elemento in ca- riocinesi della fig. 4, il quale è posto tra il 3° ed il 4° strato. Nella fig. 5 è rappresentato uno spirema nel 3° strato epi- dermico. Nella fig. 6, poi, si scorgono tre cellule in fasi carioci- netiche, disposte due nel 3° strato ed una molto più in alto, nel 5°, come pure nella fig. 7 si vede un nitido spirema nel 6° strato. * * * Da un semplice sguardo alle figure annesse la circostanza da me riferita si rileva in modo ben chiaro , grazie alla quasi perfetta stratificazione delle cellule epidermiche nella cute della Rana. Credo bene avvertire che gli esempii da me raffigurati sono solo una parte dei numerosissimi , che in lunga serie di prepa- rati ho potuto riconoscere. La molteplicità dei casi, insieme con la inesistenza di spe- ciali circostanze, che potessero determinare localmente il bisogno di neoformazioni cellulari , autorizza , quindi , a negare al fatto il valore di una condizione eccezionale. È così che , senza alcuna esitazione posso sostenere che l'opinione del Ranvier è da modificare nel senso che cellule epi- dermiche in moltiplicazione siano più frequenti quanto più sono giovani e quanto più profondi, quindi, sono gli strati , cui ap- partengono , e che 1' evolversi progressivo degli elementi epi- dermici non escluda la possibilità di moltiplicazione carioci- netica anche nelle cellule degli strati più superficiali , astrazion fatta, beninteso, degli ultimi, la cui involuzione è così completa, che assolutamente non è a parlare per essi di fenomeni mol- tiplicativi. Istituto di Fisiologia ed Istologia della R. Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Napoli. 41 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA (Tav. 1 1 Cute di Rana esculenta ' „ Koristka. obb. n Fig. 1. — E — Epidermide con papille (pollice dell' arto anteriore di liana maschio). S — Spirema. M — Monastra. DS — Dispirema. PgD — Pigmento dermatico. » 2. — E — Epidermide. PE — Papilla epidermica (pollice dell' arto anteriore di Rana ma- schio). DA — Diastro. S — Spirema. PgD — Pigmento dermatico. » 3. — E — Epidermide. DA — Diastro. PgD — Pigmento dermatico. » 4. — E — Epidermide. S — Spirema. D — Derma. » 5. — E — Epidermide. S — Spirema. PgD — Pigmento Dermatico. » b". — E — Epidermide. S,S',S" — Fasi di spezzettamento dello sjnreina. Piy-D — Pigmento dermatico. » 1. — E — Epidermide. S — Spirema. PgD — Pigmento dermatico. Sui nidi cellulari (« Zellennester ») del simpatico della Rana, Contributo alla conoscenza dei caratteri ci- tologici delle cellule cromaffini , pel socio Giovanni MODUGNO. (Tornata del 7 giugno 1906) Le ricerche dei moderni osservatori, fra cui Diamare (95) e Vincent (96-97-98) , han dimostrato che l'interrenale e i so- prarenali degli Elasmobranehi sono rispettivamente omologhi alla sostanza corticale e alla midollare (tessuto cromaffine) delle capsule surrenali degli Stapediferi. Dapprima separate (Selacei), per tran- sizioni ben distinte e dimostrate anche dall'ontogenesi, che in que- sto caso ricapitola esattamente la filogenesi, la sostanza midollare, nei vari gruppi, s'interpone tra i cordoni corticali (Anfibi, Rettili), li compenetra (Uccelli), e finisce col disporsi nella parte centrale (Mammiferi). Il tessuto cromaffine, secondo le ulteriori ricerche han dimo- strato, in parte si associa alla sostanza corticale (capsule surrenali), in parte resta extracapsularmente in tutti gli Stapediferi (in ge- nerale nel simpatico). Di tale tessuto extracapsulare risultano costituite le forma- zioni scoverte da Leydig (53) (« Zellennester » di Sigmund Mayer) negli Anfibi, daBraun (79) nei Rettili, da Rabl (91) negli Uccelli. Dalle ricerche di Stilling (92-99), K oh n (98-00), Kose (98) risulta che tale tessuto extracapsulare è largamente rappresentato nei Mammiferi, e Zuckerkandl (01) ha rinvenuto nell'uomo due grossi accumuli di cellule cromaffini annessi al sim- patico dell'aorta addominale (organo fìarasìm^atico). Sebbene il valore morfologico dei nidi cellulari sia ora noto , ben poco di accertato si sa sulla loro intima struttura e funzione, così come del tessuto cromaffine in generale. Ho creduto perciò non prive d'interesse nuove ricerche sui nidi cellulari della Rana, sui quali, come del resto su quelli degli altri Anfibi, pochi lavori abbiamo, oltre quello abbastanza recente del Giacomi ni (02). 43 Cenni storici sui nidi cellulari (« Zellennester »)del simpatico degli Anfibi Le speciali formazioni esistenti nei gangli degli Anfibi, alle quali Sigmund Mayer (72) diede il nome di « Zellennester » o « Kcrncster », furono la prima volta scoverte da Leyd ig (53). Questo autore distinse nei gangli simpatici due specie di cellule: le ordinarie cellule gangliari, e cellule gangliari più piccole con contenuto giallognolo e nucleo chiaro, e suppose che queste ulti- me avessero la funzione di caricarsi di grasso per passare diret- tamente— dopo successivo cambiamento del contenuto — nelle cel- lule delle capsule surrenali (Salamandra, Proteus). Solo dopo notevole intervallo di tempo, queste formazioni fu- rono argomento di ulteriori ricerche da parte di Sigmund Ma- yer (72), il quale ritenne che le cellule a contenuto giallognolo, da Leydig osservate, fossero di natura nervosa. Credette inoltre che queste cellule, originate dalle emazie fuoriuscite dai vasi, des- sero a lor volta origine a nuove cellule nervose. Avendo poi riscon- trata somiglianza fra i « Zellennester » e le cellule costituenti la sostanza midollare delle capsule surrenali, interpretò questa so- stanza come luogo di neoformazione di cellule nervose. Sorprende il fatto che dal 72 al 90 nessuno si sia occupato dei « Zellennester » che pur così bene si prestano allo studio del tessuto cromaffine extracapsulare. D'altra parte, anche dopo il 90, pochi osservatori se ne sono occupati di proposito, limitandosi la maggioranza a occuparsene soltanto incidentalmente. Smirnow (90) studiando la struttura delle cellule nervose del simpatico della Rana e del Bufo, fece delle osservazioni sui « Zellennester », attorno ai quali notò una rete nervosa somiglian- te a quella delle cellule gangliari del simpatico. Egli riconobbe l'incertezza del significato dei nidi cellulari, e suppose che fossero accumuli di cellule nervose, arrestate allo stadio giovanile. Anche Dehler (9-4), studiando la struttura delle cellule gan- gliari degli Anfibi, si occupa di sfuggita dei « Zellennester », di cui fa brevi cenni limitandosi a riconfermare i risultati di Smir- now. Osserva in più che il protoplasma delle cellule in parola ras- somiglia a quello delle cellule gangliari, da cui differisce solo per aver più produzioni a zolle. Né con la memoria di Loewenthal (94) le nostre conoscenze sui « Zellennester » progrediscono gran fatto. Questi parla di pecu- — U — bari cellule trovate insieme alle cellule gangliari, nel simpatico della Rana, e, non conoscendo torse la letteratura, le crede non riscontrate da altri. Queste cellule descrive a limiti poco affatto accennati e non le mette in relazione con le cellule midollari delle capsule surrenali, né si pronunzia sul loro significato, ma pare le consideri di natura nervosa. Semon(91), Pettit (96;, Vi ne e ut (96-97), S tilling (99), Sridinko (00), Grynfeltt (04) ed altri, che si sono occupati delle capsule surrenali degli Anfibi, hanno lasciato in disparte lo studio dei nidi cellulari. A questi accenna appena Kohn nel lavoro del 1900, nel quale dà il nome di paragangli agli organi costituiti dalle cellule cro- maffini. Diffusamente invece se ne occupa Giacomini (98-02), il quale circa il significato delle cellule cromaffini, accetta l'idea di Di ama re, che cioè siano di natura epiteliale secernente, ma quanto all'origine, non si pronunzia categoricamente, anzi nei lavori ul- timi sembra in proposito dar molto peso a certe speciali condi- zioni di relativa indipendenza del tessuto cromaffine dal simpa- tico. Ritiene le cellule dei nidi uguali a quelle della sostanza mi- dollare delle capsule surrenali , e , come dirò ora a proposito del tessuto cromaffine in generale, ne descrive l'intima struttura. Sguardo alle questioni sul tessuto cromaffine, — Se 1' accordo della maggioranza dei ricercatori è raggiunto circa il valore morfologico dei nidi cellulari e della sostanza midollare delle cap- sule surrenali, una vivissima discussione invece è impegnata, come ho precedentemente accennato, quanto al significato, alla strut- tura e all'intima funzione delle cellule cromaffini. Senza farne la storia completa, farò un rapido cenno delle principali questioni. Sono esse di natura nervosa o epiteliale ? Questa è una delle questioni controverse. La ragione principale per cui si esclude da alcuni, special- mente da Kohn (98), la natura epiteliale di questi elementi, è' la loro origine — dalla maggioranza ammessa — dagli abbozzi da cui proviene anche il simpatico. Di amare (02) invece — seguito anche da Giacomini e da altri — sostiene che le cellule in di- scorso siano di natura epiteliale secernente, pur essendo d'origine neurale, potendosi ammettere che, pur originandosi, come le cel- lule gangliari, dall' epitelio neurale, si siano variamente differen- ziate, evolvendosi per proprio conto, conservando anzi di più, ri- spetto alle cellule gangliari, la natura originaria, l'epiteliale. — 45 — Insultati intanto degli esperimenti fisiologici di Vincent (97), Szymonovicz (95), Langlois (97), Scàfer (98), Sai- violi e Pezzolini (02) , T a k a m i n e (02) , V a s s a 1 e e Zan- f rognini (03), Vassale (05) e di altri sono una prova della natura secernente delle cellule cromaffini; prova riconfermata dalle re- centi ricerche istologiche. Osservati a forte ingrandimento, questi elementi mostrano la presenza di granuli; tenuto conto che la secrezione midollare ha destato e desta grandissimo interessamento, è agevole supporre quant'importanza si sia data a questi granuli, nei quali vari os- servatori han creduto di trovare la tanto ricercata secrezione di questi elementi. Molto discordi sono però i pareri degli autori su quest'impor- tante argomento. Rappresentano i detti granuli endocellulari la secrezione mi- dollare, bisogna cioè considerarli come speciali prodotti metapla- smatici? — E inoltre, i granuli endovasali da alcuni ricercatori rin- venuti, sono gli stessi che quelli endocellulari? Queste sono le domande su cui s'impernia la discussione. Canalis (85) è il primo ad accennare a granuli, nelle cellule midollari. H u 1 1 g r e n e Anderson (99), mediante l'uso dell'ematossi- lina ferrica di Heidenhain, e la miscela di bicromato potassi- co , alcool assoluto e formalina , hanno osservato nelle vene del midollo surrenale dei Mammiferi, una sostanza siderofila, che hanno interpretata come prodotto di secrezione delle cellule cromaffini. E già prima Carlier (92) aveva notato sull'orlo delle cellule mi- dollari del Riccio, granuli fortememente tingibili fuoriuscire dalle cellule ed entrare nel lume. G u y e s s e (01) nega i granuli midollari, e B o n n a m o u r (02) accenna a speciali granulazioni o vere vescicole di secrezioni en- docellulari. Griacomini (02) descrive le cellule cromaffini formate di gra- nuli più o meno grandi, i quali interpetra come metaplasmatici, e spiega la diversità dei granuli col diverso stadio funzionale delle cellule; affaccia poi il sospetto, senza però pronunziarsi, della par- tecipazione del nucleo alla funzione secretiva. Avendo osservato nei vasi, granulazioni fortemente colorabili con l'ematossilina e con la safranina, crede probabile che il prodotto di secrezione, espulso dalle cellule, si riversi, con un processo difficile a stabilirsi, di- rettamente o indirettamente nel sangue. Aggiunge tuttavia che ammette la possibilità che i granuli non siano metaplasmatici e — 46 — che la secrezione non venga fuori sotto forma di granuli, dando alla sua interpetrazione il valore, d'ipotesi probabile. Più esplicitamente invece si pronunziano Manasse (9-4) H ult- gren e Anderson (99), Foà (91), i quali ritengono che uno dei modi con cui si compie la funzione in discorso, sia lo svuotarsi delle cellule nel lume dei seni venosi mediante rottura dell'endo- telio e distacco delle cellule midollari nel lume. Manasse (94), Pfaundler (94) accennano a spazi di secre- zione o canali esistenti fra le cellule, ma Rena u t (99) osserva che questi osservatori scambiano capillari per lumi e rotture per spazi di secrezione. Ciaccio (02) e H olmgr e n (03) parlano di canalicoli di secrezione endocellulari. Dia mar e (03) ripete la tecnica adoperata dagli altri ricer- catori, ma non può riconfermarne i risultati. Nega che la carat- teristica colorazione giallo-bruna sia dovuta a granuli speciali cro- maffini, e ammette che si tratti di un uniforme, omogeneo colo- ramento. Con la miscela di bicromato potassico, alcool assoluto e formalina, ha ottenuto, nei Mammiferi, un coloramento molto pal- lido del midollo, e una tinta giallastra estesa ai tessuti circostanti non cromaffini, inducendo da ciò che: « la sostanza, sulla quale agisce il sale cromico, per l'aggiunta dell'alcool assoluto e forma- lina, è stata trasportata al di là del midollo, imbevendo in parte la sostanza corticale. Ossia la particolare sostanza cromaffine è amorfa e suscettibile di soluzione ». Lo stesso risultato ha otte- nuto nei Selacei; avendo poi, mercè lo stesso processo, avuta una soluzione scarsa nei Rettili, ritiene che in questi Amnioti, di so- stanza cromaffine (amorfa), siano imbevute le granulazioni costi- tuite da una sostanza diversa, la quale non è dimostrabile nei Se- lacei e nei Mammiferi. Osserva poi che le granulazioni endovasali e endocellulari si comportano diversamente coi vari reattivi, e non ammette perciò che le granulazioni endovasali rappresentino la « immissio secretio > fuoriuscita delle cellule. Ad ogni modo rigetta l'idea che la secre- zione midollare si effettui con l'espulsione di materiali preformati nelle cellule; nega quindi che i granuli rappresentino la secrezione specifica, di cui si va in cerca, e ritiene che se si vuole in un ma- teriale essenzialmente specifico ravvisare una secrezione, come tale si può ben riguardare la sostanza cromaffine. Ciaccio (03-04) nelle cellule cromaffini distingue granula- zioni specifiche, che ritiene costituite di due sostanze, di cui una reagente coi sali di cromo e l'altra col percloruro eli ferro, e inol- tre granulazioni colorantisi con colori acidi, le quali tende a inter- — 47 — petrare omologhe ai plasmosomi trovati in alcune cellule glandu- lari [tiroide, pancreas (Galeotti;]. Crede che nelle cellule cro- maffini ci sia una doppia secrezione : l'una sotto forma di granuli basofili che passano poi nelle vene, l'altra sotto forma di granuli fuxinofili. G-rynfeltt (03-04) nota che l'affinità dei granuli per dati colori è la stessa nei Selacei, Anfibi, Uccelli, Mammiferi, e che essi granuli si colorano con disuguale intensità per la loro diversità chimica, e sono di varia grandezza e variamente aggrappati. Nelle cellule midollari delle capsule surrenali degli Anfibi, osserva mo- dificazioni del nucleo, vedendo in ciò un'altra prova della natura secernente di queste cellule. Massarini (06) nelle cellule midollari delle capsule surre- nali della Cavia, differentemente da quanto descrivono Hult gre n e Anderson (99), Griac omini (02), Ti berti (04) ed altri in altri animali , non ha trovato che i granuli riempono completa- mente il protoplasma cellulare, e ritiene probabile che una parte dei granuli , data la loro solubilità nell' alcool assoluto , siano scomparsi. Nota granuli più grossi tinti in rosso dalla fuxina acida , distinguibili nel protoplasma finissimamente granuloso, a reazione un po' differente, e nell'interno dei nuclei osserva granuli fuxinofili simili a quelli del citoplasma, e ritiene che questi ultimi passino dal nucleo nel citoplasma. Nelle lacune sanguigne nota granulazioni, e non accetta l'interpetrazione diBonamour (05) secondo il quale, apparterrebbero al plasma sanguigno coagulato o dipenderebbero da sgretolamento di emazie alterate. Secondo V A., le cellule midollari presiederebbero alla produzione d' un composto attivo, che si esplicherebbe per attività del nucleo, in cui avrebbe origine sotto forma di granuli speciali, riversantisi prima nel citoplasma e quindi direttamente o indirettamente nel circolo. Ricerche originali Metodo di studio — Per conoscere la disposizione dei nidi cellulari, ho fatti preparati in toto di tutta la catena limitrofa del simpatico coll'aorta e le sue due radici , dopo fissazione in liq. di Miiller. Per lo studio istologico e citologico , ho fissato o i gangli isolati, o tratti di aorta, in cui si trovano i nidi cellulari, e dei pezzi inclusi in paraffina, ho fatto le sezioni quasi sempre di 5 [t. — 48 - Come fissatori lio impiegati: il liq. di Hermann, il liq. di Altmann, il liq. di Miiller, il liq. di Zenker; la miscela di liq. di Miiller, alcool assoluto e formalina, il sublimato. Per colorazione ho adoperato : l'emallinne, associandovi o no la colorazione con l'eosina; l' ematossilina ferrica di Heidenhain, da sola o con eosina o fuxina acida; la safranina, la cocciniglia allumica di Csokor; il verdejodo e fuxina acida; la dalia. Risultati veramente ottimi ho ottenuto con il liq. di Her- mann e successiva colorazione con safranina, e con la fissazione nella miscela del liq. di Miiller , alcool assoluto e formalina , e successiva colorazione con cocciniglia allumica di Csokor. Distribuzione del tessuto cromatine extracapsulare e sua dispo- sizione nei nidi. — Il tessuto cromafiine extracapsulare è nella Rana notevolmente sviluppato: si trova sia lungo il cordone li- mitrofo , sia nei gangli di questo , e più abbondantemente nei gangli celiaci abbracciane le radici dell' aorta , il principio del- l'aorta comune e l'arteria celiaco -mesenterica; non manca poi, in- dipendentemente dai gangli, nei vasi, specialmente nella faccia ventrale dell'aorta, nelle arterie viscerali che da questa si origi- nano, e nella vena cava. I nidi cellulari , di diversa forma e grandezza , nei gangli si trovano di solito al di sotto del rivestimento connettivale di questi, oppure all'esterno dell'involucro connettivale, ovvero nello spessore di questo; si riscontrano anche nell'interno dei gangli. Mentre ci sono gangli sforniti di cellule cromaffini , grada- tamente si passa a quelli che ne contengono due , tre, quattro, fino ad averne con una ventina di nidi , e, in certi casi , quasi completamente occupati da questi. Generalmente i nidi di cellule sono contornati da un proprio involucro connettivale , che talora , quando i nidi sono grandi, manda sottili trabecole , suddividendo ciascun nido in nidi mi- nori, i quali da altri sepimenti connettivali possono restar sud- divisi ulteriormente (Fig. 1). Comportamento delle collido cromaffini coi vari reattivi. — Col liquido di Miiller o col bicromato potassico, il citoplasma as- sume una tinta gialla e un aspetto non granulare, ma piuttosto omogeneo, e alquanto vacuolato. Aggiungendo però a questo fis- sativo, alcool assoluto e qualche goccia di formalina, il citopla- sma si mostra formato di granuli abbastanza intensamente co- lorati in giallo e ben individualizzati , e non si nota la fuoriu- scita della sostanza cromafnne da Diamare riscontrata nei Pesci e nei Mammiferi. Si ha quindi un risultato simile a quello ot- — 49 — tenuto noi Rettili dallo stesso A., il quale ne induce che di so- stanza cromafnne , amorfa , sono imbevute le granulazioni for- mate d'una sostanza diversa (cromatofila), in alto grado siderofìla e fuxinofìla. Interessanti mi sembrano i risultati che si ottengono me- diante varie colorazioni , dopo aver adoperato i due nominati fissatori. Dopo fissazione in liquido di Miiller, e colorazione con cocciniglia allumica di Csokor, il citoplasma non distintamente granulare, ma piuttosto omogeneo, prende una tinta rosso -gial- lognola, per cui si distingue dal nucleo che si colora in roseo (Fig. 2). Se invece si adopera come fissatore la miscela di liquido di Miiller, alcool assoluto e formalina, si ha, con lo stesso co- lorante, che mentre il connettivo, le cellule gangliari ei nuclei delle cellule cromaffini si colorano con la coccinigia, i granuli in- vece, ben individualizzati, conservano il colore giallo ottenuto col liquido cromico (Fig. 1). Un comportamento analogo si ha, dopo questi due fissatori, se le sezioni si colorano con verde-jodo e fuxina acida; il cito- plasma cioè si colora , se si è adoperato il liquido di M ù 1 1 e r, resta giallo, se a questo fissatore si sono aggiunti 1' alcool e la formalina. Questi risultati potrebbero giustificare il sospetto che l'alcool assoluto e la formalina distruggano una sostanza — conservata invece dal liquido di Miiller — la quale nasconda i granuli o almeno non li renda facilmente distinguibili. Devo poi aggiungere che anche dopo fissazione nella mi- scela di liquido di Miiller, alcool assoluto e formalina, i gra- nuli si colorano intensamente con l'ematossilina ferrica di Hei- denhain mostrandosi disposti a zone più o meno scure (Fig. 3); e che non sempre col liq. di Miiller il citoplasma appare omo- geneo , che talora , specialmente in alcune sezioni trattate con ematossilina ferrica, ho notato granuli abbastanza grandi e for- temente colorati , i quali spiccavano nel resto del citoplasma, che osservato attentamente, si rivelava finamente granulare (Fig. 4). Un buon fissatore per le cellule cromafrini è il liquido di Zenker, col trattamento del quale, il citoplasma appare for- mato di granuli ben distinti e colorati non tutti allo stesso modo con i medesimi coloranti. Oltre alla diversità di volume dei granuli , è notevole la differenza fra la grandezza di inter- spazi vuoti del citoplasma fino a raggiungere un massimo, in cui 4 — 50 — l'insieme degli interspazi supera forse quello delle zone di gra- nuli (Fig. 5). Interspazi vuoti non si notano con il liquido di Hermann, il quale, meglio di tutti gli altri fissatori, conserva le cellule cro- mafìini, i granuli delle quali, pur mostrando alquanto una dispo- sizione e zolle, rivelano, nell'insieme, un'apparenza più uniforme dei granuli trattati con altri fissatori. Dopo fissazione nel liquido di Hermann, colorazione con sa- franina e trattamento con cloroformio, le cellule si mostrano ben conservate, con numerosissimi granuli formanti come una massa scura (Fig. 6); ricolorando lo stesso preparato e adoperando la trementina, i granuli sembrano meno uniformemente distribuiti, più individualizzati (Fig. 7). Il che fa pensare che dalla trementina sia stata sciolta una sostanza grassa, la quale sia stata conser- vata dal cloroformio. Nei preparati fissati con liquido di H e rm ann e trattati con ematossilina ferrica e con trementina, si notano, in alcuni nidi, zone di granuli colorati in bruno, distinte da altre i cui granuli appaiono scolorati. Fra i migliori preparati ottenuti con questo fissatore, sono quelli colorati con safranina, la quale dà alle cel- lule cromatimi un colore rosso vino. Con il liquido di Altmann, le cellule in discorso mostrano un aspetto meno uniforme di quelle fissate nel liquido di Her- mann, ed è notevole la differenza di grandezza dei granuli, i quali si mostrano leggermente osmofili. A differenza dei detti fissatori , il sublimato non conserva bene le cellule cromaffini. In preparati così fissati e trattati con ematossilina ferrica ed eosina, fra i granuli colorati in nero, più grandi e molto più numerosi, ho osservate granulazioni più pic- cole e colorate, non intensamente però, con l'eosina. Dalle mie osservazioni risulta che le cellule cromaffini pre- sentano dunque diversa maniera di comportarsi secondo i vari reagenti. Mentre con il liquido di Miiller il citoplasma assume un aspetto omogeneo o meno evidentemente granulare , con gli altri fissatori si mostra ricco di granuli, i quali sono variamente tingibili con le diverse colorazioni , ma in generale con affinità coi colori nucleari, specialmente con la safranina e l' ematossilina ferrica. Così pure il contorno delle cellule appare più o meno distinto a seconda dei vari trattamenti; perciò non è sempre fa- cile poterne determinare la forma, sembrando spesso il nido come una massa di citoplasma in cui siano disseminati i nuclei. Varia — 51 — pure, coi diversi fissatori, la grandezza dei vacuoli, i quali non si notano specialmente dopo il liquido di Hermann. Accanto a queste modificazioni dovute ai vari reattivi , bi- sogna aggiungere quelle dipendenti probabilmente dal vario stato funzionale degli elementi: la grandezza dei vacuoli, il volume, la colorabilità , l'addensamento dei granuli , variano infatti non solo in cellule dello stesso nido, ma anche nella stessa cellula. Orli stessi risultati ho avuto osservando con gli stessi reat- tivi , le cellule cromaffini delle capsule surrenali della Rana , il che prova che oltre l'omologia ormai dimostrata fra nidi di cel- lule e midollo surrenale, c'è anche identità citologica. Dalle cellule gangliari agevolmente si distinguono le cro- maffini: i contorni sempre ben distinti delle cellule gangliari, la mancanza di granuli, il nucleo più grande, vescicolare, non va- riabile, la molto maggiore uniformità di comportamento coi reat- tivi, formano un insieme di caratteri che bastano a distinguere facilmente i due elementi, anche quando non si adoperano i sali di cromo, dopo i quali, si tingono in giallo solo le cellule cro- maffini, restando le gangliari incolori. A proposito delle cellule gangliari , noto che ho osservato nel simpatico fibre midollate abbastanza numerose. Modificazioni del nucleo. — Osservando le cellule cromaffini, sono stato colpito dalle notevoli modificazioni del nucleo. Le mie osservazioni fatte sugli elementi dei nidi cellulari , s' accordano in generale con quelle che Grynfeltt ha fatte nelle cellule della sostanza midollare delle capsule surrenali degli Anfibi , la qual cosa è una prova in più dell'identità citologica delle cellule dei nidi e di quelle del midollo surrenale. Anche nello stesso nido , ho potuto osservare nuclei più o meno grandi e più o meno ricchi di nucleoli cromatici, ben di- stinguibili nel reticolo cromatico; tali nucleoli variano di gran- dezza, di forma , d' intensità di colorazione sia nei vari nuclei, sia nello stesso nucleo; non meno variabile è il loro numero. La forma dei nuclei spesso varia a seconda della messa a foco, in modo che un nucleo appare, per esempio, rotondeggiante, quando la messa a foco vien fatta sul livello superiore della se- zione, mentre mostra diversi lobi laterali, variameute conformati, osservando le successive sezioni ottiche. Di modo che, proiettando su di uno stesso piano, le diverse immagini avute dalle diverse sezioni ottiche , si ottengono figure di nuclei oltremodo irrego- lari, che talora ricordano la forma d' un' ameba con brevi pseu- dopodi. Qualche volta il polimorfismo di questi nuclei è tale, che — 52 — a una determinata messa a foco, si vedono in una cellula, due e anche tre nuclei piccoli, mentre un attento esame delle sezioni ottiche successive, indica chiaramente che essi fanno parte di un unico nucleo, del quale non sono altro che lobi sporgenti. Non mancano ad ogni modo, nuclei con contorno regolare, ed è innegabile una certa differenza a questo riguardo, fra nidi e nidi : in alcuni sì scorge subito che sono più numerosi i nuclei con contorno regolare, mentre in altri predominano nuclei di forma irregolare, evidente anche senza muovere la vite micro- metrica. (Fig. 8). Anche pel contenuto cromatico dei nuclei, è notevole una certa differenza fra i vari nidi, anche fra quelli vicinissimi, fa- centi parte di un sol nido più grande. Non m' è stato però pos- sibile determinare la relazione che passa tra la grandezza , la forma e il contenuto cromatico dei nuclei , né quella passante tra le modificazioni del nucleo e quelle del citoplasma. Ciò che mi sembra certo è, che le dette modificazioni nu- cleari non sono d' attribuirsi ai vari reagenti , avendole notate non solo con gli stessi reattivi, ma nello stesso nido ; aggiungo poi che per queste osservazioni, ho adoperato specialmente il liqui- do di Hermann , che meglio di tutti conserva le cellule cro- maffini. G-rynfeltt le modificazioni nucleari ritiene verosimilmente legate alla partecipazione del nucleo ai fenomeni metabolici delle cellule midollari , e analogamente a quanto è stato rinvenuto in altre cellule certamente secernenti , crede che costituiscano un' altra prova della natura secernente delle cellule cromaffini. Per conto mio, non essendomi stato possibile, come ho detto, stabilire la relazione che passa tra le modificazioni del nucleo e quelle del citoplasma, non oso, almeno per ora, pronunziarmi in proposito. Granulazioni endocellulari e endovasali. — Come ho innanzi accennato, una questione molto importante riguardante l'intima funzione delle cellule cromaffini, è l'assodare se i granuli da alcuni osservatori rinvennti nei vasi del midollo surrenale , sieno da interpretarsi o pur no come fuoriusciti dalle cellule cromaffini, e rappresentanti la « immisio secret-io » di questi. Mi son propo- sto perciò di ricercare se ci sono granulazioni endovasali , e se queste si comportano con i reattivi, come le endocellulari ; a que- sto scopo, oltre i nidi di cellule, ho esaminato anche le capsule surrenali della Rana. — 53 — Nei nidi cellulari non ho trovato quasi mai granulazioni en- dovasali ; le rare e non abbondanti granulazioni qui riscontrate nei vasi, non presentano gli stessi caratteri dei granuli endocel- lulari. In qualche preparato per esempio, fissato con la miscela di liquido di M ii 1 1 e r, alcool assoluto e formalina, e colorato con cocciniglia allumica di Csokor, le scarse, piccole e poco di- stinguibili granulazioni endovasali erano colorate in roseo, men- tre i granuli endocellulari erano, come precedentemente ho detto, tinti in un bel giallo. Neanche nel midollo surrenale ho trovato granulazioni endo- vasali né abbondanti, né frequenti; le poche volte che nei vasi del midollo ho osservato delle granulazioni, queste, inversamente di quanto p i amare ha riscontrato nei Mammiferi, con 1' ematos- silina ferrica, si son mostrate meno colorate dei granuli endocellu- lulari. Adoperando poi, come colore di contrasto, 1' eosina, men- tre i granuli delle cellule restavano neri , quelli endovasali , fi- nissimi, si coloravano cno l'eosina. In alcuni preparati (liq. di Zenker ed ematossilina ferrica) m' ha colpito la presenza, nei vasi del midollo, di numerosi gra- nuli più grandi di quelli endocellulari , e intensamente colorati in nero. (Fig. 9). Tali granuli ricordano quelli rinvenuti nei Mam- miferi da Ultgren e Anderson e indicati come prodotti di se- crezione delle cellule midollari, e rassomigliano a quelli trovati nel ghiro da Diamare, e da quest'autore considerati differenti dai granuli endocellulari. In qualcuno di questi preparati in cui è stata protratta la scolorazione, ho notato che, a differenza di quanto avviene nei Mammiferi, sia le granulazioni endocellulari, che le endovasali, restavano molto pallide. Granulazioni identi- che alle dette endovasali erano abbondantemente rappresentate nella sostanza corticale , e anche nella porzione del mesonefro interessata dal taglio. Anche a voler ammettere che i detti gra- nuli non siano prodotti artificiali, non possono, data la loro sede in tessuti non cromaffini , interpretarsi come prodotti di secre- zione delle cellule cromaffini. D' altra parte abbiamo visto come le scarse e finissime gra- nulazioni osservate qualche volta nei vasi, si comportano coi reat- tivi diversamente dalle endocellulari. I risultati quindi avuti a questo riguardo nella Rana, non identici a quelli da Dia ma re notati nei Mammiferi, portano alla stessa conclusione cui quest' A. perviene , che cioè mancano le prove per dimostrare che i granuli endovosali rappresentino la « immirsio secret io » delle cellule cromaffini. - 54 — Questi i risultati delle mie ricerche, le quali ben lungi dal- l' aver la pretesa di risolvere la tanto discussa questione sulla struttura e sull' intima funzione del tessuto cromaffine , mirano invece a fornir dati ben accertati sulle cellule cromaffini della Rana. Aggiungerò tuttavia che le mie ricerche m' han convinto che si tratta di elementi epiteliali secernenti ; il che non si può di- sconoscere se si tien conto dell'imponente chimismo che in esse si svolge e eh' è dimostrato dalla straordinaria vulnerabilità del loro protoplasma. Chimismo evidente negli elementi dei nidi cellulari non meno che in quelli del midollo surrenale, la qual cosa ci autorizza a credere che i nidi cellulari sono in piena attività fisiologica. Quanto poi al significato dei granuli, a me pare, come innanzi accennavo, che le attuali conoscenze in proposito non possano autorizzarci a formulare interpretazioni fondate e nemmeno sup- posizioni molto plausibili. Lasciando per ora impregiudicata la importante per quanto immatura questione dell' intima funzione delle cellule cromaffini, noterò solo che, almeno attualmente, mancano dati di fatto, che valgano a farci considerare i granuli come speciali prodotti me- taplasmatici, e che provino che la secrezione venga fuori sotto forma di granuli, poi riversantisi nel sangue. Allo stato attuale delle conoscenze circa la funzione del tessuto cromaffine, io credo che dobbiamo, anziché formolare ipo- tesi, riconoscere che per ora abbiamo solo dati , i quali ci pro- vano una complessa costituzione del citoplasma , quale forse si ravvisa in poche cellule , per cui noi possiamo logicamente in- durre che si tratti di un protoplasma attivissimo, sede d'un me- tabolismo pronunziato. Sento il dovere di ringraziare vivamente il prof. Di ama re per i consigli di cui m' è stato largo in queste ricerche. .).) LAVORI CITATI 1902. Bonnamour, A. — Becherches histologiques sur la sécretion des cap- sules surrénales. C. R. Associat. Anat. 4 Sess. 1905. — Elude histologique des phénoménes des sècretions de la cap- sule surrenale des marnili i fere*. Thèse de Lyon. 1879. Braun, M. — Bau and Entevickelung der Nebenniercn bei Reptilien. Arb. Z. List. Wurzburg, 5 Bd. 1885. Canalis, P. — Atti della R. Accad. di Torino. 1892. Carukr, E. 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INDICAZIONI ni, nidi di cellule. cg, cellule gangliari. cm, cellule midollari della capsula surrenale. co, connettivo. v, seni venosi, vasi capillari. e, emazie. gr, granuli. nu, nuclei. mi, nucleoli cromatici. Fig. 1. — Nidi cellulari d' un ganglio celiaco (fiss. in miscela di liq. di Mai- ler, alcool ass. e formai. ; color, con cocciniglia allumica di Csokor) nei quali si vede il citoplasma delle cellule cromaffini costituito di granuli rimasti con la colorazione gialla ottenuta dal liquido cromico , mentre i nuclei , le cellule gangliari , il connettivo , e le emezie sono colorate con la cocciniglia. » 2. — Nido di cellule (fiss. in liq. di Muller; color, con cocciniglia allu- mica di Csokor) ; il citoplasma delle cellule cromaffini non ap- pare granulare, ed è alquanto colorato con la cocciniglia. » 3. — Nido di cellule (fiss. in miscela di liq. di Muller, alcool, formalina, color, con ematoss. ferrica), nel quale si vedono i granuli dispo- sti in zone più o meno intensamente colorate con 1' ematossilina. » 4. — Nido di cellule (fiss. in liq. di Muller; color, con ematoss. ferrica). Nel citoplasma finamente granulare, si vedono granuli più grandi e intensamente colorati. » 5. — Nido di cellule (fiss. in liq. di Zenker, color, con verde-jodo e fuxina acida) : le cellule cromaffini presentano notevoli spazi vuoti. » 6. — Nidi cellulari (fiss. in liq. di Hermann, color, con safranina, tratta- mento con cloroformio) , nei quali il citoplasma delle cellule cromaffini si mostra formato di granuli, i quali non si vedono distintamente individualizzati. » 7. — Gli stessi nidi, dopo trattamento con trementina: i granuli sembrano più individualizzati, » 8. — Nido di cellule (fiss. in liq. di Hermann, color, con safranina), in cui si vedono nuclei dal contorno irregolare e più e meno ricchi dì nucleoli cromatici. » 9. — Cellule midollari e seno venoso delle capside surrenali. Nel seno, in- sieme alle emazie , si vedono granuli intensamente colorati con 1' ematoss. ferrica. Fenomeni elettrici nell' eruzione del Vesuvio dell' a- prile 1906, poi socio Gioachino di Paola. (Tornata del 7 giugno l'JOG) Nella notte del 7 aprile scorso, quando il Vesuvio manifestò tutta la sua potenza dinamica con fortissime commozioni telluri- che, prodigiose grandinate di proiettili incandescenti, lave, pietre infuocate, materiale detritico (lapillo, sabbie, ceneri), detonazioni squillanti , cupi muggiti e tutto ciò che la Natura con fenome- no singolare può mostrare in una grande eruzione, imponenti e sterminate folgori si videro solcare a brevi intervalli nelle nubi eruttive. 10 , durante quella notte e nei dì seguenti, ebbi l' occasione propizia di assistere da vicino ( dall' Osservatorio Vesuviano ) a quella portentosa manifestazione esplosiva, ed avendo osservato attentamente i fenomeni fisici concomitanti all'attività endogena del vulcano, riferisco alcune osservazioni fatte sulla copiosa elet- tricità, che si rese palese nel periodo dell' eruzione. Nei pochi giorni che precedettero il violento parosismo pli- niano wdopo lo sprofondamento del conetto terminale avvenuto nelle ore pomeridiane del 4 aprile , il classico pino, formato di neri e fuligginosi vapori addensati in globi misti a materiale de- tritico, diede luogo al fenomeno delle prime scariche elettriche, le quali furono splendidissime quando il vulcano raggiunse la massima vigoria esplosiva. 11 7 aprile la fitta nebbia, che teneva avvolto come un gran manto il gran cono vesuviano , verso sera cominciò a diradarsi e lo sterminator Vesevo appena rischiarato si mostrò interamente nella sua fenomenica maestosità. Le colonne di fumo rosseggiatiti di fuoco con miriadi di pro- iettili incandescenti e pietre roventi salivano vertiginose a gran- dissime altezze , accompagnate da un frastuono assordante. A quando a quando in mezzo al pino serpeggiava qualche fortis- sima e fragorosa scarica elettrica, ma a notte inoltrata, prima ancora dell' albeggiare , il vulcano con straordinaria impetuosità — 60 — manifestò tutta la sua energia, cinetica, ed allora continue, splen- dide e strepitose furono le folgori guizzanti in mezzo al pino. Le traiettorie di queste scariche facevano scorgere eh' esse avvenivano di sotto in sopra, di sopra in sotto e trasversalmente con una forma rettilinea e a zig-zig. Qualche scarica però pre- sentò una forma caratteristica ad arco , e lasciò brillare la sua luminosa traiettoria a semicerchio, come arco-baleno che si pro- tendeva dalle cime del Monte Somma al vertice del Vesuvio. La mattina dell' 8 1' energia vulcanica esplosiva cominciò a declinare , sopravvenne una fase di grande emissione di sabbie e le scariche elettriche divennero più rare. Nei giorni seguenti continuò ancora il fenomeno della folgore e qualche baleno si vide molto lontano dal cono vesuviano. Questi fenomeni fisici caratteristici quasi sempre si manife- stano più o meno intensi, nelle eruzioni vulcaniche, e non sono rari i casi in cui essi non si manifestarono punto. Il Palmieri *) descrivendo la conflagrazione vesuviana del 1872 dice : « Ci furono incendi fragorosi con folgori ed altri di pari o anche di maggiore gagliardia che punto non ne mostrarono. Da Plinio il giovane, che cosi meravigliosamente narrò la prima eruzione storica vesuviana, nelle sue famose lettere a Tacito, noi troviamo descritte le folgori guizzanti in mezzo al fumo. Nubes atra et liorrenda ignei spiritus tortis vibratisque discursibus rupia 2). Gli storiografi vesuviani nelle loro narrazioni ci parlano di questi fenomeni fisici ed il Serao ne fa menzione nell' incendio vesuviano del 1727, il Monticelli nell' eruzione del 1822, L. Pilla in quella del 1839 e L. Palmieri nelle conflagrazioni del 1861 e del 1872. Neil' attività esplosiva del Vesuvio del settembre 1904, io ebbi occasione di osservare parecchie di queste folgori in mezzo al pino vulcanico 3). Non si mostrarono folgori negl' in- cendi vesuviani del 1850, 1855, 1858 e 1868. A. Scacchi studiò nelle rovine di Pompei delle vere vestigie di case fulminate nell' eruzione del 79, e la storia ci ricorda i fulminati della terribile eruzione del 1631 4). !) Annali del E. Osservatorio Met. Vesuviano compilati da L. Palmieri. — Nuova Serie - Anno I - pag. 78 Napoli, 1873. 2) P. Franco — Il meccanismo nelle eruzioni- Napoli, lb97, pag. 71. 3) G. Di Paola — Fenomeni geo-fisici osservati durante l'attività esplosiva del Vesuvio (settembre l'JOI) — Bollettino Società Nat. Anno XIX, Voi. XIX Napoli, 1805. 4) M. Del Gaizo — Fenomeni elettrici dell'atmosfera. (Conferenza tenuta alla 3a Assemblea dell' Ass. Met. Italiana). — Torino, 1889. — 61 — Nelle eruzioni di altri vulcani attivi si notarono scariche elettriche, ed esse furono osservate da Fouquè a Santorino e da 0. Silvestri all'Etna. Le commissioni degli scienziati che studia- rono l'ultima eruzione al Pelèe e alla Soufrière di St. Vincent, (Lacroix , Rollet de l' Isle e Griraud all' Accademia delle scienze di Parigi), (Tampest , Anderson e Ilett alla Società Reale di Londra) , constatarono fenomeni elettrici di grande intensità e nelle nubi ardenti le scariche erano continue, presentando tutte le forme di folgori. L' andamento dell' elettricità atmosferica studiato diligente- mente con apparecchi grafici e precisi, quando precede, accom- pagna e segue un' eruzione, sarebbe di un vero interesse scien- tifico, perchè ci metterebbe in grado di poter affermare se la elet- t licita sia effetto dell'eruzione ovvero un indizio precursore. Gli studi di Fisica e Meteorologia vulcanica certamente potrebbero risolvere importanti quistioni e riverberare, come scriveva il Pilla sin dal 1833, vivissima luce sulle operazioni del nostro Vulcano 1). È vero che per il passato alcuni dotti naturalisti, con stru- menti ed ordegni imperfetti, tentarono indagini di meteorologia vulcanica , ma per i pochi mezzi di cui disponevano e per la mancanza di luoghi opportuni non ebbero risultati sufficienti e soddisfacenti. Basta ricordare il duca della Torre, il Monticelli e il Co velli, i quali si occuparono di meteorologia elettrica, in occasione della caduta di cenere del Vesuvio. Fu merito di Luigi Palmieri 1' avere istituito osservazioni continue e quotidiane di meteorologia elettrica , con strumenti di propria invenzione (il conduttore mobile e 1' elettrometro bifiliarè), e al suo tempo egli riscosse il plauso di Macedonio Melloni e di altri dotti italiani e stranieri , provocando discussioni proficue. Palmieri apportò un vero progresso nello studio dell' elettricità atmosferica e con vera assiduità ne studiò le leggi , istituendo osservazioni comparabili all' Osservatorio Vesuviano e alla Specola Universitaria. Dall'eruzione del 1855 a quello del 1858, 1861, 1868 e 1872, Palmieri ebbe occasione di studiarle in tutte le particolarità e rimangono classiche le sue osservazioni siili' elettricità manife- stata dal fumo e dalla cenere vesuviana. Ma il problema dell' elettricità atmosferica , dopo gli studi recenti del Linss, di Erstel e Geitel e di altri osservatori sulla l) L. Pilla — Ballettino Geologico del Vesuvio e de' Campi Flegrei — Nmn. 1. pag. 4 — Napoli. 1833. — 62 — dispersione elettrica neW atmosfera , sulla conduttività dell' aria e quindi sulla esistenza di ioni liberi dell' uno e dell' altro segno, può dirsi che è ancora ben lungi dalla risoluzione. Sicché il metodo del conduttore mobile del Palmieri . o della vena liquida discendente del Thomson e del Mascart, oggi è imperfetto per poter stabilire con rigore scientifico j valori assoluti della varia- zione del campo elettrico atmosferico. Tuttavia dai valori relativi dell'elettrometro bifiliare del Pal- mieri *) si ebbero dati sufficienti per avere pruove certe della copiosa elettricità manifestatasi durante 1' ultima eruzione vesu- viana. Il 7 aprile il Vesuvio fu molto agitato ed io , trovandomi all' Osservatorio Vesuviano , cominciai ad esplorare le perturba- zioni che subiva il campo elettrico normale atmosferico in rap- porto all' attività del Vulcano. Per fare ciò, mi servii del conduttore mobile del Palmieri (unico e solo apparecchio che possiede V Osservatorio per lo studio dell' elettricità atmosferica) e nelle diverse e molteplici osservazioni constatai sempre un potenziale alto positivo. È bene far notare che in quel giorno, spirando un leggero vento di mezzogiorno, all' Osservatorio non cadde sabbia. Sopravvenuto , nella sera, il forte e violento parosismo esplosivo, non fu possibile continuare la serie delle osservazioni iniziate. Nei giorni che seguirono alla forte eruzione , per un vento grecale e di levante , la città nostra fu coinvolta dal pino vul- canico, che, scendendo obliquamente, la cosparse di vapori e di sabbie. All' Osservatorio Meteorologico della H. Università si com- piono quotidiane e diligenti esservazioni di meteorologia elet- trica dal Dottor Mercogliano, assistente nell' istituto di fisica ter- restre. In quell' occasione pensammo d' istituire osservazioni con- tinue a conduttore fisso e a conduttore mobile. x) Il Ch.m0 Prof. L. Pinto, illustre mio maestro, di quest'Ateneo, in una memoria su « Li partizione elettrica nei conduttori sferici e sulla capacità del- l' elettrometro Palmieri » (Atti dell' Accademia Pontaniana, Voi. XVI. Napoli, 1884 ) dimostrò che tra le cariche e gli archi definitivi , in generale non vi ha rapporto costante, e col suo elettrometro sferico assoluto a bilancia egli trovò che sino ai 15 gradi di deviazione definitiva dell1 elettrometro Palmieri, ognuno di questi corrisponde in media a 3, 85 volta; dai 15 ai 20 invece ogni grado importa 4,15 volta ; dai 20 ai 25 ogni grado ne importa 4,55 e dai 25 ai 30 ogni grado importa 5 unità volta. Vedi: L. Pinto— Trattato elementare di Fisica — Napoli 1802. pag. 5(ii». — 63 — Dalle osservazioni raccolte si potè notare che durante la ca- duta della cenere il potenziale elettrico fu sempre negativo. Il 10 aprile nelle ore antimeridiane e pomeridiane, mentre cadeva la cenere, l'amico Dott. Mercogliano faceva osservazioni continue a conduttore fisso e a conduttore mobile, ed egli ottenne sempre un potenziale negativo; però a conduttore fisso un potenziale ne- gativo, che variava dai 40 ai 60 gradi dell' elettrometro bifiliare e a conduttore mobile un potenziale infinito negativo ( — OO ). 11 giorno 11 a conduttore fisso il potenziale era negativo , piuttosto alto , ma a dati momenti esso diventava zero ; negli altri giorni si verificò la ripetizione dei medesimi fenomeni. Credo opportuno riferire che nei giorni in cui facevamo osservazioni continue, il Dott. Mercogliano tentò di attivare una piccola mac- china ad induzione di Voss, la quale ordinariamente suole dare una bellissima scintilla, e non fu possibile farla funzionare , il che si verifica solo nei tempi normali, quando l'aria è pregna di molto vapore acqueo. Riporto qui in un quadro lo osservazioni di meteorologia elettrica fatte all' Osservatorio Meteorologico Universitario dal 1° al 21 aprile. Osservazioni diurne fatte all'Osservatorio Meteorologico della R. Università-m. 57 sul mare aprile 1906 Giorni ELETTRICITÀ ATMOSFERICA UMIDITÀ relativa Precipitazione nelle OSSEBVAZIOM 9" 12" 15" 21'' media 24 ore in mm. 1 ~M + 5 + 4 +14 38 » 2 +11 + 3 +10 +12 43 » 3 + 4 +11 4-30 +10 36 » 4 + 4 + 4 + 6 + 2 37 » Prima caduta di sabbia nerastra dalle 22'' del 4 fino al mattino 5 -40 +10 + C0 +30 46 » del 5. G + 8 + 3 -40 + 8 82 6,9 Caduta di sabbia ad intervalli. 7 +18 0 — 9 + 4 65 0,4 8 + 19 — CO — co — co 61 » Caduta di sabbia rossastra. 9 + 19 — CO' -60 +36 53 0,9 Idem idem. IO + 00 — co -47 — co 43 » Caduta di sabbia. 11 + « +50 +80 — co 52 » Idem idem. 12 — ce — co — co — co 62 » Idem idem. 13 — co -70 — co +38 66 » Idem idem. 14 +15 —60 —86 +48 62 » Polviscolo nell'aria. 15 +20 + 5 +15 +28 54 » 16 +21 -38 -60 +30 62 » Idem idem. 17 + 3 + 2 + 3 +18 54 * 18 + ? +70 +80 -10 46 19 + 6 0 + 3 +21 77 2,8 20 +1G + <; + 3 +17 72 0,6 21 +20 —40 -10 +26 29 Caduta di sabbia finissima grigia dalle 9" a dopo le 12". N. B. Il vento predominante du- rante questo tempo fu quasi sempre del 1° quadrante (N, NNE ed E ). — 65 — È noto come 1' elettricità atmosferica si manifesta più copiosa a misura che 1' umidità relativa aumenta , e quindi è evidente 1' azione del vapore acqueo e della formazione di caligini , nu- vole e precipitazioni sul campo elettrico normale. Nel sudetto quadro ho riportato la media diurna della umi- dità relativa e la quantità di acqua caduta in mm. nelle 24 ore. Ora nei giorni dell'eruzione, in generale, l'elettricità non fu in correlazione con la variazione di quest'elemento meteorico, e si ha ragione di poter affermare che tutta la manifestazione co- piosa dell' elettricità sia stata effetto dell' attività esplosiva del Vesuvio. Circa alla origine di questa elettricità . diverse furono le spiegazioni date dai naturalisti ; alcuni l'attribuiscono all'attrito, altri alla condensazione del vapore. Palmieri attribuisce al rapido addensamento dei vapori la cagione principale della elettricità positiva del fumo ; la sabbia, poi, spinta in alto dal cratere sotto 1' influsso di questa elettri- cità positiva nel cadere , tendendo a prendere elettricità nega- tiva, accresce il potenziale positivo dei globi di fumo donde par- te , generando quei rapidi incrementi di potenziale pei quali si hanno le folgori. Io credo che non possa escludersi 1' elettrizzazione per attrito, né quella per effetto della condensazione dei vapori, e che le nuvole di vapore acqueo e il materiale detritico formano le due arma- ture di un grande condensatore. Volendo dare un' interpreta- zione scientifica del fenomeno , secondo le ricerche più recenti, discuterò l'importante argomento in un' altra mia nota « sulla causa dei fenomeni elettrici delle eruzioni vulcaniche ». Pertanto dalla constatazione dei fatti e dalle osservazioni eseguite possiamo concludere : 1.° che nell'ultima eruzione vesuviana si ebbe grande svol- gimento di elettricità, sino alla manifestazione del fenomeno della folgore; 2.° le folgori si mostrarono straordinariamente di grande in- tensità, quando 1' eruzione al cratere terminale presentò la fase massima esplosiva; 3.° nei giorni precedenti all'inizio della fase esplosiva-effusiva il potenziale del campo elettrico atmosferico si mostrò debole, invece si manifestò altissimo nel periodo esplosivo, salvo qualche accidentalità verificatasi in qualche giorno di pioggia; 4.° con la caduta delle sabbie il potenziale era sempre nega- tivo, spesso 1' indice a conduttore mobile veniva menato oltre i — 66 — 90 gradi , a conduttore fìsso il potenziale era più debole e tal- volta spariva diventando zero; 5.° dalla grande violenza delle esplosioni di materiale detri- tico (lapillo, sabbie, ceneri) misto al fumo copiosissimo risulta con- fermata la condizione perchè si abbia il fenomeno della folgore nelle eruzioni vulcaniche , cioè : che i vapori debbono essere ab- bondantissimi e spìnti con grande violenza dalla bocca di eruzione e debbono essere misti a grande quantità di materiale detritico. Debbo alla gentile e cortesissima ospitalità accordatami dal- l' illustre Prof. Chistoni, Y aver potuto coordinare queste osser- vazioni. Il Ch.° Prof. Ciro Chistoni , onore dell' Ateneo Modenese, da poco tempo è stato chiamato a dirigere l' Istituto di Fisica terrestre della nostra R. Università. Egli, nel consentirmi la pub- blicazione di tali osservazioni, si è mostrato assai dolente di non avere avuto ancora il tempo necessario di riordinare e corredare 1' importantissimo istituto e di mettere così a disposizione degli studiosi la suppellettile scientifica. Credo doveroso di ringraziare l'eminente Scienziato, esternan- dogli tutta la mia immensa gratitudine e riconoscenza. Napoli (R. Università), maggio 1906. Poche osservazioni su alcuni fiori pelorici, pel socio Leo- poldo Marcello. (Tornata del 7 marzo 1906) Ho osservato, nel R. Orto Botanico di Napoli , diversi casi teratologici, che credo interessante riunire, poiché si prestano ad interpretare le ragioni della peloria. Come è noto, col nome di peloria si distingue il caso di fiori actinomorn portati da specie che normalmente hanno fiori zigo- morfi. Frequentemente tale fatto avviene nelle infiorescenze della Digitalis purpurea , ed in una ricca piantagione di tale specie, nell' Orto di Napoli, rilevai oltre la metà delle piante con fiore terminale pelorico. Queste infiorescenze, di tipo racemoso ed indefinite , termi- navano, per anomalia, in un fiore, erano cioè diventate definite. Il fiore terminale poi si differenziava dagli altri per essere rego- larissimo, actinomorfo, e spesso presentava, inoltre, una esagerata polimeria ed una spiccata tendenza alla dialifillia dei suoi or- gani : la corolla, dal tipo digitato, era passata al tipo campanu- lato ; e 1' androceo non conservava alcuna traccia di didinamia, ottenendosi, così, una più o meno completa isomeria fra i varii cicli fiorali con relativa alternanza di organi. Casi analoghi di peloria furono segnalati da varii autori, ma, forse, non ebbero una adeguata interpretazione. Infatti fu detto che la loro regolarizzazione di forma dipendeva dalla posizione terminale, non subendo pressioni laterali per opera dell'asse della infiorescenza e della brattea ascellante. Ma la zigomorfia , come ha dimostrato il Delpino *), ha un significato funzionale, biologico, e non dipende da cause mecca- niche. Così i fiori terminali di Delphihium, non soggetti a pres- sioni laterali, sono zigomorfi, mentre quelli laterali di Campanu- la, soggetti invece a forte pressione, sono actinomorn. Quindi la regolarizzazione del fiore terminale di Digitalis deve dipendere da altre cause. l) Delpino F. — Zigomorfia fiorale e sue cause — In Malpighia, Voi. I, 1887, p. 245. — 68 — Una causa si potrebbe trovare nel fatto, che i fiori laterali di questa specie sono costituiti da assi di secondo ordine, mentre il fiore terminale è costituito dalla terminazione stessa dell' asse primario. In altri termini, i fillomi componenti il fiore terminale non corrispondono, per grado, ai fillomi componenti i fiori laterali, ma invece corrispondono alle brattee, che portano ascellarmente questi ultimi fiori. E , seguendo appunto 1' ordine fillotassico di tali brattee , si ha nei fiori pelorici una spiccata tendenza alla polimeria ed alla dialifillia, con completo isomorfismo dei fillomi stessi. A conferma di questa supposizione si rileva che la peloria avviene , quasi esclusivamente , in piante aventi infiorescenze a racemi , ed è sempre all' apice dell' infiorescenza che si va for- mando il fiore pelorico. Neil' Orto di Napoli si riscontrava un bel caso in proposito, e cioè una pianta di Lilium candidimi, che, in luogo di produrre fiori normali , produceva una lunga infio- rescenza con numerose brattee petali zzate, in modo da rassomi- gliare ad un fiore unico, terminale e stradoppio. Ciò dimostra in primo luogo che, quando avviene peloria, il fiore pelorico è co- stituito dall' asse primario , e non , come eventualmente si po- trebbe credere, dall' ultimo fiore laterale dell' infiorescenza rad- drizzatosi e divenuto in apparenza terminale ; ed in secondo luogo che i fillomi componenti tale fiore corrispondono alle brattee di una infiorescenza normale. Altri casi analogamente interessanti , ed illustrati pure dal Licopoli *), si riscontrano nell' Orto di Napoli , in parecchie in- fiorescenze di Melianthus major: Queste sono pure a racemo, con fiori spiccatamente zigomorfi, però, in alto, le brattee non produ- cono più fiori ascellari , ma alcune si petalizzano ed altre si tra- sformano più o meno in stami, formando all' apice dell' infiore- scenza un lungo fiore mostruoso , pelorico , polifillo , dialifìllo e poliandro, che evidentemente è formato dalle brattee stesse, es- sendovi tutti i termini di transizione fra brattee normali e brat- tee petalizzate. Infine, anche nell' Euphor bia Characias ho trovato, nell'Orto di Napoli, alcuni casi analoghi , che sempre confermano quanto son venuto esponendo. Il ciazio centrale era mostruoso, formato cioè da molti filli disgiunti e numerosi stami centrali ; ed è da notare , inoltre , che ciascun fi Ilo presentava ai lati due mezzi *) Licopoli Gr. — Osservazioni teratologiche sul fiore del Melìanthus major L. — Negli Annuii d IV Accademia degli Aspiranti Naturalisti di Napoli, 1807. — 69 — nettarli, e ciò dimostra, come già suppose il Ridola x), che i net- tarli nel ciazio delle Euforbie hanno origine doppia , cioè sono paragonabili a formazioni stipolari saldate a due a due. Riassumendo, emerge chiaro dai sopra descritti casi terato- logici, che la regolarizzazione dei fiori terminali, ossia la peloria, non dipende affatto dalla mancanza di pressioni meccaniche la- terali , sebbene dall' essere essi costituiti dall' asse primario con petalizzazione delle brattee più alte. In tal modo si comprende anche la polifillia e la dialifillia che accompagnano sempre queste anomalie e che non troverebbero , altrimenti , adeguata spiega- zione. l) Ridola F. — Filogenesi del genere Eupkorbia e generi affini.— Nel Bul- lettivo dell'Orto Botanici) di Napoli. — Tom. II, fase. 1, p. 93. Su di alcuni problemi ed osservazioni di vulcanolo- gi. — Nota del Dr. Benedict Friedlaender e del socio E. Aguilar. (Tornata del 2 agosto 1906) Della recente eruzione vesuviana (aprile 1906} , già molti hanno tenuto parola, ed altre pubblicazioni al riguardo non tar- deranno a veder la luce. Spettatori anche noi della catastrofe (l'uno dell'eruzione medesima, l'altro dei suoi effetti), ne abbiamo seguite le fasi e parecchie escursioni abbiamo fatte al vulcano e nei luoghi danneggiati dalla sua furia , ma crediamo superfluo descrivere quanto è avvenuto e quanto abbiamo osservato in sito. Riteniamo, però, utile esporre alcune osservazioni e problemi di vulcanologia riguardanti : 1.° L'altezza che può raggiungere il pino vulcanico ; 2.° Se le eruzioni catastrofali riconoscono cause speciali ; 3.° Un'ipotesi per spiegare queste eruzioni catastrofali. l.° Altezza del pino vulcanico. La nube di vapori , carica o non di cenere, che maestosa- mente si eleva , nelle eruzioni di una certa importanza , sul ca- mino vulcanico, non sappiamo se sia stato teoricamente studiato a che altezza può giungere. È noto che un corpo lanciato ver- ticalmente dal basso in alto raggiunge un' altezza più o meno grande a seconda della velocità iniziale impressa al corpo, della forma e del suo peso, di modo che la resistenza dell'aria modi- fichi tanto più la legge di Galilei per quanto più sottile e leg- gero sia il corpo. Ora, il pino vulcanico è costituito da un miscuglio di gas, di vapori e di materiale solido a temperatura elevata. La- sciando da parte le sostanze pesanti , come le pietre e i lapilli la cenere della nube è tanto fina , che pur essendo animata da una grande velocità iniziale, non potrà mai giungere, per effetto di questa , ad una considerevole altezza, poiché su di essa op- pone grande resistenza l'aria. Immaginiamo , infatti , di sparare da un fucile una sostanza assai sottile, come la cenere vulcanica : si comprende facilmente che per quanto buona sia l'arma e per — 71 — quanto grande ed efficace la carica di polvere pirica, quella so- stanza minuta non andrà mai molto lontano. In breve, opponendo l'aria molta resistenza al moto delle sostanze sottili, come la cenere, ne consegue che queste non po- tranno esser lanciate a grande altezza, come i corpi pesanti, ma potranno raggiungere considerevoli altezze soltanto se sollevate e trasportate dai vapori. In meteorologia si è determinata la velocità finale e costante delle gocce della pioggia, cioè quella velocità per la quale la frizione aerea e l'accelerazione si compensano scambievolmente. S'intende che questa velocità è identica a quella che deve avere una cor- rente d' aria ascendente per mantenere sospese le gocce. Così , misurando il diametro delle gocce in millimetri e la velocità delle correnti d'aria ascendenti in metri per minuti secondi, si é tro- vato che, per es., basta una velocità di 0.0032 per mantenere so- spese delle goccette di un diametro di 0.01 ; una velocità di 0.32 per le goccette di 0.1 ; una velocità di 4.4 per le gocce di 1 mm. x) Similmente si potrebbe determinare pei corpuscoli di cenere di diversi diametri e di diversa qualità la velocità necessaria della corrente ascendente per mantenerli sospesi. Pei corpuscoli più minuti la velocità necessaria deve essere minima ; praticamente si può dire che quasi completamente seguono l'aria e continuano ad ascendere per tutto il tempo in cui ascende l'aria stessa. Ma il problema deve essere considerato in una maniera più analitica. Il pino vulcanico, innanzitutto, è un miscuglio di so- stanze gasiformi più leggiere (alla data temperatura) e di corpi solidi più pesanti dell'aria ambiente. Per rendere più semplice il ragionamento , immaginiamo, per il momento , che quel miscuglio di materie solide e gasiformi sia inseparabile. Allora si potrebbe riguardare il pino intero come un solo corpo unito e la spinta in su dipenderebbe dalla sua densità media. Aumentando la quantità di sostanza solida e pe- sante, si arriverebbe ad un certo punto, dove la spinta in su dei gas caldi sarebbe compensata dalla spinta in giù da parte dei solidi Ma in realtà le sostanze solide e quelle gasiformi non sono inseparabili ; ciononostante 1' effetto ulteriore dei moti re- lativi deve essere lo stesso o almeno molto simile. La separa- zione dei corpi solidi dalle materie gasiformi del pino si fa gra- datamente, cadendo prima i grossi blocchi e le grandi focacce di magma, poi le scorie e i lapilli, dopo la pomice e la cenere grossa l) P. Lenabd. Regentropfen. Meteorologische Zeitschrift 21, 249-262; 1904. — 72 — ed in ultimo la polvere fina e finissima. Ma ogni corpo solido, per grande o piccolo che sia, cadendo più o meno rapidamente si oppone più o meno al moto ascendente generale e lo rallenta. Questo concetto , forse un poco insolito , diviene molto chiaro , appena che supponiamo che il volume cubico complessivo della cenere non sia una parte insignificante di quello del pino , ma ne formi un percentinaggio importante. Per rendere ancora più evidente questa considerazione, immaginiamo che il volume com- plessivo dei corpuscoli solidi sia più grande di quello dei gas. Si comprende facilmente che in questo caso — per grande che sia la spinta in su delle materie gasiformi e per piccola che sia la dimensione di ogni grano di cenere — il totale di questa non possa essere sollevato a grande altezza. Per sollevare e mante- ner sospeso un dato peso di cenere di qualsiasi qualità è necessa- rio un volume sufficiente di aria calda , assolutamente come ci vuole un pallone di dimensioni adatte al peso che si deve tra- sportare. Questo ragionamento non è soltanto d'interesse teorico, ma anche di importanza pratica, per capire certi fenomeni veri- ficatisi neh" eruzione del 1906. Sono cadute quantità enormi di cenere fina nelle vicinanze del cratere, sì da formare uno strato spesso sul Gran cono e suoi dintorni. E questa cenere è arrivata a terra ad una temperatura molta alta. La cenere cadente sul cono formava vere valanghe e si accumulava al piede di esso in quantità tale da seppellire totalmente la stazione inferiore della funicolare. Il fratello di uno di noi, Signor I. Friedlaender, fece una gran parte del giro della base del gran cono vesuviano il 13 aprile e ci raccontò che questi accumulamenti di cenere mor- bida e scottante , nonché le valanghe , costituivano un pericolo piuttosto serio ed insolito Ora, e la quantità della cenere caduta in prossimità del cratere, e la sua temperatura elevata provano ampiamente che codesta cenere, malgrado la forte spinta in su dei vapori, non poteva aver raggiunto un'altezza molto grande. Il che si spiega mediante il ragionamento esposto, supponendo, cioè, che durante una certa fase dell'eruzione il pino era tanto carico di cenere, che la spinta in su dei gas caldi non era suffi- ciente a trattenere il peso complessivo della cenere, grande parte della quale, quindi, ricadeva dopo un breve tragitto per aria, co- prendo le vicinanze del cratere d'un denso mantello di cenere calda. In questi casi , quando e dove , cioè , la cenere forma una parte molto considerevole del pino, questo essendo realmente so- lido per gran parte, si comporta anche similmente ad un corpo solido pesante ed i gas, troppo irrilevanti rispetto al peso com- — 73 - plessivo di materia solida, hanno poco effetto. Il contrario deve aver luogo quando la cenere è relativamente scarsa, per cui re- sta sospesa nella colonna ascendente di gas e di vapori. Allora la questione evidentemente tocca quest'altra : fino a che altezza, cioè, si elevano gli stessi vapori. Ora, i vapori s' innalzano per- chè più leggieri dell'aria ambiente e più leggieri perchè caldi. NelTascendere i vapori si espandono a spese della temperatura iniziale, e man mano, di conseguenza, si raffreddano. Questo raf- freddamento , detto dinamico o termodinamico, è dì 0,99 centi- gradi per ogni 100 metri ed è indipendente (o quasi) dall'altezza donde si parte. Il raffreddamento realmente osservato dagli ascen- sionisti sulle alte montagne e dagli areonauti è minore ; inoltre è piuttosto irregolare. In media, per le altezze delle nostre mon- tagne, si può calcolare 0,5 centigradi per ogni 100 metri Anni indietro si credeva che il valore del raffreddamento diminuisse coll'altezza; così, per es. , il pallone registratore « Cirrus » il 7 luglio 1894 - - salito a Berlino e disceso nella Bosnia — ha dato nell' intervallo fra metri 12000 e 16300 soltanto 0.21° per ogni 100 metri. Ma le abbondanti osservazioni più recenti hanno dimostrato che, al contrario, il raffreddamento medio cresce con 1' altezza, senza, però arrivare a 0,99°. E così deve essere, perchè la diffe- renza fra il raffreddamento dinamico e quello osservato maggior- mente è dovuta all'influenza del vapore acqueo e del suo calorico latente, la quale coll'altezza diminuisce: Per lo scopo delle nostre considerazioni è superfluo discutere più minutamente tale questione, perchè ci entrano delle quantità sconosciute e perchè la semplicità del problema fisico-matematico viene profondamente alterata da certe cause, che adesso spieghiamo. Essendo il raffreddamento dinamico di soli 0,99° per ogni 100 metri, un volume d' aria riscaldata alla temperatura vulca- nica di almeno 1000° dovrebbe alzarsi praticamente fino ai limiti dell'atmosfera , se non subisse perdite di calore oltre il raffred- damento dinamico e se la composizione dell'atmosfera fosse uguale a diverse altezze. Trascurando , pel momento , tutte le perdite di calore, ricordiamo che, secondo le indagini di J. Hann, al di là di una certa altezza i gas, che maggiormente devono comporre l'atmosfera non sono più 1' azoto, 1' ossigeno , il vapor d'acqua, l' argon e l'anidride carbonica, ma delle sostanze più leggiere 1). !) E. Bornstein , Leitfaden der Wetterkunde, Braunschweig , Vieweg & Solm, 1906. — 74 — Così Hann ha calcolato che ad una altezza di 100000 metri (suppo- nendo una temperatura media di — 80°) la composizione chimica, in percentinaggio cubico, è di Azoto 0,099 Idrogeno 99,4-48 Helium 0,453 È naturale che le esalazioni vulcaniche, composte di gas di una densità molto maggiore, non possono mai arrivare a quegli strati dell'involucro gasiforme del pianeta, nei quali prevalgono i gas specificamente più leggieri. Questo cambiamento graduato della composizione dell'atmosfera, cioè la prevalenza dei gas più leggieri negli strati più alti, sarebbe il limite ulteriore, al quale le esalazioni dei vulcani , e quindi la cenere , possono arrivare sotto le circostanze più favorevoli. La" medesima considerazione prova che la spinta in su di una nube vulcanica dipende anche dalla natura chimica delle emana- zioni prevalenti. Supponendo, ad es., una serie di pini composti, per ordine, di cloruro di ferro, cloruro di potassio, cloruro di so- dio, di acido cloridrico, nitrogeno, vapor acqueo, helium ed idro- geno (se fosse possibile!), essendo uguali volumi, temperature ed altre circostanze, capiamo che quei pini dovrebbero raggiungere altezze assai differenti. Quindi è possibile che anche delle diffe- renze attualmente esistenti di composizione chimica abbiano qual- che influenza sull'altezza del pino. Una nube ricca di vapor ac- queo, nitrogeno e magari helium raggiungerebbe un'altezza ben differente da un'altra nube povera delle suddette sostanze leggiere e ricca invece di pesanti cloruri metallici. Ma ci sembra inutile di entrare più minutamente in questa materia, perchè differenze chimiche fondamentali sono poco probabili. Valeva la pena però di dimostrare che l'ostacolo, per modo di dire , insormontabile per il sollevamento dei più giganteschi pini vulcanici è dato dall' abbondanza dei gas leggieri negli strati più alti ; considerazione non soltanto teorica , ma anche pratica, siccome le ceneri del Krakatoa, per quanto si crede, sono giunte fino a 30 chilometri, dove la composizione dell'atmosfera già deve essere abbastanza differente. Del resto anche una differenza chimica del pino, non mag- giore di quella delle sostanze solide, come il basalto e la riolite, già influirebbe sulla spinta in su del pino. - 75 Sappiamo troppo poco della natura chimica delle emanazioni, nonché del loro percentinaggio e delle loro differenze. Basti ri- cordare che recentemente da A. Brun è stata negata assoluta- mente la presenza di vapor acqueo nelle esalazioni dello Stromboli e del Vesuvio l). E cosa sappiamo della composizione chimica del pino vulcanico del Krakatoa , che sollevò la polvere fino ad al- tezze enormi , e delle nubi della montagna Pelée ? La presenza di certe tali sostanze, sì, ma non l' analisi completa, la quale sa- rebbe necessaria per determinare la densità media. Prendiamo adesso in considerazione le perdite di calore che hanno luogo oltre il raffreddamento dinamico. Difatti quest' ul- timo quasi scomparisce rispetto alle altre. Queste perdite di ca- lore, per quanto possiamo immaginare, sono dovute : a) ad irra- diazione, b) a conduzione, e) a mischiamento coll'aria ambiente. È più che probabile che l'ultimo fattore sia di gran lunga il più importante. La forza ascendente — la spinta in su — delle mate- rie gasiformi emanate dai vulcani viene distrutta maggiormente per effetto del mischiamento con l'aria ambiente. Ora è evidente che il raffreddamento per mischiamento di- pende: a) dalla quantità dei gas caldi esalati nell'unità di tempo e b) dalla forza delle correnti atmosferiche. Più grande è il vo- lume di materie gasiformi sprigionatosi in breve tempo , e più deboli le correnti atmosferiche negli strati sovrapposti al vulcano, più grande deve essere l'altezza raggiunta dal pino. Probabilmente la condizione dell'atmosfera in vari strati nelle località del vul- cano in eruzione è il fattore più efficace di tutti. E naturale che le emanazioni dei vulcani in riposo solfatarico o in attività mo- derata non possono mai raggiungere delle altezze molto grandi, siccome bastano venti leggerissimi per togliere alle mediocri quan- tità di gas caldi la loro temperatura, prima che essi arrivino a grande altezza. Ma un' eruzione anche di forza media talvolta riuscirà a portare il pino e la cenere fino ad altezze sorprendenti, purché l'atmosfera nel tempo e nelle località dell'eruzione sia priva i) « Entìn je il' ai pas vu de vapeur d'eau, ni pendant 8 jours au Strom- boli, ni pendant le mème temps au Vesuve, ni aux trois cratères adventifs au vai d'Inferno, dont j'ai pu suivre le développement entier Le grand pa- nache blanc des volcans est de la fumee de chlorures. On le confond vulgai- rement avec des nuages de vapeur d'eau, mais il doit ètre distingue par un observateur soigneux Je suis intimement convaincu que le Stromboli est absolument sec ; sa cheminée, en continuelle tourmente, ne contient pas de vapeur d'eau ». A. Brun, Quelques rech rches sur le volcanisme. (Extrait des Ar- chives des Sciences physiques et naturelles, mais et j uhi 1905). Genève, 1905, pag. 28-29. - 76 — di venti forti fino a grande altezza. Similmente anche un'eruzione fortissima difficilmente arriverà fino a 10000 o 20000 metri o più, se la colonna ascendente di aria calda incontra ad altezze infe- riori vento forte e quindi , per mischiamento , perde il calore. Le altezze più grandi saranno raggiunte dalle eruzioni forti , che per caso hanno luogo, quando e dove l'atmosfera è calma, cioè priva di correnti veloci fino ad altezze molto considerevoli. In questi casi, come adesso capiamo facilmente, i vapori e la ce- nere da essi trasportata possono e devono raggiungere delle al- tezze straordinarie, in modo da portare quantità di polvere leg- giera ad altezze tali da modificare i fenomeni normali del cre- puscolo e dell'aurora, come è stato osservato specialmente dopo l'eruzione del Krakatoa nel 1883. Se fatti simili non si osser- vano dopo tutte le eruzioni accompagnate da forti getti di ce- nere, questo è l'effetto del vento, che mescolando aria fredda colle emanazioni vulcaniche le depriva del loro calore e della loro forza ascendente. Del resto, siccome eruzioni più o meno forti, considerando il globo intero , sono di occorrenza tutt' altro che rara, l'atmosfera, anche negli strati più alti, deve sempre con- tenere una certa quantità di polvere vulcanica. Ci sembra probabile che almeno una parte della polvere con- siderata come cosmica non sia altro che cenere vulcanica por- tata — (non lanciata, come si legge troppo spesso) — lentamente in su dalle materie gasiformi ad alta temperatura. Per rendere più intelligibile l'influenza del volume d'aria calda emessa, supponiamo che tal volume si alzi in un'atmosfera assolutamente calma. Anche in questo caso, che del resto non può verificarsi che approssimativamente, avrebbe luogo perdita di ca- lore per mischiamento ; codesto mischiamento si farebbe alla su- perfìcie del volume ascendente e specialmente alla parte supe- riore. Ora la superficie cresce con la seconda potenza, la quantità di calorico accumulato nel volume d'aria colla terza potenza del diametro. Quindi è evidente che lo sprigionamento rapido di grandi volumi di gas caldi è una delle condizioni necessarie, perchè la polvere vulcanica sia portata a grande altezza. È inutile dire che i grossi proietti del pino vulcanico deb- bono obbedire quasi assolutamente alle leggi balistiche ed a quelle della caduta dei gravi, avendo su di essi poco effetto la resistenza dell'aria; e che le sostanze di volume e di peso mediocre, come le pomici ed i lapilli, devono seguire una via di mezzo fra i bloc- chi pesanti e la cenere fina. 77 * * * Degni di osservazione ci sembrano alcuni fatti collegati al fenomeno dei pini. È un fatto certo, del quale sarebbe difficile determinare le cause fìsiche, che qualsiasi volume di vapore ascen- dente assume la forma delle nubi dette cumuli. Il che si osserva nei vapori emessi dalle macchine a vapore, nelle nubi d'estate precedenti un temporale, nelle nubi di grandi esplosioni, come quella del magazzino di polvere pirica di San Paolo a Roma, os- servata dal fratello di uno di noi, e sopratutto nei vapori emessi dai vulcani. Dove la spinta si esaurisce è lì che la forma dei cu- muli o dei cavolfiori diviene meno netta e la nube si espande piuttosto in forma di strati che di cumuli ; ed è quella anche l'altezza dove la cenere non è più trattenuta, per mo' di dire, dal vapore, e lentamente comincia a cadere. Ciò si osserva frequen- temente nelle esplosioni vulcaniane. Il secondo fatto è che, secondo le osservazioni di uno di noi, le scariche elettriche apparentemente siano dovute alla presenza di cenere, e che quella a grana piuttosto grossa — 1/2 ad 1 mm. di diametro — sia assai idonea per produrre molta elettricità. Cosi il Te Mari, uno dei crateri del Tongariro nella Nuova Ze- landa, gettava cenere di questa qualità, e durante le esplosioni, che duravano per circa 10-15 minuti primi, si produceva tanta elettricità, da aversi un lampo, al minimo , ogni due minuti se- condi, in media. Alla teoria dei pini si collega anche il fenomeno delle nubi ardenti della montagna Pelée nella Martinica, una delle quali, l'8 maggio 1902, distrusse in pochi minuti la città di Saint-Pierre. Osservando il modo di svolgersi di una di queste nubi, come si ammira nelle eccellenti fotografie del prof A Lacroix, *) si resta sorpresi nel vedere come parte di essa, invece di innalzarsi, possa correr in giù per il pendio della montagna. Noi riteniamo che que- sto fenomeno così disastroso, non sia stato che l'effetto della enorme velocità con la quale si sviluppavano ingenti quantità di vapori. Si sa che facendo la combustione di una certa quantità di pol- vere da sparo, si produce una piccola nube che s' innalza senza danneggiare gli oggetti sottostanti ; laddove la nitroglicerina, e sostanze analoghe, esplodendo agiscono anche in giù, quantunque sieno molto caldi i prodotti gasiformi di combustione delle dette l) A. Lacroix. —La Montagne Felce et ses éruptions. Paris, 1904. SfcfcÓDSi^Y' — 78 — sostanze. Maggiormente questo fenomeno ben conosciuto è deter- minato dalla resistenza e dall'inerzia degli strati atmosferici so- prastanti, inerzia che ha tanto più effetto quanto più grande è l'accelerazione. Ora l'essersi la nube ardente della Montagna Pelée, malgrado la sua temperatura elevatissima, riversata lungo il fianco della montagna , nella vallata della Rivière Bianche , ci sembra dovuto al fatto che la velocità ed il volume di vapori sprigionan- tisi fosse stata di gran lunga più grande di quello che suole veri- ficarsi in altri vulcani. S'intende che anche la composizione chi- mica e la struttura della nube ed altre cause secondarie abbiano possibilmente contribuito a quel fenomeno tanto strano per quanto sterminatore ; ma è certo, in ogni modo, che nessuna traccia di vapore o di aria infuocata non avrebbe potuto scendere dal cra- tere, se la velocità dello sprigionamento del medesimo volume fosse stata molte volte minore di quella che era. Infine , facciamo menzione d' un fenomeno, il quale certa- mente è ben conosciuto e tutt'altro che vulcanologico nel vero senso della parola, ma che, facilmente, a distanza, può esser preso per tale. Intendiamo parlare dei vortici di polvere che hanno luogo frequentemente nelle località vulcaniche. Infatti, andando nei primi di. maggio colla Ferrovia circumvesuviana ad Ottaiano, osservammo sul pendio del cono vesuviano, a poca distanza dal- l' orlo craterico , una cosa , che a prima vista ci sembrava una grossa fumarola, o per meglio dire una piccola bocca esplosiva; ma ci colpi il fatto che la colonna di fumo apparente era più alta, più stretta e scura II giorno 4 maggio, poi, discendendo dal cratere del Vesuvio, vedemmo da vicino, al di sopra di noi, uno di questi vortici; cioè una colonna sottile di polvere animata da un rapido movimento elicoidale, che procedeva lentamente sul pendio del cono 1). Valeva la pena di menzionare questi piccoli « cicloni » in miniatura, perchè veduti a distanza possono esser causa di errori, e perchè, per poco che abbiano a fare col dinamismo vulcanico, le condizioni per la loro occorrenza sono molto favorevoli su di un terreno vulcanico, sia per la presenza della sabbia , che per la formazione di correnti locali d'aria ascendente, effetto del ca- lore vulcanico o del calore solare, riscaldante fortemente le arene di colore oscuro. x) 11 fratello di vino di noi, che il 9 aprile si recò fino a Pugliano, e il 13 aprile andò dal punto dove esisteva la casa Fiorenza fino al punto della stazione inferiore della Funicolare, conferma l'abbondanza di quelle trombe. — 79 — Così ano di noi ricorda di aver veduto parecchie di tali piccole trombe sulla sabbia della valle che circonda il cono di Vulcano nelle Eolie, nel giugno 1889, durante il periodo eruttivo. Vedute a qualche distanza, facilmente potevano esser prese per fumarole, ma si trattava esclusivamente di vortici arenosi, che si formavano nemmeno per l'effetto di calore vulcanico, ma sotto l'influenza di un sole scottante. Al Kilauea, una sera, quando dopo una pioggia vi era più vapore del solito , questo si alzò in certi punti , sul fondo del cratere secondario, in forma di colonne alte e strette, in rapido moto elicoide. Inutile aggiungere che il fenomeno dei vortici polverosi è più frequente nei paesi caldi e durante la stagione estiva Alla fine di queste nostre osservazioni sul pino vulcanico e fenomeni simili esprimiamo il parere che varrebbe la pena — del resto non troppo grande — di osservare sistematicamente la forma e l'altezza del pino vesuviano e di registrarlo giornalmente. Questo lavoro si potrebbe fare tanto privatamente, quanto da parte dell'Osservatorio meteorologico o vesuviano. Siamo persuasi che tali registrazioni sarebbero interessanti non soltanto dal punto di vista vulcanologico, ma anche per la meteorologia, trat- tandosi di una corrente d'aria calda ascendente, che, diversamente da quelle formantisi durante la stagione calda, si mantiene per- manentemente e , secondo le circostanze , raggiunge un' altezza più o meno grande. Tali osservazioni sistematiche sarebbero di valore, per es., per la teoria delle nubi in generale. 2.° Se le eruzioni catastrofali riconoscono cause speciali. Mentre alcuni vulcanologi non ammettono esservi alcuna relazione fra un'eruzione e 1' altra, grandi o piccole che siano, sia a tipo effusivo che a tipo esplosivo, x) altri invece ritengono che i fenomeni eruttivi che si svolgono al Vesuvio hanno un !) « La fine, precisamente come il principio di un'eruzione effusiva late- rale, e come tutto quanto l'efflusso lavico a questa inerente , possono essere tutt'affatto indipendenti da diminuzione e da aumenti di attività. Non dico con ciò che il dinamismo generale terrestre non possa esercitarvi la sua in- fluenza, anzi tutt' altro; ma solo ritengo che esso possa rimanervi anche com- pletamente estraneo; e che ciò si verifichi il più delle volte ». « Tanto meno poi uno sgorgo lavico laterale ha dei rapporti con le eru- zioni precedenti e seguenti, come si ritenne molti anni fa e si continua a ri- tenere tuttora da alcuni ; non è quindi il caso di continuare a parlare di pe- - 80 — decorso piuttosto regolare, in modo che, dopo un periodo più o meno lungo di attività, il vulcano con una violenta e rapida eru- zione rientra in riposo perfetto o nella fase solfatarica 1). Quantunque a prima vista deve sembrar naturale che i grandi cataclismi debbano avere delle cause speciali ed immediate, cor- rispondenti alla forza imponente delle grandi eruzioni, pur tut- tavia si deve riconoscere che queste possibilmente non siano altro che l'ulteriore effetto di condizioni e di forze accumulate da lungo tempo. Per spiegarci meglio riassumiamo quanto si sa per lunghe e ripetute osservazioni sui vulcani. Limitandoci al nostro Ve- suvio, conosciamo i fatti seguenti. Ad un'eruzione di una certa importanza, durata più o meno lungamente, suol seguire un periodo di calma 2). Ha luogo man riodi eruttivi con una violenta eruzione di chiusura. » R. V. Matteucci. — Sulla causa verosimile che determinò la cessazione della fase effusiva cominciata il 3 luglio 1895 al Vesuvio. Rend. d. R. Acc. dei Lincei. Voi. VITI. 2.° Sem. pag. 278. Roma, 1899. x) G. Mercalli. — Intorno alla successione dei fenomeni eruttivi del Vesuvio Atti del V. Congr. Geogr. Ital. Voi. 2.° Sez. I. p. 271-280. L'A registra in un quadro 12 periodi vesuviani, nei quali si verificarono costantemente i seguenti successivi fenomeni: 1. Inizio o prodromi: incremento di temperatura e di acidità delle fuma- role; attività stromboliana al cratere. 2. Corso o sviluppo del periodo eruttivo : fasi esplosive ed efflussi lavici terminali e laterali (tipo 1895). 3. Clausura del periodo eruttivo: violenta e rapida eruzione (tipo 1872). 4. Riposo perfetto del vulcano: o fase solfatarica 2) « Raramente e forse non mai una grande conflagrazione accade al Vesuvio senza i suoi prodromi e d'ordinario le maggiori arsioni del monte esj)rimono il termine di lunghi conati, dopo dei quali succede un periodo più o meno lungo di riposo. » L Palmieri. — Il Vesuvio e la sua storia. Milano, 1880, pag. 36. Crediamo anche utile citare un passo del Gorini al riguardo.... « Siccome ciò che si suol chiamare il riposo dei vulcani è un tempo da essi impiegato a preparare i materiali della futura eruzione, così si può ammettere come vero il seguente principio: A lunghi periodi di riposo succedono grandi eru- zioni ». « Siccome poi le grandi eruzioni indicano l'esistenza di grandi caverne, atte a nascondere per lunghissimo tempo i frutti dell' interno lavoro , così è na- turale che sussista anche il principio reciproco, cioè che: A violente eruzioni succedono d'ordinario lunghi riposi ». « Il terzo principio è una conseguenza immediata dei due già esposti, ed è pressoché evidente: Le eruzioni che succedono a brevi intervalli, sono anche le più leggiere ». v Finalmente, essendo chiaro che se l'eruzione si sfoga tutta in breve tempo deve essere violentissima , e non esser tale se ad esaurirsi impiega molto — 81 — mano un aumento di temperatura , e nuove masse laviche pro- venienti da profondità sconosciute riappaiono sul fondo del cra- tere di sprofondamento. Per anni ed anni, talvolta con brevi in- terruzioni, talaltra senza, va crescendo la quantità di materiale liquido, ed all'attività esplosiva al cratere si combinano spesso efflussi lavici, terminali o subterminali. Aumentano tutti i sinto- mi indicanti la presenza di materiale fluido e cosi pure 1' evi- denza di alte temperature. Ora, giacché 1' intero edificio vulca- nico è formato di materiale identico alla lava, per conseguenza deve aver luogo una rifusione parziale di rocce antiche, e la ri- fusione sarà tanto maggiore per quanto più supera la tempera tura del magma coevo quella di fusione, come si trattasse di un cono di ghiaccio nel quale s'instillasse acqua a temperatura crescente al disopra dello zero. Così, man mano, essendo l'interno del cono per gran parte liquido e diminuendo costantemente lo spessore dell'involucro di roccia solida per rifusione, si arriva ad un punto in cui per il peso della colonna lavica e per la diminuita resi- stenza della parete del cono, si determina l'apertura di qualche bocca a basso libello. Ha luogo quindi la fuoriuscita di colate di lava; questa, abbassandosi nel condotto centrale, determina una diminuzione di pressione e rende vuota ed instabile la sommità del cono; segue lo sprigionamento più rapido delle sostanze gas- sose contenute in quel liquido spumante di silicati fusi, che de- nominiamo magma, e lo sprofondamento della sommità formatasi durante la precedente attività esplosiva. Ecco, in breve, il con- cetto del meccanismo delle grandi eruzioni , secondo il quale queste non sarebbero altro che le ulteriori conseguenze neces- sarie di condizioni maturate da lungo tempo, e indipendenti da qualsiasi causa speciale e contemporanea. Ora, esaminiamo più minutamente questa teoria. Non si può negare che molti fatti, su cui non cade alcun dubbio , siano in favore di essa. È ovvio che gli efflussi lavici, nelle grandi eru- zioni, hanno luogo dalle parti inferiori della montagna, e la lava che vien fuori non è che quella accumulata precedentemente ncir interno del cono. Questo fatto è tutt' altro che banale, perchè si potrebbe credere benissimo che 1' eruzione sia prodotta da un afflusso più rapido di magma dalla profondità, ossia da un rapido tempo, ne consegue che: La durata di un periodo di attivila è in ragione in- versa della sua violenza ». Paolo Gorini. — Sull'origine ilei vulcani. Studio spe- rimentale. Lodi, 1871. pag. 91-92. — 82 — aumento di pressione idrostatica. Tale aumento, invece, non ha luogo, e lo prova il fatto che, se avesse luogo, la lava dovrebbe rapidamente innalzarsi nel condotto centrale oppure rapidamente sostituire le perdite esterne , il che non succede , o, se mai, in circostanze speciali 1). Il rialzarsi della lava nel condotto centrale pare sia sempre un processo molto lento, laddove al contrario la discesa del livello suole talvolta avverarsi in brevissimo tempo. Alcuni ritengono che 1' aumentata attività vulcanica sia do- vuta al fatto che una notevole quantità di acqua venga a contatto con i focolai vulcanici , e sia quindi determinata da ingenti pressioni di vapor acqueo 2). Lasciando da parte , per adesso, eruzioni di tipo differente, come quelle del Krakatoa o del Ta- rawera, dobbiamo confessare che non abbiamo ragioni stringenti, sufficienti per ammettere che immediatamente prima delle eru- zioni il magma sia più ricco di vapor acqueo e che questo, di conseguenza, sia la causa dell' aumento dell' attività 3). E vero che 1' attività esplosiva, precedente i grandi efflussi lavici, è aumentata, il che può ritenersi dovuta ad una maggiore quantità di aeriformi sciolti nel magma; ma non si può sconve- nire che 1' attività esplosiva del cratere deve dipendere molto dallo spessore e dal diametro della colonna liquida nell' interno del cono. ') Così, p. es., il 3 agosto 1899 , all' arresto quasi completo dell' efflusso lavico laterale nell' Atrio del Cavallo cominciato nel luglio 1895, seguì una fortissima attività al cratere terminale. R. V. Matteucci.— Su fenomeni magma- statici verificatisi nei mesi di luglio-agosto 1899 al Vesuvio. Rend d. R. Acc. dei Lincei. Voi. Vili, 2.° sem. fase. 6.° Roma, 1899. E similmente nel settembre 1904, cessato l'efflusso lavico del 1903, nella Valle dell' Inferno , si ebbe al cratere una violenta fase di attività strombo- liana. Ma anche in questi casi non ebbe luogo un traboccamento. 2) Vedi, p. es., G. Db Lorenzo. — Studio geologico del Monte Vulture. Atti d. R. Acc. d. Se. fis. e mat. Voi. X. Serie 2.» n. 1, pag. 194 e seg. Na- poli, 1900. 1d. — Sulla probabile e .usa dell attuale aumentata attività del Vesuvio. — Rend. d. Acc. d. Se. fis. e mat di Napoli. Fase. 5° e 6°, 1900. Id. — Influenza delVacqua atmosferica sull'atti vita del Vesuvio. — Id. Fase. 8° a 12.° 1900. Id. — Considerazioni sull'origine superficiale dei vulcani Atti d. R. Acc. di Se. fis. e mat. Voi. XI. Serie 2.* n. 7. Napoli, 1902. 3) E Semmola — La pioggia e il Vesuvio — Nota 2.a Rend. d. Acc. d. Se- fis. e mat. di Napoli. Fase. 3°; 1901. R. V. Matteucci — Svi periodo di forte attività esplosiva offerto nei mesi di aprile-maggio 1900 dal Vesuvio. — Boll. d, Soc. Sism. Ital. Voi. VII. Mo- dena 1901 (pag. 88-89). — 83 — La straordinaria attività parossismica, che ha luogo alla cima appena dopo la fuoriuscita della lava, potrebbe benissimo spiegarsi per ragioni di diminuzione di pressione magmatica. Dopo che il serbatoio della lava , formatosi sia per afflusso di nuovo magma, sia per rifusione di materiale antico , ha rag- giunto certe dimensioni, si vuota mediante bocche di efflusso, che si aprono a basso livello. L' apparizione di queste costituisce il primo segnale d' allarme, il principio d' una grande eruzione ; e sono cpieste appunto che conducono alla evacuazione del serba- toio formatosi negli anni precedenti. Senonchè ci sono certe difficoltà che, se non sono valide ad abbattere questa teoria, tendono piuttosto a modificarla. l.° Prima delle grandi eruzioni si avvera un aumento sensibile di attività esplosiva alla cima, indipendentemente da efflussi la- vici e da diminuzione di pressione magmatica. 2.° Si ha talvolta un aumento di attività molto spiccata al cratere, ma di breve durata, che non ha nessuna conseguenza e che non è prodotto da diminuzione di pressione. In questi casi qual' è la causa di tale aumento dell' attività esplosiva ? Evidentemente deve ricercarsi in una maggiore ab- bondanza di materie gasiformi , che si sprigionano in un dato periodo. Ma da che cosa dipende 1' aumento delle sostanze gasi- formi ed il loro più facile sprigionamento ? È dubbio che possa trattarsi di un rapido aumento di pres- sione nel condotto centrale , perchè il sollevarsi della colonna lavica è un processo molto lento , e neanche durante le grandi eruzioni vi è indizio di aumento di pressione 1). Soltanto in casi eccezionali si può avere un aumento relativamente rapido di pressione nel condotto centrale ; quando , cioè , in un' eruzione x) Anzi, la costanza della pressione idrostatica frequentemente mantenuta per anni sempre ci sembrò uno dei fatti più generali e più importanti. Così il Kilauea, per es., per anni manteneva il livello, salvo un aumento di qualche decina di metri. Lo Stromboli, per anni, fino al livello delle bocche, è pieno di magma, senza traboccar Kolliker, A. v. — Enttviklungsgeschichte. 2 Autì. » Rouget, Ch. — Evolution comparée des glandes génitales unite et fe- melle chez les embryons de mammifères. C. R. de 1' Acad. des Science. Paris. T. 88. 1880. Van Beneden. E. — Contribution à la conneissance des Mammifères. Ardi, de Biol. T. 1. » Xussbaum . M. — Znr Differenzirung des Gechlechts ini Thierreich. Ardi. f. mikr. Anat. Bd. 18. 1883. Renson, Ct. — Contribution à l'embriologie des organes d'éxcrétion des Oiseaux et des Mammifères. Ardi. f. mikr. Anat. Bd. XXII. 1885. Mihalkovics, V. — Untersuchungen uber die Entwicklung des Ha ni und Geschlechisapparates das Ammioten. Internat. Monatschr. f. anat. u. Histol. Bd. 2. » Janosich, J. — Histologisch-embriologische Untersuchungen uber das Urogenitalsystem. Sitz. Ber. Akad. Wien. 3 Abt. Bd, 91. 1887. Laulanié, M. 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Obb. 7* Koristka. » 2. — Parte della testa dell'epididimo d'un embrione di 15 mm. 1 canali- coli del corpo di Wolff che dovranno mettersi in relazione col testicolo, sono i primi a svilupparsi e sono 6. In questa figura si vede anche la disposizione speciale dello stroma indifferen- ziato. Oc. 2 Huigh. Obb. 7* Koristka. » 3. - - Porzione del testicolo d'un embrione di 25 mm. Principio della for- mazione della rete di Haller a spese della fusione più o meno completa dei tubuli retti. Oc 2 Huigh. Obb. 7* Koristka. » 4. — Figura d'insieme nella quale si veggono simultaneamente la lacuna (Morgera), i canalicoli del Mihalkovics, che sono quelli compresi nella zona oscura formata dallo stroma indifferenziato, il corpo e il canale di Wolff' e i vasi che costituiranno 1' idatide pedun- colata. Embrione di 31 mm. Oc. 2 Huigh. Obb. 3 Koristka.. » 5. — La lacuna e lo sbocco dei due canalicoli del Mihalkovics in un em- brione di 34 mm. Quello in alto mostra come esso provenga dalla fusione di tre canalicoli. Lo stesso è dell' altro , ma qui non si vede, perchè ciò avviene un po' più distalmente ; basta dare uno sguardo alla figura precedente. La rete di Haller sta per raggiungere la lacuna suddetta. Oc. 2 Huigh. Obb. 7* Koristka. » fi. — La lacuna in uno stadio più avanzato. Embrione di 3tì mm. .Si vede come in essa sbocchi pure uno dei tubi della rete di Haller. Oc 4 Huigh. Obb. 7* Koristka. » 7. — Embrione di 40 mm. Stadio ancora più avanzato della lacuna. Chia- ramente si vede come essa diventi anfrattuosa. Oc. 2 Obb. 7* Koristka. » H — Figura semischematica di un preparato ivi lato degli organi maschili di un embrione di 12 nini. » 9. — Figura schematica della disposizione finale del testicolo e degli or- gani in relazione con esso nella Caria voliaija. Intorno alla moltiplicazione degli antofilli , per sdop piamento o per < plurigenesi ». a proposito di una pianta di Lycopersìoum esculentum a fiori pieni. — Nota del socio M. (teremicca. (Tornata del 2 settembre 1906) Nei primi giorni di settembre dello scorso ultimo anno, in un grande vaso da tiori esposto sopra una terrazza a sud-ovest, in quel di S. Giorgio a Cremano, nacque per caso una pianta di Lycopersicum esculentum Dun. della comune varietà, — -ora un po' trascurata. — a frutti sub-rotondo-compressi ed irregolarmente lo- bati. Essa, in pochi giorni, con accrescimento rapidissimo, venne su molto robusta e sviluppò foglie assai grandi; ma, colpita dalle prime ed abbondanti piogge ottobrine, non trovò calore suffieie ni <• per abbonire tutti i suoi frutti. Nel periodo di poco più di un mese produsse non meno di 150 fiori, distribuiti sopra una ventina di infiorescenze , a 5 ad 11 per ciascuna. Di questi fiori ne potetti esaminare 75 e li tro- vai tutti più o meno pieni, a fillomi generalmente irregolari ed a simmetria deficiente o mutata. Si può ritenere quasi con cer- tezza che negli altri 75, al tempo dell' osservazione non ancora sufficientemente sviluppati, le cose non andassero diversamente: e ciò non solo per ragione di elementare criterio statistico, ma anche perchè siffatte alterazioni in questa specie coltivata sono molto comuni. Stando così le cose, non avrebbe nessun valore il fermarvisi a parlarne, se dalla descrizione del fatto teratologico io non cer- cassi di cavare una spiegazione, da valere eziandio per tutti i casi simiglianti. In altri termini, mi si è presentata opportuna la vol- gare pianta di pomodoro per discutere, con argomenti di fatto, una teoria importantissima sulla natura dei cosidetti sdoppiamenti dei fillomi e per analizzare la possibilità dello sdoppiamento dei coni vegetativi, in rapporto specialmente ai fiori raddoppiati. 104 - Ordinando le note prese al riguardo, trovo ad osservare lo seguenti cose. In quanto al numero degli antofìlli, nessuno dei 75 fiori ri- sponde alla forinola normale, ma oscilla, in ciascuno dei tre cicli pentameri, da un minimo di 6 ad un massimo di 19; e più pro- priamente, il numero dei sepali va da 6 a 16, quello dei petali parimenti da 6 a 16, degli stami da 6 a 19; quello poi dei carpelli è compreso fra 3 e 20. •La forinola più semplice è : (6S) + [(6P) + 6A].-f(3C), e l'Ilo incontrata appena 2 volte. La più ricca, — e di qui avanti per brevità segnerò solo le cifre, — è: 16, 16, 16, 20, e 1' ho ri- scontrata una volta sola. Più comune è invece la forinola: 7, 7, 7, 3, la quale ricorre 13 volte su 75; poi viene 8, 8, 8, 3, che s'incontra 8 volte su 75. Intorno a queste due forinole si aggirano: 7, 7, 7, 5; 7, 7, 7, 6; 7, 7, 8, 3; 7, 7, 8, 4; 7, 7, 9, 3; 7, 8, 8, 3; 8, 8, 8, S; 8, 8, 8, -1; 8, 8, 10, 4; 8, 8, 7, 6; 8, 7, 8, 3; 8, 7, 10, 4; 8, 9, 9, 3; 8. 9. 9. 5; 8, 10, 10, 6; 8, 11, 10, 4; ecc.; le quali capitano quasi tutte più d'una volta. Ricorrono ancora meno: 6, 6, 6, 4; 6, 7, 9, 4; 9, 9. 9. 9; 9, 9, 9, 4; 9, 9, 10, 4; 10, 10, 10, 5 ; 10, 10, 11, 5; 10, 10, 11. 7; 10, 9, 11, 5; 10, 11, 12, 5; 10, 11, 11, 6; 11, 11, 13, 7; 11, 11, 12. 3; 11, 11, 12, 7; 11, 13, 11, 6; 13, 15, 19, 14; 16, 16, 16, 20. Nel calice il caso che ricorre più volte è di 7 sepali (28 su 75); capitano una sola volta 13 e 16. Nella corolla più di comune sono 7 petali (25 su 75); s' incontrano una sola volta 13, 15 e 16. Il maggior numero di fiori presentano 8 stami (24 su 75 : 13, 16 e 19 si riscontrano una volta sola. Il pistillo risulta di 3 carpelli in 33 fiori (33 su 75) ; in un sol fiore ne ho trovato 14 ed anche in un solo 20. Prima di ricercare le possibili cause di questo aumento del numero normale degli antofilli, è da aggiungere che essi si pre- sentano qua e là disuguali , in modo da rendere i cieli più o meno irregolari. Di fatti, i sepali sono in vario grado disuguali per grandezza e per figura in 56 su i 75 fiori esaminati, i petali in 53, gli stami in 52, i carpelli in 43. L' irregolarità dunque .' benché lievemente, si può dire che diminuisca procedendo verso il centro del fiore. Ed è da ricordare altresì le varie concrescenze: - 105 - 9 volte fra i sepali, 9 volte fra gli stami ed una volta sola fra i petali; e quasi sempre la concrescenza dei sepali si accompagna a quella degli stami. Ma un fatto ancora più notevole è presentato dalla forma generale e dalla simmetria del fiore. L' asse fiorale , pedicello e ricettacolo, non è, come nel fiore normale, a sezione trasversale circolare, ma più o meno ellittica ; e 1' asse maggiore dell' ellissi è disposto tangenzialmente all' asse fiorifero. E questo carattere si riscontra nel maggior numero dei fiori osservati , in 54 cioè sopra 75. ora molto accentuato, ora leggiero o lievissimo. Siffatta forma compressa del pedicello e del ricettacolo altera la simme- tria del fiore, quando più quando meno, e specialmente, fra gli altri cicli, quella del pistillo, il quale si presenta in ben 25 casi a sezione decisamente ellittica. Però, anche col pedicello compresso, ma lievemente , s' incontra molte volte la simmetria raggiata, e solo 2 volte questa simmetria radiale si presenta accompagna- ta dal pedicello cilindrico. Alla forma compressa del pedicello risponde quella dello stilo, che è più o meno nastriforme, a se- condo della maggiore o minore compressione di quello , in ben 58 fiori dei 75 osservati. Un carattere che si collega alla forma dell' ovario e dello stilo è la figura dello stimma, la quale dipende anche dal numero e dal rapporto di lunghezza degli stili elementari. Essa in 34 casi si presenta triangolare o a tre punte, in 18 denticulata o a più di tre punte, ed in 7 obliqua , e ciò per graduata disugua- glianza degli stili. Una parte anche molto turbata dal soprannumero e dalla irregolarità degli antofilli è il cono anterale, caratteristico, come si sa . dei solani. E propriamente, nei fiori più compressi e più ricchi di antofilli, il cono costituito dalla connivenza delle antere è più o meno deformato, non tanto pel numero , quanto per la disuguaglianza e per la posizione degli stami. Riassumendo dunque, in questi fiori è alterata in vario grado la simmetria, essendo essi divenuti da actinomorfi più o meno zigomorfi; è aumentato il numero degli antofilli, che giungono per alcuni verticilli fino ad oltre triplicarsi o quadruplicarsi ; è alterata più o meno la forma e la uguaglianza; sono strette nei varii verticilli coalisioni o concresc snze di vario grado. Ed <'■ su queste concrescenze appunto che bisogna fermarsi alquanto, trat- — 106 — tandosi di un fenomeno, che può aprir la via alla spiegazione del caso teratologico. Si tenga prima di tutto presente la conformazione di al- cuni fra questi fiori. In uno di essi, decisamente actinomorfo, sepali petali e stami si presentano raddoppiati. I 10 sepali sono uguali e 2 di essi concresciuti per quasi metà della loro lunghezza. E qui si af- faccia spontanea l'idea che si tratti d'incompleto sdoppiamento, rivelatore dello sdoppiamento completo, avveratosi negli altri dei 5 sepali del calice normale. I 10 petali sono (piasi uguali e tutti liberi, alternanti regolarmente co' sepali : solo uno di essi è tra- sformato per metà in istame , e la mezz' antera che ne risulta concorre insieme con le altre antere a costituire il cono stami- nale, e per conseguenza il mezzo petalo residuale, invece di es- ser disposto tangenzialmente, è orientato quasi radialmente. Dei 10 stami 2 sono concresciuti pe' filameli ti e per la base delle antere : e anche qui si può pensare a sdoppiamento dei 5 stami normali. In un altro fiore, appena un pochino compresso, il raddop- piamento è quasi raggiunto. I sepali sono 9 ed alquanto disu- guali, e 2 di essi molto più vicini fra loro che gli altri, quasi a ricordare 1' avvenuto sdoppiamento. Anche i petali sono 9 , ma molto disuguali , e 2 di essi concresciuti per lungo tratto. Gli stami sono 10 e disuguali: i 6 più piccoli posti tutt'insieme l'uno appresso dell'altro e separantisi facilmente in 3 coppie, ciascuna delle quali mostra per tal carattere di derivare dallo sdoppia- mento di uno stame. In nessuna coppia però gii stami sono per- fettamente uguali, ma l'uno appena un poco più piccolo dell'altro: la. qua! cosa potrebbe dare un po' di luce sul probabile processo dello sdoppiamento, come più appresso si dirà. Ricordo un terzo fiore, alquanto compresso, con 8 sepali, 4 dei quali riuniti in 2 coppie per incompleta saldatura, e con 8 stami , 2 dei quali concresciuti pel filamento, ma disuguali. Ed un altro fiore, anch'esso poco compresso, con 9 sepali, dei quali 2 concresciuti per brevissimo tratto. E poi un quinto fiore, del pari leggermente compresso, che presenta 10 stami quasi uguali, di cui 2 concresciuti per un tratto del filamento. Ed ancora un altro alquanto compresso, nel quale 2 dei 9 sepali sono un po- chino saldati insieme ; e cosi , parimenti , 2 stami, di 10 , con- cresciuti per una parte del filamento . in un fiore appena com- presso. — 107 — E sempre in fiori più o meno compressi i seguenti casi: Due volto calice di 11 sepali disuguali, di cui 2 in parte coaliti, ed androceo di 12 stami disuguali, alcuni dei quali, molto o poco, coaliti pe' filamenti. In un calice di 7 sepali disuguali, un se- palo quasi il doppio più largo degli altri, appena bifido all'apice, da potersi segnare quale incipiente sdoppiamento. Lo stesso fatto in un calice di 8 sepali. In un androceo di 11, in due di 9 ed in uno di 12 stami alquanto disuguali, 2 stami concresciuti pe' filamenti. In un androceo di 12 stami disuguali, 2 stami incom- pletamente sviluppati ; e, parimenti, uno stame molto piccolo in androceo di 11. In un calice di 8 sepali, un sepalo piccolissimo, ed in un altro, pure di 8, 2 sepali in parte cennati. * In tutti questi casi la concrescenza tra fillomi si riscontra costantemente in cicli che hanno un numero di pezzi intorno al doppio del normale, cioè 8 a 12, ed in alcuni casi proprio 10. A questo fatto si accompagna costantemente 1' altro della lieve compressione del ricettacolo e, più ancora , del pedicello. Per le quali cose insieme , si potrebbe pensare alla duplicità e fusione dei coni vegetativi. Là dove si sarebbe dovuta formare, come è il caso normale , un cono vegetativo , produttore di un sol fiore, se ne sono formati due, e questi, per 1' angustia dello spazio in cui si debbono sviluppare , si sono fusi più o meno , ossia più presto o più tardi, in uno, il quale, com'è facile com- prendere, ha dovuto necessariamente produrre un fiore a sezio- ne trasversale ellittica, con un numero di an tonili superiore al normale. La conferma di tutto ciò si potrebbe trovare in due fiori, che di proposito non ho ancora descritti. In questi due fiori il pedicello è molto largo e compresso, e, quel che più monta, presenta sur ambo le facce un solco me- diano, a testimonianza dell'avvenuta fusione di due pedicelli nor- mali. Inoltre, il ricettacolo è molto compresso e di figura spic- catamente ellittica II calice in uno di essi è di 13 e nell'altro di 16 sepali , alquanto disuguali ; la corolla di 15 e di 16 pe- tali non del tutto uguali; l'androceo di 19 e di 16 stami disu- guali ed alcuni di essi coaliti pe' filamenti. Il primo di questi fiori presenta un ovario molto compresso ed uno stilo larghis- simo, affatto laminare, il (piale è percorso in ambo le tacce da 8 solchi paralleli, corrispondenti con alternanza agl'intervalli tra — 108 — altrettante piccolissime sporgenze dello stimma, che perciò si pro- senta denticolato. Dall'altro fiore , fatto abbonire l'ovario , si è avuto un frutto doppio , derivante da 2 pistilli distinti, appena un poco aderenti per un'area molto stretta, di 10 carpelli disu- guali per ciascuno. Anche qui, s' intende, lo stilo era molto largo e compresso , con solchi longitudinali sulle due facce e stimma denticolato. Casi analoghi, ma non identici, osservati in altre piante, furono attribuiti dal Delpino a sdoppiamento e successiva fusione del cono vegetativo; e specialmente notevoli pel fatto nostro sono le modificazioni che egli descrive *) in un fiore di Borago offici- nalis ed in uno di Hedera Helix, i quali hanno appunto la stessa architettura di quelli del Lycopersicwn, come si può rilevare dalle loro formole : Lijeopersicum: F = (5S) + [(5P) -f 5A] + (20) Borrago. . . : F = (5S) + [(5P) + 5A] -f- (20) Hedera ...:¥ = (5S) 4- 5P + 5A -f- (60) Questi fiori avevano il pedicello ed il ricettacolo più o meno compressi , — e fin qui si va d'accordo , — ma tutti i loro cicli presentavano un numero doppio di antofilli. E però sembra lo- gica la spiegazione che ne dà il Delpino : «... verisimilmente i coni di vegetazione , sdoppiati fin dalla base del pedicello , dopo aver fondato indipendentemente le matrici dei loro organi , si accostarono fino ad innestarsi la- teralmente e concrescere insieme; e le matrici, scostandosi alquan- to, ordinarono sé medesime in cicli, le omologhe con le omologhe, senza sofferire elisioni od aborti » 2). Ora, lasciando da parte la possibilità materiale di tutto ciò, è chiaro che questa spiegazione non può adattarsi ai fini di cui vado discorrendo. Per vero, su i 75 fiori osservati, appena uno solo presenta in tutti i cicli gli antofilli raddoppiati , ma nello stesso tempo il pedicello ed il ricettacolo non sono compressi, e solamente 11 offrono uno, o tutto al più due, dei loro cicli ad antofilli raddoppiati. Se il numero doppio degli antofilli in tutti i cicli è un buon segno dello sdoppiamento del cono vegetativo, ove manca questo segno sarebbe vano parlare di sdoppiamento. 1 Delpino F. — Teoria generale della fillotassi. Genova, 1883. pag. 213-215. 2) Delpino F. - l. e. p. 214. ._ 109 _ Volendo però accettare questa spiegazione a qualunque costo, si potrebbe dire che nella fusione dei due coni vegetativi, derivanti dallo sdoppiamento del cono normale, sia avvenuta più o meno quella elisione, o queir aborto, delle singole matrici foliari, che non si è avverata nei casi tipici descritti dal Delpino. E vada pure cosi, — a parte difficoltà di altro ordine , sulle quali non credo necessario intrattenermi. Ma a questo modo non si darebbe spiegazione di tutti i fiori innanzi descritti , e solo di quelli che presentano in tutti o in alcuni dei loro cicli un numero di antofilli non superiore a 10. È vero che in questa condizione se ne trovano 60 , ma ne restano sempre 15 , cui la ipotesi dello sdoppiamento e successiva fusione del cono vegetativo non è ap- plicabile. Si dovrebbe ricorrere per essi ora ad una tripartizione ed ora ad una quadripartizione del cono vegetativo , e ciò , se non è addirittura assurdo, è per lo meno abbastanza strano. Qui debbo dire che ho reputato sempre ipotesi vana l'am- mettere lo sdoppiamento di un cono vegetativo per poi operar- sene la fusione ; tranne che il vocabolo sdoppiamento non sia da prendere, invece del suo senso vero, nel significato di raddoppia- mento. Uno sdoppiamento senza consecutiva fusione produrrebbe non altro che due fiori là , dove se ne sarebbe dovuto formare uno solo. L' invocato sdoppiamento dunque ad altro non serve, clic a spiegare l'esistenza di due coni vicinissimi fra loro ed in un luogo dove normalmente se ne formerebbe solo uno. Ed inoltre , la escogitata fusione è necessario che avvenga in un certo cotal modo: cioè con emigrazione delle matrici foliari dalla zona in cui avviene la fusione e successivo ordinamento di que- ste matrici, spostate per pressione, alla periferia del cono risul- tante. E ciò, veramente, non mi sembra molto attuabile. Venendo al caso che c'intrattiene , se si ricorre all' ipotesi ora esposta e che spiegherebbe molto stentatamente la genesi dei fiori a non più di 10 antofilli per ciclo, — cioè bipartizione del cono vegetativo, successiva fusione de' due coni derivatine, eliminazione delle matrici di un certo numero di antofilli, — pei fiori poi a più di 10 pezzi per ciclo si dovrebbe ricorrere alla for- mazione per scissione e successiva fusione di 3 o 4 coni vegetativi, col solito aborto o eliminazione di alcune matrici foliari. A parte però il grandissimo scoglio della tripartizione e «luadripartizione del cono vegetativo, rimane sempre a spiegarsi lo sdoppiamento degli antofilli, molto comune come si è visto. nei fiori osservati. Analizziamolo un poco. 110 Lo sdoppiamento, come avviene in numerosissimi casi, anche di foglie vegetative, presenta gradi parecchi, che vanno dall'esi- stenza di un filloma con l'apice bifido a quella di due fillomi, possibilmente uguali e perfettamente distinti, inseriti nel punto dove se ne dovrebbe trovare uno solo. Un modo di spiegare il fenomeno, come già si è accennato, è cpiesto. La matrice foliare si è bipartita, e ciascuna delle due derivatene ha prodotto un fil- loma ; ma, per 1' eccessiva contiguità fra le due matrici , queste molte volte, presto o tardi , si sono fuse ed i due fillomi origi- natine sono risultati, secondo il caso , o del tutto distinti, o sal- dati intimamente insieme per un tratto più o meno lungo. Dunque, nei fiori di cui si parla, per accettare la teoria della l)i partizione e successiva fusione dei coni vegetativi, bisognerebbe ammettere anche la bipartizione delle matrici foliari, seguita o no da fusione tra le matrici risultanti. Si potrebbe però rilevare che questa bipartizione delle ma- trici degli antofilli non è necessario assolutamente di ammettere, perchè nella fusione dei coni vegetativi le matrici che vengono tra loro a contatto sono appunto soggette a fondersi. Ma io fo considerare che in tal caso gli antofilli sdoppiati, o con segni di sdoppiamento , si dovrebbero trovare solo in corrispondenza del piano di fusione, cioè agli estremi dell' asse minore dell' ellissi rappresentante il ricettacolo fiorale; e ciò non è. * * Dovendo dunque dare spiegazione dei cosidetti sdoppiamenti dei coni vegetativi e dei fiori ad antofilli in numero superiore al doppio, e non sembrandomi, non dico dimostrata, ma per lo meno accennata la possibilità dell' aborto o eliminazione delle matrici foliari, credo di poter ammettere che la causa di tutti questi fatti — come anche di altri ad essi analoghi, tra i quali la fasci azione, — sia unica ed una sola la spiegazione. Ricordo anzitutto che qui è il caso di una pianta a vegeta- zione rapida e robusta, con pieni segni di abbondante nutrizione. Quali sono gli effetti di una ipertrofia dei germogli? Lo sanno tutti. La produzione di più gemme al posto di una sola. E nei coni vegetativi stessi la ipertrofia determina la formazione di un maggior numero di matrici foliari. Lo sdoppiamento in questo modo sarebbe del tutto eliminato, tanto pe' roui vegetativi quanto pe' fillomi, siccome ipotesi su- — Ili perlina, e sostituito ad esso un processo, che denominerei pluri- genesi l). In vece di un cono e «li una matrice, che si dovrebbero sdoppiare per poi fondersi . si tratterebbe della coesistenza, per genesi contemporanea nello stesso posto, di due o più coni e di due o più matrici , che nel corso di loro sviluppo si possono o pur no, e per vario grado, fondere insieme per condizioni pura- mente topografiche. Questo processo, come vedesi, è in armonia completa co' fenomeni prodotti dagli stati ipertrofici. Stabilito ciò, riesce agevole segnare il procedimento svoltosi nei fiori in questione Quasi tutti i 75 fiori studiati, se non tutti , ma certamente quelli che presentano almeno un segno di compressione nel pe- dicello e nel talamo, — e questi ascendono a 52, — sono stati pro- dotti, invece che da uno, da due coni vegetativi, nati insieme e contemporanei nello stesso punto, i quali ben per tempo si sono fusi insieme, e, nel cono che n'è risultato, le matrici foliari si sono prodotte solo nella parte libera , cioè nella periferia , e non in quella per cui si è operata la fusione : e ciò perchè questa re- gione, per effetto appunto dell' operata fusione, non si trova più nelle condizioni necessarie alla proliferazione delle sue cellule e quindi alla formazione delle matrici foliari. Per la stessa ragione intanto d'ipertrofia è avvenuto che, in moltissimi di questi fio- ri , alcune o parecchie o molte delle matrici foliari sono nate doppie o triple e hanno prodotto 2 o 3 antofilli al posto di uno, e questi sono rimasti distinti se esse non si sono fuse, altrimenti ne sono derivati antofilli saldati insieme per vario grado. È da por mente inoltre, che la saldatura dei coni vegetativi sopprime- rebbe non più di 3 matrici per ciascun ciclo in ambo i fiori po- tenziali ; di modo che si avrebbe contemporaneamente da una parte riduzione di matrici e dall' altra aumento. Ed è questo il fatto più importante nella spiegazione del fenomeno. Sia ad esempio uno di quei fiori detti innanzi, che nella teoria ammessa dal Delpino non trovano spiegazione. La plurigenesi dei centri formativi ne rende agevole il significato. Sono nati in un sol punto e nello stesso tempo due coni vegetativi , i quali fin dal primo inizio si sono fusi, dando origine al pedicello largo e com- presso, con un solco longitudinale su ciascuna faccia, ed al talamo compresso, cioè alla parte caulinare del fiore, la quale è la prima l) Sotto il riguardo filologico sarebbe più corretto dire poligenesi ; ma trat- tandosi di un numero in tutti i casi molto ristretto, passo sopra alle esigenze linguistiche e scelgo la voce plwes, come quella che meglio si avvicina ;il concetto di una pluralità non molto numerosa. — 112 — appunto ad iniziarsi. Intanto, delle 10 matrici che per opera della fusione dei coni risultano in ciascuno dei tre cicli esterni se ne sono soppresse nel lato della fusione -1, e le restanti (3 si sono quale duplicata, quale triplicata, dando nel complesso 16 antonlli per ciascun ciclo, mentre le -1 matrici del verticillo centrale, ^nes- suna delle quali è stata soppressa, perchè occupanti l'apice del- l' asse e quindi godenti quella libertà che non è concessa a tutte le altre, si sono quadruplicate , producendo cosi 1(5 carpelli in 2 ovarii distinti. Questa plurigenesi delle matrici foliari darebbe spiegazione altresì della disuguaglianza degli antotilli, non essendo esse sem- pre di uguale potenzialità, ma spesso avvenendo che la matrice o le matrici nate in più della normale abbiano una minore po- tenzialità. Ed m ultimo è da por mente che questa plurigenesi, che avviene in senso tangenziale, trova riscontro in quella che in senso radiale tanto di frequente si avvera nei fiori delle piante ornamentali e che concorre in sommo grado a renderli doppii e stradoppii. Sulla opportunità di modificare la nomenclatura di al- cune parti del fiore , in rapporto alle odierne clas- sificazioni delle piante. — Nota del socio M. Geremicca. (Tornata del 2 settembre 1906) Non vi è bisogno di dimostrare quanto manchevole , disa- datta, erronea financo sia spesso la nomenclatura di cui fa uso la botanica generale. Nata, come per quasi tutte le altre scienze natu- rali, senza regole e senza la guida di concetti direttivi, mostra, in modo più o meno chiaro, Y ignoranza del tempo in cui venne a poco a poco formandosi. Il massimo criterio al quale essa spon- taneamente si è informata è stato quello di somiglianza: ma so- miglianza puramente esterna ed accidentale. Più specialmente poi per la botanica è avvenuto , che , im- perando per lunghissimo tempo il falso concetto dell' uniformità del piano di struttura e dell' esercizio della vita delle piante e degli animali, i fondatori della morfologia, dell' anatomia e della fisiologia vegetale , guidati esclusivamente dal criterio di somi- glianza, battezzarono gli organi e le parti macroscopiche e mi- croscopiche e gli atti fisiologici delle piante con gli stessi nomi adoperati per gli animali. Il caso qualche volta ha fatto cogliere nel segno; ma quasi sempre la ignoranza della vera natura delle parti e dei veri rapporti morfologici e fisiologici , impossibili a possedersi dai fondatori, che sono appunto quelli che mettono le basi della nomenclatura, ha generato dei nomi, i quali ora si mo- strano disadatti al loro uso e causa spesso di ambiguità, di equi- voci , di errori. Vi sarebbe oggi tutto un lavoro da fare: la riforma cioè della nomenclatura della botanica generale, per dare a questa branca dello scibile una nomenclatura scientifica, cioè basata sopra cri- terii fondamentali , tratti esclusivamente dalla cognizione della vera natura delle cose. Mi si potrebbe dire che, per tentare ciò, bisognerebbe appunto possedere la cognizione esatta, la quale, ad onta degli attuali progressi, non si può dire ancora raggiunta e per alcuni casi nemmeno raggiungibile ; onde 1' odierna nomen- clatura è da prendersi per quanto vale , cioè per un insieme di nomi provvisori, a significato puramente convenzionale. 114 - Se questa opinione però regge in tesi generale, non mi pare che sia. ammessitele per qualche ramo della botanica, nel quale, essendosi raggiunte cognizioni sufficientemente esatte , sarebbe imperdonabile trascuraggine il non fare un tentativo di riforma: tanto più. allorché questa riforma scaturisce spontanea dalle co- gnizioni stesse e si trova già tacitamente ammessa dai botanici. Voglio dire della morfologia fiorale, la quale troppo risente della primitiva ignoranza ed è in troppo aperto contrasto con le odierne conoscenze. * * * Scoverti i sessi delle piante superiori, ossia non veramente gli organi sessuali, ma gli apparati che ad essi si riferiscono, gli stami, così denominati per similitudine, e meglio le antere furono dichiarate equivalenti ai testicoli ed il polline allo sperma; ed il pistillo, meglio ancora, fu equiparato all'apparecchio sessuale fem- minile, riscontrandosi nell' ovario , che più di consueto si chiamava germe (germen), V equivalente dell' utero, nello stilo e nello stimma, così ab antico denominati per simiglianza, 1' equivalente rispettivo della vagina e della vulva 1). Conseguentemente, i corpicciuoli con- tenuti nell'ovario, e che si sviluppano in semi mediante la fecon- dazione, non potevano non essere, secondo questi criterii, 1' equi- valente delle uova, e però furono chiamati uovicini , e così si seguitano oggi a chiamare , quando , è inutile che lo accenni financo, tra essi e le uova degli animali non vi è nessunissima relazione, se non l' unica di contenere 1' equivalente dell' uovo, ed essendo perciò ai tironi causa di equivoci e di concetti sbagliati. E poiché 1' embrione nell' utero è attaccato a questo per mezzo della placenta e del cordone ombelicale, ecco senz'altro battezzati per placenta i cordoni vascolari produttori degli uovicini , per funicolo ombelicale il pedicello dell' ovulo , per ilo la inserzione del pedicello all' ovulo, e per calaza la regione basale della no- cella o corpo ovulare , laddove fra queste parti delle piante e l) Calyx ergo est Tlialatnus, Corolla Auleum , Filamenta Vasa spermati- ca, Antherae TesticuV, Pollen Genitura, Stigma Vulva, Stylus Vagina, Germen Ocarium, Pericarpium Ovarium fecundatum, Semen Ovum (Linneo C. — Fon- damenta Bot. § 146) —Vedi anche: Linneo C, Phil. bot. § 102 — Wahlbom G., Sponsalia plantarum. Upsaliae, 1746 (Amoenitates Academieae, v. I, Edit. ter. Erlangae, 1787, p. 328-380). — Bonnet C, Contemplation de la Nature. Tom. 2e, Hambourg, 1782, p. 322-347, passim (Parallele des plantes et des ani- maux). — 115 — quelle identicamente chiamate negli animali non v' è la più lon- tana equivalenza, né di omologia , né di analogia , ma tutto al più la sola parvenza, ossia esteriorità, di somiglianza, e per una volgare osservazione. È del tempo nostro, gloriosa conquista fra le tante degli ultimi decennii del secolo XIX, la conoscenza del significato vero del fiore : la quale non è stata un prodotto, come dai non botanici potrebbe credersi, della morfologia, anatomia e fisiologia fiorale, ma dell'embriologia comparata quasi esclusivamente. Questa, studiando lo sviluppo ontogenetico dei diversi gruppi naturali di piante, ha potuto cogliere quei rapporti rivelatori , che alle altre branche della botanica non è dato svelare. Trattandosi di conoscenze oramai acquisite alla generalità dei naturalisti, non credo conveniente di fermarmi ad esporle, ma reputo invece bastevole 1' accennarle fugacemente. * La spiegazione delle fanerogame si trova nelle pteridofite, e ciò perchè i due gruppi derivano da uno stipite comune, il quale aveva dei caratteri, che nelle pteridofite si sono conservati ed in alcune sviluppati ancora più, ed invece nelle fanerogame si sono attenuati di continuo, fino a sparirne quasi anche le ultime tracce. Fortunatamente per la scienza, un gruppo di fanerogame, le gim- nosperme, che rappresenta una delle più antiche tappe raggiunte da quelle piante nel cammino della loro evoluzione, si è conser- vato fino all' epoca attuale , come è avvenuto qua e là di altri gruppi di piante e di animali, e rappresenta oggi, per questa sua condizione speciale, come un ponte volante tra le pteridofite e le fanerogame, al disopra del baratro scavato dai millennii. Se questo ponte fosse crollato nelle tante vicende dell' evoluzione degli organismi , le fanerogame sarebbero state per sempre alla mente dell' uomo un mistero. Il carattere rivelatore della parentela tra fanerogame e pte- ridofite è la metagenesi: manifesta in queste, nascosta in quelle. Come ben si sa, nello sviluppo di una pteridofita si alternano due forme, una delle quali è propria e comune a tutte le piante primordiali , cioè alle alghe, voglio dire il tallo, e 1' altra è una forma che nella sua vera manifestazione manca alle alghe, cioè il cormo o asse fogliato. La forma fallica, più o meno laminare secondo i casi, o filamentosa, o massiccia e tuberoide, è chiamata nelle pteridofite protallo, con nome appropriatissimo, perchè rap- 116 — presenta , come dimostra ancora la sua struttura e la sua vita, appunto il tallo di quella unica, o di quelle poche forme di alghe, quasi certamente laminari, da cui si dipartì lo stipite delle pte- ridofite. Il prò tallo è dunque come il ricordo dello stato primitivo della pianta, il quale, per la nota relazione tra lo sviluppo on- togenetico e il filogenetico, ha una breve durata nella vita dello individuo. Per la qual cosa nel protallo la funzione sessuale si effettua molto presto, come avviene nelle larve di certi animali, che si riproducono prima che abbiano raggiunto lo stato adulto *■): lo che è diverso dal ritenere, come qualcuno ha fatto 2) , che il protallo abbia breve durata appunto perchè la funzione sessuale vi si effettua troppo presto, essendo essa l'atto ultimo che corona la vita. Vi sono protalli ermafroditi e protalli unisessuali , come vi sono nelle alghe talli che presentano riuniti e talli che mostrano separati i due sessi; e, come nelle alghe, 1' organo maschile è un anteridio che produce anterozoidi ciliati, e 1' organo femminile è un archegonio , non molto diverso dal carpo gonio delle alghe floridee, racchiudente xm'oosfera, che per la fecondazione diventa uovo. L' embrione che nasce dalla segmentazione di questo è nutrito nei suoi primordii dal protallo, ma non tarda a prender possesso del terreno mediante vere radici e manda fuori nell' aria un corpo differenziato in fusto e foglie, che è appunto il conno, prodotto dall' adattamento della pianta alle nuove condizioni di vita, diverse dalle primitive acquatiche del tallo primordiale e del protallo derivatone. Inoltre, nelle alghe è diffusa , come si sa , la propagazione agamica, mediante cellule poco o molto specializzate, secondo i casi, e chiamate, con termine generico, spore. E ciò si esplica, o pur no, affianco alla riproduzione sessuale. La produzione delle spore si è conservata nelle pteridofite , ma avviene nella forma cormica e propriamente sulle foglie, — le quali ricordano il tallo solo per la foggia laminare e per 1' esistenza della clorofilla, — di rado 3) su speciali segmenti di natura foliare; per la qual cosa tali foglie bene a ragione meritano, come oggi si pratica, il nome di sporofilli. E risaputo altresì che le spore sono prodotte in con- cettaceli detti sporangi e questi sono generalmente raggruppati in sori , coverti o no da indusio, o pure saldati insieme. Ma di 1) Emery, C. — Compendio di -Zoologia. 2.a ediz. Bologna, 1904, pp. 38 e 41. 2) De Saporta e Marion. — L'évolution du règie vegetai. Les Cryptoga- mes. Paris, 1881, p. 40. 3) Nei generi Ophioglossum e Botrychiwm. — 117 — queste ed altre particolarità non è il caso qui di tener conto. M'interessa invece ricordare che vi sono ptericlofite (felci, equiseti, licopodii ) producenti una sola specie di sporangi e pteridofite invece (idropteridee, selaginelle), le quali producono due sor- te di sporangi, cioè macrosporangi , che racchiudono macrospo- re, e microsporangi racchiudenti microspore. La differenza tra le quali due specie di spore non è certamente solo nella grandezza e nel numero, essendo le microspore più piccole e più numerose delle macrospore (e la ragione apparirà in seguito), ma perchè dalla loro germinazione si producono due specie di protalli. Il protallo proveniente dalla macrospora è femminile, producendo solo archegonii; e quello proveniente della microspora è maschile, essendo fornito solo di anteridii. Quelle tra le pteridofite che hanno il protallo più piccolo e di due sorte sono appunto da ritenersi come più vicine alle fa- nerogame. Nelle selaginelle specialmente le cose si passano in modo, più che analogo, uniforme a quanto avviene nelle conifere. Basta per convincersene seguire di pari passo lo sviluppo, da una parte, della macrospora e, dall'altra, dell'ovulo, la formazione del protallo in quella e dell' endosperma in questo, la produzione degli archegonii neh" una e nell' altro , il formarsi dell' embrione in ambo. Le differenze sono, se pure talvolta apprezzabili, appena quantitative e sempre tali , da non sollevare il menomo dubbio sulla identità del processo fondamentale. Tra le differenze più notevoli vi è questa, che la germinazione della macrospora, e quindi la formazione del protallo , incomincia nelle selaginelle quando la macrospora è chiusa ancora nello sporangio e si com- pie durante il tempo in cui è libera; laddove la cellula embrionale delle conifere, come di tutte le fanerogame, che rappresenta ap- punto la macrospora , resta sempre chiusa nel macrosporangio, cioè nell'ovulo. Ma, d'altra parte, nelle selaginelle, l'embrione è provvisto di un sospensore, uè più né meno di come in moltis- sime fanerogame. E le differenze anche lievissime spariscono del tutto, quando ci facciamo a comparare insieme il microsporangio col sacco pol- linico , le microspore coi granelli di polline , e pe' caratteri di forma, struttura e sviluppo, e pei caratteri fisiologici. Sono fatti così noti, che non posso permettermi il riportarli. Ricordo solo, che il protallo maschile nella Selaginella è ridotto ad una piccola cellula a guisa del granello pollinico, e che questo è messo in libertà come avviene delle microspore. Basta poi rammentarsi della forma tubulare, che assume, nel germogliamento della microspora, il prò- — 118 — tallo della Salvinia, la grande riduzione presentata dagli anteridii in queste pteridofite eterosporee, e 1' esistenza di veri anterozoidi nelle Cycadeae ed in qualche conifera (Grinkgo), per vincere qua- lunque riluttanza nell' accettare senz' altro 1' uniformità del piano morfo-anatomo-fisiologico delle pteridofite e delle fenerogame. Aggiungo ancora che nelle equisetinee e nelle licopodinee è bene specializzato il differenziamento morfologico e topografico tra gli sporofiti e le foglie sterili , che nelle filicinee è appena qua e là accennato ; pel quale differenziamento , nei licopodii e nelle selaginelle specialmente si può parlare di spighe, aventi lo stesso significato degli amenti delle conifere ed in qualche felce (Blech- nwm) di un vero abbozzo di fiore , costituito da una rosetta di sporofilli all' estremità dell' asse. Le fanerogame per mezzo della gimnosperme si connettono alle pteridofite eterosporee, ed i legami che insieme stringono que- ste piante sono, come ora si è accennato, così forti , e le omo- logie cosi chiare, da reclamare per tutte la stessa nomenclatura. Come le foglie in moltissime di queste eterosporee, e come anche nelle equisetinee fra le pteridofite isosporee , si distinguono in sterili e sporifere, o sporofilli, cosi nelle fanerogame vi è da di- stinguere le foglie sterili e gli sporofilli. Per la qual cosa il fiore è una spiga di sporofilli, generalmente circondata da speciali foglie sterili, destinate ora a difenderli, ora ad agevolarne altresì o renderne possibile il funziona- mento. Non v'è intanto ragione alcuna che queste foglie perian- ziee mutino i loro nomi di sepali, petali e tepali ; non così invece è per i fillomi essenziali, che sono di due specie: maschili o mi- crosporangiferi e femminili o macrosporangiferi , e si chiamano rispettivamente stami e carpelli. Ora a me pare che questi due nomi non abbiano più ragione alcuna di sussistere. Il vocabolo stame ( stameli filamento ) non dice nulla, il vocabolo carpello ricorda non il fatto fondamentale ma un fatto secondario , cioè che questo filloma formerà poi il frutto. Neil' interesse della semplicità , uniformità e razionalità di linguaggio, sarebbe necessario che al vocabolo stame si sosti- tuisse micròsporofillo e a quello di carpello macròsporo fitto. Il micròsporofillo , cioè la foglia producente le microspore, si distingue in filamento, connettivo e microsporangi: così si do- vrebbero denominare i sacchi pollinici , essendo, come si è ricor- — 119 - dato , i granelli pollinici non altro che microspore. AH' insieme dei sacchi pollinici e del connettivo si può, senza alcun inconve- niente, conservare il nome di antera. E il vocabolo androceo ? Potrebbe essere conservato benis- simo, con tutti gli altri di cui è ricca la nomenclatura delle nu- merose modalità degli stami. Gli stami monadelfi , ad esempio, sarebbero micròsporofilli monadelfi . la deiscenza delle antere sa- rebbe deiscenza dei microsporangi , la germinazione del granello pollinico germinazione della microspora. Il vocabolo polline po- trebbe conservarsi solo per indicare la polvere formata dalle mi- crospore. Di conseguenza il tubo pollinico, proveniendo esso dalla membrana interna che è un endosporio, per coerenza di linguag- gio, dovrebbe chiamarsi tubo endosporico. Il macro-sporofillo, cioè la foglia producente le macrospore, porta uno o più macrosporangi, che solo una ragione storica e l'uso comune potrebbe consigliare , con patente offesa alla verità, di chiamare ancora per un pezzo ovuli. I macrosporangi sono in- seriti per mezzo di pedicello (funicolo ombelicale) su i cordoni sporangiferi ( placente ). Considerando più da vicino 1' ovulo , sorge un dubbio sul- la natura dei suoi tegumenti. Questi , nelle gimnosperme uno, sono o pur no la parete del macrosporangio'? Ve chi lo pensa. A me sembra più giusto il ritenerli quale indusio ricovrente uno sporangio solo. Si consulti al riguardo lo sporocarpo della Salvinia. In questa pianta, dalla base del ricettacolo sporangifero, che cor- risponde al pedicello sporangiale nostro , ossia al funicolo om- belicale della nomenclatura d' uso , nasce tutt'intorno, a ino' di cercine , un tessuto , che cresce a guisa dì coppa e finisce col chiudersi superiormente e formare un involucro al gruppo di sporangi. A parte il chiudersi , il modo di formarsi di questo sporangio è lo stesso di quello del tegumento ovulare. Invece però di sporocarpo, il tegumento ovulare, semplice o doppio che sia , è più conveniente chiamarlo indusio, avendo lo stesso valore appunto dell' indusio ricovrente i sori delle felci. Questo indusio, fornito di micropilo, avvolge dunque un solo macrosporangio, che è appunto la nocella ovulare, la quale produce una macrospora attualmente chiamata sacco embrionale. La macrospora germoglia senza uscire dallo sporangio e forma un protallo, che non esce dalla spora, il quale adesso è chiamato endosperma nelle gimno- sperme e cellule antipode nelle angiosperme, dove è ridotto alla sua più semplice espressione. Il protallo sviluppa uno o alcuni archegonii, dei quali la parte essenziale, cioè la oosfera, si trova — 120 — in tutte le piante, ma le parti .secondarie .si riscontrano abbastanza conservate nelle gimnosperme , ed invece ridottissime nelle an- giosperme, dove le sinergidi rappresentano gli ultimi residui delle cellule (hi collo. Restano dunque tagliati fuori gli attuali vocaboli: carpello, placenta, funicolo ombelicale, ovulo, tegumenti ovulari (primina e secondina) , nocella ovulare , sacco embrionale , endosperma , cellule antipode, sinergidi; e ad essi si possono sostituire rispet- tivamente : macròsporofillo, cordone sporangifero , pedicello spo- rangiale, macrosporangio indusiato , sacco indusiale , macrospo- rangio , macrospora , protallo , rudimento protallico , rudimento arcliegoniale. Prima però di considerare la fecondazione ed i suoi effetti, vediamo se questa novità di nomenclatura apporterebbe pertur- bamento nella denominazione di altre parti. Eliminato ovulo, non regge più il vocabolo ovario. Ad esso più razionalmente si potrebbe sostituire sporangiario. Stilo e stimma non v'è ragione però da sopprimere. Lo sporangiario può presentare una o più cavità, o logge, sporangifere, nelle quali si trovano i cordoni sporangiferi. E che cosa ne sarà della placentazione ? La placentazione sarà quello che è veramente , una sporangiotassi , a simiglianza della fillotassi, della cladotassi e della rizotassi. E pel vocabolo gineceo ? Lo si conserverà , insieme col suo corrispondente androceo, essendo questi dei vocaboli che, se in fondo non dicono nulla, non sono poi capaci di produrre equivoci. Ma, ancora qualche dubbio. Come si dirà invece di pistillo ? Anche questo è un vocabolo non pregiudicato, che potrebbe con- servarsi. Si potrà dunque dire senza inconvenienti che all' apice del ricettacolo vi è il gineceo, rappresentato da uno o più ma- cròsporofilli, che costituiscono uno o più corpi chiusi detti pistilli, in ognuno dei quali si distingue inferiormente lo sporangiario, su cui si solleva lo stilo, terminato dallo stimma. Pel diverso modo d'unione dei macròsporofilli , lo sporangiario contiene uno o più logge , in cui i macrosporangi sono disposti secondo varii tipi sporangiotassici. Comprendo che a questo modo certi vocaboli finiranno col diventare troppo lunghi ed incomodi nella pratica. Tal sarebbe, ad esempio , di polimacròsporofillo invece di policarpellare. Ma vi è un mezzo facilissimo per ovviare a tutto ciò : la contrazione della parola. Potremo dire politilo in questo caso , adoperando — 121 - un vocabolo neutro, che non pregiudica, perchè si riferisce alla natura fondamentale della cosa da denominare. Per quel che si riferisce agli effetti della fecondazione, crocio che vi sia poco o nulla da mutare. Il seme è un m a e r o s p o r a n g i o indusiat o racchi u- dente un embrione innestato in un protallo non fuo- ruscente. E nel seme racchiuso tutto un periodo della meta- genesi di queste piante: formazione del protallo, le cui dimen- sioni e durata sono ridottissime , formazione degli archegonii, fecondazione di una o alcune oosfere, formazione dell'embrione a spese dei materiali nutritivi accumulati nel protallo , o in un corpo che in sua vece si forma dopo la fecondazione (endo- sperma derivante dal nucleo secondario del sacco embrionale), come è il caso delle angiosperme. Il frutto è un apparato di custodia e di spargi- mento dei semi, risultante in massima parte dallo sporangiario accresciuto e più o meno modificato. A parte dunque questo raccordo della definizione del seme e del frutto col concetto informatore della nomenclatura del fiore, tutto il vocabolario di questi due corpi , e specialmente quello ricchissimo del frutto, non vi è ragione da mutare. * * * Rivolgendoci ora a qualche considerazione generale, bisogna dire che una pianta fanerogama, nello stesso modo di una pte- ridofita, è uno sporofito, cioè una pianta venuta fuori dalla ger- minazione di un uovo, differenziata in fusto, foglie e radici, e producente spore agame. Generalmente , per continuata gemma- zione, questo sporofito diventa una colonia , costituita da due sorte d' individui : sterili, cioè risultanti interamente di nomofilli, e riproduttori, cioè formati in tutto o in parte di sporofilli. Questi secondi individui si chiamano fiori, e in certi casi amenti, e pro- ducono in appositi sporangi (ovulo e sacco pollinico) macrospore e microspore. La macrospora , sedentanea , produce un protallo molto ridotto o appena accennato, che non esce dalla spora e sviluppa uno o pochi archegonii, più o meno ridotti o appena accennati. La fecondazione avviene mediante un tubo endosporico prodotto dalla germinazione della microspora, la quale è mobile e all'uopo è pervenuta sul pistillo o apparato macrosporofìllico. Meno pochi casi, in cui i gameti maschili conservano ancora la forma di anterozoide, nella generalità essi sono ridotti alla sem- UJ — 122 - plice forma nucleare: i quali nuclei fecondanti sono portati in contatto dell'archegonio mediante l'allungarsi del tubolino endo- sporico m cui si contengono e che attraversano alla punta, mercè dissolvimento della parete , per raggiungere 1' oosfera. L' uovo derivante dalla fecondazione di questa produce un embrione, che utilizza i materiali del protallo o di un corpo che ne fa le veci, e resta chiuso nel macrosporangio, che si è per tal modo trasfor- mato in seme. L'embrione svolgendosi diventa sporofito. Donde si rileva che lo sporofito ha una durata lunghissima e può raggiungere dimensioni enormi ed il protallo invece di- mensioni e durata limitatissime : quello è fanerobiotico, questo, per contrario, criptobiotico. Per la qual cosa la funzione sessuale è criptofenomenica : essa avviene nell'interno della macrospora, a differenza di quanto presentano le pteridofite, nelle quali la fe- condazione si opera fuori della spora, stando il protallo , uscito completamente o incompletamente da questa , in contatto, del- l'acqua o del terreno umido. Di guisa che , a voler essere rigo- rosi nel linguaggio, sono crittogame, non le pteridofite , ma le fanerogame. Ecco la sorte serbata ai vocaboli scientifici, quando non sono l'espressione esatta della cosa! Nelle fanerogame è palese solo la sporificazione e l'avvento delle microspore sull' apparato macrosporofìllico {impollinazione). Tutta la fase fallica, che è quella in cui si compie la sessualità, è recondita, e sarebbe rimasta tuttodì ignorata, senza gli sforzi dell'embriologia comparata e senza la favorevole occasione della persistenza nell'era attuale dell'antico gruppo gimnospermico. Non si dimentichi d' altra parte che nelle stesse pteridofite la fase fallica è già più o meno nascosta nelle Salvinie e nelle licopodinee, in quelle eterosporee cioè, che hanno stretta paren- tela con lo stipite donde derivarono le fanerogame. Sotto ogni riguardo a me sembra che pteridofite e fanero- game non si possono più tener separate in due gruppi 'distinti. La distinzione in crittogame e fanerogame oggi non solo ha un valore puramente convenzionale, ma per le fanerogame espri- me il falso, o, se si vuol essere molto indulgenti , non esprime il realmente vero. Pteridofite e fanerogame sono tutte protal- lofite e costituiscono un gruppo naturale , che può ben rappre- sentare un tipo del regno vegetale. È desso il gruppo più gio- vane non solo, ma quello che è attualmente in via di evoluzione. Senza stento si può ripartire nei due. sottotipi , delle pteridofite e delle fanerogame . che invece sarà più esatto chiamare Sper- matofite, ciascuno dei quali conserva le classi che ora possiede. 123 — Resterebbe così ripartito il Regno vegetale in tre tipi. Il primo, più semplice e più antico , ma poco o punto uniforme , ha un valore più scolastico che reale: è l'immenso gruppo delle Tallo- fite, dal quale sono derivati gli altri due tipi. Esso si suddivide in numerosi gruppi più o meno naturali , di cui quelli a vita indipendente vanno per consuetudine raccolti in una categoria detta Alghe, quelli a vita saprofìtaria e parassitaria costituiscono, per convenzione scolastica, la classe tanto artificiale dei Funghi, ed un gruppo risultante di forme simbiotiche algomicetiche , va sotto il nome di Licheni. Forse non sarebbe male suddividere le Tallofite in Mixotal- lofite ed Etttalloftte, come fa l'Engler, 1) per separare in certa guisa dagli altri vegetali i tanto ambigui Mixomiceti , ma senza asse- gnare a questi due gruppi il valore di grandi sezioni del regno vegetale, ed in ciò dissentendo dall' illustre botanico. Il secondo tipo invece è naturale ed è costituito da forme molto amni tra loro , nelle quali si afferma la metagenesi con l'alternanza di un corpo sessuato, che fa numerosi tentativi per trasformarsi da tallo in cormo , e di un corpo agamo detto spo- rogonìo, che non si distacca mai dal primo. Lo sporogonio è solo l'equivalente metagenetico dello sporofito , ma differisce assolu- tamente da questo per la forma, che è di un ricettacolo pedicel- lato, innestato nell'archegonio, e per la durata molto breve. Questo tipo , che comprende epatiche e muschi , e nel quale il tallo è ridotto ma non soppresso, specialmente nelle epatiche, potrebbe benissimo , per uniformità di linguaggio e per indicare il suo grado intermedio, denominarsi delle Mesotallofite. Esse nella storia dell'evoluzione vegetale rappresentano un'impresa fallita, e però un gruppo di valore intermedio tra le tallofite e le piante su- periori. L'attuale vegetazione subaerea appartiene quasi tutta al terzo tipo, che, per ricordarne il carattere fondamentale, crediamo con- veniente di chiamare Protallofite, e che va distinto nel modo in- nanzi accennato. l) Engler. — Syllabus dei- Ptlanzenfamilien. Berlin, 1898 — 124 Laonde il Regno Vegetale si potrebbe ripartire in tre tipi, comprendenti cinque sottotipi suddivisi in sedici classi, come nel quadro seguente : Tipi Tallofite Sottotipi M ix o tallofite. Eh tallo fi te . Classi Mixomiceti Scbizoliti Diatomee Conjugate Cloroficee Feoficee Rodoficee Caracee Eumiceti Mesotallofite Protallofite Briofite Pteridofite. S'permatofite . Epatiche Muschi Filicinee Equisetinee Licopodinee Gimnosperme Angiosperme Sopra un fatto teratologico, che illustra 1' ordinamento delle cariossidi nella spiga di Zea Maysl^. — Nota del socio M. G-eremicca. (Tornata del 2 settembre 190fi) Fra le teorie escogitate dal Delpino per spiegare la fillotassi di alcune speciali infiorescenze , vi è quella dei coni di vegeta- zione multipli, e bisogna riconoscere che in qualche caso essa si presenta rafforzata da osservazioni irrefiutabili. Basterebbe, se altro non vi fosse, l' infiorescenza femminea della Zea Mays, per rendere accetta questa teoria. Egli dimostra al riguardo che la spiga femminile è omologa alla pannocchia maschile, e propriamente è una pannocchia, i cui rami, invece di essere liberi, sono contratti e coaliti fra loro *). Un fatto forse non da tutti conosciuto si è, che i fiori nella spiga femminea di granturco, e, conseguentemente, le cariossidi sono ordinate — almeno per lungo tratto — in ortostiche disposte a paja , con un intervallo più o meno apprezzabile tra un pajo e 1' altro : e se 1' intervallo non riesce sensibile , resta sempre , a svelare 1' abbinamento delle ortostiche. il numero pari di queste. I fiori unisessuali, coni' è risaputo, derivano dagli ermafroditi per aborto di uno dei sessi: la qual cosa è nella Zea Mays ricor- data dal fatto non infrequente di fiori ermafroditi, o, più ancora, di fiori pistilliferi sostituiti in parte o in tutto ai maschili delle normali pannocchie con cui si termina 1' asse. Più che 1' unisessualismo fiorale, è la posizione delle infio- rescenze femminee rispetto a quella delle infiorescenze nella ge- neralità delle Graminacee , che costituisce una nota abbastanza singolare in mezzo alle altre piante della famiglia. In questa la posizione terminale delle infiorescenze è resa necessaria, com' è facile pensare , dalle esigenze della impollinazione anemofila , e *) « La spiga femminile di Zea è per noi omologa alla pannocchia maschile- ma è una pannocchia , ove i rami , a vece di essere liberi . sono contratti e coaliti tra loro. » Delpino F. — Teoria generale della fi Untassi. Genova . 1883, pag. 311. — 126 - però mal si potrebbe intendere l'esistenza primitiva ci' infiore- scenze laterali nelle graminacee. La spiga del granturco non si saprebbe dunque altrimenti spiegare, che come derivazione della infiorescenza terminale, ori- ginariamente costituita da fiori ermafroditi. Si tratta di una spe- cializzazione di funzione e di posizione, diretta forse a raggiun- gere un maggiore sviluppo ed una più abbondante riserva di materiali nutritivi nei chicchi, e contemporaneamente ad ottenere la possibilità di una più valida difesa, oltre che dal ricco invo- glio bratteate, dalla posizione recondita nell' ascella delle foglie. E non potendosi però sottrarre all' impollinazione anemofila, gli stili si allungarono di tanto da venir fuori in folto ciuffo dallo involucro delle brattee. A me pare che una testimonianza di tale derivazione si possa trovare, — meglio che nella comparsa di fiori pistilliferi al posto degli staminiferi formanti la pannocchia terminale, — in alcuni casi teratologici, che qualche volta avviene d' incontrare nelle spighe femminee stesse : voglio dire il fenomeno della ramificazione. Queste spighe ramificate potrebbero essere un vero caso di atavismo, perchè nella evoluzione della specie vi è stato forse tutta una lunghissima serie di forme intermedie tra la pannocchia primordiale e la spiga a grosso asse carnoso attuale. La ramifi- cazione però potrebbe anche essere il prodotto di una ipertrofìa, cui facilmente vanno appunto soggette le piante di granturco , come tante altre specie coltivate. * * * Da un campo a granturco dell' agro a versano, — ne' dintorni di Orta d'Atella, — mi pervennero, or sono alcuni anni, tre spighe femminee normalmente provviste di brattee e di stili, ma, invece che semplici, composte, direi quasi a ceppaja, tutte piene di ca- riossidi bene sviluppate. Trattandosi di un fatto teratologico già conosciuto e descritto, non mi curai d'illustrarle con qualche noterella : ma, di questi giorni, occupandomi degli studii fillotassici fatti dal Delpino e della spiegazione che egli dà dell'infiorescenza femminea del granturco, ho voluto esaminare le dette spighe per rintracciarvi possibilmente qualche carattere, che convalidasse la opinione dei- pini ana, e con una certa compiacenza ho rilevato che esse non solo apportano una conferma alla detta opinione , ma danno il modo di spiegare la vera disposizione delle cariossidi e di eli- — 127 minare alcune obbiezioni, die spontaneamente possono muoversi all' osservazione da cui parte il Delpino per venire alla sua ipotesi sulla natura morfologica dell' infiorescenza di Zea Maijs. E per vero, resta il fatto che non sempre le cariossidi sono disposte in righe, e, quando lo- sono, ciò avviene generalmente solo nella parte superiore della spiga, cioè nel tratto in cui 1' asse è meno grosso, laddove nel quarto o nel terzo inferiore di essa , — salvo casi in cui si tratta di una parte ancora minore, — i chicchi sono disposti con disordine più o meno notevole. Ed ancora un poco d' irregolarità si riscontra nella parte terminale della spiga. L' osservazione da me fatta dà modo di spiegare agevolmente queste irregolarità e dare una base più larga alla ipotesi del Del- pino, fondandosi sopra un fatto non rilevato dall' insigne botanico, cioè sulla disposizione dei fiori femminei in spighette biflore. Per quanto io sappia, non tutti i fìtognosti accennano a questa disposizione fiorale nelle spighe femminee x); ed infatti essa nello stato normale è molto oscura , appunto per la completa fusione degli assi formanti la spiga: tranne che non la si volesse ammet- tere per analogia o per la non dubbia discendenza, così dei fiori femminei come dei maschili, da fiori ermafroditi. Ma ecco la descrizione delle spighe in parola. Esse sono tre: la spiga. — È circondata alla base da 6 spighe disuguali e strette più o meno ad essa, ma non aderenti, le quali nascono dal suo asse e quasi allo stesso livello. In esse le cariossidi sono ordinate in 2 coppie di ortostiche, le quali lasciano scoperto l'asse nella parte posteriore , cioè nella faccia rivolta alla spiga cen- trale, specialmente nella metà inferiore, dov'è più larga. E pro- priamente, in queste spighe secondarie o periferiche si tratta di un asse conico allungato, che porta 4 righe di cariossidi dispo- ste in 2 coppie e covrenti i lati e la faccia anteriore dell' asse, eccetto verso 1' alto, dove esso, assottigliandosi, rimane gradata- r) Le opinioni al riguardo sono disparate. Per accennare a qualcuno fra gli antichi, Linneo (Genera plant. Ed. sec. Parisiis, 1743, pag. 311) definisce se- mina, solitaria, post singulos flores ; Goììan (Flora Monspeliaca, Lugduni, 1765) pag. Ili) parimenti dice semina s lìtaria. Fra i moderni. Kunth (Agrostograpliia synoptica, 1835) ascrive il gen Zea alle Phalarideae, le quali sono, fra l'altro caratterizzate dalle spighette biflore; Koch (Synopsis Florae Germ. . . . Ed_ ter. Pars sec. Lipsiae , 1857, pag. 668) dice:... flores feminei ... spicula hi fi ira. flore altero neutro; Cosson et Germain (Syn. anal. de la flore des env. de Paris, 1845, pag. 251-) dicono le spighette femminee biflore ed accompa- gnate da un fiore inferiore neutro ; Gillet et Magne (Nouv. flore tran. Paris, 1874, pag. 535) invece definiscono le spighette femminee unìflore. - 128 mente del tutto coverto dai chicchi. Questa parte terminale si prolunga in una rachide molto sottile, portante uno o due fiori sterili, come quelli che avviene d' incontrare all' apice dei rami dell'infiorescenza maschile. Se immaginiamo ora di sopprimere la spiga principale e di stringere insieme le spighe secondarie, queste, saldandosi appunto per i lati che non portano fiori, costituirebbero senz' altro una spiga coverta da un certo numero pari di ortostiche, come mo- strano di consueto le spighe femminee del granturco. 2a spiga. — Consta di una spiga centrale o principale piut- tosto corta, circondata da 18 spighe secondarie, le quali nascono a diverse altezze lungo un poco più della metà inferiore dell'asse principale , in guisa da costituire nell'insieme una sorta di pan- nocchia digitata di spighe, com'è appunto l'infiorescenza maschile, massiccia però, raccorciata e coartata. Nella stessa guisa del caso precedente . in tutte queste spi- ghe secondarie , non molto tra loro diverse per grandezza , la faccia dell'asse rivolta alla spiga centrale, e quasi a contatto di essa, è nuda, meno nel tratto apicale, più sottile. Le cariossidi però, a differenza del caso precedente, non si presentano dispo- ste regolarmente in righe parallele, ma piuttosto disordinate; in- vece mostrano con grande chiarezza un carattere appena intra- visto nella la spiga. Guardando una qualunque delle spighe secondarie per la fac- cia nuda, è facile constatare che le cariossidi sono tutte dispo- ste a coppia. Le quali coppie nella parte inferiore della spiga sono più numerose e però molto strette insieme; ma gradata- mente diventano più rade procedendo verso l'alto, cioè verso la parte sempre più sottile dell'asse, dove presentano assolutamente la stessa disposizione distica che le spighette dell'infiorescenza maschile e chiaramente si mostrano per quel che sono: spighette biflore. Vanno esse fornite delle loro glume e glumelle, e nella parte inferiore dell'asse si veggono disposte in tre serie, che più in alto si riducono a due e nella parte terminale e più sottile ad una, là dove si allontanano d'un bel tratto l'una dall'altra e, per la rettilineità quasi del tutto raggiunta dall'asse, dalla disposi- zione primitiva distica passano alla sovrapposizione ortostica. Questa disposizione delle cariossidi in spighette biflore non solo dà una prova chiarissima dell'essere in fondD l'infiorescenza femminea fatta nello stesso modo della maschile, ma offre spie- gazione del perchè l'ordinamento rettilineo delle cariossidi non si osserva sempre e quando si osserva non è comune il riscontrarlo — 129 — su tutta la spiga, ma spesso manca nella parte basale e più grossa di questa. È facile intendere che, essendo la regione basale della spiga prodotta dalla fusione della regione basale delle singole spighe elementari, nella quale, come fu detto, le spighette sono più numerose e più fitte, le cariossidi in essa non possono pre- sentare l'ordine rettilineo , che è proprio della parte dove le spi- ghette , per le ragioni più sopra accennate, dalla distico-alter- nanza passano alla rettilineità su gli assi elementari. Dalla sovrap- posizione in serie rettilinea delle spighette bitlore nasce una coppia di ortostiche, perchè i 2 fiori, o le due cariossidi, della spighetta sono obliquamente sovrapposti, in guisa che ciascuna cariosside, sviluppandosi in corrispondenza dell'intervallo fra due cariossidi dell'altra riga della stessa coppia, acquista una forma ad incastro sul lato che corrisponde allo interno della coppia, mentre ciò non avviene sopra il lato esterno. Onde si hanno tante coppie di ortostiche quante sono le spighe elementari. 3a spiga. — Essa conferma tutto quanto si è detto e ci ap- prende altresì un nuovo fatto. Intorno all'asse principale presenta questa spiga 20 spighe secondarie, nascenti lungo la sua metà inferiore e molto diverse tra loro per grandezza. Le spighette bi- flore sono ancora più manifeste e nella regione terminale dell'asse sono ancora più distanziate che nel caso precedente ; inoltre, i fiori di queste spighette terminali sono maschili, salvo i più pic- coli ed apicali che sono neutri. Ed è questa ancora un'altra con- ferma della identità di costituzione fondamentale della infiore- scenza maschile e della femminile. La faccia di ciascun asse secondario rivolta alla spiga cen- trale non porta cariossidi , e ciò come nei due casi precedenti. Ma quale potrebbe essere la spiegazione di questo fatto ? Due ipotesi credo che si possono fare. Si può dire che la faccia rivolta all'interno manca di fiori, essendo essa addossata alla spiga cen- trale ; o pure i fiori mancano, perchè appunto la faccia rivolta al centro delle spighe elementari , essendo destinata a fondersi con le altre per formare l'asse della spiga femmina, non può pro- durre fiori, e nelle spighe soprannumerarie, o secondarie che dir si voglia, la faccia nuda è l'omologa di quella delle spighe ele- mentari producente per fusione l'asse della spiga normale. 130 — * * * Per le quali cose credo che le tre spighe ramificate di gran- turco sopra descritte apportino , — specialmente per la disposi- zione bina delle cariossidi e per la mancanza di queste sulla faccia rivolta all'interno delle spighe periferiche , — maggior luce alla natura morfologica ed alla origine della spiga femminea di Zea Mays , e diano una più completa spiegazione dell' ordinamento delle cariossidi in un certo numero di ortostiche. Piacemi di aggiungere in ultimo un altro fatto, che ricon- ferma ancora più la spiegazione data dal Delpino e convalida la osservazione da me fatta. E facile d'incontrare delle spighe di granturco terminate da 5 o 6 sporgenze acute, più o meno ugual- mente lunghe, di consistenza cartilaginea e corrispondenti ap- punto al numero delle coppie di ortostiche. Esse, come chiara- mente si rileva, altro non sono che le parti terminali sterili delle spighe fondamentali, a guisa di quanto ho osservato nelle spighe secondarie periferiche dei casi sopra descritti. E, meglio ancora, non mancano casi in cui queste sporgenze apicali, come di recente m'è avvenuto d' osservare , portano al- cuni fiori, neutri o talvolta maschili, disposti in spighette biiiore, e mostrano chiaramente , pel notevole sviluppo, per la forma e per la posizione rispetto alle coppie di ortostiche delle cariossidi, di essere, come nelle spighe soprannumerarie periferiche ora il- lustrate, le parti terminali libere di altrettante spighe elementari fuse insieme. Mentre licenzio per le stampe la presente Nota, mi perven- gono due spighe di granturco anch'esse ramificate, le quali pre- sentano tali caratteri, da convalidare ancora più le cose innanzi esposte. In esse, — piuttosto piccole ed avvolte da poche brattee, che conservano ancora la forma, il colore e quasi le stesse dimen- sioni delie foglie vegetative, mostrando ad evidenza la natura guainale delle brattee, — la spiga principale o centrale è ramifi- cata alla base in alcune spighe secondarie o periferiche (in una quattro, nell'altra sei) disuguali e non saldate ad essa. Ognuna di queste spighe secondarie presenta due coppie di ortostiche, le quali lasciano libera la faccia dell'asse rivolta alla spiga centrale. — 131 — e termina con una lunga regione apicale, sottile, portante nume- rosi fiori sterili, alcuni neutri, altri maschili, disposti in spighette biflore alterno-distiche. Ed una delle spighe centrali termine an- ch' essa con una lunga regione a fiori sterili. In questi due esemplari la causa dunque dell' ordinamento binario delle ortostiche, cioè la costituzione biflora delle spighette, si mostra senza pari evidente , tanto più che il passaggio dalla regione fertile alla sterile, così nella spiga centrale, come nelle periferiche, è fatto da spighette costituite da una sola cariosside accompagnata da un fiore sterile. Il qual fatto, di abbonirsi una sola cariosside per ciascuna spighetta, sarà forse una delle cause che altera la regolarità, come spesso avviene, delle ortostiche, nella parte inferiore e più grossa delle spighe. La flora vesuviana e l'eruzione dell'aprile 1906, pel socio Fr. de Rosa. (Tornata del 23 novembre 1906) Il Pasquale studiando la flora del Vesuvio fece un impor- tante catalogo metodico delle pianti1 di quel monte, comprenden- dovi, oltre quelle, che vi nascono spontaneamente, anche quelle, che generalmente vi si coltivano 1i. Ed in vero, a chi capitava di frequentare quei luoghi la flora del Pasquale riusciva di non poca utilità, e, dato l'ordine note- vole e la cura paziente impiegatavi.il visitatore del Vesuvio aveva una pregevole guida. Senza dubbio, nondimeno; le condizioni di quel monte, anche in un periodo storicamente non lungo, erano alquanto mutate, sia per effetto dell'opera dell'uomo, che tenta di acquistare alla produzione economica sempre novella superficie, sia per effetto ancora più potente dell'azione vulcanica. Di conseguenza, alcune specie tendevano a scomparire od a modificare la loro area di diffusione, altre addirittura erano forse scomparse, e ciò quando pochissime, anzi qualcuna appena, vi si era aggiunta, importata o naturalmente pervenutavi. Uno studio di riscontro, che avesse potuto prospettare lo stato più recente della flora vesuviana, mettendo in rilievo le varia- zioni verificatesi, era quello che avevo intrapreso da qualche anno, e di esso mi proponevo di dare a suo tempo notizia , quando una tanto maggiore causa di profonda variazione si determinò con l'eruzione dell'aprile di quest'anno. In questa mia breve comunicazione intanto, accennerò meno a quello che riguarda differenze , che ebbi occasione di notare prima, anziché a ciò che ho osservato dopo la grandiosa confla- grazione. Quanto ho potuto raccogliere ho disposto in un elenco ra- gionato, che non deve interpetrarsi altrimenti che come una serie l) Pasquale G.A. — Flora vesuviana — Atti R. Acc. se. fis. e mat. Napoli, 1868. — 133 - di appunti presi, percorrendo le campagne più o meno danneggiate in conseguenza dell'eruzione. Ed è utile qui ricordare come le condizioni determinate dalla caduta del materiale eruttalo sono varie e per 1' altezza dello strato e per lo stato fisico-meccanico del materiale stesso. Nettamente, senza dubbio, sono da distinguere, nel concetto di valutazione del danno subito dalle piante, la superficie coverta da cenere più o meno sottile a rgi Riformo o granulosa e quella, clic soggiacque alla caduta lapidante di notevole massa di ma- teriale grosso e pesante, scorie frante e lapilli, che costituirono uno strato altissimo. Il danno indubbiamente fu alquanto più limitato nella re- gione della cenere, dove sulla fiora locale essa influì in relazione alla maggiore o minore altezza dello strato ed alle sostanze so- lubili che vi erano contenute. Mentre nella regione del lapillo il danno fu prevalentemente dovuto all' azione meccanica della lapidazione ed all'altezza e peso dello strato. Non poche piante nondimeno mostrano in generale di potere attraversare lo strato di cenere, anche relativamente alto, e pa- recchie tentano ad impiantar visi su, ora che le piogge agiscono sempre più a liberarlo dell' eccesso di deleteri sali solubili. Ma qualcuna appena forse appare alla superficie del materiale gros- solano ed incoerente, che forma lo strato altissimo nella regione del lapillo. Per altro è pure da notare che, molto più che le eruzioni, è frequente in quella regione la caduta di acque caustiche , che producono danni, specialmente alla parte aerea delle piante. Tali danni sono analoghi, se non simili, a quelli riscontrati in questa occasione, nella quale l'azione di quelle acque è da tenere in mas- simo conto, stante che forse per buona parte delle piante consi- derate essi più a quelle debbono attribuirsi, che alla caduta della cenere, malgrado i sali dannosi, che essa conteneva. Ecco senz'altro l'elenco. Bene inteso che esso certamente non può, né deve essere considerato come completo, anche perchè, dato il tempo breve corso ed il fatto che molti posti, nonché di facile accesso, sono divenuti del tutto inaccessibili, non mi è stato pos- sibile agire in modo esauriente. Cosi si spiega, fino solo ad un certo punto, pure, che vari generi, anzi varie famiglie, non sono qui riportate, vuoi per cause dipendenti dal fatto intrinseco, che da quelle dipendenti involontariamente dal fatto mio. Utile cosa è pure a notare, che varie piante erbacee umili le ho potuto solo rintracciare nei luoghi coltivati , dove 1' opera — 134 — dell'uomo ha determinato un'attenuazione dello strato sovrapposto, e dove le acque piovute hanno influito a diminuirne la spes- sezza, tentando di ripristinare migliori condizioni. DICOTYLEDONES Irta ri vi ire u la e e ae Clematis, genus. — Non hanno queste piante subito danni apprezzabili nella regione della cenere. Ma in quel di Ottaiano ne ho viste di molte malconce per l'azione meccanica del mate- riale caduto. Papaverac eae Papaver Rhoeas L. — Completamente secche tutte le pian- te, che erano specialmente fra i seminati di segala sulle pendici di Torre del Greco e Resina Gtlaucium flavum Grantz. — Non pare abbia questa specie risentito alcun danno, se ne togli, che la fioritura andò a male, mentre poi le piante si mostrano più rigogliose del solito. S' in- tende, dove non sono state del tutto sepolte. Chklidonium ma.jus L. — Danneggiata fortemente in tutta la parte aerea. Cruciferae Raphanus, genus. — Foglie sciupate fortemente. Dove la cenere è caduta in poca quantità ed anche dove è stato ben rimescolato il terreno, le semine successive di rava- nello hanno dato buon prodotto , mostrandosi le piante molto rigogliose. Koniga maritima R.B. — Non ha risentito che un danno minimo. Cheiranthus Cheiri L. x) — Sui muri e sulle rocce promi- nenti ha seguitato a fiorire benissimo. Matthiola rupestris D.C. — Nessun danno o quasi. Ha re- sistito benissimo alla cenere, salvo danni meccanici. l) Questa specie non è menzionata dal Pasquale, ma. sfuggita alle colti- vazioni, s'incontra di frequente su muri e cornici. — 135 — Diplotaxis tenuifolia D.C. — Questa pianta tanto diffusa nella regione, riavutasi dal primo danno, si è mostrata in tutto il vigore di una vegetazione ottima. Non tarderà a riprendere forse la sua larga area di diffusione, che gik cominciano a na- scerne anche sulla pura cenere. Brassica fruticulosa Cyr. — Danni lievi per azione mecca- nica. Vegeta ora normalmente. B. oleracea L. varietates. — Danni principalmente alle in- fiorescenze dei cavolifiorì portasemi e cavoli broccoli. I cavoli cappucci in seguito alla cenere non hanno comple- tata la palla, ma hanno anticipata la fioritura, restando a svi- luppo incompleto, senza arrivare neppure forse alla metà delle dimensioni normali. Le piantagioni fatte in seguito ad un buon coltivo non si sono mostrate inferiori a quelle degli altri anni. In generale però i cavoli si mostrano in buone condizioni. B. Rapa L. — Danni lievi alla parte aerea, negli scarsi esem- plari coltivati negli orti. B. Napus Gasp. — Le nuove piantagioni autunnali si mo- strano rigogliose. Eruca sativa Lam. — Come le altre crucifere, nasce bene anche dove la cenere abbonda. Sinapis nigra L. — E fra le piante che, si può dire, si siano avvantaggiate della cenere, salvo il primo danno. Capparideae Cappa ris rupestris Sibth. 8. M. — Nessun danno ; solo in qualche posto le piante si sono mostrate di colore giallognolo. Resedaceae Reseda fruticulosa L. — Non pare abbia risentito danno. Ne ho visto perfino sui muri anteriori del R. Osservatorio. Oistineae Cistus, genus *) — Danni alle sole foglie. In generale buona ripresa. l) Il C. Monspelieitsis L., oltre che nel R. Parco di Portici, come riferi- sce il Pasquale, l'ho trovato su Pugliano oltre il bosco di Catena fin quasi verso 8. Vito. 136 Oar"yopliylloae Gypsophila saxifraga L. — Nessun danno. Ne ho veduto sui muri del R. Osservatorio e su rocce sporgenti lungo la ferrovia. Saponaria officinale L. — Quasi nessun danno. Buona fio- ritura sui muri della via vecchia del Salvatore. Lyghnis dioica L. — Abbastanza danneggiata; spesso addi- rittura morta. Malvaceae Lavatera arborea L. — Danni alle foglie relativamente lievi. Gossypium, genus. — ■ Questa pianta coltivata nel territorio di Torre Annunziata, dove scarsa fu la caduta di cenere, non ha risentito nelle coltivazioni di quest'anno danni apprezzabili. Aurantiaceae Citrus, genus. — Gli agrumi in generale furono fortemente danneggiati, perdendo le foglie come dopo una brinata. Tendono ora a rimettersi, ma per quest'anno risentiranno ancora delle sof- ferenze patite. Gommosi accentuata. t Tiliaceae Tllia europaea L. — Lievi danni alle foglie e qualche ramo schiantato. Acerineae Acer, genus. — Danni ai rami, foglie secche o quasi. Ampelicieae Vitis, genus. — Le viti hanno subito danni rilevanti. Foglie e getti teneri bruciati. Scottatura del fusto al livello superiore della- cenere. Prodotto scarsissimo. Nella regione del lapillo danni ancora maggiori si temono dall' interramento del fusto per circa 80 cm. od »1 metro. La - 137 — vegetazione di questo anno intanto non si è potuto dire deficiente. Frequenti i casi di melata e gommosi. Oxalideae Oxalis corniculata L. — Dove non è restata sepolta pro- fondamente, non ha risentiti» danno. 0. cernua Thumb. — Danneggiata nella parte aerea, comin- cia ora. dove lo strato di cenere non è altissimo, a venir fuori con getti buoni. Zigopliylleae Tribulus tèrrestris L. — Ne ho visto in buona vegetazione sui terreni di riporto degli scavi di Pompei. Rutaceae Ruta graveolexs L. — Nessun danno. Ir* li a in ii e ae Zizyphus vulgaris Lam. — Quasi nessun danno; scarso frutto. Rhamnus Alaternus L. — Nessun danno. Celastrinea? EVONYMUS EUROP^EUS L. — Foglie secche. Terebintliaceae Pistacia Lentiscus L. — Nessun danno. Zantlioxy Lese Aylanthus glandulosa JJesf. — Foglie tenere disseccate. Schianto dei rami nei grossi esemplari. 138 Liegnminosae Lupinus Tbbmis Forsk. — Piante morte assolutamente in bre- vissimo tempo sotto la caduta della cenere, che fu seguita da pioggia. L. angustifolius L. — Ha sofferto moltissimo e la maggior parte delle piante perirono. Le poche salve non assunsero lo svi- luppo abituale. Cytisus Laburnitm L. — Foglie tenere secche. Taluno defoliato completamente. Schianto di rami. C. tkiflorus TiHerit. — Lievi danni alle foglie. Calycotome villosa Lìnìx. — Nessun danno, meno l'essere state sepolte per buon' altezza. Ne ho viste sopra Somma. Genista, genus. — Quasi nessun danno. Ulex europìeus L. — Sotterramento quasi completo , getti numerosi dopo un paio di mesi. Sarothamnus scoparius Wimm. — Nessun danno o quasi. Spartium junceum L. — Danni meccanici. Medio ago arborea L. — Le foglie soffrirono e caddero, re- stando le piante talora del tutto spogliate. M. sativa L. — Bruciata sotto l'azione della cenere seguita da pioggia. Ha ripreso bene. Trigonella corniculata L. — Molto danneggiata. Melilotus leucantha Koch. — ■ Abbastanza resistente, foglie apicali secche. Trifolium, genus. — Danneggiatissimo. Morte di tutte le spe- cie annuali, T. incarnatum L. compreso. Lotus angustissimi^ L. — Pochissimo danno. Psoralea bituminosa. L. — Foglie maltrattate e molte sec- che del tutto. Robinia Pseudo-Acacia L. — Foglie tenere secche. Schianto di rami relativamente grossi. Colutea arborkscens L. — Lievi danni alle foglie. Astragalus glycyphyllos L. — 'Piante del tutto morte e for- temente danneggiate. Coronilla Emerus L. — Poche foglie secche e non altro. Ora vegetazione buona. Ervum Lens L. — Piante quasi tutte morte. Pisum sativum L. — Le piante morirono tutte; se ne salva- rono, ma sofferenti, poche verso Pompei. — 139 — Lathyrus sativus L. — Danno rilevante. Morte di quasi tutte le piante. Qualcuna tentava di venir fuori attraversando lo strato di cenere, ma senza che potesse ricavarsene prodotto. L. Cicera L. — Meno danneggiata; le piante, che han potuto uscir fuori hanno avuto un discreto sviluppo. Phaseolus vulgaris L. — Piante morte. Le semine ripetute diedero resultati negativi. 11 rimescolamento del suolo e lauta concimazione organica han permesso in qualche posto di farne una limitata coltivazione. Cer atonia siliqua L. — Danneggiata assai per rottura di rami, anche di notevole grossezza. A my gelai e ae Amygdalus communis L. — Danneggiata nella fruttificazione e depauperata nella chioma. Persica, genus. — Analoghi danni della precedente, con ca- scola dei frutti quasi totale. Prunus, genus. — Danno alle foglie e perdita quasi completa del frutto. Rosacese Rubus, genus. — Nessun danno. Solo lieye bruciatura delle cime tenere. Rosa, genus. — Molto danneggiata in generale, tanto da tro- varne piante morte, almeno a giudicare dalla parte fuori terra. Nelle coltivazioni pure si sono avute perdite e debole o scarsa fioritura. Pomaceae Crat.egus monogyna Jacq.— Foglie dei nuovi getti bruciati. C. Azarolus L. — Danneggiato fortemente nella fioritura, così che ha dato scarsissimo prodotto. Eriobotrya japonica Lindi. — Foglie rotte e rami schian- tati, getti teneri secchi. Mespilus germanica L. — Foglie secche. Pyrus, genus. — Danneggiato nelle foglie e più nella fiori- tura. L' interramento di lapillo non ha per ora determinato nes- sun segno sensibile di deperimento. Prodotto scarso assai. — 140 — Sobbus domestica L. — Danno relativamente lieve nelle fo- glie. Ha dato però pochissimi frutti, anzi molti alberi non ne hanno dato per niente. Myrtaoeae Mibtus communio L. — Foglie tenere secche, spesso per metà. Granateae Punica granatum L. — Lievemente danneggiata nelle foglie. Cucurbitaceae Ecbalium Elaterium Ridi. — Bruciatura delle foglie e spesso di tutta la parte aerea. Cucurbita, genus. — Le piante delle prime semine morirono. Dopo un buon rimescolamento del terreno, è stata possibile una discreta coltivazione, che ha dato sufficiente prodotto. Lagenaria vulgaris Ser. r) — Le piante di questa specie non hanno assunto, tutto il loro vigore ed han dato poco. JE*o v tu 1 ìxg ac e ae Portulaca oleuacea L. — Si è presentata relativamente ab- bondante , dove il terreno è stato coltivato , ma in generale le piante non hanno toccato il loro massimo sviluppo. OrassulaceaB Umbilicus horizzontalis D.C. — Su qualche muro ne ho os- servati con foglie relativamente piccole e di color giallastro col margine sfumato di rosa. i) Questa specie non è menzionata dal PASQUALE, e pure si coltiva in tutti gli orti vesuviani. — 141 — F'icoideae Mesembrianthemum acinaciforme L. — Nessun danno. Cactaceae Opuntta Ficus indica Mill. — Non mostra in genere d'avere sofferto, ma si è notata nell'estate la morte di varie piante. TLJixil>elliferae Eryngium maritimum L. — Le piante sono venute fuori at- traversando anche uno strato di cenere abbastanza spesso. Petrose linum sativum Hoffm. — Coltivato negli orti, ha dato piante a sviluppo abbastanza limitato, fiorendo innanzi tempo. Crithmum maritimum L. — Non pare abbia sofferto; ciò forse è dovuto alla sua stazione. Foeniculum vulgark Gaertn. — Non ha risentito danno dalla cenere, a giudicare dallo sviluppo normale delle piante. Ferula communis L. — Ha avuto le foglie del tutto dissec- cate, ma ha rigettato fortemente. Datjcus Carota L. — Le piante seccarono in massima parte. Smyrnium Olusatrum L. 1) — Abbastanza danneggiata nelle foglie apicali. Araliaceaj Hedkra Heltx L. — Generalmente non ha sofferto, ma non mancò il caso di piante, che ingiallirono le foglie, stentando a dar nuovi getti. Corneae Cornus sanguinea L. — I rami teneri seccarono. Le foglie in generale soffrirono. Caprifoliaceae Sambucus niora L. — Le foglie e le parti tenere dei rami maltrattati ed infranti. l) Non menzionata dal Pasquale, questa specie è frequente nel Parco Gus- sone, nel bosco di Catena ed a Torre verso l'Olivella. — 142 — LONICERA IMPLEXA AH. — NeSSUU (lail 110. Viburnum Tinus L. — Nessun danno. Piulbiacoae Rubi a perkgrina L. — Sembra quasi si sia avvantaggiata della cenere. Iti qualche posto è stata coverta completamente, ma ha rigettato con vigore. VaLerianeae Centranthus rubeu D.C. - - Non pare abbia risentito per niente dell'aziono della cenere, mostrandosi vigoroso e fiorendo bene anche fin sotto all'Osservatorio. Dipsacea3 Scabiosa, genus. — Notevole resistenza e fioritura normale quasi dovunque. Compositae Eupatorium cannabinum L. — Foglie secche. Tussilago Farfara L. — - Foglie rotte, ho notato in esem- plari presso un muro della via vecchia dell'Osservatorio. Erigeron canadense L. — Nei terreni lavorati si è presen- tato meno abbondante del solito. Coniza saxatìlis L. — Quasi nessun danno, meno che per gl'individui piccoli, oppressi dalla cenere. Inula viscosa AH. — • Foglie ed apici secchi. Achillea ligustica Ali. — Rami secchi del tutto. Matricaria Chamomilla L. — Generalmente le piante sono morte. Non pertanto, verso Pompei e Torre Annunziata se ne è vista abbastanza. Chrysanthemum segetum Li. — - Le piatite morirono quasi tut- te, ma quelle dove lo strato di cenere è stato piccolo, presenta- vano le foglie maltrattate e secche. Artemisia, genus. — Foglie e rami teneri secchi. Helichrysum, genus. — Quasi nessun danno. Cineraria maritima Sìbili. — Poco danneggiata dove si è salvata dalla massa di cenere. — 143 — Senecio vulgaris L. — Relativamente raro: si è presentato nei terreni lavorati degli orti di Resina; ne ho visto buoni esem- plari. Calendula arvensis L. — Scarsa e meschina. Carlina, genus. — Sviluppo e fioritura normali. Centaurea, genus. — Poco o niente danno. S'intende, oltre quello meccanico dell'interramento. Kentrophyllum lanatum D.C. — Sviluppo normale. Onopbodon virens D.C. — Poche e rare piante. Silybum marianum Gaert. — Sepolto, non morto. Cynara Cardunculus L. var. saliva. — Foglie maltrattate e secche in parte. Non ho constatato notevole disturbo nella col- tivazione, ma il prodotto in generale non è stato abbondante. Carduus, genus. — Sviluppo quasi normale, benché le piante sembrano meno abbondanti. C. Pycnocephai/us L. — Ne ho trovato in buona vegetazio- ne fin nel giardino dell'Osservatorio, sul ciglio del muro ante- riore. Cirsium lanceolatum Scop. — Non ha sofferto nulla o quasi. Scolymus hispanjcus L. — Pochi esemplari supersl iti ho os- servato con le foglie maltrattate. Non è improbabile che gli al- tri vengan fuori traversando lo strato di cenere. Cichoriim Intybus L. — Le piante coltivate, dove la cenere non è stata molta, soffrirono relativamente poco, quando si è avuto cura di toglierne di su la maggiore quantità possibile. Allo stato selvatico è divenuta, se non rara, scarsissima. C. Endivia L. — Fra le piante da orto è stata delle meno danneggiale. Dove però lo strato toccò i 15-20 cm. ne marciro- no molte. Nel terreno rimescolato alla cenere,, ha avuto discreto sviluppo. Lactuca, genus. Le lattughe coltivate sono state molto danneggiate, essendosene marcite una grandissima quantità. Picridium vulgark Desf. — Generalmente le piante soffriro- no, ma ripigliarono la loro fioritura nel maggio. Sonchus oleraceus L. — Ne son comparsi parecchi negli orti irrigui, appena si è lavorato il terreno. S. tenerrimus L. — Le piante soffrirono nelle foglie così da sembrar morte, ma ripigliarono con vigore. — 144 — Camp.'inulaceae Trachelium cceruleum L. — Non ha risentito danno alcuno. Evidentemente per la sna stazione murale. Ebenacea3 Dio.spyros Lotus L. — Nessun danno o quasi; solò frattura di qualche ramo. D. Kaki x) — Nessun danno. Ericaceae Arbutus Unedo L. — Non ha risentito alcun danno, neppu- re all'altezza dell'Osservatorio 2) , dove vi sono vari magnifici esemplari. Erica arborea L. — Non ha sofferto per nulla. IF^iiri li 1 a c ea? Cyclamen neapolitanum Ten. — Malgrado l'alto strato di cenere, se ne veggono parecchi, che lo hanno traversato, ma non nella quantità solita. Oleaceae Fraxinus Ornus L. — Pochissimo danno o nulla alle foglie tenere, frequenti i rami schiantati. Olea europea L. — Caduta relativamente abbondante delle foglie. Fruttificazione nulla o quasi. Phillyrea angustifolia L — Non ha sofferto. Ligustrum vulgare L. '— Foglie e teneri getti bruciati, in- giallimento e caduta di molte foglie. 1) Questa pianta non è riportata dal Pasquale, perchè di più recente in- troduzione nella coltura dei frutteti vesuviani. 2) Il R. Osservatorio vesuviano è a G30 ni. sul livello del mare. — 145 — Apocinacefe Vinca, genus. — Foglie disseccate verso il margine nella parte apicale dei rami. Dove son restate sepolte per la copia della ce- nere, cominciano a venir fuori dei getti nuovi. Con\olvulaceae ConvolvuIìUS akvknsis L. — Questa pianta infesta, vincendo lo strato di cenere anche di 30-35 cm., si è presentata in vari luoghi. C. sylvaticus Wald. — Le foglie ed i teneri getti secchi. Vegetazione in seguito vigorosa. Boragineae Hkliotropium europ^eum L. — Piante meschine e meno ab- bondanti del solito. Echium vulgare L. — Danneggiato fortemente, non se ne vede che qualche pianta in posto riparato. Ne ho visto a Torre del Greco, sotto uno dei ponticelli della ferrovia. Borago officinalis L. — Rara piuttosto Nei terreni rime- scolati, nacque bene dando piante vigorose. Cynoglossum pictum Ait. — Danneggiatissimo nelle foglie fu qualcuno dei rari esemplari, che si rinvengono. Solanaceaf^ Datura Stramonium L. — Solo verso Torre Annunziata e Pompei si sono notate eli queste piante, ma relativamente scarse e meschine. Hyosciamus albus L. — Scottatura delle foglie tenere.. Capsicum, genus. — Le piantine di peperoni messe a dimora negli orti perirono tutte, avendo le radici marcite. Il rimescolamento del terreno accompagnato da una buona concimazione con stallatico smaltito , spazzature o bottino , ha permesso di poterne ripetere la coltivazione con sufficiente re- sultato. La quantità del prodotto è stata minore in relazione del ritardo del trapiantamene, ma il frutto è stato buono e sano. io — 146 - Solanum esculentuh Diiu. — Le piantine perirono, ma ne- gli orti ben coltivati, analogamente a quelle dei peperoni, hanno dato buon prodotto, ma non abbondante. Solanum tuberosum L. — Le coltivazioni di patate langui- rono ed in notevole quantità le piante perirono. Ciò non toglie, che chi evitò di rincalzar le piante e fece un lavoro superficiale di rimescolamento del terreno ebbe prodotto discreto, se non scarso. S. nigkrum L. — Molte piante piccoline morirono, ma poi si è notato nelle rimanenti un notevole sviluppo, specialmente in ordine all'ampiezza delle foglie. S. miniatum Berilli. — Analogamente, ma meno sensibile le maggiori dimensioni delle foglie. Lycopersioum , genus — ■ Le piantine morirono e general- mente fu necessario ripiantare due volte. Negli orti ben conci- mati e dove fu operato un rovesciamento completo del terreno le piante assunsero sufficiente sviluppo, dando prodotto, se non abbondantissimo, di buona qualità ed ottima apparenza. Cestrum Parqui Li. — Una delle poche piante non arboree, che si è salvata, costituendo le siepi di molti fondi nella regione del lapillo. Non pare abbia inteso datino, oltre il fatto meccanico della caduta del materiale eruttato. Lycium europ^eum L. — Danneggiato nelle foglie e nei getti teneri. Scrophularineae Verbascum Thapsus L. — Foglie danneggiatissime, dove non furono del tutto sepolte. Infiorescenze deboli. Ne ho visto qual- che rarissimo esemplare nel parco G-ussone. Lina ria Cymbalaria Pers. — Non ha nulla risentito , data la sua stazione. L. purpurea Mill. — Non pare abbia risentito nulla, oltre il danno meccanico. Antirrhinum, genus. — Nessun danno. Forse si può dire che VA. majits si sia avvantaggiato della cenere, che ha aumentato lo strato terroso di cui disponeva nelle sue stazioni, sia sulle lave, che sui muri. Scrophularia peregrina. L. — Quasi dovunque è morta. Sf bicolor Sibt et Sm. — Foglie e fusti secchi. — 147 — Acanthaceae Acanthus mollis L. — Danno relativamente lieve alle foglie. Verbenaceae Verbena officinale L. — Divenuta abbastanza rara. L^albiatae Lavandula spica L. — Danno alle foglie. Molte piante morte. Rosmarinus officinalis L. — Non ha sofferto nulla dovun- que. Micromeria, genus. — Quasi nessun danno. Le piante sono in genere sempre rare od almeno scarse. Calamintha Nepeta Hoffm. et Link. — Per le vie non ne manca, ma ve ne è meno di prima. Lamium flexuosum Ten. — Molto danno alle foglie, dove non è stato del tutto sepolto. Ballota nigra L. — Divenuta relativamente rara. Ajuga reptans L. — Si è salvata quasi non danneggiata in qualche argine ripido. Phytolaccacea3 Phytolacca decandra L. 1). — Danneggiata nelle foglie te- nere, le piante sono restate piccole e rachitiche. Amarantaceae Amarantus Blitum L. — Divenuto relativamente meno co- mune, ha dato però piante di notevole sviluppo e vigore. OhenopodiaceaB Chenopodium album Moq. — Raro, ma gli esemplari incon- trati erano vigorosissimi. l) II Pasquale riporta questa specie solo a Somma, mentre ora è frequente liei Parco Gussone, al Granatello, a Torre del Greco verso Calastro, — 148 — Beta vulgaris L. — Danneggiata appena nelle foglie, non soffrì altro, mentre le radici svilupparono normalmente. B. Cicla L. — Andarono perdute la maggior parte delle piantine dell'anno e del precedente. Polygoneae Polygonum, genus. - Quasi nessun danno, meno il sotterra- mento di qualche specie. Rumex pulcher L. — Nessun danno. JLaurineae Laurus nobilis L. — Bruciatura alle foglie tenere degli estre- mi dei rami. Frattura di rami grossi. Bupho rbiaceae Euphorbia helioscopia L. — Divenuta molto poco frequente. Mercuriali* annua L. — Se ne è vista, relativamente rara. Ricinus communis L. — La cenere ha limitato lo sviluppo delle piante tenere, mentre gli esemplari di maggiore età furo- no danneggiati nelle foglie. Urticaceae Urtica, genus. — Danneggiate nelle foglie, ora hanno ripreso benissimo. Parietaria oeficinalis L. — Nessun danno o quasi ; mentre verdeggia e sviluppa sensibilmente. JNlor*ese Morus alba L. — Abbastanza maltrattate le foglie. Produ- zione scadente. M. nigra L. — Danni notevolissimi. Rottura e perdita par- ziale delle foglie. Scarsissima produzione fruttifera. Broussonetia papyrifera Veni. — Le foglie tenere del tutto bruciate. Riprese poi normalmente. Ficus Carica L. — Quasi generalmente dov'è caduta cenere il fico ha vegetato bene e prodotto poco meno del normale. — 149 — Caunabineae Humulus Lupulus L. — Meno la perdita dei getti tenerissi- mi, non risentì gran fatto. Cannabis sa uva L. — Trovandosi seminate o nate di fresco, le tenere piante perirono. La risemina provò alquanto bene in terreno ben lavorato. CeltideaB Celtis australis L. — Foglie secche e quasi senza altro danno, oltre la rottura di qualche ramo. Ulmaceae Ulmus tuberosa Eh Hi-. — 'Danno sensibilissimo. Foglie e ra- metti teneri secchi. Juglaiidea3 Juglans regia L. — Bruciatura di tutti i piccoli nuovi get- ti. Produzione fruttifera scarsa. Oupu lifer*ae Castanea vesca Oaert. — Quasi nessun danno, così in quelle delle selve di Somma , che nei rari alberi sparsi coltivati pei frutto. Le foglie tenere seccarono, ma la vegetazione poi fu nor- male o quasi, e la produzione del frutto scarsissima. Quercus Robur L. — Danno alle foglie tenere. Q. Ilex L. — Nessun danno apprezzabile. Fruttificazione re- lativamente abbondante. Corylus Avellana L. — È fra le piante arboree una di quelle che più hanno sofferto. Le foglie tenere avvizzirono e seccarono tutte e la seconda messa è stata discreta, ma la fruttificazione addirittura nulla. Abbastanza frequente la melata. Salioinea3 Populus alba L. — Quasi nessun danno. Vegetazione rigo- gliosa fin nel giardino dell' Osservatorio. — 150 — P. nigra L. — Pochissimo danno o nulla , se ne togli la rottura di rami. Salix, genus. — Bruciatura delle foglie tenere. Coniferae Cupressus sempervirens L. — Rottura di rami. Pinus Pinea L. — Danni sensibilissimi, rottura e distorsione di rami. P. halepensis Mill. — Danni analoghi alla specie precedente. MONCOTYLEDONES Aroideae Arum italicum Mill. — Vegetazione vigorosa. Palmae Phoenix dactylifera L. — Quasi nessun danno , oltre lo schianto di qualche foglia. Ir"icLeae Iris, genus. — Foglie ed infiorescenze sciupate. Fioritura quasi nulla. Gtladiou's segetum Gelivi. — Fioritura e foglie maltrattate e secche. Amarillideae Agave americana L. — Nessun danno. Dioscoreae Tamus communis Beich x) — Piante del tutto secche. x) Questa specie, notata dal Pasquale solo a Somma, è relativamente fre- quente nel Parco Gussone ed ai Camaldoli di Torre del Greco. — 151 — Smilaceae Smilax aspera L. — Nessun danno. Ruscus acuneatus L. — Nessun danno, anzi forse vegeta- zione più attiva. Asparagus acutifolius L. — Nessun danno. A. officinalis. — Parte aerea delle piante in parte secca. Liiliaceae Muscari comosum L. — Foglie ed infiorescenze secche. Allium sativum L. — Foglie maltrattate. Asphodelus fistulosus L. — Molte foglie secche. Fioritura quasi nulla. Oyperaceae Cyperus, genus.— Vegetazione vigorosissima, diffusione mas- sima. Le foglie e gli scapi hanno traversato strati di cenere di circa 40 cm. Or'am. i neae Lolium perenne L. — Relativamente scarso, tenta superare lo strato di cenere, quando non è molto alto. L. festucaceum Lk. — Vegetazione relativamente vigorosa. L. temulentum L. — Pochissimo o nessun danno. Hordeum leporinum Link. — Rigetta di sotto la cenere a strati relativamente tenui. Vegetazione vigorosa dove la cenere fu poca. H. vulgare L. — Danno alle foglie limitatissimo. Spighe normali. Secale cereale L. — Qualche campo abbattuto anche nella regione della cenere. Generalmente vegetazione vigorosa. Pro- dotto quasi normale. Triticum hybernum L. — Danni limitatissimi. Foglie mal- trattate. Generalmente vegetazione buona. Prodotto quasi nor- male. T. repens L. — Nessun danno. Vegetazione vigorosa. Bromus, genus. — Piante abbattute e maltrattate. Festuca ovina L. — Nessun danno han risentito quelle piante, che si trovano su qualche sporgenza di lava e su qualche muro. — 152 — Dactylis hispanica Roth. — Vegetazione vigorosa. Sclerochloa MAitiTiMA Reich. — Aspetto florido. S. rigida Link. — Indifferente all'azione della cenere, dove naturalmente non è stata sepolta. Setauia, genus. — Vegetazione rigogliosa. Echinoclhoa CauSGAiJDi Palìss. — Sempre più rara. Non mo- strava alcuna sofferenza un esemplare incontrato fra Santana- stasia e Somma. Digitaria sanguinalis Scop. —Pare si sia avvantaggiata della cenere, mostrandosi, dove è venuta fuori, molto vigorosa. Cynodon Dactylon Pers. — Tenta la sua espansione inva- dente, avvantaggiandosi anziché no della cenere caduta. Lagurus ovatus L. — Se ne è salvato poco. Verso Torre Annunziata è stato abbondante. Pipt atherum multiflorum Paliss. --Piante vigorosissime ver- de cupo. Arundo Donax L. — Rottura delle foglie. A. collina Teli. — Relativamente rara. Koeleria phleoides Pers. — Nessun danno. Avena, genus. — Vegetazione ottima. Holcus lanatus L. — Le piante mostrano maggior vigoria. Sorghum halepknse Pers. — Vegetazione lussureggiante per l'altezza dei culmini e la colorazione intensa delle foglie. Andropogon hirtus L. — Vegetazione normale. Zea Mays L. — Le semine furono distrutte, perchè dopo pochi giorni, essendo intervenuta la pioggia, le radici morirono per plasmolisi. La risemina fu possibile e riuscì abbastanza bene dove fu fatto lavoro profondo, aggiungendovi concime organico. ACOTYLEDONES Lycopodiaceae Lycopodium denticulatum L. — Si è salvato nelle anfrattuo- sita riparate di alcune lave e sui muri verso settentrione. Polypodiaceae Aspidium aculeatum Sw. — Quasi nessun danno, specialmente verso i Camaldoli di Torre. — 153 — Adiantum Capillus Vexeius L. — Incolume, data la sua sta- ziono sempre al riparo di muri o nei boccagli di pozzi. Asplenium Adianthtm nic4rum L. — Non ha subito alcun danno, dove non è stato del tutto coverto. A piedi di vecchi al- beri e di muri, si è conservato benissimo nel parco Grussone, nel bosco di Catena e nella selva dei Cama Idoli. A. Tiucno.MANi-s L. — Analogamente al precedente, è restato illeso del tutto. Ptekis aquilina L. — Ha avuto scottatura alle fronde tenere che cominciavano a presentarsi. Gtrammitis leptophylla Siv. — Me ne occorse di vedere vari esemplari, secchi innanzi tempo, su vari muri. Ceterach offictnarum D.C. — Non ha subito danno, anche sui muri anteriori dell'Osservatorio. Dall'elenco delle specie riscontrate risultano fatti patologici che vanno interpetrati e riassunti nel modo seguente: Danni meccanici. — Sotterramento, trauma sulle parti aeree, schianti, fratture, distorsioni, ammaccature. Danni fisico-meccanici. — Alterazioni nel ricambio respiratorio, squilibrio di temperatura fra l'ambiente ipogeo e l'epigeo, donde melata e gommosi. Da imi fisici. — Azione caustica prodotta da acque acide e dal- l' eccesso di cloruri percolati nel terreno, donde plasmolisi delle radici e delle foglie. Questo è quello che mi è riuscito di raccogliere e di questo do notizia, senza dimenticare le dovute riserve fatte nel corso di questa comunicazione. Organi genitali e glandole salivari nei Protodrili. Nota del Socio U. Pjerantoni. (Tornata del 17 Decembre 1906) Nello studio monografico dell' anatomia e dell' embriologia degli archianellidi del genere Protodrilus, di cui da qualche tem- po mi occupo nella Stazione Zoologica di Napoli, mi è occorso di constatare come erronee alcune vedute ed interpretazioni de- gli autori che mi precedettero in questo studio. Di alcune ine- sattezze embriologiche ebbi già ad occuparmi in una nota pre- liminare 1j: m' interessa qui di rettificare alcuni fatti anatomici, specialmente perchè tali inesattezze si trovano anche riportate in recenti trattati di zoologia 2). Tra i caratteri costantemente ammessi come appartenenti a questi animali si suol dire che essi sono ermafroditi, e che gli ovarii si trovano nella parte anteriore del corpo. Così Uljanin trovò organi sessuali femminili in Pr. purpureus e flavocapitatus in tutti i segmenti del corpo, mentre i maschili solo nei poste- riori. Gli ovarii starebbero ai lati del mesenterio ventrale, e le uova mature cadrebbero nelle cavità del corpo, muovendosi li- beramente da un segmento all'altro.3). Hatschkk dice che in Pr. Leuckartii gli ovarii si trovano nei primi sette segmenti anteriori del tronco; essi secondo l'A. sa- rebbero composti di piccole cellule poste ai due lati del perito- neo, sulla linea mediana ventrale ; i lobi di questi ovarii libe- rerebbero lateralmente uova mature 4). J) Sullo sviluppo del Protodrilus e del Saccocirrus: in Mitt. Z. Stat. Nea- pel, 17 Bd. 1906. 2) V. a tal proposito, fra gli altri, Claus-Grobben: Lehrbuch dcr Zoologie; Cambrige Naturai History, Benham, Worms. 3) Uljanin B., Osservazioni sui Polygordius che vivono nella baia di Se- bastopoli: Bull. Nat. Moscou, Tome I, 1877 (in lingua russa). 4) Hatschek B, Protodrilus Leuckartii, eine neue Gattung der Archian- neliden: Arb. Z. Inst. Wien, 3 Bd. 1880. — 155 — Langerhans parla di sessi distinti nella specie da lui osser- vata, che considera come Polygordius (P. Schneitleri), ma non dice ove questi organi sessuali siano posti 1). Schneider del suo Poly- gordius purpureus dice soltanto che è ermafrodito. Tratto in inganno dalla uniformità di vedute di coloro che descrissero gli organi sessuali, io stesso, in una sommaria descri- zione del Pr. spongioides 2) da me rinvenuto nell'acqua dolce, dissi che gli ovarii sono "disposti ventralmente, nei primi segmenti del corpo. Nei primi segmenti dopo il capo , infatti , si trovano in tutti i Protodrili, in posizione ventrale ed ai lati dell'intestino, due organi massicci, formati da grosse cellule, che risaltano su- 4Wì Fig. 1. — Taglio trasverso della regione anteriore (dietro il capo) del Protodrilus purpureus. — gs, glandole salivari ; int, intestino ; ms, mesentere; vd, vaso dorsale Ing. 2-iO. bito all'occhio, perchè si colorano intensamente con quasi tutti i coloranti più usati nella osservazione microscopica. Questi due ammassi cellulari, che si protraggono per sette segmenti dopo il capo, sono fatti da elementi piccoli dalla parte che guarda l' in- testino, i quali vanno aumentando di volume verso la cavità del corpo ; essi appaiono come due lobi posti ai lati del mesentere ventrale nei tagli trasversi (Fig. 1 , gs). Tale loro aspetto giu- x) Langerhans P., Die Wurmfauna von Madeira : Zeit. wiss. Zool. 34 Bd. 1880. 2) Sopra un nuovo Protodrilus d'acqua dolce: Monit.Zool. Ital. voi. XIV, 1903. — 156 stificherebbe la loro primitiva interpretazione, se in tagli ben colorati con emellume, ovvero con ematossilina ferrica secondo il metodo di Hkidenhain e con giallo orange non fosse agevole di vedere come da ciascuna delle cellule di questi ammassi si diparte un sottile canalicolo, clie corre in avanti: tutti i canali- coli, ripieni della stessa sostanza intensamente colorabile che è contenuta nelle cellule, formano ai due lati del tratto anteriore dell'intestino due fasci di tubolini (Fig. 2, cg) i quali sboccano nel- l' intestino boccale, presso la base o punto d'impianto dell'organo muscolare faringeo caratteristico .dei Protodrili. E chiaro quindi che i pretesi ovarii non sono altro che am- massi glandolari, i quali per la loro posizione possono facilmente omologarsi alle glandole settali che si rinvengono in molti altri anellidi, specialmente oligocheti, •\ e fra questi costantemente negli Enchitreidi. Quanto alla natura del secreto da tali glandole ela- borato, dato il loro modo di com- portarsi di fronte ai coloranti, è probabile che sia di natura mu- cosa , e che quindi esse possano dirsi delle vere glandole salivari La Fig. 2 rappresenta un ta- glio longitudinale in cui si vedo- no queste glandole (gs) e il loro sbocco {sg) nel Pr. purpurea*. Avendo avuto la fortuna di trovare questa specie in istato di maturità sessuale, ho potuto an- che vedere come gli ovarii veri si trovino nei segmenti posteriori del corpo, dall' 8° in poi, e come questi ovarii segmentali non diffe- riscano sostanzialmente da quelli degli altri anellidi , perchè pro- condotti glandolari ; gs , glandole non residenti 46 Aderenti 2, — 168 — lievemente minore a quello dello scorso anno (102) per il fatto, che il Con- siglio credette cosa utile proporre all'Assemblea di cancellare nove soci incorreggibilmente morosi, e 4 se ne dimisero 1). Uno, dolorosamente, mo- rì : Francesco Valenziano. In cambio , furono ammessi otto nuovi socii : residenti , ì sigg. Al- fonso M. Siniscalchi, Claudio Gargano, Agostino Galdieri, Alberto Evan- gelista e Luigi Cutino, e non residenti i sigg. Luigi La Pietra e Mario Arena, aderente il sig. Giuseppe Filiasi. Bollettino. — Anche quest'anno il volume del nostro bollettino conta ben 340 pagine, 8 tavole a colori e 19 figure nel testo. I ventisette lavori che contiene sono divisi come segue: IO di botanica, 9 di zoologia ed anatomia, 4 di geologia e geografia tìsica, 3 di fisica. 1 di meteorologia. Tornate. — La società si riunì 10 volte nell' anno : tre in assemblea generale, sette in tornata ordinaria. Il numero dei socii presenti andò da un minimo di sette, avutosi il 18 giugno, ad un massimo di venti, rag- giunto il 24 agosto. Il numero legale mancò di rado. Biblioteca e Cambii. — Come pel passato, fu attivo il movimento dei camini. Figurano nell'elenco del 1905 le seguenti pubblicazioni, che non vi erano in quello dell'anno precedente : Atti e Rendiconti dell'Accademia dafnica dì Scienze, Lettere ed Arti di Acireale. Redia, giornale di Entomologia di Firenze. Atti della R. Accademia dei George fili di Firenze. Contribuzioni alla Biologia vegetale (R. Istituto Botanico di Palermo). Bollettino della R. Sfazione Agraria Sperimentale di Roma. Bollettino tecnico della Coltivazione dei Tabacchi di Scafati. Boleti de la Istitució catalana de Giewias Naturai di Barcellona. Acta Societatis Entomologicae Botanicae. Acta Societatis prò fauna et fiora fennica di Helsingfors. Archivos de Museo Macional de Rio de Janeiro. Bulletin of the Botanical Garden di New York. » » Museum of Naturai History di Springfield. *) Petitti, di Ciommo, Vastarini Cresi, Pansini. — 169 - I cambii attualmente ammontano a 140, di cui 63 italiani e 77 esteri. Ben 200 opere furono donate alla biblioteca, di cui la maggior parte dal socio de Rosa , nostro presidente , a cui va dato uno speciale ringrazia- mento. Voti e deliberati. — Neanche nello scorso anno la Società venne meno alla sua abitudine di interessarsi alle principali quistioni, che riguardano tanto il lato scientifico che professionale delle discipline naturali. Meritano una speciale menzione la continuazione del movimento in prò dell'Osserva- torio Vesuviano, l'azione spiegata con voti e solleciti alle autorità compe- tenti ed al Ministero in prò della conservazione del Cyperns Papirus nella Valle dell' Anapo , ed in fine la continuazione del movimento in prò del- l' insegnamento delle scienze naturali nelle Scuole Secondarie . ed in prò degli insegnanti di esse; movimento che, esplicatosi con pubblicazioni e comizii tenuti insieme con Società di indole puramente professionale, ci auguriamo sia per portare qualche benefica influenza nelle riforme che si vanno attualmente preparando da apposite commissioni presso il Ministero. (Vedi alligato al Volume 1905 del Bollettino). Conferenze. — Con le migliori intenzioni da parte del Consiglio e dei soci, si inaugurava 1' anno scorso questa importante manifestazione dell'at- tività sociale. Con ottimi auspici le conferenze furono inaugurate il giorno 7 maggio, in cui il socio Geremicca parlò innanzi ad un folto ed eletto pubblico delle Colonie, consorzia e leghe nel mondo delle piante. Disgraziata- mente, e non del tutto per colpa del Consiglio, la bella conferenza fu la sola dell'anno. E veramente da augurarsi che pel buon volere dei socii, da cui solo questo movimento più che ogni altro dipende , un maggiore Incremento possano avere nell'avvenire queste conferenze con largo invito, che tanto conferiscono non solo alla mutua istruzione dei Soci, ma al pro- pagarsi della cultura di scienze naturali anche fra le persone intente ad altre cure. Escursioni- — A questo importante lato dell'attività sociale fu dato, in cambio , nello scorso anno un notevolissimo sviluppo. Le gite furono tre, fra cui una durò due giorni: numero tutt' altro che esiguo, se si pensi che assai breve è il periodo di tempo che può essere dedicato a queste escursioni, possibili solo in giorni festivi nella buona stagione, la quale è in massima parte occupata dalle vacanze. Le escursioni furono fatte al Capo Miseno e Mar Morto (9 aprile), Forio d' Ischia, con escursione del Monte Epomeo, ed a Scafati, per la visita dell' Istituto sperimentale dei — 170 — Tabacchi. Speciale grato ricordo lasciò in noi quest'ultima, per le festose accoglienze che il cortese personale dell' Istituto volle tributarci. Bilancio. — Come apprenderete fra poco dalla relazione dei revisori, anche quest'anno noi abbiamo avuto un residuo passivo nel nostro bilancio. Esso è stato determinato da una parte dalla diminuzione d'introiti avutasi per mancate esazioni di quote di soci non residenti, e dall' altra per la cifra assai rilevante che ha raggiunto la spesa per la stampa del bollettino a causa della sua mole. La cifra del deficit tuttora diminuirebbe, o scomparirebbe addirittura,, se qualche socio di quelli che sono rimasti indietro coi pagamenti si mettesse in regola, o se si ricuperassero le somme corrispondenti alle pagine di stampa, e vignette, impiegate dagli autori al di là di quelle concesse in principio d'anno per ciascun socio. Somme del tutto ricuperabili, che do- vrebbero portare un residuo attivo sul bilancio del prossimo anno sociale. Egregi colleghi, L'anno che ora incomincia è un anno di festa per la nostra Società, poiché con esso si compie il 25° di sua prospera vita. Se lo scorso anno non mancò da parte dei soci attività e buon volere, meno ancora dovrà mancare nel prossimo. Permettete quindi che nel lasciare ancora una volta la carica di segretario io ripeta, e con maggiore solennità per la data che si appressa, l'augurio che formulai due anni or sono, e che non andò de- luso : che continui ancora 1' accordo fondato sul bene comune ; sì che la fine del quarto di secolo di vita della società nostra sia non meno lieta che il principio. E permettete che aggiunga un augurio, al quale certo tutti vi associerete: che noi possiamo tutti festeggiare con lo stesso interesse e con la stessa giovanile attività anche il 50° anniversario della nostra cara istituzione ! Umberto Pierantoni Tornata del 7 Giugno 1906 Presidente : De Rosa. - — Vice-Segretario : Bruno Soci presenti : Geremicca, Abati, Gargano , di Paola , Trani , Pelle- grino, Modugno, Morgera. Si apre la tornata alle 21,20. Si approva in seconda lettura il processo verbale del 30 marzo 1906. — 171 — Il segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Modugno riassume un suo lavoro: Su i nidi cellulari del simpatico della rana, riservandosi di presentare fra giorni in segreteria il mano- scritto originale con le ligure. i Di Paola legge : Fenomeni elettrici dell'eruzione del Vesuvio, aprile 1906, e ne chiede la pubblicazione. Si prende atto della domanda di passaggio del socio di Lorenzo G. tra i soci non residenti. Si leva la tornata alle ore 22.40 Tornata del 2 agosto lb06 Presiti elite : De Rosa. — Segretario : Cutolo Soci presenti : Monticela . Galdieri, di Paola. Pierantoni, Geremicca, Piccoli, Abati. Aguilar, Bruni, Morgera, Cutolo 0. Si apre la tornata alle ore 21,30 Si approva in seconda lettura il verbale del 23 aprile 1906. Il segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Aguilar legge una nota fatta in collaborazione del dott: Friedlander: Su di alcuni problemi ed osservazioni di vulcanologia, e ne chiede la pub- blicazione. Morgera legge: Contributo alla embriologia degli organi compresi tra il testicolo ed ti deferente della Cavia Cobaya, e ne chiede la pubblicazione. Si prende atto delle dimissioni dei soci Bellini e Pittipaldi. A proposito delle dimissioni motivate del socio De Franciscis, udite le dichiarazioni del Presidente, si delibera che il Segretario faccia altre pratiche a nome dell'Assemblea, perché egli le ritiri. Il Presidente riferisce sulla escursione fatta nella Valle Sorrencella e su i risultati di essa. Comunica che il Consiglio ha prese le seguenti deliberazioni per fe- steggiare il XXV anniversario della Società : 1.° Pubblicazione della Storia della Società, affidata ai soci Geremicca e Monticelli. 2.° Indice sistematico dei 20 volumi del Bollettino ed elenco gene- rale dei soci, affidato al Segretario. 3.° Banchetto sociale. 4.° Istituzione di un distintivo. La storia della società , 1' elenco generale dei socii e dell' ufficio di presidenza , e 1' indice sistematico del Bollettino si delibera che formino un volume commemorativo. L'Assemblea ne prende atto. - 172 — Tornata del 2 settembre 1906 Presidente : De Rosa. — Segretario : Cutolo A. Soci presenti: Geremicca, Bruno. Pierantoni, Mazzarelli, Monticelli, Siniscalchi, Trani, Cutolo C. Si apre la tornata alle ore 14,45. Si approva in seconda lettura il processo verbale del 7 giugno 1906. Il segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Geremicca legge : a) Sopra un caso teratologico che illustra V ordi- namento delle cariossidi della Zea mays. b ) Intorno alla moltiplicazione degli anto/Uli, per sdoppiamento n per plurigenesi, in una pianta di Lt/eo- persicum esculentum. e) Sulla opportunità di modificare la nomenclatura di alcune parti del fiore in rapporto alle piti recenti classificazioni delle piante, e ne chiede la pubblicazione. De Rosa legge: Di alcune razze di fichi Salentini, e ne chiede la pubblicazione. Si prende atto delle dimissioni del socio non residente dott. Tagliani Giovanni. Il Presidente comunica che la Società di Naturalisti sarà rappresentata al Congresso dei Naturalisti dal presidente de Rosa ed a quello di Pesca dal socio Monticelli. È preso atto della proposta di vacanze. Si leva la tornata alle ore 16,30. Tornata del 25 novembre 1906 Presidente: De Rosa. — Segretario: Cutolo A. Soci presenti : Geremicca 9 Aguilar , Pierantoni , Monticelli , Curino . Bruni, Gargano, Quintieri, Cutolo C, Trani, Siniscalchi. Si apre la tornata alle ore 14,30. Si approva in seconda lettura il processo verbale del 2 agosto 1906. Il segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Presidente commemora il socio prof. G. Rossi, che quantunque non appartenesse più effettivamente alla società . pure era sempre unito alla maggior parte dei soci nel suo lavoro per gì' interessi professionali. Rife- risce che la Società fu rappresentata ai funerali. Cutolo A. propone che la Società ricordi in qualche modo il prof. A. Tursini, recentemente morto, che fu tra i primi soci di essa. Vorrebbe che nel Bollettino fosse riportato un cenno necrologico. Si associano Geremicca, Monticelli, de Rosa. Pierantoni fa identica proposta per il prof. Rossi. — 173 — La proposta è approvata, dandosi incarico ai soci Cutolo A. e Pie- rantoni di redigere queste necrologie. De Rosa legge : La fiora Vesuviana e l'eruzione di aprile 1906, e ne chiede la pubblicazione. E ammesso socio ordinario non residente il prof. Ferdinando Rossi. Il Presidente riferisce su l'opera dei singoli rappresentanti della Società al Congresso dei naturalisti italiani ed a quello di pesca. Geremicca propone un voto di ringraziamento al Presidente ed ai socii, che con tanto decoro ed efficacia rappresentarono la Società nei Congressi sopra indicati. E approvato ad unanimità. Si leva la tornata alle ore 16. Assemblea generale del 17 dicembre 1906 Presidente: De Rosa. — Segretario: Cutolo A. Soci presenti : Pierantoni , Curino , Caroli , Parlati , Abati, Pollice , Galdieri , Geremicca, Morgera , Siniscalchi. Cutolo C, Bruni, Monticelli, Milone. Si apre la tornata alle ore 21,30. Si approvano i processi verbali del 2 settembre e 25 novembre 1906. Il segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Pierantoni legge : Organi genitali e glandole salivari nei Protodrili e ne chiede la pubblicazione. Il Presidente comunica che il socio de Franciscis insiste nelle sue di- missioni da socio ordinario e chiede di essere iscritto socio aderente. Se ne prende atto. Parlati interroga la presidenza su quali mezzi si propone la Società di Naturalisti per combattere questo increscioso movimento dei classicisti, che mina completamonte la scuola unica, la quale, come rispondente alle esigenze moderne, è stata già molto favorevolmente accolta dalla maggio- ranza del paese. Dopo una larga discussione, alla quale prendono parte i soci de Rosa, Abati, Pollice, si delibera che in gennaio abbia luogo una tornata speciale con intervento delle altre organizzazioni interessate, per promuovere un movimento. Il Presidente informa che il Consiglio direttivo, coadiuvato da i soci Geremicca e Monticelli, lavora in modo, che nella prima o soconda dome- nica di gennaio abbia luogo la festa del XXV. Comunica iuoltre che è aperta tra i soci una sottoscrizione per concorrere alle spese straordinarie, da farsi per detta festa, senza intaccare il bilancio sociale. Riferisce che la Società sarà rappresentata alla festa del primo cen- tenario del Museo zoologico, promossa dal prof. Monticelli. — 174 — Nomina il seggio per l'elezione delle cariche uscenti nelle persone dei soci : Galdieri, Cufino. Morgera. Risultano eletti : A. Della Valle, Presidente. M. Geremicca _ . ,. . ■D x) ii- \ Consiglieri. P. Pollice > U. Milone ) t-> • • 7 • T _. „ 5 Revisori dei conti. L. Curino Si leva la tornata alle ore 22.45. CONSIGLIO DIRETTIVO PER l' anno 1907 Forte Oreste Presidente Quintieri Luigi Vice-Presidente Siniscalchi Alfonso M.a \ Di Paola Gioachino / ., ... . ) Consiglieri Geremicca Michele i Police Gesualdo / Cutolo Alessandro Segretario INCARICHI ASSEGNATI DAL CONSIGLIO DIRETTIVO Geremicca Michele Redattore del Bollettino Trani Emilio Cassiere Aguilar Eugenio Bibliotecario Bruno Alessandro i „. c. , . T,r- i i \ Vice-begretarn Pellegrino Michele ; ELEISTCO IDEI SOOII (31 dicembre 1906) SOCII ORDINARII RESIDENTI 1. Abati Gino. — Istituto di Chimica Farmaceutica, R. Università. 2. Amato Carlo. — Via Tribunali, n. 339. 3. Anile Antonino. — Istituto Anatomico (Santa Patrizia). 4. Balsamo Francesco. — Via Purità a Furia, re. 12. 5. Bassani Francesco. — Istituto Geologico, R. Università. 6. Bruno Alessandro. — Via Bari, 30. 7. Gabella Antonio. — Cortile Ospedale Incurabili. 8. Cannaviello Enrico. — Via Pignatelli, n. lo. 9. Capobianco Francesco. — Via Sapienza, n. 18. 10. Cerniti Attilio. — Via Medina, n. 1. 11. Cufhio Luigi. — ■ Vico Impagliafiaschi ai Vergini, re. 13. 12. Cutolo Alessandro. — Via Roma, re. 404. 13. Cutolo Enrico. ■ — Via Roma, n. 404. 14. Damascelli Domenico. — Corso Viti. Emanuele, re. 440. 15. De Biasio Abele. — Via Rosa ri elio alla Stella, re. 12. 16. Dal Poggetto Ugo. — Salita Stella, re. lo. 17. Della Valle Antonio. — Via Salvator Rosa, re. 259. 18. De Rosa Francesco. — 'Via S. Lucia, re. 64. 19. D' Evant Teodoro. — Piazza Municipio, n. 34. 20. Di Gaetano Mariano. — Vico Gigante, re. 28. 21. Di Lorenzo Giuseppe. — Istituto Mineralogico. R. Università. 22. Di Paola Gioacchino. — Vico 2° Foglie a S. Chiara, re. 12. 23. Evangelista Alberto. — Via S. Arcangelo a Baiano, n. 1. 24. Forte Oreste. — Via S. Giuseppe, n. 37. 25. Franco Pasquale. — Corso Viti. Emanuele, ». 397. 26. Filiasi Emmanuele. — Riviera di Ghiaia, u. 270. 27. Galdieri Agostino. — Museo Geologico, R. Università. 28. Gargano Claudio. — Via S. Lucia, n. 64. 29. Geremicca Michele. — Largo Avellino, re. lo. 30. Giangrieco Angelo. — R. Scuola Veterinaria. 31. Jatta Mauro. — Direzione di Sanità, Roma. 32. Leuzzi Francesco. — Via Mergellina, re. 174. 33. Massa Francesco. — Via Fuori Portamcdina, n. 20. 34. Milone Ugo. — Piazza Cavour, u. 168. 12 — 178 - 35. Monticelli Francesco Saverio. — Via Ponte di Ghiaia, n. 27. 36. Oglialoro-Todaro Agostino. — Istituto Chimico. R. Università. 37. Paratore Cosimo. — Via Luigi Settembrini, n. 68. 38. Pellegrino Michele. — Via Nazionale, n. 12. 39. Petrilli Vincenzo. — Vico G ag li ardi, n. 12. 40. Pierantoni Umberto. — Galleria Umberto I. n. 27. 41. Pirelli Bernardino. — Via Settembrini, n. 42. 42. Police Gesualdo. — Via Cesare Rossarol, n. 70. 43. Quintieri Luigi. — Piazza VII Settembre, n. 1. 44. Ricciardi Leonardo. — Via Guglielmo S. Felice, n. 24. 45. Rippa Giovanni. — R. Orto Botanico. 46. Scacchi Eugenio. — Istituto Mineralogico. B. Università. 47. Schettino Mario. — Via Roma, 320. 48. Siniscalchi Alfonso Maria. — Via Salvator Rosa, n. 330. 49. Tagliani Giulio. — Istituto Zoologico, R. Università. 50. Trani Emilio. — Via Tessitore ai Miracoli, n. 47. 51. Viglino Teresio. — Piazza Dante, n. 41. SOCII ORDINAR] NON RESIDENTI 1. Aguilar Eugenio. — Via Paradiso alla Salate, u. 39, Napoli. 2. Arena Mario. — Istituto Chimico, R. Università di Napoli. 3. Annibale Ernesto. — R. Scuola Tecnica, Sciacca. 4. Barrese Vincenzo. — R. Scuola di Agricoltura, Portici. 5. Calabrese-Milani Anna. — R. Scuola Normale, Avellino. 6. Capozzoli Rinaldo. — Aquara {Salerno). 7. Caroli Ernesto. — Gabinetto d'Istologia. R. Università, Napoli. 8. D'Adamo Antonio. — Via Yen/mi n. 19, Napoli. 9. D'Avino Antonio. — Liceo, Nocera Inferiore. 10. Distaso Arcangelo. — Piazzetta Pontecorvo n. 5, Napoli. 11. Di Tullio Eduardo. — S. Antonio a Tarsia n. 24. Napoli. 12. Diamare Vincenzo. — Università, Perugia. 13. Falciani Adolfo. — Via Roma n. 406, Napoli. 14. Foà Jone. — Vico Medina n. 9, Napoli. 15. Garetti Luigi. — Via Beaumont n. 3, Torino. 1(3. Germano Eduardo. — Ospedale Clinico, Napoli. 17. Giglio Giuseppe. — Vico II Porteria S. Tommaso d'Aquino, Napoli. 18. Grimaldi Clemente. — Modica (Siracusa). 19. Jatta Antonio. — Ruvo di Paglia. 20. Lapietra Michele. — Via Fiorentini n. 79, Napoli. 21. Marcello Leopoldo. — Via Balzico, n. 91, Cara dei Tirreni. 22. Mascolo Guglielmo. — Cava dei Tirreni. 23. Marcucci Ermete. — (lab. di Anatomia Comparata , R. Università , Napoli. 24. Mazzarelli Giuseppe. — Musco Civico di Storia Naturate, Milano. 25. Modugno Giovanni. — S. Cristofaro all' Oli velia u. 40, Napoli. 26. Morgera Arturo. — Via Duomo n. 125, Napoli. 27. Paglia Emilio. — Sessa Aurunca. 28. Parlati Luigi. — Salita Stella n. 10, Napoli. 29. Patroni Carlo. — R. Istituto Tecnico, Arezzo. 30. Piccoli Raffaele. — Piazza < 'avour n. 162, Napoli. 31. Praus Carlo. — Calandrino (Aversa). 32. Raffaele Federico. — R. Università, Palermo. 33. Romano Francesco. — R. Istituto Tecnico, Caltanisetta. 34. Romano Pasquale. — Via Porta Medina ». 44. Napoli. 35. Rosei Ferdinando. — R. Scuola d'Agricoltura . Portici. 36. Russo Achille. — R. Università. Catania. 37. Sacchetti Gustavo. — Cervaro (Caserta). 38. Savastano Luigi. — Vico Equense. 39. Vanni Giuseppe. — Via Sette Sale n. 38, Roma. — 180 — 40. Vigorita Domenico. — Melfi. 41. Villani Armando. — B. Scuola Tecnica, Parma. SOCII ADERENTI 1. Cutolo Costantino. — Via S. Brigida n. 39, Napoli. 2. De Franciscis Ferdinando. — Via Scarlatti n. 18 , Napoli. 3. Filiasi Giuseppe. — Biviera di Ghiaia n. 270, Napoli. Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio (31 dicembre 1906) EUROPA Italia Acireale Bologna Brescia Cagliari Catania Firenze Genova Lodi Lucca Messina - Accademia di Scienze , Lettere ed Arti dei Zelant e P. P. dello studio (Atti e Rendiconti). Accademia dafnica di Scienze, Lettere ed Arti (Atti e Rendiconti). - R. Accademia delle Scienze dell'Istituto (Rendiconti). - Commentari dell' Ateneo. - Bollettino della Società tra i cultori delle Scienze mediche e naturali. - R. Accademia Gioenia (Bollettino e Memorie). - Archivio per l'Antropologia e 1' Etnologia. Società botanica italiana (Bollettino). Nuovo Giornale botanico italiano. Bollettino bibliografico della botanica italiana. Monitore zoologico italiano. « Redia » Giornale di Entomologia. R. Società toscana di Orticoltura (Bollettino). R. Accademia dei Georgofili (Atti). Società entomologica italiana (Bollettino). R. Accademia medica (Bollettino e Memorie). Museo civico di Storia Naturale (Annali). Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università (Bollettino). Rivista di Filosofia scientifica. Società ligustica di Scienze naturali e geografiche (Atti). Rivista ligure di Scienze, Lettere ed Arti. R. Stazione sperimentale del caseificio (Annuario). R. Accademia lucchese (Atti). La Rassegna tecnica. Milano Napoli Padova Palermo Perugia Pisa Portici Roma Rovereto Sassari Scafati Siena — 182 — — Società Italiana di Scienze naturali e Museo civico di Storia naturale (Atti). — R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche [Memorie, Rendiconti ed Annuario). Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli. Associazione napoletana di Medici e Naturalisti (Gior- nale). Bollettino dell'Ordine dei Sanitari! di Napoli e Pro- vincia. GÌ' Incurabili. Zoologischen Station zu Neapel (Mittheilungen). L'Italia orticola. — Rassegna tecnica ed economica. Annali di nevrologia. Rivista agraria. Società africana d' Italia (Bollettino). ---Accademia scientifica veneto-trentino-istriana [Atti). R. Stazione bacologica (Annuario). La nuova Notarisia. Il Raccoglitore. — Il Naturalista siciliano. Giornale del Collegio degli Ingegneri agronomi. R. istituto botanico. — Contribuzioni alla Biologia ve- getale. — Annali della Facoltà di medicina e Memorie della Accademia medico-chirurgica. — Società toscana di scienze naturali (Memorie e Pro- cessi verbali). — R. Scuola superiore di Agricoltura (Annuario e Bol- lettino). — R. Accademia dei Lincei (Rendiconti). R. Accademia medica [Bollettino ed Atti). R. Comitato geologico italiano (Bollettino). Ministero di Agricoltura (Bollettino ed Annali:. Laboratorio di Anatomia normale della R. Università (Ricerche). Accademia pontificia dei Nuovi Lincei (Atti). Società zoologica italiana (Bollettino). R. Stazione agraria sperimentale (Bollettino). — Accademia degli Agiati (Atti). — Museo civico (Pubblicazioni). — Studi sassaresi. — Bollettino tecnico della coltivazione dei tabacchi. — Rivista italiana di Scienze naturali. Bollettino del Laboratorio ed Orto botanico. Torino Trieste Venezia — 183 — R. Accademia delle Scienze (Atti). Club alpino italiano (.Rivista e Bollettino). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della R. Università (Bollettino). Museo civico di Storia naturale (Atti). L' Ateneo veneto. Spagna Barcelona — Institució catalana d'Historia naturai (Butlletì). Butlletì de la Institució Catalana de Ciences Naturala. Madrid — Sociedad espanda de Historia naturai (Anales y Bo- leti» ). Zaragoza — Sociedad aragonesa de Ciencias naturales (Boletin). Coimbra Lisboa Portogallo -Annaes scientificos da Academia Polytecnica do Porto. - Broteria — Revista de Sciencias naturaes do Collegio de S. Fiel. Francia Cherbourg — Société nationale des Sciences naturelles et mathé- matiques (Mémoires). Langres — Société de Sciences Naturelles de la Haute Marne (Bulletin). Montpellier —Société d'Horticolture et d'Histoire naturelle de l'Hé- rault (Annales). Nancy — Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy (Bulletin des séances). Bibliographie anatomique. Nantes — Société des Sciences naturelles de l'ouest de la France (Bulletin). Paris — Bulletin scientifique de la France et de la Belgique. Journal de l'Anatomie et de la Physiologie de l'homme et des animaux. Société zoologique de France (Bulletin et Mémoires). Muséum d'Histoire naturelle (Bulletin). La feuille des jeunes Naturalistes. Gazette medicale de Paris. Vienne (Isère) —Société des Amis des Sciences Naturelles (Bulletin). — 184 Bruxelles Louvain Belgio Société royale malacologique de Belgique (Annales). La Cellule. Germania Berlin Bonn Leipzig Giessen Giistrow Bericht iiber die Verlagsthotigkeit. Naturae novitates. Botanische Verein der provinz Brandeburg ( Verhand- lungen). ■ Naturhistorischen Vereines der Preussischen Rhein- lande und Westfalens ( Verhandlungen). Niederrheinischen Gesellsehaft fiir Natur-und Heil- kunde (Sitzungsberich te). Zoologischer Anzeiger. Oberhessischen Gesellsehaft ftìr Natur-und Heilkund (Bericht). Verein der Freunde der Naturgeschichte in MeckJen- burg (Archiv). Svizzera Chur Zurich Naturfosehenden Gesellsehaft Granbunden's (Jahrcs- bericht). Societas entomologica. Austria Wien Prag K. K. Naturhistorischen Hof-Museums (Annalen). Zoolog. botan. Gesellsehaft ( Verhandlungen). Ceska akademie cisare Frantiska Josefa prò vedy. slovenost. a umeni (Pubblicazioni). Casopis Ceské Spolecnosti Entomologické (Ada So- cietatis Entomologicae Bohemiae). Inghilterra Cambridge — Philosophical Society (Proceedings and Transactions). London — Royal Society (Proceedings , Reports of the sleeping sickness commissione and Obituarg notices). Plymouth — Marine biological Association of the United Kingdom (Journal). 185 Svezia Upsala — Geologica! Enstitution of the University of Upsala (Bulletin). StOCkholm — Meddelanden fran Upsala Universitets Mineralogisk- geologiska institution. Finlandia Helsingfors — Societas prò fauna et flora fenilica (Ada et Medde- landen). Kiew Moscou Tiflis Russia Société des Naturalistes (Mémoires). Société imperiale des Naturalistes (Bulletin). Giardino botanico (Lavori). Tokyo ASIA Giappone Annotationes zoologicae japonenses. AMERICHE Brasile Rio de Janeiro — Archivos do Museu Nacional. Perù Lima — Boletin de la Societad geografica. Montevideo Uraguay Museo nacional (Anales y Comunicacìones ; Sección histórico-filosóficà). 186 Asuncion Paraguay Revista de Agronomia y de Ciencias aplicadas — Boletin de la Escuela de Agricultura de la Asun- cion del Paraguay. Buenos Ayres Repubblica Argentina -Museo nacional (Anales y Comunicaci ones). Revista farmacèutica — Organo de la Sociedad na- cional de Farmacia. Chili Santiago — Deutch. wissenschaft. Vereins ( Verhandlungen) Société scientitique du Chili (Actes). Valparaiso — Revista chilena de Historia Naturai. Bogotà Colombia El Agricultor. — Organo de la Sociedad de los Agri- cultores cdlombianos Costa-Rica San José — Museo Nacional {Anales, Paginas Ilustradas). San Salvador San Salvador - Anales del Museo Nacional. Messico Messico ■Sociedad cientifica « Antonio Alzate » (Memorias y Re ri sta). Institùto geologico (Boletin. Parergones). — 187 — Stati Uniti Berkeley — University of California (Publications, Bulletin). Boston — Society of Naturai history (Proceedings). Brooklyn — Cold spring harbor Monographs. Chapell Hill -Elisila Mitene! scientific Society (Journal). Chicago — Academy of Sciences (Bulletin and Annual reparti. Madison (Wisconsin) — Academy of Sciences. Arts and Lettres (Tran- sactions). Wisconsin geological and naturai History Survey (Bul- letin i. Minneapolis (Minnesota) — Minnesota botanica] stiulies (Bulletin). MÌSSOUla (Montana) — Bulletin of the University of Montana (Biological Series) New York — Botanical garden (Bulletin). Philadelphia — Academy of Naturai Sciences (Proceedings). Saint-Louis — Academy of Science (Transactions). Missouri botanical garden (Annual report). Springfield (Massachussets) — Museum of naturai history. Tufts College (Massachussets — Studies. Washington -United States Geological Survey (Annual report). U. S. Department of Agriculture. — Division of Or- nithology and Mammalogy (Bulletin North Ame- rican Fauna). Smithsonian Institution (Annual report). U. S. National Museum (Bulletin). U. S. Department of agriculture (Jearbook). U. S. Department of agriculture. — Bureau of ani- mal industry (Annual reports). Carnegie Institution of Washington — (Publication). Canada Halifax — Nova Scotian Institute of science. PUBBLICAZIONI PERVENUTE IN DONO (31 dicembre 1906) Angeloni L. — Costituzione e fissazione delle razze dei tabacchi a mezzo di meticciamenti. Scafati , 190(3. (Dal R. Istituto Sperimentale dei Tabacchi). Azzolini E. — Budytes italiani. Rovereto, 1906. (Dono del Museo civico di Rovereto). Baldratti I. — Catalogo illustrativo della mostra eritrea nella Espo- sizione Intern. di Milano. 1906. (Dono aut.) » — Catalogo dei prodotti d'importazione nella colonia eritrea — Esposizione Internaz. di Milano. 1906. (Dono aut.). Bassani F. -- Commemorazione del Senatore Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini. Roma, 1906. (Dono aut.). » — In memoria di Leopoldo Pilla. Napoli, 1906. (Dono aut.). Bruno A. — Sul legno d'opera. Sua struttura e sue applicazioni. Napoli, 1905. (Dono aut.). » — Sul « Phormium tenax » Forst. Napoli, 1906. (Dono aut,). — Catalogo generale della Compagnia Imperiale Chi- nese della pesca e piscicoltura. Esposiz. Intern. di Milano, 1906. (Dono del socio De Rosa). Cufino L. — Contributo alla flora briologica del Canada. Firen- ze, 1903. (Dono aut.). » — Pugillus cryptogamarum canadensium. Genova, 1904. (Dono aut). » — Una nuova specie di Erica 'dell' Africa australe. Firenze, 1903. (Dono aut.). » — Un secondo contributo alla Flora Micologica della Provincia di Napoli. Genova, 1904. (Dono aut,). — 190 — Gufino L. — Osservazioni ed aggiunte alla Flora del Canada. Napoli, 1905. (Dono aut.). — Fungi Magnagutiani. Genova, 1904. (Dono aut.). » — La via di Assab all' Etiopia centrale pel Golima. Napoli, 1905. (Dono aut.). » — La spedizione di Jacques nel Catanga. Napoli, 1905. (Dono aut). Db Rosa F. — L'insegnamento della orticoltura nella R, Scuola Sup. d'Agricoltura in Portici. Portici, 1906. (Dono aut.). » — Cenni su di alcune piante ortensi napoletane. Portici, 1906. (Dono aut.i. De Rosa e De Gasparis A. — Di alcune possibili colture da provare nella regione del lapillo. Napoli, 1906. (Dono aut.). Di Paola G. — Fenomeni elettrici nell'eruzione del Vesuvio dell' a- prile 1906. Napoli, 1906. (Dono aut.). Evangelista A. — Sulla terminazione dei canalini dentinali nel cemento dentario e sulla presenza o meno dei canali di Ha- vers nel cemento stesso. Napoli, 1906. (Dono aut.). Friedlaendeh B. ed Aguilar E. — Su di alcuni problemi ed osservazioni di vulcanologia. Napoli. 1906. (Dono aut.). Galdieri A. — Sul Tetracarpon 0. G. Costa di Griffoni nel Saler- nitano. Napoli, 1906 (Dono aut.). » — Su di una sabbia magnetica di Ponza. Napoli, 1906. (Dono aut.). Geremicca M. — Colonie, consorzii e leghe nel mondo delle piante. Napoli, 1906. (Dono aut.). Jatta A. — Lichenes lecti in Chili a ci. G. I. Scott-Elliot. Ge- nova, 1906. (Dono aut.). » — La tribù degli « Amphilomei » e il nuovo genere « Amphilomopsis » Jatt. Firenze, 1905. (Dono aut.). Largaiolli V. — Diaphanosoma brachyurum Liév. var. tridentinum (mihi). Stuttgart. 1906. (Dono aut.). » — Ricerche biolimnologiche sui laghi trentini. Milano, 1906. (Dono aut). Monticelli F. S. — Notizie sulla origine e le vicende del Museo Zoo- logico della R. Università di Napoli. Napoli, 1905. (Dono aut). » — La profilassi biologica nella lotta contro la malaria. Napoli, 1906. (Dono aut,). Montù C. — 11 Vesuvio e le sue eruzioni. Torino, 1906. Patroni C. — Una risposta al prof. Eugenio Baroni. Arezzo, 1906. (Dono aut.). Piana G. P. — Emopoiesi" uterina nelle femmine di alcuni anima- li domestici e nella donna. Milano, 1903. » — Emoscopia del mestruo di donna. 1903. — 191 — Pierantoni U. — Sullo sviluppo del Protodrilus e del Saccocirrus. Napoli, L906. (Dono aut.). » ( osservazioni sul genere Branchi old ella Odier. Na- poli, 1905. (Dono aut.). » — Nuovi « Discodrilidi » del Giappone e della Califor- nia. Napoli, 1900. (Dono aut.). » - Una nuova maniera di gestazione esterna della Pio- nosyllis pulligera Krohn. Napoli, 1905. .Dono aut). — R. Scuola d'Agric. in Portici. I concimi e le con- cimazioni moderne pei terreni e le colture della provincia di Napoli. Portici. 1906. (Dono De Rosa). Ricciardi L. — La chimica nella genesi e successione delle rocce eruttive. Roma, 1906. (Dono aut.). » — Il Vesuvio e il Vulcanismo. Conferenza. (Nel gior- nale La patria degli Italiani Buenos Aires. 10 giugno 1906). - Salt Industry in Japan. 1906. (Dono De Rosa). Splendore A. — Sinossi descrittiva ed iconografica dei Semi del ge- nere Nicotiana. Portici, 1906. (Dal R. Istituto Spe- rimentale dei Tabacchi). Suzzi F. — I semi oleosi e gli olii. Asinara, 1906. (Dono De Rosa ) Todaro A. —Relazione sulla cultura dei cotoni in Italia. Roma- Palermo, 1877-78. (Dono De Rosa). Udden J. A. — " An Old Indian Village. Roch Island. 111. 1906. (Dono Aguilar) pag. 1 » LI L5 » 28 I1TDIOE Marcello L. — Notizie sulle arboricole della flora cavese Marcello L. — Sopra alcuni casi ili teratologia vegetale Evangelista A. — Sulla terminazione dei canalini dentinali nel ce- mento dentario e sulla, presenza o meno dei canali di Havers nel cemento stesso con 1 figure Bruno A. — Sulle difese marginali delle foglie Spennilo contributo. Bruno A. Sulla cariocinesi nelle cellule epidermiche Coniribu- zioni istologiche cor la tav [.) . . . . » 38 Modugno G. — Sui nidi cellulari (Zellennester) del simpati Iella rana. Contributo alla conoscenza dei caratteri citologici delle cellule cromafilni (con la tav. II. i. ... 42 Di Paola G. Fenomeni elettrici nell'eruzione del Vesuvio dell'a- prile L906 » 59 Marcello L. — Poche osservazioni su alcuni fiori pelorici » 67 Friedi.aender B. e Agùilab E. Su di alcuni problemi ed osser- vazioni di vulcanologia ........ 70 Morgeka A. -Contributo all'embriogenesi degU organi compresi tra il testicolo e il deferente nella L'j,via Cobaya (con la tav. Ili) . » 90 Geremicca M. Intorno alla moltiplicazione degli antofilli, per sdop- piamento n per plurigenesi », a proposito di una pian- ta di Lycopersicum esculentum a dori pieni ...» 1.03 Geremicca M. -Sulla opportunità di ino liticare la nomenclatura di al une parti del fiore, in rapporto alle odierne classifi- cazioni delle piante ........ 113 Geremiccx M. — Sopra un fatto teratologico, che illustra l'ordina- mento delle cariossidi nella spiga di Zea Mays L. . » 125 De Rosa F. — La flora vesuvinna e l'eruzione dell'aprile 1906 . » 132 Pierantoni IL — Organi genitali e glandole salivari nei Protodrili (con 2 figure) • . . » 154 Ctjtolo A. — Alfonso Tursini Commemorazione .... » 158 Pierantoni Q. — Giovanni Luigi Rossi. Cenno commemorativo . » Ilio Processi verbali delle tornate » 165 Consiglio direttivo ......... 175 Elenco dei socii ......... y> 177 Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio ...» 181 Pubblicazioni pervenute in dono » 189 Gli Anton assumono l' intera responsabilità dei loro scritti 36 Bu/l.d.Soc. eU , i n ll,/Jo/,.l'-'/A'S./'W' T„,>. I Fio '/ ■ /;,, 5 ; f ft//* , •Bfà&tì fri j __ vi* ->»•.* ì - /»/./ f: 6 ': '-i ■ /; V v' ^ m * : / ^ Jioduqn : .... ; .. . CóW ■ fa,**** . ••■•-• ' - • - ■ ' ' - : • •• ' .rJf str i . slr . : . b TM I ■■-<>■■.. hi r SJ& ' ì '^■::.-.:.. ■■■< -W : - hi . Ir rll <:■<*;. ■■'•■■:■,.-* ; " ' m 1^ 8 •. -,-.— s ■-.. -v a • •s ••-• ■ ■■■' ■•-.:-« S» • .: ■■ - • • 3 .• • $> 1 1 N I «SS ■'■■'■: - • • : -, ■■■■■■-■■ | si /v v I, T I...C.W CtW syO i* BOLLETTINO DELLA IETÀ DI NATURAL1ST IIST NAPOLI SERIE I. — VOLUME XIX -A. N" 3ST O XIX 1905 Con *7 tavole e 1© fi.g-u.re nel testo (Pubblicato il 10 febbraio 1906) NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLT Strada Cisterna dell' Olio 1906 X^TIDIOEl Leuzzi F. — Se vi sieno due foglietti, o due strati, nella dura madre cranica : come sieno iu essa distribuite le fibre elasti- che : e come in essa decorra 1' arteria meningea media (con 11 figure) ........ Di Paola G. — Fenomeni geo-fisici osservati durante l'attività espio si va del Vesuvio nel settembre 1904. Nota . Marcello L. — Sopra alcuni casi di teratologia vagetale. Nota (con 3 figure) Friedlaender B. e Aguilar E. — Una visita a Stromboli. Nota Pierantoni TJ. — Girrodrilus cirrata*, n. g. n. sp. parassita dell'Asta cus japoìiicus. Nota (con la tav. I) . Aguilar E. — Su di uno sprofondamento avvenuto alla Solfatara di Pozzuoli. Comunicazione (con 1 figura) Capobianco F. — Sulla rigenerazioiie sperimentale del perenchima ovarico. Nota ........ Vanni G. — Sulla verifica sperimentale della distribuzione dei po- tenziali in un circuito percorso da corrente costante (con 1 figura) ........ Annibale E. — Il clima di Napoli nell'anno meteorologico 190-4-905 Nota Di Paola G. — La pressione atmosferica e sue relazioni con l'atti vita del Vesuvio nel periodo 1871-1905. Nota. Vanni G. — Sulla forza elettromotrice dell'elemento Danieli a ciò ruro d'ammonio. Nota (con 2 figure) VANNI G. — Sulla dimostrazione sperimentale del principio del con tatto del Volta. Nota (con 1 figura) Trani E. — Sul Pirata piraticus Clerk. Nota .... Morgera A. — Sullo sviluppo dei tubuli retti e della rete testis nella Cavia Cobaya. Nota ....... Morgera A. — Sulla struttura intima degli organi annessi al testi- colo del Topo e della Cavia. Considerazioni generali sul gruppo degli Arnnioti ...... Marcello L. — Ricerche anatomiche preliminari sulla Cyplioman dra betacea Sendtn ....... Bruno A. — Sulle difese foliari della Dactylopetalum Barteri. Se conda nota ......... Bruno A. — Sulle difese marginali delle foglie Eippa G. — Su di una Oxalis spontanea nell'Orto botanico di Na poli. Nota ......... Poppa G. — Elicerete sulla impollinazione del Castagno e del Fag gio. Nota Eippa G. — Su di alcuni nuovi casi di teratologia vegetale. Se ronda nota. ........ Paglia E. — Sulle affinità tra Valeriauacee e Dipsacee secondo le idee del prof. Hòch. Nota. ..... Vigorita D. — Sulla costituzione e genesi dello strato cuticolare dello stomaco muscoloso degli Uccelli. Studi (con le ta- vole II, 111 e IV) De Eosa F. — Contributo alla flora murale e ruderale di Napoli . De Eosa F. — Camellie centenarie Eomano-Prestia F. — Alcune ricerche citologiche sul nevrasse del co- lombo (con le tavole V, VI e VII) . . . . . pag. 1 23 37 40 43 52 54 61 65 97 119 123 128 132 135 142 150 153 171 175 181 188 193 219 240 248 (Per P indice completo vedi in fine del volume) ESTRATTO DAT REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (approvate nella tornata del 14 agosto 1898) IV. Del Bollettino Art. 31. La Società pubblica un Bollettino contenente i pro- cessi verbali delle assemblee e delle tornate è lavori originali dei soli soci ordinari/. Art. 32. I processi verbali delle tornate ordinarie debbono contenere : a l'elenco dei soeii presenti; b) T enumerazione dei lavori originali letti , con 1' indica- zione se vengono o no pubblicati nel Bollettino ; e) una breve notizia delle comunicazioni verbali ; d ì T indicazione delle letture e delle conferenze fatte nella tornata ; e) e i nomi dei socii ammessi e quelle deliberazioni che si crederà opportuno pubblicare. Art. 33. I lavori da pubblicarsi nel Bollettino dovranno esser letti nelle tornate. Sui lavori letti potrà esser fatta discussione;. Quindi i lavori restano sette giorni in Segreteria a disposizione di quei soci , che volessero ponderatamente esaminarli. Trascorsi i sette giorni, se non è pervenuta alla Segreteria nessuna osser- vazione da parte di alcun socio, il lavoro è passato alla stampa. Essendovi discussione, questa verrà fatta nella prossima tornata, informandone l'autore, perchè possa intervenirvi: la discussione sarà pubblicata nel Bollettino, in seguito al lavoro, tenendosene pure conto nel processo verbale. Art. 34. I lavori già pubblicati non possono essere stampati nel Bollettino. Art. 35: Il socio , che non è in regola con la cassa sociale, non può pubblicare nel Bollettino. Art. 36. I soci ammessi a far parte della Società da meno di un anno non hanno dritto a pubblicare nel Bollettino, se non pagano anticipatamente 1' annata intera. Art. 37. Nel caso di lavori fatti in collaborazione da più soci, questi debbono essere tutti in regola con la cassa, perchè il la- voro possa essere pubblicato. Art. 38. I lavori debbono versare sopra argomenti di scienze naturali e loro applicazioni. Art. 39. Il Consiglio direttivo cura la pubblicazione del Bol- lettino. Art. 40. Il numero dei fascicoli del Bollettino sarà determi- nato anno per anno dal Consiglio direttivo. Art. 41. Gli autori avranno gratuitamente glj estratti dei loro lavori. Il numero di questi sarà ogni anno determinato dal Consiglio direttivo. Art. 42. Gli autori potranno avere un numero maggiore di estratti a proprie spese. Art. 43. Le tavole e le figure nel testo saranno fatte a cura della Società *), e gli autori pagheranno , per ciascuna tavola o figura, un contributo, clie sarà caso per caso stabilito dal Consi- glio direttivo, tenendo conto dell' importo delle tavole e delle condizioni del bilancio. Crii autori, pertanto, saranno obbligati a depositare una somma, che sarà anche volta per volta stabilita dal Consiglio, prima di dare alla stampa il lavoro. Essi potranno indicare il litografo dal quale intendono siano eseguite le tavole, salvo il consenso del Consiglio direttivo. Art. 44. La Società può limitare i fogli di stampa , cui gli autori hanno diritto, in ciascun anno sociale, su proposta del Con- siglio direttivo in un! Assemblea generale ; tuttavia nel caso che sia presentato un lavoro, che per la sua mole importi una spesa considerevole, il Consiglio direttivo può invitare la Società, anche in una tornata ordinaria, a deliberare sopra la opportunità di stamparlo. Art. 45. Per quei lavori, che importino una spesa tipografica straordinaria, gli autori, dietro proposta del' Consiglio direttivo, approvata dall'Assemblea in una tornata ordinaria, potranno es- sere obbligati a concorrere alla spesa. *) L'esecuzione delle tavole del presente volume è stata cu- rata direttamente dagli autori. Per quanto concerne la parte scientifica ed atmuinistrativa dirigersi al SEGKETABIO DELLA SOCIETÀ De. Alessandro Cutolo, presso la sede della Società Via S. Sebastiano, 48 d. Sono vivamente pregati i sodi ordinarti non rc.idcnti di spedire la loro contribuzione annuale al socio cassiere Sig. EMILIO TRANI, Istituto Zoologico della R. Università: Per questo anno la Società dà agli Autori 50 copie di estratti. Gli Autori i quali ne vogliono un maggior numero pagheranno le copie in più secondo la seguente tariffa: - E SEZMÌÌE'Ij a.:r,i 25 50 75 ÌOO !/4 foglio (4 paginei. . 1/2 foglio (8 pagine) . . • dU foglio (12 pagine) 1 foglio ('16 pagine) L. 1 75 » 2 25 » 3 50 » 4 — L. 2 25 » 3 50 » 5 — » 5 — L. 2 50 » A — » 6 75 » 8 — L. 4 — * 5 50 » 9 — » 10 — N.B. — Nei sopra segnali prezzi va invlum la legatura e la corcrtina senza .stampa. Prezzo (del presente volume L. 15,00. BOLLETTINO DELLA TA DI NATURALISTI I2ST NAPOLI SERIE I.— VOLUME XX ANNO XX 1905 Con, 3 tavole (Pubblicato il 26 febbraio 1907) NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Strada Cisterna dell' Olio 1907 IIsTIDIOE Marcello L. — Notizie sulle arboricole della flora eavese . . pag. 1 Marcello L. — Sopra alcuni casi di teratologia vegetale . . » 11 Evangelista A. — Sulla terminazione dei canalini dentinali nel ce- mento dentario e sulla presenza o meno dei eanali di Havers nel cemento stesso (con 4 figure) ...» 15 Bruno A. — Sulle difese marginali delle foglie Secondo contributo. » 28 Bruno A. — Sulla cariocinesi nelle cellule epidermiche Coniribu- zioni istologiche (con la tav. I.) . . . . » 38 ]V[odugno G. — Sui nidi cellulari (Zellennesten del simpatico della lana. Contributo alla conoscenza dei caratteri citologici delle cellule croni affini (con la tav. II.) . . . . » 42 Di Paola G. -- Fenomeni elettrici nell'eruzione del Vesuvio dell'a- prile 1906 » 59 Marcello L. — Poche osservazioni su alcuni fiori pelorici . . >• 67 Friedlaender B. e Aguilar E. — Su di alcuni problemi ed osser- vazioni di vulcanologia ....... » 70 Morgera A. — Contributo all'embriogenesi degli organi compresi tra il testicolo e il deferente nella Cavia Cobaya (con la tav. Ili) » ; 90 Geremicca M.— Intorno alla moltiplicazione degli antotìlli, per sdop- piamento o per « plurigenesi », a proposito di una pian- ta di Lycopersicum esculentum a fiori pieni ...» 103 Geremicca M. — Sulla opportunità di modificare la nomenclatura di alcune parti del fiore, in rapporto alle odierne classifi- cazioni delle piante ......... 113 Geremicca M. — Sopra un fatto teratologico, che illustra l'ordina- mento delle cariossidi nella spiga di Zea Mays L. . » 125 De Rosa F. — La flora vesuviana e l'eruzione dell'aprile 1906 . » 132 Pierantoni U. — Organi genitali e glandole salivari nei Protodrili (con 2 figure) » 154 Cutolo A. — Alfonso Tursini. Commemorazione .... » 158 Pierantoni U. — Giovanni Luigi Rossi. Cenno commemorativo . » 163 Processi verbali delle tornate » 165 Consiglio direttivo » 175 Elenco dei socii » 177 Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio ...» 181 Pubblicazioni pervenute in dono » 189 Grli Autori assumono r intera responsabilità dei loro scritti ESTRATTO DAL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ {approvato nella tornata del 14 agosto 1898) IV. Del Bollettino Art. 31. La Società pubblica un Bollettino contenente i pro- cessi verbali delle assemblo1 è tirile tornate e lavori originali dei Soli soci ordinarii. Art. 32. I processi verbali delle tornate ordinarie debbono contenere : a) V elenco dei socii presenti ; b) V enumerazione dei lavori originali letti , con 1' indica- zione se vengono o no pubblicati nel Bollettino ; e) una breve notizia delle comunicazioni verbali ; d) V indicazione delle letture e delle conferenze fatte nella tornata ; e) e i nomi dei socii ammessi e quelle deliberazioni che si crederà opportuno pubblicare. Art. 33. I lavori da pubblicarsi nel Bollettino dovranno esser letti nelle tornate. Sui lavori letti potrà esser fatta discussione. Quindi i lavori restano sette giorni in Segreteria a disposizione di quei soci , che volessero ponderatamente esaminarli. Trascorsi i sette giorni, se non è pervenuta alla Segreteria nessuna osser- vazione da parte di alcun socio, il lavoro è passato alla stampa. Essendovi discussione, questa verrà fatta nella prossima tornata, informandone 1' autore, perchè possa intervenirvi : la discussione sarà pubblicata nel Bollettino, in seguito al lavoro, tenendosene pure conto nel processo verbale. Art. 34. I lavori già pubblicati non possono essere stampati nel Bollettino. Art. 35. Il socio, che non è in regola con la cassa sociale, non può pubblicare nel Bollettino. Art. 36. I soci ammessi a far parte della Società da meno di un anno non hanno dritto a pubblicare nel Bollettino, se non pagano anticipatamente 1' annata intera. Art. 37. Nel caso di lavori fatti in collaborazione da più soci, questi debbono essere tutti in regola con la cassa, perchè il la- voro possa essere pubblicato. Art. 38. I lavori debbono versare sopra argomenti di scienze naturali e loro applicazioni. Art. 39. Il Consiglio direttivo cura la pubblicazione del Bol- lettino. Art. 40. Il numero dei fascicoli del Bollettino sarà determi- nato anno per anno dal Consiglio direttivo. Art. 41. Gli autori avranno gratuitamente gli estratti dei loro lavori. Il numero di questi sarà ogni anno determinato dal Consiglio direttivo. Art. 42. Gli autori potranno avere un numero maggiore di astratti a proprie spesi'. Art. 43. Le tavole e le figure nel testo saranno fatte a cura della Società *), e gli autori pagheranno . per ciascuna tavola o figura, un contributo, che sarà caso per caso stabilito dal Consi- glio direttivo, tenendo conto dell' importo delle tavole e delle condizioni del bilancio. Gli autori, pertanto, saranno obbligati a depositare una somma , che sarà anche volta per volta stabilita dal Consiglio, prima di dare alla stampa il lavoro. Essi potranno indicare il litografo dal quale intendono siano «'seguite le tavole, salvo il consenso del Consiglio direttivo. Art. 44. La Società può limitare i fogli di stampa, cui gli autori hanno diritto, in ciascun anno sociale, su proposta del Con- siglio direttivo in un'Assemblea generale; tuttavia nel caso che sia presentato un lavoro, che per la sua mole importi una spesa considerevole, il Consiglio direttivo può invitare la Società, anche in una tornata ordinaria, a deliberare sopra la opportunità di stamparlo. Art. 45. Per quei lavori, che importino una spesa tipografica straordinaria, gli autori , dietro proposta del Consiglio direttivo, approvata dall'Assemblea in una tornata ordinaria, potranno es- sere obbligati a concorrere alla spesa. *) L'esecuzione delle tavole del presente volume è stata cu- rata direttamente dagli autori. Per quanto éoncernè la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ T)r. Alessandro Cutolo, presso là sede delia Società Via S. Sebastiano, 48 d. Sono vivamente pregati i sodi ordinarti non residenti di spedire la loro coni riha non e annuale al socio cassiere Sig. EMILIO TBAN1] Istitìdo Zoologico della B. Università. Per questo anno la Società dà agli Autori 50 copie di estratti. Gli Autori i quali ne vogliono un maggior numero pagheranno le copie in più secondo la seguente tariffa: ESEMPLARI 25 50 75 ÌOO L. 1 75 » 2 25 » 3 50 » 4 — L. 2 25 L. 2 50 » 3 50 » 4 — » 5 — , » ^ 75 •> 5 — . K — L. 4 - » 5 50 » 9 — 10 — 1 4 foglio (4 pagine) . 1 >2 foglio (8 pagine) . '■\4 foglio 1 12 pagine) 1 foglio (16 pagine) N.B. — Nei sopra segnati prezzi va inclusa in legatura è in covertina senza stampa. Prezzo del presente volume L. io,oo. MBL WHOI LIBRARY UH 1TRG G MB %fc p^ E "^ M^ 4 % i ^,r >*« **?** naiM >} pi# H£ JC JM