/ * Cr-O I Soci che non avessero ancora risposto alla circolare del 1° gennaio s. sono pregati di inviare con sollecitudine alla Presidenza l’elenco delle proprie pubblicazioni fatte su argomenti di geologia applicata (vedasi in proposito a pag. XXXVr XXXIX). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 18 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889; 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1 [023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag., 4 tav. e una carta geol. a colori. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag., 1 1 tav. e una carta geol. a colori. » XX. (1901) 3 » CLXXXVI- 694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori. » » » 1 » Appendice. Prospetti ed indici relativi ai voi. I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole. » XXI. (1902) 3 » clxvi-584 pag. e 18 tavole. Per l’acquisto dirigere lettere e valori al Tesoriere Cav. lng. Augusto Statuti, Via Nazionale III (palazzo Capranica del drillo). Roma. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXII — 1903 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1903 2 C JUN.1906 ! r SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1903 Presidente Antonio Verri (Roma) 1903. Vice-Presidente . . . Romolo Meli (Roma) 1903. Segretario Enrico Clerici (Roma). 1901-1903. Vice-Segretari Camillo Crema (Roma). 1903. Aristide Rosati (Roma). 1903. Tesoriere-Economo . Augusto Statuti (Roma). 1903-1903. Archivista. Antonio Neviani (Roma). 1903-1905. Consiglieri . Ernesto Mariani (Milano) Luigi Baldacci (Roma) . . G. Batta Cacciamali (Brescia) Carlo Fornasini (Bologna) Giovanni Di Stefano (Roma) Torquato Taramelli (Pavia) Dante Pantanelli (Modena) ' Niccolò Pellati (Roma). . Carlo Fabrizio Parona (To- rino). Francesco Bassani (Napoli) . Gaetano Giorgio Gemmellaro (Palermo). Carlo De Stefani (Firenze). Commissione per le pubblicazioni . . Commissione del bi- lancio 11 Presidente 11 Segretario Il Tesoriere 190 1-903 1902-904 1903-905 / (prò tempore) ^ Giovanni Aichino \ Mario Cermenati 1 Romolo Ragnini . 1 903. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. GT\ IV ELENCO DICI PRESIDENTI. Kl.ENCO DEI SOCI. Elenco tlei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1883. Achille De Zigno 1886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1 889. Giovanni Capellini 1890. Torquato Taramelli 1891 .Gaetano G.Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1804. Giovanni Capellini 1893. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli i 898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolò Pellati 1901. Carlo Fabrizio Parona 1902 Giovanni Capellini. Elenco dei Soci per l’anno 1903 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell'adu- nanza generale del 1 6 settembre 1900 in Acqui. Soci perpetui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 23,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime nel- l'adunanza generale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell'adu- nanza generale di Savona il 15 settembre 1887. 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. . Giovanni Capellini , senatore del Regno. K uno dei tre fondatori della Società, e venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale di Taormina il 2 ottobre iSyi. ELENCO DEI SOCI V Soci a vita. 1884. 1 Barga gli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Fi- renze. 1881. Bombirci prof. comm. Luigi. R. Università. Bologna. 1881. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. 1900. Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. 1 90 1 • De Dorlodot chan. prof. Henri. Université catholique. Louvain (Belgio). 1881. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 135. Paris. 1890. Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. 1899. Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). 1894. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. 1881. 10 Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra). 1890. Johnston-Lavis dr. Henry'. Beaulieu (Alpes Maritimes, Francia). 1884. Levat ing. David. Rue de Printemps, 9. Paris. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Piazza d’Azeglio, 7. Firenze. 1881. Maltirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. Niccoli ing. comm. Enrico. Via dell' Indipendenza, 54. Bologna. 1882. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1881. Pélagaud doct. Elisée. Chateau de la Pinède, Antibe (Alpes Maritimes, Francia). 1895. Rosselli ing. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1882. 20 Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1886. Stephanescu prof. Gregorio. Universitàt. Bukarest (Ru- matila). 1882. 22 Tilrcke ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Soci ordinari. 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Air aghi dott. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). 1899. Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). Primo anno di associazione. vr ELENCO DEr SOCI 1891. 1903- 1892. 1899. 1886. 1898. 1896. 1903. 1902. 1881. 1890. 1903. 1881. 1901. 1883. 1897. 1885. 1900. 1 898. 1892. 1885. 1902. 1885. 1897. 1882. 1 893 . 1901. 1897. 1885. 1884. 1841. 1889. Ambrosiani sac. dott. Michelangelo. Chignolo d’ Isola (Bergamo). Ammann ing. Federigo. Abbadia S. Salvatore (Siena). Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 4. Roma. Anseimo ing. Michele. R. Ufficio minerario. Piazza Ga- ribaldi, io. Napoli. Antonelli dott. don Giuseppe. Via del Biscione, 90. Roma. Antonelli-Giordani Giuseppe. Corso Umberto I, 307. Roma. io Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. Arsela prof. cav. Cesare. R. Università. Bologna. Audenino prof. Lodovico. R. Liceo. Chieri (Torino). Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). Bargellini prof. Mariano. La Finaia presso Empoli (Firenze). Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. Bellini dott. Raffaele. R. Museo geologico, Palazzo Ca- rignano. Torino. Berti dott. Giovanni. Via S. Stefano, 43. Bologna. Bettolìi dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. 20 Biagi prof. Giuseppe. R. Scuola tecnica. Spezia. Bianchi prof. Aristide. R. Liceo. Chieri (Torino). Biblioteca civica. Bergamo. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). Bonetti prof, don Filippo. Via della Pigna 6. Roma. Bonomini rev. Giovanni. Memmo (Brescia). Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. Bortolotti prof. Emma. Viale Po, io. Roma. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. Botto Micca dott. prof. Luigi. R Scuola tecnica. Ven- ti miglia. 30 Borlotti dott. Gaetano. Via S. Celso, 13. Milano. Brambilla prof, don Giovanni. Arciprete. Cingia dei Botti (Cremona). Brugnatelli dott. prof. Luigi. Museo mineralogico, R Uni- versità. Pavia. Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. Cacciamali prof. Giovanni Ballista, R. -Liceo. Brescia. ELENCO DEI SOCI VII 1897. 1898. 1883. 1881. 1899. !9°3. 1892. 1883. 1896. 1 896. 1896. 1882. 1890. 1893. 1896. 1887. 1 900. 1901 . 1882. 1903. 1 882. 1886. .883. 1899. 1895. 1902. 1895 1881. 1890. 1895. 1895. Caci ani (dei principi) don Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda, 7. Firenze. 40 Capeder prof. Giuseppe. R. Scuola normale femminile. Potenza. Cappelli Giovanni Battista. Via del Babuino, 55 pp. Roma. Carape\\a ing. Enterico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. Carmignani ing. Giovanni. Pisa. Carniccio prof. Antonio. R. Università. Roma. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). Cattaneo ing. comm. Roberto. Via Ospedale, 51. Torino. Cermenati dott. Mario. Via Cavour, 238. Roma. Cerulli Irelli dott. Serafino. Teramo. 50 Cettolini prof. cav. Sante. R. Scuola d’enologia. Cagliari. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 23. Marsiglia. Checchia-Rispoli dott. Giuseppe. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. Chiabrera dott. conte Cesare. Acqui. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. Ciampi ing. Adolfo. Castelnuovo Valdarno (Arezzo). Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). Clerici ing. prof. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. Cocconi prof. comm. Girolamo. R. Università. Bologna. Colomba dott. Luigi. R. Museo Mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. 60 Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). Corio prof. Francesco. R. Istituto Tecnico, Spezia. Corsi ing. Arnaldo. Via Vaifonda, 34. Firenze. Cortese ing. Emilio. Corso Firenze, 25. Genova. Corti dott. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. D’Achiardi dott. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. Vili ELENCO DEI SOCI IQ02. 1899. I 900. 1898. 1893. .883. 1891. 1893. l88l. 1895. 1883. 1 88(5. 1 900. 1881. 1886. 1892. 1881. 1900. 1882. 1895. 1892. i8()0. 1881. 1899. 1881. 1883. 1885 •1896.' Dal Lago dott. Domenico. Valdagno (Vicenza). Dal Piaj dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. D’Anna ing. cav. Salvatore. Ufficio speciale del genio civile per la sistemazinne del Tevere. Roma. 70 Dannenberg doct. Arturo , Prof, an der kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. De Amicis prof. Giovanni Augusto. R. Liceo Balho. Ca- sale (Piemonte). De Angelis d’Ossat dott. cav. Gioacchino. R. Università. Roma. Deecke prof. Wilhelm. Università. Greifswald (Prussia). De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Bologna. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo, 128. Palermo. Del Bene ing. Luigi. Corso Garibaldi, 39. Spoleto. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 80 Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus, 119. Lisbona. Dell' Erba ing. prof. Luigi. R. Scuola Applicazione In- gegneri. Napoli. De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Napoli. Del Prato dott. Alberto. R. Università. Parma. De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. Demarchi ing. comm. Lamberto. Via Napoli, 65. Roma. De Pian ing. cav. Luigi. Laurium (Grecia). De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). Dervieux sac. Ermanno. Via Massena 34. Torino. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. <)o De Stefano dott. Giuseppe. Via Aschenz. Reggio Ca- labria. Dema lane prof. off. Gustave. Rue de la Paix, 17. Liège. Di Rovascnda cav. Luigi. Sciolze (Torino). Di Stefano dott. cav. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Dompc ing. Luigi. R. Ufficio minerario. Caltanissetta. ELENCO BEI SOCI IX 1903. Eliotipia Calzolari e Ferrarlo. Viale Monforte, 14. Milano. 1901. Etna cav. Silvio , tenente colonnello 5.0 regg.0 Alpini. Milano 1896. Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). 1893. Fabbrini dott. prof. Emilio. Corso Garibaldi, 39. Lucca. 1902. Fantappiè dott, prof. Liberto. Via Mazzini, 4. Viterbo. 1898. 100 Fatichi cav. not. Nemesio. Borgo degli Albizi, 9. Firenze. 1900. Filippi dott. Domenico. Camerino (Marche). 1894. Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. 1897. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. 1901. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignano, Torino. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame, 24. Bologna. 1892. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1890. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele, 386. Napoli. 1Q02. Frassetto dott. Fabio. R. Museo Geologico. Palazzo Ca- rignano. Torino. 1890. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1898. 1 io Galdieri dott. Agostino. Via Stella, 94. Napoli. 1891. Galli prof. cav. don Ignazio, direttore dell’Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. 1882. Gemmellaro prof. comm. Gaetano Giorgio. Senatore del Regno. R. Università. Palermo. 1895. Giacomelli dott. Pietro. S. Giovanni Bianco (Bergamo). 1891. Gianotti dott. Giovanni. R. Scuola normale. Pavia. 1902. Giattini Giovanni Battista. Cingoli (Macerata). 1903. Gortani Michele. Tolmezzo (Udine). 1887. Go^i ing. Giustiniano. Via Galliera, 14. Bologna. 1892. Greco dott. Benedetto. R. Liceo. Cuneo. 1899. Hassert doct. Kurt. Università. Bismakstrasse, 30. Kdln am Rhein (Germania). 1881. 120 Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo, 3. Genova. 1881. Jervis prof. cav. Guglielmo. Via Principe Tommaso, 30. Torino. 1883. Lais sac. prof. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 11. Roma. 1889. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Cernaia, 24. Torino. 1884. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. 1896. Levi dott. Gustavo. R. Scuola tecnica. Soresina (Cremona). X ELENCO DEI SOCI 1 88 1. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima, 30. Roma. 1895. Luy : dott. march. Gian Francesco. S. Severino Marche (Macerata). 1900. Maglio dott. Carlo. Piazza Borromeo, 4. Pavia. 1900. 130 Mallet ing. Jacques. 8, Grande rue Mi-Caréme. St. Etien- ne (Francia). 1899. Manasse dott. Ernesto. Museo mineralogico, R. Univer- sità. Pisa. 1899. Maravelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1895. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). 1903. Mangerie (de) prof. Emmanuel. Rue de Grenelle, 132. Paris. 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. 1900. Mariani dott. Giuditta. Viale stazione. Sondrio. 1899. Mariani dott. Mario. Camerino (Macerata). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto Studi Superiori. Firenze. 1900. Martelli dott. Alessandro. Vinci (Firenze). 1896. 140 Martone prof. Michele. R. Istituto tecnico. Messina. 1892. Matteucci prof. Vittorio. Museo geologico, R. Univer- sità. Napoli. 1881. Mayuoli ing. comm. Lucio. Vìa S. Susanna, 9. Roma. 1881. Meli ing. prof. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1899. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1895. Meyena ing. Elvino. Miniera di Montevecchio, Guspini (Cagliari). 1897. Millo sevìch dott. Federico. R. Liceo. Benevento. 1903. Monaci Pietro. Manciano per Saturnia (Grosseto). 1900. 150 Monti dott. Achille. Via Carlo Sacchi, 2. Pavia. 1899. Montinolo ing. Attilio. R. Ufficio minerario. Vicenza. 1895. Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 1887. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. 1890. Namias dott. Isacco. Museo geologico, R. Università. Modena. _ ELENCO DEI SOCI XI 1 897. 1883. l88l. 1888. I QO I . 1881. 1902. 1901. 1899. 1881. 1881. 1 999- 1 992- 1881. 1899. 1893. 1903. 1902. 1901. 1891. 1899. 1 8 9 5 . 1898. j 902. 1091. 1 983 - 1 903. 1899. 1 900. 1901. 1896. Nelli dott. Bindo. Via Fra Bartolomeo, 17. Firenze. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. Nicolis cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. 160 Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. Olivetti dott. BonaiutoN ia Madama Cristina, 33. Torino. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. Oppenheim dott. Paolo. Charlottenburg. Pagani dott. Umberto. R. Scuola normale femminile. Potenza (Calabria). Pampaioni dott. Luigi. Via Lamarmora, 6 bis. Firenze. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. Pasquali cav. Alfred. Cairo (Egitto). Patroni dott. Carlo. Via Sacramento a Foria, Palazzo Schisa. Napoli. 170 Pellati ing. comm. Niccolò. R. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. Pelloux capitano. Alberto. Villa Caterina. Bodighera. Peola dott. prof. Paolo. R. Liceo. Aosta. Perrone cav. Eugenio , Via Cola di Rienzo, 133. Roma. Piana cav. Giuseppe. Badìa Polesine. Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele. Via Arcivesco- vado, 1. Torino. Platania-Platania dott. prof. Gaetano. R. Liceo. Aci- reale. Pompei ing. Augusto. R. Ufficio minerario. Iglesias. Porro ing. Cesare. Carate Lario (Como). Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. 180 Preda prof. Agilulfo. R. Liceo. Via duca di Genova, 7. Spezia. Prever dott. Pietro. R. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. Ragnini cav. dolt. Romolo. Capitano medico. Via Meru- lana, 130. Roma. Raimondi ing. Luigi. Miniere soli uree 1 rezza. Cesena. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). Repossi dott. Emilio. Via Pindemonte, 1. Milano. Ricci dott. Arnaldo. R. Scuola Tecnica. Susa. Ricciardelli dott. Mario. Sansevero (Foggia). xn ELENCO DEI SOCI 1886. 1894. .885. 1883. 1898. 1890. K)°3. 1893. 1892. 1892. 1885. l88l. 1 895. 1898. 1890. l88l. 1902. l88l. 1900. 1894. 1883. I9OI . 1881. 1882. 1896. 1882. 1891. Ricciardi prof. Leonardo. Convitto nazionale V. E., Napoli. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 190 Ristori dott. prof. Giuseppe. R. Museo paleontologico. Piazza S. Marco. Firenze. Riva Palaci tenente generale Giovanni, Comandante del 20 corpo d’armata Firenze. Roccati dott. Alessandro. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. • Roncalli dott. conte Alessandro. Bergamo (alta Città). Rosati dott. Aristide. R. Università, Museo mineralogico. Roma. Rossi dott. Guido. Via del Colosseo, 29. Roma. Rovereto march. Gaetano. Via Caffaro, 25. Genova. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). Sacco prof. Federico. R. Scuola d'applicazione per gl‘ In- gegneri. Torino. Salmojraglìi ing. prof. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 200 Salomon doct. Wilhelm. Universitàt. Heidelberg (Baden). Samengo avv. Frane. Saverio. Lungro (Cosenza). Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Costantinopoli, 19. Na- poli. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe. Se- natore del Regno. Imola. Segattini dott. Paolo. Pastrengo (Verona) Segrè ing. cav. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. Seguen\a Luigi fu Giuseppe. Messina. Sella ing. Erminio. Biella. Simonelli dott. prof. Vittorio. Museo geologico, R. Uni- versità. Parma. Small prof. James, direttore del Victoria College. Jalfna (Ceylan). 210 Sorniani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. Spirclc ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale, 114. Roma. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. ELENCO DEI SOCI XIII 1882. Slrilver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898. Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia. 1896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1903. Taglierini prof. Paolo. R. Liceo. Palermo. 1881. Tararne Ili prof. cav. Torquato. R. Università. Pavia. 1891.220 Taschero dott. Federico. Mondovì. 1883. Teliini dott. prof. Achille. R. Istituto tecnico. Udine. 1881. Tenore ing. prof. Gaetano. Via S. Gregorio Armeno, 41. Napoli. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo dott. prof. Giovanni. R. Liceo. Fermo. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. Tonini dott. Lorenqo. Seravezza (Lucca). 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1901. Trentanove dott. Giorgio Morando. Luco di Mugello (Borgo S. Lorenzo, Firenze). 1882. 230 Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via dei Prefetti, 46. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. 1881. Ugelli prof. Gustavo. Via Alessandro Volta, 30. Firenze. 1899. Vergè ing. Alessandro. Tocco Casauria (Chieti). 1882. Verri colonnello comm. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1898. Viglino ing. Alberto. Stabilimento elettro-meccanico S. Anna alle Paludi. Napoli. 1893. Vi nassa de Regny dott. Paolo Eugenio. R. Istituto agrario sperimentale. Perugia. 1903. Viola ing. Carlo. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Virgilio dott. prof. Francesco. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Ufficio geologico. Roma. 1902. 240 Zamara nob. colonnello Giuseppe. Corso C. Albeito, 23. Brescia. 1881.241 Ze\i ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. XIV ELENCO DEI CAMBI Elenco ) Pubblicata a pag. 141. TENUTA IN ROMA IL SI FEBBRAIO 1903 XLV11 come le diapofisi. Alcune sezioni laterali potrebbero rispondere ad arti. Parrebbe in conclusione si potesse trattare d’un Laby- rinthodon di abbastanza grosse dimensioni. Come si sa il Bardiglio sta alla parte superiore de’ marmi bianchi che posano sopra il grezzone del Muschelkalk. L’esi- stenza de’ Sauriani potrebbe accennare al ravvicinamento del Bardiglio coi calcari triassici di Perledo e Yarenna. Il socio De Stefani richiama inoltre l’attenzione dei presenti sopra gli scavi che si fanno a Tor di Quinto presso Poma e che hanno messo nitidamente allo scoperto terreni sui quali erano state contestazioni fra alcuni consoci. Dice esservi notevole la sovrapposizione di strati salmastri a Cardimi La marchi, B,eeve, a ghiaie con tufi vulcanici. 11 socio Meli parla di una lapide, esistente in Bagnorea (circondario di Viterbo), murata al di sopra della porta d’in- gresso del palazzo comunale, nella quale si fa parola del ter- remoto ivi avvenuto nell’anno 1695, che riuscì disastroso per quella regione e distrusse Bagnorea e Civita. Su questo terremoto, che fu certamente il maggiore dei ter- remoti corocentrici avvenuti nella regione vulsinia, de’ quali si abbia notizia, egli possiede nella sua biblioteca una pubblica- zione sconosciuta a tutti coloro che si occuparono di bibliografia sismica d’Italia, col titolo: Nuora e. più distinta relatione | Del spaventoso \ Terremoto | Successo in Oruieto, in Bagnarea, et altre Città e Luoghi. | conuicini nel mese di Giugno M.DC.XCV.\ Rara placchetta in-fol. di due carte, stampata in Orvieto per LÀvio Tosini stampato r publico M.DC.XCV. V E una interessante relazione delle scosse risentite nella notte del sabato 11 giugno 1695. La prima scossa avvenne alle 4 di notte; poi se ne ebbero altre successive, tra le quali una for- tissima alle 7 del mattino. Yi si fa menzione dei danni pro- dotti, specialmente in Orvieto e dintorni, non che in Bagnorea. Porauo, Castelrubello, Sucano (oggi Sugano), Lubriano, Celleno, Bolsena, Montefiascone, Assisi. La scossa delle ore 7 ant. fu risentita « non senza grande apprensione » anche a Roma. L’epicentro di questo terremoto fu in Bagnorea (vedasi in Baratta M.. L terremoti d’Ltalia. Saggio di storia, geografia e XLVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE bibliografìa sismica italiana , Torino, 1901, pag. 182-184 e fig. 12 a pag. 183, ove trovasi segnata la posizione della zona epicen- trale e eli quella dei danni gravi). La lapide è dedicata al pontefice Innocenzo XII, per avere inviato un grande e generoso sussidio in danaro alla città, ri- dotta in mine, a causa dell’anzidetto terremoto qualificato come assai dannoso (terraemotus buie civitati die XI J uni j MDCXCV nimis perniciosi . . .). Il socio Meli avverte che ha riunito una serie di pubbli- cazioni nelle quali si fa menzione del terremoto del 1695, che potrebbero servire come appendice bibliografica ad una nota che ha in animo di scrivere su questo argomento e nella quale riporterà il testo della lapide. Il socio Clerici presenta un campione di farina fossile a diatomee d’acqua dolce affiorante al Borghetto, quasi a livello del lago di Bolsena, sotto una pila di tufi potente almeno 150 m. Tale rinvenimento verrebbe in appoggio alla supposizione che l’area geografica del lago intersechi quella corrispondente ad una distesa lacustre esistita in altri tempi ; e completa altri precedenti rinvenimenti. Egli spera nel corso dell’anno di poter licenziare alla stampa la carta diatomeifera della regione Vul- sinia. Ma le indicazioni contenute in questa carta, per essere apprezzate al giusto valore, rendono necessario il raffronto con una carta geologica di quella importante regione. E poiché già l’Ufficio geologico lia rilevato accuratamente e tiene esposta nei suoi locali una bella carta geologica, egli esprime il voto che al più presto sia messa a completa disposizione degli studiosi col pubblicarla e prega il Presidente di portare questo voto a nome della Società in seno al R. Comitato geologico. Non essendovi osservazioni in contrario, il Presidente dice che parteciperà detto voto alla prossima adunanza del R. Comi- tato geologico. Essendo esaurito l’ordine del giorno, la seduta è tolta alle 11.45. Il Segretario Enrico Clerici. LA MONTAGNOLA SENESE Note raccolte dal presidente A. Verri per guida alle escursioni della Società geologica italiana nell’anno 1903. (Con tuia tavola) Oltre alle notizie che riassumo in queste note, ci sarebbe molto da dire riguardo alle divergenze circa il modo di consi- derare taluni problemi geologici, che presenta il territorio Senese : ma, solo ad accennarle, bisognerebbe scrivere un volume. Coloro che, per l’occasione, desiderassero prendere in esame quelle diver- genze, possono trarre gli appunti che credano opportuni dagli scritti originali. Il riferire una opinione piuttosto che l’ altra, tra quelle manifestate — e per quanto io sappia non ritirate — non deve essere preso nel senso, che intenda proferire giudizio in merito: pel quale giudizio mi mancherebbe competenza. Poi- ché, per cortesia dell’ Ufficio geologico, posso annettere una car- tina di guida tratta dai suoi rilevamenti inediti, tanto utile per orientarci nelle escursioni, naturalmente devo esporre nelle spie- gazioni i criteri di chi 1’ ha rilevata. Mi spiacerebbe se, nonostante le cure poste nella compila- zione di queste note e di quelle sul Monte Amiata, avessi om- messo di riferire pensieri originali di scrittori, e non avessi apprezzato ed interpetrato bene il pensiero di quelli citati; più ancora mi spiacerebbe se le inesattezze riguardassero studi di scrittori defunti. Qualora ciò fosse, prego che le corregga quegli che vorrà incaricarsi dei resoconti delle escursioni. M’ è grato ripetere qui, dove ne appare evidente l’ utilità, i ringraziamenti a S. E. il Marchese Durand de la Penne, Ispet- tore generale del Genio militare, pel favore speciale ottenuto mercè il di lui patrocinio da S. E. il Ministro della Guerra, percui m’è dato unire alle note descrittive delle escursioni da fare nell’ anno le cartine geologiche, senza che la Società sia obbligata a spese. Le quali avrebbero costretto a diminuire le 1 q A. VERRI pagine del Bollettino, con scapito delle comunicazioni contenenti osservazioni originali. Sembra che l’ Arduino sia stato il primo a parlare dei marmi della Montagnola Senese (1774); ma il Brocchi fu il primo, che abbia dato qualche cenno sulla geologia del territorio di Siena (1814). Cenni litologici sulle rocce sono nel Dizionario del Repetti (1833); osservazioni più importanti si hanno nella Carta mineralogica del Giuli (1843); altra descrizione litologica fu fatta dal Begni (1848); qualche notizia sta nell’opera sulla Geo- logia toscana di Savi e Meneghini (1851). Poi il Campani pre- sentava studi redatti in modo scientifico più particolareggiato (1862-65-72). D’Achiardi nel 1872 manifestò l’idea, che la Montagnola avesse una storia diversa da quella della Catena metallifera, ed, essendo sollevata in epoca recente, appartenesse alle colline subappennine; che, almeno durante una gran parte del Pliocene, fosse ridotta a semplice scoglio sottomarino. II Ca- pellini disegnò per la prima volta una sezione lungo il torrente Rosia, e la sezione sotto Monte Luco, che è la seconda pubbli- cata dopo quella del Campani (1872). Seguono questi gli studi del De Stefani (1875-76-77). Nel 1877 il Pantanelli pubbli- cava una carta geologica dei dintorni di Siena; nell’anno stesso pubblicava una memoria sugli strati miocenici del Casino — a nord-est del Monte Maggio, tra questo ed i monti del Chianti — riferendoli al Miocene superiore (!). Nel 1878 il Pantanelli ed il Lotti pubblicavano alcune loro idee sulla posizione stratigra- fìca dei marmi; negli anni 1879-80 il De Stefani pubblicava la Monografia della Montagnola Senese, dalla quale ho tratte queste notizie bibliografiche. Incaricato dall’Ufficio geologico di eseguire il rilevamento dei terreni della Montagnola, il Lotti ne riferì in una pubbli- cazione del 1888; dalla quale appare questa natura e succes- sione nelle rocce. (') Dalla bibliografia di questa memoria si conosce che scrissero sulle formazioni mioceniche del Casino: Soldani (1789), Capellini (1872), Campani (1873), Riitimoyer (1874-78), Pcruzzi (1870), Forsyth Major(1876), De Stefani (187G-77), Fuchs(l877), Gaudry (1378). LA MONTAGNOLA SENESE 3 Permiano. Gli strati più antichi della Montagnola sono costituiti da scisti micacei in parte argillosi, in parte arenacei ; da arenarie quarzitiche, da conglomerati quarzosi. Tale formazione equivale al Yerrucano dei monti Pisani. Trias (grezzoni). Si chiamano grezzoni quei calcari compatti o subcristallini, che nelle Alpi Apuane si trovano quasi dappertutto alla base delle masse marmoree. Percossi emettono odore fetido. La struttura della roccia apparisce al microscopio come una massa granu- lare, in cui sono disseminati porti ri camente rari cristallini di calcite orientati in varie direzioni. Le masse dei grezzoni sono di forma amigdalare, perciò le rocce permiane a volte ne sono coperte, a volte no. Trias (marmi e scisti). La formazione marmifera, costituita da calcari cristallini, cal- cescisti, calcari compatti o subcristallini con selce, scisti argil- losi, scisti silicei, è collegata intimamente ai grezzoni sottostanti ed al calcare rctico sovrapposto, mentre è dappertutto indipendente da quella del Permiano, colla quale viene in contatto dove man- cano i grezzoni. Presso Tegoia scavasi marmo bianco, talora a grana di sta- tuario, pei restauri del Duomo di Siena: quel marmo è alquanto difettoso, presentando marcata fissilità in varie direzioni, e con- tenendo vene sottili e mosche giallo-chiare dovute a secrezioni e concrezioni ferruginose. Il passaggio dal bianco al marmo giallo è graduale, e possono osservarsi alcune masse gialle all’esterno, che sfumano in bianco candido nella parte centrale. Presso Montarrenti si hanno varie cave del marmo giallo di Siena: alternano col bianco, e sfumano l’uno sull’altro. Il più bel marmo è quello brecciato giallo con vene di ematite; questa varietà trovasi associata al marmo giallo uniforme, che passa 4 A. VERRI talvolta in roseo, e ad una breccia di marmo giallo e bianco. La massa marmorea di Montarrenti, nella quale prevale il cal- care cristallino bianco, si estende formando una zona continua lunga circa otto chilometri, larga uno. Sopra Gal lena si hanno varie cave di marmi bianchi, spesso venati. La massa di Marmoraia è la più estesa e potente dopo quella di Montarrenti. Tra Scorgiano e Marmoraia si hanno bei cipollini, con mandorle di statuario purissimo, ed una breccia colorata che ricorda il paonazzetto di Carrara. Tra Marmoraia e Mucellena trovasi il bardiglio fiorito. Predomina in quei din- torni il marmo bianco, mentre a poca distanza, sulla via di Lucerena, ricompare il giallo pieno di crinoidi e sezioni di gaste- ropodi. Nei dintorni di Marmoraia e Lucerena si hanno le più belle varietà di marmi: ve ne sono verdi e neri, o almeno grigio-cupi, a Gioma; bianchi o giallo-chiari alle Marmoraie; grigi venati al Poggio alle Case; violetti, carnicini e brecciati (broccatelli) presso Lucerena. I broccatelli sono composti da frammenti o piccole amigdale di marmo giallo, carnicino e vio- letto, impastate da uno scisto violetto di tinta più intensa. Il marmo violetto è spesso pieno di articoli di crinoidi. Trias (r etico). Il calcare retico è in generale cavernoso, grigio, dolomitico. A nord del Monte Maggio è spiccatamente cristallino a grana fina, bianco, grigio-chiaro, grigio-cupo ed anche roseo, talora brecciforme coi frammenti cristallini ed il cemento ferruginoso. Il calcare grigio è sempre alquanto fetido; ma questi calcari retici odorano di idrocarburi anche quando sono di colore chiaro. Il calcare bianco ha quella lucentezza madreperlacea propria delle rocce dolomitiche. In alcuni punti si associa, al calcare cavernoso, un calcare minutamente cristallino rosso o roseo. Mentre in generale il calcare retico non presenta traccia di stratificazione, là manifesta localmente strati regolari di 5 a 10 centimetri di spessore; in tal caso è più omogeneo, non è varicolore, ed ha grana cristallina uniforme. La struttura cavernosa è quella che predomina, dovuta alla natura magnesiaca della roccia. LA MONTAGNOLA SENESE 5 Il calcare cavernoso della Montagnola non c ricoperto da terreni immediatamente consecutivi ; ma posano su esso con di- scordanza formazioni dell’ Eocene, del Miocene, del Pliocene. Eocene. La Montagnola Senese manca di rocce liasiche e cretacee. L’Eocene è rappresentato da rocce calcareo-argillose con masse oiìolitiche. Miocene. Il calcare retico della Montagnola, specialmente nelle parti più basse, è coperto da una breccia composta di frammenti della roccia sottostante, cementati da calcare concrezionato giallastro, simile al travertino. Essa predomina nei dintorni di Ceti naie e di Santa Colomba, ed estendesi dipoi verso le Masse di Siena, ove vedesi affiorare in Val di Pressa, al Pietriccio, a Poggiarla sotto alle sabbie marine plioceniche. Presso Matrano in Val di Bipoli la breccia racchiude strati di sabbia grossolana cemen- tata; presso Marciano passa ad un conglomerato dello stesso materiale. Un fatto analogo verificasi presso Monteriggioni, ove la breccia divenendo conglomerato esce fuori dall’area occupata dal calcare retico, ed estendesi verso levante fino alla miniera lignitifera del Casino. Quivi riposa su marne sabbiose e ciot- toli, forse di origine lacustre, riferibili al Miocene superiore. Lungo la trincea della ferrovia, tra Monteriggioni e la galleria di Fontebecci, il conglomerato di calcare cavernoso apparisce stratificato in banchi leggermente inclinati, con alternanze sab- biose e calcaree. Il calcaree in letti sottili, concrezionato, bianco e rosso mattone; le sabbie sono calcaree. Questa formazione vedesi sottostare alle sabbie marine plioceniche presso Uopini e Farncta. La formazione miocenica segna un periodo di denudazione, e quindi di emersione anteriore al deposito del vero e proprio terreno pliocenico, costituito dalle argille e dalle sabbie ma- nne. 6 A. VERRI Pliocene. Nella Montagnola è composto da sabbie con ciottoli coperte da banchi di Ostriche, e da calcare ad Anfistegine e Nullipore, che passa lateralmente a sabbie gialle. Posa direttamente o sul conglomerato miocenico, o su le formazioni antiche ; mostrando che la Montagnola fu, in parte almeno, sommersa durante il Pliocene, mentre era emersa nel Miocene. Quaternario. La parte più antica del Quaternario è costituita da ciottoli in terrazze, che s’ incontrano lungo le valli principali, lateral- mente ai corsi d’acqua, e ad altezze di 10 a 15 metri sul loro letto; da travertini sviluppati specialmente a nord della Mon- tagnola. Alla parte più recente del Quaternario si dovranno forse riferire le terre rosse, che coprono la parte pianeggiante delle colline formate di calcare cavernoso, e il fondo delle valli in esso scavate; nonché certi depositi di colmata, clic riempiono i bacini palustri di Toiano e di Pian del Lago, forse originati da fenomeni carsici. Depressioni crateriformi più piccole, che devono avere avuta eguale origine, sono sparse in vari punti del Monte Maggio. Il Lotti, a chiusa delle osservazioni, dà un cenno della sor- gente avventizia del Luco, clic scaturisce a Barigiano presso Kosia, al limite tra il monte calcareo e la pianura. L’efflusso della sorgente avviene assai di rado, e sempre 4 o 5 mesi dopo un periodo estremamente piovoso. Ha intervalli d’ inattività va- riabili da 3 a 10 anni, ed il periodo attivo dura di solito pochi mesi. Il massimo delle emissioni oscilla tra 6 e 40 litri al mi- nuto secondo. I terreni che assorbono l’acqua sono i calcari cavernosi; il letto impermeabile, che la trattiene, è dato dagli scisti argillosi sottoposti a quei calcari. Dalla relazione del Lotti si conosce che il Marchese Chigi segnalò, nel 1872, al Congresso dei naturalisti italiani, alcuni affioramenti di rocce permiane; che esso ha copiosa collezione di cristalli di quarzo, raccolti negli scisti della zona marmifera; LA MONTAGNOLA SENESE 7 ha esplorato una caverna presso Cetinale; tiene in osservazione i fenomeni della sorgente avventizia del Luco, dalle quali os- servazioni il Lotti ha preso i dati che riferisce. Dalle stesse sarebbe dimostrato il detto antico del luogo: che quando il Luco tira, fa carestia, o sono prossimi i terremoti. Ad occidente la Montagnola è separata dai poggi eocenici di Eadiconcoli per la valle dell’Elsa, il quale fiume corre verso nord, tagliando poi sino a Poggibonsi estese formazioni di tra- vertino. Quella regione travertinosa è stata illustrata da Del Zanna negli anni 1899-1901, con comunicazioni inserite nel Bollettino della Società: nelle quali sono studiati i processi delle incrostazioni, i fenomeni carsici frequenti nel Monte Maggio, i laghi di S. Antonio a nord di quel monte. Applicando i criteri svolti nel dimostrare la geografia fisica dell’ Umbria (1902), coi quali si spiega la struttura delle una volta chiamate ellissoidi del Monte di Cetona, dei monti Malbe, Tezio ed Acuto, del Monte Subasio, eziandio la Montagnola Se- nese a me appare come un grande frammento troncato ad ovest, declive verso nord e verso est. Pur tenendo conto della denu- dazione per le azioni erosive, attribuirei sopratutto agli scorri- menti delle masse la mancanza delle formazioni posteriori al Ketico; e così alcune delle discordanze, che si vedono nella stratificazione delle rocce che compongono quel rilievo. Pel cal- colo dei piegamenti degli strati, crederei che si debba tenere conto degli effetti di tale movimento; in specie delle reazioni tra le forze che tendevano a far scorrere le masse, e le resi- stenze derivanti dai contrasti opposti al loro scorrimento. Ad est della Montagnola si distende l’ampia depressione, colmata dai sedimenti del mare pliocenico; la quale, dalle contrade di Empoli, per Radicofani e la Yaldichiana viene alla valle inferiore del Tevere, disegnando una zona parallela al sistema apenninico. Oggi la Montagnola, col Monte Maggio, spinge come un promontorio entro le sedimentazioni plioceniche. Dagli studi che ho riferito, appare che, nel periodo del mare pliocenico, anche quel promontorio sia stato coperto dalle acque: bensì la qualità dei depositi indica che la profondità marina 8 A. VERRI ivi era molto minore, che vi affioravano scogliere; che sino dal periodo del Miocene superiore, là mancavano i terreni poste- riore al Retico. Il Campani, il Pantane-Ili, il De Stefani hanno pubblicato studi dettagliati sulla formazione pliocenica del territorio se- nese. I sedimenti pliocenici sono composti da ghiaie, sabbie, argille; con prevalenza di queste, scendendo verso il sud, nel canale pliocenico di Radicofani, mentre le sabbie, i ciottoli prevalgono nel canale della Yaldichiana, lungo il litorale che limitava il mare pliocenico dalla parte delle terre apenniniche. Il De Stefani (1876) manifestò l’opinione che i termini di Astiano, Piacentino, Zaneleaiio, adottati per distinguere piani del Pliocene secondo la loro antichità, fossero interamente si- nonimi tra loro, e rappresentassero soltanto aspetti o litorali, o d’alto fondo dei sedimenti marini pliocenici. Con questo punto di vista considerò poi i varii depositi pliocenici, litologicamente differenti, del territorio di Siena. Quasi da per tutto, egli scrive, presso i litorali si trovano depositi con fauna così detta Astiami; lontano dai litorali si trovano argille con fauna detta Pia- centina o Zancleana. Si trovano in molti luoghi sabbie e faune lito- rali, sovrapposte alle argille ed alle faune di mare profondo ; ma non si può basare su questo fatto differenze di età. Ciò vuol dire che, o riempimento o sollevamento che fosse, un mare meno fondo succedeva in quel luogo ad un mare più fondo (1880). Nel 1881 il De Stefani ripeteva l’opinione medesima, ag- giungendo, clic solo si potrebbero considerare come zona supe- riore del Pliocene gli strati sabbiosi con Cyprina islandica, i quali potrebbero essere anche riguardati come parte inferiore del Post-pliocene. Nello stesso scritto poneva nel Piano politico, del Miocene superiore, la formazione con ligniti del Casino studiata dal Pantanelli. Il quale aveva notato che gli strati miocenici del Casino, aventi una fauna più decisamente di acqua dolce, sono coperti da marne a Cardiuni e Cerici, testimoni d una fauna di acque salmastre; che in genere i sedimenti salmastri o ma- rini del Pliocene, si sovrapposero ai depositi delle paludi mio- ceniche (1879). fs \ \ uuio •tano 'ffionÀUt •ùislo Partirmi' 'ustrlhti twY ui trio Umttbi DELLA MONTAGNOLA SENESE (dai rilieri inediti del R. Officio geologico) Scala 1 : 100 000 litri yfyfhfrhfi Boll. Soc. (/eoi. it., Voi. XXII, Tav. la Quaternario Pliocene Miocene Eocene Argille, calcari arenarie Rocce ofiol itiche VERRI, Escursioni della Soc. geol. nel 1903. Trias Permiano Retico Zona degli scisti Zona dei marmi ardesiaci e dei grezzoni IL MONTE AMIATA Note raccolte dal presidente A. Verri per guida alle escursioni della Società geologica italiana nell’anno 1003. (Con una tavola) Davanti all’ultima catena apenninica, che chiude le conche umbre, stendesi larga e lunga depressione, colmata da sedi- menti pliocenici marini e maremmani. Divide la depressione una linea di poggi mesozoici ed eocenici, sorgenti in mezzo a quei sedimenti: capi saldi di catena antica sommersa al chiu- dersi del periodo terziario; e della quale le vette maggiori co- stituivano scogliere ed isolotti, tra cui principale quello dell’at- tuale montagna di Detona. Nella zona orientale della depres- sione le acque ed i movimenti sismici hanno generato una valle longitudinale, parallela alla direzione delle catene apenniniche; nell’altra le acque, spartite a destra e sinistra, hanno lasciato un dorso trasversale, su cui torreggia il picco vulcanico di Kadico- fani. Limitano ad occidente la colmata pliocenica le montagne di Castellazzara, del l’Armata. La bibliografìa scientifica della regione amiatina è ricca, ma non è facile a tutti trarne appunti, per orientarsi in quel complesso di fenomeni che presenta il paese. Perciò ho pensato di trarne questo sunto di guida alle escursioni, che ci propo- niamo fare in quelle interessanti contrade. Per brevità e chia- rezza, atteso lo scopo cui deve servire lo scritto, ho omesse nelle recensioni le opinioni definitivamente cadute, riferendo solamente le meglio accertate, e quelle sulle quali la discus- sione può esercitarsi ancora con profitto. Affine di tenere unità nella esposizione, riferisco anche le osservazioni ed idee da me emesse nel passato, col metodo medesimo di recensione biblio- grafica adoperato verso gli scritti degli altri. 10 A. VERRI Come apparirà nella descrizione, molti problemi della più grande importanza, per la scienza in se stessa e per le sue utili applicazioni, attendono ancora colà la soluzione definitiva dagli studi dei cultori delle dottrine geologiche e mineralogiche. I. Formazioni mesozoiche. Da quanto ho potuto rintracciare, il Caillaux per primo avrebbe accennata la presenza di rocce mesozoiche sulla super- fìcie del sistema montuoso amiatino: indicava egli, sotto al cal- care nummulitico, argille scistose rosse, ftaniti, scisti turchinicci e verdastri, calcari dendritici con selce, calcari grigi (1850). Il Verri dipoi segnò le rocce mesozoiche nella struttura del Poggio Zoccolino, e dei monti di Castellazzara (1877). Il Lotti indicò terreni, ritenuti cretacei perchè sottostanti alla formazione nummulitica, costituiti da calcari grigio-chiari zeppi di foraminifere microscopiche, scisti e calcari rossi molto argillosi; soggiungendo che raggiungono il massimo sviluppo nella parte occidentale del Monte Annata, e compariscono eziandio a mezzogiorno sotto il Monte Labbro, presso Cellena e Castellazzara; nella quale formazione trovasi il minerale di manganese, ed associato un minerale di rame, di cui fa men- zione il Labbroni. Scrisse che le pendici sud-ovest dei poggi di Buceto, del Madonnine, della Faggia, dell’Aquilaia ed altri che sovrastano a Vallerona c Stribugliano, sono tagliate vertical- mente, e presentano le testate degli strati; ma nella sezione disegnò le formazioni di quei poggi disposte secondo una piega anticlinale, nella quale il vedersi le testate tronche degli strati sarebbe effetto della erosione (1878). Nel 1885 il Verri accennò alla presenza del Lias, nel ver- sante del Poggio Zoccolino dalla parte dei bagni di S. Filippo, e notò che nella formazione Basica si ha là troncatura con salto. Il De Ferrari (1890) distinse nel terreno cretaceo il piano Senoniano, indicandolo, nella miniera del Cornacchino, composto da calcari e scisti rossi, policromi, diasprini, manganesi feri • riferì al Neocomiano il calcare con selce sottostante; al Pitonico le ftaniti, ed il calcare loro sottoposto. Notava discordanze, per JL MONTE AMIATA 11 le quali il Senoniano a volte posa sulle ftaniti, e talvolta sul calcare inferiore. Nella carta geologica segnò la formazione cre- tacea sui monti di Aquilaia, del Buceto, al piede occidentale del Monte Labbro, sulla zona tra Roccalbegna e Samprugnano; le formazioni cretacee e ti toniche sulle alture di Castellazzara e Monte Yitozzo. Disegnò alcune sezioni, nelle quali le forma- zioni mesozoiche appaiono costrurre con anticlinali i monti in- dicati. Il Novarese, l’anno 1895, espose che, nel rilevare col Lotti la carta geologica, questi aveva trovato la Posydonomia Bronni sopra alle ftaniti, ed egli frammenti di ammoniti del Lias medio o inferiore nel calcare sottostante alle ftaniti; che aveva osser- vato passaggio graduale dal calcare superiore alle ftaniti: perciò essere d’avviso che tutte tre quelle formazioni, nel luogo del Cornacchino, si possano considerare come appartenenti al Lias. Il Lotti nel 1901 riferì che, nella massa detritica dell’Ab- badia S. Salvatore, aveva trovato frammenti di calcari con Posydonomia Bronni, di ftaniti, di diaspri come quelli in posto al Cornacchino. Nel 1902 presentò questa serie per le forma- zioni mesozoiche: Scisti argillosi e calcari rossi e grigi a fucoidi, alternanti con banchi di brecciole calcaree rossastre a denti di pesce, e con scisti manganesiferi (massa riferibile forse in parte all’Eocene, ed in parte al Cretaceo). Diaspri rosso-cupi manganesiferi, e scisti grigi e violetti (Senoniano). Scisti argillosi varicolori, ardesiaci (parte superiore del Lias superiore). Scisti fogliacei con strati sottili calcarei, calcari grigi con Posydonomia Bromi, scisti argillosi giallastri con P. Bronni ed Aptycus (Lias superiore). Diaspri verdi, violetti o giallastri, sottilmente stratificati (ftaniti) (Lias superiore). Calcari grigio-chiari con selce (Lias medio). Calcare grigio-chiaro, o bianco, massiccio, con vene di cal- cite, separato qua e là dai precedenti per mezzo di pochi strati di calcare rosso (Lias inferiore). Le due ultime zone visibili solamente al Poggio Zoccolino. 12 A. VERRI In questo scritto il Lotti presenta una sezione del Monte Annata, passante per le frane dell’Abbadia, nella quale segna sotto alla trachite una anticlinale mesozoica, sul cui vertice stanno le rocce basiche, i frammenti delle quali aveva trovati nella massa detritica. In relazione al modo di vedere i movimenti delle masse, esposto nel descrivere la Geografia tisica dell’Umbria (1902), sembra a me che gli affioramenti mesozoici, anziché pieghe anti- elinali, rappresentino frammenti coi piani di rottura variamente orientati. Sarebbe il piano di rottura verso ovest o sud-ovest nei monti di Castellazzara ; verso est o sud-est nel Poggio Zoccolino, e nel probabile frammento sottostante alla trachite dalla parte dell’Abbadia. 11. Formazioni eoceniche. 11 Pareto indicò la base del Monte Annata, come composta principalmente da calcare alberese c da arenaria macigno, i cui strati sono molto sconvolti ed alterati ; segnò serpentine attorno al monte (1841-44). Anche il Giuli segnò rocce serpentinose nel sistema montuoso amiatino (1843). Il Caillaux poneva il calcare nummulitico sotto i galestri, qualche volta screziati, le arenarie con impressioni carboniose, ed i calcari marnosi a fucoidi (1850). Il Cocchi pose il nummulitico nella parte inferiore del terziario inferiore, e nel terziario medio la serpentina (1856). Il Campani indicava, alla base della trachite, il monte composto da calcari alberesi e qualche macigno a strati molto sconvolti (1865). 11 Lotti scrisse che gli strati eocenici sono costituiti in gran parte da arenarie, scisti arenaceo-micacei, calcari alberesi, scisti cal- carei ed argillosi, calcari frammentario-spatici, e puddinghe con mummuliti - che in varii punti, e sempre in terreni eocenici, compariscono rocce ofìolitiche costituite prevalentemente da eufo- tide c serpentina diallagica con masserelle steatitose, rifioriture di carbonato di rame, pirite di ferro, ecc. - che gli strati num- mulitici trovansi costantemente alla base (1878). Il De Stefani indicò nell’Eocene inferiore i calcari nummuli- tici di Campiglia d’Orcia, Castellazzara, Selvena, Elmo - l’Eo- cene superiore con rocce ofìolitiche in parte dell'Annata (1881). Hi MONTE AMI ATA 13 Il De Ferrari scrisse che la formazione eocenica pare possa dividersi in tre piani: in basso il calcare nummulitico; sopra scisti varicolori generalmente grigi e verdognoli, alle volte anche rossi, con calcare alquanto simile al paesino, e qualche strato di macigno ; sopra, con passaggio graduale, scisti argillosi, are- nacei, marnosi, galestri e calcari alberesi, argille scagliose. Nelle parti alte del piano medio ed in quello superiore, diabasi e ser- pentine alla Triana, all’ Elmo, alla Senna, a Casa di Paolo ; brecce serpentinose a Spolvera Volpi, Santa Fiora, presso il ponte della Scala sulla strada dai Terni a Santa Fiora. Notato che il calcare nummulitico in qualche luogo manca, dice che la discordanza potrebbe spiegarsi con eventuale faglia, o colla deposizione del nummulitico in lenti qua e là tra scisti argillosi. Nelle sezioni da esso disegnate, una mostra completo il piega- mento sinclinale delle masse nella valle della Fiora, tra i monti di Catabbio e di Castellazzara (1890). Il Lotti nel 1902 così stabilisce la serie eocenica: Scisti argillosi e calcari marnosi, questi talvolta riuniti in grossi banchi ; masse di eufotide ed altre rocce serpentinose (Eocene superiore). Arenaria, la quale, costituendo masse amigdalari, termina a volte in cuneo dentro le rocce suindicate. Calcare nummulitico in grossi banchi, alternanti con letti argillosi grigi e rossastri, e con strati di calcare con selce. Sembra sostituire in parte l’arenaria, ed in tal caso ha potenza notevole. III. Formazioni mioceniche. Il Campani riportò la sezione dettagliata del pozzo S. Gia- como, nelle cave di lignite della Yelona, poco distante dalla stazione ferroviaria di Monte Amiata : nella quale, sino alla pro- fondità di 158 metri, si vedono alternanze di arenarie, argille, ligniti, con grande prevalenza delle argille; da 158 a 197 metri alternanze di argille e calcari fetidi (1868). 11 Novarese, rilevando la Carta geologica, segnò terreno mio- cenico molto sviluppato nelle pendici che costeggiano il fiume Ombrone, ed esteso lungo il fiume Orcia a monte ed a valle della stazione di Monte Amiata. Fra Cinigiano e Paganico, descrive 14 A. VERRI una serie formata da alternanze di marne con frammenti di tronchi lignitizzati, conglomerati e sabbie con lenti non molto estese di arenarie assai dure a cemento calcareo. A Batignano il Miocene termina con banchi di calcare marnoso fetido. Ri- ferita la formazione al Piano poutico, nota che in qualche luogo si vede posare sopra l’Eocene contenente masse di serpentina - che gli strati salmastri del Miocene superiore sono coperti par- zialmente dal Pliocene marino; ma, quando mancano fossili, la distinzione tra Pliocene e Miocene è molto difficile, per la grande analogia litologica. Però, dove si può vedere la inclinazione degli strati, si osservano i miocenici inclinati anche a 30° e più, mentre i pliocenici sono orizzontali o quasi. Accenna, per la formazione miocenica, potenza in media superiore a 50 metri, av- vertendo che a volte non deve essere inferiore a 100 metri (1897). IV. Formazioni plioceniche. Situato Radicofani sulla strada corriera Roma-Siena, la zona delle argille plioceniche, incuneata tra i sistemi montuosi amia- tino e cetonese, richiamò rattenzione degli studiosi sin dal prin- cipio, che furono incominciate osservazioni di questo genere. Nell’abbozzo di carta geognostica del Pareto, quella zona è trac- ciata si può dire colla precisione, con cui è disegnata nelle carte moderne (1844). Il Meneghini disegnava, neirabbozzo di carta geologica della provincia di Grosseto, estese formazioni plioceniche nelle vallate della Fiora e dell’Ombrone, sin vicino alle formazioni più antiche dell’Andata (18G5). Il De Ferrari notò presso Pian Castagnaio, sotto il podere Piccini alla sinistra del fosso l’Indovina, una brecciola conchi- glifera pliocenica all’altitudine di circa 750 metri; altra poco più di tre chilometri al nord-est di Rocca Albegna, all’altitu- dine di circa 700 metri. Concludeva che quei brani testimoniano essere stato, in quell’epoca, il terreno per la maggior parte sommerso, meno le cime più elevate, le quali formavano già l’ossatura della regione - che però la potenza dei depositi plio- cenici doveva essere poco considerevole, perchè deposti presso le rive, essendo già delineate le due alitici inali a destra e si- nistra del fiume Fiora - che difatti le brecciole conchigliferc, IL MONTE AMIATA IR di Pian Castagnaio e Roccalbegna, hanno il carattere di de- positi litoranei (1890). Il Lotti, nel rilevare la Carta geologica l’anno 1891, accor- gevasi d’altro brano pliocenico presso Pian Castagnaio, sotto- posto alla trachite. Nello stabilire poi la serie dei terreni, così indica il Pliocene marino : varii piccoli lembi di argille e sabbie cementate, concliiglifere, e di ciottoli forati dai litofagi (1902). V. Movimenti post-pliocenici. Il Savi segnava il lido del mare pliocenico nella regione toscana da Serravalle ai monti del Chianti ; indicava quel mare ingombro da molte isole, tra le quali due canali principali : uno tra la Montagnola Senese, ed i monti del Chianti ; l’altro tra quella Montagnola, e le isole del Massetano, Campigliese, ecc. Notato che ora quei canali sono occupati dai depositi pliocenici più elevati, oltrepassanti l’altitudine di 500 metri - che le al- timetrie dei sedimenti del mare pliocenico decrescono verso il nord-ovest, fino a non trovarne più nelle falde meridionali della catena apenninica che limita i piani lucchesi e pesciatini, con- cludeva per porre l’asse del sollevamento sulla linea tracciata da Donoratico verso la Montagnola Senese (1863). Il Verri prolungava il litorale pliocenico lungo il versante occidentale della catena che limita la Valdichiana ; vi segnava la foce d’un fiume avente il bacino imbrifero nell’Umbria set- tentrionale; riteneva i terreni, con fauna di acqua dolce e sal- mastra, della Valdichiana superiore, come composti in una ma- remma, separata dal mare pel protendimento della delazione di quel fiume. Davanti allo sbocco del fiume le scogliere e gli isolotti della catena del Monte Cetona ; più là l’isola amiatina e le altre indicate dal Savi. Considerate le altimetrie dei sedi- menti litoranei alla foce del fiume (Città della Pieve 520) e quelle di mare più profondo ad occidente (Radicofani 770); tenuto conto che nelle conche dell’Umbria ghinterrimenti plio- cenici stanno a quote inferiori a 500, concludeva: che nella linea, la quale dal Monte Annata, passando per Città della Pieve, prosegue nell’interuo dell’Umbria, il punto di Radicofani segnasse il massimo sforzo di sollevamento, con declinazione ad 16 A. VERRI occidente e ad oriente; dal quale lato invertendosi la pendenza dell’ultimo tronco del fiume pliocenico, questo avrebbe cessato di versarsi nella Valdichiana, e cercato più abbasso lo sbocco dal sistema apenninico. Anzi nel 1878 scriveva che, da qua- lunque parte guardasse, vedeva attorno Eadicofani come uno sfasciamento del primitivo livello dei depositi del mare plio- cenico. Considerava la così detta catena metallifera, da lui indi- cata col nome di sistema tirreno, come composta di masse tutte rotte e disarticolate, per una rete di fratture che solcano quelle contrade (1877-78-89). Nel 1902 mostrò anche il sistema apen- ninico dell’Umbria come solcato da una rete di fratture; per cui le catene montuose sono costruite da frammenti con posizioni di equilibrio differenti, le vallate sono generate da disposizione a scaglioni dei frammenti lungo le linee di rottura principali . Il Pantanelli nel 1900 così si esprimeva: « Il sollevamento pliocenico è stato flessuoso, e da una regione di massimo, che trovasi a nord e attorno al Monte Cetona e alle pendici orien- tali del Monte Amiata, declina lievemente e irregolarmente al Tirreno molte sono le irregolarità che il sollevamento plio- cenico presenta qualora si esamini lungo le linee irradianti dal massimo accennato .... ». Il Lotti nel 1878 espresse l’opinione che il sistema dei monti amiatini, dopo o durante l’Eocene, abbia partecipato al solleva- mento dell’Apennino - che durante il Pliocene abbia subito abbassamento notevole, sino a ritornare per la massima parte in seno alle acque, dalle quali riemerse dopo il Pliocene. VI. Fase vulcanica del Monte Amiata. Pare che il Micheli pel primo abbia parlato delle rocce vul- caniche del Monte Amiata, facendole derivare da scompagina- mento di sottostanti graniti. Dice degl’inclusi nella trachite, chiamati volgarmente anime di sasso, indicandovi pure fram- menti angolosi che sembrano di alberese; è d’avviso clic il monte fosse ignivomo in tempo che le sue pendici erano emerse dal mare (1733). Il Santi credeva intravedere un avanzo del cratere principale del Monte Amiata nelle scogliere della vetta; opinava che vi fossero crateri secondari nella Valle dell’Inferno, nella IL MONTE AMIATA 17 Vallo grande, nella Valle piccola (1708-1806). Il Brocchi chiamò le rocce vulcaniche dell’Amiata lave necroliti, grecizzando il nome sasso morto dato dai paesani ad una loro varietà (1817). Il Repetti indicò una trachite scoriacea trovata entro un piccolo avvallamento chiamato la Piscina, nel lato orientale del monte verso la sommità : la quale trachite dice presentare molta somi- gdianza colla lava tefrinica di Acquapendente; e ritenne proba- bile che provenisse da eruzione di una bocca apertasi sul fianco del vulcano (1830). Il Pareto disse che l’eruzione delle trac li iti del Monte Annata avvenne allo stato pastoso ed in ter- reno eocenico da lungo tempo emerso, dopo la sedimentazione pliocenica - ne accennò una varietà, nella quale a volte la mica radunasi in piccolissimi e sottili letti, che danno alla roccia un aspetto stratificato, e quasi la fanno somigliare al gneis ; i quali letticcioli formano delle specie di banchi, ora alquanto arcuati, ora orizzontali - indicò inclusi di pezzi di altre rocce, e segna- tamente di tefrina rossiccia alquanto cellulosa (1841). Il Cocchi pose la trachite del Monte Amiata nel Terreno terziario supe- riore; vi indicò anche una trachite stratiforme (1856). Il Campani scrisse che, dal mostrarsi la trachite del Monte Amiata in masse sconnesse e disordinate, pare che la eleva- zione cui esse sono giunte sia dovuta non tanto alla loro eru- zione, quanto ad un successivo sollevamento. Opinò che la com- parsa della trachite sia posteriore, o degli ultimi tempi della sedimentazione pliocenica (1862). Il Ratli divise la trachite in riolite e trachite oligoclasica- sanidinica: la prima un miscuglio a grana mediocre di sani- dino, grani non cristallini grigi, mica di magnesia, oligoclasio e poca augite; l’altra piuttosto un porfido la cui pasta è di sanidino, oligoclasio e mica di magnesia, con grossi cristalli di sanidino sparsi nella massa. Indicò una trachite scoriacea verso le sorgenti della Fiora (1865). Il Verri, riguardo all’apparato vulcanico dell’ Amiata, disse che il cratere non è sul luogo del vertice del monte, ma deve ricercarsi sul fianco orientale, e che merita di essere studiato il Piano delle Macinale dove trovò una trachite scoriacea - che l’altezza cui si trova la trachite nella sommità del monte di- pende da sollevamento maggiore avvenuto dalla parte orientale 18 A. VERRI dopo le eruzioni - che il vulcano ani ialino ebbe più eruzioni, ed essere ciò dimostrato anche dalla interclusione dei frammenti delle colate più antiche in quelle più recenti (1877-78). Il De Stefani scriveva che il Monte Annata è costituito da trachite sanidino-oligoclasica senza quarzo, percui non avreb- besi lina vera riolite - che la trachite posa in banchi orizzon- tali, o per solito poco inclinati sopra gli strati assai pendenti dell’Eocene superiore - ohe in qualche luogo, come ad esempio al Vivo, assume l’apparenza di colata; e perciò si può ritenere trattarsi d’un vulcano vero e proprio - che l’epoca delle eru- zioni sembra post-pliocenica, non trovandosi ghiaie trachitiche neanche negli strati più recenti del Pliocene (1878). Il Lotti, per la stessa ragione, pose le eruzioni trachitiche posteriori al Pliocene - l’eruzione sul fianco orientale della ca- tena formata dai monti Aquilaia, Buceto, Labbro. Osserva che, nel complesso, la massa trachitica presentasi alla superficie come un cumulo di smisurati blocchi più o meno arrotondati - che sui punti culminanti e nelle balze, ove la roccia mostrasi a nudo, si vede in essa una grossolana divisione prismatica - che presso Santa Fiora ed in altri luoghi notasi struttura strati- forme: trattarsi di veri e propri strati di spessore variabile, ma costante per ognuno di essi, ripiegati e contorti alla stessa guisa degli strati sedimentari, mentre non possono considerarsi come formazioni tufacee - che la trachite non presenta numerose e notevoli varietà: quella che può dirsi costituire la massa prin- cipale del monte, e predomina verso la base, è una trachite a piccoli elementi (trachite riolitica del Patii - peperino dei pae- sani) ; l’altra varietà compone quasi esclusivamente la parte oc- cidentale della montagna fin presso la cima: è simile alla pre- cedente, ma contiene grossi cristalli di sanidina distribuiti por- firicamente - che non ha incontrato in posto varietà di trachite cellulosa o scoriacea, ma ne ha veduta solo negl’ inclusi detti anime di sasso, i quali inclusi trovansi sparsi su tutta la massa trachitica, persino sulla vetta del monte - clic gl’ inclusi più frequenti sono frammenti rotondeggianti di rocce eruttive, e frammenti di una roccia costituita per intiero o in parte di grafite compatta - che i primi hanno forma ellissoidale sino a 20 centimetri di diametro; se più grandi sono soltanto arro- ii, munte amiata 19 tondati negli angoli, e ve ne sono con diametro di più che 60 centimetri: gli pare problematico il perchè dell’ arrotonda- mento della loro forma. Descrive diversi incinsi, soggiungendo che nel complesso presentano una certa analogia colle rocce peridotifere di Radicofani, ma vi manca tra altro l’olivina. Nota che non si vede alterazione nel contatto tra la trachite e le rocce sedimentarie. Dice che il monte manca di vero e proprio cratere; che non vi si osservano vere e proprie correnti lavi- che; che le varietà della trachite da lui vedute in posto non possono considerarsi come prodotti di diverse eruzioni : bensì è forza ritenere dovute ad eruzioni distinte la trachite ordinaria e la roccia doleritica cellulosa, da cui provengono nella mas- sima parte le anime di sasso ; essere più plausibile ritenere quest’ inclusi come divelti dalle formazioni interne del monte, e forse l’eruzione della massa includente preceduta da altre di lave più basiche. Notata la ricchezza del contenuto in silice (secondo il Ratli 67.06), spiega la mancanza di esplosioni vio- lente col funzionamento della silice da elemento di cristalliz- zazione; a differenza di quel che avviene nelle lave basiche, dove l’elemento di cristallizzazione è l’acqua, che tende a con- vertirsi in vapore determinando tensioni poderosissime, energi- che azioni molecolari. Il magma sarebbe traboccato tranquilla- mente sulla superficie, senza grande sviluppo di vapore acqueo, disponendosi in forma di cupola o di mantello; il monte rag- giunse poi la elevazione col concorso del sollevamento post- pliocenico (1878). Il AVilliams divise le rocce trachiticlie del Monte Amiata in due gruppi: rocce a base vitrea pura, con piccole inclusioni; rocce nelle (piali dalla base vitreo-microfelsitica si segregarono grandi elementi cristallini (quelle nelle quali stanno grossi cri- stalli di sanidina). Suddivise il primo gruppo nelle varietà: rocce granitoidi chiare a grana fina (peperino dei paesani), rocce nere (quelle dove appare la disposizione stratiforme, la quale schistosità attribuisce alla disposizione parallela delle la- mine di mica). Tutte le varietà descritte appartengono ad una sola eruzione; e l’aspetto è differente in relazione alla influenza delle circostanze locali, nelle quali avvenne il consolidamento. La maggiore quantità di sostanza vitrea del primo gruppo di- 20 A. VERRI pende dall’essersi intercalata questa sostanza tra gli elementi cristallini, per la subitanea solidificazione di una parte del magma; mentre nel secondo gruppo gli elementi cristallini della roccia sarebbero formati dal magma solidificatosi più tardi e meno rapidamente. Appartengono al primo gruppo le rocce del margine del Monte Andata, al secondo quelle del centro; in nessun punto si vedono limiti definiti tra i varii tipi litologici. Il nome più appropriato sarebbe trachite contenente ipersteno e labradorite, la quale sui margini si avvicina alla liparite, ov- vero all’andesite. Il magma sarebbe finito allo stato di pasta scorrevole allorché traboccò dalla spaccatura - la direzione della spaccatura sulla linea tirata da nord-est a sud-ovest, sulla quale stanno le sorgenti minerali di S. Filippo, la vetta del monte, il Poggio della Montagna, il Poggio Pinzi; tra il Poggio della Montagna, il Poggio della Crocimi ed il Vivo, due conche cra- tcriformi con diametro di circa 300 metri forse segnano bocche eruttive. Il contenuto in silice delle trachiti analizzate dal Wil- liams varia da 63.15 a 65,69 (1887). Contemporaneamente al Williams, il Rosenbusch pubblicò alcuni risultati sulla composizione di rocce trachitiche del Monte Annata, i cui campioni gli erano stati inviati dal De Stefani, e provenivano dal versante occidentale del monte: classificò la roccia come trachite biotitico-iperstenica. Esaminato un esem- plare dello inclusioni grafitose, scriveva al De Stefani « sono assolutamente sicuro che si tratta d’una roccia sedimentaria metamorfosata da una roccia ignea » (1887). Il Novarese nel 1888 riferì sull’esame microscopico di una varietà di quei campioni di struttura porfirica, riferendola al gruppo delle trachiti andesitiche e al tipo della trachite ad iperstene e biotite del Rosenbusch. Notava però che quella varietà differisce dal tipo più diffuso nel monte, per la non dubbia presenza dell’augite, e per le particolari proprietà ottiche del sanidino. Il Ricciardi eseguì analisi chimiche sulle varietà: trachite del Piano delle Macinaie, trachite con grossi cristalli di sani- dino, trachite nera; i cui campioni aveva avuti dal Verri. Trovò il contenuto in silice di 65.02, 65.71 per la seconda e terza varietà; di 59.73 per la prima (1888). IL MONTE AMIATA 21 Nell’anno stesso (1888) il De Stefani scriveva che le tra- cliiti armatine si riversarono in banchi quasi orizzontali, o leg- germente inclinati a mantello sopra terreni eocenici e più an- tichi, già spostati e denudati. Essere le trachiti disposte a banchi, nei quali alternano le differenti varietà: ora porti ioidi e quasi liparitiche, ora quasi andesitiche. Questo insieme, col- l’abbondanza dei tufi intercalati, provare che il Monte Amiata fu un vulcano come tutti gli altri, il quale fece lunghe eruzioni. Il Verri - il quale nel 1885 aveva comunicata l’osservazione che il Poggio Zoccolino presentava dalla parte sud-est tronca- tura con salto - nel 1889 manifestava l’opinione che, oltre alla linea tracciata dal Williams, altre linee di rottura attraversino la superficie sulla quale sta la trachite; e specialmente una, con direzione circa nord-sud (la quale passerebbe per i monti di Castellazzara). Deducendolo da osservazioni alti metriche, rite- neva che la trachite non formi una cupola, ma si disponga a modo di colata sopra un nucleo di rocce sedimentari, che s’in- nalza coperto dalla trachite dentro la montagna; esprimeva il dubbio che sia troppo assegnare alla trachite spessore medio di 100 metri. Già, in questa comunicazione, il Verri aveva insistito sulla presenza di altra varietà di trachite in posto sul Piano delle Macinale, la quale era dimostrata anche dalla analisi chimica fatta dal Eicciardi. Inviati campioni della roccia all’ Artini, questi vi riscontrò i caratteri di una andesite augitica, roccia diversa da quelle studiate dal Williams. Nella circostanza l’Artini studiò alcuni inclusi, che erano stati donati dal Verri al Museo Mine- ralogico di Bologna l’anno 1873, ma non li trovò corrispondenti alla roccia del Piano delle Macinaie, ed anzi nemmeno appar- tenenti a rocce eruttive; bensì a rocce sedimentarie metamor- fosate dalla roccia ignea includente, come pure aveva notato il Kosenbusch per altri inclusi (1892). Dopo questa pubblicazione dell’ Artini, il Verri gl’ inviò altre anime di sasso da esso raccolte e conservate. L’Artini gli scrisse allora essere quelle assolutamente identiche con randesite au- gitica del Piano delle Macinaie (1893). Il De Ferrari, al riguardo della eruzione trachitica, notò che ebbe luogo non solo quando era già principiato il movimento 22 A. VERRI ascensionale pliocenico, ma quando già l’erosione aveva esportato gran parte dei sedimenti pliocenici (1890). 11 De Stefani nel 1892, descrivendo i vulcani spenti del- l’Àpennino settentrionale, pel Monte Amiata, dice che le spor- genze della massa tracliitica, prese talora per correnti di lave, sono dovute all’ asportazione operata dalle acque — che gli strati eocenici sottoposti alla trachite non sono disposti a sin- clinale, ma rialzati — che la superficie del monte, supposta mancante la roccia vulcanica, risulterebbe irregolare e già pla- smata dalla denudazione — ritenere verosimile il rapporto in- dicato dal Williams tra le varietà delle trachiti ed il processo di solidificazione; ma, siccome le varietà più porfiroidi non si trovano esclusivamente nella parte interna della massa generale, nè le altre più vetrose nel suo esterno, si bene promiscuamente, il formarsi della trachite con aspetto diverso non si riferisce al complesso della massa eruttiva, bensì alle varie colate laviche che si succedettero. Infatti la trachite è disposta in veri banchi, talora ripiegati e contorti come una roccia sedimentaria, distinti pure da varietà di colore e di struttura: tra questi alternano banchi che sembrano ammassamenti di rottami trachitici ; banchi di materie frammentizie fine, quasi si trattasse di tufi contem- poranei alla formazione stessa delle trachiti — non essere perciò di parere che il vulcano sia della natura di quelli cosi detti omogenei — ritenere probabile che gl’inclusi appartengano a rocce incontrate a distanza non grande dalla superficie preesi- stente alla eruzione della roccia che li contiene, escludendo as- solutamente che i grafitosi siano resti di vegetali incontrati dalla trachite e bruciati. Il Toso, in base alle osservazioni fatte nei lavori delle miniere dell’Abbadia, riferiva che quei lavori mostrarono la sezione del Monte Amiata non essere un cono formato completamente di rocce eruttive, ma dimostrare colate avvenute lungo le pendici d’un monte formato da rocce sedimentarie - che sopra l’Abbadia deve aversi una estesa rottura nella massa del monte, con abbas- samento dalla parte orientale (1898-1900). Il Lotti nel 1902 scrive che la constatazione da lui fatta del lembo di Pliocene marino sotto la trachite, presso Pian Casta- gnaio, toglie ogni dubbio sulla età post-pliocenica della trachite IL MONTE AMI ATA 23 andatimi - riferisce sulla presenza di frammenti mesozoici nel terreno franoso, che aH’Abbadia sta sotto la coperta trachitica. VII. Fase vulcanica (li Radicofani. Il rudero di questo cono vulcanico sorge sopra una grande massa di argille plioceniche, solcata per circa 470 metri di altezza dai corsi delle acque. Il Pareto (1844), il Murchison (1855), il Brongniart posero le rocce di Radicofani tra le tefrine; il Iiath le classificò tra le doleriti (1865). Il Campani scrisse che la massa basaltica di Radicofani si trova a levante con struttura prismatica distintissima, coi piani molto inclinati ed immergenti al sud ; a mezzogiorno e tramon- tana sparisce questa struttura, e vi subentra l’altra di massi sconnessi - che il basalte presenta caratteri differenti: ora com- patto concolore dal bigio al rossiccio al bruno; altre volte più o meno celluloso, fino ad assumere l’aspetto di una tefrina; più di rado terroso - che il basalte sovente contiene grani e piccoli cristalli di olivina, ed altri bianchicci (labradorite?); entro qualche masso si trova del quarzo vetroso. La tefrina è bigia, quasi nera, rossastra : alcuni esemplari dell’ultima varietà, al- quanto scorificata, hanno offerta la polarità magnetica (1865). Il Lotti nel 1878 chiamò le rocce di Radicofani doleriti peridotifere. Nel 1887 il Bucca riferì sullo studio di rocce di Radicofani avute dal Lotti. Questi, partendo dalla osservazione che varie sorgenti scaturiscono tutt’attorno alla massa eruttiva, presso il contatto colle argille, giudicò che in gran parte quella massa ricopra le argille, e non costituisca per intero un dicco eruttivo. Notato che blocchi di andesite stanno sulla cima di collinette argillose, alla distanza di qualche chilometro dal picco, e ad esso di poco inferiori, opinò che quegli accumulamenti non possano considerarsi quali frammenti staccati e franati dal mas- siccio eruttivo; essere più probabile che un tempo il cono vul- canico di Radicofani fosse assai più esteso, e che quelle accu- mulazioni di frammenti siano i residui del cono in posto. li Mercalli (1888) distingueva due varietà principali nelle lave di Radicofani: le doleriti costituenti gran parte del fianco 24 A. VERRI sud-est, con clivaggio colonnare, che sembrano formare il nucleo 0 la parte più antica del vulcano; le andesiti oliviniehe, che costituiscono la massa predominante. Inoltre nota una lava in massa scoriacea molto sviluppata sulla cima del picco; ed in connessione a questa lava ammassi di lapilli e scorie, le quali sono una forma detritica delle lave scoriacee. L’analisi chimica eseguita dal Ricciardi dette il contenuto in silice di 53.63 per la dolerite, di 55.23 per l’andesite. Il Mercalli ritiene che la parte di cima, verso nord - sulla quale sono le lave scoriacee, 1 lapilli, le scorie - rappresenti la bocca eruttiva; che l’immenso numero di grossi massi sparsi tutt’ intorno al poggio, fino ad alcuni chilometri di distanza, siano stati lanciati dal vulcano in una delle sue ultime eruzioni parosismali; nell’accumulamento lineare di massi, che si distacca dalla parte di cima verso nord, vorrebbe riscontrare una corrente a rottami o corrente a blocchi. È di opinione che le lave di Radicofani rappresentino la seconda fase del Vulcano Amiatino, il quale avrebbe spostato l’asse erut- tivo alcuni chilometri verso est; che le eruzioni siano post-plio- ceniche. Nota che non ha veduto fenomeni di metamorfismo esercitati dalle rocce vulcaniche sulle marne. Il Verri (1889) riferiva d’avere trovati moltissimi blocchi, della lava di Radicofani, sparsi sulla pendice ovest dell’altura verso il fiume Paglia, e parecchi persino sopra le rocce eoceniche sul basso della pendice del Monte Amiata, al di là di quel fiume. Ritenere perciò che, nelle cause che hanno prodotta la disper- sione dei blocchi, debbano aggiungersi i movimenti delle argille, pei quali venivano rotte le correnti laviche; gli scalzamenti alla base dei blocchi, pei quali questi erano poco alla volta rotolati a distanza dal primo posto. Riguardo ai blocchi trovati sulle pendici dell’ Amiata, crede che in origine posassero sui depositi pliocenici; che a forza di abrasione questi depositi siano loro mancati sotto. Gli sembra che, quando il vulcano era attivo, il territorio dovesse essere meno profondamente solcato, e quindi meno sollevato; che su quel piano siano state diramate le correnti laviche, una delle quali sarebbe stata spinta verso l’ Amiata, oggi rappresentata dai blocchi sulla pendice di quel monte. Dubita che si abbia una rottura che metta in comuni- cazione diretta i vulcani di Monte Amiata e Radicofani; crede IL MONTE AMI ATA 25 più probabile che la rottura, per la quale eruppe il vulcano di Radicofani, sia sulla linea longitudinale che passa tra i due si- stemi montuosi dell’Andata e della montagna di Cetona; crede che la forma anticlinale, presa in quelle contrade dal sollevamento post -pliocenico, possa avere concorso nella estinzione del vulcano. Il De Stefani (1892) scrisse che si deve alla difesa contro la denudazione per la presenza del basalte, se il Pliocene di Radicofani giunge a quell’altezza, che è massima in Italia, tenuto conto della qualità del sedimento — che i lapilli indi- cati dal Mercalli sono frantumi della scoria, la quale sta sulla parte superiore del picco, sparsi artificialmente — la disposizione della roccia provare che la colonna doleritica finche era chiusa nel terreno rimaneva uniforme e compatta; mentre superior- mente, uscendo all’aperto, emetteva i gas ed i vapori, e di- ventava bollosa, alterandosi pure gli ossidi di ferro. Pare che consideri la dispersione dei massi come conseguenza della de- nudazione del terreno. Vili. Disposizione delle masse sedimentarie in riguardo ai due Vulcani. Da tutto il complesso delle osservazioni riferite - dalla dispo- sizione dei piani delle formazioni cretacee ed eoceniche, quali sono disegnate nel rilevamento dell’Ufficio geologico, tra il Monte Aquilani ed Arcidosso - dal vedere che nella vallecola del fosso Velia, a nòrd di Castel del Piano, la corrosione della coperta trachitica mostra le rocce dell’Eocene superiore sino all’ altitu- dine di circa 900 metri - dal fatto che i monti ad oriente del vulcano di Radicofani presentano, a S. Casciano de’ Bagni, tron- catura con salto, ed abbiamo là sorgenti termo-minerali - col modo di vedere i movimenti delle masse, esposto nel descrivere la Geografia tìsica dell’Umbria ; crederei che la sezione del terreno, comprendente i vulcani di Monte Andata e Radicofani, possa essere rappresentata schematicamente dallo schizzo che unisco. 26 A. VERRI Sarebbe spiegato dai movimenti dello scheggione, nell’ in- terno del monte, il grande fratturamento della trachite notato dal Campani, dal Lotti, e che m’impressionò assai nella sua parte superiore, composta da accumulamento di blocchi scon- volti. Allora attribuii il fatto alle forze erosive, non compren- dendo però come vi avessero agito; oggi la spiegazione mi viene combinando il fratturamento prodotto dal forzare del cuneo in- terno, colle azioni erosive sulle facce di rottura. Quanto alle forme discoidali ed ellissoidali delle anime di sasso, mi sembra che solo possano essere spiegate dal lavoro sulla superficie del suolo di frammenti delle rocce sedimentarie, o delle eruzioni più antiche. Può darsi che, dopo le prime eru- zioni, siasi costituito là un bacino craterico, forse anche con ristagni d’acqua, e che disposizione tale abbia favorito le cor- rosioni producenti l’arrotondamento, forse alcuni effetti di me- tamorfismo nei frammenti di rocce sedimentari, l’accumulamento, eppoi la inclusione delle anime di sasso nella trachite. La montagna di Cotona, sino ai poggi di Camporsevoli, pre- senta la faccia della rottura longitudinale ad oriente; dopo i poggi di Camporsevoli, in quelli che seguono di S. Casciano dei Bagni, la presenta ad occidente: dunque deve esserci pure un’al- tra rottura nel senso trasversale. La quale, sul luogo dove si eleva il rudero vulcanico di Badi cofani, verrebbe ad incrociare colla linea di rottura della sinclinale, interposta tra il rilievo Amiatino e la catena che gli sta ad oriente. Combinazione tale sarebbe a favore del principio, cui accennai sino dal 1882, che la costituzione d’un centro eruttivo sia determinata dall’ incontro di più piani di rottura, (piando abbiano le facce conveniente- mente disposte, per favorire l’uscita dei prodotti elaborati dalle azioni endogene. Posto che la disposizione delle masse sia quale ho segnata nella sezione, le emanazioni termo-minerali, antiche ed attuali, si manifesterebbero quasi di preferenza nei piani di rottura dello anticlinali: il fatto è evidente a S. Casciano dei Bagni, a S. Filippo, all’Abbadia, nei monti di Oastellazzara. Ciò po- trebbe dipendere specialmente dalla circostanza, che in quei luoghi le emanazioni non sono soffocate da accumulamento di materie, come avviene nella sinclinale di Radicofani. Ma la cosa IL MONTK AMIATA 27 può avere una spiegazione ancor più generale. Nelle rotture sinclinali, se non c’ è forte spostamento nel senso verticale, e le masse superiori sono composte da rocce plastiche, cpieste si adagiano sopra la rottura, ed anzi tendono ad ammassarvisi sopra sollecitate dalla gravità, sicché all’esterno nemmeno ne appare segno: invece nelle rotture delle anticlinali, tanto più se accompagnate da spostamento, le masse superiori sono strap- pate. Quindi le emanazioni dell’attività endogena trovano in queste seconde rotture più facile escita; mentre nelle prime ab- bisognano di energia molto maggiore per aprirsi la via. IX. Emanazioni gassose, sorgenti minerali, circolazione sotterranea delle acque. Le mofete, le putizze, le sorgenti mineralizzate, nel terri- torio circostante all’espandimento trachitico del Monte Amiata, sono accennate da quasi tutti gli scrittori, che hanno parlato di quei luoghi. Riepilogherò le notizie particolari date da ta- luni di loro su questi fenomeni. Il Lotti scrive che le più celebri sorgenti termo-minerali sono quelle di S. Filippo, appiè del Poggio Zoccolino: dipen- denza di queste sorgenti sono varie zolfiere, la presenza della celestina in una formazione gessosa presso le putizze delle Can- nucciaie. A poca distanza, presso il torrente Rondinaie, scaturisce l’Acqua santa ferruginosa e satura di acido carbonico. Presso l’Abbadia è l’Acqua puzzola solfurea e ferruginosa, sopraccarica di acido carbonico; un poco più sopra, presso la Madonnina del Castagno, è l’Acqua braca meno acidula e meno ferrugi- nosa. Alla base meridionale del monte, in luogo detto Polleraia, c’è scaturigine intermittente sulfureo-ferruginosa. A circa sei chilometri dal castello di Santa Fiora, presso il fosso degli On- tani, è l’acqua purgativa delle Bugnole ferruginoso-magnesiaca, satura di acido carbonico. Presso le Aiuole, tra Arcidosso e Santa Fiora, è l’acqua termale acidu lo-ferruginosa detta l’Acqua forte; e vicine polle fredde dove gorgoglia l’acido carbonico. Alla base del Monte Labbro scaturiscono diverse sorgenti sol- fureo-acidule, che si versano nel fosso Zolferata (1878). 28 A. VERRI Il Targioni Tozzetti fece più analisi sulle acque di S. Fi- lippo. L’analisi del 1863 dà: Temperatura 4-3. °75. Acido carbonico 0.0967 Carbonato calcico 17.3414 » solfidrico 0.0212 » di stronziana 0.2538 » silicico 1.1269 Allumina 0.4231 Cloruro sodico 2.8373 Protossido di ferro tracce Solfato calcico 2.4307 Materie oi gamelle 0.2538 » magnesico 6.8712 Acqua 966.1748 » sodico 2.1691 Nessuna notizia propriamente speciale posso riferire in ri- guardo alla circolazione sotterranea delle acque, assorbite dalle masse composte di alternanze e successioni di rocce arenacee, calcaree, argillose. Prende importanza particolare l’assorbimento delle pioggie e nevi nella formazione trachitica, lungo il cui perimetro le acque, trattenute dalla minore permeabilità delle rocce sedimentarie sottoposte, sboccano in ricche sorgenti. Acque copiose scaturiscono nei dintorni di Castel del Piano, di Santa Fiora, dell’Abbadia. Il volume della Carta idrografica del Lazio, pubblicato dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, indica per la sorgente del fiume Fiora 282 litri al minuto se- condo, e 122 litri di portata minima pel fosso Bagnolo primo confiuente; nota circa 130 litri per la sorgente dell’Ermeta sopra l’Abbadia, 50 litri in magra pel fosso Indovina tra l’Ab- badia e Pian Castagnaio. X. Giacimenti di mercurio. Le notizie sono tratte dagli scritti del De Ferrari, Toso, Spirek, Lotti, De Angelis d’Ossat. Cenno storico. — Sembra che nei tempi antichi il cinabro fosse adoperato soltanto come colore, previa macinazione. Al Monte Annata sono tracce di questo lavoro di macinazione fatto dagli Etruschi, i quali si servivano del cinabro per dipingere i lavori di terra cotta c gli affreschi nelle tombe. Il Burci IL MOXTK AMIATA 29 nel 1862 scriveva al Rosselli' che la miniera del Siele non era vergine, ma antichi e moderni coltivatori vi avevano già cavato minerale. Il Grechi nel 1874 scriveva che, dei lavori antichi, si trovarono armature di abeto e qualche cuneo di pietra; per cui supponeva che risalissero all’epoca degli Etruschi. Questi fatti erano stati osservati anche dal Burci e dall’ Haupt. Dal 1200 al 1300 erano attivi i lavori nelle miniere del Siele, Cornacchino, Solforate, e specialmente a Sei vena; le guerre eppoi la peste spopolarono il paese, e rimase attiva soltanto la miniera di Selvena come cava e fabbrica di vetriolo. Nel 1846 fu riaperta la miniera del Siele, e da allora in- cominciarono ricerche del minerale su tutta la regione a sud deH’Amiata ed all’Abbadia San Salvatore. Nel 1901 erano attive le miniere dell’ Abbadia, del Cornac- cbino, del Siele, delle Solforate; per breve tempo fu acceso il forno della miniera di Montebuono, e fu prodotta piccola quan- tità di mercurio dai forni annessi alle ricerche di Cortevecchia. La produzione complessiva fu di tonnellate 278 di mercurio me- tallico, con tonn. 35878 di minerale, e quindi con rendimento di chilogrammi 7. 74 di mercurio per tonnellata di minerale. Rocce contenenti il minerale di mercurio. — I giacimenti del minerale di mercurio del sistema amiatino si trovano nei calcari, negli scisti, e nelle ftaniti del Mesozoico; nelle are- narie, argille e calcari dell’Eocene; nei sedimenti marini del Pliocene; nella trachite ed in una massa caotica e lacustre po- steriore o contemporanea alle eruzioni vulcaniche. La miniera del Cornacchino è nella formazione mesozoica; quelle del Siele e delle Solforate nella formazione calcareo-marnosa eocenica; quella di Montebuono nelle arenarie eoceniche e nel sottoposto calcare nummulitico; quella di Cortevecchia nel calcare num- mulitico e nelle rocce calcareo-marnose che lo includono. A Saturnia il minerale si trova nelle formazioni eoceniche e plio- ceniche. Minerale di mercurio ed altri ad esso associati. — Il mine- rale di mercurio del Monte Amiata è il solfuro di mercurio, detto volgarmente cinabro, a volte sparso di gocce metalliche. 30 A. VERRI Accompagnano il cinabro la pirite di ferro, la calcite, il gesso (amorfo e cristallizzato), e, per eccezione, il quarzo, il risigallo. A Selvena fu trovata anche della stibina, mentre a S. Martino fu trovato cinabro nella miniera di antimonio. La ganga è la calcite per i filoncini propriamente detti, l’argilla per le vene ed i depositi cinabriferi. Il Mattirolo nel 1890 dimostrò colle analisi, che le argille dei depositi cinabriferi sono il prodotto della trasformazione in posto dei calcari marnosi che le incassano ; che quelle argille, cementate dal calcare allorché si depositarono, ne furono dipoi separate per azioni acide dissolventi : azioni contemporanee, o forse anche di poco anteriori al formarsi o deporsi in esse del cinabro. Dalle osservazioni risultando: che la distribuzione del cinabro non è uniforme nella massa delle argille ; che colle cina- brifere si trovano anche argille sterili, il Mattirolo concludeva: potersi dubitare che, pur nello stesso periodo del fenomeno, l’a- zione che scioglieva i calcari e quella che mineralizzava le ar- gille siano state distinte ; oppure, se furono contemporanee, e causate da un solo veicolo di natura complessa, questo abbia agito sui calcari, dalla cui decomposizione provennero le argille sterili, dopo avere abbandonato il cinabro in altre argille. Modi come si presentano i minerali di mercurio. — Al Siele, alle Solforate, il minerale presentasi associato coll’argilla o colla calcite. Il più ricco è il minerale delle argille, che s’ incontra in colonne o pozzi naturali compresi entro banchi di calcari marnosi. I quali banchi hanno potenza variabilissima, quasi con alternanze di rigonfiamenti e strozzature, tra gli scisti argillosi detti galestri. Se la colonna è tutta nel calcare si chiama tromba; se è compresa per la maggior parte della circonferenza nel cal- care, e pel resto nel galestro, si chiama fossone. Generalmente le trombe ed i fossoni sono in comunicazione tra loro, e da essi partono vene d’infiltrazione di cinabro e di calcite, che pene- trano nei banchi calcarei, e qualche poco nei banchi di scisti argillosi. Questo minerale d’ infiltrazione è generalmente assai povero. Mineralizzazioni molto importanti sono anche nel con- tatto dei banchi di calcare marnoso coi galestri. Non sempre le argille raccolte nelle trombe c nei fossoni sono ricche di mi- IL MONTE AMIATA 31 nerale: a volte sono più ricche in parte della massa, in parte meno; a volte hanno minerale in parte della massa, in parte no; a volte sono sterili. Nella miniera del Cornacchino il cinabro è contenuto nel calcare superiore alle ftaniti, in queste e nel calcare inferiore. Anche là nelle masse calcaree cavità riempite dalle argille cina- brifere: più ricche quelle del calcare superiore, più povere quelle del calcare inferiore. Nel banco superiore la ricchezza decresce scendendo dal tetto al letto; si può dire concentrata al tetto al contatto degli scisti rossi che coprono il calcare. Nelle ftaniti l’ impregnazione cinabrifera è insinuata estesamente tra le fen- diture della roccia assai fratturata. Nel 1895 fu avvertita una rottura nella formazione, per lo scorrimento prodotto dalla quale il calcare superiore viene a contatto col banco delle ftaniti. Fra i piani della rottura fu trovato un riempimento di argilla cina- brifera grosso 0.25; nell’interno del banco calcareo la minera- lizzazione fu notata molto irregolare, con sole diramazioni pro- tese nel calcare, diminuendo la loro potenza e ricchezza col- l’allontanarsi dalla faglia. Nel 1901 fu trovata la mineralizza- zione molto accentuata, e sparsa nel calcare assai fessurato, e mineralizzato per tutti gli undici metri di potenza. Fu osservato che vi corrispondeva un piegamento nel banco delle ftaniti e del calcare soprastante, nella parte della formazione rimasta più elevata. La miniera di Montebuono scava sabbie cinabrifere, incluse entro grandi cavità d’un potente banco di calcare nummulitieo. Le sabbie cinabrifere sono il prodotto della decomposizione delle arenarie eoceniche, soprastanti al calcare nummulitieo. Nel giacimento di Cortevecchia si ha una lente di calcare nummulitieo compresa tra rocce calcareo-argillose ed arenacee superiori, e tra una formazione di calcari bianchi e rossi con letti interposti di scisti rossi argillosi, di calcari grigi con selce e scisti marnosi cenerognoli. Il passaggio al nummulitieo è graduale tanto sopra che sotto; nel grosso il nummulitieo è costituito da banchi di calcare granulare privo o quasi di ma- terie argillose, spesso listati da selce piromaca, senza interpo- sizione di letti argillosi tra i banchi : i banchi sono quasi sempre fratturati ed attraversati da vene di calcite. Quindi una forma- 32 A. VERRI zione superiore quasi irapermeabile ; una media permeabilissima per le fratture che l’attraversano; una inferiore pur essa almeno poco permeabile. Le formazioni sono rotte con faglie, le quali portano a volte il livello della zona calcareo-marnosa supe- riore al piano di quella inferiore. È specialmente mineralizzata la zona di passaggio dal nummulitico agli strati calcareo-argillosi ed arenacei superiori. Sono altresì ricche di minerale masse caotiche di frana, che si trovano alla superficie, composte con materiali della formazione calcareo-marnosa ed arenacea supe- riore. La mineralizzazione nella zona di passaggio consiste prin- cipalmente nella sostituzione del cinabro al carbonato di calce dei calcari e di certi strati calcareo psammitici, nonché in una impregnazione generale delle rocce marnose, che alternano in letti cogli strati di calcare alberese, o con quelli di calcare num- mulitico. Nel nucleo di questo furono trovate spaccature con croste di minerale. Il deposito del cinabro fu accompagnato quasi dovunque da produzione di pirite di ferro e di cristalli di selenite. Il giacimento di Saturnia ha il minerale: contenuto in frat- ture nel calcare marnoso e nell’arenaria dell’Eocene; dissemi- nato insieme ad impregnazioni di zolfo, cristalli di gesso, sol- furi ed ossidi di manganese nelle marne ed argille eoceniche; pure disseminato a grani piuttosto scarsi nel calcare arenaceo e nelle sabbie del Pliocene; a mosche e venirne in un conglome- rato marino pliocenico; in quantità talvolta grande tal altra scarsa disseminato in un terreno detritico di trasporto, costituito da frammenti di rocce diverse, che copre l’Eocene ed il Pliocene. Le ricerche dell’ Abbadia S. Salvatore incontrarono, sotto la coperta trachitica, una massa caotica di blocchi di trachite e frammenti di calcari e galestri; nella quale il cinabro, oltreché accentrato in qualche punto, si trova diffuso in piccole quan- tità. Fu trovato pure in quella località un bacino lacustre riem- pito da arenarie formate di elementi trachitici, ligniti in banchi grossi più d’un metro, scisti argillosi rimaneggiati includenti pezzi di calcare, argille caoliniche, farina fossile, e sotto blocchi di trachite ed altri materiali. In questo bacino tutte le rocce sono mineralizzate: più gli scisti inferiori, meno le arenarie su- periori; ricchissimi alcuni stratcrclli arenacei interposti tra le IL MONTE AMIATA 33 argille, o tra gli ammassi tracliitici. Copia di sorgenti, alcune delle quali ricche di idrogeno solforato ed acido carbonico, è stata incontrata nei lavori; alcune scaturivano con temperatura di 16°, altre pullulavano con temperatura di 20°; una, conte- nente acido carbonico, all’atto della scoperta aveva 19°, eppoi man mano si elevò a 26° */,. Tanta abbondanza d’acqua, la qualità argillosa del terreno sottostante alla trachite, la sua pendenza danno ragione dei franamenti grandiosi che si hanno in questa contrada. Nella coperta trachitica avvenne un distacco con scorrimento; la linea del distacco è segnata da salto di alcune decine di metri, con parete verticale nella trachite ri- masta ferma. Le ricerche in alto, per ritrovare le rocce mine- ralizzate in posto, hanno mostrato che la frana termina all’al- tezza dell’Ermeta, la cui altitudine è 1085; che là sotto alla trachite sta il calcare nummulitico, il quale non fu trovato mi- neralizzato. Ipotesi sulla genesi dei giacimenti cinabri feri. — Il Caillaux opinava che dovesse esserci un certo legame tra le intrusioni delle serpentine e le emanazioni cinabrifere; non sapendo però spiegare se le serpentine abbiano volatizzato depositi cinabri- feri, preesistenti nelle rocce antiche da esse attraversate, ovvero se lo svolgersi delle emanazioni cinabrifere sia partito dallo stesso centro di eruzione delle serpentine (1850-57). Il Meneghini conveniva nella opinione del Caillaux, che il giacimento cinabrifero può essere considerato come un ammasso di vene e di filoni più o meno potenti, più o meno regolari, che s’intersecano in varii sensi, ed attraversano gli scisti infe- riori del macigno, i calcari nummulitici, le ftaniti e gli scisti subordinati, ed un calcare inferiore più antico - che le attuali dislocazioni stratigrafiche fossero avvenute dopo l’impregnazione cinabrifera. Ammetteva una formazione secondaria - ossia pro- dotta da trasporto del minerale già in posto nelle vene origi- narie - nelle argille che riempiono le cavità dei calcari, e nelle spalmature che tappezzano quelle cavità (1865). Il D’Achiardi scriveva: « Al Diaccialetto è evidente la con- temporanea produzione dell’argilla e dello spato calcare, do- vuta allo stesso fenomeno geologico. Taluni strati possono avere 3 3i A. VERRI offerto facile passaggio alle acque minerali circolanti, e queste, asportatane la parte calcarea, averla depositata in forma di cal- cite; onde da una parte l’argilla dei liscioni, dall’altra le vene spatiche ricomposte superiormente ai liscioni stessi, o in altri strati argillosi. La maniera di presentarsi delle vene spatiche conferma il modo di loro origine, l’arrestarsi al liscione, il pro- cedere loro nel verso della stratificazione entro il liscione ». Concludeva che le acque minerali dovevano contenere in solu- zione il mercurio, e che probabilmente devesi attribuire al clo- ruro sodico il trasporto del mercurio dai punti originari del gia- cimento (1872). L’Haupt dichiarò che i giacimenti di cinabro amiatini sono in relazione colla trachite, perchè in questa roccia si trovano non poche tracce di tal minerale (1873?). Il De Ferrari espresse l’opinione che il fenomeno delle ema- nazioni cinabrifere sia cominciato colle eruzioni serpentinose, e possa avere continuato colle trachitiche. Distingue due sorti di depositi cinabriferi: 1° quelli che provengono dalla mineraliz- zazione in posto dei calcari marnosi, in cui ebbe luogo una vera sostituzione fra la calcite della roccia ed il cinabro; 2° quelli che risultano dal riempimento delle cavità nei calcari. Attri- buisce l’origine dei giacimenti cinabriferi ad acque termo-mi- nerali, cariche di solfuri di ferro e di mercurio, tenuti in so- luzione forse da un eccesso d’idrogeno solforato, sotto pressione ad elevata temperatura; ovvero dal solfuro di sodio allo stato di doppi solfuri. Queste acque mineralizzate, circolanti tra le fratture delle rocce, coll’avvicinarsi allo sbocco nell’esterno, di- minuendo la pressione e la temperatura, avrebbero lasciati pre- cipitare i solfuri di ferro e di mercurio. La precipitazione sa- rebbe stata favorita dalla reazione degl’idrosolfuri e degli acidi sul carbonato di calce; la quale sviluppava anidride carbonica, che a sua volta probabilmente favoriva l’asportazione di gran parte della calce allo stato di bicarbonato solubile. Separate da processo tale la silice e l’argilla, contenute nelle rocce calcaree, il cinabro rimaneva impigliato nei prodotti di decomposizione. La mineralizzazione avrebbe cessato quando i prodotti delle de- composizioni chiudevano la via alle acque idrotermali ; quando il carbonato di calce non era più sufficiente per decomporne le IL MONTE AMIATA 35 soluzioni minerali, ossia quando la roccia cessava di essere un calcare argilloso, per divenire uno scisto argilloso. La decre- scente ricchezza, che esso nota, dal letto al tetto dei depositi, è spiegata o col maggiore contenuto in argilla nelle zone su- periori della massa calcarea; o col depauperamento delle solu- zioni metalliche; sia per lo svolgersi del fenomeno geologico, sia pel processo graduale della precipitazione. Allorché sopra ai calcari sono arenarie a cemento calcareo, le azioni corrosive avrebbero scavate grotte nel calcare; e, decomponendo le are- narie, i prodotti della decomposizione sarebbero scesi nelle cavità ad impigliare il cinabro. A prova di tali processi l’A. indica le alterazioni che quasi sempre presentano le pareti delle grotte, dove dice che dal calcare normale si passa gradualmente ad un calcare bianco polverulento; la presenza della pirite e del gesso nei punti mineralizzati. Anche ammette formazioni cina- brifere secondarie, notando che alcune delle cavità possono essere state riempite o per sfasciamento del tetto, o per materie tra- sportate da acque superiori, la cui circolazione sotterranea po- teva pure aver radunati ammassi di argilla cinabrifera, con- temporaneamente alla formazione dei depositi primari; ovvero successivamente pel rimaneggiamento delle rocce mineralizzate (1890). Il Toso nel 1892 scriveva, che se i ricercatori del cinabro nel Monte Annata si baseranno sulla ipotesi sino allora ammessa, che la mineralizzazione sia avvenuta lungo i piani di stratifi- cazione dei banchi calcarei, difficilmente otterranno buon risul- tato. Bisognare che le esplorazioni siano dirette secondo i piani di rottura, avvertendo che sullo stesso banco di calcare possono ripetersi più piani di rottura paralleli. Nel 1894, descrivendo i lavori al Cornacchino, esprimeva l’opinione che le soluzioni cinabrifere non vi siano venute dal basso all’alto, ma scendendo dentro il banco delle ftaniti; il quale, per una faglia, viene a contatto del calcare superiore nel luogo della miniera. Nel 1896 attribuiva il giacimento cinabrifero del Siele a sorgente di acque alcaline, contenente in soluzione solfuri di ferro e di mercurio, proveniente dal bacino acquifero della formazione calcarea infe- riore, che a sud si vede torreggiare sulla miniera. Nel 1897 concretava questa ipotesi suirorigine dei giacimenti cinabriferi 36 A. VERRI dell’ Abbadia: da fratture nella massa delle formazioni; uscita di vapori cinabriferi; loro condensamento per le acque circolanti tra le rocce trachitiche; trasporto nella corrente acquosa e de- posito all’esterno tra il materiale franato. Concludeva che, in base a tale ipotesi, nel giacimento dell’Abbadia la ricchezza del mercurio dovrebbe variare enormemente da punto a punto ; aversi i centri di mineralizzazione corrispondenti alle sorgenti delle acque, separati da spazi sterili; non potersi contare con qualche probabilità su altri giacimenti sotterranei infuori dei superficiali. Il Novarese nel 1895 opinò essere errore il considerare le manifestazioni cinabrifere dell’Amiata come collegate unica- mente alle eruzioni trachitiche locali. I giacimenti cinabriferi estendendosi molto al sud del vulcano Amiatino, possono a suo parere collegarsi anche colle eruzioni dei Yulsini. Lo Spirek nel 1897 presentava altra ipotesi, la quale poi ha svolto più estesamente nel 1903, come dirò appresso. Questa prima esposizione fu intesa nel senso, che egli considerasse i giacimenti cinabriferi come formati dalla circolazione sotterranea ordinaria di acque cariche di acido carbonico ; le quali avreb- bero preso il cinabro dai giacimenti primitivi situati a profon- dità ignote; lo avrebbero portato nelle caverne da esse scavate, e dentro le rocce permeabili, come sono le arenarie, le tradì iti. Il Lotti (1902) accetta per i giacimenti noti dell’Abbadia la ipotesi dello Spirek, ma ritiene sommamente probabile che là i depositi cinabriferi più importanti siano concentrati nelle rocce mesozoiche, le quali devono stare in posto sotto la tra- chite. Descrivendo il giacimento di Cortevecchia, conclude essere stato generato da ascesa di soluzioni cinabrifere; che, dalla via di frattura profonda, penetrarono nel calcare nummulitico, vi circolarono nelle fessure corrodendolo, ma senza farvi depositi di qualche entità, per causa della mancanza di elementi argil- losi in quella roccia; giunte poi al contatto delle rocce caleareo- argillose superiori quasi impermeabili, vi si espunsero lateral- mente, precipitando cinabro. Soggiunge essere d’avviso, che il processo mineralogico siasi compiuto nelle stesse condizioni al Cornacchino ed a Montebuono : ossia col primo processo di pre- cipitazione del cinabro per soluzioni solforiche, e non col sue- IL MONTE AMIATA 37 cessivo dovuto alle soluzioni carboniche; essere di ciò provala produzione, in tutti tre i giacimenti, del solfato di calce insieme al cinabro. Il De Angelis, a riguardo dei giacimenti cinabriferi di Sa- turnia, ritiene che anche là la deposizione del cinabro sia dovuta al primo processo per soluzioni solforiche (1902). Nel 1903 lo Spirek ritorna sull’argomento, per chiarire e completare le idee esposte nel 1897. Scrive: i portatori primari dei metalli sono i magma eruttivi ; poi agiscono gli aeriformi e le acque circolanti, e si formano le soluzioni metallifere. Una soluzione di acido solforico con sali solforici di mercurio, ferro, metalli alcalini, acido solfidrico, entrata nei calcari marnosi, in parte distrugge il calcare formando solfato di calce, liberando acido carbonico, lasciando l’argilla sospesa nella soluzione ; in parte forma polisolfuri di calce, soda, ecc. Questi precipitano dalla soluzione, diventata neutra, il solfuro di mercurio cristal- lizzato (cinabro). L’argilla, avvolgendo il cinabro, lo protegge dall’azione solvente del monosolfuro rimasto, e questo si depone in straterelli lamellari cristallizzato (solfato di calce). Porzione del giacimento così formato è soggetta poi all’azione meccanica di acque arricchite di acido carbonico; le quali seguitano a sciogliere il calcare, dando origine a bicarbonati solubili : così si allargano le cavità formate dalla prima azione, se ne formano delle nuove. Per perdita di acido carbonico, il bicarbonato si trasforma in carbonato che cristallizza allo stato di calcite, in- cludendo il cinabro trasportato dalla soluzione acidula. Le acque sotterranee rimescolano in parte i depositi cinabriferi, formatisi nelle cavità ingrandite, e li portano altrove. Nelle cavità vuo- tate cadono le rocce soprastanti; al Siele il galestro, a Monte- buono l’arenaria e l’argilla gialla. Per le acque stesse, o diret- tamente, oppure in conseguenza dell’inzuppamento delle rocce argillose, si producono rotture e frane. Dunque, per mezzo delle acque circolanti sotterra trasporto dei materiali cinabriferi entro i terreni pliocenici e quaternari di Saturnia; trasporto e depo- sito di cinabro nei bacini lacustri del Monte Amiata. Nel Monte Amiata si hanno due specie di rocce eruttive: le serpentinose, le trachitiche. Notato che la massa trachitica è isolata rispetto ai giacimenti cinabriferi, mentre le serpentine si trovano presso 38 A. VERRI tutti quei giacimenti ; che le serpentine presentano i residui visibili d’una azione chimica, la quale ha potuto originare la soluzione solforica metallifera, lo Spirek è d’avviso che le rocce serpentinose abbiano avuto la parte più importante, se non unica, nella formazione cinabrifera dell’Amiata. XI. Altri prodotti aventi relazione col vulcanismo del M. Annata. Hanno relazione, più o meno diretta, coi fenomeni vulcanici del Monte Andata i gessi, i travertini, le terre coloranti, la farina fossile. Gessi. — Il Cocchi attribuiva la formazione del gesso, presso i Bagni di S. Filippo, ad alterazione delle rocce preesistenti, in conseguenza delle emanazioni di acido solfidrico, ecc. (1856). Il Verri considerò quei gessi come prodotti di alterazione delle rocce Basiche del Poggio Zoccolino (.1877-1880). Poi notò che i gessi contengono qualche volta frammenti di rocce verdi e nere; che allora si vedono sovrapposti ad argille ora pure, ora con stra- terelli spatici, frammenti di rocce verdi e nere, cristalli di gesso (1885). Il Lotti indica tra le rocce ridotte a gesso: i calcari grigio chiari o bianchi massicci del Lias inferiore; i calcari grigio-chiari con selci del Lias medio; i calcari marnosi del- l’Eocene superiore (1902). Travertini. — Tutti concordano nel considerare i travertini di S. Filippo formati dalle deposizioni delle sorgenti termo- minerali. Dei quali travertini è ancora attiva la composizione. Terre coloranti. — Il Santi ne aveva descritto il giacimento più importante, situato presso Castel del Piano. 11 Savi attribuì l’origine della terra colorante del Monte Amiata, detta anche Terra di Siena, ad acque; le quali, raccogliendosi in piccoli bacini, depositavano il ferro che avevano disciolto, c l’argilla che tenevano sospesa (1850). Il Giannetti osservò che la quan- tità di sesquiossido di ferro contenuta nella terra gialla varia da 67.724 a 74.071 su 100 parti di terra disseccata a 100. Dice che si chiamano terre gialle quando hanno tinta gialla ed ocracea; boli o terra d’ombra quando sono scure o giallo-castagno - che ogni deposito è costituito per la massima parte da terra Eocenico Quaternario Alluvioni recenti Travertini Depositi lacustri e frane nella trachite Rocce vulcaniche Pliocenico J | Argille, calcari arenarie / | Rocce oflclitiche 1 Cretaceo Giura-liasico oaf Belv&Jère''^ u&né wgM 1 POhuin/) ’C. alpèstri w?w« ter fati durile whsteSinà CfdclÀ C.'S.Sùirjh) «i. K iopenzo <ÉÌl '^eiy^_urUfi ÙPahizyjj pjpfa^eryìlti PotilBiirburicn — " \ \M>rto ”-'Z5 liuicìènip^/f/,rfcs: ^y^il^Pcdiey) IMsmsÙ aod 1 Hi Mez zittir ' fC.Palétiiàti fc*2^ P,nlfPP"Cim Vogatici Wffo Knzù V ' J~ ^Bracciale , 'iàbf/Iitg ìiny^^odn-ep/e ^ C'QVwp £Éf /- .VÌO^l5^pifc‘r^, fa';;/ 1 '^(el^a^e£-^p^^k ■Punt™/ Scala 1 : 100 000 lacAU'a~f VERRI, Escursioni della Soc. geol. nel 1908. Ili MONTE AMIATA 39 gialla, ed il bolo si trova solo in forma di strati o di venirne sotto quella (1873). I giacimenti più noti delle Terre di Siena stanno nei territori di Castel del Piano, Arcidosso, Santa Fiora, Pian Castagnaio. Il Lotti riferisce che, oltre ai depositi sulla periferia, se ne trovano in alto fino a circa 900 metri ; il quale fatto dimostra che poterono scaturire sorgenti ferruginose pure da punti elevatissimi : sembrare che dai paesani siano state tro- vate frecce di pietra in quei depositi (1878). I depositi elevati confermerebbero la sezione del vulcano che ho abbozzata. Farina fossile. — Il Cocchi notò che riempie piccoli bacini cavati nella trachite (1856). Il Verri, nel 1872, indicava la farina fossile del Monte Amiata come adatta per la fabbrica- zione della dinamite, essendo composta da diatomee, egualmente che il Kieselguhr adoperato dal Nobel per la preparazione di quel composto esplosivo : le analisi da lui fatte fare dettero circa il 70 di silice. Il Giannetti mostrò la farina fossile com- posta, su 100 parti, da 80 di silice, 8 di allumina ed ossido di ferro, 12 d’acqua (1873). Il Lotti espresse l’opinione: non essere difficile che esista un’intima relazione tra la farina fossile e le incrostazioni chiamate Ferie di Santa Fiora, che si trovano nelle fratture o nelle cavità della trachite, in special modo presso le sorgenti della Verna; le quali perle esso considerava come pro- dotto di acque silicifere termali (1878). I giacimenti più noti della farina fossile sono a Castel del Piano, alle Bagnore, presso Santa Fiora, al Bagnolo. SUI B ATRACI URODELI DELLE FOSFORITI DEL QUERCY Memoria del dott. Giuseppe De Stefano (con una tavola) Grazie all’incarico avuto l’anno scorso dall’ ili. prof. Alberto Gaudrv di esaminare ed ordinare il materiale inedito dei fossili delle fosforiti del Quercy, appartenenti alla collezione Rossignol, ceduta al Museo di Storia Naturale di Parigi nel 1893 e per la maggior parte non ancora ostensibile al pubblico, fra le rac- colte paleontologiche esposte in detto Museo, ebbi agio di osser- vare una numerosa serie di vertebre di Batraci Urodeli, non priva di interesse scientifico, che io illustro nella presente nota. Come ognun sa, il piano geologico delle fosforiti del Quercy non è ancora ben definito, sussistendo dispareri fra i diversi autori se esso debba essere collocato alla base del sistema miocenico o non piuttosto sia da includersi nell’eocene superiore, accostandosi sotto vari aspetti alla formazione siderolitica di tale orizzonte. Comunque sia, fra le numerose spoglie di vertebrati, e princi- palmente di Mammiferi, raccolte nel deposito in quistione in una lunga serie di anni ed illustrate dal compianto prof. H. Filhol (*), i Batraci sono rappresentati solamente dagli Anuri e con le due seguenti specie riconosciute dallo stesso autore : Rana plicata , Filimi, Bufo servatus , Fillio! (2). 11 primo, e ritengo anche il solo fino ad ora, ad indicare avanzi nelle fosforiti del Quercy, appartenenti a Batraci dell’or- (') Filhol H., Eccherches sur Ics pliosphoriles du Quercy. Étude des fossiles qu’on y rencontre et spécialement des mammifere^. Paris, 1877. (?) Filhol, loc. cit.; pag. 193-194. SUI BATRACI URODELI DELLE FOSFORITI DEL QUERCY 41 dine degli Urodela , è stato K. A. Zittel (1), il quale attribuì al sottordine Salamandrina alcune vertebre dorsali per le quali egli fondò il genere Megalotriton, includendovi in una sola specie, il Megalotriton Filholi Zittel, tutte le anzi dette vertebre, avver- tendo nello stesso tempo che i pochi avanzi fossili finora cono- sciuti di Batraci Urodeli presentanti analogie con le viventi Sala- mandridea è difficile ripartirli nella classificazione delle attuali forme, e che « des restes d’un second genre plus petit se trou- vent également dans les phosphorites du Quercy » (2). La collezione Rossignol contiene di fatti una serie di ver- tebre dorsali, delle quali, alcune appartengono al gen. Mega- lotriton, ed altre, che io indicherò in seguito, molto più piccole, da potere essere attribuite ad un nuovo tipo generico; ma con- tiene ancora delle vertebre le quali bisogna escludere dalla serie dorsale citate dallo Zittel, e che ci portano un prezioso contributo per la determinazione del posto che occupano nel sistema gli avanzi in discorso. L’ordine perciò che adotto in questa nota è il seguente: in un primo paragrafo saranno esaminate le diverse vertebre; in un secondo paragrafo si faranno le conclusioni sistematiche e filogenetiche alle quali esse possono dar luogo. I. Le vertebre della collezione Rossignol da me esaminate possono essere, in primo luogo, ripartite in due gruppi : A) Un primo gruppo contiene per lo meno due generi, e le vertebre in esso comprese, che io chiamo per semplicità col nome di «tipo a», hanno i seguenti caratteri generali: Vertebre opistoceli ed un po’ allungate; archi superiori formanti una larga placca ossea depressa; apofisi transverse costituite da due rami, una che parte dal corpo vertebrale, (') Zittel K. A., Traile de Paleontologie. Traci, par Charles Barrois. Tom. III. Vertebrata, 1893; pag. 411. (2) Zittel, loc. cit .; pag. 411. Con l’espressione « restes d’un second genre plus petit » l’autore intende riferirsi al gen. Megalotriton ; vale a dire, avanzi di un secondo genere più piccolo di quello nominato. 4 42 GIUSEPPE DE STEFANO l’altra che si stacca dall’arco superiore; zigapofisi anteriori e posteriori ugualmente sviluppate. B) Un secondo gruppo comprende, almeno finora, un solo genere, le cui vertebre indico, per semplicità di studio, col nome di « tipo fi », ed hanno i seguenti caratteri : Vertebre opistoceli ed allungate; archi superiori formanti un processo spinoso discretamente sviluppato; apofisi transverse nulle; superficie articolare del centro formata da due coppe articolari. Se si considera che negli attuali Batraci, quantunque la corda dorsale possa durare, come nel gen. Proteus, pure si svi- luppano sempre delle vertebre ossee, originariamente biconcave, con cartilagini intervertebrali, e che nelle Salamandrine la car- tilagine intervertebrale sviluppandosi caccia indietro progressi- vamente la corda, il rudimento della quale diventa cartilagineo e produce per differenziamento ulteriore una testa articolare ed una cavità coti Ioide, e che, eccezion fatta per gli Anuri, la prima vertebra della colonna vertebrale che si trasforma in atlante, manca di apofisi transverse, mentre tutte le altre del rachide hanno dei rudimenti cartilaginei delle coste, risulta: 1° che tanto le vertebre di tipo ) Boulenger G. A., Caudata and Apoda, pag. 86-87. — Dolio L., toc. cit., pag. 91. (2) Boulenger, loc. cit; pag. 2. — Dolio, loc. cit., pag. 91. (3) Huxley H., Marniate dell’ Anatomia degli animati vertebrati. Trad. del prof. E. H. Giglioli. Firenze, 1874, pag. 159-160. 60 GIUSEPPE DE STEFANO vertebrale (1). Detta famiglia resterebbe subordinata a quella delle attuali Salamandridea; ma si può giustamente osservare che i predetti caratteri non sono sufficienti, e che dei Batraci stu- diati non si conosce ancora la conformazione del cranio, così importante al nostro caso per potere stabilire un gruppo natu- rale al quale si vuol dare il valore tassonomico di una fa- miglia. [ms. presi. 21 febb. 1903 - ult. bozze 15 aprile 1903]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III Fig. 1-5. — Megalotriton Filholi Zittel. Fig. 1. Una prima vertebra cervicale (atlante) veduta da sopra. » 2. Un altro atlante di differente individuo visto da sotto. » 3. Una vertebra dorsale vista da sopra. » 4. Altra vertebra dorsale di un altro individuo vista da sotto. » 5. Altra vertebra dorsale di un terzo individuo vista dall’alto. Fig. 6-8. — Megalotriton Portisi De Stefano. Fig. 6. Una vertebra dorsale vista dall’alto. » 7. Altra vertebra dorsale di un altro individuo vista da sotto. » 8. Altra vertebra dorsale vista dalla faccia superiore. Fig. 9-10. — Heteroclitotriton Zittcli De Stefano. Fig. 9. Una vertebra dorsale vista dalla faccia superiore. » 10. Un’ altra vertebra dorsale vista per la sua faccia inferiore. Tutte le figure della tavola riproducono i fossili al doppio della loro grandezza naturale. (J) Il materiale del Quercy fu comparato con le preparazioni degli animali viventi dell’ordine Urodeli gentilmente messe a mia disposi- zione dal prof. L. Vaillant, clic mi ospitò sovente, nel suo laboratorio di Erpetologia al Museo di Storia Nat., durante la mia dimora a Parigi. Boll, d Soo. Geol. Italiana Voi. XXII. (De Stefano) Tav. III. ELIOT CALZOLARI SFtKRARIO- MILANO NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO DELLA TUNISIA Memoria del dott. Giuseppe De Stefano (con una tavola) Nel giugno del 1900, il signor Prost cedette al Museo di Paleontologia della Scuola delle miniere di Parigi una discreta raccolta di avanzi scheletrici di un grande rettile, rinvenuti negli strati a fosfato di Gafsa in Tunisia, in quella stessa lo- calità ed orizzonte geologico nel quale era stato già trovato il cranio di un importante chelonide da me descritto, or non è molto, in apposita nota (1). Gli strati a fosfato di Gafsa, se- condo le ultime osservazioni del Thomas (2), e come io ho già notato (3), vanno riferiti all’eocene inferiore (Suessoniano), e dagli studi del Ficheur e del Blayae risulterebbero molto sviluppati tanto in Tunisia quanto in Algeria. Il prof. H. Douvillé m’ invitò a studiare il predetto mate- riale, consistente in pochi pezzi di mascellari, frammenti di ossa lunghe ed alcune vertebre mal conservate, le quali richia- marono alla mia mente una vertebra, un dente, un cubito ed un radio, già in precedenza esaminati nella galleria di Paleon- tologia al Museo di Storia Naturale. Questi ultimi avanzi, al pari del materiale della Scuola delle miniere, provenivano dai (Q De Stefano G., Sui Cheloniani fossili conservati alla Scuola su- periore delle Miniere di Parigi. L’ Euclastes DouviUéi De Sief. dell’eo- cene inferiore dell’Africa settentrionale (con una tavola). Reggio-Calabria, 1902. (2) Thomas Phil., Gisements de phosphate de chaux des hautes-pla - teaux de la Tunisie. Bull, de la Soc. Gcol. de F rance, 3° sèrie, tome XIX, 1891, pag. 372. (3) De Stefano G., loc. cit., pag. 3-4. 52 GIUSEPPE DE STEFANO depositi littorali a fosfato del mare suessoniano della Tunisia; e dal Thomas, che li raccolse a Djebel Teldja, erano stati iden- tificati — dietro suggerimenti e consigli dell’ illustre professore A. Gali dry — come appartenenti ad un enorme coccodrilliano, al quale il citato autore dette il nome di Crocodilus phospha- ticus Thomas (*). Quasi contemporaneamente, il paleontologo Pomel, esaminando qualche altra vertebra degli strati a fosfato dell’Africa settentrionale, trovata nella località di Djebel Djr e identica a quella di Djebel Teldja, dal Thomas attribuita al Crocodilus phosphaticus, ritenne che detta vertebra appartenesse ad un nuovo genere di rettile della famiglia americana dei CJiampsosauridae, creata dal Cope (") per dei grandi rettili a forma di lacertiani del cretaceo affatto superiore dell’America del nord e dell’eocene inferiore di Reims in Francia, del Belgio e del Nuovo Messico. Al nuovo rettile dell’Africa settentrionale il Pomel dette perciò il nome di Dyrosaurus thevestensis (3), che, in seguito, conosciuti gli avanzi di Crocodilus phospha- ticus del Thomas, mutò in Dyrosaurus phosphaticus (4), non esistendo più alcun dubbio sulla identità del fossile di Djebel Teldja con quello di Djebel Djr; e risultando cosi che il Dy- rosaurus thevestensis poteva diventare nella nomenclatura il Dyrosaurus phospha ficus. 11 nuovo materiale trovato a Gafsa, più abbondante di quello già conosciuto dal Thomas e dal Pomel, veniva a dare più (') Thomas Phil., Expìoration scientifìque de la Tunisie. Paleonto- logie. Quelques fossiles des terrains tertiaires et sccondaires. Paris, 1893, tav. XIV; fi g. 1 e la, 2 e 2a, 3, 4, 4a, 4b. (2) Cope E. D., On some extinct Reptiles and Batrachia from thè Judith Biver and fox hillis heds of Montana. Proceedings of thè Aca- demyof Naturai Sciences of Philadelphia, 1876, pag. 348-353. — Cope E.D., (Champsosaurus) Proceed. Acad. Nat. Hist. Phil., 1876, pag. 350. — Cope E. D., The Vertebrata of thè Tertiary formations of thè West. Hook. I. Eeport of thè United States geological Survey of thè torri- tories, voi. Ili, 1884, pag. 104. (3) Pomel A., Découverte de Champsosauriens dans les gisements de phosphorite da Suessonien de V Algerie. Comptes reudus llcbdom. d. S. de l’Acad. de Se., toni. CXVIII. Paris, 1894, pag. 1309-1310. (4) Pomel. A., Sur le Dyrosaurus thevestensis. C. R. d. S. de l’Aead. de Se., toni. CXVIII, 1894, pag. 1396. NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 63 soddisfacenti ragguagli sul rettile eocenico dell’ Africa, ond’ è che di buon grado accettai il difficile incarico di studiarlo; e poiché il Pomel aveva ritenuto che esso era da attribuire ad un nuovo genere della famiglia Champsosauridae Cope, nella quale il Dolio L. fa rientrare i Simaedosaurus ( 1 ) dell’eocene inferiore di Reims in Francia (idea condivisa, a quanto pare, anche dal Cope) (2), mi trasferii per un certo tempo a Bruxelles, dove si conserva il ricco materiale studiato dal valente paleon- tologo belga, il quale mi fu cortese di molti consigli; del che colgo qui l’occasione per ringraziarlo pubblicamente. Al mio ritorno a Parigi trovai intanto che il signor Prost, durante la mia assenza, aveva ceduto altro materiale alla Scuola delle miniere, anche esso appartenente agli strati a fosfato di Gafsa, e che il prof. H. Douvillé mi rese subito ostensibile. Tale materiale consiste in nuove vertebre cervicali e codali ed altri avanzi riferibili a rettili diversi. Esso mi permise quindi non solo di meglio definire il genere Dyrosaurus Pomel, ma di cono- scere ancora nuovi « tipi » rettiliani, che io, a guisa di appen- dice, farò noti dopo la descrizione del fossile in questione. Nel rendere di pubblica ragione il risultato delle mie osserva- zioni e del mio studio, mi sia concesso di porgere i miei più vivi ringraziamenti al prof. H. Douvillé, che mi fu sempre largo di cortesie durante il mio soggiorno a Parigi, e di chieder venia ai conoscitori di erpetologia, se, malgrado tutti i miei sforzi, son caduto in possibili errori, data la difficoltà dell’argo- mento ed il cattivo stato di conservazione degli avanzi esaminati. Reggio-Calabria, gennaio del 1903. (') Dolio L ., Première noie sur le Simaedosaurus d’ Erquelinnes. Bul- letin dii Musée Royal d'Histoire Nat. de la Belgique; voi. Ili, 1885, pag. 69. — Dolio L., Sur Videntité des genres Champsosaurus et Simae- dosaurus. Revue des questions scientifiques, n0s I et li; 1885. (2) Zittel K. A., Traité de Paleontologie. Trad. par Charles Barrois, voi. Ili, pag 582. — Cope E. D., Tlie Puerco Fauna in France. Ame- rican Naturalist, August, 1883, pag. 869. 54 GIUSEPPE DE STEFANO I. Ordine RHYNCHOCEPHALIA. Sottordine B ROGANO SAURI A Baur. Famiglia DYKOSAURIDAE De Stefano. Gen. Dyrosaurus Pomel. I).v rosaurus pliospliaticus (Thomas). (Tav. IY, fig. 1 e 2). Gli avanzi riferibili a tale rettile, consistono in una serie di tredici vertebre, probabilmente appartenenti a più di un in- dividuo, in alcuni frammenti di mascellari con dentatura male conservata e denti isolati, ed in alcuni residui di ossa lunghe. 10 farò intorno a tali ossami un breve esame, per discutere poi, in base ai loro caratteri, quale posto occupi nel sistema l’animale al quale appartennero. Per il sopradetto esame adotto 11 seguente ordine: 1° cranio e dentatura; 2° colonna vertebrale e sue appendici; 3° cintura scapolare e membra anteriori; 4° cintura pelviana e membra posteriori. Cranio e dentatura. — Nè il Thomas, nè il Pomel danno ragguagli sulla conformazione del cranio del nuovo rettile della Tunisia. Delle ossa costituenti tale parte scheletrica dell’ani- male, così importanti per la sua identificazione, fino ad ora se ne conoscono ben poche, in quanto che nel materiale rinve- nuto a Gafsa dal 1900 al 1902, io non osservo che dei fram- menti di mascellari, atti a dimostrarci che il rettile al quale appartennero, era a lungo muso (rostro). Nella tavola annessa al presente lavoro ho tatto rappresentare il frammento meglio conservato di detto rostro, provvisto di denti laterali. I caratteri dei denti dell’animale di Gafsa sono particolar- mente visibili sopra due isolati, i quali perciò si possono stu- NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 55 diare meglio degli altri. Quelli infissi sul mascellare superiore o sulla correlativa mandibola, sono appuntiti, infissi, a quanto pare, in alveoli profondi, e saldati all’osso per mezzo della loro base. I denti isolati sono due laterali. Ma oltre quanto si è detto, non riesce possibile, dagli avanzi fossili che si posseggono fino al giorno d’oggi, e dal loro stato di conservazione, d’in- dagare se oltre i grandi denti laterali, che si trovano sui ma- scellari, il palato, i pterigoidiani e la volta palatina, fossero ancora provvisti di piccoli ed acuti denti, come nei Simaedo- saurus dell’eocene europeo, della famiglia Champsosauridae, alla quale il Pomel pure ascrisse il suo gen. Dyrosaurus. I denti laterali sono di forma conica, a sezione transver- sale quasi circolare, con leggera incurvatura della loro punta, ed a cavità interna conica. La loro dentina, spessa e compatta, è ricoperta di uno smalto finemente striato nel senso longitu- dinale, ed a strie parallele. Le dimensioni dei denti isolati in questione, corrispondono a quelle date dai Thomas per un dente laterale di Djebel Teldja, sul versante nord della Tunisia; ed ideutici caratteri presenta il dente rinvenuto a Djebel De- presso Tebessa, e menzionato dal Pomel. Colonna vertebrale e sue appendici. — Intorno agli ossami componenti tale parte scheletrica del singolare rettile, ho già accennato che si sono raccolte nei fosfati di Gafsa tredici ver- tebre, otto nel 1900, e cinque nel 1902. Pei loro caratteri esse possono essere classate in tre gruppi, a seconda della regione alla quale appartengono. 1° Gruppo. — Vertebre amficoeliane, con corpo massiccio e facce articolari a sezione verticale ellittica. Le parapofisi sono allo stato rudimentale, e tutte contro la faccia craniale: anche la cresta ipapofisiana è ridotta sulla faccia ventrale. La lama dell’apofisi spinosa è sviluppata e robusta; le prezigoapofisi e le postzigoapofisi si presentano normalmente sviluppate. Il corpo vertebrale è ristretto nella sua regione mediana, ed ha la sutura del suo arco neurale poco visibile. Le vertebre de- scritte sono in numero di due. 2° Gruppo. — Vertebre amficoeliane, con corpo molto mas- siccio, a sezione verticale leggermente ellittica, o quasi circo- lare, notevolmente ristretto alla regione mediana. Le facce ar- 5G GIUSEPPE DE STEFANO ticolari anteriori e posteriori sono leggermente concave; la po- steriore è più grande dell’anteriore, ed entrambe hanno il loro diametro transverso un po’ più lungo di quello verticale. Il margine inferiore del corpo, molto stretto al processo spinale, non presenta traccia di spina inferiore. Mancano anche ai mar- gini articolari inferiore e posteriore le tracce di una qualsiasi cavità articolare. La superficie della base delle apofìsi tran- sverse è larga e profonda; la sutura del corpo vertebrale col suo arco neurale è robusta, e passa presso a poco nel mezzo della larga e profonda superficie d’inserzione dell’apofisi tran- sversa sul corpo della vertebra; vale a dire, passa sopra un piano inferiore a quello del canale midollare, circoscritto dal- l’arco vertebrale. Le apofìsi transverse sono molto larghe e ro- buste alla base. Le vertebre diagnosticate sono in numero di sei. 3° Gruppo. — Vertebre con facce articolari amfìcoeliane e corpo piuttosto allungato. 11 centro, come le vertebre del se- condo gruppo, ha superfìcie rugosa, e si espande leggermente in fuori, ma senza sorpassare il corpo vertebrale, il quale un po’ ristretto nel suo mezzo e non carenato inferiormente, è al- quanto rigonfio a forma di uncino verso i margini della faccia articolare, dove non si osserva alcun tubercolo od apofìsi. La superficie superiore del centro verso la estremità anteriore è rilevata un po’ di più della inferiore. Le facce articolari sono a sezione verticale ellittica, la posteriore un po’ meno vasta della anteriore ; e il diametro transverso di entrambe è alquanto più breve di quello verticale. La lama dcH’apofìsi spinosa è poco sviluppata: la sutura del corpo col suo arco neurale è poco visibile. Le vertebre appartenenti a tale gruppo sono in numero di cinque, e tre lasciano chiaramente comprendere essere succes- sive di una stessa serie. Da quanto precede risulta che la serie vertebrale del nuovo rettile di Gafsa non è completa; e non lievi difficoltà s’incon- trerebbero qualora si volessero piazzare i tredici pezzi esami- nati al loro posto, a seconda della regione che occupavano nel rachide dell’animale vivente. Dirò tuttavia che le due vertebre del primo gruppo appartengono alla serie cervicale: perii loro NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 57 forame sinu-vertebrale ben marcato, per un rudimento di para- pofìsi che si osserva tutto contro la faccia craniale, per la lama dell’apofisi spinosa molto moderata, ciò che si osserva dalla su- perficie della base e che è di grande importanza; infine per la cresta ipapofìsaria o ipapofisiana, ridotta sulla faccia ventrale. Le vertebre in quistione parrebbe che stessero ad occupare nel rachide il quarto ed il quinto posto della serie cervicale. Quanto alle vertebre descritte nel secondo gruppo, egli è evi- dente ebe la notevole robustezza delle loro apofisi transverse indica essere state esse adatte a sopportare la porzione sacrale dell’arco pelviano od atte a servire di attacco a dei potenti muscoli. Perciò tali vertebre non possono essere che le rappre- sentanti della regione sacrale o lombare. Una, l’attribuisco alla regione dorsale, per la base poco robusta dei processi spinosi e per la massività del suo corpo. Dirò che tre probabilmente appartengono ancora alla regione dorso-lombare, per la confor- mazione della base dei processi transversi, non che per i centri, presso che della stessa grandezza in tutta la loro estensione. Le ultime due del secondo gruppo le attribuisco a sacrali per- che portano due residui di apofisi spesse e prominenti dal lato della faccia anteriore. Esse hanno le stesse dimensioni, ed iden- tificano con il corpo vertebrale di Djebel Teldja, menzionato dal Thomas e che ora si conserva fra le collezioni paleontologiche del Museo di Storia Naturale, non che con quello citato dal Ponici, e trovato a Djebel Djr. In altri termini, i corpi verte- brali delle due località ora citate e quelli di Gafsa in studio sono tutti delle vertebre sacrali, e differiscono solo un po’ nelle dimensioni. Do qui le principali misure di una fra le vertebre sacrali conservate fra le collezioni paleontologiche della scuola delle miniere, confrontandole con quelle del sacro, menzionato dal Thomas. Vertebra Vertebra di di Gafsa Djebel Teldja Lunghezza del corpo al livello del mar- gine inferiore della cavità articolare G5 min. 59 mm. Lunghezza del corpo al livello della sommità della cavità spinale ... 79 » 72 » 5 58 GIUSEPPE DE STEFANO Altezza della regione media del corpo misurata dal margine inferiore al centro della superficie d' impianto dell’apofisi transversa Diametro verticale della cavità arti- colare anteriore Diametro transverso della stessa. . . . Diametro verticale della cavità artico- lare posteriore Diametro transverso della stessa . . . Vertebra di Gafsa Vertebra di Djebel Teldja 59 mm. 55 mm. 75 » 68 » 65 » 57 » 69 » 65 » 57 » 54 » Quanto alle vertebre del terzo gruppo, le ritengo apparte- nenti alla regione cedale, perché i centri sono più piccoli, mentre la lunghezza del corpo è (piasi la stessa delle vertebre del secondo gruppo. Inoltre, la loro faccia ventrale è abbastanza appiattita e non si notacresta ipapofisaria, ciò che non ha luogo nelle vertebre da me attribuite alla regione dorso-lombare. Nella tavola annessa al presente lavoro ho fatto riprodurre una vertebra codale ridotta a metà grandezza naturale; mi dispenso quindi dal dare ulteriori indicazioni sui pezzi ossei in quistione, specialmente avuto riguardo alle loro dimensioni, tanto più che le sopra dette cinque vertebre codali non sono succes- sive di una stessa serie, ma sembrerebbe che appartenessero a più di un animale. Cintura scapolare e membra anteriori. — Di questa parte scheletrica non si conservano che due pezzi di cubito, identici, e un radio, i quali descrivo, ma mi dispenso dal figurare, avendo già ciò fatto il Thomas nel dare notizia della scoperta del rettile di Djebel Teldja. Le ossa lunghe di Gafsa sono identiche a quelle di quest’ultima località. Cubito. — Il corpo di tale osso, benché incompleto, doveva avere forma prismatica, come ce l’indica la pronunziata spor- genza della sua cresta posteriore. Esso è munito della sua estre- mità articolare inferiore completa, la quale presenta una esage- razione nella sporgenza del suo rigonfiamento condiliformc, per MUOVI METTILI ERG LI STRATI A FOSFATO 59 mezzo del quale il pezzo si articola al cubitale; e presenta inoltre una notevole inclinazione nella totalità della sua super- ficie articolare. La dialisi è forata anteriormente da una assai larga cavità midollare, la quale, in uno dei due esemplari da me osservati, misura 28 min. di diametro transverso sopra 21 mm. di quello radiale; e tutto ciò a breve distanza della sua estre- mità distale. Radio. — Anche il radio è rappresentato da una estremità distale: le sue dimensioni sono sensibilmente eguali a quelle delle due dialisi dei cubiti esaminati. La superficie articolare dell’osso in esame presenta una grande obliquità: detta super- ficie ha inoltre la forma generale di mezzaluna a concavità posteriore. Al di sopra essa si accosta molto alla leggiera cre- sta che limita in avanti la superficie diartroidale ; e verso il centro della sua convessità si osservano le tracce di due fori arrotondati, di circa quattro millimetri di diametro, i quali pro- babilmente appartengono a dei canali nutritivi dell’osso. La ca- vità midollare del radio in quistione, allo stato completo del- l’osso, doveva essere notevolmente più grande di quella del cubito corrispondente, e per conseguenza anche lo spessore delle sue pareti doveva essere sensibilmente meno robusto; tutto ciò facendo le dovute proporzioni. Infine, la sua dialisi doveva es- sere cilindrica a giudicare dalla sezione della sua cavità midol- lare. Alla estremità distale esaminata doveva corrispondere evi- dentemente un radiale di grandi dimensioni, ciò che implica che l’estremità dell’arto era larga e robusta. La porzione della diafisi descritta ha una cavità midollare la quale misura 42 mm. di diametro transverso e 33 mm. di diametro longitudinale. Il diametro antero-posteriore valutato nel mezzo della superficie articolare è di 53 mm., e quello transverso della stessa di 91 mm. Cintura pelviana e membra posteriori. — A questa porzione scheletrica vanno riferiti pochi frammenti non diagnosticabili di ossa pelviche, ed una parte prossimale di femore, la quale presenta un corpo analogo a quello dei coccodrilliani in genere, salvo una maggiore robustezza e massività di quelli proeoe liani e degli stessi rettili della famiglia Champsosauridae. 60 GIUSEPPE DE STEFANO Sistematica L’ esame fatto conduce prima di ogni altro alle seguenti conclusioni: dalle notizie date dal Thomas e dal Pomel sulla colonna vertebrale del rettile degli strati a fosfato dell’Africa settentrionale non si conoscevano che due sole vertebre sacrali ; il recente materiale trovato a Gafsa ci permette invece di cono- scere la conformazione delle vertebre di tutto il rachide, dalle vertebre della serie cervicale a quelle della serie dorso-lombare tino alla codale. Va dunque escluso il dubbio espresso dal Thomas e rigettata la sua opinione che, per l’animale in discorso, po- teva darsi il caso di una colonna vertebrale, composta nella maggior parte di vertebre procoeliane, la quale possedesse poi quelle lombari, sacrali e del coccige, amficoeliane (*). Ed è qui opportuno ricordare che il predetto autore cita il fatto che vi sono dei coccodrilliani dell’epoca terziaria i quali hanno una colonna vertebrale con vertebre amficoeliane e procoeliane, come il caso di quelli di Honfleur citati dal Cuvier (2). L’animale in quistione in tutto il suo rachide ha un deter- minato sistema di vertebre biconcave. Esso perciò non può es- sere considerato nel gruppo degli Stenosauri ( opisthocoelia ), com- prendente i generi Stenosaurus Geoffr., Cetiosaurus Ow., etc., i quali non sopravvivono agli ultimi tempi del Cretaceo; ma bisogna necessariamente metterlo fra i grandi rettili Amphi- codia del mesozoico. (’) Thomas Phil., Exploration scientifique de la Tunisie. Quelques fossiles d. terr. ter. et sec., etc., pag. 372 e 374. (2) Cuvier G., Recherches sur les ossements fossiles, 4mo édition. Tome IX, Paris, 1836, pag. 308-312. Il Cuvier nota ancora che negli stessi strati racchiudenti delle ossa fossili di veri coccodrilli si riscon- trano delle vertebre appartenenti talora al sistema biconcavo, al sistema procoelico ed a quello opistocoeliano. Il Cuvier del pari, nella loc. cit., dice che i rachidi di certi coccodrilli fossili, quali quelli di Hontleur, avevano le prime parti della colonna vertebrale composte di vertebre convesse-concave o concave-convesse, mentre le posteriori erano bipiane o biconcave. NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 61 Il Pomel ('), dalle vertebre provenienti da Djebel Djr, venne a concludere, come si è già accennato, che l’animale apparte- nesse alla famiglia dei Champsosauriani (?). Ora, le poche ver- tebre citate dal Pomel è vero che hanno i caratteri delle ana- loghe ossa della famiglia Champsosauridae e che la rottura della loro apotisi transversa cade sulla sutura, come si osserva nel materiale di Gafsa e come si osserva ancora in alcune vertebre del gen. Champsosaurus Cope (3) ; ma in effetti le complessive dimensioni delle vertebre studiate, la loro conformazione, non che quella delle ossa lunghe e della dentatura, indicano che noi siamo davanti ad un animale che non è, nè un Simaedo- saurus , nè un Champsosaurus , nè può essere incluso, a mio av- viso, nella famiglia di tali tipi generici. Di fatti, se, come sostennero Cope (4) e Dolio (r>), Champso- saurus è identico a Simaedosaurus, per tali rettili noi abbiamo: cranio allungato o longirostro (fi), denti laterali conici, appun- titi, con polpa persistente, palato, pterigoidiani, volta palatina, tappezzati ancora da gruppi di denti acuti, narici terminali riunite come nei coccodrilli, ed altri notevoli caratteri, che io metto a riscontro con quelli pochi fino ad ora conosciuti del Dyrosaurus dell’Africa, per meglio far notare le divergenze fra i due « tipi ». (■) Pomel A., De'courerte des Canipsosauriens dans les gisem. d. phosph., etc. C. R. Hebd. d. S. de l’Acad., 1894, pag. 1310. (*) Pomel A., Sur le Dyrosaurus thevestensis. C. R. d. S. de l'Acad., 1894,' pag. 1396. (3) Cope E. D., ( Champosaurus ), Proeeed. Acad. nat. hist. Pliilad., 1876, pag. 350.— Cope E. D., The Vertebrata of tlie Terliary formations of thè West, 1884, pag. 104. (<) Cope E. D , The Puerco Fauna in Trance. American Naturalist., August, 1883, pag. 869. — Zittel K. A., Traité de Pàléont. Trad. par Charles Barrois, tom. Ili, 1893, pag. 590. (5) Dolio L., Sur l’identité des genres Champsosaurus et Simaedo- saurus, tom. I et II. Revue de questions scient., 1885. (fl) Dolio L., Première note sur les Crocodiliens de Bernissart. Bull. Mus. Roy. Hist. Nat. Belg., tom. II, pag. 329. 62 GIUSEPPE DE STEFANO ( 1 hampsosaurus . Cranio di gaviale a lungo muso. Denti conici, appuntiti, in- fissi in alveoli poco profondi e saldati all’osso per mezzo della loro base. Denti con polpa persistente. Palato, pterigoidiani e volta palatina tappezzati da gruppi di denti acuti. Narici terminali riunite co- me nei coccodrilli. Narici interne presso a poco nel mezzo della lunghezza del cranio separate da una pic- cola lamella ossea. Vertebre quasi piatte, o molto debolmente scavate an- teriormente e posteriormente. Archi superiori uniti per sutura. Dyrosaurus. Cranio di gaviale a lungo muso. Denti conici, ricurvi e leg- germente appuntiti, con smalto striato nel senso longitudinale da strie parallele, infissi in alveoli molto profondi, con dentina spessa e compatta, a cavità interna conica e a se- zione transversa quasi circo- lare. Denti con polpa non per- sistente. ? v ? Vertebre biconcave, con le due superficie articolari pro- fondamente scavate. Archi neurali saldati sola- mente per condrose clic la- sciano sul centro vertebrale una superficie rugosa. NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 63 C hampsosaurus. Sacrimi formato da due ver- tebre. Vertebre codali, mancanti di cresta ipapofìsiana, e con le emapofisi intervertebrali. Omero non perforato e con fossa ectepicondi Ioide. Cubito di forma normale come quello dei veri cocco- drilli. Radio di forma normale come quello dei veri cocco- drilli. Nella fossa articolare della cintura pelviana si riscontrano l’ilion, il pube e l’ischiatico. Dyrosaurus. Sacrum formato da due ver- tebre? Vertebre codali, con pre e postzigapofìsi sviluppate nor- malmente, e con emapofisi in- tervertebrali. y Cubito con esagerato rigon- fiamento ed obliquità condi- li forme, con diafisi forata da larga cavità midollare. Radio, con superficie arti- colare a forma di mezza luna, a concavità posteriore e molto obliqua, con diafisi cilindrica e cavità midollare notevol- mente vasta. y Se poi Simaedosaurus è diverso di C hampsosaurus (’) re- stando entrambi i generi inclusi nella, stessa famiglia, osservo: (') Gervais P., Enumération de quelques ossemente d’atiimaux ver- tébrés recueillis mix environs de Reiins por M. Lemoine. Journal de Zoologie, 1877, pag. 75. — Lcmoine V., Elude sur les caraclèrcs généri- ques du Simaedosaurus. Reiins, 1884. — Lemoine V . Non veli e noie sur le geme Simaedosaurus. Reiins, 1885. — Lemoine V., Sur la pré- C,4 GIUSEPPE DE STEl’ANO che fra le vertebre descritte dal Cope (*) come appartenenti ai Champsosaurus della sua nuova famiglia, vi sono dei casi nei quali l'arco neurale aderisce al centro, ma vi sono anche dei casi di non aderenza degli archi in alcuni pezzi ossei del rachide. Dirò, infine, che il gen. Dyrosaurus fondato dal Ponici non può essere incluso nella famiglia dei Champsosauriani, oltre che per gli avanzi conosciuti, per la conformazione del corpo di questi ultimi, in specie del gen. Simaedosaurus Gervais, del quale ho potuto osservare i numerosi avanzi di Reims che si conservano nel Museo di Storia Naturale di Parigi, non che quelli dell’eo- cene inferiore belga ostensibili a Bruxelles, e tra gli altri un esemplare completo, montato dal paleontologo Dolio. In conclusione, dagli avanzi finora conosciuti, intorno al ret- tile degli strati a fosfato dell’Africa settentrionale, si può ri- ferire quanto segue. La biconcavità di tutte le vertebre del rachide indica nell’animale fossile delle abitudini aquatiche; mentre d’altro canto il notevole sviluppo delle cavità midollari delle ossa lunghe, non che il considerevole volume della estre- mità distale del radio, la quale lascia comprendere una estre- mità dell’arto assai larga e robusta, sembrerebbero indicare delle abitudini piuttosto terrestri, o per lo meno alquanto differenti da quelle dei coccodri lliani terziari procoeliani. Il carattere delle vertebre cervicali sarebbe quello di una scannellatura o solco fra il tubercolo capitolare e la dilatazione d’inserzione dell’arco neurale: ne deriva perciò che l’inserzione della costa è semplice e pare effettuarsi unicamente sul tuber- colo capitolare. Questa disposizione è quella tipica del modo d’inserzione delle coste nei Plesiosaurus ed i Lacertiani. I frammenti delle ossa delle membra indicherebbero ancora delle affinità analoghe, possedendo caratteri dei coccodrilli e dei Lacertilia del mesozoico, gli JEnaliosauria fra gli Hydro- sence du Simaedosaurus dans les couches eoccniques inférieures de Sc- zanne. Bull, de la Soc. Géologique de Franco, 3a sèrie, toni. XIV, 188ó, pag. 21. 1 Cope E. D., The Vertebrata of thè Terliary formaiions of ihe IFes/. Book I. Report of thè United States Geologica! Survcy of thè territories. voi. Ili, 1881, pag. 104-111. NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 65 sauna , rettili con pelle nuda, coriacea, con vertebre biconcave e natatoia caudale. A questi ultimi, infine, composti, di una colonna vertebrale mobile e tutta di pezzi amficoeliani, di una testa piatta con muso allungato e denti prensili, conici, ap- puntiti ed impiantati in alveoli profondi (organi che li ap- palesano come animali di preda), il Dyrosaurus dell’Africa sem- brerebbe accostarsi molto; ciò che non si osserva nel Siniacdo- saurus di Reims e di Erquelinnes e nel Champsosaurus di La- ramie e d’El Puerco. Se il Dyrosaurus phosphaticus possedesse un osso quadrato libero, detto genere si allontanerebbe notevolmente da tutti i Rhyncocephalia, e rientrerebbe nei Pythononiorpha del Cope. Ma gli avanzi finora conosciuti non ci permettono di assicurare se nell’animale vivente il quadrato era unito al cranio o restava libero. Tale dubbio ci consiglia a collocarlo piuttosto fra i lìlnyn- chocephalia , siccome fece il Baur per la famiglia Champsosau- ridae , senza confonderlo però con la famiglia dei Sphenodonti- dac H. von Meyer, nè tanto meno con i Iihynchosauridae Hux- ley ('). Esso, secondo le mie idee, spetta ad una nuova famiglia del sottordine Proganosauria Baur (!) e si accosta di più dei Champsosauridae agli Enaliosauria mesozoici. Alla nuova fa- miglia io darei il nome di Dyrosauridae , dall’unico rappresen- tante, il Dyrosaurus Pomel, che si conosce finora. In effetti il Dyrosaurus dell’Africa non è il Simacdosaurus dell’ Europa, nè il Champsosaurus americano ; ma insieme a questi ultimi ci rappresenta però nell’eocene dei tre continenti nominati la continuazione di quei lihynchoccphalia secondari dei quali anche un superstite vive nell’attualità. C) On some lleplilian and Amphibian remains of South- Africa. Quart. Journ. Geol. Soc. London, 1850, voi. XY, pag. 435. (8) On thè philogenetic Arrangement of thè Sauropsidae. Jonrn. of Morphol., voi. I, 1887. Pàlaeohaiteria and thè Proganosauria. Araer. Journ. of Science; voi. XXXVII, 1889, pag. 310. — Zittel K. A., Traile de Paleontologie. Traduit par Ch. Barrois, tome 111, 1893, pag. 583. GIUSEPPE DE STEFANO 6(j II. Ordine S AUROPTER YG I A . Famiglia PLESIOSAURI AE Owen. Gen. Pliosaurus (?) Owen. Pliosaurus (?) phospliaticus De Stefano. Fra gli avanzi rinvenuti a Gafsa nel 1902 si trovano cin- que denti isolati che io non saprei attribuire se non ad uno di quei Sauropterygia della famiglia Plesiosauridae, appartenenti al giurese ed al cretacico. Si tratta di esemplari di considerevole lunghezza, a forma conica, a sezione arrotondata, ricurvi in alto con radice liscia e contenente una polpa persistente, e con corona occupante presso a poco il terzo della lunghezza totale di ciascun dente. La loro superficie è liscia tanto alla radice quanto alla corona, o al- meno tale si presenta nell’ attuale stato di conservazione dei fossili. L’incurvatura si manifesta in particolar modo in pros- simità della punta, dove i denti si assottigliano molto. L’avorio è composto di strati concentrici, e presenta una struttura molto compatta. Dalla lunghezza della radice si desume clic gli or- gani in esame dovevano essere infissi in profondi alveoli; e la loro complessiva conformazione li fa ritenere come appartenenti ad un intermascellare o ad una parte anteriore di un mascel- lare superiore. Certo, noi ci troviamo dinanzi ad avanzi di un animale rappresentante di quei grandi rettili mesozoici, Ischyrodon H. v. Meyer, Spo n dylosau rus Fischer, Piratosaurus (?) Lcidy, Ischyrosaurus (?) Cope, Polyptychodon Owen, ctc., i quali talora arrivano fino al cretacico affatto supcriore, ma che fino ad oggi non si sono riscontrati mai nel terziario inferiore, vero e proprio, e che in fondo la maggior parte sono imperfettamente cono- sciuti per i pochi ed incompleti avanzi osservati, se si eccettuino in certo qual modo i generi Pliosaurus Owen, e Polyptychodon Owen (~ Lii thesaurus, Kipriianoff). Si comprende perciò che NUOVI RETTILI DEOLI STRATI A FOSFATO 67 la determinazione da me data è alquanto dubbia, e solo fon- data sulla comparazione di alcuni denti, analoghi a quelli di Gafsa, i quali furon trovati nell’argilla oxfordiana di Boulogne e di Charly (Cher) e che si conservano fra le collezioni paleon- tologiche del Museo di Storia Naturale di Parigi. I sopra citati avanzi di Boulogne, dal Sauvage (*) furono riferiti a Liopleu- rodon grossonorei Sauv., e Lio pi. ferox Sauv.; ma il Lydekker osserva giustamente (2) che essi vanno riferiti al gen. Pliosaurus. In effetti, gli organi dentarli di Gafsa presentano dei caratteri analoghi a quelli dei Pliosaurus nelle dimensioni, nella lun- ghezza della corona e nella incurvatura della sommità di questa ultima ; ma si accostano anche a quelli dei Polyptychodon, nella forma conica ed a sezione arrotondata, nell’avorio formato da strati concentrici, non che nella radice che contiene una polpa persistente. Dato quanto ho esposto e la diretta comparazione con il materiale illustrato dal Sauvage; dato che il Lydekker (3) ri- tiene che i generi Ischyrodon H. v. Meycr, Liopleurodon Sau- vage e Spondylosaurus Fischer, rientrano tutti nel Pliosaurus Owen ; concludo che i denti di Gafsa esaminati si approssi- mano di più al gen. Pliosaurus anzi che al gen. Polyptycho- don, e perciò li riferisco al primo. In tal caso, il nome specifico del nuovo rettile potrebbe ri- cavarsi dalla natura e dall’orizzonte geologico dove fu rinvenuto. (') Sauvage H. E., Notes sur Ics reptiles fossi! es. Bull, de la Soc. Géol. de France, 3e sèrie, I, pag. 378-379. (?) Lydekker IL A , Notes on thè Sauropterigia of thè Oxford and Kimeridge clays in thè Colìcction etc. Geol. Mag , 1888, voi. \ 111, pag. 350. — Lydekker, Catalogne of thè foss. Bept. and Amphibia, etc., 1888. (3) Lydekker, B. A., Notes on thè Sauropterigia of thè Oxford etc., pag. 350. G8 GIUSEPPE DE STEFANO III. Ordine TESTUDINATA. Sottord. CRYPTODIBA. Famiglia CHELONIDAF Brongniart. Gen. Thalassochelys Fitzinger. Thalassochelys phosphatica De Stefano. (Tav. IV, fig. 3 e 4). Questo nuovo clielonio appartiene anch'esso ai fosfati grigi di Gafsa, ed è stato ceduto dal Prost alla Scuola delle miniere di Parigi nel maggio del 1002. Esso consiste, come l’altro già da me illustrato (*), in un cranio di notevoli dimensioni. 11 ma- scellare inferiore di detto cranio è deformato, c difetta della porzione anteriore dell’osso dentario destro; la sua parte latero- posteriore sinistra manca di porzione dello squammosum. Una potente compressione latero-transversa, deformando il fossile dal lato sinistro, nella regione mandibolare, ha reso impossibile una esatta misura della massima larghezza, la quale perciò è da me data con una certa approssimazione. lutine, la superficie delle ossa essendo in gran parte consumata, con pena se ne rintrac- ciano le suture. Le dimensioni in millimetri del fossile in quistione sono le seguenti : lunghezza misurata dall’estremità distale del parietale al- l’estremità anteriore del becco mascellare 175 min.; larghezza massima approssimativa misurata in corrispon- denza del hasiocci pitale 176 min.; altezza massima calcolata al livello dell’osso parietale 1 1 3 mm. Le date dimensioni colpiscono a prima vista per il rapporto esistente fra i diversi diametri del cranio, in quanto che que- i C) De Stefano G., T/Uuclastes Jlourillei Pe Stef., delVeocenc infe- riore dell' Africa settentrionale. Reggio-Calabria. Tip. Morello, t!)02. NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 69 st’ ultimo si presenta un po’ più largo che lungo; ed è, relati- vamente, molto elevato. Perciò, anche ammesso che la prenotata deformazione abbia influito un po’ sul rapporto degli osservati diametri, resta sempre incontestato il fatto che il fossile ha un rapporto fra la sua lunghezza e la sua larghezza quasi eguale all’unità; mentre quello dell’altezza alla lunghezza è circa 2/3. Passando all’esame delle diverse parti che compongono il cranio di Gafsa, si osserva che la faccia superiore non è incli- nata sull’orizzontale; mentre quella anteriore è abbastanza incli- nata sulla verticale : queste due ultime superficie si tagliano senza sensibile raccordo al di sopra della sutura naso-frontale. Le note dimensioni per l’elevazione verticale e per la lar- ghezza massima, aggiunte alla disposizione delle facce superiore ed anteriore, fanno comprendere di leggieri che uno dei pecu- liari caratteri del cranio in studio è quello di avere la super- ficie superiore molto larga e poco convessa. Lo spazio interorbitale è largo, e le orbite sono pressocchè verticali : una così fatta disposizione rende invisibile il margine inferiore di dette orbite quando si guardi il cranio dal di sopra. Le suture delle ossa, per quanto siano poco visibili, non accen- nano a nulla di anormale : si può dire che la regione media e posteriore del parieto-squammosum è piana; che la porzione anteriore delle post-frontali, in vicinanza del margine posteriore delle orbite, è concava; e che le ossa nasali, quelle lacrimali e le frontali sono confluenti da ciascun lato. La fossa temporale è completamento coperta; il parietale articola con il post-fron- tale per mezzo di una lunga sutura; il quadrato jugale penetra nella formazione dell’anello timpanico; il vomere divide le ossa palatine, molto sviluppate; ed in fine il quadrato articola con una concavità nella mandibola. Le narici sono situate in un piano verticale passante per il punto alveolare della sutura interpremascellare. Esse sono di media grandezza. La cresta sopraoceipitale è ricoperta dalle ossa parietali solamente sopra una parte della sua estensione; e le ossa pterigoidi, di moderata lunghezza, hanno i processi ectopte- rigoidi situati a piccola distanza sopra i loro angoli antero- estcrni. 70 GIUSEPPE DE STEFANO L’apparecchio masticatore non c molto massiccio; e la sin- fisi mandibolare, convessa inferiormente, è concava superiormente: essa è senza solco orale e non sorpassa in lunghezza la metà della lunghezza totale della mandibola. Sistematica. Il cranio descritto indica un animale appartenente agli Eu- cheloniani ( PJiynchochelonii ) del Dolio (*). La ossificazione com- binata che doveva esistere fra il suo endoscheletro ed il suo esoscheletro ci induce a scartarlo dalle Athecae del Cope (5) ed includerlo fra i ehelonidi Thecophora del Dolio (3), ed al gruppo Cryptodira Cope (4). Se l’animale vivente possedeva un piastrone unito alle plac- che marginali della corazza per un semplice contatto rettilineo, esso apparterrebbe al gruppo dei Lysosterna Cope (5) o Lyso- plastra del Dolio (6). Da tale gruppo bisogna escluderlo per le (') Dolio L., Première note sur les chéloniens du Bruxellien (e'ocène moyen) de la Belgique. Bull. d. Mas. Roy. d’Hist. Nat. Belg., toni. IV, 1886, pag. 79. (D Cope E. D., The Reptiles of thè american éocène. American Na- turalist, 1882, pag. 979. (3) Dolio L., toc. cit., pag. 79. C) Cope E. D., Contributions to thè History of thè Vertebrata of thè Power Eocene of Wyoming and New Mexico, inade during 1881. Proc. Amer. Philos. Soc., 1881, pag. 143; — Lydekker R. A., Catalogne of thè fossil Reptilia and Amphibia in thè British Museum. Order Cheionia, 1889, pag. 11. Ecco la diagnosi del gruppo Cryptodira secondo Lydekker: « Skull with quadrate articulating, with a concavity in inandible; poste- rior border of tympanic ring with distinct notcli ; pterygoids in contact, narrow, and laterally emarginate, and extending forwards to join thè vomer, which divides thè palatines ». ^ (5) Cope E D., Contr. io thè Hist. of thè Veri, of thè Power Eocene of Wyoming, etc., 1881, pag. 143; Check-list of thè North American Ba- trachia and Reptilia. Bull. U. S. National Museum, 1876, n. 1, pag. 16. (f') Dolio L., Première note sur les chéloniens oligocènes et néogènes de la Belgique. Bull. d. Musée Roy. d’Hist. Nat. de la Belgique, tome V, 1884, pag. 59. — Dolio L., Première note sur les chéloniens de Bernissart. Bull, du Mus. Roy. d’Hist. Nat., ecc , 1885, pag. 63. — Dolio L., Première note sur les chéloniens du Bruxellien, ecc., Bull, du Musée Roy. d’Hist. Nat., 1886, pag. 75. NUOVI RETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 71 dimensioni del cranio e per la conformazione già notata delle sne ossa, non che per la posizione delle orbite e delle narici. L’animale, dunque, non potette appartenere che o ai chelonidi Clidosterna (') o a quelli Dactylostema (2). Siccome del suo piastrone non si conosce nulla, si può per induzione affermare che qualora l’animale appartenesse ai Clidosterna esso dovrebbe essere incluso in una delle seguenti famiglie : Pleurosternidae, Emydidae, JBaenidae, Cinosternidae, Adoci dae, Testudinidae. Ora, dati i caratteri già notati del cranio di Gafsa, l’ani- male non può essere incluso in nessuno dei gruppi trascritti ; esso apparterrebbe quindi ai chelonidi Dactylostema Cope, nei quali il piastrone non è articolato alla corazza, ma offre sui suoi margini delle digitazioni più o meno accentuate. Nei Dactylostema il Cope include le seguenti famiglie (:i): Cheloniidae , Trionychidae, Propleuridae , Chelydridae. Se poi i Cryptod ira Dadyloplastra del Dolio (4) si ritengono equivalenti ai Dactylostema del Cope, come è giusto ritenere con le osservazioni fatte dal Baur (5), allora alle quattro su men- tovate famiglie bisogna aggiungere quella delle Eurysterni- dae. C) Cope E. D., Contributions io thè History of thè Vertebrata of thè Veri, of thè Louer Eocene, ecc. Proc. Amer. Phil., ecc., 1881, pag. 145. — Cope E. D., The Bept. of thè Amer. Eocene. Amer. Natur., 1882, pag. 781. (2) Cope E. D., toc. cit., Proc. Amer. Phil., ecc., 1881, pag. 143. (3) Cope E. I) , The Bepiiles of thè American Eocene. Amer. Natur., 1882, pag. 979. (•*) Dolio L., Première note sur les chéloniens du Bruxellien (éocène moyen) de la Belgique, 1886, pag. 75. (5) Baur G., Osteoloyische Notizien iiber Beptilien. Zool. Anzeig., toni. IX, 1886, pag. 685-690 — Baur G., Osteoloyische Notizien iiber Beptilien. Zool. Anzeig., toni. X, 1887 ; pag. 96-102. 72 GIUSEPPE DE STEFANO Il fossile va escluso perciò dalle quattro famiglie, Chelydridae, Furysternidae, Trionychidae , Fropleuridae , e, data la sua con- formazione, appartiene con certezza alle Cheloniidae (‘). Secondo le idee esposte ultimamente dal Lydekker, il quale pei chelonidi fossili segue i criterii sistematici adottati dal Bou- lenger per le tartarughe viventi (2), nella famiglia Cheloniidae Brongniart vanno inclusi i seguenti cinque generi (3): C belone, Brongniart ; Argillochelys, Lydekker ; T ìtala ssochelys, Fitzinger ; Lytholoma, Cope; Notochelone, Lvdekker. Premesso che il gen. Lytholoma Cope, come ho già dimo- strato altra volta, a mio avviso, cade in sinonimia col gen. Eu- clastes Cope (4), il cranio di Gafsa non può essere incluso in nessuno dei seguenti generi : 1. Notochelone , Lydekker (5), che lo stesso autore, del resto, ritiene provvisorio {A provisionai genus probably alti ed io Lytholoma)', (') Lydekker R. A., Catalogne of thè fossil Beptilia and Ampliibia in thè British Museum. Order Cheionia, 1889, pag. 27. Ecco la testuale dia- gnosi data dal Lydekker sulla famiglia Cheloniidae: « Skull Aviti) tein- poral fossa completely roofed over: squamosa! joining parietal, and thè lattei- articulating by very long suture with post-frontal ; quadrato- jugal entering into formation of tympanic ring; tympanic cavity com- pletely open posteriorly; bones of palate ieveloping palatal plates to tloor thè neural passage ». (2) Boulenger A. G., Catalogne of thè Chelonians, Bhynchocephalians , and Crocodilians in thè British Museum (Naturai History) London, 1889. (3) Lydekker R. A , Catalogue of thè foss. Bept. and Ampli, in thè British Museum. Ord. Cheionia, 1889; pag. 27-70. (4) De Stefano G., L’ Euclastes Douvilléi De Stef. delVeocene infer. dell'Africa settentr., 1902, pag. 9. — Cope E., Proc. Ac. Nat. Se. Pliila- delphia, 1867, pag. 39. (•"’) Ovvcn (?), Quart. Journ. Geol. Soc., voi. XXX VI II, 1882, pag. 178. — Lydekker R. A., Catalogue of thè foss. Bept. and Ampliibia, etc. Ord. Cheionia; pag. 70. NUOVI NETTILI DEGLI STRATI A FOSFATO 73 2. Euclastes Cope ('), il quale ha un cranio allungato, le orbite dirette in alto ed in avanti, il vomere allungato, le coane poste molto indietro, e l’apparecchio masticatore massivo con sin- fisi lunga più della metà di tutta la lunghezza mandibolare; 3. Argillochelys Lydekker (2), il quale ha un cranio con orbite e narici dirette leggermente in alto, una larga sbarra interorbitale, un palato con pareti alveolari basse, i pterigoi- diani corti e larghi anteriormente, la sinfisi della mandibola di media lunghezza, e la lunghezza della porzione post-sinfisale minore del doppio di quella della sinfisi ; 4. Chelone , Brongniart (3) ; il quale ha un cranio compa- rativamente lungo e stretto, con pterigoidi allungati, le aperture palatali delle fosse temporali allungate antero-posteriormente, le narici posteriori nel terzo anteriore del cranio, il vomere di moderata lunghezza che si unisce con i brevi premassillari, e la lunghezza della porzione post-sinfisale del ramo della man- dibola eccedente quella della sinfisi. Il cranio di Gafsa, in conclusione, appartiene, dunque al gen. Tìialassochelys Fitzinger (4). A quanto sembra, dagli avanzi cheloniani finora venuti in luce, il vivente gen. T hai assodi elys Fitzinger è molto scarsamente rappresentato fra i fossili terziari europei ed americani. Il Lydekker cita (5), una Thalassochdys eocaenica Lydekk. deU’eocene medio di Bracklesham, i cui avanzi (') Cope, Trans, of Amer Phil. Soc., voi. XIV, pt. I, 1871, pag. 144. — Cope, The Vertebrata of thè Tertiary formations of thè West, 1884, pag. 112. — Dolio L., Biill. du Musée Boy. Hist. Nat. Belgique , voi. IV, 188G, pag. 137. — Lydekker, Catalogne of thè foss. Rept. and Ampli, etc. Part. Ili, pag. 70. (') Lydekker, Quart. Journ. Geol. Society, voi. XIV, 1899, pag. 236. — Lydekker, Catalogne of thè foss. Rept. and Ampli., etc. Part. Ili, 1889, pag. 40. (3) Brongniart, Bull, de la Soc. Philom., voi. Ili, 1800, pag. 89. — Owen, Monograph on ilie fossi l Reptilìa of thè London Clay. Part I, Che- Ionia. The Palaeontographical Society, 1849, pag. 19. — Lydekker, Catal. of thè foss , etc. 1889, pag. 42. (■*) Fitzinger, Entwurf einer systematischen Anordnung der Schild- kròten. Ann. Mus. Wien, voi. I, 1835, pag. 1835. — Lydekker, Catalogne of thè foss. Rept., etc., Ord. Cheionia, 1889, pag. 49. (5) Lydekker, Proc. Geol. Assoc., voi. XI, 1889, is zum Sternecentruin reichen ». E ri- ZOANTARI MIOCENICI DELL’hÉRAULT 123 spettivamente per V immersa: « 30-36 Septallamellen (drei voll- » standige Cyclen nebst einera vierten unvollstandigen). . . ». Concludendo; si hanno 3 cicli e parte del 4°; appunto questo carattere servì a Milne Edward» e ad Haime per le suddivisioni nel genere. Ora questo distintivo così specifico non sempre si può rico- noscere, dacché i setti del 4° ciclo, essendo sempre tenuissimi, facilmente vengono erosi. Egli è per questo che talvolta non si può tenere presente nella determinazione, come è appunto nel nostro caso. Invero, solo con molta accuratezza ho potuto tal- volta in un grande corallario trovare un solo o pochi calici che portassero il rudimento del quarto ciclo; mentre i primi tre quasi sempre si presentano ben sviluppati e regolari. Nullameno sono riuscito a schematizzare la seguente figura e la corrispon- dente forinola, che molto bene risponde alle figure riportate dal Heuss per le due forme poste nella sinonimia. } 1 4 3 2 3 1 ( (1 sistema). } 1 3 2 3 4 1 } (1 sistema). £1432341 {(3 sistemi). J 14342434 1 j (1 sistema). Con l’aiuto appunto di levigature sperai trovare più frequen- temente questo carattere, ma non vi sono riuscito, segno evi- dente di profonda erosione subita dai corallari. Ed infatti mol- tissimi esemplari dovetti dichiararli indeterminabili. Tutti gli altri caratteri corrispondono perfettamente, fatta astrazione di alcune osservazioni che rileverò, alla descrizione della specie. Forma spesso a superficie pianeggiante, talvolta però gli esemplari sono a superficie convessa; ciò clic del resto già os- servò pure il D’Aehiardi ed il Heuss. Polipieriti con calici un poco rilevati e differentemente lon- tani fra di loro; in un esemplare grande la minima e la mas- sima distanza è rispettivamente di min. 1 e 3. 121 GIOACCHINO DE ANGELI-S D’OSSAT Calici circolari od ellittici, di diametro diverso rum. 4-7; il maggior numero però misura min. 0-7. La variabilità nelle di- mensioni dei calici fu pure notata dal Milne Edwards c dallo Haime. Coste vicine fra loro, quasi uguali, alternativamente più grandi; forellate irregolarmente nella regione lontana dai calici. Columella abbastanza sviluppata e spugnosa. Cicli tre presenti sempre, ed il quarto rudimentale toglie la regolarità ai sistemi, non comparendo totalmente. Setti sottili, vicini, i principali generalmente si riconoscono con facilità; le facce portano granulazioni. Verso il centro si mostrano chiaramente perforate con lacinie che muovono verso l’alto. Queste osservazioni le ho potute fare sopra pochissimi esemplari ben conservati. Teca o Muraglia ben distinta generalmente, talvolta però, a causa della cattiva conservazione, sembra indistinta. Nello stesso esemplare ho potuto fare questa osservazione ; laonde diventa quasi sicurezza il dubbio mosso dal de Fromentel (loc. cit.) in- torno alla He. vesiculosa E. H.: « Peut-etre n’est-elle qu’une va- » riété de la précédente » (Defrancei) ; invero essa deve conside- rarsi come fondata sopra « morceaux brisés » nei quali è stata obliterata la muraglia. Esoteca molto abbondante e vescicolare Traverse endotecali irregolari, inclinate e non costituenti un tessuto vescicolare. Come si può raccogliere dalla bibliografia citata, la Defrancei è conosciuta sopra una larga superficie ed appartiene ad un periodo di tempo abbastanza lungo. Invero: Nel Tongriano di Dego e Sassella e nell’Elveziano di Torino. Nelle Alpi venete è conosciuta a Sangonini di Lugo, Santa Tri- nità, Monte Bastia di Montecchio Maggiore, Pantano; Corsica (Bonifacio), Sardegna (Fontanaccio, Piano di Plauanzia), Saint- Paul dans les Landes, Manthelan fra l’indre e la Loire, Bor- deaux. NelPElveziano della Spagna : Sant Pau d’Orda 1, Papiol, Castelli! de la Marca y Monjos. Anche in altre località estra- europee. La specie dall'Oligocene va al Miocene medio. Z0ANTAR1 MIOCENICI DECL’hÈHAULT 125 Località: La presente forma è largamente rappresentata nel- l’Hérault : Autignac, ff. ; Seriege, f.; Aubaret, r.; Fontes rr. ; tutte del Tortoniano inf. 3. Heliastraea Ileussana E. II. 1848. 1 Explanaria astroites Heuss (non Sarcinula astroites Goldfuss). Reuss, Foss. Polyp desWiener Tertiarbeckens, pag. 17, tav. 2, fig. 7, 8. 1850. Astrea Ileussana Milne Edwards ed Haime, Ann. des Se. nat. 8. ser. t. XII, pag. 110. 1857. Heliastraea Beussana Milne Edwards ed Haime, Hist. nat. Corali. toni. II, p. 474. Vi sono parecchie specie che somigliano moltissimo alla He. Beussana e che con questa facilmente si confondono. Di- venta poi la specificazione impossibile quando gli esemplari non sono ottimamente conservati, perchè le differenze sono poste sopra particolarità anatomiche facilmente erodibili. Enumero le specie affini e la stessa Beussana: 1. He. Ellisiana Defr. sp. 2. » plana Michelin. sp. 3. » Beussana E. H. 4. » moravica Reuss. sp. 5. » dendroidea Menegh. 6. » problematica Seguenza. Non potendo studiare esemplari delle due ultime forme, per queste rimando all’autorevole giudizio del D’Achiardi A. ( Stud . Gomp., pag. 16, 1868). Per la moravica mi attengo al parere di Milne Edwards e di Haime ( loc . cit., pag. 474). Riguardo alle prime tre discuto le caratteristiche differenziali proposte dai due scienziati francesi. Questi, dopo aver descritto minutamente la Ellisiana (loc. cit., pag. 468), così parlano della plana : « Cette espèce, très semblable par l’aspect à la He. El- » lisana, nous parait en différer cependant, tant par ses cloisons » qui sont plus minces que par son tissu exothécal plus fin et » plus serrò. Il y a 3 cycles complets et dans 2 des systèmes » des cloisons d’un 4e cyele ». 126 GIOACCHINO DE ANGEUS D’oSSAT 1 caratteri differenziali quindi sono: 1. Maggior sottigliezza dei setti; 2. Tessuto esotecale più fine e serrato; 3. Presenza del 4° ciclo in due sistemi. I primi due sono relativi e quindi, anche data la buona conservazione, difficilmente apprezzabili. L’ultimo solo sarebbe \ differenziale. E però da notarsi che negli esemplari della He. Ellisiana provenienti da Mérignac riconobbi molti calici con i setti del quarto ciclo presenti in due soli sistemi. Nella piana la maggioranza dei polipieriti debbono presentare la terza ca- ratteristica enunciata. Riporto le incerte parole del Namias sopra questo argo- mento (Namias I., Coralli fossili del Museo geologico della TL Università di Modena, 1892, pag. 102): La He. plana « po- » trebbe essere considerata anche come una varietà dell’//, elli- » sana ove i tramezzi sono più delicati, lini, serrati, col margine » piano ». Della JReussana ecco ciò che dicono gli autori citati : « Ce » Coralliaire, (pii a été confondu par M. Reuss avec la Sarcinula » astroites de Goldfuss (//. Ellisana ), est en effet très voisin » de cette espòce, tant par sa forme générale, la grandeur de » ses calices que par la plupart de ses autres caractères. Il en » diffère seulement en ce que sa coluiuelle est rudimentaire, que » ses systòmes sont toujours réguliers et ternaires, et que ses » eloisons principales sont plus épaisses en dehors. Toutes les » traverses sont très serrées » ( loc . cit., pag. 474). I distintivi quindi sono: 1. Columella rudimentale; 2. Setti principali più spessi all’esterno; 3. Sistemi regolari e ternari. II primo carattere non si può distinguere, giacche anche V He. Ellisiana ha la columella poco sviluppata. Il secondo può solo servire quando la conservazione del fossile è eccellente e poi pecca di relativo. ZOANTARI MIOCENICI DELL’hÉRAULT 127 Il terzo solo è S])ecitìco, quantunque, come già dissi, si tro- vano esemplari di He. Reussana, con disposizione di setti, che ricordano e la plana e la Ellisiana. Nullamcno, tenendo conto della generalità degli individui, è questo il miglior carattere. Laonde riassumendo le differenze e ponendole schematizzate in figure ed in forinole ecco ciò che otteniamo: Ellisiana. plana. ltenssana. In (/nasi tutti i si- Presenza di setti del Tre cieli soli. Sistemi sterni compaiono setti 1° ciclo iti 2 sistemi. ternari e regolari, impari del -/» ciclo. j 1 3 2 3 4 1 | (3 sistemi). ) 1 4 3 2 3 1 | (2 sistemi). | l 3 2 3 1 l } J 1 4 3 4 2 4 3 4 1 { (1 sistema). 1 l 4 3 2 3 4 i j (1 sistema). | l 3 2 3 I ! j 1 3 2 3 1 I (6 sistemi). (1 sistema). (4 sistemi). È a tutti noto il .valore giusto che si deve attribuire alla presenza dei vari cicli ed ordini di setti : invero sono conosciuti ■universalmente i lavori di Lacaze-Duthiers, del Kòlliker e di tanti altri, di cui ebbi già altre volte occasione di parlare {Introduzione allo studio degli Antozoi fossili). I setti origi- nano in date epoche diverse e poi per simmetria si dispongono a cicli. Quindi il numero dei setti e la presenza dei cicli sono subordinati all’ età dell1 individuo. Ciò è provato dal fatto che si può sempre constatare: sullo stesso corallario vi sono in- dividui con numeri diversi di setti. E così ho trovato nella stessa colonia individui che si potevano riferire alla Reussana ed alle due altre specie: plana ed Ellisiana. Noi però dob- biamo attenerci ai caratteri che presentano la maggioranza degli 128 GIOACCHINO DE ANGELIS O'CSSAT individui adulti: ed in questo modo il carattere distintivo è sicuro. Il trovare spesso associate due o tutte e tre le forme in esame, fa nascere il sospetto clic i cambiamenti in parola si possano ritenere causati anche dalla diversa posizione che occupa- rono i polipai nell’ambiente in cui vissero. Ciò sarebbe in parte corroborato dal rinvenirsi in certe località molti esemplari appar- tenenti ad una specie e solo pochi esemplari riferibili ad una od a tutte due le altre forme. Ciò però non toglie nulla al valore della distinzione specifica. Ora gli esemplari in esame, ricchissimi in numero, ma mal conservati, non permettono sempre una certa determinazione. Quando la conservazione mi concesse la possibilità di enume- rare i setti li riscontrai sempre in numero di 24 e disposti regolarmente. Solo in casi rari mi avvenne di trovare in uno o due sistemi anche la presenza dei setti del quarto ordine, ciò che accenna alla plana. Chissà che fra gli esemplari irricono- scibili non si trovi pure la Ellisiana ? Tutti gli altri caratteri corrispondono perfettamente alla specie, anzi alle tre specie, perchè sono quasi tutti promiscui. Essi sono: Forma massiccia, talvolta oblunga, spesso con digitazioni. L’erosione soventi ne mette in rilievo i piani di accrescimento. Polipieriti lunghi, divergenti e diversamente serrati. Calici vicini (con eccezioni anco nello stesso polipaio), sub- eguali, circolari o quasi. Coste ben visibili, sottili o serrate. Columclla rudimentale. Sistemi regolari e ternari. Setti sottili, più spessi verso il bordo calicinale. Traverse esotecali sottili e vicinissime. Traverse endotecali frequentissime. Per tutte le menzionate ragioni non si potrebbe certamente tacciare di arditezza colui che volesse riunire le tre forme, od elevarne una a tipo e subordinare le altre due a varietà. Ser- vendoci noi dei caratteri distintivi proposti dai maestri che ci ZOANTAltl MIOCENICI DELL’HÉRAULT 12!» precedettero, non dobbiamo disconoscerne il valore tassonomico, per quanto si potrebbe discutere quello naturale. Un bellissimo e grande esemplare che misura circa centi- metri 35X21X^0 ha disgraziatamente obliterati tutti i carat- teri anatomici. È una massa costituita da tanti tubi, più o meno circolari, senza setti. Tutti i caratteri però fanno ritenere, spe- cialmente le dimensioni ed il comportamento dei polipieriti, che si tratti di una specie fra le tre citate, cioè: Ellisiana, plana e Reu.ssana. La Remsana è conosciuta in parecchie località: Oligocene superiore: Dego (Michelotti, de Angelis, ecc.); Elveziano: Colli di Torino (Michelotti, de Angelis, ecc.); Tortoniano: Palmi, Be nestare; Calabria (Seguenza); Miocene ( Falunien ): Budersdorf (Boemia); Grinzing e Gainfahren (Austria); Moravia. Località: Gli esemplari in istudio provengono da diverse località dell’ Hérault : Autignac, r.; Seriegc, ff. ; Aubaret, f.; (Tortoniano inf.). [ms. pres. 17 febbr. 1902 - alt. bozze 25 aprile 1903]. 10 SUL RINVENIMENTO 1)1 NUOVI GIACIMENTI DI ROCCIE GIADEITICHE NELLE ALPI OCCIDENTALI E NELL’ APPENNINO LIGURE Comunicazione dell’ing. S. Franchi In un precedente lavoro, pubblicato nel Bollettino del Regio Comitato geologico pel 1900, ho annunziato la stoperta fatta in diversi punti delle Alpi occidentali, da alcuni miei colleglli e da me, di giacimenti in posto di roccie giadeiticlie e cloro- melanitiche. Le analisi chimiche date mostrarono trattarsi, se non di vere giadeiti e cloromelaniti, di roccie pirossenitiche a forti tenori in soda, quindi di roccie prossime per costituzione mineralogica e chimica a quelle tipiche, ed in molti casi ad esse identiche per struttura, durezza, tenacità e densità. Queste ultime proprietà fisiche, che sono appunto quelle che resero le suddette roccie adatte alla confezione dei numerosi tipi di uten- sili in pietra che servirono all'uomo per molteplici usi prima della scoperta dei metalli, hanno naturalmente maggiore impor- tanza sotto tale punto di vista che non la costituzione chimica o mineralogica delle roccie. E anzi ovvio, che data la relativa scarsezza delle giadeiti e delle cloromelaniti, quei nostri anti- chissimi avi non sdegnassero servirsi, nella confezione dei loro utensili, di roccie diverse per origine, natura mineralogica e chi- mica ed anche di struttura, quando riscontrassero in esse con- siderevole durezza, forte densità e tenacità grande. Questa os- servazione la si verifica in molte collezioni di stazioni neolitiche, dove sono numerosi oggetti costituiti da eclogiti, eufotidi, dia- basi, porfiriti, porfidi, anfiboliti, ecc. In quel mio lavoro, citato innanzi, presi ad esaminare pc- trografieamente numerosi frammenti di ascie della importantis- sima stazione neolitica di Alba, scoperta ed illustrata dall’inge- gnere G. B. Traverso ('); tale studio mi mostrò che molti di essi erano costituiti da diversi tipi rocciosi passanti dalle eclogiti alle cloromelaniti per impoverimento graduale dell’elemento gra- 0) La ricchissima collezione di oltre 600 oggetti di rara bellezza fu donata con vera munificenza dal lo stesso comm. G. B. Traverso al Museo Kirkeriano. RINVENIMENTO DI NUOVI GIACIMENTI DI ROCCHE GIADEITICIIE 131 nato. 11 paragone eolie roccie alpine di diverse regioni, raccolte dai colleglli Stella e Novarese e da me stesso mi portò a riconoscere lo stretto legame genetico esistente fra eclogiti eloromelanititi e giadeititi ; dei quali tipi litologici riconobbi la identità con molti tipi rocciosi della stazione di Alba, nella quale erano pure rappresentati oltre alle roccie tipiche, i termini di passaggio ( 1 ). Così io potevo con sicurezza affermare la origine indigena del ricchissimo materiale di quella importantissima stazione; materiale che supposi poter provenire o dalle alluvioni dei fiumi dell’Alto Piemonte (Stura di Cuneo, Grana, Maira, Yaraita, Po) e dai depositi miocenici delle Lunghe nonché dalle alluvioni dei fiumi dell’Appennino ligure tra il Lemmo e la Bormida di Spigno, (1. c., ]>. 157 e 158). Questa seconda parte delle mie ipotesi è confermata dai campioni di Cassine, del dott. Colomba c del- l’ing. Novarese e da quelli di cui parlerò tra poco, da me rac- colti nella valle del Gorzente. La lettura delle descrizioni del campione del Monviso ana- lizzato da Humour, e di quello del « Piemonte » analizzato da Mrazec, e la visione di campioncini avuti dalla cortesia dei due scienziati, mi permettono di affermare la loro quasi identità con un frammento di ascia di Alba, di giadeite chiara traslucida con macchie quadrangolari bianche, costituite essenzialmente da zoisite; cosicché si viene ad avere con quelle di Humour Penfield, Mrazec, Piolti, Aichino, Zambonini e Colomba una serie di 10 analisi di pirosseniti o pirosseni sodici alpini ed appenninici, di cui qualcuno é molto prossimo per tenore in soda alle giadeiti asiatiche (la cloromelanite di Mrazec ha un tenore di 12, 11 in soda). In seguito, il progredire del rilevamento geologico mi per- mise la scoperta di numerosi giacimenti di roccie giadeitiche e cloromelanitiehe nel vallone di Saint-Marcel, dove già ne aveva raccolto un campione Bertrand de Lome (Damour), nelle allu- vioni della Dora presso Villar-Forchiardo e presso Torino, sul (’) H. Fischer, che senza dubbio é stato uno dei più profondi cono- scitori della questione che stiamo trattando, dice appunto che nei più diversi luoghi della Terra, Peclogite fu impiegata per farne ascie, il che potrebbe dimostrare la probabile frequenza del fatto del giacimento co- mune tra eclogiti, giadeititi e eloromelanititi. 132 S. FRANCHI morenico presso Casellette (l)Iocclii grezzi grossi 30 cm. insieme ad una ascia solo incominciata) nella bassa valle del Lys, nel versante sinistro della bassa valle della Dora Baltea, e specialmente nelle valli bici lesi dell’Elvo, di Oropa e del Cervo, attraverso alle quali ed alla Valle Sesia si estende la formazione dei mi- cascisti eclogitici, che contiene numerose lenti di quelle roccie. Più tardi col collega Stella si rinvennero ciottoli di dette roccie nei greti della Stura di Lanzo presso Pontestura e nel letto della Sesia, dove quelli erano in tale quantità da poter escludere che si potesse trattare di oggetti neolitici coinvolti e deformati dalle alluvioni. Scopo di questa breve comunicazione si ò di indicare al- cune nuove località dove rinvenni materiale giadeitico grezzo tanto in roccia in posto che erratico. La più importante di tali nuove località è il versante del Lys (Gressoney) del gruppo del Monte Rosa, dove entro a mi- cascisti che costituiscono la parte SE di quel gruppo montuoso nella regione tra il ghiacciaio del Lys ed il crinale Colle d’Ol- len-Stollenberg-Vincent-Pyramide, sono frequentissimi noduli e lenti di roccie eclogitiche e cloromelanitiche di vari tipi, il più soventi profondamente uralitizzate. Questo giacimento ha una certa importanza, perchè la sud- detta formazione micascistosa, estendendosi fino oltre il confine svizzero, può costituire il probabile giacimento di origine di una parte del materiale cloromelanitico e giadeitico trovato grezzo in vari punti della Svizzera, materiale che, secondo Bodiner- Beder, presenta delle analogie con certi pezzi del materiale li- tico delle stazioni neolitiche svizzere. Questa zona di micascisti corrisponde assai probabilmente, come formazione, a quella ana- loga della Bassa Valle del Lys e del Biellese, che si prosegue, come dissi, tra l’Orco e la Valle Sesia. Altri blocchi di varie dimensioni di roccie eclogitiche a grana finissima, e di straordinaria compattezza, di belle cloromelanititi e giadcititi, pure a grana finissima ed omogenea, fra le più belle fin qui trovate, furono da me rinvenuti in diversi punti della valle dclGorzcnte e segnatamente presso C. Ferriere e nel torrente Tana, in blocchi isolati sulle serpentine, che ivi hanno grande sviluppo; nelle vicinanze di Gasa leggio, dove sono in blocchi staccati dai RINVENIMENTO DI NUOVI GIACIMENTI DI ROCOIE GIADEITICIIE 133 conglomerati tortoniani, e finalmente nel letto stesso del Gorzentc a S.-E. di quel villaggio. Tali materiali sono in blocchi angolosi a diedri smussati che arrivano ai 60 e 70 cm., e sulla loro ori- gine dalle masse di pietre verdi del versante sud del Gorzente, dato il carattere locale dei ciottoli di quel membro inferiore del miocene, non rimane alcun dubbio. È appena d’uopo ricordare che dalla zona delle pietre verdi dello stesso Appennino ligure provengono senza dubbio le giadeititi studiate dal dott. L. Co- lomba e quella di cui parlerà fra breve il mio collega Nova- rese, provenienti da Cassine (Acqui) o meglio dal letto della vicina Bormida. Non voglio tediare i colleglli esponendo diagnosi petrogra- fiche e mi limito ad affermare che trattasi di pirosseniti dei tipi di quelle descritte nel mio lavoro citato del 1900. Approfitto di questa circostanza per mostrare ai colleglli i principali tipi delle roccie giadeitiche e cloromelanitiche nelle diverse località raccolte da’ miei colleglli e da me, nonché una serie di 15 accette provenienti da diversi punti di una stessa valle delle Alte Alpi francesi; collezione preziosa che un appas- sionato cultore delle nostre discipline mi ha gentilmente man- dato per paragonarle col materiale da noi trovato da questo lato delle Alpi. Le roccie onde sono costituiti questi manufatti sono in parte indeterminabili senza l’esame microscopico, ma la mag- gior parte di esse sono riconoscibili macroscopicamente, per eu- fotidi saussuritizzate, eclogiti, cloromelanititi granatifere, e clo- romelanititi e giadeititi, simili od identiche ai tipi di cui mostro ora i pezzi grezzi dei giacimenti alpini ed appenninici e ai fram- menti di ascie della stazione di Alba. Aggiungo ancora che esaminate le collezioni di oggetti neo- litici, del Gastaldi, esistente al IL Museo d’antichità, quella del Museo di artiglieria della Cittadella di Torino, e quella ricchis- sima dell’abate Morelli, esistente nel Museo di Genova e che il prof. Tssel ed il dott. Rovereto ebbero la cortesia di lasciarmi esaminare, ebbi a constatare che oltre alle roccie precedente- mente indicate figurano roccie diversissime, specialmente nella collezione Morelli, in cui col prof. Issel si videro frequenti roccie diabasiche metamorfosate in roccie a glaucofane, delle quali ebbi a descrivere diversi tipi dei dintorni di Pegli. 134 S. FRANCHI Così pure il dott. Piolti nei manufatti dell’interessante riparo sotto roccia di Vayes (Valle di Susa) ebbe a riconoscere oltre a giadeititi e cloromelanititi delle eclogiti, anfiboliti e quarziti, tipi rocciosi sviluppatissimi in quella valle (1). Tutti questi fatti provano la origine indigena dei manufatti costituiti da roccie eclogitiche giadeitiche e cloromelanitiche delle stazioni neolitiche non solo d’Italia, ma anche dei paesi a Nord, a NO e ad 0. delle Alpi; sicché la loro origine asia- tica deve essere considerata ormai solo come una fase storica delle nostre idee sull’argomento. Inoltre essi valgono a dimostrare, se pur ne fosse d’uopo, che se gli uomini dell’epoca neolitica preferivano per farne utensili delle rocce giadeitiche e cloromelanitiche, a riconoscere le quali, dice A. B.Meyer, erano assai più destri dei nostri geologi e mineralogi, e delle quali per lunga esperienza conoscevano assai bene i pregi, non isdegnassero punto servirsi di altre roccie che alla prova si mostrassero adatte agli stessi usi. Ho detto, se ne fosse d’uopo, perchè è appunto una caratteristica del genio dell’uomo in tutti i tempi quella di far servire ai suoi scopi i materiali più di- versi delle regioni dove egli fissa la sua dimora; la quale carat- teristica doveva avere la sua più completa esplicazione in tempi nei quali i mezzi di trasporto e conseguentemente il commercio erano forzatamente limitatissimi. Sono così oltre ogni speranza avverate le previsioni di Ga- staldi, De Mortillet, Damour, Arzruni, A. B. Meyer ed Issel che un giorno si sarebbero trovati giacimenti alpini di giadeite; e la questione dette giadeiti che A. B. Meyer, or sono trentanni, affermava essere una questione geologica e mineralogica e non paietnologica, intendendo con ciò che la sua origine indigena era per lui certa, e che si trattava solo di trovarne il giaci- mento, può dunque ora dirsi in massima risolta (*). [ms. pres. 21 marzo 1903 - ult. bozze 9 maggio 1903]. (*) I manufatti litici del « riparo sotto roccia » di Vayes ( Val di Susa ) Atti R. Ace. Se. di Torino, fui. XXXVII, disp. 12-13, p. 476. (-) Vedi più estese notizie in una comunicazione fatta al recente Congresso Internazionale di Scienze storiche (Sezione Archeologia). NUOVI GIACIMENTI PIEMONTESI DI GIADEITITI E ROCCIE GIADEITOIDI Comunicazione dell’ing. V. Novarese Cassine (Alessandria). Il campione è un grosso ciottolo, che mi fu indicato nel selciato di Cassine dall’egregio dott. Adriano Gianelli, medico del comune, e appassionato cultore delle scienze naturali, a cui si deve pure il ritrovamento, nella stessa località, dell’altro cam- pione di giadeite, illustrato dal dott. Luigi Colomba (1). Anche nel mio caso la provenienza immediata del ciottolo è dal letto della Bormida, perchè di là si trae il materiale pel selciato delle strade del paese. Nelle accpie della Bormida il materiale può essere giunto tanto da qualche giacitura in posto nell’alta valle, quanto dai conglomerati miocenici. Ad ogni modo il ciot- tolo è certamente di provenienza appenninica. La roccia ha un aspetto insolito nelle giadeititi perchè pre- senta una specie di scistosità indistinta, che dà luogo a super- fìcie irregolari di facile frattura. La roccia, di un bel verde smeraldo se fresca, è rivestita da una patina limonitica giallo- gnola, non limitata all’esterno, ma che s’insinua pure lungo le accennate superfìcie di frattura, dimodoché le parti lisciate della roccia si presentano come un fondo verde con bellissime scre- ziature, solcato da un reticolato di linee giallognole (5). L’aspetto ricorda talune varietà di serpentina ed è assai lontano da quello ordinario delle giadeiti alpine rinvenute finora. Ha frattura scagliosa, e l’estrema finezza della grana rende la roccia, nelle parti fresche e libere da patina, pellucida nel più alto grado. La densità è 3.4. (') Sopra una giadeitite di Cassine (Acqui). Riv. di Min. e Cristall. italiana, voi. XXVII; fase. I, II, III. Padova, 1901, pag. 18. (2) Da una ricerca fatta dall'ing. Mattirolo l’elegantissima colora- zione verde sarebbe dovuta a tracce di cromo. 13(5 V. NOVARESE Al cannello fonde facilmente in vetro bolloso bianco colo- rando intensamente la fiamma col giallo del sodio. In sezione sottile il pirosseno forma il fondo della roccia, in elementi piccolissimi, che non superano mai 0. 03 nini., senza alcun contorno geometrico, ed aggregati nel caratteristico feltro minuto e serrato. Al pirosseno si associa un solo minerale la- mellare, apparentemente uniasse, positivo, incolore in sezione sottile che si approssima in tutti i suoi caratteri alla clorite, salvo che nella rifrangenza e birifrangenza alquanto superiori a quelle che siamo abituati a trovare nelle cloriti ordinarie. Questo minerale, che può per le sue proprietà ritenersi un clinocloro a piccolo angolo degli assi, si trova in discreta abbondanza, di- sposto complessivamente in modo da spiegare quella parvenza di scistosità che mostra la roccia. Le lamelle hanno, relativa- mente agli individui di pirosseno, delle grandi dimensioni, rag- giungendo i 0.5 min, Nessun altro minerale si osserva nella sezione all’ infuori di questi due, e di talune macchie gialle, dovute semplicemente ad infiltrazioni limonitiche che sembrano essersi insinuate fra i minuti elementi pirossenici, e li colorano perciò per trasparenza. L’estrema finezza della grana non lascia giudicare con cer- tezza se il pirosseno presenti dispersione; però il tipo dei colori di polarizzazione che mostra l’aggregato mi farebbe inclinare per il caso affermativo. Dalla roccia studiata dal Colomba, questa differisce per la struttura, per la finezza della grana e per la costituzione mi- nerale; ciò che non può recare alcuna meraviglia, potendo i due ciottoli essere giunti nelle alluvioni della Bormida da differenti giaciture. Ollomont (Aosta). 11 campione ò stato raccolto in posto, a 2500 m. di altezza, nell’alto vallone di Ollomont, in condizioni di giacitura molto chiare, alla base dell’ aspra cresta che dalla vetta del Monte Borio precipita a grandi scaglioni verso N\Y, separando l’alto bacino detto dell’ Lau Bianche dal piccolo vallone di Borio che scende alla parrocchia di Ollomont (Vedasi la carta dell’ 1. G. M. NUOVI GIACIMENTI PIEMONTESI DI GIADKITITI ECC. 107 Quadrante di Ollomont; 1 a 50,000). In tal punto la formazione dei calcescisti e roccie verdi viene a contatto cogli gneiss di Arolla, costituenti la grande elissoidc gneissica detta dal Ger- lach della « Deut Bianche ». Ivi gli gneiss di Arolla, fortemente inclinati, poggiano sui calcescisti diretti da NE a SW, e pure fortemente inclinati verso SE. Il contatto è complicato da qual- che piccola frattura locale perchè la faccia dello gneiss presenta un liscione rivestito della caratteristica patina ematitica rosso- violacea brillante, che è propria delle superficie di scorrimento. In ordine discendente si osserva la serie seguente: 1° Gneiss di Arolla molto scistoso. 2° Lente di serpentina talcosa di 1 a 2 m. di potenza. 3° Banco di calcescisto molto calcarifero; sulla cresta ha una potenza debole, ma va rapidamente aumentando verso SW, e forma rupi bizzarre, con superficie di contatto untuosa e liscia per sostanze talcoidi. 4° Complesso di scisti prasinitici, cloritici, e di serpentina talcosa, con banchi, lenti e nuclei, di giadeitite. Potenza 10 m. circa. 5° Calcescisti d’aspetto fìlladico in serie potentissima. La giadeitite raccolta in posto ha un aspetto ben diverso dal materiale raccolto nelle alluvioni. E a frattura poliedrica molto irregolare, di color grigiastro. Presenta pure una parvenza di scistosità, con dei minerali di aspetto micaceo, molto minuti, che sembrano avvolgere i nuclei di giadeite genuina. La densità della roccia, anche in pezzi piccoli e ben scelti fra le parti più pure, è alquanto minore di 3. 3. Le scagliette un po’ sottili fon- dono facilmente negli orli in vetro bianco trasparente. In sezione sottile la roccia presenta un fondo pirossenico molto omogeneo costituito da un feltro serrato di grani senza contorno cristallografico, di grossezza molto variabile, ma sempre assai minuti; fra i minerali accessorii figurano la clorito e l 'epidoto, anch’essi in elementi piuttosto piccoli e sempre scarsi di fronte al pirosseno. Rara la titanito in granelli irregolari, minutissimi. La località è vicinissima alla cresta spartiacque delle Pen- niue, e siccome pel Col Fenètre la formazione di calcescisti e roccie verdi continua nella Val de Bagnes, è probabile che anche sul versante svizzero s’incontrino affioramenti di giadeititi. V. NOVAKESE 138 Bacino del Col Barrant (Alta Val Pellice). Il Col Barrant fa comunicare l’alto bacino del Pellice, o conca del Prà, colla Valle dei Carbonieri pure tributaria dell’alto Pellice. Dentro ad un potente banco di calcescisto molto calca- rifero, intercalato alle grandi masse di rocce verdi che formano la nota amigdala del Monviso, si trovano parecchie lenti di modeste dimensioni di serpentina, talcoscisto, scisto cloritico, prasinite epidotica ed eclogite('). Richiamano l’attenzione alcune porzioni di queste due ultime rocce che appaiono come brecce della roccia stessa a frammenti angolosi, cementate da una massa verde più confusa, ora pirossenica, ora cloritica. Nelle eelogiti specialmente si notano dei frammenti di una granatite con un pirosseno diallaggico a larghe sfaldature, cementati da un’om- facite a grana minuta. Questa omfacite altro non è se non una giadeitite, costituita da pirosseno, ora in forma di feltro minuto, ora invece in cristalli; clorite (clinocloro ?) accessoria, rutilo e pirite. Issi gl io (Ivrea). Dal greto del torrente Savenca presso Issiglio (Val Ohiu- sella). Il bacino del torrente è intieramente scavato nella for- mazione dei micascisti eelogitici, granatiferi e gastalditiferi, ca- ratteristica della bassa valle dell’Orco (2). 11 ciottolo studiato proviene per ciò da uno dei nuclei contenuti nei micascisti ed è notevole per la sua composizione molto diversa da quella delle giadeititi vere e proprie. Il feltro di pirosseno giadeitoide forma il fondo della roccia, ed in certo qual modo il cemento che col- lega gli altri minerali, fra i quali primeggia il quarzo, molto abbondante in grani irregolari, avvolti da pirosseno, viene in (*) (*) Ho già accennato a questa eclogite nella mia nota : Rilevamento geologico del 1805 nella Val Pellice (Alpi Cozie), Boll. R. Coni. Geol., 1896, pag. 26 5. (2) Vedi Novarese V., Relazione sul rilevamento eseguito sulle Alpi Occidentali (Valli dclVOrco e della Soana) nella campagna del 1803. - Boll. R. Coni. Geol., anno XXV. Roma, 1894, pagg. 224-225. NUOVI GIACIMENTI PIEMONTESI DI Gl ADIBITITI ECC. 13') 9 seguito la muscovite, ed in rari grani un felspato triclino ba- sico, probabilmente una labradorite; (franato in minuti individui e fra i minerali accessorii rutilo e minerale metallico opaco. Questo campione dal punto di vista paleoetnografico può as- similarsi alle giadeiti per la sua durezza, tenacità e peso; pe- trografì cani ente se ne allontana in modo da non poter essere in verun modo confuso con queste, e serve solo ad indicarci la diffusione del pirosseno giadeitoide. Mompiano presso Locana (Valle dell’Orco; Ivrea). Il campione e stato raccolto insieme dallo scrivente e dal- l’ing. Mattiroio, in una escursione in comune, fino dal 1890. La roccia d’un bel colore verde erba, c a grana fina, ma non tanto da sembrare compatta; alquanto traslucida sugli orli sottili. Ha densità inferiore alquanto a 3.3; durezza poco superiore a 6. Fusibile con difficoltà in vetro bruno; però colora ancora sensibilmente la fiamma colla tinta caratteristica del sodio. Sotto il microscopio si mostra come una pirossenite formata di un intreccio di prismi di pirosseno, e nella sua struttura più vicina ad una pirossenite ordinaria cbe ad una giadeite nel senso stretto. È stato trovato alla base della nota potentissima massa di serpentina di Locana, la quale poggia sopra un banco di calcare saccaroide; anche qui vicinissimo al contatto della formazione delle pietre verdi col massiccio gneissico del Gran Paradiso. Le poche varietà sopradescritte, aggiunte a quelle illustrate dai colleglli Franchi e Stella, accrescono le prove della grande diffusione delle roccie giadeitiche sulle Alpi Piemontesi. Oramai si può dire clic non v’ha in esse una valle dove, o in posto o nei terreni di trasporto, sotto una forma o sotto l’altra la gia- deite o la cloromelanite non siano state trovate. I fatti hanno dato pienamente ragione all’induzione formu- lata fin dal 1869 dall’ illustre maestro della geologia piemon- 14') V. NOVARESE tese, Bartolomeo Gastaldi (*): il materiale di cui si sono ser- vite le popolazioni preistoriche del Piemonte per fabbricare le loro armi è indigeno. Se ne trovano anzi tali e tante varietà, così di struttura come di colore, che dato vi fosse fra il ma- teriale delle stazioni litiche piemontesi qualche oggetto di pro- venienza straniera, difficilmente vi sarebbe modo di riconoscerlo col solo esame dei caratteri tisici, chimici e mineralogici. [ms. pres. 21 marzo 1903 - alt. bozze 8 maggio 1903] (') Iconografìa di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia (Meni, della R. Acc. delle Se. di Torino. Serie II, Tomo XXVI), pag. 31 dell’estratto: «... nutro fiducia che un giorno sarà scoperta nei nostri monti. Le ricerche a questo scopo vogliono essere sopratutto fatte in quella zona calcarea serpentinosa da me chiamata delle pietre verdi, la quale potentemente sviluppata nelle Alpi e nell’Appennino copre e ricinge il gneiss antico a struttura or scistosa or granitico porfiroide, ed anche nelle regioni ove e porfidi c spiliti e varioliti ecc. più frequen- temente si mostrano ». A PROPOSITO DELLA DIFFUSIONE DELLE ROCCIE A GIÀ DE ITE NELLE ALPI OCCIDENTALI Comunicazione dell' ing. A. Stki.la A proposito della diffusione delle roccie a giadeite nelle Alpi Occidentali, posso aggiungere alle notizie date dai colleghi Franchi e Novarese alcune osservazioni, che ci permettono di abbracciare come area di diffusione di quelle roccie, tutto l’arco delle Alpi Occidentali, dalle Cozie alle Pennine. Nella prima nota del collega Franchi, su questo argomento (Boll, R, com. geol., 1900, 2°), io diedi comunicazione dei giaci- menti di queste roccie nelle Alpi Cozie ; dove furono da me tro- vate quali varietà di pirosseniti passanti ad eclogiti, sia nella grande massa di « pietre verdi » del Monviso, sia in una zona di micascisti a minerali passanti a « micascisti eclogitici » della bassa Val Po. Questo duplice giacimento, cioè nelle « pietre verdi » e nei « micascisti eclogitici », è caratteristico delle nostre roccie a giadeite, le quali, dalle comunicazioni fin qui fatte, risultano oramai constatate attraverso ai diversi bacini delle Alpi Occi- dentali dalle Cozie fino alle Pennine, comprese le valli del Biel- lese, e (io posso aggiungere) anche la Val Sesia. Infatti, la importante zona dei « micascisti eclogitici », da me primamente rilevata nella Valle dell’Orco, coi suoi nuclei di eclo- giti e pirosseniti (giadeititi in parte), fu dai colleglli succitati se- guita attraverso la Val Chiusella, Val d’Aosta e Valli del Biellese, donde passa in Val Sesia; il cui bacino però non è stato fino ad ora da noi geologicamente rilevato. Tuttavia la presenza di pirosseniti a giadeite anche in quel bacino si può con certezza affermare, dal ritrovamento, che io ne feci, in una breve ricerca a tal uopo eseguita allo sbocco di quella vallata, presso Roma- A. STELLA 142 guano; dove nel greto ciottoloso del fiume, in sponda destra, ri mpetto alla Stazione ferroviaria, ho potuto raccogliere buona messe di ciottoli tipici di eclogifi e giadeititi, alcune delle quali portano aderenti parti di micascisti eclogitici, da cui, almeno in gran parte, debbono certamente provenire. Ora questo fatto della relativa abbondanza di ciottoli di queste roccie a giadeite nelle alluvioni dei nostri fiumi alpini, è un fatto generale degno di nota. È questo il risultato finale di un complesso meccanismo di naturale cernita e graduale concentra- zione, fatta per opera delle acque correnti sui diversi elementi rocciosi, che provengono dalla denudazione dei singoli bacini; fenomeno, che io ho avuto occasione di constatare e studiare in generale, a proposito delle alluvioni dei fiumi delle Alpi Cozie (Boll. R. coni, geol., 1897, 2°). Esso trova nel nostro caso partico- lare il suo massimo effetto, dovuto alla grande tenacità e alto peso specifico delle pirosseniti e giadeititi, rispetto alle altre roccie dei bacini ; cosicché esse roccie vengono a trovarsi nei greti ciottolosi dei fiumi alpini in proporzione enormemente supe- riore alla importanza relativa, che esse hanno effettivamente in posto nei monti dei singoli bacini. Il fatto è evidentemente della massima importanza, dal punto di vista paietnologico; perchè agli abitatori del periodo neolitico, cui sarebbe stato difficile procurarsi il ricercato materiale giadeitico dai giacimenti originari di montagna, preparava, per cosi dire, a portata di mano, nei greti dei fiumi quel materiale, di cui il bisogno spingevali a fare incetta; e lo porgeva loro ridotto a ciottoli, di forma e dimensioni già prossime a quelle clic riu- scivano convenienti per trarne, con mirabile arte, gli arnesi da guerra e da lavoro. [ms. pres. 21 marzo 1903 - ult. bozze 9 maggio 1903]. ANCORA DELLE SPECIE ELEFANTINE FOSSILI IN ITALIA Osservazioni del dott. Alessandro Portis. Ho cercato, colla pubblicazione (nel Bollettino, volume XXI, pag. 93-114, della nostra Società) della mia nota dal titolo: Di un dente anomalo di elefante fossile e della presenza del- PElephas primigeni us in Italia, di esprimere in modo chiaro lo stato presente di mie convinzioni sulla unicità o pluralità di buone specie di Elefanti vissute in Italia durante il pliocene od i di cui avanzi almeno si siali rinvenuti, naturalmente in- fusi, nei terreni pliocenici (ed anche in quelli, da altri, detti plei- stocenici e diluviali) italiani. Ho cercato di menzionare in detto studio il più chiaramente ed il più garbatamente conciliabile colla recisione delle affer- mazioni, quante specie, sottospecie e varietà fittizie di altri autori dovessero venir annullate e delle quali per conseguenza, il relativo materiale dovesse esser altrimenti determinato. Ho affermato che tutto lo annullamento di denominazione di forme, di valore sistematico (nella mente degli autori) diverso, tutto doveva av- venire a favore di una unica grande specie V Elephas antiquus Falc., per indicarne il nome più corrente; specie però che, con- fondendosi insensibilmente con altra anteriormente creata e ri- tenuta diversa, avrebbe, per legge di priorità piuttosto dovuto assumerne il nome, perdendo il proprio e chiamarsi invece: Elephas meridional is, Nesti. Vedo che il mio costante intento di non offendere la su- scettibilità di altri, vecchi o giovani, creatori di specie elefantine o determinatori di loro reliquie ha nociuto alla chiarezza ed alla intelligibilità del mio scritto e delle sue conclusioni; ed ha lasciato tuttavia adito a dubbi sulle mie opinioni e sull’am- 144 A. POKTIS piezza del materiale preparatoriamente esaminato, come sul- l’ampiezza, quasi direi universalità, delle mie conclusioni. Tali incertezze ha rilevato il Flores cercando di riassumere, nel Al- lume 8°, 1902, della Rivista italiana di Paleontologia (pag. 105- 107), il mio studio; specialmente colle parole: «Si recò a Pa- » lermo, nè trovò colà VEl. primigenius. Nè lo trovò a Lecce » ove credeva di trovar VEl. primigenius var. hyclruntinus , di- » menticando che i due molari di questa specie sono a Bologna. » E deduce quindi che la varietà suddetta non esiste. Ma non » si è recato a Napoli ove si conserva il molare di Castellili, » nè al Liceo di Arpino, ove si conservano i denti rinvenuti a » Casalvieri, che dopo le determinazioni del Cacciamali (1890), » non hanno avuta altra determinazione. L’ A. ha finalmente » studiate le memorie del Ricci (1901) e riferisce tutto il ma- » teriale studiato alla specie del Polii ig, « chiamata dal Ricci, » per errore, Eì. primigenius ». E conclude finalmente il lungo » la\roro sostenendo fra l’altro ». Fin qui la relazione. Spiego ora clic: poiché qualche bene- volo autore crede necessario allegare, a meno incompleta il- lustrazione delle sue descrizioni e dei suoi ragionamenti, taA'ole 0 figure riproducenti, spero, il più esattamente possibile, gli og- getti che illustra, cosi ritengo abbia fatto il Botti nel 1890 col riprodurre in apposita tavola illustrativa i due molari elefan- tini che considerò, non azzardandosi a farne una specie, come 1 prototipi della sua nuova varietà hydruntina di El. primige- nius e che, appunto perchè considerò come offrenti, di mezzo agli altri, più spiccanti i caratteri distintivi, regalò, estraen- doli dalla « maggior parte del tesoro di Cardamone » rimasta a Lecce, a Bologna. Quando io, la primavera del 1898, presentai a Napoli la mia nota sul dente di primigenius di Torino ed ebbi in proposito breve discussione col Botti; ciò fu perchè io, in base alla memoria del Botti inserta nel Bollettino, volume IX, della nostra Società, pag. 089-7 16, tav. 20, e in base a confronto del mio materiale con quelle descrizioni e figure, io negavo già la pertinenza di quei due molari n\V Elephm primigenius e tanto più che essi meritassero di esser eletti a rappresentanti tipici di una sottospecie o varietà. Quindi, se io in seguito andai a visitare la « maggior parte » del materiale rimasto a ANCORA DELLE SPECIE ELEFANTINE FOSSILI IN ITALIA 145 Lecce, ciò fu perchè io volevo: nel materiale presente in molto maggiore quantità e per conseguenza con tutta probabilità of- ferente, almeno in qualche caso ed esemplare, i caratteri creduti vedere dal Botti; cercare quei caratteri e dare, almeno su qual- che altro pezzo del materiale da lui procacciato, quella soddi- sfazione che dovevo negargli perchè non potevo dargliela sui due denti donati a Bologna. Sempre allorquando preparavo lo studio sul dente elefantino di Torino, presi conoscenza, sempre allo stesso scopo, oltreché della Memoria del 1882 del Nico- lucci, anche delle due note del Cacciamali inserite ancora nel volume 9° del Bollettino della nostra Società. Le descri- zioni e le figure di tutti gli oggetti considerati e ricordati dal Cacciamali mi avevano indotto a ritenere tutti quelli avanzi, anche se altrimenti determinati dallo Autore, come pertinenti solo all’_È7. antiquus. D’onde l’esclusivismo delle mie conclu- sioni del ’98 che il dente di Torino fosse l’unico rappresentante in Italia di vero El. primigenius, conclusione riaffermata nel 1902 e che riaffermo nei 1903. Perchè il giorno 18 febbraio 1898 avevo dimostrato segui- tare ad occuparmi delle italiane reliquie di elefanti fossili, di ritorno da Ponza, il giorno 23 stesso mese, il prof. Bassani con squisita cortesia riunì tutto il materiale di elefanti fossili che aveva in Museo e lo sottomise al mio esame. Qualunque particolare provenienza italiana si avessero i pochi molari che costituivano quella raccoltimi, qualunque denominazione aves- sero ciascuno anteriormente ricevuta, io tuttavia non riuscii a trovar fra essi un solo dente di vero El. primigenius e dovetti tutti attribuirli allo antiquus. Quindi, se vi era frammezzo quel dente di Castellivi che sulle note e figure rispettivamente: del Nicolucci, del Cacciamali e del Flores altrimenti concludenti io avevo ritenuto come di El. antiquus , esso, suH’esame materiale del campione, tornò a venir da me attribuito alla stessa specie; e così, senza saperlo, venni ad anticipare su di esso, la con- clusione a cui giunse, e che forse posteriormente obliò, il Flores, quando presentava, in Acqui il 16 settembre 1900, la sua co- municazione: «L’Elephas antiquus Falc. e il JRhinoceros Merchi Jaeg. in Provincia di Reggio Calabria » inserita a pag. cxxvi del Bollettino della nostra Società, Voi. XIX, 1900. il 146 A. PORTIS Se tutto il materiale fatto conoscere dal Cacciamali nel 1890 io ritenevo nel 1898 come pertinente all’ El. antiquus, ciò vo- leva dire che, eziandio, io non ritenevo valida la differente de- terminazione del Cacciamali ancorché essa fosse stata ripetuta nel lavoro, senza specialmente citarlo, del Flores del 1895 dal titolo: Catalogo dei Mammiferi fossili dell’Italia meridionale continentale , contenuto nel volume 25 degli Atti dell’Accademia Pontaniana di Napoli : Lavoro invece che dovei espressamente citare nel mio studio del 1902, quando vidi che il Ricci A. si avvaleva di determinazioni ed attribuzioni che io non ritenevo giustificate del Botti, del Cacciamali e del Flores, per venir a conclusioni che io ritenevo esse pure inesatte. Concludendo: il mio « lungo lavoro » del 1902 non fu suf- ficientemente lungo. Vi manca la diffusa, prolissa, narrativa, esposizione dei dettagli di studio che ho esposti qui sopra e che, parlando ad intelligenti in materia, non ritenni necessario introdurre nel mio scritto. Vi manca la seguente particolare di- chiarazione che allora non ritenni indispensabile fare, ma che ora appare necessaria e che perciò faccio a chiusa del mio scritto. Quindi concludo: non dimenticando i due molari del cosidetto dal Botti EL primigenius var. hydruntinus , accolti ora nello Istituto Geologico di Bologna, nè il molare di Ca- stelliri che si ritrovi a Napoli, nè i denti rinvenuti a Casal- vieri che si conservino ad Arpino, nè alcun altro materiale che sia stato fatto conoscere o riesumato nell’ultimo trentennio: sul risultato delle mie ricerche fino ad oggi, asserisco recisamente che V Elephas primigenius vero è rarissimo in Italia, mancante in tutta l’Italia media e meridionale; mentre nella superiore non è finora rappresentato che da un unico pioniere smarrito, quello da cui proviene il dente di « La Loggia » presso To- rino, da me illustrato nel 1898. Fin ora non è avvenuto che, per giustificate affermazioni in contrario, io debba modificare la mia dichiarazione per condurla a corrispondente a verità. [bis. pres. 20 marzo 1903 - ult. bozze lo maggio 1903]. MOLLUSCHI DELLA CHETA MEDIA DEL LECCESE Nota del dott. Filippo De Franchis (con una tavola) In provincia di Lecce, come in quasi tutta la regione pu- gliese, si osservano delle catene di collinette, poco elevate sul livello del mare, con direzione di N.O. - S.E., costituite, in mas- sima parte, da una roccia calcarea compatta con immersione a SO. di circa 10°, e determinanti, alla lor volta, l’ossatura, oro- grafica di tutta la provincia, e, forse, di tutte le Puglie. Essa è stata attribuita, nel 1876, dal De Giorgi (') al Cre- taceo superiore (turoniano e senoniano, D’Orbigny), e detta con nome complessivo « calcare ippuritico » ; in seguito, lo stesso prof. De Giorgi, nei suoi stridii geologici da Fasano ad Otranto (2), dietro citazione di un breve elenco di fossili cretacei (le cui determinazioni furono poi in parte modificate dal Di Stefano), concludeva doversi quei terreni « senza dubbio riferire al piano turoniano D’ Orbigny » ; e poco dopo ancora, li assegnava com- plessivamente, nella provincia di Lecce, al cretaceo medio e superiore (3). Questi terreni sono stati poi oggetto di studio per parte del Di Stefano, il quale, mentre ci fa apprendere che essi sono stati riferiti anche al giurassico, come si rileva (nota il chiarissimo professore) dalle carte geologiche d’Italia, con- clude « i calcari compatti e cristallini delle Puglie debbono riferirsi all’angoumiamo e alle porzioni superiori dell’urgoniano, senza volere, per altro, escludere la esistenza possibile di altri piani cretacei nelle Murge » (4); e tali presso a poco furono da me ritenuti in lavori precedenti a questo (5). Finché, assai di ([) De Giorgi, Note geolog. sulla prov. di Lecce. 1876, pag. 48 e seg. (2) De Giorgi, Note stratigrafiche e geologiche da Fasano a Otranto. Boll, del R. Coni. geol. 1881, pag. 189. (3) De Giorgi, Cenni di geografia fisica della prov. di Lecce. 1 884, pag. 45. (4) Di Stefano, Sulla presenza dell’ Urgoniano in Puglia. Boll, della Soc. Geol. It., 1892, pag. 681. (5) De Franchis, Ricerche sui terreni del bacino di Galatina. Boll, della Soc. Geol. It., 1892, pag. 681. 148 FILIPPO DE FRANCHIS recente, Virgilio, pur confermando appartenenti al turoniano i calcari a Rudiste , ammetteva che nelle Puglie dovessero essere rappresentati anche i piani Cenomaniano e Senoniano (') ; e ultimamente, il Dainelli, avendo raccolto nelle colline della parte meridionale del Capo di Leuea, e a Lèquile presso Lecce, abbastanza numerosi fossili, ha potuto determinare l’età di quei terreni, riconoscendo così appunto il Dordoniano (Senoniano) ed il Cenomaniano (2). E torna qui acconcio citare anche due recenti lavori del prof. Parona (3), per quanto abbiano per oggetto terreni dell'Ap- pennino, che non ci interessano direttamente, perchè in essi vengon descritte due faune abbastanza ricche, una certamente Dordoniana, l’altra probabilmente Cenomaniana, ed alle quali corrispondono quelle meno abbondanti, che il Dainelli ha illu- strato della provincia di Lecce. Io, nel bacino di Galatina, ho esaminato i terreni cretacei nelle località seguenti: Masseria lo Beneficio, la Sciseiola, lo Scinto, li Pappi, lo Pede grosso, Specchia de lo Murga, lo Vita, ecc., tutte in provincia di Lecce, non molto distanti dalla città di Galatina, e a poco più di venti chilometri a Sud di Lecce medesima. La roccia, da me studiata, si presenta duris- sima, con un colore che va dal bianco latteo al bianco cene- rino. compatta, bucherellata, con cavità non molto grandi ; essa, alla percussione, manda odore bituminoso, e presenta la super- ficie di rottura talora umida per idrocarburi liquidi, come os- servasi spesso nella località li Pappi, presso Galatina. Essa è ricca di impronte fossili, ma quasi mai vi si scorge traccia di guscio calcareo, eccezion fatta nella roccia della località Pede grosso; sicché lo studio paleontologico riesce molto difficile, e bisogna ricorrere a modelli, come ho fatto, di cera, di gesso, di piombo o di guttaperca. Ho descritto le forme che potevano essere determinate genericamente, o magari, specificamente: ma (’) Virgilio, Geomorfogenia della Provincia di Pari, 1900, pag. 68. (*) Dainelli, Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca. Boll, della Soc. Geol. It., 1901, pag. 620, 639. (3) Parona, Sopra alcune Rudiste Senoniane dell'App. Mer. R. A cc. delle Se. di Torino, 1900, serie 2“, toni. 50. — Le Rudiste e le Camacee di S. Polo Matese , 1901. MOLLUSCHI DELLA CRETA MEDIA DEL LECCESE 149 nella roccia si osservano moltissime impronte assai imperfette, di Gasteropodi e di Lamellibranehi, dei quali è assolutamente impossibile riconoscere anche il genere. Le specie che ho descritto sono le seguenti : Cerithium ly dense sp. n. Cerithium appulum sp. n. Cerithium messapicum sp. n. Nerinea sp. Anomia hydruntina sp. n. Recten Di Stefanoi sp. n. Corhula elegantula sp. n. Cardium Costae sp. n. Venus Dainellii sp. n. Monopleura multicostata sp. n. Monopleura 2 sp. Apricardia carantonensis D’Orbigny. Requienia sp. Diceras? sp. Hippurites sp. Biradiolites? sp. CONCLUSIONI. Volendo ricercare l’età geologica di queste roccie, almeno per una parte di esse, non si può precisare, con assoluta certezza l’orizzonte, perchè i fossili appartengono a specie nuove, e, talora non sono molto perfetti, quindi bisogna con- tentarsi di dire se nelle località da me indicate vi ha il cretaceo inferiore o il superiore. A questo scopo ho fatto tesoro dell’avvertimento dei Paleontologi i quali dicono che le grandi famiglie Chamacee possono solo designare le divisioni più ge- nerali di una formazione cretacea, e cioè le Toucasie il cre- taceo inferiore, ossia il Neocomiano e l’Urgoniano, le Capr inule il medio, le Ippuriti e le Radioliti il superiore. Mentre le Mo- nopleure, più comuni nella creta inferiore cioè nel Valenginiano e nell’Urgoniano, arrivano anche nella Creta superiore, come ri- sulta dal lavoro del Futterer ('), e le Requienie , comuni pur {})Dic Gliedemny d.ober. Kreide in Friaul, Sitzungsb. d. K. Pr. Ak. d. Wissensch. z. Berlin, Sitz.d. phys.-math.Cl., 26 october!893, XL,p. 848-849. 150 FILIPPO DE FRANCHI S nella creta inferiore (Neocomiano e Urgoniano), arrivano anche alla media. Si aggiunga che i Diceras che ora si ritengono esclusivi del Giura superiore, più volte furono indicati anche nella creta, ma più esatti studi hanno mostrato che quasi sem- pre si trattava invece di generi diversi per lo più nuovi, come Toucasia, Apricardia. Dallo studio dei fossili da me esaminati, si vede come nella località Pede grosso, si trovano insieme forme incertamente riferibili a Diceras e Apricardia, e non altre; queste ultime forme appartengono al cretaceo medio. Requienie , Apri- ca r dìa e Monopleure si trovano insieme nelle località masseria la Scisciola, lo Schio, lo Vita. Per ciò la loro simultanea pre- senza fa supporre tanto più in quei luoghi il cretaceo medio. Finalmente le Ippuriti e le Diradi oliti che si trovano sole nelle località Specchia de lo Murga, fanno credere che vi sia un altro piano del cretaceo, cioè il superiore; sicché, concludendo, si può dire che, nelle località da me esaminate si notano due piani del cretaceo, cioè: 1° Cretaceo medio, nelle località Pede grosso e Colabaldi, (coni, di Galatina), il Beneficio, la Scisciola, lo Schio, lo Vita ecc. ; V Apricardia carantonensis D’Orbigny, e la Venus Dainellii n. sp., trovate da Dainelli a Lèquile, indicherebbero il Cenomaniano. 2° Cretaceo superiore con Hippurites e Radiolites in lo- calità Specchia de lo Murga (forse Turoniano e Senoniano). Devo notare che, per la incompletezza della Fauna, non mi permetto di far sicuri paragoni fra i terreni da me esaminati: credo per altro che essi sieno presso a poco corrispondenti a quelli studiati nell’Italia meridionale dal Parona e dal Dainelli; e osservo, solo, che anco, oltre l’Adriatico, in Dalmazia, sono state indicate da autori austriaci altre formazioni sincrone alle italiane in parola, che presentano gli stessi caratteri litologici o quasi, e contenenti Requienie, Apricardie ed altre forme si- mili. Devo finalmente dire come il professore De Stefani, ri- tornato da una recente escursione in Dalmazia, ha portato delle roccie litologicamente uguali alle leccesi, contenenti dei fossili simili a quelli da me descritti. Il Di Stefano (*) indica la scoperta di calcari a Toucasia (') Di Stefano, Sulla presenza dell' Urgoniano in Puglia. Boll. Soc. geol. Ital. 1893. Voi. XI, fase. 3. MOLLUSCHI DELLA CRETA MEDIA DEL LECCESE 151 nel gruppo del Matese, a Pietraroia (prov. di Benevento) e nei monti di Presenzano presso Eocca-Pipirozza (prov. di Campo- basso), e accenna pure a calcari con fossili a tipo Urgoniano sul M. Pollino (parte deH’Appennino Calabrese). Inoltre il dot- tor Di Lorenzo (') annunzia come a Lagonegro, in Basilicata, e nella provincia di Sorrento, ha trovato dei calcari equivalenti a quelli delle Puglie, calcari ricchi di Sudiste, e contenenti una piccola Bequienia non ancor determinata. È probabile che una parte di questi calcari sia equivalente a quelli con Apricardia del cretaceo medio. Cerithium lyciense n » appulum n » messapicum n Nerinea sp Anomia hydruntina n Pecten Di Stefanoi n Corbula élegcmtula n Cardium Cosiae n Venus Dainellii n Monopleura multicostata n. . . . » sp » sp Apricardia carantonensis D’Orb. Bequienia sp Diceras sp , . . . Hippurites ? sp Biradiolites sp. ? o ai o3 O O C u o 60 Ti od rO ci .2 3 -Cfl O 2 ctì o ’3h & o ‘ai «e 8 a cd &D u £ 03 O O cd cd Oh O » 03 « Oh w k m » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » (') Di Lorenzo. Sulla geolog. d. dintorni di Lagonegro. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 marzo 1894. 152 FILIPPO DE FRANCHIS Cerithium lyciense, n. sp. Tav. VI, fig. 1, 2, 3. Dimensioni : Lunghezza mm. 27-41 Diametro massimo dell’ultimo giro » 12-13 Altezza dell’ultimo giro in rapporto alla lunghezza della conchiglia, come » 1:4,85 Angolo spirale, costante » 19c Conchiglia piramidale, destrorsa, acuta alla sommità, formata da circa 10 anfratti pianeggianti esternamente e a sezione cir- colare internamente: gli ultimi quattro misurano, in altezza, 4 o 5 mm., gli altri sono più bassi. Presentano dieci costole davate, più strette e meno prominenti alla parte inferiore del giro, man mano ingrossantesi e terminanti, alla parte superiore di questo, in un tubercolo o punta ottusa abbastanza rilevata e rivolta verso l’apice, sì da lasciare un’insenatura tra la parte supcriore del giro inferiore e la base del superiore, nel quale seno è situata la sutura, lineare, non molto profonda. Le costole, sebbene siano separate quelle di un anfratto da quelle dell’altro, pure tendono a disporsi secondo una linea spirale, che andrebbe dal basso all’alto e da sinistra a destra. Sono, poi, separate da solchi larghi una volta e mezzo esse medesime, poco profondi verso la parte inferiore del giro, ma assai più verso la su- periore in corrispondenza delle prominenti punte ottuse delle costole. Due o tre strie trasversali poco prominenti attraversano le costole e i solchi producendo, su quelle e in questi, delle prominenze tubercoliformi evidenti, ma molto meno pronunziate di quelle all’orlo superiore dell’anfratto. L’ultimo giro si termina in un canale centrale sollevato circa 2 mm. Apertura subrotonda; non posso dire però come essa si comporti al margine, poiché, dalle impronte, non è possibile rilevare questa particolarità, nè ho dati rispetto ni labbro. Questa forma potrebbe avere delle lontane analogie con il C. concisum del Mathéron (p. 317, tav. 40, fig. (ì) per le di- mensioni e per l’apparenza che prendono le costole all’orlo su- pcriore dell’anfratto, le quali aneli’ esse, nel 6r. concisum , si MOLLUSCHI DELLA CHETA MEDIA DEL LECCESE 153 prolungano in un tubercolo appuntato abbastanza evidente; e per l’insenatura che notasi al luogo della sutura, ma in questo ultimo, le costole sono più numerose, i solchi sono più stretti, i tubercoli sono meno rilevati e, sopratutto, si vedono delle strie trasversali numerosissime che attraversano le costole e i solchi, per cui ne nasce una scultura più fine e più complicata. Per tutto questo non posso fare e meno di tenere separate le due forme. Località: masseria il Beneficio. Geritili mn appai uni, n. sp. Tav. VI, fig. 4, 5, 6. Lunghezza mm. 18-19 Diametro massimo dell’ultimo giro » 6 Altezza dell’ultimo giro in rapporto alla lunghezza della conchiglia, come » 1:4,50 Angolo spirale » 17° Conchiglia turricolata, pupoide, piccola, appuntata all’apice, composta di otto anfratti, arrotondati i primi 3 o 4, piani affatto gli altri ; tutti separati da suture lineari, regolarmente accre- seentisi in diametro e in altezza ; l’ultimo di essi è alto circa mm. 4,50. L’orlo superiore del giro sporge alquanto sulla base di quello immediatamente superiore. Orlo basale dell’ultimo an- fratto leggermente convesso. Presentano circa 8 costole a cordone ben rilevate, separate da solchi a sezione semicircolare e larghi due volte esse medesime. Sì le une che gli altri si continuano direttamente dall’uno anfratto agli altri, producendo altrettante costole e solchi longitudinali continui dalla base all’apice, in- terrotti alquanto dalle linee suturali. Questa forma avrebbe delle analogie col C. ursicinum P. de Loriol, (Jura Bernois, p. 67, tav. IX, fig. 3-5), il quale ha 9 giri e 9 coste longitudinali che vanno dall’un anfratto all’altro; ma questo, oltre che avere dimensioni minori (altezza mm. 9-15), presenta anco delle strie spirali finissime, circa 8 per ciascun 154 FILIPPO DE FRANCHIS giro, ciò che si vede con l’aiuto di un forte ingrandimento, come l’autore medesimo afferma e delinea. Località: masseria il Beneficio. Cerithium messapicum, n. sp. Tav. VI, tìg. 7, 8, 9. Lunghezza mm. 18 Diametro massimo dell’ultimo giro » 7 Altezza dell’ultimo giro in rapporto alla lunghezza della conchiglia, come » 1:3,60 Angolo spirale » 27°-28°(?) Conchiglia pupoide, affusata leggermente e alquanto più con- vessa da un lato. Anfratti in numero di circa 10, separati da suture lineari, arrotondati i primi 3 o 4, pianeggianti gli altri o appena convessi, specie il penultimo ; si accrescono dal- l’apice alla base, ove l’ultimo raggiunge un’altezza di poco più che 4 mm., mentre il penultimo misura non più di mm. 2,10. L’orlo superiore del penultimo anfratto sporge poco dall'orlo basale del terzultimo, ciò che non si osserva fra i due ul- timi giri. Orlo basale dell’ultimo giro arrotondato. Si contano circa 10 costole, arrotondate, discretamente rilevate, separate da solchi bene impressi, poco profondi, larghi due volte esse me- desime. Tali costole non si continuano, come nella forma dianzi esaminata, quelle di un anfratto con quelle dell’immediatamente superiore o inferiore, in modo da formare un cordone longi- tudinale; invece sono alquanto spostate, in modo che la infe- riore, massime nell’ultimo anfratto, è un poco a destra di quella dell" immediatamente superiore. Questo Cerithium ha evidenti analogie con l’altro descritto avanti, ma l’aspetto dolioliforme, la scontinuità delle costole, le quali non si succedono a cordone quelle dell’un anfratto con quelle dell’altro, l’orlo basale dell’ ultimo giro più ottuso che nell’altra forma, servono alla diagnosi differenziale. Presenterebbe qualche lontana analogia anche col C. ò'uessii, Gemin., per l’andamento scontinuo delle costole, per l’altezza MOLLUSCHI DELLA CRETA MEDIA DEL LECCESE 155 dell’ ultimo anfratto, molto superiore a quello degli altri, per l'orlo basale dell’ultimo giro ottuso; ma sene ditferenzia facil- mente per la statura minore e per la mancanza di strie trasver- sali che, invece, si vedono nel C. Suessii del Gemmellaro. Località: masseria il Beneficio. Nerinea, sp. Un solo esemplare, parte in sezione e parte in impronta, il quale misura, in lunghezza e diametro massimo, rispettivamente nini, 11-12, e mm. 5. Forma conica, con costole arrotondate, separate da solchi non molto profondi. I giri raggiungono il numero di 8-9. La parte che si presenta in sezione, mostra gli anfratti con una sola piega dalla parte superiore interna; la columella è scavata. Per questi caratteri ravvicino questa forma al sottogenere Cryptoplocus. Località : masseria lo Solfito. Anomia hydrantina, n. sp. Tav. VI, fig. 22. Tre nuclei interni: raggiungono un diametro verticale ed uno antero-posteriore di mm. 13; sono allungati secondo una linea che va dall’ ambone all’ unione dell’orlo verticale con la parte posteriore dell’orlo cardinale. La regione dell’ ambone è più prominente, specie in due esemplari, presentadosi nel terzo alquanto appiattita tutta la superficie convessa. Il diametro tra- sversale del nucleo può raggiungere i 3-4 mm. L’umbone stesso è poco prominente e poco ricurvo, e lascia scorgere un solco lineare tra esso e la parte attaccata alla roccia. Affatto traccia di denti e di crenellatura al bordo ventrale. Argomentando da impronte esterne che si trovano nella stessa roccia della stessa località, le quali presentano dei solchi tra- sversali leggermente ondulati, quasi concentrici all’ ambone, si dovrebbe concludere che questa forma ha delle analogie con la 156 FILIPPO DE FRANCOIS N. laevigata, Sow. trovata dal D’Orbigny (*) nel Neocomiano di Bettancourt-la-Ferróe, presso Saint- Dizier (Haute-Marne). Località : i Pappi. Pecten Di-Stefanoi, n. sp. Tav. VI, fig. 29. Diverse impronte esterne ed interne ben nette, ma tutte incomplete, poco convesse; potranno raggiungere le maggiori, nel diametro verticale e nell’ antero posteriore, rispettivamente mm. 24-25 e min. 20 ; sono scolpite da finissime costole ottuse, die, partendo più sottili dall’umbone, raggiungono ingrossandosi la periferia e disponendosi come le asticine di un ventaglio ; non se ne contano meno di 32 su qualche frammento; e si può arguire che il numero totale dovrà essere non minore di 40. Sono tutte uniformi, separate da solchi poco più stretti che esse medesime; orecchiette mal conservate. Questa forma avrebbe delle analogie con il P. Rotliomagensis. D’Orbigny (2), del Turoniano medio, per la poca convessità della conchiglia e per la disposizione dei solchi e delle costole; ma la forma della conchiglia alquanto meno oblunga, le strie oblique sulle costole raggianti in quella del D’Orbigny, fanno differen- ziare l’un Pecten dall’altro. Località : Specchia de lo Murga, Corigliano d’Otranto. Corbula elegautula, n. sp. Tav. VI, fig. 27, 28 (ingrandita 3 volte). Numerosi nuclei, piccoli, che raggiungono, nel diametro an- tero-posteriore e verticale, rispettivamente mm. 5-6 e mm. 3. Si presentano allungati, rigonfiati anteriormente, coll’ ambone prominente e ricurvo verso il piano mediano del nucleo e situato sul terzo anteriore di esso nucleo. Lato anteriore obliquo dall’alto al basso e da dietro in avanti : orlo inferiore leggermente arcuato (') D’Orbigny A., Paléont. frang., voi. Ili, p. 755, tav. cccclxxxix, fig. 4-6. (2) Paléont. frang., voi. Ili, pag. 612, tav. ccccxl, fig. 1-7. MOLLUSCHI DELLA CRETA MEDIA DEL LECCESE 157 che si unisce all’anteriore formando un angolo curvilineo, promi- nente. Orlo posteriore quasi retto, corto, di appena un millimetro, obliquo dall’alto al basso e dall’avanti in dietro; si unisce all’orlo ventrale formando un angolo acuto. Orlo cardinale sub-retto. Dall’ umbone parte una carena che raggiunge l’ angolo acuto formato dall’orlo posteriore col cardinale, e divide la superficie in due sezioni, di cui una maggiore convessa e una piccola postero-superiore, triangolare, allungata, determinata dalla parte posteriore dell’orlo cardinale, dall’orlo posteriore e dalla carena cui poco prima si è accennato. Località: S. Nicola, presso Gallipoli. Cardimi! Costae, n. sp. Tav. VI, fig. 26 (ingrandita 2 volte'. Molte impronte interne piccole ma ben nette, raggiungono, nel diametro antero-posteriore e verticale, rispettivamente min. 10-1 1 e mm. 8; sono rigonfiate specie nella regione dell’umbone; questo è acuto, prominente e rivolto in avanti. Orlo cardinale quasi rettilineo, presentando un angolo ottuso molto aperto; orlo po- steriore sub-rettilineo, obliquo, dall’ alto al basso e dall’avanti in dietro, formante angolo ottuso con la parte posteriore dell’orlo cardinale; orlo ventrale leggermente arcuato, che si continua cou l’orlo anteriore anch’esso rotondato a curva meno svilup- pata, più corto; quest’ultimo si unisce alla parte anteriore dell’orlo cardinale formando una leggera concavità. Dall’apice dell’umbone parte una carena che termina all’unione dell’orlo posteriore con l’orlo ventrale e che limita due superficie: una estesa compren- dente tutta la parte convessa dell’impronta, l’altra concava a doccia, la quale avrebbe tre lati, uno costituito dalla parte posteriore dell’orlo cardinale, l’altro dall’orlo posteriore, il terzo dalla carena cui dianzi si è accennato. Si osserva poi una fine costolatura, più fìtta sulla parte anteriore, più rada, ma uniforme, sull’orlo ventrale, e obsoleta sulla parte inferiore dell’orlo poste- riore, per scomparire affatto sulla parte superiore di questo ultimo. Il numero delle costole ascende a circa 50. Località: S. Nicola, presso Gallipoli. 158 FILIPPO DE FRANCHIS Yenus Dainellii, n. sp. Tav. VI, fig. 25. Conchiglia leggermente allungata nel diametro trasverso; il bordo è per breve tratto rettilineo dietro l’ urnbone, leggermente arrotondato nella parte ventrale, e a curve ben sentite sul lato anteriore e su quello posteriore; le due valve, inequilatere, sono depresse, avendo, nell' insieme, una sezione lenticolare ; bumbone è prominente, ricurvo verso il lato anteriore, che, su- bito sotto all’apice, è notevolmente convesso. La lunula, visibile malamente solo in un’impronta esterna, è piuttosto piccola, poco profonda, cordiforme; il corsaletto stretto e assai allungato. La superficie interna mostra le impressioni muscolari, rotondeggiante quella posteriore, ovale l’anteriore, ed il seno paileale. La superficie esterna, come risulta da esemplari di Lequile, ma non dai miei, è tutta quanta ornata di solchi e costole trasversali, quant’ altri mai regolari, rotondeggianti nella sezione, netti, minuti e fitti, tanto che in un frammento ben conservato ho potuto contare più di 30 coste in soli 7 mm. Il cardine, grazie ad un modello interno in perfetto stato di conservazione, è chiaramente visibile : due denti triangolari, di- vergenti tra loro, dei quali il posteriore è molto più robusto dell’altro, si partono dal centro sotto rumbone; una piccola fos- setta triangolare li separa; sul lato anteriore si osserva una fossetta, profonda verso rumbone, e che va attenuandosi quanto più se ne allontana, ed un leggierissimo rilievo tra essa ed il bordo della conchiglia; sul lato posteriore è una fossetta allun- gata, abbastanza profonda, oltre la quale c’è un dente, pure allungato, che rimante disgiunto dal bordo per mezzo di una leggierissima depressione lineare. Dimensioni: diametro umbone-ventrale mm. 15 » antero- posteriore » 18 spessore totale delle due valve » 9 Per quanto questa specie abbia caratteri così netti, e possa esser suscettibile di una descrizione quasi completa, che la fa MOLLUSCHI DELLA CRETA MEDIA DEL LECCESE 159 differenziare da ogni altra fin qui nota, si. potrà pur non di meno avvicinarla a due specie del D’Orbigny, colle quali ha in comune qualche carattere. La Fenus Galdrina D’Orbigny (Paléont. frane-. , 1843, toni. 3, p. 437, tav. 383, f. 14, 15), simile per la forma generale, è molto più grande, molto più rigonfia, ed ha la superficie liscia; maggiori analogie presenta la Venus Vibrayeana D’Orbigny (op. cit., p. 442, tav. 384, p. 16-20). la quale però a dimensioni, e in specie rigonfiezza sempre molto maggiori, unisce un relativamente maggiore diametro umbono- ventrale, ed una minore prominenza degli amboni. Località: Masseria il Benefìcio presso Galatina. 11 dott. Dai- nelli l’ha trovata anche a Lequile presso Lecce. Monopleura multi costata, n. sp. Tav. VI, fig. 10, 11, 15. Numerosissime cavità che riproducono la forma esterna della conchiglia e che contengono un nucleo, rappresesentante lo spazio occupato dalle parti molli dell’animale; affatto traccia di con- chiglia, o di impressioni del cardine. Tali cavità sono coniche coll’apice rivoltato costantemente da un lato, sicché si vede una parte evidentemente convessa e un’altra quasi concava. La su- perficie è solcata da 8-10 impressioni longitudinali, che partono dall’apice, e che corrispondono ad altrettante costole che erano sulla conchiglia ; esse sono più fitte sulla parte convessa e più rade sulla concava ; qualcuna è maggiormente sviluppata specie da questa stessa parte. Fra mezzo alle medesime si notano altre più sottili, meno incavate, che devono corrispondere ad analoghe costoline più delicate. Trasversalmente, poi, vi sono delle im- pressioni lineari che intersecano le prime avendosi così pic- coli trapezi col lato minore inferiormente. Il nucleo, cui si è accennato avanti, sospeso dalla parte corrispondente alla parte concava, è a rao’ di uncino, con la porzione pendente nella ca- vità, ingrossata e ripiegata dalla parte concava, quindi a con- vessità rispondente alla parte convessa della conchiglia. Esso é sospeso ad una lamina stretta e allungata perpendicolarmente ad una linea che va dalla parte convessa alla concava della impronta. 160 FILIPPO DE FRANCHIS L’esiguità della lamina non permette che si conservi tale nucleo, il quale, per questo, si stacca quasi sempre, restandone vuota la cavità. Inoltre si può vedere sempre l’impressione della lamina miofora superiore. Le dimensioni della cavità del nucleo e della lamina si pos- sono esprimere con le seguenti cifre, che sono le maggiori otte- nute: (esemplare raccolto a masseria Beneficio). Diametro massimo preso secondo una linea dalla parte convesssa alla concava mm. Diamentro (perpendicolare al primo) » Altezza, dalla parte convessa i dalla parte del cardine) » Altezza dalla parte concava » Lunghezza del nucleo, sulla parte rigonfiata, secondo una linea perpendicolare a quella che va dalla cerniera alla parte opposta » Larghezza del nucleo nella direzione dalla cer- niera alla parte opposta » Lunghezza della lamina » Larghezza » » » » dell’ impressione della lamina miofora » 13-14 12-13 12 11 10 5-G 8 2-3 1 Monopleura, sp. Tav. VI, fig. 14. Una parte di impressione esterna la quale riproduce i se- guenti caratteri: conchiglia che misura, in altezza, mm. 17 (dalla parte che si può esaminare), costata; costole piuttosto fitte, giacche, in una superficie che non raggiunge che il terzo di quella dell’intera conchiglia, se ne contano da 6 a 7 più ele- vate, e, frammezzo ad esse, altre obsolete, molto più basse ; le une e le altre poi sono attraversate da sottili strie dando così luogo ad una zigrinatura. Tutta la superficie, pòi, è inter- rotta da 2 o 3 solchi trasversali che indicano le linee d’accre- scimento della conchiglia. MOLLUSCHI DELLA CERTA MEDIA DEL LECCESE 161 Differisce dall’altra forma esaminata avanti, per le costole più ravvicinate e per la evidente zigrinatura. Un solo esemplare della località: lo Scinto, comune di Ga- latina. Monopleura, sp. Tav. VI, fig. 12, 13, 16. Questa forma, che misura, in altezza, nim. 10, presenta la caratteristica di avere le costole strette e rade, tra le quali però una sollevata e acuta, e i solchi, quindi, larghi e profondi. Sulla parte concava, che sola si può osservare, non vi sono più di 4 costole. Località; il Beneficio, presso Galatina. Apricardia carantonensis, D’Orbigny. Tav. VI, fig. 18-21. 1900. C. F. Parona. Sopirà alcune Rudiste Senoniane dell’ Appennino me- ridionale. Memorie della E. Acc. delle Scienze di Torino, serie III, tomo L, p. 4, nota 1. Località Leqnile presso Lecce. 1901. C. F. Parona. Le Rudiste e le Camacee di S. Polo Matese. Mem. della E. Acc. delle Scienze di Torino, serie III, tomo L, p. 199 nota 3, tav. I, fig. 1 a-b cimi syn. Località S. Polo Matese. È cpiesta la specie che io avevo indicato in altri lavori pre- cedenti come Toucasia , e probabilmente a questa stessa specie vanno attribuite per massima parte le citazioni di Toucasia nei terreni supposti Urgoniani, delle Puglie. Il chiarissimo professor Parona la riconobbe fra esemplari che gli mandai della località Pindaro presso Galatina; altri egli ne ebbe da Lequile pure nel Leccese. Becentemente ne ha trovati esemplari in quest’ultima località anche il dottor Giotto Dainelli, ed uno fra questi ri- sponde esattamente al modello figurato dal D’Orbigny. La specie è fra quelle caratteristiche del Cenomaniano. Io descriverò i miei esemplari. 162 FILIPPO DE FRANCHIS Modello interno ben conservato, con accenno ad una debole spi- rale; lunghezza massima mm. 22 1/v diametro all’apertura, mas- simo mm. 16-17, minimo mm. 14. Si nota una carena che, alquanto acuta all’apice, segue la parte convessa, rendendosi sempre più ottusa, per scomparire quasi affatto all’orlo del modello; essa divide questo in due parti: una posteriore più convessa, una anteriore più appiattita. Un’altra carena, anche più obsoleta, si nota sulla parte anteriore e, cominciando dalla metà del modello, si termina all’orlo di questo. Trasversalmente poi si osservano delle strie di accre- scimento le quali, partendo dalla parte concava del modello, girano dalla parte convessa, descrivendo una linea ondulata, di cui la più bassa è maggiormente sviluppata ed ha l’aspetto di uno scalmo. Il modello della località il Basilico presenta, in corrispon- denza dell’apertura, un solco a fascia, largo un millimetro. Altro modello interno, alto circa mm. 28, diametro massimo, all’apertura, mm. 16: presenta una curvatura con leggiero ac- cenno di spirale; una carena si origina dall’apice, e, seguendo la parte convessa del modello, si termina all’orlo buccale, e di- vide la superficie di esso modello in due parti, una posteriore convessa, una anteriore quasi concava: su quella si nota un solco lineare ben manifesto che deve corrispondere all’impres- sione della lamina miofora posteriore ; sulla parte anteriore no- tami, a mezzo centimetro sotto all’orlo, dei solchi poco ben ma- nifesti, intersecati da linee trasversali di accrescimento. Località: lo Vita, la Scisciola, lo Scinto, il Pede-Grosso, il Basilico. Requi enia, sp. Tav. VI, fig. 17. Modello interno, alquanto incompleto, che rappresenta una sola valva. La spira è poco elevata, e raggiunge un diametro di mm. 26. La valva poi ha un diametro massimo di mm. 15 misurato all’apertura, la quale si svolge seguendo una curva i cui estremi corrispondono da una parte alla convessità del giro e dall’altra all’apice. Vi si nota, sulla valva, una carena MOLLUSCHI DELLA CRETA MEDIA DEL LECCESE 163 obsoleta, ottusa, che, movendosi dall’apice, si dirige, attenuandosi sempre più e costeggiando la parte convessa del giro, verso Torlo buccale; un’altra carena, molto più debole e più vicina al centro della spira, s’inizia anche dall’apice del modello per terminarsi alla metà del giro. Rapporti e differenze: questa forma avrebbe delle analogie con la IL ammonta, Mathéron; perchè riproduce una sezione di quest’ultima, cioè un giro, mentre la parte apicale è a spira più stretta, e la parte svasata, cioè quella vicina all’apertura, meno ri- torta, meno ripiegata; per questo dev’essere tenuta distinta dall’ ammonta del Mathéron. Un’impressione della valva si trova in un pezzo di calcare della località masseria la Scisciola: in essa si notano benissimo le spirali che si svolgono attorno ad un centro, producendo curve verso la periferia, a convessità rivolta dalla parte corrispondente al dosso della valva fi. Località: masseria la Scisciola. Diceras, sp. Tav. VI, fig. 31. Tre modelli interni, sinistri, della località Pede grosso, di cui uno assai ben conservato e due non molto perfetti; un mo- dello della località masseria Colabaldi, quasi contigua all’altra. 11 primo misura, dall’apice alla base, mm. 32 con un diametro massimo, all’apertura boccale, di mm. 20-21 e uno spessore di mm. 11. L’apice è un po’ rivolto in avanti; presenta, subito, all’esterno, un lieve infossamento ovale per cui Torlo, da questa parte, pare come schiacciato. Il resto del modello presenta una superficie ondulata, cioè due infossamenti e due sollevamenti dalla parte convessa, e delle strie longitudinali poco visibili che si dirigono verso l’apertura la quale ha la sezione ovale. Potrebbe appartenere un tal modello ad una Apricardia, scon- torta per irregolare compressione dalla roccia; ma questo dubbio è eliminato, osservando che gli altri due modelli presentano uguali caratteristiche, colla differenza che devono appartenere ad individui molto più giovani. 164 FILIPPO DE FRANCHIS Hippurites sp. Tav. VI, fig. 23, 24. Modelli interni discretamente conservati, presentano questi caratteri : sono conici e leggermente curvati, raggiungono, in lun- ghezza e in diametro massimo, rispettivamente mm. 20-21 e mm. 17-18; terminano con un apice molto arrotondato e pre- sentano, dalla parte concava, una costola ottusa; lateralmente a questa, un’altra che starebbe al confine della stessa parte concava. Le due costole, molto arrotondate, sono separate e limi- tate, all’esterno, da un solco poco profondo, nel qual solco, alla sua volta, si trova un’altra piccola costolina ben netta, rilevata. Le costole maggiori raggiungono, in larghezza, mm. 5-6 e le minori mm. 1. Della conchiglia è rimasta nessuna traccia, ma i nuclei si trovano in una cavità la quale ripete la stessa curvatura del nucleo, a pareti scabre per spati zzazione del carbonato calcare, e la stessa scabrosità è a linee, strie longitudinali, dall’alto al basso, sotto e fra le (piali, s’intravede una struttura a cordoni longitudinali con qualche stria d’accrescimento poco manifesta. Biradiolites ì sp. Tav. VI, fig. 30. Nuclei interni e impressioni esterne non in buone condizioni. Le impressioni esterne presentano i seguenti caratteri : forma ricurva, a volte, quasi, a semicerchio, appuntata all’apice, via via, allargatesi verso la parte superiore: lunghezza sin anche di 55-60 mm., larghezza massima sino a 23-25 mm. Sezione schiacciata, ovale, con lato appianato. Presenta delle costole molto prominenti, rilevate, grosse anche 7 mm., separate da solchi profondi, ma meno larghi che esse stesse, bene impressi. Si os- servano delle impressioni trasversali, che devono corrispondere alle strie d’accrescimento e paiono Lubricate in modo che la parte inferiore appare esterna rispetto alla superiore. 11 nucleo è allungato, alquanto ottuso all’apice, attaccato per la parte più larga, anch’esso ricurvo e schiacciato; qualcuno misura circa HIUT CALCOLAR»» KRHABKIi MOLLUSCHI DELLA CHETA MEDIA DEL LECCESE 165 40 mm, di lunghezza su 18 nini, nel diametro massimo. Non ha particolarità notevoli salvo che quella di presentar, talvolta, una costola arrotondata prominente, grossa, dalla parte convessa, e una depressione dalla parte concava. Non vi ho trovato traccie di valva superiore ; solo noto una parte d’ impressione la quale presenta i seguenti caratteri : superficie leggermente concava (diametro mm. 44): al centro, notasi una rottura da cui si sarà staccato il modello interno, di 14-16 mm. di diametro; da questo centro partono a mo’ di raggi delle costole larghe, appiattite, solcate, alla lor volta, da altre costoline più piccole. Quà e là. si osservano dei solchi più o meno superficiali; alcuni, poi, che pare delimitino le costole maggiori, sono più profondi, e tutti poi diritti, o quasi. Trasversalmente vi si osservano delle strie di accrescimento abbastanza manifeste. [ma. pres. 28 maggio 1902 - alt. bozze 26 maggio 1903:. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI Fig. 1, 2, 3 Cerithium lyciense n. » 4, 5, 6 » appulum n. » 7, 8, 9 » viessapicum n. » 10,11,15 Monopleura multicostata n. » 12, 13, 16 » sp. » 14 >•> sp. » 17 Bequienia sp. » 18, 19, 20, 21 Apricardia carantonensis D’Orb. -v » 22 Anomia hydrunUna n. » 23, 24 Hippurites sp. » 25 Venus Dainellii n. » 26 Cardium Costae n. » 27, 28 Corintia élegantula n. » 29 Pecten Di Stefanoi n. » 30 Biradiolites ? sp. » 31 Diceras sp. li contenuto della presente costituirà la prima pagina del 2° fase, del Bollettino. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Rendiconti. PAG. Consiglio direttivo per l’anno 1903 in Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società. ... iv Elenco dei soci per l’anno 1903 iv Elenco dei cambi xiv Inaugurazione dell’anno 1903 xix Resoconto dell'adunanza generale invernale tenuta in Roma il 21 febbraio 1903 xxxv AI c? in urie. Verri A. — La Montagnola Senese (con una tavola) ... 1 Verri A. — Il Monte Aiutata (con una tavola) De Stefano G. — Sui batraci urodeli delle fosforiti del Quercy \. (con una tavola) De Stefano G. — Nuovi rettili degli strati a fosfato della \ Tunisia (con una tavola) — ^>10 Flores E. — Polveri sciroccali e pisoliti meteoriche .... 81 Fohnasini C. — Distribuzione delle lestilarine negli strati pre- neogenici d'Italia 85 Lotti B. — Il Cosentino è una valle d" unti di rial e ? .... 97 Checchia-Rispoi.i G. — Nuova contribuzione alla, echino- fauna del Monte (largano (con una tavola) 101 De An’gei.is D’Ossat G. — Zoantari miocenici dell’ llérault (Francia meridionale) 115 Franchi S. — Sul rinvenimento di nuovi giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell’ Appennino Ligure 130 Novarese V. — Nu-ovi giacimenti Piemontesi di giadeititi e roccie giadeitoidi 135 Stella A. — A proposito della diffusione delle roccie a gia- deite nelle Alpi Occidentali 141 PoRTis A. — Ancora delle specie elefantine fossili in Italia . 143 De Francois F. — Molluschi della creta media del Leccese (con una tavola) 147 Finito di stampare il 27 maggio 1903. Il Bollettino della Società ecologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : A .v ro. v/o Verri. Fascicolo 2° (3° trimestre 1903). Anno XXII. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXII — 1903 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. Via della Pace N. 35 1903 CUGGIANI BOLLETTINO Voi. I. » II. » X. » XI. DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. » III. » IV. » V. » VI. VII. Vili. IX. » XII. » XIII. » XIV. » XV. » XVI. » XVII. » XVIII » XIX. » XX. » » (1882) (1883) (1884) (1885) (1886) (1887) (1888) (1889) (1890) (1891) (1892) (1893) (1894) (1895) (1896) (1897) (1898) (1899) (1900) (1901) » 2 fase. 260 pag. 4 tavole. 3 » » 18 tav. e 3 carte geologiche a colori. 4 3 3 3 5 3 4 3 2 5 2 3 3 3 3 1 » » » » » » » » » » 314 » 6 » 188 » 1 tave 1. 528 » 18 tav. i. 516 » 11 » 57Ò » 18 » 430 » 14 » 600 » 3 » 826 » 25 » 1023 » 21 » 702 » 11 » 892 » 7 » 317 » 5 » 324 » 7 » 802 » 17 » 370 » 9 » clii-2 75 pag- ,4 » 18 » e una carta geologica a colori. » » » » » » '» » » » » » » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori » cxl-752 pag., 1 1 tav. e una carta geol. a colori » clxxxvi-694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori » XXI. (1902) 3 » Appendice. Prospetti ed indici relativi ai voi. I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole. » clxvi-584 pag. e 18 tavole. Per l’acquisto dirigere lettere e valori al Tesoriere Cav. Ing. Augusto Statuti , Via Nazionale 114 ( palazzo Capranica del drillo). Roma. MOLLUSCHI della cheta media del leccése 16B 40 nini, di lunghezza su 18 nini, nel diametro massimo. Non ha particolarità notevoli salvo che quella di presentar, talvolta, una costola arrotondata prominente, grossa, dalla parte convessa, e una depressione dalla parte concava. Non vi ho trovato traccie di valva superiore ; solo noto una parte d’ impressione la quale presenta i seguenti caratteri : superficie leggermente concava (diametro mm. 44); al centro, notasi una rottura da cui si sarà staccato il modello interno, di 14-16 mm. di diametro; da questo centro partono a mo’ di raggi delle costole larghe, appiattite, solcate, alla lor volta, da altre costoline più piccole. Quà e là, si osservano dei solchi più o meno superficiali; alcuni, poi, che pare delimitino le costole maggiori, sono più profondi, e tutti poi diritti, o quasi. Trasversalmente vi si osservano delle strie di accrescimento abbastanza manifeste. [ms. pres. 28 maggio 1902 - alt. bozze 26 maggio 1903]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI Fig. 1, 2, 8 Cerithium lyciense n. » 4, 5, 6 » appulum n. » 7, 8, 9 » viessapicum n. » 10,11,15 Monopleura multicostata n. » 12, 13, 16 » sp. » 14 » sp. » 17 Requienia sp. » 18, 19, 20, 21 Apricardia carantonensis D’Orb. » 22 Anomia hydruntina n. » 23, 24 Hippurites sp. » 25 Venus Dainellii n. » 26 Cardium Cosine n. » 27, 28 Corbula elegantula n. » 29 Pecten Di Stefanoi n. » 30 Biradiolites ? sp. » 31 Diceras sp. 12 CORALLI TRIASICI IN QUEL DI FORNI DI SORDA (CARNIA) Nota del dott. G. de Angelus d’Ossat L’egregio amico prof. A. Tommasi gentilmente mi comunicò il materiale oggetto di questo brevissimo studio. Contempora- neamente egli mi scriveva: «Ho qui da tempo alcuni pezzi d’un » calcare nero del Rio Tolina, presso Forni di Sopra in Carnia, » zeppi di corallarii. àSono triasici, dubito che siano del Norico, » ma non mi sorprenderei che risultassero anche del Muschelkalk, » perchè tra le altre cose, non li ho raccolti in posto, ma nel » letto del torrente». 1 campioni credo siano gli stessi cui allude in nota lo stesso geologo nel suo importante lavoro: La fauna dei calcari rossi e grigi del monte Clapsavon nella Carnia occidentale, pag. 9, dove l’autore riportò una mia determinazione di due campioni raccolti nel monte Clapsavon, nel banco madreporico, e che riferii alla Thecosmilia badiotica Frech sp. in Volz, cioè ad una delle due forme di cui ora avrò occasione di parlare. Della stessa località e della regione finitima si occupò, oltre al bonghi P., lo stesso Tommasi con la recentissima nota : Sulla estensione laterale dei calcari rossi e grigi a Cefalopodi del monte Clapsavon. Dei quattro esemplari in istudio, tre appartengono — per quanto la cattiva conservazione permette l’analisi dell’anatomia dello scheletro — ad una stessa forma; il quarto invece deve riportarsi ad un’altra specie, ma molto affine alla prima. In grazia alle sezioni e specialmente alle levigature sono riuscito a fissare — con la maggior probabilità possibile — la determinazione dei fossili a due specie, una del gen. Thecosmilia e l’altra del rispettivo sottogenere Margarosmilia. Prima assicuro la giusta collocazione nel genere. Gen. Thecosmilia E. H. I corallarii formano un cespuglio più o meno denso. I poli- pieriti hanno la teca ricoperta di un abbondante epitecio. I calici sono irregolari e di svariate dimensioni. I setti si mostrano relati- CORALLI TRIASICI IN QUEL DI FORNI DI SOPRA 167 vamente forti; solo i maggiori raggiungono il centro che è man- cante di columella. L’endotecio è ben sviluppato; ecc., ecc. Perchè la determinazione specifica possa servire anche per apprezzare il valore cronologico della roccia includente, non riuscirà discara la conoscenza della cro- nologia del gen. Thecosmilia (vedi ta- bella). Le specie di questo genere van- tano gl’ incerti antenati sin dal Paleo- zoico. 11 genere però è ben precisato solo nel Triasico medio, vivendo quasi unito indissolubilmente al gen. Montlivmfltia, dal quale però nettamente se ne separa verso la fine dei tempi triasici. Questi due generi poi, ciascuno per suo conto, attraversano il Giurassico ed il Cretacico per raggiungere persino il Terziario. 11 lungo lasso di tempo abbracciato dal gen. Thecosmilia toglie a questo qual- siasi significato determinato di tempo. Solamente possiamo constatare che il massimo sviluppo, e per numero di forme e per quantità di individui, lo raggiunse nei tempi mesozoici. Le singole forme servono meglio per l’apprezzamento cro- nologico, come facilmente si può ricavare dagli studi paleon- tologici che riguardano il gen. Thecosmilia e specialmente da quelli in cui si parla delle specie triasiche, fra i quali — oltre la monografia citata del Yolz — va ricordata in modo speciale quella del Frech: Die Korallenfauna der Trias (Palaeouto- graphica, 37. Stuttgart, 1890, pag. 7-19 e pag. 10L110). Passo alle forme: Thecosmilia hadiotica Frech in Volz W. 1896. Thecosmilia hadiotica Wolz W. Die Korallen der Schichten von St. C'assian in Sud- Tirol . Palaeontog., XL1I1, pag. 26, tav. II, tig. 14-19 e figure in testo. » » Tonnnasi A. La fauna dei cale, rossi, ecc. Palaeontographia italica, voi. V, pag. 8, tav. I, fig. 2. 1 : Terziario i$? Cretacico Ciurass Leo j PlLf) 0 > Mcd. ' Ni 1 1 IrLj‘. i ùj.ilkophyì!iiue Paleozoico 1 900. 168 G. DE ANGELIS D’OSSAT Riporto a questa specie tre esemplari senza aggiungere osser- vazione di sorta, rimandando a quanto scrissi nel lavoro citato del Tommasi per quello che riguarda la parte paleontologica; ora solamente procurerò di determinare esattamente la ristretta area di distribuzione ed il valore cronologico della specie. Forcella Sett Sass ( Riclithofen-Riff). Monte Clapsavon (Banco madreporico). La prima località, secondo il Yolz ed altri, appartiene agli strati inferiori di S. C’assiano; l’altra invece dal Tommasi è riportata al piano Ladinico di Bittner, ossia al piano Norico di Mojsisovics. Località: Bacino del Torrente Tolina. Istituto geologico della R. Università di Pavia (2 esemplari), di Roma (1 esemplare). Subgenus Margarosmilia Yolz W. (*). 1896. Vola W., 7 oc. cit., pag. 32. Margarosmilia Bichthofeni Volz. 1896. Volz W., toc. cit., pag. 36, tav. I, fig. 13-14. Un solo esemplare appartiene a questa specie, corrispondendo perfettamente le particolarità sue anatomiche ed alla descrizione ed alle figure. Facilmente poi si differenzia dalla 31. Zieteni Kb, che fa da capo gruppo. Invero la forma generale della colonia ; le diverse dimensioni c la disposizione dei polipieriti ; la gros- sezza, il numero e la forma dei setti, ecc., tutto calza perfet- tamente con la nominata specie. Essa fu raccolta negli strati di S. Cassiano e più detcrmi- natamente : Falzarego-strasse — Seelandalp-zone (S. Cassiano sup.). Forcella Sett-Sass — Stores-Zone (Ibid. inf.). Località: Bacino del Torrente Tolina. Istituto geologico della R. Università di Pavia (1 esemplare). * * * Tutte e due le forme appartengono al piano Norico, come aveva sospettato il Tommasi. (') ó ij.àpyap o; e X [hi 8. prcs. 31 maggio 1903 - ult. bozze 20 luglio 1903]. RAPPORTI TRA IL VULCANO LAZIALE E QUELLO DI BRACCIANO Nota del pres. A. Verhi Fra i tanti problemi che presenta il Vulcano Laziale, i quali attendono tuttora la soluzione dallo studio dei Geologi, c’è quello del principio delle sue eruzioni relativamente alle eruzioni degli altri Vulcani Tirreni. Nel 1893 accennai all’idea, che le eru- zioni del Vulcano Laziale abbiano incominciato dopo quelle del sistema di Bracciano, detto anche Sabatino (‘). Presi a rivedere gli appunti di campagna, la revisione ni’lia fatto nascere dei dubbi sulla giustezza d’un apprezzamento allora emesso, e m’ha condotto a nuove osservazioni : presento alla discussione le mo- difiche ed aggiunte che ne conseguono (2). C) Note per la storia del Vulcano Laziale , Boll. Soc. Geol. It., voi. XII, pag. 580. (2) Nella esposizione m’attengo a’ miei appunti sommari di cam- pagna. Chi voglia conoscere i particolari delle cose cui accenno con- sulti gli scritti del Clerici, specialmente i seguenti; nei quali, oltre a minuta analisi delle sue molteplici osservazioni, sono date ampie notizie bibliografiche degli studi anteriori : I fossili quaternari del suolo di Roma, Boll. R. Com. Geo!., 1886. La formazione salmastra nei dintorni di Roma , Rend. R. Acc. dei Lincei, febbraio 1803. Notizie intorno alla natura del suolo di Roma, id., maggio 1893. II Pliocene alla base dei monti Cornicolan> , id., luglio 1893. Notizie intorno ai tufi vulcanici della via Flaminia, dalla valle del Ve- scovo a Prima Porta, id., gennaio 1891. Considerazioni sopra i tufi vulcanici a nord di Roma, fra il fosso della Crescenza e quello della Porr accia, id , aprile 1894. Sulla origine dei tufi vulcanici a nord di Roma, id., aprile 1894. Ancora sulla origine ed età dei tufi vulcanici al nord di Roma , id., giu- gno 1894. 170 A. VERRI Nel territorio dei Vulcani Sabatini stanno rocce trachitiche, le eruzioni delle quali sono considerate come le più antiche di quelle contrade; del pari che certe trachiti dei sistemi Cimino e Vulsinio. Non sono dimostrate, sul territorio del Vulcano La- ziale, eruzioni che a quelle siano contemporanee. Nei dintorni di Castelnuovo di Porto e di Monterotondo ho veduto la successione : argille con fossili marini, argille sabbiose egualmente fossilifere, sabbie gialle con piccole gliiaiette, tufi vulcanici. Talvolta sotto ai tufi un sabbione cinereo e rossiccio con concrezioni limonitiche; presso Osteria Moricone — tra Monte Libretti e Palombara — sotto ai tufi vulcanici sta del traver- tino. Nelle contrade ad ovest di Roma — che costituiscono i bacini dei fossi Alone, Galera, Magliana, Acquatraversa — notai in massima questa successione: argille più o meno sabbiose con Cardium Lamarcki, sabbie con ghiaiette, sabbioni rossicci e cinerei con concrezioni limonitiche, tufi vulcanici. Nella valle del fosso Galera, presso monte Ficone, vidi sotto ai tufi argille Sopra un giacimento di diatomce al monte del Finocchio o della Creta presso Tor di Valle , Boll. Soc. Geol. It., voi. XII, fase. 4. Sopra i terreni di Decima presso Fonia, id., voi. XVI, fase. 2. Complemento di osservazioni sui monti Parioli presso Forno, id., voi. XVI, fase. 2. Contribuzione alla conoscenza dei capisaldi per la geologia dei dintorni di Fonia, Rend. R. Acc. dei Lincei, febbraio 1901. Per la rappresentazione grafica del terreno vedasi: R. Ufficio Geologico, Carta geologica della Campagna Fomana, 1888-89. Teliini, Carta geologica dei dintorni di Fonia, 1893. In riguardo alle formazioni incontrate nei lavori eseguiti sulla pia- nura del Tevere in Roma, vedansi le pubblicazioni: Meli, Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tabu- lari del nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Pipetta, Meni. R. Acc. Lincei, 1880. Clerici, Sulla flora rinvenuta nelle fondazioni del ponte in ferro sul 'Te- vere a Pipetta, Riv. it. se. nat., Siena, 1892. Id., Illustrazione della flora rinvenuta nelle fondazioni del ponte in ferro sul Tevere a Pipetta, Boll. Soc. Geol , voi. XI. Id , Sui recenti scavi per il nuovo ponte sul Tevere a Pipetta in Poma, Boll. Soc Geol., voi. XVIII. Perrone, Carta idrografica d’Italia - Tevere, Pubbl. Ministero Agr., Ind. e Comm., 1899. RAPPORTI TRA 11, VULCANO LAZIALE K QUELLO DI BRACCIANO 171 sabbiose con elementi vulcanici, contenenti spoglie di molluschi terrestri, e travertini sopra quelle terre; verso Castel di Guido vidi sopra ai tufi vulcanici tufi calcarei con fossili d’acqua dolce. In complesso adunque il terreno sottoposto ai tufi vulcanici ci si presenta quale una bassa maremma, con ristagni acquei deter- minati da difficoltà di scolo, con ondulazioni determinate dal- rammonticchiarsi dei sabbioni che forma le dune; con acque mineralizzate, che in qualche stagno incrostavano la vegetazione acquatica. Percorrendo i territori accennati, la caratteristica che più mi colpi, nella grande distesa dei banchi di tufi vulcanici, fu la loro disposizione pianeggiante : dal che dedussi a pag. 581 delle Note citate che, quando vi piovvero quei rigetti, l’azione corroditrice delle acque correnti doveva avere poca presa sul terreno, eppereiò questo doveva essere ancora poco elevato. A pag. 580 osservai che, nella sezione tra S. Onofrio e Castelnuovo di Porto, si vedono a destra e sinistra le forma- zioni marine elevate tra le quote 200 e 140, mentre nelle valli di Grottarossa, della Valchetta, del fosso Oliviero, della Tor- Portis, Di una formazione stagnale presso la Basilica Ostiense di Roma, e degli avanzi fossili vertebrati in essa rinvenuti , Boll. Soc. Geol., voi. XIX. Sulle formazioni della valle delTAniene, tra i ponti Nomentano e Salario vedasi: Meli, Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della Provincia di Roma, Boll. R. Coni. Geol., 1882. Id., Sopra alcune ossa fossili rinvenute nelle ghiaie alluvionali presso la via Nomentana , al 3° chilometro da Roma, id., 1886. Clerici, Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Roma, id., 1885. Id., Sulla Corbicula fluminalis dei dintorni di Roma, e sui fossili che l’accompagnano, Boll. Soc. Geol., voi. V. Id., Sopra i resti di Castoro finora rinvenuti ìlei dintorni di Roma, Boll. R. Com. Geol., 1887. In riguardo ai Vulcani Sabatini vedasi: R Ufficio Geologico, Carta Geologica della Campagna Romana, 1888-89. Tittoni, La regione trachitica dell’Agro Sabatino e Gerite, Boll. Soc. Geol., voi. IV. Moderni, Le bocche eruttive dei Vulcani Sabatini, Boll. R. Com. Geol., 1896. 172 A. verri raccia, scavate per lungo tratto tra le quote 1 7 e 40, si vedono solo tufi vulcanici o sedimenti d’acqua dolce ad essi associati : le quali formazioni scendono pure sotto al piano delle valli. Adunque, sia dovuto a piegamento sinclinale della formazione marina, oppure a squarcia tura avvenuta nella sua massa, ovvero a scavo fatto su essa dalle acque; od anche ad un complesso di tali cause, quando quel canalone fu invaso dalle deiezioni vulcaniche, la conformazione del terreno non rispondeva itili alla topografia d’una bassa maremma: epperciò doveva esservi avvenuto un sollevamento notevole. A capo del canalone, largo una dozzina di chilometri, stanno i crateri di Campagnano, ed è logico supporre che siano stati rigettati da loro i materiali dei tufi che lo hanno riempito. Anzi il Moderni, parlando di quei crateri, vi segnala come prodotti delle eruzioni più antiche certi tufi speciali; e questi hanno i caratteri di quelli in posto nel canalone. Le masse più importanti dei tufi inferiori si arre- stano sul limite della valle del Tevere, e non si trovano nei rilievi della parte opposta: il quale fatto, unito alla esistenza del canalone, mi sembra dimostrare che c’era una depressione in corrispondenza della vallata attuale. L’apprezzamento cui ho accennato in principio, dicendo che oggi m’appare poco giusto, fu di considerare il materiale del descritto canalone come più antico dei tufi vulcanici inferiori, che si hanno ad ovest di Roma. Al piede nord-ovest dei monti Paridi, dalle catacombe di S. Valentino fin sotto Villa Glori — per la lunghezza d’un buon chilometro — imbasano le formazioni dei Parioli tufi vulcanici di colore bigio tendente al verdiccio. Tufi eguali notai appiè delle alture tra Tor di Quinto e la Torretta, presso al Campo del tiro a segno nazionale. Pare che il materiale di quei tufi venga da eruzioni dei Vulcani Sabatini; il Clerici fu d’avviso che si col- legllino a tufi somiglianti, i quali si vedono alla base del mon- ticello di Castel Giubbileo, ed ai tufi grigi della regione Pepe- rino compresa nel canalone descritto. Così stando le cose, quel canalone avrebbe proseguito a sud sulla traccia della vallata attuale del Tevere. La retta tirata dai crateri di Campagnano al cono Laziale, dopo quel canalone c la pianura del Tevere, passa in mezzo ad RAPPORTI TRA 11, VULCANO LAZI Al E E QUELLO DI «R ACCI ANO 173 un altro canale, il quale — come avvertii a pag. 581 delle Note citate — sui lati mostra le formazioni marine elevate a quota circa 20 sotto al monte Pincio, a quota circa 50 alle sor- genti del fosso Cesarina; mentre la valle dell’Aniene, a quota 17, mostra banchi di tufi vulcanici posati sopra concrezioni traver- tinose, accennanti ad approfondarsi sotto al piano della valle. Disposizione somigliante potrebbe indicare che il canalone, dai crateri di Campagnano, proseguiva verso il Vulcano Laziale ; e che la retta tracciata segni un piano di rottura della massima importanza. Nei colli di Roma, a destra del Tevere, i sedimenti marini si elevano a quote anche superiori a 100 metri; nelle alture corrispondenti di sinistra quei sedimenti sono stati incontrati soltanto a quote tra i 20 ed i 30 metri : è evidente perciò essere là avvenuto uno spostamento ; ecco come concepisco i tratti ca- ratteristici di questa mossa. In conseguenza della rottura suin- dicata, distacco d’ una zona di terreno e declinazione di essa verso la frattura — la pressione della porzione inferiore della zona distaccata, forse unitamente ad altre azioni, porta più in alto lo spigolo della massa contro la quale contrasta — ì fra- ti) formazioni marine — (2) formazioni marnose d’acqua dolce, travertinose, ecc. — (3) tufi, vulcanici più antichi eruttati dal Vulcano Laziale — (4) interrimento della vallata del Tevere urbano. namenti prodotti dalla spinta delle terre, e dalle forze meteo- riche allargano l’imbuto generato dal distacco. Chiarisco il pen- siero con uno schizzo schematico, in cui, affine di semplificare Tespressione dell’idea, ho tolto a sinistra della valle dell’Aniene il riempimento avvenutovi pel tufo giallo litoide, e la forma- zione d’acqua dolce che lo copre: dei quali materiali dirò ap- presso. Simile modo di vedere le cose mi spiegherebbe la di- 13 174 A. VERRI versità, che a me appare, tra il materiale che compone le pen- dici delle alture limitanti la valle, e quello che V ha interrata ; mostratoci dagli scavi fatti per le opere idrauliche, e per la verifica di stabilità delle fondazioni del Palazzo di Giustizia. Nella parte inferiore dei terreni solcati dalPAniene e dai fossi in esso confluenti di Casale de’ Pazzi, della Cesarina, della Cecchina, di Valle Melaina — nelle colline del Pincio, sopra alle sedimentazioni marine — nelle colline dei Parioli, sopra ai tufi vulcanici che stanno alla base, e la cui provenienza è supposta dai crateri di Campagnano, sta una formazione di con- crezioni travertinose, indicanti essersi esteso su quello spazio una specie di lago dei tartari. Tra Tor di Quinto e la Torretta, un cordone residuo di tali rocce — limitato ad ovest da banchi di ghiaie e sabbie contenenti materie vulcaniche, sovrapposti ad uno spuntone di rocce marine e coperti da banchi di tufi vul- canici — segna un tratto perimetrico di questo lago. Quei tra- vertini dovevano essere uniti alla formazione travertinosa dei Parioli, prima che succedesse la rotta; per la quale i due ba- cini segnati nello schizzo comunicarono, stabilendo la vallata, che oggi vediamo solcata dal Tevere. Il surgere di acque ricche di bicarbonati calcarei incrostanti la vegetazione acquatica testi- monierebbe la frattura suaccennata; questa spiegherebbe il loro surgimento. La forma delle incrostazioni, dalla Torre Boschetto nella vallata del Tevere al Ponte Nomentano, mostra in quel tratto un gran bulicame delle acque tartarifere. Così, pel distacco e di- scesa d’una zona di terreno declinante verso la linea di frattura, si sarebbero costituiti due bacini: uno interrito poi meccanicamente dalla caduta di materiali vulcanici, dai prodotti della erosione lo- cale, e da quelli trasportativi dalle acque, la cui conoide compone le alture da Ponte Milvio al fosso dell’ Acquatraversa, alle quali alture fa capo il bacino; l’altro riempito mediante il processo chi- mico delle incrostazioni, le quali venivano sommerse man mano che progrediva la discesa del terreno verso la frattura. Nò alla col- mata di questo bacino mancava il concorso di torbide fluviali. Scrive il Clerici a proposito dei travertini dei Parioli: « Le sab- bie giallicce, le concrezioni ed incrostazioni calcaree ed il tra- vertino, così intimamente connessi, mostrano che nell’ambiente ove si formava il travertino giungevano copiose le sabbie, le RAPPORTI TRA IT- VULCANO LAZIAIE E QUELLO DI BRACCIANO 175 ghiaiette ed i materiali vulcanici: anzi il travertino del grosso banco coltivato di Villa Glori è appunto di colore giallo e reso impuro dalla sabbia e dai materiali vulcanici e loro prodotti di alterazione ». Osservazioni estensibili ai travertini corrispondenti sulla destra del Tevere. Sopra le rocce travertinose si dispone la grande distesa dei bandii di tufi bigi, di terre argilloidi marrone, gialle, cineree; e pare cbe non ci siano più obbiezioni per considerare questi banchi quali primi prodotti del Vulcano Laziale. Prodotti che, per la struttura e la disposizione pianeggiante, testimoniano d’essere piovuti su un bacino depresso, occupato da ristagni acquosi. Non può esserci dubbio cbe spagliassero su questo ba- cino le acque dell’Aniene; non è ancora precisato se, in quanta parte ed in qual modo vi confluissero le acque, che sono por- tate dal Tevere. Indipendentemente dalle cause cui voglia attribuirsi la ge- nesi del tufo litoide giallo, adoperato in Poma per le costru- zioni, le osservazioni di campagna mi danno motivi sempre più gravi di considerarlo quale orizzonte geologico di grande im- portanza nella storia del Vulcano Laziale. Le sezioni della valle dell’Aniene ci mostrano modellata dal detto tufo una valle preesistente alla eruzione di quel materiale; manca il tufo giallo nel tronco della valle tiberina dalla confluenza dell’Aniene al Campidoglio; ma, da là al fosso di Malafede, i suoi residui tornano a modellare una valle, per la quale le acque dei bacini superiori dovevano scendere al mare. Al nord di Poma il tufo giallo da costruzione compone la base dello sperone chiamato della Grotta delle Gioie, a destra dell’Aniene presso il ponte ferroviario; perdurando sempre in quella contrada l’emissione delle sorgenti minerali, il tufo giallo fu coperto dalle loro de- posizioni calcaree e ferruginose. La lunata, dalla (piale TAniene sbocca nella valle del Tevere, è una pagina assai istruttiva, che bisogna sia letta attentamente da chi scriverà la storia del Vulcano Laziale. Riassumo in uno schizzo dimostrativo i tratti caratteristici, che a me pare distin- guere in quel viluppo intrigatissimo, di cui non è sempre facile ritrovare il capo dei fili. Proiettate sullo schizzo, come si vedono guardando dal Prato Fiscale, a destra le formazioni dello sperone 176 A. VERRI della Grotta delle Gioie, a sinistra quelle delle alture comprese tra la Manina di S. Agnese e la Via Salaria, si disegna una valle aperta nella massa dei tufi antichi del Vulcano Laziale, e delle incrostazioni travertinose loro sottoposte. Dentro la valle s'adagia il tufo giallo litoide del Vulcano Laziale (m) ; addos- sato ad esso, con stratificazione grossolana, il suo materiale di disfacimento (n), che termina con un banco raffinato. A questi tufi aderiscono fortemente stra torelli calcari e ferruginosi assai duri, i quali passano a straterelli di marne molto compatte, contenenti letti e nuclei limonitici : nelle marne s’ interpolano letti di sabbie finissime, clic talvolta presentano disposizione avvolgente; e la zona ( o ) termina con sabbie fine, mostrando nella superficie superiore alcuni incavi, che mi sembrano pro- dotti da corrosione. Per la zona (p) abbiamo: a sinistra un grosso banco di ghiaie coperto da tufo vulcanico con pomici bianche; alla destra estrema banchi ancor più grossi di ghiaie, con- tenuti in un canale scavato nelle rocce antiche travertinose. Davanti al ponte sulla Melaina le ghiaie si elevano per tutta l’altezza della pendice, e da quel luogo declinano verso la valle del Tevere, dove si rivedono al piede del rilievo : sono disposte in letti irregolari, nella parte superiore inclinati verso nord; includono pezzi di marne giallognole; hanno intercalate lenti di marne pure giallognole, una delle quali grossa 1.50 ha molluschi d’acqua dolce; sono coperte da altro banco marnoso con con- crezioni travertinose, pur esso contenente molluschi analoghi. Verso l’altro capo dello sperone, sopra la zona marnoso-sah- biosa (o), si ha un tufo leucitico bigio, nel (piale sono incluse ghiaie calcari in quantità decrescente dalla base in su; seguono letticeioli di sabbie composte da affinamento di materie vulca- niche; poi un banco di marne con concrezioni travertinose c RAPPORTI TRA IL VULCANO LAZIALE E QUELLO DI BRACCIANO 177 pezzetti di pomici bianche. A questo banco vengono le incrosta- zioni mammellonari della Grotta delle Gioie, ed in qualche tratto di esso si vedono molti molluschi d’acqua dolce. Un grosso pezzo del banco ricco di molluschi, staccato dalla massa, si trova scorso al piede dello sperone presso al passaggio a livello fer- roviario. Terminano la formazione (p) terre argil Ioidi marrone con noduli marnolitici. A me pare che la sezione rappresenti queste vicende principali: 1° apertura d’una valle nelle forma- zioni dei travertini e tufi antichi; 2° interramento della valle col tufo giallo litoide del Vulcano Laziale, la cui testata dalla parte della valle tiberina coperta dal materiale ( n ) pare dica che si fermò là l’invasione del tufo ; 3° costituzione d’un bacino con acqua alquanto profonda, dove si deposero le marne e le sabbie (o): bacino che dalla vallata del Tevere insenavasi in quella dell’Aniene; 4° scavo di emissario a destra; 5° invasioni di ammassi ghiaiosi e materiali vulcanici ; impaludamenti, ria- pertura a sinistra del canale dove il fiume corre attualmente. Nella ripa della valle dell’Aniene, ad est del Casale V.° d’Aguz- zano, sta grosso ammasso di ghiaie calcari compreso in un canale scavato nel tufo giallo litoide; al piede del Monte Sacro sono grandi banchi ghiaiosi includenti grossi pezzi di quel tufo; altri banchi ne sono a sinistra del fiume accanto al sottopas- saggio ferroviario della via Nomentana, altri sopra al tufo giallo litoide alla Batteria Nomentana, alla Sedia del Diavolo, oltre di tanti altri luoghi dove si trovano sempre in condizione da apparire trasportati dopo l’eruzione del tufo giallo litoide. Per- chè trasporto così grande di ghiaie, che ha riscontro soltanto nello spagliamento antico del fiume? Io torno sempre all’idea che, dopo quella eruzione, siano avvenuti movimenti molto con- siderevoli nelle montagne Tiburtine: per gli scorrimenti conse- guenti nei piani di rottura sarebbesi prodotto grande sgretola- mento nelle masse calcaree ; ed il materiale dello sgretolamento, rotolato dal fiume, avrebbe forniti gli ammassi ghiaiosi. Po- trebbe credersi pure che questi banchi ghiaiosi siano stati portati all’Aniene dal fosso di Pratolungo, il cui ampio bacino va sino ai poggi mesozoici, che sbucano dai sedimenti del pliocene tra Monterotondo e Montecelio; ma, visitato il bacino, non ho veduto ghiaie nemmeno nei depositi pliocenici. Perciò il materiale delle 178 A. VERRI ghiaie avrebbe dovuto venire da sgretolìo nelle rocce calcari che s’elevano alla origine del bacino: con che i termini del pro- blema sarebbero alquanto spostati ; ma portano sempre alla con- clusione di movimenti considerevoli da quelle parti, successi in momento perfettamente precisato negli avvenimenti del Vulcano Laziale: come per altri indizi mi sembrò vedere quando scri- veva le note citate al principio. 1 tufi con pomici nere costituiscono una massa assai note- vole nel materiale vulcanico del sistema Sabatino: mentre tale varietà manca nei prodotti del Vulcano Laziale. Il tufo con pomici nere si trova sulle alture a dèstra e sinistra del Tevere: a destra sopra al Sepolcro dei Nasoni, sulle alture da Tor di Quinto alla Torretta, dove coprì i travertini; a sinistra sulle alture di Fidene, sullo sperone della Grotta delle Gioie. In questo sperone, dalla parte del Tevere, resta soltanto una lista del tufo con pomici nere, dopo l’estrazione fattane per maci- narlo ad uso di pozzolana: estrazione segnata dal terrazzo, e dai numerosi imbuti ne’ quali s’ò franato il terreno soprastante. Il tufo pomiceo sta sotto la zona della formazione (p) composta da tufo leucitico bigio con ghiaie calcari, e la sua eruzione sarebbe posteriore al deposito di marne e sabbie, che copre il tufo giallo da costruzione del Vulcano Laziale. Con ciò abbiamo un altro punto di rapporto tra i due sistemi vulcanici limitrofi: il quale rapporto ci dice, che uno dei più grandi parossismi del Vulcano Laziale precedette quello, che fu uno dei più grandi parossismi del Vulcano Sabatino. Nelle alture da Tor di Quinto alla Torretta il tufo con pomici nere ha colore violaceo, e prende tinta bianco sudicio ad un livello che corrisponde a quello dei travertini. Se lo scoloramento dipendesse dall’azione di sostanze contenute nelle acque, indicherebbe la persistenza su quello spazio del bacino acquoso tartari fero. Sembra che venga dai crateri Sabatini anche il tufo con pomici bianche, che copre le masse ghiaiose presso C. Aguz- zano ed altre tra i ponti Nomentano e Salario. Pur questo tufo, essendo roccia abbastanza caratteristica, forse potrà dare ancora un punto di riferimento nelle vicende dei due sistemi vulcanici limitrofi. RAPPORTI TRA IL VULCANO LAZIALE E QUELLO DI BRACCIANO 1?9 Riepilogando, verrebbe questa successione distinta di avve- nimenti : I. Eruzioni trachitiche nel territorio dei Vulcani Sabatini, probabilmente concordante con eruzioni analoghe nei territori dei Vulcani Cimini e Vulsinii. IL Eruzioni di tufi leucitici dei Vulcani Sabatini, piovuti sulla superficie d’una bassa maremma. III. Sollevamento di quel terreno; pronunziamento d’ima frattura, che dal territorio di Campagnano si estese al Laziale ; distacco, ad oriente dei monti Mario, Vaticano, Gianicolo, d’una zona della massa sollevata, e sua declinazione verso la rottura: dal quale movimento ebbe la prima origine il tronco della vallata del Tevere a valle di Ponte Molle. Grandi eruzioni nei crateri di Campagnano, formazione d’un lago di tartari nelle contrade subito al nord-est di Roma. IV. Principio delle eruzioni del Vulcano Laziale, coi tufi bigi piovuti su un territorio depresso, contenente ristagni acquosi. V. Proseguimento delle eruzioni del cratere Laziale antico, per le quali ne fu alzato il rilievo lenticolare, in conseguenza di clic vi si costituirono corsi acquei. VI. Eruzione dal cratere Laziale del materiale, che com- pose il tufo giallo litoide; interramento con questo dei corsi acquei che si erano costituiti. VII. Eruzione dai crateri Sabatini del materiale, che com- pose la grande massa dei tufi con pomici nere, la quale tro- viamo spinta sino alla confluenza dell’ Amene nel Tevere. Per quanto riguarda la successione dei prodotti eruttati dal Vulcano Laziale, i quali hanno costruito, sulla sinistra del Te- vere, il rilievo della Campagna di Roma, le revisioni mi con- fermano quanto comunicai nel voi. XVII del Bollettino pag. 121, 122, e nel voi. XIX, pag. 376 a 379; e m’hanno presentato nuovi soggetti di osservazione, che esporrò a suo tempo. I lettori di questo scritto devono considerare che tenta di riassumere per sommi capi cose, che sono la risultante d’una quantità di forze endogene ed esogene; ora lavoranti nel tempo medesimo, ora in tempi diversi; talvolta con azione immedia- tamente successiva, tal altra a sbalzi, in conseguenza delfini- 180 A. VEK1U provviso entrare in giuoco di nuove forze. Presa ad esempio la pianura Tiberina a valle di Ponte Milvio, ammesso pure che la causa della sua prima origine sia stata come a me appare, quali oscillazioni di spostamenti in alto ed in basso avrà subito l’intero territorio, prima di prendere la forma attuale? quali vicende avrà avuto il movimento di assetto della zona compresa tra i due piani di rottura? E qui ripeto quanto già accennava nelle Note citate, che il terreno mostra molte fratture secoli darie, percui nel movimento di assetto generale i diversi cunei tendevano probabilmente a prendere ciascuno il suo assetto spe- ciale, con influenza non piccola nel risultato finale. Quale azione avranno avuta nei varii periodi le acque confluenti nella de- pressione? quali effetti vi avranno prodotto le invasioni di ri- getti vulcanici, pel materiale stesso che invadeva la depressione, ed in relazione alle acque che vi si raccoglievano? Quando si può considerare la pianura stabilita, e le acque raccolte in un collettore? Anche dopo questo momento abbiamo corrosioni dei meandri del fiume per stabilirsi l’alveo; protendimento della deltazione, che eleva a monte continuamente il letto fluviale; esondazioni delle torbide, che elevano il livello del suolo: ab- biamo infine l’uomo, che da circa 25 secoli ha sbarrata la valle con una città quale è Poma. [ms pres. 15 luglio 1903 - ult. bozze 5 agosto 1903]. FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PO ELETTA Memoria del dott. B. Nelli (con 4 tavole) Storia della geologia di Porretta Sull’età del macigno di Porretta furono, com’era naturale, emesse successivamente dai geologi molte e disparate opinioni. E, per quanto dai fossili del tipico giacimento si potessero oramai trarre sicure deduzioni, le discrepanze tra gli studiosi non sono ancora interamente cessate, per cui ho intrapreso di gran cuore questo studio. Però prima di esaminare le opinioni degli autori che mi precedettero, sento il dovere di rendere omaggio alla cara memoria del prof. Bombicci, che volle mettere a mia di- sposizione una gran parte dei fossili che servirono al mio studio, nonché di presentare i più sentiti ringraziamenti al prof. C. De- Stefani, il quale mi favorì il materiale esistente nel Museo di Firenze, ed al prof. M. Canavari che mi comunicò qualche esem- plare della collezione di Pisa. La provenienza dei vari esemplari sarà indicata volta per volta. Fin dal 1862 il Pareto (*) aveva distinto il macigno di Porretta da quello di Vergato, di Paderno, ecc.. e, mentre ri- teneva miocenico il secondo, considerava quello di Porretta come eocenico insieme con le arenarie dell’alto Appennino, e quali- ficava le argille scagliose come parte superiore della formazione eocenica e quindi superiori al macigno. Nel 1864 il Bianconi (?), confutando questa opinione, dice che il macigno di Porretta, (') Pareto, 1862. Coupes à travers V Appennin, des bords de la Me- diterranée à la vallee du Pó, depuis Livourne jusqu’à. Nice (Bulletin de la Société géologique de France, tome 19, 2e sèrie, page 243). (-) Bianconi, 1861. Sur les Apennins de la Porretta (Bulletin de la Soc. géol. de France, tome 24, 2e sèrie, page 428). 11 182 B. NELLI nel punto dove attraversa il torrente Reno, mostra un aspetto tale coi suoi strati verticali, sormontati dalle argille, da sem- brare infatti che esso, primitivamente inferiore alle argille eoce- niche, sia stato sollevato attraverso quelle argille, ma che, esa- minando questo macigno sulla montagna di Granagliene e din- torni, lo si trova sempre al disopra del terreno eocenico, per quanto fortemente sollevato; ciò che, secondo il medesimo, ve- rificasi anche nell’alto Appennino modenese, nelle località di Paullo, Montecucolo, Gajato, Cimone, ecc., dove sotto il macigno comparisce l’alberese a Fucoidi e marna in frammenti in mezzo alle argille scagliose. All’opposto del Pareto il Bianconi, dopo aver ritenuto miocenico il macigno di Porretta, riuniva con questo il macigno dell’alto Appennino. Nel 1867 lo stesso au- tore (*), proponendosi d’esaminare la questione se il macigno porrettano sia interiore o superiore alle argille scagliose, in mancanza di fossili, confronta quel macigno con quello di al- tre località, e di quelle della Porretta, e, riportando alcuni spaccati, viene a confermare la suesposta opinione della mio- cenicità. Infine, nel 1877 (2), dopo aver confermato le argille scagliose inferiori al macigno di Porretta, pur seguitando ad unire quello con l’altro dell’ Appennino, riconferma la mioceni- eità dell’arenaria di Porretta e l’identità della formazione con lo Schlier delle vicinanze di Bologna, adducendo come riprova e figurando una Cassidaria , comune alla detta formazione. Nel 1874 il prof. Capellini poneva il macigno di Porretta corrispondente al terreno numinulitico di Nizza, Egitto, Corbiè- res (3), le quali conclusioni esponeva in altra sua lettera (22 aprile 1880) (4) ; però nella publicazione definitiva del suo lavoro comparsa un anno dopo (:>), propendeva, sebbene senza (') Bianconi, 1867. Escursioni geologiche e mineralogiche nel terri- torio porrettano, pag. 29 e seg. (2) Bianconi, 1877. Formazione miocenica dell’ Appennino (Resoconto dell’Acc. d. Se. dell’Ist. di Bologna, tomo Vili, serie 3a). (3) Capellini, 1874. Resoconto deH’Acc. d. Se. dell’Ist. di Bologna, 21 maggio, pag. 109 e seg. (4) Capellini, 1880. La creta grigia, ossia le rocce a globigerine dell’ Ap- pennino bolognese (Estr. d. Rend. dell’Acc. d. Se. dell'Ist. di Bologna). (5) Capellini, 1881. Il macigno di Porretta e le rocce a globigerine delVApp. bolognese (Mem. Acc. Se. Bologna, serie 4", tomo II). POSSILI MIOCENICI PEL MACIGNO DI PORRETTA 1&3 assoluta certezza, a porlo nel Miocene, dicendo che quel macigno in «strati quasi verticali segna l’allineamento d’una faglia», nella cui direzione gli strati «sono caduti e rimasti conficcati verticalmente». A nord-est e sud-ovest di questi, secondo il Capellini, trovansi in stratificazione discordante le argille sclii- stose e scagliose da lui ritenute eoceniche. Il dott. Cardinali nella tesi di laurea, in base allo studio delle foraminifere, nel 1880, aveva sostenuto che i terreni della Porretta non erano cretacei, come prima alcuni ritenevano, ma eocenici (*). 11 14 novembre 1880 il De-Bosniaski (?), conformemente all’opinione del Bianconi, aveva manifestato l’idea che il ma- cigno di Porretta, caratterizzato dalla L. globulosa Desìi., Tapes Meneghina De-Stef., Cassidaria thyrrena, Lk., Venus sp., Spa- tangus austriacus Laube, corrispondente al giacimento di Pi- comano, fosse equivalente alla parte inferiore del Tortoniano. Contemporaneamente il De-Stefani (3), che già nel 1878 (Cron. d. terr. terz. d. Toscana) aveva detto: « i molluschi dell’are- naria di Porretta sembrano derivare da un piano più recente dell’Eocene », dall’esame dei fossili porrettani deduceva che essi non appartenessero ad età più antica del Miocene supe- riore, tutto al più del cosi detto Elveziano, equivalente agli strati di Grand, ciò che viene confermando anche in altro suo lavoro posteriore, nel 1881 (4). il Manzoni ancora nel 1880 (5) seguitava a riunire il macigno di Porretta insieme con quello dell’Appennino dell’Emilia, nella parte superiore dell’Eocene; O Cardinali, 1880. Cenni geologici sui dintorni di Pesaro. (?) De-Bosniaski, 1880. La formazione gessoso-solfifera e il secondo piano mediterraneo in Italia. (Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, 14 Novembre, p. 90). (3) De-Stefani, 1880. I fossili di Dicomano in Toscana e della Por- retta nel Bolognese. (Atti d. Soc. Toscana Se. Nat., Proc. Verb., 14 no- vembre, pag. 115). C) De-Stefani, 1881. Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Appennino settentrionale. (Estr. della Soc. Tose, di Se. Nat.; Voi V, fase. 1°). (5) Manzoni, 1880. La geologia della provincia di Bologna, però nell’anno successivo (') egli pure, posteriormente agli studi del De-Boniaski e del De-Stefani, dissentendo alcun poco dall’idea del secondo, il quale inclinava ad inserire il macigno di Por- retta nell’Elveziano, e da quello del primo che lo collocava nella parte inferiore del Tortoniano, sarebbe indotto a ritenerlo da una parte come appartenente allo Schlier , cui è intimamente legato per comunanza di fossili; ma dall’altra, in considera- zione che l’area occupata dal macigno , è nettamente separata da quella occupata dallo Schlier, e le forme litologiche essendo diverse, dubita che si possa riunire lo Schlier al macigno , per farne un sol corpo nel Miocene medio, e così, come dalla ta- vola stratigrafìea risulta, pone il secondo nel Miocene inferiore. In quello stesso anno 1881, il Capellini (?), confrontando le rocce di Porretta a grandi bivalvi, con altre località dell’Ap- peunino centrale, del Vizzinese e Licodiano in Sicilia, è indotto a confermarle corrispondenti all’arenaria calcarifera di Malta, pietra leccese inferiore di Terra d’Otranto, Elveziano di Mayer. Nel 1882 il Bombieei (:J), secondo l’opinione ultima del Ca- pellini, pone nell’Elveziano l’arenaria a grandi bivalvi di Por- retta. Nel 1889 lo Stur (4) ritiene, l’arenaria essere più antica delle argille scagliose, c formare uno scoglio ripidamente emer- gente e discordante al disotto delle medesime; aggiunge poi che se si credesse l’arenaria inclusa nelle argille scagliose si dovrebbe ad ogni modo ritenere come una formazione, un Klippc , estranea in mezzo ad argille scagliose più giovani. Nel 1892 il Sacco (5) dice che il macigno di Porretta si presenta sopra la formazione argillosa apparentemente come (') Manzoni, 1881. Delia miocenicità del macigno e dell’unità dei ter- reni miocenici nel Bolognese. (Boll. d. R. Com. geol., n. 1-2). C) Capellini, 1881. Le rocce fossilifere dei dintorni di Porretta nel Bolognese e l'arenaria di Boccapalumba in Sicilia (Rend. Acc. Se. Ist. di Bologna, 12 maggio). (3) Bombieei, 1882. Montagne e vallate del territorio di Porretta. (4) Stur, 1889. Bine fluchtige, die Inoceramen-Schichten des Wiener Sandsteins betreffende Studienreise nach Italien. (Jalirb. d. k. k. geol. Reichsanst; pag. 439). (5) Saeco, 1892. L' Appennino dell' Emilia. Studio geologico somma- rio. (Boll. Soc. geol. it. ; voi. XI, pag. 507). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 185 uno spuntone eli terreno più antico, ma in realtà, secondo lui, « probabilmente per un rovesciamento a forma di C si ricon- » nette colla massa arenacea delle grandi zone del clinale ap- » penninico », che egli attribuisce all’Eocene, e che è sottostante, quantunque, dice lui, solo in apparenza, ai galestri ofiolitiferi da lui supposti cretacei. Per ciò in conclusione, attribuisce il macigno di Porretta all’Eocene Parisiano, come il Pareto. Posteriormente il Lotti ('), nel 1894, seguendo questo con- cetto afferma che il macigno di Porretta è eocenico, poiché al- trimenti si sarebbe dovuto ritenere miocenico tutto l’Appennino settentrionale, che paleontologicamente era dimostrato eocenico. Egli pone il macigno di Porretta intercluso fra le argille sca- gliose concordanti al disopra, discordanti al disotto, con che lo spaccato del prof De-Stefani, che poi riscontrerò, non accorda. Il Lotti riunisce detto macigno a quello di M. Cavallo, situato verso il clinale appenninico, che secondo lui sarebbe pur sem- pre eocenico, ma superiore all’anticlinale arenaceo del M. Gra- nagliene. Ora secondo il I)e-Stefani, che si accorda in massima, benché non nell’interpretazione coi tre spaccati del Lotti (pag. 137, fig. 7, pag. 138, fig. 8 e 9), l’arenaria delle pendici settentrionali di M. Cavallo sta sul prolungamento di quella della Porretta ed è miocenica; ma l’arenaria formante la massa inferiore del monte stesso fa parte d’un anticlinale arenaceo eocenico, sepa- rato da breve sinclinale rovesciato di argille scagliose dall’an- ticlinale, pure eocenico, di M. Granagliene. Un anno dopo lo stesso Lotti (2), in altro suo lavoro viene a confermare la sua prima opinione. Nel 1895 il prof. Trabucco (3) riferisce al Langhiano il maci- gno di Porretta. Successivamente nel 1896 lo stesso autore (4) suppone che « alla Porretta, sopra la zona argillosa si appog- (*) (*) Lotti, 1894. Eilevamento geologico eseguilo in Toscana nell'anno 1893. (Boll. E. Com. «eoi. d’Italia. N° 2, pag. 139). (2) Lotti, 1895. Cenni sul rilevamento geologico eseguilo in Toscana durante Vanno 1894. (Boll. d. E. Coni. geol. n° 3, pag. 320). (3) Trabucco, 1895. Il Langhiano della Prov. di Firenze. (Boll. Soc. geol. it., voi. XIV). (4) Trabucco, 1896. Stilla posizione ed età delle argille galestrine e scagliose del Flisch ecc. dell Appennino settentrionale. 186 B. NELLI giano in discordanza i banchi arenacei, fortemente sollevati e diretti all’E., del famoso macigno miocenico ». 11 prof. De-Stefani mi ha favorito le osservazioni strati- grafiche seguenti, e gli spaccati che qui aggiungo. Egli ritiene che la presenza del macigno alla Porretta non si debba ricon- nettere ad alcuna faglia. L’arenaria uniformemente inclinata della Porretta forma una piega concava o sinclinale rovesciato con pendenza uniforme a N-E., regolarmente racchiuso tanto a valle quanto a monte in mezzo alla zona delle argille gale- strine, scagliose, ofiolitifere, appartenenti all’Eocene superiore c Fig. 1. - Spaccato a sinistra del Reno. A. Galleria, alla sinistra del Keno. — 73. Galestri. — C. Macigno. sovrai ncombenti all’arenaria eocenica di M. Cavallo, di M. Gra- mignone, ed in generale del clinale appenninico. Si consideri l’arenaria sulla sinistra del Reno alla Porretta, dove sono aperte le cave, ovvero a destra della Madonna del Ponte, la regolare e concordante sottoposizione alle argille, per effetto del rove- sciamento, come è indicata per la prima località, anche nello spaccato del Lotti (loc. cit., fig. 7, pag. 137), si vede evidente. A monte, tanto a sinistra quanto a destra del Reno, alla Ma- donna del Ponte e nU’imbocco Nord della galleria di Porretta, si vede la sovrapposizione con concordanza degli strati d’are* ? naria, a superfìcie rilevata e ondulata dalle compressioni, alle argille eoceniche, grandemente contorte. Se non che, a riprova FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 187 delle intense compressioni, cui dovettero essere soggette quelle roceie, e a conferma del rovesciamento del sinclinale ora affer- mato, a sinistra sopra rimbocco della galleria si vedono due o tre strette pieghe secondarie, che implicano l’arenaria in mezzo allo schisto, ciò che non si ripete sulla destra del Reno, dove la sovrapposizione è più regolare. Ciò risulta anche dagli an- nessi spaccati (fig. 1 e 2). Ora la paleontologia afferma che questo macigno appartiene al Miocene medio, mentre le argille appartengono alinocene. Per conseguenza il macigno di Porretta deve essere riconnesso coll’arenarie mioceniche che si trovano c Fig. 2. - Spaccato a destra del Reno. più a monte sulle pendici esterne del M. Cavallo, di nuovo al disopra delle argille galestrine, e non già coll’arenaria eocenica appenninica, che si trova in grandi masse più a monte, e che dal macigno di Porretta è separato mediante tutta l’ampiezza delle argille galestrine. A conferma della vera posizione stratigrafica del macigno noi abbiamo, se non una lunga serie, dei fossili certo più che sufficienti e di varie classi, per determinarne l’età. I fossili sono bene spesso deformati, e per lo più allo stato di semplice modello. Alcuni, e fra questi forse qualche forma nuova, essendo meno completi, non li ho presi in considerazione. Quelli che ho determinato sono i seguenti: Tbt Moiiocotiledoni : Cinnamomum polyniorphum Heer. 188 B. BELLI Spugne Hexactinellide : Craticularia Manzonii Malfatti. Craticularia sp. Euplectella Bianconii sp. n. Ecliinidi : Spatangus Manzonii Simonelli. Lainellibranchi: Modiola exbrocchii Sacco. Solenomya Doderleini Mayer. Cytherea multilamélla Lnik. Lucina JDicomani (Mgh.) » » var. inversa Mgh. » » » Enclisi Catici. » spinifera Mont. » (Megaxinus) elliptica Bors. Syndosmya prismatica Laskey. Titola doni ya sp. Neacra cuspidata Hinds. Teredo appenninica Doderlein. Gasteropodi : Natica sp. Malia praecedcns Pantanelli. Cassidaria tyrrhena L. Eudoliurn fasciatura (Borson). E usta sj). ( Jhrysodomus Bombiccii sp. n. Pteropodi : Clio multicostata Bellardi Clio cfr. triplicata Audenino. Cefalopodi: Aturia cfr. Aturi Bast. Vermi : Vcrmilia sp. Serpula Capellina sp. n. FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 189 Impronte problematiche : Pennatulites Manzonii sp. n. Lumbricaria cfr. filaria Miinster. ( Coproliti ?). Impronte fisiologiche. Vertebrati : Oxyrhina sp. Oxyrhina Pesorii Ag. Carcharodon megalodon Ag. Non ho avuto a mia disposizione esemplari di JBatliysipìion filiformis M. Sars e di Hyperammina , indicati in un lavoro del prof. De-Stefani sull’isola di Karpatos ('), come provenienti dalla Porretta. Il prof. De-Stefani mi fa sapere che la seconda specie trovasi nella collezione De-Bosniaski e la prima, esistente nella collezione Bombicci, proviene forse dai terreni eocenici delle col- line vicine a Porretta. Quando tratterò di ciascuna di queste specie indicherò i terreni, ai quali dai diversi autori vennero riferite; però debbo premettere fin da ora che molte di quelle indicazioni hanno un valore relativo. Infatti il De-Stefani considera come facies dif- ferenti di formazione sincrona e appartenenti al Miocene medio il Langhiano, l’Elveziano, il Tortoniano e in parte l’Aquita- niano e il Messiniano di vari autori; mentre parecchi geologi considerano questi terreni come appartenenti ad altrettante età diverse, successive l’ima all’altra. Ad esempio, secondo il prof. De- Stefani il Sacco dà al suo piano Elveziano un valore prevalen- temente stratigrafico, ma parecchi dei terreni ch’egli com- prende in questo piano, come i dintorni di Sciolze ed altri, dal Fuchs, dallo Schaffer, dal De-Stefani, dal Trabucco, sono rite- nuti caratteristici del Langhiano e sono ad ogni modo di mare alto. (') «Ulte de Karpathos » Extrait de Karpathos, elude géólogique, paléonlologiqiic et botanique, par C. De-Stefani, C. J. Forsyth Major, et W. Barbey, 1895. 190 K. NELLI Dall’esame delle specie che trovansi comuni uel Macigno di Porretta si può con sicurezza dedurre che esso si è costituito in un mare piuttosto profondo, come lo dimostrano le Spugne, 10 Spatangus Manzonii Simonelli, la Modiola exbrocchii Sacco, la Soìenomya Boderìeini Mayer, la Lucina spinifera Mgh., la Pholadomya, la Neaera cuspidata Hinds, V Malia praecedens Pant., la Cassidaria tyrrhena L., V Eudolium fasciatura (Borson), 11 Fusus, il Chrysodomus, insieme agli Pteropodi ed a\Y A furia. Nè si potrà inoltre dubitare che non si abbia dinanzi una fauna esclusivamente miocenica, anzi alcune delle nostre forme, senza tema d’errare, si può dire che sono addirittura caratteristiche del Langhiano come la Craticularia Manzonii Malf., lo Spatangus Manzonii Sim., la Modiola exbrocchii Sacco, la quale per quanto da quest’ultimo venga indicata nell’Elveziano, pure è comunis- sima nel Langhiano, la Soìenomya Boderìeini May., V Malia praecedens Pant., V Eudolium fasciatimi (Borson), la Clio mul- ticostata Bell., la Clio cfr. triplicata Audenino ed infine 1 1 Ai uria cfr. Aturi Bast.. In tal modo resta comprovato che non erano lungi dal vero quei geologi, che già protendevano a ringiova- nire il macigno porrettano, primo fra tutti il Bianconi, nè si potrà ulteriormente obiettare, in seguito alle prove paleontolo- giche in perfetta armonia con quelle stratigrafiche, ch’esso possa riconnettersi alla massa arenacea eocenica dell’asse principale dell’Appennino. Delle specie indicate riporto la sinonimia sol- tanto per alcune principali, o per specie come la Lucina Di- comuni, della quale posseggo centinaia d’esemplari di moltis- simi luoghi. Terrò distinte le indicazioni che furono fatte in modo speciale pei fossili della Porretta. descrizione delle specie. Vegetali. Cinmmioinum polymorphum Peer. (Tav. Vili, fig. 1). Riferisco a questa specie una bellissima impronta (collezione Bombicci) pressoché ovale, molto larga, a confronto della lun- ghezza, nella sua parte mediana, piuttosto attenuata alla base, FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 191 triplinerve, e secondo le nervature secondarie del tipo carnato- dromo. Nervi basali opposti, inseriti immediatamente alla con- giuntura del picciolo, formanti un angolo acuto col nervo mediano, non paralleli al margine dal quale si discostano indiriz- zandosi verso la parte superiore per poi nuovamente accostarsene alla loro estremità. Nella parte mediana della foglia mostrasi un’altra coppia di nervi, ma, mentre i primi, sono opposti, questi sono invece solamente riavvicinati. Terso l’estremità si vede un’altra coppia di nervi un po’ meno riavvicinati degli antecedenti. All’ascella di queste nervature non vedonsi tracce di ghiandole. Dalle nervature primarie inferiori si diramano lateralmente, ad angolo retto o quasi, delle nervature secondarie, verso il margine piuttosto arcuate, colla convessità rivolta verso la parte inferiore della foglia, e ciascuna si anastomizza colla superiore a poca distanza dal bordo. Queste nervature secondarie, insieme alle altre, che uniscono le nervature primarie alla me- diana, e le primarie fra loro, costituiscono un tessuto reticolato a maglie larghe, assai irregolari. Nel nostro esemplare manca l’apice della foglia, il quale secondo l’Heer (l), è cosi acuminato da render la foglia pres- soché caudata. Questo carattere è secondo il Paolucci (2) di grande importanza per distinguere questa forma di Cinnamomum dalle tante altre forme più o meno diverse del genere ; tuttavia per la somma di tutti gli altri caratteri a me sembra che l’esemplare ora descritto possa ritenersi riferibile alla specie dell’Heer. Non istarò qui ad indicare le diverse località italiane ed estere, nelle quali trovasi la specie, giacche furono già indicate con molta precisione dal Sordelli (3), come pure dal Paolucci (loc. cit). Pare che si estenda dall’eocene al pliocene. Q) 187(1—77, FI. ieri. Helv., I, p. 112, tav. I, fig. 11, (Camphora po- lymorpha) . (2) 1896, L. Paolucci. Nuovi materiali e ricerche critiche sulle piante fossili terziarie dei Gessi di Ancona, pag. 9 1 . (3) 1896, Studi sulla vegetazione di Lombardia , pag. 152. 192 B. NELLI Spongiarii. Craticularia Manzoni i Malfatti. 1895. Craticularia. De Stefani. A per cu géologique et description paléon- tóloyique de Vile de Karpatos; pag. 21 (Extrait de Karpatos, étude géologique, paléontologique et bo- tanique, par C. De Stefani, C. I. Forsyth Major, et W. Barbey). 1900. Craticularia Manzonii Malfatti. Contributo alla Spongiofauna del Cenozoico italiano (Estr. dalla Palaeon- tographia italica; voi. VI). Riferisco a questa specie tre esemprari (Museo di Firenze), rappresentati dalle impronte assai caratteristiche della coppa craterale, o parte interna superiore della spugna, amplissima, quale è propria della C. Manzonii. In essi vedonsi disposti in tante serie concentriche regolari e craticolate dei rilievi rotondeg- gianti, rispondenti alle aperture ostiali, le quali, come apparisce dalla descrizione del Malfatti (pag. 284), mostratisi appunto disposte intorno alla coppa craterale in serie concentriche, come risulta anche dalle ottime figure della specie (Tav. XX, fig. 5,8). Numerosissimi frammenti della specie trovansi nella col- lezione Bombicci. Craticularia sp. Un esemplare (C. B.)(1) rappresentato da un'impronta di ca- vità craterale, molto profonda, la quale presenta una forma irregolarmente subelittica, per pressione subita, imbutiforme, peduncolata. Sulla superficie mostratisi in serie concentriche pres- soché regolari dei rilievi, alcuni dei quali piuttosto tondeggianti, i quali, a mio parere, corrispondono alle cavità ostiali. Questi piccoli rilievi insieme colle depressioni che li separano, corri- spondenti a rilievi della cavità craterale, danno all’esemplare un aspetto reticolato. (') C. B. Indica ..Collezione Bombicci. POSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 193 Euplectella Bianconii sp. n. (Tav. X, fig. 1). 1887. Euplectella sp. De Stefani. L’ Appennino fra il Colle dell’Altare e la Pulcevera (Estr. d. Boll. Soc. geol. it. ; voi. VI, fase. 3). Sopra un frammento di macigno (C. B.) si rileva un tubo quasi diritto. Presenta una lunghezza di mm. 35 ed una lar- ghezza massima di mm. 8. Inferiormente termina restringendosi con angolo acuto ; superiormente è aperto o per lo meno rotto. La parte più larga del corpo è un poco sotto la metà. Può ritenersi approssimativamente cilindrico, cavo, schiacciato, per quanto di esso non vedasi che una sola parte. Nej cilindro si presentano due leggerissime strozzature, delle quali la più alta è circa al terzo superiore. La superficie è perforata da nume- rosi osculi parietali, i quali mostransi circoscritti da rilievi sot- tilissimi e poco salienti, che costituiscono una fitta rete a maglie esagono o pentagone assai regolari. Il diametro di questi fori è di mm. 0,4. Il nostro esemplare per la forma esagona o pen- tagona degli osculi parietali non può paragonarsi ad alcuna delle Euplectelle fin qui conosciute, le quali invece presentano in generale degli osculi rotondi o oblunghi. Però per il suo aspetto saechiforme e per la sagoma del suo corpo presenta una grande analogia coll’if. Marshalli. Jj ('), cui si accosta anche per lesue dimensioni. Il prof. De-Stefani (loc. cit.) ritenne già queste forme per spugne calieiformi simili alle Euplectelle , e reputa che i Palaeodictyon debbano interpretarsi così. È questa l’ in- terpretazione più probabile per una forma così problematica, ma non oso affermare in modo assoluto che si tratti realmente di spugne, giacche fino ad ora non si son potute osservare le spi- ci! le silicee, le quali per la loro esilità e delicatezza è quasi impossibile poter ritrovare nelle formazioni arenacee. Non si può negare che la nostra forma non abbia pure qual- che analogia superficiale colle Bactyloporae, le quali appunto (l) Isao Ijima, Studie on thè Hexactinellida (The jourual of thè col- lege of Science imperiai University of Tokio Japan ; voi. XV, part. I, tav. IV, fig. 8, 9; Tokio, Japan 1901). 194 R. NELLI si presentano sotto forma d’uu tubo cilindrico colla parete divisa in compartimenti esagonali più o meno regolari. Però il nostro esemplare, non essendo affatto calcareo, deve escludersi die appartenga a quelle forme di alghe calcaree, le quali inoltre hanno sempre dimensioni assai minori. Echinidi. Spatangus Manzoni i Simonelli. (Tav. Vili, fig. 2, 3, Tav. X, fig. 5). 1878. Sp. austriacus (non Laube) A. Manzoni. Gli Echinodermi fossili dello Schlier delle Colline di Bologna, pag. 12; tav. II, fig. 10 a 15, tav. Ili, fig. 19 a 22; tav. IV, fig. 40, 41 * (Denksehriften der Matti. Natimvissensch. Classe der K. Akad. der Wissenschaften Bd. XXXIX). 1880. Sp. austriacus Laube. Manzoni in De Bosniaski La formazione ges- soso-solfifera e il secondo piano mediter- raneo in Italia Soc. Tose. Se. Nat. Proc. Verb. 14 Novembre. 1881. Sp. austriacus G. Mazzetti. Echinodermi fossili di Montese, pag. 21. 1883 Sp. Manzonii. V. Simonelli. Il monte della Verna e i suoi fossili. (Boll. soe. geol. it , voi. II, pag. 276). 1885. Sp. austriacus. G. Mazzetti. Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese: pag. 66 (Atti della soc. dei Naturalisti di Modena). 1896. Sp. austriacus. G. Mazzetti. Catalogo degli Echinidi fossili della collezione Mazzetti esistenti nella B. Università di Modena. 1898. Maretta Pareti. C. Airaghi. Echinidi del Pliocene lombardo; pag. 21. (Atti Soc. it. Se. Nat, tav. I, fig. 10). 1901. Sp. austriacus. C. Airaghi. Echinidi terziari i del Piemonte e della Liguria. (Palaeontographia italica. Meni, di Paleontologia ecc. Voi. VII, pag. 215, tav. XXVII, fig. 8). Della specie abbiamo un esemplare discreto (C. IL) rappre- sentato da modello, quasi intero, mostrante la parte superiore coi suoi quattro petali ambulacrali e l’inferiore col peri stoma e il periprocto (tav. Vili, fig. 3). A questo esemplare ne aggiungiamo un altro, appartenente al sig. De- Bosniaski e di cui non posso dare che il disegno (tav. Vili, fig. 2). Non c intero, ma mostra POSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRKTTA 195 in modo evidente un petalo ambulacrale ed i tubercoli. Inoltre abbiamo una grande impronta della parte frontale coi suoi due petali, numerosissimi frammenti d’impronte, sui quali non appa- risce die un solo petalo. Per quanto non si abbia della specie nè un bell’esemplare, nè un esemplare completo, pure, a giu- dicare dai suaccennati esemplari (C. B.), i caratteri distintivi della specie appariscono in modo manifesto. Dall’esemplare mi- gliore la forma risulta pressoché ovale, la parte superiore mediocremente convessa, l’inferiore pianeggiante. Sul lato frontale, per quanto presso il margine l’esemplare sia rotto, mostrasi il principio d’un solco, il quale apparisce poi anche sul lato in- feriore, e raggiunge il peristoma. I petali anteriori sono più divergenti e più lunghi dei posteriori, mediocremente larghi, un poco appuntati, leggermente ricurvi verso il margine anteriore. I petali posteriori mostransi invece più diritti e più stretti. Nell’aree interambulacrali appariscono grossi e numerosi tuber- coli, scrobicolati e perforati, disposti in ovali fossette. Il peri- stoma trovasi vicino al margine; essendo in cattivo stato di conservazione non offre altri caratteri distintivi della specie. Presso il margine posteriore, immediatamente sotto la gibbosità dell’area interambulacrale impari, vedesi assai distintamente il periprocto, però in cattivo stato di conservazione. L’ Ai roghi unisce allo Sp. Austrìacus del Laube le forme dello Schlier, del Bolognese e quelle del Monte della Verna. Queste, secondo il Simonelli, differiscono da quella specie per avere: 1° gli ambulacri anteriori più lunghi dei posteriori; 2° i tubercoli dell’area interambulacrale impari limitati ad un’altezza uguale a 3/ 4 della lunghezza dei petali posteriori. Ammettendo pure che quest’ultimo carattere possa essere comune anche alla specie che il Laube creò su esemplari rappresentati da modelli, i quali per ciò non offrono sicura garanzia se questi tubercoli esistessero o no sugl’individui della specie, non si può tuttavia disconoscere che il 1° carattere non abbia un valore abbastanza differenziale per poter distinguere le forme dello Schlier, della Verna, del Bolognese, e in generale dell’Italia, da quelle di Bayersdorf e di Grosshòflein, nel bacino austro-ungarico, le quali del resto, meglio esaminate di nuovo, potrebbero essere anche identiche alle nostre. — La specie è comunissima nel Miocene, 196 B. NELLI principalmente medio, nella plaga di mare profondo, che noi diciamo . Langhi ano. Viene indicata, oltreché sulle colline bolo- gnesi (Manzoni), nelle sabbie della Melossa, presso Chiusi in Casentino (Simonelli), nei contorni di Guiglia, Pantano nel Reg- giano, e a Montese (Mazzetti), e nel Langhiano, indicato come Elveziano, di Varzi e Vailassa in Val Staffora (Airaghi). Molluschi. Modiola exbrocchii Sacco. (Tav. X, fig. 2). 1866. Modiola Brocchii Mayer. Hoernes. Foss. Moli. Ieri. Betfc. Wien., pag. 845, tav. 45, fig. 13. 1898. Modiola exbrocchii Sacco. I moli. d. terr. terz. ecc. Parte XXV, pag. 40. Il Mayer aveva indicato col nome di Modiola Brocchii esem- plari del Pliocene di Cossato nel Biellese, riferibili invece alla M. longa Brìi. La specie del bacino di Vienna che 1’ Hoernes confonde con quelle forme è diversa, quindi molto ragionevol- mente il Sacco ha distinto con nome nuovo la specie dell’Hoernes, dovendo l’altro del Maver passare in sinonimia della M. longa. In seguito a queste osservazioni pongo sotto la denomina- zione di M. exbrocchii Sacco un buon’esemplare ed il frammento d’un altro, entrambi modelli d’impronte (C. B). Il primo rap- presentato da una valva destra mostra le seguenti dimensioni: lunghezza min. 46; larghezza massima inni. 14, minima mm. 9. Questa valva apparisce di forma allungata, posteriormente larga e compressa, presso rumbone più stretta e leggermente ricurva col margine paileale concavo. Dall’umbone una convessità a guisa di carena la percorre, secondo una leggera curva eccentrica, fino all’estremità posteriore. La superficie è ornata di sottili pieghe d’acerescrimcnto con andamento assai irregolare nella parte anteriore della valva, più regolare nella parte posteriore. Il Sacco indica la specie nell’Elveziano dei colli torinesi, dove già l’aveva indicata l’Hoernes, che ad ogni modo è deposito di mare profondo e che da altri fu attribuito allo Schlier o Lan- ghiano. Trovasi pure nel Miocene del bacino di Vienna. FOSSILI MIOCENICI DEI. MACIGNO DI PORRETTA 197 Soleiioni.va Doderleini Mayer. (Tav. IX, fig. 1). 1861. Solenomya Doderleini May. Descr. d. conq. foss. dea terr. tert. (Journ. de Conq.; voi. LX, pag. 358). 1870. » » » Hoenies. Die fossilen Mollusken des ter- tiaer- Beckens von Wien. Band II, pag. 257, tav. XXXIV, fig. 10 a, b. 1875. » » » Hoenies. Die fauna dea Schliersvon Ot- tnang (Jahrb. der K. K. geol. Reicbs- anstalt; pag. 276, tav. XIII, f. 9-12). 1891. » » » Simonelli. Sopra la fauna del così detto « Schlier » nel Bolognese e nell’ Anconi- tano (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat., voi. XII, pag. 28). 1899. » » » Schiiffer. Beitràge zur Parallelisirung der Miocànbildungen des piemontesi- schen Tertiàrs mit denen des Wiener Beckens. II. (Separat-Abdruck aita dem Jahrb. der k. k. geolog. Reichsan- stalt, 1899, Bd. 49, Heft. 1). 1901. » » » Sacco. I molluschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. Parte XXIX, pag. 128, tav. XXVII. tig. 1, 2, 3, 4. Loc. Porretta: 1895. Solenomya Doderleini May. De Stefani. Apergu géologique ecc., loc. cit ., pag. 21. Due esemplari di questa specie, così caratteristica del Lan- ghiano, rappresentati rispettivamente da una valva (C. B). L’esemplare meglio conservato presenta le seguenti dimensioni : lunghezza nini, 28, larghezza min. 9. Entrambi mostrano eviden- temente i caratteri distintivi della specie per la forma trasver- salmente allungata, arrotondila alle due estremità, per essere marcatamente inequilaterali, presentando una regione anteriore lunga e l’altra posteriore corta. Nell’esemplare migliore si scor- gono abbastanza distintamente dal lato posteriore alcune tracce di strie longitudinali irraggianti dall’umbone ; in entrambi nella parte posteriore si notano 4 costoline, separate da solchi un 15 198 B. NELLI poco più stretti ma piuttosto profondi, convergenti agli amboni, dove essi finiscono appuntiti, mentre sono più larghe verso il margine come nella figura dell’Hoernes. Trovasi nel Tortoniano di Pino torinese (Hoernes), nello Schlier delle colline bolognesi (Simonelli), nel Langhiano dei colli torinesi, delle Langhe, nello Elveziano del Sacco di Sciolze, del Casalese. IlDe-Stefani(loc.cit.) indicò già la specie nei dintorni di Porretta. Lucina Dicomani (Meneghini). Località Porretta: 1880. Lucina Dicomani Mgb. De Stefani. I fossili di Dicomano in Toscana e della Porretta nel Bolognese (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat. Proc. Verb. 14 novembre). » » pomum May.? » globulosa Desìi. De Bosniaski. La formazione gessoso-solfi- fera ed il secondo piano mediterraneo in Italia. (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat. Proc. Verb. 14 novembre). 1881. » globulosa Desìi. Manzoni. Dalla miocenicità del macigno e dell’unità dei terreni miocenici nel Bo- lognese. (Boll. d. R. Com. Gcol. it., n. 1-2). » » corbarica Leymerie. Capellini. Il macigno di Porretta e le rocce a Globigerine. (Meni. Acc. Se. d. Bologna, S. 4a, t. II). » » Dicomani Mgh. De Stefani. Il macigno di Porretta ed i ter- reni corrispondenti (Atti d. Soc. Tose, d. Se. Nat. Proc. Verb. 13 marzo). » » » » De Stefani. Quadro comprensivo dei terreni che costi tu iscon ol’ Appennino set ten tr iona l e (Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat .Voi. V, fase. 1°, pag. 34). 1881. Lucina globulosa (senza nome d’autore). cfr. Cyprina Dicomani Mgh. Capellini. Le rocce fossilifere dei din- torni di Porretta nel Bolognese e V arenaria di Roccapalumba in Si- cilia. (Rend. dell’ Acc. d. Se. Ist. d. Bologna, 12 maggio). 1882. Lucina pomum » appenninica. » globulosa. Cyprina Dicomani Mgb. Bombicci. Montagne e vallate del territorio di Bologna (pag. 77 e 78). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI TORRETTA 199 1883. 1887. 1861. 1865. 1867. 1869. 1870. 1876. 1877. 1877. 1877. 1878. 1879. Lucina globulosa (Hbrnes)? Fuchs. (in Cafici). Atti della R. Acc. dei Lincei. Serie III, voi. XIV, pag. 71. » Dicomani Mgh. De Stefani. La L. pomum. sinonimo della L. Dicomani Mgh. (Atti d. Soc. tose, di Se. Nat.; Proc. Verb. 3 luglio). Altre località: Cyprina Dicomani Mgh. Michelotti. Eiudes sur le miocène inférieur de V Italie septentrionale, pag. 158, pi. 16, f. 2. Cyprina sp. Pareto. Note sur les subdivisions que Voti pourrait éta- blir dans les terrains tertiaires de V Appennin se- ptentrional (Bull, de la Soc. géolog. de France, 2a sè- rie, tom. 22). Lucina appenninica Dod. Cocchi. L’uomo fossile nell’Italia Centrale. Studi paleontologici. (Estr. d. voi. Ili delle Mem. della Soc. it. d. Se. Nat.). » Hoernesii Des Moulins. » Delbosii Stbhr. Intorno agli strati terziarii di Montegibio e vicinanze. (Annuario della Soc. d. Nat. d. Mo- dena, anno IV). » pomum Doderlein. Note illustrative della carta geologica del Modenese e del Reggiano. (Mera, della R. Acc. di Modena). » » May. Manzoni. Della posizione stratigrafica del cal- care a L. pomum Mayer. (Boll, del R. Com. Geol. it., voi. VII, n. 5-6, pag. 211, 212, 213). » » Dod., o Delbosii. May. ? Coppi. Note sul calcare a Lucina ponum Dod. (Boll. d. R. Com. Geol. it., voi. Vili, n. 1 e 2, pag. 69). » globulosa Mayer. Studi geologici sulla Liguria centrale. (Boll. d. R. Com. geol. it., N. 11 e 12, pag. 417). » pomum. » Delbosii Bianconi. Formazione miocenica dell’ Appennino. (Mem. dell’Acc. delle Se. dell’Istituto di Bologna, tom. Vili, serie 3a, pag. 185). » Dicomani Mgh. De Stefani. Cronologia dei terreni terziarii della Toscana. (Atti d. Soc. Toscana di Se. Nat.; Proc. Verb. 7 luglio). » Hòrnesii Des Moulins. » Delbosii » Ferretti. Le formazioni plioceniche a Montegibio (Prov. di Modena) (Boll. d. R. Com. geol., voi. X, pag. 243). B. NELLI 200 1880. » » » 1881. » » » 1882. » Lucina globularis (sic) Desìi. Manzoni. Il tortoniano e i suoi fos- sili nella provincia di Bologna. (Boll. d. R. Coni. Geol. it., voi. XI, pag. 519). » pomum Manzoni. La geologia della provincia di Bologna, pag. 26 (Modena). » pomum Dod., forse: » Delbosii Mayer Cafici. Sulla determinazione cronologica del calcare compatto e marnoso (forte e franco) ad echinidi e modelli di grandi bivalvi nella regione S.-E. della Sicilia (Boll. d. R. Coni. geol. it., voi. XI, pag. 500). » appenninica Dod. Searabelli Gommi Flaminj. Descrizione della carta geologica del versante set- tentrionale dell’ Appennino fra il Mon- tone e la Foglia. » glubulosa Desi). Capellini. Calcari a bivalvi di Monte Ca- vallo, Stagno e Casola nell’ Appennino bo- lognese. » globulosa (s. n. d’a.). Cyprina Dicomani Mgh. Capellini. Le rocce fossilifere dei dintorni di Porretta nel Bolognese e l'arenaria di Boccapalumba in Sicilia. (Estr. d. Rend. dell’Acc. d. Se. dell’Ist. d. Bologna, 12 maggio). Lucina pomum Dod., an. » Delbosii May., an. » globosa Desi). Coppi. Paleontologia modenese e guida del paleontologo con nuove specie. » globulosa Desh. Del Prato. Sopra un calcare a bivalvi nel- V Appennino parmense. (Boll. d. R. Com. geol. it., voi. XII, pag. 351, 353). » globulosa. Cyprina Dicomani Bombicci. Montagne e vallate del territorio di Bologna, pag. 78. Lucina pomum Dod. Pantanelli. Fauna miocenica a radiolarie del- V Appennino settentrionale. Montegibio e Baiso. (Boll. d. Soc. geol. it.; voi. I, p. 142). » » globulosa Hòrn. var. siculo Cafici. Formazione miocenica del territorio di Licodia- Fubea (prov. di Catania) (R. Acc. d. Lincei, pag. 72, tav. II, fig. 1, la). 1883. Lucina pomum auct. Pantanelli. Sezioni geologiche nell' Appennino modenese e reggiano. (Boll. d. R. Com. geol. it., n. 9 e 10, voi. XIV, pag. 199). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI POHRETTA 201 1883. Lucina pomum Duj. Mayer (prò parte) Die Versteinerungen der 1884. » tert. Schicht. v. d. Westlichen Insel im Birhet- el-Quriin-See (Palaeontogr., XXX Bd., 6, S. 70). » Dod. Coppi. Il miocene medio nei colli modenesi, » » appendice della paleontologia modenese. (Boll.d. R. Com.geol. it., voi. XV, pag. 188). » Taramelli. Descrizione geologica della prov. di Pavia. (Notizie intorno alle condizioni economiche e ci- vili della prov. di Pavia, pubblicale per cura della camera di commercio, voi. II, pag. 60, 61, 74 [Milano]). » » » Pantanelli e Malagoli. Note geologiche intorno agli strati miocenici di Montebaranzone e dintorni, pag. 3 (Atti della Soc. d. Se. Nat. di Modena. Rendiconti delle Adunanze. Serie III, voi. II, [Modena] ). 1887. » * Dujardin, Pantanelli e Mazzetti. Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese, pag. 35. (Atti della Soc. dei Nat. di Modena, serie III, voi. VI). » » » Dod. Malagoli. Fauna miocenica a foraminifere del Vecchio Castello di Baiso. (Boll. d. Soc. geo!, it., pag. 518). » » Dicomani Mgh. De Stefani. L’ Appennino fra il colle del- V Altare e la Polcevera. (Boll. d. Soc. geol. it., pag. 249 e 252). » » pomum Duj. Gioii. «Lucina pomum» (Atti d. Soc. Tose, d. Se. Nat., voi. Vili, pag. BOI). 1889. » » Stur. Fine fluchtige, die Inoceramen-Schichten des Wiener Sandsteins beireffende Studienreise nach Italien (Jalirb. d. k. k. geol. Reichsanstalt.). 1890. Loripes cfr. globulosus Desìi. Partsch. Die Insel Leukas (Peter- manns Mitteilungen. Erganzuugs- heft, n. 95). » Lucina pomum Duj. Malagoli. Foraminiferi miocenici del calcare a L. pomum Duj., nelle prov. di Modena 1891. » e Peggio dell' Emilia. (Boll. d. Soc. geol. it., voi. IX, pag. 426). globulosa Desh. Siinonelli. Sopra la fauna del così detto « Schlier » nel Bolognese e nell' Anco- nitano. (Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat., » » voi. XII). pomum Sacco. L' Appennino settentrionale (Parte centrale). (Boll. d. Soc. geol. it., pag. 906, 909). x N 15. NELLI 202 1891. Lucina Dicomani Mgh. Loripes gìobulosus Desìi Cyprina ? inversa Mgh. De Stefani. 11 bacino lignitifero della Sieve in prov. di Firenze, (Boll. d. R. Com. geol., n. 8, pag. 185, voi. XXII). 1892. Lucina pomum Sacco. L’ Appennino dell’ Emilia. (Boll. d. Soc. geol. 1893. » » it., voi. XI, pag. 544). globulari s (sic) Desìi. pomum Duj. Issel. Cenno sulla costituzione geologica e sui fenomeni geodinamici dell’isola di Zante. 1895. » » Desra. Trabucco. Il Langhiano della prov. di Fi- renze. (Boll. d. Soc. geol. it., voi. XIV, fase 2, pag. 174;. » » » Pantanelli. L’ Appennino modenese descritto ed il- lustrato, pag. 24. 1894-96. Loripes cfr. gìobulosus Desh. De Stefani. Cenni geologici sul- l’isola di Leucade. (Cosmos. Serie II, voi. XII, pag. 101; Guido Cora, Torino). 1898. Lucina pomum Desili . Dicomani Mgh. » glolmlosa Desh. Trabucco. Stratigrafia dei terreni ed elenco delle rocce della provincia di Firenze. (Tip. Ricci). » » De Stefanii Rovereto. Pel eci podi, p. Ili, pag. 64. 1899. Lucina pomum Duj. » Dicomani Mgh. » globidosa Desh. A Verri e G. De Angelis D’Ossat. Con- tributo allo studio del Miocene nell’Umbria. » » (Rendiconti della R. Acc. d. Lincei, voi. Vili, 1° sem.. serie 5a, fase. 11°. Seduta 3 giugno, pag. 549). » Desìi. De Angelis D’Ossat. Le sorgenti del petrolio a Tocco di Casauaria (Abruzzi) pag. 15. (Ras- segna mineraria, voi. XI, n. 16 e 17; 1° e 11 Dicembre, [Torino]). » » pomum Sacco. L’ Appennino settentrionale. Parte IV, l’Ap- pennino della Romagna. (Boll. d. Soc. geol. it., voi. XVIII, pag. 395). 1900. » Hoernesiana Oppenheim. Ueber die grossen Lucinen und das alter der « miocànen » Macigno Mergel des Appennin (Neuen Jahrbuch d. Mineralogie. Bd. I). » » Dicomani Mgh. De Stefani. Il miocene dell' Appennino set- tentrionale a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e di Sacco. (Atti della Soc. Tose. ✓ di Se. Nat. voi. XII, Proc. Verb. 4 marzo, p. 57). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 203 1900. Lucina globulosa Desh. (in Hòrnes) Rovereto. Illustrazione dei molluschi fossili tongriani posseduti dal Museo geologico della li. Università di Genova. » » » non Desh. (Hòrnes). » pomum Duj. » Dicomcini Mgh. A. Verri e G. De Angelis D’Ossat. Studio del miocene nell’Umbria (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, pag. 265). » » glohulosa Desìi. Trabucco. Fossili, stratigrafia ed età dei ter- 1901. » » » » » » » reni del Casentino. (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, pag. 713). » » Desh. var. Hòrnea Desili. Sacco. I moli. d. terr. terz. del Piemonte e della Liguria. Parte XXIX . tav. XV, fig. 33, 34; tav. XVI, tig. 1, 4, 5. » » var. perlunulata Sacco. I moli, ecc., pag. 67, tav. XV, tig. 34. » Dicomani (Menegli.) Sacco. I moli, ecc., tav. X VII, fig. 1; » globulosa var. alta Sacco. I moli, ecc., pag. 68, tav. XVI, fig. 4. » globulosa var .perinàequilatera Sacco. I moli, ecc., pag. 68, tav. XVI, fig. 5. » volderiana Nyst. Sacco. I moli, ecc., pag. 68, tav. XVI, fig. 6. Dentilucina Barrandei (non May?) Sacco. I moli, ecc., pag. 83, tav. XIX, fig. 6. » » var. Taurinorum Sacco. I moli, ecc., pag. 83, tav. XIX, fig. 7, 8, 9. » Dentilucina perusina Sacco. I moli, ecc , tav. XIX, fig. 12, 13, 14, 15, e pag. 83. "? 1901. » persolida var. taurovaia Sacco. I moli, ecc, pag. 83, tav. XIX, fig. 4. ?1901. » » var. taurorotunda Sacco. I moli, ecc., pag. 83, tav. XIX, fig. 5. Credo indubbiamente poter riferire a questa specie nume- rosissimi esemplari del macigno di Porretta, raccolti nelle cave della ferrovia all’imbocco Nord del tunnel, molti dei quali sfor- mati per pressione subita. Mancano tutti di guscio e sembrano nuclei, ovvero modelli d’impronte esterne e perciò presentano alla superficie strie d’accrescimento, come appunto sul guscio. Non ho trovato fra i nostri esemplari degl’ individui completi con ambedue le valve; pure in quelli vi ho potuto osservare oltre alla loro forma caratteristica, più o meno trasversalmente 204 B. NELL.I oblunga, una piega posteriore assai ben definita e gli altri ca- ratteri di questa specie. Le dimensioni di due dei migliori esem- plari, due valve nella roccia, sono le seguenti : Larghezza mm. 55 mm, 62 Altezza » 50 » 65 Per determinare questa specie ho avuto occasione d’esami- nare una lunga serie di buoni e cattivi esemplari della grande Lucina così comune nei terreni del nostro Appennino, simili a quello della Porretta. Sono esemplari numerosissimi, appartenenti al Museo di Firenze, la maggior parte raccolti in Mugello ed in Romagna, per lo più tenacemente cementati con la roccia arenacea che li racchiude. A differenza della Porretta general- mente ambedue le valve sono conservate ed insieme riunite; sovente all’esterno vi è il guscio, di rado però perfettamente conservato e completamente isolato dalla roccia, molto spesso esso manca e rimane il nucleo. 11 Gioii ha osservato esemplari col guscio, vuoti internamente. Non potendosi isolare le valve, non è possibile vedere il cardine se non in alcuni modelli usando particolari artifizi, cioè sezionando gli amboni, come fece il Gioii; le impressioni muscolari si vedono però talora ben nette sopra alcuni nuclei. Le conchiglie sono di varie dimensioni, secondo l’età, poiché dalle più piccole alle più grandi si passa per una scala suc- cessiva di grandezze; sono di forma rigonfia più o meno or- acolare, i cui estremi sono, fin da prima vista, distinguibili in due tipi, più turgidi o più depressi. Questa turgidezza non sembra aver nessun rapporto con le maggiori dimensioni degli individui, poiché fra esemplari di grandi dimensioni troviamo forme molto depresse, e viceversa fra esemplari piccoli forme molto rigonfie. Dopo questi cenni preliminari indichiamo qui appresso le diverse località dalle quali provengono. Apparten- gono alle forme piccole e di mediocre grandezza moltissimi esemplari, alcuni dei quali in buonissimo stato di conservazione e provvisti di guscio, di Re di Colle presso San Godenzo ed altri da me raccolti in arenarie marnose fra Poggio Atra ed FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 205 Imo Casale sempre nel comune di San Godenzo, ai quali devo aggiungere altri due esemplari in buonissimo stato e provvisti di guscio, gentilmente donati al Museo di Firenze dal signor Oreste Cheli, maestro a San Godenzo, trovati non lungi da quel paese nella località detta il Paretaio di Monte di Casi, presso la vecchia strada che conduce in Romagna; altri del calcare di Tossi- gnano presso Imola, (tav. VII, fig. 8), ed altri di Bargi presso Bolo- gna (tav. VII, fig. 7), provenienti quelli delle due ultime località dalla collezione Manzoni. Unitamente a queste forme piccole o di mediocri dimensioni troviamo individui giganteschi, dei quali alcuni provengono da Sintria sotto Monte Mauro (prov. di Ra- venna), da Monte Filetta (Appennino di Vicchio) (Tav. VII, fig. 4), da Ca Buraccia, presso Castelvecchio (comune di Firenzuola, dono Baldi), dalla Verna in Casentino (tav. VII. fig. 6) e Santa Sofia in Romagna, raccolti dal prof. Trabucco, ed altri ancora di Monte Capra fra il fiume Reno ed il torrente Lavino (pro- vincia di Bologna) raccolti dal Manzoni e di Salsetta presso Montebaranzone, nel Modenese, raccolti dal De-Stefani. Queste grosse Lucine, che per le loro dimensioni ] varrebbero a prima vista distinguibili, per la somma di tutti gli altri caratteri si corrispondono perfettamente, onde non è possibile poterle tener distinte nella descrizione della specie, alla quale ora mi accingo. Descrizione. — Conchiglia suborbicolare, equivalve, inequilate- rale, presentando la parte anteriore più breve della posteriore, più o meno turgida, con la maggior convessità presso gli amboni, un poco più larga che alta. Gli amboni non sono molto prominenti, natural- mente più rigonfi nelle forme più turgide, leggermente piegati in dentro verso il cardine e cogli apici rivolti verso la parte ante- riore, dove negli esemplari integri, notasi una leggera depres- sione, costituente una lunula piuttosto stretta, traversata da strie d’accrescimento in senso longitudinale, formata da due cavità superficiali, separate da una leggera carena. Intorno a questa lunula notansi due leggeri rialzi nei bordi delle valve, i quali scendono giù dagli amboni, convergenti lateralmente, e quivi ser- rati da un leggero ma nettissimo rialzo della conchiglia, il quale, col sottostante contorno della medesima, viene a costituire un angolo piuttosto ottuso. Sempre negli esemplari ben conser- vati nella parte cardinale posteriore notasi la fossetta del liga- 206 B. NELI.I mento allungata e stretta, limitata da sporgenze, alla quale fa seguito un leggero rialzo nel contorno della conchiglia come nella parte anteriore. Il profilo del margine cardinale anteriore risulta concavo e quello posteriore piuttosto convesso, il primo qualche millimetro più corto della metà dell'altro. Questi ca- ratteri così descritti, oltreché in diversi esemplari, li ho potuti in ispecial modo osservare in un bellissimo esemplare del cal- care di Tossignano, completamente fornito del guscio (tav. VII, fig. 1). Negli altri esemplari delle altre località la lunula non è così bene allo scoperto. Nei nuclei, specialmente in quelli grandi, si osserva al posto della lunula una rilevata e stretta carena, e al posto della fossetta del ligamento una lunga e stretta cresta, limitata da due poco profondi solchi e rispetti- vamente da due più profonde e più larghe cavità, rispondenti al modello della parte posteriore del cardine. L’orlo del guscio è liscio. In generale nella parte anteriore delle valve notasi una leggera compressione, che nei nuclei, non però negl' indi- vidui col guscio completo, è accompagnata da uno, due, o tre pieghette radiali ; nella parte posteriore questa compressione è poi sempre molto marcata, e accompagnata da uno o da due solchi radiali, i quali scendono giù dagli amboni sino al mar- gine palleale, limitando una piega, o uno spazio lanceolato, colla quale spesso si confondono. Questa piega posteriore così descritta distinguesi meglio negl’individui più adulti. Il guscio è sottile, d’un millimetro o poco più di spessore nelle forme piccole, assai più spesso nelle grandi. Esso è or- nato da fitte costoline o rugosità concentriche poco rilevate, irre- golarissime, intrecciate fra loro, fra le quali si notano delle strie sottili, che si trovano anche intorno agli amboni che son quasi lisci. Queste strie e queste rughe sembrano convergere verso la lunula anteriore, la quale come già abbiamo fatto notare, ap- parisce longitudinalmente striata. L’aspetto del guscio così de- scritto è del tutto simile a quello della Lucina Pccchiolii Hoern. del Pliocene, della quale ho avuto occasione d’esaminare dei bellissimi esemplari del Museo di Firenze. In alcuni dei nostri esemplari abbiamo avuto occasione d'esa- minare la struttura interna del guscio, il quale mostrasi fibroso longitudinalmente, come in parecchie Lucine , e le tracce residue FOSSILI MIOCENICI DEI MACIGNO DI CORRETTA 207 di questa fibrosità si vedono poi più specialmente nei nuclei, dove appariscono specialmente nella parte anteriore dei migliori esemplari in forma di leggere pieghette, cosi poco marcate da potersi considerare talora quasi come strie, che dagli umboni obliquamente, volgendo il lato convesso verso la parte poste- riore, vanno fino al margine paileale. Queste crespe, come ab- biamo fatto notare, lateralmente alla lunula, si rialzano sulla superficie in vere e proprie pieghe assai evidenti ma corte. Abbiamo voluto osservare i caratteri della cerniera, per ciò adottando il sistema del Gioii, scelto uno dei migliori esemplari di Tossignano, provvisto di guscio delle forme più depresse, 10 abbiamo sottoposto a sfregamento mediante la macchina che serve a fare le sezioni microscopiche. Cosi asportata tutta la parte apicale della conchiglia, scoperta la cerniera, abbiamo potuto osservare i denti cardinali (tav. VII, fig. 2). Quelli della valva destra sono piuttosto grossi, quasi uguali, quelli della valva sinistra diversificano un poco l’uno dall’altro, per- chè quello situato verso la parte anteriore della conchiglia è più sottile dell’altro che s’inserisce fra i due della valva destra. Anche un altro esemplare, assai depresso, del calcare di Tos- signano, per quanto meno chiaramente, mostra identici carat- teri nella cerniera (tav. VII, fig. 3). Esaminato in tal modo il cardine nelle forme schiacciate dobbiamo escludere che debbano esser riferite a Loripes, che si distinguono dalle Lucine per la mancanza di denti cardinali. Anche le forme turgide della nostra specie presentano dei denti cardinali, come abbiamo potuto osservare, sottoponendo a sfregamento col solito sistema alcuni dei migliori individui di Re di Colle, e come aveva osservato anche il Gioii. Però è da notarsi che non sempre, per quanto si scelgano esemplari com- pletamente provvisti di guscio, si può arrivare a scoprire i denti cardinali poiché il cardine per cattivo stato di conservazione 11 più delle volte è più o meno deteriorato o distrutto, come succede di gran parte del guscio, e ciò spiega come il Gioii, diversamente da me, osservando delle sezioni di forme depresse non abbia veduto denti e per ciò le abbia attribuite impropria- mente ad un genere diverso dalla tipica Lucina , cioè ai Lo- ripes. 208 B. NELLI 111 ultimo, sottoponendo a calcinazione uno dei migliori esemplari di Raggio presso Santa Sofia, delle forme più turgide, non son riuscito a scoprire in modo assai netto la cerniera, perchè rivestita di calcite, pure vi ho potuto scorgere molto distintamente un dente cardinale. Molti dei nostri esemplari, come sopra abbiamo accennato, sono raj (presentati da modelli interni, i quali mostrano alcune volte presso il margine cardi- nale posteriore l’impronta d’un forte e lungo dente laterale e spesso l’impronta degli altri denti. Negli esemplari integri, non essendo mai le valve aperte, come non si osserva il cardine, così non si vedono l’impronte muscolari; però nei nuclei si di- stingue molto nettamente l’impronta muscolare anteriore oblunga e nastriforme, un poco più larga verso il margine cardinale, più stretta verso quello palleale, situata lateralmente al disotto della lunula con direzione obliqua verso il margine paileale. Questo carattere è proprio delle Lucine, onde nessun dubbio che le nostre forme debbano esser riferite a questo genere e non pos- sano esser confuse nè colle Cyprine nè colle Venus , le quali pre- sentano ligamenti muscolari molto diversi. Parimente nella parte posteriore dei nostri nuclei vedesi traccia d’un ligamento musco- lare, però orbicolare e piccolo. L’impressione palleale è integra. Nella descrizione della nostra specie, noi abbiamo potuto vedere che le forme depresse e le rigonfie si corrispondono per- fettamente, sia per i loro caratteri esterni, come per i loro carat- teri interni. Così pure non potremmo separare le forme piccole dalle grandi, perchè le line alle altre in tutto si corrispondono e perchè dalle une alle altre si passa per una serie di gran- dezze. Do qui le dimensioni di alcuni di questi esemplari : Esemplari di Re di Colle (Comune di San Godenzo): Esemplare piccolo turgido: Altezza nim. 45 Larghezza » 46 Spessore » 28 Altro come sopra: Altezza rara. 38 Larghezza » 43 Spessore » 22 Esemplare grande turgido: Altezza nini. 80 Larghezza » 80 Spessore » 43 Esemplare mediocremente grande turgido: Altezza inni. 66 Larghezza » 65 Spessore » 51 FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 209 Esemplari di Bargi (Prov. di Bologna) Esemplare piccolo turgido: Altezza mm. 33 Larghezza » 36 Spessore » 24 Esemplare depresso piccolo: Altezza min. 44 Larghezza » 47 Spessore » 22 Esemplare turgido di mediocre grandezza: Altezza . mm. 72 Larghezza » 70 Spessore » 55 Esemplari di Tossignano Esemplare piccolo piuttosto rigonfio : Altezza mm. 39 Larghezza » 38 Spessore » 20 Esemplare grande rigonfio: Altezza cm. 10,4 Larghezza » 11,3 Spessore » 6,4 Esemplari di Filetta Esemplare piccolo depresso: Altezza mm. 46 Larghezza » 49 Spessore » 25 Esemplare grande rigonfio: Altezza mm. 80 Larghezza » 84 Spessore » 55 Altro come sopra: Altezza mm. 80 Larghezza » 82 Spessore » 61 Esemplare turgido di Raggio (Santa Sofia) (Tav.VII, fig. 5): Altezza cm. 12 Larghezza » 13 Spessore •> 7,8 Esemplare 'turgido grande delle Balze di Vergherete (Tav. Vili, fig. 5) (coll. Tra- bucco). Altezza cm. 11,5 Larghezza » 13 Spessore » 8,2 Esemplari del Monte Capra (prov. di Bologna) Esemplare piccolo depresso: Altezza mm. 56 Larghezza » 60 Spessore » 27 Esemplare grande depresso: Altezza cm. 10,5 Larghezza » 10,5 Spessore » 5 Ora dobbiamo domandarci qual’è il nome da dare a questa specie, intorno alla quale molto si è detto fino ad oggi, ma essa o è stata confusa con altre o non è stata cosi ben definita da poterla distinguere in modo chiaro e preciso dalle forme affini, onde ho tentato darne una più ampia descrizione. Nel 1861 il Michelotti descriveva brevemente una Cyprina Dicomani Mgh., e ne dava una figura, certamente non così buona da potere illustrare una specie nuova. Riporto qui la descrizione 210 B. NELLI la quale servirà meglio a distinguere le nostre forme descritte. « Questa specie arrotondita alla sua periferia è leggermente » rigonfia; essa differisce dalla Cyprina tumida del Nyst (pi. X, » fig. 1) per la più grande lunghezza del bordo cardinale po- » steriore, per la piccolezza dell’estremità ovale e per la demar- » cazione della lunula. Essa differisce anche dalla Cyprina Nystii » D’Orbigny ( Cyp. scutellaria di M. Nyst, non Deshayes) anche » per la convessità mediana piuttosto che dorsale, dimodoché » essa ci parrebbe meno obliqua e gli apici più piccoli ». Dalla qual descrizione risulta evidente che le forme del Meneghini così sommariamente descritte e delle quali abbiamo nel Miche- lotti una poco illustrativa figura, presentano analogie colla Cy- prina tumida Nyst, la quale appunto appartiene a forme molto turgide, donde si vede che appunto il Meneghini comprendeva con quel nuovo nome forme molto turgide, ciò che non esclude che egli v’inserisse anche forme più schiacciate, come il De-Ste- fani afferma risultare dallo stesso esame degli esemplari del Meneghini esistenti nel Museo di Pisa. Nel 1805 il marchese Pareto in una sua importante nota (Sur Ics subdivisions que Von pourrait établir dans Ics tcrrains tcrtiaircs de VAppenin septentrional) citava presso Dicomano certi strati a Cyprina, al quale genere certo riferiva anche la nostra Lucina appunto così abbondante in quegli strati. Nel 1807 il Cocchi in un suo lavoro (Sull’ uomo fossile dell’Italia centrale) cita nell’Appennino di Iie di Colle e Filetta nel Mugello ed in Casentino la Lucina appenninica Doderlein come appartenente al Miocene inferiore, ed aggiunge in una nota « che nelle collezioni toscane questa specie tuttora inedita » figurava una volta fra le Cyprine». Nel 1809 lo Stohr in un suo lavoro (Intorno agli strati ter- ziarii superiori di Montegibio e vicinanze , pag. 280), indicava nelle marne di M. Baranzoue la « L. Delbosii e la gigantesca » Hoernesii. Des Moulins (o come scrive Hoenaea. Bull. Soc. Limi. » di Bordeaux, 1808). Ha una lunghezza di 15 cm. ed una gros- » sezza di 10. Questa Lucina fu prima citata sotto diversi nomi, » così L. immuni May er, secondo Doderlein L. appenninica » Forse la L. Hoernesii non è limitata ai più antichi strati » dell’Elveziano, ma trovasi in formazioni alquanto più recenti ». FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI POR RETTA 211 Nel 1870 il Doderlein (Note illustrative della carta geolo- gica del Modenese e del Reggiano ), riferendo al Miocene medio il calcare marnoso grossolano di diverse località del Modenese e del Reggiano, cita questa specie col nome di L. pomum , senza nome d’autore, come caratteristica del Miocene medio, e senza dare di quella alcuna descrizione. Nel 1876 il Manzoni in una sua memoria (Sulla posizione stra- tifica del calcare a L. pomum), dopo avere accennato come questo calcare trovasi alla base del gesso, e come la sua posizione stratigrafica alla base di esso non si presenti continua ma sal- tuaria nelle colline di Brisighella e di Bologna, dice che la Lucina designata ora col nome di L. pomum Mayer, ora con quello di L. appenninica Dod., è stata da lui trovata in colonie. Nel 1877 il Coppi in una sua nota (Sul calcare a L. pomum, Dod.) indica nel calcare di Montebaranzone nel Miocene medio la L. pomum ed aggiunge che a lui non è noto ove il Doder- lein abbia denominato questa Lucina colla specifica di Appen- ninica, come la determinava il Manzoni e che forse sarà deno- minazione estranea al Modenese. Nel 1878 il prof. De-Stefani (Cronologia dei terr. terziarii della Toscana ) distingue nel Miocene della Toscana quattro zone, e pone nella seconda le « Arenarie calcaree di Dicomano c del » Casentino con Cyreneae, Loripes e con una grossa Lucina » nota nelle collezioni sotto i nomi di L. pomum Mayer e di » L. Appenninica Doderlein, che però deve portare il nome di » L. Dicomani Meneghini, come quello che fu pubblicato nel » 1865 (Michelotti. Mine. inf. de V Italie sept. - Cy primi), » fa- cendo notare così per la prima volta che la C. Dicomani Mgh. era una vera Lucina. Lo Scarabelli nel 1880 (Descrizione della carta geologica del versante settentrionale dell’ Appennino fra il Montone c la Foglia ) indica la L. Appenninica Dod. come caratteristica dei piano Langhiano nella località di Mortigliano al sud di Car- pegna, al M. Fune (prov. di Bologna) a Colle (cioè Re di Colle) e Filetta sui monti di Dicomano. Nello stesso anno il Cufici (Sulla determinazione del calcare a selce piromaca, del calcare compatto e marnoso ecc.) cita la L. pomum, nome attribuito al Doderlein, come la forma più caratteristica dell’Flveziano, però 212 B. NELLI questa specie, L. appenninica Doti, e L. pomum dagli autori, non era mai stata descritta. Sempre nello stesso anno il De- Stefani ( Fossili di Dicomano in Toscana c delia Torretta nel Bolognese) cita tra i fossili caratteristici di queste località, de- terminanti, come allora egli riteneva, l’Elveziano, la L. Bicomani Mgh. e a Dicomano cita pure il Loripes globulosus Desìi. Nello stesso tempo il De Bosniaski ( La formazione gessoso-solfifera ed il secondo piano mediterraneo in Italia) veniva ad affermare che « il macigno di Porretta, corrispondente al sesto giacimento » di Dicomano, è caratterizzato dalla L. globulosa Desìi., così » determinata dal Fuchs, e secondo lui eguale alla L. Dico - » mani Mgh. ». Ancora nel 1880 il Manzoni (Il Tortoniano ed i suoi fossili nella prov. di Bologna) citava nel calcare la L. globularis (sic) Desìi, come caratteristica del Miocene ed in proposito aggiun- geva: «In Toscana il prof. Meneghini ha sempre attribuito al » Miocene inferiore il macigno del calcare a Lucina di Dico- » mano e di Nicchio neH’Appennino di Mugello. Presso di noi » il prof. Giuseppe Bianconi, con un presentimento che avrebbe » meritato maggior considerazione da parte dei suoi colleglli » (me compreso), scriveva poco prima in proposito della mio- » cenicità del macigno (') »: « Iniziando intanto una opinione non » ancor divisa dai geologi, debbo innanzi tutto premettere che » per me il terreno miocenico puro e semplice assume un oriz- » zonte molto più largo di quello che gli concedono i nostri » geologi. Per me entrano in questo corpo lo Sehlier di Paderno, » di S. Vittore, di Montardone, di Vedriano e di Maranello, di » Montecuccolo e de’ luoghi affini : la melassa di Vergato, i ma- is» cigni di Porretta e di Granagliene: le dune arenacee di Mon- » zano, di Montecuccolo, di Gaiato, e le sabbie, ghiaie e mo- » lasse di Loiano e di Vado ; non escludo per ultimo il macigno » di Sestola e del Cimone. Non faccio illusione a me stesso, nè » so occultarmi che questi ravvicinamenti, gli ultimi in specia- » lità, figureranno senza dubbio alla mente dei geologi come » gratuite e immaginarie supposizioni, in disaccordo collo stato (') Bianconi, Considerazioni intorno alla formazione miocenica del- V Appennino. Meni. dell’Accad. di Se. di Bologna. Ser. 15, voi. Ili, 1877. FOSSILI MIOCENICI DEL macigno Di porretta 213 » attuale della scienza. Ma a sostegno eli questa unità sì estesa » del Miocene appennino non mancano prove, e molte. Io mi » propongo di esporre in altro mio scritto le prove paleontolo- » giclie ultimamente raccolte della miocenici tà del macigno, e » quelle che danno unità e complessione al gruppo dei nostri » terreni miocenici ». Nel 1881 il Manzoni ( Della Miocenicità del Macigno e della unità dei terreni miocenici del Bolognese), dopo citata la grossa Lucina di Porretta, di Capellino e Ricolli e di Filetta, osserva che quella Lucina , che si rinvenne nel macigno di varie loca- lità, è sempre la stessa, tantoché egli resta nel dubbio che vi siano veramente differenze tali di specie da potere applicare a questa conchiglia i diversi nomi di L. Dicomani, L. appen- ninica, L. Delbosii, L. pomum , ma interrogato il Fuchs su tale proposito rispose che per tutti si tratta sempre di specie iden- tica alla Lucina (Loripes) globulosa Desìi, del Leithakalk, che egli aggiungeva possedere anche di Pino presso Torino. Nello stesso anno il Capellini ( Sui calcari a bivalvi di Monte Cavallo, Stagno e Casola nell’ Appennino bolognese ) citava la L. globulosa Desìi., ed altrove (Sul macigno di Porretta) figu- rava alcuni esemplari che attribuiva alla L. corbarica Leym., e di alcuna delle Lucine figurate dice che meglio di ogni altra corrisponde alla L. globulosa Desìi., che alcuni identificano con la L. pomum Desm., con la L. appenninica Dod. e con la Cy- prina Dicomani Mgh. Il De-Stefani inoltre nel 1881 (LI macigno di Porretta ed i terreni corrispondenti) soggiunge che non partecipa l’opinione del Manzoni e del De-Bosniaski, fondata sull’autorità del Fuchs, che la L. globulosa Desìi, sia sinonimo della L. Dicomani , po- mum ecc. La prima si trova essa pure a Dicomauo ma appar- tiene al gen. Loripes ed è ben diversa per la gonfiezza, per la posizione degli umboni, e per altri caratteri, forse anche pel genere, giacché la L. Dicomani per l’aspetto, se non pel cardine che non ha potuto studiare, somiglia più ad alcune vere Lucine . Nel 1883 il Cufici, studiando le Lucine a tipo orbicolare della regione S. E. della Sicilia, dei territorii di Licodia Eubea (nell’ex feudo San Giovanni), Monterosso, Giarratana e Ragusa, accennava il dubbio se la determinazione di L. pomum Desm., 16 214 B. NELLI da lui fatta precedentemente (loe. cit. 1880), fosse realmente esatta, tanto più che molte volte aveva veduto designate col nome di L. poni ani Desm., appenninica Dod. e Cyprina Dicomani, forme che, secondo quell’autore. era più opportuno identificare. In questo dubbio si rivolge al Fuehs, cui invia gli esemplari di Sicilia, e dal dotto paleontologo tedesco, ha risposta che la Lucina d’Italia, conosciuta sotto il nome di pomum , appenni- nica o Dicomani, di cui egli possiede diverei esemplari di Bo- logna (macigno di Porretta e calcare fetido di Bargi), corri- sponde perfettamente alla L. gìobulosa Hiirnes di Vienna, diffe- rente per diversi caratteri dal tipo di Bordeaux del Deshayes. Così il Cufici, fondandosi sull’autorità del Fuclis, identifica senza altro quelle forme per la L. gìobulosa Hornes, dalle quali le distingue come varietà sicula, differente, com’egli stesso dice, dalla forma tipica per le maggiori dimensioni e convessità della conchiglia, caratteri propri appunto della forma tipica di Dieo- mauo e delle altre località italiane. Ancora nel 1883 il Mayer (Die Versteinerungen der ter- tidren SchicJiten von Mittel-Aegypten, p. 4) cita la L. pomum Duj. fra i fossili d’un’ isola del lago Birket-El-Qurun e soggiunge che le sono sinonimi L. Volderi Nyst, L. Vicaryi Ardi., L. sub- vicaryi Ardi., L. Pharaonis Bell., L. Cycloides Bell., e che que- sto tipo, esteso dal Londiniano inferiore di M. Postale fino al Tortoniano, trovasi anche a Bordeaux e nell’Elveziano 3° di Pino Torinese, Serravai le Scrivia, Carezzano presso Tortona , Sassuolo presso Modena. Oppenheim però più tardi escludeva tutte que- ste sinonimie. Nello stesso anno, il citato Mayer (loc. cit., in sinonimia) descrive e figura col nome di L. pomum Duj. alcuni esemplari, che vedremo, si scostano dalla forma figurata dal Michelotti e così pure da quella del Gioii, e sono invece da riferirsi alla L. Volderiana Nyst (Nyst, Description des Coquilles et des Po- lypiers fossiles de terrains tertiaires de la Belgique ), specie che il Mayer pone nella sinonimia di quella specie, che dal Du- j ardili non è stata mai descritta. Nel 1887 il Gioii (Lucina pomum, Duj.) ha tentato dimo- strare che nelle formazioni del Macigno della Toscana, della POSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 216 Romagna e dell’Emilia, vi sono due tipi di grosse Lucine , una specie dall’aspetto assai variabile o orbicolare o trasversalmente oblunga, sempre turgida e munita di denti cardinali, ed un’altra, la quale in esemplari da lui esaminati, e forse non tutti di perfetta conservazione, è priva di denti, senza corsaletto, meno rigonfia e di più sottile conchiglia. Mentre il Gioii dà a questa il nome di L. Dicornani Mgh., si trova nella difficoltà di saper quale determinazione dover dare all’altra, la quale, perchè prov- vista di denti cardinali, ben distinti, non può esser riferita alla L. globulosa Desh., forma alla quale il Fuchs protendeva a iden- tificare tutte queste grandi forme, e per la stessa ragione nep- pure alla L. miocenica Mchl., dimodoché il Gioii cerca cono- scere il nome da darsi a questa specie e per conseguenza si rivolge ad alcuni autori. Da Doderlein ha risposta che egli aveva chiamato la sua specie L. appenninica , perchè l’aveva trovata nell’ Appennino, ma che con ciò non aveva intenzione di fare una nuova specie e che egli aveva potuto osservare che quella specie era del tutto identica alla L. ponmm che aveva raccolto prima in Piemonte. Mayer poi risponde ch’egli non ha mai conosciuto una L. Delbosii, e che non ha mai descritto la L. pomum perchè questa specie è del Dujardin. Il Gioii infine accetta il nome di L. pomum Duj., che ritiene sinonimo di L. appenninica Dod. e contrapposto, sempre, secondo lui, alla L. Dicornani Mgh., ch’egli crede senza denti. Nello stesso anno il De-Stefani {La Lucina pomum sinonimo della Lucina Dico- mani Mgh.) affermava che il Meneghini intendeva col nome di Cyprina Dicornani le due forme, la rigonfia e la depressa, che la descrizione e la figura del Michelotti si confanno alla forma turgida, quindi la forma descritta dal Gioii come L. pomum Duj. deve portare il nome di L. Dicornani, mentre la forma depressa, da lui inesattamente indicata col nome di L. Dico- mani, può corrispondere al Loripes globulosus Desh. Hbrnes. Il De-Stefani inoltre citava la specie anche nel Miocene inferiore alla Colma di Rossiglione. Nel 1900, Oppenheim {Ueber die grossen Lucinen und das Alter der « miocdnen » Macigno Mergel des Appcnnin. Neuen Jahrbuch fiir Mineralogie, Bd. I), prendendo in considerazione il lavoro del Gioii, osserva che il Dujardin non ha mai descritto 216 B. NELLI la L. pomum, che a proporre il nome fu il Desmoulins in un catalogo dei fossili di Faluns de la Tourenne, diretto al Dufrenoy e da questi publicato nel 1834 (Mémoire pour servir à la descr. (/eoi. de Franco , III, p. 119), per la specie che già prima il Des- hayes aveva chiamato L. globulosa, come poi riconobbero Hé- bert e Renevier nel 1854 e lo stesso Desmoulins nel 1867. In quest’anno il Desmoulins (l) ritenne pure che la L. globulosa Desìi, sia differente dalla L. globulosa Horn., per la quale pro- pose il nome di L. Hoernea , che l’Oppenheim corregge in Hoer- nesiana , non ricordando che lo Stohr prima di lui, nel 1869, l’aveva corretta in Hoernesii, applicandolo appunto alla forma italiana da lui e da altri presunta identica alla specie vien- nese. Quindi Oppenheim conclude giustamente che il nome di L. pomum non è applicabile alla forma cosi denominata dal Gioii. Nel medesimo anno il De-Stefani (Il Miocene nell’App. sett. a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e di Sacco), rispondendo aH’Oppenheim, ripete le osservazioni già fatte al Gioii e sostiene che la L. pomum Gioii è sinonimo della L. Di- comani Mgh. e la L. Dicomani Gioii crede sia il Loripes Hoer- neanus Desm. Il Rovereto, non conoscendo questo, ha proposto il nome di Loripes De Stefanii , che deve passare in sinonimia. Più tardi, ma nello stesso anno, Oppenheim (Nodi einmal iiber die grossen Lucinen des Macigno im Appennin. Central- blatt fiir Mineralogie, ecc.), facendo qualche altra osservazione comparativa sulla grossa Lucina dell’Appennino, dice che la L. globulosa Desìi, e la L. Hoerneana Desm. non sono Loripes , senza aggiungere perì) che non sono nemmeno tipiche Lucine, come egli le chiama. In seguito il Sacco (2) distingue come Lucina globulosa Desh. var. Hbrnea Desm. forme realmente appartenenti alla Lucina Dicomani Mgh., ed altre di Pino, di Moja Montaldo e di Villa Forzano, che ritengo a quella attribuibili. Egli cita in sinonimia la Lucina pomum Duj. Maycr e la L. Dicomani De-Stefani, senza tener conto di quanto aveva osservato quc- (*) (*) Desmoulins, Descr. Coq. foss., p. 12. (Bull. Soc. Limi, de Bor- deaux, 1868). (2) I moli. d. terr. tere. d. Pievi, e Lig., Parte XXIX, 1901. FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 217 st’autore. Siccome poi, come è noto, il Sacco crede eocenici i terreni dei dintorni di Dicomano, così egli a sua volta ritiene specie diversa la Lucina Dicomani Mgh. (tav. XVII, fìg. 1), quantunque la ritenga « forma prossima assai alla X. globulosa » (pag. 67). Crediamo pure che la var. perlunulata della sua L. globulosa, distinta per « regione lunulare assai più incavata», non sia in parte che una variazione individuale della nostra \ specie. E molto probabile che a questa siano parimente vicinis- sime o identiche la Lucina cfr. volderiana Nyst (Sacco, tav. XVI, fìg. 6) di Sassello e la var. sassellcnsis Sacco (tav. XVI, fìg. 6, 7). Posteriormente il Sacco nello stesso anno, cioè nel 1901, in una sua monografìa « Sul valore stratigrafico delle grandi Lu- cine dell’ Appennino » ('), dopo una breve dissertazione sulle varie opinioni dei diversi autori intorno alle Lucine appenniniche, mette insieme colla L. globulosa Desìi., che « non sarebbe con- trario a riunire alla grande specie-gruppo L. edentula (L.) », le forme rigonfie e voluminose. Sotto questo punto di vista dice che la X. Dicomani va considerata come una forte varietà op- pure come specie distinta. Infine conclude per distinguere le grandi Lucine del terziario appenninico in due gruppi, « della X. globulosa Desh. (colle sue varietà o specie affini, hòrnea Desm. e Dicomani Mgh., e colle rispettive varietà trasverse, come elliptica Sacc., Fuchsi Caf., pseudofuchsi Sacc., taurofuchsi Sacc., ecc. o piriformi, come sicida Caf., subficoides Sacc., alta Sacc,., ecc.) ed il gruppo della Dentilucina appenninica (Dod.- Gioli) colle sue varietà o specie affini, come Giolii Sacc., prò - tracia Sacc., perusina Sacc., pseudorotunda Sacc., ecc. » (2). Concludendo dunque abbiamo visto che il nome più antico di questa specie è quello di X. Dicomani Meneghini, che poi (>) Sacco, Boll. Soc. geol. it., 1901, voi. XX, pag. 563 e seg. O Recentemente il prof. Di-Stefano, mentre la mia memoria trovasi in corso di stampa, ha pubblicato il suo dotto lavoro sul Calcare con grandi Lucine dei dintorni di Centuripe (Catania, 25 maggio 1903). Egli segue le determinazioni del Gioii e ritiene che la Lucina Dicomani Mgh., alla quale riferisce diversi esemplari perfettamente corrispondenti ad altri nostri, per la quale accetta il nome di L. De Stefanii Rov., rap- presenti la specie edentula (pag. 29 e nota) simile alla Lucina globulosa Hornes, non Desh., mentre propone per l’altra provvista di denti car- 218 B. NELLI essa ha avuto una quantità di nomi inadatti, come quello di Lucina pomum, inesattamente attribuito al Doderlein, Mayer, Dujardin, che mai descrissero la specie. Fu il Desmoulins che propose quel nome, ma poi lo riconobbe sinonimo del Loripes globulosus Desìi. La specie ha avuto pure i nomi di L. appen- ninica da Doderlein, nome che mai fu accompagnato da descri- zione, di Delbosii, attribuito erroneamente al Mayer che mai l’ha proposto, di Lucina o Loripes globulosus Desh. o di Lucina Hoernea Desili. ( Hoernesii Stohr, Hocrnesana Oppenheim) forme i cui tipi sono diversi dalla L. Dicomani perchè mancanti di denti cardinali, per ciò attribuibili al sottogen. Miltha, ad ogni modo vicinissimi al vivente Loripes leucoma Turton. Altri fece due specie cioè la Lucina ed il Loripes , mentre io ritengo che in generale la forma rigonfia e quella depressa rispondano ad una sola specie. Però non potrei assolutamente escludere che insieme a queste Lucine si trovino o no anche dei veri Loripes per la mancanza di esemplari ehe presentino l’apparato cardi- nale ben conservato. Dobbiamo ora distinguere quali siano i rapporti e le diffe- renze della L. Dicomani colle specie affini. Prendendo in con- siderazione gli esemplari più piccoli, turgidi e orbicolari, come per es. quelli di Tossignano, vediamo che essi mostrano molte analogie con esemplari di L. Pecchiolii Hòrn., o persolida Sacco del Pliocene, sia per l’aspetto del guscio, sia per una piega po- steriore assai ben definita, che apparisce pure in quella specie, la quale differisce però dalla nostra per essere più trasversal- mente oblunga e posteriormente più convessa, come risulta dalle figure del Sacco e dagli esemplari esistenti nel Museo di Firenze, provenienti dal Pliocene di Orciano e di Viterbo e illustrati dal prof. dinali il nome nuovo di L. Doderleini e la riconosce come un gruppo specifico assai variabile. Abbiamo sopra veduto come appunto le Lucine dei dintorni di Di- comano, che il Di-Stefano ritiene prive di denti, ne siano realmente provviste, corno lo sono in generale quelle del nostro Appennino, ed altre e nuove osservazioni di forme sia depresse come rigonfie, testé fatte, mi riconfermano della verità del fatto ; però non si può escludere del tutto che si possano anche trovare delle forme prive di denti. [Nota aggiunta duranto la stampa]. FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI RORRETTA 219 De-Stefani. Crediamo che il nome proposto da questi (L. Pecchiolii ) per la specie debba avere la precedenza su quello del Sacco (L. persolida ) perchè la pubblicazione del Sacco (’) porta sul frontespizio la data giugno 1901 ma fu messa in circolazione varie settimane più tardi ; la pubblicazione del De-Stefani (2), quantunque il volume della Soc. Toscana di Scienze Nat. porti la data del 1902, fu presentata alla Società nell’adunanza del 27 gennaio 1901. Le copie a parte portano sul frontespizio la data del 1901, e furono messe in circolazione fin dall’aprile e maggio di quell’anno. Fra i grandi esemplari di Lucina da noi studiati è notevole per le loro dimensioni e turgidezza la loro affinità colla L. Coquandiana D’Orb. (3) ( L . corbarica Leyin. v. regularis L.), colla L. gigantea Desìi. (4) ed anche colla L. globulosa Horn. (5) (non Desìi.) od Hoernesii Desili. Prendendo in esame la prima di queste specie, è d’uopo osservare che dalla L. Coquandiana, cui già la forma di Porretta fu paragonata dal Capellini, la nostra specie differisce per avere una forma più emisferica, gli umboni meno rilevati e per non presentare dal lato anteriore quella piega così caratteristica della specie cre- tacea, la quale inoltre presenta nella parte superiore un con- torno nell’insieme piuttosto trigono. La L. (Miltha) gigantea Desìi, (tav. XV, fìg. 11 e 12), secondo il Deshayes prossima alla Coquandiana D’Orb., presenta una forma assai globulosa e dimensioni parimente prossime a quelle della nostra specie, dalla quale differisce per avere una cerniera sprovvista di denti, gli umboni meno rilevati ed un margine cardinale anteriore più retto, la lunula essendovi meno marcata, mentre nella parte po- steriore è più regolarmente convessa e non mostra in questa (') I moìl. d. terr. d. Pievi, e Lig. Parte XXIX, pag. 82. tav. XIX, tig. 1 e 2. (2) Molluschi pliocenici di Viterbo (Estr. d. Atti d. Soc. Tose. d. Se. Nat., voi. XVIII). (3) D’Orbigny A. Paléontologie francai se. Description zoologique et géologique de tous les animaux mollusques et rayonnes fossiles de France. 1848-1847, voi. Ili, Atlas, pi. 282, f. 1 e 2. 0) Deshayes G. P. Description de coquilles fossiles des environs de Paris. 1824, voi. I, pag. 91; Atlas, pi. XV, f. 11 e 12. (5) Hòrnes, Die fossilen Mollusken des tertiaer. Beckens von Wien. 1870, Atlas II, taf. 32, fìg. 5a, 5b. 220 B. NELLI parte nessuna traccia di piega, come apparisce dalle figure e come non risulta dalla descrizione (pag. 91). Anche la L. (. Miltha ) globulosa Desh. e la L. Hoernea Desm., che del resto alcuni seguitano a ritenere sinonime, per le dimensioni, come resulta da quelle forniteci dall’Hoernes, sono prossime alla nostra specie, alla quale si accostano per avere una certa demarcazione della lunula e per mostrare dal lato posteriore una piega assai ben distinta, come apparisce dalla fìg. 5b dell’Hornes, ed una certa depressione sotto il margine cardinale anteriore; però ne dif- riscono per mancanza di denti cardinali e per l’assenza di qual- siasi dente laterale che, in uno dei modelli meglio conservato, ho avuto occasione d’esaminare. Differiscono inoltre per avere gli umboni meno rilevati e posteriormente una fossetta del liga- mento più retta. La L. Hoernea Desm. (da non confondersi, come nota il Sacco, con la L. Hòmesana Neugeboren, 1865) sarebbe differente dal tipo della L. gìobnlosa Desh. di Bor- deaux, come rilevò il Fuehs, oltreché per le dimensioni perchè presenta un infossamento lunulare, che, secondo la descrizione del Deshayes, non è limitato al difuori e si confonde in tal modo col resto della superficie esterna. Così concludendo, i precursori della L. Dicomani si trovano già nella Creta, mentre una forma assai somigliante arrivò tino al Pliocene. La specie viene indicata in molte località: neHEocene a monte Postale in provincia di Vicenza (Opp.), nel Tongriano di Sassello (Sacco) e della Colma di Rossiglione (De-Stef.), Cor- care, Ovada (Rov.), nel Monferrato, nell’Elveziano di Pino tori- nese (Mayer), in altre località neH’Elveziano, secondo Sacco, o secondo i più Langhiano, e ad ogni modo di mare profondo, dei colli torinesi a Baldissero, Sciolze, Albugnano, Bersano S. Pietro, Langhe (Sacco), a Cremolino nella cava vicino al Camposanto (Trabucco) e a Serravalle Scrivia (Mayer). Viene anche citata nel Tortoniano di Lamoja presso Montaldo torinese e così pure a Carezzano presso Fontana (Mayer). A Cappella Moma nelle falde occidentali della collina di Nazzano, da Madonna del Monte a S. Antonino (Taramelli e Sacco). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 221 Presso Parma viene indicata da Dei-Prato nel Posso del Botazzo. Viene anche indicata a Sassuolo presso Modena (Mayer). Nel Modenese pure dal Bianconi nella località di Montar- done, e quivi anche dal Pantanelli, che l’indica inoltre a Cer- varola presso Montebaranzone, in quest/ultima località anche dallo Stbhr. Di essa abbiamo molti esemplari nel Museo di Fi- renze insieme ad altri di Salsetta pure presso Monte Baranzone. Il Malagoli la indica in quest’ultima località, e così pure il Coppi ed il Ferretti. Inoltre il Malagoli la indica a Guiglia, Denzano, Puianello, Bocca Tagliata, S. Maria, Pigneto, Pescale, Roteglia, Baiso, Onfiano, Pantano, Cologno, Frascara, alle quali località possiamo aggiungere quelle indicate dal Coppi, come Rio Cavallo, Rocca S. Maria a Cianca, e quelle indicate dal Ferretti, Montegibio e S. Michele de’ Mocchietti, tutte nel Modenese e nel Reggiano. Il Doderlein, illustrando la carta geologica del Modenese e del Reggiano, rammenta per la specie alcune delle località sopramenzionate, alle quali aggiunge Guardasone, Bedogno, Bor- seda, Grassano, Borgo Grassano, Carboniano, Castelvecchio, Villa, Pigneto, Montagnana, Varana, Ospitaletto, Montorsello. La specie viene poi indicata a Monte Fune nel Bolognese (Scarabei li). Quivi trovasi pure presso la strada che per il Monte Capra conduce a Tignano, nel calcare affiorante sotto la formazione di gesso cristallino che forma il Monte Rocca di Gesso presso il Monte Capra alla sinistra del Reno (Manzoni). Nel Museo di Firenze trovansi molti esemplari di quest’ultima località in- dicati in schedis in uno strato marnoso al disopra delle argille scagliose, dopo due o tre strati di arenaria. Il Manzoni inoltre cita la specie nelle colline bolognesi fra il fiume Reno ed il torrente Lavino, nel Podere di Agugnano presso Monte Mauro, a Monte Mora, fra Porretta e Castiglion de’ Pepoli, dove fu trovata anche dal Lorenzini, di cui possediamo diversi esem- plari nel Museo di Firenze. Infine lo stesso Manzoni indica, la specie a Monte Cavallo, nelle valli del Santerno, Senio e La- mone. In queste due ultime valli viene indicata oltreché dal Doderlein e Coppi, dal Bombicci e dal Capellini, e da questi anche nel calcare di Casola. 222 B. NELLI Entrambi questi autori indicano le specie sempre nell’ Ap- pennino bolognese, a Monte Stagno sopra Bargi e nel macigno di Porretta. Trovasi pure alla Tana della Caprina e Pio Magarone. Nel Museo di Firenze abbiamo diversi esemplari, raccolti dal Man- zoni sopra la stazione di Pioppe fra Marzabotto e Vergato, sulla sinistra del Reno. Alle località menzionate aggiungerò Tossi- gnano, nel calcare, valle del Santerno presso Imola (Sacco e Simonelli). Di queste località esistono diversi esemplari nel Museo di Firenze insieme ad altri di Pietra acuta, pur nell’Imo- lese, e di sopra la Sintria sotto Monte Mauro. Trovasi pure sulle Colline di Brisighella, sopra Faenza (Manzoni), Monte Petra, Macerata Feltria, Sarsina, Monte Codruzzo, Rocca Pra- titfa, Monte Bosio, Momigliano, in provincia di Ravenna (Sca- rabelli). Nella Romagna Toscana trovasi nei rovereti di Val di Pondo presso S. Sofia e Mortano, a Canal Magra nei popolo di Saliceccbio, presso Poggio di Monte Maggiore (Museo di Pisa, Gioii); alla Madonna dei Tre fiumi presso Ronta (De-Stef.), a Paretaio della Collina presso Palazzolo (Trabucco). Nel Museo fiorentino esiste un esemplare di Poggio Morcanda nel popolo di Bordignano, a cui devono aggiungersi altri di S. Simone in Romagna. Trovasi inoltre nell’Appennino del Mugello, Re di Colle e Filetta (Michelotti, Cocchi, De-Stef.) sopra Majoli, Appennino di Vicchio, di cui esistono molti esemplari nel Museo fiorentino e donde precisamente provengono i tipi della specie. A Corolla e Pretognano, sulla destra del San Godenzo (De-Stef.), a Mor- tignano (prov. di Firenze) (Scarabelli), a Calcio del diavolo presso la Verna (Trabucco). Il prof. Trabucco ha raccolto esem- plari di L. Dicomani in diverse località della Tosco-Roma- gna, a Bidente, Galeata, sulle balze di Verghereto, a Bagno, a Corniolo presso Premilcuore, S. Raffilo, a S. Sofia presso il Molino della Sega, a Tredozio, a S. Caterina presso Modi- gliana. A queste località dobbiamo aggiungere Cà Buraccia presso Castelvecchio, comune di Firenzuola e Raggio presso Santa Sofia in Romagna (es. dal Museo di Firenze). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI POR RETTA 223 Nel Museo fiorentino trovasi anche un esemplare di Morti- gliana in prov. di Pesaro ed alcuni altri di Montemarino presso Fermo. La specie viene indicata nell’Umbria nel calcare di Deruta, a Busche presso Gualdo Tadino, Fosso del Varco presso Cerreto (Verri e De-Angelis); ad Aliano e Rota (Sacco), a Let- tomanopello negli Abruzzi (De-Angelis), ed a Vizzini, Licodia Eubea, Monterosso - Almo, Chiaramente, Monterosso -Giarratana, Ragusa in prov. di Catania (Calici). Nelle colline di Kavolos e Spanochori (Partsch) a Leucade lungo la via che conduce da Zante a Tragachi, fra questo villaggio ed Avriacò a Zante (Issel). Lucilia Diconiani Mgh. var. inversa (Mgh.). Lucina inversa Meneghini (in schedis). 1881. Lucina corbarica var. elongata Leym., Capellini. Il macigno dì Torretta e le roccie a globigerine, (loc. cit.); pag. 21; tav. Ili, fig 2, 3, 4. » » » non Leym. Capellini. (Come sopra; tav, II, fig. 5). » Cyprina ? inversa Mgh. De Stefani. Il macigno di Torretta e i terreni corrispondenti (loc. cit.; pag. 207). Descritta la specie, stabilito il nome e la sinonimia, resta ora a vedere quante varietà possiamo distinguere nella nostra Lucina , la quale a prima vista si presenta così polimorfa; ma in realtà questo polimorfismo dipende più volte, come negli esemplari di Porretta e Dicomano, dalla pressione, cui sono stati soggetti in un macigno così compatto. Fra i tanti esem- plari di questa specie, deformati dalle compressioni o dalle cor- rosioni, potremmo distinguere quelli riprodotti nella fig. 5 a tav. II, e fig. 3 a tav. Ili del Capellini, ed alcuni esemplari di Filetta, Casellino e Ricolli, insieme ad altri di Porretta, ap- partenenti al Museo di Firenze. Quelle figure del Capellini, secondo il De-Stefani, (Il maci- gno di Porretta ed i terreni corrispondenti) sono da riferirsi alla Cyprina ? inversa Mgh., cui credo si possano riferire anche le fig. 2, 3, 4 a tav. III. Le forme tipiche della specie tro- vansi nel Museo di Pisa, ma non vennero mai descritte. Questi esemplari a prima vista sembrerebbero differire dalla L. Pico- 224 B. NELLI mani per presentare gli umboni più o meno spostati; il lato cardinale anterione resulta talvolta più lungo del posteriore e la conchiglia prende una forma obliquamente oblunga e molto inequilaterale. In due buoni esemplari di Filetta, provvisti di guscio, uno dei quali abbiamo figurato, questa inequi lateralità è molto mar- cata, gli umboni essendo spostati posteriormente ed il lato car- dinale anteriore resultando quasi del doppio più lungo del poste- riore, il quale dagli umboni, più obliquamente dell’altro scende verso il margine paileale, (tav. VII, fig. 9j. Considerando il poli- morfismo della L. Dicomani, credo che anche queste forme non possano esser distinte dalla nostra specie e che tutto al più debbano essere considerate come varietà. Lucilia Dicomani Mgh. var. Fuchsi Cufici. (tav. Vili, fig. 4). 1880. Tapes Meneghina De Stef. (in scbedis) De Bosniaski, La forma- zione gessoso-sol fi fera e il secondo piano medi- terraneo in Italia. (Atti d. Soe. Tose, di Se. Nat. Proc. Verb., 14 novembre). » » » De Stef. (in schedis) De Stefani. I fossili di Di- comano in Toscana e della Torretta nel Bo- lognese. (Atti d. Soc. Tose.; loc. ind.). 1881. L. corbarica Leym. « forma transversa » Capellini. Il macigno di Torretta' e le rocce a globigerine, pag. 21; tav. II, fig. 6, 7. » » » var. regularis L. Capellini; loc. cit., pag. 21; tav. Ili, fig. 1. 1883. L. Fuchsi Cafici. La formazione miocenica nel territorio di Licodia Fubea, pag. 71; tav. II, fig. 3, 3a, 5, 5 a. (Atti della R. Ace. d. Lincei, Serie III, voi. XIV). 1901. Lucina globulosa var. taurofuchsi Sacco. I moli. d. terr. terz. Tic- monte ecc., parte XXIX; pag. 68; tav. XVI, fig. 8. » » Dicomani (Menegh.) var. pseudofuchsi Sacco, loc. cit., parte XXIX; pag. 68, tav. XVIII, fig. 2. Possiamo distinguere chiaramente dalla forma orbicolare, che è la forma tipica descritta, una varietà trasversalmente oblunga. Al tipo, come abbiamo veduto, appartengono un gran FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO Di POURETTA 225 numero d’individui e semiira essere la forma più comune nel nostro Appennino. Alla varietà presente appartengono diversi esemplari di Por- retta, incastrati nel macigno, rappresentati da una sola valva e provenienti dalla cava della ferrovia all’imbocco Nord del tunnel. Alcuni di essi sembrano evidentemente modelli d’im- pronte cosi che nei meglio conservati è riprodotto l’ aspetto esterno del guscio, rispondente a quello da noi sopra descritto. Altri esemplari sono rappresentati da nuclei nei quali apparisce l’aspetto fibroso della parte interna del guscio, ma non vedonsi traccie d’impronte muscolari. Questi nuclei presentano una piega posteriore, che dagli amboni un poco obliquemente decorre verso il margine palleale e che corrisponde ad un’ insenatura della parte interna della conchiglia, carattere c'ie può essere osservato in molti dei nuclei della L. Dicomani. Questa piega si mostra anche nella parte anteriore, però è molto meno marcata. Questi esemplari sem- brano rispondenti a diversi esemplari, che noi possediamo in assai buono stato e con ambedue le valve, del podere Casellino e Ricolli, (tav. Vili, fig. 4). Alcuni presentano interamente il guscio dell’aspetto di quello descritto per la specie. Gli amboni sono poco prominenti. La lunula è più o meno mascherata dalla roccia, la fossetta del ligamento non è molto ben visibile, pure questi esemplari, per quanto per la loro forma trasversalmente oblunga differiscano dalla forma tipica della L. Dicomani , per la somma di tutti gli altri caratteri sono rispondenti alla specie. Il Capellini nel suo lavoro: Il macigno di Torretta e le roc- cie a globigerine dell Appennino bolognese figura a tav. II, (fig. 6 e 7), due esemplari, che egli « aveva confrontato con la » varietà elongata della I. corbarica Leym., però ritenendo che » in realtà si tratta di forme prossime e di varietà di uno stesso » animale », con le altre grandi Lucine dello stesso luogo. Le nostre forme di Porretta corrispondono appunto a quelle del Capellini della stessa località; però quelle di Casellino in vero sono nell’insieme un poco più equilaterali degli altri esemplari, i quali sottoposti ad una forte pressione in un macigno così compatto, com’è quello di Porretta, vengono più o meno defor- mati e talvolta in guisa tale da assumere forme assai diverse, 226 B. NELLI come abbiamo notato per la L. inversa. 11 Cafici in una sua nota La formazione miocenica nel territorio di Licodìa-Eubea ( prov . di Catania ), figura due esemplari, (fig. 3, 3 a, 5, 5 a), che egli riferisce a specie nuova, col nome di L. Fuchsi. Egli, fondandosi sull’autorità del Fuchs, cui aveva mandato alcuni esemplari di questa specie, riportando le indicazioni di quel paleontologo dice che « questa specie si allontana dalla Z. glo- » biliosa e che mostra una grande analogia con una Lucina » che si trova nei dintorni di Tebe in Egitto, che trovasi in » molti musei senza essere stata denominata. L’età dei terreni » che la contengono è riguardata ordinariamente come cretaceo ». A mio parere, pure ammettendo la somiglianza con quella specie, che io non conosco, mi pare che la specie del Cafici debba rife- rirsi alla L. Dicomani , e specialmente a quella varietà trasver- salmente oblunga figurata dal Capellini, 'da noi sopra descritta. Questa varietà viene indicata nel macigno di Porretta dal De-Bosniaski, De-Stefani e Capellini. Trovasi anche alla base del tripoli di Ancona e Mondaino (I)e-Bosniaski). Lucina spiiiifera Mont. (tav. Vili, fig. 7) Diametro umbo-ventrale nini, 12 » antero-posteriore » 18 Non istarò a descrivere il nostro esemplare, (Museo di Pisa) rappresentato da modello d’una valva, i cui caratteri corri- spondono perfettamente a quelli della specie. Per avere il dia- metro umbo-ventrale minore del diametro antero-posteriore, e la superficie ornata di finissime strie concentriche molto fitte, sem- bra piuttosto riferibile al tipo della hiatelloides Bast. 11 Sacco (') (pag. 95) descrive col nome Myrtca spinifera var. tauromagna una forma corrispondente alla nostra e la fi- gura a tav. XXI, fig. 22, 23. Questa specie trasversa è ana- loga a quella del bacino di Vienna e del Langhiano delle Lan- (') Sacco, 1901. Moli. d. Terr. terz. Tiem. Lig.; Parte XXIV. fossili miocenici del macigno di corretta 227 ghe (Trabucco) ('). La specie fu da me indicata nel Langhiano a Cuculio nell’Abruzzo aquilano ( Fossili mioc. dell’ App. Aqui- lano Boll. Soc. geol.; voi. XIX, 1900, pag. 406). Essa viene indi- cata neU'Elveziano, chiamato da altri Langhiano, dei colli tori- nesi, Baldissero e Sciolze (Sacco), nel Tortoniano di M. Gibio (Coppi) (z), di Cafaggio e Popogna (Trentanove) (3). Trovasi anche nel Pliocene ed è tuttora vivente. Lucina (Megaxinus) elliptica Bors. (tav. VII, fig. 11). Della specie non abbiamo che il modello della valva sini- stra (C. B.), la quale risulta di forma subellittica, irregolarmente rigonfia, inequilaterale, anteriormente angolosa, posteriormente arrotondita. Umbone piccolo, acuminato, poco saliente e legger- mente ricurvo. Nel lato anteriore notasi una angolosità piutto- sto marcata, che daH’umbone decorre fino al margine della con- chiglia; posteriormente mostrausi dei solchi e delle irregolari depressioni longitudinali. La superficie esterna è ricoperta di pieghe d’accrescimento irregolari, che danno alla valva un aspetto rugoso e crasso. La specie viene indicata nelle argille del Miocene superiore, o medio secondo altri, di S. Agata (Doderlein) p) ; di Stazzano e Castelnuovo d’Asti (Michelotti) (5); e neU’Elveziano, per altri Langhiano, dei colli torinesi (Sacco) (6). È comune nelle argille plioceniche di mare profondo. (*) (*) Trabucco, 1901. Sulla vera posizione del calcare di Acqui (Alto Monferrato); pag. 10. (•) Coppi, 1881. Paleont. Modenese o guida al paleontologo ecc. ; pag. 103. (3) Trentanove, 1901. Il Miocene medio di Popogna e Cafaggio nei monti Livornesi (Boll. Soc. geol., voi. XX, pag. 549). p) Doderlein, 1864. Cenni geologici intorno alla giacitura dei ter- reni miocenici superiori d’Italia (pag. 95). (5) Michelotti, 1849. Foss. d. terr. mioc. dell’ Italia seti. (pag. 115). p) Sacco, 1901. Loc. cit. Parte XXIX, (pag. 72). 228 B. NELLI Syndosinya prismatica Laskey. (tav. IX, fig. 2). Due modelli d’impronte (C. B.), ciascuno corrispondente ad una valva. Presentano rispettivamente le seguenti dimensioni : Lunghezza mm. 11; altezza inni. 6. Lunghezza mm. 10; altezza mm. 5. Mostrano una forma ovale trasversalmente oblunga, essendo la lunghezza quasi due volte l’altezza, ed inequilaterale, essendo gli umboni situati dal lato posteriore ad '/3 della valva. La re- gione anteriore è il doppio più lunga dell’altra, più rigonfia e arrotondita alla sua estremità; regione 'posteriore breve, com- pressa obliquamente, troncata all’estremità. Bordo dorsale quasi diritto dal lato anteriore, piuttosto declive dal posteriore; bordo ventrale regolarmente arcuato. Apice piccolo, alquanto promi- nente, ottusamente acuminato. Superficie liscia. In uno dei no- stri esemplari vedesi traccia di linee d’accrescimento. Il Sacco f1) ed il Doderlein (2) la citano nel Tortoniano di S. Agata e a Montegibio nel Modenese. Trovasi comune anche nel Pliocene ed è tuttora vivente. Pholadoinya sp. Abbiamo il modello di una valva, però non intero ed in cattivo stato di conservazione, per cui non abbiamo potuto de- terminarlo. Tuttavia per mostrare il nostro esemplare l’umbone appuntito e la valva asimmetrica, sulla quale appariscono tracce di costoline longitudinali, potrebbe forse esser paragonato alla Pii. F uditi Schaffer. Neaera cuspidata Hinds. (Tav. Vili, fig. 6). Sopra un frammento di macigno fa risalto in modo assai evidente una valva della specie. Essa ò piccola, di forma ovato- (') 1901. Moli. d. terr. terz. Pievi. Lig. Parte XXIX, pag. 122. (*) 1802. Giac. d. terr. mioc. It. centr., pag. 13 (95). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI CORRETTA 229 oblunga, inequilaterale, rigonfia nella sua parte mediana, poste- riormente troncata nella parte superiore ed inferiormente allun- gata in un rostro stretto ed appuntito alla sua estremità, ante- riormente più breve e pressoché circolare. La sua superficie mostra tracce di strie, le quali appariscono più evidenti presso il rostro dove sembrano convergenti verso la sua estremità. Il margine centrale al principio del rostro mostrasi profondamente incavato, quindi concavo, nell’altra parte è quasi regolarmente convesso. Per questi caratteri la nostra forma è paragonabile alle figure che il Sacco ci offre della specie (parte XXIX, loc. cit. ; tav. XXVI, fig. 31, 32, 34), e non può confondersi colle altre specie affini per la forma caratteristica del rostro, che nel nostro esemplare mostrasi spiccatamente triangolare come nella N. cuspidata. Il Sacco (pag. 123) indica la specie neH’Elveziano, che altri chiamò Langhiano dei colli torinesi, Ozzano nel Casalese. Lo- card (*) la indica nel Miocene medio della Corsica, presso Casa- bianda (pag. 198). Trovasi anche nel Pliocene ed è tuttora vivente. Cytherea ìimltilainella Lmk. Dimensioni: Diametro antero-posteriore mm. 33; altezza » 23. (Tav. X, fig. 9). Abbiamo il modello d’una impronta di valva destra, un po’ compressa, in parte mancante lungo il bordo inferiore (C. B.). Presenta una forma subtrigona, inequelaterale, piuttosto rigonfia nella sua parte mediana presso gli amboni. La superficie è coperta di lamelle concentriche, parallele e discoste, le quali decorrono dalla parte anteriore alla posteriore; lateralmente però mostransi più riavvicinate e quasi convergenti. Negli intervalli vedesi qualche debole traccia di strie concentriche. Ombone rilevato e assai ricurvo verso la parte anteriore. La specie è C) 1877. Description de la faune des terrains tertiaires moyens de ì a Corse. 17 230 B. NELLI comune nel Miocene: il Sacco la indica (Ventri cola inulti la- mella) nell’Elveziano dei colli torinesi, per altri Langhiano, Bandissero, Sciolze, Rosignano; nel Tortoniano di Santa Agata e Montegibio (*). Il Trentanove in una sua monografia sul Miocene medio di Popogna e Cafaggio (loc. cit.) indica la specie nel Tortoniano, nelle argille marnose cenerognole di quelle loca- lità. Trovasi anche nel Tortoniano di Capo S. Marco in Sardegna (Mariani e Parona) (?), di Forabosco nel Veneto (De-Gregorio). È comune nel Pliocene ed è ancora vivente nel Mediterraneo. Teredo appenninica Dod. 1862. Teredo sp. Doderlein. Giac. terr. mioc. Italia centi'.; pag. 13 (35). 1891. » norvegica Spengler. Simonelli. Sopra la fauna del cosi detto « Schlier » nel Bolognese eco., pag. 26. 1901. » cf. norvegica Spengi. Sacco. / moli. d. terr. terz. d. Pie- monte. Parte XXIX, pag. 57. Abbiamo della specie diversi tubi calcarei (C. B.), lisci, irregolari, trasversalmente striati e rugosi, di varie dimensioni. Alcuni presentano un diametro di circa 10 mm., e questi per le dimensioni come per la forma sono paragonabili specialmente alle fig. 15 e 16 del Sacco a tav. XIV. Un tubo presenta un diametro assai maggiore, raggiungendo quasi i 18 mm. Non abbiamo alcuna valva della specie, senza di che non si può avere una determinazione esatta. La forma dei tubi è identica a quella della vivente T. norvegica Spengi, e a quella del Mio- cene, che il Doderlein con nome convenzionale, non conoscen- done le valve, chiamò T. appenninica. Per ciò, ed anche perchè il Sacco vide soltanto alcune valve diverse dalla specie vivente, serbò alla fossile presente il nome provvisorio di T. appenni- nica Dod. Il Simonelli indica la specie nelle colline bolognesi ed in generale è comune nel Langhiano. (') Moli. terr. terz. Pieni. IÀg ., parte XXVIII, pag. 31 e 80g. ('-) Fossili tortoniani di Capo S. Marco in Sardegna (1887, Atti della Soc. it. di Se. Nat., voi. XXX, pag. 77). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI 1 OKKETTA 231 Il Sacco (pag. 57), coi nome di T. norveglca , la indica nell’Aquitaniano dei colli torinesi, delle Langhe, dei dintorni di Acqui. Parimente nell’Elveziano, ossia Langhiano dei colli tori- nesi, Baldissero, Sciolze, Rosignano, S. Giorgio, Oellamonte, Ozzano, Tre ville, Vignale, Colli monregalesi, Langhe, Tortonese ; nel Tortoniano di Carni, Bene Vagienna, Tetti Borelli, Stazzano, Sant’Agata. La indica anche nel Pliocene. Natica sp. Nucleo di conchiglia globulosa, piccola, dalla spira depressa (C. B.). Gli anfratti sono in numero di 4, irregolarmente com- pressi. Il labbro esterno è arcuato in modo piuttosto irregolare; del labbro interno vedesi solamente un frammento, dall’aspetto del quale può forse ritenersi assai crasso. Ombelico medio; non vedesi traccia di funicolo ombelicale. Per questi caratteri la nostra forma si accosta alla N. mfelix Sacco (loc. cit., parte VITI, pag. 44, tav. II, fig. 1 a, b ), alla quale però non oso riferirla trattandosi d’un cattivo esemplare; per la larghezza del suo ombelico potrebbe avvicinarsi alla N. millepunctata Lk. Halia praecedens Pantanelli. (Tav. TX, fig. 3, 4). 1887. Halia praecedens Pantanelli. Specie nuove di Molluschi del mio- cene medio, pag. 123 (Boll, della Soc. Malaco- logica italiana, voi. XII). 1891. » » Pant. Simonelli. Sopra la fauna del così detto « Schlier » nel bolognese ecc., pag. 12. 1893. » » Pant. Sacco. I moli. d. terr. terz. d. Pieni, e Lig. Parte XIV, pag. 32, tav. II, fig. 38. Altezza mm. 64; larghezza massima 23. Di questa specie abbiamo un solo modello (C. B.), al- quanto depresso, per compressione subita, con 4 anfratti, l’ul- timo dei quali in parte mancante. Essi sono lisci e non molto convessi, separati fra loro da una leggera depressione. L ultimo di essi è molto più alto degli altri tre, i quali insieme costi- tuiscono meno che la metà della conchiglia. L’apertura è ovale, 232 B. XEL.Lt stretta e lunga; il labbro destro sembra dovesse essere assai espanso ma è in parte mancante; l’estremità caudale apparisce piuttosto diritta e brevissima. Nell’insieme il nostro esemplare corrisponde alla figura del Sacco, dalla quale parrebbe differire a prima vista per avere gli anfratti meno convessi, ma ciò di- pende in realtà dalla pressione che li ha così modificati. La specie presenta una certa analogia colla li. helicoides Brocchi ma, secondo la descrizione del Pautanelli, se ne discosta per la più regolare convessità degli anfratti e quindi per la mancanza di quella ottusa angolosità, che nella specie pliocenica si ri- scontra nella parte superiore dell’anfratto: ciò resulta pure dal- l’esame del nostro individuo. Il Pantanelli indica la specie a Pantano (prov. di Reggio), a Panilo e a Montese (*); il Simo- nelli la indica nelle colline bolognesi, il Sacco nell’Elveziano di Baldissero torinese, di Sciolze, Bersano S. Pietro e Albugnano. Cassidaria (Galeodea) ecliinopliora Lk. var. tyrrhena L. (Tav. IX, fig. 5, 6, 7). 1890. Galeodea deformis Sacco. Moli. d. terr. terz. ecc.; parte VII, pag. 65, 66, 67 ; tav. II, fig. 19. » turbinata » loc. cit., fig. 20. » » tauroscalarata » » » » 21. » » tauropyrulata » » » » 22. » » tauroglobosa » » » » 23. » » tanropomum » » » » 24. » » globosostazzanensis » » » » 25. » » echinopbora » » » pag. 53 a 60; tav. li, fig. 1 a 10. 1891. » tauroglobosa » » » parte X, pag. 4, tav. Il, fig. 80-81. » » oblongocebana Sacco var. Sacci (Rov.) Sacco loc. cit , tav. TI, fig. 83. Loc. Por retta. 1877. Cassidaria Bianconi. Considerazione intorno alla formazione mio- cenica dell’ Appennino. (Meni. dell’Acc. delle (*) 1887. Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese. P. II, p. 16. (Atti d. Soc. Tose, dei Nat. di Modena, Meni., serie III, voi. VI). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 233 Se. dell’Ist. di Bologna; tomo Vili, serie III, pag. 186. Tavola annessa all’op. cit., fig- 1, 2, 3). 1880. Cassidaria tyrrhena Capellini. Il macigno di Porretta e le roccie » » » a globigerine dell’ Appennino bolognese, pag. 22, tav. II, fig. 1. (Meni. Acc. delle Se. Ist. di Bologna, serie IV, tomo li). Lk. De Bosniaski. La forni, gessoso-solfifera » » » ecc. (loc. cit.). Lk. De Stefani. I fossili di Dicomano ecc., 1861. » » (loc. cit.). Manzoni. Della miocenicità del macigno e del- l’unità dei terreni miocenici nel Bolognese. (Boll. d. R. Coni, geo!., n. 1-2, pag. 5). Della specie, che è una delle più comuni del macigno di Porretta, abbiamo diversi esemplari provenienti appunto dalle cave di detta località, rappresentati da impronte o da modelli di queste. Avendo paragonato i nostri esemplari con alcuni bellissimi del Pliocene di Orciano e Castelfiorentino, apparte- nenti al Museo di Firenze, abbiamo veduto quali e quante affi- nità essi mostrino con quella varietà. Uno dei nostri esemplari, un modello d’impronta, in cui assai nettamente compariscono i caratteri della superficie esterna della conchiglia, non mostra traccie di cingoli tubercolari nè di carena nell’ultimo anfratto, il quale si mostra regolarmente convesso dell’aspetto appunto di quello figurato dal Bianconi del macigno di Porretta, ed è per questi caratteri fra i nostri esemplari il più rispondente alla forma tipica della var. tyrrhena, vivente (’). Altri esem- plari mostrano una carena assai rilevata con tracce di tubercoli nell’ultimo anfratto, ed in uno fra quelli, dopo quattro cingoli spirali, comparisce traccia d’una seconda carena ma meno rile- vata. Queste forme provviste di carena si accostano alla tipica Cassidaria echinopliora, ma, essendo poco visibili i cingoli tu- bercolari, che caratterizzano quella specie, sono piuttosto da riferirsi alla sua varietà, la quale, come resulta dalle stesse descrizioni, è assai polimorfa. Anche il Brocchi i2) osserva che (') Bticquoy, Dautzenberg et Dolfus, 1882. Les móllusques marins dii Roussillon, fase. 2, tav. 0, fig. 3. (?) Brocchi, 1811. Conch. foss. subapp., pag. 328. 234 B. NELLI il Buccinimi tyrrhenum presenta due varietà fossili. La prima provvista di carena, che qualche volta passa sull’anfratto con- tiguo. l’altra con anfratti più rotondati e privi di carena e di essa non si ravvisa che un leggerissimo indizio. Il Simonelli (l), in base ad un cosi accentuato polimorfismo, è indotto a distinguere nella specie cinque tipi. Il primo prov- visto di tre o quattro cingoli tubercoliferi nell’ ultimo giro e con anfratti provvisti di carena risponde alla forma tipica e alle figure dell’Hdrnes ba, 56, a tav. XVI (loc. cit.). Il secondo, il terzo ed il quarto tipo del Simonelli che si presentano tutti ugualmente sprovvisti di tubercoli nell’ ultimo giro, sembrano evidentemente rappresentanti della stessa varietà. Il quinto tipo del Simonelli poi, secondo la descrizione, si discosta in modo che potrebbe forse trattarsi di specie diversa. In conseguenza di queste osservazioni sono indotto a ritenere come varietà tyr- rhena le forme figurate dal Sacco. Ritengo che anche la Gal co- clea Bisioi De-Alessandri (tav. VI, fig. 14, a, b\ senza cingoli tubercoliferi (?), possa essere sinonima della C. tyrrhena. Il Sacco la indica nell’Elveziano, da altri detto Langhiano, dei colli torinesi, Albugnano, Baldissero, Sciolze e nel Torto- niano di Stazzano, S. Agata e Tetti Borelli in Piemonte. Quelle forme poi di Gassino, dal Sacco dubbiamente riferite al Barto- niano e, secondo lui, forse provenienti dalle marne mioceniche, che affiorano presso quelle eoceniche di quella località, debbono ritenersi, secondo me, provenienti da quelle marne, non arrivando la specie più in giù del Miocene medio. Inoltre la specie viene indicata nelle marne di Boccanello nella valle dell’Idice (Sangiorgi), nel Tortoniano di Montegibio e Montebaranzone (Coppi), dove viene indicata anche dal Ma- lagoli. Inoltre è indicata nel Langhiano di Pantano nel Modenese (Pantanelli e Mazzetti), nelle marne di Montedoro (Morena), entro le marne mioceniche lungo la via di Paderno (Bianconi), nelle (') Simonelli, 1883. La fauna del con) detto Schlier del Bolognese e dell’ Anconitano (Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat. di Pisa: voi. XII, pa£. 15). (2) De Alessandri, 1901. Note geologiche e paleontologiche svi din- torni di Acqui (Atti d. Soc. it. di Se. Nat.; voi. XXXIX). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI TORRETTA 235 marne compatte mioceniche anconitane e in quelle del Bolognese insieme oXVAturìa Aturi (Capellini), a Ponte dei Canti nelle Marche (De Angelis e Luz]), nelle sabbie di Chiusi e in Casentino (Simonelli), nel Tortoniano di Benestare in Calabria (Seguenza), nel territorio di Licodia Eubea (Cafici), nel calcare tufaceo di San Michele in Sardegna (Parona), nelle marne di M. Luco nell’ap- pennino Aquilano (Nelli) (') sempre nel Miocene; trovasi anche nel Pliocene ed è tuttora vivente. Eudolium fasciatimi (Borson). (Tav. IX, fig. 8, 9, 10). Della specie abbiamo cinque esemplari (C. B). Sono piccoli individui di forma quasi ovale, arrotondata presso l’ultimo anfratto, questo presentandosi molto più turgido e più grande degli altri. Spira breve, aperta in principio, acutamente ser- rata all’apice. Non si può dire con sicurezza quanti siano gli anfratti poiché uno dei nostri esemplari mostra due soli an- fratti, altri due presentano l’ultimo anfratto solamente, infine altri due tre anfratti. Questi anfratti sono convessi, marcata- mente depressi alla sutura, colla superficie ornata trasversal- mente ed in modo assai regolare di costoline, a proporzione delle piccole dimensioni della conchiglia assai grosse, separate da spazi larghi, leggermente concavi. Presso la sutura dell’ul- timo anfratto in un esemplare, meglio conservato, queste costo- line sembrano alternarsi con costoline minori. Le costoline nel- l’ultimo anfratto appariscono in numero di 11 o 12, ma in individuo più piccolo ne ho contate anche 7 solamente. L’aper- tura boccale apparisce piuttosto larga, subovale. Coda breve quasi retta. Il Sacco (2) indica la specie nell’Elveziano o Langhiano dei ■colli torinesi, a Sciolze e nel Tortoniano di Stazzano. Si trova anche nel Pliocene di mare profondo. (Q Nelli, 1900. Fossili viioc. App. aquilano (Boll. Soc. geol., pag. 411). (2) Sacco, 1891. (loc. cit.), parte Vili, pag. 13; tav. I, fig. 19, 20, *21, 22. 236 B. NELLI Fusus sp. Un cattivo modello d’impronta (C. B.), di cui mancano i primi anfratti ed in gran parte la coda. Gli anfratti sono in numero di 4, del quarto non se ne vede che un frammento; dalla forma della conchiglia però si può con una certa sicu- rezza dedurre che non dovessero essere più di 5 o 0. Essi sono convessi, un poco depressi, forse a causa di com- pressione, e separati fra loro da suture profonde. La loro su- perficie è percorsa da strie trasversali numerose e sottili, le quali si mostrano intersecate da coste longitudinali piuttosto larghe e prominenti, separate da solchi poco profondi. L’aper- tura boccale della conchiglia, da quel poco che si può giudi- dare nel nostro esemplare, sembra piuttosto ovale ed allungata. Per questi caratteri si potrebbe forse paragonare al Fusus Va- lenciennes/ Grat., figurato anche dall’Hbrnes (*) a tav. 31, fig. 13, 14, 15, e più probabilmente potrebbe essere una specie nuova, ma trattandosi di un cattivo esemplare non si può con sicurezza affermare. Chrysodomns Bombiceli n. sp. (Tav. IX, fig. 11, 12). ? 1856. Fusus glomoides Hòrnes (non Gène). Die fossilen Mollusken des Tertiaer-Beckens von Wien. Atlas I, tav. 31, fig. 1. ? 1872. Chrysodomus costulatus (Varietà A) Bellardi. I molluschi dei ter- reni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte I, pag. 154. Altezza della conchiglia min. 32; spessore massimo min. 12. Pongo sotto questo nome un buon esemplare (C. B). Esso è ri- gonfio fusiforme, con spira breve e non molto acuta, fornito di sei anfratti, l’ultimo de’ (piali e alto metà dell’intera conchiglia. Questi anfratti, regolarmente convessi, presentano una certa de- pressione presso la sutura posteriore. Le suture sono poco pro- (') 1856. Die fossilen Mollusken des Tertiaer-beckens von ITien. — Atlas I. FOSSI 1.1 MIOCENICI DEL MACIGNO DI TORRETTA 237 fonde. La superficie degli anfratti è ornata da sottili e fitte strie trasversali, che alla base piegano secondo una spira più aperta e si mostrano alquanto più rade nell’ultimo giro, e spe- cialmente alla base si alterna una costa più rilevata ed una meno, ed in ciò somiglia al Fusus glomoides Hòrnes, non Géné (non C. Hornesi Bell.). Alle strie trasversali s’intrecciano pic- cole costoline longitudinali, più marcate e diritte nei giri supe- riori, meno visibili nell’anfratto inferiore, e quivi leggermente concave verso l’apertura, separate da spazi superficiali e larghi. Nell'ultimo anfratto dal lato dell’apertura queste coste si con- tano in numero di 6 o 7; quelle della parte opposta sono poco visibili, ma pure se ne può distinguere qualche traccia. Apertura boccale ovale, stretta ed allungata, posteriormente angolosa: del labbro sinistro, essendo guasto, nulla può dirsi con certezza, ma sembrerebbe piuttosto espanso. Coda allungata e leggermente ricurva a destra. Il nostro esemplare per la sua forma, come per l’ornamentazione degli anfratti, presenta molte affinità col Ch. costulatus Bell., dal quale differisce per avere una spira meno acuta, più breve, e gli anfratti posteriormente più convessi e ornati di costoline longitudinali più depresse e sottili. Per questi caratteri sembrerebbe piuttosto corrispondere alla var. A della specie suaccennata, ma non possiamo affer- marlo, non essendo quella stata figurata. Clio niulticostata Bell. (Tav. IX, tig. 13). 1872. Bai cintimi multicostatum Bellardi. I molluschi elei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte I, pag. 33. Loc. Porretta. 1895. Balantium multicostatum Bell. De-Stefani. Apergu geologique ecc., pag. 71. Due esemplari della specie, flabelliformi, costati. Uno di questi presenta 6 coste longitudinali, pressoché uguali, ed il principio d’una settima, non molto prominenti, convergenti al- l’apice. L’altro esemplare presenta G coste solamente. Queste costoline sono separate da solchi poco profondi, equidistanti. 238 B. NELLI Il Bellardi cita la specie nei colli torinesi, a Pino torinese nelle marne indurite; a Termofourà, valle dei Salici, nei con- glomerati (Mioc. medio). A Serravalle Scrivia ed Acqui (Mayer) Mioc. sup.). Verri e l)e Angelis D’Ossat (*) la indicano nelle argille del Fosso di S. Caterina, presso Casi e Ripe dell’At- tone, sulla pendice est dei Monte Deruta. 11 De-Stefani alla Porretta aveva già indicata la specie. Clio cfr. triplicata Audeniuo. 1899. Clio triplicata L. Aiulenino. 1 pteropodi miocenici del monte dei Cappuccini in Torino. Bollettino della Soc. malacol. it., voi. XX ; pag. 106; tav. V, tig. 4, a, b, c, d, e. Abbiamo un'impronta della conchiglia, la cui superficie mostra tracce di strie trasversali. Per quanto incompleta, essendo ai lati mancante, essa apparisce evidentemente di forma triangolare. Nella parte mediana dell’impronta si nota una costolina poco rilevata, rispondente alla depressione longitudinale mediana che apparisce nella valva centrale della specie, secondo la descri- zione e la figura di Audeniuo, (tav. V, fig. 4 b). Lateralmente a questa costolina si notano due solchi piuttosto larghi e pro- fondi rispondenti alle pieghe laterali, come appariscono nella sovramenzionata figura. Per questi caratteri la nostra impronta sembra riferibile alla Clio triplicata, ma non oso affermarlo in modo assoluto, trattandosi d’un cattivo esemplare. Aturia cfr. A turi Bast. Loc. Porretta. 1895. Aturia Aturi Bast. De Stefani. Aperta géologique ecc., pag. 21. Un frammento della regione si fonale, sulla quale mostransi in modo molto evidente due suture, rispondenti ai setti interni. Per la spiccata convessità dei fianchi il nostro esemplare, per ( ') 1900. Contributo allo studio del Miocene nell' Umbria. Boll. <1. Soc. geol. Voi. XIX, Fase. I, pag. 270, 271. FOSSILI MIOCENICI DEI, MACIGNO DI TORRETTA 239 quanto non bello, è paragonabile alla A. Aturi Bast. Escludo che possa trattarsi dell’A. Formae Parona (1), la quale, come resulta dalla descrizione e dalle figure 7 a-c, 8, a, tav. XIII, mostrasi invece appiattita sui fianchi. La specie è per lo più caratteristica del Langhiano; il De-Stefani indicò già la specie nel grès miocenico dei dintorni di Porretta. Anellidi. Veriuilia sp. (Tav. Vili, fig. 8). Sopra il modello d’una valva di Lucina Dicomani Mgli., var. Fuchsi Caf., vedesi P impronta d’ un Anellide, che credo poter riferire a questo genere e che era aderente all’ interno d’una valva di Lucina. Per quanto presenti un andamento alquanto flessuoso, la sua lunghezza può approssimativamente esser valu- tata di cm. 5 o poco più. Il nostro esemplare, del quale ho figurato la controimpronta, è rappresentato da un lato da un solco cilindrico profondo e stretto, relativamente alla lunghezza, il cui maggior diametro è di mm. 1,6, e che mano a mano va facen- dosi più stretto verso il principio, rispondentemente meno pro- fondo, che era avvolto in spira di almeno due giri. Il nostro esemplare mostra qualche analogia colle forme figurate dal Ro- vereto nella sua monografia sulle Serpai idae elei Terziario e del (Quaternario in Italia , (Paleont. it., voi. IV, 1898, tav. VI, fig. 16 a), e che egli descrive col nome specifico di Vermilia multi varicosa Mordi (pag. 69). Lateralmente all’impronta de- scritta se ne vede un’altra più piccola ma simile. Non oso però specificarle, ed in modo incerto le riferisco al gen. Vermilia. Serpula Capellini i n. sp. (Tav. IX, fig. 14). Abbiamo un frammento di tubo (C. B.), incastrato in un pezzo di macigno della Porretta, della lunghezza di circa (') 1898. Parona. Note sui cefalopodi terziari del Piemonte (pag. 161): Palaeontographia italica, voi. IV. 240 B. NELI.I 17 nini,, ornato di sottili e numerose strie trasversali, costituito da due anelli regolari e marcatamente convessi onde, per quanto non si veda la parte opposta del tubo, siamo indotti a ritenerlo circolare o quasi. Il suo diametro è variabile fra i 4 e i 6 mm. Al punto d’intersezione dei due anelli il diametro raggiunge il suo massimo, per cui appunto quivi vedesi un rigonfiamento che dà origine ad un rilievo angoloso sul contorno del tubo. Late- ralmente a questo rigonfiamento nella parte superiore notasi una leggera strozzatura nel tubo. Il nostro esemplare presenta una certa somiglianza colla Serpula myristica Eovereto (*), dalla quale però differisce per avere dimensioni molto minori, gli anelli striati trasversalmente, i quali pur essendo subangolati, come in quella specie, pure ne differiscono per una marcata strozzatura nella loro parte inferiore. Per questo carattere potrebbero esser paragonabili alla Serpula infundibulum D. Oh., parimente descritta (pag. 61) e figurata dal sovra citato autore (tav. VI, fig. 5, loe. cit.) ; questa però mostra dell’angolosità più spiccate fra un anello e l’altro, le strozzature poi son così eccentuate che gli anelli appariscono come inseriti uno dentro l’altro. Impronte varie. Gen. Peimatulites Cocchi. 1870. Pennatulites, Cocchi. Alessandri, Grattarola e Momo. Taglio del viale dei Colli a Firenze. Boll. R. com. geol. it., voi. I, pag. 116. Il Cocchi prima, il De-Stefani (2) poi considerarono queste forme per Alcionari. In seguito il Fuchs, nel 1895 (Fucoiden und Hieroglyphen) (3), prendendo in esame queste forme singo- C) 1898. Serpulidae del Terziario e del Quaternario in Italia. (Pa- laeontograpliia italica, voi. IV, pag. 63, tav. VII, fig. 8). (2) 1885. De-Stefani. Studii paleozoologici sulla Creta superiore e media dell’ Appennino settentrionale. (3) 1896. Fuchs, Denkschriften der Kaiserlichen Akad. der Wissens- chaften. FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 241 lari, crede invece che debbano riferirsi a dei LaichstòcJce, parola intraducibile in italiano, ma che può intendersi per fusti o grap- poli di uova di pesce. Infatti, avendo egli osservato nel Museo di Vienna, certi La idi stadie, trovava una grande somiglianza fra questi, i Pennatulites ed i Palaeosceptron ; sosteneva poi questa sua interpretazione, considerando che questa somiglianza appariva più manifesta, mostrandosi i sacelli ovarici in alcuni LaichstòcJce disposti su due file, come lamine rilevate analoghe a quelle delle Pennatule. Inoltre, a sostegno della sua tesi, notava che le lamine del peduncolo dei Pennatulites e Palaeosceptron son voltate ora in su, ora in giù, mentre invece nelle Pennatule ed in altri Alcio- nari le pinnule sono sempre rivolte nello stesso senso. Nei Lai- chstocke invece la cosa appariva molto diversa, giacche i sacelli ovarici si presentavano indifferentemente rivolti in un senso o nell’altro. Per spiegare poi come queste forme avevano potuto conservarsi fino a noi, il Fuchs dice che la sostanza che costi- tuisce questi succhi ovarici è d’una specie di chitina, molto dif- ficile a decomporsi, ma che poi in seguito si discioglie senza lasciare tracce carboniose. Questa proprietà, conclude il Fuchs, è adattatissima per dare origine a quei rilievi, sotto i quali ci appariscono i Pennatu- lites ed i Palaeosceptron. Il prof. De-Stefani però in esemplari di queste forme, trovate nei calcari eocenici dei monti della Tolfa, ha veduto che, corrispondentemente alle lamine o pin- nule dei rilievi esteriori, nell’interno del calcare trovansi delle zone scure colorate da carburi. Pennatulites llanzonii, n. sp. (Tav. X, fig. 4 a) ? 1895. Pennatulites sp. De Stefani. J pernii ge'ologique et description pa- leo litologi qu e eie., (loe. cit.), pag. 21. L’esemplare proviene dalle cave della Costa presso Porretta (C. B.). Un rilievo sul macigno, fusiforme, della lunghezza di miu. 20,6 con un diametro massimo di min. 4,8. La superfìcie mostrasi ornata di costoline rilevate, piuttosto curve, che seni- 242 B. NELLI brano disposte sul nostro esemplare, per quanto assai confusa- niente per lo stato di conservazione non buono, su una parte e sull’altra come le barbe d’una penna intorno al rachide; quelle d una parte però si distinguono assai meglio delle altre, che si discernono appena. Queste costoline mostransi sin quasi ai 2 del rilievo e presentano tracce di nodosità. La forma da noi de- scritta a prima vista può presentare qualche analogia colle copruliti, dalle quali differisce però per avere delle vere e proprie costoline ben definite e troppo regolari. In piccolo la nostra forma presenta molte analogie colle forme descritte e figurate dal De-Stefani (op. cit., tav. IV, fìg. 1, 2, 3) e spe- cialmente colla fìg. 3, Pennatulites sp. (pag. 30), per Landa» tura delle coste che in quella forma però è un poco più rego- lare. Alle nostre forme si potrebbe avvicinare il Caulerpites pennatus Eichwald, da questo autore figurato e descritto nella sua opera Lethaea Rossicci , oh Paleontologie de la Russie (1860, voi. I, pag. 47, atlas I, tav. I. fìg. 1). Gen. Lumbricaria Mùnster. Goldfuss considera le forme, cui fu attribuita questa quali- ficazione, come coproliti di Cefalofodi (Sepie e Ammoniti) nella seconda edizione del suo lavoro Petrefacta Germaniae, mentre nella prima edizione le aveva considerate come Nemertini. Agassiz (’) ed altri le considerano come intestini di pesci : altri ancora come canali intestinali delle Holoturie. Zittel (2) poi è indotto a ritenere queste forme per escrementi d’anellidi. Na- thorst (3) è di questo parere, avendo osservato gli ammassi escre- mentari de\V Arenicola, ma non trova poi giusto che la Lum- bricaria filaria possa esser riferita a vermi intestimi li, come lo Zittel tenderebbe a considerare, inquantochè a Kristinaberg egli aveva potuto osservare degli ammassi escrementizi simili a quelli dc\Y Arenicola marina, ma più fini, quasi dell’aspetto della L. filaria e quindi conclude che questa possa essere (*) (*) Eecherches sur les poissons fossiles ; 1833-43; tome II, pag. 29F. (2) Palaeozoologie, I Band. (3) Om Spar a f No gru evertebrerade djur, ecc. p. 101. ( Kong! . Svcnska Vetenskaps- Akademiens Handìinger. Bandet 18, N° 7, Stockolm 1881). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 243 una formazione simile. Infine Nathorst osserva che le Lumbri- cariae che vengono considerate come intestini di pesci, dovreb- bero essere sensibilmente più larghe dell’ordinarie e si dovreb- bero riscontrare negli stessi strati i pesci fossili; quindi non hanno nulla che fare colle altre forme. Almeno per la nostra forma siamo indotti a ritenere che si tratti realmente d’escre- menti, dovuti forse ad anellidi. Lumbricaria cfr. filaria Minisi. Sullo stesso frammento di macigno sul quale mostrasi il Pennatulites ( loc. Cave della Costa presso Porretta), vedonsi dei sottilissimi rilievi filiformi, larghi min. 0,2, allungati con- torti, alquanto rugosi e irregolari, che s’ intrecciano fra loro, si sovrammettono e insieme si confondono. Essi presentano per ciò tutti i caratteri della L. filaria del Miinster. Il nostro esem- plare corrisponde alle figure che il Goldfuss (1826, Petr. Ger- maniae, pag. 224) ci offre della specie (tav. LXVI, fìg. 6 a, b, c, erroneamente segnate nella tavola 5 a, b, c ) del Giurassico. Scolecites sp. (Tav. VII, fig. 10). La nostra forma presenta qualche analogia col tipo Gyro- lithes Saporta ('), Miinsteria e Gaulinites Heer. Dai Gyrolithes però si discosta per non mostrare alla sua superficie nessuna traccia di quei rilievi longitudinali che, secondo la descrizione, del Saporta, costituiscono una specie di mantello continuo in- torno alla cavità centrale. (Queste forme sono considerate dal Saporta come vere alghe della tribù delle Sifonacee. A. Briart pensa invece che si tratti di residui escrementizi, lasciati dietro da vermi perforanti). Escluso dunque che il nostro esemplare possa riferirsi ai Gyrolithes per la sua forma cilindrica e per le irregolari protuberanze trasversali che vedonsi alla superficie si può avvicinare alle Miinsteria (Heer. ; loc. cit. tav. LXVI), (’) Les orgcinismes problématiques. Tav. V e VI, pag. 27 e seg. 244 B. NKLL1 e fra queste in special modo alla Miinsteria dilatata F. 0 f1), la quale, come ottimamente osserva lo Squinabol (s), non è che 10 stipite di qualche Alectoruridea. Si potrebbe anche parago- nare colle Caulinites (Heer; loc. cit., tav. LXIX) e forse meglio con questo genere che coll’altro per lo speciale aspetto delle protuberanze; però dalle Caulinites , la cui vera natura non si conosce, si discosta per non mostrare alcun indizio di ramifi- cazione taterale. Ora se noi vogliamo prendere in considerazione 11 gen. Scolecites siamo indotti a credere, se non in modo as- soluto, che quello meglio sarebbe rispondente alla forma in que- stione. Infatti sotto quella denominazione si comprendono « irre- golari riempimenti di tracce di vermi perforanti la sabbia, che s’intrecciano secondo angoli diversi. Questi riempimenti, coperti da escrementi di vermi sono comuni in tutte le roccie (3) ». È verosimile che anche la nostra forma sia il modello d’im- pronta lasciata dal passaggio di qualche anellide. Formazioni simili trovansi anche nel Miocene medio di Poggio Picenza presso S. Gregorio nell’Abruzzo, molte delle quali ho avuto occasione d’osservare nel Museo geologico di Firenze. Alcune volte nella Creta, in Romagna ed altrove, esse si trovano sotto forma di noduli manganesiferi, verosimile pseudomorfosi di forme orga- niche. Impronte fisiologiche. (Tav. X, fig. 6, 7). Fra le forme d’assai difficile interpretazione, descritte e figu- rate dal Saporta nella sua pregevole opera Les Algues fos- siles (Paris 1882), sembrami in parte rispondente al modello del nostro esemplare quella forma che descrive e figura sotto il nome di Laminarites Lagrangei Sap. e Marion dell’Infra- lias, (pag. 25, tav. IV, fig. 1), come, in parte anche maggior- mente, quelle che egli chiama Panescorsaea primordialis Sap. C) Fischer Ooster 1858. Die fossilen fucoiden der Schweizen - Alpen, pag. 39, tav. II. (2) 1890. Alghe e pseudoalghe fossili italiane. (3) Salter. Quart. Geol. Jour. Voi. IV, p. 222. FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO I>I TORRETTA 245 (pag- 51, pag. 52, fig. 7) e P. lugdunensis (pag. 50, fig. 6). Però nel nostro esemplare non vedonsi fra una striscia e l’altra quegli spazi vuoti che appariscono nella Laminarites del Saporta. Questi, considerando, le Laminarites (e così le Panescorsaea ) come alghe, dice in proposito che la loro attribuzione al gruppo delle Laminarie non ha niente di certo, è vero, quantunque sembri verosimile; ma i loro caratteri, le loro dimensioni gigan- tesche e le particolarità di struttura, che le distinguono, meri- tano l’attenzione degli scienziati, tanto più che invano ci si sforzerebbe di riconoscere in essa tracce d’animali in moto. E più lungi a conferma della sua opinione cita in paragone una parte almeno dei Cylindrites di Goeppert, particolarmente il Cylindrites vermicularis Hr., e l’ Helminthoida appendiculata Hr., fossili però che oggi, nemmeno essi, sono considerati come alghe. Qualche anno dopo Nathorst, nel 1886, nelle sue Nouvelles observations sur des traces d’animaux et d’autres phénomènes d’origine purement mécanique décrits comme « Algues fossiles », a pag. 42, confutando l’opinione del Saporta sulle forme sopra menzionate, sostiene che non possono ritenersi per alghe fossili, ma pi uttosto come le traccie che il movimento del mare pro- duce alla superficie della sabbia, e che vengono comunemente conosciute sotto il nome di « rughe » o « tracce d’ondeggiamento dei flutti » ( ripple-marks ), ed oltreché sulla propria esperienza, appoggia questa sua opinione su quella di Daubrée ed Hcbert. Venendo poi a confutare ad una ad una le ragioni che il Sa- porta adduce a sostegno della sua tesi, non trova che si possa provare un’origine vegetale. Che nemmeno le Laminarites ab- biano tale origine, scaturisce direttamente, e con piena evi- denza dal ripple-mark, riprodotto dal Nathorst alla tav. V, fig. 3, il quale possiede presso a poco le medesime dimensioni del Laminarites iMgrangei. In ultimo, trattando della disposizione speciale di queste striscie, come del modo di anastomizzarsi, ecc., carattere che aveva appunto indotto il Saporta a ritenere la forma per un filloma, dice che « niente è più comune che di vedere, sopra le rive attuali del mare, dei sistemi di ripple- marks incrociantisi in seguito alla modificazione della direzione del vento e delle onde». Il Fuchs, nel 1895 ( Studien iiber Fucoiden, ecc., pag. 4), ritiene i Laminarites o Panescorsaea 18 246 B. NELLI descritti dal Saporta, piuttosto che ripple-marks , per tracce di scivolamenti di strati, cioè bitorzoli superficiali agli strati di natura affatto inorganica, ed egli riproduce e figura parecchi esempi, della cui natura conveniamo perfèttamente. La fig. 1 del Fuchs a pag. 4 ci mostra la sezione lungitudinale di un ripple-marlc, eguale appunto a quella che presenterebbe il nostro esemplare; la fig. 2 ci mostra la sezione longitudinale del suo modello, identica a quella che presenterebbe appunto il modello della nostra impronta. La fig. 3 ci mostra invece la sezione longitudinale di un esemplare di Rignano, originato in tal modo per lo scivolamento di uno strato sull’altro. Noi non possiamo dunque riferire i nostri esemplari nè al tipo dei La- minarites, nè a quello delle Panescorsaea, cui devono riferirsi quelle forme a fasce bitorzolute, così originate forse, da un cor- rugamento di strato. Non credo che i nostri esemplari possano ritenersi per impronte di fillomi di alghe, e neppure come dei ripple-marks ; sembrerebbero piuttosto dovuti ad un grosso ani- male, forse ad un crostaceo, strisciante saltuariamente sul fondo limaccioso, come principalmente dimostrerebbero la loro rego- larità e la saltuarietà delle impronte terminate (pare anche la più grande) ad ambedue gli estremi. Ambedue probabilmente si possono quindi considerare come impronte fisiologiche. Descriverò ora brevemente i due esemplari, dell’origine dei quali abbiamo già trattato. L’esemplare più grande è rappresen- tato da un’impronta sul macigno, costituita da una serie di costole parallele, o quasi, diritte o appena curve, equidistanti, strette, piuttosto rilevate, le quali ad un estremo si fanno più attenuate, e scompariscono. Esse sono separate da solchi larghi circa 4 mm., e leggermente concavi. A questi, corrispondono nel modello in gesso, che abbiamo rilevato, delle superfici larghe e convesse, separate da solchi stretti e alquanto profondi, rispondenti alle rughe. Questo modello è paragonabile all’esemplare di Montese, figurato dal Capellini ( Il mac. di Torretta , ecc., tav. 1, fig. 1), e che egli ritiene riferibile ad un Hamites (pag. 18). Abbiamo già avuto occasione d’osservare che lungo una sezione longitu- FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI TORRETTA 247 dinaie il nostro esemplare è rispondente alla fìg. 1 a pag. 4 del Fuchs, ed il modello alla fig. 2 della stessa pagina. L’esem- plare più piccolo non è dissimile dall’altro. In esso però le coste, in numero di 17, sono più strette, separate da intervalli più stretti, più curve, ma sempre parallele. Per quanto eccen- tuate, sono molto brevi, inclinate sulla superficie dello strato ed alla superficie limitate, per modo che non penetrano nello strato. Vertebrati. Oxyrhina sp. (Tav. X, lig. 8). Epifisi di vertebra imbutiforme, ellittica, il cui diametro mas- simo è di cm. 5,2 ed il minimo di 3,6. La sua superficie conica, convessa, rispondente alla parte interna della epifisi, mostra leg- germente rilevate delle costoline radiali con andamento piutto- sto irregolare, che circa alla loro metà si biforcano ed anche si dividono in tre. Per il loro aspetto possono paragonarsi a quei raggi che vedonsi alla superficie di una sezione mediana verticale di una vertebra di Carcharodon, figurata dal Bassani nella sua monografia : Avanzi di Carcharodon anriculatus scoperti nel calcare eocenico di Valle Gallina presso Avesa ( prov . eli Verona) (pag. 11, fig. 7) (*). Queste costoline dell’epifisi corri- spondono a quei solchi radiali che si mostrano alla superficie della diafisi sottostante, (Palaeontographica, 1895, tav. XVIII, fig. 5. Beitrcige sur Kenntniss der Gattung Oxyrhina Gli. R. Eastman.), come ho avuto occasione d’osservare in una vertebra dopo averne messo allo scoperto la parte interna. In gran parte della vertebra mostrasi ancora ben conservata la sostanza ossea, che resulta costituita da lamine concentriche sovrapposte, le quali appariscono alla superficie in tante strie concentriche. Dove manca la sostanza ossea mostrasi la traccia della parte esterna della vertebra, la quale come si può giudicare da quella e da tutto l’insieme doveva essere certamente concava. Sull’impronta (') 1895. Acc. agr. arti e comiu. di Verona, voi. LXXI, ser. III. 248 B. NELLI della parte concava, rispondente alla superficie esterna della vertebra, vedonsi, come nelle vertebre di squalo, strie circolari concentriche. Avendo paragonato la nostra forma con alcune vertebre di squalo del. Cretaceo di Asiago, ultimamente trovate dal profes- sore De-Stefani, le quali non mostrano che la sola epifisi, ho dovuto riscontrare una grande analogia con quelle, per quanto la sua forma ellittica, come di Patella, ci abbia fatto sulle prime molto dubitare se realmente dovesse trattarsi d’una vertebra. Nel dubbio abbiamo voluto fare una sezione trasversale della sostanza, da noi ritenuta ossea, ed abbiamo potuto osservare al microscopio un tessuto fibrillare, quindi evidentemente d’origine cartilaginea, il quale sebbene presenti fra le fibre delle lacune, certamente dipendenti dallo stato di conservazione non buono, mostra grande analogia col tessuto di una sezione identica pra- ticata appunto nella epifisi d’una vertebra di squalo del Plio- cene di Orciano. In questa però le fibre meglio conservate mo- stransi in un tessuto compatto senza interstizii. Un’ identica sezione di conchiglia di Patella è invece di struttura atfatto diversa. Per la determinazione del genere il sig. Enrico Ber- cigli, conservatore del Museo di paleontologia di Firenze, avendo avuto sovente occasione di osservare vertebre di squali fossili e viventi, mi ha fatto notare che l’epifisi negli individui adulti è così intimamente unita alla dialisi che non può staccarsi, men- tre negl’individui giovani facilmente se ne distacca. Ora pre- sentando la nostra vertebra ragguardevoli dimensioni, e per quanto abbiamo notato, dovendo ammettere che essa dovesse appartenere ad un giovane individuo, siamo indotti a riferirla ad una Oxy vitina , genere rappresentato da individui di grossa mole che presentano appunto delle vertebre della forma c del- l’aspetto del nostro esemplare. Per le sue dimensioni e per il rapporto fra la lunghezza e l’altezza, le cui variazioni, come osserva il Bassani ('), non si corrispondono esattamente, potrebbe forse ritenersi appartenente alla metà o circa della colonna ver- tebrale. (') 1888. Colonna vertebrale di Oxyrhina Mantelli Agassis, scoperta nel cale. Senoniano di Castellarazzo nel Bellunese, pag. 8. (Napoli, R. Ac. di Se. Fisiche e Matematiche). FOSSILI MIOCENICI DEL MACIGNO DI PORRETTA 249 Oxyrhina Desorii Ag. Della specie non abbiamo che nn solo dente incompleto (C. B.) ed incastrato nella roccia. Di esso non vedesi che un frammento della parte esterna della corona, dalla parte opposta mostrasi l’impronta della parte interna. La parte esterna risulta legger- mente convessa, la parte interna, a giudicare dall’impronta, sembra molto più convessa. I margini laterali della corona sono depressi, piuttosto taglienti. Apice acuto. Per quanto il nostro esemplare sia incompleto nell’insieme, presenta caratteri tali per poterlo con sicurezza riferire all’ 0. Desorii. La specie comunissima nel Miocene fu già da me indicata fra i Fossili miocenici dell’ Appennino aquilano (!). Carcharodon megalodoii Agas. (Tav. X, fig. 3). Tralascio la sinonimia della specie che fu già trattata dal Seguenza nella sua monografia sui Pesci fossili della Provincia di Messina (2), come pure da tanti altri. Della specie abbiamo un solo dente clic per la sua forma è da riferirsi alla parte sinistra della mascella superiore. Dente grande, triangolare, pressoché equilaterale, e come risulta dalle sue dimensioni (altezza mm. 43; larghezza 50), a con- fronto dell’altezza molto largo alla base; spessore poco con- siderevole. Margini laterali leggermente convessi nella parte superiore della corona, mentre invece nella parte basale si fanno marcatamente concavi. Le dentellature marginali sono piccole ed uniformi in tutto il contorno del dente. Il nostro esemplare è rotto al vertice, tuttavia a giudicare dell’ inclinazione della parte esterna e della parte interna parrebbe che la punta del dente dovesse esser rivolta leggermente all’ infuori. La faccia interna è marcatamente convessa nella sua parte mediana, più verso la punta, meno verso la base. La faccia esterna invece (') Nelli, 1900, Boll. Soe. geol. ital , voi. XIX„ pag. 417. (2) Boll. Soc. geol. it. ; voi. XIX, fase. 3, 1900, pag. 5C3. 250 B. NELLI può considerarsi relativamente piana poiché il rilievo, assai leg- gero, che vi si nota nella sua parte mediana, come le depres- sioni marginali, non producono che dislivelli insensibili nella superficie. Verso la base della faccia esterna notansi delle pie- ghette molto superficiali, che si limitano, come sembra, alla parte esterna dello smalto. Nel nostro esemplare vedesi in parte la radice. La parte interna della corona presenta al punto di contatto colla radice, nel nostro esemplare immedesimata colla roccia, un’incavatura piuttosto profonda, colla convessità rivolta verso lo smalto. Anche dalla parte esterna del dente notasi al contatto colla radice una incavatura, similmente disposta. Per l’insieme di tutti questi caratteri l’esemplare descritto è da riferirsi evidentemente al Oh. megalodon Ag., per quanto a prima vista possa offrire qualche analogia col Ck. Rondeletì Milli., forma molto affine, ma con dentellatura più grossa e irregolare. La specie è assai comune nel Miocene medio e fu già indicata anche nel Miocene del Bolognese (1). [ins. pres. 21 febbraio 1903 - ult. bozze 26' luglio 1903]. (>) Vinassa De Regny P., 1899, Pesci neogenici del Bolognese. Riv. ital. (li Paleontologia, fase. Ili, anno V. Boll. d. Soc. Geol. Italiana Voi. XXII. (Nelli) Tav. VII. ELIOT. CALZOLARI A FERRARIO MILANO Boll. d. Soo. Geol. Italiana Voi. XXII. (Nelli) Tav. Vili ELIOT. CALZOLARI A FERRARIO MILANO POSSILI MIOCENICI BEL MACIGNO DI CORNETTA 251 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA VII. L o c . diverse: Lucina Dicomani Mgh. Fig. 1. Esemplare di Tossignano visto di profilo. Forma di mediocre grandezza, non molto rigonfia. » 2. Es. di Tossignano sezionato trasversalmente per mostrare i denti cardinali. Forma di mediocre grandezza piuttosto depressa. » 3. Es. di Tossignano sezionato come sopra. Forma piccola, ma alquanto più rigonfia. » 4. Es. di Filetta. Forma grande rigonfia. » 5. Es. di Raggio (Sta Sofia). Forma grande rigonfia. » 6. Es. della Verna (Casentino). Forma grande rigonfia con le due impronte muscolari. » 7. Es. di Bargi. Forma mediocremente grande, rigonfia. » 8. Es. di Tossignano con guscio. » 9. Es. di Filetta contorto (X. inversa Mgh.). » 10. Caulinites sp. Es. di Poggio Picenza presso S. Gregorio (Abruzzi). Loc. Porretta: Fig. 11. Lucina eìliptica Bors. TAVOLA Vili. Loc. Porretta: Fig. 1. Cinnamnomum polymorphum Heer (C. B.). » 2. Spatanyus Manzonii Simonelli (C. De Bosniaski). » 3. » » » (C. B.). » fi. Neaera cuspidata Hinds (C. B). (ingrandita). » 7. Lucina spinifera Mont. (M. di Pisa). » 8. Vermilia sp. (C. B). Loc. diverse: » 4. Lucina Dicomani Mgh. var. Fuchsi Cufici. Es. di Tossignano. » 5. Lucina Dicomani Mgh. Es. di Verghereto; forma grande rigonfia. 252 15. NELLI TAVOLA IX. Loc. Porretta: Fig. 1. Sólenomya Doderleini Mayer (C. B.). » 2. Syndosmya prismatica Laskey (C. B.). » 3. Halia praecedens Pantanelli (C. B.). » 4. Lo stesso esemplare visto dal lato della bocca. » 5, 6, 7. Cassidaria echinophora Lk. var. tyrrhena L. » 8, 9, 10. Eudolium fasciatimi Borson (M. di Firenze e C. B.). » 11. Chrysodomus Bombicii sp. n. (C. B.). » 12. Lo stesso es. visto dalla parte opposta. » 13. Clio multicostata Bellardi (C. B.) (ingrandito). » 14. Serpula Capellina sp. n. (C. B.). TAVOLA X. Loc. Porretta (C. B.): Fig. 1. Euplectella Bianconii sp. n. » 2. Modiola exbrocchii Sacco. » 3. Carcharodon megalodon Agas. ^ j \ a. (a sinistra) Pennalulites Manzonii sp. n. ( b. (a destra) Lumbricaria cfr. filaria Miinster. » 5. Spatangus Manzonii Simonelli. » 6, 7. Impronte fisiologiche. » 8. Oxyrhina sp. (Vertebra). » 9. Cytherea multilamella Lmk. » 10. Sezione trasversale della vertebra (fig. 8). ( Nelli ) Tav. IX. ... . ■yf.l- - .-fif J*S: ’-*"V r- '. . r 2** *-^f' • »V- V-. tifa’ V 5'.* '•:■$&£ Boll. d. Soc. Geol. Italiana Voi. XXII. ELIOT. CALZOLARI & TERRARIO MILANO , V. Boll. d. Soo. Geol. Italiana Voi. XXII, ( Nelli | Tav. X. 10 ELIOT. CALZOLARI 4 FERRARIO MILANO FOSSILI BAIONI ANI DELLA SARDEGNA Nola del dott. Giotto Daineuli (con due tavole) Nella primavera dell’anno 1899 il dott. Pampaioni, dell’Isti- tuto di Studi Superiori di Firenze, si recava in Sardegna « allo scopo di determinare, possibilmente con precisione, se i terreni carboniferi di Sardegna, già illustrati da La Marmora e da Meneghini, appartenessero al Carbonifero superiore o al Per- miano inferiore, secondo le moderne classificazioni, e per meglio determinare l’età e la successione dei calcari fossiliferi costi- tuenti la Perdaliana » ('); e riportava, tra l’altro, una abba- stanza ricca raccolta di fossili di quest’ultima località e del vicino Tacco di Seui, dei quali rendeva brevemente conto in una sua nota preventiva sulle osservazioni geologiche e paleon- tologiche da lui fatte. Per varie circostanze distolto da uno studio più accurato dei materiali da lui raccolti, volle permet- termi l’illustrazione della fauna giurese della Perdaliana e del Tacco di Seui, che adesso presento. Questa fauna invero è già in gran parte nota per opera del Meneghini, ed anche del Fu- cini, inquanto che questi ha illustrata quella coeva del Monte Timilone; avendo però io riconosciuto alcune specie non ancora citate dalla Sardegna, modificate alcune primitive determina- zioni e descritte poche specie nuove, credo abbastanza interes- sante pubblicare questo modesto contributo alla paleontologia sarda. Meneghini (2) divideva i terreni giuresi della Sardegna in due gruppi, uno occidentale e l'altro orientale; per i quali si G) Pampaioni L., I terreni carboniferi di Seui ed oòlitici della Per- daliana. Rend. della R. Ace. dei Lincei, 1900, voi. IX, 1° seni., serie 5\ fase. 11°. (2) Meneghini G., Paleontologie de Vile de Sardaigne, 1857, pag. 183 e seg. 19 254 G. DAINELLI poteva osservare che, quantunque alcune specie sieno comuni alle due faune corrispondenti, pure tra quelle della prima molte sono conosciute altrove come proprie del Lias superiore e dcl- TOolite inferiore, mentre quelle della seconda sono per lo più caratteristiche dei terreni colitici medii e superiori, e in partico- lare dell’Oxfordiano. Nel gruppo occidentale poi, dietro studio accurato dei fossili, distingueva due piani diversi; però egli concludeva le sue osservazioni cronologiche sulle faune e i ter- reni in discorso, dichiarando: « Tutto ciò che noi possiamo dire si è che, comprendendo genericamente questi terreni sotto il nome di oolitici, essi sono nel caso speciale: inferiori, medii e supe- riori. Pure non crediamo che queste tre divisioni sieno di eguale valore: i due piani del gruppo occidentale sono ben più inti- mamente legati tra di loro, di quel che non lo sia il superiore di essi col gruppo orientale » (1). Ora, dobbiamo ammirare nel Meneghini la determinazione cronologica di quei terreni, data come incerta, ma pur tanto vi- cina al vero, esprimendo però un parere alquanto diverso, ri- spetto ai reciproci rapporti tra i piani da lui stesso distinti nei terreni giuresi della Sardegna; perchè io stimo assai meno legati tra loro i due piani del gruppo occidentale, che non il superiore di essi col gruppo orientale. Infatti, nella abbastanza lunga nota di fossili che Meneghini cita e descrive, come provenienti dal piano inferiore, tre soli, il Federi disciformis Schubl., YOstrea obliqua Lam , e la Terebratula ornithocephala Sow., sono a comune col superiore; mentre le analogie che questo ha col gruppo orientale, se pur resultavano poche dagli studii del Meneghini, sono diventate in seguito maggiori, dopo gli studii del Fucini, e le mie presenti osservazioni. Per questo credo di poter tralasciare affatto il piano infe- riore, riportando invece l’elenco delle specie citate dal Mene- ghini pel piano superiore, ed escludendo la Ncrinea Voltsii Deslong., perchè questa si trova in strati immediatamente sot- tostanti, e ben distinti: Natica parthenica Meneghini; Ceromya striata D’Orbigny ; (') Meneghini G., Op. cit., pag. 186. FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 255 Pteroperna costatala Morris et Lycett; Lima Hector D’Orbigny; Pecten disciformis Schubl. ; Pecten lens Sowerby; Ostrea Perdalianae Meneghini ; Ostrea obliqua Lamarck; Terébratula orniti locephala Sowerby; Terebratula punctata Sowerby; Terebratula simplex Buck; Bhynehonella tetraedra d’Orbigny ; Bhynehonella concinna D’Orbigny; Berenicea verrucosa D’Orbigny. Tali fossili, insieme con altri, non determinati specificamente, provengono dal monte Timilone, dal monte Aivaru, da S. Gior- gio, e dalla Piscina del Soldato. Le specie del gruppo orientale, provenienti per massima parte dalla Perdaliana, ed in minor numero da Narri, Laconi, Tes- sili, Toneri di Beivi, e Tornirà, oltre molte, delle quali non fu potuta determinare la specie, sono le seguenti, esclusa, al solito e per la ragione detta dianzi, la Nerinea Vecchii Meneghini : Natica grandis Miinster; * Natica parthenica Meneghini ; Alaria trifida Morris et Lycett; Panopaea gibbosa D’Orbigny; Myacites Vezelayi Morris et Lycett; Pholadomya Murchisoni Sowerby; Pholadomya ovalis Sowerby; * Ceromya striata D’Orbigny; Lucina Bellona D’Orbigny; * Pecten lens Sowerby ; * Ostrea Perdalianae. Meneghini; Terebratula Lamarmorae Meneghini ; Terebratula ovoides Sowerby ; Terebratula sardoa Meneghini; Bhynehonella subobsoleta Davidson ; Hypodiadema Lamarckii Desor ; '256 G. DA1NELLI nelle quali abbiamo contrassegnato con un asterisco le specie già riconosciute dal Meneghini nel piano superiore del gruppo occidentale. Più tardi De Stefani, mentre confermava in parte il riferi- mento all’Oxfordiano, in parte poneva la dubbiosa ipotesi che alla Perdaliana dovesse riconoscersi anche il Trias, o meglio la parte più alta di questo. « Resta però a vedere se fra i terreni di Perdaliana, quindi anche di qualche altro luogo, sia l’Infra- lias o Retico come è qualche terreno più recente. La Terebra- tula Laniarmorae Meneghini indicata colà appartiene alle Te- rebratulae bipartitele ed è quasi intermedia a certe varietà della Terebratula rulgaris Schlt. ed alla Terebratula gregaria Suess, come la ìli ignei ione lì a indicata dal Meneghini col nome di subobsoleta Davidson si avvicina alla fissicostata Suess del Retico, ed alle Halorellae del Trias superiore alpino... Alla Perdaliana si debbono trovare terreni giuresi più recenti, pro- babilmente l’Oxfordiano di tipo simile a quello delle Baleari, perchè fra le specie raccolte da La Marmora e determinate esat- tamente dal Meneghini, provenienti però da piani diversi, è la Pholadomya Murchisoni Sowerby»(1). Quasi contemporaneamente Lovisato citava il lembo secon- dario di monte Timilone, ch’egli riteneva appartenente al Lias medio o forse meglio superiore (s) come poi ripeteva in una sua nota posteriore (a). Nel 1894, Fucini, presentando una breve nota di fossili della Perdaliana, ed una più ricca di fossili del monte Timilone, sem- bra voler confermare per i primi l’età oxfordiana, estendibile anche ai secondi (4) ; le specie che egli cita dal monte Timi- Ione (piano superiore del gruppo occidentale di Meneghini) sono le seguenti : < ’) De Stefani C., Cenni preliminari sui terreni mesozoici della Sar- degna. Rend. della R. Acc. dei Lincei, 1891, voi. VII, 1° seni., fase. 9. (*) Lovisato D., Brani sparsi di Geologia Sarda. Rend. della R. Acc. dei Lincei, 1891, voi. VII, 1° seni. (3) Lovisato D., Nuovi lembi mesozoici in Sardegna. Rend. della R. Acc. dei Lincei, 1896, voi. V, serie 5a, fase. 11. C) Fucini A., Notizie paleontologiche sulla Oolite di Sardegna. Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., 1894, voi. IX, pag. 121 e seg. FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 267 Terebratula Lamarmorae Meneghini ; Terebratula Timilonensis Fucini ; Pecten cingulatus Phillips; Lima cfr. semicircularis Goldfuss ; Lima Hector D’Orbigny ; Firma cfr. cuneata Phillips; Modiola Soicerbyana D’Orbigny; Modiola cfr. cuneata Sowerby; Ceromya striata D’Orbigny; (fresslya Meneghini Fucini; T /tracia (?) Lovisatoi Fucini: Cercomya pinguis Agassiz; Pholadomya Murchisoni Sowerby ; Natica parthenica Meneghini. Queste specie del monte Timilone vennero poi descritte e figu- rate dal Fucini stesso in un successivo lavoro (Q; per allora intanto citava anche le seguenti specie provenienti dalla Perdaliana : Cardium subtruncatum D’Orbigny ; Ceromya striata D’Orbigny; Arcomya minima Fucini; (roniomya gibbosa D’Orbigny; Pholadomya Murchisoni Sowerby; Pholadomya ovalis Sowerby. Dai quali elenchi già si vede come siano andate crescendo le analogie tra il piano superiore del gruppo occidentale ed il gruppo orientale. Nel 1896 Lovisato scriveva: « Alla Perdaliana sopra il tria- sico si mette una bella massa di calcare, ricchissima di Phola- domya Murchisoni Sowerby, del Dogger (Giura bruno) od oolite media »; mentre, dopo aver dato per Nurri una serie stratigrafica, che il Tommasi (2) rilevò poi essere doppia più del giusto, per (!) Fucini A., Sopra alcuni fossili oolitici del monte Timilone in Sar- degna. Boll, della Soc. Malac. It., 1899, voi. XX, pag. 150. (2) Tommasi A., Nuovi fossili triassici della Sardegna. Boll, della Soc. Geol. It., 1896, pag. 502, nota. 258 Ci. DAINELLl avere ritenuto sovrapposti l’uno all’altro due spaccati di un’unica serie di terreni che si manifestavano sopra due diversi versanti, diceva del suo piano n° 8, il quale corrisponde a quello fossili- fero della Perdaliana: « 11 n° 8 è il banco più interessante, come quello che contiene una fauna abbastanza ricca di Gervil- liae, di Federi, di Cìiemnitziae e di altri gasteropodi. L’abbon- danza delle Gervilliae e la forma di una di esse che richiama alla mente la G. Borei, porta a pensare al Keuper, cioè al Trias superiore ». È vero però che poco dopo soggiungeva: « Potrà darsi che la determinazione di questa fauna ringiovanisca le for- mazioni di Nurri, che si trovano poi sparse in molti altri luoghi di Sardegna» (1). Ciò che peraltro allora non avvenne, poiché Tommasi. descrivendo da Nurri cinque specie nuove, le ritenne triassiche (2), basandosi, in massima parte, sul dato stratigrafìco, già reso di pubblica ragione dal Lovisato, e comunicatogli anche da Taramelli, che cioè, tale piano fossilifero a Gervilliae fosse sottoposto al piano a Nerineae. Finalmente Pampaioni, nella sua nota preventiva sui ter- reni carboniferi di Seui, ed oolitici della Perdaliana, citava da questa località un discreto numero di fossili, che egli ritenne appartenenti al Batoniano, nella quale opinione anch’io con- vengo, e cioè:. Natica sp.; Ostrea Perdalianae Meneghini; * Ostrea costata Sowerbv; Lima sp.; Pteroperna costata Deslongchamps ; Mytilns laitmarensis De Loriol; * Mytilus aequiplicatus Strombek; Modiola imbucata Sowerby ; Modiola Sowerbyana Bromi; Lucina Bellona D’Orbigny; * Lucina Bellona var. depressa D’Orbigny; Cardium n. sp.; O Lovisato D., Nuovi lembi mesozoici in Sardegna, pag. 431. (2) Tommasi A., Op. cit., pag. 502. POSSILI B ATONI ANI DELLA SARDEGNA 259 Card rum sp.; * Cardimi subt rancatimi D’Orbigny; Pholadomya Murchisoni Sowerby ; Pholadomya ovalis Sowerby ; Goniomya n. sp. ; Arcomya Schardti De Loriol; Pinna c un rata Phillips; Astarte excavata Sowerby; * Astarte Gardnen Lor. ; Astarte scalaria Romer; * Grcsslya Meneghini Fucini : Ceromya concentrica Sowerby ; Corymia lens Agassiz ('). Trattandosi eli una nota preventiva, su materiali paleonto- logici, che sono stati poi studiati da me, ho riportato anche i fossili non determinati specificamente, che sono invece stati tra- lasciati nelle citazioni precedenti di altri autori; aggiungerò che le specie contrassegnate con un asterisco non sono state da me ritrovate in schaedis, e nemmeno fossili i quali a quelle potes- sero attribuirsi; delle altre, in massima parte giustamente de- terminate, ad alcune mi è parso di dover cambiare il nome, come si vedrà dalle sinonimie delle singole specie. Già lo studio della fauna raccolta dal Pampaioni era da me condotta a termine, quando nuovi contributi sono stati por- tati alla geologia della Sardegna, ed in particolare all’argo- mento che ci interessa più da vicino; ed è opportuno qui ri- portarli integralmente. Il prof. Tornquist infatti ha scritto assai di recente: «Nella regione dei Tonneri e dei Tacchi la serie stratigrafica è do- vunque quasi la stessa, ed i profili delle singole alture facil- mente si riconoscono uguali. Dalle loro creste è stato descritto il Trias prima da La Marmora, poi da De Stefani, Lovisato e da Tommasi. Il mio viaggio si è limitato alla visita della ma- ravigliosa torre della Perda liana, del Monte Tonneri tra Seni (:) Pampaioni L., Op. cit., pag. 347. 260 G. DA1NELI.I e Villagrande, delle vicinanze di Nurri e della Corona La Guardia, Punta Carradore, del margine occidentale del potente Plateau del Sarcidano, lungo più di 20 chilometri. In tutti questi monti, lontani l’uno dall’altro, riscontrai facilmente iden- tici profili, ma in nessuno il Trias » (’). Poi più oltre egli ag- giunge: « Che alcuni di questi strati appartengano alla forma- zione triassica, appare verosimile in seguito alla comunicazione di De Stefani (2); egli cita la presenza di Equisetum, Volt zia; nomina il Pecten cfr. fdosus Hau., H.alóbia Lomrneli Wissrn., H. simplex Geni., fìaonella styriaca Mojs., e crede di dover ritenere appartenente al Trias superiore un certo numero di fossili riconosciuti giustamente giurassici fin da La Marmora. Tutte queste affermazioni e pretesi ritrovamenti sono però in- certi ed errati. — Più tardi Tommasi ha descritto e figurato (:i), come del trias superiore, — non più recenti del Raibliano, — alcuni fossili trovati dal prof. Taramelii presso Nurri. Però le Gervillie ed i Gasteropodi, che appartengono non alle Undula- riae, ma alle Nerineae, sono indubbiamente più giovani » (*). Più oltre ancora Tornquist, in questo d’accordo cogli autori pre- cedenti, pone, nel profilo di Nurri, lo strato a Nerineae supe- riore a quello a Gervilliae; è ad osservare però che il Torn- quist, il quale pure era stato avvertito per lettera, non ricorda che la sua rettificazione per l’età dei calcari era già stata fatta dal Pampaioni, e attribuisce l’indicazione di Halobiae e Dao- nellae triassiche, fatta dal De Stefani, ai Tacchi o Tonneri, mentre invece furono indicate altrove, presso Alghero. In se- guito a questo lavoro del geologo tedesco, il prof. Lovisato ha pubblicato una breve nota (5), nella quale ribadisce l’antica sua opinione che a Nurri si abbia il Trias, aggiungendo che i cal- cari della Perdaliana ne sono ben differenti, tanto che essa è (’) Tornquist A., Ergebnisse einer Bereisung cìer Insci Sardinien, Sitzungsb. d. k. preuss. Akad. der Wissensch., 35, 1902, 10 juli, pag. 320. (2) De Stefani C., Cenni preliminari, ecc., pag. 42 e seg. (3) Tommasi A., Nuovi fossili triassici, ecc. (4) Tornquist A., Ergebnisse, ecc. pag. 14. (5) Lovisato D., Appunti ad una nota del sig. D.r Tornquist sulla geologia della Sardegna. Remi, del R. Ist. Lomb. di Se. e Lett. Serie 2% voi. 36, 1903. FOSSILI BATONI ANI DELLA SARDEGNA 261 già stata riconosciuta colitica dal Fucini (!); egli pertanto sul Tonneri di Seni non ha mai stampato una parola, nè mai vi ha riconosciuto il Trias. Sulle idee del prof. Lovisato abbiamo già abbastanza detto in precedenza, nè importa per adesso aggiungere altro, non avendo egli nella sua nota portati fatti ed osservazioni nuove. Che Lovisato e Tommasi credano triassico il calcare di Nurri è certo, come ancora vedremo, avendo il primo di questi autori confermata sempre tale sua idea, ed il secondo non avendo pub- blicato più niente sull’argomento, dopo il lavoro paleontologico già citato; ma affermare che anche I)e Stefani è oggi dello stesso parere, è inesatto; certo lo è stato in altri tempi, ma non lo è più da un pezzo. Citati così, esattamente, i varii pareri che dagli autori sono stati espressi sopra l’età e sopra le faune dei terreni in que- stione, presentiamo pertanto l’elenco dei fossili da noi studiati, dei quali faremo seguire le descrizioni : P. T. Rhynchonella cfr. subobsoleta Davidson ; P. T. Ostrea Perdalianae Meneghini; P. T. Placunopsis Pampalonii n. sp. ; P. Lima semicircularis Groldfuss : P. Lima gibbosa Sowerby; P. T. Pecten lens Sowerby; P. Pecten sp.? T. P. Pteropema costatala Deslongchamps; P. Pteropema Fucinii n. sp. ; P. Mytilus laitmarensis De Loriol; P. Modiola imbucata Sowerby; P. T. Modiola Soioerbyana D’Orbigny ; P. Pinna Pistoni n. sp. ; T. Arca 2 sp.; P. Leda C occhi i n. sp.; P. Trigonia pullus Sowerby; P. Astarte cfr. excavata Sowerby; P. Astarte Rime n. sp.; P. T. Lucina Fellona D’Orbigny; (!) Fucini A., Sopra alcioni fossili, ecc. 262 G. DAI SELLI P. Lucina cfr. despecta Phillips; P. T. Cardium Tommasit n. sp. ; P. Isocardia Lovisatoi n. sp. ; P. T . Pholadomya texta Agassi z; P. Pholadomya Murchisoni Sowerbv; P. Pholadomya ovulum A gassi z? P. Pholadomya socialis Morris et Lycett?; P. T. Homomya Vczeìayi Lajoye ; P. Homomya laitmarensis De Loriol: P. Arcomya Meneghina n. sp. ; P. T. Ceromya concentrica Sowerbv : P. Ceromya striata D’Orbigny; P. Thracia lens A gassi z: P. Thracia efr. Lovisatoi Fucini: T. T rodi us? n. sp. ; P. Pileolus Canova rii n. sp.; P. Natica? par thenica Meneghini; P. Natica cfr. grand is Goldfuss; P. Bostellaria cfr. trifola Phillips. Ho contrassegnate con un P le specie provenienti dalla Per- daliana, e con un T quelle del Tacco di Seui. La fauna giurese da me studiata sarebbe veramente più ricca di quel che non apparisca dal breve elenco che precede; ma a me è parso prudente cosa, onde evitare facili errori, limi- tarmi alla descrizione e determinazione di quegli esemplari, che meglio conservavano i loro caratteri, trascurando numerosi nu- clei, e parziali impronte, che, non potendosi attribuire ad alcuna delle specie precedenti, non potevano con sicurezza riferirsi ad altre forme già note, nè permettevano d’altra parte di descri- verle come specie nuove, poco attendibili e probabilmente non durature. Questa fauna conta un solo Brachiopode, nessun Cefa- lopode, pochi Gasteropodi, ed in cambio numerosi e abbondanti Lamellibranchi, i quali appunto danno alla fauna stessa il suo carattere, come già osservò De Loriol per i fossili degli strati a Mytilus delle Alpi di Vaud, da lui descritti (’). (*) (*) De Loriol P., E tu de pale'ontologique des Couches à Mytilus des Alpes Vaudoises. Móni, de la Soc. Paléont. Suisse, 1883, voi. X, pag. 91. FOSSILI 15A TONI ANI DELLA SARDEGNA 263 Le specie che hanno più numerosi rappresentanti sono YOstrea Pcrdalianae Meneghini, la Pteroperna costatala Deslongchamps, la Modi ola 'embricata Sowerby, la Lucina Bellona D’Orbigny, la Pholadomya texta Agassis, la. Homomya Vezelayi Lajove e la Ceromya concentrica Sowerby; 0 sono le forme che abbiamo riconosciute come nuove, 3 quelle per le quali non è stato pos- sibile nemmeno un semplice ravvicinamento specifico, ma che pertanto abbiamo descritto, perchè ci pareva offrissero un certo interesse, in specie le due Arcae sp.; 8 abbiamo riunite dubbiosa- mente a specie già note, con molta probabilità pertanto che il ravvicinamento potrebbe mutarsi in vera e propria determina- zione, perchè in parte già riconosciute dal Meneghini e dal Fu- cini nei terreni giuresi sardi, come la Rhynchonella cfr. subob- soleta Davidson, la Thracia cfr. Lovisatoi Fucini, la Natica cfr. grandis Gloldfuss e la Rostellaria cfr. tri fida Phillips. Re- stano dunque 18 specie, dalle quali se si toglie la Ostrea Pcr- dalianae, che per essere descritta come nuova dal Meneghini, non ha per ora valore cronologico, si hanno infine 17 specie, che ci danno buon argomento per la determinazione dell’età di questi terreni sardi ; di esse le seguenti sono caratteristiche del Bato- niano, o parte superiore del Giura inferiore : Pteroperna costatala Deslongchamps; Mytilus laitmarrnsis De Loriol; Modiola embricata Sowerby; Modiola Soiverbyana D’Orbigny; Trigonia pullus Sowerby ; Homomya Vezelayi Lajoye ; Homomya laitmarrnsis De Loriol; Ceromya concentrica Sowerby ; Ceromya striata D’Orbigny; Thracia lens Agassiz; e le altre, pur ritrovandosi in piani rispettivamente più antichi o più recenti, sono tutte state riconosciute anche nel Batoniano ; per questo il presente studio dei materiali paleontologici rac- 264 G. DAINELLI colti dal Parapaloni conferma in tutto le sue deduzioni crono- logiche, da lui espresse nella già citata nota preventiva (’). Per non entrare in una questione troppo difficile ed intri- cata, non cercheremo adesso di chiarire se vi sieno in Italia terreni coevi al nostro, per quanto paleontologicamente e forse litologicamente differenti ; solo si potrebbe trovare un equiva- lente negli strati a Posili onomya alpina, tanto comuni nella regione alpina e subalpina ed in Sicilia, se pur si ammette, ciò che non sembra davvero deciso, che essi rappresentino la parte superiore del Giura inferiore, come vuole, tra 'gli altri, Lapparent (?). Diremo però che in Italia nessun lembo è cono- sciuto, la cui fauna presenti i caratteri di quella della Perda- liana e del Tacco di Seni da noi studiata; sì che tra tutte le specie che abbiamo citate, la sola, crediamo, Lima semicircu- laris Goldfuss è stata riconosciuta precedentemente in terreni italiani (3), cioè al Capo S. Vigilio, a Rossano ed al Monte Foraporta. Invece la nostra fauna, come già osservava Fucini per quella del Monte Timilone (4), trova esatto riscontro solo nei terreni sincroni dell Inghilterra, della Germania, della Fran- cia; e, aggiungeremo noi, in quelli della penisola iberica e in (nielli a Mytilus della Svizzera, dopo che De Loriol illustrò paleontologicamente i terreni batoniani delle Alpi di Vaud (3); infatti questi hanno a comune coi nostri le seguenti specie: Thracia lens Agassiz; Ceromya concentrica Sowerby ; Pholadomya texta Agassiz; Homomya laitmarensis De Loriol; Mytilus laitmarensis De Loriol; Modiola imbucata Sowerby; p) Pampaioni L., Op. cit., pag. 348. (2) De Lapparent A., Traiié de Geologie, 1900, 4" édition. (3) Vacek M., Ueber die Fauna der Oólithc von Cap S. Vigilio, 1886,. pag. 110. — Greco B., Fauna della sona con Lioceras opalinum di Ros- sano. Palaeont. it., 1898, pag. 107. — Greco B., Fossili oolitici del Monte Foraporta. Palaeont. it., 1899, pag. 116. (*) Fucini A., Sopra alcuni fossili oolitici del Monte Timilone, p. 153. (5) De Loriol P., Op. cit. FOSSILI BATONI ANI DELLA SA KDEGNA 265 Modiola Sowerbyana D’Orbigny; Pteropema costatula Deslongchainps; Lima semicircularis Goldfuss (?) ; ma, sopra tutto importante, il carattere generale della fauna, ed anche, si può aggiungere, il carattere litologico. Abbiamo detto sul principio che Meneghini credeva assai più legati tra loro i due piani del gruppo occidentale, che non il superiore di essi col gruppo orientale; ed abbiamo anche sog- giunto essere nostro parere che si verifichi invece il fatto op- posto; adesso infatti, che abbiamo riportato i varii elenchi di fossili studiati successivamente dal Fucini e da noi, si vede che le analogie del piano superiore del gruppo occidentale con quello sottostante sono rimaste inalterate, cioè piccolissime, mentre quelle col gruppo orientale sono sensibilmente accresciute. Onde meglio ciò resulti, facciamo seguire la nota completa delle specie riconosciute tanto nel livello superiore occidentale, quanto nel gruppo orientale, da Meneghini, da Fucini, e da noi stessi, avvertendo però che le determinazioni del Meneghini, in mas- sima parte certamente giuste, meriterebbero forse, per i progre- diti studii paleontologici, una revisione (l). Dall’elenco a pag. 2(38 e 269 si vede dunque che undici sono le specie comuni al gruppo orientale ed al piano superiore del gruppo occidentale: numero invero non molto grande in con- fronto a quello complessivo ; ma quando si pensi che tra queste undici specie, non poche sono proprie del Batoniano, e che tra le altre, finora trovate solo nel piano superiore del gruppo occi- dentale, quattro almeno sono caratteristiche forme batoniane, e delle rimanenti solo poche, il Pecten disciformis Schubl., il Pecten cingulatus Phill., il Cardium subtruncatum d’Orb., appartenenti al Lias, crediamo poterne dedurre il sincronismo dei due terreni presi in esame. Giunti al termine di queste osservazioni, crediamo opportuno aggiungere poche parole sopra gli strati di Narri, che abbiamo (') Quando avevo già terminato la presente nota, potei vedere i fossili già studiati da Meneghini e conservati nel Museo Geologico della Università di Pisa; ed in seguito a questa visione potei lievemente mo- dificare alcune delle mie osservazioni presenti. G. DA1NELLI 266 veduto essere ]*er lo più, finora, ritenuti triassici, e dai quali Tommasi descrisse alcuni fossili, tutti appartenenti a specie nuove ('). Fucini, descrivendo dal Monte Timilone una Ger- villia? sp. ind., osserva in fine «Questa specie ha delle rasso- miglianze con alcune forme di Gerviìlia che si raccolgono presso Narri in terreni che passano per triassici (2) ». La quale espres- sione sembra ammettere un dubbio appunto sull’età triassica di quei terreni ; e non a torto, perchè infatti tra le raccolte del Museo geologico fiorentino, abbiamo riconosciuto, nei campioni provenienti da Narri, la Pteropema costatala Deslongehamps (3), specie presente anche alla Perdaliana, al Tacco di Seni e al Monte Ai vara, e finora ritenuta caratteristica del Batoniano. Per quanto la roccia apparisca in alcuni nostri campioni come un vero impasto di fossili, non crediamo possibili altre deter- minazioni specifiche: si riconoscono dei modelli e dei nuclei di Trochus sp., e di Pleurotomaria sp., ed una piccola Rhyncho- nella, la quale non è certamente la subobsoleta Davidson, ma presenta invece grandi analogie colla retrosinuata Vacek (4) del Capo S. Vigilio. Per la sola presenza della Pteropema costatala Deslongehamps si può dunque ritenere il così detto calcare a Gerviìlia (5) di Nurri assai più giovane del Trias, come incli- nava già a credere il De Stefani, dopo averlo prima riferito al Triassico. Ma ad avvalorare questo riferimento, possiamo uscire dal campo strettamente paleontologico, ed entrare un poco in quello stratigrafico : Tommasi (,:) deduce l’età triassica, portando come primo e più importante argomento, l’essere quegli strati sottoposti ad un calcare a Nerincae; condizione stratigrafica ch’egli ammette dietro la comunicazione, invero, molto autore- vole di Taramelli, e che già Lovisato aveva riconosciuta nel suo profilo, cui abbiamo accennato, riconosciuto dal Tommasi più che doppio. Senonchè Pampaioni invece, tanto alla Perdaliana, che al Tacco di Seni, ed anche a Nurri osservò nella succes- (') Tommasi A., Op. cit. (*) Fucini A., Fossili oolitici del M. Timilone, pag. 155. (3) Vedi la presente nota a pag. 281 e seg. p) Vacek M., Op. cit., pag. 61, tav. 20, fig. 17-10. (5) Lovisato D., Nuovi lembi, pag. 431. (,!) Tommasi A., Op. cit., pag. 502. FOSSILI BATON'lANl DELLA SARDEGNA 2tì7 sione degli strati una condizione affatto opposta, cioè il calcare a Nerineae sottostante a quello a Gervillia o a Mytilus che dir si voglia ('). Ed avendolo interrogato di proposito, mi ha confermato il suo asserto, dicendo essere tale condizione evi- dentissima, mentre, d’altra parte, bisogna escludere qualunque supposizione di un rovesciamento, data la stratigrafia assai sem- plice delle località citate ; e di questo parere era pure divenuto sicuro il De Stefani dopo il Congresso della Società geologica in Sardegna. Il Museo geologico fiorentino possiede, dalla Per- daliana e dal Tacco di Seni, numerosi campioni di quel calcare a Nerineae ; diremo anzi che queste formano localmente una vera e propria lumaehella, e che corrispondono perfettamente alla Nerinea Vecchio, ben descritta e ben figurata dal Mene- ghini ('). Accettando dunque, come credo di fare, il profilo del Pampaioni, ammesso pure dal De Stefani, si vede che i cal- cari a Gercilliae, superiori a quelli a Nerineae (da tutti giu- stamente ritenuti giuresi), devono di conseguenza essere giuresi pur essi. Così, dopo quanto sono andato esponendo, mi pare che dalle presenti osservazioni si possa concludere, che gli strati a Mytilus della Perdaliana e del Tacco di Seui sono batoniani, e come tali costituiscono l’equivalente meridionale degli strati a Mytilus delle Alpi di Vaud, come già aveva riconosciuto il Pampaioni ; che a quelli, cioè al gruppo orientale, deve essere sincrono, contrariamente all’opinione del Meneghini, il piano superiore del gruppo occidentale, come provano le determinazioni paleonto- logiche del Meneghini stesso, del Fucini e nostre; che anche il calcare a Gervilliae di Nurri, dai più ritenuto triassico, è certamente giurese, e probabilmente batoniano; e che quindi infine tali terreni in Sardegna sono molto estesi, come del resto, anche i costanti profili stratigrafici permettono di supporre. (') Pampaioni L., Op. cit., pag. 431. (■') Meneghini G., Pah de Vile de Sard , pag. 230, tav. E, fig. 6. 268 G. DAINELLI Numero d’ordine NOME DELLE SPECIE 0t * U c£ OT •g'S c OC .2 a o t s o o cn c §♦; a, I & g Meneghini 1 z £ .1 1. Waldheimia Ippolitae Di Stefano? = Terebratulci punctata (non Sowerby) (')• 2. Terebratuìa ornithocephala Sowerby 3. » simplex Back — 4. » Lamarmorae Meneghini H- -4- 5. » ovoides Sowerby -1- -4- 6. » sardoa Meneghini 7. » timilonensis Fucini . , 8. Jihynehonella Erycina Di Stefano? -f- = lì. tetraedro (non D'Orbigny) (*). 9. Rhynchonella concinna D’Orbigny "4— 10. » subobsoleta Davidson ? (*) -4— — , — 11. Ostrea Perdalianae Meneghini 4~~ 12. » obliqua Lamarck -4— -4— 13. Placunopsis Pumpalonii Dainelli 14. Lima Hector D'Orbigny : 15. » semicircularis Goldfuss -r- 16. » gibbosa Sowerby 17. Pecten disci forum -f- -4- 18. » lens Sowerby 19. » cingulatus Phillips 4- 20. Pteroperna costatula Deslongchamps -t- — 21. » F'ucinii Dainelli -t- 22. Mytilus laitmarensis De Loriol -4- 23. Modióla Sowerbyana D’Orbigny H- 24. » cfr. cuneata Sowerby — f— -S- 25. » imbricata Sowerby -H- 26. Pinna cfr. cuneata Phillips -h 27. » Ristorii Dainelli 28. Leda Cocchii Dainelli 29. Trigonia pullus Sowerby -+■ 30. Astarte cfr. excavata Sowerby *4" (*) Vedi per la correzione: Fucini etc., Monte Timilone , pag. 152. (2) Vedi la presente nota a pag. 270. FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 269 a? a - o NOME DELLE SPECIE •°3 'o a; o o £ O 7Ì p, o 8< 9 6 •9 ^ % I T3 1 31. Astarte Bivae Dainelli — * — -4- 32. Lucina Bellona D'Orbigny 4- -4- 33. » cfr. despecta Phillips — 34. Cardium subtruncatum D'Orbigny -4- 4- 35. » Tommasii Dainelli -t- 36. Isoeardia Lovisatoi Dainelli H- -4- 37. Pholadomya Murchisonii Sowerby 4- -+- 38. » ovalis Sowerby 39. » texta Agassiz 40. » ovulum Agassiz? -4- 41. » socialis Morris et Lycett? -4“ 42, Homomya laitmarensis De Loriol -4- 43. » Vezelayi Lajoye -4" — Myacites Vezelayi (nonM. L.) Men.(’). 44. Arcomya minima Fucini -4- -+■ 45. » Meneghina Dainelli -+- *4— = Panopaea gibbosa (non D’Orb.) Men. = Goniomya gibbosa (non D’Orb.) Fuc.(2). 46. Cevomya striata d’Orbigny -4- 4- -+- 47. » concentrica Sowerby -4- -+- 48. Gresslva Meneghina Fucini — HK 49. Thracia (?) Lovisatoi Fucini -+- -f- -4- 4- 50. Cercomya pinguis Agassiz -H 51. Thracia lens Sowerby 52. Throchus (?) (3) n. sp — t— -4- 53. Pileolus Conavarii Dainelli -4- -4- 54. Natica (?) parthenica Meneghini (3) 4- -H- -4- -4- 55. » grandis Miinster -1- 56. Rostellaria trifida Morris et Lycett «... 4- -4- 57. Berenicea verrucosa D’Orbigny -4- -4- 58. Hypodiadema Lamarckii Desor -4- -+- (*) Vedi la presente nota a pag. 321. (2) Vedi la presente nota a pag. 324. (3) Vedi la presente nota a pag. 339. 20 Gruppo orientale 270 G. DAINELEI DESCRIZIONE DELLE SPECIE. Rhynclionella cfr. subobsoletà Davidson 1853. 1857. Rhynchonella subobsoletà Davidson. — Meneghini, Pai. de Sarà., pag. 273, tav. E, fig. 20, a, b, c. Conchiglia gibbosa, suborbicolare, con tendenza a divenire triangolare; l’ornamentazione consiste in coste radiali, più o meno numerose secondo gli individui, grandi, ottuse, angolose, separate da solchi anch’essi angolosi sul fondo. La valva dor- sale, la più grande, ha l’umbone triangolare, forte, prominente, poco ricurvo ; il forameli è circolare ed ampio ; i margini sono sinuosi, presentando la valva dorsale una depressione mediana più o meno pronunziata. La valva ventrale è regolarmente ri- gonfia; vista la conchiglia dal bordo inferiore mostra una pic- colissima asimmetricità, visibile però solo ad un’acuta osserva- zione. Dimensioni approssimate di due esemplari: altezza 16-25 circa mm. ; lunghezza 17-27 circa mm.; rilevatezza delle due valve 10-? mm. Abbiamo un piccolo esemplare completo, ma mal conservato della Perdaliana, ed una parziale impronta esterna proveniente dal Tacco di Seui ; di essi non possiamo dare nè una descri- zione precisa e minuta, nè una determinazione sicura, non po- tendoli opportunamente paragonare con le specie vicine. Quel che crediamo certo, si è che i nostri due esemplari apparten- gono alla specie che Meneghini ha trovato tanto abbondante alla Perdaliana, si da potervi riconoscere tre forme diverse ; ma di questa specie non osiamo nè sostenere nè variare la determi- nazione, anche in vista della straordinaria variabilità che essa presenta. Il nostro esemplare più piccolo e meglio conservato si avvicina, od anche si identifica, alla forma distinta da Mene- ghini colla lettera b; la nostra parziale impronta esterna pre- senta invece grandi analogie colla forma c; si noti però che FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 271 questa, nella sinuosità del bordo e nel valore della depressione mediana dorsale, si avvicina assai più alla Iiliynchonelìa obsoleta Sowerby (vedi Davidson. Mon. Brit. Brach., voi. 1, pag. 90, tav. 17, fig. 1-5) che alla subobsoleta Davidson (voi. 1, pag. 91, tav. 17, fig. 14); e lo stesso suo aspetto generale, subquadran- golare trova riscontro in una forma di obsoleta Sowerby, che Davidson stesso figurò in seguito (voi. 4, pag. 207, tav. 29, fig. 4). Da ciò ne resulta, che, se le specie di Sowerby e di Davidson sono veramente diverse, forse tutte e due hanno riscontro nei fossili della Perdaliana studiati da Meneghini, e forse, si può aggiungere anche nei nostri; ma se quelle due specie non ne formassero che una sola, come inclineremmo a credere, data la grande variabilità di forma e la grande diffusione verticale e orizzontale della Bhynconella obsoleta Sowerby, sarebbe giusto l’aggruppamento unico fatto dal Meneghini, ma andrebbe ab- bandonato il nome di Davidson per quello più antico di Sowerby. Del resto, amiamo ripeterlo, stante il cattivo stato di conservazione dei nostri fossili, e l’impossibilità di fare diretti confronti colla Rhynchonella subobsoleta Davidson, specie mai più citata a quel che noi sappiamo, ci limitiamo adesso semplicemente ad affer- mare che i nostri esemplari appartengono alla stessa specie degli individui studiati da Meneghini, senza però poter decidere quale sia poi questa specie. Ostrea Perdalianae Meneghini 1857. 1857. Ostrea Perdalianae — Meneghini, Pai. de Vile de Sarà., pag. 218, 263, tav. E, fig. 17, a-d. 1900. » » Meneghini. — Pampaloni, Terr. carb. di Seui e ool. della Perd., pag. 347, 348. » » costata (non Sowerby). — Pampaloni, idem., pag. 347. Conchiglia orbicolare o quasi, poco rigonfia; gli ornamenti consistono in una serie di grosse coste radiali che si dipartono dall’umbone ed occupano il centro della conchiglia ; esse sono rilevate, forti, acute, a sezione triangolare, separate da solchi profondi, ed in numero vario, ma che quasi sempre è di 7. 272 Cr. DAINELL1 Altre coste radiali si trovano lateralmente a queste prime, più piccole, meno rilevate, più fitte, ed oblique e leggermente diver- genti; esse sono in numero di 8 sulla regione boccale, e di 6 su quella opposta; si può osservare anche una leggiera stria- tura concentrica. L’umbone è poco rigonfio in ambedue le valve, prominente e rivolto verso il lato bocoale in quella inferiore, punto prominente e solo leggermente piegato in quella opposta; il bordo cardinale è in genere arrotondato, mostra però sotto rumbone, sul lato anteriore una piccola concavità. Dimensioni: altezza 22 mm. ; lunghezza 23 mm.; rilevatezza di una valva 3 mm. Meneghini, avendo a propria disposizione esemplari nume- rosi e ben conservati, ha potuto dare di questa specie una de- scrizione assai minuta; noi ne possediamo varii individui, abba- stanza ben conservati, ma che non ci mostrano nessun nuovo carattere, e neppure tutti quelli citati dal Meneghini. Diremo che i più e migliori nostri esemplari si identificano alla prima delle quattro forme distinte, nella medesima specie, dal Mene- ghini stesso, cioè a quella che chiama « forme orbiculaire ou presque orbiculaire ». Altri individui, per lo più pervenutici non interi, nei quali le coste sono assai più robuste e rilevate, e nello stesso tempo più rade, si avvicinano alla terza forma « à cótes moins nombreuses » ; le altre due forme, « élargie » e « allongée » non hanno rappresentanti tra i nostri fossili. Me- neghini pone la sua Ostrea Perdalianae vicina alla Ostrea Gre- garea Sowerby (Min. Conch., voi. 2, pag. 19, tav. Ili, fìg. 1, 3); ora, essendo carattere di questa un rilievo centrale dal quale si dipartono ai due lati le coste, divergenti e penniformi, non ci sembra possibile un ravvicinamento; tanto più poi che la forma, nella specie di Sowerby, è marcatamente allungata. È pur vero che lo è meno l’esemplare figurato da Morris e Lycett ( Great Gol., p. 4, tav. 1, fìg. 2), sul quale ha basato Meneghini il suo paragone, e che ha qualche maggiore analogia con la forma 3\ a coste meno numerose, dell 1 0strea Perdalianae ; ma si noti che quegli autori lo citano non come individuo tipico, ma come va- rietà. Notisi poi che tale esemplare ha una estrema analogia FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 273 e quasi identità con uno figurato da De Loriol {Et. pai. des eouches à Mytilus des Alpes Vaudoises, pag. 77, tav. 11, fig. 25) come di Ostrea costata Sowerby, ma al quale segue la nota : « Individu douteux, voisin, à certains égard, de quelques va- riétées de V Ostrea costata, mais appartenant probablement à une autre spèce, que je n’ai pu préciser ». Vicina del resto alla Ostrea Perdalianae Meneghini, ma pur differente, è anche la costata Sowerby; ciò che non appare tanto dalle figure originali del suo descrittore (Sowerby, Min. Conch., voi. 5, pag. 143, tav. 488, fig. 3), quanto da quelle di De Loriol ( op . cit., tav. 11, fig. 8-18) e più da quelle di Morris e Lycett ( Great Ool., tav. 1, fig. 5, oa ; Sappi, moli., tav. 34, fig. 3), alle quali ultime in spe- cie si avvicina un nostro esemplare. Località: S. Giorgio, Piscina del Soldato, Tessili (Sardegna). Noi l’abbiamo anche dal Tacco di Seni. Placunopsis Pampalonii n. sp. (Tav. XII, fig. 6). Piccola conchiglia orbicolata, più alta che lunga, rigonfia, della quale abbiamo solo due valve superiori ; si presenta molto regolare nella rigonfiezza, massima poco sopra la parte centrale, e neH’andamento dei bordi. L’umbone è piccolo, marginale, acu- minato; si notano alcune piccole crenellature corrispondenti al bordo interno della conchiglia; al centro poi della superficie interna si osserva una linea circoscrivente uno spazio piuttosto grande, irregolarmente suborbicolare. Sono presenti alcuni fram- menti di conchiglia che appare translucida, leggermente madre- perlacea e iridescente. La superficie esterna è apparentemente liscia. Dimensioni: altezza 9 mm.; lunghezza 7,5 mm.; rilevatezza della valva superiore 1,7 mm. La Placunopsis social is Morris e Lycett ( Great Ool., pag. 7, tav. 1, fig. 9 a), del Batoniano inglese, è molto vicina, ma più orbicolare, più depressa ed ornata di caratteristiche coste radiali, intersecate da altre concentriche, più deboli. La Placunopsis sp. 274 G. DAINELLI descritta dal Meneghini ( Pai. de Vile de Sard ., pag. 262, tav. E, fig. 16) è ancora più diversa, come si può ben vedere, osser- vandone la figura. Dei due nostri esemplari uno proviene da Tacco di Seui. Lima semicircularis Goldfuss 1833. 1833. Lima semicircularis — Goldfuss, Petr. Germ., pag. 83, tav. 101, tig. 5. 1847. Plagiostoma » Goldfuss. — Quenstedt, Wùrtt., pa- gina, 477. 1848. » » » — Bronn, Ind.pal., pag. 986. 1848. Lima » » — Bronn, idem , pag. 648. 1850. » » » — D'Orbigny, Prodr. str., voi. 1, pag. 283, ét. 10, n.° 396. 1853. » » » ? — Morris e Lycett., Great. Ool , pag. 29, tav. 3, fig. 3, a. » » » » — Cjiapuis e Dewalque, Foss. sec. Lux., pag. 202, tav. 30, fig. 5. 1858. » » » — Oppel, dura forni., pa- gina 415. 1858 . Plagiostoma semicircuìare » — Quenstedt, Jura, pagi- na 629, 755. 1883. Lima cfr. semicircularis » — De Loriol. Coucli. a Myt. Alp. Vaud ., pag. 71, 91, tav. 10, fig. 1-4. 1885. » » » — Zittel, Palaeozool., voi 2, pag. 26. 1886. » » » — Vackk, Ool. von Cap. S. Vigilio, pag. 110, ta- vola, 19, fig. 1, 2. 1886. » » » — I)e Gregorio, S. Vigilio, pag. 20, tav. 12, fig. 27, 31, 32. 1888. » » » — Gioi.i, S. Vigilio e Monte Grappa, pag. 16. 1893. » » » — Botto-Micca, M. Grap- pa, pag. 173. 1894. » » » — Peticlerc, Baj.inf., pa- gina, 8S. FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 275 1894. Lima cfr. semìcircularis 1895. » » 1898. » » 1899. » » 1899. » » 1900. » » Goldfuss. — Fucini, Noi. pai. ool. in Sarà., pag. 122. » — Greco, Ool. inf. di Ros- sanoi, pag. 233. » — Greco, Fauna di Ros- sano, pag. 107. » — Greco, Dogg. inf. al M. Foraporta, pag. 69. » — Greco, Foss. ool. al M. Foraporta, pag. 116. » — Pampaloni, Terr. cari). di Seni ed ool. della Perd., pag. 347. Conchiglia ovale-irregolare, un poco trasversa, alquanto più alta che lunga, non molto rigonfia, inequilatere; la regione boc- cale è poco espansa, quasi tronca, limitata da un bordo retti- lineo, obliquo in basso e in avanti ; la regione opposta è più sviluppata, e termina ad un bordo convesso, che si collega con quello inferiore, regolarmente arrotondato. Le orecchiette, che sono poco sviluppate, non sono visibili nel nostro esemplare; gli amboni triangolari poco rilevati. La superfìcie è tutta quanta ricoperta da coste radiali, numerose (circa 50), e fitte (circa 2 in un mm,); esse sono ben nette e rilevate, quasi rettilinee, in specie verso il centro della conchiglia, separate da solchi, non molto profondi, ma ben delimitati ; su di esse si osserva poi una finissima striatura trasversa, concentrica. Dimensioni, in parte approssimate: altezza 18 mm. circa; lunghezza 14 mm. circa; rilevatezza di una valva 2,5 mm. Chapuis e Dewalque ritengono la Lima semìcircularis , citata da Morris e Lycett, diversa dalla specie di Goldfuss; De Loriol, pur accettando questa osservazione, e ritenendo i suoi esemplari uguali a quelli di Chapuis e Dewalque, li determina come Lima cfr. semìcircularis Goldfuss, e pone nella sinonimia quelli di Morris e Lycett, e non già quelli di Chapuis e Dewalque. Queste incer- tezze ci inducono a ritenere, almeno provvisoriamente, uguali gli individui di quelle varie località. 276 G. DAINBLI.I Località: Minchinhainpton (Inghilterra); Bayeux, Moutiers, Taunie (Francia); Longwy (Lussemburgo); Natheim (Germania); Laitmare, Vuargny (Svizzera); Monte Timilone (Sardegna); Monte Grappa, Monte Foraporta, Rossano, S. Vigilio (Italia). Specie del Baiociano e del Batoniano. Lima gibbosa Sowerby 1818. 1818. Lima gibbosa — Sowerhy, Min. Condì., voi. 2, pag. 20, tav. 152, fig. 1-2. 1821. Mytilites pseudoc arditivi — Schlgtheim, Petr., pag. 300. 1830 Lima gibbosa Sowerby — Bèghe, Phil. Mag., pag. 350. » » » » — Deshayes, Encycl., voi. 2, pag. 351. 1833. » » » ? — Goldfuss, Petr. Gemi., pag. 86, tav. 102, fig. 10. 1S34. » » » — Thirria, Haute Saune , pag. 12. 1841. » » » — Gressly, Jahrb., pag. 150. 1847. » » » — Zeuschner, Weidisel, pag. 500. 1848. » » » — Bronn, Ind. pai., pag. 645. » Plagiostoma » — Bronn, idem, pag. 985. » Mytilites pseudocardium Schlotheim — Bronn, idem, pag. 770. 8- 1 CO o Lima gibbosa Sowerby — D’Orbigny, Prodr. str., voi. 1, pag. 282, et. 10, n° 386; pag. 312, ét. 11, n°298. 1852. » » » — Bronn, Letti, geogn., pag. 213, tav. 19, fig. 11 a-c. 1853. » » » — Morris e Lycett, tìreat Gol., pag. 28, tav. 3, fig. 7, a. 1855. » » » — Pictet. Trait. pai., pag. 618. 1856. » » » — Orfeo, Juraf., pag. 414. 1858. » » » — Quenstedt, Jura, pag. 435, tav. 59, fig. 14. 1885. y> » » — Zittel, Palaeozool., voi. 2, pag. 27, fig. 23. Conchiglia alta, rigonfia, ovale, leggermente obliqua, inequi- laterale; gli umboni sono rilevati, grossi, triangolari, acuminati, prominenti, contigui, centrali, alquanto piegati verso il lato ante- riore; questo è un poco meno espanso di quello opposto. 11 bordo cardinale è rettilineo, normale all’asse deH’umbone, ed abbastanza lungo; le orecchiette sviluppate; i bordi anteriore e posteriore subparalleli nella loro parte centrale, a curva molto larga, e riuncntisi tra loro per il bordo inferiore, che è molto arroton- FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 277 dato e relativamente stretto. Sotto il bordo cardinale ai due lati deH’umbone vi è una piccola regione depressa, ben distin- guibile dalla parte centrale della conchiglia, per i differenti orna- menti, o meglio per la quasi mancanza di ornamenti; la parte mediana, infatti, è adorna di coste radiali abbastanza numerose, ma variabili nel numero (nel nostro esemplare supponibilmente circa Iti), ben nette, rilevate, arrotondate, quasi sempre retti- linee, disgiunte da solchi, che rappresentano la impronta pre- cisa delle stesse coste; le due parti laterali invece sono prive di questi ornamenti, e presentano, come nel nostro individuo, una striatura normale al bordo cardinale, oppure sono addirit- tura liscie. Dimensioni in parte approssimate: altezza 27 mm,; lunghezza 18 mm. circa; rilevatezza di una valva 5 mm. Alcuni autori, come Morris e Lycett, escludono dalla sino- nimia della Lima gibbosa Sowerby gli esemplari descritti e figu- rati da Goldfuss, perche sono un poco obliqui, e per le coste leg- germente curvilinee; osserveremo che il primo di questi carat- teri è proprio delle forme tipiche, ed il secondo ne è una conseguenza, per quanto non si riscontri sempre; onde accet- tiamo, come giusta, la determinazione di Goldfuss. Località : Cotswold, Taunton, Lue, Ancliff, Minchinhampton (Inghilterra); Niort, Coulie, Moutiers, Dayeux, Fontenay, Na- venne (Francia); Weichsel (Polonia); Spaichingen, Egg, War- tenberg, Aarau, Basel (Svizzera). Specie bajociana e batoniana. Pecten lens Sowerby 1825. (Tav. XII, fi g. 12). 1821. Pecten lens — Sowerry, Min. conch ., voi. 3, pag. 3, tav. 205, fig. 2, 3. 1821. » arcuata — Sowerby, idem, voi. 3, pag. 4, tav. 205, fig- 5, 7. lens Sowerby — - Voltz, Top. Uebers. Min. Bhein., pa- gina 60. 1828. » 278 G. DAINELLI 1830. Pecten lens Sowerby — Zieten, Wùrttemb., pag. 69, tav. 52, fig. 6. » » » » — La Béciie, Phil. Magaz., 7, pag. 349. 1835. » » » — Roemer, Ool., voi. 1, pag. 71, voi. 2, pag. 27. » » Decheni — Roemer, idem , voi. 2, pag. 28, tav. 18, fig. 25. » » lens » — Mandelslocii, Alle de Wiirtt., pag. 25. 1836. » » » — Phillips, Yorksh, voi. 1. pag. 101, 112, 123, 128, 134, 162. » » arcuatus » — Phillips, idem, voi. 1, pag. 101, 162. 1838. » lens » — Fromhekz, Juraform.-, pag. 22. 1840. » » » — Goldfuss, Petr. Gemi., voi. 2, pag. 49, tav. 41, fig. 3. 1843. » » » — Quenstedt, Wiirtt., pag. 337,538, 554. 1845. » » » — D’Okbigny in Murciiison, Russie, voi. 2, pag. 476, tav. 42. fig. 1. 1845. » » » — Bennigsen, Luxenib., pag. 491. 1846. » » » — Rominger, Schweizer Jura, pag. 301. 1847. » » » — Zeutschner, Jahrb ., pag. 500. 1848. » » » — Bronn., Ind. pai. , pag. 926. » » arcuatus » — Bronn., idem , pag. 920. » » Decheni Roemer — Bronn., idem , pag. 922. 1850. » lens Sowerby — D’Orbig.ny, Prodr. strat., voi. 1, pa- gina 341, ét. 12, n° 215; voi. 1, pag. 373, ét. 13, il0 425; voi. 2, pag. 22, ét. 14, n° 355. 1851. » » » — Bronn e Roemer, Leti, geogn., voi. 2, pag. 206, tav. 19, fig. 7, a, b. 1853. » » » — Morris e Lycett, Great. Ool., pag. 11, tav. 2, fig. 1, a. » » arcuatus » — Morris e Lycett, idem, pag. 11, tav. 1, fig. 18. 1856. » lens » — Oppel, Juraform., pag. 607, n° 87. 1857. » » » — Meneghini, Pai. ile de Sard., pag. 218, 260. 1858. » » » — Quenstedt, Jura, pag. 322, 342, 354, 432, tav. 48, lìg. 8, tav. 59, fig. 3, 4. 1885. » » » — Zittel, Pdlaeozool., voi. 2, pag. 29, fig. 29. Conchiglia orbicolare diritta, allungata nel senso del dia- metro umbono-ventrale, poco rigonfia, inequilatera] e a causa delle due orecchiette che sono tra loro differenti; rumbone è svilup- pato, triangolare, prominente, formante all’apice un angolo acuto; FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 279 le orecchiette sono disuguali, poco sviluppate, l’anteriore meno di quella opposta, che forma un angolo quasi retto. La superficie è coperta da sottili coste radiali, nettamente delimitate da solchi stretti ma abbastanza profondi, curvilinee non solo, ma alquanto sinuose; esse mostrano una certa diver- genza caratteristica dall’asse verticale della conchiglia verso i due lati, e, in vicinanza della periferia, spesso si biforcano; sono poi attraversate, in senso ortogonale, da strie fitte e sottili, concentriche, che danno alle coste radiali l’aspetto di serie di granulazioni. Dimensioni: altezza 15 mm. diametro antero-posteriore 14 min.; Elevatezza di una valva 2,5 mm.; apertura delle orecchiette 4,5 mm. Di questa specie abbiamo una sola valva inferiore o destra assai ben conservata, e della quale abbiamo potuto dare una descrizione che concorda in tutto con quelle numerose e colle molte figure, che sono state date, dagli autori, del Pecten lens Sowerby. Meneghini osserva che Morris e Lycett aggiungono come varietà di tale specie il Pecten arcuatus Sowerby ed il Pecten annulatns Sowerby, ed aggiunge che tali due forme sa- rebbero le estreme di una serie continua; ora, veramente Morris e Lycett pongono dubitativamente come varietà il solo Pecten annulatus Sowerby, che però descrivono a parte, e ritengono specie buona il Pecten arcuatus Sowerby, pur citando, con dubbio, che Bronn e Phillips l’hanno voluto sinonimo del Pecten lens Sowerby. Noi però, dopo avere esaminato e confrontato le de- scrizioni e le figure che di queste tre specie sono state date, escludiamo la sinonimia tra il Pecten lens e il Pecten annu- latus, perchè questo ha per carattere costante e normale delle lamelle o pieghe concentriche, assai marcate, che quello non presenta affatto ; del resto, per quanto tale carattere possa essere più o meno accentuato, come dalle varie figure si può vedere, forme vere e proprie di passaggio non esistono, che permettano la riunione delle due specie. Invece il Pecten arcuatus non pre- senta caratteri che lo differenzino dal Pecten lens, come si vede anche leggendo le descrizioni che ne dette Sowerby; infatti il 280 G. DAINEIXI primo è: «orbicular, depresseci, with arched punctnred and di- verging striae upon thè surface; ears large; thè side beneath thè largest is arched»; il secondo: «orbicular, convex; surface marked with diverging arched striae; striae deeply punctured». E la differenza nella rilevatezza, oltreché non resulta affatto dalle figure, può poi dipendere dalle valve, dagli individui, e dalla fossilizzazione; e il Pecten lens stesso, come notano gli autori, ad esempio Morris e Lycett, Broun e Eoemer, Meneghini, è sempre poco rigonfio, anzi spesso depresso, e in ogni modo il suo grado di convessità sembra molto variabile. Il Pecten lens Sowerby ha una assai estesa diffusione oriz- zontale e verticale. Località : Oxford, Chatley Lodge, Kelloway, Scarborough, Malton, Devizes, Dundry, South Cave, Commondale, Brandsby, Glaizedale, Blue-wick, Bilsdale, Yorkshire, Bueks, Bedfordshire (Inghilterra); Inverbrora (Scozia); Sainte-Scolasse-sur-Sarthe, Nantua, Pointe-du-Ché, Loix, ile de Ke, La Kochelle, La Ferté- Bernard, Chàtel-Censoir, Normandie, N avenne, Maas, Calmoutiers, Fallon, Ardennes, Elsasse (Francia); Stranen, Differdange, Breis- gau, Stuifenbcrg, Wisgoldingen, Pfullingen, Eabenstein, Tliur- nau, Banz, Dreixhe, Wettbergen, Galgenberg, Hildesheim, Tonnes- berg, Heersum (Germania); Porrentruy, Goslar (Svizzera); Weicli- sel, Koroshovo, Petschoraland, Caucaso (Bussia); Piscina del Soldato, Perdaliana, Laconi, Tessili, Beivi, Tonara (Sardegna). Per quanto D’Orbigny citi il Pecten lens Sowerby solo nel Calloviano, Oxfordiano e Coralliano, tale specie ha una diffu- sione verticale maggiore, facendo la sua comparsa alla base dei terreni giuresi. Noi abbiamo il Pecten lens Sowerby anche dal Tacco di Seni. Pecten sp? Un frammento di modello di un Lamellibranchio presenta numerose coste radiali, piuttosto rilevate, e acuminate, disgiunte da solchi non molto profondi, ma assai larghi. La valva, alla quale appartenne tale frammento, doveva essere molto rigonfia, da quel che si può da esso argomentare. FOSSILI BATONIAN1 DELLA SARDEGNA 28 L Per quanto tale nostro assai imperfetto esemplare abbia ana- logie con numerose specie di Pecten , poniamo come incerta la sua determinazione generica, perchè si basa su caratteri troppo poveri e troppo comuni. Pteroperna costatala Deslongchamps 1824. (Tiiv. XI, fig. 8, 10; tav. XII, fig. 2, 5). 1824. 1845. 1848. 1853. 1855. 1857. 1808. 1883. 1883. 1885. 1887. 1896. » 1900. Gervillia costatula — Deslongchamps, Mém, Calvari., voi. 1, tav. 5, fig. 3-5. Avicula pólyodon ? Gervillia costatula Pteroperna » Gervillia costulata — Buvignier, Mém. Soc. Verdun., tav. 4, fig. 16. Desi. ? — Bronn, Ind. pai., pag. 529. » — Morris e Lycett, Great. Ool., voi. 2, pag. 18, tav. 2, fig. 8, 13. » — Pictet, Trait. de Pai., pag. 596, tav. 82, fig. 4. Pteroperna » » costatula » » » » » » » costulata Avicula Flumendosai Gervilia De Stefanii Pteroperna costata » — Meneghini, Pai. de Vile de Sard., pagina 215. » — Sauvages, Esp. nouv. baili., pag. 18. » — De Loriol, Et. pai. couches à Myt. Alp. Vaud., pag. 64, 91, 92, tav. 11, fig. 1. » — Se hardt, Et. str. couches à Myt. Alp. Vaud., pag. 140. » — Zittel, Palaeozool., voi. 2, pag. 34. » — Fischer, Man. de Condì., pag. 953. ? — Tommasi, Foss. triass. Sard „ pag. 498, tav. 1 !, fig. 2. ? — Tommasi, idem, pag. 499, tav. 11, fig. 3. Desi. — Pam paloni, Terr. carb. di Seui, ed ool. della Perd., pag. 347, 348. Conchiglia molto inequilatere, trasversa, inequivalve, non molto rigonfia; Tumbone è anteriore, relativamente rilevato al- l’apice, triangolare, grosso, non prominente, obliquo, ma non però ricurvo verso il lato boccale; esso è limitato anteriormente dallo stesso bordo della conchiglia, mentre dal lato opposto que- sta si espande in una superficie piuttosto estesa, ma depressa. La regione boccale è rappresentata da una specie di aletta triangolare, aderente aH’umbone presso al suo apice, rigonfia e corta; oltre la quale il bordo anteriore descrive una leggiera 282 G. DAINELLI concavità, e poi decorre obliquamente al bordo inferiore. Que- sto è arrotondato, corto, e presenta uno sviluppo quasi uguale al margine posteriore, il quale, a una distanza da quello car- dinale, che uguaglia quasi un terzo dell’altezza totale della con- chiglia, dopo una sentita concavità, si piega con una linea retta all’indietro, nella qual direzione si mostra una aletta assai lunga e regolare. 11 bordo cardinale è rettilineo, assai lungo, andando dal vertice dell’aletta anteriore all’apice di quella più svilup- pata posteriore; parallelamente ad esso la conchiglia è ispes- sita, rilevata sul lato interno, e, a metà circa del suo decorso, presenta due piccole fossette (valva sinistra), oblique rispetto al bordo stesso; una serie di 15 fossette oblique ancora meno svi- luppate, che si trovano all’ estremità boccale di un esemplare figurato da Morris e Lycett (op. cit., tav. 2, fig. 13 a), non si vede nei nostri individui. La lunga espansione posteriore è in complesso depressa; a un esame più accurato mostra però la sua metà superiore leg- germente rigonfia, e la metà inferiore concava; un’altra conves- sità e un’altra depressione, a queste prime vicine e parallele, si mostrano presso all’attacco dell’aletta stessa con la espansa regione anale. La valva destra è sempre liscia; quella sinistra negli esem- plari giovani presenta da 5 a 0 coste radiali, che interessano il solo umbone e non già la depressa espansione posteriore; esse sono rilevate, quasi rettilinee, disgiunte da solchi più larghi di esse coste; nell’ età adulta queste spariscono, e la valva sini- stra, in tutto simile a quella opposta, presenta solo delle strie concentriche più o meno irregolari. Dimensioni di una valva sinistra di individuo giovane: altezza 22 mm.; lunghezza 19 min.; rilevatezza di una valva 7 mm.; lunghezza del bordo cardinale 40 mm. circa: Dimensioni di una valva sinistra di individuo adulto: altezza 33 mm. lunghezza 27 mm. • rilevatezza di una valva 9 mm. lunghezza del bordo cardinale, 50 mm. circa. FOSSI!,! BATONIANI DELLA SARDEGNA 283 Dimensioni di una valva destra di individuo giovane: altezza 22 mm.; lunghezza 20 mm. ; rilevatezza di una valva 6 mm.; lunghezza del bordo cardinale 38 mm. circa. Questa specie ben caratteristica è stata citata con nome er- rato da Pictet e Fischer ( Pteroperna costulata Desi.) e da Pam- paioni ( Pteroperna costata Desi.); e si noti che i nomi speci- fici da essi usati, molto facilmente per un lapsus calami , erano già noti per forme di generi vicini : V Avicola costulata D’ Or- bigny (vedi Prodr. strat., voi. 1, pag. 85, ét. 2, n° 714) del Devoniano, la Gcrvillia costata Credner (Die Gerv. clcr Trias- forni. in Thiir., pag. 647, tav. 6, fig. 3) del Musehelkalk, e YAvicula costata Smith (vedi Sowerby, Min. Conci)., voi. 6, pag. 17, tav. 512) del Batoniano come la Pteroperna costatili a Desi., ma ben da questa diversa. Bromi (Ind. pai. pag. 52U) cita una Gcrvillia costulata Desi)., che, per non aver potuto con- frontare le ligure originali (Deshayes, Mém. Calvados , voi. 1, tav. 6, fig. 3-5), pongo dubitativamente sinonima della specie di Deslongchamps. Fucini non cita, dalla Sardegna, alcuna forma che le si avvicini, se non una Gcrvillia sp. id., del monte Ti- rnilone (Fucini, Not. pai. ool. Sard., pag. 122); noi invece, tra i fossili della Perdaliana, abbiamo oltre a varii frammenti, due buoni esemplari di non dubbia determinazione, uno di valva destra di individuo giovane, ed uno di valva sinistra di indi- viduo adulto, dei quali abbiamo dato le misure ; il terzo esem- plare, di valva sinistra di individuo giovane, del quale pure si è dato le misure, proviene da Narri, e l’abbiamo qui unito, onde rendere più completa la descrizione. Anzi, siccome nel calcare di Nurri è assai abbondante, come dal materiale raccolto dal prof. C. De Stefani resulta, incliniamo a credere che si deb- bano unire a tale specie alcuni individui di codesta località, studiati e descritti come specie nuove dal Tommasi. C Avicola Ichnusac Tommasi ( Nuovi foss. trias, di Sarei., Boll. Soc. Geol. It. 1896, pag. 498, tav. 11, fig. 1) ha il bordo anteriore molto obliquo, e manca della espansione posteriore, quindi non può essere riunito alla Pteroperna costatala Desi.; ma la Avicula Fluniendo- 284 Gr. DAINELLI sai Tommasi, e la Gervillia De Stefanii Tommasi mostrano in- vero grandi analogie: l’espansione posteriore effettivamente man- cante nei fossili studiati si suppone però esistente in origine, dalla base che ancora ne rimane; la seconda specie mostra nella valva destra due fossette, che sono molto più grandi di quelle del- l’esemplare figurato da Morris e Lycett; ma data l’uguaglianza degli altri caratteri, e dato il fatto che noi abbiamo trovato negli stessi calcari assai abbondante la specie di Deslongchamps, pos- siamo ben supporre che almeno in parte le si possano riferire gli individui riuniti dal Tommasi a formare le sue due specie nuove. Osserveremo infine che la Gervillia sp. ind., del Monte Ti- milone, citata prima, e poi descritta e figurata dal Fucini ( Not . pai. ool. Sarà., pag. 122; Foss. ool. del M. Timilone , pag. 154, tav. 6, fig. 3) è pure vicina alla Pteroperna costatula Deslong- champs, dalla quale va distinta per i medesimi caratteri della forma generale, che ne tengono distinta la Gervillia Ichnusae Tommasi ; e Fucini stesso osserva : « questa specie (la sua Ger- villia sp. ind.) ha delle rassomiglianze con alcune forme di Gervillia che si raccolgono presso Narri in terreni che passano per triassici, per es., con la Gervillia Ichnusae Tonini. ». Le quali giuste osservazioni, anche stratigrafiche, sono confermate dalle nostre presenti Località: Minchinhampton (Inghilterra); Eanville, presso Caen, Saint-Michel (Francia); Laitmare (Svizzera); Nurri, Monte Aivaru (Sardegna). Questa specie proviene anche dal Tacco di Seui. Specie batoniana. Pteroperna Fucinii n. sp. (Tav. XI, fig. 2). Conchiglia molto inequilatere, trasversa, piuttosto depressa; l’umbone è anteriore, poco rilevato, per quanto misuri la rile- vatezza massima di tutta quanta la conchiglia; è triangolare, non molto sviluppato, nè prominente; è obliquo, ma non però ricurvo verso il lato boccale; esso è limitato anteriormente dallo stesso margine della conchiglia, mentre dal lato opposto questa FOSSILI BATONIAN1 DELLA SARDEGNA 285 si espande in una superficie depressa, ma non molto estesa. La regione boccale è rappresentata da una specie di aletta trian- golare, aderente all’umbone presso al suo apice, depressa, e corta; oltre la quale il bordo anteriore descrive una leggiera concavità, e poi decorre con una linea, che è poco curva e poco obliqua, al margine inferiore. Questo è per la sua massima parte quasi rettilineo, arrotondato solo alle due estremità, e piuttosto lungo; il bordo posteriore presenta nella sua metà più bassa una convessità a curva assai stretta, corrispondente ad una caratteristica e pronunziata espansione della conchiglia in quel punto; poi una profonda e regolare concavità, oltre la quale decorre, con una linea retta all’indietro, a delimitare inferior- mente l’aletta posteriore, lunga e regolare. Il bordo cardinale è rettilineo, lungo, andando dal vertice dell’aletta anteriore a quello dell’altra, opposta a questa prima; parallelamente e assai vicino ad esso la conchiglia è ispessita, rilevata sul lato interno, come mostrano i nostri esemplari, i quali però non ci permet- tono di vedere l’apparato cardinale. L’aletta posteriore, limitata da bordi paralleli, è in complesso depressa; vi si può distin- guere una leggiera concavità centrale; la massima depressione però della conchiglia corrisponde a quella parte della regione anale, dove si attacca l’aletta posteriore stessa. Ornamenti delle valve sembrano, dai nostri esemplari, totalmente assenti, se si ■eccettuino traccie di una striatura concentrica. Dimensioni: altezza 24 mm. ; lunghezza 14,5 mm.; rilevatezza di una valva 4 mm.; lunghezza del bordo cardinale 33-35 mm. circa. Questa Pteropema, che noi abbiamo descritta come specie nuova, si avvicina molto alla Pteropema costatala Deslong- champs, che pure abbiamo riconosciuta tra i fossili della Per- daliana: ove però si confrontino le descrizioni e le figure delle due specie, se ne vedranno le differenze, che consistono esclu- sivamente nella forma generale, ed in particolare ed in specie nel vario sviluppo della regione anale. La Pteropema costatala Deslongchamps infatti è molto più rigonfia, in specie sull’um- bone, che è grosso, rilevato, ben delimitato, nettamente trian- 21 286 G. DAINELLI golare, più prominente, e molto più obliquo; caratteri che non presenta la nostra nuova specie. Di più, mostra il bordo ante- riore decorrente con assai maggiore obliquità a quello inferiore, che è corto e regolarmente arrotondato con curva assai stretta; mentre quello posteriore è del tutto regolare, quasi rettilineo tino alla piega concava superiore, e non presenta affatto, o in alcuni individui appena accennata, quella sinuosità caratteri- stica che si osserva invece nella presente nostra specie. Da tale andamento dei bordi risulta un aspetto generale più regolare, e una minore differenza nelle misure dell’altezza e della lun- ghezza; mentre la nuova specie appare molto più corta e più alta; infatti, oltre che dalle figure, ciò risulta dal confronto delle misure relative dei due esemplari di valva destra che più si avvicinano nelle dimensioni: Pteroperna costatula Desi. Pteroperna Fucina Dainelli altezza 22 mm. 24 mm. lunghezza 20 » 14,5 » Queste differenze ci hanno autorizzato a formare, dei nostri esemplari, che ora abbiamo descritti, una specie nuova, per quanto vicina alla Pteroperna costatula Deslongchamps. 1867. Mytilus subpectinatus (non D’Orbigny) — Favre, Recti, géol. sur la Mytilus laitmareiisis De Loriol 1883. (Tav. XII, fig. 1). Savoye, voi. 2, pag. 102. » » » ( » » ) — Favre, idem, voi. 3, pa- gina 471. 1871. Mytilus sp. — Coquand, Klippenkalk du Var., pag. 210. 1883. Mytilus laitmarensis — De Loriol, Et. pai. des eoucli.it Mytilus desAlp. Vaud., pag. 57, 90, tav. 8, fig. 6-12. » » » De Loriol — Schardt, Et. strat. des condì, à Mytilus des Alp. Vaud., passim. — Pampaloni, Terr. cari), di Seni ed ool. della Perd., pag. 347. 1000. » » » FOSSILI BATON1 ANI DELLA SARDEGNA 287 Conchiglia allungata, rigonfia, leggermente ricurva, inequi- laterale; la regione boccale è quasi nulla, quella anale invece è assai espansa e arrotondata. L’umbone è terminale, obliquo, rigonfio, triangolare, promi- nente; il bordo cardinale mostra presso l’umbone una leggiera sinuosità concava, oltre la quale decorre, obliquamente in basso, con una linea a curva dolcissima fino a raggiungere il bordo posteriore ; questo è regolarmente arrotondato, come pure la parte posteriore del bordo pai leale, mentre quella anteriore, che tocca al rumbone, è molto concava e (piasi scavata. La massima rigonfienza sta nell’nmbone, e, dopo esser stata all’ incirca nel centro di esso, si piega poi in avanti a costeggiare il bordo palleale; nella parte posteriore la conchiglia va a poco a poco declinando nello spessore fino al bordo anale. La ornamentazione consiste in una fine stilatura radiale, interrotta da pieghe con- centriche piuttosto rade; nella concavità palleale mancano gli ornamenti radiali. Dimensioni: altezza 48 mm.; lunghezza 30 mm.; rilevatezza delle due valve 22 mm. Questa specie ha un solo rappresentante tra i nostri fossili della Perdaliana; Meneghini {Pai. de Vile de Sard., pag. 255) cita un Mytilus sp. ind., i cui caratteri non combinano intera- mente colla specie di De Loriol; forse sotto quell’unico nome . generico sono compresi individui di specie e di generi diversi, cioè probabilmente delle specie di Modiola che tanto il Fucini che noi abbiamo riconosciuto tra i fossili della Sardegna. Quanto al ravvicinamento di altre forme al presente Mytilus laitma- rensis, vedasi De Loriol (op. cit., pag. 58, 59), alle cui osser- vazioni non possiamo aggiungere nulla di nuovo. Località: Mont Chauffé, Vuargny, La Bragne (Francia); Laitmaire, Pointe du Rubli, Yidmanette, Rocher de Raye (Sviz- zera). Specie batoniana. 288 G. DAINELLI Modiola iinbricata Sowerby 1821. (Tav. XII, fi g. 4). 1821. Modiola imbracata 1836. » » Sowerby 1846. Mytilus imbrieatus 1848. » » D'Archiac » Modiola imbucata Sowerby 1850. Mytilus imbrieatus 1853. » » Sowerby 1856. » » » 1864. » » » (pai 1867. » » *> » » » » » » Meriani 1868. » imbrieatus Sowerby 1869. » » » 1883. Modiola imbucata » » » » » 1885. » » » 1887. » » /> 1894. » cfr. cuneata Sowerby ? 1900. Modiola imbucata Sowerby — Sowerby, Min. conch., voi. 3, pag. 21, tav. 212, fig. 1, 3. — Fitton, Oxf.-Ool. in Engl., pag. 158, 358. — D! Archi ac, Bull, géol., voi. 3, pa- gina 335. — Bronn., Ind. pai., pag. 772. — Bronn, idem., pag. 736. — D’Orbigny, Prodr., voi. 1, pag. 340, et. 12, n° 194; pag. 370, ét. 13, u° 374. — Morris e Lycett, Great. Odi., pag. 41, tav. 4. fig. 2. — Oppei., Jura forni., pag. 489. •s) Seebach, Hann. Jura , pag. 113. — Laube, Jura von Balin, pag. 21, tav. 2, fig. 3. — Moesch, Aarg. Jura, pag. 99. — Favre, Redi. géol. sur la Savoyc, voi. 2, pag. 102. — Sauvage, Esp. nouv. batli. du Bou- lonn., pag. 18. — Terquem e Joiirdy, Et. bath. de la Moselle, pag. 115. — De Loriol, Et. pai. couch. à My- tilus des Alp. Vaud., pag. 60, 91, 92, tav. 9, lig. 1-8. — Schardt, Et. strat. des couch. à Myt. des Alp. Vaud., passim. — Zitte l., Palaeozool,, voi. 2, pag. 41, fig. 52. — Fischer, Man. de Conch., pag. 968. — Fucini, Noi. pai. sull’ Odi. in Sard., pag. 122. — Pampa lonj, Terr. carb. di Seni ed ool. della Perd., pag. 347. Conchiglia ovata-reni forme, allungata, obliqua, rigonfia, ine- quilaterale ; la regione boccale è ristretta, corta, arrotondata e depressa; la regione anale è più espansa, e va allargandosi fino FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 289 a circa metà dell’altezza totale della conchiglia, donde declina al bordo paileale. Il bordò cardinale è rettilineo presso all’nm- bone, obliquo in basso, dove si unisce con una curva marcata al bordo posteriore dritto ; quello paileale è arrotondato con una curva a raggio assai corto, in relazione alla piccola larghezza della conchiglia. Gli amboni sono rigonfii, obliqui, anteriori, sub- terminali, triangolari, stretti, acuti, prominenti; la loro maggiore Elevatezza si trova vicino alla regione boccale, e poi, ove questa finisce, alla parte anteriore del bordo palleale; da questo lato tale Elevatezza appare più marcata, perchè decresce d’un tratto, mentre sul lato posteriore declina per gradi fino ai bordi car- dinale, anale e palleale. La ornamentazione consiste in strie concentriche, sottili, fìtte, più o meno regolari, e delle quali al- cune poche sono più marcate delle altre. Dimensioni di due esemplari: altezza 47-30 mm.; lunghezza 24-18 mm.; Elevatezza delle due valve 16-15 mm. Di questa specie possediamo varii esemplari assai ben con- servati. Nella bibliografìa ci siamo attenuti a citare quasi esclu- sivamente fossili determinati come Modiola imbucata Sowerby; abbiamo accettato sinonimo il Mytilus Meriani Favre, in se- guito alla giusta discussione di De Loriol \ ) 1836. » » ( » » ;? 1848. » » ( » » / 1848. Mytilus pìicatus 1850. Mytilus Sov-erbyanus 1851. Modiola Sowerbyana 1853. Mytilus Sowerbyanus D'Orbi gin 1856. » » » 1858. Modiola plicata (non Gmelin) 1867. Mytilus Sowerbyanus D’Orbigny — Sowerby, Min. Conch., voi. 3, pag. 87, tav. 248, fig. 1. — Goldfuss, Petr. Gemi., voi. 2, pag. 175, tav. 130, fig. 12 a. — Zieten, Wiirtt., pag. 74, tav. 59, fig- 7- — Becke, Philos. May., pag. 346. — Thurmann, Soul.jur. Porrentr., pag. 13, 15. — Thirria, Haute Saone, pag. 5. — Phillips, Yorksh., pag. 15*. — Ruemer, Ool., voi. 2, pag. 34. — Bronn., Ind. pai., pag. 738. — Bronn., idem , pag. 773. — D’Orbigny, Prodr., voi. 1, pag. 282, et. 10, n° 378; pag. 312, ét. 11, n° 282. — Bronn, Leth.geogn.,vo\. 2, pag. 233, tav. 15, fig. 18. • — Morris e Lycett, Grcat. Ool., pag. 36, tav. 4, fig. 1. — Oppel, Juraform., pag. 413. — Quenstkdt, Jura, pag. 367, tav. 49, fig. 4. — Moescii, Aarg. Jura , pag. 97. FOSSILI B ATONIAN1 DELLA SARDEGNA 291 1867. Modióla Soiverbyana d’Orbigny — Laube , Biv.d. braun. Jura von JBalin, pag. 20. » Mytiìus Sotverbyanus » — Sauvagk, E.sp. nouv. dìi Batti. du Bas Boulonn., pag. 18. » Modioìa plicata (non Gmelin) — Waagen, Zone des Ammonites Sowerbyi, pag. 624. 1883. Modiola Sowerbyana D’Orbigny — De Louiol, Et. pai. de s couch. à Mytiìus des Alp. Vaud., pag. 62, 91, 92, tav. 9, fig. 9-12. » » » » — Se hardt, Et. Strat. de couch. à Mytiìus des Aìp. Vaud., pa- gine 116, 140. 1894. » » » — Fucini, Not. pai. suìl’Ooì. in Scird., pag. 122. 1900. » » Bronn. — Pampaloni, Terr. carb. di Seui ed ooì. delia Perd., pag. 347. Conchiglia stretta, allungata, inequilatere; la regione boc- cale è assai corta, arrotondata, col bordo un po’ scappante in basso e all’ indietro; la regione anale è molto espansa, arroton- data alla sua estremità; rumbone è anteriore, subterminale, obliquo, rigonfio, poco prominente ; dal suo vertice si parte una specie di grossa carena, che, attraversando in obliquo tutta quanta la superficie della conchiglia, va a terminare al bordo palleale, non molto distante dall’estremità posteriore. 11 bordo cardinale, posteriormente all’umbone è assai lungo, dritto o leggermente convesso, e sempre subparallelo a quello paileale. La ornamen- tazione consiste in strie e in grosse pieghe, che si dipartono dal bordo cardinale, un poco piegate verso l’estremità posteriore, e da questa parte leggermente convesse; le grosse pieghe rego- lari, giunte presso alla carena, che divide in due parti simili la conchiglia, si scindono in strie sottili, simili a quelle che pur intercedevano tra esse ; tutte queste strie, raggiunto il ver- tice della carena, si piegano, con un angolo acuto, in avanti, e così coprono la metà inferiore della conchiglia, mantenendosi parallele al bordo palleale. Dimensioni in parte supposte: altezza 20 min.; lunghezza 60 mm. circa; rilevatezza di una valva 4 mm. 292 G. DA1NKLLI Di questa specie non abbiamo alcun esemplare completo,, ma frammenti, che ci permettono una sicura determinazione,, provenienti anche dal Tacco di Seni. Località : Stonesfield, Felmersham, Blisworth, Bluewick, Glai- zedale, Coldmoor, Duiidry, Rad stock (Inghilterra); Bayeux, Mou- tiers, Genivaux, Salins, Draguignan, Asuières, Marquise, Xantua, Grasse, Lue, Pruntrut, Tennie (Francia); Stuifenberg, Jungingen, Gomaringen, Oberalfingen, Zillhausen, Wasseralfingen, Kandern, Altenstadt, Grafenberg, Uppen (Germania); Porrentruy, Laitmaire, Rubli (Svizzera); Monte Tiinilone (Sardegna). Specie, secondo De Loriol, esclusivamente batoniana. Pinna Ristoni n. sp. (Tav. XI, fig. 3). 1900. Pinna cuneata (non Phillips) — Pam paloni, Terr. cari, di Seni ed ool. della Perd., eag. 348. Conchiglia rigonfia, equivalve, inequilaterale, allungata, obliqua ed espansa; la massima espansione corrisponde alla re- gione posteriore, mentre quella opposta è ristretta, e mancante affatto sotto l’umbone. Questo è grande, triangolare, rilevato, acuto, molto prominente, anteriore ed apicale, obliquo; la linea cardinale, posteriore rispetto al l’um bone, è quasi rettilinea, leg- germente concava, e si congiunge col bordo anale arrotondato; questo è in gran parte mancante, come pure quello palleale, che doveva pure essere arrotondato, come fa supporre la con- vessità regolare del bordo boccale, il quale, sotto l’umbone si presenta poi sentitamente concavo, con molta probabilità in corrispondenza dell’apertura per il passaggio del bisso. La mas- sima «gonfiezza, partendo dall’umbone, segue una linea curva, concava verso il bordo anteriore, ed a questo vicina; da questa parte rapidamente declina, fino a che la conchiglia si fa pia- neggiante; dal lato posteriore invece la massima rilcvatezza va decrescendo per gradi, ma rimane però depressa la parte im- mediatamente vicina al bordo posteriore; cosi che la regione antero-posteriore presenta la forma di una losanga allungata e irregolare. Gli ornamenti consistono in strie e solchi, più o meno FOSSILI BATONIANI DISLLA SARDEGNA 293 accentuati, concentrici, i quali però, giunti dal bordo posteriore sulla carena mediana, si piegano obliquamente in alto, andando quasi tutti a convergere al bordo anteriore sotto rumbone. Ca- ratteristico è un solco, ben netto, piuttosto largo e profondo, e tanto più quanto più si avvicina al bordo paileale, curvilineo, colla concavità rivolta verso il lato anteriore; esso si diparte quasi dal vertice dell’umbone (più precisamente dal fianco po- steriore del vertice), come stria sottile, ma ben manifesta, e poi va via crescendo durante il suo percorso, che si mantiene parallelo alla linea di massima rigonfiezza, ma distante da essa circa 10 mm. nel punto culminante della conchiglia; questo solco, che abbiamo detto largo, è però acuto, cioè, visto in se- zione, appare triangolare, ma non regolarmente, perchè la parte della conchiglia che lo limita verso la regione anale è ripida, e invece dolcemente inclinata quella opposta. Dimensioni in parte supposte: altezza 110 mm. circa.; lunghezza 95 mm. circa; rilevatezza delle due valve 40 mm. Si noti però che, essendo il nostro esemplare assai incom- pleto, le misure del diametro antero- posteriore e di quello um- bono-ventrale sono calcolate molto approssimativamente e con valori minimi. Meneghini cita da Laconi (Sardegna) una Pinna sp., nella descrizione della quale si riconoscono alcuni carat- teri a comune colla nostra; gli ornamenti però, che, da con- centrici sul rimanente della superficie conchigliare, si fanno longitudinali verso il bordo palleale, e ricurvi, quasi trasversi, presso il legamento, ed il ravvicinamento che Menghini fa del suo unico esemplare alla Pinna lanceolata Sowerby (v. Goldfuss, Petr. Gemi., pag. 165, tav. 127, fig. 7a), ci rendono assai dub- biosi che tale individuo possa essere unito al nostro della Per- daliana. Lo stesso presso a poco dicasi delPesemplare di Monte Timilone, che Fucini determina come Pinna cfr. cuneata Phil- lips, perchè l’individuo di tale specie, figurato dal Quenstedt (Jura, pag. 438, fig. 2) ed al quale egli paragona il suo, è ben diverso dal nostro. Tra i fossili, invece, raccolti dal Pampaioni, e che sono oggetto di questa memoria, non abbiamo trovato in 294 Ci. DAIXELl.I scliaedis , nessuna determinazione di Pinna cuneata Phillips, che egli cita nella sua nota, e d’altra parte nessun individuo attri- buibile al genere Pinna, aH’infuori di quello che abbiamo adesso descritto; quindi non crediamo di errare nel porre nella sino- nimia di questo, la citazione del Pampaioni. Di specie vicine citeremo la Pinna cuneata Phillips, la quale presenta il solco dorsale, ma rettilineo, e non concavo verso il lato anteriore come è nel nostro esemplare; di più la forma è conica allungata, punto espansa; gli stessi caratteri ha la Pinna lanceolata Sowerby. La Pinna ampia Sowerby, vicina per la forma generale, è priva del solco, ed ha la superficie più uni- formemente rigonfia; l’esemplare figurato sotto tal nome dal Goldfuss (Petr. Gemi., pag. 165, tav. 125, fig. 1), e apparte- nente invece alla Pinna granulata Sowerby, ha ornamenti assai caratteristici, e non può per questo esser confusa con altre specie; ed infine la Pinna occidentalis Chotfat ( Faune jur. du Pori., pag. 66, tav. 12, fig. 4, a, />.), pure vicina, come le ultime due, per la forma generale, ha l’umbone meno acuto, bordo anteriore meno convesso sotto l’umbone, è ornata di ben netti solchi radiali, ed è priva del solco mediano. Arca sp. Un modello interno completo, ma mal conservato, permette solo una determinazione generica; conchiglia allungata, quadri- latera, rigonfia; la regione anteriore è tronca, mentre quella opposta è molto sviluppata ed espansa. Il bordo anteriore è quasi perfettamente rettilineo, obliquo in basso e in avanti; quello posteriore non è visibile; quelli cardinale e paileale sono subparalleli, e il primo anche rettilineo; l’umbone è grosso, an- teriore, obliquo, triangolare, non prominente nè ricurvo, ma molto rilevato. L’area cardinale, anteriormente all’umbone è poco sviluppata, dalla parte opposta, invece, è molto grande, triangolare, pianeggiante, limitata verso il bordo da un rilievo non molto sviluppato, ad esso parallelo. FOSSILI BATONIANt DELLA SARDEGNA 295 Dimensioni in parte approssimate: altezza 28 min, circa; lunghezza 51 mm. circa: rilevatezza delle due valve 26 mm. circa. Si paragoni la presente Arca sp. al Macrodon Hirsonensis D’Archiae (Mém. Soc. Géol. Fr., 1843, tav. 27, fig. 5; vedi anche Morris e Lycett, Great Ool ., pag. 49, tav. 5, fig. 1, a, b), che certamente però ne è ben differente. 11 nostro esemplare pro- viene dal Tacco di Seni. Arca sp. Un modello interno, appartenente senza dubbio a specie di- versa dalla precedente. Conchiglia allungata, subquadrilatera, poco rigonfia; la regione anteriore è piuttosto espansa, ma quella posteriore lo è molto di più. La linea cardinale è molto lunga, rettilinea; il bordo anteriore, da prima assai leggermente convesso, si fa poi, in basso, scappante all’indietro; il bordo posteriore è arrotondato a curva piuttosto stretta, mentre quello paileale, molto lungo, e subparallelo a quello cardinale, è ap- pena un poco convesso. L’umbone è largo, triangolare, poco rilevato, anteriore, poco obliquo e prominente, e poco rivolto verso la regione boccale. L’area cardinale è lunga, ma piuttosto stretta; l’impressione muscolare anteriore è grande, ed ha forma di ellissi, quella posteriore è più piccola e arrotondata; l’impres- sione .palle-ale, piuttosto marcata, presenta un angolo ottuso nella regione anale. Il bordo mostra delle coste corrispondenti a solchi del bordo interno della conchiglia. Dimensioni del modello interno: altezza 24 mm.; lunghezza 34 mm.; rilevatezza delle due valve 15 mm. Se si paragona la presente descrizione con quella prece- dente, per quanto ambedue incomplete, si vedrà come i due modelli debbano appartenere a specie diverse. Si confronti poi il secondo con la Cucullaea cuculiata Goldfuss ( Petr . Gemi., G. DA1NELL1 296 pag. 48, tav. 123, fig. 7; vedi anche Morris e Lycett, Great. Ool.r pag. 51, tav. 5, fig. 5), che pertanto è ben differente. Il nostro esemplare proviene dal Tacco di Seni. Leda Cocchii n. sp. (Tav. XII, fig. 9). Conchiglia subtriangolare, inequilatere, allungata, appun- tita posteriormente, carenata, poco rigonfia. La regione ante- riore è poco espansa, anzi corta, e non arrotondata alla sua estremità; la regione anale è molto espansa, va sempre più as- sottigliandosi, e termina in una specie di appendice stretta e tronca. Il bordo cardinale anteriore è leggermente convesso, rivolto in basso e in avanti, dove si collega al bordo palleale per mezzo di un angolo, arrotondato, più o meno ottuso, ma assai vicino al retto; il bordo cardinale posteriore, collegato sotto rumbone a quello anteriore per mezzo di un angolo molto ottuso, è lungo, rettilineo, e si mantiene tale fino al limite superiore della tronca espansione posteriore della conchiglia: il bordo palleale, regolarmente arrotondato, ma a curva leggeris- sima, per la sua massima parte, posteriormente presenta una sensibile concavità, oltre la quale si piega in alto a formare l’estremo bordo posteriore. Gli amboni sono triangolari, larghi, depressi, per quanto in essi corrisponda la massima rilevatezza della conchiglia, aderenti l’un l’altro, coll’apice leggermente rivolto verso il lato posteriore. A partire dal vertice dell’um- bone, si osserva una carena, da prima poco rilevata, che, diri- gendosi all’indietro, ed in basso, va a terminare al limite in- feriore della tronca espansione posteriore, limitando così al di sopra una parte della conchiglia che è stretta, triangolare, al- lungata, non convessa, e poco rilevata. Anteriormente a tale carena, a partire circa dalla sua metà, si osserva una depres- sione caratteristica, triangolare, che corrisponde alla concavità già da noi osservata nel bordo palleale. L’apparato cardinale e la lunula non sono visibili; presente invece è il corsaletto, stretto, lungo, e limitato da una carena sottile, ma relativa- mente ben rilevata. Tutta quanta la superficie conchigliare è adorna di numerose e fini costoline concentriche, assai rogo- FOSSILI BATONIAM DELLA SARDEGNA 297 lari, che seguono costantemente l’andamento del bordo: presso a questo sono meglio visibili, più grandi, più nette, e separate da solchi, poco larghi, ma ben chiari; le cinque più esterne occupano lo spazio di circa un millimetro; sull’umbone però si fanno più fitte, meno rilevate, assumendo l’aspetto di una stria- tura finissima. Dimensioni: altezza 10 mm.; lunghezza 17 mm.; rilevatezza di una valva 3 mm.; lunghezza del bordo cardinale posteriore 12 mm. La presente specie, che noi descriviamo come nuova, è ben diversa dalla Leda lacryma Sowerby (Min. Conch., voi. 5, pag. 119, tav. 476, fig. 3), tanto frequente nel Batoniano; questa infatti, come risulta dalle descrizioni e dalle figure numerose che ne sono state date, ha ordinariamente dimensioni alquanto minori, è meno lunga, ha rumbone più retto; il bordo ante- riore congiunto a quello paileale mediante una curva regolare; il bordo inferiore più arrotondato, e molto più marcata la con- cavità che questo presenta posteriormente, quindi l’espansione posteriore appare più lunga e sottile rispetto alle altre misure della conchiglia. Forse maggiori analogie ha la Leda mucro- nata Sowerby (Min. Conch., voi. 5, pag. 120, tav. 476, fig. 4; vedi anche Groldfuss, Petr. Gemi., pagg. 155, 304, tav. 125, fig. 5, a, h. c ), pure del Batoniano ; essa però ha l’aspetto ge- nerale molto più tozzo che non la nostra specie, è meno lunga in rapporto alla sua altezza, più rigonfia; la concavità poste- riore del bordo palleale è meno marcata; il bordo cardinale posteriore non è rettilineo, come nella nostra, ma leggermente incavato, e fa un angolo molto ottuso col bordo esterno, assai obliquo, della espansione posteriore; di più, la depressione che si osserva anteriormente alla carena, è più larga, e si parte da presso all’umbone, e infine le coste concentriche sembrano più sviluppate, e decrescenti sensibilmente in grandezza dal- l’umbone al bordo palleale. Tali differenze ci hanno indotto a fare dell’unico esemplare di Leda, che abbiamo dalla Perda- liana, una specie nuova. 298 G. DAINEI.LI Trigonia pullus Sowerby 1829. (Tav. XI, fig. 4 e 7). 1829. Trigoni a pullus — Sowerby, Min. Conch., voi. 6, pag. 10, tav. 508, fig. 2-3. 1836. » » ? — Sowerby, Geol. Trans., voi. 5, pa- gina 328. 1840. » » — Agassiz, Trigonies, pag. 9. 1848. » » Sowerby — Bronn, Jnd. pai., pag. 1281. 1848. Lyriodon » — Bronn, idem., pag. 688. 1850. Trigonia » Sowerby — D’Orbigny, Prodr . strat., voi. 1, pag. 308, ét. 11, n° 222. 1851. Lyriodon costatus Sowerby (pars?) — Bronn. Leth. geogn., pag. 241. 1853. Tr igoni a costata var. pullus — Morris e Lycett, Great. Ool, pag. 58, tav. V, fig. 22. 1854. » pullus Sowerby — Morris, Cai., pag. 229. 1856. » » » — Pictet, Traile de Pah, pag. 538. 1858. » costata » — Quenstrot, Tura, pag. 502, tav. 67, fig. 13. 1870. » » var. pullus — Scharp, Ool. of Northampt., pa- gina 388. 1875. » n. sp. cfr. pullus — Cross, Geol.of Lincolnsh., pag. 125 » » costata var. pullus — J udd, Putland., pag. 151, 155, 161. 220, 281. 1879. » pullus Sowerby — Lycrtt, Mon. of Brìi. Trig., pag. 164, tav. 34, fig. 7-9. 1885. » » » — Choffat, Fami. jur. du Pori., pa- gina 38. 1885. » costata » — ZiTTEL, Palaeozool., voi. 2, pag. 58, fig. 83. Conchiglia ovato-trigona, ri gonfia, carenata; gli amboni sono triangolari, a larga base, acuti, prominenti, anteriori, obliqui, un poco rivolti all’indietro; la regione boccale è regolannente rigonfia e arrotondata a curva abbastanza stretta, mentre il bordo palleale, assai allungato, forma una curva di raggio assai grande. Il bordo cardinale, sul lato anteriore, è direttamente unito a quello boccale, senza che esternamente ne sia marcato il contatto; sul lato posteriore è rettilineo, obliquo, in basso, dove forma un angolo ottuso col bordo anale, quasi rettilineo, e quasi parallelo all’asse umbono-ventrale della conchiglia. Dal vertice deH’umbone si parte, verso il basso e all’indietro, una FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 299 carena quasi rettilinea, leggermente concava verso l’estremità anale, la quale, con un percorso obliquo, va a terminare al limite tra il bordo palleale e quello posteriore; tale carena se- para la cosi detta area delle Trigoniae. Gli ornamenti, in tutta la parte della conchiglia anteriore alla carena, consistono in coste concentriche; queste sono piuttosto larghe, poco rilevate, leggermente scalariformi, numerose ed abbastanza fitte, tanto che se ne contano 22 dal vertice dell’umbone al bordo palleale, della larghezza, ciascuna, di circa 1 min.; esse terminano come tronche posteriormente presso alla carena radiale obliqua, dalla quale però sono separate per mezzo di un solco pure radiale, ben netto e visibile fin daH’umbone, dove peraltro è assai fine, ma via via più largo e profondo avvicinandosi al bordo infe- riore;! solchi, che dividono le coste concentriche tra loro, sono ben netti, ma poco profondi, più stretti delle coste stesse, ed a sezione triangolare. L’area, che si stende posteriormente alla carena, e forma una regione anale quasi tronca, è come divisa in due parti simili, ma disuguali in superficie, da un’altra carena o costa radiale, mediana, ben netta e rilevata, stretta e gra- nulosa; la parte che rimane anteriore rispetto a questa costa principale, è adorna di 8 coste radiali più sottili, meno rile- vate, fitte, da prima quasi filiformi, poi più grandi e più rade, quanto più si avvicinano al bordo anale; tra di esse, la terza, a partire dalla grande carena, è più rilevata delle altre, e leg- germente granulosa, mentre sulla detta carena, per le maggiori proporzioni, le granulazioni, che pure su di essa si ripetono, prendono l’aspetto di tubercoletti depressi. La parte estrema dell’area è occupata da tenuissime coste trasverse, ben nette e visibili; le quali, pur non essendo curvilinee, formano verso il centro un angolo ottuso, aperto verso l’umbone. Dimensioni: altezza 20 mm.; lunghezza 23 mm.; rilevatezza di una valva 6 mm. Di questa specie ben nota abbiamo un solo esemplare, ma in quasi perfetto stato di conservazione, che ci ha permesso di descriverlo esattamente e dettagliatamente in tutti gli ornamenti dell’area. 3.00 C. DAINELLI Sowerby (Min. Condì., voi. 6, pag. 10. tav. 508, fig. 2. 3) pur descrivendo come specie a se la Trigonia pullus, esprimeva il dubbio che potesse essere una forma giovanile della sua Tri- gonia costata; e Morris e Lyeett (Great Gol., pag. 58) lo con- fermavano, come fatto provato, descrivendo e figurando dei fos- sili dell’ Oolite d’ Inghilterra sotto il nome di Trigonia costata Sowerby, var. pullus. Senonchè, in seguito, uno di essi, Lyeett, nella classica sua monografia sulle Trigoniae fossili della Gran Bretagna, sepa- rava, come specie distinte, le due forme vicine, le quali poi appartengono a livelli geologici diversi. La Trigonia costata Sowerby ha una forma generale più triangolare, e la regione boccale meno espansa, anzi, quasi tronca; ma le differenze prin- cipali stanno negli ornamenti dell’area, che sono ben diversi da quelli caratteristici, che abbiamo potuto descrivere dal nostro ottimo esemplare di Trigonia pullus Sowerby ; la grande carena ha proporzioni maggiori, ed è fogliettata; ad essa seguono, negli individui tipici, 6 coste, che sono distinte da altre 4 o 5 per mezzo di un solco più profondo e più largo : una striatimi, fitta e fine, trasversa, le taglia regolarmente ; mentre quella, che oc- cupa la estrema parte posteriore dell’area, è obliqua dal basso in alto, e dall’indietro in avanti, mentre nella Trigonia pullus incontra ortogonalmente il bordo conchigliare, e si corrisponde da una valva all’altra. Noteremo che il nostro esemplare pre- senta, in questa striatura, una piega centrale, che non si vede in un esemplare figurato da Lyeett, mostrante la regione anale; invece un individuo figurato da Sowerby, senza presentare tale striatura fornita di un angolo netto, sembra la debba avere legger- mente curvilinea, e concava verso l’umbone, corrispondendo tale concavità alla apertura dell’angolo visibile nel nostro esemplare. Località: Hythe, Ancliffe, Leckhampton, Hilperton, Appleby, VVilts, Minchinhampton (Inghilterra), Elmingen (Germania). Certamente questa specie è stata spesso citata come Trigonia costata Sowerby, forma molto comune in gran parte dell’intera serie oolitica; per questo la sinomia e la bibliografia sarebbero con molta verosimiglianza accresciute, come pure il numero delle località, se si potessero controllare le numerose citazioni, spesso non accompagnate da figure. Specie batouiana. POSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 301 Astarte cfr. excavata Sowerby 1821. 1900. Astarte excavata Sowerby — Pampaloni, Terr. carb. di Seni e ool., della Perd., pag. 348. Conchiglia suborbicolare, obliqua, un poco allungata, de- pressa, inequilatere; rumbone è triangolare, centrale, appena rilevato, acuto, trasverso, piegato verso il lato anteriore. Il bordo cardinale, curvilineo dalle due parti dell’ ambone, è convesso verso la regione anale, leggermente concavo verso quella op- posta; il bordo palleale è arrotondato e regolare; la regione boccale è corta, mentre quella anale appare più espansa, per quanto non interamente conservata nei nostri esemplari. Il cor- saletto è allungato e stretto; la lunula assai scavata, piuttosto larga, e limitata ai lati da una specie di carena ottusa. Gli ornamenti consistono in circa 10 coste concentriche regolari, ben nette, acute, ma poco rilevate, disgiunte da solchi assai larghi e pianeggianti. Dimensioni: altezza 17 mm.; lunghezza 17 mm. circa; rilevatezza di una valva 3 mm. Abbiamo due soli esemplari, dei quali uno ridotto ad un misero frammento, mentre l’altro è abbastanza conservato ; non tanto però da permetterci di determinarlo con sicurezza come Astarte excavata Sowerby, alla quale specie pertanto lo para- goniamo. Se la determinazione potesse essere data con sicurezza, e non come semplice riferimento, dovremmo però riconoscere non trattarsi di individui adulti tipici (v. Sowerby, Min. Condì., voi. 3, pag. 57, tav. 233), i quali hanno le coste concentriche assai più numerose, fitte, larghe, e quasi rotondeggianti; ma sibbene di individui giovani (v. Goldfuss. Petr. Gemi., pag. 190, tav. 134, fìg. 6, a, b). Una certa somiglianza hanno anche gli esemplari giovani di Astarte striato-costata Mtinster (v. Gold- fuss, op. cit., pag. 190, tav. 134, fig. 18, c), i quali però hanno coste più numerose e fitte, e per questo solchi assai più stretti; rumbone più prominente, più grosso e meno piegato verso il lato anteriore; e la lunula assai più stretta e meno scavata. 22 302 G. DAINELLI Meneghini, pur citando e descrivendo della Perdaliana tre Astarte sp. ind., non sembra avesse rappresentanti di questa specie, della quale noi abbiamo due individui, che però, per il loro stato di conservazione, non permettono di essere con sicu- rezza determinati. Astarte Rivae n. sp. (Tav. XII, fig. 11). 1857. Astarte (2a) sp. ind. ? — Meneghini, Pai. del’ile de Sarà., pag. 253. 1900. Astarte scalaria (non Koemer) — Pampaloni, Terr. carb. di Seui e ool. della Perd., pag. 348. Conchiglia piccola, inequilatere, triangolare, allungata, obli- qua, rigonfia; l’umbone è triangolare, grosso, rilevato, subcen- trale, prominente, rivolto verso il lato anteriore. Il bordo cardi- nale è leggermente convesso verso la parte anale, quasi rettilineo, ma obliquo, in basso e in avanti, su quella opposta; i bordi, anale, boccale, e paileale, sono arrotondati, ma l’ultimo con una curva a raggio assai più grande che non i primi due. La regione an- teriore è abbastanza espansa, all’incirca quanto quella posteriore; il corsaletto non è visibile nei nostri esemplari, ma sì la lunula che è concava, scavata, allungata, piuttosto larga, e limitata sui lati da una specie di carena ottusa, che segna anche il termine anteriore dell’umbone. La ornamentazione consiste in nove coste concentriche, regolari, ben nette, acute, rilevate, rade, disgiunte da solchi piuttosto profondi, pianeggianti, e molto più larghi di quel che non sieno le coste stesse; queste sono tanto più fitte tra loro e meno rilevate, quanto più dal bordo palleale ci si avvicina al vertice dell’umbone; e non corrispondendo questo al massimo della rigonfiezza, anzi essendo un poco ricurvo in basso, ne segue che a prima vista il numero delle coste sembri mi- nore di quel che non sia realmente; si distingue poi chiara- mente una striatura sottilissima e fitta, concentrica, che occupa tutta quanta la superficie conchigliare. Dimensioni: altezza 9 mm. ; lunghezza 10 mm. ; rilevatezza di una valva 2,5 mm. FOSSI LI BATONIANI DELLA SARDEGNA B03 Da un frammento di un altro esemplare si riconosce che la specie può presentare dimensioni un poco più grandi. Alla presente nostra specie corrisponde abbastanza bene la descrizione di un individuo di Lac-oni (Sardegna), che Meneghini determina solo come Astarte sp. ind. (la seconda delle tre spe- cie di Astarte che egli cita genericamente) ; egli però dice che il suo individuo presenta grandi analogie con V Astarte depressa Miinster (v. Goldfuss, Tctr. Gemi., pag. 192, tav. 134, fig. 14) ; ora, invece, data la descrizione che egli prima ci ha dato del suo fossile, non ci sembra giusto tale ravvicinamento, perchè la specie di Miinster ha gli ornamenti costituiti da coste assai nu- merose e fitte, mentre l’esemplare di Laconi ne presenta solo sei, « très-espacées »; il qual carattere lo ravvicina certamente alla nostra specie. Questa presenta invece analogie con la Astarte bulla Roemer ( Ool . Gel., pag. 116, tav. 6, fig. 27; vedi anche Gold- fuss, Petr. Gemi., pag. 191, tav. 134, fig. 10), la quale però ha una forma generale più orbicolare e punto allungata, umbone cen- trale, non piegato verso il lato anteriore, e coste più larghe, sepa- rate da solchi regolarmente concavi, non pianeggianti sul fondo; la superficie conchigliare poi non presenta la fine striatura che ha la nostra specie, a comune invero con altre ; come la Astarte depressa Miinster, e la elegans Sowerby, ben distanti però per altri caratteri. L’ Astarte Parkinsoni Quenstedt [Aura, pag. 506, tav. 67, fig. 36) ha più analogie, ma presenta la regione boccale meno espansa, la lunula meno lunga, meno larga e scavata, Tumbone meno prominente, le coste più numerose e fitte. V Astarte sca- larla Roemer (Ool. Gcb., tav. 6, fig. 24; vedi anche Dollfuss, Faun. kimni. du Gap de la Piève, tav. 11, fig. 5-7), alla quale aveva il Pampaioni riunito i nostri esemplari della Perdaliana, ha l’umbone punto prominente, e decisamente anteriore; forma molto allungata e non triangolare; i due bordi cardinali, po- steriore ed anteriore, convergenti con un angolo molto ottuso sotto l’umbone; coste più numerose e più fitte: caratteri, que- sti, abbastanza spiccati, per farla distinguere dai nostri fossili di Sardegna. 301 G. DAI NELLI Lucina Bellona D’Orbigny 1850. (Tav. XII, fig. 7). 1843. Lucina Jyrata (non Phillips) — D’Archiac, Meni. Soc. Geol. Fr., pag. 372, tav. 26, fig. 3. 1848. » » » » — Bronn, Ind. pai., pag. 674. 1850. Lucina Bellona — D’Orbigny, Prodr. 8tr., voi. 1, pag. 309, ét. 11, n° 234. 1853. » » D’Orbigny — Morris e Lycett, Great. Ool , pag. 67, tav. 6, fig. 18 a. » » » var. depressa — Morris e Lycett, idem, pag. 67, tav. 6, fig. 15. 1855. » » » — Pictet, Tr. de pai., pag. 492. 1857. » » » — Meneghini, Pai. de Vile de Sard., pag. 254. 1858. » » » — Quenstedt, Jura, pag. 507. » » » » — Oppel, Juraform , pag. 487, n° 51. » Lucina Lycetti — Oppel, idem., pag. 487, n° 52. » Lucina Wrighti — Oppel, idem., pag. 409, n° 156. 1885. » Bellona D’Orbigny — Zittel, Palaeozool., voi. 2, pag. 94. 1900. » » » — Pampaloni, Terr. carb. di Seui, ed ool. della Perd., pag. 347. » » » » var. i depressa Morris e Lycett. — Pampa- loni, idem, pag. 347. Conchiglia ovata-orbicolare, trasversa, allungata, non molto rigonfia; gli umboni sono mediani, acuti, triangolari, prominenti, leggermente piegati verso il lato anteriore; questo, sotto rum- bone, presenta una concavità poco sentita, poi diventa e si man- tiene regolarmente arrotondato, fino al bordo inferiore. La re- gione anale, la cui espansione è uguale a quella della regione boccale, è convessa dal vertice deH’umbone al bordo palleale, presentando però nella sua parte inferiore una leggiera sinuo- sità concava, che però in alcuni esemplari non è visibile; il bordo paileale è allungato, curvilineo, ma a raggio assai più grande che non i bordi anteriore e posteriore. La lunula è piccola ed incavata; il margine cardinale sub-rettilineo, molto ispessito ; i denti non visibili nei nostri esemplari, e solo uno centrale in una valva destra; le impressioni muscolari sono ovali, allun- gate, piuttosto grandi, ma di esse quella anteriore lui dimen- sioni assai maggiori, ed è, in parte, interna rispetto alla im- FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 306 pressione pai leale. Gli ornamenti consistono in strie concentri- che assai fini, fitte e regolari ; esse sono molto numerose (circa 5 in un mm.), seguono, nel loro andamento, quello del bordo della conchiglia, e presentano una certa alternanza di alcune più sottili ed altre più rilevate, delle quali se ne conta in ge- nere una in ogni millimetro. La conchiglia non è molto rile- vata, ma più presso agli umboni, donde declina regolarmente al bordo ; in alcuni esemplari si può osservare una leggiera ri- gonfiezza, che partendo dall’umbone, giunge al bordo, con per- corso in basso e all’indietro. Dimensioni di tre esemplari: altezza 44-32-29 mm.; lunghezza 48-36-34 mm. ; Elevatezza delle due valve 21-15-16 mm. La presente specie mostra, nei diversi individui, alcune dif- ferenze nella forma e negli ornamenti; generalmente gli indi- vidui più giovani sono, in relazione alle altre dimensioni, un poco più rigonfii, ed hanno meno accentuata la forma trasversa della conchiglia ; in essi poi la ornamentazione è molto rego- lare e tipica, quale l’abbiamo descritta. Gli individui adulti, invece, sono, in genere, più trasversi e allungati, ed hanno tal- volta la regione boccale più espansa in alto; le strie si fanno più irregolari, e tutta la ornamentazione, per le maggiori di- mensioni della conchiglia, sono più rade. La Lucina Bellona D’Orbigny insomma è molto variabile nel suo aspetto, come i nostri individui della Sardegna mostrano: ed appunto male in- terpretando, secondo noi, tale variabilità individuale, Oppel ha proposto le sue due specie nuove Lucina Wrighti e Lucina Lycetti , che noi riuniamo alla specie di D’Orbigny, come pure la varietà depressa di Morris e Lycett, che, per noi, non ha ragione di essere, non presentando peculiari differenze dalla forma tipica. Abbiamo la presente specie anche dal Tacco di Seui. Località : Minchinhampton, Cotswold, Stamford (Inghilterra); Eparcy (Francia); Rathshausen, Balingen (Germania). Le loca- 30G G. DAINELLI lità sarebbero forse accresciute se si potesse avere una revisione degli individui determinati come Lucina lyrata Phillips. Specie del Baiociano e del Batoniano. Lucina cfr. despecta Phillips 1835. Conchiglia suborbicolare, leggermente obliqua, poco rigonfia, talvolta allungata; la regione boccale è un poco più espansa di quella opposta, e tutte e due sono limitate da bordi arroton- dati regolari, a curva piuttosto stretta; il bordo palleale in al- cuni individui più orbicolari riunisce fra loro i bordi anteriore e posteriore con curva di raggio uguale; in altri, più allungati, si mostra di conseguenza più sviluppato e quasi pianeggiante al centro. Gli amboni sono poco rigonfìi, poco prominenti, sub- mediani, acuti, leggermente prosogiri; dalla parte anteriore di essi il bordo conchigliare presenta una piccola concavità; la ornamentazione consiste in una striatura concentrica, fine e ir- regolare. Dimensioni di due esemplari: altezza 15-19 nini.; lunghezza 16-23 nini.; rilevatezza di una valva 4-5 inni. Possediamo due esemplari, dei quali abbiamo dato le mi- sure relative, discretamente conservati, e numerosi frammenti attribuibili alla medesima specie; di questa non possiamo dare con certezza la determinazione, non essendo a ciò sufficienti i caratteri presenti negli individui da noi posseduti. Certo, la Lucina despecta Phillips, del Baiociano e del Batoniano ( Gcol . YorJcsh ., tav. 9, fìg. 8 ; vedi anche Morris e Lycett, Great Ool., pag. 69, tav. 6, fig. 17), mostra grandi analogie, e presenta anche il relativo riscontro di forme più orbicolari e di altre più allungate; onde ad essa paragoniamo i nostri esemplari della Perdaliana, come semplice ravvicinamento, che però potrebbe anche cambiarsi in vera e propria determinazione. FOSSILI CATONIANI DELLA SARDEGNA 307 Cardium Tommasii n. sp. (Tav. XI, fig. 11). 1900. Cardium subtruncaium D’Orbigny? — Pampaloni, Terr.carb. Seuì Conchiglia perfettamente equilatere, suborbicolare, depressa, un poco allungata. La regione boccale, come quella opposta, è piuttosto sviluppata; il bordo cardinale è corto, e le sue due metà, posteriore ed anteriore, si uniscono sotto rumbone con un angolo molto ottuso; i bordi boccale ed anale sono regolar- mente arrotondati, a curva piuttosto stretta, mentre quello pal- leale ha un raggio assai più grande. L’umbone è relativamente grosso, mediano, diritto, prominente, e ad esso corrisponde la linea di massima rilevatezza della conchiglia. Gli ornamenti consistono in numerose (circa 5 in un mm.) coste radiali, sottili, fini, non perfettamente rettilinee, perchè presso il bordo infe- riore presentano un piccolo angolo corrispondente ad una piega di accrescimento ; esse sono del resto assai regolari, poco rile- vate, disgiunte da piccoli solchi, poco profondi, ma nettamente visibili; tali coste, ben chiare sulla regione anale, vanno a poco a poco evanescendo, finche spariscono del tutto nella metà an- teriore della superfìcie conchigliare. Presso al bordo, e ad esso concentriche si osservano tre pic- cole coste poco rilevate, distanti tra loro meno di un mm., e tanto più quanto più si discostano dal bordo stesso. Dimensioni di due esemplari: Questo Cardium d’aspetto regolarissimo è vicino al sub- truncatum D’Orbigny del Toarciano ( Prodr . strat., voi. 1, p. 254, il (piale però è inequilatere, presentando un angolo assai mar- cato tra il bordo anale e quello pai leale; di più rumbone non » Cardium n. sp. » Cardium sp. ind. ed odi. Perd., pag. 347. — Pampa loni, idem. — Pam paloni, idem. altezza 10-23 mm.; lunghezza 17-31 mm.; rilevatezza di una valva 4-10 mm. 308 G. DAINELLI è diritto, ma un poco prosogiro, e la regione posteriore è al- quanto più espansa di quella opposta. Si avvicinano di più nella forma generale il Cardium Striklandi Morris e Lycett, del Ca- toniano ( Great Gol ., pag. 64, tav., 7, fig. 5), e il Protocardium valbcrtense , De Loriol, dell' Oxfordiano medio {Gxf. super, et moyen du Jura Bernois , pag. 61, tav. 4, fig. 12-14); ma oltre a differenze di importanza secondaria, mostrano, come il Car- dium subtruncatam D’ Orbigny, tutta la parte anteriore della conchiglia adorna da numerose e nette coste concentriche, delle quali non c’è affatto traccia nei nostri esemplari. Fucini {Notizie pai. sulla Gol. in Sard., pag. 122) cita dalla Perda! iana il Cardium subtruncatum D’Orbigny; noi non l’ab- biamo affatto riconosciuto nella raccolta di fossili che possediamo di quella località; abbiamo però numerosi nuclei interni attri- buibili al genere Cardium , i quali per la forma generale si identificano quasi tutti alla presente nostra specie, ma che non presentano nessun ornamento conchigliare ; unico carattere che da uno di essi resulta, è una impressione muscolare allungata, a forma di ellissi irregolare, perchè leggermente concavo dal lato interno, la quale però non si può dire se sia anteriore o posteriore, data la perfetta equilaterità della conchiglia, ed il fatto che tali impressioni, nel presente genere, sono subeguali. Uniamo questi nuclei interni alla nostra nuova specie, pure am- mettendo che forse potrebbero appartenere a più forme diverse, ora affatto irriconoscibili. Abbiamo la presente specie anche dal Tacco di Seni. Isocardia Lovisatoi n. sp. (Tav. XI, fig. 6). Conchiglia subtrigona, obliqua, ventricosa; la regione boc- cale è poco espansa in confronto di quella opposta; gli amboni sono grossi, triangolari, rigonfii, anteriori, obliqui, assai promi- nenti, prosogiri. Il bordo anteriore, concavo sotto l’umbone, si fa poi convesso e regolarmente arrotondato a curva piuttosto stretta; il bordo paileale è allungato e per buon tratto quasi retto, mentre quello posteriore, dopo una ben marcata curva presso la sua unione col precedente, si dirige verso rumbone FOSSILI BATONJANI DELLA SARDEGNA 309 con una linea appena leggermente convessa. La ornamentazione consiste in numerose coste concentriche, assai fitte, e tanto più quanto più dal bordo palleale ci si avvicina all’umbone (in un mm. circa se ne contano 6 presso il bordo, e 8 sopra Fumbone); esse sono finissime, regolari nella distribuzione, relativamente larghe, poco rilevate, quasi pianeggianti, e separate da solchi lineari. Dimensioni: altezza 10,5 mm.; lunghezza 12 mm.; rilevatezza di una valva 3 mm. La presente specie è assai vicina alla Isocardia minima Sowerby (Min. Condì., voi. 3, pag. 171, tav. ‘295, fìg. 1), assai comune nel Batoniano di Inghilterra, Germania e Francia; questa però è più regolarmente triangolare, avendo la regione boccale piuttosto sviluppata, ha Fumbone meno grosso, meno rilevato, submediano, meno rivolto verso il lato anteriore ; di più, a quel che sembra dall’esemplare figurato da Licett (Suppl. Moli. Great. Ool., pag. 56, tav. 36, fìg. 1) presenterebbe una specie di carena radiale posteriore, che manca affatto nella nostra specie. Pure vicina è la Isocardia tenera Sowerby (Min. Condì, voi. 3, pag. 171, tav. 255, fìg. 2); anche questa però è più regolare e meno allungata, per la maggiore espansione della regione boccale; ha il bordo paileale regolarmente arrotondato in con- tinuazione di quelli anteriore e posteriore ; Fumbone submediano, meno grosso ed obliquo, meno rivolto verso il lato boccale, ma, d’altra parte, assai più prominente. Tali differenze rendono di- stinta la nostra specie da queste due, colle quali l’abbiamo con- frontata, per quanto certamente assai vicina. Pholadomia texta Agassiz 1848. 1848. Pholadornya texta — Agassiz, Mon. des Myes, pag. 81, tav. 4 b, fi. 7-9. » » » Agassiz — Bronn, Inà. pai., pag. 966. 1850. » » » — D’Orrigny, Prodi'., pag. 305, ét. 11, n° 161. 1855. » » » — Pictet, Trait. de paléont., voi. 3, pag. 374.' 310 G. DA1NELLI 1856. Pholadomya texta Agassiz — Oppel, Die Juraforrn. Engìand., pag. 481. 1874. » crassa Agassiz (pars) — Moesch., Monogr. des Pholad., pag. 42. 1883. » texta Agassiz — De Lorioi., Et. paìéont. des couches à Myt. des Aìpes Vaud.. pag. 31, 90, 92, tav. 1, fig. 12, tav. 2, fig. 1-3. » » » » — Schardt, Et. stratigr. des couches a Myt. des Aìp. Vaud, pag. 124, 129, 135, 139. 1893. » crassa Agassiz (pars) — Choffat, Faun. jur. du Pori., pag. 21. Conchiglia rigonfia, trigona, molto inequilaterale; la regione boccale è tronca sotto l’umbone, la regione anale invece è re- lativamente espansa, ma va presto assottigliandosi in spessore, finche termina beante; il bordo inferiore è curvilineo, quello superiore assai inclinato verso l’opposto, in modo che l’uno e l’altro sono nettamente convergenti con un angolo acuto non molto distante dal retto. L’umbone è forte, triangolare, obliquo, rigonfio, prominente, fino a quasi combaciare con quello della valva opposta; al di sotto dell’umbone, sul lato posteriore, la regione cardinale è molto infossata, determinando negli esem- plari completi una specie di cavità ovale allungata, oltre il cui limite posteriore comincia l’apertura beante delle due valve. La ornamentazione è data da una grossa costa radiale, che, par- tendo dall’apice dell’umbone giunge al bordo pallealc, limitando nettamente la faccia boccale, che abbiamo detto essere affatto tronca; questa prima costa è seguita da altre tre o quattro, piuttosto vicine tra loro, e meno pronunziate, ma ben nette e definite; un’altra ancora, ma che non giunge al bordo inferiore, si trova sulla faccia boccale. Dei rilievi concentrici determinano su queste coste radiali come tante serie di tubercoli. Dimensioni in due esemplari: altezza 52-48 rum.; diametro antero-posteriore 48-44 nini.; rilevatezza delle due valve 46-42 min. A questa specie riferiamo alcuni individui, in verità, mal conservati; in essi iufatti non è mai visibile la costa che decorre FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 311 sulla faccia boccale dall’umbone verso il bordo inferiore fino a circa metà dell’altezza concili gli are; parimenti sono attenuate, nella loro rilevatezza, le altre coste radiali, e la loro suddivi- sione in serie di tubercoli, del resto riconoscibili. Ma la presenza di tali caratteri, per quanto indeboliti per corrosione meccanica e forse in parte anche chimica, e la forma generale veramente tipica, ed il rapporto delle varie misure della conchiglia, ci hanno indotto a questa determinazione; noteremo che i nostri esemplari della Perdaliana, confrontati con quelli delle Alpi di Yaud, presentano un minore diametro antero-posteriore, ed una maggiore rilevatezza in confronto dell’altezza o diametro umbono- ventrale, ed in generale proporzioni alquanto più piccole. Moesch ( Monogr . der Pholad ., 1874, pag. 42), unisce la Pholadomya texta, Agassiz, alla Pholadomya crassa, Agassiz; riteniamo però ambedue buone le specie di Agassiz; ed accet- tando la critica fatta da De Loriol (1883. Etudcs paléont. des couches à Mytilus des Alpes Vaudoises, pag. 32) crediamo che la poca rilevatezza delle coste radiali secondarie, la mancanza assoluta dei tubercoli formati dall’incontro dei rilievi concen- trici su quelli radiali, una maggiore espansione della regione boccale, un minore infossamento della regione cardinale nella parte posteriore all’ ambone, ed infine un aspetto assai meno marcatamente trigono, sieno caratteri abbastanza importanti per separare la Pholadomya crassa Agassiz dalla texta del mede- simo Autore. Si confrontino del resto la figura clic della prima dà il Moesch a tav. 16, fig. 1-2, e quella che della seconda offre De Loriol a tav. 1, fig. 12 dei loro lavori; aggiungeremo infine che Pictet (1885. Trait. de Paléont ., pag. 374), dividendo, come egli fa, in gruppi le Pholadomyae , cita la texta Agassiz tra le « Bucardiennes réticulées », e la crassa Agassiz nelle « Bucardiennes parcicostées », cioè in due gruppi diversi, tanto egli le ritiene tra loro differenti. Dalla Perdaliana tale specie non era ancora citata; forse bisogna riferirvi alcuni degli individui che Meneghini (1859. Paléont. de Vile de Sard., pag. 243, 245) riunisce sotto la deter- minazione generica di Pholadomya sp. ind. Località: Nantua, Marquise presso Boulogne (Francia); Gol- denthal, Sangetel, Aarau, Solotluirn; Laitmare, Rochcr de Raye, 312 G. DA1NELLI Kubli, Vuargny, Boltigen (Alpi di Yaud); Mollianos, Cap Mon- dego, Petrogào? (Portogallo). Questa specie proviene anche dal Tacco di Seni. Specie del Batoniano e del Calloviano. Plioladoinya Murcliisoni Sowerby 1825. 1829. Pholadomya Murchisoni — Sowerby, Min. Conch., voi. 6, pag. 87, tav. 545. » Cardita lyrata — Sowerby, idem, tav. 197, fig. 3. 1830. Pholadomya Murchisoni Sowerby — Zieten, Wiirtt., pag. 87, tav. 65, fig. 4. » » » » — Béche, Philos. mag., voi. 7, pag. 341. 1835. » » » — Phillips, Geol., of Torksh., tav. 7, fig. 9. » » » » — Mendelsloch, Meni. cost. geol. de VAlbe de Wiirtt., pag. 24. 1836. » » » — Roemer, Nordd. Ool. Geb., pa- gina 128, tav. 15, fig. 7. 1837. » » » — Pusch, Poleus Paleont., pag. 84, tav. 8, fig. 11. 1838. » » » — Fromherz, Schònberg bei Frei- burg, pag. 23. 1842. » » » — Agassiz, Mon. de Myes, pag. 142, tav. 4, fig. 5-7. » » Heraulti — Agassiz, idem, pag. 140 » » triquetra — Agassiz, idem, pag. 75, tav. 6. » » media — Agassiz, idem, tav. 5, fig. 7-13. » » decussata — Agassiz, idem, tav. 4, fig. 7-9. 1815. » Murchisoni Sowerby — Murchison, Geol. de la Bussie d’ Europe, voi. 2, pag. 320. 1848. » » » — Bronn, Ind. pai., pag. 966. » » decussata Agassiz — Bronn, idem, pag. 962. » » Heraulti » — Bronn, idem, pag. 963. » » media » — Bronn, idem, pag. 963. » » triquetra » — Bronn, idem, pag. 966. 1850. » » » — D’Orbigny, Prodi- , voi. 1, pa- gina 274, étag. 10, n° 232. » » Murchisoni Sowerby — D’Orbigny, idem, voi. I, pag. 305, ét. 11, n° 158. » » decussata Agassiz — P’Orbigny, idem, voi. T, pag. 335, ét. 12, ii° 111. POSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 313 1850. Pholadomya Bellona » Her aulii Agassi z » 1851. 1853. 1856. 1857. 1858. 1874. 1881. 1884. 1885. 1887. 1891. 1893. 1894. 1900. » » » » lyrata — D’Orbigny, idem, voi. 1, pag. 305, ét. 11, n° 160. — Morris e Lycett, Gr. Ool., pag. 124, tav. 16, fig. 4, tav. 12, fig. 1. — Morris, Suppl. Gr. Ool., tav. 43, fig. 3. Murchisoni Sowerby — Bronn, Leth. gcogn., voi. 2, pag. 278, tav. 20, fig. 19, a, b. » » — Ciiopuis et Deyvai.que, Lu- xemb., tav. 16, fig. 4. Heraulli Agassiz — Oppel, Juraform. Ungi, pag. 394. Murchisoni Sowerby — Meneghini, Pai. de Vile de Sard., pag. 243. » » — Quenstedt, Ber Jura, pag. 453, tav. 62, fig. 5. » » — Moesch., Mon. Pholad ., pag. 44, tav. 17, fig. 6-9, tav. 18, fig. 19. » » — Mallada, Synopsis , tav. 30 a, fig. 1-2. » » — Chopfat, Comunicac., voi. 1, pag. 79. » » — Zittel, Pulaeozool., voi. 2, pag. 124, fig. 176. » » — Choffat, Sud. du Sado, pag. 303. — De Stefani, Terr. mes. Sard. — Choffat, Faun.jur. du Portu- gal., pag. 22, tav. 6, fig. 3-6, 8,10. — Fucini, Ool. di Sard., pag. 123. — Pampai.oni, Terr. carb. di Seni ed Ool. della Perd., pag. 347. » » » » » » » » Conchiglia spessa, subtrigona, rigonfia, inequilaterale; la re- gione boccale è ristretta, ma non del tutto tronca come nella Pholadomya texta Agassis, anzi leggermente convessa; la re- gione anale più espansa, allungata, va regolarmente assotti- gliandosi in spessore; il bordo palleale è convesso con una curva a grande raggio, sì che nella parte mediana appare quasi rettilineo, e subparallelo al bordo cardinale. L’umbone è robusto, triangolare, rigonfio, largo, obliquo, rivolto in avanti, 314 G. DAINELLI ma poco prominente. La ornamentazione è data da ima stria- tura concentrica più o meno regolare: talvolta fitta e meno marcata, tal’altra più rara, ma più pronunziata; ci sono poi delle coste radiali, clic si partono dal vertice dell’umbone e raggiungono il bordo palleale; il loro numero varia da indi- viduo a individuo (6-9), facendo così modificare leggermente l’aspetto generale della conchiglia; si noti però che tale variazione nel numero delle coste radiali dipende, più che da una vera e propria mancanza, da un mancato sviluppo di alcune di esse. Infatti negli esemplari di tipo normale, si osserverà facilmente come le sole coste centrali abbiano raggiunto sempre uno svi- luppo completo, mentre quelle laterali, tanto anteriori che po- steriori, sono sempre attenuate; e la mancanza loro è data quindi solo da un massimo di affievolimento; ed infatti le coste che rimangono non aumentano la loro distanza, nè l’ampiezza degli angoli, coi quali convergono aU’umbone. Dove le coste radiali raggiungono il loro massimo sviluppo, si vede che la se- conda, a partire dalla parte anteriore, è la più rilevata, gene- ralmente verticale, e limita la regione boccale; questo carattere avvicina la Pholadomya Murchisoni Sowerby alla texta Agassiz ed alla crassa Sowerby; anzi, a questo proposito noteremo che, come è vero che essa costituisce una forma intermedia tra le altre due, i diversi suoi individui si avvicinano piuttosto all’una che all’altra di tali forme, secondo il diverso comportamento della ornamentazione concentrica, rispetto alle coste radiali; in alcuni esemplari, infatti, abbiamo una striatura concentrica poco marcata, che lascia indisturbato, o quasi, alle coste tra- sverse il loro andamento lineare e continuo, come è nella Pho- ladomya crassa Soverby; in altri invece, nei quali gli orna- menti concentrici sono ben definiti, meno fitti, ma più marcati e rilevati, le coste radiali assumono l’aspetto di serie di tuber- coli, come è nella Pholadomya texta Agassiz. Dimensioni di tre esemplari, in parte supposte: lunghezza 30-54-70 inni.; altezza 23-46-60 min. ; rilevatezza 19-33-52 mm. 0FSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 315 Alcuni individui di Pholadomya Murchisonì Sowerby mostrano analogia, nel contorno generale, ma non negli ornamenti, colla Pholadomya Bucardium Agassiz; noi non abbiamo però esem- plari che presentino tale somiglianza, che del resto, crediamo, non può ingenerare confusione. Meneghini (1857. Paléont. de Vile de Sard., pag. 243) cita dalla Perdaliana numerosi individui sotto il nome di Pholadomya Murchisonì Sowerby alla quale pone sinonime la texta Agassiz e la Bucardium Agassiz; ab- biamo detto come tali forme vadano giustamente distinte come specie diverse, quindi non possiamo accettare tale riunione fatta dal Meneghini; il quale poi, nella descrizione che fa se- guire, tende a distinguere i tre tipi che ha già riunito in sino- nimia. Noi crediamo che tra i fossili da lui studiati ci fossero veramente esemplari della Pholadomya Murchisonì Sowerby e della texta Agassiz, che anche noi abbiamo riconosciuti nella fauna giurassica della Perdaliana. Osserveremo infine che egli accetta come buono il riferimento di Pholadomya Murchisonì Sowerby, fatto da Goldfuss (1841. Petr. Gemi., voi. 2, pag. 265, tav. 145, fig. 2, c, d ), ma aggiunge che la varietà convexo-cor- data si avvicina alla Bucardium Agassiz; noi, come tutti gli altri autori, non abbiamo accettato tale riferimento di Goldfuss, dei fossili del quale è stata poi fatta dall’Oppel una nuova specie, la Pholadomya Wiirttembergica (1856. Die Jurraform. Englands..., pag. 563). Questa specie ha una diffusione orizzontale latissima; alle numerose località di Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Lus- semburgo, Inghilterra, Scozia, Polonia, citate da Moesch (1874. Mon. der Pholad ., pag. 45, 46), aggiungeremo solo: Arrabida, Porto de Moz, Sobral, Capevo gordo, S. Thiago de Cacem, Mol- lianos, Cap. Mondégo, Montejunto (Portogallo); Torremocha, Arrieros, Pradilla, Molitorio, Caramillo de la Fuente, Albaracim (Spagna); Perdaliana, Monte Timilone (Sardegna). Come è grande la diffusione orizzontale, cosi lo è pure quella verticale, trovandosi la Pholadomya Murchisonì Sowerby dagli strati ad Ammonites Sowerbyi fino a tutto il Calloviano superiore. 316 G. DAINKLLI Plioladomya ovulum Agassiz? 1842. 1830. Phóladomya ovalis (non Sowerby) — Zieten, Wiirtt., tav. 65, fig. 3. 1840. » pari tela (non Ròmer) — Goldfuss, Petr. Germ., tav. 157, fig. 1. 1842. » ovulum — Agassiz, Et. crìi. Myes., tav. 3 6, fig. 1-6, tav. 3, fig. 7-9. » » fabacea — Agassiz, idem, tav 3, fig. 1-3, tav. 36, fig. 10-12, tav. 5 a. fig. 5-7. » » concatenata — Agassiz, idem, pag. 42, 139. 1848. » » Agassiz — Bronx, Jnd. pah, pag. 961. » » fabacea Agassiz — Bronn, idem, pag. 962. » » ovulum Agassiz — Bronx, idem , pag. 964. 1850. » » » — D’Orbignv, Prodr., voi. 3, pag. 305, ét. 11, n° 168. 1853. » » » — Morris and Lycett, Great. Ool , pag. 122, tav. 13, fig. 12 1854. » » » — Morris, Cat. Brit.foss , pag. 221. 1856. » » » — Oppel, Die Juraform., pag. 481. 1857. » ovali s (non Sowerby) (pars) — Pai. de Véle de Sarà ., pa- gina 244. 1863. » ovulum Agassiz — Lycett, Suppl. Gr. Ooh, pag. 84, tav. 35, fig. 18. 1867. « » » » — Laure, Biv. v. Balin., tav. 5, fig. 2. » » concatenata Agassiz — Laube, idem, tav. 5, fig. 1. » » socialis (non Morris and Lycett). — Laube, idem, tav. x 5, fig. 4. 1874. » ovulum Agassiz — Moesch, Mon. der Pholad., pag. 48, tav. 20, fig. 1-11. 1880. » cfr. » » — Choffat, Lias et Dogg., pag. 31. 1887. » » » » — Choffat, Sud du Sado, pa- gina 302. 1893. » » » — Choffat, Faun. jur. du Fort., pag. 12, tav. 4, fig. 8-12. 1894. » or alia (non Sowerby) (pars) — Fucini, Fot. pai. Ool. in Sard., pag. 123. 1900. » » (non Sowerby) — Pampai.oni, Terr.carb.di Seni, e ool. della Perd., pag. 347. Concliiglia spessa, allungata, leggermente ovoidale, e talvolta subtrigona, inequilatere; la regione boccale rigonfia, ed ivi FOSSILI BATONI ANI DELLA SARDEGNA 317 è convesso anche il bordo della conchiglia; la regione anale è espansa, allungata, e termina avendo uno spessore minimo. Gli umboni sono triangolari, molto forti e robusti, rigonfili, obliqui, leggermente ricurvi verso il lato anteriore, non molto prominenti, ma quasi combaciantisi ; gli ornamenti consistono in coste concentriche ben spiccate e rilevate, piuttosto irregolari nella loro distribuzione, rade, in specie quanto più ci si avvi- cina dal vertice deH’umbone al bordo paileale; ci sono poi delle coste radiali, in numero vario e minimo di 7, ben rilevate su tutta l’altezza della conchiglia, rettilinee quasi tutte, meno tal- volta le estreme sul lato posteriore, e non cambiate, dalle coste concentriche, in serie di tubercoli, come avviene nella Phola- domya texta Agassiz ; noteremo che la seconda costa, a partire dal lato boccale, appare la più rilevata, carattere, questo, che si verifica in molte altre specie di Pholadomyae. Dimensioni, in parte supposte, di due esemplari: altezza 28-4(5 mm.; lunghezza 36-57 mm.; elevatezza delle due valve: 28-44 mm. Meneghini (1857. Pai. de Vile de Sard., pag. 244) citava tra i fossili della Perdaliana, la Pholadomya ovalis Sowerby, della quale poneva una breve sinonimia: osserviamo però che delle opere da lui consultate, e che offrono delle illustrazioni di tale specie, solo Morris e Lycett (1853. Great Ool., voi. 2, pag. 141, tav. 15, fig. 14) danno una buona determinazione; mentre, come ha già indicato Moesch (1874. Monogr. der Phol., passim), e come abbiamo noi stessi riscontrato essere, a parer nostro, giusto ed esatto. Zieten (1830. Gol., tav. 65, fig. 3) de- scrive come Pholadomya ovalis Sowerby, individui di Ph. ovu- lum Agassiz, e Goldfuss (1840. Petr. Germ., pag. 269, tav. 156, fig. 6) individui di Ph. decemcostata Eoemer. Per questo cre- diamo che tra i fossili studiati da Meneghini ci possano essere molto probabilmente individui della Pholadomya ovuhm Agassiz; non diciamo con ciò che tutti quanti possano e debbano avere questo riferimento, perchè, come egli osserva, nei suoi esemplari si hanno due serie « che divergono tra di loro fino a dei ter- mini molto lontani. Nell’ima l’estremità boccale acquista mag- 23 318 G. DAINELLI giore estensione, e la conchiglia risulta meno inequilatcralc;... nell’altra, al contrario, l’estremità boccale è raccorcita e arro- tondata, mentre la regione anale è molto più allungata che d’ordinario, e la conchiglia prende allora le forme della Pho- ladomya canaliculata Roemer ». Ora noi osserveremo che, par- tendo Meneghini dell’errato concetto di considerare come forma tipica l’esemplare figurato da Goldfuss, cadono in parte le sue considerazioni ; nella prima serie rientrerebbero, secondo noi, gli individui da riferirsi forse alla Pholadomya omlum Agassiz, nella seconda probabilmente si potrà riconoscere un’altra specie, che però, supponiamo, non può essere la Pholadomya canali- culata Roemer. Questa infatti non ha la regione boccale molto più raccor- cita della specie di Agassiz, tanto da distinguerle, per questo solo carattere, nettamente; presenta, in vero, spesso, una mag- giore espansione della regione anale: carattere anche questo di importanza secondaria, quando non sia, come qui non è, molto accentuato, perchè differenze si notano anche in individui della stessa specie e per vere e proprie variazioni individuali, c per difetto di fossilizzazione; ma essa presenta veramente differenti le coste radiali, sia pel numero, come per randamento loro. Tali coste infatti sono più rilevate, più acute, più numerose; quelle che decorrono sopra l’umbone sono rivolte verso l’estremità anale con un angolo assai maggiore e leggermente curvilinee; coste infine ben chiare e delineate occupano quasi per intero anche la regione boccale. Dati (piesti caratteri della Pholadomya canaliculata Roemer (che poi, come la decemcostata Roemer, ha un’età assai più recente della ovulum Agassiz e della ovalis Sowerby), crediamo che gli esemplari che Meneghini riunisce a formare la seconda serie, o non vi debbano essere avvicinati, o non possano rien- trare nella Pholadomya ovulum Agassiz, e tanto meno nella ovalis Sowerby, che ha coste assai meno numerose e non con- tinue. Quanto alla citazione di Fucini (Not. pai. Ool. Sard., 1894, pag. 123), l’abbiamo dubitativamente unita nella nostra sinoni- mia, in conseguenza delle osservazioni fatte sul riferimento del Meneghini; essa infatti dice: « Pholadomya ovalis Sowerby.- FOSSILI BATONIANI DELL A SARDEGNA 319 Diversi esemplari della Perdaliana corrispondono a quelli così determinati dal prof. Meneghini e che si trovano nel nostro museo paleontologico ». I nostri esemplari sono mal conservati, e per questo ne po- niamo con dubbio la determinazione. Alle numerose località di Francia, Svizzera, Inghilterra, Ger- mania e Polonia, citate da Moesch, si aggiungano: Thomar, Signal Lameira, Pedrulha, Gap St. Vincent, Arrabida, Gesteira, Porto de Moz, Montejunto, Cesareda, Gap Mondego (Portogallo); Perdaliana (Sardegna). La Pholadomya ovulum Agassiz si estende dagli strati ad Ammonites Sowerbyi al Calloviano. Pholadomya socialis Morris et Lycett? 1853. 18;' 3. Pholadomya socialis » » solitaria (pars) » » oblila 1863. » » Morr.etLyc. 1875. » socialis » » 1893. » » » » — Morris and Lycett, Great Gol., pag. 122, tav. 11, fig. 7, 7 a. — Morris and Lycett, idem, pag. 124. — Morris and Lycett, idem, pag. 142, tav. 12, fig. 5. — Lycett, Suppl. Moli., pag. 120. — Moesch, Mon. der Phol., pag. 47. — Choffat, Faun. jur. du Fort., pag . 20, tav. 5, fig. 9. Conchiglia ovale, rigonfia, inequilaterale, obliqua; la regione boccale è corta, quasi tronca, ma col bordo leggermente arro- tondato; la parte posteriore è allungata, espansa, va attenuan- dosi nello spessore per gradi poco sentiti, e termina beante con una apertura stretta, allungata, ed estesa. Gli amboni sono assai obliqui, decisamente anteriori, rilevati, non molto larghi, piegati verso il lato boccale, ma non ricurvi o avvolti a spira; il bordo inferiore è arrotondato, e solo nella sua parte centrale è parallelo a quello opposto. Gli ornamenti consistono in coste concentriche, larghe, ben rilevate, ma irregolari, separate da solchi ben netti e delimitati; vi sono poi suirumbone delle coste radiali in numero di 6, tenui, leggiere, rettilinee, dirette verso il lato anale, evanescenti in basso prima di giungere al bordo inferiore. 320 G. DAINELLI Dimensioni, in parte supposte, di due esemplari: altezza 30-40 inni.; lunghezza 38-45? nini.; elevatezza delle due valve 24-33 inni. Attribuiamo dubbiosamente a questa specie due esemplari, dei quali uno è assai mal conservato, mentre l’altro presenta i caratteri specifici, per quanto sia alquanto corroso sulla parte anteriore. Tale specie Morris e Lycett, che la descrissero, pa- ragonarono alla Pholadomya laeviuscula Agassiz, sinonima della lineata Goldfuss; e invero le analogie sono grandi, se non che * le due specie appartengono a due gruppi diversi del genere Pholadomya. Gli stessi autori riferirono dubitativamente alla Pholadomya solitaria n. sp. alcuni esemplari, che poi, studiati di nuovo, e con più cura, descrissero da sè come forma nuova, chiamandola Pholadomya ohlita; Moesch giustamente la unì alla socialis, pur non adducendo le ragioni di tale riunione, e Choffat stesso, che lo seguiva, pur notando la dimenticanza di Moesch, non la spiega con chiarezza. Sta il fatto che le descri- zioni e le figure, che Morris e Lycett danno della Phodalomya socialis come della, ohlita, coincidono (piasi esattamente: unica differenza si è che, mentre nella prima le coste radiali sembra non debbano mai raggiungere il bordo pai leale, ciò avviene nella seconda; nella quale però quegli stessi descrittori osser- vano che talora dette coste vanno evanescendo in basso. La differenza dunque è minima, ed esistendo varie forme di pas- saggio relativamente a tale diverso sviluppo, in lunghezza, delle coste radiali, pare anche a noi che ben si possano unire le due specie in una sola, ohe ha effettivamente i rilievi lon- gitudinali sempre poco rilevati, fini e deboli, ma evanescenti ad una distanza varia, più o meno grande, dal bordo inferiore. Dobbiamo infine osservare che Morris e Lycett paragonano la loro Pholadomya ohlita alla fid ionia Sowerby; tra le nume- rose differenze che però le tengono separate, notano come molto importante questa, che la specie loro ha le coste radiali assai numerose, fitte, fini, quasi lineari, mentre nella specie di So- werby sono più rade e più rilevate; invece, se si confrontano le figure che delle due forme sono state date (per la fidicula, FOSSILI B ATONIA NI DELLA SARDEGNA 321 vedi Moescli. Monogr.cler Pholad ., tav. 8, fig. 4-7, tav. 9, fig. 6-8), si riscontrerà facilmente che avviene tutto il contrario. Località: Minchinhampton, Bliswort, Northamptonshire, Fro- cester, Selsley, Stroud, Nailsworth, Somersetshire (Inghilterra); Hornussen in Friekthal (Svizzera); Moinho-do-Eusebio, Porto de Moz (Portogallo). Specie del Baiociano e del Batoniano. Homomya Yezelayi Lajoye 1839. (Tav. XII, fig. 3, 10}. 1839. Pholadomya Vezeluyi — Lajoye, Bull. Soc. fje'ol. Fruti- ce, voi. XI, pag. 74. 1842. Homomya gibbosa (non Sowerby) — Agassiz, Myes., pag. 160, ta- vola 18. — D’Archiac, Mém. Soc. géol. Fumee, pag. 370, tav. 25, fig. 4. — Bkonn, Ind. pai., pag 762. — Bronn, idem, pag. 966. — D’Orbigny, Prodr., voi. 1, pag. 304, ét. 11, n° 157. — Morris and Lycett, Great Ool., pag. Ili, tav. 11, fig. 5, 5«. — Meneghini, Pai. de Vile de Sard., pag 241. — M a rti n, Esp. nouv. de Vét. bath. de la Còte d’Or. — Lycett, Sappi. Moli, pag. 89. — Choffat, Fanti, jur. pori., pag. 31 » » cfr. gibbosa Sowerby? — Choffat, idem, pag. 32, tav. 9, fig- L Conchiglia allungata, rigonfia in corrispondenza deU’umbone, transversa, inequilatere; gli amboni sono anteriori, larghi, rile- vati, triangolari, poco prominenti, obliqui, ma non ricurvi, verso il lato boccale, combaciantisi fra loro all’apice. La regione boccale è corta, non rigonfia, in modo che la superficie delle due valve forma, alla sutura, un angolo un poco più grande del retto ; lateralmente agli umboni è un poco espansa, indi il bordo declina con una linea obliqua, convessa, con raggio am- plissimo, verso il bordo inferiore. Questo per buona parte della 1843. Mya Verrei agi 1 8 48. » » » Pholadomya 1850. » 1853. Myacites 1857. » 1862. Homomya 1863. » 1893. » D'Archiac Vezelayi Lajoye » » » » » » » » » » » » 322 G. DA1NELLI sua lunghezza è rettilineo, anzi al centro mostra una leggiera sinuosità concava, ed è subparallelo al bordo superiore, col quale si riunisce posteriormente mediante una curva a raggio piutto- sto piccolo. La regione anale è assai espansa; va regolarmente assottigliandosi dalla massima altezza, che è sotto l’ambone, fino a circa i 7/8 del diametro antero-posteriore ; ivi si trova una spe- cie di largo solco non definito, o meglio una depressione, concen- trica rispetto al bordo posteriore, e che termina al bordo car- dinale presso il limite anteriore della grande apertura della conchiglia, ed al bordo paileale verso il centro di questo, dove però giunge molto attenuata. Di li le due valve vanno assotti- gliandosi nello spessore più lentamente fino al bordo posteriore, prima del quale però si nota una seconda depressione concen- trica alla prima, meno sentita e naturalmente a percorso minore. La grande apertura delle valve nella regione anale, comincia proprio all’estremità di essa, ed è tanto estesa quanto il bordo cardinale a partire di sotto gli amboni fino al limite anteriore dell’apertura stessa; questa è dunque abbastanza lunga, piutto- sto superiore, che decisamente posteriore, rispetto alla conchi- glia, non è molto larga, ed ha forma regolare e perfetta di fuso allungato. L’apertura anteriore è corta e stretta. Il bordo car- dinale, posteriormente agli umboni, si mostra rilevato, rispetto a due depressioni delle valve, che decorrono vicine e parallele ad esso, e che rappresentano il carattere differenziale tra le Ho- momyae e le Pholadomyae. Gli ornamenti sono dati da eoste con- centriche ben marcate, rilevate, irregolari, cioè più o meno grandi, o distanti Luna dall’altra; talora sono aggruppate in più tra loro, o invece disgiunte da solchi netti, larghi e profondi ; qual- che volta infine la superficie della conchiglia, pur mantenendo inalterata la ornamentazione con i suoi caratteri di irregolarità, mostra delle depressioni concentriche, tra le quali una, forse più marcata delle altre, si trova circa a 8 min. di distanza dal bordo inferiore. Sugli umboni si vede qualche leggiera traccia di co- ste radiali (2 o 3) assai poco sviluppate anche in lunghezza. Dimensioni: altezza 56 mm.; lunghezza 85 min.; elevatezza delle due valve 48 mm. FOSSILI BATONFAN1 DELLA SARDEGNA 323 Di questa specie abbiamo numerosi esemplari, dei quali uno perfettamente conservato, e che si identifica con quello figurato dal Morris e Lycett ( Great Gol., tav. 11, fig. 5, 5 a), salvo una minore rigonfiezza nel nostro individuo di Sardegna. Fucini non ha avuto nella sua raccolta di fossili della Per- daliana questa specie, che anche Meneghini dice molto abbon- dante; Meneghini nota tra i caratteri proprii di tale specie « la présence du sillon parallèle à la marge palléale qui limite la partie périphérique atténuée » (Pai. de Vile de Sard ., pag 241); non crediamo che esista veramente, come ornamento caratteri- stico, questo solco, ma che invece in esso si debba riconoscere una delle depressioni concentriche da noi osservate. Assai vicina alla presente specie è la Homomya gibbosa Sowerby; se si leggono le descrizioni e si osservano le figure che delle due forme danno Morris e Lycett ( H. Vezelayi Lajoye, Great Ool. , loc. cit. ; R. gibbosa Sowerby, Sappi. Moli., pag. 89, tav. 43, fig. 2, 2 a), se ne vedranno subito le differenze, che poi in seguito furono messe in rilievo da Martin (Fsp. nouv.)\ cioè la seconda ha forma meno allungata, è più alta, ha amboni meno obliqui, meno anteriori e più grandi, ha il tratto rettilineo del bordo inferiore assai più sviluppato, la regione anteriore più espansa e priva di quella specie di angolo che il suo bordo forma nella Homomya Vezelayi Lajoye; ha infine l’apertura anale meno sviluppata e decisamente posteriore, mentre nella specie vicina, e della quale ci occupiamo noi, essa presenta la massima parte del suo sviluppo nella regione superiore del bordo. Anzi, questo ultimo carattere ci ha fatto dubitare che debba forse riferirsi alla Homomya Vezelayi Lajoye l’esemplare descritto e figurato da Choftat (Faun. jur. du Fort., loc. cit.) come Homomya cfr. gibbosa Sowerby. Località: Cotteswolds, Minchinhampton (Inghilterra); Bucilly, Yezelay, Navenne, Poitiers, Vienne, Ranville (Francia); Per- daliana (Sardegna); Porto de Moz, Minde, Bolleiros, Candieiros (Portogallo, ?). Abbiamo la presente specie anche dal Tacco di Seni. Specie batoniana. 324 G. DAINELLI Homoinya laitmarensis De Loriol 1883. (Tav. XI, fig. 1). 1883. Homomya laitmarensis — Dk Lorioi., Et. pai. coiteli, à Mytilus des Alp. Vaud.r pag. 35, 90, tav. 3, tig. 5-7. » » » De Loriol. — Scliakot, Et. strat. coiteli, à Myt. des Alp. Vaud., pag. 107, 139. Conchiglia ovale, allungata, rigonfia, molto inequilaterale. La regione boccale è corta, quasi tronca, ed il suo bordo di- viene, inferiormente, scappante; la regione anale è espansa, assai depressa, con la estremità regolare, arrotondata. Gli am- boni sono triangolari, assai rigonfi, sviluppati, prominenti, av- vicinati agli apici, anteriori, obliqui verso il lato boccale; il bordo cardinale è rettilineo presso agli amboni, poi si fa con- cava piegandosi in alto, dopo di che declina a formare il bordo posteriore; quello paileale è curvilineo, in parte subparallelo a quello opposto. Accanto al bordo cardinale si vede una impres- sione, ad esso parallela, stretta e marcata; gli ornamenti sono dati da strie e pieghe concentriche, irregolarmente distribuite, e più o meno marcate; qualche volta i solchi che le dividono sono sostituiti da depressioni più ampie e profonde. Dimensioni: altezza 35 mm. circa; lunghezza 45 mm. circa; elevatezza di una valva 15 mm. Abbiamo un nuovo esemplare, rappresentato da una valva destra abbastanza ben conservata, e che concorda in tutto con la descrizione e le figure date da Choffat. Località: Laitmare (Svizzera). Specie batoniana. Arcomya Meneghinii n. sp. 1857. 1857. Panopaea gibbosa (non Phillips) — Meneghini. Pai. ile de Sard„ pag. 229. (non D'Orbigny) — Meneghini, idem , pag. 240, tav. E, tig. 10, 10a. » » » FOSSILI BATON1 ANI DELLA SARDEGNA 325 1894. Goniomya gibbosa (non d'Orbigny) — Fucini, Not. pai. Gol. Sard., pag. 123. 19C0. Arcomya Schardti (non De Loriol) — Pampalonj, Terr. carb. Seui, oo\. Perd., pag. 347. Conchiglia allungata, bassa, poco rigonfia, anzi piuttosto depressa, molto inequilaterale; la massima rigonfiezza si trova sulla regione anale, non molto lontano dagli amboni. La re- gione boccale non è tronca, ma piuttosto corta, ristretta, atte- nuata, arrotondata all’estremità; la regione opposta, meno ri- stretta nello spessore, che va gradatamente scemando dal suo massimo presso l’umbone, assai più lunga ed espansa, è come troncata obliquamente nella parte superiore della sua estremità, e nel resto regolarmente arrotondata. Il bordo cardinale è ret- tilineo, fino al punto dove, in seguito ad un angolo assai ottuso, comincia l’obliquità sopra detta della regione anale, e dove pure comincia l’apertura posteriore, che è così piuttosto lunga, e va sentitamente allargandosi verso l’estremità posteriore; l’a- pertura anteriore invece è assai più corta e più stretta, e deci- samente apicale; il bordo palleale è per la massima parte ret- tilineo e parallelo a quello opposto. Gli umboni sono larghi, triangolari, poco rigonfi, poco prominenti, poco o punto obliqui, assai avvicinati agli apici loro; ai lati del bordo cardinale si osservano due depressioni ad esso parallele, oltre le quali ci sono come due carene piuttosto ottuse che delimitano il cor- saletto. La superficie è coperta da strie e pieghe concentriche più o meno irregolari, tra le quali si alternano, senza regola alcuna, delle depressioni, pure concentriche, più o meno mar- cate. Dimensione dell’esemplare figurato da Meneghini: altezza 31 min.; lunghezza 68 nini.; elevatezza delle due valve 22 inni. Dimensioni, in parte supposte, del nostro esemplare: altezza 37 mm.; lunghezza 77 mm.; elevatezza delle due valve 22 mm. Come si vede il nostro unico esemplare, mal conservato in quanto che è mancante della intera parte inferiore della regione boccale, mostra una lunghezza ed una altezza assai maggiori che non l’esemplare figurato da Meneghini, ed una uguale ele- vatezza, che quindi, in paragone di quelle prime misure, re- sulta minore. Meneghini determinò i suoi fossili della Perda- liana come Panopaea gibbosa Phillips (op. cit., pag. 229) o D’Orbigny (op. cit., pag. 240): conveniamo che la Lutraria gibbosa descritta e figurata da Phillips (1835, Yorlsh., voi. 1, pag. 121, tav. 9, tìg. 6), e citata poi come Panopaea gibbosa da D’Orbigny (1850, Proci r. strat., voi. 1, pag. 273, et. 10, n° 227) non sia uguale alla tipica Homomya gibbosa Sowerby (vedi Sowerby, 1812, Min . Condì., voi. 1. pag. 91, tav. 42, come Mactra gibbosa n. sp.) ; per questo crediamo si dovrebbe giu- stamente cambiare, onde evitare erronei giudizi, il nome spe- cifico alla forma figurata da Phillips, perchè altrimenti potrà sempre andar confusa con la tipica specie di Sowerby, che ha passato tante vicende nella determinazione generica, oggi sta- bilita in Homomya. Del resto dalla Panopaea gibbosa Phillips o D’Orbigny (non Sowerby) di fioriscono essenzialmente gli individui della Perda- liana, dei quali è ora questione; come del resto si era ben accorto lo stesso Meneghini, quando diceva: « En la (la specie sarda) comparant avec celle de M. Phillips on remarque qu’elle est plus incquilatérale, l’extrémitc anale en ctant plus prolongée et obliquement tronquée ». Fucini, nel suo elenco di fossili della Perdaliana, cita la stessa specie come Coniomya gibbosa D’Orbigny, alla quale fa seguire la nota: «corrisponde assai bene all’esemplare figurato dal Meneghini col nome di Panopaea gibbosa D’Orbigny ». Pani- poloni infine cita tra i fossili della stessa località da lui rac- colti, e che formano oggetto della presente memoria, V Arcomya Schardti De Loriol (1883, Et. pai. (Ics couchcs à Mytilus des Alp. Vaud., pag. 37, tav. 4, fìg. 4-6); questa specie però, per quanto vicina, è certamente diversa dalla nostra, essendo meno lunga in rapporto all’altezza, assai più e più irregolarmente ri- gonfia nella regione anale, priva di quella obliquità caratteri- stica dell’estremo bordo posteriore, e provvista sotto rumbone FOSSILI BATONI ANI DELLA SARDEGNA 327 di una depressione assai marcata, che va crescendo in intensità e larghezza fino al bordo palleale. Per cui resta da vedere se sia giusta la nostra determina- zione generica o se sia preferibile quella data dal Fucini. La questione dei sottogeneri da riunirsi al genere Pholadomya è lungi dall’esser decisa, come ben osserva Clioffat (1893. Fami, jur. du Fort., pag. 3): Zittel pone come tali le Goniomyae e le Homomyae, alle quali unisce le Arcomyae ; Fischer invece stabilisce la famiglia delle Arcomydae comprendente i generi Arcomya , Goniomya, Fleuromya, Madiomya , e pone le Homo- myae sinonimi delle Arcomyae, pur avvertendo che alcune di esse rientrano nella famiglia delle Pholadomydae. Ora, per quanto i caratteri interni di questi due ultimi generi sieno uguali, come mostrano gli studii di Terquem (1855, Myaires, pag. 44), non così è del pari per i caratteri esterni : le Arcomyae hanno uno scudo ben delimitato, lungo ed abbastanza largo, ciò che non presentano le Homomyae in alcuna delle forme che più diver- gono tra loro; anche l’aspetto generale è ben diverso, onde è giusta e giustificata, ci pare, la distinzione di questi due generi che alcuni propongono di riunire. Quanto al genere Goniomya, esso ha per caratteristiche esterne : « surface montrant de fines granulations disposcs en séries, et onice de cotes anguleuses, en chevron, dont la pointe est dirigée vers le bord ventral ». (Fischer, Man. de Condì. , voi. 2, pag. 1166); per questo ca- rattere particolare degli ornamenti, ci pare escluso che i fossili della Perdaliana, dei quali è adesso questione, debbano appar- tenere al genere delle Goniomyae, e seguiamo, come giusta, la determinazione generica posta dal Pampaioni come Arcomya. Alla presente specie si avvicinano alcune descritte come nuove dal Clioffat, del Giura del Portogallo, e in particolare la Arcomya Corta zari Clioffat (1893, Faun. jur. du Fort., pag. 37, tav. 1, fig. 7, a, b), la quale però è meno rigonfia, ha la regione boccale più espansa, quella anale meno alta, priva della obli- quità superiore, il bordo inferiore marcatamente convesso, e il corsaletto assai meno largo; forse anche la Arcomya occiden- tali Clioffat (idem, pag. 34, tav. 1, fig. 1) è vicina alla nostra specie, ma l’esemplare figurato è troppo imperfetto per poter stabilire un giusto paragone. 328 G. D.A1NELLI Ceromya concentrica Sowerby 1825. (Tav. XI, fig. 12; tav. XII, fig. 8). 1825. Isocardia concentrica 1836. » 1810. » 1843. » 1848. » 1854. » 1855. » » » » » Sowerby, The Minerai Concho- logy of Great Britain , voi. 6, pag. 147, tav. 491, fig. 1. » Sowerby — PmLLU$>,Ill.oftheGeol.ofYorlc- shire, voi. 1, pag. ] 59, tav. 11, fig. 40. » » — Deshayes, Traitéélém. de conch.r tav. 24, fig. 14, 15. Morris, Cat. Brit. Foss., pag. 88. Bronn, Iiid. paleont., pag. 616. 1850. Ceromya concentrica Sowerby — D’Orbigny, Prodr. de Paléont. strat. uniti., voi. 1, pag. 336, 12e ét., u° 125. Morris, Cat. of Brit. foss., pa- gina 198. Morris and Lyceit, Mollusco, from tlie Great Oolite. The Pa- laeont. Soc part. 2, pag. 108, tav. IO, fig. 3 a, b, tav. 15, fig. 2 a h. Offri., Die Juraform. England ., pag. 483. Lygrtt, Mollusco from Stones- field Siate Great Oolite... Pa- laeont. Soc., tav. 36, fig. 5. Moesoh, Der Aargauer Juraf Beiti-, zur geol. Karte der Sch- weiz, voi. 4, pag. 100. Rigaud et Sxuvage, fìescr. de 7 uelques esp. nouv. de Vét. Ba- thonien., Móni. Soc Acad. de Boulogne, voi. 3, pag. 20. De L iriol. Elude paleont. des couches à Mytilus des Alpes Vaudoises Mém. de la Soc. Paléont. Suisse,voI. 10, pag. 18, tav. 5, fig. 1-5. Sciiardt, Elude stratigr. des cou- ches à Mytilus des Alpes l'au- 1856. » 1863. » 1867. » 1868. 1883. » » — FOSSILI BATONI ANI DELLA SARDEGNA 329 doises. Mém. de la Soc. Paléont. Suisse, voi. 10, pag. 116, 129, 135, 136. 1887. Ceromya concentrica Sowerby — Fischer, Man. de Conch., pa- gina 1165. 1900. » » » — Pampaloni, 7 terr. carb. di Seni ed ool. d ella Per daliana. Remi, della R. Accad. dei Lincei, voi. 9. ser. 5, fase. 11, pag. 348. Conchiglia ovale, allungata, inequilatere, leggermente ine- quivalve, rigonfia; l’umbone è assai rilevato, robusto, triango- lare, prominente, dritto e solo coll’apice un poco ricurvo verso il lato anteriore; la regione boccale è piuttosto sviluppata, lunga, ma non molto larga. Il bordo della conchiglia è regolarmente ovale, assai espanso dalla parte posteriore, ridotto invece da quella opposta; la superfìcie è tutta quanta coperta da coste concentriche, fitte e numerose ; esse, ad un’apparenza generale sommamente regolare, uniscono alcune piccole irregolarità, cioè nella distanza che intercorre tra l una e l’altra, e nello sviluppo loro; con più precisione, lungo il bordo si può osser- vare una specie di fascia, nella quale le coste sono più sottili e più vicine di quel che non sieno sul rimanente della super- ficie conchiliare, si che se ne contano 11 in 10 inni., invece delle 8 o al massimo 9 che nello stesso spazio si ritrovano verso il centro della conchiglia; del resto tale numero varia dentro limiti svariati: abbiamo un esemplare, nel quale si con- tano sopra rumbone sole 6 coste in un centimetro. Tali coste sono ben marcate, e ben definite, visibili quasi sempre, ed in quasi tutti gli esemplari, ma poco rilevate, disgiunte da piccoli solchi, larghi quanto esse costole, e regolarmente concavi; si noti che anche nei nostri esemplari, come già in quelli delle Alpi di Vaud, studiati da De Loriol (Et. paléont. des conch. à Mytilus des Alpes Vandoiscs ., pag. 19), le coste presentano una certa irregolarità nel loro andamento; infatti sull’umbone, fino a circa i due quinti dell’altezza totale della conchiglia, e tal- volta meno, mostrano, dalla parte posteriore, una piega piut- tosto sentita in alto; poi, a poco a poco, tale piega si fa più dolce, poiché le coste assumono e conservano fino al bordo in- feriore un andamento curvilineo assai regolare. Di coste tra- 330 G. DAINELLI sverse a queste prime, cioè radiali, i nostri esemplari ne pre- sentano talune poche, non però continue, come appunto è negli esemplari descritti da De Loriol. Tali caratteri secondari non sono accennati da Sowerby, che primo descrisse la specie (Iso- cardia concentrica, Min. Conci) ., voi. V, pag. 147, tav. 491, fig. 1); aggiungeremo ancora che in tre nostri esemplari abbastanza ben conservati, si può notare una leggiera depressione al centro dell’umbone, la quale giunge fino al bordo inferiore, dove si manifesta con una piccola sinuosità appena marcata. Sopra un individuo si vede assai ben conservato un lungo solco margi- nale, che, nella valva destra, si trova sotto l’umbone lungo il bordo cardinale, con sviluppo posteriore. Un altro individuo, nel quale sono conservate insieme le due valve, si mostra assai chiaramente inequivalve; ha cioè nella valva sinistra l’umbone più vicino al bordo anteriore, in modo che appare più espansa la parte opposta della conchiglia. Dimensioni: lunghezza 85 inni.; altezza 60 min.; rilevatezza 26 inni. Forme vicine sono la Ceromya excentrica Agassiz, e la Ce- romya Whitalcesi Sauvage, delle quali più volte sono stati rile- vati i caratteri differenziali; aggiungeremo che non lontana è pure la Ceromya Aalensis Quenstedt (Isocardia Aalensis ; Der Aura , 1858, pag. 360. tav. 49, fig. 1, 2), la quale però va netta- mente distinta dalla specie di Sowerby per maggiore rigonfiezza, assai maggiore curvatura dell’ ambone verso il lato anteriore, per una certa irregolarità nella ornamentazione, e infine piccole differenze nell andamento del solco cardinale posteriore. La Ce- romya concentrica Sowerby, non citata alla Perdaliana dal Me- neghini ( Patcont . de Vile de Sardo igne, 1859), dal Fucini ( No- tizie paleont. sulla Oolite di Sard.. 1894), nè da altri, è rite- nuta come specie caratteristica del Batoniano. Località: Minchinhampton, Nymphsfield, Cotteswolds, Bulp- wick, Stauton, Kangsthorpe (Inghilterra); Lyon, Pizieux, Beau- monf, Chaffour, Marquise presso Boulogne (Francia); Laitmaire, FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 331 Rubli, Vidraanette . . . (Alpi di Vaud). Piuttosto abbondante alla Perdaliana. Specie propria del Batoniano. Ceromya striata Sowerby. 1812. 1812. Cardita striata » » abrupta — Sowerby, The Min. Conch.of Great. Brit ., voi. 1, pag. 199, tav. 89, tig. 1. — Sowerby, idem, voi. 1, pag. 200, tav. 89, tig. 1. 1842. Ceromya plicata — Agassiz, Etudes crit. sur les moli. foss. Myes., pag. 32, tav. 8, d. 1843. Isocardia striata. — Morris, Cat. of Brit. Foss , pag. 88. 1845. Cardita V- costata — Buckmann, Geol. of Cheltenham, pag. 97. 1848. Cardita abrupta Sow. — Bronn, Ind.pal., pag. 224. » » striata Sow. — Bronn, idem, pag. 228. » Ceromya plicata A g. — Bronn, idem, pag. 277. » Isocardia abrupta Sow. — Bronn, idem, pag. 615. » » striata Sow. — Bronn, idem, pag. 618. 1850. Ceromya plicata Ag. — Morris and Lycett, Moli. from. thè Great Ool., II, pag. 107, tav. 10, tig. 1, or, b, 2. » » striata — D’Orbigny, Prod., voi. 1 , pag. 305, ét. 11, n° 171. 1856. » 1859. » 1867. » 1871. » 1883. » » » plicata Ag. — Oi’FEL, Die Juraform. England , pag. 483. striata D'Orb. — Meneghini, Paléont. de Vile de Sard., pag. 215, 217, tav. E, tig. 11, 116. plicata Ag. — Moesch, Der Aarg. Fura, pag. 100. » »? — Coquand, Klippenk. du Var., pag. 219. » » — De Loriol, Et. paléont. de couches à My- tilus des Alpes Vaudoises, pag. 22, 90, 91, tav. 5, tig. 6. tav. 6, tig. 1, 2. » » — Schardt, Et. stratigr. de couches à Myti- lus des Alpes Vaudoises, pag. 129. 135, 139. 1885. » » » — Zittel. Palaeozool., voi. 2, pag. 27. 1894. * striata D'Orb. — Fucini, Not. paléont. sulla Ool. di Sard. Soc. tose, di S. N., pag. 122. 1900. Goniomya u. sp. — Pambaloni , Terr. carb. Seni, e ool. Perd., pag. 347. Conchiglia ovale-quadrangolare, poco allungata in rapporto alla sua altezza, inequilatere, leggermente inequivalve, rigonfia. L’umbone è molto rilevato, acuminato, prominente, forte, trian- golare, piegato verso il lato anteriore e avvolto, da questa parte, 332 Ci. DAINELLI a spira. La regione anteriore è, sotto l’umbone, marcatamente concava, poi si fa convessa, ma appare tronca, in paragone alla maggiore espansione della regione posteriore; il bordo paileale nel suo tratto medio è quasi rettilineo e parallelo a quello op- posto, cardinale. La ornamentazione delle valve consiste in una striatura concentrica, simile a quella della Ceromya concentrica Sowerbv, ma nella quale le coste, giunte sulla parte posteriore dell’umbone, si piegano tutte in alto con un angolo più o meno acuto; le coste sono circa in numero di 1(3 o 17 per ogni 10 mm., sono ben marcate, nette, continue, ma poco rilevate, e disgiunte da solchi poco profondi. La ornamentazione però della Ceromya striata Sowerby è ben caratteristica e facilmente riconoscibile; un numero varia- bile di coste, da 5 a 8, realmente concentriche, più rilevate e più larghe delle altre, decorrono lungo i bordi anteriore, infe- riore e posteriore; al di sopra di esse tutta quanta la parte cen- trale della conchiglia, tino in cima all’umbone, è occupata da coste più sottili, ma sempre ben nette e individualizzate, le quali sono e si mantengono per buon tratto rettilinee e parallele al bordo inferiore, e quindi sono notevolmente oblique rispetto al- l’umbone, il quale, come si c detto, è anteriore e prosogiro. Le prime di tali coste, giunte verso l’estremità posteriore, a con- tatto colle coste concentriche, vi si arrestano contro la più in- terna; le altre invece si piegano, con un angolo più o meno acuto, in alto, e vanno a terminare al bordo cardinale. Un esem- plare nostro mostra, sulla sua parte mediana, una specie di pie- gatura di tutte le sue coste lungo una sola linea, come si vede nell’individuo figurato da Morris e Lycett alla tav. X. tìg. 1. Il dott. Pampaioni determinò come Goniomya un frammento di conchiglia, nella quale si vedeva un ben marcato angolo for- mato dalle coste; nè la sua determinazione poteva venir incrimi- nata, dato il misero stato di conservazione dell’esemplare da lui preso in esame. Senonchò noi abbiamo potuto isolare e studiare numerosi frammenti, tali da poter ricostruire varii individui e riconoscere abbastanza esattamente non solo il genere ma anche la specie. Abbiamo riunito come sinonime la Ceromya striata Sowerby e la Ceromya plicata Agassiz, perchè invero, data la grande FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 883 variabilità che tali forme possono presentare per differenze di età, di dimensione e di habitat , non ci è parso che le piccole diversità di caratteri notate da alcuni autori potessero avere valore specificamente differenziale; si osservino infatti e si con- frontino le figure e le descrizioni di Sowerby, di Agassiz, di Meneghini, De Loriol, Morris e Lycett, e si vedrà come negli esemplari esaminati da ciascuno di essi e ritenuti talvolta ap- partenenti a due specie diverse, si ritrovino sempre i medesimi caratteri. Del resto già D’Orbigny riunì in una sola le due forme; si noti però che la Ceromya striata D’Orb., da lui descritta nel 1822 (. Isocardia striata. Meni, du Mas., voi. 8, pag. 104, tav. 2, fig. 7-9), non è sinonima di quella di Sowerby, ma un’altra specie, che egli stesso in seguito (1850. Prodr., voi., 2, pag. 48, ét. 15, n. 81) riconobbe cadere in sinonimia della obovata Roe- mer, e che invece Dromi e Roemer (1852. Lethaea geognostica , voi. 2, pag. 268, tav. 20, fig. 10) giustamente riunirono alla infìata Voltz. Per questo nella sinonimia della Ceromya striata Sowerby, che alcuni (vedi Meneghini) chiamano striata D’Or- bigny, solo perchè questi ne cambiò, correggendola, la deter- minazione generica (1850. Prodr., voi, 1, pag. 305, étage 11, n. 171), abbiamo naturalmente tralasciato quelle citazioni che si riferiscono alla striata D’Orbigny — obovata Roemer ~ infìata Voltz, come sarebbe in Goldfuss ( Petr . Gemi., voi. 2, pag. 208, tav. 140, fig. 4). Anche Oppel (1856. Die Juraform. England., pag. 483) e Meneghini (1859. Paléont. de V ile de Sard., pag. 247, tav. E, fig. 11, 11 b) hanno riunito le due specie Ceromya striata Sowerby e plicata Agassiz; De Loriol, nel descrivere dalle Alpi di Vaud questa ultima, pone sinonima la Ceromya striata D’Or- bigny (non Sowerby. — 1850. Prodr., voi. 1, pag. 305); si noti però, che, come appare da quel che siamo andati finora dicendo, tale citazione si riferisce veramente alla specie di Sowerby, alla quale è stato cambiato il solo nome generico, e non già alla omonima posta da D’Orbigny nel 1822; quindi bisogna am- mettere che De Loriol abbia sbagliato la citazione, o riconosca sinonime le specie di Sowerby e di Agassiz. La Ceromya striata Sowerby è stata riconosciuta tra i fossili della Perdaliana da Meneghini e poi di nuovo dal Fucini. 24 334 G. DAINELI.I Località: Swanswick, Gloucestershire, Sapperton, Minchin- hampton, Sevenhampton (Inghilterra); Goldenthal (Cant. Solo- thurn); Laitraare, Rubli, Pointe de Rubli, Vuargny, Videma- nette, Boltigen (Alpi di Vaud); Vézelay, mont d’Héen, Nantua, Marquise, Poitiers (Francia); Perdaliana, Narri, Laconi, Piscina del Soldato (Sardegna). Abbiamo questa specie anche dal Tacco di Seni. Specie ba- toniana. Thracia lens Agassiz 1845. 1845. Corimya lens — Agassiz, Myes, pag. 267, tav. 36, fig. 1-15. 1848. » » Agassiz — Bronn, Ind. pai., pag. 338. 1850. Thracia » » — D’Orbigny. Prodi-., voi. 1, pag. 306, ét. Il* n° 174. 1857. » » D’Orbigny — Oppel, Die Juraform., pag. 483. 1867. » » » — Moesch, Aarg. Jura, pag. 100. 1883. Corimya » Agassiz — De Lorioi., Couch. à Mytilus des Alp. Vaud., pag. 17, 90, 92, tav. 6, fig. 7. 1900. » » » — Pampaloni, Terr. cari), di Seui e ool. della Perd., pag. 348. Conchiglia ovale allungata, depressa, molto inequilaterale; l’umbone è piccolo, poco rilevato, poco prominente, posteriore, leggermente opistogiro, non distinto dal lato boccale, ma ben delineato dalla parte opposta. Questa, ossia la regione anale, è assai corta e tronca; mostra un brusco restringimento sotto l’um- bone, e poi si espande un po’ più, limitata da un bordo cur- vilineo a raggio molto grande; la regione boccale invece è molto espansa, allungata, delimitata dal bordo superiore quasi retti- lineo, da quello inferiore subparallelo a questo primo, e appena convesso, infine da quello posteriore regolarmente arrotondato; la conchiglia acquista così l’aspetto generale di un quadrila- tero, i cui angoli sieno smussati in brevi curve regolari. Il bordo cardinale a partire dall’umbone verso l’estremità anteriore de- scrive una leggiera curva concava; il margine della intera con- chiglia è spesso e in alcuni punti come cerchiato; presso il bordo cardinale si vede un leggiero solco ad esso parallelo, ed appena marcato; le impressioni muscolari sono poco infossate, FOSSI I.I batoniani della sakdegna 335 e di forma più o meno regolarmente ovale ; il seno palleale non molto profondo. Dimensioni: altezza 18 min.; lunghezza 32 rum.; elevatezza di una valva 5 min. circa. Abbiamo una sola impronta interna che noi riferiamo a tale specie; d’altronde i caratteri che essa presenta sono bastanti per una sicura determinazione. Notiamo che i rapporti delle misure delle varie dimensioni concordano con quelle degli esem- plari figurati da Agassiz, mentre l’individuo delle Alpi di Vaud studiato da De Loriol si mostra un poco più basso in confronto alla lunghezza totale effettiva non solo, ma anche di quella che la mancanza dell’estremità anteriore permette di vedere. Mene- ghini (Pai. de Vile de Sani., pag. 250, 251) cita dalla Perda- liana due diverse Thraciae sp. ind., che però, per essere assai meno inequilatere, ed avere un aspetto generale sub-triangolare, sono ben lontane dalla presente specie di Agassiz. Fucini (Not. pai. Ool. di Sani., pag. 123) cita una Thracia? Lovisatoi n. sp., alla quale aggiunge la notazione: « Affine alla Thracia ( Cori - mya ) le.ns Agassiz, della Oolite svizzera, ma più equilaterale e più triangolare. — Monte Timilone ». E dunque, per questi due caratteri, vicina alle specie studiate, ma indeterminate dal Me- neghini ; non crediamo possa essere confusa con la Thracia lens Agassiz, perchè questa è ben caratteristica. Località: Wiltshire (Inghilterra); Kandern presso Freiburg (Baden); Soleure, Laitmare (Svizzera) Specie batoniana. Thracia cfr. Lovisatoi Fucini 1894. (Tav. XI, fig. 5). Conchiglia piuttosto depressa, subtriangolare, allungata, ine- quilatere; la regione anteriore è un poco meno espansa di quella opposta. Il bordo boccale è arrotondato a curva abbastanza mar- cata, mentre quello paileale è quasi pianeggiante, e quello anale si presenta per breve tratto come tronco. L’umbone è piuttosto 336 G. DAJNELLI grosso, robusto, triangolare a base larga, prominente, subme- diano, leggermente rivolto verso il lato anteriore; gli ornamenti consistono in strie concentriche, irregolari nella distribuzione e nelle dimensioni loro, ma sempre poco distinte, sì da dare alla conchiglia un aspetto generale quasi liscio; posteriormente una specie di carena obsoleta si parte dall’umbone e giunge al limite inferiore della linea tronca del bordo anale. Dimensioni: altezza 17 mm.; lunghezza 22 min.; rilevatezza di una valva 7 mm. Essendo lo stato di conservazione dei nostri esemplari e di quelli studiati dal Fucini (Not. pai. sull’ Gol. di Sarà., pag. 123; Foss. ool. del M. Firn., pag. 158, tav. 6, fìg. 8A) assai imper- fetto, non osiamo identificare assolutamente i nostri alla nuova specie del Monte Timilone, per quanto i caratteri degli uni si riscontrino quasi per intero nell’altra; notiamo solo in questa una minore inequilarità, e la presenza, avanti alla carena po- steriore, di « una leggiera depressione che si dirige presso l’apice, ma che, perchè debolissima, svanisce prima di raggiungerlo ». Del resto questa depressione è tanto debole, che sulla figura annessa, la quale pure è tratta da un disegno, nel quale certo non sarà stato trascurato nessun carattere, non si scorge affatto. Fucini avvicina la sua nuova specie alla Corimya lens Agassiz (Et. crii, sur Ics Moli., pag. 267, tav. 36, fig. 1-15); questa però è molto più inequilaterale, ed ha aspetto generale ben di- verso, sì che forse la Thracia Lovisatoi Fucini sarebbe stata più opportunamente paragonata a forme più vicine, per. es. anche ad alcune delle Tliraciae descritte dal Meneghini dalla Perdaliana (Pai. de Sarà., pag. 250 e seg., tav. E). Del resto si confronti la descrizione che abbiamo dato dei nostri esemplari vicini, se se non identici alla Thracia Lovisatoi Fucini, con quella della Corimya lens Agassiz, da noi pure trovata alla Perdaliana, e se ne riconosceranno subito le differenze essenziali. FOSSILI BATONI ANI DELLA SARDEGNA 337 Trochus ! n. sp. (Tav. XI, fig. 15). Conchiglia conica, turricolata, piuttosto alta in confronto del suo diametro basale ; gli anfratti sono in numero di quattro, scalariformi, rapidamente crescenti nel raggio, ma sopra tutto assai alti; l’ultimo uguaglia metà dell’altezza totale della con- chiglia. Presso la sutura superiore di ciascheduno anfratto si osserva una grossa costa longitudinale, larga, rilevata, e roton- deggiante, sotto la quale la superfìcie si fa marcatamente con- cava, per poi divenire convessa presso la sutura inferiore, senza però presentare qui traccia benché minima di costa o carena. Ornamenti più tini non si vedono affatto sul nostro unico esem- plare, che abbiamo allo stato di impronta esterna e di modello. L’ultimo anfratto, nel quale la costa superiore è molto più svi- luppata che nei precedenti, presenta anche più marcata la con- vessità inferiore, la quale pertanto non forma un angolo vero e proprio, ma solo una curva a raggio più stretto, a delimitare la parte basale della conchiglia. Dimensioni in parte approssimate: altezza 24 mm.; diametro massimo 16 mm. circa; altezza dell’ultimo anfratto 11 mm. A questa nuova specie, la cui determinazione generica è non del tutto sicura, potremmo fare raffronti con specie già note, solo per analogie nell’aspetto generale; ad esempio vedasi il Trochus Endoxus D’Orbigny (Pai. frane., voi. 2, pag. 300, tav. 320, fig. 13-16), le cui dimensioni di molto minori e l’or- namentazione caratteristica lo fanno ben diverso dalla nostra specie, per quanto esso abbia a comune con questa una grossa carena spirale. Certamente grandi analogie ha la Pur poroidea (?) Lovisatoi Tommasi ( Nuovi foss. triass. di Sani., Bull. Soc. Geol. It., 1896, pag. 500, tav. 11, fig. 7), la quale però è an- cora più allungata in confronto al suo diametro basale ; anche il profilo esterno degli anfratti è ben diverso, essendo meno marcata e regolare la concavità sotto la carena superiore, ed 338 Ct. dainelli essendo la larga convessità inferiore sostituita da una seconda carena ben individualizzata, per quanto più piccola della prima. Parrà strano che, fatta eccezione di queste differenze, si pos- sano trovare tante analogie tra specie appartenenti a due generi diversi; si osservi però che Tormnasi pone molto dubbia la de- terminazione generica del suo individuo di Nurri, e d’altra parte noi, dati i caratteri del nostro fossile, non crediamo pos- sibile che questo possa appartenere al genere Purporoidea Lycett, che ha come ornamento caratteristico una serie di tubercoli più o meno acuti nella parte superiore di ciascun anfratto. Il nostro fossile proviene da Tacco di Seni. Quanto alla sua determinazione generica, veggasi quanto vien detto a proposito della Natica (?) parthenica Meneghini. Pileolus Canavarii n. sp. (Tav. XI, fig. 9, 13). Conchiglia piccola, conica, suborbicolare, elevata; l’apice del cono che essa costituisce è subcentrale, un poco più vicino al- l’estremità posteriore, ed appare leggermente piegato verso quello opposto, per la diversa inclinazione dei suoi fianchi ; quello posteriore infatti, in generale più ripido, perchè più corto, è un poco convesso; quello anteriore invece è quasi dritto dal- l’apice al bordo, anzi mostra a circa un terzo del suo percorso una concavità appena sensibile. Il contorno generale è ovale, ma assai poco allungato, ed appena più espanso nella parte posteriore; gli ornamenti sono dati da 22 coste radiali, ben ri- levate e nette, disgiunte da solchi discretamente profondi e molto più larghi delle coste stesse ; queste sono tutte quante di uguale sviluppo, ma, per quanto abbiano direzione radiale, lasciano libera e liscia la sommità della conchiglia per circa un terzo della sua altezza; giungendo poi al bordo, vi determinano una dentellatura regolare. Non è visibile la parte interna della con- chiglia. Dimensioni: diametro antero-posteriore 4 inni.; diametro trasversale 3,5 min. ; altezza 2,5 mm. FOSSILI BATONI ANI DELLA SARDEGNA 339 Possediamo un solo esemplare, abbastanza ben conservato però, per permetterci di descriverlo come specie nuova. Forma molto vicina, specialmente se esaminata nel suo aspetto gene- rale, è il Pileolus plicatus Sowerby (Min. Conci/ ., voi. 5, pag. 43, tav. 432, fig. 1-4; v. anche Morris e Lycett, Great Ool., pag. 60, tav. 9, tìg. 36«-c), proprio del Batoniano d’Inghilterra e di Francia. Ove però lo si osservi attentamente, e si legga la descri- zione accurata che ne danno in specie Morris e Lycett, si vedrà che esso differisce certamente dal nostro esemplare della Per- daliana; il Pileolus plicatus Sowerby infatti ha per ornamenti della sua superficie 16 coste radiali maggiori, alternate con altrettante minori, assai sottili, che sfuggono facilmente ad un primo e sommario esame; di più le coste situate sulla estre- mità posteriore sono assai più rilevate e grosse delle rimanenti, éd anche disgiunte da solchi più larghi. Questi caratteri diffe- renziali permettono dunque di separare tale forma batoniana dalla nostra specie, la quale mostra, come particolare caratte- ristico, una grandissima uniformità e regolarità degli ornamenti. Natica? partlienica Meneghini 1857. (Tav. XI, fig. 14). 1857. Natica partlienica — Meneghini, Pai. de Vile de Sarà., pag. 213, 236, tav. E, fig. 9. 1894. » » Meneghini — Fucini, Noi. pai. ool. di Sard., pag. 123. 1900. » sp. (pars) — Famvaloni, Terr. carb. di Seui, ed ool. della Perd., pag. 347. Conchiglia regolare, ovale, alta, ad anfratti rigonfii ed apice acuto; nei nostri esemplari sono presenti e visibili cinque an- fratti, dei quali l’ultimo assai sviluppato in diametro, in altezza o in rigonfiezza, mentre gli altri presentano dimensioni molto minori. Gli anfratti, nel loro insieme, mostrano un aspetto sca- lariforme, perchè la loro superficie esterna, assai leggermente curvilinea, si mantiene subparallela all’asse della conchiglia, e si piega poi, presso la sutura superiore, con un angolo, arro- tondato, ma quasi retto, verso il centro della conchiglia stessa, •sovraincombendo cosi all’anfratto precedente. Per questa dispo- 340 G. DAINELLI sizione, le suture per quanto ben chiare, non sono incavate; l’apertura è ovale, allungata, arrotondata inferiormente, appun- tita all’estremità opposta; all’esterno presenta una curva rego- lare, all’interno nella sua metà inferiore una convessità, che è seguita, nella metà superiore da una concavità; manca l’ombi- lico; è presente un piccolo callo interno, arrotondato, che copre la columella. Dimensioni di due esemplari: altezza 27-33 rara. ; diametro massimo 22-23,5 mm.; altezza dell’ultimo anfratto 22-24 mm.; altezza della bocca 1(5-19 mm.; larghezza massima della bocca 12-13 mm. I nostri esemplari corrispondono abbastanza alla descri- zione ed alla figura che della sua Natica parthenica dette il Meneghini; unica differenza è forse una più regolare rigon- fiezza neH'ultimo anfratto; nel resto tutti i caratteri coincidono- abbastanza bene, e l'essere tale specie assai comune alla Per- daliana renderebbe già assai probabile il nostro riferimento; avendo poi veduti gli esemplari studiati da Meneghini, ci si amo- convinti della loro completa identità coi nostri. Osserveremo pera che uno dei nostri individui, nel quale è conservata parte della conchiglia, presenta una specie di grossa carena rotondeggiante presso alla sutura, superiore, dell’ultimo anfratto; questa circo- stanza muove in noi il dubbio che si possa trattare, nei pre- senti esemplari, di modelli interni della specie che abbiamo de- scritta come Trochus? sp. n. ; per questo dubbio non diamo un nome a tale specie, e d’altra parte poniamo dubitativamente anche le due determinazioni generiche. Località: Monte Aivaru, monte Timilone, Perdaliana (Sar- degna). Natica cfr. grand is Goldfuss 1840. 1900. Natica sp. (pars) — Pampaloni, Terr. carb. di Seni ed ool. della Perd., pag. 347. Un esemplare in assai cattivo stato di conservazione ravvi- ciniamo alla presente specie di Goldfuss, senza però poterlo de- FOSSILI BATONIAN1 DELLA SARDEGNA 841 terminare con sicurezza. È globuloso, più largo che alto, con anfratti convessi regolarmente, suture nette ; l’ultimo anfratto è molto più sviluppato dei precedenti, in i specie nel diametro; la bocca molto larga, l’ombilico non visibile. Tale individuo, del quale non è lecito supporre nemmeno approssimativamente le dimensioni originali, mostra analogie cogli esemplari di Natica yrandis figurati da Goldfuss ( Petr . Gemi., pag. 118, tav. 199, fig. 8) e da Morris e Lvcett ( Great Ool., pag. 41, tav. 6, fig. 12); l’essere poi tale specie stata riconosciuta dal Meneghini (Pai. de Vile de Sarà ., pag. 233) nei fossili della Perdaliana da lui studiati, ci fa credere che il nostro ravvicinamento, se non certo del tutto, sia assai probabile. La Natica yrandis Goldfuss è anche del Batoniano, per quanto d’Orbigny (. Prodr . strcit., voi. 2°, pag. 6, ét. 14, n° 87) la voglia assai più giovane. Kostellaria cfr. trifida Phillips 1835. Conchiglia turricolata, allungata; gli anfratti sono piuttosto alti, ben rilevati, scalariformi, carenati verso la loro metà, ma un poco più vicino alla sutura superiore; l’ultimo è assai svi- luppato, e presenta, anziché una sola, due carene, equidistanti tra loro e con le suture. Gli ornamenti sono dati da coste lon- gitudinali abbastanza grosse, curvilinee, poco rilevate, disgiunte da solchi poco profondi e ancora meno larghi; tra le coste se ne distinguono alcune più larghe, ma di poco più alte delle altre, e distribuite con una certa regolarità. Nel nostro unico esem- plare mancano affatto il canale e le 2 espansioni aliformi del labbro esterno; la bocca è ovale, allungata, appuntita alla sua estremità superiore, assai meno a quella inferiore; il bordo in- terno è regolarmente curvilineo, quello esterno presenta due an- goli in corrispondenza delle carene. Dimensioni in parte approssimate: altezza, escluso il canale, 13 mm. ; diametro massimo 8 mm.; altezza della bocca, 6,5 mm. circa; larghezza massima della bocca 3,5 mm. circa. 342 G. DAINELLl La presente specie è stata riconosciuta tra i fossili della Perdaliana studiati da Meneghini (Pai. de Vile de Sani. 1857, pag. 239) in un unico esemplare ben conservato; quindi con molta probabilità è giusto il ravvicinamento che noi proponiamo pel nostro individuo. Questo si avvicina, più che ad altri, al fossile figurato da Morris e Lycett alla fig. 11 c,d ( Great Gol. 1853, pag. 21, tav. 3, fig. 11, 11 a-d ), il quale, oltre che la identità degli ornamenti, presenta assai poco sviluppate le espan- sioni aliformi ed il canale, acquistando per questo un aspetto generale assai somigliante al nostro esemplare, il quale ne è privo. Morris e Lycett pongono la Rostellaria trifida Phillips sinonima della Rostellaria bispinosa Phillips e della bicarinata Goldfuss; seguiti dal Meneghini, non lo sono però da molti al- tri autori, come D’Orbigny, il quale tiene distinte, dividendo anzi, e forse giustamente, la specie bispinosa di Phillips in due forme differenti, alle quali dà, certo con poca giustizia, due nomi nuovi, cioè Pterocera armigera ( Prodr . str. 1850, voi. 1, pag. 334) e Pterocera Cassiope ( idem , voi. 1, pag. 356); e dando pure una nuova denominazione alla specie di Goldfuss, ch’egli chiama Pterocera subbicarinata {idem, voi. 1, pag. 356). Anche Oppel ( Jura forni . 1858; Pterocera bispinosa Phillips, pag. 606 nu 39; Pterocera bicarinata Goldfuss, pag. 771) e Quenstedt (Jura, 1858; Rostellaria bispinosa Phillips, pag. 550; Rostellaria bi- carinata Goldfuss, pag. 580, 581, 599, 797) tengono distinte quelle due specie dalla Rostellaria trifida Phillips; però noi crediamo che Morris e Lycett abbiano giustamente riuniti e de- terminati i varii fossili del Giura inglese, come unica specie; e che gli esemplari citati e figurati dagli altri autori con nomi dif- ferenti, si identifichino o con una o con l’altra delle forme figu- rate da Morris e Lycett, le quali presentano tra loro solo lie- vissime differenze individuali, e che quindi quelli debbano tutti considerarsi come appartenenti alla Rostellaria trifida Phillips. Tale specie, ammessa questa riunione sinonimica avrebbe una grande diffusione, sì verticale, che orizzontale nell’ intero Giura. [ms. pres. 31 maggio 1903 - ult. bozze 4 agosto 1903]. FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 348 INDICE DELLE SPECIE CITATE NELLA PRESENTE NOTA Arca sp Arca sp Arcomya Meneghinii sp. n Arcomya Schardti (non De Loriol) . . Arcomya Cortazari Choffat Arcomya occidentalis Choffat Astarte efr. excavata Sowerby. . . Astarte striato-costata Miinster . . . . Astarte Rivae n. sp Astarte scalaria (non Romer) . . . . Astarte depressa Miinster Astarte bulla Romer Astarte elegans Sowerby Astarte Parkinsoni Quenstedt . . . Avicula polyodon Buvignier? . . . . Avicula Flumendosa.i Tommasi ?.. Avicula costulata D’Orbigny .... Avicula costata Smith Cardita striata Sowerby Cardita abrupta SoAverby : Cardita V-costata Buckmann. . . . Cardita lyrata Sowerby Cardium Tommasii n. sp Cardium subtruncatum (non D’Orbigny) Cardium Stricklandi Morris e Lycett . Ceromya concentrica Sowerby . . . Ceromya excentrica Agassiz Ceromya Whitakesi Sauvage .... Ceromya Aalensis Quenstedt . . . . . Ceromya striata Sowerby .... Ceromya plicata Agassiz . . . • . . Corimya lens Agassiz . . .• . . . Cucullaea cuculiata Goldfuss . . . Gervillia costatula Deslongchamps Gervilia De Stefanii Tommasi? . . Gervillia Ichnusae Tommasi Gervillia costata Credner Goniomya n. sp. Pampaioni . . . . pag. 294 » 295 » 324 » 325 » 327 » » » 301 » » » 302 » » » 303 » » » » » » » 281 » » » 283 » » » 331 » » » » » 312 » 307 » » » 308 » 328 330 » » » » » 331 » » » 334 » 295 » 281 » » » 283 » » » 331 344 G. DAINELLI Goniomya gibbosa (non D’Orbigny) pag. 325 Homomya Vezelayi Lajoye » 321 Homomya gibbosa (non Sowerby) » » Homomya gibbosa Sowerby » 325 Homomya laitmarensis De Loriol » 324 Isocardi a Lovisatoi il. sp » 308 Isoeardia striata Sowerby » 331 Isocardia concentrica Sowerby » 328 Isoeardia abrupta Sowerby » 331 Isocardia ubovata Romei* » 338 Isoeardia Aalensis Quenstedt ’ . » 330 Isocardia Inflata Voltz » 333 Isocardia minima Sowerby » 309 Isocardia tenera Sowerby » » Leda Cocchii n. sp » 296 Leda lacryma Sowerby » 297 Leda mucronata Sowerby . . . » » Lima semicircularis Goldfuss » 274 Lima gibbosa Sowerby » 276 Lucina Bellona D’Orbigny » 304 Lucina lyrata (non Phillips) » » Lucina Lycetti Oppel » » Lucina Wrighti Oppel » » Lucina cfr. despecta Phillips » 306 Lutraria gibbosa Phillips » 326 Lyriodon pullus Sowerby » 298 Lyriodon costatus Sowerby » » Macrodon Hirsonensis D’Archiac » 295 Mactra gibbosa Sowerby » 326 Modiola imbricata Sowerby » 288 Modiola cuneata Sowerby? » » Modiola bipartita Phillips » 289 Modiola tulipea Lainarck * . . . . » » Modiola Sowerbyana D’Orbigny » 290 Modiola plicata (non Gmelin) » » Mya Vezelayi Lajoye » 321 Myacitas Vezelayi Lajoye » » Mytilites pseudocardium Schlotheim » 276 Mytilus imbricatus Sowerby » 288 Mytilus Meriani Favre » » Mytilus subaequiplicatus Favre » 289 Mytilus bipartitus Goldfuss » » Mytilus plicatus Goldfuss » 290 Mytilus Sowerbyanus D’Orbigny » » Mytilus laitmarensis De Loriol » 286 FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 345 Mytilua subpectinatus (non D’Orbigny) pag. 286 Natica ? parthenica Meneghini » 339 Natica efr. grandis Goldfuss » 340 Ostrea Perdalianae Meneghini » 271 Ostrea costata (non Sowerby) » » Ostrea gregarea Sowerby » 272 Panopaea gibbosa (non Phillips) » 324 Pecten lens Sowerby » 277 Pecten arcuatus Sowerby » » Pecten Decheni Rbmer » 278 Pecten annulatus Sowerby » 279 Pecten sp. ? » 280 Pholadomya texta Agassiz » 309 Pholadomya crassa Agassiz » 310 Pholadomya Murchisoni Sowerby » 312 Pholadomya Heraulti Agassiz » » Pholadomya triquetra Agassiz » » Pholadomya media Agassiz » » Pholadomya decussata Agassiz » » Pholadomya Bellona D’Orbigny » 313 Pholadomya lyrata Sowerby » » Pholadomya Bucardium Agassiz » 315 Pholadomya Wiirttemhergica Oppel » » Pholadomya ovlilum Agassiz » 316 Pholadomya ovalis (non Sowerby) » » Pholadomya parvula (non Romer) » » Pholadomya fabacea Agassiz » » Pholadomya concatenata Agassiz » » Pholadomya socialis (non Morris e Lycett) » » Pholadomya decemcostata Ròmer . . . . • » 317 Pholadomya canaliculata Rdmer » 318 Pholadomya socialis Morris e Lycett? » 319 Pholadomya solitaria Morris e Lycett » » Pholadomya oblita Morris e Lycett » » Pholadomya laeviuscula Agassiz » 320 Pholadomya lineata Goldfuss » » Pholadomya fidicula Sowerby » » Pholadomya Vezelayi Lajoye . » 321 Pileolus Canavarii n. sp » 338 Pileolus plicatus Sowerby » 339 Pinna Ristorii n. sp » 292 Pinna cuneata (non Phillips) » » Pinna lanceolata Sowerby » 293 Pinna ampia Sowerby » 294 Pinna granulata Sowerby » » 346 GL DAINELLI Pinna occidentalis Choffat pag. 294 Placunopsis Pampalonii n. sp 273 Placunopsis sociali s Morris e Lycett » » Plagiostoma semicircularis Goldfuss 274 Plagiostoma gibbosa Sowerby . » 276 Protocardium valbertense De Loriol » 308 Pterocera armigera D’Orbigny ....... » 342 Pterocera Cassiope D'Orbi gny » » Pterocera subbicarinata D’Orbigny. » » Pterocera bisphiosa Phillips » » Pterocera bicarinata Goldfuss . . . . » » Pteroperna costatola Deslongchainps » 281 Pteroperua costulata Deslongchainps » » Pteroperna costata Deslongchainps ... » » Pteroperna Fucinii n. sp » 284 Purporoidea (?) Lorisatoi Tommasi » 337 Rhyncho nella cfr. subobsoleta Davidson » 270 Rhynchonella obsoleta Sowerby . . » 269 Rostellaria trifida Phillips . . » 341 Rostéllaria bicarinata Goldfuss » 342 Rostellaria bispinosa Phillips » » Thracia cfr. Lovisatoi Fucini » 335 Thracia lens Agassiz » 334 Thracia Lovisatoi Fucini » 335 Trigonia pullus Sowerby » 298 Trigonia costata Sowerby . , » » Trochus? n. sp » 337 Trochus JSudoxus D’Orbigny » » Boll.: d. Soc. Geol. Italiana Voi. XXII. i Dai nel li ) Tav. XI. ELIOT. CAI LARI A FERRARIO MILANO Boll. d. Soc. Geol. Italiana Voi. XXII. ( Daineili ) Tav. XII. ELIOT. CALZOLARI A FERRARIO MILANO FOSSILI BATONIANI DELLA SARDEGNA 347 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA XI. Fig. 1. Homomya laitmarensis De Loriol pag. 324 » 2. Pteroperna Fucinii n. sp » 284 » 3. Pinna Pistoni n. sp » 292 » 4. Trigonia pullus Sowerby » 298 » 5. Thracia cfr. Lovisatoi Fucini » 335 » 6. Isocardia Lovisatoi n. sp » 308 » 7. Trigonia pullus Sowerby » 298 » 8. Pteroperna costatala Deslongchamps » 281 » 9. Pileolus Canavarii n. sp » 338 » 10. Pteroperna costatala Deslongchamps » 281 » 11. Cardium Tommasii n. sp » 307 ■» 12. Ceromya concentrica Sowerby » 328 » 13. Pileolus Canavarii n. sp » 338 » 14. Natica parthenica Meneghini » 339 » 15. Trochus? n. sp » 337 TAVOLA XII. Fig. 1. Mytilus laitmarensis De Loriol » 286 » 2. Pteroperna costatala Deslongchamps » 281 » 3. Homomya Vezelayi Lajoye » 821 » 4. Modiola imbricata Sowerby » 288 » 5. Pteroperna costatala Deslongchamps » 281 » 6. Placunopsis Pampaloniì n. sp » 273 » 7. Lucina Bellona D’Orbigny » 304 » 8. Ceromya concentrica Sowrerby » 328 » 9. Leda Cocchii n. sp » 296 » 10. Homomya Vezelayi Lajoye » 321 » 11. Astar te Pivae n. sp » 302 » 12. Pecten lens Sowerby » 277 L’ELEPHAS PRIMIGENIUS BLUM. NELL'ITALIA MERIDIONALE CONTINENTALE Nota del prof. Eduardo Flores (eoa una tavola). BIBLIOGRAFIA I. 1874. Botti U., Scoperta di orsa fossili in Terra d' Otranto (Boll. R. Comit. geol. it., voi. X, pag. 242- Roma). IL 1874. Botti U., La Zinzolosa. Monografia geologieo-archeolo- gica - Firenze. III. 1879. Forsyth-Mayor C. J., Sul Myolagus sardus Hensel (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., pag. 72 - Pisa). IV. 1881. Botti U., Sulle brecce ossifere di Terra d’Otranto. Lettera al sig. Castromediano - Lecce. V. 1881. Seguenza G., Le formazioni terziarie della provincia di Reggio Calabria (Atti R. Aec. Lincei, serie 3', voi. VI - Roma). VI. 1883. Nicolucci G., Su oli Elefanti fossili della Valle del Uri (Meni. Soc. ital. Se. detta dei XL, voi. VI - Napoli). VII. 1890. Cacciamali G. B., Gli Elefanti fossili di Val di Cornino (Boll. Soc. geol. it., voi. IX, pag. 47 - Roma). Vili. 1890. Botti U., La grotta ossifera di Cardamone in Terra d’O- tranto (Boll. Soc. geol. it., voi. IX, fase. 3 - Roma). IX. 1893. Weithofer, I proboscidiani fossili di Valdarno in Toscana (Meni. R. Comit. geol. it., voi. IV, parte 2l - Firenze). X. 1895. Flores E., Catalogo dei mammiferi fossili dell’Italia meri- dionale continentale (Atti Accad. Pontaniana, Napoli, voi. XXV). XI. 1897. De Angelis G., Sulla probabile mancanza in Italia dell’ Ei.e- phas primigenius Bluììi. (Boll. Soc. geol. it.. voi. XVI - Roma). I.’eLEPHAS PRIM1GENIUS BLUM. 349 XII. 1898. Portis A , Di alcuni avanzi elefantini fossili scoperti presso Torino (Boll. Soc. geol. it., voi. XVII, pag. 113 - Roma). XIII. 1898. Botti U., Comunicazione inserita nel Resoconto della Adu- nanza generale del 18 febraio 1898 (Boll. Soc. geol. it., voi. XViy’f pag. ■9fr - Roma). XIV. 1901. Ricci A., L’Elephas primigenius Blum., nel Postpliocene della Toscana (Palaeontographia italica, voi. VII - Pisa). XV. 1901. Flores E., Recensioni delle memorie del Ricci (Riv. ital. di Paleontologia, anno VII - Bologna). XVI. 1902. Portis A., Di un dente anomalo di Elefante fossile e della presenza dell' Elephas primigenius Blum. in Italia (Boll. Soc. geol. it., voi. XXI - Roma). XVII. 1902. Flores E., Recensione della memoria del Portis (Riv. ital. ' di Paleontologia, anno Vili - Bologna). XVIII. 1903. Portis A., Ancora delle specie elefantine fossili in Italia (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXII, pag. 143 - Roma). I. Nel 1874 il conmi. Ulderigo Botti annunciava (II, p. 37, nota) la scoperta de\V Elephas armeniacus Falc. tra i resti fossili della grotta ossifera di Cardamone in Terra d’Otranto. Più tardi egli stesso riferiva tali avanzi &1Y Elephas primigenius Blum. (IV). Nel 1882 il prof. G. Nicolucci (VI) descriveva un frammento di difesa e un molare provenienti da un deposito di ghiaia ed arenaria si liceo-calcarea alternant i, nel territorio di Castellili (prov. di Caserta) ed un secondo molare inferiore destro, una difesa, frammento d’un’altra difesa, e un femore, provenienti da un sabbione siliceo con ossido di ferro e detriti di rocce calcaree poco lungi da Isoletta, sulla sponda sinistra del Liri. Nel 1890 il prof. Cacciamali descrisse (VII) un mo- lare inferiore sinistro, una vertebra, due rotule e due pezzi di ossa lunghe, rinvenuti in un terreno detritico quaternario dei dintorni di Casalvieri in Val di Cornino (prov. di Caserta). Nello stesso anno il comm. Botti si decideva ad illustrare gli avanzi della grotta di Cardamone (Vili) e riferiva due denti ad una varietà piccola di Eleplias primigenius Blum., che egli proponeva di chiamare E. prim. var. hydruntinus. Questi sono 25 350 E. FLORES gli avanzi fossili riferiti aXYElephas primigenius Blum., da me citati nel « Catalogo dei mammiferi fossili dell’Italia meridio- nale continentale » (1). (X). Nel 1897 il dott. De Angelis d’Ossat (XI) espresse l’opi- nione che V Elepìms primigenius Blum. non abbia mai valicato le Alpi e che i denti riferiti sinora a tale specie, di provenienza italiana, possano essere riferiti meglio aWEl. trogontheri Pohlig. E ciò soprattutto in base alle sue osservazioni fatte su denti di parecchi Musei d’Italia. Il Portis (XII) nel descrivere un dente rinvenuto a « La Loggia » presso Torino, conclude con queste parole: « Non ci » rimane più che appagare la legittima curiosità, se l’unico in- » dividilo sin qui constatato in Piemonte di E. primigenius » debba considerarsi come un vagabondo relativo, se i suoi » consorti specifici siano soltanto domiciliati fuori dell’attuale » cerchia delle alpi, o se un qualche pioniere suo pari non lo » si debba anche trovare nella maggiore espansione padana, » essendosi andato ad accantonare in Lombardia, ed avendovi » lasciato dei resti finora non scoperti, o non fatti conoscere, o » comunque non depositati in collezioni accessibili ». Questa comunicazione, fatta nell’adunanza della Società geologica te- nuta in Napoli il 18 febraio del 1898, provocò le osserva- zioni del Botti, il quale dichiarò che il dente di « La Loggia » di cui il Portis si occupava, era fra i pochi che più si assomi- gliavano a quelli da lui scoperti nella grotta di Cardamone e riferiti all 'El. primigenius Blum. var. hydruntinus Botti. Onde egli non può ammettere l’opinione, derivata forse dall’essere questi esemplari pochi, e poco conosciuti, che VE. primigenius non esista in Italia. E aggiunge che egli considera come appar- tenenti alla stessa varietà il dente di « La Loggia », le mandi- bole del Museo di Budapest e i denti di Cardamone. Non trova poi alcuna difficoltà a che gli altri avanzi elefantini italiani riferiti al primigenius , possano venir riferiti ad altra specie (XIII). A queste osservazioni il Portis replicò compiacendosi (’) Non tengo conto nel presente lavoro dei resti di El. armeniacus Tale. (= E. primigenius Blum.) citati dal Seguenza (V) e dei quali non rimane alcuna traccia (X, pag. 32). l'elephas primigenius blum. 351 di trovare nello stesso ordine di idee il socio Botti (XIII, p. XXYI). 11 dott. A. Ricci nel 1901 (XIY) studiando gli avanzi ele- fantini della Toscana, conservati a Firenze e ad Arezzo, ne riferì varii al V Elephas primigenius Blura., provenienti dalla regione postpliocenica aretina, i quali, se pure differiscono dai resti studiati dal Portis e dal Botti, « presentano meglio di tutti i » caratteri attribuiti a \V Elephas primigenius tipico. Va quindi » ritenuto, come fecero Falconer, Polilig, Weithofer ed altri, che » YEl. primigenius Blum. abitò veramente e con estensione » l’Italia » (XIV, ]). 7). E ciò, dice il Ricci, contrariamente alle opinioni del De Angelis e ai dubbi del Portis (XIV, p. 28, XV). Nel 1902 il Portis pubblica una memoria nella quale de- scrive un dente anomalo di E. antiquus e torna sull’argomento della presenza dell’i?. primigenius Blum. in Italia (XVI, XVII). Premessa la descrizione del dente, che non ci riguarda, passa a considerare gli effetti della istituzione della nuova specie del Pohlig. E dice come egli giunse nel 1893 ad esprimere l’opi- nione che VE. meridionalis e VE. antiquus non costituissero che due gradi o stadi di svolgimento di una sola specie. Opi- nione riconfermata nel 1898 quando descrisse il dente di «La Loggia » presso Torino, « il primo e l’unico in Italia, che resi- » stendo ad una rigorosa e razionale determinazione, permet- » tesse di stabilire che in Italia si sarebbero potuti trovare » avanzi del vero Elephas primigenius Blum ». E ricorda che, chiudendo il suo lavoro sul dente di « La Loggia », invitava chi poteva prendere interesse alla questione dell’esistenza del- 1 ’El. primigenius Bl. in Italia, di indicargli il materiale che potesse convincerlo tanto del contrario quanto della verità della sua esserzione, che cioè V Elephas primigenius non era ancora mai stato dimostrato in Italia. Ninno avendo risposto a tale invito, egli si recò a Firenze, a Palermo, a Lecce, ma non trovò che E. antiquus. Invano cercò a Lecce VE. primigenius var. hydruntinus Botti, non trovò che E. antiquus , tutt’al più con qualche aberranza salvabile per mezzo della denominazione E. trogontheri. Di conseguenza egli conclude che « VE. hydrun- » tinus Botti non esiste nè come specie a sè, nè come varietà » del primigenius , ma solo come caso de\V antiquus, o tutto al più * 352 E. FEORES » del trogontheri ». Passa allo studio della memoria del Ricci (XIV) e ne deduce che tutto il materiale studiato non può es- sere attribuito che ad E. trogontheri , e che se la determina- zione del Ricci suona diversamente, risulta abbastanza chiaro dai suoi lavori che l’autore, suggestionato dalla vista e dallo studio esclusivo di troppo limitati esemplari, volle vedere in essi VE. primigmius. E termina collocando « nella stessa specie » la maggioranza dei denti elefantini di Roma, quelli del Ricci » studiati della Val di Chiana, quelli dal De Angelis esarni- » nati della Val del Po, quelli del Botti scoperti nella grotta » di Cardamone e quelli delle caverne del Palermitano, quelli » a lor tempo indicati sia dal Flores che dal Gius, de Stefano » (sia che da loro siano stati battezzati E. trogontheri , E. me- » ridionalis, che E. antiquus , che E. primigmius ), ma ne col- » loca fuori il suo dente di Torino, o meglio di La Log- gia ». Nel fare la recensione del lavoro del Portis nella Rivista italiana di Faleontologia (XVII, p. 107) io ricordai che per negare resistenza deH’EV. primigmius Blum. in Italia bisogna studiare gli avanzi di Castelliri, di Casalvieri e i due denti di Cardamone conservati a Bologna, i quali resti dopo le deter- minazioni del Nicolucci (1882), del Cacciamali (1890) e del Botti (1890) furono citati da me (X, 1895) come E. primige- nius , ma non avevano avuta altra determinazione. Nè questa risulta dai lavori del Portis. Il prof. Portis nel 1903 pubblica una nota (XVIII) nella quale dichiara che i due denti di Cardamone che sono a Bo- logna, sin dal 1898 li riteneva appartenenti ad altra specie, quello di Casalvieri, studiato dal Cacciamali, era convinto che appartenesse all’ J57. antiquus, e quello di Castelliri, se era in- sieme agli altri resti fossili osservati a Napoli nel febraio 1898, anch’esso fu riferito ad E. antiquus. E questi riferimenti egli dichiara di averli fatti sin dal 1898, quando studiava il dente di « La Loggia ». Onde conclude riaffermando che VE. primi- gmius Blum. vero « è rarissimo in Italia, mancante in tutta » l’Italia media e meridionale, mentre nella superiore non è » finora rappresentato che da un unico pioniere smarrito, quello » di La Loggia, presso Torino ». l’ELEPHAS PRIMIGENI US BLUM. 353 E mia ferma convinzione che per modificare le determina- zioni fatte da altri autori non è sempre sufficiente il solo studio delle Memorie con le quali questi descrivono ed illustrano i fossili. Onde ho creduto conveniente fare uno studio accurato del materiale in questione, per vedere quale possa essere riferito ancora airi?, primigenius Blum., e quale ad altra specie. Degli avanzi studiati dal Nicolucci purtroppo non si conserva che il molare di Castellivi ('), quello di Isoletta non si conosce ove sia, ma fortunatamente la Memoria del Nicolucci è accompagnata da una tavola che si presta abbastanza ad uno studio accurato. Il dente di Casalvieri anziché ad Arpino, ove si conserva quasi tutto il materiale raccolto da Cacciamali, si trova nelle private collezioni del cav. Achille Graziani di Alvito (Caserta). Ed è alla sua cortesia che devo essere riconoscente se sono in grado di poterne dare qui la descrizione e la figura, avendolo Egli gentilmente messo a mia disposizione. Mi sia permesso quindi manifestargli pubblicamente la mia gratitudine. Premessi questi cenni storici circa la questione, passo alla descrizione degli avanzi. IL Dente di Castelliri. (Tav. XIII, fig. 1). Il Nicolucci descrive un meschino avanzo di dente elefan- tino di Castelliri, riferendolo all’ Elephas primigenius Blum., (VI, p. 5). Esso fu rinvenuto in un deposito di ghiaia con sabbia silicea-calcarea con ossido di ferro. L’illustre professore 10 riferì alla specie suddetta, soprattutto perchè supponeva che 11 dente potesse essere stato lungo circa 18 o 20 centimetri, (l) Nel mio Catalogo dei Mammiferi fossili dell’Italia meridionale continentale i denti di Castelliri ed Isoletta furono erroneamente indi- cati come appartenenti al Museo geologico deH’Università di Napoli. Quello di Isoletta non si sa ove sia, quello di Castelliri invece fa parte delle collezioni del Gabinetto d'Antropologia della stessa Università, e fu messo a mia disposizione mediante il cortese interessamento dell’e- gregio prof. Fr. Bassani, che ringrazio con affetto. K. FLORES 351 comprendendo 16 dischi oltre il fronte e il tallone. La sua de- terminazione fu da me riportata nel Catalogo che pubblicai nel 1895 (X, p. 31), e il fossile non fu studiato da alcuno, dopo Nicolucci (*). Avutolo in esame, hó potuto riferirlo con sicurezza e grande facilità nWElephas antiquus Falc. Le la- mine sproporzionatamente alte, le figure di abrasione formate da figure lamellari tra figure orbicolari, la spiccata tendenza alla forma di losanga della parte mediana dei dischi, sono ca- ratteri di tale importanza da non lasciare il minimo dubbio su tale determinazione. Il dente è stato privato quasi totalmente del cemento, e mostra le quattro lamine nude in tutta la loro lunghezza. Ne dò la figura, non essendo mai stato illustrato sinora. Appartiene al Gabinetto di Antropologia della R. Uni- versità di Napoli. III. Dente di Isoletta. (Tav. XIII, fig. 2). Il Nicolucci (VI, ]>. 6, tav. 1, fìg. I) descrive un molare, una difesa, un femore, un atlante ed un frammento di un’altra zanna, rinvenuti presso la sponda sinistra del Liri, ad un’al- (*) A questo proposito mi trovo costretto a chiarire un equivoco nel quale é caduto l’egregio prof. Portis. Nella sua ultima nota (XVIII) supponendo che il dente di Castelliri fosse con gli altri del Museo geo- logico di Napoli, avendo riferito quegli avanzi all 'E. antiquus dice che «venne ad anticipare sul dente di Castelliri, la conclusione a cui giunse, »e che forse posteriormente obliò, il Flores, quando presentava in » Acqui il 16 sett. 1900, la sua comunicazione: L’E. antiquus Falc. e il » Rhinoceros Merchi Jaeg. in provincia di Reggio Calabria inserita a » pag. cxxvi del Boll, della nostra Società, voi. XIX, 1900». In quella nota io parlo « dei bei denti di Elephas antiquus Falc. della Valle del Livi » che si conservano a Napoli. Tali denti provengono da Ponteeorvo (VI, pag. 8, tav. II, f. 1 e X, p. 31) località che è anche nella Valle del Liri, ma non ha nulla di comune con Castelliri. Questo à a 8 km. da Sora, a 361 m. di altezza, quello é a 60 metri di altezza poco lungi da Cassino, e quindi ben lontano da Sora e Castelliri. E chiaro quindi che non ho mai riferito all’ A', antiquus Falc. il dente di Castelliri prima della pubblica- zione del presente lavoro e nulla obliai di quanto precedentemente scrissi ! l’eLEPHAS PRIMÌGENIUS BLUM. 355 tezza di circa 40 metri al di sopra del pelo delle acque, e quattro metri al di sotto della superficie del suolo. Dolorosa - ‘ * mente il molare non è conservato in alcuna collezione accessi- bile, e per studiarne i caratteri conviene servirsi della figura che accompagna la Memoria del Nicolucci. Considerando l’im- portanza che ha questo fossile, è deplorevole che non se ne abbia alcuna traccia oltre la figura. Nel mio Catalogo fu citato come E. primìgenius Blnm. (X, p. 31). È un dente molare in- feriore destro, probabilmente il quinto, molto consumato nella superficie triturante ed incompleto, perchè oltre al fronte, man- cano i due dischi anteriori. E lungo 174 mm., ed ha la massima larghezza di 72 mm. Ha quattordici dischi; l’esiguità dello smalto, la grande prossimità delle lamine fra loro, e il loro andamento quasi retto lo fanno assomigliare ad altri denti ri- feriti ad E. primìgenius. Il Ricci nella sua Memoria su VE. primìgenius della To- scana (XIV, pag. 134, tav. I, fig. 3) descrivendo un secondo mo- lare inferiore sinistro non può fare a meno di ricordare la grandissima affinità che passa tra il dente da lui descritto e quello di T soletta. E basta guardare le due figure per convin- cersi e vederne tutte le affinità. Le lamine sono tutte sottili e dritte, prive assolutamente della dilatazione mediana loxodontiea. Lo smalto è sottile e lievemente ondulato. Il Ricci pel suo dente dà la formola x — 14 — x (x2 -h 12 x) e quello del Nicolucci ha — 14 x. Fatto il confronto il Ricci stesso aggiunge che fra tutti i caratteri speciali dell’i?. primìgenius il suo dente mostra soprattutto spiccato quello ritenuto dal Polilig di maggiore im- portanza, cioè l’essere le figure di abrasione molto complete e formate di un elemento anulare mediano e due laterali lamellari. Questa grande affinità del dente di Isolctta con quello aretino secondo le idee del Portis (XVI) dovrebbe portare ad una con- clusione ben diversa da quella alla quale si giunge seguendo le idee del Ricci. Il Portis in seguito allo studio della Memo- ria del Ricci dichiara (XVI p. 110) che questi ha descritto e figurato un certo numero di denti di E. trogontheri Polilig nei quali volle vedere VE. primìgenius. E aggiunge che il Ricci per venire a tale determinazione bisognò che estirpasse prima il suo esemplare di « La Loggia » dalla specie per poi modifi- 356 E. FLORES carne la caratteristica, sì ch’essa potesse accogliere non più esem- plari di E. primigenius, ma di E. trogontheri. Avendo potuto osservare a Firenze, pochi giorni or sono, * il modello del dente di « La Loggia », che come vedremo ha grande affinità con quelli di Cardamone esistenti a Bologna, mi son formato l’opinione che esso non risponda con grande precisione al tipico, caratteristico Elephas primigenius Blum. E mi sembra, del resto, che anche il Portis si sia trovato, nel determinarlo, in un certo dubbio, presentando quel dente, oltre ai caratteri specifici del Fi*,1, primigenius un carattere che ten- derebbe più a farlo appartenere all’ E. antiquus (XII). Egli stesso riconosce la presenza di questo carattere, il quale pur essendo considerato dal Pohlig fra i più importanti, non può certo, secondo il Portis, essere tanto efficace contro gli altri caratteri prevalentemente di E. primigenius che offre il dente. Data questa circostanza mi pare che si possano ammettere come meglio rispondenti ai caratteri dell’io, primigenius Blum., tipico i denti della Toscana studiati dal liicci. E con questi io consi- dero anche il dente di Isoletta illustrato dal Nicolucci. I con- fronti che tutti possono fare tra gli avanzi della Toscana e i tipici avanzi di E. primigenius Blum. della Siberia mi par che deb- bano confermare questa opinione. E nessuno vorrà negare le affinità che passano tra il dente di Isoletta e quello aretino. Ascrivo quindi il dente di Isoletta, come già fece il Nicolucci, ad Elephas primigenius Blum. IX. Dente di Casal vieri. (Tav. XIII fig. 3 e 4). Il dente che descrivo appartiene al cav. A. Grazi ani di Al- \ ito, fu illustrato dal Cacciamali nel 1890 (XII) c riferito ad E. primigenius . Tale determinazione fu riportata nel mio Ca- talogo (X, p. 31). Come E. primigenius fu anche citato dal Botti (Vili) e dal Ricci (XIV). Nell’ultimo suo lavoro il Por tis invece riferisce « tutti gli oggetti considerati e ricordati dal L’ELKPHAS PRIMIGENI US BLUM. 357 » Cacciamali, anche se altrimenti determinati dall’Autore, al- » YElephas antiquus » (XVIII). Avendolo ottenuto in esame ne dò la descrizione e le figure. Il Cacciamali si limita a dire che è un molare inferiore si- nistro, consumato nella superficie triturante, incompleto e rotto. L’esiguità dello smalto, la sua lieve increspatura e l’andamento leggermente ondulato, rettilineo e parallelo degli orli laminari lo inducono a riferirlo all’_E. primigenius. Accompagna la descrizione un piccolo disegno a soli con- torni raffigurante il dente ad un terzo del vero. Dallo studio che ne ho compiuto risulta che si tratta di un dente molare inferiore sinistro con forinola — \ ì x. Solamente nove lamine raggiungono il piano di abrasione. Questo è ovoi- dale con una larghezza di mm. 72 al punto di rottura, e mas- sima, alla terza lamina, di mm. 75 e di mm. 55 alla settima. Probabilmente a rendere completo il dente non manca che una parte di lamina e il tallone distale, sicché si tratterebbe di un secondo molare permanente, o meglio V molare (*). La prima lamina si mostra quasi totalmente rotta. La seconda risulta for- mata da tre elementi laminari già fusi. La terza lamina mo- stra l’elemento centrale anulare quasi isolato, essendo perfetta- mente separato da quello esterno e unito al laterale interno. La quarta, la quinta e la sesta mostrano le parti perfettamente separate. Lo smalto è grosso con assenza completa di crespa- ture, salvo qualche accenno nella sesta lamina. In tutte e tre la figura centrale è orbicolare e le laterali lamellari. La set- tima lamina presenta quattro elementi distinti, cosi pure l’ot- tava, e la nona ha una sola digitazione non ancora compieta- mente entrata nel piano di abrasione. In tutto il dente i dischi sono espansi senza angolarità, gli intervalli di cemento sono larghi e lo smalto è grosso e quasi privo di crespature spic- cate. Il confronto tra questo -dente e quelli di E. meridionali s Nesti del Valdarno conservati nel Museo geologico dell’Univer- sità di Bologna e quelli del R. Istituto di Firenze da me fatto (') Botti U., Sui molari d’Elefante (Boll. Soc. geol. it., voi. XX, fase. 8, Roma, 1900). 35S K. FLORES mi induce senza alcuna esitanza a riferirlo all Elephas meri- dionalis Nesti tipico. Y. Denti di Cardamone. La varietà hydruntinus Botti fu istituita su i due denti molari di elefante (die si conservano a Bologna nel R. Museo geologico, i soli che il Botti ebbe a sua disposizione quando pubblicava la nota sulla grotta ossifera di Cardamone. E tali denti furono riprodotti in una tavola litografica che accompa- gna la Memoria del Botti (Vili). In seguito alle prime discus- sioni fatte circa la presenza del V Elephas primigenius Blum. in Italia, il Botti nel 1898 (XIII) ebbe a confermare ciò che aveva già dimostrato nel 1890 (Vili), che cioè gli avanzi di Carda- mone e il dente di « La Loggia » presso Torino rappresenta- vano la stessa specie, anzi la stessa varietà piccola di Elephas primigenius Blum. Sui due denti si possono fare delle osserva- zioni alle quali si presta benissimo anche la tavola che accom- pagna la Memoria del Botti. Il 1° molare vero superiore sinistro ha gli elementi lami- nari visibilmente stretti e con margini quasi perfettamente pa- ralleli. La forinola è x 12 x. Le figure di abrasione sono quasi tutte completamente aperte. Le ultime lamine prossimali mo- strano elementi mediani tra elementi laterali allungati. E gli elementi mediani con molta probabilità risultano formati dalla fusione di due elementi rotondi. Le misure che ci dà il Botti sono : Altezza della corona . . . . Lunghezza della corona . Lunghezza della superf. trit. . Larghezza massima mm. 90 » 122 » 105 » 60 Dallo stesso disegno, che è metà del vero, si può facilmente calcolare che la larghezza media delle lamine è di mm. 6. L’KLEPHAS PRIMIGENIUS BLUM. 369 Il 2° dente descritto dal Botti è l’ultimo premolare inferiore sinistro. Anche questo ha x 12 x e le seguenti misure: Lunghezza della superf. trit mm. 97 Larghezza della superf. trit » 4G Altezza della corona » 55 In qualche lamina di questo dente si nota la divisione della figura di abrasione in tre parti, una media e due laterali al- lungate. L’andamento delle lamine di smalto, come lo stesso Botti osserva, è senza restringimenti nè allargamenti centrali. Ma qualsiasi maggior particolare descrittivo mi sembra inutile se si guardano, come ciascuno può fare, la tavola della Memoria del Botti (Vili, tav. XXVI) e quella del Portis (XII, tav. 1). La rassomiglianza tra i due denti di Cardamone e quello di « La Loggia » è tale che se si ammette che il dente torinese è di E. primigenius Blum. non si può assolutamente negare che i due denti di Cardamone appartengano alla stessa specie. Tale convizione mi si è resa ancora più ferma dopo di aver osser- vato a Firenze il modello del dente di « La Loggia » e a Bo- logna i due di Cardamone. VI. Conclusioni. Da quanto precedentemente ho esposto riguardo ai denti ele- fantini di Isoletta, Castelliri, Casalvieri e Cardamone si può venire alle seguenti conclusioni: 1° E Eleplias primigenius Blum. visse in Italia sino al- l’estremo meridionale della penisola. 2° Esso è sicuramente rappresentato nell’Italia meridio- nale continentale da un dente molare rinvenuto ad Isoletta (Caserta) e da due molari rinvenuti a Cardamone (Lecce) ap- partenenti al Museo geologico dell’Università di Bologna. 3° II dente rinvenuto a Castelliri (Caserta), sinora citato, secondo la determinazione del Nicolucci, come E. primigenius Blum. va riferito invece all’JB7. antiquus Falc. 360 E. FLORES 4° Il dente rinvenuto a Casalvieri (Caserta) e riferito dal Cacciamali al l’ii7. primigenius Blum. e dal Portis all’i’. unti- quus appartiene invece al tipico Elephas meridionalis Nesti. 5° Le priorità della scoperta àe\Y Elephas primigenius Blum. nell’ Italia meridionale continentale spetta al comm. Botti che l’annunciò nel 1872 (*). 6° I due molari di Cardamone del Museo di Bologna ap- partengono alla stessa varietà cui appartiene il molare di « La Loggia » presso Torino, varietà dal Botti chiamata sin dal 1890: Elephas primigenius Blum. var. hydruntinus Botti. Bologna, R. Scuola normale “ L. Bassi „. [ms. pres. 6 giugno 1903 -ult. bozze. 28 luglio 1903]. . i , J 0 .... « t (B Vedi il Cittadino Leccese, periodico di Lecce, 3L maggio 1872, n. 6. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIII Fig. 1. Elephas antiquus Falc. Frammento di molare - Castelliri (gr. nat.). Fig. 2. Elephas primigenius Blum. V molare inferiore destro - Isoletta ('/? del vero). Fig. 3. Elephas meridionalis Nesti. V molare infer. sin. - Casalvieri (V2 dal vero), visto nella fac- cia laterale interna. Fig. 4. Lo stesso, visto nella sup. trit. (*/2 del vero). (Flores) Tav. XIII. ELIOT. CALZOLARI 4 FERRARIO MILANO Bòli. d. Soc. Geol. Italiana. Voi. XXII. CASTELLI FOT. SULL’ANDESITE AUGITICA DEL PIANO DELLE MAOINAIE NEL MONTE AMIATA Nota del pres. A. Verri Nelle note di guida raccolte per le escursioni, ed inserite in questo Bollettino, ho raccontato la storia della scoperta del- Landesite augitica del Piano delle Macinale, nel Monte Annata: il quale puuto m’appare della importanza più grande, per fare un po’ di luce sui misteri dei nostri vulcani trachitici (1). Là abbiamo in posto una delle rocce meno acide, i cui rottami abbondano nelle rocce più acide costituenti la massa principale del Monte Annata. I recenti studi sul Cimino mostrano eziandio in quel vulcano rocce meno acide sottoposte alle più acide (*). Nel sistema Sabatino le trachiti del Monte Calvario contengono moltissimi inclusi di lave meno acide, ed anche alcune con leu- citi. Il Tittoni segnalava vicino al Monte Calvario (da esso chiamato col nome di Monte Virginio) alcune lave «che pos- sono riferirsi a quella categoria intermedia tra la trachite ed il leucitofiro », le quali dice abbondantissime nei Cimini; ed altre con augite in grande prevalenza sulla leucite (:!). Un campione d’incluso, portato dal De Angelis al Museo geologico dell’Uni- versità di Roma, mi sembra che venga alla prima categoria O Per lo studio dell’andesite augitica vedasi: Artini, Appunti pe- trografici sopra alcune rocce italiane, Rend. R. Ist. Lomb., voi. XXV. (2) Mercalli, Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Viterbesi, Mem. Pont. Acc. n. L., 1903. Fantappiè, Contribuzione allo studio dei Cimini, Rend. R. Acc. Lincei, 1903. O Tittoni, La regione trachitica dell’Agro Sabatino e Gerite, Boll. Soc. Geol. It., voi. IV. 26 delle lave suindicate, epperciò può darsi che almeno da essa sia stata preceduta l’eruzione della trachite contenente gl’in- clusi; nè la descrizione che il Tittoni dà del giacimento esclude il supporlo. Tenuto conto di quel che è noto circa i sistemi Sabatino e Cimino, di quel che conosco del sistema Vulsinio, pare che nelle eruzioni al cui tipo verrebbero quelle del Monte Amiata siano mancate le grandi esplosioni ; le quali invece avrebbero abbon- dato nel periodo vulcanico posteriore. Fondo tale divisione cro- nologica di periodi eruttivi nel fatto che — sotto le masse tra- chitiehe dei rilievi ad ovest del lago di Bracciano, del Cimino e della corona di poggi che lo circonda, di Torre Aitimi nel sistema di Bolsena — finora non sono stati trovati i banchi tufacei, coprenti per estensioni immense i territori circostanti alle masse indicate. Ma per fissare a regola, che nel primo periodo della vulcanicità di quei sistemi siano mancate le grandi esplosioni, resta ancora da definire la genesi controversa del peperino viterbese (’). [ms. pres. 11 agosto 1903 - ult. bozze 17 agosto 1903]. (*) Su questo soggetto vedansi: Op. cit. nell’annot. (*) d. pag. prec. ; Sabatini, Relazione sul lavoro eseguito nel triennio 1806-97-98 sai vulcani dell'Italia centrale e i loro prodotti, Boll. R. Com. Geo]., 1899; Pellati, Re- lazione al R. Comitato Geologico sui lavori eseguiti per la Carta geologica nel 1002 e proposte di quelli da eseguire nel 1003. Boll. R. Com. Geol. 1903. CHELONII ANODONTI E DENTATI Nota del dott. Giuseppe De Stefano Gli attuali chelonii — come ognun sa — non hanno denti, e le brevi ossa delle mascelle sono coperte, al pari del becco degli uccelli, da lamine cornee più o meno dentellate e taglienti. Anche le tartarughe fossili fino ad ora conosciute sono anodonti, eccezion fatta per un tipo noto fin dal 1884, il Macelognathus vagans Marsh, del giurese superiore americano (*), il quale pare che abbia avuto degli organi dentali. L’anno passato descrissi, nella Rivista Italiana di Paleon- tologia (*), una mandibola fossile, come probabile avanzo di un cheionio dentato, appartenente all’Eocene inferiore di Reims. Sull’argomento della predetta nota il prof. Alessandro Portis fece ultimamente una comunicazione alla Società Geologica di Francia (3) per contestare e porre in dubbio, che il fossile da me descritto non sia una mandibola, che le cavità da me in esso riscontrate non possano considerarsi come dei probabili al- veoli dentari, ed in fine, per esprimere la sua opinione che chelonii dentati — ammesso che da questi siano derivati gli anodonti — non si possano rinvenire che al limite del Trias inferiore o nel Permiano. Alle osservazioni del prof. Portis credo utile rispondere bre- vemente, malgrado la questione sia stata in massima già esau- (') Marsh 0. C., A new order of extinct Jurassic Reptiles (Macelo- gnatha). The American Journal of Science. Third series. Voi. XXVII; pag. 341, 1884. (2) De Stefano Giuseppe, Un nuovo tipo di chelonide dell’ Eocene inferiore francese. Riv. Ital. di Paleont., Anno Vili, fase. II e III pag. 50-52, 1902. (3) Compte-rendu sommaire des séances de la Société géologique de France. Séance du 6 avril 1903. 364 G. DE STEFANO rita dopo l’autorevole giudizio dato in proposito dall’illustre prof. Albert Gaiulry. (che io ringrazio pubblicamente), per mezzo di una comunicazione-risposta, stampata nello stesso re- soconto della seduta della Società Geologica di Francia del 0 aprile 1903 (*). G) Per comodità del lettore trascrivo in nota, l’una di seguito al- l’altra, la comunicazione del Portis e la risposta fatta dal Gaudry. « Compte-rendu sommaire des séauces de la Société géologique de France. Séance du 6 avril 1903, pag. 58 a 61. » Alessandro Portis — Sur l’interprétation de débris d’un Chélonien dea environs de Reims. — M. Giuseppe De Stefano a publié dans la «Rivista Italiana di ^deontologia (liv II-I1I, 1902: pag. EO-52) une note intitulée: «Un nuovo tipo di Chelonide dell’eocene inferiore fran- cese », où il décrit une pièce fossile de l’Eocène inférieur des environs de Reims, corame étant la plus grande partie de la mandibule d’un nouveau type de Chélonien ninni de dents. Lorsque, examinant la des- cription et les dessins qui accompagnent cette note, on considére la forme générale de la pièce, les issues des vaisseaux de nutrition, la manque de symétrie (qui pourrait ètre expliqué par une déformation due à la pression pendant ou aprés la fossilisation), les lignes de cas- sare postérieure (dont la plus développée est considérée par l’auteur cornine constituant la suture symphysaire), les rapports entre les deux branches et la partie moyenne aplatie de la pièce, on peut conce voi r des doutes sur l’attribution de ce débris à une màehoire inférieure ou tout au moins sur la présence de traces d'alvéoles deutaires. » Autant que j’ai pu en juger, par l’examen des dessins sans échelle, et peut-ètre insuffisamment bien reproduits qui accompagnent la note de M. de Stefano, il m’a paru que l’on avait sous les yeux la repré- sentation du morceau externe de l’Hyoplastron gauche (si la figure n’est pas renversée) avec sou ai le d’attache au bord de la carapace d’un assez grand Chélonien d’eau douce ou, mieux encore, de terre; cette pièce, bien qu’ayant atteint une assez grande épaisseur, pouvait appar- tenir à un individu encore assez jeune, fait qui expliquerait l’abon- dance des ouvertures de nombreux vaisseaux nourriciers surtout sur son pourtour actuel, aboudance en partie i-éelle, et en partie due aussi à la destruction de la kime osseuse externe plus compacte et moins bien partagée,quant au réseau vasculaire, que la lame moyenne ainsi découverte. » La suture moyenne de la pièce en questionile serait alors qu’une cassure bien postérieure, à allure tortueuse, coupant dans la région la plus étroite, la branche qui se rend au bord externe de l’os de celle qui appartieni à baile en relation avec la carapace dorsale. » Il se peut toutefois que mon observation, basée sur des figures imparfaites, soit inexacte et que la pièce, examinée directement, puisse CHELONII ANODONTI E DENTATI 365 Son convinto che dopo il giudizio dato da questo ultimo, il prof. Portis non avrà più dubbio sulla autenticità della mandi- ètre attribuée à la région mandibulaire. Mais j'insisterai néanmoins pour considérer comme line cassure, la solution de continuité que l’auteur a interprétée cornine line suture et j’ajouterai qu'il n’est nullement néces- saire de considérer les nombreuses et larges ouvertures que tout Chélonien offre alignées sur le bord alvéolaire des os de la bouche, cornine des cavités alvéolaires ayant appartenu à de véritables dents ; pour moi, le type européen dii Chélonien ranni de dents n’a pas eneo re été trouvé à Rei ras. »Je suis depuis longtemps convaincu que les Cliéloniens anodontes doivent descendre de Chéloniens ou d’autres Reptiles thécodontes. Mais je ne chercherai pas les forraes de passage dans l’Eocène inférieur de Rebus, bien qu’il ait déjà, gràce aux déeouvertes de Lemoine, oftèrt pour les Mammifères plusieurs types ancestraux. Je ne chercherai pas non plus ces forraes dans le Crétacé d’Europe ou d’Àmérique, pas plus que dans le Jurassique, où d’un còté les Macelognathus invoqués par M. de Stefano occupent ime place encore trop isolée, tandis que, d’autre part, les nombreux crànes connus de Chéloniens sont tous privés de dents. Enfin, les dépòts du Trias supérieur et moyen, où l’on rencontre des types déjà si évolués comme Chéloniens que l’on est forcé de eroire que leur crune déjà coustitué dés cette époque sur le cadre actuel ne me paraissent pas non plus susceptibles de renfermer les anneaux inter- médiaires; je pense qu’il faudra les chercher plus bas, à la limite du Trias inférieur ou dans le Permien, où l’on pourra les rencontrer en étudiant par exemple les relations des Chéloniens avec les Anomodontae, les Galesauridcie ou les précurseurs des Sphenodontidae, ». Ecco ora la testuale risposta del prof. A. Gaudry, stampata in seguito alla sopra scritta comunicazione: « Notre savant confrère, M. Portis, a compra des doutes sur l’inter- prétation que M. de Stefano a donnée d'une màchoire de Tortile, faisant partie de la collection Lemoine, et il m’a engagé à l’examiner. » Cette màchoire des Sables à Unio de Ctiisse porte, prés du bord de chaque mandibole, uno sèrie de trous, qui, par leur position réguliére, leur forme, leur grandeur, ne sont pas sans ressemblance avec des alvéoles de dents. Au point de vue théorique, cette hypothèse n'a rien de choquant; puisque les anciens Oiseaux ont eu des dents, les anciennes Tortues ont pu en avoir. M. Dolio a écrit (*): «Il est indiscutable, comme le montre la comparaison avec d’autres groupes (les Oiseaux notamment), que les Tortues édentées proviennent de formes dentiféres ». Il reste à savoir, en fait, si les trous observés par M. de Stefano ont été des alvéoles de dents. (*) Première note sur les Chéloniens du Bruxellien. Bull, du Muséum royal d’hist. nat. de Belgique, t. IV, pag. 79; 1886. 366 &. DE STEFANO boia da me esaminata, la quale non è — secondo quanto egli scrisse (*) — un morceau exteme de V Hyoplastron gauche aree son alle d’ attaché au bord de la carapace d’un assez grand Ché lonien d’eau douce ou, mieux encore, de terre, ma un vero mascellare inferiore, e per giunta di Trionyx, secondo il giudizo dell’erpetologo prof. L. Vaillant, che si compiacque di esaminare il fossile. » J'ai consulte M. le professeur Vaillant, qui est notre maitre à tous pour l’étude des Reptiles. Il est incontestable que la màchoire en question est une màchoire inférieure d’une Tortue du groupe Trionyx. C’est dans les Trionyx que l’on trouve au bord des màchoires une rangée de petits trous. Ces animaux se servent de la come de leur bec, non pour couper comme les Chelonae, mais pour broyer; aussi cette come, s’usant vite, doit ètre sans cesse renouvelée. C’est pour cela sans doute, m’a dit M. Vaillant, qu’il y a de nombreux trous nourriciers dans les rnandi- bules des Trionyx actuels et que ces trous sont grands sur la màchoire des environs d’Epernay. » La pièce était brisée, quand M. Lemoine l’a découverte; il l’avait raccommodée. Nous l’avons mise dans l’eau pour en décoller les mor- ceaux, et ainsi j’ai vu qu’il y avait, outre un canal piace au milieu de la symphyse, un canal dentaire placé dans chaque mandibule; j'ai pu le suivre avec un fil de laiton; les trous regardés par M. de Stefano comme des alvéoles dentaires sont très larges, et capables de donner passage à des filets nerveux et sanguins. Tout naturaliste devra avouer qu’ils auraient pu servir aussi bien à nourrir des dents, qu’d nourrir un bec come. M. Vaillant, comme M. Portis, penche vers Popinion qu’il n’y avait pas de dents, mais un bec corné. » En tout cas, il n’est pas impossible que la présence des grands orifices de canaux nourriciers soit un fait d’atavisme: ce seraient des reliquats des alvéoles qui logeaient les dents de plus anciennes Tortues. Ainsi, M. de Stefano a fait une chose intéressante en appelant l’atten- tion sur les grands trous réguliers des bords internes de la màchoire d’une Tortue de l’époque éocéne». (') A scanso di malintesi, poiché il prof. A. Portis nella sua comu- nicazione ritiene che i disegni accompagnanti il testo della mia nota siano riproduzioni insufficienti e forse inesatte, tengo a dichiarare che, dette riproduzioni furono eseguite dal signor J. Papoint, disegnatore del laboratorio di Paleontologia del Museo di Storia Naturale di Parigi, la cui abilità artistica non può essere messa in dubbio, e che furono ese- guite in grandezza naturale. Credo però che il prof. P. Vinassa. nel- l’inserire le figure nel testo, le abbia fatte ridurre di un terzo o della metà, in modo che poi forse, non sono riuscite troppo bene. CHELONII ANODONTI E DENTATI 867 E(1 avendo anche il prof. Gaudry dimostrato che la mandi- bola da me descritta possiede «... outre un canal place au ■milieu de la symphyse, un canal dentaire place dans cliaque ■man d ilmle » e che «... Tout naturalistc dovrà avouer qu’ils auraient pu servir aussi bini à nourrir des dents, qu’à nourrir un bec come », non insisto oltre in proposito, non avendo più da circa un anno il fossile sottocchi ; ma mi persuado che, dopo ciò, il prof. Portis, riterrà almeno (facendo astrazione del mio modesto giudizio) che nella mandibola dell’Eocene inferiore di Reims esistono delle cavità, le quali possono essere considerate come alveoli dentari. E, di fatti, nella mia nota descrittiva, già citata, sul fossile francese, io esprimevo l’opinione non essere improbabile che le cavità della mandibola in questione ci rappresentassero degli alveoli dentari. Ma ammesso anche una mia decisiva afferma- zione in proposito (ciò che non risulta dal testo della mia nota), una questione m’interessa più d’ogni altro discutere brevemente, ed essa è il principale, se non l’unico, scopo di questo scritto. Ha proprio ragione il prof. Portis nel ritenere che le forme di passaggio dai chelonii tecodonti a quelli anodonti non pos- sano trovarsi nel Giurese superiore dell’America e tanto meno nell’ Eocene inferiore francese, ma invece occorra cercarle al limite del Trias inferiore o nel Permiano? Io ritengo che, mal- grado nel Cretaceo e nell’Eocene si abbiano tipi di cheloniani molto evoluti e con crani di già costituiti come quelli delle attuali tartarughe, pure possano esistere forme intermedie. I mammiferi e gli uccelli oggi viventi non è ehi non sappia quanto siano evoluti, eppure nessuno può negare che l’Ornito- rinco sia una forma intermedia; e nessuno può ritenere che la Lepidosirena, scoperta dal Natterer nel 1837, non sia una forma, anche essa, di transizione ; tanto è vero che dagli zoologi ora fu classificata fra gli anfibi ed ora fra i pesci, ed è certo che essa congiunge insieme gli uni cogli altri. Il fatto che nel Trias e nel Cretaceo i chelonii sono molto evoluti non implica che qualche discendente abbia potuto conservare qualche carattere dei tipi o del tipo ancestrale o sorgente, e per circostanze spe- ciali vivere per un certo tempo a fianco delle tartarughe con- formate alla maniera attuale. 368 G. DE STEFANO Il più antico genere (l’uccello fossile conosciuto finora è V Archaeoptheryx del Giurese europeo, il quale differisce molto- dagli altri uccelli fossili, e, per conseguenza, da quelli viventi. Ma, dal V Archaeoptheryx giurassico, clic si rassomiglia più ai rettili che agli uccelli, e che viene perciò considerato come la forma più vicina al tipo primitivo, distaccato dal tronco comune dei Sauropsidi, attraverso gli Odontolcae ed Odontotormae del Cretaceo americano, si arriva ai generi Argillornis Owen ed Odontopteryx Owen dell’Eocene inglese (Sheppei), ad un’epoca geologica cioè nella quale vivono uccelli conformati alla ma- niera attuale e privi di denti; mentre V Argillornis ha le sue mascelle provviste di alveoli poco profondi, ed il lungo becco de \V Odontopteryx ha i margini delle due mascelle compieta- mente dentati. Non è dunque da meravigliare il rinvenimento dell’Eocene inferiore di Iieims. Ma intendiamoci bene: quando il prof. Portis dice forme# de passage o anneaux interme'diaires, ritengo che egli non voglia indicare la sorgente, la fonte , dalla quale derivarono gli attuali cheloidi. In tal caso la questione sarebbe ben diversa; ed io descrivendo la mandibola di Iieims, ho voluto significare che essa appartiene ad una tartaruga con caratteri tali da avvalo- rare l’idea teorica che i ehelonii privi di denti discendono da quelli dentati. Questa idea teorica ha la sua conferma nel fatto che il Giinther trovò che gii embrioni delle viventi Trionyx hanno dei denti allo stato rudimentale. In altri termini, la man- dibola di Eeims potrebbe appartenere ad una forma intermedia, avente alcuni caratteri degli attuali Testudinata , ed altri, di un gruppo, dal quale questi presumibilmente derivassero, c che noi ammettiamo teoricamente. Tale forma intermedia potrebbe essere omologa ai sopra citati Ornitorinco e Lepidosirena, ed a tanti altri animali vertebrati (senza contare gli esempi clic si potrebbero togliere dagli invertebrati), che noi conosciamo, anelli di congiunzione fra gruppi diversi di ordine più o meno ele- vato, come, ad esempio, fra i pesci il gen. Caratodus, che avvi- cina i Dipnoi ai Ganoidi. Lasciamo stare da parte per un momento la mandibola del- l’Eocene francese ed il Macelognatlius del Giurese superiore CHELONII ANODONTI E DENTATI 369 americano, ed ammettiamo quanto dice il prof. Portis, che, cioè, i tipi di passaggio degli attuali cheioni i edentati debbano cer- carsi al limite del Trias inferiore o nel Permiano, studiando le relazioni fra gli animali di detto ordine con gli Anomodontae o i precursori degli Sphenodontidae. Anche in tal caso, ammesso il principio teorico che le tartarughe prive di denti discendano da forme dentate, può darsi il caso d’incontrare fra i fossili dell’Eocene inferiore, e tanto meglio fra quelli del Cretaceo e del Giurese, avanzi che confermino la teoria. E tutto ciò in base alla così detta legge dell’atavismo. Alcune leggi che go- vernano la ereditarietà dei caratteri sono note, ed in proposito zoologi e paleontologi autorevoli sono d’accordo, poiché tanto la Zoologia quanto la Paleontologia ci porgono numerosi esempi d’atavismo. Ne cito uno solo, per non essere prolisso: quello osservato dal prof. Pellegrino Strobel sulla conformazione dei piedi anteriori di qualche cavallo americano a Buenos Ayres ('): detto cavallo presentava in ambedue i piedi anteriori, al lato interno, un dito soprannumerario, anomalia che avvicinava l’ani- male vivente al così detto Hipparion o cavallo triungulato del terziario. Oggi la genealogia fossile della tribù dei cavalli, trac- ciata dall’ Hipparion del Miocene medio e superiore di Grecia, Germania, Francia, India ed America, tino all’attuale cavallo ed asino, è conosciuta (5); e, grazie alle dodici specie equine scoperte nella valle di Niobrara in formazioni plioceniche o postplioceniche, e riferite dal Leidy a sette generi, molte lacune si sono via via colmate in questi ultimi tempi: quindi, pigliando, ad esempio, come forme estreme l’ Orohippus agilis dell’Eocene e YJEquus fraternus del Quaternario, fra le quali si possono intercalare una trentina di specie (J), o meglio, pigliando come tipi estremi l’ Orohippus dell’Eocene ed i viventi Equus , noi conosciamo, attraverso i generi Myoìiippus e Pliohippus, la ( 1 ) Atti (1. Soc. Ital. di Scienze Nat., voi. Vili, 1865, pag. 518. (2) Gaudry A., Les enchaineinents dii monde animai dans les temps géologiques. Mammifères tertiaires, 1878, pag. 124-144. — Gaudry A., Essai de Paleontologie philosophi que, 1896, chapitre Vili, Applications géologiques de Vétude de l’évolution, pag. 187. (3) Marsh 0. C., Notice of neic Equine Mammals from thè tertiary formation. American Journal of arts and Sciences, voi. Vili, mars 1874. 370 G. OE STEFANO storia evolutiva dei Solipedi (specialmente americani), e possiamo renderci ragione del carattere atavico osservato negli attuali cavalli, pel quale si ritorna parzialmente al tipo di un proge- nitore lontanissimo. Nel nostro caso, è vero che non si conosce la fonte delle attuali tartarughe anodonti, ma può anche ben darsi, come ac- cenna il prof. A. Gau dry, che la mandibola di Reims ci rap- presenti un caso d’atavismo, specialmente se ammessa la teorica che le tartarughe anodonti discendano da forme dentate (M. Anche ammesso che la mandibola di Reims, come ritiene il prof. Vaillant, appartenga al gruppo delle Trionyx, la que- stione resta immutata. Si sa che gli embrioni delle Trionyx posseggono dei denti rudimentali (2), quindi niente di più facile che nel fossile dell’Eocene francese, il sopra detto carattere, causa l'atavismo, sia completamente sviluppato. A me però non risulta che il fossile in diagnosi sia di Trionyx, malgrado du- rante il mio soggiorno a Parigi l’abbia comparato con diversi mascellari inferiori di tale gruppo. E concludo. Comunque sia ed a qualsiasi gruppo appartenga il fossile di Reims, nel descriverlo io ho voluto indicare un probabile avanzo di cheionio dentato, e non un tipo ancestrale. Ciò non contrasterebbe con nessuna legge evolutiva, poiché, sia in forza dell’atavismo, sia per il fatto che alcuni caratteri pri- mordiali di un gruppo d’animali possono persistere in alcuni tipi del gruppo per lungo lasso di tempi geologici, può ben darsi, ammesso che i progenitori delle attuali tartarughe ano- donti discendano da forme dentate, come tutto induce a ritenerlo e fra l’altro i denti rudimentali degli embrioni delle Trionyx, che la mandibola di Reims presenti degli alveoli dentari. Ciò non significa che il prof. A. Portis abbia torto nel ritenere che la sorgente delle tartarughe anodonti bisogni cercarla al limite del Trias inferiore o nel Permiano, studiando le relazioni esi- stenti fra i chelonii sopra detti con gli Anomodontae , i fiale- (*) (*) Dolio L., Premirre note sur le. s’ Chéloniens du Bruxellien. Bull, dii Musée Roy. d’Histoire Nat. de Belgique, toni. IV, 1886, pag. 79. (-) Giinther A., Contribution io thè Anatomy of Hatteria ( Jìliyncho - cephulus Owen). Pili 1. Trans. Roy. Soe. London, 1867, pag. 603. CHELONII ANODONTI E DENTATI 371 sauridae o i precursori degli Sphenodontidae. Ma intendiamoci bene, ch'io parlo di sorgente: in tal caso sono anch’io, come il prof. Portis, dell’opinione che, nò nell’Eocene, nò nel Cretaceo e Giurese, si debbano cercare i tipi o il tipo in parola. Io ri- tengo anzi che i precursori delle tartarughe anodonti si potreb- bero forse conoscere studiando le relazioni fra esse ed i precur- sori degli Sphenodontidae. Quanto, in fine, al valore delle cavità riscontrate nella man- dibola di Reims, io sostengo che esse hanno tutti i caratteri di alveoli dentari, ed a questa mia asserzione viene in appoggio l’autorevole giudizio di quel gran conoscitore di fossili che si chiama Albert Gaudry. Il Macelognathus vagans Marsh, degli strati ad Atlanto- saurus (Giurese superiore) del territorio di Wyoming in America e la mandibola dell’Eocene inferiore di Reims in Francia, a mio avviso, per quanto ci rappresentino due casi isolati in propo- sito, valgono, se non ad altro, ad accertare che i progenitori delle attuali tartarughe possedevano dei denti. [ms. pres. 9 luglio 1903 - ult. bozze 23 agosto 1903]. SULL’ETÀ DELLE ARENARIE LIGNITI FERE DI AGNANA IN CALABRIA Nota del dott. Giuseppe De Stefano Sull’orizzonte geologico delle arenarie con banchi di com- bustibile di Agnana (provincia di Reggio-Calabria) esiste disac- cordo fra i geologi che fino al giorno d’oggi si occuparono delle formazioni terziarie della Calabria meridionale, e la questione della loro età si è presentata fin qui alquanto complessa. Per non citare altri anteriori al compianto prof. Giuseppe Seguenza(') dico: che quest’ultimo incluse dette arenarie, insieme a quelle di Antonimina, nel Tongriano (5); clic in seguito il prof. Carlo I)e Stefani modificò in parte tale opinione, osservando che, nel- l 'applicare gli ordinamenti proposti dal Mayer, bisogna consi- derarle come un po’ più recenti (3) ; e che, in fine, più tardi l’ ing. E. Cortese, contrariamente a tutti i suoi predecessori, le ritenne come appartenenti all’Eocene inferiore, o, per lo meno, ad una zona più bassa dell’Eocene medio (4). C) Notizie chiare e concise sulle varie idee emesse dagli Autori anteriori al Seguenza, a proposito delle ligniti di Agnana, si trovano nella nota memoria del prof. Carlo De Stefani: Escursione scientifica nella Calabria. Jejo, Montalto e Capo Vaticano. Mena. d. R. Acc. dei Lincei, 1882, pag. 102-103. Senza ricorrere ad altre fonti, nel sopra detto lavoro si apprende; che il Pilla da principio incluse le arenarie lignitifere di Agnana nel Carbonifero, e poi fra le formazioni secondarie sotto il Giura; che il Tchihatcheff le attribuì all’ Oxfordiano; che il Montagna le incluse addirittura nel Carbonifero, come aveva pensato la prima volta il Pilla, il quale poi nel 1840 le riconosceva esplicita- mente come terreno terziario miocenico; e che, infine, anche il Burat, nel 1853, le incluse nel terziario. (2) Seguenza G., Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio {Calabria). Mem. d. R. Acc. d. Lincei, 1880, voi. VI, pag. 85-37. (3) De Stefani Carlo, Escurs. scient. nella Calabria, ecc., pag. 103. ( ,) Cortese E., Descrizione geologica della Calabria, pubbl. per cura del R. Ufficio Geologico, 1895, pag. 129. sull’età delle arenarie lignitifere 373 Dal 1895, epoca nella quale il Cortese emise il prenotato giudizio, per quanto a me consta, nessun altro tino ad oggi si è occupato della controversa questione: solo il prof. Francesco Bassani, in un suo lavoro del 1895, riferì che il prof. Carlo De Stefani gli disse a voce di credere che ad Agnana vi sia un rovesciamento di strati, e ritenne che forse uno spostamento fa apparire la lignite di detta località sottoposta al calcare num- mulitico (‘). Lo scopo di questa nota è quello di apportare, possibilmente, un po’ di luce in proposito. Le arenarie di Agnana stanno sotto le argille scagliose che contengono calcari nummulitici e riposano immediatamente sulla fillade: le arenarie sono concordanti con le argille variegate scagliose contenenti i calcari, ma hanno però una certa incli- nazione rivolta contro la massa degli scisti lucenti. Questo fatto, meglio che nell’affioramento il quale dal Monte Guardia arriva al fiume Novito, si osserva nella Galleria principe di Napoli , fatta praticare alcuni anni fa dal signor Fazzari per l’estrazione della lignite. Tanto nel lembo che dal Monte Guardia arriva al fiume Novito quanto nella Galleria principe di Napoli, le formazioni sono identiche, benché varii il loro spessore, e rimontano quindi alla stessa età. Nel primo lembo, che io ritengo frazione di un affioramento molto più esteso, e precisamente nel vallone Luria, a partire dall’alto per andare al basso, si osserva la seguente serie di strati : 8) banco di conglomerato, formato da residui di rocce ■cristalline, ed alternanza di marne ed arenarie bituminose, di uno spessore poco considerevole, e con copiosi resti indetermi- nabili di vegetali; 7) strati di tenuo spessore di lignite (in numero variabile da tre a cinque) alternanti con arenaria, di tenuo spessore, ai quali si trovano associati letti di scisti bituminosi di color chiaro, includenti avanzi di vegetali ; (*) (*) Bassani F., Appunti di ittiologia fossile italiana. Estratto dalle Memorie della R. Acc. delle Scienze fis. e mat. di Napoli, voi. Ili, s. 2a, N.° 7, 1895, pag. 12. 374 G. DE STEFANO 6) banco di lignite, di uno spessore relativamente note- vole, al quale si associano piccoli straterelli di scisti bitumi- nosi, di color bruno, contenenti in gran quantità avanzi inde- terminabili di vegetali: in tale banco di lignite, a quanto pare, furono trovati avanzi di Antìiracotìierium magnimi Cuvier; 5) strati, alternanti, di tenue spessore, formati da marne più o meno calcaree, e di origine salmastra o palustre, conte- nenti avanzi di Potamides, Limnaea e Planorbis; 4) banco più basso di lignite, che in qualche punto arriva a più di mezzo metro di spessore, costituente la base del depo- sito carbonifero, e nel quale furono anche trovati avanzi di Antìiracotìierium magnimi Cuv.; 3) arenaria gialla, a fini elementi, ricca di sabbia quar- zosa, e contenente numerose impronte di molluschi marini; 2) conglomerato rossastro o grigio-scuro, costituito da rari ciottoli calcarei ed abbondanti residui di rocce cristalline, nello spessore variabile da mezzo metro circa fino a quasi tre metri; 1) scisti lucenti (filladi). Negli strati che si osservano lungo la Galleria principe di Napoli , si ha, in ordine discendente, la seguente successione: G,) argille scagliose variegate, con associazione di calcari marnosi nummulitici di color giallastro; 5,) arenarie grossolane con conglomerato simile a quello indicato col numero 8 nel precedente lembo, le quali hanno un notevole spessore, e sono associate a delle marne bituminose, con resti indeterminabili di vegetali ; 4,) banchi di lignite alternanti con strati di marne ed arenarie grossolane, presso a poco con la stessa disposizione che si è vista per gli strati segnati coi numeri 7, 6, 5, 4 e 3 del precedente affioramento, ed il cui spessore arriva a 25 metri; 3,) Italico sottile di arenaria gialla a fini elementi sab- biosi, con impronte di molluschi marini; 2,) conglomerato formato da residui di rocce cristalline con qualche ciottolo di calcare; 1J scisti lucenti. Dal su esposto emerge chiaramente che le arenarie conte- nenti lignite dei dintorni di Agnana sottostanno in concordanza SULL’ETÀ DELLE ARENARIE LIGNITIFERE 375 alle argille scagliose che contengono i calcari con nummuliti. Dette argille scagliose variegate hanno una grande potenza e sono simili a quelle che s’incontrano in altri luoghi della Ca- labria, come sotto Piatì ed a Branealeone, od in Sicilia ('): esse sono franose e perciò facili a disgregarsi con le acque piovane; hanno diversa colorazione, ma il carattere scaglioso, meglio che nelle turchine o rosse, si osserva in quelle color cioccolatto chiaro. Però, tanto quelle che hanno una intensa colorazione rossa o turchina quanto le altre di color cioccolatto, sono alte- rabilissime; e le piccole scaglie che si stemperano sotto l’azione dell’acqua piovana e corrente e del calore solare, formano una vera melma. Le argille di Agnana, in conclusione, sono iden- tiche a quelle che si estendono per lungo tratto fra Pareri e Piatì, dove rendono difficili e costosi i lavori che si debbono eseguire colà per la costruzione di una strada provinciale che allacci la Piana con la riva del Ionio passando per Oppido. Tanto in quelle di Agnana quanto in queste ultime ed in quelle che affiorano a Branealeone e Brezzano, la stratificazione è quasi orizzontale, e non di rado s’ incontrano nella massa argillosa della manganite e dei piccoli cristalli di gesso deformato. Il calcare, che contengono le argille esaminate, ha frequenti nummuliti più o meno tenacemente ad esso inglobate, ed altre foraminifere. Osservo inoltre che in esso si possono incontrare delle impronte indeterminabili, forse di vegetali. La fauna delle argille variegate scagliose, o, per meglio dire dei calcari nummulitici che dette argille accompagnano, non è molto abbondante come numero di specie fino ad oggi ricono- sciute, ma però è molto istruttiva per l’età dei depositi che la contengono. Cito quella del calcare contenuto nelle argille di Agnana: Nummulites Guettarcli d’Arch. et Haime, N. Biarritzensis d’Arch. et Haime, (!) In proposito io ho osservato solo gli affioramenti della provincia di Messina (1899-900), ma dalla Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia dell’ing. L. Baldacci (1886), si rileva che le argille in questione sono un po’ diffuse in tutta l’Isola. 376 G. DE STEFANO Alveolina sp. (frequentissima), Orbitoides sp., Dentalium sp. ('), e l’altra di monte Carrone presso Bianco, nella stessa provincia di Reggio, località non molto lontana da Agnana: Nummulites perforata d’Orb. (rara), N. Guettardi d’Arcli. et Haime, N. Biarritzensis d’Arch. et Haime, N. cfr. subirregularis de la H.. Assilina Madarazzi Hantk., Operculina canali fera d’Arch. (2). Secondo il Cortese tali argille scagliose ci rappresentano gii strati più bassi dell’Eocene medio in Calabria (3). La piccola fauna citata, a mio credere, ci permette di definirne l’orizzonte geologico, poiché io ritengo che nella Calabria meridionale, fra l’altro, si verifica il fatto dell’Italia centrale e di altre regioni, dove le argille scagliose con calcari nummulitici, giusto quanto scrissero i geologi che le studiarono, hanno un solo carattere costante ed universale, quello cioè di contenere una certa quan- tità di nummuliti. La composizione rocciosa e la stratificazione delle argille variegate scagliose di Agnana, di monte Carrone, di Brancaleone, di Piati, eco., non che la loro fauna, indicano che esse appar- tengono ad uno stesso orizzonte geologico. La presenza dei cal- cari che esse contengono, nei quali si rinvengono Nummulites perforata , N. Biarritzensis, N. Guettardi, N. subirregularis , (l) Cortese E., Descr. geoì. della Cai., pag. 129. (*) Cortese E., Loc. cit., pag. 129. (3) Cortese E., Loc. cit., pag. 126 e 129. L’Eocene medio, secondo il Cortese, in Calabria, è rappresentato, in ordine ascendente, come segue : 1° Argille variegate scagliose, con calcari nummulitici, 2° Galestri e ftaniti, 3° Scisti argillosi, 4° Calcari marnosi. Alberesi. SULL’ETÀ DELLE ARENARIE L1GNITIFERE 377 Assilina Madarazzi , ecc., mi fa pensare che detti depositi deb- bono sincronizzarsi col calcare a nummuliti delle isole Tremiti, .di color biancastro e poco farinoso, pieno zeppo di nummuliti e contenente altri organismi, come, frammenti di Echinidi, An- tozoi (Isis brevis d’Arch.), ecc. Detto calcare, secondo le vedute del prof. Teliini, che ebbe agio di studiarlo bene, equivarrebbe al Bartoniano superiore dell’Europa centrale, e starebbe sovrap- posto ad un altro calcare farinoso pieno zeppo di nummuliti, che lo stesso autore, per la presenza di due specie, frequenti, Nummulites lucasana Defr. e N. perforata d’Orb., riferisce al Parisiano superiore, sarebbe, cioè, corrispondente agli strati in- feriori della Mortola ('). Ma non è da porre in oblio il fatto che il complesso delle due faune nummuliticbe, del Parisiano superiore e del Bartoniano, nelle isole Tremiti, è molto simile, e fra esse esistono dei graduati passaggi (2). E, se non m’inganno, le argille variegate scagliose dei dintorni di Agnana e delle altre località citate della Calabria meridionale, possono attribuirsi allo stesso orizzonte al quale appartiene la (') Telimi A., Osservazioni geologiche sulle Isole Tremiti e sull’Isola Pianosa nell’ Adriatico. Boll. d. R. Com. Geol. d’Italia, serie III, voi. 1, 1890. N.° 11-12, pag. 465-466. (2) Teliini A., Loc. cit., pag. 465-467. Gli strati eocenici di Tremiti, presentano una facies uniformemente calcarea, ed il Telimi vi distingue i seguenti piani: A) Calcari biancastri, privi di fossili, i quali formano il passaggio tra il Cretaceo superiore e l’Eocene con nummuliti. B) Calcare farinoso (Parisiano superiore), con Nummulites per- forata d’Orb., e var., N. hccasana Defr., e var., N. discorbina Schloth., N. subdiscorbina de la H., N. cfr. striata d’Orb., N. Guettardi d’Arch., Orbitoides ephyppium Schloth. C) Calcare bianco, meno farinoso del precedente (Bartoniano su- periore), con Nummulites complanata Lamk., N. latispira Savi e Meligli., N. Tchihatcheffx d’Arch., N. Guettardi d’Arch., N. Biarritzensis d’Arch., N. Bamondi Defr., N. striata d’Orb., N. lucasana Defr., N. anomala de la H., N. garganica Teli., Assilina Madarazzi Hantk., Operculina ammonea Leym., 0. diomedea Teli., Heterostegina sp., Orbitoides papy- racea Boub., 0. Portisi d’Arch., 0. ephyppium Schloth., 0. tonella Giimb. D) Calcare bianco compatto, privo di fossili. Bisogna notare però che dove il calcare del piano B passa al successivo piano C, le orbi- toidi si fanno più frequenti, mentre le due specie di Nummulites, luca- sana e perforata, divengono rare. 27 378 G. DE STEFANO zona calcareo-marnosa di Montereale nell’Umbria, la quale con- tiene banchi di foraminifere, fra cui abbondano le nummuliti ('). Fra queste ultime cito le seguenti, riconosciute dal paleontologo dott. Giovanni Di Stefano e dal prof. Teliini: Xummulites Biar- ritzensis d’Arclu, N. Guettardi d’Arch., X. efr. striata d’Orb., N. laevigata Lamk., X. laevigata var. scabra Lam., X. Lamarcki d’Arch. et H., Nr. discorbina Schloth., Assilina granulosa {?), Alvcolina sp. In conclusione, le argille di Agnana e delle altre località della provincia di Reggio, dove si hanno affioramenti di tali terreni, ci rappresentano l’Eocene medio, e, secondo le mie mo- deste vedute, appartengono allo stesso orizzonte di quelle sici- liane che s’incontrano nella provincia di Messina, a Santa Lucia del Mela, a Barcellona, a Castroreale, a Novara e nel Paler- mitano; nei quali lembi citati, i calcari, associati o contenuti nelle argille scagliose variegate, sono nummulitici e conterreb- bero i seguenti fossili caratteristici (*): Xummulites Rouaulti, X. Tchihatcheffì, Orbitoides ephyppium , 0. stellata , Serpula spi- rulaea , Turritella implicataria. Queste argille scagliose variegate della Calabria e della Si- cilia io le includerei nel Bartoniano; e sarebbero coetanee a parte del calcare nummulitico delle isole Tremiti, forse a parte dei calcari marnosi bianchi del bacino di Firenze (*), i quali sono nummulitici alla base e furono inclusi dal prof. G. Tra- bucco (4) nel Parisiano, alla zona calcareo-marnosa di Monterà le nell’Umbria (5), a parte del calcare di Gassino fra i colli Tori- nesi, e precisamente a quello riferito al livello delle argille di C) Lotti B., Studi sull’ Eocene dell’ Appennino toscano. Bull. d. R. Com. Geol. d’Ital., serie III, voi. IX, 1898, fase. I, pag. 37-81. — Verri A. e de Angelis d’Ossat A., Terzo contributo allo studio del Miocene del- l’Umbria. Boll. d. Soc. Geol. Ita!., voi. XX, 1901, fase. I, pag. 3-8. (-) Le specie citate sarebbero, secondo Baldacci, caratteristiche delle argille scagliose variegate siciliane. Baldacci L., Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, pubblicata a cura del R. Ufficio Geolog. 1 1 a 1 . , Roma, 1886, pag. 85-86. (3) Trabucco G., Fossili , stratigrafia ed età dei terreni del Casentino (Toscana). Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XIX, 1900, pag. 718. (4) Trabucco G., Loc. cit., pag. 718. (5) Verri A. e de Angelis d’Ossat G., Loc. cit., pag. 5. sull’età DELLE ARENARIE LIGNlTiFERE 379 Barton, nel quale furon trovate (località di Cascina Vergine) Nummulites Tchiliatcheffì, N. complanata , N. contorta , N. Guet- tardi, N. Biarritzensis ('), e ad altri lembi ancora^). Queste argille scagliose variegate sono, in fine, un po’ più giovani del calcare farinoso delle Tremiti incluso dal Teliini nel Parisiano superiore, del deposito calcareo nummulitico di Causano con Nummulites perforata d’Orb., N. lucasana Defr., Assilina sp. (3), dei calcari di Monte Postale presso Bolca con Nummulites perforata, N. spira, N. complana ta , e di altri lembi dell’Eocene medio (f). Ora si presenta la questione di vedere se le sottostanti are- narie con combustibile appartengono anche al Bartoniano o ad un piano più antico. Le ligniti che si osservano ad Agnana, per la posizione stratigrafica che hanno le arenarie che le con- tengono per rispetto alle soprastanti argille variegate scagliose, si dovettero formare anteriormente a queste ultime; e si depo- sero in un bacino a guisa di estuario, il quale da principio (1) Issel A., Compendio di Geologia, Parte II, 1S97, pag. 424-425. (2) In proposito vedansi i lavori pubblicati dal prof. Federico Sacco nel Boll. d. Soc. Geolog. Ita 1., L’ Appennino settentrionale (Parte cen- trale), voi. X, 1891, pag. 325. L' Appennino dell’ Emilia, voi. XI, 1892, pag. 425. E Appennino settentrionale. Parte III, La Toscana, voi. XIV, 1895, pag. 186. L’ Appennino settentrionale. Parte IV. L’ Appennino della Tamagna, voi. XVIII, 1899, pag. 351. Lo stesso prof. F. Sacco, nella relazione della escursione geologica eseguita il 21 settembre 1893 attraverso i colli terziari di Torino (Boll, d. Soc. Geol. Ital., voi. XII, 1893, pag. 537) nota come formazione di passaggio fra il Parisiano ed il Bartoniano gii strati di Caviggiona, nei quali si trovano: Nummulites Tchihatcheff, N. complanata, N. con- torta, N. Guettardi, N. variolaria, N. Biarritzensis , N. anomala, ecc. (3) Cassetti M., Rilevamento geologico dell' Abruzzo Aquilano e in Terra di Lavoro, eseguito nel 1897. Boll. d. R. Com. Geol. d’Ital., ser. Ili, voi. IX. fase. II, pag. 130-131. (4) Sacco F., Relaz. d. escurs. geol. eseg. il 21 settembre 1893 attra- verso i colli terziari di Torino. Boll d. Soc. Geol. Ital., voi. XII, 1893, pag. 536-537. L’autore nota come il calcare di Gassino, contenente avanzi di Nummulites Rouaulti, N. lucasana, N. perforata, ecc., insieme a nu- merose Orbitoidi, Echinodermi, Crinoidi, Briozoi, ecc , per la mancanza di Alveoline e di Assiline, non che per la rarità della Nummulites per- forata, non possa essere incluso nel tipico Parisiano, ma invece potrebbe forse considerarsi come Parisiano affatto superiore. 380 G. DE STEFANO doveva comunicare col mare per mezzo di uno stretto passaggio, ed in seguito fu invaso a poco a poco dalle acque salate. Nei primi tempi della formazione si dovette avere un bacino il quale per la maggior parte era chiuso dalle rocce cristalline: l’alternanza di tenui letti marini con gli strati più alti di com- bustibile, indica che il mare invase più volte l’estuario per il sopra accennato passaggio; ed in fine, le acque del mare anda- rono a coprire definitivamente quella contrada. Esaminiamo i fossili delle arenarie lignitifere indicati dal Seguenza e dal De Stefani. Quelli di Agnana elencati da G. Se- guenza sono i seguenti ('): Montlivaultia Carcarensis (?) Michelotti, Lima miocenica (?) Sismonda (2), Arca biangulina d’Orbigny (— A. biangula Bast.), Tellina (Cyclas) lineata Montagna (3), Planorbis sp. (~ P. Ferdinandi? Montagna), Ccrithium margaritaceuni Brocchi (4), Fusus sp., Oxyrhina crassa Agassiz, Anthracotherium magnani Cuvier. Ed il prof. Carlo De Stefani ci dà la seguente lista (r>): Ostrca sp. (6), Murex sp. (7), (') Seguenza G., Le formaz. terz. della prov. di Reggio (Calabria) r pag. 39-45. (*) Questa Lima miocenica Sismonda, in fondo, non è stata trovata mai ad Agnana. Il Seguenza la cita negli strati marini della zona E (arenaria con strati di combustibile! del Tongriano, ma con certezza solo di Antonimina: per Agnana, egli stesso, la riferisce con molto dubbio. A tutto ciò si aggiunga che gli esemplari esaminati daH’aut. sono molto incompleti. (3) Questo fossile è riferito dal Seguenza al deposito di Agnana con molta incertezza, e l’aut. non è nemmeno sicuro della sua determinazione specifica. (4j Questo fossile, secondo Seguenza, fu trovato alla base del depo- sito carbonifero di Agnana. (5) De Stefani Carlo, Escurs. scient. nella Calabria, pag. 96-97. (6) Questo fossile è avvicinato dal De Stefani al tipo dell’Osfrcn cochlear Poli. (7) Secondo De Stefani questo Murex apparterrebbe alla sezione dei Phyllonotus, e forse sarebbe affine al .1/. sublavatus Bast. sull’età delle arenarie ligniti fere 381 lata Potamides margaritaceum Brocc. [— Murcchsonia grami - Montagna] (*), Limnaea Frane isti Montagna (2), Planorbis Ferdinandi Montagna (3). Arca sp. (4), Syndosmia sp. [Tellina lineata Montagna] (5), Odontaspis sp., Trionyx sp. (6), Anthracotherium magnimi Cuvier. Ài trascritti fossili bisogna aggiungere: Serranus sp. (7), Trionyx oligocenica Portis (8). (‘) Montagna C., Primo rendiconto della commissione incaricata di esplorare il bacino carbonifero di Gerace. Ann. civ. del R. delle Due Sicilie, 1854, voi. L, pag. 22, tav. I, fig. 2. — De Stefani C., Loc. di., pag. 96. (*) Montagna C., Primo rend. d. comm. incar. per espi., ecc., pag. 22. — Montagna C., Giacitura e condizioni del terreno carbonifero di Agnana e dintorni. Napoli, 1857, tav. I, fig. 1. (3) Montagna C., Giacitura e cond. d. terr. carb. di Agnana, ecc., tav. I, fig. 2. (4) Questo fossile, come avanti si è visto, secondo Seguenza sarebbe l’Arco biangulina d’Orb. Il De Stefani (Loc. cit., pag. 96) ritiene al con- trario che appartenga al gruppo delle Barbatie, e sarebbe assai più pic- cola del tipo Arca variabilis Mayer, del bacino di Vienna. (5) Il fossile elencato è ritenuto dubbio dal prof. De Stefani, il quale crede che possa essere tutto al più di un animale salmastro. Ma secondo il Rota esso sarebbe stato trovato col Murex sp. e l’Arca sp. nelle are- narie alternanti con lignite. (6) Questo chelonide sarebbe rappresentato solamente da frammenti, già in parte figurati dal Montagna nei lavori avanti indicati; ma é me- rito del Gastaldi Taverne per il primo menzionato il genere. (7) Bassani F., Appunti di ittiologia fossile italiana. Meni, estratta dagli Atti della R. Acc. d. Scienze fis. e mat. di Napoli, voi. VII, ser. 2% N.° 7, 1895, pag. 12-13. (8) Vedasi nel lavoro di Bassani F., Appunti di ittiologia foss. ital ., pag. 11, e la memoria del Portis A., Resti di cheioni terziari italiani. Atti R. Acc. d. Se. di Torino, voi. XX, 1885, nella quale gli avanzi in- dicati da Gastaldi pel primo come Trionyx furono determinati col nome di Tr. oligocenica Portis. 382 G. DR STEFANO Il primo avanzo, che non è stato identificato specificamente, appartiene ad un genere che si trova in tutte le formazioni del terziario; ed il secondo ci rappresenta gli avanzi indicati dal Gastaldi, e riferiti poi dal De Stefani, col nome di Trionyx sp. Questa forma di Tr. oligocenica Portis, di Agnana, sembrerebbe avvicinarsi alla Tr. Lorioli, Tr. anthracotheriorum , e molto più alla Tr. Capellina var. Montevialensis ('). Dagli elenchi riportati deriva quanto segue: prima d’ogni altro, alcuni fra i fossili citati hanno una dubbia determinazione specifica, come, la Lima miocenica Sismouda; altri, invece, sono conosciuti solo genericamente; altri, in fine, come YOxyrhina crassa Àgassiz, ammessa l’esatta determinazione fattane dal de- funto paleontologo messinese (?), non sono caratteristici del Ton- griano. Anche l’elenco del prof. De Stefani mi fa osservare, che, su dieci diversi tipi di animali, ve ne sono cinque indetermi- nati specificamente, Ostrea sp., Murex sp., Arca sp., Syndo- smia sp., Odontaspis sp., e due, Limnaea Francisci Montagna e Planorbis Ferdinand i Mont., che, per quanto io sappia, finora non furono mai trovati in nessun deposito Tongriano dell’Italia e dell’Estero. Il loro valore cronologico è dunque molto rela- tivo; ed in conclusione della fauna del deposito di Agnana, tanto che si consideri l’elenco del Seguenza quanto che si tenga conto di quello del De Stefani, o meglio, di tutti e due presi insieme, risulta che ai soli Potamides margaritaceum Brocchi ed Anthracotherium magnimi Cuvier si può attribuire significato di valore cronologico. Il Seguenza ritiene (3) questi ultimi fossili come sufficienti da per se soli a rapportare la zona dell’arenaria con strati di combustibile di Agnana al Tongriano, in quanto che VAnthr. magnimi fu trovato nel miocene inferiore della Svizzera, Francia, Vicentino e Piemonte, ed il secondo nel Ton- griano del Piemonte, del Vicentino e di Mayence. Anche il f1) Bassani F., Appunti di ittiologia foss. Hai., 1895, pag. 11. (*) Seguenza L. fu Gius., 7 pesci fossili della prov. di Reggio (Ca- labria) citati dal prof. G. Seguenza, Boll. d. Soc. Geol. Bai., voi. XX, 1901, pag. 25G. II Seguenza L., benché non abbia osservato nessuno degli esemplari menzionati da G. Seguenza come appartenenti ad Oxyrhina crassa, pure ritiene che si tratti di tale specie. (:i) Seguenza G., Le forni, terz., ecc., pag. 40. sull’età DELLE ARENARIE LIGN1TIPERE 383 prof. Carlo De Stefani è (l’avviso (') che V Anthracotherium ma- gnani ed il Cerithium margaritaceum, i due fossili sui quali si fonda il Sequenza per riferire le ligniti al Tongriano, servono mirabilmente per paragonarli con altri terreni la cui posizione stratigrafica non è contestata. Ma a tutto ciò, malgrado il va- lore cronologico che hanno V Anthracotherium magnimi ed il Potamides margaritaceum, malgrado l’autorevole giudizio del prof. A. Gaudry (2) che il genere Anthracotherium sarebbe ap- parso nel terreno eocenico affatto superiore (Étage du calcaire de Urie) e che in fondo regna con gli Hyopotamus durante i tempi che si depositarono le sabbie di Fontainebleau e della Ferté-Alais (che il citato Aut. rapporta con dubbio agli strati di Losanna in Svizzera ed a quelli di Cadibona in Italia) (3), malgrado gli ordinamenti più recenti ci dicano che il calcare lacustre della Brie rappresenti il termine più alto della serie eocenica nel bacino di Parigi, ed il gen. Anthracotherium com- pare al principio del periodo oligocenico e il Potamides mar- garitaceum sia stato trovato nel Tongriano del Piemonte, del Vicentino e di Mayence, può osservarsi: si può sempre parlare di sincronismo quando due o più lembi, molto distanti fra loro dal punto di vista geografico, contengano in tutto od in parte la stessa fauna fossile? Io ritengo che in taluni casi, anziché di sincronismo, sarebbe più razionale parlare d’ identità di Fa- cies (4). Il concetto che due depositi, uno, ad esempio, nellTtalia. meridionale e l’altro nella Kussia centrale, o settentrionale, o nella Francia, o altrove, avendo la medesima fauna, debbano riferirsi allo stesso orizzonte geologico, e quindi alla stessa età, può I1) De Stefani Carlo, JSscurs. scient. nella Cai., ecc., pag. 103. (2) Gaudry A., Les enchamements du monde animai dans les temps gcólogiques. Mammifères tertiaires. Paris, 1878, pag. 4. (3) Gaudry A., Loc. cit., pag. 5. « Etage des sables de Fontaine- bleau et de la Ferté-Alais (Seine-et-Oise), auquel se rapportent peut-étre les couches d’Hempstead (ile de Wight), de Ronzon (fouburg du Puy- en-Velay), de Villebramar (Lot-et-Garonne), de Lausanne (Suisse), de Cadibona (Italie) ». (4) L'anno scorso ebbi agio di udire in proposito delle importanti osservazioni durante il corso di conferenze fatte dal prof. Marcellin Boule del Museo di Storia Nat. di Parigi sui fossili caratteristici nella determinazione cronologica dei terreni. 384 G. DE STEFANO essere anche erroneo. E ciò non solo per la fauna marina, ma ancora per quella dei vertebrati terrestri, ed in particolar modo per alcuni tipi di vertebrati, i quali possono prosperare in date condizioni climateriche. Quindi io dò ragione al Cortese là dove accenna (*) che bisogna ritenere che il gen. Anthracotherium comparve prima dell’epoca oligocenica; o almeno che così bisogna rite- nere per la Calabria. Ma secondo le mie modeste vedute non bisogna fare discendere YAnthr. magnum, come opina il Cor- tese (*), fino all’Eocene inferiore, poiché gli strati a lignite di Agnana non sono così antichi. In altri termini, le arenarie ligniti- fere di Agnana, a mio avviso, non vanno riferite, nè all’Eocene inferiore, secondo opinò il Cortese, nè al Tongriano secondo le idee di Seguenza e di Carlo De Stefani, ma invece apparten- gono, come le soprastanti argille scagliose variegate, all’Eocene medio, e sono più antiche delle arenarie lignitifere di Autoni- mina con Placopsilina cenomana d’Orbigny, Hcterostegina sp., Operculina complanata East.. Orbitoides Gumbelii Seguenza, Nummulites variolaria Sow., ecc. Quindi, riepilogando, concludo col dire che ad Agnana si hanno rappresentati: l’Arcaico, dalle filladi; e l’Eocene medio, dal Parisiano superiore (strati di arenaria con combustibile ad Anthracotherium magnum Cuv.) e dal Bartoniano superiore (ar- gille scagliose variegate con calcari a Nummulites Guettardi , N. Biarritzensis, Alveolina sp., ecc.). [ms. pres. 9 luglio 1903 - ult. bozze 23 agosto 1903]. C) Cortese E., Descriz. geol. cL. Calabria, pag. 129. (2) Cortese E., Loc. cit., pag. 129. L’autore ritiene che le arenarie lignitifere in questione, come ho già accennato, debbano riferirsi all’Eo- cene inferiore o per lo meno ad una zona più bassa dell’Eocene medio. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI tenute in Siena nei giorni 10-12 settembre 1003 In conformità della deliberazione presa nell’adunanza inver- nale del 21 febbraio 1903 di tenere la riunione estiva nella città di Siena e di eseguire escursioni nei dintorni di questa città e al Monte Andata, il programma delle escursioni e delle adunanze venne distribuito ai soci con circolare del 20 luglio e col seguente Ordine del giorno: Lettura per l’approvazione del verbale dell’adunanza del 21 febbraio. Comunicazioni della Presidenza. Nomina di nuovi soci. Discussione per l’approvazione dei bilanci consuntivi 1902 della Società e dell’amministrazione del Legato Molon. Affari eventuali. Comunicazioni scientifiche. Elezioni alle cariche sociali : vice-presidente pel 1904; quat- tro consiglieri pel 1904-1906; segretario pel 1904-1906. Adunanza inaugurale del IO settembre. Presidenza Verbi. La seduta è aperta alle ore 10,15' nella grande sala della R. Accademia dei Eisiocritici, gentilmente concessa. Sono presenti, oltre il presidente Verri, i consiglieri Bal- dacci, Di Stefano, Parona, Taramelli, il tesoriere Statuti, l’ar- chivista Neviani, i soci Ambrosioni, Brugnatelli, Capacci, IV L RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Cbigi-Zondadari, Corno, Cortese, Crema, D’Achiardi, Del Zanna, Fabbrini, Fucini, Gortani, Lotti, Manasse, Mazzuoli, Matti- bolo, Monaci, Portts, Koccati, Spirek, Tommasi, Ugolini, Vi- nassa ed il Segretario Clerici. Hanno inviato lettere o telegrammi di adesione o per scu- sare l’assenza i soci: Aichino, Ammann, Bassani, Cacciamali, Capellini, De Angelis d’Ossat, Demarchi, Flores, Fornasini, Lattes, Mariani Ernesto, Meli, Mercalli, Pampa loni, Panta- nelli, Pellati, Rosselli, Sacco, Tritoni, Viola, Zamara. Assistono alla seduta il comm. Gandin prefetto di Siena, il cav. Lisini sindaco, il ]>rof. Barduzzi rettore della R. Uni- versità e vice-presidente della R. Accademia dei Fisiocritici, il prof. Martini segretario della stessa Accademia, altre autorità locali e scelto pubblico. 11 comm. Mazzuoli rappresenta S. E. il Ministro Baccelli. Il Presidente aprendo la seduta dice: Signore e Signori! Ho il pregio di presentare alla gentile cittadinanza Senese, alle Autorità che onorano la nostra riunione col loro intervento, la Società Geologica Italiana; la quale, mercè la cortese vostra accoglienza, vede appagato il lungo desiderio di visitare questi paesi. Dell’ esserci concesso il sod- disfare tale desiderio rendo a nome della Società le maggiori grazie; e prego la li. Accademia dei Fisiocritici di gradire copie della Guida alle escursioni che ci proponiamo fare, in ricordo del nostro passaggio. Il Sindaco cav. Lisini porge il saluto ed il gradimento della cittadinanza per aver scelto Siena a sede del congresso, plaude all’opera di chi studia il globo e le sue successive trasforma- zioni e fa voti che dalle riunioni e dalle escursioni sorgano nuove investigazioni ad onore del nome italiano. Il Prefetto comm. Gandin saluta i congressisti a nome del Governo augurando che i loro studi siano fecondi di utili risul- tati per la provincia di Siena, ricca di acque e di minerali che, razionalmente sfruttati, possono costituire nuova sorgente di ric- chezze. TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LI Il comm. prof. Barduzzi reca il saluto della R. Università e della R. Accademia dei Fisiocritici, che nella loro modestia hanno sempre e da oltre duecento anni coltivato le scienze con grande amore. Anche la geologia vi ha avuto cultori esimi. Si duole che l’Università senese non abbia ancora la cattedra di geologia, scienza che più d’ogni altra dà lumi a tutti i rami del sapere ed utili applicazioni. Si augura che presto sia fatta giustizia e concessa questa cattedra che da tanto tempo si do- manda. Come cultore di idrologia è sicuro che la geologia ita- liana darà a questa scienza potente e fecondo impulso e che utili ne verranno alle scienze ed alla industria moderna. Rivolge preghiera ai geologi, che si recheranno al Monte Annata, di voler visitare le sorgenti del Vivo e confortare col loro autorevole parere sulla salubrità di questa ottima acqua, che deve dare nuova vita e nuova forza a Siena. Il senatore Chigi Zondadari è lieto di salutare i convenuti come cittadino senese e come cultore delle discipline geologiche e mineralogiche. Ricorda con affettuose parole Antonio d’Achiardi che tanto illustrò la mineralogia toscana, e Luigi Bombicci se- nese che altissimo contributo recò colla sua istancabile attività alla geologia e mineralogia italiana, e si augura che i giovani vogliano essere degni continuatori dell’opera loro. » Presidente. — Nell’adunanza invernale accenai a pratiche avviate col Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, onde fosse riaccordato un sussidio per la stampa del Bollettino. Sono lieto di comunicare che il Ministero, con dispaccio del 10 agosto, m’ha partecipato di aver in animo di provvedere alla elargizione di lire 500, quando il Senato abbia approvato 11 bilancio. Sono pure lieto di partecipare, che il Ministero stesso ha delegato l’Ispettore comm. Lucio Mazzuoli a rappre- sentarlo nel nostro Congresso. Avverto che subito risposi por- gendo ringraziamenti, con riserva di presentare quelli della Società, prego gli On. Colleglli di formulare l’espressione che crederanno adatta a manifestare la nostra gratitudine. Per loro norma faccio noto che S. E. il Ministro Baccelli, fino dal prin- cipio delle pratiche, mi espresse il suo particolare interessa- L1I RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI mento in riguardo ai nostri studi — che abbiamo avuto valido patrocinatore nella dimanda del sussidio il collega comm. Tom- maso Tittoni Prefetto di Napoli — che su tale oggetto abbiamo avuto il benevolo appoggio del collega comm. Capellini nella sua qualità di Presidente del R. Comitato geologico, del collega comm. Pellati nella sua qualità di Direttore del R. Ufficio geo- logico. Applausi. Quindi il Presidente legge un applaudito discorso Sulla necessità degli studi geologici ('). L’archivista Neviani legge la commemorazione del prof. Luigi Bombicci (2). Stante l’ora tarda si decide di tenere un’altra adunanza nel pomeriggio e la seduta è tolta alle 12, dopo aver distribuito ai soci un opuscolo stampato per la circostanza dalla R. Accademia dei Fisiocritici recante alcuni Cataloghi delle collezioni minera- logiche, geologiche e paleontologiche dell’Accademia; le note di guida per le escursioni compilate dal presidente Verri ed altri omaggi. Il Segretario Enrico Clerici. * * * Alle ore 14 ebbe luogo una riunione presso il consocio senatore Chigi Zondadari, che si compiacque di mostrare e di illustrare con molta erudizione la iuteressantissima sua collezione archeo- logica, ricca di pregevolissime terrecotte dottamente e cronologi- camente ordinate. Si visitò anche la collezione mineralogica che conta non numerosi ma scelti esemplari, taluni splendidi ed assai ammirati come per es. i grossi cristalli di tormalina e di ilvaite dell’isola d’Elba. C) Pubblicato nell’Appendice a pag. lxxii. (*) Pubblicata a pag. xci. TENUTE IN SIENA NEI, SETTEMBRE 1903 LIII Quindi a gruppi ci si recò alla R. Accademia dei Fisiocri- tici a visitare il suo interessante museo, che per quel che riguarda la mineralogia, la geologia e la paleontologia possiede colle- zioni d’ importanza storica come quelle di Soldani. Campani, Angeloni, Pantanelli. * * * Seduta pomeridiana. Presidenza Verri. La seduta è aperta alle ore 17.15' nella sala della R. Ac- cademia dei Fisiocritici. Sono presenti gli stessi soci della seduta antimeridiana, meno Ambrosioni, Di Stefano e Fabbrini ed in più Mariani Ernesto. Il presidente Verri domanda se nessuno abbia osservazioni sul verbale dell’adunanza del 21 febbraio 1903, già pubblicato nel 1" fascicolo del Bollettino, voi. XXII : si dà per letto e si intende approvato. Quindi legge le proposte di nuovi soci : Ing. Ferruccio Ferruzzi a Poggibonsi, proposto dai soci Canavari e Del Zanna. Prof. Alfredo Silvestri a Spoleto, proposto dai soci Parona e Taramelli. Dott. Pietro Aloisi a Pisa, proposto dai soci Canavari e Ugolini. L’Assemblea approva ad unanimità. Si partecipano le dimissioni dei soci Monticolo e Cettolini e l’Assemblea ne prende atto. Il Presidente informa che, per interessamento di colleglli, il socio Malagoli ha receduto dalle presentate dimissioni e pro- pone che si intendano senza effetto quelle comunicate nell’adu- nanza dello scorso anno in Spezia. L’Assemblea approva. Delle varie domande di cambi pervenute alla Società il Con- siglio è d’avviso che siano da accogliersi favorevolmente due che non portano alcun aggravio pel bilancio, potendosi la spe- LI V RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI dizione del nostro Bollettino effettuarsi per mezzo dell’ Ufficio internazionale degli Scambi. Sono: Ministerio de Fomento - Boletin del cuerpo de Ingenieros de Minas del Peni, di Lima, Perù. Revista do Museo Paulista puh li cada por H. rem Jheriny , di Sao Paulo, Brasile. L’Assemblea approva. Il Tesoriere Statuti presenta i bilanci consuntivi della So- cietà e del legato Molon pel 1902 e deposita al tavolo della presidenza il pacco dei documenti giustificativi, che sono a di- sposizione dei soci che desiderassero esaminarli. Bilancio consuntivo dell’anno 1902. Attivo. 1. Tasse d’ammissione e quote annue . L. 4 015 — 2. Interessi rendita e depositi . . . » 1 051,70 3. Vendita di bollet- tini » 196 — 4. Partite di giro . » 760,05 Totale entrate del 1902 L. 6 022,75 Cassa al 1° gen- naio 1902. . . » 5 789,57 Totale . . . L. 11812,32 Passivo. 1. Stampa del Vo- lume XXI . . L. 3 211,50 2. Spese per tavole e altre illustra- zioni .... » 472,75 3. Spese della segre- teria ed econo- mato .... » 400,22 4. Spese di cancel- leria e circolari » 107,35 5. Tassa di mano- morta. . . . » 27,52 6. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al- l’ Economo . . » 81,80 7. Compensi al per- sonale . . . 1 o v-H A 8. Spese diverse e- ventuali . . . » 40 — 9. Partite di giro . » 760,05 Totale spese del 1902 .... L. 5 206,19 Residuo attivo al 31 dicem. 1902. » 6 606,13 Totale . . . L. 11 812,32 TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 190.* LV Amministrazione del legato Molon. Attivo. Passivo. Cassa al 1° gennaio Tassa di manomorta. L. 32 — 1902 .... L. 550,77 Interessi diversi . . » 680 - Cassa al 31 dicembre 1902 .... » 1 198,77 Totale . . . L. 1 230,77 Totale . . . L. 1 230,77 Il Tesoriere Augusto Statuti Il Segretario legge la seguente relazione della Commissione del Bilancio, ed avverte che il capitano Bagnini, trovandosi fuori di Roma per le manovre, non ha potuto prender parte ai lavori della Commissione. I sottoscritti Commissari del Bilancio, avendo esaminato il Bilancio consuntivo del 1902, hanno riconosciuto la perfetta regolarità di ogni sua parte. Roma 5 agosto 1903. firmati: Mario Cermenati Giovanni Aichino. Quindi ambedue i Bilanci vengono approvati senza discus- sione. II Segretario presenta il seguente elenco di omaggi perve- nuti alla Società: Ahlenius K : Angermanàlfuens Flodomràde. En g conio rfo 1 ogish - antro - p ogeo grufisi; under sókning. 8°. Uppsala, 1903. Bassani F.: Sui pesci fossili della Pietra leccese, lettera al Prof. Co- simo de Giorgi. 8°. Lecce, 1903. Bellini R. : Notizie sulle formazioni fossilifere neogeniche recenti della regione vulcanica napoletana e malacofauna del Monte Somma. 8°. Na- poli, 1903. Block J.: Ueber einige JReisen in Griechenland mit Berucksiclitigung der geologisclien Verhdltnisse sonde der Baumaterialien, insbesondere der Marmorarten Grieclienlands und Vergleich mit denjenigen Deutsch - lands und einiger anderer Lànder. 8°. Bonn, 1902. LVI RESOCONTO DELI-E ADUNANZE GENERALI Block J.: Ueber mssenschaftliche Wertbestmmung der Baumaterialien und ihre Verwertung zu Bauten und hervorragenden deulscheu Kunstwerken. 8°. Bmn, 1903. Boegan E.: Grotta Noè. 8°. Trieste, 15)03. Caffi E.: Le fonti termali di Fuipiano al Brembo in provincia di Ber- gamo. 8°. Pavia, 1903. Canu F. : Essai sur une échelle de Bryozoaires pour Ve'tablissement du synchronisme ù grande distance. 8°. Paris, 1003. Checchia Risegli G. : I foraminiferi eocenici del gruppo del M. ludica e dei dintorni di Catenanuova in provincia di Catania. 8°. Catania, 1903. Colomba L.: Cloromelanite e pirosseni cloromelanitoidi. 8°. Padova, 1903. — Zeoliti dell’Isola del Principe Rodolfo. 4°. Milano, 15)03. De Angelis d’Ossat G. : Les gisements pètrolifères en Italie. 8° picc., Bucarest, 1903. Delvaux E.: Le quaternaire de Rencheux (Vielsalm). 8°. Liegi, 15*03. De Magistjris L. F. : Le torbide del Tevere e il valore medio annuo della denudazione nel bacino tiberino a monte di Roma. 8°. Firenze, 1903. — Il Molise è nell Italia meridionale ? 8°. Teramo, 1903. Elkod N. J. : A biological reconnoissance in thè viciniti y of Flathead Lalce. 8°. Missoula, 1902. Fisher W. R.: Lecturc on forestry qiven before thè Rogai Dublin Society. 8°. Dublin. 1899. Hugues C.: Idrografìa sotterranea carsica. Studi e ricerche per i prov- vedimenti di acqua potabile nelle regioni carsiche. 8°. Gorizia, 1903. Levat E. D. : Richesses minérales des possessions russes en Asie centrale. 8°. Paris, 1903. Lónborg S.: Sveriges karta tiden fili omkring 1850. 8°. Uppsala, 1003. Meli R. : Cenno delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi in- gegneri della R. scuola d’applicazione di Roma, nell'anno scolastico 1900-1901. 8°. Roma, 1901. — Notizie scientifico-tecniche sui travertini e specialmente su quelli esi- stenti nella pianura sotto Tivoli. 4°. Roma, 1902. — Programma del corso di Geologia applicata. 8°. Genova, 1903. Merlali. i G.: Notizie vesuviane (anno 1902). 8°. Modena. 1903. — Contributo allo studio geologico dei vulcani viterbesi. 4". Roma, 1903. — La storia e i fenomeni sismico- vulcanici. 8°. Firenze, 1903. — Ueber den jungsten Ausbruch des Vesuv. 8°. Leibach, 1903. Meunier S.: L’Activisme. 8". Paris, 1902. — Les éruptions volcaniques. À propos du récent desastre de la Mar- tinique. 8°. Paris, 1902. — Sur les causes de la disparition des anciens glaciers des Vosges. 8C. Pa- ris, 1902. — Etudes géologiques sur le terrain quaternaire du Canton de Vaud • 8°. Autun. 1902. TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LVII Millosevich F. : Di una rimarchevole combinazione osservata nei cri- stalli di celestina della solfara di Cà Bernardi presso Bellisio. 8°. Pa- dova, 1903. — Contributo allo studio del clima di Lugli. 8°. Roma, 1903. Morton S. E. : A biologica l reconnoissance in thè viciniti) of flathead Lake. 8°. Montana, 1902. Pellat i N. : Relazione del direttore della Carta geologica sui lavori ese- guiti nel 1902 e proposte di quelli da eseguirsi nel 1903. 8°. Roma, 1903. Riaz (de) A. : Sur les étages crétaciques supérieurs des Al pes-Maritimes. — Tertiaire et quaternaire des environs de Nice. 8°. Paris, 1902. Sai. moir aghi F.: Osservazioni mineralogiche sul calcale miocenico di S. Marino (M. Titano) con riferimento all’ipotesi dell' Adria ed alla provenienza delle sabbie adriatiche. 8°. Milano, 1903. Segrè C.: Corrosioni nelle murature in mattoni dovute alla presenza dei solfati alcalini. 8°. Milano, 1902. Sévrrin-Neviani : Gii spari contro la grandine. 4°. Bologna, 1903, Silloway P. M.i Simmer Birds of flathead Lake. 4°. Montana, 190!. Tom ma si A.: Sitila estensione laterale dei calcari rossi e grigi a cefalo- podi del inopie Clapsavon. 8°. Milano, 1903. Verri A.: Sorgènti, estuario e canale del fiume Sarno. 4°. Roma, 1902. Weidmann S. : A contribution to thè geology of thè Pre-Cambrian igneous rocks of thè fox River Volley, Wisconsin. 8°. Madison, 1898. Alpi Giulie, rassegna bimestrale della Società alpina delle Giulie. 8°. Trieste. Associazione Mineraria Sarda: Resoconti delle riunioni. 8°. Iglesias. Journal of thè College of Science, imperiai University of Tokyo- Ja pan, 4°. Tokyo, 1903, voi. XVIII, art. 2. Journal of thè Geologica l Society of Tokyo. 8°. Tokyo. La Rivista tecnica delle scienze, dell’ arti applicate all’industria e del- V insegnamento industriale. 8°. Torino. Società Eritrea per le miniere d’oro: Relazioni del Consiglio di amministrazione e dei sindaci e situazione dei conti al 31 di- cembre 1902. 8°. Roma, 1993. Il socio Capacci fa omaggio della sua Perizia gitici iciaìe in causa Ponici, Ricci- Possclli e LL. C C. fatta per incarico della R. Corte d’Appello di Lucca (1 voi. in 4°, di pag. VI-208 e 7 tav. a parte), la quale contiene una dettagliata descrizione della miniera del Siede. Il Segretario legge l'elenco delle memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino, dopo l’adunanza del 21 febbraio: Fornasini C., Distribuzione delle test ilar ine negli strati pre- neogenici d’Italia (3 marzo 1903). LVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Lotti B., Il Casentino è una valle (Vanti cimai e? (6 marzo 1903). P Ortis A., Ancora delle specie elefantine fossili iti Italia (20 marzo 1903). Franchi S., Sul rinvenimento di nuovi giacimenti di roccie yiadeitichc nelle Alpi occidentali e nell’ Appennino Ligure (21 marzo 1903). Novarese V., Nuovi giacimenti piemontesi di giadeititi e roccie giadeitoidi (21 marzo 1903). Stella A., A proposito della diffusione delle roccie a giadeite nelle Alpi occidentali (21 marzo 1903). De Ance li s d’Ossat G., Coralli triasici in quel di Forni di Sopra ( Gamia ) (31 maggio 1903). Dainelli G., Fossili Catoniani della Sardegna (31 mag- gio 1903). Flores E., IJ Flephas primigenius Illuni, nell’ Italia meri- dionale continentale (6 giugno 1903). I)e Stefano Gius., Chelonii anodonti e dentati (9 luglio 1903). De Stefano Gius., Sull’età delle arenarie ligniti fere di Agnana in Calabria (9 luglio 1903). Verri A., Rapporti tra il vulcano Laziale e quello di Brac- ciano (15 luglio 1903). Bellini R., Cycloseris Paronae Bell, nuovo corollario del lias medio (31 luglio 1903). Verri A., Sull’ Andesite augitica del Piano delle Macinale nel Monte Andata (Il agosto 1903). Mercalli G., Ancora intorno al modo di formazione di una cupola lavica vesuviana (13 agosto 1903). Rovereto G., Sull’età del macigno dell’ Appennino Ligure (23 agosto 1903). Fornasini C., Illustrazione di specie orbignyane di Num- mulitidae istituite nel 1826 (7 Settembre 1903). Pampa loni L., Sopra alcune piante fossili dei tufi della costa orientale dell’Etna (10 settembre 1903). Pampa loni L., Sopra alcuni legni silicizzati de! Piemonte (10 settembre 1903). TENUTE IN SIENA NEI. SETTEMBRE 1903 LIX Presidente. — Venuto in Siena per i concerti occorrenti alla nostra riunione, il Collega Marchese Chigi mi fece vedere varii saggi del marmo giallo della Montagnola contenenti im- pronte fossili. Stante le divergerze di opinioni sulla età di quelle rocce, pregai il Marchese Chigi di permettermi che por- tassi a Roma alcuni di quei campioni, affine di far esaminare se fornissero qualche elemento che agevolasse la soluzione del difficile problema. Affidatone l’esame al collega prof, de Angelis, egli, impedito da circostanze di famiglia di intervenire alla adunanza, manda questo resoconto del suo studio: L’età del marmo giallo della Montagnola senese. « Ho studiato, con molta attenzione, i campioni di 'marmo giallo di Siena , — infarciti di resti fossili —, che si com- piacque mettere a mia disposizione. Vi ho distinto i seguenti fossili che nomino in ordine d’importanza: a. Molti avanzi di Crinoidi: b. Sezioni di Cefalopodi; c. Sezioni di Gasteropodi; d. Frammenti di Lamellibranchi. a. Attorno agli avanzi di Crinoidi non si può aggiungere nulla a quanto già scrisse il Simonelli ( Fossili del marmo giallo della Montagnola Senese. — Atti Soc. Tose. Se. Nat., Proc. Verb., Voi. VI, pag. 27). La maggior parte degli articoli appartengono a specie del gen. Pentacrinus , che è fossile del Triasico e che vive pure attualmente. Nè con la calcinazione, nè con soluzioni acide diluite sono riuscito ad isolare uno degli spatizzati articoli, e cosi non ho potuto nè accertare e nè esclu- dere la pertinenza della specie al gruppo Balanocrinus. Spe- rimentata invano la mia capacità, mi sono rivolto allo specia- lista De Loriol, il quale gentilmente mi ha scritto: « J’ai exa- » mine avec beaucoup de soin les plaques que vous m'avez en- » voyées, mais j’ai le regret de vous dire qu’il m’a été impossible » d’en tirer quelque conclusione. b. Due piccolissime sezioni di Cefalopodi rassomigliano mol- tissimo a quella figurata dal Fucini ( Sopra l’età del marmo giallo di Siena. — Att. Soc. Tos. Se. Nat., Proc. Verb., Voi. XIII, LX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI pag. 90. Con bibliografia). Ma non oso inferirne ninna conclu- sione. c. d. Le sezioni di Gasteropodi ed i frammenti di Lamelli- brauchi, non permettono una determinazione qualsiasi. I nuovi fossili adunque non apportano novella luce sulla quistione. Per corroborare il riferimento cronologico ultimamente pro- posto dal Fucini, e per escludere l’età triasica, si può ricorrere ad un argomento indiretto di una qualche importanza. In una località non lontana dalla Montagnola Senese, e proprio vicino a Casal di Pari (Novarese V., Boll. Soc. geol ital., Voi. XIII [ 1 894 1 p. lo, 17, e de Angelis d’Ossat G., Appunti sopra al- cuni minerali di Casal di Pari. Remi. R. Accad. Lincei, Ser. 5% Voi. XI, Sem. 1. - 1902) affiora un calcare, infarcito di Cri- noidi, con Cidaris e con Gasteropodi, sicuramente riferito al Triasico. Ecco le specie determinate dal Di Stefano: Encrinus liliiformis Broun, » cfr. silesiacus Beyr., Cidaris transversa Mayer. Fra i moltissimi avanzi di Crinoidi che ho raccolto a Casal di Pari, non ho un solo articolo di Pentacrinus, genere tanto comune nel marmo giallo; nel (piale invano finora si è cercata la presenza di un Cidaris. Questa diversità nelle specie di Echinodermi per i due vi- cini calcari; il sicuro riferimento cronologico di quello a Casal di Pari; l'analogia della costituzione geologica, lasciano spe- rare che si possa addivenire ad una soluzione. A tale fine sa- rebbe necessario uno studio accurato, scevro da preconcetti, delle sezioni geologiche che interessano le due vicine regioni. Dal confronto dei profili, mi lusingo, nascerebbe la soluzione del problema. Anche questo è un compito da eseguirsi ». Presidente. — Nell’adunanza del R. Comitato geologico, tenuta il giorno 8 giugno, lessi il voto presentato dal socio Clerici nella nostra riunione invernale, riguardante la pubbli- cazione dei rilevamenti fatti dal R. Ufficio Geologico nella re- gione dei Vulcani Vulsinii, soggiungendo: «Da parte mia di- TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LXI chiaro, che non faccio la presentazione del voto soltanto per .compimento di dovere, si bene mosso eziandio da convincimento della utilità sua. Ultimo a tutti nella scienza, ma uno dei pochi che se ne intendono per esperienza personale delle sue appli- cazioni, considero per queste sempre molto utile la rappresen- tazione grafica delle qualità diverse dei terreni, sia pure limi- tata alla semplice geognosia. Dalle informazioni assunte ho ap- preso che la pubblicazione della Carta di cui si tratta fu so- spesa, per avere il Comitato deliberato l’eseguimento d’uno studio più completo dei Vulcani Tirreni ; ma penso che tale studio, perchè riesca fatto bene, non può essere lavoro di pochi anni, ed intanto, per la regione Vulsinia si resterebbe privi di dati che interessano la vita pratica, nei riguardi dell’ingegneria, dell’agricoltura, dell’igiene — mentre in massima ogni giorno più tali dati sono desiderati, ed in questo caso potrebbero es- sere forniti con spesa non grande. Non conosco la Carta di cui si chiede la stampa : mi basta sapere che è stata giudicata fa- vorevolmente da persone competenti. Conosco abbastanza il ter- ritorio dei Vulcani Vulsinii, per averlo anche io studiato, da poter dare, se si desiderano, schiarimenti ai riguardo: ma del resto non mi pare che il E. Ufficio Geologico assuma respon- sabilità di sorta sull’operato del rilevatore, eseguendone la pub- blicazione in adesione al voto che presento, e con esplicita av- vertenza che ne fa una stampa economica, affinchè serva prov- visoriamente per le applicazioni della geologia. Anzi soggiun- gerò sembrarmi che il K. Ufficio Geologico debba apparire com- piere opera di sapienza scientifica ed economica, liberando tale Carta alle discussioni: le quali, col rischiarare i punti oscuri, soliti negli studi di specie tale, renderanno maggiormente pro- babile la riescita esatta della Carta definitiva, da pubblicare a suo tempo; la cui spesa, data l’estensione del territorio, ascen- derà a varie migliaia di lire. Per tutte queste riflessioni, rac- comando all’on. Comitato vivissimamente il voto che presento ». Ho il piacere di parteciparvi, che questo voto fu accolto all’u- nanimità, senza obbiezione di sorta ; riservando solamente per l’esecuzione, che fosse approvato dai Poteri dello Stato l’assegno di L. 5000, che il R. Ufficio Geologico aveva chiesto in au- mento della spesa per le pubblicazioni. LXII RESOCONTO DEI, LE ADUNANZE GENERALI Presidente. — Il signor Van Hise membro della Commis- sione consultiva di Geologia della Carnegie Istitution of Wa- shington, a proposito dello stabilimento proposto d’un laboratorio geofisico, ba inviato alla Società geologica un rapporto prelimi- nare della Commissione, soggiungendo che, invitato a presentare un rapporto più dettagliato, desidera sull’ argomento il parere dei cultori delle scienze geologiche. Nel rapporto, premessa la dimostrazione della necessità che gli studi di astronomia, di fisica, di chimica, di geologia, ecc. procedano collegati; premesso che tale impresa presenta diffi- coltà grandissime per rimpianto di laboratori, si propone 1 isti- tuzione in Washington d’un laboratorio centrale, con collabora- zione dei laboratori parziali di tutti i paesi, ed occorrendo, la creazione di laboratori succursali in varie parti del mondo. Con ciò gli esperimenti ora fatti con limiti ristretti di tempo, tem- peratura, ecc., sarebbero ripetuti nella maniera più possibilmente estesa, onde poterne applicare i risultati alla risoluzione dei grandi problemi terrestri. Il campo delle esperienze dovrebbe com- prendere i grandi involucri della terra: idrosfera ed atmosfera; il corpo della terra; i movimenti e le relazioni esterne della terra. Fra i problemi principali da studiare, la Commissione rac- comanda come più urgenti: 1° Diatermicità dell’atmosfera in dipendenza dei suoi componenti; loro mutue relazioni; loro jo- nizzazione; loro aggregamento ed altri stati di questi elementi. 2° Determinazione dei gas contenuti nei magma delle rocce, ecc., e dei loro stati ; potere di selezione ed assorbimento dei gas da parte delle rocce sotto condizioni ordinarie e straordinarie. 3‘ Fun- zione dell’oceano quale serbatoio di atmosfera; relazione de’ suoi costituenti salini nell’assorbimento e nello sprigionamento dei componenti dell’aria; relazione della temperatura, della pres- sione, e funzioni della vita vegetale ed animale nel processo. 4° Determinazioni chimico-fisiche delle soluzioni e precipitati naturali, allo scopo di ottenere una base alla cognizione dei depositi naturali. 5° Alterazioni artificiali e ricristallizzazione dei minerali sotto diverse condizioni fisiche e chimiche, per imi- tare e spiegare le alterazioni naturali dei minerali. t>° Determi- nazione del calore di formazione dei composti naturali. 7" Espe- rienze sulla deformazione delle rocce sotto varie condizioni di TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LXIII sforzi, temperatura, umidità, ecc. 8° Relazione della pressione col punto di fusione sotto condizioni variabili. 9° Conduttività delle rocce e leggi di variazione in diverse condizioni di calore e di pressione. 10° Determinazione della elasticità delle rocce e delle leggi che la governano. 11° Esperienze e ricerche ma- tematiche per determinare la natura ed il valore delle possibili sorgenti di calore interno, sotto ipotesi multiple riguardo agli stati originali della terra. 12° Distribuzione originaria del ca- lore in queste ipotesi: di perdita secolare, di secolare genera- zione di calore per la condensazione gravitativa; ridistribuzione del calore interno e sue possibili relazioni con le deformazioni ed il vulcanismo. 13° Deformazioni di marea con determina- zioni di laboratorio e sul terreno. 14° Nuove ricerche fisico-ma- tematiche delle relazioni di marea tra la terra e la luna, e suo significato riguardo al passato ed all’avvenire della terra sotto multiple ipotesi. 15° Prove sulla distribuzione delle densità in- terne, o sulla distribuzione della massa della terra con dati astronomici. 1(5° Misure gravimetriche in punti scelti, cioè: a) punti che determinino meglio la distribuzione della gravità sulle aree oceaniche in confronto alle continentali, ecc.; b) punti tali da mostrare variazioni notevoli di aumento della tempera- tura interna in profondità (indipendentemente da azioni vulca- niche recenti), per determinare se le variazioni osservabili di- pendono dalla variazione di densità e quindi probabilmente dalla compressione. Nella lettera accompagnante il rapporto si dichiara che sarà considerato come gradito favore se saranno suggeriti altri pro- blemi; che saranno apprezzate anche le obbiezioni, che venis- sero fatte in riguardo ai problemi in esso rapporto contenuti. Aderendo pertanto ben volentieri al cortese invito, lo par- tecipo agli egregi colleglli, soggiungendo che il Rapporto testuale sarà comunicato a chi ne faccia richiesta in scritto alla Presi- denza: con raccomandazione di restituirlo dopo giorni 15 (suf- ficienti per prenderne conoscenza completa) acciò si abbia modo di farlo circolare, qualora si abbiano più richieste. La seduta è tolta ad ore 18.30. Il Segretario Enrjco Clerici. LXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERA1.1 * *.'■ * Il giorno 11 fu tutto impiegato per l’escursione alla Mon- tagnola, colle visite alle cave di marmi di Montarrenti ed alla miniera d’antimonio delle Cetìne (’). La mattina del 12 alcuni soci si recarono ad una breve escursione ai terreni miopliocenici dei dintorni della città; altri s’intrattennero al Museo della R. Accademia dei Fisiocritici ; altri visitarono gli innumerevoli tesori artistici della città. A mezzodì tutti si riunirono aH’Hotel Continental, ove a cura del Municipio venne offerta una colazione alla quale presero parte anche le Autorità. A & Adunanza del 12 settembre. Presidenza Verri. L’adunanza lm luogo nella sala della R. Accademia dei Fisiocritici e la seduta è aperta alle 17. Sono presenti oltre il presidente Verri; il vice-presidente Meli, i consiglieri Baldacci, Di Stefano, Mariani Ernesto, Pa- kona, Taramelli, il tesoriere Statuti, l’archivista Neviani, i soci Ambrosioni, Brugnatelli, Capacci, Chigi-Zondadari, Corio, Crema, Del Zanna, Fabbrini, Fucini, Gortani, Lotti, Manasse, Mazzuoli, Mattirolo, Portis, Roccati, Salmoiraghi, Tommasi, Ugolini, Vinassa ed il segretario Clerici. Si raccolgono le schede per le elezioni sociali ed il Presi- dente le consegna agli scrutatori Corio e Crema. Il socio Manasse legge la commemorazione del prof. An- tonio d’Achiardi (2). (’) Vedasi in Appendice la relazione delle escursioni a pag. exxix. (2) Stampata a pag. cxi. TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LXY 11 socio Lotti ricorda brevemente l’avv. Guido Praga morto il 12 febbraio di quest’anno. Dice che il defunto consocio fu appassionato imprenditore di esplorazioni minerarie, alle quali dedicava tutta la sua operosità e gran parte delle sue risorse. La scienza dei giacimenti metalliferi deve a lui non poco, per aver messo in evidenza con lavori minerari le condizioni geo- logiche del grandioso deposito di pirite di Gavorrano in pro- vincia di Grosseto, e per aver fatto riconoscere la natura dei giacimenti dei solfuri misti della Tolfa in provincia di Roma, riesplorando gli antichi lavori e mettendo allo scoperto la parte profonda di quelle eruzioni trachitiche, tantoché quella regione offre oggi i più belli esempi di relazione fra le roccie eruttive e i depositi minerali. Il Presidente comunica una lettera del prof. Barduzzi ret- tore della R. Università senese, recante il seguente telegramma giunto in ritardo: Rettore Università — Siena. Pregola rappresentarmi Congresso geologico portando mio saluto ai dotti che convengono costà e bene augurando opera Congresso. firmato: Ministro Nasi. Presenta pure una lettera giunta ieri del prof. Bianchi pre- sidente della R. Accademia dei Fisiocritici, colla quale invia saluti ed auguri. Legge quindi una lettera del sig. Trebbi segretario della Società Speleologica colla quale, partecipando la costituzione di detta Società, si inviano in dono i primi numeri della Ri- vista Italiana di Speleologia pubblicati a cura della stessa Società. La nostra Società aderì al Congresso geologico Internazionale tenuto in Vienna dal 20 al 27 agosto e vi si fece rappresen- tare dal Senatore Capellini, il quale ne riferisce ora con una lettera e fa sapere che per la sede della X sessione del 1906 venne scelta la città di Messico. v LXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Quindi si delibera l’invio dei seguenti telegrammi : Ministro Agricoltura Industria Commercio — Roma. Società geologica italiana dolente non aver potuto salutare perso- nalmente Eccellenza Vostra in seno Congresso ringrazia per suo inte- ressamento per scelta Rappresentante, appoggio morale e sussidio pro- messo stampa. Presidente Verri. Ministro Istruzione Pubblica — Roma. Società geologica italiana ringrazia distintamente rappresentanza ed interessamento Eccellenza Vostra nostro Congresso. Professore Dante Pantanelli — Modena. Società geologica dolente che circostanze imperiose famiglia abbiano impedito intervento illustre studioso geologia senese ricambia saluti invia auguri. Professore Stanislao Bianchi — Reggiolo Emilia. Società geologica italiana ringrazia distintamente accoglienza Ac- cademia Fisiocritici e suo gentile pensiero. Senatore Capellini — Portovenere. Società geologica italiana ringrazia distintamente benevolo appoggio sussidio stampa e comunicazione rappresentanza Vienna. Commendatore Pellati — Strevi. Società geologica italiana dolente sua assenza ringrazia distinta- mente intervento Ufficio geologico Congresso e benevolo appoggio sus- sidio stampa. Commendatore Tittoni Prefetto — Napoli. Società geologica italiana ringrazia distintamente patrocinio valido sussidio stampa e presenta suoi omaggi. Il socio Roccati, anche a nome di altri colleglli, svolge una mozione riguardante la scelta dei temi pel premio Molon, che dopo brevi osservazioni dei soci Parona, Lotti, Neviani e Cle- rici resta formulata nel modo seguente: I sottoscritti ritenendo che la Petrografìa , la Geologia chi- mica, e la Geologia applicata debbano indubbiamente conside- rarsi come parti integranti della Geologia presa nel suo vero TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LXVII significato fanno voti perchè in avvenire vengano assegnati anche temi speciali di dette materie per il premio Molon. Firmati: Luigi Colomba — Alessandro Roccati — Giovanni Di Ste- fano — Paolo Vinassa de Regny — C. F. Parona — Luigi Brugnatelli - R. Meli — E. Clerici. 11 Presidente mette in votazione la mozione onde sapere se l’Assemblea intende approvarla ed aderirvi, oppure respin- gerla. L’Assemblea approva. Presidente. — L’anno 1894, nel Giornale di mineralogia ece. diretto dal prof. Sansoni, fu pubblicato uno studio di rocce da me inviate al prof. Artini (Le formazioni con ofi oliti nell'Umbria e nella Valdichiana). Poiché erano tra quelle alcune rocce del Monte Andata, lo scorso gennaio, mentre preparava le note di guida alla nostra escursione in quei luoghi, chiesi all’ Artini alcune spiegazioni. Nella risposta m’accennò d’essergli venuti dei dubbi sulla definizione di microteschenite micacea data ai campioni presi sul luogo della cascata del torrente Senna sotto Pian Castagnaio. Me ne chiese altri saggi, manifestando il de- siderio che soprassedessi dall’ inserire nelle note di guida il risultato del suo primo studio. Solo nel luglio ebbi modo di soddisfare la richiesta: nel mese passato mi scrisse d’averne avviato lo studio, ma non essere possibile oramai di fare comu- nicazioni in proposito per la circostanza. Mi autorizzava però ad annunziare che, dai risultati ottenuti nel nuovo studio, ri- tiene assai più probabile trattarsi d’ una roccia lamprefirica anziché d’una teschenite o altra roccia derivante da un magma theralitico. Cosi il nuovo studio accrescerà ancora la somma delle conoscenze acquisite sulle formazioni di quella importan- tissima regione. Il socio Parona legge la seguente lettera inviatagli dal socio Dal Piaz : Sulla natura delle credute equisetacee del gneiss di JRezzano e dei micascisti del Trentino Signor (Professore , Lo scorso anno ebbi l’onore di presentare, alla nostra So- cietà, una breve comunicazione intorno alcune impronte vege- LXVHI RESOCONTO DEI. LE ADUNANZE GENERALI tali da me trovate sopra una lastra di micascisto dell'alto Trentino. Come Ella gentilmente mi comunicò, poco dopo la riunione della Spezia, la mia nota suscitò alcuni dubbi sulla natura di tali impronte, che io avevo ascritto alla famiglia delle Equi- setacee fondandomi, principalmente, sulla loro notevole rasso- miglianza colla famosa impronta di Equisetum illustrata dal Sismonda e trovata sopra un frammento di gneiss di Kezzano. Promisi allora a me stesso e alla Società, di approfondire meglio l’argomento e di tentare, se fosse stato possibile, di tro- vare una prova che non lasciasse alcun dubbio sulla natura di tali singolari impronte. Appena seppi quindi dei dubbi avanzati nel Congresso e principalmente dell’opinione insistentemente espressa che l’equi- seto del Sismonda non fosse altro che una dendrite e conse- guentemente tali pure fossero le mie, feci, sugli esemplari da me raccolti, una prima prova la quale mi dimostrò chiaramente che i fili nerastri delle mie impronte erano costituiti indub- biamente di sostanza organica. Questo non era però che un primo passo verso la soluzione, la quale non ho potuto raggiungere completa se non in grazie alla di Lei cortesia, che volle gentilmente inviarmi in esame l’esemplare del Sismonda e permettere che anche su di questo potessi fare alcune prove. Ho potuto stabilire così, in primo luogo, la perfetta rasso- miglianza dei miei esemplari col supposto equiseto di Rezzano, in secondo luogo che tutto l’insieme di quest’ultimo escludeva pure, in modo assoluto la natura dendritica del medesimo, opi- nione questa che parrai prevalesse nel Congresso. Assodata così la natura organica di tali residui credetti opportuno, per venire a capo della loro vera origine, di aspor- tare, con tutte le precauzioni possibili, alcuni frammenti dei miei esemplari per sottoporli all’esame microscopico e, non senza mia sorpresa, vidi che la materia improntata altro non era che un accumulamento di spore bruno-nerastre di forma ovale. Col di Lei permesso rinnovai allora la prova sul l’esemplare del Sismonda e questo pure risultò costituito da un aggregato di spore identiche per forma, grandezza, colore eoo. a quelle TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LXIX r appartenenti alle impronte del Trentino. L’accurato esame di tali spore mi persuase che non poteva trattarsi di avanzi fossili e che, per conseguenza, tanto l’esemplare del Sismonda quanto i miei, non potevano essere che impronte affatto recenti. Non reputo necessario, anche per non tediarla, di riferirle qui tutte le minuziose e lunghe ricerche da me intraprese in proposito, solo mi limiterò di dirle che il risultato finale al quale giunsi, mercè l’aiuto dell’ amico prof. Squinabol, dell’egregio prof. Saccardo e del dott. Traverso, si è che dette impronte altro non sono che avanzi dei foglietti radiali fertili di un cappello di Goprinus, fungo che lascia appiccicate, in causa di una so- stanza fortemente attaccaticcia, le spore, disposte in forma rag- giata. cadenti dal cappello. L’apparenza di queste impronte, (a spore nere), è quella di una vera e propria fillite e, per l’esemplare del Sismonda, è noto quali illustri paleofitologi siano stati tratti in inganno. La grande somiglianza del mio esemplare a quello del Si- smonda la cui natura vegetale non fu mai, per quanto mi sappia, pubblicamente impugnata prima della riunione dello scorso anno, e il non aver eseguito subito una prova microscopica (per la tema di guastare le impronte da me raccolte), furono le cause principali che mi trassero in errore. Tuttavia l’errore ha servito a qualche cosa, esso ha fornito il mezzo di risolvere una questione che pendeva insoluta da oltre trent’auni e a Lei, che ha tanto contribuito alla risoluzione dell’interessante problema, io rivolgo la preghiera di render note, ai chiarissimi Colleglli, le conclusioni raggiunte. Le rinnovo i miei ringraziamenti e con essi Le invio i miei rispettosi saluti. Obblmo Giorgio Dal Piaz. Feltre, 30 Agosto 1903. * Il Presidente presenta a nome del socio Pantanelli una nota che ha per titolo : Di alcuni giacimenti solfiferi della pro- vincia di Siena, nella quale si descrive particolarmente la mi- niera di solfo di Lornauo non lontana dalla stazione di Castel- lina in Chianti e che trovasi nella zona degli strati politici del miocene superiore (’). C) Pubblicata a pag. cxx.v. LXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il socio Parona preannuncia una nota del socio Prever intitolata: Considerazioni sullo studio delle nummuliti avvertendo che l’autore si riserva di spedire quanto prima il relativo ma- noscritto. Il socio Vinassa riassume una sua memoria SulV origine della Terra rossa. In base ad osservazioni sulla formazione attuale di alcune terre rosse e ad esperimenti di laboratorio risulta, che le solu- zioni colloidali di idrossido di ferro lo depongono sotto forma di terra rossa, quando vengano a contatto o di soluzioni saline o di acque torbide, le quali depongano la materia in sospen- sione. Questa, deponendosi, trascina seco l’ idrossido della solu- zione colloidale. Un tal fenomeno non solo è possibile in na- tura, ma si ripete anche attualmente per varie acque termali, artesiane ecc., quindi niente di più facile che esso sia già avve- nuto nei tempi passati, e che con esso possa spiegarsi la pre- senza e la origine di vari giacimenti di terra rossa. Clerici rammenta che il carbonato di calcio decompone le soluzioni di sali di ferro. Mettendo del calcare in un acido diluito, la soluzione conterrà assai spesso anche ferro e, se l’acido non sarà stato in quantità sufficiente a sciogliere tutto il calcare, quello rimanente reagirà colla soluzione ferrifera separandone l’ossido; ciò porge modo di spiegare bene, almeno in alcuni casi, la formazione di terra rossa. Taramelli pensando ai grandi giacimenti di terra rossa sarebbe propenso a credere, che la formazione di essa corrisponda a condizioni che attualmente manchino. Lotti e Mattirolo ritengono che la formazione della terra rossa sia principalmente collegata all’azione degli agenti esterni sui calcari piuttosto che alla presenza di una soluzione colloidale di idrossido di ferro. 11 socio Gortani fa una comunicazione Sugli sfrati a Fu- sulina di Forni Avoltri ('). (') Pubblicata a pag. exxvn. TENUTE IN SIENA NEL SETTEMBRE 1903 LXXI Il socio Ugolini riassume un suo lavoro intitolato: Contri- buzione allo studio delle Bocce dell’alto Egitto. Questo lavoro contiene la descrizione petrografia particolareggiata di una serie di rocce dell’Alto Egitto esistente nel museo geologico di Pisa. Compiuto lo spoglio delle schede il Presidente annuncia l’esito della votazione: Votanti 85 Schede nulle 2 Vice-presidente pel 1904 eletto: Taramelli prof. Torquato con voti 74. Consiglieri pel triennio 1904-906: Brugnatelli prof. Luigi con voti 65 Mazzuoli ing. Lucio » 63 Bucca prof. Lorenzo » 52 Canavari prof. Mario » 50 Segretario pel triennio 1904-906: Ne vi ani prof. Antonio con voti 76 Ottennero poi maggiori voti per la elezione a consigliere: Platania-Platania Gaetano e Tuccimei Giuseppe, 10 voti per ciascuno. Il socio Roccati svolge una sua proposta diretta a stabilire che, durante le riunioni, i soci abbiano a portare un distintivo da scegliersi, come si pratica da altre associazioni. Il Presidente chiede in proposito il parere dell’Assemblea mettendo ai voti la proposta, la quale dopo prova e contro prova risulta non approvata. Essendo esaurito l’ordine del giorno la seduta è tolta alle 18,30. Il Segretario Enrico Clerici APPENDICE SULLA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI Discorso ietto dal 'presidente A. Verri nell’adunanza estiva della Società geologica italiana tenuta in Siena Vanno 1903 Qualunque vero sia incluso in un libro, appena appena sospetto di geologia, sfugge alla coltura del po- polo, e persino di coloro, i quali giun- gono a posizioni ragguardevoli nell'in- gegneria e nell’agricoltura : arti alle quali lo studio delle formazioni ter- restri può recare non pochi vantaggi. {Boll. Soc. geol. if., 1886, pag. 477). Convenuti in colta e gentile Città della Toscana, volgiamo riverente il saluto alla memoria dei tanti, che illustrarono cogli scritti le terre di questo giardino d’Italia; alla memoria di Soldani, Pilla, Savi, Meneghini, Campani, Stoppani, D’Achiardi, i quali, dalle cattedre di Pisa, Siena, Firenze, dettarono insegnamenti sulle scienze da noi coltivate: salutiamo con affetto i degni con- tinuatori di quei valenti, augurando alla Società nostra di con- servarli per anni molti nelle sue file. Adempiuto al sacro ed al civile dovere, pongo la domanda: quale è il posto che, nella cultura generale italiana, occupa la geologia, ossia lo studio di questa Terra, che ci raccoglie infanti, ci nutre, e pietosa porge a noi ultimo asilo nel grembo suo materno? Ultimo a tutti nella scienza; ma uno dei pochi che se ne intendono delle sue applicazioni, per esperienza personale fattane, da trentanni guardo, domando ed ascolto. 1 risultati dell’osservazione sono poco confortevoli ; ed a me sembra, che abbiano sorte simile gli altri rami delle scienze naturali. Meditando sulle cause, ho pensato tra altro alle parole, che Giovali Battista Brocchi scriveva 86 anni fa: « Dovendo indivi- duare alcune rocce, mi sono talvolta trovato in necessità di usare nuovi vocaboli, ma con ripugnanza grandissima, essendo assai SUI-LA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI LXX1II ritroso ad introdurre cambiamenti nella nomenclatura, abuso oggimai troppo comune, e che minaccia di ridurre le scienze naturali ad una babilonica confusione». Colla quantità di cono- scenze portate incessantemente dal progresso, se non si conias- sero voci nuove ad esprimere i nuovi concetti, si cadrebbe nella confusione per motivi opposti ; se mancassero nomi tecnici spe- ciali, vedremmo al vero, nei rapporti scientifici internazionali, la leggenda della torre di Babele. Del resto Orazio insegna che, avendo da indicare cose nuove, sempre è stato lecito e lo sarà sempre inventarne il nome; ma il detto del Brocchi avrebbe qualche applicazione nel metodo dell' insegnamento? Quando parlo coi giovani, mi pare che lo spavento delle parole tecniche atrofizzi in loro quello stimolo naturale di curiosità, che ricordo era in noi molto vivo. Poiché non fa scienza senza lo ritenere avere inteso , se riuscisse di far capire le nozioni di cultura ge- nerale con idee semplici che restino a galla nella memoria, senza quei vocaboli pesanti che presto calano nei fondi della dimen- ticanza traendovi seco le idee, l’istruzione del popolo sarebbe molto avanti. Bisogna che la scienza rischiari alle masse il cammino della vita con luce mite e diffusa, senza settori oscuri nò abbagliamenti : difetti tutti e due, che tolgono di vedere gl’inganni ed i precipizi, dove un passo falso fa rovinare. Propostomi di dedurre, dalla logica delle cose, la necessità delle conoscenze geologiche nella pratica del vivere civile, il tema m’obbliga alla forma la più elementare di esposizione, affinchè non si perdano i concetti per deficienza di nesso, o nel cercare il significato delle parole. * *{• 4* Gran parte dei terreni componenti la crosta del globo è stata formata nel fondo dei mari : passeggiando per queste colline, vedete sparse conchiglie marine, impronte di esse trovate dentro ai sassi delle montagne. I cavatori dicono pietra a libretto quella composta da strati sovrapposti : questi strati sono successioni di formazioni marine, e rappresentano fogli del libro dove la Natura scrive la storia della Terra. vi I.XXIV A. VERRI I caratteri adoperati sono gli avanzi dei vegetali e degli animali, vissuti nel tempo che componevasi lo strato. È noto- che non tutte le piante, non tutti gli animali vivono in tutte le condizioni di umidità, temperatura, altitudine; come sono note le dipendenze, che passano tra Luna e l’altra di queste condi- zioni: sicché il cambiare dell’una è causa od effetto del cam- biamento delle altre. Se scomparisse l’Apennino e vasta pianura fosse distesa tra l’Adriatico ed il Tirreno, ovvero se alte mon- tagne sorgessero sul luogo dei due mari, le condizioni meteo- riche di questi paesi cambierebbero sensibilmente, e con esse molti prodotti naturali. Somigliantemente, ma assai più in grande,, secondo lo stato in cui si trovava la Terra nei diversi tempi, le forme della vita organica variavano e si modificavano, in rapporto alla natura di cose favorevole o sfavorevole alla loro- esistenza. Per ciò gli avanzi, sepolti nel terreno, ci fanno cono- scere come era la superficie della Terra nel tempo relativo. Benché il volume sia grosso migliaia di metri, la lettura non ne sarebbe tanto difficile se i fogli fossero rimasti a posto, se i caratteri ne fossero ben conservati. Ma il peso dei fogli superiori sugl’inferiori, il calore che cresce gradatamente nel- l’interno del globo, ed altre cause hanno alterata la scrittura di molte pagine; ma la crosta terrestre non é più una massa continua. Successevi crepature, l’antica crosta s’é sfasciata in tanti pezzi. Nell’ assestarsi di quelle masse scompaginate, i pezzi si sono rovesciati gli uni sugli altri, si sono contorti e defor- mati in mille maniere; da sfasciamento tale è venuta la varietà armonica dei rilievi, tra gli abissi dell’oceano e le vette eccelse delle catene alpestri. Ho accennato, che il calore cresce quanto più si scende nella corteccia terrestre: questa forma delle energie fisiche, combinata ad altre, determina condizioni speciali di attività nell’interno del pianeta. I prodotti di quell’attività hanno sfogo all’esterno attraverso le rotture della crosta, e si manifestano col riscaldare e mineralizzare le acque sotterranee, con esplosioni vulcaniche. Le acque mineralizzate s’insinuano tra le rocce, le modificano, e vi compongono le vene metallifere; i vulcani aggiungono di- sordinatamente nuove qualità di rocce, a quelle generate ordi- natamente pian piano sotto le acque. SULLA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI LXXY Aggiunto che, prima dell’assetto attuale, più volte spazi ma- rini si sono sollevati a formare continenti, superficie continentali avvallandosi sono ritornate fondi marini, le pagine della storia della Terra finiscono col presentarsi nella confusione più grande. Sarebbe impossibile raccapezzarsi nella lettura, se non ci fossero studiosi degli avanzi organici, i quali avvertano, che una roccia fu formata in un periodo piuttosto che in un altro; se non ci fossero studiosi, che ricerchino da quali corpi semplici sono com- poste le diverse rocce, come ed in quali circostanze ne avviene la composizione. La pretesa di capire la storia della Terra, senza l’aiuto di queste classi di studiosi, equivale alla pretensione di leggere senza sapere l’alfabeto. Adunque, se le nozioni geolo- giche recano utili nella vita pratica, è da attribuirne il merito a quei pazienti ricercatori. Generate in acque più o meno profonde, più o meno lon- tano dai lidi, con materie eruttate dai vulcani, le rocce che costruiscono la crosta terrestre sono differenti nella sostanza e nell’apparenza. Abbiamo arene sciolte ed arene indurite in pietre; banchi di argille; pietre composte con calce, e pietre composte con materie silicee. Le diverse qualità s’alternano in maniera, che ne vediamo sottoposta o sovrapposta ora l’una ora l’altra. Sanno tutti che — dagli spazietti intermolecolari alle caver- nosità sensibili — ogni corpo ha nel volume apparente inter- stizi contenenti fluidi aeriformi. Per ciò porzione delle acque di pioggia è assorbita dal terreno, passa a circolare sotterra tra quegl’interstizi, cacciandone o sciogliendo i fluidi aeriformi; poi riappare all’esterno in forma di sorgenti. A tutti è noto che le argille, ed in genere le terre dette grasse hanno in modo spe- ciale la proprietà di trattenere le acque, e che le scaturigini avvengono di solito nel confine tra le argille ed i terreni sopra- stanti, che siano più adatti a beverie per avere interstizi mag- giori. Le acque correnti allo scoperto corrodono il terreno: altret- tanto fanno quelle che camminano sotterra, scavando caverne, ed in genere scalzando la base delle masse che stanno sopra. I terreni grassi, che trattengono le acque, se ne inzuppano e si rammollano : a volte tanto da diventare masse fangose, non più adatte a sostenere il peso delle masse superiori; e queste l.XXVl A. VEHR1 sprofondano. Allorché l’appoggio avviene su piani inclinati, l’in- zuppamento delle argille produce scoscendimenti, che possono cambiare in pochi istanti l’aspetto d’un paese. La preparazione degli scoscendimenti più terribili è lenta; ed assai ne potrebbero essere evitati qualora si togliessero per tempo le cause, che prima o poi inevitabilmente devono produrre gli effetti disastrosi: ma di solito si pensa al riparo allorché i segni delle mosse sono manifesti all’esterno e la rovina è imminente. Lo sparire per franamenti è destino dei paesi d’altura, come il finire per sep- pellimento è destino dei paesi di piano. Le vostre cose tutte hanno lor morte, sentenzia Cacciaguida nel canto XVI del Pa- radiso; sarebbe folle la pretesa di fermare le leggi indeclinabili della Natura, quanto è stoltezza l’ abbandonarvisi fatalistica- mente: la sapienza sta nel regolarsi in maniera, che le trasfor- mazioni avvengano con evoluzione lenta senza catastrofi. Alcune rocce sono fondamento saldo per elevarvi moli gran- diose di torri, di templi, di palagi; altre reggerebbero mala- mente i pilastri d’una capanna — alcune, benché tagliate a picco, stanno ferme in rupi altissime; altre hanno tanto poca coesione, che vogliono opere d’arte per sostenerle anche a pic- cola altezza di taglio. I trattati d’ ingegneria danno forinole per calcolare le spinte delle terre, e con esse le grossezze dei mu- raglioni di sostegno; ma si presuppone di dover reggere masse, le cui forze agiscono entro un prisma di misura limitata. Quando capita che una qualità resistente sia sovrapposta ad una facil- mente disgregabile; che la sovrapposizione avvenga su piani inclinati, allora le condizioni di resistenza della massa superiore non giovano molto, se non si pensa a neutralizzare le forze che sollecitano l’insieme del sistema: specialmente se tra le due qualità di rocce scorrano acque. Ho avuta occasione di vedere qualche muraglione, calcolato abbondantemente colla tecnica delle costruzioni, rovesciarsi per circostanze tali. I trattati d’ingegneria dicono bene di quanti chilogrammi, per metro quadro, può essere caricato un terreno nell’elevarvi edifici: ma, nelle fabbriche le cui fondazioni siano le meglio calcolate, in fabbriche che da anni e secoli abbiano dato prova di stabilità, si manifestano spaccature, se un infiltramento acci- dentale di liquidi ha modo di rammollire il terreno sottoposto SULLA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI LXXVil alle fondamenta, od anche al banco che le sostiene. Avrei da raccontare casi, che mi sono occorsi a Terni ed a Taranto; ci sarebbero da citare i casi di Napoli a tutti noti, dei quali ancor fresca è la memoria. Civita di Bagnorea stava su banco di tufi vulcanici, per se stesso più che resistente. Ma il tufo posa sulle argille: le acque infiltrate tra le due rocce poco a poco hanno ammollite ed asportate le argille ; i tufi pezzo per pezzo si sono staccati e son caduti nei burroni. Di Civita rimangono poche fabbriche sull’orlo del precipizio: rovineranno aneh’esse. — Ho inteso dire che sorte eguale minaccia Orvieto, se non provve- dono. La valle del fiume Paglia solca profondamente le argille, che imbasano l’isola tufacea, sulla quale sta Orvieto. Le acque sperdute nella città assorbite dal tufo rammollano le argille, e pare che si siano manifestate nei terreni mosse inquietanti. Di- cesi che pensino fermare i movimenti imboschendo la pendice : auguro che il rimedio sia sufficiente. Variabilissima è la qualità delle rocce in riguardo alla lavo- razione: alcune sono tenere, e facilmente lavorabili cogli at- trezzi ordinari ; altre dure in modo, che per romperle occorrono mezzi potenti. Le qualità diverse di rocce a volte stanno le unc sopra le altre in posizione orizzontale o quasi; a volte sono disposte con inclinazione ; a volte sono raddrizzate verticalmente. Eccetto nel caso dei raddrizzamenti verticali, chiunque, vedendo due masse, è buono a dire quale sta sopra quale sotto : ma non si può vederne da per tutto l’ordine della successione. Coi dislo- gamenti avvenuti, non è sempre certo che quei banchi, i quali alla superficie appariscono superiori, si conservino tali nell’in- terno. Un progetto di ferrovie, con gallerie in regioni montuose, bisogna che ponga a calcolo le qualità di rocce che incontrerà la perforazione; la probabilità d’incontrare raccolte d’acqua tra i piegamenti delle rocce, producenti talvolta smottamenti di masse melmose, come avvenne anni addietro nel forare il Colle di Tenda. Non è possibile allTngegnere avere su queste cose dati preventivi coi soli lumi della sua arte; nè dati per calco- lare il valore degli ostacoli che imprevistamente gli si oppon- gono, e misurare le difficoltà per superarli. L’inchiesta ordinata dal Ministero accertò che le eccedenze, talvolta enormi, nelle spese preventivate per costruzioni ferroviarie, dipendevano molto I.XXVIII A. VE URI dal mancato studio sulle condizioni dei terreni: per dirne una, la succursale di Giovi appaltata a circa 25 milioni, ne costò più di 75. Errori di questa specie sono più frequenti di quel che si creda eziandio nei progetti ordinari: lo sanno bene par- ticolarmente gl’ ini presarii. L’anno passato, in un giudizio arbi- trale, riscontrammo che lo scavo a cielo aperto, allibrato circa 27 mila lire, ne era costato circa 62 mila; ciò perchè il pro- gettista non aveva veduto, che sotto al banco di roccia tenera avrebbe incontrata roccia dura: cosa di cui non sarebbe stato tanto difficile accorgersi, se si fosse abituati alla osservazione del terreno. Altri casi, nei quali è indispensabile conoscere la struttura del terreno, sono quelli di fermarvi le chiuse dei laghi artifi- ciali. In alcuni paesi, dove è deficienza di sorgive, si usa sbar- rare valloni con dighe, e formare così laghi da alimentare ca- nali ed altre condotte d’acqua. Se le rocce cui s’incastrano le dighe non hanno sufficiente resistenza; se il bacino su cui l’acqua s’aduna non è adatto a trattenerla, sicché avvengano filtrazioni lateralmente o sotto la costruzione murale, per lo meno viene a fallire la speranza del beneficio, quando non si risolve in di- sastro col rovesciamento della chiusa. La più parte dei problemi circa i corsi acquei, le costru- zioni idrauliche ha relazione colla permeabilità delle rocce, col loro grado di coerenza, e per la logica delle cose colla loro disposizione. Nel 1880, essendo richiamata l’attenzione sul peri- colo che, colla qualità d’alveo del fiume Nera, avvenissero spro- fondamenti, pei quali sarebbero rovinate le prese dei canali agricoli ed industriali, fu risposto che le ragioni addotte erano troppo geologiche. Fortuna volle che 14 anni dopo i pericoli divennero talmente palesi, da indurre ad adottare ancora in tempo il rimedio dello sbarramento del fiume. Così lo studio del terreno ha influenza talvolta decisiva nelle opere di boni- fica: coi dati sulle acque sotterranee; coi dati sulla composi- zione del suolo delle superficie da sanare, e dei bacini torren- tizi e fluviali interessati nella bonifica; colla ricerca delle cause che hanno determinati gl’impaludamenti. Mercè tale studio l'In- gegnere ha modo di porre i termini del soggetto con precisione, c la precisione delle premesse conta assai nella bontà delle SULLA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI LXXIX conclusioni. Se la bonifica della Valdichiana fosse stata diretta più dallo studio del terreno, e meno da considerazioni politiche c da timori delle piene del Tevere, non si avrebbero ora, tra le proviucie di Siena e Perugia, guai che non è tanto facile riparare. Le nozioni geologiche interessano assai l’ingegneria eziandio nel riguardo dei materiali da lavoro: particolarmente gl’inge- gneri dipendenti dalle Amministrazioni dello Stato, soggetti ad •essere trasferiti in paesi dove i materiali sono assai differenti. Le varietà dei terreni, delle pietre, non s’incontrano a caso: tutte quante hanno ordine tra loro, dipendente dalle circostanze speciali in cui furono composte, ed avente attinenza coi tempi nei quali ne avvenne la composizione. Perciò cataloghi, con ri- ferimento alle formazioni disegnate nelle carte geologiche, por- rebbero l’Ingegnere in grado di sapere facilmente quali mate- riali da lavoro può trovare in una regione o nell’altra. Non enumererò i molti casi, in cui conoscenze siffatte m’hanno aiu- tato su questo particolare della professione: accennerò bensì che, per esse, fu introdotto in Terni l’uso della pozzolana di Atti- gliano, con quanto vantaggio possono dirlo i costruttori. Qualche anno fa, andato a vedere in Valdichiana alcuni lavori mu- rari, mi dissero che facevano venire la calce da Montecelio: pensai che avrebbero potuto averne perfettamente eguale da Narni, risparmiando nel trasporto 94 chilometri. A chi osser- vasse essere questo, ed altri che adduco incidenti minimi, ri- spondo: come la somma degli atomi genera le masse corporee, ■così la somma delle cause infinitesime produce il benessere o il malessere delle masse sociali. Considerazioni analoghe s’adattano all’agricoltura. Accade •di vedere in certe regioni spazi ben coltivati, e spazi trascurati. Paolo Bourget, descrivendo la strada da Volterra a Siena, dice che fa giudicare una volta di più quanto in Italia, più che al- trove, l’abbondanza estrema alterni colla desolazione assoluta. Se domandate agli abitatori dei paesi desolati, vi rispondono che il loro suolo non permette utile coltivamento. Eppure molte volte negli uni e negli altri sono identici i terreni, eguali le condizioni altimetriche e delle acque sorgive; anzi tante volte le risorse locali sono maggiori dove la coltura è trascurata. Chi l.XXX A. VERRI veda fiorenti le aspre pendici delle montagne liguri, e veda nella penisola salentina abbandonati, o quasi, terreni composti da tufi tenerissimi, ricchi di sostanze fertilizzanti, non può a meno di concludere: che la ricchezza o la miseria d’un popolo non dipende dalla natura del suolo, sì bene da altre cause. Abbiamo- paesi dove meglio non si potrebbe desiderare dalla natura; eppure, nel l’assistere alle visite dei Consigli di leva, fa nausea il vedere, nelle popolazioni campestri, a qual punto di defor- mità sia ridotto dalla miseria quello, che si chiama il fiore della gioventù. Sarebbe lungo esaminare qui i programmi sulla applicazione della geologia all’agricoltura; in proposito accen- nerò solamente il parere, che tutto quanto ha da servire nella vita ordinaria è bene sia della semplicità la più grande: al quale requisito non mi sembra soddisfino quei programmi che conosco. Una malìa bau le selve selvagge, che a lor ne attira e ne rapisce — scriveva Giorgio Byron — ed io, che potente, per motivo eguale, sento quell’ attrazione, parlando di viaggi sui monti dell’Abruzzo, deplorava nel 1885 che non si provvedesse ad impedire la devastazione pazza delle secolari loro faggete. Ma, di grazia, la Società prò montibus non spinga Io zelo sino a volerci mettere alla pastura di ghiande e corbezzoli; rifletta ancora che la voce monte oggi significa rilievi un po’ più alti del Palatino, dove ella si spassa a piantare allori. Lo sperpero dei boschi, che ha rese brulle tante montagne con danno del- l’ igiene, con perdita di superficie produttive, con rovine nelle pianure per corso precipitoso delle acque, alfine ha richiamata l’attenzione degl’igienisti e degli economisti. 1 Rettori pubblici studiano misure da fermare l’ inconsulta dilapidazione, e vestire nuovamente con piante le superficie spogliate: però a volte, nel- l’ applicazione, si cade in eccessi dannosi alla proprietà privata ed all’economia pubblica. Così andiamo a sbalzi dall’uno all’al- tro eccesso; come il fiume che si getta ora a destra ora a sini- stra, e devasta la campagna, la quale, saviamente regolato,, potrebbe beneficare. Pel deficiente progresso agricolo, in molte contrade abbiamo colline ed anche pianure tuttora boschive, che darebbero profitto assai maggiore con altre culture : trasforma- zione tale sarebbe oggi necessaria, coi nuovi bisogni derivati SULLA NECESSITA DEGLI STUDI GEOLOGICI LX X X I dall’aumento della popolazione, e da altre circostanze sociali. Nè il dissodamento di quelle superficie produrrebbe l’effetto di far scendere precipitose le acque nei collettori; anzi le tratter- rebbe meglio, accrescendo il potere assorbente dei terreni, sic- ché maggior copia d’ acque vi rimarrebbe immagazzinata, con vantaggio dell’agricoltura e del regime regolato dei fiumi. Ep- pure, per apprensioni non ragionevoli, sovente si vieta il cambio di coltivazione, riducendo nocive leggi, il cui scopo sarebbe sa- vissimo. Urge adunque che, su questo inulto, l’ azione nostra si faccia viva nell’ illuminare le Autorità; perchè l’essere rese odiose le leggi, da eseguimento poco razionale, è gran disgrazia per le istituzioni. Nessuna mia parola allude a possibilità ipo- tetiche; anche quanto sta messo nella maniera più impersonale è esposizione di bozzetti presi dal vero. Scoperta quanto mai benefica fu quella sull'opera della zan- zara, nel propagare le febbri malariche. L’ insetto prende il ve- leno dall’uomo malato, lo inocula al sano: ma combinazione simile non succede se non vi concorrono circostanze speciali nel suolo. Occorre poi riflettere, che le infezioni non si limitano alle forme delle febbri malariche: ce ne sono con effetti ben più funesti. Circolano sotterra aria ed acqua, incessantemente ricam- biandosi coll’aria e coll’acqua che stanno all’esterno; pei quali veicoli, elementi miasmatici presi nel sottosuolo possono pene- trare nell’organismo nostro: acque stagnano alla superficie, fa- vorendo col putridume i processi morbigeni. Per combattere in- fezioni tali è indispensabile sanare il terreno ; epperciò la cono- scenza della sua struttura interessa al più alto segno tanti pro- blemi igienici: vediamo un poco quanto se ne tiene conto. Ripeterò varie cose scritte già da qualche anno, perchè non mi sembra che le condizioni siano molto mutate. Dovendosi ampliare una Città, affine di renderne piana la parte nuova, abbassarono vari metri il banco di tufo che copre la falda idrica, e con ciò avvicinarono le acque sotterranee al suolo. Aggiunto che sono smaltiti in quella falda tutti i liquidi di rifiuto, mancando le fognature, non faccio commenti. In certi luoghi, per risparmiare spese nello spurgo dei pozzi neri, c è l’uso di aprirvi sfioratori, per cui i liquidi fecali si sperdano nel sottosuolo. Più volte ho dovuto rilevare i danni di tal prò- LXXXII A. VEiiRI cedere; particolarmente in una Città, dove il terreno è composto da tufo permeabilissimo posato sopra argille, il cui trattenimento determina la falda idrica dei pozzi, ai quali la popolazione at- tinge. E poco diffuso il sistema dei pozzetti di assorbimento negli orinatoi e nei lavatoi? Quante chiaviche di scoli urbani hanno la superficie con tenuta a stagno? Nella scelta dei luoghi per cimiteri, per depositi di concimi, per opifici i cui residui di lavoro sono inquinanti, quante volte si pensa se si collocano sopra le falde idriche, la cui acqua sia adoperata anche per bevanda? Quante volte si pensa ai miasmi, che possono essere portati nell’atmosfera che respiriamo dall’aria circolante tra terre, le quali saturiamo di materie putrescenti? Quante volte si cura la qualità e la disposizione del materiale, in maniera che non salga dalle fondamenta salsedine e viscidume nei muri delle case? e sì che milioni di esseri umani abitano in pianterreni, talora senza nemmeno un pavimento, che li protegga dalle ema- nazioni del suolo. Allorché si tratta di progettare acquedotti per uso potabile, non di rado si fa a meno dello studio del terreno in cui l’acqua circola. Basta che il Chimico analizzi l’acqua, basta che l’In- gegnere studi il progetto per condottarla: nessuna importanza allo studio del bacino, ai criteri razionali della presa. Conse- guenze non rare : abbassamenti di falda idrica, sperdimenti, in- quinamenti di acque; che a volte sono irrimediabili, o per lo meno obbligano a nuove e grosse spese. In antico una vasca accoglieva le sorgenti d’un ramo del fiume Sarno: il possessore la divise in due, e, coi passaggi di proprietà, le due vasche passarono in mano di possessori differenti. Durante tempo lun- ghissimo, le condizioni di quei vasi sono state causa di liti con- tinue per sospettate sottrazioni d’acqua, di spese senza fine ad impedirne le perdite ; e gli sperdimenti venivano prodotti dai lavori medesimi, che per più di 250 anni vi sono stati fatti affine di trattenere le acque, ma senza studiare razionalmente il terreno. Chi conosce quanto siano possibili abbassamenti nel piano di scaturigine, comprende di quale gelosia saranno i lavori di presa nelle sorgenti del Sele; dalla cui stabilità dipende la riuscita d’un’opera, che costerà centinaia di milioni. Eppure accade che, quando anche il Geologo entra in Commissioni inca- SULLA NECESSITA DEGLI STUDI GEOLOGICI LXXX1II ricatc di studiare acquedotti, a volte non si curano affatto i suoi suggerimenti nell’eseguire i lavori. M’è stato detto che, per tal modo di procedere, l’acquedotto d’una Città riceva eziandio le acque subalvee d’un letto torrentizio, prese vicino ad una riu- nione di casolari: figurarsi come sarà sicuro da insudieia- mento ! Per prova di quanto sia tacile errare, nei progetti di acque- dotti, senza gli studi geologici racconterò questo fatto. Dalla osservazione che fuori Porta Maggiore, in Roma, l’acqua d’un pozzo sotto l’azione continua delle pompe, dopo abbassamento di 2 metri rimaneva a livello costante, dispensando 24 metri cubi all’ora; che nelle adiacenze anche qualche altro pozzo pre- sentavasi ricco d’acque, ebbe origine un progetto di galleria lunga 5 chilometri che allacciasse le vene: dalla quale le espe- rienze idrometriche facevano presumere dispensa di più che 3 milioni di metri cubi d’acqua al giorno. Oltre al dato speri- mentale esposto, il progetto basavasi sul dato topografico che, da quella parte, il terreno sale senza interruzione sino al rilievo montuoso del Vulcano Laziale ; così deducevasi che le acque assorbite dovessero fluire sotterra, lungo quella specie d’istmo, verso Roma. Chiesto per opera tale il concorso del Ministero della Guerra, ebbi occasione nel 1893 di studiare la materia, e dimostrai: che, data la natura e disposizione del sottosuolo, non era possibile lo stabilimento previsto della corrente sotter- ranea; che la copia di acque sorgive segnalate doveva dipen- dere da sperdimenti di acquedotti antichi. Forse poco persuasi della mia dimostrazione, 4 anni dopo vollero ripetere l’esperi- mento con pompe più potenti, e finirono per scoprire nel fondo del pozzo fuori Porta Maggiore il cunicolo troncato d’un acque- dotto: probabilmente quello feW Acqua Appia, di cui parlò Frontino 18 secoli fa. Grande è l’importanza di determinare il bacino che alimenta le sorgenti, affine di accertarsi che in nessuna circostanza \i sia pericolo d’inquinamento o di sottrazione. Le ricerche chimiche e bacteriche, le misure idrometriche potranno rispondere purché restino immutate le condizioni, nelle quali si trovava il bacino nel momento in cui furono latte quelle osservazioni. Era stato proposto di portare a Firenze, dalle Alpi Apuane, le acque della LXXXtV A. VERRI sorgente detta la Pollacela. Lo studio del bacino dimostrò essere da scartare quella sorgente, perchè alimentata da riassorbimento di acque, che hanno già corso all’esterno, epperciò sono soggette ad inquinamento. — L’acquedotto per l’Arsenale di Taranto fu progettato eolia supposizione, che la provenienza delle acque fosse da bacino montano; invece fu riconosciuto dipoi che il bacino è nella regione bassa, nella quale la falda idrica s’eleva tra 2 e 9 metri sotto al piano della campagna. Indipendente- mente dai vantaggi, che la posizione giusta delle cose porta sempre nell’eseguire i lavori, la conoscenza della superfìcie del bacino ne permette la vigilanza. LTn fatterello prova quanto tale vigilanza interessi. Presso- famiglia agiatissima, abitatrice da qualche generazione in luogo ameno e salubre della mia verde Umbria, si manifestarono nel novembre del 1900 casi gravissimi di tifo. Nel periodo mede- simo dell’anno successivo si ripeterono nuovi e più fieri casi. Esaminate le condizioni locali, risultò che sul bacino, che ali- menta la fontana cui attingono, erano stati fatti scavi e con- cimazioni per piantate; la comparsa del tifo coincideva coll’au- mento della vena, prodotto dalle pioggie autunnali. Questo esempio insegna quanto sia necessario conoscere le condizioni dei bacini delle fonti campestri, dove le concimazioni, gli accumulamenti di letami, le stalle, possono avere tanta influenza nell’ inquinare le acque sotterranee. Nel 189(5 il Medico provinciale di Perugia mi raccontava che in un Villaggio dell’Apennino, nel quale infie- riva il tifo, avevano due fonti: una scarsa che nell’estate si secca, l’altra ricca. Capitato da quelle parti, rilevai che la stessa vena alimenta le due fonti ; ma, per andare a quella ricca, passa sotto al caseggiato dove le feci sono versate sulle strade, mucchi di letame attendono allo scoperto il tempo della stabbiatura dei campi, il suolo naturale è il pavimento delle stalle. Nell’Australia difettano sorgenti naturali: le acque piovane non arrivano a 127 millimetri, c sono assorbite rapidamente; le siccità riducono distese sterminate a banchi di sabbie aride. Nondimeno, in pochi anni, sono state provvedute acque abbon- danti per l’agricoltura, per bestiame numerosissimo, attingendole dalla circolazione sotterranea con pozzi tabulari, profondi per- sino circa 1500 metri. Su qualunque punto della Terra ci può SULLA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI LXXXV essere probabilità di trovare acqua saliente colle perforazioni: la questione essenziale sta nel sapere quanto sia profonda, il die decide la convenienza o no della ricerca. Non si preseuta dapertutto il caso dell’Australia, dove conviene non badare a spesa, basta che si provveda acqua, sia pure a temperatura di più che 100 gradi. Nelle condizioni nostre, per decidere la prov- vista mediante pozzi tubolari, bisogna avere le maggiori pro- babilità d’incontrare acque salienti a profondità tali, che la spesa sia proporzionata a tutte le altre circostanze locali, tra cui la potenzialità economica dell’azienda, la quale deve soste- nerla. Nelle regioni dove mancano dati sperimentali d’impianti simili, come potrà essere studiato il progetto senza conoscere la struttura del terreno? Contuttociò succede, che si deliberino la- vori di tal genere dando retta ai trivellatori, e talora pure contro il parere delle persone competenti. La materia degli acquedotti va considerata eziandio da un altro lato. Ho detto che le sorgenti sono alimentate dall’acqua di pioggia assorbita dal terreno. Per regola l’acqua sotterranea, egualmente che quella esterna, ha corso discendente; in casi eccezionali pullula con forza saliente, come avviene dell’acqua incanalata nei sifoni delle condutture forzate. Ma, sino ai prin- cipii del secolo passato, questa teoria era ammessa appena da pochi; nelle scuole se ne professavano altre. Lucrezio aveva in- segnato che l’acqua del mare penetra nella terra, vi perde per filtrazione la salsedine, e depurata sale a formare le sorgenti; Cartesio, nel secolo XVIII, ne spiegò la salita col calore interno della Terra. Da quelle teorie ci è venuto il vocabolo sorgenti , improprio al caso generale della scaturigine delle acque sotter- ranee. Teorie simili oramai sono cadute, ma sono tutt’altro che caduti i principii del Diritto Komano fondati su esse. Così, anche al giorno d’oggi, valenti giurisperiti negano la qualità di sor- genti alle acque che non hanno forza saliente; e, nell’applica- zione dell’articolo 578 del Codice civile, sostengono che il pos- sessore d’un terreno non ha diritto di proprietà sull’acqua che vi scaturisce, se la vena ha corso discendente. Si rifletta quante e quanto gravi perturbazioni possono nascere da errore tale. Ognuno, dal terreno superiore, avrebbe il diritto di tagliare la vena, che alimenta la fonte esistente da secoli nel terreno in- VX XXVI A. YEKKI feriore, con danno del suo possessore, ed alterando gravemente l’economia provvida delle leggi naturali. Parlando delle applicazioni pratiche della geologia, non va omesso l’aiuto che porta nel precisare le forme del terreno, e quindi nel comprendimento razionale del paese: imperocché la topografia, il paesaggio sono legati intimamente alla struttura del suolo; essendo la risultante del lavoro delle forze esterne sulle masse, che compongono la crosta terrestre. Non abbiamo per questo ramo le opere splendide, che vanta la letteratura di altri popoli. Se i giovani attendessero meno a cercare frasi nei libri, e fossero più esercitati a formare il pensiero colla osser- vazione delle cose, sorgerebbe anche tra noi una letteratura de- scrittiva dilettevole ed istruente. Contentiamoci di leggerne le pagine nelle opere letterarie straniere; ma pensiamo, che la contemplazione della Natura ha spirata nel Poema sacro la mirabil vita, percui Dante Alighieri sovra gli altri com’aquila vola. Tocco appena l’argomento, che i primi capitoli della vita umana sono una pagina della geologia — che questa scienza ci dà criteri per decifrare le tradizioni che precedono la storia scritta; ci dà criteri per l’analisi critica delle narrazioni di avve- nimenti riferiti da storici anche ad essi contemporanei, ma defi- cienti di nozioni giuste circa la natura delle cose. Ci sarebbe ancora da dire sulla importanza, che ha il cono- scere la qualità del terreno in chi dirige le operazioni militari: soggetto trattato già con idee originali dal nostro collega Gene- rale Riva Palazzi. Ci sarebbe da mostrare come lo studio dei terremoti sia collegato con quello della struttura della crosta terrestre: ma il lungo tema male sta costretto nelle angustie d’un discorso; ed è ora di calar le vele e raccoglier le sarte. Lascio perciò di entrare in dettagli anche sul soggetto delle ricerche di metalli, di combustibili fossili. Del resto il convin- cimento essere, per queste industrie, indispensabili gli studi geo- logici tanto è radicato, che il meccanismo governativo com- prende l’istituzione speciale, intitolata Corpo delle Miniere. SULLA NECESSITA DEGLI STUDI GEOLOGICI LXXXVI1 * * * Di qualunque specie sia la lotta, la vittoria è per coloro, i quali hanno saputo calcolare la potenza avversaria: perchè spiegano forze proporzionate alle resistenze, non le sperperano in tentativi di riuscita impossibile. Non sarebbe giusto chiamare lotta contro un nemico l’azione, che l’essere intelligente deve esercitare sulla Natura, la quale mette a nostro servizio le sue forze, purché sappiamo adoperarle. Non è essa veramente la rea madre in parto ed in voler matrigna, come l’incolpava il cantore malinconico dello sconforto. Quando acque imputridiscono diffondendo miasmi deleteri, casamenti si sfasciano, ponti e mu- raglioni si rovesciano; quando frane ed alluvioni travolgono, seppelliscono strade, campi, case; quando terreni s’isteriliscono, non diamo biasimo alla Natura, si bene alla trascu raggi ne, alla insipienza umana di non aver saputo regolare il lavoro delle forze naturali. Di assai problemi, interessanti il vivere civile, è vano spe- rare la soluzione senza lo studio razionale del terreno. Qualsiasi progetto d’ingegneria incontra nell’eseguimento imprevisti, che sfuggono alla misura precisa. Ma l’Ingegnere avrebbe torto se, nello studiare il progetto, non avesse curato di prepararsi a far fronte a quegl’imprevisti: tanto più, quando ci sia la probabilità Iche entrino in giuoco forze vive, contro le quali bisogna opporre provvedimenti, senza perdere tempo e testa. Come potrà tarlo se nemmeno ha idee da intravvedere quella probabilità, e peggio ancora se parte da criteri erronei sulla natura delle cose? Virgilio insegnava che Giove volle fosse non tacile l’arte del coltivare, non tollerante che il mondo intorpidisca nella poltro- neria: adesso meno che mai lece consumare nell’ozio le rendite dei campi; o di mente, o di braccia a tutti il lavoro s’impone. Ora l’Agricoltore come regolerà gli emendamenti adatti, come eviterà di gettar denaro in culture improduttive, o quanto meno troppo dispendiose, se non studia come si effettua la composi- zione delle sue terre? Sistemazioni di acque per bonifica o per uso, consolidamenti di terreni franosi, stabilità dei caseggiati, presentano continuamente nell’azienda agricola soggetti che, LXXXVIII A. VE URI trascurati o mal presi, fanno perdere parecchi denari; e per prenderli bene occorre lo studio del terreno. A ehi pensa quanto bisogno ci sarebbe di predicare precetti da migliorare le con- dizioni agrarie, con guadagno dei proprietari e dei contadini, fa pena il vedere invece predicate spensieratamente discordie, che peggiorano quelle condizioni. Potrà l’Igienista decidere sui provvedimenti per liberare un paese da infezioni, se specialmente ignora come vi avviene la circolazione sotterranea dell’aria e dell’acqua? Potrà il Legale trattare razionalmente dei diritti di proprietà delle acque sotterranee, se non si basa sulle leggi naturali che ne regolano la circolazione; anziché su citazioni di giurisperiti quanto mai eminenti, ma di tempi nei quali erano professate sulla materia teorie oggi riconosciute assurde? Non è questo il solo caso in cui interessino il Giureconsulto le conoscenze ge- nerali sulla struttura terrestre. In varie quistioni relative ad eseguimento di lavori, a danni arrecati o temuti per lavora- zioni nei confini di proprietà, ad infortuni, bisogna avere cri- teri almeno per scegliere i periti, ed attitudine a capire cosa il perito dice, in chi deve giudicare da periziore. È pesante assai questa riflessione, che copio da parere della li. Avvocatura Era- riale in riguardo ad una causa della fattispecie « . . . . sorgerà la necessità di far verificare da periti giudiziari, se quanto l’Amministrazione afferma sia vero. Ora chi potrà impromettersi il risultato delle perizie? » In tale materia il soggetto assurge pure ad ordine assai più elevato, essendoché gli articoli 440, 447 del Codice civile medesimo, che stabiliscono i limiti della proprietà, per essere in contrasto colle leggi naturali, possono condurre a pronunciati ingiusti in nome della giustizia legale. Coll’ordinamento attuale degli studi, abbiamo Cattedre uni- versitarie dedicate al trattamento della scienza nel senso più lato; Scuole secondarie, nelle quali se ne insegnano gli elementi per la cultura generale; Cattedre nelle Scuole degl’ Ingegneri, nelle Scuole superiori di Agricoltura, il cui oggetto é impar- tire, sulla struttura della Terra e sui suoi minerali, le cono- scenze sussidiarie occorrenti nelle applicazioni. Questo insegna- mento non si prefigge di fare scienziati, bensì uomini pratici. La pratica della vita insegna che più andiamo avanti, più si feULLA NECESSITÀ DEGLI STUDI GEOLOGICI 1. XXXIX rende indispensabile la specializzazione dei rami scientifici, non essendoci oramai mente umana capace di contenere la somma dello scibile; insegna che le cose vanno sempre male, allorché ognuno presume fare, o meglio vuole apparir di fare, più di quanto è capace. Adunque per la geologia, come per altre scienze, è oggetto dell’insegnamento sussidiario all’esercizio professio- nale : il far conoscere il valore del concorso, che portano le dottrine geologiche nella soluzione dei problemi d’ingegneria, Agricoltura, Igiene; il far comprendere la saviezza di chie- dere, all’occorrenza, consigli a chi con studio speciale ha acqui- stato competenza di darli; il rendere la mente atta a ricevere quei consigli. Contuttoché non difettino scuole; quantunque le scuole alle- vino le classi speciali di coloro che si dedicano all’ insegna- mento, e di quelli che si applicano all’ingegneria mineraria, il prodotto della cultura geologica in Italia non è florido. Ven- gono a studiare le terre nostre scienziati Inglesi, Francesi, Te- deschi, Americani, mentre il terzo delle provincie italiane non ha neanche una persona che se ne occupi, ne hanno appena qualcuna quattro quinti delle altre. Per quanto esimii siano i cultori, possono fare poco in mezzo a masse indifferenti. Ac- cade delle istituzioni come dell’acqua: ricca vena, tra gente noncurante, si sperde senza profitto, impaluda, genera miasmi ; tra genti attive corre limpida e fresca nel rio che l’accoglie, dando vita al paese col dissetare animali, fecondare campi, animare industrie. Non basta fare le carte geologiche: bisogna abituare il pub- blico a considerarle qualcosina di più d’una mostra di colori; ossia volgarizzare la scienza in guisa da famigliarizzarla, sicché la gente sappia a che serve, e se ne sappia servire. Questo a me appare il compito più geniale per la Società nostra; oltre alla importanza grande della sua azione nel rilevamento della Carta geologica, mediante gli studi iniziali e la discussione. Gli statuti di tutte le altre Società geologiche pongono per scopo non soltanto il progresso della scienza in generale, ma di far conoscere il terreno del paese, ne’ suoi rapporti colle arti industriali e l’agricoltura. Il Presidente della Società Belga di Bruxelles, nell’aprire la seduta di fondazione diceva : « coi- vi i xc A. VERRI tirando la geologia per la scienza in se stessa, non dobbiamo trascurare l’injportanza delle sue applicazioni. Sono le applica- zioni delle scienze, che formano la grande superiorità dei tempi moderni sull’antichità e sul medio evo». L’elenco degli scritti di geologia applicata mostrerà, che noi pure lavoriamo in questo riguardo; sull’esempio di altri popoli, nell’anno è nato in Italia un Giornale di geologia pratica. Augurandogli lettori fuori dal nostro circolo — il che vuol dire augurando miglioramento nella educazione scientifica del popolo — m’associo al voto, espresso dai colleghi Neviani e Crema nel Consiglio del 21 Febbraio: CHE IL PREMIO DELL’ INGEGNERE MOLON SIA ASSEGNATO EZIANDIO A STUDI DI GEOLOGIA APPLICATA, PARTICOLARMENTE A QUELLI RIGUAR- DANTI soggetti di agricoltura e di igiene. Grande è il bisogno di rendere migliori le condizioni rurali in tante contrade, sicché non sia mai applicabile, alle popolazioni campagnole, la squal- lida pittura di Giovanni Berchet: recan le facce stupide , ch’il gramo viver tigne; scalzi, cenciosi muovono sul suol dell’uhertà; ed invece si abbia dovunque ragione di chiamarle col buon Pa- rini : la beata gente, che di fatiche onusta , è vegeta e robusta. L’anno 1901 era scoperto nel Belgio il bacino carbonifero della Campina. Il 10 gennaio 1903, riferendone al Senato per la legge che ne regoli le concessioni, il Vicepresidente rivolgeva all’alto consesso queste parole: « Signori — Una scoperta, la cui importanza sembra dover essere incalcolabile per l’avvenire industriale del nostro paese, ha segnati i primi anni del secolo nel quale entriamo. 1 lavori e le ricerche dei nostri geologi, dei nostri ingegneri hanno stabilita l’esistenza nel nord del Belgio d’un bacino carbonifero La scoperta del nuovo bacino arriva dunque in momento opportuno. Essa fa sparire ogni timore; essa consolida il posto che il Belgio ha saputo conquistare nel mondo colle ricchezze del suo terreno, l’attività laboriosa ed intelligente di tutti i suoi figli ». Le qualità dei terreni nostri non ci concedono di aspirare a trionfi sì splendidi. Ma il campo utile è tanto vasto, che la storia del risorgimento economico del Paese potrà scrivere pagine di grata riconoscenza, sul contributo portato dai Geologi italiani nella soluzione di tanti problemi, che interessano la vita dei popoli. ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMBICCI COMMEMORAZIONE letta nella adunanza generale della Società Geologica italiana in Siena il IO settembre 1903 dal prof. Antonio Neviani Signori , egregi colleglli , Luigi Bombicci, lo scienziato che fa lustro e decoro dell .Ateneo di Bologna, cittadino insigne e vanto della sua Siena, ove ebbe i natali, e di Bologna, cbe Egli considerò come sua seconda patria, cessò di vivere la mattina del 17 Maggio di quest’anno. Fu quello un giorno nefasto per quanti ebbero la ventura di conoscere personalmente quest’uomo dalle alte doti di mente e di cuore, quest’uomo cbe volgeva costantemente ogni sua mira al progresso della scienza, al bene del suo simile, alla gloria della sua Patria. Nato 1’ 11 Luglio del 1833 0 in questa gentile, artistica e storica Città, cbe oggi ci ospita, Luigi Bombicci passò ben presto a Pisa, ove compì gli studi universitari, preferendo quelli di mi- neralogia e di geologia, sotto la guida dei grandi naturalisti Giu- seppe Meneghini e Paolo Savi, e avendo a compagno Antonio D’Achiardi, altro amatissimo consocio, rapito anch’egli di re- cente al nostro affetto (*). Laureatosi il Bombicci a circa 20 anni (30 Giugno 1853), continuò a frequentare le lezioni ed il laboratorio del Mene- ghini, sino a cbe, nel 1859, istituito dal Governo provvisorio un posto di assistente, vi fu subito nominato. Fu poi professore nel Liceo di Pisa (5 Novembre 1860), ma subito dopo, cioè il 5 Dicembre del 1860, a 27 anni circa, fu nominato profes- sore ordinario di mineralogia nella Università di Bologna. Ben presto si acquistò meritata fama per le sue pubblica- zioni, per le idee nuove e geniali cbe andava introducendo nel campo della scienza; per la fondazione di un museo mineralo- gico, cbe per la sua attività andava rapidamente sviluppando. XCII A. NEVI ANI Non si rinchiuse il Bombicci nella cerchia del suo labora- torio, ma procurò in ogni modo di diffondere e volgarizzare nozioni scientifiche, con splendide lezioni nell’Università, con conferenze che Egli, elegante dicitore, sapeva rendere attraen- tissime, con divertenti ed istruttivi esperimenti sin negli edu- catori popolari (3), con dotte conversazioni nei circoli e nelle riu- nioni famigliali; mettendo sempre a disposizione degli studiosi e delle persone colte il materiale del museo, la sua biblioteca, tutto se stesso. La sua attività non ebbe limiti. Si occupò di questioni di- dattiche, studiando i gravi problemi che incombono a ciascun ordine di scuole, ora considerandoli in se, ora coordinandoli fra loro, cominciando da quelli che riguardano l’asilo infantile e le scuole elementari, per risalire su su sino alle scuole secon- darie ed alle universitarie (4). Talora si lasciava trasportare ad alte speculazioni di filo- sofia scientifica (5), trattando fra l’altre e con rara genialità e perspicacia l’argoménto della vita nei cristalli; e per quanto alle volte ne parlasse con animo di artista, pur tuttavia non cadde mai in quelle imperdonabili assurdità di chi volle in questi ultimi anni riprender l’argomento e presentarlo con veste, che di rigore scientifico non ha che la forma (G). Prese parte attivissima alla vita pubblica come consigliere c deputato provinciale, consigliere comunale, presidente della sezione bolognese del Club alpino, vicepresidente della Società degli insegnanti, amministratore di pii istituti educativi, e di- simpegno tanti e tanti altri uffici, in cui poneva tutta la sua grand’anima, tutta la sua intelligenza, senza mai ritrarne per sè il minimo vantaggio; lieto solo di aver contribuito ad opere buone, e pago unicamente della gratitudine dei suoi concittadini. Il Bombicci, di nobile famiglia, dal portamento signorile, gentile nei modi, fu democratico nell’anima; ma non volle mai pren- dere parte attiva alla politica, nè ascriversi a questo o quel partito : «... sono tanto più incompetente pei fenomeni della politica — diceva Egli nella sua splendida commemorazione di Quintino Sella — quanto più son facile a lasciarmi trasportare dal sentimento , infido pilota in tali acque ; . . . non milito in alcun partito politico , essendo gelosissimo , fino alla esagerazione , ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMB1CCI XCITI della mia indipendenza, della mia libertà di pensiero, del mio diritto di dir bravo, e di dar aiuto potendo, a chiunque, pro- pugni un’ idea o un programma che sembri buono alla mia co- scienza, al mio desiderio infinito che l’Italia si costituisca esempio saldissimo di civili virtù , qualunque sia il partito politico cui egli appartenga ... » (7). Nobili sentimenti che dipingono il fiero carattere dell’uoMO, e rendono ragione delle ingiustificate con- trarietà die spesso gli attraversarono la via. Appartenne a numerose Accademie (8) ed a Società scientifiche, e il nostro sodalizio lo ebbe socio sin dalla sua fondazione, socio a vita dopo pochi anni, e consigliere per il triennio 1888-1890. Eppure in mezzo a tutte le occupazioni di cui non ho fatto si- nora che un breve cenno, e che avrebbero ben presto fiaccato la fibra più forte, il Bombicci potè assurgere nel campo della mine- ralogia a ben meritata fama, e dotare l’Università di Bologna di un Museo mineralogico, ch’è riputato fra i più ricchi d’Europa. Allorché il Bombicci passò come insegnante nell’Università di Bologna, gli vennero consegnati non più di novemila esem- plari di minerali, dei quali appena cinquemila erano veramente buoni e degni di esser posti nell’inventario. Questa prima col- lezione, per mancanza di un apposito locale, dovette essei di- sposta alla meglio in un corridoio di passaggio, con quanto disagio, non v’ha chi noi comprenda; ma il Bombicci non si perde d’animo, e fidente nella equità della propria causa, lottò contro ogni sorta di ostacoli, e giunse dopo qualche anno ad ottenere nuovi locali, per quanto non molto ampi; e già nel 1870 il museo contava oltre sedicimila esemplari, compresavi la sua ricca collezione privata (n), che Egli aveva, sin dai primi anni, donata al museo « affermando il principio che i direttori di qualche collezione appartenente allo Stato non debbono pos- sederne una in proprio dello stesso genere . . . » ( ). Nel 1880 le collezioni poterono essere trasportate in un più vasto locale, sebbene terreno, il quale però poco dopo diveniva insufficiente a contenerle tutte. Fu precisamente in questo tempo che io ebbi la fortuna di essere allievo del Bombicci e di po- terlo coadiuvare nell’immenso e faticoso lavoro. Mi rammento ancora quando da mane a sera, senza concedersi unoia di ìi- poso, attendeva al trasporto delle collezioni, e con paziente cura xeiv A. NEVI ANI le andava disponendo negli scaffali, nelle vetrine, nelle ba- cheche; ogni giorno ideando nuove disposizioni perchè l’ordina- mento degli esemplari riuscisse più istruttivo ed elegante pos- sibile. Fu qui che per più di un ventennio io lo seguii, ancorché lontano, con filiale amore, ammirando in Lni lo scienziato emi- nente. il lavoratore indefesso, il maestro premuroso, l’uomo di- sinteressato, che, profondendo del proprio cospicue somme, nulla \ tralasciava per l’incremento del suo museo. E in questo Museo che il Bombicci morendo lasciò un vero tesoro di materiale scien- tifico; poiché oggidì esso contiene quasi cinquantamila esem- plari di minerali distribuiti in quarantadue collezioni; fra le quali meritano speciale menzione, quella ricchissima delle me- teoriti (u), quelle dei minerali italiani, tra cui è veramente su- perba la sezione degli solfi, e la collezione regionale del Bolo- gnese^2). Alle collezioni fa corredo numeroso materiale didattico e di laboratorio, strumenti, modelli, quadri, ed altro; vi è pure una biblioteca, nella quale il Bombicci liberalmente depositava quanto di pubblicazioni scientifiche gli veniva inviato in omaggio. Biechissimo lo schedario descrittivo, cui si accompagnano molti di- segni in nero e ad acquerello, magistralmente eseguiti da Lui stesso. L’ insufficienza di questi locali, per il sopraggiungere di nuove collezioni, la loro infelice situazione non poco dannosa alla buona conservazione del materiale, la mancanza di un’aula propria e adatta per le lezioni (l3), la ristrettezza dei labora- tori, fecero nascere ben presto nel Bombicci il desiderio di tra- sportare di nuovo e di allogare tanti tesori in locali senza paventare i disagi che avrebbe dovuto sostener! più gravi dalla sua avanzata età. Per parecchio tempo si parlò della erezione di un apposito edificio al lato nord della piazza Minghetti; poi tale proposta fu abbandonata, e venne invece concessa un’area nella nuova via Irnerio, all’angolo di via Zam- boni, presso gli Istituti di Fisiologia e di Geologia. 11 Bombicci aveva già pronti tutti i disegni, tutto aveva predisposto per Poccupazione ordinata del nuovo locale; ma Egli non potè di- sgraziatamente vedere effettuato questo sogno, che da oltre un decennio formava il suo ideale (M). Io non so quando il nuovo edilizio sarà compiuto e dato in possesso al successore del nostro compianto maestro; so questo fiderio di t ra- jah migliori; re, resi ancor ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMBICC1 XCV solo, che al nuovo professore incomberà una grande responsa- bilità, perchè egli avrà l’obbligo di conservare religiosamente tutte le collezioni ; dovrà con amore continuarne l’incremento ; -e chi visiterà il nuovo museo ( che sarà certamente intitolato dal nome del Bombicci), potrà vedere in ogni dove rispecchiarsi l’a- nima geniale e dotta del suo fondatore; e potrà considerarlo -come degno monumento eretto alla sua venerata memoria. Altro gabinetto mineralogico e geologico istituì il Bombicci presso la li. Scuola degii ingegneri, nella quale sin dal 187/ fu incaricato dell’ insegnamento della geologia applicata. Nè (pii si arresta l’attività del Bombicci, con la quale si mostra appassionato, dotto ed originale collezionista; di quello stampo, che purtroppo va scomparendo nei nostri Istituti superiori. Egli forma un bellissimo museo didattico per le scuole elementari e nel 1884 ne fa dono al municipio di Bologna, le cui scuole erano allora quasi completamente sprovviste di tale materiale; poi concepisce, propone e forma un museo didattico circolante per la Società degli insegnanti in Bologna. Sono tre grandi ed ele- ganti armadi con novanta cassetti, contenenti più che tremila esemplari di prodotti naturali ed artificiali, tolti dai tre regni della natura in rapporto alla alimentazione, alle vesti ed alle abitazioni. Il materiale di ogni cassetto rappresenta una speciale monografia, e tutto è disposto in modo che i cassetti, a guisa dei libri di biblioteca, possano con facilità essere trasportati da scuola a scuola, senza che le collezioni abbiano a soffrirne alcun danno. Rendono compiuto questo piccolo museo, unico al mondo, tre glossi volumi con la descrizione di tutti gli esemplari (‘ ). Come tuttodì) non bastasse, il Bombicci lascia ben duecento trenta pubblicazioni, con un numero complessivo di circa undici- mila pagine. Esse contengono argomenti più vari, e di alcune ho fatto già cenno. Non terrò parola dei trattati (1G), che Egli sapeva comporre con impronta così spiccatamente personale, da doversi ritenere piuttosto per voluminose memorie. Dirò solo bre- vemente delle questioni principali discusse nelle memorie scien- tifiche. Le memorie di mineralogia, comprese alcune sulle meteoriti, sono sessantasette (1?); e contengono accurate descrizioni di nu- merosi minerali specialmente italiani, acute osservazioni sopra XCVI A. NEVI ANI fenomeni diversi, e specialmente ricerche sull’assettamento fisico- molecolare dei cristalli e le relative applicazioni alla classifi- cazione dei minerali. Sin dai primi anni dei suoi studi il Bombiccj intuì che uno degli argomenti più importanti per il mineralista, era quello della esatta conoscenza della costituzione fisica dei cristalli in rapporto alla loro composizione chimica; e concepì quella teoria delle associazioni poligeniche, che concretò poi in una prima memoria presentata il 21 marzo del 1867 all’Accademia del- l’Istituto di Bologna (18), e fu argomento prediletto per tutta la sua vita. Si può dire che tutte le memorie di mineralogia, come pure i trattati, convergano all’unico intento di portar nuove prove alla teoria della poligenesi. Non ho in animo di esaminare qui minutamente questa teoria ; mi riserbo di farlo in altra occasione; dirò solo che essa ebbe poca fortuna e che non venne ben accolta dai mineralogisti; ritengo anzi che molti forse, seguendo non so quali idee preconcette,, non lessero mai le memorie del Bombicci; pochi, fortunatamente pochi, ne fecero argomento di indecorosi libelli, e vi fu chi si nascose persino dietro il comodo ma pur sempre obbrobrioso ano- nimo. Che ciò accorasse l’animo buono e generoso del nostro maestro, è inutile il dirlo; Egli però si difese dagli attacchi con polemiche (19) concepite e « trattate con quella dignità ch’è neces- saria a dimostrare i cultori delle scienze primi maestri di ci- viltà » (?0). Noequc forse al Bombicci una certa prolissità nello scrivere, e il non aver tentato di applicare le matematiche ai suoi studi e alle sue ricerche; ma indubbiamente gli nocque di più la malignità (!1) altrui, poiché si volle fare per la teoria della poligenesi la medesima confusione, che si va ora facendo fra la teoria dell’evoluzione e le teorie lamarkiana, darwiniana, ed altre. Mentre alcuni intaccando una od altra delle ipotesi fatte dal Lamarck, dal Darwin, o da altri evoluzionisti, credono di dar crollo alla teoria dell’evoluzione ; non si accorgono invece,, o fingono di non accorgersi, che anche (trovando per non vere le suaccennate ipotesi, non riescono a distruggere il principio fondamentale dell’evoluzionismo. Altrettanto deve dirsi (ter la teoria del Bombicci sulla poligenesi (?2). ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMBICCI XCVII Non v’ha dubbio clic il Bombicci, primo fra i mineralogisti, dal 1860 al 1867, pensò di dar corpo di dottrina al vago con- cetto dei miscugli meccanici, precedentemente intravvisto dal Beudant (1824), e ripetuto da altri senza serie applicazioni alla cristallogenesi e alla costruzione razionale delle formule chimiche. Alla nuova concezione il Bombicci diede il nome di associazioni poligeniche; nome che deve rimanere per indiscussa priorità. Potrà Egli avere anche errato in qualche applicazione della sua teoria ; ma ciò non distrugge il principio fondamen- tale, il quale è identico a quello che informa le più fortunate teorie dei miscugli isomorfi dello Tschekmak, della sincristal- lizzazione del Friedel, e gli studi del Mallard, del Wyrouboff, del Van t’Hoff, del Wallerant, e di tanti e tanti altri, i quali tutti si vanno ora acquistando titoli di onore scientifico, trat- tando argomenti sui quali il Bombicci aveva richiamato l’at- tenzione dei mineralogisti più di trent’anni prima (23)! Gli studi mineralogici, quelli inerenti alla litologia, l’assi- stenza al prof. Meneghini, l’insegnamento nella scuola degli ingegneri, le ricerche sulle condizioni di giacimento dei mine- rali, fecero sì che il Bombicci si occupasse appassionatamente anche di geologia e di fìsica terrestre. Ad impegnarlo vieppiù in tali studi, intervenne il secondo Congresso internazionale di geologia, che si tenne in Bologna nel 1881; ed ecco in breve in qual modo. La sezione bolognese del Club alpino deliberò, sin dal 1879, di comporre in onore dei congressisti una guida del- l’Appennino bolognese, e pregò il prof. Capellini di assumere la redazione della parte concernente la geologia; ma il Capel- lini, occupatissimo com’era, quale presidente del comitato orga- nizzatore del Congresso, non accettò l’incarico, il quale tu così assunto dal Bombicci. Questi non volendo fare un semplice la- voro di compilazione, ma volendo presentare uno studio origi- nale, si diede a percorrere in ogni senso la provincia e le regioni limitrofe, osservando, raccogliendo, notando. A tal fine non badò a spese, cui sopperì del proprio; diede a corredo delle raccolte mineralogiche del museo, quelle geognostiche; formando così un tutto omogeneo, che Egli ha lasciato a vantaggio degli studi ed a testimonianza di quanto poi pubblicò sia nella guida L Appen- nino bolognese , corredandola di una buona carta geologica a xcvnx A. NEVIANI colori e di altre carte topografiche e panoramiche, sia in altri lavori (24). Come per la mineralogia, così per la geologia il Bombicci non seppe fermarsi alle pure descrizioni o alle semplici osser- vazioni, ma si elevò ad ardite ipotesi e speculazioni scientifiche dando plausibili spiegazioni sull’orogenesi dell’Appennino, sulle litoclasi, sui materiali d’intrusione, sull’origine delle argille scagliose (25). Dalla geologia alla fisica terrestre è breve il passo, quindi lo vediamo con raro acume e versatilità trattare magistral- mente (2C) della generale costituzione fisica del globo, dei feno- meni vulcanici, dei terremoti, dell’origine delle montagne, delle frane (27) ; poi anche delle polveri meteoriche, delle aurore boreali e delle stelle cadenti (28); non trascurando argomenti di pura litologia (20). Combatte per lunghi anni strenuamente contro la barbarie dei diboscamenti, e diviene fervente sostenitore della benemerita associazione « Pro montibus et sylvis » (30). Final- mente negli ultimi anni di sua vita lo troviamo con ardore gio- vanile di vero apostolo, con vieppiù crescente spirito filantro- pico, percorrere buona parte della penisola e recarsi all’estero, per fare numerose conferenze a prò’ della sua ormai ben nota teoria sulla formazione della grandine, e conseguente lotta per prevenirla, fulminando i nembi gravidi di elementi grandini- geni; lasciando in ben ventitré pubblicazioni il risultato dei suoi studi (?l). Permettetemi, colleghi, che ancora una volta io esprima tutta la tristezza che prova l’animo mio ogniqualvolta penso a quanto fu da tanti detto e fatto in proposito, cercando di contrastare al Bombicci a passo a passo la sua via, sino a che non sa- pendo che cosa di serio opporre alla sua teoria, si tentò di farla cadere nel ridicolo. Ma il Bombicci, sicuro di sè, non curante del l’affannarsi dei botoli ringhiosi, colla fronte alta continuò il suo cammino, e sino all’ultimo giorno di sua vita si mantenne in prima linea combattendo strenuamente per la sua teoria, il che vale quanto dire a prò’ dell’ umanità intera; perchè, o si- gnori, è bene lo si sappia, mentre in Italia la scienza ufficiale attende ancora un verdetto da una Commissione governativa, altrove non si discute più, e largamente si applica l’idea prima, ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMB1CC1 xcix: semplice e geniale del Bombicci, di fulminare i nembi ; cioè di impedire la formazione della grandine col far scoppiare delle bombe, appositamente costrutte, in seno alle nubi grandinigene, e ciò con risultati certi e veramente meravigliosi (32). Signori, egregi colleghi, Spero che la mia parola, sebbene povera e priva di vacui lenocin! rettorici, ma libera e schietta perchè dettata dall’af- fetto e dalla riconoscenza per la costante e paterna benevolenza che il Bombicci ebbe per me, sia stata sufficiente per rievocare nella vostra mente tutta la sua fiera, onesta e laboriosa per- sonalità (33j. Frangar non flectar era il suo motto, al quale tu ossequente per tutta la vita. Noi lo vedemmo sempre in prima linea, non per insulsa vanagloria, ma di nuli’ altro desideroso che del bene altrui, a cui sacrificava tutto se stesso. Modestis- simo, ebbe poche onorificenze ; ma ben più sfolgorante fu il suo petto per il cuore virtuoso e magnanimo, e ancor più nobilitata fu la sua fronte per la mente eletta dotta e geniale. Sia sempre venerata la memoria di Luigi Bombicci. c A. NEVIANI NOTE (*) Furono genitori di L. Bombiccj, il Dott. Ing. Tito e la Con- tessa Gesilla Bui. Garin i ; sposò in prime nozze la signora S.i.via Ciarli di Pisa, ed in seconde nozze la signora Augusta Rimini di Bologna. Ebbe, del primo letto, i figli ing. cav. Tito, Dionisio (premorto al padre), dott. Luigi, dott. Giovanni e Sofia. (2) Il prof. Antonio D’Achiardi morì in Pisa il 10 ottobre 1902. (3) Il primo ricreatorio laico festivo per fanciulli che ebbe Bologna fu fondato dal Bombicci nel 1886 e diretto da lui stesso per qualche tempo. (4) Pubblicazioni relative ad interessi scolastici: 1. Sulla convenienza ed opportunità di conservare e completare, presso la R. Università, la scuola di applicazione degli Ingegneri, Bologna 1866. — 2. Sul migliore completamento delle facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Bologna, Bolo- gna 1875. — 3. Sul completamento delle facoltà di scienze fisiche e natu- rali della R. Università di Bologna, Bologna 1875. — 4. Progetto per la costruzione di una galleria da museo nell’angolo S. O. del fabbricato della R. Università di Bologna, ecc. Bologna 1880. — 5. Scuole tecniche e scinde professionali in Italia. Bologna 1886. — (». Il banco nella scuola, Bologna 1888. — 7. Il museo dei ricordi e delle offerte per U Vili Cen- tenario dello Studio bolognese, Bologna 1888. — 8. L’Università di Bologna durante l’Esposizione Emiliana, Bologna 1888. — 9. Il museo del Centenario, Bologna 1889 , — 10. Esempi pratici d’insegnamento oggettivo, Bologna 1889. — 11. Le scuole elementari in Italia, Bolo- gna 1889. — 12. Le Scienze naturali e gli studi classici nelle scuole secondarie in Italia, Bologna 1889. — 13. L’educazione e l’istruzione degli agricoltori, Bologna 1S90. — 14. Athos e Porthos, Bologna 1890. — 15. Le vere crudeltà, Bologna 1892. — 16. Dall’Asilo infantile al- l’Ateneo, attraverso le questioni sociali, Bologna 1892. — 17.11 lavoro meccanico ammesso alle Scuole elementari, Bologna 1893. — 18. Ricrea- torio festivo e fraternità G. N. Popoli, Bologna 1893. — 1J>. Pel ricreatorio festivo, Bologna 1893. — 20. Pel ricreatorio bolognese, Bologna 1893. — AI, LA MEMORIA DI LUIGI BOMBICCI CI 21. A proposito delle conferenzé pedagogiche, Bologna 1894. — 22. Sulla connessione più razionale e pratica dei Ricreatorii Italiani, Genova 1894. — 23. Prime aurore felsinee, Bologna 1894. — 24. La stessa conf., Bologna 1895. — 25. Sulle premiazioni periodiche, solenni per le scuole elementari, Bologna 1895. — 26. Sull’attuale indirizzo deH’insegnamento universitario di mineralogia, Bologna 1895. — 27. Ancora dell’indirizzo della mine- ralogia, Bologna 1895. — 28. Il sentimento del bello artistico suscitato nella scuola dalla capacità di osservazione, Imola 1896. — 29. Refe- zioni gratuite e ricreazioni pomeridiane nelle scuole elementari, Bo- logna 1896. — 30. Contro i compiti a casa per gli alunni delle scuole •elementari, Bologna 1896. — 31. I fanciulli delle scuole sui teatri pub- blici, Parma 18S6. — 32. Il tirocinio sperimentale di compimento ai corsi universitari di Scienze fisiche e naturali, Bologna 1896. — 33. I benetìcii certi del Ricreatorio quotidiano, Parma 1897. — 34. Sulla re- fezione scolastica, Bologna 1901. (5) Pubblicazioni di argomento prevalentemente filosofico. 1. I minerali nei corpi organizzati e viventi, Bologna 1870. — 2. 11 processo di Evoluzione nelle specie minerali, Bologna 1877. — 3. La cremazione dei cadaveri, Bologna 1895 {*). — 4. Della pretesa vitalità dei cristalli, Bologna 1900. — 5. Alcune obbiezioni circa i supposti cristalli liquidi ed i pretesi cristalli viventi, Bologna 1902. (G) Si riferisce specialmente alle seguenti pubblicazioni: 1. Le due conferenze dimostrative ed una comunicazione fatte a Napoli al C on- gresso contro la tubercolosi nel 1900 dal prof. dott. Otto von Schròn, Napoli 1901. — 2. Lettera del prof. Otto von Schròn al prof. G. B. Mi- lesi, Bologna 1901. — 3. Frano. Savorgnan di Bkazzà. La vita nei cristalli e nei minerali, Milano 1903. (7) Commemorazione di Quintino Sella, Bologna 1884, pag. G. Altre commemorazioni fatte dal Bombicci sono: 2. Per la inaugurazione del monumento a Pellegrino Matteucci, Bologna 1882. — 3. A Laz- zaro Spallanzani, Bologna 1888. — 4. Alla memoria di G. Meneghini, Bologna 18S9. — 5. Per Luigi Pasteur, Bologna 1889. — 6. Comme- morazione del prof. sen. A. Scacchi, Bologna 1893. 7. Commemoia- zione del prof. E. Mallard, Bologna 1894. — S. Il Pensiero e il lavoio scientifico di Paolo Gorini da Lodi, Lodi 1899. (*) Fu il 10 Novembre 1895 che il Bombicci lesse questo splendido discorso, al- lorché si inaugurava nel Cimitero monumentale di Bologna la nuova sede per le Urne cinerarie. Il Bombicci, sempre innamorato di ciò che riconosceva per altamente civile, non poteva mancare, ed inneggiò alla pratica che dalle più tarde antichità si trasfonde nella civiltà moderna. Costante nei suoi propositi, volle che la sua salma fosse purificata dal fuoco. Le sue bianche ceneri riposano ora nella tomba di fa- miglia in Tarma C1I A. NEVIANI (8) Non appartenne alla R. Accad. dei Lincei, la quale sembra non comprendesse di quanto sarebbe stata onorata se il nome del Bombicci avesse figurato neH'elenco dei suoi soci. (9) La sua privata collezione di minerali, die sin dai primi anni regalò al museo, era stata, dietro offerta, stimata dal sig. Luigi Saemann, commerciante di minerali a Parigi, oltre 30,000 lire. (10) Commemorazione di Q. Sella, predetta, pag. 21. (M) Nel 1885 il museo possedeva per oltre 14 cliilog. di aeroliti, e circa chilog. 2,500 di ferri meteorici, i quali, calcolati ad un prezzo medio di lire 2,50 al grammo, danno per valore complessivo la cospicua somma di 40,000 lire (L. Bombicci, Météorites du Cabinet de mineralogie de la Boyale Université - Bologne 1885). (I?) L’immenso materiale adunato dal Bombicci nel museo minera- logico si deve in parte ai doni che il Bombicci stesso faceva all’Istituto, e a quelli di altre persone generose; in parte all’acquisto diretto coi fondi oialinari della dotazione; ma più specialmente a permute e a. cessioni, a prezzi limitatissimi, di collezioncine scolastiche ed istruttive ad istituti ed a privati. Anche qui ebbe campo di esercitarsi la malignità altrui. «Mercante di minerali», dicevano i più timidi; «vende per sé i minerali del museo», dicevano i più audaci; rinnovando alla distanza di un secolo (1785) quella stessa calunnia clic già fu lanciata contro Lazzaro Spallanzani. Ma i registri dell’Istituto di Mineralogia del- l’Università di Bologna, stanno là a dimostrare quanto fondamento aves- sero quelle insinuazioni! (13) Le lezioni si tennero per pochi anni in un’aula della Facoltà di giurisprudenza, ed in seguito nel ristretto laboratorio annesso al museo. (M) Per la storia del museo si leggano le seguenti pubblicazioni del Bombicci : 1. Il museo mineralogico della R. Università di Bologna dal 1861 al 1868, Bologna 1868. — 2. Idem, dal 1861 al 1870, Bologna 1870. — 3. Idem, seconda relazione, Bologna 1881. — 4. Le Collezioni di Mine- ralogia nella R. Università di Bologna, terza relazione; Bologna 1888. — ó. Sulle condizioni deplorevoli del museo e della scuola di mineralogia nella R. Università (Lettera al Rettore), Bologna 1893. — 0. Per il nuovo Istituto di Mineralogia, Bologna 1893. — 7. Per la sistemazione del lato Nord della Piazza Minghetti in Bologna, Bologna 1896. — S. I recenti e preziosi regali fatti al Museo universitario di Mineralogia* Bologna 1897. ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMB1CCI CUI (l5) 1. Un niuspo didattico per l’insegnamento oggettivo elementare, con monografie circolanti, Bologna 1888. — 2. Descrizioni di novanta piccole collezioni circolanti, 3 voi., Bologna 1898. (1G) Indice dei trattati e simili pubblicazioni: 1. Elementi di geografia fisica, Pisa 1866. — 2. Corso di lezioni di Mineralogia generale, Bologna 1861. — 3. Corso di Mineralogia, Bo- logna 1862-63. — 4. Collaborazione all’annuario scientifico ed industriale, Milano 1866. — 5. Collaborazione all’enciclopedia chimica diretta da F. Selmi, Torino 1871. — 6. Corso di Mineralogia, 2 voi., Bologna 1875. — 7. Mineralogia generale (Manuali Hoepli), Milano 1880; idem, 2'1 edi- zione. 1889. — S. Corso di Geologia e fisica terrestre applicate ai mate- riali da costruzioni, Bologna 1881. — 9. Mineralogia descrittiva (Ma- nuali Hoepli), Milano 1885; idem, 2f- ediz., 1895.— 10. Corso di Lito- logia, Bologna 1885. — 11. Varie voci nell’enciclopedia «Il Costruttore», Milano 1890 e succ. (n) Indice delle memorie di mineralogia, compresi gli studi sulle meteoriti : 1. Studio sulle forme cristalline del Feldispato Ortose di S. Piero in Campo, Pisa 1858. — 2. Sul granato ottaedrico dell’Isola d’Elba, Pisa 1859. — 3. La classificazione naturale dei minerali, Pisa 1861. — 4. Sulle associazioni poligeniche applicate alla classificazione dei solfuri minerali, Bologna 1867. — 5. La composizione chimica e la fisica strut- tura dei minerali, considerate secondo la teoria delle A. P., Bologna 1867 . — 6. Sulle A. P. (lettera al prof. G. Meneghini), Pisa 1868. — 7. Notizie intorno ad alcuni minerali italiani, Milano 1868. — 8. La teoria delle A. P. applicata allo studio ed alla classificazione dei silicati minerali, Bologna 1868. — 9. La teoria delle A. P. applicata allo studio dei silicati, Modena 1868. — 10. Del quarzo di Grotta Palomba.) a nel- l’Isola d’Elba, Bologna 1869. — 11. Cristalli di quarzo aeroidro di Porretta, Bologna 1869. - 12. Notizie di mineralogia italiana, Bologna 1869. — 13. Sulla Bombiccite di Castelnuovo, nel Valdarno superiore, Bologna 1869. — 14. Sull’Analcime di Castelluccio di Capugnano, Bo- logna 1869. — 15. La produzione artificiale dei minerali cristallizzai^ Forlì 1869. — 10. I fosfati ed arseniati del regno minerale, secondo la teoria dell’A. P., Bologna 1869. — 17. Studi sui minerali del bolognese, Bologna 1871. — 18. L’emiedria strutturale ed il quarzo plagiedro in aggruppamenti paraboloidi, Bologna 1872. — 19. Descrizione della mi- neralogia generale della provincia di Bologna, 2 parti, Bologna 1873-74. — 20. Sulle influenze reciprocamente orientatrici nei cristalli isomorfi di differenti sostanze, Bologna 1876. — 21. La cosiddetta «ceia mine- rale» di Savigno, Bologna 1876. — 22. Contribuzioni di mineralogia italiana, Bologna 1877. — 23. Considerazioni critiche sopra alcuni re- centissimi scritti di cristallografia, Bologna 1878. — 24. Fiori di neve, ■Cl V A. NEVI ANI Bologna 18S0. — 25. La cristallizzazione della neve con singolare ap- parenza di grandi corolle florali. Le sferoidrie nelle strutture cristal- line. Note sopra alcuni minerali italiani, Bologna ISSO. — 26. Nuovi studi sulla poligenesi dei minerali, parte I, Bologna ISSO. — 27. Idem» parte II, Bologna ISSI. — 28. La singolare configurazione verticillata, a forma di grandi rose, delle lamine di acqua cristallizzata, Firenze ISSI. — 29. Le pietre cadenti dal cielo, Bologna 1883. — 30. Sulla me- teorite caduta ad Alflanello, Bologna 1883. — 31. 1 grandi e mirabili fiori di neve, Bologna 1883. — 32. Sull'aerolito caduto presso Alflanello e Verolanuova, Roma 1883 — 33. Le cristallizzazioni nel vetro e nel- l’aria, Venezia 1884. — 34. Nuovi studi sulla poligenesi dei minerali parte III, Bologna 1884. — 35. Sulle superficie elicoidi e paraboloidi nei romboedri detti selliformi di dolomite e di altri carbonati anidri, Bologna 1885. — 36. Sul giacimento e sulle forme cristalline della Da- tolite della Serra dei Zanchetti, Bologna 1886. — 37. Sulla contorsione di tipo elicoide nei fasci prismatici di Antimonite del Giappone, Bo- logna 1886. — 38. Sulle inclusioni di ciottoli probabilmente pliocenici o quaternari nei grossi e limpidi cristalli di Selenite di Monte Donato, Bologna 1890. — 39. La collezione di ambre siciliane posseduta dal museo di mineralogia della R. Università di Bologna. Bologna 1890. - 40. Nuove ricerche sulla melanoflogite della miniera Giona presso Ra- calmuto, Bologna 1891. — 41. Le gradazioni della sferoedria nei cri- stalli, Bologna 1891. — 42. Altri esempi di contorsioni elicoidi nelle facce e negli aggregati simmetrici dei cristalli, Bologna 1891. — 43. La provenienza dei bolidi e delle aeroliti, Bologna 1891. — 44. Sulla coe- sistenza delle due inverse plagiedrie sopra una faccia di un cristallo di quarzo di Carrara, ecc.., Bologna 1891. — 45. Sulle guglie conoidi rimpiazzanti le piramidi esagono-isosceloedriche, in due esemplari di quarzo del Vallese e dell’Isola d’Elba, Bologna 1891. — 46. Sulle mo- dificazioni degli spigoli verticali nei prismi esagoni di quarzo di Car- rara, Bologna 1891. — 47. Analogie di struttura mimetica fra la Pirite, la Boleite e la Melanoflogite ed altre sostanze, Bologna 1892. — 48. Sulla mimesia di alcuni minerali, Bologna 1892. — 49. La eomposition chi- unque et la structure de la Melanophlogite (Réponse à M. F. Friedel), Paris 1892. — 50. Cristalli mimetici cubiformi di Pirite gialla, Bolo- gna 1893. — 51. Solfo nativo cristallizzato delle solfare di Romagna, Bologna 1894. — 52. Sulla contemporaneità di origine e di adattamento di sostanze diverse che cristallizzano nello stesso spazio poliedrico per coesistere nello stesso cristallo, Bologna 1894. — 53. Sulle velature car- boniose bituminoidi . . . ricuoprenti il quarzo cristallizzato del Macigno di Porretta, Bologna 1895. — 54. Il Bolide di Madrid, Bologna 1896. — 55. Sulle reciproche analogie fra talune forme frequenti ma finora inesplicate dei minerali delle argille scagliose d’intrusione ascendente, Bologna 1896. — 56. I cristalli dell’ Appennino modenese, Bologna 1897. — 57. Le interessanti anomalie dei mirabili cristalli di solfo nativo ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMBICCI CY ■della miniera di Cà-Bernardi, Bologna 1S98. — 58. Confronto colle anomalie e contorsioni elicoidi del quarzo di Porretta, Bologna 1898 • — 59. Le ipotesi del prof. G. Tsciiermak sulle curvature delle lastre di quarzo paraboloidi, Bologna 1898. — 60. Sulla calcite a scodellette, Bologna 1898. — 01; Nuove considerazioni sulla probabilità die talune anomalie di forma nei cristalli dipendano da durevoli movimenti negli spazi naturalmente cristalligeni, Bologna 1899. — 62. Sulla Cubosilicite, Bologna 1899. — 66. Sopra una nuova contorsione arcuata, di speciali allineamenti nei cristalli di quarzo, Bologna 1901. — 64. Replica a due obbiezioni sulla cristallizzazione cubiforme della silice nella Cubosili- cite, Bologna 1901. — 65. Sui probabili modi di formazione dei cristalli di granato, Bologna 1902. — 66. Alcune obbiezioni circa i supposti cristalli liquidi ed i pretesi cristalli viventi, Bologna 1902. — 67. Di un sensibile aumento di volume negli aghetti di Rutilo, diffusi nei lim- pidi cristalli di quarzo, Bologna 1902. (1R) Memoria n° 4 della bibliografia precedente. (19) Indice delle polemiche principali: 1. Il diboscamento nelle montagne, Messina 1873. — 2. A proposito di un articolo anonimo intitolato « La mineralogia in Italia», Bologna 1878. — 3. Correzioni a ciò che scrive il prof. R" P° nel libello intitolato « Scienza e filosofia mal digerite », Bologna 1885. — 4. Errata-corrige per un manuale di mineralogia e per la recensione di questo fatta da un Professore di Università, Bologna 1889. — 5. Rivendicazione della priorità degli studi e delle conclusioni sul sollevamento dell’Appenuino emiliano, Bologna 1893. — 6. Polemica per la teoria delle grandinate, Bologna 1899. — 7. Confutazione deU’articolo del prof. Marangoni inti- tolato « La fortuna degli errori », Bologna 1901. (2l)) G. Meneghini. Prefazione alla traduzione della «Struttura geo- logica delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazi » di R. I. Murchison, pag. xi, Firenze 1850. (?1) Uso questo vocabolo [malignità] proprio nel senso letterale: «Disposizione dell’animo a nuocere altrui, anche senza l'utile proprio». Il Bombicci, è vero, non fu cristallografo propriamente detto ; ma bisogna pur riconoscere che la cristallografia matematica non forma di per sé tutta la mineralogia; e dico il vero, preferisco il mineralogista che riconosce con facilità i minerali ad occhio, al geometra che, usurpando il titolo di mineralogista, si vanta di avere scoperto una faccetta di più in un cristallo, senza magari sapere di che minerale si tratti. Anche in questo campo di studi si é esagerato come in biologia; oggi ab- biamo certi botanici e certi zoologi abilissimi microscopisti, che si van- VIII evi A. NEVI ANI tano di non conoscere una pianta od un animale. Eppure la scienza è tanta vasta che c’è posto per tutti! (22) Qualche tempo fa ebbi occasione di acquistare un opuscolo di certo signor G. L. Pavarino, dottore in chimica e in scienze naturali, ed intitolato «Appunti critici sulla teoria delle associazioni poligeniche» , edito a Mondovì (Tip. G. Issoglio) nel 1898. — Credo che il Bombicci non abbia conosciuto questo libercolo (che ho ragione di credere fosse una non lodata tesi di laurea) ; Egli non me ne parlò mai, né io ho creduto opportuno di farnelo consapevole. Se il Bombicci al contrario 10 ha letto, e non ne ha tenuto alcun conto, ha fatto egregiamente, perché proprio non lo meritava. Avrei voluto fare altrettanto io, ma ho creduto dirne qualche parola in questa nota, perché si sappia quale valore si può dare a certe critiche. Comincio dal l’osserva re che l’A. spesso non riporta esattamente le frasi del Bombicci, cosicché venendone alterato il senso, cadono le dedu- zioni che ne trae; ne cito una. A pag. 30, il dottor Paravino stampa: Bombicci, Corso di Mineralogia, pag. 273. « I corpi poligenici sono com- posti, di cui è impossibile T artificiale riproduzione»-, poi segue la critica. Si legga tutta la citata pag. 273 della Mineralogia del Bombicci, e non si troverà la frase suddetta, e non si dubiti vi sia errore di stampa. 11 Bombicci non pensò mai cosi, anzi fu del parere contrario, tanto è vero che nella prima memoria (1867) sui solfuri minerali, riporla e descrive opportuni esperimenti di artificiale sintesi poligenica. Egli, nella citata pagina, nota solo le difficoltà [non la impossibilità) della espe- rienza (*). A pag. 31 dell’opuscolo l’A. riporta dal Bombii ci due frasi, diciamole negative, nelle quali il Bombicci stesso fa notare certe differenze fra la sua teoria ed altre, e subito dopo l’A. aggiunge: « Con questa serie [notate che sono due!] di negazioni il prof. Bombicci ha espresso quello che non sono le associazioni poligeniche, ma non ha dimostrato quello che era pia importante, cioè che cosa esse sono». Suvvia, signor dottore, la cosa é cosi amena che avete fatto realmente bene a porla alla fine del vo- stro scritto! A pag. 27, a proposito della Pirrotina, se cioè essa sia o no una associazione poligenica di pirite e di magnetite, l’A.. negandolo, perchè non vi fu dimostrata la presenza dell’ossigeno, aggiunge: «inoltre se fosse così composta, trattata con acido cloridrico, dovrebbe dare la stessa (*) Ecco il periodo che il Bomhicci stampò nella citata pag. 273, e che il dott. Pavarino, si arbitrò di alterare nel modo sopra riportato: “ /.'ostacolo massimo per V artificiale riproduzione dei composti cristallizzati polif/cnici è senza dub- bio la brevità del tempo di cui ciascun singolo operatore può disporre nei pochi anni della propria vita scientifica, c V ignoranza di molte e molle particolarità che verosimilmente decidono dei maggiori risultati in natura, mentre sfuggono all' osservazione cd al pensiero „. ALLA MEMORIA DI 1LUGI BOMBICCI CV1I reazione che ci dà un miscuglio di pirite e di magnetite ». Mi permetto fare all’A. una domanda: Crede egli veramente che se la Pirrotina fosse realmente un associato di Pirite e Magnetite darebbe una identica rea- zione di un miscuglio artificiale di quei due minerali? io ne dubito for- temente. Prima di tutto della Pirrotina gli autori danno formule chi- miche varie, quindi non si può esser certi che il miscuglio col quale si vuole sperimentare corrisponda alle proporzioni del minerale; poi, e ciò ■è per me più importante, si è certi che radunamento fisico-molecolare dei due componenti (che manca nel miscuglio artificiale) non abbia in- fluenza sulle reazioni chimiche? Un’ultima citazione. A pag. 30 è detto: «è giuocoforza conchiudere che i minerali non si possono considerare come associazioni poligeniche , ma sono da rite- nersi come vere e proprie combinazioni chimiche originate dall’azione chi- mica continua fra le diverse sostanze ». Hanno udito la sentenza del dottor Pavaiuno, gli Tschermak, i Malgari), i Wyrouboff, i Wal- lekant, i Groth, e quanti altri trattano oggi, chiamiamole col Fuikdel, delle sincristallizzazioni dei minerali? lpse dixit ; pieghino tutti il capo innanzi al neo-laureato, e torniamo un secolo indietro! % (?3) In una delle sue ultime memorie presentate alla R. Accademia di Bologna, dicembre 1901 (Sui probabili modi di formazione dei cri- stalli di granato), il Bombicci, quasi presago della sua fine, riassume le sue idee sulla poligenesi; e con opportuni confronti, mette in evidenza quanto le sue idee si accostino alle vedute dei moderni mineialogisti sulla costituzione fisico-molecolare dei cristalli. (Uj Pubblicazioni relative alla geologia del Bolognese (vedi anche la nota seguente). 1, L’Appennino bolognese, Bologna 1881. — 2. Discorso sull Appen- nino bolognese, Bologna, 1882. — 3. Montagne e vallate del territorio di Bologna, Bologna 1882. — 4. Sul monte della Guardia, Bologna 18SS. — 5. Alla cerca di meraviglie nelle vallate e sui monti del Bolognese, Bologna 1893. (?5) Pubblicazioni geologiche le quali, pur trattando di condizioni speciali del territorio Bolognese, assurgono a considerazioni di indole generale. 1. U sollevamento dell’Appennino bolognese, Bologna 1882. — 2. Mo- vimenti, rotture e pressioni tangenziali, Firenze 1882. — 3. Sulla lucen- tezza e striatura liscia delle superficie nelle salbande dei filoni metal- liferi e nelle rocce scagliose, Bologna 18S8. — 4. Sui franamenti nel territorio montuoso bolognese, Bologna 1889 — 5. La geologia pei la storia, Bologna 1893. — 6. Sui ciqttoli improntati, Bologna 1894. — 7. Le brecciuole poligeniche dell’Appennino bolognese, Bologna 1894. — CV1II A. NEVJAN1 8. Sulle iniezioni e intrusioni di rocce cristalline entro rocce analoghe di eruzioni precedenti, Bologna 1894 — !). Sulla intrusione forzata ascen- dente di argille.. . nei banchi selenitici presso Bologna, Bologna 1893. — 10. Sulle intrusioni ascendenti di materiali argilloidi nelle fratture regionali dell’Appennino emiliano, Bologna 1895. (!C) Nella rivista «L’Università italiana» Anno II, n° 12 del 25 mag- gio 1S03 a pag. 148, leggesi un breve cenno necrologico del Bum nicol, fatto dal dott. A. Ghigi. Questi, a proposito degli studi geol< gici del Bombicci, dice: «Lasciò... parecchi lavori di geologia , nei quali non sempre fu felice ». Dichiaro apertamente che la infelice frase del dottor Ghigi, messa là proprio in fine del necrologio, non sembra opportuna. Voglia di fatti avere la cortesia di indicarmi il nome di un solo geologor il quale sia stato costantemente felice in tutti i suoi lavori! (27) Indice delle memorie di Fisica terrestre: 1. Discorso sui terremoti. Bologna 1870. — 2. Sui recenti terre- moti nella Romagna, Bologna 1870. — 3. Sull'origine delle montagne* Bologna 1877. — 4. 1 terremoti di Bologna, Bologna ISSI. — 5. Della influenza Luni-solare sui terremoti; Firenze 1S82. — (>. La questione dei rimboschimenti, Bologna 1883. — 7. Trasformazioni lente dei pae- saggi terrestri, Arezzo 1885. — 8. Sulla costituzione fisica del globo terrestre, Bologna 1887. — 3. 1 rilievi erateriformi . . . alla superficie di un gran disco d’argento di fusione..., Bologna 1890. — 10. La vul- canieitd nella Terra, nella Luna, nel Sole, Lodi 1891. — 11. Moti odierni e quiete finale della Terra, Bologna 1894. — 12. Le frane sui monti, Bologna 1896-97. — 13. Grotte e caverne, Venezia 1897. — 14. Le mon- tagne d’Italia, Venezia 1899. — 15. Le frane e gli studi geologici, Bologna 1901. — Iti. Sulle cause probabili delle eruzioni vulcaniche, Bologna 1902. (n) Memorie sopra fenomeni meteorici: 1. Diboscamenti e inondazioni in Italia, Bologna 1872. — 2. Il di- boscamento nelle montagne. Messina 1873. — 3. Sulla materia polve- rulenta bianca caduta in Potenza, Latenza 1879. — 4. Aurora boreale, Bologna 1882. — 5. Splendori africani, Bologna 1885. — <>. Le stelle cadenti, Firenze 1886. — 7. Sulla ipotesi della azione e selezione ma- gnetica del globo terrestre sulle materie cosmiche interplanetarie con- tenenti ferro, Bologna 1887. — 8. Freddo e rifreddo. Gelo e rigelo, Bologna 1888. — !>. Le illusioni sui monti, Bologna 1889. (2!1) Indice delle memorie che trattano di litologia : I. Sulla oligoclasite di Monte Cavaloro, Bologna 1868. — 2. Sulle pietre edilizie e decorative della Provincia di Bologna, Bologna 1S73. — 3. Considerazioni sopra la classificazione adottata per una collezione ALLA MEMORIA DI LUIGI BOMB1CCI CIX di Litologia generale, Bologna 1884. — 4. La III'1 Divisione della Mostra Emiliana. — Industrie estrattive e chimiche, Bologna 188S. — 5. Sul giacimento e sul tipo litologico della roccia Oligoclasite di Monte Ca- valoro. Bologna 18SS-S9. — fi. Risposte al questionario per la nomen- clatura litologica diramato a nome della Società Geologica Italiana, Bologna 1896. — 7. Cave d'Alabastrite di Castelnuovo dell’Abate, Li- vorno 1898-99. — 8. Relazione sull’origine del fango termale vulcanico di Battaglia, Venezia 1899. — 1). Considerazioni critiche contro la «Re- lazione peritale sui fanghi euganei ». Bologna 1901. (3n) Sui diboscamenti trovasi cenno in moltissime delle pubblicazioni del Bombicci; ne trattano direttamente le seguenti: 1. Diboscamenti e inondazioni in Italia, Messina, 1872. — 2. Il diboscamento nelle mon- tagne, Messina, 1874. — 3. La questione dei rimboschimenti, Bologna , 1883. (31j Indice delle memorie sulla grandine: 1. Le cristallizzazioni nel vetro e nell’aria, Venezia 1884. — 2. Sulla formazione della grandine e sui fenomeni ad essa concomitanti, Bologna 1888. — 3. Ancora sull’origine delle grandinate, Milano 1890. — 4. Le più recenti idee sulla formazione delle grandinate, Torino 1890. — 5. Pioggia artificiale ed artificiale diminuzione dell’intensità e dei danni delle grandinate, Torino 1891. — fi. Cannonate e gragnuole, Bologna 1898. — 7. Sulla formazione della grandine e sulla pratica degli spari..., Bologna 1899. — 8. Gli spari contro la grandine, Casale Monferrato 1899. — 9. Spari contro le grandinate, Bologna 1899. — 10. Contra grandi- nem!, Bologna 1899. — 11. Polemica per la teoria delle grandinate, Bologna 1899. — 12. Ancora sulla gran line e sui tiri, Casale Monfer- rato 1899. — 13. Riassunto della conferenza sugli esperimenti degli spari contro le nubi temporalesche grandinifere, Siena 1899. — 14. Sulla azione degli spari contro la grandine, Padova 1899. — 15. Dopo gli spari di Casale Monferrato, Bologna 1899. — lfi. Intorno agli spari contro la grandine, Roma 1900. — 17. Notizie sui principali avveni- menti relativi agli spari contro le grandinate, Bologna 1900. — 1S. Spari e Para-grandine, Torino 1901. — 19. Il lavoro grandinigeno e la in- sufficienza dei vorticelli, Padova 1901. — 20. La formazione della gran- dine dovuta a moti rotatori?, Milano 1901. — 21. Di talune recenti idee sulla formazione della grandine e della pretesa potenza dei vorti- celli degli spari grandinifughi, Bologna 1901. — 22. Confutazione del- l’articolo del prof. Marangoni intitolato: «La fortuna degli errori», Bologna 1901. — 23. Gli spari grandinifughi e un voto del Consiglio provinciale di Bologna, Bologna 1902. (32) Leggansi in proposito queste pubblicazioni di Rachel Séverin. Contre la gréle. Progrès agricole et viticole, Montpellier 1903. — Necro- logie: L. Bombicci. Journ. d’Agric. et d’Hortic. de la Gironde, 15 juin 1903. Bordeaux. Questo articolo, tradotto in italiano, con breve prefazione, fu da me pubblicato col titolo: «Gli spari contro la grandine» nel gior- nale L'Alpe, Bologna, 31 luglio 1(J03. # (33) A complemento delle pubblicazioni del Bombicci, aggiungo queste che, per trattare di argomenti vari, non hanno potuto trovar posto nelle categorie precedenti. 1. Articolo critico del cosi detto: Libro delle meraviglie Fi- renze 1S69. — 2. La storia di un sasso, Bologna 1669. — 3. Un’escur- sione in Italia, Bologna 1875. — 4. A proposito del disco fondente di Reese, Firenze ISSO. — ó. Gl’incentivi materiali e naturali dell’Arte, Bologna 1883. — (>. Scienza popolare (ristampe), Bologna 1883. — 7. I mostri nella Natura, nella Scienza e nell’Arte, Bologna 1884. — 8. I quattro Emi-prismi bolognesi all’Esposizione nazionale di Torino del 1884, Bologna 1884. — 9. Excelsior! Saluto agli Alpinisti del XX Congresso na- zionale del C. A. I., Bologna 1888. — 10. Dopo una escursione nel museo universitario di mineralogia (versi). Bologna 1891. — 11. Misteri. Bo- logna 1892. — 12. Ave-Eva, Bologna 1892. — 13. Natura legislatrice, Bologna 1892. — 14. Per una candidatura politica offerta e ricusata, Bologna 1892. — 15. All’onorevole sig. senatore conte G. Searabelli, Bologna 1893. — 1(5. Dal basso all’alto!, Lodi 1899. — 17. Montovolo nell’antichità, Bologna 1902. Antonio Neviani. ALLA MEMORIA DI ANTONIO D’ACHIARDI COMMEMORAZIONE letta nella adunanza generale della Società Geologica Italiana in Siena il 12 settembre 1003 dal doti. Ernesto Manasse Egregi consoci! Mentre ancora perdurava in noi la triste impressione pro- dotta dalla morte di un giovane e valoroso scienziato, del dott. Carlo Riva, nuovo lutto gravissimo venne a colpire la nostra famiglia. Il prof. Antonio D’Achiardi si spegneva in Pisa, fra il compianto universale, il 10 decembre del decorso anno. E tale perdita era seguita, pur troppo, a brevissima di- stanza, da altra non men dolorosa, da quella del prof. Luigi Bombicci. Di Carlo Riva disse brevi ed acconcie parole il senatore Ca- pellini nell’adunanza che la nostra Società tenne a Spezia nel settembre del decorso anno; e di Luigi Bombicci ha tessuto un dotto e ben meritato elogio il prof. Neviani nella passata adu- nanza. Oggi, vincendo la commozione del momento, incombe a me il dovere di parlare di Antonio D’Achiardi. Ultimo fra noi tutti per sapere e dottrina, non mi ritengo secondo a nessuno per affetto, per venerazione, alla memoria del mio amato Maestro. Valga questo soltanto a conquistarmi la vostra indulgenza, e valga altresì a farmi perdonare queste poche e disadorne parole, che certo non sono all’altezza del- l’illustre Estinto, alla cui memoria si riferiscono. Antonio D’Achiardi nacque in Pisa il 28 novembre 1839 da cospicua famiglia. Sin dalla prima giovinezza, agli agi e ai lussi, che le condizioni finanziarie dei suoi, in quel tempo assai floride, gli avrebbero largamente concesso, Egli preferì l’amore allo studio, resogli più facile da una sorprendente acutezza d’in- gegno. Compiuti così con lode gli studi classici, entrò, quindi- cenne appena, nell’Università pisana, ove non solo Irequentò i CXII E. MANASSE corsi della facoltà di Scienze Naturali, ma seguitò a coltivare con passione gli studi letterari. Amico e condiscepolo del Car- ducci, del Puccianti e di altri, oggi insigni, facile ad entusia- smarsi per le cose belle e buone, verso cui lo trasportava l’a- nimo suo gentile, fu poeta efficacissimo, e scrisse odi, elegie, tragedie, molto apprezzate, e, più tardi, un poema di trentacinque canti in terza rima intitolato: La Terra, e un altro poema, ine- dito, in ottava rima dal titolo: La conquista di Majorca. I meriti letterari del D’Achiardi, la sua profonda cognizione dei classici, i sentimenti nobili che emergono dalle sue poesie, hanno fornito argomento ad un letterato illustre, al prof. Giu- seppe Puccianti, per un articolo che, or son cinque mesi, com- parve nella Rivista d’Italia. Nè altri, per la dottrina di cui l’articolo è informato, avrebbe potuto meglio del Puccianti illu- strare quelle poesie e farne emergere tutti i singoli e non co- muni pregi. Ed io, affatto incompetente in materia, nulla qui aggiungo per non sminuire il valore e l’acutezza delle osserva- zioni del prof. Puccianti. Non ancora ventenne, e già laureato in Scienze Naturali, il D’Achiardi fu nominato aiuto alla cattedra di Chimica gene- rale nell’Università di Pisa. Ma ben presto, per una fatale disgrazia che lo colpì in un pericoloso esperimento, e lo privò dell’occhio sinistro, abbandonò quel laboratorio, pur rimanendo oltremodo appassionato degli studi della Chimica, che coltivò, può dirsi, fin quasi al giorno della morte. Dedicatosi allora in particolar modo agli studi geologici e mineralogici, nel 1861 fu nominato aiuto dell’illustre prof. Meneghini; e già nel 1874- tanto apprezzati erano i titoli del D’Achiardi che Egli vinse il concorso per la cattedra di Geologia nell’Università di Pavia. Ma, nonostante il grande onore, tale era l’affetto per la sua città nativa, ove da pochi anni unitosi in matrimonio con una gen- tildonna pistoiese, la signora Marianna Camici, aveva formato nuova famiglia, tale era l’attaccamento ai suoi illustri maestri, ai colleglli, ai molti amici, che Egli non volle lasciare Pisa, PI in quello stesso anno, in seguito alla divisione della cattedra di Mineralogia e Geologia, i cui insegnamenti erano affidati fino allora ambedue al Meneghini, ebbe la nomina di profes- sore straordinario di Mineralogia. Due anni appresso fu pro- CX11I T- ALI.A MEMORIA DI ANTONIO d’aCHIARDI mosso ordinario, ed occupò fino alla morte la cattedra, insieme a quella di Geografia fisica, di cui gli fu dato l’incarico dopo la perdita del senatore Meneghini. Troppo lungo sarebbe esaminare tutta l’opera scientifica di Antonio D’Achiardi, di cui ha già parlato, con rara competenza, il prof. Giovanni Arcangeli dell’Ateneo pisano in un magistrale discorso commemorativo, tenuto in Pisa il 18 gennaio dell’anno in corso per incarico della Società Toscana di Scienze Naturali. Ma non posso tacere di quelli fra tutti gli importanti lavori del D’Achiardi che ne resero il nome maggiormente illustre. I confini della dottrina di Lui non si limitarono al campo della Mineralogia, che Egli fu dottissimo anche nelle scienze a questa affini; coltivò con gran passione la Geologia e la Paleon- tologia, verso cui sentiva speciale attrazione, e fu profondissimo nella Fisica e nella Chimica, le cui moderne teorie destarono in Lui il massimo interesse e furono oggetto di particolari studi. I lavori che appartengono al primo periodo della sua vita scientifica riguardano la Paleontologia; e ad essi, ancor oggi, si ricorre di continuo, come a fonte inesauribile di dati paleon- tologici preziosi. L’opera Sui corallai i fossili del tei t eno num- mulitico delle Alpi Venete ebbe fra gli scienziati tale accoglienza che il D’Achiardi fu tosto nominato socio corrispondente del- l’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Ad essa seguirono altre memorie paleontologiche, fra le quali sono degne di pai- ticolare menzione quelle: Sui coralli eocenici del I tildi, Sui coralli giurassici dell’ Italia settentrionale; Sui coralli fossili di Asolo; e l’altra intitolata: Nuova specie di Trochocyatus nella calcarla titonica di Monte Primo presso Camerino nell Appen- nino centrale. Non numerose, ma tuttora tenute in pregio, sono le pubbli- cazioni di pura Geologia. Basti citarne due: Paragone della Montagnola Senese con gli altri monti della catena metallifera della Toscana; Sulla geologia del Bagno di Agiti o di Casciana nelle colline pisane. Nel campo della Mineralogia erano preferite dal D’Aghi ai; di quelle ricerche che riguardavano la genesi dei minerali e che, a mio credere, costituiscono il ramo più geniale e più interes- sante della nostra scienza. I lavori: Sulle Miniere di mercurio IX CX1V K. MANASSE in Toscana e SulV origine dell' acido borico e dei borali hanno appunto tale indirizzo. Nel primo di essi l’Autore si sofferma a parlare dei giacimenti cinabriferi di Levigliani, di Ripa, di Jano e, sommamente importante fra tutti, del Monte Andata, E prin- cipalmente dal modo di presentarsi del cinabro in rocce origi- natesi in seno alle acque, o clic subirono un metamorfismo per mezzo di acqua, ne deduce l’origine idrica del solfuro di mer- curio, quando ancora la maggior parte degli scienziati ne am- metteva la genesi per sublimazione. Nel secondo l’Autore prende le mosse da alcune osservazioni, che, in una memoria pubbli- cata nel 1877, il Dieulafait aveva fatto circa l’origine dei sof- fioni boraciferi della Toscana. Il Dieulafait ritenne che l’acido borico fosse dovuto ad un originario borato di magnesio, depo- sitato dalle acque del mare insieme al cloruro di magnesio e agli altri sali deliquescenti; e ritenne altresì che esso fosse stato messo in libertà dall’acido cloridrico, proveniente dalla decomposizione del cloruro di magnesio per azione dell’acqua soprariscaldata per il calore fornito dai fenomeni vulcanici, fi D’Achiardi invece, valendosi di una teoria del Bischof, emessa fin dal 1804, ritenne sufficiente ad originare, dai borati dei metalli terrosi, l’acido borico il solo vapore acqueo ad elevatis- sima temperatura, coadiuvato tutto al più dall’acido carbonico, escludendo così qualsiasi intervento di acido cloridrico. Ed ag- giunse inoltre che la formazione salina, da cui deriva l’acido borico toscano, non corrispondeva ai terreni saliferi miocenici, come voleva il Dieulafait, ma era da riferirsi aH’eocene, se non talora anche ad epoca più antica, secondaria. Per ciò che concerne gli studi di Cristallografia del D’Achiardi è sopratutto degna di menzione la scoperta da Lui fatta in un magnifico cristallo di cinabro, proveniente dalla miniera di Ripa, deH’emiedria dissimmetrica, che rese ragione della polarizzazione rotatoria, già notata dal Des Cloiseaux in quella specie mi- nerale. Numerose sono le memorie che riguardano la Petrografia. Fra le più importanti sono da citarsi quella: Sulla diabase c dio- rite dei Monti del Terriccio e di Riparbella; quella: Sulle rocce ottrelitiche delle Alpi Apuane ; e l’altra: Sulle rocce del Verrucano nelle calli di Asciano e di Agnano, che portò l’Autore alla con- AU.A MEMORIA DI ANTONIO d’aCHIARDI (XV «Iasione che anageniti, arenarie quarzitiche e scisti filladici non ci rappresentano che facies diverse di rocce spettanti ad un'unica formazione litica. E cito ancora quella: Sul gabbro rosso. La roccia, che con tal nome viene indicata in Toscana, era rite- nuta di origine sedimentaria e metamorfosata dalle eruzioni delle rocce serpentinose, e devesi al D’Achiaedi se potè stabilirsi che altro non era che un diabase alterato. Rientra infine nel campo della Chimica e della Fisica mi- neralogica la memoria che porta il titolo: Considerazioni sul- l’acqua di cristallizzazione, e che fu l’ultima pubblicata dal D’Achiardi. In questo lavoro, che fu scritto in risposta ad alcune osservazioni mossegli da un collega caro e stimato, dal prof, Bombicci, l’Autore espone i suoi criteri circa il modo d in- terpretare, nei diversi casi, la presenza dell acqua nei mine- rali, e prende occasione dal suo studio per discutere ampia- mente sulle teorie recenti del Doelter. dell’Ostwald, del Friedel, del Van’T Hoff, e degli altri scienziati ancora, che in questi ultimi tempi si occuparono di tale interessantissimo argomento. Fra i trattati tiene il primo posto la Mineralogia della Toscana. Lo scopo del libro è riassunto in poche parole, nella pre- fazione, dall’Autore : « Molti trattarono della Mineralogia della Toscana: chi pubblicando cataloghi dei minerali di questo o quel Museo, di questa o quella provincia ; chi egregiamente illustrando questa o quella specie; chi occupandosi a preferenza o soltanto di miniere o dei minerali utili, dimenticando o trascurando gli altri; nessuno ch’io sappia trattò diffusamente ed egualmente di tutte le specie; ond’io credei ben fatto accingermi a questi, studi per riparare a una tale mancanza, per fare almeno un primo passo verso sì fatta mèta ». E più sotto aggiunge: « Bai canto mio adunque ho fatto quel che poteva; facciano gli aliti quel che possono ciascuno per la propria collezione, ciascuno pei il proprio paese , estendendo lo studio ai minerali sia di una regione come la Toscana, sia di una provincia, sia di un solo comune, sia pur anco di una sola cava o miniera, sia- finalmente, come da taluno onorevolmente si fa, illustrando le specie italiane ad una ad una con bellissime monografie. Tanto in un modo che nell’altro giova sperare si possa un giorno conoscere un po’ piu di adesso la natura del suolo italiano ed io sarò ben lieto di CXVI F. MANASSE avervi contribuito con le mie forze ». E lo scopo dell’Autore fu tanto raggiunto, tanta diffusione diede il suo libro alle cogni- zioni mineralogiche della Toscana, che quel trattato procurò al D’Achiardi la medaglia d’oro dell’Accademia dei XL. Non inferiore è il libro dei Metalli, loro minerali e miniere , per l’esattezza e la ricchezza dei dati nelle descrizioni dei sin- goli minerali, per le notizie particolareggiate sui giacimenti ed infine per le considerazioni, non di rado originali, circa la genesi e la formazione loro. Fuchs e De Launay, parlando nella loro prefazione al « Tratte des Gites Minéraux et Métallifères » di quest’opera, ne misero molto opportunamente in evidenza l'uti- lità scientifica e la dissero preziosissima. Nella Guida al Corso di Litologia sono descritti i mine- rali delle rocce, ne sono dati tutti i caratteri per riconoscerli, e vi è adottata una classificazione semplice, basata specialmente sulla natura dei feldispati, cui in questi ultimi tempi si sono rivolti in particolar modo l’attenzione e gli studi dei petrografi. Negli ultimi anni il D’Achiardi pubblicò la Guida al Corso di Mineralogia. L’opera completa avrebbe dovuto constare di due volumi ; ma per l’immatura morte dell’Autore non ne uscì che il primo, riguardante la parte generale della Mineralogia, non rimanendo del secondo che poche pagine manoscritte. Questo lavoro rispecchia l’ingegno, la cultura vastissima del prof. D’Achiardi, poiché tutti gli argomenti riguardanti la Mine- ralogia vi sono trattati magistralmente, e sempre con criteri modernissimi. Si potrà dissentire dall’Autore, come diceva il prof. Max Bauer nella recensione che fece del libro, circa la spiegazione di certe teorie, ma nessuno potrà negare che il libro sia uno dei migliori fra quanti ne sono stati pubblicati, e che sia scritto con completa conoscenza degli argomenti. Ho accennato così di volo ad alcune opere del D’Achiardi; di altre, che ne confermano i meriti scientifici, ho taciuto per brevità di tempo. Qui basti il dire come Egli abbia lasciato più di 70 pubblicazioni, oltre a numerosi manoscritti che interessano quistioni mineralogiche o problemi geologici importantissimi. Come insegnante Egli teneva soprattutto a fare dei cultori appassionati di Mineralogia. Oratore efficacissimo, le sue lezioni erano altrettante conferenze dotte, elevatissime, esposte in forma CXVII ALLA MEMORIA DI ANTONIO D’ ACUÌ ARDI facile e piana, che avevano esplicazione pratica nel laboratorio e nelle escursioni, cui il D’Achiardi, con trasporto, spendeva non poco del suo tempo. Così Egli, sempre in mezzo ai suoi allievi, accrebbe gloria all’Ateneo pisano; così Egli, con lo stesso onore, proseguì la tradizione scientifica, tramandatagli dai suoi illustri predecessori, dal Pilla, dal Savi, dal Meneghini. È merito grande e tutto del prof. Antonio D’Achiardi se l’Università di Pisa ha oggi un bel museo mineralogico dotato degli strumenti i più perfezionati e di ricche collezioni di mi- nerali e di rocce, fra le quali primeggia quella regionale toscana, da Lui illustrata nella Mineralogia della Toscana e in varie note staccate. E nel Museo, creato da Antonio D’Achiardi, ove tutto parla di Lui, fra breve sorgerà un degno ricordo a per- petuarne il nome. Colleghi, amici, discepoli, subito dopo la morte di Lui, costituirono un apposito Comitato che già ha raccolto ovunque numerose adesioni. Ebbe il D’Achiardi non poche onorificenze pari al suo me- rito, per quanto Egli, quando lo potè, avesse cercato di schivarle, con quella eccessiva modestia che è propria degli uomini vera- mente dotti. Ho già detto come nei primi anni della sua vita scientifica avesse ottenuto la nomina a socio corrispondente MV Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti e la medaglia d’oro MW Accademia dei XL. Inoltre Egli era tra i più vecchi soci della nostra Società e più volte sedè fra i componenti il Consiglio direttivo; fu socio fondatore e segretario fino dalla fondazione della Società toscana di Scienze naturali ; socio effet- tivo della Società italiana di Scienze naturali di Milano ; socio corrispondente della Kaiserlicli-Konigliscìie Geologische Iìeichs- anstalt, di questa Reale Accademia dei Fisiocritici , Acca- demia Gioenia di Scienze naturali di Catania , della New- York Academy of Sciences , àe\V Accademia dei Lincei , àe\Y Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena. Negli ultimi giorni di sua vita gli giunse infine, graditissima, la nomina a socio ono- rario della Miner alogicai Society di Londi a. Tali i meriti scientifici di Antonio D’Achiardi. Nella ita privata Egli fu raro esempio di nobiltà d’animo. Non parlo qui dell’amore che Egli nutriva per la famiglia, per il figlio Giovanni, che dal lato intellettuale e morale, al pari che dal CXVIII E. MAX ASSE lato fìsico, è il ritratto vivente del padre suo, non di quello per i moltissimi amici e pei colleglli suoi; ma non va taciuto che Egli fu per gli studenti tutti non solo il professore, ma un padre affet- tuoso, largo sempre di consigli e di aiuti; e più volte, e in varie occasioni, sorse colla parola e cogli scritti a difendere i giusti diritti degli allievi suoi, dei giovani tutti. Pisa, che, ben conoscendolo, ne apprezzava i nobili senti- menti e le rare doti della mente e del cuore, volle dimostrargli la sua stima e la sua fiducia, affidando a Lui cariche civiche in generale più ambite; e il D’Achiakdi sede cosi per più di un ventennio nel Consiglio provinciale e nel Consiglio comu- nale di quella città, e fu anche più volte assessore della Pub- blica Istruzione. Per la nostra Società il D’Achiardi nutriva affezione gran- dissima e da lungi seguiva di continuo, e col massimo inte- resse, le buone sorti di essa. Nel decorso anno Egli prese parte al Congresso di Spezia, e, certo, molti di voi, egregi Consoci, che in quell’epoca gli foste dappresso, ammirandone ancora la forte fibra, non avreste preveduto tanto prossima la sua fine. Al ritorno da quella gita io lo ricordo soddisfatto e con- tento di avere riveduto vecchi colleglli ed amici e di essersi in- trattenuto con loro, cui lo legavano tante dolci rimembranze, tanti vincoli di affetto. Fu quella una delle sue ultime conso- lazioni, poiché dopo pochi giorni lo assalì il male che in un mese circa di sofferenze lentamente lo spense. Con somma mestizia ritorno ora con la mente ai giorni che precederono la sua morte: era un affluire nella casa di Lui di colleglli, di amici, di scolari, di conoscenti; era un domandarsi affannoso per istrada delle notizie, purtroppo non buone, mentre si cercava di nascondere pietosamente alla famiglia i tristi presagi dei medici. Ma a nulla valsero le cure più affettuose, a nulla gli auguri unanimi. A 63 anni, mentre ancora poteva dare forte contributo alla Scienza, Antonio D’Achiariu ci fu rapito. A noi tutti resta oggi di Lui un mesto ed affettuoso ri- cordo; ed in particolare a noi, suoi giovani allievi, quel ricordo sarà sprone a studio indefesso, ad amore per la Scienza. Al, LA MEMORIA DI ANTONIO D’ACHIAUDI (JXIX Elenco delle pubblicazioni del prof. Antonio D’Achiardi. 1860. Le catene del Porto Pisano restituite dai Genovesi a Pisa il 22 aprile 1860. Ode, Pisa. 1864. La Terra. Canti, pagine 240 in-8°, Pisa. 1864. Sulla Blenda di Toscana ed isole vicine. Pagine 10 in-8°. Nuovo Cimento, voi. XIX, pag. 96, Pisa. 1866. Corallari fossili del terreno nummulitico delle Alpi Venete. Parte 1% con 5 tavole; pagine 5! in-4". Memorie della Società Italiana di Scienze Naturali, tomo II, n. 4, Milano. 1867. Di alcune caverne e brecce ossifere dei Monti Pisani. Pagine 18 in-8u. Nuovo Cimento, voi. XXV, pag. 305, Pisa. 1867. Della Grotta alVOnde nel Monte Matanna (Alpi Apuane). Pagine 4 in-8°. Nuovo Cimento, voi. XXVI, pag. 32, Pisa. 1867. Corallari fossili del terreno nummulitico nelle Alpi Venete. Cata- logo e brevi note, pagine 18 in-4°, Pisa. 1867. Le grotte dei Monti Pisani. Giornale La Nazione, 24 aprile, Fi- renze. 1867. Scoperte scientifiche. Giornale La Nazione, 20 maggio, Firenze. 1868. Corallari fossili del terreno nummulitico delle Alpi Venete. Parte 2a, con 8 tavole, pagine 32 in-4°. Memorie della Società Italiana di Scienze Naturali, tomo IV, n. 1, Milano. 1868. Studio comparato fra i corallari dei terreni terziari del Piemonte e delle Alpi Venete. Pagine 74 in-4°, con 2 tavole, Pisa. 1869. Relazione sulla proposta di legge Merolda-Petilli riguardante la legislazione mineraria in Italia. Giornale Gazzetta di Pisa, 14 agosto. 1870. Sopra alcuni minerali e rocce del Perù. Pagine 24 in-8°. Nuovo Cimento, serie 2a, voi. Ili, Pisa. 1870. Sopra alcuni minerali dell Elba. Pagine 16 in-8°. Nuovo Cimento , Serie 2a, voi. Ili, Pisa. 1871. Biografia di Paolo Savi. Pagine 12 in-8°, Pisa. 1871. Su di alcuni minerali della Toscana non menzionati da altri o incompletamente descritti. Pagine 28 in-8°. Bollettino del R. Co- mitato Geologico d’Italia, anno 2°, voi. II, Firenze. 1871. Sui granati della Toscana. Pagine 18 in-8°. Bollettino del R. Co- mitato Geologico d’Italia, anno 2°, voi. II, Firenze. 1871. Sui Feldispati della Toscana. Pagine 54 in-8°, con figure nel testo. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 2°, voi. II. Firenze. 1872. Sulle ghiaie delle colline Pisane e sulla provenienza loro e delle sabbie che insieme costituiscono la parte superiore dei terreni oxx E. MANASSE pliocenici della Toscana. Pagine 12 in-8°. Bollettino del R. Co- mitato Geologico d’Italia, anno 3°, voi. Ili, Firenze. 1872. Minerali nuovi per l’Elba. Nuovo Cimento, serie 2a, voi. V e VI, Pisa. 1872. Paragone della Montagnola senese cogli altri monti della catena metallifera della Toscana. Pagine 12 in 8°. Bollettino del R. Co- mitato Geologico d'Italia, anno 3°, voi. Ili, Firenze. 1872. Sulla probabile esistenza di avanzi di antichissime industrie umane nella così detta terra gialla di Siena. Pagine 2 in-8°. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 3°, voi. Ili, Firenze. 1872. Mineralogia della Toscana. 2 volumi di pagine 276 e 406 in-8°, Pisa. 1872. I combustibili fossili della Toscana. Pagine 5 in-8°. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 3°, voi. Ili, Firenze. 1873. Cenno sui minerali cupriferi di Toscana. Pagine 8 in-8°. Bollet- tino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 4°, volume IV, Firenze. 1874. Sulla geologia del Bagno T A qui o di Casciana nelle colline pisane. Pagine 9 in-8°. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 6°, voi. V, Roma. 1874. Le zeoliti del granito Elbano. Pagine 7 in-8°, con ligure nel testo. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 5°, voi. V, Roma. 1874. Sulla calcaria lenticolare e grossolana di Toscana. Pagine 5 in-8°. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 5°, voi. V, Roma. 1874. Sulla conversione di una roccia argillosa in serpentino. Pagine 4 in-8°. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, anno 5°, voi. V, Roma. 1875. Sulla Natrolite (Savite) e Analcima di Tomaia. Pagine 3 in 8° grande. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Me- morie, voi. I, Pisa. 1875. Sulla cordierite nel granito normale dell’Elba e sulle correlazioni delle rocce granitiche alle trachiticlie. Pagine 12 in-8° grande. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. II, Pisa. 1875. Coralli eocenici del Friuli. Pagine 102 in-8° grande, con 6 tavole. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie, voi. I, Pisa. 1875. Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana. Pagine 57 in-8° grande, Roma. 1875. Discorso per le onoranze funebri rese a Pistoia a Francesco Bo- naini. Pisa. 1876. Su di alcuni minerali toscani. Pagine 7 in-8° grande. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. II, fase. 2°, Pisa. ALLA MEMORIA DI ANTONIO d’aCHIARDI CXXI 1877. Miniere di mercurio in Toscana. Pagine 19 in-8° grande con 1 ta- vola. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie, voi. UT, Pisa. 1877. Minerali toscani (Ematite, Baritina, Farmacosiderite, Pieenite, Epidoto , Spercliise). Pagine 6 in-8° grande, con figure nel testo. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie, voi. HI. Pisa. 1877. Sul progresso degli studi geologico-mineralogici. Discorso inaugu- rale per l’anno scolastico 1877-78. Pagine 27 in-8 glande. Pisa. 1878. Sulla Calcite della Punta alle Mele fra S. diario e S. Piero nel- l’isola d’Elba. Pagine 4 in-8° grande. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie, voi. IH, Pisa. 1878. Sull’origine dell’acido borico e dei borati. Pagine 20 in-8° grande. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie, voi. III. Pisa. 1878. Di un deposito lacustre che fa parte delle colline pisane. Pagina 1 in- 8° grande. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Processi verbali, voi. I, Pisa. 1878. Sulle esperienze del Bechi sull’origine dell’acido borico. Pagine 2 in-8° grande. Atti della Soc. Tose. Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa. _ 1878. Osservazioni sulle argille galestrine. Atti Soc. 4 ose. di Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa. 1879. Elogio funebre del prof. Filippo De Filippi. Giornale II ( 'ormi e dell'Arno, 14 settembre, Pisa. 1879. Osservazioni sull’origine dei gessi. Pagine 2 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa. 1879. Ossa animali e resti dell’industria umana rinvenuti in una breccia ossifera del Monte Argentario. Pagine 2 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa (In collabora- zione col dott. L Busatti). . 1879. Ocra d’antimonio del Monte Argentario. Pagina 1 in 8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa. 1879. Sabbia granatifera di Pizzo di Calabria. Pagina 1 in-8 grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa. 1879 Su di alcune particolarità di certi feldspati della Calabria e loro analisi chimiche. Pagine 2 in-8° grande. Atti Soc. Tose. Se. Nat., Processi verbali, voi. I, Pisa (In collaborazione col dott. A. Funaro). 1879. Osservazioni sulle paludi post- plioceniche ed attuali della Toscana. Pagina 1 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., 1 rocessi verbali, voi. I. Pisa. . . ft0 1879 Osservazioni sui travertini della provincia di Siena. Pagina 1 in-< grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. II, 1 isa. x ex sai E. MANASSE 1879. Nuova specie eli Trocliocyatus nella calcaria titanica di Monte Primo presso Camerino nell’ Appennino centrale. Pagine 2 in-8° grande con 1 tavola. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Memorie, voi. IV, Pisa. 1879. Coralli giurassici dell’Italia settentrionale. Pagine 80 in-8° grande con 4 tavole doppie. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Memorie, voi. IV, Pisa. 1879. Burrai e Larderei , terza perizia giudiciale. Pagine 87 in 8°, con 1 tavola. Firenze. 1880. Osservazioni sulle formazioni delle vallate nei terreni pliocenici della Toscana. Pagina 1 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. II, Pisa. 1880. Sul gabbro rosso e rocce diasprine che ri si connettono. Pagina 1 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. Il, Pisa. 1880. Sulla presenza del rame nel gabbro rosso. Pagina 1 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. II, Pisa. 1880. Minerali nuovi per l’Elba. Pagina 1 in-8° grande. Atti Soc. Tose. di Se. Nat., Processi verbali, voi. II, Pisa. 1881. Su alcuni minerali della miniera del Frigido presso Massa nelle Alpi Apuane. Pagine 8 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. II, Pisa. 1881. Coralli fossili di Asolo. Pagine 4 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi.. II, Pisa. 1882. Su di alcuni minerali toscani con segni di poliedria. Pagine 4 in-80, grande. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. Ili, Pisa. 1882. Il gabbro rosso. Pagine 3 in-8° grande. Atti Soc. Tose. Se. Natu- rali. Processi Verbali, voi. Ili, Pisa (In collaborazione col dott. A. Funaro). 1883. I metalli, loro minerali e miniere. 2 volumi iu-8° grande di pa- gine 403 e 634, Pisa. 1885. Beila trachite e del porfido quarzifero di Bonoratico presso Casta- gneto nella provincia di Pisa. Pagine 28 in-8° grande con 2 ta- vole. Atti Soc. Tose. Se. Natur. Memorie, voi. Vili, Pisa. 1885. Biabase e diorite dei Monti del Terriccio e di Pipai-bella. Pagine 9 in-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Natur. Processi Verbali, voi. IV, Pisa. 1885. Tormalinolite del Bottino nelle Alpi Apuane. Pagine 4 in-8° grande. Atti Soc. Tose. Se. Natur. Processi Verbali, voi. IV, Pisa. 1885. Poche parole su di una memoria di Bieulafait intitolala: « Nou- velle contribution à la question de l’origine de V acide borique; eaux de Montecatini ». Pagina 1 in- 8° grande. Atti Soc. Tose. Se. Nat., voi. V, Pisa. 1887. Rocce ottrelitiche delle Alpi Apuane. Pagine 16 in-8° grande con 1 tavola. Atti Soc. Tose, di Se. Nat. Memorie, voi. Vili, Pisa. ALLA MEMORIA DI ANTONIO D’ACHIARDI CXXIII 1888. Guida al corso di Litologia, un volume di pagine 435, in-8° grande Pisa. 1889. Elogio funebre del prof. Giuseppe Meneghini. Giornale II Popolo Pisano, 3 febbraio, Pisa. 1892. Le rocce del Verrucano nelle valli di Asciano e di Agnano nei Monti Pisani. Pagine 25 in-8° grande. Atti Soe. Tose, di Se. Natur. Memorie, voi. XII, Pisa. 1894. Sul bacino boratifero di Sultan-Tchair nell'Asia minore. Pagine 2 iu-8° grande. Atti Soc. Tose, di Se. Natur. Processi Verbali, voi. IX, Pisa. 1896. A proposito della cattedra di Mineralogia nell' Università di Pavia. Lettera al prof. Torquato Taramelli, Pisa. 1899. Relazione sui giacimenti ligniti feri di Monte Bamboli. Pagine lo in-8° grande con 3 tavole, Pisa (In collaborazione col prof. G. D’Achiardi). 1900. Guida al corso di Mineralogia. Un volume di pagine 339 in-8 grande, con 381 figure nel testo, Pisa. 1902. Considerazioni sull’acqua di cristallizzazione. Pagine 13 in-8" grande, Atti Soc. Tose, di Se. Natur., Memorie, voi. XVIII, Pisa. 1902. Appendice alla Guida al corso di Mineralogia, l agine < in-S grande, Pisa. DI ALCUNI GIACIMENTI S0LF1FERI DELLA PROVINCIA DI SIENA Comunicazione del prof. Dante Panta nelle La zona del miocene superiore che si estende dal Boggione (Ponte della provinciale Siena-Montevarchi) ai Carfini, per Lor- nano, Liliano e S. Quirico, stretta tra l’ eocene chiantigiano e i calcari cavernosi di Montemaggio nella j iurte media, sfumante sotto il pliocene a sud, per ricomparire a ridosso del calcare cavernoso a Monterosi dal lato opposto del gran golfo pliocenico di Siena, e che a nord seguitando ad addossarsi all’eocene del Chianti è ricoperta dal pliocene che si adagia attorno a Mon- temaggio, è ben conosciuta. Vi fu accennato da Soldani, che riconobbe essere di origine lacustre la lignite del Casino e ne fu parlato la prima volta da Capellini nel 1872 e quindi da molti altri come più particolarmente può leggersi nel mio la- voro: Sugli strati miocenici del Casino (Aecad. dei Lincei, 1879) nel quale è una cartina geologica della regione che a distanza di 24 anni reputo ancora discreta. In questa zona a Poggio Orlando (Comune di Monteriggioni) era conosciuta da tempo, la presenza dello zolfo; ma per la concomitanza di una sorgente solforosa, era stato sempre creduto che le brevi e piccole traccie superficiali di zolfo derivassero da quella o da altre disperse dal tempo, mentre era effettiva- mente dovuta ad un non piccolo giacimento di zolfo. Cinque anni fa sulla pendice NE di Poggio Orlando, a breve distanza dalla vecchia miniera del Casino (') fu aperta una cava di zolfo ed oggi la sua produzione, che non ha ancora raggiunto (’) Poggio Orlando non è segnato nella carta al 100,000; il centro della miniera corrisponde presso a poco alla parola Campo tra la Mi- niera di lignite e Lontano della carta al 100,000 dello S. M. I. GIACIMENTI SOLFIFERl DELLA PROVINCIA DI SIENA cxxv tutta la estensione possibile, è di circa trenta tonnellate al mese di zolfo raffinato. Gli strati che contengono lo zolfo sono sottoposti a quelli della lignite del Casino e forse lo sono anche a tutti gli altri giacimenti consimili della regione: sotto strati di argilla nerastra, compatta e quasi priva di calcare e che presenta già qualche raro e piccolo nucleo di zolfo, trovasi uno strato variabile, qualche volta interrotto, di gesso granuloso con brevi e più diffuse traccie di zolfo ; viene quindi lo strato solfifero propriamente detto, dove Io zolfo si riunisce in grosse masse o si diffonde in una ganga calcare; lo strato ha in media m. 1.20 di spessore; lo zolfo è amorfo e sono assai rare piccole masse di zolfo traslucide net- tamente cristallizzate. Allo strato solfifero fa seguito uno strato di calcare che nella parte superiore contiene ancora traccie di zolfo: sotto al calcare ricominciano gli strati argillosi con fossili d’ acqua dolce, già da me altra volta accennati. Tanto nelle argille del tetto come nei calcari del letto non ho potuto rintracciare alcun resto fos- sile; il calcare scuro del letto in sezione sottile ha la struttura dei calcari di concrezione ed è costituito da massecole scure amorfe collegate o intersecate da calcite cristallina trasparente. L'insieme di questi strati è lievemente inclinato a N. Attualmente sono in attività per il minerale scelto due forni di distillazione, ma è già pronto un calcarone per i residui di minor rendimento. Questo giacimento è limitato e fin d’ora si potrebbe preve- dere il numero di anni dentro il quale sara esaurito, qualora anche si porti la sua produzione ad un livello più alto, come accadrà indubbiamente coll’estendersi dei lavori ; ciò non toglie che esso rappresenti oggi un capitale rispettabilissimo per i pro- prietari i quali potranno attivamente ammortizzarlo in un tempo più o meno lungo. Un giacimento consimile ed anche questo già sospettato da tempo e accennato come il precedente nella carta del Giuli (1841) trovasi ad Arbiola presso Vagliagli; si ripetono anche in questo le stesse condizioni di Poggio Orlando; è ad un livello assai più alto ed è intercluso meno che a sud dove si perde nelle formazioni recenti, tra i calcari eocenici; è anche più limi- CXXVi D. CANTARELLI tato di quello’di Poggio Orlando e mentre questo per la sua ubicazione e per la mancanza o quasi di acqua nell’interno, non presenta serie difficoltà per lo scavo, non cosi può dirsi per quello di Arinola; forse per queste ragioni non è ancora sfruttato. Questi giacimenti ripetono la identica successione di roccie dei più classici depositi di zolfo della Sicilia e delle Romagne ; differenza unica è, che mentre altrove sono depositi effettuatisi in seno a strati marini, qui lo sono in mezzo a strati d’acqua dolce; la circostanza sarebbe suggestiva per determinare l’ori- gine dello zolfo, ma io non voglio addentrarmi ora in una di- scussione sopra un argomento che tanto e da tanti è stato trat- tato; solo rammenterò che il giacimento di Lornano o Poggio Orlando è quasi a ridosso del giacimento serpentinoso di Trasqua e che è sempre attorno ai serpentini che si hanno in Toscana le più grandiose manifestazioni endogene; il giacimento d’Ar- biola a non molta distanza (eh. 6) presenta ancora una sor- gente termale sulfurea ed è centro di un’area sismica notevole j»er il suo piccolissimo raggio. Dicendo di questa zona occorre in qualche modo rammen- tare le sue ligniti; l’antica miniera del Casino è esaurita; se ne sono aperte delle nuove a Liliano e a Fizzana all’estremo limite accessibile a nord della formazione; altre ricerche sono in corso e danno buone speranze alla Società carbonifera conces- sionaria delle medesime; sono in generale bacini più o meno limitati, isolati tra loro, dove lo strato utile può variare da 0,60 a 2 metri di spessore. Nella breve visita fatta ad alcune di esse, nella (piale come per quella di zolfo ebbi a cortese guida l’ ing. G. Pimon che (pii mi compiaccio di nuovamente ringraziare, non trovai modo di raccogliere altri fossili che pochi denti del solito Sus della vecchia miniera del Casino, regalatimi da un cottimista della cava di Liliano dove erano stati trovati. [ms. pres. 12 settembre 1903 - ultime bozze 10 ottobre 19031. SUGLI STRATI A FU SU LINA DI FORNI AVOLTRI Comunicazione del socio Michele Goiìtani. Già nel dicembre dello scorso anno annunciavo il rinveni- mento del calcare a Fusuline in posto sul Col Mezzodì presso Forni Avoltri, nell’Alta Gamia occidentale. Studiando a Bologna i pochi avanzi organici contenuti nello scarso materiale allora raccolto, potei valutarne tutta la sua importanza, e mi promisi di fare quest’anno accurate ricerche in proposito. Tanto più che da varie parti mi erano stati mossi dubbi e sollevate obiezioni, cui pareva appoggiare il fatto stesso della minuta esplorazione geologica compiuta anche recentemente da valenti scienziati nei dintorni di Forni Avoltri. E siccome gli autori tedeschi sono concordi nel segnalare le arenarie e i conglomerati di Val Gar- dena in quello stesso versante del Colle di Mezzodì, in cui io aveva rinvenuto il calcare a Fusuline , il dubbio più facile a sorgere era che io avessi scambiato per roccia in posto un aggregato di materiali di trasporto, e cioè per calcare a Fusuline un con- glomerato di Val Gardena o una breccia del tipo di quella di Uggowitz. Se non che, studiata diligentemente la località nello scorso mese, io son lieto di poter affermare che si tratta di un affio- ramento molto notevole di strati a Fusulina in posto, che si continua per 3 ehm. e mezzo e raggiunge in vari punti una potenza di oltre 200 m. ; e che non aveva errato nel ritenere che tale formazione dovesse trovarsi sulle falde orientale e set- tentrionale del Col Mezzodì, benché solo in parte esse ne risul- tino costituite. La serie più completa degli strati fusulinici si può osser- vare lungo il ripidissimo Rio Rosso, dove abbiamo, dal basso all’alto: arenarie argentine con scarsi Brachiopodi ( Spirifcr ?), CXXVJH M. GORTANI conglomerato quarzoso, calcare nerastro a Fusulina, calcare grigio a Fusulina con scarsi Cefalopodi, arenaria rossa micacea a Fu- sulina e calcare rossastro a Fusulina e Schwagerina alternante con essa. Infine un potente deposito di conglomerati e arenarie di Val Gardena sormonta gli strati permocarboniferi, qua e là con interposizione locale di una breccia simile a quella di Uggowitz. Segue una zona di dolomia cariata del piano a Bellerophon, che raggiunge la sua massima potenza sulla sinistra del Rio Lavinàl di Taglia ed è sormontata a sua volta dalle arenarie Werfeniane e dai calcari del Trias medio e superiore. Avevano quindi ragione in gran parte e il Predi di segna- lare una forte potenza di arenarie di Val Gardena sul Col Mezzodì, e il Geyer di notare un notevole deposito di calcari a Bellero- phon nella parte settentrionale della stessa montagna ; ma sotto a queste formazioni le assise fusuliniche vengono a sostenere il Verrucano e ad occupare il posto che nella carta di Frech è assegnato a scisti del Culm e ai conglomerati e arenarie di Val Gardena in contatto con essi. Posso quindi concludere ripetendo quanto già dissi nella mia nota preventiva, che cioè con l’attuale rinvenimento, oltre al- l’ estendere notevolmente la formazione carbonifera delle Car- niche, viene per la prima volta segnalato in Italia il pernio- carbonifero alpino. [ms. pres 12 settembre 1903 - ult. bozze 15 ottobre 1903]. Enrico Clerici RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI fatte nei dintorni di Siena ed al Monte Aiutata nel settembre 1903 Per la gentile condiscendenza del R. Ufficio Geologico, le note compilate del presidente Verri per servire di guida alle escursioni (*) poterono essere corredate da due cartine geologiche a colori desunte dai rilievi inediti dell Ufficio stesso, eseguiti dall’ing. B. Lotti. Al quale fu affidato l’incarico di dirigere le escursioni, essendo quegli che meglio conosce le regioni da vi- sitare. irei molti ed* importantissimi studi in esse da lui fatti. Le note suindicate, che in torma molto succosa esponevano le varie questioni inerenti alle località da visitare, furono di- stribuite ai congressisti anche in fascicolo a parte, per maggiore comodità. L’ottima organizzazione delle gite dovuta tutta al presidente Verri, la larga ospitalità e le liete accoglienze ricevute ovunque dalla numerosa comitiva fecero sì che le escursioni, benché con- trariate in parte dal cattivo tempo, riuscissero piene di inte- resse e di importanza. $ * 11 settembre. Escursione, olla Montagnola Senese ed alla Miniera delle Cetìne. Alle 6.30 si trovarono pronti a partecipare alla escursione i soci Ambrosioni, Baldacci, Brugnatelli, Chigi, Clerici, Corio, Cortese, Crema, D’Achiardi, Del Zanna, Di Stefano, Fab- C) La Montagnola Senese — Il Monte Annata. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII (1903), fase. 1°. XI cxxx ENRICO CLERICI brini, Fucini, Gortàni, Lotti, Manasse, Mariani E., Mazzuoli,. Mattirolo, Meli, Monaci, Neviani, Parona, Portis, Eoccati, Spirek, Statuti, Taramelli, Tommasi, Ugolini, Verri e Vi- NASSA. Preso posto nelle vetture, si partì uscendo da porta S. Marco, mantenendo le vetture opportunamente distanziate per evitare la molestia della polvere che non doveva mancare stante la prolungata siccità. La strada si svolge dapprima molto tortuosa e con forti pendenze attraverso un territorio accuratamente coltivato. Nei tagli lungo la strada e sul fianco scosceso di alcune colline si osservano sabbie giallastre alquanto cementate, localmente de- nominate tufo, e più oltre in alcune sezioni naturali molto più estese ed in una escavazione di mattonaia sotto le sabbie gialle si mostrano le ben note argille bigio-bluastre plioceniche. Oltre l’abitato di Basse, la strada attraversa una pianura di terreno quaternario o più recente, quindi una bassa collina di sabbia gialla di cui vi son cave a fianco della strada, e, oltre- passato Malignano, rasenta il calcare cavernoso della Monta- gnola fino a Rosìa. Dopo uno svolto appena fuori di questo paese la strada entra nello stretto vallone al fondo del quale scorre il torrente Rosìa- Si discende dalle vetture e si pon mano ai martelli. L’ing. Lotti assume la direzione e spiega il risultato de’ suoi studi su questa importante località. La sezione che il torrente Rosìa e la strada provinciale per- mettono di osservare per una lunghezza di oltre 3 km., venne fin dal 1878 pubblicata da Pantanelli e Lotti (‘) in una lettera indirizzata al Meneghini. La sezione semischematica datane in quella circostanza è qui riprodotta nella fig. 1, impiccolendola c variando le abbreviazioni per uniformarle a quelle adottate dal Lotti stesso in una pubblicazione posteriore (2) dalla quale è tolta la fig. 2. (') Sui marmi della Montagnola Senese. Boll. K. Coni. Geol. d'It., voi. IX, 1878, pag. 384. (') Nuove osservazioni sulla geologia della Montagnola Senese. Boll. E. Coni. Geol. d’It., voi. XIX, 1888, pag. 311. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXXXI Questa seconda sezione corre a un dipresso parallela all’an- damento generale dell’ultimo tratto di strada, ma a qualche distanza da questa, cinquecento metri all’incirca. Gli scisti s che dovrebbero trovar posto fra c ed m mancano in questa sezione o vi hanno potenza tanto piccola che non pote- rono dal Lotti essere segnati sulla carta dalla quale fu poi dedotta la sezione; sono attribuiti al trias superiore come i marmi. v» -4 Fig. 1. — Sezione lungo il torrente Rosia. v' — quarziti e anageniti. v — sciati violetti. ni — marmi gialli, s — scisti calcarei. c — calcare cavernoso. cg — pliocene. Il conglomerato cg di calcare retico cementato da calcare d’aspetto travertinoso, dapprima attribuito al pliocene fu poi passato al miocene essendosi altrove verificato che lo stesso con- glomerato è ricoperto dal pliocene. Altra variazione introdusse il Lotti nella formazione in (fig. 1) smembrandola in due altre, cioè separando i marmi dai grez- zoni, i quali ultimi però non si estenderebbero dapertutto sugli scisti micacei del permiano, ma sarebbero masse di forma amig- dalare. La formazione marmifera che consta di calcari cristal- lini, compatti, calcescisti e argilloscisti sarebbe collegata inti- mamente al calcare cavernoso e ai grezzoni sottostanti ma indi- pendente dagli scisti permiani coi quali sta a diretto contatto quando mancano i grezzoni. Col nome di grezzoni vengono in- dicati dei calcari grigiastri più 0 meno scuri, dolomitici, compatti 0 subcristallini, fetidi alla percossa, che corrisponderebbero a quelli che stanno alla base della formazione marmorea delle Alpi Apuane. •Terre /ite Ht^otacfUo cxxxn ENRICO CLERICI Durante la raccolta dei campioni delle varie roccie non mancò tempo per una ampia discussione sulla cronologia delle medesime, dalla quale apparve che parecchi dei congressisti erano di opinione un po’ diversa da quella del Lotti. Cosi alcuni ritengono che fra quelle roccie sia anche rappresentato il portoro , e che gli scisti interposti fra il calcare cavernoso ed i marmi corrispondono esattamente agli scisti a Posidonomya JBronni: 0 mt c s- Fig. 2. — Scala 1 a 25.000 tanto per le altezze che per le lunghezze. cj — quaternario. cff — conglomerato miocenico di calcare cavernoso. c — calcare cavernoso retico. m — calcari cristallini del trias superiore. Or — calcari criptocristallini dolomitici (grezzoni) del trias medio. v — puddinghe quarzose e scisti micacei (verruoano) del permico. fossile che però non si ebbe la ventura di ritrovare. Secondo la loro opinione la serie dovrebbe essere stabilita come segue: Conglomerati quarzosi e scisti corrispondenti esattamente al verrucano = Permiano. Calcare cavernoso e portoro — Retico. Scisti e marmi — Lias inferiore. I fossili che finora sono stati trovati nei marmi non sono in condizioni da permettere una coscienziosa determinazione; però tanto i crinoidi che le ammoniti somigliano più a fossili Rasici che ai triasici. Tale è pure il caso di un esemplare di ammonite, studiato recentemente dal Fucini (') e che potrebbe, meglio che ad altro, essere attribuito ad Arictites in senso largo. (•) Sopra l’età del marmo yiallo di Siena. Atti Soc.. Tose. se. nat., Proc. verb., 1903. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXXXI1I Pertanto i fossili accennerebbero piuttosto a porre nel lias la zona dei marmi : ma per definire la quistione bisognerebbe pure risolvere i problemi presentati dai calcari cavernosi segnati come soprastanti, i quali, per analogia colle roccie che loro so- migliano in altre località, il Lotti riferì al lietico. Giunti a Moutarrenti si salì a visitare le rinomate cave dei marmi di proprietà dei R. Conservatori riuniti di Siena, cor- tesemente ricevuti dall’avv. Carlo Periccioli, uno degli ammi- nistratori, e dal sig. Angelo Petri direttore delle escava- zioni. Oltre al famoso marmo giallo di Stona assai ricercato anche dall’ Inghilterra e dagli Stati Uniti, e la cui produzione si ag- gira dalle 7 alle 800 tonnellate annue, vi si estrae anche il giallo brecciato con vene di ematite, ed il broccatello con vivaci colori dal giallo al violaceo e una serie di varietà intermedie, e alla parte superiore della escavazione i marmi bianchi, detti marmo perla o bianco brecciato. Quindi schieratici intorno a lastroni di marmo giallo disposti a mo’ di tavole si consumò con buon appetito la colazione che il vivandiere della comitiva ci aveva preparata. Riprese le vetture si continuò la via per smontare alla mi- niera antimonifera delle Cetìne di Cotorniano. Il direttore ing. Nicolò Vinelli ci accolse con infinita gen- tilezza, e ci fornì copiose notizie sulla giacitura c sulla lavo- razione del minerale. La miniera fu aperta nel 1878. Il minerale, stibina o anti- monite, è sparso in geodi, noduli e masserelle in un calcare bigio in parte silicizzato che riposa sopra scisti permiani ed è ricoperto da calcare cavernoso non mineralizzato, a sua volta in taluni luoghi ricoperto da scisti eocenici. Si ritiene che le stesse soluzioni metallifere che hanno agito sul calcare siliciz- zandolo abbiano prodotto anche l’antimonite. Sembra che di preferenza questa sia accumulata entro una serie di fessure laterali. Dapprima si ricercò soltanto il minerale ricco, ora però dopo rimpianto di forni perfezionati si possono trattare anche mi- nerali poveri e le scorie di precedenti lavorazioni. CXXX1V ENRICO CLERICI Per il trattamento il minerale viene spartito in tre categorie: quello molto quarzoso si passa ai forni a vento e se ne ritrae l’ossido; quello con poco quarzo, ma ricco di calcare, si tratta pure ai forni a vento ma per ottenerne un ossisolfuro destinato alla preparazione di un bel colore rosso-violaceo per vernici e rivestimenti denominato Stibium ; quello polverulento costi- tuisce le terre che si trattano ai convertitori per averne ossido impuro da utilizzarsi per l’estrazione del metallo. Ai forni fa seguito un sistema di tubi a zig-zag nei quali vanno a con- densarsi i fumi prodotti nei forni ed aspirati con opportuni ventilatori. Nella prima parte dei tubi, ossia nelle torrette, si condensa l’ossido SlrO1 in croste biancastre dure la cui parte meno buona è impiegata per l’estrazione del metallo; nei tubi susseguenti si condensa l’ossido Slr 0* puro in forma di un soffice feltro di cristalli aciculari bianchissimi, che si mette in commercio tal quale. Dopo la visita ai forni si passò a vedere le escavazioni le quali attualmente hanno più che l’aspetto di una miniera quello di una grandiosa cava a cielo aperto con qualche grottone. Nelle escavazioni e specialmente in apposito materiale gen- tilmente messo da parte potemmo fornirci di numerosi campioni di antimonite in gruppi di cristalli lucentissimi, lunghi fino a 5 cm. e terminati da piramidi, associati a quarzo ialino o leg- germente giallognolo o a faccie indescenti, a selenite, calcite, eervantite, kermesite, e talvolta anche a splendidi cristallini di zolfo. In alcuni saggi l’antimonite è in gran parte o totalmente trasformata in antimonocra o stibiconite. L’antimonite di questa miniera fu già studiata dall’Artini (l) e i minerali che l'accom- pagnano dai colleglli Pelloux e D’Achiardi (2). (') Artini E., Appunti dì mineralogia italiana — Antimonite di Ce- tine. Rend. R. Acc. Lincei di se. fis. mat. e nat., voi. 3°, 2° seni. 1894, pag. 416. (*) Pelloux A., Appunti sopra alcuni minerali delle Celine di Co- torniano presso liosìa in provincia di Siena. Rend. R. Acc. Lincei, vo- lume X, 2° som. 1901, pag. 10. D’Achiardi G., Cenni sui minerali delle miniere di antimonio delle Cetine di Cotorniano. Atti della Soc. Tose. se. nat., Proc. veri)., voi. Xll, pag. 232. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXXXV Infine la direzione volle offrirci una cartolina ricordo della miniera ed un lauto rinfresco. Rimontati in vettura si cominciò il ritorno seguendo la stessa strada dell’andata ed al tramonto si era in Siena. 12 settembre. Gita a Monte Arioso. A questa gita, durata poco più d’ un paio d’ ore e diretta dal sen. Chigi-Zondadari, prese parte un numero assai ristretto di soci ; la maggior parte essendo stata maggiormente attratta dalle bellezze artistiche della città o dalla visita dei musei. Oltrepassato Torre Fiorentina ed il bivio di Fontebecci si prese la strada chiantigiana. In prossimità di Monte Arioso la strada è in trincea ed a sinistra di essa vi sono delle escavazioni pra- ticate in una formazione ciottolosa conglomeratica la quale è quasi esclusivamente costituita da pezzi anche di grosse dimen- sioni di calcare cavernoso. Lungo la strada, al locale piano di questa, affiora uno spuntone di calcare cavernoso che perciò come in altri luoghi, per esempio a Monteriggioni, sostiene direttamente la formazione conglomeratica la quale è ascritta al miocene. Fra i vari letti ciottolosi sono intercalati straterelli sab- biosi che contengono esemplari più o meno conservati di Dreis- sensia. Lasciata la strada chiantigiana si prese quella che con- duce a Vico Alto; alla destra la intera collina è costituita da argille cenerognole gremite di Dreissensia cfr. senensis; questa argilla ricopre il conglomerato poc’anzi indicato, e in prossimità di Vico Alto è ricoperta da un banco di ciottolame ad elementi prevalentemente eocenici, spettante al pliocene. A Vico Alto appare una sabbia grossolana fossilifera conglutinata, una specie di panchina, ricca di Pectuncuìus spatizzati, di grosse ostriche ed altre specie, nonché grossi ciottoli perforati da litofagi. Da Vico Alto si passò a Vico Bello, altra bellissima pro- prietà del senatore Chigi Zondadari, e nel discendere verso il fosso del Rilnogo si osservarono le sabbie gialle con fossili, pre- valentemente cerizi, in specie variamente aggruppate entro strati che alternano con altri di sabbioni sterili. CXXXVI ENRICO CLERICI Alla base della collina alla cui cima è la città, si raccolsero argille azzurre ricche di mica argentina, con Cardium Lamavcki (rr C. edule Auct.), Scrobiculavia , Ceritìtimn vulgatum Brug., C. cloliolum Broe., Potami cles tricinctus Broc., Neritina sena Cant., molte foraminifere particolarmente Piotai la Peccavi Lin., e Po- lystomeUa c vispa Lin.; e Acicularia italica Clerici, località nuova o accertata per questa specie. Quindi più in alto presso la ferrovia, risalendo la collina, s’incontrarono vari strati biancastri di calcare ora affatto pol- verulento ora alquanto più coerente, fetido allo stropicciamento, con fossili continentali; interamente solubile negli acidi emet- tendo odore di idrocarburi. Nell'esiguo residuo bruno della so- luzione non ho riscontrato, nè diatonico, nè spicule silicee di spugne. Facendo ritorno in città si raccolsero sotto le mura cam- pioni delle sabbie gialle, ivi dette tufo, per esaminarne con co- modo i minerali che le costituiscono. 13-15 settembre. Escursione al Monte Amiata. Partiti da Siena in ferrovia, con tempo piovigginoso, si giunse verso il mezzogiorno alla stazione di Monte Amiata con tempo che, accennando a peggiorare, metteva in pensiero per la buona riuscita dell’escursione. Fatta colazione, si parti subito con vet- ture alla volta di Castel del Piano. Appena oltrepassata F Orci a la strada si svolge tortuosa con salita quasi continua, dappoiché si deve vincere un dislivello di circa 500 m. Fin presso Seggiano il terreno è composto da calcari e scisti bigi dell'eocene superiore; ma il tempo non invoglia ad osser- vazioni chè a ripetuti scrosci di pioggia si aggiunge, sempre più che si sale, il fastidio di un vento freddo tanto impetuoso che pare voglia da un momento all’altro rovesciare le vetture. In- torno a Seggiano si veggono le arenarie eoceniche ed al luogo denominato la Ferriera si attraversa una espansione della massa trachitica. Si fa breve fermata per osservare la roccia di bel- l’aspetto granitoide e poiché da quelle balze scendeva zampil- RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXXXVII landò un rivoletto si vuol, senza più attendere, degustare le rino- mate acque dell’Amiata. Dopo breve tratto su terreno eocenico si giunse in prossimità di Castel del Piano. Manierino 'ùdV( r'SMJ# V'.sr///./ rf , di{Fu nic di Me Ferrigni,- la di' icma L^cf;HPA hdfe- , ' Vad'Xnriuu.iùiw na ia kè «ti et- lìti Ite ijO su )il* Fig. g. il Monte Araiata e i suoi giacimenti di farina fossile e terre bolari Scala 1 a 125,.030. /////// Formazione vulcanica (traehiti) ^ Giacimenti di farina fossile. 0t Giacimenti di terre gialle e bolari- Già alla stazione di Monte Amiata era venuto ad incon- trarci il nob. dott. Emilio Ginanneschi, che gentilmente erasi molto adoperato per la buona riuscita della nostra escursione in quei luoghi. Arrivati a Castel del Piano lumino iice\ufi dalla rappresentanza municipale e dalle associazioni con musica c bandiere. Il ff. di sindaco sig. Giovanni Ginanneschi c’invitò a recarci nella residenza comunale, dove fu letto un verbale con- sacrante la nostra visita, cui apponemmo le firme: pel quale cxxxyiii ENRICO CLERICI cortese pensiero i nostri nomi resteranno conservati nell’ Archivio di quel Municipio. Indi viene fatta la distribuzione degli alloggi e ci rechiamo partitamente a salutare e ringraziare le cortesi persone che ci offrono ospitalità. Poscia la comitiva si unisce per procedere alla visita del gia- cimento di farina fossile che trovasi appena fuori del paese. Alla cava, che appartiene alla « Société dii Kieselguhr Toscan Hemmeler, Tournier & C.ie », era a riceverci il suo direttore sig. L. Tournier. Il giacimento è formato da un piccolo bacino entro la tra- ehite, riempito da una serie di strati bianchi e bigiastri perfet- tamente orizzontali nel mezzo, e alle estremità assecondanti il fondo del bacino. La potenza complessiva è di circa m. 4,50. Al fondo vi è un po’ di detrito di trachite e al disopra un po’ di terreno vegetale. Il materiale appena estratto è assai umido e viene perciò tenuto esposto all’aria per qualche tempo sotto ripari, finche sia asciutto, quindi lo si passa ai disintegratori, e, dopo stacciatura, viene da macchina apposita messo entro sacelli addensandovelo lievemente in modo che con una tonnellata si riempiono qua- ranta sacelli del commercio. Si possono distinguere due qualità, una bianchissima della densità 0,08 ed una verdolina di densità 0,30. La farina fossile, una volta impiegata per farne mattoni re- frattari leggerissimi e nella fabbricazione di saponi, mezzi fil- tranti, dinamite, silicati alcalini, ecc., riceve ora largo im- piego nella preparazione dei mastici e rivestimenti coibenti del calore. Nei campioni presi lo scrivente ha osservato che le diatomee componenti questa farina fossile sono in prevalenza grandi si- nedre, Syncdra capitata Ehr., S. ulna Nitz., S. lonyissmia W. S., colle quali, in minor quantità, contribuiscono a formare la parti- colare facies dei preparati: Tabellaria fenestrata Kiitz., T. floc- culosa Kiitz., Odontidium mutabile W. Sm., Tctracyclus rupcstris Brami, Meridion circulare Ag., Gomphonema acumiuatutn Ehr., qualche Navicala. EpitJtemia e Iihopalodia. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXXXIX Quindi si scese alla località detta le Masmrelle ove trovasi il giacimento di terre gialle e bolari. L’escavazione vi si fa a lunghi intervalli di tempo, e, non essendo ancora esaurito il prodotto di una precedente escavazione, la cava è attualmente inattiva. Il materiale vi è visibile per una altezza piccolissima poiché la cava, per difetto di scolo, è trasformata in un la- ghetto profondo oltre 20 m. che ad ogni ripresa della lavorazione deve essere asciugato con pompe a mano. Per una coltivazione più razionale del giacimento appare all evidenza la necessita di provvedere allo scolo delle acque con una piccola galleria. Si raccolsero campioni dai materiali già estratti, i quali, prima di esser posti in commercio, vengono lasciati asciugare naturalmente, spartiti in varie qualità a seconda del colore, e messi in botticelle di legno per la spedizione. La varietà gialla è detta volgarmente terra di Siena, mine- ralogicamente ocra o ipoxantite; le varietà di color bruno più o meno scuro si dicono terre bolari e vi si distingue : bolo di 3 giallo bruno poco scuro, bolo di 2a alquanto più scuro del pre- cedente, giallone e infine bolo di 1" od ombra il più scino di tutti. Le vagliature vengono calcinate in un forno li prossimo per otte- nerne dei colori rossi di varia gradazione. Fra i vari strati si trovano interposti talvolta sottili lamine limonitiche, o ferro di palude, e piastrelle gialle tenaci a fiattuia concoide, simili a resinite. Avendo domandato ai signori LLotel lini e Notari che ci ac- compagnavano nella visita ed agli operai se durante le esca- vazioni si trovassero fossili oppure manufatti, ci fu ìisposto che di questi in passato se ne sarebbe rinvenuto taluno ma non si poterono dedurre altri particolari che valessero a toglieic il dubbio che tali notizie siano ancora il ricordo di quelle già rac- colte e riferite dal D’Achiardi Q). Alla sera si sedette insieme alle autorità ad un lauto pranzo offerto da un comitato cittadino, e servito da graziose ragazze del paese. (r) D’Achiardi A., Sulla probabile esistenza rii avanzi di antichissime industrie umane nella cosi detta Terra gialla di Siena. Boll. d. R. Coni. Geol. d’It., 1872, pag. 825. CXLII ENRICO CLERICI Le anime di sasso sono spesso (piasi completamente isolate dalla trachite che le avvolge ed il Micheli, che fu tra’ primi a riconoscere la natura vulcanica del Monte Andata, notò che esse stanno « in modo appunto come se ambidue le cose, cioè la pietra, e l’ Anime fossero state liquefatte dal fuoco, e che nel raffreddarsi, l’una e l’altra, si fossero contratte» (1). E poiché si è rammentato il Micheli, è da aggiungersi che egli in alcuni de’ molti inclusi raccolti riconobbe la grafite, allora denominata Lapis plunibarius, al (piale proposito il Targioni 'Pozzetti aggiungeva che « ben’ esaminata non pare produzione di Fuoco, cioè non pare materia fusa, o decomposta, ma pura- mente rottami di filoni o Vene di vero e naturale Lapis Piom- bino, originario materiale delle viscere della Montagna, spaccati e scagliati fuori dalla veemenza del fuoco, indi scantonati nel rotolare giù per le pendici traila Lava Granitiforme, la quale poi nel raffreddarsi gli abbia imprigionati come ora vi si trovano» (2). Degli inclusi raccolti ed esaminati in sezione sottile ne accenno uno di tipo andesitico con molta augite, e quelli gra- fitici contenenti molti ottaedrini di spinello verde. Verso i 1000 m. di altitudine il sentiero seguito dalla co- mitiva passa in una incassatura nelle cui pareti la roccia è alterata in modo che si sgretola assai facilmente colle mani: nei campioni d’essa colla separazione meccanica si possono ritrarne cristallini interi di biotite, di ipersteno, di zircone, di magnetite e di ferro titanato (ilmenite o menaccanite). In un mio preparato si scorgono anche piccole masserelle di cinabro. La biotite è di color giallo bruno intenso, quasi nero anche sotto piccoli spes- sori, il zircone è in cristalli incolori, pieni di inclusioni a cri- stalli negativi o a bolla, allungati secondo l’asse principale al- Fincirca 200 a, un cristallo misura SOOX^Op- I grani atti- ragli da un ago magnetizzato sono relativamente scarsi, più abbondante sembra essere il ferro titanato. (*) (*) Relazione del viaggio fatto l’Anno 1733 dal dì 22 Maggio fino a ’ 21 Giugno per diversi luoghi dello Stato Senese dal celebre hottanico Pier’ Antonio Micheli e dal signor dottore Gio. Battista Mannaioni, in Targioni Tozzetti G., Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, 2a ed., t. IX, Firenze, 177(1, pag. 3G8. (2) Targioni Tozzetti G., Relazioni, ecc., op. cit., t. X, 1777, pag. 40. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CX LI 1 1 In quei dintorni la tracliite si presenta a grossi cristalli di sanidino, staccabili dalla massa, per solito appiattiti secondo (010), geminati, aventi fino a 4 cui. di massima dimensione, identici a quelli clic raccolgonsi nel Viterbese. Alcuni cristalli sono fragi- lissimi e quando vengano frantumati forniscono cristallini di biotite, ipersteno, zircone, magnetite e ilmenite, che vi si trova- vano allo stato di inclusi. A 1100 in. cambia l’aspetto della vegetazione ed i castagni cedono il posto ai faggi; man mano che saliamo la nebbia si dilegua, le minacciose nubi s’innalzano esse pure, la vetta ormai si discopre e qualche raggio di sole viene ad animare lo splen- dido paesaggio. A 1350 giungiamo ad un prato pianeggiante detto Pian delle Macinale ; quivi ci aspettava il consocio ing. àmmann, direttore delle miniere di Abbadia S. Salvatore, che era gentilmente venuto ad incontrarci. Insieme si visita poco distante dal prato il luogo ove la roccia è cavata per lame macine d’onde il nome dato alla località ('). 11 Santi visitò pure questa località e dette un’analisi chi- mica molto semplice della roccia (2). Questa venne studiata petrografìcamente dall’ Artini nel 1892, su campioni raccolti dal Verri, e denominata andesite augitica (3). È di color grigio scuro, assai bollosa, (piasi scoriacea, con cavità allungate, rivestite di patina giallastra e di minutissime sferette bianche forse zeoli- tiche; ha plagioclasio a struttura zonata, molta augite, poca biotite con orlo di magnetite. In un preparato ho rimarcato un piccolo incluso, ben distinto per struttura dalla roccia che lo involge, e che per l'aspetto complessivo e per i molti ottaedri di spinello verde che contiene richiama gli inclusi grafitici già ricordati. La piccola comitiva, dopo una breve fermata per la cola- zione, si suddivide in due gruppi : Gobio, Del Zanna, Gortani, Vinassa, col sig. Monaci si diressero verso la cima dell Amiata, Nella carta al Viooooo delPI. G. M. non é indicato il Piano delle Macinate; esso corrisponde al luogo dove é segnata la C. del Guardiano. (2) Santi G., Viaggio al Montamiata. Pisa, 1795, pag. 137. (3) Artini E., Appunti petrografia sopra alcune roccie italiane. Pend. Ist. Lombardo, XXV, pag. 1140. CXl.IV ENRICO CLERICI La Crocina, osservando per via la trachite rossastra, e di lassù ebbero agio di ammirare l’estesissimo panorama che comprende il Cimino, il Gran Sasso, le Alpi, Apuane, 1 'Arcipelago Toscano, il Monte Argentario. Gli altri guidati dall’ing Ammann proseguirono verso Ab- badia S. Salvatore. Si videro esempi, ancora migliori di quelli incontrati nella strada già percorsa, di trachite che per l’azione delle intemperie si mostra nettamente stratificata, tanto che po- trebbe credersi di avere a che fare con un tufo. Tale accenno di stratificazione che ha richiamato l’attenzione di tutti gli os- servatori. può dipendere dalla struttura Guidale della trachite. 11 presidente Verri nelle sue escursioni ha notato che la trachite con apparenza stratiforme si vede di preferenza alla base della formazione presso il contatto colle rocce eoceniche. In una cava sotto Casa Monduccio presso Pian Castagnaio vide che la struttura a falde non s’interna nella massa e nemmeno è continua nel senso longitudinale, mostrando talvolta una in- terruzione nella quale la roccia appare omogenea ed a volte nella interruzione si trova qualche grossa anima di sasso. Dopo breve cammino si giunge ad un ciglione dal quale si discopre non solo la valle del Paglia come in planimetria; ma una veduta estesissima nel cui sfondo sono il Gran Sasso e le più alte cime dell’Appennino. Si scorgono distintissimi il lago Trasimeno colle sue isole, il lago di Chiusi, quello di Bolsena, il Monte Cimino, il Soratte. Da questo lato l’Amiata presenta parecchi dirupi a picco e scoscendimenti dovuti certamente a gigantesche frane. Infatti masse trachitiche imponenti si distaccarono per difetto di sta- bilità della base ricca di acque e si trovano scivolate verso la vallata; e a primo aspetto si direbbero masse in posto, ma con osservazioni più accurate e specialmente coi dati forniti dalle escavazioni fatte per ricerche minerarie si desume che quelle frane si produssero in epoca relativamente recente avendo rico- perto detriti superficiali contenenti pezzi di cocci e di carbone vegetale (1). (') De Ferrari P., Le miniere di mercurio del Monte Andata, Min. agr. imi. e coni., 1890, pag. 129. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXLV Dopo una rapida discesa si giunge al terreno ecocenico, cal- care e scisti argillosi, e, poco oltre, alla Acqua Passante, sor- gente di acqua acidulo-solfurea il cui nome è dovuto alla pro- prietà die avrebbe di essere sollecitamente smaltita da chi la beve. Presso V Acqua Passante vi è rimbocco di una galleria mi- neraria nel quale una piccola sezione mostra dal basso in alto: 1- argilla bigia derivata dal calcare eocenico; 2 - argilla nera con resti vegetali macroscopici e molte diatomee fra cui Vanlieur- ckia rlioniboides Breb. var. crassinervia, Navicala major Kiitz., X. viridis, Kiitz., N. borealis, Kiitz., N. divergens W. Sm. var. undulata, N. elliptica Kiitz., Epithemia rupestris W. Sm., Eunotia arcus Ehr., ecc.; 3 - uno strato di parecchi centimetri di torba giallognola, leggera, per intero costituita da pianticelle di muschi, nella quasi totalità Sphagnum acuti fot inni Ehr. var., con qualche diatonica intramezzata. In un fosso vicino mostrasi un’altra sezione molto più estesa nella quale si alternano ripetutamente strati bianchi leggeri, strati di ocra gialli e bruni, straterelli giallognoli di muschi ed in fondo anche di lignite, che nel loro complesso rappre- sentano qualche cosa di intermedio ai giacimenti di farina fos- sile e di terre bolari. Però gli strati bianchi non sono di farina fossile ma di argilla caolinica e contengono pochissime diato- mee; gli strati torbosi e limonitici ne contengono di più. Riunite le varie squadre si procede alla visita della Mi- niera, a gruppi guidati dalPing. Ammanii e dal capo servizio sig. Ugo Grida. Da molto tempo dovette esser noto che nei dintorni di Ab- badia S. Salvatore esistessero materiali cinabriferi: ma veri lavori di ricerca per scoprire la sede del giacimento non furono iniziati che nel 1847 e ripresi con maggior lena nel 1873. Ma il terreno franoso e la grande quantità di acque incontrate nei lavori resero questi assai difficili, costosi e poco proficui per lo scopo pel quale erano iniziati. Nel 1879 si costituì una Società anonima' delle miniere di mercurio del Monte Amiata che, provvista di adeguati mezzi, si pose all’opera con grande attività e con successo. Si scoprì XII CXLVI ENRICO CEERlCt che fra una enorme frana di trachite e le sottostanti roccie eoceniche esiste una massa caotica compenetrata di cinabro e costituita da materiale argilloso con frammenti di calcari e scisti eocenici, di scisti e calcari rossi senoniani, scisti calcari e diaspri liasici, tutti più o meno mineralizzati. Questo ammasso detritico e sconvolto può rappresentare in parte il detrito roccioso prodotto da denudazione anteriore all’emissione della trachite, in parte lo sfacelo dovuto alla frana. Il fatto di avervi trovato roccie calcaree e scistose ad Apfy- chus e Posidonomya Bronni identiche a quelle del vicino monte Zoccolino e del Cornacchino, lascia supporre che nel rilievo Amiatino esista in posto anche la serie dei terreni liasici che doveva essere allo scoperto prima della eruzione trachitica; e quindi appare sempre più improbabile l’esagerato spessore di un migliaio di metri assegnato da qualche autore alla massa tra- chitica, la quale invece si riversò su terreno già notevolmente elevato ed in denudazione e colle successive colate deve aver raggiunto forse un centinaio di metri al più. È a questo proposito da rammentarsi che il Verri (*) fin da oltre un decennio, riteneva esagerato anche lo spessore medio di 100 m., con che il volume delle tracliiti eruttate non sarebbe minore di 8800 milioni di metri cubi. Tenendo conto di varie osservazioni all’esterno e degli im- portanti risultati ottenuti colle escavazioni minerarie l’ingegnere Lotti C) costruì una sezione alla scala di 1 : 25000 che venne qui riprodotta nella fig. 4 riducendola a 3/., che va dalla cima dell’Amiata ad Abbadia. La massa caotica cinabrifera ha spessore molto variabile da un punto all’altro, ma raggiunge anche una cinquantina di metri. Il fatto di aver trovato che anche strati di calcare num- mulitico fortemente corrosi da acque acidule sono compenetrati da cinabro, mentre sono sterili i calcari non alterati, è di con- (') Verri A., Note a scritti sul pliocene umbro-sabino c sul vulca- nismo tirreno. Boll. Soc. Geol. It., voi. Vili, pag. 42*1. (2) Lotti B , Sulla probabile esistenza di un giacimento cinabrifero nei calcari liasici presso Abbadia S. Salvatore (Monte Annata). Boll. tì. R. Coni. Geol. d'It., voi. XXXII, 1901. pag. 210. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXLVII ferma all’ipotesi sull’origine del cinabro, che soluzioni solforiche metallifere circolanti, venendo a contatto coi calcari, ne abbiano asportato la parte solubile lasciando la parte argillosa, la quale ha ricoperto e protetto da una ridissoluzione il cinabro che an- dava separandosi. In seguito acque circolanti trascinando mec- canicamente particelle di cinabro poterono depositarlo nelle frat- ture delle roccie compatte, oppure nelle porosità della trachite. ri ti o • S 2 3 3 Fig. 4. — Sezione dalla cima del Monte Annata ad Abbadia S. Salvatore. 7 ’ — trachite. I — deposito lacustre stratificato. ea — deposito caotico cinabrifero se — scisti argillosi e calcari marnosi (eocene). a — arenaria (eocene). n — calcare nummulitico con letti di scisti grigi e rossastri (eocene). sr — scisti argillosi, calcari rossi e diaspri (senoniano). sv — scisti argillosi varicolori con Posiclonomya Bronni ed Apthychus (Lias sup.). c — calcari grigi marnosi con P. Bronni (Lias superiore). cls — diaspri verdi, violetti e giallastri (Lias superiore). La nostra visita nelle gallerie e le spiegazioni dateci, oltre che a mostrarci la disposizione generale dei lavori e l’abbatti- mento del minerale dovevano servire di efficace dimostrazione alla genesi del minerale. Raccogliemmo campioni dei calcari inalterati : di calcari con tracce di cinabro nelle fenditure e argille variamente ricche di cinabro. Stemperando l’argilla con acqua ed asportando con oppor- tuna lavatura le parti più leggere si può agevolmente separarne il cinabro il quale si presenta più spesso in masserelle cristal- line o gruppi di piccolissimi cristalli confusi fra loro, o mal CXLVIII ENRICO CLERICI sviluppati, di color rosso ed opachi ; non vi manca però qualche piccolo cristallo rosso vivo, limpido e d’abito romboedrico con faccie splendenti. Insieme alle masserelle di cinabro si trova nel residuo pe- sante, una notevole quantità di cristalli di marcasite in forma di lamelle romboidali, lucenti, striate, isolate o raggruppate in stelle o inframezzate col cinabro dimostrando che i due mine- rali si formarono contemporaneamente. i Fig. 5. Pinus lurido Poir. Formazione lacustre pressso Abbadia S. Salvatore. Dopo le gallerie si visitò un’ampia escavazione all’aperto ove, sulla trachite della frana già menzionata, sta una forma- zione sedimentaria lacustre o di torbiera ; costituita dalla suc- cessione di parecchi strati bianchi, bigi, bruni, giallognoli e neri. Quelli bianchi sono di argilla eaolinica e contengono rare diatomee. Alcuni straterelli giallognoli sono costituiti da pian- ticelle di muschi ora tutto Sphagnum acutifolnm Ehr., ora Phynchostegium striatuhm De Not.; alcuni neri sono di lignite, e fra questi ve ne ha che contengono molte diatomee, muschi, foglie aciculari appaiate e molto polline di Pinus, strobili di Pinus ì arido Poir. (fig. 5), e di Picca excelsa De Cand. od abete RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CXLIX rosso (fig. 6) che attesterebbero in quel luogo una vegetazione un po’ diversa della attuale. Uno strato sabbioso bigio contiene frammenti di foglie e di frutti di Castanea vesca Gaertn. _ Fig. 6. Picea excelsa De Cand. Formazione lacustre presso Abbadia S. Salvatore. Si passò di poi a visitare i forni pel trattamento del mi- nerale. Vi sono due grandi forni Cermak— Spirek capaci di 24 ton- nellate al giorno; due piccoli per 2 tonnellate e due forni a torre Spirek da 6 tonnellate. L’argilla cinabrifera dopo essere stata asciugata all’aria op- pure artificialmente, viene divisa in due categorie passandola sopra piastre con fori da 35 nini, di diametro. Il minerale in CL ENRICO CLERICI pezzi più grossi dei fori si tratta ai forni a torre insieme a 2 per cento di carbone vegetale, immettendovelo da traiuoggie a chiusura idraulica che non permettono alcuna fuga di gas. Il minerale minuto è portato ai forni Cermak-Spirek, ali- mentati a legna, ove automaticamente per effetto della gravità cade, si suddivide e si rimescola attraverso più serie di ele- menti di terra cotta in forma di tettoia, costituenti vie a zig e zag. mentre è investito dalle fiamme e prodotti della combu- stione che salgono. I forni sono connessi ai condensatori formati da tubi di ghisa e di terracotta bagnati esternamente con getti d'acqua per raffreddare i gas provenienti dai forni, e pescano entro va- sche di legno riempite d’acqua nelle quali si deposita una miscela di mercurio metallico ceneri, fuliggine e particelle di minerale. L’acqua delle vasche trattiene anche sali ammoniacali, ani- dride solforica e solforosa, idrocarburi, ecc. Le più piccole par- ticelle di fuliggine e di mercurio che possono essere sfuggite si depositano passando, con piccolissima velocità, entro canali a gelosie dimodoché i gas aspirati da un ventilatore e poi espulsi da un camino non sono composti che di aria, azoto, anidride carbonica e ossido di carbonio. Le miscele nerastre di mercurio e fuliggine, dette appunto neri, si rimescolano in un separatore meccanico con un po’ di calce. Se ne ottiene mercurio che scola da un tubo ed un re- siduo formato di pallottole ricche di mercurio che si tratta ai piccoli forni. Il mercurio è portato alla sala di deposito ove con una pompa è immesso in quantità esattamente pesata (Kg. 34,5) nelle bombole di ferro pel commercio. Terminata l’interessante visita si procede alla distribuzione degli alloggi in paese ed alla sera, in una sala del palazzo dell’Amministrazione, gaiamente adornata di festoni e bandiere italiane e germaniche, ci fu offerto un sontuoso banchetto. ❖ La mattina del 15, si distaccano dalla comitiva i soci Di Stefano, Mariani, e Parona che vanno a vedere le formazioni mesozoiche del Poggio Zoccolino ; gli altri partono da Abbadia RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CLI S. Salvatore colle vetture, prendendo la strada di Pian Castagnaio. Il tempo è ancora cattivo, ma si spera che non vorrà recarci troppa molestia. La strada è quasi tutta suH’eocene, e soltanto in vicinanza di Pian Castagnaio entra nella traehite. Presso C. del Piccini si discende in Un campo a sinistra della strada per esaminare, alla quota di 750, un piccolo lembo di pliocene ricoprente i calcari marnosi eocenici, testimonio di un giacimento molto più esteso distrutto dalla denudazione per il suo piccolo spessore. Sono sabbie argillose e sopra una brec- ciuola minutissima, giallognola, alquanto cementata, fossilifera. I fossili però sono quasi sempre mal conservati ed allo stato di impronte. Si trovarono: Strombus coronatus Defr., Pecten scabrelìus Lamk., Pecten inflexus Poli, Ditrupa, radioli di echinodermi, ostriche aderenti a rilegature spatiche del calcare eocenico. Sotto il paese, lungo la strada che scende al Paglia, si vide un altro piccolissimo lembo di pliocene argilloso con gesso, ed un grosso blocco di calcare perforato da litofagi, in gran parte spezzato per inghiaiare la strada. Questi due lembi di pliocene sono molto importanti perchè tanto vicini alla traehite, sia nel senso orizzontale, sia in quello verticale, che non lasciano dubbio di essere anteriori ad essa, con che l’età postpliocenica della traehite viene confermata. La brecciola sopraindicata non contiene infatti ciottoli macroscopici di traehite ; e stritolata e lavata ed esaminata colla lente nep- pure ve se ne rintracciano pezzi minutissimi. Eliminando la parte calcarea con un acido diluito e la finis- sima argilla con le lavature, nel residuo sabbioso dovrebbero trovarsi, qualora la traehite fosse preesistita, dei cristallini o dei frammenti di quei minerali, per esempio l’iperstene, che se ne possono isolare quando la traehite sia caolinizzata od altri- menti alterata. Il residuo sabbioso è quasi affatto quarzoso, à i ho notato ciottolini di arenaria bigia, cristallini di quarzo, pez- zetti di piromache, e qualche raro cristallino di tormalina. In sezione sottile vi si scoprono inoltre molte foraminifere, frammenti di altri fossili, e molta calcite. OLII ENRICO CLERICI Festosa accoglienza si ebbe dalla popolazione di Pian Ca- stagnaio, venuta ad incontrarci fuori del paese con musica e bandiere e con le autorità. Nella sala del Consiglio ci fu offerto un vermouth d’onore ed una serie di cartoline illustrate con vedute del paese. L’illustre prof. Giacomo Earzellotti, incaricato dal sindaco sig. Carlo Barbini che aveva dovuto assentarsi per urgenti mo- tivi di famiglia, salutò i geologi con elevato discorso. Secondo il programma le vetture con una parte dei soci si sarebbero dovute recare alla Miniera del Siele mentre gli altri, seguendo strade campestri, avrebbero visitato prima gli impor- tanti affioramenti di roccie ofìolitiche. Ma questa parte de! pro- gramma, con molto dispiacere, non fu potuta svolgere a causa del cattivo tempo. Quindi tutta la comitiva partì in vettura per la strada di S. Fiora la quale rasenta quasi sempre il limite fra la trachite e l’eocene rappresentato prevalentemente da are- narie. A Villa Pinzuto, per gentile consenso del proprietario, si fece fermata per governare i cavalli e per consumare al co- perto la colazione preparata dal vivandiere; mentre pioveva a dirotto. Al Bagnolo, cessata la pioggia, si fece altra fermata per dare agio a coloro che avevano fatto la traversata dell’Amiata, di vedere il giacimento di farina fossile. Anche qui si tratta di un piccolo bacino riempito da una pila di strati bianchissimi e bigiastri variamente alternati, tutti paralleli fra loro, alcuni potenti qualche decimetro, altri invece più sottili di un millimetro. Al fondo dello scavo appare, stra- tificata in concordanza, un’ argilla cenerina racchiudente iilliti, delle quali non fu possibile prendere buoni campioni essendo tutta inzuppata. In tutti i campioni raccolti abbondano le Ct/clotellao. Esa- minati parecchi dei sottili straterelli alternativamente chiari e bigi non ho potuto rilevarvi una sensibile differenza. Anche l’argilla tripolacea inferiore contiene molte Cyclotcllae con poche altre specie: Gomphonema acuminatimi Ehr., Melosir a granulata Ehr., ecc. Un grosso strato bianchissimo assai puro è straordi- RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CLI1I nanamente ricco di specie grandi e piccole insieme mescolate; delle quali più particolarmente si lasciano notare nei preparati : Ampi torà ovalis Kiitz, Cymbella lanceolata Ehr., Navicala major Kiitz., Gomphonema acuminatimi Ehr., Epithemia turgida Kiitz., E. granulata Kiitz., E. sorex Kiitz., Rhopalodia giòia Kiitz., Synedra capitata Ehr., Fragilaria binodis Ehr., Cymatopleura solea Breb., Melosira varians Ag., Cyclotella compta Ehr., C. compia var. radiosa Gran., Stephanodiscus astraea Kiitz. (raro). Vi sono inoltre, come nella farina fossile di Castel del Piano, spiente di Spongilla lacustris Johnst. Al pari delle terre bolari, è da gran tempo nota la farina fossile Amiatina, chiamata dapprima Lac Lunae, e cave di tali materie furono visitate già dal Micheli, dal Santi e da altri. Ma l’origine della farina fossile restò per molto tempo sco- nosciuta: Targioni Pozzetti a proposito di quella raccolta dal Micheli non sapeva « veramente assicurare se questo Latte di Luna riconosca la sua origine dall’antico Vulcano oppure sia una produzione primigenia della Natura » (’). Il Santi avendo osservato che il peperino alterandosi dava luogo ad una terra biancastra, pensò che « ({nella terra bianca del Peperino sepa- rata, trasportata dalle acque e poi depositata abbia appoco appoco dato origine a quei strati di Farina tossile » (')• Ehrenberg fece conoscere la sua natura organica e illustrò le spoglie di organismi rinvenuti in quella di S. Fiora della quale parecchi anni prima il Klaproth aveva latta l’analisi chi- mica (3). JD’allora in poi tutti i diatomologi ne posseggono pre- parati. Molti hanno detto e ritengono che i giacimenti di tarma fossile del Monte Andata si devono a sorgenti termali silici- (d Targioni Pozzetti G., Viaggi, ecc., op. cit., t. X, pag. 60. (5) Santi G., Viaggio al Montamiata, op. cit, pag. 104 e 238. (3) Bericht k. pr. Akad. cl. Wissensch. zu Berlin., J. 1836, pag. 53. — Uebersicht der bis 1837 békannten mikroscopischen fossilen Organismen, Abhandl. k. Akad. d. Wissensch. zu Berlin, J. 1836. Berlin 1838, ta- bella a pag. 132. — Mikrogeologie, tav. VI, 1. CL1V ENRICO CLERICI fere. Può ammettersi senza difficoltà che acque termali tenes- sero in soluzione grande quantità di silice assimilabile e perciò potessero fornire una condizione propizia alla vita di innume- revole quantità di diatomee; ma occorre notare che dall’esame delle molteplici specie non appare comprovato che l’acqua di quei bacini , ora riempiti da farina fossile, avesse temperature sensibilmente maggiori di quelle alle quali possono andar sog- gette le acque dei nostri laghi. Il dott. Forti confrontando le specie da lui riscontrate in un saggio di farina fossile di Castel del Piano con quelle rin- venute daH’Ehrenberg nella farina di S. Fiora, dice che ambedue i saggi « mostrano chiaramente come il bacino, che doveva for- mare il cratere del monte Andata, andò soggetto ad un pro- sciugamento graduale, non dovuto quindi a nessuno sconvol- gimento sismico di una qualche intensità » (*). Ma considerando la topografia e altimetria dei luoghi, op- pure esaminando la fig. 3 si deduce che i giacimenti di farina fossile stanno alla periferia della formazione vulcanica e quindi non rappresentano il riempimento del cratere. Del resto resi- stenza o meno di un cratere ed altre simili conclusioni geologiche non possono ragionevolmente dedursi dal solo esame, per quanto accurato, di un campione. Per le terre bolari gli autori sono concordi nel ritenerle originate da depositi di acque minerali ferruginose: ma potrebbe avervi influito l’attività di organismi che, come la Leptothrix och vacca, decompongono le soluzioni di sali di ferro. Nei campioni di terre gialle e bolari raccolti alle Mazza- relle (Castel del Piano) e alla Sega (Areidosso) ho ricercato se vi fossero diatomee e ne ho constatata la presenza soltanto nel più basso materiale della cava alla Sega, che contiene altresi detriti di trachite, colle specie: Cymbella lanceolata Ehr.. Stau- roneis phoenicenteron Ehr., Navicala major Ktttz., Gomplioncma acuminatum Ehr., Epithemia turgida Ktttz., ecc. (') Forti A., Contribuzioni diatomologiche (I-II1) - Diatomee dello farina fossile di Castel del Piano. Atti R. Ist. Veneto di se., lett. ed arti, LVIII, 1899, pag. 470. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CLV Da S. Fiora in poi la strada è tutta suireocene. Presso il poggio del Nibbio la comitiva viene incontrata dagli ingegneri Rosselli e Spirek e si divide in due gruppi: uno prosegue di- rettamente fino al Siele; l’altro, con cavalcature messe a nostra disposizione dall’ing. Rosselli, die fa da guida, si reca alla valle delle Solforate. Quivi si osserva una putizza e poco oltre importanti lavori di ricerca del minerale cinabrifero eseguiti dalla ditta Rosselli ne’ quali il giacimento si presenta come al Siele in due banchi di calcare alberese alterati e mineralizzati. Vi raccogliemmo campioni di calcare eocenico alterato e cro- stoni con gesso, solfuro di ferro concrezionare e cinabro. Continuando ancora per poco la briosa cavalcata si giunse alle ore 15 alla miniera, che prende il nome dal torrente Siele su cui trovasi. I giacimenti cinabriferi del Siele dovettero essere conosciuti fin da epoche antichissime, poiché vi si rinvennero traccie di escavazioni e cunicoli con armature latte con tronchi di abete non squadrati ed in queste si trovarono pure oggetti in selce e rocce dure ; ma la coltivazione della miniera e la costruzione dei forni pel trattamento del minerale non rimontano che al 1846-49, dapprima sotto la direzione del Bonaventura poi del Caillaux e del Burci ai quali si deve pure la redazione di im- portanti rapporti sulla miniera. Dal 1865 la miniera appartiene alla ditta Angelo Rosselli di Livorno e da parecchi anni è di- retta dall’ ing. Spirek inventore dei forni che permettono di trattare tutto il minerale anche il più povero. In questa miniera è stata riconosciuta 1 esistenza di due banchi di calcare alberese, detti banconi , intercalati a scisti ga- lestrini e di potenza variabile, andamento un po’ irregolare e attraversati da due sistemi di fenditure. Le soluzioni metallifere agendo sul calcare ne hanno sepa- rata un’argilla bigia o nerastra, alquanto plastica detta biocca, ohe involgeva e tratteneva il cinabro mentre andatasi toi- mando. Per l’azione dissolvente delle soluzioni sul calcare, si pro- dussero in questi dei canali o gole che riempite di aigilla ci- CLV1 ENRICO CLERICI imbrifera costituiscono, per così dire, colonne di minerale le quali chiamansi trombe se sono tutte nel calcare, e fossoni se sono limitate in parte dal calcare in parte dai galestri. Queste varie modalità ci vengono mostrate nella visita sotterranea nella quale abbiamo a guida gli ing. Rosselli e Spirek che in modo impareggiabile ci spiegano tutti i più minuti particolari. Raccogliemmo campioni variamente ricchi di cinabro, alcuni, straordinariamente ricchi, residuo di precedenti escavazioni. L’argilla, come quella raccolta alla miniera di Abbadia, contiene il cinabro in masserelle cristalline opache insieme a molte lamelle di marcasite. Un campione apparentemente argilloso ma non stemperabile nell’acqua, trattato con acido per sciogliere il carbonato di calcio, m’ha fornito bellissimi cristallini di cinabro limpidi e trasparenti e di abito romboedrico con piccole facciette ai ver- tici, raggiungenti 4 in di inni. nella massima dimensione. La formazione del cinabro è spiegata dall’ ing. Spirek nel modo seguente: una soluzione solforica, acida, con sali di mer- curio, ferro e metalli alcalini, ed acido solfidrico giunge a con- tatto coi calcari contenenti da 10 a 30 °/0 di argilla. Si forma solfato di calcio, argilla e si libera anidride carbonica. Si for- mano pure polisolfuri alcalini ed alcalino-terrosi i quali pre- cipitano dalla soluzione, divenuta neutra per saturazione del- l’acido solforico, il solfuro di mercurio cristallizzato, e passano allo stato di monosolfuri. Ora il monosolfuro di calcio, che ha la proprietà di formare col cinabro un sale doppio solubile, tenderebbe evidentemente a ridiscioglierc il cinabro precipitatosi, qualora non vi fosse l’argilla che lo involge e lo protegge. Le acque circolanti arricchite di anidride carbonica, possono ingrandire le cavità formate nei calcari e caricarsi di bicar- bonato di calcio, e trascinare meccanicamente particelle di cinabro, che poi depongono insieme alla calcite in altre roccie permeabili in giacimenti secondari. L’ing. Spirek ritiene che la soluzione solforica mineralizzante abbia avuto origine dalle serpentine ('). (’) Spirek V., La formazione cinabrifera del Monte Annata. Ras- segna mineraria voi. VII, 1897; voi. XVIII, 1903. RESOCONTO SOMMARIO DELLE ESCURSIONI CLVII La miniera ha sei ordini di gallerie. Si visitarono quelle del 3° piano che sono a 148 m. di profondità, quelle del 4° a 178 m. e quelle del 5° a 208 ove trovasi una putizza manifestatasi soltanto dopo qualche tempo che la galleria era stata scavata. Si notò come la miniera sia tenuta asciutta e ben regolata la circolazione dell’aria, allo scopo di impedire l’ossidazione del solfuro di ferro ed altre reazioni con gli inconvenienti che ne conseguono. Tornati all’aperto, si visitarono i forni. Vi sono tre forni a torre da 6 tonnellate, due grandi forni Cermak-Spirek da 24 e da 12 tonnellate, e uno piccolo da 2 tonnellate; sono costruiti e funzionano come quelli già veduti ad Abbadia S. Salvatore, ed essi dal 1888 hanno sostituito i vecchi sistemi, i quali erano insalubri ed occasionavano grandi perdite, e non si prestavano al trattamento di minerali poveri. I forni Cermak-Spirek per- mettono di trattare vantaggiosamente minerali poveri fino al 3 per mille ('), cosicché anche il sistema di concentrazione del minerale mediante lavaggi, e che occasionava pure notevoli per- dite, è stato abbandonato. Infine si visitò anche il piccolo laboratorio di assaggi ove si determina, col metodo Eschka, il tenore in mercurio del mi- nerale passato ai forni in ogni giorno. Alla sera fummo invitati a banchetto nell’abitazione del- l’ing. Rosselli, ove la sua gentilissima signora fece squisita- mente gli onori di casa. Fra i molti brindisi abituali in simili circostanze è da notarsi quello fatto dell’ing. Rosselli, in qualità di rappresentante della ditta Angeli Rosselli, nel quale volle anche ricordare con delicatissimo pensiero quei geologi e mineralisti che studiarono i giacimenti cinabriferi e la loro genesi. La serata si chiuse con fuochi artificiali ed una luminaria nel contiguo piazzale, che però la pioggia venne a spegnere innanzi tempo. (’) Spirek V., L’industria del Mercurio in Italia. Conferenza te- nuta in Torino al 1° Congresso nazionale di Chimica applicata. To- rino, 1902. CLVIII ENRICO CLBRIOI La nostra riunione ebbe termine ed il cattivo tempo l’af- frettò. Infatti restarono sconcluse altre gite che piccoli gruppi avevano progettato di fare a Eadicofani, ai Bagni di S. Fi- lippo, al Vivo. Un gruppo di soci partì nella notte; gli altri al mattino, per riprendere la ferrovia alla stazione di monte Amiata. Ci separammo oltremodo soddisfatti per le cose vedute ed apprese, entusiasti delle bellezze dell’Amiata, bello anche col cattivo tempo, grati delle cordiali accoglienze ovunque ri- cevute. AVVERTENZE PER I SOCI Dal contratto con la Tipografia ( oggi ani. La pagine di corpo 8 in più di */5 di pagina per le note, e di nna pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografia per le varie correzioni; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per.V2 foglio, L. 2; per >/4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; così pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20° Gli estratti si spediscono in assegno. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Memorie, P46. De Franchis F. — Molluschi della creta inedia del Leccese (cont. e fine) 165 De Angeli» d’Ossat G. — Coralli triasici in quel di Forni di sopra (Carnia) 166 Verri A. — Rapporti tra il Vulcano Laziale e quello di Bracciano 169 Nelli B. - Fossili miocenici del macie/ no di Porretta (con 4 tavole) 181 Daineh.i G. - Fossili batoniuni della Sardegna (con 2 ta- vole) 253 Flores E. — L’Flephas primigenius Blum. nell’Italia meri- dionale continentale (con una tavola) 348 Verri A. — SulVandesite auigitica del Piano delle Macinale nel Monte Annata 36 L De Stefano G. — Chelonii anòdonti e dentati 363 De Stefano G. — Sull’età delle arenarie lignitifere di Agnana in Calabria 372 Rendiconti. Resoconto delle adunanze generali tenute in Siena nei giorni 10-12 settembre 1903 xlix Adunanza inaugurale del 10 settembre . . . w » Adunanza pomeridiana del 10 settembre . . ? lui L’età del marmo giallo della Montagnola Senese , comu- nicazione del prof. G. De Angeli» d’Ossat .... lix Adunanza del 12 settembre lxiv Sulla natura delle credute equisetacee del gneiss di Rez- za no e dei micascisti del Trentino , lettera del dott. G. Dal Pi az lxvii Elezioni sociali lxx{ Appendice : Sulla necessità degli studi geologici, discorso del presi- dente Verri lxxii Alla memoria di Luigi Bombicci, commemorazione letta dal prof. A. Nevi a ni xci Alla memoria di Antonio d’Achiardi , commemorazione letta dal dott. G. Manasse exi Di alcuni giacimenti solfiferi della procincia di Siena, co- municazione del prof. D. Pantanelli cxxiv Sugli Strati a Fusulina di Forni Avoltri, comunicazione del socio M. Gortani cxxvii Clerici E., Resoconto sommario delle escursioni fatte nei din- torni di Siena ed al Monte Annata nel settembre 1903 (con 6 ligure nel testo) cxxix Finito di stampare il 30 novembre 1908. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Antonio Verri. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA / Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 18 tav.' e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » CL1I- 275 pag., 4 tav. e una carta geol. a colori. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag'., 9 tav. e una carta geol. a colori, » XIX. (1900) 3 » CXL- 752 pag., 11 tav. e una carta geol. a colori » XX. (1901) 3 » * clxxxvj-694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori, » » » 1 » Appendice. Prospetti cd indici relativi ai voi I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole, » XXI. (1902) 3 » clxvi-584 pag. e 18 tavole. » XXII. (1903) 3 » clviii-582 pag. e 14 tavole. Per l’acquisto dirigere lettere e valori al Tesoriere Cav. Ing. Augusto Statuti, Via Nazionale 1 14 (palazzo Capranica del Grillo). Roma. L’ IN FRAGIURA BRESCIANO Nota del prof. G. B. Cacciamau Il dott. Guido Bonarelli in una sua comunicazione Sulla presenza dell’ Al emano nelle Prealpi bresciane (‘) accenna alla scoperta fatta nella località Molvina d uri piccolo lembo di strati di calcari rossi mandorlati, inclinati a sud, riposanti sulla serie toarciana e sopportanti pochi altri strati calcarei (Dogger p. d.), cui succede la tipica formazione giurese degli « scisti ad ap- tici ». I due fossili raccolti in detti calcari rossi basterebbero a dimostrare l’età aleniana di questi. Non è la prima volta che dobbiamo esser grati all’egregio dott. Bonarelli dei lumi paleontologici ch’egli reca nella nostra provincia, della quale da anni io ed il collega Cozzaglio an- diamo pazientemente rilevando la struttura geologica. Nei mesi d’agosto e settembre di quest’anno, essendo io oc- cupato a studiare la regione Botticino-Serle-Gavardo, nella quale si trova il casale di Molvina, ebbi occasione di recarmi più d’una volta in detta località; e posso quindi ora aggiun- gere alla comunicazione del Bonarelli alcune interessanti notizie tectoniche. Il casale di Molvina è posto a NE di Botticino Mattina, a SO di Serie, a NO di Nuvolera, e spetta a quest’ultimo comune. Ad oriente del caseggiato un piccolo rivo scende alla valle di Nuvolera — ad occidente un breve sperone serve di partiacque tra detto rivo e quello che scende a Botticino Mattina. L’indicata plaga è corrugata in bellissima ellissoide sincli- nale, con asse diretto da ENE ad OSO : abbiamo nel centro (i) Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per Vanno 1901 (Boll. d. Soc. Geol. It. pel 1902, voi. XXI, fase. 3). 28 386 G. B. CACCI AMALI dell’ellissoide, sul cucuzzolo dello sperone, un lembo di selcifera (scisti ad aptici) — questo è circondato da strati d’un calcare grigio-cinerino, a facies di Medolo, calcare che per altre loca- lità bresciane già attribuii al Dogger od Infragiura (') — se- guono, tutto all’ingiro, i pochi strati rossi mandorlati scoperti dal Bonarelli, poi alcuni strati di calcari marnosi bianchi ricchi di selce, ed infine le sviluppatissime marne toarciane. He fatte più misure nell’Infragiura e nel Toarciano delle due ali nord e sud della sinclinale: per la prima ebbi una media di S 28 0 30, e per la seconda una media di N 17 0 18. Ven- gono in seguito, alla periferia dell’ellissoide, il Corso (Charmou- tiano e Sinemuriano superiore), che qui sostituisce il Medolo,. ed infine l’estesissima Corna (Sinemuriano inferiore). Spiacenti ora dover respingere un’asserzione del Bonarelli, inesatta a mio riguardo. Nella sua comunicazione egli, parlando dei calcari rossi aleniani, dice « hanno una facies litologica tutta particolare e non la facies di Medolo, come altri ha scritto riferendo all’Aleniano alcuni affioramenti di Medolo domeriano ». Ora, nelle mie due pubblicazioni citate, nelle quali per il primo affermai 1'esistenza del Dogger nella provincia di Bre- scia, non allusi affatto all’Aleniano in particolare, bensì al Dog- ger in genere, e riferii al Dogger in genere quegli stessi strati calcarei che il Bonarelli cita a Molvina tra l’Aleniano rosso e gli scisti selciferi del Maini. Detti strati calcarei, ch’egli attribuisce appunto al Dogger ]>. d. e dei quali nuH’altro dice, sono precisamente di tinta grigio-einerina ed a facies di Medolo; e tali si mostrano in tutte le località che per il Dogger ricordai nelle citate mie due pubblicazioni: in queste località, tra il Toarciano e gli scisti ad aptici, non si mostrano affatto gli strati rossi mandorlati di Molvina, ma solo i ricordati strati grigio-cinerini; onde aveva ragione io di dire che « il Dogger bresciano otfre la facies di Medolo ». Prima di scrivere questa breve comunicazione ho però (') Studio fieoìofjieo della regione montuosa l’alosso Conche a nord di Brescia (Boll. d. Soc. Gcol. It. pel 1901, voi. XX, fase. 1). Osservazioni geologiche sulla, regione tra Villa Cogozzo ed Urago Mella (Boll. (1. Soc. Gcol. It. pel 1901, voi. XX, fase. 3). l’infragiuua bresciano 387 voluto anche rivisitare, a maggior mia garanzia, almeno un punto di ciascuna delle due regioni cui si riferiscono le mie più volte citate Memorie del 1901, affine di cercarvi gli strati rossi. 11 26 maggio fui a Pieve di Concesio, e con queiregregio Arciprete sig. Celestino Bonomini, rivisitai il tratto tra V. Ca- dizzone e C. Canale (') e constatammo la seguente serie: 1° Bree- ciole del Domeriano superiore. — 2° Marne toarciane (vi trovai la Posidonomija JBronni ), alternanti con grossi letti di selce - mancano gli strati rossi. — 3° Calcari grigio-cinerini a facies di Medolo (Infragiura). — 4° Scisti selciferi ad aptici. Il 13 ottobre fui ad Urago Mella, e coll’egregio mio collega prof. Lucilio Baroni rivisitai il tratto da S. Emiliano fin verso M. Picastello (2) e constatammo la seguente serie: 1° Medolo domeriano. — 2° Medolo con forti letti di selce e con forti letti di marne (non vi trovai la caratteristica P. Bronni del Toar- ciano) - mancano gli strati rossi. — 3° Calcari grigio-cinerini a facies di Medolo (Infragiura). — 4° Scisti selciferi ad aptici. La presenza del Domeriano, con in alto le caratteristiche hrecciole, fu constatata a S. Emiliano anche durante le gite del Congresso di Brescia del 1901, mentre nella mia cartina vi avea segnato soltanto Toarciano ed Infragiura. Ed ecco il mio errore, ecco l’unica zona (Torricella-S. Emiliano-Urago-Pendo- lina) per la quale il Bonarelli può con tutta ragione dire « altri ha riferito al Dogger alcuni affioramenti di Medolo domeriano ». Questo mio errore fu causato da ciò: il Bettolìi, in una sua comunicazione (3), accennò ad un ristretto lembo di Toarciano, con fossili caratteristici, che avrebbe trovato ai piedi del colle di Urago : io, giudicando da questo fatto che tosse Toarciano il piede del colle, ascrissi aU’Infragiura il retrostante Medolo, illuso dalla somiglianza litologica; Toarciano ed Infragiura ver- rebbero invece in due sottili striscie, più a monte, contro il Selcifero. (L Vedi cartina che accompagna la mia memoria Palosso-Conche. (2) Vedi cartina che accompagna la mia memoria Cogozzo-Urag.o. (3) Affioramenti Toarciani delle Prealpi Bresciane (Boll. d. Soc. Geol. It. pel 1899. Voi. XVIII, fase. 3°). 388 G. B. CACCIAMMO Non sarà questo il primo nè l’ultimo de’ miei sbagli; colgo anzi l’occasione per rettificare altro mio erroneo riferimento, e questo nella cartina Palosso-Conche: nella valle di Costorio segnai tutta Majolica titoniana; vi è invece anche la Majolica infracretacea, come lo dimostrò la scoperta d’un Crioceras nel- l’occasione dello stesso Congresso di Brescia. 11 Bonarelli, nella sua comunicazione in parola, ricorda la carta geologica del M. Maddalena da esso e dal Bettoni pre- sentata al Congresso di Perugia del 1897. Non ho sottocchio quella carta, perchè non pubblicata ; ma ricordo benissimo che in essa, contro le falde meridionali di M. Dragoncello, era se- gnato Medolo domeriano: or bene, oggi che, nelle ricordate mie esplorazioni della plaga Botticino-Serle-Gavardo, ho rile- vato anche questo punto, posso assicurare — con prove strati- grafiche e litologiche — che contro la Corna del Dragoncello urta per frattura non già il Medolo domeriano, beusi il Dogger a facies di Medolo (in un punto trovai anche il Dogger rosso, nonché gli strati più alti del Toarciano, quelli cioè bianchi e ricchi di selce); onde io potrei per contro dire « altri ha ri- ferito al Medolo domeriano alcuni affioramenti di Dogger ». Nella stessa regione da me esplorata quest’anno, trovai Plnfragiura — sempre rappresentato da strati a facies di Me- dolo e posti tra il Toarciano ed il Selcifero — anche sopra Gavardo, e precisamente a Fostaga. Mi venne fatto di incon- trarlo pure, colle medesime caratteristiche, a nord di Botticino Sera e precisamente tra la Lassa e la Trinità ; in questo punto affiorano però, come a Molvina e contro il Dragoncello, anche gli strati rossi mandorlati aleniani; ecco la serie che vi si suc- cede regolarmente da E ad 0: Corna — Corso bianco — Corso rosso — Medolo domeriano — Marne toarciane — Calcari mar- nosi bianchi — Dogger rosso mandorlato — Dogger grigio-ci- nerino a facies di Medolo — Strati selciferi giuresi — Majolica titoniana — Majolica infracretacea — Marne della Creta. Possiamo dunque concludere: l’Infragiura bresciano è rap- presentato da strati calcarei grigio-cinerini a facies litologica di Medolo, i quali talora, nella parte orientale della provincia, riposano sopra pochi strati di calcare rosso mandorlato del piano Aleniano. L’iNFR AGIURA BRESCIANO 389 Non deve meravigliare questa specie di eteropismo dell’Ale- niano, quando si pensi che anche nelle formazioni del Lias bresciano si mostra una differenza litologica notevole tra le plaghe poste a mattina e quelle a sera del M. Maddalena: infatti la Corna è assai più potente nelle plaghe orientali, il Medolo nelle occidentali; in quelle il Medolo è quasi del tutto sostituito dal Corso bianco e dal Corso rosso; le stesse marne toarciane, così tipiche ad est, sono ad ovest associate a potenti letti di selce. [ms. pres. 24 ottobre 1903 - ult. bozze 14 dicembre 1903]. SULL’ETÀ DEL MACIGNO DELL’APPENNINO LIGURE Nota di G. Rovereto Il Bonarelli ha pubblicato in questo Bollettino (’), riunite in miscellanea, parecchie note geologiche nelle quali, con molta larghezza di vedute, ha trattato di parecchi dei più importanti problemi di geologia appenninica. Ma alcune delle nuove con- clusioni alle quali egli giunse, essendo assolutamente opposte alle formulate da chi ha studiato le stesse regioni, mi permetto di discuterle e di metterle a confronto con le mie, lasciando ad altri il giudizio sulla loro attendibilità. A me sembra che il volere distinguere nella enigmatica serie dei terreni appenninici incominciante dagli scisti policromi infe- riori al macigno e che va sino ai cosidetti calcari neocomiani, non meno di otto piani dal cretaceo (dal senoniano al barremiano), sia volere precisare un po’ troppo. A chi asserisse che nella tipica serie del golfo della Spezia, ad esempio, gli scisti policromi infe- riori alle arenarie appartengono di già all’eocene, non so qual argomento decisivo si potrebbe contrapporgli, e ciò basta per dimostrare che la distinzione particolareggiata di quei piani non ha base. Ma sopratutto non mi trovo d’accordo col Bonarelli sull’età del vero macigno, come egli lo chiama, di quel macigno indi- cato nella carta geologica del Sacco come appartenente alinocene, e che il Bonarelli ritiene invece oligocenico. Non voglio precisare se si tratti più di uno che di un altro piano dell’eocene, nè voglio negare che esista del macigno oli- gocenico, come ne può esistere del cretaceo; ma mi limito solo ad affermare, quasi a priori , « il macigno dell’Appennino (') Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXI, fase. 3°, pag. 54(>, 1002. SULL’ETÀ del macigno dbll’appennino ligure 391 settentrionale è d’ordinario fortemente ripiegato in concordanza con le altre roccie dell’eocene; queste jiieglie costituiscono l’os- satura della catena; il macigno deve quindi essere antico per lo meno quanto il periodo di corrugamento della catena». Nelle mie escursioni nell’Appennino ho raramente trovato delle regioni in cui i profili geologici potessero eseguirsi con qualche sicurezza, e che potessero portare a conclusioni fondate o probabili per districare la stratigrafia eocenica. Però in alcune località, dove il macigno ha molta estensione, esistendo spaccati naturali determinati dalla natura stessa della roccia, le pieghe e i profili sono sufficientemente ricostruibili. Nella valle del Taro, fra Bedonia e Santa Maria, il macigno forma un completo e regolare anticlinale, ben visibile lungo la parete della forra prodotta dal fiume, e sorregge tutta la serie degli scisti e dei calcari di quella valle. Il M. Satta o Zatta è costituito da una pila di strati di macigno, lievemente inclinati, che a N si immergono sotto gli scisti argillosi del passo del Bocco, e a S posano su altri scisti argillosi con lenti di serpentina del passo di Satta. Tutto questo si vede per spaccato naturale, e le interpretazioni che se ne possono dare sono parecchie, ma tutte evidentemente con- trarie all’ipotesi che il macigno sia oligocenico. Può supporsi, come ha fatto il Sacco, che la pila degli strati sia curvata in un c ristrettissimo, e che la zona di curvatura non sia visibile perchè innestata negli scisti ; nel qual caso il macigno sarebbe superiore, ma piegato in modo da non potersi dire piega oligo- cenica. Inversamente si può immaginare che quelli strati for- mino un anticlinale coricato e rovesciato portante il macigno alla base di tutta la serie; infine, ed è questa l'ipotesi dame accettata, che il macigno sia intercalato nella serie scistosa, e che la pila del M. Satta sia una gamba di un anticlinale avente l’asse al passo omonimo ricordato, e che l’altra gamba sia rap- presentata dagli strati di macigno del M. della Camilla, e ciò dimostrerebbe che esiste una serie di scisti argillosi superiori, altra di scisti argillosi inferiori al macigno, ed a meno di con- siderare oligocenici i primi di questi scisti, l’ipotesi del Bona- relli sarebbe inaccettabile. 392 G. ROVERETO Lungo la valle di Zeri sulla cupoletta del secondario di Giarreto è adagiato il macigno, la cui stratificazione è visibi- lissima sino quasi a Zeri, e forma una gamba clic fa parte della cupola. A Zeri sul macigno è posato lo scisto argilloso con lenti di serpentina, e oltre, continuando la stessa linea di sezione, si incontra il gruppo del M. Gottero, costituito di nuovo dal macigno piegato in antielinale. Il fianco di questo anticlinale, che trovasi a contatto con gli scisti argillosi, è raddrizzato a 80°, è rovesciato, e visibilissimo lungo l’orrida valle della Getterà; l’altro fianco è inclinato in posizione nor- male di 45°, non è visibile per spaccato, ma risulta evidente dalle note di rilievo. Al centro di questo anticlinale esistono degli scisti policromi ed altri, corrispondenti ai voluti cretacei del golfo della Spezia, mentre clic gli scisti di Zeri occupane un sinclinale, e sono quindi superiori al macigno. Da tutto ciò risulterebbe che il macigno è ora intercalato fra due livelli di scisti argillosi, ora è alla base della serie, ma mai è superiore; che esso è fortemente ripiegato in anti- clinali ribaltati o regolari, i quali, come si è detto, sono le pieghe principali della catena. In quanto all’età di queste pieghe basta ricordare cose molto note per stabilirla. Fin dai suoi tempi il Pareto, con una sezione riferentesi ad uno spac- cato naturale, che è rimasta classica, dimostrava come i conglo- merati oligocenici di Portotìno posino sulle pieghe smezzate dei calcari eocenici; e questa grande trasgressione prova che la catena, non solo era già formata, ma aveva già sottostato a un intero ciclo di erosione, (piando cominciarono a depositarsi su di essa i sedimenti oligocenici. Quindi non è possibile che un periodo orogenico successivo, supponendo il macigno oligocenico, abbia fatto sparire questa trasgressione, armonicamente ripiegando come si è visto il ma- cigno con le roccie eoceniche. E se noi badiamo solo alla forma ed alla entità delle pieghe, come spiegare che il vero oligo- cene alla periferia della catena non è affatto piegato, mentre che lo è fortemente il macigno della parte mediana (l)? (’) Al piede delle Alpi Svizzere abbiamo in realtà una zona molas- sica orizzontale ed altra ripiegata, ma lo due zone si connettono profon- damente, ciò che non si verifica nelTAppennino. sull’età del macigno dell’appennino ligure 393 Una parte non meno discutibile della memoria del Bonarelli, alla quale però non si può opporre argomenti convincenti quanto i suesposti, è quella in cui è trattato rordinamento della serie eocenica. Questa serie è stata invero ordinata in modo diver- sissimo ; da alcuni per osservazioni tettoniche non esatte, da altri perchè l’ordine di sovrapposizione è diverso a seconda delle regioni. Il Bonarelli pone alla base della serie eocenica il calcare a fucoidi, cui si sovrapporrebbero i galestri policromi e le argille scagliose, il calcare nummulitico ed infine il macigno. A me consta in modo indubbio che nei dintorni di Genova, che ho percorso moltissimo, la serie c la seguente dall’alto al basso: calcari a fucoidi macigno scisti policromi » argillosi. Nell’alta valle del Taro, come ho già ricordato, si ha: calcari a fucoidi scisti argillosi macigno. Al M. Satta e nel rimanente della Fontanabuona: (Q calcari a fucoidi scisti ardesiaci (alcuni intercalati nei calcari) scisti argillosi macigno scisti argillosi. Nella valle della Vara: scisti argillosi macigno scisti policromi (cretaceo '?) e la serie del secondario con trasgressione. (!) Vedasi anche Issel A., Liguria geologica e preistorica, voi. I, pag. 254 e seg. 394 G. ROVERETO Che questi membri delle diverse serie siano da considerarsi eteropici, come fui tra i primi a sostenere, appare molto pro- babile, benché, come ben può comprendersi, ciò non sia dimo- strabile direttamente. Un altro argomento trattato dal Bonarelli, che si connette colla stratigrafia eocenica, è quello dell’età delle ofioliti del M. Tornarlo. Nemmeno in questo caso sono d’accordo con lui, ma ciò sia detto per incidenza, poiché l’autore si rivolge agli amici pregandoli di attendere per breve tempo la pubblicazione di un altro suo lavoro, prima che vogliano schierarsi definiti- vamente prò o contro le sue idee. [ras. pres. 23 agosto 1903 - alt. bozze 15 dicembre 1903J. ILLUSTRAZIONE DI SPECIE OKBIGNYANE DI « NUMMULITIDAE » ISTITUITE NEL 1826 O Nota del dott. Carlo Fornasini (con tavola) Le figure che accompagnano la presente nota sono state fe- delmente copiate da lucidi eseguiti da Berthelin sulle Planches inédites di d’Orbigny, da lui lasciatimi in eredità nel 1897. { lìcnd . r. Acc. Se. Bologna , n. s., II, p. 11, nota 2). Operculina costata (tav. XIV, fig. 1). « Espèce pourvue de còtes sur les sutures des loges » ( Pro- dromo). I caratteri generali di questa specie sono press’a poco quelli dell’ 0. complanata, della quale essa è forse da riguar- darsi come varietà limbata. Hab. Fossile nei dintorni di Dax (faluniano B). Operculina thouini (tav. XIV, fig. 2). « Espèce pourvue de bourrelets extérieurs » ( Prodrome ). Come la precedente, non appare molto lontana da VO. complanata. Essa però ne differisce per il rilievo marginale della spira. Hab. Fossile a Couiza e a Montolieu (suessoniano B). Operculina madagascariensis (tav. XIV, fig. 3). Differisce dall’O. complanata per la maggiore larghezza delle camere, e anche per il minor grado di depressione generale. (i) Tableau raéthodique de la classe des Céphalopodes. Ann. Se. Nat., voi. VII. 39G C. FORN ASINI Secondo una breve annotazione scritta nelle Planches inédites, il colore del nicchio è giallo, tranne la regione iniziale, che è rossiccia. Hab. Nel mare del Madagascar. Operculiua gaimardi (tav. XIV, fig. 4). Non appare diversa da quella che Le y meri e denominò più tardi 0. granulosa , e che li r a d y giustamente considerò come varietà dell’O. complanata. Hab. Nel mare di Rawack in Australia. Heterostegina suborbicularis (tav. XIV, fig. 5-7). D’Orbigny distinse in questa specie due varietà. Fra i lucidi eseguiti da Bert belili si hanno tre figure di Hetero- stegina designate col nome di suborbicularis, ma senza distin- zione di varietà. È probabile però che due di tali figure (ve- dansi le mie fig. 5 e 6) rappresentino la prima varietà, men- tre la seconda sarebbe riprodotta dall’altra figura (v. la mia fig. 7). La forma rappresentata dalle fig. 5 e 6 non mi sembra spe- cificamente diversa dalla comune H. depressa , mentre la fig. 7 ricorda moltissimo quella che Brady illustrò come Heteroste- gina sp. « young specimens (cf. H. curva Molli us)». Hab. Var. A: nel mare delle Isole Sandwich; var. B: nei mari delle Marianne e di Porto Jackson. Assilina discoidalis, varietas (tav. XIV, fig. 8). La tipica A. discoidalis fu riprodotta da d’Orbigny col modello num. 88, il quale, secondo P a r k er , Jones e B r a d y , rappresenterebbe una Operculina, e precisamente una sottovarietà spessa dell’O. complanata. La forma disegnata nelle Planches ine- dites è anche meno lontana dal tipo Operculina. Hab. Nel Mare del Sud, a Ravaek. ILLUSTRAZIONE DI SPECIE ORBIGNYANE DI « NUMMULIT1DAE » 397 Assillila depressa (tav. XIY, fig. 9). Nel Prodrome fu ricordata come «espèce très-aplatie, à spire apparente » e identificata con la Nummulina planospira di Boubée (1831). Quest’nltima, unitamente a VA. depressa, fu poi da d’Archiac (1853) associata a la Nummulites spira di de Roissy (1805), che è un’ Assilina. Hab. Fossile in Francia su le rive dell’Adour, a Bastennes, a Mouguerre (Lande), e a Gensac fra Biarritz e Bidart (Bassi Pirenei); in Ispagna a Columbres presso Oviedo; nell’Imalaia a Hyderabad, capo Blagrave (suessoniano B). Assilina nudata (tav. XIY, fig. 10). « Espèce ondulée » (Prodrome). Null’altro si conosceva fin qui di questa specie. Hab. Fossile a Couiza neH’Aude (suessoniano B). Assilina nitida (tav. XIV, fig. 11). Molto probabilmente trattasi anche qui di una Operculina. Hab. Nel Mar Bosso. Assilina radiolata (tav. XIV, fig. 12). Nel Prodrome nessuna frase descrittiva. Hab. Fossile a Auvert (parisiano B). [ms. pres. 7 settembre 1903 - ult. bozze 14 dicembre 1903]. 898 C. FORN ASINI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIV Fig. 1. Operculina costata d'Orb. (cf. 0. complanata Defr. sp.). » 2. » thouini d'Orb. (cf. come sopra). » 3. » madagascariensis d’Orb. » 4. » gaimardi d'Orb. (cf. 0. complanata, var. granulosa Leym.). » 5, 6. Heterostegina suborbicularis d’Orb. (cf. H. depressa d’Orb.). » 7. » suborbicularis d'Orb. (cf. II. curva Mdbius). » 8. Assilina discoidalis d’Orb., varietas (cf. Operculina sp.). » 9. » depressa d'Orb. (cf. A. spira de Roissy sp.). » 10. » andata d'Orb. » 11. » nitida d’Orb. (cf. Operculina sp.). » 12. » radiolata d’Orb. Boll . d. Soc . Geol . Italiana Voi . XXII. (Fornasini) Tav. XIV. C.FORNASINI: DAI DI3. IN CD. DI D'ORB. * ut. e. rizzoli e figlio -boioowa. ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUARESE Nota di G. Rovereto Chiamo gruppo del Marguarese, o del Marguareis come è scritto sulle carte, dalla cima omonima che è la più alta dei monti liguri (m. 2649), il gran massiccio calcareo in cui hanno incavato i loro bacini d’origine il Pesio e parecchi influenti della Yermenagna, dell’ Ellero, del Tanaro e della Roja, e che la Colla della Perla a ponente (m. 2086) e quella delle Saline a levante (ni. 2182) limitano rispetto allo svolgimento della catena montuosa di cui fa parte. Come è noto a levante della Colla di Tenda l’alta regione delle Alpi Liguri si scinde in parecchie costole montuose di direzioni diversissime ('), partenti da un centro che è ap- punto rappresentato dalla Cima Marguarese. La principale di queste costole si estende in direzione dei paralleli, conservando una zona altimetrica superiore ai 2000 m. da Testa Ciandon a M. Antoroto, e comprende tra gli altri i gruppi del Margua- rese, delle Saline, del Mongioie, i (piali rappresentano tre di- stinti massicci calcarei, e complessivamente il nucleo di un antico acrocoro dal quale le altre costole sono state smembrate, per cui si presentano come allungati vallami fra la Vermena- gna e il Pesio. fra la Roia, il Tanaro e il Centa. In questi ultimi anni ho avuto occasione di attraversare più volte (piesta regione, e benché le mie gite avessero in partico- lar modo lo scopo di formarmi un concetto generale sulla sua geomorfologia, dovetti subito constatare che i rilievi geologici (J) Issel A., Liguria geologica e preistorica, voi. I, pag. 20. Geno- va, 1892. 400 G. ROVERETO sinora pubblicati la rappresentano in modo assai imperfetto, per cui nell’estate scorsa vi passai parecchio tempo, completando le osservazioni già fatte, ed eseguendone un rilievo particolareggiato al 1:50.000. Serie dei terreni. Fermo-carbonifero. — 11 terreno più profondo, affiorante per mezzo dell’ anticlinale Camino - Caccino, è il carbonifero distinto per la prima volta dallo Zaccagna (‘), e quindi notato in tutte le carte geologiche susseguenti. Dei vari scisti filladici e ardesiaci che lo compongono è sopratutto caratteristico uno scisto nero ardesiaco, che ho ritrovato nel vallone delle Saline, portato ad affiorare da una diramazione dell’anticlinale ricordato. In tale solco erosivo, poco prima che abbia principio la salita che porta alla colla terminale, sul lembo di carbonifero da me scoperto, esistono in serie regolare scisti sericitici del permiano, quarziti del trias inferiore e calcari triassico-giuresi. Le roccie permiane — scisti cloritici a grana microgranu- lare o mandorlati di quarzo, scisti clorito-serieitici o quarzo- sericitici — cingono il massiccio secondario del centro del grup- po a nord e a ovest, presentami in banchi o in strati che, quando sieno raddrizzati, danno luogo a costole montuose aguzze e seghettate, come quelle della Colla di Camino, della valle del Marguarese, delle Rocche Palò sopra la Colla del Pà del Prie Savoia. Nella parte superiore passano, come è noto, ad anageniti. Nelle rupi sovrastanti a ponente alla Colla del Pà esiste intruso in scisti violacei sericitici, che d’ordinario si collegano alle quarziti del trias inferiore, un filone di porfido quarzi- fero con antibolo (v. fig. 1), da ritenersi corrispondente all’iso- letta di porfido che solo l’antica carta del Pareto nota come situata alquanto a ponente del Mongioie. Il Pareto inoltre nei « Cenni geologici sulla Liguria Marittima » (pag. 80) descrive in modo perfetto la sezione naturale che è qui rappresentata dalla C) Zaccagna D., Sulla costituzione geologica delle Alpi Marittime, pag. 2. Atti R. Acc. Lincei, ser. 3", voi. Vili, 1884. ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUARESE 401 fig. 1 . A contatto del porfido esistono delle roccie finamente agglomerate, di elementi porfirici, le quali forse rappresentano dei tufi o delle breccie di frizione, e, come si verifica a Costa Verzaira sopra Ormea e al M. Besimauda (1). si hanno pure strati di quella roccia scistosa e a banchi, penetrata di elementi por- firici, ossia un mimofiro ulteriormente metamorfosato, ricordante il Tuff por phyroidschiefer descritto ultimamente dal Bticking (Ber. Senckenb. Natur. Gesell. in Frankfurt a. Main, 1903, pag. 167) Fig. 1. — Tagli naturali fra la cresta E. del Marguarese e la Colla del Pà: e. scisti eocenici ; g- calcari giurassici ; t. calcari triassici ; a. anage- niti e quarziti permo-triassiche ; sc.v. scisti violacei permiani ; p. porfido ; cì. detrito di falda; /. supposta faglia. che lo Zaccagna (2) ha detto besimaudite, considerandola sino- nimo di appenninite, benché quest’ultima nel Gastaldi sia un gneiss. Trias , Giura e Creta. — La serie triassica comincia con le quarziti e le arenarie quarzitiche che posano sulle anageniti del permiano, formando delle lenti discontinue al contatto fra la serie scistosa e la calcarea, e vuol essere considerato molto convenzionale il fatto di figurare esse nelle carte come una fascia continua attorno al trias medio. Ne ho difatti solo tro- vato dei lembi allo sbocco del vallone di Camino, sopra Car- nino, alla base delle Rocche del Manco, alla base settentrionale di Cima delle Saline, sopra il gias del Piscio, dove costitm- C) Franchi S., Rilevamento geolog. delle Alpi Marittime eseguito nel 1991-92-93, pag. 25. Boll. R. Comit. Geol., n° 3, 1894. ( 2 ) Zaccagna D., Sulla geologia delle Alpi Occidentali, pag. 55. Boll. R. Comit. Geol., n° 11 e 12, 1837. 29 402 G. ROVERETO scono la bizzarra punta delle Scarene (v. fig. 2), sotto le Rocche Biccai, a Porta Sestrera (v. sez. 5), e in altre poche e ristrette località dell’alta valle del Pesio. Per ordinare le roccie calcaree che sovrastano alle quarziti è utile cominciare da un altro estremo, ossia dagli strati sus- seguenti immediatamente alla serie eocenica, e racchiudenti tos- sili caratteristici, mentre che nella parte interiore i fossili sono mancanti. Nel vallone di Rio Freddo, sotto i calcari ricchi in num- nuditi delFeocene medio, si ha un calcare argilloso, listato e scistoide, a superficie lucide, indicato nella carta geologica come trias medio (v. sez. 3), che si collega direttamente con quelli di San Michele di valle Roja, nei quali il Franchi (‘) ha se- gnalato fossili del senoniano. La stessa roccia si ritrova in pic- cole zone scontinue lungo il contatto fra il massiccio secondario e l’eocene, lateralmente alle Selle Vecchie a nord del Bertrand e nella valletta di Vermaurina (-). Nella zona in esame mancano i calcari arenacei glauco- niosi da considerarsi neocomiani, che il Franchi ha ritrovato in molti punti della valle della Roja e lo Zaccagna al Brio Valletta, dove anch’io li ho visti rovesciati sugli scisti e sulle arenarie delFeocene, se pur non sono da, riferir loro i calcari che coronano le cime situate lateralmente all’imbocco del solco che dal rio San Giovanni sale alla Colla di Marberga. Al disotto di questi calcari e ad altri sottili lembi di cal- cari scistoidi o compatti nerastri, che potrebbero rappresentare livelli non ancora noti, presenti presso la Colla di Marberga e nel vallone di Upega, sta la grande massa dei calcari cristal- lini bianco-grigiastri, che occupa, dove non è coperta dall’eo- cene, tutta la parte mediana del massiccio e che come una coltre più o meno spessa, e per il suo colore più chiaro e per la maggiore compattezza, scorgesi in alto delle ripide pareti C) Franchi S., Giuraliassico e cretaceo nei dintorni di Tenda, ecc., pag. 14. Boll. E. Comit. Geolog., nn 4, 1891. (?) Una simile roccia trovasi pure sulla continuazione del massiccio occidentale del golfo di Spezia fra Cassami e L’Ago, e nella valle della Turrite Cava nelle Alpi Apuane. ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUARESE 403 del Mongioie, delle Colme, del Manco, delle Saline. A Cima delle Colme e a Cima delle Saline questo calcare forma come un grossissimo masso squadrato posto a cappello terminale. È evidente che solo considerando i gruppi naturali che la serie dei calcari ci presenta, questo deve essere considerato a se, e d’altra parte i dati paleontologici che se ne possedono indicano che nella sua parte superiore, come a Cima Caplet sopra Upega Q), a Cima di Rioro presso Briga (*) e a Rocca Barbona (3), racchiuda una fauna del titonico con Terebratula janitor, T. dipkya , Aptychus Bey richi, Phylloceras ptychoi- cum, ecc. La facies rocciosa di questi strati consiste in calcari grigi listati o calcari bigi in sottili strati, scagliosi e tigrati di nero; le terebratule che contengono li collegauo evidentemente alla facies pelagica del più recente livello giurassico, ossia al tito- nico, che è portlandiano di facies alpina. Sino a questo termine la serie si svolge come nelle Alpi Apuane, benché le varie assise rocciose abbiano potenza e aspetto alquanto diversi; ma per il rimanente della serie con- siderata giurassica, per l’infralias e per il trias, i paralleli di- retti vengono in parte a mancare. Il Franchi e il Baldacci distinguono giustamente al disotto dei calcari marmorei con crinoidi, corallari e rostri monchi di belemniti (4) (sulle falde meridionali del Marguarese ne ho visti molti) altre dolomie cristalline le quali sono ancora certamente giurassiche, perchè le ho riscontrate superiori al calcare rosso del lias di cui ora dico. Questa sostituzione della facies dolomitica e cristallina ai vari livelli del giurassico, in alcuni casi credo che vi sia compreso lo stesso titonico, avviene anche nel vicino Nizzardo, dove le dolomie cominciano a tener posto localmente dei calcari bianchi a Rhyn- chonella Astieri del titonico, dei calcari litografici a Exogyra (1) Zaccagna D., Geologia Alpi Occidentali, 1. cit., pag. G5. (1 2) Franchi S., Giuraliassico e cretaceo, 1. cit , pag. 7. (3) Di Stefano G., Fossili titonici dei dintorni di Triora, pag. 4. Boll. R. Comit. Geol., n° 4, 1891. (4) Baldacci L. e Franchi S., Studio geologico della galleria del colle di Tenda, pag. 17. Boll. R. Comit. Geol., n 1, 1900. 404 G. ROVERETO virgula del kimeridgiano, dei calcari a Perisphinctes del se- quaniano e del Targo via no, per modo che nella recente carta geologica di quella regione (') tali terreni non sono distinti nella parte nord ed est del foglio, ma indicati complessivamente col nome di calcari giurassici superiori. La facies dolomitica si incontra ancora nel bathoniano e nel bajociano, anzi i calcari rosei a crinoidi, passanti a dolomie, del bathoniano ricordano molto i calcari del versante meridionale del Marguarese. I calcari rossi e altri calcari mandorlati e brecciati, giallo- rossastri, con sezioni di ammoniti (Arietites?), si riscontrano a mezzo il versante settentrionale del Marguarese, portati ad af- fiorare dalle lievi ondulazioni di quella gamba anticlinalica, al passo delle Mastrelle, inclinati verso la valle di Camino, sotto- stanti ai calcari marmorei del giurassico e soprastanti ai calcari scistosi di cui diremo, a Rocca Ferraira, dove sono stati segnati dallo Zaccagna (2), a Cima della Fascia. Probabilmente si ri- scontrerebbero in molti altri punti, se le pareti a picco che ci offrono le serie più complete permettessero una facile scalata: ne ho infatti trovati frammenti ai piedi della parete settentrionale del Marguarese e degli scaglioni del M. Armetta. Per la loro facies , per la loro posizione e per i rapporti che presentano con le roccie fossilifere dell’alta valle della Stura di Cuneo, sono con tutta probabilità da riferirsi al Mas inferiore, che è così diffuso e caratteristico nella serie secondaria di tutta Italia. Ài sottili strati del lias inferiore sottosta la gran zona dei calcari che viene inglobata nel trias medio, salvo degli incerti riferimenti al retico o all’infralias di dolomie farinose bigio— cenere, associate o subordinate agli scisti del lias (Baldacci e Franchi), o di calcari neri venati che nel passo delle Fascette ho osservato al disotto dei calcari giurassici. L’infralias è invece ben caratteristico, secondo notizie che ne ho già date, nella non lontana valle del Neva (3). (') Carte Géologique de la France - Niee - par L. Bertrand e Ph. Ziir- cher, 1902. (2) Zaccagna D., Geologia delle Alpi Occidentali, 1. cit., pag. Gl. (3) Rovereto G., Sulla stratigrafia della ralle del Nera, pag. 13. Boll. Soc. Geol. Ital., fase. 1°, 1897. ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGU ARESE 405 Il trias* medio è suddiviso in due gruppi naturali che si scorgono per il loro diverso aspetto roccioso nelle ripide pareti delle cime e dei versanti, a cominciare dai dirupi lungo il Ta- naro, oltrepassata Ormea, sino alla gigantesca parete del Mar- guarese: più oltre, verso occidente, sembra che questa netta distinzione venga a mancare. Sull’ordinamento del trias appenninico ho già avuto occasione di intrattenermi ('), e mi sembra di avere dimostrato che il suo più alto livello fossilifero, quello di Balestrino, scoperto dal prof. Issel (2), è superiore alla zona a Ceratites trinodosus, e che rientra quindi nel ladinico o nel norico che voglia dirsi, i quali secondo le più moderne conclusioni appartengono ancora al Muschelkalk, di cui costituiscono un livello superiore. Se le stesse osservazioni si applicano alle Alpi Apuane si viene evi- dentemente alla conclusione che quelle masse marmoree siano ancora appartenenti al trias medio, e siccome la stessa corre- zione è già stata fatta per la serie di Lagonegro, si può quasi asserire che il trias superiore tipico, corrispondente agli strati di Lunz e di Raibl, superiore a Wengen, a San Cassiano, a Buchenstein, a Esino, a Schiera, manchi nell’Appennino, e che solo può forse considerarsi come corrispondente all’Juvavico il calcare dolomitico compatto e grigio che nelle Apuane è su- periore agli scisti sericitici con le lenti di marmo, e inferiore al retico con Avicula contorta. Considerando quindi appartenente al Muschelkak tutta la serie dei calcari inferiori all’infralias o, dove questo non esiste, al lias, la divisione naturale che essi ci offrono in calcari sci- stoidi o compatti di color bigio-chiaro, superiori, e di calcari do- lomitici, bigi o neri, a oscura stratificazione, inferiori, rappresenta rispettivamente il Muschelkalk superiore, e il Muschelkalk medio e inferiore. Nella valle del Neva nei calcari scistosi superiori ho trovato la Terebratula vulgaris Schloth. (3), che sarebbe piuttosto caratteristica del piano di Virgloria o di Recoaro, ossia del Mu- (B Rovereto G., 1. cit., pag. 6-12. (2j Issel A., Liguria geologica e preistorica, voi. I, pag. 385. (3) Bertrand e Zurcher (1. c.) la segnalano pure dagli strati medi del Muschelkalk nizzardo presso Grasse. 406 G. ROVERETO schelkalk medio. Alla sommità del M. Annetta, subito al disotto dei calcari giurassici, ho trovato V Encrinus granulosus Mtinst., il cui tipo è di San Cassiano. Le serie litologiche di questi calcari triassici mutano al- quanto a seconda dei luoghi. Nello spaccato a levante di Cima delle Saline al calcare scistoso è inferiore un calcare dolomi- tico scaglioso; nella stessa regione, lungo la valle dell’Ellero, si comincia con una dolomia bianca, formante scogliera nel cal- care scistoso; salendo dal gias del Piscio al lago Cical si ha un calcare cavernoso, cui fa seguito un calcare farinoso a lastre, Rocche del Piscio Cima delle Saline Le Scarene Cima delle Matchc Fig. 2. — La serie stratigrafica del gruppo di Cima delle Saline vista da Porta Sestrera: /./quarziti del trias inferiore; t. calcari dolomitici del trias medio ; t.-'ì calcari scistoidi del trias medio, livelli sup. ; <7. calcari giurassici; e. scisti eocenici (da fotografie). ricco in crinoidi e con piccoli gasteropodi (livello di Balestrino?): lungo la valle del Prel fa i due livelli calcari, se ho ben visto, se pure non è al sommo di ambedue, è intercalato un calcare- dolomia bianco compatto, in sottile strato, di aspetto molto pe- culiare. accompagnato da gesso, per cui potrebbe corrispondere al livello delle marne iridate e ai gessi del Brianzonese ritenuti del trias superiore; ma di questo dubbio non credo di doversi tener molto conto. Eocene. — Sulle roccie senoniane posa i suoi poderosi strati un calcare nero-azzurrastro, ricco in nummuliti, e che forma caratteristiche sporgenze sui versanti del L’io Freddo. Questo calcare passa localmente a calcare arenaceo e ad arenaria sci- fi. JC. ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUAKESE 407 stoide, che come a Iiio Freddo Sottano contiene ancora nummu- liti. Avendovi riconosciuto: Num- mulites compì anata Lamk., N. TchiJiatchefJì d'Arcli., spetta al bartoniano. Susseguono degli scisti argil- losi e delle arenarie a elementi quarzitici, roccie che sono fra loro intimamente collegate. Uno strato più o meno alto, forte- mente ripiegato, di arenaria è si- tuato ad una data distanza dal contorno del massiccio; comincia dalla valle di San Giovanni e quasi ininterrottamente si con- tinua sino al lariceto di Bacia- lon e oltre (fig. 3). Sotto alle arenarie si hanno degli scisti policromi (valle di San Giovanni) ed altri scisti o calcari scistoidi, che non so se collegare ancora all’eocene, o riferire di già al cretaceo, dubbio che si presenta ovunque nei monti liguri. Bei calcari arenacei in straterelli for- temente contorti, ricchi in vene spatiche e quarzose, coprono, come verrà ancora ricordato, per estesi tratti la parte alta del mas- siccio (‘). (*) (*) Correggendo le bozze ini sor- ge il dubbio di non essermi suffi- cientemente accertato se il ninnimi - litico indicato sotto le case di Rio Freddo nella fig. 3 non rappresenti invece un livello indurito e supe- riore dei calcari cretacei. 408 G. ROVERETO Eocene (in genere) Senoniano ? Neocomiano Portlandiano o Titonico Giurassico (in genere) Lias o Sinemuriano Infralias (retico?) Muschelkalk superiore Quadro comprensivo. Nel gruppo del Marguarese. Nelle regioni finitime. Arenarie quarzose - Calcari Calcari ad elmintoidee. arenacei scistosi e scisti argil- losi - Scisti policromi - Cal- care nummulitico e arenarie con nummuliti. Calcari argillosi listati o scistoidi. Calcari scistosi a lastre. Calcari marmorei biancastri j con crinoidi - Calcari mandor- lati e brecciati, ammonitiferi. Calcari rossi con Arietites. ■j Scisti rossi di San Michele- di Roja con Ananchytes ovata r Schloenbachia texana. Calcari arenacei glauconiosi con belemniti. Calcari a Terebratula janitort T. di pii y a ecc. di Rocca Bar- bona e dintorni di Triora - Calcari a Nerinee e a Diceras- ai.EscherieccAi Cimadi Riora e dintorni di Briga Marittima. Scisti variegati del colle di Tenda - Calcare bruno gial- lognolo con Arietites bisulca- tus e J3 danni tes acutus di Sant'Anna. Lumachelle della valle del Ne va Calcari a Coelostylina eros- i sa, Diplopora annidata ecc. di | Balestrino. ESCUKSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUARESE 409 Nel gruppo del Marguarese. Nelle regioni finitime. Muschelkalk Calcari bigio chiari coni- Calcare scistoso a Terebra- medio patti - Calcari scistosi. tuia vulgaris di Zuccarello. e j calcare bigio deH’Armetta con I Encrinus granulosus. Muschelkalk Calcari scuri dolomitici com- Calcare dolomitico a Encri- inferiore | patti - Calcari venati con cri- | nus liliiformis della valle del | noidi. | Neva, calcare venato a di f lo— pore di Villanova. Buntsand- Quarziti, scisti quarzitici e Id. stein i scisti violacei. Permiano Anageniti - Porfidi quarzi- Id. feri e scisti porfirici - Scisti sericitici. Carbonifero Scisti fi lladici neri e arde- Id. ! siaci. Arcaico — Gneiss dell’ Argenterà ecc. Tettonica. Direzioni e collegamenti delle pieghe. — Secondo i rilievi esistenti, e che sono dovuti allo Zaccagna, la tettonica del Mar- guarese consisterebbe in una gran zona sinclinale, corrispondente alla parte più alta del gruppo, e il cui anticlinale, si troverebbe molto più a nord, interamente situato sul versante orografico settentrionale; ma mentre che ranticlinale sarebbe quasi cupo- liforme e regolare, il sinclinale si convertirebbe in una zona di contorno che, dopo una piccola piega esterna, verrebbe coperta dalla fascia terziaria, senza più ricomparire sul versante tetto- nico meridionale un anticlinale profondo e di terreni antichi. Verso oriente questo anticlinale esisterebbe invece come asse stratigrafico della catena, e il suo nucleo sarebbe costituito dal 411 G. ROVERETO ricordato carbonifero di Camino Caccino, ed avrebbe la direzione della catena. La differenza più importante risultante fra i miei rilievi e i pubblicati è questa: che l’asse dell’auticlinale Carnino-Cac- eino nel suo prolungamento verso occidente tende ad attraver- sare diagonalmente la catena, e sulla sua continuazione in tal modo trasversale esiste l'asse dell’anticlinale del versante set- tentrionale, asse che corre alla base della parete nord del Mar- guarese, e passa sul versante meridionale alla Colla del Pà. Bimane quindi spostato tutto l’orientamento delle altre pieghe secondarie, e non risulta più esatto che tutto l'alto gruppo del Marguarese-Mongioie sia una zona sinclinale, come molti, tra i quali il Fischer, basandosi sulle sezioni dello Zaccagna, hanno asserito. Questa differenza in particolar modo dipende dall’im- perfezione del rilevamento antico, che lungo il passo delle Ma- strelle e la Colla del Pà segnava solo il giurassico, mentre che vi è pure il permiano con anageniti e porfidi, tutta la serie dei terreni secondari e l’eocene. Una seconda troncatura della voluta zona sinclinale mediana è data da una propaggine dello stesso anticlinale Carnino-Cac- cino che si addentra nel passo delle Saline, e ne raggiunge la Colla, portando ad affiorare, come si è detto, il carbonifero. Nella gran zona anticlinale del versante settentrionale, cor- rispondente alla valle del Pesio, non è stato riconosciuto il sin- clinale avente la direzione dei paralleli e racchiudente la gran massa calcarea di Cima di Cars, Rocche Bruxé e Camuseé. Ad occidente del gruppo, verso la Vermenagna, si hanno pure delle pieghe trasversali, la cui vera direzione è stata rico- nosciuta per la regione finitima dal Franchi e dal Bai dacci. L’asse di un anticlinale passa per C. Gherro nella valle del- l’Armellina e per Bric Savoia, e il corrispondente sinclinale, alquanto più ampio, ha l’asse per M. Xiurin, Cima della Fascia e Testa Ciandon. Il fascio di queste pieghe risulta direttamente collegato alla zona pernio-carbonifera attraversante le Alpi Occidentali, e che per gli studi compiuti dai rilevatori del R. Ufficio Geologico è stata riconosciuta continuarsi sino alle Alpi Liguri. Nel mas- siccio del Marguarese questa zona, detta brianzonese dal Diener, ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUAKESK 411 seconda zona alpina dal Lory, zona assiale del Brianzonese dal- l’Haug, conserva i suoi caratteri e la sua direzione, attraver- sando la catena transversalmente risi>etto alla direzione peri- metrale o di massa e alla linea di fastigio, raggiungendo la costa del mare ligure fra Albenga e Finalborgo, conservando sempre la stessa direzione. Diventa in tal modo una sona tet- tonica assiale delle Alpi Liguri, avente ai lati i massicci arcaici dell’Argentera e del Savonese, e per» essa, come ha detto felice- mente Tlssel, le Alpi si incuneano nell’Appennino Q). Ed ora qualche osservazione di dettaglio su queste pieghe e sull’assetto degli strati che le compongono; che sulle condi- zioni generali ritornerò nel mio lavoro di prossima pubblica- zione sulla geomorfologia delle valli liguri. Anticlinali e faglie. — Gli anticlinali rappresentano le pieghe profonde di limitata estensione trasversale, e compari- scono quindi come pieghe secondarie rispetto ai sinclinali, che sarebbero le pieghe principali; ma è logico supporre che questo deve avvenire solo verso la superficie. Nelle varie sezioni si scorge che tale riduzione degli anticlinali induce che gli strati di questi siano fortemente raddrizzati, alcune volte quasi verticali (v. sez. o). 1- cac- ciando una sezione fra il passo delle Fascette e le Bocche del Manco si scorge che il raddrizzamanto degli strati del nucleo antielinalico, costituito dal carbonifero e dal permiano, e tortis- simo, gradatamente diminuisce nella pila di secondario della gamba a mare, ed è probabilmente troncato da una faglia nella gamba a monte, alla base delle Bocche del Manco. Questa taglia abbassa la pila dei calcari del Manco, e dà loro una inclina- nazione inversa, e porta il carbonifero a contatto, o quasi, col trias inferiore. Dato il forte raddrizzamento degli strati scistosi mediani, e il rapido aumento in pendenza degli strati calcari, non è facile stabilire se esista una faglia o non quando questo au- mento non sia bene accertabile. La sezione attraverso la val- letta del Prel, che con lieve differenza può interpretarsi nei (i) isse] a., lì concetto delia direzione nelle montagne, pag. io. Riv. Geogr. Ital ., fase. Ili, 190-. 412 G. ROVERETO due modi differenti, può essere un esempio di questa difficoltà (sez. 4). Similmente di contro alla parete a picco del Mar- guarese si ha una costola rocciosa di scisti permiani, a forte pendenza, la quale sembra por- tata in alto di contro al mas- siccio come un labbro di faglia; ma se si esamina lo spaccato naturale clic dal Marguarese si estende alla Colla del Pà, e la stessa base della parete a pic- co, si scorge facilmente che il permiano viene ad affiorare dal di sotto dei calcari secondari (fig. 1), dapprima inclinato re- golarmente, quindi di subito raddrizzato a formare il nucleo sporgente della piega. Le se- Fig. 4. — Sezioni attraverso la vai* ... letta del Prel per spiegare schematica- Z10111 4 C 5 SOllO (il (]U6St(> mente il passaggio regionale dalia piega fatto una prova convincente: alla faglia: c . eocene; g. giurassico; t* trias medio; g. trias inferiore ; p. per- P&S6 SOllO St<\t6 llCOStlllltC YJllcil* miano (1:60.000). dosi in gran parte di spaccati naturali, e dimostrano anche come sia facile passare da tale subitanea e risentita flessione alla faglia, come infatti è avve- nuto alla base delle Rocche del Manco, alla Colla del Pà (v. fig. 1), forse nella valle del Prel, (v. sez. 4), nell’alta valle dell’Armellina; per modo che questo tramutamento sic verificato quasi alternativamente, sulla continuazione del contine di una stessa zona. Queste faglie perimetrali hanno avuto l’ufficio di abbassare, anziché di rialzare, la zona mediana della catena, di isolarla e di darle il carattere di un vero massiccio. Sinclinali. — La grande importanza dei sinclinali, come pieghe esterne, deriva dal fatto che gli strati che li compongono, gradatamente diminuendo di pendenza, ampliano l’area super fidale della piega; ma in molti casi questi sinclinali muoiono sulle gambe degli anticlinali. Mi spiego: la sezione attraver- sante il Marguarese (sez. 4) fa risultare clic degli strati a lieve inclinazione costituiscono una pila che è il fianco a mare del l’anticl inale, il cui asse dalla Colla del Pà passa per Porta ESCURSIONI GEOLOGICHE NEL GRUPPO DEL MARGUARESE 413 Sestrera attraverso il bacino d’origine del Pesio : un fianco a monte di simile forma non esiste, e la piega è grandemente asim- metrica. Con una linea di se- zione alquanto più a ponente, da S. Giovanni di Limone alla val- letta del Prel, si può constatare come la grande gamba meridio- nale di tale anticlinale sia tra- mutata in un sinclinale, che la- teralmente è ancora accompa- gnato da ristretti nocciuoli an- ticlinalici, come quello del Bric Savoia. Con direzione discordante da quella del massiccio centrale esiste sul versante tettonico e geografico settentrionale il ricor- dato sinclinale di Rocche Bruxé e di Cima Cars, il quale è molto superficiale (sez. 4), perchè il Pesio ne ha già raggiunto il fon- do: è raddrizzato a mezzogiorno; troncato da faglie a settentrione. Un’altra piega, limite del massiccio qui studiato, è lungo la valle dei Beili o di Bellino, in forma di anticlinale più o meno regolare, che con una sfianca- timi laterale si avanza verso il lago Cical o Pical. A mezzo- giorno d’essa sta il massiccio di '3 3 S '3 — > ' c 3 2 < ’S c/5 a; n o 3 | g .5 O C 3 > mC c fc>£ c — p 'S IO B . c/5 bp P £ -P Cima delle Saline, il quale sono incerto se considerarlo un sin- clinale, o tutta una gamba del- l’antic.linale ricordato, come è rappresentata nella fig. 2 secondo schizzi e fotografie prese da Passo Sestrera; probabilmente se un sinclinale esiste, è \eiso la parte meridionale e orientale di tale massiccio, e dagli altri 414 G. ROVERETO lati le faglie hanno risparmiato alla gamba antielinale le cur- vature concave di modellamento sugli anticlinali di Colla del Pà e di Camino. Coperture in trasgressione. — Fin qui le pieghe sono state ricostruite astraendo da una condizione strutturale assai impor- tante, che per essere affatto superficiale, può venire considerata a parte, e consiste in una copertura scontinua, irregolare, acci- dentata, costituita da scisti eocenici, la quale riveste grandi tratti del massiccio. Gli strati eocenici presentano tre condizioni di giacimento ben diverse : o realmente sono, come appariscono, una coltre esterna che occupa delle fosse preesistenti, e che non seconda affatto le pieghe del sottostrato; o sono intercalati, per com- plicati fenomeni di frattura, nella serie del secondario; o for- mano pieghe intere, arricciate contro i confini del massiccio. Tutte le colle più notevoli : del Pà, delle Saline, Carbone, Porta Collet, Boaira, di Malberga, di Capita o del lago dei Signori, sono depressioni in questo scisto eocenico facilmente erodibile, c che a sua volta occupa dei solchi preesistenti, alcuni accentuati, pare, dalle fratture (v. fig. 1). Nella regione del lago Cical formano larghe chiazze, profondamente incavate, da cui spuntano lembi di calcare giurassico, e sembra, guardando da Porta Sestrera, e come la fig. 2 lo indica, che l’eocene sia sottostante a tutta la serie del secondario, per modo che biso- gnerebbe ricorrere all’ipotesi di complicati fenomeni di reeouvre- mcnt se non si supponesse che quegli strati eocenici sono affatto su- perficiali, e poggiano con grandissima discordanza sulle roceie più antiche. Alla Colla del Pà si vedono per spaccati naturali da un lato poggiare in grande discordanza sul permiano, dall’altro lato sul giurassico. Alla Colla delle Saline sono orientati nor- malmente ai calcari del trias. Quando invece siano intercalati costituiscono un fenomeno tettonico interessantissimo, che è stato per la prima volta messo in chiaro durante il traforo della galleria sotto il colle di Tenda. Quivi, secondo l’accennata sezione di Baldacci e Franchi, gli strati dei calcari giuresi formano una intercalazione (') di pochi (') Baldacci e Franchi, Galleria del colle di Tenda , 1. cit., tav. II. ESCURSIONI GEOLOGICHE NEI. GRUPPO DEI. MARO L'AIÌESE 415 metri di spessore nella massa delle roccie eoceniche, intercala- zione che dalla sommità del colle si continua sino alla galleria e oltre. Dovunque nelle zone alpine si vanno scoprendo delle con- dizioni tettoniche simili, e delle sovrapposizioni, dei rovescia- menti e delle alterazioni nelle serie stratigrafiche cosi anomale, che ornai non si possono più ridurre a semplici pieghe clina- liehe, ad Horst o a Klippen, a doppie pieghe, e parecchie nuove teorie, quali quelle delle nappes de recouvrement o de charriage, ricostruiscono nei modi i più bizzarri lo svolgimento dei fenomeni di ripiegamento (1). Sono teorie che lasciano un senso di dubbio, e che pure vengono gradatamente accettate da quanti geologi si occupano delle Alpi, pare anche dell Heim. benché questi si veda in tal modo distruggere le ricostruzioni delle sue classiche sezioni attraverso il Todi ed il Windgalle. Nel nostro caso le masse eoceniche sono talmente interca- late ed assottigliate profondamente nelle masse ginresi e vice- versa. da non essere possibile che un charriage, od un recouvrement , od un ekevauchement qualsiasi abbia potuto in tal modo asset- tarle; ritengo piuttosto che si tratti di pieghe che dopo essersi rovesciate si siano fratturate parallelamente ai loro assi, che i blocchi così divisi abbiano scivolato in modi diversissimi, acca- vallandosi e accatastandosi. Questa teoria di accavallamento, che spiegherebbe la struttura a scaglie ( Scliuppenstructur ) portata al suo estremo limite, consistente nella indicata fratturazione di pieghe preesistenti, è applicabile in tutti i casi in cui una roccia di una data età è intercalata in quella di un altra, in modo da non essere possibile che le pieghe, per quanto assottigliate, rove- sciate e scivolate, l’abbiano potuta intrudere. Alle falde di sud-ovest del Marguarese si osservano gli scisti eocenici coprire per grandi estensioni il giurassico; ma dalla Colla del Lago dei Signori, in una diramazione del dirupato versante del Castello dei Frippi, vedesi uno strato di tali scisti intercalato nei calcali giuicsi, senza che nella pila di quei strati, visibile in spaccato per molte centinaia di metri, si possano avvertire delle pieghe. (') Cfr. Lugeon M., Les grandes nappes de recouvrement, ecc. Bull. Soc. Géol. France, 4a ser., voi. I, pag. 723, 1901. 416 6. ROVERETO L'eocene ha pure un gran numero di arricciature e di pieghe locali nei fianchi delle pieghe maggiori; le stesse perturbazioni sono rare nei fianchi delle pieghe del secondario. Al passo delle rassico (ff.) e dei livelli superiori quel caratteristico torrione cosi bene del trias medio {t.3) nel versante yjgibife dalla valle del NegrOne (V. Tutto indica che posteriormente al deposito degli strati neo- comiani il massiccio del Marguarese, come quelli delle Basse Alpi, delle Alpi Apuane, ecc., fu profondamente eroso dal mare trasgressivo precenomaniano, per cui durante gli ultimi tempi del cretaceo ed i primi del terziario la sedimentazione ebbe luogo su di esso e contro di esso con profonda trasgressione. Ripiegamenti laterali contro il massiccio. — Il terzo modo di giacimento dell’eocene — piegato contro il massiccio in tra- sgressione d’ordinario concordante e parallela — osservasi nella zona tettonica meridionale e laterale al massiccio mediano, e vi si distinguono due ordini diversi di ripiegamento: quelli a immediato contatto del secondario, e quelli che ne sono allon- tanati. Il contatto fra l’eocene e il secondario apparisce quasi sempre anormale, e molti dei geologi che hanno studiato in questi ul- timi tempi la zona del Brianzonese (Lory, Kilian, Kévil, Bertrand, Termier) hanno d’ordinario supposto che una gran faglia esista al limite fra questi due terreni, e il Franchi e il Baldacci a loro volta hanno asserito che una faglia simile trovasi anche al colle di Tenda. Secondo le mie osservazioni, sui margini del massiccio può avvenire l’assetto con un rovesciamento del secondario sulFeo- cene, con un ripiegamento dell’eocene contro il massiccio quasi rigido, con ripiegamento e con rovesciamento uniti. In quanto Mastrelìe, sotto le Rocche di Ciau- balaùr, esiste appiccicato alla parete giurassica un nucleo di strati eoce- nici, piegato a C. A Cima di Pertegà (indicata fuori posto nelle carte) si ha una di queste ripiegature secon- darie per la quale alternano diverse volte il trias ed il giura, costituendo orientale di Cima di Pertegà. fig. 6). ESCURSIONI OEOI.OGICHR NEL GRUPPO DEL MARGUARESE 417 alla faglia sono sempre stato incerto se considerarla tale, oppure un piano di ripa antica contro cui le roecie più recenti si siano depositate e quindi pigiate; ma ho pur riconosciuto, come ho fatto per gli anticlinali raddrizzati del pernio-carbonifero, che dalla forte accentuazione di alcune pieghe si poteva passare alla faglia vera e tipica. Per venire a casi concreti, ricorderò che nell alta valle di Ilio Freddo, dove i rivi d’origine della valle si uniscono, e lungo i solchi laterali di questi, i terreni eocenici a contatto dei se- condari sono molto inclinati, e gradatamente si rovesciano per M. Cavell’ Krm« passare ad una inclinazione inversa a quella a contatto e poco risentita. È ciò specialmente visibile per la lente di arenarie che scende dal bosco di Bacialon, e i cui strati sporgono sul versante soprastante al Baraccone: dalla parte del massiccio tali strati sono raddrizzati, e quindi gradatamente assumono una pendenza assai lieve (v. sez. 3). Più a SE questi tramu- tamenti, sulla continuazione della stessa lente rocciosa, costituiscono la piega coricata e a C del M. Ber- trand. Per ciò che riguarda la que- stione della ripa ho osservato al- cune volte una fortissima discor- Fig. 7. — cima di OasteU’Ermo danza angolare fra eocene e secon- vista da ponente : e scisti eocenici ; . ° calcari giurassici. dario, e fra loro interpolata una superficie di contatto, netta e tagliata giù a picco, sulla cui vera natura non saprei pronunciarmi. Il caso tipico di questo fatto si riconosce per spaccato naturale in una località alquanto distante, ma situata sulla continuazione verso levante di questa stessa zona tettonica, ossia a Castell Ermo tra le valli del Pen- navaira e dell’Arroscia (v. fig. 7). [ms. pres. 15 ottobre 1903 - ult. bozze 15 dicembre 1903. 30 CYCLOSEIUS PARONAE BELLINI NUOVO CORALLARIO DEL LIAS MEDIO Nota del dott. Raffaei.lo Bellini L’estate scorsa in un’escursione geologica al Monte Subasioy tra Foligno e Perugia, esplorando verso Spello un affioramento di strati domeriani (*), mi venne dato raccogliere insieme agli altri fossili un esemplare di corallario, il cui rinvenimento ha una decisa importanza. I suddetti strati sono formati di roccia a grana fine, di color grigio-gialliccio e per la sua compattezza usata come pietra li- tografica; giacciono inferiormente alle marne rosse ammonitifere del toareiano. Vi ho raccolto i seguenti fossili: Harpoceras cornacaldense (Tausch.). - Frequente nel lias medio dell’Appennino. Harpoceras exaratum (J. et B.) - Forma più speciale del toareiano. Arieticeras algovianuni (Opp.). - Ottimi esemplari. Rhacophyllitcs lariensis (Menegli.) - Citato del domeriano di Lombardia. Pìiylloceras selinoides Meneghini. » Nillsoni (Héb.). - Forma del lias superiore tro- vata anche nel domeriano della Brianza. Atractites orthoceropsis Meneghini. - Esemplari consumati. Parecchie specie di brachiopodi difficilmente determinabili, tra le quali forse la Terebratula cerasulum Zitte!. Frammisto a questi fossili, determinanti l’età della forma- zione, ho isolato dalla roccia un esemplare di corollario appar- 0) Domeriano, Bonarelli Charmouthiano superiore. «CYCLOSERIS PAKONAE » BELLINI 419 tenente ad una famiglia ed un genere non ancora rinvenuti del lias medio. Il genere Cycloseris, a cui appartiene questa nuova specie, è sinora citato dal cretaceo in su (Zittel, Tratte de Paléontol., Voi. I, p. 252), ed in omaggio al Chiarmo prof. Parona, chiamo il nuovo corollario Cycloseris Paronae. Gruppo: Hexa cor alla, Héck. Fam.: FUNGIDAE, Dana. Sotto-famiglia: Lophoserinae, Edw. & Haime. Gerì. Cycloseris , Edw. & Haime. {— Actinoceras, d’Orb.; Cyclolttopsis, Reuss; Cyclolites [pars], Michelin). Cycloseris Paronae, n. sp. Polipaio libero, subcircolare, discoide; muraglia orizzontale, semplice, ornata di coste ben sviluppate, fine e granulose. Tra- mezzi spessi, superiormente dentellati, numerosi, ispessiti tra l’orlo del calice e la fossetta columellare, che è ovale-rotondeg- giante; i più piccoli uniti ai più grandi per il loro lato interno. Diam. 10 mm., alt. 3 min. Questa specie ha analogia col C. elegans, d’Orb. sp. (de- scritto da d’Orbigny nel genere Funginella in Prodromo de Pa- léont.,v ol. II, p. 181, 1850; e dal Fromentel in Paléowt. Frangaise, Zoophytes, voi. Vili, p. 570, t. 49, f. 1, Aprile 1880), ma se ne distingue per la grandezza (il C. elegans ha il diametro di 25 mm. e l’altezza di 12 mm.), per la superficie conica (mentre il C. elegans l’ha rigonfia), per i tramezzi più numerosi. Infine il C. elegans è del cenomaniano dell’isola d’Aix (d’Orbigny), mentre il C. Pa- ronae è del domeriano. Questa nuova specie, come tutti o quasi gli Hexacoralla del lias e del trias, non mostra nettamente la disposizione dei tra- mezzi in sei sistemi ; fatto di una certa importanza per intendere 420 K. BELLINI i rapporti di discendenza di questo gruppo con l’altro dei Te- tracoralìa (principalmente della serie antica dal siluriano al Dyas). Le specie della sotto-famiglia Lophoserinae cominciano a b e d a - profilo; b - profilo in grandezza naturale; - c - superficie calicinale; d ■ superficie opposta. ad apparire nel giurassico, aumentando nel cretaceo e nel ter- ziario, mentre l’origine del genere Cycloseris dal cretaceo, dove siuora era ritenuta, dovrà discendere sino al charmouthiano su- periore. [ms. pres. 31 luglio 1903 - ult. bozze 17 dicembre 1903]. ANCORA INTORNO AL MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA Nota del prof. Giuseppe Mero a lei In una mia nota inserita in questo Bollettino ('), ho de- scritto la formazione della cupola lavica vesuviana del 1895-99, dimostrando che è avvenuta per sola accumulazione di colate, se si eccettua qualche parziale c poco importante solleva- mento della crosta lavica; e, nello stesso tempo, dichiarando insussistente il sollevamento endogeno che, secondo il dott. Mat- teucci, avrebbe subita la detta cupola tra la metà di febbraio e la metà di marzo del 1898. Ma il dott. Matteucci recentemente pubblicò in questo stesso Bollettino una sua nota (5), nella quale si propose di distruggere punto per punto le mie asserzioni. Sono quindi, contro mia voglia, costretto a ritornare sull’argo- mento, per mostrare che le mie asserzioni rimangono tutte inte- gralmente vere. Io feci osservare, che il dott. Matteucci non indicava abba- stanza chiaramente il metodo tenuto nello eseguire le misure (v. Voi. XXI (9012), fase. 1°: Sul modo di formazione d’urna cupola l ’.vica vesuviana. (2) Matteucci R. V., Se al sollevamento endogeno di una cupola la- vica al Vesuvio possa aver contribuito la solidificazione del magma , in Boll, della Soc. geol. it., voi. XXI, p. 413. — Nella prima parte di que- sta Nota il dott. Matteucci sostiene che la solidificazione del magma é accompagnata da contrazione. In ciò convengo pienamente, e già da parecchi anni avevo ripetutamente affermato e dimostrato tale contra- zione con mie osservazioni fatte al Vesuvio. (Vedi le mie Notizie vesu- viane pel luglio-die. 1895. p. 15, per il gennaio-giugno 1898, p. 16 e per il 1901, p. 21-22). Le guide del Vesuvio dicono, nel loro dialetto, che la lava, raffreddandosi, Vincasela, e questo fenomeno è appunto effetto della diminuzione di volume, che consegue al raffreddamento e alla consoli- dazione della lava stessa. 422 G. MERCALLI di livellazione necessarie per dimostrare la realtà del solleva- mento endogeno. Il dott. Matteucci ricorda che a pag. 3 (estratto) della sua Memoria aveva indicato tale metodo con queste pa- role: «...fu necessario giovarsi del seguente artifizio: riferirsi a due punti di rapporto fissi, a mo’ di traguardo, e ripetere spesso per tal mezzo le osservazioni » ('). A me non pare che queste poche parole bastino per affidare il lettore sulle misure fatte per accertare un fenomeno tanto difficile a rilevarsi, coni’ è l’asserito sollevamento endogeno. Infatti, stabiliti due punti di rapporto fissi, che dirò A, B, si comprende che, disponendo un ecclimetro in un terzo punto C (non situato nel piano verticale dei punti A, B), per esempio alla stazione inferiore della Fu- nicolare, fosse possibile fare una livellazione trigonometrica dei punti del terreno situati sul piano verticale passante per A e B. àia il dott. Matteacci avrebbe dovuto accertarsi che la cima della cupola lavica si trovasse davvero nel piano dei due capisaldi A e B, e avrebbe dovuto porre un segnale sulla cima stessa, per assicurarsi, che, nelle successive livellazioni, l’operatore di- rigesse la visuale deirecclimetro sempre al punto segnato. Tutte cose a cui il Matteucci non accenna nella sua Memoria. E tanto più erano necessarie le suddette precise determinazioni inquantochò io ho dimostrato, nella mia nota precedente (e il Matteucci nulla ha opposto alla mia dimostrazione), che la cima della cupola lavica, durante il 1808, mentre si sollevava (secondo me, per accumulazione esterna), si spostava verso nord in modo sensi- bilissimo, ossia il culmine della cupola veniva ad assumere nello spazio posizioni diverse sempre più verso il Somma (2). Si ag- (') Siccome io notai che il dott. Matteueci neppure indicava il punto preciso da cui erano prese le misure, egli mi risponde, che ripeteva le osservazioni, ponendosi « nelle identiche condizioni, guardando cioè da un medesimo punto della stazione inferiore della funicolare ». Orbene, queste parole ci sono di fatto nella prima Memoria del sig. Matteucci (pag. 5 dell’estratto dai Remi, delia li. Accnd. delle Scienze J<\ e 31. di Napoli, 1898, fase. 7-8), ma si riferirono ad altra cosa, cioè al puuto da cui egli osservava l’intersezione del profilo del M. Somma con quello della cupola lavica. (2) Secondo il dott. Matteucci, nel febbraio-marzo, non avveniva l’accrescimento esogeno in altezza, perchè le lave cessarono di accumu- larsi sulla sommità della collina. Ma si deve notare che, quantunque le MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 423 giunga avere io pure dimostrato, che la cima della cupola la- vica, nel febbraio 1898, neppure era visibile dalla stazione infe- riore della Funicolare; e con ciò si spiega, perchè, da questo punto di osservazione, non si vedevano le lave fluire vicino al dorsale della cupola, mentre io le vedevo benissimo da Napoli. Ma, a proposito di queste mie osservazioni fatte da Napoli, il dott. Matteucci mette in dubbio che, a 13 o 14 chilometri di distanza, si possa giudicare della posizione e del generale andamento delle lave. Potrei rispondere semplicemente eh io vedevo indiscutibilmente le lave anche a occhio nudo, e, per maggiore sicurezza, le osservavo con un buon binoccolo di cam- pagna e con un canocchiale terrestre. Ma il Matteucci obbietta che: «...a quella distanza alcuni chiarori allineati, visibili di notte possono sempre e da chiunque essere ritenuti prodotti da lave Unenti, mentre bene spesso non sono che serie di punti lu- minosi localizzati e anche spostatisi su correnti laviche già ferme c pur tuttavia incandescenti, specie se le lave sono — come quelle di quell’epoca — molto scoriacee, i cui rottami scendono qua e là, lasciando scoperte le sottostanti plaghe infuocate ». Rispondo: 1° Mi sembra evidente che, se i rottami d’una lava scendono, ciò significa che il magma lavico, che sta al di sotto di essi, è in movimento ; altrimenti i rottami non potrebbero certamente scendere e camminare ; 2° nelle lave a superficie fram- mentaria e di piccolo spessore, com’erano quelle del 1898, 1 in- candescenza cessa presto, quando siano ferme, perchè non rico- perte da uno strato coibente continuo, come accade per le lave a superficie unita; 3° io notavo l’allungamento delle lave alla fronte, avendo cura di verificare, se coincidesse con incremento dell’incandescenza, lungo la corrente; due fenomeni, la cui con- temporaneità attestava, senza lasciare il minimo dubbio, il mo- vimento delle lave. lave sgorgassero non proprio sulla cima, ma qualche metro al (li sotto di essa si accumulavano presso le bocche d’efflusso in modo da costruire una parte nuova della cupola e più alta delle precedenti. Cosi avve- niva lo spostamento della sommità verso il Somma. Ed è naturale che tale spostamento non potesse facilmente essere avvertito da chi osser- vava la cupola lavica dalla stazione inf. della Funicolare, perché esso avveniva nel senso della visuale dell’osservatore. 424 G. MERCALLI E qui giova ricordare al lettore, come io non sia il prima che abbia preteso di registrare da Napoli la posizione delle lave fluenti sul Vesuvio. Si consultino le opere del Mecatti, di Cas- sola e Pilla, del dott. J. Lavis e di molti altri (*), nelle quali sono registrate molte osservazioni eseguite da Napoli o da altri punti egualmente lontani intorno all’esistenza e alle variazioni delle lave fluenti vesuviane. È poi evidente che l’andamento generale d’una lava, come il corso d’un fiume, meglio che da vicino si vedrà da un punto di vista sufficientemente lontano, dal quale si possa averne contemporaneamente sottocchio tutta l’estensione. Si aggiunga che il rosso vivo delle lave scorrenti risalta molto bene sul fondo nerastro delle rocce vesuviane recenti. Infine, se in occasione delle grandi eruzioni esplosive del maggio 1900 e del marzo u. s., io vedevo distintamente da Napoli i blocchi incandescenti rotolanti sul fianco esterno del conetto terminale, a più forte ragione si dovrà ammettere che, a minore distanza, potevo di- stinguere benissimo una intera colata lavica. S’intende che ho sempre controllate e completate le osser- vazioni fatte da Napoli con quelle eseguite nelle mie frequenti gite al Vesuvio, ovvero con le notizie gentilmente favoritemi dagli impiegati della Funicolare vesuviana o da altre persone dimoranti sul vulcano. Premesse queste considerazioni d’indole generale, mi resta da dimostrare la veridicità di taluni fatti particolari contesta- timi dal dott. Matteucci. Io scrissi che « nel giorno 19 del febbraio una potente co- lata ha invaso la rotabile Cook ricoprendola per 214 metri di sviluppo...» Ma il Matteucci crede di avermi trovato in errore, e dice: «il sig. Mercalli s’inganna. Le lave che interruppero F) Vedi Mecatti, Racconto storico-filos. dei Vesurio, specialmente al nobembre 1754, febbraio e marzo 1755, agosto e settembre Ilòti, ecc. ; Cassola e Pilla, Lo spettatore del Vesurio a pag. 2, 3. 59 e il Ballettino geologico del Vesuvio a pag. 20 e 33; dott. J. Lavis, Diario dei fenomeni arrenati al Vesurio dal 1883 al 188(>, alle pag. 90. 91, 95, 90 ecc. — Anche lo Scrope, parlando della vicinanza del Vesuvio alla città di Napoli, scrive: « d’où (da Napoli) Fon peut suivre ses phénomònes d'heure en beare » {Les rolcans, trad. par Pieraggi, p. 314). MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 425 il transito nella rotabile... non effluirono affatto quel 19 feb- braio ma nei giorni precedenti » ('). Ma c’ è un documento che prova, come io non mi sia per nulla ingannato, e questo docu- mento è il copialettere della casa Cook, dove si leggono queste precise parole; « giorno 19 (febbraio 98) le lave invadono la nuova strada in costruzione nelle ore antimeridiane ». Questa notizia è, per cosi dire, ufficiale, perchè stesa in giornata dal- l’Ispettore della Funicolare, che aveva l’obbligo di informare l’ufficio centrale di Cook a Napoli sullo stato delle lave. Del resto, lo stesso dott. Matteucci, nella Relazione della gita fatta, nel 19 febb. 1898, dai membri della Società geolo- gica, ammette di aver visto una corrente che si moveva verso ovest con una velocità di circa un metro al minuto. Ma, sic- come nella Memoria sul sollevamento endogeno il dott. Mat- teucci aveva disegnato la cupola lavica completamente chiusa verso ovest, soggiunge, nella sua ultima nota, che, in quella gita, « non si videro le bocche di efflusso, perchè erano già in via di inoltrata ostruzione » (2). Ma io faccio osservare che in quel giorno la parte alta della cupola lavica era completamente avvolta nella nebbia e nelle nubi, e questa è la vera regione per cui i geologi non videro le bocche di efflusso. Questa mia asserzione è confermata dai registri dell’Osservatorio vesuviano, ove al giorno 19, II, 98 si legge: « le lave sono coperte dalle nubi » (3). Anche le altre notizie, che si leggono nei registri del R. Os- servatorio, riguardanti lo stato delle lave nel febbraio-marzo 1898, (') Si noti che, nelle mie Notizie vesur. pel genn.giugno 1S98, pag. 4, 10 avevo detto che la rotabile Cook era stata ricoperta dalla lava (lue volte nel febbraio 1898, cioè: il giorno 16 e il 19, e ho ripetuto la stessa cosa nell’ultima mia nota Svi modo di formazione ecc. Ma il dott. Mat- teucci ha citato solamente le mie Notizie vesur. pel 1899 , dove, per ra- gione di brevità, ricordo solo l’invasione lavica del 19. (2) 11 dott. Matteucci ammetterà certamente che, se una lava nella sua parte inferiore presenta la velocità di un metro al minuto, essa doveva avere una velocità molto maggiore , presso le bocche di efflusso: 11 che contraddice affatto alla « inoltrata ostruzione » delle bocche stesse. (3) Ringrazio il sig. prof. E. Semmola, vicedirettore del R. Osser- vatorio vesuviano, che mi ha gentilmente comunicata questa e le altre notizie che riporterò in seguito sullo stato delle lave. 426 G. MERCALLI concordano con quelle più particolareggiate da me pubblicate ('), e contraddicono, invece, le asserzioni del dott. Matteucci. In- fatti. nei detti registri dell’Osservatorio, si legge: 1898 » » » » » febbraio 20, » 26, » 27, marzo 8, marzo 11, » 14, seguitano le lave a sud leggera ri fona delle lave a sud piccole lave ad ovest la lava dietro al ciglione (ad est della cupola) è di molto aumentata . incremento leggero delle lave (*) piccole correnti di lave si ve-* dono a sud. Orbene, tutte queste lave di sud e di ovest non esistevano, secondo il dott. Matteucci, mentre io le ho viste coi miei occhi da Napoli e gli impiegati dell’Osservatorio ne hanno preso nota. Quanto alle lave di est, le ammette, ma dice che si trattava di una « insignificante penetrazione di magma » (a). Questa insignificante penetrazione di magma si verificò dav- vero alla fine di gennaio 1897 e alla fine di luglio 1899, come si può rilevare dalle mie Notizie vesuviane riferentisi a quelle epoche; e allora sarebbe stato possibile e ammissibile un sol- levamento endogeno delle lave precedentemente solidificate, ma non avvenne ('); e, perciò, a più forte ragione, è naturale che neppure si sia verificato nel febbraio-marzo 1898. (') Vedi le mie Notizie restie, pel gena -giugno 1898 e « Sul modo di formazione d’una cupola lavica» a pag. 22 (nota). Io mi alzavo fre- quentemente da letto anche durante la notte, per osservare le lave, e perciò registrai diversi incrementi di esse, sfuggiti agli impiegati del- TOsservatorio. (2) Questo incremento deve riferirsi alle lave di ovest; infatti, nel mio Diario, al giorno 11 marzo, avevo notato: incremento delle lave; la colata centrale di ovest è molto viva. (*) L. c, p. 427. Nella prima sua Memoria, il Matteucci descrive i meati d’efflusso tutti ostruiti (pag. 11 e figura schematica), meno uno ad est, e altrove (pag. 16) dice che la cupola « tendeva a chiudergli (al magma) ogni via di sgorgo». (4) Anche quando si aprirono le prime bocche d’efflusso alla base del gran cono vesuviano, nel 5 luglio 1895, il sig. Steiner (la sera del 4) MODO DI FORMAZIONE DI UNA CUPOLA LAVICA VESUVIANA 427 Il doti Matteucci cita l’esempio delle anticlinali e delle sin- clinali dei potenti strati di quarziti e di dolomia cavernosa... ; ma io devo far notare clie queste pieghe degli strati sono ef- fetto di movimenti orogenici lentissimi, neppure lontanamente paragonabili ad un sollevamento simile a quello che egli ammette per la cupola lavica vesuviana. I movimenti bradisismici, capaci di piegare strati rocciosi rigidi, senza spezzarli, si misurano a pochi decimetri per secolo e non a quindicine di metri al mese Il Matteucci lascia senza risposta quella parte della mia nota dove dimostro (pag. 15-10 dell’estratto) che la pressione idrostatica, originata dalla maggiore altezza della colonna lavica nel condotto centrale, era molto maggiore nel maggio e nel luglio che non nel febbraio-marzo del 1898, contrariamente a quanto egli ammette, fondandosi sopra dati intorno alla profon- dità del cratere, che non sono conformi a quelli risultanti da mie personali osservazioni. Infine, siccome il dott. Matteucci portava, come prova del supposto sollevamento, Tessersi durante il febbraio-marzo 1898, il punto d’intersezione del profilo del gran cono vesuviano con quello del Somma reso a poco a poco non più visibile dalla stazione inferiore della Funicolare; io, nella mia nota prece- dente, feci rilevare che questo fenomeno era naturale conse- guenza dell’accumularsi delle lave nuove, e proprio di quelle che si vedono anche nella fotografia pubblicata dal Matteucci stesso. Ma egli nulla dice contro questa mia obiezione. Da quanto esposi, in questa e nella mia precedente nota sullo stesso argomento, mi pare di potere concludere, che il dott. Matteucci non ha dimostrato il sollevamento endogeno as- serito della cupola lavica vesuviana 1895-99, e che la figura schematica, con cui egli spiega il supposto sollevamento, non c rispondente ai fatti; poiché rappresenta la cupola lavica chiusa in varii punti, dai quali realmente il magma lavico fluiva più o meno abbondantemente. Stando cosi le cose, è evidente che e il sig. ing. Treiber (la mattina del 5) videro aprirsi spaccature nel terreno, ma non avvertirono alcun fenomeno, che fosse indizio di sol- levamento del suolo (vedi mie « Notizie vesuv. pel luglio-die. 1895, p. 8 e per il 1897, p. 20 nota a). 428 G. MERO A GI.I non si può ammettere una laccolite affatto superficiale, in un vulcano attivo, in piena fase effusiva ('). Come già dissi nelle mie precedenti pubblicazioni, durante la formazione della cupola lavica in discorso, avvennero piccoli e parziali sollevamenti della crosta lavica coeva già solidificata, per il gonfiarsi del magma igneo sottoposto ancora fi nido; ma questi fenomeni, egualmente come le intumescenze laviche di maggiore importanza osservate in altri vulcani, non hanno niente da vedere colle intrusioni laccolitiche, e nemmeno coi crateri di sollevamento di von Buch, la cui teoria non trova nessuna ragionevole e fondata applicazione nei recenti fenomeni ve- suviani. [ms. pres. lo agosto 1903 - ult. bozze 19 dicembre 1903]. (>) Nemmeno i segnaci di von Buch avrebbero ritenuto possibile un sollevamento contemporaneo all’efflusso lavico. Infatti, Humboldt, par- lando d’un antica eruzione dell’isola Vulcano (Hiera), scrive: « On voit clairement ici que le soulévement precede réruption » (Cosmos, trad. par H. Faye, t. IV, p. 197). MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE PER L’ANNO 1902 Comunicazioni del dott. Guido Bonaredui I. — A proposito di pieghe e di faglie. Io mi ricordo che in una adunanza tenuta a Lucca dalla nostra Società, nel settembre del 1895, l’ing. Zaccagna presentò con brevi cenni descrittivi una copia della sua splendida Carta geologica delle Apuane. A proposito di codesta carta il prof. Taramelli domandò, seduta stante, all’ing. Zaccagna se questi opinasse che nel si- stema apuano fosse proprio da escludersi in modo assoluto la presenza di fratture con rigetto, o salti, o faglie e paraclasi che dir si vogliano. A questa domanda lo Zaccagna rispondeva che nelle Apuane non esistono faglie, ma soltanto anticlinali e sin- clinali. Sette anni sono trascorsi da quel tempo e di nuovo la So- cietà ha la bella occasione di riadunarsi a Congresso estivo in vicinanza delle Apuane. Yi partecipa anche il prof. Taramelli e di nuovo il maestro ritorna, dirò così per suggestione dei luo- ghi e per associazione d’idee, a parlare d’un fatto che da vari anni evidentemente lo preoccupa. « Come va, egli sì chiede (1), che talune regioni sono corru- gate e nello stesso tempo infrante con accavallamenti e salti strabilianti come le Prealpi appunto sino al lago di Como: men- tre altre, come le Alpi Apuane, le Alpi Occidentali e Liguri, le stesse Prealpi Svizzere, ove si tolga il fatto dello scivola - (1) Di alcune condiz. tecton. della Lombardia occ. Boll. Soc. geol. it., voi. XXI, pag. cxvm; 1902. 430 G. BONARELL1 mento delle catene secondo l’ipotesi dello Schardt, sono piegate morbidissimamente e si dura fatica a trovarci una frattura od un piano d’accavallamento? Evidentemente non è questione di scuola o di metodo di rilevamento... ». « La ragione deve con- sistere nelle condizioni nelle quali si è compiuto il corrugamento orogenetico e nei fatti endogeni, che intervennero dappoi nel terziario recente e nel quaternario, prima dell’ultima glacia- zione ». Mi compiaccio di riportare ad literam queste parole perchè esse riassumono egregiamente i termini principali di una que- stione importantissima e non peranco abbastanza studiata : que- stione a proposito della quale sono in ballo opinioni e fatti, cosicché, a volersene occupare in modo esauriente, sarebbe ne- cessario considerarla sotto i molteplici aspetti che essa presenta trattando prima delle diverse ipotesi ed opinioni formulate al riguardo e cercando in seguito di stabilire se e come tali ipo- tesi ed opinioni trovino conferma nei fatti finora accertati. Io per mio conto, volendo ora contribuire, nei limiti assai modesti delle mie forze, a tener viva l’attenzione degli studiosi sopra tale questione dovrò limitarmi a trattare, in modo alquanto superficiale, di qualche fatto isolato e di qualche mia personale osservazione, nè potrei fare di più poi che da circa due anni mi trovo in queste Indie Olandesi, nella assoluta impossibilità di procurarmi i mezzi bibliografici che sarebbero necessari per dare un ampio sviluppo ed un relativo ordine ai materiali che da parecchio tempo sono venuto accumulando per affrontare le emozionanti vicende d’una discussione in proposito ('L Non istarò dunque ad indagare se fu o no per « questione di scuola o di metodo di rilevamento » che l’ing. Zaccagna ed altri geologi non ebbero quasi mai bisogno di ammettere la presenza di paraclasi o di iperolistesi per ispiegare la compli- cata condizione tettonica delle vastissime regioni da essi stu- diate; non istarò nemmeno a discutere se le condizioni geolo- (!) Non ho con me che pochi fascicoli del nostro Bollettino e due o tre note geologiche. Chiedo venia pertanto se, nella trattazione degli argomenti che sono contenuti in questo mio scritto, incorrerò in qualche lapsus memoriae. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 431 giche di quella, o eli quelle regioni, che meglio conosciamo ed allo studio delle quali abbiamo dedicato gli anni migliori della vita, possano, o no, influire a farci esagerare in un un modo 0 in un altro (come è vero che in medio stat virtus !) fino ad ammettere che non esista al mondo una sola faglia ovvero, all’opposto, che ogni complicazione stratigrafica possa spiegarsi con una faglia; come sarebbe il caso di quei geologi che avendo studiato, di preferenza le Alpi scistoso-cristalline finiscono col diventare accaniti ... p leghisti, e di quegli altri geologi che essendosi consacrati allo studio delle Alpi calcareo-dolomitiche diventano corrivi ad ammettere faglie ad ogni piè sospinto, e d'ogni risma e d’ogni conio. Amo pi uttosto intrattenermi a parlare di ciò che costituisce il nodo della questione e dei fatti che ci potrebbero aiutare a risolverla, anche per avere una scusa di ricordare che da pa- recchio tempo, in un mio lavoretto ormai caduto in dimenti- canza (*), avevo cercato di dare al fenomeno una spiegazione plausibile. Ho già detto che il prof. Taramelli riassumeva egregiamente 1 termini principali della questione, procedendo dalla constata- zione del fatto alla ricerca delle cause che tale fatto determi- narono. Ma la constatazione del fatto, anzi dei fatti, risultando dalle ricerche e dagli studi di parecchi geologi, è naturale che si debba osservare un [(rudente riserbo quando si vuole invo- carli per giungere a qualche conclusione d’indole generale. E pertanto, senza escludere assolutamente (come fanno taluni) che nelle Alpi Apuane, nelle Occidentali e nelle Prealpi svizzere si abbiano paraclasi od iperolistesi, diremo soltanto che tali fenomeni occorrono assai di rado, mentre nelle Prealpi orien- tali si riscontrano assai di frequente (2). Così eviteremo il pe- 0) Osserva z. geol. sui monti del Furio presso Fossombrone. Boll. boc. Geol. It., voi. XV, p. 315, 1898. (?) E in ciò credo di essere completamente d’accordo col prof. Ta- ramelli, il quale evidentemente non intese far sua l’opinione troppo assoluta di coloro che escludono, senza eccezione, la presenza di tali accidenti tettonici nelle regioni sopraindicate. Questo si crede, in verità, da molti e valentissimi studiosi, che anzi è, direi quasi la opinione dominante. Ma ciò non toglie che altri geo- G. BONARELL1 43LJ ricolo che prima ancora di giungere alla conclusione più im- portante insorga una incresciosa disputa per opera di coloro che male si acconcerebbero ad escludere senz’altro la presenza di paraclasi e di iperolistesi nelle regioni sopraindicate. Nè io sa- prei, per mio conto, dar loro tutti i torti : 1°, perchè ritengo che la condizione tettonica (monoeii- nale) delle due serie montuose le quali fiancheggiano il golfo di Spezia sia dovuta al concorso di azioni paraclasiche che ne operarono la separazione dal contiguo massiccio delle Apuane, verso la fine dell’ Eocene durante il sollevamento iniziale di quel gruppo; 2°, perchè mi sembrò che del fenomeno iperolistico si avesse uno splendido esempio precisamente nella zona inter- media fra le Alpi liguri e le occidentali e più precisamente lungo i! percorso della galleria del Colle di Tenda dove si vede, per ben due volte, che « la serie triassica (calcari dolo- mitici) e quindi la serie giurassica (scisti variegati e calcari) sormontano il Flysch eocenico » (‘), precisamente come ho visto nel Friuli (2) ; 3", perchè non posso convincermi che certi contatti (del- l’Eocene col Giura, ecc.) quali si osservano nelle Prealpi sviz- zere («Nòrdl. Kalkalpen») specialmente a sud di Rossberg pos- logi possano pensarla alquanto diversamente. Il prof. Taramelli riporta tale opinione senza molto discuterla, ma dalle sue frasi ben si ravvisa la disposizione d’animo di dii, educata la mente ed il cuore ai prin- cipii che distinguono il gentiluomo perfetto, mentre prevede che possa sorgere controversia d’opinioni laddove al presente sembra esistere un sufficiente accordo, mantiene in proposito un delicato riserbo, preferendo lasciare al tempo la cura di metter le cose a posto e di far meglio conoscere a ciascuno di noi dove e qual sia la Verità. (l) Baldacci e Franchi. Boll. R. Coni. Geolog. It., voi. XXXI, pag. 33, 1900. (?) « Tutti questi dati riferentisi alla condizione tettonica di re- gioni cosi distanti fra loro, mi inducono a ritenere che il fenomeno iperolistico occorra nelle Alpi assai più frequentemente di quanto finora siasi creduto, e che a spiegare alcuni problemi di stratigrafia delle Alpi occidentali si possa invocare l’intervento di questo fenomeno. Cosi, per esempio, la posizione della « zona dioritica eporediese » rispetto alle roccie cristallino-scistose fra le quali rimane compresa » (Bonarelli, Miscellanea per l’anno 1900. Boll. Soc. Geol. It.., voi. XX, p. 217, 1901). MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 438 sano avere una spiegazione plausibile se non si ammette die si e no dovuti a fratture con rigetto o, più spesso, con accaval- lamento; sieno pure fratture di poca entità e di secondaria importanza ; 4°, perchè mi sembra probabile che il gneiss d’Antigorio sottostia per iperolistesi al gneiss comune che lo sormonta; — e per altre ragioni. Eliminiamo dunque, prudentemente, il pericolo d’una polemica inutile, e s’inizii piuttosto una discussione proficua sulle cause per le quali sia così diversa la condizione tettonica di regioni non molto discoste le une dalle altre. Non rammento più bene, ma credo di avere scritto che la ipotesi alla quale ho ricorso per ispiegare la frequenza delle faglie nell’Appennino Centrale fosse pure applicabile alle Prealpi (calcareo-dolomitiche) di tutto il Veneto e della Lombardia orien- tale. Io dissi che la frequenza di tali fratture doveva probabil- mente riferirsi alla circostanza che alla costituzione geognostica di tali regioni concorrono alcuni tipi di roccie (calcari, do- lomie) che, per la loro condizione massiccia o quasi massiccia, non avendo sempre potuto ripiegarsi in anticlinali e sinclinali dovettero cedere peraltro alle forze orogeniche e finirono con lo spezzarsi in varia guisa avendosi appunto per risultato, a seconda dei casi, fratture semplici, oppure faglie, oppure acca- vallamenti. Certamente il prof. Taramelli, quando parla di « condizioni nelle quali si è compiuto il corrugamento orogenetico » intende parlare non solo delle condizioni efficienti del fenomeno, ossia del diverso modo d’agire delle forze orogeniche, ma bensì anche delle condizioni degli ambienti che del fenomeno risentirono gli effetti, e cioè della varia natura geognostica delle regioni su cui si esercitarono le forze orogeniche. Dunque, le varie parti del problema sono oramai ben de- finite e il prof. Taramelli con parole ispirate a quel fervente amor di patria per cui tutti lo amiamo e a quel sincero en- tusiasmo per la nostra scienza che in lui non invecchia mai, si è rivolto più specialmente ai giovani italiani incitandoli ad oc- cuparsene con impegno e a non volere che anche questa pagina della Geologia nostra diventi pallida prosa ed arida anatomia 31 434 Ci. BONARELL.I trascritta in lingua barbara. Voglio sperare che le parole del venerando maestro sortiranno l’effetto desiderato e che alcuni giovani volonterosi si accingeranno, lui duce, all’impresa, lo pure, tornando in Europa, domanderò di essere ammesso a col- laborare in quest’ opera. E quando saremo « alla discussione » domanderò che non sia dimenticata, per quel che può valere, la mia vecchia ipotesi. E se questa risulterà contraria ai tatti sarò il primo a ripudiarla ('). II. — Prospetto cronologico del Giura italiano. Nella qui unita tabella (v. pag. 436-437) ho cercato di rendere evidenti i rapporti sincronici delle varie formazioni giuresi italiane. Credo utile aggiungere in proposito le seguenti osservazioni. Per quanto riguarda il Giura friulano converrà riferirsi a quanto ne scrisse recentemente il Marinelli. Descrivendo la costituzione geologica dei dintorni di Tar- cento il Marinelli faceva menzione di due formazioni riferibili al Giura e sarebbero: i calcari con Itieria e Diceras del Monte Bernadia presso Tarcento e gli strati dai quali provengono gli esemplari di Àptici che il Marinelli raccolse in alcuni punti dei sistemi montuosi i quali fiancheggiano la riva sinistra del (■) Confesso però che quanto più giro il mondo tanto più i fatti mi sembrano confermarla tanto da estenderne l’applicabilità e l'impor- tanza. Eccomi qui, di ritorno dai miei lunghi viaggi d’esplorazione della costa orientale di Borneo. L'ho visitata ormai tutta quanta, dall'uno all’altro estremo (1200 km. di lunghezza). Ebbene: dovunque mi fu dato osservare che dove mancano le formazioni massiccio e dove si hanno di preferenza roccie scistose e roccie stratificate (arenace, argillose ecc ), la tettonica di tali regioni non lascia dubbio d’interpretazione; autun- nali, sinclinali e niente altro. Invece quando predominano certi tipi di roccie massiccio o imperfettamente stratificate (calcaree ecc.), allora lo studio tettonico di tali regioni presenta subito numerose difficoltà, e certe complicazioni od apparenti anomalie non possono altrimenti spie- garsi, se non ammettendo che sieno dovute a fenomeni paraclasici. Del che ben sovente mi fu possibile rintracciare qualche prova diretta ed indiscutibile. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 435 Tagliamento fra Tenzone e Gemona. Io per mio conto esclu- derei la possibilità che queste due formazioni sieno contempo- ranee: primo, perchè non potrei ammettere che ad una così breve distanza si possa verificare un così grande etoropismo litologico e paleontologico del sistema giurese friulano; secondo, perchè a S. Antonio in Val Venzonazza abbiamo la sovrappo- sizione dei Calcari con facies di Camacee sugli strati con Aptici. Dunque, nel Friuli gli « Strati con Aptici » sarebbero anteriori al Tifoideo. È da augurarsi che si vengano ben presto a conoscere con sicurezza i rapporti tettonici delle formazioni giuresi friulane con le sottostanti formazioni liassiche. La serie giurese del Veneto occidentale è ormai ben cono- sciuta grazie alle molteplici ricerche praticatevi da geologi e paleontologi. Essa è costituita in prevalenza da sedimenti cal- carei ammonitiferi, nè tino ad oggi si aveva certezza della pre- senza dell’orizzonte ad Aptici in quelle Prealpi. Degno di nota è dunque ciò che il Dal Piaz recentemente scrisse sulla geo- logia del gruppo montuoso di Campotorondo (*), ove l’egregio autore ebbe occasione di osservare che « sotto gli strati con Aspi dace ras acantldcum si stendono, per uno spessore comples- sivo che varia fra i 4 e i 5 m. dei calcari rossastri, arenacei, talvolta grigio- verdicci accompagnati da noduli di selce ». Si tratta evidentemente dell’orizzonte degli «Strati con Aptici», i quali strati, ripeto la frase del Dal Piaz, ci rappresentano, per la loro posizione, le assise inferiori del Malm e quelle superiori del Dogger. Infatti, sotto ad essi, presso le casere di Campoto- rondo si t»ovano dei calcari bianco-grigiastri... nei quali si rac- colgono le seguenti specie già avvertite dall’Hornes fin dal 188 < : Coelooeras humphriesianum (Sow.) » vindobonense (Griesb.) ». Dunque, a Campotorondo gli « Strati con Aptici » sono più antichi del Kimmeridgiano. O Atti R. Ist. Veneto di Se. L. ed A., Voi. LXI, parte 2a, pag. 193, 1902. 436 G. BONARELLI Prospetto ero nolo FRIULI VENETO OCCIDENTALE LOMBARDIA alpi! OCCIDENT _ I o - Calcari del Monte Bernadia con Itieria e Di- ceras. - Calcari bian- chi («Bianco- ne»), rossi («Ti- tonico rosso »), gialli (di Torri ecc.) con Ammo- niti. - Calcari bian- chi o biancastri ; - parte inferiore della Maiolica, con Aptici e Be- lemniti. I - Calcai^ o nerastri ccj* Upsactinia. j : A C ti o o c3 U1 © o £ ti ’o +3 o W « P, - Calcari con Peltocercis trans- versariuvn. - Calcari con Posidonomya al- 'pina. - Lumache! la a brachiopodi; par- te superiore dei Calcari di San Vigilio (Lago di Garda"). - Esilissima for- mazione calcarea concordante con gli strati ad Ap- tici e con il Lias superiore. fri! / - Calcari di / Fiaschi rolo / *3) - Calcari rossa- * con Am- / stri e biancastri moniti y' 2 con Aspidoceras ecc. i acanthicum. / 5 / 1 « Strati!: MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE a italiano. 43 7 I pi UNE APPENNINO CENTRALE ITALIA MERIDIONALE SICILIA . C| ri bian- i J incastri; Vli| nferiore i] 1 lidetto 0a| ; neoco- ian - Calcari mar- morei bigio-ver- dastri, biancastri rossastri; alla base della « Ma- iolica» infracre- tacea. Calcari con Aspidoceras aeanthi- cum. - Esile forma- zione calcarea concordante con gli strati ad Ap- tici e con il Lias superiore. K| d o o ci bJD o a .§ o 31|- Pi A , ‘3 ■< et © © rH ci et U 15 o et oc S ¥ o .5 5 o O d o - Calcari con Aspidoceras a- canthicum. - Calcari con Peltoceras trans- versarium. - Calcari con Macrocephali tes macrocephalus. - Calcari con Ammonites (?) gr. Ivumphriesianus. 438 G. BONAREI.LI Ora si consideri clic nel Veneto occidentale sono già stati paleontologicamente distinti POxfordiano (calcari con Peltoceras transversarium ) ed il Calloviano (calcari con Posidononiya al- pina). Resta pertanto a verificarsi se gli strati con Aptici sieno, nel Veneto occidentale, un rappresentante eterotipo di tutti codesti piani oppure invece se essi si trovino anche lad- dove l’Oxfordiauo ed il Calloviano sono rappresentati dai ben noti calcari a cefalopodi, e quali ne sieno i rapporti tettonici con queste formazioni. (Non è improbabile che vi rappresentino il solo Sequaniano). Per quanto riguarda il Giura lombardo, sarà bene rife- rirsi a quanto ne scrisse il prof. Mariani. Io mi auguro che le ricerche già iniziate dall’egregio professore siano pro- seguite fino a farci conoscere nei loro dettagli le varie for- mazioni giuresi di quelle Prealpi. Intanto ripeterò qui quanto già scrissi otto anni fa (*), ed è che in Lombardia devesi con tutta probabilità riferire al Titonico la parte inferiore della Maiolica, sostituita qua e là, per eteropia locale, da cal- cari più compatti, ora bianco-verdastri, ora rossastri. Ricorderò inoltre che la formazione kimmeridgiana di Fraschirolo è cal- carea. Dunque gli « Strati con Aptici » sono anche in Lom- bardia più antichi del Titonico e, almeno in parte, più antichi del Kimmeridgiauo. Curioni li riferiva all’Oxfordiano; così pure altri autori, prima e dopo lui (2). Quanto al cosidetto Titonico fossilifero di Casa Camperà (Comune di Camnago Volta; prov. di Como), aggiungerò subito che le mie ricerche di fossili in quella località riuscirono del C) Contrib. alla conose. del Giura-Lias lombardo. Atti R. Accad. dello Se. di Torino, voi. XXX, 1894. (2) Per quanto riguarda il Giura bresciano si consultino anche le recenti pubblicazioni del Cacciainali, il quale lui creduto di poter di- stinguere nettamente, quantunque senza alcuna prova paleontologica, la « Maiolica » titoniana dal resto dellTnfraeretaceo. Non comprendo perché il Cacciamali riserbi il nome distintivo di «Maiolica» alla por- zione basale, veramente titoniana, di quella serie calcarea piuttostochè alla porzione infra-cretacea sovrastante, cui tale appellativo più giu- stamente si compete. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 439 tutto vane. Credo che eguale effetto abbiano sortito le ricerche praticate dal prof. Mariani e da altri. Vorrà dire che non ab- biamo avuto fortuna, però mi sia lecito aggiungere che Casa Campora sta sulla Maiolica (parte inf.). e che se a Casa Cam- perà sono stati trovati dei fossili titonici, questi furono raccolti nella parte inferiore della Maiolica e non nella sottostante for- mazione del « Rosso ad Aptici ». In caso contrario converrà pensare che detti fossili provengono da una Casa Campora ■qualsiasi del Veronese o del Vicentino e che forse facevano parte della antica collezione Stoppali. Io vidi codesti fossili, e mi sembrò che essi non possano provenire dagli « Strati con Ajitici » della Lombardia occidentale perchè la roccia di cui sono formati non l’ho mai riscontrata tra i vari tipi litologici che concorrono a costituire il terreno in parola. In alcune località delle Alpi occidentali (Alta \ alle della Stura di Cuneo, ecc.) il Giura superiore titoniano è costituito in prevalenza da calcari neri o nerastri con Ellipsactinia, ecc., cui forse succedono in basso quegli « scisti variegati » che il Franchi ed il Baldacci riscontrarono al Colle di Tenda (*) e nei quali sarei propenso a riconoscere un rappresentante ete- ropico dell’orizzonte con Aptici, più antico del 'litouico, da non confondere con altri scisti silicei molto più antichi che si ve- dono affiorare in varie località delle Alpi occidentali. Quando la costituzione geologica dell’Appennino centrale sarà più diffusamente conosciuta allora sentiremo affermare, più spesso che per il passato, esistere una perfetta omotipia tra il Giura appenninico e quello delle Alpi Apuane, tanto che nelle linee generali si può adottare per ambedue la medesima clas- sificazione e quanto si può dire per l’uno può valere per l’altro. Del Giura apuano scrissi l’anno scorso (2), ripetendo su per giù quanto già avevo detto nella mia Descrizione geologica del- l’Umbria centrale, non ancora pubblicata, ma della quale si (L Galleria del Colle di Tenda. Boll. R. Com. geol it., voi. XXXI, Roma. 1900, pag. 33. ^ (2) Miscellanea, 1901. Boll. Soc. geol. it., voi. XXI, pag. 54o. 440 G. BONARELLI conosce la recensione assai benevola che ne fece la Commis- sione giudicatrice del quinto concorso al premio Molon. Al qual proposito dichiaro che desidero uniformarmi completamente al parere autorevole della suddetta Commissione; cosicché, mentre finora affermavo senza molto esitare che dovunque, in Italia, gli strati con Aptychus sono più antichi del Titoniano e spesso anche del Kiiumeridgiano, d' ora in poi riferirò tale mia opinione con più riserbo e cautela, in attesa che sia rico- nosciuta con dirette prove paleontologiche la « vera età » di alcuni affioramenti di codesto orizzonte. Per quelli della To- scana opinerei tuttora che si debbano riferire al Giura medio. È ben vero che essi sono legati da intime relazioni stratigra- fiche con la serie calcarea sovrastante (« calcare neocomiano » auct.), ma è pur vero che eguali intime relazioni li collegano con gli strati a Posidonomya del Lias superiore, clic anzi si ha graduale passaggio litologico dagli uni agli altri, il che non si verifica con ITnfracretaceo ; e devesi appunto a tale circo- stanza se il prof. De Stefani avendo riferito al Titoniano gli strati con Aptici delle Alpi Apuane, ecc., riferiva al Giura medio la formazione sottostante degli «scisti a Posidonomya Bronni , riferendo questo fossile ad una forma oxfordiana (Pos. Ornati Quenst.). D’altra parte, accade per la Toscana il mede- simo fatto già da me riconosciuto per la Lombardia e per l'Ap- pennino centrale. E cioè: molti Aptici che si raccolgono negli strati omonimi sono riferibili alle forme descritte dal Favre, dal De Loriol e da altri per il Giura medio della Svizzera; mentre gli Aptici che in Lombardia, ecc., si raccolgono negli strati basali della « Maiolica » sono identici a quelli che nel Veneto e nell’Appennino centrale si raccolgono nei calcari am- monitiferi indubbiamente titoniani. Invece nel resto della Ma- iolica si raccolgono altri Aptici ( grasianus d’Orb., didayanus d’Orb.) ritenuti finora caratteristici dell’Infracretaceo. Dunque anche in Toscana è la porzione basale del cosidetto calcare « neocomiano » che si deve riferire al Titonico. Ne risulterebbe clic il Titonico della Toscana non fa eccezione alla regola (piasi generale, essendo esso più intimamente coltegato alTInfracre- taceo che non al resto del Giura. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 441 Non mi dilungo a parlare della serie giurese dell’ Appen- nino centrale per non ripetere quanto già scrissi in parecchi miei lavori. Del resto, dalla qui unita tabella risulta abba- stanza chiaramente la posizione reciproca e la età relativa delle varie formazioni che concorrono a costituire detta serie. Ricor- derò soltanto che la fauna kimmeridgiana deU’Appennino Cen- trale, nota per la splendida monografia che ne pubblicò recen- temente il prof. Canavari, fu raccolta in alcuni strati calcarei la cui posizione è fra i calcari titonici e gli « strati con Aptici ». Resta pertanto a verificarsi se detti calcari kimmeridgiani si estendano a tutto l’ Appennino Centrale oppure se essi sieno qua e là sostituiti dalla parte superiore degli strati con Aptici. Una esile formazione, prevalentemente calcarea, separa questi strati con Aptici dal sottostante « rosso ammonitico (Poarciano- Aleniano), avendosi fra tutte queste formazioni una perfetta con- cordanza. I calcari con Posiclonomya alpina Grass, la cui presenza nell’Appennino Centrale fu riconosciuta per la prima volta dal prof. Canavari, non si estendono a tutta la regione, (nè a me, fra parentesi, fu mai dato di riscontrarli in posto). Giova pen- sare che il Calloviano appenninico sia rappresentato in preva- lenza dalla parte basale degli strati con Aptici, la qual cosa fu riconosciuta con prove paleontologiche in un altra località italiana, come ben presto ci farà conoscere l’ottimo collega dott. Bettolìi al quale dobbiamo in proposito una scoperta molto importante. Al Furio poi (presso Fossombrone, prov. di Pesaro-l rbino), il Calloviano è localmente rappresentato da calcari a Reineckeia. Nell’Italia meridionale sono assai rimarchevoli per potenza ed estensione i calcari ad Ellipsactinia che si riferiscono in parte al Titoniano. In Calabria ricompaiono, fra il Lias ed il Cretaceo gli « strati con Aptici» riferiti aneli essi al Pitonico. Non so se vi sieno stati rinvenuti altri fossili (specialmente Ammoniti) peculiari del Pitonico. Io non conosco de visu gli strati con Aptici della Calabria ; cosi pure non conosco quelli della Sicilia; e pertanto dovrò rite- G. BONARELLI 442 rivmi a quanto ne dicono gli autori che ebbero occasione di occuparsene e clic sono abbastanza concordi nel riferire tali striti al Giura superiore. Sarebbero dunque contemporanei di questi strati calcarei con fossili decisamente titonici dei quali si riscontrarono rimarchevoli affioramenti in varie parti della Sicilia. La fauna di questi calcari è nota più specialmente per quanto ne scrisse l’illustre prof. Gemmellaro, al quale pure si devono le classiche monografie che illustrano altre faune giuresi della Sicilia. Tutte queste faune provengono generalmente da calcari e vanno riferite distintamente al Kimmeridgiano, aH’Oxfordiano, al C'alloviano, all’Oolite. Questa mia nota ha precipuamente lo scopo di servire da un introduzione ad altro mio scritto con il quale ho intenzione di riferire intorno alla estensione ed alla importanza che gli strati con Aptici presentano in regioni... extraitaliane. È na- turale dunque che degli strati con Aptici debba ora parlare sin- golarmente riassumendone i caratteri principali. È ben noto che con il suddetto appellativo non si è voluto intendere di riunire insieme tutte le formazioni italiane nelle quali si rinvennero Aptici. Aptici si raccolsero nel Lias superiore, nei calcari titoniani, nei calcari infracretacei, oltreché nei veri « strati con Aptici », ai quali corrispondono caratteristiche litologiche per cui ben si distinguono dalle altre formazioni. Si è visto che gli strati con Aptici non sono tutti della stessa età. Essi, più che un piano rappresentano un rimarchevole feno- meno di eteropismo, per cui quando le varie formazioni giuresi italiane non si presentano con i loro caratteri distintivi, esse sono rappresentate dagli «strati con Aptici». Nel Veneto orientale, nella Lombardia, nelle Apuane, nell A p pennino centrale gli strati con Aptici rappresentano quasi tutto il Giura medio, dal Calloviano {ex parte) al Kimmeridgiano {ex parte). In alcune località del Veneto occidentale sono forse limitati al solo Sequaniano. In Calabria ed in Sicilia sembra invece che questi strati sostituiscano qua e là i calcari ti- tonici. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 443 Non so se gli Aptici raccolti in Calabria ed in Sicilia appar- tengano a forme identiche, oppure un poco diverse da quelle che si riscontrano negli strati con Aptici delle altre regioni. Quanto ai caratteri litologici della formazione, gioverà accen- nare prima di tutto che gli strati con Aptici si differenziano da località a località e da strato a strato per numerosi carat- teri. Si tratta generalmente di esili straterelli calcarei, calcareo- marnosi, marnoso-arenacei, argi Ilo-scistosi, con numerosi letti e noduli di selce ora compresa nella parte media degli strati, ora intercalata fra strato e strato. Il colore di tutte queste roccie è variabilissimo; generalmente sono rosse oppure verdastre, ma non di rado si presentano biancastre, giallastre, violacee, rosso- brune, nerastre. Lo spessore della formazione è pure variabilissimo. In genere è osservato: 1° che è tanto più grande quanto meno gli strati sono inclinati all’orizzonte ; 2° che tanto meno è potente quanto minor numero di formazioni giuresi sono rappresentate da tali strati. Ecco perchè a Campotorondo essa è esilissima, ed ecco perchè nel Veneto occidentale in genere la sua presenza sfuggì alle investigazioni di parecchi studiosi. Si deve precisamente alla estrema variabilità dei caratteri litologici di questi strati con Aptici se gli autori li designarono con nomi diversi a seconda delle località d affioramento, igno- rando. nel maggior numero dei casi, che questa formazione si estende notevolmente in altre parti d Italia. d’Europa, ecc. Ne risulta la seguente sinonimia: a) per il Vendo: «Calcari selciferi variegati, con Aptici» (Marinelli, ecc.) ; «Calcari rossastri arenacei, talvolta grigio- verdicci, accom- pagnati da noduli di selce» (Dal Piaz): b) per la Lombardia : «Selcifero» (Autori bresciani: Ra- gazzoni, Cacciamali, ecc.); «Giura medio», «Oxfordiano», «Rosso ad Aptici» (Stop- pani, Curioni, Meneghini, Taramelli, Mariani, Bonarelli, ecc.); c) per le. Alpi occidentali italiane: «Scisti variegati, lungo il percorso della galleria del colle di Tenda» (Baldacci e Franchi); 444 G. BONARELLI d) per le Alpi Apuane : « Schisti e diaspri verdastri, gial- lastri, rosso-bruni, violacei » (Capellini, De Stefani, Zaccagna, Lotti, ecc.); e) per V Appennino centrale : « Aptychenschiefer » (Zittel, Bonarelli, ecc.); « Scliisti ad Aptici» (Canavari, Bonarelli, ecc.). Mi sono dovuto limitare ai sinonimi più comuni, essendo sprovvisto della bibliografia che sarebbe necessaria per compi- larne il completo elenco. Spero di poter presto dare alle stampe il mio Stadio sulla estensione occupata dagli strati con Aptici nel Mediterraneo giu rese , e allora rimedierò al difetto presente. III. — A proposito di Lucine oligoceniche. È noto che alla base del calcare nummulitico indo-malese (« Kalksteen-Etage », o « Etage y» di Verbeek), negli strati (alternanze di marne e di calcari) che formano passaggio alla serie eocenica sottostante fu riscontrata una fauna, a forammi- nifere, ecc., che si credette di poter confrontare con quelle di Priabona e di Biarritz ('). Ed è questa una delle tante ragioni per le quali io ritengo doversi detto calcare nummulitico rife- rire alTOligocene inferiore: non aH’Eocene superiore come riten- gono altri, non al Miocene (!) come riteneva il Martin. Un pò al di sopra della suddetta zona di transizione, e più precisa- mente nella parte più antica del calcare nummulitico, io stesso raccolsi, fra gli altri fossili, frequenti modelli interni di grosse Lucine. Il Verbeek fa menzione di queste grosse Lucine nella sua Topogr. en. geolog. beschr. van een Gedeelte van Sumatra’ s Westlcust (2), dove dice anzi che dette Lucine e più special- mente la Lucina Verbeeìci Bttgr., sono un fossile caratteristico, « Leindings fossicl », della formazione in discorso. (') Posevitz, lìorneo , pag. 384, Berlin 1889. A meglio stabilire il valore rii questo confronto servirà lo studio delle numerose forme di Echini che si raccolsero in questo terreno. (2) Batavia, 1883, pag. 559. MISCELLANEA DI NOTE GEOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE 445 Altre Lucine ebbi occasione di rinvenire nel Miocene infe- riore di queste contrade ina per alcuni caratteri esse si distin- guono da quelle oligoceniche. La posizione degli strati a grosse Lucine nel calcare num- mulitico indo-malese sarebbe a mio avviso precisamente identica alla posizione degli affioramenti a Lucine nel macigno oligoce- nico dell’Alto Appennino (Porretta, Barigazzo, Deruta, ecc.). Non voglio da questo fatto giungere a conclusioni che po- trebbero fruttarmi giustissime critiche. Ammetto anzi che la suddetta identità di posizione sia del tutto casuale, ma non meno degna di nota. Al mio ritorno in Europa eseguirò un confronto tra le Lu- cine oligoceniche indo-malesi e quelle del nostro Appennino onde meglio poter valutare il significato e l’importanza del loro sincronismo. IV. — Il geli. Tridacna. Si riteneva finora che questo genere non fosse più antico del Miocene. Sono lieto pertanto di poter notificare che nel cal- care nummulitico indo-malese che, come ho detto, riferisco all’O- ligocene inferiore, ho trovato parecchie gigantesche valve di una forma molto simile, per dimensioni, ecc. alla vivente Tri- dacna gigcis L. Vengo ora a sapere che il Sarasin dai suoi recenti viaggi nell’interno di Celebes ha riportato alcuni esemplari della me- desima Tridacna raccolti nel calcare nummulitico di quell’isola. [ms. pres. 20 settembre 1903 - alt. bozze 19 dicembre 1903]. ANCORA E SEMPRE DELLE SPECIE ELEFANTINE FOSSILI IN ITALIA Osservazioni del dott. Alessandro Portis Il secondo fascicolo del Bollettino della nostra Società per quest’anno 1903 (voi. XXII) mi reca ancora (da pag. 348 a 3G0 e tav. XIII) una nota del Flores E. dal titolo: « L’ Elephas pri- migenius Riunì. nell’Italia meridionale continentale»; nota che mi obbliga a ripetere una volta di più una forinola di conclu- sioni a cui ero arrivato anni sono, dopo aver moltiplicato e rei- terato ricerche ed esami su di un numero ormai imprecisabile di denti fossili elefantini di provenienza italiana e su loro ico- nografica rappresentazione. La nota sta in mano a tutti gli attuali membri della nostra Società: quindi non voglio soverchiamente tediarli col riassu- merla; e lascio al lettore, che si interessi al soggetto, di giudi- care se a pagine 353, 354 e 355 (prima metà), vi siano inesat- tezze, contraddizioni, sostituzioni di termini e correzioni a pre- cedenti affermazioni. Di nuovo, vi è in essa la tavola che ri- produce, con diversa efficacia, dei denti o porzioni di denti ele- fantini fossili italiani. Di questa, in contradditorio col testo relativo a ciascuna figura rappresentata, farò una semplice de- terminazione sommaria ed oggettiva. 1° La figura prima rappresenta un frammento-residuo di usura di un dente elefantino, sul quale la distruzione sopravve- nuta del cemento ha messo in evidenza la grandissima relazione che offrono certi denti di E. antiquus Falc. con quelli di E. afn- canus Limi., secondo quanto ebbe già ripetutamente a constatare il Pohlig nella sua opera del 1888-1891: « Dentition und Kra- nologie des Elephas antiquus Falc. » ctc. ANCORA E SEMPRE DELLE SPECIE ELEFANTINE FOSSILI IN ITALIA 447 2° La figura seconda, che è una ripetizione di altra pre- cedente di altro autore t1), mal si presta, per la sua schematiz- zazione troppo spinta, ad una determinazione di denti di elefante e ad una discussione sulla specie. Potrebbe benissimo venir sup- posta la rappresentazione schematica del modo di distribuzione delle cellette in una colonia di Halysites catenulana Lina. sp. Ma se proprio, in mancanza di meglio, debbo servirmene per dir che rappresenti la faccia triturante di un molare elefantino e di quale specie; dirò che: lo sviluppo della regione (che teorica- » mente dovrebbe esser occupata dallo avorio) indicata dalle enormi distanze tra foglio e foglio ganeinico di una stessa lamina e la conseguente riduzione degli strati (che la posizione tra la- mina e lamina fa supporre constare di cemento), la crispazione della stessa ganeina, mi obbligano a ritener il dente come per- tinente ad E. antiquus Pale. o° Le figure terza e quarta sono destinate a rappresentare un molare elefantino appartenente ad E. antiquus Pale, della più bell’acqua; e basta, per convincersene, confrontarle colla fig. 2, tav. A dell’opera del Pohlig sovraccennata; figura in cui è rappresentato il più grosso molare conosciuto di questa specie; dente che si conserva nel Museo di Siviglia. 4° I due molari che stanno nel Museo di Bologna furono già a suo tempo raffigurati dal Botti; e le sue figure servirono a convincere me che essi denti appartenevano, essi eziandio, all ’Elephas antiquus Falc. e non a\V E. primi geni us Blumb., come credeva e forse ancora crede il Botti stesso. Mi affretto quindi alla conclusione che è: Dopo la nota del Flores sopra indicata, riaffermo puramente e semplicemente la totalità « spirito e lettera » delle mie « Osservazioni » inserte nel presente volume del Bollettino della nostra Società pag. 143- 146; e ne ripeto, ancora una volta, la forinola di chiusa, cioè: « asserisco recisamente che l’ Elephas primigenius vero è raris- » simo in Italia, mancante in tutta l’Italia media e meridionale, (L Questa figura, come quella che corrisponde ad oggetto oggi in- trovabile, dovrebbe essere da me amnistiata con un breve: « Parcam sepolto»; ma, mi viene offerta in determinazione e sarebbe scortesia rifiutarla. 448 A. P0RT1S » mentre nella superiore non è, finora, rappresentato che da un » unico pioniere smarrito, quello da cui proviene il dente di » « La Loggia» presso Torino, da me illustrato nel 1898. Fi- » nora (11 novembre 1903) non è avvenuto che, per giustificate » affermazioni in contrario, io debba modificare la mia dichia- » razione per ricondurla a corrispondente a verità». Anzi, come codicillo alla dichiarazione stessa, aggiungo: Se qualcuno più di me meticoloso allibratore dei caratteri compa- rativi fra Elephas cmtiquus ed Eleplias primigenius, dimostrerà che io fui troppo facile a lasciarmi suggestionare dai pochi caratteri della seconda specie offerti dal dente del « La Loggia » in confronto dei molti e contemporaneamente afferenti alla prima; e che, per conseguenza, alla prima desso debba venire attribuito; egli mi renderà un vero servizio. Egli mi permetterà allora di rendere, senza altra eccezione o vincolo, più rigida e più asso- luta lamia affermazione, con dire che: IJ Elephas primigenius Blum. vero, non ha superata la cerchia alpina: non è ancor stato, finora, rinvenuto o sicuramente constatato in nessun punto d’Italia. [ras. pres. 1 dicembre 1903 - ult. bozze 11 dicembre 1903]. PROBLEMI OLOGENICI NELL’UMBRIA Nota del presidente A. Vkkki Nel voi. XX del Bollettino accennai alla presenza del Trias nei monti Martani (’); osservazioni fatte l’autunno scorso mi pongono in grado di comunicare su ciò qualche particolare. Ad evitare equivoci, avverto che le formazioni indicate colla \oce Trias superiore sono quelle stesse, le quali l’ing. Lotti, nelle sue relazioni sui rilevamenti geologici dell’Umbria, riferisce sinora al Rctico. La sezione della catena Martana, nelle linee generali, si presenta come un’anticlinale troncata ad occidente, ed alla tron- catura corrisponde l’ampia depressione estesa da Perugia alla Conca di Terni, limitata ad ovest dalla catena dei monti di Orvieto, Todi, Amelia, Narni. La catena Martana si protende come una penisola tra quella depressione, e l’altra grande de- pressione contenente le pianure di Spoleto e Foligno, detta Valle Umbra. Salendo la catena Martana ad occidente dal monte Cerchio, si ha prima uno scaglione composto dove di calcari del Lias inferiore, dove da calcari di formazioni che sembra siano supe- riori: in esso a volte si vedono gli strati declivi verso la de- pressione, a volte invece accennano ad essere declivi contro il monte. Nell’insieme a me fa l’effetto d essere dovuto a frane distaccate dalla montagna, in relazione alla sua troncatura da questo lato; ma non è improbabile che in qualche parte rap- presenti un lembo del ramo dell’anticlinale, che è sepolto nella depressione. La massa sicuramente in posto è composta fino ad una certa altezza da calcari bigi, rossicci, scuri e da dolomie. Nella for- (!' Terzo contributo alio studio del Miocene nell Umbria, p&g. 2. 32 450 A. VERRI inazione ho notato un banco di scisti bigi molto induriti con bactnìli. Sopra queste rocce vengono i calcari bianchi ceroidi del Lias inferiore, i quali nella cresta del monte accennano a forte raddrizzamento. La struttura massiccia dei calcari del Lias interiore toglie di comprendere con chiarezza la disposizione stratigrafica dei loro banchi; ma, risalendo il vallone dirupato che separa il Cerchio dal monte di Mezzanelli, per un certo tratto le rupi appaiono sino al letto del torrente composte dai calcari ceroidi : il che mostrerebbe essere il monte, per quel tratto, costruito da un ramo anticlinale incito raddrizzato di questa formazione. Nel punto più alto del monte sono alcuni strati di calcari del Lias medio, i quali scendono nella sella interposta tra il Cerchio ed i poggi che seguono ad oriente. Dopo la sella la sezione presenta sviluppo considerevole della formazione tito- niana; cui, nella maggior parte dei poggi più elevati, va sopra il calcare neocomiano. Scendendo da là nella Valle Umbra si vedono le rocce tito- niane, i calcari neocomiani, le rocce della Creta superiore, i calcari marnosi dell Eocene inferiore disegnare una piega ribal- tata verso oriente. Seguitano nelle colline le rocce del Terziario antico, poi si hanno sedimenti pliocenici d’acqua dolce: infine viene la pianura colmata dai depositi dell’ultima Lise lacustre, per la quale è passata la Valle Umbra. Tre sezioni prese nella catena che separa la Valle Umbra dalle valli del Menótre e della Nera, dalla Vaitopina ai monti di Spoleto, m’hanno mostrato nella sua zona- occidentale una specie d’accavallamento, pel quale i calcari ceroidi del Lias interiore vanno a sovrapporsi a formazioni meno antiche, e persino alle rocce della Creta superiore. Dopo quell’acca valla - mento si disegna nelle formazioni titoniche e cretacee un’anti- elinale ribaltata verso est: nella sinclinale generata dal ri- baltamento sono la valle del Menótre c porzione della Yal- nerina. Una sezione, presa sulle montagne che separano la Valnerina dalla valle del fiume Corno, m’ha mostrato le formazioni salire addossate a masse del Lias inferiore, eppoi declinare verso la valle del Corno. PROBLEMI 0R06KNIC1 NELL’UMBRIA 451 Queste grandi pieghe caratteristiche sono accompagnate da pieghe secondarie, la cui descrizione sarebbe lunga e divaghe- rebbe inutilmente dal soggetto che mi sono proposto di trattare. Disegnata cogli elementi raccolti una sezione, ne risulta la figura che unisco. Vm Ile l mi. IH Vt> neriii» 1 Quaternario — 2. Terzini io — 3- Creta superiore e media — 4. Creta inferiore — 5. Titoninno e I legger (V). — 0. Lias superiore e medio. — 7. Lias inferiore — 8. Betico Quante volte ho tentato la soluzione dei problemi che offre la tettonica dell’Umbria, tante volte mi son trovato davanti dif- ficoltà immense a poterla definire nei punti dove sbucano le scogliere grandiose del Lias interiore. Nel 1882, descrivendo il^ Lias inferiore che si ha nei monti della Conca di Terni, indi- cava il letto marino di quella sedimentazione come variato per costruzioni coralline in acque assai ricche di sali. Avendo notati nella zona inferiore del Lias medio strati di struttura brecci- forme, esprimeva l’opinione che quelle brecciole potrebbero torse attestare scogli madreporici demoliti dall’azione meccanica delle onde: pur concludendo, pel complesso delle osservazioni, che lo spazio fosse rimasto tutto coperto dalle acque. Quantunque le scogliere del Lias inferiore sbuchino fuori in forma massiccia, e le rare tracce che vi restano delle linee stratigrafiche si di- stinguano male dalle linee di rottura prodotte dalle piessioni, le immaginai costrutte da anticlinali ('). Dopo quel tempo, pro- seguendo le osservazioni e meditandone i varii particolari, co- minciai a dubitare che gli strati del Lias medio con apparente struttura brecciforme, incontrati parzialmente in qualche luogo, (') Studi geologici sulle Conche di Terni e Rieti. R. Acc. de’ Lincei, voi. XV. 452 A. VER1U potessero definirsi per vere brecce esogene; vidi che il modo adottato di disegnare la tettonica delle scogliere di Lias infe- riore non rispondeva nel dare la ragione di molti fatti. Allora mi cadde in mente che quelle scogliere rappresentassero frammenti d’una gran platea rigida spezzata disposti, con inclinazioni di- verse, lungo grandi linee di rottura dirette da NNO a SSE. Dai movimenti lungo le linee di rottura principali sarebbero derivate altre fratture secondarie: le masse soprastanti, più plastiche per le zone marnose in esse incluse, prese tra quei frammenti, vi si sa- rebbero assettate piegandosi in sinclinali ed anticlinali (*). La di- versità di vedute rifletteva soltanto il modo di considerare la tettonica delle masse rigide inferiori. Le conclusioni riguardo le superiori rimanevano eguali, e cioè che le mancanze d’una o d’altra formazione, specialmente sui vertici delle anticlinali, non possano essere giudicate come effetto d’interruzione della sedimentazione marina, ma derivare dall’assetto che hanno do- vuto prendere le formazioni, particolarmente addosso alle rigide masse tra cui furono comprese. Basandomi sulla natura e po- tenza delle rocce che, nella montagna di Cetona in Valdichiana, nel monte Malbe presso Perugia, nelle montagne dell’Abruzzo, 'compongono il Retico, o in genere la parte superiore del Trias, aggiungeva anche quelle alla platea rigida, accennando per essa uno spessore di qualche migliaio di metri. L’ing. Lotti, riferite le mie opinioni, dice parergli che nè Luna nè l’altra spiegazione trovi appoggio nei fatti e sia suf- ficiente; che, tanto col primo come col secondo processo, resta inesplicabile il fatto di due lacune nella serie tra il Lias su- periore ed il Titoniano, e tra il Neocomiano ed il Senoniano: lacune riconosciute sopra gran parte della superficie terrestre, e chiamate dal Suess trasgressione batoniana e trasgressione ce- nomaniana. Enuncia quindi l’ipotesi, che le masse calcaree del Lias inferiore abbiano formato in origine protuberanze accen- tuate emergenti dal mare basico, forse scogliere madreporiche; le quali alla fine del Lias superiore poterono andar soggette all’azione meccanica delle onde, epperciò siano state in parte (') Un capitolo della geografia fisica dell’ Umbria. Atti IV Congr. geogr. it., 1901. 453 PROBLEMI 0R0UKN1CI NELL'UMBRIA logorate, ed intorno ad esse siansi depositati a mantello e in discordanza i sedimenti titoniani. Ritiene che un fenomeno ana- logo potè ripetersi nel periodo di emersione compreso tra il Neo- comiano ed il Senoniano: ma circa la trasgressione cenomaniana dichiara nelle pagine precedenti, che non sembra sia estesa alle montagne di Terni, e che su ciò abbisognano ancora studi. Sog- giunge che le fasi di emersione non devono ritenersi come stati di decise condizioni continentali, ma solo come fasi insulari o lagunari, nelle quali però potevano verificarsi erosioni e denu- dazioni notevoli nelle masse emergenti dall’acqua; che così spie- gasi agevolmente il fatto della continuità della serie a breve distanza da una discontinuità. A proposito della platea rigida, che io aveva accennata con potenza di qualche migliaio di metri, obbietta che il Lias inferiore posa su strati prevalente- mente scistosi del Retico; che i calcari massicci del Lias infe- riore probabilmente, come in Toscana, formano grosse masse amigdaloidi di estensione relativamente piccola, le quali vanno a finire rapidamente in cuneo. Riguardo alla mancanza di for- mazioni ciottolose ed arenacee, da me addotta in favore della continuità della serie secondaria, dice che, in un arcipelago di scogli ed isolotti, i ciottoli e le arene non potevano formarsi e depositarsi che intorno ad essi, ed essendo gli elementi quasi esclusivamente calcarei, dovevano col tempo venire disciolti, che da me era stata indicata una zona di brecciole sopra gli scisti ad aptici; che alla categoria delle rocce clastiche appar- tengono tutte le rocce della zona scistoso— diasprina del litoniano, e quelle della zona degli scisti varicolori dell’Aptiano (*). Prescindendo dalla trasgressione cenomaniana, di cui il Lotti stesso dichiara non essere ancora maturo lo studio nelle mon- tagne di Terni e nella vera catena apenninica, riassumerò i miei pensieri su quella batoniana. Nel 1882 accennai a piccola zona di brecciole, notate sopra gli scisti verdi ad aptici sulla strada della Yalnerina prima della Cascata delle Marmore: con- cludeva che, alla fine del Lias superiore, il letto marino fosse soggetto all’azione meccanica delle onde; ma 1 uniformità di (i) / terreni secondari nei dintorni di Narni e di Terni. (Relazione sulla campagna geologica del 1002). — Boll. Coir. geol. 1903. 454 A. VKJiltI composizione delle formazioni non farmi credere avvenuta una vera emersione — che le regioni le quali si vedono prive di taluna delle formazioni non rappresentano isole, attorno cui si siano depositati i sedimenti dei mari successivi: invece doversi ricercare le ragioni delle anomalìe negli avvenimenti posteriori (‘). Nel 1884 riferii che sotto Amelia aveva veduto, su un lembo di Lias superiore, uno straterello brecciforme composto da pic- cole scaglie non rotolate; clic nella costruzione d’un tunnel, al sud del monte delle Marmore, erano siati trovati alcuni fram- menti angolosi di calcari basici inclusi tra scisti rossi che cre- deva titoniani. Soggiungeva che, con osservazioni così limitate, non era possibile risolvere il problema della trasgressione; non- dimeno sembrarmi che quelle osservazioni provino resistenza di scogliere soggette all’azione meccanica delle onde. Concludeva : «Forse in questi luoghi vi fu un tempo, nel quale il fondo ma- rino era coperto da acque sottili ; forse per questa circostanza, oppure per la lontananza e posizione delle terre, vi fu un ral- lentamento nella costruzione dei sedimenti: si potrebbe attribuire a queste cause l’effetto della potenza minore delle nostre masse giuresi, in confronto delle formazioni di altri paesi? » (2). Nella relazione citata il Lotti non riferisce fatti speciali da lui notati: solo osserva che le rocce della zona scistoso-dia- sprina del Titoniano, e gli scisti dell’Aptiano sono rocce cla- stiche. Dubito che simile argomento possa provare a favore d’un arcipelago con isolotti ; e dubito che la brecciola stessa da me indicata basti a dimostrarlo, oltreché bisognerebbe riprenderne lo studio per assicurarsi della sua genesi. Il trovamento di frammenti basici dentro gli scisti titoniani sarebbe una prova più decisiva: ma, non essendo state esaminate minutamente le circostanze di quel trovamento, bisognerebbe che la cosa fosse confermata da osservazioni ben dettagliate, sicché la notizia può servire soltanto da indizio che richiami l’attenzione nelle ri- cerche. Un tatto di tal natura non può essere limitato in pic- colo spazio d'una parete di galleria: dovrebbe vedersi su esten- (•) Studi (/eolof/ici sulle Conche di Terni e Rieti, op. cit. (?) Divisione tra le formazioni liasiche, r/iuresi e cretacee nei monti dell’ Umbria. Boll. Soc. geol., voi. III. PROBLEMI OROGENIC1 NELL’UMBRIA 455 sionc maggiore, per lo meno nella località, nè a me è riuscito dipoi vedervelo ripetuto sulle superficie dove la roccia è sco- perta. Potrebbe anche darsi che in quel punto, dove i contor- cimenti delle rocce ed il conseguente fratturamento raggiungono un massimo, scaglie di rocce dure siansi intruse tra rocce pa- stose nei movimenti delle masse. Intanto, per convenire nell’idea d’un arcipelago incominciato con protuberanze di rocce del Lias inferiore, emergenti dai mari basici in guisa da costituire l’em- brione di curvature in cupola, come il Lotti ritenne essere avve- nuto nei terreni della Toscana ('), ed estendere questo modo di vedere all’Umbria, mi fanno sempre ostacolo le sedimentazioni calcari, che, incominciando cogli strati più bassi del Lias medio ed andando sino alla scaglia del Senoniano, hanno — salve le parziali e dubbie eccezioni riferite — la più bella struttura omogenea che si possa desiderare; m’è ostacolo l’uniformità lito- logica impressionante delle sedimentazioni su spazio grandis- simo: su quello spazio medesimo dove oggi sorgono, a poca distanza tra loro, le colossali scogliere del Lias inferiore. Due volte ho accennata la probabilità che le ricerche rie- scano a completare la serie giurese nell’Umbria; siccome non me ne sono più occupato, e poiché il li. Ufficio geologico sta rilevando la carta dell’Umbria, è bene avverta gli osservatori per loro norma su quali indizi basavasi quell’accenno (2). Alla fonte delle Caldarelle presso Cesi, risalendo il fosso, sta sopra al rosso ammonitifero tipico del Lias superiore una zona com- posta di calcari chiari intramezzati da falde di scisti rossi, di calcari color rosso violaceo zeppi di ammoniti. I calcari sono molto duri, la formazione si arricchisce man mano di selce bigia, rossa, verde, finché passa agli scisti selciosi titoniani. Benché non sempre nettamente come nel fosso delle Caldarelle, questa zona si vede anche in altri luoghi dei monti di Terni. Alle Cal- darelle nei primi strati soprastanti al rosso ammonitifero tipico estrassi dai calcari chiari frammenti di ammoniti, terebratule, (‘) Considerazioni sintetiche sulla orografìa c sulla geologia della catena metallifera. Boll. Coni. geol. 1892. (2) Terzo contributo allo studio del Miocene nell' Umbria , op. cit., nota pag. 2 — Un capitolo della geografìa fisica dell' Umbria, op. cit., nota pag. 66. 456 A. VERRI rinconelle, ma tutto deformato tanto che non fu possibile deter- minazione alcuna ; negli scisti rossi interposti trovai le specie Hildoceras bifrons Brug., Phylìoceras Xilsoni Héb., Coeloceras crassum Pbil., le quali il prof. Parona m’indicava appartenere ai Lias superiore. Là ed altrove estrassi dai calcari duri rosso- violaeei diverse specie dal Parona determinate e riferite al Titoniano, come è scritto in alcune delle pubblicazioni che ho citate: ma, nei fossili tratti dalla zona di cui parlo, mi segnalò altresì specie del piano Aleniano (Dogger infer. Auct.). In let- tera del 24 decembre 1893 mi segnalava di questo piano le specie Phylìoceras ultramontanum Zitt., Phylìoceras tatricum Puteli. (?) raccolti presso la fonte sulla strada da Terni a Batti- ferro; Phylìoceras ultramontanum Zitt., Phylìoceras chonompha - lum Zitt. raccolti presso la fonte dell’Acquiva vicino Cesi; Tme- toceras scissimi Ben. raccolto presso la fonte di S. Bartolomeo vicino Terni, al piede dello sperone tra le valli del Serra e del Tescino. In lettera del 22 gennaio 1894 scriveva: «Il campione di calcare marmoreo di color rosso violaceo con sfumature gial- lastre, della località Canepine sui monti di Acquasparta (catena Martana), contiene il modello di un ammonite del gruppo dello Harpoceras opalinum , specie del Dogger inferiore ». Ha ragione il Lotti allorché dice che i due modi, coi quali ho tentato di spiegare le scogliere del Lias inferiore, non sono sufficienti ; mi sembra un poco spinto dire che nessuno dei due trova appoggio nei fatti. A mio giudizio, il loro difetto princi- pale è d’aver preso prima l’uno eppoi l’altro in senso troppo esclusivo: pieghevolezza eccessiva nel primo modo, un po’ troppa rigidezza nel secondo. Sarà anche esagerato lo spessore accen- nato per la platea rigida in qualche migliaio di metri: magli scisti veduti nel Letico del monte Cetona, del monte Mal he, ed ora del monte Cerchio non mi sembrano determinare condizioni tali da concedere molta flessibilità al complesso della massa; assai potenti mi sono sembrate le masse dolomitiche, sottoposte ai calcari ceroidi del Lias inferiore, vedute salendo il Termi- nillo da Leonessa, visitando i dintorni di Poiino, ed altri luoghi delle montagne Umbro- Abruzzesi ; pende ancora il giudizio sul- l’età della zona marmifera della Montagnola Senese: se vera- mente questa dovesse riferirsi al Lias, e se nell’Umbria la sue- 457 PROBLEMI OROGENICI NELL’UMBRIA cessione dei terreni è come nella Toscana, starebbe sotto al Re- tico altra massa che, per composizione, per le pressioni subite e conseguenti trasformazioni, non saprei quanto si possa stimare plastica. La formazione dei calcari ceroidi del Lias inferiore non mi pare accenni nell’Umbria a lenti di estensione relati- vamente piccola, perche scheggioni se ne incontrano ad ogni [lochi passi con potenza notevole, da per tutto dove le fratture del terreno permettono di vederla. Perciò non m appare irragio- nevole concludere che questa rigida formazione siasi rotta, di preferenza che piegata nei movimenti delle masse: nondimeno rinuncio a prendere in senso troppo assoluto la tratturazione della platea di Lias inferiore, ed ammetto che sia più giusto considerare anche quei banchi rigidi come obbedienti alle pres- sioni mediante piegamento, entro certi limiti di curvatura. 11 che nulla toglie alle conclusioni, riguardanti l’adattarsi del complesso più plastico delle formazioni posteriori sulle superficie modellate dalle masse rigide sottostanti: tenuto conto eziandio della dimi- nuzione graduale di costringimento, cui le rocce erano soggette procedendo dalle inferiori verso le zone superiori. Premesse queste considerazioni generali sui complessi e dif- ficili problemi della orogenesi nell’Umbria, passo ad esporre un tentativo di soluzione del problema particolare che riguarda la sezione disegnata. Prima del 1882 il Conte Toni di Spoleto m’aveva mostrata un’ ippurite raccolta nel letto del Tissino. Appresso, visitando il monte Luco sopra Spoleto, vi notai una formazione di calcari cerei sovrapposta alle rocce del Senoniano. La somiglianza di quei calcari con quelli delle formazioni ippuritiche dell’Abruzzo, la loro posizione sopra formazioni cretacee, 1 ippurite trovata nel fosso che taglia la massa mi fecero credere che i calcari cerei fossero banchi di calcari ippuritici, e come tali li indicai ('). Dieci anni appresso, nel 1895, il prot. Taramelli, andato a stu- diare i terremoti che agitavano il territorio Spoletino, mi fece accorto dell’errore, avvertendomi che i calcari da me creduti ippuritici appartenevano invece al Lias inferiore; e m accenno (ij Appunti per la geologia dell’Italia centrale. Boll. Soc. geol., voi. IV . 458 A. VKKKI la possibilità che si trattasse d’un trasporto en bloc, di quelli mostrati dallo Schardt nel sistema alpino. Dipoi, nel 1898, in una comunicazione all’Istituto Lombardo, il Taramelli scriveva: « E questa idea dello Schardt, a mio avviso, deve essere tenuta ancora presente nello studio tectonico della nostra penisola, in particolare dell’Appennino centrale, dove mi sovviene di aver veduto degli evidentissimi scorrimenti, in particolare sugli scisti della scaglia e del Giura superiore, come alle falde dei monti di Cesi e di Spoleto » (’)• Messo dal Taramelli in curiosità di studiare cosi bel caso, estesi, compatibilmente colle vicende della mia vita, le ricerche persino alle alte montagne della valle del Corno, dovunque avrebbe dovuto staccarsi la massa, che scivolando sarebbe ve- nuta a sovrapporsi alle rocce cretacee del monte di Spoleto ; ma mi convinsi che malamente potrebbe applicarsi ad essa la teoria dello Schardt. L’anno 1901, nel riprendere in esame le condizioni tettoniche dell’Umbria, per scrivere l’articolo comu- nicato al IV Congresso geografico, nel l’abbozzare la sezione della Valle Umbra e della Valnerina, disegnai la formazione del Lias inferiore del monte di Spoleto come un tronco dello scaglione determinante la Valle Umbra, che in conseguenza duina faglia fosse venuto ad accavalcarsi sulle formazioni cretacee, però senza dare ragione dello strano fenomeno. Ecco ora quale dimostra- zione mi viene in mente. Posto un principio d’inflessione, per cui si determini una sin- clinale tra due antielinali, si applichino alle anticlinali laterali forze opposte, con direzione in alto e convergente verso l’asse della sinclinale. Nella forza applicata a destra pongasi preva- lente la componente verticale, in quella a sinistra prevalga la componente orizzontale. Sollecitato dalla componente verticale, il ramo destro della sinclinale tenderà a sollevarsi in B, e nel movimento di rotazione la gravità tenderà a far scendere l’e- stremità C in modo da prodursi uno spostamento verticale in basso, rispetto alla estremità del ramo AC, nel piano di rot- tura della sinclinale. La componente orizzontale della forza ap- ( 1 ) Considerazioni a proposito della teoria dello Schardt sulle regioni esotiche delle Prealpi, Itemi. Ist. Lomb. se. e let.. 1898. PROBLEMI OROGENICI NELL’UMBRIA 469 plicata al ramo BC, contrastata dalla resistenza nel piano C’C, avrà per effetto un corrugamento del sistema con almeno una piega nel ramo. Nell’altro ramo AC la componente orizzontale tenderà altresì a determinare un corrugamento verso C, mentre la componente verticale tende a produrre un sollevamento: quindi, per la resistenza opposta nel piano CC, si produrrà l’accartocci a- mento del ramo. Siccome le parti profonde del ramo BC sempre meno possono incresparsi, il piano di rottura di questo ramo ri- sulterà declive verso sinistra; e, per la spinta che sollecita in senso opposto il ramo AC, la sua estremità inferiore, rimasta più elevata in confronto della estremità inferiore del ramo BC, tenderà a risalire scorrendo sul piano inclinato della rottura, ed addossarsi alle formazioni del ramo BC. Per movimenti tali una piega originariamente sinclinale, in conseguenza del cor- rugamento, passa a formare un’anticlinale, ed i rami della prima sinclinale s’incurvano in maniera da tonnare ciascuno una sin- clinale. Applicata la figura al caso, nel ramo AC della primitiva sinclinale si costituisce la Valle Umbra, nel ramo BC si costi- tuisce laValnerina; il fondo della sinclinale originaria diviene la catena montuosa che separa le due vallate. La sezione ad ovest della catena Martana, tra il monte Cer- chio ed i monti di Melezzole, disegna un acconcaraento come quello della Valle Umbra. Al piede dei Martani. invece di scor- rimento saliente, si ha scorrimento discendente sul piano di rot- tura: nel rilievo montuoso opposto si ha una complicazione tettonica, i cui tratti principali riassumerei così: siccome al piede del rilievo, dove la strada di Toscolano passa il Fosso Grande, spuntano sulla sinistra di questo i calcari ceroidi del Lias inferiore, considererei tale spuntone come rappresentante 460 A. VERRI una troncatura della sinclinale Martana — dall’altra parte un troncone di quei calcari e di dolomie, appartenenti alla sincli- nale Tiberina, sale denudato a costruire la cresta dei monti di Melezzole e S. Restituta — un cuneo, preso tra i due piani di rottura, comporrebbe accartocciato la pendice est della mon- tagna. Qua pure nasce il dubbio che, in conseguenza del cor- rugamento, la rottura principale passi sulla catena montuosa anziché nel mezzo della vallata: in riguardo merita attenzione, clic il vulcanetto di S. Venanzio eruttò sopra questa catena. Non si creda che queste sezioni trasversali siano le gene- ratrici costanti delle catene. In quella Martana, dalla tronca- tura della Rocchetta di Cesi al punto dove il Secondario s’im- merge sotto al Terziario dei poggi di Bevagna, la sezione lon- gitudinale è un serpeggiamento di pieghe sinclinali ed anticli- nali, da cui sbucano le scogliere del Lias inferiore: secondo il Lotti protuberanze forse originate da costruzioni madreporiche, che sarebbero state l’embrione delle curvature in cupola, che dovevano tendere ad accentuarsi sotto l’azione delle pressioni orogeniche; secondo il mio primo modo di vedere piegamenti della formazione, secondo l’altro modo scaglioni di frammenti d’una platea rigida: il quale modo mi spiega meglio la tettonica, specialmente nelle sezioni longitudinali delle catene, bensì avendo cura di non applicarlo con intransigenza, ma temperato oppor- tunamente col primo. Non è impossibile che studi ulteriori ri- scontrino in quelle scogliere caratteri, per cui siano poste d’ac- cordo le diverse opinioni, ognuna delle quali ha in favore os- servazioni serie. [ms. pres. 14 dicembre 1903 - ult. bozze 29 dicembre 1903]. Nota riguardante il Retico del M. Cerchio. — Nel ritornare a Roma lasciai in Terni al prof. Trottarelli due saggi delle rocce del Retico, pregandolo di esaminarli. Uno dei saggi (I) era di granitura fina, aspetto grasso; l’altro (li) aveva struttura cristallina, con sparse piccole caver- nosità. Nel momento di licenziare la stampa ricevo dal Trottarelli queste notizie sulla composizione di quelle rocce: (i) (li) Silice 1.07 Allumina ed ossido ferrico . . • • • . 2. 62 1.01 Carbonato di magnesia. . . . . 14. 07 1. 16 Carbonato di calcio 96. 76 CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITI Nota del dott. P. L. Prevkr Filippo De La Harpe, con mirabile sintesi, raccogliendo e coordinando quanto da lui stesso, e, prima di lui, osservato si era, diede alla Nummulitologia l’indirizzo scientifico che la portò ai progressi attuali. Ma numerose questioni di svariata natura, stratigrafiche, filogenetiche, ecc., sono o appena abbozzate o non pur anco toccate, e molto resta tuttavia da fare. « Un primo geografo », scriveva lo stesso De La Harpe in testa al suo ul- timo lavoro, « non ha compilato mai una carta completa di un paese sconosciuto : è compito de’ successori suoi continuare l’opera sua. D’Archiac e Haime hanno aperta la via, noi cercheremo di ripararla, di raddrizzarla, di prolungarla in diverse direzioni, altri la termineranno». Io credo si sia ancora molto lungi dal termine di questa via, quantunque in questi ultimi anni anche lo studio delle Nummuliti abbia ricevuto un notevole incremento. Credo perciò di non fare inutil cosa accennando a qualcuno dei criteri, a parer mio difettosi, intorno alla interpretazione delle forme Num- mulitiche, alla loro associazione stratigrafica e distribuzione geo- grafica. Sulla posizione stratigrafica della coppia Paronaea (') complanata-latispira . Hantken, stabilendo per la prima volta una scala delle Num- muliti (?), sincronizza i calcari a Gumbelia spissa (3). Assilina ( !) Il nome di Paronaea é qui sostituito a quello di Hantkenia , da me proposto in una precedente memoria (1902), poiché questo secondo è già stato impiegato da Munier-Chalmas per dei molluschi del Daniano. ( 2 ) Hantken, Die Mittheilungen der Herren He ber t u. Munier Clml- mas iiber die ungarischen alttertiàren Bildungen. Literarischen berichten aus Ungarn. Budapest, 1879. (3) Gumbelia spissa, Defr. 1825 = Gumbelia perforata, d’Orb. 1826 = Gumbelia aturica, Joly e Leymerie 1848. 4G2 1>. I.. l'IlEVEIt spira , Paronaea complanata dei terreni terziari di Bakony agli strati di S. Giovanni llarione racchiudenti le stesse specie nura- raulitiche. De Stefani e Martelli (‘) caratterizzano il Luteziano superiore di Metkovieli e Spalato (5) colle Paronaea latispira- complanata (3). Taramelli accenna egli pure per il Luteziano dell’Istria (4), senza però servirsene come forma caratteristica, alla Paronaea complanata (Nummi . nammularia, d'Orb.), alla quale si associano la Paronaea striata, la Giimbelia spissa r Assilina spira, V Assilina placentula, ecc. Munier-Chalmas anch’egli pel Vicentino (:*) accenna alla presenza della Pa- ronaea complanata nell’ eocene medio, associata alla Assilina spira, e sopra alla Giimbelia aturica, ma non assurge detta specie a forma caratteristica. Teli ini, nel suo lavoro sull’ eo- cene della Majella e del Gargano potè pure osservare la Paronaea complanata associata alla Giimbelia spissa e ad Assilina (spira, subspira, mamillata, Madaraszi) nel Lute- ziano. Douvillé affatto recentemente (7), modificando la Scala delle Nummuliti del De La Harpe. onde render l’esatta rappre- sentazione della serie eo-oligocenica dell’Aquitania, caratterizza gli strati di S. Giovanni llarione con Giimbelia spissa, Paronaea complanata, ai quali sono sincroni gli strati mediani a Paronaea complanata , Paronaea atacica, Giimbelia spissa, Assilina pla- nospira (Munier-Chalmas, Jaquot, Eaulin) della Chalosse, e gli strati inferiori di Biarritz, a Paronaea complanata, Giimbelia spissa, Laharpeia Brongniarti, Orthophragmina stellata, Botu- C1) De Stefani e Martelli, I terreni eocenici dei dintorni di Metko- vich. Remi. Accad. de’ Lincei, voi. XI, serie V. Roma, 1902. (2) Martelli, I terreni nummulitici di Spalato in Dalmazia. Remi. Accad. de’ Lincei, voi. XI, serie V. Roma, 1902. (3) La Par. Tchihatcheffi e la Par. latispira devono entrare in sino- nimia sotto il nome di Par. latispira. O Taramelli, Descrizione geognostica del Margraviato d’ Istria. Mi- lano, 1878. (5) Munier-Chalmas, Elude da Tithonique, du Cretacc et du Ter- tiaire du Vicentin. Paris, 1891. (c) Teliini, Le Nurnmiditidi della Majella, ecc. Boll. Soc. Geol. 1 1. , voi. IX. Roma, 1890. (7) Douvillé, Sur le terrain nummulitique de ! Aquitanic. Bull. Soc. Géol. de Trance, 4e sèrie, voi. II. Parigi, 1902. CON SI UIC RAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITI 4 GB laria spirulca (Bouillé, De La Harpe). Nel suo studio sulle Nuni- m aliti di Biarritz De La Harpe (*) riconosce all’imboccatura del ruscello di Chabiague, nel Luteziano, la presenza delle Paro- naca complanata, var. Dufrenoyi-latispira , associate alle Gum- belia spi ssa- leu t ic u la ris. Questi sono gli Autori che accennano alla Paronaea com- planata nel Luteziano; vediamo ora quelli che accennano alla medesima specie nelLeoceue superiore. Rammenterò innanzi tutto Haug, il quale in un suo recentissimo studio (1 2) scrive che nel piano Parisiano quale è attualmente inteso si possono distinguere tre zone principali, e cioè: 1° Zona a Laharpcia tuberculata t larvi gaia auct. pars). — Lama r li i, Paronaea atacica ; 2° Zona a Giimbelia spissa-lenticularis; 3° Zona a Paronaea cantoria-striata, e Paronaea Héberti- var iota ria. A proposito poi della coppia Paronaea complanata-latispira scrive che essa si trova tanto nel piano mediano che nel piano superiore. Io aggiungo che nel piano superiore la coppia Paro- nuca complanata-latispira viene a trovarsi sopra alla coppia Paronaea contorta- striata, e precisamente ove quest' ultima è già scomparsa, e dove aumenta ancora l’enorme sviluppo delle Or- thophragmina. Lo stesso Hantken nel lavoro già citato (3), mentre pone la Paronaea complanata nel Luteziano superiore, colloca nel suo (1) De La Harpe, Deseri ption iles Nummulites appartenants à la zone inférieure des Falaises de Biarritz. Bull. Sue. Borda. 6 anno. Dax, 1881. — Adilitions et conclusions. Bull. Soc. Borda, 6° anno. Dax, 1881. (2) Haug, Sur Vàije des couches à Nummulites contortus et Cerithium diaboli. Bull. Soc. Géol. de France, 4tì sèrie, voi. II. Parigi, 1902. (3) Hantken, Die Mitteilungen der Herren Hcbert u. Munier-Clial- mas, ecc. Liter. berichten aus Ungarn. Budapest 1879. — Vedi inoltre dello stesso autore: Nate Dateti, z. geol. unii paleont. Kenntniss des sudi. Bakony. Mittheil. an. d. Jahrb. der. k. ungar. geol. Anstalt, voi. III. 1875; Die Kohlenflòtze . . . in d. Làndern d. ungar. Krane. Budapest. 1878; Adalekok a Karpatok fòldtani ismeretéhez. Comptes rendus de l’Acad. des Sciences de Hongrie, voi. Vili, 1877 ; Die stratigr. Bedcutung d. Nummul. in. d. alt-tert. Schichten des sudwestl. mittelungar. Gebirgszuges. Abbaiali, d. k. ungar. Akad. der Wiss., voi. V, 1875. 464 P. L. PREVEU Ubere Eocdn n. 1, che corrisponderebbe nel Vicentino precisa- niente agli scisti a Cerithium diaboli, l’omologa, cioè la Pa- ronaea latispira. In seguito, riconobbe pure la presenza nel suo Ubere Eocdn della Paronaea complanata. Lo stesso autore nel bacino del Comitato di Gran e di Komorn (Ungheria Occid.) trovò la successione stratigrafica seguente, dall’alto al basso: 8. Argille plastiche con tossili delle ligniti di Hahring nel Tirolo, senza Nummuliti; ricche in Foraminiferi ; 7. Marne ed arenarie a Clavuliua Szaboi, con Paronaea Boueheri ( Paronaea striata, var. Hantken); 6. Calcari e marne a Paronaea latispira , con Paronaea complanata, e Paronaea Boueheri; 5. Marne ed arenarie a Paronaea striata, contenenti fos- sili delle arenarie di Beauehamp, e le Paronaea contorta-striata; 4. Argille e marne a Giimbelia lenticularis, con Giim- belia spissa-lenticularis, e Paronaea striata (rara); 3. Argille ad Operculine , con Bruguieria subplanulata ; 2. Calcari salmastri a Cerithium striatimi ; 1. Strati d’acqua dolce a ligniti. Martelli pure cita per le isole di Paxos e Antipaxos (*) la Paronaea complanata (Bart.) e la Paronaea latispira (Paris. Slip. Bart. inf.), comprendente quest’ultima la Paronaea latispira pro- priamente detta, e la Paronaea Tchihatcheffì. Teliini alla Majella fa osservare la presenza della Paronaea complanata e della Pa ronaea latispira assieme alla Giimbelia spissa e alle Assi- Ima. ma fa notare che queste due Nummuliti si elevano nella serie dei terreni, e giungono sino alla divisione T della Scala (2), corrispondente al Bart. superiore, del quale terreno Telimi le fa appunto caratteristiche. A Potenza la Paronaea latispira è presente sin dai primi piani del nummulitico, ma nel Luteziano medio ( Giimbelia spissa-lenticularis ) o nel supcriore ( Assilina exponens-mamillata ) non si verifica affatto la presenza della Paronaea com planata. Così a Presta, ove è rappresentato il Bartoniano inferiore, si trova la Paronaea latispira; nessuna C) Martelli, Le formazioni geologiche di Paxos e Antipaxos. Boll. Soc. geol. ital., voi. XX. Roma 1901. O Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX. Ginevra 1902. CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMUUTI 405 traccia vi è di Paronaea complanata. Nel notissimo giacimento dei dintorni di Gassino potei osservare splendidi esemplari di Paronaea complanata di 40-70 min. di diametro in calcari zeppi di Orthophragmina e con esemplari di Paronaea lati spira (Villa Mela, Cava Caviggione, Villa Lardi. Questi calcari, rife- ribili al Bartonia.no superiore poggiano direttamente su un’alter- nanza di calcari e marne fossilifere, visibili specialmente alle cave Defilippi e Chiesa, contenenti dall’alto al basso: 1° Paronaea conto rta-striata ; 2° Paronaea Guettard i -afa cica ; o° Gumbelia spissa-lenticularis (rarissima la Gumbelia spi* sa). Alla Mortola, nel giacimento classico delle Gumbélia spissa-lenticularis , e delle Assilina exponens-mamillata, assolutamente non si rin- vengono nè nell’ima nè nell’altra zona, che racchiudono sepa- ratamente queste due coppie, un esemplare purchessia di Pa- ronaea complanata. Cosi Marinelli (') non cita questa specie pel Luteziano del Friuli. Nell’Egitto (2), quantunque siano presenti i piani a Gumbelia spissa e ad Assilina, non fu rinvenuta la Paronaea complanata : e in Algeria, ove pure si osservano gli strati Luteziani a Gumbelia spissa, ad Assilina e a Laharpeia Brongniarti, Ficheur (3) non verificò la presenza della Paro- naea complanata. De La Harpe (4), cercando di generalizzare la Scala delle Nummuliti che Hantken (5) aveva stabilito per l’Un- gheria, toglie la Paronaea complanata dal Luteziano e la pone nel- l’eocene superiore, vicino alla sua omologa a mcgalosfera. la Paro- naca lai ispira, come la logica richiedeva. E notisi che De La Harpe si era incontrato, nello studio delle Nummuliti di Biarritz, nella coppia Paronaea compì anata-lat ispira nel Luteziano assieme alla Gumbelia spissa-lenticularis. Questo fatto che l’avrebbe (pi Marinelli, Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli. R. Ist. di studi sup. Firenze 1902. C) De La Harpe, Monographie der in Aegypten und Libyschen Waste vorkommenden Nummuliten. In Zittel, Geol. u. Pai. der Lib. V liste. Palaeont. Cassel. 1883. (3) Fieheur, Nummulites de V Algerie. Bull. Soc. Géol. de France, 3* sèrie, voi. XVII. Parigi 1889; Description géologigue de la Kabylie du Djurjura. Algeri 1900. (4) De La Harpe, Ftude sur les Nummulites du Comté de Nice. Bull. Soc. vaud. Se. nat.. voi. XVI. Losanna 1879. (3) Hantken, vedi opere citate. 33 466 P. L. PREVEK dovuto rendere perplesso circa il posto da assegnare alla coppia Paronaea coni planata-lati spira non valse die a fargli scrivere: « È sorprendente come queste due Nummuliti siano caratteristiche di un piano così elevato. La loro presenza è così frequente negli strati a tì umbella spissa clic si sarebbe indotti a segnare il loro sviluppo massimo in vicinanza di questi strati. Invece le cose stanno diversamente, e queste due specie raggiungono il massimo sviluppo molto più in alto ». Benoist (’) parlando della distribuzione delle Nummuliti nel sud-ovest della Francia muove qualche osservazione alla Scala del l)e La Harpe, però l’ac- cetta. conservando alla coppia Paronaea complanata-latispira il posto che De La Harpe ed Hantkeu in parte aveanle fissato. Di fronte ai risultati di questi ultimi studi non si può a meno di osservare che dev’ essere erroneo il riferimento della Paronaea complanata-latispira all’eocene superiore, oppure il riferimento della Paronaea complanata sola, o della sola Pa- ronaea latispira, o di entrambe al Luteziano. 0 per lo meno si è portati a dubitare che siano veramente la medesima cosa gli esemplari che si incontrano nel Luteziano e quelli che si rin- vengono nell’eocene superiore e che diversi Autori, come si è visto, riferiscono all una o all’altra o ad entrambe queste forme. Se però noi osserviamo che nelle forme molto longevi in- contriamo generalmente ciò che da molti impropriamente sì chia- mano varietà, e sono invece mutazioni (2) dobbiamo riconoscere che tutti gli Autori, che hanno scritto di questa coppia, hanno ragione, ma non avendo curata la rigorosa determinazione spe- citica della forma, salvo che uno, il De La Harpe, hanno inge- nerato equivoci. Questi equivoci sono poi troppo gravi per non meritare di essere rilevati e schiariti il più presto possibile. Vero è che la Paronaea complanata serve a caratterizzare il Luteziano superiore assieme alla Zimbella spissa, spesso (') Benoist, Elude sur ics Nummulites et les Assifines du Sud-Ouesl de la France. Bull. Scient. Soc. de Borda, Dax, ISSO. (2) Riguardo al significato di questi sostantivi rimando ai lavori di Douvillé: Etudes sur les Nummulites. Boll. Soc. Géol. de France, 4 & sèrie, voi. II, 1>. 207-1902. — Sur le terrain nummulitùiue de VAi/uitaine. hi, voi. II, p. 15-1902. — Compte renda sommaire des sèances de la Soc. Géol. de Franco. Séance du 17 Mars 1902, p. 45. CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITI 467 anche assieme ad Assilina, e serve inoltre a caratterizzare Teo- cene superiore assieme alla Paronaea latispira. Ma è pur vero che la Paronaea latispira si trova già nel Luteziano superiore, ove alle volte per contro è scarsissima la G Umbella spissa. Così capita che, mentre Douvillé, Hantken, Munier-Chalmas per caratterizzare il Luteziano superiore si servono come forma tipo della Paronaea compianola, alla quale aggiungono la G umbella spissa, V Assilina spira, e qualche volta la Giimbelia lenti- cularis, o la Laharpeia Brongniarti, De Stefani e Martelli ca- ratterizzano lo stesso piano colla Paronaea complanata-latispira, vale a dire precisamente colla coppia di Nummuliti che ser- vono poi ancora ad Hantken, De La Harpe, Benoist a carat- terizzare Teocene superiore! Quindi questo impiego sia della Paronaea complanata, sia dell’omologa la Paronaea latispira come forma caratteristica del Luteziano risulta un artifìcio peri- coloso ed inutile. Artificio a cui non si dovrebbe mai ricorrere, o, a peggio andare, solo nel caso in cui difettassero nel Luteziano superiore altre forme nummulitiche. Cosa superflua appunto pèrche gli Autori, che si servono di queste due forme pel Lute- ziano, citano assieme altre forme proprie dello stesso piano e per l’appunto caratteristiche di esso. Se ci si mettesse per questa via, io credo che si arriverebbe davvero al risultato di dimostrare che le Nummuliti franca- mente non valgano a nulla come fossili caratteristici. E questo assolutamente non è. Basta osservare le tabelle della longevità delle specie nummulitiche state compilate dal De La Harpe (') e dal Benoist (2), e quanto io stesso scrissi (3) per vedere che ad es. la Brag teleria intermedia e la Paronaea Guettardi fanno la loro comparsa fin dagli strati a Gambetta spissa-lcnUca- laris; la Laharpeia Lamarclci e la Paronaea latispira appaiono per la prima volta negli strati a Brnguieria elegans-planu- lata, ecc., ecc. E gli esempi sono numerosi. Perciò anche con C) De La Harpe, Elude sur les Nummulites et révision des espèces éocènes, ecc. Mém. Soc. Paléont. Sdisse, voi. VII, Vili, X. Ginevra, 1880-S8. (2) Benoist, Elude sur les Nummulites et les Assilines du sud-ouest de la France. Bull. Soc, Scient. de Borda. Dax, 1889. (3) Prever, Cenni preliminari sulle Nummulitidi dei dintorni di Po- tenza. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XX. Roma, 1901. 468 P. !.. PRKVER queste forme, che caratterizzano rispettivamente strati superiori a quelli in cui incominciano ad apparire, si potrebbe fare come alcuni Autori fanno delle Paronaea compie ina fa-la tispira . Si potrebbero avere così gli strati a Laharpeia Lamarcli , Bruguieria elegans, Paronaea la tispira , quelli a Paronaea atacica, Laharpeia tubercolata, ecc. Rigorosamente parlando ciò sarebbe esatto. Ma allora tanto varrebbe, a mio giudizio, quando si tratta di un orizzonte, dare la lista completa delle Nummuliti che sono con- tenute in esso. Mi pare quindi s’imponga la necessità di togliere alla coppia Paronaea complanata-latispira il valore di Num- muliti caratteristiche dell'eocene superiore, oppure di riaffer mare questo valore, e allora non servirsi più di queste specie per caratterizzare il Luteziano superiore. De La Harpe per stabilire la sua Scala è partito dal prin- cipio, veramente eccellente, di caratterizzare ciascun strato pos- sibile con quella coppia di Nummuliti che nel medesimo strato raggiunge il suo massimo sviluppo, e va, verso la parte supe- riore del medesimo, diminuendo in quantità, sino a scomparire affatto, di modo che nel piano superiore più non si trova (l). Con (piesto principio, che sinora, salvo due o tre eccezioni, discutibili però, si ebbe a mostrare rigorosamente esatto, scelse le coppie che caratterizzano le diverse divisioni della sua Scala: divisioni clic si mostrarono eccellenti alla prova pratica. Na- turalmente applicando ad esse, senza esagerare, quella certa elasticità e quella larghezza di vedute tanto necessarie sì in paleontologia che in stratigrafia. Incontrastabilmente la Paronaea complanata fu trovata da molti Autori, e pure da me a Gassino, molto più in alto del Luteziano superiore. Ma questa forma certamente comincia ad apparire nella zona della Gumbelia spissa. e vi subisce ini provvisamente un grande sviluppo, come io stesso ho potuto constatare specialmente nel Veneto (?); ma gli individui non sono mai identici a quelli presenti nell’eocene superiore, vale a dire non è la forma tipo quella rappresentata nel Luteziano. In ( 1 ) De La Harpe, Nummulites dii Comté de Nice. Bull. Soc. vaud. Se. nat., voi XVI. Losanna, 1879. (2) Nei dintorni di Valdagno, in compagnia dell’ottimo dott. Dal Lago, che mi fu preziosissima guida, potei osservare la Paronaea cowplanata CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUM MUDITI 469 questo terreno la Paronaea complanata è rappresentata da imita- zioni e da varietà. Inoltre ripeto la comparsa della Paronaea coni- planata nel Luteziano è poi un fatto che non si verifica dappertutto. La Paronaea latispira è aneli7 essa una specie n una mu litica che comincia ad apparire in terreni antichi, cioè sin dal Lute- ziano inferiore, ma non vi comparisce già la forma tipo. Sib- bene, come ha fatto notare Teliini, e recentemente io stesso, vi compariscono delle mutazioni e parecchie invero sono le mu- tazioni e le varietà, della Paronaea latispira che si ripartiscono nei diversi piani eocenici dal Luteziano inferiore, ove compare la specie per la prima volta, sino al Bartoniano superiore ove essa si estingue. Queste variazioni di una nummulite attraverso il tempo sa- rebbe bene fossero tutte notate; e mi pare ci vorrebbe poca fatica per fare un simile lavoro. Un buon microscopio, nessuna fretta, descrizioni ed osservazioni accurate e buone figure. Poiché, come benissimo osserva Douvillé (/), le mutazioni, le razze, le varietà delle forme nummulitiche sono quelle che forniscono i migliori caratteri per la distinzione degli strati geologici. Ed io per parte mia osservo che, affinchè una Nummulite sia carat- teristica di uno strato, è condizione principalissima che essa si trovi nel detto strato ovunque esso è rappresentato, e non si trovi più nello strato immediatamente superiore. Ancora un’osservazione. La Paronaea latispira è la compagna a megalosfera della Paronaea complanata. Ormai è noto, spe- cialmente in seguito agli studi di Scliaudinn e di Lister, come possa spiegarsi questo fenomeno del dimorfismo. Quindi a priori , data in un piano, in un orizzonte qualunque una forma, nello stesso deve trovarvisi pure l’omologa. Perciò, se la Paronaea latispira è ammessa da tutti sino nel Bartoniano superiore, bisogna concludere che ivi deve pure essere presente la sua omologa a microsfera, cioè la Paronaea complanata. Ma un’altra negli strati luteziani, ma ove essa si vede meglio ancora si è tra Mos- sano e Barbarano nei Berici ove, in strati calcarei luteziani, si trova associata a diverse Laharpeia. (') Douvillé, Sur le ternàri nummulitique de VAquitaine. Bull. Soc. Géol. de France, 4e sèrie, voi. II — Essai d’une revision des Orbitolites, Bull. Soc. Géol. de France, 4e sèrie, voi. II, Parigi, 1902. 470 P. L PREVER osservazione, ed abbastanza importante, cade qui in proposito di fare. Se la Paronaea ìatispira si presenta nella successione delle diverse zone geologiche, che si succedono dal Luteziano inferiore sino al Bartoniano superiore, con delle mutazioni , delle razze, delle varietà , evidentemente queste forme diverse in qualche cosa fra di loro nei diversi strati, e anche nello stesso strato da regione a regione, o pure nella stessa regione, avranno le corrispondenti forme a cui danno origine diverse pure fra di loro in qualche carattere. Quindi logicamente se in questi strati come è noto la Paronaea ìatispira è rappresentata da mutazioni, varietà, razze, la Paronaea complanata pure sarà rappresentata da mutazioni . varietà, razze rispondenti, ed è lo- gico ancora che questa specie non si trovi localizzata nel solo Bar- toniano superiore, ma sia presente anche nei terreni più vecchi. Sull’associazione delle forme nummulitiche. Ciascuna zona, come già faceva osservare De La Harpe, non contiene solamente le due forme che la caratteri zzano. Ve ne sono altre, in numero più o meno grande, appartenenti allo stesso sottogenere a cui appartengono le due caratteristiche, e ve ne sono pure, e talvolta in discreto numero, appartenenti ad altri sottogeneri. E questo fatto si verifica tanto più spiccato quanto più dalle zone superiori della Scala si scende alle infe- riori, ad eccezione della prima rappresentante 17I presiano. Tal- volta accade che in una località siano rappresentati diversi strati racchiudenti rispettivamente le forme caratteristiche di essi, e nell’ordine preciso dato dalla Scala. Tal’ altra nella serie manca una zona intermedia, o è rappresentata un po’ diversamente. Vale a dire delle forme che caratterizzano detta zona ne è pre- sente una sola. In realtà vi sono tutte e due, ma una in abbon- danza, l’altra in numero esiguo, e talora anche di piccole dimen sioni, sicché sfugge con grandissima facilità anche ad una ri- cerca accurata. Appunto queste apparenti lacune, che taltinta si verificano, possono indurre sospetti sulla esattezza della Scala. Viceversa un’accurata osservazione del complesso delle forme nummulitiche che si trovano in queste zone, previi numerosi paragoni colla fauna nummulitica esistente nelle stesse zone di CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITt 471 tiltre località, e osservazioni sull’associazione di dette forme, assicura dell’esattezza della medesima. Solo fa capire che nell’ap- plicazione di essa ci vuole non una rigidità assoluta, sistematica, ma al contrario una certa elasticità che i giacimenti stessi fanno vedere necessaria, e anche in quale misura. Perchè non bisogna certamente figurarsi che le divisioni fra uno strato e l’altro siano sul terreno così facili e così nette come sulla Scala, ove una linea separa nettamente, agli occhi di chi osserva, la coppia caratteristica di una zona dalla coppia della zona inferiore e da quella superiore. Il passaggio da una zona a quella immediatamente superiore può essere netto, senza transizione. Ma il caso è rarissimo. La separazione netta è ap- punto data dalla coppia caratteristica dello strato inferiore, la quale scompare fin dall’inizio dello strato immediatamente supe- riore. Spesso si viene a creare una catena nelle forme dei diversi strati, specialmente fra due successivi, di modo che si passa dall’uno all’altro, andando verso l’alto, insensibilmente, ma suc- cessivamente in modo visibile, per mezzo di un impoverimento ed una lenta trasformazione delle forme. Altre volte la preponderanza delle forme, che accompagnano in un dato strato la coppia tipo, appartiene quasi esclusiva- mente allo stesso suo sottogenere, e, poiché capita spesso in questo caso che colla fine dello strato coincida la scomparsa totale o un impoverimento enorme e brusco nelle forme e negli individui che le rappresentano, avviene allora che il passaggio da questo allo strato immediatamente superiore si verifichi assai netto. Così succede assai evidentemente pel piano a Bruguieria elegans-pìanulata , per l’altro a Giimbelia spissa-lenticularis , ed anche pel piano a Bruguieria intermedia- FicMeli. Il più spesso però si verificano i passaggi graduali. In Ungheria, nei dintorni di Pestìi e di Gran, si osservano passaggi bruschi fra uno strato e il successivo; invece la Fo- resta di Bakony offre un esempio magnifico del passaggio da uno strato al successivo per transizioni graduali. Dalla seconda zona, secondo la Scala, alla settima il passaggio, nella fauna nummulitica, ed anche nei caratteri litologici dei terreni, è cosi insensibile che riesce impossibile quasi tracciare delle linee di separazione fra questi diversi strati. Anche in Italia, in varie 472 P. I . l’REVER località eoceniche, si osserva questa condizione di cose. Fra il Bartoniano e il Luteziano delle isole Tremiti, del monte Gargano, della Majella, ed anche fra i vari strati in essi rappresentati. Telimi (') fa osservare che esistono passaggi cosi graduali che risulta impossibile tracciare delle linee di separazione. Non al- trimenti si verifica a Potenza. Dallo studio della fauna num- mulitica dei calcari eocenici dei dintorni di questa città (?) ri- sulta la presenza del 1’ I presiano (lìruguieria elegans): del Luteziano inferiore ( Laharpeia tuber culata- Lamar eli)] del Luteziano medio ( umbella spissa lenticularis) ; del Luteziano superiore (Assi- lina). Questi diversi piani non sono nettamente separati fra di loro, ma per essi si verifica lo stesso fatto che Teliini fa osser- vare per le regioni sopra menzionate. Non dissimile è quanto si osserva nei terreni eocenici dei dintorni di Gassino. La serie degli strati a Cava Defilippi racchiude tre strati e si completa con quelli più alti di Cava Caviggione, villa Lard a Paronaea complan ata-latispira del Bartoniano superiore. Fra i tre primi strati e quest’ultimi si può tracciare una linea di separazione abbastanza netta, anche dal lato litologico. Non cosi si può fare pei tre strati inferiori. Poco potenti, formati da un'alternanza di calcari e di marne, essi posseggono una fauna nummulitica legata da strato a strato con strette affinità. Invece esiste dalla parte del Koc di Gassino una separazione assai netta anche dal lato litologico fra gli strati a Paronaea comp lanata-kit isp ira e ad Orthopliragmina e gli strati superiori di Costa Battajna a Bruguieria intermedia- Fiditeli. Anche Martelli per Paxos e An- tipaxos ripete ciò che Teliini scrisse per la Majella. L’opposto accade invece per il classico giacimento della Mortola. Ivi sono presenti i due strati caratterizzati, l’inferiore dalla coppia Giim- belia spissa-l enti calar is , il superiore dalla coppia Assilina cxponcns-niam illata. 11 limite di separazione fra questi due strati del Luteziano sono assai netti, ed è ben difficile trovare un’M.s- silina fra le Giinibelia sottostanti, e finora mai fu rinvenuta una G umbella fra le soprastanti Assilina. (’) Teliini, Le Nummulitidi della Majella, delle isole Tremili e del promontorio Garganico. Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, Roma, 1890. (2) Prever, opere citate. CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMUL1TI 473 Quadro della distribuzione e sviluppo delle nei terreni co-oligoceni< Divisione Divisioni dei della terreni , Scala delle Nummuliti Rupelliano ^ \ Pcironaect vasca, Joly e Leym. ( » Boucheri, De LaHarpe Sannoisiano i i i 1 lìruguieria intermedia, d’Archiac. ( » Fiditeli, Michelotti. i Paronaea complanata, Lamarck. 7 ' | » lati-spira, Menegh. Bartoniano ( Paronaea contorta, Desìi. 6 ! ( » \ [striata, d Oib. ( Assilina placentula, Desh. 1 » Leymeriei, D'Arch. 5 , j Paronaea atacica, Leym. [ » Filettar di, D’Arch. ' j Assilina e.rponens, D’Arch. | » mamillata, D’Arch. Luteziano I ^ (rumbelia spissa. Det'r. v> lenticularis, Ficht. e M oli. ^ Laharpeia tuberculata, Brug. \ ) » Lamarcki. D’Arch. Ipresiano ( Bruguieria planulata, d’Orb. | » elegans, Sow. ? ^ » spileccensis, MunierCh. ) » bolcensis, Mnnier-Ch. forme nummuliticho Nummulites 474 P. L. PRKVF.lt Sulla distribuzione stratigrafìca delle coppie caratteristiche. De La Harpe osserva che alle volte in certe località può notarsi una mescolanza di forme caratteristiche di due orizzonti, o di due strati a contatto. Al riguardo cita il fatto che il Museo di Losanna possiede un ciottolo rotolato, di provenienza ignota, probabilmente appartenente a qualche conglomerato della Sviz- zera orientale, il quale racchiude Y Assilina cxponens-mamillata, e la coppia G Umbella spissa-lenticularis. «Questi casi sono rari », aggiunge ancora. Martelli nel lavoro sopra citato scrive pure: « Abbiamo già detto che numerose N inumiditi, che altrove trovansi in piani ben distinti, a Paxos invece sono state rinve- nute in una stessa roccia ». Quanto a me pare un tatto abbastanza naturale, spiegabi- lissimo, che assolutamente non infirma l’ordine, l’interpretazione della Scala. Non solo, ma è un tatto che le cose non possono stare altrimenti, e appunto il contrario in certi casi potrebbe stupire. Dal momento che è una cosa indiscussa che la coppia caratteristica del piano X si sviluppa al massimo grado e poi scompare in questo piano stesso, è pure una cosa notoria che questa coppia si trova già nel piano Y immediatamente infe- riore al piano X, e magari nel piano Z inferiore a tutti e due. Basta per questo osservare le tabelle della longevità delle forme nummuliticlie. Le forme di un determinato strato possono in parte mantenersi nello strato sovrastante. L’unica differenza che vi può sussistere, a parte la questione dell’abbondanza, sta in ciò che gli esemplari rappresentanti le forme caratteristiche dello strato superiore possono variare, e generalmente differiscono nei loro caratteri, dagli esemplari delle medesime forme presenti nello strato inferiore. Più sopra io ho detto che negli strati inferiori allo strato X si possono trovare con ogni probabilità le forme caratteristiche dello strato X. Si noti che io ho detto la coppia a bello studio, poiché credo che la questione di cui si discorre in questo capi- tolo avendo fatto rimanere perplessi parecchi Autori, li abbia CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITI 475 poi fatti convinti che la difficoltà, nella massima parte dei casi, era solo apparente per la cronologia dei terreni mediante le coppie nummulitiche, anche se in un dato strato sono presenti forme caratteristiche di strati superiori. E veramente difficoltà non ne sussistono, ma le deduzioni che fecero risolvere questa supposta difficoltà ho motivo di supporle erronee. Si credette da alcuni Autori di arrivare a stabilire l’età dello strato, anche in questi casi, osservando che della coppia o delle coppie carat- teristiche di strati superiori è solo presente o la forma a .rnega- losfera o quella a microsfera. Questa convinzione, derivata dal fatto che una delle due forme che costituiscono una coppia è generalmente in grandissima abbondanza per rispetto alla com- pagna, quindi riesce facile a trovarsi, mentre l’altra rarissima sfugge facilmente alla ricerca, urta colla teoria stessa sull ori- gine delle coppie. Insisto ancora, la presenza in uno strato, assieme alla coppia caratteristica del medesimo, di coppie propriamente caratteri- stiche di strati superiori, non può lasciar dubbiosi sul riteri- mento del piano stesso; specialmente là dove di queste torme nummulitiche se ne conoscono con precisione le mutazioni , le varietà, le razze. Non solo, ma escludo assolutamente il bisogno di dover aggiungere ad una coppia di forme caratteristiche di un dato strato altre forme con esse conviventi per determinare con maggior chiarezza questo strato. Il fatto, abbastanza strano in sè, citato pel primo da De La Harpe (Q, riportato poi da Benoist (2), e da Marinelli (3), d quale ultimo, a parer mio, ha il torto di attribuirgli un esage- rato valore, della presenza, nelle marne bleu del tondo del vai Ione di Chabiague, della coppia Paronaea str iota-contorta, nella loro zona assieme alla Gumbelia Icnticularis, si spiegherebbe forse molto facilmente se si fosse bene osservato se gli mdi- m i)e La Harpe, Description des Nummulites dea Falaises de lìiar- yitZ' Additions et conclusions. Bull. Soc. de Borda. Dax, 1881. (2) Benoist E., Etude sur les Nummulites du sud-ouest de la France. Bull. Scient. Soc. de Borda. Dax, 1881*. (3) Marinelli 0., Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli. R. Ist. di studi sup., Firenze, 1902. 476 P. L. PRKVER vicini stati determinati per Giimbelia lenticularis, appartengono realmente alla forma tipo, o non ne sono che delle varietà, o delle mutazioni. 11 De La Harpe stesso dice che gli individui riferibili alla Giimbelia lenticularis , stati trovati assieme alla Paronaea striata-contorta, hanno una forma poco abituale nella Giimbelia lenticularis , e si fanno notare per le loro grandi dimensioni, e la sottigliezza della lamina spirale. Certamente noi siamo di fronte non alla forma tipo della Giimbelia len- ticularjs, ma ad una sua varietà, forse ad una mutazione, pro- babilmente ad una mutazione indipendente; cioè ci troviamo innanzi ad una vera forma individuata con caratteri ricordanti parzialmente altra o altre forme, ma con altri nuovi, acquisiti per evoluzione che la isolano sensibilmente nella catena delle forme nummulitiehe. Ancora un’osservazione. De La Harpe aveva creduto che le Numnmliti granulate non oltrepassassero la divisione 3a della Scala. In occasione però del rinvenimento di Nummuliti gra- nulate a Waschberg e a Michelsberg (*), vicino a Stockerav. rimase dubbioso su questa sua opinione espressa per l’addietro. Però queste forme granulate essendo state rinvenute nel Flysch , egli, accennando all’incertezza regnante circa l’età di questa formazione, finiva per concludere che se veramente i terreni in cui si erano rinvenute queste due forme di Giimbelia erano supe- riori alla zona 3a, questo costituiva un fatto isolato importante assai, lasciando capire che egli era inclinato a sincronizzare questi terreni con quelli compresi nella divisione 3" della Scala. 11 fatto cessò ben presto di essere unico. Lo stesso De La Harpe osservò in seguito, come già accennai m i ruscello di Chabiague la Giimbelia lenticularis in uno strai > supposto più recente di quello compreso nella divisione 3a della Scala. Inoltre Benoist osservò egli pure nel sud-ovest della Francia che la zona li" della Scala, nettamente definita e caratterizzata a Biarritz, non lo è nella Chalosse, dove le forme caratteristiche Paronaea striata-contorta sono rarissime, e rimpiazzate da specie più (*) De La Harpe, Note sur les Nummulites Fartschi et Oosteri. Itali. Soc. Yaud. Se. Nat., voi. XVII, Losanna, 1880. CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITI 477 antiche ( Gmubelia scissa- Un fica la ris) , che abitualmente, sog- giunge Benoist, sono già scomparse nella 4a zona a grandi Assi- lina. Nasce però il dubbio, leggendo Benoist, dubbio reso ancora più grande da quell’aggettivo di confusa applicato alla zona 6", che ciò che si rapportò alla zona (5a appartenga invece alla zona 3a. Nei dintorni di Gassino, Telimi (M osservava una forma gra- nulata-reticolata accompagnare la Bruguieria Bici iteli. Egli la ritenne una varietà della Bruguieria Fiditeli stessa, e la deno- minò Bruguieria Fiditeli. var. problematica , pei dubbi, che forse in lui erano, circa l'esattezza del suo riferimento. Questa forma aveva in seguito eccitato la mia curiosità. In effetto costituiva un fatto abbastanza degno di attenzione il rinvenimento di una forma nettamente granulata in terreni oligocenici, mentre si era sempre ritenuto che le forme granulate scomparissero colla divi- sione 3a della Scala. Per di più il fatto assumeva una impor- tanza molto maggiore, poiché di questa forma granulata erane stata fatta una varietà di una forma assolutamente priva di granulazioni. Studiandone una buona serie appartenenti parte al Museo Geologico di Torino e parte al cav. Luigi Di Rovasenda, provenienti tutte dalle sabbie di Costa Battajna, sopra la regione eocenica detta Roc di Gassino, mi potei convincere trattarsi ve- ramente di una forma granulato-reticolata abbastanza dissimile però dalla Bruguieria Fiditeli , Mich., da non poterne assoluta- mente fare una varietà (2). (1) Tellini, Le Nummulilidee terziarie dell' Aita Italia Occidentale. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII, Roma, 18S8. (2) Z,aharpeia fjassineneis, n. f. — Piccola forma, lenticolare, sub- globosa, a margine arrotondato, colla superficie conehigliare ricoperta Fig. i, 2. L.a/n*rpcia ffassinensis, n. f. Ingr. V1 • di numerose granulazioni, piuttosto grosse, disposte a spira. Ricorda nelle granulazioni, e anche nella forma della conchiglia, la coppia Giim- 478 P. L. PKEVER Anche negli strati eocenici di Monte Baldo si verifica il fatto di trovare una forma granulata sopra al Luteziano medio, e pre- cisamente nel Bartoniano. Fra i campioni della collezione del cav. Nicolis ho rinvenuto un ammasso di Orthophragmina cemen- tate fra di loro e portante Tindicazione di «Monte Baldo, a destra della valle Cerbiol-Novezza ». Isolando le Orthophragmina , tra cui determinai le Orthophragmina sella, radians , stella , stellata, ecc., rinvenni un esemplare di Nummulite, una Giimbelia, stupenda- mente conservata (1). belio, Oosteri, sub-Oosteri. Però nella Laliarpeia gassinensis le strie for- mano un reticolo eguale a quello che mostra la Bruguieria Fiditeli. Camera centrale di medie dimensioni. Prima camera seriale semi- lunare. Spira subregolare, passo spirale crescente irregolarmente, decre- scente nell’ultimo giro. Lamina spirale di spessore discreto, quasi eguale in tutta la spira, ad eccezione del primo giro, ma irregolarmente spessa. .Setti discretamente arcuati, un po’ ingrossati alla base, subito dopo sottili e crescenti in seguito in ispessore sino alla loro unione colla lamina spirale del tetto. Alle volte i setti sono un po' flessuosi verso il centro. Angolo postero-superiore arrotondato. (>) Giimbelia Nicolisi, n. f . — Graziosa forma lenticolare a margine leggermente arrotondato e superficie ornata di strie raggianti dal centro, alle volte un po’ flessuose, leggermente arcuate, talvolta ad S, dicotome. Sulle strie si osservano dei rigonfiamenti abbastanza marcati, e spes- sissimo bene individuati, di modo che diventano vere e proprie granu- lazioni. Al centro si osservano cinque o sei granulazioni ben definite. Spira regolare, passo spirale crescente sino nel terzultimo giro, decrescente nell’ultimo. Lamina spirale di mediocre spessore, ed a spes- sore crescente sino nel quarto giro, quasi eguale in seguito, o legger- mente decrescente. Camera centrale di media grandezza, bipartita in due, una ellissoidale, l'altra foggiata un po' a mezzaluna. Setti numerosi, equidistanti, regolari, spessi, discretamente arcuati, leggermente ingros- sati e spesso debolmente volti indietro alla base. Angolo postero-superiore acuto (42°-45°). Camere seriali regolari, falciformi. Fig. 3, 4 Giimbelia Nicolisi , n. f. Ingr. 3/‘ • CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMU LITI 479 Ecco perciò distrutta la credenza che le forme nummuliticlie granulate scomparissero col Luteziano medio. Accade per le Gum- belia, ed anche per le Laharpeia ciò che accade per le Assillila. Il sottogenere, dopo di essersi sviluppato enormemente in un dato piano si impoverisce tanto, sia in ispecie che in individui, i quali ultimi bene spesso soffrono ancora una riduzione nelle dimensioni, da crederlo estinto. Invece, qualche rarissima specie, rappresentata da scarsi esemplari, prolunga la sua esistenza negli strati superiori, attraverso un ambiente non più idoneo, e alla ffne o si spegne definitivamente, o, per le in parte ritornate condizioni d’ambiente, ritorna ad assumere un discreto sviluppo. Le Grumbelia dopo di essersi sviluppate enormemente nel Lute- ziano medio si riducono talmente nel Luteziano superiore che alle volte riesce difficilissimo rintracciarne anche un solo esem- plare, il che contribuì a far prendere sostanza al dubbio che esse più non esistessero in quest’ultimo terreno. Realmente può pure accadere che in un dato giacimento a Nummuliti del Lu- teziano superiore, anche del Bartoniano, anche dell’.oligocene non si trovino assolutamente forme granulate. Questo non di- strugge e neppure altera la tesi che sostengo. Se noi pensiamo che in una data epoca, per esempio durante il mare Bartoniano non dappertutto, ove questo esisteva, le condizioni di ambiente orano identiche, quindi non dappertutto era identica in esso la vita, facilmente ci diamo ragione del fatto di rinvenire in un giacimento nummulitico una forma rappresentante un sottogenere che tende a scomparire, causa le mutate condizioni d’ambiente, mentre in un altro giacimento, sincrono con questo, cotesta forma non si rinviene neppur più. Ecco altri punti salienti nella storia delle Nummuliti, punti importantissimi e che richiederebbero diligenti lavori di ricerca e di confronto. Da questi poi ne uscirebbe quella larga sintesi sulla storia di questi interessanti Rizopodi che permetterebbe di stabilire una Scala non più regionale, e rischiarerebbe la stona dei terreni eo-oligocenici. Anche le Laharpcia, dopo di essersi sviluppate discretamente nel Luteziano inferiore e nel medio, si riteneva scomparissero in questo ultimo sottopiano. Invece il sottogenere avrebbe ancora dei rappresentanti nell’oligocene. Per le Assilina era già stata ISO P. L. PRF.VEU accertata la loro presenza nel Bartoniano inferiore (1), ed io avevo pure fatto già osservare, in armonia con quanto già mostrava di intravvedere De La Harpe, che esse cominciavano ad a] (pa- ri re nel Luteziano inferiore. Fra le Nummuliti da me osservate sinora del Bresciano e del Veronese, e precisamente fra quelle raccolte dal dott. Bonarelli nei dintorni di Gargnano in strati del Bartoniano, come ìio potuto assodare dallo studio delle forme di Orthophragmina (Orili . sella, tenuicostata , radiane , eco.) e dalle forme di Nummuliti ( Paronaea complanala, mut., latispira, Pas- chi, atacica ,) rinvenni un ì Assilina ( Assilina subspira, mut.). Alcuni mesi or sono, studiando delle Nummuliti avute dalla cortesia del chiarissimo prof. Rzehak di Bruna, provenienti da Gut- taring, trovai degli splendidi esemplari di Paronaea contorta associati a più splendide forme di Assilina (Assilina pia- ccntula-Leymerici). (') Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX. Ginevra, 1902. Fig. 5. Assilina placentula, Desìi. Ingr. */■ . „ 0. „ Le// meriti. D’Arch. „ „ CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMI! LITI 481 Il dott. A. Penecke, che studiò i terreni di Guttaring(1) sin- cronizza gli strati eocenici di Guttaring cogli strati di Roneà. Io, pur ritenendo queste forme di Guttaring nettamente barto- niane, sono di opinione che provengano da strati posti più al basso di quelli di Ronca, e precisamente sincroni con quelli di Porca di Presta. Ad ogni modo sono queste altre conferme della presenza delle Assilina nel Bartoniano, e quindi resta stabilita la longevità del sottogenere Assilina, il quale non scomparirebbe nemmeno negli strati Bartoniani più giovani, ma avrebbe ancora dei rappresentanti nell’oligocene (?). .. Non molto diversamente si comporta un altro sottogenere, Bruguieria. Le forme appartenenti a questo sottogenere, dopo di essersi sviluppate assai discretamente, meno però delle Lahar- peia, nell’Ipresiano, e fors’ anco più in basso (. Bruguieria boi- censis-spileccensis ), diminuiscono in numero. Negli strati successivi s’incontrano ancora delle forme subreticolate, ma lo sono meno decisamente, e sono mutazioni di forme che il più delle volte si svilupperanno più in alto e nettamente striate, o ancora reti- colate ( intermedia , Fiditeli ), nell’oligocene, ove improvvisamente evvi una nuova rifioritura di questo sottogenere. Esso è povero • (1) Penecke, Das Eocàn des Krappfeldes in Kàrnten. — Sitzungsbe- viclite der Mathematisch-Natunvissensch. Classe d. lvais. Ak. d. Wissensch. voi. XC. Vienna, 1885. (2) Oppenheim, Die Priabonascliichten and ilire Fauna. Palaeonto- graphica. Stuttgart, 1901. La citazione di questo lavoro me ne richiama alla mente un altro, del medesimo autore, interamente dedicato allo studio delle Nummuliti ( Ueber die Nummuliten des venetianischen Tertiurs. Berlino, 1894). In questo lavoro l’autore crea due nuove forme di Assiline a cui poco fe- licemente dà i nomi di Assilina sub-exponens e Assilina sub-granulosa. Osservo che V Assilina sub exponens, Oppenh. è un' Assilina mamil- lata, d’Arch. (De La Harpe, Elude des Nummulites du Comté de Nice, ecc. pag. 211 e segg.); la Assilina sub-granulosa, Oppenh. è una vera Assi- lina Leymeriei , d’Arch. Le due coppie di Assiline a cui apparterrebbero risultano quindi formate nel modo seguente: la coppia: Assilina exponens, Sow. » mamillata, d’Arch. (. Assilina sub-exponens, Oppenh.). 2a coppia: Assilina granulosa, Leym. » Leymeriei, d’Arch. ( Assilina subgranulosa, Oppenh, Assilina pulcra (pars) Prev.). 34 482 P. !.. l'REVER allora di forme, ma per compenso in talune località, come a Cassinelle, Carcare, ecc. è ricchissimo in individui, i quali poi sono nettamente e completamente reticolati. Guardando nell’insieme le Nummuliti come si ripartiscono nei diversi piani eo-oligocenici, il fiorire successivo dei diversi sottogeneri, il successivo loro impoverimento improvviso, mar- catissimo, e malgrado ciò la loro persistenza in certi casi attra- verso a lunghe età, e quindi, per qualche sottogenere, un nuovo quantunque debole rifiorire, si potrebbe, riguardo alle condi- zioni d’ambiente, concludere che esse, alquanto variabili durante la deposizione dei primi piani del Nummulitieo (Ipresiano, Lu- teziano inferiore), dovettero raggiungere, dopo un certo tempo, un relativo equilibrio, rimanendo sensibilmente uniformi nel Lu- teziano-Bartoniano specialmente, e nell’oligocene, però con un lieve ritorno durante questo periodo alle condizioni d’ambiente dei primi tempi del Nummulitieo. Sulle differenze e analogie tra le formazioni nuininulitiche dei bacini mediterraneo e parigino. L’impoverimento, e ili certi casi la quasi totale scomparsa, come per le Bruguierta, le Laharpeia, e le Gambetta , non solo degli individui, ma ancora delle forme, e in seguito, come ac- cade per le Bruguirria, di nuovo un rifiorire di queste ultime, ma specialmente dei primi, va attribuito ad oscillazioni, a mu- tazioni, e, in piccolo, a parziali ritorni delle condizioni d’am- biente occorsi durante il nummulitieo. Ancora, a diverse condi- zioni di ambiente, esistenti all’inizio dell’era terziaria tra il bacino anglo-parigino e il bacino mediterraneo, si deve l’accu- mularsi di serie di depositi i quali presentano caratteri paleon- tologici che non si prestano a stabilire dei sincronismi tra di loro ('). Tale affermazione si verifica in modo abbastanza netto osservando le Nummuliti caratteristiche dei diversi piani, sot- topiani ed orizzonti di questi due bacini. Nel bacino parigino esiste uno spostamento parziale verso l’alto delle Nummuliti (*) (*) Parona C. F., Trattato di Geologia. Milano, 1908-4. CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NU.MMULITI 483 Luteziane caratteristiche nel bacino mediterraneo dei sottopiani e degli orizzonti del Luteziano. Secondo Dumont nell’Ipresiano si stabilirono delle comuni- cazioni fra il bacino parigino e le regioni mediterranee. Le acque del mare parigino divennero più calde; certe forme di animali marini, tra le altre le Nummuliti, tino allora particolari delle regioni meridionali dell’Europa, migrarono al nord. Perciò la comparsa delle Nummuliti nei terreni eocenici avvenne prima nel bacino mediterraneo, ove l’ambiente favoriva il loro svi- luppo. Allorquando fecero la loro comparsa nel bacino parigino, comparsa dovuta a migrazione dal bacino mediterraneo, per le stabilitesi comunicazioni tra i due bacini c per le condizioni d’ambiente fattesi nel mare parigino sensibilmente eguali a quelle del mare mediterraneo, dando origine a depositi a facies sabbiosa in cui si rinviene la Bruguieria planulata-elegans, nel bacino mediterraneo le Nummuliti avevano già originato pre- cedentemente dei depositi, nei quali appunto trovavansi le sun- nominate forme. Queste alla lor volta con ogni probabilità erano già state precedute nei depositi nummulitici da altre forme {Bruguieria bolcensis-spileccensis ), le prime forme comparse, non potute migrare al nord per l’assenza di comunicazioni fra i due mari, e già scomparse al sud per probabili cambiamenti nelle condizioni d’ambiente, o già modificatesi nel loro lungo periodo di vita. Stabilite le comunicazioni tra i due bacini le specie migrate al nord lasciarono il posto, nel bacino mediter- raneo, ad altre specie ( Bruguieria Capecleri, Silvestri, Fiche-uri , Taramelli, Virgilioi , rara ecc.), di maniera che, mentre nel bacino parigino si formavano i depositi a Bruguieria planulata- elegans, probabilmente nel bacino mediterraneo formavansi i depositi a Laharpeia tuber culata- Lamar chi. È possibile che le cause, le quali fecero aumentare la tem- peratura nel bacino parigino, non fossero ristrette e localizzate a questo solo bacino, ma abbiano pure avuto influenza sulle regioni mediterranee aumentandone la temperatura, e variando forse anche le altre condizioni d ambiente. Questo spicghciebbe l’evoluzione delle torme nummulitiche, la quasi totale scom pai sa di un sottogenere e la trasformazione di esso in un altro affine 484 P. h. PREVER maggiormente idoneo all’ambiente ('). Nel frattempo continua- vano le migrazioni al nord, quindi le forme del sottogenere, che si trasformava e si impoveriva, passavano pure nel bacino parigino. Quivi le Bruyuieria planulata-degans , certamente nel tempo avevano originato delle mutazioni, delle forme nuove, e, nell’ambiente, delle razze. 1 depositi perciò che si originavano, oltre contenere le forme comuni al bacino mediterraneo, conte- nevano altresì delle forme peculiari al bacino parigino. Si spiega così il fatto di trovare alle volte in un giacimento delle forme comuni al bacino che lo racchiude, e mancanti nell’altro. Nelle migrazioni che avvenivano dal sud al nord, assieme alle forme già dette, migravano pure benché in piccola proporzione le nuove forme che dalle prime si erano originate, in modo che colle prime, che si depositavano in gran copia nei sedimenti a cui davano origine, si depositavano pure le seconde. Nel frat- tempo le disparità di temperatura e fors’ anche delle altre con- dizioni di habitat fra i due bacini dovevano andare diminuendo, sino a diventare nulle o quasi, e dovevasi stabilire un certo equilibrio che non doveva essere disturbato che più tardi. Come conseguenza ne viene perciò che, contemporaneamente alle mi- grazioni nel bacino parigino della Laharpeia t aber culata- La- mar eli. na\ bacino mediterraneo apparivano le Giimbelia , le quali in seguito migrarono al nord lasciando il posto alle grandi As- si, lina , le quali, per l’avvenuto equilibrio nella temperatura dei due bacini, si diffusero anche nel bacino parigino mescolandosi alle Giimbelia spissa-lenticularis , da poco migrate in questo ultimo bacino, come di fatti si verifica sul terreno, c si scorge subito osservando la Scala delle Nummuliti che Douvillé pro- pose per l’Aquitania (2). Nel bacino mediterraneo invece non potè avvenire tale mescolanza, e le Assilina si depositarono sopra C) Sta a rafforzare questa ipotesi lo studio delle Laharpeia, le quali dimostrano in modo strettissimo la loro affinità e i loro legami colle Bru~ guieria, che sono le prime forme nummulitiche comparse. Rimando per questo alla comunicazione di Douvillé, Soc. Géol. de Franco, Compte rendu de la Séance du 17 roars 1902, e all'introduzione del mio lavoro sulle Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza. (2) Douvillé, Sur le terrain nummulitique de V Aquitaine. Bull. Soc. Géol. de Franco, 4e sèrie, voi. IL Parigi 1902. CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMULITI 485 gli strati caratterizzati dalla coppia (rumbelia spissa-lenticu- laris, formando una zona che manca affatto nel bacino parigino. S’intende che io non parlo di tutte le Assi Una, ma delle forme tipo della coppia Assilina mamillata-exponens, che caratterizza nel bacino mediterraneo una zona precisamente sopra quella a Giimbelia spissa-lenticularis. In seguito nel Bartoniano i de- positi marini che si succedettero dovettero contenere, nei due bacini, le stesse forme nummulitiche, come di fatti, all’ineirca si verifica. Distribuzione geografica e stratigrafica di alcune Numnmliti. Poiché nei primi periodi del nummulitico il mare Mediter- raneo conservava il suo esteso dominio sull Europa meridionale, sull’Africa settentrionale andando sino alle Indie orientali da una parte, e dall’altra sino alle occidentali, le forme nummuli- tiche che l’abitavano dovevano avere una vastissima distribu- zione geografica, come del resto a priori si potrebbe già affer- mare osservando le affinità e le identità esistenti per gli altri fossili eocenici distribuiti nell’ampio bacino mediterraneo d’al- lora. L’osservazione e lo studio delle Nummuliti lo comprova poi indiscutibilmente. D’Archiac e Haime notarono per 1 Asia Minore 13 forme di Nummuliti comuni ai giacimenti europei;, per l’India 12 forme anch’esse notissime specialmente in Italia. De La Harpe, Yogdt, Blanckenhorn, Chapman, Mayer Eymar, Pomel, Ficheur in Crimea, Siria, Egitto, Algeria, Tunisia, Africa del Sud, ecc., riscontrarono un numero rilevante di forme co- muni fra questi giacimenti e a quelli europei. Douvillé recen- temente fece rilevare per le Nummuliti della Persia l’iden- tità che hanno con quelle del bacino parigino. Martin, Yerbeek, Baron, Jennings, Newton, Holland, Chapman e Jones ossei va- lgono aneli’ essi per le isole di Borneo, Grava, Madoura, Mada- gascar, Christmas (Oceano indiano), delle forme di foraminiferi, specialmente Orbitoidi e Nummuliti , comunissime ai giacimenti d’Europa. Così pure pel lato occidentale del bacino mediter- raneo,. Guppy, Jones, Teliini osservarono forme nummulitiche già conosciute nel resto del bacino, e in quello paiigino. lo 486 P. L. PKEVER pure, inversamente ai precitati Autori osservai nel giacimento di Potenza due forme di Nummuliti, la Laharpeia sub-Bron- gniarti, stata trovata per la prima volta da Yerbeek a Borneo, e la Bruguieria Heilprini . affinissima alla forma della Florida, tanto che non mi risolvei neppure a farne una varietà. A questo proposito noto che Dollfus (*) accenna vagamente, a proposito del mio lavoro sui giacimenti nummulitici di Presta e di Potenza a delle riserve che avrebbe da fare sull’assimi- lazione di queste mie due forme con forme straniere di località lontanissime, come sarebbero infatti Potenza e Florida, e Po- tenza e Borneo. Osservo che la lontananza, da quanto ho detto più sopra non influisce per nulla, e sono là i fatti a dimo- strarlo. Il prof. Parona (s) parlando delle divisioni dell’eocene, os- serva che il Priaboniauo (Lndiano di Munier-Chalmas e De Lap- parent) deve escludersi, specialmente dopo i risultati dello studio di Oppenheim sulla fauna di Priabona (;s), dall’eocene, e deve ascriversi all’oligocene. Aggiunge che il Tongriano (Dumont 1839) lia una estensione maggiore del Sannoisiano (De Lapparent e Mumier-Cbalmas) comprendendo parte del Ludiano degli stessi Autori. Questa affermazione riceve pure una valida conferma nella constatazione che il Ludiano, specie le assise superiori, sono caratterizzate da Nummuliti oligoceniche. Perciò la parte inferiore del Ludiano verrebbe ad essere compresa neH’eocene superiore (Bartoniano), e sarebbe caratterizzata dalla coppia Baronaca complanata-latispira. Qui è però necessario fare una osservazione non certamente priva d’importanza. Oppenheim nel suo studio su Priabona cita delle Nummuliti oligoceniche, che cominciano però ad apparire nell’eocene, e assieme ad esse cita ben quattordici forme di Orthophragmina. Ora Douvillé in parecchi suoi lavori (*) accennando alla distribuzione delle Orbitoidi , (') Dollfus in Cossmann, Révue oriti que de Paleozoologie, 7° anno, numero 2°, Parigi, 1903. (2) Parona C. F., Op. cit. (3) Oppenheim, Die Priabonaschichten und ihre Fauna. Palaeonto- graphica. Stuttgart, 1901. (4) Douvillé, Sur l’àge des couches traversées par le Canal de Pa- nama. Bull. Soc. Géol. de Franco, 3e sèrie, voi. XXVI, Parigi, 1898. — CONSIDERAZIONI SULLO STUDIO DELLE NUMMUL1TI 487 localizza esclusivamente nell’eocene le Orthophragmina , e in una recentissima comunicazione (') recisamente afferma che le Or- thophragmina sono esclusive dell’eocene, e si sviluppano enorme- mente nel Priaboniano. Lo stesso afferma Schlumberger (2)„ Ri- ferendo questo piano all’oligocene, bisognerebbe allora estendere la durata delle Orthophragmina all’oligocene, facilmente sino al Rupelliano, certamente al Sannoisiano. R. Museo Geologico di Torino. ùns. pres. 10 dicembre 1903 - ult. bozze 28 dicembre 1903]. Essai d’ime revision des Orbitolites. Distribution des Orbitolites et des Orbitoides dans la craie da Sud-ouest. Bull. Soc. Géol. de Franco, 4e sèrie, voi. LI, Parigi, 1902. (*) Douvillé, Compte rendu de la Séance du 4 mai 1903. Soc. Géol. de France. (2) Schlumberger, Troisième note sur les Orbitoides. Bull. Soc. Géol. de France, 4e serie, voi. III. Paris, 1993. SOPRA UN CROSTACEO DEI TUFI CALCAREI POST-PLIOCENICI DEI DINTORNI DI PALERMO Nota del dott. Giuseppe Checchia-Rispou Illustriamo in questa Nota un crostaceo dei tufi calcarei post-pliocenici della borgata Vergine Maria presso Palermo. L’esemplare qui esaminato appartiene alla collezione privata del prof. Giovanni Di-Stefano, che ha voluto affidarmelo gen- tilmente per studio. Son pochi i crostacei ben conservati finora noti in quel Post- pliocene, però non vi sono scarse le chele, per mezzo delle quali il Milne-Edwards potè indicare nei sedimenti delle falde del Monte Pellegrino le seguenti cinque specie: Maja squinado Lati-., Gonoplax rhomboides Desm., Ilici nucleus Leach., Calappa gra- nulata Fabr. e Xantho floridus Montagli ('). Ci è parso quindi che sia importante il rinvenimento di una carapazza ben conservata dello Xantho floridus Montagu, sicché crediamo utile qui di descriverlo e di figurarlo. Xantho floridus Montagu 1792 Cancer poressa? Olivi, Zoologia adriatica, pag. 48, tav. II, fig. 3. 1813 Xantho floridus Montagu, Limi. Trans., toni. IX, tav. II, fig. 1. 1815 Cancer incisus Leach, Malac. Brit., Trans. Linn. Soc. London, tom. XI, pag. 320. » Xantho florida Leach, loc. cit , pag. 320. 1830 Cancer floridus, Mont. — Desmarest e Bosc, Manuel de V Hi si aire naturelle des Crustacés etc., toni. I, pag. 205. (') Milne-Edwards A., Remarques sur la faune carcinologique des ter- rains quaternaires. (« L’ Institut », journal des Sciences et des sociétés savants en France, pag. 88). Parigi 1861. SOPRA UN CROSTACEO DEI TUFI CALCAREI POST-PLIOCENICI ' 489 1834 Xantho floridus Mont. — A. Milne-Echvards, Histoire naturelle des Crustacés ect., toni. I, pag. 324. 1850 Cancer poressa Costa G. 0., Fauna del Regno di Napoli etc., < Ani- mali articolati: I. Crostacei», pag. 8, tav. I, fig. 2. 1885 Xantho fionda Leach. — Carus, Prodromus faunae mediterraneae, voi. I, pag. 512-513. 1899 Xantho floridus Mont. — Acloque, Faune de France, pag. 142. Dimensioni : Altezza del cefalotorace vani. 23 Larghezza » » 38 Rapporto dell’altezza alla larghezza . . . 1:1,65 Cefalotorace largo quasi il doppio della sua altezza, legger- mente arcuato nella metà anteriore del suo contorno e troncato posteriormente. La fronte è larga e leggermente protratta avanti: i margini latero-anteriori si diriggono al di fuori, formando con la fronte un arco di cerchio. I margini latcro-posteriori s’incurvano leggermente verso l’ avanti e formano coi margini Intero— ante- riori e col posteriore un angolo ottuso : ne risulta così che la forma generale della carapazza è presso a poco esagonale: però la metà anteriore è arcuata. 1 margini 'latero-anteriori sono ornati ciascuno di quattro tubercoli dentiformi subtriangolari, acuti. Di questi, il secondo ed il terzo sono i più grandi e più robusti, mentre il primo e l’ultimo sono i più piccoli. Gli orli latero-posteriori sono lisci ed interi: il posteriore, ornato di un margine, è flessuoso e presenta due insenature piccole, ma ben distinte che servono per 1 at- tacco dell’addome. Lo scudo è depresso: nella metà anteriore poco convesso: quasi pianeggiante nella posteriore. Le varie regioni special- mente nella metà anteriore sono ben distinte e limitate da solchi profondi. Regione frontale leggermente protratta in avanti e non re- flessa in basso, intera sul margine e bilobata. Cavita orbitali molto incavate, leggermente elittiche, col lobo sopraciliare spor- gente. 35 490 G. CHECCHI A-R1SPOLI Solco cervicale abbastanza profondo. Della regione gastrica, molto sviluppata, si distinguono net- tamente i lobi epigastrici piccoli, sporgenti e fortemente deli- mitati da un solco profondo e i lobi protogastrici, grandi, separati da un leggero solco dalla regione mesogastrica, clic qui non è Xnntlio fìoridus Mont. Cefalotorace visto dalla parte dorsale, gr. nat. molto nettamente distinta dalla ipogastrica e dalla urogastrica. Queste tre regioni fuse insieme hanno la forma di una bottiglia col collo allungato. A destra e a sinistra della regione gastrica in avanti ab- biamo le regioni epatiche molto sviluppate e di forma presso a poco triangolare. Posteriormente si distinguono* appena la re- gione cardiaca e quella intestinale. Infine la regione branchiale ancli’essa sviluppata mostra di- stintamente i lobi epibranchiali che sono separati dai lobi meso- branchiali da un forte solco ed in ultimo i lobi metabranchiali più sviluppati degli altri due. I margini latero-anteriori del cefalotorace, inflettendosi, for- mano sulla faccia ventrale le regioni pterigostomie larghissime, mentre le branchiostegiti sono molto più strette e poco rilevata è la sutura branchiostega-pterigoidea. Le branchiostegiti risal- gono sino all’angolo orbitale con un’ampia curva e lasciano tra di loro uno spazio presso a poco trapezoidale più largo in- dietro che in avanti, il quale è occupato dal peristoma. Tanto le regioni pterigostomie che le branchiostegiti sono coperte da numerose e piccole granulazioni. Tutta la superficie SOPRA UN CROSTACEO DEr TUFI CALCAREI POST-PLIOCENICI 491 dello scudo è liscia, solamente nella metà posteriore parallela- mente al margine posteriore si osserva un’ unica serie di minute punteggiature, che probabilmente dovevano servire per l'attacco «Ielle setole; un’altra serie se ne osserva lungo l’orlo posteriore. Oltre al pterigostomio e alle branchiostegiti, non si può di- stinguere altro della faccia ventrale. Rapporti c differenze. — Per quante ricerche abbiamo fatto non ci costa che questa specie sia stata descritta allo stato fos- sile: per poter stabilire quindi la sua vera posizione specifica abbiamo creduto di doverla paragonare alla specie tuttora vi- venti del genere Xantìio Leach. Delle molte specie di questo genere, quelle che più s’avvicinano all’individuo di Monte Pel- legrino sono lo X. floridi is Montagli C) comunissimo nel Tirreno e sulle coste del l’Inghilterra e lo X. affinis De Haan (1 2) vivente sulle coste del Giappone. Di queste due specie lo X. floridus Mont. presenta le più intime relazioni di somiglianza col crostaceo dei dintorni di Pa- lermo, tanto che noi non abbiamo creduto di doverlo separare, per quanto a prima vista presenti delle differenze dovute al maggiore sviluppo dei denti. Questo carattere non può, secondo noi, avere un valore specifico se si considerano le molteplici variazioni che presenta lo X. floridus vivente. Tali variazioni hanno dato luogo alla istituzione di parecchie specie; ma queste posteriormente sono state riunite tutte allo X. floridus. La tronte di questa specie, che è intera nel margine, talvolta può pre- sentare una incisione nel mezzo, e mentre essa è per lo più bilobata, talora può essere quadrilobata. Altre variazioni sono dovute alle rugosità e ai rilievi di cui è ornata la superficie e altre infine al maggiore o minore sviluppo dei denti laterali. Vi sono degli esemplari viventi che offrono un maggiore svi- luppo dei denti e sono allora molto affini all’esemplare fossile di Monte Pellegrino. Del resto il carattere del maggiore svi- (1) Costa G. 0.. Fauna del Regno di Napoli. « Animali articolati. 1° Crostacei », pag. 8, tav. I, fig. 2, 1850. (2) De Haan in Siebold, Fauna laponica: Crustacea, pag. 48, tav. Ili, tig. G, 1850. 492 G. C'HBCCH 1 A-RISPOIjI lappo dei denti potrebbe servire tutto al più per indicare tra la forma fossile e la vivente delle differenze di varietà. Lo X. affmis De Haan poi differisce dal nostro esemplare, perchè coperto su tutta la superficie da piccoli tubercoli e da creste sui denti, per la fronte sinuosa da ambo le parti e non troncata. Dal Laboratorio di Paleontologia del B. Ufficio Geologico. [ms. pres. 14 dicembre 1903 - ult. bozze 29 dicembre 1 903 J . TALITS DI FRANAMENTO DEL MONTE DI AVANE Nota del dott. R. Ugolini In una delle escursioni da me fatte a scopo geologico nei ' monti d’ Oltre Serehio, ebbi, or non è molto, occasione di tro- vare un ammasso considerevole di frammenti calcarei, addossati sul fianco settentrionale del monte di Avane, presso la cosi detta foce di Baraglia, ed aH’imboccatura della vallecola che da questa foce conduce al vicino paese di Vecchiano. Questo ammasso, che si erge per una quindicina di metri circa al di sopra della stradicciola che segue parallelemente la suddetta vallecola, ha la forma presso a poco di mezzo cono, dalla base poco estesa in confronto dell’altezza e dalla super- ficie prospiciente fortemente inclinata verso nord. Osservato a primo esame, esso appare poco diverso da quegli ammassi di minuto pietrame, artificialmente accumulati a scalpa, che veggonsi di consueto in (piasi tutte le cave e che nel lin- guaggio comune prendono il nome di spurghi di cava. Ma una più accurata osservazione della forma e delle proporzioni rela- tivamente notevoli dell’ammasso, nonché dei detriti e dei nume- rosi resti organici che vi si trovano commisti e cementati da carbonato di calce, basta per riconoscere che esso si formò nel luogo stesso dove si trova oggidì, non già per mano dell uomo, ma per cause naturali e sino da tempo relativamente antico. I detriti che compongono il deposito in questione, sono ge- neralmente piccoli, a margini angolosi ed acuti e non presen- tano la benché minima traccia di smussamente. Sono inoltre costituiti tutti dello stesso tipo di calcare, grigio- chiaro, ceroide, di lias inferiore, che forma la massa del monte da cui si distaccarono ; sono collegati fra di loro da poco ce- mento calcareo, misto a terra rossa ed a residui piuttosto nume- 494 R. RUOLINI rosi di conchiglie terrestri, e sono disposti a scarpata di contro al fianco del monte. Non sono già, infine, caoticamente confusi in una massa unica, uniforme, ma, come si può vedere in taluni punti del deposito stesso, dove il materiale viene cavato per uso di breccia da strade, presentano una particolare disposizione a strati, dello spessore variabile dai 20 ai 30 centimetri circa, i quali ci stanno ad indicare che la formazione avvenne in tempi successivi. Lo studio delle numerose conchiglie fossili rinvenute fra i suddetti detriti mi ha permesso di riconoscervi quasi tutte quelle specie che erano state già segnalate nelle brecce ossifere e con- chigliari di Uliveto, di Agnano (') e di Vecchiano (2), le quali, se abitano tuttora le Alpi Apuane, specialmente lungo la valle superiore del Serchio (3), per le cambiate condizioni del clima, umido e fresco in passato, ed oggi prevalentemente asciutto e sfavorevole al loro modo di vita, non esistono quasi più in quei dintorni (4). Le specie riconosciute sono le seguenti: Helix cinctclla Drap. Fossile ad Agnano (brecce ossifere). Vivente a Borgo, Larga, Gallicano, Torrite Cava (Val di Serchio superiore). Helix nemoralis Limi. Fossile ad Agnano. Vivente in tutta l’alta vai di Serchio. Helix obvoluta Muli. C) De Stefani C., Di alcune conchiglie terrestri fossili nella terra ; rossa della pietra calcarea di Agnano nel monte Pisano. Atti Soc. tose. Se. Nat., Memorie, voi. i, pag. 110. Pisa, 1876. — Ugolini R., Molluschi continentali fossili nella terra rossa d’ Agnano nel monte Pisano. Boll. Soe. geol. it., voi. XVI 11, pag. 71. Roma, 1899. (?) Savi F., Memorie per servire allo studio della costituzione fisica della Toscana, pag. 64. Pisa, 1839. (3) De Stefani C., Molluschi virenti nella ralle del Serchio superiore. Boll. Soc. geol. it., voi. I, pag. 85. Pisa. 1875. O De Stefani C., Le pieghe delle Alpi Apuane. Contribuzione agli studi sull’origine delle montagne, pag. 54. Firenze, 1889. TALUS DI FRANAMENTO DEL MONTE DI AVANE 4 1)5 Fossile ad Agnano. Vivente al Corehia, Corfigliano, Cani- giano, Sassorosso, Bagni di Lucca. Helix planospira Link. Fossile ad Agnano. Vivente a Sassorosso, Grainolazzo, Va- gli di sotto, Bagni di Lucca. Helix planospira var. depressa minor Moq.- Land. Hyalinia Isseliana Paul. Fossile ad Agnano. Vivente al Borgo, Barga, Torrite, Cava, Gallicano, Castellino vo, Bagni di Lucca ed altre località. Hyalinia olivetoruni Gml. Fossile ad Agnano. Vivente in quasi tutta la valle superiore del Serchio. Stenogyra decollata Limi. Fossile ad Agnano, Uliveto e Vecchiano (brecce ossifere). Cyclostoma elegans Muli. Fossile ad Agnano, Uliveto. Vivente in tutta la lai di Sel- cili o. Pomatias patulurn Drap, (non De Stet.). Fossile ad Agnano. Vivente a Canigiano e a Sassorosso. Pupa edentula Drap. Non rinvenuta fossile ad Agnano, Uliveto e Vecckiano. Rara in queste brecce. Pare che manchi paranco nelle località suin- dicate della vai di Serchio. Pupa doliolum Drap. Rara in queste brecce. Rara anche allo stato vivente a Va- gli di sopra e a Sassorosso. Clausilia rugosa var. cruciata Stud. Fossile ad Agnano. Vivente a Pieve Fosciana, Torrite, Cu- tigliano. R. UGOLINI -496 Venendo ora a parlare delle cause che possono più proba- bilmente avere dato origine al deposito in esame, si comprende facilmente come non sia il caso di pensare ad un conoide di deiezione perchè la forma angolosa degli elementi che lo com- pongono ne indicano che nessun rotolamento fu da essi subito mai, e perchè anche le condizioni fisiche della vallecola, allo sbocco della quale il deposito si trova, non avrebbero certamente potuto prestarsi alla formazione di un conoide di simil genere. Si può dunque esser certi che l’origine di questa accumu- lazione detritica sia dovuta unicamente all’azione di quel feno- meno di sfacelo, cui vanno incessantemente soggetti, per causa degli agenti degradatoli, tutti i terreni calcarei, onde essi si disgregano, si frantumano, e gli elementi spesso minuti che ne risultano, muovendosi gradatamente verso le regioni più basse, e senza rotolarsi per ragioni fisiche ben note, si raccolgono nel fondo delle valli, formandovi dei depositi più o meno conside- revoli, conosciuti con il nome di taìus o conoidi di franamento. Di questo fenomeno è data una abbastanza esatta definizione nel Trattato di Geologia dello Stoppani ('), secondo cui « al gelo e disgelo si debbono principalmente le frane. Più sottoposti a franare sono i monti a rapido pendio o a fianchi verticali. La frana consta delle stesse rocce che compongono la montagna alla cui base si dispongono a talus o scarpa più o meno ripida, ma la cui pendenza non oltrepassa, secondo E. De Beaumont, i 42°. Le frane, cementandosi per effetto delle acque incrostanti, possono dar luogo a vaste formazioni di conglomerati, che con- stando a preferenza di frammenti angolosi saranno analoghi alle rocce che diconsi brecce ». Quella in esame è la prima delle accumulazioni detritiche di questo genere, che io abbia avuto occasione di osservare nel piccolo gruppo montuoso d’Oltre Serchio. Ma non ne mancano esempi nelle prossime Alpi Apuane ed in generale in tutte quelle regioni in cui si abbiano rocce calcaree. Cosi è forse di questo tipo il deposito di frammenti che tro- vasi lungo la riva destra del Serchio, nelle vicinanze di Die- O Stoppimi A., Corso di (leoloyia, voi. I, 171, pag. 158, 3a ed. Milano, 1899. TALUS DI FRANAMENTO DEL MONTE DI AVANE cimo, in a monte delle case più alte di questo paese, subito dopo la curva che fa il fiume. Il De Stefani, che lo descrisse, lo con- siderò da principio (*) come una morena insinuata', ma in se- guito a più accurate osservazioni (*) tu indotto a ritenerlo quale « un deposito limitato a piccoli frammenti, derivanti dallo sfa- celo (talas) del calcare grigio con selce neocomiano che costi- tuisce quelle pendici », e poscia depositati a ridosso di queste ultime a guisa di scarpa. In quanto poi all’età della formazione ora descritta, è dimostrato dalla presenza dei residui fossili di specie, non più viventi in quei dintorni, che essa avvenne in tempi anteriori agli attuali, molto probabilmente all’epoca allu- vionale. Museo Geologico della R- Università di Pisa. [ms. pres. 12 dicembre 1903 - ult. bozze 23 dicembre 1903J. (') De Stefani C., Gli antichi ghiacciai dell’ Alpe di Corfino ed altri dell’ Appennino settentrionale e delle Alpi Apuane. Boll. Coni. geol. it., voi. V, pag. 86. Roma, 1874. m Stefani C , Dei depositi alluvionali e della mancanza di tei reni glaciali nell’ Appennino della Valle del Serchio e nelle Alpi Apuane- Boll. Com. geol. it., voi. VI, pag. 3. Roma, 1875. 36 SULLA COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA Nota del prof. R. Mem Nel primo semestre del corrente anno 1903, gli studenti del II anno della R. Scuola d Applicazione per gdi Ingegneri di Roma rilevarono topograficamente, sotto la direzione del eli. prof. \. Reina, il monte Palatino, disegnandone la pianta generale nella scala 1 a 500. Durante il rilievo topografico- accedetti alcune volte sul luogo per precisare le rocce, delle quali e formato il suddetto colle; ne presi campioni e ne rilevai con 1 ing. lT. Barbieri la loro successione stratigrafica e le quote altimetriche. Il Palatino, sede della primitiva città di Roma ed, in se- guito, dei palazzi imperiali, e, come il Capitolino e l’Aventino- vero, uno dei colli di Roma completamente isolato. Trovasi, come è noto, sulla sinistra del Tevere, a S-E dal centro della citta, recinta dalle mura aureliane. Ha in pianta la figura di un quadrilatero, a lati disuguali, tendente alla forma trapezia (*), La sua quota culminante è a rii. 51 sul livello del mare. Siccome si sa ben poco sulla costituzione geologica del colle Palatino, cosi non credo del tutto inutile di dirne due parole in proposito. U) Una buona pianta topografica del Palatino, nella quale si scorge bene la sua figura quadrilatera, trovasi nell’atlante dell’opera del conte De lournon: jitudes statistiques siti' Jionic et suv la partie occi- dentale des États Momains, Paris (2a edizione, 1831, 2 voi. in-8° ed atlante). Vedi pi. 23 et 24. (Pianta del Foro romano e del monte Pala- tino e contorni nel 1800. — Id., cogli abbellimenti progettati ed in parte eseguiti dall’Amministrazione francese, 1813). COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 409 A causa delle antiche costruzioni, che vi si innalzano e che lo recingono tutt’ all’ intorno, e per la grande quantità di sca- richi e di macerie, che lo hanno ricoperto e lo ricoprono in parte anche ora, non erano, fino a poche settimane ta, visibili allo scoperto le rocce, costituenti il nucleo del monte, e perciò dei colli di Roma finora è il più noto storicamente ed archeo- logicamente, ma il meno conosciuto dal lato della geologia. Si sapeva solamente che era formato da tuto vulcanico litoide, analogo a quello, che si scorge di faccia nella Rupe Tarpea del prossimo Capitolino, all’altro, che si rinvenne, nel 1877, nei tagli eseguiti al Quirinale (via e piazza omonima), e nel vicino Esquilino (parte media, che forma l’Oppio), nel taglio eseguito nel 1896 alla base per il prolungamento della via dei Serpenti, dalla via Cavour al Colosseo e nelle fondazioni della chiesa di S. Francesco di Paola (*). Ecco, difatti, per ordine di data, le principali notizie, che ho letto in mezzo alle varie pubblicazioni riguardanti la geo- logia del suolo romano, che si riferiscono al Palatino : 1801. Breislak S., Voyages physiques et lithologigues dans Iti Campanie suivis d’un me moire sur la constitution pliysitpue de Rome , tradui t du manuscrit italien et accompagnés de notes par le géneral Pommereuil. — Paris, Dentu, 1801, 2 voi. in-8°, con carte topografiche. Breislak scrive: che i sei colli di Roma, che sono sulla sinistra del Tevere, tra i quali cita il Palatino, sono tutti di natura vulcanica (voi. II, pag. 237, 254); che il Capitolino è separato dal Palatino da una valle scavata originariamente dalle acque e in seguito slargata dalla mano dell’uomo ; ritiene che Capitolino, Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio e Palatino for- massero un tempo una sola collina vulcanica, di forma conica, a pianta circolare, racchiudente un cratere, che egli colloca nel (!) Il tufo granulare e litoide è pure citato dal Brocchi alla Rupe Tarpea, a S. Francesco di Paola ed al Quirinale ed é segnato nelle se- zioni 1 2, 7 ed 8, che trovansi nella classica opera: Dello stato fisico del suolo 'di Doma , Roma, 1820. (Vedi pag. 131-142, 150-160). Vedi an- cora del medesimo autore: Catalogo ragionato d’una collezione di rocce, Milano, 1817, pag. 1-3. 500 R. MELI piano dell’attuale Foro Romano (pag. 243-244); cosi pure, con- sidera, come un altro cono vulcanico secondario con resti del cratere, l’ Aventino (pag. 245), e colloca un’altra bocca craterica ne\V intermontium del Campidoglio (pag. 244-245), come si os- serva nella tav. VI alla pag. 241 ; Pian physique de la ville de Rome ('). 1809. Bucli (von) Leopold, Geognostische Beobachtungen auf Reisen diircli Deutschland und Italien. — Berlin, Haude und Spener, voi. 1°, 1802; voi. Il0, 1809, con tav. Nel volume II0, pag. 38-39, parla della ipotesi del suo dotto amico Breislak, die le colline di Roma abbiano fatto parte di un cono vulcanico e, combattendola, dice che, se il Palatino, l’Aventino e il Capitolino sono isolati, lo si deve vero- similmente alla solida roccia, sulla (piale essi posano ; li rico- nosce formati di tufi ; ma conclude che i materiali dei tufi fu- rono emessi da bocche vulcaniche, che non sono sul luogo, sib- bene a maggiori elevazioni e distanze. 1811. Sickler F. Ch. Ludovic, Pian topograplùque de la Campagne de Rome consideree sous le rapport de la Geologie et des unti qui tés dessiné et explique à l’usage des voyageurs. — 1* edizione — Rome, Francois Bourlié, 1811, in-16° gr. di pag. (34 C). Parlando degli estinti vulcani dei dintorni di Roma, riporta la opinione del Breislak sul cratere del Foro romano e scrive: C) Le medesime idee, che, cioè, le sopradette colline di Roma fos- sero i frammenti di un cono vulcanico, sono ripetute nelle altre opere posteriori del Breislak: Introduzione alla geologia, Milano, Stamperia reale, 1811, in-8°. Vedi parte IIn, pag. 385-387. Traiti sur la structure extérieure du globe, ou institutìons géologi- ques, Milan, 1822, 3 voi. in-8°, con atlante oblungo. Vedi voi. Ili, pag. 368 e seg. (2) Di questa specie di guida della Campagna romana stampata ad illustrazione della carta topografica ( Pian topographique de la Campa- gne de Home dessiné aree soin par F. Ch. L. Sickler 1). à Vusage des voya- geurs. — Un foglio misurante nell'incisione cm. 89 X 5? circa) vennero eseguite parecchie successive edizioni, stampate in Roma, tutte uguali 501 COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA « On y atj onte enfili le volcan de Rome meme, dont le centi e » fut apparemment le. Palatili et le Capitolili et dont le cratèie » a été forme par les autres collines d alentour, mais qui se » sera affaissé lorsque le volcan d’ Albano a commence à etie » en activité. Polir preuve de cette opinion on cite la disposi- » tion presque circulaire des collines de Rome tout autoui dii » Palatin et du Capitolin, leur nature entièrement volcanique . . . » (pag. 13-14). 1819. Brocchi G. B., Squarcio di lettera intorno ad uno scavo interessante la geognosia fatto in Roma a Campo T ac- cino. — Nella Biblioteca italiana o sia Giornale di letteratura scienze ed arti, tomo XIII, Milano 1819, pag. 114—115. Brocchi indica, come formati da materiali vulcanici, il Cam- pidoglio, il Palatino e l’Esquilino, e fa noto che in uno scavo nel testo, nel formato (in-16° grande) e nel numero delle pagine (64 ^ Ecco la serie delle edizioni: la 1811, F. Bourlié; 2n 1816; 3a 1818, Mordacchini, con 1 veduta; 4ft 1821, De Romania con veduta; 5 1824, Monaldini ; 6a 1830, Aureli. Dopo questo anno non ho notizia di altre ristampe. E ne vedo anche la ragione, giacché, mentre all'epoca della la edizione, 1811, scarseggiavano le carte topografiche della Campagna di Roma e le relative pubblicazioni, durante il periodo delle varie edi- zioni della pianta Sickler, cioè dal 1811 al 30, ne venivano in luce pa- recchie. Cosi, negli anni 1818-20 usciva, per la stamperia De Romams, la 4a edizione del Nardini Famiano. Roma antica. Edizione 1 V" romana riscontrata ed accresciuta dalle ultime scoperte con note ed osservazioni di Antonio Nibbi/ e con disegni rappresentanti la faccia attuale del- l’antica topografia di Antonio De Romanis (4 voi. in-8 ). Nel 1827 si pubblicava la Guida per la Campagna di Roma de dott. Gio. Enrico Westphal con una carta della parte più ^interessante della Campagna medesima. — Roma, V. Poggioli, 1827, in-8° di pag. 64, (ristampata pure in Roma, L. Piale, 1854, in-8 di pag. 64). Lo stesso autore stampava poi nel 1829 la sua importante opera: Westphal J. H., Die Ròmisclie Rampogne in topograph. und antiqua- rischer Hinsiclit. — Berlin-S tettili, Nicolaischen Buchhandlung, 1829, m- 4° con 2 tav. topogr. Opera assai importante e molto superiore a quella abbastanza primitiva del Sickler. Nel 1834 poi si pubblicava l’opera del Geli W., The topography of Rome and its vicinity. — London, 1834 in 2 voi. in-81’ con carta topogr. Negli anni 1837-38 compariva: Nibby Antonio, Analisi storico-topogra- 502 R. MELI eseguito sotto il selciato della via Sacra presso il tempio della Pace si ritrovò una sabbia fina, giallognala, composta di par- ticelle calcaree e silicee con piccole squamette di mica argen- tina; sabbia, che il Brocchi riconobbe fino a 5 piedi di pro- fondità, e che giustamente sospettò depositata da acque dolci. (Analoga sabbia fu anche scoperta più oltre la via Sacra verso il tempio di Venere e Roma). Difatti, in ulteriori ricerche vi rinvenne molluschi d’acqua dolce, tra i quali cita 1 Helix (Limnaea) palustris e V Helix ( Planorbis ) complana ta , e lo dice chiaramente nel suo Suolo fisico di Roma, pag. 148. 1820. Nella Carta del suolo di Roma nei primi tempi della fondazione di questa città, edita dal Brocchi (') nel 1820, il fico antiquaria della carta dei dintorni di Poma. — la edizione, 3 voi. in-8° con carta topogr. (2a edizione 1S48-19; 3a edizione, 1875; 4a edi- zione con aggiunte del prof. Porena 1886). Ora, innanzi a queste pubblicazioni, migliori di quella del Sickler, si capisce facilmente come questa non venisse più ricercata e dal 1830 in poi quasi dimenticata. * Nella mia Biblioteca ho peraltro una copia del Pian topographiqiie — nuovamente corretta — à Rome publié par Mona 1 dini Libraire. Place d’Espagne N° 79, la (piale ha l’anno 1865. Il Sickler stampò poi cogli stessi tipi e formato della spiegazione del suo Pian topographique, anche: Pantogramma ou me descriptive ge- nerale de la Campagne de Rome dessi ne et expliqué à l'usage des roga- geurs. — Rome, in-16° di pag. 14. Se ne hanno diverse edizioni. Nei miei libri ho la 4me édition. — Rome, De Romanis, 1821. Il panorama di Roma è formato da 3 fogli da sovrapporsi, lunghi ciascuno circa 55 cm. e dell’altezza di cm. 22, incisi a contorno. Una pubblicazione analoga al Pantogramma del Sickler è la se- guente: Visconti P. Herc., Apercu sur l’origine et les antiquités de Rome pour servir d’explication au panorama de la tour du Capitole — Rome, 1826, in-8° con tavola. . (*) Una riproduzione, in scala molto minore, della carta geologica del Brocchi trovasi nella: Guida metodica di Roma e suoi contorni au- mentata e corretta dal march. Giuseppe M elchiorri romano, divisa in 4 parti. — Roma, Puccinelli, 1840, iu-16°, con tig. Ved. tav. II, inserita tra le pag. 74-75. La carta è a colori, come quella originale del Brocchi, e misura nell’incisione cm. 24,5 per 21 circa. Tale riproduzione non venne citata tino ad oggi nelle bibliografie geologiche di Roma e provincia, perché sconosciuta ai bibliografi. COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 503 Palatino è segnato col colore del tufo granulare, mentre le sommità del Capitolino sono segnate col colore del tufo litoide, •e la sua base con cpiello del tufo granulare. Brocchi non parla delle rocce del Palatino nel suo Catalogo ragionato di una collezione di roccie ecc. Milano, 1817, in-8°; ma soltanto ne dà alcune indicazioni nel suo: Stato fisico del suolo di Roma, memoria per servire d’ illustrazione alla carta geognostica di questa città. Poma, De Romanis, 1820, in-8°, con 2 tav. di sezioni geologiche. Egli ci dice che in uno scavo, da lui eseguito nella villa Spada entro alcune stanze sotter- ranee, il cui piano rimaneva a 41 piedi di profondità sotto il suolo (~ m. 13,31 (Q ) trovò il tufo granulare, di color bruno, che conteneva pezzi di lava nera scoriacea, come quello del Quirinale e dell’Esquilino. Soggiunge che nei bagni di Livia vide un cumulo di argilla, ivi scaricata, ma non potè avere alcuna notizia intorno al luogo dal quale l’argilla proveniva (Ved. pag. 109, 115 e 149-150). È questa la più precisa notizia, che si abbia sulla costituzione litologica del Palatino, di essere, eioè, formato di tufo granulare, notizia, che venne poi riprodotta e ripetuta in seguito per oltre 3 lustri, da tutti coloro, che inci- dentalmente parlarono della costituzione geologica del Palatino. 1829. Hoffmann E., Ueber die Rcschaffcnheit der rdmischen Rodens, nebst einigen aUgemeincn Retrachtungen iiber den geo- gnostischen Charakter Italiens. — A. Eigenthiimlichkeiten des rdmischen Rodens nach der Rildungsverschiedenheit geordnet. Negli Annalen der Physik und Chemie, editi da J. C. Poggen- dorff, Leipzig, 1829, voi. 16, pag. 1-40 con tavola. Nel Gcognostische Stizze von Rom , che è una riproduzione in piccola scala della carta del Brocchi, il Palatino è segnato col colore del tufo granulare. 1833. Texier Gli., Considérations sur la geologie des sept collines de Rome. — Bull, de la Soc. Géologique de France, voi. IH, 1833, pag. 264-267. La rupe Tarpea nel Capitolino, l’Aventino, l’Esquilino ed il Palatino, scrive FA., sono composti di un tufo rosso, assai (4) Ragguagliando il piede parigino antico a in. 0,3248. 504 R. MELI compatto. Ripete l’ipotesi del Breislak che questi colli siano i resti di vulcani, dei quali i crateri s’aprirono nelle valli inter- medie. Nota inoltre che, esaminando attentamente la parte abrupta della Rupe Tarpea, vi si distinguono strati sottilissimi di cristalli di augite, che si ritrovano anche alla base del Pa- latino. Circa la morfologia del colle predetto, ritiene probabile che la parte a picco del Palatino, di fronte alla Rupe Tarpea sia stata tagliata dall’uomo. Conclude avvertendo che del suolo primitivo del Palatino e della Rupe Tarpea si vede abbastanza per poter essere sicuri che queste due colline si siano formate nel medesimo tempo e per la medesima causa, ossia, che ab- biano la stessa origine. 1844. Marmocchi F. C., Prodromo della storia naturale ge- nerale e comparata d'Italia. — Firenze, Soc. editrice fiorentina. 1844, in-8° (Forma il voi. 1° della Biblioteca dell Italiano). Alla pag. 279, dopo avere osservato che è malagevole il riconoscere nell’interno di Roma la roccia naturale, essendo questa nel maggior numero dei luoghi coperta da alto strato di detriti e di rovine, dice, riportandolo dal Brocchi, che: « la » roccia vergine del Palatino non si può ravvisare che a qua- » ranta piedi parigini di profondità, rimanendo sepolta sotto le » rovine del palazzo dei Cesari ». Più oltre (ved. pag. 282) ri- porta, togliendolo sempre dalla già citata opera del Brocchi, che i colli di Roma sulla sinistra del Tevere, tra i quali no- mina il Palatino, sono formati di tufo vulcanico, che definisce un aggregato di scorie, lapilli, arene, ceneri ed altre ma- terie eruttive, deposte molto lungi dalle bocche, che le lan- ciarono. 1847. Collegno Giacinto, Elementi di geologia pratica c teo- rica destinati principalmente ad agevolare lo studio del suolo dell’Italia. Torino, G. Pomba, 1846, in-16°. Veramente non parla del Palatino; ma, alla pag. 216, scrive che il monte Aventino è formato di sabbia calcarea giallognola. Ora, siccome nel Palatino trovai un materiale, incoerente, sab- bionoso, giallastro, che potrebbe ben trovar riscontro con quello COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA DUO dal Collegno citato nel prossimo A ventino, così ho voluto men- zionare questo libro (l). 1850. Ponzi Giuseppe, Storia fìsica del bacino di Roma da servire di appendice all’opera «Il suolo fìsico di Roma » di G. Brocchi. Roma, tip. delle Belle Arti, 1850, in-8 . Estr. d. Annali di Se. Matem. e Fisiche; luglio, 1850. Parla incidentalmente del Palatino alle pag. 13-14, 19: nella pianta annessa alla memoria il Palatino è segnato come costi- tuito da tufo vulcanico, uguale a quello degli altri prossimi colli di Roma. [La 2a edizione corretta di questa memoria fu stampata nel 1867 negli Atti della pont. Accad. d. Nuovi Lincei, con estr. di pag. 20 in-4° e tavola. Vi si ripete esattamente alle pag. 11, 18 quanto è scritto nella la edizione sul Palatino, il quale nella tavola è segnato come costituito da tufo vulcanico]. 1859. Pentland J. B., On thè geology of thè Country about Rome. London, Clowes and Sons, 1859, iu-8° di pag. i. Estr. dall’ Handbook of Rome. Parlando del tufo litoide, che per il Pentland sarebbe il più antico (thè more ancient), e succederebbe [lo che non è vero] alle marne del pliocene, scrive: « It forms thè lower part ol » most of seven Hills on thè lt. (left) bank of Tiber, constituting » thè Tarpeian rock beneath thè Capitol, thè lower portion of thè » Palatine, Quirinal, Esquiline and Aventine» (pag. 4). 1869. Degli Abbati Francesco, Bel suolo fisico di Roma e suoi contorni, sua origine e trasformazione. Dissertazione. C osenza, G. Migliaccio, 1869, in-8° con pianta. Degli Abbati, dopo aver rilevato che il tato vulcanico si osserva nelle colline, che sono sulla sponda sinistra del le\ eie, (') La notizia è però presa dal Brocchi, Suolo fis. di Poma (op. cit.), il quale, parlando dell’Aventino, scrive che il travertino offre una sene di banchi orizzontali, interpolati da sabbione calcario (e perciò, se com- preso nei travertini, evidentemente di acqua dolce e non di deposizione marina), riposanti sul tufo granulare (pag. 161-162). Brocchi vi rinvenne molluschi d’acqua dolce, tra i quali cita VHelix (Limnaea) palustri* e conchiglie terrestri. 506 K. MELI entro Roma, e che sulla cima del Campidoglio spunta il tufo litoide rossastro, scrive alla pag. 29: «Il Palatino lo mostra nel » suo versante rivolto al Tevere, ove da alcuni anni sono state » scoperte le antiche mura della Roma di Romolo ». E più innanzi, alla pag. 55, avverte che il tufo litoide si mostra con gli iden- tici caratteri a Monte Verde, al Campidoglio, al Palatino, aH’Aven- tino, ecc. Infine, nella conclusione (pag. 01), manifesta la sua opinione che il Campidoglio e forse anche PAventino e il Pala- tino fossero stati uniti al suolo dell’attual riva destra, e che nel sollevamento dei terreni marini dei monti Mario e gianicolensi ne sieno stati divisi per la conseguente produzione di fratture (’). Isella Pianta idrografica ed altimetrica, del suolo di Poma c suoi contorni , nel rapporto di 1 a 30.000, il Palatino, come le sommità del Capitolino, del Quirinale, ecc., è segnato quale terreno vulcanico provenuto dai crateri dei colli laziali. 1869. G ossei et M., Observations géologiques faites en Italie. Lille, L. Dauci, 1869, in-8° di pag. 59 con VII tav. Rimette in campo l’ipotesi del Breislak, collocando nel Foro Romano il cratere dal quale sarebbero stati emessi i tufi, che costituiscono i colli di Roma, tra i quali cita il Palatino (pag. 48). C) II Degli Abbati considera, come il Brocchi, marine le ghiaie d’allu- vione con denti e ossa di mammiferi, isolate e logorate per fluitazione, miste ad abbondanti minerali e rocce vulcaniche, che si riscontrano sulle fiancate delle valli dell’Aniene e del Tevere presso Roma, cioè al monte Sacro, alla Sedia del Diavolo, a Tor di Quinto, al ponte Molle ed in altre località a valle di Roma, i quali depositi sono prettamente d’indole alluvionale. Inoltre, considera il sollevamento dei terreni marini sulla destra del Tevere, avvenuto posteriormente alla deposizione delle anzidette ghiaie alluvionali; lo che non è vero, giacché i banchi di ghiaie alluvionali sono sovrapposti ed addossati ai terreni marini in discordanza. Se ne hanno esempi: nella cava Mazzanti presso la Torretta di Tordi Quinto, ove tutto il banco di tufi e di ghiaie riposa sul pliocene marino fossi- lifero, inclinato e forse già in corrosione, con patente discordanza; nella cava di ghiaie alluvionali alla base del monte della Farnesina (che è formato nel suo nucleo di terreni marini pliocenici a stratificazioni incli- nate, come quelle del prossimo monte Mario, verso N-NE), presso la via Cassia, dalla parte S-E dell’anzidetto monte della Farnesina. COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 507 1869. Omboni Giovanni, (reologia dell’Italia. — Milano, Y. Maisner, 1869, in~16° con tav. color. Trattando della zona vulcanica dell’Italia centrale, e parti- colarmente di Soma e suoi dintorni, accenna all’origine delle colline romane, che ritiene formate per l’erosione dei corsi d’acqua; menziona i tre colli isolati della città, cioè l’ A ventino vero, il Palatino ed il Campidoglio, staccati per l’azione mec- canica delle acque correnti. Le medesime indicazioni trovansi stampate nell’altro libro del medesimo autore: Come s’c fatta V Itala. — Milano, Ber- nardoni, 1876, in-16°. Ved. pag. 321. 1871. Giordano Felice, Cenni sulle condizioni fisico-econo- miche di Roma e suo territorio. Firenze, G. Livelli, 1871, in-S con 2 tav. Dopo aver detto die i colli di Roma devono considerarsi come residui dell’altipiano, che le acque scorrenti corrosero e nel quale intagliarono solchi, considera 1 isolato colle Palatino, come appendice del Celio ed il Capitolino come staccato dal Quirinale (pag. 10). In altro posteriore scritto ( Condizioni topografiche e fisiche di Roma e Campagna Romana, stampato nella Monografìa della città di Roma e della Campagna eli Roma presentata dal Go- verno italiano alla Esposizione Universale di Parigi del 1881. Voi. I, pag. i-lxxxvi) ripete, su per giù, le stesse idee. ’S ed. pag. 10 dell’estr. 1872. De Verneuil e Mantovani Paolo, Carta geologica della Campagna Romana. Vallata del Tevere , tronco al Nord. loce dell’ Anime. Nella Carta è segnato il Palatino col colore del tufo gra- nulare, risultante dai materiali dei vulcani, secondo gli Autori, Cimini. Di tale tufo è segnato anche il Capitolino, salvo la parte W., in cui è marcato il tufo litoide. 1876. Cariucci Clito, Sulle condizioni fisiche e stato civile della provincia romana e sulle infermità predominanti nella sua popolazione in rapporto alla leva militare. Relazione esposta al 508 lt. MELI Consiglio provinciale di Sanità di Roma. Roma, G. Via, 1870. in-8°. Nell’articolo 2° (caratteri geologici ed accidentalità di con- figurazione del suolo della provincia di Roma) scrive che le colline di Roma sulla sinistra del Tevere sono di preferenza composte di tufo vulcanico e che nel Palatino si ritrova il tufo granelloso, che si scompone in argilla (pag. 15). Parlando poi delle rocce fluviatili, dice che le sabbie gialle s’incontrano a Campo Vaccino sul declivio del Palatino verso il Colosseo. Queste sabbie « sono calcari, o a frammenti calcari » o silicei e frammezzo ad esse esistono nodi di tofo calcario, » cavernoso e fistoloso, quale è quello formato dalle acque dolci » e racchiudono spoglie di conchiglie lacustri, quali sono V Helix » ( Linmaea ) palustris e la II. ( Planorbis ) planata al Campo » Vaccino» (pag. Iti). Citazione quest’ ultima tolta dal Brocchi. (Suolo fisico, pag. 14-8). 1880. Bum Robert, Oi.d Rome. A liandbook io tlie ruins of thè city and thè Campagna, heing an epitome of his larger icori i « Rome and thè Campagna ». — London, George Bell and Sons, 1880, in 8° con tavole. Alle pag. 185-188 trovasi un sunto sulla geologia dei ter- reni di Roma, molto ben fatto. Parlando dei tufi, distingue il tufo granulare ed il litoide; quest’ultimo jossastro-bruno (red- disb brown), in potenti banchi, con litoclasi verticali ed obliqui, probabilmente prodotti dalla contrazione della massa, che passò dallo stato umido e molle allo stato secco e duro. La gran massa delle colline di Roma, tra le quali menziona il Palatino, è composta di tufo. Parla poi dei depositi di acqua dolce, com- posti di sabbie, argille (clay) e marne. La sommità del risalto tra Campo- Vaccino e il Colosseo, alla base del Palatino, ove s’erge l’arco di Tito, è formato quasi interamente di questi strati misti di argilla e sabbia. La prova che tali strati sieno di acqua dolce, è ricavata dalle conchiglie lacustri, che vi si ritrovano (pag. 188). Nella piccola carta geologica a colori, che è posta tra le pag. 184-185, il Palatino è indicato, come le altre colline a sinistra del Tevere, di tufo granulare. COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA OUj 1882. Terrigi Guglielmo, II Colle Quirinale , sua flora e fauna lacustre e terrestre. - Fauna microscopica marina degli strati inferiori. — Atti dell’Accad. pont. de Nuovi Lincei, tomo XXXV, Sessione VIa del 21 maggio 1882. Alla pag. 161 trovasi stampato: «Sul Palatino poi, sul » Capitolino ed in tutto il Foro Romano, sul Quirinale ed altri » luoghi sopra menzionati si offrono invece stratificazioni più o » meno regolari, e qualche volta ondulati di fina argilla cal- » carea giallastra ». Maggiori e più precise notizie sulla costituzione del Palatino si leggono alla pag. 167: «Il colle Palatino nel suo versante » occidentale sul Velabro mostra le stesse vicende di sedimento » che sono visibili dentro i cavi cuniculari operati dagli antichi, » nei pozzi comunicanti con loro ed in altri cavi nei sotterranei » degli edifizl. In alto si rinviene un tufo litoide analogo a molti » altri del bacino di Roma, differente da quello del Quirinale » per maggiore compattezza, della potenza di 6 ad 8 metri. » Racchiude leuciti, mica, belli e grossi cristalli di pirossene » nero. Lo strato sottoposto su cui immediatamente si adagiano » i tufi, minore in potenza di quello del Quirinale, è terroso, » con vari residui vegetali, contiene abbondante hiotite, pocliis- » sime leuciti, molti e grossi cristalli di pirosseno nero. Ha la » potenza di metri 1,50. Soggiace al descritto uno strato ondu- » lato di argille giallo-pallide con finissima sabbia e mica della » potenza di 80 centimetri sino al piano dei cunicoli, e che » deve essere maggiore di questa. I strati descritti sono indi— » nati da N-E a S-E ». E più oltre, parlando dei tufi litoidi della Rupe Tarpea, scrive : «Sono analoghi a quelli del Palatino. Da quanto finora ho » esposto risulta che nei tre colli, Quirinale, Palatino, C'apito- » lino, i tufi sono disposti sopra terreni formati dalle antiche » alluvioni ». Il Terrigi è l’unico che abbia dato particolari dettagli sulle rocce del Palatino e sulla loro successione stratigrafica; det- tagli. che in gran parte collimano con quelli della sezione da me rilevata, come dirò in appresso. 510 R. MELI Ha sopratutto ragione quando dice che i tufi dei colli di Roma posano sopra terreni sedimentar! deposti da antiche alluvioni. 1886. Clerici Enrico, I fossili quaternari del suolo di Roma. Roma, tip. Nazionale, 1887, in-8°. Estr. d. Bollett. d. R. Co- mitato Geologico d’Italia, anno 1886, n. 3-4. Alla pag. 19 dell'estr., parlando del monte Palatino dice: « Questo colle, per la straordinaria quantità di rovine che lo » ricoprono, poco si presta alle ricerche geologiche ; infatti è il » meno conosciuto. Si sa soltanto che vi esiste del tufo granu- » lare uguale a quello del Quirinale e deirEsquilino ». 1886. Tommasi-Crudeli Corrado, Il clima di Roma. Con- ferenze fatte nella primavera del 1885 inaugurando V istituto d’igiene sperimentale della R. Università di Roma. Roma, Loe- scher, 1886, in-8° gr. con una carta topogr. e geologica e o tavole a colori. Alla pag. 19 accenna di volo che nelle colline romane i terreni pliocenici sono stati ricoperti, in tutto od in parte, dalle deiezioni dei vulcani Sabatini e Laziali, come si osserva nei colli di Roma, tra i quali menziona il Palatino. Nella tav. II.3 Carta geologica ed idrografica della città di Roma , scala 1 a 20.000, e nella Carta topografica dell’Agro Romano , con indi- cazioni geologiche ricavate dai rilevamenti eseguiti per cura del R. Ufficio Geologico, nella scala di 1 a 100.000, il Palatino è sempre indicato col colore del tufo vulcanico. La memoria del Tommasi-Crudeli fu tradotta in inglese da Charles Cramon Dick, The olimaie of Rome and thè roman ma- laria. London, J. and A. Churchill, 1892, in-16°, senza però le tavole e la carta. — Per quel pochissimo, che si riferisce al Palatino, vedasi la pag. 18. 1893. Santos Rodriguez José, Note sulle roccie videoniche e principalmente su i tufi dei dintorni immediati di Roma. — Roma, tip. d. R. Accad. dei Lincei, 1893, in-4°, di pag. 18, con grande quadro. Trattando del tufo litoide giallo-bruno, dice: Roccia simile a quella rossastra (che egli indica alla Sedia del Diavolo, nei COSTITUZrONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 511 sette colli di Roma e nei dintorni)... e poi soggiunge: « Bel- » lissime le antiche latomie del Palatino, ove le impronte degli » strumenti per la estrazione del tufo sono schiette e fresche, » come se attuate da poco ». Ved. il grande quadro in fine alla memoria col titolo: Classificazione dei tufi, al n° 0. 1897. Borsari Luigi, Topografia di Jloina antica. — Milano, 1897, in-24° (Fa parte dei Manuali Hoepli). Alla pag. 8 è detto che « la costituzione fisica del Palatino, » composto di strati orizzontali di tufi vulcanici non diversifica » punto dai vicini colli A ventino e Campidoglio, anch’essi ri- » dotti a colli isolati, mediante l’erosione esercitata loro attorno dalle acque scorrenti ». Più oltre (pag. 19-20) scrive che il tufo, col quale sono costruite le antiche mura del Palatino in bloc- chi parallelepipedi squadrati, contenente materie carboniose, fu estratto dallo stesso colle ('). Tali cave, o latomie, possono an- cora vedersi in parte, e due sbocchi a cielo aperto sono stati scoperti nell’alto del colle tra l’angolo N-W del palazzo dei Flavii e lo stilobate del tempio, comunemente detto di Giove vincitore, ed a mezza costa del lato rivolto al Velabro. (!) I blocchi di tufo di forma parallelepipeda, con grandi scorie nere, racchiudenti cristalli di sanidino vitreo, usati nelle mura della Roma qua- drata, non furono estratti soltanto dal Palatino, ma, secondo ogni pro- babilità provengono dal N. di Roma (roccie a picco sulla via Flaminia, a Grotta Rossa e punta dei Nasoni). Del resto, nelle mura della Roma quadrata al Palatino, oltre il tufo a scorie nere, ho veduto usato il tufo litoide giallo-lionato, uguale a quello del Palatino, Capitolino, Quirinale, Aventino, ecc. ; il tufo granulare verdastro, che trovasi al Foro (base del Capitolino, poco a monte dell' Arco di Settimio) ed un tufo a pomici giallastre, che ring. Clerici ritiene cavato nella località di Grotta Oscura sulla via Flaminia a N. di Roma. Parker scrive: « Murus Romuli, sive Romae quadratae, ex rubro » lapide structus est, quem ipse fortasse Palatini montis lapidicinae sup- » peditarunt ». Parker Joann. Henrici, De rariis structurarum generibus penes Romano s reteres et de tempore quo singulti in usuiti sunt recepiti. — Romae, ex typ. Bonarum Artium, 1868, in-8° cum tab. (Ved. pag. 6). Cfr. ancora: Parker J. H., The different modes of construction employed in ancient roman buiìdings. — Rome, Marietti, 1868, in-8° fpag. 5). Id., The archaeology of Rome. The construction of walls. — Oxford-London, 1872, in-8° (pag. 1). 512 R. MULI 1902. Fischer Teobaldo, La penisola italiana. Saggio di corografia scientifica. Prima traduzione italiana , arricchita di note ed aggiunte a cura dell’ing. V. Novarese, doti. F. M. Pa- sanisi e prof. F. Eodizza. [Fa complemento al trattato del Neumayr « La terra»] Torino, Unione tipografico-editrice, 1902, in- 8° gr. con figure e tavole. Fischer, parlando della morfologia del suolo nella città di Roma dice che «sul lato sinistro del Tevere le acque scendenti » dalla pianura superiore hanno frastagliato l’orlo del piano tu- » faeeo, che domina il fiume, con una serie di piccole valli rela- » tivamente profonde e dai fianchi ripidi, il maggior numero » delle quali converge verso le basi del Campidoglio... Ne » risulta una serie di colli in forma di groppe allungate con- » vergenti intorno a due colline isolate che la denudazione (ed » aggiungo l’erosione delle acque correnti) ha nettamente stac- » ente dal resto mediante insellature secondarie. » Tale è l’origine degli storici sette colli di Roma. I due » colli isolati il Capitolino ed il Palatino sono i più celebri». Alla pag. 453: Roma surse sulla sinistra del Tevere « su » quei colli presso al margine del fiume, che offrivano maggior » facilità di difesa come il Palatino e il Campidoglio : quest’ul- » timo specialmente col suo fianco ripidissimo verso il fiume, » costituente la Rocca Tarpea. formata di strati di tufo coiu- » patto ». Nella tav. X ( Carta geologica dei dintorni di Peonia) è in- dicato il Palatino come formato di tufo vulcanico, alla stessa maniera dei monti Capitolino, Quirinale. Aventino, ece. Dall’esame sommario delle sopra citate pubblicazioni risulta facilmente che, tolta la notizia originale del Brocchi, e quelle più ampie e precise, che in tempo posteriore furono date dal Terrigi, tutti gli altri scrittori (e, potrebbe aumentarsi il numero delle citazioni, ma lo credo inutile, non trattandosi di notizie originali) non fecero che riprodurre, più o meno esattamente, le indicazioni del primo Geologo. In ogni modo, le scarse notizie stampate fin oggi concordano tutte, su per giù, por ritenere il Palatino come formato da tufo vulcanico (granulare e litoide giallo-lionato), analogo a quello del Capitolino e degli altri colli COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 513 di Roma sulla sinistra sponda del fiume. Ciò che, del resto, è vero, poiché questi tufi, granulare in basso del colle, e litoide giallo-lionato superiormente al primo, si rinvengono nel Pala- tino, come in seguito esporrò. In sostanza, le notizie fin qui conosciute sulla geologia del Palatino concordano tutte a riguar- darlo come costituito da rocce alluvio-vulcaniche, usando un felice vocabolo, introdotto per i tufi romani dallo Stoppani (1), che accenna molto bene alla genesi della maggior parte dei tufi di Roma e contorni. Le rocce, delle quali si compone il Palatino, si mostrano oggi, non ostante i recenti scavi eseguitivi, soltanto in pochi punti e questi sono: Sulla parete rivolta a N-W., ove vedesi la sezione verticale, che s’innalza dietro la chiesa di S. Teodoro dei Sacconi, per tutto quel tratto fino all’angolo W. del monte, non che, alquanto più in basso, verso l’ estremo angolo N. a circa 8 m. dal piano, che è a livello quasi del Foro, ove furono eseguiti i nuovi scavi dal luglio di quest’anno in poi, dietro i muri dell’abside della chiesa ritenuta di S. Maria Nuova: sul Vicus Caci, lungo la salita verso W., prima di raggiungere la spianata del Palatino, presso la Casa di Romolo. Verso Est, tra le costruzioni del palazzo di Caligola e il Foro, in un punto, ove oggi trovasi una stecconata e presso a poco alquanto sopra al livello, ove sorgeva la chiesa, ora demolita, di S. Maria Liberatrice. La roccia naturale non apparisce negli ambienti sotterranei sotto la villa Spada-Mills, collocati quasi nel mezzo del monte, nè si osserva negli ampi e profondi sotterranei della chiesa di S. Anastasia, all’esterno sul lato W. del Palatino, ove trovansi imponenti resti delle antiche costruzioni del tempio di Ercole, e nelle fogne, che li traversano. O Stoppala Antonio, Corso di Geologia. Milano, 1871- <3, 3 voi. in 8. Vedi voi. II, pag. 383, § 658. Anche il Pilla ritiene, che le colline di Roma sulla sinistra sponda del fiume siano dovute ad una formazione vulcanica di alluvione. Pilla Leopoldo, Osservazioni geognostiche che possonsi fare lungo la strada da Napoli a Vienna attraversando lo Stato Bomano, la Toscana, ecc. Napoli, Tramater, 1834, in-8°. Ved. pag. 37. 37 514 R. MELI Ed ora ecco la successione, dal basso in alto, delle rocce, che s’incontrano nelle sopradette località: Sul viale, dietro la chiesa di S. Teodoro, alla quota di ni. 25,50 sul mare, spunta: 1. Il tufo granulare, con una potenza scoperta di ni. 2.30: presenta tagli verticali eseguiti dalla mano deH’uonio. Questo tufo offre tutti i caratteri del tufo granulare, tanto bene descritto dal Brocchi (1). È di colore grigio-verdastro, con numerose e piccole leuciti farinose per decomposizione e caolinizzazione; con- tiene cristalletti di augite, lamel lette di biotite, granellini di magnetite, estraibili con la calamita dalla roccia polverizzata, ciottolini arrotondati di calcare biancastro, o, più raramente, di silice, pezzetti di scorie, di lave leucitiche (per lo più leucititi); contiene cavità cilindriche, tubolari, di vario diametro, le quali, come anche opina il Brocchi, provengono da resti di piante comprese nel tufo, che poi si decomposero; nella maggior parte de’ casi ho rinvenuto in detto tufo, sia al Palatino, sia altrove, i vacui, lasciati dai vegetali, disposti orizzontalmente. Il tufo granulare presenta piani di stratificazione non molto netti, pur tuttavia si rompe facilmente secondo di essi, ed ha un verso distinto. Il tufo granulare del Palatino è, per tutti i caratteri esterni e macroscopici, identico a quello che si rinviene alla base del Capitolino, e che fu messo alla luce in posto negli scavi ese- guiti sul principio dell'anno 1900 al Foro Romano, poco a monte dell’arco di Settimio Severo verso il tempio di Saturno ed a poca distanza dal piede del muro dell’attuale strada, che traversa il Foro, ove si può vedere tuttora il banco scoperto, attraversato dai Romani con tombini e fognature. La potenza visibile del tufo granulare presso l’arco di Settimio è di circa 2 metri. Sotto il granulare, l’ing. Clerici trovò una sabbia argillosa giallognola, racchiudente conchiglie terrestri [Cyclostoma elcgans Mlill. (Ne- ri fa)] ; la quale roccia si intravede anche oggi, guardando negli (*) (*) Brocchi Gr. Batt., Dello stato fisico del suolo di Roma, op. cit., pag. 115-118 e 154-155. Corrisponde, come è noto, al tufo chiamato ter- roso dallo stesso Brocchi nell’altro libro, edito precedentemente, Cata- logo ragianato di una collezione di rocce (op. cit.). COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 515 antichi cunicoli, sotto il tufo granulare. I Romani si servirono largamente di questo tufo per i primitivi lavori sotterranei del Foro, e lo troviamo, usato in blocchi squadrati, nelle antiche fogne, nei loro muri e nelle volte. L’ho anche ritrovato, messo in opera in parallelepipedi nelle mura, che sono presso la casa di Romolo sul Palatino. Evidentemente, in consimili lavori del sottosuolo, impiegarono di preferenza il materiale, che avevano sul luogo, sia al Palatino, sia alla base del Capitolino nel ver- sante del Foro, sia nel Foro stesso (1). 2. Materiale tufaceo, argilloso, giallastro, disgregabile con numerose traccie di vegetali, della potenza di m. 1,20. 3. Sabbie di indole fluviale con ciottolini e ghiaietta cal- carea e di silice; questi ultimi ciottolini sono in prevalenza; trovansi miste ad abbondanti detriti vulcanici, di augite, di magnetite. Vi rinvenni un frammento, tutto logorato per tra- sporto, di osso piatto di mammifero. La stratificazione corta ed embricata accenna chiaramente a deposizione alluvionale. La po- tenza è di m. 0,40. 4. Sabbia giallastra, alquanto marnosa, a debole coesione. È formata di minuti granellini di silice bianca, o bianco-gial- lognola, con frequenti frammentini ialini e d’aspetto vetroso che potrebbero spettare a frammenti di sanidino vitreo, con squa- mette di mica chiara, e granellini neri di augite e magnetite. Contiene noduli marnosi di concrezioni disseminate nello strato sabbioso. Ha una potenza di m. 0,60 ed è leggermente coe- rente. La sabbia giallastra si può vedere nel cunicolo sotterraneo che trovasi dietro i resti delle mura a parallelepipedi di tufo della Roma quadrata, presso l’angolo W. del colle, ove passa gradatamente ad un materiale argilloso tufaceo giallastro, sepa- rato con netta divisione dal tufo lionato soprastante. Il cunicolo (') Non so se il tufo granulare, del quale ho tenuto parola supe riormente, possa identicarsi col tufo verde, che fu incontrato sul Cam- pidoglio nelle fondazioni dell’Istituto Archeologico Germanico, e che è segnato con tale nome nelle sezioni del Capitolino, che trovansi ripor- tate nell’opera di Jordan Heinrich, Topograpliie der Stadi Bom in Al- terthum. Berlin, Weidmannsche Buchhandlungen, 1885, voi. I, parte IL pag. 66. 516 R. MELI fu in antico rivestito soltanto di intonaco di malta e la con- serva in qualche punto. La potenza complessiva di questo strato nell’anzidetto cunicolo, può essere valutata circa 90 cm. Il cunicolo, presso l’attuale ingresso, ha un pozzo verticale, cilindrico, a sezione circolare orizzontalmente, che s’arresta al piano del cunicolo, ove forma una specie di piccola tazza cir- colare. 5. Banco di tufo litoide bruno-rossastro, o giallo-lionato, analogo a quello che si vede di faccia, nella Lupe Tarpea al lato S. del Campidoglio (1), e che si mostra in posto anche nella scalinata di Via di Monte Tarpeo, che dalla Piazza della Conso- lazione va verso Monte Caprino, a sinistra salendo tra i vani di porta segnati col numero civico 2 a e 3. È in questo banco di tufo, che ha una potenza visibile di circa 7 metri, che trovansi aperti nel Palatino antichi cunicoli. (l) Il banco di tufo lionato della Rupe Tarpea si mostra continuo anche dall’altra parte verso N-W, della stessa eminenza del Campido- glio, al vicolo della Rupe Tarpea, sotto il palazzo già Caffarelli, ed alla svolta della salita, detta delle Tre Pile, che conduce all’attuale Piazza del Campidoglio (intermontium). È citato da tutti coloro, che parlarono della geologia del Capito- lino, tanto antichi, che moderni. Brocchi lo indica nelle sezioni, colo- rate a mano, annesse alla sua importantissima opera, già citata, Sul suolo fìsico di Roma (sezione 1, 2). Ne parlano Breislak, von Bucli, Ponzi, Mantovani, Negri, Procaccini-Ricci, Terrigi, ecc., ecc. E anche indicato nelle sezioni, annesse alla Topographie der Stadt Rovi del Jor- dan (op. cit.) col nome di tufo rosso. Tellini dà la sezione del Campi- doglio, in cui segna il tufo litoide giallo lanciato sopragiacente a marne e sabbie. [Tellini A., Carta geologica dei dintorni di Roma (Regione alla destra del Tevere), Roma, 1893. Vedi la tavola delle sezioni geologiche dei dintorni di Roma, sezione 3n da \Y. ad E., nella quale é data la sezione del colle Capitolino]. Il tufo litoide, lionato, del Palatino sta di faccia, come ho detto sopra, al banco dello stesso tufo che mostrasi nel lato S. del Capitolino, in parte scoperto ed a picco incontro al fianco sinistro della chiesa della Consolazione. È in queste rocce a picco che Dureau de la Malie sostenne doversi riconoscere la Rupe Tarpea degli antichi. [Dureau de la Malie, Mémoire sur la position de la Roclie Tarpèienne, lu à V Académie des Inscription et Belles-lettres, Paris, 1816. Estr. di pag. -10, con una carta topografica; stampata anche in Millin, Magaz. encyclop ., Milano 1881], COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 517 Il piano di posa di questo tufo è quasi orizzontale e netta- mente marcato per separazione dalla roccia sottostante. Il tuto litoide si mostra scoperto nella parete a picco del Palatino, che sta di fronte alla Via dei Fienili e prosegue continuo verso l’angolo W. del monte, a tratti ricoperto da antiche costruzioni. In questo banco di tufo si osservano scavati due cunicoli, nei quali non ho potuto accedere, trovandosi elevati sul piano del suolo circostante. Presso all’angolo W. del Palatino, sempre sulla fronte, che dal Foro va verso il Velabro, affiora il tufo granu- lare bigio-verdastro, sopra descritto ; in un punto, sull’angolo W., è tagliato a picco sotto il suolo per un tombino di fogna e mostra una potenza di m. 3,50. Il tufo granulare passa gradatamente in un materiale tufaceo, giallastro, argilloso e poi in una sabbia giallognola, sulla quale con netta linea di divisione s’erge il banco di tufo lionato. Verso l’altro estremo N. del Palatino, a sinistra dell’ingresso presso S. Teodoro, e a valle della rampa imperiale, si ha una • sezione naturale del terreno, la quale tu scoperta nella parte inferiore dopo il rilevamento topografico del Palatino eseguito dagli allievi ingegneri. È finora il punto più basso del colle nel quale si mostri la roccia in posto. Dai muri di antiche costruzioni in parallelepipedi di tufi ( opus quadratimi ) spunta un banco di tufo granulare, a macrostruttura omogenea, di color bigio-brunastro con laminette di biotite e numerose tracce di vegetali, che giunge a un 3 m. dal piano lastricato, il quale ha la quota, presso a poco, del piano del Foro. Questo tuto omogeneo passa ad un materiale sabbionoso giallastro della po- tenza di cm. 30. Su questo, e con netto piano di posa orizzon- tale, osservasi il banco di tufo granulare, tagliato per le so- prastanti costruzioni in muratura, superiormente accennato. È questo il punto più basso del Palatino ed è sperabile che, terminati gli sterri degli ambienti inferiori addossati al colle, che oggi stanno rimettendosi in luce, possa osservarsi la roccia, sulla quale riposa la formazione vulcanico-alluvionale, o tufacea, del Palatino. Sul Palatino osservai in posto un tufo giallo bruno litoide, che sembra una modalità del tufo lionato, quasi alla sommità del Vicus Caci presso alla casa di Romolo. 518 R. MELI Notai pure marne giallastre, superiormente alquanto sab- biose, sul fianco del Palatino, che guarda la chiesa di S. Ana- stasia. Queste marne, nelle quali non mi fu dato di osservare alcun fossile macroscopico, comparvero sotto il pavimento di 3 ambienti con mura a laterizi che si stavano scavando sul principio del luglio scorso. Non so se tali marne proseguano entro il colle e formino continuazione con quelle ritrovate in più punti del Foro; ovvero sieno, per la loro quota elevata, ad- dossate in quel tratto del versante, che guarda il Tevere, alle rocce formanti il nucleo del monte. Ricordo anche d’avere osservato nel gennaio 1900 nel Foro, tra la chiesa di S. Maria Liberatrice, che allora cominciava a demolirsi, e la casa delle Vestali, in un cavo, argille giallastre consimili, che superiormente erano alquanto sabbiose con fram- mentini di gusci di molluschi, riferibili con molta probabilità a Limnaea. Così ancora, presso il tempio di Castore e Polluce, ho os- servato banchi di ghiaie, a ciottoli calcarei in maggioranza, e silicei, che riposavano su sabbie argillose e marne di acqua dolce. Queste ghiaie c le sottostanti marne si continueranno sotto il Palatino, ovvero formeranno addossamenti sulla base del colle? Con grande probabilità ritengo che le ghiaie (') e, specialmente le marne di acqua dolce, si continuino sotto il tufo granulare del Palatino, a somiglianza di quanto si osservò sul Quirinale (?), Q) Nel tunnel attraverso il Quirinale si rinvennero ghiaie soste- nenti sabbie gialliccie, più o meno argillose, intramezzate verso l’alto da formazioni travertinose. Su queste si aveva tufo granulare tipico e poi materiale argilloso verdognolo. Nelle ghiaie si rinvennero resti ele- fantini (JElephas antiquus Falc.), che furono donati al Gabinetto di Geo- logia della E. Scuola per gl’ Ingegneri di Roma. Per la successione dei terreni incontrati si consulti la comunicazione dell’ing. E. Clerici, Sulla perforazione del Colle Quirinale. Nel Bollett. d. Soc. Geologica ita I., voi. XX, 1901, fase. 1, pag. xxxn-xxxin. (2) Ai piedi del Quirinale, negli scavi fatti sul principio del 1881, nella via di Monte Carleo, tra la via Alessandrina e la piazzetta di Tor del Grillo, per la fognatura, che raggiunse circa i 5 metri sotto il piano stradale, si rinvenne marna giallastra e sotto di questa una marna plastica grigio-turchiniccia con molluschi d’acqua dolce, entro la quale 519 COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA Viminale (’), Esquilino (2) ed Oppio (3), alla base S. del Capi- tolino e nelle altre colline della riva sinistra di Roma, le quali, certamente, un tempo furono riunite fra loro e fecero parte di un altipiano inciso poi dalla erosione e dalle acque correnti. Perciò io crederei clic alla base del Palatino si dovessero trovare sotto i primi tufi granulari rocce d’acqua dolce (marne), so- fà costruito il vano della fogna. Vi estrassi gusci di Limnaea e di Pla- norbis (cfr. corneus). Parimenti, negli scavi fatti circa quell’epoca per la fogna sotto la via degli Zingari presso la piazza della Madonna dei Monti, precisa- mente sull’angolo di via delle Stalle, si rinvenne sabbia giallognola, la quale riposava sopra un banco potente di marna d’acqua dolce, Alcune cantine dei fabbricati circostanti erano stato cavate nell anzidetta marna. (i) L’ing. Vincenzo De Rossi-Re mi comunicò che nelle fondazioni di un fabbricato, che egli costruiva nel 1881 alla base del Viminale, incontrò la seguente sezione geologica: 4 Marna giallastra 3 Sabbie con concrezioni marnose 2 Ghiaia con 4 m. di potenza 1 Argilla con conchiglie di acqua dolce ( Limnaea ) Nella ghiaia si incontrò grande quantità di acqua scorrente. (?) Tuccimei Giuseppe, Sulla costituzione geologica del colle Esqui- lino in Roma. — Memorie della pont. Accad. d. Nuovi Lincei, voi I, 1884. . . . . , . (3) Tuccimei G., Sopra i terreni incontrati nei recenti scavi dei- l’Oppio in Roma. — Atti d. Accad. pont, de’Nuovi Lincei, Tomo XXXVII, Sess. T, 1884. Id., Contribuzione alla geologia dell’interno di Roma. Meni. d. p. Accad. d. Nuovi Lincei, voi. I, 1886. Per i fossili terrestri e d’acqua dolce ritrovati nella marna sotto S. Francesco di Paola sull’Oppio, nel taglio a livello della via Cavour, leggasi: Clerici E., Fossili dei terreni quaternari alle falde del Giamcolo in Roma. Nel Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, 1890, n. 1-2. Ved. la nota (>) a piedi della pagina 36. 520 R. MELI praggiacenti a depositi marini, i quali si incontrerebbero, ope- rando una* trivellazione, a maggiore profondità ('). Alla base del Palatino tra la chiesa di S. Maria Nuova, di recente scoperta, e la chiesa di S. Teodoro, la maggior parte degli archeologi colloca il Lupercale, vasta spelonca, citata da (*) Sono ben noti a coloro, che si occupano di geologia romana, i ri- trovamenti dei terreni marini sotto agli alluvionali, ai vulcanici ed agli alluvio-vulcanici, secondo i vari casi, eseguiti nell’ultimo ventennio tanto in Roma, che nei dintorni. Su questi ritrovamenti si possono leggere le memorie scritte dal Ponzi, Canevari, Mantovani, Terrigi, Clerici, Perreau, ecc., ed alcune mie notizie in proposito. Ma, voglio qui ricordare lo scandaglio del suolo, approfondato tino a m. 20 sotto il livello del mare, per la fondazione della spalla destra del ponte in ferro sul Tevere, detto di S. Paolo, a valle di Roma sulla linea ferroviaria Roma-Ponte Galera-Civitavecehia. La sezione é data nel libro dell’ing. Romolo Burri col titolo: Esame sulla costruzione e stabilità dd ponte tubulare a fondazione con Varia compressa pel passaggio sul Tevere della strada ferrata da Toma a Ci- vitavecchia. Roma, tip. Tiberina, 1864, in-4° con tavole. L’ing. Burri ri- ferisce che sotto le rocce detritiche fluviali e quaternarie, si rinvennero le marine plioceniche, giudicate tali per i fossili e l’autore avverte di conservarne «taluno marino ed assai bello» (Ved. pag. 21-22). La se- zione geologica del terreno incontrato è anche disegnata nella tav. 2”, nel Prospetto laterale del ponte. Sarebbe peraltro a discutersi sulla giacitura dei fossili marini, rac- colti dall’ing. Burri. Si potrebbe far questione se essi fossero in posto nelle marne plioceniche, come forse è probabile per vari motivi, ovvero, se non fossero stati staccati a monte dai terreni pliocenici, trasportati dalle acque correnti e fluitati lungo l'alveo tiberino, come si verificò per i fossili marini, che, logorati e consumati per il trasporto, si rin- vennero frammisti a gusci di molluschi d’acqua dolce recenti, e ben conservati, nei terreni fluviali, incontrati nelle fondazioni del ponte di Pipetta, nel 1878; poi in quelle eseguite nel 1899 per l’attuale ponte in muratura, e nelle fondazioni del ponte Umberto 1°. Su questo argomento si consulti: Meli R., Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tabulari del nuovo ponte di ferro co- struito sul Tevere a Itipetta e sull’ Umo sinnatus Lamk. rinvenutovi. Atti d. R. Acc. d. Lincei, Serie 3", Mem. d. Classe d. se. fis. mat. e natur. Voi. Vili, 1879-80. (Vedi pag. 324-325). — Clerici E., Illustrazione della flora rinvenuta nelle fondazioni del ponte in ferro sul Tevere a Itipetta. Nel Bollett. d. Soc. Geolog. Ital , Anno XI, 1892, fase. 3." (Ved. pag. 33G e se- COSTITUZIONE GEOLOGICA DEL MONTE PALATINO IN ROMA 521 Dionisio, con acque sorgive uscenti dalle rupi. La grotta esisteva al tempo di Augusto ed anche nel V° secolo dell’era cristiana, ma dopo fu sepolta sotto le rovine (*). Per l’archeologia e la topografia antica è sperabile che dalle attuali escavazioni del Palatino, le quali si svolgono oggi nella parte più bassa del colle, precisamente nel tratto tra i muri posteriori della chiesa di S. Maria Nuova e la scarpa delle terre di scarico, che sostengono la rampa d’accesso al Palatino al fianco sinistro della chiesa di S. Teodoro, possa venire ri- trovata la grotta del Lupercale. Per la geologia romana è da desiderarsi che in quel punto, ove oggi si scava, il più basso del Palatino, vengano messe allo scoperto le rocce sottostanti al tufo granulare, che formano la parte inferiore del colle. Sarebbe anzi importante di eseguire in quella località una tri- vellazione profonda per conoscere di fatto, e con precisione, la scala delle rocce, sulle quali riposano i tufi del Palatino. Intanto l’indicazione archeologica del Lupercale ci condur- rebbe ad ammettere che la grotta fosse scavata nei tufi gra- nulari, che si mostrano scoperti in quella fronte del colle, e che sotto i tufi si dovessero avere rocce impermeabili, marne o argille, sul piano superiore delle quali si troverebbe, come negli altri colli di Roma, la zona delle acque sotterranee, zona, che, affiorando nella grotta, dava origine alla sorgente. guenti, e nota 1, alla pag. 339. — lei., Sui recenti scavi per il nuovo ponte sul Tevere a Ripetta in Roma. Nel Bollett. et. Soc. Geolog. Ital., Anno XVIII, 1899, fase. 3.° (Ved. specialmente pag. 508, 505-506, 508). Il ritrovamento del terreno marino sotto i terreni alluvionali nelle fondazioni del ponte ferroviario di S. Paolo a 20 m. sotto il mare è un altro fatto importante per la geologia del suolo di Roma e conferma le ipotesi espresse nel presente scritto, che s’accordano con quelle soste- nute dalla maggior parte dei geologi romani. Tale rinvenimento e la relativa sezione pubblicata dal Burri sono stati fino ad oggi dimenticati. Difatti, la memoria Burri non trovasi citata, che io mi sappia, da altri, che pubblicarono sulla geologia del suolo di Roma. (!) Donovan Jeremiah, Rome ancient and modem and its environs, — Rome, voi. IV, 1844, pag. 247. Alcuni tra i moderni archeologi lo collocherebbero invece sulla stessa fronte del Palatino verso il Velabro, ma all'angolo N-W. opposto, cioè verso l’ara di Sesto Calvino. 38 522 R. MELI Tenuto conto che la costituzione geologica del Palatino ri- sulta analoga a quella delle altre colline di Roma sulla riva sinistra, dalle quali il Palatino fu distaccato per erosione e demolizione, io ritengo che, come in quelle, così anche nel Palatino, abbiano ad incontrarsi rocce con fossili continentali e d’acqua dolce, e specialmente marne ed argille d acqua dolce sottostanti ai primi tufi granulari. Ims. pres. 2(3 dicembre 190:3- ult. bozze 13 gennaio 1904]. SUI RESTI DI CONIFERE DEL MONTE AMI ATA Nota dell’ing. Enrico Clerici I. — Formazione lacustre di Abbadia S. Salvatore. Nel resoconto sommario delle escursioni fatte al Monte Annata- ho accennato al rinvenimento di resti di conifere nella forma- zione lacustre post-vulcanica di Abbadia S. Salvatore ed appar- tenenti a specie tuttora viventi ma, a quanto mi consta, non più reperibili sul Monte Amiata (*). Ora farò seguire alcune brevi considerazioni, che non pote- vano trovar posto in quel resoconto, dappoiché ritengo assai importante e necessario l’accurato studio delle flore quaternarie e preistoriche, le quali possono fornire elementi per spiegare tante particolarità della flora attuale e per meglio valutare i rapporti tra flore più antiche e quella attuale. Gli accennati resti consistono in strobili, frammenti di foglie e grani di polline. I grani di polline sono da riferirsi al ge- nere Pinus per la loro forma caratteristica, ben nota. I pochi frammenti di foglie aciculari che ho estratto dalla torba sono pure del genere Pinus e di essi ho potuto valermi per la de- terminazione specifica coi caratteri anatomici. Gli strobili, fin dalla prima ispezione, facilmente si riconoscono spettanti a pini e ad abeti. La determinazione specifica di questi ultimi non ha presen- tato difficoltà, poiché essi sono identici in tutti i loro caratteri agli strobili di Picea excelsa Link (Abies excelsa De C and.) o abete rosso. Nella citata relazione riportai la figura (male riprodotta) di uno dei migliori esemplari, ben conservato e colle scaglie slon- tanate una dall’altra, per disseccamento. Altri esemplari, un po’ schiacciati, hanno le scaglie ancora serrate come vedesi nei frammenti rappresentati dalle qui unite fig. 1 e •>. La fìg. 2 si riferisce ad uno strobilo anormale, che, senza gli altri esem- (>) Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII, fase. 2°. 524 E. CLERICI plari, avrebbe potuto anche trovare chi vi ravvisasse una specie nuova. Per la determinazione dei resti di Pinus ho incontrato qual- che difficoltà perchè, dovendo prima prender nozione esatta delle specie attualmente viventi presso di noi per procedere ai neces- sari confronti, ho constatato confusione e dispareri (1). Così, per dare soltanto un esempio, Pinus maritima Poir. e P. maritima Lamk. sono P. pinaster Soland.; P. maritima Lami), è P. halepensis Mill. o una sua varietà; P. maritima Ait. è P. lurido Poir. Col nome di P. laricio gli autori hanno poi riunito, distinguendoli al più come varietà, il vero P. larido Poir. o pino di Corsica, il P. austriaca Hoss o P. nigricans Host, il P. pyrenaica Lap. del quale ultimo sarebbero sinonimi C) Principali opere consultate: Beissner L., Handbuch der Nadélholzkunde. Berlin, 1891. Bertrand C. E., Anatomie comparée des tiges et des feuilles chez les Gnétacées et les Conifères. Ann. se. nat., Bot., 5e sèrie, t. XX, 1874. Boissier E., Flora orientalis, voi. IV, fase. 2°, Genevae, 1884. Borzl A., Flora forestale italiana, fase. 1°, Firenze, 1879. Daguillon A., Becherches morphologiques sur les feuilles des conijères . Revue gén. de Botanique, t. II, Paris, 1890. De Avila P., Flora forestal espanda. Madrid, 1884. 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Willkomm M., Forstliche Flora von Deutschland und Oesterreich. Leipzig u. Heidelberg, 1875. SUI RESTI DI CONIFERE DEL MONTE AMIATA 525 P. Paroliniana Webb. e P. brutta Ten. alla lor volta conside- rati da altri come affini al P. halepensis Mill. Di più fra i molteplici caratteri che servono alla identifi- cazione e separazione delle varie specie viventi, soltanto alcuni di essi possono valere per lo studio dei fossili. Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Picea exceìsa Link - gr. nat. Formazione lacustre di Abbadia S. Salvatore. Per la determinazione dei frammenti di foglie aciculari estratti dalla torba di Abbadia S. Salvatore, nonché per lo stu- dio dei resti di pini dei tufi vulcanici della provincia di Roma, ho riunito le varie specie viventi in Italia nella seguente ta- bella sinottica, tenendo conto dei soli caratteri anatomici osser- vabili nelle sezioni trasversali delle foglie normali (*). p) Le sezioni devono preferibilmente esser praticate verso la metà, della foglia. Nella tabella per ipoderma semplice si intende quello i cui elementi sono disposti in una sola fila o al più, saltuariamente, in due file; l’osservazione deve farsi nella parte convessa o inferiore della foglia. Agli angoli l’ipoderma in alcune specie è per solito abbondante. unico \ cana]j resiniferi nel raesofillo - ipoderma semplice (indiviso) ( 526 E. CLERICI o a, "o g 05 05 co Hp et et g et £4 2 05 'P 05 O 05 C3 c Cd o ep ’E 2 3 et co cd 05 05 o c t/3 co cd C .P o p "P et a o o et c *-+-> et +- CG 05 p C 05 •— ,P P — co et et P r* 05 -H et S et O a O P 05 0 P. et •+-J -5 3 .5 05 et 05 05 — et *0 & O 05 3 •T-* ►J c 03 CL 05 co ’cd e 03 L. >ì l-P cd 05 .e *55 -C S. *5. p 3 o co 05 P « 05 I 05 05 05 CO I! §.«2 *rt cd «P •p 02 co co 3 05 bX P, CO' et £ £P 05 05 O nr p- 03 r- a è J13 CX 'S p o ~ o 05 "d Q co 05 et et 05 p 05 S bC 05 et 03 et "o .2 P p g *0^3 ci bc o a £ £ — CÌ g § *5 Cd P C5 05 *r p ~ et 1 et 3 et ts: 05 05 *3 03 et 3 - -*-> cd et 05 CO 1 CO -4— < P %-• 05 rP r-H 02 C 3 et C P< 05 05 05 3 ‘3 O 'P P P 05 05 05 1 C ”3 ’p. 05 *3 05 2 3 C [3 'S 2 S et 05 £5 r2 o co 05 05 P. et ■ — 05 et <+- et .P C5 co o a 'P .tr •P •- o p o 2 5 P C5 co p .et — d 5=3 C 05 circa il doppio di quella tangenziale (elementi sclerosi tra i fasci, ma scarsi) montana Dnr. 527 SUI RESTI DI CONIFERE DEL MONTE AMIATA La separazione del P. cambra Lin. dalle altre otto specie può anche esser fatta in base alla considerazione che queste sono difille (l) e la prima specie è pentafilla, oppure pel tatto che la sezione trasversale delle foglie normali del P. cembro. Lin. è un triangolo isoscele con base leggermente convessa ; mentre quella delle altre specie è semicircolare o semiellittica: però nelle foglie appassite e specialmente in quelle secche che cadono per compiuto cielo vitale, la linea che corrisponde alla parte inferiore della foglia si mantiene convessa o con poche grinze lungo le file di stomi, mentre quella corrispondente alla parte superiore è più o meno concava, talché la foglia secca risulta canaliculata. Nella fig. 4, che rappresenta la sezione trasversale di una foglia di Abbadia S. Salvatore, si vede l’accennata deformazione della parte superiore, e la curva semiellittica abbastanza rego- lare della parte inferiore. I canali resiniferi, de’ quali soltanto alcuni sono indicati con c. stanno nel mesofillo: al microscopio si distinguono bene dalle lacerazioni del preparato perche con- tornati dagli elementi della guaina. L ipoderma, come si vede meglio alla parte sinistra della figura (2) è semplice e non già in più strati o a cunei : trattasi dunque del Pinus lancio Poir . Gli strobili di Pinus sono frequenti nella formazione lacustre di Abbadia S. Salvatore e di dimensioni alquanto assortite. Allo stato umido avevano le scaglie ravvicinate una contro 1 altra : ma disseccandosi le scaglie si sono aperte e poi ripiegate ed (1) È opportuno tener presente che talune specie normalmente di- fille possono mostrare, sebbene raramente, tre o più toglie fascicolate sullo stesso rametto. E stato pure osservato qualche caso di ritorno delle foglie primordiali solitarie in piante adulte: tali foglie piimoi- diali hanno fascio indiviso. Fra le specie esotiche, oltre che difille e pentafillo, ve ne sono anche di quelle costantemente trifille (p. es. P. chihuahuana Engelm., P. sabi- niana Dougl., P. taeda Lin.); altre sono variabilmente 2-3-fille (p. es. P. cembroicìes Zucc.); oppure 3-5-fille (p. es. P. quadrifolia Sudw.). Una specie, P. monophylla Torrey, è monotilla (raramente difilla) ed ha se- zione trasversale circolare e fascio indiviso. (2) Anche questa figura, lascia molto a desiderare non riproducendo con sufficiente nitidezza tutti i particolari visibili nella mia fotomicro- grafia dalla quale è stata eseguita. 528 E. CLERICI addensate verso la base dello strobilo, la quale in tal modo diviene molto larga, da 32 a 40 inni,, e pianeggiante. Impregnandoli di acqua, taluni, dopo qualche tempo, si ri- chiudono e riprendono la forma originaria ovato-conica, colla sommità talvolta un po’ incurvata. e - epidermide, i - ipoderma, c - canali resiniferi. / - fleotrema. Fig. 4. Sezione trasversale di foglia di Pinus lancio Poir. della formazione lacustre di Abbadia S. Salvatore, ingr. 54 X 1. Stante lo scarso numero di caratteri utilizzabili pei fossili ho smesso il progetto di compilare una tabella sinottica per la identificazione delle specie in base ai soli strobili. Infatti le dimensioni assolute e relative di essi nelle specie viventi sono variabili entro limiti molto estesi, e la forma dell’apofisi delle scaglie di cui si tiene grande conto è pure variabile e difficile a descriversi con brevità ed efficacia (‘). (’) Ritengo necessario che gli strobili siano esaminati tanto chiusi quanto completamente aperti. L’osservazione può ripetersi impregnan- doli di acqua per avere il primo stato e poi asciugandoli alla stufa per il secondo. SUI RESTI DI CONIFERE DEL MONTE AMIATA 529 Procedendo per confronti ed esclusioni ('), talune specie pos- sono subito esser poste fuori di discussione; così il P. cernirà Lin., che ha gli strobili di forma tutta particolare, ovale ed ottusa, con scaglie larghe, ad apofisi schiacciata e l’umbone in som- mità; il P. pinea Lin. ed il P. pinaster Sol. per avere dimen- sioni molto maggiori e per la forma tanto dello strobilo che dell’umbone; il P. lialepensis Mill. perchè oltre alla maggior lunghezza dello strobilo questo è munito di picciuolo robusto e persistente, e le apofisi sono piatte; così pure il P. pyrenaica Lap. (2) molto somigliante alla specie precedente; ma con stro- bilo sessile ^e di forma marcatamente conica. Restano così da considerarsi quattro specie: P. lancio Poir., P. nigricans Host., P. silvestre Lin. e P. montana Dur. Nelle due specie P. sihestris Lin. e P. montana I)ur., la lunghezza degli strobili varia da centimetri 2 lj2 o 3 fino a 6 ma ciò non costituisce un carattere per distinguerle sicuramente da quelle delle altre due specie P. laricio Poir. e P. nigricans Host, perchè sebbene queste in complesso abbiano strobili rela- tivamente più grossi, la lunghezza di essi scende anche a cen- timetri 3 V, e a qualche cosa meno. La forma però delle apofisi negli strobili di P. silvestris Lin. e di P. montana Dur. è variabilissima. Ora è spianata o poco prominente (per es. varietà denominate P. plana Christ. del P. sil- vestris Lin., P. pumilio Haenke [P. montana Dur.]), ora è assai prominente o piramidata, oppure ripiegata ad uncino verso la base dello strobilo (P. reflexa Heer [P. silvestris Lin.], P. mu- gJius Scop., P. uncinata Ramd. [P. montana Dur.]). Differisce non solo nelle accennate varietà, ma nello stesso albero c nello stesso strobilo: ove si osserva, per esempio, che dalla parte volta o (') Ringrazio vivamente il chino prof. Pi rotta che mi permise di consultare gli erbari del R. Istituto botanico di Roma da lui diretto ed il dott. Longo per avermi gentilmente mostrato i preparati che ser- virono al suo interessante studio sul Pinns nigricans Host. (2) Hempel e Wilhelm (op. cit.) invece di P. pyrenaica Lap. adot- tano la denominazione P. brutia Ten., che chiamano addirittura pino italiano, Italienische Kiefer ; ma altri autori per pino d Italia intendono P. pinea Lin. 530 E. CLERICI addossata verso il ramo le apofìsi sono poco rilevate, nell’altra parte, libera, sono rilevate, piramidate e più o meno uncinate. Negli strobili raccolti ad Abbadia S. Salvatore non si ri- scontrano mai. nello stesso strobilo, differenze cosi notevoli nella forma delle apofìsi, inoltre queste, in confronto di quelle di P. silvestris e P. montana, sono turgide , con una marcata carena orizzontale e colla parte superiore convessa, tanto cbe il contorno in sommità è largamente arrotondato e le scaglie prossime alla base sembrano gonfie (ved. fig. 5). Fig. 5. Fig. G. Strobili completamente aperti, visti dal disotto - gr. nat. Formazione lacustre di Abbadia S. Salvatore. Ciò si verifica negli strobili di P. laricio Poir. e di P. ni- gricans Host, ritenuto ancora da taluno varietà del P. laricio Poir. Per la ulteriore distinzione vengono bene in soccorso le foglie trovate ad Abbadia S. Salvatore insieme agli strobili e che con grande probabilità appartengono alla stessa specie. Tali foglie sono da riferirsi, come ho già detto precedentemente, a P. laricio Poir. ed a questa specie riferisco pure gli strobili (ved. fig. 5 e 10 qui unite e le fig. 4 e 5 del mio resoconto già citato). Uno strobilo però si discosta notevolmente da tutti gli altri, e, a meno di considerarlo di anormale sviluppo per difetto di luce od altro, ciò cbe non si può comprovare, non potrebbe essere attribuito nè al P. laricio Poir., nè al P. nigricans Host. Potrebbe ricercarsi la sua sistemazione fra qucH'intrigato giro SUI ItESTI DI CONIFERE DEC MONTE AMIATA 531 di varietà, forme locali, ibridi, di P. silvestri Lin. e P. mon- tana Dui-., il che non è molto soddisfacente a farsi con un solo esemplare. Non ha picciuolo, nè può decidersi con sicurezza se lo strobilo fosse sessile o quasi, oppure brevemente piccino- lato. È completamente aperto, colle scaglie alquanto ripie- gate verso la base, dando a questa una forma non pianeggiante, nè di calotta, ma di cono ottuso: diametro massimo 39 min. Le scaglie sono piuttosto esili, con apofisi poeo rilevata, il cui contorno superiore è nettamente angolare. Dovendo deno- minarlo, propenderei pel P. silvestri Lin. II. — Terre coloranti di Arcidosso. Nella visita ai giacimenti delle rinomate terre gialle e bo- lari del Monte Andata (*) non ebbi occasione di raccogliere fossili. Però nelle collezioni dell'Istituto di S. Giuseppe in Roma, Fig. 7. Una metà di nodulo limonitico con impronta di strobilo. Fig. 8. Modello dello stesso strobilo. — Fig. 9. Strobilo richiuso. Cava di terre coloranti di Arcidosso. Fig. 10. Piccolo strobilo richiuso di Pinus laricio Poir. Formazione lacustre di Abbadia S. Salvatore. in un bel campionario delle terre coloranti e materiali conco- mitanti di Arcidosso donato dal sig. G. Ceroni, vidi due strobili (') Vedasi la relazione citata colla cartina a pag. cxxxvii. 532 E. CLERICI di Pinus , trovati nelle dette terre, ed ima impronta di altro strobilo, dei quali posso dare un breve cenno, essendo stati cor- tesemente posti a una disposizione per procurarne la determi- nazione. Ambedue gli strobili erano completamente aperti. Il migliore, largo alla base 24 inni., tenuto un poco nell’acqua, si è richiuso quasi per intero: misura 30 rum. di altezza e 18 di larghezza. Non ha picciuolo. Le apofisi delle scaglie prossime alla base sono pochissimo rilevate, piuttosto pianeggianti; la carena oriz- zontale vi è appena accennata: è ben visibile però nelle scaglie verso la sommità. La parte superiore delle apofisi non presenta la convessità o turgidezza notata per gli stobili di P. laricio Poir. Non appartiene a questa specie, ma piuttosto al Pinus silvestris Lin. L’altro esemplare è pure sprovvisto di picciuolo, misura, completamente aperto, circa 30 mm. di larghezza. Coll’immer- sione in acqua non è stato possibile farlo richiudere. L’altezza doveva essere di circa 30 mm. Le squame sono esili ; con apo- fisi senza turgidezza, ma provviste di un rilievo nel mezzo, il quale in una parte soltanto dello strobilo è leggermente unci- nato. Anche per questo strobilo, escluderei potesse spettare a Pinus laricio Poir., restando perplesso fra P. silvestris Lin. e P. montana I)ur. Fra i vari strati di terre gialle e bolari (Q si trovano lastre o piastrelle di semiopale ed altre più o meno estese di limo- nite. Questa talvolta è in forma di noduli, detti bombole, che nell’interno contengono un po’ di materiale polverulento che al microscopio si riconosce essere rimasugli di vegetali. Nella col- lezione dell’Istituto di S. Giuseppe ho rimarcato uno di tali noduli limonitici, ma a parete molto sottile e già spaccato e mostrante l’impronta quasi intera di uno strobilo (fig. 7), del quale ho potuto ricavare il modello in gesso (fig. 8). È chiuso e di forma ovato-conica; manca la base, l’altezza doveva essere circa 35 mm. e la larghezza massima 18 mm. (') Ai giacimenti di terre coloranti si attribuisce origine lacustre entro piccoli bacini sulla trachite. Negli strati presso il fondo, che con- tengono detriti di trachite, ho rinvenuto diatomee d’acqua dolce (vedasi il mio resoconto già citato). SUI RESTI DI CONIFERE DEL MONTE AMI ATA 533 Le apofisi hanno discreto rilievo, ma non è possibile rico- noscerne tutti i dettagli. In modo assoluto non posso escludere che si tratti di P. lancio Poir., nè concludere che si tratti di P. montana Dur. (ps. la forma pumilio) o di P. silvestris Lin. col quale meglio si accorderebbe. * :}: A Riassumendo, col materiale proveniente da Abbadia S. Sal- vatore e con quello di Arcidosso sono riuscito ad identificare due specie: Picea excclsa Link e Pinus lancio Poir., con nume- rosi esemplari, e quindi con sufficiente sicurezza. Altri quattro esemplari di Pinus differiscono fra loro e da quelli di P. la- ncio Poir., e parrebbe siano da riferirsi a Pinus silvestris o a P. montana, ma stante la grandissima variabilità degli strobili di queste due specie, malgrado i numerosi confronti tatti, non saprei, con scarso materiale, attribuirli all’ima piuttosto che all altra. Non- dimeno mi pare che, specialmente per il primo esemplare di Arci- dosso, qualche maggiore probabilità militi a favore del P. silvestris Lin. Se potrò avere altro materiale, procurerò di dissipare i dubbi. Nei resti descritti si vogliano ravvisare tre specie oppure quattro, nessuna di esse sarebbe attualmente vivente nel Monte Andata, ove per altro non mancherebbero condizioni favorevoli di altitudine e di terreno siliceo. La massa tracliitica sta infatti tra le quote 600-700 e 1734. Il Santi registrò molti elenchi di piante delle varie località del Monte Amiata: ma non vi si trova riportata nessuna specie del gen. Pinus, come è attualmente inteso. Fa menzione però di Pinus Picea al Vivo, alla Trinità, al Pigelleto Q), ed aggiunge : « Questo nostro Abete, che e 1’ A.bies conis sursum » spectantibus s. mas del Pinace di Gaspero Bauliino ; 1 Abis » foemina, seu Piate teleja, descritto, e figurato nell’ Istoria » di Giovanni Bauliino; che da Lamarck è detto Pinus pccti- » natus , e che da Linneo in poi da tutti i Bottanici conosce- (') Santi G., Viaggio ai Montamiata. Pisa, 1795. Ved. pag. 88, 89, 207, 258. Altre conifere indicate negli elenchi del Santi sono: Juniperus communis (pag. 59, 145, 233) e Taxus boccata (pag. 259). 534 E. CLERICI » vasi per Pài us Picea , ora per Guidili è il Pinus Abies avendo » egli chiamato Pinus Picea il Pinus Abies di Linneo ». Trattasi infatti dell’abete bianco o Abies pedi nata De Cand., ancora reperibile negli stessi luoghi e rammentato dallo Schouw(') e dal Carnei (?), e che prima del Santi fu veduto al Pigelleto dal Micheli (3) che lo registrò come « Abies Taxi folio, fructu sursum spedante ». 11 Pigelleto è poco discosto da Seragiolo (un paio di chilo- metri), fuori della trachite amiatina ma su arenaria eocenica; e de’ suoi abeti il Targioni Pozzetti (4) osservò che « sono senza » dubbio Alberi originari, spontanei, e quasi primitivi di queste » montagne, siccome lo sono di molte altre della Toscana: gli » uomini certamente non hanno potuto piantare queste Abe- » fine in luoghi tanto scomodi, anzi le hanno in gran parte di- » strutte per loro tini, e per servirsi del terreno ed altri usi ». Poiché Abbadia S. Salvatore ed Arcidosso, da cui proven- gono i fossili studiati, sono diametralmente opposti rispetto al Monte Annata, se ne può dedurre (die pini vi furono tanto sopra un fianco che sull’altro di quella interessante montagna. Per quel che si sa dell’attuale flora italiana, poteva aspet- tarsi di riscontrare tra i fossili il P. halepensis Mill., invece ho trovato il P. lurido Poir. ; delle due specie P. montana Pur. e P. sii reste is Lin. doveva esser più probabile la prima, in- vece tutto m’induce ad ammettere il P. silvestris Lin.; e così pure invece dell’abete bianco ( Abies pedinata De Cand.) ho trovato l’abete rosso ( Picea excelsa Link.). Data la poca antichità dei fossili, queste constatazioni mi sembrano di qualche interesse. [ras. pres. 20 dicembre 1903 - ult. bozze 12 gennaio 1904]. C) Sehoinv J. F., Les conifères d’ Italie sous Ics rapporta géographi- ques et historiques. Ann. Se. nat. bot., 3e sèrie, voi. Ili, 1845, pag. 240. (2) Carnei T., Prodromo della flora toscana . Firenze, 1860, pag. 587. (3) Relazione del viaggio fatto l’Anno 1733 dal dì 22 Maggio fino a’ 21 Giugno per diversi luoghi dello Stato Senese dal celebre bottanico Pier’ Antonio Micheli e dal signor dottore Gio. Battista Mannaioni, in Targioni Tozzetti G., Relazioni d’ alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, 2a ed., t. IX, Firenze, 1776, pag. 382. ('] Targioni Tozzetti G., Relazioni, ecc., op. cit., t. X, 1777, pag. 68. SOPRA ALCUNI LEGNI SILICIZZATI DEL PIEMONTE Nota del dott. L. Pampai.oni Gli esemplari che vado descrivendo fanno parte delle colle- zioni del Museo paleontologico della Regia Università di Torino, e mi furono gentilmente inviati dal chiarissimo prof. C. F. Parona nel decorso anno. Sono campioni di legni tossili, dei quali alcuni appartengono alla zona dei gessi (Messiniano), altri a quella delle sabbie gialle (Astiano). Le sezioni di ciascun esemplare lungo le tre direzioni : lon- gitudinale, tangenziale e radiale furono puntualmente eseguite dalla Casa Yoigt et Hochgesang di Gdttingen. Dallo studio delle varie sezioni risulta che i campioni se- gnati coi numeri 1, 2, 3 appartengono tutti a Conifere. Come si sa, in paleobotanica lo studio dei legni fossili si basa esclusivamente sulla presenza di certi caratteri generali i (piali permettono di riunire le varie forme paleontologiche sotto particolari raggruppamenti o generi, che però sono intesi in un senso molto più lato di quel che non siano intesi in botanica, potendo i generi della paleobotanica riunire in sè più e diversi generi della botanica. Ciò si manifesta specialmente per i vari legni fossili di Coni- fere, che, essendo tutti fra di loro abbastanza affini, sono stati raggruppati in varie categorie che portano il nome della pianta vivente dalla quale si sono tolte le caratteristiche per la for- mazione del tipo fossile, più raggiunta dell’appellativo xylon. Oggi adunque sono accettate per la classificazione dei legni fossili di Conifere le seguenti divisioni: I. Punteggiature radiali delle tracheidi, rotondeggianti se disposte in una sola fila, esagonali se disposte in più file. 1° Araucarioxylon Kraus. 53G L. l'AMP ALONI II. Punteggiature doppie in una riga, se in due righe opposte. A. Cellule resinifere e parenchima scarsi. 2° Cedroxyìon Kraus. C. Cellule resinifere e parenchima abbondanti. 3° Cupressmoxylon Goppert. C. Esistenza di canali resiniferi. 4° Pityoxylon Kraus. 5° Taxoxylon Kraus. di modo che il genere: Araucarioxylon Kraus, è caratterizzato da un legno formato come quello delle Araucaria e delle Dam- mara con tracheidi provviste sulle loro facce radiali di punteg- giature areolate, generalmente pluriseriate, contigue, ad areole esagonali ; il genere Cedroxyìon Kraus da un legno formato come quello dei Cedrus e degli Abies con tracheidi a facce radiali, munite di punteggiature areolate uniseriate, e sprovvisto di elementi resiniferi, od almeno a parenchima resinifero pochis- simo abbondante; il genere Cupressmoxylon Goppert da un legno come quello dei Gingho , delle Podocarpee , delle Taxodinee e delle Cupressinee, con tracheidi a punteggiature areolate quasi sempre uniseriate, provvisto di cellule resinifere abbondati, ma senza canali resiniferi ; il genere Pityoxylon Kraus da un legno come quello dei Pinus. dei Larix , dei Picea, con tracheidi a punteggiature areolate, uniseriate o gemine, e provvisto di canali resiniferi ; ed il genere Taxoxylon da un legno analogo a quello dei Taxus con tracheidi spiralate e munite inoltre di punteg- giature areolate sulle loro facce radiali. Prendendo come base questa classificazione, posso riferire i campioni segnati coi numeri 1 e 2 & due specie differenti del genere Cedroxyìon Kraus, ed il campione n° 3 al genere Cupres- sinoxylon Goppert. Il genere Cedroxyìon Kraus ( Eleoxylon Brongn; Taxoxylon Unger ex. p.; Pinites Gbpp.) comparisce alla superficie terrestre fino dall’epoca permiana, conservandosi poi in tutti i successivi 537 SOPRA ALCUNI LEGNI SILICIZZATI DEL PIEMONTE periodi geologici. Fra le specie che si conoscono sono le se- guenti : Cedroxylon braunianum Gopp., nel keuper di Kulmbach, e nel calcare del Lias inferiore presso Bavreuth. Cedroxylon pertìnax Gopp., nello schisto del Giura medio di Slesia. Cedroxylon zeuscherianum (Gopp.) Kr., nel Salgemma terziario di Wieliczka. Cedroxylon lesbium (Gopp.) Kr., nella formazione teiziaiia dell’Isola di Lesbo. Cedroxylon gypsaceam (Gopp.) Kr., negli strati gessosi della formazione terziaria di Kartscher, Dirsctiel e Pschow nella Slesia superiore. Cedroxylon Ruttonianum , C. Lindleyanum , C. jurense Kr. del Giura di Mosca. Cedroxylon Auerbachi Felix, nella creta di Saypuscli in Mdhien e di Kressenberge presso Traunstein. Cedroxylon Hoheneggeri Felix, del Nord della Baviera. Cedroxylon cretaceum Kr. Cedroxylon regalare Kr., dell’Ungheria. Cedroxylon americamim Kr., degli Stati dell Ohio e dell Illinois. Cedroxylon laricinum Pampaioni, di Oschiri in Sardegna. A tutte queste specie già descritte vanno ora aggiunte le altre due del Piemonte, che vado descrivendo. Campione n° 1. Cedroxylon pedemontanum n. sp. Provenienza : Astigiano. È un frammento di cm. 7 7g X 9 X all’esterno chiaro quasi bianco e poco compatto, all’interno grigio-cenerino e più compatto, nel quale si scorge l’andamento degli anelli del legno. Esaminata al microscopio, la sezione trasversale presenta tra- cheidi di due tipi; e cioè alcune a lume cellulare più ristretto variabili fra i 45-50 u, rettangolari, fittamente serrate fra di loro, ed a pareti cellulari molto grosse, che costituiscono il legno di autunno; altre, che misurano in media 70-75 y, a pareti meno ingrossate, quindi con lume cellulare maggiore ed a con- 39 538 L. PAMPALONI torno generalmente poligonale, che costituiscono il legno di pri- mavera. Generalmente vi si scorgono bene le punteggiature areo- late delle pareti cellulari; e le varie membrane cellulari, specie nelle tracheidi del legno di primavera, non vengono a contatto runa coll’altra, ma lasciano fra di loro, ai punti di riunione delle tracheidi, dei vani a lume romboidale. Sparse qua e là si riscontrano rare cellule resinifere distinguibili per la loro maggior grossezza rispetto alle tracheidi, e per essere il loro lume otturato da una sostanza colorata in giallo. Generalmente si hanno 10 file di tracheidi comprese fra un raggio midollare ed un altro; a contatto col raggio midollare poi si hanno tra- cheidi assai più piccole di quelle centrali. Molte tracheidi sono deformate ed hanno assunto forme diverse, generalmente ap- piattite, molto probabilmente per effetto delle forti pressioni subite dal legno. In questo campione il legno di autunno oc- cupa una zona assai vasta. Nell’interno delle tracheidi final- mente si trovano numerose inclusioni cristalline non proprie del legno, ma formatesi durante il processo di fossilizza- zione. I raggi midollari in sezione tangenziale compariscono sempre formati da una sola fila di cellule; e soltanto rarissi- mamente li ho riscontrati in due file, ma sempre verso il centro del raggio. Le cellule di questi raggi sono tutte ellissoidali, con un diametro medio di 8-10 a, ed in numero variabile da 1 a 21 per ogni raggio; più frequenti però sono i raggi che ne hanno 4, 7, 8. Anche qui si manifesta la struttura cristallina di tutta quanta la sezione. In sezione radiale si intravedono le areolature delle tracheidi, sempre in una sola serie, l’una ac- canto all’altra, e sempre a contorni interno ed esterno circolare. Nemmeno con forte ingrandimento si scorgono striature nell’in- terno delle tracheidi. La dove i raggi midollari s’intersecano con queste, si ha come una divisione in tanti rettangoli, quasi sempre tutti uguali fra di loro. Campione n° 2. Cedroxylon astianum. n. sp. Provenienza: Ceresole d’Alba (Villafranchiano). Si presenta costituito da tre sottili frammenti di cui il più grosso misura cm. 7 l/2 X 5 V2 X il più piccolo 8 1 „ X 4 X 4 SOPRA ALCUNI LEGNI SILICIZZATI DEL PIEMONTE 539 l’altro 8V.X3X0.5. Sono rivestiti (la una crosta di aspetto biancastro, mentre l’interno della loro massa ha un aspetto grigio-scuro, e vi si distingue benissimo la struttura legnosa. Questo frammento è forse il meglio conservato di tutti. Le differenze essenziali che passano fra questo legno ed il precedente consistono in una maggior rilassatezza delle tra- cheidi, in un minore differenziamento fra legno di primavera e legno di autunno, in una più scarsa quantità di cellule resi- nifere, in un minore ispessimento delle tracheidi, e finalmente nelle sezioni tangenziali si ha che i raggi midollari sono costi- tuiti da una minor quantità di cellule, non sorpassando queste il numero di 10 per raggio. Date queste differenze di caratteri ho creduto opportuno farne una nuova specie. Campione n° 3. Cupressinoxylon messinianum n. sp. Provenienza : Rio del Motturone (S. Michele) pr. Cherasco. (Messiniano). È un frammento di color grigio-giallastro che misura cen- timetri 6X5X21/,, nel quale in qualche punto si scorge bene l’andamento degli anelli legnosi. Per la maggiore abbon- danza di cellule resinifere in special modo ho creduto bene di riportare questo campione al genere Cupressinoxylon Gopp. ( Cupressoxylon Kr.; Pinites Gopp. ex. p.; Eleoxylon Brongn. ex. p. Thuyoxylon Unger ; Taxodioxylon Pelix; Phizotaxodioxy- lon Felix, Peuce Unger ex. p., Petinodendron Zenker; Physe- matopitys Gopp; Sequoia Schroter). Questo genere osservato a partire dall’ Infracretaceo, comprende numerose specie, fra le quali cito le seguenti: Cupressinoxylon ucranicum Gopp. della lonnazione cretacea di Charcow. Cupressinoxylon peucinum Gopp. della formazione terziaria dell’isola di Lesbo. Cupressinoxylon multiradiatum Gopp. delle ligniti terziare di Laasan (Slesia). Cupressinoxylon uniradiatuni Gopp. delle ligniti terziarie presso Bonn. 1340 L. PAMPA PONI Cupressinoxylon pachyderma Gopp. delle ligniti terziarie di Laasan (Slesia). Cupressinoxylon acquale Gopp. delle ligniti terziarie di Laasan (Slesia). Cupressinoxylon pulcheìlum, C. Wardi, C. Me. Geei C. colum- bianum. Knowlton. Cupressinoxylon Glasgowi Knowlton della creta di Enimet County. Oltre il gran numero di cellule resinifere che interessano in massima parte il legno di autunno, si ha anche un maggior dia- metro nelle tracheidi, le quali vanno diminuendo di grossezza verso i raggi midollari. Mancano canali resiniferi, ed i raggi midollari sono costituiti da una sola fila di cellule in altezza, generalmente in numero di 8-12 per ciascun raggio. 11 contorno di queste cellule è ora rotondeggiante ora ellissoidale. I pori a contorno generalmente ellittico, ora circolare, sono talora unise- riati, talora biseriati e contigui ; e le tracheidi hanno lungo le loro pareti una st natura in linea obliqua assai visibile anche a medio ingrandimento. Le figure formate dall’incontro dei raggi midollari colle tracheidi sono ora veri e propri quadrati ora rettangoli più o meno grandi, nell’ interno dei quali si hanno delle piccole concrezioni di forma sferoidale, misuranti circa 4 y.. che sono dovute a sostanze tanniche, come pure a sostanze tan- niche sono dovute le altre concrezioni più grosse, fortemente colorate in nero, che si riscontrano tanto in sezione tangenziale quanto in sezione trasversale. Mostrando questo campione molti caratteri differenziali dagli altri finora conosciuti, ho creduto opportuno di farne una specie nuova chiamandolo C. plioce- nicum. Campione n° 4. Querciniimi Astiammo n. sp. (Fig. 1, 2, 8). Provenienza: Ceresolc d’Alba (Villafranchiano). Sono due frammenti di un medesimo tronco. Il primo mi- sura cm. 5 Vs X 5 X 2 7S. Il secondo, 0 X 5 1 X 3. Si presentano leggermente fibrosi e colorati di un colore grigio-cenere con tinta giallo sporca alla loro periferia. Qualora SOVRA ALCUNI LEGNI SILICIZZATI DEL PIEMONTI? 5 il vengano pulimentati lungo il piano trasversale, compariscono ben visibili gli anelli annuali. Diagnosi del tipo Quercinium: Ligni strata concentrica distincta. Radii medullares biformes, majores rari, corpore longissimo usque ' lato, minores crebri, uniseriales, e cellulis 20 superpositis formati. Vasa porosa cel- lulis magnis impiota 0, 13" lato, in uno vel in duobus stratis coacervata, in reliquis multo minora, fasciculatim aggregata. Cel- lulae ligni prosenchymatosae. Ung. in Endl. gen. plani, sappi. IR p. 101. Chloris prot. p. 107 e seg. Fig. l. Fig. 2. Fig. 3. Da un primo esame delle sezioni trasversali si scorge come questo legno abbia subite delle forti pressioni, in quanto che i singoli tessuti compariscono schiacciati e contusi. Per l’impos- sibilità di ricostruire in alcuni punti l’andamento delle cellule e dei vasi si può supporre che l’opera di fossilizzazione non è stata completa. Però qua e là la struttura legnosa si è mante- nuta intatta cosi da poterlo determinare. Infatti esistono vasi grossissimi e vasi molto piu piccoli. I primi sono disposti nor- malmente in una sola fila, e solo in qualche raro punto com- pariscono disposti in due file. Tali vasi misurano in media TO- SO u. Quelli più piccoli misuranti in media 25-80 inviatomi in- sieme a vari altri più piccoli, di un colore bianco-grigiastro, fittamente striato lungo due linee perpendicolari. Campione n° 6. (|. Astianum. Provenienza: Astigiano. Sabbie gialle dell’Astiano. È un bel campione giallo-chiaro all’esterno, grigio-nero al- l’interno, fibroso, completamente silicizzato. Misura cm. 1 1 X 5 Xd. Campione n° 7. Ulminiiim pliocenicum n. sp. (Fig. 4, 5, (5). Provenienza: Ceresole d’Alba (Villafranehiano). Sono due pezzi di color giallo-rossastro, nei quali non si scorge per niente la struttura propria del legno. 11 primo pezzo misura 6 cm. X 3 X 1 V2 > il secondo 2 ‘/s X 2 1 '2 X 4. Anche SOPRA ALCUNI I EGN [ SILICIZZATI DEL PIEMONTE E43 questo campione è assai male conservato nella sua interna strut- tura. Diagnosi del genere Ulmìnium: Ligni strata concentrica minus conspicua. Radii medili lares uniformes eonferti, porpore brevi, tenui, e cellulis parenchyma- tosis bi-triserialibus contlato. Yasa porosa aequalia, vacua, septis distantibus continua, remota, bi-ternatimve connata, ceternm aequabiliter distributa. Cellulae ligni prosenehymatosae leptoti- chae. Unger, in Endl. genera plantarum. Sappi. II, p. 101. Neues Jahrb. f. Min. Geogr. 1842, p. 174. Chloris protogaca, p. 97. Fig. 6. Le zone annuali di questi tronchi misurano in media cia- scuna una superficie di 1 min. I vasi sono di regola molto grossi, pur tuttavia ne esistono altri molto più piccoli sparsi in disordine in tanti gruppi caratteristici di 4-5 fino ad 8 cia- scuno, sopra tutta la sezione trasversale delle zone annuali. La loro parete, per la cattiva conservazione, non lascia scorgere alcun dettaglio di struttura. I raggi midollari, quasi sempre fra loro paralleli, sono ora più grossi ora più piccoli. La dispo- sizione radiale delle cellule del legno è completamente sparita. La caratteristica di questo legno sta in ciò, che le bande trasver- sali sono incurvate a zig-zag e disposte in disordine. I raggi midollari in sezione tangenziale appariscono gene- ralmente uniformi e di uguali dimensioni; sono costituiti da file di 5 e 6 cellule in altezza. II campione da me descritto differisce da quello descritto dal Goppert nella sua Chloris protogaca , p. 97, e queste dit- 544 L. PAMPA LONI ferenze, sebbene piccole, appaiono ai nostri occhi, tanto esami- nando le sezioni trasversali, quanto le tangenziali e le radiali. Infatti nell’ Ulminium diluviale del Goppert si hanno in sezione trasversale vasi più grossi e vasi più piccoli ; ma questi non appariscono riuniti in tanti gruppetti come mìV Ulminium da me descritto; cosi pure, nelle sezioni longitudinali, i raggi mi- dollari sono nel mio campione assai più sviluppati, sia pel loro spessore, sia pel numero delle cellule dalle quali sono costituiti. Inoltre nell’ Ulminium diluviale esistono nell’ interno dei vasi numerosissimi pori, mentre che nel mio non se ne incontrano che pochi. Campione n° 8. Aceriiiium astianum n. sp. (Fig. 7, 8, 9). Provenienza : Astigiano alto. (Villafranehiano). Sono quattro minuti frammenti, di colore ocraceo, assai cor- rosi tanto all’esterno quanto all’interno, ed in non buono stato di conservazione. Diagnosi del tipo Aceriiiium: Strata concentrica minus conspicua, lineam dimidiam lata. Radii medullares tenuissimi conferti, e cellulis uni-triserialibus formati. Vasa porosa subsimplicia vacua, dissepimentis distali- tibus continua, angustissima numerosissima, aequabiliter distri- buta. Cellulae ligni prosenchymatosac pachyticae inter vasa fere evanescentes. Ung. in Elidi, gen. plant., Suppl. II, p. 101. Chloris prot. p. 130. Il genere descritto da Unger sotto il nome di Aceriiiium danubiale appartiene alla formazione terziaria dell’Austria su- periore. Il tipo Acer ini uni trova un esatto riscontro nel vivente ge- nere Acer. Anche qui, in sezione trasversale esistono trachee in una sola fila, od in gruppi uguali di 2-3, distribuite sopra un rettangolo; quelle che sono costituite da una sola fila hanno forma circolare o largamente ellittica; le grosse trachee nel legno di primavera sono munite di 3-4 cellule legnose in dire- zione tangenziale, di 5-6 cellule legnose in direzione radiale. Nel legno di autunno sono munite di 1-3 cellule legnose pic- colissime, in ambedue le direzioni. La disposizione radiale delle SOPRA ALCUNI LEGNI SILICIZZATI DEL PIEMONTE 545 cellule legnose è stellata, ed i limiti annuali sono debolmente marcati. In sezione tangenziale si ha un fatto caratteristico nella disuguaglianza dei raggi midollari; i più piccoli sono muniti di 1-3 cellule, i più grossi di 30-40 cellule per il lungo e 3-4 per il largo. Le cellule sono a lume circolare; e le trachee hanno delle sottilissime linee trasversali ed una gran ricchezza di grossi pori ben visibili. » In sezione radiale i raggi midollari sono tonnati da masse uguali con pori bene visibili, sul contine delle trachee però con pori piccoli e poco marcati. Il legno di autunno è poco ami- cato e nelle sue cellule si vedono grossi cristalli. La parete trasversale delle tracheidi è munita di un poro circolare. La ciò che ho detto si ha un’idea dei caratteri che diffe- renziano X Acer iniuin danubiale descritto daH’Unger dall LI. astta- num descritto da me, caratteri che hanno riscontro specialmente nel numero delle cellule che compongono i raggi midollari e nella loro grossezza. Campione n° 9. Salicinium messiiiiaiium n. sp. (Fig. 10, 11). Provenienza: Rio del Motturone (S. Michele) pr. Cherasco (Messiniano). È un frammento di cm. 7 X 5 V, X 3 V8, di color nero con venature chiare. A causa del suo cattivo stato ho dovuto faticar molto prima di ricondurlo ad un tipo ben determinato. Ad ogni 546 I.. PAMI’ALONI modo ho potuto scorgere che si tratta di una Salicinea che ho riferita al nuovo tipo fossile Salicinium che ha riscontro col vivente Salix alba. Infatti in sezione trasversale le tracheidi Fig. 10. Fig. 11. si riscontrano ora isolate, ora in gruppi di due e tre, in ogni gruppo si ha di nuovo una disposizione radiale. La sezione trasversa delle tracheidi è larga, ellittica, poligonale. Le tra- chee contengono nel legno di primavera da tre a cinque cellule legnose in sezione tangenziale, e da cinque a sei in sezione radiale; nel legno di autunno si riscontrano in ambedue le se- zioni soltanto due a tre cellule legnose. Nel legno di estate la disposizione radiale è quasi intieramente nulla, comparendo di nuovo in molto stretti limiti nel legno di autunno. Tangen- zialmente i raggi midollari sono molto stretti, e le tracheidi formano una linea molto corta nella loro disposizione trasver- sale, mentre la disposizione longitudinale è ricchissima di pori trasversali ben visibili, e nell’interno si ha come una rete di tanti poligoni. Il raggio midollare, similmente a ciò che si os- serva nel Pioppo, è differenziato in due parti: le cellule cen- trali sono ellissoidali, le periferiche allungate verticalmente. Le cellule del legno sono munite di pori piccolissimi e poco vi- sibili. SOPRA ALCUNI LEGNI SILICIZZATI DEL PIEMONTE 547 Campione n° 10. Betulinium Paronae n. sp. (Fig. 12, 13, 14). Provenienza: Astigiano alto. (Villafranchiano). Sono tre frammenti abbastanza grossi, di color giallo-ocra all’esterno e di color grigio- cinereo internamente, provvisti tutti di striature ben marcate. 11 primo misura cm. 6 X 8 X 3, il secondo 5 Y, X 2 V2 > il terzo 5X^X1 V* • Sono stato molto in dubbio se riferire questo campione al tipo Alnus od al tipo Betula , data la grande affinità anatomica del legno di questi due tipi. Per di più. lo stato di conserva- zione del campione non è cosi buono da istituire profonde e det- tagliate ricerche ; ad ogni modo, specie per la maggior gros- sezza dei vasi, ho creduto bene di riferirlo al tipo Betulinium. Diagnosi del tipo Betulinium: Ligni strata concentrica minus conspicua, ultra lineam lata. Kadii medullares uniformes, angustissimi, conferti e cellulis bi- triserialibus conflati. Yasa porosa angustiora, impleta, septis distantibus continua, bine inde binatim, ternatimve coalita, cae- terum aequabiliter distributa. Cellulae ligni prosenchymatosae, numerosae, septatae, leptotiebae. Endl. Gen. plaut., Sappi. II, p. 101. Cbloris prot. p. 118 e seg. Come specie di questo genere, l’Unger riportò il B. tenermi della formazione terziaria di Freystadt nell’Austria superiore, ed il B. parmense della formazione eocenica presso Parigi. Betulinium tenerum: Yasis rarioribus, cellulis magnis im- pletis. Poris vasorum minutis, contiguis, spiraliter dispositis. Betulinium parisiense: Radiis medullaribus e cellulis tri- serialibus conflatis. Yasis vacuis? eorum septis scalariformibus. Cellulis ligni pachyticis. Nel nostro tronco i vasi sono abbastanza frequenti ed i pori dei vasi, (là dove si scorgono per il cattivo stato di con- servazione del tronco), sono abbastanza grossi, caratteri questi che lo distinguono dal B. tenerum e dal Parisiense. Inoltre, in sezione trasversale, ho riscontrato sempre i raggi midollari com- pletamente diritti. Le trachee sono sempre disposte in gruppi radiali di due, raramente di tre; le cellule del legno, a forma 543 L. PAMPALONI poliedrica ed a spigoli acuti sono pure ordinate radialmente. Rarissime sono le cellule parenchimatiche del legno. I raggi midollari sono in grandissimo numero, molto lunghi e relativa- mente assai larghi ed in generale costituiti da una sola fila di cellule clic variano in numero da dieci a ventiquattro. Fig. 12. Fig. 13. Fig. 14. Dati appunto tutti questi caratteri ne ho fatta una specie nuova che ho dedicata a chi gentilmente mi permise di stu- diare questi tronchi fossili. Dei campioni segnati coi n1 11 e 12 non posso dir niente in quanto che sono in cosi cattivo stato di conservazione che non si prestano per farne sezioni microscopiche. Al campione n° 11 appartengono due frammenti del Mèssi - niano , della località detta La Morra, tutti incrostati da nume- rosissimi cristallini di silice che ne rendono appunto impossibile l’esame. Al campione n° 12 si riferisce un altro pezzo delle sabbie gialle dell’ Astiano, anche questo malissimo conservato. Di modo che dall’esame fatto fin qui noi possiamo giungere alla conclusione che nella zona del Messiniano e delle Sabbie gialle del Piemonte si ha la prevalenza delle Conifere e delle Cupulifere sopra gli altri tipi di piante d’alto fusto; fatto questo che ho potuto generalmente constatare nello studio dei tronchi fossili delle varie flore eoceniche e plioceniche. Dal Laboratorio Botanico del R. Istituto di Studi superiori. [ras. pres. 10 settembre 1003 - alt. bozze 14 gennaio 1904J. ELENCO DI SCRITTI CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA Come il discorso letto nell' apertura del XXII Congresso, questo catalogo die gli è appendice non è redatto per gli scien- ziati. Suo scopo esclusivo è mostrare compendiosamente al pub- blico: non essere le dottrine geologiche conoscenze di lusso, secondo che in Italia da tanti si pensa, ma scienze di utilità pratica immediata. Neppure rappresenta il prodotto scientifico, sotto tal punto di vista, dei cultori delle discipline geologiche in Italia. L’elenco è stato compilato colle indicazioni favorite gentilmente da al- cuni Colleglli, sia rispondendo direttamente alla richiesta latta colla circolare del 1° gennaio 1903, sia inviando i loro studi: alle quali indicazioni ho aggiunte notizie sugli studi tatti da Scienziati defunti, specialmente col fine di ricordare chi ha la- vorato in tempi, quando le ricerche erano assai più faticose e difficili di adesso. In relazione all’oggetto, al quale più possono interessare, le materie sono divise nelle categorie: la Forme del terreno; 2a Agricoltura ; 3a Ingegneria in genere: 4a Miniere ed acque minerali; 5a Pubblicazioni varie. Mi sembra che tale distribuzione sia adatta abbastanza per l’uso e pel momento, trattandosi d’un semplice saggio o contributo che dir si voglia. 550 ELENCO DI SCRITTI Gl’Ingegneri, Agronomi, Igienisti, che consulteranno il ca- talogo, riflettano sulle parole contenute nel discorso cui esso si riferisce: « La pratica della vita insegna che più andiamo avanti, più si rende indispensabile la specializzazione dei rami scien- tifici, non essendoci oramai mente umana capace di contenere la somma dello scibile; insegna che le cose vanno sempre male, allorché ognuno presume fare, o meglio vuole apparir di fare, più di quanto è capace. Adunque per la Geologia, come per altre scienze, è oggetto dell’insegnamento sussidiario all’eserci- zio professionale: il far conoscere il valore del concorso, che portano le dottrine geologiche nella soluzione dei problemi d’in- gegneria, Agricoltura, Igiene; il far comprendere la saviezza di chiedere, all’occorrenza, consigli a chi con studio speciale ha acquistato competenza di darli; il rendere la mente atta a ricevere quei consigli ». Quanti studi hanno il vanto di conte- nere in ogni loro parte veri definitivamente acquisiti? Tutti rappresentano tentativi di giungere al vero: ma, col progredire delle scienze, quel che ieri aveva le apparenze di vero domani può essere riconosciuto un errore. Anche per questo motivo la riflessione suggerita farà evitare il difetto di vedere innestate, negli scritti tecnici, cose attinenti alla Geologia, adoperate a sproposito; e ne farà risparmiare le logiche conseguenze. A. Verri. CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA 551 I. Forme del terreno. Bombicci L. Trasformazioni lente dei paesaggi terrestri. — Arezzo 1855. — Elementi di geografia fisica. — Pisa 1S60. — Sull’origine delle montagne. — Bologna 1877. — Montagne e vallate del territorio di Bologna. — Bologna 1882. — Il sollevamento dell’Appennino Bolognese. — Bologna 1882. — Le montagne d’Italia. Venezia 19, 9. Brocchi G. B. Dell’antica condizione della superficie del suolo di Roma. — Roma 1820. — Dello sfato fisico del suolo di Roma e carta fisico-geologica del me- desimo. — Poma 1S20. — Memoria sopra La storia fisica dei suolo di Roma. — Ann. se. fis. e mai. 1850. Cortese E. Sulla forma di alcune coste della Calabria e specialmente dello Stretto di Messina. — Al. II Congr. geogr. — Sulla formazione dello Stretto e del Porto di Messina. — Boll. Com. geol. 1882. — Sulla origine del Porto di Messina e sui movimenti del mare nello Stretto. — Boi. Soc. geol. 1889. — Sull’ interruzione dell’Apennino al sud di Catanzaro. — Boll. Com. Geol. 1883. I)e Angelis d’Ossat G. Sopra l'azione perturbatrice delle masse di ferro collocate dall’uomo sugli strumenti magneto-tellurici Riv. Top. e Cai. 1893. — Sopra l’azione perturbatrice delle masse di ferro collocate dall uomo sugli strumenti magneto-tellurici (Nota li) — Riv. Top. e Cat. 1897. Del Zanna P. I laghi di S. Antonio in Provincia di Siena. — Boll. Soc. Geol. 1899. — I fenomeni carsici nel bacino dell Elsa. — Boll. Soc. Geol. 1S99. Gastaldi B. Sulla escavazione dei bacini lacustri compresi negli anfi- teatri morenici. — Soc. se. nat. Torino 1S63. — Sulla riescavazione dei bacini lacustri per opera degli antichi ghiacciai. — Soc. it. se. nat. Milano 1865. Nuove osservazioni sulla origine dei bacini lacustri. 8oc. se. nat. Torino 1865-66. — Sulla riescavazione dei bacini lacustri per opera degli antichi ghiacciai. — Soc. it. se. nat. Milano 1866. Scandagli dei laghi del Moncenisio, di Trana, di Avigliana e di Mer- gozzo, con brevi cenni sulla origine dei bacini lacustri. — R.Ac. se. Torino 1866-67. — Alcuni dati sulle punte alpine situate fra la Levanna ed il Roccia- melone. — Boi. Cl. Alp. it. Torino 1867-6S. 552 ELENCO DI SCRITTI Gastaldi 11. On thè effects of glacier-erosion in Alpine Valleys. — Quat. •Tour, of thè Geol. Soc. 1873. Giordano F. Sulla orografia e sulla geologica costituzione del Gran Cer- vino. — Soc. it. se. nat. Torino 1869. — Condizioni topografiche e fisiche di Roma e della Campagna romana. — Monogr. Esp. un. Parigi 1878. — Nota sulla topografia e geologia di Cossila nel Biellese. — Biella 1892. Meneghini G. Lezioni orali di geografia fisica. — Pisa 1851. — L’Europa secondo i recenti studi geografici. — Nuova Antól. Fi- renze 186S. - Dell’alta valle di Nievole. Cenni topografici. — Man. CI. d. acq. di Montecatini del prof. Fedéli - Firenze 1880. Molon F. Sui fiumi del Vicentino nei tempi preistorici, romani e mo- derni. — At. B. Ist. Veneto 18S3. Monticelo A. Tavoletta di campagna pei rilievi topografici e geolo- gici — Il Politecnico. Milano 1902. Pelloux A. La valle di Aosta — Riv. rnil. Roma 1900. Riva Palazzi G. La geologia e lo studio militare del terreno — Riv. rnil. Roma 1883. — La geologia e gli studi militari — Riv. rnil. Roma 1884. — La geologia e gli studi geografici — Boll. Soc. geol. it. 1886. — Prefazione a due scritti del prof. T. Fischer sullo schizzo descrittivo d’Italia e sulla plastica del suolo d’Italia tradotti dal prof. Lovera — Salò 1895. — Per la conclusione sullo indirizzo degli studi di geografia militare — Riv. rnil. Roma 1898. Rovereto G. Orogenesi dell’Apennino Ligure — Firenze 1892. — Geomorfologia delle coste, ossia appunti per spiegare la genesi delle formazioni costiere — Genova 1903. Taramelli T. Alcune osservazioni da farsi sulla orogenia del Friuli — Giorn. «in Alto». Udine 1893. — Della storia geologica del Lago di Garda — At. Ac. di Rovereto 1894. — Considerazioni a proposito della teoria dello Schardt sulle regioni esotiche delle Prealpi. — Rend. Ist. Lomb. se. e let. 1898. — Di alcune nostre valli epigenetiche — At. Ili Congr. geogr. Fi- renze 1899. — Della orogenesi della Regione di Lugano e di Varese — At. IV Congr. geogr. Milano 1902. — I tre laghi. Studio orografico-geologico — Milano 1903. Verri A. Le valli antiche e moderne dell’Umbria — Boi. R. Cotti, geol. 1880. — La cascata delle Mai-more — Terni 1886. — Azione delle forze nell’assetto delle valli — Boll. Soc. Geol. 1S87. — Geologia e Topografia — Boll. Soc. Geol. 1889. — Storia naturale della Valdichiana — Città della Pieve 1895. CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA 553 Verri A. Un capitolo della geografia fisica dell’Umbria — At. IV Congr. Geogr. Milano 1902. — Storia naturale del Velino — Temi 1902. — Problemi orogenici nell’Umbria. — Boll. Soc. geol. 1903. II. — Agricoltura. Bombice! L. Diboscamenti e inondazioni in Italia. — Bologna 1872. — Il diboscamento nelle montagne. — Messina 18.73. — La questione dei rimboschimenti. — Bologna 1883. Borto lotti C. Osservazioni analitiche sopra alcune terre coltivabili del Friuli — Giorn. di Geol. prat. 1903. Campani G. Analisi chimica delle argille turchine. — Siena 1875. De Angelis d’Ossat G. La geologia agricola e la Provincia di Roma. — Boll. soc. Agr. il. 1900. La geologia agricola e le rocce delle Provincie di Roma e Perugia. — Riv. Natur. Siena 1901. — Considerazioni di Geologia pratica intorno alla bonifica della Cam- pagna romana. — Giorn. di Geol. pr. Genova 1903. La resistenza specifica elettrica delle rocce e dei terreni agrari. R. Acc. Line. voi. XII 1903. Del Prato A. La geologia ed il suolo coltivato della Provincia di Parma. — Parma 1883. De Lorenzo G. Cenni geologico-agrari sulla Basilicata. — Nuov. Enc. agr. it. Torino 1898. Giordano F. Cenni sulle condizioni fisico-economiche di Roma e suo territorio. — Firenze 1871. — Cenni sulla costituzione geologica della Campagna romana. — Boll. Coni. geol. 1871. — Relazione di una gita alle Paludi Pontine. — Ann. Min. A.I. C. 1872. Relazione speciale sulla visita agli stagni di Maccarese e di Ostia. — Nella Rei. sulle cond. agr. ed ig. della Camp. rom. Ann. Min. A. I. C. 1872. Sopra l’impianto di colonie italiane nella parte settentrionale del- l’isola di Borneo. — Ann. Min. A. I. C. 1875. Giuli G. Statistica agraria della Valdichiana. — Pisa 1829. Negri A. Montese, i suoi terreni geologici, le sue acque minerali, i suoi prodotti. — Ann. Soc. se. nat. Modena 1881. Paroma C. F. Nozioni di geologia agraria. Appunti di geologia agraria per le diverse regioni italiane. — Torino 1898. Pirona G. A. Costituzione geognostica e geologica del Distretto di Ge- mona. Agricoltura antica e moderna ecc. — In Gemona e il suo Distretto. Venezia 1859. 40 554 ELENCO DI SCRITTI Ponzi G. Del bacino di Roma e sua natura. — Ann. Min. A. I. C. 1872. — Della zona miasmatica lungo il mare Tirreno e specialmente delle Paludi Pontine. — Rivista mariti. 1879. Ricciardi L. Ricerche chimiche sulle lave dei dintorni di Catania. — 1881. — Ricerche chimiche sui basalti della Sicilia. — 1881. — Ricerche chimiche sui depositi vulcanici della Provincia di Salerno- — 1882. — Sulla composizione chimica di alcune marne argillifere di Salerno. — 1882. — Sulla composizione chimica delle pomici vesuviane raccolte sul monte S. Angelo — 1882. — Sulla origine delle ceneri vulcaniche e sulla composizione chimica delle lave e ceneri delle ultime conflagrazioni vesuviane — 1882. — Sulla composizione chimica di diversi strati di una stessa corrente di lava eruttata dall’Etna nel 1569 — 1882. — Sui basalti di Cattolica e Tremiglia — 1883. — Sulle rocce eruttive comprese tra il Lago Maggiore e quello di Orta — 1S85. — Sulla composizione chimica delle lave eruttate dall’Etna nell’eruzione del 1886 — 1886. — Ricerche di chimica vulcanologica sulle rocce e minerali del Vul- ture — 1887. — Sopra i terreni derivanti dalle argille scagliose degli Apenninr — 1887. — Sulle rocce vulcaniche di Rossena nell'Emilia — 1887. — Sulle rocce dei vulcani Vulsinii — 1888. — Genesi e composizione chimica dei terreni derivanti dalla disgrega- zione delle rocce cristalline e vulcaniche — 1890. Savi P. Studi geologico-agricoli sulla pianura pisana — At. Ac. Georg. Firenze 1856. Stella A. Il Montello — R. Uff. geol. M. — Milano 1890 e seg. — Le frane sui monti. — Bologna 1896-97. — Le frane e gli studi geologici. — Bologna 1901. Brocchi G. B. Analisi chimiche delle calci di Lombardia. — At. Soc. incorag. Milano 1809. — Catalogo di una raccelta di rocce per servire alla geognosia d’Italia. Milano 1817. Cacciamali G. B. Sulle sorgenti di Villa Cogozzo. — Bel. della Giunta Man. di Brescia. 1902. Campani G. Sui terremoti che travagliarono la Città e i dintorni di Siena nel maggio del 1838. — Giorn. il Pop. Siena 1848. Campani G. (e Toscani). Sui terremoti avvenuti in Siena nell’aprile 1859 e nei tempi precedenti. — Siena 1859. Capacci C. Le cave dei marmi e delle pietre. — Encicl. arti e ind. To- rino 1881. — Il gesso. Encicl. arti e ind. Torino 1881. Carapezza E. Difesa tecnica del sig. Francesco De Falco contro il si- gnor Luigi Enoch Farruggia. — Palermo 1895. — Lezioni di geologia applicata. Sunto delle lezioni impartite agli al- lievi della R. Scuola di applicazione per gl’ingegneri in Palermo. — 1896. — I materiali litoidi nella pavimentazione stradale di Palermo. — Pa- lermo 1898. Carapezza (ed Oliveri). Stratigrafia dei materiali litoidi che più co- munemente si possono adoperare come marmi. — Gaz. Chini, it. Palermo. Clerici E. La pietra di Subiaco e suo confronto col travertino — Boll. B. Coni. geol. 1890. — Il chirografo di Pio VI e la pietra di Subiaco — Boss. se. geol. in Italia 1891. Cortese E. Sulla esecuzione di pozzi d’assaggio pel sottopassaggio dello stretto di Messina — Giorn. Gen. Civ. 1886. — Il terremoto di Bisignano del 3 Decembre 1887. — Ann. d. Meteor. it. — Le acque sorgive nelle alte vallate dei fiumi Seie, Calore, Sabato — Boll. Com. geol. 1890. — Sopra alcune ricerche d’acqua di sottosuolo presso Portoferraio — Giorn. di geol. prat. 1903. CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA 657 Crema C. Ricerche sulla facoltà d’imbibizione di alcune rocce della Pro- vincia di Torino — L’Ing. santi. Torino 1896. Re Ah geli s d’Ossat (ì. Il pozzo artesiano di Maragliano — Ai. Ac. Gioenia Catania 1892- — I dintorni di Rapolano — R end. R. Acc. Line. Roma 1897. Dell’Erba L. Corso di geologia applicata alle costruzioni — Napoli 1893. — Su talune pozzolane in quel di Castellana — Napoli 1893. — Il grigio di Avella — Ai. R. Ist. incoraci. Napoli 1899. De Lorenzo 0. Osservazioni geologiche sul tronco ferroviario Casal- buono-Lagonegro — At. R. Ist. incoraci. Napoli 1891. Del Prato A. Sopra alcune perforazioni della pianura Parmense — Boll. Soc. g eoi. 1888. — Bibliografia idrologica e climatologica del Parmense — Tarma 1898. Del Zanna P. I travertini di Colle e le incrostazioni attuali dell’Elsa — Boll. Soc. cjeol. 1901. Demarchi L. Elenchi descrittivi delle cave di materiali da costruzione della Prov. di Roma e segnatamente dei dintorni di Roma. — Rie. min. 1887-88. — Ann. agr. Firenze 1889-90. — Frana di Taranta Peligna (Chieti). — Rie. min. 1839. — Ann. agr. Firenze 1890. — Avvallamenti di terreni nella pianura di Villa Micciani lungo la Ferrovia Terni-Aquila. — Rie. min. 1893-94. — Cave di pozzolana dei dintorni di Roma. — Not. stai. ind. min. in It. Roma 1881. — Studio sulle cond. di sic. delle min. e cave in It. pubbl. R. C. Min. 1894, ed Atti III Congr. sugl’inf. del lav. 1894. Catacombe di Abden e Sennen dette anche di Ponziano sul Gia- nicolo, le sole dei dintorni di Roma non scavate in rocce vulca- niche. — Rie. min. 1895-96. — Trivellazioni per ricerca di acque potabili presso Ostia. Rie. min. 1896-97. — Rupi tufacee di Orvieto e d’Orte studiate in relazione alle frane che compromettono il transito o l’abitato. — Riv. min., 1892-93-95- 96-97-98-1902- 1903. De Rossi M. S. Analisi geologica ed architettonica della Roma sotter- ranea — Roma 1864. — Analisi geologica ed architettonica del cemetero di S. Callisto — Roma 1867. Saggi degli studi geologico-archeologici fatti nella Campagna ro- mana — Roma 1867. Etudes géologieo-archéologique sur le sol romain — Boll. Soc. geo!. de France 1867. — Il terremoto di Altorf, Siena, e Castel Gandolfo — Gaz. di Genova 1868. Stato odierno degli studi sismici e colpo d’occhio generale alla sene dei terremoti italiani del 1873 — At. Pont. Ac. Line. 1874. 558 ELENCO DI SCRITTI De Rossi M. S. Il bacino idraulico dell’acqua detta Tepida e la scom- parsa di una delle sue sorgenti. — Roma 1875. — Gli odierni studi italiani sui terremoti. — Ani. ili. Roma 1877. — La metereologia endogena. — Milano 1879-82. — Intorno alla odierna fase dei terremoti in Italia, e segnatamente sul terremoto di Casamicciola del 4 marzo 1881. — Boll. Soc. geogr. 1881. — Gli odierni studi italiani di meteorologia endogena nel suolo bolo- gnese. — Bologna 1881. — Carta sismica ed endodinamiea d'Italia ed archivio per la storia dei fenomeni endogeni. — Boll. Soc. geogr. 1882. — Sul terremoto di Casamicciola. — Gaz. Uff. 1883. — Intorno ai segni precursori del terremoto di Casamicciola. — Boll. Soc. geol. 1883. — Studi sul terremoto di Casamicciola. — La Rassegna it. Roma 1883. — Nouvelles études sur les tremblements de terre et les autres phéno- ménes géodynamiques. Leide. — Burrasche geodinamiche del 1885 e studi sulle medesime in Italia. Ann. meteor. it. Torino 1886. — Massimi sismici italiani degli anni meteorici 1887-88-89. — Ann. meteor. it. Torino 1888-89-90-91. — I terremoti del 22 gennaio 1892. Ann. meteor. it. Torino 1892. De Zigno A. Sul marmo di Fontanafredda nei colli Euganei. — Atti Jst. Veti. 1846. Franchi S. (e Baldacci). Studio geologico della galleria del Colle di Tenda — Boll. Coni. geol. 1900. Gastaldi R, Istruzione sulle ricerche geo -paleontologiche pei lavori di gallerie, trincee ed altre opere pubbliche. — Torino 1864. — Sulla geologia del Fréius. — NelVOp. Moncenisio e Fréius di E. Di- gnami. Firenze 1871. — Brevi cenni intorno ai terreni attraversati dalla galleria delle Alpi Cozie. — Boll. R. Com. geol. 1871. Giordano F. Rapporto della Commissione istituita per resane geologico delle grandi gallerie progettate attraverso le Alpi Elvetiche. — Torino 1865. — Sulla temperatura della roccia nella galleria delle Alpi Cozie. detta volgarmente del Cenisio — Boll. R. Com. geol. 1871. — Esame geologico della catena alpina del S. Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica — Meni. R. Coni. geol. 1873. — Sulle condizioni geologiche e termiche della gran galleria del S. Got- tardo — Boll. R. Com. geol. 1880. — Relazione della Commissione per le prescrizioni edilizie dell’isola d’Ischia dopo il terremoto del luglio 1883 — Roma 1883. — Id. — Ree. unir, des Mines. Liege 1884. — Il terremoto del luglio 1883 dell'isola dTschia — Cosmo» di G. Cora 1884. CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA 559 Tssel A. Cenni sui materiali estrattivi dei monti Liguri — Genova 1S83. — Materiali edilizi e decorativi adoperati in Genova — ■ Voi. gli Ist. muri, eli pubi. educ. ed istr. in Genova 1900. Ferrovia Genova-Piacenza — Giorn. Caffaro di Genova e Progresso di Piacenza 1898. Lotti B. (e Deferrari). Le sorgenti dell’Aronna, delle Venelle e del lago Accesa presso Massa Marittima — Boll. Coni. geol. 188(1. Lotti B. La frana di Monteterzi presso Volterra — Boll. Coni. geol. 1887. — Le condizioni geologiche di Firenze per le trivellazioni artesiane — Boll. Coni. geol. 1887. — Il regime sotterraneo delle sorgenti dell’Elsa in provincia di Siena — Boll. Com. geol. 1893. Mattinolo E. Sul prosciugamento del lago Trasimeno — Torino 1876. — Sugli scisti argillosi della nuova galleria dei Giovi (Lettera all’Isp. Capo delle Miniere) — Boll. Coni. geol. 1887. — Osservazioni idrogeologiche sopra alcune sorgenti nella valle del Gesso presso Valdieri — Torino 1899. Mazzuoli L. Sulla frana di Deiva — Boll. Coni. geol. 1883. — Nuove osservazioni sulla galleria di Ronco della ferrovia succursale dei Giovi — Mori. S. F. Torino 1887. — Le argille scagliose nella galleria di Pratolino presso Firenze — Boll. Com. geol. 1890. — Relazione sulle acque del sottosuolo o freatiche — Atti Comm. pei danni al mura gl. del Tevere. Poma 1901. — La relazione ufficiale della frana di Vigo — Gior. l’Alpe. Bologna 1903. Afeli R. (con Baravelli e Salinas). Relazione in risposta ai quesiti pro- posti dal Min. dei LL. PP. in merito all’indennità dovuta all’ing. R. Robecchi per la espropriazione del Ninfeo di Egeria in Roma — Poma 1891. — Notizie scientifico-tecniche sui travertini e specialmente su quelli esistenti nella pianura sotto Tivoli — Poma 1901. Meneghini ti. Notizie sui marmi eampigliesi inviati all’esposizione di Firenze nel novembre 1850 — Firenze 1859. — Rapporto sulle caAre dei marmi varicolori nel luogo detto il Capan- nino presso il Gabbro in comune di Colle Salvati — Pisa 1860. — I marmi di Santa Maria del Giudice e S. Lorenzo a Vaccoli. — Lucca 1868- Nota dei prodotti minerali da costruzione e da ornamento della Pro- vincia di Pisa, raccolti per l’Esposizione di Vienna nel 1873. — Pisa 1873. Ministero A. T. C. Carta idrografica d’Italia. — Poma 1891-1903. L’Aniene (redattore Zoppi). Il Lazio (redattore Zoppi). ELENCO DI SCRITTI 660 Nera e Velino (redattore Zoppi). Liri e Garigliano (redattore Zoppi). Seie (redattori Baldacci e Torricelli). Volturno, Sarno, Tusciano (redattore Zoppi). Tevere (redattore Perrone). Aterno, Pescara (redattore Perrone). Marta e Lago di Bolsena (redattore Perrone). Arno, Valdichiana, Serchio (redattore Perrone). Sangro, Salino, Vomano, Tronto, Tordino e Vibrata (redattore Perrone). Fiora, Ombrone, Bruna, Pecora, Cornia e Cecina (redattore Perrone) Monti A. Sul problema delle acque potabili per la città di Pavia. — R iv. ig. e san. pub. Torino 1901. — Per provvista di acque potabili per il capoluogo di La Salle. — Torino 1902. — Analisi delle acque dei pozzi zampillanti di Pavia. — Pavia 1.901 . Negri A. Per lo scavo di un nuovo pozzo in Modena. — Modena 1892. Niccoli E. La frana di Castel Frentano. — Poli. Coni. . — Poche parole di un terremoto che ha devastato ì paesi della costa toscana — Pisa 1846. 562 ELENCO DI SCRITTI Pilla L. Storia del terremoto che ha devastato i paesi della costa to- scana — Pisa 1846. Pirona G. A. (e Taramclli). Sul terremoto del Bellunese del 29 giu- gno 1873 — At. li. Ist. Veneto 1873. Pirona G. A. (con Tarameli! e Tommasi). Relazione della Commissione geologica sulle fonti di Zampetta — Udine. 1885. Pi roua G. A. Costituzione del suolo della città di Udine — Guida del Friuli 1886. Pirona G. A. (con Taramelli e Tommasi). Dei terremoti avvenuti in Tolmezzo ed in altre località del Friuli l’anno 1889 — Ann. Uff. centr. meteor. e geodin. 1893. Pirona G. A. Sull’attitudine a somministrare buona pietra da taglio dei terreni adiacenti all’alveo del Fella, a S Rocco, nonché ai rivi Borizzo e di S. Rocco — Udine 1890. Ponzi G. Catalogo ragionato di una collezione di materiali da costru- zione dello Stato Pontificio inviati alla esposizione universale di Londra — At. Acc. Pont, de ’ n. Line. 1862. Ponzi G. (con Masi). Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Min. di A. I. C. all’espo- sizione universale di Vienna — Poma 1873. Portis A. La pietra di Aisone, la pietra di Cabaneira (Colle di Tenda) — Nella Nota: due loc. foss. nelle Alpi mar. Boll. Soc. geol. 1898. Ristori G. Il conglomerato miocenico ed il regime sotterraneo delle acque nel promontorio e monte Portotino — At. Soc. se. nat. tose. 1901. • — I calcari marnosi ed i cementi idraulici della ditta G. B. Niccolini presso Incisa (Valdarno) — Firenze 1901. — Studio idrografico e geologico dei bacini imbriferi di Celtibino, Sec- ciano e Cafaggiolo nella catena Chiantigiana (Valdarno superiore). — Atti Soc. tose. se. nat. 1902. — I bacini imbriferi della valle del Faggia e della valle del Recco. — Giorn. di geol. pr. Genova 1903. Rovereto G. Osservazioni geologiche lungo la nuova linea ferrata Ge- nova-Ovada. — Boll. Soc. geol. 1894. — Alcune note sul porto di Genova. — At. Soc. Lig. se. nat. e geogr. 1896. — Studio geologico di alcune ferrovie progettate attraverso l’Apennino Ligure. — At. Soc. IJg. se. nat. e geogr. 1901. — Nuovi studi geologici sulle grandi gallerie transapenniniche di re- cente progettate. — At. Soc. Lig. se. nat. e geogr. 1902. — Nuovi studi geologici sulle grandi gallerie transapenniniche di re- cente progettate. — Giorn. di geol. pr. Genova 1903. Sacco F. Sopra due tracciati per la linea ferroviaria Torino-Chieri- Piorà-Casale. — Torino 1889. — Sopra un progetto di serbatoio in valle Usseglio. — Torino 1889. — Sopra un progetto di derivazione di acqua potabile della Regione Priglia (Savigliano). — Torino 1895. 563 CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA Sacco (e Barlacci). Relazione geologica sull’acqua potabile di Val San- gone. — Pub. del Covi, di Torino 1896. Sacco F. Relazioni geologiche sopra progetti di derivazione d’acqua potabile per Torino, Bra, Tossano, S. Damiano d’Asti, Moncalieri, — Torino 1896-98. — Schema del corso di Geologia applicata dettato nella R. Scuola de- gl'ingegneri in Torino. — Torino 1898. — I materiali da costruzione delle colline di Torino. 1 orino 1898. — La geologia e le linee ferroviarie in Piemonte. — Torino 1898. — Il pozzo trivellato di Alessandria. — Torino 1898. Sopra un progetto di derivazione di acqua potabile della Regione di Cafasse presso Lanzo. — Torino 1898. Osservazioni di geologia applicata circa un progetto di deiivazione d’acqua potabile dal Piano della Mussa a Lanzo. — Pubi, del Covi, di Torino 1900. Projet de captage et d’adduction d’eau potable des \ allées de Lanzo pour l’alimentation de la Ville de Turili. — Soli. Soc. Belge de Geol. Pai. Hydr. 1901. — Considerazioni geologiche sopra alcune ricerche d’acqua potabile per la Città di Cuneo — Pubi, del Mun. di Cuneo 1901. Sacco (e Gragnola). Relazione sulle condizioni geologiche e costruttive d’un serbatoio in prossimità del Piano della Mussa sopra Balma (Val d’Aia, Stura di Lanzo) — Pubi, Città di Torino 1901. Sacco F. Le trivellazioni della Venaria Reale — Torino 1901. — La frana di Mondovì — Ann. R. Acc. agr. Torino 1901. — Relazione geologica sopra le gallerie eseguite presso C. Sigismondi (Piano della Mussa, Valle della Stura d'Aia) - Torino 1902. — La frana di S. Antonio nel territorio di Cherasco — Ann. R. Acc. agr. Torino 1903. — Considerazioni geologiche sopra un progetto di bacino artificiale pei irrigazione in territorio di Carmagnola — Ann. R. Acc. agr. To- rino 1903. — Il problema dell’acqua potabile di Mondovì in rapporto alla geologia — Giorn. di geol. pr. Genova 1903. — Osservazioni di geologia applicata sopra la progettata linea ferro- viaria di Torino-Cartosio-Savona — Giorn. di geol. pr. Genova 1903. m . Salmoiraghi F. Alcuni appunti geologici sull’Apennino tra Foggia e Napoli — Soli. Covi. geol. 1881. Salmoiraghi (e Molinari). Catalogo della collezione dei materiali da costruzione naturali ed artificiali presentata alla esposizione italiana nel 1881 a Milano — Milano 1882. Salmoiraghi (e Paladini). Sulla derivazione del fiume Tresa — Mi- lano 1882. 564 ELENCO DI SCRITTI Saliuoiraghi F. Sui materiali naturali per costruzioni e decorazioni edi- lizie, con una carta dei giacimenti di materiali in Italia — L’ing. nella esp. ind. it. in Milano 1882. — Alcune osservazioni geologiche sui dintorni del Iago di Cmnabbio (con un profilo della galleria del Ronco) — Ai. Soc. Se. nat. Mi- lano 1882. — Sulla galleria abbandonata di Maiolungo in Calabria citeriore Boll. Soc. ‘geol. 1883. Salmoiraglti (con Giordano e Lanino). Linea succursale dei Giovi, Gal- leria di Ronco — Roma 1887. Salmoiraglii F. Materiali naturali da costruzione — Milano 1892. — Osservazioni geologiche sopra alcuni pozzi recentemente perforati nella Provincia di Milano — Rend. li. Ist. Lomb. Se. e Leti. 1892. — Giacimenti ed origine della terra follonica (argilla smettica) di Ma- rone e Sale Marasino sul lago d’Iseo. — Atti Soc. se. nat. Mila- no 1893. Saliuoiraghi F. (e Paladini). Sui progetti di approvigionamento d’ac- qua per Trieste dei sigg. ing. Barazer e Ducati. — Trieste 1895. Saliuoiraghi F. Frane. — Atti Soc. se. nat. Milano 1897. — Geologia ed Ingegneria. — Il Politecnico. Milano 1S97. Savi P. Catalogo ragionato di una collezione geognostica contenente le rocce più caratteristiche della Toscana. — Giorn. di let. Pisa 1830. — Relazione sui fenomeni presentati dai terremoti di Toscana uell’ago- sto 1846. — Pisa 1846. Scacchi A. Osservazione di fenditure aperte nelle pianure di Aversa il 21 settembre 1852. — 1852. Scarabelli G. Sulla diversa probabilità di riescita dei pozzi artesiani nel territorio Imolese. — Imola 1850. — Nuovi studi sulla probabilità di felici risultati di un pozzo artesiano in Imola. — Imola 1898. — Osservazioni geologiche e tecniche fatte in Imola in occasione di un pozzo artesiano eseguito a spese della Cassa di risparmio. — Imola 1898. Segrò C. Appunto geognostico sulle rocce calcareo-magnesifere che co- steggiano il Velino vicino al paese di Antrodoco. — Boll. Soc. geol. 1882. — Sulla costituzione geologica dell’Apennino Abruzzese. — Boll. Soc. geol. 1883. — Studi geologici presentati alla esposizione nazionale di Torino dalla Società delle S. F. M. — Boll. Coni. geol. 1884. — Note sulla struttura dei terreni considerata in riguardo ai lavori ferroviari eseguiti dalla Società delle S. F. M. — Diree. lar. Soc. S. F. M. 1901. — Sulla struttura dei terreni considerata in riguardo ai lavori ferro- viari eseguiti dalla Soc. delle S. F. M. — Boll. Soc. geol. 1903. CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA £65 Sequenza G. Intorno alla geologia di Romctta esaminata dal lato pe- trografia, stratigrafico e geogenico in rapporto alle acque potabili di quel monte. — Giorn. Se. nat. ed econ. del Cons. di perf. ann. Ist. ind. Palermo 1866. Stella A. Cenno sui materiali utili di Val dell’Orco (in Rei. sul rii. geol. es. nel 1893 nelle Alpi Graie) — Boll. Coi», geol. 1894. Cenno sui materiali utili di Val di Po fin rii. geol. es. nel 1895 in Val di Po) — Boll. Coni. geol. 1896 . — Sulla idrografia sotterranea della pianura del Po — Boll. Soc. geo- logica 1896. Sulle condizioni geognostiche della pianura piemontese rispetto alle acque di sottosuolo — Boll. Coni. geol. 1900. — Beitrage zur Kenntniss der Art und Weise des \\ asseraufsteigens in Schwemmgebirge — Zeits. far prakt. Geol. 1S99. Sulle condizioni geognostiche del territorio di Salò rispetto al tei- remoto del 39 ottobre 1901 — Boll. Corn. geol. 1902. A proposito di geologia applicata nelle nostre scuole d’ingegneria — Rass. min. 1897. Stoppali! A. Note ad un corso annuale di geologia dettate ad uso degli ingegneri allievi del R. Istituto tecnico superiore. — Milano 1867. Cenni sulle cause della deficienza di buone acque potabili sul tei ì i - torio di Rovato (Provincia di Brescia). — Il Politecnico. 1876. L’iliade brembana, ossia difesa del progetto adottato dal Consiglio comunale di Milano per l’introduzione dell’acqua potabile. — Mi- lano 1S83. Tarameli i T. Sugli scavi di Concordia. — Venezia 1874. Osservazioni geologiche a proposito del Becca presso Trieste. Trieste 1877. Osservazioni sui monti circostanti al Sempione in occasione di un progetto di traforo alpino. — Boll. Soc. geol. 1882. Sorgenti e corsi d’acqua nelle Prealpi. — Rend. Ist. Lomb. se. e let. 1883. Rapport à la Commission sur le tunnel du Simplon. — Lausanne 1884. La formazione naturale del suolo Veneto. — Club Alp. Frinì- 1883. — Osservazioni sulla Provincia di Avellino in occasione di una perizia fc rrovi B. Sopra un affioramento di scisto bituminoso a Santo Padre. — Boll. Coni. geol. 1890. Campani G. (e Gianuetti). I combustibili fossili della Provincia di Siena in servizio delle industrie. — At. Acc. Fisiocritici. Siena 1873. Capacci C. Notices sur les mines et usines de Freiberg. — Ber. unir, des Mines. Liege 1881. — La formazione ofiolitica del Monteferrato presso Prato. — Boll. Coni. geol. 1881. — Mémoire sur les mines et usines du Harz supérieur Liège 1881. — Ueber die Oberharzer Hiitten processe — Berg und Huttenmannische Zeitung. — Leipzig 1882. — Notizia sulla miniera di lignite del Colle dell’Oro presso Terni. 'Terni 1886. — Studi sulle ligniti. — Encicl. arti et ind. Torino 1890. — Perizia extragiudiziale sulle miniere petroleifere di Ozzano. Fi- renze 1896. — Studio sulle miniere di Monteponi, Montevecchio e Malfidano in Sar- degna. — Boll. Soc. geol. 1896. — Cenno sulle miniere di Manganese di Monte Alpe, Monte Zenone e Monte Porcile, e sulle miniere di rame di Monte Bardeneto e Monte Bianco presso Sestri Levante. — Firenze 1898. Perizia giudiciale sulla miniera di mercurio del Siele (Monte Amiata). — Firenze 1898. Cortese E. Le miniere di ferro dell’Elba. Bass. min. 1899. Miniere di solfo e carbone al Venezuela — Bass. min. 1901. Crema C. Il petrolio nel territorio di Tramutola (Potenza). — Boll. Soc. geol. 1902. D’Achiardi A. I metalli, loro minerali e miniere. — Pisa. — Mineralogia della Toscana. — Pisa 1873. Sulle miniere di mercurio in Toscana e sulla genesi loro. — At. Soc. Tose. se. nat. 1877. De Angelis d’Ossat G. Le sorgenti di petrolio a Tocco da Casalina. — Bass. min. 1899. — Escursione geologica alla miniera Marganci. — Bass. min. 1901. — L’allume dalla leucite. — Bass. min. 1901. — Appunti sopra alcuni minerali di Casal dei Pari. — B Acc. Line. 1902. — Un nuovo giacimento di cinabro presso Saturnia. — Bass. min. 1902. Observations géologiques sur les mines pétroliféres de Roumeme. — Bucarest 1902. — Sui giacimenti petroliferi della zona neogenica della Rumema. - Giorn di geol. pr. Genova 1903. 41 570 ELENCO DI SCRITTI De Angelis d’Ossat fi. Il giacimento di cinabro presso Saturnia. — Rass. min. 1903. — Les gisements pétroliferes en Italie. — Mon. des ini. pél. Roumains. — 1903. De Angeli» (e Millosevich). La miniera di antimonio di Montauto di Maremma e suoi dintorni. — Rass. min. 1901. Del Prato A. Petroli ed emanazioni gassose nelle Provincie di Parma e Piacenza. — Parma 1899. Demarchi L. Bacino lignitifero pliocenico di Roccantica (Umbria) — Rei. sere. min. 1874 — Ann. agr. Roma 1874. — Bacino lignitifero di Colle dell’Oro e di S. Clemente di Piedimonte presso Terni — Rei. Sere. min. 1874 — Riv. min. 1887-1899 — Ann. agr. Roma 1874 — Firenze 1899 — Roma 1900. — Bacino lignitifero pliocenico della valle del Puglia presso Cavallara (Gualdo Cattaneo) — Rei. sere. min. 1879 — Ann. agr. Roma 1882. — Banco di scisto bituminoso nei calcari di Monte Calvo e Rocca S. Ubaldo (Gubbio) — Rei. sere. min. 1881 — Ann. agr. Roma 1883. — Bacino lignitifero pliocenico di Spoleto — Rei. serv. min. 1881 — Riv. min. 1884 — Ann. agr. Roma 1883, Firenze 1886. — Allumite e caolino dei monti della Tolfa — Rei. serv. min. 1881-82 — Ann. agr. Roma 1883-84. — I prodotti minerali della Provincia di Roma — Ann. Stai. Roma 1882. — Pietre litografiche del monte Subasio e dei monti di Sellano — Rei. serv. min. 1882 — Riv. min. 1888 — Ann. agr. Roma 1884, Fi- renze 1890. — Bacino lignitifero pliocenico di Branca (Gubbio) — Riv. min. 1887 — Ann. agr. Firenze 1889. — Ocre naturali di Gualdo Tadino (Umbria) e di Subiaeo (Roma) — Riv. min. 1888 — Ann. agr. Firenze 1890. — Indizi di lignite terziaria nelle argille di S. Polo dei Cavalieri e nelle arenarie di Canterano (Roma) — Riv. min. 1888-89 — Ann. agr. Firenze 1890. — Bacini lignitiferi di Narni e di Aspra (Umbria) — Riv. min. 1888 — Ann. agr. Firenze 1890. — Torbiera di Carnpotosto (Aquila) — Riv. min. 1890 — Ann. agr. Fi- renze 1892. — Sabbie silicee del monte Soratte (S. Oreste) e di Ferento (Viterbo) — Riv. min. 1890 — Ann. agr. Firenze 1892. — Asfalti, bitumi e petroli nelle Provincie di Cliieti e di Roma — Calai, mostra R. C. Min. alla esp. di Parigi. Roma 1900. — Leuciti considerate dal punto di vista delle leggi minerarie in rela- zione al loro modo di distribuzione nelle formazioni vulcaniche romane — Riv. min. 1901-1903. Dompè L. Cenni descrittivi di alcuni gruppi di cave delle Provincie venete. — Riv. serv. min. 1899. CONTE MENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA 571 Dompè L. Cenni descrittivi dei più importanti gruppi di cave delle Provincie venete. — Calai del R. C. delle Min. alla Esp. di Pa- rigi. 1900. — Cenni descrittivi dei più importanti gruppi di cave della Sicilia. — Riv. Serv. Min. 1901. Franchi S. V. Stella. Gastaldi II. Depot aurifere de la piaine de Piemont. — Bull. Soc. geol. de France 1851. Giuli G. Analisi chimica di una miniera di rame nelle vicinanze del- l’Impruneta. — Siena 1807. Brevi notizie sulle miniere di zolfo del Chianti. Bibl. Hai. Mi- lano 1834. Guiscardi G. Sopra una nuova sorgente di acqua minerale nella solfa- tara di Pozzuoli. — Rend. R. Acc. se. fis. e mat. Napoli 1875. Issel A. Cenni sulla miniera ramifera di Bargone. — Giorn. Soc. lett. e conv. scieni. Genova 1880. Sulle tracce di antichissima lavorazione osservate in alcune miniere della Liguria. — Rass. sett. di poi. se. lett. ed arti. Roma 1879. Jervis G. Tesori sotterranei d’Italia. — Torino 1874. Lattes 0. Sulle miniere di galena argentifera di Przibram (Boemia). — Torino 1877. — Industria mineraria alla esposizione italiana del 1881 a Milano. Milano 1884. Lotti B. La miniera cuprifera di Montecatini in Val di Cecina. Boll* Coni. geol. 1884. Su] giacimento cuprifero di Montecastelli in Provincia di Pisa. Boll. Coni. geol. 1885. — I giacimenti ferriferi del Banato e quelli dell’Elba. — Boll. Com. geol. 1887. — I giacimenti cupriferi dei dintorni di Vagli nelle Alpi Apuane. Boll Coni. geol. 188S. La genèse des gisements cupriféres des dépots ophiolitiques tertiaires de l’ Italie. — Boll. Soc. Belge de Geol. ec. 1889. Ulteriori notizie sul giacimento cuprifero di Montecastelli Pisa). — Boll. Coni. geol. Is90. — Sul giacimento cuprifero di Montaione in Val d’Elsa (Firenze). - Boll. Com. geol. 1890. — Ueber die Entstehung der Eisenerzlagerstatten der Insel Elba und der toschanichen Kiisteregion. — Geol. Fòr. i Stockholm Forhandl. 1891. Cenno sui giacimenti cupriferi spettanti alla Società delle miniere di Montecatini. — Roma 1891. — Sulla genesi dei giacimenti metalliferi nelle rocce eruttive basic ìe. Boll. Com. geol. 1893. 572 ELENCO DI SCRITTI Lotti B. Descrizione geologico-mineraria dei dintorni di Massa Marit- tima in Toscana. — Roma 1893. — Die geologischen Verhaltnisse der Thermalquellen im toschauischen Erzgebirge. — Zeits. fur prakt. Geol. 1893. — Die Kupferlagerstatten der Serpentingesteine Toscanas und deren Bildungdurch Differentiationsprocesse in basischen Eruptivmagmen. — Zeits. f. prakt. Geol. 1891. — Die Eisemerzlagerstiitten und die Feldspatheruptiogesteine der Insel Elba. — Zeits. f. prakt. Geol. 1895. — Sulle condizioni geologiche della sorgente termale di Vignoni presso S. Quirico d’Orcia. — Boll. Coni. geol. 1895. — I giacimenti metalliferi di Castel di Pietra nella Maremma Toscana. — Pisa 1895. — Ueber die Erzlagerstàtte von Castel di Pietra in Toscana. — Zeits f. prakt. Geol. 1896. — Osservazioni geologiche e mineralogiche sui dintorni di Villacidro in Sardegna. — Boll. Soc. geol. 1896. — Das Zinnobervorkommen von Jano bei Volterra in Toscana. — Zeits. f. prakt. Geol. 1897. — Il campo cinabrifero dell’Abbadia S. Salvatore nel M. Annata. — Bass. min. 1897. — Il filone della Sassa in Val di Cecina. — Rass. min. 1898. — Eine Lagerstàtte von gediegenen Kupfer bei Pari in Toscana. — Zeits. /'. prakt. Geol. 1899. — I soffioni boraciferi della Toscana. — Rass. min. 1900. — I giacimenti metalliferi della Tolfa in Provincia di Roma. — Rass. min. 1900. — Die Zinnober und Antimon fiihrenden Lagerstatten Toscanas und ihre Beziehung zu den quartaren Eruptivgesteinen. — Zeits. f. prakt. Geol. 1901. — Sulla genesi dei giacimenti metalliferi di Campiglia Marittima. — Boll. Coni. geol. 1900. — Sul giacimento cuproplumbifero di Cap Garonne presso Tolone. — Rass. min. 1901. — Die gesehichteten Erzlagerstatten und das Erzlager vom Cap Garonne in Frankreich. — Zeits. f. prakt. Geol. 1901. — Sul giacimento di pirite di Gavorrano. — Rass. min. 1901. — Sulla probabile esistenza di un giacimento cinabrifero nei calcari basici presso Abbadia S. Salvatore nel M. Amiata. — Boll. Coni, geol. 1901. — Condizioni geologiche e genesi del giacimento cinabrifero di Corte- vecchia nel M. Amiata. — Rass. min. 1902. — I depositi dei minerali metalliferi. — Guida allo studio e alla ricerca dei giacimenti metalliferi con speciali esemplificazioni di giacimenti italiani. — Torino 1903. 573 CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA Lotti B. Sul giacimento di bauxite di Colle Carovenzi presso Pescosolido (eirc. di Sora) nella valle del Liri. — Rass. Min. 1903. Mattirolo E. (ed Aicliino). Esame di alcuni campioni di rocce e mine- rali cinabriferi del Siele. — Riv. min. 1889. Firenze 1890. Mattirolo E. Sopra alcuni saggi di minerali di ferro e rocce dell Isola d’Elba. — Boll. Coni. geol. 1897. — Bauxiti italiane. — Boss. min. 1901. — Sui minerali utili della valle di Champorcher (in Rei. del rii. geol. nelle Alpi Graie nel 1897). — Boll. Com. geol. 1899. Sui giacimenti di allumite e di caolino della Tolfa (Rei. sulla gita della S. G. I. a Civitavecchia e alla Tolfa. — Rass. min. 1900. Mazzuoli L. Appunti geologici sul giacimento cuprifero di Montecatini. — Boll. Com. geol. 1883. — Sul giacimento cuprifero della Gallinaria. Boll. Com. geol. 188.). — Sul carbonifero della Liguria occidentale. — Boll. Com. geol. 1887. — Nuove osservazioni sulle formazioni ofiolitiche della Riviera di Le- vante. — Boll. Com. geol. 1892. Meneghini G. Cenni geologici sul terreno nel quale si trovò il combu- stibile fossile di Raveo. — At. I. R. Ist. 1 eneto. 1849. — Intorno agli strati di litantrace scoperti ultimamente nella Carma. — At. I. R. Ist. Veneto 1845. — Dell'antracite di Raveo. — Padova 1846. — Rapporto scientifico sul combustibile fossile di Raveo in Canna. — Padova 1846. . . — Combustibile fossile di Raveo. - Att. Vili riun. Bcxenz. it. in Ge- nova 1847. „ — Rapporto sulla miniera ramifera di Bisano nel Bolognese. — òoc. min. Bologna 1853. — Sui giacimenti ramiferi di Libbiano. Pisa 1859. . — Secondo rapporto sui giacimenti ramiferi di Libbiano. — Livorno 1 • — Rapporto sui lavori eseguiti dalla Società mineraria Anglo-1 oscana durante l’anno sociale 1860-61. — Livorno 1861. _ Notizie sulla lignite della miniera del Poder nuovo in Monte Rutoli. — Livorno 1862. — Ulteriori notizie ecc. — Livorno 1862. # . _ Enumerazione dei prodotti minerari della Provincia di Pisa. Prov. Pisa 1863. r • _ Minerale di rame della miniera del Caggio in Monte Rufoli. rorno 1865. . — Rapporto sulla miniera cinabrifera del Siele. — Livorno li b5.. _ — Sulla promiscuità dei minerali di zingo e di piombo nelle miniere del Salto di Gessu in Sardegna. — Livorno 1867. — Sulla produzione dell’acido borico dei Conti De La r ere _ Rapporto scientifico sulla miniera carbonifera di Monte Rutoli Livorno 1868. 574 ELENCO DI SCRITTI Meneghini tì. Rapporto della visita fatta alla miniera di Bisano il 15 maggio 1868 — Bologna 1S68. Molon F. Sopra gli scisti bituminosi dell’alta Italia nei rapporti scien- tifici ed industriali — R. Ist. Lomb. se. e le.it. 1865. — Sopra gli scisti bituminosi e combustibili fossili dell’alta Italia — Atti R. Ist. Veneto 1865. Molon (e Fasoli). Sulla nuova fonte minerale della Scaletta in Valma- dana presso Vicenza — Vicenza 1870. Nicolis E. Note preliminari analitiche e geologiche sulla fonte termo- minerale di Sermione — Acc. agr. e se. Verona 1800. — Sul pozzo a gas infiammabile e ad acqua saliente di Angrari. — Acc. agr. e se. Verona 1880. Novarese V. I giacimenti auriferi della Puna di Iujuy (Rep. Argentina). Ann. agr. N. 191. Rei. sul serv. min. nel 1890. Firenze 1892. — Il litantrace. — Enc. art. ind. l'orino 1892. — Die Quecksilbergruben des M. Amiatagebieten in Toscana. — Zeits. fur pralct. geol. 1895. — L’avvenire della produzione aurifera. — Meni. Soc. geogr. it. 1895. — Il talco della valle del Chisone. — Rass. min. 1897. — I giacimenti di grafite delle Alpi Cozie. — Boll. Covi. geol. 1898. - Rass. min. 1898. — Miniere di Huelva. — Rass. min. 1900. — La miniera del Beth e Ghinivert. — Rass. min. 1909. — L’origine dei giacimenti metalliferi di Brosso e Traversella in Pie- monte. — Boll. Covi. geol. 1901. — Die Erzlagerstàtten von Brosso und Traversella in Piemont. — Zeits. fur pralct. Geol. 1902. — Der Bauxit in Italien. — Zeits. fur pralct. Geol. 1903. — Il giacimento antimonifero di Canapiglia Soana nel Ciré. d’Ivrea. — Boll. Com. geol. 1902. — Miniere e cave italiane — in « Penisola It. » di I. Fischer. Torino 1902. Pagani lT. Sopra due nuovi bollitori o salse presso il torrente Sellustra. Boll. Soc. geogr. it. 1899. — La salsa di S. Martino in Pedriolo presso Castel S. Pietro. — Cult. geogr. Firenze 1900. — Su alcune sorgenti di gas nel Bolognese. — Rie. geogr. it. Firenze 1900. — Sorgenti di petrolio nel Bolognese. — Rass. min. 1900. Pantanelli I). Nuova miniera d’antimonio nella Provincia di Siena — Verb. Soc. Tose. se. nat. 1878. — Rame e mercurio nativo neH’Apennino Emiliano — Rend. R. Acc. Line. 1806. — Descrizione geologica dei dintorni della Salvarola (in Bagni della Salvarola) — Modena 1000. 575 CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA Pellati N. Miniere cl’oro del Monte Rosa e di Val Corsente — Stat. li. It. 186S. — Miniera e stabilimento metallurgico di Agordo — Stai. li. It. 1868. — Id. (traduzione inglese fatta da 0. Le Neue Forster) — Boll. Miners Assoc. of Corninoli and Devonschire. Truro 1869. — Miniere delle Provincie Venete — Stat. li. It. 1868. — Saline di Salsomaggiore — Stat. R. It. 1868. — Giacimenti lignitiferi della Provincia di Teramo — Boll. Covi. geol. 1873. Pellati (con Toso e Cortese). Studi sui combustibili fossili, specialmente della Calabria — Ann. agile. Firenze 1890. Pellati N. I progressi delle industrie minerarie e metallurgiche. Lettera al sig. C. Le Neue Forster — Giorn. Industria. Milano 1891. Pilla L. Osservazioni sulla miniera di ferro dell’Elba — Giorn. il Lu- cifero 1843. — Breve cenno sulla ricchezza mineraria della Toscana — Fisa 1845. — Parere sopra la miniera di rame del Poggio alla Villa — Pisa 1846. — Sur les filons piroxéniques et eupriferes de Campiglia. — Paris 1848. — Ricerche geologiche sopra i segni di depositi ramiferi che compari- scono nel territorio di Serrazzano e Libbiano. — Livorno 1849. Pirona G. A. Miniera di mercurio a Paloneto presso Cividale del Friuli. — Coìlet. d. Adige. Verona 1855. — Costituzione geologica di Recoaro e de’ suoi dintorni. — At. Ist. Veneto. 1863-64. — Intorno alla fonte minerale ferruginosa di Crespano. — At. Ist. Ve- neto 1871. Ponzi G. Rapporto scientifico alla Società in partecipazione per la ri- cerca ed escavazione dei carboni fossili di Tolfa, sui lavori e sullo stato attuale delle miniere. — Roma 1860. — Relazione dello stato in cui trovasi una miniera di lignite spettante alla Società Umbro-Sabina per le ricerche minerarie posta nel ter- ritorio di Città di Castello, contrada Valperino. — Perugia 1868. Rassegna mineraria e delle industrie mineralurgiche e metallurgiche, d'arti, scienze, economia e finanza affini. — Per. pubbl. in Torino. Ricciardi L. Sopra una lignite ed alcuni scisti bituminiferi di Sa- lerno. — 1882. Ristori G. Le formazioni ofiolitiche del Poggio dei Leecioni (Serraz- zano) ed il filone fra gabbro rosso e serpentina. — Boti. Soc. geol. 1900. Sacco F. Sulla istituzione d'un Corso di perfezionamento per Ingegneri delle Miniere in Torino. — L’ing. eie. e le arti ind. Torino 1903. Salmoiraghi F. Esiste la bauxite in Calabria? — Rend. Ist. Lomb. se. e Jet. 190(k Savi P. Sulla miniera di ferro dell’isola d’Elba. — Giorn. lett. Pisa. 1835. 570 ELENCO DI SCRITTI Savi P. Delle rocce oliolitiche della Toscana e delle masse metalliche in esse contenute. — Giorn. lett. Pisa 1839. — Considerazioni geologiche e montanistiehe sopra le miniere delle vici- nanze di Massa Marittima. — 1847. — Giacimenti metalliferi di Orciatico a Monte Buono. — 1849. — Sulle miniere di rame della Badia in Val di Fine. — 1849. — Sulla miniera di rame ultimamente scoperta a Ripartella. — Pisa 1849. — Lettera informativa sulla miniera di Castellina marittima e sul- l’altra di Ripartella. — Pisa 1849. — Rapporto sui minerali presentati alla Esposizione dei prodotti greggi e lavorati fatta in Firenze. — Firenze 1850. — Sulla convenienza della cultura dei depositi cupriferi o miniere di rame nella tenuta di Monte Vaso. — Firenze 1850. — Rapporti sulla miniera della Castellina marittima e sull’altra di Ri- partella. — Pisa 1850-53-50 ecc. — Sopra i depositi di salgemma e sulle acque salifere del Volterrano. — At. Un. Pisa 186:1. Seguenza G. Ricerche mineralogiche sui filoni metalliferi di Fiumedinisi e suoi dintorni. — Messina 1856. — Studio chimico di un acqua sulfurea di Messina. — Palermo 1858. Sella <{. Giacimenti metalliferi della Sardegna. — Boll. Coni geol. 1871. — Sulle condizioni dell’industria mineraria di Sardegna. — Bel. alla Comm. paviani, d’incli. 1871. Spallanzani L. Recit des phénoménes observés à la Salsa de Querzola. — Berne 1795-97. — Sur les salses du Modénais. — Ann. de Chini. 1797. Spirek V. Das Zinnobervorkommen am Monte Amiata. — Zeits. f. prakt. Geol. Berlin 1897-1902. — La formazione cinabrifera del Monte Amiata. — Bass. min. 1897-1903. Stella A. A proposito di genesi dei giacimenti di petrolio. — Bass. min. 1899. — Sul giacimento piombo-basitieo di reg. Trou des Romains presso Courmayeur. — Bass. min. 1902. Stella (e Franchi). 1 giacimenti di antracite della Valle di Aosta. — Coni. geol. Meni, descr. della Carta geol. d’It. (in stampa). Stoppani A. I soffioni boraciferi di Toscana. — Ì877. — Relazione sulla Società Italiana delle miniere petrolifere in Terra di Lavoro. — Milano 1880. — Société Italienne des mines pétroleiferes de Terra de Lavoro. — Milano 1880. Taramelli T. (e Possa). Sui combustibili fossili del Friuli. — Ann. Ist. tecn. Udine, 1867. Taramelli T. Sul deposito di salgemma di Lungro in Calabria. — Meni. B. Acc. Line. 1880. — I depositi lignitici di Lefìe. — Boll. Soc. geol. 1898. CONTENENTI APPLICAZIONI DELLA GEOLOGIA 577 Tarauiclli T. Sulla giacitura degli scisti ittiolitici di Besano. — Mi- lano 190,2. — Di alcuni giacimenti lignitiferi del Vicentino. - Giorn.di geol.pr. 1903. Targioni-Tozzetti A. Rapporto generale sulle miniere dcirArgentiera e Val di Castello. — Livorno 1-38-34. — Relazione ed analisi chimica dell’acqua proveniente dalla polla delle Tamerici a Montecatini. — Firenze 1343. Targioni-Tozzetti A. (con Piria e Taddei). Acque minerali c termali dei RR. Stabilimenti balneari di Montecatini. — Firenze 1353. Targioni-Tozzetti A. La grotta di Monsummano (osservazioni chimiche). — Firenze 1854. — Parere sul modo di scelta del minerale di piombo argentifero del Bottino presso Serravezza. — Lucca 1857. — Relazione della miniera di piombo argentifero solforato del Poggio del Palazzetto presso Campiglia di Maremma. — Firenze 1S3S. — Relazione intorno alle miniere di rame di Monte Vaso e alle cave del combustibile fossile. — Firenze 1846. — Relazione sopra alcune miniere di mercurio e di rame nei monti presso il Castagno e allTmpruncta — Firenze 1850. Tenore G. L’industria del ferro c dell’acciaio in Italia dopo il 1860. — At. Lst. incor. Napoli 1877. — Priorità di osservazioni geologiche e d’importanza industriale dei giacimenti petrolciferi della valle del Tiri. — At. Ist. incor. Na- poli 18S9. — L’industria carbonifera in Italia. — At. Ist. ine. Napoli 1893. Trabucco G. Bacini petroliferi della Provincia di Piacenza. — Pia- cenza 1890. Villa A e G. B. Notizie sulle torbe della Brianza. — Giorn. ing. ardi, àgr. Milano 1864. Vinassa de Regny P. E. La sorgente acidulo alcalina litiosa di Uliveto. — Meni. Soc. tose. se. nat. 1900. Viola C. La valle del Sacco ed il giacimento di asfalto di Castro dei Volsci. — Boll. Coni. geol. 1895. — Sulla genesi dei minerali di Monteponi. — Pass. Min. 1901. — Sulle giaciture minerarie di Monteponi. — Pass. Min. 1901. — Sulla origine dei giacimenti ferriferi alle due Windgàlle (Cantone di Uri in Svizzera). — Pass. min. 1903. Volta A. Sopra i fuochi dei terreni e delle fontane ardenti in generale e sopra quelli di Pietramala in particolare. — Meni. Soc. it. mat. e fis. Verona 1784. Zaccagna I). Relazione sul carbonifero della Liguria occidentale. Boll. Coni. geol. (pross. pubi il.). ELENCO 1)1 SCRITTI £78 V. Pubblicazioni varie. Baldacci L. Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea (Clima e idrologia, minerali utili e materiali da costruzione, agricoltura, ecc.). — Meni, descr. d. Carta (/eoi. d’It. Roma 1891. Campani G. Saggio della costituzione geologica della Provincia di Siena. — Ann. cor. am. d. Proc. d. Siena. 1865. Giuli G. Progetto di una carta geografica ed orittognostica della To- scana per servire alla tecnologia ed al modo di rendere utili i mi- nerali. — Giorn. belle arti e tecn. Venezia 1835. — Saggio di statistica mineralogica della Toscana per servire ai pos- sidenti, ai medici, agli artisti, ai manifattori, ai commercianti. — An. se. nat. Bologna 1842 43. — Carta geografica di mineralogia utile della Toscana. — 1843. Issel A. Liguria geologica e preistorica. — Genova 1892. — La Geologia applicata ed i suoi intenti. — Giorn. di geol. pr. 1903. Meneghini G. Saggio sulla costituzione geologica della Provincia di Grosseto. — Stai. Prov. Grosseto 1865. Ministero di A. I. C. Rivista del servizio minerario — Pubbl. annuale del C. R. delle Miniere. Rovereto (e Vinassa de Regny). Giornale di Geologia pratica. — Genova. Sacco F. Geologia applicata del bacino terziario e quaternario del Pie- monte. — Boll. Com. geol. 1890. — Osservazioni geologiche. — Milano 1899. — L’Apennino settentrionale (osservazioni speciali sui caratteri di geo- logia applicata dei diversi terreni) — Boll. Soc. geol. 1891-92. Stella A. Sullo sviluppo e indirizzo della geologia applicata in Italia. — Boll. Soc. geol. 1897. Stopparli A. Il bel paese. — Milano 1876. Verri A. Utilità degli studi geologici. — Boll. Soc. geol. 1886. — Sulla necessità degli studi geologici. — Boll. Soc. geol. 1903. Virgilio F. Geomorfogenia della Prov. di Bari — in Op. « La Terra di Bari» del. dal Cons. Prov. per l’espos. di Parigi. Troni 1900. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXI 1 Rendiconti. PAG. Consiglio direttivo per l’anno 1903 ni Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società. ... iv Elenco dei soci per l’anno 1903 ivi Soci perpetui ivi » a vita v » ordinari iyI Elenco dei cambi XIV Verri A. — Inaugurazione dell’anno 1903 XIX Resoconto dell’adunanza generale invernale tenuta in Roma il 21 febbraio 1903 xxxiv De Stefani C. — Nuovi fossili delle Alpi Apuane . . . xi.vi De Stefani C. — Sugli scavi che si fanno a Tor di Quinto presso Bona > • • • xlvii Meli R. — Di una lapide esistente in Bagnorea nella quale si fa parola del terremoto ivi avvenuto nell’anno 1695. ivi Clerici E. — Farina fossile a diatomee d’acqua dolce affio- rante al Borghetto quasi a livello del lago di B