Anno XXIV. Fascicolo 1° (1° trimestre 1905). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1905 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volumi finora pubblicati. Voi. I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » IL (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 18 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » > VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori. » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » > XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag., 4 tav. e una carta geol. a colori. » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 » pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag, .,11 tav. e una carta geol. a colori. » XX. (1901) 3 » clxxxvi-694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori. » » » 1 » Appendice. Prospetti ed indici relativi ai voi. I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole. » XXI. (1902) 3 » clxvi-584 pag. e 18 tavole. » XXII. (1903) 3 » clviii-582 pag., 12 tav. e 2 carte geol. a colori. > XXIII. (1904) 3 » clxxxiv-566 pag. e 13 tavole. Per l’acquisto dirigere lettere e valori al Segretario Prof. Antonio Neviani lì. Liceo Visconti. Roma. BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXIV — 1905 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Yia della Pace N. 35 1905 ' ' ■ . SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1905 Presidente Torquato Taramelli (Pavia). 1905. Yiee-Presideiite . . . Lucio Mazzuoli (Roma). 1905. Segretario Antonio Neviani (Roma). 1904-1906. Tesoriere-Economo ff. . . . idem. Archivista Vice-Segretari . . . . Enrico Clerici (Roma). 1904-1906. Tacconi Emilio (Pavia). 1905. Alfredo Bordi (Roma). 1905. Consiglieri . Carlo Fabrizio Parona (To- rino). Francesco Bassani (Napoli) . Carlo De Stefani (Firenze). Eugenio Scacchi (Napoli). . ) Luigi Brugnatelli (Pavia). . Lorenzo Bucca (Catania) . . Majiio Canavari (Pisa) .... Federico Sacco (Torino). . . Annibale Tommasi (Pavia) . . Gaetano Rovereto (Genova) Alberto Fucini (Pisa) . . .-. 1903-905. 1905. 1 904-906. 1905-907. Commissione per le pubblicazioni . . Il Presidente j Il Segretario . ( prò tempore ). Il Tesoriere ] Commissione del bi- lancio Giovanni Aichino . Mario Cermf.nati . Pietro Zezi . . . . 1905. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. y IV ELENCO DEI PRESIDENTI — ELENCO DEI SOCI Elenco (lei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. 1883. 1884. I 885* 1886. 1887. 1888. 1889. 1890. TorquatoTaramelli 1891. Gaet. G. Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolò Pellati 1901. Carlo Fabrizio Parona i 902. Giovanni Capellini 1003. Antonio Verri 1904 Romolo Meli Giuseppe Meneghini Giovanni Capellini Antonio Stoppani Achille De Zigno Giovanni Capellini Igino Cocchi Giuseppe Scarabelli Giovanni Capellini Elenco dei Soci per l’anno 1904 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell’adu- nanza generale del 16 settembre 1900 in Acqui. Soci per petali. 1. Quintino Scila (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fondatori della Società; venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1S85 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime nel- l'adunanza generale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell'adu- nanza generale di Savona il 15 settembre 1S87. 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società; venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell’adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. E uno dei tre fondatori della Società: venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V Soci a vita. Residenti in Italia. 1884. 1 Targagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Fi- renze. 1881. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. 1900. Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. 1890. Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. 1899. Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). 1894. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi. Iglesias. 1881. Maitirolo ing. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Niccoli ing. comm. Enrico. Via dell' Indipendenza, 54. Bologna. 1882. Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1895. io Rosselli ing. cav. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1882. Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1882. 12 Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Residenti all’estero. 1901. 13 De Dorlodot chan. prof. Henri. Université catholique. Louvain (Belgio). 1881. Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 238. Paris. 1881. Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra/ 1890. Johnston-Lavis dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes, Francia). 1884. Levat ing. David. Boulevard Malesherbes 174. Paris. 1882. Levi bar. Adolfo Scander. Nizza (Alpi Marittime). 1881. Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1881. 20 Pélagaud doct. Elisée. Chàteau de la Pinède, Antibe (Alpes Maritimes, Francia). 1886. 21 Stephanescu prof. Gregorio. Universitat. Bukarest (Ru- menia). 1 Primo anno di associazione. VI ELENCO DEI SOCI 1894. 1898. 1899. !9°4* 1891. 1903. 1892. 1886. 1898. 1896. io 1903. 1902. 1881. 1890. i9°3- 1881. 1901. 1 883. 1897. 1885. 20 1900. 1898. 1892. 1885. 1902. 1904. 1885. 1897. 1882. 1893. 3° 1901. Soci ordinari. Residenti in Italia. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Airaghi prof. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). Aloisi dott Piero. Museo mineralogico R. Università. Pisa. Ambrosiani sac. prof. Michelangelo. Merate (Como). Ammanii ing. Federigo. Abbadia S. Salvatore (Siena). Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. Antonelli prof, don Giuseppe. Via del Biscione, 95. Roma. Antonelli-Giordani avv. Giuseppe. Corso Umberto I, 307. Roma. Arcangeli prof. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. Arsela prof. cav. Cesare. R. Università. Bologna. Audenino prof. Lodovico. R. Liceo. Chieri (Torino). Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). Bargellini prof. Mariano. La Tinaia presso Empoli (Firenze). Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. Bellini dott. Raffaele. Museo Geologico. Torino. Berti dott. Giovanni. Via Castiglione, 30. Bologna. Bettolìi dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. Biagi prof. Giuseppe. R. Scuola tecnica. Spezia. Bianchi prof, ing Aristide. Liceo. Chieri (Torino). Biblioteca civica. Bergamo. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). Bonetti prof, don Filippo. Via Agonale, 3. Roma. Bonomini rev. Giovanni. Memmo (Brescia). Bordi prof. Alfredo. Via della Luce, 47. Roma. Borgnini ing. comm. Secondo. Direzione generale fer- rovie della Rete Adriatica. Firenze. Bortolotti prof. Emma. Viale Po, io. Roma. Botti avv. comm. Ulderigo. Reggio di Calabria. Botto Micca dott. prof. Luigi. R Scuola tecnica. Ven- timiglia. Bigotti dott. Gaetano. Corso S. Celso, 13. Milano. ELENCO DEI SOCI VII ^897. Brambilla prof, don Giovanni, Arciprete. Cingi a dei Botti (Cremona). 1885. Brugnatelli prof. Luigi. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pavia. ■1905. Brunati dott. Roberto. Erba per Albese (Como). 1884. Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. 1891. Bacca prof. Lo^en^o. R. Università. Catania. 1889. .Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. 1897. Caetani (dei principi) ing. Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. 1898. Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. 1883. 40 Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. 1881. Capacci ing cav. Celso. Via Vaifonda, 7. Firenze. 1899. Capeder prof. Giuseppe. Via Giorgio Asproni, 8. Sassari. 1903. Cappelli march, dott Giovanni Battista. Via del Ba- buino 51 pp. Roma. 1892. Carape^a prof. ing. Emerico. R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Palermo. 1883. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. 1896. Carniccio prof. comm. Antonio. R. Università. Roma. 1896. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). 1882. Cattaneo ing. comm. Roberto Via Ospedale, 51. Torino. 1890. Cermenati prof. Mario. Via Cavour, 238. Roma. 1895. 50 Cerulli Irelli dott. Serafino. Teramo. .1900. Checchia- Rispoli dott. Giuseppe. Museo Geologico, Regia Università. Palermo. 1901. Chiabrera dott. coate Cesare. Acqui. 1882. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. 1903. Ciampi ing. Adolfo. Miniera Ribolla (Grosseto). 1882. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo), n 886. Clerici ing. cav. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. 1899. Colomba dott. Luigi. R Museo Mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. 1895. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). 1902. Corio prof. Francesco. Istituto Tecnico, Spezia. .1881. 60 Cortese ing. Emilio. Corso Firenze, 25. Genova. .«8qo. Corti prof. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). Vili ELENCO DEI SOCI 1895. Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. 1895. D’Acliiardi prof. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. 1902. Dal Lago dott. Domenico. Valdagno (Vicenza). 1899. Dal Pia 7 dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. 1900. D’Anna ing. cav. Salvatore. Ufficio speciale del genio- civile per la sistemazione del Tevere. Roma. 1893. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. 1883. De Amicis prof. Giovanni Augusto. R. Liceo. Voghera.. 1891. De Angelis d’Ossat prof. cav. Gioacchino. R. Università. Roma. 1881. 70 De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Via Carmine 2. Torino. 1895. De Franchis dott. Filippo. Galatina (Lecce). 1883. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo,. 128. Palermo. 1886. Del Bene ing. Luigi. Corso Garibaldi, 39. Spoleto. 1 900. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1886. Dell’ Erba ing. prof. Luigi. R. Scuola Applicazione In- gegneri. Napoli. 1892. De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Napoli. 1881. Del Prato prof. Alberto. R. Università. Parma. 1900. De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. 1882. Demarchi ing. comm. Lamberto. Via Napoli, 65. Roma. 1892. 80 De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 1890. Dervieux sac. Ermanno. Via Massena 34. Torino. 1881. De Stefani prof. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1899. De Stefano prof. Giuseppe. R. Scuola Tecnica. Sore— sina (Cremona). 1905. Di Franco dott. Salvatore. R. Università. Catania. 1883. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolz.e (Torino). 1885. Di Stefano prof. cav. Giovanni. R. Università. Pa- lermo. 1896. Dompè ing. Luigi. Piazza G. Meli, 5. Palermo. 1903. Eliotipia Calzolari e Ferrarlo. Viale Monforte, 14. Milano. 1901. Etna cav. Silvio , tenente colonnello 5.0 regg.0 Alpini. Milano 1896. 90 Fabani don Carlo. Valle di Morbegno (Sondrio). ELENCO DEI SOCI IX I9O2. 1898. 1904. 1894. 1897. 1901. l88l. 1892. 1890. 1905. 1890. 1898. 1891. 1891 . 1902. 1903. 1887. 1892. i 88 1 . 1881. 1883. 1889. 1884. 1896. 1881. 1896. 1905. 1882. 1899. 1899. 1903. Fantappiè prof. Liberto. Via Mazzini, 4. Viterbo. Fatichi cav. not. Nemesio. Borgo degli Albizi, 9. Firenze Fermai ing. Ferruccio. Poggibonsi (Siena). Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignanor Torino. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Lame, 24. Bologna. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. Franco prof. Pasquale. Corso Vittorio Emanuele, 386. Napoli. 100 Frenguelli Gioacchino. Piazza S. Giovanni in Laterano, 6. Roma. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. Galdieri dott. Agostino. Museo. Geologico. R. Università. Napoli. Galli prof. cav. don Ignazio, direttore dell’Osservatorio' fisico-meteorologico. V elletri. Gianotti prof. Giovanni. R. Scuola normale. Vercelli. Giattini Giovanni Battista. Cingoli (Macerata). Gortani Michele. R. Istituto superiore agrario. Perugia. Goqqi ing. Giustiniano. Via Galliera, 14. Bologna. Greco prof. Benedetto. R. Liceo. Cuneo. Issel prof. comm. Arturo. Via Gropallo, 7. Genova. 1 io Jervis prof. cav. Guglielmo. Via Principe Tommaso, 30. Torino. Lais sac. prof. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 1 1. Roma. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Cernaia, 24. Torino. Lattes ing. comm. Oreste . Via Nazionale, 96. Roma. Levi prof. Gustavo. R. Scuola tecnica. Brescia. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima. 30. Roma. Maddalena ing. Leonqio. Museo mineralogico. R. Uni- versità. Pavia. Malagoli prof. Mario. R. Ginnasio. S. Remo. Manasse dott. Ernesto. Museo mineralogico, R. Univer- sità. Pisa. 120 Ma favelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). Marcantonio dott. Ireneo. Lanciano per Mozzagragna (Chieti). X ^95- 1 886. 1899- 1894. 3 900. 1896. 1892. 3881. 1881. 3883. 3899. 1890. 1897. 1903. 3 900. 1895. 1895. 1889. 1887. 1890. 1904. 1897. 1883. 3 88'i . 3888. 3901. 1881. 3901. 1881. 3881. 3 892. ELENCO DEI SOCI Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. Mariani dotf. Mario. Camerino (Macerata). Marinelli prof. Olinto. R. Istituto Studi Superiori. Firenze. Martelli dott. Alessandro. Museo geologico, Piazza S. Marco. Firenze. Martore prof. Michele. R. Istituto tecnico. Messina. Matteucci prof. Vittorio. Direttore del R. Osservatorio Vesuviano. Resina (Napoli). Manuoli ing. comm. Lucio. Via S. Susanna, 9. Roma. 130 Meli prof. cav. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. Millosevich prof. Federico. R. Liceo Spedalieri. Catania. Monaci Pietro. Via Baldassarre Peruzzi, io. Siena. Monti dott. Achille. Via Pusterla, 3. Pavia. Morandini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). Morini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 140 Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. Namias dott. Isacco. Museo geologico, R. Università. Modena. Napoli P. Ferdinando. Via Chiavari, 6. Roma. Nelli dott. Bindo. Via Fra Bartolomeo, 17. Firenze. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. Nicolis cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. Olivetti dott. BonaiutoN ia Madama Cristina, 33. Torino. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. Pagani prof. Umberto. R. Scuola tecnica. Lovere. 150 Pantanslli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. Parona prof. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Pa- lazzo Carignano. Torino. Patroni prof. Carlo. Via Sacramento a Foria, Palazzo Schisa. Napoii. Pellati ing. comm. Niccolò. R. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1881. ELENCO DEI SOCI XI 1899. Pelloux capitano Alberto. Villa Caterina. Bordighera. 1893. Peola prof. Paolo. R. Liceo. Aosta. 1903. Perrone cav. Eugenio, Via Cola di Rienzo, 133. Roma. 1902. Piana cav. Giuseppe. Badìa Polesine. 1901. Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele. Via Arcivesco- vado, 1. Torino. 1891. Platania-Platania prof. Gaetano. R. Liceo. Acireale. 1899. 160 Pompei ing. Augusto. R. Ufficio minerario. Iglesias. 1895. Porro ing. Cesare. Carate Lario (Como). 1898. Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. 1091. Preve r doli. Pietro. R. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. 1983. Ragnini cav. dott. Romolo. Capitano medico. Via Meru- lana, 130. Roma. 1903. Raimondi ing. Luigi. Miniere solfuree Trezza. Cesena. 1899. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). 1900. Repossi dott. Emilio. Museo civico di storia naturale. Milano. 1901. Ricci prof. Arnaldo. R. Scuola Tecnica. Susa. 1896. Ricciardelli dott. Mario. Sansevero (Foggia). 1886.170 Ricciardi prof. comm. Leonardo. Convitto nazionale V. E., Napoli. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1885. Ristori prof. Giuseppe. R. Museo paleontologico. Piazza S. Marco. Firenze. 1883. Riva Palaci tenente generale Giovanni, Comandante del 20 corpo d’armata. Firenze. 1898. Roccati prof. Alessandro. R. Scuola d’applicazione per gl’ingegneri. Torino. 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Piazza Lorenzo Ma- scheroni, 3. Bergamo alta. 1903. Rosati dott. Aristide. R. Università, Museo mineralogico. Roma. 1893. Rossi dott. Guido. Via Emanuele Filiberto, 233 (int. io). Roma. 1892. Rovereto march, dott. Gaetano. Via S. Agnese, 1. Genova. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). 3885. 180 Sacco prof. Federico. R. Scuola d’applicazione per gl’in- gegneri. Torino. XII ELENCO DEI SOCI 1881. Salmojraglii ing. prof. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1904. Sangiorgi prof. Domenico. R. Università. Parma. 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Monte Oliveto, 44. Na- poli. 1881. Scarabelli Gommi Flamini conte comm. Giuseppe, Se- natore del Regno. Imola. 1902. Segattini dott. Paolo. Pastrengo (Verona). 1881. Segrè ing. cav. Claudio. Direzione ferrovie meridionali. Ancona. 1900. Seguen^a Luigi fu Giuseppe. Messina. 1894. Sella ing. Erminio. Biella. 1904. Silvestri prof. Alfredo. R. Liceo. Spoleto. 1881. 190 Sormani ing. cav. Claudio. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1896. Spirek ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Via Nazionale, 114. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Striiver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898. Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia. 1896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. comm. Torquato. R. Università. Pavia. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1881.200 Tittoni avv. comm. Tommaso. Senatore del Regno e Ministro degli Esteri. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo prof. Giovanni. R. Liceo. Lodi. 1881. Tommasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. Tonini dott. Lorenzo. Seravezza (Lucca). 1883. Toso ing. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1901. Trentanove dott. Giorgio Morando. Luco di Mugello (Borgo S. Lorenzo, Firenze). 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via Tor Sanguigna, 13. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. 1881. Ugelli prof. Gustavo. Via S. Egidio, io. Firenze. 1899.210 Vergè ing. Alessandro. Tocco Casauria (Chieti). ELENCO DEI CAMBI XIII 1882. Verri colonnello comm. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1893. Vinassa de Regny dott. Paolo Eugenio. R. Istituto superiore agrario. Perugia. 1903. Viola ing. Carlo. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Virgilio prof. Francesco. R. Museo geologico. Palazzo Carignano. Torino. 1883. Zaccagna ing. cav. Domenico. R. Ufficio geologico. Roma. 1902. Zamara nob. colonnello Giuseppe. Corso C. Alberto, 23. Brescia. 1881.217 Ze^i ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Residenti all’estero. 1887.218 Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 23. Marsiglia. 1898. Dannenberg prof. Arturo , Kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). 1893. 220 Deecke prof. Wilhelm. Universitiit. Greifswald (Prussia). 1881. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus, 11 9. Lisbona. 1895. De Pian ing. cav. Luigi. Via Dionisio Arepaghito 1. Atene. 1881. Dewalque prof. off. Gustave. Rue Simonon, 16. Liège. 1899. Hassert doct- Kurt. Universitiit. Bismarkstrasse, 30. Kòln am Rhein (Germania). 1903. Margerie(de) prof .Emmanuel. Rue Fleurus-pp Paris (VP). 1902. Oppenheim dott. Paolo. Charlottenburg (Berlin). 1895. 227 Salomon doct. Wilhelm. Universitiit. Heidelberg (Baden). Elenco dei cambi (*) Italia. Catania. — - R. 'Accademia Gioenia di sciente, lettere, ecc. a) . Atti fanno LXIX, 1 892-93 J. b) . Bollettino delle sedute [fase. XXX, 1892J. Roma. — R. Accademia dei Lincei. (Via Lungara). a). Rendiconti della classe di se. tìs. mat. e nat. [serie 3% voi. VII, 1882]. (') Di ogni pubblicazione è indicato da qual volume od anno comincia la serie posseduta dalla nostra Società. XIV ELENCO DEI CAMBI b). Rendiconti delle sedute solenni fi 892] Roma. — R. Comitato geologico d'Italia. (Via S. Susanna 1 A). a) . Bollettino [voi. I, 1870J. b) . Mem. descritt. della carta geol. d'Italia [voi. I, i886j. c) . Mem. per servire alla descr. della carta geol. d’Italia [voi. I, 1871]. d) . Carte geologiche diverse. id. — Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio . a). Pubblicazioni varie. id. — Società geografica italiana. (Via Plebiseito). a) . Bollettino [serie 2a, voi. VII, 1882J. b) . Memorie [voi. V, 1895]. Id. — Società Ingegneri ed Architetti. a) . Bullettino [anno I, 1893]. b) . Memorie [anno I, 1886J. Austria-Ungheria. Budapest. — K. Ungarische Geologisclie Anstalt. (Stefania - ùt. 14). a) . Mittheilungen aus dem Jahrbuche [Bd. I, 1872]. b) . Jahresbericht [1883]. c) . Fòldtani Kozlony |Kòt. XV, 1885]. d) . Pubblicazioni diverse. Cracovia. — Académie des Sciences (Akad. d. Wissenschaften) . a). Bulletin inte:national (Anzeiger) [1889J. Iglò. — Magyarors\àgi Kàrpàtegyesiilet. (Ungarischer Karpatlien- Verein). a). Jahrbuch [voi. XVII, 1890]. Wien. — K. k. Geologische Reichsanstalt. a) . Verhandlungen [Jahrg. 1880]. b) . Jahrbuch [Bd. XXX, 1880J. id. — K. k. Nalurhistorisches Hofmuseum. a). Annalen [Bd. I, i88ój. id — Paldontologischcs institut der k. k. Universitat (I.r Franzensring). [Bd. XI, 1897I Belgio. Bruxelles. — Sociétè Royale malacologique de Iielgique. a). Annales [voi. XVI, 1881]. ELENCO DEI CAMBI XV Bruxelles. — Société Belge de Geologie , de Paléontologie et d' Hydrologic. a). Bulletin [voi. I, 1887J. I.iège. — Société géologique de Belgi que. a). Annales [voi. IX, 1881 1. Francia. Bordeaux. — Société Linnéenne de Bordeaux. (Rue des Trois- Conils ; Athénée). a). Actes [voi. XXXVI, 1882J. Havre. — Société géologique de Normandie. (Hotel de ville). a). Bulletin [t. XX, iqoo). Lille. — Société géologique du Nord. a). Annales [voi. XXXII, 1903]. Paris. — Société de Spèléologie. (Rue de Lille, 34). a). Bulletin (Spelunca) [t. I, 1 895 J- id. — Société géologique de France. (Rue Serpente, 28). a). Bulletin |ser. 3®, voi. X, 1 88 1 J Germania. Berlino. — Deutsche geologische Gesellschaft. a). Zeitschrift [Bd. 35, 1883J. id. — K. preuss. geolog. Landesanstalt und Bergakademie. a). Jahrbuch [Bd. I, i88o[. B onn. — Niederrheinische Gesellschaft. a) . Sitzungsberichte [1895]. b) . Verhandlungen (d.naturhistorischenVereins) [LUI, 1896!. Freiburg. — Naturforschen.de Gesellschaft. a). Benchte | Bd. IV, 1 888 1. Gran Bretagna. Dublino. — Royal Dublin Society. a) . Scientific proceedings [N. S., voi. IV, 1885] b) . Scient. transactions [ser. II, voi. III. 1885]. Edinburgo — Edinburgh Geological Society. a). Transactions [voi. VII, 1 894]. Londra. — Geological Society. a) . Quarterly Journal [voi. XXXVIII, n° 149, 1 882 1. b) . Geological literature |n° 1, 1 894). XVI ELENCO DEI CAMBI Portogallo. Lisbona. — Direcedo dos trabalhos geologicos. a) . Communica^óes [r. I, 1883]. b) . Mémoires [alcune]. Rumenia. Bukarest. — Biuroulu geologica. a). Anuarulù [voi. I, 1882; serie chiusa], id. — Museulu de Geologia si de Paleontologia, a). Anuarulù [anno 1 8q_|.|. Russia. Helsingfors. — Commission géologique de Finlande. a). Bulletin [n° 6, 1897] Novo-Alexandria — Anmiaire géologique et minèralogique de la Russie [voi. I, 1896]. Pietroburgo. — Cornile géologique. a) . Bulletin [t. I, 1882]. b) . Mémoires [voi. I, 1883]. c) . Bibliothèque géologique de la Russie [t. VI, 1885]. d) . Travaux de la section géologique du Cabinet de sa Majesté [voi. I, 1895]. Pietroburgo. — Russische K. Minerà logische Gesellschaft. a) . Verhandlungen [Bd. 32, 1896]. b) . Materialien zur Geologie Russland [Bd. 18, 1897]. id. — Société Impériale des Naturalistes. a) . Comptes-rendus des séances [voi. XXVI, 1885]. b) . Travaux de la section de Géologie et de Minéralogie [voi. XIX, 1888]. Svezia. Stoccolma. — Geologiska fòreningen i Stockholm. a). Forhandlingar [Bd. XII, 1 S90I . (Jpsala. — Geological lnstitution of tlie University of Upsala (Bibliothèque de l'Université R.). a). Bulletin [voi. I, 1892]. ELENCO DEI CAMBI XVII Africa. Cape Town. — - Geological Commission Departement of Agri- colture. a). Annual report [1% 1896]. Johannesburg. — Geological Society of South Africa. a) . Transactions [voi. VI, 1904]. b ) . Proceedings |anno 1905J. . America. Baltimore. — Maryland Geological Survey. a). Reports [voi. I, 1897]. Buenos-Ayres. — Instituto geografico Argentino. a). Boletin [t. X, 1889]. Cleveland. — Geological Society of America. a). Bulletin [voi. I, 1890]. Columbus. — Geological Survey of Ohio. a). Bulletin [4° serie, n° 1, 1903]. Lima. — Cuerpo de Ingenieros de Minas del Peni, a). Boletin. Messico. — Instituto geològico de Mexico. a). Boletin [num. 12, 1 889 1 Montevideo. — Museo Nacional. a). Anales [t. I, 1894]. Parà. — Museu Paraense de Historia Naturai e Ethnographia. a). Boletim [voi. I, 1896] Sào Paulo. — Museo Paulista. a). Revista publicada par H. v. Ihering. Washington — Geological Society of Washington. a). Presidential address [1896], Washington. — United States Geological Survey. a) . Bulletin [n° 34, 1883] b ) . Annual reports [sixth ann. 184I. c) . Monographs [voi. I, 1882], d) . Minerai resources [anni 1886]. Wisconsin. — University of Wisconsin. a). Bulletin - Science series - [voi. I, 1894!. Asia (Indie). Calcutta. — Geological Survey of India, a). Memoirs [voi. IV, 1865I. 11 XVIII ELENCO DEI CAMBI b ) . Palaeontologia indica [ser. ia, voi. I|. c) . Records [voi. I-XXX, serie interrotta!- d) . Pubblicazioni diverse. Asia (Giappone). Tokio. — Geologica! Society. a). The Journal [voi. Vili, 1901]. id. — College of Science Imperiai University, a) The Journal [voi. XVI, iqoij. Australia. Melbourne. — Australasian Institute of Mining Engineers. a) . Transactions [voi. IV, 1897]. b) . Proceedings [anno 1898J. id. — Royal Society of Victoria. a) . Transactions [voi. I. i88S|. b) . Proceedings [voi I, n. s., 1889]. Sydney. — Geological Survey of New South Wales. a) . Records [voi. IV, 1 894). b) . Memoirs [1894]. c) . Annual report [1894!. d) . Minerai Resources [n° 1, 1 898 [. I RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE tenuta in Roma il 12 marzo 1905 Presidenza Taeamelli. La seduta è aperta alle ore 9,45 nella sala della Biblioteca -del R. Ufficio Geologico. Sono presenti oltre il presidente Taramelli, il vice presi- dente Mazzuoli, il tesoriere Statuti, l’archivista Clerici, il se- gretario Neviani, i soci: Aichino, Baldacci, Bonarelli, Cerulei, Crema, De Angelis, Demarchi L., Franchi, Frenguelli, Gor- tani, Lattes, Lotti, Meli, Napoli, Novarese, Pellati, Portis, Sor mani, Stella, Tuccimei, Verri e Zezi. Scusano l’assenza i consiglieri Bassani, Brugnatelli, Parona, Sacco e i soci Biagi, Bordi, Cappelli, Cermenati, De Stefano Gius., Fornasini, Rosati, Scarabelli, Sequenza L., Tacconi, Vi- nassa, Viola, Zaccagna. Il Presidente invita il Segretario a dare lettura dei verbali delle sedute tenute in Catania, nel settembre dello scorso anno; ma essendo questi pubblicati nel Bollettino (pag. cxxvn e seg., voi. XXIII), si danno per letti, e non essendovi osservazioni, si ritengono approvati. Il Presidente, ringraziati i soci presenti 'del loro intervento, annuncia la morte del socio G. Cocconi, che appartenne alla Società sino dalla sua fondazione, e ben noto per molteplici la- vori, fra i quali importante la Enumerazione sistematica dei Molluschi miocenici delle Provincie di Parma e Piacenza (')- Annuncia all’assemblea che il Consiglio della Società nella sua adunanza di ieri, nominò a vice-segretari i soci dott. Bordi Alfredo (Roma) e dott. Tacconi Emilio (Pavia). (') Bologna, 1883. XX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Presentarono regolarmente le loro dimissioni i soci: Frassetto,. Maglio, Mezzena e Preda, delle quali l’assemblea prende atto.. Si sono dovuti radiare dall’albo ben otto soci, i quali erano in arretrato nei pagamenti da tre o più anni. Il Segretario presenta il seguente elenco di omaggi perve- nuti a tutt’oggi alla Società, dopo le adunanze tenute in Ca- tania nel settembre 1904: Ciofalo S. : Sul cretaceo medio di Caltaruturo. 8". Catania, 1934. Clerici E.: Sulla stratigrafia del Vulcano Laziale. 8°. Roma, 1904. — Sopra una trivellazione eseguita presso Lorna sulla via Casilina. 8°.. Roma, 1905. Esci! E. Solger F., Oppenheim M., und Jaekel 0.: Beitrdge sur Geo- logie von Kamerun. 8°. Stuttgart, 1904. Henriksen G. : Sur les gisments de Minerai de Fer de Sydvaranger (Finmark-Norwège). 8°. Paris, 1904. Millosevicii F. : Nuoce forme e nuovo tipo cristallino delVAnatasio della Binnenthal. 8". Roma, 1905. Mourlon M.: Referendum bibliographique. 8°. Liége, 1903. — Compte-rendu sommane de la lXe session du Congres géolog. intern.. à Vienne. 8°. Bruxelles, 1904. — Les traraux du Service géologique de Belgique 8°. Bruxelles, 1904. Simoens G. : Bibliographia geologica. 8°. Bruxelles, 1904. Sacco F. : I molluschi dei terreni terziari i del Piemonte e delia Liguria. Considerazioni generali. 4°. Torino, 1901. Sequenza L. I giacimenti di Salgemma in Sicilia e la loro età geolo- gica. 8°. Messina, 1905. — Il geologo in campagna. Manuali Hcepli. 8°. Milano, 1905. Pervennero inoltre vari numeri dei seg’uenti periodici con i quali non si fa il cambio: IL Appennino centrale. Iesi. La Lirista Tecnica. Torino. Associazione mineraria Sarda. Iglcsias. Alpi Giulie. Trieste. Senza discussione l’assemblea approva il cambio del Bollet- tino colle pubblicazioni dei seguenti istituti geologici: Columbus. Geologica! Survcy of Ohio, Lille. Société Géologique du Nord, Tokyo. Geologica 1 Society, id. College of Science imperiai University. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXI Il Presidente annuncia come il Consiglio abbia accettata una proposta del Segretario tendente a modificare l’art. f) delle dispo- sizioni varie annesse al Regolamento approvato in Ascoli il 10 settembre 1899, così concepito: Non si vendono fascicoli se- parati. Proponendo cioè la vendita anche dei fascicoli, ad equo prezzo, proporzionale al numero dei fogli di stampa ed alle ta- vole; e ciò non solo perchè questi vengono realmente richiesti; ma anche perchè in archivio esistono molti volumi scompleti,, che in tal modo si possono utilizzare. Dopo breve discussione, l’assemblea approva che, determi- nati dalla Presidenza un certo numero di volumi non separabili, si possano vendere i fascicoli in ragione di L. 0,20 al foglio di stampa, e L. 0,15 a tavola per i soli soci, e di L. 0,40 al fo- glio di stampa, e di L. 0,30 a tavola per i non soci. 11 Presidente annuncia come col 31 dicembre di quest’anno- scada il contratto colla tipografìa Cuggiani, e come il proprie- tario della tipografìa medesima sia disposto a rinnovare il pre- sente contratto per altri cinque anni. Ritiene non sia il caso di ricercare altre tipografie, essendo difficile ottenere vantaggi mag- giori, date le odierne condizioni dell’industria tipografica; ad ogni modo l’accettazione definitiva sarà rimessa all’adunanza estiva. La Società Italiana di Scienze Naturali con sede in Milano, entrando col 1906 nel suo cinquantesimo anno di vita, bandirà un congresso di naturalisti italiani, e perciò questa invita sin d’ora la Società Geologica di intervenirvi. — L’assemblea de- libera in massima l'adesione, ed incarica il Presidente di sta- bilirne le modalità. Il Presidente comunica una lettera del Consigliere Sacco, con la quale annuncia che la Société Géologique de France ha deciso di tenere quest’anno a Torino la sua Riunione annua straordinaria, come centro per esame specialmente dei terreni terziari e quaternari; invita perciò l’Assemblea ad aderire a questa Riunione; compiacendosi che i colleglli di Francia ven- gano ufficialmente a visitare le regioni Italiane. — L’Assem- XXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE blea approva, dando incarico al Presidente di prendere quelle deliberazioni che crederà più opportune (*). Il giorno 14 corr. in Palermo, il socio prof. Giov. Di Ste- fano terrà una solenne commemorazione del defunto socio pro- fessor G. G. Gemmellaro. Il Presidente crede quindi opportuno che la nostra Società vi sia rappresentata; ed ha in animo di delegare all’uopo lo stesso prof. Di Stefano. L’assemblea approva. Il Presidente annuncia, come con vero dispiacere debba co- municare all’Assemblea, la risoluzione irrevocabile del socio ing. Statuti di dimettersi da Tesoriere. Il Consiglio non ha po- tuto che prendere atto delle date dimissioni, non ritenendo op- portuno insistere altrimenti; e mentre si addiverrà per parte del Consiglio alla nomina del nuovo Tesoriere, l’incarico è stato affi- dato al Segretario prof. Neviani, il quale ha accettato. 11 Pre- sidente invita i presenti a dimostrare con un applauso, quanto i soci siano grati all’ing. Statuti di tutto ciò che, per un lungo periodo di anni, egli fece a vantaggio della Società, e come tutti i soci ne serberanno perenne memoria. L’assemblea applaude lungamente (2). C) Il sig. Presidente ha pregato i soci Parona e Sacco di rap- presentare la Società Geologica Italiana alla Riunione dei geologi fran- cesi a Torino; ed ha deciso che vengano invitati i soci ad intervenirvi. O All’ing. cav. Statuti venne dalla Presidenza inviata, il 14 marzo, la seguente lettera: Illiho Signor Ingegnere, Il Consiglio della Società Geologica Italiana e l'assemblea dei Soci, nelle ultime adunanze accettavano le dimissioni da lei presentate come Tesoriere, solamente in seguito a sua riva insistenza. Tali dimissioni furono però accolte col piu vivo rincrescimento da parte della Società, in quanto che tutti avevano presente in qual modo Ella con competenza e con amore avesse disimpegnata la carica ripetu- tamente a lei affidata; e come con difficoltà si possa sostituire la sua persona. Ella, nostro consocio sino dalla fondazione della Società, dopo pochi anni coadiuvò il Tesoriere, comm. Titioni, dapprima come Vicetesoricre (1889-94), poscia come Economo (1895 99), ed in ultimo, dal 1900 ad oggi, come Tesoriere effettivo; sempre prestando all’opera, come ora dissi, la sua competenza oculata ed assidua ; cosicché le finanze della nostra So- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXIII Il Consiglio della Società ha ammesso all’approvazione del- l’assemblea la nomina a nuovi soci dei signori: Leonzio ing. Mad- dalena, Schio, e Koberto dott. Brunati, Como, proposti dai soci, prof. Taramelli e Brugnatelli. L’assemblea approva. cieià, e V andamento generale dell’ Amministrazione trassero notevolissimi vantaggi. — Ella, per la distinta cortesia dei modi, non disgiunta dalla doverosa insistenza verso coloro che non sempre seguivano le norme dei nostri regolamenti, seppe cattivarsi illimitata stima e benevolenza da tutti. Questi miei ricordi e queste mie affermazioni, sono troppo poca cosa rispetto a ciò che Ella, signor ingegnere, si è ben meritato-, ma voglia accettarle perchè dettate sinceramente dall'animo mio, il quale nel modo più sicuro ora rispecchia quello di tutti i Colleglli. Gradisca i miei ossequi distinti. Torquato Taramelli, presidente. Antonio Neviani, segretario. A questa lettera l’ing. Statuti rispose con la seguente: Onorevole Sig. Comm. Prof. Torquato Taramelli, Presidente della Società Geologica Italiana. % Di pieno gradimento è stata per me la cortese sua lettera del li corr. ch’ella Sig. Presidente si è compiaciuta indirizzarmi tanto a nome pro- prio che dei Signori Colleghi, per esprimermi i sentimenti di gratitudine per la qualsiasi opera da me prestata nel disimpegno delle attribuzioni di Economo e Tesoriere della nostra Società Geologica Italiana. Mi reco quindi a dovere di porgerle le più sentite azioni di grazie, pregandola volerle comunicare anche ai consoci, verso i quali alla mia volta io stesso dovrei essere in certo qual modo obbligato per l’attestato di fiducia che vollero gentilmente accordarmi, coll’ avermi spontaneamente affidato una carica s cicile abbastanza delicata! Del resto, se i miei ottimi colleghi si sono dimostrati paghi della mia gestione amministrativa, come ella ne assicura, ciò è per me di tale e tanta soddisfazione che mi compensa ad usura e del tempo impiegato e dei pen- sieri avuti per uno spjazio non breve di anni, nell’intendimento costante di contribuire, per quanto era in me, al benessere materiale della nostra ormai fiorente Società, alla quale mi onoro di appartenere , nè desidero di meglio. Dopo ciò mi è grato di poter profittare di tale incontro per ripetermi con distintissima considerazione lioma, 20 marzo 1905. devino Augusto Statuti. XXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Il Tesoriere presenta i bilanci consuntivi per il 1004, ed i preventivi per il 1905 della Società e dell’amministrazione del Legato Molon, già approvati dal Consiglio, come qui appresso : Bilancio preventivo della Società. Anno 1905. Entrate. Spese. 1. Tasse sociali . . . L. 3 200 — 1. Stampa del Bollet- 2. Interessi del legato tino L. 3 000 — Molon » 340 — 2. Contribuzione p e r 3. Interessi diversi. . » 650 — tavole ed altre il- 4. Vendita bollettini . » 180 — lustrazioni . . . » 850 — 5. Concorso del Mini- 3. Spese del Presi- stero di A. I. e C. dente » 30 — sull’esercizio 1904- 4. Distribuzione del 1905 » 500 — Bollettino ed altre spese postali . . » 350 — 5. Spese di cancelleria, circolari, marche da bollo, ecc. . . » 140 — 6. Tassa di manomorta » 27,52 7. Rimborso spese di viaggi al Segreta- rio e Tesoriere . » 180 — 8. Per aiuti al Segre- tario e Tesoriere. » no — 9. Spese diverse ed e- ventilali . . . . » 182.48 Totale entrate L. 4 870 — Totale spese L. 4 870 — Bilancio preventivo dell’Amministrazione del legato Molon. Anno 1905. Spese. 1. Tassa di manomorta. L. 32 — 2. Assegno per il pre- mio conferibile nel 1905 » 2 000 — 3. Residuo attivo al 31 dicembre 1905. » 1 142,77 Totale L. 3 174,77 Bilancio consuntivo della Società. Anno 1904. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1903 L. 6 091,96 Spese » » » 4 628,75 Entrate. 1. Residuo attivo al 1° gennaio 1905 . L. 2 494,77 2. Interessi del legato Molon » 680 — Totale L. 3 174,77 Cassa al 1° gennaio 1904 .... Eccedenza attiva al 1° gennaio 1905 Eccedenza entrate L. 1 463,21 » 7 109,70 » 8 572,91 I RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXV Bilancio consuntivo dell’ Amministrazione (lei legato Molon. Anno 1904. 'Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1904 L. 080,00 :SPese » » » 32,00 Eccedenza entiate L. 048 — 'Cassa al 1° gennaio 1904 » 1 846,77 .Eccedenza attiva al 1° gennaio 1905 » 2 494,77 Senza discussione i bilanci preventivi vengono approvati; i •consuntivi saranno trasmessi alla Commissione per il bilancio. Il socio De Angelis d’Ossat raccomanda che negli anni ven- turi, unitamente alla circolare di invito all’Adunanza invernale, si distribuisca copia dei bilanci, come verranno compilati dal- l’ufficio di Presidenza; indipendentemente cioè dalle modifica- zioni che possa portarvi posteriormente il Consiglio. Dopo breve discussione, la proposta è approvata. Il Tesoriere presenta pure lo stato patrimoniale della Società fissato per il 1° gennaio 1905 in nominali lire 47.677,40, che senza discussione è approvato. Il Presidente pone a votazione la nomina dei Commissari per il Bilancio. L’Assemblea, valendosi delle facoltà concesse dall’art. 12 del regolamento, a proposta del socio Lattee, per acclamazione con- ferma i Commissari, nominati nello scorso anno, e cioè i soci Aichino, Cermenati e Zezi. Il Presidente, ricordando che molti soci avevano espresso il ■desiderio di esaminare la serie dei terreni paleozoici dove essa •si presenta più completa e con numerose località fossilifere, e risultando, da avute informazioni, clic sarebbe effettuabile una riunione, seguita da gite, nel cuore delle Alpi Carniche, le quali •appunto presentano la detta serie di terreni, propone come sede •dell’adunanza estiva la borgata di Tólmezzo. Informa come da •quel luogo si possa in gite non lunghe nè molto disagiate arri- vare al crinale della catena e percorrere la serie dal permiano ili siluriano, impiegando sette od otto giorni; il ritorno si può XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE fare per la linea Poutebbana, partendo da Pontebba; il Con- gresso potrà essere sciolto ad Udine. Non si presenta alcuu’altra proposta, e perciò vien posto- ai voti la sede di Tolmezzo, la quale è accettata alla unanimità. 11 Presidente ricorda come con voti ripetuti la Società Geo- logica, per iniziativa del socio prof. Sacco, avesse approvato in massima la pubblicazione di una Bibliografìa geo -paleontologica italiana. Il prof. Meli, presidente dello scorso anno, nominò una Commissione provvisoria, la quale esaminò le proposte fatte, e riferisse in proposito all’assemblea, e chiamò a farne parte: il Presidente ed il Segretario della Società, ed i soci Bassani, Cermenati, Sacco e Sormani. La Commissione manifestò i se- guenti voti: 1. ° Che riteneva assolutamente necessaria la pubblicazione della Bibliografia , secondo la proposta del prof. Sacco; 2. ° Riteneva opportuno che la Società se ne interessasse direttamente; 3. ° Che la pubblicazione fosse latta ex novo, senza tener conto della Bibliografia pubblicata nel 1881; 4. ° Che la Bibliografìa si limitasse a tutto il# 1900; 5. ° Che a tàr fronte alle spese, la Società prelevasse il necessario dai fondi disponibili; pur procurando di ottenere sus- sidi dai Ministeri e da Enti morali; 6. ° Che l’Assemblea nominasse una Commissione esecu- tiva centrale, alla quale venissero affidate tutte le modalità circa il modo di esecuzione del lavoro. 11 Presidente riferisce che il Consiglio della Società ha fatto sue le proposte della Commissione provvisoria, credendo però opportuno che la Bibliografia si estendesse oltre al 1900 sino al momento della stampa. Sottopone ora questi voti all’as- semblea. Prendono la parola i soci : Crema, Aichino, Demarchi e pochi altri, e dopo breve discussione l’Assemblea 1. ° Approva in massima che la stampa della Bibliografia sia fatta a spese ed a cura della Società; 2. ° Che la pubblicazione non sia considerata come facente- parte del Bollettino , e perciò non sia data gratis ai soci, De- ceduta in cambio; RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXVII 3. ° Che ai soci debba esser fatto un trattamento di favore, nella misura da determinarsi; 4. ° Incarica il Presidente perchè nomini una Commissione esecutiva, la quale prepari un progetto concreto, sia per il modo di pubblicazione, come per l’entità della spesa; e che questo progetto venga sottoposto all’approvazione della prossima As- semblea generale dei soci (1). Continuando nello svolgimento dell 'ordine del giorno , viene presentata all’assemblea la proposta ripetutamente fatta dal socio Koccati, perchè la Società stabilisse la coniazione di un distintivo sociale; il Consiglio della Società si mostrò di parere- favorevole, e perciò il Presidente apre la discussione. Nessuno prende la parola in contrario, anzi il socio Lattes, come cassiere della Società. Elettro-tecnica, presenta una meda- glia-distintivo in argento smaltato adottata da essa Società, e riferisce sulla spesa che Società e soci potrebbero incontrare^ Il Presidente ringrazia il socio Lattes dei preziosi riferi- menti dati, e l’assemblea approva l’adozione di una medaglia- distintivo, dando incarico alla Presidenza di curarne l’esecu- zione nel modo più conveniente, stabilendo che debba ripetere le forme del timbro sociale, il quale ricorda il bottone-distintivo dei Congressi geologici internazionali. 11 Segretario presenta le memorie pervenute prima d’oggi alla Presidenza, delle quali alcune già deliberate per la stampar. Vinassa e Gortani, Osservazioni geologiche sui dintorni dì Pania ro ; con una carta geologica a colori ed una tavola (28 set- tembre 1904). (!) Il Presidente ha poi cosi composto la Commissione esecutiva t Il presidente ed il segretario della Società, i soci Bassani, Prugna— TELLI, CERMENATI, Di STEFANO GIOVANNI, PORTIS. SACCO e SOR- mani; con facoltà di aggregarvi altri cultori delle scienze goo-paleontolo— giche di altre regioni d’Italia. Ha quindi istituito una sottocommissione formata dai Commissari Portis, Sormani e dal segretario della Società,, perchè compia tutti gli atti necessari per uno schema preventivo, che verrà poi discusso dalla intera Commissione, non più tardi dei primi di. giugno di quest’anno. XXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE De Stefano Gius., Appunti sui Latraci c sui Rettili del Quercy, appartenenti alla collezione Rossi (/noi ; con tre tavole •(12 dicembre 1904). Danielli G., Pironaca polystylus Pir. nel cretaceo del Capo ■di Letica; con tre figure (19 dicembre 1904). Ugolini P. R., Di una eufotide a Saussurite dei dintorni di Casti gl ioncello (5 gennaio 1905). Gortàni M., Itinerari per escursioni nell’alta Gamia; con una tavola (26 gennaio 1905). Capeder G., Ancora intorno alla genesi delle impronte fos- sili a Paleodictyon ; con una figura (27 gennaio 1905). Verri à., Le eruzioni della montagna Pel ce e del Vulcano laziale (25 gennaio 1905). Millosevich F., Rocce propilitiche dei dintorni di Tól fa (29 gennaio 1905). Neviani A., j Briozoi eocenici di Villatorta - Spagna ( 31 gen- naio 1905). Capeder G., Sulla origine di alcune impronte organiche fos- sili ; con una tavola (2 febbraio 1905). Cacciamali G. B., A proposito del calcare May olle a (3 feb- braio 1905). Meli R., Alcune note di geologia prese in una escursione ad Ardea nel circondario di Roma (5 febbraio 1905). Manasse E., Su alcune roccie della Tripolitania ; con figure (14 febbraio 1905). De Angelis d’Ossat G., Il concetto di individuo nei zoan- iciri fossili ; (10 marzo 1905). Il socio Stella riassume una. sua memoria intitolata: Il problema tettonico dclVOssola e del Sempione. 11 socio Crema fa la seguente breve comunicazione preli- minare : Sull’età dell’arenaria di Oriolo (Cosenza). « Ricordato clic questa formazione era stata dapprima rife- rita airOligoccne, come tutte le altre masse di arenaria gros- solana dell’estremità N-E della Calabria, indi in parte anche al Miocene medio, fossili di tale età essendovi stati da lui rac- colti fin dall’autunno del 1902; l’ing. Crema dice clic in se- guito a più estese ricerche ed a nuovi rinvenimenti di fossili RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXIX pare che tutta quanta la formazione appartenga al Miocene me- dio e che l’Oligocene non vi sia rappresentato. Le nummuliti, che sole o frammiste ai fossili miocenici si possono raccogliere qua e là nella massa dell’arenaria, sono di trasporto e proven- gono da roccie più antiche (specialmente arenarie e calcari) che disfacendosi hanno contribuito alla formazione dell’arenaria mio- cenica, nella quale formano in molti punti inclusi di varia gran- dezza. » È probabile che al Miocene medio appartengano pure par- zialmente o totalmente le altre grandi masse di arenarie della regione considerata». Il socio Napoli presenta un lavoro, con tavole, col titolo: Contribuzione allo studio dei foraminiferi fossili dello strato a ■sabbie grigie della Farnesina; e ne legge le conclusioni. Lo stesso socio a nome del socio Cappelli presenta una Con- tribuzione. allo studio degli Ostracodi fossili dello strato a sab- bie grigie della Farnesina , accompagnata da tavole, e ne legge le conclusioni. Il socio Neviani presenta alcuni disegni di spicole di tetra- ctinellidi , rinvenute recentemente nelle sabbie postplioceniche di Carrubare in Calabria. Dice come esse spicole sieno isolate nelle sabbie, conservatissime e numerose, sia per esemplari, sia per varietà; vi predominano le oxie, le triaene con molte varietà ed anche dicotriaene, così pure si osservano numerosi gli stili, i caltlirops ed i triodi ; interessanti poi sono i desmi variabilissimi di forma, forme tutte che accertano la presenza di specie apparte- nenti specialmente ai generi Stelleta , Geodia e Pachastrella vi- venti nel Mediterraneo. Spicole consimili, per quanto si rileva dagli autori, non si trovano in tanta abbondanza, per l’Italia, che nei depositi miocenici del Capo S. Marco in Sardegna; e come è noto, nessuno da noi ne ha fatto, per questa o per altra località, argomento di speciale studio monografico; si riserba quindi di presentare alla Società una nota illustrativa sulle spi- cole delle formazioni di Carrubare, desiderando prima conti- nuare le sue ricerche sul copioso materiale posseduto. Il socio Franchi svolge alcune Osservazioni sulla struttura ► tettonica delle Alpi marittime e Liguri. XXX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Il socio Lotti osserva che condizioni tettoniche simili a quelle- descritte dal Franchi, non sono proprietà esclusiva delle Alpi; ina di averle osservate ripetutamente anche nell’Italia centrale.. Il socio Cerulei riassume una sua nota preventiva Sui la- mellibranchi fossili dello strato a sabbie grigie della ; Farnesina,. ed enumera le specie più interessanti. Il socio Verri presenta una memoria Sul bacino a nord di Roma che così riassume: Presento osservazioni sul bacino al nord di Roma, colle quali proseguo il tentativo di stabilire i rapporti tra le eruzioni dei vul- cani Sabatini e Laziali. Le ricerche m’hanno condotto ora a stabilire che i tufi leucitici grigi, imbasanti i prodotti speciali del Vulcano- Laziale — pozzolane rosse e scure, tufi lionati litoidi, ecc. — sono posteriori alle eruzioni dei tufi trachitici giallicci in posto al nord di Roma. Ma questo è il meno, poiché m’hanno con- dotto ad una scoperta, importante per la storia del vulcanismo Tirreno. Ho trovato al nord di Roma rappresentato largamente l’orizzonte delle ghiaie con elementi trachitici, segnalato al sud dal Clerici nel 1897; il cui piano rispetto alle altre formazioni fu poi segnato dal De Angelis nel 1899, ed appresso più det- tagliatamente dal Portis nel 1900. Mentre al sud queste ghiaie stanno sotto marne salmastre, alle quali si soprapongono le for- mazioni dei tufi vulcanici, al nord vengono sopra a tutti i de- positi marini, comprese con tale qualifica le ghiaie e le sabbie di spiaggia. La formazione delle ghiaie con elementi trachitici è sviluppata sopratutto nelle valli della Crescenza e della Buf- falotta, ma ve ne sono pure in quella dell’ Acquatraversa ed in altre a sinistra del Tevere. Tale orizzonte dice : che quelle eru- zioni di magma trachitici hanno preceduto le grandi esplosioni,, le quali hanno prodotto i tufi vulcanici; che, quando avvenne il trasporto delle ghiaie con elementi trachitici, erano al nord di Roma terre emerse, ed il mare erasi ritirato sino ad alcuni chilometri al sud di Roma. Non basta: le ghiaie con elementi trachitici contengono rocce basiche, le quali oggi non si vedono in posto né sulle contrade Sabatine, né sui monti della Tolta. Poiché nelle ghiaie senza elementi trachitici del Gialliccio, della Magliana, sono rappresentate le medesime rocce basiche, miste a rocce eoceniche del tipo di quelle in posto sui monti della RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXXI Tolfa; poiché nelle ghiaie con elementi trachitici abbondano rocce eoceniche di egual tipo, ne viene la conclusione: che nel ter- ritorio Sabatino, ad est delle montagne tolfetane, erano rilievi basici ed eocenici, forse isolati in mezzo alle, sedimentazioni plioceniche, come lo sono il Soratte, i monti Cornicolani. Inco- minciate le eruzioni dei tufi vulcanici, cessò l’arrivo di quelle ghiaie nel bacino al nord di Roma. — M’è grato, nella circostanza, ringraziare il Direttore dell’Ufficio geologico di avere accolta la proposta, che feci nella riunione dell’anno passato, circa il ri- levamento della sezione della Cava Mazzanti, e l’ing. Stella il quale lo ha eseguito; essendo il suo lavoro molto interessante per lo studio che presento. Presenta ancora questa rettifica circa le frane di Orvieto: « Nel mio discorso di apertura dell’Adunanza tenuta in Siena l’anno 1003, sono scritte queste parole: «Ho inteso dire che sorte eguale (a quella di Civita di Bagnorea ) minaccia Orvieto, se non provvedono. La valle del fiume Paglia solca profon- damente le argille, che imbasano l’ isola tufacea, sulla quale sta Orvieto. Le acque sperdute nella città assorbite dal tufo rammollano le argille, e pare che si siano manifestate nei terreni mosse inquietanti ». — Nei primi del settembre 1904 ricevei il fase. IV del Giornale di Geologia pratica , contenente un articolo del prof. Vinassa sulle frane di Orvieto. Rimasi stupito nel leg- gervi a pag. 124: «Notisi a questo proposito come il Verri inclini a credere il Paglia causa delle frane di Orvieto. Spesso infatti sono i torrenti quelli che producono le frane, e giusta- mente rileva questo l’egregio A., ma per Orvieto non è affatto il caso ». — È vero che il prof. Vinassa cita la fonte da dove è tratta l’opinione, che egli asserisce mia; ma quanti lettori dell’articolo crederanno o potranno fare il confronto? avverrà piuttosto che la citazione serva ad autenticare lo sproposito gros- solano regalatomi, quasi ringraziamento dell’augurio che feci in quel discorso al suo Giornale. So questo che, essendo Orvieto il capoluogo di Circondario del mio paese nativo, nel settembre 1902 fui chiesto da un Deputato provinciale dell’Umbria, del parere su quelle frane; e manifestai opinioni, alcune delle quali collimano colle conclusioni che vedo nello scritto del prof. Vinassa. Nel- l’ottobre 1904, trovandomi da quelle parti, mi fu dimandato con XXXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE meraviglia se il mio pensiero fosse veramente quale era riferito in quel Notisi ». Il segretario propone che, per evitare polemiche nel Bollettino,. la Presidenza interessi il socio Vinassa per una rettifica da pub- blicarsi nel Giornale di Geologia pratica. Il socio Verri acconsente, purché la rettifica sia di sua piena soddisfazione (*). Alcuni soci osservano che la rettifica ora presentata dal socio Verri è cosi moderata che si può benissimo inserire nel nostro Bollettino. Il socio Demarchi aggiunge: Poiché si parla della nota pubblicata nel 1904 dal prof. Vinassa de Regny, sulle frane d’Orvieto, osserverò che vidi non senza sorpresa presentate in detta nota, come proprie del Fautore, varie proposte di provvedi- menti che fin dal 1892 avevano formato oggetto di apposita relazione al signor Prefetto da parte d’una Commissione tecnica. Un piccolo accenno a questa Commissione non sarebbe stato fuori di luogo, tanto più che le conclusioni della sua relazione furono pubblicate nella Rivista del servizio minerario del suddetto anno 1892, alle pagine 280 e 281. Il socio Michele Corta ni presenta le due memorie seguenti: Coreani M., Contribuzione allo studio del Devoniano comico . Vinassa de Regny P. e Coreani M., Fossili carboniferi del monte Rizzili e del Piano di Lanza nelle Alpi Carniclie orientali. Nel primo lavoro sono descritte le faune devoniane del M. Ger- mula e del versante italiano dei monti Coglians e Kellerspitze, finora sconosciute. Quella appartiene al mesodevonico superiore,, queste aH’eodevonico più recente. Nella seconda memoria il prof. Vinassa illustra le fiditi e- il dott. Coreani i fossili animali, fino ad ora trovati sui due C) Il Segretario, per incarico del Presidente, scrisse al prof. Vinassa pregandolo di una rettifica nel Giornale di. Geologia pratica II prof. Vi- nassa mandò una minuta che il Verri non accettò, proponendone in cambio un’altra. Ma questa non venne accettata dal Vinassa, il quale- riscrisse proponendone una terza"; ma non essendo neppure quest’ultima accettata dal Verri, ebbe fine la corrispondenza. Sorse quindi la neces- sità della inserzione nel verbale di quanto fu detto in proposito nella seduta del 12 marzo 1905. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXXIII versanti del monte Pizzfil e nella nuova località del piano di Lanza (Lanzenboden). Animali e piante appartengono al carbonifero superiore. 11 socio Meli annuncia la presentazione di una nota Sulla 'presenza del Pecten (Vola) flabelli forni is nel macco di Anzio, e della Bibliografia g( opaleontologica sul Monte Mario , sui colli Vaticani e Gianicolensi, della Magliana e di Ponte Galera (fino al 1900). Il socio Bonarelli presenta alcune sue Miscellanee geologicher fra le quali una notizia sulla geologia di Borneo. Alle ore 12,30 la seduta è sciolta. Il Segretario A. Neviani APPENDICE SULLA SEZIONE GEOLOGICA DELLA CAVA MAZZANTI PRESSO PONTE MOLLE (ROMA) Nciradunanza del 14 febbraio dello scorso anno, il socio Verri propose (!) che la Società si interessasse della geologia delle Colline di villa Catel presso Ponte Molle, essendo allo scoperto una estesa sezione naturale per una grande cavatura di pietra ivi fatta; ed invitava anche il R. Ufficio geologico ad occuparsene. Il presidente dello scorso anno, prof. Meli, riferì nell’adu- nanza che si tenne il 17 settembre in Catania (?), come nella domenica, 24 giugno 1904, si recarono sul luogo i soci: Clerici. Crema, Demarchi, Mazzuoli, Meli, Sormani, Tuccimei, Verri, Viola e Zaccagna. Dopo esame minuzioso della sezione, e rela- tive discussioni, si diede incarico al socio ing. Zaccagna di stendere una relazione. Contemporaneamente il R. Ufficio Geo- logico diede incarico all’ ing. Stella di fare il rilevamento di quella località; e la Presidenza della Società si impegnò di (') Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, pag. xxvi. (?) Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, pag. cxxxm. XXXIV RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE pubblicare la relazione Zaccagna solo dopo la pubblicazione del lavoro dell’ing. Stella. La memoria dell’ing. Stella, eoi titolo: Rilevamento geolo- gico dei tagli alle cave Mozzanti fra Ponte Molle e Tor di Quinto, presso Roma, fu pubblicata nel Boll. d. IL Coni. Geol., voi. XXXV, fase. 3.°, pag. 235-242, con 4 tav. ; di essa ecco le conclusioni : La sezione o fronte di taglio illustrata si estende per poco più di mezzo chilometro, ed è occupata in gran parte dalla così detta « Cava del travertino », cui segue a valle la così detta « Cava del selcio ». A monte la serie dei terreni rilevati consta di tufi vulcanici in alto, e di travertino in basso; mentre a valle, pur continuando i suddetti tufi , il travertino è rimpiazzato da una massa ghiaiosa e sotto a questa inoltre affiora la nota formazione arenacea marina (selcio e sabbia). Nella massa ghiaiosa or accennata furono rilevate le varietà litologiche alternanti a guisa di irregolari banchi-lenti, e in questi furono accuratamente segnati e riprodotti nel profilo geologico i blocchi sìa di marna a Cardimi sia di tufo vulcanico in essa inglobati; messi maggiormente in evidenza da una ripulitura generale fatta appositamente eseguire alla fronte di taglio che interessava di esaminare. Relazione dell’ing. Zaccagna. « Egregio Signor Presidente, Mi pregio render conto alla nostra Società della visita fatta alla cava della Torretta presso Tor di Quinto nel giorno 24 cori*., come da incarico verbale avutone dagli intervenuti: A questo sopraluogo, oltre l’egregio Presidente, Prof. Meli, furono presenti i Soci: colonnello Verri, Comm. Mazzuoli, Com- mendator Demarchi, Prof. Tuccimei, Ing. Clerici, Ing. Viola, Ing. Crema ed il relatore Ing. Zaccagna; i quali, dopo aver proceduto ad un esame accurato della sezione geologica che offre la fronte della cava, nel riflesso che la trincea doveva prossimamente esser colmata rendendo impossibili le analisi RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XXXV ulteriori, ritennero conveniente di serbare memoria delle loro osservazioni, incaricando lo scrivente di, registrare i dati di fatto che vi furono riscontrati. Procedendo dal fondo della trincea verso l’alto della scar- pata fu constatato che alla base della serie esiste un banco sco- perto per tutta la sua lunghezza, se non nell’intero spessore, di arenaria calcarifera grigiastra, dura, resistente, nella quale, di- stribuiti in zone od aggruppati, trovansi con qualche abbon- danza dei fossili marini ( Pectunculus , Ostrea, Lucina, Venus, Astarte, ecc.). La faccia superiore del banco appare irregolarmente profi- lata, specialmente nella parte a sinistra di chi guarda la trincea, dove presenta pure qualche cavità. Nondimeno, dal suo anda- mento generale vedesi chiaramente che esso inclina leggermente verso N-B. Il banco d’arenaria è sormontato da un sedimento ghiaioso di 30 a 50 centimetri di spessore composto di ciottoli calcari, per lo più discoidali e cementati, alcuno dei quali si presenta in posizione obliqua ed anche normale al piano di deposito. Nel tratto verso sinistra si osservò altresì che alcuno dei ciot- toli penetra nella massa arenacea, immediatamente però presso alla superfìcie, e precisamente laddove il banco presenta una piccola cavità. Ciò fa supporre a qualcuno dei presenti che tale penetrazione possa essere avvenuta posteriormente al deposito, quando però le sabbie del banco arenaceo sottostante non erano ancora indurite in seguito alla infiltrazione di acque calca- rifere. Verso destra, lo strato ghiaioso che sta ad immediato con- tatto coll’arenaria, ha sedimentazione più regolare e si associa anche a deposito argillo-marnoso, sul quale si osservano im- pronte di Cardimi. Non potrebbe quindi escludersi che questo strato di ghiaia faccia ancora parte della formazione marina sottostante, colla quale sembra avere continuità. Sull’arenaria e sullo strato di ghiaia cementata sovrapponesi un grosso banco formato da un deposito caotico di ghiaia, frammenti di tufo vulcanico a leucite, argilla plastica grigio-bruna ed argilla in- durita marnosa, biancastra, nella quale si osservano traccie di fossili marini. La forma caotica è resa evidente pel fatto della XXXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE irregolarità del contorno e deH’orientainento dei blocchi e pel brusco passaggio dalle ghiaie ai frammenti di argilla e di tufo, nettamente individuati. La massa ghiaiosa è sparsa di nuclei, nei quali scorgesi un principio di cementazione calcarea fra i vari elementi, saltuariamente distribuita. Il banco è irregolare anche sulla sua fronte, perchè mentre può avere 3 a 4 metri di potenza a destra dell’osservatore, cioè verso il Tevere, va assottigliandosi a sinistra, dove ha appena un metro di spes- sore. Si nota inoltre che questo lato è prevalentemente for- mato di argilla plastica priva di grossi frammenti tufacei e riposa direttamente suH’arenaria a fossili marini, mancandovi 10 strato ghiaioso intermedio. Alla formazione caotica sovrasta un banco di ghiaia ad ele- menti calcari rimaneggiati e commisti a materiali vulcanici. Il banco può avere 2 a 3 metri di spessore, ed ha sedimentazione regolare ; sebbene i vari letti inclinino a N-E presentando una struttura imbricata, come se il loro deposito provenisse da un determinato punto, a guisa delle falde successive in un cono \ di deiezione. E pure a notarsi che anche questa ghiaia rego- larmente stratificata, presenta maggior potenza verso destra, ap- punto come la formazione caotica sottostante; come se questi depositi dipendessero dalla stessa causa, la quale accumulò su questo lato in quantità maggiore il materiale più grossolano. Questa osservazione collima anche col fatto già prenotato che 11 deposito caotico, verso la parte opposta dov’è meno potente, è formato con materiale più minuto e quindi più facilmente trasportabile. La serie termina in alto con un grande banco, potente 7 ad 8 metri, di tufo granulare, poco coerente ed evidentemente rimpastato con elementi argillosi. Tanto in adempimento dell’incarico ricevuto. Con osservanza Roma, 25 giugno 1904. Ing. D. Zaccagna ». OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SUI DINTORNI DI PAULARO (ALPI C ARNICHE) Nota dei soci P. Vinassa de Regny e M. Gortani (Con 1 carta geolog., 1 tav., II, e 3 fìg. nel testo) In nessuna regione italiana i terreni paleozoici hanno lo sviluppo e la ricchezza di livelli fossiliferi che presentano nelle Alpi Cantiche, dove alcune località accuratamente studiate sono divenute ormai classiche. Con tutto ciò la distribuzione e la di- sposizione di questi terreni, nonostante il numero e la mole degli studi fatti, sono ancora tutt’altro che note e sicure. Che se la porzione occidentale delle Carniche italiane può ritenersi rela- tivamente ben conosciuta, altrettanto non è certo della regione più orientale, dove le condizioni tettoniche sono forse più com- plicate e molte questioni possono ben difficilmente risolversi senza ritrovamento di fossili. Appunto perciò abbiamo quest’anno fatto scopo alle nostre escursioni i dintorni di Paularo, e precisamente la zona com- presa fra i monti Tersadia, Cima Costa Alta, Lanzenkopf e Cullar, che occupa quasi per intero i quadranti NE e SW della tavoletta «Paluzza» (*). A questa sono indispensabili alcune cor- rezioni ed aggiunte, che è opportuno segnalare prima di passare alla descrizione dei terreni. C) Le indicazioni che seguono si riferiscono alla tavoletta di Pa- luzza al 50.000. La cartina geologica che accompagna questa nota do- veva esser tirata servendosi appunto come canevaccio della tavoletta suddetta. Ma il Comando del Corpo di Stato maggiore essendosi opposto alla pubblicazione, siamo stati costretti, per la carta geologica, a ricor- rere ad un ingrandimento della carta al 100.000, alla quale ci è stato concesso di lare solo qualche piccola aggiunta. 1 o P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Il torrente che dal passo di Pecòl di Chiàula per Casera Lodìn grande scende al Cercevesa è detto Rio di Confin. Quello- che, in territorio austriaco, arriva da Gas. Gross Kordin al R. Lanza, poco a monte di Gas. Val Bertàt, e che sulla carta non porta nome, è il R. Cordìn degli alpigiani; mentre in- vece il R. Cordìn della carta vien da essi chiamato R. Pàlis di S. Lorenzo; e 31. Palis di S. Lorenzo è l’altura (senza nome sulla tavoletta) a quota superiore a 1850, posta immediatamente a SE del Lanzenkopf. A Paularo chiamano Germùla il M. Zer- mula della tavoletta; dicono Clàp di 31ilie una roccia sporgente sui prati, all’altezza di 1800 metri circa, sotto la punta 2130 del Germùla stesso. La cima isolata, segnata 1907, in continua- zione del Germùla e a NE della Forca di Lanza, dicesi Zac della Guardia o il/. Guardia di Lanza; Cadili di Lanza è la conca carsica fra questo monte e il Germùla, all’altezza di circa 1700 metri. Il M. Pizzul della tavoletta è chiamato invece a Paularo Palòn di Pizzìd o di Pezzèit, o più semplicemente Palòn; mentre il nome di M. Pizzìil è riservato alle tre creste allungate che cominciano immediatamente a S della Forca Pizzul e di cui la mediana porta la quota 1778. L’altura contrasse- gnata dalla quota 1746, che forma la continuazione meridio- nale del M. Pizzùl, fra questo e il M. Salinchiet, dicesi Zuc di Paluciàn o 31. Paluciàn; la sella che lo divide dal Pizzùl è la L'orca di Paluciàn. Le due casere situate sul versante orien- tale del vero M. Pizzùl, segnate sulla tavoletta come Casere di Poceit, debbono esser corrette in Casere Pezzèit. Il Rio delle Rostre presso queste casere è invece Li. delle Roste, e l’altro prossimo segnato R. Saline è invece Li. Salinis. Nel versante occidentale del vero M. Pizzul il Rio Rudanasa è invece Rio Da Rasa, ed il Rio Rufosco è invece Rio Fosco ; analogamente a N di Casera Costa Robbia il Rio Rutuldòn va corretto in Rio Tuldòn. Terreni siluriani. — : Scisti argillosi, micacei, ricchi di quarzo, in prevalenza grigi o neri nella parte inferiore e rosso violacei o verdastri superiormente, talora con ciottoli porfirici, rappresentano nei dintorni di Paularo il Siluriano inferiore e medio. Diversi di facies e di aspetto, ma quasi sempre a tipo OSSERV. CxEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 5 paleozoico antico, essi sono largamente diffusi nella parte set- tentrionale della regione esaminata, vale a dire in tutto il ba- cino più alto del torrente Chiarsò. Rocce eruttive verdi, per lo più molto alterate ma degne di attento esame, rompono in al- cuni punti la monotonia litologica della serie scistosa, acqui- stando notevole sviluppo ad esempio presso l’ancona della Ma- donna della Sghal ute o Scalata a mezza strada fra Paularo e la Stua di Ramàz. Con gli scisti sono qua e là interstratificati alcuni banchi di calcari duri, neri, venati di bianco, privi di fossili. Tutta questa massa scistosa presenta una generale direzione NW-SE con un’inclinazione variabile verso NE o NNE; in più luoghi dislocata e contorta e troncata nettamente a S da una estesa faglia, sembra essa stessa attraversata da una frattura parallela al R. Cercevesa c al R. Lanza. L’età di questa for- mazione è in gran parte fissata più dall’analogia con i terreni siluriani della Carinzia e dai rapporti tettonici, che non dalla presenza di fossili ; e impigliati nelle pieghe o spostati dalle faglie vi sono certo inclusi terreni di età più recente. Cosi al R. Tamai comparisce ad un tratto una zona di arenarie carbo- nifere con Zoophycos carbonarius Bozzi, la quale molto proba- bilmente si continua verso la Casera Costa Robbia ; ed oltre il R. Tamai, fra il Rio da Pièrtie e il così detto Pian di Germula, affiorano calcari grigi con sezioni di ammonitidi probabilmente devonici. Non avendo potuto, per ristrettezza di tempo, seguire accuratamente i confini di questi affioramenti, ci siamo limitati ad indicarli sulla Cartina geologica in modo provvisorio e senza contorno. Negli scisti siluriani inferiori, alle rare Graptoliti scoperte dal Taramelli fra Casera Lodìn e la Stua di Ramàz, dove il sentiero attraversa il R. del Musch (‘), possiamo aggiungere C) Cf. Marinelli 0., Cenni geologici \ sull a Camici], in «Guida della Carnia» di G. Marinelli, Firenze, 1898, pag. 47. Il Frech, a pag. 68 e a pag. 222 dell’opera Die Karnischen Alpen dice che il Taramelli trovò le Graptoliti a Casa Meledis, dove egli le cercò invano. Era ben natu- rale che il Frech non le trovasse, poiché il Taranelli non parlò mai di Casera Meledis, ma sempre del sentiero che dal Pecòl di Chiàula conduce alla Stua di Ramàz. 4 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI alcune impronte di Alghe, e tracce di organismi che possono avvicinarsi ai Tentaculites negli scisti neri sopra la Gaserà Ramàz. Nel Siluriano superiore prendono sviluppo notevole i calcari mandorlati o reticolati, nerastri, grigi o rossi, ad Orthoceras. Nettamente stratificati in banchi di potenza variabile, ma sem- pre mediocre, talora scistosi, essi costituiscono un orizzonte ben definito, che compare al Palòn di Pizzùl e alla base delle masse calcaree bianche della Guardia e del Germùla (Clàp di Milie); (vedi tav. Il, fig. 1), riaffiora poco sotto Gaserà Val Bertat, con- tinuandosi verso occidente, ove prende grande sviluppo presso la Stua di Ramàz, e costituisce quasi per intero il M. Culèt; più a nord compare presso la Casera Pecòl di Chiàula alta for- mando lo sprone della Cima Costa alta, noto col nome di Creta Rossa. Questi calcari conservano sempre rinclinazione verso NE o NNE, più o meno accentuata. Sono fossiliferi alla Stùa di Ramàz, a Casera Melèdis, alla Porca di Lanza, al Clàp di Milie e sopra tutto a Casera Pecòl di Chiàula, dove potemmo misu- rare un Orthoceras di più che 80 cm. di lunghezza. Sembra che il Taramelli fin dal 1870 abbia riconosciuto l’importanza di questo orizzonte, benché egli parli soltanto dei calcari rossi (che quasi ovunque si alternano con quelli grigi o scuri) e li ascriva al Carbonifero insieme con le grandi masse calcari sovraincom- benti ('). A tale orizzonte succede una nuova serie scistosa, molto ridotta in potenza, che forma il passaggio ai terreni devoniani. Terreni devoniani. — In contrapposto con la varietà dei tipi litologici siluriani, il Devoniano è anche nei dintorni di Paularo molto uniforme, come nella Carnia occidentale. Calcari bianchi o grigio-chiari, spesso dolomitici, a stratificazione talora indistinta, coronano quasi ovunque la serie siluriana, in appa- rente concordanza con questa. Meno erodilo li dei calcari ad Orthoceras, ma meno atte a dar ricetto alla vegetazione, le masse devoniche torreggiano nei punti culminanti della regione, ergendosi con pendìo ripidissimo sulla base dei terreni più an- C) Taramelli T., Osservazioni slratigra fiche sulle valli del Bài e del Cliiarsò in Carnia. In: Ann. scient.d. R. Istit. Tecnico di Udine, anno IV, 1870, pag. 39. OSSERV. GEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 5 ticlii. I loro rapporti con questi sono molto evidenti in alcuni punti, come presso il Clàp di Milie sul versante meridionale del Germùla e nel Cadili di Lanza sopra ricordato. La parete die limita questo a levante, e che è costituita dalla falda setten- trionale del Palòn di Pizzùl e dal Zuc della Guardia, presenta una sezione naturale molto istruttiva. Agli scisti siluriani infe- riori, che formano la base del Palòn, e che l’erosione ha messo a nudo sino al fondo della conca, segue una serie poco potente di calcari reticolati ad Orthoceras, a lor volta sottostanti a nuovi scisti oscuri del Siluriano superiore. I calcari reticolati sono la continuazione di quelli costituenti la parte più elevata del Palòn; insieme agli scisti occupano la sella interposta fra il Palòn e la Guardia di Lanza, e, sempre normalmente inclinati a NE, formano la base su cui poggia il Zuc della Guardia medesimo. Nell’unita fotografia (tav. Il, fig. 2) la sovrapposizione della massa calcarea devonica di questo monte ai terreni siluriani è resa con la maggiore evidenza. Nè va dimenticata la somi- glianza che si ha qui col Seekopf presso il lago di Volaja. Al Devoniano appartengono, oltre il Zuc della Guardia, il Germùla con la Punta Cui di Gretta, un breve tratto della valle di Lanza, e una zona di estensione non ben precisata sui monti Costa Alta, Cima Val di Puàrtis e Lodìn. Oltre la classica lo- calità fossilifera quivi scoperta dal Taramelli (‘) e illustrata dal De Angelis (2), trovammo coralli di questa età presso Casera Lodìn alta, sopra Casera Eamàz, intorno a Casera Val Bertàt. lungo il corso inferiore del R. Pàlis di S. Lorenzo, presso il Cason di Lanza, alla Forca di Lanza, e finalmente sul M. Ger- mùla. Poco sotto la vetta suprema (quota 2145) del Germùla, insieme a una ricca fauna di Antozoi, alcuni banchi di cal- care grigio-scuro si presentano zeppi di Brachiopodi, tra i quali riconoscemmo le seguenti forme: Stringocephalus Burtini, Orthis striatula, Atrypa desquamata , A. reticularis , che non (') Taramelli T., Una passeggiata presso Paularo. In: « Cronaca della Soc. Alpina Friulana», anno I, Udine, 1881, pag. 103. C) De Angelis d’Ossat G., Terza contribuzione aito studio della fauna fossile paleozoica delle A. Carniclie. Mera. R. Acc. Lincei, serie 5% voi. IV, Roma 1901, pag. 83. 6 P. YINASSA DE REGNY E M. GORTANI lasciano dubbio sulla appartenenza di questi calcari corallini al Devoniano medio, parte superiore. Prima di chiudere con i terreni devoniani, avvertiamo che la zona accennata sui monti Costa Alta, Lodili e Val di Puàrtis merita di essere esaminata accuratamente; e forse dal suo studio dettagliato potranno derivare fatti inattesi e di qualche impor- tanza. È questo il punto su cui l’estate ventura ci proponiamo di rivolgere le nostre ricerche. Terreni carboniferi. — Alle solide masse devoniane succede una serie di arenarie, argilloscisti e calcari scistosi o in banchi sottili, che sia per la facile erodibilità, sia per le speciali con- dizioni tettoniche, come vedremo più avanti, solo in una parte * \ della zona esaminata si riscontra in posizione normale. E nella valle epigenetica di Lanza, scavata al contatto fra i calcari del Germùla e i depositi carboniferi, che le arenarie ocracee con Productus Cora d’Orb. compaiono sovrapposte ai calcari devo- nici; i quali, pendenti circa 40" a NNE, si sprofondano sotto di esse lungo una linea segnata press’ a poco dal sentiero Gaserà Tal Bertat - Cason di Lanza. Ma la faglia che tronca a mezzodì la serie siluriana fa ve- nire a giorno la striscia obliqua dei terreni carboniferi, con dire- zione E-W e inclinazione a S o SSW., che costituisce per in- tero il vero M. Pizzùl. Dalla forca Pizzùl a quella di Paluciàn, lungo la cresta che corre normalmente alla direzione degli strati, si rileva con facilità tutta la serie. Ivi per una estensione di circa 1 chilometro, e con una potenza complessiva di 500 o 600 metri, si susseguono, a partire dalla forca di Lanza, scisti arenacei spesso alternati con calcoscisti o calcari compatti grigi 0 neri, e talora con grossi banchi di conglomerato quarzoso, come presso la vetta del Pizzùl. Un potente banco dello stesso con- glomerato superiormente a tinta rosso-vinata chiude la serie, e forma il passaggio alle arenarie di Val Gardena proprio sotto il Zuc di Paluciàn. Questo complesso di strati si continua con 1 medesimi caratteri, estensione e potenza a E, passando oltre il R. Pontebbana; verso ponente invece è tagliato a cuneo dalla faglia sopra accennata, e termina a poco a poco sotto la Gaserà Pizzùl bassa. Si vede quindi che per quanto l’indicazione topo- grafica del M. Pizzùl fosse notevolmente errata, pure a buon di- OSSERV. GEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 7 ritto possiamo continuare a intitolar da esso gli strati fossiliferi ■che lo hanno reso noto. È desiderabile che i resti vegetali e animali scoperti dal Tommasi poco sotto la forca Pizzùl, nel versante occidentale (*), vengano illustrati meno sommariamente di quanto abbiano fatto nelle loro note preventive i professori Paroma e Bozzi (?). Nelle nostre escursioni avemmo la fortuna di trovare nuove e ricche località fossilifere, presso le casere Pizzùl bassa e Pezzèit superiore e inferiore. Ovunque arenarie ocracee con numerosi Procluctus , Spiri fer, Derbyia, Pecten, e calcari neri a Fusulina, BelleropJion, Coralli e Crinoidi ; a S della Casera Pezzèit alta, a destra del Rio dai Amplis che sbocca nel R. delle Roste, alcuni scisti contengono impronte ve- getali magnificamente conservate. Vi riconoscemmo, oltre alle piante citate dal Bozzi, anche: Pecopteris pinnaeformis Brgt., P. unita Brgt., Bokschia flabellata Goepp., Cordaites borassi- folius Sterni)., che si trovano pure al Nassfeld, e inoltre Lepido- phyllwn caricinum Heer, L. trilineatum Heer, Cyclopteris cfr. fla- bellata Heer, Lepidodendron sp., Asterophyllites sp. ignote sin’ora nella Gamia. Con ciò non è però ancora esaurito il numero delle piante della importante località. A sinistra del Rio di Cas. Pezzeit, non molto lontano dalla precedente si ha un’altra lo- calità fi 1 litifera, di cui però sin’ora non conosciamo che la Neu- ropteris flexnosa Brongt. E pure interessante un lembo fossilifero con Fusuline, tro- vato nel Lanzenboden sopra Cason di Lanza, evidente continua- zione del Trogkofel. Terreni permiani. — Il Permiano inferiore è rappresentato anche qui dalle arenarie di Val Gardena, equivalenti al Bothlie- gendes e formanti un orizzonte costante in tutta l’alta Carnia. Sempre inclinate a S o SSW, sottilmente stratificate o scistose, prive di fossili, di colore rosso-vinato chiaro, con rari strate- relli o concrezioni calcari, le arenarie in questione occupano nel territorio esaminato una zona trasversale diretta da levante a C) Tommasi A., Sulla scoperta del carbonifero al Monte Pizzùl nel- l'Alta Carnia. — Boll. d. Soc. Geol. It.. voi. Vili, 1889, pag. 564. (2) Parona C. F., Brevi notizie sulla fauna carbonifera del Monte Pizzùl in Carnia. Boll. d. Soc. Geol. It., voi. IX, 1890, pag. 56; Bozzi L., Flora carbonifera del Monte Pizzùl. Ibid., pag. 71. 8 P. VI NASSA DE REGNY E M. GORTANI ponente. Qui raggiungono uno sviluppo considerevole, occupando la costa sopra Ligosullo e tutta la conca di Valdajer; ina si vanno man mano assottigliando verso oriente, tino a ridursi a meno di 100 metri di potenza nel bacino superiore del li. Sa- linis (a N del M. Salincliiet), e scomparendo al di là della P011- tebbana. Fin oltre il torrente Da Nasa, a W di Gas. Pizzùl bassa, le arenarie di Val Gardena si appoggiano regolarmente sugli strati carboniferi ; più a N sono troncate bruscamente dalla linea di faglia, che le porta a contatto con gli scisti siluriani e forma il loro limite settentrionale fino a Paluzza. Molto maggiore importanza e sviluppo ha il complesso di do- lomia cariata, marne gessifere e calcari più o meno scuri, com- patti o scistosi, clic rappresenta il Permiano superiore. General- mente la serie comincia con le marne gessifere, che si appog- giano concordanti sulla formazione di Val Gardena (così presso Troppo, Ligosullo, Villamezzo, Misincinis, Forca Pradulina); ad esse segue la dolomia cariata, irregolarmente alternantesi con i calcari e calcoscisti. Tutta la formazione è in prevalenza incli- nata a SSW, ma presenta molti disturbi e pieghe locali. I eal- coseisti sono fossiliferi presso Dierico e di fronte a Dierico, secondo la scoperta del Tommasi ('); tracce di Bellcrophon sembrano comparire nello stesso orizzonte anche lungo il corso superiore del R. Chianaipade alcuni interessanti strati scistosi con Bivalvi e numerosi Gasteropodi affiorano alla forca di Salinchiet. Terreni triasici e recenti. — Ben poco potemmo occuparci quest’anno della serie triasica, avendo fin da principio rivolto la nostra cura ai soli terreni paleozoici. Del resto, a parte il gruppo del Tersadia che studieremo dettagliatamente in altra occasione, nel territorio esaminato, il Trias non compare che al M. Cullili*, al Salinchiet e presso la forca Pradulina e Cas. Chia- naipade. Nelle ultime due località si tratta di un semplice lembo di arenarie werfeniane impigliate in un arricciamento di poca importanza; del Salinchiet parleremo fra poco; il Cullar è for- mato da una larga base di arenarie variegate che sopportano (») Tommasi A., Sul recente ritrovamento rii fossili nel calcare a Bel- lerophon della Carnia, Itemi. Acc. Lincei, Cl. se. fis , mat. e nat., sor. 5, voi. V, 1896, 1° Sem., fase. 6. OSSERV. GEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 9 un mantello di calcari dolomitici del Muschelkalk e forse in parte dello Sclilern. Il limite fra i calcari e le arenarie è se- gnato su per giù dal sentiero fra le casere Forchiutta e Tarrièe; e l’inclinazione prevalente è sempre a S o SSW. Dei terreni recenti meritano due parole i terrazzi di S. Vito e di Villamezzo, onde correggere l’indicazione della carta an- nessa al lavoro del Frech (‘). Egli segna questi formati da breccia glaciale, quelli come morene ; ma in entrambi la stra- tificazione testifica l’origine alluvionale, come per i vicini bel- lissimi di Paularo (tav. II, fig. 3). Cenni tettonici. — Singolarmente oscure sono rimaste finora persino le linee tettoniche principali dei dintorni di Paularo. La controversia sull’età cosi del M. Cernitila come del Salinchiet ne è una prova evidente ; e a dir vero il problema sarebbe di assai ardua risoluzione, senza buoni sussidi paleontologici. Tuttavia, pur riconoscendo quanto resti ancora da rilevare in dettaglio massime nella parte settentrionale e nel gruppo del M. Zóuf, esporremo le nostre osservazioni e le nostre idee su tale argo- mento. La serie silurico-devoniana, sviluppata come abbiam visto nell’alto bacino del Chiarsò, è quivi probabilmente tormentata da qualche frattura, pur mantenendo l’inclinazione generale verso NE o NNE. Ma la tronca a S una faglia quasi rettilinea, da noi seguita in ogni suo punto, che dal E. Pontebbana (300 me- tri a N di Cas. Pezzèit bassa) per la forca Pizzùl e Siccèit giunge al Chiarsò presso la sua confluenza col torrente Euàt; risaie- questo, e tenendosi sotto Cium Val Baròli si dirige verso Pa- luzza, arrivando alla Bùt fra Castiòns e Naunina, punto oltre il quale non venne ancora da noi seguita. In tutta la zona a mezzogiorno di questa faglia è dominante l’inclinazione a S o SSW, quasi a formare la gamba meridionale, sprofondata, della grande anticlinale con direzione E-W. In contrapposto con la zona a N della faglia, qui non abbiamo che terreni del Paleo- zoico recente o del Trias. A levante, presso i monti Salinchiet (') Frech F., Die Karnisehen Alpen. Ein Beiirag zar vergleichenden Gebirgs-telctonilc. Halle, 1894. 10 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI e Cullar, la serie permo-triasica, spinta contro il solido massiccio antico del M. Pizzìil, si è in vario modo contorta e arricciata, complicando notevolmente i rapporti tettonici. Una serie di marne gessifere, dolomia cariata, calcoscisti e arenarie di Werfen è cur- vata in una stretta sinclinale a ventaglio, con asse E-W, che forma la base del M. Salinchièt, ha il suo nucleo sotto la forca Pradu- lina e costituisce l’altura (quota 1631) interposta fra le selle di Pradulina e di Turrièe. A nord una faglia che passa per la forca di Salinchièt divide il Kauhkalk e il gesso dal Permiano infe- riore e dal Carbonifero del M. Paluciàn; a S invece sui calcari a Bellerophon si appoggiano in concordanza le arenarie wer- feniane di Casera Turrièe, localmente molto più pieghettate di quello che non si vede nell’unito profilo, (vedi fig. 3), il quale mostra solo l’andamento principale della curva. I calcari dolo- mitici del Trias medio e forse anche dello Schiera, che coronano il M. Cullar o per una faglia trasversale, o meglio per una piega sovrappostasi alla sinclinale a ventaglio erosa sopra accennata, sono stati spinti a N cosi da formare la metà superiore dei monti Salinchièt e Cuèl Màt, nonché la cima dell’altura fra le selle di Pradulina e di Turrièe. Il rinvenimento di Diplopore (I). an- nidata Schafh., 7). cfr. cilindrica v. Gttmb., T). infundibuliformis v. Gùnib.) e anche di Gyroporella sp. (*), frequenti tanto su questa altura quanto sui versanti N e S del monte Salinchièt, come noi stessi abbiamo potuto constatare, ci sembra risolva perentoriamente la questione. * * * Per terminare vediamo brevemente le principali correzioni che in seguito a quanto abbiamo esposto devono apportarsi alla carta geologica dei dintorni di Paularo, e che abbiamo espresse nella Cartina geologica annessa a questa nostra nota. C) Rispetto a queste determinazioni è da osservare che esse non possono considerarsi che provvisorie, in mancanza di uno studio su queste alghe importanti, il quale si basi su criteri diversi da quelli del Giimbel; ciò non ostante non si può avere alcun dubbio sul tipo tria- sico di questo giacimento del Salinchièt. OSSERV. GEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 11 Tre carte abbracciano in tutto o in parte la regione esami- nata: quella del Taramelli (*), quella del Frech (1. c.) e quella del Geyer (2). Le due prime sono estese all’intero territorio; le terza ne comprende soltanto la zona orientale dal monte della Guardia a Gaserà Forcliiutta. Il Geyer però corresse ultima- mente (3) le sue osservazioni del 1896, sopra tutto dimostrando la triasicità del calcare dolomitico a Diplopore che egli aveva prima ritenuto permiano. Monte Culèt. — È interamente siluriano; il Taramelli ne aveva riferito la parte scistosa al siluriano, la calcarea al carbo nifero; il Frech segna invece precisamente il contrario. Gli scisti sono effettivamente di tipo paleozoico antico e sottoposti ai calcari reticolati rossi e grigi ad Orthoceras , che formano gran parte della montagna. Monte Geemùla. — Eitenuto carbonifero (4), e precisamente del Carbonifero superiore (5) da Taramelli fino al 1881, e pure carbonifero da Pantanelli (8) e dal Parona (7), fu riferito al Trias superiore (Schiera) nel lavoro del Frech. In seguito all’escur- sione fatta nel 1895 con i professori Brugnatelli, De Angelis, 0. Marinelli e Tommasi, il Taramelli avanza più tardi l’ipotesi che il Germùla possa esser devonico (8) ; e il Geyer, che l’anno seguente lo segna come permiano e in piccola parte siluriano, C) Taramelli T., Carta geologica del Friuli. Pavia, 1881. (5) Ge3rer G., Ueber die geologischen Verhàltnisse ivi Pontafeler Abschnitt der Karnischen Alpen. Jahrb. d. k. k. Geol. Reichsanst., voi. 46, 1896, fase. 1. (3) Geyer G., Ueber neue Funde von Triasfossilien ivi Bereiche des Dip loporenka Ik- und Dolomitsuges nòrdlich von Pontafel. Verkandl. d. k. k. Geol. Reichsanst., 1898, n. 9-10. O Taramelli T., Osserv. strat., ecc., 1870, 1. c., spaccato III. (5) Taramelli T., Carta geologica e Spiegazione della Carta geologica del Friuli. Pavia, 1881, pag. 43. (fi) Pantanelli D., Note microlitologiche sopra i calcari. Atti Acc. Lincei, voi. XII, 1882, pag. 387 e seg. — Il Pantanelli avrebbe trovato in un campione del Germùla la Tetrataxis conica Ehr. e la Spirillina plana v. Moell.; ma si tratta probabilmente di altre forme. (7) Parona C. F., 1. c., pag. 4 dell’estr. (8) Taramelli T., Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel versante italiano delle Alpi Gamiche. Rend. Acc. Lincei, Cl. se. fis., mat. e nat., ser. 5a, voi. V, 2° sem., 1895, fase. 9. 12 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI c! t/2 t/2 c: OJ O ci 3 d (A - 0 a N Q a *3 a u o s a & c3 N N C-l -O ’Ui 4 o 0 P c/5 3 & 5 3 « 0 i> cé FiG. IL — Sezione dalla valle di Lanza alla Forca Paluciàn. — 1:50.000 sostiene nel ’98, per ragioni stratigrafiche, l’idea del geologo ita- liano (1), che viene poi anche accettata dal Prech (?) e dal De Angelis (3). I fossili assai numerosi che abbiamo avuto la fortuna di trovare, ci permettono di ascrivere senza alcun dubbio al periodo devonico la massa calcareo dolomitica della montagna; la quale si innalza sopra una base in gran parte siluriana, e non già tutta carbonifera come vorrebbe il Prech. P invece del Devo- (') Geyer G., Ueber neue Fonde , ecc., 1. c., pag. 251. (2) Frecli F., Letliaea paìaeozoica, II, pag. 364. (3) Terza contribuzione ecc., pag. G dell’estr. OSSERV. GEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 13 Spiegazione dei segni Calcari del Carbonifero. Eiilii : Calcai! del Trias medio. Scisti, arenarie e puddinghe del Carbonifero. Arenarie Werfeniane. r Calcari del Devoniano. Calcari a Orthoceras Calcari, dolomie e gessi : ' ~~ del piano a Bellerop/ion. ^ " ■" ^ del Siluriano. (SS m Arenarie di Val Gardena. E~ Scisti del Siluriano. niano inferiore, come ritiene il Predi, vi riconoscemmo il Devo- niano medio. Ciò non toglie che anche l’inferiore vi possa essere rappresentato. Lo spaccato della fig. 1 mostra l’andamento e la disposizione degli strati al M. Germùla. M. Palòn di Pizzùl. — Indicato da tutti gli autori e dalle carte topografiche italiane e tedesche come M. Pizzùl, il Tara- melli lo segnò nel 1881 costituito da arenarie di Val Gardena e calcari del Carbonifero superiore. Carbonifero lo disse il Pa- roma (') e lo notarono nelle loro carte anche il Frecli ed il Gever, (') Paroiia C. F., I. c., pag. 4 dell’estr. 14 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI benché quest’ultimo vi segnali nello stesso tempo la presenza dei calcari reticolati ad Orthoceras. Il Taramelli in seguito, nel 1895 (*), propende a ritenervi presenti calcari devonici ; ma come si vede nel nostro spaccato II, e come lo stesso Geyer accenna nel 1898 per il versante meridionale del monte (2), il Palòn è invece interamente siluriano, insieme con la estrema falda N-E del vero M. Pizzùl. La faglia che tronca a S la serie paleozoica antica passa infatti per la Forca Pizzùl; e a levante di questa gli scisti siluriani si stendono da Caserùte fin poco a settentrione di Cas. Pezzèit bassa e della Dinibacher Alpe, come noi medesimi potemmo constatare, risalendo con gran fatica l’aspra forra in quelli scavata dal rio Pontebbana. M. Salinchiét. — Mentre il Taramelli ritenne sempre il Salin- cliiét come permiano, affermandolo anche recisamente nel 1895, il Frecli ne riporta l’intera massa all’età della Schlerndolomib insieme con una zona estesa fin quasi agli stavoli Varlèit e a. gran parte del bacino superiore del torrente Turrièe. Calcari e dolomie a Bellcrophon segna invece Geyer in una zona larga circa un chilometro, che comprende tutto il Salinchiét e si dirige da est a ovest, normalmente all’asse della montagna. Se non che nel 1898, parlando dei rinvenimenti di fossili che gli fanno rite- nere triasica la dolomia del Rosskofel, accenna al «calcare chiaro a Diplopore del M. Salinchiét, che sembra non si trovi proprio in giacitura normale » (3j. Effettivamente triasica è la metà supe- riore dei monti Salinchiét e Cuòi Màt; lo spaccato della fig. 3 mostra come potrebbe spiegarsi, a nostro parere, la complicata struttura di questo gruppo. Triasico certamente è pure il dosso calcareo del M. Cullar (Muschelkalk), che il Frecli indica invece permiano. Linee di rovesciamento e frattura. — Da quanto abbiamo esposto nei cenni tettonici, appare come secondo la nostra opi- nione la distribuzione dei terreni nell’alto bacino del Chiarsò si spieghi senza ammettere il generale rovesciamento che Geyer (') Taramelli T., Osserv. strat , ere., 1895, 1. c. ) Geyer G., Ueber neue Funde, eco., 1. c., pag. 251. (s) Geyer G., Ueber neue Funde , ece., 1. c., pag. 245. OSSERV. GEOL. SUI DINTORNI DI PAULARO 15- suppone e sul quale insiste più volte nella memoria del 1896 (Q. Quanto alle numerose faglie segnalate nei dintorni di Paularo dal Frech, la massima parte dev’essere eliminata. Ben diversa per andamento e significato è la faglia del Salinchièt; non esi- stono le due grandi fratture che a S e a N limiterebbero, se- condo il professore tedesco, il Germùla; va tolta quella cunei- forme che egli pone a S immediato della Stua di Ramàz e che dovrebbe interessare la Punta Cui di Gretta e il M. Culèt. Le faglie a N della Stua devono, almeno in parte, esser tolte unica rimane quella di breve percorso, normale al R. Lanza, a E di Casera Melèdis. Altre linee di frattura debbono invece tro- varsi probabilmente lungo i rivi Tuldòn e Tamai e non lungi dalle Casere Foràn e Germùla. Ed infine è singolare che il Frech non abbia avvertito la paraclasi, cosi estesa ed evidente, che dalla Poutebbana corre fino alla Bùt. [ms. pres. il 29 settembre 190i - ult. bozze 15 marzo 1905]. (') Vedi anche Marinelli 0., Alcuni recenti studi sulla geologia delle Alpi Carniche. Appunti bibliografici. «In Alto», Cronaca della Soc. Alp. Friul., anno Vili, Udine, 1897, pag. 55 e 57. 1G P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI SPIEGAZIONE DELLA TAV. II Fig. 1. Veduta del M. Germùla da Paularo. S.) Scisti siluriani. D.) Calcari devoniani. » 2. Veduta del Zuc della Guardia da Forca di Lanza. S. s.) Scisti siluriani. C. s.) Calcari siluriani. D. ) Calcari devoniani. » 3. Terrazzo quaternario presso Paularo. Istituto geografico militare 1905 Riproduzione riservata • » - . Boll. S. Geol. Ifc. XXIV (1935) (Vinassa e Gortani» Tav. II. AUT. FOT FLÌOf. CW ZfU AHI H Pfc-HHAPtO - f'.U ANO APPUNTI SUI BATRACI E SUI RETTILI DEL QUERCY APPARTENENTI ALLA COLLEZIONE ROSSIGNOL Parte Terza COCCODRILLI — SERPENTI — TARTARUGHE (con tre Tavole, III-V) Nota del dott, Giuseppe De Stefano Per completare lo studio da me fatto sui Batraci e sui Ret- tili delle fosforiti del Quercy contenuti nella collezione Rossignol, acquistata dal Museo di Storia naturale di Parigi nel 1893, rendo noto il risultato delle ricerche sui Coccodrilli, sui Serpenti e sulle Tartarughe. Questo lavoro perciò fa seguito a quelli che io ho già pubblicati sui Batraci urodeli [X, pag. 40-49, tav. Ili] e sui Sauri [XII, pag. 382-418, tav. IX e X] e deve considerarsi come la loro continuazione, costituendone la terza ed ultima parte. Siccome i fossili più numerosi della collezione Rossignol sono certamente quelli riferibili agli Ofidii, ed io, causa il mio for- zato ritorno in Italia, non ho potuto osservarli che alquanto sommariamente, al contrario di quanto è accaduto per gli altri Rettili e per i Batraci, cosi il mio studio da tale punto di vista potrebbe non essere completo. Ciò tengo a dichiarare perchè il dott. A. T. De Rochebrune, con minore materiale di quello da . me visto, potè discernere nel 1884 un rilevante numero di specie di serpenti [Vili, pag. 149-164, tav. I e II]; e la ricca raccolta porgendo ancora allo studioso occasione di un fecondo lavoro di comparazione, dal quale potrebbero essere messi in luce nuovi tipi animali, altri possa invogliarsi ad esplorare meglio la pre- ziosa miniera degli avanzi fossili del Quercy. 2 18 G. DE STEFANO La maggior parte delle figure contenute nelle tavole che accompagnano il presente lavoro sono riproduzioni fotografiche degli esemplari studiati, altre sono il risultato di disegni, co- piati dal vero, ed eseguiti dal signor J. Papoint, addetto al laboratorio di Paleontologia del Museo di Storia naturale di Parigi. Reggio-Calabria, ottobre 1904. BIBLIOGRAFIA. I lavori qui appresso elencati trattano esplicitamente od implicitamente di quei Rettili che formano l’oggetto della pre- sente memoria, ed in questa sono citati, per brevità, col solo numero romano. I. Boettger 0., Reptilien von Marrokko und von den Kana- rischen Inselli. Abhandl. d. Senkenb. naturf. Gesellsch., Bd. IX, Frankfurt a. M., 1874. II. Boettger 0., Die Reptilien und Amphibien von Mar- roJcko. Abhandl. d. Senkenb. naturf. Gesellsch., Bd. XIII, I. Frank- furt a. M., 1883. III. Boulenger G. A., Catalogne of tlie Chelonians, Rhyn- chocephalyans and Crocodiles in thè Rritish Museum (Naturai History). 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Pai lavori pubblicati fino al giorno d’oggi sui fossili delle fosforiti del Quercy risulta che la classe dei Rettili e quella degli Anfibi sono rappresentate nel modo che segue: REPTILIA AMPHIBIA Crocodilia ( Laccrtilia Squamata ( Opinala Testudinata Urodela Batrachia (Anura). Gli accennati ordini sono ancora rappresentati fra gli avanzi della collezione Rossignol: in proposito ho già trattato altrove dei Batraci urodeli, e dei Laccrtilia (Sauri) fra i Rettili del- l’ordine Squamata. Dico solo incidentalmente che gli avanzi dei Batraci anuri appartenenti alla collezione Rossignol sono rappresentati da scarsi e molto imperfetti avanzi, in tutto, da qualche mascellare e vertebra, la quale, essendo stata comple- tamente trasformata dalla ganga in fosfato di calcio, non è suscettibile di un’accurata diagnosi: è tuttavia riconoscibile il genere Lana, e ciò grazie alle osservazioni fatte dal prof. Leone Vaillant, che mi fu sempre di valido aiuto nel riconoscimento dei fossili. Il Filimi però a suo tempo ha avuto la fortuna di esami- nare avanzi di Batraci anuri molto meglio conservati di quelli che si trovano fra i fossili della collezione Rossignol: difatti egli potè determinare }XIY, pag. 493, fig. 402-412, e tig. 413] le seguenti specie : • Rana plicata Filimi, Bufo servatus Filimi, la prima caratteristica per le pieghettature della pelle del corpo, la quale richiama alla mente la disposizione della pelle che si 22 G. DE STEFANO osserva nella vivente Rana tigrina dell’India, e la seconda, stando alle idee del Fillio!, molto prossima ai Rufo che vivono attualmente. Bisogna osservare però che il Bufo scrvatus, Filimi, è una specie fossile fondata sopra caratteri alquanto insufficienti, giacche l’autore non ha esaminato che una porzione anteriore di un corpo di anfibio anuro, le cui parotidi ben distinte non lasciano adito a dubbii sulla determinazione generica. Non è difficile che i molto imperfetti avanzi da me esami- nati appartengano alla stessa specie di Rana riconosciuta dal Filhol ; e ad ogni modo è provato ormai che al tempo delle fosforiti vivevano nella Francia Batraci anuri da includere nei viventi generi Rana e Bufo. Poco numerosi, ma interessanti al contrario, sono gli avanzi dei Coccodrilli fossili del Querey contenuti nella collezione Ros- signol. Le ricerche fatte in proposito fino al giorno d’oggi si limitano solamente a quelle del Filhol, il quale nel 1877 indicò [XIV, pag. 264] nel deposito in questione avanzi di Diplocynodon gracilis Vaillant, coccodrilliano della famiglia Alligatoridae , già noto per i nume- rosi avanzi trovati nei depositi aquitaniani di Saint-Gérand-le- Puy [XXV, pag. 383; XXIX, pag. 18; XIX, pag. 45; XXXII, pag. 673] ed in altre località mioceniche ed oligoceniche euro- pee, e del quale diversi esemplari si conservano nel Museo di Storia naturale di Parigi. Gli avanzi indicati ma non descritti nè figurati dal Filhol, ed in antecedenza già stati segnalati dal Gervais [XV], consistenti in diverse placche dermato-sclieletriche ed in una porzione anteriore di mascellare inferiore, non furono a me ostensibili durante il mio soggiorno a Parigi. Grazie al ricco materiale della collezione Rossignol ebbi però agio di stu- diare un discreto numero di placche dermato-sclieletriche, un pezzo di mascellare ed una falange unghiale, non che alcune vertebre proceli, appartenenti a coccodrilliani della sopra detta famiglia. Degli accennati avanzi, alcuni spettano alla specie Diplocynodon gracilis Vaillant, altri non sono ad essa riferi- bili, ma insieme ad un piccolo cranio debbono essere inclusi in una nuova specie del gen. Alligator Cuvier, BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 23 Alligato r Gaudryi De Stefano. Le notizie che fin qui si avevano sugli ofìdiani del Quercy erano più numerose di quelle riguardanti i Coccodrilli, anche perchè gli avanzi dei serpenti fossili abbondano in tale deposito. Il primo a segnalarne la presenza fu P. Gervais [XV], il quale notò che, nelle fosforiti, gli ofìdiani erano per lo meno rappresentati da due specie. In seguito H. Filhol indicò iXIY, pag. 494, fig. 435-444] il gen. Palaeoplùs Owen [XXIII, pag. 56], ed un Python Cadurcensi.s Filhol. L’esame dell’autore era basato sulle specie già segnalate dal ■Gervais, ma ritenne che le vertebre attribuite da quest’ultimo al gen. Palaeophis fossero molto affini a quelle degli attuali Python. Inoltre, il Filhol fece rappresentare in una tavola del citato lavoro alcune porzioni di corpi di serpenti, le cui scaglie glie le fecero rapportare ai viventi Colubridi, essendo molto poco diverse dal Colubro d’Esculapio, ora vivente in Francia. Le figure 414 a 418 inserite nelle tavole della stessa opera sono indicate con la denominazione di Coluber Lafonti Filhol. Nel 1880 A. T. De Rochebrune fondò il gen. Scytalophis, •e mutando il nome generico di Python in quello di Palaeo- python, ci fece conoscere le seguenti specie del Quercy [VI, pag. 276-278, tav. XII, fig. 4, 5 e 6] : Scytalophis Lafonti Filhol sp. Palaeopython Cadurccnsis Filhol sp. Palaeopython Filholi De Rochebrune. Le quali furono riconosciute dal dott. De Rochebrune in seguito alle ricerche da lui fatte sulle vertebre dei serpenti che esistono attualmente sulla superficie terrestre [VII], potendosi così mettere in chiaro che gli ofidii delle fosforiti debbono con- 24 G. DE STEFANO siderarsi specificamente e genericamente come distinti dai tipi esistenti oggi giorno. Ma le specie sopra citate furono ben presto accresciute dallo stesso autore, in un altro lavoro [Vili, pag. 149-162, tav. 1 e li] nel quale venne aumentata tutta la fauna ofìologica delle fosforiti del Quercy. In detto lavoro, pubblicato nel 1884, il De Rochebrune, esaminando principalmente il materiale forni- togli dal prof. Filimi e fino allora trovato, consistente in pezzi di tronco rivestiti dalle loro scaglie, in frammenti di mascel- lari ed in un gran numero di vertebre, ci dette la completa descrizione delle forme classificate, distribuendole in otto generi comprendenti undici specie, delle quali eccone l’elenco siste- matico : Odontomopìiis atavus De Rochebrune Omoiotyphlops priscus De Rodi. Palaeopython Cadurcensis De Rodi. Palaeopython Filholi De Rodi. Palaeopython neglectus De Rodi. Scytalophis Lafonti De Rodi. Plesiotortrix Edivardsi De Rodi. Palaelaphis antiquus De Rodi. Palaelaphis robustus De Rodi. Pylmophis gracilis De Rodi. Tachyophis nitidiis De Rodi. Quattro anni dopo dell’apparizione dell’ultimo lavoro del' De Rochebrune, nel 1888, anche R. Lydekker, nel compilare il catalogo dei Rettili e degli Anfìbii fossili conservati nel Bri- tisli Museum di Londra, ebbe l’occasione di occuparsi della fauna ofiologica del Quercy. Nella prima parte di questo im- portante lavoro [XIX, pag. 250-258], il naturalista inglese fa una revisione sulle determinazioni già state fatte dal Filimi e dal De Rochebrune, riconoscendo nel materiale delle fosforiti del Quercy, e conservato nel British Museum, i seguenti ofì- diani : Paleryx rhombifer Owen (~ Python Cadurcensis Filimi zz Pa- laeopython Cadurcensis De Rochebrune). Paleryx Filholi (De Rodi.) (— Palaeopython Filholi De Rodi.). BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 25 Come si comprende facilmente, il Lydekker non ammette nelle fosforiti che il solo genere Paleryx Owen [XXIII, pag. 67] della famiglia Pythonidae, ed in esso fa rientrare il Python Cadurcensis del Filhol, non che il gen. Palaeopython creato dal De Rochebrune. Io non so se il Lydekker conoscesse nel 1888 l’ultimo lavoro del dott. De Rochebrune, ma certo le specie in esso descritte non furono dal primo esaminate e discusse, e solo fu ritenuto- come definito il gen. Pylmophis De Rochebrune, nel quale rientra il Coluber Sansaniensis Lartet sp. [XIX, pag. 251]. Dopo il Lydekker nessun altro naturalista, almeno fra quelli di mia conoscenza, si è occupato degli ofidiani fossili del Quercy, Lo Zittel, nel suo trattato di Paleontologia [XXXII, pag. 620] ha citato di tale formazione il gen. Palaeopython De Roch.r notando come esso sia identico a Python Pictet et Filhol ; ed io, recentemente, accennando i generi Paleryx Owen e Scyta- lopliis de Rodi., ho notato come i Serpenti fossero numerosi al tempo delle fosforiti, e come essi siano rappresentati nella col- lezione Rossignol da una grande quantità di avanzi [XIIr pag. 286-287]. Di fatti, quanto ho detto nel lavoro concernente i Lacertilia è dimostrato dal seguente elenco, rappresentante gli animali ofidiani da me riconosciuti nella sopra detta collezione Rossignol : Pylmophis gracilis De Rochebrune Elaphis an tiquns De Roch. sp. Elaphis Ponici De Stefano > Tachyophis nitidus De Roch. Paleryx rliombifer Owen Paleryx Filholi De Roch. sp. Paleryx neglectus De Roch. sp. Paleryx Cayluxi De Stefano Scytalophis Laf oriti De Roch. sp. Plesiotortrix Edwardsi De Roch. Le dieci specie elencate sono distribuite in sei generi, ma sono convinto, come già ho detto in antecedenza, che esse po- tranno essere aumentate con uno studio comparativo più det- tagliato di quello che io abbia potuto fare. 26 G. DE STEFANO Ma le più scarse notizie che si sono avute fino a questi ultimi giorni intorno ai rettili del Quercy riguardano il gruppo delle Tartarughe. Nè gli avanzi che io ho osservato fra il materiale della collezione Rossignol sono numerosi od in tale stato di con- servazione da permettere una sicura diagnosi specifica. Le Tartarughe fossili del Quercy erano state riferite dal Filimi, in parte al gen. Emys Duméril et Bibron, ed in parte ad una tartaruga terrestre, simile alle Testuclo mioceniche della Francia [XIV, pag. 484 J. Io ho potuto riconoscere che gli avanzi accennati dal compianto anatomista, ed i pochi contenuti nella collezione Rossignol, appartengono a due generi, gen. Ocadia Gray gen. Ptycliogaster Pomel, ed al pari del Filimi non ho trovato rappresentanti del gruppo Trionyx. Sicché, concludendo, i rettili studiati in questo lavoro vanno distribuiti in dieci generi, dei quali ecco l’ elenco sistematico : gen. Alligator Cuvier. A. Gaudryi De Stefano. gen. Diplocynodon Pomel. I). yracilis Vaillant. gen. Pylmophis De Rochebrune. P. yracilis De Roch. gen. Elapliis Duméril et Bibron. E. antiquus De Roch. sp. E. Boulci De Stefano. gen. Tacliyopliis De Roch. T. nitidus de Roch. gen. Paleryx Owen. P. rhombifcr Owen. P. Filholi De Roch. sp. BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 27 P. neglectus De Roch. sp. P. Cayluxi De Stefano. gen. Scytalopliis De Roch. S. Lafonti De Roch. sp. gen. Plesiotortrix De Roch. P. Edwardsi De Roch. gen. Ocadia Gray. Ocadia sp. gen. Ptycliogaster Pomel. Ptycìioyaster sp. DESCRIZIONE SISTEMATICA DELLE SPECIE Classe REPTILIA. Ord. Emydosanria. SUBOED. E USUO EIA. Pam. CROCODILIDAE (pr. d.). gen. Alligator Cnvier. G. Cuvier, V., voi. X, pag\ 25. Alligator Gaudeyi De Stefano. (Tav. Ili, fig. 1, 2, 3, 4, 5 e 6). Fra i fossili del Quercy, compresi nella collezione Rossignol, ho trovato un cranio di coccodrillo, che, dopo un paziente e delicato lavoro, ho potuto separare quasi completamente dalla ganga fosfatica che lo copriva : esso è ora esposto perciò nella galleria di paleontologia del Museo di Parigi, ed insieme ad 28 G. DE STEFANO altri avanzi, che dirò in seguito, appartiene ad una nuova specie di Eusuchia brevirostri, della quale i principali caratteri sono: Cranio triangolare isoscele; formula dentale ; denti varia- bili, conici od arrotondati ; orbite quasi tre volte più grandi delle fosse temporali superiori e collocate alquanto più avanti della metà di tutta la lunghezza del cranio ; fosse temporali estese; forame mandibolare esterno molto sviluppato e di forma ellittica; occipitale inferiore molto inclinato alla normale che passa per la parte posteriore dell’occipitale superiore e del condite occipitale. Il cranio del coccodrillo che vado a descrivere è in buono stato di conservazione, e la completa ossificazione dei pezzi ossei che lo compongono indica che esso appartenne ad un animale adulto. La sua più grande lunghezza, misurata dal condile occi- pitale all’estremità anteriore deH’intermascellare, è di 88 mm. La più grande largezza si misura al livello dell’articolazione del mascellare inferiore, ed è di 66 mm.: la larghezza presa al livello del margine anteriore delle orbite è di 44 mm. In conclusione, le prime due dimensioni nel cranio del nuovo coccodrillo ci fanno notare un rapporto presso a poco come 3:2, e le ultime due anche esse un rapporto come 3 : 2. A tali rapporti bisogna aggiungere che il fossile ha la conformazione di un triangolo isoscele poco allungato, a muso corto, con le ossa nasali che arrivano fino alle narici esterne, con i denti disuguali, con l’in- clinazione del mascellare superiore poco accentuata. Inoltre, l’intermascellare, privo di perforazioni atte al passaggio dei denti anteriori della mandibola, non è rigonfiato; e le fosse oculo-temporali sono relativamente poco sviluppate. Si può quindi concludere che il cranio del Quercy è rapportabile ai viventi Caimani od Alligatori [V, pag. 59]. Cranio. — Passando all’esame particolare del fossile, e detto che gli intcrmascellari non sono rigonfiati, si osserva prima di tutto che questi sono uniti al mascellare per mezzo di una su- tura due volte sinuosa. Il mascellare superiore è corto e poco diritto. L’apertura esteriore delle narici ò collocata sopra un piano molto inclinato sull’orizzontale. Le narici sono circondate esternamente e latero-anteriormentc dagli intermascellari : poste- BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 29 riormente le estremità delle ossa nasali si collocano fra questi ultimi formando lina larga superficie triangolare. Dette ossa nasali sono dilatate in avanti e ristrette indietro: quelle lacri- mali sono un po’ più allungate, e la loro estremità anteriore si estende fin quasi alla riunione delle ossa nasali con gli interma- scellari. L’osso jugale ed il temporale scaglioso, comparati con le analoghe ossa degli attuali Alligator non presentano nulla di speciale, salvo che il primo, in rapporto alla sua lunghezza, è relativamente stretto. Anche l’osso della cassa non ha nulla di notevole. La placca fronto-parietale è un po’ ristretta in avanti, ed i suoi angoli posteriori, formati dalle ossa mastoidiane, sono poco ottusi. Le orbite sono molto vaste in proporzione dello svi- luppo che assumono le fosse temporali superiori. Queste ultime sono piccole e di forma ellissoidale, mentre le prime hanno forma quasi circolare. Il minimo spazio interorbitale è di 7 min., « si misura al limite anteriore del frontale principale. Lo spazio minimo fra le fosse temporali superiori è di 10 mm., e si mi- sura ai due terzi anteriori della lunghezza del parietale. Anche l’occipitale superiore non presenta notevoli particolarità rispetto alle analoghe ossa dei viventi Caimani, ma l’osso timpanico è meno scavato di quello di questi ultimi. L’occipitale inferiore, se si considera una normale al con- dile occipitale ed all’occipitale superiore, si presenta ad essa molto più inclinato di quanto si osserva nell’identico osso degli Alligator viventi. Le ossa palatine non sono visibili, poiché la loro porzione posteriore è distrutta e la regione anteriore è coperta dalla roccia fosfatica. Gli orifici nasali sono pressò a poco tanto lunghi che larghi, e visibili guardando il cranio dalla sua regione posteriore; infine, l’arco jugo-frontale è si- tuato presso a poco ai due terzi posteriori della maggior lun- ghezza deH’orificio orbito-temporale. Mandibola. — Il mascellare inferiore del fossile del Quercy non presenta notevoli particolarità, eccezione fatta per qualche suo elemento comparato con quelli degli Alligator propriamente detti. La sinfisi delle ossa dentarie è molto corta. Il gran fo- rame esterno è relativamente molto sviluppato: esso ha forma regolarmente ellittica, e misura 28 mm. di lunghezza per 20 mm. 30 G. DE STEFANO di larghezza. Se si fa un confronto fra le date dimensioni e quelle che si misurano nei grandi forami esterni mandibolari degli Alligato r viventi, si osserva un notevole rapporto diffe- renziale, il quale risulta ancora più evidente quando si metta in opposizione alla lunghezza degli assi antero-posteriori, misu- rata dalla base del condite occipitale all’estremo dell’interma- scellare. L’osso angolare non offre nulla di particolare, e non si scorge nemmeno la sutura che lo unisce al dentario, consumata: anche la sutura che unisce l’angolare al sopra-angolare è poco visibile, ma sembra che essa cominci verso la parte media del gran fo- rame esterno. Il soprangolare ha superficie esterna molto rugosa, ed offre in alto, al punto dove esso rimonta per unirsi alla por- zione posteriore della superficie di articolazione dell’osso arti- colare, una marcata depressione parallela al suo margine. L’osso articolare è allungato, più largo anteriormente che indietro, cioè più largo all’attacco del soprangolare, e presenta una su- perficie articolare relativamente larga e molto concava transver- salmente. Dentatura. — Sopra tale argomento io m’ intratterrò un po’ estesamente, data la sua importanza nella definizione delle specie degli Eusuchia brevirostri. Nella descrizione degli organi dentali esaminerò la mandi- bola ed il mascellare superiore destri, perchè sono ben conser- vati e da me potuti liberare completamente dalla ganga fo- sfatica. Il mascellare superiore destro da un margine dentale lungo 58 min., sul quale si contano sei denti irregolari, di varia gran- dezza, più o meno conici, più o meno incurvati ed appuntati, ed impiantati in alveoli. Sull’intermascellare si contano cinque denti. Ma bisogna badare che lo stato di conservazione del fos- sile è tale che la dentatura del mascellare considerato non è completa così come si presenta. Considerando le lacune esistenti e l’intervallo clic passa fra l’ultimo dente manifesto fino al punto marginale dove il mascellare superiore sopporta il jugale, che va a formare il bordo posteriore dell’orbita, si può calcolare che il numero dei denti giungesse con certezza ad undici nell’ani- BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 81 male vivente. Comprendendo quindi i cinque dell’intermascel- lare, su mentovati, si avrebbero in tutto 16 denti. Tale numera diversifica il fossile dai coccodrilliani Eusuchia viventi, nei quali si ha: per gli Alligator non meno di 19 e sovente 20 denti sul mascellare superiore; per i Coccodrilli propriamente detti anche non meno di 19 per ciascun mascellare; e per i Gaviali, i cui denti superiori arrivano ad essere da 27 a 28 da ciascun lato del mascellare [V, pag. 59-63]. Tornando all’esame dei denti del mascellare superiori del cranio del Quercy, dirò che essi pure presentando forma conica, sono in generale poco appuntati e poco ricurvi. La loro super- ficie è leggermente striata da tenue strie parallele e longitu- dinali : in alcuni denti la striatura non si osserva che sotto una lente. Quelli dell’ intermascellare sono i più robusti: sul ma- scellare la robustezza arriva fino al sesto dente. G’intervalli fra i diversi denti sono indicati da fossette di ricevimento per i denti inferiori. Tali fossette sono situate un pò più indietro della linea degli alveoli dentali; ma tendono a disporsi sulla stessa linea di questi ultimi nella regione posteriore del mascel- lare. Sull’osso dentale della mandibola si contano dodici denti. Ma per l’attuale stato di conservazione del fossile non che per gli spazi interdentali posteriori, bisogna ammettere che la serie completa possedesse al massimo quindici denti. Tale serie è dif- ferente da quelle mandibolari nei viventi Eusuchia: di fatti, i coccodrilli propriamente detti ne hanno quindici da ciascun lato, ed i Gaviali ne posseggono da 25 a 27 [Y, pag. 39-63 J. I denti del mascellare inferiore del fossile del Quercy sono dirètti obliquamente in fuori alla regione anteriore, ma nella parte media s’incominciano a raddrizzare, e posteriormente hanno una decisa posizione verticale. Anche i denti mandibolari sono striati da sottili e longitudinali strie parallele. La loro forma, come in quelli del mascellare superiore, è più o meno conica, ma sono poco appuntati. Tali caratteri valgono almeno per i denti anteriori della serie, poiché le porzioni terminali della corona di quelli posteriori, restando coperte nelle fossette del mascellare superiore, non sono visibili. 32 G. DE STEFANO Vertebre, placche dermato-scheletriche e falangi un- ge i ali. — Le tre vertebre da me trovate nel materiale della col- lezione Rossignol non offrono nulla di particolare comparate con le vertebre proceli degli Eusuchia cenozoici e viventi. Seguendo la nomenclatura proposta daH’Huxley [XVII] si può dire che la maggior parte delle scaglie dermatiche del nuovo coccodrillo, non sempre ben conservate, sono delle scaglie care- nate a faccette articolari, sulla superficie superiore delle quali si trova in avanti una striscia liscia e priva di ornamentazione scultoria, che si chiama superficie articolare. Immediatamente dopo tale striscia articolare comincia la carena, da principio poco sensibile, ma che si eleva gradualmente fino al margine poste- riore della placca, dove essa presenta al di sotto una piccola escavazione destinata all’ingranaggio della carena della placca seguente nella serie. I margini anteriori e posteriori delle plac- che in questione sono semplici, mentre quelli laterali sono più o meno dentellati per tutta la loro lunghezza, ed il loro spes- sore si accresce sensibilmente dall’avanti all’indietro. La mag- gior parte fra le placche esaminate hanno forma quadrilaterale, e la loro carena mediana è ben marcata. La loro superficie ha una ornamentazione scultoria variabile, sopra qualcuna osser- vandosi una reticulazione con cavità scultorie irregolari, subel- littiche, allungate, o circolari, le quali non hanno una disposizione irradiante. Nel materiale della collezione Rossignol si notano anche placche dermiche diverse da quelle descritte, vale a dire, più piccole, di forma irregolarmente arrotondata anzi che quadrila- terale; la loro superficie superiore difetta in avanti della stri- scia articolare e le cavità scultorie sono più ampie e più irre- golari di quelle delle placche già esaminate. Le dentellature si osservano oltre che ai margini laterali anche a quelli anteriori; avvenendo inoltre che tutto lo spessore della placca è tenue. Nell’anzidetto materiale si osserva infine una terza varie à di scaglie, curvate, senza carena mediana, con striscia artico- lare anteriore pochissimo larga, le quali hanno forma rettango- lare, col diametro transverso molto più lungo dell’antero-poste- riore, con cayità scultorie quasi circolari e disposte regolarmente, BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 38 r con sole dentellature ai margini laterali, dove lo spessore dei pezzi diventa molto tenne. Noto in ultimo che al coccodrilliano descritto riferisco una falange ringhiale, alquanto robusta, non molto ricurva, e non differente nella sua generale conformazione dagli analoghi or- gani che si osservano negli Alligator viventi. Comparazione. — Il coccodrillo esaminato parrebbe avere la formula dentaria 16 — x 15 — x e perciò esso differirebbe dal Diplocynodon gracilis Vaillant, e dagli altri coccodrilli dell’ Aqui taniano di Saint-Grérand-le-Puy. I)i fatti, il Diplocynodon gracilis ha sedici denti per ogni ma- scellare superiore, ai quali aggiungendo i cinque deH'interma- scellare, si arriva ad una serie di ventuno denti [NXXI, pag. 20]; ed una serie di diciotto nella mandibola [XXXI, pag. 43]: il Di- plocynodon lìciteli i Ponici, ha sul mascellare superiore ventidue denti, compresi quelli dell’ intermascellare, e diciannove sulla mandibola [XXV, pag. 327; XXXI, pag. 43] ; il Crocodilus Ae- do icus Vaillant, in fine, ha diciannove denti "sul mascellare, com- prendendovi anche i cinque dell’ intermascellare [XXXI, pag. 49]. Passando alla identificazione specifica del cranio del Quercy, osservo che prima di ogni altro si possono fare due ipotesi : a) che il cranio appartenga ad 'un giovane individuo; S) che il cranio sia di un animale adulto. A favore della seconda ipotesi milita la completa ossifica- zione dei pezzi che lo compongono, ma ad ogni modo, anche supposto ed ammesso che il fossile spetti ad un giovine ani- male, resta tuttavia il notevole fatto della sua dentatura, la quale, come si è visto, differisce da quella degli Alligator vi- venti e dei Diplocynodon fossili., Tale dentatura, nel nostro caso è di massima importanza per la definizione specifica, poiché si sa che il numero dei denti nei coccodrilli non varia con l’età, e tanto in un animale che esce fuori dall’uovo quanto in quello di cinque metri di lunghezza, qualora entrambi appartengano alla medesima specie, la serie dentale si compone dello stesso 3 34 G. DE STEFANO numero di organi. Ciò basta per convincerci che il tipo descritto non può confondersi con altri Alligato)' fossili, già noti. Io ho già fatto notare le sue affinità cogli attuali Alligator, nel cui genere esso rientra, ammettendo con i più autorevoli odierni natura- listi che la famiglia Crocodilidae (sezione dei brevirostri) com- prenda i generi Crocodilus Linneo, Alligator Cuvier, ecc. [Ili, pag. 274-298; XIX, pag. 44-62]. Tenuto poi conto che nelle fo- sforiti del Quercy si trova anche associato il Diplocynodon gra- cilis, ho creduto bene fare la comparazione fra la dentatura delle due specie. Ma esse differiscono anche nella conforma- zione del loro cranio. Senza entrare in minuziosi e prolissi par- ticolari dirò solo quanto segue: il Pomel fondò il genere Di- plocynodon pei coccodrilliani di Saint-Gérand-le-Puy, basandosi sullo sviluppo proporzionalmente enorme del quarto dente man- dibolare [XXV, pag. 372; XXXI, pag. 22]. Nel fossile del Quercy non è il quarto dente mandibolare il più robusto della serie, ma invece sono il nono ed il decimo; e nelle specie finora meglio note di Saint-Gcrand-lc-Puy si osserva che dopo il quarto dente la serie decresce in robustezza fino al nono, che è notevolmente piccolo [ XXXI, pag. 23]. Quanto alle analogie esistenti fra il fossile del Quercy ed i coccodrilli proceli terziari fino ad ora descritti, dei quali la maggior parte (miocenici e dell’eocene superiore) rientrano nel genere Diplocynodon [XIX, pag. 45-53; XXXII, pag. 673], sono ben poche e farò solo una sommaria comparazione. Mi fermerò principalmente sulle specie finora meglio cono- sciute, che non sono molte. In Europa: Alligator Hantoncnsis Wood, Crocodilus Duticonensis H. v. Meyer, C. champsoides Owen, C. cleprcssifrons Blainville: ed in America, Diplocynodus sublatus Cope, D. polyodon Cope, Alligator heterodon C’ope, Crocodilus affmis Marsh, C. sulcifcrus Cope, C. accr Cope. In tutte le forme americane sopra accennate [XVIII; IV, pag. 152, 154, 164, 162, tav. XXIV, fig. 5 e 19, fig. 1-2, fig. 11 e 18, tav. XXI, fig. 1-3] si trovano peculiari caratteri differenziali col Coccodrillo del Quercy; 1° nella conformazione generale del cranio; 2° nella disposizione delle ossa, ed in particolare degli intermascellari ; 3° nella dentatura. A prescindere dagli altri caratteri differenziali dirò ora, passando alle forme europee, che, BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 35 il Grocodilus depressifrons Blainville, il quale può considerarsi come la più antica specie terziaria europea fra i Crocodilia proceli, è caratterizzato da robuste mascelle e da un cranio di particolare conformazione: 1’ Alligato r ( Diplocynodon ) Hantoncnsis Wood (— Crocodilus Hastingsiae Owen), si allontana dal fossile del Quercy, vuoi per la caratteristica fossetta di recezione alla ma- scella superiore, vuoi per la robustezza del quarto dente mandi- bolare e per gdi altri caratteri che si riscontrano nei Diplocynodon in generale : il Grocodilus Buticonensis H. v. Meyer non è stato descritto nè figurato dall’autore, e solo si sa che la lunghezza della siufisi mandibolare e la forma dell’intermascellare sono più prossime alle analoghe ossa dei Caimani anzi che a quelle dei Gaviali. Non è quindi con tale forma che si possono fare raffronti. Del resto, la maggior parte dei Coccodrilli terziari europei rientrano nel genere Diplocynodon [XIX, pag. 45-53; XXXII, pag. 673-675], ed anche quelli da me non citati si allontanano perciò dal descritto fossile del Quercy. Il quale, in conclusione, ci rappresenta un nuovo tipo specifico di rettile procele, ben diverso da quelli terziari a noi noti fino ad ora, e che bisogna collocare nel gen. Alligator Cuv. della famiglia Crocodilidae, accanto al gen. Diplocynodon Pomel. In omaggio all’eminente prof. Albert Gaudry, la nuova forma l’ indico col nome specifico di Gaudryi. gen. Diplocynodon Pomel. A. Pomel, XXV, pag. 383. 1846-47. Diplocynodon Poni. — Pomel, XXV, pag. 383. 1872. Diplocynodon Pom. — Vaillant, XXXI, pag. 18. 1888. Diplocynodon Pom. — Lydekker, XIX, pag. 45. 1893. Diplocynodon Pom. — Zittel, XXXII, pag. 673. Diplocynodon gbacilis Vaillant. L. Vaillant, XXXI, pag. 18. (Tav. IV, tig. 1-2). 1872. Diplocynodon gracilis Vail. — Vaillant, XXXI, pag. 18 e tavole 1877. Diplocynodon gracilis Vail. — Filhol, XIV, pag. 264. 1888. Diplocynodon gracilis Vail. — Lydekker, XIX, pag. 50. 36 ' . . * r G. DE STEFANO Alla specie elencata sono riferibili due pezzi di mascellari inferiori. Il meglio conservato appartiene alla regione anteriore di un osso dentario destro: della mandibola, della quale l’osso in questione faceva parte, difettano perciò il complimentare, il soprangolare e le altre ossa che normalmente costituiscono il mascellare inferiore dei coccodrilli. La porzione del dentale accennato ha cinque alveoli, e sulla sua superficie esterna si osservano alcuni piccoli forami: gli alveoli sono conici ed a pareti liscie: il diametro del secondo e del terzo indicano che in essi stavano impiantati due fra i denti più robusti della serie del fossile in esame: il quarto ed il quinto alveolo indicano due dei denti assai poco robusti. Tanto il Gervais quanto il Filimi hanno già prima di me segnalato la presenza del Diplocynodon gracilis Yaillant nelle fosforiti del Quercy. Disgraziatamente gli avanzi (placche der- mato-scheletriche), dal primo citati, non si conservano nel Museo di Storia nat. di Parigi. Fra le collezioni paleontologiche di quest’ultimo, sono alcune placche dermato-scheletriche, apparte- nenti alla collezione Rossignol, riferibili a detta specie : ho pen- sato bene perciò di farle figurare. Molto importante è la notizia dataci dal Filimi [XIV, pag. 246] sopra una porzione anteriore di mascellare inferiore, e che dovrebbe far parte delle collezioni paleontologiche del Museo geologico dell’Università della Sorbona, al su detto autore comunicata in studio dal prof. Hébert. Ma a dire il vero, le ricerche da me fatte col permesso del com- pianto prof. Munier-Chalmas (morto l’anno passato), nel Museo geologico della Sorbona, non mi fecero rinvenire alcun mascellare inferiore di Diplocynodon gracilis. In fine, avanzi di un tale coccodrilli ano, trovati nelle fosfo- riti del Quercy (Caylux), si conservano fra le collezioni paleon- tologiche del British Museum di Londra. Lydekker cita [XIX, pag. 52] una porzione anteriore di mascellare inferiore « The anterior part of thè righi ranius of thè mandible of a very small individuai; from thè Phosphorites of Caylux (Tarn-et-Garonne), F rance ». BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 37 Oed. Squamata. SUBORD. OPHIDIA. Sez. Colu briformia. Pam. COLUBRIDAE. gen. Pylmophis De Rochebrune. A. T. De Rochebrune, Vili, pag. 158. 1880. Pilemophis De Roch. — De Rochebrune, VI, pag. 282. 1884. Pylmophis De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 158. 1883. Pilemophis De Roch. — Lydekker, XIX, pag. 250. Vertebre più alte che larghe; lame appiattite, ristrette nel mezzo; processi costali più allungati eli quelli del gen. Tropi- donotus; apofisi neurale in forma di accetta ; zigosfene provviste posteriormente di un piccolo cercine. 11 carattere più importante sul quale il dott. De Rochebrune nel 1880 fondò il gen. Pylmophis consiste nella presenza, alla parte posteriore delle zigosfene, di un cercine prominente a forma di V, l’apice del quale si stacca dall’apofisi spinosa mentre la estremità di ciascuna delle sue branche si arresta al livello delle lame, un po’ al di sotto della depressione del foro di coniu- gazione [VI, pag. 283; Vili, pag. 158]. Lydekker ritenne in seguito [XIX, pag. 250-251], e giusta- mente, che detto genere è affine all’attuale Tropidonotus , ma espresse anche il parere che il carattere principale sopra indi- cato è dubbioso per una distinzione generica : « The right to generic distinction may be doubtful ». Tuttavia riconobbe il nuovo gruppo, ed in esso incluse [XIX, pag. 251] il Coluber sansaniensis Lartet, del miocene francese. Io ritengo che il gen. Pylmophis, per quanto prossimo al gen. Tropidonotus, sia ben definito, giacche oltre il notevole carattere messo in luce dal De Rochebrune, le vertebre del primo hanno le lame molto appiattite, ristrette nel loro mezzo, a processi suballungati, e troncati a sezione quadrata all’estre- mità. Perciò lo adotto. Non sarebbe impossibile ritenere che il 38 G. DE STEFANO gen. Pylmophis del Quercy e di Sansan in Francia rappresenti il tipo ancestrale dei viventi Tropi dono tits, così comuni in Europa. Pylmophis gracilis De Rochebrune A. T. De Rochebrune, Vili, pag. 158 ; tav. 1, fig. 4, 4 a ; tav. II, fig. 9, 9 a, b, c. Questa specie è rappresentata fra i fossili della collezione Rossignol da alcuni incompleti mascellari e da numerose ver- tebre. I mascellari sono caratteristici, perchè molto stretti nella loro parte anteriore, sopra tutto al livello della sinfisi, e perchè si allargano bruscamente nella regione posteriore. I denti che in essi si osservano sono conici, acuti, leggermente incurvati in dentro, e presentano un eguale spazio interdentale: gli organi posteriori sono un po’ più robusti, meno incurvati, e più ottusi degli anteriori. Le vertebre hanno i processi suballungati e troncati alla estremità in forma di quadrato, e le loro faccette articolari, di forma ovoidale, sono inclinate. Le apofìsi transverse superiori sono brevi, a faccette trapezoidali, ed inclinate obliquamente dal basso, all’alto e dall’indietro in avanti; l’apofìsi spinosa è piccola, poco elevata, e troncata obliquamente indietro. gen. Elapliis Duméril et Bibron. Duméril et Bibron, XIII, pag. 241. 1854. Elaphis Dum. et Bibr. — Duméril et Bibron, XIII, pag 241. 1877. Coluber Lin. — Filhol, XIV, tav. XXV, fig. 415. 1880. Elaphis Dum. et Bibr. — De Rochebrune, VI, pag. 291. 1884. Palaelaphis De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 156. 1888. Elaphis Dum. — Lydekker, XIX, pag. 251. Vertebre quasi tanto alte che larghe; condilo. diritto; lamine molto larghe agli archi; zigosfcne larghe; articolazioni costali oblique; apofìsi vertebrali grandi ed obliquamente troncate poste- riormente. Lydekker riferì [XIX, pag. 251], seguendo in ciò la primi, tiva idea del De Rochebrune (VI, pag. 291], al gen. Elaphis Duméril et Bibron, il Tropidonotus atavus Meyer (=z Coluber BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 39 papyraceus Troschel), trovato nel miocene inferiore (oligocene superiore) di Roth presso Bonn, notando come le vertebre incluse in detto genere non avessero la parte superiore dell’articolazione costale acuta, e l’altezza dell’apofisi neurale fosse moderata. Lo stesso Lydekker [XIX, pag. 252 J riferì ancora ad E la plus ( Eia - phis oweni ), sempre appoggiandosi alle idee del De Rochebrune, il Colubcr oweni Meyer, distinto dalla precedente specie per la parte superiore delle articolazioni costali, molto acuta, delle ver- tebre, e per le più alte apofisi vertebrali. De Rochebrune però nel 1884 fondò il gen. Palaelaphis [Vili, pag. 156], notando che esso « diffère sous peu de rap- ports des Elaphis actuellements existants ; cependant, la forme onduleuse des bords des processus, la pointe obtuse qui les ter- mine, la surface articulaire des apophyses transverses supé- rieures, elliptiques et non arrondies et a bords tranchants, l’apo- pliyse épineuse offraut en arrière un mucron obtus, droite et non couchée obliquement, sout autant de caractòres suffisants pour le distinguer ». Ora io ritengo che non sia necessario fondare un nuovo genere per i fossili del Quercy. I caratteri principali del gen. Ela- phis, quali, la larghezza delle lame, la larghezza delle zigosfene, l’obliquità delle articolazioni costali, la grandezza delle apofisi neurali, si riscontrano anche nelle vertebre del Quercy; e gli altri caratteri notati in queste dal De Rochebrune, come, la forma ondulata del margine dei processi, la loro sommità finente in punta ottusa, la superficie articolare delle apofisi transverse superiori ellittica, sono sufficienti differenze osteologiche per distinguere la specie del Quercy dalle altre terziarie europee. Ciò si manifesta più chiaramente pensando che il gen. Elaphis ■già esiste nell’oligocene, per gli avanzi trovati in Germania, e che delle due specie indicate dal Meyer nei terreni oligocenici di Rotti presso Bonn, Elaphis atavas Meyer sp. ed Elaphis oweni Meyer sp., la prima ha la parte superiore dell’articola- zione costale non acuta, al contrario della seconda, che si di- stingue principalmente per l’acuità della parte superiore delle articolazioni costali delle vertebre, e per le loro neurapofisi più alte [XIX, pag. 151-152]. 40 G. DE STEFANO Così l’attuale gen. Elaphis Duméril et Bibron, il quale com- prende la specie più lunga e più grossa dei serpenti europei, compresi nella famiglia dei Colubridi, esisteva già nei tempi oligocenici, come fanno fede gli avanzi di Roth in Germania e del Quercy in Francia, accanto ad altri generi di ofidiani, che in seguito si modificarono e non abitarono più l’Europa. Forse il Coluber Etruriae Portis, [XXVIII, pag. 23, tav. I, fig. 8, 9. 10. 11 | del pliocene toscano, appartiene al genere Elaplds. Elaphis antiquus De Rochebrune sp. A. T. De Rodiebrune. Vili, pag. 156. 1877. Coluber Lafonti Filhol. — Filhol, XIV, tav. XXV, -fig. 415. 1884. Paìaelaphis antiquus De Roch. — De Rodiebrune, Vili, pag. 156- tav. I, fig. 3, 3 a,c; tav. Il, fig. 7, 7 a, b. De Rochebrnne rapporta a questa specie, vertebre, un fram- mento di corpo, la cui superficie è coperta da scaglie piccole, spesse, alquanto poligonali, leggermente arrotondate alla base, ed un mascellare, i cui denti anteriori sono lunghi e ricurvi, e quelli posteriori corti. Secondo lo stesso autore, la figura 415 della tavola XXV del noto lavoro del Filhol [XIVJ, da quest’ultimo indicata col nome di Coluber Lafonti , appartiene incontestabilmente alla stessa specie [VILI, pag. 157]. Nella collezione Rossignol l’ Elaphis antiquus De Roche- brune sp. è rappresentato solamente da vertebre: almeno io non ho saputo distinguervi altri avanzi fossili ad esso riferibili. Dette vertebre presentano i caratteri già indicati dal De Roche- brune: sono appena più alte che larghe, hanno il condile diritto e leggermente appiattito, le lame molto larghe, i processi con bordi ondulati e finenti in punta ottusa, le apofisi transverse superiori molto robuste ed a superficie articolare ellittica, i tu- bercoli costali poco prominenti, l’apofisi spinosa molto alta, larga e quadrangolare. BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 4T. Elaphis Houle i De Stefano. (Tav. IV, fig. 3-6). Fino ad ora, nelle fosforiti del Qnercy, eran note due specie del gen. Elaphis Dnmér. et Bibr., Elaphis antiquus De Rodi, sp., ed E. (Palaclaphis) robustus De Rodi. sp. Grazie all’esame del materiale Rossignol io ho potuto constatare che tale gruppo è rappresentato da una terza forma, alla quale, in omaggio al prof. M. Boule, dò il nome specifico di Boulei. A questo Elaphis Boulei De Stef. riferisco un mascellare e numerose vertebre. Il mascellare è piuttosto robusto, più di quanto si riscontra nelle attuali forme del gen. Elaphis, ma i denti non lasciano adito a dubbio sul riferimento generico. Di fatti, i denti ante- riori della serie sono lunghi e ricurvi, mentre quelli posteriori sono relativamente piccoli. Comparato detto mascellare con quello AqW Elaphis antiquus e del Ti?, robustus [Vili, tav. II, fig. 7 e 8} ne risaltano subito le differenze specifiche. La porzione di ma- scellare sulla quale A. T. De Rochebrune fondò la specie E. ro- bustus, è quasi simile a quella dell’!?. antiquus, e solo ne dif- ferisce, per lo spessore più considerevole, per la sua estremità sinfisaria ottusamente ovolare, e per i denti, dei quali l'ante- riore ha una speciale curvatura. Ora, i due fossili mentovati, . hanno presso a poco dimensioni eguali, e l’autore ritenne che quello riferentesi alI’_Z?. robustus non potesse presentare gli ac- cennati caratteri per un maggiore sviluppo dell’animale in rap- porto all’altra specie. Nel fossile del Qnercy in questione, che io ritengo appar- tenente ad una nuova forma, manca il primo dente della serie, ma dalla sua base si arguisce che esso doveva essere molto allungato, robusto ed incurvato per rispetto ai rimanenti della serie. Quanto alla forma del mascellare, noto che esso non ha l’estremità sinfisaria ottusamente ovolare, come si verifica nella E. robustus De Roch. sp., ma il complesso di tutto l’osso è nor- malmente robusto, e di dimensioni più grandi della sopra detta specie, figurata dall’autore [Vili, tav. II, fig. 8] al doppio della 42 G. DE STEFANO sua grandezza naturale, e dell’ Elaphis antiquus, che è stato, nella sua rappresentazione, ingrandito tre volte [Vili, tav. II, % 7]. Le vertebre hanno i seguenti caratteri : sono quasi tanto alte che larghe, ed hanno lamine larghe agli archi; anche le zigo- sfene sono larghe: le articolazioni costali sono oblique e le apo- fisi vertebrali sono troncate superiormente: le lame hanno i mar- gini meno ondulati di quelli dell 'Elaphis antiquus, e l’apofisi, poco elevata, è ottusa in avanti. gen. Tachyophis Le Kochebrune A. T. De Rochebrune, Vili, pag. 150. Vertebre più lunghe clic larghe , leggermente ristrette nel mezzo, lame molto strette , processi brevi, apofisi transverse superiori di- ritte, faccette articolari molto ridotte, apo/isi spinosa poco ele- vata e tubercoli forme indietro. Il gen. Tachyophis, fondato dal De Rochebrune nel 1884, è molto affine all’attuale genere Zamenis, della famiglia Colti- hridae , che vive nell’Europa meridionale. Io lo ritengo ben fon- dato. Comparando le vertebre del genere fossile con quelle dello Zamenis atrovirens Shaw. e Z. viridiflavus Wagl., prese nella stessa posizione del corpo, si presentano un po’ più corte, ed a lame meno ristrette nel mezzo, di queste ultime. Come già os- servò De Rochebrune [Vili, pag. 159] nelle vertebre del gen. Ta- chyophis, i tubercoli costali, meno prominenti di quelli del gen. Zamenis, sono situati non molto in basso, e l’apofisi spinosa è tubercoliforme. Quest’ultimo carattere è notevole, giacché nelle vertebre del genere Zamenis, detta apofisi spinosa è uncinata. Tachyophis nitidus De Rochebrune. A. T. De Rochebrune, Vili, pag. 159, tav. I, tig. 5, 5 a ; tav. II, tig. 10, IO «. b. Fra i fossili della collezione Rossignol ho trovato un imper- fetto pterigoidiano, un po’ più piccolo dei pterigoidi di uno Za- menis atrovirens Shaw., con denti piuttosto piccoli, conici e ri- curvi. Un pterigoidiano, simile a quelli del gen. Zamenis, ma BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 43 più grande di quello sopra detto, fa già figurato dal De Roche- brune [Vili, tav. II, fig. 10]. Lo stesso autore descrisse e figurò [Vili, tav. I, fig. 5, 5 a] un tronco della regione pelviana, le cui scaglie sono disposte, come quelle del gen. Zamenis, dalle quali si distinguono perchè sono più grandi, meno allungate ed a base più ottusa. Inoltre, le scutelle ventrali si distinguono dalle ana- loghe che si osservano negli attuali Zamenis, per la loro bre- vità, il loro spessore, ed il loro modo derubricarsi. Nella collezione Rossignol io non ho osservato fossili di così fatta natura. Le vertebre in essa contenute però, ed apparte- nenti alla specie sopra indicata, sono piuttosto numerose. Di esse ne figuro alcune in diverse posizioni: è notevole il loro intaglio largo e profondo, e la loro apofisi spinosa, poco elevata, molto inclinata in avanti, tubercoliforme indietro. Fam. PYTHON1DAE. gen. Paleryx Owen. R. Owen, XXIII, pag. 67. 1850. Paleryx Ow. — Owen, XXIII, pag. 67. 1855-57 Python ? — Pictet, XXIV., pag. 98 e 119. 1877. Python L. — Fillio!, XIV., pag. '270. 1880. Palaeopython De Rodi. — De Rodiebrune, VI, pag. 276. 1884. Palaeopython De Rodi. — De Rodiebrune, Vili, pag. 153. 1888. Paleryx Ow. — Lydekker, XIX, pag. 253. 1893. Palaeopython De Rodi. — Zittel. XXXII, pag. 620. 1893. Paleryx Ow. — Zittel, XXXII, pag. 620. 1904. Paleryx Ow. — De Stefano, XII. pag. 386. Vertebre con apofisi vertebrali di altezza moderata, a pro- cesso che. si proietta indietro alla sommità, breve ed arrotondato ; tubercoli costali molto prominenti; una cresta al di sotto del centro. I centri delle vertebre del tronco medio e posteriore del gen. Paleryx Owen differiscono da quelle degli attuali Python per la carena che sta sotto .al centro più fortemente marcata, ma per ogni altro riguardo la rassomiglianza fra le vertebre dei due generi, che lo Zittel [XXXII, pag. 620] ritiene distinti, è strettissima, sia nelle articolazioni costali collocate in alto sul 44 G. DE STEFANO centro, sia nelle zigapofisi, molto estese, e che arrivano ben oltre i margini laterali delle articolazioni costali. Lo Zittel ritenne Paleryx e Palaeopython distinti; ma la notata rassomiglianza fra i due generi fu nel 1888 riconosciuta dal Lydekker [XIX, pag. 253], il quale scrisse testualmente: «Tlie centra of thè middle and posterior trunk vertebrae differ from tliose of Python by thè more strongly marked haemal carina; but in all otlier respects thè resemblance between thè vertebrae of thè two ge- nera of extremely dose ». Il De Rochebrune istituendo nel 1880 il gen. Palaeopython [VI, pag. 276], ed in seguito, nell’esame degli ofidiani del Quercy | Vili, pag. 153J, notò che le vertebre pelviane di questo genere comparate con quelle di stessa posizione dei viventi Python Sehae Gmel., e Python molurus Gray, queste ultime se ne distinguono per la maggiore brevità del centro, per il diametro del condi le più grande, per l’intervallo fra i tubercoli costali egualmente più grande, per le apofisi transverse superiori più allungate e meno massicce, ed in fine, per l’assenza quasi completa della cresta inferiore del centro. Tali caratteri sono comuni a quelli del gen. Paleryx Owen [XXIII, pag. 67J, ed il Lydekker giustamente fece rilevare che il gen. Palaeopython De Rock, è fondato sopra esemplari clic non possono distinguersi dalle vertebre delle specie tipo del gen. Pa- leryx: « The so-called Palaeopython is founded upon specimens vvicli cannot be distinguished from thè vertebrae of thè type species of Paleryx: see Geol. Mag.’ dee. 3, voi. V, pag. 112, 1888 [XVII, pag. 254]. i Paleryx rhombifer Owen. R. Owen, XXIII, pag. 67, tav. XIII, fig. 19 a 28. (Tav. IV, fig. 11, 12, 13, 14). 1850. Paleryx rhombifer Ow. — Owen, XXIII, pag. 67, tav. XIII, lig. 19-23. 1855-57. Python ? — Pictet, XXIV, pag. 98 e 119. 1877. Pliython Cadurcensis Filli. — Filhol, XIV, pag. 270, tav. XXVI, fig. 435 a 444. 1880. Palaeopython Cadurcensis Filli, sp. — De Rochebrune, VI, pag. 276, tav. XII, fig. 4, a, h, c. BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 45 1884. Pàlaeopytlion Cadurcensis De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 153, tav. II, fig. 3, 3 a, 3 ò. 1888. Paleryx rhombifer Owen. — Lydekker, XVII, pag. 254-255, fig. 55. Le vertebre riferite a questa specie, che arriva a conside- revoli dimensioni di lunghezza, sono molto numerose e di tutte le gradazioni. Esse hanno i seguenti caratteri: il corpo forte- mente piramidale; il condite piccolo e breve e inclinato; le lame larghe nel mezzo, rigonfie ed a forti impressioni muscolari; i processi brevi, larghi ed arrotondati all’estremità ; i tubercoli costali molto prominenti; le apofisi transverse superiori robuste, piramidali, a faccette larghe e di forma quadrangolare; in fine l’apofisi spinosa larga e curvata a forma di uncino. Lydekker considerò il Paleryx rhombifer Owen la specie tipica del gruppo (type species ), e notò inoltre che la vertebra figurata da I)e Eochebrune [VI, fig. 4, a, b, c] come Palaeopython Cadurcensis non può distinguersi dalla vertebra tipo della specie in esame, ed è probabilmente identica con Python Cadurcensis, nel qual caso essa arriva a considerevoli dimensioni [XIX, pag. 254]. In effetti il Paleryx rhombifer è identico al Python Ca- durcensis, determinato dal Filhol [XIV, tav. xxvi, fig. 435-444], ma bisogna notare che molte fra le vertebre da tale autore riferite ad una stessa specie, appartengono a Paleryx Filholi De Eochebrune sp., forma che si andrà a descrivere. In proposito ho voluto esaminare le poche vertebre che si conservano in Museo, già osservate dal Filhol, e in esse non ho vista nessuna dif- ferenza, eccezion fatta nelle dimensioni più grandi, paragonate con quelle dell’eocene inglese. Anche nella collezione Eossignol esistono grandi e piccole vertebre appartenenti ad animali di diverso sviluppo. Il De Eochebrune figura del Paleryx rhombifer Ow. (zz Pa- laeopython Cadurcensis ), oltre le vertebre, una porzione anteriore di mascellare inferiore [Vili, tav. i, fig. 3], la quale non è altro che una riproduzione del fossile già illustrato dal Filhol [XIV, tav. xxvi, fig. 437 j. Detto avanzo è piuttosto corto e massiccio, possiede denti robusti, e dovette appartenere ad un serpente di considerevole dimensione. Fra i fossili della collezione Eossignol non ho osservato nessun mascellare atto ad essere riferito al Paleryx rhombifer 46 G. DE STEFANO Owen. Questa specie, a quanto pare, nei terreni terziari è più frequente di quel che fino ad ora si era creduto. Quasi certamente gli avanzi indicati dal Pictet col nome generico di Python [XXIV, pag. 98 e 119], e trovati nei terreni siderolitici di Mau- remont, appartengono alla stessa specie ; ed è merito del Lvdekker l’avere per il primo richiamato l’attenzione sul fatto che la forma determinata dall’Owen nell’eocene inglese (Honvell ed Hamp- shire) è identica a quella riconosciuta per la prima volta dal Filhol nelle fosforiti del Quercy. Paleryx Filholi -De Rochebrune sp. A. T. De Rochebrune. VI, pag. 277. -(Tav. IV, fig. 15; Tav. V, tig. 5). 1877. Python Cadurcensis Filli. — Fillio!, XIV, pag. 271. 1880. Palaeopython Filholi De Roch. — De Rochebrune, VI, pag. 277, tav. XII, tig. 6, a, h, c. 1884. Palaeopython Filholi De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 154, tav. II, fi g. 4, 4 o, b, c. 1888. Paleryx Filholi (Roch.) — Lvdekker, XIX, pag. 255. Questa specie differisce dalla precedente, per il relativo appiattimento delle lame, per l’ondulazione del margine dei processi, per la lunghezza delle apofisi transverse superiori, e per la forma dell’apofìsi spinosa. Di essa, fra i fossili della collezione Rossignol, esistono numerose vertebre appartenenti a tutte le posizioni della regione caudale e precaudale, le quali hanno le lame alquanto ribassate, i processi ondulati ed a punta angolosa, le apofisi transverse superiori lunghe ed oltrepassanti un pò la superficie articolare, le apofisi transverse inferiori brevi ed appuntate, l’apofisi spi- nosa molto corta, assai larga, più alta in avanti che indietro, e con la sommità a sezione quadrata. Il Paleryx Filholi De Rochebrune sp. fu già riconosciuto dal Lydekker [XIX, pag. 255], c comparando le vertebre della regione pelviana di tale specie con quelle della stessa regione di un Python Sehae Grael. ho potuto osservare una notevole differenza, nella strettezza e nella più inarcata obliquità del corpo delle prime, nella direzione e tenuità delle apofisi tran- BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 47 sverse superiori, non che nella conformazione dell’apofisi spinosa di queste ultime. De Rochebrune figurò in grandezza naturale [Vili, tav. n, fig. 4] una porzione di mascellare di Paleryx Fillioli, i cui denti sono molto allungati, molto ricurvi e molto acuti. Questi caratteri non si riscontrano nei denti degli attuali Python. Paleryx neglectus De Kochebrune sp. A. T. De Rochebrune, Vili, pag. 154. i (Tav. V., fig. 3-4). 1884. Palaeopython neglectus De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 154. tav. I, fig. 1 ; tav. II, fig. 5, 5 a, b. Fra i fossili della collezione Rossignol esiste un gran nu- mero di vertebre di serpenti, i cui caratteri generali sono quelli del gen. Paleryx, ma non possono essere incluse in nessuna delle specie fino ad ora citate, perchè sono quasi tanto alte che larghe, hanno il corpo breve, il condile un po’ obliquo e senza collo apparente, le lame larghe e fornite di piccoli processi a punta ottusa. Dette vertebre hanno inoltre le apofisi transverse superiori brevi ed ottuse, l’apofisi spinosa diritta e quadrata, ed i tubercoli costali molto obliqui e poco sporgenti. Delle vertebre così fatte furono riferite nel 1884 da A. T. De Rochebrune ad una nuova specie di Palaeopython , P. ne - glectus, vicina alle due congeneri precedentemente citate, ma offrenti ancora delle affinità con le forme dell’attuale gruppo Boaeidae. Ho voluto anch’io constatare quali relazioni esistano fra le vertebre fossili e quelle di un vivente Boa, ed ho esa- minato perciò a suo tempo, quando mi trovava a Parigi, una colonna vertebrale di un Boa constrictor L., messa gentilmente a mia disposizione dal prof. Vaillant. Così ho potuto vedere che l’aspetto massiccio delle vertebre fossili, la brevità del loro corpo, l’obliquità del condile, la larghezza e la forma dei processi, ecc., sono tutti caratteri che si riscontrano anche nella citata specie del gen. Boa. Da questo genere i fossili però differiscono ab- bastanza nella disposizione delle apofisi transverse superiori, nella forma delle loro faccette articolari, nella piccolezza della 48 G. DE STEFANO loro cresta al di sotto del centro, nella notevole obliquità dei tubercoli costali, pei quali caratteri io ho creduto che essi deb- bano essere inclusi nel gen. Paleryx Owen. De Rochebrune riferì anche a Paleryx (Palaeopython) ne- glectus De Rodi. sp. un pezzo di tronco [Vili, tav. I, fig. 1], lungo 153 mm. ed avente un diametro di 0,045 millimetri, co- perto di scaglie trapezoidali, lisce, imbricate, e più larghe che alte. Queste scaglie differiscono da quelle dei viventi Python per le loro più grandi dimensioni, e per la maggiore brevità del loro asse mediano. La specie riconosciuta dal De Rochebrune a me sembra so- stenibile, ma di essa la collezione Rossignol non contiene che sole vertebre. Paleryx Gay lux i De Stefano. (Tav. IV, fig. 9-10; Tav. V, fig. 1-2). ' Nello studio dei fossili del Q.uercy io ho cercato di essere molto parco nella istituzione di nuove specie; tuttavia talora, come ho già altrove osservato [XII, pag. 389 [ , le notevoli va- riazioni dei caratteri osteologici mi hanno fatto deviare mio mal- grado da tale indirizzo, giacché non ò possibile concepire ani- mali osteologicamente alquanto diversi appartenenti alla mede- sima specie. Così dicasi della forma sopra elencata, la quale non può essere confusa con le altre congeneri già citate e com- prende un gran numero di vertebre, tanto della regione caudale, quanto di quella precaudale. Le vertebre in questione hanno i seguenti caratteri: sono poco alte e molto larghe, hanno il corpo molto breve, la cavità cotiloide grande e profonda, le apofìsi transverse superiori lun- ghe e sorpassanti la superficie articolare, le apofìsi transverse inferiori corte ed appiattite, l’apofisi spinosa, breve, larga, e tanto alta in avanti quanto indietro, i tubercoli costali piatti e molto inclinati, ed infine, la cresta al di sotto del centro pro- minente, più alta in dietro che avanti. Come facilmente si comprende le vertebre descritte appar- tengono alla famiglia Pythonidae, e per la conformazione delle apofìsi trans verse, e per il modo come il processo si proietta BATRACI E RETTILI DEL QTIERCY 49. indietro alla sommità, e per la cresta sotto il centro, senza citare -altri caratteri, rientrano nel gen. Paleryx Owen. Ma esse non possono essere riferite nè a Paleryx rhombifer, nè a P. Filhoh nè a P. neglectus. Alla nuova forma io attribuisco il nome specifico di Cayluxi. Questo Paleryx Cayluxi milii, ha molte relazioni di affinità col Paleryx Filholi De Roch. sp., dal quale si distingue principalmente per il corpo vertebrale più basso e meno piramidale, per la cavità cotiloide grande e profonda, per l’apofìsi spinosa, breve e larga e tanto alta in avanti che in- dietro, e per la prominente cresta al di sotto del centro, più alta indietro che avanti. Fam. T0RTR1CIDAE. gen. Scytalophis De Rochebrune. A. T. De Rochebrune, VI, pag. 278. 1880. Scytalophis De Rodi. — De Rochebrune, VI, pag. 278. 1884. Scytalophis De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 155. 1904. Scytalophis De Roch. — De Stefano, XII, pag. 387. Vertebre di media grandezza; corpi molto brevi , parallclo- grammici; cavità cotiloide piccola e profonda; lame poco elevate , ristrette nel mezzo, largamente divise indietro; processi orizzon- tali; apofisi transverse superiori larghe, arrotondate , e rilevate in alto; tubercoli costali prominenti; apofisi spinosa poco elevata , assai larga e diritta. Se si osservano le vertebre del gen. Scytalophis, fondato dal De Rochebrune nel 1880, e che io ritengo definito in si- stema, si constata che esse presentano dei legami con quelle di stessa posizione degli attuali Pitonidi e Tortricidi. A quelle di questi ultimi si accostano per la forma del cardine, per la brevità e l’allargamento degli estremi delle apofisi transverse e per la profondità degli intagli : esse poi differiscono dalle vertebre dei viventi Pitoni per le lame un po’ più alte, per l’apofisi spinosa molto diritta, quadrata e poco elevata, e per la direzione obliqua che hanno le apofisi transverse superiori. Come si vede, dunque, il tipo Scytalophis è intermedio fra gli 4 50 G. DE STEFANO attuali Pythonidae e Tortricidae, e per i suoi caratteri bisogna collocarlo in quest’ultima famiglia. Gli attuali Tortricidae sono serpenti con testa piccola ed appena distinta, coda corta e co- nica, denti piccoli e diffusi anche sul palato: inoltre in essi il breve osso quadrato, al contrario della maggioranza degli Ofidi • Colubriformia, è direttamente articolato col cranio, mentre lo squammoso ed il post-frontale sono rudimentali. La famiglia Tortricidae comprende serpenti che non abitano l’Europa. Il Tortrix scitale Hmpr., con la colonna vertebrale del quale ho comparato le vertebre del Quercy, si trova nell’America del Sud, ed il Cylindrophis rufa Gray, pare che abiti l’isola di Giava. Scytalophis Lafonti Filimi sp. H. Filhol, XIV, pag. 338. (Tav. V, iig. 6, 7, 8, 9, 10). 1877. Coluber Lafonti Filli. — Filhol, XIV, pag. 338, tav. XXV, fig. 414- 418. 18S0. Scytalophis Lafonti De Rodi. — De Rochebriine, VI, pag. 278, tav. XII, fig. 6, a, b, c. 1881. Scytalophis Lafonti De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 155, tav. 1, lig. 2, 2 a. 1904. Scytalophis Lafonti De Rodi. — De Stefano, XII, pag. 387. La collezione Eossignol contiene abbondanti vertebre, di tutte le posizioni della colonna vertebrale, appartenenti a questa specie. A dire il vero, alcune fra tali vertebre erano già determinate prima die io le sottoponessi ad esame. Il De Eochebrune descrisse inoltre [Vili, tav. I, fig. 1] un frammento della porzione mediana di un corpo di serpente che dal Filhol era già stato figurato nel 1877 [XIV, tav. XXV, fig. 413] col nome di Coluber Lafonti. Le scaglie superiori di tale porzione mediana di corpo sono notevoli per il loro spes- sore e la loro forma esagonale; al contrario le scutelle ventrali si distinguono per la loro lunghezza e la loro strettezza. Nella collezione Eossignol non esistono che sole vertebre. Queste, come già ebbe a dire De Eochebrune [VI, pag. 278; Vili, pag. 155; ed io ho notato recentemente 'XII, pag. 387], presentano delle affinità tanto con le vertebre di stessa posi- BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 51 zione degli attuali Pitonidi quanto con quelle dei viventi Tor- tricidi. Non tutte le vertebre da me esaminate sono in buono stato di conservazione; esse hanno le lame ristrette nel mezzo, ed i processi un po’ denticolati sui margini ; il loro cardine largo, piccolo, diritto, a faccia anteriore quadrata, arrotondato sui lati, è separato dalle apofìsi transverse da una larga insenatura. gen. Plesiotortrix De Rochebrune. A T. De Rochebrune, Vili, pag. 166. 1884. Plesiotortrix De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 156. Vertebre relativamente brevi, condite diritto e sessile, lame larghe, processi corti, apofisi transverse superiori ovoidi , car- dine molto alto e stretto, tubercoli costali appiattiti, una pic- cola cresta al disotto del centro a punta ottusa. Il gen. Plesiotortrix fondato dal De Rochebrune nel 1884, per le dimensioni ed i caratteri delle sue vertebre è molto pros- simo a quello dei viventi Tortrix. Come già ebbe ad osservare lo stesso autore [Vili, pag. 156], da questo ultimo genere si distingue, per la forma ovoide e non arrotondata delle sue apo- tìsi transverse superiori, per l’altezza e la strettezza del cardine, e per Capotisi spinosa tubercoliforme. Il gen. Plesiotortrix perciò va collocato nell’attuale famiglia Tortricidae, accanto al gen. Scytalopliis, già esaminato. Di fatti, se noi confrontiamo i caratteri dei due generi sopra accennati, ne troviamo alcuni comuni ad essi, come la profondità degli intagli, e la brevità e l’allargamento degli estremi delle apotisi transverse. Plesiotortrix Edwardsi De Rochebrune. A. T. De Rochebrune, Vili, pag. 156. 1884. Plesiotortrix Edwardsi De Roch. — De Rochebrune, Vili, pag. 166, tav. II, fig. 6, 6 a. I caratteri indicati per questa specie dal De Rochebrune si riscontrano in alcune vertebre pelviane, contenute nella colle- zione Rossignol. Tali vertebre sono relativamente corte, hanno 52 G. DE STEFANO i processi brevi, ovolari ed a estremità ottusa, l’apofisi spinosa ridotta in forma di tubercolo ottuso e prominente, e la piccola cresta al di sotto del centro finente in punta ottusa. Comparate con vertebre di stessa posizione appartenenti all’attuale Tortrix scytale Hempr., dell’America del Sud, ad esse molto somigliano, distinguendosi, fra gli altri caratteri, per il cardine molto alto e stretto, per la forma ovolare e non arrotondata delle apofisi transverse superiori, e per la profondità degli intagli. Probabilmente le vertebre da me osservate appartengono a più di lina specie. La mancanza di tempo non mi ha permesso di fare in proposito un’accurata comparazione. Ord. CHELONIA. SUBORD. TeS PEDINATA. Sez. Ciìyptodir a. Pam. EMYDIDAE. gen. Ocadia Cray. E. J. Gray, XVI, pag. 35. 1869. Ocadia Gray. — Gray, XVI, pag. 35. 1889. Ocadia Gray. — Boulenger, III, pag. 85, tìg. 24. 1889. Ocadia Gray. — Lydekkfer, XX, pag. 108. 1800. Ocadia Gray. — Reinach, XXIX, pag. 54. 1902. Ocadia Gray. — De Stefano, IX. pag. 269. ÙCADIA Sp. (Tav. V, fig. 11-12.) 1877. Emys sp. — Filhol, XIV, pag. 487. Il Filhol aveva già osservato prima del 1877 fra i fossili delle fosforiti numerosi ed imperfetti avanzi di tartarughe, rap- portabili a specie di grandi e di piccole dimensioni. Fra tali fossili non eravi rappresentato il gruppo Trionyx, e la maggior parte di essi furono riferiti dall’anzidetto autore e da P. Ger- vais al gen. Emys Duméril et Mi broli. Pcll’anzidetto materiale ho potuto esaminare qualche piastra del clipeo e del piastrone: BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 53 effettivamente esse appartengono ad animali della estesa fami- glia Emydidae, ma io le riferisco per i loro caratteri, che andrò a dire, anziché al gen. Emys, al gen. Ocadia Gray. Questo ultimo fondato dall’erpetologo inglese Gray [XVI, pag. 35] per quelle tartarughe della Cina che hanno il piastrone unito alla corazza per una considerevole lunghezza, i pezzi ossei verte- brali di forma esagonale allungata, ed il solco umero-pettorale che intacca l’entopiastrone, venne poi riconosciuto in sistema dal Boulenger [III, pag. 85], e Lydekker per il primo notò che esso è anche rappresentato allo stato fossile [XX, pag. 108-117] nei terreni eocenici inglesi. Recentemente, Iieinach [XXIX, pag. 54 e seg.] ed io [IX,' pag. 279] dimostrammo che parec- chie tartarughe fossili del terziario europeo, dagli autori descritte fin qui col nome generico di Emys, debbono essere riferite al gen. Ocadia Gray. Fra i fossili della collezione Rossignol esistono un entopia- strone e due piastre vertebrali che bisogna riferire al genere sopra indicato. Probabilmente tanto i fossili esaminati dal Filimi quanto quelli della collezione Rossignol appartengono ad una sola specie, la quale però resta indeterminata per i pochi ed imperfetti avanzi che di essa si conoscono. Un pezzo piastro- nale, da me figurato, comprende una porzione di iopiastrone e di ipopiastrone, ed è simile a quello di una Ocadia (Emys) parigina Cuvier sp. Le piastre vertebrali sono molto allungate e di forma esa- gonale, e la loro superficie è leggermente convessa sulla faccia esterna o superiore. Fra i sei margini di dette piastre i più lunghi sono quelli latero- posteriori, i più brevi quelli latero-an- teriori ; e la loro convergenza forma due angoli interni aperti. Il margine anteriore è curvato ad arco, di cerchio e concavo in modo da poter ricevere il margine posteriore convesso della pre- cedente piastra nella serie: il margine posteriore è anch’esso curvato ad arco di cerchio, e convesso verso Festerno. L’entopiastrone è un po’ più lungo che largo: i suoi mar- gini anteriori sono quasi rettilinei, e convergono, formando un angolo ottuso, sulla sutura mediana longitudinale del piastrone: la linea suturale fra le scaglie umerali e quelle pettorali intacca la superficie esterna dell’entopiastrone per un intervallo di 12 mm. ó4 G. DE STEFANO di tutta la sua lunghezza mediana, a partire dall’apice poste- riore. L’osso esaminato ha forma di losanga. Una piastra laterale marginale clipeale ha il diametro lon- gitudinale che eccede su quello transverso, e presenta tutti i caratteri che hanno le analoghe ossa dei cheioni Emydidae. In fine, in un altro avanzo di carapace, si osservano delle scaglie marginali larghe e poco alte. Fam. PTYCHOGASTERIDAE. Gius. De Stefano, XI, pag. 92-93. gen. Ptychogaster Pomel. A. Pomel, XXV, pag. 383. 1846-1847. Ptychogaster Pomel — Pomel, XXV, pag. 383, tav. IV, tìg. d. 1854. Ptychogaster Pom. — Pomel, XXVI, pag. 120. 1865. Ptychogaster Pom. — Gervais, XV, pag. 435, tav. 53, fig. 4-6. 1868-69. Ptychogaster Pom. — Maack, XXI, pag. 225. 1882. Ptychogaster Pom. — Portis, XXVII, pag. 37. 1889. Ptychogaster Pom. — Lydekker, XX, pag. 95. 1900. Ptychogaster Pom. — Reinach, XXIX, pag. 87. 1903. Ptychogaster Pom. — De Stefano, XI, pag. 61. Ptychogaster sp. (Tav. V, lig. 13, 14, 15). 1877. Testudo sp. — Fillio!, XIV, pag. 487. Ho già detto in antecedenza che durante la mia dimora a Parigi ebbi agio di esaminare oltre gli avanzi cheloniani della collezione Rossignol anche quelli studiati dal Filhol. Ora dal- l’esame complessivo di tutti gii anzi detti fossili ho potuto con- statare che nelle fosforiti sono in definitiva rappresentati il gruppo delle Ocadie e quello dei Ptychogaster. Ciò era stato intravisto da Filhol fin dal 1877 [XIV, pag. 484 ], il quale aveva ritenuto che nel Quercy eravi rappresentata, oltre il gen. Emys, una tartaruga terrestre, clic per le sue dimensioni richiamava le Testudo mioceniche di altre località della Francia. Io ho altrove dimostrato [XI, pag. 87-94] come il gruppo dei Ptychogaster formi una famiglia di tartarughe distinta dalle Emydidae e dalle Testudinidae, la quale scomparve dall’Europa BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 55 dopo l’apparizione delle prime vere Testitelo, e visse per un certo periodo di tempo, come in uno stato transitorio, dalla quale de- rivarono altre forme: si può quindi dire che nel Quercy, come si è anche verificato in altre località mioceniche dell’Europa, accanto alle vere tartarughe paludine criptodere, esistettero per un certo tempo gli anzi detti Ptycìiogcister, con abitudini piut- tosto terrestri. Gli avanzi da me osservati nel materiale della collezione Bossignol sono molto incompleti, e perciò li lascio specificamente indeterminati : gli avanzi riferibili a Ptychogaster sp. consistono in qualche vertebra post-odontoide, in due omeri, in un cubito intero, in una: porzione distale di un analogo osso, ed in alcune placche vertebrali e marginali. Le vertebre post-odontoidi sono delle ottave cervicali che somigliano nella loro generale conformazione ad un’ottava ver- tebra cervicale dei Ptychogaster di Saint-Gérand-le-Puy. Sono solamente un po’ più grandi nelle dimensioni. Si tratta di tre vertebre anficirtiane; il loro corpo ha forma di prisma quadran- golare; la loro superficie articolare anteriore è divisa da una depressione mediana in due parti simmetriche; alla parte me- diana della faccia inferiore si osserva una specie di tubercolo compresso ed alquanto elevato; le zigapofisi sono formate da prolungamenti definiti, le cui faccette anteriori rivolgonsi in alto e quelle posteriori in basso, e le lamelle neurapofisarie formano un elevato rialzo. In conclusione, le esaminate vertebre anficir- tiane presentano gli stessi caratteri delle ottave vertebre post- odontoidi dei Ptychogaster di Saint-Gérand-le-Puy. Gli omeri sono massicci. Anche il cubito, comparato con un analogo osso di Emys (Cistudo) Pur opaca L., non solo si mo- stra più massiccio di questo ultimo, ma presenta ancora la fac- cetta articolare per l’articolazione con l’omero meno inclinata e più vicina alla direzione normale del corpo del cubito stesso. Tale carattere io ho- già osservato nei Ptychogaster di Saint- Gérand-le-Puy. I pezzi marginali sono composti di piastre ossee e di sca- glie cornee, il cui limite con i frammenti della serie costale è tale che, quello dei pezzi ossei è meno ravvicinato al centro dello scudo dorsale che non quello delle scaglie. 56 G. DE STEFANO CONCLUSIONE. Giunto alla fine dello studio sui Rettili e sui Batraci delle fosforiti del Quercy, appartenenti alla collezione Rossignol, egli è lecito domandarsi se la Scienza con esso ha acquisito dei fatti nuovi sui quali sia possibile fare qualche utile osservazione. A tale domanda è facile rispondere esaminando il complesso della fauna che io ho illustrata via via da due anni a questa parte. Modesto seguace delle idee di Albert Gaudry, io sono convinto che la paleontologia non debba essere un semplice elenco siste- matico e descrittivo, nè debba servire solamente di base alla cronologica divisione dei terreni, ma abbia uno scopo molto più elevato, quello di rintracciare le affinità di parentela ed i le- gami di discendenza esistenti fra il mondo degli estinti e quello- dei viventi, ciò che a tale scienza, a parte l’applicazione pra- tica, conferisce un elevato scopo filosofico. Partendo quindi da tali criteri, io mi sono sforzato, per quanto ho potuto, di no- tare nello studio dei fossili del Quercy le relazioni esistenti fra questi e gli attuali Rettili e Batraci. A tale ragione devesi at- tribuire il fatto di qualche nuovo genere che io ho fondato, e l’adottamento per quasi tutti quelli istituiti dal De Rochebrune | VI, Vili], non che il riconoscimento di nuove specie. Io sono- convinto che quanto meno estesi e quanto più definiti e limitati sono i caratteri di certi generi di Rettili fossili, tanto meglio si possono studiare le relazioni di affinità fra loro e coi viventi. Nè si creda che l’istituzione di nuove specie debbasi in me attribuire ad una acquisita mania, desideroso forse del nuovo. Una specie di più negli elenchi sistematici fossili, anche quando sia ben definita, conferisce nessun merito, o conferisce un merito relativo all’au- tore, ma può invece far conoscere le affinità e le relazioni esi stenti fra tipi diversi. Il Fillio! [XIV] ci fece comprendere altra volta le sue idee intorno ai tipi della fauna generale delle fo- sforiti ed il modo nel quale intese il significato di specie e di razza. Queste idee non sono da me condivise, nè a quanto sem- bra lo furono nel 1884- dal De Rochebrune, quando egli studiò la fauna ofìdiana del Quercy [Vili, pag. 1(50]; e, come io ho- già detto altrove [XII, pag. 385], dato il tempo eccessivamente BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 57 e geologicamente lungo che bisogna assegnare al deposito delle fosforiti, e le notevoli variazioni osteologiche che si riscontrano negli avanzi animali in esso racchiusi, non bisogna parlare di razze e di varietà. Le specie da me riconosciute come nuove, specialmente con l’esame dei Lacertilia , sono fondate sulle variazioni dei carat- teri osteologici ; e per quanto alcune fra esse siano basate sopra avanzi imperfetti, e perciò saranno accettate con le dovute ri- serve, pure le ritengo definite, e la loro istituzione ho dovuto fare mio malgrado [XII, pag. 389]; giacché, per alcuni verte- brati, alle variazioni osteologiche bisogna attribuire molta impor- tanza nelle diagnosi specifiche, né si dimentichi che, nella clas- sificazione dei Sauri e degli Ofidii attuali, gli zoologi si fondano, per distinguere una specie dall’ altra, sui caratteri esterni dei- corpo, sul numero delle squame del capo e del dorso, sulla diversa forma delle scaglie, ecc., caratteri che possono essere variabili molto più di quelli osteologici. Ciò premesso, da quanto finora si sa sui Lettili del Quercy, risulta evidente che il loro straordinario numero per abbondanza e varietà di tipi avvalora sempre più l’idea da me espressa [XII, pag. 385-388] nel trattare dei Sauri, che al deposito debba darsi una estensione cronologica maggiore di quella che ad esso si suol dare ordinariamente. I Coccodrilli delle fosforiti, insieme ai Lacertilia, concorrono- a dimostrare la non eocenici tà del deposito [XII, pag. 387]. Dalle ricerche fatte fino al giorno d’oggi risulta che al tempo delle fosforiti vivevano nel Quercy due specie di coccodrilli proceli, appartenenti alla famiglia Crococlilidae , entrambe della sezione brevirostrati, Alligator Gaudryi De Stefano, e Diplo- cynodon gracilis Yaillant. La seconda specie, pei suoi caratteri,, si riattacca ■ all’ esteso gruppo dei Diplocynodon , rettili molto- frequenti nell’oligocene e miocene europeo [XXXII, pag. 673-G74], La prima specie, V Alligator Gaudryi, é molto affine ai viventi Caimani, per l’assenza di perforazioni neH’intennascellare, atte al passaggio dei primi denti inferiori, e per il poco relativo sviluppo delle fosse oculo-temporali. E bene notare che il gen. Al- ligator Cuvier, finora è molto poveramente rappresentato in Eu- ropa allo stato fossile, ed in terreni non molto antichi, mentre 58 G. DE STEFANO le specie viventi ad esso riferibili oggi abitano l’America del Nord e la Cina. I Serpenti del Quercy hanno affinità di parentela con molti fra quelli attuali. Già bisogna prima di tutto osservare come fra essi non si siano trovati finora avanzi di serpenti velenosi. Non furono trovati nè dal Filhol [XIV, pag. 331], nè dal De Ro- •chebrune [Vili, pag. 162], nè da me; e questo fatto non è privo d’interesse, giacché questi ultimi appariscono in terreni molto prossimi ai recenti nella serie cronologica (brecce ossifere), e le specie viventi di questo gruppo sono molto poche a petto di quelle degli altri gruppi ofidiani. Bisogna quindi ritenere, o che i Solenoglypha , comprendenti l’ anzi detto gruppo di serpenti velenosi, comparvero sulla terra molto tardi e posteriormente ai Colubriformia ed ai Proteroglypha , e quindi è da attendersi nel futuro geologico un probabile loro maggiore sviluppo, o die po- steriori ricerche nelle diverse contrade della terra provino che essi esistevano già nell’oligocene o miocene, ed allora verrebbe a modificarsi il concetto attuale, che sembrerebbe costituire una « legge generale, giacché serpenti velenosi non furon mai trovati, fino al momento, in terreni miocenici. Tutti gli ofidii del Quercy, seguendo l’ordinamento sistema- tico dei signori Duméril et Bibron [XIII], rientrano nelle due grandi divisioni degli Opoterodonti e degli Aglifodonti. Gli Opo- terodonti delle fosforiti sono rappresentati da due generi, Odon- tornophis De Rochebrune [Vili, pag. 151] ed Omoiotyphlops De Rochebrune [Vili, pag. 152], che tale autore considera come speciali alle fosforiti, e sui quali io non faccio alcuna personale osservazione, non avendoli notati fra i fossili della collezione Rossignol. Avverto solo che la distribuzione geografica degli attuali Opoterodonti è molto estesa, e se ne trovano, in Europa ( Typldops vermicularis Linneo, Grecia), nell’Africa meridionale ( Stenostorna nigricans Duméril et Bibron), ed alle Antille (Typh- lops lumbricalis Merrern). Ma accanto ai due citati generi fos- sili del Quercy ne esistono altri il cui significato zoologico ha grande valore per la cronologia dei tempi imi quali vissero. Essi appartengono alla grande divisione degli Aglyphodonta, e fra i quali il solo genere Paleryx rimonta a tempi più antichi del- l’epoca delle fosforiti, giacché fu trovato per la prima volta nelle BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 59 formazioni eoceniche inglesi [XXIII, pag. 68; XIX, pag. 253]. Del resto, questo genere Paleryx Owen, avuto riguardo ai ca- ratteri della sua colonna vertebrale, presenta grande affinità con gli attuali Python dell’Africa, dai quali, come giustamente os- servò per primo il Lydekker [XIX. pag. 253-54] non differisce che nei centri delle vertebre del tronco medio e posteriore. Gli altri generi del Quercy, come Pylmophis, Elapìus, Thachyophis, Scytalophis, Plesiotortrix , hanno affinità di parentela, come si è notato nella descrizione delle specie, con gli attuali tipi, Tro- pidonotus, Zamenis, Tortrix; che anzi io ho creduto bene, se- guendo i criteri del Lydekker [XIX, pag. 251], far rientrare il gen. Palaelaphis De Rochebrune [Vili, pag. 156] nel gen. Ela- phis Duméril et Bibron [XIII, pag. 241], col quale è così stret- tamente legato da non farmi scorgere differenze generiche soste- nibili, e che fu trovato allo stato fossile nell’oligocene tedesco. Ora, osservando la distribuzione geografica degli attuali serpenti Aglypliodonta, che hanno caratteri di prossima parentela con quelli riconosciuti nel Quercy, sorge in mente l’idea se effetti- vamente, o pur no, il complesso di questi ultimi indichi una fauna africana. Il Filimi affermò [XIV, pag. 331] che la fauna dei Rettili delle fosforiti est ime faune essentiellement africaine. Tale opinione espressi anche io, poco tempo fa, a proposito dei Laccrtilia [XII. pag. 384]. Ma il De Rochebrune non è stato dello stesso parere nel 1884 [Vili, pag. 161]. Egli, osservando che fra gli attuali Python vi sono specie che abitano in Asia e nelle isole dell’Oceano indiano, che i Tortrix sono americani ed asiatici, che gli Elaphis sono anche americani ed asiatici, e che in fine i generi Tropidonotus e Zamenis sono europei ed americani, invertendo la nota espressione del Filhol : Le carac- tère mixte de la faune generale des Phosphorites offre le mé- lange de quelques rares formes Asiatiques et Américaines [XIV, pag. 332], ha concluso che le caractère mixte de la faune Ophio- logique des Phosphorites offre le mélanges de quelques rares formes Africaines et de nombreuses formes Asiatiques et Américaines [Vili, pag. 161]. Certamente l’osservazione del De Rochebrune non è priva di fondamento,. ed io ho già notato qualche pagina avanti come anche gli ofidii Opotcrodonta attuali che hanno i loro rappre- 60 G. DE STEFANO sentanti nel Quercy, si trovino in America e nell’Africa australe, ma pure nell’Europa meridionale. Anche fra i Lacertilia delle fosforiti, altra volta studiati, vi sono dei tipi i cui rappresen- tanti ai nostri giorni si trovano in America ed in Asia [XII, pag. 391, 396 e 398J ; ma non bisogna dimenticare che i Tro- pidonotus e gli Zamenis sono europei, e che il gen. Elapliis ha ancora un rappresentante nel Sud dell’Europa. Per farsi un giusto criterio sulle relazioni di affinità che passano fra i Rettili del Quercy (e dico incidentalmente anche per i Batraci), conosciuti fino al momento dai lavori del Filliol, De Rochebrune e miei, e quelli viventi nell’Africa settentrionale e circum-equatoriale, basta leggere i lavori di Strauch [XXX] e Boettger [I, II . Tanto dal lavoro di Alessandro Strauch, quanto da quelli posteriori elaborati dal Boettger, risulta che la fauna erpetologica di dette ragioni si accosta per qualche punto di vista a quella del Quercy. Di fatti, fra i Rettili ed i Batraci del Marocco, il Boettger annovera i generi Zamenis, Tropidonotus, Lacerta, Bufo, Rana, ecc. [II, pag. 93-146]. Lo stesso autore ci rende noto che la fauna erpetologica dell’Etiopia, fra gli altri animali, comprende i ge- neri Zamenis, Bufo, Rana, Chamaeleo, ecc., e fra essi vengono citati come viventi nell’interno della regione etiopica, i seguenti animali : Chamaeleo vulgaris Agama colonorum Acanthodactylus Savignyi Zamenis Cliffordi. In fine, per non essere prolisso, noto come fra la fauna ret- tiliana dell’Algeria e regioni limitrofe si annoverano le seguenti specie [XXX, I, II]: Chamaeleo vulgaris Varanus Scincus Agama colonorum » Bihroni » agilis Laccrta ocellata BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 61 Pseudopus Pallasii Plestiodon cyprium Zamenis Gliffordi » ater Discoglossi^ pictus eco., eco. Se si confrontano i serpenti del Quercy con quelli fossili di altre località note e studiate, si trovano esistere poche relazioni, giacche i primi hanno una fìsonomia propria. In proposito basta dare uno sguardo ai rettili terziari americani, e si constata per gli ofìdì quello che già fu detto in altro lavoro pei lacertiani [XII, pag. 388]. I tipi dei serpenti fossili americani studiati dal Marsh appartengono, o al gen. Dinophis [XXII], come I). lit- toralis Marsh, I). halidanus Marsh, D. grandis Marsh, o al gen. JBoavus, cóme B. occidentalis Marsh, B. agilis Marsh, o al gen. Lithophis, L. Sargenti Marsh, o in fine, al gen. Limnopliis, come L. crassus Marsh. Il Cope anzi riattacca il gen. Dinoplns Marsh al gen. Palaeophis Owen [XXIII, tav. XVI; XIX, pag. 257], che fu trovato in Europa solo nell’eocene inglese e del Belgio ; e su tale argomento così si esprime il naturalista americano : «... The snakes of thè Eocene are not very numerous as to spe- cies. The fìrst known American species (Palaeophis littoralis and P. halidanus) were determined by myself from New Jersey spe- cimens. None bave been procured from beds lower than thè Bridger, and in tliat formation I found a single form. Professor Marsh has described fìve species» [IV, pag. 102]. Per quanto esigui, gli avanzi delle tartarughe fossili del Quercy, sono molto istruttivi. Il gen. Ocadia oggi non comprende che una sola specie (i Ocadia sinensis Gray) accantonata in Cina (Formosa e Can- ton), ma i recenti studi di Paleontologia hanno dimostrato che questo gruppo di Tartarughe era già rappresentato nell’eocene europeo da diverse forme [XX, pag. 109-115], e che nell’oligo- cene e miocene acquistò un considerevole sviluppo [XXIX ; IX]. Il gen. Ptycogaster Pome], è caratteristico, secondo me, dell’o- ligocene europeo, e ne son prova evidente gli avanzi trovati nei terreni oligocenici della Svizzera [XXVII ; XXIX], della 62 G. DE STEFANO Germania [XXIX] e della Francia [XXVI; XI]. A quanto pare, dalle ricerche fino ad ora fatte, questo gruppo di tartarughe non esisteva più col sopraggi ungere dei tempi pliocenici, quando cominciarono ad apparire sulla terra le vere Testudo. Che i Ptychogaster siano stati caratteristici dell’oligocene europeo lo dimostra il fatto che avanzi di così fatte tartarughe fino al momento non furono trovati nè in America [IVJ, nè altrove [XXXII]. Non così si può dire degli anfìbi. Col soprag- giungere dei tempi miocenici, in America si hanno rappresen- tanti tanto di Batraci urodeli quanto di Batraci anuri [IV, pag. 100 e pag. 671], ed in Europa il gruppo dei Triton è rappresentato in varie località oligoceniche dell’Europa centrale [X, pag. 46]. Ma i Batraci urodeli del Quercy, se non m’inganno, sono i più antichi in Europa che fino ad ora si conoscano, e più prossimi pei loro caratteri osteologici alle attuali Salamandridea [X, pag. 46]. Il Megalotriton Zittel | XXXII, pag. 411] e V Hete- roclitotriton De Stefano [X, pag. 44] sono due tipi di Urodela che offrono legami di parentela con l’attuale gruppo delle Sa- lamandre, e nella conformazione della loro colonna vertebrale richiamano alla mente la Salamandra gigantesca ( Megaloba - trachus maximus ) del Giappone. Anche i Batraci anuri si presentano costituiti nel deposito delle fosforiti del Quercy secondo i tipi attuali, e l’accertata esistenza dei generi Rana e Bufo, i quali oggi sono diffusi sopra un’area molto estesa, concorre a dimostrare sempre più la non eocenicità del deposito e le relazioni con gli attuali Batraci dell’Africa. Il Bufo vulgaris è diffuso fino in Cina ed in Giappone: il Bufo viridis , il B. vulgaris e la Bona escu- lenta, abitano non solo il Marocco, ma furono trovati anche da Tristram nel Sahara meridionale. Riassumendo, da quanto precede, si può concludere che la fauna dei Rettili e dei Batraci delle fosforiti ci rappresenta un miscuglio di tipi animali che oggi si trovano in diverse con- trade della terra, a diverse latitudini, e sotto climi diversi. Tale fauna ha una fisonomia propria e presenta una facies mista, per la quale essa in fondo non può essere paragonata a quelle congeneri che vivono sulla terra. Ad esempio, mentre i Batraci anuri delle fosforiti [XIV] sono rappresentati da tipi clic si BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 6$ accostano, o all’attuale Rana tigrina dell’India, o ai Bufo del- l’Europa, i Coccodrilli comprendono due forme delle quali, una si riattacca ai viventi Alligator dell’America del Nord e della Cina, e l’altra ai Diplocynodon fossili terziari. Il concetto quindi espresso altra volta da Filimi, che la fauna dei Rettili delle fosforiti è una fauna essenzialmente africana, e da me in parte confermato con lo studio dei Lacertilia, bisogna che sia alquanto modificato, e ritenere d’ora in poi, che fra i Rettili del Quercy vi è un certo numero di Sauri che si accostano agli attuali tipi africani, ma che non mancano le specie americane ed asiatiche fra questi, e che il rimanente della fauna indica un complesso cosmopolita, per cui non è possibile fare paragoni con la distri- buzione geografica degli attuali tipi. Questa fauna dei Rettili e dei Batraci, nel complesso avente una fisonomia propria e caratterizzata da una facies mista di tipi prossimi agli attuali, del vecchio e del nuovo mondo, in- dica condizioni climatiche speciali al tempo delle fosforiti, un lungo periodo geologico, e l’oligocenicità del deposito. ELENCO DEI RETTILI E DEI BATRACI RICONOSCIUTI NELLE FOSFORITI DEL QUERCY ('). (1877-1904). Crocodilia. Alligator Gaudryi De Stefano — De S. Diplocynoclon gracilis Vaillant — Gerv., XV; Fil., XIV, pa- gina 264 ; De S. (>) I simboli De R., De 8., Ger., Fil., Lyd., Zit., indicano successi- vamente i seguenti nomi: De Rochebrune, De Stefano, Gervais, Filhol, Lydekker, Zittel. che sono quelli degli autori i quali finora fecero esplicitamente delle ricerche sui Rettili e sugli Anfìbi i del Quercy. I nu- meri romani, che accompagnano detti simboli, hanno il significato espresso nella bibliografia. Ogni specie dell’elenco, é seguita, in ordine cronolo- gico, dal nome degli autori che Flianno determinata: quelle che per la prima volta si trovano menzionate in questo lavoro sono seguite dal solo simbolo De S. <34 G. DE STEFANO Lacertilia. Agama Galliace Fillio! — Fil., XIY, pag. 485; De S., XII, pag. 390. Palaeochamaeleo Europaeus De Stefano — De S., XII, pag. 391. Iguana Europaea Filliol — Fil., XIY, pag. 487 ; Lyd., XIX, pag. 277; De S., XII, pag. 393. Plestiodon Cadurcensis Filliol — Fil., XIV, pag. 266; De S., XII, pag. 397. Diploglossus Cadurcensis Filliol sp. — Filli., XIV, pag. 486 ; Lyd., XIX, pag. 281 ; De S., XII, pag. 398. Bropseudopus Cayluxi De Stefano — De S., XII, pag. 400. Placosaurus ? rugosus Gervais — Ger., XV, pag. 457; De S., XII, pag. 403. Protrae]/ ysaurus Gaudryi De Stefano — De S., XII, pag. 406. Palaeovaranus Cayluxi Filliol — Fil., XIV, pag. 486 ; Lyd., XIX, pag. 279; De S., XII, pag. 407. Palaeovaranus Filholi De Stefano — De S., XII, pag. 408. Lacerta Lamandini Filliol — Fil., XIV, pag. 489; Lyd., XIX, pag. 287 ; Zit., XXXII, pag. 600; De S., XII pag. 412. Pseiuloìacerta mucronata Filliol sp. — Fil., XIV, pag. 489 : De S., XII, pag. 413. Thaumastosaurus Bottii De Stefano — De S., XII, pag. 414. Opliidia. PylmopJiis gracilis De Rochebrune — De E,., Vili, pag. 158; De S. Elaphis antiquus De Rochebrune sp. — Fil., XIV, pag. 415; De E., Vili, pag. 156; De S. Elaphis robustus De Rochebrune sp. — De E., Vili, pag. 157. Elaphis Boulei De Stefano — De S. Tachyophis nitidus De Rochebrune — De E., Vili, pag. 159; De S. Paleryx rhombifer Owen — Fil., XIV, pag. 270; De E., VI, pag. 276; De E., Vili, pag. 153; Lyd., XIX, pag. 254; De S. BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 66 Paleryx Filholi De Kochebrune sp. — Pii. XIV, pag. 271 ; De R., VI, pag. 277; De R., Vili, pag. 154; Lyd., XIX, pag. 255; De S. XII, pag. 387; De S. Paleryx neqlectus De Rochebrune sp. — De R., Vili, pa- gina 154; De S. Paleryx Cayluxi De Stefano — De S. Scytalophis Lafonti De Rochebrune sp. — Fi]., XIV, pag. 338; De R., VI, pag. 278; De R., Vili, pag. 155; De S., XII, pag. 387; De S. Plesiotortrix Edwardsi De Rochebrune — De R., Vili, pa- gina 156; De S. Omoiotyphlops priscus De Rochebrune — De R., Vili, pag. 152. Odontomophis atavus De Rochebrune — De R., Vili, pag. 151. Chelonia. Ocadia sp. — Pii., XIV, pag. 487; De S. Ptycogaster sp. — Pii., XIV, pag. 487; De S. Amphibia. Megalotriton Fillioli Zittel — Zit., XXXII, pag. 411; De S., X, pag. 45. Megalotriton Portisi De Stefano — De S., X, pag. 45. Heteroelitotriton Zitteli De Stefano — De S., X, pag. 45. Piana plicata Filhol — Fil., XIV, pag. 193; De S., X, pa- gina 41 ; De S. Bufo servatus Filhol — Fil. XIV, pag. 194; De S., X, pa- gina 41 ; De S. 5 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola III. Fig. 1-6 — Alligato r Gaudryì De Stefano. » 1 — Pai’te posteriore del cranio (Vi)* » 2 — Faccia superiore dello stesso (grand. V,). » 3 — Cranio visto di profilo (grand. 7j). » 4 — Faccia esterna di una placca osteodermatica (grand. Vi)- » 5 — Faccia interna di un’altra placca osteodermatica (Vi)- » G — Falange unghiate (2/i). Tavola IV. Fig. 1-2 — PHplocynodon gracili* Vaillant. » 1 — Una placca vista per la sua faccia esterna (Vi). » 2 — Altra placca vista per la medesima faccia (Vi)- » 3-6 — Elaphis Boulei n. sp. » 3 — Una vertebra della regione pclviana vista per la sua faccia anteriore (ingrandita di Va)- » 4 — Altra Vertebra vista dalla sua faccia posteriore (ingran- dita di Vs)- » 5 — Porzione di mascellare visto dalla sua faccia interna (in- grandito di 72)- » 6 — Lo stesso mascellare visto dalla faccia esterna (ingran- dito di V2). » 7-8 — Tachyopis nitidus De Rochebrune. » 7 — - Tre vertebre della regione pelviana, viste dall’alto ed in- grandite una mezza volta. » 8 — Le stesse vertebre viste di profilo ed ingrandite una mezza volta. » 9-10 — Paleryx Cayluxi n. sp. » 9 — Avanzo di pterigoidiano, ingrandito una mezza volta. » 10 — Avanzo di mascellare, visto iter la sua faccia interna ed ingrandito una mezza volta. » 11-11 — Paleryx rhombifer Owcn. » 11 — Una vertebra pelviana vista di profilo ed ingrandita una Boll. d. Soo. Geol Ital. Voi. XXIV (1905). (De-Stefano Gius.) Tav. III. 21:07 C Al •- ' 1 .f. r Boll. d. Soc. Geol. Ital. Voi. XXIV (1905). (De-Stefano Gius.) Tav. IV. Fig. 7 Fig. 3 Fi)/. t> Fig. 5 Fig. 1 1 Fig. 10 Fig. 13 Fig. i 4 ELIOT CALZOLARI »« I FKK «RIO - MILA Ni’ . Boll. d. Soc. Geol Ital. Voi. XXIV (1905). (Oe-Stefano Gius.) Tav. V. Fiir. 1 fìff. ^ Fi 4 Fig. .4 Fil r. I 5 bi IOT CAI 201 -hi M-DURRi .% MILANO BATRACI E RETTILI DEL QUERCY 67 Fig. 12 — Altra vertebra pelviana, vista dalla faccia posteriore, ed ingrandita di un terzo. » 18 — Altra vertebra pelviana vista dalla faccia anteriore ed in- grandita di un mezzo. » 14 — Altra vertebra vista dall’alto ed ingrandita una mezza volta. » 15 — Paìeryx Filholi De Rochebrune sp. » 15 — Vertebra pelviana vista per la sua faccia anteriore ed in- grandita di un mezzo. Tavola V. Fig. 1-2 — Paìeryx Cayluxi n. sp. » 1 — Una vertebra pelviana, vista per la sua faccia anteriore ed ingrandita di un mezzo. » 2 — Due vertebre pelviane ingrandite di un terzo. » 3-4 — Paìeryx neglectus De Rochebrune sp. » 3 — Due vertebre pelviane viste dal basso. » 4 — Altre due vertebre pelviane viste di fianco. » 5 — Paìeryx Filholi De Rodi. sp. Una vertebra pelviana vista dall’alto ed ingrandita di un terzo. » 6-10 — Scytaìophis Lafonti De Rochebrune. » 6 — Una vertebra vista dalla faccia anteriore ed ingrandita una mezza volta. » 7 — Altra vertebra vista per la faccia posteriore, ingrandita una mezza volta. » 8 — Altra vertebra vista dal basso ed ingrandita di un mezzo. » 9 — Altra vertebra vista nella posizione della precedente ed ingrandita di un mezzo. » 10 — Altra vertebra vista di fianco ed ingrandita di un mezzo. » 11-12 — Ocadia sp. » 11 Una piastra vertebrale vista per la sua faccia superiore ed impicciolita di un terzo. » 12 — Pezzo piastronale (iopiastrone ed ipopiastrone), visto per la sua faccia interna, ed impicciolito di un terzo. » 13-15 — Ptychogaster sp. — Un’ottava vertebra cervicale, vista in tre diverse posizioni, ed ingrandita di un terzo. A PROPOSITO DEL CALCARE MAJOLICA Nota del prof. G. B. Cacciamali Il dott,. Guido Bonarelli in una sua comunicazione (') mi fa l’appunto di voler distinguere nettamente, senza alcuna prova paleontologica, la Majolica giurese da quella infracretacea, e si meraviglia che io riserbi più specialmente alla prima l’appel- lativo di Majolica. Ecco, in proposito, le mie spiegazioni. I)a noi è, per così dire, tradizionale l’uso del termine Ma- jolica per la sola parte basale del noto complesso di calcari : vedasi in Ragazzoni e in Cozzaglio, noi quali è poi chiamato Neocomiano il resto della formazione. Io, anzi, pel primo, mi tolsi dalla consuetudine; e considerando clic la serie supcriore non sta certo a rappresentare il solo Neocomiano, ma anche il Barremiano e forse tutta l’Infracreta, impiegai sempre il più largo termine Inf merda in luogo del più stretto Neocomiano. Ed inoltre, se talvolta per influenza d’ambiente, riserbai più special- mente l’appellativo di Majolica al Titonico bianco, nella mag- gior parte dei casi invece — evitando il poco corretto sistema di mettere fra loro in opposizione un termine petrografia ( Majo- lica) ed uno cronologico (Infracreta) — ho usato le espressioni « Majolica giurese o titonica » e « Majolica infracretacea ». Chiamando dunque Majolica tutta intera la formazione, ve- diamo quali ne sono i caratteri: dalle osservazioni geologiche, clic ho ora più largamente fatte sul territorio bresciano, mi è (') Prospetto cronologico del Giura italiano. (Itoli. Soc. Gcol. 1 1 . , 1903, voi. XXII, fase. 3). A PROPOSITO DEL CALCARE MA .JOLICA 69 scaturito ben chiaro come eia noi l’intera serie sia divisibile nei seguenti tre membri : 1. ° Inferiore: calcari bianchi, compatti, a tessitura sapo- nacea c frattura concoide, in banchi molti potenti, con amigdale e rognoni di selce bionda, con frequenti patine cloritiehe e con riuso hlature a ino’ di suture craniche. Posa questo membro sul Pitonico rosso, che a sua volta sta sui noti scisti selciferi ad aptici. 2. ° Medio: calcari come i precedenti, ma con tinta talora volgente al grigio od al cinerino, ed in strati meno grossi, anzi più spesso sottili ; le amigdale ed i rognoni di selce vi hanno tinta bruna. Dei tre della serie è questo il membro più svi- luppato. 3. ° Superiore: calcari compatti, traenti più spesso al gri- gio od al plumbeo, in strati sempre molto sottili e con più ab- bondanti inclusioni di selce, la quale è nerastra od anche de- cisamente nera; le suture craniche e le patine cloritiehe vi sono affatto scomparse, la tessitura e la frattura vi sono meno carat- teristiche. Sopra questo membro vengono bruscamente le marne della creta. In due mie memorie del 1901 (') ho attribuiti il primo ed il secondo membro al Giura ed il terzo all’Infracreta; ed ecco perchè nella cartina che accompagna la prima memoria non è segnata a Costorio la Majolica infracretacea, ed in quella della seconda memoria l’Infracreta presenta, almeno nella parte set- tentrionale del territorio illustrato, una estensione molto mag- giore della Majolica giurese. Ho errato; ma almeno per Costorio, ebbi già io stesso a correggermi in successiva comunicazione ('); ho errato, ripeto, perocché invece va attribuito alla Majolica giurese il solo primo membro, e gli altri due membri vanno (') Studio geologico della regione Palosso -Conche a nord di Brescia, c Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogozzo ed drago Meda, inserite e nel Boll. d. Soc. Geol. It., e nei Commentari dell’Ateneo di Brescia. (2) La correzione è stata fatta incidentalmente : per la Società Geo- logica in Infragiura bresciano (1903, voi. XXII, fase. 3) ; e per l'Ate- neo di Brescia in Studio geologico della regione dottici no-Serle-Garardo. (Commentari, 1903). 70 G. B. CACCIAMALI attribuiti all’ Infracreta. E ciò per le ragioni paleontologiche, giustamente invocate dal Bonarelli : infatti, per quanto sieno scarsi i fossili della Majolica, il membro inferiore di questa con- tiene forme comuni al Titonico rosso sottostante, tra le quali la Terebratula diphya e gli aptici a costole diritte ( Aptychus la- mellosus), forme che non si trovano più nei due membri supe- riori, nei quali gli aptici a costole diritte sono sostituiti da quelli a costole ripiegate (Aptycus Didayi). Non so se questo basti ; certo luminosamente basterà la sco- perta fatta dal prof. Taramelli, in occasione del Congresso Geo- logico di Brescia, di un Crioceras, che il prof. Parona riferirebbe al C. Pouzonianum del barremiano, scoperta fatta a Costorio nel membro medio della Majolica. Tale rinvenimento, mentre è venuto a darmi ragione d’aver sempre usato il termine In fra- creta in luogo del termine Neocomiano, ci fornisce un argomento paleontologico di più, e sicurissimo, per distinguere nettamente le due Majoliche: la titonica, costituita dal membro litologico inferiore, e Tinfracretacea, costituita dai due membri litologici medio e superiore. Brescia, 31 gennaio 1905. [iris. prcs. il 3 febbraio 1905 - ult. bozze 25 febbraio 1905]. DI UNA EUPOTI.DE A SAUSSUEITE DEI DINTORNI DI C ASTIGLI ONCELLO NEI MONTI LIVORNESI Nota del socio R. Ugolini I campioni deH’eufoticìe che forma oggetto di questa breve nota furono di recente da me raccolti in una escursione fatta lungo la spiaggia livornese, presso la punta di Castiglioncello, proprio sotto la villa Fucini. L’eufotide di Castiglioncello, ricordata nella Minerologia della Toscana del D’Àchiardi (!) appartiene dunque al gruppo ofiolitico dei Monti Livornesi, che fu già illustrato dal Savi (2). Come risulta chiaramente dell’osservazione macroscopica dei vari campioni presi in punti differenti ma vicini della località dove la roccia affiora, questa non presenta dovunque la medesima grana; ma da una varietà ad elementi molto grossi si passa per gradi intermedi ad un’ altra ad elementi piuttosto minuti. Queste diverse varietà si somigliano però notevolmente, oltreché per la predominanza in copia degli individui feldispatici, anche per il grado considerevole di alterazione subito dai diversi mi- nerali componenti e soprattutto dal pirosseno; donde la facilità grande con cui la roccia si screpola anche al leggero contatto. II peso specifico medio della roccia in questione, determi- nato col metodo dei vasi graduati, ha dato un valore di 2,9. Il semplice esame ad occhio nudo basta per riconoscere che i componenti essenziali della roccia stessa sono feldispato e pi- (*) (*) D’Achiardi A., Mineralogia della Toscana, voi. II, pag. 105. Pisa, 1873. (2) Savi P., Delle roccie ofìoliticlie della Toscana e delle masse metal- liche in esse contenute, Nuovo giornale dei letterati. Pisa, 1838-39. 72 R. UGOLINI rosseno. Il primo di essi è sol di rado bianchissimo, ma più spesso mostrasi colorato da una leggera tinta grigio-verdognola, specialmente se in vicinanza dell’elemento pirossenico, oppure passante al roseo per graduali sfumature. L’altro è sempre del suo color verde caratteristico, e suole apparire nella roccia in cristalli un po’ meno grandi di quelli feldispatici e rispettiva- mente lisci e splendenti od opachi e fibrosi, a seconda che si presentano in sezioni dirette parallelamente alla faccia ) 010} od all’altra JOOlj. Esaminata in sezioni sottili al microscopio questa roccia rivela una struttura distintamente olocristallina ipidiomorfa, risultante dall’insieme dei due minerali su menzionati consolidatisi nell’or- dine genetico del tipo eufotidico, e da altri minerali accessori, in parte originari ed in parte prodotti dall’alterazione degli essenziali. Il feldispato è, per la copia, l’elemento più abbondante di tutti. È sempre molto alterato e con evidente tendenza a con- vertirsi in saussurite, donde la sua comune torbidezza e colora- zione grigio-rossastra o grigio-giallastra. I suoi cristalli, notevolmente più grossi di quelli del piros- seno, e dai contorni quasi sempre mal delineati, mostrano sol di rado bene distinti i segni della geminazione, rendendo gene- ralmente assai difficile il riconoscimento del grado di estinzione. In qualche esemplare però, dove la saussuritizzazione appare meno accentuata, possono tuttavia riconoscersi le linee di sfal- datura basale e la struttura lamellare polisintetica secondo la legge dell’albite unita a quella del pcriclino. Alcune misure di estinzione simmetrica, eseguite su zone normali a (010) diedero valori variabili attorno ai 2G°. Non v’è dubbio quindi che si tratta di labradorite e di un termine labra- doritico non basico. La maggior parte dei cristalli feldispatici, però, hanno poco o nulla evidente la struttura polisintetica; e questi presentano allora quella polarizzazione d’aggregato clic costituisce uno dei caratteri più eminenti della saussurite. Era i prodotti di alterazione del plagioclasio, il caolino è quello più abbondante; ma non mancano nè silice opalina in granuli costantemente estinti a luce polarizzata, nè epidoto o DI UNA EUFOTIDE A SAUSSURITE 73 zoisite. E infatti, forse, a quest’ultima che si deve, il leggero colore roseo, così manifesto ad occhio nudo in alcuni cristalli feldispatici della roccia, come fu già osservato in non poche altre roccie simili. Nei cristalli del feldispato sono poche le inclusioni solide. Da notarsi fra esse principalmente rutilo, nei soliti cristal letti bacillari molto minuti, e poi vari altri minerali ferriferi in gra- nuli di magnetite, oligisto e limonite. Più abbondanti sono in- vece le inclusioni gassose e liquide, e queste fornite quasi sempre di libella mobile. 11 pirosseno, subordinato per la copia al feldispato, è certa- mente da riferirsi al diallagio, nonostante che i prodotti di alte- razione formatisi in gran copia ne mascherino ordinariamente il contegno ottico. Vi si trova in lamine irregolari, allotriomorfe del feldispato, colorate in verdastro, percorse da numerose strie parallele di sfaldatura, e dotate di colori d’interferenza non vivaci a causa dell’alterazione che essi presentano con evidente tendenza a con- vertirsi in uralite e serpentino. Non mancano tuttavia nella roccia alcune sezioni regolari di cristalli di questo minerale che, per l’aspetto loro d’inclusione nel feldispato, sembrano essersi consolidate anteriormente a quest’ultimo. Le lamine uralitizzate sono in maggior numero. Esse con- servano del pirosseno ancora i contorni e la striatimi, ma mo- strano evidente il policroismo dal verde-chiaro al verde-giallastro, assai alti i colori d’ interferenza ed una estinzione propria di antibolo, ad angolo piccolo dalle traccie di sfaldatura. Fra i prodotti di alterazione del dallagio, oltre all’uralite, è da annoverarsi, come già fu detto, anche il serpentino. Questo non è già reticolare, ma fibroso, attestando la sua naturale provenienza dal pirosseno. Vi si trova in masserelle ben riconoscibili dai toni biancastri e bluastri e dalla carat- teristica polarizzazione d’aggregato; ma spesso anche sotto forma di crisotile. Questo vi si mostra sotto l’aspetto di venuzze sottili, poco numerose, incolore, costituite da tante fibrille fra loro parallele 74 • « - R. UGOLINI rispetto a cui restinzione è a 0°, le quali venuzze presentano a nieols incrociati colori d’interferenza assai vivaci. Esse attraversano generalmente le inasserelle serpentinizzate del pirosseno, ma talora anche i cristalli feldispatici, ed in (juesto caso sono da considerarsi come prodotto di ricomposizione. Tra i minerali secondari la di cui presenza nella roccia sembra dovuta all’alterazione del diallagio, sono da annoverarsi, i soliti minerali ferriferi già ricordati più sopra, un poco di sostanza cloritica e qualche plagherella di aspetto talcoso. Risulta dunque dalla breve descrizione di questa roccia che si tratta di vera e propria eufotide a saussurite, alquanto simile a quella del promontorio del Romito, già descritta dal Manasse (J) e da me pure esaminata, ma da cui però leggermente ditferisce, sia per la minore alterazione del diallagio, sia per la quantità pure molto minore di minerali ferriferi, sia infine per la man- canza dell’iperstene. Altra eufotide dei Monti Livornesi fu studiata molti anni sono dal Bertwerth (8); ma di questa non posso dire non cono- scendola affatto. Pisa, Museo Geologico dell’Università, gennaio 1905. [ms. pres. il 5 gemi. 1905 — ult. bozze 25 febbr. 1905]. (') Manasse T., lioccie ofìolitiche e connesse dei monti livornesi. Atti Soc. Tose. Se. Nat., Meni., voi. XVI, pag. 21. Pisa, 1898. Bertwerth F. Felsarten uus der Gerjend con Jiosignano und Ca- stellina Marittima siidlich von Fisa. Tschennak’s mineralogische niit- theilungen, pag. 229. VVien 1876. BOCCE PBOPI LITICHE DEI DINTORNI. 1>I TOLTA Nota del socio F. Millosevich In un recente lavoro (*) ho dato la descrizione di alcune rocce metamorfiche dei dintorni di Tolfa c delle particolarità mineralogiche che esse presentano. In seguito Ting. li. Lotti volle gentilmente inviarmi alcuni campioni da lui raccolti nella medesima regione e di cui giustamente egli riteneva importante lo studio; mi sono quindi deciso ad allargare un poco i con- fini che mi ero imposti nel mio precedente lavoro e ad uscire dalla cerchia delle rocce calcaree metamorfosate, per parlare anche di alcune delle rocce eruttive, che con esse e con i gia- cimenti metalliferi, che le accompagnano, si trovano più stret- tamente in relazione. Mi è grato anzitutto esprimere all’ing. B. Lotti tutta la mia riconoscenza per la squisita gentilezza di volermi affidare lo studio dei campioni di siffatte rocce da lui raccolti e che, insieme con lo studio di altri da me posseduti, forma l’oggetto della presente nota. Le rocce che mi accingo a descrivere non hanno carattere di masse effusive come le tanto note trachiti-andesitiche o to- scaniti già studiate da molti autori (2) e che formano la parte (‘) F. Millosevich, Osservazioni mineralogiche sulle rocce metamorfiche dei dintorni di Tolfa. Boll. Soc. Geol. Ital., XXIII, 1901, pag. 277-291. (2) Vedi: Vom Rath, Mineralogiscli-geognostiche Fragmente aus Ita- lien. IV. Das Bergland von Tolfa. Zeitsch. d. Deuts. geol. Gesellsch., XVIII, 1866, pag. 585; Busatti e Lotti, Sulle trachiti della Tolfa. Proc. verb. Soc, Tose. Se. Nat., Pisa, 1886, pag. 96; De Stefani, 1 vulcani spenti dell’ Appennino Settentrionale. Boll. Soc. Geol. Ital., X, 1891; Washington, Italian Petrological Sketches III. Journal of Geologie, V, 1897, pag. 34; Riva, Osservazioni sulle trachiti-andesiticlie della Tolfa. Atti Soc. Ital. Se. Nat., XXXVII, Milano, 1898; Franchi, Analisi microscopica di alcuni esemplari di trachite. Boll. Soc. Geol. Ital., XIX, 1900, pag. xxxvii-xl. 7C> F. MILLOSEVICH principale della formazione vulcanica della Tolta; esse si pre- sentano in filoni o in animassi filoniformi in mezzo alle rocce eoceniche più o meno modificate, che costituiscono i giacimenti metalliferi di questa regione. Anche per l’aspetto esterno, oltre che per la giacitura, pre- sentano maggiore analogia con porfiriti, che non con andesiti o trachiti. L’esame microscopico, come appare dalla descrizione che segue, le fa ascrivere al gruppo delle cosidette profiliti e la cosa è interessante, non solo perchè è la prima volta, per quel che io sappia, che simili rocce sono state rinvenute in Italia, ma anche perchè, come è noto, è ancora aperta la disputa intorno alla vera essenza di esse. Propilite iperstenico-augitica. Questa roccia si trova in due distinte località: in una fu raccolta da me, nell’altra dall’ing. Lotti. Io ho osservato tale roccia in un viottolo che scende dal villaggio detto La Bianca verso la vallata sottostante, in dire- zione di mezzogiorno, e precisamente presso il punto d’incontro di tale viottolo con la via carrareccia, clic dal crocicchio detto Croce di Bura porta all’antico Edifìcio del Ferro. Quivi, nelle rocce calcaree metamorfosate, si presenta un piccolo affiora- mento filoniforme di tale roccia in relazione con un giacimento poco considerevole del solito minerale di ferro limonitico, tanto frequente nella regione. Non è possibile accertarsi, se questo affio- ramento si continui con l’altro osservato da me e da Lotti nel poco discosto fosso della Ganassa, perchè, come ho già fatto notare nel mio precedente lavoro (pag. 289), stante la grande alterazione e successiva formazione di minerali secondari nella roccia del fosso della Ganassa, è diffìcile stabilirne l’identità con quella di questo nuovo giacimento, che è relativamente assai più fresca. L’ing. Lotti, che ha raccolto l’altro campione, mi comunica la seguente indicazione topografica: «Masso filoniforme presso il giacimento ferrifero della Boccaccia sulla sinistra del fosso Ma- rangone ». La roccia dei pressi di La Bianca presenta macroscopica- mente un aspetto porfirico per la grande abbondanza di in- ROCCE PRO PI LITICI! E DELLA TOLFA 77 torchisi feldspatici biancastri di tutte le dimensioni, sparsi in una massa grigio verdastra. Anche esteriormente la roccia si mostra in istato di alterazione piuttosto avanzata: gli interclusi feldspatici hanno perduto la lucentezza vitrea e sono di color bianco opaco, mentre i pirosseni c la pirite hanno dato origine ad abbondanti prodotti di alterazione verdastri o ad ossidi di ferro, che macchiano c screziano la pasta fondamentale. Al microscopio in una massa fondamentale olocristallina si notano abbondanti interclusi di feldspato plagioclasio, meno nu- merosi cristalli di pirosseno trimetrico (iperstene) e di pirosseno monoclino (augite) più o meno alterati, lamine di biotite, pirite e molti prodotti di alterazione di tutti questi minerali; acces- sorio costante, ma in piccola quantità l’apatite. 11 plagioclasio è l’elemento più abbondante e relativamente il più fresco, benché anch’esso alterato ; i cristalli, sempre più 0 meno perfettamente idiomorfi, hanno dimensioni variabilissime e sono piuttosto allungati secondo l’asse verticale. Presentano tutti geminazione polisintetica secondo la legge dell’albite, ab- bastanza spesso combinata con quella secondo la legge di Carlsbad. 1 cristalli più grandi, che hanno bene spesso una distinta strut- tura zonale, mostrano frequenti inclusioni vetrose disposte in serie parallele. L’estinzione simmetrica nella zona normale a (010) non supera i 25°; nei geminati doppi la differenza A secondo Michel Lévy è di circa 14°, il che fa ritenere questo plagioclasio come appartenente alla serie della labradorite piut- tosto acida. Nei grossi cristalli a struttura zonata è da notarsi che la parte centrale è più basica di quella periferica. I pro- cessi di alterazione hanno portato in molti cristalli di plagio- clasio la formazione di epidoto più abbondante e secondaria- mente di clorite e di calcite. Il pirosseno trimetrico e quello monoclino sono in propor- zioni presso a poco ugnali. L’ iperstene si trova in cristalli allun- gati secondo l’asse verticale o in sezioni ottagonali e presenta un pleocroismo piuttosto debole con il seguente schema: fi giallognolo b giallognolo C verdastro (Tra a e b la differenza è poca o punta). 7S F. MILLO SE VIC II V augi te è di color verde piuttosto chiaro e senza pleocroismo, in cristalli grandi, ma molto alterati; più assai che l’iperstene essa presenta una serie di fenomeni di alterazione, la quale può essere pura trasformazione in uralite o, in un grado ulteriore, trasformazione in calcite, in clorite, in epidoto e in ossidi di ferro. L’uralitizzazione si limita talvolta alla periferia dei cristalli, mentre nel l’interno rimane qualche plaga di pirosseno inalte- rato ; altre volte l’uralite occupa tutto l’originario cristallo ed è unita a una certa quantità di clorite e di calcite; altre volte, per ulteriore trasformazione, è la clorite che sostituisce tutto il primitivo cristallo di augite. Anche epidoto si trova, benché in non grande quantità, fra i prodotti di alterazione del pirosseno. La biotite non troppo abbondante si trova in lamine o in sezioni prismatiche piuttosto estese con forte pleocroismo dal bruno castagno al giallo legno. La massa fondamentale è un aggregato granulare di feldspato e di quarzo, il primo assai predominante sul secondo: in essa si trovano piccole plaghe allotriomorfe di auigte più fresca di quella di prima generazione. Anche nella massa fondamentale abbondano i prodotti di alterazione come granuli di epidoto, lamelle e polvere di materiale cloritico, calcite, limonite, ecc. .. La pirite ora fresca, ora limonitizzata è estremamente ab- bondante, mentre la magnetite sembra assai scarsa. Aghetti di apatite sono inclusi generalmente negli altri minerali, ma si trovano anche sparsi nella massa fondamentale. E da notarsi in questa l’assoluta assenza di microliti e di qualsiasi base vetrosa. La roccia della Boccaccia, per l’aspetto esterno e per la costituzione interna, somiglia a quella di La Bianca e pre- senta soltanto uno stadio più avanzato di alterazione. L’abbon- danza di carbonati, specialmente di calcite , talora di un bel colore roseo, si manifesta anche ad una ispezione superficiale e lo stato di decomposizione dei feldspati è molto più progre- dito. Al microscopio si nota (die questi sono in parte trasfor- mati in epidoto, in clorite e specialmente in calcite, tanto da assumere un aspetto torbido c poco trasparente; perciò non k possibile determinare a qual gruppo appartengano. Il pirosseno, anche qui di due sorta, cioè iperstene e augite , sembra un ROCCE PROFILI T I C II E DELLA TOLDA 79 po’ meno frequente e presenta i medesimi fenomeni di alterazione. L’augite si presenta in cristalli piuttosto grandi per lo più ge- minati secondo (100); la b ioti te è ancora più scarsa che nella roccia precedente ed è soltanto un minerale accessorio. La massa fondamentale è anche qui un aggregato di feldspato e quarzo con prevalenza del primo, ma i minerali di nuova formazione come epidoto, clorite, calcite, ossidi di ferro, vi sono assai più abbondanti : è degno di nota il fatto che in detta massa sono frequenti delle pseudosfer oliti formate da aggregati grossolana- mente fìbroso-raggiati di feldspato predominante e di quarzo in minor quantità. Anche questa roccia è distinta per l’abbondanza di pirite per lo più alterata. Propilite augitica. Questa roccia fu osservata e raccolta dall’ing. Lotti, che ne dà la seguente indicazione topografica : « Filone di trachite verdastra di circa un metro nelle rocce eoceniche inalterate sulla rotabile, presso Allumiere ». È per l’aspetto esterno una vera Griinsteintrachyt con massa fondamentale verde grigiastro piuttosto chiaro ed interclusi bian- chi fra il vitreo e l’opaco di feldspato : colpisce anche macro- scopicamente l’abbondanza di pirite molto fresca sparsa in tutta la roccia. Al microscopio si osserva che la roccia è costituita da feld- spato, da augite, da calcite e da clorite ; subordinati sono: quarzo, pirite, epidoto. I cristalli di feldspato (plagioclasio) sono di dimensioni va- riabilissime; i più piccoli listiformi allungati, i più grandi in forma di lamine estese secondo (010). La misura degli angoli di estinzione simmetrica delle lamelle geminate nella zona nor- male a (010) e quella della estinzione riferita alle traccie della sfaldatura basale nelle sezioni secondo (010). fanno riferire tale feldspato alla serie dell’ andesina. La maggior parte dei cri- stalli sono alterati in clorite, calcite e caolino. Dopo il plagioclasio, che e l’elemento prevalente, si trova assai abbondante l 'augite in interclusi grandi, ma assai alterati. Vi sono dei punti della roccia che presentano, per così dire, 80 F. MILLOSEVICH delle concentrazioni di parecchi cristalli di questo minerale, che del resto si trova anche uniformemente sparso in tutte le se- zioni. Le poche plaghe relativamente fresche, che mostrano l’augite originaria, sono di color verde chiaro senza pleocroismo distinto. L’uralitizzazionc non è tanto frequente, ed invece la maggior parte dei cristalli mostrano un ulteriore stadio di alterazione con formazione specialmente di calcite e di clorite ; questa forma generalmente la parte periferica del primitivo cristallo di augite, quella il centro. La massa fondamentale con grande probabilità era in ori- gine di struttura ialopilitica ed ora invece mostra la struttura propria delle propi liti ; rimangono infatti le microliti, in parte feldspatiche, in parte augitiehe, ma la base è quasi completa- mente devitrificata e costituita da granuli irregolari di feldspato assai abbondante, da quarzo più scarso, da molta calcite e da clorite assai diffusa. La clorite della massa fondamentale, come quella formata per l’alterazione del pirosseno, è di color verde chiaro poco o punto pleocroica e con debolissima birifrazione. La pirite è in cristalli cubici o pentagono-dodecaedrici e relativamente fresca. L’ epidoto è piuttosto scarso in piccoli nidi di sostanza granu- lare specialmente nell’interno o in vicinanza dei cristalli di plagioclasio. * # * 1 caratteri petrografici fanno assegnare le rocce sopradescritte al gruppo delle propiliti e più specialmente alla famiglia piut- tosto rara delle propiliti augitiehe; i caratteri di giacimento osservati dal Lotti e da me le fanno ritenere anteriori alle tra- chiti-andesitiche della massa effusiva. Infatti hanno andamento filoniano, si trovano nelle rocce sedimentarie, intorno, ed inferior- mente alla formazione vulcanica e sembrano in realtà delle pro- paggini di una massa sottostante a detta formazione, probabil- mente messe allo scoperto dalla erosione. Dimostrata la presenza di rocce propilitiche in relazione con i giacimenti metalliferi di Tolta, la questione della origine di tali giacimenti e delle rocce metamorfiche che li accompa- gnano si avvia sempre più verso la soluzione, senza che per ROCCE PROPILITICHE DELLA TOLFA 81 nitro, secondo il mio parere, essa possa dirsi perfettamente ri- soluta. È cosa nota infatti, che sempre le propiliti sono in re- lazione con importanti giacimenti metalliferi, ma i geologi ed i petrografì non sono d’accordo, circa i rapporti che corrono fra l’eruzione di tali rocce e le manifestazioni metallifere, che le accompagnano; alcuni ritenendo le propiliti rocce di tipo spe ciale, la cui eruzione è costantemente accompagnata dalle ma- nifestazioni metallifere, che le caratterizzano; altri ritenendole nient’altro che rocce andesitiche alterate in ispecial modo da agenti minerai izzatori. Nè è il caso di ripetere qui gli argo- menti troppo noti in favore dell’ima e dell’altra teoria; basta rimandare il lettore ai classici trattati di Zirkel (]) e di Rosen- busch (2), le cui vedute in proposito sono appunto contrarie. Si è visto come la somiglianza con rocce porfìriche antiche e l’an- damento filoniano, che presentano le propiliti di Tolta, carat- teri che giustamente hanno colpito il Lotti, possano farle rite- nere come intrusioni dipartitesi da una massa profonda: orbene, se, come vogliono alcuni, le propiliti sono da considerarsi rocce diverse e più antiche delle comuni andesiti e costituenti un gruppo a se, se devono ritenersi come un termine di passaggio fra le dioriti o porfiriti dioritiche e le andesiti, se hanno piut- tosto il carattere di rocce profonde o filoniane, che non quello di rocce eruttive, in tal caso sarebbe giustificata l’opinione espressa dal Lotti e da me citata nel precedente lavoro, che cioè delle masse granitiche o di altra roccia consimile, esistenti in profondità sotto l’area metamorfica della Tolfa, sieno la causa del metamorfismo e delle manifestazioni metallogeniche. Se da altra parte invece, le propiliti non sono da considerarsi altro che una speciale facies di andesiti alterate da agenti mineralizza- tori, è ovvio in tal caso ritenere, che questi stessi agenti si sieno introdotti nelle rocce sedimentarie adiacenti, apportandovi quelle modificazioni descritte nel mio precedente lavoro. In questi termini la questione della origine del metamor- fismo e dei giacimenti metalliferi nelle rocce sedimentarie di (•) F. Zirkel, Lehrbuch der Petrographie: Zweite A u tìnge, II, 189 J, (585-595). (5) IL Rosenbuscli, Mikroskopisclie Pliysiograpliic, ecc. Dritte Auf- lage, II, 189G (913-917). 6 82 F. MILLOSEVICH Tolfa dipende dalla definitiva risoluzione della questione intorno alla vera natura delle rocce propilitiche. Senza entrare in un dibattito in cui petrografi così autore- voli hanno espresso i loro contradditori pareri, dibattito che d’altronde è eminentemente geologico, voglio indicare alcune ragioni per le quali, secondo me, lo studio delle propiliti della Tolfa tende piuttosto a far ritenere tali rocce come una parti- colar forma di alterazione delle andesiti. Anzitutto le grandi analogie che, all’infuori della diversa struttura della massa fon- damentale, esistono fra le trachiti-andesitiche più recenti e queste propiliti : basti notare la ricchezza in plagioclasio delle prime, la prevalenza in ambedue dei pirosseni trimetrico e monoelmo sulla biotite, l’assenza in ambedue di antibolo, eec Per di più l’alterazione nelle rocce vulcaniche di Tolfa è un fenomeno tanto diffuso, che non è facile trovare la roccia originaria per- fettamente fresca (‘) e si noti che tale alterazione non è su- perficiale e dovuta ad agenti atmosferici, ma profonda e di ori- gine intratellurica : gli agenti che operarono sopra le diverse rocce alterandole, hanno prodotto modificazioni varie a seconda della varia natura di esse rocce e delle condizioni fisiche in cui si sono trovati ad esercitare la loro azione. Quindi dalla medesima causa potrebbero dipendere tanto la facies, dirò così,. alunitica delle trachiti-andesitiche superficiali, quanto la fa- cies propilitica delle rocce di tipo più schiettamente andesitico profonde. Si aggiunga che in realtà le rocce da me osser- vate sembrano rappresentare i vari stadi di una successiva trasformazione; quella di La Bianca ha la massa fondamentale propria delle propiliti, ma i feldspati abbastanza freschi e i pirosseni soltanto in via di alterazione; quella della Boccaccia ha anche i feldspati molto alterati ed è assai più ricca dei prodotti di nuova formazione che sono propri delle tipiche pro- piliti; quella dei pressi di Allumiere mostra con la presenza di microliti nella massa fondamentale i resti di una primitiva struttura ialopi litica. (') Vedi a tal proposito il citato lavoro di C. Riva. ROCCE PROPILITICHE DELLA TOLFA 83 * * * Come appendice al mio precedente lavoro sulle rocce me- tamorfiche dei dintorni di Tolfa devo ricordare fra queste la presenza di un calcare epiclotifero, che fu osservato dall’ing. Lotti, che me ne ha favorito un campione. Esso si trova sulla strada di Pian Ceraso presso l’ Edificio del Ferro. È un calcare finamente cristallino di color verdastro con venirne di pirite. Al microscopio si nota che V epidoto, accessorio costante negli altri calcari metamorfici descritti, qui diventa elemento essen- ziale, mentre manca il granato. Si presenta in cristalli grandi a debolissimo pleocroismo di color verdino chiaro e alterati spesso in materiale cloritico. Anche il cpuarzo è assai abbon- dante nella roccia. Catania, 25 gennaio 1905. [ms. pres. il 29 gennaio - ultime bozze 25 febbraio 1905]. LE ERUZIONI DELLA MONTAGNA PELÉE E DEL VULCANO LAZIALE Nota del socio A. Verri Le osservazioni sui bandii massicci del tufo vulcanico di Orvieto, portandomi ad escludere eruzioni sottomarine o di ma- terie cadute entro bacini acquosi, me li fecero considerare come prodotto di eruzioni fangose (0. Cosi considerai dipoi ì tufi aventi caratteri analoghi nei vulcani Cimini (2). Questa opinione fu combattuta dal Ponzi, pur non negando la possibilità delle emissioni di fango nei fenomeni eruttivi, ma non giudicandone giusta l’applicazione ai tufi della Campagna Romana (3). Nel 1883, accennando osservazioni fatte nel territorio dei vulcani Vulsinii, espressi il parere che i tufi di cui si tratta siano stati il prodotto di eruzioni fangose, o più precisamente di materiali misti ad acqua, avvenute con proiezione, o con semplice trabocco; op- pure in tutti due i modi nelle diverse fasi delle eruzioni (4). Nel 1885 il Tittoni, propendendo ad ammettere l’ipotesi della origine fangosa per alcuni tufi dei vulcani Sabatini, faceva ri- levare che l’opposizione del Ponzi alle vedute da me esposte poteva provenire da equivoco, determinato dalla denominazione adottata di tufo leucitico anziché di tufo pomiceo, per quei tufi (') Sulla cronologia dei vulcani Tirreni. Read. R. Istituto Lombardo, voi. XI, 1878. (2) I vulcani Cimini. R. Ace. Line. an. CCLXXVII, 1879-80. (3) 1 tufi vulcanici della Tuscia Romana, loro origine, diffusione ed età. R. Acc. Line., an. CCLXXVIII, 1880-81. ( 4 ) Due parole sui tufi leucitici dei vulcani Tirreni. Bull. Soc. geol. it., voi. II, 1883. ERUZIONI DEL PELÉE E DEL VULCANO LAZIALE 85- che io considerava originati da eruzioni fangose ('). Su che ri- sposi con alcune spiegazioni (5). Nel 1890, per ragioni di ufficio venuto a stare in Roma, avviai ricerche sul tufo vulcanico adoperato nelle fabbriche. Nell’esporle dissi: che, per quelli dei vulcani Vulsinio e Ci- mino, le osservazioni m’avevano fatto reputare la pasta cemen- tizia dei tufi sciolta in acqua eruttata insieme alle altre ma- terie — che sempre era stato perplesso se tali eruzioni siano avvenute per trabocco o con proiezione — che, in ogni modo, prima di consolidarsi, quei tufi hanno camminato su estensioni grandi di territorio in forma di correnti fangose. Pur conside- rando come correnti fangose eziandio i tufi gialli da costru- zione del Vulcano Laziale, per deferenza alle opinioni di Colleglli di me assai più esperti, soggiungeva che: siccome nella storia del vulcanismo moderno sembra manchino esempi di trabocchi di fanghi, mentre si hanno esempi di correnti fangose prodotte dal condensamento dei vapori acquei emessi dal vulcano; se, tenuto conto della grandiosità degli espandimenti, si può am- mettere che l’eruzione dei detriti possa avvenire insieme alla trasformazione del vapore in acqua, e che quei detriti ricadano così inzuppati sopra i coni craterici, gli effetti finali riescireb- bero somiglianti ad una eruzione per trabocco, e sarebbe riso- luto il problema (3). Estese dipoi le osservazioni, nel 1893 scriveva: che i tufi gialli da costruzione del Vulcano Laziale presentano tutti i se- gni caratterizzanti un espandimento fangoso; che il materiale eruttato doveva contenere in se stesso, fin dalla origine, le so- stanze necessarie per generare una massa fangosa. Appresso, rilevate le condizioni della formazione dei peperini, concludeva col reputarli formati da eruzioni di melme bullicanti nel bacino craterico, traboccate oppure proiettate per spinta delle forze in- terne (gas e vapori), travolgendo i rottami delle rocce strap- pate dalle pareti del condotto, ed il materiale di sfasciume del (') La regione trachitica ddVAgro Sabatino e Cerile. Boll. Soc. geo!, it., voi. IV, 1885. (2) Sui tufi dei vulcani tirreni. Boll. Soc. geol. it., voi. V, 1886. (3) I tufi vulcanici da costruzione della Campagna di j Roma. Boll. Soc. geol. it., voi. XI, 1892. 86 A. VERRI cono : vuotato il lago, il cratere avrebbe seguitato ad espellere rigetti detritici asciutti. Perciò le alternanze di banchi pietrosi ed incoerenti, aventi caratteri identici di composizione. Nella circostanza soggiungeva : che tali eruzioni sublacustri potrebbero spiegare anche la genesi del tufo giallo da costruzione ; e, rie- pilogando in un quadro gli avvenimenti, indicava il cono an- tico del Vulcano Laziale tronco con un lago nel cratere; da questo rigettati sia con proiezione, sia con trabocco, allo stato di fanghi i materiali di quel tufo. In una annotazione della pagina contenente tali idee è accennata la probabilità, che il getto delle pozzolane bigie con scorie rosse sia la continuazione immediata della eruzione, la quale compose i tufi gialli da co- struzione (1). Dopo quattro anni di assenza tornato a risiedere in Roma, riprese le osservazioni, nel 1898 affermai in modo definitivo il punto accennato in quella annotazione : sicché, ezian- dio in quel momento di parossismo del cono laziale antico, si sarebbe avuta una eruzione fangosa seguita tosto da getto di materie asciutte. Soggiungeva: che simile condizione di cose do- vrebbe decidere definitivamente sulla genesi del tufo giallo da «ostruzione ; che rimetteva ad altro tempo di trattare l’argo- mento, seppure intanto non fosse presentata da altri una ipotesi soddisfacente tutti i quesiti (2). L’anno 1900 l’ing. V. Sabatini, taciuti i punti principali del mio pensiero, riferitine alcuni inesattamente, posti bene in mostra quelli che si prestavano a men favorevole interpetra- zione, concludeva circa questo oggetto colle parole: «Il volersi ostinare ad ammettere delle correnti fangose emesse dai crateri rivela poca conoscenza di regioni vulcaniche Da quanto pre- cede risulta, più che la debolezza, la puerilità degli argomenti dei sostenitori delle emissioni fangose » (3). Divagherei l’attenzione dal soggetto che intendo scolpire, se mi mettessi a discorrere degli Scrittori i quali hanno parlato (') Note per la storia del Vulcano Laziale. Boll. soc. gcol. i t., voi. XII, 1893, pag. 65, 572, 573, 582. (2) Osservazioni sulla successione delle rocce vulcaniche nella Cam- pagna di Poma. Boll. Soc. geol. it., voi. XVII, 1898. (3) Vulcano Laziale. Mem. descrit. della Carta geol. d’It. pubbl. dal R. Uff. gcol , an. 1900, pag. 52, 325. ERUZIONI DEL PELEE E DEL VULCANO LAZIALE 87 ■sulla materia; delle teorie da essi svolte, od alle quali hanno aderito. Tutto ciò sarà precisato nella Bibliografia geologica della Campagna Romana, che pubblicherò a suo tempo. Vengo adunque senz’altro al nodo. 3(1 prof. A. Lacroi x descrive ora eruzioni fangose avvenute nella montagna Pelée, ad alcune delle quali ha assistito in per- sona: ne traggo queste notizie ed opinioni. Dalle prime manife- stazioni eruttive gli abitanti di S. -Pierre constatarono che il fondo della caldeira dello Stagno secco, da lungo tempo asciutto, s’era empito d’acqua carica di ceneri proiettate da un piccolo cono di formazione recente. Dalla fine di aprile 1902 la Riviera Bianca, che attingeva la sua sorgente al piede dello Stagno secco, subiva alternative di crescita e di seccamento: tumultuosa il 29 aprile ed il 1° maggio, era quasi asciutta il 2 ; il 3 tor- nava torrenziale. Nella notte dal 4 al 5 una gran quantità di fango nero, travolgente enormi massi, si precipitava dalla valle della Riviera Bianca. Fra il mezzogiorno e 30' ed il mezzo- giorno e 45', si produsse nello Stagno secco altra violenta eru- zione fangosa : scese da esso una valanga di fango nero, fumante, con massi enormi, fronte alta molti metri, larga circa 250 ; pochi minuti appresso seguì altro torrente di fango. Questo fango era caldo ma non scottante. Il 3 marzo 1903 le acque del lago nel cratere della Solfatara di S. Vincenzo offrivano l’apparenza di un fango giallastro, dal quale s’alzavano vapori diffusi. La loro uscita, allorché era localizzata, determinava nella massa liquida la produzione di onde concentriche, moventesi con estrema len- tezza e dinotanti grande viscosità. Alla minima agitazione, la tinta gialla della superficie faceva posto ad una colorazione grigia, mostrando che il colore giallo era superficiale e dovuto ad una ossidazione. All’improviso abbiamo sentito un ribolli- mento terribile, e veduto elevarsi dal mezzo del lago una massa •enorme di fango d’un nero inchiostro, traente seco massi roc- ciosi: in qualche secondo il fango è arrivato a livello degli orli del cratere, i quali presto ha superati di più centinaia di metri, •eppoi è ricaduto. Nelle quattro ore, in cui abbiamo fatto il giro •del cratere, ' abbiamo assistito a più esplosioni del genere stesso, succedentesi ad intervalli regolari e con intensità variabile; di esse tre sono arrivate pure sopra gli orli del cratere: tra una 88 A. VERRI esplosione e l’altra il lago riprendeva tranquillità perfetta. Se il getto, invece di essere verticale, fosse stato inclinato da 25° a 30° verso S.-O., si sarebbe rovesciato nelle alte valli di Val- libu o di Eozeau, dando nascenza ad una corrente fangosa. L’eru- zione del 3 marzo era il preludio d’un grande parossismo, che ha durato dal 22 al 30. Si può dire certo che il 5 maggio s’è prodotta nella montagna Felce una esplosione analoga a quella di cui siamo stati testimoni, ma più violenta ancora. È vero- simile che molte correnti fangose, descritte per altri vulcani, debbano l’origine a fenomeni periferici; ma ci sono dei casi, nei quali le correnti fangose provengono incontestabilmente dal cratere. Il fenomeno non è certamente dovuto ad acque salienti dalle profondità. L’acqua è la piovana raccolta nei laghi, im- magazzinata più o meno profondamente nelle fessure dalle quali i prodotti vulcanici vengono fuori al momento delle eruzioni, o nei nuovi crepacci che s’aprono sul fondo dei laghi riempienti i crateri. Svolgimenti gassosi sollevano il fango del lago, pro- veniente dallo scioglimento nelle acque delle ceneri cadute dal cratere, e mescolato ai rottami delle pareti che crollano conti- nuamente; una serie di formidabili esplosioni ha determinata l’espulsione del contenuto nel fondo del bacino. Tale è l’origine dei torrenti di fango, che sono stati segnalati nelle alte valli di Eozeau e Vallibu: una volta fatto questo vuotamento, lui avuto luogo l’esplosione delle ceneri, dei lapilli, delle bombe (‘). Dieci anni prima che la Pelée desse questa lezione di Vul- canologia, l’aveva letta sulle rocce del Vulcano Laziale, nelle passeggiate festive, colle quali riposava la mente dalle cure del- l’Ufficio tenuto nel Ministero della Guerra. [ms. pres. il 28 gennaio - ult. bozze 2 febbraio 1905]. (’) La Montagne Pelée et ses éruptions. Ouvr. publié par l’Acad. de» Sciences. Paris, 1901. ANCORA INTORNO ALLA GENESI DELLE IMPRONTE FOSSILI A PALEODICTYON Nota del dott. G. Capeder Essendo venuto a conoscenza di nuovi fatti e di nuove particolarità presentate dai Paleodictyon fossili e per rispon- dere subito a possibili obbiezioni che questi fatti potrebbero apparentemente produrre contro la genesi studiata per essi con esperimenti e svolta in un mio precedente studio ('), trovo non solo utile ma doveroso, di portare a conoscenza anche questi fatti e di dimostrare che essi formano una nuova e luminosa conferma dell’origine fisica e fisico-biologica delle impronte a Paleodictyon. Anzitutto io dividerei i Paleodictyon, a seconda della loro probabile origine fisico-meccanica o tìsico-biologica, in irregolari e regolari o pseudoregolari. Fra gli irregolari troviamo il P. mininumi Sacco, il P. Tel- lina Sacco, il P. maximum Sacco, il P. majus Menegh.; fra i regolari il P. regalare Sacco, il P. Strozzii Menegh., il P. mio- cenicum Sacco, il P. tccti forme Sacco, il P. giganteum Per. Fra questi, alcuni hanno indubbiamente l’origine fisico-bio- logica della quale tenni parola nel precedente studio, cioè sono' dovuti al regolare stillicidio delle goccie d’acqua dalle foglie dei rami più patenti di alcuni alberi, per cui essi ci rappresente- rebbero la loro proiezione orizzontale (*), altri sono dovuti al- (x) Capeder G., Sulla natura delle problematiche impronte di Paleo- dietyon. Boll. Soc. Geol. II., voi. XXIII, 1904. (*) Nel sopra citato lavoro, alla pag. 451, linea 27 ed alla pag. 456, linea 12, invece di proiezione verticale, leggi: proiezione orizzontale. 90 G. CAPEDER l’azione diretta delle goccie della pioggia, incerte speciali con- dizioni. E ciò dico, per le osservazioni che ho avuto campo di fare in natura ed anche sugli stessi Paleodictyon fossili. Il prof. Sacco, a proposito delle cellette del P. minimum , ac- cenna^) ad impronte ad esse assai più piccole di l/t circa, impronte «he non potè sottoporre ad esame accurato essendo andato per- duto il frammento che le portava. Egli dubita perciò anche si trat- tasse in quel caso di un Paleodictyon piuttosto che di un Briozoo. Piacemi qui di far rilevare che io non ho soltanto potuto artificialmente ottenere il P. minimum, ma che con una parti- Paleodictyon majus Menegh. (da Sacco, y*) «olare disposizione ho ottenuto di riprodurre anche Paleodictyon assai più piccoli, come quelli osservati dal prof. Sacco e che ove si trovano le opportune condizioni si formano in natura con tòmamente, assieme col P. minimum c col P. Tellinii. Anzi co- tali Paleodictyon minutissimi di solito sogliono trovarsi nell’in- terno delle cellette dei grandi Paleodictyon, vedi figura annessa. Ecco le disposizioni più atte all’esperimento e che si veri- ficano in natura lungo il corso dei torrenti e delle acque sel- vaggie. (l) Sacco F, Note di Paleoicnoloyia italiana. Atti Soc. it. Se. Nat., voi. XXXI, fase. 2.°, 1888, pag. 159. GENESI DEI PALEODICTYON 91 Si scuote fina sabbia calcarea nell’acqua eli un largo reci- piente e si lascia a sè; poi lentamente e con cura si toglie lo strato liquido, per mezzo di un sifone ad es., fino a tanto che sul limo finissimo della superficie della sabbia non rimanga più che un velo sottile di acqua. Esponendo questa superficie ad una finissima pioggia na- turale od artificiale, si osserverà che le minutissime goccie, che non potrebbero per la loro estrema piccolezza muovere i gra- nelli ed impressionare un piano di sabbia fine o di umido fango, formano invece su tale superficie netti incavi e rilievi esagonali, essendo facile in queste condizioni, nel seno di un velo liquido spostare gli elementi del limo finissimo. Queste impressioni pos- sono anche essere di soli 3 o 4 decimi di mm. di larghezza, cioè appena appena visibili ad occhio nudo e pur tuttavia esa- gonali e rilevate con orlo esterno. Io credo perciò, in seguito ai risultati di questa esperienza, che il frammento veduto dal prof. Sacco sia stato veramente un’impronta di Paleodict}ron e non il resto di qualche Briozoo, anche perchè ebbi anch’io occa- sione di osservare direttamente queste piccolissime impressioni e di studiarle con comodo su molte lastre a Paleodictyon e per- fino nelle cellette del P. majus rappresentato nella figura ove se ne vedono di nettissime, come anche nella fig. 6, tav. I, del Pai. minimum Sacco. Se la superficie del fango non è coperta da un velo liquido, o se lo strato di fango ha uno spessore troppo considerevole, le impressioni si fanno egualmente, ma perdono la loro caratteri- stica forma esagonale e diventano rotonde, cosa alla quale ho già accennato nel precedente studio. Ora come potrebbero simili minutissime impressioni di qual- che decimo di mm. di diametro, in un colle grandissime di 20, 30 e perfino di 40 mm., avere altra origine e ricevere altra spie- gazione se non quella fisico-meccanica o fisico-biologica esposta nel precedente lavoro? Come potrebbe un organismo possedere tanta variabilità di dimensione e di forma e sopratutto come potrebbero altre azioni e particolarmente le onde adattarsi a tanta diversità di apparenza? Ma vi ha un’altra particolarità abbastanza importante, ebe osservai dapprima nei Paleodictyon fossili e poi nei Paleodictyon 92 G. CAPEDER che si formano naturalmente alla pioggia, particolarità che ri- produssi anche artificialmente, dimostrando così che questo fatto costituisce una delle migliori conferme della genesi svolta. Si osservi la figura qui annessa: essa è un ingrandimento di una porzione di superficie della fig. 9, della tavola I in fototipia, di un lavoro del prof. Sacco (Q e rappresenta il P. majus Menegh. deH’eocene di Buttrio nelle dimensioni di 1,5 a 1. Si potrà age- volmente qui rilevare il fatto curioso delle cellette multiple, cioè di celle grandi che portano nel loro interno impressioni di altre cellette isolate più piccole, e perfino di reticolati di piccole cellette costituenti veri minuscoli Paleodictyon. Il diametro delle più piccole cellette della figura è di 6/10 di mm., se si considera l’ ingrandimento di una volta e mezzo, queste cel- lette nel fossile verrebbero ad avere solamente il diametro di V10 di mm. Le fig. 7, 8, 9, 10, della tavola I del lavoro citato del prof. Sacco (?), fanno vedere molte di simili apparenze e specialmente coll’aiuto di una lente; anche nella fig. 10, della tavola XIII, del mio lavoro precedente (3), che rappresenta l’azione della pioggia diretta sulla sabbia, si vedono alcune celle multiple ottenute senza che io me ne fossi precedentemente accorto. Questo carattere sembrerebbe contraddire la genesi fisica dei Paleodictyon ed appoggiare invece la genesi organica, poi- ché si sarebbe perfino tratti ad attribuire una generazione delle cellette. Il fenomeno è invece naturalissimo: le grandi celle, sono dovute a grosse goccie di acqua sulla sabbia umida o sopra un /sottile strato di fango coperto da un velo liquido, le celle in- cluse a più piccole goccie di acqua che successivamente impres- sionarono la sabbia o il fango; ne viene di conseguenza che esse potranno avere qualunque posizione rispetto alle grandi, e le troveremo o nello interno, o sui fili, o fra l’intreccio del mag- giore reticolato, o altrimenti in qualunque posizione, come si vede dalla figura annessa che è più che mai istruttiva al ri- guardo. Questa particolarità dei Paleodictyon fossili non è stata, che io mi sappia, fin (pii rilevata, mentre non credo sia privo di (*) (*) Sacco F., op. cit ., 1888. (2) Sacco F., op. cit., 1888. (3) Capeder G., op. cit., 1904. GENESI DEI PALEODICTYON 93 interesse il metterla in vista, anche perchè si potranno trovare altri casi di siffatte interessanti apparenze. Del resto, su tutte le fototipie dei Paleodictyon inserite dal prof. Sacco nei suoi lavori ('), ma specialmente nelle cellette del P. majus Menegh., come anche in quelle del P. regalare Sacco, si osservano. Non ho in questo lavoro riportato colla fotografia le appa- renze di cotali cellette multiple, ottenute artificialmente, perchè esse sono perfettamente identiche a quelle fossili figurate e per- chè anche le si possono osservare, come ho già detto, alla fig. 10 della tavola XIII del mio precedente lavoro, in cui artificial- mente le ottenni per puro caso. Del resto, in natura ho potuto verificare si trovano nel P. maximum e nel P. tectiforme, che si possono sempre osservare sotto agli alberi dopo le piog- gie specialmente ove uno straterello sottile di sabbia fine copre il terreno, come pure nel P. Tellinii e nel P. minimum che si formano come già dissi, sempre dopo le pioggie nelle anse dei torrenti e dei fossi, ove l’acqua ha accumulato la sabbia e il fine fango e protegge la superficie dalla impressione fin verso il finire della meteora, in cui viene lentamente a diminuire l’acqua e non rimane sulla superficie piana sabbioso-fangosa che un sottile velo liquido che agevola l’impressione unica delle ultime goccie di pioggia ; impressioni grandi e piccole, regolari ed irregolari, contemporanee o successive, sulla medesima area o su punti diversi. Da ciò la grande variabilità di questi Pa- leodictyon e le loro caratteristiche importanti apparenze. Queste apparenze sono specialmente importanti perchè pos- sono servire ad indirizzarci sulla formazione di altre speciali impronte che con esse si trovano. Cosi la presenza delle cel- lette di cotali Paleodictyon piccolissimi, isolate o costituenti un reticolato, porta ad attribuire alle lastre sulle quali si trovano un’origine non certo subacquea e l’esposizione di esse lastre per un certo tempo prima della loro cementazione, all’azione della pioggia naturale. Il ritrovare dette impressioni su alcune lastre ad Helmin- thoida, a Nemertilites , ad Helminthopsis, a Taphrlielmintliopsis , ecc., implica di conseguenza il fatto abbastanza importante, che (') Sacco F., op. cit., 1888, tav. I, fig. 2, 4, 5, 7, 8, 9, IO, 11, e Note sur l’origine cles Paleodictyon. Bull. Soc. Belge de Géol , tome XIII, 1899, tav. I, fig. 1, 2. 94 G. CAPEDER quei grafoglipti non si sono formati, come viene generalmente cre- duto, sul fondo melmoso marino a grandi profondità, ma che invece alcuni si devono essere formati sul fango molle portato dalle acque correnti o sui depositi di spiaggia, cosa del resto che non entra in contraddizione colla facies di litorale di quei depositi nei quali dette impronte generalmente si trovano. Ma altre particolarità ci si presentano ancora all’analisi: Il prof. Sacco in un suo lavoro (*) alla pag. 25, parla di lastre a rilievi particolari, rotondeggianti, trovati nell’Elveziano delle Langhe, fìg. 10, tav. I. Nel più volte citato lavoro poi (2), alla pag. 161, ritorna su quelle lastre e parla di altre, sulle quali piccoli rilievi bitorzoluti, per limitate estensioni, si di- spongono ordinatamente in modo da simulare dei Paleodictyon punteggiati e sono regolarmente sei per ogni area, si che ideal- mente è possibile condursi alla tipica forma esagonale delle loro cellette ; questi rilievi bitorzoluti però « sono comuni colle aree contigue, corrispondenti a un dipresso alla parte medio-centrale di ciascuno dei filamenti che di solito costituiscono un lato del- l’esagono ». Il prof. Sacco, porta sulla tavola la fotografia di uno splendido esemplare, che presenta da una parte il P. in- tatto e dall’altra il P. punteggiato. Questa particolarità è molto importante, essendoché come giustamente osserva il prof. Sacco, cotale struttura caratteristica potrebbe essere anche in diretta relazione col modo di formarsi dei Paleodictyon e potrebbe servire per chiarirne l’origine. Però tale fatto non dev’essere considerato isolatamente, ma portato con le altre osservazioni che si riferiscono alle strutture anormali delle cellette, come sarebbero le frequenti mancanze di porzioni di filo alle maglie, la presenza nell’interno delle maglie di altri Paleodictyon minori, lo sdoppiamento eventuale dei fili a for- mare altre celle minori nel loro spessore, la presenza di impres- sioni esagonali in mezzo alle cellette dei Paleodictyon punteggiati e finalmente la irregolare mancanza o presenza in essi di rilievi (') Sacco F., Intorno ad alcune impronte organiche dei terreni ter- ziari del Piemonte. Atti R. Acc. Se. di Torino, voi. XXT, 1886. (2) Sacco F., Op. cit., 1888. GENESI DEI PALEODICTYON 95 comuni e mediani. Tutti questi caratteri stanno evidentemente ad indicare la genesi seguente: La lastra è stata esposta ad una prima impressione di goecie quasi equidistanti per cui si formò il rilievo a Paleoclictyon. In seguito si aggiunse alla prima azione anche quella della pioggia diretta, che operò distruggendo in parte il primitivo rilievo per cui molte coste si abbatterono, o si abbatterono i vertici comuni, nello stesso tempo che si formarono le impressioni delle goccie su tutta la superficie della lastra, impressioni che si sono conservate e che ora stanno ad indicarci la genesi. Si osservi infatti con una lente, la fig. 1, tav. I, del già citato lavoro (') e che rappresenta un P. punteggiato : si vedranno le caratteristiche celle a limiti punteggiati ed il passaggio alle celle a pareti intere; si vedranno le traccie delle impronte di goccie minori alcune delle quali, cadute opportunamente, pote- rono abbattere completamente i vertici comuni, altre produrre nitide impressioni proprio nel mezzo della celletta primitiva, altre ai lati, altre assottigliare solamente i fili, rendendo cosi ben evidente le successive azioni clic determinarono la caratteristica apparenza. A questa medesima successiva azione si devono pure altre particolarità, come l’allungamento esagerato delle aree di alcune cellette e qualche volta la fusione di aree contigue, il prodursi di canali tortuosi, il formarsi di rientranze di pareti, l’incurvarsi dei funicoli, vedi figura, ecc. ecc. La superficie liscia poi delle lastre a Pai. majus Menegh., le loro grandi dimen- sioni nonché il loro netto rilievo e la forma semicilindrica dei funicoli dimostrano, e l’esperienza lo conferma, che essi si sono formati non sulla sabbia umida solamente come per gli altri, ma sopra sabbia coperta da un sottile strato di fango e da un velo liquido, così che anche le minute impressioni poterono lasciar nitida traccia. Molto probabilmente in questo caso anche le grandi impressioni si debbono a goccie di pioggia, come lo indicherebbero la deformazione notevole delle cellette di questi Paleodictyon, le frequenti fusioni delle loro aree, la grande irregolarità di forma e dimensione di esse nonché l’abbondante p) Sacco F., op. cit., 1888. 36 G. CAPEDER numero di cellette incluse di 2.° e perfino di 3.° ordine; vedi figura. Questa genesi però, è evidente che non ò possibile di applicare che a pochissimi Paleodictyon anche fra gli irregolari e che per gli altri, e specialmente per i regolari e ben conformati, bisogna ricorrere alF ipotesi fisico-biologica, non essendo mai possibile che le goccie della pioggia siano tutte di egual grossezza ed uniformemente distribuite come occorrerebbe per produrre rego- lari impressioni, ma essendo assolutamente necessario per esse, di ricercare le disposizioni naturali di uno stillicidio regolaris- simo per distribuzione e grossezza delle goccie della pioggia, come solamente si possono trovare sotto la chioma di alcuni alberi: fenomeno questo del quale si è già trattato nel precedente lavoro. ❖ *}• *r* A me sembra che tutte le particolarità presentate dai Pa- leodictyon fossili e messe in evidenza in questo e nel precedente lavoro, concorrano a sostenere per essi esclusivamente l’ipotesi dell’azione meccanica della goccia su materiali incoerenti. Però siccome nfci fenomeni fìsici sarebbe temerità il voler negare reci- samente la possibilità di un dato fatto, voglio ammettere anch’io che in certi rari casi l’effetto delle onde possa generare reticolati simili a quelli dei Paleodictyon, benché molte loro particolarità rimarrebbero così senza spiegazione e benché per alcuni di essi mi paia assolutamente impossibile questa origine. Mi permetto però di aggiungere queste osservazioni. Parecchi mesi fa, anch’io ero convintissimo che i Paleodictvon si dovessero all’azione delle onde. Volli tentare di riprodurli artificialmente ed applicai diversi metodi per ottenere l’ inter- ferenza costante di sistemi di onde. Ricorsi dapprima alle azioni di sbarrette opportunamente poste e clic facevo muovere in seno al liquido in modo da generare onde energiche, ma non riuscii che ad ottenere leggiere ondulazioni sulla sabbia del fondo del recipiente nel quale sperimentavo, non mai reticolati che anche lontanamente si avvicinassero ai Paleodictyon. Attribuii l’insuc- cesso alla mancanza di una sufficiente regolarità, per cui ricorsi all’azione di sistemi di onde provocate da più goccie di acqua GENESI DEI PALEODICTYON 97 cadenti con regolare ritmo. Ma non ebbi miglior fortuna, poiché ottenni solamente leggiere ondulazioni della superficie tutt’attorno al punto colpito dalle goccie e fin dove normalmente giungevano gli spruzzi derivati dall’ urto delle goccie incidenti, mentre in cor- rispondenza di esse osservai diesi formavano grandi celle grossola- namente poligonali, dovute evidentemente alla loro diretta azione meccanica escavatrice. Verificai che in niun altro modo tali cellette si possono ottenere, per cui rivolsi la mia cura a portare l’espe- rimento nelle migliori condizioni per l’analisi dei fenomeni e per la riproduzione artificiale dei Paleodictyon. Dopo essere però venuto a conoscenza delle giuste considerazioni fattemi dal prof. Neviani (') sui reticolati a Paleodictyon che egli stesso osservò sulla superficie libera della calce spenta contenuta in una apposita vasca, ripetei gli esperimenti giovandomi non più di sabbia, ma di materiali finissimi e procurando di met- termi nelle stesse condizioni. Verificai che in realtà in siffatte condizioni si formano, attorno al punto di caduta della goccia, reticolati simili ai Paleodictyon, a cellette piuttosto allungate, qualche volta abbastanza regolari, per cui spontaneo verrebbe l’attribuire la loro formazione allo effetto delle onde. Nondimeno l’osservazione della loro limitata estensione, stante che non si forkiano che fin dove giungono gli spruzzi gettati dalla goccia incidente e solamente di solito dalla parte ove essi abbondano, come pure l’aver verificato che in cotal fenomeno non ha alcuna influenza l’interferenza ma piut- tosto l’onda diretta, ottenendosi i medesimi risultati in tutte le condizioni, con una sol goccia o con parecchie, presso alle pareti o no del recipiente, mi fecero dubitare alquanto di cotal genesi e propendere invece ad ammettere anche qui per le cavità esagonali, l’azione diretta delle goccie. Infatti ripetei gli espe- rimenti, colla cura di circondare la goccia incidente con uno schermo cilindrico fin quasi presso alla superficie liquida, onde impedire che le goccie rimbalzanti potessero cadere tutt’attorno ed impressionare il materiale finissimo e vidi che in tali condizioni non si formavano più cellette esagonali allungate, ma rilievi ondulati curvi, paralleli e concentrici, analoghi ai (*) r (*) Capeder G., op. cit., 1904, pag. 438. 7 98 G. CAPEDER noti Kipplemarks. Solamente sui materiali finissimi, quasi so- spesi e ben omogenei potei osservare, che l’alternato movi- mento ondulatorio semplice provocato da una sola goccia dà luogo a reticolati non ben definiti, a maglie rombiche, allungatis- sime, a causa io credo, della oscillazione cui i materiali del fondo sono soggetti e della conseguente distensione degli elementi, in modo analogo a quello che avviene a ino’ d’esempio nella cor- teccia di molti alberi (olmo, quercia, pino, robinia, eec.) per cui essa, per l’accrescimento dei tessuti interni, si lacera secondo linee parallele alterne, che distendendosi formano cavità rombiche dando luogo a particolari e caratteristiche figure di distensione. Ma è chiaro che queste figure sono ben diverse e distinguibili dai Paleodictyon, mentre hanno invece notevole somiglianza coi Tropfenplatte e specialmente colle apparenze di cui alla Tav. I, fig. 6, alla Tav. II, fig. 1, 3 ed alla Tav. IX, fig. 5, del lavoro del Fuclis ('). Solamente all’azione meccanica escavatrice delle goccie de- vonsi perciò le cellette dei Paleodictyon, mentre le onde non possono che contribuire alla loro regolarità ed infatti ho osser- vato che se le esperienze di cui sopra, si fanno adoperando della calce, le impronte delle goccie spruzzate sono dapprima rotonde e divengono esagonali soltanto in seguito all’azione ritmica delle onde provocate, per cui non sono alieno dal l’ammettere anche, che qualche voltala forma regolare delle cellette di certi Paleodi- ctyon fossili si debba all’azione combinata delle goccie e delle onde, come del resto ciò si può osservare quasi sempre per i rilievi che si trovano sul fondo di certe anse dei fiumi o di quelli rappresentati nella tav. I, della nota del prof. Sacco sull’Origine dei Paleodi- ctyon alle fig. 8, 9, lo, 16, nelle quali condizioni, le onde pos- sono altresì avere notevole estensione e le goccie della pioggia impressionare larga superficie. A me sembra adunque che le sole onde non possano in nessuna condizione generare i Paleodictyon ; del resto quando si volesse ammettere che essi sono dovuti alla loro azione esclusiva ver- (') Fuclis M. TIi., Studiai iiber Fucoiden und Hieroglyphen. Denk. lv. Akad. Wiss., Bd. LX1I, 1895. GENESI DEI PALEODICTYON 99 rebbero sempre spontanee queste domande alle quali sarebbe ben diffìcile il rispondere : Perchè sperimentalmente essi non si possono in nessun modo ottenere con tal mezzo? Perchè le dimen- sioni delle loro cellette oscillano fra V10 di mm. e 4 cm, al massimo (non si debbono confondere le aree fuse con una sola cella) cioè stanno nei limiti della azione di possibili dimensioni delle goccie e non se ne trovano di molto più grandi, come do- vrebbero più facilmente formarsi per effetto delle onde? A che son dovute le cellette incluse e i Paleodictyon punteggiati, se non all’azione successiva delle goccie? Perchè quanto più è gros- solano l’insieme materiale della lastra sulla quale giacciono i Paleodictyon, tanto più essi sono rilevati, mentre è noto che in una massa liquida, tanto più sono grossolani i granelli tanto mag- giore è la loro instabilità? Perchè sono tanto irregolari gli irrego- lari, cioè non hanno mai alcun accenno alla ordinata causa che li produsse (onde) ed i regolari, perchè sempre hanno le cellette di- sposte non secondo linee rette ma secondo linee curve e curve in senso opposto agli estremi della serie ? Infine se è vero che le così dette impronte fossili della pioggia si debbono realmente a goccie d’acqua cadute sul fango, come si sono conservate fos- sili queste impronte si sarebbero dovute conservare fossili anche le medesime impressioni ben più abbondanti avvenute su altri materiali, come sulla sabbia calcarea. E poiché ho dimostrato con 1’esperimento che le goccie si imprimono rotonde sul fango e poligonali sulla sabbia, se le impressioni sulla sabbia si sono conservate fossili, qual’altra apparenza potrebbero avere se non quella dei caratteristici Paleodictyon? Nei fenomeni naturali quelle ipotesi che riescono a spiegare lodevolmente e con l’esperimento tutte le varie apparenze la- sciate da essi nelle diverse condizioni nelle quali dovettero va- riamente agire, è evidente che saranno le sole da preferirei e che avranno la maggiore probabilità di avvicinarsi alla realtà delle cose. Per i problematici Paleodictyon si è visto che solamente l’azione della goccia può adattarsi a spiegare tutte le loro va- riabilissime particolarità, non essendovi un solo fatto contrad- ditorio, mentre per qualunque altra genesi espressa finora, mi- 100 G. CAPEDER lucrosissime sarebbero le apparenze che dovrebbero rimanere inesplicate. Bisogna dunque ammettere che i Paleodictyon fos- sili si debbono attribuire veramente all’antica azione meccanica esercitata dalle goccie di acqua della pioggia diretta, o dalle goccie che caddero durante le pioggie dalle foglie dei ve- getali. [ms. pres. il 27 gennaio 1905 - ult. bozze 16 marzo 1905]. IL PROBLEMA TETTONICO DELL’OSSOLA E DEL SEMPIONE Nota del socio A. Stella (Con una figura) Il socio Stella espone (’) brevemente i risultati di una sua Me- moria incorso di stampa sull’argomento; annunciando, in pari tempo, la prossima pubblicazione di una carta geologica della re- gione del Sempione al 50.000 per parte della Commissione Geo- logica Svizzera colla collaborazione del nostro Ufficio Geologico. Egli presenta anzitutto una cartina geologica delle Alpi Pennine-Lepontine per mettere in evidenza la posizione della regione Ossola-Sempione nella così detta zona alpina del M. Rosa o zona del Piemonte, delimitata a NW dalla zona carbonifera e dal massiccio del Gottardo, e a SE dalla zona dioritica d’ivrea. E in questa zona del Piemonte distingue due principali forma- zioni geologiche, che egli chiama in senso lato « formazione gneisica », e « formazione di calcescisti », mesozoica questa ul- tima, più antica la prima. La quale appare dalla cartina, suddi- visa in tante masse gneissiche, da fascie più o meno sinuose di calcescisti, che sono da considerarsi come tante sinclinali com- plesse di calcescisti, talora disposte come cinture delimitanti i massicci gneissici e più o meno fortemente deformate. Passando a caratterizzare poi le masse gneissiche, tettoni- camente e litologicamente abbastanza bene individuate, l’ A. le chiama colle denominazioni di: Gran San Bernardo, Dent Blan- che-M. Mary, Sesia-Vai di Lanzo, Monte Rosa, masse Ossolane, e Ticino. (‘) Riunione della Società Geologica Italiana del 12 marzo 1905 in Roma. 102 A. STELLA Anche la semplice ispezione della cartina geologica mostra mag- giore lo smembramento e la com- plicazione in corrispondenza delle masse Ossolane, numerose, e sepa- rate da lingue sinclinali di calce- scisti, specialmente a N di Domo- dossola. Però anche a SW di Domodos- sola comincia ad accentuarsi una forte complicazione, tanto che si può rilevare una notevole omologia fra questa regione comprendente i massicci Pta Camughera-M. Rosa, e la settentrionale regione dei mas- sicci Antigorio-M. Leone. A meglio intendere quest’ultima regione, l’A. presenta una sezione geologica riassuntiva da Brieg per Iselle fin oltre Gira, col riporto delle formazioni dei gneis e dei cal- cescisti, sia lungo il profilo super- ficiale, sia lungo l’asse del tunnel del Sempione; spiegando, indipen- dentemente da ogni costruzione ipo- tetica, gli elementi tettonici della regione in base all’esame della car- tina geologica e del profilo, qui ri- prodotto (in esso i gneis sono se- gnati a tratteggio, i calcescisti in nero pieno). In quanto alle linee tracciate dall’A. in esso profilo, per raccor- dare i dati di superficie con quelli del tunnel, e per chiudere in basso le sinclinali dei calcescisti, egli nota come esse siano in accordo cogli andamenti geometrici ossei- dell’ossola e del sempione 103 Tati, colla corrispondenza litologica delle masse rocciose super- ficiali e profonde, e colle osservazioni potute fare nelle valli collaterali e nella galleria elicoidale di Yarzo. Ne vien di conseguenza la segnatura in anticlinale non sol- tanto del gneis di Antigorio (A del profilo), effettivamente veri- ficata, ma anche del gneis del San Bernardo {Sb del profilo) ipo- teticamente indicata; senza però che si possa, con costruzioni geo- metricamente possibili, raccordare in alto fra di loro le diverse ale delle sinclinali di calcescisti che fiancheggiano quelle anti- elinali. Queste adunque non possono essere raccordate che in pla- nimetria come cinture sinclinali; e le coppie di varie sinclinali a a, b b\ d d', non sono che l’incontro ripetuto del piano di sezione con quelle cinture sinclinali ridotte talora ad apparenze di intercalazioni, e più o meno fortemente deformate. Come esempi di queste deformazioni l’A. illustra la nota piega del M. Leone; e i ricoprimenti del M. Gfiove e del Cistella. Si è adunque condotti ad ammettere due fasi almeno di cor- rugamento: una prima fase, che produce una serie di sinclinali raddrizzate fra i massicci gneissici; e una seconda fase che tende a costipare e deformare novellamente tutto il sistema — sempre naturalmente partendo dal presupposto fondamentale, che tutte le masse gneissiche siano veramente autoctone. Ma fu pure fatta (Lugeon, Schardt) l’ipotesi contraria, cioè che esse masse non siano tutte autoctone, che cioè si abbia una serie di anticlinali gneissiche tutte coricate a NW a guisa del gneis d’ Antigorio, strapiombanti al di là di esso; e aventi la loro radice a SE al di qua di esso gneis. Per discutere questa ipotesi, l’A. presenta un secondo pro- filo colle costruzioni indotte da una tale interpretazione tetto- nica, analogo (se non identico) ai profili Lugeon-Schardt. Ana- lizzando una tale ricostruzione si vede, che essa urta contro gravi difficoltà; specialmente perchè obbliga a raccordare masse lito- logicamente differenti, e invece a separare masse analoghe; e ancor più perchè implica una impossibilità geometrica nel rac- cordamento aereo delle zone di calcescisti dal Vallè ad Oira, a causa del comportamento messo in evidenza dalla cartina per le due zone del L. d’Avino e del Yallè; delle quali la prima 104 A. STELLA nasce appena a N del nostro profilo, mentre la seconda appena a S si estingue. Cosicché l’ipotesi delle grandi pieghe coricate unilaterali dall’interno all’esterno dell’arco alpino non trova conferma nella nostra regione, come non ne trova nella contigua regione pen- ili na della zona del Piemonte, a cui dovrebbe di necessità essere estesa. Questa estensione fu già più o meno affermata infatti dal Lugeon, dallo Schardt e dal Suess, il quale recen- temente credette di trovare una conferma alla ipotesi suddetta nella presenza di roccie basiche nelle masse gneissiche della regione del Sempione e presso al contatto di esse coi calcesci- sti ; masse che egli ritiene non autoctone, ma provenienti per carreggiamento dalla zona basica di Ivrea. Ma l’À. osserva che questa apparente conferma cade completamente dinanzi al fatto; che non solo non vi è analogia, ma vi è la più grande diver- sità fra le roccie della così detta zona dioritica d’Ivrea, e le roc- cie basiche della regione del Sempione. [ras. pres. il 12 marzo 1905 - ult. bozze 17 marzo 1905]. ITINERARI PER ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNIA Nota del socio Michele Gortani (con una Tavola, VI) Nelle sue linee generali la geologia della Carnia è già da tempo ben nota. Ma non ostante il buon numero degli egregi studiosi che si occuparono a lungo di questa regione, un lavoro particolareggiato è ancora da farsi; e come quadro d’insieme rimane sempre il migliore quello tracciato dal prof. Taramelli ventiquattro anni or sono ('). Ad esso, a quello abbozzato da Olinto Marinelli nel 1898, e ai lavori speciali quivi elencati, rimando chi volesse famigliarizzarsi con la costituzione geolo- gica del nostro territorio, per tanti riguardi così interessante e istruttivo. In questi brevi appunti, che ho cercato di fare il più possibile chiari e concisi, non posso che dare in succinto un’idea della successione e disposizione dei vari terreni nella zona che dovremo percorrere. r (') Taramelli T., Carta geologica e Spiegazione della Carta geologica del Friuli. Pavia, 1881. — Dei lavori posteriori fino al 1897 è tenuto conto in Marinelli 0., Cenni geologici [sulla Carnia ], Guida della Carnia. Firenze, 1898, pag. 44. — La bibliografia geologica dell’intera regione friulana fino al 1881, trovasi nell’accennata memoria del Taramelli; dal 1882 al 1901 è data nell’opera- di Marinelli 0., Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli, Pubblic. d. Ist. di Studi Sup. in Firenze, 1902. Si aggiungano poi gli studi seguenti : Tommasi A., Alcuni fossili nuovi nel Trias inferiore delle nostre Alpi. Rend. R. Ist. Lomb. di Se. e L., ser. II, voi. XXXII, 1899; — De Angelis d’Ossat G., Terza contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Carniche. Atti R. Acc. Lincei, Mem. d. Cl. d. Se. fis. mat. e nat., anno CCXCV1II, 1901 ; — Gortani M., Nuovi fossili raibliani della Carnia. Riv. It. di Paleont., anno Vili, 1902, pag. 76; — Id., Sul rinvenimento del calcare a Fusuline presso Forni Avoltri, nell’alta Carnia 106 M. GORTANI Le formazioni marine rappresentate nella Carnia vanno senza interruzione dal Siluriano al Giura inferiore. I terreni più antichi si trovano al nord, nella catena principale delle Alpi Carniche e nei monti a quella addossati ; sono limitati a mezzogiorno dalla depressione trasversale che passa per Prato Cantico. Comegliàns, Paluzza, Paularo, e che è formata dalle valli della Pesarina, del Margò e del Gladègna (Valcalda), della Pontàiba, del Mi- niscliìle e del Turrièe. Essa divide il grande quadrilatero car- nico in due porzioni ineguali, di cui la minore o superiore è costituita in gran prevalenza da terreni paleozoici, l’inferiore è formata esclusivamente da terreni mesozoici e permiani. E, benché in guisa meno regolare, anche quivi le formazioni sono tanto più recenti quanto più si discende lungo le valli trasver- sali, come quelle del Legano e della Bùt. I diversi membri che costituiscono in Carnia le serie paleo- zoica e triasica si succedono in quest’ordine : Siluriano inferiore (?) e medio: Argilloscisti quarzoso-micacei o meno spesso talcosi o cloritici ; grovacche, arenarie e con- glomerati quarzosi; rocce eruttive; calcari scistosi, nerastri, in tenui strati, fortemente silicei. Siluriano superiore: a) Argilloscisti c. s., talora con tracce di Graptoliti, A rch a eocalam ites. Tentaculites (?); b) Calcari più o meno bene stratificati o anche scistosi, reticolati, grigi o rossastri, con Orthoceras. Cardiola intcrrupta occidentale. Rend. Acc. Lincei, Cl. d. Se. fis. mat. e nat., sor. V, voi. XI, 1902, 2.° seni., pag. 316; — Tommasi A., Sulla estensione laterale dei calcari rossi e grigi a Cefalopodi del Monte Clapsaron. Rend. R. Ist. Lomb. di Se. e L , 6er. II, voi. XXXVI, 1903, pag. 431; — Gortani M., Fossili rinvenuti in un primo saggio del calcare a Fusuline di Forni Ardi- tri. Riv. It. di Paleont., anno IX, 1903, pag. 35; — Id., Sugli strati a Fu- sulina di Forni Avoltri. Bull. Soc. Geo!. It., voi. XXII, 1903, pag. cxxvn; — De Angelis d’Ossat G., Coralli triasici in quel di Forni di Sapra ( Car- nia). Ibid., 1903, pag. 166; — Geyer G., Iìericht uher die Fxkursion (XI) in die Karnischen Alpen. C. R. de la IX sess. du Congr. Géol. Int., Wien, 1901, voi. II, pag. 881; — Vinassa de Regny P. e Gortani M., Osser- vazioni geologiche sui dintorni di Paularo. Boll. Soe. Geol. It.., voi. XXIV, 1905, pag. 1; — Gortani M., La fauna degli strati a Fusulina del Col Mezzodì presso Forni Avoltri (in corso di pubblicazione). ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNIA 107 e PJiyndi ondici Megaera ; qua e là intercalati o ricoperti da scisti argillosi. Devoniano inferiore e medio : Calcari bianchi o grigi, coral- ligeni, in banchi potenti; Coralli spesso silicizzati. Devoniano superiore: Calcari grigi, qua e là dolomitici, più o meno compatti, con Brachiopodi, Coralli e Climenie. Carbonifero inferiore e medio. Mancano finora dati paleon- tologici che permettano di riconoscere in Carnia terreni sicura- mente riferibili a questo gruppo. Probabilmente esso è qua e là rappresentato da argilloscisti di aspetto identico a quelli silu- riani, a meno che non si tratti di una lacuna. Carbonifero superiore e Permocarbonifero : a) Arenarie sci- stose e argilloscisti a Productus Cora e fiditi, alternati con banchi di conglomerato quarzoso, e calcari a Crinoidi e Fusu- lina (?) cylindrica; b) Calcari bianchi e rossastri a Fusulina alpina e Schiva- gerina princeps , alternati con arenarie rosse micaceo-scistose ; breccia « di Uggowitz ». Permiano inferiore: Conglomerati, arenarie e argilloscisti di Val Gardena, rosso-vinati e privi di fossili; diabasi e rocce porfiriche. Permiano medio e superiore: Dolomia cariata più o meno gessifera, talora con annessi depositi solfiferi ; calcari marnosi e calcari scistosi a Bellerophon e Avicula striato-costata. Trias inferiore: a) Calcari marnosi laminato-scistosi, talora alternanti superiormente con un’oolite a minuti Gasteropodi ; b) Arenarie e scisti werfeniani, per lo più rossi e forte- mente micacei, con frequenti Pleuromya fassaensis, Pseudomo- notis Clarai, Naticella costata; in alto ricompaiono i calcari marnosi. Trias medio: a) Brecce o conglomerati calcarei grigi o mul- ticolori, ovvero calcari neri bianco-venati, talora sormontati da calcari e scisti marnosi ; b) Calcari dolomitici bianchi o grigi a Diplopore o ste- rili, spesso molto potenti, con depositi di ftanite. Trias superiore: a) Strati di Buchenstein: calcari oscuri sot- tilmente stratificati, silicei o marnosi, con depositi di ftanite (?) ■e porfidi augitici ; 108 M. GORTANI b) Calcescisti e calcari marnosi neri ad Halóbia Lottimeli; marne giallastre ; arenarie grigie o giallastre con impronte di Calamites (strati di Wengen p. p.) ; c) Calcari dolomitici sterili, a stratificazione poco distinta, sovente in masse poderose (Schlerndolomit dei tedeschi, calcari infraraibliani di Taramelli); d) Strati di Raibl, costantemente fossiliferi, con una serie di marne, calcari e scisti marnosi, arenarie quarzose, banchi di dolomia grigiastra, e talora con non trascurabili depositi di an- tracite. Superiormente vi compare di solito una zona gessifera, con marne e gesso bianco o roseo; e) Calcari e dolomie della formazione dolomitica princi- pale (Hauptdolomit), nettamente stratificati, con rari ammassi carboniosi alla base (boghead). Lias e Giura: Calcari dolomitici con voluminosi Conchodon, cui succedono calcari selciferi del Giura inferiore. Bisogna però osservare: l.° che secondo ogni verosimiglianza gli argilloscisti siluriani si continuano in parecchi punti con i medesimi caratteri fino al Carbonifero; 2.° che talora sembra manchi del tutto la Schlerndolomit, mentre d’altro canto le serie di Buchenstein e di Wengen sono non di rado separate o sosti- tuite in tutto o in parte dai calcari infraraibliani loro equiva- lenti. Certo fra i terreni in discorso sono i paleozoici che per noi hanno interesse maggiore, poiché in nessun’ultra regione della penisola italiana possiamo trovare meglio rappresentata quasi tutta l’èra primaria. Appunto per questo si volle scegliere per il nostro Congresso l’escursione attraverso le più antiche formazioni carni che. Da Tolmezzo a Comegliàns. — Girate le falde dell’impo- nente massa dolomitica dell’Amariana, attraversata l’estesa co- noide che ne discende e che almeno in parte ricopre la serie raibliana, lasciati alle spalle i calcari infraraibliani del monte Strabftt, la via nazionale carnica ci porta lungo la zona riferita al Trias medio. Mancano finora documenti paleontologici che confermino l’età attribuita alle pendici meridionali e occiden- ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNIA 109 tali dei monti Dòbis, Col Major e Crètis, che strapiombano lungo la strada da Tol mezzo (o meglio da Casanova) fin oltre Villa Santina ; poiché nè lo Stur nè il Taramelli vi trovarono fossili determinabili, ed io non riuscii a scoprirvi che tracce di Gyro- porelle e un frammento di Halobia. A ogni modo, secondo le ricerche stratigrafiche, pare si tratti di Muschelkalk ; e lo con- fermerebbe la breccia grigiastra che ne forma la base. In questa formazione, tra il Col Major e il M. Crètis, il .torrente Vinadia si è scavata una forra stretta e profonda, di cui lungo il cam- mino possiamo ammirare l’imboccatura; più giovane e povero d’acqua, il Ilio Ràdime scende a Villa dall’altipiano di Lauco con un salto, di oltre duecento metri. Diamo un’ultima occhiata alle alluvioni preglaciali terraz- zate di Verzègnis, che ci hanno fin qui accompagnati sulla de- stra del Tagliamento, al colle d’invi limo, pure di conglomerato, isolato in mezzo alla valle, e risaliamo il Degano entrando nel Canale di Gorto. 1 calcari del Muschelkalk ci accompagnano ancora per breve tratto, passando poi (a quanto sembra) sulla destra del fiume per costituire parte dello sprone cbe lo separa dal Chiarsò di Raveo. Ad essi succedono i calcari marnosi, marne e arenarie a Calamites del piano di Wengen, in bellissimi strati ondulati e contorti, rotti da piccole faglie locali ; ma dopo qual- che chilometro la chiusa di Maina presenta con quelli uno spic- cato contrasto. Con una serie potente, molto inclinata a NNW, di calcari dolomitici e tenui strati di scisti marnosi, si inizia il piano di Raibl, già sviluppato più a valle sulla destra del Degano. Negli scisti neri che affiorano su ambo le rive, poco sopra il ponte di Maina, si possono raccogliere abbondanti gusci di Myoplioria Kefersteini Mnstr. sp. ; più oltre prevalgono i calcari argillosi e compaiono gli scisti antracitiferi, a loro volta soverchiati da nuovi calcari e da grossolane arenarie quarzose. In questa formazione, nascosta in parte dal fitto bosco, si apre la miniera di Cludinico, teste riattivata dopo un lungo periodo di abbandono. Il carbon fossile che se ne estrae non è bello d’aspetto, ma sviluppa molto calore e dà un ottimo coke; si trova in un banco di potenza variabile (al massimo m. 1,50), inclinato di 32° a N 10° W e incluso fra due strati di calcare scistoso, marnoso e bituminoso, assai ricco di quarzo. I fossili 110 M. GORTANI sinora raccolti in questa zona, oltre la citata Myophoria, sono: Chemnitzia sp., Alectryonia Montis-Caprilis Klipst. sp., Fecten filosus Hauer. sp., Hoernesia J.-Austriae Klipst. sp ., Myophoria fissidentata v. Wòhrm., M. inornata Tonini. Una faglia ben manifesta limita a nord la serie raibliana, che viene bruscamente a contatto con la dolomia cariata per- rniana e le arenarie variegate del Trias inferiore. Il Col Gen- tile e il M. Avedrugno ci mostrano fin da lontano il loro grande circo franoso scavato nelle rosse arenarie werfeniane ; le ridenti pendici che circondano Ovaro sono costituite in gran parte da Rauhkalk e Zeckstein. Questo piano importante ci si mostra per la prima volta fossilifero più verso Comegliàns, di fronte ad Ovasta e precisamente presso le case Baùs. Di qui possiamo spinger lo sguardo nella valle di S. Canciano o della Pesarina, scavata anch’essa in buona parte nella zona a Bellerophon , da cui emergono a sinistra verdi monti arenacei e a destra le nude masse calcari infraraibliane del Sièra, del Cimòne e del Plèros. Allo sbocco di questa vallata, nei dintorni di Entrampo, insieme ad abbondanti depositi di gesso trovansi le località fos- silifere più ricche sino ad oggi scoperte in Carina nel Permiano superiore. Il prof. Tommasi raccolse a SE del Rio Negro, fra Entrampo e Sostasio, Natica pusiuncula Stadie, Fecten tyro- lensis St., ? Liehaea Hausmanni Goldf. sp., oltre alla caratte- ristica Avicula striato-costata St., che trovasi pure alle case Baùs e che io raccolsi insieme a vari Coralli poco sopra il vil- laggio di Entrampo. Da Comegliàns a Forni Avoltri. — A monte di Comegliàns la vallata del Degano si restringe e segue probabilmente una linea di faglia. Il torrente per lo più non incide che scisti pa- leozoici, attraverso i quali si è praticato un angusto passaggio; il suo letto occupa totalmente il tahveg e ha ridotto al minimo il greto. Tra i due fianchi della valle c’è uno spiccato contrasto; l’orientale, per cui serpeggia fin sotto Yalpicetto la strada car- rozzabile, è quasi per intero costituito dagli uniformi argi I loscisti quarzoso-micacei, che si elevano a 2250 m. con la vetta del Crostis e solo in qualche punto sono interrotti da calcari reti- colati siluriani, mentre il fianco occidentale presenta una serie svariata di terreni paleozoici, permiani e triasici, coronata da ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNIA 111 una potente massa dolomitica infraraibliana. Il geologo che si rechi in vettura da Comegliàns a Rigolato, oltre agli sterili scisti e calcari reticolati non troverà sul suo cammino che la morena di Mieli; è invece assai più attraente percorrere la riva sinistra del fiume, passando per Calgaretto e Valpicetto. Lungo il sen- tiero che da Comegliàns sale a San Giorgio, nel calcare venato grigio nerastro, il Geyer trovò grandi Ortoceratidi insieme con Cardiola cf. inter rupta Soie., del Siluriano superiore; nel dosso medesimo affiorano piccoli filoncelli di tetraedrite e galena; più avanti dominano gli scisti, tra i quali si insinuano numerosi dicchi di un porfido diabasico (‘). Sotto la chiesa di Valpicetto compare una zona fortemente scistoso-bituminosa, con tenui strati di calcare e con geodi quarzose. A Magnanins si raggiunge la la strada postale, che lambisce alcuni piccoli dossi di calcare siluriano grigio o roseo, venato di bianco o nerastro, con Or- thoceras e Brachiopodi. La località fossilifera più ricca è a SW di Rigolato, una cinquantina di metri sopra il paese; ma gli Orthoceras compaiono anche nello sprone roccioso su cui sorge la Pieve. Risalendo ancora la vallata, dapprima sempre più cupa e selvaggia, ritroviamo gli stessi calcari presso le seghe del Tà- merat, dove si apre la conca di Pomi Àvoltri. Ma dopo breve tratto ci conviene di abbandonare la via maestra e portarci agli stavoli di Valdibàis sulla riva opposta del Degano, onde visitare la serie perniocarbonifera del Col Mezzodì. Per chi voglia fare raccolta di fossili la località migliore è la falda coperta di faggi che accompagna sulla sinistra il corso inferiore del Rio Tre Tòfs dopo la sua unione con il Rio Valp (rispett. R. Alpo e IL Creta Rossa della tavoletta). Rivestita di fitto bosco, mi era sfuggita nelle ricerche di due anni or sono; ma l’estate scorsa, dopo il taglio che vi fu praticato, potei raccogliervi un abbondante ma- teriale che mi riprometto di studiare fra breve. Alla base tro- viamo calcari neri bituminosi con Fusulina cantica Goti., e G) Questa e altre rocce diabasiche e porfiriche della Carnia furono diligentemente studiate dal prof. Ettore Artini, (Studi petrografìci su alcune rocce del Veneto, Giorn. di Miner., voi. I, 1890) e dal dott. Giu- seppe Vigo ( Studi petrografìci su alcune rocce della Carnia. Rend. Acc. Lincei, voi. Vili, 1° sem., ser. 5, fase. 10, 21 maggio 1899). 112 M. GORTANI Pseudoph ì 1 1 ipsia élegans Gannì.; i calcari grigi o grigio-rossastri sovrastanti son zeppi di Fusulina regularis Scliéllw., F. alpina communis Schellw., Molluschi e Brachiopodi. Avviandoci a Forni lungo il sentiero ai piedi del Colle, incontriamo una cava di « Uggowitzer Breccie » a frammenti di calcare fusulinico cemen- tati da un’arenaria micacea rosso vinata; finalmente chi voglia rilevare tutta la serie permocarbonifera può risalire il ripido e malagevole liio Rosso. Da Forni A voltili a Timàu. — Passiamo sotto silenzio i terrazzi di Avoltri e di Forni, le serie triasiche dei monti Yas e Cadìn, l’interessante bacino dell’alto Degano, e seguiamo la mulattiera che da Forni sale a Collina. Il sentiero attraversa sempre gli argilloscisti siluriani con arenarie e brecce quarzose, che tra Frassenetto e Collinetta mostrano una duplice piega rilevata dal Geyer: pendenti prima a SW, cadono presso Sigil- letto a NE, per mostrarsi nuovamente inclinati a SW lungo il Rio Collinetta, dove sono nerastri, ardesiaci e con impronte di Alghe. A Colli netta e a Collina è notevole la ben conservata morena, ricca di blocchi e ciottoli levigati e striati. Di qui si mostrano imponenti le masse calcaree devoniane dei monti Ca- nale e Volaia da un lato, Kellerspitz e Coglians dall’altro, che torreggiano sulla formazione scistosa. Per raggiungere il Ricovero Marinelli si risale la valle del Rio Morarèt, scavata negli scisti, arcosi e brecce silicee oscure. Lungo il cammino si presentano belle e ben conservate morene stadiarie o di ritiro; alla forcella, presso il rifugio, sono da ricercarsi le Graptoliti che Geyer ebbe la ventura di scoprirvi. Fossili del Devoniano medio si possono raccogliere presso Casera Monumèns, dove il Frecli trovò Endopliyllum acanthicum n. sp. e Cyatophyllum cf. conglomera funi . Sciti Ut .; qualche Brachio- podc rinvenne lo stesso autore nelle rupi sopra la casera Col- linetta alta; ma la località più ricca nel versante italiano è la conca stretta e allungata detta Qhianevàte, alle falde della Kellerwand, donde assieme a numerosi Coralli trassi parecchi Brachiopodi, Ortoceratidi e Bivalvi (‘). (') Mentre correggo le bozze (1 marzo), devo notare però che dallo studio, ora intrapreso, dei fossili di quest’ultiuia località, mi sembra ri- sulti la loro pertinenza alla parto più alta del Devoniano inferiore. ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNI A 113 Siamo costretti a tralasciare il Cellonkofel, dove poco oltre il confine si raccolgono Cefalopodi, Graptoliti e Trilobiti del Siluriano, e a seguire a distanza il gruppo deH’Avostana e di Pai Grande e Pai Piccolo, noti per le loro faune devonicke; ma ritroviamo le Graptoliti al Cristo di Timàu, presso la bella cascata del Fontanone, dove furono scoperte dal prof. Tommasi nell’escursione del 1895. Da Timau a Paularo. — Appena a valle della stretta di Timau compaiono le vestigie dell’antico lago omonimo, interrato principalmente dalle deiezioni fangose del Pio Moscardo, smot- tate e pericolose ad attraversarsi in periodi di piogge. Oltre- passata la chiusa di Enfrastors, gli argilloscisti siluriani cessano bruscamente fra Castiòns c Naunìna, per lasciare il posto alle rosse arenarie di Yal Gardena. Qui apparisce chiara una para- clasi che potremo rilevare in parecchi altri punti, e che io potei seguire verso oriente fino alla Pontebbana. Gli scisti sono incli- nati in generale a FI o NE ; le arenarie permiane pendono a S o SW; una linea quasi retta separa le due formazioni, che sono a contatto. Il Rotliegendes non passa oltre la Pontàiba; lungo una linea che unisce Zenòdis con Siaio e per la forca di Liùs e la riva destra del Minischile giunge a Villamezzo di Paularo, alla formazione di Val Gardena succedono concordanti la dolomia cariata e i calcari marnosi del Permiano medio e superiore. Questo limite si scorge assai bene recandosi da Pa- luzza a Paularo per la forca di Liùs; il passo del Durone è invece interessante per le numerose doline che presenta la for- mazione gessifera. Belle figure di erosione nei gessi si scorgono però di fronte a Tausia e lungo il corso superiore del rio Mi- nischile. Le valli di quest’ultimo e della Pontaiba sono certa- mente entrambe valli di erosione. Al Permiano in cui è scavata la loro parte più bassa succedono regolarmente sul fianco meri- dionale le formazioni triasiche fino ai calcari infraraibliani. No- tiamo infine che tra gli scisti silurici dei monti Paularo, Dimon e Neddis si insinuano dicchi e colate porfiriche di età contro- versa, ma probabilmente permiana. Queste rocce, al pari di quelle importantissime scoperte nel 1870 dal prof. Taramelli sui monti Zoufplan e di Terzo, attendono ancora uno studio mi- 8 114 M. GORTANI mito e diligente. Le loro relazioni con i terreni più antichi, i loro rapporti e affinità con le analoghe e ben più estese colate permiane della Yal d’ Adige e del bacino di Lugano, i passaggi ai conglomerati silicei ed arcosi del Verrucano alpino, sono questioni ancora sospese, e di cui uno studio accurato avrebbe certo grande importanza. Da Paularo al Passo Pecòl di Chiàula. — I terrazzi di Villamezzo, Paularo e San Vito, in parte ricoprono la dolomia gessifera e gli annessi calcari, in parte nascondono il punto di contatto fra essa e le arenarie di Val Gardena: contatto che si può osservare tuttavia lungo il rivoletto che separa Villa fuori da Villa di sopra, o lungo il Chiarsò presso il ponte che mette sul sentiero per la Stua di Rarnàz. Qui scaturiva sino a qualche anno fa una sorgente solforosa, che andò lentamente abbassan- dosi tino a scomparire, dopo una piena, sotto il letto del tor- rente; poco più oltre nella roccia gessifera il corso d’acqua ha prodotto alcune forme di erosione che ricordano quelle del Sa- vena presso Bologna. 11 passaggio del Chiarsò al ponte sopra accennato è pure interessante per chi voglia esaminare le are- narie superiori di Val Gardena, inclinate a Sud, che il torrente incide e su cui il ponte è basato. I diversi effetti delibazione erosiva sulle rocce scistose o arenacee e su quelle del piano a Bellerophon sono qui ben manifesti ; alla conca allargata di Paularo subentra la. valle strettissima che ora dobbiamo per- correre e che ricorda assai da vicino quella tra Rigolato e Forni. Oltrepassato di un chilometro circa il ponte, la faglia di cui parlammo precedentemente porta le arenarie di Val Gardena a contatto con gli scisti siluriani pendenti a NNE; ma poco più avanti ci imbattiamo in rocce eruttive verdi che seguitano tino alla Madonna della Schalùte. Nel bacino del Rio Tamài, che attraversiamo subito dopo, compare d’un tratto, in posizione non ancora ben accertata, la formazione carbonifera. Ma questa cessa ben presto; e poco dopo, presso la diramazione del sentiero per la casera Germùla, si trovano calcari grigi con sezioni di Am- monitidi e Ortoceratidi, probabilmente del Devoniano superiore. Calcari tipici del Siluriano superiore, reticolati e venati di bruno, grigi e rossastri, nettamente stratificati, si sostituiscono poco dopo agli scisti e formano i due sproni rocciosi che rinserrano la valle. ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNIA 115 Il sentiero detto del Malpasso, sulla riva opposta, offre un bel- lissimo punto di vista per osservare questa serie incisa normal- mente dalle acque riunite del rio Lanza e del Cercevesa, che con- fluendo assieme danno qui origine al Cliiarsò. Attraversato il rio Lanza duecento metri più a monte presso la cosidetta stùa di Ramàz, robusta chiusa di legno e pietrame, troviamo i calcari silurici di un colore più oscuro, quasi nero, e questa volta con numerosi Orthoceras. Lasciamo per adesso la valle del Lanza e teniamoci sulla riva sinistra del rio Cercevesa. Il sentiero sale rapidamente verso la casera Lodìn, ritrovando ben presto gli scisti per via di una faglia longitudinale. Al passaggio del rio del Musch qualche diligente ricerca potrà farci ritrovare negli scisti il Monograptus colonus Barr. scopertovi dal Taramelli, mentre i blocchi calcarei trasportati dall’alto ci offrono numerosi coralli del Devoniano medio. Questi però si raccolgono più facilmente e in quantità ben maggiore nel rio di Confine sopra la casera Lodìn grande e in una frana non lontana dalla casera stessa. Grandi Ortoceratidi e Crinoidi si trovano infine nei calcari reti- colati della Creta Rossa, di fronte alla casera Pecòl di Cbiàula alta, una mezz’ora di cammino sopra la casera Lodìn. Dalla Stua di Ramàz a Paularo per Lanza e Porca Piz- zùl. — Il sentiero che tenendosi sulla destra del rio Lanza con- duce dalla Stua di Ramàz alle casere Ramàz, Melèdis e Val Bertàt, percorre quasi sempre la zona siluriana superiore di calcari grigi e nerastri ad Orthoceras. Gli scisti che ad essi succedono nel fianco settentrionale della valle sono coperti in alto da un lembo devoniano; ma questo sistema è ampiamente rappresato sulla sinistra del torrente dalla massa calcarea della Punta Cui di Cretta e del Germùla. Poco sotto casera Val Bertàt il Siluriano è troncato da una linea di salto, e il Devoniano passa per breve tratto anche al di qua del rivo con i suoi calcari bianchi a Co- ralli e Bracliiopodi. La cosidetta mulattiera che va da casera Val Bertàt al Casòn di Lanza, segna su per giù il limite fra questi calcari e la formazione carbonifera che li ricopre rego- larmente. Essa compare dapprima con arenarie quarzose a Pro- ductus Cora d’Orb., argilloscisti, conglomerati silicei; è inter- rotta da una zona sottile di Rotliegendes, e forma i monti Cordili, 1 116 M. GORTANI Lanzenkopf e Palis di S. Lorenzo. Ma in quest’ultimo la serie si fa più dettagliata e completa, e i fossili abbondano. Salen- dovi dal Passo di Casòn di Lanza troviamo successivamente, dal basso all’alto: a) arenarie ocracee a Productus Cora d'Orb. e P. semi- reti cidatus Mari . ; b) una stretta lingua di argilloscisti di Val Gardena; c) scisti oscuri sterili; d) calcari grigio-giallastri od oscuri, con Fusuline e Co- ralli; e) arenarie argentine o nerastre con Cefalopodi e PelJe- ropìton ; f) calcari giallo-nerastri a Crinoidi : g) calcari grigi in qualche punto zeppi di Fusuline. Abbiamo così un saggio di quanto compare al non lontano Trogkofel, che si erge a NE coii la sua bella massa calcarea permocarbonifera. Il sentiero che tenendosi alto sulla Pontebbana gira le falde del Zuc della Guardia e del vicino dosso roccioso, batte fin quasi di rirapetto a Caserùte i calcari devoniani pendenti a NNE; questi più avanti cessano, e ricompare la sottoposta formazione siluriano. Ala dopo breve tratto la paraclasi più volte accennata la tronca, per dare questa volta passaggio al Carbonifero, anziché alle arenarie di Val Gardena qui ridottissime di potenza. La serie carbonifera consta di arenarie quarzose o micacee, più o meno scistose, rossastre, giallo-ocracee o brune, alternate con strati Calcarei e banchi di conglomerato bianco quarzoso. Presso la casera Pezzèit i calcari son zeppi di Fusuline, Crinoidi, Co- ralli e Bellerophon; le arenarie ci offrono Productus . Spirifer , Derby in e qualche Phillipsia, e in due punti vi furono scoperte belle filliti. Calcari, arenarie e conglomerati sono inclinati a S con direzione E-W, e si continuano a occidente fin oltre la ca- sera Pizzùl bassa, formando per intero la cresta del M. Pizzùl compresa tra la forca omonima e quella di Palueiàn. La faglia su ricordata, passa per la forca Pizzùl, a nord della quale il Paiòli di Pizzùl si eleva con i suoi calcari reticolati rossastri sopra gli scisti siluriani; a contatto con questi ultimi gli strati carboniferi sono localmente piegati a NNE. Una ventina di metri ESCURSIONI GEOLOGICHE NELL’ALTA CARNIA 117 sotto la forca Pizzùl, nel versante occidentale, alcuni strati di calcoscisti neri, scoperti dal prof. Tommasi, si presentano ric- chissimi di fossili; ma l’erosione meteorica soltanto riesce a iso- larli, e dopo le ultime campagne geologiche non vi si può spe- rar . buona preda. Su questo stesso versante in due punti furono scoperte impronte vegetali ben conservate ; Coralli e Brachiopodi abbondano in alcuni strati di calcare alterato e arenarie presso la casera Pizzùl alta; Brachiopodi, Coralli e Crinoidi si raccol- gono in buon numero anche alla casera Pizzùl bassa. Da questo punto, sia che noi discendiamo per gli stavoli Paluz e Ravinis (rio Fosco), sia che attraversiamo i fienili Var- lèit (rio Turrièe), i fossili mancano completamente. Nel primo caso ci accompagnano sempre le rosse arenarie scistose di Val Gardena; nell’altro al Rotliegendes succedono fino a Paularo le dolomie e i calcari del Permiano medio e superiore. Da Paularo a Tolmezzo. — Scendendo da Paularo lungo la strada carrozzabile, quando si giunge presso le seghe Fabiani gli strati della zona a Bellerophon appariscono dislocati e con- torti, quasi verticali. I calcari compatti neri e bituminosi pre- sentano qui resti organici mal conservati indeterminabili speci- ficamente; ma sulla sponda opposta del Chiarsò il prof. Tom- masi vi raccolse il Bellerophon Sextensis St. (?), il Pecten par- ti ulus St., tre specie di Aviculopectcn e varie forme non ancora descritte. Più avanti meritano osservati i bellissimi terrazzi di Dièrico, a quattro ripiani successivi, cui fanno riscontro a mez- zogiorno quelli di Dioor. Dopo l’unione del Chiarsò col R. Muèia, la valle d’un subite cambia di aspetto, e mentre si mantiene relativamente ampia in alto, si restringe a roda nella parte inferiore. Quest’ ultima fase erosiva fu rapida e energica, essendosi compiuta in un tempo relativamente breve, come lo attestano i terrazzi diluviali di Dioor e Fovea, alti non di rado più di un’ottantina di metri sul pelo attuale dell’acqua. In tutta la sua lunghezza da Dierico a Cedàrchis la valle segue una linea di salto, per cui il suo fianco orientale si pre- senta molto abbassato rispetto all’occidentale. Qui sopra una vasta base di arenarie werfeniane di grande potenza poggiano il Muschelkalk e la Schlerndolomit dei monti Cucco, Valbedàn 118 M. GORTANI e Tersàdia; alla sinistra del Chiarsò invece è prevalentemente sviluppato il Trias superiore, che termina con la bella cresta di -dolomia principale del Sernio. La strada carrozzabile, tenendosi alta sul torrente, percorre sempre il versante destro della pittoresca vallata. Lungo il tra- gitto meritano di esser notate la cascata del rio Lambrugno a Salino e la parete di arenarie variegate che scende a picco sul fiume di rimpetto a Lovea ; più oltre negli scisti arenacei si possono scorgere le cosidette impronte di gocce di pioggia e tracce di moto ondoso. Il tratto della valle del Bùt che da Formeaso e Cedarchis arriva fino a Tolmezzo non offre speciale interesse. A ponente abbiamo la dolomia cariata e i calcari permiani del M. Spili, troncati poco dopo Terzo da una faglia che ci porta d’un tratto nel Trias superiore. L’altro fianco della valle, separato dal primo da un vasto letto ghiaioso, è in massima parte costituito da cal- cari iufraraibliani poggianti sulle arenarie di Wengen; una linea di frattura normale alla prima corre lungo l’asse della vallata. Passiamo infine davanti alla frana di Cazzaso; troviamo un lembo raibliano sopra Casanova; ritroviamo il Muschelkalk sulle falde del Dobis. E il nostro giro è compiuto. Tolmezzo, novembre 1904- [ms. pres. il 26 gennaio 1905 - ult. bozze 24 marzo 19051. Geol.lt. voi. XXIV (19051 ( Gortani ) Tav. VI . Spiegazione dei segni Quaternario Dolomia dello Schiero Strati di Wengen Fra stette Strati di Bucherisi ci n Calcari e brecce del Trias mal r etto 1045 Arenarie di Werfen Strati a, BelLerophon Alenarle ili- Val Gardena Strati perrnocarbo ni/eri SCHIZZO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI FORNI AVOLTRI Scala 1 : 50,000 . R. Salangian T. Pes arino Col Pecorina Coj Pizzul bassa M Germula < L&rr’LLO H. Turnee Cas Costa di Crignis R. Da Ncua R. fosco fasori (li Lonza ETTI gsgj m Scala 1 50,000. Spiegazione dei segni Dolomia dello Schiero Terreni del Carbonifero e dei Permocarborufero Calcari e conglomerali del ' Trias medio Arenarie di Werfew Dolomia, e. calcari del piano (i Bdlerophoto Quadernario Arenarie di Jid Gardena Terreni siluriani ( e ùv piccola parte and* più recente) Direzione del profilò Calcari devoniani Al. Piero s Al Taglia Col Mezzodì. Forni Av. B.dci Làfs T.Degano R. Lavina! Coserà Tuglia VA C C INI TES (PI UGNAVA) POLYSTYLUS PIRONA NEL CRETACEO DEL CAPO DI LEUCA Nota del socio Giotto Dainelli Già altra volta ebbi a riconoscere tra i fossili cretacei del Capo di Leuca la Pironaea polystylus Pirona, e precisamente dalla località fossilifera del Ciolo, ad Oriente di Gagliano del Capo, presso alla riva del mare (j) ; l’esemplare, allora da me raccolto e studiato, per quanto si prestasse ad una non dubbia determinazione per i caratteri facilmente riconoscibili della .specie, pure era assai imperfettamente conservato. Per questa ragione credo abbastanza interessante comunicare il recente ritro- vamento di un altro esemplare di meno imperfetta conservazione, tanto più che esso può dare occasione ad alcune poche consi- derazioni intorno alla stratigrafia o meglio alla cronologia stra- ■tigrafica di questa estrema parte d’Italia. L’esemplare in discorso si presenta sotto forma di sezione trasversa assai vicina alla superficie superiore della valva di sotto; tutto attorno si osservano abbastanza ben conservate le caratteristiche pieghe dello strato esterno della conchiglia, mentre la massa, nella quale esse sono incluse, non presenta alcuna speciale struttura, essendovi evidentemente stata sostituzione di materiali tra la originaria spessa parete della conchiglia e la roccia nella quale l’animale rimase incluso (2). La parte centrale (') Dainelli G., Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca. Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XX, 1901, pag. 644. (•) Per la bibliografia di questa specie vedansi le opere seguenti: Pirona G., Sopra una nuova specie di Hìppurites. Atti della Soc. Ital. di Se. Natur., voi. XI, pag. 508, tav. V, fìg. 1-2, 1868. — Meneghini. Pironaea, genere nuovo di Ippuritide. Atti della Soc. Ital. di Se. Natur., voi. XI, fase. 8, seduta del 16 settembre 1868. — Zittel Iv. A., Handbuch der Palaeontologie. Palaeozoologie , Bd. II: Molìusca und Artliropoda, jjag. 86. Miinchen und Leipzig, Oldenburg, 1881-1885. — Fischer P., Ma- 120 G. DAINELLI mostra, in rilievo, il modello interno delle cavità della valva- inferiore. Data dunque la forma sotto la quale ci è stato con- servato questo esemplare, e la non perfetta, come dirò, sua fossilizzazione, non certo possiamo dire di aver qui un individuo, il quale valga ad accrescere la nostra conoscenza intorno alla specie od al genere, al quale esso appartiene; un individuo però, che ben può gareggiare con quello tipico descritto da Pi- rona, dopo del quale non un altro, che io mi sappia, è stato di poi più citato, che avesse molto evidenti, ad esempio, i ca- ratteri del cardine. La parte centrale rilevata rappresenta, come ho detto, il modello interno delle cavità della valva inferiore; ma per ben interpretarla nei suoi particolari, o meglio per avvicinarmi, nella sua interpretazione, il più possibile al vero, ho dovuto rilevarne con la maggiore esattezza possibile il disegno proiettato sopra un piano, indicando non soltanto i limiti delle varie protube- ranze (corrispondenti a cavità nella conchiglia), ma anche le linee di più marcati cambiamenti di inclinazione di questi stessi rilievi, potendo ad essi corrispondere linee che nella superficie interna della conchiglia delimitano spazii talora ben distinti rispetto alla fisiologia o all’anatomia dell’animale. Una volta tracciato questo disegno, nel quale pertanto qualche lacuna non è stato possibile evitare, l’ ho arrovesciato, onde avere l’orien- nuel de Conclvyliólogie et de Paleontologie conchyliologique, voi. Il, pag. 1064, Paris, Savy, 1887. — Nicklés, Études géologiques sur le S.-E. de VEspagne. Annales Hébert, t. I, 1891. — Petho J., Citcullaca Szaiboi, eine vette Muschelart aus den hypersenonen Schichten des Pe'tervdrader Gebirges. Fòldtani Kòzlòny, XXII, 196, Budapest, 1892. — Douvillé H., Études sur les Budistes. Bévision des principales espèces d’ Hippurites. Quatriéme partie, Mèra, de la Soc. Géol. de France; Paleontologie, t. IV, fase. II, 1894, pag. 105, tav. XVII, fig. 1-4. — Douvillé H., Études sur les Budistes. Distribution regionale des Hippurites. Mèra, de la Soc. Géol. de France; Paléontologie, t. VII, fase. Ili, 1897, pag. 228. — Dainelli G., op. cit., 1901. — Hilber V., Pironaea Slavonica n. sp. Jahrbuch der k. k. geolog. Reichsanst., Wien, Bd. 51, Heft 2, 1901, tav. V-VI. — Toucas A., Études sur la Classi/ìcation et l’Évolution des Hippurites. Première partie. Mèra, de la Soc. Géol. de France; Paléontologie, t. XI, fase. Il, 1903, pag. 14, fig. 21. — Toucas A., Idem, Meni, de la Soc. Géol. de France; Paléont.; t. XII, fase. IV, 1904, pag. 112, tìg. 175, pag. 121,. Tableau N° 2, 3. VACCINITES (PIRONAEA) POLYSTYLUS PIRONA 121 tazione normale, e contrassegnandone differentemente le varie parti secondo uno speciale intendimento di studio, ne è risul- tata una sezione schematica molto simile a quella ricavata da Douvillé (') direttamente dal fossile originario di Pirona, e poi schematizzata da Toucas (2). La consuetudine vorrebbe che prima indicassi i caratteri della parete conchigliare, per poi passare a quelli della camera d’abitazione e dell’apparato cardinale; siccome però, anche dopo un accurato esame del mio fossile, mi sono rimasti alcuni dubbii intorno alla posizione del suo primo pilastro, preferisco prima descrivere i caratteri interni. La cavità, cosi detta umbonale dagli autori, o meglio camera d’abitazione (I)), ha forma conica, un po’ irregolare nel contorno, che è trapezoidale alla base, e poi si fa, più in basso, quasi triangolare; sul fondo termina acuta, un po’ ripiegata verso il lato destro dell’animale orientato; la sua profondità è di circa 40 mm,, sopra un diametro basale massimo di circa 35 mm. Anteriormente alla camera d’abitazione, una seconda cavità (rappresentata da un rilievo nel nostro esemplare) corrisponde all’alveolo (B) nel quale trova posto il dente anteriore, più grande, della valva mobile; questa fossetta cardinale anteriore, profonda circa 25 mm., mostra alla sua base una sezione molto irrego- larmente ovata, coll’ asse maggiore obliquo, cioè diretto dallo avanti all’ indietro, e da destra a sinistra. Queste due cavità, le quali nella lor parte superiore ed in quella centrale sono comunicanti, mostrano, lungo tutto il fianco sinistro, e vicino al bordo della conchiglia, un cambiamento di inclinazione delle loro pareti, le quali sono qui meno inclinate; la linea corrispon- dente limita una porzione di superfìcie interna (ma) abbastanza grande, allungata dall’avanti all’indietro, arcuata, abbracciante la camera d’abitazione e la fossetta cardinale lungo tutto il loro fianco sinistro. Questa è certo la impressione dell'adduttore ante- riore delle valve, nella quale pertanto il nostro individuo non ci fa riconoscere la consueta divisione in due parti ben distinte e separate; ciò può dipendere dall’azione che può avere subito il nostro fossile per opera di agenti chimici. (>) Douvillé H., Révision, etc., tav. XVII, fig. 3. (*) Toucas A., op. cit ., pag. 14, fig. 21. 122 G. DAINELLI A destra della camera d’abitazione una nuova fossetta (B') è visibile (rilievo nel fossile), profonda circa 22 mm,; la sua sezione alla base è irregolarmente triangolare, con un lato più ■corto adiacente alla cavità umbonale, e i due più lunghi con- I. Pironaea polystylus Pirona. — Esemplare tipico; schema ripro- dotto da quello di Toucas e completato sulla sezione di Douvillé. — D, camera di abitazione; ma, impressione dell’adduttore anteriore; JB, dente anteriore della valva libera; N, dente cardinale; B', dente poste- riore della valva libera; mp, appendice miofora posteriore della valva libera; L, cresta cardinale; S, primo pilastro; E, secondo pilastro; i, zona interna degli strati conchigliari ; t, zona esterna degli strati conchigliari. vergenti con angolo assai acuto verso il bordo destro della con- chiglia; in questa cavità bisogna riconoscere la fossetta cardinale posteriore. Lo stato non perfetto di conservazione del nostro fossile non permette, come ho già innanzi accennato, che lo si descriva secondo un ordine rigorosamente regolare; ond’è che, innanzi rii terminare coll’apparato cardinale, intorno al quale non ho potuto togliere alcuni dubbii, è necessario ch’io dica della così detta cresta cardinale interna (L), corrispondente all’inflessione 123 V ACCINITES (PIRONAEA) POLYSTYLUS PIRONA legamentare degli strati esterni della conchiglia. Questa cresta è visibile, dal suo apice, per una lunghezza di circa 33 ram.; ha origine nel fianco destro della valva fissa, procede diritta come un raggio fino a circa 25 min. dal suo termine, finche, giunta quasi ?i contatto dell’ apparato cardinale, si incurva in avanti, decorre parallela al lato anteriore della fossetta cardinale posteriore, e termina a non molta distanza dall’altra, anteriore. La forma è leggermente clavata, misurandosi uno spessore mas- simo, presso il suo apice arrotondato, di 6 mm. Tra la cresta cardinale ed il lato anteriore della fossetta cardinale posteriore intercorre un rilievo irregolare (cavità nel nostro modello), il quale poi si prolunga a ridosso del lato destro della fossetta anteriore, e tra questa e quella prima si insinua con due brevi appendici nella camera d’abitazione. Qui, cioè tra l’apice della cresta cardinale, la. fossetta anteriore e la cavità umbonale, la rilevatezza (profondità nel modello) è maggiore, mentre è assai piccola nella striscia che divide la fossetta po- steriore dalla cresta cardinale. Questo rilievo irregolare (N), i cui caratteri sono ben poco distinguibili nel nostro fossile, occupa la posizione, e presenta, per quanto attenuata, la speciale forma ad x del dente cardinale della valva inferiore. Manca ancora da riconoscere la cavità, nella quale ha posto l’impressione del muscolo adduttore posteriore, il quale, come è noto, ha, nella valva libera, il suo attacco sopra una lamina miofora dentiforme. Disgraziatamente, a questa parte corrisponde il peggiore stato di conservazione del nostro fossile; di solito questa fossetta miofora posteriore, negli Hippurites a pori reti- colati, che presentano cioè l’apparato cardinale in direzione assai poco inclinata rispetto all’asse della cresta cardinale, si trova situata tra questa ed il primo pilastro o pilastro anale, che chiamar si voglia. Il genere Pironaea , per quanto non se ne conoscano i caratteri riguardanti i pori, pure, per la posizione dell’apparato cardinale e pel ravvicinamento estremo della cresta cardinale e dei due pilastri, appartiene appunto a questo gran gruppo di Hippurites ; onde era naturale aspettarsi tale fossetta miofora posteriore tra la cresta cardinale, che già conosciamo, ed il primo pilastro. Orbene, a non breve distanza dal gambo della, cresta cardinale, e ad esso subparallelo, si scorge il prin- 124 G. DAINELLI cipio d’un secondo gambo, il quale deve corrispondere al primo pilastro ; però non se ne scorge affatto la estremità rotondeg- giante. Di più, il modello presenta due rilievi distinti e carat- teristici : uno, minore, addossato alla estrema parte posteriore della fossetta cardinale posteriore; l’altro più grande, addossato, a destra, alla parte posteriore della camera d’abitazione. Tra i due vi è uno spazio vuoto. Uno dei due rilievi del modello corrisponde certo alla fossetta miofora posteriore, ma quale dei due? più probabilmente quello situato in avanti ; l’altro può in questo caso, rappresentare la estremità rotondeggiante del primo pilastro. Ma su ciò, come sul modo di interpretare lo spazio che intercorre tra i due (forse massa della parete concliigliare ? ) non posso che esprimere delle dubbiose ipotesi; e per ciò basti quel che ho detto fin qui. Lo strato esterno della conchiglia è assai sottile, raggiun- gendo soltanto 4 inni, di spessore; del resto esso è visibile, nel nostro fossile, solo in due punti e per molto breve tratto, dove mostra però delle leggiere inflessioni in corrispondenza delle pieghe interne. Della cresta cardinale ho già detto quanto basti ; al primo pilastro, non visibile nella sua parte terminale, che dovrebbe essere rotondeggiante, credo debba corrispondere il breve seg- mento di gambo, cui ho già accennato, e che raggiunge l'appa- rato cardinale a poca distanza dalla cresta. Il secondo pilastro, o branchiale come anche e chiamato, dovrebbe essere, secondo la descrizione degli autori, allargato alla sua estremità a guisa di spatola; ora, nel nostro esemplare non è visibile alcuna piega, o introflessione, dello strato esterno della conchiglia, che pre- senti tale carattere. Ma tutto attorno convergono verso il cen- tro dell’animale assai numerose pieghe variamente sviluppate, nelle quali si può osservare una irregolare alternanza tra al- cune più lunghe ed altre più corte. Certo, una di esse, e più precisamente una di quelle situate a destra e all’indietro della conchiglia, deve corrispondere al secondo pilastro; quale, però, non si può dire. Queste pieghe hanno in genere il gambo lungo e stretto, come si vede dalle tre conservate per intero, e dalla ricostru- zione, fedele quanto più è stato possibile, che io ho fatto del VACCINITES (pironaea) polystylus pirona 125 fossile; al loro termine si allargano alquanto a spatola, o si fanno rotondeggianti: ciò, per le più lunghe; quelle più corte mostrandosi per lo più solo un po’ arrotondate alla loro estre- mità. Per la maggior parte hanno un andamento regolarmente radiale; alcune però si fanno oblique, ed altre si incurvano una o due volte durante il loro decorso. Due di esse presentano poi una piccola piega secondaria laterale: una presso la sua metà, l’altra vicino alla base. Non mancano nemmeno esempii di pic- cole protuberanze dello strato esterno della conchiglia, le quali rappresentano il principio di nuove pieghe. 11 diametro approssimato del nostro fossile si può calcolare • in circa 140 mm. La determinazione, che io do dell’individuo adesso descritto, si è di Pironaca polystylus Pirona Q). Per quanto io mi sap- pia, di questa specie sono stati fin ora citati solo l’esemplare tipico, originale, di Pirona, proveniente dalle vicinanze di Udine; alcuni altri individui giovani raccolti nella stessa località; i fos- sili citati da Nicklés da Cuatretonda nel S.-E. della Spagna; quelli del Pethb, da Cserevitz-Graben e da Frusca-Gora in Sla- vonia; e l’esemplare adulto, assai incompleto, che io raccolsi nella località del Ciolo, al Capo di Leuca. Essendo dunque pochi gli individui conosciuti, è naturale anche che non completamente noti sieno i caratteri della specie, ed in particolar modo dentro quali limiti questi caratteri possano variare. Ciò dico, perchè, pur avendo determinato il mio esem- plare come di Pironaca polystylus Pirona, debbo ciò non di meno riconoscervi delle differenze non piccole dall’individuo ti- pico di Pirona. Perchè meglio risultino, presento lo schema del fossile di Udine, riprodotto da quello parziale di Toueas, e com- pletato sulla sezione della tavola di Douvillé; e, accanto, la •figura schematica del nuovo individuo del Capo di Letica, nella quale l’apparato cardinale ho già detto come io abbia potuto riprodurre, e le parti punteggiate indicano il completamento ipo- tetico che vi ho fatto, onde facilitare il paragone. Quanto all’apparato cardinale si vedrà una esatta corrispon- denza nella posizione reciproca della camera d’abitazione (D), (') Vedasi innanzi la bibliografia. II. Pironaea polystylus Pivona. — Esemplare di Castro (Capo di Leuca). — D, camera di abitazione; ma, impressione dell’adduttore an- teriore; B, alveolo cardinale anteriore; N, dente cardinale; B', alveolo cardinale posteriore; L, cresta cardinale; zona interna degli strati conchigliari; t, zona esterna degli strati conchigliari. — Si osservi che dello strato esterno e delle creste solo le parti in nero sono conservate nel fossile; quelle punteggiate sono ricostruite. veoli corrispondenti nella valva opposta. 11 dente (N) è, nel nostro individuo, un poco diverso, ma mantiene la caratteristica forma ad x, un po’ deformata dalla esagerazione dei bracci an- 126 G. DAINELLI della impressione miofora anteriore ( ni a), dell’alveolo del dente anteriore (B), di quello posteriore (B ), ed anche del dente della valva fissa (N). Le differenze che si notano nella forma sono minime, e trascurabili quando si pensi al modo diverso onde si sono ottenuti i due schemi, e si consideri, ad esempio, che gli spazii (B) e (B') rappresentano nel fossile di Udine le se- zioni dei denti della valva libera, mentre, nel nostro, gli al- V ACCINITES (pironaea) polystylus pirona 12 T tenori. La cresta cardinale (L) è ugualmente sviluppata in lun- ghezza, ugualmente stretta, addossata all’apparato cardinale, che sembra costringerla ad incurvarsi in avanti ; è solo un po’ più ingrossata verso la sua estremità. Un paragone tra le due cavità miofore posteriori non si può stabilire, perchè il nostro fossile ci lascia qui, come ho detto, grandi incertezze ; e lo stesso si può dire sulla esatta forma del primo pilastro, solo conservato per brevissimo tratto del suo gambo, come pure nella esatta posizione del secondo, il quale non è distinguibile, dalle altre pieghe, per la speciale forma a spatola, che invece presenta nell’individuo di Pirona. In questo si notano altre 8 pieghe, con altrettante, alter- nate, di secondo ordine ; nel nostro esemplare invece il numero di tali pieghe è di molto accresciuto ; tanto che tra grandi, me- diocri e piccole, comprese la cresta cardinale e i due pilastri,, se ne contano ben 24. Non credo però affatto che tale diffe- renza nel numero e nello sviluppo delle pieghe implichi diver- sità specifica. Si osservino gli individui giovani figurati da Dou- villé ('); si può dir subito, anche, che in nessun dei due i pi- lastri, primo e secondo, rassomigliano lontanamente a quelli dell’esemplare adulto; ma poi, quanto alle pieghe: in quello di Udine (2) queste sono in numero di 7 principali, tra le quali se ne riscontrano alternate altre molto più piccole; si osserva però anche che tra la cresta cardinale ed il primo pilastro esiste un principio ben evidente di piega secondaria con inflessione anche della superficie esterna, e che tra due delle pieghe di primo ordine (precisamente quelle opposte al primo pilastro) se ne riscontrano due, anziché una sola, di secondo. Nel giovane individuo di Cuatretonda (3), l’alternanza tra pieghe di primo e di secondo ordine non forma davvero la regola; ed il numero loro totale, compreso le inflessioni appena accennate, è di 16. Si può aggiungere ancora che le due sezioni, appartenenti allo stesso giovane individuo di Udine (4), ma condotte in piani di- (') Douvillé H., Jiévision, etc., tav. XVII, fig. 1-2, 4. (2) Fi g. 1-2 in Douvillé. (3) Fig. 4 in Douvillé. (4) Fig. 1, 2 in Douvillé. 128 G. DAINELLI versi, mostrano non solo la forma, ma anche il numero delle pieghe variato. Da tutto ciò mi pare che ne risulti : che i caratteri dei pi- lastri e delle pieghe dell’individuo tipico, descritti minutamente da Toucas, non sono rigorosamente specifici, ma solo individuali ; che la forma ed il numero delle pieghe stesse varia moltissimo (il secondo però da un minimo di circa 15) a seconda degli esemplari fossili, e ciò per le variazioni che in ogni individuo si dovevano verificare a seconda della età. Partendo da questo concetto, il nostro esemplare, il quale presenta pieghe più numerose, deve essere di individuo più adulto che non quello di Pirona ; ed a confortare in questa opinione si può aggiungere le maggiori dimensioni della conchiglia, e, se questa prima circostanza sembra avere poco valore, l’altra della forma delle pieghe che sono più lunghe e sopra tutto più strettamente ingambate. Il fatto, infine, delle due pieghe che presentano una protuberanza laterale, forma un carattere ano- malo del tutto individuale, e senza alcuna importanza spe- cifica. Questi concetti inducono naturalmente a ritenere sinonima della Pironaca polystylus Pirona la Pironaea Slavonica Hil- ber (*), la quale in fondo ne differisce solo pel diverso sviluppo delle creste, e per caratteri assai poco importanti tassinomica- mente, come quelli che possono presentare una certa variabilità in individui diversi della stessa specie; tale sinonimia è stata ammessa anche dal Toucas (*); per me, l’esemplare di Hilber rappresenta un individuo in uno stadio di età intermedio a quello degli individui di Pirona e al mio. Quanto al valore tassinomico da attribuirsi alla Pironaca ] jolystylus Pirona, non è qui il caso di discutere ; basti l’accen- nare come Toucas (3), il quale ne ha scritto assai di recente, concluda, riprendendo la genuina divisione già ammessa da Fi- scher (*) di tutti quanti gli Hippurites, in Orbignya e in Vac~ cinites, concluda, dico, nel comprendere le Pirònacac nel se- condo di questi gruppi. Q) Hilber V., op. cit. (2) Toucas A., op. cit., 1904, pag. 175. (3) Toucas A., op. cit., pag. 14. .(■') Fischer P., op. cit., pag. 1064. V ACCINITES (PIRONAEA) POLYSTYLUS PIRONA 129 Quel che importa invece si è di conoscere il valore crono- logico di tale specie, e magari di tal genere : « Les Pironaea et les Barrettia se rencontrent dans les couches les plus éle- vées de la craie, caractérisées par la présence des Orbitouìes, III. Pironaea polystylus Pirona. — Esemplare di Cserevitz-Graben {Slavonia), descritto da Hilber come Pironaea Slavonica n. sp. — Schema ricavato da una fotografia dell’esemplare stesso (Hilber, op. cit., tav. II, fig. 1), e completato nel contorno. — D, camera di abitazione; ma, im- pressione dell’adduttóre anteriore; B, dente anteriore della valva libera; N, dente cardinale; B', dente posteriore della valva libera; mp, appen- dice miofora posteriore della valva libera; L, cresta cardinale; S, primo pilastro; E, secondo pilastro; i, zona interna degli strati conchigliari; t, zona esterna degli strati conchigliari. — Si noti che nella figura di Hilber N e ma non sono contrassegnati, per quanto assai facilmente riconoscibili. ils appartiennent dune au Campameli supérieur (Dordonien ou Maestri eliti en) ». Così Douvillé (*) ; e altrove ancora: «les Pi- (') Douvillé H., Révision, etc., pag. 96. 9 130 G. DAINELLI ronaea caractérisent le Campameli supérieur à Orbito'idcs » (*), E questa opinione esprime pure Toucas (9). In particolare poi la specie di Pirona è stata trovata, nei pressi di Udine ed a Cuatretonda in Spagna, in terreni attribuiti al Dordoniano; al quale livello riferii anche il Cretaceo del Ciolo e di Santa Ce- sarea nel Capo di Leuca, avendovi trovato, oltre la Pironaca, anche la Hippurites Lapeirousei Goldfuss, il liadiolites Paronai Dainelli, e il Eadiolites Hoeningliausi Des Moulins, tutte forme cronologicamente caratteristiche (3). Secondo Hilber (4), le loca- lità di Slavonia, nelle quali egli stesso e Pethb hanno trovato esemplari di Pironaca polystylus Pirona, apparterrebbero al Garumniano; probabilmente invece sono aneli’ esse più antiche,, se si vuol mantenere alla specie il valore cronologico attribui- togli dagli autori. * * * Sulla determinazione del fossile che ho fin qui descritto credo possano esservi ben pochi dubbii, e quindi anche sulla precisa età del terreno dal quale esso proviene. Ebbene, il Signor Enrico Bercigli, Conservatore e Preparatore al Museo Geologico di Fi- renze, essendosi dovuto recare a Marina di Castro, presso Maglie, nel Capo di Leuca, onde visitare una grotta ossifera, raccolse, in una sua gita, l’individuo di Pironaca pólystylus Pirona, che adesso ho descritto, al Castello di Castro, di dove ha pure ripor- tato numerosi esemplari di Rudiste, non determinabili, e di grossi Corallarii composti, fossilizzati in un calcare bianco, subcristal- lino, durissimo. Se non che, se si va a riscontrare la carta recen- temente pubblicata, di quella regione, dal R. Comitato Geologico d’Italia (5), si vede che il Castello di Castro vi poggia sull’Eocene superiore, cioè su « calcari cristallini con Nummuliti, Orbitoidi, Operculine»; come nella annessa spiegazione dei colori. (') Douvillé H., Distribuitoti, etc., pag. 227. C) Toucas A., Études, etc., 1904, Tableau N° 2, 3. pag. 121. C) Dainelli G., op. cit. C) Hilber V., op. cit., pag. 171. (5) il. Comitato Geologico d’Italia. Carta Geolog. d'Italia. Gallipoli, F.° 214 della carta al 100.000, 1904. V ACCINITES (PIRONAEA) POLYSTYLUS PIRONA 181 Ora, e la Vironata , e le altre Rudiste, e i grossi Corallarii,. sono stati tutti raccolti in posto ; non si potrà obiettare che ci possa essere errore con i terreni, diversi, che confinano presso al Castello di Castro. Essi sono: il Miocene medio, con un « cal- care rossastro, duro o friabile, con Aturie, Terebratule, denti di Squali, Orbitoidi, Corallari, ecc. »; ed il Postpliocene, con un « tufo calcareo o breccia conciligli are ». Dunque è proprio dal supposto Eocene che provengono i nostri fossili, il quale quindi non altro si è che la continuazione del non lontano, più setten- trionale, lembo cretaceo, rappresentato da « calcari bianchi con Chamacee e Rudiste », ma qui, certamente, dalle sole seconde e non dalle prime. Che qui dunque esista, nella carta geologica teste pubblicata,, una svista di interpretazione cronologica, non può sussistere dubbio; esaminando lo stesso foglio con maggiore attenzione, vien fatto di trovarne un’altra, ancora, nel bacino di Gala- tina. Le condizioni litologiche e stratigrafiche di questo ristretto territorio furono già rese di pubblica ragione dal De Franchis ('),. il quale già ne aveva descritto monograficamente i fossili dei terreni più giovani (2). Questi si possono distinguere in : Sabbioni calcarei (tufo càrparo); sabbie argillose (rena di mare) e argille turchine, giallastre, scure, mescolate più o meno a sabbia (crite o terra pignatara) ; sabbia gialla (piromafo); panchina (chian- carèdda . Affioranti presso al paese di Galatina, tra due estese zone cretacee, sopra una delle quali si appoggia un sottile lembo miocenico (pietra leccese), sono il tufo, e, al centro una ristretta macchia di argille. « Che tali strati (argillosi), - afferma il De Franchis (3), - stieno sul tufo, è provato dal fatto che in Comune di Galatina, vicino alla stazione ferroviaria, fu scavata un pozzo, secondo quello che mi fu riferito, per più di 50 metri, tanto che vi si trovò il piano tufaceo; l’acqua naturalmente, (>) De Franchis F., Ricerche sui terreni del bacino di Galatina (Pro- vincia di Terra d’Otranto). Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XVI, 1897, pag. 122, con carta geol. (z) De Franchis F., Descrizione comparativa dei Molluschi postplio- cenici del bacino di Galatina. Boll, della Soc. Malae. Ital., voi. XIX, 1895. (3) De Franchis F., Ricerche, ecc., pag. 127. 132 G. DAINELLI non si ebbe mai, perchè, rotto lo strato impermeabile, essa veniva assorbita dal tufo ». Tale condizione stratigrafica, cioè la superposizione delle ar- gille e sabbie argillose, formanti un unico complesso, al tufo, è pro- vata anche dallo scavo di molti pozzi in territorio di Galatina; dallo andamento della zona acquifera sottostante al paese; ed infine anche, e ciò non è senza importanza, dallo studio dei fossili (*); sì che, dopo la lettura della memoria del De Franchis, mi pare che se ne debba avere acquistata la certezza. Orbene, nella carta geologica testé pubblicata, il paese di Galatina si inalza su una ristretta zona di argille, circondata dal tufo, come in realtà. Questo però vien riferito, nella spiegazione, al Postpliocene inferiore, in ciò concordando con De Franchis (?), con me (3), e con altri; quelle invece si attribuiscono al Pliocene: cioè terreni stratigrafìeamente superiori, ad un periodo più antico, là dove la estrema gioventù loro, e, d'altra parte, gli stessi rilievi, escludono assolutamente qualunque anormale rivolgimento. Ed allora, vedendo che la recente carta non è priva di mende, così come ho detto, facilmente rilevabili, nasce spontaneo il dubbio sulla sua esattezza, anche nel foglio contiguo Q), rappresentante il territorio, che io stesso ho altre volte visitato. Mi recai al Capo di Leuca, dietro consiglio del Prof. De Stefani, princi- palmente per l'accogliere- e studiare la fauna di quella carat- teristica lumachella, detta Fragiuìo , da alcuni attribuita pub- blicamente all’Eocene: il numeroso elenco di Coralli, Echinodermi, Brachibpodi, Gasteropodi, Lamellibranchi, Cefalopodi, Crostacei, Pesci e fin Mammiferi pelagici, che mi fu ventura determinare, mi fece con sicurezza riferire quel terreno al Miocene medio, come altri (così mi è stato dopo affermato), oltre al De Stefani, benché nulla fosse pubblicato, già supponeva (5). Però, trovan- (*) De Franchis F., Ricerche, ecc., pag. 127, 128, 130, 136-139. (2) De Franchis F., op. cit. (3) Daino] li G., op. cit. C) R. Comitato Geologico d'Italia, Carta f/eolor/ica d'Italia, Tricase, foglio 223 della carta al 100.000, 1904. O Alludo qui al Prof. Di Stefano, Paleontologo del R. Comitato, come da comunicazione scritta, assai posteriore alla mia nota, dell'In- gegnere L. Baldacci. VACCINITES (pironaea) polystylus pirona 133 domi al Capo di Leuca, feci molte escursioni ; raccolsi fossili dei tufi calcarei, più giovani; e dei calcari più antichi, cretacei, che potei attribuire con sicurezza al Dordoniano; e, avendo attraversato in ogni senso e più volte quella estrema parte d’Italia, credei di poterne abbozzare Q) il rilievo geologico. Nel dar conto dei risultati delle mie escursioni, scrissi anche, quasi incidentalmente : « L’Eocene, indicato nelle carte del Co- mitato Geologico, come affiorante nella parte meridionale del del Capo di Leuca, da me visitata, non esiste affatto, e, per ritrovarne il primo giacimento, bisogna risalire al nord, lungo il mare, fin presso al porto di Tricase » (2). Il De Giorgi (3) accettò questa e le altre mie conclusioni, che in parte modificavano le ultime sue idee sulla geologia del Capo di Leuca ; invece mi toccò una critica daH’Ing. Baldacci. Ecco le sue parole: «La carta cui allude il Dott. Dainelli sarà probabilmente quella cartina dimostrativa, alla scala di Vi.ooo.ooo> pubblicata nel 1889 basata in varie parti non su studi e rile- vamenti diretti dell’ Ufficio geologico, che allora non si possede- vano, ma su lavori di diversi studiosi. Nel 1890 si iniziò dall’Ufficio geologico il rilevamento delle Puglie, che venne terminato nella prima metà del 1892, e da allora si riconobbe che l’Eocene non affiora nella regione studiata dal Dott. Dainelli. Un primo risultato di quei nostri rilevamenti è conse- gnato e pubblicato nella Carta geologica generale d’Europa (foglio 39, DVI), in cui il più meridionale affioramento di Eocene nella regione è quello di Tricase. Nella Carta geologica ma- noscritta d’Italia a Vsoo.ooo già presentata in varie esposizioni ed esposta permanentemente nei locali dell’Ufficio geologico, carta che viene a mano a mano dove sia necessario compiuta e messa al corrente coi nuovi rilevamenti, l’ Eocene di cui parla il Dott. Dainelli non figura nemmeno, come non figura nelle tavo- lette di campagna a Vòoooo> che serviranno di base per la pros- sima pubblicazione della Carta geologica di quelle regioni, alla (') Dainelli G., op. cit., pag. 638. (*) Dainelli G., op. cit., pag. 636. (*) De Giorgi C., La serie geologica dei terreni nella Penisola Sa- lentina. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, Voi. XX, Roma 1903. 134 G. DAINELLI scala di Vioo.ooo » (’)• Tralascio di riferire le rimanenti parole, le quali farebbero supporre che ring. Baldacci fosse di opinione, esser la mia frase dettata « in odium auctoris » (2). Quand’ecco, nella stessa estate del 1902, mi vien data no- tizia, che, essendosi di nuovo recati al Capo di Leuca, i rileva- tori del Comitato avevano riferito all’Eocene la zona costiera che da quasi il paese di Gagliano scende fino al Faro di S. Maria; e la ragione, il ritrovamento di Nummuliti macroscopiche (a). Avevo percorso quella ristretta zona due volte nella sua lun- ghezza, cioè presso il mare e, nell’interno, lungo l’affioramento del terreno postpliocenico, e l’ avevo poi attraversata quattro volte nella sua larghezza. Avevo raccolto molti esemplari di roccie, senza trovar mai Nummuliti macroscopiche, ed esami- nato poi molte sezioni sottili, senza trovarvi esemplari nemmeno microscopici. Ora, nella carta teste pubblicata, il colore rappresentante l’Eo- cene è così spiegato : « Calcare bianco e colorato compatto con Orbitoidi e Nummuliti (?), Cipree e Coralli ». Litologicamente dunque non vi sono grandi differenze dal terreno cretaceo (« calcari bianchi cristallini, e calcari bruni, dolomitici, ecc. »), in specie quando si pensi alla immensa va- rietà di questo nel colore, nello aspetto esterno, nella compat- tezza ed in altri caratteri secondarii. Le prove della eocenità sarebbero perciò i fossili, e cioè, in ordine diverso da quello ora •citato : l.° Nummuliti (?). Se alla citazione di un genere tanto ca- ratteristico, del quale si sarebbero rinvenuti individui di grande mole, si pone accanto un punto interrogativo, comincio a du- bitare anch’io che si tratti di Nummuliti. Perchè Nummuliti (L Baldacci L, In Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XXI. 1902, pag. XXIX. (?) Con nna lettera assai cortese l’Ing. Baldacci ini scrisse non esser però questa la sua idea; e di ciò ancora lo ringrazio. (’) Cosi ini affermò il Prof. Di Stefano nel settembre a Spezia, mentre gli intervenuti al copsueto Congresso geologico visitavano l’Ar- senale; ed avendogli io detto che in molte sezioni sottili da me latte, non avevo trovato traccio di Nummuliti, mi rispose che non c’era bisogno di sezioni, essendo gli esemplari molto grandi. VACCINITES (PIRONAEA) POLYSTYLUS PIRONA 135 macroscopiche o esistono o non esistono; il dubbio non è lecito, « se vi è, io mi sento costretto ad inclinare per la seconda sup- posizione, cioè della non esistenza. 2. ° Cipree. Si osservi che in quella lumachella miocenica, che nella carta geologica appare tutta circondata dal terreno eocenico, il genere Cypraea è rappresentato da assai numerosi •esemplari (l). Ora, quella citazione di Cipree dal supposto Eo- cene, può trovar ragione nell’abbondanza di tali individui nella lumachella miocenica, dei quali alcuni possono essere stati tra- sportati dalle acque, o comunque in altro modo, sul terreno in- criminato; a meno che non si sia attribuito alFEocene anche parte della lumachella miocenica. 3. ° Orbitoidi. Non starò a citare le varie, numerose memorie, nelle quali vengono dati esempii di commistione di tali foramini- fere con le Rudiste. I tipici Orbitoìdes caratterizzano esclusiva- mente il livello superiore del Campaniano e i molti piani nei quali è stato diviso il Dordoniano (5), secondo recenti conclusioni di Douvillé. Fondandomi su altre basi, ho pur io attribuito al Dor- doniano, il supposto Eocene ad Orbitoìdes. 4. ° Coralli. Noterò che nelle due località cretacee fossilifere da me visitate, Santa Cesarea cioè ed il Ciolo (3), ed in quella del Castello di Castro, dove ha fatto ampia raccolta di fossili il signor Bercigli, le Rudiste sono unite ad abbondanti e grandi Corallarii costruttori. Circostanza che non fa meraviglia, dal mo- mento che Douvillé, avendo distinto, quanto alla distribuzione regionale degli Hippurites, una provincia occidentale ed una orientale, dice che, in questa seconda, la regione adriatica si di- stingue per la facies « plus particulièrement corallien et cra- yeux » (4). I Coralli sono caratteristici, in questa regione, del Cretaceo, e non dell’Eocene. Conseguenza necessaria si è il dubbio, che non vi sia real- mente l’Eocene tra Gagliano del Capo e S. Maria di Leuca, e C) Dainelli G., op. cit., pag. 621, 659. (2) Douvillé H., Distribution des Orbitolites et des Orbitoìdes dans la Ovaie du Sud-Ouest. Bull, de la Soc. Géol. de France, 4n,e sèrie, t. II, fase. 3, pag. 312, 1902. (3) Dainelli G., op. cit., pag. 618. C) Douvillé H., Distribution regionale, ecc., pag. 190. 136 G. DAI NELLI la maraviglia per la evidente contradizione tra le esplicite di- chiarazioni dell’ing. Baldacci e i dati della recente carta geolo- gica, Ed ultima conseguenza infine si è la lecita supposizione, che anche i lembi ad Orbitoides di Triease (da me citato come eocenico sulla fede del De Giorgi) e di Otranto, appartengano, come gli altri di Gagliano e di Castro, al Dordoniano anziché aHJEocene, e che il Nummulitico non si debba trovare nelle colline di Puglia a mezzogiorno del Gargano. fms. pres. il 19 decembre 1904. - ult. bozze 12 aprile 1905]. SOPRA ALCUNE ROCCE ERUTTIVE DELLA TRIPO LITANIA Nota del socio Ernesto Manasse In un’escursione scientifica di recente compiuta in Tripoli- tania, il prof. Vinassa de Regny ebbe agio di raccogliere abbon- dante materiale da studio, e fra l’altro anche alcuni campioni di calcari e di rocce eruttive che gentilmente mise a mia dispo- sizione. Questi campioni, provenienti dal Gebel, a sud dell’oasi tripolina, furono raccolti sotto forma di ciottoli, levigati dai venti, sulla via carovaniera da Ghadames a Tripoli, nel cosi detto « Deserto » presso Tripoli, ove sono portati dalle carovane che li adoperano come contrappeso atto ad equilibrare i carichi dei cammelli. Tralascio di parlare delle rocce calcaree, che sono calcari marnosi biancastri e rossastri o con colorazione variabile dal nero al grigio, se più o meno ricchi di bitume, e vengo ad una breve descrizione delle rocce eruttive, assai più note, perchè citate dai viaggiatori e sempre sotto la denominazione generica di rocce basaltiche. Dallo studio dei diversi campioni avuti in esame è risultato però che se la maggior parte di essi sono in realtà basalti di varietà oliviniche, altri, nonostante il loro colore grigio-nero,, pei caratteri microscopici e chimici presentati, sono riferibili a rocce assai più acide, ad andesiti. Molti degli esemplari avuti sono quasi del tutto uguali fra loro, cosicché in complesso queste rocce possono riferirsi a fre- goli tipi distinti. a) Basalte olivinico poefirico. Nella pasta grigio-nera con struttura finamente granulosa e ricca di pori di svariate dimensioni sono immersi numerosi cri- stalletti lucenti di colore rosso, che in origine erano di olivina,. 138 E. MANASSE e, in minor quantità, segregazioni di augite verde-bottiglia. I pori della roccia sono riempiti da materiale ocraceo giallastro e da pochissima calcite. Al microscopio la massa fondamentale, preponderante, ma non di molto, sugli elementi porfìrici, risulta olocristallina con struttura assai minuta. La compongono plagioclasio, augite, oli- vina, ilmenite, magnetite. Per l’andamento fluidale che assumono le listerelle plagioclasiehe, per la grande prevalenza loro in con- fronto all’augite, per non essere questa che eccezionalmente allotriomorfa, si ha evidente in questo caso, seguendo la clas- sificazione del Rosenbuseh, il tipo pilotassitico della struttura olocristallina porfirica. Il plagioclasio è in listerelle allungate, formate da pochi individui geminati secondo la legge dell’albite e del periclino. Deve riferirsi ad una labradorite piuttosto acida per i valori degli angoli di estinzione ottenuti nella zona normale a (010), i quali raggiunsero un massimo di 29° con una media di 22°. L’augite, più spesso in forma di microliti che di granuli, è assai subordinata al feldispato. L’olivina entra a far parte della massa fondamentale in forma di piccoli granuli, ora alterati, ora no. L’ilmenite si presenta in listerelle nere che si frappongono talora fra gli individui plagioclasici, ed è accompagnata da poca ma- gnetite. In mezzo a così fatta massa fondamentale, si osserva una prima consolidazione di olivina, di augite, di feldispato; i quali elementi, tranne quest’ultimo, appariscono nelle sezioni sottili molto abbondanti. I cristalli porfìrici di olivina, quasi del tutto privi di inclu- sioni, sono incolori, se puri; ma in massima parte sono trasfor- mati nel consueto minerale di ferro, rosso, e debolmente attivo a luce polarizzata, che dà prova della ricchezza in ferro della originaria olivina. La formazione di questo minerale s’inizia alla periferia dei granuli e si estende anche in forma di rete nel loro interno con tanta abbondanza da mascherare quasi sempre il loro colore verde originario. Per quanto i cristalli sieno d’ordi- nario fortemente corrosi dalla massa fondamentale, pure, per alcune misure di angoli piani, furono potute determinare, tra le forme presenti, le |100|, )010', jlOlj, J011J, |021|. ROCCE ERUTTIVE DELLA TRIPOLITANIA 139 L’ augite porfìrica è in individui arrotondati od ottogonali verdastri e non pleocroici, che contengono incluse particelle ve- trose più o meno devetrificate, granuli di olivina e cristalletti di apatite, e che mostrano spesso struttura polisintetica per la geminazione multipla secondo (100). L’angolo di estinzione non è molto grande, essendosi ottenuto, come massimo, un valore di 36° con la sfaldatura prismatica. È difficile però che l’augite si presenti in individui isolati; frequenti sono invece degli aggrup- pamenti di più cristalli, associati di rado ad altri di olivina, da riportarsi ai cosidetti occhi di augite, propri di molti ba- salti. Gli interclusi di feldispato, tutti involti dalla massa fonda- mentale, non si discostano di molto per le dimensioni dai mi- croliti del secondo tempo. Presentano geminazioni secondo le leggi dell’ albite e del pendino con estinzioni ondulate e con un principio di struttura zonale. I caratteri ottici fanno ripor- tare il feldispato ad un termine basico e con tutta probabilità . ad una bitownite ; ma i dati che si sono potuti avere sono insuf- ficienti per un’ esatta determinazione. Detto feldispato include particelle brune vetrose con abbondanti cristalliti, granuli di olivina e microliti di apatite. La composizione chimica della roccia è: H2 0 a 110° 0,86 Perdita per arrov.to .... 0,31 • Si O2 50.27 TiO2 1,81. PIPO5 . . . 0,25 CO2 tracce Al2 O3 14,04 Fe2 O3 8,68 FeO 3,95 Mn 0 tracce Ca 0 9,56 Mg 0 6,81 K2 0 0,70 Na20 3.86 140 E. MANASSE b) BASALTE 0L1VIN1C0. Boccia grigio-nera, di aspetto doleritico, a grana piuttosto fine, priva di cristalli porfirici e con cavità non numerose, ma grandi, riempite da materiale ocraceo giallastro e da pochissima calcite. Struttura microscopica ipocristallina. Minerali componenti : plagioclasio, augite, olivina, ilmenite, magnetite e pochissimo vetro grigio-bruno, accompagnato da scarsi prodotti di devetri- ficazione. E tutti, io credo, debbono riferirsi al periodo effusivo del magma basaltico, non scorgendosi, nemmeno all’esame mi- croscopico, segregazioni porfiriche, a meno che come tali non vogliansi considerare alcuni granuli alterati di olivina, in nulla differenti, tranne che nelle dimensioni un poco maggiori, dai rimanenti granuli della massa fondamentale. In certi esemplari il vetro è meno scarso e non mostrasi uniformemente distribuito, avendosi parti delle sezioni che ne sono del tutto prive e parti invece che ne sono piuttosto ricche. D’ordinario però, scarsa essendo la base vetrosa, ci si avvicina molto alla struttura olocristallina intersertale. Il plagioclasio è sempre in liste molto allungate, risultanti da associazioni emitropiche secondo la legge dell’albite di po- chi individui molto sottili; eccezionalmente si uniscono alla ge- minazione dell’albite quelle del pendino e di Carlsbad. Fre- quenti le estinzioni ondulate; raro nei cristalli un accenno a disposizione zonale della sostanza feldispatica. Il massimo di estinzione simmetrica fu di 28° con una media di 22°. Giova quindi supporre che si tratti anche in questo caso di una la- bradorite acida.' Questo feldispato contiene inclusi granuli di olivina, liste di ilmenite, aghetti di apatite, non che particelle scure di vetro e cristalliti. L’augite, verdastra e non pleocroica, è completamente allo- triomorfa. L’angolo di estinzione, misurato rispetto alle tracce della sua più facile sfaldatura, raggiunse un massimo di 41°. Contiene poche e piccole inclusioni vetrose. I granuli di olivina, abbondanti quasi quanto l’augite, sona per lo più alterati nel consueto prodotto ferruginoso rosso-cupo ; ROCCE ERUTTIVE DELLA TRIPOLITANIA 141 quelli che non hanno subito questa trasformazione hanno colore verdastro. I minerali metallici neri, relativamente non abbondanti, sono rappresentati in massima parte da liste e granuli di ilmenite disposti sovente in modo dendritico, in minima da magnetite. All’analisi chimica la roccia diede: H20 a 110° - 0,21 Perdita per arrov.10 .... 0,22 Si O2 52,40 Ti O2 2,71 Ph2 O5 0,14 CO2 tracce Al2 O3 14,12 Fe2 O3 6,52 FeO 4,47 MnO 0,41 Ca 0 0,43 Mg 0 6,77 K2 0 0,31 Na2 0 3,50 101,21 c) Andesite AUGITICA. Eoccia a pasta afanitica grigio-nera con abbondantissime se- gregazioni di feldispato vitreo, tabulare, e in minor copia di pirosseno verde-bottiglia. La roccia è bollosa con alcune cavità tappezzate da calcite secondaria. Ciò che colpisce subito all’esame microscopico si è la grande abbondanza dei cristalli di prima generazione. Fra questi gli individui di feldispato hanno dimensioni molto variabili ; i più piccoli non sorpassano 0.02 millimetri, mentre i più grandi raggiungono fin 7 millimetri di lunghezza; tutti però sono rias- sorbiti dal magma, tanto da rendere impossibile la determina- zione delle forme presenti. Dai caratteri ottici apparisce che la massima parte dei cri- stalli feldispatici sono riferibili ad un plagioclasio ; ma non man- cano sezioni di sanidino geminate a Carlsbad ed altre, con struttura simile a quella del microclino, di anortose. 142 E. MANASSE Gli inclusi di plagipclasio hanno quasi tutti abito tabulare pel grande sviluppo dr (010). Le sezioni dei cristalli risultando anzi quasi sempre presso a poco parallele a quel pinacoide, solo di rado è dato di scorgere la geminazione multipla secondo la legge deH’albite. Più facilmente s’incontrano cristalli uniti e compenetrati irregolarmente e con un accenno a struttura zonale, con zone però sfumanti insensibilmente Luna nell’altra. Le la- mine di sfaldatura parallele a (010) estinguono ad angolo va- ‘ riabile da 2° a 9° rispetto all’allungamento loro, e le estinzioni delle lamelle geminate avvengono più o meno ondulosamente, ma sempre ad angolo molto vicino a 0°. Il massimo di estinzione simmetrica trovato fu di 4°. La rifrazione, confrontata con quella del balsamo, diede per molte osservazioni il seguente risultato: «' <( n , y‘ ma in pochi casi si ebbe anche: <^n , y' \ n . Da tali dati può dedursi che il plagioclasio è un termine oli- goclasico acido. E in relazione colla elevata acidità sta la sua segregazione posteriore a quella dell’augite che talvolta rac- chiude in abbondanza. Oltre all’augite si scorgono entro il pla- gioclasio inclusioni fluide, particelle vetrose, microliti spesso bi- piramidati di apatite e cristalletti di magnetite. Il pirosseno è un’augite verdastra senza sensibile pleocroi- smo e ad angolo di estinzione assai forte, variabile da 39° a 44& rispetto alle tracce di sfaldatura (110). D’ordinario si presenta in forme arrotondate per corrosione della massa fondamentale, con frequente struttura a clepsidra: ma si scorgono anche indi- vidui prismatici lunghi da 0,2 a 1 nini, secondo l’asse deter- minati da faccette non determinabili, oppure sezioni ottogonali risultanti dalla combinazione delle facce di >1101, JOlOj, jlOOj, multiplamente geminate secondo il piano -100J. L’augite, che ha qualche volta orlo opacitico nero, include granuletti di ma- gnetite, microliti di apatite e particelle vetrose. Fra i minerali di prima segregazione va annoverata anche la magnetite, che non sembra titanifera. Per quanto l’elevata acidità della roccia (64,95 tì'0) faccia supporre la presenza di silice libera, nelle sezioni non mai potei scorgere quarzo porfìrico. La massa fondamentale, osservata con forti ingrandimenti, risulta ipocristallina con tipica struttura jalopi litica. In un vetro ROCCE ERUTTIVE DELLA TRIPOLITANIA 143- grigio-bruno, fortemente devetrificato, giacciono abbondanti ed esilissimi microliti feldispatici fluidalmente distribuiti, pochi gra- nuletti verdastri di augite e altri neri di magnetite. I microliti di feldispato appariscono in parte polisintetici, in parte no, e per la rifrazione e per le estinzioni loro, dimostrano essere della stessa natura dei grossi interclusi; si tratta quindi anche in que- sto caso di un termine oligoclasico acido e forse anche, ma in minor quantità, di sanidino. La composizione chimica di questa andesite è rappresentata dalla seguente analisi: H!0 a 110° .... Perdita per a.rrov.to . . . . 0,24 SiO2 . . . 64,95 TiO2 . . . 0,81 Ph205 . . . 0,11 CO2 Al2 O3 . . . 14,27 Fe2 O3 . . . 3,87 Fe O . . . 1,89 Ca O . . . 2,60 Mg O . . . 0,87 K* O . . . 3,39 Na? O . . . 6,85 99,70 Per completare dal lato chimico lo studio delle rocce de- scritte ho riportato qui appresso: i risultati delle tre analisi ri- dotte a 100 con esclusione di H2 0 , Plr O3 , CO* (colonna 1); i rapporti molecolari dei singoli componenti (colonna 2); i rapporti molecolari ridotti a 100 e calcolati sopra analisi, nelle quali tutto il ferro fu considerato allo stato di ossido ferroso (colonna 3). Solo per ciò che concerne l’andesite, in base a ragioni speciali, alle quali sarà più sotto accennato, ho tenuto distinto l’ossido ferroso dall’ossido ferrico. Dai dati della colonna 2 furono de- dotte le formolo magmatiche del Loewinson-Lessing e furono costruiti i diagrammi (fig. 1-3) col metodo Brogger-Michel-Levy ; da quelli della colonna 3 furono ricavate le forinole deH'Osanu. 144 E. MANASSE Basalte olivin.0 porf.0 Basalte olivinico Andesite augitica 1 2 3 1 2 3 1 2 3 (■) Si O2 . 50,43 83,49 53,20 52,06 86,19 54,74 65,61 108,63 72,33 Ti O2 . 1,81 2,26 1,44 2,69 3.36 2,13 0,82 1,02 0,68 Al2 O3. 14,09 13,79 8,78 14,03 13,73 8,73 14,41 14,10 9,39 Fe2 O3. 8,71 5,44 — 6,48 4,05 — 3,40 2,13 1,42 Fe 0 . 3,93 5,50 10,44 4,44 6,17 9,05 1,91 2,65 1,76 Mn 0 . — — — 0,41 0,58 0,37 — — — Ca 0 . 9,60 17,14 10,92 9,37 16,73 10,63 2,63 4,70 3,13 Mg 0 . 6,83 16,92 10,78 6,73 16,67 10,58 0,88 2,18 1,45 K2 0 . 0,70 0,74 0,47 0,31 0,33 0,21 3,42 3,63 2,42 Na2 0. 3,87 6,23 3,97 3,48 5,60 3,56 6,92 11.14 7,42 100.00 151,51 100,00 100,00 153,41 100,00 100,00 150,18 100,09 Formule magmatiche secondo Loeivinson-Lessing. RO |R203 SiO2 a P R20:RO K20:Na20 Basalte olivin.0 porf.0 . I i 2,42 1 4,47 1,65 77 1 : 5,68 1: 8,42 Basalte olivinico. . . 2,59 1 5,03 1,80 71 1:6.77 1 : 16,97 Andesite augitica . . 1,50 1 6,76 3,00 37 1,55: 1 1: 3,07 Formule secondo Osami. S A C ; F N | a c f Basalte olivin.0 porf.0 54,64 4,44 4,34 27,80 8,94 ! 2,43 2,37 15,20 Basalte olivinico . . 56,87 3,77 4.96 25,67 9,44 ! 2,19 2,88 14,93 Andesite augitica . . 73,01 9,84 0,97 5,37 7,54 1 12,16 1,20 6,64 (*) In deficienza di Al2 O3 per la saturazione completa degli alcali a formare il gruppo molecolare (Na, K)„ 0. Al2 O3 (A) fu supplito, se- condo prescrive T Osami per le rocce non sature di allumina, con Fe? O3, nel concetto che nella roccia una parte degli alcali fosse combinata all’ossido ferrico sotto forma del gruppo molecolare (Na, K)g O. Fe* O3, e il residuo di Fe2 O3 fu unito a Ca 0 per costituire il gruppo C. HOCCE ERUTTIVE DELLA TRIPOLITANIA 145 Fig. 1. — Basalto oliviuico porlìrico. Fig. 2. — Basalte oliviuico. J^ltr 10 146 E. MANASSE Per le rocce basaltiche poche osservazioni sono da farsi : for- mule magmatiche e diagrammi da un lato, composizione mine- ralogica dall’altro, corrispondono presso a poco a quelle delle più comuni varietà di basalti ad olivina. Poca corrispondenza trova invece la roccia andesitica coi tipi andesitici più comuni. Dal lato chimico le differenze consistono nella maggiore acidità, nella deficienza di allumina, rispetto a cui la roccia abbiamo veduto potersi definire come non satura, nel basso tenore della calce, che è compensato da maggior quantità di alcali, e in altri caratteri ancora di minore importanza che presenta la nostra roccia. Tali dati la ravvicinano quasi più alle trachiti che alle andesiti augitiche. Ma dal lato mineralogico le differenze sono meno sensibili, benché sia degno di nota il fatto che accanto ad un feldspato oligoclasico, proprio delle andesiti più acide, si trovi del sanidino e dell’anortoclasio, l’uno e l’altro mine- rale caratteristici per le rocce trachitiche. Pisa, Laboratorio di Mineralogia dell’Università, 2S gennaio 1905. [ms. pres. il 14 febbraio 1905 - ult. bozze 11 aprile 1905]. IL CONCETTO DI INDIVIDUO NEI ZOANTARI FOSSILI Nota del prof. G. de Angelis d’Ossat Tanto i filosofi, quanto i naturalisti, di ogni epoca, invano si adoperarono per stabilire il concetto di individuo in biologia. Riuscirebbe prolissa e fuori di luogo una relazione, pur succinta, di tutte le svariate opinioni che furono emesse in proposito dagli scienziati antichi, medioevali e moderni. Niuno ancora però ha fissato l’essenza del l’individuo in biologia e quindi non recherà maraviglia se molti ancora si occupano intorno a tanto impor- tante questione, ora palpitante di attualità per l’applicazione del concetto di individuo all’organismo sociale. Altra volta ebbi occasione di interessarmi dell’argomento, descrivendo una forma singolare di Aspidiscus cristatus Koenig, sp. ('); dal cui studio fra le altre conclusioni ricavai pur questa: « La forme d’une colonie qui présente dans le squelette général une configuratimi propre à un seni individu est un fait nouveau en paleontologie ». Tutti gli scienziati, che si occuparono di Coralli dal 1824 in poi, ritennero il gen. Aspidiscus come coloniale; ricordo fra questi: Lamoroux (1824), Blainville (1830), Milne Edwards ed Haime (1849-57), de Fromentel e Ferry (1858-61), Quenstedt (1847), Pictet, (1853), Zittel (1880, 1895), Bernard (1895), ecc. ecc. (') Sur une forme singulière d’ime colonie de « Aspidiscus cristatus» Koenig, sp. fossile dans le sgstème crétacique de la France (?). (La Feuille, IVe Sér., 31e An., N. 372. Paris, 1901). Altre osservazioni sono sparse nelle descrizioni delle varie faune coralline fossili che ho studiato; ri- cordo specialmente ciò che scrissi riguardo alla Prionastraea centralis Meneg. in litt. (Corollari terreni terz., Italia sett., pag. 48, tav. I, tig. 14, 15, 24). 148 DE ANGELIS D’OSSAT Del resto tale carattere è luminosamente dimostrato dalle elemen- tari e fondamentali conoscenze anatomiche dello scheletro coral- lino. Ultimamente, illustrando una fauna corallina importantissima dell’ Infracretacico della Catalogna, ebbi campo di raccogliere molte osservazioni in proposito, specialmente discutendo la nuova forma Latimaeanclraraea Felixi de Ang. Comunicai alcune os- servazioni al Brunelli, il quale gentilmente le riportò in un suo lavoro, facendole seguire dalle parole : « Queste ricerche del de Angelis sono di grande interesse; esse confermano l’idea generale che la questione dell’individualità è intieramente con- nessa a quella dell’ accrescimento e della propagazione, esse, benché non si possano trarre conclusioni affrettate, possono ser- vire a dimostrare che la colonia può tendere all’individuazione in due modi : a) per divisione di lavoro (es. Sifonofori) ; b) per tendenza della formazione scheletrica coloniale a riprodurre uno scheletro individuale collettivo (Corallari) » (*). Adunque la scienza moderna ritiene che il concetto di indi- viduo possa spicciare limpido ed intero dallo studio sull’accre- scimento degli individui e del loro modo di propagazione. Invero ritengo che l’ additata via non sarà ingrata al sagace investi- gatore, perchè gli farà conoscere e gli permetterà di classifi- care molti fatti della natura non ancora cogniti e molti che non hanno ricevuto il posto nel coordinamento naturale; d’altra parte però opino che non è ancora dimostrato che questa sia l’unica e la vera via che condurrà gli scienziati, in un prossimo futuro, alla desiderata conquista. Anzi è ancor ben lecito il dubbio intorno alla possibilità di giungere a formulare una sana ed intera definizione dell 'individuo in biologia. In ogni modo mi auguro che tal sorta di ricerche vengano ese- guite di pari passo con l’analisi anatomica c con le investigazioni fisiologiche; perchè, - come insegna la storia della filosofia na- turale, - con questo metodo la scienza raccoglierà frutti copiosi di verità e fugherà molti pericolosi preconcetti. Infatti molte teorie escogitate per afferrare la natura intrinseca d c\V individuo (') Brunelli G. Il concetto di individuo in biologia. - La sua genesi filosòfica e le site conseguenze nella teoria dell organismo sociale. Estr. Rivista di Filosofia e Scienze affini, anno VI, voi. II, n. f>, (i. Bologna, 1004. IL CONCETTO DI INDIVIDUO NEI ZOANTARI FOSSILI 149 furono dichiarate solenuemente come erronee dalla conquista anatorao-fisiologica. Se invece lo studio varcherà la soglia della filosofia naturale, esso cadrà sicuramente in dominio delle spe- culazioni della metafisica e le teoriche conclusioni che ne deri- veranno, per quanto logiche e sublimi, appartenendo ad altro ordine, non esprimeranno altro, rispetto al fatto naturale, che intellettuali elucubrazioni che eccellono dalle cose obbiettive, le quali non saranno menomamente rispecchiate. * * * Si asserisce che nelle specie meandriniformi dei Coralli, quan- tunque nello scheletro si cancellino i caratteri delle singole indi- vidualità, pur rimangono distinti nelle parti molli dei polipieriti. Lo studio però delle modalità che si riscontrano, a questo pro- posito, nei coralli è istruttivo al sommo grado. Si possono met- tere in serie un certo numero di stadi, i quali insensibilmente passano dall’individuo unico allo scheletro comune e indistinto riguardo all’individualità. Con le figure, che qui seguono, ri- produco schematicamente i principali stadi di rapporto fra in- dividuo od individui e scheletro; cominciando dallo scheletro isolato di un semplice individuo per finire con quello che è comune a più individui senza traccia alcuna di individualità. Gli stadi intermedi segnano la diminuzione o l’ aumento dei rapporti d’ individualità fra lo scheletro e l’ individuo molle, secondo che si procede da un capo o dall’altro. Non devesi credere che le figure rappresentino tanti passaggi graduali che avvengono nella stessa colonia, nè in progresso dei tempi geo- logici ; ma solo mostrano la graduazione dei rapporti in istudio. Ho procurato possibilmente di togliere come esempi le specie di generi ancora viventi, perchè si possano iniziare ricerche più complete ed a controllo delle presenti, studiando le fasi di svi- luppo dello scheletro rispetto a quello delle parti molli dei poli- pieriti delle specie meandriniformi. Nelle figure schematiche ho rappresentato lo scheletro con le tre sole parti sostanziali, cioè : la teca o muraglia (T), i setti o lamelle (S) e la columella (C). Tutte le altre parti anato- miche scheletriche sia eso che endotecali sono di molto minore 150 DE ANGELIS D’OSSAT importanza, in quanto spesso difettano ed alcune solo raramente prendono parte nella costituzione dello scheletro. Questo avviso è comune a tutti quelli che si occuparono dello studio di questa branca zoologica. I. ° Stadio. — Prendo a considerare lo scheletro di quattro individui con le loro parti essenziali, cioè: teca, setti e colu- mella. Essi sono completamente liberi, semplici e costituiscono, con le parti molli, altrettanti individui distinti, come nelle Turbi- nolidae simplices (Duncan) o come nelle Astraeidae simplices, cui corrispondono come esempi i generi : Turbinolia e Montliva- ultia, ecc. II. 0 — Gl’individui si dispongono parallelamente, si avvici- nano più o meno, possono riunirsi talvolta lassamente per un epitecio che però presto cade. Non vi hanno rapporti che ledano menomamente le individualità distinte. Da questa condizione di cose possono derivare parecchie utilità all’assieme della colonia: ma non vi hanno caratteri che velino la più schietta individua- lità. Esempi di queste modalità si possono raccogliere a bizeffe, sia nelle stesse Turbinolidae gemmantes, come nelle Astraeidae caespitosae. Come per il primo stadio avevamo le Monastrées , così in questo abbiamo le Disastrées (de Fromentel). Si può considerare una colonia di Disastrées come formata da Mona- strées riunite per la base. li l’intervento dei diversi modi di riproduzione che originano le Disastrées, cioè la fissiparità e la gemmazione. Col primo modo abbiamo le colonie fascicolate dei generi: Calamophyllia, lihabdophyllia, ecc.; con la gemmazione assistiamo a varie modalità che riscontriamo nei generi e nelle tipiche specie: Eridophyllum strictum E. H ('); Disphyllum paracida E. H (2), Enallohelia, ecc. Qualche funzione fisiologica che può tornare di vantaggio a tutta la colonia non toglie l’individualità degli individui, come avviene anche nei casi di parassitismo. III. ° — Quivi permangono gli scopi dell’associazione e co- minciano a trovarsi fra lo scheletro dei diversi individui dei rapporti reali anatomici. La maggior fusione degli individui è (') Milne Edwards cd Haiine, Poi. foss. pai., tav. Vili, fig. 7. (•) Milne Edivards ed Haiine, Brìi. foss. Corals , tav. XXXVII, fig. 1. IL CONCETTO DI INDIVIDUO NEI ZOANTARI FOSSILI 151 I. IL III. IV. V. VI. Quattro individui, isolati, distinti, completi. Parti anatomiche: I°Teca, II0 Setti, III0 Columella. Esempi fra le Astraeidae simplices. I polipieriti si uniscono per la base ma rimangono distinti. Es. fra le Astraeidae gemmantes e caespitosae. I calici dei polipieriti si aprono nei punti di con- tatto. Qualche setto diviene comune a due individui. Es. Specie dei gen. Thecosmilia, Confusastraea, ecc. Esagerazione dei rapporti dello stadio precedente. 4. La teca perde le tracce d’individualità (1° elemento anatomico essenziale). Le columelle fissano gl’indi - vidui. Es. Oroseris? sul caia d’Ach. I setti, divenendo sempre più paralleli, nascondono quasi l’individualizzazione, che le columelle testi- moniano vagamente. Es. Dendrogyra Kóbyi de Ang. r7' rf T/‘T7TrP'^ ^ se^ non ’n(Iividualizzano più (II0 elemento anat. VII. j— . -L LL diff.). Le columelle sono lamellari e corrispondenti a tre setti principali. Es. D. radiata Mich. Yjtt Le columelle cominciano a riunirsi irregolarmente. ' 1JJJ,1, IJJ.il, 1,1, 1.1. Es. D. Dumortieri From. nmrrrmnf La columella (III0 elem. anat. diff.) diviene comune. x ' LÌ. Lt. ì.l.l, LI, 7,1. LI A Es. Specie dei gen. liliipidogyra, Pachygyra, ecc. „ rrrnTTJTTTTTT La columella é rudimentale. Es. Dendrogyra Salis • ' r.r,ÌAlJdA.(,T.O,n Sburgensis From. La columella scompare. I setti portano chiare ap- XL I, l.iJ.l, 1.1.1, 1 ,1,1, b/J. pendici. Es. Stenogyra sinuosa Felix. rrrrrTTTTmTr Solo alcuni setti, e non costantemente, portano pic- eli- cole appendici. Es. Dendrogyra sinuosa Ogilvie. ^TTTTTTTTTTTTT Scompare qualsiasi accenno alla columella. Esempi XIII’ I.I.), 1.1. l.l l.l.l.J.l.i^i. numerosissimi fra i generi meandriniformi. 152 DE ANGELIS D’OSSAT indicata dalla rottura della teca e dalla comunanza di alcuni setti che si trovano là ove avvenne la rottura; tuttavia gl’in- dividui nello scheletro si riconoscono molto chiaramente. Anche di questo stadio si possono addurre esempi numerosi, cito : Plnjl- lastraea forojulensis d’Ach. (sp.) ; e molte specie dei generi: The- cosmilia, Stibastraea, Confusastraea, ecc. ecc. S’intende che io noto lo stadio senza preoccuparmi presentemente del modo da cui deriva. IV. 0 — Indica solo una esagerazione dello stadio precedente, sia per la più larga rottura della teca che per il maggior nu- mero dei setti comuni; la direzione di questi verso il centro calicinale fanno ben riconoscere le parti scheletriche che corri- spondono ài diversi individui. I generi, or ora nominati, rac- chiudono forme che rispecchiano tale condizione di cose ; ad essi però se ne può aggiungere qualche altro, come: Chorisa- straea, Isastraea, ecc. V. ° — Interviene un nuovo fatto: la teca diviene comune e non fa riconoscere le diverse parti che spettano agli individui singoli. Abbiamo perduto uno dei tre organi che essenzialmente concorrevano alla formazione dello scheletro isolato ; anche i setti stanno per perdere questa proprietà, ciò che è cominciato ad avverarsi nello stadio III.0 Solo la columella ci fissa il cen- tro dei quattro polipieriti. Come tipi di questa modalità si pos- sono addurre tutte le Syrrastrées (de Fromentel) a centri cali- cinali distinti, con columella. Per il caso presente si possono pure ricordare i generi con calice distinto e senza columella; piacemi menzionare a questo proposito la Oroseris (?) silicata d’Ach. (Cor. Giur., pag. 26, tav. XVII, fig. 13). Da questo stadio in poi gli esempi generalmente cominciano a divenire rari. VI. 0 — I setti non fanno più riconoscere i diverei polipie- riti, come è già avvenuto della teca. Uno o più setti comuni si allineano con le columelle, facendo loro perdere il carattere isolato, riunendole. Tuttavia si riconoscono quasi sempre le co- lumelle che stanno ancora, ma già un poco vagamente, a testi- moniare il numero degli individui. Sono, come abbiamo detto, i setti comuni quelli che riuni- scono le columelle o sono espansioni delle columelle che ten- dono a fondersi? Non mi ha permesso rispondere alla domanda IL CONCETTO DI INDIVIDUO NEI ZOANTARI FOSSILI 155 lo stato di fossilizzazione dell’unica specie che conosco di questo tipo: la riconobbi nel calcare dell’isola di Capri ed è nuova (ms.\ Dendrogyra Kóbyi de Ang. La risoluzione del dubbio può fare posporre questo allo stadio seguente. VII.0 — La perdita completa e sicura della distinzione del- l’individuo data dai setti caratterizza questa fase. Il compito della dilferenzazione è riserbato alla columella sola, la quale è inter- rotta, e con estensione corrispondente a tre setti principali. Vedasi la Dendrogyra radiata Micb. sp. (de Fromentel e Ferry, Paléont.. frang. Crdt., pag. 438, tav. 101; tav. 108, fig. 4). Vili.0 — Cominciano i frammenti columellari a riunirsi, ma irregolarmente ; si direbbe che solo alcuni polipieriti hanno avuto la forza di mantenere isolata la propria columella. Ciò si ri- scontra specialmente nella Dendrogyra Dumortieri From. e Ferry (l. c., pag. 439, tav. 99, fig. 2). IX. 0 — Si perde anche l’incerta distinzione della columella essa diviene continua ed eguale. Tramonta cosi pure il terzo organo che serviva alla dilferenzazione degli individui. Ciò ve- rificasi allo stato adulto ; probabilmente seguendo le fasi di svi- luppo si potranno ancora tenere separati i centri columellari di origine corrispondenti ai singoli individui. Tale ricerca mi ha però dato finora risultato negativo. Fra le serie calicinali libere posso ricordare il geu. Bhipidogyra e per le serie riunite men- ziono solo il gen. Pachygyra: a questi due generi si potrebbero aggiungere altri del gruppo delle Eugyrinae. X. ° — La columella lamellare comune perde d’importanza, dacché diviene rudimentale. Notevole però è il fatto che tale riduzione non avviene sempre nelle colonie della stessa specie- Es. Dendrogyra Salissburgensis Fromentel (E. H. sp.) (Felix, Die Anthozoen Gosau Sch. Ostalpen, pag. 306, tav. XXII, fig. 14 e fig. in testo). XI. 0 — La columella scompare del tutto: quasi a sostituirla ed a segnare vagamente i limiti degli scheletri individuali, in qualche esemplare di alcune specie, i setti più forti portano- appendici lungo la valle calicinale, in modo che il setto assume la sezione paragonabile ad un T. Es. Stenogyra smuosa Felix (l. c., pag. 307, tav. XXI, fig. 9-11 ; tav. XXII, fig. lo). 154 DE ANGELIS D’OSSAT XII. 0 — Iu alcune specie del gen. Dendrogyra , come nella B. sinuosa Ogilvie ( Kor . Stramberg pag. 126, tav. XVI, fig. 3 e 4), talvolta si riconosce una larva di columella, costituita dalle estre- mità dei setti che corrono lungo la valle calicinale. XIII. 0 — Con la scomparsa assoluta della columella e di qualsiasi organo che tenti rappresentarla, viene a mancare un mezzo di distinzione degli individui. Ciò dimostra che la colu- mella non è neppure necessaria; ciò che avremmo potuto pre- vedere per il numero veramente grande dei generi che non la presentano. Anche la teca può mancare e per quest’organo fissiamo le seguenti modalità principali: 1. ° È risaputo che quasi tutti i Tetracoralla e molte fa- miglie e generi degli Hexaeoralla hanno la teca molto spessa. 2. ° Molti generi invece la presentano sottilissima. 3. ° Una sezione intera poi ha la teca perforata, donde il nome di Perforata. Dalla teca sottile e dalla perforata tro- viamo esempi evidenti nello stesso genere, cito: Tridacophyllia, Coeloria, ecc.; in quest’ultimo può essere pure cellulosa. 4. ° Finalmente può mancare affatto come nei generi : Ana- li ac ia, Genabacia , Cìausastraea, ecc.; nei quali, notisi, manca pure la columella. Ecco adunque che pure la teca non è costante ; rimangono così solo i setti ; i quali però, come abbiamo detto, velano in alcuni casi assolutamente le tracce della individualizzazione dello scheletro dei polipieriti. Taccio le numerosissime modificazioni che si riscontrano nei setti, come non si espongono i modi con cui si originano e si accrescono questi organi; ciò che è conosciuto per gli studi di una schiera di valorosi scienziati. I setti risultano di una lamina compatta o perforata o trabecolare: il loro bordo presenta moltis- sime ed interessanti modificazioni; la loro superficie è variamente ornata; il loro sviluppo è molto ineguale; diversa è la loro dispo- sizione (A. Zaphrcntidae ; li. Amphiastraeidae ; C. Stylinidae; I). Turbinolidae, Fungidae e Astraeidae). Persino il rapporto dei setti con la teca possono cambiare, come ho osservato nei generi Amphiastraea ed Aulastraea. 155 IL CONCETTO DI INDIVIDUO NEI ZOANTARI FOSSILI Lo sviluppo degli stessi setti presenta delle profonde varia- zioni pur nello stesso gruppo delle Aporosa; in molti generi i polipieriti contano pochi, robusti e lunghi setti ; in altri essi non raggiungono il centro calicinale, in pochi infine rimangono vicini alla teca. Nel gen. Cyathophora i setti, in alcune specie, sono rappresentati da sottili strie longitudinali che scendono lungo le pareti interne della teca. La riduzione dei setti si riscontra soventi nelle Tabulata, Tubolata e Rugosa. Adunque solo i setti non scompaiono del tutto in questa ‘ branca zoologica; ma devesi però avvertire che la presenza dei setti costituisce il precipuo carattere anatomico di questo gruppo di animali. Rivolgendo invece l’osservazione agli esseri che occupano un posto molto vicino ai Zoantari nella classificazione, ritenuta presentemente più naturale, si trovano specie, generi e famiglie in cui non si riscontrano i setti. Del resto è nota la sostituzione reciproca dei tavolati con i setti. •t’ * * Dalle precedenti considerazioni legittimamente risulta che lo scheletro dei Zoantari, quantunque, - per le svariatissime mo- dalità che offre, - permetta molte ed interessanti osservazioni sotto il punto di vista della individualizzazione ; pure, - a causa delle specie meandriniformi che celano le parti individuali ed a motivo dell’incostante presenza degli organi essenziali, - non potrà mai rivelare l’essenza dell’ individuo , per quanto a molti sia sembrato questo studio capace di spargere molta luce sul tenebroso argomento. Tale logica, ma inaspettata conclusione suggerisce una via indiretta che sicuramente condurrà, se non allo scoprimento della natura intrinseca dell’individuo, almeno a racchiudere la materia donde dovrebbe spicciare il concetto ricercato in un ambito molto più ristretto. Sarà allora facile strappare genialmente o l’essenza desiderata o la dimostrazione positiva dell’impossibilità di rag- giungerla. In qualunque modo la scienza avrà sortito il suo scopo. Il metodo da seguirsi sarà quello dell’esclusione degli or- gani e delle funzioni da essi dipendenti, i quali non potranno sicuramente riuscire utili alla ricerca dell’essenza dell’individuo. 1E6 DE ANGELIS D’OSSAT A questa categoria appartengono gli organi e le funzioni che na- scondono le distinzioni individuali e che sono incostantemente pre- senti. Tale esame e vagliatura naturalmente dovrà essere eseguita partitamente per ciascuna branca naturale del campo biologica e ripetuta per ogni singolo organo e funzione. In molti casi l’indagine non sarà nè difficile e nè lunga ; mentre che grande ne sarà l’utilità; dacché il problema sarà semplificato, perchè i dati si dovranno rintracciare in una cerchia immensamente più ristretta. D’altra parte si acquisterà la certezza che gli studi sopra molti organi e funzioni, per i quali ora si nutrono le migliori speranze, saranno addirittura da ripudiarsi. L’applicazione del metodo che propongo frutterà un largo e profondo contributo di considerazioni di cui si avvantaggeranno soprattutto gli studi sistematici. Invero la vagliatura degli organi e delle funzioni condurrà all’apprezzamento del loro valore reale ; per modo che a seconda della rispettiva importanza potranno essere adibiti come caratteri diagnostici dei diversi elementi tas- sonomici. Così la Zoologia e la Botanica come la Paleozoologia e la Paleofitologia potranno incamminarsi più sicuramente sulla via delle classificazioni più naturali, abbandonando molte di quelle presentemente adottate, le quali, - rispetto alla presente evoluzione degli studi anatomici, fisiologici e bionomici, - risen- tono troppo di empirismo e persino di soggettivismo. Dai lavori anatomici e fisiologici pubblicati, facilmente si potrebbero raccogliere preziosi dati ; maggior messe potrebbesi ricavare dai futuri studi se gli autori terranno presente anche l’altissimo obbiettivo della selezione di cui si è parlato. * * * Non riesco a celare il mio personale convincimento intorno al concetto d 'individuo in biologia. Comunemente ed originariamente in biologia tale concetto racchiudeva la separazione anatomica, l’indipendenza fisiologica e l’indivisibilità di un organismo vivo. Quando le nuove ricerche fecero conoscere le associazioni animali e vegetali di diverso grado, allora il chiaro c ben determinato concetto cominciò ad ottenebrarsi e nacque la necessità di assumere nuovi caratteri IL CONCETTO DI INDIVIDUO NEI ZOANTARI FOSSILI 157 per la distinzione dell’individuo. In questa, chi concesse valore sufficiente a determinati caratteri e chi attribuì ad altri tale capacità ; ne risultarono grandi incertezze, numerosi dispareri, interminabili discussioni, svariatissime teorie; cose che rintesero sostanzialmente dell’empirismo delle teorie contemporanee do- minanti nel campo biologico e del soggettivismo derivante dalla diversa coltura degli studiosi. Tale procedimento storico e la massima del Vico sul campo possibile dello scibile umano fanno sbocciare spontaneamente la domanda: Si vuole rintracciare un principio insito nella biologia o l’uomo vuole costringere questa a presentargli ciò che a priori e forse erroneamente ha congetturato? Con tutta probabilità la natura anche in questo caso non facit saltus; essa non si è costretta in limiti determinati ed invece vuol presentare una serie ordinata, quasi impercettibil- mente graduale, e non interrotta, la quale partendo dalla più tipica individualità distinta arriva alla più completa associazione. Non sarebbe questa la prima volta in cui gli scienziati vogliono separare ciò che la natura ha indissolubilmente unito. Molte proprietà naturali che si ritenevano contrarie ed op- poste furono poi riconosciute come gli estremi della stessa pro- prietà. Si possiedono dell’ima e dell’altra proprietà le nozioni esatte; ma queste non hanno in natura la corrispondenza ob- biettiva reale, perfetta e completa ; rimangono così concetti astratti applicati in natura come leggi limiti. Similmente, per analogia, potrà accadere alla individualità assoluta ed a quella collettiva. Se la mia ipotesi fosse vera, rimarrebbe dimostrata l’impossi- bilità di formulare una esatta, completa, chiara e semplice defi- nizione deXV individuo, nella quale sia contenuta determinata- mente e non nominalmente l’essenza sua. [ms. pres. il 10 marzo 1905 - ult. bozze 8 aprile 1905]. DI ALCUNI BRIOZOARI EOCENICI DI VILLATORTÀ (SPAGNA) Nota del prof. Antonio Neviani Il dott. G. De Angelis d’Ossat mi comunicò gentilmente, per lo studio, alcuni briozoari dell’eocene medio di Villatorta (Spagna), fornendomi all’uopo le seguenti indicazioni: « I briozoi fossili furono raccolti dall’ instancabile raccogli- » tore e profondo geologo J. Almera di Barcelona, il quale ha » minutamente notomizzato la geologia della sua provincia. I » fossili furono trovati alla base del colle di S. Julian di Vil- » latorta presso la città di Vidi (l’antica Ausona , o Vìcus » ausonensis ) a circa km. 60 a Nord di Barcelona. Gli strati » marnosi a briozoi riposano sopra quelli che contengono la » Nummulites perforata, e sono attribuiti dall’Almera all’Eocene » medio. » S. Julian de Vilatorta figura in una sezione geologica » redatta dal Maureta e dal Thos Codina ('); ma secondo questi » autori la roccia — che riposerebbe concordantemente sopra il » cretacico superiore lacustre — dovrebbe riferirsi all’Eocene » inferiore ». I pezzi di roccia contengono numerosi frammenti di colonie di briozoari a tipo escharoide bilaminato, in generale poco conservati, e colle frontali per lo più cosi impegnate nella roccia, C) Maureta José y Thos Codina Silvino, Descripcion fìsica, geolo- gica y minerà de la Provincia de Barcelona. Meni, de la Comision del Mapa Geologico de Espafia. Madrid, 1881, pag. 308, fig. 15 e carta geologica. BRIOZOARI EOCENICI DI VILLATORTA 159* che è assai difficile rilevarne i caratteri, mentre col frantumarsi della roccia le colonie si aprono molto facilmente lungo la su- perficie dorsale delle due serie zoeciali ; però qua e là si pos- sono osservare aree sufficientemente estese, con frontali libere atte a farne una buona osservazione. Escluse le forme molto dubbie, ho potuto tener conto solo- di sei specie; e tal numero potrebbe invero sembrare troppo piccola cosa per argomento ad una nota ; ma ognuno sa come, in generale, sieno rari i briozoi nei terreni eocenici di estesis- sime regioni, cosicché ogni più piccolo contributo alla loro co- noscenza ha sempre un certo valore. ? Scliizoporella magnoincisa Greg. Una piccola colonia, con alquanti zoeci non ben conservati mi sembra si possa riferire alla predetta specie del Gregory proveniente dall’argilla di Londra (Ypresiana) e descritta nella memoria: On thè British Balaeogenc Bryozoa (Trans, zoolog. Soc. of Londra, voi. XIII, 1893), pag. 240, tav. XXX, fig. 10. Nell’esemplare esaminato si travede il peristoma elevato spe- cialmente nella parte prossimale, ma non ho potuto osservare i piccoli avicolari descritti dal Gregory. Hippoporina efr. clavula Manz. sp. Solamente alla citata specie del Manzoni posso ravvicinare alcune colonie escharoidi non troppo conservate. La Lcpralia clavula venne trovata dal Manzoni nel miocene medio della Collina di Torino ( Bryozoi foss. ital., 3a contr.r 1869, pag. 937, tav. II, fig. 9), e successivamente dal Reuss nelle formazioni mioceniche di Lapugy (Boss. Bry. oest.-ung.. mioc ., 1874, pag. 161, tav. Vili, fig. 1). Il Waters la indicò pure nelle formazioni terziarie di Waipukurau nella Nuova Zelanda (Bry. frovn New Zealand, 1887, pag. 65), esse pure considerate per mioceniche. 160 A. NEVIANI Lepralia Alinerai n. sp. (Fig. 1). Zoario escharoide con zoeci subfusiformi, allungati, disposti -a quincoucie. Ciascun zoecio si rialza alquanto nella regione deH’orificio che è subellittico longi- tudinalmente. Non posso dare i ca- ratteri morfologici della frontale, perchè gli esemplari da me osser- vati sono rappresentati da modelli interni ; ma la levigatezza perfetta della superficie dimostra ad evi- denza che nella frontale mancano origelli, fenestrule, avicolari od al- tre aperture; solamente il peristoma si mostra alquanto irregolare e forse vi si potrebbe trovare un piccolo avicolario come in Lepralia l ori- ti ncnsis Wat. ( Nortli-Ital . bry. 1° parte, tav. Ili, fig. 5); nel qual caso la mia specie apparterrebbe al genere Lorella. La forma slanciata dei zoeci e la levigatezza della parete interna della frontale mi affidano sul riferimento da me fatto di. queste colonie ad una nuova specie. Non ho osservato traccia di ovieelli. Medie dimensioni di tre zoeci: zoecio : lunghezza massima . . . mm. 0.832 larghezza » ... » 0,241 orificio: lunghezza massima . . . mm. 0,189 larghezza » ... » 0,128 Per le ragioni sopraesposte ho riportata la specie al vecchio genere Lepralia , non avendo caratteri precisi per riportarla ad alcuno dei nuovi generi, nei quali in questi ultimi tempi esso si venne dividendo. BRIOZOARI EOCENICI DI VILLATORTA 161 Smittia regularis Rss. sp. ( Eschara regularis Rss. — Septaricnthoncs 1866, pag. 69, •iav. VI, fig. 13). Zoario escharoide, con zoeci a quinconcie. L’orifìcio sufiret- tangolare ha il margine distale alquanto arrotondato; quello prossimale è sporgente e fornito di un piccolo avicellario. Il peristoina è rilevato a forma di cordoncino, uniforme in lar- ghezza ed evanescente in fuori. La frontale subrugolosa è spesso molto ristretta nella metà prossimale, e fornita di larghi ori- .gelli marginali, i quali ben raramente circondano il zoecio al di sopra dell’orificio. Oltre alla figura data per la prima volta dal Reuss, si veggano: Manzoni, Br. Au.-Ungh ., 2a p., tav. VI, fig. 23 (E. regu- . laris ), e Manzoni, Br. foss. it. 4n contr ., tav. IV, fig. 23 (E. Hel- ler i), di terreni miocenici. Molte affinità si osservano con la TJmbonula barlonense Gre gory : Brìi. Balaeog. Bryos., pag. 248, tav. XXXL fig. 4; ed Eschara prominens Gottardi : Br. Moni. Magg., pag. 12, fav. XIV, fig. 4 ; ambedue di terreni eocenici superiori. Smittia [Mucronelia] De Angelisii n. sp. (Fig. 2). Zoario escharoide, con zoeci a quinconcie ovato-allungati, «o sub rettangolari, spesso contorti per adattamento alla super- fìcie di adesione. L’orificio è semi- circolare a margine distale sem- plice, e prossimale rilevato a mu- crone rotondeggiante, sporgente in avanti. La frontale rugosa porta pochi origelli discretamente grandi ed irregolari, distribuiti in una sola serie marginale. Ai lati dell’orificio sporgono quasi sempre due grandi avicolari, a mandibola acuta, rivolta in alto, e con i loro assi di simmetria convergenti verso bovi- li 162 A. NEVIANI cello, come in alcune varietà di Eschara monilifera M. Edw- (Mac. Grill. : Tert. poi. Victoria, tav. XIV, fig. 28). L’ovicello subrettangolare ad angoli rotondeggianti lia una frontale a su- perficie appena rilevata nel mezzo con origelli laterali simili a quelli del zoecio ; due larghe depressioni, a contorno irregolare,, sono simmetricamente disposte in prossimità del margine distale- Medie dimensioni di tre zoeci : zoecio: lunghezza massima . . . nini. 0,526 larghezza » ... » 0,226 orificio: lunghezza massima . . . » 0,064 larghezza » ... » 0,100 acicolari : 1 u nghezza massima . . . » 0,121 larghezza » ... » 0,055 ovicello: lunghezza massima . . . » 0,166 larghezza » ... » 0,155 Se la forma e struttura molto semplice della frontale quella di alcune comuni mucronelle, come Lcpralia porrigens Reuss ( Scptarientones , toni. VII, fase. 15), Lcpralia scrrulata Heuss (Br. mioc. Ausfr.- Ungh., toni. II, fase. 2), Lcpralia Reussiana Busk (Manzoni : Castrocaro , toni. IV, fase. 53), ecc.r la forma e struttura dell’ovicello distingue nettamente questa nuova specie che dedico all’amico carissimo prof. Gioacchino- De Angelis d’Ossat, ed al quale esprimo i miei ringraziamenti per avermi fornito l’argomento di questa breve nota. Porella eocoena n. sp. (Fig. 3). Zoario escharoide con zoeci a quinconcie subellittici. L’ori- ficio è trasversalmente ellittico, con margine un poco rilevato, qualche volta ingrossato nella porzione distale per contenere un piccolo avicolario rotondeggiante. Nei zoeci fertili l’orificio ha la medesima forma, ma con maggiori dimensioni, c non si os- 163 BRIOZOARI EOCENICI DI VILLATORTA serva mai l’avicellario suddetto. L’ovicello è stretto nel senso del diametro antero-posteriore, assumendo quasi la forma di luna falcata trasversalmente disposta. La frontale legger- mente rugosa non è molto ri- levata, ed è circondata da una sola serie di origelli ; egual- mente dicasi deH’ovicello. Un cordoncino calcareo alquanto rilevato separa zoecio da zoe- cio; da ambo i lati di tale rilievo partono delle bandel- lette o sbarrette di rinforzo che svaniscono presto sulla frontale e separano origello da origello. Medie dimensioni di cinque zoeci : zoeci : lunghezza massima . . . mm. 0,574 larghezza » . . » 0,356 orificio dei zoeci sterili: lunghezza massima . . . » 0,119 larghezza » . . » 0,179 orificio dei zoeci fertili: lunghezza massima . . . » 0,136 larghezza » . . » 0,239 ovicclli : lunghezza massima . ...» 0,168 larghezza » . . » 0,283 Nel complesso questo briozoario somiglia a molte specie delle comuni lepralie ; ma i caratteri che lo riferiscono al genere Porella sono sufficienti a differenziarlo come nuova specie. [ms. pres. il 31 gennaio 1905 - ult. bozze 8 aprile 1905]. CAPSULINA LOCULICIDA SEG. (PEDICELLARIA FOSSILE, PRETESO FORAMINIFERO> Nota del prof. Antonio Neviani Il prof. Giuseppe Seguenza nel suo magistrale lavoro: Le formazioni terziarie nella Provincia eli Reggio (Calabria) () a pag. 375 descrive un nuovo genere e una nuova specie di fora- minifero proveniente dalle sabbie postplioceniche (saariano infe- riore) di Carrubare, come rilevasi dalla spiegazione della tav. XVII, fig. 59; e che denomina Capsulina loculicida n. gen. e n. sp. Del gen. Capsulina l’A. dà la seguente descrizione : « Con- » chiglia elongata, costituita dall’associazione di tre ordini di » logge, disposte parallelamente attorno un asse comune. Alla » regione superiore sono tre aperture, che alternano con tre fen- » diture, le quali si estendono sulla lunghezza della conchiglia » bipartendo tutte le logge. Il nuovo genere che io descrivo per » la disposizione delle logge somiglia alle Textularia e generi » affini, ma i particolari della sua costituzione lo rendono distin- » tissimo ». I caratteri della specie (C. loculicida) poi sono così esposti: « Conchiglia di forma obovato-cuneata, elargata anteriormente, » ed alquanto prominente all’estremità, a sezione circolare alla » regione anteriore e distintamente trigona verso l’estremo poste- » riore. Le pareti sono fortemente perforate. Le tre aperture sono- » triangolari e marginate. Le fenditure longitudinali sono ben. » manifeste e sinuose sopratutto posteriormente. Ciascuna serie » di logge è costituita da tre di cui la superiore è molto pic- » cola relativamente alle altre; i tramezzi che separano le tre (') R. Acc. d. Lincei, serie 3a, voi. VI. Roma, 1879. 166 A. NEVIANI » serie sono spessi e disposti in direzione delle aperture, esse » si manifestano esternamente per una linea impressa ed alter- » nano colle tre fenditure, che perciò dividono le logge in due » parti esattamente eguali. Lunghezza min. 0,8, diametro nini, 0,5 ». La specie, come ho detto, è figurata alla tav. XVII, al n. 59 con 4 figure coll’ingrandimento di 22 diametri. La fig. 59 rap- presenta l’esemplare di fianco, avente di fronte una fenditura; la 59 a rappresenta « un segmento che forma un terzo della con- chiglia e mostra le interne cavità e sepimenti » ; la 59 h rap- presenta la prima veduta « dall’estremo anteriore che porta le aperture»; la fig. 59 c è la medesima veduta dall’estremo op- posto. Dichiaro che da molti anni dubitai sull’esatto riferimento dell’organismo in parola; in altri termini ho sempre dubitato che si trattasse realmente di un foraminifero ; ma la mancanza di materiale per confronto mi impedì di occuparmi di tale que- stione. Avendo ora alla mano molta sabbia proveniente dalle for- mazioni postplioceniche di Camibare; sabbia ricchissima di mi- croorganismi, una parte dei quali ho recentemente studiati (') ed altri vado separando e determinando, scuoprendo ogni giorno qualche cosa degna di essere conosciuta dagli studiosi, mi venne dato di trovare qualche esemplare riferibile alla Capsulina lo- culicida Seg. Gli esemplari non fecero che confermare il dubbio da molto tempo avuto in seguito alla sola lettura della descri- zione ed all’esame delle figure; ma rimasi per qualche tempo ancora incerto a quale organismo riferirli. Noto che gli esemplari da me rinvenuti rappresentano solo valve separate, mentre sembra che al Seguenza ne sia venuto sott’occhio uno con le tre valve riunite. Una delle valve ora esaminate mi ha risolto l’enigma; c posso con ogni sicurezza pubblicare che Capsulina loculicida Sey. deve togliersi dal novero dei foraminiferi non solo, ma che tal (■) Briozoi fossili di Carrubare (Calabria). Boll. Soc.. Geol. Ital., voi. XXI II, Roma, 1004; Spicole di tetractinellidi rinvenute nelle sabbie postplioceniche di Carrubare (Calabria). Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIV, Roma, 1905. CAPSULINA LOCULICIDA SEG. 167 nome non può in alcun modo avere valore generico e specifico, perchè non trattasi di un organismo intiero, ma di parte di un •01 g ani sino e precisamente di una pediccllaria eli echi no de mici. A maggiore delucidazione unisco un disegno preso alla ca- mera lucida con quattro diverse prospettive dell’esemplare più •conservato in mio possesso; aggiungo per confronto le figure 1. Capsulina loculicida Seg. veduta di fianco (da Seguenza). ‘2- » » valva veduta internamente (da Seguenza). 3. » » veduta dall’alto (da Seguenza). -4. » » veduta di sotto (da Seguenza). 6. Strongylocentrotus ? sp. valva veduta esternamente (originale). 6. » » la stessa veduta internamente (originale). '7. » » la stessa veduta di profilo (originale). » » la stessa veduta di sotto (originale). 3. Strongylocentrotus draebachiensis valva veduta internamente (da Mor tesen). date dal Seguenza, e la veduta interna di una branca della pedicellaria del Strongylocentrotus draebachiensis tolta dalla .Zoologie concrete del Delage et Herouard, voi. Ili, pag. 245, fig. 319. Non è però cosa facile dire con sicurezza a quale genere •queste pedicellarie vadano riferite, ed a quale specie; ho troppo poco materiale vivente per confronto, non dico fossile, perchè nessuno in Italia trovò e descrisse pedicellarie fossili; e la dif- ficoltà è tanto maggiore in quanto che uno stesso individuo può avere pedicellarie di quattro diverse forme. 168 A. NEVIANI Ail ogni modo escludo le pedicellarie degli asteroidi. Fra f generi di ecliinoidi parmi si possano fare ravvicinamenti con il Strongylocentrotus, della famiglia Echinometridae, come pu) Sacco F., Note di Puleoicnologia italiana , Atti Soc. it. Se. Nat., ■voi. XXXI, fase. 2, 1888, pag. 171. 172 G. CAPEDER che si introduce nella sabbia; potremo in siffatto modo eliminare più o meno totalmente l’acqua onde variare le condizioni di esperimento. Dopo aver tolta tutta l’acqua col sifone, se si scuote leg- germente il recipiente, i granelli di sabbia si assestano più vicini e compatti, per cui si libera quell’acqua che ne occupava gli interstizi. Questa sarà sufficiente per staccare lo strato di fango- finissimo dalla sabbia e per concedere ai Gordius un’ottima di- mora, per cui essi non tardano di scomparire nello spessore dello strato. Non potendo però affondare come avverrebbe se si trattasse- di solo fango per la resistenza opposta dalla sabbia, serpeggiano' su questa superficie in mille modi e vi strisciano percorrendo delle curve e determinando il proprio rilievo sulla superficie dello strato di fango. Frattanto poggiando sulla sabbia e facendo leva col proprio corpo onde serpeggiare, produrranno l’accumu- larsi di granelli in rilievi ondulati clic evidentemente determi- neranno corrispondente risalto sul velo di fango. Quando il verme se ne sarà ito, rimarrà il rilievo che non si distrugge neppure quando tutta l’acqua si toglie dalla sabbia e questa dissecca, ma anzi esso risalta maggiormente adattandosi il velo di fango precisamente su di essa. Questi rilievi sono abbastanza regolari per spessore ed altezza perchè dovuti allo spostarsi di granelli di sabbia nel seno di un velo liquido, per cui si hanno condi- zioni di stabilità tali da darci completa spiegazione della roton- dità di dette sporgenze, simili a molte Helminthopsis. Esse avranno evidentemente le più variabilissime apparenze, ed io ho voluto colla fotografia trarre le più caratteristiche. La. fig. 1 della tavola VII rappresenta i lavori eseguiti, nelle condi- zioni di cui sopra, da un Gordius adulto <$> della lunghezza di 40 cm. e del diametro di mm. 0,8, ridotti nelle proporzioni di V3 per poter presentare su piccola superficie l’ insieme di molti rilievi meandriformi. Osservando la fig. 1, non è difficile di rilevarvi in C rilievi ad Helminthopsis simili alla H. ìnby - rinthica Hecr, ed il passaggio evidente alle Taphrhelminthopsis in A, alle Helminthoida in D, alle Urohelminthoida in B ed ai Cylindrites. Caratteristici sopratutto i rilievi B, B, per essere formati da due funicoli subparalleli a decorso sinuoso, i quali hanno una. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 173 specie di prolungamento a coda, che partendo da mi funicolo tende all’altro e vi si porta vicino senza però confondersi. Ho potuto verificare che detta particolarità si deve al moto serpen- tino speciale del corpo dei Gordius nell’atto dello strisciare. La somiglianza di questi rilievi colle Helminthopsis pare non consista solamente nella forma e nelle dimensioni, ma anche nell’aspetto del materiale di cui sono costituiti. Osservando la fig. 10, tav. II, della Nota di Paleoicnologia Italiana del prof. Sacco, ove sono in fototipia alcune curve dell’ tìelmin- thopsis antiqua Sacco, come pure la fig. 11 che rappresenta VHehn. lijeroglyphyca Heer, risalta il diverso materiale e più grossolano di cui è costituita la lastra a paragone di quello finissimo e sottile che ne forma la superficie, e che or qua or là, si trova asportato e lascia scorgere gli strati sottoposti. Sarebbe con ciò realmente puerile il voler ammettere che le Helminthopsis si debbano al lavoro dei Gordius e sempre nelle condizioni sopra esposte, ma panni dimostrato a sufficienza che senza andare a cercare ipotesi complicate o fantasiose, sia più naturale ammettere che esse si debbano al passaggio di vermi, forse non dissimili dai nostri Gordrius, forse anche di forme ma- rine, ma certamente viventi a piccola profondità. Taphrhelminthopsis ( Bhahdoglyphen ? Fuchs). Genere istituito dal prof. Sacco per rilievi costituiti da due funicoli più o meno girosi, paralleli, fra i quali lo spazio o solco mediano forma un canale il cui fondo è più basso della super- ficie della lastra su cui trovasi l impronta. Di questo genere se ne conoscono cinque specie : la Th. pedemontana Sacco, Vexpansa Sacco, la recta Sacco, del miocene ; 1 ' auricularis Sacco, dell’eo- ccne e la magna Heer, del giura. In quanto all’origine, il prof. Sacco è in dubbio se riferirle a traccio lasciate da alghe sifonee o non piuttosto a solchi for- mati da certi molluschi od altri animali affini, nello strisciare su fondo melmoso-sabbioso. Ho già detto, a proposito delle considerazioni sulle Helmin- thopsis, che i Gordius lasciano soventi traccie molto simili alle Taphrhelminthopsis ed ho indicato la fig. 1, A. Simili impronte 174 G. CAPEDER sono qualche volta pare formate dai Gordii e dai Mermis in altre condizioni (fig. 3, A; fig. 6, A), ma specialmente sona sempre lasciate nello strisciare, da parecchi venni oligocheti. Infatti la disposizione della muscolatura sottocutanea dei Ne- matelminti, formata di sole libre longitudinali, non concede clic movimenti serpentiformi a questi vermi e la mancanza di mu- scoli annulari non concede la minima variazione di diametro del loro corpo. La fig. 11 rappresenta invece in T le traccie ben più distinte lasciate da un Lumhriculus, di una straordinaria somiglianza con molte Taphrhelminthopsis : Th. veda Sacco, Th. auricolari » Sacco. In questi anellidi la presenza di fibre muscolari trasver- sali permette loro una straordinaria variabilità nelle dimen- sioni per cui la loro locomozione consiste in un vero strisciare prodotto dall’alternato allungarsi e contrarsi, congiunto di con- ' segueuza all’alternato assottigliarsi ed ingrossarsi, delle varie e successive parti del corpo. Avanzando sulla superficie del fango, il Lumhriculus traccia un sottile solco che poi allarga di molto quando la corrispondente parte del corpo ingrossa, producendo cosi contemporaneamente ad un gran solco profondo, due rilievi paralleli sul piano di fango, che sono propri e caratteristici delle Taphrhelminthopsis. Mi sembra di conseguenza che l’origine di queste impronte non sia poi tanto oscura e non sia improbabile si tratti di veri solchi lasciati da vermi anellidi, provvisti di una completa ar- matura muscolare sottocutanea di fibre longitudinali e annu- lari, mentre mi pare poco probabile che quelle impronte sieno state lasciate da molluschi o da altri animali che non sono prov- visti di quel sistema muscolare di locomozione. Helmintlioida. Questo genere è stato fondato dallo Schaphàutel per rilievi filiformi od impronte semicilindriche, sottili, più volte incurvate, semplici, a giri più o meno paralleli, approssimati. Molte sona le forme conosciute ed abbondanti attraverso a tutte le epoche geologiche. Del carbonifero si conoscono: YH. carbonifera Sacca e YH. Tommasii Sacco; dell’cocene : YH. labyrinthica Heer, IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 175- l’ H. irregularis Sqnin., 1 ’ IL taeniata Haufm., VH. Taramellii Sacco, VH. heìmintho psoidea Sacco; del miocene: VH. miocenica Sacco, VH. carrosiensis Squin., V IL crassa Schapli. Molto discusse e varie furono le ipotesi sulle Helminthoida: chi le credette residui di vermi, chi impronte o residui di alghe. Interessanti a questo proposito sono le osservazioni dello Squi- nabol (') sui Limax, Patelle ed Ancylus , discusse dal Fuc-hs (2), nel Cap. Ili del suo lavoro, ove parla a lungo delle Helmin- thoida ed ove riferisce i resti dei pasti lasciati da quei mol- luschi, non ad esse ma ad altre impronte ( Nemapodia tenuissima ),. tav. VII, fig. 8. Certo è che alcune specie di Helminthoida hanno appa- renze cosi simili a quelle lasciate tutti i giorni dai vermi, che occorre molta buona volontà ed immaginazione per poterle attri- buire ad impronte di alghe, e tanto più che oggi non si conosce ancora alcuna forma che s’avvicini alle loro strane apparenze. Anche il prof. Sacco nello studio già citato (3) a proposito della H. Tommasi non può fare a meno, osservando il regolare accresci- mento.in grossezza del funicolo da una estremità all’altra, di attri- buire queste impronte a traccie lasciate direttamente dal corpo di organismi vermiformi, oltreché da animali striscianti. Frattanto occorre aggiungere che molte lastre ad Helminthoida e special- mente quelle ad H. labyrinthica Heer (’), che di solito si trova solo allo stato di impronta (:>) e non di rilievo, portano delle specie di Paleodictyon ( P.majus Menegh.). Ho poi osservato che quasi tutte le Helminthoida (IL crassa, H. helminthopsoidca, H. Tara- mellii, H. Tommasii), come pure molte Helminthopsis (Hs. hjc- roglyphyca, Hs. antiqua ), Taphrhelminthopsis (T. expansa), Mun- steria (31. involutissima ) ed Urohelminthoida (U. clertoncnsis) (l) Sqninabol S , Contribuzione alia gora fossile dei terreni terziari della Liyuria. Algli. Genova 1801. (?) Fuchs M. Th., Studien iiber Fucoiden und Rieroglyphen. Denk. k. Akad. Wiss. Bd. LXII, 1895, png. 88‘). (3) Sacco F, op. cit., 1888, pag. 177. F) Sacco F., op. cit , 1888, pag. 181. (5) Squinabol S., Fucoidi ed Heìmintoidee. Boll. Soc. Geol. It.r voi. VI, 1887. 17G G. CAPEDER «ono con impronte di Paleodictyon minimum Sacco e con quei P. più piccoli, dei quali ho tenuto parola in un precedente studio ('). L’osservazione non sarebbe priva d’interesse quando fosse ammessa, come ho cercato di dimostrare, l’origine dei Paleo- dictyon dalle goccie della pioggia; poiché basterebbe questo fatto per sostenere validamente che questi grafoglipti proven- gono dallo strisciare di animali sopra una superficie fangoso sabbiosa. Ad ogni modo presento le fig. 1, 2, 3, 8, 10, 13, 16, le quali se non hanno l’identica apparenza delle Helminthoida, ne imi- tano però abbastanza bene alcune specie. Della fig. 1 ho già parlato a proposito delle Helminthopsis, « non è inutile di richiamarvi nuovamente l’attenzione special- niente alle lettere C e D, ove son delle curve in rilievo ad Hel- minthoida. Alla fig. 2 è rappresentato il rilievo che lascia un Gordius sopra un esile strato di fango depositato di recente sulla sabbia <5ol metodo già esposto. Su tale strato questi animali cercano affondare, e pel movimento loro serpentino producono rilievi a curve incrociantisi, clic però non risaltano mai netti sul piano, ma sono alquanto depressi. La differenza fra le due sorta di rilievi, fig. 1 e 2, sta nella diversità di ambiente: nella condi- -zione di cui alla fig. 1, il Gordius si muoveva nel seno di uno strato di acqua sotto ad un velo di fango; nella condizione in- vece di cui alla fig. 2, si muoveva nello spessore di fango molle ed appena deposto. Alla lettera I) di questa figura non sarà difficile di scorgervi delle curve molto simili alla H. crassa Scha- phàuthcl, come anche nella fig. 3 in D, ove si potranno osser- vare due o tre curve ad Helm., formate queste pure da un Gordius nelle condizioni che vedremo a proposito dei Zoopliycos. I rilievi fin qui considerati sono dovuti ai movimenti di locomozione di vermi nematodi, ed essi, com’è evidente, pos- sono essere indefinitamente lunghi e variabilmente tortuosi, ma può darsi benissimo che non tutti abbiano questa origine e par- ticolarmente quelli limitati e più o meno regolari. Per questi io sarei dell’opinione del prof. Sacco, espressa a proposito del- (') Capeder G., op. cit., 1905. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 177 T H. Tommasii , che cioè essi ci rappresentino veramente il corpo dell’animale che li ha formati. Se nell’esperienza citata a proposito delle Helminthopsis, invece di lasciare a sè i Gordius od i Mermis, non appena essi ;Sono spariti sotto al velo di fango abbiamo cura di togliere tutta l’acqua dal recipiente, il fango verrà ad involgere il loro corpo, per cui esso spiccherà netto e preciso in rilievo, fig. 16. Ma se lo strato di fango ha uno spessore sufficiente, questi vermi rimangono impossibilitati a qualsiasi movimento, e stanno obbli- gati nella posizione assunta fintantoché le condizioni rimangono invariate. Per gli sforzi però che fanno per liberarsi dal mortale involgimento, raggrinzano il corpo, che prima formava curve liscie senza angoli, e dànno cosi luogo a caratteristiche pieghettature finché lo permette la tenacità del fango e la loro vitalità. E se le condizioni non variano, il fango dissecca coll’impronta, clic •ci rappresenta così l’intero corpo del verme ('). Le Helmintlioida fossili possono essere così distinte in due categorie: pseudo helmintlioida di lunghezza indefinita e prive di grinze alle curve (H. labyrinthica, H. carrosiensis, H. crassa, H. irregularis, H. taeniata, H. Taramellii) ; Helmintlioida vere, di lunghezza definita, assottigliate alle estremità e con grinze caratteristiche alle curve e che non mancano quasi mai essendo dovute ai vani sforzi del verme in tal modo conservato, sforzi clic dovette fare cercando di liberarsi dell’incomoda e pericolosa ■ copertura (H. miocenica, H. carbonifera, H. helminthopsoidea, H. Tommasii). Le Helmintlioida poi costituite da un incavo flessuoso sa- rebbero, secondo me, da considerarsi come formate da organismi affatto diversi da quelli che formarono le H. rilevate. Parecchi piccoli nematodi dei generi : Dorylaimus, Bhabditis, Tijlcncus, che vivono allo stato libero nel fango ed alcuni oligocheti dei generi Lymnodrilus, Tubifex, lasciano traccia del loro passaggio sotto forma di netti solchi, molto ondulati nei nematodi, pochis- simo negli oligoclieti, più o meno regolari, e che come alcune (*) (*) È evidente che queste condizioni si ritrovano in natura nei fossi ■•dopo le pioggie, ove l’acqua prima abbondante, viene poi lentamente a -diminuire. 178 G. CAPEDER Helmintlioida ora si allargano ed ora si restringono; ne dànno l’idea le fìg. : 8, S; 10, L, M; 12, V; 13, G. È vero che non si conosce forma che lasci traccie con tanta regolarità alternatamente- ondulate ('), ma questo fatto non parmi punto infirmare l’origine, . tanto più che certe piccolissime forme di nematodi sogliono la- sciare regolarissima traccia sinuosa, fig. 8, H, che deve però* essere riferita ad un genere fossile molto .affine, come vedremo,, a questo, ma distinto (Belorhaplie, Paleomeandron). Urolielminthoida. Genere fondato dal prof. Sacco, per rilievi simili a quelli classificati fra le Helmintlioida e per di più provvisti nell’in- curvatura del funicolo di particolari appendici. Ne sono cono- sciute forme cretacee ed eoceniche ( U. appendiculata Heer), e- mioceniche ( U. Dertonensis Sacco). In quanto all’origine, furono emesse molte ipotesi : il Na- tliorst le spiega come prodotte da un verme che nei suoi giri, si arrampicava durante un certo tempo indietro invece di fare semplicemente una curva; il Fuclis ebbe a parlarne, e spiegò* l’origine degli Hercorltaphe (?) com’egli chiama le Urohelmin- thoida, supponendole impronte di cordoni di uova di molluschi.. 11 prof. Sacco poi in un suo lavoro (3) sull 'origine dei Paleo- dictyon ebbe pure a trattare delle Urolielminthoida e propende- (’) Anche alcuni nemertini marini nella famiglia delle Lineidae vi- venti nel fango presso le coste: (Cerebralulus marginatus Ren. lungo 30- o 40 cm. e largo 3 cm., vari Lineus: L. longissimus Linn. lungo 15 m. e largo 2 o 3 mm., e Nemertes: N. Boriasti Cuv. lungo circa 5 no.) per Tannatura muscolare, per la loro forma allungatissima e per le cilia vibratili di cui il loro corpo è rivestito, donde è loro concesso di stri- sciare quasi scivolando sul fango, sembrano particolarmente adatti a lasciare impronte sinuose a curve molto sentite e ravvicinate, o resti* del loro stesso corpo colle caratteristiche anse e pieghettature o grinze,, molto simili particolarmente ad alcune Helmintlioida (H. helmintho- psoidea Sacc., H. Tarantella Sacc.). (?) Fuclis Th. M., Siudien uber Fucoiden und Hieroglyphen. Denk. k. Akad. Wiss. Bd. LX1I, 1895, tav. V, lig. 3. (3) Sacco F., Note sur l’origine des Paleodictyon. Bull. Soc. Belge* Gcol., t. XIII, 1899, pag. 183. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 179 rebbe per un’origine inorganica, cioè per l’effetto delle onde sul fondo melmoso-sabbioso. Considerando però che detti rilievi risaltano netti sul piano della lastra, che si trovano assieme a minuti reticolati a Paleo- dictyon, che sono di piccole dimensioni rispetto alla loro rela- tiva distanza, che sono raramente paralleli ma hanno direzione variabilissima e che non coprono continuatamente la superficie, bisogna escludere per essi nella maggior parte dei casi, l’azione delle onde ed attribuirli piuttosto a causa che agi nel mode più variabile e bizzarro com’essi variabili e bizzarri si presentano. Avendo verificato che i vermi a movimenti serpentini ( Gor - ( lius , Mermis ) lasciano nel fango delle traccie molto simili alle Urohelminthoida volli verificare sperimentalmente nelle migliori condizioni il fatto, per cui ricorsi alle disposizioni considerate nel § 1. Ed ottenni i rilievi di cui alla fig. 1, alla (piale ebbi già da riferirmi a proposito delle Helminthopsis. In questa figura alle lettere 13, si hanno delle apparenze che ricordano VU. der- tonensis Sacco ('), e che si formano, come già dissi, per il serpeg- giare dei Gordius. Cylindrites, Desmograptlion, Ceratophycus, Gyrochorte, Munsteria. Col primo genere si comprendono rilievi cilindrici poco fles- suosi, ben spiccati sul piano che li porta; però vennero anche- classificati fra i Cylindrites incavi corrispondenti. Col secondo ( Desmograpton ) il Fuchs comprende pure rilievi cilindrici e ben spiccati, ma sub-paralleli, filiformi, anastomiz- zati pei tramezzi trasversali, di grossezza non uniforme, del Flysch eocenico. Col nome di Gyrochorte , sono noti rilievi cilindrici, diritti, a superficie più o meno scabra, ed infine si riferiscono alle Munsteria , rilievi involuti, semicilindrici, a spire più o meno serrate e di uniforme grossezza. Molte sono le specie note di questi vari generi, fondate la più parte dai loro autori: Heer, Fuchs, Sternberg, e apparte- nenti a tutti i terreni dal lias all’eocene, ma più propri parti- (') Sacco F., op. cit., 1888, pag. 184, tav. II, fig. 8, 16. 180 G. CAPEDER molarmente del Flysch. Fra i geroglifici sono forse i più proble- matici, anche per le frequenti forme di passaggio, per cui è difficile poterli riferire a forme note di esseri viventi. I loro autori credettero poterli attribuire ad impronte od a residui la- sciati da alghe, mentre altri negano siffatta origine, e li spie- gano ricorrendo ad altre ipotesi. Così alcuno ritiene i Cylin- drites residui di coproliti di vermi marini ; il Fuchs ritiene i Desmograpton quali impronte di cordoni di uova di molluschi; il prof. Sacco quali rilievi formati dall’azione delle onde su fondo sabbioso-melmoso; il Nathorst ed il Maillard credono i Gyrochorte e le Munsteria, essere le traccie dello strisciare di antìpodi ( Coropliium l augi carne) ; il Quenstedt di stei leridi o di otìuridi; l’Hancock di crostacei ( Sulcator arenarius, Kroyera are- naria), il Fuchs poi spiega i Ceratophycus, simili alle Munsteria, Iter impronte -di cordoni di uova di molluschi dei generi Gonio- doris , Doris ed Hermaea. Nè è tanto facile, io credo, di risolvere la questione potendo probabilmente essersi questi rilievi originati in molti modi. Frat- tanto fra le ipotesi non va esclusa quella per cui avrebbero po- tuto originarsi per il passaggio di vermi. II trovarsi su queste lastre cellette a Paleodictyon minutissimi, gioverebbe all’ipotesi ed è sufficiente per assicurarci che si debbono essere formati a ben piccola profondità e molto probabilmente sopra superficie fangose libere, almeno temporaneamente. Le fig. 4, 9, 11, 13 rappresentano alle lettere G, incavi for- mati da piccoli oligocheti del gen. Lymnodrilus e Nais che hanno una certa somiglianza col Cylindrites (Spartiphycos) fu- nalis Mass., fotografato dal Fuchs alla tav. IV, fig. 2, di un suo lavoro (') e che è interessante per portare completi reticolati del Paleodictyon minimum ; alla fig. 6, in F osservanti rilievi molto simili ad alcuni altri Cylindrites e particolarmente ai Desmograpton Fuchs, di cui alle fig. 1, 2, 4, 5, G, tav. Y. Questi rilievi si formano quando un Gordius od un Mermis serpeggiano vivacemente sopra una superficie di fango di una certa consi- stenza per cui non possono affondare, allora si andranno for- mando dapprima dei solchi : fig. 6, A, che verranno poi a chiu- (*) (*) Fuchs M. Tli., op. cit., 1895, pag. 393. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 181 dersi, intanto che parte del fango vien portato dal loro corpo a destra ed a sinistra della via percorsa a formare tanti funi- coli subparalleli, assai rilevati, diversi nella forma e nelle di- mensioni. Ma pei movimenti serpentini, essi incrociano variabil- mente il loro corpo, -che per tal guisa passa e ripassa sulla medesima superficie, fa e disfa, sposta ed anastomizza nelle forme più curiose i funicoli rilevati, riproducendo le caratteri- stiche apparenze di molti CylincLrites ed in particolare dei T)e- smograpton. Difatti in I scorgesi somiglianza cogli Hercorhaphe Fuchs, e nel rimanente della superficie rilievi lineari, spezzati, paralleli, incrociati, ad anello, curvi, sinuosi, assottigliati, ingros- sati, a bottone, a filamento, a stella, a raggi, che possono nelle varie regioni essere riferiti a moltissimi dei generi sopra ricor- dati ( Miinsteria , Ceratophycus, Sparti plnjcus}. Importante anche la fìg. 13 alle lettere u, perchè sono rappresentate impronte pro- dotte da un Dorylaimus, e pur simili ai Desmograpton. Nemertilites. Il genere Nemertilites Menegh. è forse il solo pel quale gli autori siano maggiormente d’accordo neH’attribuire le caratte- ristiche impronte al passaggio di animali striscianti, apparte- nenti probabilmente al tipo dei vermi. Le nemertiliti si incontrano nei più antichi terreni paleozoici, giungono ai più recenti, e non è difficile di assistere quando che sia, anche oggi, alla loro formazione nei luoghi fangosi o sui fondi melmosi abitati dai vermi. Anche per le forme più antiche, fu già dimostrata la loro origine e l’Etheridge e il Nicholson ottennero dalla Turpura lapillus impronte molto simili a quelle fossili conosciute del cambriano ( Ncreites cambrensis ) ('). Potrà riuscire utile anche per le Nemertilites di rilevare la frequente coesistenza di reticolati a Paleodictyon. (') Il Fuchs nel lavoro più volte citato: Studien uber Fucoiden und Hieroglyphen, al cap. Ili, pag. 887-389, parla a lungo delle Nemertiliti e riporta osservazioni del Nathorst sulle traccie lasciate dallo strisciare di molluschi (Lymnca baltica) e vermi anellidi (Leontis J Mondili, Nic- chia cirrosa), pag. 389. 182 G. CAPEDER Belorhaphe, Cosmorhaphe, Spiro rliaplie, Paleomeandroii. Questi generi comuni sulle lastre del Flyscli, sono stati fon- dati dal Fuehs e dal Peruzzi per impronte e rilievi la cui ori- gine mi pare non sia soltanto identica per tutti, ma altresì dovuta ad animali striscianti della stessa famiglia. I Belorhaphe , detti anche dal Fuehs linee a zig-zag, linee ad M, classificati col Cylindrites zig-zag Heer, col Paleomean- dron elegans Peruzzi ('), e che hanno qualche affinità secondo il Fuehs, coll’ Helminthoida appendiculata Heer, coll’ li. crassa Schapht e coll’ Uróhelm. Dcrtonmsis Sacco, sono rilievi semici- lindrici o corrispondenti incavi più o meno regolarmente sinuosi, ben netti sul piano ed a decorso variabile, come la traccia che potrebbe lasciare, per dare un esempio caratteristico, sopra ad un piano la punta scrivente di un diapason vibrante che si muo- vesse con moto vario in vari sensi. II Fuehs (2) attribuisce pure ai Belorhaphe i rilievi di cui alla fig. 11, tav. I, del lavoro del prof. Sacco sui Paleodictyon (3) e determinati per P. vnajus Menegh. Secondo me enorme è la differenza fra questi rilievi, i Belorhaphe, V Helminthoida ap- pendiculata e l’ XJroh elm inthoula dertonensis; i Belorhaphe e le Urohelminthoida si debbono a traccie lasciate da vermi stri- scianti, i rilievi della fig. 11 della tav. I del prof. Sacco, sono invece veri frammenti di Paleodictyon: lo dimostrano l’incurva- tura in alcuni punti del funicolo a zig-zag, la presenza di spe- ciali corna agli angoli e che non sono che i residui dei funicoli laterali delle cellette, come pure la presenza di qualche colletta quasi completa. Non è perciò affatto giustificato il passaggio voluto dal Fuehs di questi Paleodictyon alle Urohelminthoida od ai Belo- rhaphe, avendo questi rilievi un’origine tutt’affatto diversa; essi provengono invece probabilmente dall’azione delle goccie della pioggia sopra una superficie sabbioso-fangosa, ed infatti si ritro- (*) (*) Peruzzi M. G , Osservazioni sui generi Paleodictyon e Paleomean- dron dei terreni cretacei ed eocenici dell' Appennino Settentrionale. Atti Soc. Tose Se. Nat., voi. V, fase. 1, 1880. *(?) Fuehs M. Th„ op. cit , 1805, pag. 395-397. (3) Sacco F., op. cit., 1888. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 183 Tano su questa medesima lastra le caratteristiche dei veri P. majus già descritte in un mio precedente studio ('): cioè si ha qui la presenza di cellette multiple e di cellette isolate piccolissime. Sotto il nome di CosmorJiaphe, il Fuchs (?) descrive rilievi .-sinuosi, molto simili ad alcune Helminthoida, ma a spire molto meno accentuate; questi rilievi hanno lunghezza indefinita ed i funicoli che li determinano sono pressoché di spessore costante: «è senz’altro molto evidente l’affinità grande che esiste fra i JBc- .lorJiapJie ed i CosmorJiaphe. Molto affini se non identici sono i Paleomeandron, le cui linee a zig-zag sono forse più spiccate che nei generi prece- denti. Gli SpirorJiaphe (3) invece sono alquanto diversi, almeno per la disposizione dei funicoli secondo cerchi concentrici. Tutti questi rilievi sono spiegati dal Fuchs ricorrendo alle appa- renze analoghe che hanno i cordoni di uova di certi molluschi marini: così i Paleomeandron sarebbero simili a supposte im- pronte che potrebbero eventualmente lasciare le uova dell’ifofo’s B rummondi ; i CosmorJiaphe a simili àe\Y Antiopa distata; gli SpirorJiaphe a quelli della Boris depressa ed anche interpre- tati per coproliti dell’Arenicola. A me sembra che cordoni di uova di molluschi, difficilmente potrebbero lasciare così nitida -e profonda traccia da poter spiegare questi rilievi così netti e ben definiti, e che perciò non sia accettabile detta spiega- zione. D’altra parte avendo avuto campo di osservare sul fango in natura, rilievi ed incavi molto simili formati da piccoli vermi nematodi, propenderei piuttosto per questa spiegazione più sem- plice, anche per la costante presenza sulle medesime lastre di •cellette esagonali isolate di Paleodictyon che implicano la con- seguente esposizione di quelle superfici fangose all’azione diretta delle goccie della pioggia. Le fig. 4, 8, 9, 11, 12, 13, fanno vedere alle lettere H nette dmpronte o solchi ondulati formati da un piccolo nematode appar- tenente alla famiglia delle anguillulidi, il Borylaimus stagnali s (') Capeder G , op. cit., 1905. (*) Fuchs M. Th , op. cit., pag. 395, 1895. ^3) Fuchs M. Th., op. cit., 1895, pag. 395, t. VI, fig. 3. 184 G. CAPEDER Dujardin ('), pel quale ho avuto cura di preparare adatta su- perficie piana di finissimo limo calcareo. Nelle figure si vedono impressioni grandi e piccole, più o- meno sinuose e ad andamento flessuoso, prodotte da individui di varia dimensione: nella fig. 8 sono le più grandi ; nella fig. 11 le più piccole per individui di 2 o 3 min. di lunghezza. Questi lavori sono intrecciati ad altri formati da generi diversi, per- chè nelle varie esperienze adoperai il medesimo materiale e perciò molti individui per la loro piccolezza rimasero nel fango e continuarono nei loro istinti. Osservando queste figure non è possibile di non riscontrarvi non solo straordinaria somiglianza, ma identità specialmente coi Bdorliaplie Fuclis, rappresentati alla tav. YI, fig. 4, del suo lavoro (?). Alcuni funicoli assumono- somiglianza grande anche coi Paleomcandron e coi Cosmorhaplie,. fig. 8, H; 12, Y; 13, I), U. In quanto agli Spirorhaphe ho l’idea che essi si debbano- al movimento serpentino di alcuni vermi, e quest’idea sarebbe confermata daUe impronte lasciate dai Mermis fig. 3, E, inop- portune condizioni. Polycanipton. Degli scisti retici a Zoophycos di Fégire il Fischer-Ooster descrisse un’impronta che ha veramente l’aspetto di un vege- tale per essere formata direi quasi di uno stipite mediano a decorso regolarmente sinuoso, dal quale si dipartono in corri- spondenza dell’angolo delle incurvature impronte filiformi, di- vergenti o pennate. Questo fossile ricevette il nome di Polycampton alpinuin c fu creduto dal suo autore l’impronta di qualche alga (Oldhainia antiqua) altrimenti di idromeduse. (Aylaophacnia) o polipi aleio- nari ( Iriclogorgia Pourtalesii). (') Anche moltissimi altri nematodi nella famiglia delle anguillulidi,. quali il Hhabditis nigrovenosum Sehneider e Vappendicuìata, nonché il Tylencus Dàvaini Bastia», posti in opportune condizioni danno luogo ad incavi simili ai Cosmorhaphe. (?) Fuclis M. Th., op. cit., 1895, pag. 395. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI ÌHÓ- IÌ Fuchs (’) spiega invece il Polycampton ritenendolo non l’impronta di qualche vegetale e neppure di cnidarì, ma piut- tosto di ammassi di uova di gasteropodi e rappresenta alla tav. Vili, fig. 3 e fìg. 6, due di tali ammassi di uova di proso- branchi di specie non determinata clic in realtà hanno con quello qualche apparenza di simigdianza. Senza pretendere di spiegare 1’origine dei Polycampton, mi limito a contribuire anch’io alla loro conoscenza col presentare quattro impronte che hanno coi Polycampton una grandissima analogia, e sono le impronte di cui alle fig. 5, 7, 14 e 15. NeH’eseguire le esperienze sui Gordius e sui Mermis onde riprodurre alcuni dei problematici geroglifici, ho osservato che quando il fango sul quale si pongono ha una certa consistenza c tale da non permettere ai vermi di penetrarvi nè di muoversi serpeggiando con tanta facilità, essi vi strisciano pur serpeg- giando allora lentamente, e procedono formando col corpo delle curve abbastanza sentite. Di tanto in tanto però, specialmente i Gordius maschi si soffermano, sollevano la parte anteriore del loro corpo dal fango, e volgendolo a destra e poi a sinistra o viceversa, rabbassano e lo sollevano più volte, producendo successive impronte filiformi. Non v’è caso che ripassino sul segno impresso, ma scelgono successivamente sempre regioni in cui la superficie del fango è intatta. Quando hanno per così dire in tal modo esplorato la superficie prossima, procedono oltre- serpeggiando sempre, ed imprimendo di continuo a destra ed a sinistra del loro capo il fango producono un complesso di curiose e caratteristiche apparenze che simulano molte alghe,, fig. 14, 15. Però alla fine si arrestano, ed allora formano, sollevando di molto la parte anteriore del corpo, una serie d’impressioni direi terminali e divergenti, che sono qualche volta ben marcate e- profonde specialmente alla estremità, e che incurvandosi pur variamente, assumono l’aspetto di una vera ramificazione con accenno anche alla dicotomia, fig. 5 e 7. Quando questi vermi hanno così lavorato la superficie, cam- biano direzione senza però guastare di troppo le impronte. Io (') Fuchs M. Th., op. cit.., 1805, pag. 400, 433. 186 G. CAPEDER non saprei realmente la ragione per cui questi vermi pongono tanta cura a produrre siffatti lavori, e la ragione per cui evi- tano se possono di ripassare sulle impronte già fatte; forse que- sto fatto ha qualche rapporto colla ricerca sessuale. Ad ogni modo considerato che siffatte impronte hanno una straordinaria somiglianza col tallo di molte alghe viventi e di moltissime fossili, ho cercato di preparare nel modo più oppor- tuno la superficie del fango onde risultasse unita, uniforme e finissima e di farvi lavorare questi vermi nelle migliori condi- ■zioni; ho così ottenuto dei nitidi lavori che ho riprodotto colla fotografia nella tavola. La fig. 5 rappresenta impressioni terminali prodotte da un Mermis maschio, esse sono formate da una specie (così voglio dire) di stipite colle caratteristiche ondulazioni del corpo di •questi vermi, questo stipite termina con impressioni allargate a guisa di fronde. La fig. 7 rappresenta impressioni terminali prodotte da un Gordius maschio ed è qui ancor più marcata la somiglianza col tallo di un’alga poiché le supposte fronde stanno su d’uno sti- pite largo, ed è pure visibile il dividersi dei rami alla estre- mità per cui vi si potrebbe persino scorgere la dicotomia. Le fig. 14, 15 rappresentano le impressioni che questi vermi fanno mentre si spostano, anche qui havvi straordinaria somi- glianza colle impronte fossili di molte alghe, ma specialmente col Polycampton alpinum Fischer-Ooster. Anche i Zoopliycos, pei quali è molto dubbia l’origine, po- trebbero esser prodotti da simili impressioni, avendo con essi molti caratteri comuni. Zoopliycos ( Pliymatoderma ?). Genere istituito dal Massalongo per impronte formate di uno stipite ingrossato, cilindrico o conico, infundiboliforme, a fronde semplici o ramose, lineari, fistolose, radianti o avvolte a spira. Come si presentano in generale rilevate alla base, sono appiat- tite alla estremità della fronda. T Zooplnycos coi molti generi affini : Physophycus Schimper, Taonurus Fischer-Ooster, Spirophyton Hall, Cancellophycus Sa- / IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 187 porta, Duthotrepis Ludwig, Chondrites Dumortier, furono riu- niti in un gruppo speciale, quello delle Alectoruridee, che se- -condo molti autori dovrebbe essere riferito alle alghe. Per alcuni altri invece, fra cui il Nathorst, il Fuclis, lo Zeil- ler esse avrebbero altra origine: o di azione meccanica di tur- binio, o di impronte varie (') (il Phvmatoderma secondo il Fuclis dovrebbe classificarsi fra le fucoidi, mentre le altre avrebbero •origine da ammassi di uova di molluschi simili a quelli della Doris Iolmstoni della Doris tuberculata dell 'Eolis pietà) o di draccie lasciate da insetti (Grillotalpa) (?). Molte sono le forme conosciute attraverso alle epoche geologiche, dalle cretacee de- scritte dal Massalongo ed altri, alle mioceniche e plioceniche, descritte dal Gastaldi, dal Sacco e da altri. Fra le specie descritte dal prof. Sacco è interessante il Zoo- phycos? pedemontanus che avrebbe secondo l’Autore anche af- finità col genere Tnonurus, col Cancello pkxjcus , col Pbysophy- ■cus, o con altri generi. Esso è costituito da costole in semi- rilievo, granulose quasi concentriche, che irregolarmente si anastomizzano, tav. I, fig. 13 (3), e sono sullo stesso piano. Benché anche altri Zoophycos si mostrino il più delle volte, almeno nella parte allargata sopra un piano, come quelli a ventaglio figurati dal Gastaldi C), non mi pare troppo stretta l’ana- logia del Z. pedemontanus Sacco, con le altre forme del me- desimo genere. Senza voler entrare in campo dell’origine delle alectoruri- dee, mi limito a far notare l’affinità delle impronte a Zoophy- cos pedemontanus con quelle della fig. 3, E, del presente lavoro, •eseguite da un Mermis. Questi vermi muovendosi sul fango len- tamente, dànno luogo a rilievi i più strani, il più delle volte •concentrici, variamente anastomizzati e che occupano estesa su- perficie. (b Fuclis M. Th., op. cit., 1895, cap. V, e pag. 428. (t) Zeiller, Sur les traces d’insectes simulant des impreintes vegeta- .7 es. Bull. Poc. Géol. Fr., XII, 1881. (3J Sacco F, op. cit., 1838, pag. 186. (■*) Gastaldi B., Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della To- scana. Mem. R. Acc. Se. di Torino, voi. XXIV, 1866, pag. 37, tav. VI, fig. 8, 9. 188 G. CAPEDER Così, come s’è visto, le Helmintlioida, i Cylindrites, i Zoo- phycos, ecc. ecc., si intrecciano e passano insensibilmente gli uni negli altri. * * * Chiuderò ora il mio dire col concludere che i geroglifici che coprono molte lastre del Flyscli, pare si debbano a traccie lasciate dal passaggio di vermi ('); che probabilmente queste trac- cie si sono formate sul fango libero, come sembrano confermarlo il rilievo dei funicoli o gl’incavi netti e profondi e la coesi- stenza di reticolati a Paleodictyon pei quali lio già dimostrata una origine non subacquea. I rilievi o gl’incavi sinuosi, quali le Hehninthoida, le Hd- minthopsis , le Urohebninthoida, le Miinsteria, i Taleomeandron T i Belorhaphe, i Cosmorhapìie, gii Spirorhaphe, ecc., potrebbero es- sere dovuti a vermi nematodi provvisti del solo strato di fibre mu- scolari longitudinali per cui i loro movimenti risultano serpenti- formi. Questi rilievi avrebbero di conseguenza soltanto reale va- lore di ordine, ad eccezione di alcune poche forme che ci rap- presentano un modo speciale di fossilizzazione di un verme e per le quali le grinze alle spire sono un carattere di rico- noscimento e di conseguenza la loro varia apparenza, la lun- ghezza, la grossezza, possono anche assumere valore generico e specifico. Per molti di questi rilievi mi sembra opportuno di dover escludere l’ipotesi della loro formazione per effetto delle onde, e ciò per le ragioni portate a proposito dei Paleodictyon, come pure per le piccole dimensioni di essi rilievi rispetto alla loro distanza relativa; per non presentare essi mai l’aspetto di un piano ondulato e continuo ma di formazioni nette che risal- tano sopra il piano che le porta, e finalmente per avere dire- (*) Le maggiori dimensioni elio si osservano nei geroglifici fossili non paiono autorizzarci ad indurre per i recenti un’origine diversa, poiché già il prof. Sacco potè fare questa importante osservazione: « solo che si osserva come la loro grossezza vada gradatamente dimi- nuendo dalle specie più a.itiche a quelle più recenti». Op. cit., 1888, pag. 182. IMPRONTE ORGANICHE FOSSILI 189 :zione variabilissima quasi mai subparallela e non coprire con- tinuatamente ia superficie. I rilievi poi o gl’incavi non sinuosi, quali le TapJirhclmin- ■thopsis, i Nemertilites , i Cylindrites , i Desmograpthon, i Gy- rochorte , gli Spartiphycos ecc., sono dovuti probabilmente a vermi anellidi, forse dell’ordine degli oligocheti, provvisti per- ciò di un completo sistema muscolare sottocutaneo per cui i loro movimenti di locomozione consistono in un alternato -e successivo contrarsi delle varie regioni del corpo, onde stri- sciano. Questi rilievi non possono avere reale valore generico e spe- cifico, ma potranno solo essere distinguibili per le loro forme -240 C. AIRAGHI nel Montenegro (') (Bolievici presso Vir): Ceratites trinodosus , C eratites elegans, Proarcestcs extralab iatus, Gymnites incultus. Il calcare marnoso compatto oscuro quindi del M. Rite lo si deve ritenere, stante alle ultime suddivisioni del Trias, corri- spondente alla zona a Ceratites trinodosus, ossia alla parte su- periore del Muschelkalk inferiore, o piano di Yirgloria. La presenza del Ceratites zoldianus , tìn’ora ritenuto proprio della zona a Ceratites binodosus, trovato a Dont presso Zoldo, •e del Gymnites incultus, recentemente rinvenuto anche nel la- din ico del M. Clapsavon, non credo possano modificare una tale conclusione, e stiano invece a rappresentare i legami che sem- pre si riscontrano tra faune di zone che si susseguono. Di con- seguenza questa piccola fauna a cefalopodi risulta nuova pel Trias bellunese, diversa dalle più antiche di Dont (2) e Cence- nighe, di Val Infermi (3) e dalle più recenti della Marmolata (4), di Sappada (5), di Val di Pena (fi), del M. Ugoi (7). Fin’ora nel ■Cadore la zona a Ceratites trinodosus venne riscontrata nel gruppo di Sappada (8) al Monte Franza e nelle dolomiti di Sexten, ma le faune ivi raccolte sono troppo povere per poter fare dei raffronti; nessun ammonite venne specificamente deter- minato. Una modificazione quindi ne dovrebbe avvenire nelle carte geo- logiche del gruppo del M. Rite; nella gran zona segnata dal Mojsisovies come Muschelkalk superiore, riappare il Muschel- kalk inferiore, forse la continuazione di quella gran zona di questo piano, rilevata da tutti gli autori, che discende da Nord a Sud lungo gli ultimi contrafforti orientali del gruppo del M. Rite. (') Martelli A., C) Hauer, Die Ceplial. d. bosnischen Musch. v. Han Bulog. bei Sa- rajevo, 1. c., pag. 22, tav. 5, fig. 2. 250 C. AIRAGHI sibile avere un modello dei fianchi, non lo si può avere asso- lutamente del dorso e pretendere dei particolari della linea lobale; mi limiterò quindi a riferire i detti frammenti, per la maggiore rassomiglianza che presentano, all 'Acrochordiceras Carolinae , .senza la pretesa di risolvere una tale questione. Certo che se si tengono davanti le figure date dall’Hauer per una specie e e quelle del Mojsisovics per l’altra, non si può a meno di no- tare una certa diversità e venire alla stessa conclusione di Moj- sisovics ritenendo l’ Acrochordiceras Damest distinto da un nu- mero maggiore di nodi ombelicali e da un numero minore delle coste libere intermediarie. Il più grande frammento che ho in esame, corrispondente ad un mezzo giro, è ornato da 27 coste e da 5 nodi, un altro corrispondente ad un quarto di giro, presenta 3 nodi e 15 coste, con un rapporto quindi approssimativo di un nodo ogni cinque coste come nell’esemplare figurato da Mojsisovics, mentre invece in quello figurato da Hauer si hanno 37 coste con 8 nodi, con un rapporto di un nodo ogni quattro coste o poco più. I nodi in questi frammenti sono oblunghi e più che della riunione di tre coste, come avviene nell 'Acrochordiceras Damest , risultano dal rigonfiamento prodotto dall’unione di due sole coste, lateralmente alle quali se ne trova una terza che si spinge fino all’ombelico unendosi solo allora al nodo. Le coste intermediarie sono di numero vario, quattro, tre, due, una; talvolta però si hanno delle coste intermediarie dovute alla biforcazione della terza costa sopra accennata, e allora il nodo sembra dovuto alla biforcazione di quattro coste. In altri frammenti d’esemplari più piccoli i nodi sono molto meno numerosi, due o tre per giro, e le coste sono quasi sem- pre riunite a due a due. I miei frammenti quindi si allontanerebbero ancora di più da\V Acrochordiceras Damesi che non l’esemplare figurato da Mojsisovics come tipo daW Acrochordiceras Carolinae, epperò io credo più opportuno, almeno fintantoché non si conosca altro materiale meglio conservato, ritenere le due specie distinte per il diverso numero di coste, per la formazione diversa dei nodi, jiell’una dovuti alla riunione di tre coste, nell’altra nella mag- AMMONITI DEL M. RITE 251 gior parte dei casi più oblunghi e risultanti dall’unione di due -sole coste, e infine per un diverso spessore e altezza dei giri. L’ Acrochordiceras Carolinae è una specie della zona a Ce- rai ites trinodosiis della Schreyer Alpe (Gosau). Acrochordiceras nudatimi Arth. (Tav. Vili, fig. 4). 1896. Acrochordiceras undatum Arthaber, Die Cephal. d. Heìfling , 1. 1. c.. pag. 79, tav. 7. fig. 8. 1896. » » Arthaber, Die Cephal. d. Eeifling, II, pag. 226, 285, tav. 27, fig. 2. 1? Acrochordiceras undatum , tra le congeneri appartenenti al gruppo del V Acrochordiceras mode , è forse quella che maggior- mente si avvicina alle specie fornite di nodi per l’andamento e grossezza delle coste. Di questa specie dispongo d’alcuni frammenti che corrispon- dono molto bene all’esemplare tipo figurato da Arthaber. In essi i giri sono molto alti e stretti, l’ombelico ampio e profondo e si distinguono pei fianchi quasi piatti, leggermente convessi col- l’orlo ombelicale ottuso, colle coste numerose, grossolanamente arrotondate e leggermente flessuose. Esse cominciano, in gene- rale riunite a due a due, allo spigolo ombelicale e raggiungono gradatamente la loro massima grossezza vicino al dorso. Quelle poche che si biforcano da queste lungo il fianco più lontano dall’ombelico, presto raggiungono le stesse dimensioni delle al- tre colle quali si confondono,. Gli spazi intercostali in rapporto alla grossezza delle coste sono stretti. Della linea lobale nes- suna traccia. Arthaber nella seconda parte del suo lavoro figura un altro esemplare sotto il nome di questa specie, ma esso si allontana molto dal tipo e per il maggior spessore e per la presenza di piccoli e poco numerosi nodi dovuti specialmente alla riunione di due coste vicino all’orlo ombelicale, fatto questo che si ve- rifica anche sui piccoli esemplari di Acrochordiceras Carolinae alla quale specie sarei inclinato a riferire il detto esemplare. L’ Acrochordiceras undatum venne trovato nel calcare di hei- fling, zona a Ccratites trinodosus. 252 C. AIRAGHI Acrochordiceras enode Ilauer (Tav. Vili, fig. 2). 1892. Acrochordiceras enode Hauer, Beitràge z. d. Cephql. d. Trias tv Bosnien. I. Neue Funde d. Musch. i\ Han Bulog bei Sarajevo, 1. c., pag. 272. tav. 7, fig. 1. 1896. » » Arthaber, Die Ceplial. d. Beifling, I, pag. 81. Maggiormente distinta, che non V Acrochordiceras andatimi , da quelle ornate da nodi, è questa specie, caratterizzata da giri rapidamente sviluppati che lasciano aperto solo un piccolo om- belico. Neirunico esemplare trovato al M. Rite i giri sono più alti che larghi, il dorso è rotondeggiante; i fianchi, dapprima quasi piani, nell’ultima metà dell’ultimo giro sono leggermente in- clinati a foggia di tetto verso rombelico, raggiungendo in questa parte il loro maggior spessore nel terzo inferiore del- l’altezza; l’ombelico è profondo, il suo spigolo ben distinto e le sue pareti perpendicolari ; le coste sono numerose, larghe, piatte, senza nodi, generalmente rivolte all’avanti, qua e là ripiegate leggermente a forma di falce, la maggior parte di esse è dovuta alla suddivisione di poche che traggono origine- dallo spigolo ombelicale. Sulla parte corrispondente alla camera d’abitazione le coste diventano maggiormente piane e indistinte e finiscono collo scomparire quasi del tutto. Della linea lobale non mi fu possibile liberare il lobo si fo- nale e parte della sella esterna; nelle altre parti essa corri- sponde a quella disegnata da Hauer. Il lobo laterale è largo, più profondo del lobo esterno, termina in tre grandi punte delle quali la mediana è la più profonda ; la prima sella laterale è un po’ più alta della sella esterna, le altre selle sono di gran lunga più basse e gli altri lobi meno. profondi. Mi pare però necessario far notare che mentre le selle e i lobi nella parto- inferiore dell’ultimo giro corrispondono pei loro frastagliamenti alla linea lobale figurata dall’ Hauer, nella parte superiore,, man mano che si avvicinano alla camera d’abitazione, diventano molto più semplici, meno frastagliati, quasi delle linee curve. 253 I AMMONITI DEL M. RITE Dimensioni : Diametro Altezza dell’ultimo giro . . . Spessore » » . . . Larghezza dell’ombelico . . . min, 70 = 1 » 34 = 0,48 » 24 — 0,38 » 8 = 0,11 La mancanza dei nodi separa nettamente questa specie dal- l’ Acrocliordiceras Damesi e d all’ Acrochord ice ras Carolinole; l’om- belico stretto, un numero maggiore di coste più strette e di selle ausiliarie Aa\Y Acrocliordiceras andatimi. Un legame mag- giore sembra che esista coll’ Acrocliordiceras pustericum delle più antiche zone a Ceratites binodosus specialmente per l’andamento delle coste e dello spessore della conchiglia, ma questa specie non è ancora bene conosciuta, specialmente per quanto riguarda la linea lobale, epperò un perfetto paragone riesce difficile. L 1 Acrocliordiceras enode venne trovato nella zona a Ceratites trinodosus a Han Bulog presso Sarajevo nella Bosnia e a Kei- fling nella Bassa Austria. Proarcestes extralabiatus Mojs. 1875. Arcestes extralabiatus Mojsisovics, Das Gebirge um Hallstatt, Ablandl. d. k. k. geo!. Reichs., Bd. I, pag. 91, tav.58, lig. 17. Mojsisovics, Die Cephal. d. Medit. Triasprov., I. c., pag. 154. tav. 46, fig. 1, 2. Hauer, Die Cephal. d. bosnischen Musch. v. Han Bulog bei Sarajevo, 1. c., pag. 19. Mojsisovics, Die Cephal. d. Hallstattenkalke, II, 1. c , pag. 130. Martelli, Ce fai. iriasici di Bolievici c., pag. 17, tav. 3, fig. 4. Nel calcare marnoso questa specie è la più frequente del M. Rite ; essa è rappresentata da diversi esemplari che, sebbene conservati generalmente solo da un fianco, permettono una deter- minazione sicura. In generale sono esemplare meno globosi di quello figurato da Mojsisovics, con dorso meno allargato, come quello figurato da Martelli. 1882. » » . 1888. » » 1893. Proarcestes » 1904. » » 254 C. AIRAGHI I giri sono spessi e globosi, più larghi che alti, coi fianchi convessi colla parte esterna arrotondata e muniti da solchi ra- diali sviluppati per lo più in numero di tre, che muovendosi dallo stretto ombelico attraversano il dorso e tendono a rag- giungere nuovamente l’ombelico sull’altro fianco. La linea su- turale è visibile in parte solamente su un esemplare, risulte- rebbe da lobi arborescenti e da selle larghe e frastagliate, ap- punto come Mojsisovics hà riscontrato. Dimensioni : Diametro mm. 63 — 1 Altezza dell’ultimo giro ... » 36 == 0,57 Spessore » »... » 40 — 0,63 Larghezza dell’ombelico. . . » 5 — 0,079. Potrebbe darsi che qualcuno dei miei esemplari possa rife- rirsi piuttosto al Proarcestes ventricosus Hauer, che il prof. Mar- telli sarebbe inclinato a conglobare col Proarcestes extralab iatus,. ma mi pare che iu generale sono meno discoidali. Questa specie è comune nella zona a Ceratites trinodosus- della Schreyer Alpe, di Han Bulog nella Bosnia e di Bolievici. presso Vir nel Montenegro. G.viiiiiites incultus Beyrick sp. J867. Ammonitea incultus Beyrick, Cephal. aus devi Muschelk. d. Alpen (Ablandi, d. k. Akad. d. Wissensch. z. Ber- lin), pag. 113, tav. 1, fig. 4. 1882. Gymnites » Mojsisovics, Die Cephal. d. Medit. Triasprov., 1. c., pag. 233, tav. 54, fig. 1, 3. 1888. » » Hauer, Die Cephal. d. hosnischen Musch. v. Han Bulog bei Sarajevo, 1. c., pag. 31. 1899. » » Tommasi, La fauna dei cale, rossi e grigi del M. Clapsavon, 1. c., pag. 39, tav. 6, fig. 4- 1900. » » Diener, Dìe Triad. Cephal. d. Schiechl. bei Hallstatt , 1. c., pag. 22. 1901. » Martelli, Ce fai. triasici di Bolievici, 1. c., pag. 30, tav. 1, fig. 9, 10. Tra i diversi frammenti di Gymnites del M. Rite, che forse rappresentano diverse specie, uno mi pare che possa andar rife- AMMONITI DEL M. RITE 256- rito al Gymnites incùltus. È un frammento d’un individuo di grandi dimensioni coi giri alti e stretti, abbracciaci fin quasi alla metà quelli precedenti, colla parte esterna arrotondata e molto stretta, coi fianchi quasi piatti, leggermente convessi. Questo frammento presenta delle forti assomiglianze, special- mente pel dorso molto stretto e compresso, più che con ogni altro esemplare della specie figurato, con quello ricordato dal Tommasi raccolto al M. Clapsavon nella Carnia. Questa specie venne trovata nella zona a Ceratites trino - dosus a Relitte nel Tirolo e nel marmo rosso della Schreyer Alpe (Gosau), nel Muschelkalk di Han Bulog nella Bosnia, nei calcari rossi e grigi del Monte Clapsavon, a Bolievici presso- Vir nel Montenegro. [ms. pres. il 25 marzo 1905 - ult. bozze il 30 aprile 1905]. ♦ \ 236 C. AIRAGHI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Vili Eig. 1. Ceratites sp. ind. » 2. Acrochordiccras enode Hauer » 3. Ceratites gosaviensis Mojs. » 4. Acrochordiceras andatimi Arth. » 5. Ceratites superbus Mojs. » 6. Acrochordiceras Carolinac Mojs. (modello in gesso) » 7. Ceratites multi nodosus Hauer oli. Soc. Geol. I bai . Voi. XXIV. (Ai ragni) Tav Vili. 'orma fot. ELIOT. CALZOLARI i FERRARIO - MILANO SUI RAPPORTI TRA IL LIAS ED IL GIURA NELLA PROVINCIA DI BRESCIA Nota del prof. G. B. Cacci am ali Tra i problemi geologici che si presentano nella provincia •eli Brescia, non ho mai trascurato quello di determinare quali formazioni vi stessero a rappresentare i vari orizzonti della serie giura-liassica. La scarsità dei fossili giuresi e la mancanza nella mia residenza di mezzi per uno studio paleontologico, fecero sì che io, come già il mio maestro Ragazzoni, seguissi di prefe- renza nelle mie indagini i criteri litologico e stratigrafico, augu- randomi di trovare cooperatori per le determinazioni paleonto- logiche. E quando il dott. Andrea Bettolìi, che aveva l’oppor- tunità di studiare in gabinetti universitari, venne a richiedermi di consiglio su ciò che avrebbe potuto fare per la nostra pro- vincia, tosto gli suggerii come uno dei più importanti quesiti ■quello di districare nelle nostre formazioni liassiche e giuresi i vari orizzonti paleontologici. E più tardi vidi con vero pia- cere tanto la bella sua monografia sulla fauna domeriana, quanto le sue due note, Luna sul Toarciano e l’altra sugli strati a Po- sidonomya alpina (l), colle quali due note si sono andati alquanto rischiarando gli orizzonti del Giura-lias bresciano. Senonchè panni che egli non tenga sufficiente conto degli studi stratigrafici altrui; e quindi per concretare quanto possiamo oggi dire sulle forma- zioni bresciane dal Toarciano al Calloviano, credo non inoppor- (') Fossili domeriani della provincia di Brescia (Mém. Soc. Pai. Suisse, Genève, 1900). Affioramenti toarciani delie prealpi bresciane (Boll. Soc. Geol. It ., 1899, voi. XVIII, fase. 3). Gli strati a Posidonomya alpina nei dintorni di Brescia (Boll. Soc. Geol. It., 1904, voi. XXIII, fase. 3). 17 258 G. B. CACCIAM ALI tana la presente comunicazione, la quale varrà anche per rispon- dere ad alcuni appunti che lo stesso Bettolìi mi fa nell’ultima sua citata nota. Per procedere con ordine, passerò singolarmente in rassegna le successive formazioni: Toarciano. Nelle ultime mie due comunicazioni alla Società Geologica (’) ho già fatto rimarcare lo spiccato eteropismo tra le formazioni liassiche poste ad oriente e quelle poste ad occidente di M. Mad- dalena; detto eteropismo estendendosi anche al Toarciano, ed i caratteri litologici offerti da esso Toarciano nelle nominate pla- ghe occidentali costituendo uno dei capisaldi della presente nota,, mi permetto richiamare su tali caratteri l'attenzione dei colleglli.. In precedenti comunicazioni, che si riferivano appunto a que- st’ultime plaghe (?), dissi dunque a proposito delle formazioni toarciane: «Constano di sottili strati d’un calcare compatto, color Boccinola chiaro, alternanti con letti di marna verdognola e con sottili strati di selce; il calcare stesso contiene la selce in modo cosi abbondante, che questa talora vi si sostituisce quasi com- pletamente», e «sono rappresentate da un Médoìo molto mar- noso, bianchiccio, sempre riccamente intercalato da marne ver- dognole scistose; vi si intercalano pure straterelli di un calcare compatto color nocciuola chiaro, associato a letti di selce, tal- volta anche potenti ». E nella marna quasi sempre rinvenni impronte di Posidononiya. (■) L’ Infra giura bresciano (Boll. Soc. Geol. 1 1., 1908, voi. XXII,. fase. 8) Il fascio siratigrafìco Bottinilo- Serie in provincia di Brescia (Boll.. Soc. Geol. 1 1., 1904, voi. XXIII, fase. lì. Veggasi anche la mia memoria: Studio geologico della regione Bot- tinilo-Serie- Garardo, nei Commentari dell’Ateneo di Brescia pel 1904. (f j Studio geologico della regione Palosso-Conche a nord di Brescia (Boll. Soc. Geol. lt., 1901, voi. XX, fase. 1). Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogozeo ed Urago Mella (Boll. Soc. Geol. It., 1901, voi. XX, fase. 3). Queste due memorie figurano anche nei Commentari dell'Ateneo di. Brescia pel 1901. IL LIAS ED IL GIURA NELLA PROV. DI BRESCIA 259 Ora aggiungerò clic, essendomi ultimamente occupato del rilevamento geologico di altre regioni ad occidente di M. Mad- dalena, ed essendomi spinto fino a Gardone di V. Trompia e ad Iseo, trovai ovunque le stesse formazioni cogli identici carat- teri sopra riferiti; anzi a Borbone di Ome ebbi la fortuna di rinvenirvi, insieme alle impronte di Posidonomya, un’impronta di ammonite che, per quanto sciupata, fu tosto riconosciuta dal chiaro prof. Parona — al quale la inviai, e che vivamente rin- grazio della cortesia usatami — come dovuta al V Harpoceras bifrons. Tale determinazione, mentre viene indirettamente a sta- bilire anche la specie delle nominate posidonomie, la quale non può essere che la P. JBronni, non lascia dubbio alcuno sull’età di quelle formazioni, confermando appieno il riferimento da me antecedentemente fatto di esse al Toarciano. È bensì vero che nelle plaghe ad oriente della Maddalena il Toarciano è più tipicamente rappresentato dalle note marne, al più associate a calcari marnosi, non a calcari color nocciuola, nè a letti di selce ; ma mi si concederà che quando da Carcina e da Pieve di Concesio a Yal Navezze e ad Ome, e da qui a S. Maria del Giogo ed a Provezze, una formazione è assoluta- mente costante ne’ suoi caratteri, posa immediatamente sul Do- meriano e dista alquanto dal superiore Selcifero, anche senza l’ Hnrpoceras di Ome, ma in base al solo fatto della presenza in essa di posidonomie, si possa farne un ottimo orizzonte geo- logico e senza esitanza riferirla al Toarciano. Aleniano. II dott. Bonarelli in una sua nota (‘) accennava alla sco- perta da lui fatta a Molvina (e qui siamo ad oriente di M. Mad- dalena) di pochi strati di calcari rossi sovrastanti al Toarciano e con fossili aleniani ; nella successiva mia nota sull’Infra- giura bresciano, io soggiungeva di aver rinvenuti gli stessi strati rossi, e nelle identiche condizioni, in due altre località non molto lontane da Molvina, e cioè alle falde meridionali di (’) Miscellanea di note geol. e paleont. per l'anno 1901 (Boll. Soc* Geol. It., 1902, voi. XXI, fase. 3). 260 G. B. CACCIAMALI M. Dragoncello e sotto la Trinità ; il dott. Bettolìi ora dichiara di non aver trovato, per quante ricerche vi abbia fatte, traccia di detti strati nelle due località da me citate, e di non esser quindi disposto a seguirmi nelle mie conclusioni. Ma gli strati rossi sono là, e perchè si possano facilmente trovare, indicherò i punti precisi: quanto dunque al primo punto, dal passo di S. Vito si vada verso Castel di Serie, non per la strada bassa, mulattiera, la quale è tutta sullTnfracreta, ma pel sentiero alto, ed a metà via circa si troveranno gli strati rossi, badando però che qui la serie è rovesciata; e quanto al secondo punto, di ancor più comodo accesso, da Botticino-Sera si vada verso la Lassa, e due passi prima di giungervi, infilando la viottola che sale alla Trinità, si troveranno tosto, in serie normale, prima il Médolo domcriano, poi le marne toarciane, indi gli strati rossi, cui seguono quelli dellTnfragiura dei quali dirò poi, e infine i noti scisti ad aptici del Giura. Da ciò si capirà come quei pochi calcari grigio-chiari che a Molvina (ed anche alla Lassa) stanno tra le marne toarciane ed il rosso alcniano, non possano venir menomamente assimi- lati al gruppo di calcari dellTnfragiura sovrastanti all’Aleniano stesso; eppure tale assimilazione deve esser stata fatta, perocché lo afferma il dott. Bettolìi; non dice però da chi; io, come risulta da quanto ho sopra esposto, non posso averla fatta certo. Oggi posso forse aggiungere altra località ancora, per gli strati rossi in discorso, e questa nella plaga ad occidente di M. Maddalena: fin dal 28 luglio del 1901, recandomi da Do- merò a S. Maria del Giogo, trovai presso il passo della Conca un piccolo affioramento di strati rossi, dei quali, per la teuto- nica complicatissima di quel punto, non sapeva allora darmi ragione; ma essendomi nello scorso 1904 dedicato, come dissi, al rilevamento di tutta la zona tra Gardone ed Iseo, posso adesso quasi assicurare che quei pochi strati rossi si trovano negli stessi rapporti stratigrafici di quelli di Molvina, del Dragoncello c della Trinità. Sono dessi aleniani? Se lo sono quelli di Mol- vina, come paleontologicamente lo dimostrò il Bonarelli, i cri- teri pctrografico e stratigrafico panni rispondano in senso affer- mativo anche per quelli della Conca. Se ciò fosse sicuramente, dovrei modificare quanto dissi nella nota suUTnfragiura brc- IL LIAS ED IL GIURA NELLA PROY. DI BRESCIA 261 sciano e nella memoria su Botticino-Serle-Gavardo, ed affermare quindi che gli sporadici calcari rossi mandorlati aleniani della base dell’Infragiura nostro possono presentarsi anche nella parte occidentale della provincia. Bajociano e Batoniano? Dirò ora di quel gruppo di calcari a facies litologica di Ale- dolo liassico, sui quali, costituendo essi altro caposaldo della presente nota, richiamo pure l’attenzione dei colleghi. Nelle mie due citate comunicazioni su Palosso-Conche e su Cogozzo-Urago, così rispettivamente descrissi questa roccia : « Calcare marnoso a fucoidi, in banchi piuttosto grossi, con inclusione di selce ed intercalazione di marna, e di tinta per solito chiara » e « Cal- care marnoso in grossi banchi, di tinta cinerina, con rognoni di selce e lievi intercalazioni di marna ». Non la ascrissi allora in modo definitivo all’Infragiura o Dogger; ma usai frasi dubi- tative, come queste: «potrebbe benissimo rappresentare il Dog- ger » e « probabilmente corrisponde all’Aleniano, al Bajociano ed al Batoniano ». Quando poi trovai gli stessi calcari medoloidi anche nella plaga ad oriente di M. Maddalena, e ve li vidi posare sugli strati rossi aleniani di Bonarelli, dove questi sono presenti, non esitai più, nelle altre due mie posteriori comunicazioni citate, a riferire decisamente quei calcari all’Infragiura; e vedo adesso che ve li riferisce, usando della prova indiretta, anche il Bettoni. Nelle ultime esplorazioni poi, spinte fino a Gardone e ad Iseo, ritrovai ancora la roccia in parola, e sempre cogli stessi caratteri litologici e cogli stessi rapporti stratigrafici. Ora, una formazione che attraversa da est ad ovest quasi tutta la pro- vincia, cioè da Fostaga di Sopraponte e da Castel di Serie fino a Concesio e Val Navezze, e da qui fino a S. Maria del Giogo ed a Provezze, e che conserva assolutamente inalterati e i ca- ratteri petrografici e le relazioni stratigrafiche, non può a meno di costituire un buon criterio di determinazione. Io non vi ho mai trovati fossili; altri potrà essere più fortunato; e una volta trovativi, anche in un sol punto, fossili caratteristici, la forma- zione stessa diventerà un ottimo orizzonte paleontologico, e si 262 G. B. CACCIAM ALI potrà precisare con sicurezza anche a quale od a quali piani dell’Infragiura essa spetti. Quanto all’appunto da me mosso al rilievo geologico di parte dei dintorni di Brescia presentato dal Bonarelli e dal Bettoni al Congresso di Perugia, appunto che il Bettoni dichiara « poco attendibile se non fosse inesatto », farò osservare che c’è modo facile per chiarire se il mio appunto fosse esatto od inesatto: a semplice ricordo io attribuii agli egregi autori l’errore di aver segnato contro la frattura del Dragoncello Medolo liassico in- vece di Dogger ; hanno essi invece realmente segnato Dogger? Non c’è che consultare quel rilievo, il quale deve trovarsi negli archivi della Società. Ma io credo piuttosto che il Bettoni di- chiari inesatto il mio appunto, perchè egli persiste a ritenere che si tratti di Médoìo liassico e non di Dogger; ed allora per risolvere la questione non c’è che andar sopra luogo e verificare. Calloviano. Passando infine al Calloviano, dirò subito essere inesatto che io abbia voluto riferire al solo Dogger tutto l’insieme degli strati che stanno fra il Toarciano e gli scisti selciferi od aptici del Malm : nella mia memoria su Palosso-Conche si trova infatti questa frase: « Al Calloviano possono forse corrispondere quei pochi strati d’un calcare grigio-chiaro da me riscontrati, lungo lo sperone separante V. del Yo da Y. di Careina, tra il Dogger ed il Selcifero: ai paleontologi la conferma»; e nella comuni- cazione fatta all’Ateneo di Brescia sulla regione Botticino-Serle- Gavardo si trova quest’altra frase: «Nella loro serie basale gli straterelli del Selcifero sono (piasi del tutto sostituiti da calcari turchinicci compatti », calcari che ben distinsi dai sottostanti del Dogger, e che si mostrano con evidenza (in serie rovesciata) nel- l’alveo di Y. Salena, scendente da S. Vito a Nave. Riconobbi dunque anch’io che il Dogger non si spinge fin sotto agli scisti ad aptici; soggiungerò che gli straterelli da me attribuiti al Calloviano sono per solito di un calcare duro, fortemente impre- gnato di materia silicea e quindi soggetto a ciò che ho chia- mato epifenomeno di tripoliszasione , ossia soggetto a trasformarsi, per decalcificazione meteorica, in uno pseudo-tripoli, ossia in un materiale siliceo, leggero c poroso, tripoloide. IL LIAS ED IL GIURA NELLA PROV. DI BRESCIA 2G3 Il Bettolìi determinò in questo orizzonte, a Molvina, la Posi- ilonomya alpina; ed ecco che è giunta la da me invocata con- ferma paleontologica. Egli stesso dice che qui l’orizzonte in pa- .rola è costituito appunto da sottili strati di silice, senza alcuna manifestazione di calcare o di marna ; noto soltanto che per me ■l’assenza dell’elemento calcareo sarebbe dovuta a decalcifica- -cazione di calcari eminentemente selciosi. Il Bettolìi sostenendo -che gli strati a P. alpina nella nostra provincia stanilo a rap- presentare, oltreché il Calloviano, anche almeno la parte supe- riore del Dogger, fa notare come a Molvina detti strati abbiano .una potenza considerevole rispetto ai sottostanti, qui meno svi- luppati che in altre località ; ed ecco un altro caso in cui anche egli segue quel criterio che mi ha dichiarato « non scevro di .inconvenienti e di pericoli ». Lo stesso Bettolìi ha poi determinata la P. alpina anche nell’alta Y. di Navezze, sotto Brione; ma qui in una formazione .litologica alquanto diversa, costituita cioè da sottili strati di calcare grigio-rossastro intercalati a forti letti di selce ed a lievissimi letti di marna ; non mi meraviglio, perocché in tutta quella plaga, come si può vedere, per esempio, anche sopra Pa- dergnone di Gussago, l’orizzonte in parola è rappresentato ap- punto da straterelli di calcare compatto color cannella, con molta ^elce e pochissima marna, tanto che si potrebbero confondere •con quelli del Toarciano nella sua facies ad occidente della Mad- dalena. In Val di Navezze, lo ammette anche il Bettolìi, il Dog- ger è molto potente; egli però emette il dubbio, ed anche qui con criterio petro-st rati grafi co, che gli strati a P. alpina di que- sta località non siano perfettamente corrispondenti a quelli di Molvina, ma vi stiano alla base. Avverto che non intendo menomamente combattere la sua tesi sulla estensione cronologica della P. alpina, tanto più che egli la appoggia con altre considerazioni tolte da località fuori provincia; intendo solo, in base a quanto ho sopra riferito sul- l’eteropismo degli straterelli immediatamente sottostanti agli sci- sti selciferi ed aptici, far notare essere un po’ arrischiato il dire -che la formazione a P. alpina di V. Navezze sia stratigrafìca- anente inferiore a quella di Molvina. 264 G. B. CACCIAMALI * $ * Oggi siamo già ad un buon punto sulla via di identificazione dei vari piani nella serie giura-liassica bresciana, e questa no- stra discussione, provocando altre ricerche, ci porterà anche più avanti; ma potrebbe anche continuare a verificarsi il fatto che lo stratigrafo ed il paleontologo, lavorando indipendentemente l’uno dall’altro, poco s’intendano o non s’intendano affatto fra loro, causando polemiche che si eviterebbero studiando di co- mune accordo, ossia l’uno prestando le proprie conoscenze suf- ficientemente larghe sulla nostra stratigrafia, e l’altro la pro- pria maggior pratica paleontologica. Se il paleontologo si limita a visitare qua e là qualche punto fossilifero non può avere elementi sufficienti per farsi una sin- tesi dei caratteri litologico-stratigrafici delle varie formazioni, non può quindi affermare esservi o non esservi sopra una larga zona roccie ben distinte e tali da bastare da sè sole alla pro- pria determinazione; ciò può invece, coi dati del paleontologo,, lo stratigrafo, il (piale deve di necessità seguire le formazioni in tutta la distesa del loro affioramento. E qui tengo a dichia- rare che i dati .paleontologici forniti dal Bettoni mi hanno molto giovato, come lo dimostra la maggiore esattezza di determina- zioni clic per essi ho potuto avere in una nuova memoria illustra- tiva di altra plaga bresciana, memoria che oggi stesso presento all’Ateneo di Brescia ('). Broscia, 9 aprile 1905. (*) Rilievo geologico della regione tra Monticello, Ome, Sajano e Gus- sago. [ins. pres. PII aprile 1905 - ult. bozze 2 maggio 1905]. SPICOLE DI TETRACTINELLIDI RINVENUTE NELLE SABBIE POSTPLIOCENICHE DI CARRUBARE (CALABRIA) Nota del prof. A. Neviani Pochi mesi or sono pubblicai una breve monografia sui brio- zoi postpliocenici della classica località di Carrubare presso Reg- gio in Calabria ('). riferendo nella introduzione sulle condizioni del giacimento; non starò quindi a ripetere qui quanto ho già detto; accennerò solamente che quelle formazioni si debbono riportare ad un postpliocene (saariano inferiore) più recente di quelle no- tissime di Monte Mario (?). Accennavo in quella introduzione che fra il materiale minuto vi erano abbondanti minimi molluschi, crostacei, foraminiferi, ecc., e desideroso di avere di essi una collezione determinata, comin- ciai a separare specialmente ostracodi e foraminiferi. Fu in que- sta occasione che ritrovai le spicole di spongiarì, le così dette- spongoliti dei micrografi paleontologi, di cui è argomento nella presente nota. Le spicole che ho trovate nelle predette sabbie sono numerosis- sime e molteplici nelle loro forme; tutte ottimamente conservate; rari sono i frammenti, rarissime quelle che presentano segni di corrosione alla superficie; cosicché abbiamo la massima sicurezza che le specie, da esse spicole rappresentate, vissero in posto,, non subirono trasporto alcuno, e tanto meno può sorgere il dub- bio che provengano da depositi più antichi. D’altronde che quel classico giacimento si sia formato in un mare molto tranquillo, l’attestano la meravigliosa conservazione di tutti gli altri organismi spesso delicatissimi. (>) Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, pag. 507. (2) Pio Mantovani (Boll. cora. geol. ital., voi. IX, 1878, pag. 460) le- riferisce al pliocene superiore o siciliano del Doderlein; le farebbe quindi contemporanee a quelle di Monte Mario. 2o6 A. NEVIANI Non conosco monografie speciali, descrittive di spicole fos- sili italiane, a meno della citazione occasionale, quasi sempre di un ristretto numero di forme, fatta da vari autori per spi- cole osservate in terreni di varie epoche e di altre località. Le spicole di Carrubare sfuggirono anche all’occhio acuta- mente indagatore di Giuseppe Seguenza, il quale difatti di spon- giari cita solo «spugne perforanti varie, che richiedono studio comparativo accurato» (1). Passo alla enumerazione delle varie forme di spicole da me osservate, avvertendo che mi attengo alla nomenclatura oggi in uso dagli zoologi, e particolarmente dagli specialisti di tetracti- nellidi Schultze F. E. e Lendelfeld (5), abbandonando compieta- mente la ormai vieta nomenclatura dell’Ehrenberg e di altri, della quale per troppo tempo abusarono i paleontologi. Oxie. Spicole monaxonie accrescentesi alle due estremità, termi- nate a punta. Fig. 1-2. Oxie (am f oxie) rettilinee, gradatamente acuminate itile due estremità. Dimensioni estreme osservate: lunghezza mm. 2,700-2,725 ; grossezza mm. 0,050-0,005. (') Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria), Roma, 1879, pag. 373. (2) Ueber die Bezeichnung der Spongiennadeln, Berlin, 1889; oltre a numerose memorie (logli stessi autori e di altri. Molto mi ha servito ancora l’ottimo Traile de zoologie concrète (T. Il, l'° partie) del Delago •ed Hérouard, Paris, 1899. TETRACTINELLIDI POSTPLIOCENICHE 267 Fig. 3-5. Oxie (amfoxie) come le precedenti ma curvate de- bolmente ad arco; queste d’ordinario sono più grosse di quelle ret- tilinee. Lunghezza mm, 1,950-2,150 ; grossezza mm. 0,060-0,125. Fig. 6. Ozia non completa ad una delle estremità, la quale presenta come una concrezione di silice opaca, esternamente ru- gulosa. Lunghezza mm. 2,225; grossezza mm. 0,110. Fig. 7. Ozia curva, rotta ad un estremo; nel centro e dalla parte concava presenta un leggero rigonfiamento, corrispondente al quale il canale centrale non offre alcuna alterazione. Lun- ghezza della metà conservata della spicola mm. 0,825; grossezza della parte centrale mm. 0,200. Stili. Spicole monaxonie accrescentesi in una sola direzione, grosse -e rotondeggianti ad un estremo, assottigliate all’altro. Fig. 8. L’unico stilo normale rinvenuto. Lunghezza mm. 1,250 ; grossezza mm. 0,110. Fig. 9-11. Stili diritti o ricurvi provvisti di una appendice conica variamente foggiata, e variamente disposta nella estre- .mità ingrossata. Fig. 12. Considero come uno stilo anomalo questa spicola singolare, ripiegata due volte a ginocchio presso l’estremità più grossa, e provvista di una breve appendice laterale cupuliforme traversata solo in parte dal canale centrale. Monaene. Spicole monaxonie formate da due parti, delle quali una ha "valore di rhabdorna, l’altra di cladonia. Non ho trovato alcuna 268 A. NEVIANI monaena semplice, ma una sola dichomonaena (fig. 13, 14), nella quale le branche del cladonia non sono simmetricamente dispo- ste. Lunghezza del rhabdoma, presa dal lato esterno, mm. 0,910; lunghezza del proclado mm. 0,420; lunghezza del deuteroclado conservato mm. 0,390 ; grossezza massima mm. 0,220. Diaene. Spicole monaxonie composte, con cladonia di due dadi posti sullo stesso piano. Anche di questa forma mi sono imbattuto in un solo esemplare (fig. 15); il rhabdoma non è completo; i dadi sono rettilinei divergenti ed in direzione opposta al rhabdoma ; è quindi una prodiaena. Lun- ghezza dei dadi, misurata dal punto di bi- forcazione del canale centrale: mm. 0,210 e 0.225 ; grossezza mm. 0,100; distanza fra gli estremi dei due dadi mm. 0,405; grossezza del rhabdoma mm. 0,105. Triaene. Spicole come le precedenti, ma con tre dadi. Quelle osser- vate, che sono molto comuni, appartengono per la massima parte alle potrìaene, con molte varietà; ho trovato anche una dicho- triaena, e cioè una triaena con dadi biforcati. Fig. 10, 17. Totriaenc con dadi piccolissimi; il cladonia in alcuni esemplari sporge appena lateralmente al rhabdoma; noto pure come questa varietà presenti spicole relativamente molto grosse. Lunghezza massima osservata del rhabdoma: mm. 2,300; grossezza mm. 0,100; lunghezza dei dadi : mm. 0,150; distanza fra gli estremi di due dadi: mm. 0,175. Fig. 19-21. Triaene come le precedenti, ma con il cladonia più espanso per maggior lunghezza dei dadi. Lunghezza del rhabdoma: mm. 0,825-1,275; grossezza mm. 0,050-0,100; lun- ghezza dei dadi: mm. 0,125-0,300; distanza fra gli estremi di due dadi: mm. 0,215-0,425. Fig. 22. Triaena con i dadi alquanto curvi alTindietro; è questa una forma che accenna al passaggio ad una ana o plagio- TETRACTINELLIDI POSTPLIOCENICHE 269 ■triaena. Il rliabdoma è spezzato ; la sua grossezza è di mm. 0,100; lunghezza dei dadi: ram. 0,250 ; distanza fra gli estremi di due dadi: mm. 0,450. Fig. 23. Triaena dello stesso tipo della precedente, ma con un dado biforcato, passante quindi ad una dichotriaena. Fig. 24. Triaena con rliabdoma piegato ad angolo; forse per frattura e consecutiva naturale saldatura. Fig. 25. Triaena con due soli dadi per mancato sviluppo del terzo. Fig. 2G. Triaena come la precedente; ma del terzo dado si osserva un rudimento. Fig. 27. Triaene con grande cladonia; i dadi lunghi sino a inni. 0,360, sono ripiegati di fianco accennando alla varietà denominata orthotriaena. Uno dei dadi è molto più breve de- gli altri. Distanza fra gli estremi dei due dadi più lunghi : mm. 0,575. Fig. 28. Triaena con una concrezione silicea strongiloide aderente ad un dado presso la sua base. Fig. 29. Triaena anomala, del tipo delle fig. 16-18, ma con il rliabdoma molto grosso e arrotondato all’estremo; cosicché a -questa spicola converrebbe il nome di strongilotriaena. Lun- 270 A. NEVIANI ghezza del rhabdoma: mm. 0,950; sua grossezza massima mm.' 0,160; lunghezza dei dadi: mm. 0,150; distanza fra gli estremi di due dadi: mm. 0,175. Fig. 30, 31. L’unica dichotriaena rinvenuta; in essa il rhab- doma è relativamente molto breve; il cladonia espanso quasi in uu piano (fig. 31) ha due deuterocladi incompleti. Lunghezza del rhabdoma: mm. 0,500; sua grossezza alla base: mm. 0,150 ; lunghezza dei protodadi: mm. 0,135-0,150; lunghezza dei deu- terocladi: mm. 0,250; distanza fra gli estremi di due deutero- cladi originati dallo stesso protodado: mm. 0,310; distanza fra gli estremi di due deuterocladi contigui, ma originati da due protodadi : mm. 0,400. Tetraena. Spicole simili alle triaene, ma con quattro dadi. Fig. 32. Protetraena. Forma abbastanza comune, quasi sera- lire con rhabdoma robusto. Grossezza del rhabdoma: mm. 0,115; lunghezza dei dadi: mm. 0,250; distanza fra l’estremo di due dadi: mm. 0,250. Fig. 33. Orthotetraena. I dadi sono svolti in un piano quasi per- pendicolare all’asse del rhabdoma. Un solo esemplare con rhabdoma spezzato. Grossezza del rhabdoma: mm. 0,085; lunghezza dei dadi: mm. 0,265; distanza fra gli estremi, di due dadi: mm. 0,375. Fig. 34. Tetraena di tipo inter- medio alle precedenti; i dadi ripie- gano all’indietro, passando cosi ad una- anatetraena. Anche in questo esemplare il rhabdoma è spezzato. Grossezza del rhabdoma: mm. 0,075; lunghezza dei dadi: mm. 0,200; distanza fra gli estremi di due dadi: mm. 0,325. Fig. 35. Una spicola con cladonia a cinque dadi. Secondo il sistema di nomenclatura adottata si dovrebbe chiamare jjen- taena; ma tale forma non la trovo citata dagli autori. La ri- tengo quindi per una tetraena anomala; noto in proposito che TETRACTINELLIDI POSTPLIOCENICHE 271 i cinque dadi non sono simmetricamente disposti. Il rhabdoraa non è completo. Grossezza del rhabdoma: min. 0,075; lunghezza dei dadi: mm. 0,175. Triodi. Spicole di tipo tetraxonio ma ri- dotte a tre assi distesi su di un piano, o di poco inclinati. Fig. 36-38. Tre dei triodi meglio- conservati. Essi diversificano notevol- mente nelle dimensioni, sia per la lunghezza, sia per la grossezza delle attinie. Misure ottenute: N.° 36. Lunghezza massima delle attinie: mm. 0,960 Grossezza alla base » 0,150 N.° 37. Lunghezza massima delle attinie: » 0,550 Grossezza alla base » 0,045 N.° 38. Lunghezza massima delle attinie: » 0,555 Grossezza alla base » 0,050. Caltliropi. Spicole tetraxonie a quattro attinie; esse sono comuni a Car- rubare e di variabilissime dimensioni. Fig. 39. Il più grande calthrops osservato. L’attinia più lunga misura mm. 1,050; la grossezza alla base è per tutte quattro le ■272 A. NEVIANI attinie di circa nini. 0,225. Una delle attinie lunga nini. 0,750, termina a cima cupuliforme; un’altra presenta verso l’estremo un piccolo gruppo di concrezioni silicee. Fig. 40, 41. Due calthropi assai più piccoli del precedente. Massime dimensioni: lunghezza delle attinie: nini. 0,425; lar- ghezza alla base: inni. 0,085. Fig. 42, 43. Due calthropi colle attinie non simmetricamente disposte. Fig. 44, 45. Altri due cal- thropi con attinie curvilinee. Fig. 46-48. Tre calthropi anomali. In essi una o due atti- nie si biforcano all’estremità. Ac- cennano ad una forma che si potrebbe chiamare dichocalthrops; ma non l’ho trovata considerata dagli autori. Desini. Spicele senza un tipo geometrico speciale. Essi sono sempre più o meno compressi, for- mati di silice (opale) opaca, bianco-giallognola nel centro, translucida ed anche traspa- rente alla periferia; con su- perficie costantemente irrego- lare per numerose apofisi. La silice si è depositata attorno a spicole che originariamente corrispondono ai principali ti- pi precedenti. Fig. 49-54. Desini niono- crepidi, diritti o ricurvi; di solito poco espansi lateral- mente; la loro lunghezza varia da min. 0,575 a nini. 1,350. Fig. 55. Dcsma dicrepi- de, che possiamo considerare TETRACTINELLIDI POSTPLIOCENICHE 273 'Come stadio di passaggio con forme a tre attinie; lunghezza mm. 1,250. Fig. 56-59. Desini tricrepidi a tre attinie distinte, svolte su di un piano, delle quali una più lunga delle altre. Le due braccia (dadi) brevi, ora sono ben distinte (fig. 58), ora fra esse si stende nuova formazione silicea che le nasconde in tutto (fig. 57,) o in parte (fig. 59). Fig. 60. Strana spicola desmica, della quale non ho trovato traccia negli autori. Sembra riportarsi ad una triactinia, o ad un triode con le tre attinie ripiegate in alto e contorte; il corpo centrale è quasi spugnoso ed opaco, le porzioni terminali dei tre raggi sono limpidissime. La fig. 60 mostra questa minutis- sima spicola di fianco, e la fig. 60 a veduta dall’alto. La mas- sima larghezza è di mm. 0,500. Fig. 61. Desina discoide, del diametro massimo di mm. 0,475. Una piccola area marginale a lunula è trasparente. Microsclere. Fig. 62. Una sola microsdcra mi è stato dato di osservare nella sabbia di Carrubare. Essa appartiene alla categoria degli aster, sezione euaster e precisamente agli anthaster caratteriz- zati da raggi corti, spinosi, in piccolo numero. La sua dimen- sione massima è di mm. 0,275. Per quanto sieno varie e ben caratterizzate nella loro forma le spicole ora enumerate, è cosa molto difficile il tentare la iden- tificazione delle specie od anche dei generi ai quali apparten- nero. Esse sono certamente tutte dell’ordine dei tetradinellidi, ed in predominanza del sottordine dei lithistidi , e specialmente della tribù t ria mina ; e ciò appunto per l’abbondanza di triaene e di desmi. Tribù che oggi ha la maggior parte dei suoi rappre- 18 274 A. NEVIANI sentanti (gen. Tliconelìa, Desmanthus , Coraìlistes, Pi eroina, eco.)* nell’Atlantico intertropicale, ed anche nel Mediterraneo; senza tener conto di numerosi generi che risalgono al Cretaceo e per- sino al paleozoico. La presenza poi delle numerose oxie e dei calthropi fa pen- sare al sottordine delle Choristidae e specialmente alla tribù Astrophorina, della quale i generi Thenea, Pachastrella, Stel- letta, Geodia, sono ben rappresentati nel Mediterraneo. Le spicole monaxonje prese di per sò fanno ricorrere alla mente l’ordine delle spugne Monaxonida, tanto più che spesso- le conchiglie di molluschi sono frequentemente perforate da in- dividui del genere Cliona (tribù Clavalina)) ma l’assenza com- pleta delle spicole a tipo tylostile mi esclude, dalle spicole pre- cedentemente enumerate, le specie ed i generi di quest’ultimo ordine ('). (') Durante la stampa di questa nota ho rinvenuto nelle medesime- salbie di Carrubare rari frammenti di spugne esac tinelli di, uno dei quali non solo presenta un intreccio minutissimo di lunghe spicole a tipo- triaxonio, ma anche un amfidisco molto ben conservato. [ins. pres. il 12 marzo 1905 - ult. bozze 2 maggio 1905]. ALCUNE NOTE DI GEOLOGIA PRESE IN UNA ESCURSIONE AD ARDEA NEL CIRCONDARIO DI ROMA Nota del prof. R. Meli Nell’anno 1904, teste decorso, ho eseguito, accompagnato dal principe D. Francesco Ludovisi Boncompagni e dal prof. G. Felici, una bella, e per me molto interessante, gita, percorrendo le vie Laurentina ed Ardeatiua, visitando il caratteristico paese di Ardea, il casale Salzara, nel circondario di Roma, e giungendo poi alla foce deH’Incastro fino al mare. Da molto tempo desideravo di vedere la regione ardeatina,. che, per le difficoltà nei mezzi di comunicazione, non aveva finora visitato ed era una delle rare località della provincia di Roma, che, sebbene posta a pochi chilometri dalla città (35 Km. circa), mi fosse sconosciuta. Con questa escursione, con le altre, eseguite neiranno 1903, sul littorale di Ostia, Castel Porziano, e Pra- tica insieme ai predetti Signori, e negli anni precedenti per mio conto, ho percorso tutto il littorale romano da Tor S. Agostino a N. di Civitavecchia, fino a Terracina, tolto solo il tratto di spiaggia corrispondente al lago di Fogliano. Nella gita preliminare fatta ad Ardea rividi le correnti di lave leucitiche (leucititi), che si incontrano presso le suddette vie, a monte di Ponte Buttero (*), a Vallerano (Chiesaccia) e (') Tra il Ponte Buttero e la cava di leucitite a monte del ponti- cello, si rinvennero nel 1881, quando si eseguirono alcuni sterri per la costruzione di un fabbricato per ricoverarvi i detenuti, allora adibiti alla coltivazione agraria della tenuta delle Tre Fontane, alcune ossa e denti fossili di mammiferi (zanna, ossa e molari di Eleplias antiquus Falc., denti di Rhinoceros, di Equus caballus Lin., di Bos primigenius Baj.r resti di Cervus elaphus Lin., ecc.), in una marna giallastra, che, se ben 216 R. MELI Yalleranello e ad Acquaeetosa (*) ; e nelle altre escursioni, fatte insieme ai suddetti signori a Castel Porziano, a Pratica e sulla ricordo, era addossata ai terreni vulcanici. Su tale ritrovamento vedasi: Meli R., Rinvenimento di ossa fossili nei dintorni di Roma. Nel Bollett. d. R. Comitato geologico d’Italia, anno 1881, n. 11-12, pag. 580. — Id., Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma. Nel Bollett. d. R. Com. geol. d’Italia, anno 1882, n. 9-10. Ved. pag. 359. (’) Sulla lava di Acquaeetosa e contigue correnti laviche, può con- sultarsi la memoria di P. Carpi : Sopra un’ antica corrente di lava sco- perta nelle vicinanze di Roma e sopra un’ acqua minerale che sorge presso la medesima. Nel Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti, tomoXLI, Roma, 1829. La memoria del Carpi tradotta in tedesco, é stampata anche nel Zeitschrift far -Mineralogie del Leonhard, voi. V, Frankfurt-am- Main, 1829. Parlano anche incidentalmente di tali correnti, o dei mine- rali in esse lave rinvenuti, Brocchi, Ponzi, Degli Abbati, Gosselet, Gior- dano, Mantovani, G.vom Rath, F.Zirkel, Striiver, Demarchi, Tscherrnak G., Santos Rodriguez, Clerici, Verri, Sabatini, Zambonini, ecc., e sono più o meno esattamente segnate nelle varie carte geologiche dei dintorni di Roma, edite dal Ponzi, Gosselet, Giordano, Mantovani, dal R. Comitato geolo- gico, nella carta geologica sulla scala di 1 a 100.000 accompagnante la memoria di Tommasi-Crudeli C., Il clima di Roma. Roma, 1886, in 8.°; nella carta annessa al lavoro del Sabatini ( Vulcano Laziale, 1900), ecc. Gosselet (Obserrations ge’ologiques faites en Italie. Mémoires de la Soc. Imp. des Sciences, agric. et des arts de Lille, llle sèrie, voi. 6. Lille, 1869) nella tav. Ili (Carte des environs de Rome), seguendo le idee del Ponzi, segna la corrente di Acquaeetosa come una diramazione della corrente della via Appia, biforcatasi presso alle Frattocchie. Brocchi ( Catalogo ragionato, 1817, pag. 115, n. 31 e 32) cita la cor- rente di Valleranello sulla via Ardeatina (oggi Laurentina) a 7 miglia (10,5 Km ) da Roma, ed altra lava alterata a 6 miglia (9 Km.) sulla stessa via. Nella mia biblioteca ho l’esemplare del Catalogo del Brocchi, appar- tenuto al mineralista Lavinio dei Medici-Spada, a me pervenuto col- l’acquisto, che feci di una parte dei libri posseduti dal defunto pro- fessor Ponzi. Il volume porta sul frontespizio la firma autografa dello Spada-Medici ed alcune note manoscritte sui minerali di Capo di Bove al cap. Ili, sul peperino di Albano al cap. V e sulla lava di Vallera- nello al cap. XII. Trascrivo testualmente, perché mi sembrano interes- santi per l’epoca, in cui furono segnate (circa il 1840), le note scritte dallo Spada-Medici a margine della pag. 115 e elio si riferiscono alla lava di Valleranello: «Dopo quest’epoca (cioè, dopo il 1817, data della pubblicazione del Catalogo del Brocchi) si è aperta allo lavorazioni la corrente d’ Acqua NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 277 : spiaggia di Campo Ascolano, rividi ancora le correnti di Tor Brunori e del Casale Mostacciano prima di Decima, le quali Acetosa ed il prof. Carpi della corrente e delle sostanze orittognostiche, che in essa si rinvengono fece tema di particolare scritto. » Si aggiungono qui le sostanze e le varietà, che egli non vide e che successivamente ho io stesso raccolto o veduto da altri. Calce car- bonata inversa smarginata d’H. (Haixy). — D.u prismatica. » E da notarsi poi che sotto il nome d’Àbrazite sono state confuse varie sostanze. Credo che l’Abrazite o Gismondina sia l'ottaedra e la perliforme che comprende anche la milliarìa. Quella, che hanno indicato- come var. titetraedra della suddetta specie, sembra piuttosto Armotoma e l’altra sostanza a belli globuli limpidi ed a frattura radiata concentrica pare doversi riferire al Mesotipo, se forse non é specie indipendente ». Sullo Spada-Medici ecco alcune notizie biografiche: Monsignor Lavinio dei Medici-Spada fece una ricca e scelta colle- zione di minerali, la quale fu acquistata dal Governo Pontificio per l’Università di Roma, e formò il nucleo della collezione mineralogica,, che oggi vi si ammira. Lo Spada-Medici pubblicò due lavori nel 1846, uno dei quali fu fatto in collaborazione del Ponzi (Profilo teorico dimo- strante la disposizione dei terreni della Campagna Romana). L’altro la- voro: Sopra alcune specie minerali non prima osservate nello Stato pon- tifìcio fu pubblicato nella Raccolta scientifica, edita dal Palomba (voi. I, 1846). Venne anche stampato sotto altro titolo (Sur la formation des minéraux volcanigues. Lettre de Monseigneur De Medici- Spada au Prof . A. Favre de Genève nella Bibliothéque universelle de Genève, février, 1845). Sul gabinetto mineralogico dello Spada si ha una piccola pubbli- cazione, col titolo: Illustrazione del Gabinetto Cristallografico di mon- signore Don Lavinio De Medici-Spada. Lettera indiretta a Monsignor Abate Don Camillo Ranzani. Bologna, 1841, di pag. 8. La lettera é di Domenico Galvani. Se ne fa menzione anche nell’ Album, giornale (cessato) di Roma, quando si parla del Museo Mineralogico della Università di Roma (Ved. L’Album , anno XXV, distribuzione 2a. Roma, 27 febbraio 1858, pag. 13). Della collezione mineralogica del Medici- Spada parla Eichwald, che la vide nel 1847. [Eichwald Ed., Naturili star isc.lie Bemerkungen auf einer Reise durch Eifel, Tyrol, Italien, Sizilien und Algier. Moskau und Stutt- gart, 1851, in 4°. Ved. pag. 256]. Ne fa menzione anche A. Gennarelli nella dedica, fatta al Medici- Spada del voi. VI del periodico II Saggiatore giornale romano di storia, belle arti e letteratura, anno III, Roma, Menicanti, 1846, in 8°. Kobell chiamò Spadaite un minerale amorfo, ovvero criptocri- stallino secondo H. Fischer, formato da silicato idrato di magnesio Mg5 Si6 017-t-4H2 0, rinvenuto associato aWollastonite nella lava leucitica 278 K. MELI correnti laviche sono tutte oggi cavate per la pavimentazione stradale della città di Eoma e per gli scaglioni da impiegarsi (leucitite) di Capo di Bove, raccolto dal Medici-Spada. Kobell Fr., Ueber den Spadait, eine neuc Mineral.-spe.cies von Capo di Bove (K. Baj. Akad. der Wissenschaft., voi. XVII. Monaco, 1843, n. 61. Stampato anche nel Journ. filr prakt. Chemie von Erdmann, voi. XXX, Leipzig, 1843 e nel Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, tomo XCIX, Roma, 1844, pag. 162-164). La traduzione italiana ne fu fatta dal prof. G. Ponzi. L’avv. G. Sarzana, che circa la metà del secolo scorso aveva adu- nato in Roma una copiosa collezione di conchiglie viventi, la quale trovo menzionata negli scritti di L. Ceselli, Al. Calandrelli e di altri contemporanei, descrisse una conchiglia vivente della nuova California col nome di Cymbium Spadianum, dedicandone la specie al Medici-Spada. Ved. Descrizione di un nuovo genere di conchiglia appartenente ai mol- luschi delVordine de’ Gasteropodi dedicata a S. E. reviha monsignor Ba- rin io dei Medici- Spada, pro-uditore generale della li. C. A., dall’avv. Giu- seppe Sarzana. NeHL47£mm, giornale letterario e di Belle Arti, anno XII, Roma, distribuzione 14n, 31 maggio 1845, pag. 105-107, e seguente del 7 giugno 1845, pag. 118-119. E difficile, in mancanza della figura, dalla sola descrizione e dalle indicazioni date dal Sarzana, di precisare la specie dedicata al Medici- Spada. E certo una grande patellide, che sembra analoga alla Nocella cymbularia Lamk. ( Patella ) [De Lamarck, llist. nat. des an. sans vert'e- bres, deuxième édition par G. P. Deshayes, toni. VII, pag. 511, n. 45. — ì Cheuu J. C., Manuel de Conchyliolog., toni. Ier, Paris, 1859, pag. 378, fig. 2846 ( Nocella cymbularia). — Blaiuville (de) Ducrotay H. M., Ma- nuel de malacologie et de conchyl., Paris-Strasbourg, 1825, in 8.° (Ved. pag. 499, PI. XLIX, fig. 6, Patella cymbularia]. Anche le dimensioni di min. 98 in lunghezza (nini. 44 di larghezza media e nini. 38 di altezza), date dal Sarzana, corrispondono con quelle di 2 pollici e mezzo di lun- ghezza assegnate da Lamarck. Ma per le strie minute raggianti e per- la posizione della sommità, od apice della conchiglia, sembrerebbe vi- cina alla Cymbula compressa Lin. ( Palella ) [Cheuu J. C., Manuel cit., voi. I, pag. 378, fig. 2844 ( Cymbula compressa )]. Lavinio dei Conti Medici-Spada nacque in Macerata il 12 agosto 1801, e mori a Firenze nella mattina del giorno 24 dicembre 1864 all’età di anni 63. Un breve cenno necrologico di esso fu stampato nel Corriere delle Marche , giornale politico, il giorno 3 gennaio 1865. Nella mia biblioteca possiedo l’opuscolo col titolo: Elogio del conte Lavinio de’ Medici- Spada letto nella chiesa cattedrale di Treia il dì 28 gen- naio 1865 dall' abate Emidio Bianchi. Recanati, tip. Badaloni, 1865, in 8.°, di pag. 62. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 279 siel l’ossatura dei mari e nelle fondazioni (’). Io le aveva tutte più volte e vari anni prima visitate. Ma la regione, nuova per me, cominciò dal fosso della Solfa- tara Altieri, ad Ardea, ed oltre fino al mare. Vi notai banchi di forte potenza di tufi litoidi rosso-lionati, o giallastri, con litoclasi irregolari e pozzolane. I tufi giungono fin quasi al mare dopo Ardea. Questo paese, così importante dal lato storico ed archeo- logico, già città capitale dei Rutuli, così rimarchevole per le sue antiche mura formate di parai lelepipedi di tufo, conservate tuttora nella parte settentrionale, giace, come Orvieto e Civita di Bagnorea, sopra una piattaforma isolata di tufo litoide rosso- lionato, la cui massa è fratturata da litoclasi irregolari. Il tufo pietroso di Ardea è citato dal Brocchi nel suo Ca- talogo ragionato di una raccolta di rocce disposto con ordine geografico per servire alla geognosia dell’Italia, Milano, imp. x. stamperia, 1817, in 8° (Yed. pag. 114, n. 30). Il Brocchi lo ritenne, molto giustamente, analogo a quello, che si osserva presso la Solfatara Altieri, ed a quelli, che si mostrano: al tempio di Bacco presso la fonte della Ninfa Egeria nella valletta della Caffarella; alla Sedia del Diavolo sulla via Nomentana; nei din- torni di Zagarolo, di Cave e Valmontone; a Giuliano tra Cori e Velletri; al Campidoglio; ed a Monte Verde sulla via Por- ti! en se. Seguendo la scala esibita dal Clerici (s) per le formazioni -tufacee e per le pozzolane di provenienza laziale, che si scor- (') Nell’ossatura dei muri per il monumento a Vittorio Emanuele •sul Campidoglio e nelle fondazioni, si sono adoperati gii scaglioni di •lava, estratti dalle correnti laziali, che trovatisi più prossime a Roma (ponte Buttero, Acquacetosa, Capo di Bove, ecc.). (2) Clerici E., Contribuzione alla conoscenza dei capisaldi per la geologia dei dintorni di Roma. Rendiconti d. R. Accad. d. Lincei. Classe di se. fis. mat., e natur., voi. X, serie 5.*, l.° semestre, fase. 3.°, seduta del 3 febbraio 1901. Ved. pag. 79. Clerici E., Sopra un giacimento di diatomee al monte del Finocchio ■o della Creta 2)rssso Tor di Valle. Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XII, 1893, pag. 759 e seguenti. Clerici E., Notizie intorno ai tufi vulcanici della via Flaminia dalla valle del Vescovo a Prima Porta. Rendiconti d. R. Accad. dei Lincei. Classe di se. fis., mat. e nat., l.° semestre, fase. 2.°, 1894; Considerazioni sopra i tufi vulcanici a nord di Roma fra il fosso della Crescenza e 280 R. MELI gono nei dintorni di Roma, il tufo litoide di Ardea sarebbe identico e sincrono a quello della Sedia del Diavolo e delle altre località classiche dei dintorni di Roma sulla sponda sini- stra del Tevere, e perciò sarebbe uno dei tufi più recenti della scala menzionata. Il Brocchi (op. cit., pag. 115, n. 33-34) segna tufi pietrosi rosso-mattone, e giallognoli, analoghi a quelli di Ardea, sulla via Ardeatina tra il IIP e IX0 miglio e poi scrive: « La via Ar- deatina merita d’essere scorsa fino alla Solfatara di Altieri da chi brama vedere grandi depositi e molte varietà di tufi di questa natura ». Sono, infatti, notevoli le grandi masse di tufo vulcanico con le molteplici varietà litologiche di esso, che incontransi sulle- vie Laurentina ed Ardeatina, ed il grosso banco di tufo litoide ad Ardea stessa, che prosegue verso il mare. E poi da rimarcare che le masse di tufo vulcanico, litoide, si trovano distribuite, nel gruppo Laziale, con forte potenza al- l’esterno ed alla base del grande cono eruttivo. Cosi, ne troviamo in queste condizioni, oltre che ad Ardea, a Sette camini sulla Ostiense, all’A ventino, alla Moietta, al Palatino, alla Rupe Tar- pea, alla Sedia del Diavolo sulla via Nomeniana, a Ponte Mam- molo sulla via Valeria, a Zagarolo, a Valmontone, a Labico nel Lazio, tra questo paese c la stazione di Segni, nella valle del Sacco, a Conca nella valle dell’Astura, ecc. Tutte le sopra menzionate località si trovano collocate aH’estenio ed alla periferìa del grande cono Laziale, il quale è delimitato a X. dal corso inferiore dell’Aniene, da ponte Lucano al suo sbocco nel Tevere; a N.-W. dalla sponda sinistra del Tevere nel tronco compreso dalla confluenza dell’Aniene alla sua foce al mare; a S.-W. ed a S. dalla costa Tirrena e dalle Paludi pontine, e finalmente ad E. dal principio della catena lepino-pontina, dallo sbocco della valle superiore del Sacco e quello della Torraccia. Rendiconti predetti, fase. 7.°; Sulla origine dei tufi vulcanici al nord di Roma. Rend. suddetti, fase. 8.°; Ancora sulla origine e sull’età dei tufi vulcanici a nord di Roma. Rendiconti suddetti,, fase. 12°. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 281 dalla base dei monti prenestini e tiburtini. Or bene, il tufo li- toide giallo-lionato, laziale, forma una cinta, od anello, quasi con- tinua intorno alla base del cono ed in qualche caso si estende oltre i confini sopra indicati, per es. il giacimento di tufo litoide di Monte Verde e Pozzo Pantaleo, che trovasi sulla destra del Tevere, ed i tufi nella valle dell’Aniene, sotto la via Valeria, di faccia a Salone. Verri osservò già, anche egli, che il tufo litoide assume po- tenza massima al perimetro del cono esterno laziale, sia presso il mare, come ad Ardea, sia nelle valli del Tevere e dell’Aniene, e che sulla via del Ponte di Decima e sulla via Laurentina posa sopra la pozzolana rossa (ciò che va d’accordo con la scala cro- nologica oggi adottata dai geologi romani). Secondo Verri (Note per la storia del Vulcano Laziale. Ri- lievo circostante al gruppo dei crateri. Bollett. d. Soc. geol. ital., voi. XII, 1893, fase. 1, pag. 64, n. 10) il tufo giallo ad Ardea posa su sabbie marine; ma, io non ne ho potuto osser- vare, nella escursione preliminare fattavi, la sovrapposizione od il contatto. Mi parve invece di rilevare una tale sopragiacenza, in altra escursione, nei pressi di Pratica, mentre le vidi sco- perte sulla sponda destra del fosso di Malafede, a monte del- l’osteria del Malpasso, oggi detta Buonpasso; ed affiorare alla base delle colline di Decima e di quelle circostanti al casale della Capocotta sulla via, die poi conduce a Pratica di mare. Rimontando la destra del fosso di Malafede, sopra l’osteria del Malpasso, in una gita, che vi feci insieme all’ing. P. Zezi nel marzo 1886, fu rilevata la successione dei terreni pliocenici re- centi, che ivi si mostrano scoperti e si estendono per circa 2 km., a monte dell’osteria predetta fino quasi a raggiungere la via rotabile. Vi raccogliemmo numerosi esemplari di: Cardimi La- marchi Reeve, Pecten sulcatus Lamk. (n. Bora.), Ostrea lamel- losa Brocc., Tapcs caudata D’Anc., Ostrea adriatica Lamk.,. 0. tyrrhena Issel, Placunanomia pectiniformis Pili!., specie che si rinvengono anche fossili nelle sabbie di Malagrotta sulla via Aurelia e nelle marne e sabbie dei monti della Magliana e di Ponte Galera sulla opposta sponda (destra) della vallata del Tevere. Perciò gli strati marini del Malpasso furono da noi rite- •282 R. MELI miti sincroni ed identici a quelli di Malagrotta, Magliana e Ponte Galera (‘). Del resto, che i tufi vulcanici debbano ricoprire in quella regione le sabbie marine, fu già detto dal Brocchi fin dal 1814. (B Sopra i terreni marini del Malpasso e regione circostante a De- cima si possono consultare le seguenti pubblicazioni : Meli R, Sulle marne plioceniche rinvenute alla sinistra del Tevere nell’interno di Roma. Roma, tip. d. Lincei, 1 891. in 8°. Estr. d. Boll. d. Soc. Geol. It , voi. X, 1891, fase. 1°, pag. 25-29. Sul line della memoria (pag. 29) sono citati i terreni con fossili marini sulla sponda sinistra del Tevere, a valle di Roma «al fosso del Malpasso sulla via di Castel Porziano, fuori Porta S Paolo». Anche Verri nella sua memoria: I tufi vulcanici da costruzione della campagna di Roma (Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XI. Ib92, fase. 1°, pag. 68-75), ricorda incidentalmente il pliocene presso l’osteria del Mal- passo (ved. pag. 74). Ne parla ancora nelle Note per la storia del Vulcano Laziale (ri- lievo circostante al gruppo dei crateri). Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XII, 1893, fase. 1°, pag. 39-80 (ved. pag. 42-43 per i sedimenti marini lungo il fosso di Malafede, Castel di Decima e Trigoria). Meli R., Notizie sopra alcuni resti di mammiferi quaternarii (ossa e denti isolati) rinvenuti nei dintorni di Roma. Boll. d. Soc. Geol. It. voi. XV, 1896, fase. 3°. Nella nota a piedi delle pag. 294-295 si parla Rei giacimento del Malpasso; sono precisati, per la prima volta, i mol- luschi fossili rinvenutivi e sono citati i lavori, nei quali queste sabbie marine sono segnate o menzionate, dandone la bibliografia relativa, alla quale rimando il lettore senza nuovamente trascrivere qui tutti i titoli di quelle pubblicazioni. Nello scritto (pag. 294) si parla di un pezzo di molare di Eleplias antiquus Falc., raccolto dall’avv. J. Santos Rodriguez nello strato sot- tostante alla corrente di lava leucitica (leucitite) di Mostaceiano, sulla via che porta al Malpasso. Clerici E., Sopra i terreni di Decima presso Roma. Comunicazione preliminare. Nel Boll. d. Soc. Geol. 1 1 . , anno XVI, 1897, fase. 2°^ pag. 274-275. Vi è menzionato il Cardium Lamarckii e le Ostree nelle sabbie argillose sottostanti al tufo granulare del Malpasso. Borsieri Clementina, Escursione geologica a S.-E. di Roma. Nel Boll, d. Naturalista, anno XIX, Siena, 15 maggio 1899, pag. 59-61. Vi è soltanto menzionato il giacimento marino del Malpasso. Del Giudice F., Noè G., Relazione della escursione geologica al Mal- passo a sud di Roma. Nel Boll. d. Naturalista anzidetto, Siena, anno XIX, n. 5, 15 maggio 1899, pag. 64-66. E citato nel giacimento marino del Malpasso il Cardium Lamarckii Reeve. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA Egli, nella sua Conchiologia foss. subapennina , voi. I, pag. 64, scrive che il tufo e le deiezioni vulcaniche nascondono i terreni marini fossiliferi nel territorio romano, ma questi riveggonsi in molti punti, e tra essi cita « Ostia, nella pianura compresa tra questo ultimo paese e Castel Fusano, coperta di arena siliceo- • calcarea ». Ad Ardea, sopra il tufo litoide, osservai una marna giallo- gnola, nella quale non mi fu dato rimarcare fossili macrosco- pici, aH’infuori di un frammento di guscio, con fascia bruna, spettante ad un Helix (probabilmente H. nemoralis). Vidi la marna in posto nell’interno di Ardea, presso la spianata del paese, nello sterro fatto di recente per diminuire la pendenza della strada tra la porta del paese ed il piano della piazza. In generale, nelle carte geologiche, nelle quali trovasi com- presa la costa romana circostante ad Ardea fino ad Anzio, edite dal 1849 ad oggi, dai vari autori (Ponzi, Desjardin, Giordano, Ufficio geologico, Sabatini) nei dintorni di Ardea è sempre in- dicato il tufo vulcanico (x), all 'infuori della carta del Manto- vani (1875), nella quale su tutta la spiaggia romana sono indi- cate sabbie quaternarie marine, senza interruzione. Assai notevole è la roccia, che ho trovato nell’alveo del fosso presso il casale di S. Procula, a monte e a valle del ponticello, su cui passa la via Ardeatina. È un tufo peperiniforme, molto litoide, di color grigio, composto di frammenti di scoriette, lapilli, frammentini di lave, pezzetti di calcare più o meno alterato, solidamente cementati. La roccia è di consistenza lapidea ed il ponticello, su cui passa la via Ardeatina, è costruito in conci di questa pietra (*) (*) Nelle diverse carte geologiche del Ponzi, si trova segnato ad Ardea il tufo vulcanico, che egli riteneva di origine sottomarina e di provenienza dalle bocche eruttive cimine. Stratigraficaménte, lo colloca sottogiacente ai prodotti detritici subaerei Laziali. Anche De Bonstct- ten C. V., nel suo Voyage sur In scène des six derniers ìivres de V Eneide ■ suivis de quelques observations sur le Latium moderne. Genève, J. J. Pas- choud, 1804, in 8.° con carta topogr., parlando di Ardea, scrive che è costruita sopra un tappeto verde (pelouse), sostenuto da roccie tagliate a picco dall’arte e dalla natura. Poi, dice che «la file des collines qui bordent cette cote basse (verso il mare) est toute volcanique » (pag. 18). 284 R. MELI scalpellati. La roccia forma un banco, attraversato da piani ben netti di stratificazione, secondo i quali si divide facilmente. In qualche punto i frammenti, dalla cui cementazione risulta formata la roccia, aumentano di grandezza e si fa passaggio ad un conglomerato tufaceo, brecciforme, grossolano. Talvolta presenta quasi quella varietà di peperino grosso- lano, che nel Lazio è detto volgarmente sasso morto, nel quale venne rinvenuta una parte delle impronte delle penne, il mo- dello del corpo e le ossa di un avvoltoio [Gyps fulvus Linn. ( Vultur )] (l). Nè il Brocchi, nè il Ponzi, che pure scrisse alcune memorie sulle' regioni vicine e circostanti a S. Procula ( Stille correnti di lava e sopra un nuovo cratere vulcanico delle vicinanze di Roma. Atti Accad. pont. de’ Nuovi Lincei, tomo IV, anno 1850-51, pag. 11 0-1 26; Sulle correnti di lava scoperte dal taglio della ferrovia di Albano. Atti predetti, sessione 6 febbraio 1859), nè gli altri autori più recenti menzionarono questo tufo grigio pepe- riniforme di S. Procula. L’unico che ne abbia finora parlato è il prof. G. Striiver. Nel suo lavoro col titolo: Contribuzioni alla Mineralogia dei vulcani Sabatini. Parte I. Sui proietti ad Est del lago di Bracciano. Atti E. Accad. d. Lincei, 1884-85, serie 4."r Meni. d. Classe di Se. fis. mat., e natur., voi. I, nella nota a piedi della pagina 5 (estr.), menziona molto precisamente questa roc- cia (2). Credo che sia il solo che l’abbia finora rimarcata e pre- cisata. (') Meli R., Comunicazione sul rinvenimento dei resti fossili di un g rande avvoltoio racchiuso nel peperino Laziale. Boll. d. Soc. Geol. It.,. voi. Vili, 1889, fase. Ili, pag. 562-564. Id., Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio (Gyps), racchiuso nei peperini iMziali. Boll. d. Soc. Gcol. It., voi. Vili, 1889. fase. 3.°, pag. 490-544. Id., Sui resti fossili di un avvoltoio del genere Gyps rinvenuti nel peperino laziale. Boll. d. Soc. Romana per gli studi zoologici, voi. I, 1892,. fase. I-II, pag. 00-67 e pag. 85. Miles E. J , llemarks on peperino. Journal of thè British and Amerie. Archaeological Society of Rome, voi. II, 1894, n.° 4, pag. 208-212. (?) Del tufo di S.ft Procula feci parola incidentalmente nella mia pub- blicazione: Materiali per una bibliografia scientifica del littorale ro- mano, ecc. Boll, d Soc. Geol. It., voi. XXII I, 19o4, pag. lxxxv ed alla pag. lxxxviii, ove si ricordano i blocchi di leucitofiro-haiiynico, erra- NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 285 Verri, nella già citata memoria: I tufi vulcanici da costru- zione (Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XI, 1892), nella nota a piedi delle pag. 78-79 menziona il fosso di S.a Proeula e fa parola di alcune masse di materie vulcaniche rimaneggiate dalle acque, che ha avuto occasione di vedere nel fondo di alcune di quelle valli, ma non descrive, come lo Striiver, la roccia in parola. Occorrerebbe di rimontare l’alveo del fosso di S.a Proeula, clic nasce sotto Castel Savelli (Albano), per rintracciare l’ori- gine di questa importante roccia, per delimitarne la estensione, e possibilmente studiarne le relazioni stratigrafiche col peperino. A causa delle correnti laviche, che si mostrano sepolte sotto i tufi e le deiezioni vulcaniche sciolte nella valle superiore di Ponte Buttero e nelle altre località sopraccennate, il Ponzi nel 1851 collocava una bocca eruttiva alla Cecchignola, dalla quale avrebbero avuto origine le correnti delle Tre Fontane (Ponte Buttero), Acquacetosa e Valleranello. È vero però, che in altra successiva pubblicazione (1859) modificava tale sua opinione e riteneva che le correnti di Capo di Bove (‘) e di Acquacetosa tici, ritrovati presso S.a Proeula, analoghi a quelli del Tavolato sulla via Appia Nuova. Sono anche menzionati nella mia nota: Notizie su resti di mammiferi fossili rinvenuti recentemente in località italiane. Boll, d. Soc. Geol. It., voi. XIV, 1895, fase. 2°. Ved. la nota (3) a piedi delle pag. 15G-157. — p) Della corrente lavica di Capo di Bove e dintorni ragiona Gio- vanni Girolamo Lapi in una sua memoria, poco conosciuta, col titolo: Del Selce romano. Ragionamento mineralogico. Roma, 1784, Salomoni, in 4.°, di pag. 30. La memoria é molto erudita; ma scientificamente non ha alcun valore. 11 Lapi, che considera il peperino come una vera lava, che pretende di aver comunicato al De la Conclamine l’idea (che egli sostiene di aver emesso per primo) che i laghi Albano e Nemorense fossero stati un tempo ardenti vulcani, nega poi che la roccia su cui passa la via Appia dal sepolcro di Cecilia Metella alle Frattocchie (il cosi detto selce romano) sia una lava ed invece sostiene essersi la roc- cia depositata nelle acque e perciò di origine nettunica, sol perché è fessurata ed ha divisione poliedrica con venature riempite da terre e da sostanze lasciatevi dalle acque, e perché presenta secrezioni minerali nelle cavità (Zeoliti, Calciti, ecc.), formatesi in esse posteriormente alla solidificazione della roccia ignea. Ma, anteriormente al 1782, le prime notizie ed osservazioni sulla vulcanicità dei monti laziali e sull’essere stati questi un tempo vulcani 286 R. MELI fossero due rami di una stessa colata, che alle Frattocchie si fosse- biforcata, probabilmente originata dal cratere del Monte Pila sul attivi, si trovano negli scritti di: Fréret N. (1723); Lapi G. G. (1760. La memoria fu letta nel 1758 all’Accademia Quirina in Roma, ma fu pubblicata nel 1760, e ristampata nel 1781); De la Condamine (1762. Il viaggio in Italia fu fatto da De la Condamine negli anni 1755-56 ed egli presentò all’Accademia R. delle Scienze di Parigi il manoscritto,, con le sue note, originali ed importanti, il giorno 20 aprile 1757; pe- raltro il volume, racchiudente il Journal d’un voyage en Italie, ha la data del 1762); De la Lande J. J. (1769. De la Lande percorse l'Italia negli anni 1765-66, ma la Ia edizione del suo Voyage en Italie fu stam- pata a Parigi nel 1769); Ferber J. J. (1773. La traduzione francese del barone De Dietrich Ph. F. comparve nel 1776); Desmarest (1773 e 1774); De Saussure H. B. (1776); Becchetti F. (1782); Cermelli P. M. (1782)». Io trattai già di questo argomento in parecchie delle mie pubbli- cazioni. Chi volesse averne maggiori e più dettagliate notizie, potrebbe consultare le seguenti memorie : Meli R , Bibliografia riguardante le acque potabili e minerali della provincia di Boma. Roma, L. Cecchini, 1885, in 8°. Yeti. Lapi Gio. Gi- rolamo alle pag. 61-62. Id., Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio (Gyps) racchiuso nei peperini laziali. Boll. d. Soc. Geol. It., voi. Vili, 1889, fase. 3°. Veti, nota (’) a piedi della pag. 6 (estr.), e della pag. 493 (Bollettino). Id., Notizie bibliografiche sulle rocce magnetiche della provincia di Boma seguite da alcune considerazioni sui valori della declinazione ma- gnetica determinati per Boma. Boll. d. Soc. Geol. It., voi. IX, 1890, fase. 3°. Ved. note alle pag. 609-615 (pag. 3-9 nell’estr.). Id., Belazioni sommarie delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi della B. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri di Boma nell’anno scolastico 1801-92 con indicazioni bibliografiche e geologiche sopra alcune località del Viterbese ed appendice bibliografica su Viterbo. Roma, tip. d. R. Accad. dei Lincei, 1893-97, in 16°. Ved. pag. 29 in nota e pag. 168 — 169 (De la Condamine); pag. 83-84 (De la Lande); pag. 91 e 176-177 (Ferber); pag. 171-173 (De Saussure); pag. 173-174 (Desmarest); pag. 185- 187 (Lapi); pag. 189-192 (per La Conclamine in Maire e Boscovich); ecc. Id., Bibliografia della città di Viterbo. Parte la (Acque minerali),- parte IP1 (Geologia). Roma, R. Accad. d. Lincei, 1894-97, in 16°. Ved. pag. 35-36 (De la Lande); pag. 43 e 132-138 (Ferber); pag. 124-125 (De la Condamine); pag. 127-128 (De Saussure); pag. 129-130 (Desma- rest); pag. 141-143 (Lapi); pag. 145-148 (per La Conclamine in Maire e Boscovich); ecc. Ma, tra i nomi di coloro, che, per i primi, riconobbero estinti vul- cani nei monti laziali, si deve aggiungere ancora quello di Capmartin de Chavpy. Questi, nel suo libro: Decouverte de la maison de campagne; ' ! NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 287' ciglio dell’orlo craterico del Monte Cavo. Ma, in più recenti pubbli- cazioni (*) riaffermava costantemente l’esistenza di un tale cratere secondario. Anche il Sabatini nel suo recente lavoro, Vulcano La- ziale (1900), partendo da altri concetti, colloca un cratere alla Sol- fatara di Altieri. Veramente, la presenza e posizione stratigrafica d’Horace (Rome, Zempel, 1767-69, 3 voi. in 8°), dice chiaramente che Monte Compatri deve essere stato prodotto da un vulcano, alla stessa maniera del Vesuvio e del Monte Nuovo presso Baia, giacché egli ha ritrovato ad E. e ad W. di Monte Compatri masse grandiose di lave- (senza dubbio quelle, che si osservano all’esterno del grande cratere e sul ciglio, sotto il convento di S. Silvestro) uguali per aspetto a quelle del Vesuvio. Difatti, alla pag. 307 del volume III (1769) é stampato:. «. . . si une observation récente que j’ai faite le premier se trouve veri- » table. C’est que le Mont de derriére Frascati et Monte Portio appellò » Monte Compatro du Bourg qui s’y trouve situò, non moins que le Yé- » suve célébre et le Monte nuovo de Baies... doit avoir été produit par » un volcan. La preuve en est fournie par sa seule inspection qui n’y » presente pas seulement d’un coté, qui est celili du couchant, les masses » enormes de cette pierre noire entiérement semblable à celle dont les » carriéres sont dans le Vésuve, mais qui de Cantre, qui est Porient, le » montre composé jusqu’à la cime de couches de cette lave qui est cette » sorte de Machefcr uniquement propres aux terres vomées par les vol- »cans. J’en ai apporté des échantillons dans mon Cabinet, où j’ai été » obligé de les etiqueter pour les distinguer de ceux que m’avoit fourni » le Vésuve raème ». Il passo, ora riprodotto, è assai interessante per l’epoca in cui fu scritto. Per ordine di data, il nome del Capmartin deve essere collocato subito dopo quello di De la Condamine. Tale citazione fu fipora ignorata da coloro, che si sono occupati della storia e dello sviluppo della geologia romana. (') Ponzi G., Storia dei vulcani Laziali. Roma, Salviucci, 1875, in 4.° con carta geol. a colori (Ved. pag. 9, cratere 11). Estr. d. Atti d. R. Ac- cad. d. Lincei, tomo 2.°, serie li. Id., Conglomerato del Tavolato; pozzo artesiano nella lava di Capo di Bore; Storia dei vulcani Laziali accresciuta e corretta. R. Accad. d. Lincei, serie 4.a, Meni. d. Classe di se. fis., mat. e natur., voi. I, 1884-85, pag. 355. Id., Cronaca subappennina o abbozzo d’un quadro generale del pe- riodo glaciale. Atti dell’XI Congresso degli Scienziati ital. tenutosi in Roma nell’ottobre 1873. « Cosi vediamo il cratere succursale della Cecchignola spettante alle più vecchie eruzioni, sotterrato e scomparso dalle materie piovute in. seguito» (Ved. pag. 62 dell’estr.). -288 R. MELI delle correnti laviche sepolte sotto mi forte mantello di roccie vul- caniche detritiehe (tufi, pozzolane, ece.) in quel tratto; il mostrarsi scoperte le lave nel fondo delle vallette di erosione, alla base delle colline nelle località sopraccennate; l’aver veduto gros- sissimi blocchi di lava racchiusi entro i tufi nella vailetta, che trovasi prima della colonnetta chilometrica XV, farebbe sup- porre l’esistenza in quel tratto di territorio di una bocca secon- daria, ricoperta poi e sotterrata dai materiali detritici delle posteriori eruzioni laziali (tufi, pozzolane, ece.). Nè troverei fuori di posto la designazione della Cecchignola. Occorrerebbe peraltro uno studio accurato e dettagliato della regione; sarebbe neces- sario di rimontare le singole vallette e seguire, ove fosse pos- sibile, la direzione delle correnti per cercare di precisare il loro \ percorso ed il punto dal quale si deversarono. E quindi, nello stato attuale delle cognizioni geologiche di quel tratto di terri- torio, intempestivo il voler designare la posizione di questo sup- posto cratere secondario. Alla foce del Eio degli Incastri, propriamente allo sbocco della riva sinistra sul mare (!), raccolsi un ciottolo, che ha tutte (') Sulla spiaggia Ardeatina raccolsi poi i seguenti molluschi mo- derni : & 'ermi a trunculus Linn. ( Donax ) in grandi esemplari ; abbondantissima. » semistriata Poli (Donax). Venus gallina Linn. Mactra stultorum Linn. ( Cardium ) e var. alba ( Mactra lactea Gmel.). Pectunculus violacescens Lamk. Cardium Lamarclcii Reeve. » tuberculatum Linn. Sepia officinalis auct. (n. Linn.) S. Filliouxi Lafont. Frammenti di pomici, gettate dal mare sulla spiaggia, aventi attaccati esemplari di Lepas anatifera Linn. = Anatifa laevis auct., le quali spe- cie sono comuni su tutto il li ttorale e le ho ritrovate da Fiumicino a Terracina. Sulla spiaggia di Campo Ascolano, oltre quasi tutti i sopracitati mol- luschi, raccolsi valve isolate di Pholas candida Linn , e le seguenti specie: Solen vagina Linn. » siliqua Linn. var. major. Entrambi le specie molto abbondanti, e, come le bivalvi seguenti, in esemplari morti, ma com- pleti delle due valve. Solen ensis Linn. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 289 le apparenze di provenire da qualche tufo peperiniforme del Lazio, nel quale dovette essere intercluso, a giudicarlo dai resti di roccia grigiastra con cristal letti di augite, aderenti ancora in qualche parte sulla superficie esterna del ciottolo. Il ciottolo è arrotondato per consumo a causa di fluitazione; misura cm. 8, nella maggior lunghezza: è di forma alquanto irregolare ed è costituito da un aggregato minerale, formato da sanidino cristal- lizzato in massa, a macrostruttura granitoide, con mica (biotite) nero-bronzina, grani di magnetite, alterata ed in qualche punto passata a limonite. Siccome il sanidino non è molto frequente tra i prodotti dei vulcani Laziali, così ho creduto di citarlo nella presente nota. Probabilmente, si tratta di un proietto, intercluso, o nel vero peperino laziale, o nel tufo peperiniforme di S. Procula, convo- gliato poi dalle acque del Fosso degli Incastri, o da qualche suo affluente scaricato in questo, e travolto fino al mare (’). Ceralisolen legumen Lina. (Solen). Tellina Costae Phil. = T. cumana 0. G. Costa (Psammobia). Dosinia lupinus Poli (Venns). Cassidaria echinophora Lina. (Buccinimi). Turritella cornmunis Risso, e parecchi esemplari di Iietepora echinalata. p) 11 fosso Numicio, o Rio Torto, oggi chiamato Fosso dellTacastro, •ed aache degli Iacastri, trae origiae aella valle Arieiaa; e riceve le acque dell’emissario del lago di Neaii e, più a valle quelle del fosso di S. Procula. Il baciao di scolo del Rio aazidetto giunge tino a Monte Gentile, tra Nemi ed Albano, raccogliendone le acque del versante S.-SW., poi passa a Castel Savelli, a Santa Palomba, e, con un percorso di circa 24 Km., sbocca a mare a 28 Km. a S. della foce del Tevere. Le sue acque erano stimate dai romani, che se ne servivano per i sacrifizi. Nel suo bacino, pertanto, si trovano in posto e il vero peperino e il tufo, o conglomerato peperiniforme, di S. Procula. Quindi é possibile la pro- venienza sia dall’uno, che dall’altro. Ma, tenuto conto del diametro del ■ciottolo e della forma del suo logoramento non avanzatissimo, potrebbe provenire dal tufo peperinico di S. Procula. Il fosso di S. Procula ori- gina sotto Tor del Vescovo sulla via Ardeatina (che passa a Castel di Leva) e poi si scarica nel fosso degli Incastri a monte di Ardea. Molte notizie storiche sul fosso dellTncastro, ed archeologiche su Ardea. si trovano stampate nell’opera di Donovan (Jeremiah) Rome an- ■cient and modem and its environs, Rome, C. Puccinelli, in 8°, con molte tavole. Ved. voi. IV, 1845, pag. 889-895. 19 290 R. MELI Presso al mare, si ha poi il solito cordone di basse dune,, o tumuli di arene marine, che dalla foce naturale del Tevere si succedono lungo il littorale romano fino a Terracina, inter- rotte soltanto per alcuni tratti là, ove la costa è in corrosione, come da Tor Caldani a Capo d’Anzio, a Nettuno, al promontorio Circeo. In altra pubblicazione (') ho accennato già che le nostre dune littora 1 i moderne hanno tra Nettuno e Astura un’altezza media di circa 10 m.; ma, che tra Punta Grande ed Astura rag- giungono i 13 m. sul livello del mare. Tra Foce Verde e Fogliano il cordone esterno delle sabbie, che separa il lago di Fogliano dal mare, neppure arriva all’altezza di 10 m., giacche la sua quota culminante raggiunge i 9 m., in cifra rotonda. Andando verso il N. del littorale di Anzio, prima di arrivare a Tor S. Lo- renzo, a 2 Km. circa a S. della Torre si hanno dune, la cui altezza supera i 15 m. Alla Tor S. Lorenzo le dune raggiungono i 14 in.; presso il Fosso dell’Incastro siamo circa ai 10 m. ; nella tenuta la Fossa, raggiungono l’elevazione di 12 ni.; a Campo Iemini e sulla spiaggia di Pratica si avrà circa 10 m. in media, ma a Campo Ascolano salgono a 14 in. e, da Ostia moderna an- dando allo sbocco a mare del canale di scolo delle acque sol- levate meccanicamente dalle idrovore, presso Castel Porziano, ho notato una seconda duna, più antica, dell’altra moderna della spiaggia, la cui altezza valutai superiore alle altre osservate sul nostro littorale, e forse arrivante ai 1(3 m. di elevazione (*). Bibliografia scientifica riguardante la regione Ardeatina. Oltre le memorie citate incidentalmente nella precedente nota, si possono consultare, per quello che si riferisce alla storia na- turale della regione Ardeatina, quelle indicate nella mia pub- (') Meli lì.. Materiali per una bibliografia scientifica del littorale romano, compreso ecc. Roma, 1904. Vedasi alla pag. lviii, n. 4(>, le an- notazioni, fatte all’opera del Fischer intorno lo dune del littorale Net- tano-Astnra. (2) Sulle sabbie del littorale romano può consultarsi la memoria del prof. G. Ponzi: Sul modo di esistere dei. depositi di sabbie lungo le spiaggie mediterranee. Nella Corrispondenza scientifica in Soma, anno IV, n. 14, 31 agosto 1855, pag. 113-115. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 291 blicaziene: Materiali per una bibliografia scientifica del litto- rale romano, compreso tra la foce delV Incastro presso Ardea e quella del fiume Astura (*), e per le acque minerali ardea- tine ( aquae ardeatinae), le citazioni, che si trovano riportate nella mia Bibliografia delle acque potabili e minerali della provincia di Boma. Roma, L. Cecchini, 1885, in 8° picc. di pag. 108. Pertanto su Ardea e circostante regione (solfatara Altieri da un lato e Tor S. Lorenzo dall’altro), si possono consultare spe- cialmente le pubblicazioni segnate nel predetto mio lavoro ai numeri seguenti : (Geologia e Paleontologia). n. 1. Abbate E. n. 6. Antonelli G. (filliti di Tor S. Lorenzo), li. 7. Baratta M. (Solfatara Altieri), li. 9-10. Belli A. (grotta bituminosa ad Ardea). n. 15. Brocchi G. B. (roccie di Tor S. Lorenzo, solfatara Altieri, Ardea). n. 18. Calindri G. (solfo, travertino e tufo nella regione ardeatina). n. 20. Cermelli P. M. (acque minerali, pomici e arene quarzose sulla spiaggia ardeatina). n. 21. Ceselli M. (acque solforose), n. 23. Clerici E. (filliti nei tufi presso Tor S. Lorenzo), n. 31. De Rossi M. S. (armi litiche ad Ardea). n. 44. Enciclopedia , VIa edizione (voi. II0, 1876, pag. 520-521. Ardea). n. 53. Galli 1. (Tor S. Lorenzo). n. 57. Giorgis G. e Alvisi U. (pozzolane di Tor S. Lorenzo), n. 85. Monaci T. (Ardea e Solfatara sulla via Ardeatina). n. 88. Murray (Ardea). n. 126. Rath (vom) G. (solfatara ardeatina). n. 127. Reumont (von) A. (Ardea e solfatara ardeatina). n. 130. Sabatini V. (Solfatara Altieri e tufi vulcanici della re- gione ardeatina). C) Stampata nel Bollettino della Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, 1904, fase. l.°, pag. xli-xliv; fase. 2.°, pag. xlv-cxxvi. R. MELI 292 li. 136. Struever G. (tufo di Santa Procula). n. 141. Ufficio (R.) Geologico (carta geologica, nella quale è compresa Ardea e regione circostante), il. 143. Ufficio (R.) Geologico (filliti nei tufi di Ardea). n. 148. Verri A. (pozzolane bigie nel bacino del fosso dell’In- castro; tufo litoide sopragiacente a sabbie). ( Geofìsica). n. 156. Cingolani G. B. (Tor S. Lorenzo), n. 157. Conti A. e Richebach G. (coordinate geogr. della Tor S. Lorenzo). n. 170. Secchi A. (tufi vulcanici nei pressi di Tor S. Lorenzo). (Acque potabili c minerali). n. 174. Anonimo (acquacetosa sulla via Ardeatina). n. 175. Baratta M. (solfatara Altieri). n. 177. Calindri G. ( aquae ardeatinaé). n. 178. Canevari R. (sorgenti e fontanili). n. 188 e 189. I)e Rossi M. S. (solfatara Altieri). n. 195. Guettard (acquacetosa sulla via Ardeatina). n. 197 e 198. Ludwig R. (solfatara ardeatina). n. 202. Meli R. ( aquae ardeatinae ed acquacetosa). n. 205. Ministero d’Agric. (acquacetosa e solfatara Altieri). il. 206. Moroni G. (Ardea ed aquae ardeatinae). n. 208 e 209. Nicolai N. M. (id.). li. 212. Palmieri A. (Ardea). n. 219. Striiver G. (solfatara Ardeatina). il. 220. Yitruvio (acque ardeatine). li. 221. Vulpius I. R. et Corradinus P. M. (antichità ardeatine, aquae ardeatinae). (Zoologia). n. 224. Angelini G. (ornitologia). n. 226. Brocchi G. B. (zoologia: invertebrati). n. 236. Lepri G. (Gru uccisa a Tor S. Lorenzo). n. 238. Maratti I. Fr. (zoofiti raccolti a Pratica di mare). NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 293 A queste memorie sulla regione ardeatina, ed a quelle, che sono citate nel testo e nelle note a piedi pagina al precedente scritto, si devono aggiungere ancora le seguenti: Anonimo. Storia moderna , geografica , civile e naturale della Campagna di Roma in generale ed in particolare della città di Roma, e sue magnificenze, del patrimonio di S. Pietro, e del Ducato di Castro, ecc. Adorna di carte geografiche e figure in rame. Venezia, 1787, 1 voi. in 8.°, di pag. 6 non numerate e 656. Al n. 27 della pag. 316 si trovano alcune poche notizie sto- riche su Ardea, e vi si menzionano le acque ardeatine: « D’in- torno ad Ardea scorrono acque con odor di solfo, che sono pro- babilmente le acque ardeatine degli antichi, chiamate ancora da Vitrnvio fontes sulpliurati ». Blaeu Will. (Blavius). Atlas magnus seti Geographia et Cosmographia Blaviana. Amstelaedami, 1650-1662, 11 voi. in fol., con 563 carte e 41 tav. di vedute. [Si ha poi l’edizione in francese del 1663 con 12 voi. in fol. e supplementi 1667]. Nel voi. Vili (1662) di quest’opera, cioè: Geographiae Bla- vianae volumen octavum, quo Italia, quae est Europae liber decimus sextus, continetur. sono menzionate le acque solforose ardeatine. Parlando di Ardea vi è stampato: «In eius agro fontes sunt putidi, sulplmreis aquis, teste Boccatio». (Ved. voi. citato, pag. 137). Bombicci Luigi. Corso di litologia ; filoni metalliferi ; rocce’, pietre edilizie; marmi. — Manuale di petrografia per costrut- tori, ingegneri, ecc. Bologna, N. Zanichelli, 1885, in 16u. Alle pag. 173-174 sono citate le arene vulcaniche del fosso di Vallerano. Bonstetten (De) Charles Victor. Voyage sur la scène des six derniers livres de V Ènei de suiti de quelques observations sur le Latium moderne. Genève, J. J. Paschoud, an. XIII (1804), in 8°, con carta topografica. 294 R. MELI In questo libro si trovano parecchie indicazioni geologiche sulla campagna di Roma e sul Lazio (pag. 339 a 372), impor- tanti solo per l’epoca, nella quale furono stampate. Alla pag. 355 parlasi delle lave e l’autore scrive che si osservano a Capo di Bove e che questa medesima lava si trova a una lega più lontano al di là di Ponte Buttero. Evidente- mente l’autore ha voluto indicare la lava di Acquacetosa, che \ è distante poco più di una lega da Ponte Buttero. E questa la prima indicazione, finora sconosciuta, che si abbia su quella lava, molto prima che pubblicasse il Carpi la sua memoria nel 1829 su questa corrente. (La memoria Carpi è citata in nota sul principio del presente scritto). « Dans le Latium... les coulées de laves, dures, brunes, par- » tout imiformes, qui probablement oceupent plusieurs lieues » d’étendue. Il y en a à Capo di Bove à ime demi-lieue de »Rome; cette meme lave se trouve à une grande lieue plus » loia au delà de Ponte Buttero ...» (pag. 355). Opera assai interessante per l’epoca in cui fu scritta, e che contiene molte e giuste notizie sul suolo di Roma. L’A. girò e percorse la campagna : « Peu d’étrangers orit parcouru Ics dc- » serts de la campagne de Rome, autant que je l’ai fait » (pag. 357). A Monte Migliore cita poi una corrente di lava scoperta nel fondo della valle : « L’uniformité de la lave dure, compacte, » pesante, que j’ai retrouvee la mciue dans tout le Latium, est » un phénomòne remarquable. » Cette lave coulée est partout recouverte d’ejections volca- » niques, et ce n’est quelques fois qu’un liasard qui la met au » jour, comme sous Monte-Migliori, où le ruisseau d’Albano a » enlevé la terre qui la masquait » (pag. 306). Ballettino di Paletnologia italiana , diretto da G. Chierici, L. Pigorini e P. Strobel. Nel voi. 11°, anno 2°, 1876, fase, gennaio, alla pag. 16, tra le Notizie diverse è data la notizia del rinvenimento di una pic- cola freccia in silice con alette orizzontali, rinvenuta in Ardea, forse l’unica, fino allora, trovata in quella località. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 295 Cane vari Raffaele. Cenni sulle condizioni altimetriche ed idrauliche dell’Agro Romano. Relazione Canevaki. Roma, Sta- bilimento tipografico, 1874, in 8° (stampato negli Annali del Ministero d’Agr. Ind. e Commercio, voi. 71). Vi si trovano notizie sulla tenuta di S.a Procula e sulle acque sorgive e fluenti in essa. Ved. pag. 454, n. 6, e 455, n. 7. Seguono notizie analoghe per le tenute di Campo Iemini e della Possa (ved. pag. 455, n. 8, e 456, n. 9). Consimili notizie si hanno pure per le tenute Banditella d’Ardea, Campo del Fico, Focignano e Salzara (pag. 465-468). Cermelli Pier Maria. Carte corografiche e memorie riguar- danti le pietre , le miniere e i fossili per servire alla storia na- turale delle provincie del Patrimonio , Sabina, Lazio , Marittima Campagna e dell’Agro Romano. Napoli, V. Flauto, 1782, in 4.°, di pag. xiii-48 con 4 carte corografiche. Tra le acque solforose, segnate nella nota f) a piedi della pag. 26, trovansi citate quelle della via Ardeatina. Tra le acque minerali acetose è segnata una sorgente presso le Tre Fontane e la via Ardeatina. Alla pag. 83, n. 156 dice che: «fra le torri S. Lorenzo e Vaja- nico sovente offronsi pomici biancastre, talvolta popolate da quelle piccole e zigrinate conchigliette, che alcuni conchiologisti chia- mano telline pedate, altri conche anati f e ». L’osservazione è giustissima, giacché più' volte ho raccolto lungo quel Litorale esemplari di Anati fa laevis auct., affisse a pomici od a frammenti di legno. Alla pag. 46, n. 214 scrive: « le spiaggie di Nettuno e delle torri di S. Lorenzo e del Vajanico sono le più doviziose di co- siffatte pietre bizzarre o figurate ». Nella tav. IV, Cermelli segna tra la foce dellTneastro e quella di Campo Selva, arena quarzosa sottilissima e tra la foce del- l’Incastro e Tor S. Lorenzo, pomici biancastre. Chierici Gaetano. I sepolcri di Redemello nel Bresciano e i Pelasgi in Italia. Nel Bullett. di Paletnologia italiana, anno X, 1884, n. 9-10, pag.. 133 e seg. 296 R. MELI Avvertesi incidentalmente nella memoria che una reminiscenza dell’epoca delle terremare si ritrova nei vasi scavati in Ardea. Clerici Enrico. Sopra un giacimento di diatonico al monte del Finocchio o della Creta presso Tor di Valle. Roma, tip. R. Accad. d. Lincei, 1894, in 8°, di pag. 65. Estr. d. Boll. d.. Soc. Geol. It., voi. -XII, 1893, fase. 4°, pag. 759-821. Alle pag. 777-780 (pag. 21-24 estr.) si hanno indicazioni sulle roccie, che s’incontrano lungo la via Laurentina, prima e dopo Ponte Buttero, non che su quelle dei dintorni di Mostac- ciano. Clerici Enrico. Sulle diatonico fossili del suolo di Fornai Comunicazione su diatomec fossili dei dintorni di Fonia (31. del Finocchio presso Tor di Valle e di altra località vicino a 3lo- stacciano) con presentazione di fotomicrografie e relativi prepa- rati. Nel Boll. d. Soc. Geol. It., anno XIII, fase. 1°, 1894,. pag. 17-19. Clerici Enrico. Sopra i terreni di Decima presso Fonia.. Comunicazione preliminare. Nel Boll. d. Soc. Geol. It ., anno XYI,. 1897, fase. 2°, pag. 274-275. Vi sono menzionati il C. Lamarckii e le Ostree nelle sabbie argillose, ricoprenti ghiaie e sottostanti a tufo granulare del Mal- passo e dintorni. Clerici Enrico. Sulla stratigrafia del vulcano laziale. — Rendiconti d. F. Accademia dei Lincei. Classe di se. fìs. inat- e naturali, serie 5a, voi. XIII, 2° semestre, fase. 12°. Seduta del 18 dicembre 1904,- pag. 614-618. Vi è indicato il tufo a Malpasso, Decima, Pratica di mare (pag. 615); nei dintorni di Ardea è pure citata la pozzolana rossa ed il conglomerato giallo, che la ricopre. Questa ultima roccia è indicata nel fosso dell’Incastro. È pure detto che nel- l’abitato di Ardea il tufo è ricoperto da un’argilla a diafonie© d’acqua dolce. Finalmente, alla pag. 617, è detto clic un lembo di formazione peperinica si può ravvisare « anche a S.ft Pro- » cala, ove contiene numerose impronte vegetali al contatto con NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 297 » la sottogiacente marna a molluschi continentali e incrostazioni » travertinose » . [Ho letto questa memoria del Clerici durante la prima revi- sione delle bozze; perciò questa notizia sul tufo peperiniforme di S.a Proemia, sarebbe da aggiungersi alle altre date in pro- posito nella presente nota]. De Angelis Gioacchino. Sulle condizioni sfavorevoli per i pozzi artesiani tra Soma ed i Colli Laziali. Negli Atti d. IL Ac- cad. d. Lincei. Rendiconti, Serie 5.a, voi. XIII, 2.° semestre, fase. 9, pag. 394-402, novembre 1904. Alla pag. 398 sono date tre sezioni geologiche riscontrate presso il fosso della Cecchignola sulla via Ardeatina. De Rossi Michele Stefano. Rapporto sugli studi e sidlc scoperte paleoetnologiche nel bacino della Campagna romana , con appendice ostcologica del prof. Giuseppe IJonzi. Roma, tip. tiberina, 1867, in 8°, con tavola. Alle pag. 32-33, parlando delle armi dell’epoca neolitica sparse nella Campagna di Roma, scrive l’autore che sono ab- bondanti sulla spiaggia marina tra Anzio e Ardea, e che si tro- varono armi di pietra manicate in Ardea. De Rossi Michele Stefano. Le fratture vulcaniche laziali ed i terremoti del gennaio 1873. Roma, tip. d. se. mat. e fìs., 1873, in 4.°, di pag. 46, con carta topogr. Estr. d. Atti d. pont~ Accad. d. Nuovi Lincei, anno XXVI, Sessione II, 19 gennaio 1873. Nella carta, indicante le fratture del sottosuolo nel Lazio, ne è segnata una, che dal cratere Albano, passa a traverso il cratere della Valle Ariccia e giunge ad Ardea. Altra frattura è tracciata dal cratere Albano a quello di Turno alla solfatara Altieri sulla via Ardeatina. Di queste due fratture si parla alla pag. 16 (estratto). Donovan Jeremiah. Rome ancieht and modem and its envi- rons. Rome, Crisp. Puccinelli, 1844, in 8°, con tavole. Nel voi. IV, alle pag. 888-895, parlasi di Pratica ed Ardea. 298 R. MELI Eschinardi Francesco. Espositione della carta topografica Cingolana dell’ Agro Romano con la eruditione antica e moderna. Dedicata alV Eminentiss. e Reverendiss. Prencipe il Signor Card. Pietro Ottoboni Vicecancelliere ecc. dal P. Francesco Eschinardi della Compagnia di Gesù. Roma, Doni. Ant. Er- cole, 1696, in 24", di pag. xxiv e 327. Della spiaggia romana nel tratto da Ardea, Tor S. Lorenzo, Anzio, Nettuno, Astura, si parla con parecchie notizie impor- tanti alle pag. 451-456. Folgheraiter Giuseppe. Ricerche sulle cause delle azioni magnetiche locali in regioni giudicate per la costituzione geolo- gica non perturbate. Nei Frammenti concernenti la geofisica dei 2>ressi di Roma, n. 9. Roma, tip. Agostiniana, 1900, in 8°, di pag. 36. Vi si parla brevemente del tufo vulcanico, che giunge a sud di Ardea e di Pratica, e sono citate le vallate del Fosso della Moietta (Ardea), del Fosso Incastro, del Rio Torto (ved. pag. 5). Keller Filippo. Guida itineraria delle principali roccia ma- gnetiche del Lazio con una carta topografica. Prefazione del doti. G. Folgheraiter. Cenno necrologico del prof. Sigismondo Gunther. Spoleto, Panetto e Petrelli, 1904, in 8.°gr., di pag. xvi e 32, con ritratto e carta topogr. in scala da 1 a 100.000. Forma il n. 11 dei Frammenti concernenti la Geofisica dei pressi di Roma. Omaggio alla memoria di Filippo Keller. Alla pag. 6, sotto il n. 5 si menzionano le due cave, aperte nella corrente lavica a monte di Ponte Rutterò a circa 6 km. da Roma sulla via Laurentina ed è citato un masso magnetico, indicato nella pianta col n. 5 in rosso. Parimenti alla stessa pagina al n. 6, si parla incidentalmente delle cave aperte nella corrente lavica di Vallerano e si cita altro masso magnetico, segnato in pianta col n. 6. Lycosthenes Conradus Rubeaquensis. Prodigiorum ac osten- tarmi chronicon. Basiliae, 1557. Nell’anno 133 prima di G. C. ad Ardea nel Lazio piovve terra (Es regnete Erde). NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 299 Veci. Kesselmeyer P. A., TJeber clen Ursprung der Meteorsteine, pag. 89, n. 55. Ministero d’Agricoltuka, Industria e Commercio. - Carta Idrografica d’Italia. Fiora, Chiarone, Albegna , Osa, Ombrone, Bruna, Pecora, Conila, Fossa Calda e Cecina. Poma, 1904, in 8° gr., con 2 carte. Per l’acquacetosa sulla via Ardeatina trovansi le seguenti indicazioni stampate nel quadro delle più note sorgenti mi- nerali della provincia, riportato alle pag. 367-371 del vo- lume : Temper. 17° C; portata media al 1" litri 0,2; quota sul mare 26m sgorgante da lava basaltica (leucitite) dei vulcani la- ziali (ved. pag. 369) : acque acidule, carboniche, ferruginose e simili, n. 10. Piànciani Giovanni Battista. Istituzioni fisico-chimiche. Roma, Cr. Pnccinelli, 1834, voi. 3 (il 111° in 2 parti), in 8°, con tavole. Nella parte T del voi. IH0, pag. 1127-1134, trovasi un capitolo sulle sorgenti minerali, nel quale sono citate parecchie acque della provincia di Roma. Tra queste, è menzionata l’acqua- cetosa sulla via Ardeatina, della quale è ristampata l’analisi chimica, eseguita dal Carpi, alla pag. 1130. Pigorini Luigi. Antichità laziali di Ardca. Nel Ballettino di Paletnologia italiana , anno Vili, 1882, n. 7-9, pag. 114-117. È fatto il raffronto e designata l’analogia esistente fra i vasi dei colli Albani e quelli rinvenuti sulla sponda sinistra del- l’Incastro presso la rupe del castello di Ardea. Pigorini Luigi. Sui fittili antichissimi, di tipo laziale, rac- colti dal prof. Barnabei presso Ardea (sponda sinistra dell In- castro). Nelle Notizie degli scavi di antichità comunicate alV Ac- cademia B. dei Lincei nella seduta del 18 giugno 1882. Atti R. Accad. dei Lincei, serie IIP. Meni. d. Classe di se. morali, stor. e tilol., voi. X, 1882, pag. 301-303. 300 R. MELI Pigorjni Luitìi. Appunti per io studio delle stoviglie arcaiche- coll'ansa cornuta. Nel Bull, di Paletnologia lt., serie II, toni. Vr anno XV, 1889, pag. 65-77. Alla pag. 76 scrive che l’ansa cornuta della grotta di S. An- gelo nella valle della Vibrata, di tipo arcaico, è perfettamente- uguale a quella scavata in Ardea e conservata nel Museo pre- istorico di Roma. Pigorini Luigi. Antichi pani di rame e bronzo da fondere - rinvenuti in Italia. Nel Bull, di Paletnologia lt., anno XXI,. n. 1-3, gennaio-marzo 1895, pag. 5-38 e tav. I— li. Alla pag. 25 parla di un grosso pezzo metallico quadran- golare figurato nella tav. II, fig. 2 a-c, conservato nel Museo Kircheriano, proveniente da Ardea, illustrato dal Garrucci. Santos Rodriguez José. Note sulle roccia vulcaniche e prin- cipalmente sui tufi dei dintorni immediati di Poma. Koma, tip. d. R. Accad. dei Lincei, 1893, in 4.°, di pag. 18, con una grande tabella a stampa. Vi sono citate le correnti di lava di Acquacetosa, Vallerano, Casal Brunori (pag. 5). Vi si menzionano anche i tufi vulcanici a S. di Roma sulla sinistra del Tevere presso la via Ostiense. Struever Giovanni. Contribuzione allo studio dei graniti della Bassa Valsesia. Roma, Tip. d. R. Accad. d. Lincei, 1890, in 4°, di pag. 32, con 1 tavola. Estr. d. Atti d. li. Accad. d. Lincei,. serie 4\ Meni. d. Classe di se. fìs. mat. e natur., voi. VI. Se- duta del 5 gennaio 1890 (pag. 426-455). Alla pag. 31 estr. (454 d. Atti d. Accad.) cita le lave di. Acquacetosa e di Capo di Bove, come esempi di rocce eruttive,, nelle quali cambia la grossezza della grana; in taluni punti, scrive l’autore, si vedono delle vene e dei frammenti inclusi, che passano insensibilmente alla roccia inglobante. Tali fram- menti possono essere costituiti da minerali, clic non compaiono- come componenti nella massa della lava (per cs. frammenti di Spadai te, di Wollastonite, di Quarzo); ovvero da minerali com- ponenti la lava. NOTE DI GEOLOGIA SU ARDEA 301 Tschermak G. Ueber Leucit von Acquacetosa bei Rom. Nelle 'Mineralog. Mittheilungen, l.° fascicolo. Wien, 1876. Zambonini Ferruccio. Ueber ein merlaviirdiges Minerai von Casal Brunori bei Rom. Nel Centraìblatt fiir Mineralogie, Geo- logie und Ralaeontologie, annesso al Neues Jahrbuch, 1901, n. 13, pag. 397-401. Zambonini Ferruccio. Sopra un rimarchevole minerale di Casal Brunori presso Roma. Nella Rivista di Mineralogia e Cristallografìa italiana diretta da R. Ranebianco, voi. XXVII, fase. I— III, Padova, 1901, pag. 46-48. Publicato originariamente nel Centraìblatt sopracitato. Secondo l’autore, il minerale avrebbe grande analogia (quan- tunque con differenze di chimica composizione) con la clorofeite della Scozia, e non sarebbe una var. di breislakite. Zambonini Ferruccio. Kurzer Beitrag zur chemischen Kennt- niss einiger Zeolithe der Umgegend Roms. Nel Neues Jahrbucli fiir Miner. Geolog. und Pcilaeontol., 1902, voi. II, fase. II, pag. 63-96. Stuttgart, 1902. Si parla della pliillipsite di Vallerano, Casal Brunoli e Mo- stacciano; della gismondina di Vallerano e Mostacciano; della facolite di Vallerano e Casal Brunori e di una nuova zeolite, che chiama pseudo-phillipsite e che trovasi in cristalli ottae- drici sopra i cristalletti di gismondina nelle geodi entro la leu- citite di Casal Brunori e Mostacciano. Westphal J. H. Bie Ròmische Kampagne in topographischer und antiquarisches Hinsicht dargestellt. Berlin und Stettin, in der Nieolaischen Buchhandlung, 1829, in 4.°, con 2 carte topo- grafiche, l’una delle quali nella scala di 1 : 210.000. Alla pag. 12 è menzionata la sorgente di acqua minerale di Acquacetosa sulla via Laurentina, e la lava di questa località. Vi si parla anche della Solfatara Altieri. A tutte le precedenti citazioni bibliografiche sarebbero poi da aggiungersi quelle riguardanti la storia civile e militare, Far- 302 R. MELI cheologia, l’arte, ecc., della regione ardeatina e sua vetusta capi- tale. Ma, l’indole del nostro Bollettino, esclusivamente riservato alle scienze geologiche, non permettendo questo genere di pub- blicazioni, si potrà stampare a parte tale bibliografia, come ap- pendice alle citazioni comparse nel presente scritto. Mi limito qui a ricordare soltanto i nomi di taluni fra i più importanti scrittori, contenuti in tale bibliografia e l’anno di stampa dei loro scritti: Amati A. (1869), Auge C. (1900 e seguenti), Barnabei F. (1885), Boissier (1884), Bonghi E. (1888), Borgatti M. (1890), Borghesi B. (1856), C’ayro P. (1816), Dandolo T. (1858), Fea C. (1794), Fiorelli G. (1881), Geli W. (1834), Gregorovius F. (1869-72), Guglielmotti A. (1880), Helbig (1885), Lanciaci E. (1896), Lombardi F. (1846 con veduta di Ardea), Lucatelli G. P., Marocco G. (1836), Nibby A. (1848), Peter (1815), Pflaumern J. H. (1628), Kichter O. (1885), Rocchi E. (1896), Tomassetti G. (1884- 1897), Vulpius .T. E. (1732). [ms. pres. il 5 febbraio 1895 - ult. bozze 3 maggio 1905]. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Rendiconti. PAG. Resoconto dell’Adunanza tenuta in Roma il 12 marzo 1905. . xix Omaggi xx Dimissioni del Tesoriere xxil Nuovi soci xxm Bilanci xxiv Per la pubblicazione di una bibliografia geo paleontologica italiana * . . xxvi Per un distintivo sociale xxvn Crèma: Sull’età dell’arenaria di Oriolo ( Cosenza ) .... xxvm Neviani : Spicole di teiractinellidi nelle sabbie postplioceniche di Carrubare xxix Verri: Sul bacino a nord di Roma xxx > Sulle frane di Orvieto xxxi Appendice. Sulla sezione geologica della cava Mazeanti presso Ponte Molle (Roma) xxxm Memorie. VlNASSA de Rf.gny P. e Gortani M. — Osservazioni geolo- giche sui dintorni di Paularo ( Alpi Comiche) (con 1 carta geolog , 1 tav., II, e 3 fig. nel testo) 1 De Stefano G. — Appunti sui Batraci e sui Rettili del Quercy appartenenti alla collezione Rossignol (tav. III-V) ... 17 Cacciamali G. B. — A proposito del calcare « Majolica » . 68 Ugolini R. — Di una eufotide a saussurite dei dintorni di Casti glioncello nei Monti Livornesi 71 Millosevich F. — Rocce propilitiche dei dintorni di Tolfa . 75 Verri A. — Le eruzioni della Montagna Pelée e del Vulcano Laziale. 84 Capeder G. — Ancora intorno alla genesi delle impronte fos- sili a « Paleodictyon » 89 Stella A. — Il problema tettonico dell’Ossola e del Sempione (con una figura) 101 Gortani M. — Itinerari per escursioni geologiche nell’alta Carnia (tav. VI) 105 Dainelli G. — « Vaccinites (Pironaea) polystylus Pirona » nel cretaceo del Capo di Letica 119 Manasse E. — Sopra alcune rocce eruttive della Tripoliiania. 137 De Angelis d’Ossat G. — Il concetto di «individuo» nei zoantari fossili 147 Neviani A. — Di alcuni briozoari eocenici di Villatorta (Spagna) 158 PAO. Ne vi ani A. — « Capsulinu loculicida Seg. » (pedicellaria fos- sile, preteso foraminifero) 165 Capeder G. — Contribuzione alla conoscenza della origine di alcuni rilievi e di alcune impronte organiche e fisiologiche fossili (tav. VII) 169 Cerulli-Irelli S. — Sopra i Molluschi fossili del Monte Mario presso Roma 191 Verri A. — Il bacino al nord di Roma ........ 195 Airaghi C. — Ammoniti triasici (Muschelkalk) del M. Rite in Cadore (tav. Vili) 237 Cacciamali G. B. — Sui rapporti tra il Lias ed il Giura nella provincia di Brescia . 257 Neviani A. — Spicole di tetractinellidi rinvenute nelle sabbie postplioceniche di Carrubare (Calabria) 265 Meli R. — Alcune note di geologia prese in una escursione ad Ardea nel circondario di Roma 275 VI0 CONCORSO AL PREMIO MOLON. Il giorno 31 marzo 1905 scadde il VI0 Concorso al Premio Molon, per il premio di L. 2000, col tema: Descrizione sinte- tica, in base a sfinii propri ed altrui , dei terreni eruttivi plio- cenici e quaternari dell’Italia continentale e insulare, special- mente dal punto di vista della natura dei materiali eruttati , della disposizione da essi assunta e delle più probabili cause della loro genesi, anche in rapporto coi fenomeni analoghi dei precedenti periodi terziari. Il Concorso fu bandito il 10 settembre 1902 (v. Boll., voi. XXI, pag. lxiii). Venne presentato in tempo utile solamente il seguente lavoro distinto dal motto : 1) Faciant meliora potentes. Spedito da Chiasso il 27 marzo 1905, e giunto a Roma il 29 marzo 1905. ♦-* Finito
  • sereno della scienza. A Napoli, donde egli veniva e dove aveva studiato, non val- sero i meriti personali, l’alta stima in cui era tenuto dai geologi del tempo, le più vive ed insistenti raccomandazioni per otte-, nere stabile e decorosa posizione. Invano s’era tanto affaticato LXXVI RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE percorrendo le Calabrie e quasi tutto il regno delle Due Sicilie, investigando com’egli lo chiamava, il suo Vesuvio, che per la prima volta aveva salito sin dal giorno 21 febbraio 1830, pub- blicando pregevoli ed applaudite memorie, aumentando così sempre più il già largo patrimonio delle sue cognizioni scientifiche, per poter essere il degno successore del prof. Matteo Tondi, suo amato maestro; che il mal volere e più ancora l’invidia che non si allontanano mai dagli animi buoni e dalle menti elette, e clic purtroppo come mala gramigna si moltiplicavano allora in quel corrottissimo regno delle Due Sicilie, dovevano tenerlo lontano dall’ insegnamento universitario, procacciandogli amari disinganni e dolori inenarrabili. Il tenue e provvisorio assegno ch’egli percepiva di 15 ducati al mese (L. 02,75) e le poche risorse che poteva sperare dalla professione e dalla fami- glia, appena provvista del bisognevole, lo obbligarono a vili e faticosi mestieri per trarre innanzi con decoro la vita e « sa il cielo — egli scrisse quante volte mi è mancato il pane quo- tidiano ». Caso doloroso, ma forse anche opportuno, perchè è nella lotta che si prova l’uomo, e solamente coloro che sanno e pos- sono vincere le avversità clic si parano innanzi, arrivano, come arrivò il Pilla, a conquistare per virtù individuali gli* elevati gradi dell’umano sapere. 11 desiderio sempre vivo e crescente ch’egli aveva di esten- dere le sue cognizioni e di viaggiare per vedere nuove regioni e per leggere nel libro della Natura, lo tenevan sempre in con- tinua. agitazione non essendo quaggiù il luogo, che fa volerne Sol quel ch’avemo e d’altro non ci asseta 1 e quando egli, in sul cadere del 1832, ebbe la ventura, per una fortunata ed imprevista circostanza, di far parte della commis- sione medica — perchè egli era medico, come lo furono quasi tutti i naturalisti del principio del secolo XIX — - che doveva recarsi a Vienna per studiare l’andamento del colera scoppiato allora in Europa, parti con grande entusiasmo, che, per intra- prendere un viaggio, si sarebbe «buttato non in mezzo alla peste, ma in un abisso d’inferno ». 1 Dante, Farad., Ili, v. 71, 72. » RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXVII Innamorato di tatto quanto è bello e grande, con cuore pro- fondamente italiano, fecondato dalla amena e cara lettura dei classici della nostra lingua, e sopra a tutti da quella di Dante, inclinato per temperamento alla osservazione e alla contempla- zione, con una mente di scienziato, di filosofo e di patriota, pos- sono forse immaginarsi più che dire, le impressioni, or tristi, or liete, ck’ei provò in questo viaggio, per lui tanto disastroso, e delle quali fa memoria il suo «Giornale» inedito. Tra le tante impressioni può oggi ricordarsi quella soavissima che gl’ inondò il petto, il 5 novembre 1832, quando attraversò, nel viaggio di ritorno, S. Daniele, la prima città italiana, e rivide in essa quel- Vanima italiana ch’era all’apice del suo pensiero. Le ricerche geologiche sul carbon fossile del I Abruzzo Ultra, le osservazioni geognostiche su la parte orientale della Campania, sullo Stromboli, sul vulcano estinto di Rocca Mentina, già per la prima volta citato e descritto dal padre suo Niccola, la rela- zione sui terremoti che afflissero la città di Sangermano ed il Monastero di Montecassino nella primavera dell’anno 1837, gli studi di geologia, il trattato minerale delle rocce, le osservazioni geologiche sul Gargàno, le numerose e sommamente interessanti ricerche sul Vesuvio e su i Campi Flegrei, ed infine le relazioni osservate o prevedute tra lava, basalto, trachite, granito — in opposizione alle teoriche sostenute in principio del secolo scorso nella celebre scuola di Freiberg — lo misero in relazione amiche- vole con i più reputati geologi del tempo. Basta solo leggere, nella numerosa corrispondenza da lui tenuta ed oggi conservata nella biblioteca universitaria pisana, le lettere di Abich, d’Archiac, Elie de Beaumont, Catullo, Collegno, Coquand, Gemmellaro, Gui- doni, Murchison, Savi, Sismonda, Spada — citando solo alcuni dei nomi che tuttora sopravvivono all’ ingiuria del tempo e del- l’oblìo — per vedere in quale considerazione fosse tenuto e quali affettuosi legami avesse contratti tra i cultori della nuova scienza. Ma incalzato ognor da bisogni, impossibilitato di continuare *a Napoli i cari studi, cercò di trovare qualche occupazione a Parigi. Elie de Beaumont però, al quale si era rivolto, che pur vivamente desiderava di averlo vicino e compagno, gli faceva osservare che in quella città era cosa difficilissima trovar un posto rimuneratore e purtroppo parecchi stranieri rifugiatisi colà, vi LXXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE egli soggiungeva, « en ont fait la triste expèrience » (lett. in data 25 sett. 1839). Passarono ancora quasi due anni in dura aspettativa e final- mente, nell’agosto 1841, Leopoldo Pilla fu proposto da Mon- signor Mazzetti, presidente della Pubblica Istruzione, all’ufficio di professore interino della cattedra di Mineralogia, che, dopo la morte del Tondi avvenuta sei anni prima, era rimasta sempre deserta, pur di non conferirla a chi la meritava. Vi entrò nel mese di novembre dell’ istesso anno, ma, eom’ei dice « alla ven- tura, senza nessuna decretazione di soldo ». Il Ministro degli Interni, da cui dipendeva l’Università, ad .onta delle vive rac- comandazioni in favore del chiaro geologo che riceveva da due celebri scienziati di Europa, Humboldt ed Arago, teneva duro e nulla volle fare a di lui vantaggio e non si degnò neanche di scrivere a quei sommi un verso di risposta. E fece bene es- sendo troppo grande la distanza che lo separava da essi. Quali fossero le miserevoli condizioni del Regno delle Due Sicilie in quei tempi, non per cagione di un popolo forte e ge- neroso. ma per corruttela del principe circondato da una corte ancor più corrotta, è inutile ricordare. Qualunque manifestazione dell’ ingegno era soffocata ed un’arguta persona ebbe a dire al Pilla stesso che gli uomini eruditi eran colà costretti a scrivere con la sola metà delle lettere dell’alfabeto. Gli stessi lavori del geologo trovavano seri ostacoli nella ignorante e malevola cen- sura, poiché, si dimostrava, per esempio, esser materia pericolosa parlar di basalto , in quanto questa roccia, dimostrato dovesse derivar da vulcani, avrebbe avuto bisogno di molte centinaia di secoli per arrivare all’attuale compattezza Si comprende quindi per quante e diverse considerazioni egli fosse inclinato ad accettare la cattedra che un principe, amico della scienza, gli offriva. Nella bilancia della scelta deve aver avuto certa- mente gran peso la parola di Paolo Savi amato dal Granduca cosi per i suoi reali meriti, come per la bontà del cuore. Appena erano trascorsi tre mesi da che Pilla aveva avuto non l’ufficio d’ insegnante, ma solo il permesso d’ insegnare nel- l’Università di Napoli, che già aveva accettata la cattedra di Pisa, ove si recava poi in sul principio del giugno 1842, pre- ceduto di poco dal Pi ri a, celebre chimico e suo compaesano. 11 RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXIX distacco da posti tanto diletti, nello studio dei quali aveva pas- sato il fior degli anni — posti come il Vesuvio e la Campania Felice che non hanno nel mondo rivali in bellezza — lo riempì di tanta mestizia. Ma a Pisa, scrisse, « lo attendeva una pace soave e dolcemente malinconica, che è diletto sopra ogni altro caro, alle anime contemplative ». Nello stesso anno fu incaricato dal governo granducale to- scano di recarsi alla quarta riunione degli scienziati italiani che tenevasi a Padova. Con molti amici e colleglli mosse per quella città nei primi giorni di settembre; la polizia austriaca però gli negò l’entrata nello Stato Veneto e dovè tornare indietro. Infor- mato il Granduca del fatto, ottenne pronta riparazione ed il Pilla partì di nuovo, ma arrivato alla frontiera fu villanamente perquisito e gli vennero tolte tutte le carte, le quali suggellate, furono spedite a Padova. Egli esclamava allora: « Oh sciagu- rato paese, oh Toscana benedetta! » Quale influenza avesse il pensiero italiano su quei convegni scientifici è facile immaginare : servirono essi da faro luminoso alla sommossa che non tardò a venire, travolgendo istituzioni e tiranni. Così a più alti ideali mirano gli scienziati di oggi, i quali, nei convegni internazionali, nelle amichevoli relazioni che contraggono e che uniscono colleghi dei più lontani paesi, gettano forse — e molti di essi anche senza pensarlo, — le più solide fondamenta sulle quali sorgerà nell’avvenire l’edificio umano rinnovato. A Pisa, in sul principio, il Pilla fu però rattristato dal sa- pere che un altro cultore di studi geologici di quelle vicinanze, aspirava alla cattedra da lui ottenuta, e poi da un clima poco confacente al suo temperamento, e visse perciò anche là trava- gliato assai. Il padre suo, Nicola, dotato di un coraggio mo- rale quasi catoniano gli scriveva che dovesse tentar tutte le vie e tutti i modi per far fronte al male e se questi tornassero vani dover morire a Pisa , come un buon generale deve morire sul campo di battaglia. Egli d’altronde chiamava Pisa la dolce sua amica e la somigliava perciò ad una bella che tormenta la vita del suo amante. Scriveva: « Io amo Pisa non ostante che vi traggo giorni pieni di tormento. L’amo per la sua bella posizione, per l’aspetto gentile che presenta, e, sopra tutto, per la dolce sere- LXXX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE nità che vi si respira: l’amo per gli agi che mi porge alla vita, allo studio, alla contemplazione, per la gentilezza de’ suoi abi- tanti e perche e il luogo che più rende fede de’ vantaggi inap- prezzabili che si trovano nella felice e pacifica Toscana Pisa è stata molte volte eletta a soggiorno da anime alte e generose. Qui 1 Alfieri, qui ByroD, qui madama de Staèl, qui una schiera di altri eletti ingegni sono venuti a passare parte della loro vita fra le dolcezze della contemplazione e dei loro studi favoriti. E qui ancora, se piace alla Provvidenza, io intendo di passare il resto de’ giorni miei e di dar pace quando che sia alla carne travagliata e stanca ». Quante dolci memorie si leggono nei suoi scritti inediti, nei quali si manifesta non solo lo scienziato, ma anche il patriota e il letterato, che, peregrinando continuamente per la Toscana, con la Divina Commedia fra le mani e in sul cuore, si sofferma ad ogni sasso non sai se più attrattovi dalla scienza o dai grati ricordi del fiero e pur mestissimo ghibellino! Come egli atten- desse allo studio di Dante, fa testimonianza un manoscritto dal titolo : « Brevi riflessioni fisico-letterarie sopra un passo della Di- vina Commedia (Purg. Canto X, v. 1 a 9) », confutando con grande giustezza 1 interpretazione che di esso aveva dato in quel tempo il tìsico Mossotti, altra gloria dell’Ateneo pisano. In quanto conto il Pilla tenesse la nostra lingua, che -- secondo lui — caratterizza e determina la gente italica, più che non i due mari e le Alpi, si rileva anche dal manoscritto « Omaggio alla memoria di Ba- silio Puoti ». Gli studi geologici continuava intanto sempre con giova- nile aidoie, pubblicando però assai meno di quanto viaggiasse ed osservasse, pioprio all opposto di quanto non pochi sogliono fai e oggidì; ma era anche moltissimo preoccupato dei fatti po- litici che si succedevano con vertiginosa rapidità. La sera del 12 febbraio 1848, in una conversazione de’ suoi paesani tenuta in Pisa per festeggiare i lieti avvenimenti di Napoli, tenne un discorso del più elevato sentire. « Quali sa- ranno le conseguenze della grande rigenerazione delle Due Si- cilie? Quale sarà l’avvenire d’ Italia? » Senza temere il castigo di quei dannati che avevano voluto prevedere l’avvenire e con- f'oi tato da ricordi storici e da elevate considerazioni, risponde RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXXI con '.limpidezza e chiaroveggenza a quelle due questioni. E poi tutto fiducioso di se stesso scrive i progetti di studi e di viaggi per l’anno successivo, 1849, che purtroppo egli non doveva vedere sorgere. Un geologo che molto amava l’Italia, H. Coquand, il 16 aprile 1849 nella sede della Società geologica di Francia, a Parigi, commemorando con parole affettuosissime l’amico Pilla disse: « Un popolo che protesta con il sacrificio della sua vita contro le ingiustizie della fortuna, qualunque cosa se ne dica, è degno de la libertà ». Leopoldo Pilla naque a Venafro, città e comune del Molise, provincia di Campobasso, un secolo fa e precisamente il 20 ot- tobre 1805; sono trascorsi anni 57 dalla sua morte avvenuta dunque nella piena maturità a 43 anni. Due scheggie di mi- traglia, nella giornata di Curtatone e Montanara del 29 mag- gio 1848, lo colpirono producendogli un’ampia e orrenda ferita nel basso ventre a destra, e fracassandogli pure tutto l’avambraccio destro. Primo a soccorrerlo fu il sergente della seconda Com- pagnia, Carlo Livi di Prato — diventato poi uno dei fondatori della scienza psichiatrica moderna fra noi — il quale, nel gior- nale L’Eco (V Europa, Firenze, 1° marzo 1855, così raccontò la fine dell’amato capitano della prima compagnia del battaglione universitario toscano: « Mi sentii mancare le forze a quella vista, perchè il Pilla davvero innamorava chi lo conosceva: chiamai in aiuto alti tre o quattro giovani, Serafino Bindi, Kutilio Conti e Livio Pianigiani ed altri di cui non ricordo il nome, e, ada- giatolo alla meglio sui fucili lo portammo a grau fatica (perchè veramente tanta sventura ci aveva disanimati) in luogo più di- feso dalle palle, dietro l’argine primo, se non erro, dell’Osone. Ma nel tragitto il sangue veniva a gran getto dalle sue ferite, le intestina parevano fuori dal basso ventre, ed il viso, su cui tanta bellezza d’anima e d’ ingegno splendea, era a un tratto incadaverito: qualche sospiro, e due sole parole: «troppo presto!» erangli usciti dalle labbra. Adagiatolo sul terreno, invano chia- mandolo noi ginocchioni intorno a lui, de’ più cari nomi, dopo due minuti, raccolto a viva forza l’alito estremo, susurrò: « Viva l’ Italia! » e spirò. LXXXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Quanti ricordi storici e quanti tesori scientifici, o colleglli, sono racchiusi nelle opere e nei manoscritti di Leopoldo Pilla ! Meste e gloriose memorie fanno esse tornare alla mente ! Aspi- razioni non pur anco spente rinverdiscono oggi in noi in questa ospitale città, adagiata al piede delle Alpi, rievocando il nome del Grande che abbiamo commemorato. Fenomeni glaciali al Piano (lei Castelluccio (Appennino centrale). Comunicazione del prof. P. VlNASSA DE Regny. Fenomeni glaciali nell’Appennino centrale sono noti da tempo. ! Ne parlò, tra i primi, il prof. Canavari che vi accennò anche nella adunanza estiva della Soc. geologica italiana ad Ascoli Piceno 1 alla quale assisteva il prof. Hassert, che dopo radunanza si recava appunto al Vettore, e ne ricordava poi 2 le tracce gla- ciali insieme alle altre da lui rinvenute alla Majella, al Gran Sasso, alla Meta, al Terminillo etc. Ma le tracce glaciali dell’Appennino centrale meriterebbero studio più accurato, dacché esse sono numerose ed alcune vera- mente tipiche e caratteristiche. Delle tracce glaciali di Valle Lago sotto al Vettore, accen- nate dall’ Hassert, parlò recentemente il Jaja 3 mostrandone l’in- teresse e P importanza, ed è strano che egli, che pure ha dimo- strato accuratezza d’ indagine nello studio dei così poco noti Monti Sibillini, non abbia veduto le tracce glaciali assai nette, che si possono distinguere nel Piano del Castelluccio. Sino da quando, dividendomi dall’amico prof. Hassert che saliva il Vettore, mi recai a Norcia da Arquata del Tronto, co- 1 Boll. Soc. geol. italiana, XVIII (1899), pag. I, V. * Traode glaciali negli Abruzzi, Boll. S. geogr. it.. 4, I, n. 7. Lu- glio 1900, pag. 620. 3 Escursioni nei Sibillini, Boll. S. geogr. it., 4, VI, n. 6. Giugno 1905, pag. 457. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXXIII steggiando il Piano del Castelluccio rimasi colpito dalla bellezza di questo ampio pianoro verde di circa 17 kmq. di superficie, perduto in mezzo alle giogaie calcaree a circa 1300 m. di al- tezza. Dalla mia attuale residenza vi sono poi tornato parecchie volte, ed ho, da tre anni, in corso alcune ricerche sulla morfo- logia, e più che altro sulla idrografia di esso, in relazione con la sottostante pianura di Norcia. Il piano del Castelluccio, un vero polje, coi suoi numerosi inghiottitoi, le sue sorgenti, il suo fosso di drenaggio, detto « I Mergani », è di fatti uno dei nostri più interessanti tipi di idrografia carsica, tanto più se si mette in relazione colle sor- genti che alimentano le acque delle Marcite di Norcia. Tralasciando per il momento di parlare della idrografia del Piano, e dei risultati abbastanza interessanti a cui sono fino ad ora giunto, mi limiterò per il momento ad accennare alla pre- senza del fenomeno glaciale anche sul fianco occidentale del Vet- tore, prendendo appunto occasione dal lavoro testé citato del dott. Jaja. Tra il Piano Perduto, che si trova a Nord, ed il Piano Grande si ha una serie di colline, dette i Collacci, di cui alcune sono quasi tutte ricoperte di materiale detritico, altre sono rocciose. Sopra uno di questi colli è costruito il povero paese del Castel- luccio (1453 m.), forse il più alto paese abitato di tutto quanto l’Appennino. Orbene tutti questi colli sono tipicamente arrotondati, e for- mano una serie di semilune nettissime, nella qual forma è im- possibile non riconoscere il tipo glaciale. Non mancano poi circhi, più o meno ben conservati, ed in generale di piccole dimen- sioni, nè tracce di terrazzature non parallele, che si veggono specialmente in tutta la fascia più o meno erbosa che si trova a NW. del Piano Grande, e più specialmente dal Casino Gu- glielmi, presso al Fontanile, sino quasi al Castelluccio. È specialmente discendendo dalla Forca Viola, tra il M. Ar- gentei la e le cime del Vettore, che le masse arrotondate dei Collacci si presentano all’osservatore nel loro aspetto più tipico. Perugia, Laboratorio di Geologia del R. Ist. superiore agrario. LXXXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE V. Sulla tettonica delle montagne albanesi e montenegrine. Comunicazione del prof. P. Vinassa de Regny. Il barone Nopcsa 1 ha recentemente pubblicato una impor- tante memoria sulla Geologia dell’Albania settentrionale, e pos- siamo salutare in essa il primo serio tentativo di sollevare il velo che ancora ricopre la cognizione geologica di questa inte- ressante regione. \ E, in questo lavoro, molto importante la discussione delle idee dello Cvijic sullo affasciamento delle pieghe dinarico-alba- nesi 2. L’ ipotesi dello Cvijic contraddiceva a parecchie delle os- servazioni da me fatte sulla regione montenegrina-albanese. Ma data la conoscenza profonda che lo Cvijic ha della penisola bal- canica, attribuivo le mie osservazioni, diverse, a fenomeni lo- cali. Dopo il lavoro del Nopcsa però risulta chiaramente che l’ ipotesi dello Cvijic non ha gran valore. Egli si è fatto forse troppo guidare dal criterio geografico, ed ha forse troppo spessa inclinato a prendere come tettonico l’andamento orografico. Ed appunto in alcune regioni del confine montenegrino-albanese l’andamento orografico nulla ha che fare con quello tettonico, come risulta dai lavori di Hassert 3 e miei 4. Possiamo quindi, concludere giustamente col Nopcsa che le speculazioni tettoniche sintetiche sono premature, e che per adesso nulla può dirsi sulla tettonica dell’Albania. 1 Nopcsa Fr., Zur Geologie Nordalbaniens , Jahrb. k. k. geol. Reichsan- stalt. LV, 1. 2 Cvijic J., Die dinarische albanesische Schaarung. Sitzungb. k. k. Akad. der Wiss. Wien , 1901. 3 Hassert K , Beitràge zur phys. Geographie Montenegro. Peterm. Mit- teil. Erg. Heft. 115, Bnd. XXV. 4 Vinassa de Regny P., Osservazioni geolog. sul Montenegro sudorien- tale, Boll. S. g. it., 1902. — Vinassa de Regny P., Die Geologie Montenegro » unddes albati. Grenzgeb., Compie renda IX Congrés géol. int. Vienne, 1903. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXXV Il lavoro del Nopcsa è pure interessante per quanto si rife- risce all’età degli scisti ritenuti dai più paleozoici e dal Martelli invece eocenici \ Secondo il Nopcsa il Martelli è in errore. A questo proposito anzi correggo qui un errore di stampa della mia carta geologica, pubblicata nel volume del resoconto del Con- gresso di Vienna. Là dove è scritto: Palacozoische Schiefer (?) (Z. Th. Eocanflysch) deve essere scritto: Palacozoische Schiefer (Z. Th. Eocanflysch (?) ) come del resto risulta assai chiaramente dal testo. Io infatti con- sideravo paleozoici quegli scisti, e dopo il lavoro del Martelli credei bene aggiungere, ma con dubbio, che si poteva anche in parte (e non mai in totalità come ho accennato 1 2 poi anche più tardi) considerarli come Flysch eocenico. E poiché mi si è offerto il destro di parlare del mio lavoro sul Montenegro, così tengo a far noto che gli strati ad Ellipsa- ctinie, e più specialmente quelli della catena costiera di So- zina ecc., non sono titonici, ma con tutta probabilità apparten- gono al cretaceo. Per cortesia del prof. Di Stefano potei vedere a Roma al Comitato geologico una ricca collezione di Ellipsactinie cretacee dell’ Italia meridionale, e posso assicurare che non solo l’aspetto litologico del bianco calcare, ma anche il modo di fossilizzazione sono perfettamente identici. Perugia, Laboratorio di Geologia del R. Istituto superiore agrario. 1 Martelli A., Il Flysch del Montenegro sudorientale. Rend. R. Acc. Lincei, 1903, I. 2 Vinassa de Regny P., Fossili e impronte del Montenegro. Boll. S. g. it., 1904. LXXXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE VI- Relazioni e verbali della Commissione per la pubblicazione di una Bibliografìa geo-paleontologica italiana. A. Prima Relazione della Sottocommissione. Egregi colleglli, Compiamo da prima l’obbligo gradito di porgere vivi ringra- ziamenti al prof. comm. Torquato Taramelli, Presidente della So- cietà Geologica Italiana, di aver voluto chiamarci a far parte della Sottocommissione per la pubblicazione di una Bibliografia geo-palentologica italiana. Rammentiamo i precedenti: Nel resoconto dell’adunanza generale della Società, tenuta in Roma il 12 marzo 1905, e pubblicato nel 1° fascicolo del voi. XXIV, da pochi giorni distribuito ai soci, è così riportata la fatta discussione e la presa deliberazione: « Il Presidente ricorda come con voti ripetuti la Società Geo- » logica, per iniziativa del socio prof. Sacco, avesse approvato » in massima la pubblicazione di una Bibliografia geo-paleon- » tologica italiana. Il prof. Meli, presidente dello scorso anno, » nominò una Commissione provvisoria, la quale esaminasse le » proposte fatte, e riferisse in proposito all’assemblea, e chiamò » a farne parte: il Presidente ed il Segretario della Società, ed » i soci Bassani, Cermenati, Sacco e Sorniani. La Commissione » manifestò i seguenti voti: » l.° Che riteneva assolutamente necessaria la pubblica- » zione della Bibliografìa, secondo la proposta del prof. Sacco; » 2.° Riteneva opportuno che la Società se ne interessasse » direttamente; » 3.° Che la pubblicazione fosse Ritta ex novo , senza tenere » conto della Bibliografia pubblicata nel 1881; » 4.° Che la Bibliografia si limitasse a tutto il 1900; RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXXVII » 5.° Che a far fronte alle spese, la Società prelevasse il » necessario dai fondi disponibili; pur procurando di ottenere » sussidi dai Ministeri e da Enti morali ; $ 6.° Che l’Assemblea nominasse una Commissione esecu- » tiva centrale, alla quale venissero affidate tutte le modalità circa » il modo di esecuzione del lavoro. » Il Presidente riferisce che il Consiglio della Società ha » fatto sue le proposte della Commissione provvisoria, credendo » però opportuno che la Bibliografia si estendesse oltre al 1900 » sino al momento della stampa. Sottopone ora questi voti al- » l’Assemblea. » Prendono la parola i soci: Crema, Aichino, De Marchi e » pochi altri, e dopo breve discussione l’Assemblea: » l.° Approva in massima che la stampa della Biblio- » grafia sia fatta a spese ed a cura della Società; » 2.° Che la pubblicazione nou sia considerata come fa- » cente parte del j Bollettino, e perciò non sia data gratis ai soci, » nè ceduta in cambio; » 3.° Che ai soci debba esser fatto un trattamento di fa- » vore, nella misura da determinarsi ; » 4.° Incarica il Presidente perchè nomini una Commis- » sione esecutiva, la quale prepari un progetto concreto, sia per » il modo di pubblicazione, come per l’entità della spesa; e che » questo progetto venga sottoposto all’approvazione della pros- » sima Assemblea generale dei soci». Il Presidente, in seguito all’incarico avuto dalla Assemblea, così compose la Commissione: Il Presidente ed il Segretario della Società, i soci Bassani, Brugnatelli, Cermenati, di Ste- fano Griov., Portis, Sacco e Sorniani; ed istituì una Sotto-Com- missione formata dai Commissari Portis, Sormani e dal Segre- tario della Società, perchè compia tutti gli atti necessari per formulare uno schema preventivo, che sarebbe poi stato discusso dalla intera Commissione ai primi di giugno di quest’anno. La Sotto-Commissione presenta ora alla Commissione plenaria il risultato dei suoi studi. - LXXXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Dopo esame accurato della questione, la Sotto-Commissione si propose un primo ed importante quesito di massima; se cioè essa aveva facile modo di procurarsi i dati per un progetto concreto tecnico-finanziario completo, come ne era stato mani- festato il desiderio dall’Assemblea dei soci. Il progetto consta di vari punti : 1. ° Determinazione della mole della pubblicazione, deri- vante dalla quantità delle indicazioni bibliografiche o schede. Numero variabile non solo per le ricerche che si possono fare nel campo della geo-paleontologia pura, ma anche più secondo l’estensione che si vorrà dare alla Bibliografia per il tempo, per lo spazio (limiti geografici) e per l’ampiezza (materia e molte- plicità di indici). 2. ° Stabilire il modo di raccolta delle schede. 3. ° Ordinamento delle schede; sia per unirle in una sola serie per autori, sia per uniformarle in un unico sistema di di- citura e di abbreviazioni. 4. ° Distribuzione delle schede in uno o più indici. 5. ° Scelta dei caratteri tipografici, e del formato dei volumi. 6. ° Scelta della tipografia cui affidare il lavoro. 7. ° Costituzione di un ufficio con personale pagato per la preparazione del lavoro, per la correzione delle bozze, per le necessarie scritturazioni, corrispondenza, ecc. 8. ° Modo di far fronte alle spese. 9. ° Determinazione del prezzo di vendita dei volumi. La 'Sotto-Commissione ha creduto conveniente occuparsi ora di una sola parte di questi quesiti, persuasa che in un lavoro di così gran mole, non sia possibile prevedere e provvedere a tutto in poco tempo. Passata a fare ricerche sulla mole della pubblicazione, la Sotto-Commissione si è fatta le seguenti domande: 1. ° E opportuno cominciare la Bibliografia dai più antichi tempi, e comprendervi le pubblicazioni uscite anche ai nostri giorni, cioè sino all’ultimo momento nel quale si stampa la Bi- bliografia ? 2. ° Quale limite deve darsi alla estensione geografica? 3. ° Quale limite alle branche scientifiche affini? RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE LXXXIX 4.° Si debbono comprendere nella Bibliografia le pubblica- zioni di italiani, stampate in Italia, circa la geo-paleontologia straniera? Alla prima domanda, come si è detto nel rendiconto del- l’ultima Assemblea dei soci, si è già risposto nel senso di darvi la massima estensione. Verranno poste in appendice tutte le in- dicazioni che arriveranno a stampa definitiva cominciata. Alla seconda domanda sembra naturale la risposta di com- prendere oltre alla regione italiana continentale, politicamente riconosciuta, anche quella geograficamente tale, dal Jaro al Quar- nero, seguendo lo spartiacque alpino; e per l’Italia insulare comprendervi anche Malta e Corsica. Ad essa si potrebbe ag- giungere la breve Bibliografia relativa alle colonie Italiane. Alla terza domanda si potrebbe rispondere estendendo la Bibliografia alla geologia applicata, alla idrografia, alla mon- tanistica, alla geografia fisica, alla sismologia, alla speleologia, alla petrografia; ed anche alla chimica e mineralogia, in quanto si tratti di memorie che abbiano attinenza con lo studio e la genesi delle roccie, escluse quindi quelle che trattano di cri- stallografia teoretica o descrittiva. Per la quarta domanda si potrebbe proporre di raccogliere egualmente le schede, e secondo il numero di esse, e il com- plesso di tutta la pubblicazione, se ne potrebbe comporre una utile appendice,. Ma, quante saranno le schede che porteranno queste indica- zioni bibliografiche? Per ora è difficile precisarne il numero. 11 socio, ing. Sormani, che dirige il servizio bibliografico del K. Ufficio Geologico, calcola a non meno di 20,000 le schede \ possedute dall’Ufficio stesso. E chiaro che, data l’estensione ora accennata, il numero crescerà di molto; quindi crediamo non andare errati se per ora parleremo di un minimo di 30,000 schede. A tale punto la Sotto-Commissione ha creduto prendere in considerazione solamente il lavoro preparatorio, il quale è tut- t’altro che semplice, e propone che si svolga nel seguente modo. xc RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE a) Progetto di massima. Usufruendo dello schedario dell’Ufficio geologico, che dal- l’Ufficio stesso viene messo a nostra disposizione, si faranno eseguire da una tipografia, nella forma più economica, degli stamponi in numero sufficiente da distribuirsi a tutti coloro che avranno dichiarato di volere collaborare alla compilazione della bibliografia. I collaboratori faranno sopra questi stampati tutte le aggiunte, correzioni e modificazioni che riterranno opportune, e li riman- deranno, entro un limite di tempo da determinarsi. Persone all’uopo incaricate uniranno tutto il materiale così raccolto in un unico schedario, curando sieno rispettate le norme circa i limiti di cui si è detto innanzi, e l’uniformità sia per le abbreviazioni, sia per i caratteri. Solamente quando tutto questo lavoro sarà compito, la So- cietà potrà avere una base sicura per deliberare sulla definitiva pubblicazione in volumi. b) Veniamo a gualche particolare sulla esecuzione del lavoro preliminare ora riassunto. L’Ufficio Geologico non concede più di 250 schede per volta. Queste possono essere stampate 10 per 10 su 25 fogli a guisa di bozze in colonna ed a sinistra del foglio; avendo così uno spazio per le modificazioni ed aggiunte. Di ogni bozza si propone di stampare 100 copie, per poterne consegnare tre ad ogni collaboratore, ed averne altre di riserva; ritenendo che non più di 20 possa essere il numero dei Collabora- tori efficaci. II tempo per stampare queste 25 colonne può essere fissato al massimo ad una settimana. La stampa occuperà così molto tempo (circa due anni); ma le bozze potranno a maggiori periodi da determinarsi essere di- stribuite ai collaboratori; il che molto agevolerà il lavoro; anche per parte dei Collaboratori medesimi. Per tutto quanto occorrerà: per ritirare le schede dall’ Uf- ficio Geologico, per ritornarle, per stare in contatto diretto e RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XCI continuo con la tipografia, per correggere le bozze, per distri- buirle, ecc., chi ne avrà la missione, dovrà necessariamente va- lersi di persona adatta, equamente ricompensata, la quale ope- rerà sotto la sua direzione e sorveglianza. Non crediamo si possa trovare un tale aiuto senza una spesa di almeno lire 60 mensili. Per la stampa delle bozze la Sotto Commissione ha indetto una gara privata, limitata a poche tipografie; ed il Segretario distribuì il giorno 16 maggio p. p. uno schema di contratto, da noi combinato, alle seguenti tipografie: 1. Ditta Filippo Cuggiani. 2. Cooperativa tipografica laziale (Veratti). 3. Sallustiana. 4. Fratelli Pallotta. 5. Pistoiesi Gaetano. 6. Cooperativa sociale. 7. Artigianelli di S. Giuseppe. 8. Orfanotrofio di S. Maria degli Angeli. 9. Civelli Giuseppe. 10. Operaia romana cooperativa. 11. Fratelli Biglietti. 12. Popolare (Brignardelli). 13. Salesiana. 14. Sociale: Polizzi e Valentini. 15. Terme Diocleziane (Balbi). 16. Unione Tipografica Manuzio. Lo schema di contratto venne così formulato: 1. ° Verranno dalla Società consegnate alla tipografia 250 schede per volta. 2. ° Le schede dovranno essere restituite intatte (quindi nè lacerate, nè sporche) alla Società unitamente agli stamponi. 3. ° La stampa in corpo 10 (di uno, due o tre caratteri) sarà fatta su fogli di carta del formato di circa cent. 30 per 20, ad uso bozza, in colonna della giustezza di circa cent. 10 (stam- pata a sinistra del foglio), comprendente ciascuna colonna non XCII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE più di dieci indicazioni bibliografiche, equamente distanziate. Ciascuna colonna porterà un numero d’ordine. 4. ° La Società si riserva di fare una sola correzione degli stamponi. 5. ° Eseguita la correzione, verranno, di ciascuna colonna, tirate cento copie. 6. ° Le colonne, di cento copie ciascuna, verranno conse- gnate settimanalmente, in ragione di non meno di 25 colonne per settimana. 7. ° Eseguita la consegna, la tipografia ha liberi i caratteri. 8. ° La Società pagherà L ogni cento colonne consegnate. (Indicare il prezzo secondo che la stampa si farà con uno solo, con due o con tre caratteri). 9. ° La tipografia si impegna di fornire buona carta e ca- ratteri come dal campione. 10.0 La Società assicura alla tipografia la tiratura di circa 2,500 colonne a 100 copie ciascuna. 11.0 L’aggiudicazione del presente lavoro, non impegna la Società per la pubblicazione definitiva in volume della, Bibliografia. Questo schema fu accompagnato dalla seguente lettera : Onorevole Signore , La Società Geologica Italiana studia la possibilità della pub- i blicazione di una Bibliografia geo-paleontologica italiana dai più antichi tempi sino ai nostri giorni. A ciò fare, e come la- voro preventivo, si vorrebbero stampare ad uso bozze tutte le schede che da istituti e da privati verrebbero fornite all’uopo. Trasmetto quindi alla S. V. uno schema di contratto per questo lavoro preliminare, pregandola, qualora voglia adire a questa gara privata, di restituirmelo riempito per le cifre relative alla spesa con l’aggiunta delle osservazioni che Ella credesse oppor- tuno di fare; e con un campione stampato (in sei copie) con- forme alle indicazioni unite al manoscritto qui annesso. (Vedi allegato). L’avverto che non verrebbe dalla Commissione a ciò incaricata, tenuto conto delle risposte pervenute oltre il 28 cor- rente mese. Lo schema di contratto, e l’aggiudicazione del la- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XCIII voro, udita la relazione della Commissione, devono essere ap- provate dall’assemblea dei Soci, che si terrà nella seconda metà di agosto di quest’anno. Con osservanza, ecc. Delle predette tipografie risposero le seguenti nove: 1. Cuggiani. 2. Cooperativa tipografica Laziale. 4. Fratelli Pallotta. 5. Pistoiesi Gaetano. 7. Artigianelli di San Giuseppe. 10. Operaia romana cooperativa. 14. Sociale: Polizzi e Valentini. 15. Terme Diocleziane. 16. Unione tipografica Manuzio. La tipografia Cuggiani, che con grande soddisfazione ci stampa il Bollettino , ha chiesto un trattamento di favore; di conoscere cioè quale sia l’offerta minima che ci venne fatta; sperando di poterla accettare, se di sua convenienza (v. allegati). Le offerte presentate, vengono qui allegate in originale ed unite in quadro comparativo. Esse variano da un minimo di L. 1,25 ad un massimo di L. 2,20 per ogni colonna di 100 copie. Riguardo alla varietà di carattere, 4 tipografie non ne tengono conto, chiedendo un prezzo unico che va da L. 1,25 a L. 2,20; altre quattro tipografie propongono prezzi diversi per caratteri, e per qualità di carta, da L. 1,40 a L. 2. Quindi se la Commissione crederà di accettare la proposta Cuggiani, per la quale non vediamo difficoltà, e qualora creda proporre ai Soci la spesa relativa, si dovrà ad essa tipografia Cuggiani comunicare l’offerta minima che fu di L. 1,25, oppure proporre alla medesima un prezzo anche minore. Con i dati precedentemente esposti, si giunge alle seguenti Conclusioni. l.° Che la stampa di 30,000 schede occuperebbe il tempo di circa due anni. VII XCIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE 2. ° Che dovendo lasciare le schede ai collaboratori per tutto il tempo necessario ad ultimare la composizione; il lavoro di riunione definitivo di tutte le schede non si potrebbe comin- ciare che fra tre anni, e terminarlo al minimo fra quattro. 3. ° Che la stampa di 30.000 schede in colonne conte- nenti ciascuna in media 10 indicazioni, e quindi 3000 schede in 300,000 copie, importa una spesa di circa lire 3,750, com- putando L. 1,25 per colonna in 100 copie. 4. ° Che la spesa di corrispondenza e trasmissione delle bozze importerà la somma di circa L. 300. 5. ° Che la spesa per il compenso ad una persona all’ uopo incaricata, calcolata — come dicemmo — a L. 60 mensili, sarà di L. 1440 per i primi due anni che riteniamo necessari; du- rante cioè il periodo della stampa e distribuzione delle colonne; spesa che sarà certamente maggiore nel secondo periodo di questo lavoro preparatorio, e cioè per il confronto e riunione di tutte le bozze pervenute alla Società dai Collaboratori, per la forma- zione di un unico Catalogo e per la formazione di indici spe- ciali, per il che occorrono ulteriori indagini e deliberazioni. * 6. ° Che, finalmente, la spesa complessiva di tutto il la- voro preliminare di cui si è tenuto parola, verrà a costare non meno di L. 5500. Spetta ora alla Commissione discutere tutto quanto venimmo esponendo. Roma, 30 maggio 1005. La Sotto-Commissione: f Alessandro Portis. Sormani Claudio. Antonio Neviani, relatore. B. — Verbale dell’adunanza della Commissione tenuta in Roma il 7 giugno 1905. Alle ore 15.30, nella grande sala della Biblioteca del R. Uf- ficio geologico, si è riunita la Commissione per la pubblicazione di una Bibliografìa Geo-paleontologica italiana. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XCV Sono presenti il presidente prof. Taramelli, i Commissari: prof. Bassani, ing. Sorniani, prof. Portis, ed il segretario pro- fessore Neviani. È presente anche l’ ing. Mazzuoli L., vice-presidente della Società Geologica, chiamato, or ora, dal Presidente a far parte della Commissione. Scusano la loro assenza i Commissari Brugnatelli, Di Ste- fano G. e Sacco; è assente pure il prof. Cermenati. Il Presidente dà la parola al Segretario, il quale legge la relazione presentata dalla Sotto-Commissione, composta dei pro- fessori Portis, Sormani e Neviani. Terminata la lettura, prendono successivamente la parola tutti i Commissari, e dopo lunga discussione si delincarono in seno alla Commissione le seguenti idee: I tre Sotto-Commissari rimasero nell’opinione che il mezzo da essi proposto per la compilazione e stampa della Bibliografia , sia il più spedito e fra i meno costosi. II Presidente riterrebbe opportuno stampare per ora sola- mente lo schedario appartenente al R. Ufficio Geologico, e ri- mandare ad altro tempo la stampa di un secondo volume, che a guisa di Appendice integri questa prima pubblicazione. Il Commissario prof. Bassani ritiene superflua la spesa per la stampa ad uso bozze di uno schedario, che crede non possa recare giovamento allo specialista: ma proporrebbe fossero invi- tati direttamente gli specialisti, od i cultori in genere delle scienze geo-paleontologiche, ad inviare le loro schede, che potrebbero es- sere redatte sopra un tipo unico da stabilirsi. Il Commissario ing. Mazzuoli pensa se non sia il caso di fare pratiche presso il Ministero di Agricoltura Industria e Com- mercio, perchè venga a spese del Governo pubblicato il Catalogo dell’Ufficio Geologico, reso più completo dalla volonterosa opera dei soci della Società Geologica. In tutti i Commissari poi è evidentemente manifesta la preoc- cupazione che tale impresa venga soverchiamente a gravare sulle finanze della Società, senza che a tale aggravio sorrida la pro- spettiva, se non di un guadagno, almeno del rimborso del ca- pitale, colla vendita dei volumi. XCVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE In tale indecisione,! Commissari stabiliscono di soprassedere ad ogni deliberazione, pregando la Sotto-Commissione di studiare, d’accordo con gli altri Commissari, le varie proposte oggi fatte, e riferirne di nuovo alla Commissione. Alle ore 18.30, la seduta è tolta. C. — Seconda relazione della Sotto-Commissione. La Sotto-Commissione non ha, per varie e prolungate occu- pazioni dei suoi membri, potuto riunirsi prima d'ora per discu- tere sulle proposte presentate dai vari membri della Commissione nella seduta del 7 giugno u. s.; nè oggi pure potrebbero trovarsi tutti uniti, stante la grave malattia dell’ ing. Sorniani, al quale mandiamo fervidi auguri di prossima guarigione. Noi pertanto esaminate e ben ponderate la proposte anzidette, concretate nel verbale di quella seduta, facciamo le seguenti os- servazioni : Le proposte del Presidente e dell’ ing. Mazzuoli si riducono ad una sola, giacche si tratterebbe di stampare solo lo schedario del R. Ufficio Geologico; non credendo facile il concorso dei soci della Società Geologica nella forma dall’ ing. Mazzuoli indicata. Certamente l’ ing. Mazzuoli pensa di liberare completamente la Società dalla spesa relativa, rivolgendosi al Governo; ma a parte questa soluzione che vediamo assai difficile, rimane sempre l’opera scientifica, la quale sarebbe evidentemente così incompleta, che non sembra debba accogliersi dalla Società. Indubbiamente migliore è la proposta del prof. Bassani; quella cioè di rivolgersi agli specialisti, affinchè essi mandino le loro schede, che possono essere compilate sopra un unico tipo da stabilirsi, Riteniamo però che tale proposta non debba accettarsi, perchè il riunire queste schede non sarebbe altro clic fare un inutile duplicato di uno schedario già esistente, quello cioè del R. Uf- ficio Geologico, senza sapere se esso riescirà di eguale, maggiore, o minore entità numerica. D’altronde la compilazione di questo nuovo schedario, per cui occorrerebbero parecchio tempo e spesa Il Presidente T. Taramelli. Il Segretario A. Neviani. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XCVII notevole, lascia inalterata la parte importantissima del modo come compiere la pubblicazione. Rammentiamo come il prof. Bassani abbia criticato in Com- missione la nostra proposta di eseguire delle bozze sullo schedario dell’Ufficio (Teologico, disfacendo subito la composizione; e di avere accennato come possano comporsi le bozze sulle schede nuo- vamente raccolte; e pur mantenendo la composizione si faccia un certo numero di bozze da mandarsi contemporaneamente ai colla- boratori, ai quali si lascierebbero per un tempo da determinarsi. Noi osserviamo solamente: 1° che dovendosi necessariamente comporre tutta la Bibliografia (rammentiamo che saranno più che 30,000 schede), il mantenere in opera per parecchi mesi tanta quantità di carattere importerebbe una spesa maggiore di quella da noi preventivata; 2° che questa spesa verrebbe anche accresciuta dalle varianti per correzioni ed aggiunte, che in tale modo si dovrebbero certamente fare. Non riteniamo spendere parola per riassumere il progetto, ormai ben noto, e da noi presentato con la prima relazione; nè dire alcun che in sua difesa ; ma considerando, come è detto nel Verbale della seduta del 7 giugno, che la preoccupazione maggiore dei Com- missari era quella della spesa, crediamo opportuno presentare una nuova proposta, che pur venne da qualcuno dei Commissari venti- lata in adunanza, e cioè indire un referendum fra tutti i Soci, perchè rispondano con un sì o con un no, se vogliono o no impe- . gnare la Società in una spesa che non può essere, a calcoli fatti, inferiore alle dieci o dodici mila lire; qualunque sia il modo di esecuzione del lavoro. La Presidenza dovrebbe anche far cono- ■ scere ai Soci con esattezza le condizioni finanziarie della Società. Data l’impossibilità di radunare l’intera Commissione prima dell’Assemblea sociale, che si terrà nella Carnia nel prossimo agosto, e dato l’ impegno che ha la Presidenza della Società di riferire a detta Assemblea, ci sembra che una soluzione di tale genere sia la migliore e possa accogliere l’approvazione del Con- siglio di Presidenza. Roma, 20 luglio 1905. I Sotto-Commissari : Alessandro Portis. Antonio Ne vi ani. XCVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE VII. Riunione straordinaria della Società Geologica di Francia a Torino ed a Genova. Come venne preannunciato alla Assemblea della S. G. I. del 12 marzo u. s. la Società Geologica di Francia tenne dal 5 al 12 settembre una riunione straordinaria in Piemonte e Liguria per lo studio specialmente dei terreni terziari e delle pietre verdi. La Presidenza della S. G. I., dolente di non potere, per pre- cedenti impegni, tenere la nostra riunione annuale con quella della Società consorella, delegò a rappresentarla i prof. ParonaC.F. 7 e Sacco F., e con circolare 20 luglio invitò i Soci ad inter- venirvi. Della predetta riunione, il nostro consocio, e futuro Presi- dente, prof. F. Sacco, ci invia la seguente riassuntiva relazione. Intervenuti: Soci della S. G. F. : Beroud J. M., Bioche A., Boijrgeat. Canu F., Caziot, Cottreau 1., Depéret Ch., Dollfus G. F., Douvillé H., Douvillé IL, Fjscheur E., Giraux L., Gue- bhard A., Haug E., Kilian W., Lory P. C., Martin D., Péron A. (Presidente della S. G. F.), Revil I., Reymond F., Sayn G., Yidal L. M. Soci della S. G. F. e S. G. I. : Mattirolo E., Mayer-Eymar Gli., Portis A., Sacco F. Soci della S. G. I.: Airagui C., Colomba L., Crema C., Der- vieux E., Forma E., Franchi S., Parona C. F., Prever L., Rove- reto G., Roccati A., Zaccagna D. Non soci: Bartesaga Ch., madame Bioche, Bozano C., ma- demoiselle Douvillé, Dumolard E., Negri G., madame Péron. In tutto 44. Dal 5 al 12 settembre venne svolto il seguente programma: Martedì 5 settembre. Ore 10. Seduta d’apertura in una sala del palazzo Cari- gnauo. — Parlò il Presidente della Soc. Geol. di Francia, signor Péron, per ringraziare dell’accoglienza ricevuta, c salutare la RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE XCIX città di Torino. Seguì il prof. Paoli ani, rappresentante il Ret- tore, porgendo il saluto della Università, ed accennando all’im- portanza pratica della Geologia. Il sig. dott. Tacconis, rappre- sentante il Sindaco, prese parimenti la parola per salutare la Società Geologica Francese a nome della città di Torino. Procedutosi alla costituzione dell’Ufficio di Presidenza, rie- scirono eletti per acclamazione : Presidente: prof. F. Sacco, Vicepresidenti: prof. C. F. Parona, ing. L. M. Vidal, Segretari: R. Douvillé, dott. A. Rocca.ti, Tesoriere: dott. L. Colomba. Il prof. Sacco ringrazia i colleglli dell’onore conferitogli, che dice dovuto, più che a sè, al Bacino terziario del Piemonte ed ai Molluschi terziari del Piemonte e della Liguria che ebbe la fortuna di studiare in quest’nltimo ventennio; porge saluti e rin- graziamenti al Municipio, al Rettore dell’Università, al Diret- tore del Museo Geologico, ai rappresentanti del R. Ufficio Geo- logico e della consorella Società Geologica Italiana; evoca gli antichi e gli attuali cordiali accordi dei geologi italiani e fran- cesi; infine espone il programma delle escursioni. Vennero distribuiti ai presenti delle coccarde-distintivo, delle Guide di Torino e Superga offerte dal Municipio, e vari lavori offerti dai prof. Parona, Portis, Sacco e Virgilio. Dopo mezzogiorno si visitò la città, il museo geologico e pa- leontologico dell’ Università e quello geo-litologico della Scuola degli ingegneri. Alle ore 5 V2 ebbe luogo un sontuoso ricevimento al Muni- cipio, durante il quale Fon. deputato Albertini pronunciò un discorso-brindisi inneggiante al buon accordo italo-francese, ri- spondendogli cogli stessi sentimenti il Péron. Mercoledì 0 settembre. Alle ore 5,25 partenza in tramway per Lavriano, ove si giunse alle 7,44. Esame delle Argille scagliose, dei Calcari a fucoidi e dei conglomerati dell’Eocene. Marne, calcari e grès del Bartoniano. c RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE Vi furono animate discussioni sull’età delle Argille scagliose (per alcuni triasica , per altri cretacea , per altri eocenica ) e sulla po- sizione ed origine di uno speciale ammasso-breccia di Calcari liasici. Visita dei forni a calce della casa Delmastro, con offerte di fossili dei calcari, e di rinfreschi. Dalle 10,44 alle 12 da Lavriano, per Gassino a Pedaggio di Bussolino, ove si pranza. In seguito visita alle regioni fossili- fere ed alle cave di calcare zoofitologico, Bar tornano, di Gas- sino, nonché alle formazioni arenaceo-conglomeratiche dell’Oli- gocene, con gustoso ricevimento nella villa del sig. Vaudetti. Dalle 6,15 alle 7,30 ritorno da Gassino a Torino. Giovedì 7 settembre. Alle ore 7,40 partenza in tramway da prima, in funicolare poi, per Superga (arrivo alle ore 8,35). Escursione nelle colline mioceniche dove si potè osservare bene la serie dei tre piani, aquitaniano, langhiano ed elveziano di Superga, con raccolte di fossili; discutendosi assai sulla presenza ed abbondanza dei ciot- toli e massi a facies glaciale intercalati ai depositi marnoso- sabbiosi a ricca fauna marina (fauna di Superga) del Miocene. Déjeuner offerto dai geologi italiani presenti al Congresso, con relativo brindisi presidenziale di fratellanza fra geologi ita- liani e francesi. Tornati in Torino, alle ore 20,30, si tenne seduta nella sala del Palazzo Carignano, ove, dopo che il Presidente fece una espo- sizione sintetica di quanto si era osservato nelle escursioni dei giorni 6 e 7 sett., si presentarono memorie scientifiche e si di- scusse sui fenomeni geologici osservati in dette giornate. Venerdì 8 settembre. Partenza da Torino alle ore 6,40,' arrivo ad Asti alle ore 7,36. Qui si fu cordialmente accolti dalla Municipalità di Asti ; poscia in vettura si partì per Valle Andona; con esame prima delle marne sabbiose grigie fossilifere del Piacenziano , poi delle sabbie gialle del Pliocene (Astiano). RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE CI Dopo il déjeuner (ore 11) si visitarono varie località fossi- lifere. I congressisti francesi rimasero meravigliati della immensa quantità di fossili che poteronsi raccogliere ovunque a piene mani, facendone quindi tutti amplissima collezione. Tornati in vettura ad Asti (ore 4 72) si visitò colla Muni- cipalità il Duomo, il palazzo Altieri ed i monumenti della Città. Dopo il pranzo, al quale presero anche parte i rappresentanti della città di Asti, per ferrovia, si andò a Serravalle Scrivia (ore 9,42) dove si fu ricevuti cordialmente dal Sindaco e dal Rettore del Seminario. Si pernottò al Seminario di Stazzano messo graziosamente a disposizione dei congressisti da Monsi- gnore Vescovo di Tortona. Sabato 9 settembre. Durante la mattina, si fece ricerca di fossili nelle colline tor- toniane di Stazzano, esaminando anche la formazione arenaceo- conglomeratica del Messiniano di Monterosso, ed il suo passaggio al soggiacente Tortoniano. Dopo il déjeuner (ore 11) a Serravalle Scrivia, colla presenza del Sindaco e del Rettore del Seminario, si partì (ore 1,30) in vettura per Ronco Scrivia, esaminando con opportune fermate, la serie tipica del Miocene, dell’Oligocene e dell’Eocene della vallata della Scrivia. Partiti poco prima delle 6 per ferrovia da Ronco, si giunse a Genova alle ore 6,36, ove il march. Rovereto, nostro consocio, attendeva i congressisti, che si alloggiarono tutti all’albergo del- l’Aquila. Alle ore 8.30 si tenne seduta nella splendida sala consigliare del Municipio. Il Presidente pronunciò un breve discorso di sa- luto alla città di Genova, rievocando la memoria del grande geologo marchese L. Pareto e proponendo l’ invio di un tele- gramma di saluto al prof. Issel. Espose poi brevemente le os- servazioni fatte nelle escursioni geo-paleontologiche dei giorni 8 e 9 settembre. Seguì un sontuoso ricevimento offerto dalla città di Genova, con discorso altamente patriottico del sindaco generale Cerniti, a cui rispose con calde parole il Péron. CII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Domenica 10 settembre. Nella mattinata visita della città di Genova e del museo geologico e paleontologico dell’ Università, dove il march. Ro- vereto accolse cordialmente i congressisti, loro distribuendo anche vari lavori scientifici da parte sua e del prof. Issel. Alle ore 11 ascesa in funicolare al forte di Castellacelo (Righi) con esame dei calcari a fucoidi ed elmintoidi dell’Eocene. Dopo il déjeuner si discese per visitare ancora la città e spe- cialmente il Palazzo reale ed il Palazzo Durazzo Pallavicini ; andando pure a vedere le marne piacenziane messe a nudo dagli attuali sventramenti del centro di Genova. Partiti in ferrovia, alle ore 1 1 si fu di nuovo a Torino. Lunedì 11 settembre. Al mattino i Congressisti recatisi in tramway da Torino a Pianezza, visitarono i conglomerati sub-glaciali ed i depositi mo- renici. Al blocco erratico o Roc Gastaldi, il Presidente, ringra- ziando i Congressisti di esser venuti in quel punto tanto impor- tante per la storia glaciologica del Piemonte, evocò la memoria del grande geologo Bartolomeo Gastaldi. Attraversato in vettura l’Anfiteatro glaciale di Rivoli, si passò all’esame della formazione delle Pietre verdi (Serpentina, Eufo- tide, Lherzolite) alle falde del M. Musine; si visitarono le cave di Magnesite e di Opale di Casel lette, ove i Congressisti poterono fare facili raccolte litologiche e mineralogiche. Pranzatosi ad Avigliana, si fece poscia una escursione al vec- chio castello di Avigliana osservando prasiniti e serpentine, ter- reni morenici, fenomeni di moutonnement , rocce striate, ecc., e si godè del panorama generale deH’Anfìteatro morenico di Rivoli. Il Presidente, da quell’alto e mirabile punto di vista, geologico ed artistico, espose brevemente la storia della formazione del- l’Anfiteatro suddetto, indicandone le diverse parti. Alle ore 7,20 si era di ritorno a Torino, ed alle 9 ebbe luogo la seduta di chiusura. Il Presidente espose brevemente quanto si era osservato nelle giornate del 10 e dell’ 11; ciò che fu se- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE CHI guito da discussioni scientifiche sui fenomeni osservati, sull’età delle Pietre verdi in generale, ecc.; si presentarono vari lavori scientifici. Il Péron ed altri geologi francesi, a nome proprio e della Società Geologica di Francia, porsero vivi ringraziamenti per le accoglienze ricevute e per le molteplici interessanti osserva- zioni compiute, per le copiose raccolte di fossili fatte in breve tempo, ecc., invitando i colleglli italiani a visitare le regioni francesi. Il Presidente rispose ringraziando i geologi francesi e dichiarandosi lieto che la riunione li abbia soddisfatti ; dopo di che dichiarò chiuso il Congresso. Mercoledì 12 settembre. Malgrado che il Congresso fosse stato chiuso ufficialmente nella serata precedente, nella mattinata del martedì si visitò ancora in comitiva il Loess delle colline di Torino; asceso il monte dei Cappuccini, si visitò il museo alpino della Vedetta alpina, di cui era stata gentilmente offerta l’entrata gratuita ai Congressisti dalla Presidenza della sezione torinese del C. A. I. Durante e dopo il Congresso, vi furono escursioni speciali di alcuni gruppi di studiosi, sia nei Colli torinesi (anche andando a visitare la famosa collezione del cav. Rovasenda, il quale fece, come di solito, cordialissime accoglienze), sia nelle prossime re- gioni alpine. La massima cordialità regnò sempre fra i geologi francesi ed italiani, rimanendo in tutti l’ impressione che questo Con- gresso della Società geologica di Francia in Italia sia assai bene riuscito, tanto materialmente quanto scientificamente, e ad onore della Geologia italiana. CIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE Vili. A proposito delle Frane di Orvieto. Comunicazione di P. Vinassa de Regny. Nel fascicolo II e III del Giornale di Geologia pratica , a pag. 135, è inserita una mia breve comunicazione su questo ar- gomento a complemento di una osservazione da me fatta ad una frase del Col. Verri. In essa avvertivo che non avrei voluto ini- ziare alcuna polemica; e poiché dello stesso parere è anche il Col. Verri, secondo quanto egli scrive nella sua Spiegazione al Verbale della Adunanza 12 marzo 1905 della nostra Società, così siamo perfettamente d’accordo. Ma poiché anche l’Ing. De Marchi ha trovato da sorpren- dersi che io non abbia fatto un accenno alla commissione tecnica del 1892, di cui sembra egli facesse parte, così mi permetto os- servare : \ 1. ° Che il mio lavoro non era ufficiale, e che quindi non avevo alcun obbligo di tener conto di quanto fosse stato detto in relazioni amministrative; non solo, ma nemmeno avevo di- ritto di farne richiesta alle Autorità; 2. ° Che, per cortesia di un componente la Dep. provin- ciale dell’ Umbria, mi venne comunicata copia di una relazione amministrativa del 1900; ma essa non porta il nome del De Marchi, ma quello dell’ Ing. Baldacci e di altri, e di tale rela- zione feci accenno nel mio lavoro; 3. ° Che nella relazione suddetta non si parla mai di pre- cedenti relazioni o commissioni: quindi, dato e non concesso, che dovessi tener conto anche di relazioni amministrative, era naturale che ignorassi la esistenza della relazione cui accenna il De Marchi; 4. ° Che non mi poteva certo passar per la testa di an- dare a ricercare una relazione sulle frane di Orvieto nella Rivista del servizio minerario! Della mia stessa idea sembrano essere stati anche i colleglli dell’ Ing. De Marchi, corn- ili latori della Bibliografìa Geologica Italiana , sempre così ac- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE CV curata, dacché in essa non si hanno tracce dell’opera dell’ In- gegnere De Marchi. Finalmente faccio rilevare che nè io, nè il Col. Verri, nè l’ Ing. De Marchi possiamo tenere, e, almeno per mia parte, teniamo alla originalità delle nostre spiegazioni e proposte re- lative alle frane di Orvieto. Sono cose più che note e da lungo tempo. E il mio lavoro, che, ripeto, non ha alcuna pretesa di avere scoperto le frane di Orvieto ed i modi di ripararci, era solo destinato a richiamare l’attenzione del pubblico e dei tecnici sopra l’argomento importantissimo. E dal canto mio intendo con questo chiuso l’incidente. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEGLI OSTRACODI FOSSILI DELLO STRATO A SABBIE GRIGIE DELLA FARNESINA PRESSO ROMA Nota del dott. G. B. Cappelli (Con due Tavole, IX e X) Il presente stridio fu da me intrapreso per il consiglio dei professori: Portis e De Angelis d’Ossat. Il prof. Portis mi facilitò molto il lavoro fornendomi ammaestramenti e libri necessari ; il prof. De Angelis poi mi fu utile e costante guida. Oggetto di questo studio sono gli Ostracodi fossili dello strato a sabbie argillose grigie della Farnesina, strato detto dai geologi •romani classico. Queste sabbie, ricchissime di fossili, giacciono •discordantemente con le sottostanti argille sabbiose e grigie e concordantemente con le sabbie gialle sovrastanti. Il materiale raccolto personalmente, con ogni cura, affinchè non sfuggissero neppure le forme più piccole, fu trattato con i metodi reputati migliori. Molto utile è stato alla mia ricerca il lavoro del Namias: Ostracodi fossili della Farnesina e Monte Mario presso Roma. Oltre agli autori stranieri, che si vedranno citati nella sinonimia delle varie specie, ho consultato particolarmente i lavori del Se- guenza, del Capeder, del Terrigni, del Canavari, che studiarono gli Ostracodi fossili di località italiane. Mi è sembrato inutile ripetere le descrizioni per le specie già trovate alla Farnesina, e benissimo conosciute e descritte nei lavori di altri autori. Ho solamente fatta qualche annota- zione a quelle che, sebbene già studiate come appartenenti allo strato classico, mi hanno presentato qualche carattere non messo in rilievo, o qualche ragione di disaccordo con le osservazioni anteriori. 20 304 G. B. CAPPELLI CLASSIFICAZIONE Le classificazioni degli ostracodi, fondate sui caratteri ana- tomici delle parti molli degli animali, sono poco utili a chi questi animali studia dal solo lato paleontologico. Se si eccettua infatti la Palaeocypris Edwarsii che è stata trovata dal Kenault ammi- rabilmente conservata negli arnioni silicizzati delle miniere di carbone di Saint-Etienne, il paleontologo non ha a sua dispo- sizione che gusci, ed è costretto ad utilizzare come carat- teri di generi e famiglie, le più piccole differenze nel contorno esteriore, nell’ornamentazione della superfìcie, nella struttura del bordo cardinale e del ventrale, e dell’anteriore e del posteriore. Del resto per quanto la classificazione fatta attenendosi ai soli caratteri della conchiglia, possa parere artificiale, pure in gene- rale così non è, perchè « this is more feasible inasmuch as thè » affinities of internai anatomy are always found (as might, by » a believer in thè doctrine of evolution, he fully expected) to » correspond more or less closely witli similar affinities of shell- » structure » come è detto nella monografia del JBrady, Crosskey and Ilobertson sugli entromostraci post-terziari (pag. 109), nella quale trovasi anche la classificazione che qui sotto riporto : Ostracodi. I. Sezione Podocopa 1. Famiglia Cypridae 2. » Dar trincili dae 3. » Cytheridac II. Sezione Myodocopa 4. Famiglia Cypridinadae 5. » Entonioconchidae 6. » Conchoeciadae III. Sezione Cladocopa 7. Famiglia Polycopidac IV. Sezione Platicopa 8. Famiglia Cythcrellidae. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA B05 A dii credesse che in un lavoro, nel quale, come nel pre- sente, si studiano gli Ostracodi fossili, tenendo conto, come di necessità, dei caratteri del guscio, si siano potuti confondere gli Ostracodi con i Fillopodi e i Cladoceri, che, se si distin- guono bene fra loro per la struttura degli organi di nutrizione e di riproduzione, e per l’embriologia, pure studiandoli paleon- tologicamente possono confondersi ; risponderò : Se nelle forme molto antiche e differenti da quelle ora vi- venti, vi può essere qualche dubbio, non cosi nelle forme appar- tenenti agli strati più recenti, forme che, trovate in grandissima parte allo stato vivente e studiate nei loro caratteri anatomici, si sono potute con certezza determinare. E questo è il caso degli Ostracodi della Farnesina. Infatti, e si vede dalla tabella ripor- tata in fine del lavoro, molte delle specie trovate, si trovano nei mari attuali. E il Brady, e il Seguenza, ed altri ne hanno descritte nei loro lavori, anche le parti molli, evitando così ogni incertezza. Quindi la possibilità di confusione, che da alcuni vorrebbesi estendere allo studio di tutti gli Ostracodi fossili, deve essere, se pure ammissibile, ridotta a casi molto limitati. DESCRIZIONE DELLE SPECIE Candona Richardsoni Jones (tav. IX, fig. 1). 1854. Candona Richardsoni Jones, Qnart. Journ. Géol. Soc., X, pag. 162, tav. Ili, tig. 19. 1856. » » Jones, The entom. of tert. foriti., pag. 18, tav. IV, fig. 12 a, h. Attribuisco a questa specie un individuo che corrisponde alla descrizione e alle figure che dà il Jones. Le valve late- ralmente quadrate presentano forma sub-ellittica. Estremità ante- riore obliquamente arrotondata, posteriore arrotondata. Margine dorsale retto, ventrale lievemente arcuato. Avendo osservato da 306 G. B. CAPPELLI sopra il mio esemplare ho, anche in esso, come nelle forme figu- rate dal Jones, riscontrato una maggior depressione della volta dorsale anteriormente, e una maggior convessità andando verso il margine posteriore. Superficie levigata. Dimensioni: lunghezza mm. 0,60 altezza » 0.99 Vivente: non conosciuta. Fossile: Cave di sabbie di Woolwich, Counter Hill. Argilloecia messanensis Seg. (tav. IX, fig. 2). 1883. Argilloecia messanensis Seguenza, Ostrac. porto di Messina, Natur. Sic., anno III, n. 2, pag. 41, tav. I, fig. 4 a, c. 1900. » » Narnias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 8, tav. I, fig. 3. Vivente: Porto di Messina. Fossile : Farnesina, rara. Argilloecia subreiiiformis Seg. (tav. IX, fig. 3). 1883. Argilloecia subreniformis Seguenza, Quatern. di Rizzolo, Natur. Sic., anno III, pag. 17, tav. I, fig. 5. 1900. » » Narnias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 9, tav. I, fig. 4. Vivente: non conosciuta. Fossile : Rizzolo. Ila india subradiosa Bosquet (tav. IX, fig. 4). 1852. Bairdia subradiosa Bosquet, Entom. foss. tert. France, ece., pag. 22, tav. I, fig. 6 a-d. 1881. Cythere concinna ? var. problematica Seguenza, Quatern. di Riz- zolo, Natur. Sic., anno III, n. 4, p. 116, tav. I, fig. 10. 1900. Cytheridea subradiosa Narnias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 27, tav. Il, fig. 17. La descrizione migliore di questa specie la dà Bosquet. 11 Narnias, pur ritenendo che gli esemplari della Farnesina cor- rispondono a quelli di Francia, crede appartengano al genere Cythcricìca, per la loro forma sub-triangolare. Io preferisco chia- marla con il Bosquet Bairdia, perchè anche le Bairdie hanno OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 307 forma sub-triangolare e anche perchè in questa specie si osser- vano dei raggi presso il bordo posteriore, raggi di cui Bosquet fa menzione fra gli altri caratteri generici delle Bairdie. Dimensioni: lunghezza mm. 0,75 altezza » 0,43 Vivente: non conosciuta. Fossile: Francia (nel calcare), Castellarquato. Bairdia linearis Bosquet (tav. IX, fig. 5). 1838. Cytherina linearis Roetner, Jahrb. fur Minerai., ecc., von Leonhard und Bromi, pag. 517, tav. VI, fig. 19. 1852. Bairdia linearis Bosquet, Entom. foss. ieri. France, pag. 34, tav. II, fig. 1 a-d. Questa specie caratterizzata per la sua esilità, è benissimo descritta dal Bosquet e gli esemplari della Farnesina somigliano in tutto a quelli .di Francia. Nella figura del Bosquet non sono segnati i raggi dei bordi, che si osservano chiaramente negli individui della Farnesina, e vi è rappresentata una sola mac- chia lucida. Ma nella descrizione del genere Bairdia egli ac- cenna a questi raggi che si osservano in tutti gli esemplari ben conservati e parla anche di tre o quattro macchie lucide che si riscontrano sempre e che ne accompagnano una più grande. Francia Farnesina Dimensioni : lunghezza mm. 0,75 0,76 altezza » 0,30 0,27 Vivente: non conosciuta: Fossile : Francia, Palermo. * Macrocypris setigera Brady (tav. IX, fig. 6). 1880. Macrocypris setigera Brady, Beport Challeng., pag. 43, tav. I, fig. 1. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario , pag. 9, tav. I, fig. 5. Vivente : Porto Jakson, Porto di Messina. Fossile: Bizzolo. 308 G. B. CAPPELLI Macrocypris trigona Seguenza. 1883. Macrocypris trigona Seguenza, Ostrac. porto di Messina, Natur. Sic., anno III, n. 3, pag. 77, tav. I, fig. 7 a, b. Varietas laevis Namias (tav. IX, fig. 7). 1900. Macrocypris trigona var. laevis Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 9, tav. I, fig. 6. Vivente: (specie) Porto di Messina; (var.) sconosciuta. Fossile: (specie) Rizzolo; (var.) Farnesina. Macrocypris tumida Brady (tav. IX, fig. 8). 1880. Macrocypris tumida Brady, Report Challeng., pag. 43, tav. VI, fig. 2 a, d. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 10, tav. I, fig. 7. Vivente: Wellington, Harbour. Nuova Zelanda, Irlanda. Fossile : Farnesina, rara. Cythere convexa Baird (tav. IX, fig. 9, 9 a). 1850. Cythere convexa Baird, Brit. Entom., pag. 174, tav. XXI. fig. 3. 1856. » punctata Jones, Monogr. tert. Entom., pag. 24, tav. II, fig. 5 b-d, f-h (non a ed e). 1868. » convexa Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 401, tav. XXIX, fig. 19-27. 1874. 1889. 1899. 1900. » » Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 150, tav. Ili, fig. 14-17. » » Terrigi, Il calcare di Palo, pag. 8, tav. I, fig. 4-7. » punctata Capeder, Contrib. Entom. plioc. Pieni. IAg., pag. 11, fig. 20 a, b. » convexa Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 12, tav. I, fig. 11, 12. Vivente: Inghilterra, Irlanda, Baia di Biscaglia, Mediterraneo, Messina. Fossile: Scozia, Calabria, Sicilia, Piemonte, Liguria, Palo. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 309 Cytliere Jonesii Baird (tav. IX, fig. 10, 10 a). 1852. Cythere cerat opterà Bosquet, Entom. foss. tert. Frutice, pag. 114, tav. VI. fig. 2 a-d. 1863. » subcoronata Speyer, Die Fossil. Casseler, pag. 38, tav. IV, fig. 9 a-c , 10. 1865. Cythéreis spectabilis Sars, Overs. Norges mar. Ostrac., pag. 46. » » subcoronata Brady, New sp. mar. Ostrac., pag. 384, tav. LX, fig. 9 a-e. 1868. Cythere Jonesii Bradv, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 418, tav. XXX, fig. 13-16. 1874. » » » Crosskey e Robertson, Monogr. post. tert. Entom., pag. 171, tav. XII, fig. 4,6. Questa specie è benissimo descritta e figurata dal Brady {Monogr. post, tert., ecc.). Guardate lateralmente le valve hanno forma subquadrangolare ; la parte anteriore larga e rotonda or- nata da forti spine, la parte posteriore angolosa, fornita di spine fortissime nella parte inferiore, liscia nella parte superiore. Mar- gine ventrale e dorsale retto, muniti di appendici spiniformi, salvo che nel terzo posteriore. Guardate da sopra le valve pre- sentano una cresta spinosa spostata ventralmente e che si alza gradatamente dall’innanzi all’indietro e termina con un aculeo claviforme grande, dopo il quale la cresta, con un pendìo ripi- dissimo scende verso il margine posteriore. Come si vede dalla sinonimia che riporta il Brady, a questa specie bisogna attribuire la C. ceratoptera Bosquet, ed infatti la descrizione e la figura ehe il Bosquet dà della sua C. ceratoptera, corrispondono per- fettamente alla C. Jonesii Baird, che si riscontra anche alla Farnesina. Dimensioni : lunghezza mm. 0,95 altezza » 0,45 Tivente: Norvegia, Inghilterra, Baia di Biscaglia, Messina, Na- poli, Mediterraneo. Fossile: Francia e Belgio, Rodi, Rizzolo, Rio Torsero, Bordi- ghera, Arignano. 310 G. B. CAPPELLI Cythere Jonesii var. ceratoptera Bosquet (tav. IX, fig. 11, Ila). 1856. Cythere ceratoptera Jones, Monogr. tert. Entom., pag. 39, tav. IVr fig. 1. 1874. » Jonesii var. ceratoptera Brady, Crosskey e Robertson, Mo- nogr. post. ter. Entom., pag. 172, tav. XII, fig. 7. 1880. » ceratoptera Seguenza, Formas. tert. Reggio Calabria,. pag. 125. 1899. » Jonesii var. ceratoptera Capeder, Contrib. Entom. plioc. Pieni. Lig., pag. 8, tav. I, fig. 13. 1900. » » » ceratoptera Naniias, Ostrac. foss. Farnes. e M. 3Iario, pag. 21, tav. I, fig. 29, 30. Questa forma si distingue dalla tipica Jonesii, per varii ca- ratteri: il margine anteriore molto più largamente rotondo, il posteriore più ristretto portante delle spine più lunghe, ma più fini, il margine dorsale provvisto di spine meno forti ; e, quello- che è un carattere più decisivo, la carena che porta due o- tre spine solo verso la sommità, essendo nel resto liscia, mentre- la carena della C. Jonesii tipica è interamente irta di promi- nenza. Le dimensioni anche sono minori nella varietà. Dimensioni : lunghezza inni. 0,72. Vivente: Norvegia, Gran Brettagna. Fossile : Irlanda, Arignano e Ilio Torsero, Reggio Calabria. Cythere Edwarsii Roemer (tav. IX, fig. 12a,/>). 1852. Cythere Edwarsii Bosquet, Entom. foss. tert. France, pag. 94, tav. IVr fig. 14 a, b , c, d. 1880. » » Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria, pag. 125. » » » var. radiatoplicata Seguenza, Idem, pag. 172. », » » » siibinermis » » » 363. 1880. » Stimpsoni Brady, Report Clialléng., pag. 85, tav. XXXI, fig. 6 a-h. 1885. » » Carus, Prodroinus faun. medit., pag. 297, n. 16. 1889. » » Capeder, Contrib. Entom. plioc. Pieni. Lig., pag. 12, fig. 22 a, b. 1900. » Edwarsii Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 19,. tav. I, fig. 27, 28. Vivente: Mediterraneo, Baia di Vigo, Porto di Messina. Fossile: Francia c Belgio, Piemonte e Liguria, Rizzolo. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 311 Cythere cymbaeformis Seg. 1883. Cythere cymbaeformis Seguenza, Quatern. di Bizzolo, Natur. Sic., anno 111, pag. 20, tav. I, fig. 6. Varietas Farnesiensis Namias (tav. IX, fig. 13). 1900. Cythere cymbaeformis var. farnesiensis Namias, Ostrac. foss. Barnes, e M. Mario, pag. 13, tav. I, fig. 15, 16. Vivente : sconosciuta. Fossile: (specie) Rizzolo; (var.) Farnesina, frequente. Cythere Venus Seg. (tav. IX, fig. 14). 1883. Cythere Venus Seguenza, Quatern. di Bizzolo, Natur. Sic., anno III, pag. 48, tav. I, fig. 7. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Barnes, e il 7. Mario, pag. 25, tav. II, fig. 11. Vivente: Messina. Fossile: Rizzolo. Cythere Speyeri Brady (tav. IX, fig. 15). 1880. Cythere Speyeri Brady, Beport Chaìleng., pag. 79, tav. XX, fig. 2 a-f, 1883. » » Seguenza, Quatern. di Bizzolo, Natur. Sic., annoili, n. 1, pag. 20. 1889. » » Terrigi, Il calcare di Palo, pag. 8, tav. I, fig. 11. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Barnes, e M. Mario, pag. 13, tav. I, fig. 13, 14. Vivente: S. Vincenzo, Capo Verde, Isola dell’Ascensione, Colon, Nuova Provvidenza, Messina, Napoli. Fossile: Rizzolo, Palo. Cythere acupunctata Brady. 1880. Cythere acupunctata Brady, Beport Chaìleng., pag. 68, tav. XIV, fig. 1 a-h, Varietas distincta Namias (tav. IX, fig. 16). 1900. Cythere acupunctata var. distincta Namias, Ostrac. foss. Barnes, e M. Mario, pag. 22, tav. II, fig. 1, 2. G. B. CAPPELLI 4512 Parrai ben fondata la distinzione delle forme della Farne- sina, in lina varietà della specie C. acupunctata del Brady, e per la crenatura della regione anteriore, di cui il Brady non fa cenno, e per la scultura diversa della superfìcie; poiché le forme fossili presentano una serie longitudinale di aperture più grandi delle altre, serie nitida per un tratto abbastanza lungo e che poi si confonde con la punteggiatura generale. Differi- scono anche gli esemplari della Farnesina, per le maggiori di- mensioni. Adulto Giovane Dimensioni: lunghezza mm. 0,66 0,50 altezza » 0,34 0,26 Vivente: Giappone. Fossile: Farnesina rara. Cythere quadridentata Brady (tav. IX, fig. 17). 1866. Cythere quadridentata Brady, Monoyr. ree. Brìi. Ostrac., pag. 412, tav. XXXI, lig. 19-80. Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 161, tav. XIII, fig. 22. var. tennis Seguenza, Formaz. terz. Seggio Calabria, pag. 368. Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 17, tav. I, fig. 23. Le forme fossili della Farnesina che vanno sotto questo nome si distinguono dalle omonime inglesi, per la mancanza della carena che trovasi invece in quasi tutte queste ultime. Il Se- guenza per questa mancanza di carena distinse gli esemplari di Calabria dando loro il nome di var. tennis. Il Namias invece ritenendo che la mancanza di carena debba attribuirsi ad uno sviluppo meno completo, ed osservando che anche nel Brady ( Monogr . ree. brit ., ece.) vi sono figure senza carena, e che nella diagnosi di Carus non se ne fa cenno, non crede di separare queste forme dalle inglesi, ma ritiene che la specie della Farnesina rappresenti le forme giovani di quelle dei mari in- glesi. E di questo parere sono anch’io. In questa Cythere la valva destra è di forma generale rettangolare, più sviluppata 7874. » » 1880. » » 1900. » » OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 313 della sinistra che ha forma ovale allungata. Nelle valve destre evidentissimo è il tubercolo cardinale. Adulto Giovane Dimensioni : lunghezza mm. 0,86 0,80 altezza » 0,32 0,39 Vivente: Gran Brettagna, Irlanda, Creta, fossile: Inghilterra e Calabria. Cythere antiquata Baird (tav. IX, fig. 18, 18 a). 1856. Cythereis senilis Jones, Monogr. tert. Entom., pag. 37, tav. Ili, fig. 8 a, b. 1868. Cythere antiquata Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 417, tav. XXX, fig. 17-20. 1874. » » Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 170, tav. XII, fig. 8-10. 1878. » senilis Terquem, Forum. Entom. Rhodos, pag. 115, tav. XIII, fig. 14 a-c. 1880. » antiquata Seguenza, Formaz.terz. Reggio Calabria, pag.363. 1894. Cythereis » Mailer, Ostrac. Neapl., pag. 374, tav. XXIX, fig. 18 e 24, 1899. Cythere senilis Capeder, Contrib. Entom. plioc. Pieni. Lig., pag. 13, tav. T, fig. 25. 1900. » antiquata Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 15. tav. I, fig. 21. Avendo trovato molti esemplari appartenenti a questa specie, ho potuto studiarli con una certa accuratezza. Per prima cosa ho visto come le forme da me osservate corrispondono perfetta- mente alla descrizione e alle figure che danno della C. anti- quata il Brady e il Namias. Osservando poi le figure che il Jones, il Terquem e il Capeder riportano della C. senilis , e leggen- done le descrizioni, mi sono convinto che anche a queste figure e a queste descrizioni corrispondono i miei esemplari. Non mi è stato quindi difficile conchiudere che la C. antiquata , la C. senilis e i miei esemplari fossero tutta una specie. Conclu- sione a cui tende anche il Namias. Nè vale osservare la pic- colezza degli esemplari del Jones, poiché credo che appar- tengano a forme non completamente sviluppate, delle quali ho potuto osservarne parecchie fra i miei campioni. A me sembra •che gli individui che hanno raggiunto il completo sviluppo pren- 314 G. B. CAPPELLI ciano una forma generale quasi rettangolare, sparendo la diffe- renza fra la parte anteriore più larga e la posteriore più stretta. Il Terquem descrivendo le sue forme, che attribuisce alla C. sc- nilis Jones, dice come le sue figure viste da sopra poco rasso- miglino a quelle del Jones che rappresentano questa specie. Nelle mie osservazioni ho incontrato forme che rassomigliano- alle figure del Jones e altre che sono identiche a quelle date- dal Terquem, e mi sono convinto che le varianti si devono alla più o meno integrità della carena centrale, che nei campioni ben conservati si presenta come una lamina forata regolarmente,, mentre nei rotti è costituita da una linea di spuntoni che sono il residuo della carena, simili ai piloni di un ponte, ai quali mancano gli archi sovrastanti. Adulto Giovane Dimensioni: lunghezza min. 0,78 0,63 altezza » 0,37 9,31 Vivente: Gran Brettagna, Irlanda, Baia di Biscaglia. Fossile: Scozia, Irlanda, Isola di Rodi, Calabria, Crescentino. Cytliere tenera Brady (tav. IX, fig. 19). 18G8. Cythere tenera Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 309,. tav. XXVIII, iig. 29-32. 1874. » » Brady, Crosskey c Robertson, Monogr. post. ter. Eniom., pag. 145, tav. XIII, fig. 6, 7. 1880. » » Brady, Beport Challeng., pag. 63, tav. XII,. fig. 3 a-f. Gli esemplari appartenenti a questa specie non riscontrata dal Namias, coincidono perfettamente con le figure che il Brady dà nella Monografia sugli Entomostraci post-terziari, ma meno con le figure che lo stesso autore dà delle forme viventi, nel Beport Challenger . Solo le dimensioni negli individui della Far- nesina sono maggiori. Guardate lateralmente le valve presentano una forma allun- gata subquadrangolare. L’estremità anteriore è rotonda ed è or- nata da raggi nettamente disegnati ; la posteriore non è rego- larmente tonda, perchè fa con il margine dorsale (piasi un an- golo. La superficie del guscio è finissimamente punteggiata e fornita di rade e tonde papille. Inoltre, in alcune forme più. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 315 giovani, la superficie mostra come una lievissima reticolatura, fra le cui maglie, a gruppi di tre o quattro, stanno i finissimi punti neri. Dimensioni: lunghezza mm. 0,59 altezza » 0,23 Vivente: Gran Brettagna, Irlanda, Baia di Biscaglia. Possile: Scozia. Cythere testudo Namias (tav. IX, fìg. 20). 1900. Cythere testudo Namias, Ostine . foss. Farnes. e M. Mario, pag. 26, tav. II, fìg. 14, 15. Vivente: sconosciuta. Possile : Farnesina. Cythere canaliciilata Reuss (tav. IX, fig. 21). 1900. Cythere canaliculata Namias, Ostine, foss. Farnes. e M. Mario, pag. 16, tav. I, fig. 22. Vivente: Australia, Baia di Hobson. Possile : Rizzolo. Cythere polytrema Brady (tav. IX, fig. 22, 22 a). 1878. Cythere polytrema Brady, Ostr. Antwerp crag, pag. 393, tav. LXVI, fig. 1 ad. 1880. » » Brady, Beport Challeng., pag. 87, tav. XXI, fig. 5 a-h. Questa Cythere , vista lateralmente, somiglia moltissimo alla C. Edwarsii , ma la superfìcie ne è più ruvidamente e più pro- fondamente scavata. Per distinguerle con sicurezza, bisogna guardare queste due specie da sopra, ed allora si vede che mentre nella C. Edwarsii i margini laterali sono dritti, nella polytrema sono curvi. Questa differenza si rileva benissimo dalle figure del Brady. Dimensioni : lunghezza mm. 0,82 altezza » 0,42 Vivente: Isole del Principe Edoardo. Possile: Farnesina molto rara. 316 G. B. CAPPELLI Cythere longecarenata Namias (tav. X, fig. 23). 1900. Cythere longecarenata Namias, Ostrac. foss. Farnes. e il/. Marior pag. 23, tav. II, fig. 3, 4. Vivente: sconosciuta. Fossile: Farnesina. Cytliere emaciata Brady (tav. X, fig. 24 a). 1868. Cythere emaciata Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 414r tav. XXXI. fig. 31-37, Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Fntom, pag. 161, tav. IX, fig. 14-17. Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria, pag.363, Capeder, Contrib. Entom. plioc. Pievi. Big., pag. 6, tav. I, fig. 7 «-e. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 22, 1874. 1880. 1899. » » Vivente: Coste d’Inghilterra e d’Irlanda. Fossile: Scozia. Crescentino, Seggio Calabria. Cythere parallelogramma Brady (tav. X, fig. 25). 1880. Cythere parallelogramma Brady, Report Calleng., pag. 82, tav. XV, fig. 1 a-e. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mariot pag. 15, tav. I, fig. 19, 20. Vivente: Isola del Principe Edoardo. Fossile: Farnesina. Cythere Àudei Brady (tav. X, fig. 26). 1880. Cythere Aadei Brady, Report Challeng., pag. 83, tav. XV, fig. 7 a-h. Forma quadrangolare, con la parte anteriore più larga che il resto, abbastanza obliquamente arrotondata, mentre la po- steriore è troncata, e prominente verso il margine ventrale in un becco molto distinto. 11 margine dorsale quasi retto, fa un angolo molto deciso nella parte posteriore; il margine ventrale sinuoso. La superficie delle valve ornata da fossette rotonde di- sposte regolarmente in file longitudinali. Dimensioni : lunghezza min. 0,84 altezza » 0,42 OSTRACODI POSSILI DELLA FARNESINA 317 Vivente: Isola dell’Ascensione, Baia di Balfour, Isola Maurizio, Fossile : Farnesina rarissima. Cytliere pustulata Namias (tav. X, fig. 27). 1889. Cythere scabrocuneata ? Brady, Eeport Chàlleng., pag. 103, tav. XVII,. fig. 5 a-f; tav. XXIII, fig. 2 a-c. 1900. » pustulata Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Marior pag. 24, tav. II, fig. 9, 10. Lateralmente guardate le valve sono cuneiformi, l’estremità anteriore largamente rotonda, fornita di denti corti, la poste- riore molto ristretta, portante una prominenza ottusa. Il mar- gine dorsale quasi retto presenta delle insenature, il ventraie- retto presenta, invece, delle crenature specialmente nella metà anteriore. La superfìcie della valva è ricoperta da emergenze simili a pustole che si delineano benissimo, guardando la valva da sopra o da sotto. Oltre a somigliare, come dice il Namias,. alla 0. irpex Brady, e alla C. Normani Brady, sembrami, a giudicare dalle figure e dalla descrizione che il Brady dà della C. scabrocuneata, che la C. pustulata Namias, abbia quasi una identità con questa specie. Unica differenza notata è l’inflessione della parte anteriore del margine dorsale che in quest’ultiiua specie non si osserva. La scarsità di esemplari, non mi permette di dare un giudizio definitivo, ma non sarei alieno dal consi- derare la C. pustulata e la C. scabrocuneata, come due varietà della stessa specie. Dimensioni: lunghezza inni, 1,01 altezza » 0,50 Vivente: Sconosciuta vivente. Fossile : Farnesina rarissima. Cythere dasyderma Brady (tav. X, fig. 28). 1880. Cythere dasyderma Brady, Eeport Clialleng., pag. 105, tav. XVII,. fig. 4 a-f, tav. XVIII, fig. 4 a-f. 1900. » » var. circumdentata Namias, Ostrac. foss. Farnes- e M. Mario, pag. 24, tav. II, fig. 8. Vivente: Australia, Indie occidentali. Fossile: Rizzolo, Farnesina. 318 G. B. CAPPELLI Cythere plicata Miinster (tav. X, fig. 29). 1852. 1856. 1858. 1889. 1900. Cythere plicata Bosquet, Entom. foss. ieri. France, pag. 60, tav. II, fig. 13 a-d. » » Jones, Monogr.tert. Entom., pag. 32, \a.v. IV, fig. 16, tav. V, fig. 8, tav. VI, fig. 17. » » Egger, Ostrac. inioc. ecc., pag. 24, tav. V, fig. 9. » » Jones et Sherborn, Suppl. monoyr. tert. Entom., pag. 29, tav. I, fig. 18. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 17, tav. I, fig. 24. Vivente : sconosciuta. Possile : Francia, Belgio, Germania, Inghilterra. Cythere foveolata Seg. (tav. X, fig. 30). 1880. Cythere foveolata Seguenza, Forma? . terz. Reggio Calabria, pag. 324, tav. XVII, fig. 23. 1900. » » var. intermedia Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 14, tav. I, fig. 18. Gli esemplaci della Farnesina mi paiono interamente corri- spondere alle figure del Seguenza. Non credo che le maggiori dimensioni e l’andamento dei margini un po’ più flessuosi, siano dati sufficienti per farne con il Namias una nuova varietà, tanto più, se si riflette che le dimensioni variano con l’età, e la fles- suosità dei margini non sempre è chiaramente ed esattamente giudicabile dalle figure. Inoltre come (pii sotto si vede, un esem- plare da me trovato presenta delle dimensioni minori di quelle del Seguenza. Fani. Cai. Furn. Dimensioni: lunghezza mio. 0,73 nini. 0,75 min. 0,85. Vivente: Sconosciuta vivente. Fossile : Calabria, Rizzolo, Farnesina rara. Cythere lati marginata Speyer (tav. X, fig. 31). 1863. Cythere latimarginata Speyer, Fossil. Casseler, pag. 22, tav. Ili, fig. 3 a- e. 1874. » » Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 163, tav. XVI, fig. 6. Guardata lateralmente, la forma generale è subquadrangolare, più larga innanzi che indietro; il margine anteriore obliqua- OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 319 mente tondo, il posteriore troncato ; il dorsale lievemente curvo, porta nella metà posteriore due prominenze, e finisce formando dei gradini; il ventrale sinuoso. Caratteristica di questa forma ■è il largo margine che la circonda. La superficie è areolata e porta anche dei punti neri, come inserzioni di peli, prominenti e radamente sparsi. Dimensioni : lunghezza mm, 0,48 altezza » 0,23 Vivente: Norvegia e Sethland. Fossile: Inghilterra, Germania. Cytliere Jurinei Miinster (tav. X, fig. 32). 1830. Cytliere Jurinei Miinster, Jalirb. filr. Minerai, ecc., pag. 62. 1852. » » Bosquet, JEntom. foss. tert. Trance, pag. 56, tav. II, fig. 9 a-d. 1899. » » Capeder, Contrib. JEntom. plioc. Pieni. Lig., pag. 9, tav. I, fig. 14 a, b. Valve grandi, ovali, che presentano solchi longitudinali, al fondo dei quali ho notato i punti osservati dal Bosquet nei fos- sili di Francia e non ritrovati dal Capeder negli esemplari di Yillalvernia e Crescentino. Dimensioni : lunghezza mm. 0,95 Vivente: Sconosciuta vivente. Fossile: Germania, Francia, Villalvernia, Crescentino. Cytliere Jurinei Miinster, var. tenuipuuctata Bosquet (tav. X, fig. 33). 1852. Cythere Jurinei Miinster, var. tenuipunctata Bosquet, Entom. foss. tert. Trance, pag. 56, tav. II, fig. 10 a d. Questa varietà differisce dalla specie tipo per non avere i solchi longitudinali e per avere la superficie ornata solamente da punti cavi. Ha una forma meno ovale della specie tipo. Dimensioni: lunghezza mm. 0,95 Vivente : Come sopra. Fossile: Germania, Francia, Farnesina, rarissima. 21 820 G. B. CAPPELLI Cythere sororcula Seg. (tav. X, fig. 34). 1880. Cythere sororcula Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria, pag. 192, 289, tav. XIV, fig. 18. 1889. » » Terrigi, Il calcare di Palo , pag. 7, tav. I, fig. 1. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e il/. Mario, pag. 14, tav. I, fig. 17. Vivente: sconosciuta. Fossile: Calabria, Palo. Cytheridea Mulleri Miinster (tav. X, fig. 35). 1852. Cytheridea Mulleri 1856. » » 1858. » » 1878. » » 1900. » » Bosquet, Entom. foss. tert. France, pag. 39r tav. Il, fig. 4 a-f- Jones, Monogr. tert. Entom., pag. 41, tav. V,. fig. 4 a-c , 5, tav. VI, fig. 10 a, b , 11-13. Egger, Ostrac. mioc , ecc., pag. 18, tav. IIr fig. 7 a-d. (vai\ acuminata). Terquem, Forum. Entom. Rhodes, pag. 125, tav. XIV, fig. 19 a d. Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario,. pag. 27, tav. II, fig. 16. Vivente: Australia, Pacifico, Mediterraneo, Golfo di Napoli. Fossile: Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, Austria, Biz- zolo. Cytheridea angulosa Seg. (tav. X, fig. 36). 1880. Cytheridea anguiosa Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria r pag. 363, tav. XVII, fig. 47 a. 1889. Bairdia Londinensis Jones et Sherborn, Sappi, monogr. tert. Entom. pag. 17, tav. II, fig. 18 a , b. 1903. Bairdia anguiosa Namias, Ostrac foss. Farnes. e M. Mario, pag. 12, tav. I, fig. 10. Il Namias per la sua forma allungata sub-triangolare ha creduto di darle il nome di JB. angulosa , c osserva la grande somiglianza che ha con la JB. Londinensis Jones, ma si astiene da qualunque giudizio. A me sembra che una certa somiglianza vi sia fra queste due forme, ma la lì. Londinensis Jones, non ha il margine dorsale angoloso, c nel ventrale manca di quella OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 321 caratteristica inflessione che si trova spiccatissima negli esem- plari di Eeggio Calabria e della Farnesina. Dimensioni: lunghezza mm. 0,47 Vivente : sconosciuta. Fossile: Quaternario di Calabria, Farnesina rara. Cytlieridea elongata Brady (tav. II, fìg. 37). 1868. Cytheridea elongata Brady, Monogr. ree . Brit. Ostrac., pag. 421, tav. XXVIII, fig. 13-16. 1874. » » Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 181, tav. IX, fig. 10-13. 1880. » » Seguenza, Formaz. terz. Eeggio Calabria , pag. 363. 1889. » » Jones et Sherborn, Sappi, monogr. tert. Entom., pag. 38, tav. Ili, fig. 20-22. Lateralmente guardata ha forma ellittica allungata. Estre- mità anteriore un poco più stretta della posteriore, l’una e l’altra rotonde. Il margine dorsale convesso ; il ventrale anteriormente convesso, verso la metà s’inflette. La superficie è ornata da fori irregolarmente disposti. Nella parte anteriore si notano delle strie concentriche. Dimensioni : lunghezza mm. 0,71 altezza » 0,29 Vivente : Inghilterra, Irlanda, Baia di Biscaglia, Golfo S. Lo- renzo. Fossile: Quaternario d’Inghilterra, Irlanda, Calabria, Sicilia. Eucytliere Argus Sars (tav. X, fig. 38). 1868. Eucyihere Argus Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac ., pag. 431, tav. XXVII, fig. 49-51. 1874. » » Brady, Crosskey et Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 183, tav. X, fig. 12-15. Attribuisco a questa specie un unico esemplare da me tro- vato ; esso infatti corrisponde esattamente, come si può rilevare dalla tavola, con la figura che il Brady dà per la medesima forma. Unica differenza è un’insenatura verso l’estremità poste- riore del margine dorsale, che nelle figure del Brady non si 322 G. B. CAPPELLI riscontra. Ma non mi sembra questo un carattere sufficiente per fare una distinzione. Dimensioni: lunghezza mm. 0,53 Vivente: Norvegia, Gran Brettagna, Irlanda, Golfo di S. Lo- renzo. Fossile: Scozia, Irlanda, Norvegia e Canada. Xestoleberis margaritea Brady (tav. X, fig. 39). 1880. Xestoleberis margaritea Brady, Report Challeng., pag. 127, tav. XXX, tig. 2. \ » » pustulosa Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria , pag. 326, 364, tav. XVII, fig. 31. 1900. » margaritea Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 30, tav. II, fig. 21. Questa specie è perfettamente descritta dal Brady. Aggiungerò solamente come negli esemplari da'me trovati, le palille siano disposte con un certo ordine in linee diagonali. Osservo anche come in qualche individuo il margine posteriore largamente rotondo, presenti una piccola prominenza simile a quella che trovasi nella X. foveoìata Brady (Bep. diali.). Dimensioni : lunghezza mm. 0,73 altezza » 0,49 Vivente: Isola Maurizio, Mediterraneo, Messina, Golfo di Na- poli. Fossile: Rizzolo, Calabria. Xestoleberis depressa Sars. 1858. Cythereidea tumida? Egger, Ostrac. mioc. ecc., pag. 17, tav. II, fig. 11. 1868. Xestoleberis depressa Brady, Moiiogr. ree. Brìi. Ostrac., pag. 438, tav. XXVII, fig. 27-33. 1874. » » Brady, Crosskey et Robertson, Monogr. post, ter. Entom., pag. 190, tav. VII, figrl3-19. 1880. » » Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria, pag. 194, 291, 326, 364. 1880. » » Brady, Report Challeng., pag. 124, tav. XXXI, fig. 1 a-g. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 323 Varietas erecta Nainias (tav. X, fig. 40). 1900. Xestoleberis depressa var. erecta Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario , pag. 31, tav. II, fig. 23. Attribuisco a questa varietà fatta dal Namias per gli indi- vidui della Farnesina, anche i miei esemplari, che differiscono dalla specie tipica del Brady, per avere la parte anteriore molto meno obliqua che in questa non sia. Ho notato inoltre la pre- senza di un margine fortissimo nella parte anteriore; partico- lare questo che non trovo rilevato da alcuno. Dimensioni : lunghezza mm. 0,62 Vivente: Specie: Inghilterra, Norvegia, Spitzberg, Baia di S. Lo- renzo, Messina. Fossile : » Inghilterra, Scozia, Calabria, Rizzolo. Varietà: Farnesina rara. Xestoleberis variegata Brady (tav. X, fig. 41). 1880. Xestoleberis variegata Brady, Report Challeng., pag. 129, tav. XXXI, fig. 8 a-g. Gli esemplari della Farnesina corrispondono perfettamente a quelli del Brady. Il guscio della femmina è gonfio, e il mas- simo della larghezza trovasi verso il mezzo, donde poi va re- stringendosi più decisamente in avanti, mentre indietro forma una curva molto larga. La curva del margine dorsale è anche molto larga. Il margine ventrale è sinuoso. La superficie è va- riegata da macchie nere. Dimensioni: lunghezza mm. 0,71 altezza » 0,50 Vivente : Stretto di Torres. Fossile: Farnesina frequente. Xestoleberis tumefacta Brady (tav. X, fig. 42). 1880. Xestoleberis tiunefacta Brady, Report Challeng ., pag. 128, tav. XXXI, fig. 4 a d. 324 G. B. CAPPELLI Questa specie lia molta somiglianza con la X. variegata Brady, ma ne differisce per avere le due estremità anteriore e posteriore meno differenti fra loro e per il margine dorsale, molto meno arcuato, presentando così una forma meno gonfia. Dimension i : lunghezza mm. 0,43 altezza » 0,28 Vivente: Porto di Nare, Isole Admiralty. Fossile: Farnesina rarissima. Loxoconclia granulata Sars (tav. X, fig. 43). 1865. Loxoconcha granulata Sars, Overs. Norges mar. Ostrac., pag. 64. 1868. » » Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 434. tav. XXV, fig. 51, 52. Le valve, viste lateralmente, presentano una forma sub- romboidale, con larghezza maggiore della metà della lunghezza. L’estremità anteriore è obliquamente rotonda, la posteriore forma una prominenza ottusa nel mezzo, sopra è troncata. Margine dorsale retto, ventrale convesso. La superfìcie è ornata da pic- cole fosse concentriche. Le dimensioni degli esemplari della Farnesina sono maggiori di quelle degli individui inglesi. Dimensioni: lunghezza mm. 0,44 altezza » 0,25 Vivente : Gran Brettagna, Norvegia. Fossile: Farnesina rarissima. Loxoconcha seminulum Seg. (tav. X, fig. 44). 1885. Loxoconcha seminulum Seguenza, Quatern. di Rizzolo, Natur. Sic., anno IV, n. 4, pag. 91. 1900. » » Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 29, tav. II, fig. 20. Vivente: Porto di Messina. Fossile: Kizzolo. Loxoconcha avellana Brady, var. mediterranea Seg. (tav. X, fig. 45). 1884. Loxoconcha avellana Brady var. mediterranea Seguenza, Quatern. di Rizzolo, Natur. Sic., anno IV, n. 3, pag. 57. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 325 1900. Loxoconcha avellana. Brady var. mediterranea Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 29, tav. II, fig. 19. Ritengo che le forme della Farnesina che appartengono a ■questa specie, debbono attribuirsi alla var. mediterranea Se- guenza, che differisce dalla specie vivente in Australia, per la maggior larghezza della parte anteriore e per la minor curva- tura del margine ventrale. Differiscono molto le forme femmi- nili dalle maschili, essendo queste meno tozze e più lunghe. Maschio Femmina Dimensioni : lunghezza mm. 0,73 0,58 altezza » 0,44 0,37 "Vivente: Porto Jakson, Indie occidentali, Australia, Messina. Fossile : Rizzolo, Palo. Loxoconcha impressa Baird (tav. X, fig. 46). 1870. Cythere impressa Baird, lìrit. Entom., pag. 173, tav. XXI, fig. 9. 1874. Loxoconcha impressa Brady, Crosskey et Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 185, tav. Vili, fig. 1-1. 1880. » » Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria, pag. 194, 290, 326, 364. Questa Loxoconcha è benissimo descritta e figurata dal Brady, c gli esemplari della Farnesina corrispondono perfetta- mente. Dimensioni : lunghezza mm. 0,64 altezza » 0.40 Vivente: Norvegia, Inghilterra, Baia di Biscaglia. Possile: Scozia, Irlanda, Norvegia, Reggio Calabria. Loxoconcha guttata Norman. 1865. Cytliere guttata Norman, Nat. hist. trans. Northumberland, voi. I, pag. 19, tav. VI, fig. 9-12. Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac., pag. 436, tav. XXVII, fiat. 40-44. 1868. Loxoconcha » 326 G. B. CAPPELLI 1874. Loxoconcha guttata Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post- ter. Entom., pag. 186, tav. Vili, fìg. 5-7. 1880. » » Brady, Report Challeng., pag. 120, tav. XXIX» tig. 1 a-f. Ritengo che a questa specie appartengono le forme da me osservate alla Farnesina, poiché esse coincidono con la descri- zione e con le figure che il Brady ne dà. Le valve infatti sono sub-romboidali con la massima larghezza nel mezzo, con il mar- gine anteriore obliquamente rotondo, il posteriore portante una protuberanza non esattamente mediana, ma spostata un po’ verso il margine dorsale che è retto. Il margine ventrale, incavato verso la parte anteriore, convesso verso la posteriore. Ma, per l’aspetto più tozzo e per la ornamentazione delle valve, ho creduto fare degli individui della Farnesina la varietà: Loxoconclia guttata var. n. tenui punctata (tav. X, fig. 47). 1900. Cyfherura cuneata ? Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario r pag. 31, tav. II, fig. 25. Mentre infatti le figure del Brady mostrano una ornamen- tazione molto grossolana, costituita, come egli dice, da: «esca- vazioni grandi e profonde, poligonali, disposte concentricamente »,. negli esemplari della Farnesina si osserva un’ornamentazione finissima di piccolissime fossette, disposte concentricamente, fra le quali spiccano qua e là delle macchie più grandi, nere, rada- mente sparse. A questa varietà, che si distingue per la forma tozza e larga, son quasi certo doversi attribuire l’esemplare figu- rato dal Namias nella tav. II, fìg. 25, che somiglia moltissimo alle forme che ho aggiudicato a questa varietà della L. gut- tata, e che il Namias crede invece appartenere alla C. cuneata Brady. Ma egli dice di averne osservato un solo esemplare e osserva che ad essa: «la C. cuneata somigliava... senza però essere identica ». Io ho paragonato le figure del Namias e del Brady della C. cuneata , e non vi ho trovato alcuna identità, ma invece, servendomi anche della descrizione che lo stesso Namias dà di questa forma da lui trovata, mi sono convinto che essa appartiene alla L. guttata , e ho creduto di fare una OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 327 nuova varietà, poiché anch’egli osserva : « una scultura fina- mente punteggiata » . Dimensioni: lunghezza inni. 0,57 altezza » 0,35 Vivente: Coste dell’Inghilterra, Norvegia, Francia, Spagna. Fossile: Scozia, Farnesina rara. Loxoconcha obliquata Seg. (tav. II, fìg. 48). 1880. Loxoconcha obliquata Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria > pag. 126, tav. XII, fig. 10. Forma sub-romboidale. Estremità anteriore obliquamente ro- tonda, posteriore arrotondata anche obliquamente per due terzi, nel terzo superiore troncata. Margine dorsale retto; ventrale convesso nella parte posteriore. La superfìcie ornata da infos- sature grandi e fitte salvo che in due porzioni depresse, che trovansi anteriormente e posteriormente. Dimensioni: lunghezza mm. 0,65 altezza » 0,38 Vivente: Sconosciuta vivente. Fossile : Leggio Calabria. Loxoconclia elliptica Brady (tav. X, fìg. 49). 1868. Loxoconcha elliptica Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac ., pag. 435, tav. XXVII, fig. 38, 39, 45-48. 1874. » » Brady, Monogr. post. ter. Entom., pag. 188, tav. XIV, fig. 23-25. Forma generale fra la rettangolare e l’ellittica. L’estremità anteriore obliquamente rotonda, la posteriore invece bene arro- tondata. Il margine dorsale retto, il ventrale lievemente curvo. La valva è circondata da un margine che nella parte anteriore e nella posteriore acquista la massima larghezza. La superfìcie è liscia e porta delle rade e piccole papille. Questa specie preferisce le acque dolci, raramente o mai tro- vandosi nelle formazioni decisamente marine. Dimensioni : lunghezza mm. 0,66 altezza » 0,35 ■328 G. B. CAPPELLI Vivente : Inghilterra e Europa in generale. Possile : Scozia. Cytheropteron latissimum Norman (tav. X, fig. 50). 18Gf>. Cythere latissima Norman, Nat. hist. trans. Northumberland, voi. I, pag. 19, tav. VI, fig. 5, 8. 1868. Cytheropteron latissimum Brady, Monogr. ree. Brit. Ostrac , pag. 448, tav. XXX IV, fig. 26-30. 1874. » » Brady, Crosskey e Robertson, Monogr. post. ter. Entom., pag. 202, tav. Vili, fig. 19-23. A questa specie riferisco un individuo che per il contorno coincide perfettamente con la descrizione e con la figura che di •essa ho trovato nella monografìa Post. ter. Entom. Brady, ecc. La ornamentazione, come si può vedere dalle figure della ta- vola, mentre nell’esemplare del Brady è costituita da grandi solchi, nel mio essa consta di fossette disposte trasversalmente, c solo di due solchi manifesti. Ma per questa sola differenza non ho creduto di fare una distinzione, perchè nella descrizione di questa specie fatta dagli autori inglesi si dice: « Si riscon- tra una grande variabilità nella ornamentazione della superfì- cie ». E più sopra: «La superficie segnata da più o meno ma- nifeste fosse quadrangolari, disposte traversalmente, e spesso (quindi non sempre), riuniti in modo da formare dei solchi ben marcati ». Dimensioni : lunghezza inni. 0,45 Vivente: Baia di Battili, Norvegia, Inghilterra, Irlanda, Spitz- berg. Possile: Scozia, Inghilterra, Norvegia, Canada. Cytheropteron gradatimi Bosquet (tav. X, fig. 51). 1852. Cythere gradata Bosquet, Entom. foss. tert. Trance, pag. 127, tav. VI, fig. 11 a-d. 1900. Cytheropteron gradatimi Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 32, tav. II, fig. 27. Possile: Eocene di Francia, Belgio; Quaternario di Bizzolo. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 329 Cytlieropteron lìovettense Seg. (tav. X, fig. 52). 1880. Cytlieropteron Bovettense Seguenza, Formaz. ieri. Reggio Calabria, pag. 365, tav. XVII, fig. 54. Non mi è stato difficile identificare gli individui appartenenti a questa specie, per il loro aspetto caratteristico dato dalle ali forti e prominenti e dall'angolo che esse fanno con lo sperone che si protende all’estremità posteriore delle valve. La forma generale è sub quadrangolare. Dimensioni: lunghezza mm. 0,83 altezza » 0,41 Vivente : Sconosciuta. Fossile : Reggio Calabria. Paradoxostoma ensiforme Brady (tav. X, fig. 53). 1868. Faracìoxostoma ensiforme Brady, Monogr.rec. JBrit. Ostrac., pag. 460, 1874. » tav. XXXV, fig. 8-11. » Brady, Crosskey e Robertson, Monogr.post. 1880. » ter. Entom., pag. 215, tav. X, fig. 27, 28. » Brady, 1 leport. Clialleng., pag. 150, tav. 1880. » XXXV, fig. 3 a-d. » Seguenza, Formaz. terz. Reggio Calabria, pag. 292. Come indica il loro nome, gli individui appartenenti a que- sta specie hanno le valve che lateralmente guardate, presentano l’aspetto di scimitarre. Sono più larghe dietro che innanzi. L’estre- mità anteriore è ottusamente appuntata, la posteriore presenta, spostata verso la parte inferiore, una breve prominenza. Il mar- gine dorsale è largamente rotondo, il ventrale sinuoso verso il mezzo. Dimensioni: lunghezza mm. 0,74 altezza » 0,30 Vivente: Inghilterra, Irlanda, Baia di Vigo. Fossile: Scozia, Inghilterra, Irlanda, Reggio Calabria. 330 G. B. CAPPELLI Cytherella semitalis Brady (tav. X, fig. 54). 1880. Cytherella semitalis Brady, Beport Chaìleng., pag. 175, tav. XLIV, lig. 2 a-e. 1889. » » Terrigi, Il calcare di Palo, pag. 9, tav. I, fig. 10. 1900. » » var. elegans? Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 34, tav. II, fig. 30. Vivente : Baia di Humbold, Baia Nares, Isola Booby. Fossile: Rizzolo; Palo. Cytlierella punctata Brady (tav. X, fig. 55). 1880. Cytherella punctata Brady, Beport Clialleng., pag. 174, tav. XXXVIr fig. 6, tav. XLIV, fig. 4 a, g. 1900. » » . Namias, Ostrac. foss. Farnes. e M. Mario, pag. 33, tav. II, fig. 26. Vivente: Mediterraneo, Porto Said, Messina. Fossile: Rizzolo, Farnesina. Cytherella compressa? Mttnster (tav. X, fig. 56). 1830. Cytherella compressa ? Miinster, Jahrb. fùr Minerai., ecc., pag. 64 (Fide Jones). 1852. » » Bosquet, Entom. foss. tert. France, pag. 11T tav. I, fig. 1 a-f. 1856. » » Jones, Monogr. tert. Entom., pag. 54, tav. V» fig. 21, 23. Yarietas 2 Jones. 1856. Cytherella compressa var. 2 Jones, Monogr. tert. Entom., pag. 55, tav. V, fig. 19. Riferisco con molto dubbio a questa specie un unico esem- plare trovato. La semplicità della forma rendeva difficile una esatta determinazione, ma avendola esattamente osservata tanto lateralmente che da sopra, mi è parso che essa coincidesse con la figura che il Jones dà nella C. compressa var. 2, clic si di- stingue dalla forma tipica della specie per una punteggiatura meno chiara e per essere, lateralmente guardata, più stretta. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 331 Dimensioni: lunghezza inni. 0,54 altezza » 0,25 Vivente : Australia, Norvegia. Possile: Inghilterra, Francia, Belgio. TABELLE CORO-CRONOLOGICHE Per far risaltare più chiaramente la distribuzione corologica € cronologica della fauna degli ostracodi fossili della Farnesina, studiati in questo lavoro, si è fatta una tabella nella quale sono segnate le località italiane, con i relativi periodi di tempo cui si attribuiscono, che contano fra la loro fauna fossile, le specie descritte. In questa tabella si veggono anche quali delle specie citate siano state trovate viventi, e se nel Mediterraneo o in nitri mari. Per compilare questa tabella mi sono specialmente servito dei lavori del Brady (1), del Seguenza (2), del Capeder (3) e del Namias (4). (') Brady G. S., Beport on tlie voyage of H. M. Challenger, voi. I. London, 1880. (2) Seguenza G., Le formazioni terziarie nella provincia di Beggio Calabria, Roma, 1880. Id., Il Quaternario di Bizzolo. Estratto dal Natur. Siciliano, 1882. Id., Gli Ostracodi dei periodi terziari e quaternari viventi nel mare dì Messina. Boll. Soc. Geol. It., anno II, 1883. (3) Capeder G., Contribuzione allo studio degli Entomostraci dei ter- reni pliocenici del Piemonte e della Liguria. Atti Acc. d. Se. Torino, voi. XXXV, 1899. (■*) Namias I., Ostracodi fossili della Farnesina e Monte Mario presso Boma. Palaeont. Italica, voi. VI, 1900, pag. 79. Pisa, 1901. 332 G. B. CAPPELLI Specie descritte (*). Generi e Specie Fossili Viventi Miocene ! Piacen- ziano- Astiano Siciliano Esclusive della Farnesina Mediterraneo | Altri mari Calabria Pierà . e Ligur. . ! Calabria 1 Rizzolo Calabria Gen. Condona Baird. Condona Richardsoni * Jones .... . . rr Gen. Ar gilloecia Sars. Argilloecia infissa nensis Seg — . . r » subreni fonnis Seg. . . . . . rr Gen. Bairdia M. Coy. Bairdia sub radiosa Bosquet . . f » linearis * Bosquet . . f Gen. Macrocypris Brady. Macrocypris setigera Brady . . . . -h- . . -+- r (1) Fra le specie citate nella tabella trovasi la Cythere scalans Brady, non menzionata in altra parte del presente lavoro, perché un unico esem- plare che ne avevo trovato, durante le osservazioni microscopiche, si ridusse in frantumi; nè mi è stato più possibile trovare alcun’altra valva che come quella potesse attribuirsi a quella specie. L’esemplare rotto aveva per quanto potei osservare, una perfetta identità con le figure che il Brady dà degli individui di questa specie (Rep. Chaìl pag. 87, tav. 25, figura 8 a, c), presentando anche la caratteristica spina sulla parte posteriore della volta dorsale. Spiegazione dei segni convenzionali: f fif r rr specie rinvenute alla Farnesina per la prima volta. » frequente. » frequentissima. » rara. » rarissima. \ OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 333- Generi e Specie Fossili Viventi Miocene Piacen ziano- Astiano Siciliano Esclusive della Farnesina Mediterraneo Altri mari Calabria Piem. e Ligur. Calabria Rizzolo Calabria Macrocypris tumida Brady _4_ » trigona Seg » var. ìaevis Namias . . . • • . • Gen. Cytliere Miiller. Cytliere convexa Baird HH -+■ » J onesti * Baird -4- » » var. ceratoptera Bosquet . . H- •+- — » E du: arsii Roemer -+■ Hr- -+- . * /> cymbaeformis Seg. var. farne- siensis Namias -4- . . » verius Seguenza — . . . . » Speyeri Brady • • • • » acupunctata Brady var. distincta Namias • • » quadridentata Brady .... — h » antiquata Baird -+■ — -4— *+■ » tenera * Brady » testudo Namias » canaliculata Reuss • • H- » sororcula Seguenza — » polytrema * Brady -+- » longecarenata Namias .... » » » » pustulata Namias — t- » dasyderma Brady » plicata Miinster 1 -*• i f f f ff r f r f f r f rr f rr r r f rr rr r r 334 G. B. CAPPELLI Generi e specie © u rO Cw Fossili Piacen- ziano- Siciliano Astiano A o X a O a p S W " n3 Viventi T3 o Cythere foveolata Segaenza » latimarginata * Speyer. . . . » Jurinei * Miinster » var. tenuipunctata Bosquet . . » scalaris * Gen. Cytheridea Bosquet. Cytìieridea Mallevi Miinster » anguiosa Seguenza .... » elongata Brady Gen. Eucythere Brady. JEucythere Argus Sars Gen. Xestoleberis Sars. Xestoleberis margaritea Brady .... » depressa Sars var. erecta Na- mias » variegata Brady * . . . . » tumefacta » * . . . Gen. Loxoconclia Sars. Xoxoconcha granulata Sars * . . . . » seminulum Seguenza. . . » avellana Brady » impressa Baird * . . . . » gattaia Norm. var. n. te- nuipunctata » obliquata Seg. * . . . . » elliptica Brady * . . . . Gen. Cytheropteron Sars. Cytheropteron latissima in * Norman. . r rr rr rr f r f rr r f rr rr r f r rr rr rr OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 335 Generi e Specie Fossili Piacen- ziano- Astiano Siciliano cS ’oj •sa / Zi w ® T3 Viventi 'O 0) Cytheropteron gradatum Bosquet. . . » Bovettense Seg. * . . . Gen. Paradoxostoma Fisch. JParadoxostoma ensiforme Brady . . . Gen. Cytherella Bosquet. Cyth&rélla semitalis Brady » punctata » * » compressa Miinstcr. V. 2. Jones r r rr r r rr Specie trovate solo dal Namias alla Farnesina. Generi e Specie Fossili Viventi Miocene Piacen- ziano- Astiano Siciliano Esclusive della Farnesina O o 3 c3 u u Q) » 30. Valva destra. Boll. Soc, Geo!. Irai. voi. XXIV (1905) (Cappelli) Tav.lX. &.B. Cappelli dia. OSTRACODI FOSSILI DELLA FARNESINA 341 Fig. 31. Cythere latimarginata Speyer pag. 318 (18) 31. Valva sinistra. » 32. Cythere Jurinei Miinster » 319 (19) 32. Valva destra. » 33. Cythere Jurinei var. tenui putida ta Bosquet. . » » » 33. Valva sinistra. » 34. Cythere sororcula Seg » 320 (20) 34. Valva sinistra. » 35. Cytheridea Mitlleri Miinster » » » 35. Valva sinistra. » 36. Cytheridea anguiosa Seg » » •» 36. Valva sinistra. » 37. Cytheridea elongata Brady » 321 (21) 37. Valva sinistra. » 38. Eucythere Argus Sars » » » 38. Valva sinistra. » 39. Xestoleberis margaritea Brady » 322 (22) 39. Valva sinistra. » 40. Xestoleberis depressa var. erecta Namias. . . » 323 (23) 40. Valva sinistra. » 41. Xestoleberis variegata Brady » » » 41. Valva sinistra. » 42. Xestoleberis tumefada Brady » » » 42. Valva destra. - » 43. Loxoconcha granulata Sars » 324 (24) 43. Valva sinistra. » 44. Loxoconcha seminulum Seg » » » 44. Valva destra. » 45. Loxoconcha avellana var. mediterranea Seg. . » » » 45. Valva sinistra. » 46. Loxoconcha impressa Baird » 325 (25) 46. Valva destra. » 47. Loxoconcha gutlata Norman, var. n. tenuipun- data » 326 (26) 47. Valva sinistra. » 48. Loxoconcha obliquata Seg » 327 (27) 48. Valva destra. » 49. Loxoconcha elliptica Brady » » » 49. Valva sinistra. » 50. Cytheropteron latissimum Norman » 328 (28) 60. Valva sinistra. » 51. Cytheropteron gradatimi Bosquet » » » 51. Valva destra. » 52. Cytheropteron Bovettense Seg » 329 (29) 52. Valva destra. G. B. CAPPELLI 342 Fig. 58. Paradoxostoma ensiforme Brady 53. Valva sinistra. pag. 329 (29) » 54. Cytherella semitalis Brady 54. Valva sinistra. » 330 (30) » 55. Cytherella punctata Brady 55. Valva sinistra. » » » » 56. Cytherella compressa Mtinster var. 2. Jones. . 56. Valva destra. » » » [ms. pres. il 12 marzo 1905 - ult. bozze 12 luglio 1905]. II. Soc. Geol. Irai. voi. XXIV (1905) (Cappelli) Tav.X. pelli dìs. NOTE PRELIMINARI SULLE CONDIZIONI GEOLOGICHE DEI CONTRAFFORTI APPENNINICI COMPRESI FRA IL SILLARO E IL LAMONE Nota del socio prof. Giov. Toldo (Con una Tavola, XI) BIBLIOGRAFIA. Scababelli G., Una parola sulle ossa fossili delV imolese. Annali di Scienze Naturali. Bologna, 1846. — Sui depositi delie ossa fossili dell ’ imolese. Annali di fisica e matematica. Bologna, 1849. — Intorno alle armi antiche di pietra dura raccolte nell imo- lese. Annali di Scienze Naturali. Bologna, 1850. — Sulla diversa probabilità eli riuscita dei possi artesiani nell’ imolese. Imola, Tip. Dal Pozzo, 1850. — Note sur Vexistence d’un ancien lac dans la vallee du Senio. Bull. Soc. géol. de France, 1851. — Sur la formation miocène de Bologna a Sinigallia. Bull. Soc. Géol. de France, 1851. — Sopra i depositi quaternari dell' imolese. Annali di fisica e matematica. Bologna, 1852. — Carta geologica della prov. di Bologna e sua descri- sione. Imola, Tip. Galeati, 1853. — Sur le métamorphisme de certains gyps. Bull. Soc. geol. de France, 1854. — Sopra di un conglomerato calcare gessificato. Lettera ad Antonio Toschi. Annali di Scienze Naturali. Bologna, 1854. — Descrisione della carta geologica della provincia di JRavenna. Annali di Scienze Naturali. Bologna, 1854. 23 344 G. TOLDO Scara bel li G., Sur un sondage artesien executé a Conse - lice. Bull. Soc. geol. de France, 1856. — Sui gessi di una parte del versante N E dell’ Apennino. Imola, Tip. Galeati, 1864. — Guida del viaggiatore geologo lungo le strade ferrate.. Tip. Civelli. Milano, 1870. Bombicci L., L’ambra ed il petrolio di S. Clemente presso Monte Lenzo. Memorie Accad. Scienze dell’Istituto di Bologna, 1871. Scarabelli G., Notizie sulla caverna del Le Tiberio. Atti della Soc. ital. di Scienze Naturali. Milano, Tip. Bernardoni, 1872.. Bombicci L., Descrizione della mineralogia generale della provincia di Bologna. Memorie Accad. Scienze dell’Istituto di Bologna, 1873. 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Toldo G., Accenno al rinvenimento di fossili nelle marne immediatamente sottostanti ai gessi clelVimolcse, sulla destra del Santerno. Boll. Soc. geol. it., 1895. Scarabelli G. e Foresti L., Sopra alcuni fossili raccolti nei colli fiancheggianti il fiume Santerno nelle vicinanze cV Imola. Boll. Soc. geol. it., 1897. Toldo G., Qualità c condizioni geologiche del terreno in cui sgorgano le acque proposte dagli ingegneri Zannoni e Mirri per la città cV Imola. Nella Relazione della Commissione incaricata dal Municipio d’ Imola per approvvigionare la città di acqua potabile. Imola, Tip. Galeati, 1897. Scarabelli G., Lettera al Comm. L. Paolini , direttore della Cassa di Risparmio d1 Imola, sopra la probabilità di riuscita di un pozzo artesiano in Imola, (con tavola). Imola, Tip. Ga- leati, aprile 1898. — Modello in gesso della Vallata del Santerno e delle Conoidi quaternarie relative. Imola, Indoratore Xella, 1898. Lotti B., Studi sull’eocene dell’ Apennino toscano. Boll, del R. Comitato geologico d’Italia, 1898. Toldo G., Strati a Congerie nelle vicinanze d’ Imola. Boll. Soc. geol. d’Italia, 1898. Pagani U., La Salsa di San Martino in Pedriolo presso Castel S. Pietro. Cultura geografica, 1899. 346 G. TOLDO Scarabelli G., Osservazioni geologiche e tecniche fatte in Imola in occasione di un pozzo artesiano. Imola, Tip. Galeati, 1899. Pagani U., Sopra due nuovi Bollitori o Salse presso il tor- rente Sellustra. Boll. Soc. geogr. it. Roma, Tip. Civelli, 1899. Sangiorgi D., Fossili pliocenici raccolti nei colli fiancheg- gianti il Santerno. Rivista ital. di Paleontologia, 1899. Sacco F., L’ Apennino delia Bomagna. Studio geologico som- mario. Boll. Soc. geol. ital. 1899, (con carta geologica). Scarabelli G., Comunicazione alla Deputazione di Storia Pa tria in Bologna circa la stazione preistorica di San Giuliano presso Toscanella. Atti della Deputazione, ecc., 1900. Pagani U., Su alcune sorgenti di gas nel bolognese. Rivista geogr. ital. Firenze, Tip. 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Cosi dal Monte Faggetta, alto 1144 metri, al Monte Ci- terna, alto 1200 metri, troviamo successivamente quote di m. 1111 (Monte Paganino), 1081 (Monte Piatone), 879 (Giogo di Scar- peria), 1641 (Monte Piaggione), 1117 (Monte Castel Guerrino), 1057 (Monte Faggio), 1125 (Monte Guzzaro), 1092 (Monte Prato al Conte) e 903 (Passo della Futa). CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 347 Le linee di declivio dei contrafforti non presentano molto bruschi dislivelli; ma non ne mancano esempi. Così la linea di declivio del contrafforte Sillaro-Santerno, a partire dal Monte Alatine (m. 993), passa successivamente per vette di m. 800 (il Poggio), 462 (Mercatale), 508 (Pieve di Gesso), 486 (Monte dell’Acqua salata), 448 (Monte Maggiore), 391 (Croara), 323 (Pieve di Sant’ Andrea), 176 (Ca’ S. Giovanni) e 190 (Bozza) discendendo indi sino ad 80 in corrispondenza della via Emilia. Analogamente la linea di declivio del contrafforte Santerno- Senio, a partire dal Monte Cimone della Bastia. (m. 1090), offre vette successive di m. 986 (Monte del fabbro), 977 (Piane della Ritornata), 968 (Macchia dei Cani), 832 (Monte Castellacelo), 756 (Monte Puntale), 568 (Monte Mandriola), 715 (Monte Bat- taglia), 563 (Ca’ Roncosole), 472 (Ca’ Poggio ■ di sopra), 432 (Monte Battagliola), 420 (Ca’ Budrio), 284 (Ca’ Baldenghe), 228 (Frabbona), 172 (Goccianello), 93 (Ca’ Gnocca), per discendere poi sino a 57 (Via Emilia). Finalmente la linea di declivio del contrafforte Senio-La- mone, a partire da Poggio Frassinelle (1166), passa per vette successive di m. 937 (Monte Pravaligo), 886 (Monte Carnevale), 828 (Monte Gamberaldi), 780 (La Pianta), 729 (M. Scumegna), 610 (Torre di Calamello), 552 (Ca’ Fontanello), 535 (Monte Gior- netto), 449 (Torre Pratesi), 447 (Ca’ Collina), 268 (Monte No- sadello), 276 (Montecchio), 235 (Pidenza), 170 (Pergola), 117 (Ca’ Gisona), per poi discendere sollecitamente a 61 (Ca’ Salde) e a 45 (Via Emilia). Si rileva che la linea di declivio del contrafforte Sillaro- Santerno rispetto alle altre due presenta non solo maggiore irregolarità, ma anche una inferiorità altimetrica. Tale irrego- larità altimetrica dipende da eterogeneità litologica, come ve- dremo parlando della distribuzione topografica dei terreni geo- logici. La sua inferiorità altimetrica dipende poi dal fatto che esso non è un contrafforte primario. Infatti dei quattro corsi acquei principali compresi nella zona presa in esame (Sii laro, Santerno, Senio, Lamone), tre (Santerno, Senio, Lamone) hanno le loro origini in corrispondenza del crinale o a poca distanza da esso, mentre il quarto (Sillaro) nasce alle falde NE di un allineamento orografico che rappresenta una importante propag- 318 G. TOLDO gine del crinale, la quale si stacca dal Monte Citerna verso NE ed è costituita dai monti: Poggio di Castelluccio (1131), Sasso di Castro (1277), Monte Beni (1261), Monte Oggioli (1290), Monte Callida o Canda (1161) e Monte dei Tre Poggioli (966). Perciò i contrafforti Saiiterno-Senio e Senio-Lamone si debbono considerare come contrafforti primari, mentre il contrafforte Sil- laro-Santerno va ritenuto come secondario, cioè come una divi- sione del grande contrafforte primario Santerno-Setta (Reno) sol- cato longitudinalmente, oltreché dal Sillaro, anche dall’Idice e dal Savena. Riguardo al Sillaro C) (Sillarus, Silicis, Scellero, Sillero) ricordiamo che dalle sue origini (Monte dei Tre Poggi uoli) alla sua foce (Reno-Primaro alla Bastia) ha una lunghezza di 73 Km. Tra le sue tortuosità è notevole specialmente quella fra Sasso- leone ed il Rio Ronco (o Sgattara), per la quale il Sillaro devia a NO della sua direttrice, avvicinandosi a Monte Renzio. Ha per confluenti di sinistra il Rio Grande, il Rio dell’Osso, il Rio della Pianazza, il Rio di Sgattara, il Rio della Torre, il Rio di Paderna, ecc. e di destra il Rio Canilio, il Rio dei Ronchi, il Rio Beccava, il Sellustra, il Correcchio, ecc. Nel secolo XII faceva capo a Conselice (Caput Silicis), nel 1708 passava per il Ladello e per il Correcchio; fu immesso alla Bastia dopo la sistemazione del Reno. Il Santerno (Vatreuus, Saniterno, Senterno, S. Erna) dalle sue origini (Monte Citerna) alla sua foce (Reno-Primaro presso Alfonsine) ha una lunghezza di circa cento Km. Delle sue tor- tuosità è notevole quella tra Firenzuola e Castel del Rio per la quale il Santerno devia ad est della sua direttrice, avvicinan- dosi al Senio. Ha per confluenti di sinistra le due Diaterne, il Fosso di Vincarolo ed i Rii Magnola, Filetto, Prato, Mescola, Casale, Salato, dell’Aquila, ecc. Confluiscono a destra i Fossi Fortio, Rovigo, Raviuale, Rimaggio e i Rii Osta, Gaggio, Colom- barino, Inferno, Sgarba, Gambelaro, Fondazza, Sanguinario, ecc. Prima del 1460 il Santerno si scaricava nella Padusa, ma in quell’anno fu messo in Po alla Rossefjta. Nel 1613 ne fu tolto (') Pantanelli D., I terreni quaternari e recenti delVEmilia. Menu R. Acc. Se. Lett. Arti, di Modena, 18533, pag. 417-418. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 349 per bonificare i terreni dr S. Lorenzo in Selva; ma poiché la bonifica non si verificava, fu deviato e ricondotto in Po nel 162G .alla foce dell’Albero, deviandolo al passo del Gatto. Nel 1783 venne alfine sistemato nelle condizioni attuali. Il Senio (Sinnum, Siuium, Seno) dalle origini (Monte Caz- zolano sopra Piedimonte) alla foce (Reno Primaro ad Umana) ha una lunghezza di oltre 80 Km. Tra Mongardino e Riolo, devia a NO della sua direttrice, a ciò tratto probabilmente dalle ini- ziali condizioni stratigrafiche della formazione selenitica. Ha per confluenti di sinistra i Fossi di Mantigno, Yisana, Granando, ed i Rii di S. Apollinare, Cestina, Ronchi, Raggio, ecc., e di destra i Fossi di Lozzole, Piana, Salecchio, nonché i Rii di Cesare, Piagnano, Basimo, Sintria, ecc. Prima del VI secolo il Senio si perdeva nelle paludi del ravennate; ma nel 1534 fu immesso nel Primaro alla Rossetta e la sistemazione divenne definitiva nel 1780. Il Lamone (Anemo, Alamonis, Anione) dalle sue origini (Colle ■di Casaglia) alla sua foce (Cassa del Lamone) si svolge per una lunghezza di Km. 100 circa. Merita di essere ricordata la splen- dida sua cascata sopra il Molino di Vaibuia. Una lieve devia- zione di corso verso NO si verifica tra San Cassiano e Bacca- gliano. Sono confluenti di sinistra del Lamone i Fossi di Fo- gare, Frassine, Collecchio, Gamberaldi, Campo Dosio, Cometa e i Rii di Bagorda, Bagno, Caibane, S. Ruffillo, Quinto, ecc., e di destra i Fossi di Lago, Campiglio, ed i Rii di Salto, Pisterna, Roncone, Vitisano, ecc. Il Lamone, prima del 1504, correva al mare attraverso alle valli ravennate; messo in Po nel 1504 ne deviò nel 1599. Rimessovi nel 1605, poi toltone nel 1607, per condurlo alla Sacca d’ Asino nell’Adriatico, si adattò a questa condizione sino al 1765, nel quale anno fece ritorno al Primaro. Ricondotto al mare si mantenne tranquillo sino al 1851, l’anno della famosa rotta delle Ammonite, per la quale fu impossibile ridargli l’antica sistemazione e fu deciso di condurlo alla Cassa di colmata che prende per l’appunto nome da lui. Probabil- mente nel 1920, terminata la colmatura della Cassa, il Lamone verrà rimesso nel suo vecchio alveo abbandonato e cosi ricon- dotto definitivamente nel Po di Primaro. 350 G. TOLDO Ordine cronologico e distribuzione topografica dei terreni. Nella zona compresa fra il Sillaro ed il Lamone, i terreni appaiono nel seguente ordine stratigrafico discendente (*): Eke Periodi Sotto PERIODI ROCCHE PREDOMINANTI f Attuale . . . Alluvioni non terrazzate. Quaternaria Alluvioni terrazzate più basse e- argillose. Pleistocenico Alluvioni terrazzate mediane e- miste di ciottoli e argilla. Alluvioni terrazzate più alte e ciottolose. Pliocenico . Superiore Inferiore. Sabbie gialle. Argille azzurre. Selenite. / Superiore Marne biancastre e arenarie- sciolte. Terziaria . . ' Miocenico . Medio . . ; Molasse pr. d. con intere, argil- lose. Inferiore. < Arenarie con intere, argillose e- calcari. 1 Marne scistose e arenarie. Ofioliti, Diabasi, Eufotidi etc. Calcari marnosi e arenarie mi- Eocenico . . 1 i cacee. Macigno e argilloscisti. Calcari e arenarie compattissime. Puddinga nummulitica. Secondaria . Cretaceo . . Superiore Argille scagliose. (*) Non ho creduto opportuno di scostarmi dalla classificazione pu- ramente cronologica, perché il significato che viene dato ai diversi tipi bathnctrici delle formazioni geologiche, mi pare eccessivamente varia- bile e d’altra parte sono persuaso che fra essi tipi vi siano transizioni molto frequenti. D’altra parte anche il prof. Sacco, dopo avere studiato con ammirabile attività l’Apennino di Romagna, ha rinunciato più volte a riconoscere le varie facies geologiche terziarie nella zona di cui io mi occupo. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 351 Verso NO e SO predominano terreni cretacei ed eocenici, mentre nel resto della zona si hanno, in particolar modo, ter- reni più recenti. In corrispondenza del tratto compreso fra Monte di Sopra e Ca’ Mezzanotte, il terreno cretaceo affiora abbastanza unifor- memente nel versante destro del Sillaro, arrivando sino a Monte di Sopra, Ca’ Boschi, Baiai, Casalino, Spinello, vicinanze di Gesso, Ca’ Mezzanotte, cioè fino a quote di quasi 250 metri, mentre lo spartiacque del contrafforte presenta corrispondenti vette di circa 450 metri. Invece a SO di Ca’ Mezzanotte l’affioramento del cretaceo si fa molto irregolare. Infatti per alcuni tratti tale terreno non passa alla destra del Sillaro : così, per esempio, davanti a Sas- soleone, davanti a Giugnola e davanti a Piancaldoli. Ma già in corrispondenza di Belvedere, fra Sassoleone e Giugnola, uno sprone di terreno cretaceo risale il contrafforte Sillaro-Santerno sino alla quota di 508 metri (Bagura), cioè sino quasi alla linea dello spartiacque. Tale sprone cretaceo determina appunto quel salto altimetrico che si verifica nella linea di declivio del nominato contrafforte fra Monte Poggio (800) e Mercatale (462) e del quale abbiamo fatto cenno nella orografia. Procedendo verso SO si osserva che, subito a monte di Ca- stelvetrano e di Visignano, uno sprone cretaceo anche più lungo attraversa tutto il contrafforte Sillaro-Santerno, affiorando nel- l’alveo di quest’ultimo fiume, presso le così dette Balze di Sca- rampola che sono vicine ad una piccola casa operaia detta Ca’ Bassa. Anzi l’affioramento si verifica anche presso la strada car- rozzabile provinciale davanti alle Balze sulla destra del San- teruo, ma in una zona di pochissimi metri quadrati. Un terzo sprone cretaceo a SO di Ca’ Buraccia e Belmonte, risale il contrafforte sino presso Bordignano (’). Proseguendo nella solita direzione, cioè verso SO, il cretaceo si limita al fondo dei torrenti, come per esempio a Peglio P) Notizie più dettagliate sulla topografia della vallata del Sillaro si trovano in una pubblicazione del prof. Sacco : L’Apennino dell’ Emilia y pag. 463-4G4. 352 G. TOLDO (m. 700) e nel Rio Casetto di Fiori (m. 500), dal quale un quarto sprone si protende verso S e SE, nascosto da terreni più giovani che lo lasciano scoperto a S di Firenzuola nel fondo di Rio Viola verso Peligno (ni. 60) (*). Traccie sicure di cretaceo si hanno anche, quantunque limitatissime, al confine SE della nostra regione, presso la Ma- donna dei Tre Fiumi e nell’interno della Galleria degli Alloc- chi (in. 600). A noi sembra di poter ascrivere, con una certa sicurezza, all’eocene alcuni terreni del confine NO e del confine SO e ci pare anche di poter stabilire l’ordine cronologico della loro suc- cessione. Ma fino ad oggi, data l’estrema scarsità dei fossili, ci sembra prematuro l’indicare la posizione assoluta che questi ter- reni hanno rispetto ai vari piani deH’eocene. Pertanto conside- riamo alquanto più antichi i terreni che, sovrastando al cre- taceo, avvolgono alla base le vette di Sasso di Castro, Monte Beni, Sasso di S. Zenobio, Sasso della Maltesca, Sassonero, etc., e quelli che formano il crinale fra Monte la Faggetta e Monte Citerna; e consideriamo più recenti i terreni che formano le vette di Sasso di Castro, Monte Beni, Sasso di S. Zenobio, Sasso della Maltesca, Sassonero, etc., c quelli che formano le vette di Monte Canda e di Monte dei Tre Pogginoli. Queste formazioni eoceniche antiche e recenti raggiungono le massime quote altimetriche della zona da noi esaminata. I terreni miocenici a NO e SO confinano coi terreni eoce- nici e cretacei, a SE oltrepassano il Lamone c a NE appaiono a contatto coi terreni pliocenici in corrispondenza di una linea che passa un poco a NE di Ca’ Sassatello, Gesso, Pieve di Gesso, Ca’ Budriolo, Monte Uccelliera, Tossignano, Parrocchia di Sasso, Rivela, Crivellavi, Monte Mauro, Vespignano, Brisi- ghella. 0) Il prof. Sacco, accennando questo lembo cretaceo, dice clic consta di argilloscisti grigio-plumbei con straterclli arenacei, lenti, calcari e rare zone rossigne: L’Apennino dell’ Emilia, pag. 46i. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 353 Il miocene superiore offre l’aspetto di una lunga striscia diretta da NO a SE e contigua al pliocene. La sua larghezza pianimetrica è in media di due chilometri. Il miocene medio fa immediato seguito al miocene supe- riore verso SO e appare come una striscia pure diretta da NO a SE, ma alquanto più larga della precedente. Esso, verso SO, confina col miocene inferiore in corrispondenza di una linea che da Castelvecchio, pel Eio Fonticino e per Cortecchio e Eocca S. Michele giunge sino a S. Martino in Gattara. Il miocene inferiore, dalla linea di contatto col miocene medio, arriva sino quasi al crinale toccando ivi l’eocene, meno che nel tratto da Firenzuola a Felciaiona, dove esiste fra l’eo- cene ed il miocene inferiore un notevole distacco. Le quote altimetriche più notevoli, raggiunte dal miocene inferiore, oscillano fra i 1000 e gli 800 metri; quelle del mio- cene medio fra gli 800 e i 600 ; quelle del miocene superiore fra i 600 e i 400. I terreni pliocenici sono sviluppati a NE dei terreni mio- cenici sino a due o tre chilometri a monte della Via Emilia. Eiesce però difficile l’indicare il confine topografico che esiste fra il pliocene inferiore ed il pliocene superiore, inquantochè, qui più che mai, le zone di contatto fra queste due parti del pliocene s’intrecciano fra loro, come i denti di ruote dentate, in modo che striscie lunghe di pliocene superiore risalgono le creste degli ultimi contrafforti, mentre striscie lunghe di plio- cene inferiore scendono pel fondo degli interposti torrenti. Perciò il pliocene superiore dalle quote minime di in. 76 (Sellustra), 42 (destra del Santerno), 52 (Eio Sanguinario), 59 (sinistra del Senio), 45»(Eio Carrera) e 60 (sinistra del Lamone) si eleva sino alle quote massime di m. 291 (fra il Sillaro e il Sellu- stra), 261 (fra il Sellustra e il Santerno), 208 e 252 (fra il Santerno e il Eio Sanguinario), 207 (fra il Sanguinario e il Senio) e 211 (fra il Senio ed il Lamone). D’altra parte il plio- cene inferiore da quote massime di m. 487 (fra Sillaro e San- terno), 288 (fra Santerno e Senio), 297 (fra Senio e Sintria) e 281 (fra Sintria e Lamone) scende a quote minime di 89 (de- stra del Sillaro), 87 (Sellustra), 52 (destra del Santerno), 58 354 G. TOLGO (Rio Sanguinario), 54 (sinistra del Senio) e 70 (sinistra del Lamone). I terreni quaternari recenti formano la superficie degli alvei fluviali e della zona innondabile della pianura, rimanendo così confinati alle quote altimetriche più basse. Invece le ultime propaggini longitudinali dei contrafforti, le quali, fra il Sillaro ed il Lamone, sono tagliate dalla Via Emilia e dalla strada ferrata, constano di terreni quaternari antichi. Questi terreni quaternari antichi vi formano lembi ad arco di luna. Infatti i lembi pleistocenici di ogni contrafforte sono limitati fra due archi di cerchio concentrici, ma di curvatura diversa, in modo da coincidere colle loro estremità. Così il lembo pleistocenico più antico del contrafforte Sillaro-Santerno è ri- stretto da due archi, che hanno uno dei loro estremi in corri- spondenza della Villa Clelia (Santerno) e l’altro in corrispon- denza della Villa Rusconi (Sillaro). Senonchè, l’arco che segna il confine verso NE passa per Ca’ Sellustra (m. G0), mentre l’arco che segna il confine verso SO passa per Ca’ Bellaria (m. 109). Analogamente, il lembo pleistocenico più antico del contrafforte Santerno-Senio è confinato fra due archi, che hanno uno dei loro estremi in corrispondenza del Monte Castellacelo (Santerno) e l’altro in corrispondenza di Campiano (Senio). Però l’arco che segna il confine verso NE passa per Casa Rossa (m. 47) mentre l’arco che segna il confine verso SO tocca Ca’ Belvedere (m. 82). Finalmente il lembo pleistocenico più antico del con- trafforte Senio-Lamone è limitato da due archi, che hanno uno dei loro estremi in corrispondenza di Tebano (Senio) e l’altro in corrispondenza di Ca’ Rinaldina (Lamone). Ora l’arco che segna il confine verso NE passa per Ca’ Cornacchia (m. 52) mentre quello che segna il confine verso SO passa per Ca’ Ber- sana (ni. 70). Ma di questi terreni quaternari antichi constano anche quelle isolate zone a superficie pianeggiante clic si trovano a varia altezza sui versanti delle valli c che sono dette terrazze. 11 nu- mero di queste terrazze è, in ogni vallata, molto grande, tanto- clic ci pare inutile e pesante il farne (pii un semplice elenco. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 355 Ma esaminando i mutui rapporti topografici clie esistono fra le terrazze di una stessa vallata, si rilevano parecchi fatti. Anzi- tutto sopra una medesima trasversale dell’asse idrografico si possono trovare fino a tre diverse terrazze, distinte per l’al- tezza. In secondo luogo queste tre terrazze, data la inclina- zione di ciascun versante, stanno fra loro come i gradini di una gigantesca gradinata. In terzo luogo nel Santerno la ter- razza più alta supera la mediana di circa 29 metri, essendo la differenza di 32 (135-103) presso il Borgo di Tossignano, 32 (130-98) al Serraglio, 29 (121-92) al Casino Biffi, 20 (110-90) al Montrone, 24 (116-92) a Mezzocolle, 36 (117-81) alla Vigna Tozzoni, e 26 (81-85) a Montericco. Analogamente nello stesso fiume la terrazza mediana supera la più bassa di circa 15 me- tri, essendo la differenza di 13 metri (103-90) presso il Borgo di Tossignano, 19 (92-73) presso Castelluccio, 14 (90-76) presso Montrone, 21 (92-71) presso Ca’ Miseria, 15 (81-66) presso il Pozzo Scavolati e 11 (55-44) presso Villa Clelia. La terrazza più bassa poi supera il letto attuale del Santerno di circa 10 metri. Caratteri litologici, stratigrafici e paleontologici dei terreni. Cretaceo superiore (*). Il cretaceo superiore è rappresentato da noi dalle tipiche argille scagliose così accuratamente descritte per le nostre re- gioni dal Bianconi e dal Bombicci (2). (') Le argille scagliose del versante NE deH’Apennino settentrio- nale sono state ritenute cretacee dal Senatore Scarabelli, Geologia della provincia di Forlì, Imola, Galeati, 1880, pag. 20, e opere successive; Manzoni, Geologia della provincia di Bologna, pag. 36 ; Bombicci, Le formazioni geologiche dell’ Apennino bolognese. — Prospetto; Capellini, I tronchi di Bennetitee dei Musei italiani, pag. 22; Sacco, L 'Apennino dell’Emilia, pag, 447 e seguenti, e V Apennino della Bomagna, pag. 5 e seg. ecc. Vedi anche Trabucco, Sulla posizione ed età delle argille ga- lestrine ecc., Firenze, Ricci, 1896, per l’accurato esame storico di tale questione. (2) Bianconi Giuseppe, Storia Naturale dei terreni ardenti, Bolo- gna 1840, pag. 97 ; Bombicci Luigi, Le formazioni geologiche ecc., pag. 52. 356 G. TOLDO Nella strada che da Firenzuola conduce al Covigliaio sono notevoli le varietà bronzee con noduli sferoidali raggiati di ba- ritina. Più vicino a Firenzuola, nel Rio della Casetta, affiora invece un’argilla bituminosa nella quale vennero scavati poco fruttuosi pozzi petroliferi ('). Nel torrentello Violla le argille scagliose sono di colore rossoscuro. Nel Rio Fonticino predomi- nano invece le varietà rossiccie e verdastre con noduli silicei scuri e con interstratifìcazioni di due diverse arenarie; l’una grigio chiara e scistosa, l’altra grigio scura, compatta e silicea. Gli idrocarburi (*) che si trovano nel Sillaro, nel Sellustra e nell’alto Santerno hanno indubbiamente la loro sede nelle ar- gille scagliose; ma noi siamo condotti ad ammettere che, per effetto di fratture, abbiano sede nelle argille scagliose anche gli idrocarburi del basso Santerno e del Rio Sanguinario sebbene tali idrocarburi escano fra terreni pliocenici. Degli idrocarburi gli uni sono gazosi e formano getti aridi come fra Pietramala e Peglio, ma molto più spesso getti fangosi conosciuti sotto i nomi di salse, vulcanelli di fango, bollitori ecc. come nel Sil- laro presso il Mol inaccio (SE di Casoni di Romagna) presso Ca’ di Ribano (SO di Sassoleorie), presso S. Martino in Pedriolo (N della Chiesa) presso Sassuno; nel Sellustra presso Ca’ Cam- pagnola (S di Monte del Re e di Monte Bello) presso Casetta e Rifiano (fra il Colle di Piagnano e il Monte di sopra); nel Santerno presso l’incrocio del Rio Ponticelli con la mulattiera Pieve Sant’Andrea-Ponticelli ; e finalmente nel Sanguinario a NE di Bergli] lo. Non mancano però idrocarburi liquidi costituenti petrolio come presso il Molinaccio sopra ricordato, nel Rio Canei presso Ca’ di Tantarlino e Ca’ Domenicali, poi presso Casetta di Fiori nell’argilla bituminosa già ricordata. (') Lotti Bernardino, Studi sull’ eocene dell' Apennino Toscano , pag. 46. f2) Jervis, I tesori sotterranei d'Italia, Torino, Loescher, pag. 1-17. Manzoni, Geologia della provincia di Bologna, pag. 13-14. Bombicci, Mineralogia generale della provincia di Bologna, pag. 43 e 80. Pagani, Vedi Parte bibliografica. Sacco, L’ Apennino dell’ Emilia, 464. E Apennino della Romagna, pag. 9. Lotti, Studi sulVeocenc dell’ Apennino toscano, pag. 46. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 357 Le condizioni stratigrafiche delle argille scagliose sono da noi, come altrove, alquanto oscure per quanto concerne la loro stratificazione. Ciò non ostante, sulla sinistra del Diaterna infe- riore, sotto la grande massa del Monte Taverna o Alafine e nel Rio Canei la stratificazione delle argille scagliose mi è parsa molto marcata. Ad ogni modo il disordine stratigrafico di que- sto terreno è un fatto generale clic torna dannosissimo al- l’ agricoltura, alle opere stradali e via dicendo, dimostrando che il sollevamento finale dell’eocene non solo fu molto forte, ma trovò nelle argille scagliose le condizioni litologiche e stra- tigrafiche più opportune per rendere massimi gli effetti di un sollevamento ('). Tra i fossili, che furono presi nelle argille scagliose del Sil- laro e del Santerno, ricordo anzitutto V Inoceramm Cripsi Mantel che fu trovato a un centinaio di metri sotto Frassineto nel Sil- laro, la Fuchoides cocldeata Meneghini presa vicino a Ca’ Sas- satello, V Alcyonicliopsis Bononiae rinvenuta nella stessa località, un Araucaryoxilon raccolto nelle argille scagliose del Sillaro presso il Molino dell’Aquila dal prof. U. Pagani, e studiato dal Clerici che ne fece una specie nuova dedicata allo Scarabelli (2): finalmente una Cycadeoidea mammana Scar. trovata erratica presso Castel S. Pietro (3). C) Sacco, l’A pennino delia Romagna, pag. 9. Vedi anche De Mor- tillet G., Inoceranus et Ammonites dans les argiles écailleuses, Atti Soc. it. Se. Nat., 1862. (2) Clerici, Una conifera fossile dell' Imolese. (3) Capellini e Solms, I tronchi di Bennetitee dei musei italiani. A pag. 23 il Capellini, oltre la Cycadeoidea maraniana Scarab., ricorda anche la C. Rirazzoliana Massai. (Correcchio), la C. Scarabelli Menegh» (Santerno) e la Cgcadea imolensis Cap. e Solms (Santerno) trovate er- ratiche. Ma in altra pubblicazione, Ichthyosaurus campylodon e tronchi di cicadee nelle argille scagliose dell'Emilia (Meni. R. Acc. Se. Istit. Bologna, 1S90), parlando della Cycadeoidea masseiana Cap. dice di avere accertata personalmente la provenienza di essa dalle argille scagliose di un confluente dellTdice a monte di Castel dei Britti. Vedi anche Ca- rnei T , Osservazioni sul genere di Cicadacee fossili Raumeria e descri- zione di una specie nuora . Boll. R. Coni, geol., 1870, pag. 182. Sacco, L’Apennino della Romagna, pag. 9-10 ricorda che denti di Rtycliodus polygirus A g. vennero trovati nella zona di argille scagliose di Firenzuola. 358 G. TOLDO Eocene (l). Le roccie che, sovrastando al cretaceo, avvolgono, alla base, le vette di Sasso di Castro, Monte Beni ecc. sono calcari com- patti, attraversati da frequenti venule di calcite, qualche volta cariati, arenarie molto compatte talvolta con aspetto di quar- ziti, e puddinghe durissime, molto silicee, a colorito grigio chiaro con pezzetti oscuri di selce piromaca e con parecchie nummu- liti quali si trovarono presso Sassonero. Vedremo altrove le relazioni stratigrafiche e litologiche che esistono fra queste roccie e le analoghe del cretaceo, e dalle relazioni stesse potremo trarre qualche conclusione sulla neces- sità di restringere assai la parte delle argille scagliose che, per ragioni paleontologiche, devono, secondo noi, essere consi- derate cretacee. Le roccie formanti il crinale tra Monte la Faggetta e Monte Citerna sono arenarie-macigno e argille scistose molto disgregabili e facilmente inzuppate dall’acqua di infiltrazione. La loro pre- valente direzione tra Castel Guerrino ed il Passo della Futa è da ONO a ESE con immersione verso OSO cosi che le testate di questi strati prospettano Firenzuola e la media vallata del Santerno. Nell’alta pila che essi strati formano non si verifica certamente molta omogeneità litologica. Per esempio, negli sproni che sovrastano al Ponte delle Costarelle, sulla strada da Firen- zuola al Giogo di Scarperia, gli strati sono ben distinti ed hanno uno spessore assai piccolo, non superiore ai trenta centimetri. Invece a Kifredo, presso la strada, affiorano grossi lastroni di un’arenaria liscia, cenerognola- verdicci a. Da Eifredo al Giogo le arenarie sono più sfaldabili e gli scisti argillosi vengono sosti- tuiti da marne sabbiose friabili. Ivi la disgregazione delle are- narie appare straordinaria. Al Giogo poi le marne sabbiose friabili sono più scarse e le arenarie formano grosse pile, ma presentano la stratificazione cosi sottile che si potrebbe dire fogliettata. (') Si sono occupati di questa formazione del nostro Alto Apennino, sebbene arrivando a conclusioni differenti, sopratutto il Lotti {op. cit.) o il Sacco {op. cit.). CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 359 Esaminando infine i piccoli sproni settentrionali di Castel Guer- rino, si trovano anche argilloscisti alterati, disgregati e franosi, di varia colorazione. Incostante è pure il grado della inclinazione tantoché, mentre, presso il ponte delle Costarelle, la massima pendenza è di soli sei o sette gradi con lievi inflessioni locali, a Rifredò gli strati formano una bella auticlinale e da Rifredo al Giogo hanno inclinazioni anche di cinquanta o sessanta gradi. I fossili di questa formazione si riducono a fucoidi e ne- mertiliti. Le roccie, che formano il Monte dei Tre Pogginoli e il Monte Canda (o Cani da), sono calcari marnosi biancastri, talvolta are- nacei, talvolta scistosi, che si alternano con arenarie compatte o scistose cosparse da minutissime pagliette di mica isoorientate, e con poche arenarie calcari durissime, stratigraficamente più profonde delle precedenti. La direzione è da est ad ovest con immersione verso nord in modo che dai fuochi di Pietramala si vedono benissimo queste testate che prospettano il crinale dell’ Apennino in corrispondenza di Castel Guerrino. La pen- denza è di circa trenta gradi. Vi si trovano la helmintoidea ìabyrintica (Monte dei Tre Pogginoli), ncmertiliti (Monte Canda), fucoidi (Monte dei Tre Pogginoli e Monte Canda) e varie forme di rotaline e di texti- larie (Monte Canda) che, almeno in parte, hanno facies mio- cenica. Le roccie deH’epcene eruttivo predominanti da noi sono anzi- tutto la diabase, poi la serpentina bastitica e l’eufotide; ma ad esse, come altrove, si associano dioriti, gabbri rossi, spiliti, oficalci, ofisilici e ftaniti. A Sasso di Castro predominano la ofìolite basti- tica, una diabase granitica microcristallina, gabbro rosso, oficalci e spiliti nelle quali si trovano cristalli di quarzo affumicato. A Monte Beni predominano le diabasi e le dioriti variolitiche o striate spesso rossastre, la serpentina bastitica e la serpentina ranocchiaia alle quali si associano venule di steatite nel tosso dei Balzi, poi eufotidi grandi e piccoli elementi, oficalci e ftaniti a radiolarie. Al Sasso di San Zenobio si trovano la diabase afanitica in alto e la eufotide in basso. A Sassonero invece serpentina bastitica, diabasi porfiroidi ojdgoclasiche con asbesto, 24 360 G. TOLDO spiliti e una roccia rossa xiloide: Alla Maltesca diabasi in parte porfiriche, dioriti, serpentina ranocchiaia e asbesto. A Sassonero poi, alla Maltesca, a Pianelle presso CV di Perla, le roccie ofiolitiche sono accompagnate da venule o lamine di rame nativo, erubescite, calcosite, calcopirite che si trovano, se non erro, fra. la diabase e la enfotide e furono già ricercate, nei passati tempi,, a scopo industriale ('). L’unica località in cui appaiano le roccie ofiolitiche strati- ficate, è Monte Beni. Da Monte Beni a Sassouero le prominenze ofiolitiche sembrano massi erratici e tale aspetto, unito alla natura chimica e cristallografica di esse, alle loro inclusioni fluidali e alla assenza di fossili, inducono facilmente nella con- vinzione che si tratti di roccie eruttate in corrispondenza di Monte Beni a grandi profondità marine, quindi sotto forti pres- sioni, che si siano poi venute estendendo a guisa di colata fra Monte Beni e Sassonero e che la eruzione sia stata seguita da uscita di gas e di acque calde calcari e silicee. Miocene inferioke. Il miocene inferiore comprende alla sua base un’alternanza di numerosissimi e sottili strati marnosi con pochi strati arenacei e nella parte superiore un’alternanza di grossi strati arenacei grigi con sottili strati argillosi. Agli strati arenacei grigi, utiliz- zati a scopo industriale, si associano qua e là, per esempio nelle cave di Firenzuola, rari strati di un calcare compattissimo lito- grafico e di un’argilla scistosa molto simile a quella di Por- retta (2). Invece fra gli strati arenacei che si alternano con gli (’) Jervis, (op. cit., pag. 142) ricorda per la miniera di Sassonero anche i seguenti minerali: pirite, calcopirite, quarzo, arragonite, diallagio,. steatite verde e steatite bianca, labradorite etc. Vedi anche Bombicci.il/i- neralogia generale delia provincia di Bologna , pag. 30-32, e Le Formazion i geologiche del territorio bolognese, pag. 59-61 e 74-79, e Capellini, Sulle roccie serpentinose del bolognese. Meni. R. Acc. Se. Istit. Bologna, 1872-73.. (?) Sacco, Jj A pennino dell’ Emilia, pag. 508, e L’ A penili no della Romagna , pag. 24, sincronizza le arenarie ad oriente di Firenzuola che, se interpreto bene la indicazione topografica del Sacco, mi paiono eoce- niche, e quello poste tra Firenzuola e Barberino di Mugello, c pone entrambe nelPctrurio. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 361 strati marnosi basali, se ne trovano talvolta, per esempio al Rio Fonticino, alcuni clie contengono grani verdi. Gli strati di questa formazione s’immergono verso S 60 0 cioè verso il crinale, in modo che, risalendo il Santerno oltre Scarampola, affiorano strati sempre più giovani e quindi non va esclusa la possibilità di trovare sulle vette del contrafforte Santerno-Sillaro qualcuno dei fossili che caratterizzano il miocene medio. Le condizioni stratigrafiche di questa formazione molassica antica sono molto interessanti. Cosi a Scarampola si osserva una notevole contorsione di strati con raddrizzamento e parziale rovesciamento. La forte pressione che essi hanno subito durante il sollevamento, ci è resa manifesta dalla loro scistosità. Passando dal Santerno al Senio e poi dal Senio al Lamone, si può con- statare che l’affioramento di tali roccie marnoso-arenacee è molto maggiore. Così da Cimone della Bastia a Monte Faggiola le anti- elinali si ripetono, e i piedi posano sulle testate degli strati, mentre nei Rii Termine e Visano, confluenti del Senio, si osser- vano dirupi simili a quelli delle argille plioceniche. In complesso si è autorizzati a credere che a SO di Scarampola e di Monte Fag- giola il sollevamento sia stato molto più forte che non a NE di queste due località, e che perciò abbiano potuto affiorare gli strati più profondi del miocene. I caratteri paleontologici sono in gran parte negativi, cioè nella formazione che ho assegnata al miocene inferiore per ragioni litologiche e stratigrafiche, mancano per di più i fossili che carat- terizzano il miocene medio. Solo a Marradi furono trovati nelle arenarie denti di Carchctrodon ( Carcharias ) angustidens A g., Lamia ( Odontaspis ) contortidens A g., che stabiliscono una no- tevole analogia geologica tra queste arenarie del Lamone e l’are- naria di San Marino, ovvero il calcare di Sasso di Simone e Kompetrella considerati del miocene inferiore da Scarabelli, ( Gcol . della Prov. di Forlì), e da Fuchs e Manzoni, (Poli. IL codi. geol., 1875, pag. 245), mentre nelle arenarie di Ca’ Bassa non vi è traccia organica ad eccezione dei numerosissimi frustoli vege- tali carbonizzati tanto comuni nelle molasse mioceniche (*). (') Sacco, L’Apennino della Homagna, pag. 32-35, e Carta geolo- gica relativa, considera le arenarie e marne del Senio tra Casola e Palazzuolo, e del Lamone, tra Campiano e Marradi, come tongriane, 362 G. TOLDO Miocene medio. Il miocene medio è rappresentato essenzialmente dalle are- narie tanto nelle vallate del Senio e del Lamone quanto in quelle del Santerno. Però gli strati arenacei alternano con strati marnosi i quali talvolta presentano strane arricciature che non si verificano affatto nei contigui strati arenacei (Mercatale). Lo spessore e la compattezza degli strati arenacei variano notevolmente; ma sono sempre superiori senza confronto a quelle degli strati marnosi ed in generale crescono in ordine strati- grafico discendente. La stratificazione è sempre molto marcata, ma nel Senio, e in parte anche nel Lamone, è molto più disturbata che nel Sali- terno dove, salvo ulteriori verifiche, la formazione del miocene medio forma una semplice uniclinale, mentre nel Senio da Baf- fadi a Mercatale si hanno splendidi esempi di anticlinali e di sinclinali. Si verifica adunque pel miocene medio un fatto ana- logo a quello che si verifica pel miocene inferiore. Del resto le due formazioni si accordano anche nella direzione; se non che la immersione predominante del miocene medio è in senso opposto a quella del miocene inferiore, cioè è verso N 60 E in modo che chi risale, per esempio il Santerno, trova sino a Sca- rampola, strati sempre più antichi. La relativa omogeneità litologica di questa formazione mio- cenica, la cui potenza raggiunge per lo meno i mille metri e le cui quote massime oscillano fra gli 800 ed i 600 metri, è stata la condizione fondamentale di quelle grandiose sezioni na- ossia come più giovani delle arenarie che sono ad oriente di Firenzuola e le fa coeve del calcare di San Marino (calcare o arenarie?) A me sembra che nel Senio e nel Lamone non si siano finora trovati fossili sufficienti per distinguere il vero oligocene, giacché i denti di Cardia- rodon angustidens, A g., e di Odontaspis contortidens, Ag., sono di solito considerati come propri del miocene. Ad ogni modo, dal punto di vista stratigrafico, ritengo come cosa certa che le arenarie e le marne sopra accennate, non siano più giovani delle arenarie che sono ad oriente di Firenzuola. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 3(53 turali die si ammirano da Fontana a Castel del Idio e da Mon- gardino a Casola Valsenio. Ma sopratutto nel Santerno, per l’as- senza di sinclinali e di anticlinali, si ha modo di fare un com- pleto studio delle illusioni stratigrafiche. Così, dove la direzione del taglio fatto dal fiume cambia d’improvviso, si è distintiva- mente indotti a supporre trasgressioni (’). Dove invece la dire- zione del taglio coincide con quella degli strati, questi talvolta mostrano le linee di stratificazione delle testate e appaiono per- fettamente orizzontali, talvolta invece otfrono le superfici infe- riori'oppure le superiori disposte a gradinata o ad embrice. Se poi allo sguardo dell’osservatore sono rivolti i dorsi di strati molto raddrizzati, come presso Castel del Rio, allora è facile che la corrosione abbia messo allo scoperto molti strati conti- _ gai, e i margini delle zone corrose appaiono come cerchi o come archi concentrici, di cui il più grande corrisponde allo strato più superficiale e il più piccolo allo strato più profondo. Il miocene medio delle nostre vallate è discretamente fos- silifero. Un bel Palaeod/jction è tuttora visibile sulla faccia in- feriore di uno degli strati arenacei che si trovano presso l’anti- clinale di Mercatale. Una Nemertilites miocenica Sacc., fu trovata a Casola Valsenio e poco lungi da questo paese furono scavate in altri tempi diverse varietà di lignite come la lignite pici- forme lucida, la lignite piciforme opaca e la lignite striata (2). Presso Fontana Elice si rinvennero la stipite e un po più a monte una Tellina 'planata L. Una bella Lucina De Stefani Rov., ed una Cassidaria furono trovate nel Rio di Gaggio quando vi si costruiva quel mirabile ponte a doppia arcata. La Lima miocenica Michel, fu scoperta poco a valle di Scarampola, men- tre nella vallata del Sillaro si trovarono molte lueine nel fondo La Volta presso Giugnola e a Ca’ del Vento presso Sassoleone. A Ca’ di Santino, di fronte a Piancaldoli, oltre le lueine, fu- (!) Per esempio la trasgressione fra Oligocene e Miopliocene ac- cennata dal Sacco per la valle del Santerno presso Fontana Elice, Apen- nino della Romagna, pag. 45, mi pare che sia nel modo più certo una illusione ottica. (2) Bombicci, Mineralogia generale della provincia di Bologna, pag. 48. 364 G. TORDO rono rinvenute anche delle telline tra cui la specie piallata come a monte di Fontana ('). Miocene superiore. Miocene superiore marnoso. — Questa formazione la cui po- tenza varia fra i cento ed i trecento metri, non presenta lito- logicamente molta omogeneità. Per esempio, nel contrafforte Santerno-Senio essa consta di marne biancastre, oppure azzur- rognole con alternanza di sottilissimi strati arenacei e talvolta con qualche inclusione di gesso o di anidride solforosa. Invece nel contrafforte Sauterno-Sillaro le marne sono limitate a con- tatto dei gessi con pochi strati arenacei e alle marne sottostanno successivamente anzitutto strati arenacei sciolti e potenti con inclusioni di concrezioni arenacee poponoidi e con molta mica, poi strati argillosi bluastri, poi strati arenaceo-argillosi pure bluastri e finalmente potentissimi strati di arenarie giallognole che segnano il passaggio alle vere molasse. In questa serie del contrafforte Santeruo-Sillaro è ben visibile che la inclinazione degli strati dal gesso alle molasse subisce una graduale dimi- nuzione. Ad ogni modo sino ad oggi solo le marne sono risultate fossilifere e di solito le più fossilifere si trovano ad una qual- che distanza (stratigrafica) dai gessi. Nel 1895 io stesso trovai nelle marne del Rio deH’Inferno, poco a SE di Tossignano, i seguenti fossili: Balantiuni braidcnse Bell., Pecten racìians Nyst, (') Bombice), Studi sui minerali del bolognese. Mem. Acc. Se. Istit. Bologna, 1871, pag. 9 e seguenti. Le formazioni geologiche del territorio bolognese , pag. 80, descrive l’ambra trovata in un terreno alla destra del Sillaro davanti a S. Clemente e ascrive il terreno al Miocene, men- tre gli studi del Manzoni dimostrano trattarsi di cretaceo. Vedi anche Capellini, De V ambre italienne etc. Comptes-Rendus du Congrés intera* d’antrop. et Ardi, préhist., Stocholm, 1876. Sangiorgi D., Il tortoniano dell' Alta Valle déll'Idice, Bologna, Tip. Gamberini, 1896 e 1899, ha ripreso lo studio del terreno fossilifero com- preso nella zona triangolare Villa di Cassano, Bigallo sulla Zona e Monte Armato, e con diligenti raccolte di fossili c più diligenti determinazioni ha confermata l’opinione del Manzoni e del Fuchs sulla pertinenza di quelle roccie al tortoniano. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 365 Terebratulci sp., Mactra sp., Fusus sp., Spatangus sp., oltre foraminifere e squame e vertebre di Leuciscus (?) e alcune foglie di Cinnamomum e di Quercus. Forme simili furono trovate dallo •Scarabelli nelle marne sottostanti ai gessi di Rivola (Senio) e .si trovano facilmente nelle marne sottostanti ai gessi di Castel de’Britti (Idice) ('). — Non è, del resto, difficile che le marne •ora accennate rappresentino semplicemente la parte del miocene medio più lontana dalla spiaggia. Miocene superiore selenitico. — Gli strati della formazione •selenitica, la quale costituisce la cosi detta catena dei gessi, hanno una grossezza che è sempre proporzionale alla loro età, ma che raggiunge il massimo valore fra il Senio e la Sintria •dove bastano nove o dieci di essi per oltrepassare i centocin- quanta metri di potenza complessiva. Allontanandoci da questa zona, troviamo che la formazione gessosa non solo perde po- tenza, ma finisce anche col non essere più continua. Così a Tos- •signano da una parte e a Brisighella dall’altra, gli strati ges- sosi sono più sottili, e il loro complessivo spessore non arriva a cento metri. A sinistra poi del Santerno, e a destra del La- mone la formazione selenitica è ripetutamente interrotta. Così per il contrafforte Santerno-Sillaro vediamo che Pieve di Gesso, Gesso •e Sassatello posano ciascuno sopra un lembo selenitico isolato. C) Scarabelli, Sui gessi di una parte ecc., pag. 10, non fa cenno di fossili. Toldo, Comunicazione alla Società geologica italiana, Bollett. Soe. geol. it., 1895, pag. 290, annunziò il rinvenimento di un terreno mar- noso fossilifero sottostante ai gessi del contrafforte Senio-Santerno e •contenente foglie di cynnamomum e quercus, pecten, fusus, mactra, ba- lantium, echini e pesci. Scarabelli, Sopra alcuni fossili raccolti nei colli ecc., pag. 8, accenna il pecten radians Nyst., del Rio dell’Inferno. Simonelli Vittorio, Sopra la fauna del cosidetto Sclilier nel bolognese ■e nell’ anconitano, Pisa, Tip. Nistri, 1891, pag. 9, ricorda un balantium braidense Bell, di Tossignano. Sangiorgi, Lo Sclilier nell' imolese, accennate le condizioni geologi- che del Rio dellTnferno, nomina le seguenti specie daini trovate e de- terminate: Arca -sp. Jupiteria Brocchi Bell., Macomopsis elliptica Br., Antale vitreum Schrot., Dentalium sp. Diacria (Cavolinia) trispinosa Les., Balantium Fallauxi Ritti., Vaginélla Bzeliaki Ritti., e Palaeodi/ction miocenicum Sacco. 366 G. TOLDO La direzione inedia della formazione selenitica è da N (30 0 a S 60 E; ma non è costante e i tratti compresi rispettivamente fra il Sillaro ed il Santerno, fra il Santerno ed il Senio, fra il Senio ed il Sintria e fra il Sintria ed il Lamone appaiono di- sposti sopra una linea curva avente la convessità rivolta a NE, così che le direzioni di questi singoli tratti sono un po’ diffe- renti dalla direzione media sopraindicata. Incostante appare an- che la inclinazione la quale raggiunge un valore massimo di 50 o 60 gradi tra il Senio e la Sintria, cioè- dove è massima la potenza, e in generale diminuisce allontanandosi da questa, zona. Notevole pure è il fatto che sono i corsi d’acqua che se- parano i vari segmenti della catena selenitica e che le porzioni di essi corsi poste immediatamente a SE della stessa catena, mostrano una lieve deviazione dalla loro direttrice come se i corsi acquei, per attraversare la catena selenitica, si fossero di- retti a punti di minore resistenza. Finalmente l’osservazione mostra che appunto in corrispondenza dei profondi tagli fatti dai fiumi o torrenti attraverso la catena selenitica esistono an- che degli spostamenti stratigrafici come indubbiamente nel Sin- tria, nel Senio, nello Sgarba e nel Santerno. Cotali fatti, riuniti, c’inducono nella ipotesi che la forma- zione selenitica abbia subito parecchie fratture e che i corsi d’acqua profittassero di esse per aprirsi un varco : essi ci spie- gano inoltre quella diversità di altezza, e molto più ancora di pendenza, che esiste tra la formazione selenitica e le attigue e che serve anche da lontano a farci riconoscere la catena dei gessi. Dal punto di vista litologico, la formazione selenitica com- presa fra il Sillaro ed il Lamone è alquanto complessa ('). Anzitutto essa comprende molte varietà di selenite e cioè la varietà di piccoli cristalli (Monte dell’Uceelliefia a sinistra del Santerno), la varietà a cristalli laminari (Tossignano), le varietà alabastrine bianca (Gesso), e rosea (Sassatello), già usate per costruzione, la varietà sericea (Monte Uceelliera c Pieve di (') Scarabelli, Sur la formalion miocene de Bologna a Sinigallia; Sui gessi di una parte del versante nord est dell' Apennino settentrionale ; Sopra alcuni fossili raccolti nei colli ecc., accenna le principali roccie della forma- zione selenitica. Bombicci, Le formazioni geologiche del territorio bolognese pag. 76, descrive l’alabastro gessoso di Pieve di Gesso e di Sassatello^ CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 3G7 Gesso), la varietà saecaroide (Gesso), e la varietà lenticolare raggiata (Rio Sgarba). In secondo luogo alla selenite sono associate roccie calcari, silicee, argillose e marnose. Tra i calcari che accompagnano la selenite, dobbiamo di- stinguere quelli che prevalgono alla base della formazione sele- nitica e quelli che invece sono confinati nella parte superiore. I primi si presentano in grandi masse informi, sono compatti c talvolta anche silicei (Vespignano). I secondi sono ora mar- nosi ora travertinosi. I marnosi appaiono a mo’ di lenti o ve- nature negli strati gessosi e contengono cristalli di gesso (Monte Uccelliera) o anche, ma più di rado, cristalli di calcite o di baritina (Gesso). La frequente scomparsa di questi cristalli rende tali calcari cavernosi, come si verifica alla sinistra del Santeruo, dove erano usati per calce. I travertinosi invece risultano ter- rosi, alabastrini, lacunari, ma le loro condizioni di giacimento riescono indecifrabili (Monte Mauro, Brisighella, ecc.). La selce, di tipo geiseriauo, trovasi anch’essa, a mo’ di lenti o di vena- ture, nella porzione superiore della formazione selenitica e tal- volta include cristalli di gesso (Sasdello presso Rivola) oppure è resa essa pure cavernosa per la loro scomparsa (Crivellar!). In pochi casi ha l’aspetto resinoide o corneo. L’argilla è inter- stratificata col gesso. Ciò vedesi benissimo, stando nel Rio Sgarba, presso a quelle grotte artificiali fatte per cuocere il gesso. Essa è scistosa e qua e là ricca di efflorescenze saline. La marna sovrasta al gesso occupando alcune zone dove la formazione se- lenitica pare interrotta, come si osserva andando da Rivola ai Crivellavi, a cento metri dal Senio e sulla sua destra. Questa marna è caratterizzata dalla sua colorazione bruna e anche dal suo, almeno apparente, isolamento. I fossili della formazione selenitica sono numerosi e interes- santi. Essi trovansi nelle roccie accessorie, mancando quasi sempre nel gesso propriamente detto. Nel calcare sottoposto ai gessi o facente parte della loro zona più antica, furono trovate sinora le seguenti specie: 1. Clirysodomus Hornesi Bell. (Brisighella e Angugnano). 2. Lutraria sp. (Angugnano). 368 G. TOLDO 3. Ostraea sp. (Angugnano). 4. Lucina pseudorotunda Sacco (Angugnano). 5. Tapes sp. (Brisigliella). 6. Modiola ex-Brocchii Sacco (Brisigliella). 7. » Brocchii Maver (Brisigliella). 8. Fusus glomoides Hoern. (Brisigliella) ('). Nell’argilla che trovasi interstratificata col gesso, rinvenni eon lo Scarabelli, foglie delle seguenti specie: 1. Araucarites Sternbergii Gopp. 2. Cassia tecomefolia Massai. 3. Cinnamomum polymorplmm Heer. 4. Zellcowa Ungevi Kowats. 5. Pinites goetlnanus Ung. C. Sequoia Langsdorfi Heer. 7. Diospyros incerta Massai. 8. Bambusium sepultum Massai. 9. Podocarpus sp., e scheletri di Lebias crassicauda (?). Tali fossili inclusi nelle argille che si alternano coi gessi, dimostrano la corrispondenza dei nostri gessi a quelli di Sini- (*) (*) Questi fossili, raccolti da me, furono mandati in esame al Pro- fessore Di Stefano Giov. che ne ha fatto cenno nella sua pubblicazione: Sul calcare a grandi lueine dei dintorni di Centuripe in provincia di Catania. Egli ritiene che il calcare contenente i suddetti fossili imolesi sia stratigraficamente alla base del piano pontico, (pag. 10). Tra le lueine che sono state raccolte sotto i gessi dei contrafforti Santerno-Senio e Senio-Lamone, vennero ricordate la apenninica Poderi, da Scarabelli, Sui gessi di una parie del versante nord-est dell' apennino settentrionale, pag. 10, la pomum, Desh.; dal Manzoni, Della posizione stratigrafica del calcare a Lucina pomum Mayer Boll. R. Coni, geol., voi. VII, 1876, la globulosa Desìi.; dal Simonelli, Sopra la fauna del così detto Schlier,etc., pag. 26, e dal Sacco, L’ Apennino della Romagna , pag. 44, e la Picomani Menegh.; dal Nelli, Fossili miocenici del macigno di Torretta, Boll. Soc. geol., 1903, pag. 205-206 e tavole VII e Vili. (2) Scarabelli, Sui gessi di una parte del versante nord est, etc.,jpag. 14, ricorda il Cynnamomum polimorphum Heer, una quercus sp., e una Fagus sp. Sacco, L’ Apennino della Romagna, pag. 45, ricorda che in Val Sgarba (confluente destro del Santerno) sono state trovate filliti. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 3G9 gallia e di Stradella e inducono a ritenere che anche i gessi di Perticara e di Formignano, nei quali si trovarono foglie di Fagus Marsilii e alcune ittioliti, appartengano allo stesso orizzonte. Nei travertini e nelle selci sovrastanti ai gessi, fra Rivola e i Crivellar!, furono trovati molti esemplari di Melanopsis Bonetti Sism., di Bahides trina subvaricosa D’Orb., di Bulimus sp. etc. (1). Nelle marne sovrastanti ai gessi, pur fra Rivola e i Crivel- lavi, furono trovati alcuni esemplari di 1. Melanopsis (cfr. Bonetti Sism.). 2. Congeria simplex Barb. 3. Cardium Lawleyi Cap. 4. » Scarabelli Cap. 5. » novarossicum Barb. 6. Ostraea sp. 7. Neri fina (?), etc. Pliocene inferiore. La natura litologica del pliocene inferiore si riflette assai bene nella presenza di quei dirupi che sono detti calanchi, e nella scarsità delle acque d’infiltrazione e quindi della vege- tazione. Vi è infatti un predominio di argille azzurrognole a cui si associano molto limitatamente altre roccie (*). Così, fra i gessi e le argille si trovano marne cenerine ben visibili sulla sinistra della Sintria, sulla destra del Rio Mescola, alla origine del Rio del Prato e sulla sinistra del Rio Ronco. Le creste poi dei colli che fanno parte del versante sinistro del Rio Mescola e buona parte della zona che si stende fra le origini di questo Rio e le (') Capellini, Sui terreni terziari di una parte del versante setten- trionale dell' Apennino, (Meni. Acc. Se. Istit., Bologna, 1876, pag. 616), ricorda i generi melanopsis e bytinia di Rivola e dei Crivellavi. Sacco, L’ Apennino della Romagna , pag. 45, e Scarabelli, Sopra alcuni fossili raccolti nei colli, etc , pag. 8, ricordano la specie Ronellii Sism. di Rivola. (2) Sacco, Apennino di Romagna, pag. 60, Scarabelli, Sopra alcuni fossili raccolti nei colli, etc., pag. 8-9, e Sangiorgi, Fossili pliocenici rac- colti, etc., pag. 4, accennano essi pure, ma pel solo Rio Mescola, queste roccie associate alle argille turchine. 370 G. TOLDO origini del Rio Ronco sono costituite da un conglomerato clic ò incluso fra le argille azzurre, ed è coperto da sabbie e da marne sabbiose; se non che tale conglomerato, in cui predominano sassi calcari forati da litofagi, e in cui si trovano anche sassi arenacei e diabasici, non ha notevole estensione. Infatti nel senso della immersione esso si va assottigliando a guisa di cuneo e ad una decina di km. dalla catena dei gessi cessa completamente, sosti- tuito dalle argille azzurre alle quali si trova interposto. Arenarie verdi, friabilissime, un po’ argillose e molto micacee si trovano a NE della Tomba di Sassatello e sono petrolifere ('). La direzione stratigrafica di questo pliocene inferiore è da N 60 0 a S 60 E come quella dei gessi, con immersione verso N 30 E. La inclinazione decresce dal miocene al pliocene supe- riore, ma è in media di 15 gradi. La potenza n’è stata calcolata di circa 400 metri. I fossili che si sono trovati nelle argille azzurre, specialmente in corrispondenza del Rio Mescola e del Rio Gambalaro, c che conservo nel Museo Civico d’Imola, sono numerosissimi e tanto variati da rappresentare una buona parte delle principali classi botaniche (2) e zoologiche. Rimandando a prossime pubblicazioni l’elenco completo di tali fossili, mi limito per ora a ricordare le specie la cui determinazione si può ritenere sicura: Foraminifere. Cristellaria marginata D’Orb. liobulina imperatoria D'Orb. Truncatulina refulgens D’Orb. Bulimina pyrula D’Orb. Textularia ì aeri gaia D’Orb. Biloculina simplex D’Orb. Quinqueloculina pauperata D’Orb. Antosoi. Amphielia oculata L. Flabellum avicula Mieli. » siciliense Mieli. » cuneatum Goldf. Ceratotrochus duodecim-costatns M. Edw. Trochocyatus cornucopia Mieli. » undulatus Mieli. (') Bonibicci, Le formazioni geologiche del tei ritorio bolognese, pag. 31, ricorda queste arenarie verdi delle Tombe di Sassatello. (2) Scarabelli (Scarabelli e Foresti, Sojira alcuni fossili raccolti nei colli, etc., pag. 11) fa parola di un legno fossile trovato nelle argille azzurre del Rio Gambalaro. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 371 Echinoidì. Cidaris rosaria Bron. s Briozoi. Cupularia intermedia Mieli. Eschara polyomma Reuss. Bi/lustra bipunctata Reuss. Laniellibranchi (1). Leda minuta Br. Limopsis aurita Br * Chlamis glaber L. var. silicata Br.* Spondylus gaederopus L. * Anomi a ephippium L.var. radiata Br. Placunanomia Scarabelli Dod. * Ostraea cuculiata Born. var. For- slcahli (?) L. * Arca cliluvii Lk. Cardium echinatum. Corbula gibba Oliv. Gastropiodi. Trochus distinctus Seg. * Nassa antigua Bell. * Eulimella Scillae Schacch. * » coarctaia EìcIiav. * Turbonilla Lanciae Libas. varietà » musiva Br. * scarabelliana Cocc. * » imolensis For. * Cerithium vulgatum Brug. var. » Bonelli Bell. incerta For. * >> ungulata Bell. » doliolum Br. * Cyllene Scarabelli For. * Strombus coronatus Defr. * » » var. ecostata For. * Cypraea labrosa Bonn. * Euteria cornea L. * » elongata Br. » adunca Bron. var. gam- Troplion vaginatus De Crist. e ballarensis For. * Jan. * Laiirus Scarabellianus For. * Saxicava arctica Linnei. * Psammobia ferroensis Chemn. * Venus rnultilamella Lk. * » fasciata Da C. var. sca- laris Bron. * » radiata Br. * Chama gryphoides L. * » /■> var. magna For. * » dissimilis (?) Pliil. * Leda fissistriata Menegh. * » sinuata Menegh. * (J) Le specie segnate con asterisco sono state determinate da Fo- resti: Scarabelli e Foresti, Sopra alcuni fossili raccolti nei colli etc. p. 12 e seg. D’Ancona Cesare, Malacologia pliocenica italiana. E. Coni. geol. Memorie , 1871, ricorda qualche specie del Rio Mescola. G. TOLDO 372 AnciUaria patula Dod. varietà subovata For. Cancellarla hirta Br. var. obso- leta Brug. * Conus pyrula Br. var. coepolinus Menegh. * » striatulus Br. var. lineo- lata Coce. * Conus pelagicus Br. var. Scara- belli Menegh. * » ventricosus Broli. Pseudotoma brevis Bell. * » Bottelli Bell. * » Croarensis For. * Clavatula rugata Bell. * Drillia Scarabelli For. * » Brocchi Bon. var. minor. For. * Mangilia arpula Br. * » textilis Br. * Ringicula buccine a Br. * Leucoma alexiaeformis Gray. * Natica millepunctata Lk. Turritella tornata Br. Phasianella putta L. Chenopus pespelecani Phil. Ranella marginata Broug. » laevigata Bon. Tritoli nodiferum Lk. Murert brandaris Br. » spinicosta Broli. » Lassaignei Bast. » heptagonatus Bron. Ficula ficoides Br. Cólumbella thiara Br. Mitra scrobiculata Br. » Michelotti Hòrn. Scaphander lignarius Lk. Fusus fustis Menegh. Scafopocli. Dentalium elephantinum L. » sexangulum L. Si phono dentalium ovulum Phil. Pesci. Carcharodon sp. (denti). Oxyrhina sp. (denti). Pliocene superiore. Il pliocene superiore delle nostre colline è costituito essen- zialmente di sabbia quarzosa, la quale, all’analisi chimica ed anche microscopica, appare mescolata ad argilla, a calcare, all'idrato di ferro che la colora in giallognolo e a numerose glo- bigerine. Alla base di tale formazione si trovano anche dei conglo- merati a cemento arenaceo e limonitico come sul versante sinistro del Sellustra, oppure delle ghiaie quasi sciolte come sul versante destro dello stesso rio. Nella parte più giovane sono frequenti invece le intercala- zioni di straterelli argillosi c le inclusioni di sassolini levigatis- simi, dei ([itali alcuni, vari per forma c per composizione mine- CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 373 ralogica, sono grossi come semi di mais o di fava (Correòchio), e gli altri, sferoidali, silicei, grossi anche quattro o cinque volte più dei precedenti, sono pieni zeppi di grandi foraminifere eoceniche sezionate in tutte le possibili direzioni. In questa zona più giovane furono trovate, specialmente nel Rio Pradella, con- crezioni arenacee, concrezioni calcari, puddinghe, septarie e piriti. Ora da questa elasticità di roccie e dalla intercalazione di straterelli impermeabili dipende il florido stato botanico delle nostre prime colline, le cui vette adorne da pinete e i cui declivi coperti da vigneti offrono un gradito spettacolo che contrasta sensibilmente con quello delle colline fatte di marne azzurre. Ad un livello stratigrafico meno costante, sebbene da noi il più delle volte simile a quello delle altre concrezioni plioceniche, si trovano quegli agglutinamenti calcari di sabbie gialle e con- chiglie i quali sono detti lastre, e si trovano per esempio sulla sinistra del Santerno davanti al Castellacelo. La direzione stratigrafica del pliocene superiore corrisponde a quella del pliocene inferiore. Però la inclinazione è ridotta al 5,24 per mille, cioè a circa 3 gradi, e la potenza non giunge ai 50 metri, ed è quindi circa otto volte minore di quella delle marne azzurre. In corrispondenza poi dei contrafforti che divi- dono il Santerno rispettivamente dal Sillaro e dal Senio, si verifica un notevole fatto stratigrafico, cioè l’esistenza di due anticlinali parallele all’asse del Santerno e racchiudenti una sinclinale che corrisponde appunto, almeno in parte, alla vallata di questo fiume (]). Nelle sabbie gialle si sono trovati qua e là dei legni sili- cizzati come per esempio, nel Rio Pratella, delle filliti, come presso il Casino Belvedere, già di Cerchiari, delle foraminifere come al Castellacelo, e le seguenti specie malacologiche : (') Per questo sinclinale vedi Scarabelli, Nuovi studi sulla proba- bilità di riuscita di un pozzo artesiano in Imola, pag. 6. Lamellibr anelli (‘). Ostrea edulis L. Donax minutus Bron. Solenocurtus stri gii atus L. Tellina pellucida Br. » pulchella Lk. * » nitida Poli. * 374 G. TOLDO Corbula gibbo Olivi. * Mactra subtruncata Da Costa. * Donax semistriatus Poli. * Dosinìa lupinus Poli. * Cardium tuberculatum L. * Cardium pauci costatimi Sow. » óblongum Chemn. Chlamys opercularis L. Leda pella L. Pectuncuhis vioìacesceus Lk. Scafo podi. Dentalium entalis L. Dentalium alternans B. D. D. Gastropodi. Scalaria alterine ostata Bron. Nassa pygmaea Br. * » cancellata Defrance. Aporrhais pespelecani Pii il. * TurriteVa incannata Br. * « Nelle stesse sabbie poi che includevano impronte di foglie (Casino Belvedere) furono trovate anche ossa di Cervus ( euri) - ceros Aldi’?), di Ippopotami is sp., di Bhinoceros megarhimis Chryst., di Elephas antiquus Falc. e numerose coproliti (2). Qualche ossa di balenottera si scopersero invece nelle sabbie gialle della Costa (Senio, di Belpoggio (Santerno), e di Bozza (Sellustra). \ Pleistocene. Il pleistocene, fra il Si llaro e il Lamone, è rappresentato esclusivamente da roccie alluvionali. Di tali roccie pertanto sono costituite, come dissi, le estre- mità N E dei nostri contrafforti e le terrazze distribuite a varie altezze sui fianchi delle vallate. Si tratta in generale di ciottoli e di ghiaie che prevalgono nella zona basale, e di argille con o senza sabbia, prevalenti (') Le specie segnate con asterisco furono trovate nelle sabbie' gialle del sottosuolo d’ Imola quando venne perforato il pozzo ai tesiano e fu- rono determinate da Foresti : Scarabelli, Osservazioni geologiche e tecni- che fatte ad Imola in occasione di un pozzo artesiano. — Nota. (2) Scarabelli, Osservazioni geologiche e tecniche fatte, etc. — Nota. — Sacco, L’apennino della Itomagna, pag. 63, fa parola di elephas meri- dionalis, di rliino ceros etruscus e di bovidi trovati nelle sabbie gialle dell’imolese. Tuttavia dalle ricerche clic ho fatto, non risulta tale ritro- vamento. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 375 superiormente; ma se noi esaminiamo le terrazze di diversa altezza poste sopra una medesima trasversale dell’asse idrogra- fico, ci accorgiamo che la più alta e la più bassa differiscono notevolmente per le mutue proporzioni degli elementi alluvionali che le costituiscono, mentre la mediana fa in certa guisa da termine di passaggio. Infatti, nella terrazza più antica predo- mina la zona ciottolosa, mentre nella terrazza più recente predo- mina la zona argillosa, la quale anzi può terminare con un deposito limonitico come sulla sinistra del Correcchio nel fondo detto Piazza di Genova ('). Del resto, la natura mineralogica dei ciottoli e delle ghiaie che formano la zona basale è, oltre ogni dire, variata, come si può verificare assai bene nelle piccole valli scavate compieta- niente, o quasi, nel seno della formazione pleistocenica. Così nel Sellustra e nel Correcchio, oltre i soliti ciottoli calcari e arenacei, si trovano anche ciottoli di barite, di serpentina, di diabase dioritica, di diabase porfirica, di granito, di eufotide, di steatoscisto, di selce piromaca, di diaspro, di calcedonio, etc. Osserveremo inoltre che di età veramente pleistocenica sono le stalattiti della Grotta del Re Tiberio e i travertini di Casola, di Coniale, del podere Lama sotto Mezzocolle, ecc. Ora, se noi riflettiamo ai mutui rapporti di altezza e di costituzione litologica che esistono fra le diverse terrazze e fra queste e gli attuali alvei fluviali, siamo indotti a supporre che le terrazze siano effettivamente gli avanzi di antichi alvei e che in ciascuna delle nostre vallate almeno tre successivi alvei pleistocenici abbiano preceduto l’alveo attuale. Questi tre alvei pleistocenici furono abbandonati l’uno dopo l’altro per effetto di altrettanti sollevamenti delle zone orografiche i quali aumen- tarono la potenza erosiva delle acque, così come l’aumentava il probabile contemporaneo abassamento della conca padana. Per- tanto prima di ciascun moto bradisismico i fiumi rivestirono con una striscia alluvionale il loro alveo e con un cono di deiezione le propaggini dei due corrispondenti contrafforti. Invece, durante i moti bradisismici, essi incisero le alluvioni deposte precedentemente, mettendosi nella impossibilità di farvi ritorno f1) Scarabelli, Le pietre lavorate a grandi scheggie, etc., pag. 4. 25 376 G. TOLDO e restringendo i confini del proprio letto. Ed in tal guisa si comprende che gli avanzi delle tre antiche alluvioni si succedano nell’interno delle vallate secondo rette trasversali all’asse idro- grafico e quindi a mo’ di gradini, mentre sulle propaggini dei contrafforti susseguonsi secondo rette parallele all’asse idrogra- fico e quindi a mo’ di embrici. I numerosi dati raccolti sulle altezze delle varie terrazze- dei Santerno e del Senio, mi hanno permesso anche di calcolare approssimativamente la pendenza degli antichi alvei, e quindi la differenza che c’ è fra la loro pendenza e quella dell’ alveo attuale. Così, per quanto riguarda la vallata del Santerno, noi ve- diamo, per esempio, che, mentre l’attuale letto ha una incli- nazione di m. 0,42 per mille, il letto più antico aveva una inclinazione di ìu. 0,75, salva naturalmente la influenza che possono avere avuto i successivi sollevamenti orogenetici. Ciò si deduce dalla considerazione che, presso il Borgo di Tossignauo,. la quota dell’attuale letto è di m. 90, mentre la quota della terrazza più alta (Corsignano) è di m. 159, e che in corrispon- denza della via Emilia, cioè a tredici km. di distanza, la quota del letto attuale è di m. 35, mentre quella della terrazza più alta risulta di m. 59 ('). Analogamente, per quanto riguarda il Senio, ho potuto cal- colare che il letto attuale da Casola Valsenio alla via Emilia è inclinato circa m. 0,40 per mille, mentre il più antico alveo- era inclinato circa m. 0,60 (2). Del Si Baro e del Lamone per ora sappiamo solo che in dieci chilometri discendono rispettivamente il primo m. 38 a a partire dalla quota 59, ed il secondo metri 25 a partire dalla quota 40 (:i). I resti fossili che fino ad oggi vennero trovati nelle nostre alluvioni pleistoceniche sono di solito, perchè trasportativi dalle (') Scarabclli, Nuovi studi sulla probabilità di riuscita, etc. (2) Scarabelli, Sur l’existence d’un ancien lac dans la vallee da Senio en Bomagne, parla della esistenza, durante il pleistocene, di un lago a monte dei gessi di Rivola. (:ì) Sulla pendenza dei nostri tinnii in corrispondenza della pianura,, vedi Pantanelli, I terreni quaternari e recenti dell' Emilia, pag. 352. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 377 acque, gli stessi che si trovano nei terreni precedenti e quindi non hanno alcun significato speciale. I resti paietnologici appar- tengono da noi, nel modo più evidente, al periodo attuale ('). Relazioni esistenti fra le diverse formazioni. « L’indagine sui rapporti che esistono tra la formazione eoce- nica eruttiva e le altre formazioni è irta di grandi difficoltà, per il semplice fatto che non sappiamo ancora quali siano le condizioni stratigrafiche del sottosuolo corrispondente agli affio- ramenti di tale formazione. Salvo errore, però, mi pare che in corrispondenza di Monte Beni la formazione ofiolitica attraversi formazioni cretacee od eoceniche e che da Monte Beni a Sassonero essa sia posata so- pra queste ultime. À Monte Beni la diabase variolitica che sot- tosta alla serpentina bastitica poggia a sua volta sopra diaspri (ftaniti) e questi poggiano sopra calcari compatti nettamente stratificati i quali hanno per base una vera psammite (2). Riguardo poi alle azioni metamorfiche che le roccie eruttive eoceniche dovettero esercitare sulle altre, possiamo dire che sino (*) (*) Della paletnologia della nostra regione si é occupato, e sta tuttavia occupandosi, il Senatore Scarabelli. (Vedi Bibliografia). (2) Del Monte Beni hanno pubblicato sezioni prima il Brogniart, Sur le gisement ou sur la position des ophiolites, euphodites etc., (Bull, de la Soc. phylom. de Paris, 1820, e poi il Lotti, op. cit., pag. 44). — Nella sezione del Brogniart, la quale coincide colla direzione stratigrafica, sono distinte dall’alto al basso successivamente le seguenti roccie: ofio- lite amfibolica, eufotide amfibolica e variolitica, diaspri, calcari com- patti fini e psammiti. Il Brogniart, nella memoria sopraricordata, dà pure una sezione del Monte Ferrato presso Prato di Sesto, dove si trovano ripetute le condizioni geologiche di Monte Beni. — Nella sezione del- l'ing. Lotti che è normale alla direzione strat. : « la massa ofiolitica (ri- portiamo le p#role dell’autore) quasi in totalità diabase, sta racchiusa nella formazione calcareoargillosa ed è accompagnata da una zona re- lativamente sottile di roccie calcaree e diasprine. Questi strati stanno sotto alla diabase mentre altrove, almeno in Toscana, compariscono co- stautemente al di sopra ed oltre a ciò anche nella successione delle roc- cie eruttive (serpentina, eufotide e diabase) notasi l'ordine inverso a quello che verificasi dappertutto in Toscana. Un’esigua zona di roccie calcareo argillose si addossa a queste masse eruttive ed è ricoperta alla sua volta dall’arenaria di Monte Freddi e del Monte Banditacele». 378 G. TOLDO ad ora non ci fu possibile di trovare alcuna traccia di azioni meccaniche, quantunque la loro realtà ci sembri probabilissima. Comuni invece risultano da Monte Beni a Sassonero gli effetti di quelle azioni che furon giustamente considerate idrochimiche e posteriori alla eruzione, come la presenza di alcune roccie antigene accessorie o derivate di numerosissime patine cloriti- che sui calcari e sulle arenarie che si trovano in tale zona ('). Le relazioni che esistono fra le roccie che riteniamo cretacee e quelle che invece ascriviamo all’eocene, ci spiegano, almeno in parte, la persistente diversità d’opinioni che si verifica nel campo geologico riguardo alla loro età. Infatti, sopratutto nella vallata del Sillaro, data la mancanza dei fossili e di qualsiasi visibile concordanza stratigrafica, riesce molto difficile il segnare un limite fra l’eoeene ed il cretaceo. È vero che nel cretaceo vi è una prevalenza delle vere argille scagliose e nell’eocene invece una prevalenza di calcari e di arenarie; ma dall’ima all’altra condizione litologica si passa gradatamente nel senso che, mentre nelle zone stratigrafiche più profonde i calcari e le arenarie scarseggiano fino a mancare, nelle zone stratigrafiche più alte, succede altrettanto per le argille scagliose, come assai bene si verifica tra Monte dei Mercati e Sassonero. Ora, tenendo conto delle osservazioni fatte personalmente, io sono stato indotto a concludere che delle argille scagliose solo la zona più profonda debbasi ascrivere al cretaceo, perchè solo in essa trovaronsi in posto alcuni di quei fossili che sono ge- neralmente considerati come caratteristici di quel periodo. Più significative del resto ci risultano le relazioni stratigra- fiche che esistono fra i terreni neogenici ed i terreni che sono anteriori ad essi. Infatti, alle Balze di Scarampola ed a Pian- caldoli noi troviamo che le argille scagliose sono a contatto del miocene medio o inferiore; a Sassatello del miocene superiore ed a Piagnano del pliocene inferiore. Talvolta come a Scaram- pola e nella Galleria degli Allocchi, il terreno miocenico ap- (!) Vinassa de Regny, Studi (teologici sulle roccie delVApennino bo- lognese, (Boll, della Soc. geol. it., 1899, pag. 15 e seg.), parlando delle masse gabbriche poste presso al paese di Gaggio Montano, ammette un metamorfismo di contatto esercitato da esse sui calcari marnosi e sul macigno. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 379 pare realmente sovrapposto al terreno cretaceo, ma di solito il contatto fra i due terreni è laterale, cioè con assoluta trasgres- sione stratigrafica, e in questa modalità di contatto si verifica anche qualche volta che il terreno cretaceo si trovi sovrapposto al terreno più giovane. Nell’intento d’interpretare il contatto laterale, si è pensato da qualche studioso a passaggi litologici laterali (') ; ma non mi pare assolutamente possibile applicare mai questa ipotesi nella nostra regione, dove le formazioni, che si trovano appog- giate l’una all’altra, sono differenti sotto tutti i punti di vista e quindi non si possono assolutamente fondere in una forma- zione unica, come vorrebbe la ipotesi dei passaggi litologici. La supposizione poi delle faglie cade davanti al fatto che la formazione cretacea, là dov’è separata dalla formazione mio- cenica per mezzo di corsi d’acqua, come fra Piancaldoli e Giu- gnola, porta lembi isolati miocenici che sono la continuazione altimetrica e stratigrafica della massa miocenica maggiore. Inol- tre la ipotesi delle faglie non potrebbe spiegare la diversa fa- cies o abbondanza di terreni miocenici che si trovano in loca- lità poste ad una certa reciproca distanza, ma che, per vari rapporti stratigrafici, debbono essere ritenuti contemporanei, nè la grande contorsione degli strati miocenici nelle zone in cui essi poggiano sopra i bassi sproni cretacei già altrove ricordati. Pertanto l’idea di un fondo marino eocenico a superficie ba- timetricamente irregolare, sul quale si depositarono i terreni miocenici, tanto in corrispondenza delle zone prominenti, quanto delle interposte zone depresse (2), mi pare ancora quella che meglio spiega contemporaneamente i vari fatti testé esaminati. Ed in verità, ammettendo tale ipotesi, riesce facile di compren- dere come i depositi miocenici contemporanei, essendosi formati a profondità diverse, possano essere risultati diversi ; come i de- (‘) Lotti ( op . cit., pag. 45), sostiene appunto un passaggio laterale di una parte della formazione arenacea a quella calcareo-argillosa sotto San Pietro presso Firenzuola, considerandole perciò come formazioni sincrone e precisamente eoceniche, ciò che mi sembra insostenibile. (?) Scarabelli, Geologia della provincia di Forlì, pag. 20; Manzoni, La geologia della provincia di Bologna, pag. 7 ; Sacco, U Apennino del- l’Emilia, pag. 449, L’ Apennino della Bomagna, pag. 40. 380 G. TOLDO poeiti miocenici formatisi sopra sproni cretaceo-eocenici abbiano subito durante il sollevamento, per la meccanica influenza di questi, notevoli disturbi stratigrafici, e come finalmente, dopo il sollevamento, i depositi miocenici posti sulle zone cretaceo- eoceniche più elevate, e quindi sollevati alle maggiori altezze e messi nelle condizioni di maggiore instabilità, siano stati, in gran parte, asportati, mentre i depositi formatisi nelle zone più depresse si sieno conservati risultando a contatto laterale delle contigue zone cretaceo-eoceniche altimetricamente più elevate di essi. Rimane da osservare che, quando in queste regioni di con- tatto il cretaceo appare sovrapposto al miocene od al pliocene od anche al quaternario, il fatto deve considerarsi in base a ciò che abbiam detto precedentemente, come un etfetto di frana, senza alcuna necessità di ricorrere alla ipotesi dei trabocchi. Tra il miocene ed il pliocene delle nostre colline, esiste anzi- tutto una analogia, inquantochè entrambi principiano con de- positi esclusivamente marini e terminano con depositi litorali o palustri, il che dimostra che tanto il miocene, quanto il plio- cene cominciarono in un tempo nel quale le terre sommerse erano a notevoli profondità, ma stavano per subire un lento e progressivo innalzamento, e che fra il termine del miocene e l’inizio del pliocene avvenne un rapido e notevole abbassa- mento. D’altra parte, fra le due formazioni miocenica e pliocenica esiste da noi, o per lo meno nel contrafforte Sillaro-Santerno, una discordanza dovuta a diverso grado d’inclinazione. Ora tale discordanza, per quanto leggiera, aggiungerebbe notevole valore alla ipotesi di uno spostamento verticale avvenuto tra i due periodi. E quantunque il passaggio dal miocene al pliocene non sia stato contrassegnato da per tutto da dislocazioni o fratture, ed anzi in molti luoghi divenisse graduale, come si rileva dai rapporti litologici e paleontologici che esistono fra le corrispon- denti formazioni, tuttavia non si può negare che talvolta esi- stano, come da noi, stratificazioni mioceniche così disturbate nei loro punti di contatto colle plioceniche, da far supporre che, in corrispondenza di essi, siano realmente avvenuti, al termine del miocene, quegli spostamenti verticali di cui le condizioni geo- CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 381 logiche di questa parte del versante apenninico sono una prova tanto palese. Per quanto finalmente riguarda le relazioni del pleistocene •colle altre formazioni, si rileva che, in corrispondenza delle pro- paggini orografiche degradanti nella pianura a NE della via Emi- lia, il pleistocene copre il pliocene superiore a guisa 'di un vasto mantello; mentre le terrazze occupano invece quei ripiani (‘) che i fiumi avevano in precedenza scavati ; ma questi ripiani non si trovano soltanto sulla parte dei contrafforti che è fatta di roccie plioceniche, bensì com’è naturale, anche in formazioni più an- tiche, come si verifica ripetutamente nel Santerno da Fontana a Firenzuola, per esempio davanti alle balze di Scarampola, e nel Senio da Rivola a Palazzuolo, come dirimpetto alla par- rocchia di Mongardino. Speciale importanza, sopratutto per le possibili applicazioni pratiche, va, senza dubbio, attribuita alle relazioni che esistono tra le formazioni geologiche e l’andamento delle acque sotter- ranee, quantunque nella nostra regione le accurate ricerche e scientifiche e tecniche fatte allo scopo di fornire acqua potabile agli abitanti della pianura romagnola, non abbiano dato sinora buon risultato, sia per la distanza delle sorgenti, sia per la qua- lità o per la quantità dell’acqua. Le principali sorgenti che, nella nostra regione, derivano dal mutuo contatto di roccie pleistoceniche le une permeabili -(sabbie e ghiaie alluvionali), e le altre impermeabili (argille al- luvionali) ritrovansi nelle seguenti località: Fontanoni delle Val- lette, Fondo Verona, Villa Reggiana, Mezzale ecc. (Quota altim. — m. 24-28; — Portata per minuto 2° ~ in media 1. 0,818 per ■ogni trivellazione). Al contatto, invece, di roccie permeabili del pleistocene (sab- bie e ghiaie alluvionali) o del pliocene superiore (sabbie gialle) . •con roccie impermeabili del pliocene inferiore (argille azzurre), vanno attribuite le sorgenti di Casal fiumanese (Q. a. ~ m. 120), Linaro (Q. a. = ni. 73), Rio dei Palazzi (Q. a. = m. 64), Castel- laccio presso Mezzocolle (Q. a. = m. 120 ; — P. ~ 1. 0,544), Quer- ceto presso Mezzocolle (Q. a. — m. 100 circa; — P. ~ 1. 0,693), (') Scarabelli, Sulle pietre lavorate a grandi scheggie, pag. 2, ecc. 382 G. TOLDO Incrocio della via prov. Imola-Firenzuola colla via coni, di Mez zocolle (Q. a. = in. 92 ; — P . — 1. 0,286), Granarolo presso Monte- Catone (Q. a. — in. 238; — P. zn 1. 0,450), Volpe presso Monte Catone (Q. a. z= m 222 ; — P. — 1. 0,370) ; Cascina presso Monte Catone (Q. a. — m. 1 78 ; — P. — 1. 2,250), Orto o Molinetto presso Monte Catone (Q. a. — ni. L29 ; — P. — 1. 2,250), Bertafredda presso Monte Catone (Q. a. — ni. 166 e 178; — P. — 1. 1,214), Palazzina di Mazzoni presso Monte Catone (Q. a. — ni. 210 e 240; — P. — 1.2,842). Le sorgenti invece dovute all’alternanza, di strati miocenici, gli uni argillosi e gli altri arenacei, sono anzitutto quelle del- P Inforco di Vaibruna presso Montefune, del Pio Bellincontro presso Monte del Pio sotto Valdrizzone presso Monte, le quali si trovano rispettivamente alle quote altim. di m. 620, 575-700 e 630 ed hanno una portata complessiva di litri 25 per mi- nuto 2°; poi quelle presso Castel del Pio, sulla strada provin- ciale (Q. a. zz ni. 200), presso Fontana Elice poco sotto la strada provinciale (Q. a. — m. 160) e del Pio Sgarba (Q. a. — m. 130 circa). Analoga è la condizione delle sorgenti del Pio di Rovigo, cioè di Molinazzo, di Val Coloreta, di Cauraggine e del Fondo Val Cavalera, le quali sono a quote altim. rispettive di m. 470, 480, 540 e 620, hanno una portata complessiva di litri 35 ed escono da terreni eocenici. Credo invece di dovere attribuire al contatto fra le argille scagliose e le molasse quelle sorgenti che furono oggetto di spe- ciali studi tecnici da parte dell’ing. Vincenzo Cerasoli, e che si trovano presso Piancaldoli nelle località di Costello (Q. a. — m. 520 ; — P. — I. 3), Spronello (Q. a. — m. 500 ; — P. — 1. 5)- e Moline (Q. a. — m. 500 ; — P. — 1. 8). Un esame minuto delle condizioni geologiche in cui sorgono le acque delle (piali ho fatto cenno, venne già compiuto dal prof. Arturo Issel per le sorgenti delle Val lette (') e dallo scri- vente per quelle di Montecatone, Mezzocolle e Pio Sgarba (*). (') Nella Relazione (lei prof. Ricci Curbastro alla Amministrazione comunale di Lago — 1003. (2) Nella Relazione dell’ing. prof. Gorrieri alla Amministrazione comunale d’imola — 1897. CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 383 NOTA. Il prof. Sangiorgi descrive ( Fossili pliocenici raccolti etc.) circa 135 specie fossili da lui trovate nel Rio Mescola e nel Rio Gambalaro e da lui determinate. Di queste specie solo otto corrispondono a quelle ricordate dal Foresti e sono : Spondylus gaederopus Limi., Venus multilamella Lk., Cerithium vulgatum Brug., Cerithium doliolum Br., Cancellarla liirta Br., Drillia Brocchi Bon., Conus pyrula Br. e Conus striatulus Br. Il Sangiorgi tiene distinte le specie del Rio Gambalaro da quelle del Rio Mescola, e per quest’ultimo Rio tiene distinte le specie delle marne cenerine, delle argille azzurre e dei con- glomerati o delle sabbie. Ordiniamo in uno specchietto comparativo le specie ricor- date in vari gruppi dal Sangiorgi : Rio Mescola SPECIE Rio Gambalaro Marne cenerine Argille azzurre Conglomer. e sabbie Trochocyathus affliti s Rss * * Flabellum avicida Michl » » » var. sici- ìiensis Milne Edw. * Amussium duodecimlaméllatus Broun » * » cristatum Bronn. . . . * Ostrea lamellosa Br * » sp * Spondylus gaederopus L * Pinna BroccJm D'Orb * * Plicatula mytilina Ph * Arca diluvii Lk •i* * * » sp ■* » tetragona Poli * Nucula piacentina Lk ¥ Verticordia argentea Menegh. . . * Bardita rhomboidea Br * * ■384 G. TOLDO SPECIE Rio Gambalaro | Marne . cenerine ÌIO Mk8( Argille azzurre ;ola Conglomer. e sabbie ■Cardium hicins Br * » multicostatum Br. . . . * ¥ » mucronatum Poli . . . * * * Pectunculus glycimeris Lk. . . . * ¥ » insubricus Br. . . . Venus umbonaria Lk * * * » multilamélla Lk * Cylerea pedemontana Ag . . . ' . ¥ * Pccten histrix Dock e Mil. . . . * * » Jacobaeus Lk Corbula gibba Oliv * Dentalium sp * Nerita connectens Font * Turritella tornata Br * ■* * » subangulata Br. . . . ¥ Vermeius intortus Lk * Xcnopliora testigera Bronn. . . . * * » crispa Ivon * Natica Josephinia Risso .... $ % * * » millepunctata Lk * •* Naticina catena Da Costa . . . * ¥ * Niso eburnea Risso * Cerithium crenatura Br * •* » doliolum Br » vulgatum Brug. . . . * Chenopus uttingerianus Risso . . •f* * » pespelecani L. . . . . * Cassis laevigate Dr * » sp * * Galeodea echinophora L * Triton Doderleini D'Anc * » apenninicum Sass * Pianella marginata Mart * Nassa obliquata Br ■* CONTRAFFORTI APPENNINICI FRA IL SILLARO E IL LAMONE 385 SPECIE Rio Gambala.ro ] Marne cenerine Iio Mesc Argille azzurre OLA Conglomer e sabbie Nassa mutabilis L » gibbosula L * » serrata Br * » prismatica Br % » clathrata Bora * » emiliana May * * » turrita Bors * » italica May * » semistriata Br * ■Cyclops neriteus Lk Columbella compita Broun. . . . * » thiara Br Fusus laméllosus Bors •i* Pisania maculosa Lk :fc Pollia plicata Br * -Murex torularius Lk * » truncatulus- For * * » Sowerbyi Mieli * » Lassaignei Bast » Pecchiolanus D’Anc. . . . * » sp * * Mitra scrobicuìata : * » subuliformis Bell Canediaria Bonellii Bell » cancellata Lk. . . . * » lyrata Br » mitraeformis Br. . . . * » varicosa Br * » hyrta Br ❖ Terebra acuminata Bors * » fuscata Br * » plicatula Lk * Pleiir otoma rotata Br * » pinguis Bell 386 G. TOLDO SPECIE Rio Gambalaro Rio Mescola Marne cenerine Argille azzurre Conglomer e sabbie Pleurotoma turricula Br •?* Surcula dimidiata Br * Drillia Allionii Bell * » Broccliii Bon * Clavatula inter rupta Br * Dolichotoma cataphracta Br. . . * * Conns antediluvianus Br * » Broccliii Bromi * » ponderoglans Sacc. . . * , » pyrula Br •fc * » » var. coepolinus Me- ❖ negli » striatulus Br * » virginali', ? Br. ■* » bitorsus For * Protula Canavarii Rov * Turbo rugosus Linn * Chrysodomus cinguliferus Jan. . . * Protula sp * Cladangia sp * Balanus sp * Oxyrliina sp * L’autore conclude con l’escludere la mescolanza di specie mioceniche e plioceniche supposta come probabile dal Foresti (Scarabelli e Foresti, op. c., p. 12). Le specie plioceniche ricor- date dallo Scarabelli nel 1854, Descrizione della Carta della Prov. di Ravenna, devono essere nuovamente determinate. [ms. pres. il 15 maggio 1905 - ult. bozze 27 luglio 1905]. Boll. Soc.Geol. Irai. voi. XXIV (1905) (G.Toldo) Tav.XI. <3 c 1. Au^iwou . 3. m medio. ,, ’wffvàou. 5 . Pliocene Aujienioit . O piegaci 019 e 6. $tio«/fieÀ/ttJcrtÌOie. 11. ,|^ f)Votae ojio?itid>e 9 Au^piùote 4tWiiko . 12 | (^teuniimurvriosi C4VU/ne. 10 « l6. Ul/ujii£e Acoujiioie. SULLE SPIliOLOCULINE ITALIANE FOSSILI E RECENTI Note critiche del dott. Carlo Fornasini 11 genere Spiroloculina, nettamente delineato da d’Orbigny {che lo volle costituito da miliole con camere disposte secondo nn solo piano di simmetria, opposte come in JBiloculina , ma tutte allo scoperto ed egualmente visibili sulle due faccie), è rimasto tino al presente inalterato nei caratteri assegnati ad esso dal fondatore. La semplicità di tali caratteri, per quanto relativa, indurrebbe a ritenere agevole lo stabilire con certezza in quali casi una data miliola sia da ascriversi a Spiroloculina, se l’esistenza di altri due generi, apparentemente affini, ma in realtà molto diversi per la struttura della parte iniziale ( Sigmoi - lina e Massilina di Schlumberger), non potesse esser causa di errore nella determinazione generica di talune forme ('). D’altra parte, anche la determinazione specifica delle spiroloculine non fu scevra di equivoci, generati, tanto dalla conoscenza incom- pleta degli elementi che servirono a istituire la specie, quanto dalla esagerata ampiezza che a questa fu talvolta attribuita; di maniera che, per chiunque vorrà occuparsi della distribuzione di tale gruppo di mi bolidi negli strati terziari della penisola ita- liana e nei mari che la bagnano, non sarà totalmente privo d’interesse il conoscere alcune mie considerazioni, le quali hanno appunto lo scopo di rettificare determinazioni generiche e spe- cifiche. (') A questo proposito basterà ricordare il caso della Sigmoilina celata (Costa) e quello della Sigm. tennis (Czjzek), le quali (particolarmente la seconda) furono riguardate per lungo tempo come spiroloculine. 388 C. FORNASINI * La maggior parte delle spiroloculine ha nicchio calcarea imperforato, bianco e, come snol dirsi, porcellanaceo ; alcune forme però, non diversamente da quel che avviene in altre miliole, sono agglutinanti, vale a dire bau nicchio arenaceo. Tali sono la Sp. arenaria di Brady e la Sp. asperula di Karrer, quali furono illustrate dallo stesso Brady. In esse è naturalmente malagevole il discernere dall’esterno l’ordinamento delle camere iniziali, ordinamento che andrebbe messo in evidenza mediante opportune sezioni, ciò che ancora non fu fatto. In attesa per- tanto di un più accurato esame della intima struttura della Sp. arenaria , che ne stabilisca il valore generico, mi limiterò a no- tare, ammettendo l’identità della forma recente con quella fos- sile, che questa specie è rarissima nel pliocene italiano. Sol- dani fu primo ad osservarla e a figurarla, e il rinvenimento che egli ne fece alla Coroncina ebbe conferma in questi ultimi tempi, per le osservazioni mie e per quelle di Silvestri. Del resto, I)e Amicis ne raccolse pochi esemplari a Trinità Victor, e la sua varietà perlonga, in cui la regione periferica è più compressa della mediana, e il margine appare subacuto, si al- lontana molto dal tipo, il quale ha margine arrotondato (« peri- pheral edge rounded »). Quanto poi alla Sp. asperula , dirò sol- tanto che, dei pochissimi esemplari osservati dallo stesso De Ami- cis a Boufornello, due sono riferibili « con maggiore pro- babilità » alla medesima, mentre gii altri, più grandi, si accostano a quello rappresentato dalla figura 11 di Brady, e da questi ascritto con dubbio alla specie di Karrer. Oltre a ciò, è notevole la somiglianza nell’aspetto esteriore della Sp. aspe- rula con la Sigmoilina tennis , così che non ci sarebbe da mera- vigliarsi se ulteriori osservazioni la rivelassero pure una sig- moilina. Anche Dervieux avrebbe rinvenuta la Sp. asperula a Sant’Agata Fossili. SPIROLOCULINE ITALIANE 389- * * * Le spiroloculine porcellanacee sono liscie, o semplicemente adorne di rilievi concentrici, ovvero costolate. In ogni caso esse si presentano sotto diverso aspetto secondo la figura della sezione trasversa delle camere, la quale può essere subcircolare o ellit- tica, subrettangolare o subquadrangolare in genere, con uno o più lati curvi verso l’interno o verso l’esterno; mentre d’altra parte, per la maggiore o minore rapidità d’accrescimento delle camere stesse, le due faccie possono acquistare maggiore o minor grado di concavità. Ora, tenendo conto della prevalenza di uno dei caratteri, e volendo in pari tempo disporre le presenti note con un certo ordine, reputo conveniente distinguere le spirolocu- line non costolate in quattro gruppi, i quali mettono capo rispet- tivamente a Sp. nitida , Sp. depressa , Sp. canalicidata c Sp. excavata. Si tiene per dimostrato, che fra l’uno e l’altro di tali gruppi non è possibile tracciare una linea netta di demar- cazione. iji ìJj A proposito della Sp. nitida , importa anzitutto ricordare, che la forma illustrata da Brady sotto quel nome, avendo margine angoloso, \a riguardata come varietà carinata del tipo, del quale è invece caratteristica la rotondità del margine stesso. Le figure di Soldani citate da d’Orbigny, che riproducono esemplari non si sa bene se del mare toscano o di Rimini, non danno ragione del carattere marginale; quelle di Terrigi, relative a forme fossili del Quirinale e di Capo di Bove, lasciano alquanto a desiderare per il modo con cui fu reso l’ordinamento delle camere, e le determinazioni di Mariani, che concernono materiale rac- colto in quel di Viterbo e al Capo San Marco in Sardegna, non sembrano ben certe. Comunque sia, la Sp. nitida è piut- tosto rara nel neogene italiano. Seguenza l’avrebbe raccolta a Benestare, a Monosterace e a Reggio in Calabria; 0. Silvestri, nei dintorni di Siena; e Clerici, al Capo Mele in Liguria. Per parte mia, ho potuto rinvenirne parecchi esemplari tra le sabbie di Porto Corsini: la mia Sp. terqiiemiana di questa località 390 C. FORNASINI non c altro che una forma suborbiculare (li Sp. nitida. Anche la Sp. orbicularis di Castellarquato sembra differire soltanto per essere costituita da maggior numero di camere (*), mentre la Sp. rotunda , quale almeno fu illustrata da Terquem nel 1878, pur ricordando da vicino la Sp. orbicularis, ne differirebbe per la minore rotondità del margine. La figura soldaniana, sulla quale fu istituita la Sp. rotunda, riproduce una forma del mare toscano, o fors’anche di Rimini, senza tener conto del carat- tere marginale; di maniera che sarebbe veramente interessante conoscere gli esemplari di Monosterace e di Reggio che Seguenza riferì a Sp. rotunda, per accertare se la determinazione fu fatta in base alla figura di Terquem. Tali sono pertanto le varietà che sembrano connettersi più intimamente alla tipica Sp. nitida {J). Tre altre spiroculine con margine arrotondato, cioè la Sp. cle- gans di Silvestri, la Sp. explanata di Costa e la Sp. foliacca di Sclnvager, presentano molta incertezza. La prima, fossile alla Coroncina, sarebbe, secondo quanto scrive il suo autore, « da collocarsi fra la S. sol danti e la S. tennis»', ma, evidentemente, la Sp. soldanii, qualunque ne sia il valore specifico, nulla ha a che fare, per dimensioni, per caratteri marginali e per i rilievi concentrici, con la Sp. elegans , mentre la Sp>. tennis è, coni’ è noto, una Sigmoilina. La Sp. explanata poi, che non fu mai figurata da Costa, ebbe inoltre insufficiente descrizione, sebbene le parole « composta di molte cavità assai delicate, quasi rifon- date ne’ lati esterni » lascino sospettare con qualche fondamento che possa trattarsi della Sigm. tennis. E da quest’ultima, final- mente, non vedo in che differisca -da Sp. foliacca del tufo di Stretto. (') Pubblicando il disegno orbignyano inedito della Sp. orbicularis, accennai la possibilità dell'esistenza del dimorfismo iniziale anche nella Sp. nitida , di cui quella sarebbe la forma microsferica. S’ intende che l’ipotesi dev’essere convalidata da accurate osservazioni. C) L’altra figura soldaniana su cui fu istituita da d’Orbigny la Sp. plicata riproduce essa pure una forma del mare toscano o del lido riminese, la quale ricorda fino a un certo punto la Sp. nitida. Ma anche in questo caso il carattere marginale ci è totalmente ignoto. SPIROLOCULINE ITALIANE 391 * * * Le spiroloculine con camere a sezione trasversa subrettan- golare, e con leggera concavità delle faccie, fanno capo alla Sp. depressa. Dico Sp. depressa e non Sp. planulata, come certamente preferirebbero i rizopodisti inglesi, e non a caso. Infatti, che cos’è in realtà la MilioUtes planulata di Lamarck? Essa comprende almeno tre forme: a, (3, y; delle quali sappiamo soltanto che (3 (proveniente dal mare di Corsica) è alquanto tur- gida, mentre y è molto piana ed è carenata al margine. Può darsi che la Sp. depressa vada riferita ad a o a y, ma non ne siamo certi, poiché i dati descrittivi sono insufficienti e le figure mancano. Rimane poi a verificarsi se tutte le forme ascritte dagli autori inglesi a Sp. planulata spettino realmente ad una sola specie. Pare, ad esempio, che quella del crag figurata da Jones, Parker e Brady nel 1866, e l’altra dragata dal « Chal- lenger » e figurata da Brady nel 1884, differiscano dalla comune Sp. depressa riprodotta da d’ Orbigny e da Schlumberger, la quale è costituita da un maggior numero di camere e presenta un certo grado di concavità delle faccio. Ne consegue che, quando leggiamo che Jones e Parker hanno trovata comune la Sp. planulata sulle spiaggie di Livorno e di Spezia, e allo stato fossile a Palermo, a Pienza e a Montopoli, dobbiamo procedere con cautela prima di ammettere come frequente in quelle lo- calità anche la Sp. depressa. Probabilmente questa vi si trova, e si trova pure in molti altri depositi per i quali vediamo citata la Sp. planulata. Patta eccezione per Cellamonti nel Senese e per la secca di San Yito presso Bari, ove Silvestri la raccolse abbastanza in copia, la Sp. planulata si disse rara a Trinité Victor (De Amicis), a San Colombano (Mariani), a Castellarquato e a Monte Baranzone (Malagoli), al Ponticello di Savena (For- nasini), a Sansepolcro e a Contrada la Croce (Silvestri), a Mo- nosterace e a Reggio di Calabria (Seguenza). D’Orbigny raccolse a Castellarquato gli esemplari su cui istituì la Sp. depressa, della quale fu anche fatta menzione da Mantovani per il Monte Mario, e da Caziot per il mare di Bastia. E incerto se Dervieux l’abbia rinvenuta a Sant’Àgata Fossili, e più ancora se la figura 26 C. FORN ASINI o92 soldaniana, die d’Orbigny ascrisse a Sp. depressa e che ripro- duce una forma del mare toscano o di Rimini, sia proprio da riferirsi a tale specie. Trattando poi della Sp. dilatata del bacino di Vienna, d’Orbigny ebbe a dichiarare che « voisine du Sp. depressa, cette espèce s’eu distingue seulement par la dent de son ouverture simple et non bifurquée ». Ciò equivale a dire che le due forme sono tra loro specificamente insepara- bili e che la Sp. depressa fu trovata anche al Monte Mario (Conti), a Benestare (Seguenza) e a Gfirgenti (Mariani) ('). Non lontana da essa, infine, dev’ essere la Sp. badenensis, comune a Benestare (Seguenza) e rinvenuta pure alla Tagliata (Coppi), alla Sarsetta (Malagoli) e al Capo San Marco (Mariani), poiché non sembra differirne che per la maggiore ottusità dei margini. ❖ ❖ A giudicare dalle numerose citazioni della Sp. canaliculata, si direbbe che questa specie fosse molto diffusa negli strati neo- genici d’Italia e dovesse considerarsi come ben definita e ben conosciuta. Pare, al contrario, che si sia in presenza di molte incertezze al riguardo. Costa ed Egger, intanto, sono i soli che citando la Sp. canaliculata abbiano dato figura delle spirolo- culine ad essa riferite e provenienti rispettivamente dalle Starze presso Pozzuoli e dal Monte San Bartolomeo presso Salò. Ma tali figure, quella di Costa principalmente, non lasciano molto tranquilli sull’identità delle forme d’Italia con quella di Vienna. Degli altri autori, Seguenza, che trovò comunissima la Sp. ca- naliculata a Benestare, e che la raccolse anche a Riace, a Vito, a Monosterace e a Reggio in Calabria, si limitò a qualificarla « specie molto piccola e ben distinta per le logge scanalate », e Silvestri, in base ad esemplari della Coroneina, si diffuse a trattare dell’affinità, secondo lui notevolissima, che esisterebbe fra essa e la Sp. tenueseptata di Brady. Quest’ultima specie fu da prima riscontrata dal medesimo nel mare Ionio lungo la (') Pantanclli confronta una forma, da lui osservata nella sezione sottile di un calcare miocenico di Gesso nel Bolognese, con una Sp. dilatata di Reuss che non esiste. Probabilmente, egli ha voluto riferirsi alla specie di d’Orbigny. SPIROLOCULINE ITALIANE 393 costa orientale di Sicilia, a profondità di 100 a 1100 metri, in esemplari che corrispondevano per bene alla figura 5 di Brady. Tre anni dopo, avendo egli trovata in copia la stessa forma alla Coroncina, non esitò a designarla col nome di Sp. cana- liculata var. tenueseptata. Per Silvestri, la scanalatura del mar- gine non avrebbe valore distintivo, poiché tanto gli esemplari del tipo quanto quelli della varietà avrebbero indifferentemente « il margine periferico generalmente piano o leggermente av- vallato nel mezzo, assai di rado tondeggiante ». Stando al con- cetto orbignyano, la Sp. canaliculata differirebbe da altre con- generi per la doppia carena e per la scanalatura marginale, carattere quest’ultimo che viene considerato come distintivo per- fino dai rizopodisti inglesi (Foram. Crag, p. 103, fig. 3 a, 3 b) ; di guisa che andrebbero escluse dalla sinonimia della Sp. ca- naliculata tutte (piante le spiroloculine con margine piano, com- presa la tenueseptata. Secondo me, la Sp. canaliculata deve essere stata confusa con altre forme (1), ed è perciò che le nu- merose citazioni di essa vanno considerate con la massima ri- serva. Mi permetto soltanto di ricordarne il rinvenimento: nel Piemonte in genere (Sacco), a Bordighera e ad Albenga (Bur- rows e Holland), a Savona e al Pio Crasale nel Bellunese (Ma- riani), a Castellarquato, alla Sarsetta e a Sassuolo (Malagoli), al Capriolo, alla Tagliata, .a Solignano, a Grizzaga e a Munara (Coppi), al Ponticello di Savena (Fornasini), a San Quirico d’Or- cia (.Jones e Parker), al Monte Mario (Conti), a Castellalto nel Teramano (Cernili), ad Aei Castello (Seguenza) e a Contrada la Croce (Silvestri). * Maggiore confusione avvenne tra Sp. excavata e Sp. lim- itata, due forme che hanno di comune la notevole concavità delle faccie, ma che differiscono per il grado della concavità stessa e per altri caratteri. Pubblicando recentemente il disegno ine- (') Abbiamo, per citare un esempio, il caso di una spiroloculina, non descritta, ma figurata da Costa, e da lui determinata come varietà della Sp. canaliculata (Atti Acc. Pontan., VII, p. 369, tav. XXIV, fig. 9). Essa mi ricorda piuttosto la Sp. excavata. 394 C. FORNASINI dito orbignyano della Sp. limbata, ho accennato in breve la maniera con la quale si generò in parte una simile confusione. Fu senza dubbio deplorevole che d’Orbigny, allorché istituì la specie (in base ad esemplari di Castel larquato), non pubblicasse la relativa figura e si limitasse a citare una figura di Soldani (che riproduce una forma fossile di Borrocieco), figura incerta sotto vari aspetti; ma più ancora ebbe torto chi, sopra una inda- gine mal definita, pretese di stabilire definitivamente il valore della specie. La figura soldaniana, già creduta di Sp. Ululata, fu da me ascritta nel 1880 a Sp. excavata , e, a quanto pare, con un certo fondamento, poiché nove anni più tardi i rizopo- disti inglesi furono dello stesso avviso (Forum. Crag, p. 107) e credettero preferibile abbandonare il termine limbata di d’Or- bigny per sostituirlo in molti casi con dorsata di lieuss (1). Brady però, pubblicando la sua opera nel 1884, si tenne al primo sistema e ascrisse a Sp. limbata tre forme, le quali, come si rileva dal confronto col disegno inedito, nulla hanno a che fare con essa. Anzi, di queste tre spiroloculine, quella che è rappre- sentata dalle figure 15 e 1G è nò più nò meno che la tipica Sp. excavata. Se poi si considera clic quella forma che fu il- lustrata dallo stesso Brady nella stessa tavola sotto il nome di Sp. excavata è per l’appunto la Sp. limbata di d’Orbigny, fa- cilmente si comprenderà quale deplorevole confusione sia deri- vata dal prendere come base di determinazione le determina- zioni di Brady esclusivamente. Se da un lato, pertanto, sono da ritenersi di poco valore, perchè basate sulla figura soldaniana, le citazioni di Sp. limbata anteriori al 1884 (quali sono quelle di Jones e Parker per le spiaggie di Livorno e di Spezia, e (L Nel 1866, Reuss, considerando che il termine limbata era già stato adoperato da d’Orbigny per designare una specie clic egli credeva diversa dalla Sp. limbata di Bornemann, propose di applicare a quest'ul- tima il nuovo nome dorsata. Brady, nel 1884, associò la Sp. limbata Born. a quella di d’Orbigny; ma, nel 1895, gli autori inglesi accettarono la proposta di Reuss adottando per la spiroloculina di Bornemann il termine dorsata, il quale fu esteso anzi a molte altre forme riferite prima a Sp. limbata d’Orb. — Schubert ha citato la Sp. limbata Bora, come rinvenuta nell’oligocene di Cologna presso Riva nel Trentino; ma la sua determinazione non appare sicura. SPIROLOCULINE ITALIANE 395 per i dintorni di Palermo, di 0. Silvestri per il Leccese, di Brady per il porto di Cagliari, di Seguenza per Gallina, Peg- gio e Bovetto, di Coppi per la Fossetta e la mia per il Ponticello di Savena) sono dall’altro lato da accogliersi con grande riserva le citazioni di Sp. limbata posteriori al 1884, perchè basate probabilmente sulle figure di Brady. Tali sono quelle di De Ami- cis per Trinité Victor, di Corti per Almenno, di Terrigi per il Pincio e di Silvestri per la secca di San Vito. Più chiare ri- sultano le determinazioni dello stesso Silvestri allorché egli si riferisce esplicitamente alla figura 15 di Brady, la quale, come sopra ho detto, rappresenta, non già la tipica Sp. limbata , ma piuttosto la Sp. excavata; di guisa che si potrebbe concludere che questa seconda specie fosse comune nel Ionio, lungo la costa orientale di Sicilia, da 22 a 1500 metri di profondità, nonché alla Coroncina, a Borrocieco e a Contrada la Croce. In quest’ul- tima località, nonché a Cellamonti c a Staggia nel Senese, l’au- tore medesimo scrive di avere osservato un’altra spiroloculina che egli considera come varietà elongata della Sp. limbata, riferendosi alla figura 17 di Brady, la quale è anche più lon- tana della figura 15 dal tipo delle « Planclies iuédites », eri- corda invece quanto mai la Sp. depressa. Nella secca di San Vito egli trovò frequenti tre varietà di Sp. limbata, che distinse coi nomi di elongata, planulata e rotundata. La prima fu da lui citata, in base ad esemplari delle coste dalmate, nel 189(3, nel quale anno anche Dezelic fece menzione di una varietà elon- gata, trattando di materiale di provenienza identica. E quasi certo che si tratta della stessa forma. Siccome poi Silvestri, de- scrivendola, non si riferì alla figura 17 di Brady, come fece per la varietà elongata del Senese, così abbiamo ragione per credere che quest’ultima sia diversa da quella dell’Adriatico, tanto più che tale diversità sembra emergere anche dalla suc- cinta descrizione. Quanto alla varietà planulata, nulla sappiamo, tranne che « pur corrispondendo ai caratteri generali della forma tipica » essa è fortemente depressa. E, finalmente, della rotun- data l’autore scrive soltanto che è « la varietà a contorno ar- rotondato, così comune nei nostri mari ». In generale però ci è lecito asserire che molto probabilmente nessuna delle suddette spiroloculine di Silvestri appartiene alla vera Sp. limbata, alla 396 C. FORN ASINI quale invece sembra molto vicina quella di Castellarquato, che d’Orbigny denominò Sp. dm gaia e di cui ho fatto conoscere di recente la figura inedita (‘). Contrariamente alla Sp. limbata , la Sp. excavata ebbe ot- tima illustrazione dal suo fondatore, di maniera che essa non avrebbe dovuto dar luogo ad equivoci, nè andar soggetta a no- tevoli alterazioni. Ma il fatto stesso dell’avere gli autori inglesi voluta attribuire molta importanza ad un solo carattere, quello del rapido accrescimento delle camere, ebbe per conseguenza che venissero ascritte a Sp. excavata tutte le forme in cui si osservò forte contrasto di spessore tra la parte centrale e la periferica. Cosi avvenne che Brady figurasse sotto quel nome esemplari di Sp. limbata. Le citazioni di Sp. excavata, anteriori al 1884, hanno pertanto maggiore probabilità di essere basate sulla illustrazione orbignyana. Tali sarebbero: quelle di Costa per Casamicciola, di 0. Silvestri per Siena, di Conti per il Monte Mario, di Brady per il porto di Cagliari, di Coppi per la Ta- gliata, per Solignano, Grizzaga e Munara. di Seguenza per Gal- lina, Reggio e Monosterace, di Cafici per Li codia Eubea e di Mariani per il Capo San Marco. Degli autori posteriori al 1884 che citano la Sp. excavata, il solo Corti si riferisce esclusiva- mente alle figure di Brady; perciò può dirsi che ad Almenno egli raccolse la vera Sp. limbata. De Amicis, descrivendo un esemplare di Trinité Victor che egli determina per Sp. exca- vata, dichiara che esso « non corrisponde esattamente nè alla figura data dal d’Orbigny, nè a quella data dal Brady». Gli altri non accennarono i caratteri degli esemplari da loro osser- vati, cioè: Mariani per San Colombano, Malagali per Castellar- quato, Reggio e Monte Gibio, Silvestri per Borrocieco, Bur- rows e Holland per il Monte Pellegrino. Quella forma che Costa trovò fossile al Passo del Gatto in Calabria e che egli descrisse, G) Molto prossima alla Sp. limbata si direbbe la Sp. pvlclidla, della quale pure ho pubblicato recentemente il disegno inedito orbignyano; ma non è certo se essa sia stata raccolta nel neogene d’Italia. La cita- zione fattane da Mantovani nel 1874, clic l’avrebbe trovata fossile al Vaticano, va considerata come erronea, poiché non si comprende come egli potesse conoscere una specie di cui al suo tempo non era noto che il nome. SPIROLOCULINE ITALIANE 397 senza figurarla, sotto il nome di Sp. excavata var. rotundata, sarebbe semplicemente «più rotonda del suo tipo » : non appare quindi giustificata una separazione dal tipo medesimo. Al quale è probabilmente da ascriversi anche queiraltra spiroloculiua del golfo di Napoli o di Taranto che lo stesso autore figurò, senza descriverla, nella « Fauna del Regno di Napoli ». La Sp. crassa di Seguenza, fossile a Benestare, è certamente affine a Sp. ex- cavata, ma sembra differirne, non solo per le molto maggiori dimensioni e per la minore concavità delle due faccie « dove le logge in minor numero sono appianate », ma anche per es- sere più orbicolare e spessa e per avere orificio subtriangolare. Finalmente, quanto alla Sp. soldanii , da me istituita su figure soldaniane e su esemplari della Coroncina, debbo ricordare sol- tanto che i rizopodisti inglesi, pur ritenendo che la specie sia insussistente, cadono però in una grossa contraddizione quando si tratta di stabilire a quale altra forma sia da associarsi, poiché contemporaneamente la riguardano come sinonima di Sp. exca- vata e di Sp. clorsata (Foram. Crag, p. 106, 111). Ciò si spiega col fatto che nella Sp. soldanii essi videro i caratteri princi- pali delle due, vale a dire la duplice concavità della prima ed i rilievi subconcentrici della seconda ; ma è appunto per una tale concomitanza di caratteri che reputai conveniente proporre un nome nuovo per una forma che non potevo giustamente clas- sificare. * * * Le spiroloculine costulate che si dissero raccolte in Italia sono due: la Sp. grata di Terquem, quale fu illustrata da Brady, e la Sp. striata di d’Orbigny. La prima fu trovata fossile da Terrigi al Pincio, e da Bnrrows e Holland a Bordighera ; la seconda sarebbe stata rinvenuta da Jones e Parker sulle spiag- gie di Livorno e di Spezia. Ma, a proposito della Sp. striata, importa osservare che questa specie istituita nel 1826, ma con- frontata soltanto con la Sj>. antillarum di Cuba, non poteva essere conosciuta dai due autori, per la semplice ragione che il disegno inedito orbignyano fu pubblicato soltanto nello scorso anno. È lecito quindi sospettare che i due autori inglesi abbiano fatto uso di tale denominazione in senso molto comprensivo: 398 C. FORNASINI può darsi che la forma da loro osservata sia realmente la Sp. striata , ma non è da escludersi che si tratti anche della Sp. [/rata, se non della Sp. antillarum. * Da quanto ho esposto è facile concludere che, se da un lato sono abbastanza numerose le osservazioni fin qui eseguite sulle spiroloculine fossili e recenti d’Italia, dall’altro però, il modo col quale fu reso conto di tali osservazioni non permette asso- lutamente di presentare soddisfacenti risultati sulla distribuzione del genere in parola, molte essendo le incertezze e parecchi gli equivoci. Al punto in cui sono le cose, non rimane altro a fare che rivedere, per quanto è possibile, il materiale già descritto e illustrato, procurarsene del nuovo ; poscia, tenendo calcolo, se pure lo si crederà opportuno, delle note precedenti, che avreb- bero l'intento di sbrogliare l’intricata matassa, cercare di ripro- durre esattamente le forme fondamentali e quelle di passaggio, fissando la nomenclatura delle specie in base al concetto pre- ciso che di esse ebbero i fondatori. SPIROLOCULINE ITALIANE 390 Indice delle specie e varietà di Spiholoculina DI CUI È PAROLA NELLE NOTE PRECEDENTI. arenaria Brady. . . . pag. 388 grata Terquem . . • • pag. 397 » va r. perlonga limitata d’Orb. . . • » 393 De Araicis . . . . » 388 limbata Bora. . . . » 394 antillarum d’Orb. . . . » 397 limbata (d’Orb.) Brady . » 394 asperula Karrer . . . » 388 » var. elongata Silv. » 395 badenensis d’Orb. . . . » 392 » » planulata canaliculata d'Orb. . . » 392 Silv. » 395 » var. tenue- » » rotundata septata Brady . . • » 393 Silv. » 395 celata Costa . . . » 387 nitida d’Orb . . . . » 389 crassa Seg. . . » 397 » var. cannata Fora. » 389 depressa d’Orb. . . » 391 orbicularis d’Orb. . . » 390 dilatata d’Orb. . • » 392 planulata Lara. sp. . » 391 dorsata Reuss . • » 394 plicata d’Orb. . . • » 390 elegans Silv. . . » 390 pulcliella d’Orb . . . » 396 elongata d’Orb. . . » 396 rotunda d’Orb. . . • » 390 excavata ; d’Orb. • • • » 396 soldanii Fora. . . . » 397 » var. rotundata striata d’Orb . . . • » 397 Costa . . . » 397 tenueseptata Brady • • » 392 excavata (d’Orb.) Brady » 396 tennis Czjzek. . . • • » 387 explanata Costa . . . » 390 terquemiana Fora. . • » 389 foliaeea Schw. . . . . » 390 [ras. pres. l’il maggio 1905 - alt. bozze 28 luglio 1905]. SABBIA MANGANESIFERA DI MONCUCCO TORINESE Nota del socio dott. Alessandro Roccati 'c — I. Percorrendo la, strada che va da Berzano a Castelnuovo d’Asti svolgendosi in fondo alla valle della Morra, s’incontrano poten- temente sviluppate le formazioni del Miocene Medio (Elvezicmo superiore) (*) rappresentate da arenarie, conglomerati e sabbie, con prevalenza or dell’ima or dell’altra, e che sovente sono as- sociate con una certa regolarità, posando i conglomerati sopra gli strati sabbiosi. Ora in prossimità del Comune di Moncucco Torinese ebbi occasione di osservare in queste formazioni elveziane l’esistenza di una sabbia manganesifera la cui interessante composizione e giacitura mi paiono degne di una speciale menzione. Nel punto ove raccolsi la sabbia manganesifera si ha uno sviluppo potente di conglomerato, i cui ciottoli vengono utilizzati per l’inghiaiamento della strada, e per l’estrazione dei quali fu praticata una trincea che mette in evidenza la presenza al di- sotto del conglomerato di strati sabbiosi gialli alternativamente fossiliferi e non fossiliferi. I ciottoli costituenti il conglomerato, hanno dimensioni va- riabili da quella di un uovo di gallina, a massi di circa 20 a 30 centimetri di diametro; anzi sono in prevalenza i ciottoli a di- mensioni maggiori che vengono quindi frantumati prima di es- sere adibiti all’inghiaiamento. A costituire il conglomerato, tranne pochi ciottoli di quar- zite, si hanno esclusivamente roccie verdi, rappresentate da eu- (’) Per la posizione delle formazioni elveziane si vegga: Sacco F., I Colli Torinesi, carta geologica alla scala 1:25 000. Torino, 1887. 40-2 A. ROCCATI fòt idi , anfiboliti , ('elogiti, granatiti, glauco falliti, e meno connine- mente da calccfìri anfibolia e prasiniti , essendo anche abbondanti i serpentini di vario tipo, tra cui alcuni presentano ancora vi- sibili lamine di diallaggio e sembrano provenire dall’alterazione di lherzoliti. Notevole è poi la presenza costante, e talora prepon- derante. della glaucofane nelle roccie antìboliche, una delle quali contiene pure abbondanza straordinaria di magnetite. La natura del materiale roccioso del conglomerato rivela una provenienza indubbiamente alpina ed anzi credo che si possa ricercare il luogo d'origine nella zona delle pietre verdi delle Alpi Graie (Valli della Stura di Lanzo, dell'Orco, e della Dora Haltea). Ora sopra la sabbia non fossilifera sottostante al conglome- rato, notai la presenza di uno strato di cui non potei esatta- mente determinare l'estensione, ma dello spessore di circa 5 cm., costituito da una sabbia nera, ben distinta dalla sabbia gialla inglobante. Tale sabbia nera, mediante setacciatura, si può facilmente separare in due parti, delle quali l’ima è costituita da granuli macroscopici nerastri, l'altra da una polvere finissima, quasi im- palpabile. di color nero intenso e che macchia facilmente le dita e la carta. La parte macroscopica, dopo separato il materiale polveru- lento, si rivela costituita, anche quando la si osservi semplice- mente con una lente, da granuli di vari minerali inquinati dalla sostanza nera polverulenta. Il materiale nero svolge nel riscaldamento abbondante acqua e trattato con acido cloridrico a caldo dà una forte effervescenza con sviluppo di cloro. Trattasi di un minerale di manganese, il che è pur reso manifesto dalla perla al borace c da ciò che trattando un po’ del minerale con carbonato sodico sopra una lamina di platino, la massa assume la colorazione verde-sme- raldo caratteristica del manganese. Dopo il trattamento con l'acido cloridrico, si ottiene un resi- duo minutamente pulverulento, di colore grigio-chiaro, clic ri- sulta formato da abbondantissime laminette grigiastre di mica con granuli prevalentemente di quarzo. Il liquido proveniente dal trattamento con l'acido è fortemente colorato; precipitando da esso il ferro ed il manganese, diventa limpido, incolore ed SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 403 allo spettroscopio mi indicò distintamente la presenza del bario; potei di più ottenere facilmente la precipitazione di questo ele- mento, aggiungendo acido solforico alla soluzione concentrata. Dai saggi sopra indicati, concludo quindi che il materiale nero costituente la parte pulverulenta della sabbia deve consi- derarsi come psilomelano bariti fero. La parte grossolana può esser liberata dallo psilomelano che la inquina mediante setacciatimi e ripetuti lavaggi; assume al- lora color giallognolo che diventa grigiastro dopo trattamento con acido cloridrico. In questo trattamento non ebbi che debole effervescenza, il che dimostra la scarsa quantità di calcare con- tenuta; esaminata al microscopio risulta formata da granuli o rotolati od a spigoli vivi, talvolta in cristalli interi, dei seguenti minerali: quarzo, feldspato, serpentino, anfìboìo, glaucofane, ru- tilo, granato, tormalina , magnetite, zircone con abbondantissime laminette di muscovite ed altre scarse di biotite. Questi mine- rali sono quelli appunto della sabbia circostante ed hanno pure i caratteri di essi, come indicherò in seguito. Lo strato nero sottostante al conglomerato va quindi consi- rato come un accentramento di psilomelano che in parte ha in- quinato i granuli della sabbia su cui poggia. Ora quale può essere l’origine di questo psilomelano? Una spiegazione d’indole chimica potrebbe forse ricercarsi nella precipitazione di sali di manganese contenuti nelle acque del mare miocenico in seno al quale si depositarono i sedi- menti che costituiscono le formazioni elveziane della Collina di Torino. Infatti secondo ricerche di Dieulafait (*) tutte le acque marine contengono il manganese allo stato di carbonato di protossido, sciolto come bicarbonato per eccesso di anidride carbonica; in seguito agli scambi gassosi che avvengono alla superficie, l’ani- dride carbonica si libera ed una parte del manganese precipita allo stato di carbonato insolubile. Di più, secondo ricerche di C) Le manganese dans les eanx des mers actuelles et dans certains de leurs dépóts; conséquence relative à la ernie bianche de la per io de secondane. C. R., XCVI, 1883, p. 718. 404 A. ROCCATI Dieulafait ('), Berthelot (!) e Boussingault (3), una parte del bicar- bonato sciolto nell’acqua del mare, per reazione con l’ossigeno, passa allo stato di biossido o sesquiossido e precipita. Per cui Dieulafait ammette che in tutta la distesa dei mari si abbia un’incessante formazione di ossidi di manganese, i quali per gravità cadono sul fondo ove si accumulano qualora il mare non riceva che poco o niente di altri sedimenti. Qualora per lo psilomelano delle sabbie di Moncucco Torinese si potesse accettare T ipotesi di formazione per via chimica, bisognerebbe ammettere nello stesso tempo che il suo deposito fosse avvenuto in un periodo di tempo in cui cessavano gli altri fenomeni di sedimentazione. Ora l’alternarsi della sedimentazione con fasi di riposo si potrebbe forse spiegare quando si ammet- tesse per le sabbie (almeno per le non fossilifere) la ipotesi di un trasporto glaciale avvenuto durante il Terziario. Non intendo discutere (pii tale ipotesi, limitandomi a ricordare che fu soste- nuta da Gastaldi (J) e da parecchi altri autori (5) e recentemente risollevata da Colomba (6j per alcune sabbie di Marentino e da me (7) per i massi e ciottoli dell’Elveziano dei dintorni di San Raffaele Torinese. Ad ogni modo non credo che l’ipotesi chimica su accennata possa dare una spiegazione esauriente circa alla presenza dello psilomelano nelle sabbie di Moncucco, poiché anzitutto essa non (') Exisience dii manganese à Vétat de diffusion complète daus les marbres bleus de Curvare, de Paros et des Pyrénées. Tbid., XCVIII, 1884, p. 589. — Le manganése dans les terrains doloniitiques. Ibid., XCVT, 1883, p. 125. (?) Sur la formation naturelle du bioxyde de manganese et sur quelques réactions des peroxydes. Ibid., XCVI, 1883, p. 125. (3) Annales de Chimie et de Physique, 5® sèrie, t. XXVI J. (4) Martina et Gastaldi, Essai sur les terrains superficiels de la Vallèe du Po aux environs de Turin coniparés à ceux de la piaine suisse. Bull. Soc. Géol. de France, t VII, 1850. (5) Per una bibliografia completa sull’argomento si vegga: Virgilio F., La Collina di Torino in rapporto alle Alpi, all’ Appennino ed alla pia- nura del Po. Torino, 1895. (e) Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della Collina di To- rino. Atti R. Acc. delle Se. di Torino, 1896, voi. XXXI. (’) Ricerche sulla provenienza del materiale roccioso della Collina di Torino. Atti Li. Acc. delle Se. di Torino. Voi. XXXII, 1897. SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 405 spiega il perchè della localizzazione ristretta del fenomeno, ed in secondo luogo perchè l’ossido di manganese che si forma nelle condizioni indicate da Dieulafait e dagli altri autori è la piro- insite e non mai lo psilomelano, che esiste invece nel mio caso. Una seconda spiegazione per la presenza dello psilomelano associato alle sabbie mi viene suggerita dall’avere incontrato nella zona delle pietre verdi delle valli di Lanzo e altre valli limitrofe, accentramenti di minerali di manganese (braunite, rodouite, psilomelano, ecc.), come anche l’aver osservato in alcuni punti questi sali di manganese inquinare le masse di certe roccie. Ammesso che nei conglomerati vi fossero ciottoli di tale natura e provenienza, (ed ho detto sopra che la composizione del conglomerato permette l’ipotesi che i suoi materiali proven- gano da tale regione alpina) si potrebbe ritenere che i ciottoli inquinati di psilomelano fossero stati disgregati per le azioni meteoriche, mentre già si trovavano nel conglomerato, e che le acque abbiano concentrato il manganese nel punto ove si trova attualmente. È notevole infatti che lo strato manganesifero si trova immediatamente sotto il conglomerato, quasi a contatto con esso. Finalmente una terza spiegazione mi è suggerita dai feno- meni di concentrazione dei minerali pesanti, operata per azione delle onde, nei sedimenti marini, e particolarmente da un caso indicato dal Paroma (Q e ricavato da osservazioni fatte dal Vir- gilio sulle coste del mare nelle vicinanze di Bari (2). Il Virgilio potè osservare come la sabbia portata dall’Ofanto nell’Adriatico contiene insieme a granuli quarzosi e calcarei, altri di magnetite e di augite, i quali per maggior peso speci- fico si depositano prima degli altri, che vengono portati al largo, e formano strati superficiali neri che a chiazze spiccano sul colore grigiastro della sabbia silicea. Queste chiazze scompaiono o si rendono visibili a seconda dell’azione più o meno energica delle onde che portano al largo in maggior copia 1 elemento (x) Trattato di Geologia. Milano, 1903, pag. 182. (2) Geomorfogenia della Provincia di Pari. Estratto dal voi. HI del- l’opera la Terra di Bari, deliberata dal Consiglio Provinciale per la Esposizione di Parigi del 1900. Trani, 1900, pag. 87. 406 A. ROCCATI quarzoso e calcareo o tutta la sabbia. Ora un fenomeno consimile avrebbe potuto manifestarsi all’atto della formazione del deposito ammettendo che i torrenti apportassero al mare alluvioni ricche del minerale di manganese; ed è notevole, come indicherò in appresso, che le formazioni elveziane della località, devono per la natura dei fossili, esser riferite a depositi eminentemente littoranei, ove l’azione meccanica delle onde si poteva far sentire maggiormente. Se però il peso specifico dello psilomelano e quello dei minerali della sabbia (’) potrebbero far ammettere quest’azione di cernita meccanica, per altra parte l’aspetto della formazione lascia molto dubbio in proposito; infatti il minerale di manganese è in polvere finissima impalpabile, quale si può avere da un precipitato chi- mico e di più inquina e riveste i granuli in modo da indicare che essi ne furono ricoperti quando già erano in posto. In (pieste condizioni d’incertezza non credo potere manifestare un’opinione precisa sull’origine delle sabbia manganesi fera; mi tengo pago di aver indicata l’esistenza di tale curiosa formazione che ritengo affatto locale, non avendone in alcun altro punto della Collina rilevata la presenza. II. La sabbia che accompagna la formazione manganesifera è, come dissi in principio, parte fossilifera e parte non fossilifera; do ora una descrizione particolareggiata della composizione di queste sabbie che si ritrovano in molti punti nei dintorni del comune di Moncucco. Sabbia non fossilifera. Questa è di color giallognolo, es- sendo i suoi elementi fortemente inquinati da limonite; dopo (*) (*) Indico qui, desunti dal Dana (Sisiem of Mìneralogy, 1892), i pesi specifici dello psilomelano e dei minerali più comuni della sabbia, da cui risulta una certa diversità che potrebbe forse spiegare la separa- zione meccanica: Psilomelano (3,7 - 4,7), Quarzo (2,6), Attinoto (3-6,2). Tremolite (2,9 -3,1), glaucofaue (3,1), feldspato (2,5 -2,9), Granato gros- sularia (3,5 - 3,6), serpentino (2,5 - 2,6), diopside (3,2 - 3,3), tormalina (2,9 -3,2). Nel caso indicato da Virgilio si aveva: Calcite (2,7). Quarzo (2.6), Magnetite (5,1). A agite (3,5). SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 407 trattamento con acido cloridrico diluito, tale colorazione si perde e la sabbia assume tinta grigiastra. Nel trattamento con acido cloridrico, non si ha che debole effervescenza, anche a caldo; si può quindi escludere la presenza di calcare, mentre invece ritengo vi sia dolomite e siderite, a cui sarebbe dovuta la de- bole effervescenza. Infatti dopo separato il ferro dalla soluzione cloridrica ottenni per precipitazione poca calce, ed invece molta magnesia; il ferro proviene evidentemente in massima parte dalla limonite che inquina i granuli, ma in parte anche da siderite che esiste nella sabbia in granuli di color giallo-bruno nei quali si osserva la caratteristica sfaldatura romboedrica. Mediante setacciatura, la sabbia si divide in una parte che è costituita da ciottolini (aventi 1 o 2 millimetri di diametro, rara- mente di più), costituiti quasi esclusivamente da quarzo, ser- pentino e anfbolo, con abbondanti lamine di muscovite, biotite e clorito, ed in un’ altra parte costituita da frammenti di diametro oscillante fra 0,1 e 0,5 mm. all’incirca e costituiti dai seguenti minerali disposti per ordine di frequenza (*): quarzo, mica, an- fbolo, glauco fané, serpentino, feldspato, granato, pirosseno, tor- malina, magnetite , epidoto, dolomite, siderite, apatite , rutilo, cromite, pirite, zircone, spinello, grafie. I1) Volendo, per indicare nella sabbia la distribuzione dei minerali, far uso della scala di frequenza, proposta recentemente da Salmoiraghi, (Sullo studio mineralogico delle sabbie e sopra un modo di rappresen- tarne i risultati. Atti Soc. Ital. di Se. Nat., voi. XLIII, 1904, p. 64), si avrebbero: Dominanti : quarzo, mica, antibolo. Abbondanti: glaucofane, feldspato, serpentino, granato. Frequenti: pirosseno, tormalina, magnetite. Scarsi: epidoto, rutilo. Rari: dolomite, siderite, apatite, ilmenite, pirite, cromite, zircone. Rarissimi: spinello, grafite. Noto qui come questa scala di frequenza del Salmoiraghi é eviden- temente meno precisa di quella proposta dall’Artini (Intorno alla coni- posizione mineralogica delle sabbie di alcuni fiumi del Veneto con ap- plicazioni della ricerca microscopica allo studio dei terreni di trasporto. Rivista di Min. e Crist. It., voi. XIX, 1898), la quale comprendendo dieci termini si presta ad esattezza maggiore, ma ho dovuto nella pratica con- vincermi che essa è di applicazione alquanto difficile. 27 408 A. ROCCATI Prevalentemente i componenti sono a spigoli vivi quasi senza traccia di fluitazione, presentandosi in frammenti di cristalli od anche in cristalli interi (questo fatto si manifesta specialmente per i minerali che come zircone, tormalina e spinello , si può presumere esistessero primitivamente allo stato di inclusione in altri componenti); altri granuli hanno gli spigoli arrotondati e ciò si verifica specialmente per quarzo, serpentino, feldspato. L’aspetto dei componenti, come anche la loro natura mine- ralogica rende le sabbie di Moncucco alquanto analoghe a quelle descritte da Colomba ('). Queste, che provengono dai dintorni di Marentino, appartengono ad un piano geologico per quanto vicino, pure differente ; infatti, esse vanno riferite ad un periodo di transizione fra V Elveziano superiore ed il Tortoniano infe- riore, mentre quelle che io descrivo, appartengono nettamente al V Elveziano superiore. Di più, mentre le sabbie di Marentino, studiate da Colomba, contengono fossili di mare profondo, quelle di Moncucco invece hanno una fauna Litoranea molto vicina alle spiaggie. Passando ora alla descrizione dei minerali, si hanno i ca- ratteri seguenti: Quarzo. E in granuli arrotondati, oppure in frammenti a frattura concoide con spigoli vivi; talvolta questi frammenti la- sciano scorgere faccie di cristallo; così in alcuni sono visibili quelle del prisma con le caratteristiche striature, in altri si os- servano le faccie della piramide esagona. Il quarzo è generalmente incoloro; per lo più bianco latteo, talvolta giallo per limonite, più di rado rosso vivo. In alcuni degli individui maggiori potei riconoscere la presenza di inclu- sioni di zircone e lunghi e sottili aghi che sembrano di rutilo. Miche, clorite. Benché nei ripetuti lavaggi praticati sulla sabbia per liberarla dall’argilla e dalle altre impurità che la inquinano, una buona parte della mica sia andata perduta, ciò nondimeno essa è ancora minerale prevalente nella sabbia ar- ricchita. (') Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della Collina di To- rino. Atti R. Acc. delle Se. di Torino, voi. XXXI, 180G. SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 409 Prevalentemente si tratta di muscovite in forma di laminette rombiche ben distinte, incolori o bianckiccie con viva lucentezza perlacea e fortemente biassiche. Le lamine hanno dimensioni va- riabili, poiché da microscopiche si arriva ad incontrarne aventi circa ’/4 di centimetro di lato, e che quindi si prestano bene all’esame dei caratteri ottici. Nella sabbia, prima del trattamento con acido cloridrico, le laminette di mica hanno comunemente color giallo-oro lucente dovuto a superficiale alterazione in limonite; hanno allora grande rassomiglianza con quelle che ho descritte nelle sabbie della grotta del Bandito in Val del Gesso (Alpi Marittime) (1). Nel trattamento con acido cloridrico, anche a freddo, tale colora- zione dorata sparisce affatto, dimostrando quindi che non è do- vuta se non ad un semplice fenomeno di alterazione superficiale. Noto ancora come questa mica, da me considerata come musco- vite, abbia resistito all’azione dell’acido fluoridrico anche pro- lungato per lo spazio di oltre un mese, poiché nel residuo di questo trattamento si ritrovano le laminette assolutamente inal- terate. Molto meno comune della muscovite è la biotite, anzi si può dire che non esiste nella parte minuta della sabbia separata per setacciatura ; la si incontra invece nella parte grossolana in la- mine distinguibili con la lente, od anche ad occhio nudo. Ha lucentezza metallico-perlacea, color bruno-scuro e nelle lamine sufficientemente sottili, presenta intenso pleocroismo; la biassi- cità è molto meno evidente che nella muscovite. Parlando dei minerali lamellari, indicherò qui come nella parte grossolana con certa frequenza, assai più di rado nella, parte minuta della sabbia, si trova della clorite in laminette verdi-scure, talvolta giallognole per alterazione. Anfìboli. Le varietà di anfìbolo sono parecchie: 1° Attinoto in cristalli prismatici fibrosi o fibre isolate di color verde chiaro con pleocroismo dal giallo al verde ed estinzione oscillante fra 17° e 19°. 2° Tremolite, meno frequente, in cristalli fibrosi biancastri o giallognoli per alterazione, con qualchevolta evidenti (*) (*) Ricerche mineralogiche mila riabbia della grotta del Bandito in Val del Gesso. (Cuneo), Boll. Soc. Geol. It., voi. XX, fase. 1, 1901. 410 A. ROCCATI le faccie 110 e 001, oppure in frammenti informi. Alcuni indi- vidui sono perfettamente incolori con estinzione 10°-12°. 3° Or- neblenda in grani o frammenti a spigoli vivi con color nero o verde-azzurro molto carico; nonostante la poca trasparenza del minerale, il pleoeroismo vi è abbastanza visibile. Della varietà verde-azzurro carico ne osservai cristalli ben distinti in forma di prismi corti e tozzi con sviluppate le faccie 110 e estinzione da (3° a 9°. Glaucofane. Questa è così abbondante da costituire una ca- ratteristica della sabbia; è in frammenti non rotolati, informi, oppure in cristalli prismatici alle volte ben netti, quantunque mancanti delle estremità che sempre presentano faccie di rot- ture vive. Alcuni cristalli hanno le faccie 110 e 100 liscio e speculari, altri sono finamente striati sulla 110; qualcuno pre- senta un accenno a divisibilità secondo 001. Il pleoeroismo è sempre intenso e su di esso ritengo che si possano stabilire due varietà: lama rappresentata dai cristalli a faccie speculari, in cui si ha azzurro carico-violetto intenso; l’altra rappresentata dalla varietà fibrosa, di tinta più chiara e con pleoeroismo meno intenso. Di queste varietà osservai qualche raro frammento la cui rottura è avvenuta normalmente a 110, si può allora scor- gere il reticolato dovuto all’ intrecciarsi delle linee di sfalda- tura ed il pleoeroismo è sui toni violetto-chiaro e giallognolo- incoloro. La glaucofane è generalmente sana, e solo di rado presenta un inizio di trasformazione in clorite, per cui diventa torbida, verdognola; tale alterazione si manifesta specialmente sui mar- gini ed alle estremità; osservai questa alterazione soltanto sulla varietà fibrosa ed anche in questo caso poco comune. 11 Colomba indica pure (‘) quest’alterazione in clorite per la glaucofane della sabbia di Marentino, ed anch’egli rileva esser però fenomeno poco comune. A proposito della glaucofane, tengo a metter (pii in rilievo l’osservazione fatta già dal Colomba (?) sulla stabilità di questo (’) Lavoro citato. (2) Lavoro citato, e Sulla Glaucofane della Beaume (Valle della Dora Riparia). Atti R. A. d. Se. di Torino, voi. XXIX, 1894. SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 411 minerale, stabilità che gli permette di ritrovarsi inalterato in ■ sabbie di vari piani dell’eoccne in condizioni tali che dovette per uno spazio di tempo lunghissimo trovarsi esposto all’azione degli agenti naturali alteratori. V Serpentino. E questo si può dire di tutti gli elementi della sabbia che presenta maggiori traccie di fluitazione, essendo quasi sempre in granuli arrotondati di dimensioni molto variabili. I più voluminosi hanno color verde-scuro o nero e sono per lo più inquinati da limonite; contengono inclusioni di magnetite , per cui vengono fortemente attratti dalla calamita. Altri gra- nuli di minori dimensioni e di minor frequenza sono di colore giallo-miele o giallo-verdastro, subtrasparenti. \ Feldspato. E in grani biancastri o giallognoli opachi, che fondono più o meno facilmente; la mancanza di caratteri mor- fologici ben netti m’impedisce una più precisa determinazione; noterò soltanto che qualche granulo ha striature parallele, che sembrano doversi riferire a geminazione polisintetica. Granato. Questo minerale si può specialmente osservare nel residuo dopo il trattamento della sabbia con acido fluoridrico, poiché allora è col rutilo così abbondante che impartiscono al residuo un color rossastro caratteristico. Il granato è in gran parte riferibile alla grossularia ; ha color rosso-bruno quasi opaco, oppure roseo-chiaro ed allora subtra- sparente. Si hanno granuli più o meno arrotondati, frammenti a spigoli vivi, frammenti di cristalli con faccie distinte od an- che cristalli perfetti, ben terminati e costituiti dall’associazione dell’icositetraedro col rombododecaedro. La lucentezza è vetrosa ; perlacea-adamantina sulle faccie di rottura. Pirosseno. Ne esistono due varietà: l'una riferìbile a diopside in cristalli prismatici distinti, striati longitudinalmente e talvolta voluminosi tanto da potersi scorgere semplicemente con baiato di una lente. • Ha colore verde-chiaro, è trasparente, senza pleocroismo e . con colori d’interferenza molto intensi; l’estinzione misurata sulle striature parallelamente a 110 è di circa 38°; qualche in- dividuo sembra geminato secondo 100. L’altra varietà è di color verde carico con leggero pleo- croismo verso il bruno; si trova in frammenti di cristalli 412 A. ROCCATI striati parallelamente all’allungamento e che hanno estinzione di circa 43°. Dopo il trattamento per la durata di oltre un mese con acido fluoridrico, ritrovai nel residuo alcuni frammenti di cristalli di pirosseno che hanno l’aspetto de\V omfacite delle granatiti ed eclogiti. Hanno color verde-chiaro con leggero pleocroismo ed estinzione che raggiunge un massimo di 44°; le faccie 110 sono per lo più ben sviluppate e distinte; le terminazioni invece poco nette. Nel trattamento con acido fluoridrico alcuni cristalli ri- masero assolutamente intatti, altri subirono un principio di de- composizione, poiché le faccie sono allora intaccate con evidenti traccie di corrosione. Magnetite. È in granuli informi o in frammenti di cristalli (però non mai interi) ove si possono riconoscere faccie lucenti 111. È frequentemente ricoperta da una patina di limonite, che scom parisce trattando la sabbia con acido cloridrico diluito. La presenza di abbondanti masserelle di limonite sparse nella sabbia credo si possa spiegare in causa dell’alterazione della ma- gnetite e della pirite. Frequentemente alla magnetite aderiscono minuti frammenti di serpentino, che rivelano la giacitura primitiva del mi- nerale. Rutilo. È abbondante insieme al granato nel residuo dopo trattamento della sabbia con acido fluoridrico ; esso è comune- mente in frammenti informi che talora per l’aspetto ed il co- lore si potrebbero confondere con il granato. Qualcuno lascia scorgere residui delle faccie di prisma striate parallelamente al- l’allungamento ; in qualche frammento la disposizione delle stria- ture accenna a presenza di geminazione. Il rutilo ha color rosso vino oppure rosso tendente al giallo con lucentezza adamantina molto viva, specialmente sulla super- ficie di rottura. Nel residuo dopo il trattamento con acido fluoridrico ritro- vai pure minuti cristalli di rutilo in forma di prismi con ter- minazioni ettaedriche, di color giallo rossastro. E molto proba- bile che nella sabbia questo rutilo fosse inizialmente incluso in qualche altro minerale. SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 413 Tormalina. Di questo minerale si hanno parecchie varietà: una è costituita da cristalli corti e tozzi, risultanti da prismi con terminazione emimorfa; questi cristalli non presentano nessuna traccia di rotolamento e sono relativamente volumi- nosi; hanno lucentezza vetrosa, color bruno scuro o bruno vio- laceo con intenso dicroismo. Un’altra varietà è in cristalli sottili, allungati, sovente rotti alle estremità; ha color bruno intenso e forte dicroismo fra il bruno chiaro e il bruno scuro. Altra varietà ha color verde più o meno intenso; finalmente nel residuo, dopo il trattamento con acido fluoridrico si osservano minuti cristalli perfettamente terminati, emimorfici ed assoluta- mente incolori. Cromite. È meno abbondante della magnetite, e si presenta in granuli che resistono all’azione dell’acido fluoridrico; da essa ottenni distintamente la perla del cromo. V Epidoto. E in granuli o frammenti di cristalli prismatici di color verde giallognolo con alti colori di polarizzazione ed estinzione retta. Alcuni individui con colore violaceo sono forse riferibili a manganepidoto. Pirite. E in granuli o frammenti di cristalli che sembrano provenire dai pentagoni-dodecaedri; è però componente alquanto scarso, fatto questo che potrebbe dipendere dalla limonitizzazione del minerale. In questo caso le masserelle di limonite che ho indicato a proposito della magnetite, potrebbero in parte pro- venire dall’alterazione della pirite che, sovente appunto, si pre- senta ricoperta da una patina di limonite. Rilevo qui, come già ebbi occasione di far altra volta (*), che la pirite resiste all’azione dell’acido fluoridrico, per quanto a lungo prolungata. Zircone. Si osserva specialmente nella sabbia arricchita mediante il trattamento con acido fluoridrico; è in cristalli, per lo più ben distinti, costituiti dal prisma quadrato associato all’ot- taedro; è incoloro e presenta forte rilievo. Probabilmente deve (') Ricerche mineralogiche sulla sabbia della grotta del Bandito in * Val del Gesso. (Cuneo). Boll. Soc. Geol. It., voi. XX, fase. 1, 1901. 414 A. ROCCATI trattarsi di minerale inizialmente incluso in qualche altro com- ponente. Menaccanite. È rappresentata da poche lamine nere lucenti e da granuli informi. Apatite. Come tale ritengo alcuni rari cristalli prismatici esagonali a sfaldatura basale di color bianco bruniccio. Grafite. Nel residuo dopo trattamento con acido fluoridrico ritrovai alcune laminette di color nero a lucentezza submetal- lica; sono tenere in modo da macchiare facilmente in grigio la carta. Trattasi indubbiamente di grafite. Spinello. Anche questo minerale si rende evidente dopo il trattamento della sabbia con acido fluoridrico. Si presenta in cristalli ottaedrici con le geminazioni caratteristiche; essi sono sempre molto minuti e perfettamente incolori. Altri individui di spinello hanno pure forma ottaedrica, ed in causa del loro colore nero, bruno per trasparenza, credo si possano riferire a pleonasto. III. Sabbia fossilifera. Questa osservata in posto ha un color giallo, analogo a quello della prima descritta, e parimenti di- venta grigia dopo il trattamento con acido cloridrico che la libera dalla limonite che inquina i granuli. Essa è ricca di fossili, più o meno conservati, sempre minuti e rappresentanti di una fauna essenzialmente littoranea. I fossili determinabili appartengono ai generi seguenti: Foraminifere abbondanti, fra cui gen. Nodosaria discre- tamente comune. Bivalvi con i gen., Cithera , Leda, Cardium, Corbula , Tel- lina, Pecten. Gasteropodi gen. Turritella. Notai finalmente alcuni Gadus. All’ineontio della sabbia non fossilifera, questa dà forte effervescenza nel trattamento con acido cloridrico; tale efferve- scenza in parte dev’essere dovuta ai frammenti di spoglie dei fossili, ma in parte anche a presenza di calcare, poiché si ma- SABBIA DI MONCUCCO TORINESE 415 festò anche dopo che con la lente avevo diligentemente separate dette spoglie. Dal liquido proveniente dal trattamento potei precipitare abbondante ferro e calce; la magnesia invece è relativamente molto più scarsa che non nella prima sabbia. I granuli della sabbia fossilifera hanno aspetto simile a quelli della non fossilifera, però vi sono più visibili e marcate le traccie di rotolamento e fluitazione; anche le dimensioni sono meno variabili, come pure la parte rappresentata da frammenti 0 ciottolini di grossezza tale da potersi determinare senza l’aiuto del microscopio, è più abbondante. Nella parte macroscopica notai: Quarzo, in ciottolini opachi di color bianco latteo o giallognolo; serpentino, azzurro carico, verde scuro o nero; sovente i granuli sono attratti dalla cala- mita contenendo inclusioni di magnetite; calcare , in masserelle bianco grigiastre, facilmente sfaldabili; muscovite, molto abbon- dante; biotite e dorile, più rare; feldspato , in granuli biancastri, rosei o giallognoli; anfibolo (attinoto, orneblenda, tremolile), (jlaucofane; limonile e pirite. La parte più minuta ha composizione analoga a quella della sabbia non fossilifera, soltanto mentre abbondano granato , rutilo e anfibolo, sembra trovarsi con più scarsità la glaucofane , che non lascia però di essere componente importante. IV. Come conclusione di questa nota credo poter affermare che 1 materiali formanti i depositi elveziani sabbiosi dei dintorni di Moncucco Torinese, con molta probabilità provengono da roccie delle Alpi Graie e forse più precisamente delle Valli di Lanzo. Infatti in queste valli e nella zona cbe prospetta la pianura piemontese si trovano abbondantemente sviluppate roccie verdi , i cui componenti sono quelli che entrano appunto nella costi- tuzione delle sabbie (1). Di più io ebbi occasione di osservare (') Per la posizione delle Eoccie Verdi nelle valli di Lanzo si con- sulti: Mattirolo E., Schiarimenti sulla carta Geo- Litologica delle Valli di Lanzo. (Estratto della pubblicazione della Sezione di Torino, del C. A. I. « Le valli di Lanzo », Alpi Graie). Torino, Paravia, 1904. 416 A. ROCCATI nei monti intorno a Lauzo presenza di ossidi di manganese che oltre al formare filoni in roccie gneissiche, si trovano pure ad inquinare roccie serpentinose e anfiboliche; finalmente il prof. Sacco (') ha segnalato recentemente la presenza della grafite nelle stesse località. Laboratorio di Geologia della R. Scuola degli Ingegneri. Torino, maggio 1905. (ms. pres. il 6 maggio 1905 - ult. bozze 31 luglio 1905]. (l) Lenti grafitiche nella zona delle Pietre Verdi in Val di Lanzo. Atti R. Acc. di Se. d. Torino, voi. XXXIX, 1904. ALCUNE INTERESSANTI PARTICOLARITÀ NEI FENOMENI DELLA EROSIONE E DELLA DEIEZIONE DEI DINTORNI DI SASSARI Nota del dott. Giuseppe Capeder Percorrendo i dintorni di Sassari, si possono osservare conser- vate ancora così bene le traccie di altre intense erosioni e deie- zioni, da permettere su di esse accurate osservazioni che sempre potranno portare contributo alla conoscenza in particolare della loro genesi. Questi fenomeni tanto maggiormente possono inte- ressare, inquantochè si ritrovano in una regione ove il contin- gente attuale di acqua piovana è poca cosa ed insufficiente a mantenere corsi perenni di una certa importanza, ma alimenta solo magri rigagnoli, che fanno di conseguenza strano contrasto con le valli da essi percorse, imponenti di contrapposto per le profonde incisioni di qualche centinaio di metri, per gli stupendi terrazzi di erosione, nonché per potenti depositi alluvionali. E siccome l’analisi di cotali fenomeni mi ha portato ad osser- vazioni che credo nuove, almeno nella interpretazione ed a con- siderazioni che spero non siano del tutto inutili per servire anche alla interpretazione di numerose altre apparenze analoghe e ancor più grandiose, ho creduto di esporle brevemente. La regione più ricca di particolarità non è molto estesa ed interessa specialmenle zone di terreno mediocremente erodi- bile, come sarebbero i depositi miocenici, generalmente di facies elveziana del calcare di Sassari, che sono costituiti di strati poco inclinati, per cui la pendenza iniziale di scor- rimento alle acque, dovea essere dolcissima, la superfìcie con- tinua e perciò non molto accidentata. Ma l’altezza media della regione di circa 500 m. e massima di 767 a soli 25 km. dal mare, ci dice che il sollevamento cominciato alla fine del 418 I G. CAPEDER miocene, è stato molto intenso e di conseguenza eguale il feno- meno erosivo, perchè come è noto un corso d’acqua tende sempre a portare Tequilibrio fra la propria forza erosiva e di trasporto, e la pendenza del proprio thalweg, così da costituirvi una curva di fondo di carattere marcatamente parabolica. Questi antichi e più intensi fenomeni di scorrimento delle acque superficiali hanno lasciato, come ho detto, indelebili e profonde tracce sulle pareti e sul fondo delle valli epigenetiche sotto forma di terrazzi o di erosioni altrimenti notevoli, di coni Kig. 1. Un terrazzo di vai Mascari (M. St. Antioco). di deiezione o di altri depositi alluvionali, i quali potranno es- sere altresì di indizio sicuro ad importanti catture verificatesi in tempi relativamente recenti e darci così ragione del paesaggio attuale, essenzialmente epigenetico (*), e modo di riconoscere la primitiva distribuzione delle correnti. Parlerò di conseguenza di quei fenomeni, poi colla scorta di essi passerò a considera- zioni su quelle catture che si possono con certezza osservare in questa regione c sulle condizioni necessarie da me osservate, per siffatto importante interessantissimo fenomeno. (QTaramelli T., Di alarne delle nostre valli epigenetiche. Atti 3° Con grosso Geografico It., voi. II, 1899. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 419 * * * È comunemente noto il terrazzamento delle nostre valli, prodotto da una causa non dubbia; l’azione erosiva più o meno efficace dei corsi d’acqua sulle roccie che ne formano le pareti. Questi terrazzi die per la loro origine, la loro ubicazione, po- trebbero anche essere contraddistinti coll’appellativo di terrazzi longitudinali di erosione, per non confonderli con altri analoghi in apparenza, ma di diversa origine e sui quali mi soffermerò più innanzi, si trovano come è noto incisi a vari livelli ed interessano tanto la vera roccia quanto gli antichi depositi alluvio- nali, si susseguono a diversi ripiani ed hanno decorso longitu- dinale, cioè volgono il gradino al thalweg, per cui risultano molto stretti e soventi molto lunghi. È noto come questi caratteri abbiano indotto ad ammettere nel fiume terrazzante fasi di diversa erodibilità e perciò dei mutamenti periodici della sua forza, indotti da variazioni climatiche, ma come in certi casi si sia anche dovuti ricorrere a più complessi fenomeni concomitanti (*), cioè a quegli altri fattori che possono determi- nare siffatti cangiamenti periodici della forza erodente di un fiume, quali sono quelli di oscillazioni bradisismiche, di chiuse indotte da frane o da altre cause, di variazioni del livello del mare, di abbassamento dello sbocco di valle o, pei terrazzi allu- vionali, di alternanze alle piene straripanti di magre e piene incalanate erodenti. Per la regione considerata invece, le osservazioni mi avreb- bero portato a trovare la cagione del terrazzamento nella com- plessa combinazione del sollevamento abbastanza intenso colla conseguente costante potenza erosiva esercitatasi sopra una roccia eterogenea, per cui le correnti hanno varie volte successivamente divagato. E questa considerazione tutta particolare per questa regione, sarebbe sostenuta dalla mancanza nei terrazzi, di cor- (') Taramelli T., Dell’ esistenza di un’alluvione postglaciale nel ver- sante merid. delle Alpi in relaz. coi bacini lacustri e dell’ origine dei ter- razzi alluvionali. Atti Istituto Veneto, voi. XVI, serie 3a, 1870-71; Neu- mayr M., Storia della terra , 1896, p. 466; Taramelli T., op. cit., 1899 p. 93; Parona C. F., Trattato di Geologia, 1903, pag. 165. 420 G. CAPEDER • rispondenti gradini dalla opposta parte della valle, per cui si viene a rilevare un’azione erosiva continuata sopra il fianco che scende ripido ed intermittente sul corrispondente opposto terraz- zato, nonché dal ritrovare poco di poi ad uno svolto qualsiasi a monte od a valle l’egual fenomeno, ma invertito. Io credo che il lento e graduale sollevamento della regione sia succeduto di pari passo con la erosione della superficie pressoché continua e che con dolce pendenza dovea scendere a » ■ Fig. 2. — Terrazzi di erosione del M. Istori- u (vai Levino). mare; quest’erosione dapprincipio interessando un’ampia super- ficie, per la tendenza delle acque ad espandersi quando scorrono sopra superfici piane, dovette determinare il primo più elevato e netto gradino che si osserva. Ma contemporaneamente all’in- cisione di questo primo gradino per l’eterogeneità della roccia o per altra causa, dovette alterarsi in più punti il corso della fiumana e questa divagare dall’antico letto e formare delle anse, da cui per la progressiva incisione dovette derivarne una limi- tazione nella escursione periodica del fiume e l’isolarsi di lembi FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 421 dell'antico fondo che da allora più non furono invasi dalle acque. Il ridursi dell’area invasa dal fiume nelle sue divagazioni, implica una più circoscritta ma intensa azione erosiva per l’aumentata pendenza, che avrà l’effetto di continuare più rapidamente il fenomeno iniziato. Quei lembi di alveo che vengono succes- sivamente abbandonati dal fiume nelle sue escursioni ed a misura che procede l’incisione, si troveranno evidentemente distribuiti poi sui fianchi dell’ampia valle che ne risulta a diversa al- tezza ed i corrispondenti, cioè quelli abbandonati in un dato periodo è evidente che non si troveranno mai di rimpetto, ma a monte ed a valle per la loro stessa origine, dovuta come ho detto, alla tendenza del fiume, a divagare di continuo il suo corso formando anse, ed alla tendenza a spostare a valle le proprie curve, per cui esso spazza, per così dire, l’alveo in senso oriz- zontale nel volgere di un certo numero d’anni per un’area ben maggiore del proprio letto, approfondendolo di continuo e la- sciando per cause varie dipendenti dalla erodibilità, or quà or là, dei lembi sui quali più non divaga e perciò più non erode. Quei lembi che si trovano ora scaglionati irregolarmente a varia altezza, ci rappresentano di conseguenza i relitti degli antichi fondi del fiume divagati e formano gli attuali terrazzi. Anche perciò prescindendo dai cangiamenti periodici della forza di un fiume, è possibile di spiegare il terrazzamento e specialmente in quei luoghi ove si manifesta preponderante una diversità spiccata nel fenomeno erosivo da punto a punto. Questi terrazzi devono, come s’è visto, la loro origine alle volute del corso d’acqua per l’accentuarsi e lo spostarsi delle loro curve a misura che procede la incisione, difatti è pur nota la legge (*), che avendo l’inclinazione del pendio con le volute di un fiume un rapporto proporzionale, necessariamente è pro- porzionale al pendio e quindi alle volute, l’ampiezza della valle. Per cui agli ampliamenti di voluta devonsi i versanti a declivio molto disuguale ^ di conseguenza anche il formarsi di una linea di terrazzi, i quali per le irregolarità nella erosione, per acciden- talità varie, ma specialmente per lo spostarsi a valle delle volute, (') Rovereto G., Geomorfologia delle valli Liguri. Atti R. Univ. di Genova, voi. XVIII, 1904, p. 109. 422 G. CAPEDER debbono succedersi a più ripiani e in punti della valle non cor- rispondenti. Infatti sui piani di questi terrazzi si trovano ancora conservate le traccie di deiezioni dovute ai materiali depositati dal fiume durante le piene e soprattutto spuntoni di roccia poco erodibile con evidenti conche di erosione rivolte non al thahveg attuale ma alla parete, ciò che dimostra che il fiume passò tra questa parete e gli spuntoni e che poi divagò incidendo ed ab- bassandosi. Fig. 3. — Pianta di alcuni terrazzi di erosione in vai Bùnnari. Del resto ciò risulta anche ben evidente dalla presente cartina, fig. 3, tradotta dal vero e che ho creduto dover preferire ad una fo- tografia, perchè vi si vede più nettamente il succedersi dei terrazzi irregolarmente lungo la valle cd anche vi si vede la forma par- ticolare dei gradini a curve sentite, propria delle anse dell’an- tica fiumana. Sulla cartina le linee esterne continue segnano i limiti del primo terrazzo ‘(1°) della tipica vai Bùnnari ed in conse- guenza delle anse molto ampie della fiumana iniziale; le linee FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 423 tratteggiate i limiti della fiumana in una seconda fase (2°), quando perdurando l’erosione le primitive anse si sono fatte più sentite ed hanno abbandonato nelle loro escursioni quei ripiani che formano i secondi terrazzi, l’alveo di conseguenza s’è fatto più profondo, ma più stretto ; le linee punteggiate i limiti in una terza fase (3°) ; le linee a tratti e punti in una quarta fase coi rispettivi terrazzi (4°); le due linee vicine parallele interne, il limite dell’attuale corso d’acqua coi rispettivi terrazzi : l’alveo così a misura che si è approfondito, è andato riducendosi, di conseguenza sono pure andate riducendosi l’ampiezza delle anse e le escursioni e le piene straripanti, ad aree sempre più ri- strette. In molti luoghi ho osservato che questi terrazzi esistono da una parte e dall’altra della valle in punti prospicienti, però le loro quote non si corrispondono ed accennano così all’evidenza l’origine loro successiva per le oscillazioni dell’alveo e non per azione contemporanea sulle due pareti, ciò che implicherebbe per lo meno un maggior contributo di corsi d’acqua antichi ri- spetto agli attuali od altre infiuenze variabili. Del resto che questa sia l’origine dei terrazzi di questa lo- calità, cioè che sieno state le acque divaganti a determinarne la formazione coll’abbandonare alcune plaghe dall’erosione, ce lo dicono anche le diverse particolarità di essa erosione, parti- colarità che danno un’apparenza speciale ai terrazzi variabil- mente sinuosi specie se visti dall’alto, fig. 3, riproducendo essi, come ho già detto, le anse delle correnti formatrici e le magni- fiche e molte volte pittoresche conche di erosione delle pareti dei terrazzi, che portano così fortemente segnata l’azione ero- siva e corrosiva (*) dell’acqua e la direzione della corrente esca- vatrice, da non lasciare più alcun dubbio sulla espressa origine (*) La levigatezza di alcune superfici di erosione, mi induce a cre- dere che non sia estranea l’azione chimica, attestata d’altronde dalla porosità di cpieste roccie calcaree specialmente verso la superficie e dalle numerose caverne, fra le quali la più grande é la grotta dell’In- ferno in vai Mascari a 200 metri sul thahveg del rio attuale e che porta evidenti traccie di un’antica corrente sotterranea. 28 424 G. CAPEDER di questi terrazzi. Nella fig. 4, si potrà osservare la parete stra- piombante di un potente terrazzo di vai Mascari sulla Costa Chi- gliizzu ed alla base di essa quasi presso al piano del terrazzo su cui vegetano alcuni ulivi, profondissimi cunicoli a fondo piano,, vere erosioni a fenditura agevolate forse dalla eterogeneità degli Fig. 4. — Conca di erosione sulla parete di un terrazzo di vnl Mascari. strati e che non traggono però altra origine che dall’azione erosiva di un corso d’acqua divagante, che ora si trova nella stessa valle,, ma a ben 103 metri più in basso. Nella medesima fig. 4, si vedono in fondo fra gli alberi, numerosi enortni massi caduti dal tetto del terrazzo per mancato sostegno inferiore, fenomeno del quale deve tenersi anche il dovuto conto per la spiegazione della grande intensità dell’azione erosiva, nonché della formazione di terrazzi assai estesi nel senso trasversale, parallelo allo spostarsi delle anse del fiume. In questa regione tali terrazzi sono molto numerosi, ma i più belli e più potenti sono quelli della vai Mascari; nelle valli FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 425 » y secondarie oltre ai veri terrazzi si trovano frequentemente an- che le particolarità osservate dal Rovereto (') nella valle del R. Laverna, ripiani cioè formati dalla eterogeneità degli strati (rideaux, fascie) accresciuti e regolarizzati dalle opere di coltura. Nè rari sono i terrazzi alluvionali specialmente nelle parti basse delle valli; fra questi posso citare i terrazzi che si possono os- servare nella vai Màscari presso il molino Currias, perchè sca- vati in antichi depositi alluvionali e perchè più potenti degli altri molti analoghi che si trovano in questa ed in altre valli della regione in istudio. Anche per questi sarei dell’opinione già espressa e ciò per la irregolare distribuzione di essi nonché per l’impossibilità di supporre in questa regione per la forma delle valli, le condizioni necessarie alla formazione di quei terrazzi per successive piene straripanti e magre erodenti cui possono susseguire piene incanalate erodenti , salvo alcuni pochi casi, pei quali unica rimane la teoria svolta con tanto acume dal prof. Ta- ramelli (') pei terrazzi alluvionali della valle del Po. * Interessanti per questa località, oltre ai terrazzi longitudi- nali o di erosione studiati or ora, sono sopratutto i terrazzi di riempimento antichi e recenti che pel loro decorso, per trovarsi sul fondo ad attraversare l’alveo trasversalmente, perchè si for- mano colle alluvioni e per distinguerli perciò dagli altri, potreb- bero anche venir chiamati terrazzi trasversali di deiezione. Siccome questi terrazzi sono oltremodo evidenti e coprono estese super- pertici di alvei antichi e recenti ed hanno non lieve importanza sulle volute dei fiumi in magra, così mi sotfermerò un tantino per studiarne le variabilissime loro apparenze e la loro genesi secondo mie proprie osservazioni. Essi si osservano di solito solamente in quei tratti della valle ove avviene l’interrimento regolare, nonché sul piano, ove tende a formarsi il cosidetto prisma di deiezione. Siccome però que- sti terrazzi in questa regione hanno l’apparenza di un regolaris- simo deposito alluvionale, tendo a distinguerli, benché non esista (’) Kovereto G., Op. cit ., 1904, p. 109. (2) Taramelli T., Op. cit., 1871, p. 2245, 2246. 426 G. CAPEDER alcuna sostanziale differenza, dai soliti depositi alluvionali a lenti embricate ed irregolari, cui pare vogliano veramente rife- rirsi il prof. Taramelli ed altri autori, a proposito dei terrazzi di riempimento ('). Questi terrazzi sono molto estesi nel senso della valle, cioè perpendicolarmente al gradino, ed occupano lutto l’alveo nel senso della larghezza, a differenza delle terrazze alluvionali che di solito sono molto limitate perpendicolarmente al gradino e lunghissime nell’altro senso. La fìg. 5, fa vedere alcuni di questi terrazzi costituiti da netti ripiani orizzontali alluvionali, che si succedono a livelli Eig. 5. — Terrazzi trasversali di deiezione e longitudinali di erosione nel letto alluvionale del R. E ha ciara. sempre più bassi attraverso a salti o gradini ben pronunciati che occupano tutto quanto l’alveo, mentre nei fianchi presso la casa della medesima fig. 5, si notano altri terrazzi paralleli al- (r) Il prof. Taramelli pare voglia riferirsi a questi terrazzi anche rispetto alla genesi, quando si esprime colle seguenti parole: « e sol- tanto al diminuire di quelle straordinarie precipitazioni d’acque o nevi venivano gli elementi grossolani depositati nel mare, nelle pianure, e di mano in mano entro le valli, formandovi quei sistemi di terrazzi di riempimento , i quali non sono già sovrapposti l’uno all’altro, ma l’uno nell’altro insinuati ». Di alcune delle nostre valli epi genetiche. Atti terzo Congresso geografico italiano, Firenze, 1899, p. 92. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 427 l’asse longitudinale della valle, e che sono di erosione. La valle Eba ciara è una fra le più istruttive rispetto ai terrazzi di de- iezione trasversali, poiché essi sono molto numerosi ed occupano in estensione qualche km., dando al paesaggio un carattere par- ticolare; in generale sono poi molto più estesi dei terrazzi di erosione e perché orizzontali, nel basso della valle, ove sem- pre vi ha abbondanza d’acqua, costituiti di materiali sciolti fini e decomposti, molto atti alle più varie colture. Quivi se ne tro- vano dei lembi, anche ad una certa distanza dall’alveo nella pianura alluvionale circostante. Viste dall’alto, queste terrazze trasversali di deiezione, hanno l’apparenza di cui alla fig. 6, cioè il gradino non è semplicemente diritto e perpendicolare all’alveo, ma pur ta- gliando la valle, si pre- senta con andamento si- nuoso e rivolge brusca- mente a monte verso le sponde dell’alveo; ciò dipende come vedremo, dall’ origine stessa di questi terrazzi, ed è in ogni caso un carattere prezioso al loro rico- noscimento. Veramente nella fig. 5 pare che i terrazzi trasversali ab- biano andamento retti- lineo, ma ciò non è che una illusione di pro- spettiva. I piani di questi ter- razzi sono poi quasi sempre orizzontali o al- trimenti inclinati a, monte, fig. 7, non mai a valle, e anche questo è un carattere di una certa importanza; di solito poi in corrispondenza dei gradini trovasi una depressione o conca di Fig. 6. — Terrazzi trasversali di deiezione 1 nell’alveo di un piccolo torrente, 428 G. CAPEDER erosione e numerosi solchi caratteristici percorrono longitudinal- mente la superficie dei piani. Per la loro forma speciale, e per avere i due orli estremi dei gradini rivolti a monte, questi terrazzi, che come ho detto, si formano particolarmente in quei tratti della valle ove l’alveo si fa piano e durante le piene, favoriscono o determinano ad- dirittura al sopravvenire delle magre lo stabilirsi d’accentuate anse nella corrente del fiume, a ciò obbligata dalla struttura di essi a successivi ripiani, spiccatamente inclinati a monte e dalla presenza di conche alla base di ogni terrazzo, che come canali guidano le acque trasversalmente all’alveo. Tale fatto si può osservare nel modo più istruttivo nell'ampio alveo del E. Ma- scari fra la stazione di Tissi e quella di Scala di Giocca. Per meglio dimostrare questo fenomeno, ho tracciato una pun- teggiata sulla fig. 6 in corrispondenza della base dei gradini di alcuni terrazzi, ove teoricamente dovrebbe la corrente in ma- gra passare, seguendo volute molto pronunciate e divagando e ramificando. Naturalmente il corso d’acqua in magra inciderà poi quei depositi alluvionali e con più sentite curve e colla tendenza a spostare le anse da monte a valle distruggerà fa- cilmente il contorno dei terrazzi, i quali nondimeno si ricoiuv sceranno pur sempre per le altre caratteristiche e si riconosceranno pure dagli altri terrazzi che il fiume inciderà in questi depo- siti alluvionali che abbiamo distinto già col nome di terrazzi alluvionali di erosione. Questi terrazzi trasversali, come ho detto, non possono essere che di deiezione, appunto perchè trasversali e di conseguenza sempre nei terreni alluvionali, od in quei tratti ove la valle facendosi piana, la corrente è obbligata a depositare la più gran parte dei materiali che tiene in sospensione : però non è escluso che si trovino simili apparenze anche in tratti di grande pen- denza, questi costituiti allora da materiali più grossolani. For- mati poi come sono dalla sovrapposizione di alluvioni cioè di sabbie e ciottoli caoticamente distribuiti è naturale che spesso il gradino non sia ben netto, ed i materiali che lo formano co- stituiscano una scarpata la, cui inclinazione dipende dalla sta- bilità degli elementi; essi terrazzi jfbi è evidente che ingene- rale, benché estesissimi, siano poco potenti. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 429 Avendo avuto occasione di osservare la formazione di que- sti terrazzi nelle alluvioni attuali abbandonate da alcune piene -straripanti fig. 7, 8, ho potuto studiarne facilmente i caratteri, Eig. 7. — Sezione attraverso ad un deposito alluvionale a terrazzi trasversali. la genesi e le apparenze, per valermi a riconoscerli poi negli antichi depositi alluvionali, specialmente delle parti alte delle valli ove soventi sono molto erosi ed in parte distrutti. Osservando un corso d’acqua qualsiasi, a pendenza un pó forte, si vedrà che in generale la corrente tende dividersi in numerose piccole cascate le quali, ben osservando, non sono date da gradini di erosione ma di deiezione, cioè da massi e ciot- toli accumulati a ripiani successivi, dei quali i più voluminosi son rivolti a valle e formano il gradino, i più piccoli verso monte a ridosso dei maggiori che loro impediscono di essere trasci- nati dalla corrente; ne derivano spianate successive che trag- gono la loro origine dalla forza di trasporto dell’acqua. I massi più grossi son le reliquie dei materiali trasportati nelle piene e irregolarmente distribuiti lungo l’alveo, i più piccoli di quelli trasportati quando andava diminuendo la veemenza delle acque ed addossati ai maggiori a formare i salti che sono veri ter- razzi di deiezione. Ove l’alveo si allarga e si fa piano, avremo le migliori condizioni alla formazione di siffatte deiezioni: e per l’abbondanza del materiale, e perchè il deposito assume una straordinaria regolarità a cagione della corrente che si fa più lenta, ma più ricca di acqua, e per la natura stessa delle allu- vioni costituite quivi da materiali più fini ed uniformi, fìg. 8. Come le dune del deserto o dei litorali nascono da una ine- guaglianza qualsiasi della superficie per le sabbie che il vento accumula a ridosso di quel primo ostacolo, cosi traggon l’ori- 430 G. CAPEDER gine i terrazzi di deiezione. A ridosso di un ostacolo qualsiasi si depositano le prime alluvioni clic aumentano continuamente per nuovo materiale, finché si costituiscono successivi ripiani dall’aspetto embricato. Ma la causa che li ha formati è cagione della loro stessa parziale distruzione, perchè la corrente viene divisa dai medesimi terrazzi in successive rapide che operano più efficace azione meccanica di trasporto nei materiali che stanno Fig. 8. — Terrazzi trasversali di deiezione formatisi nel letto alluvionale del R. Mascari in seguito ad una piena. alla base dei gradini, per cui quivi tende a formarsi una conca o depressione ed i materiali da essa sono portati innanzi e de- positati ove la corrente non può più tenerli in sospensione, cioè sulla superficie rimanente del medesimo ripiano lino ed oltre il corrispondente e nuovo salto. La fig. 8 fa vedere nei punti segnati con * dei terrazzi nei quali il gradino non è semplice ma doppio per successive deiezioni sovrapposte e ci conduce di conseguenza alla convincente dimostrazione della origine di essi. FENOMENI DI EEOSIONE E DI DEIEZIONE 431 Continuando il fenomeno, è poi evidente che i gradini dei terrazzi debbono spostarsi da monte a valle, così come si sposta la cresta delle dune secondo vento. E per la diversa distri- buzione della velocità in una corrente dal mezzo di essa alle sponde ed al fondo, per cui ogni linea della distribuzione di essa velocità in una sezione trasversale va avvicinandosi assai più al fondo che alle pareti dell’alveo, i gradini dei terrazzi trasversali riveleranno la loro genesi con pronunciate curve, la cui convessità è rivolta a valle è con tutte le più bizzarre sinuo- sità nei particolari, fig. 6, dipendenti dalle accidentalità del fondo o delle sponde e dalla conseguente variazione irregolare di velocità da punto a punto. Simile origine traggono anche i solchi longitudinali che si trovano sulla loro superfìcie e dei quali ho già parlato. Benché qualche volta abbiano apparenza analoga, pure sono da distinguersi dai terrazzi trasversali di deiezione i salti che determinano le cascate e che si potrebbero definire anche: ter- razzi trasversali di erosione; essi pure attraversano l’alveo, essi pure volgono il gradino a valle, ma sono di contrapposto dovuti, come è noto, alla erosione, per cui il gradino nonché procedere, retrocede rovinando, verso monte; nonché presentare la conves- sità a valle presenta una concavità per cui la cascata s’inoltra ognor più in un angusto canale fra strette ed alte pareti; nonché trovarsi ove il letto é piano ed il fiume in fase di deiezione si trova generalmente entro valle ed in quei tratti ove esso è in fase di erosione. Molte sono le traccie perfettamente riconoscibili dei terrazzi trasversali di deiezione negli antichi depositi alluvionali di questa località, e la fig. 5 fa vedere, come già ho detto, la parte bassa della valle Eòa ciara, percorsa ancora da un pe- renne ruscelletto che scorre in un netto solco che si è scavato in quei potenti depositi alluvionali; la fig. 9, terrazzi di deie- zione abbastanza potenti nel fondo di una vailetta asciutta di rimpetto alla stazione di Tissi, a m. 25 circa sul thalweg attuale della vai Màscari. Il terreno è coltivato ad ulivi c sorprende l’importanza delle alluvioni, che d’altronde non pare si possano attribuire al Rio della vai Màscari nella quale la valletta con- fluisce, internandosi esse assai profondamente nella vailetta ed 432 G. CAPEDJiR essendo splendidamente terrazzate longitudinalmente e trasver- salmente. Del resto splendidi terrazzi trasversali e ancora ben conservati a dispetto delle opere di coltura, ho trovato nella Fig. 9. — Terrazzi trasversali di delezione in un olivetó (reg. Piandanna). valle Giuncheti dii , nella vailesa Enti, nella valle su Suerzu ed in tante e tante altre, per cui anche la morfologia esterna di questi depositi alluvionali può avere la sua importanza per darci pre- cisi concetti sul verso delle antiche correnti e cognizioni delle condizioni dell’alveo o di altri fatti particolari inerenti agli antichi fenomeni della fluvialità. * * * Questi fenomeni sono quelli che nella regione considerata maggiormente contribuiscono al particolare carattere del pae- saggio idrografico tanto ricco di accidentalità e sempre vario. Ma, sopratutto sorprende di osservarli in luoghi ove più non I FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 433 esiste alcun corso d’acqua, come già ebbi a dire per i terrazzi trasversali della fig. 9, ed ove il bacino di raccoglimento attuale è cosi ristretto da fare evidente contrasto colla potenza delle traccie, probabilmente lasciate da antiche correnti. Per questi Fig. 10. — Pianta del sistema idrografico dei- dintorni di Sassari. casi bisogna evidentemente ammettere una diversa distribuzione dei corsi d’acqua per fenomeni di migrazione e di cattura. E siccome per la regione considerata ho potuto accertare parecchi di questi fenomeni, credo opportuno di presentare una cartina del sistema idrografico delle località più istruttive dei dintorni di Sassari. In questa cartina sono rappresentati con linee continue i corsi d’ acqua attuali più importanti della regione, con linee tratteggiate i probabili antichi collegamenti, fenomeni di migra- zione e di cattura. Questi collegamenti ci portano alla ricostruzione dell’antico bacino idrografico di raccoglimento, sotto forma di una super- ficie pressoché piana ed uniformemente inclinata a mare, sulla quale dovettero stabilirvisi delle correnti conseguenti. 434 G. CAPEDER Per queste ricostruzioni però non è concesso di trarre alcun aiuto dalla struttura geologica della regione, interessando l’ero- sione esclusivamente il calcare miocenico, ma sì dalla sola incli- nazione degli strati e dalla struttura fisica di essi, come nep- pure è possibile trarre a spiegazione di questi fenomeni concetti che si fondino sopra oscillazioni bradisismiche per l’impossibilità di accertameli, essendo questa regione emersa dalla fine del mio- cene, per cui le valli si incisero già fin da quell’epoca, approfon- dendo via via che continuava il sollevamento, senza che perciò non avvenissero profonde modificazioni nella direzione degli antichi corsi. Colla scorta della fìg. 10, frattanto prendo in esame alcuni dei fenomeni di cattura e di migrazione, più accertati dal rilievo topografico e dalle traccie della fluvialitù. Se da Sassari ci si reca a Sant’Anatolia, si potrà osservare il tufo trachitico e la trachite (andesite) affiorare dagli strati miocenici senza apparente grande disturbo stratigrafico; in realtà, detta roccia appare in ammassi ed anche in dicchi coperti dal tufo vulcanico e dai calcari terziari. Le lave antiche pare che quivi non venissero mai ad emergere dalle roccie terziarie perchè esse sono coperte tuttora da quegli strati e non ci sono note in questa località che per le profonde incisioni che quivi operarono antiche correnti fluviali. Inoltre queste trachiti si continuano per gran tratto sotto al mantello miocenico, ed infatti anche ad una certa distanza da questa località possiamo arguirne la presenza a non grande profondità dalle polle d’acqua sorgiva; acqua che pro- viene dalla falda sotterranea a contatto delle lave impermeabili. I fianchi di quelle incisioni portano ancor ora segnate pro- fonde conche di erosione sulla durissima e compatta trachite e quivi si trovano denudate bellissime e potenti dicche e conici spuntoni. Così queste traccie della erosione in unione a bellis- simi terrazzi trasversali e ad altri depositi alluvionali si trovano a collegare in questa località due corsi d’acqua attuali: il R. Eba ciara, epigenetico (*), ed il R. Manna sovrimposto (?) alle tra- (!) Taramelli T., op. cit , 1899. (2) De Marchi L., Geografìa Fisica, 1901, p. 451 e Rovereto G.,. op. cit., 1904. p. 40. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 4B5 cliiti; sul tragitto esistono ancora il E. d’Ogliastru, egualmente obbligato e la parte superiore del R. Sassari. Qui siamo evidentemente in presenza di un fenomeno di cattura ed abbastanza complicato, poiché panni non riesca sod- disfacente a spiegarlo la genesi comune della cattura normale 0 di testata (‘), nè il fenomeno particolare della cattura laterale osservato dal Rovereto (2) fra i torrenti Sansobbia e Riobasco, dell’ Appennino ligure. Tanto più che in relazione con questa cattura si riscontrano altre complicate traccie di fluvialità. Difatti una serie di depressioni partendo dalla fonte di Santa Anatolia costeggiando il M. Oro conducono al R. d’Ottawa, ed a monte del R. Sassari rimangono le traccie di un collegamento di esso col R. Eba ciara. Si potrebbe ammettere che il R. Eba ciara si scaricasse nel R. Mannu, fig. 10, per Càniga, Santa Ana- tolia ed il R. d’Ogliastru, formando un corso composto; che poi il R. Santa Orsola abbia catturato le acque del bacino superiore del R. Eba ciara e sien rimasti i tronchi quasi asciutti del R. d’Ogliastru e del R. Sassari. Ma il R. Santa Orsola ha il proprio letto ben poco incavato e non sono nella sua valle notevoli 1 fenomeni della fluviazione, d’altronde donde sarebbero provenute al bacino catturante le acque atte a compiere il lavoro di inci- sione con maggior energia del corso catturato ricco invece di acque come ne fanno fede le traccie di potenti erosioni sui fianchi della valle Eba ciara? D’altronde non si ritrovano quivi traccie di cambiamento di decorso delle correnti susseguenti, nè le altre condizioni stratigrafiche necessarie per poter spiegare' le attuali condizioni con una cattura di testata (3). Io credo perciò di interpretare questa cattura in altro modo, conforme al processo di incisione che anche si può seguire spe- rimentalmente. Le acque del R. Eba ciara presso Sassari e probabilmente in regione Predda Niedda, dovevano scaricarsi per due vie favorite in quel punto dalla piccola inclinazione dell’ alveo, per cui quivi ora si ritrovano potenti depositi alluvionali; una (') Rovereto G., op. cit., 1904, p. 42. (•) Rovereto G., op. cit., 1904, p. 94. (3) De Marchi L., Geografia Fìsica, p. 442-446. 436 G. CAPEDER delle vie era segnata dall’attuale R. Santa Orsola, l’altra più pode- rosa dal corso superiore del R. Sassari, da Santa Anatolia e dal R. d’Ogliastru. In corrispondenza poi della stazione di Càniga dovea staccarsi un altro ramo che portava le acque al R. Mascari, come per Santa Anatolia al R. Ottawa. Le diramazioni erano mantenute dagli spuntoni di calcare compatto che ancora oggi si possono vedere ai punti di diramazione. Dapprincipio però, quasi tutta la corrente dovea scaricarsi nel R. Manna pel R. d’Ogliastru, sicché la valle scavata nel calcare miocenico potè rapidamente approfondire lasciando i bellissimi terrazzi che ancora si possono osservare. Ma quando le acque, dopo aver asportato i calcari miocenici, raggiunsero le traehiti del R. d’Oglia- stru, non poterono più approfondire tanto l’alveo a valle quanto invece si continuò per la diramazione che da Santa Anatolia con- duce al R. Ottawa. Infatti le quote di livello ci fanno raggiun- gere il thalweg del R. d’Ogliastru, trachitico, a m. 150 ed il thalweg della fonte di .Santa Aqatolia, trachitico, a m. 145. La erosione però interessante le traehiti dovea continuare assai lenta su tal roccia compattissima, mentre l’incisione del R. Santa Orsola a monte, dovette approfondire rapidamente, perchè interessante solamente calcari e marne molto più erodihili delle traehiti. 11 dislivello del thalweg che andava sempre più accentuandosi a monte a poco a poco determinò la cattura di tutte le acque che prima si riversavano al R. Mannu e poi al R. Ottawa per la via di Santa Anatolia, per cui esse scelsero col tempo la via più facile perchè più profonda, e seguirono l’attuale R. Santa Or- sola, abbandonando l’antica via della quale ora non rimangono che le traccie profonde della incisione ed i piccoli Rii di Sassari e d’Ogliastru, residui di quei corsi. Frattanto una simile cattura veniva operata per le acque del R. Acchettas e del R. Barca, che doveano in parte dirigersi al R. Eba ciara ed in parte al R. Logulentu, da parte di quest’ultimo, per cui venne pure a diminuire d’assai il bacino di raccoglimento del R. Eba ciara. Probabilmente una cattura si operò anche per il R. Scala di Giocca che doveva confluire col R. Mascari per la valle di Giuncheddu ed al R. Eba ciara per la vailetta di Ser- rasecca, ma queste ramificazioni furono di breve durata per la mancanza di potenti terrazzi o tracce alluvionali e molto FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 437 antiche, come vien dimostrato dall’incisione profonda che operò il E. Mascari dopo tale cattura, per cui il dislivello attuale alle depressioni che giustificherebbero tali antichissimi rami è di qualche centinaio di metri. Presso la confluenza del E. Mascari col E. Scala di Giocca si trovano oggi due potentissime incisioni a terrazzi di 100 m. di altezza ognuna, rivolte verso N. E., susseguite da altre minori che si allineano fino quasi alla confluenza del K. Badu Canu col K. Scala di Giocca. È evidente che il E. Scala di Giocca dovea ramificarsi forse a livello dell’ attuale lago Bùnnari ; il ramo principale scendere direttamente al E. Mascari, l’altro confluirvi con un tronco più lungo. Senonchè col procedere della erosione e del l’approfondirsi delle valli nelle marne mioceniche, il ramo orientale s’ incontrò con i calcari meno erodibili, per cui prevalse l’erosione del ramo occidentale, benché più lungo, clip catturò infine tutte le acque, e così si poterono formare le profonde forre e le splendide terrazze della vai Bùnnari. Anche gli splendidi terrazzi della valle Cazzadores sono un relitto di correnti che ora seguono tutt’altre vie; probabilmente siamo qui in presenza di un’altro fenomeno di cattura e di migra- zione. Parallela alla valle Cazzadores è la vai Lerino, entrambe confluiscono in vai Mascari; i terrazzi della valle Cazzadores fanno scorgere un’antica biforcazione a livello del paesetto di Ossi. Dire che il Lerino a valle di Ossi abbia catturato le acque a monte che si versavano per valle Cazzadores è cosa assolutamente assurda, perchè mancano come negli altri casi, le condizioni necessarie di strati di diversa resistenza trasversali al pendìo (0, e perchè il bacino sarebbe troppo ristretto per mantenervi una corrente; nè pure si presta quell’ altra origine per cui le acque prima seguirono la valle Cazzadores e poi la valle Lerino, perchè non si comprenderebbe la causa di siffatta migrazione verso monte, mentre sappiamo che i subaffluenti tendono deviare a valle, catturando i corsi paralleli (cattura trasversale ) (2). Non ri- mane che la genesi espressa atta a spiegare razionalmente quest’ altro fenomeno di cattura, sostenuta anche dall’ analisi (’) De Marchi L., Geografia Fìsica, p. 444. (2) Rovereto G., op. cit., 1904, p. 164. 438 G. CAPEDER della struttura fìsica della roccia. Presso Ossi il R. Lerino si biforcava, di cui un ramo scendeva per vai Cazzadores, l’altro per l’attuale vai Lerino. La erodibilità più facile del tronco di monte determinò la cattura di tutte le acque che correvano per vai .Cazzadores, benché posta più a valle. Nè qui si potrebbe pensare ad una cattura laterale (*) benché si abbia la caratteri- stica forma nei corsi d’acqua di un x o di un H: alla cattura laterale occorre che uno dei torrenti erodendo profondamente la costolatura, richiami le acque del tratto di monte dell’altro; qui invece si avrebbe che il torrente meno attivo avrebbe cat- turato le acque del tratto di monte del più attivo, il che non è possibile di ammettere, per cui non rimane che la spiegazione di cui sopra. Così il R. Pinghinoso, fig. 10, si scaricava nel R. Manna per due vie, senonchè il tronco occidentale s’incise assai di più pel contributo delle acque del R. Monzas, e del tronco orientale ora non rimane che una profonda valle ter- razzata. Moltissimi sarebbero i casi di altre catture, le quali però hanno minore importanza di quelle accennate e che sono anche molto antiche, perchè le traccie della fluvialità sono poco po- tenti e molto elevate nelle valli, come fra le altre sarebbe lo spuntone di roccia della sommità del M. Canechervu splendi- damente corroso in più direzioni dall’azione di antiche correnti. Molte di queste catture ho voluto nondimeno segnare sulla car- tina della fig. 10, per far meglio spiccare l’esistenza di un an- tico reticolato idrografico perfettamente identico al reticolato di cui possiamo osservare la formazione, quando che sia, per effetto della erosione di correnti conseguenti sopra un piano. Infatti, dall’analisi sulla direzione dei corsi d’acqua attuali, si è condotti a stabilire e confermale la primitiva esistenza di un complicato reticolato idrografico, come risulta dalla osserva- zione della fig. 10, considerata nel suo complesso. E cosi si resta pure condotti alla tipica distribuzione delle correnti, distribu- zione che si origina per l’erosione iniziale naturalmente sopra un piano uniforme continuo c leggermente inclinato. (') Rovereto G., op. cit., 1904, p. 94 e 124. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 439 La fig. 11, rappresenta i solchi di scorrimento conseguenti formatisi per effetto delle acque piovane in una lunga serie di anni sopra ad una superficie inizialmente piana, uniforme e leggermente inclinata (!). Osservandola, si vedrà come questi Fig. 11. — Reticolato di profondi solchi di scorrimento formatisi in una lunga serie di anni per effetto delle acque piovane sopra una superficie piana leggermente inclinata. Fig. 12. — Teorico assestamento del- le correnti della figura precedente in seguito a continuato processo erosivo. solchi si intersecano variabilmente a monte, costituendo un re- ticolato a maglie rombiche più o meno allungate a seconda della inclinazione del piano e che finiscono poi per riunirsi a valle in soli due o tre tronchi principali, analogamente a quanto (*) (*) La piazza d’Armi di Sassari si è prestata ottimamente a qpeste considerazioni sul processo di formazione del paesaggio epigenetico, per- chè da molti anni essendo trascurato l’interrimento, la sua superficie tro- vasi ora segnata da solchi profondi dovuti alle acque piovane di scor- rimento superficiale; questi solchi furono rilevati e riprodotti nella fi- gura 11. 29 440 G. CAPEDER risulta nella fig. 10, dalla ricostruzione del decorso delle anti- che correnti in base ai resti dei fenomeni dell’erosione e della deiezione lasciati da esse nelle direzioni di quegli antichi corsi. Questi solchi della fig. 11, ci rappresentano il primo stadio- delia erosione, sopra una superficie piana, stadio che si carat- terizza pel diramarsi delle correnti in altre di minore impor- tanza, per un fenomeno eguale a quello che si osserva su quasi tutti i piani di deiezione, o alle foci, ove si determina la for- mazione di un delta, e lo scaricarsi della corrente per nume- rose bocche. Senonchè mentre quivi tende a conservarsi ed anzi ad amplificarsi e rendersi più intricato il sistema delle ramifi- cazioni per il fenomeno continuato della deiezione, nel caso so- pra considerato, i rami tendono invece a ridursi di numero ed a riunirsi in una sola corrente collettrice a misura che procede il fenomeno della erosione, fig. 12. Per cui le ramificazioni di. sorgente e di foce di un fiume non differiscono come vedremo essenzialmente nel tempo, che pel verso della corrente, e se- guendo le idee del Davis, nel ciclo di una rete idrografica, non si deve dimenticare che l’infanzia a monte sarebbe rappresentata generalmente da un sistema di corsi d’acqua conseguenti fra loro variamente collegati a costituire un complicato intreccio, men- tre lo sbocco a foce in questa stessa età si compierebbe con un solo o con pochi emissari ; che la maturità e la vecchiaia invece sarebbero caratterizzate dallo scomparire per progressiva erosione del reticolato di monte, cui subentra un bacino ed un albero- di raccoglimento e dal costituirsi a foce di un reticolato o delta a numerose ramificazioni. La causa del fenomeno come vedremo evidentemente, è la stessa a monte ed a valle, e la si deve ricercare nelle condizioni di pendenza, sol che a monte le cor- renti posseggono grande potenzialità erodente, e perciò tendenza ad allargare il bacino di raccoglimento e raccogliere le acque con successive catture in pochi tronchi maggiori fino al fiume, a valle invece il fiume, per la progressiva diminuzione di pen- denza dell’alveo (fase di deiezione), tende a suddividersi in tron- chi sempre minori allargando la foce, per cui la vita di un fiume può supporsi rappresentata dal passaggio a valle del reticolo- iniziale di monte. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 441 Lo stadio perciò di corrente ramificata a monte, è imo sta- dio di passaggio ad una condizione di equilibrio o meglio al- l’assestamento definitivo delle correnti, e non sarà difficile di riconoscere in un complesso qualsiasi di corsi d’acqua ancora le primitive condizioni nelle selle o nelle parti superiori a re- ticolo degli alvei ove la erosione non ha potuto obliterarne le traccie (1). Cosi nella fig. 10 il E. Ottawa, il R. Buddibuddi e il R. Badde Cadorgia nella loro parte superiore, originano un complesso di ramificazioni che tornano ad unirsi a monte dando luogo ad un reticolato di correnti che per alcuni corsi si possono ancora osservare: R. Logulèntu, R. Maglione; pel- altri è possibile ricondurvisi come s’è visto, fig. 10, dalla ana- lisi del rilievo topografico e dalle traccie della erosione. Egli è evidente, che le condizioni primarie di una fiumana sopra espresse e ben evidenti nella fig. 11, debbano essere pas- seggierò, e per quanto è possibile ho cercato di rendere anche nelle figure l’idea del modo con cui un complesso di correnti col tempo si riconduca al tipo noto di pochi alvei principali che raccolgono le acque del bacino idrografico diramandosi e divergendo in alvei secondari, terziari, ecc., col riportare con linee più forti i solchi più profondi e larghi e con linee più sottili quelli più piccoli. In tal caso, la sola ispezione della fig. Ile della fig. 12, dà completa ragione delle successive fasi per cui passa una corrente per condursi alla stabilità della di- rezione del proprio alveo ed originare il caratteristico albero di raccoglimento. Infatti allorquando una corrente si divide in due di mi- nore importanza, fig. 11, a, è impossibile che l’erosione eserci- tata sulla roccia dalle due correnti supposte inizialmente di egual valore, sia egualmente intensa e ciò per l’eterogeneità dei ma- teriali erodibili, nonché per la struttura fisica della roccia; ne viene di conseguenza che il contributo d’acqua dei due rami diventerà dopo un certo tempo molto diverso a profitto della (i) Anche il prof. Taramelli accenna alla primitiva esistenza di re- ticolati idrografici con le seguenti parole: «Quanto alle selle, le quali sono così spesso delle traccie di antichi reticoli idrografici, é opportuno distinguerle in due categorie...», p. 91, dalla memoria: Di alcune delle nostre valli epi genetiche. Atti terzo Congresso geogr. italiano, voi. II, 1899. 442 G. CAPEDER diramazione che si sarà approfondita di più in seguito alla ero- sione. A determinare tale diversità però, è evidente che pos-' sono contribuirvi infinite altre ciscostanze locali anche indipen- denti dalla erodibilità, come sarebbero ad es. la presenza di uno spuntone di roccia compatta anche se molto limitato, un masso qualsiasi franato dall’alto, lo scaricarsi delle acque di un subaffluente in uno dei tronchi, ecc. Perciò, facilmente una delle correnti potrà diventare maggiore e finire col catturare col tempo tutte le acque dell’altro ramo, che da questo mo- mento non potrà più raccogliere che le acque del proprio ba- cino così troncato, ma potrà avere frattanto assunto carattere di grande valle sulle cui pareti imponenti fenomeni della ero- sione attesteranno la sua origine e faranno evidente contrasto colla scarsità delle attuali sue acque di scorrimento. I)i conse- guenza il fenomeno esteso a tutte le diramazioni d’un complesso idrografico, è evidente che ci condurrà al definitivo assestamento di esse, rappresentato pel complesso della fig. 11 alla fig. 12, assestamento che la maggior parte dei fiumi hanno già rag- giunto dando al paesaggio epigenetico l’attuale suo carattere. Per cui ben a proposito il prof. Taramelli, senza pur avere espresso questa genesi delle catture poneva (Q il geniale para- gone fra gli antichi ed i recenti corsi d’acqua: «I fiumi ter- ziari, che solcano la massa alpina, ricordano i vasi sanguigni degli invertebrati e di alcuni pesci; le correnti attuali rappre- sentano il complicato e fitto diramarsi delle vene e delle arte- rie dei vertebrati superiori ». Questo modo particolare di cat- tura e questa genesi delle valli epigenetichc si è visto clic è più frequente di quanto non si creda almeno per la regione considerata, che come ho detto, dovea essere inizialmente una superficie poco ondulata. Del resto è molto probabile, che que- sto fenomeno si sia verificato in ben maggiori proporzioni in altre regioni e possa servire ottimamente a dar spiegazione di molti fatti. Così le scile, come già ho detto, che si osservano nelle valli (die dònno in una principale, sono le reliquie della erosione di antiche correnti che le attraversavano e che dipoi furono catturate nelle condizioni di sopra esaminate, come del (l) Taramelli T., op. cit., p. 100, 1899. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 443 resto ciò viene anche ammesso dal prof. Taramelli (*), e da al- tri salvo la interpretazione della modalità di cattura. Per cui i fenomeni di cattura o di assorbimento fra i fiumi, non si verificano solamente quando (2) « una corrente incidendo profondamente la cresta oltre lo spartiacque primitivo invade il bacino idrografico di una corrente del versante opposto, ta- gliandone il corso per modo da deviare e catturare le acque della parte del suo corso situato a monte del punto di assor- bimento » ma anclie nelle condizioni sovra esposte. Anzi è forse più naturale e frequente a verificarsi la cattura in queste con- dizioni che in qualsiasi altra, specialmente sopra una pianura che ci rappresenta la superficie di uno strato, perchè all’altra genesi, in tali condizioni, si può opporre una osservazione alla quale non è sempre facile rispondere. Infatti occorrerebbe che una corrente incidesse profondamente lo spartiacque fino ad in- vadere il corso del versante opposto, fenomeno che non si può verificare che in quelle poche particolari condizioni in cui strati di diversa resistenza sono trasversali al pendio, mentre è difficile per le altre, di supporre così profonda ed intensa erosione, proprio verso la sorgente della corrente catturante ove non può esservi abbondanza d’acque, affinchè essa raggiunga il livello del thalweg del corso catturato ricco invece di acque in tal punto e pel quale occorrerebbe ammettere un arresto nella incisione, mentre è naturale che quivi la erosione fortissima tende ad abbassare sem- pre più il fondo della ralle: informino le cascate per lo più alli- neate lungo le valli, date dalle acque di affluenti pei quali non è certo nulla la erosione, e che pure non poterono incidere di conserva al fiume principale il loro letto, per cui con esso si raccordano per mezzo di un ripido gradino o di un salto. Nella, maggior parte dei casi perciò, quando per la direzione delle correnti, e per le profonde traccie della fluvialità, siamo indotti ad ammettere una cattura, dovremo ricorrere di prefe- ferenza alla genesi sopra ricordata, specialmente quando non vi concorrano dati stratigrafici, poiché essa trae l’origine dalla pri- mitiva distribuzione delle correnti e da fenomeni di migrazione (*) Taramelli T., op. cit., p. 91, 1899. (2) Parona C. F., Trattato di Geologia. Vallardi, 1903, p. 164. 444 G. CAPEDER indotti dalle cause molteplici per cui variano la erosione e la de- iezione da punto a punto e soltanto in alcuni casi particolari all’altra fin qui ammessa sull’assorbimento dei corsi d’acqua. Potrà alla genesi delle catture or svolta opporsi l’osserva- zione che le correnti tendono portarsi rapidamente alle loro condizioni normali, per cui se il fenomeno è pur A ero, non in- teressa che il particolare processo di erosione iniziale e che stabilitosi l’albero di raccoglimento, questo non è più suscet- tibile di ritornare alle prime condizioni. Potrebbe anche obbiet- tarsi che una corrente difficilmente si mantiene per molto tempo ramificata, senza che l’un ramo prevalga sull’altro. Per queste osservazioni basterà dire che la condizione di corrente ramifi- cata si mantiene quando la roccia nei due rami ha eguale cre- dibilità e finche esiste lo spuntone di roccia poco credibile, che di solito determina il dividersi della corrente nei due rami, per cui ove avviene la ramificazione l’alveo è poco inclinato, inoltre che i fenomeni di migrazione ci offrono esempi di cor- renti che per particolari condizioni del loro alveo (b si sono dap- prima ramificate e poi successivamente cambiarono cofso sce- gliendo la nuova diramazione. Del resto sempre quando un corso d’acqua giunge sopra una superficie estesa per quanto diversa sia la sua inclinazione, dimostra questa tendenza ad espandersi e si espande generalmente ove l’alveo si fa più piano e meno inclinato, ramificando in alvei secondari ; nè mancano esempi di fiumi in vallata dal corso ramificato. D’altronde all’inizio della erosione dovea esistere simile reticolato anche nei tratti di monte quando si iniziavano i solchi e quando l’alveo dovea essere meno approfondito, ed è noto che nelle piene straripanti il fiume manifesta sempre la tendenza ad espandersi in al\rei secondari ramificando, e se ci conduciamo alle condizioni di una fiuvialità più intensa, quale doveva esservi nel quaternario, non (b La causa delle migrazioni dei fiumi e della formazione delle anse sui piani alluvionali è molto complessa; ho potuto osservare però che generalmente essa si deve al succedersi delle magre erodenti alle piene straripanti. I materiali accumulati nel letto durante le piene straripanti oppongono generalmente ostacolo alle acque al sopravvenire della magra erodente per cui esse si scavano lateralmente un nuovo alveo anche seguendo una via notevolmente più lunga e tortuosa. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 445 €i meraviglieranno più le traccio che ancor oggi si osservano di •complessi reticoli nelle parti alte delle valli che le ponevano in comunicazione o scaricavano per più bocche allo stesso o ad altri fiumi le loro acque straripanti. Col progredire della ero- sione e col sopravvenire delle magre, è evidente il ritrarsi di quelle correnti in pochi alvei e lo scomparire di quei reticoli per raccenciarsi del fenomeno di cattura ed il conseguente costi- tuirsi di un albero o bacino di raccoglimento (Q. Alla modalità di cattura sopra ricordata dovrà tenersi conto •di tutte quelle accidentalità della valle o casuali che possono influirvi; così, secondo me in qualche caso è stata troppo esa- gerata l’azione che sull’alveo ha il cosidetto livello di sbocco, specialmente per la genesi della cattura di testata (?), essendo infinite le cause nell’alveo, dipendenti dalla struttura eterogenea nella roccia, che rendono nulla l’influenza del livello di sbocco (3). E per citare qualche esempio dirò che in questa regione sono frequentissime le valli troncate da una specie di circo. Si osserva cioè che la valle epigenetica è profondamente incas,- sata fino ad un certo punto, ove s’allarga a guisa di un circo, e quivi sembra terminare bruscamente con pareti a picco. Qui però •se terminano i fenomeni della erosione, non termina il bacino di raccoglimento, che a monte la valle si continua ancora per (*) (*) Il prof. Taramelli, nel già citato studio: Di alcune delie nostre valli epigenetiche, p. 91, accenna all'esistenza di un fittissimo reticolato idrografico all’inizio della erosione ed alla successiva formazione di un albero di raccoglimento con le seguenti parole : « Quanto poi all’incisione dei terrazzi, io non convengo con Heim che essa debba ricercarsi in un abbassamento dello sbocco di valle, considerato come il punto di partenza della formazione di questa, attraverso le tre note fasi di circo di canale e di area di deiezione. Io credo piuttosto che da quando la massa delle nostre montagne cominciò ad emergere dai mari terziari, sì stabilirono tosto dei solchi secondo le superfici di massima pendenza di allora, e che poscia questi solchi furono in parte approfonditi ed in parte abbando- nati, in causa dei vari movimenti subiti dalle masse infrante e per le ■accidentalità apportate in ogni singola valle dalla diversa compattezza delle roccie ». E più oltre a pag. 100: « Vediamo insomma cambiamenti in ogni senso i quali tutti si riducono ad ima piu complicata confluenza ài correnti e ad una sempre maggiore tortuosità nel loro decorso ». (2) De Marchi L., Geografia Fisica, p. 442. (3) Taramelli T., op. cit., 1870-71, p. 2£14. 446 G. CAPEDER tre o quattro volte il tratto incassato, cambiando totalmente di aspetto e facendosi larga ed aperta. Ciò si può vedere pel R. Pinghinoso, pel R. Manichedda, pel R. Lumbaglia, pel R. Frittu, pel R. Su Tirriola, pel R. Badu-Canu, pel R. S’Iscia, pel R. Marrone, pel R. Spada, pel R. Lumbaglia e per moltis- simi altri. Evidentemente la ragione di queste valli la si trova nella eterogeneità degli strati, per cui venendo ad affiorare la roccia compatta in una parte qualsiasi della valle, si determina l'arresto della erosione a monte, mentre questa stessa erosione può con- tinuare a valle pel grande contributo d’acqua che vi apporta il bacino superiore, ma il corso d’acqua di monte dovrà raccor- darsi con quello di valle attraverso ad una cascata. Vi sono poi gli esempi di tal fenomeno più volte ripetuti, cosicché il corso di quei torrenti vien diviso in successivi ripiani collegati da rapide, e naturalmente anche per questi nessuna influenza ha la erosione dell’alveo del corso collettore. Simile particolarità può anche trarci a spiegare il fenomeno di cattura più sopra considerato, per cui l’abbassarsi del livello- dei thahveg nei due rami può subire delle oscillazioni, che alla fine possono determinare la cattura di uno di essi per parte dell’altro, e ciò senza che mi sia stato fatto di riconoscervi in questa regione la cattura per opera di corsi susseguenti. Di conseguenza l’ultimo risultato di questi fenomeni, sarà il costituirsi di un bacino idrografico assai esteso, le cui acque fini- ranno per raccogliersi in pochi affluenti che danno al fiume prin- cipale, e ciò per un processo di fusione delle vicine correnti (') trat- tato originalmente in un recente lavoro del Rovereto, processo che trae in parte la sua origine dal fenomeno generale della erosione e da quello particolare delle catture. Ma rimarranno incancel- labili le traccie degli antichi collegamenti e del fittissimo reti- colato iniziale, cui devesi se il paesaggio epigenetico ha il partico- lare rilievo topografico di dossi successivi e allungati, che ci rap- presentano le aree sulle quali l’erosione fu meno efficace, perchè: comprese fra le maglie dell’antico reticolato idrografico. Questi (*) (*) Kovereto G., op. cit., 1904, p. 77. FENOMENI DI EROSIONE E DI DEIEZIONE 447 dossi che si trovano dappertutto, più o meno allungati, più o meno estesi, sono, come s’è visto, sempre i relitti del l’erosione, e non potrebbero, a mio credere, ricevere nessun’altra plausibile spiegazione. * * * Piacemi ora far notare die tanto la cattura di testata, quanto quella svolta, egualmente si prestano alla interpretazione delle traccie lasciate dagli antichi corsi e solamente è diversa la interpretazione del fenomeno. Col concetto della cattura di te- stata si ammette, come è noto, che non esistendo dapprincipio comunicazione tra le correnti, catturante e catturata, quella invada il bacino di questa e stabilitasi tale comunicazione tosto essa cessi di nuovo a favore della prima tra le correnti. E chiaro un po’ d’ artificio in cotesto concetto, mentre è più naturale ammettere sia avvenuto quanto si può desumere dalla osserva- zione dei fenomeni attuali, quali si presentano su qualunque superfìcie piana dopo una pioggia dirotta, cioè che i due tronchi si formarono già dall’ inizio della erosione e che essa per un certo tempo continuò in essi di pari passo finché per cause varie, stratigrafiche, idrografiche, meccaniche o fisiche da cui una di- versità nel fenomeno della erosione o della deiezione, la cor- rente a poco a poco cominciò ad abbandonare una via per seguire l’altra, fino a che della primitiva corrente non ne rimasero che le traccie. A questa origine delle valli epigenetiche e così interpretata non potrebbe quasi neppur più conservarsi il nome di cattura, perchè questa genesi si collega strettamente coi fenomeni di migrazione (') e non si avrebbe più qui l’inva- (’) Occorre sempre distinguere i fenomeni di migrazione delle cor- renti dalla migrazione particolare, qui espressa, alla quale però sarà opportuno di conservare il nome di cattura (cattura di migrazione), ben- ché questi due fenomeni abbiano la stessa origine e siano per lo piti dovuti alle stesse cause. Si dirà perciò che una corrente ha migrato, allorché si é spostata dal suo alveo primitivo, ciò che avviene quando dopo essersi biforcata a monte, i due tronchi tornano a riunirsi nello stesso alveo a valle, per cui con processo di tempo, l’antico alveo nel tratto della diramazione potrà essere abbandonato, e le acque allora saranno del tutto migrate nel nuovo tronco. Quando invece una corrente ramificata conduce le acque dei 448 G. CAPEDER sione di un bacino idrografico per effetto di un altro, ina piut- tosto il ricondursi in una sola, della preesistente corrente di monte che prima si ramificava in due tronchi secondari. Del resto, si tratti dell’uno o dell’altro modo di origine, il risultato è sempre lo stesso, pur variando la interpretazione, poiché mentre •coll’ antico concetto il fenomeno della cattura viene attribuito alla progressione dei semiconi di corrosione (’) per opera del fiume catturante a valle di essa cattura, col nuovo concetto invece la azione efficace sta in tutta la potenza erosiva delle acque a monte del punto di cattura, provenienti dal corso supe- riore prima della biforcazione. Senza voler entrare in dettagli, perchè non ho avuto l’op- portunità di compiere i necessari studi, voglio nondimeno aprire una parentesi, spingermi fino ai fiumi alpini, e far cenno a qualcuno fra i più importanti di questi fenomeni che potreb- bero anche essere interpretati col nuovo concetto, per dimostrare -che egualmente bene si prestano a spiegare le varie apparenze le modalità delle catture ricordate. Il prof. Taramelli accenna alla cattura che l’Adda avrebbe «seguito sul tronco occidentale del l’Ogl io, per cui ad esso sa- rebbero un tempo confluite le acque dell’alta valle delI’Adda e della valle di Poschiavo. « La facile credibilità della zona dei micaschisti e cloriteschisti e la prevalente erosione dell’Adda nel suo tratto di valle longitudinale, tutta di molto abbassatasi ■colla formazione del bacino Lariano più di quanto sia avvenuto per l’alta valle Camuna colla formazione del più lontano e meno profondo Sellino, appoggerebbero l’ipotesi di questa importante cattura...» «Stabilitasi poi l’attuale valle dell’Adda colla cat- tura del tronco occidentale del l’Oglio, continuò l’approfondarsi dell’Adda nella massa dei terreni scistoso— cristallini ... ». È questo evidentemente uno fra i più interessanti fenomeni di cattura o di migrazione dei fiumi delle nostre Alpi, che si presta benissimo alla solita interpretazione del fenomeno della §• bJ3 m e ■•S M m K ir- e ■>n « v. o © §• O -3 e © « o co * V. co ■ho & fe; fe; Si s J3) '~ O >41 g ® o 03 £ o H s M rO g PP e r© o 3 pq co co *sS> o So pq CD Ó CO ■s» a o • 3 o co -+H CO co rH rH ? Hi ■ 5H 1- O g 4-3 bh .co rH • rn HO e tO PS) © rH § (5 -©^ Si • © PQ • © "© ch o. © S rH ■H* © r*Hs r© © c: o "Si © *-sH IH co *CH © © .Co ’S ©s © O © o c^ O & «Si co o CO co co e £ CD n co co ^3 © co CO © to © .© § © Ih ■^3 © * §< M -4-0 • CD à • g 9 4-H 3 r~H> # © HH © MH U C+h o i © §< w rH $5 3 s © lÒ 0 c-‘ co W (M (M (M ai o — J o\ co co co co co ^ ló co co cd ir- co ai o i—i oi co co co CO ^ ^ i1 co lo o ^ co ai r}i ^ d IO 516 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI oijba i o otreaaa; *o?a 1 l 1 1 1 1 1 1 1 1 i + + 1 1 1 , , u ◄ 3 C4 qajjq q tradii y i i 1 1 1 1 1 t 1 1 1 1 1 II 1 1 II] P4 ' ’paui paoSoiiq'jo'jj 1 i 1 1 1 1. 1 i 1 1 + + 1 i 1 1 1 1 1 jn; paaSeixq^oa 1 I 1 1 1 1 1 1 1 1 + + + 1 1 + + 1 1 | WJTpBOCq 9tJBy + t 1 1 1 1 1 1 1 1 + } + 1 i 1 ! 1 1 » (4 BaSapxBg 1 i 1 1 1 1 1 1 1 1 + 1 1 1 1 + + 1 1 3 1 » CU P «U'BOSOX 1 I 1 + 1 1 f 1 1 1 t + 1 ! 1 + { 1 i co § W oa«aaxi 'oug; 1 l + + 1 1 1 1 + 1 + + 1 1 1 1 1 1 55 1 o » OS 0Aij}j a xra^ny 1 1 ! 1 1 ! 1 11 1 [ 1 1 1 1 1 1 1 l| ■< o | P«G 1 i 1 + 1 1 1 1 + 1 i + f 1 1 1 1 1 1 1 AjpaetnraoQ 1 1 f + 1 1 1 1 i 1 i 1 I 1 1 1 + 1 oxpeta ojajmoqjrBQ + f ■f T 1 1 + i + 1 + + + 7 1 T 1 1 1 pfjssbr; i 1 1 ! 1 1 1 1 1 1 + 1 1 1 1 1 .1 1 l| sr[clmy jup oig a o o Sh Jh S-4 rH S-. 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Uno sguardo al quadro comprensivo della specie che si trova nelle tre pagine precedenti ci dimostra come facendo una percen- tuale delle forme note al Pizzul, si abbiano i risultati seguenti: Da cui risulta una predorainanza delle felci, e tra queste una grande ricchezza nelle Pecopteridi. Da questo risulta pure imme- diatamente che i giacimenti del Pizzul sono recenti e da ascriversi o al Carbonifero superiore o al Permiano inferiore. Ma consi- derando come subito dopo le Felci vengano le Licopodine, e come, tra le Felci, subito dopo le Pecopteridi vengano le Ne- vropteridi, si può senz’altro escludere il Permiano e quindi rife- rire al Carbonifero superiore i giacimenti fillitiferi del M. PizzuL A risultati uguali ci conduce anche un esame particolareg- giato della flora. Infatti se alcune forme come: Pecopteris ar- borescens, oreoptericlia, Candolleana , piumosa , pennaeformis, po- lymorpha, Vinci' eneti, Goniopteris unita, Alethopteris Grandini, Neuropteris flexuosa, Sphenophyllum emarginatimi, Asterophyl- lites equisetiformis , Annidarla stellata, sphenophylloides, Cor- daites borassifolius, principalis, palmaeformis si trovano indif- ferentemente nel Carbonifero medio, nel superiore e nel Permiano ed hanno quindi valore cronologico limitato, già però dalla loro Sfenopteridi Pecopteridi Aletopteridi Odontopteridi Nevropteridi (incl. Dictyopteridi) 4.6 24.6 3.1 3.1 18,4 6.1 9,2 10.7 9,2 7.6 3,1 Sfenofillacee Equisetacee Licopodine ( Lepidodendree . . . 20% j Sigillane ~ ’ .iti 518 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI frequenza, si può arguire dell’età. Ma questa è resa anche più sicura dalla presenza di specie tipicamente del carbonifero supe- riore, come ad esempio: Pecopteris Pioti , Goniopteris feminae- formis var. spectabiìis, Nevropteris cordata, Linopteris nevropte- roides, Sigillaria Prardi, Poacordaites linearis. A conferma di queste si hanno poi altre forme che dal Carbonifero medio passano al superiore come: Pseudopecopteris obtusiloba , Palma- topterìs furcata , Pecopteris piumosa var. delicatula , Alethopteris lonchitica , Nevropteris heterophylla, Sphenopìiyllum longifolium, Lepidostrobus Geinitzi che sono bilanciate dalle altre che dal Carbonifero superiore passano al Permiano ed anche a strati di esso abbastanza alti come: Goniopteris foeminaeformis var. ar- guta, Calìipteridium pteridium, Odontopteris Peicl ciana, Odon- topteris osmundaeformis , N eur odontopteris auriculata, Linopteris Prongniarti, Schutzei, Sphenopìiyllum oblongifolium , Aspidiopsis coniferoides. Anzi queste forme che dal Carbonifero passano al Permiano sono assai più numerose; ma è ben noto che le forme del Permiano passano dal Carbonifero senza modificarsi. Dimo- doché anche per la mancanza di Callipteris, Taeniopteris ecc., e altri caratteri negativi della flora, il Permiano, anche nella sua parte più bassa, agi assolutamente escluso. Conferma del resto tale esclusione la presenza di forme antiche, e sin’ora ritenute esclusive del Carbonifero medio o almeno della parte più bassa del Carbonifero superiore come: Pseudopecopteris ob- tusiloba, Palmatopteris furcata, Mariopteris nervosa , Linopteris Munsteri, L. obliqua e i Lepidodendri. Stabilito cosi che i giacimenti studiati appartengono al Car- bonifero superiore, vediamo se è possibile indicare con maggiore esattezza la loro età. È questa una cosa assai più difficile, dacché non tutti gli scienziati sono d’accordo sulle varie divisioni da adottarsi, come del resto risulta anche dall’accurata rassegna che sull’argomento fa il De Stefani nel suo importante studio sulla Flore Toscane. Dovendo perciò riferirmi ad alcuno degli autori che dell’argomento si sono occupati, accetterò senz’altro lo schema proposto dal Potonié (l) e seguito, con poche modi- ficazioni anche dal Frech nella sua Lethaca palaeozoica. (') Potonié, Lehrbuch der Pflanzenpalaeontologie, pag. 237. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 519 Già intanto alcune forme come la Od. Beichiana, varie Ne- vropteris e Linopteris ci dicono che non dovremo andare tanto in alto nel Carbonifero superiore e che anche il Permocarbonifero quindi va escluso, intendendo il Permocarbonifero sia come la parte più alta del Carbonifero a contatto col Permiano, sia come gruppo di strati interposto tra il Carbonifero superiore e il Per- miano. Nell’elenco dei generi il Potonié nella sua Gliederung, indica come caratteristico della Plora VI il gran numero delle Pecopteris, e il gen. Callipteridium comincia pure colla VI Flora, come le Odontopteris. Non contraddicono alla VI Flora nè le Ma- riopteris, nè le Alethoptcris nè la Palmatopteris nè le Linopteris cominciate prima, ma che in parte giungono alla Flora Vili, e nemmeno vi contraddice YOvopteris che si sviluppa molto nell’VIII Flora, ma che è anche nella IV. E V Annidarla stel- lata che comincia colla V Flora, e lo Splienophyllum emargi- natimi tipico della VI Flora confermano che appunto di questa Flora si debba trattare, nella quale comincia \a,.Sigillaria JBrardi. Nel suo trattato di Paleofitologia a pag. 375, il Potonié dà l’elenco delle forme più interessanti di questa VI Flora carbo- nifera, tra cui troviamo numerose forme del Pizzul, e cioè: Palmatopteris furcata, Sphenopteris obtusiloba, Mariopteris muricata (nervosa), Pecopteris arboresccns, P. oreopteridia , P. Candolleana , P. unita , P. foeminaeformis , P. Pluckeneti, Aletho- ptcris Grandini, Callipteridium pterìdium, Odontopteris osmun- daeformis, Od. Beichiana, Nevr. auriculata, Linopteris Miin- steri, Sphc.iopìiyllum oblongifolium, Sph. cunei folium , Calamites Suckowi, Cai. Cistii, Annularia sphcnophylloides, An. stellata, Asteroph. equiseti formis, Ast. longifolius , Sigillar ia Brardi, e riduzione di tipi Bhytidolepis e di Lepidodendron. La presenza di queste forme e la mancanza di altre caratteristiche della V e VII Flora ci dicono ancora più che siamo nella VI Flora del Potonié, che egli sincronizza agli scisti di Ottweil, e cioè al tipico Carbonifero superiore. Le idee del Frech a questo proposito corrispondono a quelle del Potonié: ma dalla rapida revisione dei vari giacimenti risulta nettamente quello che già avevo accennato, e che cioè la nostra Flora non va riferita ai tipici strati di Ottweil, e cioè alla parte superiore del Carbonifero superiore, ma forma quasi 34 520 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI un passaggio tra gli strati di Saarbriick e quelli di Ottweil. Gli strati di Saarbriick sono caratterizzati dalle Sigillane, quelli di Ottweil dalle Felci; ma negli strati di Saarbriick sono specie di felci che mancano alla nostra Flora che pur contiene Sigil- lane, specialmente al Rio dai Amplis; cosicché i tipici strati di Saarbriick possono eliminarsi. Invece le forme di felci degli strati inferiori di Ottweil rispondono alle nostre, con in più le Sigillarle. Il Kidston pure tra le Middle e Upper Goal Measures pone un gruppo di passaggio, Transition, che il Freck (*) dice rispon- dente alla parte superiore degli strati di Saarbriick e all’inferiore di quelli di Ottweil. Non volendo ammettere nelle Carnicke questo passaggio e riferire la Flora del Pizzul ad un livello determinato, si può accettare il riferimento agli strati di Ottweil, ma alla loro parte inferiore. Del resto sulla questione dell’età avremo occasione di ritornare al termine del lavoro dopo la descrizione dei numerosi e importanti fossili animali. Prima di terminare però, ko ancora da fare osservare come le due località, Sella Pizzul scoperta dal Tommasi, e Rio dai Am- plis scoperta da me, siano contemporanee, e come le differenze cke vi si notano siano, a mio parere, da riportarsi a diversità di facies. Sono è vero esclusive della Sella Pizzul, ad esempio: Palmatopteris / arcata, Pecopteris PlucJceneti, Odontopteris Rei- chiana, Nevropteris heterophylla e tutte le Linopteris il cui complesso potrebbe accennare ad un livello un poco più antico, sebbene alcune Linopteris siano anche permiane; ma d’altra parte al Rio dai Amplis si hanno ad esempio: Mariopteris nervosa , Rccopteris piumosa (— dentata), P. pennaeformis, Ale- thopteris lonchitica , Nevropteris flexuosci e le Sigillarla cke pure accennano a livelli assai bassi, cosicché a me sembra cke si possa parlare di un solo giacimento diverso di facies , ma contemporaneo per l’età. (') Frech F, Lethaea palaeozoica, pag. 330, (tabella b). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 521 II. FOSSILI ANIMALI (di Michele Gortani). Il prof. Parona, nel suo elenco di fossili animali rinvenuti al monte Pizzul, descrive sommariamente 45 forme, di cui però 28 soltanto hanno determinazione specifica. I Briozoi e Antozoi, ripresi in esame anche su nuovo materiale dal prof. De Angelis, portarono a 33 le specie fossili della nostra montagna, e con- fermarono l’età neocarbonifera del giacimento. Le nuove località paleontologicamente interessanti rinvenute nell’autunno decorso hanno assai arricchito il materiale di studio, che minute ricerche nei punti ormai classici di Cas. Pizzul alta e Forca Pizzul mi hanno pure fatto accrescere in modo notevole. La fisonomia generale della fauna viene così a mutare alquanto; e mentre si accentua il distacco tra quella dei calcoscisti e quella delle arenarie, si vien delineando anche una terza facies negli argilloscisti della Cas. Pizzul bassa. Nei calcari scistosi neri, a circa 20 metri sotto la Forca Pizzul, soltanto l’erosione meteorica riesce a isolare gli avanzi organici, che spiccano in nero sullo sfatticcio giallastro del fondo. Vi è una predominanza assoluta di Gasteropodi, uniti a pochi Lamellibranchi e Brachiopodi che non si rinvengono altrove, e associati a Briozoi e Fusuline : Fusulina alpina antiqua Schellw., Schwagerina princeps Ehrb.; Syringopora reticulata Goldf. ; Ehabdomeson cf. rhombiferum Phill., Fenestella Veneris Fisch., F. cf. plebeia M’ Coy, Polypora Kolvae Stuck., Penniretepora pulcherrima M’ Coy; Productus elegans M’ Coy, P. longispina Sow., P. lobatus Sow.; Aviculopecten incaroianus n. f., Astarte permocarbonica Tschern., A. paularensis n. f., Conocardium Tara- mellii n. f.; Entalis prisca Mnstr.; Bellerophon textilis Kon., B. Urei Flem., Pleurotomaria nikitowicensis Jak. var. italica n. f., 522 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI PI. Sibirtzewi Jak., Murchisonia cf. conula Kon., 31. cf. Go- lowkinsldi Jack., 31. Paronai u. f., 31. cf. imparlineata Netseh., 31. Tommasii n. f., 31. gracilis Goldf. con la var. subtcnuis n. f., Straparollus cf. minutus Kon., Euomphalus catillus Mart. var. cera Etlier., Phymatifer coroniferus Kon., Trachydomia Wheeleri Swall., Promatliildia cf. Barroisi Jak., Turbinilopsis sp., Loxo- nema gracile Kon., L. subgracile Netseh. em., L. nanum Kon., L. cf. Montis- Crucis St., Tuberculopleura anomala Jak.; Archaeo- cidaris pizzulana n. f.; Phillipsia ( Brachymetopus ) f. ind. I calcari neri compatti, zeppi di Coralli e Crinoidi, lasciano preparare troppo di rado i fossili che li costituiscono, perchè ci si possa fare un’idea giusta della loro fauna. Non se ne pote- rono estrarre che 31onilipora macrostoma Roem., Cyathopliyllum Konincki E. H., Caninia Kokscharoivi Stuck., Geinitzella crassa Lonsd., Archaeopora nexilis Kon., Clionetes variolata d’Orb., Spirifer bisulcatus Sow., S. lineatus Mart., Dielasma elon- gatum Schloth. Interstratificati con essi si trovano, presso Cas. Pezzeit alta calcari biancastri arenacei con numerose Schwage- rina princeps Ehrb. Le arenarie ocracee presso Cas. Pizzul alta, sul fianco occi- dentale della montagna, diedero i primi fossili ai professori Tom- masi e Parona. Vi si trovano Productus lineatus Waag., * P. gi- ganteus Mart., P. semireticulatus Mart., P. punctatus Mart., Chonetes strophomenoides Waag., * Orthothetes crenistria Phill. e var. * senilis Phill., 0. (?) expansus n. f. * Streptorhynclms se- miplanus Waag., Derbyia cf. grandis Waag., * 1). altestriata Waag., Spirifer striatus Mart., S. carnicus Schellw., S. lyra Kut. var. * al pimi s n. f., S. lineatus Mart., Camarophoria Sancti- Spiritus Schellw., C. cf. alpina Schellw .; Avicidopecten cf. ja- biensis Waag., Pecten sericeus Vera., Schizodus pinguis Waag.; Belleroplion De-Angelisi n. f. Più ricca e con fossili meglio conservati è la località presso Cas. Pezzeit alta, una cinquantina di metri sotto la casera. Ivi, nelle arenarie, si hanno tutte le forme di Cas. Pizzul alta, meno quelle segnate con asterisco, e inoltre Productus Cara d’Orb., P. Ncffedicvi Vera., P. semireticulatus var. bathyìcolpos Schellw., P. cf. fasciatus Kut., P. Humboldti d’Orb., P. Abichi Waag., Chonetes variolata d’Orb., 3Ieekella Vinassai n. f., Spirifer lyra FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 523 Kut., Spiriferina cristata Scili, var. fastigiata Schellw. ; Avi- culopecten liiemalis Salt., A. carbonifera Stev., A. cf. carnicus Gort., Pecten cf. aviculatus Swall., Myophoriopsis (?) Taramellii n. f. ; Loxonema cf. elongatum Kou.; Phillipsia cf. Cliffordi Wood., Vìi. {Griffithides ?) f. ind. Fisonomia diversa hanno gli argilloscisti di Cas. Pizzul bassa, con i fossili completamente limonitizzati, e dove a una straboc- chevole quantità di Productus gratiosus Waag., si uniscono Cho- netes Moelleri Tschern. var. carnica n. f., Pecten Hoernesianus Kon., Lima retiferiformis Tschern., Liebea Hausmanni Goldf. La serie fossilifera del Piano di Lanza ha uno speciale in- teresse, più stratigrafico che paleontologico, come vedremo più tardi. Le arenarie ocracee inferiori, che giacciono direttamente sui calcari devoniani, contengono Productus lineatus Waag., P. semireticulatus con le var. bathyholpos Schellw. e transver- salis Tschern., P. punctatus Mart., Streptorhynchus semiplanus Waag.; quelle argentino-nerastre o azzurrognole lasciano intra- vedere una quantità di Gasteropodi (massime Bellerofonti) e Ce- falopodi (massime Ortoceratidi) indeterminabili, insieme con Or- thotetes (?) expansus n. f., Euphemus indicus Waag., e Pliyma- iifer cf. pugilis Phill. I calcari nerastri interstratificati con esse mi hanno dato Spirifer lineatus Mart., S. semiplanus Waag., Bhynchonella osagensis Sw., Notothyris exilis Gemm., oltre a nume- rosi Coralli che non ho potuto ancora studiare. Finalmente i calcari bianchi che coronano la serie si mostrano ricchissimi di Fora- miniferi, specialmente Nodosarie e Textularie, e sopratutto Fu- suline, tra cui esemplari tipici di Fus. alpina fragilis Schellw., F. alpina communis Schellw., Sclnvagerina princeps Elirb. Tutto il materiale del Piano di Lanza e di Cas. Pezzeit e Pizzul bassa si trova nella mia collezione; quello di Forca Pizzul e di Cas. Pizzul alta è in parte nei musei di Udine, Pavia e Roma. Prima di cominciare la descrizione delle specie, mi è grato di rivolgere nuovamente l’espressione della mia più viva gra- titudine al prof. Carlo Fabrizio Parona, che mi permise con somma cortesia di studiare le località e il materiale da lui som- mariamente illustrati nella sua nota preventiva, e di poter fare così un lavoro completo. 524 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Un ringraziamento speciale devo pure al prof. Torquato Ta- ramelli, che volle mettere a mia disposizione il bello e ricco Atlante di 13 tavole, tuttora inedito, da lui presentato al Beale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, il 24 marzo 1873, e in cui sono illustrati in massima parte i fossili carboniferi dei dintorni di Pontafel (1). Questo Atlante mi fu prezioso sia per la determinazione di alcune forme incerte, sia per istabilire il parallelo tra la fauna carnica del M. Pizzul e quella del gruppo dell’Auemig (*). Per la parte bibliografica, oltre agli scritti citati nel corso del mio lavoro sulla fauna permocarbonifera del Col. Mezzodì (3) bo specialmente consultato i seguenti. 1890-92. Etheridge R., A Monograph of thè Carboni ferous ancl Permocarboniferous Invertebrata of Neiv South Wales, Pt. I-II. Mem. Geol. Surv. of N. S. Wales, Palaeoutology, n. 5, pag. 1-131, tav. I-XXII. 1894. Netschajew A., Die Fauna der permischen Ablage- rungen des óstlichen Theils des europaischen Russlands. Mem. (Trudy) Imp. Univ. Kasan, voi. XXVII, fase. 4, pag. 1-503, tav. I-XII. 1894-98. Etheridge R., Palaeontologia Novae Cambriae Me- ridionalis. Occasionai descriptions of Neiv South Wales fossils, n. 1-3. Records Geol. Surv. N. S. Wales, voi. IV-VII, con 3 tavole. (■) Vedi a questo proposito: Taramelo, Stratigrafia della serie pa- leozoica nelle Alpi Carniche, Atti R. Ist. Veneto, 1874, pag. 6 dell’estr. ; Id., Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel vera, italiano delle Alpi Carniche, Rend. Acc. Lincei, ser. 5, voi. IV, 2° seni., 1895, pag. 186. La monografia del de Koninck sulla fauna di Bleiberg fu licenziata alle stampe 23 giorni soli prima che il prof. Taramelli presentasse le sue tavole, pur troppo mai pubblicate! (2) Noto a questo proposito come alcuni autori includano erronea- mente in Carnia il gruppo dell’Auernig e della Krone. 11 solo giaci- mento carbonico fossilifero della Carnia (a parte il Col Mezzodì, che é di età più recente) è invece quello appunto del M. Pizzul. (3) Gortani M., Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico, I, la Fauna permocarbonifera del Col Mezzodì. Palaeontogr. Italica, voi. X, Pisa 1905 (in corso di stampa). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 525 1897-99. v.Loczy L., Beschreibung der fossilen Reste von Wir- belthieren und von Molluslcen, und die palaeontologisch-strati- graphschen Ergebnisse. In « Wiss. Ergebnisse der Reise des Grafen B. Széchenyi in Ostasien », Vienna, voi. Ili, pag. 9-228, tav. I-XI e 21 lìg. 1897-99. Loeenthey E., Mikroskopische Untersuchungen der palaeozoischen Gesteine. Ibicl., voi. Ili, pag. 237-304, fig. 22-36. 1897. Schuchert Ch., A Synopsis of American fossil Bra- cliiopoda, including bibliograpJiy and synonimy. Bull. U. S. Geol. Surv., n. 87, pag. 1-464. 1898. Weller S., A bibliographic Index of Nortli American carboniferous Invertebrates. Ibid., n. 153, pag. 1-653. 1899. Girti G. H., Devonian and Carboniferous fossils. In « Gcology of thè Yellowstone National Farle », Monogr. U. S., Geol. Surv. voi. XXXII, pt. 2, pag. 479-578, tav. XLVI-LX1. 1899. Jakowlew X., Die Fauna einiger oberpaldozoischer Ablagerungen Russi ands, 1, Die Cephalopoden und Gastero- podenM&m. Coni. Géol. St. Pétersbourg, voi. XV, n. 3, pag. 1-140, tav. I-V. 1900. Sohellwien E., Bcitrdge zur Systematik der Stro- phomeniden des oberen Palaeozoicum. N. Jahrb. f. Min., Geol. u. Pai., voi. I, fase. I, pag. 1-15, tav. I e 9 fig. 1900. Frech F., Zar Kenntniss des mittleren Palàozoicum in Hocharmenien und Persien. Beitr. Palaont.-Oest.-Ung. u. Or., voi. XII, pag. 183-208, tav. XV-XVII. 1900. àrthaber G., Das jiingere Paldozoicum aus der Araxes-enge bei Djulfa. Ibid., pag. 209-302, tav. XVIII-XXII. 1900. Frech F., Isolirte Vorkommen von dquivalenten der Djulfa-Kalke im nordostlichen Persien. Ibid. pag. 307-308. 1902. Dun W. S., Carboniferous Brachiopods from Clarcnce Toivn, New South Wales. Kec. Geol. Surv. X. S. Wales, voi. VII, pt. 2, pag. 72-88, tav. XXI-XXIII. 1903. Girti G. H., The Carboniferous formations and faunas of Colorado. Profess. Pap. U. S. Geol. Surv., n. 16, pag. 1-546, tav. I-X. 1903. Diener C., Permian Fossils of thè Central Himalayas. Palaeontol. Indica , Meni. Geol. Surv. India, ser. XV, Hima- layan Fossils, voi. I, pt. 5, pag. 1-204, tav. I-X. 626 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 1903. Jakowlew N., Die Fauna der oberen Abtheilung der palaeozoisclien Ablagerungen ini Donez-Bassin. Meni. Com. Geol. St. Pétersb., N. sér., fase. 4, pag. 1-44, tav. I-II. 1904. Dun S. W., Notes on some new species of Paìaeozoic Brachiopoda, from New South Wales. Ree. Geol. Surv. N. S. Wales, voi. VII, pt. 4, pag. 318-325, tav. LX-LXI. 1904. Kittl E., Geologie der Unigebung vor Serajevo. Jahrb. K. K. Geol. Reichsanst., voi. LUI, Vienna, 1903, pag. 515-748, tav. XXI-XXIII, 1 carta e 47 ti g. 1905. Schmidt A., Die Ztveischaler des niederschlesischen und bóhmischen Botliegenden. X. Jahrb. f. Min., Geol. u. Pai., voi. I, fase. 2, pag. 44-59, tav. V. FORAMINIFERA. Lagenidae Carpenter. Gen. Nodosinella Brady. 1. ? Nodosinella lingnlinoides Brady. (Fig. 4). 1876. Nodosinella lingnlinoides Brady, Carbonif. and Permian Forami- nifera, Palaeontogr. Soc, XXX, pag. 106, tav. VII, fig. 24-25. Seguendo il parere dell’illustre micropaleontologo prof. Al- fredo Silvestri, avvicino a questa forma una sezione longitudinale, proveniente dai calcari superiori del Piano di Lanza. La conchiglia ha una lunghezza di mm. 2,4 e una larghezza di 1,47; è divisa in 8 camere a pareti con- vesse, di diametro successivamente maggiore, ma di altezza quasi costante e uguale in media a 0,25 mm. La terza camera ha un diametro molto maggiore delle due contigue, il che non appare negli esem- plari inglesi. Le pareti hanno uno spessore medio di 0,06 mm. Fig. 4. - Wodosi- nella lingnlinoides Brady (ingr.). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 527 Fusulinidae v. Moller. Gen. Fusulina Fischer. 2. Fusulina alpina Schellwien, var. antiqua Schellwien. 1890. Fusulina cylindrica (non Fischer) Parona, Brevi notizie sulla fauna carbonifera del M. Pizzul in Carnia, Boll. Soc. Geol. It., IX, pag. 17 d. estr. 1896. » » De Angelis, Contrib. allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Carniclie , Atti Acc. Lincei, ser. 5, II, pag. 24 e 33 d. estr. 1898. » alpina var. antiqua , Schellwien, Die Fauna des Kar- nischen FusulinenkaTks, II, Palaentographica, XLIV, pag. 244, tav. XVII, fig. 1-4. Guscio cilindrico allungato, molto leggermente fusato, lungo circa quattro volte il suo diametro massimo, striato longitudinal- mente. I giri descrivono una spirale larga, di tipo intermedio fra Farchimedea e l’iperbolica, e sono al massimo in numero di 5. Prendendo come unità il diametro del I giro, i valori dei giri successivi sono 1,7 per il II, 2,7 per il III, 4,8 per il IV, 7, 6 per il V. Lo spessore della parete esterna delle camere nel IV giro è 0,08 mm.; quello dei setti circa 0,04 mm.; il rapporto fra la larghezza dei setti e lo spessore della volta delle rispettive camere oscilla fra 50/100 e 90/100 ; quello fra lo spessore della volta e l’altezza del giro varia da 18/100 a 30/100. Diametro dei pori in media di 0,014 mm. e uguale a due volte la lunghezza degli spazi interposti. Setti giungenti fino ai due terzi almeno dell’altezza del giro, non o poco obliqui nella se- zione trasversale mediana, e nei primi quattro giri in numero di 12, 15, 18, 23 rispettivamente. Il maggior esemplare osservato ha 8 mm. di lunghezza e 2 di diametro. Abbastanza frequente nei calcoscisti : Forca Pizzul. Non vi è il minimo dubbio sulla pertinenza degli esemplari di Forca Pizzul alla Fusulina alpina antiqua. Concordano con essa nei caratteri esterni e nelle più minute particolarità del- l’interna struttura, potendosi notare soltanto un numero alquanto minore di setti. L’andamento della spirale distingue subito que- 528 P. VINASSA de regny e m. gortani sta forma della Fus. cylindrica , dove i diametri dei successivi giri crescono assai meno rapidamente. Così negli esemplari de- scritti da Lòrenthey ( Wissensch. Ergebn. der Reise des Grafen B. Széchenyi in Ostasien, III, pag. 261-263), prendendo come unità il I giro, abbiamo 1,45 e 1,67 per il II, 2,14 e 2,33 per il III, 3,04 e 3,12 per il IV, 4,20 e 4,03 per il V. Negli esem- plari illustrati da Schellwien i valori sono invece rispettiva- mente 1; 1,8; 3,2; 4,8; 6,2, che sono molto più vicini a quelli dei nostri. Lo stesso dicasi per gli altri caratteri, che mi sem- bra rendano insostenibile la determinazione degli autori prece- denti, ai quali mancava però il prezioso sussidio del lavoro di Schellwien ('). 3. Fnsulina alpina Schellwien, var. fragilis Schellwien. 1898. Fusulina alpina var. fragilis , Schellwien, Fauna Karn. Fusuli- nenkalks, pag. 245, tav. XVII,fig.8-9. 1903. » aff. » » Gortani, Fossili rinvenuti in un pri- mo saggio del calcare a Fusuline di Forni Avoltri, Riv. It. Paleont., IX, pag. 39, tav. Ili, fig. 5. I caratteri degli esemplari che riferisco a tale forma atte- stano certamente la loro pertinenza alla Fus. alpina. Il rapido svolgimento della spira permette confronti con la sola Fus. re- gularis, di cui però i miei individui non hanno l’altissimo rap- porto fra lo spessore dei setti e quello della parete, nè la grande regolarità nella spirale e nell’andamento dei setti. Alla varietà fragilis della F. alpina , essi si accostano moltissimo per la relativa sottigliezza dei setti, che oscilla fra i 20/100 e 38/100 dello spessore della volta che li ha generati, ed è talora ancora mi- nore che negli esemplari carinziani. La parete esterna nel IV giro ha uno spessore di 0,10-0,12 mm.; il diametro dei pori è di di circa 0,01 mm. I diametri relativi dei singoli giri sono 1 ; 2,3 ; 3,7; 5,6; 7,8; il numero dei setti è rispettivamente di 7, 14, 20, 21, 26. Comune nei calcari bianco-rossastri superiori del Piano di Lanza. (*) (*) Alcuni caratteri della Fus. alpina antiqua , non accennati dallo Schellwien, esposi nella Rivista Ital. di Paleontol., anno IX, 1903, pag. 37-38. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 529 4. Fusulina alpina Schellwien, var. communis Schellwien. 1904. Fusulina alpina var. communis, Gortani, Contrib. allo studio del Paleozoico carnico, I, Paleontogr. Italica, X, cum syn. Nei calcari biancastri o bianco-rossastri che formano il mem- bro più recente nella serie del Piano di Lanza sono copiosi i gusci di questo Foraminifero, che si distingue dalla forma pre- cedente sopratutto per la maggiore larghezza dei setti. Questo e gli altri caratteri sono in generale intermedi fra quelli della F. alpina antiqua e della fragilis. Gli esemplari di Lanza sono quasi identici agli individui del Col Mezzodì, che ho già am- piamente descritti e illustrati. Schwagerina v. Moller. 5. Schwagerina princeps Ehrenberg. 1898. Schwagerina princeps (Ehrenberg) Schellwien, Fauna Karn. Fu- sulinenkallcs, II, pag. 258, tav. XXI, fig. 5-7 e 9, e tav. XXII, fi g. 4-7, cum syn. 1904. » » Gortani, Contrib. allo studio del Paleoz. Cam., I, 1 c., cum syn. La presente forma è tanto conosciuta che mi pare superfluo descriverla. Essa compare negli strati superiori del Piano di Lanza ed è frequente nei calcari bianchi arenacei di Cas Pez- zeit alta, dove una sezione sottile mi permise di constatare la perfetta corrispondenza dei caratteri interni con quelli degli esemplari deH’Auernig e del Col Mezzodì. Dai calcari scistosi di Forca Pizzul riuscii a estrarre due piccoli individui, di 2-3 min. di diametro, a forma sferica e con la tipica striatura ondulata longitudinale. 530 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI ANTHOZOA. Zaphrentidae M. Edwards et Haime. Gen. Zaphrentis Rafinesque et Clifford. 6. Zaphrentis (Caninia) cfr. Kokscharowi Stuckenberg. 1890. Zaphrentis cfr. patula (non Mich.) e Amplexus cfr. coralloides (non Sow.) Parona, l. c., pag. 16. 1895. Caninia Kolcscharoici. Stuckenberg, Korallen urici Bryozoen der Steinkohlenablagerungen des Ural und des Tirnan, Mém. Coni. Géol. St. Pe- tersb., X, 3, pag. 197, tav. Ili, fig. 12, e tav. XII, fig. 1 e 4. 1896. » » De Angelis, l. c. pag. 17. Da Cas. Pizzul alta a forca Pizzul, calcare nero (Musei di Udine, Pavia e Roma). Cyatophyllidae M. Edwards et Haime. Gen. Cyathophyllum Goldfuss. 7. Cyathophyllum cfr. Konincki M. Edwards et Haime. 1896. Cyathophyllum cfr. Konincki (E. H.). De Angelis, l. c., pag. 16. M. Pizzul, versante occidentale, calcari neri (Museo di Roma). Monticuliporidae Nicholson. Gen. Monticulipora d’Orbigny, em. Nicholson. 8. Monticulipora (Archaeopora) nexilis de Koninck. 1896. ? Archaeopora nexilis, (Kon.). De Angelis, Z. c., pag. 31, cum syn. M. Pizzul, versante occidentale ; calcari neri (Museo di Roma). Gen. Geinitzella Waagen et Wentzel. 9. Geinitzella crassa Lonsdale sp. 1894. Geinitzella crassa (Lonsd.). Netschajew, Die Fauna der permischen Ablagerungen des òstlichen Tlieils des europ. Russlands , p. 115, tav. I, fig. 33. 1896. » » De Angelis, Z. c., pag. 31, cum syn. M. Pizzul, versante occidentale; calcari neri (Museo di Roma). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 631 Syringoporidae M. Edwards et Haime. Gen. Monilipora Nicholson et Etheridge. 10. Monilipora macrostoma Roemer. 1896. Molinipora macrostoma (Koemer). De Angelis, l. c., pag. 6, cum syn. Calcari sul fianco occidentale del M. Pizznl (Museo di Pavia). Gen. Syringopora Goldfuss. 11. Syringopora reticolata Goldfuss. 1896. Syringopora reticulata (Goldf.). De Angelis, l. c., pag. 9, cum. syn. Calcari scistosi: Forca Pizzul (Musei di Roma e Pavia). Mi limito a citare queste sei forme, che dal prof. De Angelis furono già accuratamente studiate e ampiamente descritte. Se- guendo lo Zittel ho incluso i Monticu liporidi nel gruppo degli Alcionari, anziché ritenerli Briozoi ciclostomati. BRYOZOA. Rhabdomesidae Ulrich. Gen. Rhabdomeson Ulrich. 12. Rhabdomeson cf. rliombiferum Phillips sp. 1890. Ascopora cf. rhombifera (Phill.). Parona, l. c., pag. 14. 1897-99. Rhabdomeson rliombiferum, v. Lóczy, Ueberreste von palaeozoi- schen und mesozoisclien wirbellosen Thieren, in TFt'ss. Erg. d. Reise d. Grafen Béla Széchenyi in Ostasien, III, pag. 97, tav. Ili, fig. 22, cum. syn. Alcuni esemplari, non infrequenti nei calcari scistosi di Forca Pizzul, hanno la forma e le dimensioni e presentano le cellette rombiche a ordinamento spirale che si notano in questa forma, sparsa nell’Inghilterra, nel Belgio, nella Russia ed in Cina. Essa era già stata segnalata dal prof. Parona, ma nel lavoro del dott. De Angelis non ne vien fatta menzione. 532 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Fenestellidae King. Gen. Fenestella Lonsdale. 13. Fenestella Yeneris Fischer sp. 1896. Fenestella Veneris (Fischer). De Angelis, l. c., pag. 27, cum. syn. Calcari scistosi: Forca Pizzul (Musei di Udine e Pavia). 14. Fenestella cf. plaebeja Mac Coy. 1896. Fenestella cf. plaebeja (M’ Coy). De Angelis, l. c., pag. 28, cum syn. Calcari scistosi : Forca Pizzul (Museo di Roma). Gen. Polypora Mac Coy. 15. Polypora Kolvae Stuckenberg. 1895. Polypora Kolvae. Stuckenberg, l. e., pag. 163, tav. XXIII, fig. 4. 1896. » » De Angelis, l. c., pag. 29. Calcari scistosi: Forca Pizzul (Museo di Pavia). Gen. Penniretepora d’Orbigny. 16. Penniretepora pulcherrima Mac Coy. 1896. Penniretepora pulcherrima (M’ Coy). De Angelis, l. c., pag. 30. Calcari scistosi : Forca Pizzul (Museo di Udine). Al pari dei Coralli, cito semplicemente anche i Briozoi de- scritti dal dott. De Angelis. Entrambe le specie di Fenestella, come pure la Penniretepora, si trovano nel materiale da me raccolto lo scorso anno. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 533 BRACHIOPODA. Strophomenidae King. Gen. Orthothetes Fischer. 17. Ortliotlietes crenistria Phillips sp. (Tav. XIV, fig. 5). 1890. Orthis crenistria (Phill.) Parona, l. c., pag. 12. 1897-99. Orthothetes crenistria v. Lóczy, l. e., pag. 85, tav. I, fig. 22-27, e pag. 129, tav. VI, fig. 6. 1900. » » Schellwien, Beitràge zur Systematik der Strophomeniden des oberen Palaeozoi- cum, N. Jahrb. f. Min., I, 1, pag. 6, fig. 3-4. 1900. >> » Frech, Zur Kenntniss des mittleren Pa- làozoicum in Hocharmenien, Beiti-. Pa- liiont. Oest.-Ung., XII, pag. 200, ta- vola XV, fig. 6. 1902. » » Dun, Carboniferous Brachiopods from Cla- rence Town , Ree. Geol. Surv.N. S. Wa- les, VII, pt. 2, pag. 80, tav. XXIII, fig. 11. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Carnico , 1, 1. c., cum syn. Esemplari tipici di questa forma cosmopolita ho raccolto solo al M. Pizznl, dove è abbastanza comune. Essa è così nota che mi pare superfluo qualsiasi cenno critico o descrittivo. Arenarie micacee: Cas. Pizzul alta (12 es.). 18. Orthothetes crenistria, var. senilis Phillips sp. 1883. Streptorhynchus crenistria var. senilis (Phill.) Kayser, Obercarbo- nische Fauna von Loping, in v. Richthofen , China , IV, pag. 178, tav. XXIII, fig. 2 e 5 ( cet excl.). 1800. Orthothetes » » » Schellwien, Syst. Strophome- niden, l. .c, pag. 9, tav. I, fig. 3-6. Nel materiale raccolto lo scorso anno al Pizzul, si trovano due valve ventrali e una dorsale che hanno una spiccata somi- 534 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI glianza massime con la fìg. 2 di Kayser e la fìg. 6 dello Scliellwien. L’ornamentazione è la stessa dell’ 0. crenistria, dal quale la var. senilis si stacca sopra tutto per i larghi cercini concentrici, che fanno ondulata la sua superficie. I cernici sono generalmente 3. L’altezza dei nostri esemplari oscilla fra 20 e 28 mm., la larghezza fra 29 e 36. Arenarie: Cas. Pizzul alta. 19. Ortliotlietes (?) expansus n. f. (Tav. XIV, fìg. 4). Conchiglia grande, a contorno variabile, generalmente più largo che alto, troncato in avanti, ora ovale trasverso, ora semiel- littico, più o meno allungato lateralmente. Valve entrambe poco convesse, largamente espanse, col margine cardinale diritto, sempre minore della massima larghezza della conchiglia. I mar- gini laterali si continuano senza netta distinzione con l’anteriore e con il frontale. La superficie esterna è tutta percorsa da minute e fittissime costicine concentriche uguali, larghe quanto o poco più dei solchi interposti, equidistanti fra loro e in numero di 10-12 per ogni intervallo di 5 mm. La superficie interna del guscio è finamente e densamente punteggiata. Manca apparato brachiale; il setto mediano è molto largo e si arresta a metà o un terzo dell’altezza della conchiglia. L’individuo meglio conservato ha 50 mm. di altezza, 76 di larghezza, e il suo margine cardinale c lungo 38 mm. Negli altri, questi valori oscillano rispettivamente fra 39 e 42 ; 64 e 95 ; 35 e 75 mm. Comune nelle arenarie ocracee e in quelle argentino nerastre: Cas. Pizzul alta, Cas. Pezzeit, Piano di Lanza. Non conosco alcuna forma a cui la descritta si possa accostare; e per la mancanza di coste radiali sono incerto sullo stesso riferimento generico. Alcuni esemplari del museo di Pavia erano indicati come Edmondia ? sp. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 535 Gen. Stbeptorhynchus King. 20. Streptorhynclms semiplanus Waagen sp. (Tav. XIV, fig. 3). 1884. Orthothetes semiplanus. Waagen, Salt Bange Fossils , I, pt. 4, Pa- la eontol. Indica, ser. XIII, I, pag. 608, tav. LV, fig. 1-2. 1898. » » Schellwien, Fauna Farvi. Fusulinenlcalks, I, Palaeontographica, XXXIX, pag. 39. 1900. Streptorhynchus semiplanus. Schellwien, Syst. Strophomeniden, 1. c., pag. 5. La mancanza eli setto mediano mostra la pertinenza al genere Streptorhynchus , piuttosto che ad Orthothetes, delle quattro valve in esame. I caratteri della forma e della scultura si accostano assai a quelli dati da Waagen. Le coste sono 10-13 in ogni intervallo di 5 min., presso il margine frontale. La statura è maggiore che negli esemplari indiani, poiché raggiunge 23 mm. di altezza per 30 di larghezza. Arenarie : Gas. Pizzul alta (3 es.), e Piano di Lanza (1 es.). Gen. Derbyia Waagen. 21. Derbyia grandis Waagen. (Tav. XIV, fig. 2). 1902. Derbyia yrandis (Waag.). Tsehernyschew, Die obercarbonische Bra- cliiopoden des Ural und des Timan, Ména. Com. Géol. St. Pétersb., XVI, 2, pag. 207 e 580, fig. 59 e 60, tav. XXIV fig. 1-2, e tav. XXIV, f. 5. 1904. » cfr. » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. Sulla determinazione di questa forma tanto caratteristica, non si può sbagliare quando si abbiali tra mano individui adulti. Presso la Gaserà Pezzeit alta ne ho trovati due esemplari tipici, che rispondono integralmente all'ampia descrizione di Waagen ( Salt- Bange F.ossiìs , Le., pag. 597, tav. LI, fig. 1, tav. LII, fig. 1 e 3, tav. L1II, fig. 3 e 5). L’ondulazione irregolare del guscio è ben manifesta, massime nella valva dorsale; mi sono 35 536 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI ignoti i caratteri interni, che lo Tschernyscew ha minutamente descritto per gli esemplari della Russia orientale. L’altezza varia da 51 a 63 min., la larghezza da 72 a 76, lo spessore di cia- scuna valva da 14 a 15. Cas. Pizzul alta (1 es., museo di Pavia) e Gas. Pezzeit (2 es.)i arenarie micacee. 22. Derbyia altestriata Waagen. (Tav. XIV, fig. 1). 1884. Derbyia altestriata. Waagen, Z. c., pag. 600, tav. LI1, fig. 2. Valva ventrale molto debolmente convessa, a contorno semi- ovale, con apice acuto ma ben poco prominente, area triangolare allungata, molto bassa, bruscamente rilevata nel mezzo. Super- ficie irregolare per ondulazioni concentriche e ondulazioni longitu- dinali, e percorsa da numerosissime costicine radiali che aumen- tano per intercalazione, si biforcano presso il margine frontale e sono relativamente forti e bene spiccate. Il complesso di tutti i caratteri concorda con la descrizione di Waagen e con l’esem- plare da lui figurato. L’ altezza è di 30 inni., la larghezza di circa 41, il margine cardinale di 37. La specie è finora nota soltanto nei depositi permocarboniferi superiori dell’ Imalaia. La valva descritta esisteva senza deter- minazione nel museo di Udine; proviene dalle arenarie ocracee di Cas. Pizzul alta. Gen. Meekella White et St. John. 23. Meekella Vinassai n. f. (Tav. XIV, fig. 6-8). Valva ventrale di statura mediocre o grande, conico ricurva, di forma variabile. Apice molto grande, acuto, fortemente cur- vato e molto protratto in avanti; area ampia, triangolare. Lungo la linea mediana decorre uno stretto seno lineare a forma di solco, non allargato in addietro, poco profondo. La superficie è ondulata per successivi rilievi e depressioni concentriche, descri- venti ciascuno una V capovolta in corrispondenza del seno ; tali POSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICINE 537 rilievi e depressioni sono alquanto irregolari e variamente svi- luppati, ma hanno sempre la caratteristica forma a doppia curva, simile a quella di un ol Pare che si abbiano anche tracce di una finissima striatura longitudinale. Lungo la commessura il contorno della valva è trasversalmente ovale, troncato in alto. Non conosco la valva dorsale di questo Brachiopode, che appartiene certamente a una forma nuova e interessante, molto diversa da tutte quelle a me note. Dei caratteri interni ho potuto precisare soltanto 1’esistenza di un setto mediano; e po- trebbe darsi che la specie appartenesse sempre al genere Derbyia invece che alle Meekeìla, a cui l’ho riportata per la maggior somiglianza della forma esterna. I due esemplari meglio conser- vati hanno rispettivamente 29 e 44 mm. di altezza, 34 e 51 di larghezza, 16 e 25 di spessore. Arenarie micacee: Cas. Pezzeit (es. 5). Productidae Gray. Gen. Chonetes Fischer. 24. Clionetes variolata d’Orbigny sp. 1902. Chonetes variolata (d’Orb.). Tschernyschew, l. c., pag. 235 e 597, tig. 64, tav. XXVII, tig. 9-11, cum syn. I due esemplari del M. Pizzul presentano nel modo più .caratteristico la forma e la scultura proprie di tale specie. Il seno però è assai poco accennato, così da ricordare molto la Ch. granulifera Owen (*), da cui la nostra forma rimane tut- tavia distinta per la scultura più grossolana. Questa è data da numerosissime coste radiali, che giungono alla fronte e ai lati in circa 120-140 e stanno in 16-20 in ogni intervallo di 5 mm.; aumentano di numero per biforcazione e sono finamente rugu- loso-spinose in un esemplare meglio conservato e proveniente dai calcari, molto fittamente punteggiate in un secondo individuo rinvenuto nelle arenarie. Cas. Pizzul alta e Cas. Pezzeit. (Q Geol. Rep. Wisconsin , Jcnva and Minnesota , 1855, pag. 583, tav. V, fig. 12; cfr. anche Tschernyschew, op. cit., pag. 238 e 600, tav. LVI, fig. 14-16. 538 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 25. Chonetes Moelleri Tschernyschew, var. cantica n. f. (Tav. XIV, fig. 18 e 19). Conchiglia a contorno snbtrapezoidale, con la massima lar- ghezza in avanti. La valva ventrale è molto convessa, ma sol- cata da nn seno largo e profondo, espanso in addietro, che la rende fortemente bigibbosa; l’apice è limitato ai lati da ima depressione sinuosa e non sporge affatto o quasi affatto sul margine cardinale; l’area è molto bassa e molto allungata, con un largo deltirio triangolare. La valva dorsale è in proporzione meno alta della ventrale ed è munita di un lobo largo e rile- vato ; il suo apice non oltrepassa il margine anteriore ed è appena accennato. Entrambe le valve sono percorse da fìtte costicine radiali dicotome, ordinariamente biforcate due volte, minute, ma ben visibili anche a occhio nudo, larghe quanto gli spazi inter- costali. A 5 inni, dall’apice sono circa una quarantina; diven- tano 70 a 80 verso la metà della valva, e nuovamente si biforcano a 2-3 min. dal margine frontale; in ogni intervallo di 5 mm. se ne contano in media 10-12. Non vi è traccia di spine. Nell’esemplare migliore l’altezza è di 14,5 mm. per la valva ventrale, di 13 per la dorsale; la larghezza è di 27 mm., lo spessore di 5. ■ Ha grandissima analogia con la Ch. Mòlleri Tschernyschew ( Obercarb . Bradi. Urals, 1. c., pag. 240 c 601, tav. XXVII, fig. 3), di cui è nota la sola valva ventrale. Le poche differenze consistono nel seno molto profondo invece che superficiale e nel contorno subtrapezoidale piuttosto che semicircolare. La forma carnica è ancor più dell’uralica vicina alla Ch. variolata, da cui si distingue per la mancanza di spine e la scultura più grossolana. Cas. Pizzul bassa; argilloscisti (4 es.). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 539 26. Cliouetes stropliomenoides Waagen. (Tav. XV, fig. 6). 1884. Chonetes stropliomenoides. Waagen, l. c., pag. 628, fig. 16, tav. LVIII, fig. 10. 1900. » » Schelhvien, Die Fauna der Trogkofel- schìchten in den Karnischen Aìpen und den Karawanken. Abhandl. k. k. Geol. Reichsanst., Wien, XVI, 1, pag. 37, tav. IX, fig. 13-16. Il contorno subquadrangolare, la forte convessità, unita alla presenza di un seno largo e profondo, molto espanso in addietro, la scultura piuttosto grossolana, costituita da pieghe radiali dico- tome, granulose, bene spiccate, in numero di 9-11 per ogni intervallo di 5 min., non lasciano dubbio sulla determinazione. Le costicine sono alquanto più fitte che negli esemplari del- T Imalaia e delle Caravanche. La specie è ora segnalata per la prima volta nelle Alpi Car- niche. Appartiene al gruppo medesimo delle due Clione.tes or ora descritte, e se ne distingue per la forma appena ristretta in addietro e la forte scultura. Cas. Pizzul alta (Museo di Udine, sub Productus Fleming li?), e Cas. Pezzeit : arenarie micacee. Gen. Productus Sowerby. 27. Productus Cora d’Orbigny. (Tav. XIV, fig. 10 e 31). 1884. Productus Cora M’Orb.). Waagen, 1. c., pag. 677, tav. LXVI, fig. 3, e tav. LXVII, fig. 1-2, cum syn. 1897-99. » » v. Lóczy, l. c., pag. 70, tav. Ili, fig. 25, cum syn. 1900. » » Schellwien, Fauna Trogkofelsch., pag. 41, tav. VII, fig. 15-17, cum syn. 1902. » » Tschernyschew, 1. c., pag. 279 e 621, fig. 69-71, tav. XXXIII, fig. 2-3. tav. XXXV, fig. 1, e tav. LIV, fig. 1-5, cum syn. 540 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 1903. Productus Cora (d’Orb.). Girty, The Carbonif. formations and fau- nas of Colorado, Prof. Pap. U. S. Geol. Surv., n. 16, pag. 364, tav. IV, fig. 1-4, cunei syn. amer. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. Il Productus Cora tipico, a valva dorsale sinuata e munita di aculei, non si trova nel Piano di Lanza ed è raro al Pizzul, dove ne ho trovati tre soli esemplari caratteristici. Arenarie ocracee: Gas. Pezzeit. Le valve dorsali dei Producti di questo gruppo, che ho de- terminato come Pr. Cora sensu lato , sono abbastanza numerose e non di rado ben conservate; ma è noto come non si possano classificare in modo preciso. Senza confronto più abbondanti sono le valve ventrali, che ho distinto nelle due varietà seguenti. 28. Productus Cora, var. liueatus Waagen sp. (Tav. XIV, fig. 11 e 27). 1873. Productus cfr. Cora , Taramelli, Stratigrafia della serie Paleoz. nelle Alpi Carniche, Atlante inedito, tav. VI, fig. 3 e 5. 1897-99. » cfr. lineatus (Waag.), v. Lóczy, l. c., pag. 71, tav. II, fig. 6, cutn syn., ult. excepto. 1902. » » Tschernyschew, l. c., pag. 281 e 371, tav. VII, fig. 26-27, cum syn. 1903. » » Diener, Permian Fossils of thè Central Hi- malayas, Palaeont. Ind., ser. XV, 1, 5, pag. 138, tav. VII, fig. 1. Provvista di aculei come il tipico Pr. Cora, questa varietà se ne distingue quasi unicamente per la sua grande valva mu- nita di seno. È il fossile più diffuso tanto sui due versanti del M. Pizzul quanto negli strati inferiori del Piano di Lanza. Dei 120 esem- plari di Productus a sottili strie longitudinali che ho raccolto sul M. Pizzul, più di metà appartengono a questa forma per- mocarbonifera ; talvolta però, il seno è così superficiale, che si dura fatica a separarla dalla forma tipica orbigniana. Arenarie ocracee: Caserc Pizzul, Porca Pizzul, Casere Pez- zeit, Piano di Lanza. POSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 541 29. Productus Cora, var. Neffedievi de Yerneuil sp. (Tav. XIV, fig. 9 e 13). 1845. Procluctus Neffedievi. de Verneuil, Geologie de la Russie cV Europe et des montagnes de V Ural, II, pag. 259, tav. XVIII, fig. 11. 1860. » » d’Eichwald, Lethaea Rossica, I, pag. 910. 1900. » » Sehellwien, Fauna Troglcofelscli., 1. c., pag. 41. In molti esemplari della varietà precedente gli aculei, spe- cialmente nella regione mediana della grande valva, diminui- scono man mano fino a rendersi nulli o quasi. Si arriva così alla forma che il de Verneuil ha chiamato Pr. Neffedievi, e che tutti gli autori (1) si accordano nel ritenere distinta dal Pr. Uneatus solamente perchè priva di aculei. Arenarie ocracee : Gas. Pezzeit. Sono frequenti gli individui quasi privi di aculei, rari quelli del tutto sforniti. 30. Productus giganteus Martin sp. (Tav. XIV, fig. 12). 1873. Productus giganteus (Mart.). de Koninck, Recherches sur les ani- maux fossiles, II, Monogr. des fossiles car- boni. de Bleiberg, pag. 17, tav. I, fig. 12, cum syn. Parona, Z. c., pag. 13. v. Lóczy, Z. c., pag. 60, tav. III, fig. 26, cum syn. Weller, Bull. U. S. G. S., n. 153, pag. 490, cum syn. amer. Fra il materiale conservato nel R. Istituto Tecnico di Udine esistono due piccole valve ventrali ascritte dubitativamente a questa forma. Di certo vi appartengono due valve dorsali di mediocre grandezza, provenienti dalle arenarie di Cas. Pizzul alta, e che si trovano T una a Udine, l’altra nel museo di Pavia. (1) Cfr. Waagen, Z. c., pag. 676; Diener, The Permócarb. fauna of Chitichun, Pai. Indica, ser. XV, voi. I, pt. 3, 1897; von Lóczy, Z. e., pag. 126; Sehellwien, Fauna Troglcofelsch., pag. 41. 1890. » » 1897-99. » » 1898. » » 542 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Le coste radiali son fitte, numerosissime, dicotome, granulose; il guscio è sottile; il contorno è trapezoidale, ristretto in ad- dietro e con gli angoli posteriori arrotondati. L" insieme ricorda molto l’esemplare di Santa-shien figurato dal v. Lóczy ; è però molto meno spiccato l’allargamento in avanti. Altezza min. 23, e mm. 28 se misurata lungo la curva; larghezza mm. 37. 31. Productus semireticulatus Martin sp. 1873. Productus semireticulatus (Mart.). Tarameli!, I. c., tav. VI, fig. 1-2. 1890. » » Parona, Z. c., pag. 13. 1897-99. » semireticulata v. Lóczy, Z. c., pag. 59, 108, 119, 121, tav. I, fig. 28-30, tav. IV, fig. 3, tav. V, fig. 12?, 15, 16. 1902. » semireticulatus Dun, 7. c., pag. 77, tav. XXIII, fig. 4-5 (e 6-9?;. 1903. » » e var. hermosanus. Girty. Z. c., pag. 282, cum syn., e 358, tav. II, fig. 1-4. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. Tutti i nostri esemplari di Producti a superficie semireti- colata hanno la valva dorsale piatta e non concava ; apparten- gono quindi al gruppo del genuino Pr. semireticulatus e non a quello del Pr. holiviensis ultimamente fondato dallo Tscher- nyschew (l. c., pag. 606). 11 vero Pr. semireticulatus è in particolar modo frequente negli strati più bassi del Piano di Lanza, ma abbonda anche al Pizzul. I numerosi esemplari che ho a mia disposizione (oltre 70) presentano i caratteri di questa forma, intesa nello stretto senso che le danno gli autori moderni; in parecchi in- dividui sono ben visibili le impronte del setto mediano e dei muscoli adduttori. Piano di Lanza (54 es.), Cas. Pezzeit (16 es.) e Gas. Pizzul alta (3 es.) : arenarie ocracee. POSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 543 82. Productus semireticulatus, var. trausversalis Tschern. sp. (Tav. XIV, fig. 29). 1897. Producili, s semireticulatus, Diener, Permocarb. Fauna Chitichun, 1. c., pag. 18, tav. II, fig. 1-5 ( syn . excl.). 1897-99. » semireti culata v. Lóczy, tav. I, fig. 31 ( cet . excl). 1902. » trausversalis. Tschernyschew, l. c., pag. 258 e 611, tav. XXIX, fig. 4-6. * Valva dorsale trasversa, a contorno trapezoidale, con orec- chiette assai dilatate e scultura fra le più grossolane dei nostri individui. Corrisponde nei caratteri più essenziali alla forma che lo Tschernyschew dice comune negli Urali, e che io non credo possa elevarsi al grado di specie. L’altezza della valva è di 25 rum., e di 36 se misurata lungo la curva; la larghezza di 39, lo spessore di 21. Arenarie ocracee: Piano di Lanza. E probabile che debba riportarsi alla var. trausversalis anche l’esemplare disegnato da von Lóczy nella figura sopra citata, benché la scultura ne sia più minuta e le orecchiette meno lar- gamente espanse. 33. Productus semireticulatus, var. bathykolpos Schelhvien. (Tav. XIV, fig. 21). 1882. Productus semireticulatus, Waagen, l. c., pag. 679 e fig. nel testo. 1900. » » var. bathykolpos. Schelhvien, Fauna Trogkofelsch., 1. c., pag. 46, tav. VII, fig. 10, cum syn. Nei nostri giacimenti questa forma è .assai meno comune che al Nassfeld e nelle Caravanche, dove lo Schelhvien ebbe a segnalarla come il fossile neocarbonifero più frequente e co- pioso. Tuttavia e nel Piano di Lanza e al monte Pizzul è sicuramente rappresentata da esemplari tipici, muniti di largo e profondissimo seno. Per la descrizione e i rapporti con le forme vicine, rimando alle ampie illustrazioni fattene da Schelhvien nel 1892 ( Fauna 544 P. VINASSA de regny e m. gortani Karn. Fusulinenk., I, 1. c., pag. 22, tav. II, fìg. 4-10, tav. Ili, fig. 2, tav. Vili, fig. 22) e nel 1900. Dopo le osservazioni di Tsehernyschew sul Productus boliviensis, eli cui ho già fatto cenno, tale specie deve allontanarsi molto più di quanto sostenne lo Schelhvien dalla var. batliykolpos, la cui importanza viene così notevolmente accresciuta. Piano di Danza (4 es.) e Cas. Pezzeit (5 es.); arenarie ocracee. 34. Productus gratiosus Waagen. 1903. Productus gratiosus (Waag.), Diener, Perni, fossils Centr. Hyma- layas, l. c., pag. 71, tav. Ili, fi- gura 23. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. e fig., cum syn. Ho già avvertito come il Pr. gratiosus sia in particolar modo frequente negli scisti argilloso-micacei vicino alla Cas. Pizzul bassa. I numerosi esemplari riproducono in piccolo, su per giù, la forma e la scultura del Pr. semireti culatus, senza presen- tare le forti coste che negli individui deH’Auernig separano le orecchiette dal resto della valva (var. occidentalis Schelhvien). Le orecchiette sono talora così espanse da ricordare alcune specie di Marginifera. Al Pr. gratiosus deve pure riferirsi un esemplare trovato dal prof. Parona presso la casera Pizzul alta ed esistente nel museo di Udine sotto il nome di Pr. semireticulatus?. 35. Productus punctatus Martin sp. (Tav. XIV, fig. 15 e 19). 1903. Productus punctatus (Mart.). Girty, l. c., pag. 368, cum syn. amer. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. e fig., cum syn. \ E connine al Pizzul, dove ne ho raccolti numerosi campioni. Seno e lobo sono sempre distinti; in tre esemplari è conservata l’ impronta del setto mediano e dei muscoli adduttori, con gli stessi caratteri della fig. 19 b, tav. I, data dal de Koninck per i fossili di Bleiberg. L’individuo completo, che raffiguro dal FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 545 lato dorsale nella fìg. 15, presenta anche un’area abbastanza sviluppata, che lo avvicina alla Strophalosia poyangensis eli Kayser (l. c., pag. 190, tav. XXVIII, fìg. 10). La scultura varia assai nei diversi esemplari, anche secondo lo stato di conser- vazione. 11 numero dei cercini concentrici fra 15 e 25 min. di distanza dall’apice oscilla fra 4 e 10, il loro numero totale fra 20 e 35. Le dimensioni sono sempre notevoli, talora grandis- sime. L’individuo più piccolo ha 31 mm. di altezza per 39 di larghezza, il maggiore (conservato a Pavia) ne misura rispet- tivamente 74 e 95. Gas. Pezzeit, Cas. Pizzul alta, Piano di Lanza: arenarie e scisti. 36. Productus cfr. fasciatus Kutorga. (Tav. XLV, fig. 22). 1902. Productus fasciatus (Kut.). Tschernyscheiv , l. e., pag. 297 e 6.31, tav. XXXI, fig. 7, e tav. XXXIV, fig. 5 6, cum syn. Tre esemplari del M. Pizzul differiscono dalla specie pre- cedente per le dimensioni molto minori, la mancanza di seno, l’apice grande e ricurvo, la forma molto rigonfia nella parte mediana e bruscamente abbassata sui lati. Essi ripetono quindi i caratteri che lo Tschernyschew dà come distintivi del Pr. fa- sciatus. Tale specie rientra forse nel ciclo delle forme del Pr. pane- tatus, di cui riproduce esattamente la scultura e il contorno; mi induco a tenerlo separato da quello per il carattere delle impressioni muscolari, ben diverse secondo lo Tschernyschew nelle due forme. Nei due esemplari più grandi e meglio conservati del M. Pizzul l’altezza è rispettivamente di 17 e 19 mm. (28 e 31 lungo la curva); la larghezza è di 24 e 17, lo spessore di 9 eli mm. Arenarie: Cas. Pezzeit. 37. Productus elegans Mac Coy. (Tav. XIV, fig. 23). 1897-99. Productus punctatus var. elegans (M’ Coy). v. Lùczy, i. c., pag 61 e 127, tav. II. fig. 1-3 e 8, e tav. IV, fig. 4 (syn. excl.). 546 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 1900. Productus elegans , Schellwien, Fauna Trogltofélsch., I. c., pag. 52, tav. Vili, fig. 14-17, cu m syn. Si distingue dal Pr. punctatus per le dimensioni senza con- fronto minori, la mancanza di seno e la scultura che per gli spazi intercostali lisci è molto più simile a quella del Pr. fimbriatus. Ne ho trovate soltanto due valve dorsali, che per la loro sta- tura, forma e ornamentazione concordano esattamente con la fig. 3 e il dettaglio della fig. 1 b riprodotti da L. von Lóczy. Sono ben visibili il setto mediano, che arriva fino a metà della valva, e le impressioni dei muscoli adduttori, lunghi circa metà del setto; si scorgono anche tracce del processo cardinale. Calcari neri sopra Gas. Pizzul alta (museo di Pavia); cal- cari scistosi della Porca Pizzul. La presenza di questa forma nei soli calcari, mentre il Pr. punctatus non si rinviene da noi che nelle arenarie, e quindi le facies completamente diverse a cui le due specie appartengono, appoggia il concetto propugnato da Schellwien della loro decisa separazione. 38. Productus Humboldti d’Orbigny. (Tav. XIV, fig. 14). 1902. Productus Humboldti (d’Orb.). Tschernyschew, l. e., pag. 275 e 620, tav. LUI, pag. 1-3, cum syn. Dopo l’osservazione fatta molto a proposito dal Nikitin (') per ciò che riguarda il Pr. Humboldti, e gli esemplari indiani figurati come tali dal Waagen {l. c., pag. 695, tav. LXXVI, fig. 1-3), i signori von Arthaber e Tschernyschew hanno cer- cato di mettere nella sua vera luce la specie di Alcide d’Or- bigny. Il von Arthaber (v), riferendosi ai disegni dell’autore francese (3), dice che il Pr. Humboldti è caratterizzato dal- l’apice relativamertte piccolo, da una linea cardinale lunga quanto (') S. Nikitin, DcpOts carbonif'eres et puits artésiens dans la région de Moscou, Mém. Coni. Géol. St. Pétersb., voi. V, fase. 5, 1890, pag. 159. (?) v. Arthaber, Das giùngere Palaeozoicum aus der Araxes-enge bei Djulfa, Beitr. Pai. Oest.-Ung., voi. XII, 1900, pag. 251. (3) D’Orbigny A., Voycige dans VAmérique meridionale, voi. IH, pt. 4, 1842, tav. V, fig. 4-7. POSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 547 la massima larghezza della conchiglia, e dalla presenza nella valva ventrale, oltre ai due rigonfiamenti convessi separati dal seno mediano, di un’altra depressione laterale per parte, se- guita da un nuovo rigonfiamento verso l’ala cardinale. Quest’ul- tima particolarità non è accennata invece dallo Tschernyschew, nè appare in modo alcuno nelle sue bellissime e accurate fi- gure. Entrambi insistono però sulla scultura a spine cuneiformi molto appressate, ben più fitte di quanto appariscano nei di- segni di L. Gr. de Koninck (1). Data questa inesattezza del paleon- tologo belga, e data l’ imperfezione grossolana dei disegni orbi- gniani, le figure dello Tschernyschew debbono considerarsi come classiche per la forma in questione, tanto più che egli ha po- tuto constatare personalmente l’identità dei suoi esemplari con gli originali dell’ illustre francese. Sul M. Pizzul ho raccolto tre valve che appartengono senza dubbio alcuno a questa specie tanto discussa. La maggiore di esse, e anche la minore, hanno forma identica a quella degli esemplari uralici; la terza, di cui unisco la fotografia, è invece alquanto più allungata, con altezza uguale alla larghezza mas- sima. L’area strettissimamente lineare, quasi nulla, ci assicura in ogni modo che non può trattarsi di una Stroplialosia. In tutti e tre gli esemplari il seno è molto largo, fiabeilare, de- presso; la valva è regolarmente convessa, con uno spessore uguale a un terzo dell’altezza e col margine cardinale lungo quanto è larga la valva. Gli aculei sono allungati, disposti in fitte serie radiali e per lo più alternanti nelle serie contigue; gli inter- valli fra serie e serie oscillano intorno a 0,5 min. di larghezza a un cui. di distanza dall’apice, e solo nella metà posteriore della valva raggiungono il millimetro. Arenarie micacee; Gas. Pezzeit. 39. Productus Abiclii Waagen. (Tav. XIV, fig. 20). 1884, Productus Humboldti (non d'Orb.). Waagen, l. c., pag. 695, tav. LXXVI, fig. 1-3. 1884. » Abietti, Waagen, 1. c. pag. 697, tav. LXXIV, fig. 1-7. (') De Koninck, Recherches sur les animaux fossiles , 1, Monogr. des genres Productus et Chonetes, 1847, pag. 114, tav. XII, fig. 2. 548 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 1900. Productus Abiclii, v. Arthaber, l. c., pag. 257, tav. XX, fig. 1, cum syn. 1903. » » Diener, Perm. foss. Centr. Hirnal., 1. c., pag. 69. Questa elegantissima forma è rappresentata nella collezione del M. Pizzul da una piccola valva dorsale, che ripete in ogni sua parte i caratteri già descritti nei lavori di Waagen, Diener e von Arthaber. Il contorno è ovale trasverso, con la massima larghezza minore della linea cardinale; le spine sono ordinate in serie radiali, ma non concentriche, distanti fra loro più di 1 mm. a nemmeno 1 cm. dall’apice. La discussione esauriente sostenuta da von Arthaber, se an- che non scevra di qualche menda leggera, rende superi! uo ogni cenno critico su questa forma perni ocarbonica. Arenarie ocraceo-argentine: Cas. Pezzeit. 40. Productus (Margini fera) longispiua Sowerby em. ('). 1814. Productus 1814. » 1890. » 1890. » 1897-98 » 1898. » 1900. » longispinus. Sowerby, Minerai Conchology of Great Bri- tain, pag. 154, tav. LXVIII, big. 1. Flemingii, Sowerby, l. c., tav. LXVIII, fig. 2. » Parona, l. c., pag. 12. longispinus, Nikitin, l. e., pag. 59 e 159, tav. I, fig. 11 (cet. excl.). (Marginifera) longispinus, v. Lóczy, l. c., pag. 67. tav. II, fig. 9-12 (syn. partivi excl.). Flemingii, de Koninck, Besearches on tlie Paleozoic of N. S. Wales, Meni. Geol. Surv. N. S. W., Palaeont. ser., VI, pag. 146, tav. XI, fig. 3. ( Marginifera partim) longispinus, Schellwien, Fauna Trogkofelsch., pag. 55, tav. VII, fig. 4-7. I due esemplari giustamente determinati dal prof. Parona, al pari dei tre che ho rinvenuto quest’anno, sono stati rac- colti nei calcari scistosi della Forca Pizzul. Si tratta di 4 valve dorsali e 1 ventrale: le prime sono poco convesse, quasi spia- nate in avanti, l’altra è notevolmente rigonfia. Non vi è trac- cia di seno o di lobo; il contorno è subquadrangolare; hr su- (') L’appellativo specifico longispinus, dato dal Sowerby, deve ne- cessariamente esser corretto in longispina o longispinosus, poiché lon- gispinus non può essere in latino né un aggettivo nè un sostantivo. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICIIE 549 perfide è semireticolata e con aculei sparsi ; dei caratteri interni si notano in un esemplare le tracce dell’ispessimento marginale piopiio del sottogenere, e il setto mediano che arriva sino a metà della valva, come negli individui della Carinzia. 41. Productus longispina, vai*, lobatus Sowerby sp. 1814. Productus lobatus. Sowerby, 7. c., tav. CCCXVIII, fig. 2-6. 1859. » longispinus, var. lobatus, Davidson, 7. c., pag. 55. tav. XXXV, fig. 14. 1873. » Flemingii de Koninck, Foss. Carb. Bleiberg, 1. c., pag. 24, tav. I, fig. 14 (syn. excl.). 1883. » longispinus Kayser, 7. e., pag. 183, tav. XXXII, fig. 1-4. 1888. » » Krotow, Geol. Forscliungen in den Gebieten von Tscherdyn und Ssolikamsk, Mém. Com. Géol. St. Pét., VI, 2, pag. 407 e 497, tav, I, fig. 12-13. 1890. » » Nikitin, 7. e., pag. 59 e 159, tav. I, fig. 7-10 ( non 11). 1899. » cfr. » Diener, The Antliracolithic fossils of Kash- mir and Spiti, Pai. Ind ., ser. XV, I, 2, pag. 26, tav. I, fig. 11. 1900. » » var. lobata , Scliellvien, Fauna Troglco- felsch., pag. 55, tav. VII, fig. 1-3. 1902. » lobatus var. Tschernyschew, 7. c., pag. 263 e 617, tav. LVII, fig. 10-11. Lo Schelhvien ha avuto il merito di porre nella sua vera luce questa forma, che da molti anni i paleontologi avevano completamente obliato. E certo non c’è minor ragione di con- siderare e accettare la varietà in parola, che non vi sia per la var. lineatus del Pr. Cora o la var. batlvykolpos del Pr. semi- reticulatus. Ne ho rifatto la sinonimia con i lavori più recenti che avevo tra mano. Al Pizzul si raccoglie nei calcari scistosi poco sotto la Forca, insieme col tipo e con il Pr. elegans. Il seno non è molto largo, ma netto e profondo. 650 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Spiriferidae King. Gen. Spiri fer Sowerby. 42. Spirifer striatus Martin sp. (Tav. XIV, fig. 18 e 27). 1887. Spirifer striatus (Mart.). de Koninck, Faune du calcaire carbonif. de la Belgique , pt. 6, Ann. Mus. Roy. Hist. Nat. Belg., XIV, pag. 112, tav. XXIII, fig. 1-2, cum syn. 1890. » » ?, Parona, l. c pag. 11. 1898. » » Weller, Z. e., pag. 590, cum syn. amer. 1902. » » Tschernyschew, Z. c., pag. 137 e 531, tav. XL, fig. 5. 1902. Spirifera striata, Dun, l. c., pag. 83, tav. XXII, fig. 6-9, cum syn. 11 prof. Parona, benché non avesse a sua disposizione che un modello incompleto e sformato di valva ventrale, riuscì tutta- via a determinarlo esattamente, riconoscendo la presenza dello Spirifer striatus al M. Pizzul. Le nostre ricerche ci hanno frut- tato due bellissimi esemplari di questa forma, oltre a due mo- delli ben conservati delle valve dorsale e ventrale. Il contorno c molto variabile, seno e lobo sono ampi e bene spiccati, le pieghe numerose, piuttosto larghe e depresse, dicotome, sepa- rate da solchi lineari. In una valva dorsale (tav. XIV, fig. 18) la porzione conservata del guscio è di colore bianco violaceo. Arenarie ocracee : Gas. Pizzul (1 es., Museo di Udine, e Gas. Pezzeit (4 es.). 43. Spirifer trigonalis Martin sp., var. bisulcatus Sowerby sp. 1890. Spirifer bisulcatus (Sow.). Parona, ?. c., pag. 12, cum syn. 1900. » trigonalis var. bisulcata, Schellwien, Fauna Trogkofelsch., I. c., pag. 73, tav. XI, fig. 4-6, cum syn. Si avvicinano segnatamente alla forma semicircularis Phil- lips (cfr. Davidson, l. c., 1857, tav. VI, fig. 1-4) tre valve dor- sali regolarmente convesse, ad apice grande c ricurvo e seno largo, più o meno profondo, molto spiccato alla fronte. Il con- torno è a semicerchio; l’area lungamente triangolare, poco eie- FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 551 vata, liscia, con bordi netti e rilevati. Una ventina di pieghe radiali, larghe e depresse, percorrono la superficie della valva: 4 giacciono nel seno e 7-8 su ciascun lato. Tre o quattro di queste ultime si biforcano verso la metà del loro decorso. Calcare nero: cresta del M. Pizzul (Musei di Pavia e di Udine) ('). 44. Spirifer carnicus Schellwien. 1904. Spirifer carnicus (Scliellw.), Gortani, Contrib. Paleoz. Cam. I, 1. c. e fig., cum syn. Gli esemplari del M. Pizzul concordano perfettamente con quelli delle Caravanche, del Nassfeld e del Col Mezzodì. Si rinvengono nelle arenarie, come nelle due ultime località citate. Cas. Pizzul alta (1 es.) e Cas. Pezzeit (2 es.). 45. Spirifer lyra Kutorga. (Tav. XIV, fig. 28). 1900. Spirifer tibetanus (Diener), var. occidentali . Schellwien, Fauna Troglcofelsch, 1. c., pag. 76, tav. IX, fig. 7. 1902. » lyra (Kilt.). Tschernyschew, l. c., pag. 150 e 538, tav. VI, fig. 6-7, tav. VII, fig. 7, e tav. Vili, fig. 4-5, cum syn. Tre valve ventrali di dimensioni molto ridotte. Contorno ovale allungato; apice acuto e prominente; seno ben limitato, non molto profondo, più o meno ristretto, ornato da tre pieghe per parte, che lasciano nel mezzo un largo solco percorso o no da una costicina mediana; sui lati 7-8 coste abbastanza spiccate. Ricordano specialmente le figure 7 (tav. VI) e 5 (tav. Vili) di Tschernyschew, e la 11 di Schellwien, ma sono ancor più allungate e più piccole. La maggiore ha 10,5 min. di altezza ed è larga 8 inni. Cas. Pezzeit: arenarie. C) Mentre correggo le bozze (settembre 1905) posso aggiungere che nell’escursione al M. Pizzul del Congresso Geologico testé riunitosi in Carnia furon trovati molti esemplari di questa forma, i più belli dei quali si conservano nel Museo Geologico dell’Università di Padova. 36 552 P. YINASSA DE REGNY E M. GORTANI Non mi sembra che la forma trovata dallo Sehellwien presso Neumarktl possa staccarsi dallo S. lyra. L’autore fa consistere la principal differenza nella presenza della costicina mediana del seno; ma dalle splendide e accurate figure di Tschernyschew appare evidente come tale carattere sia oscillante e variabile nella specie in discorso. Del resto le differenze tra lo S. lyra e lo S. tibetanus (cui Sehellwien accosta i suoi esemplari) sono molto leggere; ed io ritengo che il seno più profondo e la più alta area della forma asiatica bastino appena a distinguerla come varietà della prima. 46. Spirifer lyra, var. alpinus n. f. (Tav. XIV, fig. 30). Valva ventrale a contorno ovale allungato, di statura me- diocre, rigonfia, munita di un seno molto ampio e profondo che occupa oltre un terzo della sua superficie. Apice arrotondato, ricurvo e prolungato in avanti. Superficie munita di pieghe radiali larghette e assai poco rilevate, alcune appena visibili. Una costicina leggerissima e lineare percorre la linea mediana del seno, che è ornato di altre 6 pieghe, delle quali son bene spiccate soltanto le esterne. Nel resto della valva si ha un pic- colo numero di pieghe tanto deboli, che si avvertono appena come ondulazioni della superfìcie. Più visibili, ma sempre poco rilevati, sono alcuni cercini concentrici che a irregolari distanze percorrono la valva. L’area è alta, triangolare. L’ altezza è di di 31 mm. per 26 di larghezza; il seno ò largo alla fronte 12 nnn. Arenarie sotto Cas. Pizzul alta. Questa forma è molto vicina allo S. lyra, e più ancora allo S. tibetanus, che io, come ho detto più sopra, ritengo una sua varietà. Dello S. tibetanus ha infatti il seno ampio c profondo e l’area elevata; ma da esso e dallo S. lyra si distingue per la debolezza delle pieghe radiali unita allo sviluppo maggiore dei cernici concentrici. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICIIE 553 47. Spirifer (Reticularia) lineatus Mart. sp. (Tav. XIV, fig. 24-26). 1873. Spirifer lineatus (Mart.). Taramelli, l. e., tav. V, fig. 4. 1897-99. Reticularia lineata, v. Lóczy, Z. e., pag. 92, tav. Ili, fig. 28-33. 1902. » » Dun, Z. e., pag. 85, tav. XXII, fig. 3-4. 1903. » cfr. » Diener, Remi. foss. Centr. Ilimal., 1. c., pag. 19. 1904. Spirifer (Reticularia) lineatus Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. e fig., cum syn. È l’unica forma, oltre la Chonetes variolata, comune ai calcari e alle arenarie. Nulla ho da aggiungere a quanto osservai a proposito di questa specie negli esemplari del Col Mezzodì. Gli individui che si rinvengono nelle arenarie hanno per lo più dimensioni molto maggiori degli altri, e alcuni di essi con apice meno sporgente e linea cardinale un po’ concava all’ esterno ricordano molto la Reticularia elegantula di Waagen (Z. c., pag. 545, tav. XLIY, fig. 1), come gli esemplari uralici rap- presentati nella tav. XX, fig. 10 e 11, dello Tschernyschew. Arenarie presso Cas. Pizzul alta (5 es.) e Pezzeit (4 es.); calcari neri presso Cas. Pizzul (1 es., Museo di Pavia); calcari grigi del Piano di Lanza (5 es.). 48. Spirifer (Martinia) semiplanus Waagen. 1903. Martinia semiplana (Waag.) Diener, Perni, foss. Centr. Himal., 1. c., pag. 86. 1904. Spirifer (Martinia) semiplanus, Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., J. c. e fig., cum syn. Un individuo completo e ben conservato, col tipico contorno romboidale della figura del Waagen (Z. c., tav. XLIII, fig. 4), alla quale corrisponde in ogni dettaglio, salvo un maggiore rigonfiamento nella parte centrale della piccola valva, dovuto probabilmente a deformazione subita nella fossilizzazione. La valva ventrale è alta 8 min., la dorsale 6, la larghezza è di 9 mm., lo spessore di 6. Calcari grigi: Piano di Lanza. 554 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Gen. Spiriferina d’Orbigny. 49. Spiriferina cristata Schlotheim, var. fastidiata Schellwien. 1900. Spiriferina cristata var. fastigiata. Schellwien, Fauna Troglco- felscli., 1. c., pag. 65 e 66, tav. XI, fig. 1-3, curri syn. 1903. » octoplicata » » Diener, Pervi, foss. Centr. Ri- mai. , 1. c., pag. 16. 1904. » cristata » » Gortani, Contrib.Paleoz.Carn., 1. c. e fig. Nel 1897 il Diener ( Perirne . Fauna Chitichun, 1. c., tav. VII, fig. 5-7) figurava sotto il nome di Spiriferina cristata var. octopli- cata Sotv. alcuni esemplari dell’Imalaia, che lo Schellwien tre anni dopo ( Troglcofelsch., 1. c., pag. 65) dimostrava appartenere a una varietà non ancora descritta e rappresentata altresì nelle Caravanche: la var. fastigiata. Ora il Diener, nel suo lavoro del 1903, accetta il nuovo nome, ma afferma specie autonoma la S. octoplicata e a questa connessa la fastigiata. Considerato però quanto siano leggere le differenze tra S. cristata e S. octo- plicata , noi, fedeli al nostro principio, teniamo a mantenere la prima classificazione, e accettiamo ancora una volta le idee dello Schellwien. La var. fastigiata si trova al M. Pizzul, dove l’anno scorso ne raccolsi una valva dorsale nelle arenarie presso Gas. Pezzeit. Pentameridae Mac Coy. Gen. Camarophoria King. 50. Camarophoria alpina Schellwien. 1892. Camerophoria alpina. Schellwien, Fauna Karn. Fusulinenk., I, 1. c. e fig. 1904. Camarophoria » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., 1. c. e fig. Si trova nelle arenarie micacee, come al Nassfeld e al Col Mezzodì. Gli esemplari sono mal conservati e ridotti al modello interno; ma la specie è tanto caratteristica che non ho dubio sulla determinazione. Cas. Pizzul bassa e Gas. Pezzeit (4 es.). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 555 51. Caraaroplioria Sancti-Spiritus Schellwien. t (Tav. XIV, fig. 82-33). 1892. Camerophoria Sancti-Spiritus. Schellwien, Fauna Karn. Fusali- nenk., I, 1. c., pag. 52, tav. Vili, fig. 1-2. Dei due esemplari del M. Pizzul uno solo è completo; l’altro è ridotto alla valva dorsale. Quello proviene dag’li argilloscisti di Cas. Pi zziti bassa ed ha contorno subpentagonale, questo dalle arenarie di Cas. Pezzeit e ba la forma trapezoidale, con le ali largamente espanse in avanti. Essi in tal modo si com- pletano a vicenda, presentando entrambe le forme accennate da Schellwien. Sono però esemplari giovani, meno costolati dei carinziani; le pieghe sono 8 nel seno, 9 sul lobo, e 6-7 su ciascuna ala. Nella valva di Cas. Pezzeit è caratteristico l’an- damento delle pieghe laterali, che si incurvano molto in avanti. L’altezza è di 10,5 e 14 mm., la larghezza di *15 e 16 rispet- tivamente. Rhynchonellidae, Gray. Gen. Khynchonella, Fischer. 52. Rhynchonella (Pugnax) osagensis Swallow. 1902. Pugnax osagensis, Tschernyschew, l. e., pag. 64 e 482, tav. XXIII, fig. 5-9, cum syn. 1903. » utah (non Marcou), Girty, Z. c., pag. 412, tav. VII, fig. 14 (syn. partita excl.). La conchiglia piuttosto piccola, flabelliforme, poco rigonfia; le valva ventrale meno convessa della dorsale, ornata di 2-3 pieghe ottuse nel seno e 2 più deboli su ciascun lato; la valva dorsale con uno spessore uguale a circa due terzi di quello to- tale e la superficie ornata di 3-4 pieghe ottuse sul lobo e 2 ap- pena distinte sui lati; questi caratteri e il portamento generale degli esemplari americani e russi si ripetono sui nostri delle Alpi Carniche. La specie è molto affine alla Eh. subdepressa Schellwien ( Trogkofelsch ., pag. 98, tav. XIV, fig. 18-19), da cui si distingue per il contorno flabellare, meno convesso in addietro, e le coste 556 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI più ottuse. La sua somiglianza con la Rii. Utah Marcou sp. em. (*) indusse i paleontologi americani a identificarla con questa specie, che lo Tschernyschew ora dimostra aver forma comple- tamente diversa. Calcari grigi: Piano di Lanza (5 es.). Terebratulidae King. Gen. Notothyris Waagen. 53. Notothyris exilis Gemmellaro sp. 1903. Notothyris exilis (Gemra.'l Diener, Perm. foss. Contr. Himal., 1. c., pag. 39, tav. II, fig. 16. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam. I, 1. c. e fig., cum syn. Come negli esemplari di Sicilia, delle Caravanche e del Col Mezzodi, anche negli individui in esame l’ornamentazione è molto variabile, e le cinque pieghe (2 sulla grande e 3 sulla piccola valva), talora ben manifeste, sovente scompaiono o sono rappresentate da una crenulatura della commessura fron- tale. La forma è più o meno rigonfia e più o meno ovale o pi- riforme secondo gli individui, che nel loro complesso concordano pienamente con quelli della Carnia occidentale. Calcari grigi: Piano di Lanza (5 es.). Gen. Terebratula Klein. 54. Terebratula (Dielasma) elongata Schlotheim sp. 1854. Terebratula elongata (Schloth.). v. Semenow, Ueber die Fossilien des Sdii esischen Kohlenlcalks, estr.d. Zeits. Deut. Geol. Ges., pag. 11, tav. Ili, fig. 2. 1903. Dielasma elongatum Diener , Perni, foss. Centr. Himal., 1 c., pag. 41, tav. I, fig. 9 e tav. II, fig. 4. 1904. Terebratula (Dielasma) elongata Gortani, Contr. Paleoz. Cam., I, 1. c., cum syn. In un blocco di calcare, inviatomi dal prof. Taramelli, rin- venni quattro piccoli esemplari che non lasciano dubbio sulla (') Terebratula Uta Marcou, Geology of Nortli America, Paleontology, pag. 51, tav. VI, fig. 12. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 657 loro pertinenza a questa forma notissima, tanto diffusa in Eu- ropa e in Asia dal Carbonifero superiore a tutto il Permiano. Calcari neri presso Cas. Pizzul, insieme allo Spirifer li- neatus. LAMELLIBRANCHIATA. Aviculidae Lamarck. Gen. Aviculopecten Mac Coy. 55. Aviculopecten Kokscharofi de Verneuil var. hiemalis Salter. (Tav. XV, fig. 4). 1890. Aviculopecten cf. Kokscharofi (Vera.). Nikitin, l. c., pag. 56, tav. I, fig. 3. 1904. » hiemalis (Salt.). Gortani, Contrib. Paleos. Cam., I, 1. c. e tig., emù syn. Le relazioni dell’M. hiemalis con VA. Kokscharofi (de Ver- neuil, l. c., pag. 325, tav. XX, fig. 16), sono state discusse am- piamente dal Diener ('), e non mi pare che le differenze da lui messe in rilievo giustifichino la separazione completa delle due forme. Così pure egli ritiene, a mio credere, troppo distinto dal- P A. hiemalis V Aviculopecten sp. ind. proveniente dagli strati permocarbonici di Spiti e da lui figurato nel lavoro del 1903 (Perni, foss. Centr. Himal., pag. 171, tav. Vili, fig. 3). Dei 2 esemplari che riferisco all’M. hiemalis , uno rappre- senta la forma estrema opposta al tipico A. Kokscharofi poiché ha un angolo apicale molto ristretto e un contorno relativamente assai allargato. Gli altri caratteri ripetono quelli degli individui asiatici e camici; le coste radiali mostrano ben distinti i loro tre cicli. L’altezza varia da 11 a 21 min., la larghezza da 12 a 20, l’angolo apicale da 90° a 78°. Arenarie micacee: Cas. Pezzeit. (!) The Permian fossils of thè Productus shales of Kumaon and Gurhwal , Palaeont. Ind., ser. XV, I, pt. 4, 1897, pag. 9-13. 558 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 56. Aviculopecten cfr. carnicus Gortani. 1904. Aviculopecten carnicus, Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. e fig. Lo scorso anno, nella monografia sulla fauna del Col Mez- zodì, descrissi una forma nuova di Aviculopecten distinta per le ali anteriori e posteriori grandissime e con due cicli principali di coste alternati con un terzo appena visibile. Tre esemplari del M. Pizzul presentano forti analogie con questa specie, di cui hanno la scultura e l’aspetto; ma le orecchiette sono troppo mal conservate per poter assicurare la determinazione. Arenarie micacee: Gas. Pezzeit. f 57. Aviculopecten Hoernesianus de Koninck. (Tav. XIV, fig. 5). 1873. Aviculopecten Hoernesianus, de Koninck, Foss. Carb. Bleiberg , 1. e., pag. 89, tav. Ili, fig. 27 a e b, non c. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam., 1, 1. c. e fig. La descrizione che ne fa il de Koninck non è, a dir il vero, in perfetta armonia con le sue figure. Come l’esemplare del Col Mezzodì, anche le due valve che ho rinvenute al M. Pizzul concordano pienamente con le figure 27 a e 27 b della monografia citata, e hanno per caratteri essenziali la forma triangolare, a flabello, le orecchiette minute, i due cicli di coste radiali con 15-20 pieghe ciascuno. L’altezza è di 7 min., la larghezza di 6r l’angolo apicale di 76°. Argilloscisti micacei: Cas. Pizzul bassa. 58. Aviculopecten carboniferus Stevens. (Tav. XV, fig. 2-3). 1898. Aviculopecten carboniferus (Stev.). Weller, l. c., pag. 107, cum syn . 1903. » » Jakowlew, Die Fauna der oberen Abtheilung der palaeozoischen Abla- gerungen ini Donez-Bassin, Mém. Coni. Gèni. St. Pétersb., N. sér., 4, pag. 5 e 80, tav. I, fig. 1-3. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 559 Il corpo delle valve è convesso, a contorno flabelliforme- ovale, con apice piccolo e acuto, non prominente sul margine cardinale; cade bruscamente sulla minuta orecchietta anteriore, con la quale contrasta l’ampia ala posteriore che si continua insensibilmente col resto della conchiglia. Il margine cardinale è rettilineo e non supera i due terzi della lunghezza della valva; il posteriore è sigmoidale, con un seno più o meno profondo all’attacco deH’orecchietta con il corpo della conchiglia; l’infe- riore e l’anteriore sono arrotondati, con un brusco angolo al- l’incontro dell’orecchietta. Le coste radiali si mostrano in nu- mero di 15 a 17, diritte, acute, a sezione triangolare equilatera, uguali fra loro, limitate al corpo delle valve e intersecate da % pieghe concentriche. Queste sono in media una decina e si con- tinuano, facendosi concave all’esterno, sull’ala posteriore. La loro forma è caratteristica perchè descrivono su ciascuna piega una curva ogivale. Sono convertite in limonite nei nostri esem- plari, e si mostrano con grande evidenza in un modello, dove hanno lasciato un’impronta nettissima, come nel terzo esem- plare figurato da Jakowlew. L’altezza delle valve è di 15-16 mm., la lunghezza di 18; l’angolo apicale oscilla fra 88° e 97°. Arenarie ocracee: Cas. Pezzeit (8 es.). Per le relazioni dell’XL. carboniferus con VA. elegatatulus Stu- ckenberg e VAvicula impressa Keyserling rimando alle parole di Jakowlew. La Pseuclomonotis infinta di Gemmellaro se ne distingue sopra tutto per la sua obliquità, cui appunto è do- vuta la differenza di genere. 59. Aviculopecten cfr. jabiensis Waagen. (Tav. XV, fig. 1). 1881. Aviculopecten jabiensis. Waagen, op. cit , I, pt. 3, l. c., pag. 303, tav. XXIII, fig. 2. Conchiglia grande, a contorno ovale troncato o quasi tra- sverso, suhequilatera, poco rigonfia; orecchiette piane, triango- lari; superficie coperta di 30-35 coste radiali arrotondate, più larghe degli spazi intercostali, e con minute strie di accresci- mento visibili anche sulle orecchiette: questi i principali carat- teri dei tre esemplari che avvicino alla forma indiana. Con la 5G0 P. VINASSA DE REGNA E M. GORTANI quale non li posso identificare per la loro forma relativamente meno allungata e lo stato poco soddisfacente in cui si trovano tanto essi, quanto l’originale di Waagen. Altezza 32 mm.; lun- ghezza, 34 mm.; angolo apicale, 101°. Arenarie: Gas. Pizzul alta e Cas. Pezzeit. 60. Aviculopecten incarojaiius n. f. (Tav. XV, fig. 36 c). Valva destra ovale allungata, poco rigonfia, con umbone re- lativamente grande, ottuso e sporgente sul margine cardinale. Orecchietta anteriore piccola, subtriangolare, mal limitata dal corpo della valva, piana : la posteriore sconosciuta, mancandone l’unico esemplare. Margine anteriore concavo per breve tratto nella parte superiore, dove forma un seno appena accennato in corrispondenza dell’attacco dell’orecchietta, poi regolarmente con- vesso e passante senza netta distinzione all’inferiore, che de- scrive un arco fortemente ricurvo. La superficie è coperta da una trentina di pieghe concentriche, regolarmente più svilup- pate man mano che si procede verso l’esterno, tutte ben rilevate e distinte, divise da intervalli piani meno larghi di esse. Scom- paiono sull’orecchietta, dove i solchi si mutano d’un tratto in finissime strie. Manca ogni traccia di scultura radiale. Altezza, 8 mm.; larghezza, 5,5 mm. ; angolo apicale, 50°. Calcari scistosi presso Forca Pizzul. Ricorda VA. cingendus M’ Coy sp. (J), che ha però una forma assai meno alta e un numero minore di coste. Limidae d’Orbigny. Gen. Lima Bruguière. 61. Lima retiferiformis Netschajew. (Tav. XV, fig. 6). 1894. Lima retiferiformis. Netschajew, l. c., pag. 192, tav. VI, fig. 18-19. Una valva sinistra, che concorda pienamente con la fig. 18 dell’autore russo. La forma irregolare, senza orecchietta poste- ci Cfr. Hind, The Carhoniferous Ijamellibrancliiata, voi. 11, pt. 2, Palaeont. Soc., voi. LVII, 1903, pag. 108, tav. XVI, fig. 23-27. POSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 561 riore distinta; le 17 o 18 coste longitudinali che ricoprono tutta la valva ad eccezione del suo fianco posteriore; il margine po- steriore debolmente arcuato, con il quale contrastano l’anteriore e l’inferiore largamente e fortemente convessi, sono i caratteri fondamentali comuni al nostro esemplare e agli individui russi, in ispecie a quello rinvenuto a Sarotscliji Gory lungo il Kama. L’altezza è di 11,5 mm., la larghezza di 9,5. Argilloscisti: Cas. Pizzul bassa. Pectinidae Lamarck. Gen. Pecten Klein. 62. Pecten (Streblopteria) sericeus de Verneuil. 1861. Pecten sericeus (Vern.). Geinitz, Dyas oder die Zechsteiformation ecc., pag. 80, tav. XV, fig. 2-3, e tav. XIX, fig. 23, cum syn. 1897 -99. Euchondria tenuilineata (Meek et Worthen). v. Loczy, l. c., pag. 55, tav. I, fig. 18-19, cum syn. 1899. Streblopteria aff. sericea (Vern.), Jakowlew, Lamellibranchiaten , Méni. Coni. Géol. St. Pétersb., N. sér., IV, pag 3 e 28, tav. I, fig. 4, 8, 9, cum syn. Non mi sembra che si possano tener veramente distinte le due forme del De Verneuil e del Meek, che hanno forma e scultura quasi identica. Gli esemplari della Carnia concordano infatti pie- namente e con quelli russi (‘) e con quelli dell’America e della Cina. Le valve sono circa tanto alte quanto larghe, asimmetriche, con l’orecchietta posteriore brevissima e l’anteriore ben svilup- pata, più lunga che alta. La superficie è coperta da fine stria- ture concentriche, a irregolari intervalli più manifeste. Altezza e lunghezza oscillano fra 7 e 11 mm. Arenarie ocracee: Cas. Pizzul alta (1 es.) e Cas. Pezzeit (4 es.). (') Eccettuati però quelli figurati da Netschujew sotto il nome di Aviculopecten sericeus nelle fig. 2, 6, 7 della tav. VI, e appai'tenenti forse ad un’altra specie. 562 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 63. Pecten (Entolium) cfr. aviculatus Swallow sp. 1898. Pernopecten aviculatus (Sw.). Weller, l. c., pag. 418. cum syn. 1903. Entólium aviculatum Jakowlew, I. c., pag. 2 e 28, tav. I, fig. 5. Modello di valva destra che lia il margine cardinale retti- lineo, a differenza degli esemplari americani e in pieno accordo con gli individui russi; anche da questi però è diversa nella forma deirorecchietta posteriore. Arenarie ocracee: Gas. Pezzeit. Myalinidae Prech. Gen. L i e b e a Waagen. 64. Liebea Hausmanni Goldfuss sp. 1881. Liebea Hausmanni (Goldf.). Waagen, l. c., pag. 292, tav. XXIV, fig. 14-16. 1894. » » Netschajevv, Z. c., pag. 217, cum syn. 1904. » » Gortani, Contrib. Paleoz. Cam , 1, 1. c., cum syn. \ E rappresentata al Pizzul da un modello di valva sinistra che ha i caratteri di questa forma variabile ed è molto simile agli esemplari del Col Mezzodì. Argilloscisti : Gas. Pizzul bassa. Trigoniidae Lamarck. Gen. Myophoriopsis von Wòhrmann. 65. Myophoriopsis (?) carbonifera n. f. (Tav. XV, fig. 15 a-c). Conchiglia molto rigonfia, inequilatera, a contorno ovale tra- sverso. Umboni grandi, acuti, ricurvi, assai alti e prominenti sul margine cardinale; lunula sviluppata, allungato-cordiforme; margine inferiore ogivale. Il fianco anteriore delle valve è molto elevato, compresso; il posteriore depresso ed espanso: onde il mar- gine anteriore è rientrante, l’opposto tagliente. Una ottusa ca- FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICILE 56B rena percorre le valve dall’umbone obliquamente in basso lungo la parte più rigonfia della conchiglia. La scultura consiste in 18 pieghe concentriche larghe quanto i solchi interposti, ottuse, ben rilevate. Altezza, 17 mm.; lunghezza, 15; spessore, 12. Arenarie micacee: Cas. Pezzeit. Il genere Myophoriopsis, fondato per ispecie triassiche dal von Wohrmann ('), in terreni più antichi è solo dubitativamente rappresentato nel Permocarbonifero dell’Imalaia. Le stesse ragioni che hanno indotto il Diener ad ascrivergli la sua Myophorio- psis (?) Kraffti (Perni. Foss. Centr. Rimai., 1. c., pag. 179, tav. Vili, fig. 9), militano anche per la forma del M. Pizzul. Essa diversifica però dall’indiana per molti caratteri; il con- torno, l’ottusità della carena, la scultura, ecc. Gen. Schizodus King. 66. Schizodus cfr. pinguis Waagen. 1890. Protoschisotus ? sp. ind., Parona, l. c., pag. 11. 1904. Schizodus pinguis Gortani, Contr. Paleoz. Cam., I, 1. c., curri syn. Come gli esemplari del Col Mezzodì, anche quelli che si rac- colgono numerosi nelle arenarie delle Casere Pizzul e Pezzeit si possono avvicinare, per il loro contorno, soltanto all’accennata forma dell’India. Ma gli uni e gli altri differiscono leggermente dallo S. pinguis per la convessità delle valve, che è negli in- dividui camici meno pronunciata. Si potrebbero quindi distin- guere come una var. occidentalis della specie in discorso, se il carattere della conchiglia più o meno rigonfia non apparisse variabile anche nei nostri esemplari, e se questi fossero conser- vati in modo migliore. Nei calcari del Piano di Lanza compaiono alcune forme di questo genere a contorno più allungato, fortemente trasverso (v. ad es. tav. XV, fig. 7). Non mi è stato possibile avvici- narle ad alcuna delle specie a me note. G) Jalirhucli dtr K. K. Geolog. Beichsanst., Wien, 1889, voi. XXXIX, pag. 221. 564 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Astartidae Gray. Gen. Astarte Sowerby. 67. Astarte permocarbouica Tschernyschew. (Tav. XY, fig. 10-11 e 36 6). 1890. Edmondia cfr. scutpta (non de Kon), Parona, 7. c., pag. 10. 1894. Astarte permocarbonica (Tschern.), Netschajew, l. c., pag. 308, tav. X, fig. 24-25, cum syn. 1903. » » e var. adenticulata, Jakowlew, l. c., pag. 19 e 42, tav. Ili, fig. 8-14. I numerosi individui ricordano segnatamente la fig. 24 di Netschajew e la 12 di Jakowlew, che rappresenta la forma ti- pica della specie. Già il prof. Parona aveva notato che gli esem- plari del M. Pizzul differivano dalla Edmondia sculpta nella molto minore statura e nella posizione anteriore delPapice. Ma a questo si aggiungono il margine cardinale non diritto, ma curvo, le pieghe concentriche più rade e più forti, e il contorno ovale trasverso: caratteri tutti propri invece d.e\V Astarte pernio- carbonica. Le pieghe sono, come in questa, 20-25 per valva, hanno minor larghezza dei solchi interposti, e nella metà infe- riore della conchiglia se ne contano da 4 a 5 in un intervallo di 2 nnn. È frequente nei calcari scistosi della Forca Pizzul; ne ho esaminati 16 esemplari. In generale le dimensioni oscillano fra 4 e 6 min. in altezza, 5 e 7 in lunghezza; una valva, che ap- partiene al museo di Pavia, arriva per eccezione a 8 e 10,5 mm. rispettivamente. 68. Astarte paularensis n. f. (Tav. XV, fig. 8-9 e 36 a). 1890. Cypricar della sp. ind., cf. pumila (Kon.), Parona, 1. c., pag. 11. Il contorno è simile a quello della forma precedente, di cui è però meno trasverso e più irregolare; il margine inferiore ò subangolato come nella var. adenticulata Jakowl. del ILI. per- fossili carboniferi delle alpi carniche 565 mocarbonica, onde il contorno diventa subrombico. Da entrambe le forme accennate differisce però essenzialmente per la finezza della scultura, data da circa una trentina di pieghe concentri- che bene spiccate ma esilissime, separate da solchi larghi il doppio di esse; nella metà inferiore delle valve tali pieghe sono circa 6-8 in un intervallo di 2 mm. Inoltre le dimensioni sono alquanto minori e il guscio è più sottile e fragile. Altezza 3-5,5; lunghezza 3,5-7,5mm. Calcari scistosi della forca Pizzul (es. 16). L’ A. perniocarbonica e VA. paularensis somigliano entrambe alla Cypricardella concentrica Hind (‘), di cui hanno il con- torno e l’ornamentazione; ma il rigonfiamento molto maggiore e l’accenno della carena obliqua distinguono tosto la forma in- glese da entrambe le nostre. L • i Conocardiidae Neumayr. Gen. Conocardium Bronn. 69. Conocardium Taramellii n. f. (Tav. XV, fig. 12-13). 1873. Conocardium sp. n., Tarameli!, I. c., tav. IV, fig. 10. 1890. » » Parona, l. c., pag. 11. L’unico esemplare rinvenuto sinora al M. Pizzul è completo, ma infisso nella roccia, che ne lascia scoperta la sola valva destra (2). La conchiglia è rigonfia, a contorno subtriangolare, calceiforme. Il nostro, quale appare negli individui del Nassfeld, è brevissimo e sporge appena appena sul margine anteriore; la regione cordiforme è ampia, mal definita, percorsa da quattro larghe e depresse coste radiali. La regione mediana porta 18 pieghe radiali disposte a ventaglio, le esterne curvate all’in- (’) Hind, The Carboniferous Lamellibranchiata, voi. I, pt. IV, Pa- laeontogr. Soc., 1899, pag. 350, tav. XXXIX, fig. 8-11. (2) Per la posizione dell’animale nella conchiglia mi attengo ai con- cetti di M’ Coy, Barrois, Neumayr e Beushausen, come dissi a proposito delle forme devoniane del M. Coglians. ( Contrib . Paleoz. Cam., II, Pa- la eont. Ital., in corso di stampa). 566 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI fuori ; passa insensibilmente alla regione posteriore, che è ornata a sua volta di 16 coste pure a ventaglio, le esterne oblique. Le coste, fatta eccezione per le tre o quattro anteriori, che sono più larghe e depresse, si mostrano tutte subeguali fra loro, ab- bastanza spiccate, larghe e alte quanto gli spazi intercostali, e attraversate da finissime strie concentriche di accrescimento. Presso al margine inferiore sono circa 8 in ogni spazio di 5 nnn. Lo strato del guscio immediatamente sottostante non conserva più traccia delle coste radiali ed è invece finamente striato-sol- cato nel senso della lunghezza. A questo fatto è dovuto l’aspetto singolare degli esemplari del Nassfeld, riprodotto dal Taramelli (v. tav. XV, fig. 12), dove appare liscia la regione mediana. In- vece nell’esemplare del M. Pizzul si vede che la porzione su- periore della regione mediana, meglio conservata, presenta le coste radiali, invisibili più sotto per il diverso stato di conser- vazione del guscio. Altezza, 9,5 inni.; lunghezza, 21; spessore, circa 8 mm. Alcuni individui del Nassfeld arrivano a 25 mm. di altezza per 42 di lunghezza. Calcari scistosi: Forca Pizzul (Museo di Udine). SCAPHOPODA. Dentaliidae. Gen. E nt a li s Gray. 70. Entalis prisca Mitnster sp. (Tav. XV. fig-. 14). 1842. Dentalium prisca m. Mitnster in Goldfuss, Petrefacta Germaniae, III, pag. 2, tav. CLXVI, fig. 3. 1890. Entalis prisca (?), Parona, l. c., pag. 10. 1894. » cfr. » Netschajew, Z. c., pag. 326, tav. XI, fig. 11-12, cum syn. In una lastra di calcescisto conservata nel museo di Udine gli agenti atmosferici hanno isolato quattro piccoli esemplari di questa forma, ridotti però nel caso più favorevole, ai 15 mm. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICIIE 567 apicali. Ma le ricerche compiute l’anno scorso sul posto mi con- dussero a scoprire due frammenti di maggiori dimensioni e ap- partenenti uno alla regione apicale, l’altro alla porzione me- diana della conchiglia. Quello è lungamente conico, alto 34 mm. e largo 1 mm. all’apice, 4 alla base; questo è a tronco di cono, lungo 20 mm., con un diametro di 6 mm. alla base e di 3,5 alla sommità; in entrambi l’angolo apicale è quindi di 5°. An- che gli altri caratteri rispondono perfettamente a quelli della Entalis prisca , e mi permettono di confermare la determina- zione del prof. Parona. Pare che alla stessa specie appartenga un esemplare bel- lissimo raccolto dal prof. Taramelli nel Vogelbach e lungo 1 15 mm., ora conservato a Pavia. In questo e negli altri è sempre spic- cato il solco lineare mediano. Calcari scistosi presso la Forca Pizzul. GASTROPODA. Bellerophontidae Mac Coy. Gen. Bellerophon Montfort. 71. Bellerophon textilis de Koninck. 1873. Bellerophon decussatus (non Fieni.) Taramelli, l. e., tav. Ili, tig. 3. 1883. Bucania textilis. de Koninck, Faune carh. Belg ., 4, Ann. Mus. Hist. Nat. Belg., Vili, pag. 150, tav. XLI, fig. 22-25, cum syn. 1890. » » Parona, l. e., pag. 9. Con molta cura e pazienza son riuscito a isolare l’ individuo scoperto dal prof. Parona nei calcari neri del M. Pizznl (ver- sante occidentale). Non posso che confermare il riferimento del chiaro paleontologo, stante la piena corrispondenza dell'esem- plare carnico con i belgi e carinziani illustrati dal de Koninck con ampie descrizioni e numerose figure. La carena mediana è larga 2 mm., alquanto rilevata, leggermente convessa; il reti- colato superficiale è finissimo, con prevalenza delle costicine 37 568 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI longitudinali che si mostrano alternativamente o a irregolari intervalli più rilevate, e sono circa 6 per ogni millimetro. L’esemplare è un po’ schiacciato e sembra provenire dai calcari scistosi della Forca Pizzul piuttosto che dai calcari compatti. Il suo diametro è di 23 inni., l’altezza di 25; la bocca misura 10,5 per 23 mm. 72. Belleroplion De-Angelisi n. f. (Fig. 5 a-b). Conchiglia grande, globulosa, con bocca molto ampia, trasver- salmente ovale o reniforme ellittica, una volta e mezzo più Fig. 5. — Bellerophon De-Angelisi n f. (grand, nat.). larga che alta. Il nocciolo della conchiglia è piccolo e formato da giri a lento sviluppo, mentre l’ultimo anfratto si espande moltissimo. La carena mediana, molto rilevata, lineare e acu- tissima nei primi giri, si fa in ultimo alta e larga, a sezione isoscelo-triangolare. È fiancheggiata da due larghi solchi longi- tudinali che sull’ultimo giro diventano ampi e profondi e sono limitati esternamente da un forte rigonfiamento gibboso, rap- presentato sui primi anfratti da una semplice carena. La super- ficie è ornata di numerose pieghe trasversali, lineari e acute, che si interrompono in corrispondenza delle carene e si estin- guono sull’ultimo giro. Il diametro massimo ò di 3(5 mm., l’altezza del penultimo giro di soli 13 mm. La bocca misura 32 mm. di larghezza ed è alta 14 mm. nel Diano mediano. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 569 18 inni, nei due piani che passano per il margine inferiore delle callosità laterali. Arenarie micacee: Cas. Pizzul alta. La sola forma a me nota che si avvicini in qualche modo al B. De-Angelisi è il B. navicula Sow. (l), copioso anche nel Carbonifero medio delle Asturie (?). La specie carnica se ne distingue però nettamente per la statura molto maggiore, l’am- piezza dell’ ultimo giro, le carene laterali molto meglio spiccate, la diversità del contorno. 73. Belleroplion (Mogulia?) cfr. regularis Waagen. 1880. Mogulia regularis. Waagen, op. cit., pt. 2, l. c , pag. 157, tav. XIII, fig. 4. L’unico esemplare riferibile a questa specie permocarbonica ne presenta con evidenza la forma globulosa, senza carene nè pieghe longidudinali. Le coste trasversali però non sono visi- bili, poiché l’esemplare è incassato nella roccia che nasconde la metà finale dell’ultimo giro, la quale sola è scolpita. La prima metà dell’ultimo giro è liscia come nell’esemplare indiano ; la bocca è reniforme, assai più larga che alta, come è descritta dal Waagen. Diametro del guscio, 14 mm.; larghezza della bocca, 13; altezza della bocca nel piano mediano 5,5 mm. Cas. Pezzeit bassa: calcari molto arenacei e compatti. Gen. Euphemus Mac Coy. 74. Eupliemus Urei Fleming em. 1873. Bellerophon Urii (Flem.). Taramelli, l. c., tav. Ili, fig. 1-2. 1883. Eupliemus Urei (Flem. era.), de Koninck, Faune carb. Belg., 4, 1. c., pag. 157, tav. XLII bis , fig. 40-43, cum syn. 1890. » » Paroma, l. e., pag. 9. 1894. Bellerophon » Netschajew, l. e., pag. 341, tav. XII, fig. 26, cum syn. 1898. » carbonarius (Cox). Weller, l. c., pag. 139, cum syn. amer. (') Sowerby, Geol. Transact., London, ser. 2, voi. V, tav. XL, fig. 5. (2) Barrois, Hecherches sur les terrains anciens des Asturies et de la Galice, Mèra. Soc. Géol. du Nord, voi. II, Lille 1882, pag. 355, tav. XVII, fig. 26-27. 570 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI La specie, ben nota e diffusa dal Carbonifero inferiore al Permiano medio, fu già notata dal Parona nei calcari neri del M. Pizzul, versante occidentale. Ai due piccoli esemplari da lui rinvenuti, che non misurano più di 8 nini, di diametro, posso aggiungerne un terzo proveniente dai calcari scistosi della Forca Pizzul, il (piale ha la forma e la scultura proprie della specie e ha un diametro di 12 min. Le costicine longitudinali sono fitte, distinte, separate da intervalli più larghi di essi. Nell’unico esemplare conservato nel museo di Pavia le costicine sono 6 in ogni spazio di 2 mm. ; nel mio se ne contano da 4 a 5 nello stesso intervallo. 75. Eiiphemus indicus Waagen. 1880. Eupliemus indicus.’Wa.a.gen, op. cit., pt. 2, 1. c., pag. 167, tav. XV, fìg. 1-2. L’unico esemplare corrisponde in ogni dettaglio alla forma indiana. La conchiglia è globosa, di media grandezza ; la bocca, molto tras versa, ha il labbro o margine esterno bilobo, con un’insenatura nel mezzo e i due lobi ripiegati all’interno; esiste un solco longitudinale mediano ampio, ma superficiale, che sul- l’ultimo giro ha circa 3 mm. di larghezza; da ciascun lato di esso corrono 4 costicine lineari, poco spiccate, separate da inter- valli piani, larghi circa il doppio di ogni costicina. Il diametro della conchiglia raggiunge 23 mm. ; la bocca è larga 24 mm. e alta 6 mm. nel piano mediano. Arenarie oscure: Piano di Lanza. Pleurotomariidae d’ Orbigny. Gen. Pleurotomaria Defrance. 70. Pleurotomaria (Rliineoderma) nikitonkensis Jakowlew, var. italica n. f. (Tav. XV, fìg. 22). 1890. Mowrlonia sp., cf. Koninckii Goldf. Parona, l. c., pag. 10. Un nuovo esemplare che raccolsi l’agosto passato, mi ha permesso di riconoscere come la forma incertamente determi- nata dal Parona spetti al sottogencrc Rliineoderma istituito nel FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICILE 571 1883 dal de Koninck ( Faune cavò. Belg., 4, 1. c., pag. 103). La conchiglia è di media grandezza, conica, composta di 4 giri debolmente convessi, divisi da una linea suturale profonda, e ricoprenti ognuno la zona inferiore dell’anfratto che lo precede. La parte superiore, che è la sola visibile, di tutti i giri, è per- corsa da 7 costicine longitudinali, gemmulifere, larghe e alte quanto son larghi gli intervalli che le separano; ogni costicina è ornata, in un giro completo, di circa 60 tubercoli subglobosi, separati da intervalli meno larghi di essi. Nei primi due an- fratti l’ornamentazione è minutissima e visibile solo con la lente, mentre nei due ultimi si osserva bene a occhio nudo. Sul quarto giro con un forte ingrandimento si scorgono negli spazi inter- costali esilissime strie di accrescimento assai oblique. La con- chiglia ha un diametro di 8 mm. e un’altezza di circa 7 mm. ; l’angolo apicale è di 72°. Calcari scistosi: Forca Pizzul. Ha una grandissima analogia con la Pleur otomaria niìti- towJcensis di Jakowlew (’), e può considerarsi una sua varietà di statura maggiore, con gli spazi intercostali larghi come le coste e non più, e con 60 tubercoli per costa su ogni giro anziché 40 soli come appare dalle figure di Jakowlew. Il numero molto minore delle coste longitudinali la distingue nettamente dal Ehineoderma radula de Koninck ( Faune cari). Belg., 4, 1. c., pag. 106, tav. XXXII, fig. 41-45) e dal Eh. gemmuliferum dello stesso autore ( ih ., pag. 104, tav. XXXII, fig. 21-25). 77. Pleurotomaria (Rhineoderma?) f. ind. Esemplare grande, schiacciato, con la porzione visibile dei giri ornata di 5 pieghe longitudinali tubercolate, che sulla base sono sostituite da 12 coste intere. Le prime son divise da solchi di uguale larghezza, le ultime sono filiformi e separate da in- tervalli larghi il doppio di esse. Il diametro raggiunge 29 mm. Calcari scistosi: Forca Pizzul. (>) Jakowlew N., Die Fauna einiger oberpalàozoischer Ablagerungen Russlands, I, Die Cephalopoden und Gastropoden, Mém. Colli. Géol. St. Pétersb., XV, 3, pag. 28 e 100, tav. IV, fig. 23. 572 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 78. Pleurotomaria Sibirtzewi Jakowlew (Tav. XV, fig. 86 d). 1899. Pleurotomaria (?) Sibirtzeivi. Jakowlew, Cephalop. und Gastrop., 1. c., pag. 29 e 101, tav. IV, fig. 24. Dai calcari scistosi della Forca Pizzul gli agenti atmosferici hanno isolato un grosso frammento, infisso per la bocca nella roccia e a cui mancano i primi giri. Ma posso ugualmente assi- curarne la determinazione, in grazia della scultura caratteristica. Nella parte esterna dei giri si distinguono bene tre zone: una superiore, piana o molto leggermente concava, inclinata; una media, piana e quasi verticale, e una inferiore, breve e poco visibile, inclinata in senso opposto alla prima. Nella zona superiore corrono 8 pieghe longitudinali, circa tanto larghe che alte, separate da solchi ineguali ma larghi su per giù quanto esse. La 2a, la 3a, la 4a e l’8a son più robuste, e insieme alle altre sono rese tubercolate da coste trasversali oblique rilevate quanto le prime. La superficie della zona è così divisa in tante maglie rombiche con un tubercolo a ogni vertice e coi lati lunghi circa ? '3 di inni. La zona media è percorsa da 4 pieghe longitudinali rilevate quanto le più forti delle precedenti, alter- nate con 3 più deboli; gli intervalli sono più larghi delle coste; linee di accrescimento e pieghe trasversali sono indistinte. Il diametro è di 13 mm. L’esemplare non si presta in alcun modo a decidere la questione, lasciata insoluta dallo Jakowlew, del sottogenere cui può ascriversi la forma in esame. I suoi rapporti con le più affini si trovano già discussi nel lavoro citato. Gen. Murchisonia d’Archiac et de Verneuil. 79. Murchisonia cfr. conula de Koninck. 1883. Murchisona conula, de Koninck, Faune carb. Belg., 4, 1. c., pag. 17, tav. XXXIV, fig. 9-10, culli syn. Due esemplari imperfetti e mal conservati, bioarenati sulla liuea mediana e muniti di una carena meno forte sulla metà FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 573 superiore dei giri. L’accrescimento è più lento che negli esem- plari del Belgio; gli esemplari sono in ogni modo troppo mal conservati perchè si prestino a una determinazione precisa. Calcari scistosi: Forca Pizzul. 80. Murchisonia cfr. Golowkinskii Jakowlew. 1890. Murchisonia angulata (non Phill.), Parona, l. c., pag. 9. 1899. » GolowTiinskii Jakowlew, Cephalop. und Gastrop., 1. c., pag. 33 e 108, tav. IV, fig. 26-27, cum syn. Dalla Murchisonia angulata Phillips, che fu nelle Alpi Car- niche trovata soltanto dal prof. Taramelli nel Vogelbach, e venne confermata dal de Konink (!), i due esemplari del M. Pizzul si scostano per la mancanza di costicine longitudinali nella parte superiore non solo, ma anche nella metà inferiore dei giri; somi- gliano alla M. subangulata de Yerneuil, come è rappresen- tata da Netschajew (l. c., pag. 333, tav. XII, fig. 1-2), ma se ne devono separar nettamente, dopo la critica delP Jakowlew ( Cephal . und Gastr., 1. c., pag. 102, tav. IV, fig. 25), per la mancanza dello spiccato solco mediano e la zona superiore dei giri molto meno concava. Ricordano altresì la M. conjungens di Waagen {op. cit ., 2, pag. 125, tav. XII, fig. 1-3), in cui il piano dei giri è meno che nelle forme precedenti obliquo sull’asse della spira, ma in cui d’altra parte son molto più piccole le dimensioni e più acuto l’ angolo della spira. Il complesso dei caratteri si accosta maggiormente a quello della M. Goloivhinslìii ; ma il riferimento non può essere certo, dato lo stato di conser- vazione dei nostri individui. Forca Pizzul : calcari neri compatti (Museo di Udine) e calcari scistosi. (?) L’esemplare é disegnato nell’Atlante del prof. Taramelli, tav. II, fig. 2. 574 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 81. Murchisonia Paronai n. f. (Fig. 6 e tav. XV, fig. 16-17). 1873. Murchisonia abbreviata ? Taramelli, 1. c., tav. II, fig. 1. 1890. » sp. n., cf. conula (Kou.) Parona, l. c., pag. 9. Conchiglia turricolata, conico-allungatissima, con angolo api- cale molto acuto, oscillante fra 13° e 17°. Giri di spira in numero di lo a 18, convessi, a sviluppo lento e graduale. Bocca ovale, più o meno ango- losa; columella callosa in avanti. La superficie è percorsa da 5 carene longitudinali a sezione trian- golare ottusa. Su ciascun giro le carene sono equi- distanti, separate da solchi abbastanza profondi e larghi quasi due volte le pieghe; di queste le tre mediane sono ugualmente forti e spiccate, le due laterali più deboli e così vicine alla sutura da trovarsi fra loro quasi a contatto nei giri contigui. Talora manca la carena laterale inferiore, come nell’ esemplare riprodotto nella tav. XV, fig, 16. Non si scorgono strie di accrescimento. La con- chiglia internamente è liscia, con tracce impercettibili della scul- tura superficiale. L’altezza varia da 40 a 70 inni., il massimo diametro da 12 a 17. Forca Pizzul: Calcare nero (3 es., Museo di Pavia) e calcari scistosi (1 es.).. Il prof. Taramelli avvicinò la forma ora descritta a quella determinata dal de Koninck come M. abbreviata Sow., e da lui stesso corretta più tardi in M. conula. Già il Parona ebbe però a riconoscere come negli esemplari camici la spira avesse uno svolgimento molto meno rapido che nella forma del Belgio; e infatti l’individuo che io ho rinvenuto nei calcescisti, paragonato con uno di uguale statura proveniente da Visé, mostra 10 giri invece di 15. Di più la M. Paronai ha sempre almeno 4 pieghe longitudinali, mentre nella M. conula non se ne hanno clic 3. Fig. 6. Murchisonia Paronai , n. f. (a metà). FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 575 82. Murchisoiiia cfr. imparlineata Netschajew. 1894. Murchisoiiia imparlineata. Netschajew, 1. c., pag. 840, tav. XII, fig. 6. 1899. » » Jakowlew, Cephal.und Gastr., l.c., pag. 36 e 106, tav. IV, fig. 29. Il riferimento è incerto per un doppio motivo: lo stato infelice dell’esemplare carnico e il modo imperfetto in cui si conosce la specie. Le figure di Netschajew e Jakowlew, benché rappre- sentino, a quanto pare, lo stesso individuo, si rassomigliano fino ad un certo punto; e solo fino ad un certo punto alla figura di Jakowlew corrisponde la sua descrizione. L’ esemplare da me trovato ha una spira di circa 8 o 9 giri convessi, a sviluppo non molto rapido, divisi longitudinalmente in tre zone : la su- periore, quasi piana, è percorsa da 2 coste abbastanza spiccate; la media, convessa, è ornata di 3 coste uguali alle precedenti, ma più vicine fra loro ; l’inferiore è nascosta dai giri successivi. Altezza, 10 nini.; diametro massimo, 4 mm.; angolo apicale, 18°. Calcari scistosi : Forca Pizzul. 83. Murchisoiiia Tommasii n. f. (Fig. 7). Conchiglia molto piccola, turricolata, lungamente conica, ad angolo apicale acutissimo. Spira di 9-10 giri a svi- luppo regolare, mediocremente convessi, separati da una sutura infossata, percorsi da 4 costicine longitudinali uguali fra loro, un po’ noduloso-sca- bre. Di esse le due centrali, più forti e alquanto spostate verso la base, limitano il cingolo o zona mediana, che ha l’aspetto di un solco meno pro- fondo che largo. La zona superiore è concava, assai più larga dell’ inferiore, e la rispettiva carena la per- corre tenendosi più vicina alla sutura che al cingolo mediano. Nella zona inferiore, molto ristretta, la carena corre lungo la sutura. La bocca sembra subcircolare. Altezza, 6,5 mm.; dia- metro alla base, 2 mm.; angolo apicale, 18°. Calcari scistosi : Forca Pizzul. Fig. 7. Murchisoiiia Tommasii , n. f. (ingr.). 576 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Si avvicina per la forma alla 71/. tenuis de Koninek ( Faune cari. JBelg., 4, 1. c., pag. 22, tav. XXXII bis, fig. 1-2) e alla M. gracilis Goldfuss (v. più avanti); ma da entrambe si stacca nettamente per la sua ornamentazione. Questa ricorda meglio la 71/. imparlineata Netsch., come l’ho intesa più sopra, che se ne distingue per l’angolo apicale più aperto e il numero mag- giore di coste. 84. Murchisonia gracilis Goldfuss sp. 1883. Murchisonia gracilis (Goldf.), de Koninek, Faune cari). Belg., 4, 1. c., pag. 21, cum syn. (non tav. XXXII bis, fig. 1-2). 1883. * tenuis , de Koninek, Ihid tav. XXXII bis, fig. 3-4. Conchiglia piccola, turricolata, lungamente conica, a giri di spira più o meno convessi, tutti percorsi da 4 o 5 minute e sottili carene longitudinali liscio o molto leggermente granulose, ottuse, larghe come i solchi interposti; base liscia; bocca subcir- colare. Nei tre esemplari rinvenuti al Pizzul, come in quelli del Belgio, l’angolo apicale è di 15°. Il maggiore di essi ha 6 mm. di altezza e 1, 5 di diametro alla base. Calcari scistosi : Forca Pizzul. 11 de Koninek nella sua opera, scambia evidentemente fra loro e nel testo e nella spiegazione delle tavole le indicazioni delle figure della 71/. gracilis e della 71/. tennis ; ma le due forme di distinguono così agevolmente che l’errore si corregge con tutta facilità. La 7)/. gracilis si stacca dall’altra per l’angolo apicale più acuto, lo svolgimento meno rapido della spira, il numero maggiore di coste, e le coste medesime meglio definite e distinte. 85. Murchisonia gracilis, var. snbtenuis n. f. (Tav. XV, fig. 21). Conchiglia molto piccola, conica, di circa 10 giri convessi, a sviluppo mediocre, divisi da una sutura più o meno profonda, ornati di 4-5 costipine longitudinali, sottili e minute, leggeris- simamente granulose, uguali fra loro, e larghe come i solchi FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 577 interposti; angolo apicale di 22°-25°. Altezza 4, 5 mm,; dia- metro 1, 8 mm. Calcari scistosi: Forca Pizzul. Si distingue dalla tipica M. gracilis per lo sviluppo più lento dei giri e l’angolo apicale molto meno acuto; il rapporto fra il diametro alla base e l’altezza è di || a ~ invece che di a —• Questi caratteri l’avvicinano alla M. tennis, ma l’ ornamenta- zione è esattamente come nella M. gracilis; si tratta quindi di una forma di passaggio tra le due specie. 86. Murcliisonia sp., cfr. tramontana Stadie. 1904. Murchisonici tramontana (Stadie). Gortani, Contrib. Paleo? . Cam., I, 1. c., cum syn. Un unico esemplare, ridotto al modello interno, ripete esat- tamente la forma e le dimensioni di quello rinvenuto al Col Mez- zodì. Proviene dai calcari neri e compatti e si conserva nel Museo di Pavia. Euomphalidae de Koninck. Gen. Steapakollus Montfort. 87. Straparollus cfr. minutus de Koninck. * 1881. Straparolhis minutus. de Koninck, Faune carb. Belg., 3, Ann. Mus. Hist. Nat. Belg., VI, pag. 127. tav. XXXI, fig. 23-26. 1904. . » » Gortaui, Contrib. Paleoz. Cam., I, 1. c. e fig. I numerosi individui, per lo più deformati e incassati nella roccia, hanno la conchiglia quasi discoidale, in modo che l’ul- timo giro ha un’altezza uguale a V. di quella totale del guscio. La superfìcie sembra liscia; i giri hanno sezione circolare, e circolare è la bocca; l’ombilico è larghissimo e aperto, ma poco profondo. Le dimensioni sono molto ridotte, non oltrepassando i 6 mm. di diametro. Frequente nei calcari scistosi della Forca Pizzul. 578 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 88. Straparollus permianus King- sp. 1894. Straparollus permianus (King) e var. rossicus. Netschajew, l. c., pag. 351, tav. XII, fig. 12, 15, 21, 22, cum syn. Un piccolo esemplare, diverso dai precedenti sopra tutto per la forma più distintamente conica, molto meno depressa, della sua spira. Corrisponde in ogni carattere a questa forma ben nota, diffusa nei depositi permocarboniferi e permiani della Kussia, dell’Inghilterra e della Germania. L’altezza dell’esemplare è di 4 rum., contro un diametro massimo di 6. Calcari grigi: Piano di Lanza. Gen. Euomphalus Sowerby. 89. Euomplialus catillus Martin sp., var. cera Ether. jun. sp. (Tav. XV, tìg. 20 a-b). 1873. Euomphalus catillus de Koninck, Foss. carb. Bleiberg, 1. c., pag. 103, tav. IV, fig. 4 c-e. 1890. Schizostoma » Parona, l. c., pag. 7. 1894. Euomphalus cera. Etheridge jun., Palaeontol. Novae Cambriae Meridionalis, 2, Kec. G. S. N. S. W., V, 1, pag. 17, tav. I, tìg. 5-6. Vicinissima al tipico JE. catillus, la forma descritta da Ethe- ridge se ne distingue a mala pena per la maggior depressione, tale che l’altezza non supera V4 del diametro, mentre ne ugua- glia 1 '3 nella specie del Martin. Non mi sembra che tale diffe- renza basti per elevare a specie autonoma la forma australiana. L’_E. cera è rappresentato negli strati eocarbonici di Ndtsch, dove fu raccolto, descritto e illustrato come E. catillus da L. G. de Koninck. Vi appartengono senza dubbio alcuno i due esemplari estratti finora dai calcari neri sul versante occiden- tale del M. Pizzul. I giri hanno sezione più o meno distinta- mente subpentagonale schiacciata; sono manifeste numerosissime strie di accrescimento curvilinee e minute, ben visibili sopra tutto quando si tolga lo strato più superficiale del guscio. 11 che mi fa supporre che ad un fenomeno simile possa attribuirsi FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 579 l’aspetto singolare dell’_E7. catillus australiano figurato dal de Ko- ninck (. Palaeoz . Foss. N. S. Wales, 1. c., tav. XXIII, fig. 19) e messo in dubbio da Etberidge (l. c., pag. 17). L’esemplare più sviluppato del M. Pizzul ha 40 mm. di diametro e 9,5 di altezza. 90. Euomplialus (Phymatifer) coroniferus de Koninck. (Tav. XV, fig. 19). 1881. Phymatifer coroniferus de Koninck, Faune cari). Belg., 8, 1. c., pag. 150, tav. XIII, fig. 1-3, cum syn. 1890. » tuberosus (non de Kon.) Parona, l. c., pag. 8. » I due piccoli esemplari del M. Pizzul debbono riferirsi a questa specie invece che al Ph. tuberosus , sopra tutto per la forma appiattita della conchiglia. Sono anzi stato incerto se per tale carattere non dovessi ritenerli individui giovani di Ph. pu- gilis Philk, che ha però un maggior numero di tubercoli sulla carena. Diametro, 21 mm. ; altezza, circa 7 mm. Calcari neri sopra Cas. Pizzul alta. 91. Euomplialus (Phymatifer) cfr. pugilis Phillips. 1881. Phymatifer pugilis (Phill.) de Koninck, Faune carb. Belg., 3, 1. c., pag. 151, tav. XV, fig. 13-16, cum syn. Conchiglia grande, ma assai mal conservata, discoidale, con gusci» spesso, giri a sezione più o meno oscuramente pentago- nale, carenati, a carena superiore alternativamente strozzata ed espansa in guisa da apparire tubercolata, con 16 tubercoli per giro. Nella parte inferiore della conchiglia mancano i tubercoli, come nella forma chiamata bifrons dal Phillips (1), che ne ha fatto una specie a se, mentre è citata in sinonimia dal Koninck. Il maggior diametro è di 74 mm., l’altezza di 20. Arenarie oscure: Piano di Lanza. (1) Phillips J., lllustration of tlie geology of Yorlcshire, 1836, voi. II, pag. 225. 580 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Neritopsidae Fischer. Gen. Naticopsis Mac Coy. 92. Naticopsis Kokeni Jakowlew. 1899. Naticopsis Kokeni. Jakowlew, Cephal. und Gastrop., 1. c., pag. 50 e 116, tav. V, fig. 5, 7, 8. Un solo esemplare del Piano di Lanza. La conchiglia è di 4 giri, e l’altezza dell’ultimo corrisponde alla quasi totalità dell’altezza del guscio. La bocca è molto ampia, ovale, con il contorno superiormente un po’ semilunare dal lato interno. La scultura sembra identica a quella degli individui russi. L’altezza è di quasi 10 mm., il diametro di 9. Altri esemplari, benché di dimensioni molto minori, ripetono la stessa forma e scultura e son forse da interpretarsi come una varietà pigmea della specie. Calcari grigi. Gen. Trachydomia Meek et Worthen. 93. Trachydomia Wheeleri Swallow sp. (Tav. XV, fig. 18 a-b ). 1873. Naticopsis sp. n., Taramelli, l. c., tav. II, fig. 9. 1890. » » Parona, l. c., pag. 7. 1891. Trachydomia noduìosa Worthen, Geologica 1 Survey of Illinois, Vili, pag. 146, tav. XXIII, tig. 11. 1898. » Wheeleri (Swall.) Weller, l. c., pag. 633, cum syn. 1899. » » Jakowlew, Cephal. und Gastr., 1. c., pag. 48, tav. V, tig. 4 e 6. Di questa forma, non rara al Nassfeld e disegnata dal Ta- ramelli fin dal 1873, trovò un esemplare il Parona, e quattro ne rinvenni io stesso, nei calcari scistosi neri della Forca Pizzul. Sono meno ben conservati di quelli raccolti in Val Pontebbana, ma la scultura della forma in parola è tanto caratteristica che non vi è dubbio sulla loro determinazione. La spira è di 4 giri, e i primi tre uniti sommano appena un quarto dell’altezza totale. L’ultimo è amplissimo, rigonfio, una volta e mezzo più largo che alto; la bocca è subrotonda. La superficie appare mani- festamente tubercolata da piccoli noduli più o meno acuti, lon- FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 581 tani circa V3 o */3 (li mm. lino dall’altro. La medesima scultura, benché molto più leggera, si nota anche sul modello interno. L’altezza varia da 7 a 15 mm., il diametro da 8 a 16, l’angolo apicale da 81° a 85°. Lyttorinidae Gray. Geu. Turbinilopsis de Koninck. 94. Turbinilopsis f. indet. 1890. Turbinolopsis sp. Parona, l. c., pag. 8. All’esemplare del Parona ne posso aggiungere alcuni altri provenienti dalla stessa località, ma ugualmente indeterminabili. Somigliano nella forma alla T. inconspicua (*) de Koninck em. (Faune carb. Belg., 3, 1. c., pag. 89, tav. X, fig. 13-14) e alla T. Hoeninghausiana de Kon. em. ( ibid ., pag. 90, tav. IX, fig. 13-16, e tav. X, fig. 3-4), ma hanno dimensioni molto minori. Calcari scistosi: Forca Pizzul. Pyramidellidae Gray. Gen. Loxonema Phillips. 95. Loxonema cfr. elongatum de Koninck. (Fig. 8 a-b). 1881. Loxonema elongatum. de Koninck, Faune carb. Belg., 3, 1. c., pag. 42, tav. V, fig. 10-11, cum syn. Il de Koninck ha già descritto esaurientemente questa forma Fig. 8. — Loxonema cf- elongatum Kon. (grand, nnt.). e ne ha trattati i rapporti con le più vicine. L’esemplare del M. Pizzul è compresso e ri dotto ai due ultimi giri, ma concorda con i belgi per la convessità, forma e dimen- sione dei giri stessi, l’altezza relativamente piccola (circa metà del diametro) del pe- (*) Turbinilopsis deve essere necessariamente femminile, come Nati- copsis, Neritopsis ecc., e non maschile come ia fece il de Koninck. 582 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI nultimo anfratto, la sutura netta e profonda, la superficie liscia. L’altezza complessiva doveva misurare 55 rum. circa; il diametro dell’ultimo giro è di 16 mm.; l’angolo apicale di 25°. Arenarie ocracee: Gas. Pezzeit. 96. Loxonema gracile de Koninck. (Tav. XV, fig. 28). 1843. Loxonema gracilis. de Koninck in Omalius, Prccis élém. de geologie, pag. 516. 1881. » gracile de Koninck, Fanne cari). Lìelg., 3, 1. c., pag. 50, tav. IV, fig. 44. 1890. » cfr. » Parona, 1. c., pag. 7. Nel gruppo del L. gracile, caratterizzato da forme piccolis- sime, turricolate, ad angolo apicale acutissimo, con superficie liscia, il L. gracile rappresenta la specie più strettamente conica. L’angolo apicale, segnato di 5° dal Koninck, oscilla in realtà da 5° a 8° e anche a 10° (1), e le gradazioni sono così insen- sibili, che non si possono distinguere nella serie forme diverse. Lo sviluppo della spira è lento; la sutura è netta, ma non pro- fonda; i giri hanno una convessità sempre moderata, e attra- verso passaggi graduali si arriva a esemplari dove la convessità è minima. Il piano dei giri forma sempre un angolo molto aperto, sovente quasi retto, con l’asse della spirale. La bocca appare subrotonda o largamente ovale; la superficie è liscia. Il L. gracile è frequente nei calcari scistosi della Forca Pizzul. L’esemplare meglio conservato ha 7,5 mm. di altezza, 1 di diametro alla base; l’angolo apicale è di quasi 8°. 97. Loxonema subgracile Netschajew cm. (Fig. 9-10 e tav. XV, fig. 33 a). 1894. Loxonema subgracilis. Netschajew, 1. c., pag. 362, tav. XIT, fig. 44. Insieme con gli esemplari di Tj. gracilis non sono rari indi- vidui che presentano tipicamente i caratteri di questa forma (') L’esemplare disegnato dal de Koninck ha un angolo non di 5°, ma di 7°. POSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI C ARNICHE 583 ritenuta sinora tanto posteriore alla prima. La spira è molto strettamente conica, con un angolo apiCale generalmente un po’ meno acuto che nella specie precedente ; i giri son molto più larghi che alti, convessi, e il loro piano è molto incli- nato sull’asse della conchiglia. Superfi- cie liscia; bocca subcircolare. Altezza, 4,5 mm. : diametro, 0,8 mm. ; angolo api- cale, 10°. Benché non manchino forme di pas- saggio, si distingue facilmente dal L. gra- cile sopra tutto per l’obliquità del piano dei giri e il contorno trasverso di questi. Calcari scistosi della Forca Pizzul. Fig. 9 e 10. — Loxonema subgracile Netseh. em. — (Ingr.). 98. Loxonema inumili de Koninck. (Fig. 11-12 e tav. XV, fig. 33 a). 1881. Loxonema nanum. de Koninck, Faune carb. Belg., 3, 1. c., pag. 50, tav. IV, fig. 45-46. I numerosi individui che ho raccolto nei calcari scistosi della Forca Pizzul, dove la specie è co- mune, permettono di completare così la descrizione molto sommaria del de Ko- ninck : Conchiglia piccolissima, turricolata, strettamente conica; spira di 9-10 giri notevolmente convessi, talora rigonfi, così alti che larghi, sepa- rati da una linea suturale profonda; superficie liscia; bocca subcircolare. L’angolo apicale (che il de Koninck dice di 9° mentre è di 11° nella sua figura) oscilla fra 10° e 12° nel maggior numero degli esemplari. Altezza (negli individui car- nici), 3 a 4 mm.; diametro, 0,6 a 0,8 mm. Differisce dalle altre forme di questo gruppo per l’angolo apicale meno acuto e i giri alti rigonfi, mai trasversi, col loro piano quasi normale all’asse della spira. Fig. 11 e 12. - Loxoneìna 38 684 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 99. Loxoneina Montis-Crucis Stadie sp. 1877. Turbonilla montis crucis. Stadie, Beitràge zur Fauna der Belìe- rophonk alice Sudtirols, I, Jahrb. k. k. Geol. Reichsansf., XXVII, pag. 818, tav. V, fig. 4. 1890. Loxonema cfr. scalaroideum (non Phill.), Parona, l. c., pag. 7. 1894. » planoverticum , Netsckajew, l. e., pag. 364, tav. XII, fig. 45. L’unico esemplare è un po’ più grande di quello figurato da Stadie; consta di circa 12 giri di spira a lento sviluppo, poco o punto convessi, separati da una netta linea suturale, con 12-13 pieghe trasversali ciascuno. Le pieghe sono diritte, non molto spiccate, e si indeboliscono sui due ultimi giri. Altezza, 13,5 nnn.; diametro 4,5. La forma di Stadie va trasportata secondo me nel genere Loxonema, mancadole l’eterostrofia dei primi giri; del resto lo stesso Zittel non riporta il genere Turbonilla ad età più antica dell’eocenica. L’esemplare su cui il Netschajew ha fondato il suo L. planoverticum, almeno per quanto si può giudicare dalla sua figura, sembra appartenga sempre al L. Montis-Crucis , di cui ripete la scultura e la forma. Infine il L. scalaroideum Phill. sp. (Phillips, l. c., pag. 229, tav. XVI, fig. 3), come appare anche dalle figure del de Ivonink ( Faune Carb. Beli/., 3, tav. VI, fig. 3-4), non può confondersi con gli esemplari del Trentino, nè della Russia, nè del Pizzul per il numero molto maggiore di coste, i giri molto convessi, la spira ad angolo molto aperto, ecc. Gen. Tuberculopleura Jakowlew. 100. Tuberculopleura anomala Jakowlew. (Tav. XV, fig. 23-26 e 36 e). 1890. Microdoma serratilimba (?) (non Filili.), Parona, 1. c., pag. 8. 1899. Tuberculopleura anomala. Jakowlew, Cephal. und Gastr., 1. c., pag, 60 e 122, tav. V, fig. 27. I numerosissimi individui clic ho a mia disposizione con- . cordano pienamente con la diagnosi e le figure del paleonto- FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 585 tologo russo. Notevole e sempre evidentissima è la differenza di scultura fra i primi giri, a sole coste trasversali oblique, e i successivi, percorsi da tre pieghe longitudinali tubercolate, o meglio da tre serie longitudinali di tubercoli. Differisce dalla specie del Philipps principalmente per il tipo della scultura, come avverte lo Jakowlew a pag. 123 del suo lavoro, e per l’eterostrofia dei primi giri; inoltre le coste longitudinali sono equidistanti, e non più vicine fra loro le due superiori; e ciascuna costa porta su ogni giro circa 20 tuber- coli, e non 25-27. La T. anomala è molto frequente nei calcari scistosi della Forca Pizzul. Le dimensioni variano da 4 a 10 mm. per l’al- tezza e 2 a 6 per il diametro; l’angolo apicale ha un valore sensibilmente costante, di 31°-33°. Gen. Promathildia Andrae. 101. Promathildia cf. Barroisi Jakowlew. (Tav. XV, iig. 27). 1899. Promathildia Barroisi. Jakowlew, Cephal. und Gastr., 1. c., pag. 65 e 126, tav. V, fig. 28. La caratteristica forma fusata e troncata in basso si ripete nell’unico esemplare del M. Pizzul. La spira è costituita da 15 giri a lentissimo sviluppo, appiattiti esternamente e con una leggera rientranza angolosa alla sutura. Per la forma fusata l’angolo della spira, che dapprima è di circa 20°, si modifica in guisa che l’angolo medio è di appena 12°. La superficie è però talmente corrosa, che non si vede più traccia dell’orna mentazione. Altezza, 7,2 mm.; larghezza massima, 1,6 mm. Calcari scistosi: Forca Pizzul. CEPHALOPODA. Sono costretto a lasciare indeterminati un’Ammonitide e molti Ortoceratidi rinvenute nelle arenarie argentino nerastre del Piano di Lanza e nei calcari neri del M. Pizzul. Anche gli esemplari che son riuscito a isolare dalla roccia hanno il guscio tanto cor- 586 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI roso e sono così deformati, da rendere troppo incerta anche una classificazione approssimativa. Dai calcari grigi del Piano di Danza, dove osservai numerose sezioni di Orthoceras , neppure con la semicalcinazione potei giungere a liberare un solo in- dividuo. Orthoceratidae Mac Coy. Gen. Orthoceras Breyn. 102. Orthoceras cf. calainus de Koninck. 1880. Orthoceras calamus. de Koninck, Faune Cari). Belg ., 2, 1. c., I, pag. 52, tav. XXXVIII, fig. 6. 1890. » » Parona, 1. c., pag. 6. È il solo Ortoceratide che sembra determinabile: si tratta sempre dell’esemplare descritto dal prof. Parona, isolato in parte dagli agenti atmosferici. Ma benché gli si adatti la diagnosi e gli si accostino le figure del de Koninck, mi sembra che nep- pure esso sia conservato in modo tale da assicurarne la deter- minazione rigorosa. Calcare nero sopra la Gas. Pizzul alta (Museo di Udine). ECHINOIDEA. Archaeocidaridae Mac Coy. Gen. Archaeocidaris Mac Coy. 103. Archaeocidaris pizzulana n. f. (Tav. XV, fig. 29-33 e 36 f.). 1890. Archaeocidaris sp. ind., Parona, l. c., pag. 14. Con la speranza che più fortunati rinvenimenti permettano di stabilire tutti i caratteri di questa nuova forma, ne descrivo i frammenti che ho potuto raccogliere. Placche interambulacrali a contorno esagonale, ornate presso il margine di una doppia serie circolare di tubercoli. In ciascuna serie i tubercoli sono alternativamente grandi e piccini: quelli FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 587 ben sviluppati, mammellonari, con un diametro di oltre V3 di min.; questi minutissimi, acuti, visibili soltanto con la lente e molto facili a sciuparsi. Nelle due serie i tubercoli si alternano in modo che i maggiori dèli’ una son contigui ai più minuti dell’altra. L’anello serobiculare è liscio, spesso, ben rilevato, con un diametro di 1,6-1, 8 min., uguale a l/i o ’/ 5 della massima larghezza della placca rispettiva. L’anello è portato da un collo serobiculare molto depresso, liscio, la cui base ha un diametro doppio del- l’anello; la scrobicola è poco infossata; il mammellone che porta il radiolo non raggiunge un millimetro di diametro. I radioli sono per lo più esili, molto lunghi, cilindrici, lisci, muniti di 3 a 6 coppie di gemme acute e subacute, spiniformi, opposte, dirette verso l’alto; la testa di ogni radiolo è relativamente pic- cola e sormontata da un collaretto a margine tagliente, molto simile a quello de\Y Archaeocidaris ladina Stadie (l. c., pag. 318, tav. V, fig. 11). Placche e radioli sono molto frequenti nei calcari scistosi della Forca Pizzul. P AL AEOCARID A. Trilobitae. Proétidae Barrande. Gen. Phillipsia Portlock. 104. Phillipsia cfr. Cliffordi Woodward. (Tav. XV, fig. 35). 1884. Phillipsia Cliffordi, Woodward, The Carboniferous Trilobites , II, Palaeontogr. Soc., XXXVIII, pag. 68, tav. X, fig. 8 b e 9-12. Pigidio di dimensioni mediocri, più largo che alto, subtrian- golare, a lati poco convessi. L’asse si estende per un terzo della larghezza alla base; poi si restringe rapidamente, limitato da solchi laterali rettilinei e arrotondato all’apice, che sporge poco 588 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI o punto sul lembo. Le pleure hanno forma triangolare; il lembo è abbastanza largo, piano, ristretto alla base. L'asse è composto di 12-13 anelli poco convessi; le pleure sono formate da 9-10 segmenti pure poco convessi, separati da solchi lineari, e non sembrano biforcati, come del resto appare anche nelle figure del Woodward. Asse e pleure sono poco ri- gonfi, e privi di qualsiasi ornamento. Il pigidio è alto 5 min. e largo 9 mm. alla base. Arenarie micacee: Cas. Pizzul alta. 105. Pliillipsia (Griffitliides ?) f. ind. (Tav. XV, fig. 34). Pigidio molto più alto che largo, a contorno ogivale allun- gato, con asse e pleure molto convessi e separati da solchi pro- fondi. Asse largo alla base un terzo dell’intero pigidio, limitato da solchi convergenti in addietro, ma sotto un angolo acutissimo. Lembo piano, largo circa 1 mm.; l’asse è costituito di circa 22 anelli bene spiccati, convessi, rilevati, divisi da solchi abba- stanza larghi e profondi; grandi verso la base, le dimensioni degli anelli diminuiscono rapidamente, e nella metà apicale del- l’asse gli anelli si distinguono appena. Le pleure hanno 11-12 seg- menti ciascuna, con gli stessi caratteri dei precedenti, ma con decrescenza più lenta. Non vi è traccia di ornamentazione. Altezza, 15,5 mm.; larghezza alla base 12,5. I caratteri si avvicinano molto a quelli del Griffithidcs ìon- gispinus Portlock (*), del calcare carbonifero irlandese; e sol- tanto lo stato dell’esemplare, che è ridotto a modello interno, vieta un riferimento sicuro. Arenarie scistose ocracee: Cas. Pezzeit. 106. Pliillipsia (Brachymetopus) f. ind. (Tav. XV, fig. 37). Infissa nei calcari scistosi della Forca Pizzul, è una guancia destra di Phillipside caratterizzata dalla sua nitida scultura (*) Woodward, l. c., pag. 36, tav. VII. fig. 5-6. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 589 tubercolata. I tubercoli sono tondeggianti, separati da intervalli piani alquanto più larghi di essi, e subeguali fra loro; soltanto la serie marginale li ha più alti e più sviluppati. Il fondo è minutamente rugoso. L’ornamentazione ricorda il Brachymetopus uralicus de Yerneuil (l. c., II, 1845, pag. 378, tav. XXVII, fig. 16) e il B. MacCoyi Portlock sp. ('), rinvenuti entrambi anche nelle assise carbonifere d’Inghilterra. (L Woodward, l. c., pag. 52, tav. Vili, fig. 9-13. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 591 4 %-2 d 1 4 4 4 ! I 4 4 4 c+-3 © + + 4 4 4 4 4 4 4 *4-2 O 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 + + 4 4 4 4 *4-2 c3 4 4 4 1 4 4 + 4 4 4 4 4 4 I 4 4 4 + *4-2 c3 4 4 c+-2 © 4 4 4 4 *s 4 4 4 4 Cv. ! 4 4 4 4 4 4 + + 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 f f 4 4 4 4 I 4 +- 4 4 4 4 T + 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4- 4 4 4 + 4 4 4 4 4 4 4 + + 4 4 4 4 4 4 4 4 4 + ! 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 f 4 4 4 4 Cu ' bc d d CO • © © H s - 00 S © rO 6 © VV. 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GORTANI FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 593 + + + + } } + + + + + + ♦ + \ + 1 + + + + ‘S* + + % + + + + } + + ! + + + + + + + + I + + f + + + +! + + + + + + + + I + + a o a *-3 «a S e ~ « e co * C“ CJ O 05 co g ^ * «3 « co a B s 3 s a _s -w cc s e & s* ■sa co CO ss P CO co § o l5 s © © CO 1* O he C G , 2 £ Ky* Ph co 5 'O co « £ JD CC £ co £ ■Sa £ co c*« ci > co ? Ss Ol-\ *>? * so * 'CO o CO ■ o ■ , so co t4_! • 03 TS co & 9 § "ca .5 S r© O 2 © Ss ^ a o M O f- -S-» O £ CO e *- 0 c <^> L> co CS ©> r© , £ ©ì CO £ « £ co co *e- co I CO si o ^ 03 co co co co co IO co co o co c— co a o —h CO CO CO 03 CO (M CO lo O N co Ci gì r- cì Ci cì Ci cì o ai cc ci «4-.* 0 o 0 d o e so © co • CsC f $ • o* s*a *ca co « « ^3 *«a co o e CO -c> ■sa « r-a S5 S co o O <^> « sii co a* so o Co *«S» s £ Ss sSi O Pii o ^-H ci CO o o o o o c\>. co co h3 0 co $ §< r© ^ -sa -ja $ § 6 o o Cj c- 594 P. YINASSA DE REGNY E M. GORTANI * * * Dal quadro della fauna studiata, messa a confronto con le più affini e più note carbonifere e permiane (v. pag. 590-593), appare come essa abbia una fisonomia veramente singolare, le- gandosi colle faune più disparate. Così 22 specie ha comuni con i giacimenti eocarboniferi del Belgio, pure 22 con la fauna neo- carbonica dell’Auernig e della Krone, e 21 con quelle pernio- carbonifere o paleodiasicbe dell’Imalaia: nè si tratta di sole forme a larga diffusione nello spazio e nel tempo, ma sovente di spe- cie note finora in uno o in pochi giacimenti soltanto. Lasciando per ultimo i fossili del Piano di Lonza, abbiamo al Pizzul un complesso di 95 forme. Benché non sia molto age- vole, per quanto ho accennato, di fissare il livello preciso di questa fauna che riunisce numerose specie delle età più diverse, io credo che non possa rimaner dubbio sulla sua posizione cro- nologica. Diciannove forme, vale a dire il 20 per cento, sono troppo incerte, o nuove o senza valore stratigrafico perchè estese dal- PEocarbonifero a tutto il Permiano. E a noi ora poco interes- sano anche le 16 specie (17 per cento) che dal Carbonifero me- dio o inferiore si spingono fino al Perniocarbonifero ('); esse ci impediranno soltanto di portare la nostra fauna a un livellò troppo recente. Ma un’età molto antica, eo- o mesocarbonifera, va del pari assolutamente esclusa. Lo provano le 16 forme comuni sol- tanto al Carbonifero superiore e al Permocarbonifero o al Dias : Schwagerina princeps, Gcinitzella crassa, Strcptorliynchus semi- planus, Derbyia grandis, Productus lineatus, P. var. batliykol- pos, P. gratiosus , P. Abichi, Spirifer carni cus, S. lyra, Cama- rophoria alpina, Terebratula elongata, Aviculopectcn carboni ferus, Pecten sericeus, P. aviculatus, Licbca Hausmanni, Murchisonia (') Uso questo termine nel senso che ho ampiamente discusso e spie- gato nel mio lavoro sulla fauna del Col Mezzodi. Mantengo il sincro- nismo delle principali assise eocarboniche, permocarbonifere e permiane come allora l’ho accettato, ricordando che in tal modo si includono nel Permocarbonifero gran parte dei giacimenti segnati dal Frech nel Paleodias. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 595 tramontana; e l’assicura in modo positivo la presenza di ben 17 specie (oltre 18 per cento), ritenute finora caratteristiche delle assise permiane o permocarboniche: Derby ia altestriata, Chonetes strophomenoides, Spiriferina var. fastigiata, Aviculo- pecten var. hiemalis, A. carnicus , A. jabiensis, Lima retiferi- formis, Scili zodus pinguis, Astarte permocarbonica, Bcllerophon regularis, Idear otoma ria Sibirtzeivi, Murchisonia Golowkinskii, AI. imparlineata , Loxonema subgracile, L. Montis- Crucis, Tu- berculo pleura anomala, Promathildia JBarroisi. Il carattere giovanissimo (rispetto alle assise paleozoiche) che le forme accennate danno alla fauna del M. Pizzul è però controbilan- ciato da numerose specie molto più antiche. Quelle ci vietano di riportare la fauna in parola al Carbonifero medio o infe- riore; queste ci impediscono di attribuirle un’ età permiana o permocarbonica. Infatti il 14 per cento delle forme descritte non furono ritrovate sino ad oggi in livelli più alti del Car- bonifero medio: Cyathophyllum Koninclci, Monticulipora nexilis, Monilipora macrostoma, Syringopora reticolata, Prodoctos Nef- fedievi, Murchisonia conula , M. gracilis, Euomphalus var. cera, E. cor onif eros, Loxonema elongatum, L. gracile , L. nanum, Ortlio- ceras calamus; due altre, il Bhabdomeson rhombiferum e il Del- lerophon textilis, sono esclusivamente carboniche. Dobbiamo quindi ammettere che la fauna del M. Pizzul appartiene al Carbonifero superiore. Le 12 forme (13 per cento) che ci rimangono ancora lo confermano pienamente. Sono infatti esclusive di questo pe- riodo: Fusolina alpina antiqua, Zaphrentis Kohscharoici, Fe- nestella Vencris, Polypora Kohcae, Penniretepora pulclierrima, Orthothetes var. senilis, Chonetes variolata , Prodoctos fasciatus, P. Humbolclti, Camarophoria Sane t i- Spiri tos, Conocardium Ta- rantella, Murchisonia Paronai (*). O Includo in tale categoria anche queste due ultime forme, benché nuove, ricomparendo esse negli strati neocarbonici sopra Pontafel. Delle altre 11 specie e varietà nuove 4 sole presentano un’affinità spiccata con forme già note: e precisamente la Murchisonia var. subtenuis con specie eocarbonifere; la Pleurotomaria var. italica con una forma per- mocarbonica; lo Spirifer var. alpinus con due neo e permocarbonifere; la Chonetes var. cantica con la Ch. Moelleri del Carbonifero superiore. 596 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI Cerchiamo ora di precisare quale posizione occupino gli strati del M. Pizzul nella serie delle assise carbonifere superiori. Rias- sumendo ciò che ho esposto finora, risulta che il 35 per cento della nostra fauna è rappresentato da forme nuove o senza valore cronologico; il 13 da forme del Carbonifero superiore; il 16 per cento da forme trovate anche o soltanto (14 soltanto) in giaci- menti più antichi; il 36 da forme trovate anche o soltanto (19 soltanto) in depositi più recenti. Siamo quindi nella parte alta, se non altissima, del Neocarbonifero. Nei calcari scistosi della Forca Pizzul, che effettivamente sono gli strati più bassi della serie fossilifera da noi studiata, su cento specie 36 son nuove o senza valore stratigrafico, 15 neocarboniche, 22 comuni (5) o esclusive (17) di assise più antiche, 27 comuni (5) o esclusive (22) di più recenti depositi. Saremmo dunque sempre nel Neocarbo- nifero superiore, ma a un livello più antico, molto vicino alla parte media del Carbonifero superiore; tale risultato però è forse dovuto alla facies particolare di questa fauna, dove mancano quasi del tutto i Brachiopodi, mentre abbondano straordinaria- mente i Gasteropodi, che si rinvennero fino ad oggi in pochi luoghi soltanto e furono assai meno studiati. I rapporti con le faune carbonifere e permocarbonifere dei vari paesi confermano una volta di più i concetti ora svolti. Alle 22 forme che il Pizzul ha in comune con le assise eocarboniche del Belgio si contrappongono le 21 comuni anche ai depositi permocarboniferi e permiani dell’Imalaia; e se 14 specie si ritrovano negli strati dinantiani di Bleiberg, 15 ricompaiono in quelli artinskiani della Russia orientale. Ma le analogie più spiccate si hanno con le faune del Carbonifero superiore, e pre- cisamente dell’Uraliano più alto. Con il Nassfeld il Pizzul ha comuni 22 specie; 27 forme identiche o molto affini alle nostre si rinvengono negli Urali, e quasi tutte nel calcare a Schvva- gerine. che ivi corona la serie carbonifera. Del resto la presenza della Fusulina alpina antiqua sarebbe bastata per sincronizzare i calcescisti del M. Pizzul con gli strati dell’Auernig. Ho già avuto occasione di far rilevare la grandis- sima importanza dei Fusulinidi nella cronologia. geologica; e il risultato ora ottenuto ne è una nuova conferma. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 597 Questo fatto ha molto interesse per noi, se vogliamo preci- sare l’età dei calcari a Fusuline del Piano di Lanza. I calcari bianchi e grigi, che ivi sono i membri più alti della serie, su 10 forme ne hanno 1 del Carbonifero inferiore e superiore (No- dosinella Ungulinoides ), 2 permiane ( Naticopsis Kokeni e Stra- dar olliis permianus ), 1 permocarbonifera ( Notothyris exilis) e 5 del Permocarbonifero e dell’ Uraliano superiore ( Schwagerina princeps, Fusulina alp. fragilis, F. alp. communis, Spirifer semiplanus , Khynchonélla osagensis). Essi appartengono quindi all’Uraliano più elevato o al Permocarbonifero più antico, e cor- rispondono ai calcari a Schwagerine di Neumarktl, rimanendo forse alquanto inferiori ai calcari a Fusuline del Col Mezzodì. Ma anche gli strati più bassi del Piano di Lanza, le are- narie ocracee, sono senza dubbio alcuno neocarbonifere. Delle 8 forme che vi ho raccolto, 3 non hanno valore stratigrafico ( Froductus semireticulatus, P. punctatus, Spirifer lineatus), ma le altre 5 sono tutte caratteristiche del Carbonifero superiore e del Permocarbonifero: Ortliothetes (?) expansus, StreptorJiynchus semiplanus , Froductus lineatus , P. transversalis, P. bathylcolpos. Vedremo subito la speciale importanza che questo fatto pre- senta. CONCLUSIONI. Come abbiamo notato, al Piano di Lanza la serie comincia con arenarie ocracee a fauna uraliana e ricche di Zoophycos carboniferi is al pari di quelle del M. Pizzul. Gli strati supe- riori sono invece più giovani e, come già notammo nel nostro precedente lavoro ('), formano l’evidente continuazione dei cal- cari a Schwagerine del M. Trogkofel. Àbbiam detto pure come l’età neocarbonifera delle arenarie ocracee di Lanza sia per noi d’importanza molto grande. Esse infatti poggiano direttamente sui calcari devoniani che costi- tuiscono la massa del M. Germula (z) e pendono in apparente (') Vinassa e Gortani, l. c., pag. 7. (2) Cfr. Vinassa e Gortani, l. c., pag. 6, fig. 1, 2 e il profilo annesso a: Gortani, Itinerari per escursioni geologiche nell'Alta Carnia , in Bull. Soc. Geol. It., XXIV, tav. VI. 598 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI concordanza con questi verso NNE. Dimostrata la pertinenza di tali arenarie al Carbonifero superiore, rimane ora provato anche paleontologicamente che una trasgressione si iniziò nella Carnia alla fine del periodo devonico, e che la lacuna nella serie dei sedimenti marini durò fino a tutto il Carbonifero medio. E siccome pare che tutti i fatti noti sinora portino a ritenere che il fenomeno si sia non già localizzato a uno o pochi punti, ma esteso a tutte le Alpi Carniche principali, noi pensiamo che Cinterà massa scistosa ascritta al Culm dal Frecli nel 1894 e al Silurico dal Taramelli nel 1881, sia in parte siluriana o si- lurico-devoniana, in parte neocarbonifera. La flora e la fauna del M. Pizzul hanno invece un interesse paleontologico e stratigrafìco. Sono complessivamente 180 forme, che lo rendono il più ricco fra i giacimenti carboniferi e per- mocarboniferi delle Alpi, superando anche quello ormai classico della Krone e dell’Auernig. Notisi pure che esso è l’unico de- posito a fossili marini del periodo carbonico esistente in Italia, fatta astrazione da quello del Nassfeld, che è in territorio geo- graficamente italiano, ma oltre il confine politico. La flora e la fauna del Pizzul, per quanto fu detto a suo luogo, appartengono al Carbonifero superiore. La fauna sembra propria dei livelli uraliani più alti, mentre la flora ha un ca- rattere un poco più antico, e si può riportare agli strati medi di Ottweil, cioè all’Uraliano medio. Ma siccome gli scisti are nacei a fiditi si alternano al M. Pizzul con i calcari e le are- narie a fauna marina, dobbiamo ritenere sincroni gli uni e gli altri, e potremo fissarne l’età fra l’Uraliano medio e il superiore, vale a dire alla parte superiore, ma non suprema, dell’Oberes Obercarbon degli autori tedeschi. Il nostro studio viene in tal modo a confermare il risul- tato a cui eran giunti nel 1890 il prof. C. F. Parona e il dott. Bozzi nel loro studio sommario dello scarso materiale rac . colto presso la casera e la sella Pizzul. Le determinazioni del prof. Parona, fatte con la sola guida del de Koninck e del Trautschold, avevano naturalmente solo un carattere provvisorio, e classificazioni sicure ed esatte non si riferivano che quasi esclusivamente a specie diffuse in tutto il carbonifero. Il prof. Pa- rona riteneva, come allora ritenevano quasi tutti, che i giaci- FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 599 menti del Belgio e quello di Bleiberg appartenessero, come aveva asserito l’ illustre de Koninck, al Carbonifero superiore ; e perciò le nostre conclusioni concordano con le sue, benché siamo stati costretti a cambiare una parte delle sue deter- minazioni. Si può quindi giustificare in qualche modo il De Stefani, quando asserisce, basandosi sulle provvisorie determinazioni del prof. Parona, che i calcari del M. Pizzul appartengono al Car- bonifero inferiore. Il prof. De Stefani, il quale ha giustamente riferito al Carbonifero superiore gli scisti fìllitiferi, ha però trat- tato delle altre rocce del M. Pizzul solo incidentalmente, senza entrare in dettagli. Infatti, se egli avesse dovuto approfondire la questione, avrebbe veduto come già il Tommasi, il Bozzi, il Parona, il Taramelli avessero più o meno chiaramente detto che gli scisti a fìlliti si alternavano al Pizzul con le arenarie e i calcari a fauna marina; e come già il Parona avesse notato nei calcari Fusuline e Conocardi; e come quindi «... gli strati (dell’Auernig) contenenti la flora alternanti in mezzo a strati con Fusulina, Conocardiwn e con numerosi altri fossili ma- rini » (*) fossero stati effettivamente già scoperti entro il con- fine italiano. Il prof. De Stefani aggiunge poi: « Il De Angelis ha bensì attribuito al Carbonifero superiore i calcari con coralli del M. Pizzul; ma questi come i non lontani strati di Notsch nel confine austriaco, appartengono invece alla parte più alta del Carbonifero inferiore, come risulta dal gran numero di specie comuni coi calcari di Visé nel Belgio e coi terreni equivalenti ». Ora, delle 10 forme del Pizzul classificate dal prof. De Angelis, 6 sono neocarbonifere, 3 del Carbonifero inferiore, eie comune a tutto il Carbonifero. Questa inesattezza in cui incidentalmente è caduto il De Stefani, è derivata però senza dubbio dal lavoro sul M. Pizzul del prof. De Angelis. Evidentemente il De Angelis non ricordava che Terrore del de Koninck era stato ripetutamente accennato, e, tra gli altri, dal Frech nelle Karnischen Alpen (2); egli perciò ripetendone Terrore dice esplicitamente che il cal- care di Bleiberg è del Carbonifero superiore, e mentre chiama C) De Stefani, 7. c., pag. 173. (2) Frech, 7. c., pag. 303, 305. 39 600 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI neocarbonica la fauna pizzulana ne vanta più d’uua volta i rap- \ porti strettissimi con quella di Bleiberg. E naturale quindi che il De Stefani riportasse al Carbonifero inferiore quei calcari, che non hanno al contrario nessun stretto rapporto con il Carboni- fero inferiore di Bleiberg e sono invece neocarbonici. Gli studi compiuti al Pizzul ne dimostrano in ogni modo la grande importanza, ed infatti è certo che la serie fossilifera di questa montagna è finora la serie carbonifera più ricca delle Alpi ed è tutto merito della scienza italiana quello di averla scoperta e illustrata. Vanto quest’ultimo che in parte hanno gli italiani anche per i fossili dell’Auernig, dove il primo geologo che ne raccolse fu il prof. Giulio Andrea Pirona, e soltanto circostanze avverse impedirono che il prof. Taramelli ne facesse per il primo la monografia, vent’anni innanzi che essa venisse intrapresa dai geologi d’oltr’alpe. Le vedute geniali del prof. Taramelli sono ancora quelle che meglio spiegano almeno una buona parte della geologia carnica. E come conclusione del presente lavoro possiamo chiu- dere con le parole da lui pronunciate fin dal 1881 (]): «Nelle Gamiche, superiormente e con discordanza rispetto agli scisti (e ai calcari) siluriani (o meglio silurico-devoniani), si estende un livello di scisti micaceo-argillosi meno quarziferi, di are- narie, di puddinghe, di calcari arenacei con flora e con fauna del Carbonifero superiore ; e queste rocce sono sepolte talora da un calcare dolomitico . . . che si deve almeno in parte riferire al Permiano ». Perugia, R. Istituto Superiore Agrario, giugno 1905. [ms. pres. 8 luglio 1905 - alt. bozze 9 ottobre 1905]. (') Spiegazione della Carta Geologica del Friuli, Pavia, 1881, pag. 42. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 601 SPIEGAZIONE DELLA TAV. XII 1. Paìmatopteris forcata Brgrt. sp. — (Leggermente ingrandita e sche- matizzata). — Sella Pizzul. — Museo di Pavia. 2. Mariopteris nervosa Brgrt. sp. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 3. Pecopteris Bioti Brgrt. » » » » 4. Pecopteris Pluckeneti v. Scklth. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 5. Pecopteris piumosa Artis (— dentata Brgrt.). — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 6. Goniopteris foerninaeformis v. Schlth. var. arguta Sternb. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 7. Goniopteris foerninaeformis v. Schlth. var. spectabilis Weiss. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 8. Alethopteris Grandini Brgrt. sp. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 9. Odontopteris Reichiana v. Gutb. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 10, 11, 12. Alethopteris lonchitica v. Schlth. sp. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 13. - a. Nei'ropteris (?) n. f. ind. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 13. - b. Nevrodontopteris auricuìata Brgrt. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 13. - c. Sphenophyllum emarginatimi Brgrt. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 14. Nevropteris flexuosa- . Stero#: — Casera Pezzeit alta. — ■ Museo di Perugia. 15. Nevropteris heterophylla Brgrt. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 16. Nevropteris heterophylla. — Pinnule terminali. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 17. Nevropteris heterophylla. — Penne di ultimo ordine. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 18. 19. Nevropteris cordata Brgrt. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 20. Nevropteris cordata Brgrt. — Foglie ciclopteroidi. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 21. Cyclopteris cfr. lacerata Heer. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 22. Linopteris Schutzei Roem. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 22 b. » » — Dettaglio della nervatura. 23. - a. Linopteris nevropteroides v. Gutb. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Pavia. 602 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI 23. - b. Linopteris obliqua Bunb. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Pavia. 23 a. Linopteris nevropteroid.es v. Gutb. sp. — Dettaglio della nervatura. 23 b. Linopteris obliqua Bunb. sp. — Dettaglio della nervatura. 24. Callipteridium pteridium v. Schlthm. sp. — Rio dai Amplis. — Museo di Perugia. 25. - a. Linopteris Brongniarti v. Gutb. sp. — Sella Pizzul. — Museo di Pavia. 25. - b. Hexagonocarpus crassus Ren. et Zeill. — Sella Pizzul. — Museo di Pavia. 26. Linopteris Brongniarti v. Gutb. sp. Foglia eiclopteroide. — Sella Pizzul. — Museo di Udine. 27 a, b. Linopteris Brongniarti v. Gutb. sp. — Dettaglio della nervatura. 28. Linopteris Milnsteri. Eichw. sp. — Sella Pizzul. 28 b. » » » — Dettaglio della nervatura. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIII Fig. 1. Splienophyllum longifoliurn Gerrn. » 2. - a. Mariopteris nervosa Brgrt. sp. » 2. - b. Lepidostrobus Gemitìi Sclihnp. » 3 a. Sigillaria Tarantella Vin. » 3 b. » » — Dettaglio di una cicatrice foliare. » 4, 5. Sigillaria sp. nov. » 6. Lepidopliyllum trilineatum Heer. » 7. » lineare Heer. » 8. » trigeminum Heer. » 9. » cfr. lanceolatum Lindi, et Hutt. Tutti gli esemplari provengono dal Rio dai Amplis e si conservano nel Museo geologico dell’Istituto superiore di Perugia. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIV Fig. 1. LJerbyia altestriata Waag. — Valva ventrale. — Arenarie di Cas. Pizzul alta. » 2. Derbyia grandis Waag. — Valva ventrale. — C. s. » 3. Streptorhynchus semiplanus Waag. sp. — Valva ventrale. — Are- narie del Piano di Lanza. FOSSILI CARBONIFERI DELLE ALPI CARNICHE 603 Fig. 4. Orthotlietes (?) expansus Gort. — Valva dorsale. — Arenarie di Cas. Pizzul alta. » 5. Orthotlietes crenistria Phill. sp. — Valva ventrale. — C. s. » 6, 7, 8. Meekelìa Vinassai Gort. — Valve ventrali. — Arenarie di Cas. Pezzeit. » 9, 13. Productus Cora var. Neffedievi (Vern ) — Valve ventrali. — C. s. » 10. Productus Cora Orb. — Valva ventrale. — C. s. » 11. Productus Cora var. lineatus (Waag.) — Valva ventrale. — C. s. » 12. Productus giganteus Mart. sp. — Valva dorsale. — Arenarie di Cas. Pizzul alta. » 14. Productus Humboldti Orb. — Valva dorsale. — Arenarie di Casera Pezzeit. » 16. Productus punctatus Mart. sp. — Esemplare dal lato dorsale. — C. s. » 16, 17. Clionetes Moelleri Tschern., var. cantica Gort. — Fig. 17, valva ventrale; fig. 18 a es. veduto dal lato ventrale, 18 b lo stesso dal lato dorsale. — Argilloscisti di Cas. Pizzul bassa. » 18. Spirifer striatus Mart. sp. — Valva ventrale. — Arenarie di Casera Pezzeit. » 19. Productus punctatus Mart. sp. — Valva dorsale. — C. s. » 20. Productus Abiclii Waag. — Valva ventrale. — C. s. » 21. Productus sentir eticulatus var. bathykolpos Schellw. — Valva ventrale. — C. s. » 22. Productus cfr. fàsciatus Kut. — Valva ventrale. — C. s. » 23. Productus elegans M’ Coy. — Valva dorsale ingrand, due volte. — Calcari scistosi della Forca Pizzul. » 24, 25, 26. Spirifer ( Reticularia ) lineatus Mart. sp. — Valve ven- trali : fig. 25, calcari grigi del Piano di Lanza, fig. 26 e 27 arenarie di Cas. Pizzul alta e Pezzeit. » 27. Productus Cora var. lineatus (Waag) e Spirifer striatus Mart. sp. — Valve ventrali. — Arenarie di Cas. Pezzeit. » 28. Spirifer lyra Kut. — Valva ventrale. — C. s. » 29. Productus sentir eticulatus var. transversalis (Tschern). — Valva dorsale. — Arenarie del Piano di Lanza. » 30. Spirifer lyra Kut. var. alpinus Gort. — Valva ventrale. — Are- narie di Cas. Pezzeit alta. » 31. Productus Cora Orb., forma indet. — Valva dorsale. — Are- narie di Cas. Pezzeit. » 32, 33. Camarophoria Sancti-Spiritus Schellw. — Valve ventrali. — Arenarie di Cas. Pezzeit e Pizzul bassa. 604 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANf SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XV Fi g. 1. Aviculopecten cfr. jabiensis Waag. — Valva destra. — Arenarie di Cas. Pezzeit. » 2 e 3. Aviculopecten carbonifera Stev. — Fig. 2 a valva sinistra, 2 b modello della stessa, fig. 3 valva sinistra — C. s. » 4. Aviculopecten Kókscharoivi Veni. vai*, hiemalis (Salt.) — Valva sinistra. — C. s. » 5. Aviculopecten Hoernesianus Ivon. — Valva sinistra. — Argillo- scisti di Cas. Pizzul bassa. » 6. Lima r eti feri far mis Netsch. — Valva destra. — C. s. » 7. Schizodus sp. — Calcari del Piano di Lanza. » 8 e 9. Astarte paularensis Gort. — Valve destre. — Calcari sci- stosi della Forca Pizzul. » 10 e 11. Astarte permocarbonica Tschern. — Valva sinistra e valva destra. — C. s. » 12. ConocarcUum Taramellii Gort. — Valva sinistra. — Vogelbach sopra Pontafel (dis. T. Taramelli). » 13. ConocarcUum Taramellii Gort. — Esemplare dal lato destro. — Calcari scistosi della Forca Pizzul. » 14. Entalis prisca Mnstr. sp. — Calcari scistosi della Forca Pizzul. » 15. Myophoriopsis (?) carbonifera Gort. — a dal lato destro, b dal lato posteriore, c dal lato superiore. — Arenarie di Cas. Pezzeit. » 16. Murchisonia Paronai Gort. — Vogelbach sopra Pontafel. >■• 17. Murchisonia Paronai Gort. — Modello. — Calcari neri .. ,4\h r. ,7 f - jM U m ■ f. ' i vi ffUO r CALZOLAI*) t* P6RKAR10 -MILANO Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIV (1905). (Vinasea e Gortani) Tav. XIV. BLIOT CALZOLAKIHFERRAKIQ — MILANO Boll. Soo. Geol. It., voi. XXIV (1905). (Vinassa e Gorfcani) Tav. XV. ELIO r CALZOLARI » PEKKARIO -MILANO • ••• «n LE VARIE FACIES DEL MIOCENE MEDIO NELLE COLLINE DI TORINO Nota del socio Prof. Raffaello Bellini Recentemente ho fatto conoscere poche osservazioni sull’el- veziano dei colli di S. Genesio presso Chivasso ('), ponendo direi quasi le basi di un primo tentativo per la distinzione della ricca fauna elveziana (nel senso dei geologi torinesi), sistematicamente nota in modo esauriente, a seconda delle varie facies litologiche che nel bacino piemontese offre l’importante piano miocenico e stabilir quindi le differenze di sedimentazione ed anche d’età dei vari depositi. Questo studio, per quanto interessante, per altrettanto non era stato sinora nemmeno iniziato. Esso potrà riuscire di valido aiuto e fornire criteri sicuri per la conoscenza delle condizioni fisiche deirambiente nel quale le regolari sedimentazioni erano inter- rotte da depositi di conglomerati, e potrà anche favorire la riso- luzione della questione riguardante l’origine del sistema colli- noso Torino-Valenza (2). Sono in dovere di pubblicamente ringraziare il sig. Prof. Pa- rona direttore del R. Museo Geologico di Torino, per avermi consigliato ad occuparmi dell’importante argomento, per i suoi aiuti e per aver messo a mia disposizione la ricchissima raccolta paleontologica del suddetto museo; al sig. Forma poi, valente e pratico conoscitore delle sue colline, vada il mio ringrazia- mento per tutte le sue indicazioni. È noto come il sistema delle colline Torino-Valenza debba ritenersi una vasta anticlinale in mezzo troncata e quasi al com- (*) (*) Bellini R., L’elveziano nelle colline di Chivasso presso Torino . Boll. Soc. Geol. Ita! fase. Ili, 1904. (2) Parona C. F., Trattato di Geologia. Milano, 1904. p. 616. 608 R. BELLINI pleto mostrante la serie terziaria, nella quale il miocene medio costituisce con le sue varie facies uno dei terreni maggiormente caratteristici litologicamente e per ricchezza di fossili. Il Mayer(1) riferisce l’elveziano di queste colline al sotto-piano inferiore a facies di mar profondo, mentre invece presenta abbondanti de- positi littorali di conglomerati e sabbie, con fauna egualmente di spiaggia, insieme a depositi marnosi ed arenacei originatisi a maggior profondità in più tranquillo mezzo ove viveva una fauna nel complesso differente da quella littorale, convenendo solo le faune nel caratterizzare un ambiente di clima moderato e già presentante i primi accenni di fenomeni glaciali. Nel mio sopracitato studio ho già insistito nel ritenere che ai vari piani miocenici debba darsi, contrariamente al parere d’alcuni autori (?), significato cronologico perchè sono veri livelli stratigrafici distinti e sovrapposti, rappresentanti sedimenti di successivi mari. Divisioni in senso batimetrico sono da com- piersi in ogni piano a seconda delle varie facies litologiche, alle quali corrispondono diverse faune ad habitus differente. Non escludo che in qualche località l’interpretazione batimetrica dei vari piani possa esser sostenuta, ma in Piemonte questi si suc- cedono regolarmente sovrapposti e l’elveziano delle colline to- rinesi, secondo i citati autori corrispondente alla zona littorale e delle coralline, si lascia dividere in due sotto-piani di diversa antichità mostranti parecchie facies litologiche c faune diverse nel loro insieme, distinte dal predominio d’alcuni generi, dall’ab- bondanza d’alcune forme e da speciali associazioni di queste, senza però poter dare per ogni facies un elenco di fossili esclusivi. L’elveziano nel Piemonte passa regolarmente al langhiano in basso ed al tortoniano in alto e nella parte interna del ba- cino poggia su depositi tongriani, alla lor volta circondati da (') Mayer-Eymar K., Sistematisches Verzeichniss dcr Kreide und Tertiàr — Versteinerungen der Umgegend von Tliun. Beitr. z. Geol. der Schweiz, 1897. (9) De Stefani C., Le terr. ieri. sup. de la Rass. de la Mediterr. Liége, 1893. — De Stefani C., I terr. terz. della pror. di Roma. Rend. R. Aec Lincei, 1902. — De Lorenzo G., La fauna bentho-neldonica della pietra leccese td., 1893. — Verri A. e De Angelis G., Il0 Contrib. allo studio del miocene nell’ Umbria. Boll. Soc. Geol. I tal., XIX (1900), fase 1°. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 609 più recenti formazioni. I suoi banchi si estendono a costituire un gran quadrilatero, maggiormente lungo nella direzione nord- sud e sempre più sottile prolungandosi ad est sino a Serra valle Scrivia, perdendosi nelle colline di Tortona, dove ha facies are- nacea-calcarea. A nord i depositi del miocene medio non sono molto estesi ed a sud si spingono sino ad Ottiglio, passando per le note località di Pino, Baldissero, Bardassano, Albugnano. Ma i più importanti giacimenti fossiliferi sono nel lato settentrionale delle colline di Torino e di Casalmonferrato e per la vicinanza a centri o città importanti maggiormente esplorati e meglio cono- sciuti. Di questa zona appunto è argomento nel presente lavoro. Nella serie Torino-Valenza la potenza del miocene medio è abbastanza considerevole ed i punti più elevati sono il Bric della Maddalena (716 in.), il colle di Superga (672 m.) e quello di Castagneto (473 m. nel paese e 519 alla Cascina Mompilotto). Litologicamente l’elveziano di questa regione si offre sotto cinque aspetti : a) Banchi ciottolosi ad elementi piuttosto grossi, sino a quasi 30 m.3, dell’elveziano inferiore e medio. La facies, ricca in fos- sili, si estende da Albugnano ai colli torinesi e le località più im portanti sono, oltre alla suddetta, Casalborgone e S. Raffaele, più verso Torino. b) Banchi molassici ciottolosi, principalmente sviluppati nella parte collinosa più prossima a Torino. È la facies meglio cono- sciuta e più fossilifera. Le località più note sono Sciolze, Ter- mofourà, Baldissero, Val Salice, Monte dei Cappuccini e tante altre più ristrette che avrò spesso occasione di ricordare. c ) Banchi marnosi, arenacei e marne sabbiose, depostisi in mare tranquillo e profondo. Emergono in moltissimi siti della collina e specialmente a Gassino, Sciolze, M. dei Cappuccini, S. Genesio, Villa Revel presso Cimeua, sulla linea tramviaria Torino-Chivasso. La fauna, pur abbondante, non è conosciuta come quella della precedente facies a causa della difficoltà d'i- solare i fossili dalle marne che Tinvolgono. Può chiamarsi que- sta facies pseudo-langhiana a causa della rassomiglianza con la corrispondente di questo piano. d) Banchi arenaceo-calcari con litotamni e lueine, nella parte medio-superiore dell’elveziano. Pino Torinese. 610 R. BELLINI e) Arenarie micacee e sabbie grigie a pteropodi. S. Genesio presso Chivasso e M. dei Cappuccini sopra Torino. Non comporta l’indole del presente lavoro accennare anche in breve alle varie ipotesi emesse per spiegare Torigine dei conglomerati oligo-miocenici dei colli torinesi, tanto più che queste diverse idee sono state trattate e discusse dal De Ales- sandri (') e prima ancora dal Virgilio (*), il quale autore, fon- dandosi sulle esperienze del Reyer, attribuisce la presenza dei conglomerati a scorrimento di masse, facilitato dal substrato poltiglioso delle argille scagliose ed avvenuto in due sensi con- trari dalle ripide falde alpine ed appenniniche in via d’emer- sione, verso il fondo del mare, dove sarebbe avvenuto rincontro delle due masse. Quest’ipotesi non è oggi generalmente accettata e la spiega- zione più soddisfacente attualmente ammessa fa derivare i con- glomerati oligo-miocenici da depositi torrenziali (3). È necessario però che rievochi un’altra ipotesi, che egual- mente non ha avuto felice accoglienza; intendo alludere a quella del Gastaldi (4), alla quale fu mossa per negarne la possibilità un’opposizione riguardante la fauna, ma che a me non sembra tanto fondamentale al segno da togliere ogni valore alla sem- plice spiegazione dell’illustre geologo torinese. È ben conosciuto come questi faccia derivare i conglomerati da trasporto per mezzo di ghiacci galleggianti di provenienza alpina ed il Murchison (5) ammette la stessa origine per gli erratici scandinavi dell’Europa centrale, quando estese regioni del continente erano ancora occupate dal mare. L’ipotesi del Gastaldi fu anche accettata dal Tardy (1872), dal Baretti (1893) (') De Alessandri G., App. di geolog. e di paleont. sui dint. di Acqui. Atti Soc. It. di Se. Nat. XXXIX, 1901. (2) Virgilio F., La collina di Torino in rapporto alle Alpi, all’ Ap- pennino ed alla pianura del Po. Torino, 1895. (3) Parona C. F., Trattato di Geologia. Milano, 1804, p. 598. (4) Gastaldi B., Sugli eleni, che compongono i conglom. miocen. del Piemonte. Mein. R. Acc. Se. di Torino. Serie II, voi. XX, 1868. (5) Murchison R. I., Sulla distr. del detrito superficiale delle Alpi paragon. a quello dell’ Eur Settentr. London, Edinburg and Dublin Philos. Magaz. and Journ.of Science, 1849. Traduz. Savi c Meneghini. Firenze, 1850. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 611 e dal De Alessandri (1901), mentre non è ammessa dal Maz- zuoli (1888) e dal Sacco (1895). Una delle maggiori difficoltà che oppongono parecchi geo- logi alla suddetta ipotesi consiste nel fatto che non avrebbe potuto vivere una fauna di clima caldo dove le acque erano coperte da ghiacci galleggianti. Il Peola ('), fondandosi su criteri botanici, non l’accetta perchè « i ghiacciai non avrebbero contemporaneamente portato avanzi di miriche, lauri, cinnamomi, eucalipti, bumelie, ecc. che vivono in climi molto caldi ». Egli nota che la flora miocenica del Piemonte risulta d’elementi viventi in clima temperato e d’altri di clima caldo, escludendo specie tropicali. Lo studio dei molluschi conduce a conclusioni analoghe. In questi tempi nelle nostre contrade subalpine, occupate dal mare miocenico, doveva regnare un clima come quello delle regioni intertropicali. Dagli studi dell’Heer (?) risulta che nel miocene inferiore la media temperatura annua doveva essere nella Svizzera di 20° o 21° C. e nel superiore da 18° a 19° C; vale a dire che durante il periodo fu in principio eguale quasi a quella attualmente dominante nelle contrade situate lungo il tropico del Cancro, per rendersi più dolce verso il declinare dei tempi miocenici e paragonabile a quella di Madera, della Nuova Georgia e della Sicilia meridionale. Quindi, dice il Mazzuoli (3) con questa condizione sono inconciliabili la vita e lo sviluppo d’una fauna e d’una flora tropicali durante la deposizione dei conglomerati con uno sviluppo di ghiacciai estesi sino a rag- giungere il mare e ad originare ghiacci galleggianti. Ma il Gastaldi a tal punto fa notare come i fossili manchino o sieno scarsi nei conglomerati potenti o dove la roccia presenta massi, per la ragione evidente che nei siti ove fondevano le zattere di ghiaccio depositando i materiali trasportati non era possibile la vita di esseri di clima temperato. (J) Peola P., Flora dell’ Elveeiano torinese. Riv. Ital. di Paleont. Anno V, fase. I. Bologna, 1899. (2) Heer 0., Die tertidre Flora der Schweiz. Wintertlnir, 1859 ; III Bd. pp. 332-334. (3) Mazzuoli L., Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici dell’ Appennino ligure. Boll. R. Comit. Geol. d’Ital., XIX. Roma, 1888. 612 R. BELLINI Del resto perchè non si potrebbe completare l’ipotesi del geologo torinese integrandola con la spiegazione che fa derivare i conglomerati oligo-miocenici da depositi torrenziali ? Ma in ogni caso i ghiacci galleggianti dovettero sostenere la parte principale nel trasporto degli elementi alpini ed appenninici, che, accumulatisi in vicinanza delle spiagge marine, sarebbero poi stati dispersi nelle fasi di ablazione dei ghiacci e nel con- seguente sfacelo morenico a causa anche dei torrenti alpini che li allontanarono dalle coste costituendoli in conoidi di dcjezione. Si aggiunga pure che la difficoltà capitale mossa all’ipotesi del Gastaldi cade facilmente davanti aH’osservazione di quanto anche oggidì avviene. Togliendo momentaneamente la nostra attenzione dalle belle colline ornanti l’attraente paesaggio clic circonda Torino per ri- volgerla verso regioni da noi remote, troviamo anche in altre terre una condizione di rapporti tra temperatura e fauna che può benissimo paragonarsi a quella che doveva esistere nelle contrade subalpine nei tempi miocenici, giacche in molte re- gioni calde, dove i ghiacci raggiungono o quasi il mare fon- dendo al contatto di più calda temperatura, vive una fauna di molluschi nel complesso rassomigliante a quella abitante, spe- cialmente nel miocene medio, il mare che occupava la valle del Po. Darwin e Sir George Eyres hanno osservato nello stretto di Penas nel Chili (46° 40 di lat.) che i ghiacci raggiungono il mare e sono trasportati a distanza dalla riva: Stoppani (') riferisce che alcuni ghiacciai della Patagonia, tra Conception e Valdivia, spingonsi sino alla spiaggia ad una latitud. di 46°; il Maury ne cita altri nella stessa regione che scendono al mare presso al 45° di latitud. Ma la maggior rassomiglianza si nota tra le condizioni di ambiente nel miocene nel Piemonte e le at- tuali della Nuova Zelanda, dove alcuni ghiacciai scendono fra una vegetazione del tutto tropicale, a qualche centinaio di metri al disopra del livello del mare (Desor ed Hochstetter). La fauna infatti della Nuova Zelanda, comprendente quasi 400 specie, possiede, ricchi di forme, quei generi di molluschi che lo sono (i) Stoppani A., L’Era neozoica in Italia. — Nella Geologia d’Italia «li Stoppani, Negri e Mercalli. Milano, Vallanti, 1882. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 613 anche allo stato fossile nei colli torinesi, oltre all’osservarsi nelle due regioni specie rassomiglianti. E da notarsi clic come nella fauna miocenica cjel Piemonte trovansi forme di tipo artico, ma in numero esiguo, così nel gruppo australiano, specialmente nelle prossime Auckland, si associano alla fauna locale pochi tipi antartici. Predominano infatti in questo gruppo d’isole le Pleti- rotomidae, Pusidae, Purpuridae, Tritoniidae, Ancillariidae, Cas- sididae, Cypraeidae, Turritellidae, Naticidae, Trochidae, Conidae, Pectunculidae, Ostreidae, ed egualmente nella malacofauna mio- cenica torinese le suddette famiglie sono tra le più notevoli per numero di specie ed abbondanza d’individui. Alcuni generi che caratterizzano la fauna fossile del Piemonte sono nello stesso senso tipici per quella vivente zelandese: Latirus, Oliva, Por- phyria, Ancillaria, Conus, Voluta, Terebra, Crassatella, ecc. In- fine non è da passar sotto silenzio che la fauna terziaria di questa terra australiana è quasi identica alla attuale ('). Anche in epoche più antiche della nostra terra si sono av- verate condizioni come quelle che furono in vigore durante il miocene in Piemonte o come presentemente nelle regioni calde sopra accennate. Il Neumayr (2) cita il rinvenimento di ciot- toli striati nel pernio-carbonifero dell’ Afgani stan, dell’India, dell’Africa meridionale e dell’Australia, ove insieme alla flora carbonifera ne visse una del tutto diversa caratterizzata dalle Glossopterix , ed esempi consimili ha fatto conoscere il David nella Nuova Galles del Sud (3). Sembra quindi che risulti chiaro come l’esistenza d’un gruppo di forme d’ambiente caldo non sia incompatibile con i ghiacci galleggianti nella stessa regione, i quali, non invadendo l’intera superficie del mare, impediscono la vita in soli quei punti dove fondendo raffreddano la temperatura delle acque e depositano (]) V. per questa fauna: Fischer P., Manuel de Concliyliologie. Pa- ris, 1887. — Quoy et Gaymard, Voyage de VAstrolabe, 1832. — Hutton W., Manual of thè Neiv-Zealand mollusco, 1880. (?) Neianayr M., Storia della Terra. Trad. L. Moschea. Torino, 1899, I, p. 16. (:i) David T. W. E , Evidence of glacial action in thè Carboniferous and Haivlcesburg series. (E. S. Wales). Quart. Journ. of Geol. Soc. XLII, 1897, p. 190. 614 R. BELLINI i materiali trasportati. Si spiega bene quindi perchè nel miocene medio piemontese i fossili manchino o sieno scarsi dove i con- glomerati abbondano o sono costituiti da grossi elementi. Non ha così molto valore l’obbiezione creduta più grave mossa al- l’ipotesi del Gastaldi, la quale ritengo debba aversi in mas- sima considerazione nello spiegare l’origine dei conglomerati oligo-miocenici del Piemonte perchè trova un appoggio anche in fatti attualmente in azione in un ambiente che non deve esser molto dissimile da quello delle nostre regioni durante il periodo miocenico. Suddivisione della fauna del miocene medio piemontese. Il terreno miocenico medio offresi quasi con le stesse facies e gli stessi fossili predominanti in quasi tutte le contrade dove sviluppasi. Il Pccten scabrellus, la Cardita Jouanneti, che è la forma elveziana tipica, la Protoma catliedralis, V Ancillaria glan- di formi s e VAturia Aturi trovansi egualmente copiose in Pie- monte, in Francia (Faluns de Beaugè entre Maine-et-Loire, de Touraine, de Salles, de Saubrigues et de S. Iean de Marsacq, bassin du Eliòne, ecc.) nel bacino di Vienna, in Spagna (Bar- cellona, Andalusia). Ma la fauna del miocene medio del bacino piemontese ha più che con altre analogia con quella dei faluns de la Touraine. Il complesso dei molluschi della formazione piemontese ha, come già ho detto, habitus di clima caldo, non però tropicale. Non è certo possibile dare il numero esatto delle forme, oscil- lando questo a seconda del criterio col quale le specie vengono delimitate; in media sono forse circa 1800, delle quali poco più di 100 sopravvivono ancora nel Mediterraneo. Col sopravvenire poi dei tempi glaciali moltissime emigrarono verso più calde latitudini, dove un piccolo numero solo conservò i caratteri inalterati e le troviamo quindi ancor oggidì viventi nei mari intertropicali ; ma la gran parte delle specie subirono le modificazioni indotte dal- l’ambiente diverso ed adattandosi vennero a costituirsi in forme rappresentative nello spazio, nello stesso modo che, pur non uscendo dalla serie terziaria piemontese, si originarono le forme LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 615 rappresentative nel tempo (1). Le specie che più hanno resistito, e si trovano quindi viventi nel Mediterraneo, appartengono in generale a zone più basse della littorale e non poche sono planktoniche. Le forme elveziane si differenziano in complesso da quelle degli altri piani del miocene e del terziario ed è notevole il trovarsi insieme una certa proporzione di forme tortoniane. I tipi elveziani cominciano ad esser già in $erto modo differen- ziati nell’aquitaniano ; gl’individui delle marne sono sottili e gracili e rinvengonsi quasi con la stessa statura in alcuni depo- siti eocenici perchè, viventi in ambienti tranquilli e non subendo quasi le mutazioni dell’ambiente, si conservarono sino al plio- cene od ai mari attuali a causa del ripetersi di condizioni si- mili in momenti geologici diversi. Variabili sono le specie a seconda della facies litologica del deposito nel quale vengono raccolte e ciò si spiega con le dif- ferenze del substrato sul quale gl’individui abitavano. Notevole è il fatto d’alcune forme che trovansi in tutte le varie facies litologiche del miocene medio, in tutte o quasi le località e si sono conservate inalterate sino ad oggi anche nella medesima area di distribuzione geografica od in climi più caldi. Ma la gran parte delle forme sono estinte o modificate ; di pochissime non si riesce a trovar chiaramente il filo della discendenza sino a noi e nel complesso riesce ben dimostrato il ciclo vitale che subiscono i generi come le specie e gl’individui. È anche da porre attenzione al fatto che i generi più ricchi di forme nel miocene medio od hanno emigrato o, se sono so- pravvissuti nel Mediterraneo, si sono enormemente ridotti di spe- cie e d’individui. I Conus, p. es., straordinariamente abbondanti tra i fossili miocenici torinesi, nel Mediterraneo sono appena ridotti ad una sola specie, mentre la ricchezza delle forme è massima negli attuali mari caldi. Egualmente le famiglie più (i) Ho cosi chiamato quelle specie che si sono conservate attraverso due o più periodi subendo modificazioni poco accentuate in modo che risulta chiara più che una discendenza una variazione; le due forme hanno nomi specifici diversi, ma la derivazione è evidentissima. V. Bellini Raffaello, L’influenza dei mezzi come causa di variazioni e di dispersione nei molluschi. Boll. Soc. Natur. di Napoli; voi. XVIII, 1904. 40 616 R. BELLINI importanti del miocene medio piemontese sono anche notevoli per abbondanza di specie nella fauna delle latitudini calde, tutte tipicamente littorali o di zona poco profonda. I seguenti generi, numerosi di forme, abbondantissimi d’in- dividui o sotto altro aspetto degni di nota del miocene medio to- rinese, sono attualmente scomparsi o molto ridotti nel Mediter- raneo, ma egualmente ricchi nei mari caldi. • ìfell’elvez. torinese specie Nei mari caldi specie Nel Mediterraneo- specie Ancillaria . . . . . . 4 45 — Olivella . . 10 30 — Porphyria ed Oliva. . . 10 60 — Terebra . . 24 200 — Conus . . 44 350 i Clavatula . . . . . . 28 20 — Halia . . 1 1 — Cancellarla . . . . . . 41 100 — Marginella . . . . . . 10 200 circa 10 Mitra . . 144 180 10 Latirus . . 21 25 — Cyllenina . . . . . . 4 15 — Cypraea . . 20 150 5 Solarium . . 15 20 2 Crassatella . . . . 3 35 — Tra altri generi poco numerosi di specie, ma che oggi tro- vansi nei mari caldi mentre non esistono o non sono tipici nella fauna mediterranea, noterò: Siphonaria, Borsonia, Harpa, Lxjria , Fusus , Mctula, Phos, Coralliophila, Persona, Cassis, Oniscia , Si- gare tus, Scalarla ; tutti aventi tipici rappresentanti nella fauna miocenica. Alcuni generi di cpiesta sono propri dei climi freddi: Limar cina (mari artici, antartici ed Atlantico profondo), Trophon (mari artici ed antartici), Astarte (boreale e glaciale). Le specie qui in seguito segnate abbondano d’individui in (piasi tutte le località e facies del miocene medio: Aturì a Aturi (Bast.) Spirulirostra Bellardii (d’Orb.) Scaptorrhyncus mioceni cus Bell. Balantium pedemontanum Mayer Vaginella Calandrella Mayer Ringiculospongia Concila (Desìi.) Ancillaria glandi formi* Lam. Pleurotoma rotata (Brocchi) LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 617 Porphyria cylindracea (Bors.) Ranella marginata (Mart.) Naticina catena (Da Costa) Ficaia geometra (Bors.) Eburna eburnoides Lam. Phos citharella (Brongn.) Zonaria fabagina (Lk.) Ostrea edulis L. Aequipecten scabrellus (Lk.) » Dufresnei (Bast.) Strioterebrum Basteroti (Nyst) Chelyconus ponderosus (Brocchi) Chenopus pes-pelicani (L.) Turritella turris (Bast.) Protoma cathedralis (Brongn.) Oxystele Amedei (Brongn.) Questo gruppo di specie dà il tipo all’elveziano piemontese e ne costituisce la caratteristica paleontologica; altri gruppi sono propri delle varie facies. Sistematicamente la fauna del miocene medio piemontese è conosciuta in modo esauriente; la grande opera del Bellardi e Sacco (x), fondamentale a questo riguardo, non potrebbe esser più completa e numerose monografie illustrano famiglie speciali o determinate località. Ma lo studio per la geologia più impor- tante è quello di caratterizzare con criteri paleontologici le facies diverse della formazione; questo lavoro ne pone direi quasi le basi, giacche non è da considerarsi neppure un tentativo la di- stinzione fatta da Martins e Gastaldi (*) nel 1850 di un miocene inferiore, o regione a conglomerati, e d’uno superiore, o regione a molassa ; ghiaioso e conglomeratico il primo, marnoso ed are- naceo il secondo ; questa differenza, scrivono gli autori, è dovuta non solo a diversità di caratteri mineralogici e litologici, ma anche alle faune che vi sono differenti. Le varie facies del miocene medio non sono tutte egualmente fossilifere ; più d’ogni altra è quella arenaceo-sabbiosa, dove la raccolta dei fossili è anche più agevole ; questa fauna è quella, impropriamente detta, di Superga. Ma anche in una stessa zona la distribuzione dei fossili non è uniforme, abbondando special- mente in alcuni punti accumulatisi specialmente per successivi depositi tumultuosi che hanno cagionato la morte di molti ani- mali marini, mentre intere estensioni ne sono prive. (>) Bellardi L. e Sacco F., I molluschi dei terreni terziari del Pie- monte e della Liguria. Torino, 1872-1904 (30 volumi o parti, delle quali il Bellardi ha compiuto sino a tutta la parte VI, 1888). , (2) Martins e Gastaldi, Essai sur les terr. sup. de la vallèe du Po aux environs de Turin, compar és à ceux de la piaine Suisse. Bull. Soc. Géol. de France. T. VII, 1850. 618 R. BELLINI Segue il quadro delle varie zone o facies del miocene medio, della zona batimetrica alla quale corrispondono, della natura litologica e caratteristica paleontologica. Si succedono da a ad z, corrispondendo le facies sabbiose e ghiaiose a livelli più elevati, le sottili ed arenacee a più profondi, ove i depositi si forma- vano con tranquilla lentezza. Zone o facies Corrisp. zona batimetrica Natura litologica Fossili predominanti a) Dei grossi molluschi littorali. Littorale. Banchi ciottolosi a grossi ele- menti. Coni, Cassidee, Bi- valvi e Turritelle. |3) Dei gaste- ropodi litto- rali e dei co- ralli. Littorale e la- minarie. Banchi molassici ciottolosi. Abbondanza di ga- steropodi, qualche grossa bivalve, Pentacrinus Ga- staldi, Cy Claris avenionensis, co- ralli, miogipsine e lepidocicline. '() Delle tur- ritelle. Delle coralline ed in parte delle laminarie. Marne ed are- narie. Turritelle (60% dei fossili che si rac- colgono), Pleuro- tome, Terebre, Co- ni, Nasse, pochi bivalvi, Scafopodi. S) Dei litota- mni e delle lueine. Modificazione della preceden- te per la na- tura arenacea del fondo ed incrostante delle acque. Banchi arenacei calcari. Litotamni e Lucine. e) Dei ptero- podi. . Più profonda e più lontana dal- le spiaggie; vi mancano ciot- toli e la fauna é planktonica. Arenarie mica- cee e sottili sabbie grigie. Pteropodi. LE VARIE « FACIES /> DEL MIOCENE MEDIO 619 DESCRIZIONE DELLE VARIE FACIES. Avvertenza. — Le ripartizioni dei fossili nelle varie facies litolo- giche sono state dedotte dalla collezione del R. Museo Geologico di To- rino, da quella del sig. E. Forma di Torino, dalle mie raccolte nei siti fossiliferi e da monografie speciali. Tra queste, oltre quelle antiche del Sismouda e del Michelotti, quella del Bellardi e Sacco e la predetta mia nota, citerò ancora: Parona C. F. — Note sui cefalopodi terziari del Piemonte. Paleont. Italica, I, Pisa, 1898. Audenino L. — I Pteropodi miocenici del Monte dei Cappuccini in Torino. Boll. Soc. Malacol. Ital., XX, 1897. Crema C. — Sopra alcuni decapodi terziari del Piemonte. Atti R. Acc. Se. di Torino. Voi. XXX, 1895. De Alessandri G. — Contribuz. allo studio dei cirripedi fossili d’Italia. Boll. Soc. Geol. Ital., XIII, 1894. Rovereto G. — Serpulidae del terzario e del quaternario in Ita- lia. Paleont. Italica, IV, Pisa, 1898. Airaghi C. — Echinidi terziari del Piemonte e della Liguria. Pa- leont. Italica, Voi. VII, Pisa, 1901. Noelli A. — Contr. allo studio dei crinoidi terziari del Piemonte. Atti Soc. It. Se. Nat. XXXIX, Milano, 1900. De Angelis G. — I corollari terziari dell’Italia settentrionale. Mem. R. Acc. Lincei. Classe Se. Matem., Fis. e Nat. 1894. Osasco E. — Di alcuni corollari miocenici del Piemonte. Atti R. Acc. Se. di Torino, Voi. XXXII, 1897. Capeder G. — Contr. allo studio dei litothamnion terziari. Mal- pighia, XIV, 1900. Dervieux E. — Le Marginatine e le Vaginuline terz. del Pieni. Boll. Soc. Geol. Ital., XIV, 1895. — Le Nodosarie terziarie del Pieni. Ibid., XII, 1893. — Le Frondicularie terziarie del Piem. Ibid., XI, 1892. — Foraminif. terz. del Piem. e specialm. sul gen. Polgmorphina, d’Orb. Ibid., XVII, 1898. Il segno * posto presso i nomi delle specie indica che queste sono caratteristiche della zona. Le liste comprendono le sole specie più co- muni, più notevoli od esclusive. I 620 R. BELLINI Facies a. Zona dei grossi molluschi littorali. Questa zona s’estende da Albugnano sino ai colli più pros- simi a Torino per Baldissero e le località più note per la rac- colta dei fossili sono Albugnano, Casalborgone e S. Raffaele più verso Torino (A, C, R, nella lista seguente). I fossili di questa facies sono generalmente spessi e piut- tosto grandi di dimensione. Tra i molluschi predominano turri- telle e bivalvi di tipo esclusivamente littorale. La natura mine- ralogica della formazione è ciottolosa a grossi elementi. Molluschi. Cefalopodi 4 Gasteropodi . 100 Scafopodi 1 Pelecipodi 50 Scaptorrhyncus miocenicus Bell. A. Aturia Formae Par. A. » Aturi Bast. A. Sulcoqladius Colleanoi Bell, et Mieli. A. Antale Bouei Desh. * Surcula terebraeformis Bell. A. Drillia fallax (Grat.) A. * Clavatula albucianensis Bell. A. » bicarinata Bell. A. Borsonia uniplicata (Nyst) A. * Nassa albucianensis Bell. A. * » obesa Bell. A. » subquadrangularis Mich. A. * Latiaxis inermis Bell. A. Latirus exornatus Bell. A. Ghrysodomus minutus Bell. A. » pluriplicatus Bell. A. Mitra eofusiformis Bell. A. * » ugnata Bell. A. * » citima Bell. A. Mitra margaritifera Bell. A. Uromitra antemissa Bell. A. » belliata Bell. A. Exilia parvosimplex Sacco A. Cólumbella ringens Bell. A. » albucianensis Sacco A. » angusta Sacco A. » praelongata Sacco A. Galeodea echinopliora (L.) R. » deformis Sacco R. » miocristata Sacco A. Sconsia striata (Lam.) A. Eudolium subfasciatum Sacco R Ampullonatica repressa (Rov.) Sacco A. Ficula geometra (Bors.) R. Sthenorytis refusa (Broc.) A. » proglobosa Sacco A. Discoscala taurocolligens Sacco A. Cirsotrema Seguenzai Pant. C. » muticum (Defr.) A. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 621 * * Acrilici amoena (Phil.) A. Turriscala torulosa (Broc.) A. Niso taurinensi s Sacco A. » terebellum Chemn. A. Solarium simplex (Bronn) R. Litlioconus subacuminatus (d’O.) A. Conospirus Bronni (Mieli.) ACR. Cheliconus Buschi (Mich.) AR. » Marii Sacco A. » clavatus i Lara.) A. » tauroventricosus Sac. A. » subnicobaricus d’Orb.A. Xenophora testigera (Broun) R. Nerita caronis (Brongn.) R. Patella crassicostata Rov. A. Turritella turris Bast. A. » terebralis Lk. R. Archimediella miotaurina Sacco AR.: Haustator vermicularis (Broc.) A. : Tuba miocenica Sacco R. Ostrea digitata Eiclnv. R. » frondosa De Serres AR. Anomia epliippium L. AR. B-ycnodonta cochlear (Poli) A. Macrochlamys latissima (Broc.) A. Becten arcuatus (Broc.) A. Axinaed bimaculata (Poli) R. » insubrica (Brocchi) AR. Limopsis aurita (Broc.) AR. ■ Cardita striatellata Sacco R. Ringicardium danubianum Ma- yer A. Ventricolo, tauralternans Sacco A. Holia praececlens Pont. A. Cyllene Desnoyersi (Bast.) A. Aequipecten Haueri (Mich.) A. ! Gibbomodióla taurarcucita Sacco A. N Lazariella striatellata Sacco A. H Ceromyella miotaurina Sacco A. Coralli. Eupsammia trochiformis (Brg.) A. Desmopliyllum subturbinatuvi Mi- Dendropliyllia digitalis Blainv. A. chelotti A. » globulina Mich. A. Leptastraea anomala (Mich.) A. Balanopliyìlia praelonga Mich. R. Polytrcmacis abdita De Ang. A. ^ Phymastraea Capellina De Ang. A.* Bhyllangia microsy derea De Ang. A. Trochocyathus versicostatus Mi- Deltocyatlius taurinensis Mich. R. chelotti A. » cylindricus Mich. R. » subcri status E. H. A. * Rhyzotrochus deperditus Mich. A. * Aphastraea adscita De Ang. A. Annelidi. Serpula semisurrecta Rov. A. Pomatoceras polytremus (Phil.) A. Crostacei. Callionassa subterranea Mtgu A. 622 R. BELLINI Facies (3. Zona dei gasteropodi littorali e dei coralli. Questa seconda facies del miocene medio, sviluppata princi- palmente nella parte occidentale dei colli torinesi, è la più estesa e fossilifera; specialmente vi abbondano i gasteropodi di tipo littoraneo, pochi pelecipodi, coralli, foraminiferi. La parte superiore della zona è ricca in crinoidi e forse cor- risponde al Serravalliano del Mayer, o più recente elveziano, che in Piemonte verrebbe quindi caratterizzato dal gran numero d’articoli di Pentacnnus Gastaldii , da gasteropodi, balani, co- ralli, Cydaris avenionensis ed altri ecliinidi. Una marna com- patta la separa dal soprastante tortoniano. Nei suddetti depositi mancano le miogipsine, mentre sole od associate a lepidocicline si raccolgono in altri siti ove affiorano le formazioni del più antico elveziano ( Grunduniano di Mayer). Avremo quindi per questa estesa facies , litologicamente carat- terizzata da banchi sabbioso-arenacei, la seguente successione cronologica di depositi dai più recenti ai meno: a) Sabbie a Pentacrinus Gastaldii e Cydaris avenionensis , gasteropodi e bivalvi. Assenza di miogipsine. b) Sabbie con miogipsine, separate dalle precedenti da inter- posta marna. c ) Sabbie con miogipsine e lepidocicline. Una distinzione netta tra queste varie specie della facies però non esiste, potendosi trovare riunite in una stessa località. Molti sono i siti ricchi di fossili e ben conosciuti da gran tempo: essi vanno compresi sotto il comun nome di Colli tori- nesi e possiamo disporli, s’intende i più importanti e noti, in quattro gruppi: A) Località più prossime a Torino: 1 Val Salice (prima Rio Rat- 3. Villa Picco sopra S. Mar- ina). gherita (prima Villa La- 2. Villa Cochis in alta Val Sali- grange ). ce (prima Villa Forzano). 4. Villa Allason. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 623 5. Monte dei Cappuccini so- 8. pra Torino. 9. 6. Termo f ourà. 10. 7. Pian dei Boschi. 11. B) Località presso Baldissero : 12. Baldissero. 14. 13. Val Ceppi. 15. C) Località verso Sciolze: 16. Villa Bovasenda. x 18. 17. S. Antonio. 19. D) Località presso Bersano: 20. Bersano. 22. 21. Vallia. E) Località presso Chivasso: 23. Valle di Cimena sotto la 24. Villa Revel. S. Margherita. Villa Bellino. Fontana dei Francesi. Valle di Beaglie. Bric Berton. Tetti Varetti. Bosco Grande. Fesca. La Morra. Collina di S. Genesio al di- sopra la Villa Ceriana. M ol 1 u s c h. i . In cifra abbastanza approssimativa è questa la ricchezza in molluschi di questa seconda facies: Cefalopodi 14 Pteropodi 18 Eteropodi 1 Gasteropodi 1157 Amfineuri 3 Scafopodi 11 Pelecipodi 300 Ripeto che non è il caso di dare l’elenco completo di tutte le specie di questa facies ; solamente esporrò una lista di quelle 624 R. BELLINI più diffuse, ossia che vennero raccolte con certa frequenza in più di quattro località, ed altre liste di forme notevoli delle varie località sopra accennate. Specie maggiormente diffuse. Scaptorrhyncus miocenicus Bell. Spùulirostra Bellardii d'Orb. Aturia Aturi Bast. * Gamopleura taurinensis Sism. Balantium pcdemontanum Mayer Vaginélla depressa Dand. » Calandrella Michelt. * Murex Borsoni Michel. » Sedgwiclcii Michel. * » subasperrimus d’Orb. * » Genei Bell. * » striaeformis Michel. » Lassaignei Bast. * Ocenebra bicaudata (Bors.) * Fusus semirugosus Bell, et Mich. * Jania maxillosa (Beni.) * Chrysodomus glomoides (Gené) * Myristica cornuta (Agass.) * Mettila reticulata Bell et Mich. * Follia Albertii Michelt. * » varians Michelt. * Euthria abbreviata Bon. * Triton appenninicum Sassi » laevigatum De Serres * Persona tortuosa (Bors.) * Ranella multigranosa Bell. » gigantea Lam. » elongata Bell, et Mich. » marginata Mait. Pleurotoma vennicularis Grat. » rotata Brocchi » citrina Bellardi » subcoronata Bell. * » denticula Bast. * » strida Bell. Surcula intermedia (Broun) » Kossuthi Bell. » avia Bell. Bordini Bell. * Genota ramosa (Bast.) * Drillia coercita Bell. » raricosta Bon. * » sejungenda Bell. » cerithioides Desin. * » Benoisti Bell. * » crispata Jan. * Clavatula asperulata Lam. * » pr astiosa Bell. » Eichiraldi Bell. * » Seguimi Mayer * » semimarginata Lam. * Pseudotoma laevis Bell. » Honellii Bell. * Borsonia prima Bell. * Clathurella pluricoslata Bell. Exilia ordita (Bon.) * Eburna eburnoides Math. Nassa Bowerbanki Michel. » tessellata Bon. » familiaris Mayer » intercisa Gene * » clavatula Mayer » badensis Partsch * Cyllenina oculata Bell. Purpura arata Bell. * » elongata Bell. * Vitularia lingua bovis (Bast.) * Taurasia subfusiformis (d’Orb.) * Coralliophila granifera (Michl.) * Porphyria inflata Bell. * » picholina (Brongn.) » cylindracea (Bors.) » Dufresnei (Bast.) * Olivello longispira Bell. Ancillarina suturalis (Bon.) * Ancillaria sismondana (d’Orb.) » glandiformis (Lam.) Tudicla rusticula (Bast.) » LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 625 * Fasciolaria terebelliana (Grat.) * Latirus crassus (E. Sism.) * » concinnus Bell. * Mitra subumbilicata Bell. * » acuta Bell. * » affida Bell. * » optabiìis Bell. * » rectiplicata Bell. * Uromitra canaliculata Bell. » minuta Bell. * Micromitra seminuda Bell. * Lyria magorum (Brocchi) * » taurinia (Bon.) * Volutilithes ficulinus (Lam.) * Marginella taurinensis Mieli! . » elongata Bell, et Mich. * Columbella curia (Duj.; » Klipsteini Michel. Cassis mamillaris Grat.) Semicassis miolaevigata Sacco Cassideci cypraeiformis (Bors.) Galeodea ecliinopliora (L.) Oniscia cythara < Brocchi) Ficula condita • Brongn.) » geometra (Bors.) Naticina catena (Da Costa) * Sigaretus aquensis Recl. Cernina compressa Bast. Sthenorytis proglobosa Sacco Girsotrema crassicostatum (Desh.) Discoscala scaberrima (Micht.) » taurocolligens Sacco Turri scala torulosa Brocchi * Hemiacirsa prolanceolata Sacco • » tauronceolata Sacco * Subula fuscata (Brocchi ) * » plicaria (Bast.) Terebrum acuminatimi (Bors ) » subtessellatum (d’Orb.) Strioterebrum Basteroti (Nyst) Hastula subcinerea (d'Orh.) Niso terebellum (Chemn.) * Pyramidell a eulimoides Sacco Bingiculospongia Bonellii (Desh.) Bingicula auriculata (Mén.) Solarium Immite Michel. Litlioconus antiquus (Lam.) Conospirus Dujardini (Desh.) Chelyconus conoponderosus Sacco » mucronatolaevis Sacco » ponderosus (Brocchi) » Paschi (Michel.) » clavatus (Lam. » taurinensis (Bell, et Michel.) * Strombus nodosus (Bors.) Sulcoqladius Collegnoi (Bell, et Mich.) Clienopus meridionalis (Bast.) » pes-pelicani (L.) Halia praecedens Pantan. Zonaria fabagina (Lam.) * » pinguis (Bonelli) * Bonellitia evulsa (Sol.) * Contortia deshayesiana (Desm.) Sveltia lyrata (Brocchi) 5 Ceritliium Sismondae Michel. » taurinium Bell, et Mich. Ptychoceritliium taurobronnoides Sacco » iurritoplicatum Sacco Turritella turris Bast. » terebralis Lam. Archimediella miotaurina Sacco Ilaustator vermicularis (Brocchi) Protoma cathedralis (Brongn.) Tuba miocenica Sacco Calyptraea chinensis (L.) Capulus Barrandei Hòrnes Amaltea sulcata (Bor-c) Nerita martiniana Math. Astralium granosum (Bors.) * Oxystele Amedei (Brongn.) Actaeon pinguis (d’Orb.) Alitale Bouei (Desh.) Entalis badensis (Partsch) » taurostriata Sacco Ostrea edulis L. * » negleda Michel. '> frondosa De Serres Ostreola Forskàhlii (Chemn.) R. BELLINI 626 Pycnodonta cochlear (Poli) Anornia ephippìum L Monta striata Brocchi * Ghlamys tauroperstriata Sacco Aequipecten scabrellus (Lk.) » Malvinae (Dub.) Peeten Bendanti Bast. » Iosslingii Sow. Plicatula mytilina (Phil.) » miocenica (Michelt.) Ctenodes tenera (Chemn.) Modiola taurinensi (Bon.) Axinaea insubrica ''Brocchi) Limopsis aurita (Brocchi) Nucula piacentina Lk. Leda peìla (L.) * Cardita crassa (Lam.) Crassatella concentrica (Duj.) * Chama garmella De Greg. Timoclea ovata (Pennant) Psammobia affìnis (Duj.) Ervilia castanea (Mtgu.) Mactra subtruncata (Da Costa) C orbitila carinata Duj. Xylophaga dorsali (Turt.) Cryptodon flexuosus (Mtgu.) Lucina bellar diana Mayer * Ijoripes dentatus (Defr. Bast.) Divaricella divaricata (L.) * Dentilucina tumida (Michel.) Pecchiolia argentea (Mar.) Forme notevoli delle varie localitii od in qualcuna a preferenza raccolte. Val Salice. Rhyncholites suballionii Sacco Cavolinia aurita (Bon.) Balantium sulcosum (Bon.) Vaginella testudinaria Michel. Carinaria litiganti Bell. Murex striatissimus Bell. » scalarioides Blainv. » cristatus Brocchi » punctulatus Bell. » perfoliatus Bon. Pania labrosa (Bon.) Chrysodomus striatus Bell. Pollia intercisa Michel. » ponderosa Bell. Euthria costata Bell. Anura ovata Bell. Triton parvulum Michel. » elongatum Michel. Ranella Bell ardii Weink. » Michelottii Bell. Pleurotoma sororcula Bell. » obsoleta Bon. Pleurotoma Bronnii Bell. Drillia sublaevi Bell. » Matheroni Bell. » Michelottii Bell. » simili Bell. Claratula taurinensi Mayer » nodosa Bell. » gothica Mayer Homotoma semicostata Bell. Clathurella minutestriata Bell. Nassa turgidula Bell. » subreticulata Bell. » taurinensi Mayer » connectens, Bell. » Bauli R. Hòrnes Cyllenina plcurotomoides Bell. Purpura bicarinata Bell. Coralliophila varicosa Bell. » crassicostulata Bell. Olivella brevi Bell. Mitra supergensis Bell. » crassiuscula Bell. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 627 Mitra longispirata Bell. Macluoclilamys Hólgeri Geintz. Uromitra consanguinea Bell. Acesta miocenica (Sism.) Columbella adjecta Bell. Barbatia candida (Chemu.) Cerithiella postdensicosta Sacco Actinobolus divaricata Sacco Ompho loda thrum Aglauriae (Brongn.) jVetZo Monterosatoi Bell. Haliotis ovata (Bon.) Patella neglecta Michel. Chiton miocenicus Michel. Spondylus gaederopus L. » crassicosta Lam. Pseudamussium corncum Sow. Callistotapes taurogibbus Sacco Psammobia taurovata Sacco Jouannetia semicaudata (Desm.) Mantellum hians (Gmel.) Pholadomya taurinensi Sacco Basterotia taurinia (Bon.) Dintorni di Villa Forzano (oggi Villa Cocliis) in Alta Val Salice. Murex Sismondae Bell. » Swainsoni Mieli. » lieptagonus Bronn. » absonus Jan. » cristatus Broc. » elatus Bell. Ocenebra caperata Bell. Chrysodomus glomoides Gene Myristica cornuta Agass. Euthria Buschi Andr. Anura striata Bell. Pianella Bellardii Weink. Surcula polliaeformis Bell. Clavatula praetiosa Bell. » nodosa Bell. Pseudotoma praecedens Bell. Aphanitonia miocenica Bell. » ? fascellina (Duj.) » Collegnii Bell. Nassa Bowerbankii Michel. » subesulcata Bell. CoraUiophila angusta Bell. » longa Bell. Ancillina pusilla Fuchs Mitra indistincta Bell. » megaspira Bell. » cepporum Bell. » producta Bell. Uromitra granum Bell. » rectiplicata Bell. Dyptycomitra filifera Bell. » clathrata Bell. Columbella cloliolum Bell. » turgida Bell. » proxirna Bell. Leptoconus Allionii (Michlt.) Funiscala mioturrita Sacco Terébrum postneglectum Sacco Eulimella persuturatoturris Sacco Torinia Albertinae Sacco Cerithium vulgatum Brug. Cerithiopsis tubercularis (Mtgu.) Petaloconchus intortus (Lk.) Euthria spinosa Bell. Ormastralium ccirinatum (Bors.) Pur pura arata Bell. Haliotis monilifera Bon. Haustator desmarestinus • (Bast.) Patella Born i Mi eh. » subcentralis Rov. Scutum Bellardii (Mieli.) Emarginala Chemnitzii (Michl.) Mandolina gibbosa (Bors.) Porphyria infata Bell, il Ionia tauraculeata Sacco Spondylus concentricus Brn. Alectryonia tauroparva Sacco. Flexopecten fexuosus (Poli) Megaxinus ellipticus (Bors.) » transversus (Brn.) « R. BELLINI 628 Myrtea strigillata (Reuss) » tauromagna Sacco Tellina serrata Ren. Tellinula incarnala (L.) Papillicardium pertransversa Sacco Chama gryphina Lamk. Acar claihrata Duj. Dosinia lupinus (Poli) Cytlierocardia cytheroides (Mayer) Myocardia Deshayesi (Bell.) Psammobia taurorata Sacco Jouannetia semicaudata (Degna.) Taurotapes Cr averii (Michel.) Corbula revoluta (Brocchi) » giòia (Olivi) Alitale Bouei (Desia.) Dintorni di Villa sopra Murex Swainsoni Micia. Genota ramosa (Bast.) Drillia crìspata (Jan.) » incrassata (Duj.) Borsonia prima Bell. Clathurella Collegnii Bell. » pluricostata Bell. Lagrange (oggi Villa Picco) S. Margherita. Homotoma Tapparonii Bell. Nassa Fischeri Bell. ' Coralliophila granifera (Michl.) Micromitra seminuda Bell. Diptycliomitra sublaevis Bell. Haliotis monilifera Bon. Ostreola Forskàhlii (Chenan.) Dintorni di Villa Allason. Puperita pietà (Féruss.) Ocenebra fodicata (Bell.) Nassa oblita Bell. Mitra finitima Bell. Turritella tricarinata (Brocchi) Xenophora IJeshayesi Michl. Cryptodon flexuosus (Mtgu.) Arcopagia balaustina (L.) Tellinula incarnata (L.) Cardiolucina striatala (Nyst) Dentilucina Barrandei (Mayer) Callista pedemontana (Lk.) Diplodonta rotundata (Mtgu.) Entalis badensis (Partsch) Monte dei Cappuccini sopra Tonno. Rhyncolites Formae Sacco Pseudotoma striolata Bell. » Paronae Sacco Nassa Coppii Bell. Sepia verrucosa Bell. » Brusinae Bell. Sepion ? taurinense Sacco » perrara Bell. Typhis fistulosus (BiO » arata Bell. Fusus semirugosus Bell, et Micia. » Bowerbanlci Miinst. Pleurotoma vermicularis Grot. /> nitens Bell. » desita Bell. » subcaudata Bell. Surcula multi filosa Bell. » Pauli Ilornes Clavatula basilica Bell. Mitra taurinensi s Bell. » éxcavata Bell. » constricta Bell. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 629 Mitra paucisulcata Bell. » perlonga Bell. » parens Bell. » sororcula Bell. » umbilicosa Bell. » adsita Bell. » aculeata Bell. Uromitra drilli aeformis Bell. Colurribélla parva Sacco Chelyconus montisclavus Sacco » Helus (d’Orb.) » avellana (Lk.) Brocchia sinuosa (Brocchi) Astralium subspinosum (Rov.) Sacco » taurospeciosum Sacco Tinostoma Woodi (Hornes) Adeorbis trigonostoma (Bast.) Stlienorytis retusa (Broc.) Triton Borsoni (Bell.) Lemintina arenaria (L.) Eutimia adunca Bronn » spinosa Bell. Natica millepunctata Lam. Cassis mamillaris Grat. Semicassis reticolata (Bonel.) Zebinella decussata (Mont.) Pollia affini Bell. Zonaria pinguis (Bon.) Ancillaria pseudoconus Sacco Chiton miocenicus Michel. Bentalium sexangulum Schroth. Antale vitreum fSchròth.) » taurocostatum fiacco Gadilina triquetra (Brocchi) Cadulus taurovulus Sacco Monia striata (Br.) Spondylus concentricus (Brn.) Pecten revolutus Michel. » subarcuatus Tourn. » Grayi Michel. Axinaea inflata (Broc.) Discors discrepans (Bast.) Papillicardium papillosum (Poli) Anadara turonica Duj. » diluvii (Lam.) Astarte solidula (Desh.) Pinna pedinata (L.) Myocardita Jouanneti (Bast.) Callista erycina (L.) » pedemontana (Lk.) Brachidontes taurinensi (Michel.) Pecchiolia argentea (Mar.) Crassatella producta (Rov.) Sacco Megaxinus bellardianus (Mayer) Bentilucina miocenica (Michelt.) Limea strigillata (Brocchi) Mantellum inflatum (Chemn.) Circomphalus Haidingeri (Hornes) Termofourà e vicinanze. Nautilus Allionii Michel. Bhyncolites Bovasehdae Sacco Cavólinia revoluta (Bell.) Typhis horridus (Brocchi) Murex ovulatus Bell. » perpulcher Bell. » hordeolus Mich. » perfóliatus Bon. » perlongus Bell. » 'elatus Bell. Troplxon bicarinatus Bell. » sculptus Bell. Ocenebra coelata (Grat.) Cordlliophila Benieri Michel. Fusus Bredae Michel. » margaritifera Bell. May evia acutissima Bell. Hemifusus pyrulatus (Bon.) » crassicostatus Bell. Metula mitr aeformis (Broc.) Pollia taurinensi Bell. » lirata Bell. Eutimia obesa Michel. » intermedia Michel. » adunca Bronn » minor Bell. 630 R. BELLINI Anura infletta (Broc.) » Borsoni (Gené) » Cr averii (Bell.) » pusillo % Bell. Triton ranellaeforme Sism. » granosum Bell. » speciosum Bell. » praetextum Bell. Ranella Lessonae Bell. Pleurotomia Serresi Bell. » Archimedis Bell. Surcula dimidiata (Brocchi) Drillia obtusangula (Brocchi) » gibberosa Bell. » denticulata Bell. » spinescens (Partsch) » crispata (Jan ) Clamatala praetiosa Bell. » defassa Bell. » carinifera Grat. Clinura trochlearis (Hòrnes) Pseudotoma Genei Bell. Oligotoma Basteroti (Desni.) » ornata (Defr.) » mirabilis (Defr.) Glaturella detruncata Bell. » aequicostulata Bell. » Collegnii Bell. » Morella Bell. Homotoma scalarata Bell. Raphitoma Jeffreysii Bell. » Testae Bell. Nassa tracia Bell. » neglecta Bell. » Rovasendae Mayer » perpulchra Bell. » intermedia Gene » arata Bell. Pur pura par tuia Bell. Taurasia coronata Bell. Coralliophila costata Bell. » fusiformis Bell. » abnormi '& (Michlt.) » Renieri (Mi chi.) » compia Bell. Porphyria marginata Bell. Olivello obliquata Bell. » clamila ( Lam. ) Ancillaria patula (Dod.) Fasciolaria verrucosa Bell. Latirus Lynchi (Bast.) » taurinus (Michel.) » inaequalis Bell. » Cepporum Bell. » coarctatus Michel. » subcostatus (d’Orb.) Mitra brevispirata Bell. » nucleus Bell. » leda Bell. » optabilis Bell. » effossa Bell. » finitima Bell. Uromitra crassicostata Bell. Micromitra propinqua Bell. » taurina Bell. » abbreviata Bell. Clinomitra Rovasendae Bell. Dyptycomitra eximia Bell. » Michaudi (Mieli.) Marginella subovulata d’Orb. Pyrgolampros myoperplicatulus Sac. Chclyconus mediterraneus (Brug.) » Desliagesi (Bell, et Mich.) Leptoconus Al Homi (Mich.) » Brocchi (Bronn) Lithoconus parvicaudatus Sacco Dendroconus Eschewegi (Da Costa) Haustator Sismondai (Mayer) Tur riiella Bell ardii (Mayer) » tricarinata (Brocchi) Archimecliella bicarinata Brus. Sulcomariuula taurinensis Sacco Clathrus mioatarus Sacco Subula fuscata (Brocchi) Hastula Fari mesi (Fontannes, » striata (Bast.) Triton tubercoli ferum Bronn Solarium hnmile Michlt. » millegranosquamosnm Sac. Capulus Barrandei Hòrnes Cerithium turritopjicatum Sacco Triforis tauroturrita Sacco LE. VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 631 Monophorus Dollfusi (Cossm.) » Bruguìerei (Mich.) Trochocerithium turritum (Bon.) Conocerithium tauroconicum Sacco Seila trilineata (Phil.) Bittium reticulatum (Da Costa) Vermetus granosocostatus Sacco Bivoniopsis tauropustulata Sacco Hyalorisia taurinia (Mich.) Nerita gigantea Bell, et Mich. » martiniana Math. Puperita pietà (Féruss.) Bivetia dertonensis (Bell.) Monodontella taurelegans Sacco Phorculellus taurangulosus Sacco Solariella taurobella Sacco Tectura virginea (Muli.) Scurria pileata ( Bonelli) Modulus Basteroti (Ben.) Polinices submamillaris (d’Orb.) Natica epiglottidi a Lara. » millepunctata Lam. Acinopsis venus (d’Orb.) Actaeon semistriatus (Férus§.) Bulla subampulla (d’Orb.) Cylichnind testiculina (Bonelli) Ienneria duclosiana (Bast.) Trìvio, sphaericulata (Lam.) dulia acutangula (Fauj.) Bazariella subalpina (Mich.) Pedina fragilis (Chemn.) Astarte solidula Desh. Dentilucina striatala (Nyst) Mirtea strigillata (Heuss) Cassis laevigata Bors. Galeodea tauropustulata Sacco Cyllene Desnoyersi (Bast.) Cyllenina ancillariaef ormis (Bast.) Fissar ella italica Defr. Patella Borni Mich. Entalina tetragona (Brocchi) Entalis badensis (Partsch) » taurostriata Sacco Spondylus gaederopus L. Aeguipecten mioalternans Sacco Macrochlamys Holgeri Geintz. Pectunculina anomala (Eichw.) Cerastoderma Michelotti (Desh.) Ringicardium burdigalinum (Lam.) Cardium oblongulum (Rover.-) Sacco Chama gryphoides (L.) » gryphina (Lk.) Plicatula mytilina (Phil.) Septifer oblittis (Mich.) Barbatia barbata (L.) Acar tour od attirata Sacco » nodulosa Mtìller Tyndaria arata Bell. Actinobolus pinnula Bast. Cardita subalpina Mich. Ventricolo tauralternans Sacco Timoclea ovata Pennant Syndesmia taurolonga Sacco Pian dei Boschi. Pleurotoma vermicularis Grat. » citrina Bell. » denticida Bast. » Bronni Bast. » caperata Bell. » captata Bell. » Gastaldii BelL Surcula intermedia (Bronn) • » avia Bell. Genota ramosa (Bast.) Drillia crebricosta Bell. » coercita Bell. » pustulata (Brocchi) » unifilosa Bell. » carinulata Bell. » incrassata (Duj .) Oligotoma pannus (Bast.) Clathurella effossa Bell. Homotoma reticulata (Ren.) » producta Bell. 41 632 R. BELLINI Homotoma turritelloides Bell. Mangelia ìonga Bell. Rapi litoma inaequicostata Bell. » Testae Bell. Latirus pinensis Bell. Mitra aemula Bell. » peracuta Bell. Uromitra rectiplicata Bell. » avellana Bell. Scutum Bellarclii (Mich.) Marginalia Borsoni (Bell.) Columbella vicina Bell. Pyrgolampros acostostrangulatiis Sac. Turbonilla pusilla (Phil.) Eulimella tauroscalaris Sacco Conospirus antediluvianus (Brug.) » Paschi (Mich.) Chelyconus mucronatolaevis Sacco Nodiscala Scaccini (Hòrnes) Hemiacirsa taurolanceolata Sacco Mathilda qptadr icarinata (Brocchi) Ten agode s anguinus (L.) Bicatilhis deformis (Lk.) Ommastralium carinatum (Bors.) Ampullotrochus scutiformi Sacco Chiton miocenicus (Mich.) Middendorffa subcajetana (d’Orb.) Entalis badensis (Partsch) » taurostriata Sacco Fustiaria Jani (Hòrnes) Presso Villa Bellino. Nassa Pauli Hòrnes Mitra Dufresnei (Bast.) Presso Fontana dei Francesi. I Olivello brevis (Bell.) Ancillaria pattila (Dock) Mitra finitima (Bell.) Payraudeautia intricata (Don.) Conospirus Bronni (Mich ) Pseudamussium corneum (Sow.) Terebrum neglectum (Mich.) Spirulirostra Bellardii d’Orb. Nella Valle di Peaglie. Rhyncholites Allionii Bell. Aturia Forvine Parona. Haustator vermicularis (Broc.) Turritélla tricarinata (Brocchi) Naticina catena (Da Costa) Chelyconus Fuselli (Mich.) » avellana (Larak.) Pleurotoma rotata (Broc.) Terebrum acuminatimi (Bors.) Amalthea silicata (Bors.) Capulus Barrandei (Hòrnes) Entalis taurostriata Sacco Crassitina concentrica (Duj.) Bardita calyculata (L.) Cerastoderma Michelotti (Desìi.) Axinaea insubrica (Brocchi) Pycnodonta cochlear (Poli) S. Margherita. Spirulirostra Bellardii (d’Orb.) Dentil iicina Barrandei (Mayer) Eiithria magna Bell. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 633 Dintorni di Baldissero. Sulcogladius Collegnoi Bell, et Mich. Anura Borsoni (Genè) Aturia Formae Par. » ovata Bell. Vaginella testudinaria Mich. Mitraefusus orditus Bell, et Mich. Typhis horridus (Broc.) Triton parvulum Mich. Murex latifolius Bell. » elongatum Mich. » longus Bell. Ranella Bellardii Weink. » membranaceus Bell. » multigranosa Bell. » Gastaldii Bell. Pleurotoma infasciata (Hornes) » aratus Bell. » cuneata Dod. » graniferus Mich. » Senesi Bell. » scalarioides Blainv. » pinguis Bell. » venustus Bell. » distorta Bell. » umbilicatus Bell. » conifera Bell. » foliatus Jan. » subnuda Bell. Trophon citrinus Bell. » Bronni Bell. Ocenebra patula Bell. » Galvanii Bell. » Anconae Bell. » Giebeli Bell. » insculpta Bell. » multistriata Bell. » geniculaia Bell. » flammulata Bell. » - minuta Bell. » captata Bell. » contorta Bell. » inermis Pai-tsch » caperata Bell. Surcula diademata Bell. Coralliophila compia Bell. » Cocconii Bell. Fusus Bredae Mich. » De Stefanii Bell. » aequistriatus Bell. » polliaeformis Bell. » ventricosus Bell. » perlonga Bell. Chrysodomus latisulcatus Bell. » Sismondae Bell, et Mich. » striatus Bell. JDrillia Brongniarti Bell. » costulatus Bell. » exculpta Mayer Mettila mitraeformis (Brocchi) » Geslini (Desna.) Pollia intercisa Mich. » terebra (Bast.) » subspinosa Bell. » longiuscula Bell. » lirata Bell. » fratercula Bell. » angusta Bell. » semisulcata Bell. » compressa Bell. » latisulcata Bell. Clorella striata Bell. » sulcifera Bell. » raricostata Bell. » Catullii Bell. Euthria inflata Bell. » brevispira Bell. » longirostra Bell. » sinuosa Bell. » mitraeformis Bell. » fallax (Grat.) » intermedia Mich. » multilirata Bell. » adunca Bronn » perrara Bell. R. BELLINI 634 Drillia bifilosa Bell. » ordita Bell. » ingrassata (Duj.) Clavatula rustica (Brocchi) » heros (Mayer) » turriculata (Grat.) » Defraudi Bell. » excavata Bell. » calcarata (Grat.) » bicarinata Bell. » circumclusa Bell. » Jouanneti (Desto.) » complanata Bell. » consimilis Bell. Pseudotoma semirugosa Bell. » Genei Bell. » connectens Bell. » pianata Bell. Aphanitomu labellum (Bon.) Claturella Luisae (Semp.) « Aldovrandii Bell. Homotoma Soldanii Bell. Baphitoma novella Bell. » vulpecula (Brocchi) Plios ruvidus Bell. Nassa speciosa Bell. » flexicostata Bell. » brevi Bell. » cincta Bell. » Isseli Bell. » omissa Bell. » angusta Bell. » curvicostata Bell. » rustica Bell. » semirugosa Bell. » pachygaster Mayer » pupoides Bell. » aitili Bell. » Hauingeri M. Hòrnes » dep>rompta Bell. » Bivonae Bell. » Pereirae Bell. » baldisseriensis Bell. » impar Bell. » subcaudata Bell. » diversa Bell. Nassa sobrina Bell. » crispa Bell. » soror Bell. » cognata Bell. » Jeffreysii Bell. » incerta Bell. » pectita Bell. » Collegnoi Bell. » atlantica Mayer Cyllenina Haueri (Mich.) Purpura inaequisulcata Bell. » inaequicostata Bell. » biplicaia Bell. » retusa Mich. » electa Bell. Purpurella canaliculata Bell. Taurasia coronata Bell. » nodosa Bell. Coralliophila abnormis (Mich.) Porphyria scalaris Bell. » malthata Bell. » longispira Bell. Olivella obliquata Bell. » ventrosa Bell. » major Bell. Fasciolaria turbinata Bell. Latirus costulatus Bell. » obliquicauda Bell. » patruelis Bell. » bilineatus (Partsch) Mitra apposita Bell. » confundenda Bell. Pusia bicoronata Bell. » finali Bell. Diptychomitra canaliculata Bell. Marginella latirina Sacco Echinophoria Bondeletii (Bast.) Galeodea tauroherculea Sacco » turbinata Sacco » taurinensi Sacco Cassidea cypraciformis (Brocchi) Polinices proredempta Sacco Acirsa mio pedemontana Sacco Terebrum subulocacellense Sacco Pusionella pedemontana Sacco Subula plicaria (Bast.) LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 635 Philippia subconoidea (d’Orb.) Dendroconus Bergliausi (Mich.) Conospirus Bronnii (Mich.) Chelyconus dertogibbus Sacco » mucronatolaevis Sacco » taurotectus Sacco » litorosus (Font.) » Belus (d’Orb.) Stephanoconus Bredai (Mich.) Cypraea sublincoides d’Orb. » gibbosa Bora. Luponia mulina (Grat.) Trigonostoma scabrum (Desh.) » Miclielinii (Bell.) Ovilia Bernardii (Mayer) Contortici contorta (Bast.) Cerithium vulgatum Brug. » taurocoronatum Sacco Ampullotroclius subxcavatus (Wood) » cingulatus (Br.) » granulatus (Br.) Magulus tauracutus Sacco Ormastralium carinatum (Bora.) » subspinosum (Rov.) Tugurium sulcatum (Bors.) Patella neglecta Mich. Chenopus meridionalis (Bast.) Cylichnina testiculina (Bonelli) Campylaea Haueri (Mich.) Entalis badensis (Partsch) » taurostriata Sacco Mactra proaspersa Sacco Saxicava rugosa (L.) Penn. Saxicavella miotriangula Sacco Jouannetia semicaudata (Desm.) Diplodonta trigonula (Brn.) Conocerithium tauroconicum (Sow.) Macoma cumanci (0. G. Costa) Ptychocerithium Bronni (Partsch) Arcopogia crassa (Penn.) » pseudelongatum (d’Orb.) Thiarocerithium pseudothiarella (d’Orb.) Telescopium Charpentieri (Bast.) Sandbergeria perpusilla (Grat.) Nodulus tauromiocenicus Sacco Turritella tricarinata (Brocchi) Haustator desmarestinus (Bast.) » strangulatus (Grat.) » tauroperturritus Sacco PetaloconcJms intortus (Lam.) Tenagodes anguinus (L.) Xenopliora Deshayesii (Mich.) Nerita gigantea (Bell, et Mich.) Gastrana lacunosa (Chemn.) Chlamys tauroperstriata Sacco Hinnites erculanianus Cocconi Aequipecten Northamptoni (Mich.) Amussium corneum (Sow.) Pecten Grayi, Mich. » paulensis Fontana. » benedictus Lam. » revolutus Mich. Spondylus crassicosta Lam. » concentricus Brn. Perna Soldani (Desh.) Arca Noae L. » nodulosa Mailer » pectunculoides Scacchi » turonica Duj . Neritina Morellii (Beli, et Mich.) » Hisingeri (Bell, et Mich.) Axinaea infletta (Brocchi) Astralium taurinensis Sacco Leda undata )Defr.) » muricatum (Duj.) » Bonellii (Bell.) » proborsoni Sacco » sublaevis (Bell.) » subspinosum (Rov.) Sacco Yoldia Philippii Bell. Trochus vertex Mich. » Genei Bell. Gibbuta tauronodosula Bacco ? Cardita rusticana Mayer Phorculellus taurangulosus Sacco » taurelongata Sacco Eumargarita taurinensis Sacco Ampullotroclius scutiformis Sacco Astarte solidula (Desh.) Cardium oblongulum (Rov.) Sacco R. BELLINI 636 Discors discrepans Bast. » aquitanicus (Mayer) Isocardia cytheroides Mayer Callista pedemontana (Lk.) » erycina (L.) Ventricola tauroverrucosa Sacco » libellus (Rayn. e Ponzi) Clausinella Basteroti (Desh.) Clausinella Amidei (Menegh.) Dosinia lupinus (L.) Megaxinus transversus (Brn.) Dentilucina orbicularis (Desh.) » Meneghina (De Stef. e Pant.) Pecchiolia argentea (Mar.) Val Ceppi. Notevole in questa località la grande abbondanza delle Mitra , essendo qui state raccolte esclusivamente quasi la metà delle circa cento specie del miocene medio torinese. Murex Verayi Paul. » trinodosus Bell. Ancillaria patula Dod. Tudicla burdigalensis Defr. Pleurotoma striatissima Bell. Latirus lynchoides Bell. Surcula Sismondae Bell, et Mieli. » taurinus Mich. Oligotoma mirabilis Bell. » costulatus Bell. Drillia raricosta Bon. » ventrosus Bell. Nassa speciosa Bell. » Cepporum Bell. » Veneris Fauy. » recticauda Fuchs » magnicostata Bell. » subcostatus d’Orb. » Woodi Bell. Mitra taeniolata Bell. » curvicostata Bell. » brevispirata Bell. » tracta Bell. » tumens Bell. Cyllenina Haueri Mich. » proxima Bell. Pur pur a inaequisulcata Bell. » anterior Bell. » biplicata Bell. » cognatella Bell. » inaequicostata Bell. » oblongata Bell. » tuber culata Bell. » admissa Bell. ? » hoemastomoides R. Horn. » confinis Bell. » bicarinata Bell. » connexa Bell. » megastoma Bell. » propinqua Bell. Coralliophila Renieri Mich. » gentili s Bell. Porphyria curia Bell. » multistriata Bell. » malthata Bell. » absona Bell. » longispira Bell. » arva Bell. » fusiformis Bell. » reducta Bell. divella crassirugosa Bell. » observabilis Bell. » brevis Bell. » turbinata Bell. » major Bell. » turgida Bell. Ancillina pusilla Fnchs » supergensis Bell. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 637 Mitra graviuscuìa Bell. Uromitra clathurata Bell. » ponderosa Bell. » scalaeformis Bell. » nucleus Bell. » notabilis Bell. » leda Bell. » analoga Bell. » suturalis Bell. » minutecostata Bell. » paucigyrata Bell. » antececlens Bell. » incerta Bell. » Borsoni Bell. » compressa Bell. » subglobosa Bell. » biformis Bell. » avellana Bell. » macilenta Bell. » consimilis Bell. » subangulata Bell. » turrita Bell. » singularis Bell. » sinuosa Bell. » subuliformis Bell. » decipiens Bell. » semiarata Bell. Pusia textilosa Bell. » producta Bell. Marginella longa Sacco » apicalis Bell. » excavata Bell. » negleda Bell. » affinis Sacco » contorta Bell. » parvula Sacco » bracliystoma Bell. Columbella scalarata Sacco » turris Bell. » crassilabris Bell. » intermissa Bell. » miopedemontana Bell. » teres Bell. » oppleta Bell. » otnissa Bell. » Portisii Sacco » terebriformis Bell. » gaibina Bell. » semiclathrata Bell. » negleda Bell. .» pedinata Bell. » proxima Bell. . » arata Bell. » turrita Sacco » protensa Bell. Semicassis subsulcosa Hòrn. et » ovuìa Bell. Harding » perens Bell. Galeodeci tauropyrulata Sacco » eduda Bell. Litìioconus parvicaudatus Sacco » defossa Bell. Solarium pseudoperspedivum (Broc.) » effossa Bell. Sigaretus cryptostomoides Sacco » eoscrobiculata Bell. Persona tortuosa (Bora.) JJromitra belliata Bell. Bolma proborsoni Sacco » attigua Bell. Magulus iauracutus Sacco » dissimilis Bell Emarginula Grateloupi Bell, et » data Bell. Mieli. » recurvata Bell. Patella pyramidalis Rov. » similis Bell. Carthusiana pseudohyalinia Sacco » pluricostata Bell. Nucula piacentina Lamk. Dintorni di Tetti Varetti. AtTileta ficulina (Lara.) Eburnei eburnoides Lara. Ventrilia trochìearis (Fanj.) 638 K. BELLINI Dintorni di Sciolse. (Villa Rovasenda, Bosco Grande, S. Antonio e liesca). Sepia Lovisatoi Parona Aturia Formae Parona Typhis fistulosus (Broc.) Ocenebra fodicata Bell. Fusus Villae Michel. Jania anguiosa (Br.) Pagodula vaginata (Jan) Mayeria acutissima Bell. Pollia angusta Bell. Ranella pygmaea Bell. Chelyconus Marii Sacco » clavatus (Lk.) Lithoconus antiquus (Lk.) » parvicaudatus Sacco Stephanoconus Ot,tiliae (H. et. A.) Tudicla rusticula (Bast.) Cyrsotrema taurovaricosum Sacco Discoscala scaberrima Sacco Acrilla taurinensis (Pant.) Puniscala mioparvula Sacco Hastula subcinerea (d’Orb.) Hemiacirsd prolanceolata Sacco Fusoterebra proterebrina Sacco Pyrgolampros taurinensis Sacco Anysocicla subalpina Sacco Odontostomia pallidaeformis Sacco » pallida Sacco Eulimella subumbilicata (Grat.) » Neumayeri (Hoern.) Torinia obtusa (Bronn) « Faustae Sacco Amalthea acuta (Quoy et Gaym.) » interrupta (Bors.) Cerithium taurosimplex Sacco Vcrmetus miotaurinus Sacco Eutliria magna Bell. Phorculellus varius (L.) Cantrainea tauromiocenica Sacco Tinostoma Woodi (Hornes) Phorcus taurolacvis Sacco Bolma granosa (Bors.) Adeorbis miotaurinensis Sacco » mióbicarinatus Sacco Oniscidia verrucosa (Bon.) » citliara (Brocchi) Echinophoria variabilis (B. et M.) Galeodea tauropomum Sacco Nassa cincia Bell. « Coccolivi Bell. » clathurella Bell. Fissurella gibberula Lk. » costic illatissima Sacco Fimbriatélla fimbriata (Michel.) Gegania miocenica Sacco Tuba solcata (Pilk) Williamia Gussoni (0. G. Costa) Cingulina taurominima Sacco Zebinella moravica (Hornes) Tltala intermedia (Bell.) Surcula serrata Hornes Clinura trochlearis (Hornes) Borsonia uniplicata (Nyst) Trigonostoma Michelinii (Bell.) Sveltia taurospinulosa Sacco Bonellitia evulsa (Sol.) Gulia Geslini (Bast.) » acutangula (Fauj.) Cadulus taur ottimi dosus Sacco Middendorffia subcajetana (d’Orb.) Pinna subpectinata (Michel.) Anisodonta miotaurina Sacco Dentilucina persolida Sacco Cardiolucina Agassizi (Michel.) » striatula (Nyst) Nere miobarbieri Sacco Cuspidaria taurostriata Sacco Solenomya Doderleinii Mayer Donax minutus Bronn Macrochlamys Tournali (De Serr.) Parvochlamys oblaevis Sacco Limopsis aurita (Brocchi) Cardium michelottianum Mayer LE VARIE «FACIES» DEL MIOCENE MEDIO 639 Car diurni taurinivm Michel. Plicatula miocenica (Michel.) Fossularca papillifera (Hòrnes) Jupiteria Brocchii (Bell.) Tyndaria arata (Bell.) Yoldia longa Bell. Neilo miotaurinus Sacco Actinobolus affmis (Dnj.) Miodon scalaris (Sow.) Arniantis gigas (Lam.) Glans intermedia (Br.) Timoclea ovata (Pennant) Omphaloclathrum miocenicum (Mich.) Syndesmia taurolonga Sacco » longicallus (Scacchi) Bornia taurinensi^ Sacco Myoporomia bicarinata (Rov.) Procardia longa Sism. Gryptodon Bovasendae Sacco Ber sano. Conospirus antediluvianus (Brug.) Turbonilla costellcitoides Sacco Cerithium procrenatum Sacco Eudoliurn sub fasciatimi Sacco Sconsia striata (Lk.) Halia praecedens (Pout.) Fissurella italica Defr. Haustator Sismondai (Mayer) Arcliirnediella bicarinata (Brus.) Tornatina lajonkaireana (Bast.) Pleurotoma sororcula Bell. Clavatula Seguimi Mayer Gulia aurangulifera Sacco Ostrea plicatula Gmel. Valila. Surcula Kossuthi Bell. » intermedia (Brongn.) Nassa proavia Bell. Solarium caracollatavi Lam. Sassia apenninica (Sassi) Cassidaria miocristata Sacco Dentalium sexangulum Schròth. Chama gamella De Greg. Colline di S. Genesio presso Chivasso. Ocenebra fodicata (Bell.) Dendroconus pyruloides (Dod.) Litlioconus Mercatii (Br.) Clavatula nodus Bell. » geniculata Bell. Porphyria in fiata Bell. » cylindracea (Bora.) divella major Bell. Axinaea infinta (Broc.) Pectunculus glycimeris (L.) Ancillaria pusilla Fuchs Ancillaria patula Dod. Triton laevigatum De Serr. Mitra apposita Bell. Chenopus pes-pelecani (L.) Ampullonatica repressa (Rov.) Zonaria pinguis (Bast.) Zaria subangulata (Broc.) Antale Bouei (Desh.) Dentalium acuti costa Desh. Anomia ephippium (L.) Pycnodonta cochlear (Poli) 640 R. BELLINI Crostacei ('). Càllianassa pedemontana Crema » Rovasendae Crema » Michelottii A. Edw. » Sismondae Edw. » subterranea Mtgu. Lyreidus Paronae Crema ( Sciolge) Panina palmea Sism. (Sciolze) Xantìio ? Manzonii Rist. Lepas Hillii (Leach.) » Rovasendai De Alesa. Pachylasma giganteum (Phil.). Uni- ca specie di questo genere trovata nell’Alta Italia in un solo esemplare raccolto a Bal- dissero e conservato nella col- lezione Rovasenda (De Ales- sandri). Scalpellum magnum Darwin » michelotlianuvi Seg. Pollicipes Paronai De Aless. Balanus tintinnabulum L. » tulipiformis (Ellis) » spongicula (Bronn) « calceolus (Ellis) » concavus (Bronn) » stellaris (Brocchi) Pyrgoma anglicum Sow. » costatavi Seg. Annelidi. Serpula anfracta (Goldf.) Rov. » semisurrecta Rov. » scolopendroides Rov. » signata Rov. (M. Cap- puccini). » elegantula Rov. (Villa Cochis). » bicanalicul aia Goldf. » lacera Reuss » effossa Rover. » myristica Rover. Pomatoceras polytremus (Phil.) (Villa Cochis e Villa Bellino). « triqueter (L.) (M. Cap- puccini). » dilatatus (d’Arch.) » granosus Rov. Spirorbis spirintortus Rov. (M. Cap- puccini). » cornu-arietis (Phil.) (Tcrm.) » concamerata Mayer (Term., Villa Bellino) » scalaria Rov. Vermolia multivaricosa (Morch.) Ditrypa cornea (L.) (Baldiss., S. Ge- nesio). Filigrana sp. Spyroglyphus sp ( Termo f.) Placostegus squameus Rov. (Terni.) » polymorphus Rov. Bustinella taurinensi Rov. (Villa Allason). Placostegus Rovasendai Rover. » sternalis Rover. (!) Se dopo il nome della specie non segue quello della località, s’in- tende che la specie é diffusa: in caso contrario l’ubicazione è notata. Cosi per le classi seguenti. LE VARIE «FACIES» DEL MIOCENE MEDIO 641 E chinidi. Cydaris melitensis Forbes » fragilis Airaghi » avenionensis Desm. Cydaris oxyrine Menegh. » zeamais Sism. » rosaria Bromi » belgica Cott. (Termof.) » florescens Air. (Sciolze) Diadema Desori Reti ss Arbacina parva (Michel). Hipponoe Parìcinsoni (Agass.) Cott. Echinocyamus Studeri (Sism.) Desor Clypeaster altus Lam. (Val Salice) » crassicostatus Agass. (Val Salice, Villa Cochis). Brissopsis intermedius (Sism.) De- sor (Baldiss.) » Borsoni (Sism.) Des. (Val Ceppi) » Genei (Sism.) Desor (Pe- cetto) Schizaster Scillae (Desm.) Agass. (Bald., Pian Bo- schi) Pericosmus Edwardsii Agass. (Val Salice) » Orbignyi Cott. (Val Ceppi) Spatangus Botto-Miccai Vinassa (Baldiss.) Crin oidi. Pentacrinus Gastaldii Michelot. » Antedon oblitus (Michel.) ( Sciolze ) » » Michelottii Noelli (Sciolze) » Fontanesi De Lor. (Sciolze) » » Depereti De Lor. (Sciolze) » anglesensis De Lor. ( Sciolze) Conocrinus Seguenzai Menegh. Antedon Paronai Noelli (Sciolze) Actinometra Formae Noelli (Sciolze) stellatus Noelli (Sciolze) taurinensis Noelli ( M. Cap - puccini) Pellati De Lor. (M. Cap- puccini) Coralli. Notevolmente abbondante è la corallofaima di queste facies del miocene medio ; in tutto il miocene piemontese si contano circa 250 specie, molte delle quali studiate dalla signorina Elo- dia Osasco e dal prof. De Angelis, dai cui lavori già accennati ho tratto gran parte delle notizie riguardanti questo gruppo. Amplvyelia ambigua (Sism.) (Term.) Acanthocyathus pedemontanus Mich. Aphastraea M eneghinii ( Mieli .) (Villa Balanophyllia vagans (Michelotti) Allason) » conica Osasco Astrocoenia ornata (Mich.) (Lagr.) » falcifera Michel. Astrohelia vasconiensis E. H. » praelonga Michel. 642 R. BELLINI Balanophyllia bifurcata Michel. Desmophyllum exclavatum (Mich.) (Baldissero) » conulatum Osasco » irregularis Seg. » laevicostatum Osasco » italica E. H. » Formae Osasco (Villa » Meneghina E. Sism. Cochis) » striatissima E. Sism. » subturbinatum (Mich.) » fallax De Angelis? % ( M Cappuccini) Caryophyllia aequalis (Mich.) Osasco » cristagalli E. H. » Sismondae E. H. (Termofourà) » Michelinii (Michel.) » cylindraceum Seg. (Villa Cochis) (Termofourà) » clavus Scacchi » taurinensis (Mich.) Cryptangia parasitica Mich. (Sciolse, (Termofourà) Capp.) » elatum De Angelis » Woodi E. H. (Termofourà) Coenocyathus taurinensis (d’Ach.) » gracilis Osasco ( M. (Villa Cochis) Cappuccini) » anthophyllites E. H. » affine Seguenza Cladocora caespitosa (L.) (M. Cap- » striatum E. Sism. puccini) » pedemontanum d’Ach . Coràllium sulcatum Mich. (Terni.) » ambiguum Michel. » rubrum Costa » turgidum Michel. » pallidum Mich. » simplex Michel. » inacquale De Angelis Dyctioastraea profonda d’Ach. Ceratotrochus anceps (Mich.) (M. Cappuccini) » duodecimcostatus Goldf. (Baldiss.) » typus Michelotti Coelosmilia miocenica Michelotti (Bai dissero) Cyathomorpha roccliettina Mich. Cladangia minima D’Aeh. Deltocyatus italicus (Mich.) (Bald.) » taurinensis (Mich.) » cylindricus (Mich.) Eupsammia Sismondiana (Michel.) » trochiformis (Brongn.) » compressa Bast. » falcifera (Michel.) Enallopsammia Scillae Seg. (lìal- dissero) quaesita (Mich.) De Ang. Euphyllia ventalina Mich. (Pian Dendrophyllia subangularis Osasco » digitalis Blainv. (Termofourà) » taurinensis E. H. » Michelinii Michel. » cornigera Blainv. » cladocoracea Mich. » trifurcata Michel. » amica Michelotti » globulina Michelotti » humilis Michelotti Desmophyllum bilobatum Osasco Boschi) Flabellum sinense (Michelotti) » siciliense E. H. (Villa Cochis) » Michelinii E. H. (Ca- v or retto) » extensum Michelotti » foecundum Michelotti Goniastraea propinqua .Michel. » miocenica Mich. (Villa Cochis) » variabilis E. Sism. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 643 Goniastraea diversiformis Michel. Plerastraea taurinensis d’Ach. » aequicostata Michel. » ornata (Michelotti) ? » crassicostata Michel. Prionastraea aranea E. H. ? » conferta Michelotti » geometrica Michelotti Heliopora super giana Michel. Parasmilia excentrica Menegh. Heliastraea aequalicostata Osasco Rhizotroclius anomalus Osasco » incerta Osasco Rhipidogyn % Michelottii Menegh. » incrustans Osasco (Baldiss.) » plana (Michelotti) (Ter- Bhoda/raea dissita De Angelis mo fourà) Solenastraea complanata (Michel.) » Defrancei E. H. (Villa Allason) » planulata (d’Ach.) Steplianophyllia elegans Michelotti » prevostana E. H. (M. Cappuccini) » vesiculosa E. H. Siderastraea crenulata (Goldf.) Isis peìoritana Seg. (Baldissero) » miocenica Osasco » melitensis Goldfuss Stylocoenia mutata Michelotti Leiopathes vetusta (Mieli.) (Villa Septastraea papyracea Michelotti Cochis, Terni.) » polymorpha Michel. Lithophyllia Basterotii E. H. (Villa Smilotrochus tuberosus (Michelotti) Allason) Sism. » conica (Mich.) De An- Trochosmilia pedemontana (Mich.) gelis * Osasco » pulchella (Michelotti) Trochocyathus pyramidatus (Mich.) De Angelis ( Baldissero) Litharaea diversiformis Michelotti » armatus (Michel.) Montlivaultia anomala Michelotti (Termofourà) (Villa Cochis) » perarmatus (Tali.) » Japheti (Michelotti) » planulatus Osasco » coronilla (Michel.) » crassus Michelotti » humilis (Michelotti) y> sublaevis E. H. ( Term ., » pattila (Michelotti) Baldissero) » oblita De Angelis » elegans (Michelotti) Madrepora exarata Michel. (Baldissero) » lavandulina Michel. » ponderosus (Mich.) » Bonellii Michel. (Baldissero) Mycetoseris pattila (Michelotti) » revolutus E. H. - Oroseris alpina (Menegh.) Michel. (Baldissero) Phyllangia microsiderea De Angelis » subcristatus E. H. (Termofourà) , » laterocristatus E. H. » festiva, (Mich.) (Termof.) » bellingherianus Mi- Pavonaria quadrangularis (Mtg.) chelotti (Baldiss.) (Villa Ansaldi) /> costulatus E. H. Pocillopora madreporacea (Lk.) » Douglasii Michelotti (Termofourà) v> Sismondae E. H. Paracyathus turonensisE.il. (Term.) » versicostatus Mich. Porites incrustans De Frane. » laterospinosus E. H. R. BELLINI d 44 Troclxocyaihus raricostatus Mich. » verrucosus E. H. » decussatus Michel. » sulcatus E. Sism. » deperditus Michel. Trochocyathus punctatus Michel. Turbinaria undulata (d’Ach.) - (Terni., Grangia) » cyaihiformis Blainv. Tegioastraea Rovasendai Michelotti Foraminiferi. Marginulina glabra d’Orb. (Sciolse) Frondicularia Bovasendae Derv. ’ » hirsuta d’Orb. (Sciol- (Sciolse) se, M. Capp.) Nodosaria laevigata d’Orb. Vaginulina legumen L. (Sciolse) » badenensis d’Orb. ( Sciol.) Virgulina Schreibersiana Cziz. - (Sciolse) Pleurostomella rapa Giimb. (Sciolse) » alternans Schw. (Sciolse) Polymorphina rotundata (Born.) (Sciolse) Flabellina oolithica Deecke (Sciolse) » rugosiformis Derv. ( Sciol.) Frondicularia complanata Defr. » revoluta Derv. (M. Cappuccini) » Fornasinii Derv. » radicala (L.) » pyrula d’Orb. » pauperata (d’Orb.) » Cavnerani (Derv.) » subaequalis Costa » tenuicollis Reuss » raphanistrum L. (M. Cappuccini) » conica Silv. (Sciolse) » scalaris (Bat.) (Sciolse) « papillosa Silv. Litotamni. Lithothamnium incrustans Capeder (Termofourà) Facies y. Zona delle turritelle. Questa importante facies è caratterizzata litologicamente da banchi marnosi, arenacei o di marne sabbiose e, per la sua rassomiglianza con alcune del piano più inferiore, è stata detta facies pseudo-langhiana ; essa è di mar profondo. Paleontologi- camente non è stata molto esplorata a causa della non facile raccolta dei fossili impigliati e resi fragili dalle marne clic coni- LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 645 pletamente li ravvolgono; la gran parte sono individui di Tur- ritella turris e specie affini, costituenti il 60 °/0 circa dei fossili; in second’ordine vengono per abbondanza Terebre, Pleurotome, Coni, Nasse, Solari, ecc. Gl’individui sono generalmente gracili. Questa terza facies del miocene medio è alquanto più antica della precedente e le località dove è maggiormente estesa sono le seguenti: 1. Monte Cappuccini sopra Torino. — Questo sito è stato copiosamente esplorato dal sig. Forma; ma oggi il giacimento è quasi esaurito perchè ricoperto da strade e costruzioni, che però potranno da un momento all’altro mettere a nudo altri posti fos- siliferi a causa del continuo scavo per fondamenta di ville e palazzine, continuamente in aumento in questa ridente località. 2. Villa Rovasenda e dintorni a Sciolze. 3. Dintorni di S. Mauro Torinese, Ber sano, S. Grato. 4. Colline di S. Genesio presso Cbivasso. Le marne azzur- rastre stratose ricchissime in fossili emergono a preferenza ai lati della strada rotabile Chivasso-Castagneto, poco al disopra della Villa Ceriana, ed allo stesso livello al disotto della sta- zione climatica di S. Genesio. 5. Dintorni di Villa Revel nella Valle di Cimena, più verso Torino, sulle pareti laterali di un rio che sbocca nel Rio del Pertengo. Molluschi 0). Cefalopodi . . .... 5 Pteropodi . . . .... 11 Gasteropodi . . .... 464 Amfmeuri . . .... 3 Scafopodi . . . .... 15 Pelecipodi. . . .... 128 Spirulirostra Bellardii d’Orb. 1 Cleodora triplicata Aud. 1 Aturia Aturi Bast. 1 Vaginella Calandrelli Mickt Sulcogladius Cóllegnoi B. et M. 1 » austriaca Ritti. 1 Limacina Formae Auden. 1 » Rzehalci Ritti. 1 C) Nel presente elenco di specie i numeri posti accanto a queste, corrispondono agli stessi nell’ordine delle suddette località. * = Specie esclusive della zona. 646 R. BELLINI Balantium pedemontanum Ma- yer 1, 4 Typhis fistulosus (Br.) 1 Murex Partschi Hornes 1 » aquitanicus Grat. 3 Trophon citrinus Bell. 1 Ocenébra insculpta Bell. 4 Hadriania craticulata (Br.) 1 Fusus semirugcsus Bell, et Mich. 1 » rostratus Olivi 1 » vaginatus Jan. 1, 2 Strepsidura globosa Bell. 2 Mettila angusta Bell. 2 Chelyconus conoponderosus Sacco i » ponderosus (Brocchi) 1, 2, 3, 4, 5 » montisclavus Sacco 1, 2 » Paschi (Michel.) 1, 3 » Belus (d’Orb.) 1 » taurotectus Sacco 1 » ponderosulcatus Sac- co 1 Conus antedii uvianus Brug. 1, 4, 5 » pelagicus Brocchi 4 Lithoconus Mercatii (Br.) 1, 3 » antiquus (Lana.) 2, 4 Conospirus oblongoturbinatus (Grat.) 1 » Duyardini (Desh.) 1, 2, 3, 4, 5 Pleurotoma rotata (Brocchi) 1, 3, 5 » subcoronata Bell. 1, 4 » coronata Miinst. 1, 2, 4 » spiralis Serres 1, 4 » infasciata Hornes 1 . » citrina Bellardi 1 » sororcula Bell. 3, 4 » Bronni Bell. 3 » bellatula Bell. 4, 5 Clavatula calcarata Bell. 4 » taurinensi s Mayer 4 » praetiosa Bell. 4 » seminuda Bell. 2 » excavata Bell. 1 Clinura trochlearis (Hornes) 2 Surcufa dimidiata (Brocchi) 1 » Kossuthi Bell. 4 Genota ramosa (Bast.) 1 jDrillia terebra (Bast.) 4 » unifilosa Bell. 1, 4 » fratercula Bell. 4 » raricosta (Bon.) 1 » Allionii Bell. 1 » cerithioides (Desm.) 1 Pseudotoma Bonellii Bell. 1 » praecedens Bell. 1 Borsoni a prima Bell. 1, 4 Baphitoma vulpecula (Brocchi) 1 » novella Bell. 1 » Testae Bell. 1 Daphnella Boriami Libassi 5 » tenuicosta Brogn. 4 Mangelia long a Bellardi 4 Metula reticulata Bell, et Mich. 1 Sthenorytis r elusa (Brocchi) 1 Cyrsotrema ruslicum (Defr.) 1 Terebrum subtessellaium (d’Orb.) 3. 4 » neglectum Michel. 4 Strioterebrum Basteroti (Nyst) L 2, 3, 4, 5 Subula plicaria (Bast.) 2 Hastula costatata (Bora.) 1 » subcinerea (d’Orb.) 4 Triton tuberculiferum Bronn 1 » laevigatum De Serr. 2, 4 Banella marginata Mart. 1, 4 Persona tortuosa (Bors.) 2 * Pyrgólampros acostostrangulatus (Sacco) 1 » exgracilis Sacco 4, 5 » dertogracilis Sacco 4 Anysocycla subalpina Sacco 2 Turbonilla lactea L. 1 Menestho Humboldtii Risso 1 Va itimeli a subumbilicata (Grat.) 1 » turris Sacco 4 » affìnis (Phi 1 . ) 1 Ptycheulimella pyramidaia (D.) 4 Strioturbonilla densecostata Sac. 5 » alpina Sacco 4 LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 647 Pyrami della plicosa Bronn 4 Solarium simplex Bronn 1 Torinia obtusa (Bronn) 4 Capulus Barrandei Hòrnes 1 Brocchia sinuosa (Brocchi) 1 Ceritliiopsis tubercularis (Mtgu.) 1 Ptycliocerilhium Bronni (Parts.) 4 » taurobronnoides Sacco 1, 2 Bittium spina (Partsch) 1 Petaloconchus intortus (Lk.) 4 Eutliria adunca Bronn. 1 » spinosa Bell. 1 Xenophora Deshayesii Michel. 1 Pseudavena tauroglandula Sac. 1 Persicula subovulata (d’Orb.) 1. 4 » auriculata (Mèn.) 4 . » Trine Sacco 4 Volva taurinensis Sacco 1, 4 Marginalia excavata Bell. 4 Bingiculella auriculata (Mèn.) 1 Ringiculospongia Bonelli (Desh.) 19 3 4 _L, 'J, -X Eumargarita taurinensis Sacco 1 Monodontella taurolegans Sacco 1 Bolma taurinensis Sacco 1 » proborsoni Sacco 1 Astralium rugosum (L.) 3, 4 Tugurium Borsoni (Bell.) 1 Tinostoma Woodi (Hornes) 8, 4 Magulus pliosubcinctus Sacco 4 Ormastralium subspinosum (Rov.) 1 Adeorbis miotaurinus Sacco 1 » trigonostoma (Bast.) 1 Pseudonina Bellardii (Michel.) 1 Mitra pyramidella (Brocchi) 4 » effossa Bellardi 4 » optabilis Bellardi 4 Micromitra granosa (Bell.) 4 Purpura bicarinata Bell. 2 Naticina catena (Da Costa) 8, 4 » pulchella (Risso) 4 Natica Dihcynii (Payr.) 1 » millepunciata Lam. 1, 3, 4 Gemina compressa (Bast.) 4 Payraudeautia intricata (Don.) 4 Fi cuba geometra (Bors.) 1 » reti culata (La;n.) 4 Echinophoria variabilis (Bell, et Mieli.) 4 Semicassis reticulata (Bon.) 1 Galeodea echinophora (L.) 1 » taurinensis Sacco 3 Eburna eburnoides Lam. 1, 2, 4 * Nassa Bowerbanld Mhnster 1, 4 ! » restitutensis (Font.) var. tauromontis Sacco L 4 » badensis Partsch 1 » pectita Bell. 1 » sublaevigata Bell. 1 » tessellata Bon. 1 » cognatella Bell. 4 » costulata (Ren.) Brocchi 4 » altilis Bell. 4 » simulans Bell. 4 Plios citharella (Brongn.) 1, 3, 4 » orditus (Bon ) 4 Turritella turris (Bast.) 1, 2, 3, 4, 5 » incannata (Brocchi) 4 Protoma cathedralis (Brongn.) 2, 4 Zaria subangulata (Br.) 1, 4 » terebralis (Lam.) 4 Haustator vermicularis (Br.) 1, 2, 3. 4 Archimedielia miotaurina Sacco 1 Brochina glabra (Mtgu.) 1 Flemingia zellandica (Mont.) 1 Follia affmis Bell. 1 Golumbella elongata Bell. 1, 4 » turgida Bell. 4 » doliolum Bell. 4 Atilia Borsoni Bell. 3 Clienopus meridionalis (Bast.) 1 » pes-pelecani (L.) 1 , 2, 4 » Uttingerianus Risso 1 Pisani a crassa Bell. 4 Actaeon semistriatus (Fér.) 1 » pingui s d’Orb. 1 Haminea liydatis (L.) 1 Scaphander lignarius (L.) 1, 4 Cylichnina testiculina (Bon.) 3 42 648 R. BELLINI Bullinella oylindracea (Penn.) 1 Boxania utriculus (Broc.) 4 lenneria duclosiona (Bast.) 4 Zonaria fabagina (Lk.) i, 2, 3, 4 Trùcia affìnis (Duj.) 1 Luponia subphysis (d’Orb.) 1 Ancillaria glandiformis Lara. 1, 2, 3, 4, 5 » Sisniondana d'Orb. 4 » pattila Dod. 8 » Sowerbyi Michel. 1 Porphyria Dufresnei (Bast.) 3, 4 Trigonostoma fenestratum (Eichw.) » Michelinii (Bell.) 1 Sveltia lyrata (Brocchi) 1, 2, 3, 4 Bonellitia serrata (Brn.) 1 Giulia acutanyula (Fauj.) 2, 3 Volutilithes ficuliniis (Lana.) 4 Entalis bcidensis (Partsch) 1, 4 » miocenica (Michel.) 4 Alitale volgare (Da Costa) 1, 2, 3, 4 » Bouei (Desh.) 1, 4 » vitreum (Schroth.) 1, 4 Dentalium Michelottii Horn. 1 » sexangulum Sch. 2, 4 Cadulus taurovulus Sacco 1 Gadila gadus (Mtgu.) 1, 4 Gadilina triquetra (Broc.) 1 Fustiaria Jani Horn. 1 Goxoporus sub fusi forni is (Sars.) 1 Chiton miocenicus Michel. 2, 4 Anomia ephippium L. 4 Ostreola Forskàhlii (Chemn.) 1 Cubitostrea frondosa (De Serr.) 4 Exogyra miotaurinensis Sacco 4 Spondylus gaederopus L. 1 Aequipecten Malvinae Dub. 1, 4 Parvochlamys oblaevis Sacco 2 Cardium macroacantha Rov. 1 Iupiteria Broccliii Bell. 1 » concara (Brn.) 4 Nucula piacentina Lk. 1, 4, 5 Axinaea bimaculata (Poli) 4 * Actinobolus Schwabenani (Horn.) 1 C ardita crassa (Larn.) 1 Clausinella Basteroti (Desh.) 1 » Amidei (Menegh.) 4 * Parvivenus marginata (Horn.) 1, 4 7 agonia reticolata (Poli) 1 * Crassitina producta Rov. 1 Cinomphalus Haidingeri (Horn.) 1 Cor buia gibba (Olivi) 1, 3, 4 » revoluta (Broc.) 4 Syndesmia taurolonga Sacco 4 Emilia pusilla (Pini.) 4 Teredo norvegica (Spengi.) 1 Coralli. Flabellum Vaticani Ponzi Pavonaria Portisi De Angelis Trococyathus laterocristatus E. H. Litotamni. Lithothamnium dentatimi Capeder Lithothamnium saxorum Capeder » glomeratum Cap. » tenue Capeder » polymorphum Cap. » taurinense Cap. LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 649 Facies o. Zona dei litotamni e delle lucine. Questa facies si può considerare una modificazione della pre- cedente dovuta alla natura incrostante delle acque. Risulta di bandii arenacei calcari ricchi di Litotamni e Lucine (Lucina pomum — gìobulosa Desìi.); tipicamente i sedimenti di questa zona emergono nei dintorni di Pino Torinese. La fauna è poco abbondante; una cinquantina di molluschi, una quindicina o meno di echinodermi e più pochi coralli. Molluschi. Spirulirostra Bellardii d’Orb. Sepia sepulta Michel. Aturia Aturi (Bast.) Balantium pedemontani om (Mayer) * » sinuosum Bell. * » multicostaturn Bell. » sulcosum Bon. * » calix Bell. Vaginella Calandrella Michel. Trophon sculptus Bell. Polita affinis Bell. » granifera Bell. * Clavella brevicaudata Bell. Pianella marginata Mart. Drillia obtusangula (Brocchi) » cerithioides (Desm.) * » crebristriata Bell. * » crispata (Jan) * Clavatula inedita Bell. Oligotoma pannus (Bast.) Oligotoma ornata (Defr.) Phos citharella (Brongn.) Nassa tessellata (Bon.) » intercisa (Gené) » badensis (Partsch) » taurinorum Bell. Par pur a arata Bell. Porphyria cylindracea (Bors.) Ancillarina suturalis (Bon.) Ancillaria glandiformis Lam. * Mitra laxesulcata Bell. » eofusiformis Bell. * » aclsita Bell. Columbella scalaris Sacco * » Borsonii Bell. * » compta (Bronn) Haustator desmarestinus (Bast.) Aequipecten scabrellus (Lk.) Lucina gìobulosa (Desh.) Echinidi. Cidaris seamais Sism. » avenionensis Desm. » rosaria Bronn Pericosmus pedemontanus De Ales. Heterobrissus Formae Airaghi Spatangus Botto-Miccai Vinassa 650 R. BELLINI Crinoidi. Pentacrinus Gastaldii Mieli. Conocrinus Seguenzai Menegh. Antedon Nicolasi Noelli » Micheìottii Noelli Coralli. Discotrochus Micheìottii E. H. Facies e. Zona dei ptekopodi. È una facies pochissimo estesa, caratterizzata da arenarie micacee più o meno marnose e compatte abbondanti di resti di pteropodi con pochissime altre specie di molluschi, deformati o molto alterati. Queste arenarie affiorano in due punti della collina di S. Ge- nesio presso Chivasso (al disopra della Villa Ceriana e nel ver- sante più verso Brusasco) ed al Monte dei Cappuccini sopra Torino. Esse mostrano di essersi depositate in mar profondo; vi mancano ciottoli e la fauna è planktonica. Balantium pedemontanum (Mayer) (Capp., S. Gen.) » carinatum (And.) ( Capp.) » Peli ardii (Aud.) (Capp.) Cavolinia bisulcata Ritti. (Capp.) » interrupta (Boa.) (S. Gen.) » triplicata (Aud.) (S. Gen.) Vaginella depressa (Daud.) (Capp., S. Gen.) » Calandrella Mieli. (Capp. S. Gen.) » austriaca Ritti. (Capp.) » acutissima Aud. (Capp.) » gibbosa Aud. (Capp.) Pgrgostelis rufa (Fliil.) (S. Gen.) Allo scopo di far meglio risaltare la ricchezza in molluschi, tipo di fossili più importante delle varie facies, e l 'habitus delle LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 651 forme in ognuna, ho esposto nel seguente quadro il numero più approssimativo possibile delle specie comprese nelle diverse fa- miglie in ogni facies. a P 7 6 £ I. Ceplialopoda Palaeoteuthidae . 1 1 1 Sepiidae .... 1 3 1 1 Spirulidae . . . i 1 1 Nautilidae . . . 1 Clyraenidae. . . 2 2 2 1 II. Pteropodci. Liiuacinidae . . 1 ' 1 Cavoliniidae . . 8 11 7 8 III. Heteropoda Firolidae . . . 1 IV. Gastropoda Murieidae . . . 55 8 3 Tritonidae . . . 23 5 1 Pleurotomidae. . 8 165 28 7 Buccinidae . . . 5 85 26 5 Purpuridae . . . 20 1 Coralliophilidae . 1 13 1 Olividae .... 28 1 6 Fasciolariidae . . 5 77 7 9 Chrysodomidae . 12 Mitridae . . . . 5 138 90 4 Mitrolumnidae. . 4 2 Pseudomitridae . 1 Marginellidae . . 12 6 Columbellidae . . | 10 22 4 4 Harpidae . . . 1 Cassididae . . . 3 10 3 Galeodoliidae . . 4 11 2 Doliidae .... 3 5 Ficulidae . . . 1 4 > 1 3 Naticidae . . Scalariidae . . Terebridae . . Eulimidae . . Pyramidellidae Ringiculidae . Solariidae . . Conidae . . . Strombidae . . Chenopodidae . Haliidae. . . Cypraeidae. . Cancellariidae. Cerithiidae . . Triforidae . • Cerithiopsidae . Melaniidae . . Rissoidae . . Turritellidae . Mathildidae . Vevmetidae. . Siliquariidae . Phoridae. . . Calyptraeidae . Capulidae . . Hypponicidae . Neritidae . . Phasianellidae. Turbinidae . . Trochidae . . Adeorbiidae . P 7 3 £ i3 18 ; 7 I10 30 4 1 27 6 8 2 23 17 2 1 1 5 3 1 14 5 ,8 46 12 1 2 8 6 3 3 1 1 !! 1 27 13 3 40 17 8 32 5 6 1 11 5 6 2 22 11 5 25 11 1 3 2 10 1 1 4 1 2 4 3 1 4 1 2 5 4 3 7 2 1 2 1 18 8 1 30 11 1 1 3 3 652 R. BELLINI Haliotidae . . Fissurellidae . Patellidae . . Actaeonidae . Tornatinidae . Scaphandridae. Bullidae . . . Cylichnidae. . Testacellidae . Helicidae . . Auriculidae. . V. Amphineura Chitonidae . . VI. Scaphopoda Dentaliidae. . VII. Pelecypoda Ostreidae . . Anomyidae . . Dimyidae . . Pectinidae . . Spondylidae . Rodulidae . . Aviculidae . . Pernidae. . . Pinnidae. . . Mytilidae . . Arcidae . . . Pectunculidae . Limopsidae. . a 3 7 3 £ 4 14 5 1 8 8 5 1 1 1 1 3 2 2 1 2 1 1 3 3 1 11 15 5 13 8 1 5 2 1 1 11 37 11 1 3 1 3 11 3 2 2 2 1 2 7 2 1 18 7 2 4 3 2 1 2 2 Nuculidae . . Ledidae . . . Malletidae . . Carditidae . . Astartidae . . Crassatellidae . Cardiidae . . Chamidae . . Isocardiidae . Veneridae . . Losaeidae . . Donacidae . . Psammobiidae. Solenidae . . Mactridae . . Corbulidae . . Gastrochaenidae Teredidae . . Cryptodontidae Lucinidae . . Tellinidae . . Scrobiculariidae Cuspidariidae . Solenomyidae . Ceromyidae Anatinidae . . Poromyidae Clavagellidae . a 3 7 6 2 3 3 2 12 9 5 2 3 17 12 3 1 3 3 1 17 6 3 2 5 1 3 23 10 i 1 1 2 7 3 1 4 2 1 7 4 2 7 4 l 1 4 31 17 2 11 1 1 15 13 2 4 1 1 1 1 1 2 2 1 LE VARIE « FACIES » DEL MIOCENE MEDIO 653 CONCLUSIONI. Da quanto nella presente contribuzione ho esposto, si deduce : 1. Che ai vari piani del miocene medio deve attribuirsi si- gnificato cronologico essendo depositi di successivi mari. 2. Che l’elveziano (nel senso dei geologi torinesi) mostra diverse facies corrispondenti a sedimentazioni depostesi a diffe- renti profondità in zone batimetriche varie, come risulta provato: a) dalla natura litologica della facies. b) dalla fauna che riveste habitus batimetrico. 3. Che la fauna del miocene medio è di tipo di clima caldo non però tropicale, e che la sua esistenza non era incompati- bile con i ghiacci galleggianti nel mare miocenico subalpino. Ciò viene ad eliminare la più grave obbiezione mossa all’ipo- tesi del Gastaldi sull’origine dei. caratteristici conglomerati oligo- miocenici delle colline torinesi. Questo è quanto si deduce dall’osservazione dei depositi del miocene medio nei dintorni di Torino. Sarebbe certo utilissimo per la Geologia estendere le ricerche anche in altre località per poi stabilire con opportuni confronti un complesso sintetico. Torino, R. Museo Geologico. Primavera, 1905. [ras. pres. il 10 giugno 1905. - alt. bozze 9 ottobre 1905]. APPUNTI PER LO STUDIO DEL CRETACEO SUPERIORE NELL’APPENNINO del socio C. F. Parona Dalla cortesia del prof. Taramelli ebbi in comunicazione alcuni fossili da lui raccolti nei calcari del Cretaceo superiore di Monte Laceno sopra Bagnolo e dei dintorni di Montella in provincia di Avellino (‘). Lo studio di questi fossili mi permette di aggiungere qualche notizia paleontologica alle osservazioni già pubblicate dal Ta- ramelli e dal sig. Cassetti sul Cretaceo dell'avellinese (2). Sono pochi fossili, ma tuttavia degni di rimarco, in quanto che nel maggior numero appartengono a specie che non furono finora citate per il nostro Cretaceo e perchè, accrescendo le nostre co- gnizioni sulla fauna turoniana dell’Appennino, permettono di fare qualche confronto interessante per la distribuzione ed esten- sione geografica dei fossili di questa età del Cretaceo. Fossili di Monte Laceno sopra Bagnoli. Nerinea incavata Bromi. (F. Zekeli, Gasterop. d. Gosaugeb., Abhandl. d. k. k. Geol. Reiclis., Wien, 1852 (I), pag. 3G, tav. V, fig. 3). Bel frammento caratterizzato dalla forma ed ornamen- tazione dei giri e dalla loro sezione. Pt.vgmatis requieniana (d'Orb.) (D’Orbigny, Pai. fr., II, 1842, pag. 94, pi. 163, fig. 1-3; Cossmann M., JGss. de Pale'o- conch. comp., IP' livr., 1896, pag. 34, pi. IV, fig. 2). Quattro esemplari di sicura determinazione, due dei quali assai ben con- C) Taramelli T., Osserva z. stratigr. nella prov. di Avellino. Remi, r. Ist. Lomb., 1886. C2) Cassetti M., Rilevavi, geol. di ale. gruppi montuosi delVItalia vierid. eseguiti nel '1805. Boll. d. r. Comit. Geol., 1896. CRETACEO SUPERIORE NELL’APPENNINO 655 servati ; riferisco con dubbio a questa specie un quinto esem- plare colla spira assai breve, più che nell’esemplare figurato da Cossmann. Trochactaeon giganteus (Sow.) (Choffat P., Ét. pai. s. I. faune crei. d. Portug., 4e sér., 1901, pag. 113, pi. I, fig. 16-17). Parecchi piccoli esemplari. Specie già nota per il cretaceo del- l’ Appennino meridionale. Plagioptj clms Aguilloni (d’Orb.) (Douvillé H., Ét. s. les Ca- prines, Bull. S. G. d. Fr., 3e sér., XYI, 1888, pag. 716, pi. 24, 25, fig. 1). Specialmente i caratteri della valva superiore per- mettono di riconoscere agevolmente questa specie turoniana, già citata per altre località dell’Appennino meridionale, e che io stesso riconobbi fra i fossili del calcare di Ponti di Valle, lungo la ferrovia Caserta-Benevento (1). Radiolites lusitanicus (Bayle) var. rigida (Choffat P., op. cit., pag. 144, pi. IV, X, XI). Parecchi esemplari più o meno spezzati, ma specificamente riconoscibili. Biradiolites Arnaudi Choffat (Choffat P., op. cit., pag. 138, tav. VI e VII). È strettamente affine al B. corna- pastoris, dal quale essenzialmente differisce perchè presenta la zona, inter- posta alle fascie, prominente, sempre più stretta delle due fascie e coperta da costole simili a quelle che ornano il resto della conchiglia. Biradiolites sanmiticus Par. (Parona C. F., Le Pud. e le Cam. di S. Polo Matese. Meni. r. Acc. Torino, L. 1901, pag. 203, tav. I, fig. 8, 9, 10; II, fig. 4). Esemplare specialmente carat- terizzato dalla valva superiore. C) Già il clott. Oppenheim riscontrò la presenza di avanzi di Plci- gioptgchus, o di generi affini, nel calcare di M. Tiberio a Capri (Oppen- heim P., Beitr . z. Geologie d. Insel Capri, ecc. Zeitschr. d. Dentsch. geol. Ges., 1889, pag. 450, tav. XIX, fig. 8): ora io posso dare per sicuro 1'esistenza del PI. Aguilloni nel calcare di Capri, verificata coll’esame di un esemplare cortesemente comunicatomi dall’egregio dott. I. Cerio. Questa specie é altro indizio, insieme alla Caprinula da me riscontrata, che la serie dei calcari caprensi comprende anche delle assise apparte- nenti al cretaceo superiore (Parona C. F., Nuore osserva z. sulla fauna del cale, con Ellipsactinidi dell’Isola di Capri. Rend. r. Accad. Lincei, 1905). G5G C. F. PARONA Fossili dei dintorni di Montella. Turritella uchauxiana d’Orb. (D’Orbigny, Pai. Fr., II, 1842, pag. 40, pi. 151, fìg. 21-24). Un grande frammento e diversi piccoli esemplari. Nerinea uchauxiana d’Orb. (D’Orbigny, op. cit., pag. 98, pi. 164, fig. 1 ; Gemmellaro G. G., Ferirne d. Ciaca dei dint. di Palermo, 1865, pag. 29, tav. IV, fig. 8, zona a PI. Aguil- loni). Esemplare più grande di quelli figurati dagli autori citati, ma che esattamente loro corrisponde pei caratteri della conchi- glia, non esclusi quelli dell’apertura. Nerinella sp. n. Simile nell’aspetto esterno e nella sezione della spira alla titoniana N. cochlea Gemili, (op. cit.). Àctaeonella Grossouvrei Cossm. (Choffat, op. cit., pag. Ili, pi. I, fig. 8, 9). Parecchie sezioni nel calcare ed un buon esem- plare (!). Natica punctata (Sharpe) (Choffat, op. cit., pag. 125, pi. IV, fig. 29). Grande esemplare mal conservato. Ampulliua uchauxiensis Cossm. (Cossmann, Osserv. s. quelq. coq. crei. foss. ree. en Franco.. Assoc. frane, arane. Se., Carthage, 1896, pag. 20, [il. II, fig. 9, 10). Un bellissimo pic- colo esemplare. Pterodonta cfr. Tomibiae (Sharpe) (Sharpe, On Tylostoma , a proposed Genus of Gaster. Moli. Quart. Journ. of thè Geol. Soc. of London, 1849, V, pag. 378, tav. IX, fig. 1, 2). Esem- plare incompleto, di grandezza intermedia fra la figura di Sharpe e quella della Pterod. infiala d’Orb. del cenomaniano. Già Choffat (op. cit., pag. 125) ha riconosciuto possibile che questa Tylostoma di Sharpe, non ancora ben conosciuta, sia piuttosto una Pterodonta ed io pure sono di questo avviso, considerando i caratteri di sua affinità colla citata specie di D’Orbigny; il (') Noi calcari del cretaceo superiore dell’Appennino meridionale ho riconosciuto anche V Àctaeonella Zouparriensis Choffat (op. cit., pag. Ili, pi. I. fig. 10, 11) del turoniano superiore, in un grande e bell’esem- plare spezzato cosi da presentare ben conservati i giri interni, di Can- cellata (Basilicata), e il Trochactaeon conicus (Zekeli) (op. cit., pag. 10, tav. VI, fig. 1, 6) della cava Belloccio presso Caserta. CRETACEO SUPERIORE NELL’APPENNINO 657 quale autore ( Prodromo , 2, pag. 191, n. 47) cita, senza descri- vere nè figurare, una Pterod. naticoides di Uchaux, breve ed a bocca assai stretta, e quindi ben diversa dalla nostra forma turoniana. Cerithium requieniaiiiini d’Orb. (D’Orbigny, op. cit., 1842, pag. 377, pi. 232, fig. 4, 5). Parecclii esemplari più piccoli. Spondilus cfr. hippuritarum d’Orb. (D’Orbigny, op. cit., Ili, 1843, pag. 664, pi. 455). Tre valve insufficientemente con- servate per poter verificare il riferimento alla specie citata, che pure trovasi nel turoniano di Uchaux (D’Orbigny, Prodr., 1850, 2, pag. 197). Queste due faunule appartengono indubbiamente al Turo- niano, come lo dimostrano tutti i fossili specificamente deter- minati. È notevole per la fauna di M. Laceno l’abbondanza delle rudiste e la loro buona conservazione, senza della quale non sarebbe stato possibile di riconoscere il Birad. Arnaudi in confronto del Bir. cornu-pastoris. La presenza della quale spe- cie e del Birad. samniticus nei calcari di M. Laceno dimostra rapporti di età coi calcari fossiliferi di S. Polo Matese, che comprendono strati turoniani e senoniani : rapporti che risultano anche più stretti pel fatto, che dalla serie di M. Laceno proviene un esemplare di Hippurites (Orbignya) colliciatus S. P. Wood, forma del campaniano medio e superiore (Q, che pure si rin- venne a S. Polo Matese e pel quale possiamo ritenere che la serie di M. Laceno passi dal Turoniano al Senoniano. Parecchi dei fossili del calcare di Montella trovano le spe- cie corrispondenti nella ricca fauna del grès calcarifero di Uchaux (2) in Provenza riferita al Turoniano superiore e che De Grossouvre considera come il tipo più completo e meglio, caratterizzato del Turoniano nel bacino del Lodano. (') Toucas A., Et. sur la class, et Vévol. des Hippurites. Ména. Soc. Géol. de France, 1903-1904. (2) Hébert et Toucas A., Descript, du Bass. d’ Uchaux. Ann. d. Se. Géol., VI, 1875; De Grossouvre A., Rech. s. la Croie sup. Mèra. p. serv. à l’explic. de la Cart. Géol. dét. de la France, fase. I, 1901, pag. 482 e tav. XIX bis. G58 C. F. PARONA Di questa fauna di Uchaux famio parte fra le altre rudiste, anche forme del gruppo del Birad. cornu-pastoris : si può quindi ritenere che gli strati a gasteropodi di Montella siano sincroni di quelli di M. Laceno e di S. Polo Matese con Bir. cornu- pastoris , Bir. Amatali, JRadiol. lusitanicus, ecc. Noterò infine che tra i fossili di M. Laceno trovai qualche esemplare di piccole Bequienie, che, come m’informa il sig. Cas- setti, si incontrano frequentemente nella serie cretacea dell’ Ap- pennino meridionale e che trovansi anche in gran numero nei monti di Bagno (Aquila) in strati compresi fra i calcari colla ricca fauna cenomaniana detta di Colle Pagliare e quelli con Ostrea Joannae , fossile del Turoniano, secondo Choffat (op. cit.). Si tratta di una forma o di più forme non riferibili probabil- * mente a specie conosciute e che mi riservo di far conoscere, se mi riuscirà di ottenere buone preparazioni degli esemplari, che in generale si raccolgono in frammenti e che diffìcilmente sono separabili dalla roccia. Di questi strati a Bequienia resta a determinare l’età fra il Cenomaniano ed il Turoniano. [ms. pres. il 20 agosto 1905 - ult. bozze 19 dicembre 1905|. OMFACITE CROMIFERA E PIRALLOLITE FERRIFERA DEL LAGO BROCAN (VALLE DEL GESSO DI ENTRAQUE) Nota del socio Alessandro Roccati Descrivendo le roccie del vallone delle Rovine e della Serra dell’ Argenterà nelle Alpi Marittime 0) io ho avuto occasione di indicare nelle vicinanze del lago Brocan e nel gruppo dei monti Fenestrelle- Valletta la presenza di svariate roccie piros- seniche, quali gneiss pirossenico, diorite pirossenica, anfìbolite pirossenica e pirossenite. Ora nei cumuli di detriti che si incontrano sulla sponda destra del lago si osservano con qualche frequenza massi e ciot- toli costituiti da un pirosseno di color verde smeraldo che è sovente associato a talco fibroso. Questo talco, come dimostrerò in appresso, proviene dalla trasformazione del pirosseno, come sembra pure ne provengano certi massi di serpentino con ab- bondanti vene di crisotilo, la cui presenza ho già menzionato in altro lavoro (*). Tale serpentino associato al pirosseno e al- tri minerali forma in posto un grosso spuntone che si avanza frammezzo alle roccia gneissica a modo di penisola nel lago, verso la metà della sponda orientale. In posto, il pirosseno forma pure accentramenti e piccoli ban- chi frammezzo alle roccie pirosseniche (specialmente gneiss) che costituiscono la parte inferiore della punta della Valletta che so- vrasta al lago. Tali accentramenti e banchi sono in alcuni punti (') Ricerche ^etnografiche sulle Valli del Gesso: 1° Valle delle Ro- vine; 2° Serra dell’ Argenterà, Atti R. Ace. d. Se. di Torino, voi. XXXIX, anno 1904. (2) Ricerche ecc., Valli di S. Giacomo , Atti eco., voi. XL, anno 1905. 6G0 A. ROCCATI costituiti esclusivamente dal pirosseno; altrove invece si trova a questo minerale associata dell’orneblenda, avendosi gradata- mente passaggio ad altri accentramenti costituiti esclusivamente da antibolo. Oltre a questa giacitura, il pirosseno, nella stessa località, ne presenta un’altra assai interessante; si ritrova infatti a for- mare numerosi inclusi nel granito ove è scavato il colle di Fe- nestrelle che fa comunicare il vallone della Rovina con quello del Gesso della Barra. Di questo granito e dei suoi svariati inclusi intendo far oggetto di un prossimo studio; per ora mi limito far rilevare come gli inclusi di pirosseno, a differenza di quelli di altre roccie i quali hanno forma molto variabile, sono quasi sempre elissoidali o sferoidali. Fra gli inclusi pirossenici poi ed il granito includente non vi ha mai coesione molto grande, per cui facilmente quelli si possono staccare; tale separazione degli inclusi avviene anche naturalmente sotto l’azione degli agenti atmosferici e si osser- vano quindi nel granito frequenti cavità che erano anteceden- temente occupate dal pirosseno. Altrove gli agenti alteratori non staccarono gli inclusi, ma li corrosero distruggendoli in parte, per cui ne risultano cavità le cui pareti hanno ancora un rivestimento di pirosseno; in altri punti, finalmente, si ve- rifica un fenomeno inverso. Mentre cioè gli inclusi pirossenici resistevano agli agenti atmosferici, il granito includente veniva decomposto ed eroso all’intorno, risultandone una caratteristica sporgenza degli inclusi alla superficie della roccia. Il pirosseno del lago Brocan e regioni circonvicine ha strut- tura finamente granulosa ; talvolta però forma masse macroscopi- che costituite da cristalli prismatici che raggiungono fin 2 a 3 cen- timetri di lunghezza ; questi cristalli prismatici mancano di ter- .minazioni distinte ed hanno evidente struttura fibrosa. Le masse macrocristalline hanno compattezza maggiore di quelle formate dal pirosseno granulare ; in queste infatti, basta uno sforzo mi- nimo (anche semplicemente esercitato colle dita) perchè, essendo facilissima la sfaldatura, si riducano in una polvere grossolana che, osservata colla lente, risulta formata da prismetti ben di- stinti anche nelle terminazioni. In questi prismi ottenuti per sfaldatura si osservano ben distinte le faccie 110, 010 e 001. OMFACITE CROMIFERA E PIRALLOLITE FERRIFERA 6G1 Il colore del pirosseno è verde smeraldo con viva lucen- tezza specialmente sulle faccie di sfaldatura ; l’estinzione rag- giunge un massimo di 35° che non supera mai; manca asso- lutamente il pleocroismo. Il peso specifico è — 2,9. Nelle lamine sottili il colore del pirosseno è verde legge- rissimo, talora quasi nullo; a luce polarizzata presenta colori d’interferenza iridescenti molto vivaci. L’esame a luce polarizzata rivela pure con bastante frequenza una caratteristica struttura zo- nata; certi individui presentano poi fortissima dispersione. Non rari sono cristalli geminati secondo 100; questi geminati normal- mente sono costituiti da due individui, ma in alcuni si nota la presenza fra i due cristalli maggiori di parecchie lamine emitropiche. Osservati al microscopio i cristalli di dimensioni maggiori presentano le caratteristiche striature parallele all’allungamento sulle faccie 110; normalmente a questa direzione le strie si incrociano a reticolato con angolo quasi retto. Sparsi frammezzo al pirosseno si possono osservare granuli sporadici di plagioclasio, la cui alterazione però non permette di precisarne esattamente la natura; come prodotti di alterazione essi diedero luogo a cristallini di zoisite e granuli di epidoto. Altrove, insieme al pirosseno, comparisce dell’orneblenda che può raggiungere una discreta abbondanza ; essa ba colorazione verde azzurra con intenso pleocroismo ; non ha mai forma cri- stallina distinta. Nell’anfibolo esistono sempre le striature do- vute alla sfaldatura 110; sopra queste striature misurai l’an- golo di estinzione che raggiunge un massimo di 27°. Nelle masse costituite da pirosseno ed antibolo si nota la pre- senza di abbondanti granuli di magnetite ; in quelle formate in- vece esclusivamente da pirosseno si hanno ancora granuli di ma- gnetite, ma più abbondanti sono altri di cromite, i quali sono quasi sempre circondati da un’aureola di color verde smeraldo intenso. Sovente nella massa del pirosseno si osservano minute fes- sure che furono riempite da rigenerazioni di pirosseno perfet- tamente incoloro. Iu alcuni punti la rigenerazione si fece così regolarmente che le linee di sfaldatura si continuano esattamente nei due minerali di prima e di seconda tormazione, per cui ad 662 A. ROCCATI un esame superficiale si potrebbe ritenere trattarsi non di rige- nerazione ma di un fenomeno di semplice decolorazione del pi- rosseno primario. Seguendo però le fessure, resistenza di due varietà di pirosseno è resa manifesta sia dalla mancanza in alcuni punti di linee di sfaldatura nella varietà incolora, sia dalla mancante concordanza in altri punti fra le striature delle due varietà. In un masso costituito da antibolo unito al pirosseno notai una formazione analoga, soltanto in questo caso ove la fessura interessava il pirosseno si rigenerò del pirosseno incoloro, del- l’anfibolo pure incoloro invece dove esisteva l’orneblenda. L’analisi del pirosseno mi diede i seguenti risultati: Rapporti molecolari Si 02 . . . 52,77 . .... 0,8795 0,8795 A12 03 . . . . 4,75 . . . . . 0,0465 j Fe2 03 . . . . tr. • • • • ” i 0,0519 Cr2 03 . . . . 0,84 . .... 0,0054 ' FeO . . . . 10,97 . 0,1525 ; Ca 0 . . . 13,12 . .... 0,2343 j Mg 0 . . . . 14,52 . .... 0,3630 [ 0,8113 Na20 . 00 co r— ( .... 0,0271 \ El. voi. . . . 0,62 . 99,27 .... 0,0344 | Dai valori sopra indicati, escludendo i sesquiossidi, si ricava che i protossidi (compresi gli elementi volatili rappresentati essen- zialmente da acqua) stanno alla silice come 1 : 1,1 cioè sono in quantità approssimativamente equivalenti. Questo rapporto porta ad una forinola abbastanza comune nei pi rosse ni e che si può rappresentare nel modo seguente : m li Si 03 -+- n li., 0:ì dove R 0 — Fe 0, Ca 0, Mg 0, Na2 0, H., 0 R2 0, = Al., 0„ Cr2 03. OMFACITE CROMIFERA E PIRALLOLITE FERRIFERA 663 Per quanto si riferisce al sesquiossido di cromo io supposi dapprima che derivasse dalle inclusioni di cromite che, come ho detto sopra, esistono frammezzo al pirosseno; però mi con- vinsi in seguito che esso sia da considerarsi come un vero com- ponente del minerale per il fatto che avendo impiegato nelle analisi materiale scelto con ogni cura, nei vari saggi ritrovai sempre la stessa quantità del sesquiossido, come anche per la costanza della colorazione uniforme verde smeraldo del pirosseno. Confrontando la composizione chimica del pirosseno del Lago Brocan con altri analoghi le cui analisi sono riportate dal Dana (‘) si osserva che essa è molto simile a quella dell’omfaeite del- l’isola di Syra, analizzata da Luedecke, e che presenta i valori seguenti : Si 02 . . . . . 52,53 AL Ò, . . . . . 4,(30 Fe 0 . . . . . 11,80 Mg 0 .... . 10,10 Ca 0 . . . . . 12,80 El. voi. . . . . 1,69 Le differenze consistono infatti, tralasciando la presenza del cromo nel pirosseno da me analizzato, nelle quantità un po’ mag- giori di magnesia e di elementi volatili nell’omfacite dell’isola di Syra, quantità compensate però nel minerale del lago Brocan da una certa proporzione di soda. Credo quindi di potere identificare il pirosseno in esame come una omfacite cromi fora, non potendo esser tale determi- nazione per nulla ostacolata dalla presenza della soda, perchè come si può osservare nelle parecchie analisi di omfacite ripor- tate dal Dana (loc. cit.), tolta quella dell’isola di Syra, tutte le altre contengono quantità di soda elle si avvicinano a quella da me trovata. Questo mio modo poi di considerare il pirosseno del lago Brocan concorda con la definizione data da Lacroix (2) per le O System of Mineralogy ., 1893, p. 357. (2) Mineralogie de la France et de ses Colonies, Paris, 1895, t. I. pag. 569. 43 664 A. ROCCATI omfaoiti, die sarebbero pirosseni granulari di color verde, abba- stanza ricchi in allumina e contenenti piccola quantità di alcali, formando un termine di passaggio fra la diopside e l’augite. lì. Come ho detto in principio di questa nota la omfacite del lago Brocan presenta una interessante trasformazione in talco. Tale talco ha struttura fibrosa con fibre che hanno una certa flessibilità e si possono molto facilmente separare; ha color verde chiaro, bianco quando è ridotto in polvere. La trasformazione del pirosseno in talco si può agevolmente seguire nei suoi diversi stadi, poiché insieme a masse di talco che ne accompagnano altre di pirosseno inalterato, altre se ne osservano con un nucleo di omfacite tutto circondato dalle fibre di talco che assumono struttura grossolanamente fibro-raggiata; altrove si osserva una stratificazione abbastanza regolare, dove frammezzo a strati di 2 a 3 centimetri di talco fibroso se ne hanno dei sottilissimi di pirosseno. Questa struttura stratificata è la più comune nel talco e la si osserva quasi sempre nelle masse in cui il pirosseno è del tutto talcificato, come pure in altre ove insieme al talco esiste del serpentino. Le stratifica- zioni di talco sono per lo più superficialmente di color giallo sporco o nero per fenomeno di limonitizzazione. Il passaggio del pirosseno al talco che si può osservare macroscopicamente, risulta ancor più evidente quando si ricorra al microscopio. Si vede allora come il pirosseno si fa grada- tamente fibroso, avendosi plaghe miste di fibre delibino e del- l’altro minerale, per arrivare a poco a poco ad una massa tutta di fibre di talco che alla luce polarizzata danno colori d'inter- ferenza iridescenti e polarizzazione d’aggregato. Non raro poi è il caso di cristalli di omfacite che pure con- servando l’aspetto esterno loro proprio, si rivelano all’interno tutti trasformati in talco fibroso; notevole è pòi il fatto che frammezzo alle fibre di talco si trova abbondante magnetite in minuti granuli. OMFACITE CROMIFERA E PIRALLOLITE FERRIFERA 665 Noto infine che laddove incomincia la talcificazione il piros- seno si sbiadisce, ed il bel color verde smeraldo del minerale sano si fa sempre più chiaro fino a diventare bianco con leg- gera tinta verde; anche la lucentezza diminuisce. Per l’analisi del talco presi del minerale in massi in cui la trasformazione del pirosseno è completa ; coll’aiuto della lente e della calamita cercai con ogni cura di separare i granuli di magnetite, ed anzi per esser sicuro dell’eliminazione totale di questo minerale trattai la polvere del talco da analizzare con acido cloridrico a caldo. L’analisi quantitativa mi diede i seguenti risultati : « Rapporti molecolari Si 02 . . . . 57,12 . . . . . 0.9520 0,9520 FeO . . ,. . 10,70 . . . . . 0,1486 \ CaO . co CO oi . . . 0,0478 f Mg 0 . . . . 25,01 . . . . . 0,6252 } 1,0642 El. voi. . . . 4,57 . . . . . 0,2426 1 100,08 Oltre ai componenti sopra indicati, l’analisi mi indicò pure la presenza di piccole traccie di sesquiossido di cromo e di al- lumina. Il rapporto molecolare fra silice e protossidi porta alla forinola E Si 03 dove E = Fe, Ca, Mg, Hg. Tale formola è appunto quella caratteristica del talco, che si può considerare come un metasilicato acido. Ora il carattere principale del talco da me analizzato sa- rebbe quello di essere molto ricco in ferro, il che certamente dipende dall’essere esso un prodotto di alterazione di un piros- seno contenente abbondantemente questo elemento. Quantunque non si abbia fra le numerose analisi di talco riportate dal Dana (*) alcun tipo che si avvicini a quello del lago Brocan, (i) System of Mineralogy, 1875, pag. 221 ; 1893, pag. 679. 666 A. ROCCATI tuttavia io credo clic si possa considerare come una varietà fer- rifera di pirallolite. Infatti se si considerano le analisi di questa varietà di talco, che è un prodotto di alterazione dei pirosseui e di cui riporto sotto i valori di quelle delle varietà che per ricchezza in silice più si avvicinano al minerale da me analizzato, si osserva in esso una notevole variabilità di composizione per ciò che ri- guarda la magnesia, la calce e l’acqua. Ora queste differenze di composizione se per un lato possono dipendere da un diffe- rente stadio di alterazione del pirosseno, come sarebbe ad esem- pio per ciò che si riferisce all’acqua, per altro lato devono pro- babilmente dipendere da differenze di composizione nei pirosseni da cui provengono. Ora siccome nel caso mio si tratta di pirosseno ricco in ferro, mi pare perfettamente logico che sia pure ricco in ferro il pro- dotto di alterazione. Le analisi seguenti rappresentano la composizione di cinque varietà di pirallolite della Finlandia analizzate da Nordenskiòld, Selin e Arppe (Dana, loc. cit.) ; la sesta è la mia, ripetuta per il necessario confronto: Si 02 Al, 03 FeO Mg 0 Ca 0 H20 1. 56,62 3,38 0,89 23,38 5,58 3,58 2. 58,87 1,79 0,57 18,39 11,72 8,78 3. 55,17 1,13 1,45 26,85 6,33 9,15 4. 55,92 1 j 00 1,86 26,12 6,34 7,56 5. 57,49 1,11 1,26 30,05 2,90 7,30 6. 57,12 — 10,70 25,01 2,68 4,57 Osservando i valori sopra riportati è facile vedere come va- riino in ragione inversa la calce e la magnesia; nel caso mio si avrebbe una stessa relazione ma fra ferro e magnesia. Quindi mi pare giustificato il ritenere il minerale del lago Brocan come una varietà ferrifera di pirallolite. Torino, luglio 1005. [ms. pres. il 20 agosto 1905 - nlt. bozze 29 dicembre 1905]. RICERCHE SULLA FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI DELL’ITALIA CENTRALE E MERIDIONALE Nota del socio P. L. Prever Dal prof. I. Chelussi, a mezzo del chino prof. Parona, ot- tenni, alcuni anni sono, un eccellente materiale di studio pro- veniente dall’Eocene e dall’Oligocene appenninico e consistente in calcari di vario aspetto ricchi in Foraminiferi , tra cui inte- ressanti assai le Numnuliti e le Orlitoidi ('). Altri lavori mi fecero trascurare, finora, questo materiale, ed altro esistente fin dal 1898 in questo Museo, raccolto a Mormanno dall’Inge- gnere Crema, pur così interessante, anche perchè proveniente da regioni sulle quali pochissimo si conosce riguardo alla fauna nummulitiea. Ma recentemente avendo ricevuto un’altra impor- tante serie (2) di rocce a JSimmiditidi dal Sig. Cassetti, dal Prof. Sacco, dal Dr. Cerio, dal Prof. De Lorenzo, ai quali m’è gratissima cosa porgere i miei vivissimi ringraziamenti, mi de- cisi a completare lo studio ed a pubblicarne i risultati. Le rocce nummulitiche sono di vario aspetto; ricorderò il calcare bianco, non molto compatto, marnoso di Sulmona, che ricorda alquanto alcuni tipi dal calcare dell’Eocene medio del (!) Vedi elenchi in Chelussi I., Alcuni cenni sul pliocene dei din- torni di Lacedonia, Atti Soc. 1 tal. Se. Nat., voi. XL, Milano, 1901. — Id., Alcune osservazioni sulla memoria del Dr. Schnarremberger « Ueber die Kreideformation cler Monte d'Ocre-Kette in (leu aquilaner Abruzzen », ibid. — Id., Sulla geologia della conca aquilana, ibid., voi. XII, Mi- lano, 1903. (2) Prever P. L., Sulla fauna nummulitiea della scaglia nell’ Ap- pennino centrale, Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, voi. XL, 1901. 668 P. L. PREVER Vicentino; quello rosato, semicristallino, compatto di Genzano; il calcare semicristallino, compatto, leggermente paglierino di Lacedonia; il così detto grandetto (vedi in Trabucco (*)) dei monti di Cortona; il calcare compatto, marnoso brunastro del Flyscli dei dintorni di Lagonegro; e quello compatto, cristallino, cinerino di Mormanno (Cosenza). Il primo, che è anche molto antico, è ricchissimo in Num- muliti, contiene scarsissime Ortofragmine e la sua fauna ri- corda moltissimo quella di certi calcari eocenici dei dintorni di Potenza. Le forme di Nummuldi sono facilmente confondibili, pel colore loro, colla roccia che li contiene, e sono facilmente isolabili. Però sono discretamente fragili, ed hanno una spiccata tendenza ad aprirsi nel senso del piano equatoriale della con- chiglia, come avviene così di frequente per le Nummuldi egi- ziane. Il calcare rosato di Genzano è molto fossilifero, contiene rare Nummuldi e per contro numerosissime Orbdoidi , le quali si presentano come piccole lenti di calcite, assai visibili sulla tinta rosso ocracea della roccia. Il calcare paglierino di Lace- donia è ricco assai in Nummuldi e contiene altresi Orbdoidi in discreta abbondanza. Nel così detto grandetto di Val di Purle (Cortona) sono visibili numerosissime Nummuldi e delle Alveo- line ; nel calcare di Lagonegro sono abbondantissime le Lepi- docicline e sono assenti le Nummuldi ; e in quello di Mormanno sono abbondanti le Nummuldi e le Ortofragmine. Nel primo elenco, che io inviai al prof. Chelussi, davo come presenti le seguenti forme: Nei calcari della masseria Pasciuti (dintorni di Lacedonia): Bruguierea Fiditeli Mieli. » intermedia d’Arch. Paronaea Tdiikatdieffi d’Arch. » vasca Joly et Leym. » Bouchcri de la Harpe » striata d’Orb. Gambetta Oosteri (?) de la Harpe. (l) Trabucco G., Sulla posizione ed età del macigno dei Monti di Cortona, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XX, Roma, 1901. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 669 Nei calcari della masseria Pio in regione Macchialupo (din- torni di Lacedonia) : Paronaeci wemmelensis de la Harpe et Van den Broeck » Boucheri de la Harpe Bruguierea intermedia d’Arch. Orthophrag. papyracea Giimb. » Fortisii Giimb. » Giimb eli Seg. Nei calcari di Genzano presso Sassa: Orthophr. nummulitica Giimb. » multiplicata Giimb. » stella Giimb. » dilatata Mieli. Paronaea Boucheri de la Harpe. Osservavo che la Brug. Ficht-eli Mieli, si trova a Lacedo- nia abbondantissima tanto in sezioni trasversali che longitudi- nali, e, oltre alla forma tipo, esisteva la varietà rigonfia di Garans (ex Brug. garansensis d’Arch.) e pure la forma appiat- tita; ed oltre al tipo della Brug. intermedia d’Arch. si osserva- vano individui giovani e qualche varietà. Notavo l’abbondanza della Par. vasca, Joly et Leym. la relativa scarsezza di Par. Boucheri de la Harpe, e di Par. Tchihatcheffi d’Arch. Richia- mavo l’attenzione su due o tre sezioni di una forma di Num- mulite la cui determinazione specifica si presentava per me molto ardua, e che inclinavo a ritenerle rappresentanti della Par. striata d’Orb., quantunque ciò facendo mi mettessi in aperto contrasto, nella conclusione che ne tiravo, con tutte le leggi di successione e ripartizione delle forme nummulitiche attraverso i diversi orizzonti del nummulitico. Aggiungevo poi che la presenza della Par. striata d’Orb. e della Par. Tchiliat- cheffi d’Arch. non spostava le deduzioni stratigrafiche che si potevano fare in seguito ad avere accertata la presenza delle altre forme sopra accennate, le quali mi portavano a ritenere oligocenici i calcari che le contenevano. 670 P. L. PREVER Tali determinazioni, fatte da me quando era alle prime armi colle Nummuliti, hanno bisogno di essere rivedute e rettificate, perchè nel giro di cinque anni, dacché tali elenchi furono stesi, un notevole progresso si è fatto tanto nello studio delle Num- muliti che in quello delle Orbitoidi. Nel secondo elenco davo presenti le seguenti forme: « Calcari di cava De Clemente, fuori porta Napoli (Sulmona): Paronaeci discorbina d' Are li. » subdiscorbina de la Harpe G umbella Chelussii n. f. e parecchie altre forme del genere Gimbelia unitamente a: Assilina spira d’Arcli. » subspira de la Harpe e parecchie forme di Laharpeie ; Calcari del vallone di S. Nicola in faccia ad Arischia, e marmo di S. Nicola: Orthoplir. nummulitica Giimb. » subnummulitica n. f. Calcari di Genzano (colle Roale, colle Minici, ecc.): Lepid. Mantelli Mort. » sub Mantelli n. f. » cfr. sumatrensis Brady » subsumatrensis n. f. » angularis Newt. e Holl. » Chelussii n. f. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 671 * * * Pel calcare eocenico dei dintorni di Sulmona, a poco più di un chilometro fuori porta Napoli, menzionato pel primo dal Fa- sciani (*), Chelussi indicò le seguenti forme: Assilina mamillata d’Arch. Nummulites lucasana Defr. » sub plana d’Arch. » garganica Teli. » variolaria (?) Sow. Chelussi, scrivendo dei terreni terziari della Conca aquilana, fa osservare che ivi l’Eocene non è largamente rappresentato, e nemmeno tanto caratteristico, e non affiorerebbe che nelle parti più profonde del Vallone di S. Nicola rimpetto ad Arischia e nel marmo brecciato di S. Nicola. Nei dintorni di Sulmona invece l’Eocene, ben rappresentato e molto esteso, è costituito da un calcare biancastro, marnoso, ricchissimo in Nummuliti. Esso affiora poi ancora, sotto forma di calcari compatti, marnosi, paglierini, ricchi in Nummuliti e Ortobragmine, in provincia di Avellino nei dintorni di Lace- donia. L’Eocene supcriore in questa località, secondo Chelussi, non sarebbe molto esteso, e si troverebbe a mezza costa sui due versanti del Monte Pauroso, ad est del Monte Origlio, costituito da straterelli di calcare alberese bianco, sfaldabile, con traccie di Fucoicli. Avrebbe una potenza di circa 35-40 metri. I calcari bianco-giallastri assai ricchi di Nummuliti ed Ortofragmine che si trovano scendendo da Piano dell’Albero verso sud-est, sarebbero da Chelussi (2) ascritti all’Oligocene, e ciò io credo principalmente per aver io, che determinai le Nummuliti e in- terpretai male alcune forme ed il complesso della fauna, come sojira ho accennato, ritenuta oligocenica la fisionomia di tali Num- (>) Fasciani S., Cenni di alcune roccie fossilifere nei terreni di Sul- mona. Tipografia dell'Opinione, Roma. (2) Chelussi I., Alcuni cenni sul pliocene dei dintorni di Lacedonia, Atti Soc. Ital. Se. Nat., voi. XL, Milano, 1901. 672 P. L. PREVER mulitidi. Al contrario questi calcari vanno riferiti all’Eocene superiore, e con ogni probabilità sono sincroni dei calcari albe- resi eli Monte Pauroso. Essi si trovano, come scrive lo stesso Chelussi, a sud del gomito che forma l’Ofanto, e dal bosco del Serrone, presso la masseria Pasciuti, andando ad ovest sino al bivio della strada Lacedonia-Rocchetta S. Venere, e Lacedonia- Eocchetta S. Antonio. Secondo il Deeke (*) quivi sarebbe pure presente la Creta. Chelussi la esclude in modo assoluto. La maggioranza delle forme oligoceniche citate in questa Nota provengono dalla conca aquilana, dai calcari rosati e brec- ciati di Genzano presso Sassa. Chelussi cosi parla del calcare di Genzano: « Si trova a Genzano, colle Roale, colle Minici, tra Sassa, Lucoli e Tornimparte, sulle pendici ’setttentrionali della catena del Monte d’Ocre, ad ovest del Monte Luco e al di là del colle di Roio. Lungo la strada per Limoli esistono cave ab- bondanti entro cui il marmo si presenta in strati di 30-50 cm. di spessore con le testate volte ad ovest e con leggera inclina- zione ad est; essi appoggiano direttamente sul calcare cretaceo ordinariamente bianco, più raramente roseo, che presenta lungo la strada indicata una piccola anticlinale. » Gli strati del marmo rosso a ciottoletti bianchi di Genzano sono tanto più intensamente colorati quanto più profondi e non di rado sono alternati con strati di un calcare grigio chiaro, molto simile al calcare miocenico a Pecten; superiormente in- vece si hanno strati di marne vermicolari e calcari bianchi mar- nosi, fissili, ricchi di traccie incomplete di Fucoidi rosso-brune. Al colle Minici e al colle Roale i ciottoli bianchi sono molto più grossi e le chiare impronte di Paidiste e di Ippuriti , che conservano, rivelano la loro origine cretacea, mentre il cemento rosso che li racchiude, ricco di Foraminiferi è di origine ter- ziaria. A Cavallari, nelle falde settentrionali di Monte Rua, si hanno presso a poco le medesime condizioni di giacitura, cosi a Porcinaro e a S. Stefano presso Pizzoli ». I campioni di graniteìlo provengono da Val di Parie, nei pressi di Cortona, e presumibilmente riposano sul macigno (fìdes (l) Deeke W., Per M. Vultur. Neues Jahrb. f. Min. Geol. und Pai., Stuttgart, 1891. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 673 Trabucco Q) ) e sono di età luteziana. I calcari marnoso-scuri di Lagonegro sono da De Lorenzo ascritti al Flysch eocenico. De Lorenzo (2) osserva che « le grandi valli e le piccole inse- nature sono in generale colmate, e anche le minori elevazioni sono a volte ricoperte da un terreno di costituzione molto com- plessa, in cui gli scisti argillosi e le argille scagliose predomi- nanti si avvicendano con scisti galestrini, con calcari marnosi, brecciolino calcaree e silicee, arenarie e altre rocce di genesi e di determinazione oscura, che riunite tutte insieme formano quella facies, a cui si dà comunemente il nome di Flysch. Questo ter- reno si depositò indifferentemente su tutti i terreni più antichi da quelli del Trias medio fino ai calcari del cretaceo superiore, tutti ampiamente abrasi e denudati, ma si trova ora di prefe- renza raccolto in fondo alle valli, perchè, essendo non solo il terreno più recente, ma anche il più facilmente denudatale, fu dalla denudazione terziaria quasi completamente lavato ed aspor- tato dalle cime dei monti e dai luoghi più elevati. Oltre le nu- merose Fucoidi e le impronte problematiche, in esso comuni ( CJiondrites intricatus, Ch. Targionii, Helmìntlioidea labyrin- thica, ecc.) si trovano a volte (come p. es. sotto la rupe del Ca- stello di Lagonegro, a sud-est sulla sponda del fiume Serra) delle breccioline nummulitiche e orbitoidiche, in cui esistono le forme seguenti : Nummulites subdiscorbinus De la Harpe » (Inetta rd i d ’ A r e h . » variolarins C. di Sow. » Tchihatcheffi d’Arch. Orbitoides papyracea Boub. » dispansa Sow. Operculina ammonea Le)’m. » subcomplanata Teli. Tali fossili, aggiunge ancora De Lorenzo, ci dimostrano chia- ramente che questo terreno è da ascriversi al Bartoniano, e cor- C) Trabucco G., loc. cit. (2) De Lorenzo G., Guida geologica dei dintorni di Lagonegro in Basilicata , Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XVII, Roma, 1898. 674 P. L. PREVER risponde all’Eocene superiore della Sicilia e al piano di Pria- bona, comprendendo in se il Modenese di Pareto e il Liguriano di Mayer ». A parer mio nella località che ha fornito al valente geologo i su accennati fossili, non deve esistere il Bartoniano, ma il Luteziano superiore. Ad ogni modo la fauna che io ho riscontrato nel campione portante la dicitura : Nummulìti e Orbitoidi nel Flysch, - Eocene superiore - Lagonegro , è total- mente diversa da quella riscontrata da De Lorenzo, il che mi fa ritenere che il terreno ascritto da questo geologo al Flyscli eocenico debba scindersi in due orizzonti, il superiore dei quali spetterebbe all’Oligocene. Io infatti non ho trovato, nel cam- pione esaminato, neppure una Nummulite; al contrario copio- sissime e bellissime Lepidocicline. I calcari di Colle. Trodo vicino a Mormanno, in provincia di Cosenza, sono stati studiati, come tutta la formazione eoce- nica della regione, dal Prof. Di Stefano ('), il quale trovò nei pressi di Mormanno e Laino: Nummulites perforata d’Orb. » lucasana Defr. » Tchihatcheffi d’Arcli. » striata d’Orb. » biarritzensis d’Arcb. e H. Assilina mamillata d’Arcli. » granulosa Leym. Orbitoides sella d’Arch. » aspera Gtimb. » dispansa Sow. In base a questa ' associazione di specie il Prof. Di Stefano conchiude, che i terreni in cui essa si mostra ( Flysch ) non pos- sono essere riferiti nè al Luteziano, nè all’Oligocene, e perciò rappresentano il Bartoniano. Ma i campioni da me esaminati 0) Di Stefano G., Osservazioni (jeologichc nella Calabria settentrio- nale e nel Circondario di Rossano, Memorie descritt. della Carta Geol. d’Italia, appendice al voi. IX, Roma, 1004. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 675 mi hanno poi fornito una fauna un po’ diversa da quella sopra accennata, e che avrebbe una spiccata fisionomia luteziana (Ini- ziano medio). Dò qui ora per ciascuna località l’elenco delle forme che io vi rinvenni. Monte Bua, Versante sud, tra la Forcella e S. Antonio. Lepidocyclina elephantina Mun.-Ch. Lepidocyclina Morgani Lem. et Douv. Heterostegina f. Monte Bua. Orthophragmina Fratti Mich. Orthophragmina aprutina Prev. » nummulitica Giimb. » Chelussii Prev. » raclians d’Arch. » samnitica Prev. Formaliscia. Paronaea vasca Joly et Leym. Paronaea Tournoueri De la Harpe » Bouillei De la Harpe » bericensis De la Harpe Monte Luco. Paronaea vasca Joly et Leym. Paronaea Bouillei De la Harpe Cocullo, presso Ave zzano. Paronaea vasca Joly et Leym. Paronaea budensis Hantk. » Tournoueri De la Harpe » subbudensis Prev. Porcinaro, presso Bizzoli. Laharpeia gassinensis Prev. Lepidocyclina elephantina • Mun-Cli. Paronaea vasca Joly et Leym. » Boucheri De la Harpe » Bouillei De la Harpe » Tournoueri De la Harpe » budensis Hantk. » Canellei Lem. et Douv. Bupertia incrassata Carpenteria f. Cristéllaria f. Lepidocyclina Schlumbergeri Lem. et Douv. 676 P. L. PREVER Monte Pettino. Paronaea Boucheri De la Harpe Baronata Tournoueri De la Harpe » Bouillei De la Harpe S. Vittorino , presso Amiterno. Paronaea vasca Joly et Leym. Paronaea Bouillei De la Harpe » Boucheri De la Harpe » Tournoueri De la Harpe Bocca di Cambio. Paronaea vasca Joly et Leym. Operculina ammonea Leym. » Boucheri De la Harpe Begione S. Stefano. Lepidocyclina Verbeki Newt. et Lepidocyclina Morgani Lem. et Holl. Douv. » elepliantina Mun.-Ch. » cf. Morgani Lem. » Lemoinei n. f. et Douv. Monti di Bagno. Alveolina cf. ovolutn Stacke Monti di Bagno , Fossa Agnese. Lepidocyclina Tournoueri Lem. et Biloculina sp. Douv. Pentellina strigillata d’Orb. » sumatrensis Brady Idalina sp. (’) » dilatata Mich. Preturo , Aquila. Lepidocyclina elephantina Mun.-Ch. Lepidocyclina Lottii Silv. » Douvillei n. f. » Baulini Lem. et » Verbecki Newt. et Douv. Holl. (1)I1 genere I dal ina, contrariamente a quanto afferma Silvestri (vedi in Riv. Ital. di Paleont. voi. XI. fase. Ili, la recensione al lavoro: Sulla fauna nummulitica della scaglia dell’ Appennino centrale. Prever P. L.), si trova anche in terreni eocenici (Vedi in Bull. Soc. Géol. de Franco, voi. V, serie 4A, Schlumberger: Deuxième note sur Ics Miliolidées tréma- tophorées). FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 677 Gemano. Paronaea vasca Joly et Leym. » Boucheri De la Harpe » Bouillei De la Harpe » Tournoueri De la Harpe .» bericensis De la Harpe » budensis Hautk. » subbudensis Prev. Lepidocyclina sumatrensis Brady » Verbeeki Newt. et Holl. » Tournoueri Lem. et Douv. Lepidocyclina dilatata Mich. » anqularis Newt. et Holl. » elephantina Mun.-Ch. » Candid Lem. et Douv. » Paulini Lem. et Douv. » Mantelli Mort. Operculina complanata Defr. » cfr. lybica Schwag. » pyramidum Schwag. Valle di S. Nicola , presso AriscJiia. Paronaea Pantondi d’Arch. Orthoplir. Archiaci Schiumi). Orthophragmina nummulitica Giimt). Vert Paronaea vasca Joly et Leym. Catena Laharpeia gassinensis Prev. Paronaea vasca Joly et Leym. Dintorni di Sulmona fuori Bruguierea subrara n. f. » subdepressa n. f. » sub- Virgilioi Prev. Laharpeia Lamarcki d’Arch. » Defrancei d’Arch. » sub- Defrancei Prev. » basilisca Prev. Gumbelia parva Prev. Paronaea latispira Mngh. » contorta Desìi. » sub- Tellinii Prev. » eocenica Prev. d’Aquila. Paronaea budensis Hautk. di Monticchio. Paronaea Bouillei De la Harpe » Tournoueri De la Harpe porta Napoli ( Cava De Clemente). Paronaea eocenica vai', aquilana Prev. » deserti De la Harpe » sub-Bamondi De la Harpe » Beaumonti d’Arch. » sub Beaumonti De la Harpe » discorbina d’Arch. » » var. Forna- sinii Prev. » subdiscorbina De la Harpe » » var. sub-For- nasinii Prev. 678 P. L. PREVER Paronaea Heeri De la Harpe » distans Desh. » sub- Air aghi Prev. » Chelussi n. f. Assilina exponens Sow. AssiUna immillata d’Arch. » spira De Roissy » subspira De la Harpe Orthophragmina Fratti Mieli. Fig. 1-2. Paronaea Chelussii n. f. ; lì". 3-4, Par. sub-eoccnira Prey. : fig- 5. G umbella sub-parva Prev. ; fig. 6. fìruguierca sub-depressa Prev. ; fig. 7. fìnta, sub-rara Prev. Ponte 10 Paline (Lacedonia). Laharpeia gassinensis Prev. Vallone dei Pitrulli (Lacedonia). Paronaea vasca Joly et Leyra. Lepidocyclina elefantina Mun.-Ch. » Doucheri De la Harpe » . Lemonei n. f. » budensis Hantk. Operculina complanata Defr. Lepidocyclina Schlumbergeri Lem. Alveolina f. et Douv. Masseria Pasciuti ( Lacedonia ). Nummulites f. Laharpeia gassinensis Prev. Gumbelia parva Prev. » Ni colisi Prev. Paronaea Tchihatcheffì d’Arch. » latispira Mngh. » Orsinii Mngh. contorta Desh. Paronaea striata d'Orb. » vasca Joly et Leym. » Boucheri De la Harpe » venosa Ficht. et Moli. » Eamondi d’Arch. » complanata ? Lmk. Paronaea Airaghii Prev. Orthophragmina .Fratti Mieli. >■> FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 679 Orthophragmina sella d’Arch. Alveolina f. » discus Rut. Superila incrassata » patellaris Schloth. Pulvinulina rotula Kaufm. » stella Giimb. » f. » Tarantella Mun -Ch .Carpenteria f. Alveolina ellipsoidalis Schwag. Cristellaria f. Cave a nord di Lacedonia. Paronaea vasca Joly et Leym. Orthophragmina Ghudeaui Schlumb. » Bouillei De la Harpe Superila incrassata Orthophragmina discus Rut. Pulvinulina rotula Kaufm. Colle Frodo, Mormanno (Cosenza). Gumbelia Paronai Prev. Orthophragmina Pratti Mich. » sub-Paronai Prev. » sella d’Arch. » s'pissa Defr » discus Rut. » Sismondai d’Arch. » nummulitica Giimb. » Soualti d’Arch. » Marthae Schlumb. Paronaea Tellinii Prev. >•> radians d’Arch. » Beaumonti d’Arch. » dispansa Sow. Assilina f. Gycloclypeus f. Dintorni di Lagonegro. Lepidocyclina sumatrensis Bracly » cfr. sumatrensis B rady » Verbecki Newt. et Holl. » Tournoueri Lem. et Douv. » angularis Newt. et Douv. Lepidocyclina elepliantina Mun.-Cli. » Ganellei Lem. et Douv. » Baulini Lem. et Douv. « Morgani Lem. et Douv. » cfr. Morgani Lem. et Douv. Operculina complanata Defr. Pulvinulina f. Val di Furie. Cortona. Bruguierea siCb-Capederi Prev. » sub-Ficheuri Prev. » sub-Virgilioi Prev. Laharpeia Benoisti Prev. » sub-Benoisti Prev. Gumbelia parva Prev. Paronaea densispira Teli. » crispa Ficht et Moli. » eocenica Prev. » sub-eocenica Prev. Paronaea Airaghii Prev. Assilina spira De Roissy » subspira De la Harpe Orthophragmina Pratti Mieli. » Marthae Schlumb. » dis pausa Sow. Alveolina lepidula Schwag. » cfr. ovolutn Stacke » ellÌ2isoidalis Schwag. 44 C80 P. L. PREVER Dallo studio delle forme di Nummuliti , Orbito idi, Alveoline e di qualche altro Foraminifero, ho potuto ricavare gli elenchi sopra accennati e compilarne uno generale di tutte le forme rappresentate in queste località, il quale comprende oltre un centinaio di forme, delle quali le preponderanti sono le Num- ' mulites. E pure assai notevole il numero delle Lepidocicline e delle Ortofragmine, parecchie delle quali, specialmente fra le Lepidocicline, sono nuove pel terziario italico. Nella conca sulmontina le Nummuliti vi sono largamente rappresentate, e, dalla presenza di forme appartenenti alle Giim- belie alle Laharpeie , alle Bruguieree e alle Assiline, con faci- lità si può fissare l’età luteziana dei calcari che le contengono. La presenza di un discreto numero di individui e di forme di Assiline potrebbe indurre a ritenere trattarsi di Luteziano su- periore, ma insorge contro questo riferimento la presenza di altre forme più vecchie, quali le Bruguierea sub Virgilioi, subdepressa, subrara, le Laharpeia Lamarckii e basilisco. D’altronde noi sappiamo che le Assilina cominciano ad apparire un bel po’ avanti del Luteziano superiore, e osserverò inoltre in questo caso singolo, che qui gli individui riferibili ad Assilina non raggiungono quello sviluppo notevole che le medesime forme raggiungono sempre nell’orizzonte che caratterizzano. L’assenza completa di Giimbelia lenticolaris-spissa (—perforata-lucasana), e delle numerose altre Gumbelie, che le accompagnano abitualmente nel Luteziano medio, fanno pure eliminare la supposizione trattarsi di cotesto piano, e per contro, la presenza delle forme citate sopra fanno ritenere con abbastanza sicurezza trattarsi di Luteziano inferiore. È assente la Laharp. tubercolata, ma questa mancanza non può infirmare il mio asserto, poiché: 1° abbiamo la sua omologa largamente rappresentata; 2° Sappiamo che generalmente di una data coppia se una forma è in grande abbondanza, l’altra vi è per lo più scarsissima; 3° abbiamo poi qui la presenza di un buon numero di Bruguieree, di Laharpeie e Gumbelie che altrove, per es., a Potenza, caratterizzano per l’appunto il Luteziano infe- riore. Le Ortofragmine qui non sono rappresentate, ma con ciò non si deve arguire che manchino affatto nella località. Noi sappiamo che nel Luteziano, specie nell’ inferiore, esse sono FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 681 scarsamente rappresentate. Il non averne trovate si spiega forse pensando agli scarsi campioni di roccia a mia disposizione. Nella conca aquilana è rappresentato l’Eocene e l’Oligocene, e più precisamente nel Vallone di S. Nicola d’ Arischia e a Monte Rua in parte, affiora l’Eocene, nelle altre località tro- vai forme rappresentanti nel loro complesso l’Oligocene. Delle due località eoceniche io non avevo a mia disposizione che poche sezioni sottili, e ciò spiega in parte l’esiguità della fauna che ho rinvenuta. Questa scarsità però non m’impedì di poter con abbastanza sicurezza affermare trattarsi di giacimenti appartenenti al Luteziano. Ma la scarsità delle sezioni sottili per le altre località non mi ha impedito di rilevare per la se- conda volta la presenza di Ortofragmine nell’Oligocene. Altrove, come alla salita del Monte Berico (Vicenza), le Ortofragmine sono presenti nell’Oligocene assieme alle Nummuliti, caratteri- stiche di questo terreno; pure s’è visto, come, per es., a Manerba, piccole forme di Lepidociclinc associate colle Nummuliti oli- goceniche, due fatti ritenuti sino a poco tempo fa come impos- sibili a verificarsi. In questa località, quantunque il caso si riduca ad essere analogo al primo citato, non ha minor impor- tanza. Qui le Ortofragmine sono presenti nell’Oligocene, asso- ciate sempre a delle Nummuliti. Mi parve altresì osservare in una bella sezione sottile proveniente dal versante Sud del Monte Rua, tra la Forcella e S. Antonio, nella quale, e in modo chia- rissimo, si scorgono sezioni trasversali di Lep. elephantina Mun. Ch. e Lep. Morgani Lem. et Douv., con frammenti di sezioni equatoriali delle medesime, dei frammenti di sezioni equatoriali di Ortofragmine mostranti le caratteristiche camere perfetta- mente rettangolari. Siccome però la cosa assumerebbe grande importanza la riferisco colle più ampie riserve, aspettando che ulteriori ricerche riconfermino o neghino la cosa. In quasi tutte le località della conca aquilana si trovano mescolate le Num- muliti oligoceniche colle Lepidocicline , numerosissime a Genzano. Tali località vanno ascritte al Sannoisiano e al Rupelliano Q). (') II dott. Checchia Rispoli in una nota preventiva (Riv. Ital. di Paleont., anno XI, 1905), parlando di Orbitoidi, afferma, in risposta ad una mia recensione (Id., anno X, 1904) ad un suo lavoro (I foraminiferi eocenici del M. Judica, ecc. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, Roma, 1905) 682 P. L. PREVER Nei dintorni di Lacedonia una sola località, Vallone dei Pitrulli, starebbe ad indicare la presenza di formazioni oligo- ceniche, analoghe a quelle della conca aquilana; le altre loca- lità, già erroneamente assegnate all’Oligocene, debbono essere che le Lepidocyclina sono presenti nell’Eocene, e che gli individui attri- buiti, nel suo lavoro sopra citato, da lui alla Lepidocyclina aspera ap- partengono veramente a cotesto genere e non al genere Orthophragmina, come io nella recensione avevo sostenuto; e non sono perciò forme di passaggio fra questi due generi. Quanto al primo punto osservo che se il dott. Checchia avesse interamente letto il mio lavoro: Osservazioni sulla sottofamiglia delle Orbitoidinae (Riv. Ital. di Paleont., anno X, 1904) che egli cita parecchie volte, avrebbe trovato scritto a pag. 17: «... non è neppure impossibile che anche nell' Eocene qualche rarissimo esemplare di esse (Ijepidocyclina) si trovi, e che un giorno qualche studioso più for- tunato o forse più paziente le trovi ». Sono perciò ben lieto che quanto io scrivevo fosse nel vero, come me lo facevano supporre i miei studi sull’argomento, e che questa for- tuna sia toccata al dott. Checchia. Riguardo al secondo punto, in attesa di osservare le figure delle Lepidocicline ora rinvenute dall’egregio dottore, riconfermo quanto dissi, cioè che le figure 10 e 11 della tavola che accompagna il lavoro del dott. Checchia sui Foraminiferi eocenici di M. Judica rappresentano forme appartenenti alle Ortofragmine e non alle Lepidocicline. Basta osservare come si comportano le pareti delle camere, per chi conosca la diver- sità di conformazione dalle pareti delle camere delle Ortofragmine in confronto di quelle delle Lepidocicline ; e poi camere cosifatte si osser- vano verso il centro su un grande numero di forme di Ortofragmine. Qui si estendono, ma dappertutto sono ben diverse da quelle delle Le- pidocicline, ed io insisto nel ripetere che la forma del Checchia, sia o no la Orili, aspera, rappresenta una forma intermedia fra le Ortofragmine e le Lepidocicline, e appartiene, ripeto, al primo genere. Checchia sci-ive ancora: «Riguardo poi alla presenza delle Orto- fragmine nell’Oligocene, sebbene io non avessi constatato direttamente con osservazioni mie proprie questo fatto (preziosa confessione in bocca a persona che affermi recisamente una cosa molto dubbia, e che non ha mai verificata!) pure è facile poter rilevare da molte (?) pubblicazioni che le Ortofragmine risalgono sino nel più alto Oligocene. Il Prever mentre dice che esse si trovano anche nel Tongriano, a pag. 119 della sua Nota, non fa risultare che esse risalgono nell’Oligocene. Mi pare invece il contrario, se si legge bene il mio lavoro. Io ho scritto c riconfermo che possono le Ortofragmine trovarsi an- cora nell’Oligocene, e ci tengo ad adoprare la parola possono, attesoché se in talune località le ho riscontrate in terreni oligocenici, in altre nume- rosissimo (il 90 %) non le ho assolutamente vedute (così in nessuna lo- FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 683 riferite all’Eocene, e, dall’esame delle Nwnmuliti, al Bartoniano medio. Difatti, oltre a qualche Orto fragniina. del gruppo delle stellate, abbondanti specialmente nel Bartoniano, si hanno le Paronaea contorta- striata , caratteristiche precisamente del Bar- calità del Piemonte, e in nessuna delle numerose della Liguria), e per di più Douvillé e Schlumberger mai le hanno vedute nei terreni oligo- cenici). Il dott. Checchia altrove aggiunge ancora: « Con questi nuovi fatti si può affermare che le Orbitoidi a conca mer azioni equatoriali simili per forma e per disposizione alle squame dei pesci cicloidi, si chiamino Or- bitoides (s. st.) o Lepidocyclina, compariscono nella Creta, si trovano nel- l’Eocene, nell’ Oligocene e nel Miocene sino a tutto VElveziano (sic) non sino al Langhiano (come afferma Prever). Posseggo alcuni esemplari di una Lepidocyclina, probabilmente della Lep. marginata Mich. con l’in- dicazione « Villa All asan, Elveziano » ivi raccolte dal sig. Forma e a me dati dalVIng. Crema ». Questo quanto scrive il dott. Checchia in contradditorio a me. Dal canto mio permetta l’egregio dottore a me, della regione da cui pro- vengono le sue forme di Lepidocicline, e che ho sottomano tutte le Le- pidocicline e le Miogipsine raccolte dal nostro bravo e accurato Forma e qualcuna pure da me, e che conosco per aver dietro consiglio del prof. Paroiia e sotto la guida del predetto Forma visitate ripetutamente le località di provenienza di tutte queste forme, che sono molte, ma molte più che Checchia non possa supporre, di dirgli che le cose stanno molto diversamente. A Villa Allason, come osserva il sig. Forma stesso, su un migliaio di individui di Miogipsine si possono trovare uno, al massimo due indi- vidui appartenenti al genere Lepidocyclina , e noi qui ne possediamo pochi esemplari. Quelli che permisero al Checchia di far le numerose sezioni, che egli dice di aver fatto, provengono da Villa Bassa d’Har- court, località che secondo la carta del prof. Sacco sarebbe aquitaniana. Strati graficamente fra questa località e quella di Villa Allason sono interposte potenti pile di strati ; e quasi a metà di questi stanno le marne dure, alternate a sottili strati calcarei, che costituiscono il Lan- ghiano della carta del prof. Sacco. Villa Allason, posta in alto della serie, negli strati più recenti, é dal prof. Sacco effettivamente collocata nell’Elveziano. I terreni sabbioso-conglomeratici a Villa Bassa d’Har- court contengono, oltre ad altri pochi fossili, ch’io non cito per ora, grandissima quantità di Lepidocicline di medie e piccole dimensioni e rarissime Miogipsine diverse da quelle comunemente conosciute. Dopo vengono terreni a strati costituiti da marne o sabbie o conglomerati ad elementi più sciolti, nei quali abbiamo pure delle Miogipsine ac- compagnate da meno abbondanti Lepidocicline (dintorni di \ illa Para- diso, fra la vailetta di S. Martino e il vallone di Beaglie). Subito 684 P. L. PREVER toniano medio, accompagnate poi ancora dalle Par. Pantondi, Par. venosa , Giimb. Nicolisi, che già a Monte Baldo trovai neirEocene superiore ad accompagnare forme di Ortofragmine stellate. Qui pure è presente una forma di Laharpeia, la Laharp. sopra si vedono le marne dure, che costituiscono per Sacco il Langkiano e nelle quali si era sempre creduto non vi fossero Miogipsine né Lepi- docicline, mentre invece vi sono in taluni punti, come p. es. stilla strada fra Superga e Baldissero. In seguito, innalzandosi nella serie, compari- scono orizzonti a sabbie, conglomerati e marne con abbondanti Miogip- sine e scarsissime Lepidocicìine (Villa Allason, Termofourà, ecc.) e da ultimo vengono sabbie, in cui esclusivamente sono presenti le Miogip- sine (Villa Bellino strati superiori di Brio Croce Berton) . Sopra que- st’ultimo orizzonte sabbioso si ripete un orizzonte costituito di marne dure, oscure, rassomigliantissime a quelle più vecchie che per Sacco stanno ad indicare sui colli Torinesi il Langhiano. A questa serie ne succede un’altra più giovane la quale comprende le località di Baldis- sero, Monte Cappuccini, ecc. ricchissima in fossili, ma priva affatto di Lepidocicìine, contenente però ancora rarissime Miogipsine. Questa se- conda serie viene pure dal Sacco ascritta all’Elveziano ed é formata da un’alternanza di conglomerati, marne e sabbie. E questo si osserva non solo per un ristretto spazio, ma su tutta la regione collinosa Torino- Valenza. In base a studio, che spero di rendere in seguito di pubblica ra- gione, riconfermo quanto scrissi nel lavoro mio, citato dal Checchia, riguardo alla distribuzione cronologica delle Lepidocicìine e Miogipsine, e ritengo la serie degli strati visibili a Baldissero, Monte Cappuccini, ecc. come rappresentanti realmente l’Elveziano, e la serie che viene imme- diatamente sotto, sino all’orizzonte più vecchio a Miogipsine, come indi- scutibilmente langhiana. E precisamente verso la sommità di questa serie langhiana che vanno collocati gli strati visibili a Villa Allason, dove, ripeto, le Miogipsine abbondano e le Lepidocicìine sono estremamente rare, e sostituite già parzialmente, e completamente poi nell’orizzonte su- periore, dalle Miogipsine. Del resto rimando a quanto io e Douvillé R. abbiamo pubblicato ( Compie rendu sommane de ìa réunion extraordinaire de ìa Soc. ge'ol. de France en Italie, à Turin et a Génes — 5-12 Settem- bre 1905), solo facendo osservare che per il nuovo fatto del rinveni- mento di Miogipsine negli strati di Baldissero e Monte dei Cappuccini, eguali assolutamente per la loro fauna agli strati di St. Gali, si riapre la questione da me posta, se il limite fra l’Elveziano e il Langhiano va collocato ove vengono a scomparire le ultime Miogipsine , oppure ove scompaiono le ultime Lepidocìine, questione che secondo me, come spero in breve di dimostrare, va risolta collocando il limite di sepa- razione ove scompariscono le ultime Lepidocicìine. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 685 gassinensis Prev. da me osservata nelle sabbie alla base dei conglomerati bartoniani di Costa Battajna (Gassino). Questa forma, assomigliantissima nella spira alla Brug. Fiditeli , dalla quale differisce notevolmente per certi caratteri, è abbondante nel Bartoniano di Lacedonia, e fu da me altra volta scambiata per la Brug. Fiditeli, tanto più che essa è accompagnata da una forma assai simile, microsferica, che io ritenni allora per la Brug. intermedia. Cotesta seconda forma io la reputo ora l’omologa della Lattar p. gassinensis , ma per insufficienza di materiale a mia disposizione, non azzardo niente di concreto e la indico nella tabella come Numm. f. Quando già questo manoscritto era pronto per essere licen- ziato alle stampe, altro materiale, appartenente in parte al Co- mitato Geologico, in parte al prof. Sacco venne ad aggiungersi al primo, ed io credetti bene di studiarlo subito per poter dare ancora in questa Nota i risultati di tale studio. Le località di provenienza di cotesto materiale e le forme riscontrate in esso per ciascuna località sarebbero le seguenti: Regione meridionale del Sirente: Gumbelia parva Prev. » Douvillei Prev. » spissa Defr. » Benevieri De La Harpe » Sismondai d’Arch. » lenticularis Ficht. et Moli Paronea discorbina d’Arch. » sub discorbina, De La Harpe » mamilla Ficht. et Moli » Tdiihatdieffi d’Arch. ■ Assilina exponens Sow. » mamiUata d’Arch. » spira De Roissy. Alveolina f. Regione Daulli (versante meridionale del Sirente) : Laharpeia subitalica Teli. » Benoisti Prev. P. L. PREVER Laharpeia sub- De fr ance i Prev. » f. Giimbelia spissa Defr. » Sismondai d’Arch. » Renevieri De La Harpe » Lorioli De La Harpe » lenticularis Ficbt. et Moli Gambetta Meneghina d’Arch. » Oosteri Prev. Paronaea discorbina d’Arch. » subdiscorbina De La Harpe » Bcaurnonti De La Harpe » eocenica Prev. » mamilla Ficht. et Moli » crispa Ficht. et Moli » Tchiliatcheffi d’Arch. Assilina exponens Sow. » placentula Desìi. » Leymeriei d’Arch. » spira De Itoissy Alveolina cf. oblonga d’Orb. » ellipsoidalis Schwag. » Raronai n. f. (—Air. f. in Schwager « Die Foraminiferen aus den Focdngeblagerun- gen der libyschen I Vii si e und Aegyptcus ; tav. H, fìg. 6 a, b, c, d, e). Alveolina f. Orthophragmina Fratti Mieli. » Marthac Schlumb. Castelmadama : Lepidocyclina swnatrensis Brady » Verbeeki Newt. et Holl » Tournoueri Lem. et Douv. » marginata Mieli. » Lemoinei n. f. i> Morgani Lem. et Douv. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 687 Fra Monte Cassinelle e S. Sisto (Carpegna): Lepidocyclina Mantelli Mort. » Scldumbergeri Lem. et Douv. » Haulini Lem. et Douv. Monte Canale — Serra Vaipiana — ■ Carpegna: Lepidocyclina Verbeeki Newt. et Holl. » Tournoueri Lem. et Douv. Casa Molino eli Marco (Nord di Dicomano): Lepidocyclina marginata Mieli. » Morgani Lem. et Douv. Vicovaro (di fronte alla Stazione): Lepidocyclina marginata Mieli. » Verbeclà Newt. et Holl. » sumatrensis Brady » Morgani Lem. et Douv. » Baulini (giovane) Lem. et Douv. » Tournoueri Lem. et Douv. Dando una rapida scorsa agli elenchi delle forme per cia- scuna località, si rileva che nelle su menzionate località è pre- sente una fauna a Nummulitidi assai abbondante. La fisionomia generale di tutte queste forme non differisce dalla fisionomia che esse hanno nelle altre località in cui furono già rinvenute e studiate. Notevole anche qui il fatto di aver trovato parecchie forme (Brug. subrara, sub- Virgilioi , subdepressa ), che formano coppia colle loro omologhe, già prima rinvenute in altre loca- lità, e negli stessi orizzonti. Interessante pure il fatto del rin- venimento della Ldharp. gassinensis e della Giimb. Nicolisi , in modo che ora, con maggior sicurezza, si può fissare la loro posizione stratigrafica. Non è neppure cosa certamente priva 688 P. L. PREVER d’interesse l’aver trovato per la seconda volta le Ortofragmine colle Nummuliti. Questo permette di stabilire semplicemente che le Ortofragmine, sia pure in via d’eccezzione, sono presenti talora anche nell’Oligocene, e che le Nummuliti possono tro- varsi associate alle Ortofragmine e alle Lepidocicline nell’Oli- gocene. La Par. eocenica , oltre alla forma tipo perfettamente eguale agli individui trovati a Potenza, mostra qui una varietà nella quale i setti sarebbero un po’ più rari e un po’ meno arcuati e lunghi. Tra la Par. discorbina e la nuova forma da me creata Par. Fornasinii esistono realmente delle differenze, quali una co- stante maggior sottigliezza della lamina spirale di quest’ultima in entrambe le forme della coppia, e pure in ambedue si os- serva qualche setto in più in ogni giro. Ad ogni modo sono convinto che, più di una vera forma autonoma, questa vada unita alla prima, della quale ne formerebbe una bellissima va- rietà. Della Par. budensis Hank., la quale perchè megalosfe- rica credo più corretto chiamarla subbudensis , esiste in questo giacimento l’omologa microsferica a cui devesi attribuire perciò il nome di Par. budensis n. f. A vero dire cotesta n. f. fu già trovata, prima che in que- sta, in altra località, e cioè nella conca benacense ('). La tro- vai tempo fa determinando al prof. Airaghi le Nummuliti di Lonato che si trovano con degli Echini. Per ciò che concerne le Assiline ho già accennato che i numerosi individui che si rinvengono nei calcari della conca sulraontina non sono al mas- simo dello sviluppo, e più di forme tipo lascierebbero l’impres- sione si tratti di mutazioni. Nulla vi è da dire intorno alle Orthophragmina, le quali, abbastanza abbondanti sia per numero di forme che per numero di individui, non si scostano affatto dalle forme descritte sinora dagli autori. Parimenti in linea generale si può dire delle Le- pidocyclina , riguardo alle quali mi limito ad alcuni appunti sulla Lep. Eaulini Lem. e Douv. Nella Monografìa del genere Le- (*) (*) Airaghi C., Echino fauna oligocenica della conca benacense , Boll. Soc. Geol. Ita!., voi XXI, Roma. 1902. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 689 pidocyclina Lemoine e Douvillé a tav. I, fig. 6, 9 figurano degli individui raegalosferici della Lep. Baulini n. f. a cui danno per omologa microsferica la forma rappresentata dalla fig. 3 della stessa tavola e dalla fig. 13. A fig. 16 illustrano poi una forma megalosferica che distinguono con un Lep. cf. Baulini. Ad un esame accurato a nessuno sfugge come la forma microsferica di cui alla fig. 3, si accorda colla forma figurata a fig. 16 e, an- che, quantunque meno, colla fig. 9 e punto colla forma illu- strata a fig. 6, dalla quale si allontana invece d’assai, anche tenendo calcolo delle variazioni individuali. Precisamente io ho qui sott’occhio una sezione trasversale di un individuo mi- crosferico di Lepidocyclina che si scambierebbe assolutamente colla forma della fig. 6 se fosse provvisto di una camera cen- trale. Per cui non esito a classificarlo come rappresentante della forma microsferica di quella megalosferica di cui a fig. 6, che non rappresenta la Lep. Bauimi Lem. e Douv. Poiché se la descrizione data dai due autori nella Monografia della predetta forma inevitabilmente risente qualche indecisione, a motivo che due forme furono riunite e descritte assieme, nelle linee gene- rali però s’accorda colle forme illustrate a fig. 3, 9, 16, ma non colla fig. 6. Per la forma megalosferica quindi rappresen- tata dalla fig. 6 della Monografia del genere Lepidocyclina di Lemoine e Douvillé e dagli individui contenuti nelle mie sezioni sottili ed eguali alla fig. 6 e per gl’individui microsferici egual- mente contenuti in queste sezioni sottili e simili ai precedenti propongo il nome di Lepidocyclina Lemoinei n. f. Oltre a questi Foraminiferi che, dirò così, vanno per la maggiore, alcuni altri ne ho riscontrati, quali Operculina, tra cui Opere, complanata identica agli esemplari figurati dal New- ton e Holland nel loro lavoro sulle isole di Formosa e Riuckiu (*), Alveolina, Bupertia, ecc. Dò ora l’elenco di tutte le diverse forme da me trovate nei calcari di queste località. Avuto però riguardo al fatto che tale elenco comprende oltre un centinaio di forme e rappresenta la (’) Newton e Holland, On some fossils from thè Islands of Formosa and Riu-Kiu (= Loo Choo), Journal of thè college of Se. Imp. Univ. Tokyo, 1902. 690 P. L. PREVER fauna a Nummulitidi di ben trentadue località, mi sembra op- portuno completarlo, specie per le Nummuliti, coll’aggiunta delle forme elencate nei principali lavori recenti che s’occupano delle Nummulitidi dell’Italia centrale e meridionale, osservando che questi lavori non sono poi molto numerosi, riducendosi a quelli di Tellini (’), della Gentile (2), di Prever (3). * Nummulites f. (4) * Laharpeia sub-Iìenoisti Prev. Bruguierea elegans Sow. * » Defrancei d’Arch. » Capederi Prev. * » sub-Defrancei Prev. * » sub-Capederi Prev. » italica Teli. » Taramellii Prev. * » sub-italica Teli. » sub-Taramelii Prev. » » var. japij- » Ficheuri Prev. gia Teli. * » sub-Ficheuri Prev. * » basilisco Prev. » Heilprini Hantk. » sub-basilisca Prev. » sub-Heilprini Prev. » Brongniarti d’Arch. » Silvestrii Prev. » sub-Brongniarti De la » depressa Prev. Harpe * » subdepressa Prev. » Molli d’Arch. » rara Prev. » » var. Verbeclci » sub-rara Prev. Teli. » Virgilioi Prev. » sub-Molli Prev. * » sub-Virgilioi Prev. » Paschi d’Arch. » laevigata Brug. # » gassinensis Prev. » intermedia d’Arch. * Gilmbelia lenticularis Ficht. et * Laharpeia Lamarcki d’Arch. Moli. » tuberculata Brug. » lenticularis var. obso- * » Benoisti Prev. leta De la Harpe (x) Tellini A., Le Nummulitidi della Ma j ella, delle isole Tremiti e Gargano, Boll. Soc. Geol. I tal., voi. IX, Roma, 1890. — Le Nummuliti della Majella, Boll. Comit. Geol. d’Italia, serie III, voi. II, Roma, 1891. (2) Gentile G., Su alcune Nummuliti dell’ Italia meridionale. Atti R. Accad. Se. Fis. Nat. di Napoli, voi. XI, 1891. — Alcune Nummuliti dell’Umbria. Boll, del giovane naturalista, Siena. (3) Prever P. L., Le Nummuliti della Forca di Presta nell' Appen- nino centrale e dei dintorni di Potenza nell’ Appennino meridionale, Móni. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, Ginevra, 1901. — Osservazioni sopra alcune nuove Orbitoides, Atti R. Accad. delle Se. di Torino, voi. XXXIX, Torino. — Sulla fauna nummulitica della scaglia dell’ Appennino cen- trale, Atti R. Accad. Se. di Torino, voi. XL. (4) Le forme precedute da asterisco (*) sono quelle citate nel pre- sente lavoro. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 691 Gumbelia lenticularis var. granu- Paronaea densispira Mngh. lata DelaHarpe * » Orsinii Mngh. * » spissa Defr. » Borelloi Prev. » » var. aturensis » atacica Leym. d’Arch. » Guettardi d’Arch. » » var. subglobosa » » var. prima De la Harpe Prev. » » var. granulata » Guettardi var. antiqua Teli. De la Harpe » » var. allobrogensis * » striata d’Orb. De la Harpe * » contorta Desh. » » var. E D’Arch. * » vasca Joly et Leym. » » var. D D’Arch. * » Boucheri De la Harpe » » var. Bellardii * » Tellinii Prev. D’Arch. » sub-Tellinii Prev. * Gumbelia Sismondai d’Arch. » » var. meridio- * » Renevieri De la Harpe nalis Prev. » Deshayesi D’Arch. » variolaria Lmk. * » Lorióli De la Harpe * » venosa Ficht. et Moli. * » Paronai Prev. » Heberti d’Arch. * » sub-Paronai Prev. » mentonensis Prev. » Gentilei Prev. » Marianii Prev. » sub-Gentilei Prev, » sub-Marianii Prev. * » Douvillei Prev. * » crispa Ficht. et Moli. » sub-Douvillei Prev. » » var. plicata De la * » Oosteri Prev. Harpe » sub-Oosteri De la Harpe » » var. granulata » eonotria Teli. Prev. » garganiea Teli. * » mamilla Ficht. et Moli. » sub-garganica Teli. » » var. plicata De * » Roualti d'Arch. la Harpe * » Meneghina d’Arch. » » var. granulata » lucana Prev. De la Harpe * » parva Prev. * » Bouillei De la Harpe * » Nicolisi Prev. » Tournoueri De la Harpe * Paronaeci Tchihatcheffi d’Arch. * » bericensis De la Harpe » » var. de- * » budensis Hanth. pressa Teli. * » sub-budensis Prev. » Tchiliatcheffi var. prae- * » Heeri De la Harpe cursor Prev. * » eocenica Prev. * » latispira Mngh. * » » vai1, aquilana » » var. depressa Prev. Teli. * » sub-eocenica Prev. » » var. antiqua * » deserti De la Harpe Prev. * » Ramondi d’Arch. 692 P. L. PREVER Paronaea sub-Bamondi De la * Assilina f. Harpe * Orthophragmina Pratti Mich. » Laharpei Prev. * » sella d’Arch. » Melii Teli. * » discus Rut. » sub-Melii Teli. * » nummulitica Giimb. » Pironai Teli. * » Marthae Schlumb. » Beaumonti d’Arch. * » Chudeaui Schl. * » sub-Beaumonti De la * » Arditaci Schl. Harpe * » radians d’Arch. * » discorbina d’Arch. * » dispansa Sow. * » » var. Forna- » aspera Giimb. sinii Prev. * » aprutina Prev. * » sub-discorbina De la * » Chelussii Prev. Harpe * » samnitica Prev. * » sub-discorbina var. sub- » strophiolata Giimb. Fornasinii Prev. * » patellaris Schl. * » distans Desh. * » stella d’Arch. » complanata Lmk. * » Taramellii Mun.- » Kaufmanni May. Ch. » irregularis Desh. » tenella Giimb. » Murchisoni Brunn. * Lepidocyclina sumatrensis Brady » gizehensis var. Lyelli * » cfr. sumatrensis d’Arch. Brady » Bonarellii Prev. * » Ver bechi Newt. et » Szaboi Prev. Holl. » Bzeliaki Prev. * » Tournoueri Lem. » adriatica Prev. et Douv. * » Airaghii Prev. * » marginata Mich. * » sub-Airaghii Prev. * » Schlumbergeri Lem. * » Chelussii Prev. et Mich. » Bassanii Prev. * •» Mantelli Mort. * Assilina exponens Sow. '* » dilatata Mich. * » rnamillata d’Arch. * » angui aris Newt. et » » var. picena Holl. Prev. * » élephantina Mun.- * » placentula Desh. Ch. * » Leymerie d’Arch. * » Canellei Lem. et » Formai Prev. Douv. » sub-Formai Prev. * » Baulini Lem. et » » var. granulata Douv. Prev. '* » Lemoinei Prev. » Paronai Prev. * » Morgan i Lem. et. » Madaraszi Hantk. Douv. » spira De Roissy * » cfr. Morgani Lem. » . sub-spira De la Harpe et Douv. FAUNA DI ALCUNI CALCARI NUMMULITICI 693 * Lepidocyclina Lottii Silv. Alveolina decipiens var. doliolif * Cyclochype ■us f. mis Schwag. * Operculina complanata Defr. * » ellipsoidalis Schwag. * » cfr. Lybica Schwag. * » Paronai n. f. » pyramidum Schwag. » acuta Savi e Mngh. » ammonea Leym. * Heterosteyina f. » canalifera d’Arch. * Rupertia incrassata » Thouini Teli. * Pulvinulina rotula Kaufm. » sub-Thouini Teli. * » f. » Terriyii Teli. * Carpenteria f. » sub -complanata Teli.? * Cristellaria f. » dìomedea Teli. * Miliola f. * Alveolina lepidula Schwag. * Biloculina f. » frumentisformis Schwag. * Pentellina strigillata d'Orb. * » cfr. oblonga Stache * Idalina f. * » cfr. ovulum Stache Dal R. Museo Geologico di Torino. ms. pres. il 29 settembre 1905 - ult. bozze 28 dicembre 1905]. LA PUNTA D’ORO PRESSO ISEO Studio tectonìco del socio G. B. Cacciamali Tra il 27 agosto 1904 ed il 13 ottobre 1905 ho impiegate, ad intervalli, trentadue giornate in escursioni, allo scopo di studiare la geotectonica di una regione che si distende, per oltre cento chilometri quadrati di superficie, tra il lago d’Iseo e la Val Troni- pia, e più di preciso tra Vesto di Marone, Montisola, Iseo e Provaglio d’Iseo ad occidente, e V. d’Inzino, Gardone V. Troni- pia e Villa Cogozzo ad oriente. La tectonica di detta regione fu sempre trascurata; sopra- tutto le importanti fratture da cui questa è percorsa erano quindi, si può dire, affatto ignorate ; e per conseguenza le carte geolo- giche che abbiamo avute finora, presentano, nella nostra regione, inesattezze piuttosto gravi, riferentisi all’andamento pianimetrico stesso delle varie formazioni. Il campo era dunque pressoché vergine di studio ; e vi ho potuto raccogliere larga messe di fatti interessantissimi pel geo- logo. Nel prossimo gennaio 1906, vale a dire all’aprirsi del- l’anno accademico, presenterò all’Ateneo di Brescia una relativa memoria; mi affretto tuttavia a comunicare ora alla Società Geo- logica Italiana i principali risultati ai quali sono pervenuto, e ad offrire alla stessa, come saggio preventivo, la descrizione di un vero gioiello tectonico, tale potendosi chiamare davvero uno spazio di circa otto chilometri quadrati che si trova ad oriente d’Iseo e di Pilzone. I. Nelle carte geologiche che, per la regione da me esplorata, possiamo oggi consultare, spicca tosto una striscia continua di Infralias, la quale con direzione SE va da Vesto ad Inzino: LA PUNTA D’ORO PRESSO ISEO G95 questo affioramento esiste realmente da Vesto per il Pereaprello fino al Vaimala; ma poi anziché continuare nella indicata di- rezione ripiega verso occidente sulla falda NO del Kedondone c finisce al Sebino presso Maspiano: delimita quindi Plnfralias un’ampia ellissoide sinclinale aperta a sera, ed il cui asse dal valico Croce di Pezzolo per Montisola tocca Tavernola sulla sponda bergamasca; nella conca morenica di Sale Marasino gli sporadici spuntoni di roccia, sempre ritenuti per Lias, spettano invece egualmente all’Infralias ; Montisola soltanto è, come Ta- vernola, liassica, e precisamente costituita da Medolo. La linea Redondone-Maspiano è asse d’anticlinale ; e gli spuntoni roc- ciosi affioranti nella conca morenica di Sulzano che vi sta a mezzogiorno sono pure Massici c precisamente costituiti da Corna. Alle spalle dell’ellissoide su ricordata sta la dolomia prin- cipale, che a sud della Croce di Pezzolo si spinge quindi fino a formare il Redondone, ove fu sempre scambiata per Corna liassica. Detta dolomia cessa bruscamente a mattina contro una grande frattura, la quale, venendo certo dai fianchi orientali del Guglielmo, passa con direzione dapprima S, poi SO, ad oriente del Fontanazzi, del Valmala, della Croce di Pezzolo e del Redondone; girato poi a mezzogiorno il Redondone stesso, rimane per un tratto nascosta dalle morene della conca di Sul- zano; poi ricompare alla Punta d’Oro, prendendovi direzione 0, e finisce a Pilzone. Dalla Croce di Pezzolo in giù questa frattura è accompa- gnata a breve distanza (prima ad E, poi a S) da altra, meno importante, frattura che finisce al Covelo, in corrispondenza del buco del Quai. Il territorio compreso tra le due fratture nel loro tratto ad andamento E è occupato da Infracreta; il terri- torio compreso fra le stesse nel loro tratto ad andamento NE è dapprima occupato, al valico di S. Maria, da Giura ed Infra - giura, e più avanti da Lias. Ad oriente di questa seconda frattura abbiamo il Medolo Massico di Gombio e Zanano, del Domerò e di Gardone, ben segnati sulle carte; ma detto Medolo si spinge assai più a nord che non sia sulle carte stesse, trovandosi a contatto della do- lomia contro la prima frattura dove la seconda è cessata: il suo affioramento non finisce che a quattro chilometri a NNO 45 G. B. CACCIAMALI G96 di Gardenie, arrestato da una terza frattura : questa offre dire- zione ESE, e viene in V. Trompia dalla Y. di Marone passando tra il Fontanazzi ed il Valutala; s’incrocia nella valletta delle Casere eolia nostra prima frattura, e taglia poi la V. deli- zino. Nell’angolo NE del detto incrocio abbiamo dolomia princi- . pale ; ed in quello NO (Dosso Fontanazzi) abbiamo VFengen, clic a mattina è quindi a contatto della detta dolomia, mentre a mezzodì ed a sera è accompagnato da Kaibl, il quale al valico di Marone viene a contatto del l’ In fra 1 i as, cessando qui la do- lomia principale dell’angolo SO. Ma tornando al Medolo (angolo SE), ad esso fa seguito verso mattina la Corna, e poi finalmente ricompare una striscia di Infralias parallela al thdlweg della V. d’Inzino, il quale si trova completamente nella dolomia. Detto Infralias è affatto isolato: compare bruscamente a nord e scompare gradatamente a sud, verso Inzino, dove la Corna viene a contatto della dolomia, per una quarta frattura, diretta questa a NNO. A mezzogiorno della regione ora passata in rassegna, ed in cui oltre alle nominate ed a corrugamenti vari si trovano altre minori fratture, si distende, tra Provaglio d’Iseo e Villa Cogozzo, la regione non fratturata, e nella quale si presentano regola- rissimi corrugamenti con assi E-0, in formazioni che vanno dal Medolo Massico alle marne della Creta. Spiccano sopratutto due belle sinclinali: la prima va da Zanano a Polaveno, il suo asse urtando poi, a mattina di casa Termine, contro la seconda delle fratture sopra ricordate: è lungo detto asse che si presenta la Creta, della quale abbiamo un primo e piccolo lembo (finora ignorato) a Visala, ed uno svi- luppo poi molto ampio (poco esattamente o non affatto indicato dagli autori) da S. Giovanni di Polaveno ad Invino d'iseo. Ad una intermedia alitici inale succede a sud la seconda sinclinale, la quale parte dalla V. Trompia tra Cogozzo e Villa, passa a Brionc ed a Monticello Brasati e finisce al M. Cugnolo a sud di Iseo. LA PUNTA D’ORO PRESSO ISEO 697 ir. Quattro chilometri circa (in linea retta ed in planimetria) ad ENE di Iseo e due ad ESE di Pilzone, e ad un’altezza su entrambi i paesi di circa 800 metri, sta una cima, dai rivie- raschi del Sebino nomata Punta ( l'Oro o Punta dell’Oro; alle case sulla montagna la chiamano per contro Punta dell'Orso, e sulle carte topografiche è indicata col nome di Punta del- l'Orto; è la cima più alta dei dintorni immediati d’Iseo, e si erge a 1001 m. sul livello del mare, ossia ad 81G m. sullo specchio del lago. \ E strano come, mentre pur molti sono coloro che si sono occupati della geologia sebina, la montagna che ha per vetta la Punta d’Oro sia sempre rimasta quasi affatto inosservata ; nessuno forse nemmeno sospettò mai la struttura geognostica cosi bizzarra e così stupenda nello stesso tempo che essa presenta. Fin dal 1860, dietro iniziativa del Mortillet — che aveva già nel precedente anno studiati i dintorni di Palazzolo ed Iseo, e che si trovava in contrasto con lo Stoppani — ebbe luogo, in questi stessi dintorni, una gita, cui oltre al Mortillet ed allo Stoppani parteciparono il Ccrnalia, il Villa e l’Omboni, il quale ultimo ne fu relatore alla Società Italiana di Scienze Naturali : in detta gita fu notato, ad est di Pilzone, il capovolgimento del Lias, del Giura e dell’Infracreta, corrispondente al capovolgi- mento degli strati Passici del Montecolo c di quelli infraliassici e Passici della sponda bergamasca a Predore; ma le osserva- zioni di quegli scienziati, per ciò che riguarda la nostra mon- tagna, non si spinsero più avanti di così. E nei 45 anni che da allora sono passati, di nessun nuovo dato teutonico sulla montagna della Punta d’Oro venne arric- chita la scienza; anzi dal Curioni non si tenne nemmeno conto di quanto era già noto: nella sua carta geologica di Lombardia infatti, pubblicata nel 1877, sulla regione in parola si trova indicato a tutta distesa Medolo liassico. Il Ragazzoni, nella sua carta geologica della provincia di Brescia — fatta nel 1880, ma rimasta inedita — segna: sul G. B. CACCIAMALI 698 versante meridionale del monte Infracreta; in corrispondenza della vetta una fascia E-0 di Majolica giurese; alla latitudine di Pilzone una successiva fascia continua di Selcifero giurese; più oltre Mcdolo Massico. Il Taramelli, compilando nel 1800 la sua carta geologica, di Lombardia, per la provincia di Broscia si è servito, lo dichiara lui stesso, della carta del Ragaz- zoni. C ri* r 699 LA PUNTA D’ORO PRESSO ISEO Nel 1800 scrissero sul lago d’Iseo il Sacco e l’Amighetti ; ma il primo ne studiava solo le formazioni quaternarie; ed il secondo, che con tanto amore pel natio Sebino dettò la « Gemma subalpina », nemmeno fa cenno della Punta d’Oro. il Salmoiraghi nella « Limnologia sebina » (1897), lavoro così ricco di esatte e preziose indicazioni geologiche, come già il Mor- ti llct e lo Stoppani, non si spinge più ad oriente della V. Parlo. Le considerazioni geologiche sul Sebino del Cozzaglio (1900), per quanto geniali, sono il frutto di troppo fuggevoli osserva- zioni, le quali nemmeno si riferiscono alla nostra montagna. Finalmente nel 1901 il Baltzer pubblicava un importante studio geologico sui dintorni del lago d’Iseo; ma pur troppo la carta che yi è unita si presenta, almeno nella regione clic ora ci interessa, assolutamente inesatta : vi è segnato, come già nella carta del Curioni, tutto Lias, anche quindi sui lembi di Giura e sull’ampia distesa degli affioramenti di Infracreta. Nello stesso anno abbiamo anche un lavoro del Moebus; ma questi, come il Sacco, non s’occupò che delle formazioni glaciali. 700 G. B. CACCIAMALI * * * Era dunque noto trattarsi qui d’una anticlinale rovesciata; ciò che rimaneva ignoto era la presenza anche d’una frattura, la quale — mentre non poteva essere rivelata che dalla cono- scenza, in tutti i suoi curiosissimi particolari, della distribuzione superficiale delle varie formazioni — - a sua volta può sola dare la completa spiegazione della complicata c strana costituzione geognostica di questa montagna. Il rilevamento geologico minuzioso della località, e la sco- perta fatta in precedenza della frattura del lìedondone (parte della più importante tra le fratture triumplino-sebine) mi con- dussero a vedere fra Nestcsino e Pilzonc la continuazione di questa. E allora tutto il segreto geognostico fu svelato dal fatto che nel tratto Nestesino-Pilzone il piano della detta frattura è talmente adagiato a sud da presentarsi quasi orizzontale, cioè LA PUNTA D’ORO PRESSO ISEO 701 solo con una lievissima immersione a nord, onde l’andamento serpentino clic presenta la sua linea di affioramento per effetto delle erosioni. L unito schizzo pianimetrico e gli uniti profili mi dispensano da una minuziosa esposizione della tectonica della regione. Fin dalla prima impressione si comprende trattarsi qui, cosi all’in- grosso, d’una specie di gran piastrone di Corna liassica, a banchi jócafcx. 2& u-is r fftto.re. A Afe*.*'"?, e> /A'ca- W ty-'o (AAc> flcUzsfSt ’ccr-^ 4cwe«. Si Se fi 'ìfcaX. — non corrugati, che a N immerge il piede sotto le morene, ed a S poggia la testa sopra un rilievo di Majolica infracretacea. a strati corrugati: di sotto al piastrone, parti dello stesso, fan capolino ad 0 il Medolo cd il Selcifero rovesciati; c denudati d’Infracreta, fan capolino ad E la Majolica giurese ed il Sel- cifero, in posizione normale. Salvo qualche contorcimento secondario nel Medolo e nel Selcifero, la pendenza generale degli strati del piastrone è in media N 40 E 41 sull’orlo meridionale di questo (vale.a dire in 702 G. B. CACCIAM ALI corrispondenza della vetta), e N 21 0 43 nella restante parte. A qnest’oltima pendenza s’accosta quella degli strati del Mon- tecolo (Corna N 10 0 40; Medolo, arricciatissiino, N 10 0 00 in media). Le formazioni che sopportano il nominato gran lastrone mo- strano evidentissime, a mattina di questo, un’anticlinale (al cu- cuzzolo di Selcifero) ed una sinclinale (alla casa Calma) : le due gambe della prima misurano rispettivamente N 47 0 28 e S 30 0 62 in media. A sera invece mancherebbe la pendenza verso S: abbiamo infatti da Prato del monte a case Parlo una media di N 27 0 43, ed a mezzogiorno delle case Parlo una media di N 47 E 37 ; la costanza verso N non indica però assenza di corrugamenti, che anzi l’infracreta è alquanto arricciata, e panni poter scorgere in essa, coricate a S, un’anticlinale tra due sin- clinali. Lungo la via Invino-Termine poi la media pendenza dell’Infracreta è N 12 0 47. Ma ritornando al lastrone — il quale non è che la gamba di mezzodì di un’anticlinale ribaltata a S, ed alla cui corrispon- dente sottoposta sinclinale si è sostituita una frattura — accen- neremo ai seguenti due fatti: l.° Per scorrimento di strati esso lastrone presenta almeno altre due fratture, mancando infatti tra la Corna (Sinemnriano inferiore) ed il Medolo (Charmuziano) il Sinemnriano superiore; e ciò come al Montecolo; e tra il Medolo ed il Selcifero mancando il Toarciano e l’infragiura. — 2.° In nessun punto lo stesso lastrone presenta raccordamento tra le formazioni sue e le sottoposte : il raccordamento più vi- cino doveva originariamente trovarsi assai più in alto della vetta attuale, ed a SO della stessa: che dovesse trovarsi più in alto e più a S lo dimostra lo sviluppo dell’anticlinale indicato dalle punteggiate dei due profili S-N; che poi dovesse trovarsi anche più ad 0 lo dimostra il fatto che solo da questa parte abbiamo la minima discordanza, qui infatti non mancando clic la Maio- lica giurese tra il Selcifero e l’Infracreta. Gli agenti meteorici c le acque scorrenti demolirono ed aspor- tarono, attraverso lunghissime età, molta parte dell’originario rilievo, tra cui intera l’altra sovrapposta gamba deH’anticlinale. Val Parlo non è che la rappresentante attuale di antiche valli erosive, jiò la sua opera fu trascurabile: se per esempio il Sei- LA PUNTA D’ORO PRESSO ISEO 703 tiferò presenta il piccolissimo lembo a sera della cima, affatto isolato dal lembo a mattina di Pilzone, ciò dobbiamo all’azione erosiva di detta valle, che asportò l’intermedio Selcifero. 11 lembo ultimo nominato, per contro, lungi dall’essere isolato, deve pro- seguire a sera, nascosto dal detrito alluvionale, sotto l’abitato di Pilzone; come il Medolo che lo accompagna deve essere in connessione con quello del Muntecelo. Brescia, 20 ottobre l'J05. |ms. pres. il 30 ottobre 1005 - ult. bozze 24 dicembre 19051- LE LAVI E TORRENTI CHE SI PERDONO NELLA PIANURA PEDEMOREN1CA DEL FRIULI Comunicazione del socio Arrigo Lorenzi La nota più caratteristica dell’alta pianura friulana è data senza dubbio dalla idrografia, costituita da fiumi (V infiltro, siane : le acque fluviali e pluviali si perdono attraverso le porose ghiaie per riapparire più sotto, alla base dei conoidi, con la zona dei fontanili o resultive. Osservando i vari fiumi d’in- filtrazione, ci accorgiamo facilmente che alle volte si tratta semplicemente di scomparsa della corrente (ed c il caso comu- nemente descritto o menzionato dagli autori) e che alle volte invece l’alveo stesso si arresta e si perde nel bel mezzo della pianura. Per tal modo nella pianura fra Tagliamcnto c Isonzo possiamo distinguere tre specie di torrenti. 1. Torrenti alpini e prealpini (fiumi-torrenti) che attraver- sano con un corso ben definito l’alta pianura; vi perdono le acque; ne riacquistano poi entrando nella zona delle « rcsul- tivc ». Esempio tipico di questi « fiumi friulani » è il 'raglia- mento (‘). 2. Torrenti che hanno origine nelle parti interne dell’anfi- teatro morenico tilaventino, attraversano l’alta pianura c rag- giungono le paludi delle risorgenti, dove ha inizio una idrografia locale, con alvei topograficamente indipendenti dai primi. Di questo caso è esempio tipico l’effimero Cormòr, il cui alveo ter- minale, contenuto fra argini e leggermente pensile sul piano sortumoso, si arresta nelle paludi a N di Paradiso (J). (') G. Marinelli, La Terra, IV, 317, 318. (*) Il Rio Storto e il Rio del Lago, di resultiva, non hanno con- tinuità d’alveo col Cormor: le periodiche acque di questo vengono rac- colte per smaltitoi nel fosso dei Posti (Ravonchio, Stella). Ciò appare abbastanza chiaro anche a chi esamini la tavoletta topografica « Castions LE LA VIE 705 3. Torrenti che prendono origine dalla cerchia morenica ti- laventina più esterna, scendono per le falde dei conoidi stesi ai piedi dell’anfiteatro (pianura pedemorenica) e non raggiun- gono la zona delle « resultive »: dopo un corso più o meno breve si perde ogni traccia d’alveo. Sono questi torrentelli conosciuti in paese col nome generico di lavie ('). Su questi singolari rivi pluviali pedemorenici intendo di ri- ferire brevemente al Congresso, precisandone il numero, gii ele- menti geografici (morfometrici) ed alcuni caratteri fondamentali. Questo mi sembra infatti il punto di partenza per qualunque stu- dio ulteriore. L’elemento cartografico che ha servito di base alle mie ricerche mi fu fornito dalle tavolette dell’istituto geogra- fico militare. Ho creduto di tener conto di otto torrentelli, omet- tendo i piccoli rughi che muoiono ai piedi delle colline more- niche. I)i ciascuna lavia furono esaminate le sorgenti, verificate le condizioni degli alvei e, in modo particolare, come esigeva la singolarità del fatto, fu esplorato il termine. Esaminando così la carta topografica, come il terreno, è ben difficile pre- cisare dove l’alveo abbia termine. Utilizzato come strada, o regolato come fosso, l’alveo perde a poco a poco la sua fisio- nomia: l’azione della natura è confusa con l’opera dell’uomo. Perciò i punti topografici più bassi, che ho necessariamente do- vuto stabilire come termini per le misure, per quanto risultino da un esame diretto del terreno, non vanno esenti da un certo carattere di arbitrarietà. Questi torrenti hanno nomi diversi nei di Strada»; in essa si vede l’alveo del Cormòr entrare, arginato arti- ficialmente, nelle paludi, troncarsi improvvisamente, mentre d’intorno ben distaccati serpeggiano i rivi di fontanile. L’arginamento poi che ha principio subito sotto la Stradalta, cioè al limite superiore delle risor- genti, prova che il torrente, in origine, si espandeva nelle paludi, ver- sando a capriccio le acque nei rivi di risultiva. Dui suo alveo terminale non gemono nuove acque. Per il Corno di San Daniele, inclinerei a esprimere una simile idea, per quanto attualmente sussista la continuità d’alveo tra il Corno (pure arginato) e il Taglio, formato dalle risor- genti e affluente dello Stella. Noto che il nome Taglio è un forte indi- zio di cavo artificiale. (i) Lavia (sing. friulano lavie) credo che per l’etimologia si colleglli col latino alveus. La forma lavio (maschile) nei dintorni di Udine, a San Osvaldo, significa appunto alveo torrenziale. .* 706 A. LORENZI vari tronchi: talora il torrente c diversamente denominato in due villaggi che si fronteggiano. Ho preferito il nome più co- mune o quello che figura anche nelle carte meno recenti. Al- cuni nomi sono stati corretti, altri, che mancavano nelle carte e nelle pubblicazioni geografiche e geologiche, furono raccolti sul posto. Ho trascurato, per ora, i pochi affluenti, alcuni dei quali, come il Pozzalis (Madrisana) e il Bolpe (Lavia di Mar- tignacco) hanno tuttavia una certa importanza. Nella seguente tabella sono esposti i principali elementi geografici dei torren- telli (') che si dispongono nell’ordine in cui s’incontrano per- correndo la fronte dell’anfiteatro morenico da levante a ponente. Seguendo la pendenza del piano, le lavie sono dirette ge- neralmente da N. a S., non concorrono quindi tra loro a for- marne una maggiore, ma si mantengono indipendenti (2). In re- lazione con la estrema localizzazione dell’area di alimento, tutte sono ordinariamente asciutte anche nel corso superiore. Solo qualche ramo, che trae origine dalle paludose bassure intermo- reniche, ha perennemente acqua (Lavia di Marti gnacco ) : tuttavia (pieste acque, capaci di muovere ruolini con ruote a cassette costruiti su diversivi, in breve sono assorbite dalle ghiaie sin dalle radici dei colli morenici. Verso il corso inferiore gli al- vei perdono il greto e sono utilizzati come sentieri. Per quanto il termine sia talora vicinissimo a qualche corso d’acqua im- portante, le lavie non lo raggiungono. Così il Valle termina presso Dignano a m. 115 sul mare a poco più di 1 chilometro dal terrazzo del Tagliamento; la Laviuzza c- la Madrisana muoiono a breve distanza dal Corno; mentre, esaminando le (‘) Cfr. L. Neumann, Orometrie der Schivar zioaldes nelle Geographi- sclie Abhandlungen herausgcgeben von prof. A. Penck, Bd. 2, Wien 1886; p. 208. — La lunghezza totale fu ricavata dalle tavolette con un cur- vimetro a quadrante. Per « sviluppo del corso » intendo col Neumann il rapporto tra la lunghezza rettilinea e la lunghezza totale. Altri pre- ferisce prendere il valore inverso (Cfr. W. Ule, Dìe Aufgabe geographi- scher Forschung an Flussen , Abhandl. der K. K. Geographischen Gu- sci lschaft, IV Bd., Wien, 1902, n. 4, pag. 4). (2) Nelle grandi piene probabilmente il Tampognacco confluisce nel Peraria per i viottoli a E. di Plasencis. Questi però non credo rappre- sentino il suo alveo, di cui si trova una traccia molto evidente ai prati 'Bombetta. ». LE LA VIE 707 OSJOO pp oddtqi.Yg natiip^sj 'BzzaqSatifj nipota 0TIOIZ -BTupnj 3pt?4(>4 Yìzzoq.onnrj 0I[9ATISI(I omraffl^ Ì9P lizzocpY attiSuo lìfiop T!ZZO'4XV « ta Eh 0 Z •— H O H-H PS o > < P. w H Ph Oh o H CD 05 05 T* CO . ‘O o 05 GO CO 05 GO 05 ' GO 05 o o o o d d d o DI co GO X CD Ph CO co o DI kO co o rH o o o o o o o o o o o o o kO o o kO o o kC • IO C- o o kO kO Ol a Hji rH o L— t-H L'- m t- 05 CD kQ CD rH GO 05 t-H o iO o o o kO k a o J o Di O T-H • O £* DI o a ^ CD GO co o kO [>• P C— o CD CD T-H 05 o T- 1 t-H t-H . — H kO CO 40 o kC a t'* CO CO co t-H DI DI o rH T-H T-H rH rH « T-H o -t-=> 05 15 ci 5) ce P< 2 ci C5 O Pi 05 O O o -+-> ci Jh Ph ce S< ci Oh W ci JO ex ci 02 *o s 02 ci I a w ci ci P ci ’£ ci ci CO JZ «2 ^ fl ce o ci *-£ ci r— < Q< o H-> J15 13 02 d #r5 ci a b£ ci & 2 ce o CQ 1 o 2 ce "> co 72 CO ce GO o O o C5 o #o ’b£ br ci w CO ci ci rO • o a « T— » 90 111 r- 110 136 CO o t-H kO t-H rH • rH >D kO o kC5 o * X o S o DI — h co DI CD DI DI ^ Di DI Ol rH DI rH DI DI 05 s 13 -*-> CO Ci 02 ° I — « _ > òó JZ 02 U : H H c7 o o o -5 55 a o CL 73 H CO a ^ ^ ^ Ch o CO < s g § * > < .2 cs p< > ■? W e« "o P-f h-3 CZ? 1 C3 2, 7? -e - 55 2 « e a- ® ce ■§ > > i s ij sa j o - a; -5 £ n: Ph o br 40 P 'P . hH CO cd N P hP ci Se Q '■p H ce *-£ ce p, 05 p • ce rO O ce S Eh C5 le ’Pj q £ 13 ce 05 CO ce ’S ce o e* a be ce p .2 H-J ce P5 0 05 o r0 ci "5 ce 05 £ c 1 br bC ce H— » ce ci 13 < *00 s Pm 05 CO 55 05 et ce ò k-H 05 ce *C0 ce > f^A ZP > CO >— — < o O c ce 05 C5 75 * t> — a? « «3 > Di — cS «3 o ea H p < oo 708 A. LORENZI tavolette, non pare che vi siano contro pendenze clic impedi- scano il congiungimento. Le posature, con nicchi di gasteropodi terrestri, le buche delle risvolte attribuibili a gorghi, i banchi di ghiaia, con la carat- teristica disposizione lenticolare degli elementi, attestano, nel corso inferiore, l’attività torrenziale; ma i solchi delle ruote dei carri, le orme d’uomini, di giumenti e lo stallatico, la vege- tazione spontanea che non liti nulla di comune con quella dei greti, dimostrano che questa attività torrenziale è breve ed in- termittente. Nelle parti terminali le ghiaie appaiono distaccate e qua e là accumulate; l’alveo in fine diventa tutto erboso e la vege- tazione, per i suoi elementi, non differisce da quella dei fossi campestri dell’alta pianura friulana. L’alveo terminale corre talora a livello della campagna (La- via di Martignacco, Tampognacco) e vien contenuto da bassi arginclli artificiali, l’ossatura dei quali è formata delle radici di robinie e pioppi piantati in lunghi filari. Perpendicolari alla direzione dcll’alvco-strada, vennero scavate fosse più o meno profonde, che talora si sviluppano con molti gomiti successivi ad angolo retto. Talora invece l’alveo è infossato sotto il livello della cam- pagna (Tresemana, Peraria, Madrisana, Laviuzza, Valle) e si continua al solito con le stradicciuole incassate. E non soltanto nelle parti terminali gli alvei sono utilizzati come sentieri, ma lo sono anche alcuni tronchi dei corsi mediani e persino i fondi di alcune minuscole vallecole, tra i colli morenici, sin dalle teste. Se si osserva la relativa ampiezza di certi alvei terminali (come per esempio quello della Laviuzza, sopra la strada fra Nogarcdo di Corno e Savalons, e quello della Peraria sotto il « castcllicrc » preistorico di Galiariano, presso la carrozzabile che viene da Nespoledo) è naturale il pensare che la forma- zione di tali alvei sia in relazione con un clima distinto da più abbondanti precipitazioni atmosferiche. Anzi ini sembra che la mancanza di una continua e costante attività torrenziale o, in altre parole, la larga intermittenza dei periodi d’acqua sino ai corsi inferiori, nelle condizioni attuali non avrebbero coliseli- LE LAVIE 709 tito lo scavamento di tali alvei, dal Tararne] li stesso, che di alcuni esaminò specialmente le vailette terrazzate, interpretati come scaricatori dell’antico ghiacciaio tilaventino. Nella sua monografia Bei terreni morenici ed alluvionali nel Frinii (’), l’illustre geologo ricorda anche un ampio solco terrazzato, da lui parimenti attribuito alle acque di disgelo del ghiacciaio, che s’incontra presso San Vito, tra il Corno e il Tampognacco, oggi del tutto inattivo, e perciò forse l’unica Invia permanentemente asciutta. Aggiungerò che poco più sotto, a N. di Savalons, sulla tavoletta si nota una specie di alveo denominato il Fosso del Passo , forse ultima prosecuzione del primo durante una fase di minima portata. Come gli organi rudimentali del corpo ani- male attestano funzioni abbandonate, così le lavie , consideratane storicamente l’attività torrenziale, appartengono più al passato che al presente, richiamando una certa analogia con le varie specie di alvei asciutti per mutamenti di clima. Anche in al- tri paesi soggetti alle antiche glaciazioni, s’incontrano alvei presentemente asciutti, scavati dalle acque di disgelo dei ghiac- ciai in ritiro: è questo il caso della pianura germanica setten- trionale (2). Ma nella generalità dei casi nostri non si tratta di alvei del tutto abbandonati dalle acque, ma di alvei periodici; qualcuno anzi, nel corso iniziale, è perenne, ma sempre povero. La ristrettezza degl’impluvi e, per molti, la mancanza di ali- mento da paludi o sorgenti nella regione morenica concorrono alla periodicità nelle attuali condizioni di clima. Ma la circo- stanza principale è quella per cui inaridiscono anche i torrenti delle altre specie distinte in principio: la permeabilità del suolo fa si clic questi alvei si estinguano, per esaurimento, nella pia- nura. Qui l’analogia corre con i f umi delle regioni carsiche (terreni fessurati) e coi fiumi delle steppe , nei quali le perdite per evaporazione superano i tributi degli affluenti. (') Negli « Annali dell’Istituto Tecnico di Udine », anno Vili, 1874. (5) Penck, Morphologie der Erdober finche, voi. II, p. 134. Udine, 17 agosto 1905. [ms. pres. il 17 agosto 1905 - idt. bozze 12 dicembre 1905] IL BACINO AL NORD DI ROMA (APPENDICE) Nota del socio A. Verri « E oggetto (Icll’Appendicc : A) correggere errori riscontrati, ed aggiungere una notizia convalidante apprezzamenti esposti ; B) riferire alcune osservazioni fatte altrove, le quali conten- gono dati interessanti il problema dei rapporti tra le eruzioni dei vulcani tirreni, e lo stato dei territori su cui si espunsero i loro prodotti. A Pag. 215 del volume. — Assorto dalle ricerche e coordina- mento dei dettagli sulle formazioni di Pontemolle, posi troppo poca cura nel descrivere i terreni marini che le limitano ad ovest : tanto che non mi accorsi d’una grossa omissione, com- messa nel riassumere gli appunti della sezione presa al ferma- palle della Farnesina. Alle righe « Invece a sinistra del fosso, il taglio del ferma palle . . . . includenti concrezioni marnolitiche ». delle pag. 215 (fine), 21 G (principio), va sostituito : « Dall’altra parte del fosso, a sinistra del fermapalle della Farnesina, si ha un’alternanza di strati di sabbie gialle e di marne grigie, nelle quali ho trovata- una valva mancante di cerniera, ma nel resto molto bene conser- vata, la quale sembra di Limea strigilata Br. Sono sovra poste a questi strati sabbie e marne contenenti Ostriche e Pettini, c con traccio limonitichc. Succedono marne e sabbie nelle quali ho trovato solo concrezioni marnolitiche, come si vedono, ad altitudine molto maggiore, nella parte supcriore dei giacimenti postpliocenici di spiaggia, lungo la strada della Camilluccia. f IL BACINO AL NORD DI ROMA 711 Queste passano a terre argillose marrone, sulle quali sta un banco di tufo vulcanico grigio, coperto da sabbioni color mar- rone includenti concrezioni marnolitiche. Mentre la stratifica- zione a destra del fosso è disposta sensibilmente orizzontale, a sinistra gli strati marini inferiori del fermapalle declinano verso est con angolo di una quindicina di gradi. Le sabbie e marne con Ostriche e Pettini sul principio pare siano divise in strati, che concordino con quelli inferiori; poi non si distinguono più bene in esse le linee stratigrafiche, forse per la natura stessa del deposito. Il banco del tufo vulcanico declina verso est, con pendenza alquanto più forte di quella della zona marina infe- riore. Incrostazioni tartarose riempiono una insenatura delle sabbie e marne con Ostriche, e, col coprire parte della super- ficie del fermapalle, aumentano la difficoltà di riconoscere le linee stratigrafiche della seconda zona marina. La posizione della roccia concrezionare indicherebbe essere essa stata com- posta dopo il movimento, che distaccò il prisma dalla massa del monte Mario e lo fece inclinare verso est ». Pag. 215 e 219 del volume. — Nell’impianto vicino alla Cava Mazzanti, per la ferrovia di Ci vitacastellana, fu fatta una trivellazione, e la trivella non incontrò la formazione delle sab- bie indurite ricche di fossili, posta in vista dalla estrazione di pietra e ghiaia da quella cava. Invece sotto ai depositi di ac- qua dolce incontrò le argille vaticane. Questo convalida l’opi- nione emessa a pag. 219, che i banchi delle sabbie indurite della Cava Mazzanti sono troncati anche ad ovest. Pag. 225 del volume, riga 15 — « dopo le eruzioni dei tufi leucitici chiari » sostituire « dopo le eruzioni dei tufi trachitici chiari ». B Il Clerici in quest’anno riferiva di aver rinvenuto nel ba- cino al nord di Roma, e precisamente presso la sommità della collina detta Colle S. Agata alla origine del fosso della Rimessola, sopra alle sabbie gialle contenenti conchiglie marine, un banco di tufo trachitico grosso più di due metri, coperto dalle sabbie 46 712 A. VERRI gialle silicee con potenza di poco più che un metro (*). Questa notizia, unita al travamento da me fatto di rocce trachitiche nelle ghiaie del bacino, m’invogliò a ripetere ed estendere os- servazioni su alcuni punti, che mi sembrava potessero fornire dati, per risolvere il problema sui rapporti tra le manifesta- zioni vulcaniche ed il ritiro del mare nelle contrade del sub- apeunino tirreno. Alcune circostanze impedirono di attuare com- pletamente il programma di ricognizioni propostomi: comunico i risultati di quelle eseguite, che sono abbastanza importanti nella contrastata materia. • Dintorni di Città della Pieve. — L’anno 1901 scriveva: « Sulla pendice dell’altipiano di Città della Pieve si ha qual- che rimasuglio di detriti vulcanici portati dai venti ; al piede, lungo la pianura della Chiana sta un deposito sabbioso con e'ementi vulcanici, e prodotti della decalcinazione, elevato 30 o 40 metri sul piano della valle. Mi sembra che queste sab- bie siano residui della sedimentazione del lago quaternario » (2). L’altipiano di Città della Pieve - costruzione fluvio-marina pliocenica — nella zona superiore è coperto per gran parte da sabbioni rossicci con interposte lenti argillose, gli uni e le al- tre prive di conchiglie marine, indicanti un periodo di maremma con dune e ristagni acquosi. Nella pendice verso la vallata della Chiana, la struttura dell’altipiano mostra alcune discor- danze nelle linee stratigrafiche, avvenute nel processa della sedimentazione, o per lo scorrere dell’ammassamento dei depo- siti fluvio-marini verso le profondità, o per corrugamenti che sollevavano gli orli delle sinclinali, ovvero per tutte due le azioni combinate. Presenta altresì le testate della formazione troncate; la quale disposizione, combinata colle osservazioni sulle pendici dei monti opposti, mi fa pensare che l’origine della vallata sia dovuta ad un piano di rottura. Il punto più elevato dell’altipiano sta a quota 519, la pianura della Chiana a quota (') Osservazioni sui sedimenti del monte Mario anteriori alla for- mazione del tufo granulare, Remi. R. Acc. Lincei, 1905. (*) Un capitolo della Geografia fisica dell’Umbria, Atti IV Congresso geogr. it. IL BACINO AL NORD DI ROMA 713 circa 250. Al piede dell’altipiano, tra 30 e 40 metri sopra alla pianura, le sabbie gialle marine con Ostriche c Pettini sono coperte da sabbioni grigio chiari, da sabbioni argillosi rossi, ambedue privi di conchiglie marine; che, invece d’un proprio bacino lacustre, potrebbero rappresentare un secondo periodo maremmano, perchè non si rileva una divisione distinta tra le sabbie marine e quei sabbioni, ma questi sembrano la succes- sione immediata di quelle. In questi sabbioni abbondano fram- menti di cristalli di sanidino, grandi anche più di tre milli- metri: i quali minerali non ho trovati nei sabbioni di origine analoga, che stanno nella zona superiore dell’altipiano. I sab- bioni sono visibili in modo speciale allato alla strada che va alla stazione ferroviaria. Da natura tale di cose concluderei che, quando si deposi- tavano i sabbioni vicini alla vallata della Chiana, la superfì- cie superiore dell’altipiano, per l’accentuarsi del corrugamento, era elevata in modo da non essere più soggetta a ristagni ac- quosi, all’invasione delle sabbie mobili, ed anzi trovavasi in stato di corrosione; che, quando i frammenti di sanidino erano trasportati colà, il mare s’era già ritirato, od almeno che si ritirava da quei luoghi. E per la qualità e per la grandezza dei frammenti, mi parrebbe concludere che provenissero dai prodotti delle eruzioni trachitiche dei vulcani tirreni; per le condizioni topografiche propenderei a riferirli alle eruzioni del monte Annata, ovvero a quelle dei Vulsini. Sarebbe importante decidere se venivano per trasporto eolico, o per trasporto acquoso; rintracciare mediante questo segno dove stava allora la linea bagnata dal mare, poiché, se il lido era ancora da quelle parti, ad un certo punto i detriti vulcanici dovrebbero trovarsi nei sedimenti marini propriamente detti : non ho dati certi per ri- spondere al secondo quesito. Pel primo potrei aggiungere, che in un rimasuglio di detriti vulcanici, ammucchiato un centinaio di metri più in alto, presso S. Litardo sulla pendice verso la Chiana, abbondano frammenti di sanidino e cristallini di augite, varii dei quali colle faccette ben conservate; il che ed il luogo del giacimento accertano il loro trasporto eolico : ma nei sabbioni bassi sinora non ho trovata l’augite, per cui non si può stabilire se ci sia relazione tra i due giacimenti. Sta però il fatto, che 714 A. VERRI il confronto dei loro frammenti di sanidino mostra in quelli con- tenuti nei sabbioni tanto poco logoramento, da indurmi ad esclu- dere il trasporto acquoso, trattandosi clic avrebbero dovuto venire da più di venti chilometri lontano; preferisco erederveli piovuti. Eppoichò ci sono molte probabilità, che il sanidino dei sab- bioni di Città della Pieve provenga da eruzioni del primo pe- riodo del vulcanismo tirreno, proverebbe che eziandio quelle eruzioni furono accompagnate da esplosioni e getti di materie sciolte; sebbene non abbiano avuto le grandi esplosioni del periodo posteriore, le quali seppellivano vaste regioni sotto immensità di rigetti detritici: sempre per quest’ultimo punto tenendo la riserva circa il peperino viterbese, posta a pagina 326 nel volume XXII del Bollettino. Dintorni di Orvieto. — Nel Bollettino del IL Comitato geo- logica» (anno 1904, pag. 193) aveva letto: « A Castellunchio, presso Orvieto, sull’argilla pliocenica, trovasi poca sabbia plio- cenica del pari, e quindi le ghiaie, cementate parzialmente, con ciottoli lavici e strati di tufo intercalati e sottostanti. Il traver- tino copre ogni cosa. Nelle parti più alte e più sabbiose delle ghiaie suddette resti di Vermetus intortus, Prctcn, Ostrea indi- cano la spiaggia. — Queste, ed altre sezioni che darò a suo tempo, mostrano che nei Vulsini, come nei Cimini, si arriva alla stessa conclusione che dette il Vulcano Laziale, e cioè che le prime eruzioni avvennero quando il mare non si era com- pletamente ritirato nei limiti attuali, ma risaliva le valli del Tevere e del Paglia fin presso Orvieto » ('). Dopo quel che aveva trovato nel bacino al nord di Poma, volli vedere le ghiaie di Castellunchio, sperando clic anch’esse contenessero pezzi trachitici. Nel salire a Castellunchio dalla valle della Paglia notai queste formazioni ad ovest dell’altura : (j) marne sabbiose e sabbie marnose con Ostrea. Poetai , eco.; f'-e) marne con frammenti di Cardini)) edule — marne nelle quali non trovai conchiglie marine; (’) Sabatini, Relazione sul lavoro eseguito nel periodo ISO!)- lutei m i vulcani dell’ Italia centrale e i loro gir adotti. IL BACINO AL NORD DI ROMA 715 d-c-b ) ghiaie — tufi calcarei con molluschi d’acqua dolce — sabbie con concrezioni travertinose; «) tufi vulcanici granulari e terrosi con potenza di parecchi metri. Alla punta dell’altura, dove la strada passa il fosso, che la divide dall’altura di Tordimonte, si vedono distacchi e frana- menti nella formazione. Allato alla strada, il terreno soprastante franoso e boschivo non permette osservazioni molto dettagliate nella zona tra le sabbie con Ostrea, e le sabbie con concrezioni travertinose imbasanti i tufi vulcanici. Al nord della chiesa di Castellunchio, nella località Poiaccio, vidi questa serie, dal basso in alto, alla cava delle ghiaie (est), alla fonte (nord) : /“) marne grigie con Cardium edule, ed altre conchiglie; e) marne grigie senza conchiglie marine; d) ghiaie di rocce eoceniche, con prodotti minuti e gros- solani di eruzioni leucitiche ; c ) sabbie nelle quali non ho trovato alcun fossile; b) travertino con struttura concrezionare includente Elici grosse e piccole, Ciclostome ; a) tufi vulcanici granulari e terrosi, falde di piccoli fram- menti di pomici bianche. Poiché sezioni simili non condurrebbero a concludere che, quando furono depositate quelle ghiaie con prodotti di eruzioni leucitiche, il mare coprisse tuttora le valli del Tevere e del Paglia sin presso Orvieto, le comunico affinché nuove ricerche possano schiarire le differenze di vedute. Dintorni di Orte. — L’anno 1879 scrissi: «Tra il 7U e l’8° chilometro dalla stazione di Orto, si vede la roccia ( tufo tracliitico ) come iniettata in una fenditura quasi verticale di terreno pliocenico, dove a destra si hanno marne e sabbie con ciottoli calcarei, a sinistra sabbie con Pecten vari uh , Ostrea... Cladocora caespitosa. — In quel luogo presso la superficie di contatto le ghiaie calcari sono mescolate alla roccia cristallina; i[ presso la roccia cristallina é coperta da pochi sedimenti ma- 71G A. VERRI rini con Ostriche, e nei sedimenti marini si trova qualche ciot- tolo della stessa roccia, ma talmente sfatto da sgretolarsi tra le mani ...» ('). Ho creduto necessario rivedere le condizioni di (ilici giaci- menti, ed ecco quanto ora posso riferire. A destra e sinistra della strada che dalla stazione ferroviaria di Orte va a Viterbo, tra il 7° c 1!8° chilometro andando a Viterbo, i tagli dei fossi presentano il piano di posa delle rocce trachitiche sulle forma- zioni marine sensibilmente orizzontale. Dalla parte del fosso che scende al nord si vede la roccia trachitica coprire questa serie : sabbie, ghiaie, marne, ed essere a sua volta coperta da tufi vul- canici. Dalla parte del fosso che scende al sud si vedono le formazioni a scaglioni, che hanno il piano di posa della roccia trachitica sui sedimenti marini ad altimetrie diverse: la quale disposizione è dovuta probabilmente a distacchi e scorrimenti, avvenuti dopo le eruzioni trachitiche. Appunto da questa parte aveva veduto i pochi sedimenti con qualche Ostrica sopra la roccia trachitica: epperciò fatto tale potrebbe essere spiegato pure col dilavamento, operato dalle acque nelle balze degli sca- glioni più elevati. Allato alla strada, e precisamente poco dopo il 7° chilometro, il profilo del terreno a destra disegna un piccolo rilevato. Il dila- vamento delle acque, i franamenti, la coltivazione estesa- ora su quella superficie clic prima era incolta, non fanno vedere oggi la sezione con quella nettezza, con che appariva nel 1870, ma le linee caratteristiche ne sono conservate abbastanza bene. Nel mezzo del rilevato si drizza, con direzione normale all’asse della strada, un banco grosso in media 0.50, composto da roccia trachitica contenente pezzi di pomice bianca, analogamente a quanto si vede nella zona che sta alla base della formazione del peperino in quelle contrade. A sinistra del piccolo rilevato la massa trachitica del poggio Confine protende verso il rilevato, sulla balza della strada, l’imbasamento a guisa di nastro; il nastro inflettendosi si rialza e resta troncato. Da sotto questo nastro escono strati marini sabbiosi ed argillosi con Ostriche, Pettini, cespugli di Cladocora; i quali strati, pur essi intletten- (’) I Vulcani Cimini, R. A oc. dei Lincei, 1879-80. IL BACINO AL NORD DI ROMA 717 dosi, si raddrizzano e vanno ad addossarsi al banco trachitico verticale del rilevato. A destra appoggiano al medesimo ghiaie nelle quali abbondano i calcari del Lias inferiore, sabbie ed argille con gusci di Ostriche e Pettini fratturati, ma non mo- stranti logoramento per trasporto. Davanti al banco trachitico raddrizzato la balza della strada è composta da terreno poco consistente che, sconvolto e franoso, toglie di vedere se quel banco si approfonda; ma, esaminato anche il terreno dall’altra parte, sembra che il banco si arresti più in alto del piano stra- dale, nò si estenda lateralmente nel senso della sua direzione; c pare che sotto esso vengano a contatto i sedimenti marini di destra e di sinistra. Per condizione tale di cose, in quel banco possono pure ravvisarsi caratteri d’un frammento della massa trachitica preso in mezzo da piega dei sedimenti marini, o imprigionato tra .loro pel rialzamento a destra d’un lembo di formazione marina, che distaccatasi si sia inclinata verso la vallata del Tevere. Per- tanto, poiché tal caso singolare nella stratigrafia locale può essere interpetrato eziandio in modo, da escludere l’idea che i prodotti del vulcano Cimino siano stati coperti colà da acque marine, ho creduto opportuno dettagliarlo, onde richiamare l’at- tenzione su questo punto, perche ulteriori ricerche abbiano modo di riconoscerne con esattezza la natura. Aggiungo un compendio mostrante il processo del pensiero, nello studio stratigrafico delle trafiliti Cimine. L’anno 1870 Ponzi riferiva le trachiti del Cimino ad eruzioni sottomarine, incomin- ciate sul declinare dell’Eocene e scriveva: « Al Cimino Brocchi notò che nella parte inferiore della montagna i cristalli sono più minuti dei superiori, a causa della pressione della massa sovrin- combente ». {La Tuscia Romana e la , Tolfa, pag. 18, 22). Nel 1879, per quel che aveva veduto nei dintorni di Orte, riferii ad eruzione sottomarina, avvenuta sulla fine del Pliocene, la roccia trachitica con cristalli piccoli ricca di svariati inclusi, distesa nella parte bassa della montagna, e chiamata peperino dai pae- sani; considerai questo peperino composto con materiali strappati da trachiti d’un periodo eruttivo anteriore alla sedimentazione pliocenica; riferii le trachiti del rilievo montuoso ad eruzioni posteriori, riversatesi su terreno in corrosione. Mediante adat- 718 A. VERRI tanicnti tali, mi parve che gli appunti di campagna si accor- dassero colle indicazioni date dal Brocchi nel Catalogo ragionato, colla opinione di lui citata dal Ponzi, nonché colla opinione del Ponzi. Venutomi poi qualche dubbio, quando non aveva modo di riprender le osservazioni, parlando nel 1889 delle idee del Williams sul monte Annata, suggerii di esaminare se esse fossero applicabili al Cimino, con che il peperino sarebbe passato a coperta della trachi te con grandi felspati della montagna. In appoggio adduceva che, nelle fornaci tra Bagnaia e Soriano, il Pliocene sta a contatto colla trachite a grandi felspati, senza interpolamento del grosso banco di peperino, o tutto al più apparendocene uno di assai piccolo spessore, e soggiungeva: « lo allora supposi che quel banco fosse stato abraso, ma forse la ragione della mancanza può essere diversa » ( Bollettino , voi. Vili, pag. 857, 358, 413). Nel 1903 da altri sono state addotte nuove prove, circa la sopraposizione del peperino alle trachiti del rilievo montuoso; venendo però a conclusioni differenti sulla natura e genesi di quella roccia. Detti le indicazioni bibliografiche di questi studi nel Bollettino (voi. XXII, pag. 361, 362). Bacino al nord di Roma. — Interessandomi fare il confronto, tra la formazione dei sabbioni con cristalli di sanidino dei din- torni di Città della Pieve, e (india col particolare tufo trachitico segnalata dal Clerici, sul colle S. Agata, alle origini del fosso della Rimessola, sono andato a visitarla. Il terreno, rotto per la coltivazione, m’ha lasciato vedere molto poco; dirò le impressioni ricevute da quel poco clic m’è riuscito vedere. M’è sembrato che, nel riguardo genetico, sia grande analogia tra le formazioni includenti materie vulcaniche dei due luoghi. A Città della Pieve abbiamo frammenti di sanidino, sparsi tra sabbioni e sabbie argillose formate dopo il ritiro del mare. Sul Colle S. Agata ho vedute falde di un detrito trachitico minuto ed alterato, com- prese tra sabbie (l’un bacino acquoso che accenna ad estendersi verso nord, rappresentato da argille grigie e giallastre contenenti concrezioni calcaree c limonitichc, sopraposte a sabbie con < )strichc e Pettini. Il bacino sul principio avrebbe avuto comunicazione colle acque salse, perchè negli strati inferiori le argille gial- lastre contengono conchiglie marine, poi pare che sia rimasto IL BACINO AL NORD DI ROMA 7 li) separato totalmente dal mare. Coprono il bacino sabbioni con pa llottolc nere, come se ne trovano a Città della Pieve, tanto nel complesso della formazione avente cristalli di sanidino, quanto in quella maremmana più antica estesa sopra l’altipiano. Sopra tali sabbioni, aventi qualche metro di potenza, vengono tufi vul- canici grigi, come in altri luoghi della valle dell' Acquatraversa. Se le cose stanno in questo modo, qua ancora il trasporto di (pici detriti di eruzioni trachitiche sarebbe avvenuto in un mo- mento di ritiro deciso del mare. Per maggiori particolari leggasi l’articolo del Clerici. [ras. pres. il 19 novembre 1905 - ult. bozze 20 dicembre 1905]. NUOVE RI CERCHE GEOLOGICHE SUI TERRENI COMPRESI NELLA TAVOLETTA «PALUZZA» Nota preventiva dei soci P. Vinassa de Regny e M. Gortani In continuazione delle ricerche intraprese l’anno decorso fu da noi esplorata la zona clic dalla Pontebbana si estende alla But e dai gruppi del Tersadia c del Cullar a (incili delle Zollner Hbhe e Weidcgger Hbhe e dello Schulterkofel, c specialmente la porzione occidentale e settentrionale di questa zona, clic c senza dubbio una delle più complicate dell’Alta Carnia. Ci ri- serviamo di pubblicare per esteso i risultati dello studio, clic ci ha portato a modificare notevolmente la carta geologica e al- cune delle principali lince tettoniche di questo gruppo mon- tuoso. Terreni silurico-devoiiici. — La serie siluriana si presenta in generale cogli stessi caratteri già notati l’anno decorso. Agli scisti argillosi o carboniosi a Graptoliti, poco o punto quarzoso- arenacei, di aspetto litologico diverso da quelli carboniferi, che spesso vi sono a contatto, ed ai conglomerati c brecciolino si- licee oscure, succede superiormente una potente massa di cal- cari con Orthoceras c Ammonitali, reticolati, grigi o rossastri, con venature di colore avana, in strati generalmente sottili, che si trovano sui monti Cima Val di Puartis, Lodìn, Creta Rossa, Cima Costa Alta, Zollner Hbhe, Wiirmlacher Alpe, c alla base meridionale del Pizzo di Timau. Con tali calcari sono inter- stratificati sui monti Cima Costa Alta, Lodili c Cima Val di Puartis i calcari a Coralli silicizzati riportati sinora al Devo- niano medio (De Angelis) o inferiore (Eredi), ma che per la loro posizione stratigrafica devono probabilmente ritenersi al- quanto più antichi. I Coralli sono numerosi lungo una zona TERRENI COMPRESI NELLA TAVOLETTA « PALUZZA » 721 continua che affiora sui due versanti del M. Creta Rossa, gira lungo il fianco settentrionale dei M. Lodili e Cima Val di Puar- tis, ed in seguito ad una sinclinale riappare come in doppio anello sul pendio meridionale ed occidentale dei monti me- desimi. Ortoceratidi e Ammonitidi si raccolgono in vari punti nei calcari reticolati sopra e sotto la zona corallina. Finalmente ne- gli scisti carboniosi scoprimmo Graptoliti numerosissime e ab- bastanza ben conservate, in generale Monograptus e Retiolites , a circa 200 metri sopra la casera Meledis di Sotto. Questo rin- venimento è notevole in particolar modo perchè il Frech collocò erroneamente presso casera Meledis il giacimento graptolitico scoperto dal Taramelli fra le casere Ramàz e Lodili, e disse di averlo ricercato invano. Nei terreni veramente devoniani abbiamo riscontrato una estensione maggiore di quella notata lo scorso anno special- mente lungo il Rio Lanza. E presso la Gas. Primosio Alta raccogliemmo numerosi fossili, mentre non riuscimmo a trovare la località indicata vagamente dal De Angclis lungo il R. Selleit. Terreni carboniferi e permiani. La serie silurico-de- vonica è limitata quasi ovunque dai terreni paleozoici superiori. A N la discordanza già segnata da noi stessi e dal Geyer, porta gli scisti ed i calcari siluriani e devoniani a contatto con scisti e calcari carboniferi. Calcari grigi o nerastri a Fusu- line e Coralli costituiscono le rupi di Socrètis, immediatamente a N di Cima Val di Puartis, e si estendono per lungo tratto in territorio austriaco verso la Weidegger Hòhe, il Waschbuhel, il Feldkogel ed i casolari di Straning. Conglomerati quarzosi e arenarie con Calamites o con Fusuline e Brachiopodi com- pletano la serie, che si riattacca a quella del Piano di Lanza e dei monti sopra Pontebba, in discordanza si spinge a occi- dente fino ai passi di Lodinùt e Pccol di Chiàula, c riappare sopra le casere Primosio e presso il Cristo di Timau. Mentre va spostata la macchia carbonifera da noi segnata con dubbio lungo il R. Tamai sulla fede di Stur e di Stadie, e che rappresenta dei lembi di Carbonifero discordante, deve essere invece molto più estesa quella segnata senza contorno preciso a N. della casera Costa Robbia. Essa si connette stret- 722 P. VINASSA DE REGNY E M. GORTANI tamente colla formazione porlirica paleozoica, della quale ci siamo occupati con cura speciale. Le rocce eruttive verdi clic il Frech riporta al Carbonifero, e il Geyer in gran parte al Paleozoico antico, sono invece an- che permiane, contemporanee cioè ai porfidi, diabasi, ecc. della Val del Degano e del M. Cimòn (gruppo del Tenchia), che il prof. Taramelli sostenne sempre esser permiani. In mezzo alla formazione sii ariana, e limitata soltanto a S dalle arenarie di Val Gardena, un’imponente massa eruttiva, partendo dal E. da Nasa, si dirige verso W lungo la grande faglia Pontebbana-Li- gosullo-Castiòns segnalata lo scorso anno, giunge senza lacune tin sul versante meridionale del monte Paularo, dove era si- nora sfuggita all’attenzione dei geologi, e quindi, descrivendo un grande semicerchio qua c là interrotto, a Cas. Pian dei Ai, E. Bagnadòries, Cima Fontana Fredda, Cas. Pecol di Chiàula bassa e Cas. Lodili ut bassa. La vasta area delimitata da que- sta massa eruttiva è occupata da conglomerati, arenarie mica- cee e scisti del Carbonifero, in mezzo a cui, circondate da lembi di Val Gardena e con arenarie di Val Gardena impigliate, sorgono le cime dei monti Paularo, Dimon e Neddis, costituite in prevalenza da roccia eruttiva, che da varie parti si riattacca a quella della zona anulare e per mezzo di essa a quella coe- tanea oltre la Bùt. Da ciò risulta come il Frech, e in parte anche il Geyer abbiano errato nel segnare i limiti di questa massa eruttiva. Tettonica. — La linea normale al E. Lanza, fra le casere Val Bertàt e Meledis, che segnammo già come faglia, è invece il contorno del Carbonifero in trasgressione, clic piega sotto Pittstall a NW, e, passando lungo il E. Malinfier e la cresta di Cima Val di Puartis, giunge presso l’Oharnach Alpe, sepa- rando il Siluriano dal Carbonifero superiore; quindi passa tra il Waschbuhel e la Weidcggcr Hòlie, e si riallaccia in linea retta nella sella fra l’Hochwipfcl e lo Sehulterkofel con la li- nea segnata diligentemente dal Geyer. L’anello di rocce eruttive, più o meno interrotto, che separa, in gran parte dal Siluriano la serie carbonifera e permiana nella parte occidentale della regione esaminata, è limitato esterna- mente da una linea clic passa per E. Bagnadòries, Cas. Pian TERRENI COMPRESI NELLA TAVOLETTA « PALUZZA » 723 dei Ai, Valpùdia, Enfrastórs, Castions, Saveria, Murzalis, LL Pit, Cas. Pianta Robbia, Clapèit e Sicccit, R. da Nasa, Gas. Tamai, Madonna della Schialnte, Cas. Ruvis, R. del Fontanòn, Casere basse di Lodinùt e Pecòl di Chiàula, e il passo fra le casere Ceree vesa e Primosio. Per effetto della trasgressione, il Carbonifero superiore che alle casere Primosio giace pseudonormalmente sul Devoniano superiore, è portato alle falde del M. Scarnìtz c al passo di Primosio a contatto con gli scisti siluriani. Entro l’anello di rocce eruttive la regione è talmente scon- volta che non è possibile rintracciare linee di piegamento. 11 Siluriano ha una pendenza generale verso N o NNE, ma è ar- ricciato e piegato in vari punti, e sembra attraversato da una linea di faglia che, staccandosi a Cas. Lodinùt bassa dall’anello eruttivo, e correndo parallelamente ai rivi Lanza e Cercevesa, scompare presso la casera Val Bertàt sotto i terreni carboniferi trasgressivi. Nella serie silurami è pure interessante la sincli- nale che produce il doppio affioramento dei calcari a Cefalo- pedi e Coralli sul versante meridionale della Cima Val di Puar- tis e del M. Lodili. [ms. pres. il 20 agosto 1905 - alt. bozze 26 dicembre 1905]. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXIV I^e ii cl i o o n t i . PAG. Consiglio direttivo per l’anno 1905 ni Elenco dei Presidenti Iv » dei soci » » dei cambi xm Resoconto dell’Adunanza generale del 12 marzo 1905 . . . xix Elenco degli omaggi xx Variazione al regolamento xxi Bilanci preventivi e consuntivi xxiv Per la pubblicazione di una bibliografia xxvi Memorie presentate per la pubblicazione xxvn Crema: Sull' età cieli' arenaria di Oriolo (Cosenza) . . . xxvm Neviani : Spicole di tetractinellidi xxix Verri: Sul bacino a nord di Roma xxx » : Sulle frane di Orvieto xxxi Appendice: Sulla sezione geologica della casa Mozzanti presso Tonte Molle (Roma)- xxxm Resoconto dell’adunanza generale del 20 agosto 1905 . . . xxx vii Discorso del Presidente xxxviii Commemorazione dei soci defunti xliv Relazione sui concorsi al premio Molon » Comunicazioni scientifiche xlvi Bassani: Cyrtodelphis sulcatus xlvii Baratta: L’acquedotto di Senno ed i terremoti ... » Nomina di nuovi soci xlviii Elenco degli omaggi xlxix Bilanci consuntivi li Adunanza straordinaria del 22 agosto 1905 'lvi Risultato delle elezioni sociali lviii « 726 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXIV PAO. Temi per i concorsi ai premi Molon Lix Appendice I. — Neviani A.: Breve cronaca del congresso lx » II. — Gortani M. : Relazione sommaria delle escursioni fatte in Carnia nei giorni 21-26 agosto 1905 lxvi » III. — Canavari M. : Per il centenario della na- scita di Leopoldo Pilla lxxv » IV. — Vinassa de Regny : Fenomeni glaciali al Piano del Castelluccio (Appennino centrale) lxxxii » V. — Vinassa de Regny: Sulla tettonica delle montagne albanesi e montenegrine . . lxxxiv » VI. — Relazioni e verbali della Commissione per la pubblicazione di una bibliografìa geo- paleontologica italiana LXXXVI » VII. — Riunione straordinaria della Società geo- logica di Francia a Torino e a Genova xcvm >' Vili. — Vinassa de Regny: A proposito delle frane d’Orvieto Civ Memori e . Fascicolo 1° (8 maggio 1905). Vinassa de Regny P. c Gortani M. — Osservazioni geolo- giche sìiì dintorni di Paularo (Alpi Cantiche) (con 1 carta geolog., 1 tav., II, e tre fig. nel testo) 1 De Stefano G. — Appunti sui Battaci e sui Rettili del Quercy appartenenti alla collezione Rossignol (tav. III-V) ... 17 Cacciamali G. B. — A proposito del calcare « Maiolica » . U8 Ugolini R. — Di una eufotide a saussurite dei dintorni di Casti glioncello nei Monti Livornesi 71 Millosevich F. — Rocce propilitiche dei dintorni di Tolfa . 76 Verri A. — Le eruzioni della Montagna Pelce e del Vulcano lui zia! e 81 Capeder G. — Ancora intorno alla genesi delle impronte fos- sili a « Paleodictyon » 89 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXIV 727 PAG. Stella A. — II problema tettonico délVOssola e del Sempione (con 1 tìg.) 101 Gortani M. — Itinerari per escursioni geologiche nell’ alta Gamia (tav. VI) 105 Dainelli G. — « Vaccinites (Pironaea) polystylus Pirona » nel cretaceo del Capo di Lene a 119 Manasse E. — Sopra alcune rocce eruttive della Tripolitania 137 I)e Angelis d’Ossat G. — Il concetto di « individuo » nei zoantari fossili 147 Neviani A. — Di alcuni brio soavi eocenici di Villatorta ( Spagna ) 158 Neviani A. — « Capsulina loculicida Seg. » (pediccllaria fos- sile, preteso for amini fero) 165 Capeder G. — Contribuzione alla conoscenza della origine di alcuni rilievi e di alcune impronte organiche e fisiologiche fossili (tav. VII) 169 Cerulli-Irelli S. — Sopra i molluschi fossili del Monte Mario presso Iioma . 191 Verri A. — Il bacino al nord di Poma 195 A ir aghi C. — Ammoniti triasici (Muschelkalk) del M. Pile in Cadore (tav. Vili) 237 CACCIAMALI G. B. — Sui rapporti fra il Lias ed il Giura nella provincia di Brescia 257 Neviani A. — Spicele di teiractinellidi rinvenute nelle sabbie postplioceniche di Carrubare ( Calabria ) 265 Meli R. — Alcune note di geologia ; prese in una escursione ad Areica nel circondario di Poma 275 Fascicolo 2° (12 gennaio 1906). Cappelli G. B. — Contribuzione allo studio degli ostracodi fossili dello strato a sabbie grigie della Farnesina presso Poma (tav. 1X-X) 303 Toldo G. — Note preliminari sulle condizioni geologiche dei contrafforti appenninici compresi fra il Sili aro e il La- mone (tav. XI) 313 Fornasini C. — Sulle « Spiroloculinc » italiane fossili e recenti. 387 728 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXIV Roccati A. — Sabbia manganesifera di Moncucco Torinese . 401 Capeder G. — Alcune interessanti particolarità nei fenomeni della erosione e della deiezione dei dintorni di Sassari (con 12 tìg. nel testo) 417 Platania G. — Origine della « Timpa » della Scala. Contri- buto allo studio dei burroni vulcanici 451 Vinassa de Regny P. e Gortani M. — Fossili carboniferi del M. Pizzul e del Piano di Lama nelle Alpi Cornicile (tav. XII-XV e 12 fig. nel testo) 461 Bellini R.. — Le varie «facies» del miocene medio nelle col- line di Torino . ' 607 PARONA C. F. — Appunti per lo studio del cretaceo superiore. 054 Roccati A. — Omfacite cromifera e Pirall olite ferrifera del Lago Brocan (Valle del Gesso di Fntraque) ..... 669 Prever P. L. — Ricerche sulla fauna di alcuni calcari num- mulitici dell’ Italia centrale e meridionale (con 7 figure nel testo) 667 Cacciamali G. B. — La Punta d’Oro presso Iseo (con 6 figure nel testo) 694 Lorenzi A. — Le Larie, torrenti che si perdono nella pianura . pedemorenica del Friuli 704 Verri A. — Il bacino al nord di Roma 710 Vinassa de Regny P. e Gortani M. — Nuove ricerche geo- logiche sui terreni compresi nella tavoletta, « Paluzza » . 720 24 JUL. 1906 v s , AVVERTENZE PER I SOCI Bai contratto con la Tipografìa Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di V5 di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse (tozze rimarranno presso la tipografìa per le varie correzioni; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima (tozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa. L. 4; per V2 foglio, L. 2; per ljA di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie. L. 2,50. Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 9° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio (4 f.) la spesa eccedente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. IO" Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusioni di paragrafi e per composizione annullata. Art. 17° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un foglio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20° Gli estratti si spediscono in assegno. CONCORSI AI PREMI MOLON SESTO CONCORSO (rinnovato). A. Tema di Paleontologia. Studio di fossili, di località italiane, accompagnato da con- siderazioni sulla loro importanza in rapporto alla stratigrafia ed alla cronologia. Premio L. 1000 (indivisibile) - Scadenza 31 marzo 1908. B. Tema di Petrografia. Studio petrografico di roccie massiccio nei depositi filoniani o laccol itici, di località italiana, accompagnato da osservazioni relative ai rapporti colle roccie incassanti e da considerazioni cronologiche. Premio L. 1000 (indivisibile) - Scadenza 31 marzo 1908. SETTIMO CONCORSO. Tema di Geologia. Studio geo-tectonico di qualche gruppo montuoso italiano poco noto. Premio L. *2000 - Scadenza al 31 marzo 1908. N.B. Le nonne sono le medesime usate nei precedenti concorsi. Indirizzo del Segretario: Prof. Antonio Nevi ani. — R. Liceo « Visconti ». — Roma. Indirizzo del Tesoriere: Ing. Giovanni Aichino. — Via S. Susanna, 1 A. — Roma. Finito di stampare il 1*2 gennaio liKMJ. Il Bollettino della Società Geologica Italiana ai stampa in fascicoli trimestrali Il Presidente responsabile : Torquato Tarameli.!. 9